Senza peso, senza fiato

di Rosmary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apnea ***
Capitolo 2: *** Sospesi ***
Capitolo 3: *** Infinito ***
Capitolo 4: *** Tra granelli di sabbia ***
Capitolo 5: *** Vuoti pieni ***
Capitolo 6: *** Foschia ***
Capitolo 7: *** Siete riva di un fiume in piena ***
Capitolo 8: *** Without you (never) ***
Capitolo 9: *** Senza fiato ***
Capitolo 10: *** Abbattendo i vuoti ***
Capitolo 11: *** Sei onde, sono riva ***
Capitolo 12: *** Siamo, e lo sai ***
Capitolo 13: *** Tremori ***
Capitolo 14: *** Irripetibile ***
Capitolo 15: *** Senza più dighe ***
Capitolo 16: *** Un giorno qualunque ***



Capitolo 1
*** Apnea ***


I personaggi presenti in questa raccolta sono proprietà di J.K. Rowling.
Le caratterizzazioni dei protagonisti e la loro dinamica sono di mia invenzione.
Tutte le storie presenti in questa raccolta sono state scritte senza alcuno scopo di lucro.

 

A Fede

 
Apnea
 
 
Un passo – tensione.
Due passi – eccitazione.
Tre passi – lui.
 
Ride sulle tue labbra, le morde bacia invade – conquistatore di terre perdute –, e lo stringi e divori e artigli per impedirgli di allontanarsi – terra perduta di un solo conquistatore.
Ingabbieresti il tempo in questo istante se solo la tua magia fosse in grado di farlo. Non esiste mondo al di fuori di James, l’hai compreso tra tremiti di rifiuto e terrore, tra consapevolezze che avevano il sapore di altro senza nome.
Eppure ogni cosa ha un nome – persino altro, e si chiama James.
 
«Rosie» – sussurro.
«James» – ansimo.
«Ti amo» – respiro.
 
Uno solo,
il vostro,
insieme.
 
 
Senza peso e senza fiato, non son riva senza te”
 
 
 



 
Note dell’autrice: prima o poi avrei dovuto dedicare una raccolta anche ai miei James e Rose, che sono un po’ quelli di Pezzi in decadenza e un po’ quelli di Paradiso perduto – sono i miei, insomma, quelli dove lei fugge e lui insiste, dove lei torna e lui c’è, dove quando è lui a fuggire è lei a rincorrerlo.
Il titolo della raccolta e la frase che chiude questa drabble (“Senza peso e senza fiato, non son riva senza te”) sono tratte dalla canzone Senza fiato dei Negramaro, ascoltata su suggerimento di Lisbeth Salander che l’ha associata ai miei James/Rose, e che ad oggi considero ormai la loro canzone.
Al pari degli Stralci questa raccolta è composta da racconti scritti di getto, addirittura con carta e penna, aggiornata di tanto in tanto.
Grazie a chiunque vorrà dedicarle del tempo.

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Capitolo 2
*** Sospesi ***


 
Sospesi
 
 
Avevo il silenzio dentro
ed era un suono strano
– incessante.
 
Avevo il silenzio dentro
ed era un rumore strano
– insopportabile.
 
Avevo il silenzio dentro
e non c’era nulla che potessi sentire
– sorda.
 
(a tutto)
 
Non avevo che il silenzio intorno
e vi annegavo ogni giorno di più
– sola.
 
Non avevo che il silenzio intorno
e vi annegavo ogni minuto di più
– apatica.
 
Non avevo che il silenzio intorno
e le mura di casa erano creta
– sgretolata.
 
(sempre)
 
C’era una luce in fondo alla stanza
o forse era la mia anima?
– arresa.
 
C’era una luce in fondo alla stanza
aveva gli occhi blu dei demoni della notte
– brillano, brillano vivi.
 
(ancora)
 
 
James?
«Rose»
Sei tornato?
«Rose»
 
 
Avevo il silenzio dentro
e intorno
e una luce in fondo alla stanza
– dove gli occhi non svanivano.
 
 
«Non sono un demone»
Lo so.
«Sei tornata?»
Non sono mai andata.
 
 
 
 


 
Note dell’autrice: questa sorta di poesia (o, per meglio dire, tentativo a metà tra la prosa e la poesia) risale a mesi fa, ma lo pubblico solo ora. Trae ispirazione dal pacchetto che Lisbeth Salander mi ha proposto in occasione di Scrivimi (attività del gruppo fb Caffè e calderotti), ossia: Personaggi (obbligatori): James/Rose; Prompt: “Nella mia testa | c’è sempre stata una stanza vuota per te | quante volte ci ho portato dei fiori | quante volte l’ho difesa dai mostri | Adesso ci abito io | e i mostri sono entrati con me” (da Cento poesie d’amore a LadyHawke); Genere: Angst.
Grazie a chiunque vorrà dedicarle del tempo.

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Capitolo 3
*** Infinito ***


Infinito
 
 
Siamo fatti di sguardi
io e te
– nascosti
 
Sono fatti di noi
gli sguardi
– perduti
 
E sogni e incubi
in notti agitate
 
(sempre)
 
Siamo fatti di fughe
io e te
– ripetute
 
Sono fatte di noi
le fughe
– vane
 
E rincorse e affanni
in giornate sudate
 
(sempre)
 
Siamo fatti di noi
io e te
– uniti
 
È fatto di me e te
noi
– eterno
 
E morse e baci
in ore infinite
 
Siamo fatti di sempre
e sempre è fatto di me e te
 
(non fuggire)
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: anche in questo caso si tratta di un tentativo a metà tra la prosa e la poesia, questa volta (come spero si evinca) dal punto di vista di James. Non mi dilungo, ma ne approfitto per augurarvi un buon anno nuovo!
Grazie a chiunque vorrà dedicare del tempo a queste righe.

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Capitolo 4
*** Tra granelli di sabbia ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici della longfic.


 


Tra granelli di sabbia
 
 
Agosto 2022
 
Esistono momenti in cui isolarsi, correre via da tutto e tutti, è un’esigenza che bussa sottopelle e insiste insiste insiste sino a quando non le viene prestato orecchio.
James l’ha sentita bussare non appena è stata emessa la sentenza – espulso – e ha ricacciato indietro il venefico senso di colpa originatosi a sua insaputa, pronto a divorarlo se non scacciato in tempo.
Tuttavia l’ha ignorata per giorni, sino a quando le labbra di Rose non gli hanno sussurrato «ti porto via» abbattendo ogni resistenza.
Non hanno salutato nessuno, sono fuggiti lasciandosi alle spalle poche righe per avvisare che avrebbero trascorso la giornata fuori – lontani.
Scegliere di guidare la motocicletta incantata sino a una spiaggia solitaria della costa occidentale non è stato un desiderio, ma espressione di quell’esigenza che li ha indotti a chiudere il mondo fuori da loro – solo per poco.
Sono atterrati col sole ancora alto nel cielo, i pneumatici a graffiare i granelli di sabbia e Rose a saltar giù prima che James riuscisse a spegnere il motore.
A lui è stato sufficiente vederla correre scalza verso il mare, le braccia divaricate pronte ad abbracciare il vento, per avvertire i macigni abbandonarlo e la leggerezza farsi avanti – s’è lanciato al suo inseguimento senza indugi ed è correndo che s’è sbarazzato di scarpe e indumenti.
Riesce ad acciuffarla solo quando i piedi di entrambi sono già a contatto con l’acqua salata e i raggi del sole non riescono a vincere i piccoli brividi di freddo che li sorprendono.
Rose abbandona la schiena sul petto di James e la nuca sulla spalla, orientando gli occhi chiari al suo viso mentre le labbra gli solleticano il mento – e sorride nel vederlo sorridere, carezzarle le braccia già bagnate e poi stringere all’altezza dei gomiti per impedirle di allontanarsi.
“Ti sei già messo nudo?”
“Ho il costume.”
“No che non hai il costume, quelli sono boxer.”
James ghigna e si cala a sfiorarle il collo teso con le labbra, attento a non schiuderle né a lasciarsi sfuggire quegli impulsi che alle volte gli suggeriscono di oltrepassare ulteriori confini, perché tra loro due è concesso, naturale, senza malizia.
“Ultimamente ti imbarazzi un po’ troppo,” riprende. “Non è che hai anche tu una cotta per me?!”
Anche,” nota seccata. “E chi sarebbero le altre?”
“Mezza Hogwarts,” ironizza. “L’altra metà la lascio agli altri.”
Rose gli afferra d’istinto i capelli per obbligarlo a riportare il viso a un palmo dal proprio e gli morde la guancia prima ancora che James possa capire che intenzioni abbia.
E mentre lui ride, lei replica il gesto, affondando i denti un po’ di più per il solo gusto di fargli sfuggire un gemito e indurlo a divincolarsi e cercare rifugio sott’acqua.
È lei a ridere quando lo vede riemergere tutto bagnato, una mano a tirare via i capelli dalla fronte e l’altra a indirizzare schizzi salati verso di lei, che ancora asciutta per metà si ritrova a zompettare sino a lui con l’aria di chi vorrebbe bagnarsi ma non troppo.
“Dovresti toglierti questa roba, ti appesantisce,” dice James non appena Rose s’avvinghia a lui – le braccia allacciate al collo e le gambe ai fianchi. “E mi dà fastidio.”
“Non ho il costume.”
“E capirai, già ti ho vista mezza nuda.”
Rose strofina il naso sul suo collo e James non capisce se sia quel gesto o siano quei pochi indumenti a infondergli uno strano disagio che s’appiccica alla pelle assieme alla salsedine e lo induce a non stringerla subito, come se la frizione tra il cotone e il proprio corpo possa essere rovente – e bruciare.
Eppure scaccia tutto, come gli accade di frequente negli ultimi tempi, e chiude le braccia attorno a lei mentre si cala un altro po’ in acqua, costringendo entrambi a immergersi sino al collo e lei a sollevare di scatto la testa e poggiare la fronte contro la sua.
Attorno a loro solo l’eco delle onde che carezzano la riva, in lontananza il suono di gabbiani sereni, il sole che freme per annegare nel mare – è una serenità insperata che li culla per dei minuti che svelti si tramutano in ore.
E non sanno come si ritrovano a rincorrersi ai piedi del mare, lì dove la sabbia è umida e un po’ s’appiccica ai piedi e un po’ scivola via.
Rose ride mentre si volta a guardarlo per incitarlo a raggiungerla, James sogghigna tra sé e sé prima di portarsi avanti con uno scatto repentino che frana contro la schiena di lei, gambe tra gambe e mani che corrono a stringerle i fianchi per impedire a entrambi di cascare.
Raggiungono la motocicletta ferma nella sabbia mano nella mano, i raggi ormai offuscati dalla sera e una leggera brezza a farli rabbrividire – James si infila i jeans senza neanche asciugarsi, mentre Rose infila la sua maglia sulla propria zuppa in cerca di calore.
“Ti asciugo i vestiti?”
Lei scuote il capo e si sdraia supina sulla sabbia, infischiandosene dei granelli che assaltano pelle, pantaloncini, capelli – anzi lascia che il proprio corpo s’imprima in quel manto morbido e sorride quando James la imita, sdraiandosi così vicino da sfiorarle il braccio con il proprio.
“Va meglio?”
Lui si apre in un sorriso a questa domanda e si volta per incrociarne gli occhi chiari impegnati a sondargli il viso. Le sposta allora qualche ciocca ribelle e delicato percorre i contorni del suo volto con le dita, calandosi un istante dopo a baciarle la punta del naso, che s’arriccia solleticata come ogni volta inducendolo a ridacchiare.
Rose ingoia a vuoto senza un perché – la vicinanza di James ha sempre un sapore particolare, sa di buono e al tempo stesso di tensione, e lei a volte fatica a capire le proprie sensazioni. Affonda la mano nei suoi rovi neri d’istinto quando lo vede sistemarsi sul fianco pur di protendersi verso di lei, e gli bacia la guancia e il mento e sfiora appena il collo prima di ritrarsi e sbirciare quelle iridi blu concentrate su di lei.
“Sai di mare.”
“So di mare?”
Lei annuisce e lui sogghigna, acciuffandole il viso tra le dita per avvicinarlo alle proprie labbra e replicare i gesti di lei, ingoiando sprazzi di risa alle risate di Rose.
“Anche tu sai di mare,” conclude James. “Sei tutta salata.”
“A te piace il salato.”
“Lo preferisco a tutto, in effetti.”
Rose curva la bocca in un’espressione sghemba e James la imita incrociandone lo sguardo. L’attimo dopo sono entrambi di nuovo supini, con gli occhi rivolti al cielo che imbrunisce.
James cerca e trova svelto la mano di Rose, la stringe e la conduce sul proprio addome, mentre le altre dita ne carezzano il dorso.
“Ho avuto paura che espellessero anche te,” dice d’un tratto lei. “Sentivo mamma e papà parlare di espulsione e ho temuto il peggio.”
“Il peggio sarebbe stato Azkaban,” sospira lui. “È tutto così insensato, se tornassi indietro io...”
“Non fare quest’errore,” interviene svelta. “Non è stata colpa tua.”
“Ero lì, avrei potuto fermarli, avrei dovuto farlo.”
“Così avrebbero ferito anche te,” sbotta. “Louis deve essere impazzito in quel momento e ha fatto impazzire anche Lorcan, non avresti potuto fermarli senza farti male.”
“Magari non sarebbe successo niente di tutto questo se avessero ferito me.”
Rose gli graffia irata l’addome nudo e James sobbalza voltandosi a guardarla – non dovrebbe sorridere, eppure è ciò che fa quando la vede tesa al solo pensiero.
“Ho la pelle dura, Rosie.”
“Sei un cretino, certe cose non dovresti neanche pensarle. Quella è magia oscura, ma che ti dice la testa? La cosa migliore sarebbe stata non farli duellare, ma ormai è fatta.”
“Ora mi terrai il muso?”
“Sì.”
“Rosie.”
“Sei più imbecille di un Troll.”
James scoppia a ridere e ruba alcuni istanti per osservarla in quella posa tutta corrucciata, con le braccia conserte al petto – rotolare sul fianco una seconda volta, abbracciarla e baciarle più volte la guancia sono gesti istintivi, e sorride sulla sua pelle quando vede sorridere lei e sente di nuovo le sue mani tra i propri capelli.
“Facciamo sempre gli stessi discorsi,” mormora lui. “Hai ragione tu, ormai è fatta e io sono un Troll.”
“Un Troll bello, però,” scherza in risposta.
“Non sai solo di mare, sai anche di me,” dice improvviso, sfiorando la maglia troppo grande che Rose ha indossato. “E quindi sai di te.”
Lei scoppia a ridere e lui la segue a ruota, rimettendosi sdraiato.
“Lorcan non vuole dormire da me quando i suoi saranno a New York,” riprende lei. “A te cos’ha detto?”
“No,” risponde mesto. “Non vuole saperne, si sente una merda per colpa di Lysander.”
“Non capisco perché immolarsi.”
“Per fare il martire del cazzo,” sbotta James. “Come al solito, lui ha la verità in tasca e noi siamo gli stronzi.”
“Gli piace fare la morale,” concorda Rose. “Ma arrivare a farsi espellere...”
“È un coglione, avremmo potuto lasciarci questo schifo alle spalle, invece no. Siamo finiti anche sulla Gazzetta.
Rose tace di un silenzio consapevole che abbraccia anche James e lo spinge a rilassarsi, a dirsi che in fondo sono abituati, le luci e gli sguardi e il vociare li segue dal primo giorno di vita, ed entrambi sono ormai consapevoli che non riusciranno mai a scacciarli, perché la vita non è una spiaggia solitaria in cui svanire per aggirare i fardelli legati alle caviglie – di quelli pesanti, che tirano giù.
“Quest’anno potrà anche essere diverso, difficile,” riprende Rose, pensando ai pochi giorni che li separano da settembre, “ma non mi lascio intimidire.”
“Neanch’io,” s’accoda James. “E neanche Lorcan.”
Rose sorride e annuisce, avvicinandosi poi un po’ di più a lui per poggiare la guancia contro la sua spalla.
“Hai freddo?”
“No.”
“Hai la pelle d’oca,” insiste lei. “Ti restituisco la maglia?”
James, i brividi a fior di pelle e la certezza di non aver reagito al freddo, scuote il capo confuso, incapace di spiegare a lei e a se stesso le reazioni del proprio corpo non appena il respiro di Rose s’è fatto più vicino.
“È un modo per non ammettere che ti imbarazzi anche se sono nudo a metà?” scherza allora.
Rose alza gli occhi al cielo e gli morde dispettosa la spalla.
“Non mi imbarazzi per niente,” ribatte. “E poi chi ti dice che ho visto solo te mezzo nudo?”
James, pur cogliendo la nota provocatoria, assottiglia lo sguardo e irrigidisce la mascella – e lo stomaco si contrae in una strana morsa.
“Con Lorcan oltre al letto hai condiviso anche la doccia?” rilancia.
“Quando digerirai questa cosa?”
“Mai.”
Rose sospira, ma non riesce a guardarlo. Mentirgli è complicato, innaturale, ma ogni volta che soppesa la possibilità di confidargli quanto accaduto il respiro si mozza improvviso, il battito accelera e le dita tremano – non sa perché le accada, sa solo che sono sensazioni spiacevoli che desidera allontanare da sé.
“Anche tu hai dormito con altre ragazze.”
“Non è vero.”
Rose inarca le sopracciglia e si scosta un po’ per guardarlo bene in viso.
“Guarda che lo so, con chi vai a letto, anche se non me ne parli.”
È James ora a inarcare le sopracciglia, curvando le labbra in un ghigno.
“Ma non ci dormo,” sottolinea. “Dormire insieme è una cosa nostra.”
Lei non riesce a ribattere subito, colta da una sensazione di smarrimento che la induce a chiedersi quale tipo di discorso abbiano intavolato – è normale parlarsi così? Non lo sa, ma con James tutto è sempre stato normale, istintivo, naturale, una sintonia senza vincoli né confini, ma nata e cresciuta assieme a loro.
Tuttavia, da quando ha oltrepassato quel confine con Lorcan, ha l’impressione che ogni cosa sia uguale e diversa al contempo – e non solo con Lorcan, ma anche con James, verso cui ha iniziato a nutrire imbarazzi più marcati in alcune circostanze o su cui ha iniziato a porsi domande tutte nuove, come quali esperienze intime abbia avuto, cosa abbia provato, se qualcuna gli manchi.
“Com’è stata la tua prima volta?” chiede. “Non me ne hai mai parlato.”
James s’acciglia e rotola di nuovo sul fianco per osservarla senza ostacoli, il gomito nella sabbia e il viso poggiato sul palmo aperto.
“Non lo trovo granché come argomento.”
“Voglio solo sapere cos’hai provato.”
Suo malgrado, James si ritrova ad arrossire un po’ al ricordo di quella prima esperienza rievocato sotto lo sguardo chiaro di Rose – ha delle parole premute sulla punta della lingua, le avverte, ma non sa decifrarle e allora le ingoia.
“Niente di particolare,” confessa a distanza di alcuni minuti. “Mi è piaciuto abbastanza, ma l’ho fatto più per la scommessa che per altro.”
“Quale scommessa?”
James abbozza un sorriso mesto, specchio di imbarazzo, e Rose gli sfiora i capelli per indurlo a rilassarsi.
“La storia di Bathilda,” dice. “Una scommessa idiota tra Lorcan e Louis che ha coinvolto anche me, abbiamo scommesso su chi facesse sesso per primo.”
“È una cosa stupidissima,” commenta lei, strappando un assenso a James. “Hai vinto tu.”
“Lorcan,” corregge. “Louis è stato l’ultimo.”
“L’ultimo,” ripete Rose ghignando. “Avresti dovuto rinfacciarglielo!”
“Sempre stronza,” scherza. “Perché me l’hai chiesto?”
“Ero solo curiosa,” mente.
“Ci pensi?” chiede istintivo lui. “A farlo, dico. Ti capita di pensarci? Ti piace qualcuno?”
Ora è Rose a colorarsi di un rosa più intenso, scossa da domande tanto dirette e da quegli occhi blu che non bevono nessuna bugia.
Dentro di lei il senso di colpa si risveglia, l’assilla perché parli, e inizia a danzare maligno con una neonata agitazione: da un lato il sapore amaro della menzogna, dall’altro lo scomodo parallelo tra le reazioni gemelle di James e Lorcan a un suo possibile interesse romantico – così furiosi da costringerla ad accantonare con forza domande su cosa sia protezione e cosa gelosia.
A volte ha la sensazione di essere immersa in una nebbia così fitta da fagocitare la nebbia stessa, rendersi invisibile, a tratti persino impercepibile.
“Rosie,” chiama James. “È così, c’è qualcuno?”
“No, certo che no,” risponde svelta. “Però,” aggiunge, “un giorno... potrebbe esserci.”
E se lei brancola a disagio immersa nella nebbia, James incassa queste parole con un tremore che gli strizza la voce e il corpo e la pelle – un velo opaco cala anche dinanzi ai suoi occhi, mentre dei canini ingordi gli strappano qualcosa all’altezza del petto causandogli un dolore sordo e sconosciuto.
Un giorno.
Si chiede quale sia questo giorno, se sia già arrivato, se lei gli stia nascondendo qualcosa come l’istinto suggerisce spietato, se lui possa avere voce in capitolo e urlarle no, non mi piace questo giorno.
Eppure, è solo quando inizia a interrogarsi sul perché faccia così male la sola idea che scaccia tutto, in fretta, e mettendo a tacere la ragione si cala a baciarle la punta del naso mentre le dita affondano nei suoi capelli umidicci – accantona accantona gli urla qualcosa che identifica come istinto di sopravvivenza.
“Sei solo curiosa,” acconsente, e a nulla vale altro che gli urla invece di essere un idiota a inscenare questa farsa.
Rose, sorpresa e sollevata, si lascia sfuggire una risata maschera di imbarazzo, inducendo James a pizzicarle giocoso la guancia e ridere assieme a lei – ed è meraviglioso e spaventoso insieme come il solo ritrovarsi annienti qualsiasi voce nella testa, tutto ha senso solo se incastrato tra loro.
“Vuoi sapere qualcosa in particolare?”
Lei lo osserva e riflette svelta che almeno in questo può essere sincera – e la leggerezza l’abbraccia istantanea, mentre il velo che ha rischiato di strizzarli s’allontana.
“Volevo solo sapere di te.”
Lui sogghigna e Rose morde le labbra per non ridere, già consapevole di quale strada abbia imboccato la conversazione.
“Mi vuoi come maestro, ammettilo,” ironizza infatti lui. “Devi solo chiedere.”
“Come sei gentile,” scherza in risposta. “Ma non so se fidarmi.”
“Sono bravo, sai.”
“Così dicono?”
“Sfacciata,” ghigna James. “Prova e giudica da te.”
“Chi è lo sfacciato adesso?”
Scoppiano a ridere insieme – e se gli stomaci si contraggono è per le risate, si dicono, perché quelle possono diventare dolorose se eccessive.
“Non devi farlo con qualche coglione,” riprende lui a distanza di alcuni attimi. “Deve volerti bene.”
Rose scaccia repentina la voglia di dirgli che non ha sprecato nulla, che da Lorcan in quei momenti s’è sentita persino amata e che il suo migliore amico non può che volerle un bene immenso – di questo, almeno di questo, ne è sicura.
E scaccia anche un altro pensiero, più insinuante e istintivo, che l’ha indotta a riflettere su quanto bene le voglia James – non capisce perché la sua testa impazzisca con folli accostamenti.
“Sarà così,” si limita a dire. “Avrei voluto la stessa cosa anche per te.”
James abbozza un sorriso amaro e si tira su improvviso, mettendosi seduto, tutto sporco di sabbia, con le mani a strofinarsi tra loro.
Rose lo raggiunge un istante dopo, sedendosi sulle sue gambe come ha fatto tante volte – le ginocchia ai lati dei suoi fianchi, le dita che carezzano il petto e le spalle, gli occhi che cercano e trovano quelli di James.
“Che hai?”
“Penso cose strane, a volte.”
“Cosa?”
James respira a labbra serrate, la guarda, le mani le massaggiano le gambe e pensieri confusi fuggono e si rincorrono.
“Nessuno ti vuole più bene di me,” mormora. “E nessuno mi vuole più bene di te.”
Rose non ha idea di dove conducano quelle parole, ha però la certezza che anche la testa di James sia impazzita come la sua e sia in balia di grovigli confusi.
Gli bacia la punta del naso come non accade spesso e lo vede aprirsi subito in un sorriso e stringerle le gambe per indurla a farlo ancora, ma Rose sposta le labbra sulla guancia e dispettosa mordicchia facendolo ridere.
“Ho capito dove vuoi arrivare,” dice a un tratto. “Vuoi disperatamente essere il mio maestro!”
“Sei tu, semmai, a voler essere disperatamente una mia allieva,” rilancia lui. “Iniziamo ora.”
“Lezione numero uno?”
“Esatto,” sogghigna. “La lezione numero uno è spogliati.
Rose, un sorriso furbo in viso, annuisce e sfila lenta la maglia troppo grande che indossa – peccato che il tentativo di serietà di entrambi vada in fumo quando sbuca un’altra maglia, quella tutta bagnata, che li induce a ridere all’unisono e a cascare nella sabbia.
La luna è ormai alta nel cielo quando James ripulisce entrambi dai granelli fastidiosi e asciuga i loro abiti per poter fare ritorno a casa.
Rose infila le scarpe con la nostalgia già premuta addosso, conscia che per mesi e mesi non le sarà possibile trascorrere altre ore tanto libere, lontane, tutte loro.
James la chiude in un abbraccio quando sono in piedi e pronti a salire a bordo della motocicletta, stringendola con la voglia di dirle grazie, forse resta, forse non lo sa neanche lui, ma sa che il calore con cui Rose lo abbraccia a sua volta è invasivo e capace di lenire ogni crepa.
“Mangiamo fuori, ti va?”
“Sì,” risponde lei. “E passiamo da Lor prima di tornare a casa mia.”
Tua, hai già deciso che dormo da te, la solita prepotente,” scherza lui.
“Se vuoi c’è la camera degli ospiti.”
James le dà un buffetto sulla testa e lei finge di spintonarlo.
Quando sono in volo, invisibili al mondo intero, la leggerezza ancora resiste agli attacchi della pressione – c’è ancora tempo, possono ancora ignorare che attorno a loro stiano germogliando rovine.
 
 
 
 
 
 

Note dell’autrice: pur essendo un missing moments della long, questo racconto è molto visionario e ho voluto includerlo in questa raccolta, spero sia piaciuto a chiunque l’abbia letto. Come sempre, grazie del tempo dedicato alle mie parole.
Un abbraccio.

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Capitolo 5
*** Vuoti pieni ***


Vuoti pieni
 
 
(siamo)
 
C’erano parole che avrei voluto dirti
erano piene
e dighe distrutte
 
C’erano parole che avrei dovuto dirti
erano lacci
e polsi incatenati
 
Invece
 
Il silenzio era culla
e casa
e riparo
– ma lasciava vuoti dentro, terre aride in cui svanire
 
(solo)
 
Ci sono parole che vorrei sentire
sono piene
e vanificano le barriere
 
Ci sono parole che dovresti dirmi
sono lacci
e cementano le emozioni
 
Invece
 
Il silenzio è trappola
non casa
non riparo
– e lascia vuoti dentro, terre aride in cui perdersi
 
(insieme)
 
Ci sono parole che un giorno diremo
e saranno piene
lacci
sabbie in cui lasciare un’impronta
nostra
 
Ci sono parole che un giorno ascolteremo
e saranno dighe distrutte
emozioni cementate
vuoti colmati
noi
 
romperemo i silenzi
 
«Io resto, Rose.»
 
la piena urlerà ai vuoti
 
«Anch’io, sempre.»
 
siamo solo insieme

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Capitolo 6
*** Foschia ***


Foschia
 
 
Urlavano sotto la pioggia
e mareggiate e tempeste
e gelo che graffia le ossa
 
Piove sempre fuori, e Rose si rannicchia in se stessa scossa da brividi di freddo – c’è qualcosa che non capisce, qualcosa che non coglie.
Le nuvole seguitano ad addensarsi buie quando s’affaccia un sorriso alla sua finestra, e Rose s’acquieta improvvisa – c’è qualcosa che desidera, qualcosa che artiglia.
 
Abbracciavano tutta la pioggia
e bonacce e nubi
e fresco che carezza le ossa
 
Non piove più fuori, e Rose sorride al cielo della sera mentre annega schizzato di blu – c’è qualcosa che capisce, qualcosa che coglie.
Le nuvole hanno smesso di addensarsi quando appaiono occhi specchio del tetto del mondo, e Rose ride rigenerata – c’è qualcosa che stringe, qualcosa che le appartiene.
 
Baciavano il sole
e onde quiete sulla riva
e calore che lenisce ogni ferita
 
«Sai, James, quando siamo insieme è tutto diverso.»
«Che intendi?»
«Non so come spiegartelo.»
«Provaci.»
James le sorride e Rose si àncora al blu dei suoi occhi per riuscire a dar voce ai pensieri confusi – che fuggono e ridono di lei mentre s’affanna a raggiungerli.
«C’è il sole,» mormora allora. «Quando sono con te c’è il sole.»
 
 
~
Si è innamorata ieri
e ancora non lo sa1
 


 
 
1Stefano Benni.
Note dell’autrice: ho scritto questa cosina un po’ prosa, un po’ poesia, un po’ non so di getto, sulla scia della citazione “Si è innamorata ieri | e ancora non lo sa” di Stefano Benni, prompt suggerito dall’iniziativa Apri le challenge, chiudi le challenge indetta da Gaia Bessie su facebook.
Grazie a chiunque abbia letto, come sempre spero che le mie parole abbiano meritato il vostro tempo.

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Capitolo 7
*** Siete riva di un fiume in piena ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Otto della longfic.

 


Siete riva di un fiume in piena
 
 
 
24 dicembre 2016
 
Centoquattordici giorni.
Non lo vedi da centoquattordici giorni.
Non li hai contati, hai solo fatto un rapido calcolo ora che sei arrivata alla Tana assieme a Hugo e ai tuoi genitori.
È stato strano non vederlo.
Credi di averne sentito la mancanza, e che un po’ ti abbia irritata quando trascorse le prime settimane ha smesso di scriverti ogni due o tre giorni.
Hai giocato con altri.
Con tuo fratello, con Lily, con Albus e Allison – insieme avete finto di essere a Hogwarts: voi tre grandi a impersonare gli insegnanti e i due piccoli gli studenti.
Però.
“Rosie!”
James.
Gli sorridi prima ancora che ti raggiunga.
 
Ti è mancato?
Sì.
 

24 dicembre 2017
 
Non devi neanche cercarla, ti è sufficiente mettere piede alla Tana per sapere che si è rintanata nel bugigattolo dove il nonno ha stipato le cianfrusaglie babbane che ama collezionare – a lei piace ficcanasare lì, trova sempre qualcosa capace di entusiasmarla –. Ciò che tuttavia non ti aspetti è trovarla immusonita, seduta su un grosso scatolone dove ti siedi accigliato anche tu.
“Che mi sono perso?”
Rose sbuffa e ti scocca un’occhiata di sbieco – è carina tutta impettita.
“Non devono più chiamarmi Rosie, sono grande ormai.”
“Stai così per questo?”
“Ti sembra poco?”
“Mi sembra una scemenza.”
“Ma da che parte stai?”
Non vuoi ridere, ma ridi, e cali un braccio sulle sue spalle quando si imbroncia ancora di più.
“Traditore,” borbotta. “Rosie è infantile,” insiste.
“A me piace,” ribatti. “E comunque è una scemenza.”
“Vedi che sei un traditore?”
“Sono il migliore degli amici, invece,” puntualizzi. “Un vero amico te lo dice, se fai scemenze, mica ti dà sempre ragione.”
La osservi sollevare le sopracciglia in un moto pensoso – non trascorrono che pochi istanti prima che si rilassi in un sorriso e cali la testa sulla tua spalla.
“Davvero ti piace?”
“Sì.”
“Allora puoi chiamarmi così, ma solo tu.”
Non vuoi ridere, ma ridi di nuovo – in fondo non ti dispiace avere l’esclusiva.
 

24 dicembre 2018
 
Avete insistito così tanto, voi cugini, che siete riusciti a convincere genitori, zii e nonni a farvi scartare i regali prima della mezzanotte – e sorridi allegra, seduta a terra tra i tuoi pacchetti scartati.
“Ehi.”
“Dove sono i tuoi regali?”
“Da qualche parte insieme a quelli di Al.”
Gli sorridi mentre si siede accanto a te, che orgogliosa gli mostri il tuo bottino.
“Manca questo,” dice James.
“Cos’è? L’ho già scartato il vostro,” replichi, cercando tra i vari regali quello degli zii Ginny e Harry.
“Questo è solo mio.”
Sorpresa, punti lo sguardo sulla piccola confezione che James ti mette tra le mani.
“Ma io non ti ho comprato niente.”
“Apri e basta,” incalza lui. “Dai!”
E lo fai, strabuzzando euforica gli occhi quando capisci che ti ha regalato quelle pergamene profumate e colorate che hai visto qualche settimana addietro tra gli acquisti di Roxanne.
“Le ho prese a Hogsmeade, sono quelle che volevi, vero?”
In risposta gli scocchi un bacio sonoro sulla guancia – e se lui ride, ridi anche tu.
 

24 dicembre 2019
 
Possiamo parlare?”
No.”
 
~
 
Rose non ti ha mia rifilato un no.
Mai.
E non credevi potesse accadere – invece.
Ripensi al viaggio di ritorno, a lei in uno scompartimento diverso dal tuo, a Lorcan che scrolla le spalle e la segue – l’avresti seguita anche tu se solo non fossi stato il problema.
Senza aspettare di rivederla alla Tana, la raggiungi in camera ora che siete ancora a Godric’s Hollow – e lo senti, il nervosismo pizzicarti l’umore.
“Adesso possiamo parlare?”
Lo chiedi non appena t’affacci sull’uscio della sua stanza, godendo dello sguardo sorpreso che ti rivolge.
“Vattene.”
“Ti ho solo difesa.”
“Ti sei intromesso.”
La mascella si contrae senza che tu possa impedirlo – intromesso? È questo che pensa? L’idiota che ci ha provato con lei frequenta il quinto anno, quinto, cos’avresti dovuto fare se non affatturarlo?
“Era troppo grande, chissà che aveva in testa.”
La vedi scuotere la testa e raggiungerti sino a essere a un palmo dal tuo viso – sei sul punto di credere che voglia mettere tutto da parte quando ti rifila uno schiaffo.
“Rosie!”
“Sei un idiota,” sbotta. “Devi parlare con me prima di intrometterti.”
“Ma...”
“James.”
Sbuffi e ficchi le mani in tasca.
“Mi terrai il muso per tutte le vacanze?”
Lei non ti risponde, anzi sospira, e sei quasi rassegnato a essere ignorato sino al ritorno a Hogwarts quando ti sorprende con un bacio sulla guancia schiaffeggiata – l’abbracci non appena è lei a stringerti.
“Scusa,” mormori. “Teddy dice che sono protettivo.”
La senti sorridere sulla tua spalla e abbracciarti un po’ di più.
“Sei un impiccione, invece!”
“Pace?”
“Pace.”
 

24 dicembre 2020
 
La mezzanotte del ventiquattro dicembre ti sorprende nel letto di James, entrambi sdraiati sotto le coperte, impegnati a bisbigliare pur di non essere rimbrottati e spediti a dormire.
Ti rilassano le sue dita tra i capelli e ti piace poter osservare il blu dei suoi occhi senza avere nessuno intorno a distrarti – tutto per te.
“Sono belli.”
Lo dici improvvisa, interrompendo il racconto dello scherzo ai danni di Pix.
“Cosa?”
“I tuoi occhi,” rispondi. “Sono proprio belli.”
Non sai se sia arrossito, ma di certo ha mosso le labbra in una smorfia a metà tra imbarazzo e lusinga.
“Sei tu a essere bella,” sussurra incerto.
“Lo pensi?”
“Lo vedo.”
 

24 dicembre 2021
 
C’è qualcosa che ti turba, qualcosa che non capisci – è una fitta conficcata nel petto, e brucia ogni volta che li sorprendi insieme, complici più di ieri e temi meno di domani.
Perché?
Decidi di scacciare tutto, ignorare il bruciore, e stringere le mani di Rose nelle tue non appena Lorcan si allontana – ed esulti quando si rilassa tra le tue braccia e assalta la tua guancia con i suoi baci che un po’ carezzano e un po’ solleticano.
Ami la vicinanza in cui vi culla la vostra amicizia – la senti sottopelle, sin dentro le ossa.
“James.”
“Mmh.”
“Ti voglio bene.”
“Io di più.”
La vedi scuotere la testa e artigliare i tuoi capelli per far scontrare le vostre fronti e allacciare i suoi occhi ai tuoi.
Io di più,” replica. “Più di chiunque altro.”
“Lo pensi?”
“Lo sento.”
 
 
 


NdA: il titolo Siete riva di un fiume in piena è il verso iniziale (leggermente modificato) della canzone Senza fiato che fa da titolo a questa raccolta (il verso originale è Sono riva di un fiume in piena). Il dialogo «“James.” | “Mmh.” | “Ti voglio bene.” | “Io di più.”», presente nell’ultimo frammento, è presente anche in Ti verrò a cercare (il momento narrato è lo stesso).
In origine questa era una raccolta di drabble, poi è diventata una raccolta di drabble e brevi flashfic (ormai questo intero progetto è un alternarsi di generi ibridi), spero sia piaciuta a chiunque l’abbia letta.
Grazie della lettura, un abbraccio.

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Capitolo 8
*** Without you (never) ***


Without you (never)
 
 
Andiamo a casa tua?”
Sì.”
 
~
 
La pioggia battente anneriva tutto in quella serata invernale, eppure stretti l’uno all’altra avevano la sensazione che a percuotere il soffitto fossero i raggi di un sole caldissimo e non gocce insistenti.
Rose s’era sdraiata sul letto non appena s’erano smaterializzati nel piccolo appartamento di James – una camera per dormire, una per mangiare, un bagno pratico, troppe finestre – e aveva sorriso quando lui s’era sistemato accanto a lei, coinvolgendola in un abbraccio che l’aveva spinta a poggiare la testa sul suo petto e a carezzargli il viso, mentre le sue mani le massaggiavano la schiena – s’erano cullati in quella stretta per un tempo indefinito.
“Non voglio tornare a Hogwarts.”
“Neanch’io voglio vederti partire.”
A quelle parole, Rose si strinse a lui una volta ancora, alitandogli sullo sterno coperto dal maglione.
“Mi sei mancato troppo, e mi mancherai ancora.”
James socchiuse gli occhi e le carezzò silenzioso i capelli in cui amava affondare le dita.
“Anche tu, non immagini quanto.”
Non erano abituati a vivere separati, lontani, non era mai accaduto se non al primo anno a Hogwarts di lui, quando era partito lasciando lei e Godric’s Hollow – ma allora era stata una mancanza diversa, capace di generare nostalgia, non dolore.
“Avrei voluto passare le vacanze solo con te, qui, non c’era nessun altro che volessi vedere.”
James si mosse, punto dalla piccola confessione, guidato da un istinto che gli suggerì di voltarsi quanto possibile verso di lei e incrociarne gli occhi – si chiese, per un solo e fugace istante, se fossero un cielo limpido in cui svanire.
“Se me l’avessi detto, l’avremmo fatto.”
“Sai che non era possibile.”
“Sì che lo era,” insisté. “Io voglio stare solo con te, ho sempre voluto stare solo con te.”
Solo con te.
Se l’erano ripetuto così tante volte nel corso degli anni che era finito col sembrare normale parlarsi in quel modo, promettersi un’esclusività assoluta dove non c’era e non ci sarebbe mai stato spazio per altri.
Rose aveva accantonato ogni dubbio insinuante sul loro rapporto, ogni sensazione capace di mozzarle il respiro quando era con lui, ripetendosi a oltranza che fossero cugini, amici, forse qualcosa di più – altro, ma pur sempre senza malizia.
Poi.
Poi era subentrata la mancanza di quei mesi appena trascorsi e qualcosa dentro di lei si era incrinata sino a spezzarsi. James non le mancava solo idealmente, le mancava proprio la presenza – vederlo sentirlo toccarlo –, le mancava così tanto che avrebbe voluto rinunciare a completare il ciclo di istruzione, precipitarsi da lui, dirgli che la sua assenza era piena e assordante, capace di scacciare via chiunque altro avesse camminato o camminasse accanto a lei.
“Domani mi accompagni tu al Binario?”
“Se non vuoi salutare i tuoi, sì.”
“Li ho già salutati.”
James sorrise sghembo e le baciò casto la punta del naso, osservandola mordersi le labbra per non ridere e guardarlo poi dritto negli occhi – non seppe perché, ma ripeté il gesto una, due, tre volte, sino a indurla a ridere e solleticargli il collo con le labbra pur di nascondere il viso.
“Sai perché ho scelto questo appartamento?”
“È vicino all’ingresso del Ministero, è comodo.”
“Non l’ho neanche arredato, però.”
“Lo era già, no?”
“Sì, ma secondo te perché ho scelto una casa così transitoria?”
“Dove vuoi arrivare, James?”
“Voglio vivere con te, già da quest’estate, dopo i tuoi MAGO. Voglio sceglierla con te una casa, una che ti piaccia, che arrediamo insieme.”
Vivere insieme.
Ne avevano parlato innumerevoli volte, era stato sufficiente che nell’estate precedente al suo settimo anno James le proponesse questa finestra sul futuro – vieni a vivere con me, dopo Hogwarts le aveva detto anche allora – perché l’argomento sbucasse di tanto in tanto, tra una risata e una confidenza, tra un litigio e uno scherzo.
Vivere insieme.
Ora che era stretta a lui, impantanata in emozioni non nuove, ma comprese, Rose si chiese quanto fosse saggio accettare di vivere ore, mesi, anni? assieme a lui, condividendone la quotidianità, rischiando di vederlo con altre persone, donne, che lei non avrebbe saputo sopportare.
Risaliva ormai a mesi addietro la scelta di interrompere una relazione che le era parsa tutto – tutto davvero – e ne aveva sofferto più di quanto avesse osato raccontare finanche a se stessa. Ma non avrebbe potuto fare diversamente, non quando s’era trovata tra le mani due mancanze: una accettata e tollerata, l’altra capace di farla ammattire.
Aveva dovuto capire, l’aveva dovuto fare, di aver confuso innamoramento e amore, di essersi ingannata rifiutando giorno dopo giorno di rispondere alla domanda più semplice del mondo: chi è lui per te?
“Rosie.”
“Vuoi che ti risponda.”
“Sì, anche se conosco già la risposta.”
“Sul serio?”
“Sul serio.”
James si aprì in un sorriso così luminoso che anche i suoi occhi blu parvero rischiararsi e la incitò a poggiare la testa sul cuscino per guardarlo di nuovo in viso.
Quando si calò a baciarle una volta ancora la punta del naso, Rose non rise né l’arricciò, ma sussultò, perché le aveva avvertite schiuse le labbra di lui – come non erano mai –, labbra che ripeterono il gesto e che lente scivolarono oltre le narici, oltre il piccolo incavo tra naso e bocca, sino a posarsi dove mancavano da troppo tempo – dove avevano promesso di non tornare mai più.
James la baciò di un bacio casto, morbido, con lo sguardo di lei allacciato al proprio e le mani strette nei suoi capelli.
“James...”
“Sono stanco di mentire, e lo sei anche tu.”
S’erano ingannati.
S’era ingannata lei e s’era ingannato lui, l’avevano fatto insieme in nome di qualcosa che più tempo passava più non aveva alcun senso.
James ricordava come fosse stato ieri quel giorno vecchio di quasi un anno, quando s’era rimangiato i sentimenti che le aveva urlato contro. L’aveva vista così persa, impaurita e fragile da convincerlo a fare passi indietro, dirle di aver confuso bene immenso e amore, di essere stato in errore nel credere di vedere in lei qualcosa di diverso da una cugina, un’amica, una confidente – sei la mia migliore amica, solo questo, scusa, ho frainteso tutto non erano state semplici parole da pronunciare, ma fardelli capaci di spaccargli il cuore.
E ricordava con estrema nitidezza anche una perplessità tradita affacciarsi nei suoi occhi azzurri alla confessione sporca di menzogna, soppiantata però in fretta in furia da un sollievo che di ipocrita aveva ogni cosa, ma sapeva essere rassicurante e certo in un momento della loro vita in cui avevano un disperato bisogno di rassicurazioni e certezze.
Poi.
Poi era subentrata la gelosia – di lei –, così palese da indurlo a frequentare una sconosciuta dopo l’altra solo per vedere Rose mordersi le labbra di rabbia e cercare pretesti per litigare, lamentarsi, accusarlo di qualsiasi cosa. Nei mesi che li avevano visti divisi – lui al Quartier Generale degli Auror, lei a Hogwarts per l’ultimo anno –, s’era impegnato a scriverle raccontandole ogni dettaglio di quelle frequentazioni senza senso né importanza, amava troppo vedersi restituire risposte piccate, dalla grafia disordinata e l’inchiostro tutto pasticciato.
Quando gli aveva scritto di aver lasciato l’altro, di aver chiuso la relazione che aveva costretto lui, loro insieme, in un angolo, era stato sul punto di raggiungerla a Hogwarts e dichiararsi ovunque lei fosse, anche in presenza dell’intero popolo studentesco, pur di non lasciar scorrere altro tempo separati.
Ma.
La razionalità gli aveva suggerito di aspettare, darle tempo di capire sino in fondo, di sentire sin dentro le ossa il gelo della loro mancanza – in fondo lo sapeva ed era convinto lo sapesse anche Rose, che non era possibile dimenticare chi fosse la propria felicità, era possibile fingere di non saperlo, ma quella prima o poi riprendeva sempre a bussare alla porta.
E rivederla per le vacanze natalizie, avvertire il suo profumo sottopelle, perdersi in un abbraccio sfacciato era stata la giusta ricompensa di un’attesa estenuante – la porta finalmente spalancata.
Ma ora, ora voleva di più.
Lei.
La guardò senza dir nulla una volta ancora, carezzandole le labbra con le proprie, eccitato da una vicinanza mai rifiutata e dalle dita di lei ad artigliare improvvise i capelli neri e disordinati.
Di lì a un istante, senza neanche riuscire a capacitarsene, si ritrovò coinvolto in un bacio esigente, umido, che lo premeva su e contro di lei.
Rose lo strinse a sé con tutta la forza che aveva e lo baciò nella maniera più coivolta possibile, con la voglia matta di urlargli un amore che aveva represso a oltranza, accumulando sbagli su sbagli e inducendo lui a fare altrettanto.
Nessuno dei due seppe come si ritrovarono seduti al centro di un letto cigolante, Rose sapeva solo di aver sentito le mani di James fasciarla impudenti e sollevarla per trascinarla su di lui, incastrarla tra le sue gambe, costringerla a respirare dentro la sua bocca.
S’allontanarono solo quando il respiro s’era mozzato sino a scomparire, ansimandosi contro – le mani di lei a graffiargli il viso, quelle di lui a stringerle i fianchi.
Quando Rose sollevò le palpebre incrociò due occhi blu vivi di una luminosità inedita, ma così invasiva da invogliarla a sorridere.
“Io ti amo.”
James sbarrò quegli occhi che da luminosi divennero euforici, a Rose sembrò di vedervi riflesso il mondo intero oltre a se stessa.
Io ti amo.
Si rese conto solo lì, a un respiro da lui, di averlo amato al primo sguardo, nella maniera più totalizzante e invasiva possibile – si rese conto che James era sempre stato al di là di qualsiasi definizione perché era al di là di qualsiasi affetto: qualunque sentimento potesse provare per altre persone, se dall’altra parte c’era lui era sempre di più.
“Sei parte di me.”
“No,” negò James. “Noi siamo la stessa cosa,” aggiunse sorridendo, scacciando la neonata perplessità di lei – il terrore di un passo indietro. “Siamo una sola cosa, noi, lo siamo sempre stati.”
“E non è come dire che sei parte di me?”
“No, così sembrerei una cosa estranea, invece noi siamo noi, non io e te.”
“Una sola cosa.”
“Ti amo.”
Rose serrò le palpebre per alcuni istanti, colta da un capogiro che fece ghignare James e lo convinse ad avventarsi di nuovo sulle sue labbra, a farla sdraiare sotto di sé, a denudarsi insieme di tutto – indumenti paure bugie –, strofinandosi contro per la prima volta, oltrepassando le ultime barriere rimaste, vivendo quel noi che s’erano promessi venendo al mondo, un sempre che li aveva allacciati l’uno all’altra.
 
*
 
C’è la tempesta, fuori, Rosie.”
Non m’importa, non più.”





 
 

Note dell’autrice: questa storia è nata qualche tempo fa come regalo di compleanno di un’amica visionaria (❤) ed è giunto il momento di includerla in questa raccolta; il titolo è ancora una volta un rimando alla canzone che accompagna la raccolta. Approfitto di questa pubblicazione per ringraziare voi che mi seguite in questa avventura un po’ prosa, un po’ poesia, un po’ qualcosa con letture e recensioni (e scusatemi se sono in ritardo con le risposte alle recensioni, ma sapete che leggo tutto e che con i miei passi da lumaca rispondo sempre).
Spero che la lettura sia valsa il vostro tempo, un abbraccio!

 

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Capitolo 9
*** Senza fiato ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici della longfic.


 


Senza fiato
 
 
Agosto 2021
 
La notte di San Lorenzo ha sempre significato fragore di risa, odore di salsedine, piedi bagnati di sabbia – e famiglia e schiamazzi e fuoco che illumina il buio.
Eppure.
La mezzanotte è scoccata da un pezzo quando ti rintani nel silenzio, assalita da una tristezza improvvisa che ha offuscato il mondo – d’un tratto sono svaniti cugini, amici, sconosciuti, tutto eccetto una sola immagine.
Lui insieme a lei.
Ti allontani dalla folla chiassosa nella trasparenza, fermando i passi solo in riva – seduta rannicchiata in te stessa, lasci che onde stanche solletichino le dita nude dei piedi e granelli umidi pizzichino l’abito estivo.
Di tanto in tanto, sei tentata di voltarti a guardare gli altri festeggiare il compleanno di Louis, forse nella speranza di essere scorta, rincorsa, rincuorata – ma.
Il timore di rivivere quell’emozione invasiva ti induce a desistere e a non smettere neanche per un istante di osservare il fiacco agitarsi del mare buio di notte.
 
Sei sicuro di voler andare al compleanno di Louis?”
Non saprei che dire ai miei per non andarci.”
Vuoi che venga anch’io?”
Non solo lo voglio, ma lo pretendo!”
 
Lo pretendo.
Hai riso assieme a lui a quelle parole ironiche e la leggerezza ha abbracciato entrambi, mentre un calore familiare ha solleticato la tua pelle.
Lui ha te e tu hai lui – è sempre stato così.
Trai un respiro più profondo degli altri e le palpebre si serrano per alcuni istanti quando avverti un moto che temi sia di rabbia pressare per arrivare in superficie.
Immagini te stessa raggiungere gli altri seduti attorno al falò e strattonare James per allontanarlo da quella ragazza qualsiasi che ora stringe, bacia, guarda.
 
Ci saranno anche le amiche di Roxi, lo sai?”
Dovrebbe interessarmi?”
So che ti vedevi con Marie durante le ultime settimane di scuola.”
Marie… E chi sarebbe?”
 
E chi sarebbe.
Chiesto con quel sarcasmo disinteressato tutto suo – hai creduto all’istante che l’avesse già dimenticata, che neanche lei sarebbe riuscita a frantumare il vostro equilibrio, a rubarti le ore i minuti i secondi che James ha sempre dedicato a te.
Egoista – a volte temi di esserlo.
È un pensiero che scacci, il tuo – ti dici – sarebbe egoismo se lui non preferisse la tua compagnia a quella di chiunque altra, se volesse accanto a sé una fidanzata anziché un’amica – ma.
Forse qualcosa è cambiato per indurlo a ignorarti, costringerti in un angolo, pur di trascorrere del tempo assieme a quella ragazza.
Forse… Un calore improvviso – delle braccia che stringono, delle labbra che baciano i capelli, degli occhi che sfiorano il profilo.
“James.”
“Ti mancavo?”
Avverti il suo sorriso sornione sfiorarti il viso e ridi, anche se vorresti cacciarlo, quando le sue gambe si distendono in avanti, chiudendoti tra loro, e i suoi denti ti mordono morbidi la guancia.
“A te di certo non mancavo io.”
“Ti ho vista scherzare con Roxanne e Dominique, non volevo essere una palla al piede.”
“Non devi giustificarti, anche se sei stato tu a volermi qui.”
“Sensi di colpa,” ghigna. “Sei veramente insensibile.”
“Tu sei insensibile, mi hai lasciata sola.”
Lo senti sorridere a queste parole e baciarti di nuovo la guancia – è quando si alza in piedi che un vuoto t’assale, ma lo colma all’istante la sua mano che ti sfiora la spalla e ti convince a sollevarti a tua volta.
“Dove andiamo?”
Lo chiedi mentre intreccia le vostre dita a ti sprona a camminare assieme a lui su quella riva serena.
“Una passeggiata, poi salutiamo tutti e andiamo a casa.”
“E Marie?”
E chi sarebbe?
“Sei un Troll.”
“E tu una stupida quando pensi che ti metta da parte.”
Sei tentata di negare, dirgli che non è stata questa scomoda sensazione a rabbuiarti, ma riesci solo a concedervi un sorriso luminoso e a spronarlo a correre assieme a te, ridendo allegra quando tenta di acciuffarti – e ti liberi e corri e lui ti rincorrere e ti riacciuffa e ti liberi ancora e via, a oltranza.
Siete voi – nelle incomprensioni, nelle rincorse, siete sempre voi.
 
 





 
Note dell’autrice: ho scritto questo breve racconto (molto più simile a una flashfic che a una oneshot) di getto, guidata dall’ispirazione e – credo – dalle pagine di Granelli che mi accompagnano in questi giorni. Non credo aggiunga un tassello essenziale, temo anzi sia un missing moments inutile oltre che breve, ma ho voluto scriverlo e spero sia piaciuto a chiunque l’abbia letto.
Un abbraccio.

 

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Capitolo 10
*** Abbattendo i vuoti ***


Abbattendo i vuoti
 
 
Rosie, io...”
È comparso improvviso, vero?
Cosa?”
Il vuoto.”
 
*
 
Vuoto.
James non credeva che smaltita l’adrenalina per aver ottenuto i MAGO a pieni voti sarebbe subentrata una sensazione così destabilizzante, cui lui non avrebbe neanche saputo dare un nome se non fosse stato per Rose, che con un sorriso comprensivo è riuscita a leggere ogni più piccola inquietudine solo guardandolo.
Sono tante le domande ad affollargli la mente, il mondo adulto è terribilmente incerto e lui crede di averlo capito solo ora che ha messo definitivamente il naso fuori da Hogwarts – ora che una divisa non significa più niente, che le giornate scorreranno solo se sarà lui a farle scorrere, che lei sarà lontana.
Si è affacciata improvvisa e terribile una sensazione di crudele mancanza, come se l’estate ad attenderlo non fosse altro che l’ultima boccata d’aria prima di un’apnea lunga un anno intero.
Ha stretto Rose in un abbraccio così intimo, così escludente, da avvertire il pavimento di casa propria tremare sotto i piedi e i loro genitori fissarli per un istante straniti, forse chiedendosi se non vi fossero cumuli di altro sotto uno slancio così pieno.
Altro.
Quello che non riesce a decifrare, quello che sente agitarsi dentro ogni volta che non sono insieme, che teme preferisca altre compagnie, che sente vicino lo spettro di uno sconosciuto pronto a conquistarne il cuore.
Ma poi.
Poi lei corre sempre verso di lui, con lui, e allora non esiste più niente che non siano loro e il futuro promette di essere alieno ai vuoti.
Quando questa mattina Rose gli ha detto che avrebbero dovuto festeggiare il suo diploma, non si sarebbe mai aspettato di essere trascinato in pieno centro babbano, nei negozi e nelle strade affollate sin quando il sole è stato alto nel cielo e nei locali quando a far capolino è stata la luna.
Hanno riso di ogni parola detta e di ogni sguardo scambiato e di ogni stretta cercata – e ridono anche ora, seduti sulla motocicletta di James, lui con le spalle al volante e lei rivolta a lui, l’ultimo boccone di pizza mangiato e l’eco del vociare proveniente dall’esterno di un locale in sottofondo.
Nonostante la mezzanotte sia ormai trascorsa, hanno entrambi occhi svegli e una voglia matta di non rincasare ancora.
“Tra poco prendo la bacchetta.”
Rose lo dice assottigliando lo sguardo e stringendo le mani di James abbandonate sulle proprie gambe.
“Vuoi giocare?” provoca lui, avvicinandosi quanto basta per morderle morbido la guancia. “Ci sono ancora troppi babbani in giro.”
“È loro che voglio affatturare,” chiarisce. “Tu sei pronto a cancellare le mie tracce?”
James scoppia a ridere, ma Rose gli afferra dispettosa i capelli per forzarlo a voltare il viso alla loro destra, dove poco lontano sosta un gruppetto di ragazze impegnate a parlottare lanciandogli occhiate maliziose.
“Le hai viste?”
“Potrei averle notate,” ironizza. “Sei gelosa?”
“Potrei essere la tua ragazza, come si permettono di fissarti?”
E se James ride di nuovo, Rose si indispettisce ancora di più e gli strattona i capelli per il solo gusto di vederlo mordersi le labbra e orientare quegli occhi blu su di lei.
Vorrebbe riuscire a spiegarsi cosa le succede quando qualsiasi altra rischia di avvicinarsi troppo a James, ma non ci riesce – tutto ciò che sa è che l’idea di sentirlo o vederlo lontano le aggroviglia lo stomaco e la getta in uno stato di insopportabile malessere.
Malessere che la induce poi a gesti avventati e spesso sciocchi, come pretendere di accompagnarlo a un appuntamento, infilarsi in ogni suo momento libero, esibire un’intimità sfacciata e ambigua per indurre chiunque a credere che tra loro ci sia di più – altro.
Durante l’ultimo anno queste emozioni destabilizzanti si sono accresciute a dismisura e dentro sente di temere il momento in cui si separeranno e lei non potrà più rimarcare confini e riempire tutte le sue giornate.
Forse è questa paura mista a irritazione a indurla a commettere il gesto più insensato e azzardato della sua vita – il solo che abbatterà qualcosa, ne è certa, ma anche il solo che ora come ora le sembra avere un significato.
James ridacchia ancora quando Rose si sporge in avanti e gli sfiora le labbra in un bacio casto – le mani a stringergli il viso, gli occhi in cerca di reazioni, l’adrenalina sparsa ovunque.
James ha la sensazione che il tempo si cristallizzi tutto in quell’attimo, e forse dovrebbe stupirsi dell’istinto che corre a ricambiare il bacio di Rose come se fosse l’ennesimo e non il primo, ma riflette rapido che stupirsi di qualsiasi loro esubero è sempre stato innaturale – e allora ricambia, delicato quanto lei, mentre le dita corrono a solcarle i fianchi nella voglia matta di convincerla a scivolare ancora di più verso di lui.
“È questa la tua tattica?” mormora roco, fingendo di non avvertire le vene pulsare roventi. “Far credere alle babbane che sei la mia ragazza?”
“Non ti piace?”
“Sì, ma dovresti essere più convincente.”
Rose ha appena il tempo di sbarrare gli occhi, graffiargli il viso nel tentativo di ancorarsi a qualcosa, che James ha già schiuso le labbra sulle sue, calato le palpebre, preteso ben più della superficie – il suo sapore, finalmente.
È tutto un gioco, è tutto un gioco se lo ripetono entrambi per alcuni minuti nel tentativo di convincersene, ma poi il tempo avanza, la vicinanza aumenta, loro restano incastrati, e allora niente che non siano i loro baci ha più senso.
Ingoiano a vuoto quando si separano, e se lui inumidisce impudente le labbra, lei lo bacia una volta ancora.
“Sono stata convincente?”
James sogghigna, mentre la fronte si abbandona rilassata su quella di Rose e una serenità sconosciuta lo abbraccia.
“Molto, ma si può sempre migliorare.”
“Sfacciato.”
“Ho imparato dalla migliore.”
È Rose ora a sogghignare, ma l’espressione muta in fretta in sorpresa eccitata quando James le sfiora la punta del naso in un bacio fugace.
“Sono tutti alla Tana, dobbiamo raggiungerli lì.”
“E se invece andassimo a casa tua?”
“Vuoi dormire da me?”
“Sì,” mormora lei. “Con te.”
 
La notte calata ormai da ore li accompagna silenziosi nell’abitazione di Godric’s Hollow e li osserva infilare pigiami a teste chine. La sensazione di avere occhi trasparenti li scuote prepotente e tenta di rendere impacciato ogni movimento e ogni sillaba lasciata cadere – e se James lo sussurra soltanto “vuoi sempre la mia maglia per dormire?, Rose nasconde un sorriso mentre gli dà le spalle e sfila i propri indumenti per indossare il suo, che è lungo, largo e sa tremendamente di lui.
Eppure entrambi sono risoluti a non fare nessun passo indietro. Non hanno ceduto a parole superflue durante il tragitto che li ha visti prima calcare le strade e poi librarsi in volo con quella motocicletta che ha sempre rappresentato la libertà più estrema, certi che quanto accaduto potrebbe essere l’ennesima diga distrutta di un legame ostile alle catene o il lasciapassare per evolvere in ciò che forse hanno sempre finto di non essere – oltre e di più.
Il letto di James non è mai stato tanto piccolo.
Lo pensa Rose, che sdraiata sul fianco, le mani congiunte dinanzi al viso, si ostina a fissare il pavimento e a concedere solo la schiena al ragazzo. E lo pensa James, che sdraiato supino, le mani ostinatamente ancorate al cuscino, fissa irrequieto il soffitto e ascolta attento il respiro altrui.
Non trascorrono che pochi minuti in quella penombra immobile prima che James riempia il poco spazio che li separa – e Rose lo sente, voltarsi verso di lei, respirarle tra i capelli, artigliarla in vita, ed è quando si convince che lui voglia solo stringerla nel consueto abbraccio che avverte le sue dita oltrepassare la stoffa della maglia e distendersi sino all'ombelico.
Rose riflette che è una sensazione inedita, piacevole, che non le basta – e ingoia a vuoto mentre decide a sua volta di frantumare altre barriere e allunga una mano sino alla nuca di James, dove affonda e spinge affinché lui distrugga altra distanza.
D’improvviso il silenzio viene derubato di tutta la sua importanza, perché ad accelerare battiti e agitare pensieri sono ora respiri irregolari e gemiti sorpresi che accompagnano gesti nuovi e irruenti. Rose non se l’aspetta, di sentire le labbra di James schiudersi sul suo collo mentre le dita si arrischiano sempre più su, stanche di accontentarsi del solo addome, né lui si aspetta di sentirla avvicinarsi sino a schiacciarsi contro di lui, voltare improvvisa il viso e negargli il collo per offrirgli la bocca.
Sono baci sfacciati quelli che si susseguono – e mani e gambe e respiri incastrati.
James avverte lo smodato bisogno di dirle che ora tutto ha un senso, tutto, perché l’equilibrio del suo mondo precario è in quegli occhi azzurri che lo spronano a non fermarsi, in quel calore che può esistere solo quando è allacciato a lei. Ma tace, annegato in emozioni più grandi, in un’eccitazione sconosciuta capace di divorarlo sin dentro le ossa – tace sicuro di gridare con gesti, sguardi, respiri.
E Rose le sente tutte, quelle grida, e le riconosce come gemelle, conscia che dentro di lei si agitino le stesse furie, gli stessi mondi inconfessati – lo capisce solo ora che James la sovrasta con baci e carezze, di averlo amato nascendo, in maniera illogica, incontrollata, inevitabile.
 
Forse, forse avrebbero dovuto fermarsi, spiegarsi, chiedersi se l’indomani si sarebbero potuti pentire di ogni singolo impulso, ma che senso avrebbe avuto frenare un treno in corsa? Puoi rallentarlo, addirittura impedirgli di proseguire per giorni e mesi e anni il suo tragitto, ma quello prima o poi riprende a correre e dinanzi a sé avrà sempre e solo un unico binario – è nella sua natura, è il suo destino.
 
*
 
James, noi...”
È sparito per sempre.”
Cosa?”
Il vuoto.”
 
 





 
Note dell’autrice: ogni tanto arricchisco questa raccolta con un nuovo racconto, spesso scritto di getto e durante una notte insonne (come questo), spero che chiunque sia ancora qui a leggere lo abbia apprezzato. Questi James e Rose sono eco di quelli della long, ma per una volta ho voluto mettere da parte le ombre e i timori nella scoperta del loro essere altro.
Colgo l’occasione per dire che la stesura del capitolo di Paradiso perduto procede e per ringraziare di ogni recensione ricevuta – anche se tardo a rispondere, sappiate che leggo tutto e vi sono infinitamente grata per il tempo dedicato ai miei racconti.
Un abbraccio!

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Capitolo 11
*** Sei onde, sono riva ***


Sei onde, sono riva
 
 
“E se domani ti portassi al mare...”
 
*
 
Conosci Rose come non conosci neanche te stesso – non esiste luogo in cui lei possa nascondersi da te, sai sempre dove trovarla.
L’hai trovata anche ora.
Nonostante per tutti sia sparita nel nulla e nel silenzio, nonostante temi di essere di nuovo il motivo del suo turbamento.
Temporeggi alcuni istanti prima di avvicinarti, ami guardarla passeggiare lenta in riva al mare – i piedi che lasciano impronte nella sabbia, i lunghi capelli carezzati dalla brezza.
La volta stellata che illumina la notte traccia il suo profilo rapito dai pensieri, e dentro di te ruggisce istantaneo il desiderio di scacciarli tutti.
 
«Ho fatto un sogno strano.»
«Che sogno?»
«Ero una riva rinsecchita.»
«Ti ha turbata?»
 
Macini in breve i passi che vi separano, ma anziché chiamarla per avvisare della tua presenza la stringi in vita a tradimento, e ti cali a baciarle le labbra e sorridi quando ti graffia il viso per vendicare i suoi sussulti.
E poi ti bacia.
Come ogni volta, come è sempre accaduto e come accadrà sempre – non esiste dimensione in cui possiate nascondervi da voi stessi.
E ti abbraccia.
Con la stessa foga che ha animato i vostri baci, tesa sulle punte dei piedi per solleticarti il collo col respiro e stringere le ciocche nere tra le dita – e più lei si sbilancia verso di te, più la stringi per non permetterle di andare via.
 
«Credo di sì.»
«Io non c’ero?»
«Tu eri tutte le onde.»
«Sul serio?»
 
«Sapevo che mi avresti trovata.»
«E io sapevo che mi avresti aspettato.»
Ride sulla tua pelle e dei brividi ti scuotono invasivi. Lento, schiudi le labbra sulla sua fronte e scivoli tracciandole l’intero viso sino a impossessarti di nuovo della sua bocca – baciarla è naturale quanto respirare, forse lo è anche di più.
«Perché sei venuta qui?»
Rose si allontana di pochi passi, ma le sue mani restano avvinghiate alle tue mentre ti invita a seguirla lì dove le onde riescono a bagnare le caviglie – la segui, la segui ogni volta.
 
«Sul serio.»
«Cos’è che ti turba?»
«E se le onde non raggiungono la riva?»
«Rosie, le onde non esistono senza la riva.»
 
Avete le caviglie bagnate e i piedi strofinano il fondale, eppure è un calore implosivo a farvi compagnia, a dirvi che potreste immergervi in quelle acque sino alla testa e seguitare ad avere la sensazione di essere a casa.
Ricordi i mesi trascorsi a non parlarvi, a urlarvi contro, lei a fuggire tu a infuriarti – e le paure e le confusioni e gli errori che il mondo urlava avreste commesso pur di stare insieme.
Contro tutto, contro tutti – per voi due insieme.
«Ho capito perché amo il mare, James.»
«Perché tu sei la riva e io sono le onde?»
Ride di una risata leggera, e tu cedi all’impulso di baciarla una volta ancora, ridendo assieme a lei quando ti morde dispettosa e ti chiude il viso tra mani di salsedine.
«Se insieme siamo qualcosa, siamo il mare,» dice. «Perché il mare è tutto il mondo.»
 
*
 
“...Il mondo è a un passo dalla tua mano, è un passo dalla mia mano. Con te vicino.”
 
 
 



 
Note dell’autrice: ho scritto questo racconto settimane fa in occasione del compleanno di un’amica, è arrivato il momento di pubblicarlo. Le citazioni che aprono e chiudono il racconto sono estratti della canzone E se domani ti portassi a mare dei Negramaro (ringrazio gabryweasley che ha avuto l’intuizione di associarla ai miei James e Rose!).
Anticipo il mio grazie per le recensioni ad Abbattendo i vuoti, mi hanno emozionata tantissimo.
Un abbraccio. ❤
 
 

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Capitolo 12
*** Siamo, e lo sai ***


Siamo, e lo sai
 
 
Erano aculei sottopelle
(chi?)
Erano pensieri invasori
(quali?)
Erano frane terremotate
(quando?)
Erano silenzi accumulati
(perché?)
Erano viottoli bui
(dove?)
 
«Confessami un peccato,» diceva lei.
«Non ho peccati,» diceva lui.
 
In una casa qualsiasi
(viottoli)
Per aver ignorato troppo
(silenzi)
Da quand’erano nati
(frane)
Si rincorrevano innamorati
(invasori)
Occhi d’oceano e capelli di rame
(chi)
 
«E noi cosa siamo, allora?»
«Come se non lo sapessi.»
«E tu ripetimelo.»
«E tu quando lo dirai?»
«Te lo dico ogni giorno.»
«Perché ritorni?»
«Perché non vado mai via.»
«Ma lo vorresti?»
«No, e lo sai.»
«È proprio per questo che lo siamo.»
«Non un peccato.»
«L’amore, Rosie, io e te siamo l’amore.»

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Capitolo 13
*** Tremori ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Otto della longfic.

 


Tremori
 
 
 
 
22 maggio 2022 – Dormitorio Grifondoro
 
Respiri, solo respiri – il suo, il tuo, non li distingui più.
E se affanni forse è per riconoscerti, per distinguerti da lui, per raccontarti che le sue emozioni a pezzi non siano anche le tue – crollare insieme è impensabile, qualcuno dovrà pur restare in piedi e questa volta spetta a te.
“James.”
È un sussurro fioco, stretto nella paura di essere scoperto, e non sortisce effetto alcuno.
James è seduto a terra, la schiena contro la porta serrata del bagno del suo dormitorio, le mani tra i capelli, lo sguardo stravolto perduto nel vuoto.
“Non devono trovarti qui.”
È un sussurro spezzato, piegato dalla rabbia di poter essere causa di altro male, e ti mozza il respiro in gola.
Ti pieghi sulle gambe e finisci con lo strofinare le ginocchia a terra, farti spazio per accovacciarti tra le sue di gambe, stringerlo in un abbraccio che non vuole, abbandonare la fronte sulla sua per costringere quegli occhi a focalizzare la tua sagoma – basta vuoto.
“È al San Mungo.”
“James...”
“Poteva morire, potevano morire tutti e due, e io… Cazzo, io...”
“James, ti prego, calmati.”
“Se parlassi… Se questa cosa uscisse fuori… Rosie, li chiudono ad Azkaban a vita, tu… Louis lo ha… E poi Lorcan… Io, io...”
“Calmati, calmati… Ci sono io, noi… Noi ne usciremo.”
È una promessa bugiarda, lo sai tu e lo sa lui, perché non sono trascorse che poche ore dal duello e non avete la più pallida idea di cosa accadrà quando il sole sarà alto nel cielo, ma il bisogno di raccontarsi qualcosa, di credere in qualcosa, è pressante e vi sprona anche a cedere alle illusioni – solo per poco, solo sino all’alba.
Quando James solleva lo sguardo su di te non riesci a trattenere un sorriso mesto, e gli accarezzi la guancia e poi la baci e di nuovo gli sussurri che in qualche modo ne uscirete.
“Non sei arrabbiata con me?”
“Molto, ma questo non significa niente.”
“Dovrebbe significare tutto, invece, dovresti disprezzarmi… Me, Lorcan, Louis...”
“Sei un idiota, James, proprio un idiota.”
“E tu mi vuoi troppo bene.”
“Forse.”
“Forse?”
“È l’unica risposta che meriti.”
Sbotta in una risata che sa di pianto, stanchezza, paura, ma è una risata e ti induce ad abbracciarlo una volta ancora, sospirando rasserenata quando senti le sue braccia stringerti e le sue labbra sparire tra i tuoi capelli.
“Anch’io ti voglio troppo bene.”
“Forse?”
“Sicuro.”
Questa volta la risata è tua e a rafforzare la morsa è lui – non è solo, non sei sola credi sia tutto ciò che conta adesso.
E respiri, solo respiri – il tuo, il suo, distinguerli non ha più senso.
 






 
NdA: è un missing moments molto breve, ma avevo davanti la pagina bianca e le parole sono venute fuori da sole. Mi scuso per non aver ancora risposto a tutte le recensioni, ma vi assicuro che le ho lette tutte e che vi sono davvero grata per il tempo dedicato ai miei racconti.
Un abbraccio. 🖤
 
 

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Capitolo 14
*** Irripetibile ***


 
Irripetibile
 
 
Siamo lacci e cadute e domande
e corse contro un tempo senza valore
Siamo costante e risalite e risposte
e pace dentro un tempo senza lancette
 
A volte non siamo affatto
e ritroviamo significato inseguendo noi stessi
A volte siamo qualunque cosa
e perdiamo certezze raccogliendo verità estranee
 
Ma io non sono mai io
tu non sei mai tu
– se non insieme
Ma noi è sempre noi
noi resta noi
– anche separati
 
Raccontami una storia
te lo chiedo un giorno qualsiasi
Non conosco storie
neanche mi guardi
Una almeno una la conosci
voglio sentirti
Quella non è una storia
vuoi che ti senta
Se non lo è cos’è
ridi e fermi le lancette
È che ti amo
rido e siamo noi stessi
Niente che sia già esistito
di ripetibile e conosciuto e compreso
– un tutto solo nostro
 
~
 
“Sei sempre stato un’altra cosa.”
“Non hai mai saputo cosa, però.”
“Adesso lo so, so cosa sei.”
“E cos’è che sono per te?”
“Un irripetibile.”
“E cosa vorrebbe dire?”
“Che nessuno prima di noi è stato noi.”
“Qualcosa che non c’è mai stato.”
“E che non ci sarà mai più.”
“A me non spaventa.”
“Neanche a me, non più.”

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Capitolo 15
*** Senza più dighe ***


A MusicDanceRomance

 
Senza più dighe
 
 
Cosa sono quei pensieri nella testa?
Li senti premerti dentro, distruggerti le ossa, fare a pezzi tutta l’irrazionale razionalità cui ti sei appigliato negli anni come il peggiore dei codardi.
In fondo è questo che sei, no?
Un codardo prima ancora di uno stupido, che non ha voluto guardare, ascoltare, capire – anni mesi giorni trincerato dietro parole così vuote da farti rabbrividire ora che il tuo cuore ha deciso di strabordare tutto in una volta, disintegrando la diga che conteneva il sentimento più semplice di tutti.
La ami così tanto…
Neanche ti chiedi da quando, devi accettarlo di amarla da sempre, perché lei è lei, tu sei tu, voi siete voi – e tutto urla che siete sbagliati dalla testa ai piedi, perché davvero non dovresti avere i pensieri che hai, non dovresti sentire quei desideri contrarre i muscoli, non dovresti amarla calpestando ogni cosa.
Vorresti così tanto che anche la sua diga fosse andata distrutta…
E sarai anche egoista, ma non credi ti importi sul serio, non quando l’egoismo è il ponte da percorrere per essere felice assieme a lei – e lo sai, lo sai che dovresti avere meno sicurezza a guidarti, che dovresti considerare la possibilità che lei non sia innamorata di te, ma ti sembra così assurdo che tutto questo sia unilaterale, così fuori dal mondo che Rosie rinunci a te.
Forse basterebbe solo confessarle tutto… Basterebbe?
 
~
 
Cosa sono quei pensieri nella testa?”
(lei ti vede, ti vede sempre)
Di che parli?”
(e tu tremi, tremi ogni volta)
Cos’è che non mi dici, James?”
(e se, e se non bastasse?)
Non oggi, Rosie.”
(un giorno, un giorno basterà)




 

NdA: il racconto è scritto su ispirazione del prompt propostomi da MusicDanceRomance nel contesto di un gioco di scrittura (James Sirius/Rose ~ Unrequieted ossia scrivere di un personaggio che brama un altro).
Grazie a chiunque abbia letto. ❤

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Capitolo 16
*** Un giorno qualunque ***


A gabry e Futeki


 
Un giorno qualunque
 
 
Da ore ormai, Rose non fa altro che guardarlo e ridacchiare, macinando passi ogni volta che lui si allontana per pochi istanti ed esigendo abbracci non appena qualcuno manifesta l’intenzione di intrattenersi con lui. James ha provato a chiederle il motivo di attenzioni così insistenti e appariscenti, ma lei ha scrollato le spalle e lui ha deciso in fretta che il motivo non gli interessa – va sempre tutto bene quando il mondo di Rose ruota esclusivamente attorno a lui.
“Vuoi ballare?”
James glielo chiede mentre ha già intrecciato le loro mani, Rose non ha altra scelta che seguirlo al centro della sala, dove è già presente un nutrito gruppo di coppie che ha assecondato l’iniziativa degli sposi.
“Non ti ho ancora ringraziata per avermi accompagnato.”
“Non potevo farti affrontare un matrimonio babbano da solo.”
“Ti avrei tenuto il muso a vita.”
“Bugiardo, non ne sei capace.”
James ghigna e la stringe un po’ di più, riflettendo che in fondo nessuno lì è a conoscenza del loro grado di parentela – non suo cugino Dustin, lo sposo, né lo zio Dudley, che dubita sia mai riuscito a capire chi e quanti siano i Weasley con cui è imparentato suo padre –, possono quindi godersi in tranquillità la loro vicinanza, senza dover incassare allusioni scomode e rintracciare perplessità in sguardi indiscreti.
“Posso dirti una cosa? Ci penso da quando ti ho visto.”
James si incuriosisce, soprattutto perché Rose ridacchia di nuovo, e ora che è a un palmo dal suo volto nota anche un lieve rossore sulle sue guance.
“Sarebbe?”
“Non ti avevo mai visto vestito così elegante… E sei proprio bello, più del solito.”
Il rossore raggiunge anche il viso di James, riesce a sentirlo accaldato.
“È a questo che pensi da stamattina?”
Rose stringe la labbra e poggia la testa sul suo petto un po’ per avvicinarsi di più e un po’ per nascondere l’imbarazzo.
“È una cosa troppo strana?”
“Non credo… Io lo penso sempre che sei proprio bella.”
“E oggi non lo sono di più?”
“Ogni giorno lo sei di più, Rosie.”
Lei ride e lui avverte un solletico piacevole, capace di scaldarlo e farlo rabbrividire nello stesso istante.
Decidono di tornare a sedersi a seguito di un ballo sin troppo vivace che ha coinvolto l’intera sala e tramutato tante persone eleganti in un branco sudaticcio. James si sfila la giaccia e slaccia la cravatta mentre Rose lamenta di non avere niente che possa tenerle su i capelli.
“Voglio bere,” dice Rose, fissando astiosa la bottiglia d’acqua vuota sul loro tavolo. “Vedi un cameriere?”
“Faccio prima a rubare qualcosa.”
Si congeda con un cenno d’attesa, lei lo guarda sfilare sicuro tra un tavolo e l’altro e adocchiare con disinvoltura quanto fa al caso loro – e ride, di nuovo, senza alcun motivo, terribilmente euforica.
“Parente di Dustin o di Mia?”
“Dici a me?”
Un ragazzo allampanato, Rose immagina possa avere circa l’età di James, forse qualche anno in più, le sorride carico di quella che sembra essere aspettativa – è di certo un invitato, ma non ha la più pallida idea se sia imparentato o meno con i Dursley.
“Sono Camillo, un amico di Dustin,” dice. “Allora, sei con lo sposo o con lo sposa?”
“È con il suo ragazzo, levati dalle palle.”
Rose ha appena il tempo di sgranare gli occhi che James ha già ripreso il posto accanto a lei.
Un paio di scambi di battute dopo e lo sbadiglio plateale di James volto a sottolineare quanto lo stia annoiando quell’intrusione, Camillo si allontana borbottando qualcosa sui parenti antipatici del suo amico.
È solo quando restano soli che James registra un fatto insolito: Rose non ha spiccicato parola, si è però presa la briga di versarsi lo champagne portato da lui senza offrirgliene neanche un goccio.
“Ti stava infastidendo, non fare l’offesa.”
Rose non risponde, ma inaspettatamente gli cede il proprio calice, gli rivolge un sorriso furbo e si allontana dalla sala; James la segue all’esterno di lì a un istante, abbandonando il calice, e la sete e il fastidio e la cerimonia intera.
Si rincorrono ridendo senza domandarsi che senso abbia, dimentichi di aver preso parte al ricevimento come favore personale a Harry – che impossibilitato a parteciparvi ha chiesto ai figli che almeno uno di loro facesse le veci della famiglia – e di dover quindi fingere interesse per gli sconosciuti in abito bianco.
“Vieni qui, ti ho presa!”
Rose ride ancora di più quando James la incastra tra se stesso e una parete, una mano a stringerle il polso e l’altra a massaggiarle il collo.
“Ma che hai oggi?”
Lo chiede sorridente, con una straripante allegria a guidarlo e gli occhi blu che non smettono di vagare sul viso di lei.
“E tu?” rilancia Rose. “Tu cos’hai oggi?”
A James non serve chiedere per sapere a cosa alluda – oggi è stata una giornata strana sin dall’alba, da quando si sono svegliati abbracciati e lui le ha sussurrato buongiorno a un soffio dalle labbra e lei lo ha stretto dicendosi felice di trascorrere una giornata insieme a lui tra perfetti sconosciuti.
Sono mesi se non anni che il loro rapporto diviene sempre più esclusivo, intimo, indispensabile – e ora che entrambi hanno varcato la soglia dell’età adulta e Hogwarts è solo un ricordo, sembra pressare con maggiore prepotenza la prospettiva di potersi ritagliare una vita tutta loro, dirsi tutto quello che hanno sempre taciuto, ammettere di essersi sfuggiti invano.
James la bacia a sorpresa ed è come se la baciasse da tutta la vita. Rose, che ha trascorso troppo tempo a ripetersi che se fosse accaduto avrebbe dovuto respingerlo, lo accoglie e ricambia, affondando le dita nel suo collo con tale forza da avere la sensazione di riuscire a scavare nella sua pelle – lo sente gemere e ridere, e non sa come sia possibile continuare a baciarsi in questo stato, ma ci riescono.
“Devo considerarlo un bacio finto da finto fidanzato per allontanare sconosciuti da me?”
James ghigna e cerca di nuovo la sua bocca prima di risponderle – parlare tra loro è sempre stato superfluo.
“Considerala una proposta di fidanzamento.”
“Fai le cose ufficiali, bravo.”
“Rosie…”
“Anch’io.”

~

Ricordi il nostro primo bacio?”
Hai profanato il matrimonio di tuo cugino.”
Ti amo più di allora, ogni giorno di più.”
Anch’io, sempre.”

 

 

 

 


NdA: il racconto è scritto su ispirazione dei prompt proposti da gabryweasley (James Sirius/Rose ~ Peace ossia loro che passano un momento tranquillo insieme) e Futeki (James Sirius/Rose ~ Push ossia un personaggio che spinge l’altro contro il muro e lo bacia) nel contesto di un gioco di scrittura. È una piccola storia senza ombre, o comunque ombre messe a tacere, ogni tanto anche loro meritano un po’ di pace, spero vi siano piaciuti in questa veste.
Grazie a chiunque abbia letto e alle ragazze che hanno recensito il capitolo precedente (vi ho lette tutte anche se non sono ancora riuscita a rispondervi, grazie davvero di tutto). ❤

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