Il sapore della notte

di DanilaCobain
(/viewuser.php?uid=171941)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Sette anni prima ***
Capitolo 2: *** 1. Ritorno ***
Capitolo 3: *** 2. Marchio ***
Capitolo 4: *** 3. Il ballo (pt.1) ***
Capitolo 5: *** 3. Il ballo (pt.2) ***
Capitolo 6: *** 4. Arriva la morte ***
Capitolo 7: *** 5. Eredità ***
Capitolo 8: *** 6. L'odore del sangue ***
Capitolo 9: *** 7. Angelo della morte ***
Capitolo 10: *** 8. Mezzaluna crescente ***
Capitolo 11: *** 9. Addio, Olivia ***
Capitolo 12: *** 10. Cosa stavate aspettando? ***
Capitolo 13: *** 11. Versi l'Italia ***
Capitolo 14: *** 12. Roccadipietra ***
Capitolo 15: *** 13. Discendenze ***
Capitolo 16: *** 14. Rocco Sartori ***
Capitolo 17: *** 15. Orlando ***
Capitolo 18: *** 16. Giorno di festa ***
Capitolo 19: *** 17. Solo amici ***
Capitolo 20: *** 18. Pronta ***
Capitolo 21: *** 19. L'iniziazione pt.1 ***
Capitolo 22: *** 19. L'iniziazione pt.2 ***
Capitolo 23: *** 20. Pazzo suicida ***



Capitolo 1
*** 0. Sette anni prima ***


 


Sette anni prima.

La spada gli scivolò dalle mani e atterrò sul manto erboso, ricoperto da un sottile strato di neve ghiacciata. Gerard cadde in ginocchio. Era circondato da sei vampiri, ma il cuore gli batteva all'impazzata per un altro motivo. Non era la sua fine imminente a preoccuparlo, bensì lo spettacolo raccapricciante che aveva di fronte. Suo figlio Kevin era tenuto fermo da due schifosi succhiasangue e accanto a lui c'era Magnor, il vampiro più potente che Gerard avesse mai conosciuto. Forse persino più potente di suo padre Alexandr.

«Magnor.» Fece un profondo respiro e cercò di connettersi con l'energia dell'anello ma era ormai esaurita.

Il vampiro, immobile nel suo abito scuro, volse lo sguardo su di lui. Gli occhi scintillarono di un bagliore rossastro e mostrò appena i canini bianchissimi sollevando le labbra in una smorfia.

«Gerard. Finalmente ci incontriamo.»

«Lascia stare mio figlio. È me che vuoi, no?»

«Ti sbagli.» La sua voce era roca e suadente persino Gerard che aveva anni di esperienza e l'anello a proteggerlo dalla malia dei vampiri stava subendo una forte fascinazione. «Voglio annientare tutta la tua stirpe.»

«Ti basto io. Sono il capo della congrega di Tiern. Se mi uccidi, loro non saranno in grado di risollevarsi per un bel po'.»

Magnor si accostò al ragazzo e lasciò scorrere un dito lungo la sua guancia. Gerard rabbrividì. Gli occhi sbarrati di suo figlio supplicavano di salvarlo, un muto grido di aiuto e di terrore.

«È affascinante il modo in cui voi umani cercate di proteggervi.» Strappò i vestiti dal petto del ragazzo e lo sguardo gli si accese di lussuria. «Un ragazzo così ben fatto... è un peccato che tu debba morire, stasera.»

La mano pallida del vampiro scivolò lungo l'addome di Kevin, fino alla vita. Avvicinò il volto al collo e inspirò. Le iridi si colorarono completamente di rosso. Magnor sollevò le labbra, snudando i canini lunghi e appuntiti.

Gerard doveva fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Chiuse gli occhi e concentrò la sua attenzione sull'anello. Non poteva aver esaurito tutte le forze, doveva pur esserci una riserva. Gli sarebbe bastato anche un ultimo guizzo. Un barlume di luce fece capolino nella completa oscurità. Si aggrappò alla debole fiammella, la tenne stretta.

«Magnor. Lascialo stare.»

Il lord vampiro voltò appena il capo. Gli occhi erano ritornati del colore del ghiaccio e un sorriso compiaciuto gli colorava il viso. «Stanotte tuo figlio berrà il mio sangue e poi morirà. Sarai tu stesso ad ucciderlo quando si sarà trasformato in vampiro.»

Afferrò il ragazzo per i capelli e lo fece cadere in ginocchio davanti a sé. Lui rimaneva in silenzio, negli occhi il disprezzo e il terrore facevano a gara per mostrarsi al vampiro che lo fissava.

Gerard strinse con tutta la forza di volontà che aveva la fiamma vitale che sentiva crescere dentro di lui, che dall'anello si irradiava in tutto il corpo. Un respiro profondo. Poi un altro. Spalancò gli occhi e con un urlo che fece tremare le foglie degli alberi afferrò la spada e si fiondò sul vampiro alla sua destra. Un colpo netto, a fendere il collo, ed era sparito in una nuvola di cenere. Anche un altro vampiro subì la stessa sorte prima che gli altri lo afferrassero, immobilizzandogli le mani dietro al corpo. Si agitò come un animale in gabbia, gridando e scalciando, con le vene del collo che si erano ingrossate tanto da dare l'impressione che potessero esplodere da un momento all'altro.

Magnor, impassibile, batté le mani. «Impressionante, Gerard. Davvero impressionante. Ora goditi lo spettacolo.

Sotto la luce argentata della luna, i canini scintillarono quando Magnor li conficcò nel proprio polso. Sangue scuro colò lungo il braccio pallido, simile ad un serpente vermiglio che scivolava silenzioso sulla pelle diafana.

«No! Magnor, no! Giuro che ti troverò, in qualunque fetido buco della terra deciderai di nasconderti. Ti troverò e ti ucciderò. Mi senti, Magnor? Ti ucciderò!»

Il vampiro strinse la mascella del ragazzo, costringendolo ad aprire la bocca. Lanciò uno sguardo divertito a Gerard e poggiò il polso sulle labbra del ragazzo. Kevin si dimenò, cercò di sputare fuori il sangue che gli aveva invaso la bocca e imbrattava le labbra e il mento. Il vampiro gli chiuse la bocca. Le dita affusolate e pallide sembravano accarezzarlo, cullarlo.

«Buon viaggio, ragazzo. Ci rivediamo dall'altra parte.»

Un movimento quasi impercettibile, fluido, veloce. Il collo del ragazzo fu spezzato e il corpo cadde a terra con un tonfo, in una posa scomposta.

Con gli occhi pieni di lacrime, Gerard tentò di muoversi, di raggiungerlo. Riuscì solo a vedere lo sguardo di Magnor prima che un paio di canini affondassero nel suo collo, trascinandolo verso un abisso nero. Un abisso languido, cullato dalla risata di Magnor. Sentì ogni volontà, ogni pensiero fluire via, il buio lo inghiottì.

Il gelo gli era penetrato nel volto, nei muscoli e nelle ossa. Aprì gli occhi a fatica. La lucidità spariva dietro la nebbia dei ricordi, si riaffacciava e lanciava segnali al corpo dolorante. L'odore di terra fradicia, misto all'odore del sangue penetrò deciso nelle narici. Si sollevò a sedere, lottando contro i giramenti di testa e la nausea.

Un lampo.

Kevin.

Il cuore accelerò mentre con lo sguardo lo cercava. Era rannicchiato contro un albero, la testa accasciata tra le mani. Lacrime calde scivolarono sul volto gelato di Gerard. Suo figlio non era più umano.

Si trascinò verso di lui. Kevin smise di singhiozzare ma non alzò la testa. «Uccidimi. Non voglio essere un mostro papà. Ti prego, uccidimi.»

Il cuore di Gerard si frantumò in mille pezzi. Era quello che doveva fare, lo sapeva fin troppo bene, ma lui era solo un ragazzo, non meritava tutto quello. Artigliò il terreno, conficcando le dita nella terra gelata. La rabbia che sentiva dentro era tutta rivolta verso se stesso, per aver ignorato la voce dell'inconscio e aver trascinato suo figlio in una caccia troppo grande. Il suo adorato Kevin.

Lo strinse tra le braccia. Dove avrebbe trovato la forza di farlo? Lui era bollente, la pelle madida di sudore. Forti brividi gli scuotevano il corpo. Era in transizione. Se non avesse bevuto sangue, nell'arco di ventiquattro ore sarebbe morto. Ma non poteva rischiare di lasciarlo così. Sapeva che l'istinto avrebbe preso il sopravvento e Kevin sarebbe stato portato a nutrirsi di qualcuno e a ucciderlo senza potersi controllare.

Estrasse il coltello dallo stivale. Il figlio lo guardò implorante.

«Fallo, papà.»

Gerard calò il coltello sul suo polso, provocando una ferita profonda, scarlatta, dal profumo ferroso. Kevin dilatò le narici e tremò, nello sforzo di mantenersi lontano dal sangue. Gli occhi emanarono un bagliore rossastro e urlò forte quando i canini gli squarciarono le gengive.

«Che fai, sei impazzito?»

Il volto non era più quello di suo figlio ma quello di un mostro. Trasfigurato dalla brama di sangue, dalla fame lacerante, Kevin indietreggio vedendo suo padre che si avvicinava.

«Bevi», disse Gerard risoluto.

«No.»

«Bevi.» Accarezzò delicatamente i capelli bagnati del figlio «Va tutto bene, Kevin.»

«No, papà, mi trasformerò in un mostro!»

Lui scosse la testa, sentendo le lacrime scivolare lungo il viso e nel collo. Sollevò il polso fino alla bocca del ragazzo. Riluttante, cercò un ultimo brandello di forza per opporsi a quello strano volere del padre ma il nuovo istinto animale ebbe il sopravvento. Affondò i canini nella carne, succhiò forte.

Quando credette di stare per svenire, Gerard allontanò Kevin con delicatezza dal braccio. Rimase a guardarlo a lungo, le palpebre pesanti, le braccia abbandonate lungo il corpo. Kevin guardava verso la foresta, gli occhi sbarrati e una smorfia di terrore. Si teneva ancora le ginocchia contro il petto.

«Che succederà adesso?» Chiese, senza riuscire a guardare il padre.
«Adesso non esisti più. Dirò a tutti che sei morto. Vai, gira il mondo, e cerca di essere felice.» Si tirò su a fatica. «Perdonami. Per tutto.»

Raccolse la sua spada, strascicando la punta sul terreno ghiacciato, e claudicante scomparve tra gli alberi.

 


Ciao a tutti!
Sono tornata con una nuova storia, questa volta di genere fantasy. 
Sono emozionatissima, si tratta del mio genere preferito ma non mi ero mai avventurata in questo mondo con la scrittura. Fatemi sapere le vostre prime impressioni, per me sono davvero importanti.
Se c'è qualcuno che ha seguito la mia storia Così dannatamente bello, volevo dirvi che è stata pubblicata sia in formato digitale che in cartaceo. Nella nuova versione ci sono capitoli nuovi e qualche aggiunta in quelli vecchi. Date un'occhiata e se vi va di supportarmi lasciatemi una recensione su Amazon o Kobo. Grazie, grazie infinite!
Un altro piccolissimo avviso: a breve inizierò a pubblicare una nuova FF su Wattpad, riguardante un calciatore. Seguitemi sui social per restare aggiornati, sono ovunque Danila Cobain!
Baci, a presto con il primo capitolo.


Danila

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. Ritorno ***


1. Ritorno


Scarlett non le stava prestando ascolto. Con la testa china sul tomo in pelle consunta che aveva tra le mani, faceva scorrere lo sguardo avidamente tra le righe e di tanto in tanto emetteva qualche verso in risposta alle sue domande.
Olivia guardò davanti a sé, la legna ardeva scoppiettante nel camino e le fiammelle giocavano a inseguirsi verso l’alto davanti ai suoi occhi. Neanche il disinteresse di Scarlett l’avrebbe distolta dal suo buonumore. Era eccitata per l’imminente arrivo del ballo di primavera, che si teneva ogni anno a Tiern e coincideva anche con il periodo in cui si era formato il primo insediamento ad opera di nativi europei trasferitisi in cerca di una nuova vita.
Aveva sempre adorato quella giornata di festa. Le settimane precedenti erano state una corsa frenetica alla ricerca del vestito perfetto con le sue amiche Miriam e Dajana, e alla fine aveva trovato un abito magnifico, color avorio lungo e con un taglio alla greca, che non vedeva l’ora di indossare. Quel ballo lo attendeva con ancora più ansia dei precedenti, poiché ci sarebbe andata con Matt, il suo ragazzo. Le spuntò un sorriso sulle labbra al pensiero che il ragazzo più bello di Tiern sarebbe andato al ballo di primavera con lei.
Si voltò verso la sorella, seduta sulla poltrona accanto alla sua.
«Craig verrà?»
Craig era il fidanzato di Scarlett, stavano insieme da un paio di anni. Si amavano davvero quei due, lui stravedeva per Scarlett ma Olivia non poteva fare a meno di pensare che da quando avevano iniziato a frequentarsi Scarlett non era stata più la stessa. Era diventata più cupa e solitaria. Usciva pochissimo, non frequentava più la sua comitiva e trascorreva intere giornate rintanata in camera sua, da sola o con Craig.
Un sorriso dolce comparve sul volto della sorella, che continuò a tenere gli occhi bassi sul libro. «Sì. Anche se, se fosse dipeso da lui, ne avrebbe fatto volentieri a meno.»
Olivia fece roteare gli occhi al cielo. Ma certo, Craig era così noioso… davvero non capiva cosa ci trovasse in lui sua sorella.
«Potevi trovarti un fidanzato più allegro» esclamò sottovoce.
«Come Matt?»
Olivia arrossì un poco. «Almeno con lui non ci si annoia mai.»
«Perché non lo inviti a cena, domani? Papà ne sarebbe felice.»
Suo padre non aveva mai digerito Matt da quando aveva saputo che Olivia lo frequentava e Scarlett ne approfittava per tirare fuori questa storia ogni volta che le era possibile. Non capiva se si divertiva o se anche lei la pensasse come il padre.
«Papà presto si ricrederà. Matt è davvero un bravo ragazzo. Poi non capisco come faccia a piacergli Craig.»
Aveva imparato a volere bene a Craig, anche solo per come trattava sua sorella e per come vedeva felice lei, ma chi era? Da dove veniva? Che facevano i suoi genitori? Non sapevano niente di lui eppure suo padre lo aveva accolto in casa come un figlio. «A proposito, dov’è? Come mai non siete in camera tua ad amoreggiare?»
«È uscito con i suoi amici.»
«Quali amici? Orlando e la sua teppa?» Craig se ne andava in giro con quel gruppo di ragazzi violenti e rimaneva il preferito di suo padre Gerard mentre Matt che era un ragazzo educato e andava bene a scuola veniva considerato alla stregua di un demone.
«Ma una volta non ti piaceva Orlando?»
Il viso di Olivia si colorò d’improvviso di un rosso acceso. Per una volta fu felice che Scarlett non la stesse guardando. «Si può sapere cosa diavolo stai leggendo?» sbraitò, irritata dalla sua stessa reazione.
Erano giorni che Scarlett si trascinava dietro quel vecchio libro con una strana scritta sopra e un sole dorato disegnato al centro della copertina.
«Un grimorio» rispose lei impassibile.
Oh, un grimorio, che lettura appassionante. La cosa curiosa era che aveva detto di averlo trovato nella soffitta, tra i vecchi libri del padre.
«Era di nonna Elvira» aggiunse.
Olivia scoppiò a ridere. «Nonna Elvira era una strega?» Da quello che ne sapeva lei, il grimorio era una specie di libro degli incantesimi e la nonna Elvira era la loro bisnonna deceduta prima ancora che loro nascessero. «Allora cosa c’è scritto? Puoi prevedere il mio futuro?»
Scarlett sollevò la testa e si voltò a guardarla. «Non dire sciocchezze, Livie. Non si tratta di quel genere di magia.»
«Ah, no? E di quale allora?» la canzonò lei. Quella era un’altra stranezza che aveva sviluppato sua sorella da un po’ di tempo. Leggeva un sacco di stupidaggini sulla magia, si documentava sulle streghe, soprattutto europee. Quell’interesse cominciava a diventare morboso.
Scarlett distolse completamente l’attenzione dal libro e fissò apertamente la sorella. Sulle prime Olivia credette di averla fatta arrabbiare. I suoi occhi verdi sembravano ancora più grandi e brillanti messi in risalto dalla chioma rosso sangue che le incorniciava il viso. Non aveva mai compreso la voglia della sorella di tingersi i capelli, ma quel colore le stava bene, le donava un’aria selvaggia.
«Oggi ti ho vista parlare con quel ragazzo nuovo.»
«Zaganos?»
«Non mi piace il modo in cui ti guarda, ha qualcosa di strano. Preferirei che stessi alla larga da lui.»
Olivia fissò la sorella. «Scarlett, è un ragazzo nuovo che sta cerando di ambientarsi in città.»
Zaganos era arrivato a Tiern da poche settimane e non era passato inosservato. Alto, fisico asciutto, capelli neri lunghi fino all’orecchio e carnagione olivastra, aveva attirato l’attenzione di tutte le ragazze. Faceva il musicista, aveva affittato un piccolo appartamento sopra al teatro comunale e lavorava come insegnante in sostituzione del maestro di musica della scuola elementare. A Olivia piaceva scambiare due chiacchiere con lui di tanto in tanto.
«Sono seria, Olivia. Devi stargli alla larga.»
Lei scosse la testa, incredula. «Sono libera di frequentare chi mi pare.»
«Smettila di fare la ragazzina, tu non hai nemmeno idea di cosa c’è lì fuori.»
Non fu il tono autoritario con cui lo disse, ma lo sguardo freddo e deciso a far rabbrividire Olivia. Nelle parole della sorella era celato qualcosa che per un attimo la terrorizzò.
«Sei paranoica.» la voce era divenuta ormai un sussurro.
Una folata di vento sbatacchiò l’albero piantato nel loro giardino e fece sbattere le persiane. Olivia sussultò, sentendosi subito stupida, ma Scarlett scattò in piedi e si avvicinò alla finestra. Scrutò attraverso i vetri nel buio della notte.
«C’è qualcuno?» Non capiva neanche perché sentisse una tensione che si andava accumulando sulle spalle. Era stato solo il vento. Eppure avvertiva uno strano formicolio in tutte le terminazioni nervose del corpo.
Le spalle di Scarlett parvero rilassarsi. «No.» Tirò la tenda.
Il campanello di casa suonò. Scarlett e Olivia si fissarono.
«Ma hai detto che…»
«Resta qui, vado io.»
Seppur col cuore a mille Olivia si alzò dal divano e seguì la sorella nell’ingresso. Entrambe rimasero paralizzate sulla porta.
Davanti a loro c’era Kevin, il fratello che non vedevano da sette anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. Marchio ***


2. Marchio


Olivia fu la prima a muoversi. Scansò Scarlett e si precipitò tra le braccia di Kevin.
«Non ci posso credere che sia proprio tu!»
Le braccia muscolose di Kevin si richiusero attorno al suo corpo, stringendola.
«Quanto sei cresciuta Ollie» le sussurrò in un orecchio.
L’abbraccio finì presto, il corpo di Olivia fu strattonato da quello di Scarlett, che la prese per un braccio e la trascinò dentro casa.
«Sei impazzita?» ringhiò la sorella tra i denti. Aveva l’aria di una persona che avesse appena visto un fantasma.
«Che ti prende? È nostro fratello Kevin.»
Scarlett non le rispose. Fissava in cagnesco Kevin come se volesse ucciderlo da un momento all’altro e allo stesso tempo sembrava volergli correre incontro e abbracciarlo come aveva fatto lei. C’era qualcosa di molto diverso nella fisionomia del fratello. Era rimasto bellissimo come sempre ma il suo sguardo era più intenso, più affilato, e sembrava trattenere dentro di sé una forza nuova. Un animale in gabbia.
«Vattene, prima che ti veda.» Scarlett teneva stretta la porta, pronta a richiuderla in faccia al fratello.
«Devo parlare con lui. È importante.»
Dal tono e dall’espressione del viso sembrava davvero importante. Olivia sentì di nuovo la strana sensazione di paura provata poco prima strisciarle sulla pelle.
Non vedevano il fratello da più di sette anni e lei sembrava l’unica a essere felice. Nessuno le aveva mai spiegato per quale motivo suo fratello era partito da un giorno all’altro, senza neanche salutarla. Una lite con il padre, le avevano detto, e quelle poche volte che aveva chiesto spiegazioni ulteriori non aveva ricevuto risposta. Scarlett scrutò nella notte, oltre Kevin.
«Sei venuto da solo? Ti ha visto qualcuno?»
«No. Ma se continui a tenermi qua fuori qualcuno prima o poi mi vedrà.»
«Devi andartene.»
«Ma che sciocchezze dici? Fallo entrare.»
Non si rese conto o non volle credere a quello che vedeva: Kevin si avvicinò alla porta ma non riuscì ad oltrepassare la soglia, come se si fosse spiaccicato contro un muro invisibile.
«Fammi entrare!» Il volto assunse un aspetto innaturale, gli occhi emanarono un bagliore sinistro, rosso. «Ti ho detto che è importante!»
«Entra» fece Olivia.
Scarlett si chinò ed estrasse qualcosa dai suoi anfibi, qualcosa che somigliava ad un coltellino. Il muro invisibile scomparve. Kevin entrò e si richiuse la porta alle spalle. Trasse un profondo respiro e parve calmarsi da quella furia cieca che lo aveva assalito poco prima. Scarlett puntò il coltello al petto di Kevin che rimase immobile, con lo sguardo fisso oltre le spalle delle due ragazze. Ora vi si leggeva sopra un’emozione completamente diversa. Dolore.
«Chi lo ha fatto entrare?»
La voce del padre arrivò inaspettata e affilata come una saetta, squassando la mente di Olivia che guardava tutto come se fosse soltanto sogno. Deglutì e si voltò. Scarlett ritrasse la mano e lasciò scivolare il coltello dentro la manica della maglia.
Dovevano essere tutti impazziti quella sera. Suo fratello che urlava, sua sorella che lo minacciava con un coltello e suo padre, che ora avanzava, incazzato come non mai. Da quando si erano trasformati in una famiglia così brutta?
«Papà.»
Un lampo attraversò gli occhi di Gerard. «Non sono più tuo padre.»
Kevin serrò la mascella e abbassò lo sguardo. «Devo parlarti, Gerard. È urgente.»
Si fissarono senza neanche sbattere le ciglia e Olivia non si accorse di stare trattenendo il fiato fino a quando il padre non sciolse quell’intreccio invisibile e si incamminò verso il suo studio.
«Seguimi.»
Kevin si fece largo tra le due ragazze e strizzò l’occhio a Olivia.
Olivia sentì la porta dello studio chiudersi. Trattenne le lacrime, cercando di trasformarle in rabbia. «Hai puntato un coltello contro nostro fratello? Sei forse matta?» Guardò sua sorella, cercando di imprimere quanto più disgusto possibile nelle sue parole.
«Cosa? Non era un coltello, era una matita. Tu, piuttosto, non farlo mai più. Non devi invitare nessuno in questa casa. Hai capito?»
Risentita, Olivia assunse un tono di sfida. «Perché sennò che fai, mi minacci con una matita? È nostro fratello, Scarlett.»
«Non è più il ragazzo che conoscevi. Mettitelo bene in testa. Poi lo capirai.»
Capire cosa?
Dalla stanza dove erano chiusi Kevin e suo padre qualcosa andò in frantumi. La voce del padre giunse forte e chiara, nonostante la spessa porta di legno.
«Gli altri pensano che tu sia morto! Come credi che reagirebbero se scoprissero che ho mentito?»
Scarlett fece segno a Olivia di tacere e stando attente a non fare rumore si avvicinarono alla porta. Scarlett era inquieta, Olivia aveva solo voglia di piangere. Cosa era successo di così grave tra Kevin e loro padre? Perché così tanto astio? Erano queste le domande che le martellavano in testa quando si accostò alla pesante porta dello studio di suo padre. Un luogo in cui nessuno di loro metteva mai piede.
«Papà, nessuno sa che sono qui. Sono stato attento. Si tratta di Magnor. Sta organizzando un attacco.»
«Lo so, siamo preparati.»
Scarlett guardò di sottecchi Olivia e si mordicchiò l’interno del labbro.
«È questo che mi dovevi dire? Sto rischiando di essere processato per sentirmi dire queste ovvietà? È da quando sono nato che vivo sotto la minaccia di un attacco di Magnor.»
«Questa volta è diverso, vogliono Olivia.»
Scarlett le afferrò il polso e cercò di trascinarla lontano dalla porta.
«Lasciami» sussurrò lei. Ma Scarlett era forte, dannatamente forte. I piedi cominciarono a scivolare sul pavimento.
«E perché mai vorrebbero Olivia?»
«Magnor crede che lei abbia il marchio.»
Fu tutto quello che riuscì a sentire mentre veniva strattonata su per le scale verso la sua camera da letto. Scarlett entrò con lei e chiuse la porta.
«Di che diavolo stavano parlando? Che c’entro io? Chi è Magnor? E che cos’è il marchio?»
«Ehi, calma. Ne so quanto te.» Cercava di rimanere calma ma la sua inquietudine trapelava dalla voce.
Olivia si sedette sul letto. «Se tu non mi avessi trascinata qui ora sapremmo di più.»
Scarlett si sedette accanto a lei e le prese le mani, imprimendo dei movimenti circolari sul dorso con i pollici. Olivia avvertì la tensione scemare e fissò gli occhi sulle labbra della sorella.
«Non devi preoccuparti. Stanno parlando dei loro screzi, cercando di chiarirsi.»
Olivia annuì e tutte le domande che poco prima le erano sembrate di vitale importanza e che pressavano nella sua testa ora sembravano solo sciocchezze.
«Spero che facciano pace» riuscì a dire prima di poggiare la testa sul cuscino. Una lacrima scivolò lungo la guancia mentre chiudeva gli occhi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. Il ballo (pt.1) ***


3. Il ballo (pt.1)
 


Olivia era elettrizzata. Accarezzò la stoffa morbida del suo vestito, rimirandosi allo specchio. I capelli neri lisci e lunghi li aveva lasciati sciolti e aveva intrecciato le due ciocche davanti a dei fiorellini rosa pallido, legati dietro a mo’ di corona. Sorrise al suo riflesso.
Nella sua coscienza non c’era più traccia di quell’ansia e quell’apprensione che aveva sentito appena alzata. Solo l’impazienza di andare al ballo con Matt e vedere le sue amiche.
Scarlett entrò. Era stupenda. Il suo vestito era semplice, di seta nera con uno strato di tulle nero che dalla vita scendeva fino ai piedi, i capelli rossi spiccavano vaporosi e quasi indomabili e sul capo era poggiata una coroncina di fiori bianchi con sfumature cremini, simili a margherite, ma più grandi. Sembrava una ninfa dei boschi.
«Wow» esclamò puntando gli occhi su Olivia. «È arrivato Matt.»
«Scendo.» Raccolse il cappotto e la borsetta e si precipitò per le scale.
Matt era all’ingresso e scambiava qualche parola con i suoi genitori, anch’essi agghindati per la festa. C’era anche Craig, con le braccia conserte e un completo elegante. Gli si illuminarono gli occhi quando vide scendere Scarlett dietro di lei. Le venne incontro verso le scale e la strinse forte tra le braccia.
Suo padre Gerard e sua madre Naomi congedarono lei e Matt, e finalmente uscirono nell’aria pungente della sera scambiandosi sorrisi complici.
Matt era stupendo. I capelli biondo scuro erano pettinati e tenuti fermi dal gel. I ragazzi erano stati sistemati nella sala grande dell’auditorio di Tiern, adibita a sala da ballo. L’ampio parcheggio era quasi pieno. Gli adulti invece sarebbero andati al ballo organizzato dal sindaco nella propria tenuta. Scese dall’auto, stando attenta al vestito. Matt le fu subito accanto, portò le mani sui suoi fianchi e la baciò.
«Sei meravigliosa, stasera.»
Olivia avvertì l’odore pungente dell’alcool nell’alito caldo del fidanzato. Si morse il labbro, evitando di commentare. Non voleva rovinarsi la serata per niente al mondo. E poi avrebbe bevuto lo stesso, una volta dentro. Non poteva certo impedirglielo.
«Perché non facciamo una piccola tappa sui sedili posteriori?»
La mano di Matt scese lungo la gamba per sollevarle l’orlo del vestito ma lei lo fermò.
«No, Matt. Adesso no.»
Lui emise un grugnito e si discostò, prendendole la mano e incamminandosi.
 
Matt spinse le porte facendola entrare per prima. Dentro l’aria era piacevolmente calda. Tolse il cappotto, lasciando scoperte le spalle, e si diresse nella sala mano nella mano con Matt. Olivia si mosse veloce tra i tavoli sistemati ai lati della pista da ballo, impaziente di ricongiungersi con le sue amiche. Le trovò sedute ad attendere qualcuno che le invitasse a ballare.
«Olivia! Ciao Matt» disse Dajana quando furono giunti al tavolo.
Era favolosa nel suo abito rosa cipria con le maniche a sbuffo. Aveva acconciato i capelli castano chiaro in una coda di cavallo e i boccoli morbidi ricadevano su un lato delle spalle, un unico fiore gigante di colore rosa all’altezza del nodo. Essendo il ballo di Primavera, tutte le ragazze avevano addosso dei fiorellini. Molte di loro li portavano intrecciati ai capelli.
Si strinsero in un abbraccio. Anche Miriam si alzò per abbracciarla. Portava un vestito blu dal taglio simile a quello di Olivia. Matt le diede un bacio sulla testa.
«Vado a salutare gli altri.»
Le tre ragazze si avvicinarono alla pista.
«Guardate chi c’è» disse Miriam indicando con la testa un gruppo di ragazzi appena entrati, tra cui Sean, il ragazzo che le piaceva. «Cosa darei per ballare con lui, stasera!»
«Invitalo» fece Dajana, schietta come sempre.
«Tu sei pazza, ho troppa vergogna.»
«Beh, allora rimani pure così nella speranza che accada qualcosa.»
Intanto il gruppo di ragazzi si stava avvicinando. Tra loro c’era Orlando, la testa rasata, jeans strappati sul ginocchio e giubbotto di pelle. Era il cosiddetto teppista della città, lui e il suo gruppo adoravano creare scompiglio alle feste, per le strade, sfrecciando sulle loro motociclette.
Prima di Matt, Olivia aveva avuto una cotta per lui ma non era mai stata considerata, mai neanche degnata di uno sguardo da parte sua. In quel momento, però, sembrava proprio che l’avesse vista. I loro occhi rimasero incollati per alcuni istanti e a lei sembrò che le sorridesse.
«Oh mio dio, stanno venendo qui!» esclamò Miriam.
«È la tua occasione» disse Dajana.
«Magari te lo chiede lui» ribatté fiduciosa Olivia.
Il suo sguardo non riusciva a staccarsi da quello di Orlando, che spiccava ferino sulla sua carnagione olivastra.
«Buonasera ragazze.» La sua voce arrivò forte e chiara nonostante la musica alta e il suo sguardo rimase fisso su quello di Olivia. Passarono oltre e andarono a sedersi in un angolo. Un attimo dopo li raggiunse un atro ragazzo con le birre.
«Vi va qualcosa da bere?» chiede Dajana. Lei era l’unica a cui non era mai importato granché di quella festa, la vedeva solo come una scusa per ingurgitare un po’ di alcol e magari pomiciare con qualche ragazzo. Olivia scosse la testa.
«Io vorrei ballare, ma non vedo Matt.»
«Orlando però ti sta mangiando con gli occhi.» Dajana ridacchiò, facendo scivolare la lingua sul labbro superiore.
«Decisamente» fece Miriam.
Olivia si voltò appena un poco. Orlando teneva la schiena poggiata alla sedia e le gambe allargate e la fissava apertamente mentre beveva la sua birra. Sorrise un poco mentre il suo sguardo si perdeva di nuovo verso la pista.
«Beh, io cerco di dare un senso alla serata.» Dajana arricciò le labbra e mandò dei baci alle due amiche prima di avviarsi dall’altro lato della sala in cerca di alcol.
«Forse dovrei cercare Matt.» Miriam, però, sarebbe rimasta da sola. Evidentemente l’amica glielo lesse in faccia perché si affrettò a spingerla con una mano sulla spalla.
«Vai, vai, non ti preoccupare per me. È la vostra serata, la stavi aspettando da tanto tempo.»
Lo sognava da quando era bambina e partecipava al ballo con i suoi genitori. Sognava di poterci andare un giorno con il suo fidanzato e stare tutta la serata insieme a ballare, a dirsi cose carine e smielate. Da buona migliore amica, Miriam lo sapeva ma Olivia si sentiva troppo egoista a lasciarla da sola. Era timida e si sarebbe sentita triste per tutta la serata. Intravide Matt. Stava con i suoi amici e sembrava spassarsela alla grande. Anche senza di lei. Represse un moto di stizza e toccò il braccio di Miriam.
«No, voglio stare con te.»
«Ma davvero, io sto benissimo.»
«Ciao Miriam.»
Le due si voltarono di scatto. Il colorito del viso di Miriam assunse una tonalità di rosa particolarmente accesa.
«Ciao.»
Sean le sorrise. Le mani in tasca e i capelli un po’ arruffati. «Ti va di ballare?»
Miriam gettò uno sguardo incerto a Olivia, la quale la incoraggiò con gli occhi. Quando i due si allontanarono per guadagnare il centro della pista, lei cercò Matt ma non era più nel punto della sala dove lo aveva visto prima. Fece un giro. Scarlett e Craig stavano entrando, li salutò con una mano. Intravide le ragazze del giornalino della scuola che intervistavano quell’antipatica di Lisa, accerchiata dalle sue leccapiedi, quelli del coro e i compagni di squadra di Matt ma di lui nemmeno l’ombra. Non aveva voglia di cercarlo fuori, né tantomeno di chiedere a qualcuno dove si fosse cacciato. Cominciava ad innervosirsi.
Tornò verso il suo tavolo continuando a sorridere ai volti che incrociava, senza però fermarsi a parlare con nessuno. Come si permetteva quello stronzo di rovinarle la serata? Si lasciò cadere sulla sedia ed emise un sospiro. Almeno Miriam era felice. Si teneva stretta a Sean, gli occhi sorridevano mentre scambiavano qualche battuta.
«Il tuo ragazzo ti ha lasciata da sola?»
Olivia sussultò. Orlando si stagliava davanti a lei con un sorrisetto di scherno stampato sulla faccia.
«Lasciami in pace»
«Ehi, ehi. Che tipino scontroso.» Allungò una mano verso di lei, il palmo rivolto verso l’alto. «Mi concede questo ballo, signorina?»
Orlando, il ragazzo più scapestrato della città, tatuato, poco raccomandabile e dedito alla violenza le stava chiedendo di ballare in modo così carino e cortese? Olivia deglutì. Osservò la sua mano aperta, le sue labbra incurvate in un sorriso, i suoi occhi penetranti.
Perché no, si disse.
Orlando strinse la mano attorno alla sua e la guidò verso la pista. La melodia lenta con sfumature celtiche guidò i loro corpi per un po’ senza bisogno di parole. Olivia si chiedeva costantemente dove fosse Matt, mentre sentiva le mani di Orlando strette attorno ai suoi fianchi. Si guardava in giro ma non lo vedeva da nessuna parte.
«Sei sprecata per lui.» Orlando spezzò il filo dei suoi pensieri.
Lei sollevò un sopracciglio. «Sarei giusta per te?» Si pentì subito di essere stata così sfacciata. Era solo nervosa, perché il suo ragazzo era scomparso lasciandola da sola.
Lui ridacchiò piano, vicino al suo orecchio. «Non sei pronta per stare con me.»
Pronta? «Quindi mi ritieni una ragazzina?» risentita Olivia tirò indietro la testa per poterlo guardare in viso.
Lui scosse la testa. «Non è quello. Non sei ancora pronta
«Che vuol dire?» Una lucina si accese nella sua testa. C’era qualcosa che lei aveva bisogno di sapere, qualcosa che le aveva detto suo fratello. O forse Scarlett. Qualcosa che aveva a che fare con l’essere pronta? No, in pericolo. Lei era in pericolo.
«Lo capirai presto.»
Le prese il viso tra le mani e prima ancora che lei riuscisse a capire cosa stava succedendo, Orlando si chinò e poggiò le labbra sulle sue. Solo per un paio di secondi, ma il mondo sembrò fermarsi. Aprì gli occhi, confusa, e vide Matt. In piedi, dietro Orlando, gli occhi carichi di disprezzo.
«Matt.»
«Puttana.» Ma più che udirlo vide le sue labbra muoversi. Si girò e si fece largo tra la calca a spintoni.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 3. Il ballo (pt.2) ***


3. Il ballo (pt.2)



Matt uscì fuori e Olivia lo seguì, correndo. «Matt per favore, aspettami!» Avvertì delle fitte di dolore ai piedi per via delle scarpe col tacco ma continuò a correre, fino a quando non riuscì ad afferrargli la giacca.
«Matt.»
«A che cazzo di gioco stai giocando?» Aveva i pugni serrati e fremeva di collera.
«Non è come credi.» Cercò di toccarlo ma lui si ritrasse.
«A no? Che stavate facendo allora? Perché cazzo stavi ballando con lui?»
«Perché tu non c’eri e mi ha chiesto di ballare.»
«Quindi ogni volta che non ci sono e il primo arrivato ti chiede di fargli un pompino tu glielo fai, vero? Perché te lo ha chiesto!»
I toni erano forti e attorno a loro si stava radunando un gruppetto di curiosi. Olivia si passò una mano sul volto.
«Stavamo solo ballando.»
Matt scosse la testa e serrò la mascella. «Solo ballando…» Afferrò Olivia per il polso e iniziò a trascinarla verso il parcheggio. «Adesso ti faccio vedere io.»
«Matt per favore, Matt mi fai male… ti prego… non correre…»
Lui sembrava non udirla. La mano era serrata sul polso della ragazza, faceva male e in più non riusciva a stargli dietro a causa delle scarpe col tacco. Arrivati alla macchina la sbatté violentemente contro la portiera, la carne scoperta contro la lamiera ghiacciata. Olivia si massaggiò il polso.
«La festa è finita. Sali in macchina.»
«Per favore, parliamo. Io non ho fatto niente.»
Le prese il viso con fare minaccioso. «Devi stare zitta, hai capito? Zitta!» stringeva e Olivia cominciò a sentire le lacrime pizzicarle gli occhi. «Sei una puttana e basta, mi fai schifo.»
«Mi fai male Matt. Basta.»
Matt aumentò la pressione e lei non ce la fece più. Con tutte le forze che aveva in corpo gli diede una spinta abbastanza forte da farlo indietreggiare e gli mollò un ceffone in volto. Il colpo vibrò secco nella notte.
Gli occhi di Matt fiammeggiarono di collera. Olivia non lo aveva mai visto così, neanche con i suoi amici, era sempre stato molto dolce e gentile. La stava spaventando. Sapeva di averlo ferito ma desiderava anche che capisse che non era stata lei a baciare Orlando e che l’unica sua colpa era stata quella di accettare di ballare con lui. Sempre se poteva essere definita una colpa. Il suo ragazzo l’aveva lasciata sola per andare a bere con gli amici e pretendeva che lei stesse da sola in un angolo ad aspettarlo?
Ma capì che in quel preciso momento non avrebbe potuto chiarire un bel niente. Matt sembrava accecato dall’ira. I suoi lineamenti esprimevano tutto il disgusto che poteva provare per lei. Stringeva i pugni talmente forte che le nocche erano diventate bianchissime. Poi la mano scattò, repentina e forte, e Olivia si ritrovò con le lacrime agli occhi per il dolore. Si protesse con il braccio quando vide che Matt stava per colpirla ancora. Lui glielo afferrò e la spinse contro l’auto chiudendo l’altra mano attorno alla sua gola.
«Mi hai fatto fare la figura dell’idiota lì dentro.»
Matt strinse ancora, chiudendole la più piccola via d’accesso all’ossigeno. E a quel punto Olivia ebbe paura. Puntini di luce scintillarono davanti ai suoi occhi mentre con la mano cercava di graffiargli il volto per potersi liberare dalla morsa. La testa cominciò a farsi leggera, i polmoni chiedevano aria. Matt sembrava un alieno. Gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia.
Stava per morire, proprio il giorno che amava di più, nella serata che sarebbe dovuta essere perfetta, per mano del ragazzo che avrebbe dovuto renderla tale. Una voce bassa e profonda squarciò la notte e l’oblio nel quale stava precipitando.
«Lasciala andare.»
Era dura, perentoria. Un comando che non ammetteva repliche. L’ossigeno tornò a riempirle i polmoni mentre Matt si staccava da lei.
«Tu fatti gli affari tuoi.»
Olivia si piegò sulle ginocchia mentre si riappropriava della vita e il sangue affluiva di nuovo al cervello. Le girava la testa e per un momento credette di svenire. Sentì dei passi avvicinarsi.
«Stammi bene a sentire. Tu adesso ritorni alla festa e ti comporti come se non fosse successo niente. Domani mattina andrai da lei e le chiederai scusa e poi scomparirai per sempre dalla sua vita. Mi hai capito?»
Olivia alzò la testa per vedere. In piedi di fronte a Matt c’era Zaganos e le sembrò di vedere i suoi occhi diventare rossi per un secondo.
«Sì, ho capito» rispose Matt con voce atona. Zaganos fece un segno del capo e lui se ne andò senza degnarla di uno sguardo. Un brivido le corse lungo la schiena, un grido di allarme che si propagò attraverso tutte le terminazioni nervose e rimase sottopelle un formicolio strano, come se avesse infilato le dita in una presa di corrente e l’elettricità fosse rimasta ancora dentro al suo corpo. Zaganos si piegò sulle ginocchia.
«Tutto bene?»
Nella sua voce c’era una sfumatura calda e vellutata che la tranquillizzò un po’. Annuì e cercò di rimettersi in piedi. Zaganos le offrì una mano che lei prontamente afferrò. Era fredda come il marmo e morbida.
«Grazie.»
Lui la scrutò, studiandole il volto e lasciando scivolare poi gli occhi sul suo corpo con delicata sensualità.
«Come hai fatto?» La voce era incerta.
I penetranti occhi scuri di Zaganos si fissarono nei suoi. «A fare cosa?»
«A convincerlo.»
Olivia aveva visto la furia di Matt sparire in un lampo. Gli aveva obbedito senza batter ciglio. Un bagliore attraversò il suo sguardo. Stava ridendo? Forse no.
«So essere molto persuasivo.»
Ebbe la sensazione che la stesse prendendo in giro e non le piacque. Zaganos si sfilò il giubbotto e lo poggiò sulle sue spalle. Solo in quel momento si rese conto di tremare. Era caldo a contatto con la sua pelle congelata, sapeva di brezza fresca, di pulito e di uomo. Olivia sentì chiaramente una nota mascolina che richiamò alla mente qualcosa di selvaggio, di primitivo. Si sentì più calma.
«Non voglio tornare là dentro» si strinse il giubbotto addosso.
«Facciamo due passi?»
La proposta di Zaganos sembrò leggerle nella mente. Non voleva tornare alla festa, vedere Matt o le sue amiche o peggio ancora Orlando e dover spiegare loro quello che le era successo; ma non voleva tornare neppure a casa dove sarebbe stata sola. E sola non voleva stare.
Insieme si incamminarono verso la parte opposta all’edificio, lungo la strada che portava in centro e attraversava il fiume. Nonostante il male ai piedi, camminare era piacevole. Respirò l’aria fredda e umida, felice di poterla sentire ancora sulla pelle. Sbirciò la figura che aveva di fianco. Zaganos aveva le mani infilate nei jeans neri, anche la maglia a maniche lunghe era nera. I capelli, neri anch’essi, lisci, con le punte che sfioravano il lobo, rilucevano alla luce dei lampioni. Si girò anche lui a guardarla e le sorrise un poco. Nonostante lo sguardo dolce, c’era un che di ferino in quegli occhi. Sembrava un angelo della morte, terrificante e affascinante, pronto a sguainare la spada per reclamare le anime dei peccatori.
«Eri venuto al ballo?» chiese Olivia, a disagio sotto quello sguardo color ossidiana e quei lineamenti duri.
«Sì. Ero molto curioso al riguardo. È da quando sono arrivato che non sento parlare di altro.»
Già. Anche Olivia non aveva parlato d’altro per più di un mese, progettandolo con le amiche affinché tutto fosse perfetto. Invece eccola lì, a cercare di dimenticare una delle serate più brutte della sua vita.
«Lo fa spesso?»
Olivia deglutì, avendo capito fin troppo bene a cosa si riferisse Zaganos. «No.»
Si appoggiò alla balaustra di legno che affacciava sul fiume. L’acqua scura scendeva impetuosa e inesorabile. «Lo so a cosa stai pensando. Credi che Matt sia un ragazzo violento che mi mette le mani addosso ma non è vero. Lui non era mai stato così, non so cosa gli sia preso.»
Ricacciò indietro le lacrime. Le dita di Zaganos si chiusero con delicatezza attorno al polso di Olivia. Lo sollevò, studiando i segni che cominciavano a formarsi. Lei si ritrasse, infastidita.
«Non capisco come mai non ti hanno ancora insegnato a difenderti. Quanti anni hai?»
«Diciassette» sbottò lei, sentendosi piccola, sciocca. «E so difendermi benissimo.»
Lui sbuffò, increspando un poco l’angolo della bocca. Come se trovasse divertente quella risposta. «Il mondo è crudele, Olivia e non ci sarà sempre qualcuno nei paraggi a salvarti.»
«Matt non mi ha mai picchiata» ribadì lei con decisione. «E poi, dopo stasera non penso che vorrà ancora stare con me.»
Abbassò lo sguardo. Quel pensiero le fece salire le lacrime agli occhi.
Un urlo acuto irruppe nella quiete. Zaganos guardò giù, verso la riva del fiume.
«Merda.»
Un altro urlo, questa volta più forte. Olivia anche guardò nella stessa direzione ma non riuscì a distinguere tra le sagome scure che si muovevano. Poi vide la ragazza, circondata da un gruppo di cinque persone. Tutti uomini.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 4. Arriva la morte ***


4. Arriva la morte


«Dobbiamo andare, ti porto a casa.»
Zaganos la prese per un braccio e le fece fare qualche passo. L’urgenza nella sua voce la fece tremare. Ma non potevano andare via e lasciare lì quella ragazza. Da sola con cinque uomini. No. Olivia non lo avrebbe permesso.
«Fermati.» Da sotto provenivano le risate degli uomini e frasi spezzate risucchiate dal fragore del fiume. «Non possiamo lasciarla lì. Dobbiamo aiutarla.»
«Credimi, non possiamo fare niente. Loro sono in cinque e io sono solo.»
«Chiama almeno la polizia!»
«Sì. Però andiamo.»
La ragazza urlò ancora.
«No.» Olivia si avvicinò di nuovo al parapetto, sfuggendo alle mani di Zaganos che cercarono di fermarla. «Brutti figli di puttana, lasciatela andare! Sto chiamando la polizia!»
Zaganos la trascinò via ma non così veloce da impedirle di vedere le cinque teste che scattavano verso di lei. Nel buio brillarono dei bagliori rossi dai loro occhi.
«Olivia, per la miseria! Adesso devi fare come ti dico io, ok?»
Ma era tardi. Uno degli uomini si materializzò davanti a loro. A Olivia si gelò il sangue nelle vene. L’uomo aveva il volto sfigurato in una smorfia crudele e animalesca, al posto dei canini spuntavano due denti affilati da vampiro.
Vampiro.
I vampiri non esistevano.
«Zaganos.»
Oddio, Zaganos conosceva quel tizio spaventoso? Come aveva fatto ad arrivare sul ponte in un battito di ciglia?
«Ulric»
Sì. Si conoscevano. Olivia guardò prima l’uno poi l’altro senza osare fiatare. Le urla della ragazza sotto al ponte erano diventate più fievoli, ma riusciva ancora a sentirle.
«Magnor vuole che ritorni. Con la ragazza» snudò ancora di più i denti in un sorriso arcigno e disgustoso. «È lei.»
Zaganos si interpose tra la creatura aberrante e lei, le spalle forti, le braccia lungo i fianchi. Era lento, freddo e non lasciava intuire quali fossero le emozioni che lo stavano attraversando. Voltò il capo verso Olivia.
«Credo sia il caso che tu ora vada via. Corri!»
Lo sguardo di Zaganos cominciò a mutare sotto ai suoi occhi. Si accese, come se fosse stata innescata una bomba, le iridi si cerchiarono di rosso, ardente come il fuoco, per poi cambiare e scurirsi fino a diventare di un colore cremisi. Olivia era bloccata sul posto. Il cuore le stava schizzando nel petto, una paura atavica le inibiva i movimenti. Deglutì a vuoto, la gola ormai secca. Gli occhi rossi si chiusero per una frazione di secondo e le narici di Zaganos si dilatarono, inspirando a pieni polmoni l’odore umido della notte.
«Adesso» ringhiò, lasciando intravedere il bagliore bianco dei canini allungati.
Olivia si portò le mani alla bocca e cominciò a correre, ma un nuovo grido di terrore scosse la notte e lei si fermò. Non poteva fuggire e lasciare la ragazza da sola ma non avrebbe potuto fare granché per salvarla. Se fosse tornata in città a chiedere aiuto sarebbe stato troppo tardi, lo sapeva. Si tolse le scarpe col tacco e a piedi nudi sull’asfalto gelato prese a correre in direzione della stradina che portava giù, lungo la riva del fiume.
Stupida, stupida, stupida.
Un’unica parola, ripetuta in una litania incessante. Che cazzo stava facendo? Eppure non riusciva a frenarsi, neanche la paura di quelle bestie la teneva lontana. Erba bagnata, fanghiglia, pietre appuntite, i suoi piedi calpestavano di tutto, tagliandosi, scivolando. Teneva alzato il vestito per essere più libera nei movimenti ma era ormai diventato un cencio. Era buio pesto e il chiarore proveniente dalla strada non era sufficiente ad illuminare il percorso. Si stava lasciando guidare dalle voci e dalle sagome che credeva di vedere. Lanciò un’occhiata dietro, in direzione del ponte.
Zaganos era impegnato in una lotta con Ulric. Questi lo teneva per il collo. Zaganos gli piantò una mano nello sterno ed estrasse il cuore. Che cosa? Olivia annaspò. Non capiva, non poteva aver…
Urtò contro qualcosa sul fondo. Cadde a faccia in giù, le ginocchia e le mani che raschiavano sulla ghiaia. Un corpo immobile e scomposto. Gli occhi spalancati, iniettati di terrore e… la gola completamente squarciata. Era un ragazzo, un suo compagno di scuola. Mugolò, atterrita e represse un conato. Si ritrasse dal corpo e si alzò.
«Dolcezza.»
Una presenza incombeva alle sue spalle. Si voltò, la stessa maschera animalesca era sul suo viso, i canini grondavano sangue. Più in là un rumore disgustoso, un risucchio, udibile anche col frastuono del fiume. Un rumore che le fece correre un brivido lungo la schiena e le mandò un’ulteriore scossa di terrore. Si arrischiò a guardare oltre l’uomo.
A terra giaceva un corpo ormai senza vita di una ragazza, circondata da vampiri intenti a banchettare col suo corpo. Gli occhi vitrei erano spalancati e rivolti verso la luna. Dajana.
«Che bocconcino appetitoso» continuò l’essere leccandosi il sangue dalle labbra.
Olivia indietreggiò, lui l’afferrò ma in quel preciso istante la testa si staccò di netto dal suo corpo. Un secondo dopo era diventato polvere. Al suo posto c’era Zaganos.
«Ti avevo detto di andare a casa.»
Schivò l’attacco che proveniva dalle sue spalle, afferrò Olivia per la vita e lei fu trascinata via. Via dalla riva, via dal corpo morto di Dajana, dagli esseri dagli occhi rossi e le zanne che l’avevano uccisa, via tra le case, gli alberi, il vento il cielo. Una nuvola e poi di nuovo alberi, foglie, acqua. Quando avvertì di essersi fermata cercò di guardarsi attorno ma ebbe un capogiro e le mani forti di Zaganos l’afferrarono prima che cadesse. Mani che avevano ucciso, davanti ai suoi occhi.
«Stai bene?»
Olivia strabuzzò gli occhi. Che razza di domanda era? E lui cosa diavolo era? Con uno scatto si liberò dalle sue braccia. Barcollò. Un conato di vomito le piegò le ginocchia. Cadde e senza riuscire a controllare le contrazioni dello stomaco vuotò il suo contenuto a terra. Fu squassata da un altro spasmo e poi un altro ancora. Mani forti e fredde le scostarono i capelli dal volto. Mani di Zaganos.
«Non mi toccare.»
Si asciugò con il dorso della mano e si rimise in piedi sulle gambe incerte. Intorno a lei c’erano solo alberi. Alti e fitti pini, l’aria era pregna dell’odore di terra bagnata e resina.
«Dove siamo?»
«In un posto sicuro.»
Zaganos teneva le mani in tasca ed era appoggiato con una spalla vicino ad una porta di legno scolorita. Una baita in mezzo al nulla.
«Voglio tornare a casa mia.»
«Non puoi. Ti stanno cercando.»
«Chi?»
Zaganos si scostò e aprì la porta. «Entra. Hai bisogno di una doccia calda.»
«Ho bisogno di andare a casa mia. E tu sei un assassino! Hai ucciso quelle… cose a mani nude. Che razza di mostro sei?»
«Lo sai già cosa sono» rispose Zaganos.
La voce era ferma, placida, come se stesse facendo una normale chiacchierata con un amico. Lo sapeva? No che non lo sapeva!
«Sei un vampiro?»
«Sono un vampiro.»
«I vampiri non esistono.»
Ma la convinzione non apparteneva alla sua mente, né tantomeno alla sua voce che venne fuori come un sussurro. I vampiri non esistevano, ma quello a cui aveva assistito era stato fin troppo reale e spaventoso.
Gli occhi spalancati senza vita di Dajana le riempirono la mente. Quegli esseri schifosi chini sul suo corpo. Dagli occhi cominciarono a sgorgare lacrime calde.
«Hanno ucciso la mia migliore amica, Dajana.»
«Mi dispiace.»
Guardò negli occhi Zaganos, colma di rabbia. «Tu sei come loro, tu sei un assassino. Che cosa vuoi da me? Vuoi uccidermi? Allora avanti, facciamola finita.»
«Se avessi voluto farti del male lo avrei già fatto. Voglio solo tenerti al sicuro.»
«Al sicuro da cosa?!»
«Entriamo e ti spiegherò tutto. Per favore.»
Olivia rifletté sulle sue parole. Avrebbe potuto farle del male già da tempo e non le aveva mai fatto nulla. Però sua sorella Scarlett aveva avuto ragione su di lui. Tremava, aveva freddo ed era tutta sporca. Era nel bel mezzo del nulla e tentare la fuga dopo aver visto di cosa fosse capace Zaganos non le sembrava una buona idea. Anche se di idee stupide ne aveva avute diverse, quella sera. Fece un cenno di assenso e lo seguì dento la casa di legno.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 5. Eredità ***


5. Eredità



La differenza di temperatura la stupì. Nella stanzetta scarna e buia era acceso un fuoco scoppiettante. Zaganos premette l’interruttore e una luce sfarfallante vibrò per alcuni secondi per poi stabilizzarsi. Un tavolo con due sedie era addossato alla parete in un angolo, un piccolo divano e una poltrona vicino al camino. Tutto sembrava vecchio di decenni ma pulito. Zaganos aprì una porticina dall’altro lato della stanza.
«Vuoi fare una doccia?»
Olivia annuì ed entrò nel bagno. Una vasca, circondata da una tendina azzurro sbiadito occupava quasi tutto l’ambiente. Zaganor ritornò con un asciugamano e dei vestiti da uomo puliti.
«È tutto quello che ho.»
Richiuse la porta lasciandola sola in quello spazio angusto. Attraverso un piccolo specchio appeso sopra al lavandino guardò il suo viso sporco, rigato dalle lacrime. I capelli erano un ammasso informe di sporcizia, foglie e residui dei fiori che aveva utilizzato per l’acconciatura. Ne sfilò uno, rigirandoselo tra le dita. Doveva essere la serata perfetta. Indimenticabile lo sarebbe stata di sicuro. Un incubo indimenticabile. Lasciò cadere il fiore e spostò lo sguardo sul suo vestito. L’orlo sbrindellato, strappi, chiazze di fango scuro e segni verdi lasciati dall’erba. Lo lasciò scivolare giù dal suo corpo, entrò nella vasca e aprì l’acqua.
Si passò l’acqua addosso, calda e confortante. Lavò via la sporcizia che scompariva turbinando nello scolo della vasca. Chiuse forte gli occhi sperando di riuscire a lavare via anche l’orrore. Proprio in quel momento, dall’altro lato della stanza c’era un vampiro. Un cazzo di vampiro. Quanto poteva suonare ridicola quella parola nella sua testa? Eppure non c’era niente di ridicolo in quello che i suoi occhi avevano visto, niente di ridicolo nel collo squarciato di Dajana e nel suo corpo inerme sulla riva del fiume. Si accovacciò nella vasca e pianse. Che diavolo stava succedendo? Perché tutto quell’orrore? Che ne sarebbe stato di lei? Pensò a Scarlett, a suo padre, a sua madre. Dovevano essere fuori di sé dalla paura. Rimase per qualche tempo nella vasca circondata dal vapore, l’acqua che scorreva e il suo sguardo perso nel vuoto.
 
Quando uscì Zaganos era seduto sulla poltroncina accanto al fuoco con un libro aperto sulle gambe. Sollevò lo sguardo.
«Va meglio?»
No. Non andava meglio. Come poteva?
«Quando hai intenzione di riportarmi a casa?»
Zaganos chiuse il libro con uno scatto. «Siediti. Ti ho preparato del te caldo, ti farà bene.»
Olivia si sedette, sebbene l’unica cosa che desiderasse davvero fare era fuggire a gambe levate. Osservò il volto marmoreo di Zaganos. I lineamenti duri, netti, disegnati da una mano esperta. La tazza fumante emanava un odore intenso. Fece un sorso del liquido scuro.
«Cosa vuoi da me?»
«Tenerti al sicuro.»
«Al sicuro da chi?»
«Magnor.»
«Sarebbe un altro vampiro?»
«È il lord vampiro»
«Cosa vuole da me?»
«Tu non sai niente di niente, vero?» la scrutò con gli occhi stretti.
«Dovrei sapere qualcosa?» stizzita, Olivia lasciò la tazza e si alzò in piedi. «Pretendo che tu mi dia una spiegazione per tutto questo. Smettila di fare giochetti.»
Zaganos la osservò da sotto le folte ciglia nere. «Hai ragione, Olivia. Ma non dovrei essere io a dirti tutto. I cacciatori e le loro stupide regole, non li capirò mai.» sputò l’ultima frase come se fosse qualcosa di disgustoso.
Olivia rimase in silenzio, la mascella serrata e negli occhi un invito a continuare. Chi erano i cacciatori? Si sentì a disagio sotto quello sguardo penetrante, consapevole di indossare una maglia che le arrivava a metà gamba e dei pantaloni che aveva dovuto tenere in vita con un pezzo di stoffa strappato dal vestito.
«Tuo padre avrebbe dovuto raccontarti tutto già da un po’, soprattutto se è vero quello che si dice di te, Olivia, che tu abbia il marchio.»
Il cuore accelerò. Suo padre sapeva qualcosa. «Aspetta, che c’entra mio padre? Di cosa stai parlando?»
«Della tua eredità. La tua è una famiglia di cacciatori di vampiri e tu sei destinata a diventare come loro.»
Impossibile.
Lei era una ragazza normale. Suo padre era un ingegnere e sua madre un’impiegata. Nessuno aveva mai parlato di vampiri, nessuno aveva mai fatto cose strane, a parte Scarlett ma lei era solo appassionata di esoterismo.
«Ti stai sbagliando. Avete sbagliato persona.»
Zaganos non battè ciglio. «Comprendo che sia difficile da accettare.»
«Io non ho nessun marchio. E poi che cosa diavolo sarebbe questo marchio?»
«Il marchio non è qualcosa che si vede, è qualcosa che hai dentro e che ti rende speciale. Per esempio, sei immune alla persuasione di un vampiro. Noi siamo capaci di ipnotizzare un essere umano e costringerlo a dimenticare o a fare qualsiasi cosa vogliamo. Stasera ho usato la persuasione su di te e tu sei immune, anche se sicuramente i tuoi genitori ti avranno protetto con qualche amuleto. Forse quel bracciale.»
Olivia abbassò lo sguardo sul bracciale d’argento con un ciondolo a forma di mezzaluna crescente che lei adorava e che possedeva da quando era una bambina. Glielo aveva regalato il padre e non se ne era mai separata.
«Sei preziosa anche per noi vampiri, poiché il marchio ti rende così speciale da essere l’unica femmina in grado di procreare un vampiro. Il marchio è molto raro ma in genere si trova tra le famiglie di cacciatori. Per questo quelli della mia specie rapiscono le donne col marchio e per questo Magnor ti cerca.»
«Tutto questo è una follia! Tu e i tuoi amici siete una manica di psicopatici assassini!»
Zaganos si alzò e le poggiò le mani sulle spalle. «So che è troppo tutto in una sola volta. Perché non riposi un po’? Domani mattina, a mente lucida, potrai chiedermi tutto quello che vuoi.»
Le mani di Zaganos erano fredde. Si sentiva così spaesata e bisognosa di conforto che per qualche secondo rimase immobile e grata per quel contatto. Poi si liberò di scatto. «Non mi toccare.»
«Di sopra c’è un letto.»
Uno sbuffo d’aria e non c’era più. Olivia si guardò intorno, turbata e atterrita. Salì le scale di legno scricchiolanti del soppalco e si distese sul letto. Non pensava che sarebbe riuscita a dormire dopo tutto quello che le era successo e quello che le era appena stato detto ma la stanchezza fisica prese il sopravvento e in men che non si dica si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 6. L'odore del sangue ***


6. L'odore del sangue



La notte era carica di odori. Funghi appena nati nel sottobosco, leprotti e scoiattoli sonnecchianti nelle loro tane, cani, un cervo. Zaganos fece uscire l’aria dal suo copro. Il profumo speziato del sangue di Olivia gli sollecitava ogni fibra, l’istinto animale di berne anche solo un po’ era trattenuto a fatica sotto la pelle e un ferreo autocontrollo. Aveva delle ferite aperte, sulle braccia, sulle gambe, sui piedi. La baita ormai era pregna di quell’odore invitante.
L’aveva lasciata che era sconvolta. Non era stato piacevole dirle la verità ma non aveva avuto scelta. Certo non si aspettava una visita dai suoi compagni, nemmeno che Magnor fosse così impaziente. Lui doveva studiare la situazione e capire se Olivia avesse il marchio o meno, se fosse stata già iniziata e, solo qualora fosse risultata idonea, rapirla e portarla al lord vampiro. Olivia non era stata iniziata. La prima volta che l’aveva vista si era reso conto dal suo odore quanto fosse ancora innocente, ma non era riuscito a capire se avesse il marchio. Non era mai rimasto da solo con lei, non era mai riuscito ad assaggiare il suo sangue per poter capire. A giudicare dal suo odore delizioso, però, era quasi certo che fosse degna.
Una donna col marchio significava tutto per la sua specie. Poter procreare un vampiro significava dotare quest’ultimo di una qualità importantissima: l’immunità agli incantesimi. Essere un vampiro di nascita rendeva immuni da qualsiasi tipo di incantesimo. Magnor era un vampiro di nascita. Voleva che anche la sua progenie lo fosse.
Doveva nutrirsi e doveva farlo immediatamente. Doveva nutrirsi di sangue umano. Olivia sarebbe stata al sicuro lì, in quella casetta di legno che aveva trovato diversi mesi prima perlustrando la zona. Era circondata da ettari ed ettari di bosco fitto senza nessun insediamento umano nel raggio di chilometri. Il padrone era un anziano signore che tutti i giorni si aggirava tra quei boschi per tagliare la legna e aveva un appoggio durante il giorno prima di ritornare verso il paesello, dove aveva un’altra piccola casa al limitare del bosco. Zaganos, sotto l’effetto della compulsione, lo aveva interrogato: persone lì se ne vedevano pochissime, ancora meno durante quel periodo dell’anno, in cui faceva ancora molto freddo.
Si chiese se inconsciamente portare Olivia al sicuro fosse sempre stato nei suoi piani. Dal momento in cui l’aveva vista aveva compreso la sua innocenza, ma anche il suo essere speciale. Non aveva ricevuto il tatuaggio dell’iniziazione, uno strano rituale che eseguiva la congrega per i nuovi membri, un tatuaggio che rendeva più agili, più forti e soprattutto in grado di avvertire la presenza dei vampiri. Zaganos era protetto anche da quello, forse il sangue di sua madre. Poteva camminare al sole ed essere mascherato alla presenza dei cacciatori. Era quello il motivo per cui Magnor lo aveva scelto per eseguire il compito di rapire la ragazza. Si era sempre tenuto lontano dagli intrighi di potere, dalle lotte con i cacciatori. Aveva scelto di vivere la sua vita viaggiando, sperimentando, inseguendo la bellezza in ogni angolo del mondo. In quella parte del paese era praticamente sconosciuto, passare inosservato sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Le scale all’interno della baita scricchiolarono, segno che Olivia stava andando a letto. Si mosse rapido, fulmineo, tra gli alberi e poi giù lungo il sentiero fino a giungere ai piedi del paese più vicino. Annusò l’aria, si mise in ascolto, in cerca di qualcuno che si aggirava da solo.
La traccia di una donna, intensa, decisa. Due passi ed era dietro di lei. Sogghignò alla vista dei suoi bei fianchi che ondeggiavano sensuali. Si sarebbe concesso volentieri anche del piacere carnale, ma doveva fare in fretta. stava correndo un rischio con gli uomini di Magnor già sulle sue tracce, probabilmente. L’affiancò e non appena la ragazza si voltò a guardarlo agganciò il suo sguardo al proprio.
«Tranquilla, non voglio farti del male. Adesso seguimi.»
La ragazza annuì, senza più una volontà propria. Zaganos si guardò in giro attento a non farsi vedere da nessuno e la guidò verso un anfratto buio e umido. Le annusò il collo, il bisogno di bere ormai impellente, le zanne completamente snudate. Leccò la vena giugulare, palpitante e calda.
«Ti prego» mugugnò la ragazza.
Oh, sì. Anche lei desiderava soddisfarlo. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per staccarsi dal collo. Se l’avesse morsa in quel punto forse non sarebbe riuscito a fermarsi in tempo. Prese il braccio della ragazza e lo portò alle labbra. Affondò i canini e un fiotto di sangue caldo inondò la sua bocca. Era deliziosa. Emise un suono gutturale e animalesco, mentre la ragazza emetteva un lamento sommesso. Un lamento di piacere. Succhiò veloce. Tutto il suo corpo risvegliato dalla linfa vitale che scorreva giù per la gola, corroborante. Si ritrasse e si leccò le labbra rosso vermiglio. Sfiorò il viso della ragazza con il dorso della mano.
«Grazie dolcezza. Ora vai a casa e dormi, tutto questo è stato solo un piacevole sogno.»
La ragazza ubbidì e scomparve alla sua vista.
Tornò alla baita. Intorno era tutto tranquillo. Olivia dormiva, riusciva a sentire il battito regolare e lento del suo cuore. Entrò. L’odore del suo sangue permeava la casa, forte, invitante. Ma ora sentiva il pieno controllo di sé. Salì le scale. Stava raggomitolata sotto le coperte consumate dal tempo, il viso schiacciato contro il cuscino. Zaganos si accostò al letto. Avvolta dall’aroma ferroso e accattivante, sembrava tranquilla. Le scostò i capelli dal volto, studiandone i lineamenti con le dita.
Gli dispiaceva essere stato lui a raccontarle della sua famiglia. La stupidità dei cacciatori e delle loro regole arcaiche lo sorprendeva sempre. Ma era stato necessario e inevitabile. Si era mantenuta anche piuttosto tranquilla per essere una ragazza giovane e ingenua e aver assistito a tutto quello in una sola notte sarebbe stato troppo per chiunque.
Lei era speciale, ce l’aveva nel sangue l’essere una cacciatrice. Inoltre era sempre più convinto che possedesse il marchio. Non era diventata isterica, non aveva dato di matto. La sua mente era più forte di qualsiasi altro essere umano. Era troppo giovane per essere ridotta già ad una schiava di sangue e sapeva che Magnor la desiderava anche e soprattutto perché era la figlia di Gerard Stonebridge, suo acerrimo nemico, colui il cui padre gli aveva ucciso il padre e fatto fuori metà clan in un colpo solo. Trasformare suo figlio in vampiro era stato solo l’antipasto. Magnor voleva vedere annientata tutta la stirpe Stonebridge e la congrega di Tiern. Quanto sarebbe stata grande la vittoria se avesse reso la figlia di Gerard col marchio sua schiava e l’avesse costretta a procreare i suoi figli.
Zaganos si rimise in piedi. Magnor doveva essere infuriato con lui, ma avrebbe riportato Olivia a casa, a qualunque costo. Doveva diventare una cacciatrice ed essere in grado di difendersi da sola. Lui invece sarebbe partito, probabilmente sarebbe tornato in Europa. Con quella storia non voleva averci più niente a che fare.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 7. Angelo della morte ***


7. Angelo della morte



C’era un suono. Un suono dolce ma allo stesso tempo aspro, cupo. Stridente, entrava nella stanza e la riempiva di malinconia. Una fitta al petto accompagnò il risveglio di Olivia. Si guardò intorno in quello spazio angusto. Il suono proveniva da un violino. Sembrava provenire da un’altra dimensione, giungeva ovattato mentre i raggi del sole facevano capolino da una finestrella, finendo sul letto e sulla parete di fronte, rischiarando la stanza. Olivia scostò le coperte e scese. Su un piccolo sgabello di legno fatto a mano c’erano dei vestiti nuovi della sua taglia, scarpette da tennis, biancheria intima. Li indossò in fretta, incurante del dolore che le provocavano quando frizionavano le zone abrase e tumefatte.
La melodia aumentò di intensità, note struggenti e bellissime. L’archetto scivolava sulle corde con armonia, le note volavano nell’aria fino a lei, a spezzarle il cuore. C’era qualcosa di profondamente triste in quel motivo, era permeato d’amore e di morte, della vita che scorre via veloce, di bellezza crudele. Scese di corsa le scale e spalancò la porta. Il suono cessò di colpo. Zaganos si voltò a guardarla. Anche lui era di una bellezza crudele e primitiva, in piedi a suonare nel nulla, con la foresta a fargli da sfondo e da spettatore. I raggi si riflettevano sui suoi capelli neri e sulle spalle, creando un bagliore angelico, un candore da cui spiccavano due occhi neri come il carbone, come la notte senza luna. Un contrasto ipnotico: occhi di demone incastonati in un viso d’angelo. Un angelo della morte, forse questo era un paragone più calzante, si disse Olivia mentre osservava quello spettacolo.
Ma lui aveva detto di essere un vampiro e per quanto poco ne sapesse i vampiri erano sempre stati dipinti come creature della notte e il sole per loro era fatale. Invece Zaganos se ne stava lì in mezzo, inondato di luce e sembrava stare benissimo.
In un battito di ciglia era davanti a lei. Olivia indietreggiò.
«Ti ho svegliata?»
Scosse la testa. «Ho bisogno di sapere alcune cose.»
Zaganos la guardò con tenerezza. «Vieni, facciamo colazione» fece segno ad Olivia di entrare.
Le aveva promesso delle risposte e adesso le esigeva tutte. Zaganos armeggiò con il fornello a gas piccolo e malridotto e con qualcosa di molto simile ad un toast. Lo stomaco di Olivia brontolò.
«Parlami della mia famiglia e di quello che fanno.»
«La tua è una famiglia di cacciatori da generazioni, è una vera e propria eredità. La missione dei cacciatori è quella di uccidere i vampiri.» Poggiò il piatto davanti a lei e si sedette.
«Come te.» Olivia credeva ancora che tutto non avesse senso, credeva ancora di essere in un sogno o peggio che Zaganos fosse un malato di mente e che l’avesse rapita per farle qualcosa di brutto. Ma di brutto non le stava facendo niente e sembrava gentile con lei. Solo che non riusciva a credere ad una sola parola di quello che stava dicendo. I suoi erano cacciatori? Era ridicolo! Gli occhi onice di Zaganos incontrarono i suoi.
«Come me.»
«Però tu sei in piedi adesso. È giorno e tu non stai dormendo in una bara sottoterra.»
Un angolo della sua bocca si incurvò in un sorriso. «Nessuno di noi dorme in una bara. Però la storia del sole è vera, non tutti possiamo uscire di giorno. Anzi, la maggior parte di noi non può. Solo i vampiri di nascita possono.»
Olivia si agitò sulla sedia. «Ha a che fare con quella cosa del marchio che mi hai detto ieri?»
Zaganos annuì. «I vampiri di nascita sono molto forti. Il poter andare in giro di giorno li rende una divinità agli occhi degli altri della mia specie.»
«Tu quindi sei un vampiro di nascita.»
«No. Io sono stato trasformato. Però mia madre aveva il marchio e dato che il suo sangue scorre nelle mie vene questo rende un po’ speciale anche me.»
«Trasformato…» ripetè lei. «E tua madre quindi era una cacciatrice?»
Zaganos scosse la testa. «Fu cresciuta da altre persone e non lo seppe mai fino a quando non conobbe Alexandr» sorrise, malinconico. «Avevo la tua età quando ci trasferimmo nel suo palazzo e scoprii dell’esistenza dei vampiri.»
«Ma tua madre era… cioè, rapirono anche te?»
«Alexandr amava davvero mia madre e io sono stato come un figlio per lui e per me lui è stato un padre. Mia madre non gli ha dato nessun figlio ma lui non ha mai smesso di amarla, neanche un istante» gli occhi si persero nel vuoto, nei ricordi.
Olivia deglutì. I vampiri che amavano donne umane. Pensava che i vampiri si nutrissero degli umani, che fossero privi di sentimenti, che seguissero solo il loro istinto animale. Ma chi glielo aveva detto? Chi ti ha suggerito queste cose? Chiese una vocina nella sua testa. Una fitta lancinante la costrinse a chiudere di scatto gli occhi. Si prese la testa tra le mani lasciando cadere il toast nel piatto.
«Olivia che hai?» la voce di Zaganos giunse da lontano.
Davanti a lei c’era un diario. Uno di quelli che amava scrivere Scarlett, anzi forse era proprio il suo. Lei era seduta sul letto e leggeva avidamente. La scrittura era fitta, parlava di cose che Olivia faticava a comprendere. Aveva creduto di leggere qualche cosa che riguardasse la storia d’amore tra Scarlett e Craig, qualche particolare piccante, li invidiava molto. E invece… vampiri. Esistevano davvero, erano tra loro e Scarlett li stava studiando. Pagine e pagine di informazioni. Come vivevano, dove amavano cacciare, crudeli, bestie, missione di vita: annientarli. Non avevano sentimenti, ingannavano le vittime, uccidevano per il gusto di farlo. Scarlett apriva di scatto la porta, le strappava il diario dalle mani e le poggiava una mano sulla testa…
«Olivia! Olivia, che ti succede?»
Aprì gli occhi e si portò una mano al petto. Era un suo ricordo, lei aveva davvero letto quel diario ma ricordava di aver trovato solo sciocchezze frivole sugli addominali di Craig. Zaganos era in ginocchio davanti a lei e aveva le mani poggiate sulle sue spalle, la guardava con apprensione.
«I cacciatori possono manipolare i ricordi?»
«Hai avuto una visione?»
«Credo di essermi appena ricordata di qualcosa. Però è diversa dal ricordo che ho sempre avuto.»
«Interessante.»
Solo in quel secondo si rese conto che le stava così vicino da poter sentire il profumo che aveva addosso. Si alzò di scatto, facendo sbattere la sedia sul pavimento.
«Che significa tutto questo?»
«Chi c’era con te nel ricordo?» si rimise in piedi e fece qualche passo indietro.
«Scarlett.»
«Tua sorella è una strega?»
«No! Mia sorella è…» ma Scarlett era ossessionata dalla magia e lei l’aveva presa in giro molte volte. Le aveva cancellato i ricordi? «È solo una ragazza. Scommetto che non sa nulla di tutto questo.»
Il ricordo parlava chiaro: Scarlett sapeva tutto. Si sentì presa in giro e messa da parte dalla sua famiglia. Come mai era l’unica a non sapere nulla? Pensò a Kevin. Forse lui e il padre avevano litigato perché Kevin non voleva più essere un cacciatore. Forse per questo era sparito.
Da un giorno all’altro se ne era andato e l’aveva abbandonata senza neppure un saluto. Se tutto questo, come si era sentita quando aveva saputo che Kevin non sarebbe più tornato a casa e come si sentiva in quel momento, con la testa che le diceva che tutto era assurdo eppure la sua amica era morta davanti ai suoi occhi, se tutto l’orrore era colpa di questa storia dei cacciatori e dei vampiri, beh lei non voleva averci niente a che fare.
Scosse la testa e asciugò in fretta le lacrime calde che le stavano bagnando le guance. «Non lo so, Zaganos, non lo so.»
Si accasciò di nuovo sulla sedia raccolta da terra, incrociò le braccia sul tavolo e vi poggiò la testa sopra.
«Dovremmo medicare quelle ferite.»
La voce cupa di Zaganos la riscosse dai suoi pensieri. Sollevò la testa. Incombeva su di lei con la cassetta di pronto soccorso in mano. Questa cosa che era quasi impossibile sentirlo muoversi la inquietava. Seguì il suo sguardo fino ad arrivare all’abrasione sull’avambraccio che aveva cominciato a sanguinare. La maglietta si era macchiata di rosso. Le dita affusolate di lui aprirono la cassetta e rovistarono dentro fino a trovare alcool e bende. Olivia tirò su ma manica della maglia. Era talmente assorta e persa nei suoi pensieri che nemmeno si era accorta di quanto le bruciasse quella ferita e le altre sulle gambe.
Zaganos represse un fremito. Il cuore di Olivia accelerò. Le narici dilatate, gli occhi spalancati, fissi su quel rosso vivo.
«Faccio io» gli disse, strappandogli dalle mani il batuffolo di cotone imbevuto di alcool. Lui le prese il braccio, la sua mano era delicata e fresca, non stringeva ma Olivia riusciva lo stesso a percepire la sua forza. Se solo avesse voluto le avrebbe potuto frantumare il polso in una frazione di secondo con un pizzico di pressione in più.
«Stai tranquilla, non ti faccio niente. Mi sono nutrito.» Le sfilò il batuffolo dalle mani e lo poggiò sulla ferita. Bruciava ma non si mosse.
«Nutrito? Vuol dire che hai ucciso qualcuno?»
Sollevò appena le palpebre, guardandola da sotto le folte ciglia nere. Ha degli occhi bellissimi, pensò lei.
«In genere non uccidiamo le nostre prede. Ci nutriamo e le lasciamo andare.»
Lo faceva sembrare così semplice e naturale.
«Però la mia amica Dajana è morta.»
Zaganos continuò a medicarla. «Ad alcuni di noi piace arrivare fino in fondo.»
Per questo esistono i cacciatori, pensò, per proteggere gli umani da loro.
Applicò la benda e passò all’altro braccio, sollevando con estrema delicatezza. Stava permettendo a un predatore di medicarle la ferita. Probabilmente era uscita di senno, eppure in lui c’era qualcosa che la rassicurava. Erano già molte ore che si trovavano in quel posto abbandonato e lui aveva avuto tante occasioni per farle del male ma non lo aveva mai fatto.
«Quanti anni hai?»
«Trecentosettantacinque» bendò anche l’altra. «Togliti i pantaloni.»
Cosa? L’immagine delle mani perfette di Zaganos che le accarezzavano i polpacci, lui accovacciato tra le sue gambe riempì la testa di Olivia. Il calore che irradiò il suo corpo le colorò le guance.
«Faccio da sola» raccolse tutto il necessario e se ne andò in bagno, respirando a fatica. Che problemi aveva? Stava provando attrazione per un mostro? Zaganos era bellissimo. Le era sembrato un angelo sotto la luce del sole, ma non lo era. Scosse la testa. No, no. Non provava attrazione per lui, era solo confusa. E l’odore… aveva l’odore più conturbante che avesse mai sentito. Forse era quella faccenda del marchio che le faceva provare attrazione per un essere per il quale avrebbe dovuto provare solo ripugnanza.
Il pantalone toccò terra. L’alcool bruciava. Zaganos aveva delle mani così belle. Chissà come sarebbe stato vederle scivolare sulla sua pelle…
Basta! Urlò alla sua mente. Basta per favore. Si gettò dell’acqua fresca sul volto e focalizzò la sua attenzione su Dajna, sul suo corpo martoriato.
Non c’era niente di poetico o di eccitante. Era stata rapita. Da un mostro. Bello come un dio, ma pur sempre un mostro.
Quando aprì la porta lui era poggiato al tavolo, le braccia incrociate, e la guardava fisso, come se fosse un topo e lui un gatto che stava per afferrarlo.
«Hai fatto?»
«Zaganos, tu… da dove vieni?»
«Dalla Turchia.»
«A quanti anni sei stato trasformato?»
«Ventitré»
«Magnor. Hai detto che è un lord vampiro, quindi è lui che ti comanda.»
Un sorrisetto colorò le labbra di Zaganos. «Sì, in un certo senso. Magnor e io siamo fratelli, lui è il figlio di Alexandr.» Olivia non riuscì a trattenere un moto di stupore. «Magnor è un vampiro di nascita» continuò lui. «Sua madre fu uccisa durante un assalto dei cacciatori in Russia, la sua patria. Si trasferì col padre in Turchia e pochi anni dopo Alexandr incontrò mia madre. Siamo cresciuti insieme, io e Magnor, come fratelli. Dopo la mia trasformazione e la morte di Alexandr e mia madre ci siamo trasferiti in America. Lui comanda un clan molto grande, io per lo più viaggio. Non sono interessato alla politica, né alle lotte contro i cacciatori.»
«Sei un lupo solitario.»
«Sono solo consapevole della meraviglia del mondo e la inseguo in ogni angolo.»
Sotto quello sguardo appassionato Olivia si sentì gelosa della meraviglia del mondo.
«Puoi entrare nella mia mente?»
«Possiamo manipolare la mente degli umani, ma non leggerne i pensieri.»
Si sentì sollevata, non voleva che Zaganos leggesse tutti i suoi tormenti. «Ti manca essere umano?»
«Il battito del cuore, sapere che la mia vita può finire da un momento all’altro, invecchiare… no. Da vampiro provo le stesse emozioni che provavo allora. Tranne la paura, forse. Però adesso ho tutto il tempo a disposizione per imparare cose nuove e fare quello che amo.»
«Puoi morire lo stesso, può ucciderti un cacciatore.»
Lui sorrise. «È vero. Ora devo andare.»
«Dove?»
«Non preoccuparti.»
«Ma non ho ancora finito, ci sono altre cose che voglio sapere.»
«Parleremo stasera. Non provare a scappare, non troveresti niente e finiresti per perderti. È più sicuro se resti nei dintorni.»

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 8. Mezzaluna crescente ***


8. Mezzaluna crescente



Olivia si distese sul divano che odorava di pino e legna bruciata. Avvertiva il pizzicore della medicazione sulle ferite, un costante segnale che fosse tutto vero, che lei era lì presente e viva e non in una qualche dimensione onirica. Se anche fosse stato un sogno, stava durando troppo.
La conversazione avuta con Zaganos le aveva lasciato solo altri interrogativi nella testa. La madre  di Zaganos era stata una cacciatrice, proprio come quelli della sua famiglia. Come lei. A quanto pareva questo era il suo inevitabile destino. Fissò le travi di legno chiedendosi cosa stessero facendo i suoi genitori in quel momento. Probabilmente la stavano cercando. E sua sorella Scarlett, anche lei era una cacciatrice. Ormai ne aveva la certezza. Il ricordo del suo diario si era fatto nitido, come se fosse successo solo il giorno prima.
Zaganos l’aveva definita strega. Era stata in grado di manipolarle la mente e farle dimenticare quell’episodio, forse anche tanti altri. Ma se anche lei era destinata ad essere cacciatrice perché lo aveva fatto? Non voleva che lo sapesse?
Poi c’era la questione del marchio e del perché Magnor la stesse cercando: per renderla la sua concubina. Il solo pensiero le fece venire il voltastomaco. Ma come faceva ad accertarsi che fosse proprio lei la portatrice del marchio e che non si trattasse di uno stupido equivoco? Zaganos le aveva detto che lei era immune alla compulsione, però poi aveva aggiunto che poteva essere protetta dal braccialetto che le aveva regalato il padre. Lo osservò, giocherellando con il ciondolo a mezzaluna che aveva sempre adorato. Amava la luna, così affascinante e misteriosa, in grado di esercitare forza e influsso sulla terra e sugli uomini. Quel ciondolo lo aveva avuto da sempre. Da che ne aveva memoria. Non lo aveva mai tolto. La mezzaluna d’argento satinato l’aveva protetta senza che lei lo sapesse.
Anche Scarlett ne possedeva uno simile, con un fenicottero. E a ben vedere lei non lo indossava più da diversi anni. Probabilmente perché non ne aveva più bisogno, ormai era diventata una cacciatrice. Anche Scarlett aveva il marchio? Olivia slacciò il bracciale e lo ripose nella tasca.
Perché proprio io? Perché non posso essere una ragazza normale come tutte le altre? Si crogiolò in quei pensieri piagnucolosi per un po’, pensando a quanto facesse schifo la sua vita. Poi udì un cane abbaiare, dei passi vicino alla porta.
Forse era la sua occasione per scappare. Scattò in piedi mentre la porta si apriva. Olivia fissò un paio di occhietti tondi e acquosi, un viso segnato dal tempo e un corpo magro e ricurvo, provato dagli anni. Il vecchio le fece un sorriso come se si aspettasse di trovarla proprio lì.
«Buongiorno signorina, mi chiamo Paul. Sono venuto a portare il pranzo a voi e al signore.»
Nelle mani stringeva una scodella avvolta da una busta di plastica. Fuori dalla porta, seduto accanto allo zerbino c’era un cane bianco e marrone, un cane da caccia.
«Non vi preoccupate, lui è Bok, è buono e poi non entra nelle case» disse l’anziano seguendo lo sguardo di Olivia.
«Senta, io ho bisogno di tornare in città.»
L’uomo la guardò con affetto mentre poggiava la busta sulla tavola. «Il signore tornerà presto.»
«Ma lei non ha una macchina? Come è arrivato qui?»
«Io abito da solo qui nel bosco con Bok, non vado più in città. Ogni tanto vengono mio figlio o il signore e mi portano quello che mi serve.»
Olivia si sentì mancare. «Può prestarmi almeno il suo telefono?» Se fosse riuscita a chiamare a casa almeno avrebbe potuto far sapere ai suoi che stava bene.
«Non ho il telefono.»
La stava prendendo in giro? Non aveva un cazzo di telefono. Stizzita sbuffò e tornò a sedersi. Nascose il viso tra le mani e represse la voglia di piangere.
«Non vi preoccupate, signorina. Il signore torna presto.»
«Lei sa dove è andato?» Olivia alzò la testa.
«No. Stamattina è passato a salutarmi e mi ha detto che aveva ospiti, così ho preparato il pranzo per entrambi. Il signore è davvero una brava persona. Ha preso questa casetta qualche mese fa, ha detto che gli serviva un posto tranquillo dove comporre la sua musica. Beh, io vado. Se avete bisogno di me fate un fischio, sono qui in giro.»
Olivia si alzò e lo accompagnò alla porta. «Grazie mille per il pranzo.»
Sempre più frastornata e avvilita aprì la scodella. Dentro c’era una zuppa dall’odore invitante. Non sapeva nemmeno che ore fossero. Voleva tonare a casa sua. Aveva bisogno di risposte, di spiegazioni. Zaganos era molto ermetico e anziché soddisfare la sua sete alimentava altre domande.
 
***
 
I passi riecheggiavano contro le pareti di marmo mentre Zaganos percorreva il lungo corridoio diretto alle stanze di Magnor. Spalancò la prima porta. L’odore di sangue rappreso e morte lo investì. Alcuni vampiri stavano succhiando il sangue dal collo di giovani uomini mentre li sodomizzavano, qualche cadavere giaceva scomposto per la stanza, con le giugulari squarciate e i vestiti strappati a mostrare le loro intimità. Non era uno scenario insolito nel castello di Magnor, le feste e le orge erano la normalità. Più raro era invece trovare la stanza di Magnor piena di cadaveri, proprio quello che vide Zaganos non appena aprì le porte.
Magnor sedeva sul suo trono, una gamba che penzolava oltre il poggia braccio e l’altra allungata verso terra. Gli occhi sbarrati, iniettati di rosso erano puntati su Zaganos ed emanavano una furia a stento controllata. Zaganos chiuse la porta e si fece largo tra i corpi martoriati sul pavimento.
«Magnor.»
«Dov’è la ragazza?» Era il tono del comandante, di colui che deve solo schioccare le dita per avere ciò che vuole.
«Non lo so. Perché hai mandato Ulric e gli altri? Hanno ucciso dei ragazzi, sono dovuto intervenire.»
«Ci stavi mettendo troppo tempo. Dov’è, Zaganos?»
«Protetta dalla sua famiglia, immagino.»
Magnor batté con forza la mano sul bracciolo, facendolo scricchiolare. «Il fatto che tu sia mio fratello non ti autorizza a mentirmi in questo modo.» Si alzò in piedi e lo raggiunse a passi lenti e misurati. «Tutti i cacciatori di Tiern la stanno cercando. Dove l’hai portata?»
Zaganos sostenne lo sguardo di ghiaccio di Magnor. «È al sicuro.»
Le narici di Magnor si dilatarono. «Mmmh. Riesco a sentire il suo profumo su di te. Ha il marchio?»
«Non sono riuscito a capirlo. È ancora pura, non ha ricevuto l’anello.»
«Questo lo sapevamo già. Avresti dovuto assaggiarla, Zaganos, perché non lo hai fatto?»
Zaganos sapeva che assaggiando il suo sangue sarebbe stato in grado di capire se possedesse o meno il marchio, poiché avrebbe avuto un sapore diverso da tutti gli altri.
«Perché non sono riuscito a rimanere da solo con lei, mi serviva più tempo.»
«Adesso sei da solo con lei.»
«Non ho intenzione di farle del male. È ancora una ragazzina, è piccola. Non sapeva nemmeno dell’esistenza dei vampiri…»
«Ah, tu e la tua stupida pietà umana.» Magnor sorrise arcigno. «Non intralciare mai più i miei piani, fratello, o ti uccido. Adesso sparisci.»
Zaganos rimase dov’era. Essendo un vampiro di nascita e di sangue reale Magnor era a capo di tutta l’area della Pennsylvania, conquistata dopo aspre battaglie e trattative con i vari clan in particolare con quello di Stanis, più giovane di Magnor ma autoctono. Stanis viveva in quei luoghi da quando ne aveva memoria, Magnor invece era un europeo trasferitosi in America. Non era insolito per un vampiro migrare in altri posti dopo un certo numero di anni. Vedere i suoi piani andare a monte lo metteva in uno stato di collera che era meglio non stuzzicare.
Zaganos si soprese che gli avesse detto semplicemente di sparire. Non che si aspettasse una punizione esemplare, ma quantomeno un atteggiamento più autoritario riguardo la ragazza. Aveva già un piano per tale evenienza ma era completamente impreparato per questa sua reazione. Magnor si mosse come una pantera pigra e tornò a sedersi sul suo trono d’oro.
«Magnor, ascolta.»
«Sei ancora qui? Ti ho detto di sparire.» Agitò la mano bianca facendo scintillare le pietre nere e rosse incastonate sugli anelli, come per scacciare una fastidiosa mosca.
«Voglio spiegarti le ragioni del mio gesto.»
«Sei troppo maledettamente umano. Loro non hanno tutta questa pietà nei nostri confronti. Ci uccidono, solo perché ci ritengono dei mostri, solo perché ci temono. Vogliono essere immortali come noi e invece sono solo degli stupidi corpi fragili, che amano tormentarsi a vicenda, si fanno male si torturano, si odiano proprio come noi. A loro non importa se siamo padri, se amiamo, se proviamo pietà per loro. L’unica cosa che vedono in noi è un nemico, un abominio, un parassita che va estirpato dalla terra. Come se la terra gli appartenesse per davvero, come se loro avessero il diritto di stabilire chi è degno di abitarla e chi no. Eppure tu, avendo sperimentato entrambe le condizioni, credevo avessi imparato quanta ipocrisia regna in quelle stupide creature.»
Zaganos ascoltava in silenzio, condivideva molto di quel discorso, ma allo stesso tempo credeva che comportarsi come gli umani e rendergli pan per focaccia non fosse la soluzione giusta. Quei cadaveri sparsi sul pavimento non facevano che dare ragione a chi cercava di sterminarli. Erano più simili di quanto entrambe le razze fossero disposte ad ammettere. La voce melliflua continuò.
«Proteggi pure la ragazza se ti fa sentire meglio. Tanto sarà mia comunque.»
Dietro la sua maschera impassibile Zaganos era un fascio di nervi. L’unica cosa che lo teneva calmo lì, senza correre a controllare che Olivia fosse al sicuro, era la luce del giorno. Magnor non aveva vampiri diurni tra le sue fila, ma la sua calma e la sua sicurezza lo atterrivano. Fece un inchino e uscì.
 
Poco prima del crepuscolo fece ritorno alla baita. Aveva trascorso l’intera giornata girando senza senso e sostando nei posti più strani e impensabili, assalito dalla paranoia di essere seguito. Era persino tornato a Tiern, dove si respirava un clima di sconcerto e terrore per la morte agghiacciante dei due giovani. Per fortuna lì nessuno aveva fatto caso a lui.
Olivia era distesa sul divano, le mani incrociate sull’addome e lo sguardo rivolto al soffitto.  Sul tavolo gli avanzi del cibo che le aveva portato Paul. Si mise a sedere non appena lo vide.
«Dove sei stato?»
Zaganos chiuse la porta e diede a Olivia un sacchetto di carta con dentro la cena: hamburger e patatine. «Che hai fatto oggi?»
Lei prese il sacchetto e guardò dentro. «Cosa avrei potuto mai fare? Sono sola, in una casa minuscola in mezzo al bosco.»
«È venuto Paul a farti compagnia, no?»
Lei accennò un sorriso. «Sì, è stato molto gentile. Lo hai soggiogato?»
«In parte. Lui crede che io sia un compositore del sud America venuto in cerca di pace e ispirazione.»
Zaganos si sedette sulla poltrona. Olivia aveva lo sguardo perso nel sacchetto, come se stesse pensando a qualcosa che forse non era il caso di fare ma allo stesso tempo voleva fare.
«Non ti piace?»
Lei alzò gli occhi verde smeraldo su di lui. «Zaganos, io ci ho pensato molto.» Mise da parte il sacchetto e infilò le mani in tasca. «Voglio che provi la compulsione su di me» tirò fuori il bracciale d’argento che secondo lui possedeva la magia. «L’ho tolto. Voglio sapere se ho quel dannato marchio» disse infine risoluta.
Zaganos fissò per un attimo il bracciale col ciondolo di luna. «No.»
«Perché no? Zaganos, io mi fido di te.»
«Olivia, non dimenticare mai chi sono e cosa rappresento per te.»
Lo disse in maniera così dura che la vide rimpicciolirsi sul divano. Nascose il viso tra le mani e cominciò a piangere.
«Non voglio essere la concubina di un vampiro! Ho bisogno di sapere se ho quel marchio oppure no, ho bisogno…»
Zaganos si accovacciò accanto a lei e le scostò le mani dal viso. Era così piccola e ingenua, come si poteva pensare di renderla già una schiava di sangue? Quando era un ragazzo umano, alla sua età Oliva era considerata adulta ma i tempi erano cambiati. Anche se per lui era una follia non rendere i giovani cacciatori consapevoli delle creature che popolavano il mondo della notte, guardando Olivia capì perché la sua famiglia e così tutti gli altri cacciatori volessero preservare la spensieratezza e l’ingenuità dei figli il più a lungo possibile.
«Non diventerai la concubina di nessuno. Domani ti porterò a casa, i tuoi genitori ti insegneranno tutto quello che devi sapere, diventerai una cacciatrice e sarai in grado di difenderti da qualsiasi minaccia.»
Lei si asciugò le lacrime con il dorso della mano e sembrò rassicurarsi un poco.
«C’è solo una cosa che voglio che ricordi. Non siamo tutti uguali. Così come tra gli esseri umani esistono persone spregevoli e persone buone, tra noi esistono vampiri che non uccidono gli umani. Ti diranno che siamo dei mostri, ma chi non lo è? Anche qui dentro è celata un po’ di oscurità.»
Le mise una mano sul cuore, sentendolo battere all’impazzata. «Sii coraggiosa e non esitare o soccomberai.»
Le aveva detto quelle parole perché voleva che serbasse un buon ricordo di lui, perché era egoista e ancora un po’ umano, ma si era affezionato a lei ed essere considerato un mostro gli faceva male.
Olivia si irrigidì tutta. «Che succede? Ho come la sensazione che…»
«Cazzo» esclamò lui, balzando in piedi. «Ci hanno trovati.»

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 9. Addio, Olivia ***


9. Addio, Olivia
 


Olivia rimase bloccata sul divano, con tutto il corpo teso e un formicolio lungo le braccia e dietro la nuca, che non cessava e che la faceva sentire come se fosse attraversata da un costante flusso di energia elettrica.
Zaganos controllò fuori dalla finestra. «Cambio di programma. Prendi le tue cose, andiamo a casa stasera.»
«Chi c’è lì fuori?»
Quando gli occhi di Zaganos incontrarono i suoi luccicavano di rosso. Il viso cominciava ad assumere dei lineamenti diversi, più affilati e ferini. «Vampiri. Una decina, credo.»
«Una decina?» Olivia sbiancò.
«Devono avermi seguito. Olivia muoviti.»
«Sono pronta» fece lei, scattando in piedi e infilando il cappotto.
Zaganos le afferrò il braccio. «Adesso aprirò la porta. Qualunque cosa accada non gridare e fai esattamente quello che ti dico. Cerca di non avere paura, riuscirai a tornare a casa. Te lo prometto.»
Lo sguardo di Olivia fu catturato dal bagliore bianco dei canini. Lunghi, affilati, premevano sul labbro inferiore e davano a Zaganos un aspetto malvagio. Chiuse gli occhi per un secondo. Il cuore batteva così forte e il respiro si era fatto così corto che credeva di svenire da un momento all’altro. Aveva bisogno di un istante per regolarizzare il respiro e attingere a quel poco di coraggio che le era rimasto, ma non ci fu neanche il tempo di un cenno di assenso. Zaganos spalancò la porta.
L’impatto col legno esterno fu così forte da far tremare l’intera baita. L’urlo che stava per cacciare le rimase bloccato in gola quando vide la scena: Zaganos era stato schiacciato contro il muro della baita da un vampiro che lo teneva per la gola e mostrava i canini in una smorfia arcigna e violenta. Un secondo vampiro le apparve davanti. Era basso e calvo.
Olivia indietreggiò, percorrendo con lo sguardo la casetta in cerca di qualcosa per difendersi. Ma come si uccidevano i vampiri? Un paletto nel cuore? E dove lo prendeva lei un paletto? Forse anche un coltello poteva andare bene. Ce ne era uno proprio sul tavolo.
Gli occhi cerchiati di sangue del vampiro la studiarono incuriositi. Olivia si fiondò sul tavolo ma lui l’aveva preceduta. Stringeva il coltello in mano, facendolo girare tra le dita.
«Voi umani siete così stupidi.»
La risata bassa del vampiro riecheggiò al di sopra del rumore del legno fracassato. Frammenti e schegge si riversarono nella casa. Olivia alzò le braccia per proteggersi il volto. Zaganos teneva l’altro vampiro per la gola ed erano entrambi distesi a terra, sulla parete un buco enorme. Tirò con forza, staccando di netto la trachea del vampiro. Schizzi di sangue gli coprirono la faccia e i vestiti e poi… il vampiro prese a bruciare, da solo. Una fiammella azzurrognola ne consumò le membra, pochi secondi e di lui non rimase che cenere. Il vampiro calvo si avventò contro Zaganos mentre altri due entravano dalla porta. Zaganos fu più veloce degli altri, agguantò Olivia per la vita e la portò fuori. Lei sentì come se stesse volando, l’aria fredda della notte le sferzava il viso, infilandosi nelle narici e negli occhi. Sentiva il corpo duro di Zaganos contro il suo, avvertiva qualche muscolo guizzare sotto ai vestiti. Stavano correndo tra gli alberi, nella notte.
Qualcosa sfrecciò accanto a loro a destra, poi a sinistra. Poi Olivia si sentì sopraffatta come su una nave nel mare in tempesta, sbatacchiata dalle onde. Avvertì la testa leggera e l’equilibrio che veniva a mancare e poi un tonfo che le tolse tutta l’aria dai polmoni. Tre vampiri li stavano accerchiando e uno li aveva attaccati mandandoli a terra, sui rami secchi e il terriccio umido e scivoloso.
«Olivia» nello sforzo della lotta Zaganos incontrò gli occhi di lei ancora immobile a terra. «Corri verso la luce che vedi tra gli alberi, va da Paul e digli che il signore è stato trovato. Lui saprà cosa fare.»
Ma Olivia si rese conto che Zaganos non stava realmente parlando e che quelle parole erano state dette solo a lei, nella sua testa. «Muoviti!» tuonò ancora la voce nella sua testa. Perentoria. Si rimise in piedi scrutando nel fitto degli alberi in cerca di una luce che le indicasse la via.
Lanciò un’occhiata a Zaganos che stava tenendo impegnati i tre vampiri in una danza mortale fatta di calci rotanti, canini conficcati nella carne e pugni.
Lei non voleva questa vita. Voleva tornare dalle sue amiche, voleva parlare di ragazzi voleva andare alle feste, bere, ballare. Non voleva scappare, non voleva essere una preda, non voleva tutta quella violenza. Corse, inciampò, si graffiò, mentre correva senza più badare al dolore delle vecchie ferite sulle ginocchia ormai riaperte e alle nuove ferite che i rami le stavano lasciando sul volto e sulle mani. Corse, inseguendo disperata quella luce che diventava sempre più vicina, fino a quando non sbucò in una piccola radura.
La porta di casa era aperta. Il sangue sul pavimento era denso e quasi secco, assorbito dalle assi di legno. Fece qualche altro passo verso la porta solo per vedere quello che immaginava già: il signor Paul era riverso a terra. Uno squarcio nella gola, gli occhi vitrei spalancati in una supplica silenziosa. Come Dajana.
Olivia si inginocchiò davanti a lui e recitando una preghiera glieli chiuse, mentre le lacrime le scendevano lungo le guance. Adesso era sola. Non sapeva che fare e se Zaganos fosse morto lei sarebbe stata persa. Perché avevano dovuto fare del male a quel buon uomo? Osservò la sua figura esile, le braccia abbandonate sulle assi, le mani nodose ma ancora forti e un piccolo ceppo di legno, affilato come una matita e alla punta un cappuccio argentato.
Olivia lo prese, studiandolo un istante. Doveva essere un’arma contro i vampiri, ne era sicura, qualcosa del genere l’aveva vista anche a casa sua, solo un po’ più piccola e rifinita. Una figura si stagliò sulla porta. D’istinto Olivia si alzò e gli puntò contro l’arma.
Era Zaganos. Gli occhi fissi sul corpo di Paul, la mascella serrata. Accennò un sorriso quando la vide con il paletto in mano.
«Andiamo, prima che ne arrivino altri. A lui penserò dopo.»
Non riusciva a capire quali emozioni si stessero agitando nell’animo di Zaganos. Cercava di non farle trapelare ma la sua voce era più cupa del solito. Lo seguì. Si ritrovò di nuovo nel vento a respirare la notte, a piangere in maniera sommessa. Niente più sarebbe stato come prima.
Quando si fermarono erano sul vialetto della sua abitazione. Tutte le luci erano accese e dalla finestra si vedevano delle persone nel salotto. Olivia lasciò andare il collo di Zaganos al quale si era aggrappata durante quella corsa sfrenata.
Negli occhi di lui permaneva ancora un bagliore rossastro. Aveva mantenuto la parola e l’aveva riportata a casa. Fece scorrere le dita sul suo viso perfetto incrostato di sangue. Un angelo della morte.
La porta di casa si spalancò. «Stai lontano da lei!» La voce di Scarlett si infranse contro le pareti delle case circostanti. Olivia avvertì i passi rapidi della sorella ma non riusciva a staccare gli occhi da quelli neri e profondi di Zaganos.
«Addio, Olivia. Probabilmente la prossima volta che ci incontreremo uno di noi due morirà.» Sorrise, le strizzò l’occhio e scomparve come un lampo.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 10. Cosa stavate aspettando? ***


10. Cosa stavate aspettando?



«Figlio di puttana!» esclamò Scarlett raggiungendo Olivia sulla strada. «Stai bene? Ti ha fatto del male?» la tastò, guardandola e analizzando i tagli vari sparsi sul viso.
Olivia scosse la testa e si sottrasse. «Sto bene.»
«Te lo avevo detto di stare alla larga da lui.»
Distolse lo sguardo dagli occhi indagatori della sorella. Provava del risentimento nei suoi confronti, per aver manipolato i suoi ricordi e per non averle mai detto la verità. «Lui mi ha salvata», si incamminò verso casa.
«È un maledetto vampiro Olivia, lo sai?»
Si fermò sulla soglia. «Già, ora lo so e non grazie a te.»
«Non prendertela con me, Olivia. Non spettava a me dirtelo.»
«Però tu mi hai incasinato la testa, o sbaglio? Quando ho letto il diario e tu hai manipolato i miei ricordi.»
Scarlett aprì la bocca per parlare, poi la richiuse, poi l’aprì di nuovo. «Sì» l’anticipò Olivia, «Ho ricordato tutto.»
Annuì, come se avesse compreso il motivo per il quale lei improvvisamente aveva ricordato tutto, anche se Olivia aveva la sensazione che non fosse tutto e che sicuramente le era entrata nella testa altre volte.
«Entra. Devo avvertire papà che sei tornata, è in giro a cercarti con gli altri.»
Si chiuse la porta alle spalle quando Olivia fu entrata e a grandi passi raggiunse lo studio del padre. Olivia la seguì. Le sembrava così strano essere lì. Tutto era perfettamente uguale. E come poteva essere diversamente, era trascorso soltanto un giorno. Eppure tutto le sembrava diverso. Persino le pareti di casa le sembravano piene di menzogne. Aveva vissuto solo un’apparenza di vita. Niente era vero e tutto avveniva nell’ombra. Scarlett prese un aggeggio simile ad un orologio e schiacciò un tasto. Quel coso si illuminò. «Olivia è a casa.» premette di nuovo il pulsante.
«Che cos’è?»
«Una specie di cercapersone, funziona con le impronte e il riconoscimento vocale. Questo è di papà, il mio l’ho perso mentre ti cercavo.»
«E papà come fa a ricevere il messaggio, scusa?»
«Non l’ho mandato a papà, l’ho mandato a Craig.»
Olivia strabuzzò gli occhi. «Anche Craig è un cacciatore?»
Scarlett annuì. «È stato lui ad addestrarmi e addestrerà anche te.» L’oggetto emise un debole suono e si illuminò di nuovo. «Stanno arrivando.»
«Se io non volessi diventare una cacciatrice?»
«Fai parte della famiglia Stonebridge, non penso che tu abbia molta scelta.»
«Però mi avete tenuta all’oscuro di questa cosa per tutti questi anni…»
«È una regola dei cacciatori. Si inizia l’addestramento al compimento dei diciotto anni.»
Scarlett uscì dallo studio del padre invitando Olivia a fare lo stesso e si diresse in cucina. «Ti va di raccontarmi quello che è successo?» armeggiò con il bollitore e degli infusi. «Come mai sei andata via dal ballo con Zaganos? Qualcuno ha detto che tu e Matt avevate litigato. Lui non ricorda nulla.»
«Hai parlato con Matt?» chiese Olivia, diventando subito rossa in viso al ricordo di quell’assurda serata così lontana nella sua memoria.
«Ho parlato con tutti. Eri scomparsa, abbiamo trovato le tue scarpe vicino al fiume dove c’erano i…» ebbe un attimo di esitazione. «Olivia, devo darti una brutta notizia.»
Ma lei la sapeva già, la brutta notizia. «Dajana è morta, lo so.»
Scarlett si sedette accanto a lei e poggiò una mano sulla sua. Era calda e rassicurante. «Mi dispiace tanto. Eri lì quando è successo?»
Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Sono arrivata troppo tardi.»
Scarlett strinse più forte. «Non avresti potuto fare niente in ogni caso.»
Il bollitore iniziò a fischiare. Olivia si alzò e riempì due tazze, ne mise una davanti a Olivia. L’odore di tiglio e gelsomino le riempì le narici.
«Bevi, ti aiuterà a distendere i nervi. Vado a prendere dei cerotti.»
Olivia strinse tra le mani la tazza bollente. La porta di casa si spalancò e i passi del padre riecheggiarono nello stretto corridoio, rapidi e impazienti.
«Olivia! Olivia» entrò in cucina e si precipitò ad abbracciarla. «Olivia, grazie al cielo stai bene.»
Dietro di lui, Craig si stagliava sulla soglia, riempiendola con la sua stazza. Le sorrise e lei ricambiò.
«Che cosa ti è successo, dove sei stata?»
«Zaganos mi ha salvata. C’erano dei vampiri che ci hanno attaccato, cercavano me.»
«Perché non ti ha portata qui? Sapeva che la casa è protetta da un incantesimo, qui saresti stata al sicuro.»
«Non lo so.»
«Ti ha fatto del male? Ti ha detto qualcosa?»
Lei si sottrasse dalle mani del padre che la tenevano stretta. «Lui non è come gli altri, papà. Lui è diverso, non fa del male alle persone.»
«Non devi credere alle parole di un vampiro. Loro sono predatori, sanno come ammaliare la loro preda.» Il tono di Gerard era deciso, non ammetteva repliche.
«Mi ha salvata, due volte. Anche stasera ci hanno attaccati. Ha rischiato la vita per salvarmi. Non pensi che se avesse voluto farmi del male lo avrebbe già fatto?»
«Voleva sicuramente qualcosa, magari delle informazioni sulla famiglia. Che ti ha chiesto?»
«Nulla. Mi ha detto solo che Magnor è suo fratello e mi cerca perché crede che io abbia il marchio.»
Gerard e Craig si scambiarono un’occhiata. Scarlett rientrò e si gettò tra le braccia di Craig che le diede un bacio sulla testa e l’avvolse con le sue braccia muscolose.
Olivia guardò distrattamente la sorella scostarsi e dare a Craig un bacio sulle labbra per poi avvicinarsi a lei e cominciare ad esaminare le ferite. Suo padre, accosciato ai suoi piedi si alzò per far spazio a Scarlett. Non le era sfuggita né le era piaciuta l’occhiatina che si era scambiato con Craig alla parola “marchio”.
«Dove sei stata di preciso la notte scorsa?»
Lei deglutì. Provò dolore quando l’alcol entrò in contatto con i tagli sul volto ma non disse nulla né si mosse. «Ero in mezzo al bosco, non so dove.»
«Se troviamo Zaganos, troviamo Miscar» disse Gerard rivolto a Craig.
«Non ne sono sicuro» rispose il ragazzo. «Olivia perché pensi che Zaganos ti abbia riportata a casa? E soprattutto, che ci faceva in città?»
«Kevin aveva ragione, la stavano sorvegliando.» disse Scarlett.
«Sì ma poi non le ha fatto del male, né l’ha consegnata a Magnor. Perché?»
«Perché probabilmente la vuole per sé» rispose Gerard. «Non ho mai sentito parlare di Zaganos, probabilmente è venuto a reclamare il trono di Magnor e a creare una propria progenie.»
«Zaganos non crede che io abbia il marchio» sbottò Olivia.
Discutevano di lei, davanti a lei, senza curarsi del fatto che aveva subito un trauma inimmaginabile, che era terrorizzata dalle scoperte che aveva fatto in un giorno solo, nessuno le aveva chiesto come avesse preso la notizia, nessuno si era interessato di spiegarle qualcosa. Ormai sapeva, quindi un problema in meno per loro. Scostò bruscamente la mano di Scarlett e si alzò.
«Lui non è interessato al trono o alle stronzate che state dicendo.»
«Te lo ha detto lui? Come fa ad essere sicuro che tu non abbia il marchio?» chiese con una certa gentilezza nella voce sua sorella Scarlett.
«Ma è chiaro che Olivia non abbia quel dannatissimo marchio. Oramai le donne con il marchio di sono estinte. Magnor vuole soltanto distruggermi prendendo un altro dei miei figli.»
Un altro?
«Parlate come se io potessi capirvi. Donne col marchio, un altro figlio, vampiri. Date tutto per scontato, ma io non so niente! Niente di niente! Perché non me lo avete detto? Perché? Se questa deve essere la mia eredita, che cosa stavate aspettando?»
Olivia aveva alzato la voce e le pulsavano le tempie. Era un fiume in piena di collera e risentimento.
«Il compimento del tuo diciottesimo compleanno» rispose lapidario il padre. «Ma, date le circostanze, inizierai il tuo addestramento da domani e ti verrà insegnato tutto. Ora vai a riposare.» Fece cenno con la testa a Scarlett di accompagnarla.
Olivia attraversò il corridoio piena di domande e rabbia. Salì in fretta le scale e chiuse la porta della sua camera in faccia a Scarlett. Lei l’aprì.
«Olivia ti prego non fare così, parla un po’ con me, raccontami tutto.»
«Perché invece non mi racconti tutto tu?»
Scarlett percorse la stanza e si sedette sul letto. «Che cosa vuoi sapere?»
«Tutto. Tutto, qualsiasi cosa.»
La sorella accennò un sorriso. «Non preoccuparti, da domani inizierai il tuo addestramento e tutte le tue domande troveranno una risposta.»
Olivia non voleva aspettare. Camminava avanti e indietro per la stanza, gli occhi gonfi di lacrime. «In cosa consiste questo addestramento?»
«Beh, per prima cosa imparerai tutto sui vampiri e sui cacciatori. Poi inizierai ad allenarti per essere in grado di affrontarli e combatterli, e infine ci sarà una cerimonia in cui verrai proclamata cacciatrice e riceverai un tatuaggio, che noi chiamiamo l’anello, intriso di magia che ti permetterà di avere una forza e una velocità nettamente superiore alla tua, una migliore vista al buio e la possibilità di percepire i vampiri quando sono nei paraggi.»
«E se non volessi farlo? Se volessi vivere semplicemente la mia vita senza tutto questo?»
«Sei una Stonebridge» disse Scarlett guardandola con tenerezza, «la tua eredità ti seguirà ovunque.»
«E che mi dici di Kevin? Lui ha scelto una strada diversa. È andato via da qui.»
A quel punto Scarlett sbiancò. «Non ha scelto una strada diversa. È un cacciatore esattamente come me e te.» la voce si era incrinata.
Olivia guardò la sorella, se ne stava sul letto con le gambe incrociate e le mani in grembo, che si tormentavano a vicenda. Si rese conto che quello che stava passando lei, la rabbia, la frustrazione, l’incredulità, lo aveva passato anche Scarlett e per di più nessuno si era seduto sul suo letto a spiegarle ogni cosa, nessuno le aveva dato una parola di conforto. Era stata sola.
Si sentì cattiva e stronza per tutte le volte che l’aveva accusata di essere diventata una persona chiusa, asociale, introversa. Aveva dovuto affrontare tutte quelle cose spaventose da sola, affidando i suoi pensieri a un diario. C’erano sua madre e suo padre ma quest’ultima era un’alcolizzata che non si era più presa cura di loro da quando Kevin era andato via. Anche in quel momento non era in casa, sebbene fosse scomparsa per una nottata intera e tutto il paese si era mobilitato per cercarla. Lei non era lì, ma di sicuro in qualche bar. Suo padre si era sempre preso cura di loro, ma chi a diciotto anni ha tutta questa voglia di avere il padre come confidente?
Scarlett era stata sola.
Si avvicinò al letto, prese una mano di Scarlett mentre si sedeva incrociando le gambe di fronte a lei. Scarlett alzò gli occhi, una foresta verde scossa da un violento temporale.
«Come è stata la prima volta per te?»
«Terribile» confessò lei, sorridendo un poco. «È un’usanza dei cacciatori che al compimento del suo diciottesimo compleanno, ogni nuovo membro deve essere messo al corrente dell’esistenza dei vampiri e della sua missione. La sera del mio diciottesimo compleanno sono stata condotta da papà e dagli altri capi stipite delle famiglie di cacciatori della Pennsylvania in una specie di grotta fuori città. Nessuno rispondeva alle mie domande, vestivano tutti in modo strano, con dei mantelli neri e una maschera a coprire metà del viso. Avevo paura che si trattasse di una strana setta e che papà ne facesse parte.
«Ci inoltrammo nella grotta. Era buia e fredda, sentivo l’eco dei nostri passi infrangersi contro le pareti, gocce d’acqua che stillavano dal soffitto, ma non vedevo nulla. Inciampai un paio di volte e braccia forti mi rimisero sempre in piedi. Poi sentii un rumore che mi fece gelare il sangue. Lo ricordo ancora adesso, un ringhio basso, di un animale che sbatteva contro una gabbia di ferro.
«Quando il rumore si fece vicinissimo, furono accese delle torce che rischiararono l’antro. Al centro della grotta c’era una gabbia e dentro qualcosa dalle fattezze umane e il viso deformato da una smorfia animalesca. Sai di cosa parlo. Il cuore mi rimbombava nel petto, nessuno parlava e quella strana cosa mi fissava con gli occhi iniettati di sangue e i canini snudati. Era raccapricciante. “Mi avete portato la cena?” disse, e io credetti di svenire.
«Paradossalmente la voce di papà suonò più minacciosa di quella della creatura. “Scarlett”» imitò la voce e la postura del padre, facendo sorridere un poco Olivia che ascoltava assorta e terrorizzata. Non sapeva decidere quale modo di scoprirlo fosse stato il migliore. «”Tu non sei una semplice ragazza. Tu fai parte di una stirpe millenaria di cacciatori di vampiri. Ora che hai raggiunto la tua maggiore età sei pronta per essere iniziata. Ti abbiamo portata qui per farti conoscere il genere di mostro che dovrai combattere e uccidere per salvare l’umanità e salvare la terra da questi esseri immondi, parassiti che si nutrono del sangue degli umani.”
«Ricordo di aver guardato quel vampiro e di aver pensato che fosse uno scherzo, una messinscena per i miei diciotto anni. Papà e quelle persone apparivano così ridicoli, dicevano cose così ridicole… vampiri? O erano dei pazzi drogati o si trattava di uno stupido scherzo. Per poco non scoppiai a ridere. A quel punto non avevo più paura, l’assurdità della scena aveva fatto calare il mio livello di guardia. Un uomo con la barba lunga e brizzolata si avvicinò alla gabbia. Il vampiro si dibatteva facendola oscillare con una forza tremenda. Probabilmente pensai si trattasse di uno stuntman o qualcosa del genere. L’uomo fece scattare il lucchetto e tutti i presenti estrassero un paletto da sotto al mantello. Con un calcio il vampiro distrusse la porta facendola volare via sopra le nostre teste e mandando a sbattere l’uomo contro la parete della caverna.
«E poi accadde tutto in un attimo. L’uomo vampiro mi afferrò per i capelli e scostandomi bruscamente la testa di lato affondò i canini nel mio collo. In quel momento seppi che era tutto reale, che non era uno scherzo e che quei mostri esistevano davvero. Papà gli piantò un paletto nel cuore, fu avvolto da una fiamma blu e si consumò in un mucchietto di cenere ai miei piedi.
«Dopo quella sera niente è stato come prima. Il giorno dopo mi portarono al quartier generale dei cacciatori dove mi insegnarono cose sui vampiri, mi addestrarono e lì conobbi Craig. La mia salvezza.» sorrise. «Ma tu hai me. Ti sosterrò e ti aiuterò ad ogni passo.»
Si abbracciarono e il calore e la speranza si diffusero nel petto di Olivia. Non era sola.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 11. Versi l'Italia ***


11. Verso l'Italia


Il cappuccio nero calò su un paio di occhi rossi. Movimenti rapidi, l’uomo si aggirava tra la poca gente in giro. Zaganos non riusciva a placare la sete che lo perseguitava da quando aveva lasciato Olivia. Lo scontro con gli altri vampiri era stato duro, non si aspettava che Magnor potesse scoprirlo. Nei giorni passati si era nutrito il minimo indispensabile e adesso era a corto di riserve. La parte animale di lui stava per prendere il sopravvento e con gli ultimi brandelli di lucidità cercava di trovare in fretta una preda, scandagliando la zona con attenzione.
Infilò un vicolo. Nero, buio, si confuse tra le ombre e appoggiò le spalle al muro. Gli occhi rossi mandavano un bagliore sinistro e i canini snudati premevano contro il labbro inferiore tanto da far male. L’urgenza del sangue, tutti quei cuori che pulsavano… riusciva ad avvertire il battito di ogni singolo individuo nel raggio di qualche chilometro. Nella sua testa un’unica e sola parola: sangue.
Dalla strada qualcuno entrò nel vicolo. Avvertì il suo odore ancora prima di metterlo a fuoco in mezzo alla nebbia della sua brama. Un uomo di mezza età che strascicava i piedi sull’asfalto e sbandava. Un ubriaco, probabilmente. Un senzatetto a giudicare dal puzzo che emanava, di urina, di alcool e sudore stantio. La preda perfetta per quel giorno, pensò. Non sarebbe mancato a nessuno e lui sapeva che non sarebbe stato in grado di risparmiargli la vita. Si appiattì contro la parete, in attesa.
Una figura incappucciata atterrò davanti a lui, più silenziosa di un gatto.
«Zaganos.»
Lui rivolse gli occhi iniettati di sangue sulla figura. Non riusciva a credere a quello che stava vedendo. «Magnor.»
Il lord vampiro non usciva mai dal suo covo. Come per rispondere alle sue domande, altri tre vampiri atterrarono dietro Magnor.
«Guarda come ti sei ridotto» lo schernì il fratello.
«Che diavolo ci fai tu qui?» sibilò Zaganos tra i denti.
«Sono venuto a prenderti.»
Prima ancora che potesse fare un passo Magnor gli fu addosso e gli spezzò il collo. Cadde a terra con un tonfo secco.

***
 
La notte non era passata liscia ma era stata un tormento continuo, un susseguirsi di immagini di mostri dai denti lunghi e appuntiti e pagliacci chiusi in gabbie da cui era possibile uscire solo se si faceva passare un serpente attraverso la serratura. Si svegliò sudata, stanca e irritata.
Scarlett era addormentata accanto a lei. Le strappò un sorriso. Chiuse piano la porta e scese le scale per andare a mangiare in cucina. Suo padre era già lì e c’era anche sua madre. Una sigaretta ormai consumata tra le dita laccate di rosa acceso e il trucco calato sopra le occhiaie violacee.
Scattò in piedi quando la vide entrare. «Mio dio Olivia, credevo di aver perso anche te.»
«Per quel che ti importa…» le scappò ad alta voce mentre la madre la stringeva al petto.
 «Chiedi immediatamente scusa a tua madre» tuonò Gerard.
Ma Olivia strinse i denti e senza dire niente aprì il frigorifero.
«Non fa niente, è stanca Gerard. Dopo quello che le è successo…»
Olivia guardò di sottecchi la madre. Non capiva come mai il padre continuasse a proteggerla. Era un’alcolizzata che pensava soltanto a sé stessa e non era mai in casa, mai una volta che avesse potuto contare sul suo aiuto o sul suo supporto. Lei è Scarlett se la cavavano da sole, con il solo aiuto di un padre sempre indaffarato. Anche se adesso riusciva a comprendere molte più cose, non riusciva ad abbandonare il risentimento nei confronti della madre.
«E tu dov’eri ieri sera, mamma?»
Suo padre parlò con tono basso e lento, segno che stava davvero perdendo la pazienza. «Olivia adesso basta. Non vedi che tua madre è sconvolta?»
«È ubriaca papà! Perché la copri sempre? Perché fai finta di niente?»
«È ora di finirla con questo atteggiamento da bambina viziata. Adesso sai cosa c’è là fuori, sai che ti aspetta, non sono più disposto a tollerare questi atteggiamenti.»
Lisa, la madre, continuava a fumare con la mano che le tremava un poco. Olivia si accorse che aveva iniziato a piangere, grossi solchi bagnati le scendevano lungo le guance. Gerard le accarezzò la mano. «Va tutto bene, tesoro, non ti preoccupare.»
Un sentimento bruttissimo, il senso di colpa, si impadronì di lei. Non era mai stata così sgarbata e cattiva nei confronti di sua madre prima, ma anche lei aveva avuto due giornate che avrebbero messo a dura prova la sanità mentale di chiunque. Proprio non ce la faceva a pronunciare quelle parole di scuse. Prese del latte e riempì un bicchiere, restando di spalle ai suoi genitori.
«Tua madre e io abbiamo preso una decisione: porterai a termine il tuo percorso di addestramento in Italia.»
Il cartone del latte le scivolò dalle mani. «Cosa?» sussurrò.
«È troppo pericoloso per te stare qui. Con Magnor che ti cerca…» sua madre ebbe un sussulto. «E poi sarà un’occasione per conoscere la tua famiglia. Tua nonna, i tuoi zii, i tuoi cugini.»
«Quando dovrei partire?»
«Stasera.»
Gli occhi che fino a quel momento era riuscita a mantenere asciutti, le si riempirono di lacrime. Doveva lasciare tutti i suoi amici e la sua vita a Tiern?
«È proprio necessario questo cambiamento, papà? Starò attenta, non mi metterò nei casini, farò in modo che…»
«È deciso. Ho già avvisato in Italia e Scarlett e Craig verranno con te.»
In quell’istante Scarlett varcò la porta della cucina. «Dove andiamo?» Sbadigliando diede un bacio alla madre, uno al padre e si avvicinò a Olivia per abbracciarla e dare un bacio anche a lei.
«In Italia.»
Al solo sentire pronunciare quel nome Olivia ebbe un mancamento. Era così lontana l’Italia e per chissà quanto tempo.
«Oh mio dio, davvero?» Scarlett ebbe un improvviso scoppio di gioia.
Perfetto. Olivia era l’unica a non mostrare neanche un po’ di entusiasmo a quanto pareva. Il padre annuì gettando un’occhiata alla madre che si era accesa un’altra sigaretta e guardava le due figlie con gli occhi velati dall’alcool.
«Ho parlato con Craig e lui è d’accordo. Verrà con voi e si occuperà dell’addestramento fisico di Olivia. Al resto ci penserà vostra nonna Ester.»
Sua sorella era incontenibile, la gioia veniva fuori così naturale che per poco Olivia non si convinse che si trattava di una gita o una vacanza. Ma si trattava di lei, del suo addestramento, della sua nuova vita. Si trattava di lei e nessuno sembrava preoccuparsi dei suoi sentimenti, dei suoi desideri. Tutti prendevano decisioni per lei davanti a lei come se fosse un burattino o, peggio ancora, una palla al piede di cui liberarsi.
«Non posso lasciare tutta la mia vita. Dajana è morta e io non sono nemmeno andata dalla sua famiglia! E tu pretendi che io lasci Miriam da sola qui… e tutti i miei amici e me ne vada per chissà quanto tempo in un posto sperduto nel quale non conosco nessuno a parte mia nonna! Non ci vado. Non diventerò cacciatrice, non…»
Suo padre scattò in piedi così velocemente da far cadere la sedia a terra. Batté forte un pugno sul tavolo. «Io non me ne starò qui ad aspettare che Magnor ti prenda e ti trasformi nella sua vacca da monta!»
«Papà.»
«Gerard.»
Esclamarono Lisa e Scarlett all’unisono, shoccate dall’improvviso scoppio d’ira, ma lui continuò. «Vuoi sapere che succede a quelle come te? A quelle con il marchio? Vengono violentate tutti i giorni, più volte al giorno, per essere sicuri che il seme attecchisca. I vampiri bevono il loro sangue lasciandole a un passo dalla morte continuamente. Il più delle volte le tengono legate ai loro letti, così da averle già pronte ogni volta che vogliono soddisfare i loro impulsi immondi. Sono delle schiave di sangue e di sesso. Magnor è così potente da uccidere una persona con un movimento della mano. Ha più di cinquecento anni ed è un vampiro di nascita. Come credi che ti tratterà?»
«Smettila papà, la stai terrorizzando.»
«Cosa credi, che io e tua madre siamo contenti di vederti andare via? Che io stia meglio senza sapere che fai e senza avere la possibilità di proteggerti? Ci siamo già passati una volta. Non perderemo un altro figlio per colpa di Magnor. In Italia sarai al sicuro.»
«Che vuol dire perdere un altro figlio? Ti riferisci a Kevin?»
Per un attimo il gelo calò sulla stanza.
«Sì.»
La madre si portò le mani sugli occhi.
«Dimmi la verità, papà. Kevin ha scelto di non essere cacciatore?»
«Vieni, Olivia, andiamo a prepararci.» Scarlett la prese per un gomito esercitando una piccola pressione. Lei si scansò.
«Papà, dimmelo.»
«Tuo fratello Kevin è stato trasformato in vampiro, Olivia, da Magnor. E adesso vai a prepararti e rifletti su quello che ti ho detto.»
Olivia uscì in uno stato di shock. Non era possibile che suo fratello fosse un vampiro, lei lo aveva visto qualche giorno prima, stava bene…era sempre lo stesso, era… un vampiro. Perciò sua sorella si era comportata in quel modo, perciò suo padre gli aveva intimato di non farsi più vedere. Perché avrebbe dovuto ucciderlo e non lo aveva fatto.
Suo fratello era un vampiro, lei una cacciatrice. Quando si sarebbe svegliata da quell’incubo?

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 12. Roccadipietra ***


12. Roccadipietra



Diverse ore dopo, litri di lacrime, Olivia chiuse la valigia e spense le luci della stanza. Aveva gli occhi gonfi e pensanti, un mal di testa che continuava ad aumentare di minuto in minuto. Non aveva senso continuare a lamentarsi, la decisione era stata presa e lei avrebbe fatto il suo dovere.
Non erano state le brutali parole del padre su quello che le avrebbero fatto i vampiri a farle cambiare idea, quanto piuttosto aver appreso che il suo adorato fratello non era più umano.
Un dolore indescrivibile le era partito dal cuore per poi estendersi in tutti i filamenti del corpo fino ad arrivare all’anima. In un attimo aveva compreso il comportamento della madre, peggiorato proprio negli ultimi sette anni e l’atteggiamento protettivo che stava avendo il padre in quel momento, quando prima l’aveva sempre trattata come la sua principessa e aveva assecondato tutti i suoi capricci.
Aveva accettato senza più riserve il suo destino, la sua eredità.
Craig e Scarlett la stavano aspettando fuori mentre lei era in piedi vicino alla porta con le mani in tasca.
«Papà, scusami per prima.»
Lui le accarezzò i capelli e la spalla. «Sono io che devo chiederti scusa per essere stato così duro, ma era importante che tu capissi.» Olivia annuì. «Mi dispiace che tu l’abbia dovuto scoprire in questo modo»
«Non penso che la grotta e la gabbia sarebbero stati meno traumatici.»
Gerard piegò gli angoli della bocca in un sorriso. «Scarlett te lo ha raccontato.»
«Sì. Non deve essere stato facile per lei.»
«Non lo è per nessuno all’inizio, ma poi ci si abitua. Sei fortunata ad avere una sorella che ci è già passata e saprà come aiutarti. Quando tornerai ti racconterò la mia prima gabbia.»
«Prima?» chiese Olivia incuriosita.
Gerard le fece l’occhiolino. «Le gabbie sono due. Una all’inizio e una alla fine dell’addestramento. Quando sarai pronta per la caccia.» La strinse in un abbraccio. «Adesso vai e salutami nonna Ester.»
Olivia strinse il padre, ricacciando indietro nuove lacrime che credeva ormai consumate. Rivolse le spalle alla sua vecchia casa e iniziò a percorrere i primi passi della sua nuova vita.
 
***
 
Nonna Ester era una energica signora singolare. Nonostante i suoi quasi ottant’anni portava ancora i capelli colorati e lunghi, stretti in una treccia spessa che si snodava sulla schiena come un serpente nero pece. Parlava veloce e in Italiano, e sebbene Olivia conoscesse la lingua, non capì una parola di quello che le disse quando la incontrarono in aeroporto. Indossava un paio di fuseaux e una lunga blusa larga a maniche lunghe, occhiali da sole e un sorriso caldo e gentile. Non vedevano la loro nonna da moltissimi anni, da quando aveva deciso di partire e restare nella sua terra d’origine. E questa portava il nome di Roccadipietra un paesino nel cuore dell’Italia centrale.
Il viaggio dall’aeroporto a Roccadipietra durò diverse ore, durante le quali Olivia ancora sonnecchiante e stordita guardava fuori dal finestrino l’avvicendarsi dei paesi, case, distese di erba verde brillante disseminate di fiori di campo dai colori forti. Campi di papaveri, promontori aspri che nascondevano nelle insenature delle rocce ciuffi di ginestre, e un sole caldo, già molto caldo rispetto al clima più rigido di Tiern.
Scarlett e nonna Ester sembravano avere molte cose da dirsi e sua sorella sembrava comprendere molto meglio di lei l’italiano poiché discorrevano in maniera abbastanza fluida. Gettò uno sguardo a Craig, seduto nel lato opposto al suo e si rese conto di non essere la sola a sentirsi un pesce fuor d’acqua. Le spalle rigide, lo sguardo che saettava da Scarlett alla nonna senza però capire i loro discorsi. Sembrava così ridicolo che per poco Olivia non scoppiò a ridere.
«Stanno parlando di magia» gli disse.
Sorrise a favore di Olivia. «Avrei dovuto immaginarlo. Adesso mi toccherà imparare anche l’italiano.»
«Se ti può consolare, sono riuscita a capire solo tre o quattro parole da quando siamo arrivati.»
«Perdonatemi se parlo solo in italiano» si intromise nonna Ester. «Ma sarà più facile per voi la vita a Roccadipietra se imparerete a parlarlo. È una piccola comunità, ci conosciamo tutti e amiamo trascorrere insieme il tempo. Vi abituerete presto e sono sicura che vi piacerà stare qui.»
 
Per piccola comunità, nonna Ester intendeva una comunità davvero piccola. Roccadipietra si estendeva su una parete rocciosa e le case sembravano quasi scomparire in essa, o fuoriuscirne come una sua naturale estensione. Le case erano tutte ammassate le une sulle altre e ai suoi piedi si estendeva la campagna, con stradine bianche che si snodavano tra i vari appezzamenti di terreno. C’erano i signori a lavorare con i trattori nei campi e bambini sulle biciclette.
Scesero dalla macchina e i profumi della primavera li investirono. Olivia ne fu colpita. Si sentiva come catapultata in un mondo diverso, scandito da ritmi più lenti e quasi incontaminato, come se l’aria che stava respirando fosse la più pulita che avesse mai respirato.
Con le valigie che strusciavano sul selciato di pietra, percorsero quella che doveva essere la strada principale. C’erano dei negozietti, incontrarono diverse persone che sapevano del loro arrivo, si fermavano a guardare e salutare, si complimentavano con nonna Ester per le “belle nipoti che teneva”. Le case erano strette strette tra loro e alcuni vicoli erano per il passaggio di una sola persona.
Sbucarono in una piazza, ampia e soleggiata, con due bar e la chiesa con la facciata di pietra bianca e un campanile col cupolotto verde e giallo. Poco dopo aver continuato per una stradina che si apriva a destra della chiesa, nonna Ester si fermò ed estrasse le chiavi dalla borsina di pelle nera. Le infilò nella toppa di un portone dall’aria molto antica, uno dei più belli e grandi che Olivia avesse visto in paese fino a quel momento. Sulla parete alta c’era uno stucco con un’incisione: famiglia Petrangelo.
«Questa è la nostra casa, dove ha sempre vissuto tutta la nostra famiglia, una famiglia nobile e antica.» Fece entrare gli ospiti e richiuse il portone dietro di sé, lasciando per un attimo tutti al buio. Dentro odorava di vecchio, con un alone di gelsomino.
A giudicare dall’aspetto esterno Olivia non si sarebbe mai aspettata una casa così grande e così ben rifinita. Salirono delle scale di marmo con il corrimano di mogano lucido e giunsero di fronte ad un’altra porta. La nonna l’aprì e un luminosissimo appartamento, con il pavimento di marmi chiaro e affreschi al soffitto si estese davanti ai loro occhi.
«Wow» esclamò.
«Mio dio, nonna, è bellissimo qui.»
«Piano piano vi farò vedere tutta la casa. Adesso venite che vi preparo qualcosa da mangiare. Sarete sicuramente molto affamati.»
 

«Ho una sorpresa per te, Scarlett» esordì Ester dopo aver preparato dei panini al prosciutto. «Dalla settimana prossima potrai studiare storia antica qui all’università.»
Scarlett sgranò gli occhi e guardò Craig che le riservò uno dei sorrisi più belli e carichi d’amore che Olivia avesse mai visto. Avvertì una fitta allo stomaco chiedendosi se un giorno anche lei avrebbe conosciuto qualcosa di simile. Scarlett abbracciò forte nonna Ester e la baciò.
«Nonna, grazie, è stupendo.»
«Così potrai approfondire i tuoi studi sulla magia.»
«È favoloso, io non so davvero cosa dire.»
«Ah, sciocchezze bambina mia, non potevi mica star qui senza far nulla mentre tua sorella compie il suo addestramento. Craig, so che tu dovrai seguire Olivia e ti ho preparato la stanza nei sotterranei che hanno utilizzato tutti i miei antenati. Vai pure a controllare e fammi sapere se hai bisogno di qualcosa.»
Craig annuì e uscì dalla stanza. Le ragazze lo seguirono con lo sguardo, poi nonna Ester si accostò a Scarlett.
«Oh come mi manca essere giovane e poter avere un fidanzato come lui! Scommetto che ci sa fare, eh?»
«Nonna!» rispose Olivia in imbarazzo per la piega che stava prendendo il discorso, mentre Scarlett ridacchiava.
«Olivia, imparerai presto che la vita di noi cacciatori è ancora più precaria. Viviamo cogliendo gli attimi e cercando di trarne da ognuno il maggior godimento possibile.»
«Fino a che età sei stata cacciatrice, nonna?» chiese Scarlett.
«Fino a che le forze e la lucidità me lo hanno permesso. È stata una lunga ed emozionante avventura, non avrei potuto chiedere di meglio alla vita.»
Olivia invece ne era terrorizzata. Cosa poteva esserci di emozionante nell’uccidere i mostri? Nel vivere costantemente con la paura della morte? Finì di mangiare il suo panino nel più completo silenzio, persa nei suoi cupi pensieri, facendo solo finta di ascoltare quello che si dicevano. Avrebbe voluto avere anche solo un pizzico dell’entusiasmo di sua nonna o di sua sorella. Era la sua eredità e quindi il suo dovere, niente di più. Un dovere da compiere con tutto l’impegno possibile. A soli tre giorni da quella tragica notte in cui tutto era cambiato per lei e il suo mondo era crollato come un castello di sabbia pieno zeppo di bugie, rivelandole la verità nuda e cruda, aveva accumulato abbastanza odio nei confronti dei non morti da voler cominciare al più presto il suo addestramento in modo da poterli uccidere tutti. Avevano ammazzato la sua migliore amica, avevano trasformato suo fratello in uno di loro.
Zaganos le aveva detto che non tutti i vampiri erano uguali, alcuni non facevano del male alle persone, ma lei cominciava a dubitare che fosse realmente così. “quando ci rivedremo saremo nemici”, le aveva detto prima di andare via. Aveva ragione. Lui forse era l’unico ad essere realmente diverso. Sperò in cuor suo di non rivederlo mai più. Sperò che anche suo fratello non avesse ceduto alla natura da predatore, che avesse conservato un po’ della sua umanità.
Nonna Ester portò le ragazze nelle loro camere da letto e le lasciò da sole a disfare i bagagli. Olivia sedette su un letto gigante, circondato da un baldacchino di legno senza tende. La stanza era altrettanto grande e un po’ cupa, tutta di legno scuro. Dal soffitto pendeva un lampadario elaborato e attorno ad esso c’era un rosone fatto di stucco fiorentino, strani motivi intricati che si riproponevano anche agli angoli delle pareti. In un altro momento tutta quella antichità le sarebbe piaciuta, ma in quel preciso istante la trovò soffocante.
Qualcuno bussò alla sua porta e si rese conto che era ormai sera. Dalle finestre posizionate una affianco all’altra sul lato di fronte al suo letto, alte e strette, la luce del crepuscolo tingeva tutto di un colore bluette, costringendo gli occhi ad abituarsi all’oscurità della notte che si avvicinava.
Scarlett entrò. Si era cambiata, indossava dei jeans e un top carino, non del suo solito colore nero, ma rosso come i suoi capelli che scendevano sulle spalle e sembravano fondersi con esso.
«Io e Craig stiamo andando a fare un giro per il paese. Vieni con noi?»
Ollie scosse la testa. Gli occhi di Scarlett erano illuminati da una gioia e un entusiasmo che non aveva più visto da molto tempo. Le labbra disegnarono un debole sorriso. «Andate voi due, io sono stanca.»
In parte era vero, ma voleva starsene da sola. La sorella andò via richiudendo la porta, lasciando fuori dalla stanza tutto il nuovo e dentro ancora un pizzico di dolore a cui Olivia si teneva stretta. Tolse in fretta i vestiti, lasciandoli sparpagliati sul pavimento e si mise a letto.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 13. Discendenze ***


13. Discendenze



Un nuovo giorno, un nuovo inizio. Per Olivia, l’inizio di tutto.
All’alba fu svegliata da Craig. Stordita e confusa si mise a sedere sul letto e osservò la montagna di muscoli in piedi accanto a lei, braccia incrociate e sguardo serio.
«Che succede?» stropicciò gli occhi.
«Devi alzarti. È ora di iniziare la tua preparazione fisica.»
«Così presto?»
«Non è presto, sono quasi le sette. Ti ho lasciato dormire per via del viaggio, ma domani si inizia alle sei.»
Olivia emise un debole lamento. «Ma ieri sera non ho mangiato.»
«Lo farai dopo. Coraggio, metti una tuta, ti aspetto fuori.» Vedendo Olivia che rimaneva ancora immobile le scostò bruscamente le coperte dal letto. «Ti voglio pronta fra due minuti.»
Con i brividi di freddo in tutto il corpo, Olivia scese dal letto e frugò tra le sue cose in cerca della tuta. La infilò il più in fretta possibile e uscì dalla stanza mentre legava i capelli. Sua sorella come faceva a sopportare quel burbero?
Lanciò un’occhiata fuori dalle finestre mentre percorrevano il corridoio. Il cielo era roseo e il sole cominciava a salire oltre la linea dell’orizzonte.
«Craig, è proprio necessario svegliarsi così presto?» Aveva sempre odiato le levatacce, lasciare il letto era sempre un trauma.
«Ti conviene abituartici» rispose lui, con una sfumatura divertita nella voce.
«Cosa faremo oggi?»
«Oggi correrai.»
«Tutto qui? Devo solo correre?» Si sarebbe aspettata che le insegnassero a combattere e uccidere, non a scappare.
Craig fece una risatina bassa. «Tutto qui.»
«E poi?»
«E poi starai con tua nonna che ti insegnerà quello che devi sapere sui vampiri e su noi cacciatori.»
Scesero le scale dell’ingresso e davanti al portone chiuso svoltarono a destra, nel buio, scendendo un’altra rampa di scale che portava al piano interrato. Craig premette l’interruttore e una luce bianca abbagliante illuminò la stanza. Enorme poteva sembrare riduttivo per descriverla, e c’era di tutto. Pesi, attrezzi vari, corde che scendevano dal soffitto, palle, tappeti, bersagli, archi, in ogni angolo della sala Olivia perdeva il conto delle cose che vedeva. C’erano persino delle spade.
«Oggi correremo insieme.»
Senza fare obiezioni iniziò a correre al suo fianco. Non era mai stata una fanatica dello sport, ma a scuola nella corsa campestre se l’era sempre cavata egregiamente.
«Quanto durerà il mio addestramento?»
«Dipende da te.»
«Ma in maniera orientativa? Quanto dura un addestramento in media?»
«Ti conviene risparmiare il fiato, Olivia. Questa non sarà una passeggiata di salute.»
Craig aveva ragione. Diverso tempo dopo, quello che a lei sembrò un’eternità, Olivia crollò a terra, scossa dai conati di vomito. Le gambe erano diventate due blocchi di cemento e i polmoni le facevano così male che credette di non riuscire più a respirare. Craig l’aiutò ad alzarsi.
«Respira, respira profondamente. Olivia, guardami. Male, molto molto male.» Guardò il cronometro che aveva al polso, «sono passati soltanto trenta minuti.»
Olivia fece per parlare ma fu scossa da un altro conato. Lo stomaco vuoto si contraeva brutale senza darle tregua. Ma trenta minuti non potevano essere un tempo di merda, e poi Craig correva troppo veloce e lei era stata costretta a stargli al passo. Lui prese una bottiglietta con del liquido giallognolo.
«Bevi, ti sentirai un po’ meglio. Dieci minuti di pausa e poi riprendiamo. Fai stretching.»
«Devo correre di nuovo?» Ollie strabuzzò gli occhi. Non si sentiva più in grado di fare niente.
«Olivia, lo so che è complicato, soprattutto le prime volte. Per oggi basta corsa, facciamo qualche esercizio sull’equilibrio e per le braccia e le spalle. Sono troppo esili.»
Lei si guardò le braccia e sospirò. Bevve quel liquido dal sapore amaro mentre Craig sistemava degli attrezzi al centro della sala.
 
Diverse ore dopo riuscì ad uscire da quella stanza delle torture. Doveva essere ora di pranzo perché dalla cucina proveniva un delizioso profumo di sugo fresco e aromi che non riusciva a riconoscere. Cominciò a sentire nostalgia di casa e dei pranzetti che le preparava sempre il padre e che avevano gli stessi profumi.
Scarlett era ricurva su un libro mentre nonna Ester era in piedi vicino ai fornelli e agitava il mestolo in una pentola. Scarlett si alzò e le andò incontro quando la vide entrare.
«Allora, come è andata?»
Emise un gemito di dolore quando la sorella l’abbracciò. Anche Ester si era girata, rivolgendole un sorriso amorevole.
«Malissimo. Non mi sento più i muscoli e credo di stare per morire.»
Dietro di loro sopraggiunse Craig. «È andata meglio di come sei andata tu la prima volta.» Strizzò l’occhio a Ollie e diede un bacio sulla testa di Scarlett.
Sapeva che lo stava dicendo solo per incoraggiarla, in quanto più volte era stata sul punto di mollare tutto e scoppiare a piangere. Tutto le sembrava così complicato e lei temeva di non farcela, di non esserne all’altezza. Craig era stato molto duro, ma le aveva anche fatto capire che l’inizio era stato duro per tutti e se anche adesso le sembrava un traguardo lontanissimo ce l’avrebbe fatta.
«Vieni Olivia, mangia, vedrai come starai subito meglio.» Sua nonna poggiò sul tavolo un piatto di spaghetti al pomodoro e lei ci si fiondò sopra senza pensarci due volte.

***
 
La prima settimana fu orribile. Olivia non riusciva a tenere il passo di Craig durante la corsa, aveva cominciato ad imparare la lotta corpo a corpo m l’unica cosa che le rimaneva impressa era la voce imperiosa di Craig che le urlava di impegnarsi e che di certo i vampiri non aspettavano che lei si rialzasse da terra per farla fuori.
Mangiava, dormiva e si allenava. Non aveva la forza di tenere gli occhi aperti quando era con gli altri, non aveva messo piede fuori casa e alle lezioni con nonna Ester non era riuscita a tenere la testa dritta per più di cinque minuti. Vedeva Scarlett sempre più raggiante ed entusiasta, frequentava i suoi corsi e la sera usciva sempre con Craig per il paese o in quelli limitrofi. Lei si sentiva sempre più sola, abbattuta e demoralizzata, oltre che un ammasso di dolori e lividi.

Nonna Ester teneva le sue lezioni in uno studio con una biblioteca grandissima e comode poltrone in pelle marrone. La luce del pomeriggio filtrava attraverso le tende chiare e l’ambiente era invaso dal caldo sole, ammantato di riflessi dorati.
Quel giorno Craig era stato più carino del solito e le aveva fatto notare un piccolo progresso ottenuto nella corsa: sessanta minuti al suo stesso passo prima di piegarsi a terra senza fiato. A lei invece sembrava sempre di non durare abbastanza e di vivere in una bolla senza tempo, dove tutto era fermo e niente andava avanti.
I raggi che filtravano dalla finestra disegnavano forme geometriche sul pavimento che si univano o allontanavano al movimento delicato, lento e costante della tenda, spostata dal venticello profumato di primavera che spirava attraverso la finestra aperta. Olivia fissò il dondolio ai piedi della tenda, lasciandosi cullare e trasportare altrove, a casa sua a Tiern, ai giorni spensierati ormai troppo lontani.
Ester entrò nello studio, spandendo la sua aura di serenità tutt’intorno. Come faceva a essere sempre così allegra Olivia non riusciva proprio a capirlo, ma doveva dipendere dall’età e dal fatto che ormai non doveva pretendere più niente da se stessa. Le diede un bacio sulla guancia e si accomodò di fronte.
«Craig mi ha detto che stai facendo molti progressi.»
Olivia alzò un sopracciglio. «Ha detto così? Molti? A me sembra di essere sempre allo stesso punto, incapace di portare a termine anche i compiti più semplici. Non credo di essere portata per questa vita.»
«Ti sei già arresa?»
«È solo che… ho male dappertutto, non riesco a trovare lo stimolo necessario. So che devo farlo e non posso deludere papà ma probabilmente vi state sbagliando tutti e non è questo il mio destino.»
«La stai prendendo dal verso sbagliato, bambina mia. Innanzitutto si tratta della tua eredità, ma non devi dimostrare niente a nessuno se non a te stessa. E poi pretendi risultati immediati quando quelli arriveranno solo dopo un lavoro duro, costante e lungo. Ci vuole il tempo che ci vuole e nessuno di noi è nato con i superpoteri. Ti manca la tua vecchia vita a Tiern? Potrai riaverla, potrai ritornare alla normalità non appena avrai terminato il tuo percorso di addestramento.»
Olivia guardò altrove. «Non potrò più tornare alla normalità.»
«E chi dice questo? Sarai sempre tu, di giorno potrai continuare la tua vita con i tuoi amici e di notte andrai a caccia di non morti per proteggere la tua comunità.»
«Ma se qualcuno dovesse scoprire quello che faccio?»
«In quel caso si interviene a rimescolargli un po’ i pensieri, non succederà niente di così grave. E poi imparerai a camuffarti bene.»
«E se dovessi innamorarmi di qualcuno?»
L’espressione di nonna Ester si addolcì ancora di più. «È di questo che si tratta? Hai lasciato qualcuno che ami a Tiern?»
Olivia non aveva posto la domanda pensando a qualcuno in particolare ma per pura e semplice curiosità. Scosse la testa. La mente andò a Matt e all’ultima sera trascorsa con lui. Chiuse per un instate gli occhi, sentendosi in colpa e offesa per il suo comportamento, per averla trattata a quel modo davanti a tutti. No, non amava Matt, non sentiva la sua mancanza.
«Non sono innamorata. Ho solo chiesto perché vorrei che prima o poi capitasse.»
«La questione è un po’ complicata se ci innamoriamo di persone che non fanno parte della congrega. La congrega è la suddivisione territoriale della comunità dei cacciatori. Ogni congrega ha un gruppo dei capi di cui fanno parte i capifamiglia delle famiglie antiche di cacciatori di vampiri e che prende le decisioni sulle missioni da compiere.»
«Noi facciamo parte delle famiglie antiche?»
«Certo. La nostra famiglia è antichissima, i Petrangelo, diventati poi Stonebridge quando il mio bisnonno decise di partire per l’America e fondare una colonia insieme ad altri cacciatori.»
Olivia fissò la nonna, battendo le palpebre. «Ma se tu sei una Stonebridge nonno non può essere anche lui uno Stonebridge.»
«Tuo nonno non era un cacciatore e quando ci siamo sposati ha preso il mio cognome. Questo accade se ci innamoriamo di un non cacciatore: deve scegliere se compiere o meno l’addestramento. È una scelta dura perché la mente dei cacciatori è molto più forte delle altre, i nostri avi hanno combattuto per generazioni, essa è preparata a questo genere di cose. Gli altri esseri umani potrebbero rischiare di impazzire.» Fece una pausa e la guardò dritta negli occhi. «Come è successo a tua madre.»
Olivia fece un sorriso amaro, rigirandosi tra le dita il ciondolo a mezzaluna del suo bracciale protettivo. Tutti i tasselli sembravano aver trovato il loro posto.
«È anche lei una cacciatrice?»
«Purtroppo non lo è mai diventata. È rimasta incinta di Kevin prima che potesse fare la prova e il gruppo dei capi ha deciso che per lei sarebbe stata fatta un’eccezione. Si era dimostrata molto forte, però, e in gamba. Fino a quando non ha perso Kevin.»
In realtà non aveva perso Kevin, lui era solo diventato un’altra cosa. Se solo avesse avuto la possibilità di incontrarlo, magari sarebbe stata meglio. Lui stava bene, era vivo, ed era più che sicura che appartenesse a quella minoranza di vampiri di cui le aveva parlato Zaganos, quelli che non facevano male alle persone per il solo gusto di farlo.
«Quindi non è così inusuale che un cacciatore si unisca a chi non lo è?»
«No. Te l’ho detto, Olivia, tutti ritorniamo alle nostre vite di prima dopo l’addestramento. Stare chiusa qui in casa non ti fa bene, alimenta solo i tuoi dubbi e le tue paure. Esci, fai amicizia con gli altri ragazzi di Roccadipietra. Qui siamo tutti cacciatori e potrai parlare liberamente con chiunque. Ti farà bene sentire le loro storie, confrontarti con i loro percorsi di addestramento.»
«Quanto dura l’addestramento?»
«Qualche mese.»
«E poi che succede?»
«Poi riceverai un tatuaggio, un tatuaggio particolare, a forma di cerchio con simboli intricati, simili a un mandala. Sono simboli di protezione, di magia. Ti daranno la forza supplementare di cui avrai bisogno per affrontare i vampiri. Subito dopo affronterai la gabbia e sarai una cacciatrice.»
Si alzò dalla poltrona e si avvicinò ad uno scaffale dal quale estrasse un libro dalla copertina consunta e le dimensioni ridotte. «Tieni. Qui troverai sicuramente tutte le risposte che cerchi. Adesso voglio che esci e fai un giro per il paese. Vai, esplora e comprati un bel vestito per la festa di sabato.»
«Che festa?»
«L’anniversario della nascita del primo cacciatore italiano: Rocco Sartori.»
Olivia ebbe un tuffo al cuore. Sartori era il cognome di Orlando, quello stronzo che le aveva dato un bacio sulle labbra al ballo, quel teppistello per il quale si era presa una cotta quando era una ragazzina.
«Ma, Sartori…»
«Sì», rispose la nonna, come se le avesse letto nel pensiero. «Orlando è un suo discendente diretto.»

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 14. Rocco Sartori ***


14. Rocco Sartori



Orlando era un cacciatore. Olivia non riusciva a capacitarsene. Chissà quante altre persone che conosceva erano come lei, avevano affrontato le sue stesse paure e le sue stesse angosce. Aveva seguito il consiglio di sua nonna ed era uscita a fare una passeggiata per le viuzze del paese che sapevano di antico. Case di pietra vecchie, ammassate le une alle altre, posti in cui sembrava non arrivare mai il sole, umidi e dall’odore di muffa e di vissuto.
Percorrendo quelle stradine lastricate di pietra e quasi completamente silenziose a Olivia sembrò di essere catapultata in un’altra epoca. Studiò i portoni delle case, alcuni dei quali recavano l’incisione col nome della famiglia d’origine. Nonna Ester le aveva detto che gli abitanti di Roccadipietra erano tutti dei cacciatori, eppure a lei il paese sembrava ammantato da uno strato di quiete e le persone erano così anziane e raggrinzite che le risultava difficile credere che un tempo andassero a caccia di vampiri. Scrutò i profili delle case, i balconi pieni di fiori colorati e i panni stesi ad asciugare.
Attraversò un’altra piccola piazza, con una fontana di pietra sul lato sinistro e un palazzo con il portone più grande e bello che avesse visto fino a quel momento. Era di legno scuro, alto forse tre metri, incorniciato da elaborati disegni di marmo bianco e sormontato da un balcone di pietra recante sul davanti uno stemma araldico. Si avvicinò. Nella piccola piazza riscaldata dal sole morente non c’era nessuno. Si trovava nella parte più alta del paese e da lì riusciva a scorgere i resti di quella che doveva essere stata la torre del castello.
Camminò fino ad arrivare alla base dei cinque gradini che delimitavano l’ingresso. Lo stemma raffigurava una corona dentellata che sovrastava una spada e un paletto di legno incrociati tra loro. Simboli dei cacciatori, li aveva visti nei libri che le aveva dato sua nonna. Lo sguardo le cadde sull’incisione sulla porta: Rocco Sartori.
Così quella era la casa del primo cacciatore d’Italia. Il portone si aprì e vennero fuori due ragazzi. Olivia si affrettò a girarsi e incamminarsi verso il castello. Sentì le risate dei due e una voce che le suonava vagamente familiare.
«Olivia!»
Ruotò piano su se stessa, ferma quasi al centro della piazza, consapevole di chi fosse il proprietario di quella voce e con la voglia di scomparire di lì in quel preciso istante.
«Orlando.»
Quando finalmente ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi si accorse che sorrideva. L’aveva quasi raggiunta, indossava una maglietta bianca e una camicia di jeans aperta sopra a un paio di jeans scuri. Con quel volto sereno e sorridente non lo aveva mai visto.
«Che ci fai qui?» dissero insieme.
«Sono venuto per la festa, ma non ti avevo mai visto in Italia, prima.»
«Sono venuta per l’addestramento» rispose lei con un pizzico di vergogna, sussurrando appena l’ultima parola. Osservò l’altro ragazzo, castano, occhi chiari come l’ambra e alto come Orlando, con lo stesso fisico tonico.
«Lui è mio cugino Marco.»
«Tu sei la nipote di Ester» disse Marco mentre allungava la mano verso di lei. «Abbiamo conosciuto tua sorella e il suo fidanzato Craig.»
«Da quanto tempo sei qui?» chiese incuriosito Orlando.
«Una settimana.»
«Tuo padre ci aveva detto di averti portato in un posto sicuro, ma non pensavo a Roccadipietra. Stiamo andando al bar. Ti unisci a noi?»
Olivia accennò un sorriso e scosse la testa. «Finisco il mio giro, ma grazie.»
Orlando fece un segno di assenso, Marco la salutò con la mano e si incamminarono verso il lato opposto al suo.
Dio, perché aveva dovuto incontrarlo? Perché era proprio lì in Italia? Percorse qualche altro metro prima di sentire pronunciare di nuovo il suo nome. Orlando stava corricchiando nella sua direzione, stavolta da solo.
«Aspettami, vengo con te.» Le parole rimbombarono nella piazza mentre copriva la distanza che li separava. «Ti faccio da cicerone.»
«Non è necessario.»
«Sì, invece. Volevo parlarti della sera del ballo.»
«Ah.» Olivia non sapeva dove nascondere il viso, coperta dal più potente degli imbarazzi che avesse mai provato.
Si incamminarono. «Mi dispiace molto per quello che ti è successo, e per Dajana.»
«Grazie.» Sentì di nuovo addosso il peso di quella tristezza che aveva relegato in un cantuccio del suo cuore. Solo la rabbia continuava ad alimentare, per trovare la forza di andare avanti.
«Sai, mi sono sentito un po’ in colpa. Se io non ti avessi dato quel bacio probabilmente tu non saresti mai uscita fuori. Dentro eri protetta, c’eravamo io, Craig, Scarlett e qualcun altro… non ti sarebbe successo niente.»
Olivia lo guardò di sottecchi. Quasi non lo riconosceva più, lui non era mai stato gentile con lei, forse con nessuno. Addirittura le stava chiedendo scusa.
«In effetti potevi risparmiartelo. Cosa diavolo ti è saltato in mente?»
La risata cristallina di lui rimbalzò nello stretto vicolo che stavano percorrendo e ricadde dritta nello stomaco di lei. Gli occhi di Orlando si voltarono ad incontrare i suoi. «Non so, Olivia. Eri così bella quella sera, così felice, e stavi con quel cretino che preferiva fare lo scemo con gli amici invece che ballare con te. Quando ti sei seduta a quel tavolo da sola ho agito d’impulso e sono venuto a chiederti di ballare.»
Bella. Orlando la trovava bella. Ripescò nella mente il momento in lui le loro labbra si erano incontrate. Sentì il cuore accelerare un po’.
«Matt è un idiota», continuò lui. «Spero per te che vi siate lasciati. Non vorrei ritrovarmelo come compagno di caccia.»
Olivia lo guardò di traverso. «Matt è un bravo ragazzo.» Non le piaceva sentir parlare così di lui, con lei era sempre stato perfetto, fino a quella sera.
«I bravi ragazzi non mettono le mani addosso alle ragazze, men che meno alle proprie fidanzate. Ringrazia il fatto che non ero nei paraggi o lo avrei pestato a sangue.»
Le sue sopracciglia schizzarono verso l’alto. «E quindi saresti tu il bravo ragazzo? Sei un teppista, fai baruffa con chiunque.»
Orlando la guardò con un’intensità tale da farle seccare la gola. «Non ho mai toccato una donna.»
Sbucarono in uno spiazzo. Sui muri e sul selciato crescevano ribelli e incontrollati ciuffi di erba e fiorellini blu e bianchi. Era una passatoia di pietra, e sotto di loro c’era un fossato profondo sette o otto metri. Al di là si vedevano le rovine di quello che doveva essere un bellissimo castello.
Olivia rimase a guardare le pietre diroccate cercando di immaginare che forma potesse avere negli anni del suo splendore. Orlando si sedette su un masso e tirò dei fili d’erba giocando a spezzettarli.
«Questo castello fu costruito nel medioevo e si dice ci abitasse un signore, magnanimo e gentile con i suoi mezzadri. Il signore aveva un figlio che mandò a studiare in un monastero, come era usanza all’epoca.»
Olivia si sedette su un masso vicino al suo, guardandolo affascinata. Stava scoprendo un altro lato di Orlando, un lato che non mostrava mai e che lo rendeva ancora più attraente.
«Ma quando il ragazzo tornò non era più lo stesso» continuò lui, fissando lo sguardo sulle rovine del castello, come se riuscisse a vedere le cose di cui stava parlando. «Si dice che la notte uccidesse la servitù per bere il loro sangue e andasse in cerca di fanciulle per fare loro le cose più depravate. Il padre, terrorizzato, lo chiuse nelle segrete ma la forza e la potenza del ragazzo erano tali che appena calò il buio ruppe le catene e sfondò la cella, facendo strage di cadaveri. Così il signore pensò di rivolgersi a Rocco Sartori, che aveva la fama di essere uno stregone e di risolvere qualsiasi tipo di problema. A quei tempi le streghe e gli stregoni erano perseguitati ma Rocco era sempre riuscito a cavarsela, curava la gente e per questo nessuno aveva avuto mai il coraggio di denunciarlo all’inquisizione, sebbene lo temessero. In realtà non era lui ad essere uno stregone, ma sua moglie Raina, una donna proveniente dall’est. Ella nel suo paese d’origine aveva sentito parlare di creature del genere, i vampiri, che si nutrivano di sangue umano. I due si gettarono a capofitto nello studio dei libri antichi per trovare un modo per neutralizzare il figlio vampiro del signore. Ci riuscirono e dopo Rocco cominciò a rastrellare seguaci per formare una vera e propria congrega per sconfiggere questi mostri. Ne fece una vera e propria missione di vita. Raina preparava pozioni e amuleti che potessero eliminare gli effetti della compulsione, Rocco affinava e tecniche di combattimento e le armi più indicate e efficaci. Così siamo nati noi.»
Olivia tolse una ciocca di capelli dal volto, spostata dal vento che soffiava forte in quel punto del paese, era piacevole e caldo e portava con sé il profumo dei fiori dai campi. «È una storia incredibile. E questo Rocco è un tuo avo?»
Orlando accennò un sorrisetto sghembo. «A quanto pare. Ma stiamo parlando di mille anni fa.»
«E il castello come è stato distrutto?» spostò lo sguardo sulle rovine ammantate di erba e pensò che le sarebbe piaciuto vederlo nel suo splendore originario.
«Gli uomini, le guerre… niente a che vedere con i vampiri.»
Si sorrisero e rimasero in silenzio, Olivia con la mente che immaginava Rocco Sartori combattere e uccidere il figlio del signore, nelle stanze del castello, pieno di uomini e donne impauriti.
«Come sta andando l’addestramento?» chiese poi Orlando, intrecciando le dita delle mani davanti a sé e volgendosi a guardarla.
La luce del sole calante gli illuminava il viso a metà, illuminando fasci dei suoi cortissimi capelli scuri e giocando con i suoi lineamenti marcati, ponendolo in perfetta simmetria tra buio e luce. Olivia non si era mai soffermata a guardare i suoi occhi, così pieni di sfumature.
«Malissimo.»
Lui ridacchiò. «Tranquilla, ci siamo passati tutti. Tra poco sarà più facile.»
«Dite tutti così… posso chiederti quanto è durato il tuo addestramento?»
«Qualche mese. Non ricordo con esattezza.» Le fece un sorriso dolce. «Non avere fretta, O. Ogni persona è diversa dalle altre, ogni persona ha i suoi tempi. Non pensare a quando finirà, focalizzati sul giorno presente e su quanto puoi apprendere oggi.»
«È che a me sembra di non riuscire a fare progressi.»
«Con un allenatore come Craig penso che sia difficile non fare progressi. Lui è fantastico, non poteva capitarti di meglio.»
Olivia fece una smorfia. «È un burbero.»
«Lo fa solo per spronarti a dare il meglio. Io lo ammiro tantissimo.» Tirò un sospiro e si alzò. «Vogliamo andare?»
Olivia si alzò dal masso. «Era questo che intendevi quando al ballo mi hai detto che non ero pronta? Alludevi al fatto che non conoscevo tutta la verità?»
Quel pensiero la tormentava da quando lo aveva rivisto. Omise deliberatamente la frase intera che Orlando le aveva detto, che non era pronta per lui, perché sarebbe stato troppo imbarazzante ma ci pensò lui a ricordarglielo.
«Vuoi dire quando ti ho detto che non eri pronta per stare con me e poi ti ho baciato?»
Olivia lo guardò in cagnesco. Evidentemente si divertiva a mettere in imbarazzo le persone, o forse solo lei.
«Sì, suppongo di sì.» Disse infine, accennando un sorriso.
«Non sono una ragazzina.»
«Ah credimi, questo lo vedo» lasciò vagare gli occhi sul suo corpo.
«Smettila. Volevo dire che non sono più la ragazza che ero a Tiern.»
«Mi stai dicendo che quindi sei pronta a stare con me?»
Olivia sentì le guance accaldarsi. «Cosa? No! Io… lasciamo perdere.»
Si incamminò seguita da Orlando che con un sorriso di divertimento dipinto sulle labbra la guardò per un po’. Percorsero la strada in silenzio, lui la lasciò davanti al portone di casa e se ne andò.
Lei raccontò alla nonna e alla sorella la passeggiata per il paese mentre cenavano e poi si ritirò in camera sua, crollando distrutta prima ancora di riuscire a formulare un qualche tipo di pensiero.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 15. Orlando ***


15. Orlando



Seguirono altri giorni tutti uguali, scanditi dall’allenamento, dalle lezioni della nonna e da tanto sonno. Stava imparando qualcosa di più sui vampiri, sulla differenza tra vampiri di nascita e vampiri trasformati, il ruolo della magia, le streghe e i loro poteri.
Il giorno prima della festa in onore di Rocco Sartori, Olivia se ne stava appollaiata sulla sua poltrona nello studio a leggere un vecchio libro sui cacciatori di vampiri. Sua nonna sedeva di fronte a lei con in braccio un libro all’apparenza divertente, poiché Olivia l’aveva beccata più volte a sorridere alle pagine. Era una giornata splendida, molto calda e lei guardava continuamente fuori dalla finestra con la voglia di uscire a fare una passeggiata.
Non aveva più messo piede fuori da quando aveva incontrato Orlando, troppo stanca anche solo per respirare, e spesso si era chiesta cosa stesse facendo. La mente vagò fino a quel pomeriggio al castello. Le mancava parlare con qualcuno della sua età, qualcuno che non fosse sua nonna, sua sorella o il suo allenatore. Le mancavano i suoi amici di Tiern e forse Orlando era l’unico che le facesse sentire meno la nostalgia.
Voltò la pagina del libro senza averla realmente letta. Sua nonna aveva ragione quando le aveva detto che avrebbe dovuto farsi degli amici anche a Roccadipietra. Se in quel momento le avesse detto che desiderava andare a fare una passeggiata lei non avrebbe avuto nulla da ridire, ne era sicura.
Il campanello di casa suonò e nonna Ester uscì nel corridoio e si affacciò al balconcino che dava sul portone.
«Buonasera, Ester!» sentì dire e la voce era proprio quella di Orlando. Sbirciò dalla finestra.
«Orlando.» sua nonna lo salutò col calore nella voce.
«Sono venuto a vedere come se la passa Olivia.»
«Sali, dai.»
Olivia si affrettò a rimettersi a sedere. Era un completo disastro, con i capelli arruffati e le occhiaie profonde. Scattò in piedi quando li vide entrare.
«Ciao», disse con voce incerta.
«Ollie.» Orlando le sorrise poi si voltò verso sua nonna e la strinse in un abbraccio affettuoso. «Ester, da quanto tempo.» Si diedero due baci sulle guance. «Sei sempre splendida, per te il tempo non passa mai.»
«Oh, che adulatore», sua nonna diede dei colpetti affettuosi alle guance di lui. «Tu invece sei diventato più bello. Guarda qui che muscoli», fece scorrere le dita nodose lungo le spalle del ragazzo. «Grazia ne sarà felice.»
Olivia si schiarì la voce, in imbarazzo. Sua nonna e Orlando stavano flirtando spudoratamente. Ester guardò Olivia e sorrise.
«Accomodati, vado a prendere qualcosa da bere.» Uscì, rivolgendo uno sguardo eloquente alla nipote.
«Chi è Grazia?» fece lei quando Orlando le fu vicino.
«La mia avventura estiva italiana» rispose lui serafico.
«Ah.» Avvertì uno strano formicolio allo stomaco.
Lui le sorrise. «Che stavi facendo?» prese il libro che lei aveva lasciato sulla poltrona e lesse qualche riga. «Mm, roba davvero noiosa. Ti va di venire con me e Marco a mangiare una pizza, stasera?»
«Io…beh…»
«Dai, Olivia, ci saranno anche gli altri ragazzi, è ora che tu li conosca. Non puoi passare tutti i mesi dell’addestramento chiusa in casa senza un po’ di svago. Tra l’altro questo periodo dell’anno è bellissimo in Italia, non puoi perdertelo.»
«D’accordo.»
Lui sorrise e richiuse il libro, porgendoglielo. «Bene, passo alle otto», le diede un bacio sulla guancia. «Non studiare troppo.»
Nonna Ester entrò con un vassoio con sopra una caraffa di te freddo e due bicchieri. «Orlando, ma vai già via?» disse con una punta di delusione.
«Devo scappare, ma passo presto a trovarti.»
«Passa quando vuoi» si voltò verso Olivia e la guardò come se avesse vinto un terno a lotto.
***
 
Nonna Ester fece schioccare la lingua in segno di diniego quando Olivia entrò in sala per farsi vedere. Si era messa un jeans e un top corto con su un giacchino di ecopelle nero.
«Sei giovane, hai delle bellissime gambe. Perché non le tieni fuori da quei jeans?»
Olivia spostò lo sguardo sui suoi jeans. «Mi sento più comoda così.»
Il sorriso della nonna si addolcì. «Va bene, tesoro, come vuoi.» Si alzò dalla poltrona e le diede un bacio, sistemandole i capelli dietro le spalle. «Sei bellissima lo stesso.»
Olivia si specchiò nelle pozze verdi di sua nonna identiche alle sue. Il viso pieno di rughe che un tempo doveva essere stato bellissimo, esprimeva ancora tanta vitalità. Ester le carezzò il volto.
«Orlando ti piace?»
«È un bel ragazzo, ma…» balbettò Olivia, sentendo il calore salire alle guance e sul collo. Non era abituata a parlare di ragazzi con sua nonna o con qualsiasi altro adulto. Con le sue amiche, e con sua sorella a volte, era il suo argomento di conversazione preferito. A quanto pareva, anche di sua nonna. Le accarezzò ancora il volto. Le mani consumate dal tempo erano sorprendentemente morbide e calde e profumavano di pulito.
«La vita di noi cacciatori è costantemente appesa a un filo. Con questo non voglio dire che devi trasformarti in una di quelle ragazze senza valori o senza morale, ma se il tuo cuore desidera qualcosa prendilo senza esitare.»
Olivia si sottrasse alle carezze della nonna. L’argomento la imbarazzava. «Ma tu prima hai parlato di una certa Grazia.» E Orlando aveva confermato che non questa ragazza aveva una relazione.
Sua nonna rise. «Sì, Grazia. Devi sapere che loro due sono cresciuti insieme; il padre di Orlando e quello di Grazia sono migliori amici e ogni volta che tornavano in Italia i due bambini stavano sempre insieme. Sin da piccoli sapevano che sarebbero diventati cacciatori. Qui a Roccadipietra alcune regole non esistono. Hanno iniziato a cacciare insieme e sono sempre stati molto affiatati.»
Olivia provò una fitta di invidia nei confronti di Grazia. Lei aveva trascorso così tanto tempo con Orlando, avevano fatto così tante esperienze insieme. Ancora una volta si sentì fuori posto, come se tutto quello non le appartenesse sul serio, come se quella non fosse realmente la sua eredità.
«Lui ha parlato di un’avventura estiva.» Si rivolse più a se stessa che alla nonna, per cercare di sfuggire a quel vortice di negatività che la stava risucchiando.
Non era mai stata una ragazza ansiosa o insicura, né timida. Ma in quell’ambiente faticava a entrare. Mentalmente l’idea di dover diventare una cacciatrice, qualcosa di molto lontano dalle sue aspirazioni, qualcosa che riguardava la sua eredità, la metteva in agitazione come se dovesse continuamente dimostrare di esserne all’altezza. E se non lo fosse stata?
«Qualcosa del genere», confermò la nonna. «C’è questo bel rapporto tra loro e tutti noi abbiamo sempre pensato che sarebbero finiti insieme. Ma…»
La nonna la guardò intensamente.
«Ma?»
«Ma Orlando ha un debole per te.»
Lei ridacchiò. «Nonna, a Tiern io e lui a malapena ci rivolgevamo la parola.»
La nonna scrollò le spalle. «Me lo ha detto lui, ha detto che stavi diventando la ragazza più bella di Tiern.» Le diede un colpetto sulla spalla. «Adesso vai e divertiti.»
 
La pizzeria era un piccolo locale situato nei pressi dell’entrata del paese, che Olivia aveva già notato quando era arrivata la prima volta. Era composto da due stanze, tavoli e sedie di legno, muri di pietra e quadretti rustici alle pareti.
Orlando era passato a prenderla puntuale, insieme a suo cugino Marco, un ragazzo dai capelli castano scuro e gli occhi marroni grandi e dalle lunghe e folte ciglia scure che davano al suo sguardo una certa profondità. In piazza si erano uniti a un altro gruppetto, tra cui Grazia, una ragazza molto bella, dal fisico perfetto e lunghi capelli color caramello mossi e lucenti, occhi da cerbiatta e labbra piene.
Furono tutti molto cordiali con lei, sapevano chi era e le fecero molte domande sulla “versione americana” di Orlando, ridendo e prendendolo in giro quando Olivia raccontava qualcosa di buffo.
Quei ragazzi avevano all’incirca la sua età, ed erano cacciatori, qualcuno in addestramento come lei. Sua nonna aveva ragione, stare con i ragazzi la fece sentire subito più serena e, anche se parlò poco, preferendo osservare, tutti la misero a proprio agio e si parlò di cose leggere, cose da ragazzi, senza quel peso di quella “missione di vita”, che evidentemente solo lei sentiva addosso.
Dopo la pizza, Olivia uscì fuori a prendere una boccata d’aria. Si sentiva felice e aveva bisogno di assaporare quel momento da sola. Vedere che c’erano dei ragazzi nella sua stessa condizione, che si divertivano e conducevano una vita normale, le stava dando una carica pazzesca. Pensò di nuovo alle parole di sua nonna, al fatto che non dovesse lasciarsi sfuggire i momenti di gioia e goderne appieno. Quello era un momento di gioia dopo giorni difficili e solitari.
Si alzò dai gradini di pietra sui quali si era seduta, pronta a tornare dentro dagli altri, ma si ritrovò faccia a faccia con Orlando.
«Tutto bene?» Lui la scrutò, le labbra incurvate in un accenno di sorriso.
Olivia osservò l’armonia perfetta dei suoi lineamenti. «Sì.»
«Mi fa piacere vederti sorridere così.» Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una, poi le offrì a Olivia che scosse la testa.
«Quando smetterai di fingere di essere una brava ragazza e indosserai i panni della cacciatrice che sei?»
Lei sospirò, guardando altrove. «Le cacciatrici quindi non possono essere delle brave ragazze?»
Buttò fuori il fumo dalla bocca. «Ne riparliamo tra qualche mese.» Si appoggiò alla parete, con la gamba destra piegata contro il muro. «Più tardi andiamo a caccia.»
Olivia sentì ripiombarle addosso l’oppressione della realtà, come se tutto quello che le era sembrato un sogno assumesse pian piano contorni solidi e inquietanti.
«Chi?»
«Io, Marco, Grazia, Scarlett, Craig e gli altri cacciatori di Rocca.»
«Anche Scarlett?» chiese col cuore che le pompava forte per l’ansia e l’apprensione. Zanne lunghe sporche di sangue, occhi bestiali cremisi, volto stravolto dalla furia animalesca, zanne che laceravano il corpo della sua dolce amica Dajana. Non si accorse di aver iniziato a tremare fino a quando non sentì le braccia di Orlando circondarle le spalle.
«Ehi, calmati… non volevo spaventarti.»
«Io non sono…»
Non riuscì nemmeno a trattenere le lacrime che prontamente Orlando asciugò con i pollici tenendole il volto tra le mani. Percepì il lieve odore di tabacco unito al suo profumo.
«Ah, siete qui. Che succede?» Marco si avvicinò a Olivia, che cercò di nascondere le lacrime. Orlando le accarezzò i capelli.
«Niente, credo di aver risvegliato dei brutti ricordi.»
«Sto bene» disse lei, accennando un sorriso. Non voleva essere trattata da ragazzina fragile ma quelle attenzioni le davano conforto.
«Non stare ad ascoltare questo cafone.» Marco tirò una spallata affettuosa al cugino. «È meglio se andiamo a prepararci o faremo tardi.»
Anche gli altri uscirono fuori e si avvicinarono ai tre. Orlando annuì in direzione del cugino.
«Accompagno Olivia a casa e vi raggiungo.»
«Scusami, davvero, non volevo piangere» disse Olivia, quando furono nuovamente soli tra i vicoli del paesello addormentato.
Orlando la bloccò con una mano. «So a cosa stavi pensando, l’ho intuito. Ma a tua sorella non succederà niente. Siamo addestrati, lo abbiamo fatto già altre volte.»
Apprezzò quelle parole e ancora di più il sorriso che le rivolse.
«Dormi bene, signorina, per questa notte ci sono io a proteggerti.» Le prese la mano, poggiando le labbra sul dorso. «Ci vediamo domani sera alla festa.»

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 16. Giorno di festa ***


16. Giorno di festa



Olivia non dormì bene e quando si accorse che Craig non era andato a svegliarla alla solita ora cominciò ad agitarsi. La casa era silenziosa, la luce dell’alba filtrava delicata dalle finestre del corridoio, bagnandola a intermittenza mentre a piedi nudi si dirigeva in cucina a prendere da bere. Tamburellò con le dita sul tavolo meditando sul da farsi. Doveva svegliare sua nonna? O forse doveva solo aspettare. Sbuffò esasperata, cercando di calmarsi e di pensare che Orlando aveva ragione e loro erano perfettamente addestrati a fare ciò. Decise che avrebbe iniziato da sola a correre, forse Craig era stanco e stava riposando. Infilò la tuta, legò i capelli e scese in palestra.
Quando aprì la porta si rese conto che le luci erano accese e a terra c’erano dei vestiti ammassati. Spostò lo sguardo per la stanza e vide sua sorella inginocchiata dietro a Craig seduto su in tappetino a gambe incrociate. Alzarono entrambi lo sguardo verso di lei quando sentirono la porta richiudersi.
«Ollie.»
Scarlett si alzò e si avvicinò a lei. Con imbarazzo notò che sua sorella era mezza nuda. Non la imbarazzava vedere sua sorella così, quanto la sensazione di aver interrotto qualcosa di intimo.
«Scusate, io non volevo… non sapevo foste qui.»
«Tranquilla, stavo solo facendo un massaggio alla spalla a Craig.»
Le braccia toniche della sorella la strinsero in un abbraccio.
«Come è andata?» chiese lei, timidamente.
«Bene.»
«Grazie al cielo, ero preoccupata.»
Scarlett le accarezzò la guancia. «Orlando ci ha raccontato della tua reazione.»
«Ah, davvero?» Ma che razza di stronzo! Stava raccontando a tutti quanto fosse frignona?
Craig le raggiunse. Anche lui indossava solo un paio di slip e i muscoli dei pettorali risaltavano sotto la luce bianca dei neon. Lui le rivolse un sorriso a trentadue denti.
«Brava Olivia, sono fiero di te. Ti sei alzata senza che venissi a chiamarti.» Baciò Scarlett sulle labbra e le diede un colpetto sulle natiche. «Vai a riposare un po’, amore. E tu inizia a correre. Mi do una rinfrescata e ti raggiungo.»
 «Ma se sei stanco possiamo anche rimandare.»
Un ghigno malvagio gli comparve sul volto. «Ti piacerebbe. Sbrigati, non perdere tempo.» Scomparve dietro alla porta dei bagni.
Scarlett raccolse i vestiti e uscì mentre Olivia cominciava a mettere in moto i muscoli indolenziti.
 
***
 
La piazza era inondata di luci e voci allegre. Bambini giocavano a rincorrersi tra i tavoli disposti su tutto il perimetro, già quasi pieni. Si era messa un pantalone largo dai colori caldi e la stampa astratta e un top attillato color rame, leggermente scollato e bucato sui fianchi. Sua sorella invece era vestita da figa spaziale: aveva un abito aderente con delle strisce di tessuto che andavano a intrecciarsi dietro la schiena lasciandone scoperta buona parte. I capelli rossi ribelli erano stati domati in riccioli morbidi, anche le labbra erano di un rosso vivido e gli occhi verdi spiccavano più grandi e luminosi che mai. Aveva un’aria così felice da quando erano lì.
Nonna Ester si accomodò accanto a signori della sua età mentre loro si sedettero al tavolo con Orlando e gli altri ragazzi di Roccadipietra. Olivia capitò di fianco a Sonia, l’amica di Grazia, la quale era seduta accanto a Orlano, poco distanti da lei. Scarlett aveva attirato su di sé l’attenzione di molti uomini ma questo non sembrava disturbare minimamente Craig che invece le riservava degli sguardi di amore puro e occhiate di fuoco che promettevano momenti passionali, una volta soli.
«Allora Olivia, come ti stai trovando a Rocca?» Sonia aveva i capelli ricci e biondi, portati corti fino al mento e gentili occhi azzurri. Sorrideva spesso e aveva denti bianchissimi e dritti.
«Mi piace qui, ma mi mancano i miei amici a Tiern», ammise.
«Beh almeno adesso c’è Orlando.»
«Peccato che tra qualche giorno vada via» si intromise Grazia. Le labbra rosa scuro si arcuarono in un sorriso finto. Sonia aggrottò la fronte e scosse la testa in direzione di Olivia.
«Non farci caso, è gelosa di te.» E lo disse senza preoccuparsi che Grazia sentisse.
«Di me? E perché?»
«Per Orlando.»
Ma perché erano tutti fissati con questa storia? Le piaceva, certo, ma non pensava a lui in senso romantico. L’unica cosa che realmente desiderava in quel momento era riuscire a trovare un equilibrio, una via per riuscire a vivere serenamente come facevano tutti gli altri cacciatori e come ancora non riusciva a fare lei. Orlando le trasmetteva calma e trascorrere del tempo con lui la faceva stare bene ma niente di più. Stava per ribattere quando dagli altoparlanti uscì una voce profonda e mascolina.
«Buonasera, signore e signori.»
Tutti si voltarono in direzione del sagrato della chiesa dove un signore alto e ben piazzato con i capelli brizzolati e un completo scuro teneva in mano un microfono. Al suo fianco c’era Ronald, il padre di Orlando. Orlando e Marco si alzarono e raggiunsero i loro genitori mentre alcune donne passavano tra i tavoli e distribuivano bicchieri di vino.
«Anche quest’anno siamo tantissimi, venuti da tutta Italia per onorare la memoria del caro avo Rocco Sartori.» Ci fu un applauso. «Questo mi riempie di gioia e di orgoglio. Tutti conosciamo la storia di Rocco e di come il nostro ordine è nato, e tutti sappiamo quanto importante sia per l’umanità intera la nostra missione. Durante la caccia di stanotte abbiamo appreso che Luciana non è più in Italia, è in America, alla corte di Magnor.»
«Chi è Luciana?» chiese Olivia, reprimendo un brivido quando udì il nome di Magnor.
«È una regina tra i vampiri. Molto potente qui in Italia. Magnor invece è suo cugino, è un re nel territorio dove vivi tu», rispose Sonia.
Quindi era anche la cugina di Zaganos, pensò. E l’immagine di lui, ammantato dalla luce solare mentre suonava il violino in mezzo al bosco le riempì la mente, riportandola indietro a quei momenti intensi e terribili che sembravano appartenere a un’altra vita. Chissà se lo avrebbe mai più rivisto.
«Tra loro sta per succedere qualcosa, una guerra, e si cercano alleanze. È proprio nel momento in cui sono più deboli che dobbiamo attaccare per cercare di colpire al cuore del loro potere. Ma stasera siamo qui per festeggiare e divertirci, quindi alzate i vostri bicchieri e brindate! A Rocco Sartori! Ai cacciatori! Alla vittoria della luce sulla tenebra!»
La platea esplose in un’ovazione e ripeté le ultime frasi prima di bere il vino. Tornarono il vociare, le risate e una musica popolare italiana di sottofondo, insieme a Orlando e Marco che ripresero i loro posti. Cenarono, bevvero, risero, cantarono e qualcuno si mise anche a ballare il liscio. Olivia era allegra, parlava con tutti e aveva anche accettato l’invito di Marco a ballare anche se avevano passato tutto il tempo a ridere perché lei non riusciva a stare al passo. Si era appena seduta quando si avvicinò Orlando.
«Balli questo valzer con me?»
Olivia lo guardò da sotto le ciglia. «Mi è bastata l’esperienza di Tiern, grazie.»
Lui rise. «Prometto che stavolta non ti bacio» si sedette accanto a lei. «Come ti senti oggi?»
Olivia piantò gli occhi in quelli di lui. «Perché hai raccontato a tutti del mio crollo emotivo?»
«A tutti? L’ho detto solo a tua sorella e a Craig.»
«Beh, fa lo stesso.»
Poggiò una mano sulla sua. «Non ti preoccupare. Quando avrai l’anello sarà molto più facile, anche emotivamente.»
«Posso vedere il tuo anello?»
Alzò un sopracciglio. «Qui?»
«Perché dove ce l’hai?»
«Non lo sai?»
«No.»
«Vieni con me.»
 
Olivia seguì orlando nel vicolo che si snodava sul fianco sud della chiesa e poi per una piccola salita fino ad arrivare in un punto cieco, dove c’era un vecchio cancello arrugginito chiuso da un lucchetto. L’illuminazione era scarsa ma quella sera c’era la luna piena a rendere tutto più visibile. Lui armeggiò con il lucchetto.
«Che fai? Dove stiamo andando?» incuriosita dal posto.
Il cancello scricchiolò con un rumore terribile e Olivia si guardò intorno sentendosi come un rapinatore. Orlando oltrepassò il cancello con un luccichio divertito negli occhi e le fece segno di seguirlo. Esitò un attimo, poi si infilò nella fessura. Davanti a lei sembrava aprirsi una specie di giardino, circondato da un muro di pietra.
«Cos’è questo posto?»
«Era il vecchio ingresso del paese. Poi le mura sono state spostate più avanti e questo è rimasto un giardino. Ci veniamo noi ragazzi, perlopiù. Se prosegui verso sud vai nelle campagne, se invece vai a nord raggiungi il castello dalla parte del fossato.»
C’erano diverse querce gigantesche e qualche albero da frutto, ammantati dalla luce argentea della luna e circondati dalle lucciole che danzavano tra i loro rami e intorno al tronco.
«Guarda, le lucciole.» Fece qualche passo nell’erba, poi si voltò verso Orlando che era rimasto fermo a guardarla. «Perché siamo qui?»
Lui sollevò un sopracciglio. «Volevi vedere il mio anello…» senza lasciarle il tempo di dire altro, si sfilò la maglietta dalla testa.
Olivia rimase interdetta e imbarazzata per un istante. «Ma che fai?» chiese, senza riuscire a distogliere lo sguardo dai pettorali di Orlando.
Lui appallottolò la maglia in una mano e avanzò come un felino. Notò un tatuaggio attorno al capezzolo destro, uguale a quello che aveva visto su Craig proprio quella mattina. Non distolse lo sguardo dal tatuaggio fino a quando Orlando non fu a pochi centimetri da lei. D’istinto, alzò la mano per toccarlo ma la bloccò a mezz’aria. Le dita di lui erano calde quando si strinsero sul suo polso.
«Puoi toccarlo, se vuoi.»
Olivia alzò gli occhi su di lui. «È bellissimo.» Affascinata, percorse con i polpastrelli quelle linee, curve e ghirigori che dal capezzolo si estendevano sulla pelle per un raggio di due centimetri. «Anche il mio sarà così?»
Era un mandala, meraviglioso nella sua delicatezza e nella sua particolarità.
«Sì.» Orlando espirò forte quando Olivia tolse le dita. Sembrava che i suoi occhi avessero cambiato colore. Di sicuro avevano cambiato espressione. Non erano più divertiti e la scrutavano con intensità e qualcosa di molto simile al desiderio.
Anche lei prese consapevolezza di stare a pochi centimetri dal corpo muscoloso e nudo di Orlando. Abbassò lo sguardo, finendo di nuovo a fissare i pettorali tonici. Sul capezzolo sinistro brillava un piercing, un cerchietto d’argento. Alzò subito la testa, in preda a una sensazione di calore che si irradiava in tutto il corpo.
«Sarà nello stesso posto del tuo?»
Orlando avvicinò la mano al suo seno, senza toccarla ma facendo in modo che lei ne percepisse il calore. «Ti piacerebbe?» Spostò la mano verso la pancia della ragazza, fino ad arrivare all’ombelico, poggiandola sulla sua pelle nuda.
Olivia fremette prima di riuscire a controllarsi. Il cuore le batteva all’impazzata e il respiro si era fatto corto. Non riusciva a staccare gli occhi dal viso di Orlando. Con il pollice, lui descrisse un movimento circolare attorno all’ombelico.
«O lo preferiresti qui?»
«Posso scegliere?» la voce le si era arrochita.
Lui annuì. «A voi ragazze è concesso scegliere.» Tolse la mano e Olivia desiderò che non lo avesse fatto.
«Allora mi piacerebbe dietro la schiena.»
Orlando la fece voltare e le scostò i capelli, gettandoli su una spalla. «Dove?» Le accarezzò lentamente tutta la schiena.
«Sopra, un po' più giù del collo.»
Fermò la mano nel punto in cui gli aveva indicato e giocherellò con le dita, come a percorrere un disegno immaginario. Si fece più vicino e l’altra mano la strinse davanti, facendola aderire completamente a lui. Portò il viso a un soffio dal collo scoperto di Olivia, la quale aveva chiuso gli occhi, abbandonandosi alle bellissime sensazioni che Orlando stava provocando.
«Hai un profumo pazzesco, Olivia.»
Sentì il suo alito caldo sul collo e sull’orecchio. «Orlando.» Si girò, fissando lo sguardo sulle labbra di lui. «Non credo che sia una buona idea.»
«Non mi sono mai piaciute le buone idee.»
Calò la bocca su quella di lei in un bacio impetuoso che li lasciò subito senza fiato. Olivia passò le braccia dietro al suo collo, facendosi più vicina.
Tante volte, quando era più piccola e aveva una cotta per lui, aveva fantasticato sul loro primo bacio, ma mai si sarebbe aspettata da lui quella delicatezza che si celava dietro l’impeto mascolino. La divorava, la stringeva, le mordeva le labbra, eppure era delicato nel modo in cui la toccava.
Mai si sarebbe immaginata di condividere con lui il destino di cacciatori di vampiri, men che meno di trovarsi con lui in un piccolo paese dell’Italia centrale in una notte di festa, una notte calda, stellata e piena di lucciole.
Degli schiamazzi e un rumore di passi li fecero staccare. Orlando si affrettò a rimettersi la maglietta. Olivia mosse un passo verso il cancello, ma lui la trattenne e l’attirò a sé per un altro bacio. Lei protestò e rise quando si staccarono.
Il cancello cigolò e davanti a loro comparve Marco, in compagnia di una ragazza bassina, dai capelli lunghi e lisci. Si tenevano per mano, visibilmente alterati dall’alcool.
Quando li vide, Marco si bloccò. «Oh. Scusate ragazzi, non sapevo che foste qui.»
Orlando sorrise. «Tranquillo. Vieni, Olivia, lasciamoli soli.»
Una volta oltrepassato il cancello, il volto di Orlando tornò a pochi centimetri dal suo.
«Non mi sbagliavo su di te. Metti a nanna la brava ragazza e tira fuori lo spirito selvaggio che tieni nascosto lì dentro.»
Olivia sorrise e scosse un po’ la testa. Aveva soltanto ricambiato un bacio che desiderava da anni, con la stessa intensità che ci aveva messo lui. Le labbra di Orlando si poggiarono sulla sua guancia, la guardò un istante, un sorriso appena accennato e gli occhi che scintillavano come due grandi stelle.
Poi si incamminò e raggiunse la festa senza aspettarla.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 17. Solo amici ***


17. Solo amici



Alla festa c’era ancora tanta gente, anche se la maggior parte di loro si stava dirigendo verso le proprie case. Olivia arrivò in piazza accaldata, per la camminata veloce che aveva fatto per stare al passo con Orlando. Peraltro senza nessun risultato. Percorse tutta la piazza e guardò in ogni vicolo, ma di lui non c’era più traccia. Si era dileguato nel nulla.
Tronò al tavolo dove c’erano sua sorella e Craig, intenti a parlare con un signore che stringeva in mano un bicchiere di vino pieno e gesticolava animatamente, facendo oscillare pericolosamente il liquido scuro, minacciando di rovesciarlo tutto sul vestito bianco di Scarlett. Proprio sua sorella le scoccò un’occhiata interrogativa, ma lei fece finta di non cogliere e bevve tutto d’un fiato un bicchiere d’acqua non più fresca.
Sentiva ancora addosso l’odore di Orlando, le labbra le formicolavano ancora per quel bacio caldo e appassionato.
«Ti piace Orlando?»
Olivia si voltò di scatto, osservando la figura magra e agile di Grazia accomodarsi accanto a lei. La scrutò per cercare di capire che tipo di atteggiamento era il suo. Doveva capire cosa dire, come comportarsi.
Grazia non le era sembrata particolarmente ostile fino a quella sera, ma in quel momento lasciava trasparire nervosismo dietro una apparente calma e un sorriso finto.
«Che intendi?», chiese Olivia, fissando lo sguardo nelle pozze azzurre di lei.
«Non fare l’innocentina, ho visto come lo guardi.»
«Precisamente, cosa c’è tra te e lui? Siete fidanzati? Perché a Tiern frequenta un sacco di ragazze e non ha mai parlato di te.»
Olivia cominciava a sentirsi nervosa, non le piaceva doversi giustificare per un qualcosa che le era piaciuto e l’aveva fatta stare bene. E non le piaceva il modo in cui la stava guardando, come se fosse uno scarafaggio disgustoso che lei avrebbe potuto schiacciare da un momento all’altro. Un piccolo fastidio momentaneo. Sollevò un sopracciglio, sfidandola a ribattere. Orlando aveva parlato di un’avventura estiva ma era chiaro che per Grazia fosse qualcosa di più.
«E tu saresti una di quelle?» chiese la ragazza, con un sorriso di scherno.
«Io e Orlando siamo…» esitò, passandosi la lingua sulle labbra come a ricordare a se stessa che quel bacio c’era stato davvero. «Amici.»
Sentì le mani calde di Orlando toccarle la pelle scoperta come se fosse proprio dietro di lei. Era buffo pensare che fino a qualche settimana prima non poteva nemmeno considerarlo come un amico, dato che a Tiern non si erano mai frequentati.
«Può fare lo stupido con tutte le ragazze che vuole, ma alla fine starà con me. Qui in paese lo sanno tutti, anche le nostre famiglie si aspettano di vederci uniti.» Era come se lo stesse ripetendo più a se stessa che a lei, una conferma di cui forse aveva un disperato bisogno.
Olivia stava per ribattere che lui invece la considerava una semplice avventura italiana, ma tacque. Non spettava a lei dire certe cose a Grazia. Fece un sorriso tirato. «Sono felice per voi.»
«Dove siete stati prima? Al cancello?»
Il cuore accelerò un poco. Poteva benissimo averli visti senza che se ne accorgessero. Si schiarì la gola. «Ascolta, Grazia, io e Orlando siamo amici e come tali parliamo e passiamo del tempo insieme. Fattene una ragione.»
«Grazia.»
Entrambe le ragazze si voltarono verso la voce bassa e cupa alle loro spalle. Orlando torreggiava su di loro e guardava Grazia con disappunto. Lei si illuminò e saltò in piedi, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo sulle labbra, un bacio intimo, che costrinse Olivia a distogliere lo sguardo. Sentì lo stomaco attorcigliarsi. Orlando si ritrasse subito, scoccando un’occhiata seria a Olivia.
«Che stavi facendo?», chiese alla bionda che aveva tra le braccia.
Lei sfoderò un sorriso angelico. «Niente, chiacchiere tra ragazze.»
«Andiamo a casa» fece lui, afferrandola per un braccio. Non vedeva l’ora di portarla via di lì, di allontanarla da Olivia.
Di cosa aveva paura? Che le raccontasse della loro unione benedetta da tutto il paese? Lo aveva già fatto. Olivia rimase impassibile sotto lo sguardo di trionfo che le rivolse Grazia.
Scosse la testa, appoggiando la fronte sulla mano. In che diavolo di storia si era messa? Osservò la bottiglia di liquore di fronte a lei. Le avrebbe fatto bene bere un goccetto. Per distendere i nervi, si disse, mentre riempiva un bicchierino e lo vuotava tutto d’un fiato.
 
***
 
Il giorno seguente fu un disastro.
L’allenamento andò malissimo, non riusciva a tenere la concentrazione alta e durante la lotta col bastone, un’asta di plastica lunga e pesante, prese molti colpi da Craig, di cui uno alla testa che le provocò le vertigini. A quanto pareva, era importantissimo imparare e padroneggiare tutte le discipline della lotta e quando colpiva, Craig non si risparmiava affatto.
Si sentiva male per il colpo subito e per averlo deluso. Sapeva che avrebbe dovuto metterci più impegno, ma non era riuscita a cacciare dalla mente la serata precedente.
Finito di sistemare la sala, Craig si sedette sulla panca accanto a lei. Le esaminò il bernoccolo sulla fronte.
«Come va?»
Olivia scosse la testa, acuendo il senso di vertigine. «Scusami Craig, so che ti ho deluso.»
Lui poggiò la schiena contro il muro, prendendo un respiro e intrecciando le mani davanti a sé. «Non dovresti farti distrarre dai ragazzi nella fase dell’addestramento, Olivia. Dovresti concentrarti solo su te stessa, contrariamente a quello che pensa tua nonna.»
A Olivia venne da ridere sentendo menzionare sua nonna. «Non mi sto facendo distrarre dai ragazzi.»
«Ieri sera sei stata con Orlando al cancello. A quanto ne so, è un posto dove vanno le coppiette ad appartarsi.»
«Ma come diavolo fai a saperlo?»
«Siamo in un paese minuscolo, O. Qui tutti sanno tutto, abituatici.»
«Beh però quello è anche un posto dove i ragazzi vanno a fumare erba.»
Craig sorrise, ma subito la guardò duro. «Sei andata a fumare erba con Orlando?»
«No!» Olivia rise di gusto. Sembrava suo padre. «Gli ho chiesto di farmi vedere il suo anello, ma non sapevo dove mi stesse portando.»
Craig si irrigidì un poco. «Ha fatto qualcosa che non volevi?»
«No.» Sorrise. «Ha fatto solo quello che volevamo entrambi. Ma non sono distratta per quello, te lo giuro», si affrettò a dire. «È che non capisco tutta questa storia di lui e Grazia insieme. Mi sembra di stare nel medioevo, con i matrimoni combinati e tutto il resto.»
Craig la guardò. «È proprio questo quello che intendevo, non puoi lasciarti coinvolgere dai loro problemi. Orlando è sempre stato uno spirito libero e se tu gli piaci davvero niente e nessuno gli impedirà di stare con te. Ma dopo. Ora tu devi diventare una cacciatrice. Solo questo deve occupare la tua mente. Mi hai capito?»
«Sì.» Poggiò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente, poiché le sembrava di stare su una giostra.
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo.»
«Tu sei stato una distrazione per Scarlett?»
Craig sorrise e gli si illuminò il volto. Diventava più bello quando pensava a Scarlett. «Sì. E quando me ne sono accorto ho cambiato atteggiamento. La costringevo a turni di allenamenti massacranti e la trattavo con distacco.»
«Ma eri già innamorato di lei.»
Annuì. «Ma gliel’ho confessato solo la sera della sua iniziazione, quando è diventata una cacciatrice.»
Olivia accennò un sorriso. Le sembrava una cosa molto romantica. Molto da Craig.
«Adesso vai, fatti dare qualcosa da Ester. Riprenderemo oggi pomeriggio.»

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 18. Pronta ***


18. Pronta


I giorni cominciarono a scorrere veloci. Gli allenamenti diventavano sempre più intensi e Olivia cominciò a notare dei cambiamenti nel suo fisico, prima ancora che nel suo carattere. Se si guardava allo specchio poteva notare come tutta la sua figura era diventata tonica, le gambe muscolose e gli addominali evidenti.
Non faceva più fatica a correre, ogni mattina lei e Craig, a volte anche Scarlett, correvano per il paese, per i prati, tra i boschi, si infilavano nei vicoli, scalavano i muretti e si sfidavano. Migliorava costantemente nella lotta corpo a corpo e nel tiro al bersaglio. Aveva ancora qualche difficoltà a maneggiare la spada, ma ci lavorava con impegno e dedizione.
Dalla sera della festa non aveva più visto Orlando, lui era partito per Tiern il giorno dopo lasciandole un bigliettino sotto al portone di casa nel quale c’era scritto: “ci rivediamo a Tiern, cacciatrice.”
Aveva seguito il consiglio di Craig e non ci aveva più pensato, preferendo concentrare le sue energie e i suoi pensieri sull’addestramento. Anche la sua mente si faceva più forte. Il ricordo della sua amica Dajana mentre veniva brutalmente uccisa non la faceva più tremare e bloccare dal terrore, ma le forniva la giusta rabbia per farle affrontare ogni allenamento al massimo.
Non desiderava più essere una ragazza normale. Il pensiero di tornare alla sua vecchia vita le creava disagio. Ora voleva diventare a tutti i costi una cacciatrice e voleva farlo il prima possibile. La spietatezza e la crudeltà dei vampiri, descritta con dovizia di particolari nei libri che leggeva ogni sera, l’avevano convinta della nobiltà della sua missione. Non si sentiva più sopraffatta dal suo destino, ne era eccitata.
Solo quando le capitava di pensare a Kevin avvertiva un senso di debolezza e sconforto. Pensare che qualche cacciatore lì fuori prima o poi lo avrebbe ucciso non era il massimo, ma pensare che lui potesse andare in giro a uccidere le persone la faceva stare malissimo. Kevin era sempre stato il suo angelo e qualcuno lo aveva trasformato in un mostro.
Odiava Magnor e più di una volta aveva sognato di ucciderlo. Sarebbe stata lei a porre fine alla vita del lord vampiro, per vendicarsi di quello che aveva fatto a suo fratello. Ci avrebbe messo tutta la vita, se necessario, ma alla fine lo avrebbe ucciso lei.
Ogni tanto usciva con i ragazzi di Roccadipietra. Le giornate si allungavano, la primavera stava iniziando a lasciare il posto all’estate e i ragazzi amavano fare scampagnate nei boschi, durante le quali arrostivano carne e bevevano vino, intonando canzoni popolari e giocando a pallone. Stare con loro la faceva sentire parte di una grande famiglia e persino Grazia sembrava più simpatica e amichevole da quando Orlando era tornato in America.
 
***
 
Era l’alba. Olivia si stiracchiò nel letto come un gatto pigro disteso all’ombra di un albero. Sentì i passi leggeri di Craig arrivare fino alla porta della sua camera e subito le nocche colpire il legno scuro.
«Olivia.» Entrò e si avvicinò al letto.
Lei si tirò su. «Buongiorno.»
«Oggi non ci alleniamo», disse lui, guardandola con affetto, come un genitore avrebbe guardato un figlio cresciuto.
«Perché?» chiese lei, ma cominciava ad intuire. Sentì lo stomaco agitarsi e il cuore prendere velocità.
«Ne ho parlato con il consiglio, io ritengo che tu sia pronta. Stasera ci sarà la cerimonia e sarai una cacciatrice. Congratulazioni, Olivia.»
Saltò fuori dal letto e si gettò di peso su Craig, che la prese al volo e la sostenne.
«Ehi» rise.
«Craig, non ci credo! Senza di te non ce l’avrei mai fatta.» Lo liberò dal suo abbraccio soffocante e si portò le mani al volto. «Non mi sembra vero.»
Lui le accarezzò la testa. «Sei stata un’allieva fantastica e ci hai messo meno di tua sorella, ma non dirle che te l’ho detto» le strizzò l’occhio.
«E adesso che succederà?»
«Adesso se vuoi puoi riposare un altro po’ e poi ti preparerai insieme a Ester e Scarlett.»
Olivia annuì, col sorriso che le illuminava il viso.
Craig la lasciò da sola e lei tornò a letto ma non dormì. Pensò a Orlando e al fatto che avrebbe desiderato che fosse lì con lei in quel giorno speciale. Pensò anche a Zaganos e quel pensiero le fece male. Lui non era certo come gli altri della sua specie, ma restava un vampiro. Si sentiva legata a lui, le aveva saltato la vita e aveva avuto cura di lei in un momento in cui aveva rischiato di impazzire.
Ricordò le ultime parole pronunciate da lui. “la prossima volta che ci incontreremo saremo nemici”. E non poteva credere che fosse così. Se si fossero incontrati davvero, lui avrebbe tentato di ucciderla? E lei? Lei lo avrebbe ucciso senza esitazione?
 
***
 
Scarlett le pettinava i capelli mentre lei la osservava attraverso lo specchio. Nonna Ester era su di giro, le aveva preparato un bagno caldo con essenze profumate e erbe purificatrici, aveva tirato fuori il vestito della sua iniziazione e glielo aveva donato. Era di color rosso scuro, composto da un paio di pantaloni di cotone elastico e una maglia larga con inciso all’altezza del petto il simbolo del mandala. Un po’ retrò, ma a Olivia piacque tantissimo.
Scarlett le fece una treccia, simile a quella che portava di solito sua nonna, e ci passò sopra un olio profumato. Tutto quello faceva parte del rituale di purificazione al quale doveva sottoporsi prima di affrontare la gabbia e quindi l’iniziazione a cacciatrice. Il solo pensare al nuovo status che l’attendeva le faceva vibrare il sangue nelle vene.
«Hai già deciso dove farai l’anello?»
Olivia annuì. «Dietro al collo.» Ricordò le mani di Orlando che la accarezzavano in quel punto e un brivido la scosse.
Sua sorella sorrise. «È molto carino lì.»
Scarlett lo aveva sulla gamba, vicino all’inguine. Ricordava la prima volta che lo aveva visto, un pomeriggio d’estate a casa di amici di famiglia. Erano a bordo della piscina e Olivia aveva notato quel cerchio così particolare. Ci era rimasta malissimo perché sua sorella aveva deciso di fare un tatuaggio e non le aveva detto niente. Scarlett aveva tergiversato, dicendo che era stata una decisione presa in comune con Craig, il che aveva acuito l’odio che Olivia provava per quel ragazzo. Odio che in quel momento si era trasformato in fortissimo affetto e profonda ammirazione. Era felicissima che Scarlett fosse innamorata di un ragazzo così. Forte, bello e coraggioso. Lei stessa desiderava avere un uomo così al suo fianco. Chissà, forse Orlando oltre ad essere un teppista donnaiolo nascondeva delle qualità simili a Craig.
Sorrise al suo riflesso e scosse la testa. Non doveva assolutamente pensare a Orlando. Doveva affrontare una prova, la più importante della sua vita. Ed era fortunata che in quel momento con lei ci fossero sua sorella e una nonna pazza ma fantastica a sostenerla. 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 19. L'iniziazione pt.1 ***


19. L'iniziazione pt.1



Il vestito rosso di nonna Ester le calzava alla perfezione. Era leggero, a stento si accorgeva di portare qualcosa addosso, e comodissimo sulla pelle.
Agitata ed eccitata, camminò a passo svelto seguendo la nonna fino a casa Sartori. Dalle case circostanti provenivano rumori di risate, piatti, il parlottare, e l’odore di cibo cotto si mescolava a quello della sera estiva dove il sole non era ancora sparito oltre l’orizzonte e ammantava tutto di una tenue luce rosa-blu.
Scarlett e Craig si tenevano per mano. Olivia sapeva che non avrebbero assistito al momento della cerimonia dell’anello, in quanto solo i capifamiglia potevano partecipare, essendo i membri anziani della congrega.
Ester spinse il pesante portone che Olivia aveva ammirato il giorno in cui aveva incontrato Orlando. Chissà se lui era al corrente della cerimonia. Chissà se stava pensando a lei. Dentro era poco illuminato, con due piccole lanterne tremolanti ai lati opposti delle pareti. Uno scalone centrale di marmo si inerpicava nel buio e ai due lati si snodavano due corridoi. Con sicurezza, ester imboccò quello di destra e gli altri la seguirono. Delle torce presero a bruciare al loro passaggio, illuminando il corridoio di pietra. Olivia ebbe un sussulto e poi sperò che nessuno se ne fosse accorto.
«Magia» sentì sussurrare Scarlett a Craig.
Il corridoio curvò di nuovo verso destra e terminò con una porta. Era scura, sotto la luce tremolante delle fiaccole pareva quasi nera. Ester premette il suo palmo sulla porta e questa prese a sfrigolare, emanando un bagliore azzurro-verde. La porta scattò con un clic.
«Wow.» Fece Olivia, esterrefatta.
«È una porta intrisa di magia, solo i possessori dell’anello possono aprirla.»
Ester la tenne aperta mentre Craig e Scarlett abbracciavano Olivia.
«Saremo qui ad aspettarti.»
«Mi raccomando, fatti valere.»
La ragazza si rischiuse la porta alle spalle. Un tendaggio di velluto nero separava l’anticamera da una sala illuminata a corrente. Le pareti erano di pietra e al centro c’era un vaso in pietra lavica, scuro e dalla forma allungata, che arrivava fino alla vita di un uomo incappucciato con un saio rosso sangue, dello stesso colore della sua tuta, e una maschera nera che gli copriva solo la metà destra del volto. Lo riconobbe, era lo zio di Orlando, il papà di Marco.
«Benvenuta Olivia, vieni avanti.»
Fece qualche passo incerto, voltandosi verso la nonna che però, si accorse, non era entrata nella stanza. Raggiunse il signor Sartori con il cuore in gola.
«Oggi è un gran giorno per te, stai per diventare una cacciatrice. La tua missione sarà quella di proteggere i tuoi simili dal male che si annida nella notte, dai parassiti che infestano questo mondo, che per vivere hanno bisogno della nostra linfa vitale, dai mostri che distruggono senza alcuna pietà.»
Parlava a voce alta, guardandola dritta negli occhi. Nel catino c’erano una boccettina contenente del liquido nero e una tunica bianca con un bordino cremisi attorno al collo. Sartori la prese e si avvicinò a lei. «Indossala, inginocchiati a terra e medita sulla missione che stai per intraprendere. Quando riterremo che tu sia pronta, torneremo.»
Fece come le era stato detto, inginocchiandosi in un angolo della stanza sul pavimento di pietra ruvida. Meditare sulla sua missione non era facile nel suo stato d’animo. Non riusciva a tenere la testa fissa su un pensiero solo, si distraeva, guardava la stanza, poi il soffitto, poi fissava la tenda aspettandosi di vedere Sartori da un momento all’altro. Diventare una cacciatrice non la spaventava più. Aveva già accettato la sua eredità, si era già riconciliata con la sua parte che desiderava essere solo una ragazza come tutte le altre.
Questo nuovo aspetto di se stessa, questa nuova Olivia, che sapeva maneggiare spade e coltelli, armi di ogni tipo, che sapeva combattere e non aveva più bisogno di uomini che la proteggessero, questa nuova sé la elettrizzava. Si sentiva viva come non mai, padrona del proprio destino, libera.
Seppur vincolata alla sua condizione, sentiva di aver raggiunto una pace interiore senza eguali. Era nata per quello, lo aveva nelle vene, e finalmente aveva trovato il suo posto nel mondo.
Dopo un tempo che le parve infinito, la tenda si aprì ed entrarono quindici persone, tutte vestite e mascherate come il signor Sartori, senza fare alcun rumore se non quello prodotto dal fruscio delle loro vesti, leggero e sommesso.
«Alzati.» Sartori si parò davanti a lei e la invitò a posizionarsi al centro della stanza. Tutti gli occhi erano puntati su Olivia. «Sei pronta ad accettare la tua missione, dedicandole tutta te stessa?»
«Sì», fece lei, e la voce le uscì più decisa di quanto credesse.
Le teste annuirono in segno di approvazione, mentre Sartori prendeva la boccetta dal catino e la versava su un piatto d’argento.
«Essendo tu una donna, hai la possibilità di scegliere dove vuoi l’anello.»
«Dietro al collo.»
Annuì. «Spogliati.»
Olivia ubbidì, togliendosi la tunica e la maglia. Resistette all’impulso di coprirsi con le mani, si sentiva nuda e imbarazzata davanti a tutti quei volti coperti per metà. Il gruppo iniziò a muoversi verso una porta segreta che si apriva nella pietra, lei e Sartori furono gli ultimi a entrare. Dentro faceva ancora più freddo e l’aria era pregna dell’odore di olio bruciato e incenso. La stanza era ancora più piccola e gli uomini incappucciati si erano disposti a cerchio attorno a quello che sembrava un altare sul quale era stato posizionato un panneggio di velluto rosso. Le fecero segno di sdraiarsi e Sartori iniziò a perforarle la pelle con uno stilo sottilissimo. Faceva male e bruciava ma Olivia non disse nulla, cercando di mantenere la concentrazione sulla sensazione di calore che andava man mano propagandosi in tutto il corpo. Iniziò a sentirsi diversa, più consapevole di sé, più lucida, più forte.
Man mano che l’ago andava a conficcarsi nella pelle lei si sentiva più viva, come se finalmente dentro di lei gli ultimi tasselli di un mosaico trovassero la giusta collocazione. Il dolore si trasformò in un leggero pizzicore e fu allora che udì i mormorii dei presenti.
Dapprima le sembrava che stessero intonando una litania in lingua latina, una nenia bassa e confortante, poi carpì la parola dono e dopo ancora marchio.
Si sentì sopraffatta da una infinità di sensazioni. In Italia non ne avevano quasi mai parlato della questione del marchio, nonna Ester riteneva che fosse inutile pensare a qualcosa prima che quella fosse realmente accertata, lo riteneva uno spreco di energia e di tempo. Ma una cosa gliel’aveva detta: il marchio non era una maledizione, bensì una benedizione.
Le uniche donne che venivano ridotte in schiavitù erano quelle non consapevoli, coloro che non avevano ancora ricevuto l’anello o coloro che non erano a conoscenza di avere sangue di cacciatrice nelle vene. Per questo Magnor la cercava, per questo era così ansioso di averla, perché sarebbe stato molto più facile piegare la sua volontà prima che diventasse una cacciatrice. Una volta ricevuto l’anello, la consapevolezza della sua missione avrebbe reso una cacciatrice più forte che mai, impossibile da sottomettere.
A meno che una cacciatrice non si fosse unita con un vampiro di sua spontanea volontà, ed era accaduto pochissime volte nel corso della storia, nessun vampiro sarebbe stato in grado di sottometterla e abusare di lei, sarebbe stata abbastanza forte da togliergli la vita o da toglierla a sé stessa.
Era la consapevolezza a renderla libera.
La litania cessò nel momento esatto in cui l’ago si sollevò dalla sua pelle. Sartori lo poggiò sul piattino d’argento e le porse la maglia, che lei infilò immediatamente.
«Ora» disse guardandola dritta negli occhi, «c’è un’ultima prova che devi superare prima di poter diventare una cacciatrice a tutti gli effetti: devi uccidere il tuo primo vampiro.»

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 19. L'iniziazione pt.2 ***


19. L'iniziazione pt.2



Olivia sentì la bocca improvvisamente secca. Aspettava e temeva questo momento in egual misura. Si alzò in piedi e raddrizzò la schiena. «Sono pronta.»
Da sotto la tunica di Sartori comparve un paletto di legno. Sapeva come usarlo, si era esercitata ogni giorno con Craig, servendosi di manichini e sacchi pieni di fieno che il suo insegnante le lanciava addosso da ogni direzione. Ma quella sera era diverso, avrebbe affrontato il suo primo vampiro da sola.
La prossima volta non ci sarà qualcuno a salvarti.
Le parole di Zaganos le tornarono nella testa, feroci. Strinse nelle mani il paletto e raccolse tutte le energie e la concentrazione giusta.
Un’altra porta nel muro fu aperta, ma questa volta furono solo lei e Sartori ad attraversarla. Scesero dei gradini al buio. Man mano che avanzavano, Olivia si rendeva conto che la sua vista era migliorata e che riusciva a vedere anche in quella completa oscurità.
Anche se aveva già visto quei mostri, trovarsi davanti a uno di loro la fece rabbrividire. Chiuso in una gabbia, aveva cominciato ad agitarsi già dai loro primi passi per le scale.
«Bene bene, Olivia Stonebridge» sibilò il vampiro, con le zanne snudate e gli occhi cerchiati di rosso mentre scuoteva le sbarre di ferro. Le sue mani cominciarono a sfrigolare, segno che le sbarre erano state pennellate d’argento. Questi si ritirò immediatamente verso il centro, in attesa. Non staccava gli occhi da lei.
«Come fai a sapere chi sono?»
«Non dargli retta, Olivia, resta concentrata», le ordinò Sartori.
Il vampiro emise una risata sgradevole. «Lord Magnor ti sta cercando e tra poco ti raggiungerà qua.»
«Concentrati.»
Sartori si nascose in un angolo della stanza, mimetizzandosi tra le ombre. Olivia strinse il paletto nella mano destra fino a farsi diventare le nocche bianche, sentiva il sudore bagnarle il collo e le mani. Si udì un clic e dopo un battito di ciglia il vampiro le fu addosso.
Scartò di lato, rendendosi conto che riusciva a muoversi veloce quasi quanto lui. Il vampiro rise, mostrando le zanne biancastre che rilucevano alla luce fioca delle torce. Girarono in tondo per qualche passo, studiandosi a vicenda.
Olivia decise di fare la prima mossa. Fece una finta, mettendo il piede destro in avanti e spostando un po’ il peso, ma lui fu più furbo e più veloce e, senza capire come, si ritrovò con la schiena a terra e le braccia intrappolate dalle mani di lui. L’impatto fu così forte e inaspettato che il paletto le scivolò via, rotolando lontano.
Prima che il panico potesse impossessarsi di lei, mollò un calcio tra le gambe del vampiro e se lo scrollò di dosso, scattando in piedi e lanciandosi verso il paletto. Il vampiro l’attaccò di nuovo, ma questa volta non si lasciò trovare impreparata e rimase ben piantata a terra. Lo fissò con una freddezza e una calma che non pensava di avere e, quando questi le fu addosso, gli conficcò il paletto dritto nel cuore. Davanti a lei, il vampiro si irrigidì per poi consumarsi in un mucchietto di polvere ai suoi piedi.
Lo fissò, inspirando ed espirando velocemente. Ce l’aveva fatta ed era stato tutto fin troppo veloce.
Sartori uscì dall’ombra e un sorriso ampio illuminò il suo volto, per la prima volta durante la serata. Spalancò le braccia.
«Sorprendente. Benvenuta tra noi, cacciatrice.» Le afferrò le spalle e la baciò sulle guance.
Per la prima volta, Olivia si sentì orgogliosa del suo lavoro e di se stessa. «Grazie.»
Le tremavano un po’ le mani e le gambe quando rientrarono nella sala grande e tutti gli incappucciati l’accolsero con un applauso. Si tolsero le maschere e riconobbe alcuni volti tra cui sua nonna Ester, che fu la prima ad abbracciarla e a congratularsi con lei. Subito dietro, c’era suo padre. Fu un’emozione fortissima vederlo. Lui se la strinse al petto e le sussurrò quanto fosse orgoglioso di lei e quanto fosse speciale.
Tutti le vollero stringere la mano, alcuni la abbracciarono. Poi la lasciarono andare e uscì fuori, in cerca di Craig e sua sorella.
Nel piazzale antistante il palazzo dei Sartori c’erano tutti i ragazzi di Roccadipietra. La accolsero con un applauso e urla di gioia. Olivia corse incontro a Craig e lo abbracciò forte, scoppiando a piangere. Era tutto così bello, così perfetto. La soddisfazione per la riuscita dell’iniziazione si univa alla felicità di aver trovato un gruppo di amici così uniti e affiatati.
Marco Sartori le si avvicinò e le porse una scatolina. «Questo è da parte di Orlando.»
Mancava solo lui a quella festa. Dentro c’era un biglietto.
Ti prendo questo regalo mentre sono ancora in Italia poiché molto probabilmente non ci sarò al momento della tua iniziazione. Credo in te e so che ce la farai.
Un bracciale delicato con un ciondolo a forma di mandala e un paletto di legno di frassino con la punta in argento. Piccolo e bellissimo. Il suo primo paletto.
Abbracciò Marco e tutti gli altri e promise loro che li avrebbe raggiunti al bar, voleva solo cambiarsi. Era una bellissima serata estiva, si incamminò da sola verso casa pensando che avrebbe voluto telefonare a Orlando per ringraziarlo del regalo e per raccontargli come si era svolta la sua iniziazione.
La strada era silenziosa e lei sorrideva rigirandosi tra le mani il pacchettino di Orlando. Poi, all’improvviso, quello strano formicolio sulle braccia e dietro al collo. C’era qualcosa che non andava, qualcosa di sovrannaturale. Rallentò il passo e alzò lo sguardo. E per poco non cacciò un urlo.
Fermo di fronte a lei c’era Zaganos. La scatolina che aveva in mano cadde a terra, facendo rotolare il paletto fino ai piedi di lui. Con grazia, il vampiro si chinò e lo raccolse, rigirandoselo tra le mani.
«Ciao, Olivia.»
«Zaganos…» Olivia chiuse un istante gli occhi, sperando che fosse un sogno. Quando li riaprì, lui era ancora lì e le sorrideva sensuale. «Sei qui per conto di Magnor?»
Lui scosse la testa. «Sono solo, volevo vedere come stava la mia piccola cacciatrice.»
Non voleva sentire quello che stava sentendo in quel momento, ma quelle parole le fecero un certo effetto. «Sei impazzito? Questo è un paese pieno di cacciatori.»
«Non preoccuparti, so badare a me stesso.» Le mise in mano il paletto, con la punta rivolta verso di lui. «Congratulazioni, cacciatrice, spero di rivederti presto.»
Scomparve in un soffio. Olivia strinse il paletto e chiuse gli occhi. Per un secondo aveva sperato che la baciasse.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 20. Pazzo suicida ***


20. Pazzo suicida


Zaganos doveva vederla.
Infilarsi in un intero paese di cacciatori era un suicidio, lo sapeva bene, e ogni muscolo del suo corpo era teso e pronto a scattare in caso di attacco mentre girava per le strade in cerca di lei. 
Era entrato dal cancello arrugginito rosso, lo stesso che aveva visto varcare a Olivia la sera in cui l’aveva trovata di nuovo. La maggior parte dei cacciatori non si era accorta di lui, non aveva percepito la sua presenza solo grazie a un potentissimo amuleto e alla sua particolare natura quando era ancora umano. Anche lui aveva sangue di cacciatore nelle vene, sebbene non lo avesse saputo fino a quando sua madre non aveva scoperto di essere una donna col marchio. 
Nel suo sangue scorreva della magia. Al pari dei vampiri di nascita poteva camminare di giorno, aveva un potere compulsivo molto più grande e soprattutto la sua aura di vampiro era molto attenuata. Persino i cacciatori più esperti e forti non erano in grado di percepirlo in condizioni normali. In più, quasi duecento anni prima, aveva conosciuto una dolcissima strega di nome Astrid e lei gli aveva preparato un amuleto speciale che attenuava ancora di più la sua aura. Era stato il suo ringraziamento per averla salvata da un lord vampiro che la teneva prigioniera a Parigi. 
Astrid aveva visto in lui qualcosa di diverso dagli altri vampiri, la sua empatia umana che non era sparita dopo la transizione. Zaganos non era capace di fare del male solo per il gusto di farlo, come accadeva per gli altri vampiri. Per loro gli esseri umani erano semplici erbacce da estirpare. 
Quella notte, nel vicolo, quando era stato aggredito, si era poi risvegliato nel palazzo di Magnor. Suo fratello sedeva sul letto e lo osservava con quella calma glaciale che preannunciava sempre qualcosa di brutto.
«Devi trovarla», gli aveva detto. «Sei mio fratello, Zaganos, devi aiutarmi a trovarla.»
Le sue dita aggraziate si erano mosse a lisciare le lenzuola di raso. Zaganos si era messo a sedere e aveva incrociato il suo sguardo. «Perché la vuoi così tanto? È solo una ragazzina, lasciala vivere in pace ancora per un po’.»
«Poi sarebbe troppo tardi, lo sai bene.» Magnor aveva la capacità di imprimere un tono di comando anche alle conversazioni più banali. «Se lei diventasse una cacciatrice non sarebbe più mia.»
«Non è tua.» Zaganos era scattato troppo in fretta, lasciandosi sfuggire qualcosa che non avrebbe dovuto far trapelare: il suo attaccamento nei confronti di Olivia. 
Una scintilla aveva illuminato gli occhi di Miscar. «La vuoi tutta per te? Non ti va di condividere con il tuo fratellino, come ai vecchi tempi?»
I vecchi tempi, pieni di lussuria ed ebbrezza di sangue umano che sgorgava dalle vene pulsanti, caldo, profumato, corroborante. Ragazze giovani e delicate morte solo per la loro voglia di depravazione. Erano stati così per lui i primi periodi dopo la transizione, quando ancora non riusciva a controllare i suoi nuovi istinti. 
Aveva scosso la testa, disgustato da quel ricordo che ormai procurava piacere solo a Magnor. D’altronde, lui non aveva perso le sue abitudini, era Zaganos che non vi partecipava più. «No» aveva risposto al fratello, «non la voglio tutta per me.»
«Allora cercala e portala qui. Non mi deludere di nuovo.» Si era alzato, fluido e aggraziato, regale anche in un solo movimento. Le labbra sottili e scure si erano incurvate in un sorriso. «Mi dispiace aver interrotto la tua cena, ieri sera. Ti mando uno spuntino per farmi perdonare.»
Una donna formosa era entrata poco dopo, nuda remissiva e completamente assente. Si era adagiata sul letto accanto a lui, pronta. Zaganos aveva snudato le zanne, la fame logorante e un unico pensiero nella testa, e quella volta non era stato gentile.
Aveva trovato Olivia, ci era riuscito. Non era stato difficile, conoscendo la sua famiglia da molto tempo. Ma il posto era stato scelto fin troppo bene, poiché solo un pazzo suicida si sarebbe introdotto a Roccadipietra per rapire qualcuno. Lì anche i bambini sapevano maneggiare un paletto, all’occorrenza. 
Zaganos lo era di sicuro, un pazzo suicida. 
Olivia era cambiata, era diventata più sicura di sé, più donna. I lunghi capelli lisci erano raccolti in una spessa treccia, così da lasciarle scoperto il bellissimo viso. Provava un senso di orgoglio nei suoi confronti. Forte sin dal primo momento in cui l’aveva vista, sapeva in cuor suo che sarebbe diventata una grande cacciatrice. E questo lo eccitava. 
Sapere che lei sarebbe stata in grado di difendersi, di mettere fine alla sua lunga esistenza, lo stuzzicava. Il cuore gli stava battendo a mille per una cacciatrice. 
Pazzo suicida. 
Da quando erano stati insieme alla baita non aveva smesso un secondo do pensare a lei. Olivia lo affascinava e attraeva, l’odore del suo sangue lo aveva inebriato e ammaliato. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterne sentire anche solo una goccia sulla lingua. 
Vederla con quel giovane cacciatore, mentre la toccava e la baciava, gli aveva fatto provare una gelosia cieca, qualcosa di profondamente umano, amplificato e distorto dalla sua natura di predatore. Aveva snudato i denti, gli occhi ridotti a due fessure rosse, e poi un rumore in lontananza lo aveva fatto ritornare in sé ed era fuggito per paura di essere scoperto.
Passare quasi inosservato gli aveva permesso di ascoltare le chiacchiere degli abitanti di Roccadipietra e scoprire il giorno in cui Olivia avrebbe affrontato la prova. 
Ed eccola lì, davanti a lui, finalmente completa. La sorpresa per lei fu tale che le scivolò dalle mani l’unica arma in grado di proteggerla da lui. Ma non ne aveva bisogno, Zaganos non le avrebbe mai fatto del male. I suoi occhi verdi brillavano di una nuova consapevolezza. Era la cacciatrice più bella che avesse mai incontrato. 
«Zaganos.» Pronunciò il suo nome come una preghiera.
Doveva solo staccarsi dal muro e raggiungerla, prenderle il viso tra le mani e baciarla. Invece raccolse il paletto e glielo porse, rivolgendo la punta d’argento verso di sé, sfidandola a fare quello per cui era stata appena battezzata. 
«Congratulazioni cacciatrice, spero di rivederti presto.»
Si riempì le narici del suo profumo, osservando il pulsare della vena sul collo delicato e aggraziato, poi si mimetizzò con la notte, lasciandosi alle spalle Roccadipietra e Olivia Stonebridge, cacciatrice di vampiri.
Sarebbe tornato in America quella sera stessa, a dire a Magnor che aveva fallito la sua missione.
Ma soprattutto, doveva stare lontano da lei.

Ciao a tutti!
Scusate se aggiorno questa storia con mesi di ritardo. Il punto è che sto pensando di fare una importante revisione e aggiungere anche parti in cui si approfondisce la figura di Magnor. Devo solo trovare il tempo :D
Intanto, se vi piacciono anche le storie d'amore, vi rimando al mio profilo Wattpad dove ci sono due FF, SELVATICA (completa) e DIMMI CHE SEI MIA (in corso). Mi trovate come DanilaCobain. 
Un bacio grande e spero di aggiornare questa storia quanto prima. 
Danila

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3957298