Broken dreams look like shattered cristals

di Duchessa712
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I atto ***
Capitolo 3: *** II atto ***
Capitolo 4: *** III atto ***
Capitolo 5: *** IV atto ***
Capitolo 6: *** V atto ***
Capitolo 7: *** VI atto ***
Capitolo 8: *** VII atto ***
Capitolo 9: *** VIII atto ***
Capitolo 10: *** IX atto ***
Capitolo 11: *** X atto ***
Capitolo 12: *** XI atto ***
Capitolo 13: *** XiI atto ***
Capitolo 14: *** XIII atto ***
Capitolo 15: *** XIV atto ***
Capitolo 16: *** XV atto ***
Capitolo 17: *** XVI atto ***
Capitolo 18: *** XVII atto ***
Capitolo 19: *** XVIII atto ***
Capitolo 20: *** XIX atto ***
Capitolo 21: *** XX atto ***
Capitolo 22: *** XXI atto ***
Capitolo 23: *** XXII atto ***
Capitolo 24: *** XXIII atto ***
Capitolo 25: *** XXIV atto ***
Capitolo 26: *** XXV atto ***
Capitolo 27: *** XXVI ***
Capitolo 28: *** XXVII atto ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Document
Prologo

Non sa chi sia la ragazzina che le è seduta accanto, nel silenzio insopportabile della biblioteca, quando negli occhi ci sono ancora le immagini di mostri di ghiaccio e neve, creature uscite dalla fantasia degli uomini, relegati nelle favole e nelle leggende, nel mondo perduto la di là di una Barriera sciolta dal fuoco azzurro di un Drago.
Sa solo che si sono trovate insieme, sedute sul pavimento di pietra fredda, a contemplare il passato e il futuro, a distrarsi con ricordi felici che saranno sempre sbiaditi e slavati in confronto agli orrori di poche ore prima.
È una ragazzina, una bambina, e Sansa avverte le lacrime sulle sua guance, sente il terrore e la disperazione partire dal suo corpo e diffondersi per tutto il castello, un odore dolce, malinconico, che ti stringe il cuore e la gola e fa pizzicare gli occhi. Un odore che riporta alla mente il calore del sole, insopportabile e benvenuto sulla pelle fredda e pallida, un turbinio di rosso e oro e risate, il profumo dei fiori in boccio, il sogno e l'incubo che si mescolano e diventano qualcosa di meraviglioso e inspiegabile, un grigio in cui non si può più distinguere il bianco e il nero.
Non sa come si chiama la bambina, sa solo che ha i capelli e gli occhi scuri, che piange senza fare rumore e ha la schiena dritta e la testa alta, una nobiltà che è d'animo e non di nascita come dicono i vestiti consumati che la proteggono dal freddo dell'inverno che suo padre aveva promesso.
C'è il silenzio, assordante, insopportabile, che non si può spezzare, che non si sa spezzare. Come si inizia una conversazione con una sconosciuta che non si rivedrà mai più?
-Conosci la canzone dell'amore perduto? -.
La ragazza si volta, il bianco dell' occhio sembra quasi spiritato alla luce della luna e nel buio della stanza.
C'è qualcosa che le ricorda Margaery in quegli occhi, il suo calore, la sua dolcezza, la bellezza e gli intrighi che nascondeva tra i suoi petali e proteggeva con le spine e con gli artigli.
Per cogliere una rosa bisogna essere disposti a pungersi, in tanti non lo avevano capito, in troppi non lo avevano accettato.
-Mia signora? -. La voce reca ancora le tracce delle lacrime che continuano a rigarle le guance, piccoli torrenti che scompariranno entro l'alba.
Hanno tutta la notte.
-La canzone dell'amore perduto, che parla soprattutto di promesse infrante e sogni spezzati, di un tradimento capace di condurre alla follia-.
-No mia signora non la conosco-.
Sorride divertita, Sansa, mentre sente il peso dei ricordi come un macigno troppo pesante sulle spalle, e gli occhi si riempiono di sole e di lacrime.
-Certo che no. Nessuno la sa, nessuno può saperla perché nessuno la conosce, perché non esiste-.
Se qualcosa è noto solo a una persona e questa lo tiene per sé, non lo rivela mai a nessuno, il qualcosa morirà con lei, non ne rimarrà memoria, per tutti gli altri non sarà mai esistito.
-Me la insegneresti? -
-Prima devo raccontarti la storia-.
Che male c'è a confidarsi con una sconosciuta che ha gli occhi di Margaery e ciò che saprà non avrà nessuno a cui raccontarlo?
Nessuno, si dice.
Tutto, le risponde Petyr, viscido, infimo, sicuro di sé, dal fondo della sua mente.
Lo ignora, lo soffoca con il sangue che Arya ha versato sulle pietre della loro casa quando lo ha sgozzato, quando lo ha ucciso nello stesso modo in cui è morta Catelyn Stark che Ditocorto ha amato fino all'ossessione, fin quasi alla follia.
Guarda la ragazzina che ha smesso di piangere e si è sporta verso di lei, il busto inclinato in avanti quasi volesse assorbire ogni parola di ciò che verrà detto, sussurri che devono rimanere segreti sia ai vivi che ai morti, poi prende un respiro, chiude gli occhi e inizia a raccontare.

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Capitolo 2
*** I atto ***


Document
I atto

C'era una ragazza in ginocchio ai piedi del Trono del Spade, la futura Regina, la promessa del Re folle e crudele, nato dal peccato e dalla lussuria di due pazzi sconsiderati e spregiudicati senza coscienza.
Aveva i capelli color del rame raccolti in un'elaborata acconciatura ormai sciolta, lingue di fuoco che le carezzavano la schiena e le spalle, che si mescolavano al sangue, che coprivano un poco le ferite che imbruttivano il suo corpo, diamanti e stelle cadenti, pegni d'amore e devozione.
Con mani tremanti stringeva i brandelli del vestito chiaro per coprirsi, per mantenere un poco di decoro, per evitare un'ultima umiliazione. Aveva occhi come zaffiri, come i diamanti che adornavano le sue braccia, da cui piovevano lacrime salate, vetri che le bruciavano i tagli ancora aperti.
Era spaventata, rannicchiata su se stessa per proteggersi come poteva da quei colpi inferti a tradimento, ma teneva la testa alta, sosteneva lo sguardo del Re e ribatteva alle sue accuse. Non chiedeva clemenza, non dopo che lui non l'aveva concessa la prima volta, non dopo aver visto la testa di suo padre su quella picca, banchetto per i vermi e le mosche, trofeo splendente sotto il sole del Sud, inutile, non necessario, capriccio di un Re poco più che bambino.
Stava attenta a cosa dire, nonostante la paura che le ottenebrava i sensi e i singhiozzi che spezzavano le frasi, perché l'umore del Re era mutevole e avrebbe anche potuto decidere di voler sciogliere il fidanzamento, di ucciderla al momento con la balestra che aveva in mano, con un ordine dato con leggerezza e crudeltà alla sua Guardia, a cavalieri dall'armatura scintillante come quelli delle canzoni, ma più violenti, più bugiardi, più mostruosi.
Ser Meryn Trant la colpì con l'elsa della spada, un altro livido al centro della schiena, poi ancora, sulle spalle, sulle braccia, perfino sui capelli. Mai sul viso. Era ancora la futura Regina, l'unica Stark in loro possesso, l'unico vantaggio che avevano sulla sua famiglia, l'unico motivo per cui Jaime Lannister era ancora vivo.
Doveva rimanere bella, la pelle pallida come porcellana senza crepe, il resto sarebbe stato nascosto dai vestiti, dalle gonne e dalle maniche lunghe.
Joffrey incoccó una freccia, il pubblico, quei nobili che erano solo parassiti assetati di potere e privilegi, trattenne il fiato, mentre l'aria si riempiva di eccitazione, le menti si mettevano a speculare. Sarebbe stato quello il giorno in cui il Re avrebbe compiuto il passo fatale?
La porta che si aprì di botto, i passi affrettati e la voce imperiosa, spezzarono l'incantesimo, scacciarono la magia, permisero alla giovane vittima di tornare a respirare, anche se solo per un momento.

Trattenevano il fiato mentre la Regina Madre avanzava verso il Trono, la rabbia e l'indignazione chiaramente visibili sul suo viso.
Solo uno sciocco o un folle non l'avrebbe temuta perché se suo figlio era incontrollabile lei era peggio, era volatile come il fumo, un'esplosione di altofuoco che non avrebbe risparmiato niente e nessuno. Era una Leonessa in tutto e per tutto, ma restava una donna e come tale il suo raggio d'azione era limitato.
Le voci che circolavano su di lei e lo Sterminatore di Re poi la rendevano una peccatrice senza coscienza e senza morale, dotata di una spregiudicatezza rara, una combinazione fin troppo pericolosa.
Per questo nessuno osava parlare, nemmeno il Re che fissava furente la madre aiutare la giovane Lady Stark, la sua futura sposa, il suo giocattolo preferito, a rimettersi in piedi e portarla fuori dalla stanza, via dagli occhi curiosi dei Lord e delle Lady, da quelli assenti della Guardi Reale e da quelli brillanti di Joffrey.
Sansa non osava nemmeno guardarla, tutta la forza sembrava averla abbandonata e le gambe cedevano sotto il peso del busto e dei colpi ricevuti. Sarebbe scivolata a terra se Cersei non l'avesse stretta più forte, trascinandola verso la sua stanza, passando per i corridoi meno trafficati, evitando che nuove chiacchiere si diffondessero troppo in fretta.
La ragazza si lasciava portare, improvvisamente consapevole del dolore che sembrava diffondersi da ogni parte del suo corpo, troppo stanca anche per interrogarsi sullo strano e inusuale comportamento della Regina, che, nel frattempo, l'aveva fatta sdraiare sul letto e aveva iniziato a lavare via il sangue. Lei personalmente, nemmeno una serva, ma Cersei Lannister in persona.
Cercava di rimanere sveglia, di aggrapparsi a brandelli di realtà, ma si trovó costretta a deporre le armi contro la stanchezza fisica e mentale e a sperare, scioccamente, aggiunse una parte di lei, quella che era presa dal panico all'idea di essere sola con la Regina, che non le venisse fatto del male.

Si era addormentata quasi subito, la ragazzina che avevano costretto a crescere troppo in fretta, che i suoi genitori non avevano fatto crescere abbastanza in fretta, e Cersei la stava studiando da parecchi minuti, accanto a lei una bacinella contenente acqua sporca di sangue che cercava di ignorare.
Lasciava scorrere gli occhi sulle braccia di Sansa, leggermente più scure a causa del sole del Sud, costellate di lividi viola e azzurri, segnate da tagli che disegnavano sentieri rossi e rosa chiaro.
Le aveva cambiato abito, gettando in un angolo quello azzurro ridotto ormai a qualche scampolo di stoffa impossibile da ricucire insieme e facendole indossare una camicia da notte bianca.
Bianco, il colore dell'innocenza, si trovó a pensare ironica.
Innocenza come quella che avevano strappato alla bambina davanti a lei, costretta a scontrarsi con il mondo e i suoi orrori, a convivere e sopravvivere ai suoi mostri.
Innocenza che aveva perduto lei stessa troppi anni prima quando si era trovata a dover ingaggiare una lotta già persa in partenza con il ricordo distorto e malato di un fantasma, a guardarsi allo specchio e chiudere gli occhi per ritrovare l'equilibrio, a mandare via le cameriere perché non sopportava che qualcun altro vedesse lo scempio che era il suo corpo, le cicatrici che ancora segnavano la sua pelle.
Il destino di Sansa era già scritto, perché Joffrey era come suo padre e lei non poteva fare nulla per cambiare le cose, non ne aveva il potere, non ne aveva i mezzi, e la volontà da sola non bastava.
Le passò una mano sulla fronte scostandole le ciocche rosse, un nodo che le stringeva la gola e le rendeva difficile parlare.
-Perdonami, Sansa, ma non posso fare più di così-.
Che era comunque più di quanto chiunque avesse mai fatto per lei.

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Capitolo 3
*** II atto ***


Document
II atto

Quando si svegliò impiegò qualche secondo a ricordare cosa fosse esattamente successo, non tanto perché il corpo le dolesse, quanto perché il dolore fosse infinitamente minore a quanto era abituata. Il fatto che lo dovesse a Cersei, alla madre del suo aguzzino, alla mente dietro a tutte le pene che era costretta a subire, la lasciava ancora più perflessa, così come la cena che trovó sul comodino accanto al letto e la camicia da notte bianca che non ricordava di aver indossato.
A che gioco giocava? Cosa voleva ottenere mettendosi apertamente contro il Re? La sua fiducia? No, Cersei non era così ingenua da credere che Sansa potesse fidarsi dopo tutto quello che era successo, dopo che aveva promesso e l'aveva abbandonata a sé stessa, e lei non intendeva darsi più a nessuno. Si sarebbe tenuta i suoi segreti, avrebbe imparato a mentire, a proteggersi, ad aspettarsi tutto e non essere più sorpresa da nulla. Questo la Leonessa dei Lannister lo stava insegnando più che bene. Ma allora perché aiutarla, medicarle le ferite, dare ordine che le venisse perfino portata la cena e che non venisse disturbata?
A cosa era dovuto questo cambio di strategia? Qualche risvolto nella guerra di cui lei ancora non sapeva nulla? Robb-il cuore fece le capriole al solo pensiero-stava venendo a salvarla, a portarla a casa, al Nord, al sicuro, dove sarebbe stata accolta come si confaceva a una Lady del suo rango, alla figlia di suo padre?
Sarebbe stato così bello se le sue preghiere fossero state ascoltate almeno questa volta, se i mesi di prigionia potessero diventare solo un brutto ricordo!
Lo voleva come non aveva mai voluto nulla, nemmeno il matrimonio con il Principe, nemmeno essere Regina. Il solo pensiero adesso la faceva rabbrividire.
Doveva solo aspettare.
L'inverno sarebbe arrivato e con lui Robb, e lei sarebbe stata al sicuro, protetta dai ghiacci e dal gelo, e nessuno sarebbe sopravvissuto, avrebbero pagato per ciò che le avevano fatto.
Con questi pensieri in testa, il sorriso sulle labbra per la prima volta dal giorno in cui era morto suo padre, il cuore più leggero, andò alla finestra e la aprì per far entrare un po' d'aria. L'estate era troppo calda, toglieva il fiato, sembrava renderlo solido e per respirare sembravano volerci giorni, forse anche anni. Al Nord no. A casa l'aria era pulita, graffiava il viso e raschiava la gola, fredda e rude come la sua gente. Era facile respirarla. Era facile fare tante cose, a casa, si disse con rammarico e con biasimo verso se stessa mentre l'aria fetida della capitale la colpì in pieno viso nauseandola. Odore di fogna, di sporco, dell'odio e delle morti che infestavano i Sette Regni.
L'odore dei cadaveri in decomposizione, della testa di suo padre e Septa Mordane sulla picca, vittime private di qualsiasi dignità, dell'onore e del rispetto che si devono ai morti.
Chiuse la finestra in fretta e furia mentre le lacrime le bagnavano le guance e la disperazione la afferrava con le dita lunghe e affusolate, artigli scuri e graffianti che la soffocavano peggio dell'aria irrespirabile.
Le ferite che Joffrey le regalava, i suoi doni li chiamava guardandola sorridendo malvagio e divertito, sembravano bruciare, espandersi, strapparle la pelle fino a lasciare di lei macchie di sangue sulle pareti e grumi di membra sul pavimento.
Stupida, stupida, la solita stupida!
Robb non sarebbe mai venuto, l'inverno non sarebbe mai venuto e se lo avesse fatto sarebbe durato troppo poco. È il sole a sciogliere la neve, non il contrario!
Lei non era la priorità di Robb, non era la priorità di nessuno. Suo fratello, il Re del Nord, il Giovane Lupo che aveva vinto tutte le battaglie, avrebbe vendicato suo padre e poi, forse, avrebbe salvato sua sorella, la bambina che li aveva messi in quel guaio, che aveva dato inizio a quella guerra perché voleva vivere il suo sogno ed era troppo viziata per capire che tutto quello di cui aveva bisogno lo aveva già a casa, tra la pietra grigia di Grande Inverno.
Pianse disperata, accovacciata ai piedi del letto come ore prima lo era stata ai piedi del Trono.
Era tutta colpa sua. Era giusto che scontasse la sua punizione, che la lasciassero al suo destino, che l'unica ad occuparsi di lei fosse stata la sua peggior nemica per motivi che non riusciva ancora a immaginare.

Aveva evitato Joffrey, si era rifugiata nel silenzio del giardino insieme ai bambini, a Tommen e Myrcella, dolci, buoni, così diversi dal fratello.
Li aveva osservati giocare, rincorrersi, le loro risate erano state come un balsamo per la mente piena di pensieri e di domande, per la solitudine che la logorava ogni giorno un po' di più.
I suoi figli erano innocenti, come lo era Sansa, come lo era stata lei, ed era solo questione di tempo prima che venissero macchiati dal nero e dall'odio del mondo, prima che scoprissero una crudeltà peggiore di quella di Joffrey.
Tommen la preoccupava più di Myrcella. Era forte, la sua bambina, una leonessa che non si tirava indietro davanti a nulla, che una volta aveva persino osato rispondere al fratello maggiore.
Il piccolo no, era timido, silenzioso, delicato. Amava i suoi gattini e non faceva nulla senza la sorella a guidarlo, a incoraggiarlo.
Le ricordava Jaime quando erano ancora bambini a Castel Granito, meno impulsivo e spericolato, ma ugualmente sensibile, ugualmente buono.
Come sarebbe sopravvissuto una volta cresciuto, una volta che Myrcella lo avesse abbandonato, quando non avrebbe avuto più sua madre a proteggerlo?
L'immagine di Sansa supplicante alla mercé del Re le tolse il fiato e la fece tremare. No, il suo bambino non sarebbe diventato così, non sarebbe stato schiacciato dalla vita.
Non lo avrebbe permesso.
-Madre? -.
Erano davanti a lei preoccupati, le sopracciglia corrugate e le labbra arricciate.
-Sto bene, bambini, sono solo un po' stanca- cercò di rassicurarli aprendo le braccia. Tommen le si sedette sulle ginocchia e Myrcella poggiò la testa sulla sua spalla.
-Dov'è Lady Sansa? -
-Sansa, mia cara? -.
La Principessa annuì e si affrettò a spiegare -Ieri pomeriggio era stata un po' con noi, le avevamo chiesto di tornare anche oggi-.
Cersei rimase in silenzio per parecchi minuti. Sansa, la figlia di Ned Stark, la sorella del Re del Nord, una nemica, la pedina più importante che avevano, accanto ai suoi figli. Il primo istinto fu quello di lasciarsi sopraffare dall'ira, di proibire e vietare un incontro successivo, di ordinare alla ragazza di non avvicinarsi mai più ai suoi bambini. Poi, riprendendo il controllo di sé stessa, pensò a Sansa, la ragazzina che aveva il corpo imbruttito di lividi e cicatrici, che era sola e disperata e abbastanza intelligente da capire che avvicinarsi ai suoi bambini senza il suo permesso non sarebbe stato saggio, ma che lo aveva fatto lo stesso.
-Siamo stati noi a chiederlo-,la voce lieve di Tommen era un sussurro perso nel vento e nelle suo ciocche dorate. -Stavamo parlando del Nord, eravamo incuriositi dai lupi-
-Metalupi- lo corresse la sorella saccente.
-Sansa oggi sta poco bene, ma voi due dovete chiedermi queste cose prima di farle-
-Ma lei non è cattiva, è buona, è paziente, ha risposto a tutte le nostre domande. Poi ha occhi tanto tristi-.
Sua figlia era troppo ricettiva per quanto riguardava cose che non avrebbe dovuto sapere. Se avesse anche solo udito le voci che circolavano riguardo la sua nascita... No, meglio non pensarci.
-Basta così, oggi non può venire. Domani vedremo se starà meglio. Adesso però andiamo dentro. Voi dovete andare a dormire-.
E così Sansa Stark si era attirata la simpatia dei suoi figli. Meglio tenerla d'occhio e stare attenti.
-Magari si sente sola e le manca la sua famiglia-.
A quanto pareva anche Tommen, nel suo silenzio e nella sua timidezza, sapeva osservare fin troppo bene.

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Capitolo 4
*** III atto ***


III atto

Fu la voce squillante di Myrcella a farle sollevare la testa, a mostrare gli occhi rossi di pianto e stanchezza.
La Principessa le corse incontro, seguita dal fratello, sempre sotto lo sguardo attento di Cersei, che Sansa non aveva più visto dall’accaduto di due giorni prima.
La presenza della Regina fu quasi sufficiente a convincerla ad andarsene, trovando una scusa, inventando una bugia, come stava imparando a fare sempre meglio da che era giunta nel Sud, sempre comunque mai all’altezza della Regina e di Ditocorto.
Poi pensò che Cersei non aveva fatto nulla, non l’aveva mandata via, non aveva richiamato i figli. Aveva lasciato che Myrcella la chiamasse e la invitasse a unirsi a loro, e dal suo sguardo trapelavano solo minaccia e curiosità. La silenziosa promessa che fosse accaduto qualcosa ai bambini mentre lei era presente ne avrebbe pagato le conseguenze.
-Lady Sansa, è bello vedere che stai meglio. Nostra madre ha detto che stavi poco bene-
-Si, Principessa, ma non è stato nulla di grave, fortunatamente-.
Un sorriso tirato le feriva le labbra, le mani stringevano la stoffa del vestito, la paura continuava a governare e dettare ogni sua mossa.
Potevano essere bambini, dolci, buoni, potevano averle offerto la loro amicizia, ma erano fratelli di Joffrey ed era per lui che non era riuscita a uscire dalla sua stanza per due giorni, per lui che camminare risultava ancora doloroso, per lui che la vita era diventata un incubo.
Avrebbe dovuto odiarli tutti, desiderare di vederli bruciare tra le fiamme dei Sette Inferi, ma erano bambini, erano innocenti, l’avevano fatta sedere tra loro e le avevano offerto una fetta di torta.
Il profumo inebriante del limone, più dolce di qualsiasi miele, più stordente di qualsiasi vino, più doloroso di una coltellata, delle torture che il Re le faceva patire.
Grande Inverno e le sue brughiere, i metalupi sul tappeto davanti al camino, suo padre e la sua barba ispida, le sue mani ruvide, a volte sgarbate, impacciato con lei, soprattutto con lei che fra tutti i figli era quella che capiva meno. I capelli rossi di sua madre, le ballate e le canzoni del Sud, racconti di una terra invasa di fiumi e di sole e di amore, la spazzola tra le sue mani, meravigliose ed elaborate acconciature che prendevano vita fra le sue dita. E poi i suoi fratelli, Jon e Robb che si sfidavano a duello, e Theon che li insultava, li chiamava bastardo e mio signore, ridevano e scherzavano e si volevano bene. I bambini che si rincorrevano insieme ai metalupi, Bran che scalava le mura del castello nemmeno dovesse assaltarlo, Estate la sua ombra sulla terra, la sua più fedele sentinella mentre lui sfidava il cielo, e Rickon, piccolo, terribile, sempre in movimento, sangue di lupo quasi quanto Arya, che però aveva pianto vedendola partire. Arya stessa, i loro litigi, le loro incomprensioni, gli insulti e gli scherzi. Cosa avrebbe dato, adesso, per sapere dove si trovava.
Vane illusione che scomparvero nel giro di poco, la riportarono a una realtà in cui non era al sicuro, in cui era circondata da leoni che avevano messo su di lei gli artigli e giocavano a spartirsi i suoi resti.
-Sansa-.
Secco, duro, irritato. La Regina l’aveva chiamata e lei stava impiegando troppo tempo a rispondere. Stupida, stupida sciocca con sogni ancora più sciocchi e impossibili!
Alzò lo sguardo su Cersei che la osservava attenta, in un modo che tradiva nervosismo e preoccupazione.
-La Principessa ti ha fatto una domanda-.
Si voltò verso la bambina che ripeté, diligente e senza perdere il sorriso, rubando un pezzo di dolce dal piatto del fratello, - Ti piace la torta? -
-Si, Altezza. È molto buona-.
Il minimo indispensabile per non essere definita scortese, per non insultare la persona di una reale, per soddisfare la curiosità di una bambina troppo intraprendente.
-Myrcella non rubare il dolce a Tommen-
-Ma non lo stava mangiando-
-Myrcella-.
Sotto gli occhi seri della madre fu costretta a cedere e restituire la refurtiva al piccolo Principe che increspó appena le labbra in un sorriso. – Grazie Myrci-.
Erano bambini e come tali si comportavano. Non avrebbe fatto nessun male soddisfare la loro muta richiesta e passare le giornate in loro compagnia.
Addentando la torta le sembrava che tutto fosse ancora possibile e immaginò che l’aria profumasse di neve.

Avrebbe dovuto saperlo, la figlia del Nord, che la neve non ha profumo, che non ha dimora nel caldo torrido del Sud, e che se ce l’ha impiega troppo tempo ad arrivare, a imporre il suo dominio.
Ma Sansa non era mai stata una figlia del Nord, era sempre una Lady, anche a tre anni, quando amava ricamare, cantare, ascoltare storie e fantasticare sul suo matrimonio con un uomo che avrebbe dovuto avere le fattezze di Rhaegar, ma con gli occhi blu dei Baratheon, fedele alla Corona, non folle come i Targaryen.
-Mia signora-.
Il sangue le si era fatto ghiaccio nelle vene, il cuore aveva perso un battito, interminabili secondi di silenzio, per poi ricominciare a battere furioso, a pompare sangue che veniva solidificato dall’orrore.
-Vostra Grazia-, una riverenza ad occhi bassi per non vederlo, per ritardare ancora un po’ l’inevitabile, per immaginare che sulle ferite che sembravano fuoco vivo si posasse il freddo benefico e salvifico della neve.
Joffrey sorrideva come deve sorridere la Morte, i denti scoperti e un angolo della bocca leggermente più alzato rispetto all’altro, il bel viso deformato dalla crudezza di quel gesto.
Quando era a casa non aveva prestato attenzione a Tyrion Lannister, imbarazzata e disgustata dalle sue fattezze che sembravano il disegno maldestro di un bambino annoiato, accecata dalla bellezza di Joffrey, dalla considerazione che aveva trovato presso la Regina, ma in quel momento fu sicura che perfino il Folletto fosse più bello del Re.
-Siamo da soli, così mia madre non potrà disturbarci-.
Non erano soli. C’erano Sandor Clegane e Meryn Trant al suo fianco e Sansa strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, morse la lingua fino a farla sanguinare.
Era salato, il sangue. Come le lacrime che versava di notte mentre pregava in Dei di cui iniziava a dubitare l’esistenza e la bontà.
L’inverno sta arrivando, si ripeté come un mantra, una cantilena, come se tutta la sua vita dipendesse da quello, mentre i primi schiaffi le facevano perdere l’equilibrio.
L’inverno sta arrivando, mentre fissava con odio e furia e rancore e promesse di vendetta, Joffrey che ghignava divertito.
E io sarò pronta ad accoglierlo, mentre si rifiutava di soccombere sotto alle percosse, di dare al Re e al suo mostro questa soddisfazione.
L’inverno sarebbe arrivato e Robb l’avrebbe salvata, Vento Grigio avrebbe lacerato le carni dei Lannister, avrebbe staccato la testa di Joffrey dal resto del corpo, e poi l’avrebbero messa su una picca e l’avrebbero fatta guardare alla sua famiglia come aveva dovuto fare lei.
Ci sarebbe stato sangue, interminabili pozze rosso rubino, rosso Lannister, gli occhi di Cersei e di Joffrey e di Jaime e di Tywin sarebbero stati come smeraldi opachi in fondo ad un lago. Tommen e Myrcella sarebbero stati loro prigionieri, perché erano bambini, perché erano innocenti, perché erano stati buoni con lei e lei sarebbe stata buona con loro.
Robb glielo avrebbe concesso, perché era un uomo giusto, e l’avrebbe riportata a casa, avrebbero ritrovato Arya e quella guerra sarebbe stata solo un bruttissimo ricordo.
Doveva solo aspettare come fanno i lupi prima di assalire una preda.
Aspettare e sopportare, perché sarebbero arrivati presto, suo fratello, il suo metalupo, il suo esercito e loro madre, e Sansa si sarebbe lasciata stringere tra le sue braccia, avrebbe annegato le lacrime tra le sue trecce rosso fuoco, avrebbe chiesto perdono per la sua ingenuità e la sua arroganza.
Presto.
Ma non abbastanza, mentre finiva stesa sul pavimento del camminamento deserto, il riverbero dorato del sole contro l’armatura che le faceva lacrimare gli occhi, il corpo stanco che non sentiva più nemmeno dolore.
Perché Cersei non veniva a salvarla anche questa volta?

Cersei non venne a salvarla. Fu il mastino a riportare la giovane Lady Stark nelle sue stanze, a posarla sul letto con un cortesia che stonava con la sua grandezza, il volto deturpato, le storie che ammantavano la sua figura, il personaggio di una leggenda, il fedele Cane del Lannister.
La Regina venne a sapere per caso dell’ultima bravata di suo figlio, di Sansa che dopo un giorno era ancora incosciente, di Pycelle che con le mani grasse e la barba lunga e il disgusto che le ispirava e le diceva di mandarlo il più lontano possibile, non sapeva spiegare cosa fosse accaduto alla loro pedina più preziosa, l’unico ricatto contro gli Stark.
Joffrey ascoltava annoiato, seduto scomposto sul suo Trono come se fosse una comodissima poltrona e quando fu solo fu lei a scuoterlo da quel torpore, a fargli aprire gli occhi su quanto la ragazza servisse viva e sana, su come lei lo aveva avvisato di non giocare, non con lei, perché se malauguratamente Robb Stark vincesse quella guerra e venisse a sapere del modo in cui era stata trattata la sorella avrebbe scatenato contro di loro la bestia che si portava al seguito.
Non aveva atteso la risposta del figlio ed era corsa nella stanza di Sansa, mandando via le cameriere e cercando di calmare l’agitazione e il panico che la divoravano.
Pietà e compassione germogliarono dentro di lei alla vista della ragazza, della bambina, incosciente sul letto, la pelle segnata di rosso, i capelli sfibrati, le occhiaie che la rendevano più pallida di quanto in realtà fosse.
Nemmeno Robert era mai arrivato a tanto. Forse temeva la spada di Jaime, la nomea dello Sterminatore di Re che aveva ucciso Aerys senza un motivo apparente, e chissà cosa avrebbe fatto al Re che osava violare il corpo sacro della sorella che amava più di chiunque altro.
Si sedette sul letto, timorosa di toccarla, di spezzarla con un movimento troppo brusco, e sentì le lacrime, calde e amare, solcare le guance e bagnare le labbra.
Era anche colpa sua. Era soprattutto colpa sua. Sapeva che mostro fosse suo figlio e non aveva fatto nulla, aveva lasciato una bambina indifesa tra le sue grinfie, consapevole di cosa sarebbe successo ma fiduciosa di poter controllare Joffrey, che essere sua madre valesse qualcosa.
Dove aveva sbagliato, con lui? Perché era tanto diverso dai suoi fratelli, perché somigliava tanto a quel padre assente che non lo aveva mai nemmeno ritenuto adatto a regnare?
Si asciugò le lacrime e pregò che Jaime tornasse. Aveva bisogno di lui, di qualcuno che la ascoltasse senza giudicarla, che la potesse capire, che non la compatisse per non averlo ascoltato, per aver ignorato le sue preoccupazioni perché, si, certo, Jaime era buono e le voleva bene, ma cosa poteva saperne di bambini lui che aveva preso il bianco che era ancora un bambino egli stesso?
Il prezzo delle sue colpe era davanti a lei, una rosa d’inverno colta troppo presto, lasciata ad essiccare al sole senza acqua e senza amore.
Una rosa che tanti avrebbero nominato Regina d’Amore e Bellezza, più adatta della Lupa selvatica che era stata sua zia, sicuramente più signora di lei, forse anche più bella.
Era bella, Sansa, fatta di contrasti e complementari, algida e viva, fuoco che bruciava nelle vene, il lupo che si agitava nella gabbia in cui le regole lo avevano rinchiuso.
Chissà chi era veramente Sansa, cosa avrebbe trovato scavando il suo animo, aprendo il suo cuore, frugando nel fondo della sua mente.
Sentí uno strano calore pervaderla, le sue dita che automaticamente stringevano più forte quella della ragazza, il cuore che aumentava i battiti e il sorriso che nasceva, piccolissimo e spontaneo, sulle sue labbra.
Stava per alzarsi, per uscire e rimettere ordine nei pensieri che stavano andando verso una direzione pericolosa e inopportuna, quando la sua stretta venne ricambiata e Sansa socchiuse appena gli occhi chiari ancora annebbiati.

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Capitolo 5
*** IV atto ***


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IV atto

Faceva freddo, come poteva farne solo a Grande Inverno durante bufere particolarmente violente, quelle che spaventavano Bran a causa del vento che sbatteva contro le porte e le finestre, che facevano stare sveglia Arya con occhi brillanti e assorti e che facevano sognare lei di un cavaliere che stava sfidando il tempo per andare dalla sua dama.
Doveva essere a casa. I mesi di prigionia dovevano essere stati solo un brutto incubo, uno che avrebbe raccontato a suo padre e sua madre e non a sua sorella, che l'avrebbe spesa in giro per settimane.
Doveva solo aprire gli occhi e si sarebbe trovata al sicuro, Cersei e Joffrey figure sempre più sbiadite nella sua memoria.
Faceva veramente troppo freddo e la cosa iniziava a darle fastidio.
Poi lo sentì, un calore gentile che partiva dalla sua mano e si irradiava per tutto il corpo in dolci ondate che sembravano riportarla alla vita dal profondo dei Sette Inferi.
Lady, pensó. È Lady che dorme accanto a me, è il suo corpo quello che mi sta riscaldando.
Invece, quando aprì gli occhi fu abbagliata dal sole, l'indizio che decretava la fine del sogno e il ritorno dell'incubo.
Le lacrime bruciavano ma le ricacció indietro. Non aveva più senso piangere. Doveva solo aspettare e avere fiducia.
Sbatté piano le palpebre e riprese coscienza di dove fosse, di cosa era successo, della testa di suo padre sui gradini del Tempio, di Arya sparita e non ancora trovata. Forse era meglio così. Sua sorella in un covo di serpenti come la Fortezza Rossa non sarebbe stata capace di non fare sciocchezze, di adattarsi e sopravvivere.
Provò a mettersi a sedere quando si rese conto che il calore che aveva avvertito nel sonno rimaneva, anzi, era ancora più presente. Trovó una mano che stringeva la sua e, sollevando il capo, il volto indecifrabile di Cersei Lannister.
-Come ti senti? -, le chiese la Regina con voce roca, e Sansa lo notava solo adesso, gli occhi rossi. Aveva pianto? per lei? No, probabilmente era successo qualcosa, qualche notizia dal fronte, di Ser Jaime, magari.
-Che cosa è successo? -
-Dopo che sei svenuta sei rimasta incosciente per un giorno intero-.
Un giorno intero.
L'ultima cosa che ricordava era l'armatura della fedele Guardia di Joffrey che, al sole, splendeva come l'oro dei Lannister, come i capelli del Re stesso.
-Hai battuto la testa, ma ora che ti sei svegliata dovresti stare bene-.
C'era qualcosa nel suo tono e nei suoi occhi che metteva Sansa a disagio. Con chiunque altro avrebbe detto "colpevolezza", ma Cersei...?
Però ti ha salvata da una morte quasi certa.
-Sto bene, Altezza. Non c'è bisogno di preoccuparsi così per me-. Abbozzó un sorriso che faceva male al volto.
Cersei se ne accorse e le fece segno di tornare a sdraiarsi, che l'avrebbe lasciata riposare.
Aveva già un piede fuori dalla porta quando, con un roteare teatrale di gonne, si voltò e, con la massima serietà, le disse, anzi le ordinò-La prossima volta che succede non voglio venirlo a sapere dalle cameriere. Vieni da me-. Dopo un secondo di silenzio e con enorme fatica sussurrò, quasi nella speranza che Sansa non la sentisse, - Ho parlato con Joffrey ma temo che non servirà a molto se non a nulla-.

Aveva davvero parlato con Joffrey, che era stato zitto ad ascoltarla e poi era esploso in una sequela di sciocche lamentele più adatte a un bambino che a un Re, a minacce che si sarebbero potute trovare sulle labbra di un folle, su quelle di Aerys, e ancora una volta si chiese dove avesse sbagliato.
Aveva impiegato due ore a calmare suo figlio, guadagnando mal di testa e mal di gola, e la salvezza di Sansa, mormorò una voce nella mente che somigliava troppo a quella di Jaime.
E la salvazza di Sansa, che ancora non capiva perché importasse tanto.
Ti ricorda te stessa.
Si, ma Sansa aveva qualcosa che lei non aveva: la speranza di uscire da quella situazione, e lei aveva qualcosa che Sansa non aveva: la sicurezza di non essere sola, perché Jaime avrebbe ucciso Robert come aveva ucciso Aerys, sarebbe morto per lei, perché erano la stessa persona, perché erano uno l'ombra dell'altro da che erano nati.
E adesso anche Jaime non c'era, prigioniero di quei barbari, magari ferito, di sicuro trattato in maniera che non era consona al Leone dei Lannister, alla sua controparte splendente di oro e di sole.
Pensando a Jaime sentì il cuore stringersi in una morsa, la stessa sensazione che aveva provato vedendo Sansa ai piedi del Trono di Spade e stesa immobile, quasi morta, su quel letto.
Da quando aveva iniziato a preoccuparsi per la sua prigioniera e per il suo gemello allo stesso modo? Da quando aveva iniziato a metterli sullo stesso piano? Perché, poi, avrebbe dovuto farlo?
Lady Stark è bella.
Sì, concesse lei alla sua coscienza, é bella. Più bella di sua madre, di quell'animaletto selvatico che era sua sorella, più bella della zia incoronata Regina di Amore e Bellezza.
Più bella di lei.
Poi ne arriverà un'altra, più, giovane, più bella, a distruggerti e portarti via tutto ciò che hai di più caro.
No! Non sarà lei.
Il pensiero la riempiva di una strana agitazione, un preannuncio della fine, una strana malinconia al pensiero che fosse la piccola e incantevole Sansa a distruggerla.
L'aveva davvero definita incantevole?
Lo era, anche con gli occhi gonfi di lacrime e il corpo gonfio di lividi e l'animo gonfio di dolore e il cuore gonfio di odio.
Lo era, con le labbra carnose macchiate di sangue, la speranza negli occhi come una luce spezzata e persistente.
Lo era e lei avrebbe voluto conoscere il sapore di quelle labbra, la consistenza del suo corpo, i suoi pensieri più reconditi custoditi dal sangue del lupo.
Aveva scoperto presto di essere attratta dalle donne, oggetti da usare per prendersi una debole rivincita su Robert, cameriere spaurite da cui non permetteva di essere né svestita né toccata, perché i diamanti che celavano le sue vesti rosso e oro potevano saperli solo lei, Robert e Jaime.
Sansa era bella, era fragile, non era pura, e se fosse finita nelle mani di Joffrey avrebbe avuto una notte di nozze peggiore della sua, non avrebbe avuto i figli a impedire di gettarsi dalla Fortezza Rossa.
La voleva da conoscere, da proteggere, da amare, da possedere.
La voleva e basta, e Cersei Lannister otteneva sempre ciò che desiderava.

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Capitolo 6
*** V atto ***


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V atto

Le stanze della Regina erano illuminate solo dalle candele e, nonostante l'ora tarda, nessuna delle due aveva intenzione di alzarsi.
Sansa aveva le mani poggiate in grembo, le dita lunghe intrecciate tra loro per una volta non erano impegnate a stringere la gonna fino a farsi male.
Un piccolo sorriso, impercettibile, le piegava le labbra, conferendo una serenità che non provava, non del tutto.
Non avrebbe saputo dire quando la compagnia della Regina fosse diventata così gradevole, quando avesse iniziato a passare le giornate con Tommen e Myrcella e le cene con i Principi e la loro madre. Quando avesse iniziato a trattenersi ben oltre un'orario dignitoso perché non osava alzarsi senza che Cersei glielo ordinasse.
Tuttavia era stanca. Tommen le aveva fatto rincorrere i suoi gattini per tutti i giardini della Fortezza Rossa e a un certo punto aveva sentito su di sé gli occhi di fuoco di Joffrey, che continuava a maltrattarla ma solo con gli schiaffi e solo in privato. Cersei la guardava amareggiata ogni volta che lo veniva a sapere, anche se Sansa non sapeva come questo fosse possibile. Dovevano avere tutti le loro spie in quel covo di serpenti.
-Sei stanca? -
-No, Altezza-.
La Regina sorrise brevemente alzandosi e andando verso la porta.
-È tardi, va a dormire-. Le posò una mano sulla spalla e Sansa sentì una strana sensazione di calore diffondersi per tutto il corpo. Una sensazione simile a quella provata quando si era svegliata scoprendo la proprio mano stretta tra quelle di Cersei.
I suoi occhi incontrarono quelli della donna, due smeraldi che sembravano liquidi alla luce delle candele, con leggere pagliuzze dorate che richiamavano i capelli, pieni di una dolcezza che generalmente riservava solo ai figli ma ultimamente anche a lei. Avrebbe voluto annegarci in quegli occhi. Poi ricordó ciò che aveva chiesto agli Dei, le teste dei Lannister su una picca, i loro visi banchetto per i vermi e le mosche, i loro occhi vitrei e spenti, specchi incapaci di riflettere il mondo.
Si sentì male. La sola immagine del volto di Cersei morto le dava la nausea e sentì le lacrime correre bollenti lungo le guance.
Stupida! Piangere in questo modo davanti a lei!
-Sansa...Sansa!-.
Quando riprese il controllo si trovó seduta sul letto, Cersei che la guardava preoccupata e le aveva posato una mano su una guancia. Tremava, sentiva freddo. Voltò il viso alla ricerca di altro calore, le sue labbra che sfioravano il palmo della Regina che si era seduta accanto a lei e la guardava affascinata, quasi speranzosa.
Fu un attimo. Cersei la fece voltare e posò le sue labbra sulle sue, dapprima dolce, per dare a Sansa il tempo di capire cosa stesse accadendo, poi sempre più famelica.
Quando la giovane Lady Stark rispose al bacio, più incerta e timorosa, pensò di non aver bisogno di altro.
Si separarono poco dopo, le mani di Sansa tra i capelli di Cersei e quelle di Cersei sul viso di Sansa. Nessuna osava muoversi, osava parlare, osava spezzare il momento che si era creato, una bolla ovattata separata dal resto. Per un momento non ci furono più guerre, più giochi, più troni.
Poi Cersei si alzò e tornó verso la porta.
-Ora devi proprio andare-.
Sorrise dolcemente a Sansa che la guardava spaventata, terrorizzata all'idea di aver fatto qualcosa di sbagliato, e le sfiorò piano i capelli rossi.
Un ultimo sguardo e poi chiuse la porta.

Era corsa nella sua stanza e aveva sbattuto la porta con forza eccessiva, chiedendosi come fosse possibile che il rimbombo non avesse svegliato tutta la corte, come fosse possibile che le guardie nascoste nel buio dei corridoi non vedessero il suo peccato.
Aveva baciato Cersei. Cersei la Regina, la madre di Joffrey. Cersei che era tanto bella e tanto complicata, che la stava proteggendo dal suo stesso figlio, che la trattava come una persona.
Cersei Lannister con cui suo fratello era in guerra.
Cersei che le era rimasta accanto e Sansa avrebbe voluto vicina per sempre, uno strano calore e una strana sensazione di sicurezza si impossessavano di lei quando la donna era nella stessa stanza, perché nemmeno Joffrey aveva più osato disobbedire.
E era stato bello, il bacio, bello e delicato e così dolce, come dovevano essere le labbra di Joffrey nei suoi sogni di bambina.
Invece era Cersei e la cosa la faceva sorridere e tremare.
Era Cersei ed era bellissimo e perfetto, e non sapeva cosa sarebbe successo la mattina seguente ma andava bene lo stesso perché per adesso si sarebbe concessa di sognare quel bacio proibito e sbagliato.
Lo sognó, infatti. Sognó la Regina e il sorriso gentile che da poco regalava anche a lei, il profumo di limone e di rose e di fiori dai mille nomi e dai mille colori che profumavano l'aria, il sole che splendeva e la neve che cadeva dal cielo, il freddo scacciato dal tocco dolce di Cersei, dalle dita che le sollevavano il mento e dalle labbra che si posavano sulle sue.
Era perfetto. Peccato che la perfezione non esista, sussurrò Joffrey comparso da qualche parte alle loro spalle, la testa portata sotto a un braccio, staccata dal resto del corpo dalle fauci di Vento Grigio, dalla spada di Robb che ora si avventava su Cersei, il rosso del sangue che si confonde con quello dell'abito.
Si svegliò terrorizzata, impigliata nelle coperte, sconvolta dalla consapevolezza di cosa fosse accaduto, della trappola in cui era caduta, dei sentimenti sbagliati e traditori che aveva iniziato a provare per la Regina. Dalla orribile realizzazione di dover scegliere tra lei e la sua famiglia, e avrebbe scelto la sua famiglia, avrebbe scelto Robb e sua madre e Arya, avrebbe scelto il Nord e la neve, perché era una Stark di Grande Inverno e suo padre le aveva insegnato che il lupo solo muore e il branco sopravvive.

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Capitolo 7
*** VI atto ***


VI atto

Era una strana quotidianità quella che avevano creato, fatta di baci rubati nel buio della notte, e sguardi cercati tra le piante fiorite dei giardini, una recita cui tutti credevano, perché Sansa non si concedeva mai di abbassare la guardia, di essere completamente a proprio agio se non quando era sola nelle stanze della Regina.
Stava sempre all'erta, sempre con lo sguardo basso e i capelli sciolti a schermare il viso. La cucciola di Lupo ostaggio dei Leoni che non voleva nulla se non la sua famiglia, che Re Joffrey continuava ad usare come suo giocattolo nel segreto dei corridoi quando la stringeva per un braccio e la lasciava alla mercé delle sue guardie.
Erano episodi costanti, lividi che nascondeva sotto strati di tessuto e sorrisi che erano ogni giorno un po' più sinceri, perché non avrebbero avuto la soddisfazione di vederla crollare, una Lady non piange mai quando altri possono vederla, non avrebbe distrutto così l'innocenza di Tommen e Myrcella, fin troppo consapevoli della cattiveria del fratello per la loro giovane età.
Avrebbe sopportato tutto con il contegno e la grazia che le erano stati insegnanti da sua madre prima ancora che potesse capire cosa stesse imparando, e nessuno avrebbe mai potuto dire di aver visto Sansa Stark piegarsi ai Leoni.
L'inverno sarebbe arrivato.
E questo pensiero la riempiva di paura. Robb avrebbe vendicato loro padre, avrebbe ucciso Joffrey, Tywin, Ser Jaime.
Forse anche Cersei e i bambini, gli unici motivi per cui lei fosse ancora in vita.
E lei sarebbe stata ferma a guardare, perché avrebbe scelto la sua famiglia, e avrebbe condannato due ragazzini innocenti che erano nati nella famiglia sbagliata.
-Ser Pounce, fermo! -.
Il gatto le era saltato sulle ginocchia dove si era acciambellato, probabilmente stanco di giocare col piccolo Tommen che correva verso di loro trafelato.
Sansa gli sorrise. Amava quel bambino, le ricordava Bran, più timido e cauto, ma era sicura che i due, in un altro contesto, sarebbero potuti andare d'accordo.
-Buongiorno Altezza, sembra il nostro micetto sia troppo stanco per giocare-
-È tutta la mattina che corre da tutte le parti, per fortuna si è fermato. Spero che non scappi-.
La ragazza lo guardò confusa.
-Perché dovrebbe scappare? -.
Al bambino vennero le lacrime agli occhi e Sansa iniziò a preoccuparsi per davvero. Tommen era sensibile, si dispiaceva per molte cose e molte altre lo turbavano, ma che piangesse era raro. Era un Principe e come tale doveva imparare ad essere impassibile, anche a otto anni.
-Joffrey ha detto che avrebbe annegato tutti i miei gattini-.
Un brivido le percorse la schiena e gli occhi azzurri saettarono da tutte le parti, quasi che il solo averlo nominato permettesse al Re di comparire davanti a loro.
Senza testa e con un lupo al seguito. Le immagini di quell'incubo le fecero mancare il fiato ma le ricacció sul fondo della mente. Non era il momento.
-Non devi preoccuparti, Altezza. Sono sicura che non diceva sul serio, nessuno farà del male ai tuoi gattini-.
-Davvero? -
-Certo-.
Quanto era bello quando anche lei credeva a tutto quello che le veniva detto, alle storie e al vero amore.
Si dipinse un sorriso e prese il gatto tra le braccia.
-Andiamo a cercare la Principessa, mio signore? - propose cambiando argomento.
Tommen annui, l'angoscia e la paura scomparsi dal suo sguardo e Sansa sperò veramente che Joffrey stesse solo minacciando a vuoto, con il sorriso disegnato sul bel viso, la luce di crudeltà negli occhi di smeraldo.
Non avrebbe sopportato l'idea che facesse del male anche ad altri, oltre a lei, perché lei aveva imparato a sopportare, perché lei aveva Cersei, aveva la consapevolezza che la sua famiglia sarebbe arrivata, perché un Re che vince le battaglie vincerà per forza la guerra, che l'inverno sarebbe arrivato e lei sarebbe tornata a casa. Triste, malinconica, ma sarebbe tornata a casa.
Tommen sarebbe solo rimasto distrutto.

-Sei pensierosa-.
Sollevò rapida lo sguardo verso la Regina che la guardava preoccupata, le labbra strette e quella leggera ruga tra le sopracciglia che compariva quando era veramente confusa.
Sansa le sorrise senza parlare.
Quando hai iniziato a sentirti così a tuo agio, a comportarti normalmente davanti a lei, rilassata come se fossi al sicuro?
Già, quando?
-Sansa? -. Le aveva preso le mani e la avvicinó a sé, cosi la ragazza si trovó con la testa poggiata sul petto della donna.
Chiuse gli occhi e si lasciò coccolare, permise che le carezze della Regina alleviassero le sue preoccupazioni, la conversazione avuta con Tommen quella mattina, il modo in cui il piccolo aveva tenuto Ser Bounce sempre accanto a sé.
-Che cosa c'è? -
-Non mentirmi, Sansa. Non ne sei capace. Non ancora-.
C'era un sorriso sulle labbra di Cersei che Sansa intuì dalla leggerezza con cui furuno pronunciate le ultime parole della frase.
Eccolo, il nodo alla gola che la spinse a cercare ulteriore rifugio tra le braccia della Regina, a nascondere il viso contro la sua spalla.
Si ricompose e cercò gli occhi verdi della donna senza allontanarsi da lei, poi le raccontò cosa era successo con Tommen.
Quando la Regina si alzò di scatto, privandola del calore e della protezione delle sue braccia, sentì l'angoscia attanagliarle lo stomaco, la vecchia paura mai veramente sopita di avere osato troppo perché Joffrey era comunque suo figlio e non era un mistero che fosse il suo preferito.
Strinse le mani e morse le labbra per avere qualcosa cui ancorarsi, la testa improvvisamente dolente e gli occhi annebbiati. La voce di Cersei era un mormorio di sottofondo, indistinto, quasi fastidioso... Se solo riuscisse a capire cosa stava dicendo, quanto fosse nei guai, quanto fosse possibile risolvere la situazione senza aggravarla...-Sansa!-.
Respirava affannosamente, piegata su se stessa, singhiozzi violenti che le scuote vano tutto il corpo, bloccavano in gola le parole prima che potesse formare pensieri coerenti. - Sansa... Tranquilla... Respira, piano... Così, da brava... Shh, va tutto bene, respira-.
Guardò la Regina sparita, alla ricerca di un'ancora cui aggrapparsi, il verde smeraldo dei suoi occhi, pieni di amore, di odio, di rabbia. A volte si chiedeva come facesse a non esplodere, con tutte quelle emozioni, e se non fosse proprio per loro, così tante, così confuse, che nessuno riusciva mai a leggerla, a capire cosa stesse pensando.
Le cercò le labbra di slancio, bisognosa di un contatto fisico, dei capelli di Cersei tra le sue mani, dei denti di Cersei sulla sua bocca bollente, sanguinante.
Le prese il viso tra le mani, poi più giù, sulle spalle, le braccia dove affondò le dita con tanta forza da sentire la stoffa che si strappava.
Crack, leggero e assordante in quella stanza piena di gemito e sospiri.
Crack, che le riportò alla mente il suo abito ridotto a brandelli ai piedi del Trono di Spade.
Cersei la assecondó per qualche istante, poi si staccò da lei, il respiro affannoso e gli occhi di qualche tonalità più scura.
Teneva le braccia sotto al seno, le mani a stringere l'abito per nascondere i segni che deturpavano la pelle chiara, gemelli di quelli di Sansa, segreti che per il momento erano solo suoi e di Jaime e di Robert, quindi solo suoi perché Jaime non c'era e Robert era morto. Davanti a lei la ragazza si passò le mani tra i capelli, turbata dalla sua stessa audacia, dalla sua stessa violenza, dal Lupo che si agitava nella prigione del suo cuore, nei contorni definiti del suo corpo, soffocato dal corpetto.
-Io... -
-Resta qui per stanotte. Nessuno lo noterà-.
Non era stata fredda, solo guardinga, solo un po' distaccata, e Sansa su disse che questo non avrebbe dovuto ferirla in quel modo, che Cersei era bella e buona e forse ne era innamorata ma di lei non sapeva quasi nulla se non quello che sentiva in giro. E quello che sentiva in giro riguardava la Regina e il suo stesso fratello. E lei sapeva che non era vero, non sarebbe stata in quella stanza, tra le sue braccia, la testa appoggiata nell'incavo del suo collo, se fosse stato vero.
Incontrò i suoi occhi e la Regina le sorrise prima di baciarle la fronte e carezzarle i capelli come l'aveva vista fare con i bambini quando li metteva a letto.
Come avrebbe fatto a lasciarla quando Robb avesse vinto la guerra?

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Capitolo 8
*** VII atto ***


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VII atto

L'arrivo del Primo Cavaliere, o meglio, di Tyrion Lannister che ne faceva le veci, aveva gettato tutti nello scompiglio, e Sansa si era trovata nel mezzo del l'uragano.
Del Folletto, in realtà, non aveva una chiara idea, era un mostro, un essere brutto e crudele, una macchia sullo stemma dei Leoni, un piccolo essere che si credeva chissà chi è non rispettava l'autorità del suo sovrano, lo zio divertente che faceva ridere e giocare.
Questo quello che di lui pensavano Cersei, Joffrey e i bambini, una stessa persona vista attraverso la lente dell'odio, dell'orgoglio ferito e dell'innocenza.
Per le poche volte che le aveva rivolto la parola lo aveva trovato gentile e cordiale, soprattutto con i bambini, ma non lo avrebbe mai detto a Cersei, timorosa di scatenare la sua ira. Il fratello era un argomento delicato. La prima è unica volta in cui aveva provato a parlarne la donna era esplosa in un'inarrestabile invettiva di accuse e recriminazioni e aveva raccontato tra le lacrime la storia dei due bambini che si erano visti privati della madre dal fratello nano e deforme.
Sansa aveva ascoltato e aveva promesso di non parlarne più, di non discutere anche se non si trovava d'accordo.
Joffrey era sempre più irritato, sempre più violento e sempre più volte la bloccava nei corridoi regalandole nuovi diamanti che si sovrapponevano a quelli vecchi non ancora svaniti. Lei rimaneva in silenzio, consapevole che chiedere clemenza non sarebbe servito a nulla, pregando che finisse presto, che si stnacsse, che arrivasse qualcuno.
E una volta qualcuno era arrivato, proprio il Folletto, che aveva rimesso al suo posto il nipote, imbarazzandolo sotto gli occhi di tutti, e poi l'aveva aiutata a rimettersi in piedi. Non era bello, anzi, era mostruoso e quando sorrideva il suo volto si distorceva in qualcosa di ancora più spaventoso.
Però c'era qualcosa nei suoi occhi che le ricordava Cersei: la gentilezza e la preoccupazione.
Non si sarebbe fatta ingannare. Non da un uomo conosciuto per le sue menzogne e la sua arguzia.
-Sono leale a Re Joffrey, il mio unico amore-.
Il Folletto, questo non se lo aspettava. Non dalla figlia di Ned Strak che amava le canzoni ed era l'innocenza fatta a persona.

Lo venne a sapere quasi per caso un pomeriggio quando Myrcella bussò tremante alla porta della sua stanza.
Si tormentava le mani ma non abbassava lo sguardo, Leonessa orgogliosa come sua madre.
-Mi hanno promessa al Principe di Dorne. Trystane Martell-.
Erano girate voci per giorni e ogni mormorio aveva il nome di un diverso candidato ma quindi questa era la verità. A Dorne. La Leonessa circondata dalle Vipere come anni prima era stata la Vipera ad essere circondata dai Leoni.
-Lady Sansa-. Aveva gli occhi lucidi e angosciati. - Che cosa vuol dire lasciare la propria casa per un posto in cui non conosci nessuno? -, in cui nessuno può proteggerti era il sottinteso.
Sansa prese un respiro.
Avrebbe potuto raccontarle cosa significhi dover guardare la testa del proprio padre e della propria Septa su una picca, cosa significhi essere un'estranea e la causa di tutti i mali, cosa significhi essere sola e sempre in pericolo. Avrebbe potuto raccontarle nel dettaglio delle botte di Joffrey e delle sue minacce, della Guardia Reale e della pesantezza delle loro spade. Avrebbe potuto per un attimo fu perfino tentata di farlo.
-Fa paura perché è tutto nuovo, ma tu sei una Leonessa e non lo devi mai dimenticare. Sei dolce e buona e tutti ti adoreranno, perché nessuno può volerti male Principessa. Sentirai la mancanza di casa, di tua madre, dei tuoi fratelli, ma non devi vergognartene perché è assolutamente normale. Sarà un'avventura e un giorno, quando verrai qui e ci rincontreremo, mi racconterai tutto di persona, mi dirai quanto sia caldo il sole di Dorne e quanto siano belli i Giardini dell'acqua e quanto sei felice-.
Si interruppe e pregò di non starle raccontando una bugia, che lontano dall'aria irrespirabile della capitale Myrcella trovasse l'amore e che non le fosse mai chiesto di scegliere tra esso e la sua famiglia.
La Principessa la guardò più tranquilla e le regalò il più dolce dei sorrisi. Era bella come sua madre, forse persino di più.
-Mi mancherai anche tu Lady Sansa. Mi mancherai tanto-. Poi quando ebbe il viso premuto contro il suo petto - Prometti che ti prenderai cura di Tommen-
-Prometto-.

Sua figlia. La sua bambina venduta al miglior offerente.
Questa volta quella piccola bestia aveva osato troppo, aveva superato ogni limite, e si ostinava a non capire, a non vedere.
E lei era piegata su se stessa, disperata, alla ricerca di una soluzione che non arrivava.
La sua bambina. La sua bambina innocente e battagliera. La volontà di una donna può essere spezzata, le sue proteste possono essere ignorate.
Lo sapeva bene lei, le cicatrici lasciate da Robert bruciavano un po' di più da quando lo aveva saputo.
Si prese la testa tra le mani singhiozzando disperata quando sentì qualcuno bussare alla porta con insistenza. Aspettò, sperando che chiunque fosse se ne andasse e quando questo non accadde si asciugò le lacrime e aprì, pronta a riversare sul povero mal capitato la sua frustrazione e la sua rabbia.
Sansa aveva le guance leggermente arrossate, doveva aver corso, e i suoi occhi mostravano una dolcezza e una tristezza infinite. Entrò senza aspettare di essere invitata e si avvicinò alla Regina che era tornata a sedersi, che aveva ricominciato a piangere. La strinse a sé e le passò una mano tra i capelli dorati.
Non le mentì, non le disse che sarebbe andato tutto bene, che c'era la possibilità di impedire la partenza di Myrcella e Cersei di questo le fu terribilmente grata.
-Come lo hai saputo? -
-È venuta da me. E te, chi te lo ha detto? -
-Voci che Tyrion si è premurato di confermare-. Le sue parole grondavano rabbia, i suoi occhi mandavano lampi.
Sansa capì in quel momento cosa fosse la famosa rabbia di cui tutti parlavano. La rabbia della Leonessa che proteggeva i suoi cuccioli con qualsiasi mezzo.

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Capitolo 9
*** VIII atto ***


VIII atto

L'aria era cupa e tesa, la Morte sembrava permeare ogni angolo della Fortezza e Sansa si era trovata a tremare da molte ore prima che Joffrey la chiamasse per un'ennesima umiliazione, un'ennesima minaccia-baciare la sua nuova spada, la spada che, le aveva promesso, sarebbe stata impregnata del sangue di Stannis e poi di quello di Robb.
Il ferro era freddo contro le sue labbra, freddo come deve essere freddo il bacio dello Straniero e l'ansia che le attanaglia a il cuore non era diminuita a questi pensieri.
Poi era arrivata Cersei, bellissima in quell'abito rosso e oro, e la sua vicinanza, le sue rassicurazioni, la dolcezza nascosta nel fondo degli occhi, l'avevano un poco calmata. Anche perché era stata distratta da altro, dalla Regina che fissava sospettosa Shae e Sansa non aveva potuto fare nulla per sottrarre la sua cameriera, che, però era ormai un'amica, a quell'umiliazione.
Quel momento non era durato tanto.
C'era la Giustizia del Re in mezzo a tutte loro e la spiegazione di Cersei non avevano scacciato i dubbi dalla sua mente.
-Bevi- non aveva mai assaggiato vino prima di allora e guardò sospettosa il calice.
-Bevi- anche la Regina era nervosa ed era meglio non farla arrabbiare. No, non nervosa, si corresse la ragazza mandano giù un altro sorso, preoccupata. Preoccupata per sé stessa, per Tommen addormentato accanto a loro, per Myrcella lontana dalla sua protezione, per Joffrey che inserto era in prima linea a combattere, o almeno così doveva essere. Sansa non aveva dubbi che il suo futuro sposo fosse ben protetto da tutti i soldati.
Rimase seduta in silenzio finché non si diresse dalle altre dame che stavano pregando. Sarebbe stata una lunga notte.

Era l'immagine della tranquillità, con la coppa di vino tra le mani e la voce sicura che si aggiungevano al portamento da fiera Leonessa. Era così che doveva essere, nessuno doveva notare che tendeva l'orecchio per cogliere qualsiasi rumore riuscisse a penetrare le pareti di pietra, qualsiasi indizio sulle sorti della battaglia e, più importante, di quello sciocco di suo figlio che aveva insistito per combattere.
Gli occhi saetta vano come impazziti da Tommen addormentato a Sansa circondata da alcune sciocche dame che starnazzavano il loro terrore e la loro agitazione.
In una mano c'era la boccetta di veleno.
-Sansa, cosa stai facendo? -
-Sto pregando-
-Per cosa? -
-Per gli dei di avere clemenza per tutti noi-.
No, così non va bene. L'avrebbero sbranata viva senza la sua protezione. Era cresciuta ma non abbastanza. - Non hanno pietà, per questo sono dei-.
La vide sgranare gli occhi e tentennare e poi un cambiamento nei suoi occhi le rivelò non solo che accettava quella verità ma anche che la condivideva.
Nascose un sorriso nel calice di vino e l'orgoglio dietro alle palpebre chiuse.
La tenne ancora un po' con sé, il tempo aveva perso contorno, si era dilatato oltre misura e nessuno avrebbe saputo dire quanto tempo era passato da che era iniziata quella battaglia.... Poi... Bagliori verdi a illuminare il cielo.... Altofuoco...
La Regina fu scossa da un brivido e la mente corse improvvisamente a Jaime, alla storia che le aveva raccontato, all'ingiustizia in cui doveva vivere....
Era uno spettacolo terribile e affascinante e anche Sansa non riusciva a non guardarlo.
Poi tutto precipitò. Forse furuno pochi minuti, forse ore, fatto sta che il cuore di Cersei sprofondó.

Lancel fu il messaggero. Joffrey era fuggito nelle sue stanze. I soldati volevano disertare.
Avrebbero perso. Sarebbero morti.
Cercó Sansa tra la folla e la trovò. Lei sarebbe sopravvissuta, prigioniera di Stannis, trattata sicuramente meglio di come lo era stata nelle mani di Joffrey.
Forse non sarebbe tornata al Nord ma almeno sarebbe stata viva.
Lei invece....
Il boia era pronto a fare il suo dovere ma...
-Tommen... Tommen... - il suo dolce bambino aprì gli occhi pieni di sonno e le mise le braccia al collo. - Ho fatto un sogno bellissimo. Ho sognato che la guerra finiva e Myrcella tornava e Lady Sansa restava con noi per sempre-.
Cersei tremò e dovette ingoiare un singhiozzo. Lo avrebbe riempito di baci se non ci fosse stata tutta quella gente. Il suo dolcissimo bambino, il più innocente di tutti... - Si tesoro. É un sogno bellissimo. Ora da bravo, vieni con me-.
Un ultimo sguardo a Sansa che la fissava sospettosa e fece per seguirla. Scosse la testa e le fece cenno di rimanere dov'era.
Percorse svelta i corridoi deserti.
Il Trono si ergeva di fronte a lei, maestoso e imponente. Un pezzo di ferro capace di dar vita a una guerra così violenta.
Si sedette... Dei quant'eta scomodo...e prese Tommen sulle ginocchia.
Fuori la battaglia infuriava e il bambino si strinse di più lei. - Ti racconto una storia-, perché in quel momento non importava nient'altro,non Sansa qualche piano di sopra sola e spaventata, non Joffrey codardo e infuriato nascosto nelle sue stanze, non Myrcella lontano da questa follia e dalla sua protezione, nemmeno Jaime, perso chissà dove ma certamente vivo. Importava solo il cucciolo che aveva sulle ginocchia, quello che avrebbe condannato a morte. - Bevi, tesoro-... E poi, le porte si aprirono, la boccetta cadde a terra e Tywin Lannister si ergeva imponente e maestoso sul suo cavallo bianco.
-Abbiamo vinto-. Strinse a sé il bambino chiedendogli tacitamente perdono per ciò che stava per fare.

Sansa era fuggita. Aveva dato ascolto a Shae ed era fuggita fino a trovarsi nella sua stanza. La bambola che le aveva regalato suo padre, quella che aveva rifiutato con tanta arroganza, le fece venire le lacrime agli occhi. Suo padre... Cosa avrebbe pensato di questa situazione, di suo figlio che si ribellava alla corona, un traditore per davvero perché Joffrey, per quanto sarebbe stato più bello credere il contrario, era figlio di Robert, di sua figlia che era l'amante della Regina che lui odiava, di una guerra insensata per un pezzo di ferro?
Forse era meglio non saperlo e non vedere la disapprovazione nei suoi occhi. Non si erano mai capiti davvero, lei e suo padre, e dubitava avrebbero iniziato ad Approdo del Re.
Voltandosi dovette trattenere un urlo. Il Mastino era nascosto nella penombra, un'ombra indistinta ma fin troppo riconoscibile. La sua proposta era allettante, tanto anche, ma non poteva accettarla per più di un motivo: lì aveva Cersei e ogni giorno che passava voleva rinunciare a lei sempre di meno, aveva Tommen che la faceva ridere e giocare e avrebbe protetto non solo per la promessa fatta a Myrcella ma perché gli voleva bene, aveva Tyrion Lannister, più o meno, che la proteggeva da quel folle di suo nipote. Aveva una quale tormentata sicurezza che non voleva ancora perdere...
Lo lasciò lì e stava per essere presa dal panico quando vide i corridoi riempirsi di gente preoccupata ma festante.
La battaglia era vinta.
Ma non la guerra.

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Capitolo 10
*** IX atto ***


IX atto

Tommen la raggiunse nei giardini, seduta ad un tavolo di pietra e davanti agli occhi una quantità incredibile di dolci e lei lo accolse a braccia aperte. Le era mancato. Aveva trascorso sempre meno tempo con lui, mentre le mattine erano state assorbite da Lady Margaery e le notti da Cersei, che sembrava odiare con sempre maggior forza la futura nuora.
-Lady Sansa, vuoi giocare con me? -.
Sorrise, sempre cortese, sempre consapevole dello sguardo di tutte quelle spie e genuinamente felice perché al bambino voleva bene per davvero.
Ditocorto, qualche giorno prima, l'aveva avvicinata, subito dopo la rottura del fidanzamento e le aveva proposto una via di fuga che lei non era sicura di voler accettare. Però, l'idea di essere riunita con sua madre, con Robb se non proprio con Arya... Cersei e Tommen morti, i loro corpi annegati nel sangue... No. Non adesso.
-Certo Altezza-, e gli scompiglió i capelli biondi. Una volta non avrebbe osato, ma dopo la promessa fatta a Myrcella, dopo Cersei, dopo le Acque Nere era diventata un po' più sfrontata, soprattutto con quel bambino che era solo, alla mercé di Joffrey e, adesso, di Tywin Lannister, che era tornato e controllava tutto e tutti. Il vecchio Lord le faceva paura soprattutto per leffeto che aveva su Cersei, che viveva nella disperata ricerca della sua approvazione. Qualcosa di buono però lo aveva portato: la rottura del suo fidanzamento, la sua conseguente amicizia con Margaery e qualche attimo di libertà in più.
Camminarono fianco a fianco nei giardini fino a quando incontrarono Ser Loras e un gruppo di altri cavalieri. Le piaceva Ser Loras ma aveva imparato a diffidare della bellezza e anche delle parole altrui. Margaery tesseva le lodi del fratello e di Alto Giardino e la Regina di Spine poteva diventare una buona alleata, ma non le conosceva, non poteva fidarsi. Era lo stesso motivo per cui non aveva seguito il Mastino, per cui era rimasta a subire le angherie di Joffrey, notevolmente diminuite ma sempre presenti. Avrebbe fatto di tutto per allontanarsi ma sposare Loras Tyrell...
-Lady Sansa? -. Tommen le aveva fatto una domanda e lei si era distratta.
-Cosa? -
-Che cosa ti succederà adesso che non sposerà più mio fratello? -
-Non lo so, Altezza, ma sono sicura che il Re prenderà una decisione giusta e buona-. Giocare, sempre. Mentire, costantemente. Fingersi sicura e a proprio agio.
Era ancora una pessima bugiarda, glielo diceva Ditocorto e glielo diceva Cersei, ma stava imparando. Piano, con lentezza, ma ci stava riuscendo. Altrementi, sarebbe morta già da tempo.

Una Regina più giovane, più bella.
Si svegliò di soprassalto, sconvolta da quella profezia che la terrorizza a ogni volta che la risentiva.
Margaery Tyrell.
La futura Regina.
No. Non lo avrebbe permesso.
I Leoni distruggono le Rose, le schiacciano sotto alle zampe.
Si pungono con le loro spine.
Ancora Jaime a fare la parte della ragione che non ascoltava. Jaime che ancora non c'era, disperso ma vivo, trattato chissà come mentre lei dormiva tra lenzuola di seta stretta a Sansa, momenti rubati a suo padre e alla corte.
Scosse la testa e trattenne le lacrime e ingoió i singhiozzi. Si morse le nocche per non urlare. Una donna può piangere ma mai una Regina.
Sarebbe andato tutto bene.
Jaime sarebbe tornato.
I suoi figli sarebbero stati al sicuro.
Avrebbero vinto la guerra.
Sansa sarebbe rimasta con lei.
I Leoni non si piegano davanti alle profezie di una ciarlatana.
Tre figli. D'oro le loro corone. D'oro i loro sudari. Era quello, a terrorizzata, a toglierle il respiro. I suoi bambini innocenti.
No. Doveva dormire. Dormire e smetterla con queste sciocchezze.

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Capitolo 11
*** X atto ***


X atto

Era tornato. Sporco, scialbo, ricoperto di terra, fango e polvere ma era tornato.
Era tornato. Con il capo chino e qualcosa di nuovo, di assente negli occhi chiari, ma era tornato.
Era tornato. Senza una mano e con un gigante biondo al seguito, ma era tornato.
Era tornato ed era Jaime. Non lo Sterminatore di Re, non il Leone dei Lannister, non il figlio preferito, ma Jaime. La sua metà. Suo fratello.
E lei gli era volata tra le braccia, aveva pianto e riso e per un momento aveva perfino creduto che gli Dei potessero esistere perché le sue preghiere erano state ascoltate.
Gli aveva fatto fare una mano dorata che sostituisse quella reale. Era rimasta mentre digrignava i denti per non urlare e non piangere mentre la carne infetta veniva bruciata. Poi lo aveva aiutato a svestirsi e lo aveva lasciato solo, dicendogli che, se lo voleva, quella sera avrebbero cenato insieme, loro due e Tommen e Sansa. Lo vide abbassare la testa in un moto istintivo di vergogna e disgusto verso l'arto mancante, ma non gli permise di autocommiserasi. Gli disse solo che lo voleva riposato e presente.
E adesso erano nelle sue stanze, in attesa del Principe e della sua nuova amica.
Tommen si gettò subito tra le braccia dello zio, incurante della mano falsa e del cambiamento che era accaduto in lui. Era solo felice che fosse tornato, che fosse vivo. Adorava suo zio più di quanto avesse mai fatto con suo padre.
Sansa rimase un po' in disparte e Cersei le si avvicinò, sistemando una ciocca ramata e sfiorandole la guancia in un gesto quasi distratto. Era bellissima e le prese le mani che tremavano di nervosismo. - Stai bene? -
-Sì -. Qualcun altro le avrebbe creduto. Stava diventando brava a dissimulare. Gli occhi continuavano a tradirla.
-Vedo che stai migliorando-. La vide ricambiare il sorriso, immediatamente a suo agio, immediatamente dimentica che nella stessa stanza c'era anche l'uomo più chiacchierato di tutti i Sette Regni.
-Lady Stark-
-Ser Jaime-.
Non avevano molto da dirsi, non potevano, perché lui aveva combattuto contro suo fratello, era stato suo prigioniero e Sansa poteva solo immaginare quanto Jaime fosse risentito, ma la cena nel complesso andò bene. Tommen era una distrazione meravigliosa. Conversa a con tutti e Sansa si trovó a ridere genuinamente felice come solo lui riusciva a renderla.
Jaime si limitò a osservare. Sua sorella gli aveva detto della partenza di Myrcella, dell'arrivo di Tyrion, delle Acque Nere, delle voci. Aveva anche accennato qualcosa su Joffrey, qualche preoccupazione, qualche lamentela, un evento più unico che raro. Quello su cui non si era mai espressa era stata Sansa Stark e Jaime il perché lo capì subito, semplicemente osservandole interagire. Era felice per Cersei e era terrorizzato che qualcosa andasse storto, che la guerra finisse, che quello stato di calma si spezzasse e le conseguenze arrivassero a investirle tutti. Sarebbero state pronte, sua sorella e la sua amante?
No. Era ovvio, terribile, penoso, perfino. Ma non avrebbe detto niente perché non spettava a lui distruggere la felicità di Cersei, spegnere il suo sorriso che era sincero per la prima volta da quando erano bambini, da quando la loro madre era morta, da quando si erano sposati.
Forse era davvero il più stupido dei Lannister.

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Capitolo 12
*** XI atto ***


XI atto

Brienne prometteva salvezza, Grande Inverno e la sua famiglia, o quello che ne rimaneva. Quanto sarebbe stato bello crederle, fidarsi di lei ciecamente come avrebbe fatto prima di tutta quella sgradevole situazione.
Aveva già commesso lo stesso errore. Non un'altra volta. La donna non capiva, glielo leggeva chiaramente in faccia e, mentre si allontanava, mentre si ricongiungeva con Margaery e fingeva di non notare gli occhi di Ditocorto su di lei, si chiese se anche lei fosse così facile da leggere.
Aveva le migliori intenzioni, le ricordava Arya, un poco, ma era talmente priva di artifici che la spaventava.
Ecco, la prova definitiva di cui necessitava. Aveva perso la sua infanzia, l'innocenza. Non sapeva più credere a una verità che non fosse corrotta.
E adesso, sola, nelle sue stanze, ripensava a quell'incontro, perché non poteva credere alla notizia che aveva appena ricevuto.
Tyrion era stato gentile e costernato quando le aveva dato la notizia del loro imminente matrimonio. Aveva chinato il capo e si era mostrato più dispiaciuto di lei. Sansa non aveva avuto nessun dubbio sul fatto che questo fosse sgradito per tutte le parti coinvolte, Shae e Cersei comprese.
La sua cameriera aveva preso a fissarla più intensamente quando credeva di non essere vista e la Regina si era mostrata per la Leonessa che era. Aveva ringhiato e ruggito, si era battuta per liberarle entrambe dai matrimoni imposti. Per lei non c'era speranza.

Umiliazione dopo umiliazione. Ecco come si poteva definire quel matrimonio, con Tyrion ubriaco e Joffrey che le stava sempre intorno a tormentarla e Tywin che sorveglia a tutti e pensava a possibili e nuove alleanze. Si era alzata per non pensare, per prendere un po' d'aria e non pensare a quello che sarebbe venuto dopo. Un passo alla volta, altrimenti sarebbe esplosa.
-Sansa-. La voce di Cersei era solo un sussurro e la mano della Regina era salda sul suo braccio tremante. Respiró a fondo prima di guardarla senza sapere cosa dirle. Sentiva la gola secca ed era tanto stanca e avrebbe voluto scappare ma nessuno poteva aiutarla, nemmeno Cersei che era stata promessa a Loras Tyrell.
Poi da lì tutto precipitò. L'ennesima azione sconsiderata di Joffrey, la difesa inaspettata e imbarazzante di Tyrion, la sua ennesima umiliazione e poi il silenzio soffocante di quella stanza e tutto era troppo troppo troppo. Bevve il vino per non pensare. Injzió a svestirsi con la morte nel cuore. Non lo voleva, non lo amava, la spaventava. Voleva Cersei e la sua protezione, la sua sicurezza che stava iniziando a vacillare anche se nessuno se ne era accorto.
-Fermati-. Una supplica, un comando. Una liberazione, un altro problema a cui poteva pensare la mattina, quando Shae sarebbe venuta a svegliarli e lì avrebbe trovati separati, le lenzuola bianche immacolate. Un matrimonio non consumato.

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Capitolo 13
*** XiI atto ***


XII atto

Il matrimonio con Tyrion sarebbe potuto essere molto peggio, Sansa non era così sciocca da ignorarlo. Godeva di una certa libertà, adesso che era Lady Lannister, il che voleva dire una sorveglianza ancora più stretta da parte delle varie spie. Era la chiave del Nord, qualsiasi suo figlio sarebbe stato erede di Grande Inverno dal momento che Tywin Lannister era così certo della sua vittoria in quella guerra, e, teoricamente, anche di Castel Granito quando, una volta morto il suddetto Lord, Tyrion sarebbe stato il solo accettabile candidato per reclamare quel castello di rocce a strapiombo sul mare.
Si sentiva più in gabbia di prima. Shae si era fatta più silenziosa e guardinga, gli sguardi che lanciava al minore dei Lannister non erano così difficili da decifrare. Il risentimento dell'amante tradita, messa da parte per una bambina che portava con sé un territorio grande quanto metà dei Sette Regni. A Sansa andava bene. La cameriera le piaceva, la sua onestà era uno dei pochi appigli su cui poteva sempre contare, e lei non era così innocente da potersi permettere di sentirsi tradita e indignata.
Cersei continuava a volerla accanto a sé ogni volta possibile e lei era ben felice di accontentarla. Non si sentiva mai così protetta come in compagnia della Regina, mai così libera come giocando con Tommen e Ser Balzo. Quei momenti le facevano dimenticare i brutti pensieri, il tradimento inferto alla sua famiglia, gli incubi che turbavano il suo sonno.
-Colombella? -. Cersei era stanca quella sera, era pallida, quasi piegata su se stessa.
-Che cosa c'è? -
-Nulla, mia cara. Solo i preparativi per questo matrimonio. Joffrey vuole una cosa e Olenna Tyrell un'altra. Tra gli invitati ci saranno anche i Martell-.
Sansa annuì. Suo padre aveva raccontato anche a loro bambini qualcosa della ribellione, delle battaglie, dei rubini del Principe Rhaegar che tingevano l'acqua di sangue. Aveva parlato anche di Elia e dei suoi bambini, di Oberyn assetato di vendetta, di Tywin probabile mandante.
-È tardi, mia cara, non pensiamoci più- ordinò la Regina con un gesto distratto della mano e Sansa, una volta, avrebbe anche potuto credere che la questione fosse per lei di poco interesse. Non adesso che aveva imparato a conoscerla, non quando sapeva coma lavorava la sua mente, rivolta alla figlia lontana, la prima su cui le serpi si sarebbero scagliate se fosse accaduto qualcosa al loro principe.
Decise di accontentarla, perché sapeva riconoscere una battaglia persa e perché le maschere, per quanto si adattassero bene alla pelle, erano sempre pesanti da portare.

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Capitolo 14
*** XIII atto ***


XIII atto

Erano passati cinque giorni da quando lo aveva saputo.
Cinque giorni in cui rifiutava di mangiare e di dormire, in cui guardava fuori dalla finestra per ore con gli occhi rossi e brucianti. Non aveva più nemmeno lacrime da piangere.
Cinque notti in cui stava sveglia a fissare il baldacchino del letto e immaginava la sua famiglia trucidata. Robb e sua madre e Vento Grigio e Lady e suo padre e Rickon e Bran. Rimaneva solo lei. E forse Arya.
Cinque giorni in cui passeggiava senza meta nel Parco degli Dei abbandonato a sé stesso, in cui evitava qualsiasi contatto con i Lannister che non fosse obbligatorio.
Il sesto giorno qualcosa cambiò.
Fu Ser Balzo a raggiungerla per primo, seguito immediatamente da Tommen. Era cresciuto, si era fatto più alto, più magro. Non era più il bambino che aveva conosciuto ufficialmente a Grande Inverno. Era un Principe dei Sette Regni, secondo in linea di successione al Trono. E la guardava con una compassione tale da farle luccicare gli occhi di lacrime. Le porse le condoglianze più vere che avesse mai sentito, le più sincere perché venivano da un amico, dalla persona non dalla funzione che incarnava. Non seppe se fu lei a gettarsi tra le sue braccia o lui a stringerla per primo. Quello che seppe per certo fu che pianse per minuti interminabili e che lui la lasciò fare, le carezzó i capelli come sua madre faceva con lui, come aveva fatto con sua sorella, come faceva con Sansa stessa quando la ragazza era con lei nello stesso letto a supplicare che la notte non finisse mai.
Pianse disperata, singhiozzi che le squassavano il corpo e per la prima volta capì davvero di essere tra assassini, capì la vera gravità del gioco, capì di aver perduto la sola opportunità di salvezza quando, due giorni prima, aveva accettato la proposta di Ditocorto.

-Stai giocando con il fuoco-.
La sola risposta che ottenne fu lo sguardo annoiato di Cersei che continuava a giocare con i capelli.
Jaime sospirò frustrato. Lo aveva detto, lui, che sarebbe finita male, che prima o poi la realtà avrebbe infranto la bolla in cui sua sorella e la giovane Stark avevano vissuto il loro idillio, ma Cersei aveva scelto di ignorarlo e adesso non sapeva cosa fare.
La morte degli Stark era sulla bocca di tutti, la follia di Walder Frey, il terrore verso Tywin Lannister, le Piogge di Castamere che risuonavano da tutti i Sette Regni. Erano affascinati e sconvolti.
Cersei invece era furiosa. Furiosa con suo padre, con Joffrey, con Tyrion, con tutti. Furiosa perché Sansa si stava lentamente lasciando morire di fame e di sete e si era chiusa in un ostinato silenzio che sapeva di disperazione e resa e le stava lentamente sfuggendo tra le mani. Furiosa con Jaime, che aveva avuto ragione, come sempre, che l'aveva avvisata di stare attenta, di non oltrepassare i limiti o altrimenti si sarebbe ferita. Furiosa...
-Lady Stark-.
Alzò la testa di scatto e in effetti Sansa era lì. Pallida e tremante e stravolta, gli occhi pieni di lacrime e dolore, ma comunque lì, sulla porta della sua stanza, a guardarla implorante e sul punto di spezzarsi.
La prese tra le braccia e la fece sedere sul letto, le scostò i capelli dalle fronte e le posò una mano su una guancia, come aveva fatto mesi prima, la sera di quel primo bacio.
Non sapeva cosa dire o cosa fare, aveva un peso in gola che non riusciva a mandare giù e si sentiva egoista perché lei non aveva il diritto di stare male, non quando Sansa aveva appena perso il resto della sua famiglia in una sola volta, per causa di suo padre, per causa di suo figlio, per causa di suo fratello, per causa sua forse.
Stava cercando le parole quando la ragazza cercò i suoi occhi e le sue labbra. Bruciava, quel bacio. Bruciava e faceva male, ed era uno sfogo, era il lupo che ringhiava e mostrava i denti e ululava alla luna la sua disperazione. Era bagnato di lacrime e Sansa la teneva ferma, le stringeva le braccia con tanta forza da sbiancare le nocche e lasciare lividi violacei, ma per una volta non importava. Sansa non era Robert e infatti si fermò appena prima che il dolore diventasse troppo. Si staccò da lei ansimante, scarmigliata, distrutta e comunque viva, comunque brillante come il fuoco. Se Lyanna aveva avuto solo un minimo di quella fiamma nei suoi occhi, Cersei poteva quasi perdonare Robert per averla amata tanto.

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Capitolo 15
*** XIV atto ***


XIV atto

Era successo tutto talmente in fretta che non aveva avuto il tempo di processare gli eventi se non dopo, molto dopo, dopo che i rantolo di Joffrey e le grida di Cersei avevano smesso di rimanere impigliate nelle orecchie, dopo che i capelli rossi erano stati tinti di nero e guardando nello specchio aveva sentito l'aria stringere il cuore perché chi era quell'estranea dagli occhi di ferro e la pelle venata di righe rosate?
Alayne Stone le aveva risposto Petyr e la sua voce aveva penetrato a fatica il muro di sensazioni che si era frapposto tra lei e il mondo.
Alayne Stone, la nipote bastarda, l'orfana senza famiglia e senza mezzi se non la benevolenza di Lord Baelish.
Alayne Stone, vestita di nero come ali di corvo.
Sansa Stark non c'era più. Sansa Stark era morta alle Nozze Viola, era scomparsa ogni giorno di più sotto i tormenti di Joffrey per essere riportata in vita di notte dai baci e dalle carezze di Cersei.
E adesso era lì, da quella zia che non aveva mai conosciuto e di cui non riusciva a fidarsi, costretta a nascondersi, a mentire, a sottostare ai capricci di un giovane Lord troppo infantile.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro.

Sansa li risentita ancora i gemiti strozzati di Joffrey, le grida furenti e disperate di Cersei. Venivano a turbarla nel cuore della notte, quando rimaneva sveglia a guardare il soffitto, a cercare di catturare ancora il sapore di Cersei sulle sue labbra dal fondo dei ricordi.
Di notte era difficile non pensare. Di giorno era più semplice, presa com'era a sostenere l'ennesima recita, a dare retta ai capricci di un ragazzino viziato e petulante. E quanto le mancava Tommen, in quei momenti. Tommen con i suoi gattini e i suoi capelli dorati e il sorriso gioioso sulle labbra. Il suo amico, che adesso era Re, alla mercé delle serpi che popolavano la Fortezza Rossa. E lei era lontana, dall'unica famiglia che ancora le rimaneva. Chissà cosa pensavano ad Approdo del Re della sua fuga, se la consideravano una nemica. Chissà se la ricollegavano all'omicidio di Joffrey. Chissà come era furiosa Cersei. Chissà se l'avrebbe voluta morta perché il Re era suo figlio. E lei, i figli, li amava più di qualunque cosa.
Non doveva pensarci. Sansa Stark era morta il momento in cui era giunta a Nido dell'Aquila. Solo Alayne Stone esisteva. E Alayne Stone non doveva passare i giorni a sospirare per la sua amante e la sicurezza perduta. Non doveva rodersi per le promesse non mantenute : "Prenditi cura di Tommen" aveva chiesto Myrcella; "Mia madre con te sorride di più. Non smettere di farla sorridere" aveva detto un pomeriggio il Principe ancora bambino; "Non mi tradirai mai, vero colombella?". E lei aveva promesso. E adesso li aveva traditi.
No. Sansa Stark lì aveva traditi. Sansa Stark era un fantasma e i giuramenti dei fantasmi sono privi di valore.
Di notte, però, affondava la testa nel cuscino e piangeva le sue scuse, mormorava il suo amore, piangeva la vita che le era stata strappata ancora una volta senza il suo permesso.

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Capitolo 16
*** XV atto ***


XV atto

Alayne Stone era un'ombra, nera, volatile, sfuggente, e Petyr la cercava con occhi vigili, le regalava sorrisi e promesse di salvezza, le sfiorava le braccia, le guance, i capelli, alla ricerca di Catelyn nel riflesso della figlia, sotto la maschera che lui le aveva costruito.
Sansa tremava a quei contatti, ma dava la colpa alla neve, all'inverno che era giunto, finalmente, ed era inutile, però, perché non aveva portato con sé Robb e Vento Grigio e le teste dei Lannister sulle picche, come aveva sognato una volta, ancora bambina.
Petyr, che nonostante i suoi sforzi restava sempre Lord Baelish, accostava la bocca all'orecchio e le diceva quanto era brava e bella e somigliante a sua madre, e Lysa, che covava tanto odio e risentimento e forse anche pazzia, la studiava, gelosa e forse disgustata, le parlava di quella sorella defunta con invidia malcelata, che Sansa coglieva per esperienza. A volte si chiedeva se fra tutti i fratelli ci fossero tutti quegli odi, se fosse una legge non scritta, quella di recriminare e non dimenticare nemmeno il più piccolo sgarbo.
Scosse la testa: Alayne Stone non poteva avere di questi pensieri. Alayne Stone non aveva fratelli da piangere e di cui sentire la mancanza.

-Che cosa stai facendo? Che cos'è questo?-. Robyn comparve alle sue spalle, petulante e con le labbra increspate in un adorabile broncio.
-È la tua casa?- continuò senza darle il tempo di rispondere. - E quello?-chiese indicando un'altra scultura.
-Sì, è casa mia- era Grande Inverno, ricostruito con troppa fatica dai ricordi d'infanzia. Erano troppe, le cose di cui era incerta. Aveva sbagliato il numero delle finestre? Quella torre era lì o dall'altra parte del cortile? Non lo ricordava più e se una volta sarebbe bastato a farla piangere, adesso aveva imparato a controllarsi, a nascondersi, perché la scultura sarebbe scomparsa presto, distrutta dalle sue stesse mani o dalla neve.
-E quello?-
La Fortezza Rossa, precisa come se l'avesse avuta davanti, il rosso delle mura e il verde dei giardini, la disposizione dei camminamenti e delle torri e, la cosa peggiore, era che, a ogni luogo, aveva un ricordo da associare, cosa che non poteva dire per il Nord, che mai aveva apprezzato adeguatamente e iniziava a sbiadire dalla memoria.
-Quello è Approdo del Re- mormorò, la solita fitta al cuore al pensiero di Cersei.
Robyn, però, sembrava poco attratto dalla capitale, tanto affascinato da Grande Inverno che Sansa decise di raccontarglielo. Aveva chiuso gli occhi e aveva lasciato le parole libere di fluire, mentre raccontava della casa che, per tanto tempo, aveva voluto rivedere.
Robyn ascoltava rapito, per una volta calmo e quieto e Sansa strinse i denti per non pensare a Tommen e Bran e Rickon, che le mancavano tanto da spezzarle il cuore.
Alayne Stone non conosceva nessuno di loro e lei era Alayne Stone.
Quando finì di raccontare e il ragazzino corse dalla madre, Alayne, capelli neri come ali di corvo, con un gesto della mano distrusse le costruzioni che aveva davanti. Sansa Stark era un fantasma, persa da qualche parte nei Sette Regni dopo essere scappata dalle nozze di Re Joffrey, e tale doveva rimanere, per il bene suo e di tutti.

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Capitolo 17
*** XVI atto ***


XVI atto

Si dice che dopo un lutto la vita continui. Cersei non poteva dire che fosse falso, ma non era nemmeno certa che fosse vero, perché una parte si era persa, era ancora lì, con Joffrey che le moriva tra le braccia, il volto violaceo e gli occhi colanti di sangue. Era la parte che aveva dato ordine di portarle Tyrion, vivo o morto non aveva importanza: il mostriciattolo che aveva ucciso suo figlio non meritava di vivere, questo aveva detto a Jaime, povero, sciocco sentimentale che lo aveva aiutato ad evadere, che aveva supplicato per lui.
-Ha ucciso mio figlio e nostro padre e mia figlia è in pericolo a causa sua-, aveva sibilato al gemello prima di spedirlo a Dorne, pregando di arrivare in tempo e prevenire qualsiasi vendetta i Martell avessero progettato contro Myrcella.
-Non è solo Tyrion, il problema-
-Certo che lo è. Non merita un minuto in più di vita, non lo ha mai meritato da quando ha ucciso nostra madre-, finalmente dopo anni l'odio poteva trovare una via d'uscita.
-Però non è solo Tyrion ad essere sparito-
-Evaso, Jaime, con il tuo aiuto- lo corresse aspra, lei, venendo ignorata - Eppure Sansa Stark la rivuoi viva-
-Stavamo parlando del mostro-
-Credi che l'abbia ucciso lei, Joffrey? Aveva il movente, non puoi negarlo, visto che sei stata tu a salvarla da lui. É fuggita, cosa che di solito è chiaro indizio di colpevolezza, eppure lei la rivuoi viva. Eppure su di lei non ti ho ancora sentito dire nulla, mentre mi hai illustrato per filo e per segno cosa accadrà a nostro fratello, o al suo cadavere, quando gli metterai le mani addosso. Quindi ti chiedo, sorella, dovessi riuscire a trovarla, cosa le faresti? -
-Non sono affari tuoi, questi-
-Non lo sai neanche tu. Non ti sei concessa di pensarvici e quindi mi chiedo fino a che punto l'amore per lei arriverà ad accecati? -
-Io non sono accecata proprio da nulla, fratello caro-.
Non gli aveva dato il tempo di ribattere che lo aveva spedito su una nave diretta a Dorne. Non si era concessa di pensare che aveva ragione, che non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto fosse riuscita a riprendersi Sansa, che il semplice sospetto che avesse ucciso Joffrey e tutto ciò che questo implicava le dava la nausea. Era stato tutto una bugia?
Non doveva pensarci. Doveva concentrarsi su Tommen, troppo dolce e troppo buono per sopravvivere al gioco, a Margaery, che già lo stava irretendo con la sua bellezza, a Myrcella, che presto sarebbe tornata da lei e sarebbe stata al sicuro.
Eppure...
Una Regina più giovane e più bella; d'oro le loro corone e d'oro i loro sudari...
Che fosse stata così stupida da far avverare lei stessa la profezia?

Tommen era troppo dolce e troppo innamorato e quando aveva detto a Margaery, nera di lutto, ma sempre bella come una rosa, che il suo ultomogenito sarebbe stato il primo Re a meritare il trono non aveva mentito. Ma Tommen era dolce e innamorato e buono e il gioco non gli avrebbe perdonato nulla. Toccava a lei salvarlo dalle brame di potere di Olenna, dalla gabbia di spinse dietro cui la sua sposa lo stava trincerando. Non poteva che essere stata sua, l'idea di rimandarla a Castel Granito, come se potesse esistere una casa in un luogo in cui non erano presenti i suoi figli!
Si era liberata di Loras Tyrell, stava già brindando alla sua vittoria, quando tutto le era crollato addosso, sfuggito al suo controllo.
Una Regina più giovane, più bella, ripeteva la strega nella sua mente, mentre leccava l'acqua dal pavimento come la più misera delle donne, mentre i volti si sovrapponevano e i dubbi la tormentavano, a portarti via ciò che hai di più caro.
Jaime non era partito da molto tempo, ma a lei sembrava un'altra vita, e quanto sembrava lontana la Fortezza Rossa, il trono, la morte di Joffrey e Tyrion e Sansa e le loro sparizioni! Come sembrava tutto irreale, mentre marciva in una cella!
-Confessa-, la stessa richiesta, ancora e ancora e l'acqua agitata davanti al viso come il più prezioso dei tesori.
Confessa cosa? Avrebbe voluto urlare, con la voce roca e la gola riarsa. Sapeva cosa dicevano, le solite chiacchiere su lei e Jaime e numerosi altri amanti, che aveva ucciso Robert, che i bambini non erano suoi.
Una menzogna dopo l'altra, eppure avrebbe dovuto confessare!
Gliel'avrebbero pagata tutti!
-Guarda il mio viso: sarà l'ultima cosa che vedrai prima di morire-.
Un Lannister paga sempre i propri debiti e loro avrebbero sofferto tutto quello che stavano facendo soffrire a lei.

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Capitolo 18
*** XVII atto ***


XVII atto

Aveva confessato, alla fine, non tutto ovviamente. Si era rifiutata di ripetere le voci disgustose su lei e il suo gemello e aveva taciuto di Sansa. Quello era suo. Loro.
Aveva confessato e aveva sperato che sarebbe stato sufficiente, che sarebbe tornata a casa, da suo figlio, e, invece, era appena l'inizio.
Infatti, eccola, la Leonessa, nuda, piangente, con la chioma tagliata, che avanzava tra la folla, il cui vociare e i cui insulti erano niente paragonati al rumore assordante della campana.
Me la pagheranno, pensava la Regina.
Me la pagheranno, tutti, per sovrastare l'umiliazione e la solitudine e la profezia, perché stava perdendo tutto ed era stata sostituita da una più giovane e più bella.
Approdo del Re sembrava infinita, mentre ne percorreva le strade sotto il sole dorato e la Fortezza Rossa era un punto che sembrava non avvicinarsi mai. Me la pagheranno, perché i Leoni avevano ancora gli artigli e i capelli sarebbero ricresciuti e lei avrebbe vinto su tutti quanti.
Me la pagheranno e, mentre la Montagna la riportava nelle sue stanze, Cersei piangeva e progettava le sue vendette. Avrebbe sradicato le rose e ucciso i passeri e poi avrebbe pensato a Tyrion, scomparso dall'altra parte del mondo. Jaime e Myrcella sarebbero tornati e sarebbe andato tutto bene.

Jaime e Myrcella tornarono, uno con il volto basso e l'altra in una bara e d'oro le loro corone, d'oro i loro sudari. Pianse, Cersei, pianse per la bambina che era tutto quello che lei non era mai stata capace di essere. Pianse tra le braccia di Jaime e si odiò per desiderare che fossero quelle di Sansa, che probabilmente nemmeno sapeva di Myrcella e aveva ucciso Joffrey. Stava perdendo tutto. Stava cadendo tutto a pezzi.
Non ancora, promise. Non più. Avrebbe pensato a tutto lei, perché Tommen era dolce e buono e inadatto, una pedina troppo malleabile tra le spire di una serpe troppo scaltra.
Avrebbe pensato a tutto lei, che era rimasta nell'ombra per anni, a osservare, a imparare. Avrebbe pensato a tutto lei e avrebbe dimostrato di avere ragione: lei era la sola degna erede di Tywin Lannister e il mondo, finalmente, lo avrebbe capito. Avrebbe pensato a tutto lei e in questa nuova lei, per questa nuova Regina, non c'era posto per nient'altro. Ogni stilla di amore e di calore sembrava essere stata spazzata via dalla morte della figlia e, Jaime, quando la sorella rialzò lo sguardo, si sentí sprofondare nel mare gelido della paura.

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Capitolo 19
*** XVIII atto ***


Document
XVIII atto

Finalmente la recita era finita e sotto la tinta nera iniziava a intravedersi il rosso che era stato di sua madre.
Per un momento, Sansa era stata tanto stupida da credere che il destino le stesse sorridendo. Stava andando a casa, aveva ragionato, mi riaccoglieranno, andrà tutto bene, finirà tutto. I soliti pensieri che la accompagnavano da una vita, da quando suo padre era morto e lei era diventata prigioniera di Joffrey.
La solita stupida ragazzina con stupidi sogni, avrebbe detto Arya, vedendola, vestita di pelliccia bianca, al braccio di Theon, che era l'ombra perfino del traditore che era stato, avanzare verso il bosco dove Ned Stark pregava i suoi Dei per sposare il bastardo di un altro traditore.
Ramsay Bolton non le piacque dal poco che vide, che non era nulla a confronto del troppo che ancora non sapeva, che avrebbe scoperto quella stessa notte, nel letto dove aveva dormito bambina, sognando il Sud e una corona sul capo.
Non fu gentile, Ramsay, non le risparmiò alcun dolore e Sansa sentiva il sangue colare lungo la schiena, attaccarsi ai capelli sciolti, scendere fino al lenzuolo candido. Sentí il respiro bloccarsi e poi esplodere in un singhiozzo e la sua mente, sconvolta, provata da quelle torture, si confuse e le presentò la Fortezza Rossa e le spade delle Guardie Reali e a volte era Ramsay e altre Meryn Trant, ma non aveva importanza, perché il dolore era lo stesso e lei non riusciva a respirare e Theon stava fermo davanti alla porta senza fare niente e nessuna Cersei sarebbe venuta a salvarla! Fu un incubo continuo, quella prima notte di nozze, che si protrasse per troppe notti a venire, con giorni troppo lunghi e troppo vuoti che passava addormentata un una nebbia di dolore.
Theon era sempre presente, ma lei troppo spesso non lo vedeva.
Me la pagheranno, pensava, fissando la pietra di quella che una volta aveva chiamato casa ed invece era l'ennesima prigione.
Me la pagheranno tutti, tutti coloro che avevano tradito lei, che si erano alleati con i Bolton, che avevano ignorato le sue grida.
Me la pagheranno, mentre il suo corpo si copriva di ferite e di lividi e lei pensava a Cersei, alle sue ferite, ai suoi lividi, e, oh Dei, quanto avrebbe voluto essere con lei, quanto avrebbe voluto non essere mai stata portata via da Approdo del Re.
Quanto avrebbe voluto tornare indietro e cambiare tutto.

Sentiva la vita scivolare via ad ogni tentativo, fallito, di contattare i suoi aiutanti.
Sentiva la vita scivolare via fino a quando decise che no, non poteva finire così, che lei era una Strak di Grande Inverno e sarebbe morta combattendo.
Il primo passo fu farsi aiutare, riscuotere Theon, scoprire che i fratellini creduti morti erano vivi.
Il secondo fu fuggire, nonostante l'arco e Myranda, con gli occhi troppo azzurri e il sorriso colorato di sangue, l'amante di Ramsay, gelosa della moglie più bella e potente.
Il terzo passo fu correre consapevole di essere bracciata, che ogni passo sarebbe potuto essere l'ultimo, che i latrati dei cani erano sempre più vicini e il vento sferzava il viso e l'acqua gelava il corpo e faceva bruciare le ferite, penetrando oltre le vesti.
Il quarto passo fu accettare di stare morendo perché erano in trappola e non doveva finire così, lei doveva essere Regina in un grande castello e i suoi sogni non sarebbero dovuti diventare cenere!
Il quinto passo fu tornare a respirare, quando capì di essere al sicuro, quando accettò, finalmente, l'aiuto di Brienne e Podrick, il giovane scudiero del suo primo marito.
Il sesto passo fu decidere dove andare, ignorare il cuore che voleva solo Cersei e Tommen e i suoi gattini e seguire la testa, che suggeriva Jon e il Castello Nero.
Il settimo passo fu abbandonare Theon al mare, alla sorella che Sansa non conosceva, ma si trovava ad invidiare, perché per lei nessun fratello era tornato indietro, per lei nessun fratello aveva rinunciato a qualcosa.
-Andiamo, Lady Stark, non c'è tempo da perdere-, perché il Nord apparteneva a Ramsay e Ramsay la rivoleva indietro.

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Capitolo 20
*** XIX atto ***


XIX atto

Durante il cammino verso il Castello Nero, Sansa pensò più volte che non ce l'avrebbe fatta, che sarebbe morta di freddo o di fatica, che si sarebbe sdraiata e non si sarebbe più rialzata, che era comunque un destino migliore che tornare da Ramsay.
Così quando le porte si aprirono davanti a lei, quando Jon le corse incontro e la strinse tra le braccia, pianse, più per la fatica che per il sollievo. Pianse e nascose la testa nella sua spalla, assorbendo quanto più possibile il suo calore, perché si sentiva congelare e Jon, invece, era caldo. Pianse e gli chiese perdono, perché la paura di essere rifiutata persiste ancora, perché era la sorella che lo aveva disprezzato e insultato e chiamato bastardo, non Arya, che lo amava e lo ammirava e lui amava e ammirava e lo sapeva, Sansa, lo sapeva come si sa che il sole sorge ogni mattina, che Jon avrebbe preferito lei.
La accolse, le diede abiti asciutti e da mangiare, ascoltò la sua storia, promise di proteggerla, ma non di vendicarla, non di aiutarla a riconquistare la loro casa. Sansa pensò a Theon, che non era del tutto tornato in sé, ma aveva deciso di solcare il mare e andare in aiuto alla sorella.
Non permise alla rabbia di sopraffarla e provò a perorare la sua causa e alla fine vinse, o meglio, Rickon la fece vincere, il fratellino che aveva pianto, che le mancava come l'aria, che non aveva visto crescere.
Ramsay aveva Rickon e Rickon andava salvato, perché era il figlio di Ned Stark, l'erede di Grande Inverno, e loro si misero a cercare un esercito tra i Lord che avevano giurato di servirli e poi li avevano traditi. Jon provava con la pietà e si arrendeva troppo presto. Sansa alzò la voce, ricordò i tradimenti e le mancanze. Quando la giovane Lady Mormont, così sicura e arrogante e sprezzante, che la guardava dall'alto del suo seggio, giudicandola e disprezzandola, osò chiedere chi fosse uno Strak tra loro poveri disperati, provò il desiderio di urlare, di svestirsi e mostrarle le cicatrici, i doni di Ramsay e Bolton. Lei era una Stark. Lei aveva sanguinato per il Nord e nessuno aveva il diritto di toglierle il suo nome. Si morse la lingua e lasciò che fosse Ser Davos a parlare. Jon le aveva raccontato della povera Shireen, la Principessa bruciata e si chiese se Lady Mormont le somigliasse. Radunarono un esercito, uomini divisi e litigiosi che non si fidavano gli uni degli altri. Non avevano alcuna speranza, Sansa lo sapeva, così come sapeva a chi chiedere un favore.

Davanti a Petyr Baelish per la prima volta senza parole, senza stratagemmi e senza possibilità di manipolarla, si sentí potente come non mai.
Avrebbe voluto giustizia in quel momento.
Avrebbe voluto tanto ordinare a Brienne di ucciderlo, vendicarsi di una delle persone colpevole della morte della sua infanzia.
Avrebbe tanto tanto voluto vederlo morto davanti ai suoi occhi.
Fu spaventata da tanto desiderio, dalla sete di giustizia e vendetta che la animava. La temprò, la nascose. Ditocorto le serviva vivo. Le servivano i Cavalieri della Valle. Le serviva riconquistare Grande Inverno e purificarla dalle ombre dei Bolton. Le serviva stringere Rickon tra le braccia.
Non disse nulla a Jon, non avrebbe capito, non avrebbe approvato e aveva paura della sua reazione, di distruggere il fragilissimo equilibrio su cui si basava la loro relazione. Costrinse al silenzio anche Brienne e se inizialmente il senso di colpa fu un compagno terribile, le bastò vedere lo stato in cui si trovava l'esercito per metterlo a tacere definitivamente.
Doveva vincere: Ramsay doveva pagare.

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Capitolo 21
*** XX atto ***


XX atto

Al marito che l'aveva torturata e umiliata augurò una buona notte di riposo, mentre prometteva a se stessa che sarebbe stata l'ultima.
-Non mi avrà viva - promise a Jon la sera prima della battaglia e lo sguardo che le rivolse la assicurò sul fatto che l'avesse compresa.
-Sansa-
-Non mi avrà mai più-.
Non sapeva come, forse avrebbe rubato una spada, forse si sarebbe gettata nel mezzo della battaglia, forse avrebbe pregato Brienne di ucciderla e lei si sarebbe trovata costretta ad obbedire. Trovare veleno in mezzo alla neve non era un'opzione tanto semplice... Cos'è che voleva usare la Regina? Ah sì, Ombra della sera. Gliel'aveva raccontato qualche giorno dopo la vittoria come fosse pronta a uccidere Tommen e se stessa pur di non finire prigioniera. Sansa le aveva preso la mano e l'aveva sfiorata con un bacio. Non c'era nulla da dire.
Avrebbe voluto averla accanto, Cersei. Gli Dei soli sapevano cosa stesse facendo, come stesse, come stesse Tommen. Giocava ancora con i suoi gattini o ormai era troppo cresciuto? E Myrcella, lontana a Dorne, avrebbe mai rivisto la madre e il fratello? Come aveva preso la morte di Joffrey, lei che non era estranea ai dispetti e alla crudeltà del fratello? Persa in ricordi felici: era un bel modo di passare la sua probabile ultima notte.
-Dovresti dormire, Lady Stark-
-Hai ragione Brienne. Meglio che vada a riposare-.

Vide Jon venire sepolto vivo da una massa di soldati. Riconobbe gli stendardi, traditori, tutti loro che non avevano risposto quando chiamati. Era un pensiero talmente inutile, al momento, che se ne stupì lei stessa.
Strinse le briglie del cavallo con più forza, le nocche bianche sotto i guanti scuri. L'espressione era decisa, certa, non c'erano lacrime a offuscarle lo sguardo, il dolore per la morte di Rickon non l'aveva ancora colpita. Aveva visto il suo fratellino morire davanti ai suoi occhi, trafitto a tradimento, e non aveva nemmeno pianto. Forse c'era qualcosa di sbagliato in lei, o forse era semplicemente cresciuta, adesso, finalmente, ora che doveva apprestarsi a morire.
Non sarebbe stato un brutto modo di andarsene, almeno ci sarebbe stato ancora qualcosa da uccidere. Forse non sarebbe nemmeno stata la fine degli Stark. Forse Bran e Arya, se fossero stati ancora vivi, sarebbero riusciti a tornare a casa, ad avere successo dove lei stava fallendo.
Forse, invece, no, perché le sorti della battaglia si ribaltarono, perché Ditocorto aveva rispettato gli accordi, ma ovvio che lo avesse fatto: la voleva come pedina, gli ricordava l'amata perduta.
Ma non importava: li aveva fatti vincere.

Jon lo aveva colpito così tanto e con tanta forza da colorare la neve di rosso, ma non era abbastanza. Nemmeno quello che aveva in mente per lui sarebbe stato abbastanza, ma era tutto quello che poteva fare, tutto quello che poteva compensare l'innocenza che le aveva rubato. Era pronta, lo voleva, ma ne fu disgustata e pregò di non dover più assistere a un simile spettacolo.
Si era vendicata, ma le cicatrici sarebbero rimaste, così come gli incubi e i ricordi. Si era vendicata, ma nessuno, in quella sala, sembrava ricordare che lei era stata vittima delle sue crudeltà e Jon Snow, il bastard che aveva sempre intimamente agognato più di quanto gli sarebbe mai spettato, non si oppose, quando lo acclamarono Re, non alzò la voce per ricordare che c'era un'erede legittima, con sangue Stark nelle vene, non ricordò che oltre al Nord portava la Valle e la Terra dei Fiumi, non disse che se avevano combattuto era stato per merito suo, che se avevano vinto era stato grazie alle sue trame.
Rimase zitto e lo stesso fece lei, disegnando un sorriso gentile sul viso stanco, fin troppo consapevole di Ditocorto che studiava ogni sua mossa.

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Capitolo 22
*** XXI atto ***


XXI atto

Era uno sciocco, Euron Greyjoy, che credeva di riuscire a trovare qualcosa di talmente raro e prezioso da sopperire alle sue mancanze, qualcosa di degno di una Regina e di una Leonessa, e lo era ancora di più per credere di potersi conquistare il suo favore con battutine e allusioni alle voci disgustose che circolavano da anni.
Cersei avrebbe voluto non avere bisogno di lui e della sua flotta, ma rimanevano solo lei e Jaime in una posizione scomoda attorniati da nemici.
I Lupi avevano riconquistato la loro tana e il Nord aveva osato dichiarare Re un bastardo. - Si sono condannati da soli-, aveva detto a Jaime quando lo aveva saputo. Nessun accenno a Sansa Stark, sopravvissuta anche al secondo matrimonio, costretta a sedere attraverso l'umiliazione di vedersi preferire un figlio illegittimo.
Chissà cosa penserebbe Ned Stark, si era detta, povero onorevole sciocco che aveva lasciato i suoi figli disarmati davanti alla vita.
-Non è così che sarebbe dovuta andare. Non è così che avresti dovuto imparare -, ma non era così che imparavano tutte? In ogni parte del mondo fanno del male alle bambine, aveva detto tempo prima a Oberyn Martell e non lo aveva forse imparato lei stessa sulla sua pelle, non le era forse stato profetizzato? D'oro i loro sudari, aveva riso la megera e già allora Cersei aveva sentito il cuore pesante nel petto. Jaime non aveva fatto domande, da quando era tornato con il cadavere di Myrcella non aveva più parlato di Sansa o Tyrion e lei gliene era grata in maniera indicibile. La Fortezza Rossa era grande, troppo avesse dovuto starvici da sola. Dalla finestra osservò il corvo che volava e sorrise, immaginando la reazione della giovane Lady Stark.

Eurun Greyjoy tornò, effettivamente, con un dono interessante. Cersei sorrise crudele quando il suo sguardo si posò su Ellaria Sand e la figlia prediletta. Aveva una magnifica idea su cosa fare di loro. Una figlia per una figlia, pensò mentre la gravità della situazione, finalmente, metteva radici in quell'assassina. Peccato solo non poter stare ad assistere mentre la ragazzina moriva.

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Capitolo 23
*** XXII atto ***


XXII atto

L'arrivo dei soldati dalla Valle comportò essere messi a conoscenza degli ultimi eventi accaduti al Sud, dalla presa di potere dell'Alto Passero, ai processi di entrambe le Regine, passando per l'umiliazione di Cersei Lannister e la sua vendetta e terminando con i funerali degli tulmi figli rimasti.
Sansa desiderò avere una stanza in cui piangere. Erano morti: erano bambini ed erano morti!
Una volta si sarebbe chiesta perché è avrebbe supplicato gli Dei, ma ormai sapeva che le cose accadevano perché il mondo era ingiusto e gli Dei inclementi e tutto era regolato dal gioco.
Raddrizzò la schiena, chiuse gli occhi e si preparò all'inevitabile discussione con Jon, intenzionato a partire per Roccia del Drago. Se gli fosse capitato qualcosa, Sansa non se lo sarebbe mai perdonato. Lei gli aveva detto che di Tyrion poteva fidarsi, che l'aveva trattata bene, ed era vero, ma il tempo cambia tutto, anche le persone.
I Lord erano del suo stesso parere, ma a nulla servirono le loro sollecitazioni, perché Jon Snow era figlio di suo padre e un Guardiano della Notte, prima ancora di essere Re. Non aveva nemmeno una corona da indossare.
-Stai attento, ti prego-, perché di Daenerys Targaryen si diceva fosse bella e volatile come il suo fuoco.
-Anche tu- e cosa avrebbe potuto colpirla, Jon non glielo disse, ma probabilmente pensava al Re della Notte e a Cersei Lannister. Sansa aveva gettato la sua lettera, l'ordine di inginocchiarsi o essere puniti come traditori e non poteva negare che l'avevano ferita, quelle parole, tanto quanto l'avevano confusa quelle di Jon.
Sembra quasi che l'ammiri, e avrebbe voluto ridere e correggerlo perché non  era che l'ammirava, era che l'amava.
Jon le sfiorò la fronte con un bacio e Sansa trasalí e chiuse gli occhi spaurita.
-Mi dispiace. Perdonami, non ho pensato-
-Non importa. Non è colpa tua-.

Poco dopo la partenza di Jon, tornarono Bran e Arya. Solo che non erano Bran e Arya, erano ombre e versioni distorte, perse e irraggiungibili, e certi giorni non sapeva chi odiasse si più, se il fratello a metà tra umano e divino o la sorella che la guardava con tanta arroganza, che aveva usato contro di lei una lettera ottenuta con coercizione e menzogne. Le raccontò della sua lista, Arya, di come quasi tutti i nomi fossero spuntati e nessuno da lei, di come la recitasse quando non riusciva a dormire e Sansa ricordò l'incubo di quando era bambina, con Robb e Vento Grigio e le teste dei Lannister sulle picche.
Avrebbe ucciso anche lei, Arya, se avesse saputo cosa era successo tra lei e Cersei Lannister?
Per un momento, uno terribile, fu sicura di sì.
Poi qualcosa cambiò e fu colpa e merito di Petyr, troppo arrogante e sicuro del potere che esercitava su di lei, delle sue trame e dei suoi tranelli. Le mise nell'orecchio dubbi fondati, perché Jon s'era inginocchiato e la Regina dei Draghi era bella, ma il caro Ditocorto non aveva più alcuna utilità.
Fu liberatorio ergersi a giudice e giuria, elencare i crimini perpetrati contro la sua famiglia. Fu soddisfacente vederlo implorare e che fine patetica per un uomo del suo calibro, in ginocchio a supplicare la figlia sperando di trovare il fantasma della madre.
Il sangue colorò la pietra di Grande Inverno e Sansa desiderò così tanto ricordare ai presenti che non era la prima volta, che le sue lenzuola erano bagnate di rosso ogni mattina e sulla sua pelle i tagli non s'erano ancora del tutto cicatrizzati.

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Capitolo 24
*** XXIII atto ***


XXIII atto

Daenerys Targaryen era poco più che una bambina, pensò Cersei, vedendola.
Una bambina con due Draghi, però. Una bambina che aveva attraversato il mare insieme ai Dotraki.
Una bambina più giovane e più bella.
Una Regina più giovane e più bella che voleva il suo trono e la sua corona.
Forse si era davvero sbagliata. Forse la profezia non aveva mai riguardato Sansa. Quanto sarebbe stato meglio, però, se lo avesse fatto.
Questi i pensieri che affollarono la mente di Cersei a Fossa del Drago, mentre Jon Snow, il bastardo dell'onorevole Ned Stark, parlava di mostri e della necessità di unirsi. Parlava bene, il ragazzino, peccato che fosse ipocrita, che fosse il primo a non voler rinunciare a schierarsi.
Che peccato che la dolce Sansa non avesse accettato il suo invito! Si sarebbe divertita e si sarebbe sentita umiliata.
Non aveva più pensato molto a lei, nei mesi precedenti, ma adesso tornava prepotente, chiusa in quella stanza a vedere chi sarebbe stato il prossimo sciocco mandato a farle cambiare idea.
Non si aspettava Tyrion, anche se, effettivamente, era la scelta più logica. O la più stupida. Poteva, ad ogni modo, sfruttarla a suo vantaggio.
Sorrise, Cersei, sorseggiando il vino.
Promise, Cersei, e nessuno, nemmeno Jaime, vide lo scintillio nei suoi occhi.
Quella megera non avrebbe vinto. Nessuna Regina le avrebbe portato via nulla.

-Abbiamo fatto una promessa- protestò Jaime e Cersei sapeva di doverselo aspettare, perché il suo gemello era leale e sciocco e onorevole, nonostante le chiacchiere della gente.
Quindi sì, non la sorpresero le proteste di Jaime, ma quando le trasformò in atti, quando la lasciò sola per andare da tutti coloro che li odiavano, allora si sorprese, allora ebbe paura.
Perché sembrava essere completamente disgustato da lei, la guardava come, era sicura, una volta aveva guardato il Re Folle, e Cersei si chiese se l'avrebbe uccisa, se, data l'occasione, avrebbe seguito il cuore o la coscienza.
La neve iniziava a cadere quando Jaime Lannister raggiunse Grande Inverno, nella mente lo sguardo furioso di Cersei, nelle orecchie tutte le sue menzogne.

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Capitolo 25
*** XXIV atto ***


XXIV atto

Il Nord era freddo e inospitale, sia verso la Regina straniera, sia verso il Re che l'aveva tradito e, in mezzo allo scontento e al sospetto, a preservare gli equilibri e giocare con cautela, c'era Sansa, bella e fredda e così stanca di dover sempre subire conseguenze di azioni che non aveva compiuto. Tutti pretendevano qualcosa e tutti andavano da lei: Arya e i suoi sogni spezzati, perché Jon non era più il ragazzo della sua infanzia, Jon stesso, capace di ripetere il solito ritornello, e Tyrion, che tesseva le lodi della sua Regina, ma mentre lo faceva non era capace di sostenere lo sguardo di nessuno.
Era al centro di troppi intrighi e troppe guerre, Sansa, e stava ancora piangendo Tommen e Myrcella e Rickon, stava ancora curando le ferite di cui tutti si erano dimenticati. Era al centro di tutto e voleva solo che tutto avesse fine.
Invece era la Lady di Grande Inverno, che doveva nutrire e vestire armate di barbari con le provviste destinate alla sua gente.
Invece era seduta nel posto che sarebbe spettato a suo fratello a fare da giuria a Jaime Lannister e placare gli animi.
Che cosa pensava, lo Sterminatore di Re, che i suoi crimini sarebbero stati dimenticati e di espiare in pace le sue colpe morendo in battaglia?
Davvero persino Tyrion era stato tanto stupido da credere alle promesse di Cersei?
Come erano caduti in basso, i Lannister, una volta sulla vetta del mondo, vestiti di oro e di sangue.
Come erano soli, adesso, Leoni divisi senza un branco.
Jaime Lannister sembrava il più sperduto di tutti e Sansa sentì una mano ghiacciata stringerle le viscere quando, mentre Brienne parlava, lo vide incrociare lo sguardo di tutti coloro che lo volevano morto per un motivo o per l'altro. Erano di smeraldo, gli occhi dei Lannister, e da bambina li aveva immaginati sulle picche accanto alla testa di suo padre e poi se ne era innamorata. Erano di smeraldo e erano così stanchi e così vecchi e così pieni di rimorsi e di speranza.
Erano gli occhi di Cersei. Per un momento furono gli occhi di Cersei e Sansa strinse i braccioli della sedia, immobile e impassibile mentre Jaime Lannister perorava la sua causa e Daenerys Targaryen raccontava la sua storia.
-Le cose che facciamo per amore - disse Bran e fu lui a segnare il destino dello Sterminatore di Re.

-Ti ho odiata per tanto tempo, Lady Stark-.
Era davvero incosciente e ingrato, Jaime Lannister, per rivolgersi così alla donna che aveva appena difeso la sua vita davanti alla Madre dei Draghi.
Ma, dopotutto, incosciente e arrogante lo era sempre stato, e Sansa doveva ammettere di non ricordare molto di lui dal suo periodo alla Fortezza Rossa.
-La tua fuga l'ha distrutta-
-Ha assoldato mercenari e uomini di ogni genere per trovarmi e portarmi da lei-
-Viva, mia signora. Tyrion lo avrebbe accettato anche morto. Ti aveva invitata anche a Fossa del Drago, se non erro-
-Sì-
-Mi sono sempre chiesto perché-
-Perché cosa? -
-Perché viva. L'ho chiesto anche lei. Le ho chiesto quali fossero i suoi progetti per te. Non ne aveva-
-Perdona se fatico a crederti, Ser Jaime-
-È la verità. Non ne aveva. Non mi ha risposto. Forse una parte di lei sperava che le cose potessero tornare come prima. Forse esiste ancora, quella parte di lei-
-Che cosa intendi? -
-Non è più la don a che ricordi, Lady Stark-
-Nemmeno io lo sono-, ma Jaime scosse la testa.
-Prima hai parlato al passato. Hai detto di avermi odiata. Ora non più? -
-No, Lady Stark-
-Perché? -
-Perché non sei capace di mentire-.
Sansa non capì il significato di quella risposta e prima che potesse chiederlo, Brienne si avvicinò loro.

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Capitolo 26
*** XXV atto ***


XXV atto

A Grande Inverno la tensione era palpabile, accresciuta dall'odio e dallo sconcerto e aggravata dalla sfiducia.
Nessuno si fidava realmente di nessuno e tutti giocavano a fingere, per il bene proprio e per la speranza di vincere una battaglia contro la Morte stessa. Cosa sarebbe accaduto dopo, era argomento di speculazioni e sussurri a mezza bocca, mai di conversazioni alla luce del sole.
I draghi che oscuravano il cielo erano promemoria terribile non solo della storia passata, ma del pericolo sempre presente. Daenerys non era voluta, ma non per questo andava provocata, e Sansa si chiese se ci fosse anche il suo nome sulla lista di Arya, se sua sorella sognasse di pugnalare anche lei, di staccarle la testa dal corpo con un gesto preciso della mano. La immaginava su una picca, Sansa, cotta dal sole di Approdo del Re o bianca della neve del Nord, banchetto di vermi e mosche, come era accaduto con suo padre e la sua septa. A volte li sognava ancora. A volte sognava Rickon e Robb e sua madre. A volte sognava sua zia e Petyr. A volte, le notti buone che facevano sempre più male, sognava Tommen e Myrcella, allegri e bambini, e Cersei, bella e pericolosa.
Al mattino, seduta al tavolo più alto, circondata da amici e nemici e incognite, cercava Jaime Lannister. Lo trovava sempre accanto a Brienne, il capo abbassato e la schiena dritta, uno strano miscuglio di orgoglio e vergogna. Voleva i suoi occhi, Sansa, e lui glieli concedeva. Voleva Cersei e la parvenza di una sicurezza e lui faceva il possibile per dargliela. Non mancava mai di ringraziarlo e di odiarsi: Petyr l'aveva voluta perché somigliava a sua madre, perché era un mezzo che somigliava a un vecchio sogno. L'aveva usata e umiliata e lei, da ipocrita, faceva lo stesso.
Bran la guardava, sempre, il suo sguardo vacuo improvvisamente attento, pieno di segreti e verità crudeli.

-Che cosa stai facendo? - chiese Arya una sera in cui erano solo loro. Sansa la guardò stanca e spostò gli occhi a Bran, apparentemente assente e perso nel fuoco. Almeno aveva avuto la decenza di attendere che Jon uscisse prima di interrogarla. Sfortunatamente non aveva capito che a tutto c'era un limite, compresa la sua pazienza.
-Dovrai essere più chiara. Temo di non seguirti-
-Con Jaime Lannister. Hai fatto bene a non cedere con Daenerys, a tenerlo in vita, ma vi ho visti parlare. Quindi, ti chiedo, a che gioco stai giocando- e che tono usava, la sua sorellina, proprio quando Sansa era convinta avessero superato i sospetti e l'antipatia dell'infanzia.
-Sì, è vero. Ho parlato con Jaime Lannister-
-Di cosa?-.
Sansa assottigliò gli occhi, ma non perse la calma. - La morte di Tommen e Myrcella Baratheon. Non che questo ti riguardi, sorella- aggiunse con più freddezza del necessario.
Notò che Arya non sembrava soddisfatta da quella risposta e si alzò per andare a dormire. Non aveva le forze necessarie a sostenere una conversazione di quel genere. Non le avrebbe avute per molto tempo.
-Dove vai? -
-A dormire. Sono molto stanca-.
Bran si destò dal suo torpore e le fissò addosso quei suoi occhi troppo vecchi e troppo vuoti.
-Buonanotte, colombella-.
Sansa si fece pallida e si voltò a guardarlo, la bocca schiusa in un gesto di stupore e le mani poggiate allo stipite della porta.
-Non osare- sibilò. - Non osare mai più-.

Quella notte, come tutte le altre, non dormì. La luna faceva scintillare la neve e lei la immaginò sporcata dalle sagome dei Morti venuti a ucciderli tutti.
Strinse le coperte e ingoiò un urlo di frustrazione. Non era così che doveva andare, anche se come doveva andare se lo era dimenticato da tempo. Ne erano esistite varie versioni, nel corso della sua lunga prigionia. Quella di adesso voleva il sole e la luce e insieme tutte le persone che amava. Voleva la pace, niente fuoco e niente draghi e niente guerre e niente odio. Voleva il futuro e non il passato.
Voleva tanto, Sansa, l'aveva sempre fatto. A volte voleva troppo.

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Capitolo 27
*** XXVI ***


XXVI atto

Aveva evitato tutti, i suoi fratelli, Daenerys e Jaime Lannister. Si era chiusa nello studio che era stato di suo padre, la scrivania ingombra di fogli e il cuore pesante.
Arya aveva cercato più volte di avvicinarla e Bran la fissava con insistenza ogni volta fossero insieme in una stanza.
Alla fine, era stato Jon a intervenire, forse perché aveva notato qualcosa, più probabilmente, pensò Sansa amareggiata e realista, perché la sua Regina glielo aveva ordinato. Aveva provato ad avvicinarla con dolcezza, trattandola come un animale pericoloso e impaurito, e Sansa aveva smorzato sul nascere quella recita.
Lui, per tutta risposta, l'aveva apostrofata dicendole di vederla stanca e di essere solo preoccupato per lei.
-Se fosse vero, non saresti qui. Se fosse vero, penseresti prima di agire- non era mai stata così aspra, ma non era disposta a farsi rimbeccare da uomini che si credevano tanto superiori solo perché, appunto, uomini.
-Ti sei inginocchiato perché era meglio per il Nord o perché la ami? -, l'espressione sconvolta sul suo volto, il suo silenzio, troppo lungo per pensare che non servisse a trovare una bugia mascherata da giustificazione, furono una vittoria sufficiente.
Una vittoria breve, però, durata il tempo di ascoltare Bran e le sue visioni, del Re della Notte che avanzava, inarrestabile e instancabile, e le proposte e le idee che venivano da tutte le parti.
-Lady Stark, ti senti bene?-
-Certo, Ser Jaime-
-Sei una pessima bugiarda-, le rispose e la guardò dritto negli occhi e Sansa sentì le lacrime cadere nonostante il suo volere. Annegò nei suoi occhi, pochi, preziosi secondi, in cui si concesse di dimenticare tutto.
-Grazie, Ser Jaime-, e si odiò per usarlo, anche se lui glielo lasciava fare con un sorriso sulle labbra.

-Infilzali con la punta-, le disse Arya sui bastioni di Grande Inverno la notte tanto attesa. L'aria era pregna di terrore e adrenalina e Sansa, chiusa nelle cripte, insieme ai deboli e agli indifesi non poté fare a meno di tremare.
Era la Battaglia delle Acque Nere un'altra volta, anzi, era peggio, perché all'epoca c'era speranza, perché c'era la certezza che lei, almeno, ne sarebbe uscita viva, perché c'era Cersei e c'era Tommen e c'era Shae.
Il blaterare di Tyrion la riportò alla realtà e le risultò insopportabile, le ricordò la sorella, e le diede la nausea. Rivedere l'amante nel marito, come era caduta in basso!
-Saremmo dovuti rimanere sposati-
-Non avrebbe mai funzionato-.
Perché c'era Daenerys. Perché ci sarebbe comunque stata Cersei. Perché il loro era un matrimonio di facciata e, per quanto egoista fosse, lo rivoleva, certo, perché era conveniente per tutti, per lui, che aveva obbedito al padre e teneva Shae accanto a sé, per lei, che aveva Cersei ed era libera dalle torture di Joffrey, se non dalle sue umiliazioni. Dei, quanto infantile e stupida poteva ancora essere?
Poi i morti risorsero e lei si trovò circondata dai fantasmi dei suoi antenati e pensò che sarebbe stata la fine e poi Tyrion le stava prendendo la mano e Sansa pensò che se doveva morire lo avrebbe fatto da Stark, che aveva già riconquistato la sua casa e non l'avrebbe persa un'altra volta.

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Capitolo 28
*** XXVII atto ***


XXVII atto

E dopo la battaglia, vinta, ma a quale costo, ci furono tante di quelle cose, tanti di quei pensieri, perché la vita di Jon era costruita su una bugia, e se Arya diceva che non cambiava nulla, Sansa sapeva che cambiava tutto.
-Lady Sansa-
-Ser Jaime-.
Era notte e l'aria era fredda e la neve era scura per la cenere e le pire bruciate e Sansa stava ancora giocando a sognare che la vita fosse diversa.
-Non volevo andarmene, Ser Jaime. Ditocorto mi ha portata via e poi... Non volevo. Volevo tornare. Quando Brienne mi ha chiesto dove volevo andare, ho pensato alla Fortezza Rossa. Ho pensato a Cersei e Myrcella e Tommen e i suoi gattini. Invece erano morti. La amo davvero, Ser Jaime-
-Lo so, Lady Sansa, perché se non l'avessi fatto ti avrei uccisa con le mie mani-.
Qualche giorno dopo, quando il mondo stava per crollare in una nuvola di fuoco, Sansa gli disse che era un vero peccato non poter assistere alla morte della Regina.
Quella notte Jaime Lannister sparì e Brienne, il mattino dopo, aveva gli occhi rossi di pianto, ma Sansa non fu capace di provare colpa e quando seppe che erano morti, che Daenerys era finalmente impazzita, che nulla, ad Approdo del Re, si era salvato, pianse tutta la notte, singhiozzi che si levarono alti per i corridoi di Grande Inverno, simili ai lamenti di un animale ferito.

Bran venne da lei poco prima di doversi dirigere a Sud, a una città di macerie e fantasmi. Jon era in prigione, disse, il sangue dei Targaryen sulle sue mani.
Brienne era silenziosa e pallida e Sansa le posò una mano sul braccio e strinse forte fino a sentire l'armatura tagliarle il palmo.
Pensò al sangue versato, alle lenzuola del suo talamo nuziale, alla neve che aveva bevuto ciò che restava della vita di uomini forti e valorosi. Pensò al sangue di Tommen che doveva aver imbrattato il suolo su cui si era schiantato e a quello di Myrcella che le aveva coperto il viso colando sul vestito rosa pallido. Pensò al fiotto rosso uscito dal collo di suo padre quando la sua testa era rotolata sui gradini del tempio e allo squarcio sulla gola di sua madre, alla punta sporca delle frecce che avevano ucciso Rickon. Pensò ai Lannister che di rosso si vestivano, rosso carminio e rosso sangue e rosso vino, ai lividi sul corpo di Cersei, alle prime rughe che iniziavano a spuntare. Penso alle sue carezze, ai suoi baci e ai suoi segreti, alle confessioni che le aveva concesso. Pensò che non le aveva mai detto d'amarla.

Volevano la testa di Jon e di Tyrion, traditori - di chi non si capiva bene, tanto mutevole era il gioco - e assassini. Volevano un nuovo inizio, ora che il trono era stato sciolto dal respiro del Drago. Volevano un nuovo Re e, seduta in mezzo a tutti loro, pronta a perorare la sua causa, Sansa ricordò Jon accasciato nella sua cella. L'aveva amata davvero, la sua Regina e quanti erano morti per questo, per la sua cieca fiducia.
S'era alzato in piedi appena l'aveva vista, aveva giunto le mani e aveva pianto e Sansa l'aveva preso tra le braccia e l'aveva consolato quando avrebbe voluto urlare.
Approdo del Re bruciava ancora, la cenere non si era ancora posata del tutto e già si cercava di cancellare il passato.
-Il Nord reclama la sua indipendenza- disse, voce dura e occhi di ghiaccio, e Bran non poteva negarglielo, perché dopo tutto quello che aveva permesso le facessero glielo doveva.

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


Epilogo

-E poi? Cosa succede, poi?-
-Nulla-
-Non può finire così!- protesta la bambina con gli occhi di Margaery -Non c'è il lieto fine-
-Raramente c'è il lieto fine-
-È ingiusto, però-
-Non ho detto il contrario-
-È triste-
-Non così tanto. Sono state felici, si sono amate-
-Ma una è morta e l'altra è sola-
-È l'inizio di una nuova storia- e a questo la bambina non ribatte, annuisce imbronciata e dondola le gambe sulla poltrona. Hanno acceso un fuoco, a un certo punto, che scoppietta ancora nel camino e le fiamme giocano con le ombre e la neve che cade, placida, fuori dalla finestra.
È ancora notte, ma a loro sembrano passati anni. È ancora notte ed è tutto irreale. Sansa contempla l'idea di chiedere il nome alla sua giovane ascoltatrice, ma la abbandona subito: non è saggio rendere tangibili i segreti, dare realtà a un tempo come questo.
Certe cose sono fatte per restare vaghe, storie e ricordi da ritrovare in sogno. Certe cose devono finire come sono iniziate, senza dilungarsi troppo e senza togliere la magia. -Coraggio- la esorta - è ora che tu vada a riposare. Domani è un grande giorno-.
Domani inizia la nuova storia, domani una Regina siederà sul trono del Nord. Sansa sorride, pregusta il peso della corona e stringe le mani giunte in grembo. Oggi è una fine, abbandona la bambina che è stata e, insieme a lei, abbandona Cersei e se la dipinge, per l'ultima volta, bella e radiosa e felice e vestita di rosso e di oro.
Solo un'ultima volta. Solo un'ultima notte.

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