Come un mito gitano

di Angelica Cicatrice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oltre la siepe ***
Capitolo 2: *** La minaccia senza forma ***
Capitolo 3: *** L'epidemia della pietra ***
Capitolo 4: *** La tribù dei selvaggi ***
Capitolo 5: *** Nella tenda del fauno ***
Capitolo 6: *** Un patto sofferto ***
Capitolo 7: *** La principessa di ferro ***
Capitolo 8: *** Il guardiano del confine ***
Capitolo 9: *** La luce della verità ***
Capitolo 10: *** Le parole giuste ***



Capitolo 1
*** Oltre la siepe ***


                                                                                                 Come un mito " gitano"                                                                    
 
                                                                                                                 1 
                                                                                                    Oltre la siepe


Lungo le folte spighe di grano, lei correva divertita con i capelli bruni al vento. Gli occhi aperti, due gemme vermiglie con pagliuzze dorate, erano rivolti verso il cielo azzurro e limpido. La pelle candida e soffice era riscaldata dai raggi solari di quella mattinata.
- Arrivo! - gridò la piccoletta e si fiondò verso una collina verdeggiante, dove un gregge di pecore stava brucando l'erba fresca. Appena la piccola figura penetrò in quel mucchio di bestie belanti, le manine non ebbero timore di sfiorare la pelliccia bianca e i musi umidi, mentre ella continuava nella folle corsa.
- Buongiorno! - gridò la bambina, rivolgendosi alle pecore mansuete e tranquille. Era un giorno come tanti e come al solito la natura su quella collina si stava risvegliando. Tutto intorno, ogni filo d'erba, grillo saltellante, goccia di rugiada, insomma ogni cosa era così vivo. Riusciva a percepirlo perfettamente quella graziosa creaturina di sette anni, che correva a piedi nudi sul tappeto erboso e fresco. Che bello, pensava tra se mentre si distaccava dalle sue amiche a quattro zampe. A un certo punto, la bimba si fermò a riprendere fiato, per poi ammirare i tanti piccoli fiorellini che facevano capolino tra l'erba alta. Quelli erano gli ultimi che avrebbe visto in quella stagione calda, perché ben presto sarebbe giunto l'autunno.
- Che meraviglia! Non vedo l'ora di raccogliere le prime foglie rosse - pensò ad alta voce la piccola, piena di euforia. Può suonare strano, ma a differenza di altri marmocchi, quella piccola pastorella adorava l'autunno e tutto ciò che ne faceva parte. Per lei non c'era periodo migliore in tutto l'anno. Mentre faceva vagare lo sguardo intorno, ecco sbucare fuori due orecchie lunghe e grigie. Un leprotto! La bimba fu presa così tanto dall'entusiasmo che le sue gambine si mossero in un lampo. Tutto quel baccano fece spaventare la bestiolina, e di conseguenza scattò sulle sue agili zampe posteriori.
- Aspetta! Non ti faccio niente - supplicò la bimba correndo dietro al leprotto. Ovviamente questo non fermò l'animale, anzi lo spronò a correre più veloce, e la piccola ebbe giusto il tempo di vederlo infilarsi tra le fessure di una grande siepe di arbusti carichi di foglie.
- Oh no! - piagnucolò lei, e si fermò all'istante davanti a quella barriera. Per qualche motivo era rimasta lì, inerme, titubante sul da farsi. Infine, come se non avesse avuto altra scelta, la piccina si accovacciò e sbirciò attraverso una fessura tra i rami. Le ci volle un po’ di tempo per abituarsi a quella visuale, ma poi rimase interdetta. C'era una pecora dall'altra parte. O meglio, ciò che sembrava a una pecora, ma molto strana. Aveva la pelliccia corta e di un bel colore argenteo. Il corpo ben modellato e dalle zampe sottili. Le corna erano ricurve e gli occhi brillavano come topazi.
- Che bella pecora! - disse la piccola. L'animale misterioso si accorse di essere osservato e guardò in quella direzione. Il suo delicato musino si muoveva facendo dondolare un ciuffo sbarazzino sotto il mento. La bimba era così ammaliata da quella strana bestia mai vista, che dimenticò la sua preoccupazione di poco prima, e senza pensarci attraversò la siepe di arbusti.
- Vieni qui, piccolina - fece la voce dolce della bimba, rivolta all'animale. Quest'ultimo, stranamente, non sembrava affatto spaventato e guardò curioso la piccola umana che le tendeva la mano. Con grande sorpresa e felicità della bambina, quella pecora si avvicinò piano piano fino ad arrivare a pochi centimetri dalle dita paffute. All'improvviso, per chissà quale motivo, l'animale si ritrasse e si voltò indietro.
- Cosa c'è? - chiese la bimba, e alzò lo sguardo sullo stesso punto che fissava la pecora. Belando, l'animale corse via, e si allontanò velocemente.
- Ehi, dove vai? - urlò la piccina, e allora corse anche lei inseguendola. La misteriosa bestiola aveva attraversato rapida la prateria e si addentrò in un posto che la bambina non aveva mai visto nella sua vita. Un bosco. Con i rami tortuosi degli alberi, seguiti da folti cespugli di rovi, sembrava una caverna incantata fatta di vegetazione.
- Wow! - fece la piccola, che si fermò proprio davanti all'entrata. Forse un altro bambino, suggestionato dalle ombre scure e dall'ignoto, sarebbe scappato a gambe levate da lì. Ma quella piccolina era stata conquistata subito da quel luogo misterioso. C'era qualcosa che la attraeva più di ogni altra cosa, perfino più dei leprotti e delle pecore anomale. A un certo punto, mentre la bambina faceva vagare lo sguardo tra le fronde degli alberi, una leggera brezza danzò tra il fogliame, e un dolce brusio si diffuse come una melodia ammaliante. Una voce, molto flebile, quasi impercettibile, sembrava richiamare il nome di lei. Qualcosa la stava invitando ad entrare nel bosco. La piccola aveva appena fatto i primi due passi in avanti che una forza la sollevò da terra.
- Roxanne! - disse furiosamente una voce. Un giovane uomo, sulla trentina, prese in braccio la bimba e senza dire niente la portò via.
- Papà...- fece la piccina, lasciando che l'uomo la portasse lontano da quel posto a passo svelto. Ora sì che era nei guai. Appena attraversarono la siepe di arbusti e si ritrovarono nuovamente nei pressi del gregge, l'uomo fece scendere la piccina e la prese per le spalle.
- Roxanne! Per tutti dli Dei, quante volte ti ho detto che non devi oltrepassare la siepe? - le ricordò suo padre, scuotendola leggermente per farle capire la serietà nelle sue parole. Il faccino della piccola, con le gote rosse e accaldate, si incupì, coprendosi di un velo di dispiacere e senso di colpa.
- Mi dispiace, papà - disse semplicemente, cercando con quelle semplici parole un possibile perdono.
- Oh, Divino Zeus! - sospirò l'uomo, stringendo a se sua figlia - Meno male che non sei andata così lontana -. La piccina si lasciò cullare da quell'abbraccio che per lei era un gesto di calma dopo la tempesta. Infine, suo padre la guardò di nuovo e addolcendosi la invitò a seguirlo lungo lo spazio erboso, dove le pecore pascolavano tranquille. La piccola Roxanne tornò così in quello che lei considerava la sua valle in miniatura, isolata dal resto del mondo. E pensare che vi erano mille luoghi che ancora non aveva visto, e di cui non conosceva neanche l'esistenza. Roxanne amava la sua casa, una capanna in legno di quercia, situata su quella collina piena di verde e con un vasto orto rigoglioso. Inoltre, non poteva chiedere amici migliori delle pecore, ed era tanto amata da suo padre, e anche lei lo amava. Lei era felice, su questo non c'erano dubbi. Ma si sa, i bambini sono curiosi di natura, e Roxanne aveva un'innata voglia di conoscere e scoprire. Per questo motivo, come era accaduto altre volte, formulò una domanda al suo unico genitore.
- Papà, cosa c'è al di là della siepe? -.
L'uomo era tornato a lavoro; si stava occupando del suo orto, seminando i primi semi di zucca. Appena udii quelle parole, si fermò di colpo e guardò sua figlia. Aveva gli occhi seri, ma c'era qualcosa di indefinibile, imperscrutabile, perfino per un adulto. Infine, con calma rispose:
- Niente, piccola. Niente di eccezionale -.
Roxanne rimase un attimo perplessa. Nonostante la tenera età, era una bambina molto perspicace. Se era vero che dall'altra parte non ci fosse nulla, allora perché le era vietato andarci? Era un enigma che la piccola non avrebbe mai sciolto, se suo padre non le avesse dato una possibilità di comprendere la sua strana ansia. Forse c'era qualcosa che non poteva dirle? Suo padre le stava nascondendo qualcosa? Troppe domande, e niente risposte. Per l'ennesima volta la piccina si rivolse all'uomo.
- Perché non posso andare oltre la siepe? -.
Suo padre batte la zappa sulla terra con gran forza, forse troppa. Se non fosse stato per il tono dolce nella voce di Roxanne, così puro e innocente, forse il contadino avrebbe perso la pazienza. Allora tornò a guardarla, ed evitando di far vacillare qualche emozione negativa, rispose:
- Perché sono le regole, figlia mia. Quel posto è pericoloso -.
- Quel posto? Intendi il bosco? - disse la piccola lasciando spiazzato suo padre. Si era incastrato con le sue stesse mani. Per molto tempo, praticamente da quando sua figlia aveva fatto i primi passi, l'aveva tenuta lontana dalla siepe, che divideva la piccola collina dalla vasta prateria. E soprattutto, l'aveva tenuta lontano dal bosco.
- Sì, piccola - rispose lui, rendendosi conto che non poteva più fare il vago e basta.
- Perché? - insistette Roxanne, seduta su una pila di piccoli ceppi di legno. Il padre sospirò e le rispose.
- Te l'ho detto. E' pericoloso. Ci sono orrende creature in quel luogo -.
Se da una parte, come avrebbe giustamente fatto qualsiasi padre apprensivo, l'uomo stesse cercando di inventarsi qualche scusa, d'altro canto egli era certo su ciò che aveva detto. Quindi non era solo una semplice invenzione per tenere la figlia al suo posto, al sicuro.
- Ma avevi detto che non c'è niente oltre la siepe, giusto? - gli fece notare la bambina. L'uomo ebbe una sorta di colpo allo stomaco e spalancò gli occhi per lo stupore. Ora sì che si trovava nei guai. Fissando il viso della piccina, che mostrava solo una curiosità disarmante, ma pur sempre innocente, il contadino non ebbe il coraggio di obiettare ancora. Quell’espressione così ingenua lo fece sorridere di gusto, e così, dopo aver lasciato cadere la zappa sul terreno, si avvicinò alla pila di legna.
- Piccola mia, tu fai troppe domande al tuo povero vecchio! - disse prendendo in braccio Roxanne e abbracciandola calorosamente. Come poteva sgridarla solo per farla tacere! Era impossibile.
- Scusa, papà - fece poi lei, con le gote rosse - ma lì fuori c'è tanto da vedere. Ho perfino visto una pecora -.
- Una pecora? - chiese suo padre, aggrottando la fronte. La piccola annuì, facendo danzare i suoi lunghi capelli dai riflessi mogano.
- Una pecora molto strana - aggiunse, e cercò di descriverla - Aveva corna appuntite dorate che brillavano al sole. Occhi come monete d'oro...e un ciuffetto sotto al mento...-.
L'uomo ascoltò con attenzione e alla fine capì di che strana bestia si trattasse. Sul suo volto c'era però un misto di disagio e di tenerezza.
- Ah, capisco. Proprio una strana pecora - tagliò corto lui.
Povera piccola Roxanne, c'erano tante cose che non conosceva, e che forse non avrebbe mai conosciuto. Il contadino guardò dall'alto il volto di sua figlia e si concentrò su quelle gemme vermiglie con le pagliuzze dorate. "Assomiglia così tanto a sua madre...ha ereditato i suoi occhi...e anche la testardaggine" pensò fra se e non riuscì a controllare un risolino.
- Che c'è, papà? -.
- Niente, cara. Stavo pensando a una cosa divertente - si giustificò lui. Sua figlia gli scrollò una spalla e tutta agitata fece:
- Cosa? Cosa? -.
L'uomo le sorrise e infine fece una smorfia. Poi alzò le braccia all'altezza della testa e assunse una posa.
- Oh no! Il pecorone imbizzarrito! - disse ad alta voce Roxanne, e saltò giù dalle ginocchia di suo padre e cominciò a correre.
- Corri, o ti prenderò! - fece lui, e alzandosi dal mucchio di legname corse dietro alla piccola che strillava divertita a quel gioco genuino. Anche per quel giorno la piccola Roxanne dimenticò la questione della siepe, del severo divieto, e si lasciò nuovamente cullare tra le braccia della quiete monotona della sua preziosa valle in miniatura. E così doveva essere. Per sempre. Ma ciò che non aveva dimenticato e che avrebbe portato con se anche negli anni avvenire, era quella magica e unica sensazione che aveva provato per la prima volta al confine di quella prateria. E il bosco che nascondeva segreti e misteri che lei stessa avrebbe scoperto...un giorno o l'altro... 
 
Angolo dell'autrice:
Bonsoir, cari <3 Terminata ormai la fanfiction dedicata a Clopin " Se ci fosse qualcuno come me " mi è venuta in mente una nuova storia, ma in chiave mitologia greca (non so voi, ma io adoro i miti greci **) e così ho pensato - ma sì, perché no - e così ho iniziato questa nuova storia, e spero che vi piacerà. Questo primo capitolo sarà più una presentazione del primo personaggio (che per il momento ricopre il ruolo da protagonista) e per chi ha letto la mia fanfiction di sicuro l'avrà riconosciuta <3 <3 Comunque sembra che la nostra Roxanne avrà un ruolo molto importante che però ancora non è chiaro, quindi aspettatevi altro (e soprattutto gli altri personaggi come Esmeralda, Febo, Quasimodo e ovviamente il nostro giullare preferito <3). Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete qualche domanda fate pure, sarò felice di rispondere <3       
A bientòt <3 

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Capitolo 2
*** La minaccia senza forma ***


                                                                                                                 2
                                                                                   La minaccia senza forma

 
Passarono i giorni che divennero così settimane, e la raggiante estate aveva lasciato posto all'inesorabile autunno. Le chiome degli alberi si erano colorate di giallo, arancione e ben presto di rosso intenso. Il vento frizzante giocava con la natura creando con piccoli mulinelli un festoso ballo tra polline e fili d'erba. Sulla cima della collina verdeggiante il solito gregge di pecore pascolava docile e belante. Tra quel mucchio di lana vaporosa trotterellò fuori una bestiola che non assomigliava per niente a una pecora. Col mantello bruno e dalle chiazze chiare, il cerbiatto saltellava giocosamente insieme ai cuccioli delle sue amiche dal manto candido. Una folata di vento sbuffò tra le fronde degli alberi. Le foglie danzarono nell'aria e arrivarono sulla valle in miniatura. Quando quella brezza si calmò, una foglia d'acero di colore arancio si posò sull'erba, vicino a una pila di ceppi di legno. Una mano candida recuperò quella foglia e la portò su una chioma bruna dai riflessi rosso mogano.
- Ehi, come sto? - fece una voce chiara e femminile. Doveva trattarsi della piccola Roxanne, su questo non vi erano dubbi. Ma quando la figura si spostò di lato, specchiandosi sulla superficie dell'acqua all'interno di un secchio, il riflesso che si materializzò era del tutto diverso. Infatti, non si trattava del viso di una bambina di sette anni, ma di una giovane donna, bella e attraente. Erano passati 10 anni da quella lontana estate, e la piccola pastorella era sbocciata in una splendida creatura, dai lineamenti morbidi e armoniosi pari a quelli di una Venere. La pelle era levigata da un tono chiaro e dorato, che ricordava il latte mescolato al miele. I capelli, legati in una spessa treccia, erano cresciuti moltissimo, tanto da arrivarle sotto le natiche. Mentre gli occhi erano praticamente rimasti gli stessi, verdi e dalle pagliuzze dorate. Ma nonostante i piccoli cambiamenti nel suo aspetto, Roxanne aveva mantenuto alcuni tratti del suo carattere da bambina. Un esempio, adorava ancora stare all'aria aperta e occuparsi delle pecore. Inoltre, ogni anno aspettava con ansia l'autunno e quando giungeva, si lasciava inebriare dallo spettacolo che la natura le offriva. Per non parlare dei deliziosi frutti e ortaggi che l'orto di suo padre donava per la loro tavola. Per questo la fanciulla era diventata una cuoca provetta, e per lei quella stagione era fonte di ispirazione per cucinare creme e vellutate alle carote, minestroni di legumi, e soprattutto torte di mele e di castagne.

Pv Roxanne

- Più tardi andremo all'orto. Se le zucche saranno mature al punto giusto, preparerò per cena una buona zuppa. Gnam! - dissi ad alta voce, rivolgendomi al mio tenero Morò. Qualche anno fa, mentre stavo sistemando il bucato sulla corda tesa per farlo asciugare al sole, ebbi la sensazione di udire degli strani versi. Per un breve momento pensai addirittura che fosse il vagito di un bambino abbandonato. Seguendo quel "pianto" insolito, arrivai nei pressi della siepe di arbusti. Lì accanto, a pochi centimetri dalla barriera, trovai un piccolo cucciolo di una specie che non aveva mai visto in vita mia. In un certo senso, assomigliava un po’ alla strana pecora che incontrai tanto tempo prima. Intenerita da quella bestiola, con una zampetta ferita, non ebbi il coraggio di lasciarla lì, perciò senza alcun indugio la presi in braccio e la portai nella capanna. "Possiamo tenerlo? "fu la prima cosa che chiesi a mio padre, appena tornato dal lavoro. Per una manciata di minuti, avevo scrutato l'espressione sul suo volto, e fui certa a cosa stesse pensando. Quell'animale, che scoprì essere un cerbiatto, doveva provenire al di là della siepe, in quel bosco. Conoscendo mio padre e il suo odio verso quella parte di mondo, sapevo che avrei faticato tanto per convincerlo. Ma nonostante le rigide regole era un uomo dal cuore buono, e si era accorto di quanto già amassi quel cucciolo, e allora, con dolce resa, mi diede il permesso di tenerlo con noi. Dal canto suo, anche il cerbiatto si legò molto a me, alla sua nuova casa e fece amicizia con le pecore. A volte si comportava proprio come un agnello, imitando le sue compagne, come brucare l'erba ed emettere versi che, per sua sfortuna, erano ben lontani dall'inconfondibile belato. Ogni volta che mi allontanavo per qualche necessità, lui mi cercava insistentemente, come farebbe qualunque cucciolo bisognoso della propria mamma. Per la dolcezza e gli occhioni teneri, scelsi core nome Morò, che significava " bimbo ", e che rispecchiava il suo lato innocente da eterno cucciolo. Dico questo perché, nonostante fossero passate tre primavere, Morò non era cresciuto di molto. Perfino la sua pelliccia non presentava cambiamenti e non vi era alcuna minima traccia delle corna sulla testa, tipiche dei cervi maschi in fase adulta. Era come se fosse rimasto bloccato nel suo stadio di cerbiatto e che non potesse crescere più di così. Era una cosa che non riuscivo a spiegare. 
- Morò, vieni qui! - lo chiamai felice, mentre recuperavo da una cesta un fascetto di fieno. Era la sua leccornia preferita. Il cerbiatto smise subito di giocare con un piccolo agnellino e mi raggiunse in un batter d'occhio. Era così adorabile! Non era solo carino e affettuoso, ma anche molto ubbidiente. Accarezzai il suo mantello morbido mentre lui accettava con piacere il fieno dorato. Era un giorno perfetto per stare all'aria aperta, con quella dolce brezza e il sole che splendeva radioso. La valle in miniatura era il luogo più tranquillo e sereno che esistesse in tutto il mondo. Già, in tutto il mondo...  
        Quel pensiero era ciò che mi era sempre bastato nei miei anni da bambina, in passato. Voglio precisare, non è che non ne fossi più convinta, ero certa che la mia casa fosse un luogo perfetto per poterci vivere in armonia. Ma nell'ultimo periodo qualcosa era cambiato, in me di certo. Ogni giorno, in cui le ore trascorrevano monotone e con gesti quotidiani ormai meccanici, sentivo che c'era altro oltre la placida valle. Inoltre, come potevo essere ancora sicura delle mie certezze, di ciò che mi era stato sempre detto, se non avevo mai messo piede fuori dalla collina? I miei occhi, guidati da un silenzioso desiderio, si spostarono verso l'orizzonte, oltre il pascolo e la collina verdeggiante. Lì, dove il mio sguardo si fermò, c'era la siepe di arbusti. Al di là di quel "muro" c'era tutto un mondo che non conoscevo affatto.
- Sai, e pensare che una volta ho oltrepassato quella stessa siepe - dissi ad alta voce, ma senza distaccare gli occhi - Avevo incontrato un altro animale davvero insolito. Ma era anche molto bello -.
Lo so, adesso penserete che sono matta e che sto parlando da sola. Può sembrare assurdo, ma in verità stavo parlando proprio con Morò, che intanto continuava tranquillo la sua merenda. Non fraintendete, ero consapevole che il cerbiatto non mi avrebbe mai risposto, e di certo non pretendevo che le mie parole fossero capite. Ma avevo vissuto per tutto quel tempo sulla collina, il cui mio unico punto di riferimento era stato mio padre, e gli unici amici che potevo permettermi erano le pecore, docili e mansuete compagne di giochi fin dall'infanzia. Non era quindi così strano che mi venisse naturale parlare col gregge o con il mio cerbiatto. A volte mi aprivo di più e confidavo a loro i miei sogni e i miei desideri più intimi, perché ero certa che non mi avrebbero ammonito o giudicato come avrebbe potuto fare mio padre.
 - Se almeno avessi mia madre al mio fianco - ripresi poi - Magari lei mi avrebbe compresa -.
In quel momento non potei fare a meno di pensare quanto io e Morò fossimo simili. Ritornai con la mente a quel giorno. Il piccolo cerbiatto doveva aver perso la madre, forse uccisa da qualche animale feroce, e lui si era salvato per miracolo, allontanandosi dal bosco e superato la siepe di arbusti. Anche io avevo perso mia madre. Era morta di parto, dandomi alla luce. Data la circostanza, non l'avevo mai conosciuta, e come se non bastasse mio padre ne parlava raramente. Il dolore della perdita era così devastante che ogni volta che cercavo di fargli qualche domanda a riguardo, preferiva sempre troncare l'argomento sul nascere, lasciandomi con maggiori domande che non avrebbero mai avuto risposte. Ma perché così tanti segreti? Forse dovevo solo arrendermi e accontentarmi di quello spazio tutto mio, sebbene piccolo e solitario. A un certo punto ecco che arrivò una brezza insolita. Era dolce e avvolgente, aveva un profumo selvatico e pungente, e proveniva da qualche posto lontano. Mi era così familiare. Lo avevo già avvertito altre volte.
- Lo senti anche tu, Morò? - chiesi piano, rivolta al mio amico, che in quel momento lasciò perdere il fieno. Rimasi per un attimo a fissare il cielo limpido mentre il vento mi accarezzava il viso. Strano, era come se avesse cambiato direzione. Lo capì dai batuffoli di polline che invece di danzare verso il gregge, si stavano muovendo verso la parte opposta, proprio in fondo dove c'era la siepe di arbusti. Una strana sensazione mi stava scorrendo in tutto il corpo. Era come se avvertissi un richiamo, una voce interiore che mi spingeva verso quella direzione. Era una forza irresistibile, la stessa che percepì quel giorno, quando mi ritrovai davanti all'entrata del bosco. Senza rendermene conto, i miei piedi fecero qualche passo e dopo aver superato il gregge mi ritrovai a fissare quei rami aggrovigliati che formavano la barriera invalicabile. Perfino il cerbiatto sembrava come ammaliato, e come me aveva l'impulso di correre e raggiungere la siepe.       
" Cos'è che mi attira sempre verso quel posto proibito? " pensai tra me e me, incantata da quella melodia evocata dal fruscio degli alberi smossi dal vento.

- Roxanne! Dove sei figlia mia? -.
Un'altra voce, più forte e reale offuscò l'altra che mi aveva rapita momentaneamente. Sussultai appena la riconobbi. Mio padre. Quando mi voltai vidi il contadino correre verso di me. Aveva un'aria agitata, con il viso madido di sudore e nei suoi occhi leggevo una terribile preoccupazione. Per un attimo ebbi il timore che mi avesse colta in quel momento mentre rivolgevo l'attenzione alla siepe. Ma con mio gran sollievo, a parte l'agitazione, non sembrava affatto in collera con me. Era semplicemente spaventato, da qualcosa a me sconosciuto.
- Vieni, presto, dobbiamo entrare in casa! - mi disse, facendomi segno di seguirlo. Allora mi affrettai e lo raggiunsi nella capanna. Intanto Morò si accinse a seguirmi a sua volta, come faceva di solito. Appena fummo tutti dentro, mio padre chiuse la porta in legno e la serrò con una lamina di ferro. In quel preciso istante cominciai a preoccuparmi anche io. Cosa stava accadendo?
- Padre, cosa è successo? Perché ci siamo dovuti barricare dentro? - cominciai a chiedergli, mentre Morò si accovacciò sul mio grembo, come se egli stesso avesse intuito una sorta di pericolo imminente. Si sa che gli animali percepiscono cose in largo anticipo a differenza degli umani. L'uomo non mi rispose e lo vidi girovagare per la capanna, chiudendo accuratamente anche le finestre.
- Padre...? - cercai di richiamarlo, sperando di ricevere finalmente una spiegazione. Allora il contadino, dopo aver recuperato un fagotto di cuoio, senza guardarmi in faccia rispose:
- Vai in camera tua -.
La sua voce aveva assunto un tono secco e sfuggente. Ma ciò che mi fece rimanere interdetta, fu la freddezza e il distacco delle sue parole.
-Perché? E che stai facendo? - gli chiesi, mentre notai che da quel fagotto tirò fuori alcuni pugnali e coltelli.
- E' una faccenda che non ti riguarda, figlia mia. Devo intervenire personalmente - mi rispose, ma tutto ciò mi angosciò ancora di più.
- Stai andando alla siepe, vero? Anzi, nel bosco... - dissi senza mezzi termini. Durante la mia crescita erano state rare le volte in cui avevo visto mio padre avvicinarsi alla barriera, ma ogni volta portava con sé sempre un'arma per difendersi da chissà quale minaccia temibile. Ma il vero problema, e ne ero più che certa, risiedeva proprio in quel bosco misterioso, che per anni e anni, lui mi aveva tenuta lontana in ogni modo.
- Roxanne, ne abbiamo già parlato...anche fin troppe volte - si limitò a dire, ricordandomi delle mille avvertenze che mi aveva dato. Non ce ne era bisogno, dato che me lo ripeteva tutti i santi giorni, ma non mi aveva mai spiegato tutta la verità. Solo storie di creature indicibilmente orrende e pericolose. Un covo infernale dalla falsa immagine di un bosco comune, che brulicava di bestie mostruose. Ma per una ragazza di 17 anni quei racconti risuonavano solo come una banale scusa. Ero troppo grande per ascoltare le storie di paura. Per far valere la mia determinazione mi puntai davanti alla porta di casa. Ero stanca di essere sempre messa all'oscuro di tutto.
- Figlia mia, non rendermi le cose più difficili - fece lui, mentre sistemava le lame alla cintura - Posso solo dirti che devo andare e tu devi rimanere qui al sicuro. Se ti accadesse qualcosa... -.
- Cosa? Cosa dovrebbe accadermi? Che mi imbatta in una stana pecora? - chi chiesi in tono deciso, con un pizzico di ironia. Dopo quella scialba spiegazione mi ero sentita ancora più messa da parte e non riuscivo più a tollerarlo.
- Non è di una semplice pecora che devi temere, ma dei...-.
Non aveva terminato la frase poiché si era tempestivamente morso le labbra, come se cercasse di trattenere un segreto che non poteva svelarmi. "Padre cosa mi stai nascondendo?" pensai tra me, ormai devastata dall'amarezza di quella situazione. Lui scosse il capo e con risolutezza mi prese per le spalle per smuovermi, ma questo fece scattare in me qualcosa. Mi scrollai di dosso la sua presa e con rabbia vomitai tutta la mia frustrazione.
- Perché non mi dici mai niente?! Di cosa hai paura?! - esplosi, avvertendo le lacrime agli occhi. Quella reazione improvvisa sbalordì l'uomo che avevo davanti. Era la prima volta che mi ribellavo in quel modo al suo volere, e per un attimo io stessa ne fui sorpresa.
- Ho paura...per te, figlia mia - mi rispose, mantenendo il tono calmo - Io devo proteggere la mia bambina -.
- Non sono più una bambina! Io sono cresciuta, padre! Sono una donna! - dissi con fermezza, guardandolo fisso negli occhi. Uno strano silenzio scese in quello spazio. Stavo aspettando, ma lui sembrava essere caduto in uno stato di mutismo che era peggio di un rimbombo assordante.
- Già, hai ragione...- rispose infine. Con una tenerezza che mi aveva sempre riservato, mi sollevò il mento per guardarmi meglio. Lo faceva spesso negli ultimi tempi. Le mie guance erano rigate dalle lacrime, ma ero troppo amareggiata per preoccuparmene.
- Proprio per questo devo proteggerti, mia Roxanne. Perché sei diventata una donna...-.
Cosa stava dicendo? Per quanto quelle parole fossero cariche di affetto, sentivo che per l'ennesima volta mio padre mi volesse tacere qualcosa di molto importante, e non solo su quella faccenda di pericolo che non comprendevo. Ma su di me. Nonostante il tempo avesse indurito il viso con le rughe, mutato il colore dei capelli nel grigio, e le mani rese callose, quell'amore paterno, che negli anni era diventato un'arma a doppio taglio, era rimasto intatto e integro nell'animo di mio padre. Non ne potevo più! Mi distaccai da lui e mentre mi passavo una mano sul viso per asciugare le lacrime esclamai:
- Sono stanca di essere prigioniera nell'ignoranza...e nella tua " gabbia" che chiami protezione! -.
Detto ciò corsi al piano di sopra, salendo i gradini e infine chiusi la porta alle mie spalle con un fragoroso botto. Poi mi fiondai sul mio letto, affondando la faccia sul cuscino, dando sfogo a tutta la disperazione e alle lacrime che mi erano rimaste. Nella mia giovane vita non avevo mai pianto così tanto. Sapevo quanto mio padre mi amasse e che il suo fosse solo il modo che riteneva giusto per tenermi al sicuro. Ma ormai ero grande, e qualunque fosse stata la minaccia o il pericolo, o semplicemente le verità nascoste, non potevano rimanere celati per sempre. E la libertà di conoscere posti nuovi, di scoprire il mondo esterno, era anche quella qualcosa che mi sarebbe stata negata per il resto della vita? Era tutto più facile quando ero ancora piccola e ingenua...

La notte era buia e carica di suoni e odori. Correndo a piedi nudi sulla terra, le foglie secche sfioravano le caviglie, mentre la polvere si alzava ad ogni singolo passo. I capelli spettinati e lunghi svolazzavano per aria, con il vento che sferragliava forte e freddo. Dove mi trovavo? Questa non è la collina! Circondata da alberi tortuosi e lugubri, correvo spaesata come se avessi smarrito la strada. Ma non ero sola. Nel bosco oscuro c'era qualcuno che mi stava inseguendo. O meglio, qualcosa. Potevo sentirlo da metri e metri di distanza. Correva e sbuffava, in cerca della sua preda; me. Con il terrore di essere raggiunta, corsi più veloce possibile, col cuore che mi stava per uscire fuori dal petto. Ma più mi affannavo a scappare, più avvertivo un'ombra terrificante avvicinarsi alle mie spalle. Mi prenderà! Dei versi animaleschi mi fecero sobbalzare dallo spavento e allora inciampai. Mentre cadevo tutto sembrava rallentare e udii una voce che mi risuonava nelle orecchie: " Nel bosco, oltre la siepe... ci sono orrende creature". Ma questa, è la voce di mio padre! " Se ti dovesse succedere qualcosa...". Quando finalmente la caduta terminò, mi ritrovai sommersa in un mare di foglie di un rosso vivo. Il mio colore preferito. Volevo cercare di alzarmi ma non ci riuscivo, come se in realtà stessi nuotando disperatamente in un oceano illusorio per evitare di annegare. Poi, la paura si impadronì di me quando ebbi il tempo di vedere quella feroce creatura sbucare dalla penombra del bosco...e scagliarsi su di me per cibarsi delle mie carni.

- Nooooo! -.
 
Angolo dell'autrice
Buonasera, gente ^^ Ecco a voi il secondo capitolo di questa storia. Lo so, ancora nessuna apparizione dei nostri personaggi principali, ma tranquilli ci arriveremo presto. Intanto cosa ne pensate della ormai cresciuta Roxanne? E secondo voi cosa sta succedendo nei pressi della siepe proibita? Posso solo consigliarvi di seguire i prossimi capitoli, e molti enigmi e misteri saranno finalmente svelati ^^. Perdonatemi se per il momento è tutto ancora poco chiaro, ma credetemi, ne varrà la pena XD Nel frattempo, fatemi sapere la vostra opinione. Grazie a tutti <3
 

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Capitolo 3
*** L'epidemia della pietra ***


                                                                                                            3 
                                                                                L'epidemia della pietra

 
Roxanne spalancò gli occhi, col respiro spezzato e il cuore che le martellava nel petto. Sì diede un'occhiata intorno, col buio che regnava incontrastato nella stanza dove si trovava. La sua stanza. Era stato solo un sogno...no, un incubo. Un terribile incubo che le era sembrato così reale. Goccioline di sudore le scendevano lungo il viso, mentre giaceva ancora sul suo letto con le coperte di lino bianco. Cercò quindi di calmarsi, ma il terrore e l'ansia non la lasciarono in pace facilmente. Anche se si era trattato di un semplice sogno, percepiva ancora la sgradevole sensazione che aveva provato mentre correva nel bosco, circondata dalle ombre e dallo smarrimento. E..quella "cosa". Cos'era stata quella strana creatura? Purtroppo non era riuscita a vederne le precise sembianze, ma solo una neutra sagoma nera che si stagliava sul resto della selva. Era forse uno dei spaventosi mostri delle leggende antiche che le raccontava spesso suo padre?

Pv Roxanne

Padre! Solo in quel momento la razionalità tornò a farmi ragionare, ed ebbi una sola preoccupazione in testa. Mio padre! Poi, uno strano rumore mi fece voltare verso la porta chiusa della camera. Era come se qualcosa stesse grattando sulla superfice del legno. Capì subito l'origine di quel suono e allora andai ad aprire. Morò era lì davanti alla soglia, e appena mi vide sfregò la testa su di me.
- Scusami, Morò, ti ho lasciato tutto solo - dissi al mio cucciolo, abbracciandolo amorevolmente. Il cerbiatto fece muovere energicamente la piccola coda, segno evidente che era felicissimo di vedermi. Ma poi il suo comportamento mutò all'improvviso. Emise qualche verso e si agitò sulle sue zampette sottili, mentre gli zoccoli colpivano fragorosamente sul legno del pavimento.
- Cos'hai, Morò? - gli chiesi. Erano in quei momenti che desideravo che il mio amichetto potesse avere il dono della parola. Morò fece agitare le zampe anteriori nell'aria per poi precipitarsi giù per le scale che portavano al piano inferiore. Lo interpretai come un " seguimi, presto". Allora, senza pensarci su due volte, scesi a mia volta le scale e vidi che la stanza era vuota. Una nuova ansia mi pervase, dato che mi tornò in mente la discussione avuta con mio padre in precedenza. Era ovvio che fosse uscito di casa, ed era andato alla siepe. Facendo vagare lo sguardo, grazie alla luce di una piccola candela posta sul tavolo, vidi un pezzo di pergamena proprio lì vicino. Incuriosita lo presi e mi accorsi che era un messaggio da parte di mio padre.
" Rimani al sicuro in casa. Al mio ritorno ti racconterò tutta la verità. Te lo prometto. Tuo padre ".
Per un attimo mi stropicciai gli occhi. Avevo letto bene? Per convincermi che non stessi ancora sognando, rilessi piano e con attenzione il messaggio. Era tutto reale! Il mio animo fu pervaso dall'incredulità e dalla felicità. Emozioni contrastanti si mescolarono tra loro dentro di me, come gli ingredienti di una bizzarra ricetta per una zuppa che nessuno avrebbe mai assaggiato. Ero contenta di quella promessa scritta e che finalmente tutti i miei dubbi sarebbero stati sciolti. Ma al tempo stesso, ero molto preoccupata per mio padre. Per prima cosa, quanto tempo era passato da quando era uscito?
Per via delle finestre serrate, non potevo saperlo, e allora sbirciai da una piccola fessura. Era già il tramonto! Ben presto sarebbe calata la sera, e lui non era ancora tornato.
- Cosa faccio adesso? - dissi ad alta voce, con la pergamena tra le mani - Dovrei rimanere qui ad aspettarlo. Ma...-.
Non ero mai stata una tipa disubbidiente, nemmeno quando ero piccola. Fatta eccezione per qualche volta, ma ero pur sempre guidata da un impulso genuino e mai per dispetto o cattiveria. Una parte di me desiderava uscire e andare a cercarlo. Avevo troppa paura che gli fosse accaduto qualcosa di brutto. Ma dall'altra, il pensiero di disubbidirgli, proprio quando mi aveva promesso di concedermi le risposte che tanto agognavo, mi sembrava quasi un tradimento. Inoltre, mio padre era un uomo in gamba, e ogni volta che si era allontanato da casa era sempre tornato come se nulla fosse. Ah, ma che dico!  Quella era una situazione del tutto diversa. Mentre continuavo ad arrovellarmi il cervello, il cerbiatto annusò l'aria. Vidi il suo corpo fremere leggermente, le orecchie ben tese, e gli occhioni che brillavano nella penombra. Poi, senza un motivo apparente, corse verso la porta di casa e cominciò a battere con gli zoccoli sul legno. Con stupore vidi quella scena, e fu allora che ebbi la mia risposta.
- Anche tu vuoi andare a cercare papà, vero? - gli chiesi, e intanto Morò emise un lamento senza fermarsi nel combattere contro l'uscio sbarrato.
E va bene, pensai in testa mia. Forse mi sarei presa una bella ramanzina, ma ormai avevo preso la mia decisione. Presi il mio mantello verde scuro e me lo allacciai sulle spalle. Con la mia sola veste di lino chiaro avrei rischiato di ammalarmi, lì fuori. Prima di aprire la porta decisi di munirmi di un coltello (quello che di solito usavo per affettare la frutta e gli ortaggi) e lo legai alla coscia destra con una cordicella. Non era chissà quanto come arma, ma almeno non mi sarei allontanata senza avere modo di difendermi, se ci fosse stato bisogno. Sinceramente sperai assiduamente di non farne utilizzo. Fatto ciò, finalmente spinsi indietro la lamina di ferro che bloccava la porta della capanna, e quando la spalancai il cerbiatto uscì fuori, agitato e ansioso. La prima cosa che notai appena uscita fuori fu il panico generale del gregge. Pecore e agnelli correvano da una parte all'altra nel recinto, belando come se fossero spaventati da qualcosa di invisibile, ma che era lì a minacciarli.
- Ma cosa sta succedendo? - feci ad alta voce, e mi avvicinai al recinto, cercando di capire quale fosse la causa di quel trambusto. Di solito le nostre pecore erano sempre mansuete e tranquille. Non le avevo mai viste comportarsi in quel modo. Poi, udii Morò che cercava di richiamare la mia attenzione, e lo vidi sgambettare via, allontanandosi verso la collina.
- Aspettami, Morò! - gli gridai dietro, e corsi a perdifiato dietro al mio cucciolo. Mentre mi allontanavo dalla capanna e dal recinto, mi resi conto che i primi spifferi freddi della sera si stavano facendo sentire. Il cerbiatto non smise di correre e si fermò solo quando arrivò alla siepe di arbusti. Proprio come avevo immaginato, Morò mi aveva guidato verso quella direzione, perché probabilmente aveva intuito fin da subito che stava accadendo qualcosa di strano. Quando lo raggiunsi, mi presi qualche secondo per riprendere fiato, mentre il cucciolo fissava insistentemente i rami che formavano la barriera.
- Eccoci qua...- dissi tra i respiri affannati e i battiti veloci del cuore. Appena mi fui calmata, osservai la siepe e studiai i rami raggrovigliati tra loro, e con le foglie rampicanti che davano quel tocco di colore vivo. Poi, mi diedi un'occhiata attorno, per poi allungare lo sguardo più da lontano. Da lassù si riusciva a vedere tutta la collina verdeggiante, insieme al recinto e alla capanna di legno. Uno spettacolo semplicemente meraviglioso. Non mi ero mai accorta quanto fosse bella la vista, ammirandola lì vicino alla siepe. In quel momento tornai sui miei passi e osservai nuovamente la barriera di arbusti.
- Oltre la siepe...sono sicura che papà ha dovuto oltrepassarla...per qualche buon motivo - pensai ad alta voce. Feci scorrere le dita su un ramoscello della siepe, per poi rivolgere lo sguardo agli occhioni scuri di Morò. Mi fissava attentamente, come se stesse aspettando una mia reazione.
- Oh, Morò, non posso credere che sto per farlo...- gli dissi infine. Poi pensai " beh, è successo tanto tempo fa...e questa volta non è per inseguire una pecora". Il cerbiatto fece scodinzolare la coda come segno di approvazione (come se mi avesse letto nella mente) e fece un saltello vivace. Anche lui sembrava eccitato dall'idea di saltare oltre la siepe.
- Su, andiamo! -.
Quella volta, da bambina, mi ero intrufolata con facilità in mezzo agli arbusti, quindi non indugiai nel muovermi nella medesima maniera. Peccato che...il mio corpo ormai cresciuto fece invece più fatica di quanto mi ricordassi, rischiando quasi di rimanere bloccata. Forse, non era stata una brillante idea. Comunque, dopo essere riuscita a sgattaiolare via, aiutai Morò a superare la siepe, tagliando qualche ramoscello con il mio coltello. Finalmente eravamo dall'altra parte, e respirai a fondo l'aria fredda della sera. Ormai il sole si era andato a coricare oltre le montagne grigie che si stagliavano all'orizzonte. Davanti a noi c'era la grande prateria che si estendeva per chilometri e chilometri. Senza aver bisogno di una bussola, mi incamminai insieme al cerbiatto, verso la parte opposta dove il sole si era addormentato: verso est. Da quella parte vi era il bosco misterioso. A un certo punto avvertì qualcosa nell’aria. Non era né il vento né il suono dei grilli. Era un qualcosa di invisibile, ma non fastidioso. Anzi, mi era familiare. Era la "voce" che sussurrava spesso il mio nome, che avevo percepito in passato. Ma in quel momento mi accorsi che era molto più forte, più chiaro. Eppure nelle mie orecchie non arrivava alcun suono, ma era come se il mio spirito cogliesse quel richiamo così unico e travolgente.  " Sono sicura che proviene dal bosco... non ci sono dubbi" pensai in silenzio, e allora aumentai il passo. Intanto, l'ansia e la preoccupazione di ritrovare mio padre stavano crescendo sempre di più, man mano che ci avvicinavamo alla nostra metà. Avevamo superato un bel pezzo della prateria, ed eravamo molto lontani dalla siepe. Ancora un po’ e avremo visto l'entrata del bosco. In quel momento pregai che mio padre non avesse varcato anche quel limite. Ne avevo il sospetto dato che prima di uscire si era munito di varie armi. E se era vero che nel bosco vivessero creature mostruose, allora quelle storie che mi raccontava non erano poi così fantasiose. E' per questo che hai cercato di tenermi chiusa in casa, papà? Cominciai allora ad avere qualche dubbio e le mie certezze stavano vacillando. Forse, mio padre mi aveva solo e sempre raccontato la pura verità...Un lamentoso verso mi fece risvegliare da quei pensieri, e i miei occhi incontrarono quelli di Morò. Si stava agitando nervosamente, e con le zampe anteriori mi faceva intendere di seguirlo. Senza farmi domande lo segui a ruota. In fin dei conti, Morò rimaneva un animale selvatico, e nonostante fosse cresciuto in mezzo a un gregge di pecore, il suo istinto da cerbiatto delle foreste si era risvegliato. Il mio amico saltellava sulle agili zampe ed emetteva i suoi versi, come se volesse spronarmi a correre più veloce. Non lo avevo mai visto così agitato come in quel momento. Ma non dovetti attendere a lungo nel scoprirne il motivo...                            
Il mio sguardo catturò le prime fronde dei maestosi alberi che capeggiavano l'entrata del bosco, e allora ebbi un attimo di sollievo. Finalmente! Poi, qualcos'altro si materializzò, e all'inizio non riuscì a capire cosa fosse. Proprio davanti a quei tronchi carichi di foglie vi era una sagoma scura e modellata dalle ombre della sera. " Ma cos'è? " mi chiesi, mentre correvo da quella parte. Per un brevissimo momento ebbi l'impulso di afferrare il pugnale legato alla coscia. Forse era un animale feroce? Una persona con brutte intenzioni? Ma quando arrivai a pochi metri da quella figura capì che non si trattava di un essere vivente. Morò, che era arrivato per primo, stava annusando l'aria, e il suo corpo cominciò a fremere mentre osservava la statua di pietra che si ergeva in mezzo all'erba. Sì, era proprio una statua fatta di pietra dura, massiccia e grigiastra. Quando mi avvicinai mi chiesi perplessa cosa ci facesse lì, in mezzo alla natura. Ma poi, grazie alla luce argentea della luna, che stava sorgendo in quel momento, realizzai che la statua raffigurava un uomo adulto...La figura massiccia mi dava le spalle, forti e muscolose, che solo un contadino abituato al lavoro nei campi poteva avere. Con il terribile sospetto che mi stava divorando il cuore, girai intorno a quella scultura fino a trovarmi di fronte il suo viso.
- Papà!...-.
Il mio cuore aveva saltato di un battito. Le gambe mi tremarono come se la terra si stesse sgretolando sotto i miei piedi. Non poteva essere vero! Eppure ero sicura che i miei occhi non mi stessero ingannando... Quella statua, quella materia senza vita...era mio padre!
- Papa! Cosa ti è successo?!- gridai, dando finalmente sfogo alla mia voce. Mi lanciai verso la statua, imprigionando il collo di pietra fredda con le mie braccia. Avevo avuto brutti presentimenti, vari timori di ogni sorta, tante preoccupazioni. Ma mai avrei immaginato una cosa così terribile. Ti prego, grande Zeus, dimmi che sto sognando. Mentre le prime lacrime sgorgarono dagli occhi, mi distaccai di un po’ dalla statua, e osservai quel volto dai lineamenti a me tanto cari. I raggi della luna illuminavano i suoi occhi, vitrei e spenti. L'espressione era indecifrabile. Sembrava un misto di terrore e fragilità.
- Papà caro, tu che mi hai sempre protetta - cominciai a dire, accarezzando il volto di pietra - tu che mi hai custodita...e che hai fatto tanto per me...adesso, io cosa posso fare per salvare te? ... -.
In quel momento ripensai a tutte le raccomandazioni, alle rigide regole e ai divieti del mio genitore. Ma soprattutto, ripensai a come mi ero comportata quello stesso giorno. Avevo infangato quella protezione che lui aveva pagato a costo nella vita...
- Sono solo una sciocca e curiosa ragazzina...- urlai disperata, lasciandomi cadere ai piedi della statua, con un mare di lacrime che non riuscivo a frenare. Ciò che mi faceva più male è che avevo odiato mio padre per le ragioni sbagliate. Lui aveva cercato solo di proteggermi, perché sapeva quale male spaventoso ci stesse minacciando. Quella certezza mi fece singhiozzare amaramente e più forte di prima.
- Non piangere...-.
Una voce leggera come un battito d'ali frenò il mio pianto sconsolato. Mi era sembrato il timbro dolce di un bambino. Ma forse, me lo ero solo immaginato.
- Da questa parte...- disse ancora quella voce a me estranea. In quel momento, dato che fui certa di essere lucida nonostante la situazione drammatica, mi alzai in piedi e mi guardai attorno. Ma non c'era nessuno nei paraggi. Poi, mi sentì tirare per un lembo del mantello. Mi voltai e Morò teneva stretto in bocca il tessuto e tirava insistentemente.
- Cosa c'è, Morò? - gli chiesi, con la voce ancora rotta per il pianto. Il cerbiatto lasciò la presa e inaspettatamente corse via fino a intrufolarsi nell'oscurità del bosco.
- Morò, torna indietro! - urlai e mi fiondai in quella direzione. Ma quando mi trovai proprio davanti all'entrata mi fermai di botto. Davvero hai il coraggio di entrare? chiesi a me stessa. Ancora titubante avvertì di nuovo quella misteriosa voce che mi disse:
- Non avere paura, sorellona...-.
Sorellona? La mia mente stava scoppiando dalla confusione e non sapevo cosa fare. Di chi era quella voce? All'improvviso dall'oscurità del bosco uscì fuori la testa di Morò, che mi guardava con i suoi occhioni scuri, per poi fare un verso.
- Morò...ma cosa...? - cercai di spiccicare qualche parola, ma ebbi giusto il tempo di vedere il cerbiatto scomparire ancora nella penombra. A quel punto, spinta dalla necessità ma anche da una curiosità mai estinta, mi feci coraggio. Quel momento lo avrei ricordato per il resto della mia vita. Feci esattamente ciò che non ero riuscita a fare quel giorno, di tanti anni fa. Seguendo l'istinto, per raggiungere il mio cucciolo, mossi le gambe e mi trovai all'interno della selva. Tutto avvenne così in fretta, in un lampo, ma al col tempo, ebbi secondi interi per assaporare il cambiamento. Nel preciso momento in cui i piedi toccarono la terra umida, avvertì uno strano calore al petto. Proprio sotto al seno, sull'addome, sentì bruciare la pelle. Fu un po’ doloroso all'inizio, ma durò giusto un secondo.
- Cosa succede?! - esclamai, e le mie mani si mossero su quel punto del corpo. Come colta da una forza impulsiva, mi sbottonai la veste. Proprio lì, vi era la voglia chiara, bianca come la neve, che avevo fin dalla nascita. La sua forma irregolare fremeva e bruciava. Anche il suo colore stava cambiando, e brillava come un velo di polvere argentea. Poco dopo, anche il mio stato d'animo mutò. Non ero più tesa o spaventata. Mi sentivo immersa in uno stato di pura beatitudine. Perfino il buio lugubre del bosco non mi sembrava più così terribile. Anzi...
Tutto ciò fu troppo per me. Svenni atterrando su un mucchio di foglie, accanto alle radici di un grosso albero.

Quando ripresi conoscenza, avvertì una lingua ruvida bagnarmi le guance. Il mio cerbiatto era accanto a me, felice di avermi ridestata.
- Morò...cosa è successo? - feci ad alta voce, mentre alzavo il capo per mettermi seduta. E quello che accadde subito dopo mi fece sussultare.
- Sei svenuta -.
Ancora quella voce...
Ma questa volta mi fu chiaro di chi fosse. Spalancai gli occhi, rimanendo senza parole, mentre il cerbiatto mi fissava, paziente come al solito.
- Morò...sei stato tu? - balbettai goffamente. Accidenti, deve essere la conseguenza delle forti emozioni, pensai.
- Sì! - esclamò il cerbiatto, facendo agitare la coda per l'entusiasmo - Che bello, riesci davvero a capirmi! -.
Oh, no, sono diventata realmente matta! Ho immaginato per così troppo tempo di poter parlare con gli animali, che adesso ci riesco per davvero...
- A quanto pare sì...o forse ho sbattuto la testa troppo forte...- dissi, tastandomi un lato del capo, sperando per un attimo di avvertire un po’ di dolore.
Ma ero sana come un pesce. Fu allora che mi convinsi che per qualche strano mistero Morò aveva acquisito il dono della parola. Grazie a ciò, potei raccontargli cosa avevo provato quando ero entrata nel bosco. Tutte le strane emozioni e le sensazioni contrastanti legati a quel preciso istante.
- Non ci sono dubbi. Questo bosco deve essere magico - mi spiegò il mio amico - Ciò spiegherebbe come mai riesco a parlarti -.
- Ed è anche il motivo per cui mi è accaduto quello strano evento - aggiunsi, mentre mi risistemavo lo scollo della veste.
- Possibile - rispose il mio cucciolo - anche se penso che ci sia molto di più dietro -.
Aggrottai la fronte, leggermente confusa, ed ero sul punto di fare altre domande. Poi, mi tornò in mente la tragica scoperta di poco prima e mi voltai verso la statua di pietra. Quello che una volta era stato mio padre, era lì pietrificato e senza vita. Oh, padre mio...
- Non preoccuparti, sorellona - mi rincuorò il cerbiatto - è stato pietrificato. Ma non è troppo tardi -.
Rivolgendo di nuovo l'attenzione al mio cucciolo, con gli occhi inumiditi, chiesi:
- Davvero? -.
Il cerbiatto annuì e senza muovere il muso per esprimersi, come se le sue parole uscissero in automatico dalla gola, disse:
- Mentre vegliavo su di te, ho parlato con gli abitanti di questo bosco, cominciò a spiegarmi - E ‘una maledizione. Una sorta di epidemia che pietrifica qualsiasi essere vivente, umano o animale. Una pestilenza che sta divagando in questi luoghi già da qualche tempo. Gli scoiattoli mi hanno svelato che è tutta colpa di una creatura misteriosa, mai vista prima -.
Una creatura? Perché in quel momento stavo rivivendo lo strano sogno che avevo fatto quel giorno stesso?
- Purtroppo gli animali non mi hanno saputo dire altro. Ma c'è una speranza per spezzare la maledizione - mi informò il cucciolo.
- Quale? - gli chiesi ansiosa.
- Bisogna andare oltre i confini del bosco. Una volta superato troveremo il tempio delle Ninfee. Loro sapranno come aiutarci -.

Accovacciata ai piedi dell'albero, la giovane Roxanne stava ponderando su ciò che le aveva appena detto il suo amico inseparabile. Andare ai confini del bosco? Questo voleva dire inoltrarsi nel cuore di quella stessa selva, selvaggia e oscura, tra mille pericoli e.. correre anche il rischio di imbattersi nella creatura della maledizione. Era come andare incontro alla stessa Morte. La moneta d'oro per il posto riservato sulla barca di Caronte, verso l'oltretomba.
- Cosa facciamo, sorellona? - chiese il cerbiatto, con un tono di voce debole e dolce. La fanciulla girò la testa verso l'uscita del bosco. Se avesse deciso di varcarlo nuovamente, sarebbe tornata a casa, avrebbe custodito il gregge, coltivato l'orto, e avrebbe ripreso quindi la sua vita tranquilla, dimenticandosi di tutto, pur di rimanere al sicuro e viva. Questo è quello che avrebbe voluto suo padre. Ma a quale prezzo! Lei sapeva che non avrebbe trovato più pace, né di notte né di giorno, ricordandosi del grande sacrificio di suo padre. Ma non era solo quello il punto.
- L'ultima cosa che ho detto a papà è stato: sono stanca della tua protezione...- proferì Roxanne, mentre una lacrima le rigava il viso - Lui stava cercando di tenermi al sicuro, e io sono stata solo capace di risputargli addosso tutto, senza comprenderlo...-.
Dopo essersi asciugata il viso con un braccio, il suo sguardo si fece più deciso, e allora una nuova forza la spinse a fare la scelta più difficile della sua vita.
- Se sono riuscita a superare una siepe di arbusti, posso fare lo stesso con un bosco pieno di terribili creature. Così sia. Andrò ai confini del bosco e troverò il Tempio delle Ninfee -.
 
Angolo dell'autrice:
Eccomi qua con il terzo capitolo di questa nuova storia tutta in chiave mito greco. "L'epidemia della pietra" se qualcuno di voi ci ha pensato, beh sì, è un preciso riferimento alla situazione che stiamo vivendo con il Coronavirus. Non è così strano pensare a quanto ci siamo "pietrificati" immobili nelle nostre case, per via di questa "maledizione" così terribile e contagiosa. E così come in questa storia, abbiamo tutti paura di subire la maledizione della pietra. Comunque tornando a noi, sono accadute parecchie cose in questo capitolo, dall'inizio alla fine. Ho passato parecchio tempo a rimuginare su come continuare, per rendere tutto sempre più misterioso, anche drammatico, e inserire qualche bella sorpresa (come il piccolo Morò che adesso può addirittura parlare con la protagonista ^=^). Ma tranquilli, molte cose non le ho ancora svelate (è troppo presto XD) ma per chi si sta mangiando le unghie per l'impazienza, sappiate che nel prossimo capitolo vedremo finalmente l'entrata in scena di Clopin (o Klopin in questo caso XD) e in seguito anche tutti gli altri ** Detto ciò, ne approfitto per farvi gli auguri di buona Pasqua <3 Alla prossima <3   

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Capitolo 4
*** La tribù dei selvaggi ***


                                                                                                        4
                                                                                 La tribù dei selvaggi

 
Le prime stelle avevano preso posto sul mantello blu e una luna crescente illuminava ogni cosa con i suoi raggi radiosi. Nel bosco tortuoso tutto sembrava tranquillo, mentre gli abitanti, a seconda della loro natura, si stavano preparando per il riposo o per il risveglio. Come l'introduzione di una melodia, i grilli cominciarono a cantare con il loro monotono verso, accompagnati dal gracchiare di qualche raganella in uno stagno poco lontano. In mezzo a tanta vita c'erano due figure che si muovevano cautamente, tenendosi vicini l'una all'altro. Uno dei due, aveva la pelliccia color castagna con chiazze chiare.

PV Morò

- Sorellona, va tutto bene? - chiesi alla mia padroncina, mentre proseguivamo nel bel mezzo della selva. Prima di metterci in viaggio, avevamo avuto una piccola discussione. Roxanne, inizialmente, mi aveva consigliato di tornare a casa, per rimanere insieme al gregge al sicuro. Ma ovviamente per me era impensabile fare una cosa del genere. Come potevo tornarmene alla capanna e lasciare la mia unica amica in quella situazione difficile? Inoltre, le feci notare che sicuramente avrebbe avuto bisogno del mio aiuto. Con i miei sensi da cerbiatto potevo comunicare con gli altri animali, e avrei potuto darle informazioni che da sola non poteva reperire. La fanciulla era rimasta così colpita dalla mia tenacia e senso di giudizio, che mi diede il permesso di seguirla nell'impresa. Ero un cerbiatto, ma non così stupido. Consapevole che quello fosse un viaggio molto pericoloso, avevo deciso di accompagnare la mia sorella umana, dandole tutto il mio supporto. In fondo, anche suo padre avrebbe voluto che la proteggessi, in qualche modo.
- Sì, tranquillo. Sono solo un po' stanca - mi rispose, mentre cercava di rimanere vigile. In effetti stavamo camminando da molto tempo. Mentre proseguivo insieme a lei, annusavo l'aria, in mezzo ai cespugli e sulle radici degli alberi. Per darle prova del mio coraggio mi ero offerto di farle da "cane guida", cioè usare il mio olfatto per avvertire l'odore di possibili pericoli. Soprattutto se si trattava del mostro della maledizione. Intanto studiai con attenzione il bosco. Ero certo che quel luogo fosse nuovo per me, ma i profumi che si alternavano, lì nei paraggi, mi donavano sensazioni già vissute. Avevano un che di familiare.
- Morò, riesci a percepire l'odore di qualche creatura? - mi chiese Roxanne, notando il mio curioso comportamento.
- A dire il vero, no - risposi, senza staccare il muso dal suolo - E' strano. Ho la vaga sensazione di conoscere questa selva. Tuttavia, non so dire dove ci troviamo e in quale direzione ci stiamo avviando -.
- Non mi stupisce, sai? - mi informò lei con sicurezza - In fondo ti ho trovato nei pressi della siepe. Molto probabilmente ti eri allontanato da questo stesso bosco. Era questa la tua casa, vero? -.
Mentre lei mi rivolgeva quelle parole, io cercavo di mettere insieme i ricordi di quel giorno, ma fu tutto inutile. L'unica cosa che la mente riusciva a mostrarmi erano una serie di visioni confuse di una cerva che correva tra l'erba alta.
- Forse, mia madre ha percorso questi stessi sentieri...- cominciai a dire con una nota amara e triste - ma non ne sono sicuro. E accaduto tanto tempo fa. Non ricordo nemmeno come sono arrivato alla siepe di arbusti...avevo pochi giorni di vita-.
Dimenticando per un attimo che Roxanne poteva sentirmi, rimasi sbalordito quando sentì le sue braccia cullarmi il collo e il capo, con un gesto amorevole e materno.
- Piccolo Morò. Posso capire il vuoto che ti porti dentro. Possiamo dire che siamo due orfani che non hanno mai conosciuto l'affetto di una madre -.
Il mio cuore da cerbiatto si commosse davanti a quel gesto così genuino e pieno d'amore. Vero, anche io sapevo quanto Roxanne avesse sofferto per quella mancanza. Per tale ragione, il tempo che avevamo vissuto insieme ci aveva legato in qualche modo come fratello e sorella, seppur appartenessimo a specie diverse.
- Sorellona - sussurrai e la " baciai" sulla guancia, passandoci sopra la piccola lingua. Lei rise dolcemente e dopo avermi coccolato la testa mi disse:
- Non preoccuparti, ce la caveremo. Finché staremo insieme tutto andrà bene -.
L'ottimismo della mia padroncina era una delle sue virtù che avevo sempre ammirato. Incoraggiato da quelle parole, ripresi il cammino e tornai a ispezionare la zona. Intanto l'atmosfera del bosco si faceva sempre più cupa e oscura, ma non ebbi alcun timore.
- Hai paura? - le chiesi voltandomi verso di lei. Diversamente da come avevo immaginato, la fanciulla si guardava intorno, ma non era spaventata. Eppure quel posto in piena notte avrebbe fatto rizzare la "pelliccia" a qualsiasi essere umano. Senza rispondermi, Roxanne camminava accanto a me e i suoi occhi sembravano come incantati.
- Sorellona, mi senti? - la richiamai, leggermente preoccupato. Lei scosse le spalle come se si fosse risvegliata da un magico torpore.
- Ah, sì...lo hai sentito anche tu? - mi chiese, alzando lo sguardo verso le fronde degli alberi che sussurravano nel vento.
- Il fruscio degli alberi? - le risposi, osservando quel cielo coperto di foglie e arbusti. Il vento le faceva danzare energicamente.
- Sì...cioè, no! - fece lei - Non è solo questo...è un richiamo -.
- Allora sono i grilli - suggerii, leggermente confuso. La mia padroncina smise di parlare e la vidi avvicinarsi a un albero dal tronco spesso. Accarezzò quella pelle dura e piena di linfa con delicatezza. In quel momento mi accorsi che sul volto della fanciulla vi era un velo di pura serenità. Quel momento di estasi l'avevo già visto in passato. Tutte quelle volte, sulla collina verdeggiante, quando il vento trasportava i suoni e gli odori provenienti dal bosco, Roxanne subiva una qualche sorta di incantesimo. All'improvviso una scia argentea, unita da piccole luci fioche danzanti, scivolò nell'aria verso di lei. Con occhi sgranati osservai quella scena, chiedendomi che razza di magia stessi assistendo. Una civetta notturna, appollaiata su un ramo, strabuzzò gli occhi e aprì le ali facendole poi sbattere, tutta eccitata. Altri animali della notte, richiamati da quell'avvenimento, affollarono lo spazio circostante.
- Che tu sia la benvenuta - disse qualche scoiattolo, posto su un ramo sopra la mia testa. Quell'insolito saluto passò da voce a voce, e ogni abitante del bosco sembrava ansioso di dare omaggio alla mia padroncina. Nel frattempo la scia luminosa aveva circondato Roxanne, come una cintura ondeggiante e armoniosa. Ero così incerto e incantato, che non sapevo come comportarmi. Ormai ero sicuro che il bosco fosse davvero magico. Ma avevo anche un altro sospetto. La mia idea fu confermata nel momento in cui la fanciulla, ornata da una luce quasi mistica, sembrò rilasciare un energia pura e positiva. Poi, spogliata dal suo mantello, attraverso la sua veste candida, apparve una piccola luce, debole ma vivida. In quel preciso istante, Roxanne emise un flebile gemito. Si portò le mani sotto al seno e cadde in ginocchio.
- Sorellona! - gridai raggiungendola di colpo. Notai che tutto era cambiato. L'atmosfera surreale era tornata quiete e normale. Gli animali testimoni si erano dileguati. Anche la misteriosa scia argentea era sparita, dissolta nel nulla.
- Stai bene? Cos'hai? - le chiesi, annusandole i capelli e le spalle. Lei alzò il capo e mi sorrise debolmente.
- Non è niente, Morò. Ho solo avuto un leggero capogiro. Forse è solo la stanchezza per il viaggio - mi rispose, mentre cercava il suo mantello in mezzo al fogliame.
- Sei sicura? - chiesi ancora, con apprensione. Da ciò che avevo visto, non mi sembrava che avesse avuto un semplice capogiro. Lei annuì, dicendomi che potevo stare tranquillo. Non molto convinto, decisi di non insistere. Ma io sapevo cosa avevo visto, e lei non aveva ancora la minima idea di quello che era accaduto. Tralasciando quella faccenda, decidemmo di andare a cercare della legna: ci saremo fermati per accendere un fuoco e per riposare. Mentre ci accingevamo nella ricerca, i miei pensieri continuavano a martellarmi in testa. Forse avrei dovuto parlarne con lei, ma era troppo stanca per affrontare una nuova discussione, molto delicata per giunta. Magari, dopo una bella dormita, avrei avuto l'occasione giusta.

PV Roxanne

Eravamo in quel bosco chissà da quanto tempo, e il buio totale ci stava avvolgendo nel suo oscuro abbraccio. Da quando mi ero addentrata in quel luogo mi sentivo molto strana. Forse era paura? Non potevo negarlo: ogni volta che alle mie orecchie giungeva un rumore, oltre i cespugli, la mia mano si poggiava istintivamente sulla coscia destra, dove avevo nascosto il coltello come arma di difesa. A volte, sentivo i brividi freddi che mi salivano lungo la schiena, e il cuore galoppava come un mulo impazzito. Nonostante questo, c’era qualcos’altro, di più misterioso e affascinante, che mi attirava in quella selva.
- Morò, tu come ti senti? – chiesi al mio amico a quattro zampe. In quel preciso momento stava raccogliendo un ramoscello tra i denti, per poi raggiungermi. Purtroppo, con il buio che non ci dava tregua, senza una candela accesa, anche una semplice raccolta di legna era difficile. Solo la falce lunare cercava di donarci un minimo di aiuto, con quei sottili raggi argentei filtrati tra le fronde degli alberi.
- Sto bene – mi disse semplicemente. Mi chiedevo se anche lui stesse provando quelle strane sensazioni che stavo vivendo io. Vero, già il fatto che riuscisse a comunicare con me era qualcosa di incredibile e fantastico. Ma derivava solo e soltanto dalla magia di quel bosco?
- Beh, io non intendevo quello… – dissi ancora, mentre raccoglievo un bel rametto in mezzo all’erba. Il cerbiatto rimase in silenzio per qualche secondo, ed ebbi il tempo per formulare i pensieri ancora confusi.
- Non so come spiegarlo, ma devo confessarti che poco fa, mentre ero accanto a quell’albero, mi sono sentita diversa – cercai di spiegare. Il mio compagno d’avventura non emise nessun verso. Neanche la più piccola reazione. Era come se non fosse sorpreso da quella notizia.
- Sorellona, proprio come sospettavo, credo che tutto ciò che stiamo vivendo non sia solo per via di questo bosco – mi informò Morò, mentre si strusciava al mio fianco – Sono certo che ci sia qualcosa di speciale in te -.
Un po’ incerta, ero sul punto di rispondergli, quando entrambi avvertimmo un fruscio tra le foglie di un cespuglio. Sobbalzai di scatto e feci cadere a terra il mucchio di rametti che avevamo raccolto. Per qualche secondo io e Morò rimanemmo immobili, senza riuscire a muovere un muscolo. Forse era solo una lepre, pensai per non farmi prendere dal panico. Il cespuglio non cessò di muoversi.
- Sorellona…- sussurrò il cerbiatto, accoccolandosi vicino a me, fremendo dalla paura. Senza altri indugi, afferrai il coltello e mi misi davanti a lui, in posa di difesa. Intanto il rumore tra i cespugli si faceva sempre più forte.
- Morò, riesci a percepire qualche odore? – bisbigliai, con un tono un po’ scosso per l’ansia. Il cerbiatto allungò il collo e dilatò le narici più di una volta.
- Non è un essere umano. E’ qualcosa che si muove su quattro zampe –.
Oh, per Zeus, e se fosse proprio la creatura dell’epidemia? In ogni caso, rimasi in allerta, pronta per fronteggiare la possibile minaccia. All’improvviso il cespuglio si aprì e sbucò fuori qualcosa che si fermò proprio davanti a noi. Era così fitta l’oscurità che vedevo solo un’ombra nera, dai contorni confusi e la sagoma frastagliata sul resto della natura. Il mistero che ne celava la forma mi terrorizzava ancora di più. Poi, una folata di vento fece scuotere le chiome degli alberi. Dal varco aperto del fogliame penetrò uno spesso fascio lunare che andò a illuminare proprio quella creatura nel buio. Finalmente riuscimmo a vederla. Era…
- …una pecora! – esclamai, appena vidi quell’animale dal mantello argenteo e gli zoccoli di piombo.
Morò, che era rimasto accanto a me spaurito, spalancò gli occhi, meravigliato quanto me.
- Non sembra una pecora. E’ molto diversa dalle mie compagne della valle – disse, muovendo le orecchie.
- Beh sì, in effetti – dissi, mentre abbassavo lentamente il coltello, un po’ sollevata. Intanto la bestiola era rimasta immobile ad osservarci. Non sembrava spaventata, ma solo curiosa. Quell’atteggiamento mi fece tornare indietro di molti anni. La strana pecora, davanti a noi, era molto simile a quella che avevo incontrato in quel giorno di fine estate. Lo stesso mantello che sembrava brillare alla luce, le corna ondulate e il ciuffetto sotto al mento.
- Morò, credo di conoscere questa piccola ospite – lo informai, allungando un sorriso.
- Davvero? Credi che possa essere la stessa bestiola di cui mi hai parlato? -.
Annuì convinta, e ammaliata da quella situazione, proprio come la prima volta, mi avvicinai con cautela alla nuova arrivata.
- Vieni, piccolina – la chiamai dolcemente, allungando una mano – Non ti faremo del male -.
Mi ero mossa di qualche centimetro, ma già la bestiola cominciava a indietreggiare nervosamente.
- Ho l'impressione che non abbia tanta voglia di fare amicizia – mi fece notare Morò. A quel punto ebbi un’idea.
- Morò, tu che puoi comunicare con gli animali, magari potresti parlarci tu. Si sentirebbe più a suo agio -.
- Penso che sia un’ottima idea. Così potrò farvi da tramite – disse il cerbiatto, avvicinandosi di qualche passo verso la nostra amica. Morò emise qualche verso e fece ruotare il musino. Non potevo capire cosa stesse dicendo, ma aspettai fiduciosa. Tutto d’un tratto, la creatura scattò sulle zampe e si tuffò nel cespuglio da dove era apparsa poco prima, sparendo dalla nostra vista.
- Ma che è successo? Cosa le hai detto? – feci alquanto sconvolta, raggiungendo il cerbiatto.
- Niente di inopportuno, solo “ciao, come ti chiami?” – mi rispose lui, altrettanto stupito.
Senza pensarci mi fiondai in mezzo al cespuglio, determinata a seguire la pecora. Nuovamente l’oscurità ci invase e tutto tornò ad essere tetro e lugubre. I miei piedi si mossero incerti sul terriccio lastricato di foglie secche, ma prima che potessi fare un altro passo, quella stessa terra crollò sotto di me. Fu una caduta rapida, atterrando rovinosamente su un’altra base di terra, umida e fredda. Una manciata di foglie rosse mi coprì quasi interamente, come sommersa in mezzo a un mare in tempesta. Proprio come nel mio sogno.
- Sorellona… ahi! – sentì la voce di Morò, molto vicina al mio orecchio. Come al solito, mi aveva seguita a ruota e anche lui era finito in quella situazione. Alzandomi senza fretta, avvertivo qualche dolore alla schiena e alle gambe. Scuotendo la testa mi guardai attorno. Eravamo finiti in una grossa buca.
- Morò, stai bene?  – chiesi con tono ansioso. Il cerbiatto, per quel poco che riuscivo a vedere, si stava leccando una zampa posteriore.
-  A parte la zampa che mi fa un gran male, sto bene…- mi rispose, rimanendo fermo in quella posizione. Mentre mi accingevo ad ispezionare la sua ferita, sentì un leggero belato proprio sopra le nostre teste. Alzai di scatto gli occhi, e vidi quella bestiola che ci fissava dall’orlo della buca. Accidenti, se solo non fossi stata così impulsiva, non ci saremo trovati in quel guaio. Poi, un pensiero mi fulminò la mente. Eravamo cascati in una trappola…
- Correte, presto! -.
All’improvviso udimmo alcune voci in lontananza. Io e Morò rimanemmo in stato di attesa, stringendoci l’uno all’altra. Sicuramente qualcuno si stava avvicinando e sperai che qualche anima gentile ci avrebbe tirati fuori da lì. Le voci si fecero sempre più chiare: erano voci di uomini.
- Tranquillo, Morò, devono essere pastori. Ci aiuteranno, ne sono certa – dissi, cercando di rincuorare il mio amico, scosso dai fremiti dello spavento. Lo sentì agitarsi di più, e i palpiti del suo cuore aumentarono di colpo.
- Non sono pastori…anzi, non sono semplici umani - mi informò lui, e nascose la testa nel mio fianco. A quel punto, delle ombre ricoprirono e oscurarono lo spazio circostante. I miei occhi videro almeno una decina di figure nere che accerchiavano l’apertura della buca. Un gruppo di uomini.
- Guarda un po’ che bella sorpresa – proferì una voce maschile e profonda – Tirate! -.
Prima che potessi capire cosa stesse succedendo, io e Morò ci trovammo alzati per aria. Dopo la caduta di poco prima non ci eravamo accorti che sotto di noi c’era una grossa rete, fatta da corde sottilissime, ma dure come il ferro. Mentre penzolavamo come pesci appena pescati, avverti risate e schiamazzi provenienti da quel gruppo di sconosciuti.
- Per la barba di Plutone! – disse qualcuno lì in mezzo – Pensavamo di aver catturato la “belva della pietra”. E invece ci è caduta direttamente dal cielo una piccola Venere… e il suo mistico animaletto -.
Altre risate fragorose si susseguirono. In quel momento, anche io cominciai a provare una gran paura. Attraverso le fessure della rete, scoprì le fattezze di quei esseri. Potevano sembrare comuni mortali, con volti, braccia e busti normali. Ma sulle teste spuntavano corna ondulate plasmate dalla luce delle torce accese. Da sotto l’ombelico si mostrava una pelliccia che si divideva in due zampe, con tanto di zoccoli che alzavano la polvere ad ogni scalpitio. Morò aveva ragione. Erano creature metà uomini e metà bestie. Il mio terrore crebbe quando la rete fu tirata giù, e dopo averla aperta mi sentì afferrare per le spalle e le vesti.
- Sorellona! – gridò Morò e vidi che un paio di quelle bestie lo stavano immobilizzando, mentre lui cercava di scalciare per correre in mio aiuto.
- Lasciatelo andare! – riuscì a protestare, dimenandomi come potevo. Ma la forza di quelle braccia era troppa. Ero nuovamente prigioniera.
- Calmati, bellezza, non vogliamo farti del male – disse all’improvviso uno della banda. Accanto a lui c’erano altri due della sua razza. Guardandoli più da vicino constatai che anche le loro orecchie non erano umane. Per non parlare degli occhi, che brillavano come pepite d’oro alla luce delle fiamme.
- Che cosa ci fa in giro una bella ninfa dei boschi come te a quest’ora della notte? – mi chiese uno di loro, lanciandomi uno sguardo poco innocente. Per lo spavento e la confusione non riuscì a spiccicare una sola parola. Ninfa dei boschi?
- Che c’è? Il daino ti ha mangiato la lingua? – mi schernì un altro, e tutto il resto del gruppo scoppiò a ridere. Nel frattempo ebbi modo di vedere la bestiola che, forse involontariamente, ci aveva attirati nella trappola, per poi sgattaiolare via. Quella scena mi fece tornare la razionalità e ricominciai a ribellarmi.
- Lasciatemi andare! -.
Quella protesta fu del tutto inutile. Non solo non riuscivo a svincolarmi dalla loro presa, ma mi accorsi che ero solo riuscita a farli divertire, avvertendo altri schiamazzi.
- Ma come, vuoi già lasciarci? – disse lo stesso tizio che mi aveva interrogato per primo – Andare in giro adesso da sola è troppo pericoloso. Perciò, approfittane per passare qualche oretta piacevole con noi -.  
La sua mano si allungò sulle mie vesti e sentì quel contatto sulla pelle nuda. Fu così sgradevole che un brivido di disgusto mi scosse e mi diede la spinta di scalciare. Per un breve attimo ero riuscita anche a liberarmi, tanta la sorpresa che avevo suscitato nel gruppo di aggressori. Ma niente da fare. Nel tentativo di fuggire, alcune mani afferrarono i lembi della veste e del mantello. Senti uno strappo violento. Trattenuta in quei pochi secondi, inciampai e caddi. Solo in quel momento mi resi conto che le mie cosce e le mie gambe erano scoperte. Un senso di vergogna e di terrore mi assalì, come i mille occhi di quei mostri voraci.
- Per essere una ninfa delicata, hai carattere. Mi piace questo temperamento in una femmina - mi sentì dire alle spalle.
Ancora una volta mi ritrovai tra le grinfie di quelle creature, e mentre due di loro mi sollevavano da terra e mi tenevano ferma, quello che, ormai non avevo dubbi fosse il capo, mi prese il viso tra le mani.
- Coraggio, bellezza, vieni con noi – disse infine, guardandomi con quei occhi dorati e lascivi.
Mi sentivo quasi svenire. Sarei morta di disperazione se non fosse stato per l’intervento di una nuova voce.
- Dove credi di andare, Zarias! -.
Senza un motivo apparente, al suono di quella voce, tutti i membri della banda tacquero e si inchinarono frettolosamente, visibilmente intimoriti. Perfino il tizio che mi stava importunando fu contagiato da quel cambiamento improvviso. Scossa e confusa, ero rimasta in ginocchio, mentre osservavo la scena.
- Capo! Non sapevamo che ci avessi raggiunti – sentì dire da uno della banda, rivolto al nuovo arrivato.

Colma di sgomento, Roxanne girò la testa di lato, dove si era aperto un varco in un angolo coperto dalla penombra. Lì, vide distintamente la pecorella dalle corna ondulate. Accanto a lei c’era un tipo alto e snello. Anche lui, come tutti gli altri, aveva la pelliccia, le corna e le zampe posteriori animalesche. Ritto in una posa di comando, con una mano accarezzava la bestiola, mentre nell’altra reggeva un lungo bastone da pastore. Il suo volto non era ben visibile per via dell’oscurità, ma i suoi occhi erano ben fissi sulla fanciulla in ginocchio. Solo allora, la piccola avventuriera realizzò che fosse proprio lui il capo di quella banda di creature selvagge. E un ultimo pensiero la turbò fino a farla rabbrividire. Che cosa ne sarà di me?   

Angolo dell’autrice
Bonsoir, cari <3 Eccovi il quarto capitolo di questa storia. Beh penso che non siano necessarie le spiegazioni, ormai avere capito cosa sta succedendo XD Beh sì, la faccenda di Roxanne è ancora anomala, e in effetti è ancora tutto da vedere. Ma credo che nell’ultima parte avrete indovinato chi sia entrato in scena <3 Siete curiosi di sapere il seguito? Beh aspettate il prossimo capitolo, che pubblicherò il prima possibile ^^ Fatemi sapere cosa ne pensate. Alla prossima <3

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Capitolo 5
*** Nella tenda del fauno ***


                                                                                                            5
                                                                                  Nella tenda del fauno

 
Un gufo solitario se ne stava tranquillo sul ramo di un albero, ed era concentrato sulla scena che si presentava sotto ai suoi occhi. Il gruppo di aggressori dalle corna ondulate era stato disturbato, nel momento più eccitante della caccia, da un nuovo arrivato. Mentre tutti erano in ginocchio, con la faccia rivolta in basso, la sventurata Roxanne era rimasta con le gambe nude premute sul terreno. Il suo animo era scosso e un attimo prima si era sentita perduta. Colui che si era presentato all’ultimo momento doveva trattarsi del capo della banda. Un essere metà uomo e metà bestia. Il capo dei fauni, Klopin.

Pv Roxanne

- Brava, Djali. Hai fatto bene ad avvisarmi – sentì dire da quel tizio, nella penombra. La bestiola accanto a lui belò soddisfatta, mentre una mano le coccolava il mento. Dopo di ché avvertì il suono degli zoccoli che si muovevano sul suolo, e compresi che quella “persona” si stava avvicinando. La luce giallastra delle torce si espanse su di lui e finalmente potei vederlo in tutta la sua forma. Proprio come i suoi simili, aveva il busto superiore da umano mentre la parte inferiore di animale. Ciò che, per un comune mortale, dovevano essere fianchi e gambe, tutto era ricoperto da una folta pelliccia color castagna. Gli zoccoli, che sporgevano dai ciuffi marroni del mantello, erano color carbone. Ovviamente non mancavano le corna ondulate che rilucevano come monete alla luce delle torce. A differenza degli altri, che bene o male portavano addosso qualche logoro straccio, egli indossava una mantella di colore viola scuro, che gli copriva le spalle e parte dei pettorali. I polsi erano fasciati da un paio di bende scure, e a parte la pelliccia non portava brache. Bastava tutto quel pelo vaporoso per coprirgli il resto al di sotto dell’ombelico.
- Klopin, sei arrivato giusto in tempo – disse con tono basso e mansueto uno della banda – abbiamo scoperto questa ninfa dei boschi caduta in una delle nostre trappole -.
- Lo vedo benissimo, Tadeus. Sono un fauno, mica cieco – disse con voce severa il capo, mentre faceva ruotare tra le dita il bastone. Sentendomi chiamata in causa, avvertì nuovamente l’ansia e un brivido mi percorse tutta la spina dorsale. Il fauno, come si era definito lui stesso, la creatura che non sapevo ancora se considerarlo il mio salvatore, si mosse lentamente verso la mia direzione. Tutti rimasero in silenzio, in uno stato di attesa nervosa. In pochi secondi quel Klopin si inginocchiò e mi trovai faccia a faccia con lui. Spaventata mi ritrassi di un po’.
- Tranquilla, non devi aver paura di me – mi rassicurò lui. In quel momento la sua voce mi arrivò calda e gentile. Questo mi diede il coraggio di guardarlo per bene. I suoi occhi erano neri come la notte, così come i capelli che gli toccavano appena le spalle. La pelle era ambrata e sotto il mento spigoloso spuntava un ciuffetto nero, che ricordava quello della strana pecorella.
- Come ti chiami? – mi chiese, dopo avermi studiato a sua volta. Con un po’ di titubanza, risposi:
- Roxanne.. -.
Il volto di Klopin si addolcì con un mezzo sorriso, come per cercare di rincuorarmi.
- Va tutto bene, Roxanne, qui nessuno ti farà del male – mi disse poi, con quella voce vellutata. Non ero per niente sicura di potermi fidare, dopo il brutto trattamento che mi avevano servato i suoi compagni. Lui, in qualche modo, si accorse della mia diffidenza. Mi guardò con più attenzione e il suo sguardò arrivò fino alle mie cosce scoperte. Con delicatezza, come se volesse rispettare il mio stesso pudore, Klopin sfiorò con le dita i lembi sbrindellati della mia veste.
- Cosa ti è successo? – mi chiese, guardandomi un po’ turbato. Sinceramente non mi aspettavo quella domanda, ma non risposi. Mi limitai ad abbassare lo sguardo. Sentivo che tutti gli occhi dei presenti erano fissi su di me.  Nessuno si espresse. Ma quel silenzio valeva più di mille parole, poiché il fauno disse ad alta voce:
- Chi è stato? -.
Ebbi quasi l’impressione di avvertire la paura e la tensione in mezzo a quella cerchia di cacciatori. Ma nessuno di loro si fece avanti. A quel punto, vidi il viso di Klopin deformarsi in una smorfia contrariata. I lineamenti e i contorni degli occhi si indurirono, mentre li faceva vagare da una direzione all’altra. Poi, si alzò in piedi e passeggiò intorno al gruppo, mentre maneggiava il bastone con aria torva. Sembrava un pastore amareggiato che stava decidendo come punire il suo gregge indisciplinato.
- A quanto pare ho fallito come maestro – fece lui, guardando con rimprovero ognuno di loro che incrociava man mano nel suo cammino. Rimasi perplessa, ma anche incuriosita mentre lo seguivo con lo sguardo. Perfino la sua andatura, così distinta sulle zampe posteriori, si distingueva da quella degli altri.
- Sei stato tu, vero Zarias? – disse infine, voltandosi di scatto e alzando il bastone verso il tipo che mi aveva importunata fin dall’inizio. Quest’ultimo tremò leggermente, ma ebbe l’audacia di rispondere:
- Klopin, non ho fatto nulla di cui mi debba rimproverare -.
Il fauno lo fulminò con lo sguardo e sbatté il bastone sul terreno, sollevando una nuvola di polvere.
- Ma certo! Mettere le mani addosso su una fanciulla senza consenso per soddisfare i tuoi bassi impulsi è cosa buona e giusta?! – lo rimproverò con una nota di sarcasmo.
- Ma capo, non è colpa nostra. E’ una ninfetta così graziosa. Volevamo solo essere cordiali con lei – affermò qualcun’altro, mantenendo quella posa di sottomissione. Il fauno sbuffò, stanco di quelle ridicole giustificazioni.
- Che razza di caproni! – tuonò Klopin, facendo tacere tutti, con la sua bella voce tonante – Solo perché avete la pelliccia lì sotto non significa che non possiate usare il cervello. O un minimo di buon senso umano. Siamo fauni, ma non bestie -.
Quella sfuriata era servita a mantenere l’ordine e notai le orecchie di quelle creature abbassarsi per il dispiacere. Sembravano tutti dei cuccioli rimproverati dal proprio padrone.
- Che vi serva di lezione. Imparate ad usare di più quella testaccia cornuta e a comportarvi come si deve -.
Il fauno lanciò un ultimo sguardo severo intorno alla cerchia di sottoposti, mentre questi fecero qualche accenno d’assenso. Poi, dopo aver recuperato il mio mantello che mi era stato strappato di dosso, Klopin mi raggiunse e me lo mise sulle spalle. Quel gesto così semplice, unito al calore della stoffa, mi fece sentire meglio.
- Ti prego di perdonarci. A volte possiamo essere un po’ selvaggi, ma non siamo cattivi, credimi – mi spiegò lui, mentre cercava di coprirmi come poteva con il mantello, ormai lacerato.
- Comunque, se posso sapere, come mai ti trovi in giro nella selva a quest’ora così tarda? – mi chiese il fauno, scrutandomi con i suoi occhi color carbone. Dopo tutto quello che era successo, avevo dimenticato lo scopo della mia impresa. Prima che potessi dire qualcosa, uno della banda intervenne:
- E’ quello che le abbiamo chiesto anche noi, Capo -.
Era uno dei fauni che si era mostrato con gli altri per interrogarmi, dopo avermi liberata dalla rete.
- Grazie, Olmo, adesso ci penso io – gli rispose Klopin rivolgendogli una rapida occhiata.
Quando il fauno tornò a darmi attenzione, e dopo qualche secondo per raccogliere le parole giuste, risposi:
- Sono in viaggio…Io e il mio cerbiatto stavamo cercando legna per il fuoco…e siamo finiti per sbaglio in quella buca -.
Proprio in quel momento, i miei occhi si posarono su Morò, che era a qualche metro di distanza, ancora prigioniero dalle mani dei cacciatori. Seguendo il mio sguardo, Klopin vide il cerbiatto e allora diede l’ordine di lascialo libero. Zoppicando in mal modo, Morò mi raggiunse. Aveva una brutta ferita sulla zampa posteriore destra. Subito lo accolsi tra le mie braccia e lo sentì fremere sia per lo spavento, sia per il dolore.
- Morò, non temere, ci sono io adesso – gli dissi, tenendolo stretto al mio petto. Avevo quasi voglia di piangere per sfogare tutte le mie emozioni.
- Povera bestiola – proferì il capo fauno, mentre studiava la zampa del cerbiatto – Siete stati sfortunati. Quella trappola non era certo per voi. Comunque sia, non è saggio rimanere così allo scoperto in questo posto. Il bosco stesso può diventare una trappola mortale, di notte. Quindi sarebbe meglio se voi due ci seguiste. Vi porteremo al nostro accampamento, un luogo sicuro -.
Appena udii quelle parole, ebbi un attimo di smarrimento. Stava dicendo sul serio? Io dovevo seguire quella tribù di creature selvatiche fino alla loro “tana”? In quell’istante mi tornò in mente l’immagine di mio padre. Di certo, se fosse stato la mia stessa coscienza, mi avrebbe suggerito di rifiutare quell’offerta, anche a costo di rimanere in mezzo alla selva, esposta al freddo e agli eventuali pericoli. Cosa dovevo fare?
- Non temere – aggiunse, avvicinandosi di un altro po’ - ti prometto che nessuno ti tormenterà. Ti affiderò alle mie ancelle personali. Avrai cibo e acqua, e se vuoi una tenda tutta tua. Inoltre, cureremo il tuo animaletto: con una ferita simile non potrà continuare il cammino. Non credi? -.
I miei occhi si abbassarono su Morò, e mille pensieri si contorsero nella testa. La ferita del mio cucciolo non era un semplice graffio. Aveva bisogno di cure mediche, di cibo e di un posto caldo dove poter riposare. Dovevo pensare a lui. Inoltre, quel fauno sembrava più gentile degli altri suoi simili. E se nel caso qualcosa sarebbe andato storto…avevo pur sempre un’arma nascosta nella veste.  A quel punto, alzai lo sguardo per incontrare quello del fauno e accettai il suo invito, senza prolungarmi in altre chiacchiere.
Il tragitto verso l’accampamento della tribù fu più breve di quanto mi aspettassi. Il capo fauno Klopin mi aveva fatto strada e io, mentre portavo Morò in braccio, lo avevo seguito nel più totale silenzio. Quando arrivammo a destinazione, mi accorsi che ci trovavamo in uno spazio stracolmo di tende di ogni tipo, con vari falò dalle fiamme che danzavano nel buio, e tutto era completamente circondato da una fitta barriera di cespugli e alberi. Sembrava un vero e proprio rifugio, ma senza mura. Proprio come aveva promesso, Klopin chiamò le sue ancelle, due donne robuste (anch’esse metà umane e metà animali), e subito si presero cura di me e di Morò. Ci portarono in una tenda color arancio, dove ci attendevano le cure necessarie per riprenderci. Una delle faune mi fece un bel bagno caldo, dentro una tinozza di legno, massaggiandomi spalle e schiena. Fu un momento alquanto imbarazzante, perché non mi aspettavo un trattamento del genere, pari solo a una vera ospite d’onore. Forse perché, nonostante quelle gentilezze, mi sentivo ancora una sorta di prigioniera, più che una fanciulla soccorsa nel momento del bisogno. Proprio per tale motivo, nell’istante in cui mi avevano spogliata delle mie vesti, ero stata molto cauta nel nascondere il coltello che portavo con me. Temevo che le ancelle vedendolo, me lo avrebbero sottratto senza alcun indugio.  Nel frattempo, Morò era stato assistito: gli avevano pulito la ferita, medicata con erbe medicinali, e infine fasciata la zampa. Poi, una volta asciutta, mi fecero indossare una veste nuova (la mia ormai era da buttare, tanto che era ridotta a brandelli), fui ornata da monili e pettinata in modo semplice ma elegante. Guardandomi allo specchio, vidi quella veste del colore dei fiori selvatici, un lilla pastello, la cui stoffa scendeva morbida sulle gambe, mentre mi scolpiva il seno e la vita. Forse un po’ troppo aderente…ma mi piaceva come mi stava. Attorno ai fianchi scorreva una cinta formata da medaglioni dorati, la cui cinturina scendeva su un lato della veste. Mentre i capelli erano intrecciati verso l’alto, e alcune ciocche scendevano lungo una spalla. Non sembravo nemmeno più io, mi vedevo quasi come una donna adulta. Dopo di ché, le due ancelle, che erano state tanto disponibili, mi lasciarono in privato nella tenda. Finalmente io e Morò rimanemmo soli. Mi accostai a lui, che era fermo su un mucchio di cuscini, a poca distanza da un piccolo focolare acceso.
- Come ti senti? – gli chiesi, per poi dare un’occhiata alla sua zampa da poco fasciata. Dovevo ammettere che quelle donne fauno avevano fatto un bel lavoro con la medicazione.
- Sto meglio. Sento ancora un po’ di dolore, ma non come prima – mi rispose Morò, mentre teneva la zampa ben ferma per non farla affaticare. Fui sollevata da quella notizia. Ma non potevo negare che ero un po’preoccupata per la situazione in cui ci eravamo cacciati. Mi chiedevo se potevamo fidarci senza alcun timore di quelle creature. Il modo in cui mi avevano guardata e strappata la veste era una visione che non me la sarei scordata facilmente. Tuttavia, i modi gentili di quel capo fauno, le difese nei miei confronti, e la sua ospitalità mi davano un minimo di speranza. Forse, almeno lui, non era così terribile come i suoi sottoposti…o come le creature delle leggende di cui mi raccontava mio padre. Riflettendoci, cominciai a fare un po’ di teorie: che fossero in realtà quelle le creature orribili da cui da sempre aveva cercato di proteggermi. Padre…
- Sorellona, per quanto tempo dovremmo restare qui? – chiese il cerbiatto, facendomi ridestare da quei pensieri. Lo guardai per pochi secondi e accarezzandogli la testa gli donai un sorriso per rassicurarlo. Già, anche Morò non era così convinto di quella faccenda.
- Tranquillo, ce ne andremo il prima possibile – gli risposi amorevolmente – Appena guarirai e riuscirai a muoverti, riprenderemo il nostro viaggio. Nessuno ce lo impedirà, te lo prometto -.
Il cerbiatto strofinò la testa sulla mi spalla, per cercare quel contatto affettuoso che da sempre ci aveva legati. Molto probabilmente anche lui aveva paura e si sentiva confuso. All'improvviso, la nostra quiete fu interrotta da un suono che proveniva da fuori la tenda. Con mia grande sorpresa vidi la strana pecorella dalle corna ondulate entrare e si avvicinò per presentarsi. Dalla sua piccola bocca uscirono alcuni belati e quando cessarono Morò disse:
- Ha detto “Sono Djali, la capretta di questa tribù. Volevo scusarmi per prima. Per colpa mia siete finiti in quella trappola, ma giuro che non era mia intenzione. Mi sono così spaventata che non ho potuto fare a meno di scappare via” -.
Quella dolce bestiola, di cui, finalmente, conobbi il nome della specie, mi fece sciogliere dall’emozione. Era così adorabile. Allora bisbigliai qualcosa all’orecchio di Morò, e subito dopo egli tradusse tutto attraverso i suoi versi da cerbiatto
“Roxanne, la mia padroncina dice: Sono io che mi devo scusare con te. Sono stata troppo invadente. Ti avevo scambiato per un’altra capretta, una mia vecchia conoscenza. Siamo felici di conoscerti, Djali “.
Poco dopo, vidi la capretta belare contenta e la sua coda si mosse freneticamente. Che dolcezza! Ben presto Djali e Morò si scambiarono varie chiacchiere, sempre tradotte accuratamente da lui. Avevo ormai capito che potevo comunicare facilmente con Morò, ma non potevo fare lo stesso con gli altri animali. Eppure, lo stesso cerbiatto aveva supposto che in me ci fosse qualcosa di speciale, e che quel cambiamento non fosse dovuto solo alla magia del bosco. A un certo punto, i veli della tenda si aprirono di nuovo e si presentò nuovamente una delle ancelle.
- Chiedo venia, mi manda il capo Klopin. Desidera vedervi nella su tenda per un incontro – mi avvisò lei, facendo poi un cenno col capo per poi ritirarsi. Quella notizia non mi sorprese più di tanto. Era prevedibile che prima o poi mi sarei dovuta confrontare con il capo di quella tribù. Mi trovavo pur sempre in “casa” sua. Con un profondo respiro, mi alzai dal cuscino dove mi ero seduta, e mi caricai di coraggio e forza di volontà. Ma poi, guardando Morò, mi posi il seguente problema: non potevo portarlo con me per via della ferita. Il cerbiatto mi aveva sempre seguita, dovunque andassi, fin da quando lo avevo adottato. Come se la capretta mi avesse letto nel pensiero, cominciò a belare, rivolta a me. Morò ovviamente tradusse.
- Ha detto: non preoccuparti, resterò io con lui a fargli compagnia -.
Piacevolmente meravigliata, diedi una carezza a quella bestiola, così amichevole e premurosa.
- Grazie, Djali. Morò, per te va bene? – chiesi poi al cerbiatto. Lui posò lo sguardo sulla sua nuova amica. Osservandola a mia volta, ebbi l’impressione che la capretta fosse molto felice e ansiosa di passare dell’altro tempo con Morò.
- Sì, mi sta bene. Vai pure, sorellona – mi rispose lui, lasciandomi di stucco. Ma tu guarda!
- Va bene. Tornerò presto, sarà questione di un breve colloquio – promisi al mio amico, che era tornato velocemente a rivolgere l’attenzione alla capretta. Sembrava quasi che quei due fossero già divenuti buoni amici. Con il sorriso uscì fuori dalla tenda e le ancelle, che mi avevano aspettato, mi guidarono fino alla tenda del capo fauno. Per tutto il tempo, mentre mi incamminavo, gli sguardi di tutto il resto della tribù furono incollati su di me. Che disagio! Quando mi trovai all’interno della tenda, di colore rosso porpora, mi accorsi che era molto spaziosa e fornita di ogni oggetto di uso quotidiano. A parte i cuscini sul tappeto, vi erano cestini di vimini, coperte, e quattro lanterne che illuminavano lo spazio circostante. Ma notai che non vi era traccia di Klopin.
- C’è nessuno? – dissi con voce chiara, per farmi sentire. Non mi ero ancora accorta che dietro a un separé si stava muovendo un’ombra. Sbucando fuori da lì, il fauno mi accolse con un sorriso e disse:
- Benvenuta nella mia umile dimora -.
Quel sorriso, così spontaneo mi diede un tuffo al cuore. Ma subito tornai con i piedi per terra.
- Grazie…ehm, per tutto – cominciai a dire, cercando le parole adatte – Per averci accolto nel tuo accampamento -.
Sul volto del fauno prese forma un’espressione compiaciuta e fece qualche passo in avanti. I suoi piedi, cioè, volevo dire i suoi zoccoli sembravano più grossi e massicci. 
- Figurati, è un piacere. Prego accomodati – mi invitò a prendere posto su uno dei cuscini, proprio al centro dello spazio. Mi sentì nuovamente nervosa, e mi tormentai le dita per il disagio.
- Non vorrei disturbare… - dissi ed ero già pronta per congedarmi. In fondo, avevo fatto la mia parte, dimostrandogli la mia riconoscenza. Non so, forse mi sentivo troppo intimorita al suo cospetto.
- Nessun disturbo, mia cara. Inoltre…- e in quel preciso istante, il fauno fece apparire da dietro la sua schiena un vassoio colmo di frutta fresca - …sono certo che sarai affamata. Su, non c’è bisogno di tante cerimonie, sentiti come a casa tua -.
Alla vista del cibo, il mio stomaco brontolò rumorosamente, e non potei più resistere. Presto mi trovai seduta accanto a Klopin, su quei cuscini dai toni cupi, e non persi tempo nel divorare tre mele rosse. Il fauno non si era sbagliato: avevo una fame da lupi. Mentre mi ristoravo, lui mi osservava quasi divertito, mentre sorseggiava del vino rosso. Sentì il peso di quei occhi, neri come il buio, e mi fermai per guardarlo. Subito sentì il mio viso andare in fiamme. Era la prima volta che mi trovavo così vicino ad un “uomo”. A parte mio padre, non avevo mai avuto contatti così diretti con altre persone.
- Che c’è? Qualcosa non va? – mi chiese lui, notando il mio stato di disagio. Deglutii e infine risposi.
- No, è solo che…è la prima volta che vedo così da vicino un fauno…-.
- Ah, davvero? – rispose Klopin, visibilmente sorpreso – Che strana cosa -.
- Perché? – gli chiesi, mentre finivo di mangiare la terza mela. Non mi ero ancora accorta che stavo ripulendo tutto il vassoio, tanto era il mio appetito.
- Come perché? – mi rispose con un’altra domanda – Insomma, sei una ninfa dei boschi, dovresti aver visto decine e decine di tipi come me -.
Ancora quella storia! Perché tutti, compreso il capo fauno, erano convinti che fossi una ninfa?
- Beh, mi dispiace deludervi, ma non ho mai visto dal vivo un fauno, in tutta la mia vita – specificai con tono serio. Klopin spalancò gli occhi, e per un attimo gli andò il vino di traverso, facendo una faccia buffa. Per la prima volta mi venne spontaneo ridere. Che tipo singolare!
-  Mai?! – ripete, incredulo – Per la barba di Plutone, ma da dove sei sbucata fuori, ninfetta? -.
- Beh…è una storia molto lunga – risposi, mentre prendevo dell’uva nera che mi faceva gola a sol guardarla.
- Adoro le storie. Comincia pure, sono tutto orecchie -.
Allora iniziai a raccontare al buffo capo dei fauni la mia storia, della mia casa sulla collina, della siepe, e dell’orribile epidemia che aveva colpito mio padre. Mentre gli raccontavo del mio viaggio con Morò, lui mi ascoltava attentamente, soffermandosi varie volte per gustare il suo nettare rosso. Non so come spiegarlo, ma man mano che la mia storia andava avanti, mi sentivo risollevata. Era bello e confortante potermi sfogare con qualcun’ altro che non fosse solo il mio cerbiatto. Quando terminai, il fauno aveva finito tutta la caraffa di vino. Caspita! Mi chiedevo come facesse a rimanere ancora così lucido.
- Capisco…è tutta colpa del “Mostro di pietra”. Sai, è per questa creatura che abbiamo dovuto scavare le trappole, per poterla catturare – mi informò il fauno con una fermezza nella voce. In quel momento, compresi che non ero l’unica che stava combattendo contro quella maledizione. Era un problema per tutti noi, chi dentro e chi al di fuori della siepe.
- Per questa ragione mi sono addentrata nella selva. Devo assolutamente percorrerla e andare oltre i confini, per raggiungere il tempio delle ninfe – aggiunsi infine, mentre un senso di determinazione marcava le ultime parole. Il fauno lo notò, e con un mezzo sorriso, mi si avvicinò di più.
- Il tempio delle ninfe…giusto – fece lui, mentre sentivo già il calore del suo corpo, così vicino – in fondo è il luogo d’incontro per tutte le ninfe, come te…-.
Avrei voluto obiettare di nuovo per quel dettaglio che stava diventando snervante, ma il fauno mi era così vicino che non mi uscì neanche una sillaba dalle labbra. Così, lui continuò, usando quella sua voce così profonda e vellutata.
- Non preoccuparti, Roxanne, fino a quando non raggiungerai il tempio, ti proteggeremo noi…io -.
A quel punto, una strana sensazione mi scosse da capo a piedi, ma non riuscivo a capire cosa fosse. Mi ritrassi di un po’, giusto per mantenere qualche centimetro di distanza da lui.
- Che hai? C’è qualcosa che non va in me? – cominciò a chiedermi, con aria scoraggiata. Diversamente da come avevo temuto (ripensando alla brutta esperienza avuta con gli altri fauni) Klopin si allontanò da me, senza provare a toccarmi. Ne fui sbalordita, e le mie certezze crollarono di botto.
- Oh…capisco – aggiunse poi, abbassando lo sguardo – dato che non hai mai avuto un contatto con un fauno…mi trovi strano, vero? E’ per la mia pelliccia, le mie corna…e anche i miei zoccoli, ti fanno impressione? -.
In quel momento mi sembrò che quella creatura, fatta a metà, si stesse nascondendo per una vergogna che non volesse ammettere. Quelle parole mi colpirono come un pugnale in pieno petto.
- No, non è così…- mi affrettai a dire, e mi fermai per cercare di spiegare la ragione del mio distacco.
- Perdonami se sono stato invadente…ma, sei così bella -.
Il fauno si voltò giusto per guardarmi. I suoi occhi, che rimanevano neri, brillarono di una luce mai vista prima. Non so come mai, ma in quel frangente pensai che, tralasciando corna, pelliccia e zoccoli che ricordavano il corpo di un capra, in fondo Klopin fosse un essere attraente. Mentre i miei occhi indugiavano nei suoi, sentì che quel pensiero silenzioso mi stesse influenzando, e cominciai ad arrossire. Che imbarazzo!
- Oh…sbaglio, o sei diventata tutta rossa? – fece lui, con un tono ammaliante e contento. Oh no, se ne era accorto! Cercai di tornare alla normalità, assumendo un’aria disinvolta, ma questo lo incoraggiò solo a riavvicinarsi. Ormai, avevo il viso del fauno molto vicino al mio.
- Sei ancora più carina…- disse, e avvertì il suo alito ebbro di vino sulle labbra – sono sincero…sarei onorato, se tu…insomma… -.
 
Senza accorgersene, il fauno, la cui sobrietà era stata compromessa dalle note del vino, perse l’equilibrio e si ritrovò addosso alla sua bella ospite. L’imbarazzo e il disagio del momento fu grande perfino per lui, perché di certo quello non era l’epilogo che aveva sperato. Sollevandosi, si portò una mano alle tempie, smorzò un sorriso e aprì gli occhi. Ma il suo stato d’animo mutò in un secondo, quando avvertì una punta fredda e dura contro la sua gola…la lama di un coltello!
 
Angolo dell’autrice
Bonsoir, gente.  Tempo record ecco il 5 capitolo. Avendo già tutto in testa ho pensato di scriverlo molto in anticipo, anche perché la storia sta cominciando ad intensificarsi. Beh, finalmente il nostro giullare in versione greca si è mostrato in tutto e per tutto <3 E le cose tra lui e Roxanne si stanno già facendo interessanti <3 Inoltre, sarà vero che Roxanne è una ninfa dei boschi? Lo scopriremo nei prossimi capitoli. Detto ciò, grazie mille per aver seguito fino qui <3  A bientòt  

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Capitolo 6
*** Un patto sofferto ***


                                                                                              Un patto sofferto
 

Le fiamme delle lanterne, imprigionate dalla superficie in vetro solido, erano le uniche testimoni di ciò che stava accadendo nella tenda color rosso porpora. Nello spazio di quella sorta di “stanza privata” non si udiva nemmeno il più lieve dei respiri. Klopin, il capo dei fauni, era fermo e rigido. Il suo viso era una maschera di stupore e incredulità, mentre i suoi occhi neri erano fissi davanti a sé. Sdraiata sui cuscini, incastrata dal corpo del fauno, c’era la sua ospite d’onore. Con le braccia tese, Roxanne puntava il coltello proprio alla gola del fauno; lo stesso che quella sera l’aveva salvata dalle molestie della tribù. Lo stesso che pochi secondi prima si era avvicinato, forse un po’ troppo, a quella “ninfetta” che lo aveva attirato con la sua grazia e bellezza.

PV Klopin

- Oh…questo davvero non me lo aspettavo - pronunciai piano, mentre rimanevo pietrificato senza muovere un solo muscolo. In un primo momento, quando la fredda lama, sbucata chissà dove, mi aveva sfiorato la pelle, credetti che fosse solo il frutto della mia immaginazione. Forse un effetto collaterale del vino. La testa che mi girava leggermente e il fuoco inconfondibile che continuava a bruciarmi nelle viscere erano una prova certa. Sì, di sicuro era tutta colpa del mio solito vizio di alzare il gomito. Ma che ci potevo fare? Ogni volta che assaggiavo dell’ottima ambrosia era difficile contenermi. Comunque, quando provai a chinare il capo, giusto per guardare meglio la fanciulla, avvertì nuovamente quella sensazione alla gola. Un brivido mi percorse i nervi fino alla punta delle corna. No, era tutto reale. Quel coltello era proprio sotto il mio mento.
- Non provare a toccarmi... – disse Roxanne, con un tono fermo e deciso. La ninfa mi stava minacciando con l’arma e scrutandola capì che non stesse scherzando. Che tipetta spavalda, pensai tra me, e non riuscì a non curvare un sorriso agrodolce.
- Calma. Non era mia intenzione mancarti di rispetto – le dissi, mentre alzavo le mani in alto, come per assicurarle che le avrei tenute lontane da lei. Intanto mantenevo lo sguardo fisso sui suoi occhi. Alla lieve luce delle lanterne sembravano due gemme preziose, di un bel colore vermiglio che avrebbero fatto oscurare qualsiasi cristallo lavorato dallo stesso Efesto. Peccato che erano anche così pieni di risentimento.
- Perdonami. Purtroppo ho qualche vizietto da correggere – le spiegai smorzando la voce in maniera ironica - e quando mi lascio troppo andare rischio di fare delle figuracce, come perdere l’equilibrio e cadere addosso alle belle fanciulle -.
Oh, per Dioniso, che razza di giustificazione! Di solito avevo una bella parlantina, sapevo essere convincente e riuscivo a tirarmi fuori da ogni scomoda situazione. Maledetto me e al vino che mi aveva portato a quell’epilogo così triste e problematico. Già, mi aspettavo qualcosa di diverso…di più piacevole. Appena la catena dei miei pensieri si spezzò, mi concentrai nuovamente sulla fanciulla. Anche se stava armeggiando una lama affilata mi dava l’impressione che non avesse la ben che minima idea di come usarla. Sul suo volto leggevo una notevole incertezza. A quel punto, mi venne spontaneo metterla alla prova.
- Cosa vuoi fare? Uccidermi? - le chiesi, come se mi stessi burlando di lei, senza rompere il contatto visivo. La studiai in ogni suo singolo dettaglio e gesto: forse scossa dalle mie stesse parole, le sue candide braccia tremarono leggermente. Le sue labbra, che ricordavano due petali di rosa, si serrarono tra loro, mentre perle di sudore scivolarono dalla fronte incorniciata dai ciuffi di capelli, neri come l’ebano. Anche in quel momento così teso la trovavo affascinante e bellissima.
- Se me ne darai motivo, non esiterò a farlo…- mi rispose, cercando di mantenere il sangue freddo. Molto probabilmente aveva intuito le mie intenzioni nel provocarla e con coraggio si divincolò, agitò le gambe e riuscì a ritrarsi indietro. Io la lasciai fare e mantenni le mani alzate. Quel suo atteggiamento mi sorprese e mi intenerì al tempo stesso. Avevano ragione i miei uomini: sembrava una delicata ninfetta come tante, ma con un caratterino niente male. Il suo atteggiamento mi aveva disorientato non poco, ma quella tenacia che era pari a un’amazzone, mi fece curvare nuovamente un sorriso. Comunque, qualsiasi fosse il suo stato d’animo, era ovvio. Anche un fauno cieco avrebbe capito che quelle mani, bianche come l’avorio, non si erano mai sporcate di rosso. Tuttavia, ammiravo quel temperamento. Minacciare il capo di una tribù significava firmare la propria condanna a morte.
- Tranquilla - cercai di rassicurarla - anche se non fossi ubriaco fradicio non scenderei così in basso -. Sperai che la fanciulla non prese quella mia affermazione come un doppio senso. A volte mi veniva naturale usare qualche battuta ambigua, così tanto che non ci facevo nemmeno più caso. In quell’istante mi morsi automaticamente le labbra sottili, promettendomi di stare attento ad usare le parole.
- E perché dovrei ancora fidarmi di te? Tutte quelle belle parole…sul consenso delle donne… valevano solo per i tuoi sottoposti? -.
Passò un solo minuto, ma in quel silenzio snervante che seguì, sembrava durare un’eternità. Studiandone i gesti nervosi, ebbi la certezza che per la mia condotta, poco seria dovevo ammettere, la ninfa volesse allontanarsi e scappare il più lontano possibile. Da me, specialmente. Anche se ero un fauno, con tutti i miei difetti e gli istinti animali, compresi la lecita ragione. Qualcosa di fastidioso, di amaro, che non si era mai manifestato in vita mia, si fece largo dentro di me. Non mi ero mai trovato in una simile situazione, e per quanto ci avessi scherzato all’inizio, all’improvviso mi sentì colpevole. Forse perché nessuna ninfa, o meglio nessuna fanciulla in generale, fino a quel momento, mi aveva reso tutto così difficile e confuso. Che avessi commesso uno sbaglio inaccettabile. Che strano, sembrava che in quel momento fossi io ad esser messo alla prova. Avrei voluto risponderle e farle capire che non ero una bestia. Che non le avrei mai fatto del male e che il mio era stato un errore di calcolo nei suoi confronti. Ma mi avrebbe creduto? Con cautela mi allontanai di un po’ e mi poggiai su un cuscino. Con tutti quei ripensamenti sul mio agire, l’ebbrezza del vino che si stava man mano facendo sentire, avevo la testa pesante e tutto mi sembrò girare attorno. Avevo bisogno di rilassarmi.
- Se vuoi, sei libera di fuggire – cominciai a dirle, guardandola a una certa distanza, mentre poggiavo piano la testa sul cuscino per evitare altri capogiri. Uff, ha ragione Esme: devo smetterla di bere troppo. Roxanne fece qualche passo in direzione dell’uscita, rimanendo vigile e con l’arma ancora puntata verso di me. Proprio come avevo sospettato. Ma prima che riuscisse a raggiungere i veli della tenda, aggiunsi:
- Ma sappi che ci sono ben altri pericoli lì fuori…peggiori di me -.
La ninfa si bloccò subito, e gettò uno sguardo prima verso l’uscita, poi su di me. La sua faccia aveva assunto un’aria titubante, come se stesse cercando di prendere una decisione. Oh, andiamo! Nessuno sarebbe stato così folle da andarsene in giro per il bosco, a quell’ora, senza alcuna protezione, e con una minaccia tanto pericolosa. La fanciulla, per quanto fosse rimasta indignata dal mio comportamento, con un minimo di buon senso, avrebbe preso la giusta decisione di rimanere.
- Preferisco correre il rischio, piuttosto che rimanere in tua compagnia…- proferì lei, con freddezza.       
- Non mi sembravi così riluttante mentre eri accanto a me, a scrutarmi con tenerezza e con il rossore sulle gote – le feci notare, allungando un leggero ghigno ironico. Una parte di me nel mio cervello mi stava rimproverando per quella stupida uscita, anche se era la verità. Vidi il suo viso farsi di fuoco. Avevo il presentimento che non fosse solo per la rabbia e la cosa mi fece piacere. Ma la sua risposta seguente mi spiazzò del tutto.
- Perché…credevo…che fossi diverso dagli altri -.
Nuovamente il tarlo della colpa si insinuò nel mio animo, masticando e consumando anche l’ultimo brandello delle mie certezze. Ero talmente scosso che d’istinto alzai la testa dal cuscino, lottando contro il malessere che mi stava logorando. Con occhi spalancati guardai la ninfa dei boschi, a pochi metri da me. La sua espressione non era più un misto di spavento e rabbia. Era delusione ciò che vedevo. Avvertì una fitta allo stomaco, dolorosa, e non era una conseguenza della leggera sbronza.
- Oh…capisco - riuscì a rispondere, senza aggiungere altro. Mi sentivo quasi sporco. A quel punto decisi di tralasciare quel dettaglio poco felice e abbandonai la mia esuberanza per fare posto alla razionalità.
- Te l’ho detto, puoi andartene – ricominciai, parlando piano – ma sarebbe come andare tra le braccia della morte. Davvero, Roxanne… -.
Appena pronunciai il suo nome la guardai con intensità. Volevo che capisse a cosa andasse incontro. Poteva anche essere la ninfa più coraggiosa che avessi mai incontrato, ma anche io sapevo riconoscere tale virtù da quella che veniva definita incoscienza.

Pv Roxanne

La mia mente era spaccata in due. Dopo tutto quello che era accaduto avrei seguito il mio istinto e sarei scappata senza voltarmi indietro, ignorando chiunque avesse cercato di trattenermi. Ma dovevo ammettere che le avvertenze di Klopin erano sagge e ragionevoli. In fondo, lo sapevo anche io che là fuori c’era la creatura della maledizione. Abbassai leggermente il braccio, ormai intorpidito, ma rimasi ferma nella mia indecisione. Cercai di aggrapparmi ad ogni briciolo di lucidità rimastami (non ero mai arrivata al punto di minacciare qualcuno per difendermi) e recuperai le forze per parlare.
- Dammi un sola prova perché mi possa fidare di te – riuscì a dire, con voce smorzata. Passò qualche secondo mentre attendevo una risposta, in quello stato di allerta. Nella tenda, grazie alla luce giallastra delle lanterne, l’ombra del fauno era proiettata sul telo purpureo dai riflessi rossastri. La sagoma nera che si allargava, quella di una bestia umana con corna, dava l’illusione di un demone degli Inferi. La tenda stessa mi sembrava l’antro dell’oltretomba. All’improvviso, vidi il fauno girare la testa di lato, come se stesse in ascolto. Le sue orecchie, molto simili a quelle delle capre, si mossero leggermente. Un orecchino, un cerchio dorato, tintinnava fissato al lobo sinistro. Poi alzò il capo e annusò l’aria.
- Ah, eccola che arriva! – disse infine, spezzando il silenzio.
- Di chi parli? – gli chiesi guardandolo sorpresa e incuriosita. Lui mi fissò e i suoi occhi si puntarono sul coltello che avevo ancora in mano. Il suo viso cambiò repentinamente, e divenne di colpo nervoso e allarmato.
- Nascondi subito la lama! – mi ordinò, con una voce ferma ma bassa. Lo fissai con circospezione, chiedendomi cosa gli fosse preso così all’improvviso. Comunque non avevo alcuna intenzione di mettere da parte l’arma, almeno non subito. Cosa stava succedendo? Lui comprese subito e fece un sospiro veloce.
- Fai come ti ho detto… o sarà Lei a togliertela con la forza…se non peggio – mi spiegò Klopin, e notai che stava sudando, nonostante l’aria fredda della notte. I suoi occhi però, colmi di tensione, mi sembravano sinceri. Un rumore di passi frettolosi, che si stavano avvicinano alla tenda, mi diede la spinta automatica di reagire e così nascosi il coltello sotto la veste. In quel preciso istante, i veli purpurei svolazzarono, mentre una voce, femminile e profonda chiamò il nome del fauno. Per un breve secondo trattenni il respiro.
- Klopin, posso entrare? – disse una giovane donna, che appena si presentò nella tenda sfoderò un sorriso di scherno al capo fauno.
- Sei già entrata…tu non bussi mai, eh? – le rispose ironico Klopin, che tutto a un tratto era tornato col suo solito atteggiamento, spontaneo e beffardo. La nuova arrivata catturò subito la mia attenzione.
- Le mie scuse, Capo. Ma non è colpa mia se qui non ci sono porte – gli fece notare lei, indicando la stoffa della tenda. Il fauno fece una smorfia contrariata e infine posò lo sguardo su di me, che ero rimasta imbambolata ad osservare quel siparietto comico. Solo allora, la fanciulla mi diede attenzioni. Dal canto mio, la squadrai da capo a piedi e notai con gran sorpresa che, al posto delle zampe caprine, il suo corpo snello e scultoreo si reggeva su un paio di normali gambe umane. Niente corna sulla fronte e niente orecchie lunghe. Era una comune mortale proprio come me. Quel dettaglio in un certo senso mi rincuorò. Almeno non mi sentivo più così fuori luogo.
- Bene bene, vedo che abbiamo ospiti – disse lei, quasi canticchiando – ora capisco cos’era tutta quella agitazione in mezzo alla tribù. Tutti erano ansiosi ed eccitati -.
Mentre la fanciulla fece qualche passo verso di me, rimasi immobile, intenta ad osservarla meglio. Aveva un viso ovale e ambrato, con grossi occhi color smeraldo, labbra carnose e una fluente chioma nera che le scendeva lungo le spalle. Anche se indossava una veste ornata da pezzi di armatura, che le conferivano un’aria da guerriera, aveva una bellezza e un fascino invidiabili. Quando mi fu più vicina sentì un senso di soggezione che mi fece distogliere lo sguardo. Mi sentivo così piccola davanti a quel dio della guerra in gonnella. Se non fosse stato per l’intervento del fauno sarei morta di vergogna.
- Lei è Roxanne. Insieme al suo cerbiatto è finita in una delle trappole nel bosco – spiegò Klopin, mentre si massaggiava nuovamente la testa. Lo vidi barcollare, mentre cercava di rimettersi “in piedi”.
- Oh, che sfortuna. Spero che tu non sia rimasta ferita – si volle assicurare la guerriera, donandomi uno sguardo dolce e amichevole. Ebbi una strana sensazione. Da come si era comportato il fauno, avevo creduto di scontrarmi chissà con quale minaccia, o per lo meno qualcuno di poco gradevole. Invece quella ragazza sembrava così simpatica e socievole. Addolcita dalla sua preoccupazione risposi:
- Sto bene. Ti ringrazio…ehm – mi interruppi di botto. Stavo per chiederle chi fosse, ma lei mi bruciò sul tempo.
- Mi chiamo Esme – disse mentre mi donava un sorriso. Poi girò il capo in direzione del fauno.
– Non dubito che questo caprone ti abbia trattata bene – disse ancora, alzando un sopracciglio, aspettandosi quasi una conferma dal diretto interessato – Lo sai, che i tuoi uomini sanno essere così indisciplinati, specialmente in mia assenza -.
Klopin si passò una mano sul collo, liberando un sospiro esasperato. Per un attimo, i nostri occhi si incrociarono, e mi chiesi a cosa stesse pensando; il momento in cui mi aveva protetta dai fauni, o quell’attimo fatidico in cui i nostri volti e corpi si erano trovati così vicini da toccarsi. A quel ricordo avvertì un brivido sulla pelle e le mie guance si accaldarono.
- Spero che tu sia venuta qui per una buona ragione - disse lui, e fui certa che stesse provando a cambiare discorso. Ebbi il sospetto che il capo fauno volesse evitare di far sapere troppe cose alla nuova arrivata. Come se quella fanciulla di nome Esme avesse qualche ruolo importante nella tribù, un’autorità pari a quella di una regina. Possibile che fosse proprio così? Sarebbe stata una bella vendetta da parte mia se mi fossi lasciata sfuggire qualche dettaglio sulla condotta di Klopin, lì in quel momento. Sarebbe stata una gran seccatura per lui?
- Infatti – rispose Esme, e il suo viso si incupì – ho nuove notizie. Sia buone che cattive -.
 A quel punto anche l’espressione sul viso del fauno mutò, facendosi più serio. Con un cenno la ragazza si avvicinò al suo compagno, cercando di parlare a bassa voce. Capì all’istante che quelle notizie erano segrete, e io non avevo il diritto di conoscerle. Mi sentì molto a disagio e avevo l’impulso di uscire dalla tenda. Sarebbe stato un buon motivo per allontanarmi, finalmente. Ma poco dopo riuscì a udire alcune parole, seppur sconnesse, che mi trattennero. Quei due stavano parlando della bestia della maledizione. Fino a quando non mi giunse all’orecchio una frase distinta: il tempio delle ninfe. Quasi sobbalzai e feci un passo in avanti. Nello stesso momento, il fauno si girò e mi guardò con occhi increduli, come se avesse appena scoperto una preziosa verità. Poi tornò a rivolgersi a Esme, ma questa volta con voce più chiara e distinta.
- Dici sul serio? -.
La guerriera fece un cenno di assenso col capo, e solo allora mi feci coraggio e mi intromisi.
- State parlando del tempio delle ninfe? – dissi, con voce debole. I due si voltarono verso di me, ma invece di rispondermi si scambiarono qualche occhiata a vicenda. Sembrava che stessero comunicando nel pensiero. Infine fu il capo fauno a parlare.
- Sai, non dovremo svelarti niente. Si tratta di informazioni molto importanti e l’ultima cosa che vogliamo è scatenare il panico nel nostro rifugio. Se non fosse che…in qualche modo anche tu centri in questa faccenda -.    
Ascoltai in silenzio e intanto la mia mente si stava già caricando di mille domande. Per fortuna Esme riprese la parola, e con calma continuò il monologo.
- Klopin mi ha detto che ti hanno trovata in mezzo al bosco questa sera. Stavi viaggiando verso una metà precisa: il tempio delle ninfe -.
- Esattamente – confermai, alzando di un tono la voce – Devo assolutamente raggiungerlo. E’ una questione di vita o di morte -.
- Lo so – rispose la fanciulla, con tono triste – Anche noi stiamo rischiando di perdere molto. Abbiamo scoperto che molti nostri simili, fauni e capre, sono caduti vittima della maledizione. Io stessa ho visto la situazione con i miei occhi -.
Scrutando il viso perfetto e armonioso di Esme vidi un velo oscuro offuscarle i bei occhi smeraldo. Klopin le poggiò una mano sulla spalla come per poterla confortare. Quella scena mi fece ricordare il mio povero padre, e compresi che anche loro, creature della selva, stavano soffrendo per quella tragedia. Il dolore della perdita ci rendeva tutti uguali, che fossimo umani o fauni.
- E’ terribile – dissi lievemente, stingendomi tra le braccia – Ma non capisco come io possa centrare in tutto questo -.
I volti dei due si illuminarono e la risposta non tardò ad arrivare.
- Qualche giorno fa, quando tutto è iniziato, abbiamo scavato quelle trappole nella speranza di catturare la bestia - incominciò Klopin – ma evidentemente è più scaltra di quanto pensassimo -.
Non so come mai, ma quell’ultima frase sembrava nascondere un’allusione: eh già, chissà perché invece della creatura scaltra ci ero finita io nella buca, come una tonta fatta e finita. Cercai di non pensarci.
- Oggi Esme è andata ad esplorare i sentieri più lontani del bosco – continuò a raccontare il fauno – e ha incontrato qualcuno, forse un veggente, e gli ha rivelato che l’unica soluzione per fermare l’epidemia è andare al famoso tempio delle ninfe, il luogo dove tu sei diretta -.  
Un tuffo al cuore mi fece vibrare ogni pezzo della mia anima. Allora era tutto vero! Dovevo ammettere che durante il viaggio i dubbi e gli attimi di smarrimento non erano mancati. Ma finalmente avevo ricevuto una conferma.
- C’è solo un problema, almeno per noi – aggiunse Esme, pensierosa – Nessuno della nostra tribù può avvicinarsi al tempio. E’ un luogo sacro, dove solitamente tutte le ninfe si radunano per riti e incontri. Quindi, solo le ninfe possono metterci piede e farsi ricevere per chiedere aiuto agli Dei -.
- Aspettate un attimo – feci sentire la mia voce – State forse cercando di dirmi… -.
- Abbiamo bisogno di te – rivelò tutto d’un fiato il fauno. Non mi ero accorta che si era avvicinato, così tanto che mancavano giusto due o tre passi per sfiorarci.
- Tu sei una ninfa dei boschi e sei l’unica, almeno nei paraggi, che può aiutarci -.
La voce del fauno tornò a risuonare vellutata e melodiosa, come la prima volta che aveva pronunciato parole gentili nei miei riguardi. Avrei voluto obiettare sulla questione “ninfa dei boschi” e che ostinatamente continuava ad associarmi. Ma qualcosa mi frenava. Forse avrei potuto usare quel dettaglio a mio favore. Dovevo solo giocare bene le mie carte. Forse era l’unico modo per uscire da quella situazione.
- Vi aiuterò a trovare il tempio – dissi risoluta, e pensai bene alle seguenti parole – Ma ad una condizione -.
 
Eravamo giunti a un accordo. Dato che il tempio rimaneva la mia destinazione di quel viaggio, la tribù dei fauni mi avrebbe accompagnata fino alla fine della selva, proteggendomi da qualsiasi pericolo. In cambio, una volta arrivata a destinazione, avrei chiesto aiuto alle ninfe maggiori non solo di fermare la creatura della pietra, ma anche di concedere una grazia ai fauni e far tornare “in vita” tutti quelli che erano stati colpiti dalla maledizione. Mi sembrò un patto equo, e che in ogni caso era sempre meglio aiutarci a vicenda invece di perdere tempo in dissapori temporanei. Beh, l’ultima parte l’avevo solo pensata, anche se avevo l’impressione che lo stesso capo fauno l’avesse letta nei miei occhi scostanti. Ebbene, sì, ero ancora diffidente nei suoi confronti. Tuttavia, mentre lasciavo la tenda per ritirarmi nella mia, sentivo di aver fatto la cosa giusta. Forse non tanto per me, che sentivo ancora l’istinto gridarmi di abbandonare quel luogo una volta per tutte. Ma l’avevo fatto per Morò, per la sua vita che avevo involontariamente messo in pericolo.  L’avevo fatto per mio padre. Se volevo trovare il tempio, dovevo cercare di rimanere viva e vegeta, e non potevo negare che da sola non ce l’avrei fatta. Come aveva detto Klopin, loro avevano bisogno di me, e lo stesso valeva per me nei loro riguardi. “Ci sono pericoli là fuori…peggiori di me “così aveva detto…
 
Con la frustrazione che la tormentava, Roxanne ripensò a quelle parole e si morse il labbro inferiore. Odiava ammetterlo, ma quel fauno aveva ragione. Oh, quanto non riusciva a sopportarlo! Non le importava più neanche di quei piccoli momenti in cui aveva dimostrato di proteggerla. Klopin era un essere ambiguo. Anche se avrebbe mantenuto quel patto, la fanciulla si promise che sarebbe stata molto attenta a lui e a qualsiasi altro fauno nei dintorni. Era riuscito ad abbindolarla una volta, ma non sarebbe accaduto nuovamente. Non gli avrebbe dato neanche il tempo di provarci. Appena entrò nella tenda, Roxanne si sdraiò sul giaciglio di cuscini accanto a Morò, che dormiva profondamente e tranquillo. Quella notte, invece lei non riuscì a chiudere occhio. Si chiedeva, devastata dall’ansia, se non si fosse cacciata in un altro guaio, e che quello fosse solo l’inizio di una serie di sfortunati eventi.
  
 

Angolo dell'autrice
Finalmente sono giunta a un nuovo capitolo, e come avete potuto vedere è entrata in scena la nostra Esmeralda, in versione greca ( un piccolo anticipo, ma credo che si sia capito, è un'amazzone ^=^ credo che le si addica molto <3). Intanto le cose tra Klopin e Roxanne si stanno complicando, e non poco. Come faranno a convivere un viaggio così importante con un rapporto ormai già segnato dai mlintesi? Se volete scoprirlo seguitemi nel prossimo capitolo che spero di pubblicare il prima possibile. Io vi ringrazio se siete arrivati fino a quì ^^ A bientot <3   
 

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Capitolo 7
*** La principessa di ferro ***


                                                                                         La principessa di ferro

L’oscurità era così fitta che neanche il più piccolo raggio lunare riusciva a illuminare i sentieri tortuosi del bosco incantato. Il silenzio fu rotto dal suono di passi frettolosi, che man mano si facevano sempre più veloci…e una serie di respiri affannosi riempivano l’aria circostante. In mezzo alla nebbia Roxanne si faceva largo, correndo a perdifiato con una maschera di terrore dipinta in faccia. Qualche volta si voltava per guardarsi alle spalle, come se qualcuno, o qualcosa, la stesse inseguendo. A piedi nudi, con la veste color lilla che le svolazzava leggera e sinuosa, la fanciulla arrivò nei pressi di una barriera fatta di fogliame. Appena riuscì a superarla, si ritrovò in uno spazio ampio, e a qualche metro più avanti sorgeva una tenda color porpora. Senza ulteriori indugi, si intrufolò in quel piccolo rifugio fatto di veli e paletti. Qui dentro sono al sicuro, si ripeteva all’infinito, accucciata in un angolo stringendosi a se stessa. Sembrava che in quel posto regnasse la calma assoluta. La ragazza fece un respiro profondo e i lineamenti del suo viso si distesero. Forse quella “cosa” se ne era andata. Ma proprio quando il suo cuore stava riscoprendo un attimo di tregua, qualcosa lo fece accelerare di botto; un’ombra si era materializzata proprio dietro ai veli della tenda. Era alta, massiccia, sembrava descrivere la sagoma di un uomo possente e robusto. Ma c’era qualcosa che rendeva quella sagoma così insolita, e che fece tremare Roxanne; una testa ornata di corna. Un fauno? A quel pensiero, la ragazza si rannicchiò e cercò perfino di trattenere il respiro. Aveva così paura che per istinto serrò gli occhi e attese. A un certo punto, al suo orecchio arrivò uno strano suono. Un bisbiglio alquanto sinistro. Allora tornò a rivolgere lo sguardo davanti a sé, aspettandosi di rivedere l’inquietante ombra. Ma quest’ultima era sparita. Roxanne non sapeva più se stesse perdendo la percezione della realtà. Chi sei? Cosa vuoi da me? Chiedeva nel pensiero, ormai scossa da mille emozioni contrastanti. Ma la risposta tardava e l’ansia continuava a crescere. Poi, un nuovo suono la fece sobbalzare. Un belato, chiaro e distinto. Il calore dell’alito sulla pelle le fece girare di scatto la testa, e infine lo vide. La testa di una capra, nera come il carbone, incorniciata dal vello grigio e le corna ondulate che spuntavano ai lati. Gli occhi dell’animale, che le erano a pochi centimetri di distanza, si spalancarono; brillando come gemme dorate fissavano immobili la giovane sventurata. Non era affatto un fauno, ma quella “semplice” capra suscitava comunque una fastidiosa inquietudine. Roxanne avrebbe voluto scattare in piedi, fuggire il più lontano possibile, gridare fino a perdere la voce. Ma non ci riusciva. Per qualche strano e misterioso motivo le era impossibile muovere un solo muscolo. Era come…pietrificata. Poi accadde. La capra sbuffò minacciosa, emise un belato e mentre Roxanne capì cosa stava per accadere, fu troppo tardi. La bocca della bestia, un lupo travestito da agnello, si spalancò pronta a divorare la fanciulla, soffocando le sue grida di puro terrore. La bestia della pietra l’aveva catturata e mangiata in un sol boccone…

Pv Roxanne

- Nooooo! –
- Sorellona! Svegliati, sorellona! -.
Il buio che mi aveva trascinato pochi secondi prima si squarciò e finalmente vidi colori e forme ben distinte. Sulla mia guancia avvertì il musino umido di Morò, il mio piccolo cerbiatto. Appena incrociai i suoi occhioni neri e profondi rimasi imbambolata per un momento. Temetti per un attimo che quella belva avesse preso le sembianze del cucciolo, per ingannarmi, e che avrebbe di lì a poco spalancato nuovamente le fauci per divorarmi viva. Ma quando mi alzai dal giaciglio di cuscini per riprendere fiato, compresi che era stato tutto un sogno. Un terribile incubo, niente di più.
- Sorellona, stai bene? – fece la voce tenera e mansueta del cerbiatto. Mi girai verso di lui mentre mi passavo un braccio sulla fronte per asciugarmi dal sudore. Il piccolo Morò, il mio animaletto prezioso era accoccolato sui cuscini, con la zampa fasciata. Quel dettaglio mi fece tornare lucida e ricordai tutto. Eravamo in una tenda, nell’accampamento dei fauni, nel cuore del bosco incantato. Strano però, come quella realtà non mi diede la completa sicurezza, come ogni volta che ti risvegli, sollevato di essere sano e salvo. Avevo la sensazione che quell’incubo mi volesse mettere in guardia di un pericolo imminente. E non era la prima volta che mi capitava un cosa del genere.  
- Stai tranquillo, Morò, ho solo fatto un brutto sogno – spiegai al cerbiatto, sforzandomi di sorridere. Non volevo farlo preoccupare ulteriormente, dato che la situazione era già abbastanza complicata.
- Sarà perché non ho dormito bene stanotte. Tu come hai dormito? – gli chiesi cercando di sviare l’attenzione su di me e sull’incubo che avevo avuto. Non potevo raccontarglielo, lo avrei solo spaventato.
- Abbastanza bene – mi rispose – ma se ci sono riuscito è solo perché ero molto stanco-.                                                                Morò non aveva tutti i torti. In fondo il nostro viaggio si era rivelato più faticoso di quanto ci aspettassimo. Per non parlare dell’incontro inatteso con la tribù dei fauni. Troppe emozioni in così poco tempo. Ma nonostante tutto, volevo cercare di mostrarmi serena e tranquilla.
- Beh, in effetti, quando sono tornata qui, eri già addormentato come un sasso – dissi con aria ironica, accarezzandolo sulla testa e donandogli un bacio vicino all’orecchio. Morò mi rispose con una leccatina sulla guancia e sorrisi per poi tornare subito a fargli le coccole. Finalmente un momento spensierato solo nostro. Non ricordavo nemmeno più l’ultima volta che avevamo passato un momento felice. Ma purtroppo, ben presto entrambi tornammo alla realtà, esattamente quando il cerbiatto mi rivolse una domanda.  
- Sorellona, a questo punto, credi davvero che riusciremo ad arrivare al tempio delle ninfe? -.
Dopo un secondo di esitazione, allungai un sorriso e risposi con sicurezza:
- Non temere, ce la faremo. Inoltre, ho un piano -.
Nei minuti che seguirono gli spiegai brevemente, e con voce molto bassa, del patto stipulato la notte passata con Klopin. Il cerbiatto era rimasto esterrefatto, per poi drizzare le orecchie e spalancando gli occhioni neri. Anche in quelle circostanze appariva così adorabile.
- Ma, sorellona, hai raccontato una bugia! – fece Morò alzando di netto la voce. Con l’indice della mano gli feci segno di fare silenzio mentre lanciavo occhiate in giro, per poi ricordarmi che nessun’altro a parte me poteva sentire la sua voce. Che schiocca! Dovevo rilassarmi altrimenti mi sarei fatta prendere dall’ansia e dal nervosismo.
- Lo so - gli risposi infine - Ma tutti sono convinti che io sia una ninfa, e per questo Klopin ci ha promesso l’assoluta protezione. Dobbiamo approfittarne, perché è l’unico modo che abbiamo per superare la selva -.     
- E possiamo fidarci della sua parola? – mi chiese il cerbiatto, non tanto convinto della questione. Era una domanda che mi ero posta anche io.
- Non abbiamo altra scelta. Non dico che dobbiamo fidarci, ma per il momento non possiamo fare altrimenti. Comunque sia, staremo attenti alle loro mosse, fingeremo una disinvolta convivenza, e quando ci porteranno al limite del bosco saremo liberi di andare al tempio delle ninfe. E allora porteremo a termine la nostra missione -.
- E poi torneremo finalmente a casa – aggiunse lui, con tono dolce. Negli occhioni marcati dalle ciglia del cerbiatto intravidi un bagliore colmo di speranza, un luccichio che rendeva quelle onici tonde due specchi d’acqua malinconici, qualcosa ridestato da una snervante nostalgia. Senza dire altro, mi limitai ad abbracciarlo per il collo, strofinandogli il pelo con le mani per dargli conforto, e anche io sentì gli occhi riempirsi di lacrime. No, non potevo permettermi di piangere, dovevo essere forte per lui. E per me. Nonostante la paura e i sogni terribili che mi tormentavano, mi ero promessa che in presenza di Morò non avrei dato mai segni di cedimento. Poi, dopo aver sciolto l’abbraccio, Morò fece ruotare le orecchie e annusò l’aria.
- Qualcuno sta per farci visita – mi avvisò a bassa voce. Infatti, in meno di cinque secondi, i veli della tenda si aprirono e fecero il loro ingresso la capretta Djali e la bella ragazza dall’armatura di ferro.  

PV Esme

- Buongiorno -.
Appena entrai nella tenda vidi che la giovane ninfa era sveglia. Accanto a lei un piccolo e mansueto cerbiatto se ne stava rannicchiato sui cuscini. Doveva essere il suo animale di compagnia. La fanciulla fece un cenno col capo e timidamente mi rispose.
- Buongiorno, Esme -.
Nel frattempo la piccola Djali si era già accucciata vicino al cerbiatto, porgendogli con il muso un raspo d’uva bianca. Era la prima volta che vedevo la nostra “principessa” dividere con garbo la sua colazione con qualcun altro e che non fosse un suo simile. Djali, per via della sua giovane età, era sempre stata così timida con gli estranei.
- A quanto pare qualcuno ha già fatto amicizia – dissi mentre guardavo piacevolmente stupita quella scena. La ninfa dei boschi sorrise e le sue gote si accesero di rosso. Era molto graziosa. Non mi stupiva il fatto che in poco tempo era diventata l’argomento preferito tra le chiacchiere della tribù. 
- Come sta il tuo animaletto? – le chiesi mentre mi avvicinavo di qualche passo. I miei occhi si posarono sulla zampa fasciata del cerbiatto e non potei non sentirmi un po’ in colpa per la disavventura che avevano vissuto. Se ci fossi stata io a dare disposizioni a quella banda di caproni non sarebbe successo nulla.
- Va meglio, grazie – mi rispose lei, mentre era intenta nell’intrecciare i lunghi capelli scuri – Ma temo che non riesca ancora a reggersi sulle zampe – aggiunse infine con aria dispiaciuta.
- E’ comprensibile – dissi, mentre osservavo il cucciolo accettare i grappoli d’uva, mangiandoli avidamente. A quel punto pensai bene che anche la ninfa avesse bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. Così le porsi una mano e la invitai a seguirmi fuori dalla tenda.
- Vieni con me -.
Era una mattinata piuttosto grigia, ma qualche raggio di sole lottava per farsi spazio tra le nuvole soffocanti. Poco serviva, ahimè. Infatti anche se fosse stata una giornata d’estate, non sarebbe cambiato nulla in quello spazio nascosto dalle fronde degli alberi, spesse come tettoie. Comunque, mentre Roxanne mi seguiva ubbidiente, ebbi l’impressione che non fosse completamente a suo agio. Dovevo ammettere che era una ninfa molto attraente, ma particolare… insomma, una tipetta poco loquace. Di solito le ninfe dei boschi erano di spirito e molto propense alla parola. Probabilmente era solo molto timida. Mentre la conducevo verso una tenda color indaco, dove conservavamo le nostre provviste, pensai a cosa dire per spezzare il silenzio.
- Come si chiama il tuo cerbiatto? – le chiesi, giusto poco dopo aver recuperato una cesta piena di frutta. Mele e pere. Era una vera fortuna che avessimo abbastanza cibo da sfamare perfino una tribù di centauri.  
- Morò – mi rispose semplicemente, poi scelse una mela rossa. Io afferrai una ciotola di legno.
- E’ molto carino. Lo hai cresciuto tu? -.
- Sì. E’ sempre stato con me – disse, mentre si affrettava nel seguirmi verso un recinto. Appena arrivammo, aprì la staccionata e mi avvicinai al gruppo di capre che mi aspettavano. Le poche che ci erano rimaste. Subito mi misi all’opera e dopo aver munto una di loro, porsi la ciotola piena alla ninfa.
- Tieni, devi avere molta sete – le dissi con voce amichevole. Roxanne accettò la ciotola e mi ringraziò. Appena assaggiò il contenuto, sul suo volto si dipinse un’espressione compiaciuta e sorpresa.   
- Ma è buonissimo! – esclamò e subito dopo svuotò tutta la ciotola. Sorrisi soddisfatta e notai con piacere che la mia idea di offrirle del buon latte di capra era servito a qualcosa. Mi sembrava più rilassata.
- Non ho mai assaggiato niente di così fresco. Insomma, è diverso dal latte delle pecore -.
- Pecore? – le feci eco mentre corrugavo le sopracciglia. Roxanne mi guardò con titubanza, come se non sapesse più cosa dirmi. In quell’istante mi venne in mente ciò che lo stesso Klopin mi aveva svelato la notte precedente. In sostanza, la ninfa dei boschi si era allontanata dalla casa paterna, esattamente dopo aver scoperto che l’uomo era rimasto colpito dalla maledizione della pietra. Riflettendoci bene, realizzai che suo padre doveva essere un pastore, questo spiegava quindi le pecore che lei stessa aveva nominato poco fa. Era ovvio che Roxanne avesse passato una brutta esperienza, e che provasse timore nel parlarmene. In fondo rimanevo pur sempre un’estranea e lei si trovava in un luogo sconosciuto, lontana dai suoi affetti  
- Roxanne, stai tranquilla – cominciai a dirle, con pazienza e calma – ricordati che adesso sei al sicuro. Qui nessuno ti farà del male -.
La ninfa alzò lo sguardò e con un mesto sorriso annuì. Eh no, non mi convinceva affatto quella reazione.
- Ascolta, capisco come ti senta in questo momento. Inoltre, Klopin mi ha già raccontato tutto, quindi non c’è bisogno che ti sforzi – le spiegai strizzando un occhio. Immediatamente la sua espressione mutò di colpo.
- Ehm…Cosa ti ha detto esattamente? – mi chiese, alquanto imbarazzata. Non capì il motivo di tale reazione, ma la trovai dolcemente divertente.
- Beh, della tua brutta esperienza ovviamente – risposi senza mezzi termini. E proprio nel momento in cui ebbi la sensazione che si fosse rilassata, (che poi, chissà quale insolita risposta si aspettasse) aggiunsi:
- E che in vita tua non hai mai avuto a che fare con i fauni -.
Nel vedere i bei occhi di Roxanne, verdi con le pagliuzze dorate, che si spalancavano mentre un lieve rossore si espanse sulla faccia, mi fece sorridere. Fui impulsiva e le presi una mano.
- Su, vieni con me – le dissi, per poi trascinandola via dal recinto delle capre.
- E-Esme! Aspetta, dove stiamo andando? – mi chiese lei, incapace di liberarsi dalla mia presa.
- Ti faccio vedere il resto del rifugio – affermai convinta – così conoscerai agli altri membri della tribù -.
Come avevo sospettato, la ninfa cominciò a obiettare su quella decisione. Forse la stavo mettendo in difficoltà, dato il suo carattere così riservato e timido, ma in realtà era per il suo bene. Roxanne avrebbe passato parecchio tempo con noi, in quella tribù composta maggiormente da uomini per metà bestie. Se non si fosse adattata subito nel modo giusto in quella comunità, non avrebbe resistito più di un altro minuto. Qualcuno doveva aiutarla ad affrontare quell’ostacolo e “socializzare”.
- Esme…aspetta un attimo…ti prego – faceva la ninfa, questa volta cercando con più fermezza di ribellarsi. Prima di proseguire, decisi di concedere una tregua alla mia ospite e mi fermai.
- Ascoltami bene, piccola ninfa – le dissi appena mi voltai verso di lei – lo so bene che hai ricevuto un benvenuto, diciamo non tanto ortodosso. Ma proprio per questo motivo devi affrontare la questione -.
A quelle parole, Roxanne rimase ammutolita, attenta a ciò che le stavo dicendo. Finalmente avevo la sua completa attenzione e quindi continuai col mio monologo.
- Comprendo che tutto ciò che stai vivendo sia nuovo per te. Ma siccome dovrai continuare il viaggio insieme a noi, insieme ai fauni, è meglio che tu sappia come comportarti per evitare disagi e situazioni poco gradevoli. Sei una ninfa, vero, ma proprio per questo devi farti rispettare -.
Roxanne rimase a bocca aperta, poi si ricompose e notai che era più calma, e pronta a farsi guidare da me. All’improvviso udimmo una voce maschile proprio alle nostre spalle:
- Ehilà, Esme! Sei bellissima stamattina -.
Era Geo, il solito caprone che ogni mattina usava quel complimento per salutarmi. Non che avessi qualcosa contro i complimenti, ma a volte esagerava e sapeva essere fastidioso. Avesse avuto un po’ più di fantasia, per lo meno. Ma grazie a lui mi venne in mente una bella idea.
- Su, seguimi. Ti mostrerò cosa fare – sussurrai alla ninfa – Non temere, qualsiasi cosa accada nessuno di loro ti toccherà. Se si permettono dovranno vedersela con me -.
Dopo averla rassicurata, Roxanne mi seguì senza alcun indugio. Intanto, le ancelle andavano e venivano per sbrigare le faccende, mentre gli “uomini” erano occupati a svolgere i loro compiti. Io e la mia ospite stavamo camminando lente in mezzo al rifugio, e accadde ciò che mi aspettavo. Come mosche attratte dal miele, alcuni fauni si avvicinarono, fermandosi a pochi centimetri da noi, ammirandoci e contemplando le nostre figure. Oh, per Ares, quanto potevano essere ridicoli!
- Buongiorno, Esme – mi salutò ammaliato un fauno con la pelliccia grigia e le corna nere.
- ‘Giorno Kiros. Non perdere tempo, vai a raccogliere la legna – gli ordinai con tono fermo e deciso.
- Splendida mattina, Esme. Anche tu sei splendida, come sempre – fece un secondo fauno, che cercò di avvicinarsi di più. Roxanne, giustamente intimorita, si fece più stretta a me.
- Risparmia le tue moine per le capre, Petro. Sbrigati a fare il tuo dovere – lo rimproverai, schioccando le dita davanti alla faccia per farlo ridestare dal suo patetico torpore. Intanto continuavo la mia passeggiata con Roxanne, donandole qualche occhiata d’intesa. E Infine arrivò Nestor, il mio ammiratore instancabile.
- Oh, Esme, eccoti finalmente. Sai, stanotte ti ho sognata, mia focosa amazzone -.
Con una mano gli afferrai quella faccia da ebete e lo spinsi indietro, per togliermi di dosso il suo alito.
- Chiudi quella boccaccia! Se ti becco a bere di nuovo a prima mattina, ti toserò quel culo da caprone. L’inverno senza pelliccia non è una cosa piacevole, sappilo – lo avvisai a voce alta e tonante.  
Con quella reazione anche il resto dei fauni si allontanò, capendo al volo che oramai ero di pessimo umore. Per loro non conveniva darmi altre ragioni per farmi arrabbiare. Salutai con piacere alcune ancelle, e dopo aver mostrato alla mia nuova amica tutto l’accampamento, ci ritrovammo davanti alla mia tenda personale.
- Visto? Se dimostri che non hai paura e di avere il pugno di ferro, impareranno presto anche loro – cominciai a dirle – Fagli capire che hai il pieno diritto di passare davanti a loro, senza che prendano le tue grazie come un invito e a trattarti col rispetto che meriti -.

Pv Roxanne

La bella guerriera mi donò un radioso sorriso per incoraggiarmi. Se qualche momento prima i dubbi mi avevano resa diffidente, specialmente per i suoi modi impulsivi, dovetti ricredermi. Esme, dalla prima volta che mi aveva rivolto la parola, era stata gentile con me, più di chiunque altro. Inoltre, dopo quella dimostrazione di controllo sui fauni, arrivai alla conclusione che fosse una donna molto in gamba, non solo bella. Aveva capito quale fosse il mio timore più grande in quella situazione e aveva agito solo e soltanto per aiutarmi. Dietro a quell’armatura di ferro si celava un animo forte e altruista. Forse sbagliavo a fidarmi, ma non potevo fare a meno di pensare che Esme fosse un modello da seguire. Feci un profondo respiro e tornai a rilassarmi. Ero rimasta tesa per tutto il tempo durante la nostra passeggiata.
- Grazie - le dissi semplicemente, sentendomi leggera e meno nervosa. Lei annuì, fiera come una guerriera vittoriosa.
- Figurati, mia cara. Comunque, oltre a tutto quello che ti ho detto, sappi che i nostri fauni non sono cattivi, sono solo un tantino impulsivi, e quando vedono una femmina non capiscono più nulla – specificò la giovane donna. Quelle ultime parole mi fecero tornare alla mente Klopin. Anche lui mi aveva detto una cosa del genere. Pensando allo stravagante capo fauno, mi accorsi che da quella mattina non si era ancora fatto vedere. Stavo quasi per chiedere ad Esme dove fosse finito, ma rinunciai subito. Non volevo che la ragazza si facesse strane idee. Ma una domanda mi uscì spontanea dalle labbra.
- Senti, Esme, posso chiederti una cosa? Ciò che hai fatto…ecco… è stato Klopin a chiedertelo? -.
Sinceramente non riuscivo a spiegarmi il motivo reale di quella domanda. Forse perché volevo capire davvero che tipo fosse Klopin. Era diventato il mio chiodo fisso.
- Assolutamente no – mi rispose lei, scuotendo la testa – è stata una mia iniziativa. Sai, penso che sia stato semplice solidarietà femminile. Tra donzelle bisogna darsi una mano -.
Nonostante quella rivelazione mi fece molto piacere, una parte di me era delusa. Perché mai mi sentivo in quel modo? Feci un cenno col capo e provai a scacciare via quei pensieri. Mi sentivo così stupida.
- A proposito di Klopin, c’è una cosa che devi sapere – riprese la parola Esme – Mi raccomando però, lui non deve sapere che te l’ho detto. E’ un tipo orgoglioso e si infurierebbe a morte -.
Senza temporeggiare promisi alla guerriera che sarebbe stato un nostro segreto, ed ero in ansia di sapere di cosa si trattasse. Mi sentivo quasi euforica. Esme mi mise un po’ sulle spine poi finalmente vuotò il sacco.
- Sai, in verità lui ha fatto molto di più per te – incominciò – Il vero motivo per cui ti ha invitata nella sua tenda ieri sera va oltre a quello che si potrebbe pensare. L’ha fatto per proteggerti. Vedi, secondo una regola della nostra tribù, quando il capo fauno invita una fanciulla nella sua tenda personale, diventa in seduta stante una sua protetta. Questo vuol dire che nessuno può permettersi di toccarti -.
In quel preciso istante tutto ciò che avevo pensato di quel luogo e di Klopin si stava annebbiando. Tutte le mie certezze e i miei dubbi si stavano sfaldando come bocche di leone smosse dal vento in primavera.
- Dici sul serio, Esme? – fu la mia domanda, ancora incredula a ciò che avevo da poco saputo.
- Certamente. E se hai ancora dubbi potrai chiederlo al diretto interessato, appena si riprenderà dalla sbronza notturna, ovvio – mi rispose lei, ridendo sotto ai baffi – Ammetto che ha molti difetti, ma Klopin è il miglior capo fauno che esista nei paraggi. E sia chiaro, non lo dico solo perché è mio fratello -.
- Cosa?! Klopin è tuo fratello?! – esplosi appena ricevetti quella bomba di novità. Chi l’avrebbe mai detto!
- Eh sì, per fortuna e sfortuna -.
Per tutti gli dei dell’Olimpo. E pensare che avevo dato per scontato che la bella guerriera e il fauno fossero amanti. Meno male che mi ero tenuta per me tutto, mi ero risparmiata una figuraccia colossale. Peccato però, era andata in fumo una buona carta da giocare per ricattare quel fauno malandrino. Si era fatto parecchio tardi ed Esme mi incitò a tornare alla mia tenda. Dovevamo prepararci per partire e non potevamo perdere altri minuti preziosi. Finalmente, pensai. Così salutai la guerriera e mi diressi verso la tenda. Non vedevo l’ora di mettermi in cammino. E magari avrei avuto modo di parlare anche con Klopin. A quel punto un pensiero mi fulmino la mente: e se provassi ad andare a trovarlo nella sua tenda?

Il tempo trascorse velocemente e tutto era ormai pronto per l’imminente viaggio. Le tende vennero smantellate e i recinti svuotati dal bestiame. Al suono di un corno tutti i fauni si riunirono, ognuno col proprio modesto bagaglio o per lo meno un piccolo fagotto che contenesse il minimo indispensabile. Klopin, il capo fauno, si era appena svegliato e finalmente si presentò ai suoi sottoposti che lo attendevano.
- Per la barba di Plutone, che dormita! – disse, ancora assonnato mentre traballava sugli zoccoli – Bene, siamo pronti per partire? -.
Solo allora il fauno si rese conto che c’era qualcosa fuori posto. Un silenzio imbarazzante regnava in mezzo all’accampamento e i fauni si scambiavano occhiate confuse. Nessuno di loro osò aprire bocca.
- Beh, cosa succede? – chiese il fauno dalla mantella violacea. All’improvviso, sua sorella Esme lo raggiunse correndo. Aveva un’espressione agitata e confusa sul bel volto ambrato.
- Klopin…è terribile! – esclamò facendosi largo tra la folla – Roxanne…la ninfa…è scomparsa! -            

Angolo dell'autrice
Rieccomi gente, dopo parecchio tempo di assenza ( e mi rendo conto di ciò, e mi dispiace ). Comunque meglio tardi che mai, e spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Questa volta ho voluto dare più spazio alla nostra Esmeralda in versione amazzone ( vi piace come personaggio? io la trovo fighissima <3 ). Di certo vi starete chiedendo che fine abbia fatto la " ninfa" Roxanne. Beh se volete saperlo non perdetevi il prossimo capitolo, ne vedremo delle belle ^^ <3 
 

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Capitolo 8
*** Il guardiano del confine ***


                                                                                                    8
                                                                            Il guardiano del confine
 

Il primo tardo pomeriggio d’autunno era sempre stato una tentazione per la pastorella dai lunghi capelli bruni. Lo aveva atteso come non mai anche quell’anno. Ma invece di godersi l’ipnotica danza delle foglie dai colori caldi, sorseggiando infuso di melograno, Roxanne stava vagando in mezzo al bosco, con l’ansia che cresceva a dismisura. Mentre si guardava attorno, circondata da alberi secolari e fitta vegetazione, sperava di ritrovare qualche indizio che le risultasse familiare. Stava forse cercano di scappare il più lontano possibile, o di tornare al rifugio della tribù dei fauni?

Pv.Klopin

- Scomparsa! Che significa scomparsa?! – dissi ad alta voce e tutti i rimasugli del sonno mattutino vennero spazzati via come polvere nel vento. La giovane amazzone, con occhi confusi, scosse la testa facendo ondeggiare l’orecchino a cerchio. Se perfino lei, Esme, la mia diligente sorella, non sapeva nulla su quella misteriosa scomparsa, allora la questione era davvero grave. Feci vagare lo sguardo tra i miei uomini, che subito ammutolirono, pressati dai miei occhi indagatori.
- Qualcuno di voi sa qualcosa? – chiesi ad alta voce, ma nessuno ebbe il coraggio di aprir bocca. Scrutai attentamente ogni singolo fauno per essere certo di leggerne qualche segno sospetto.
- Devo rammentarvi chi sia la nostra ospite? – aggiunsi per poi afferrare il bastone che portavo sempre con me. A quel punto avvertì qualche respiro smorzato, in mezzo alla folla apparentemente calma.
- La ninfa è sotto la mia protezione – dissi ancora, battendo il bastone sulla terra massiccia – Conoscete tutti la regola. Nessuno di voi deve osare toccarla, o altrimenti…-
- Capo, a nome di tutti posso assicurarti che non ne sappiamo niente – si fece avanti uno del gruppo – Se sapessimo dove si fosse cacciata la ninfa ti avremmo subito avvisato -.
Il resto del gruppo annuì, incoraggiato dalle parole del loro compagno. Osservandoli mi resi conto che nessuno di loro mi stava mentendo. Li conoscevo molto bene, e nonostante la loro natura selvaggia, i brutti difetti e le maniere poco ortodosse, ero sicuro della loro lealtà nei miei riguardi. Così mi rilassai.
- Forse è scappata! – suggerì allora un altro fauno.
- Impossibile – affermò infine Esme, al mio fianco – Il suo cerbiatto è ancora nella tenda. Una ninfa non abbandonerebbe mai il suo animaletto mistico. Deve esserle successo qualcosa -.
A quella teoria non potei che essere d’accordo. Ma non c’era più tempo da perdere; dovevamo trovarla. Se si fosse allontanata oltre i margini delle nostre terre, allora potevamo già considerarla bella che morta. 
- Fauni, armatevi e preparatevi per la ricerca! Zarias, raduna i tuoi sottoposti! – fu il mio ordine, poi mi rivolsi all’amazzone.
- Esme, recupera la logora veste della ninfa -.
La fanciulla dalla lucente armatura annuì decisa e si mobilitò. Senza darle ulteriori spiegazioni, aveva da subito inteso i miei piani. Con un fischio acuto chiamai la mia piccola capretta dal mantello argenteo, e in fretta si accucciò al mio cospetto, in posa di attesa.
- Djali, tesoro, il compito più importante spetta a te – le dissi accarezzandole la testa vellutata. Mi rispose con un belato fiero e dolce. Incredibile ma vero: lei sapeva essere anche più affidabile di tutti i miei sottoposti messi insieme.

PV Roxanne

- Ma dove sono finita?! Perché mi trovo qui? – esclamai, con il fiato corto, mentre continuavo ad avanzare tra i sentieri della selva, senza una meta precisa. Che sia chiaro, non ero scappata dall’accampamento, e a dirla tutta, non ne avevo minimamente sfiorato il pensiero. Tuttavia, incredibile ma era la verità, non riuscivo a ricordare il perché e il come fossi arrivata lì.                                                                                                                                                                                                      “Dove mi trovavo poco prima?...E cosa stavo facendo?” interrogavo me stessa, scrutando nella mente per risolvere quell’enigma. “Mi trovavo all’accampamento dei fauni, avevo appena salutato Esme e mi stavo ritirando nella mia tenda. Poi, forse per puro incoraggiamento da parte dell’amazzone, mi ero spinta nella direzione opposta, verso la tenda di Klopin. Avevo qualcosa di personale da dirgli. Ma subito dopo mi ero bloccata. Qualcosa, non so, forse una voce, mi aveva chiamata e mi invitava a seguirla. Era un richiamo che avevo già sentito in passato…varie volte. Poi, il buio assoluto. E all’improvviso mi sono trovata qui”. Ecco perché mi sentivo così spaesata nel cuore del bosco, ormai consapevole di una snervante verità: mi ero persa. La cosa peggiore era che non potevo affidarmi al mio senso dell’orientamento. Senza Morò e al suo potere di comunicare con me e con gli abitanti della selva, non potevo sperare di ritrovare la strada per il ritorno. Ma in qualche maniera dovevo riuscirci. Morò, povero piccolo, si starà chiedendo dove fossi finita. Si sentirà solo e abbandonato. Ovviamente, anche la tribù ed Esme avranno scoperto la mia scomparsa. Chissà cosa avrà pensato il loro capo, Klopin?...        Mentre pensavo a ciò, avvertì alcuni fruscii che arrivavano in varie direzioni, tra i cespugli, e questo mi fece allarmare non poco. A un certo punto, il mio piede si scontrò con una grossa radice di un albero. Inciampando, caddi rovinosamente a terra in mezzo al fogliame secco. Quando alzai lo sguardo il respiro mi mancò di colpo. I miei occhi incontrarono il muso di un animale, una capra per l’esattezza. Ma ciò che mi fece rabbrividire era un dettaglio che non potei non notare, nemmeno a prima vista. Era di pietra. Il muso, le corna, la pelliccia e gli zoccoli, tutto di quel povero animale era fatto di pietra dura e grigia. Un silenzio tombale, peggio di un frastuono assordante, mi stava torturando, mentre fissavo gli occhi senza vita della bestia. A quel punto mi tornarono in mente le parole di Esme: troppe capre del loro bestiame erano state ritrovate pietrificate, al di là del rifugio. La bestia della pietra. La creatura della maledizione doveva trovarsi proprio lì, nei paraggi. E io ero sola, indifesa. Sarei stata una preda facile…                                                                                                                                          Il battito d’ali di uno stormo di uccelli, alquanto agitati, mi fece tornare alla realtà e al tempo stesso mi diede un brutto presentimento. Sapevo bene per esperienza, cresciuta in mezzo alle pecore, che quando gli animali mostrano segni simili significava solo una cosa: pericolo. Scattai in piedi e guardandomi attorno vedevo solo cespugli e grossi alberi. Decisi di non fermarmi a lungo per capire se qualcuno, o qualcosa, mi stesse seguendo. Poteva risultarmi fatale. Man mano che camminavo a passo svelto ebbi l’impressione che qualcosa non andava: era come se le forme e i toni della selva stessero cambiando lungo il mio cammino. Solo allora capì che mi ero allontanata ancora di più dalla strada maestra, perché il luogo era del tutto diverso. E quando mi addentrai verso un nuovo sentiero, ne ebbi la conferma. Quel fogliame, che nei giorni di autunno assumevano lo splendido colore accesso che tanto amavo, era invece così strano. Il rosso vivo tipico delle foglie era in verità quasi nero. Il bosco fatato, nonostante fosse in pieno giorno, aveva assunto un’aria tetra e oscura, così tanto che mi fece riportare alla mente i paesaggi cupi nei miti dell’oltretomba. Ma in quel preciso istante, non troppo lontano, avvertì un lamento acuto. Sembrava un misto tra il gemito di un bambino e di un animale, un qualcosa di inspiegabile. Catturata dal panico, scappai a gambe levate, imboccando vari sentieri che per me erano tutti uguali. Mentre correvo le foglie scricchiolavano ad ogni mio passo, ma ero troppo terrorizzata per curarmi di quel dettaglio. Tuttavia il cuore mi martellava all’impazzata, con la paura di essere aggredita da un momento all’altro. Il cielo mi cascò addosso quando, girando verso un nuovo sentiero ricoperto dal fogliame rigoglioso, scoprì che ero arrivata a un vicolo cieco. Davanti a me vi era solo un grosso albero dalle radici che spuntavano dal terreno. Rimasi un attimo immobile, interdetta e indecisa sul da farsi. L’unica cosa logica da fare era di tornare sui miei passi. Avevo appena sfiorato quell’idea che uno strano rumore alle mie spalle mi fece gelare il sangue. Molto lentamente mi girai, mentre piccole perle di sudore mi scivolavano sulla fronte. I miei occhi, almeno inizialmente, videro solo il fogliame nero che rivestiva la maggior parte di quel pezzo di bosco. Sbattei per due volte le palpebre e subito dopo vidi i contorni delle fronde sgretolarsi e assumere una forma ben distinta. Una figura alta, scura, che camminava su due gambe. Un uomo? Per via della luce scarsa non potevo distinguerne i dettagli, ma mi accorsi che sulla sommità del capo spuntava l’ombra di due grossa corna, mentre in sottofondo si udiva il classico suono sordo degli zoccoli sulla terra. Un fauno! Non so il motivo, ma per un attimo pensai che fosse Klopin. Che fosse venuto a cercarmi? Ma la mia intuizione cambiò quando l’oscurità del luogo cominciò ad attenuarsi. La sagoma si mosse verso la mia direzione, così facendo i contorni e i particolari divennero più nitidi. La testa, che non era quella di un fauno, era rivestiva da una vaporosa pelliccia grigia. La fronte, le orecchie, il muso dove le grosse narici si dilatavano ad ogni respiro, erano di colore nero. Un sottile filtro di luce, facendosi largo tra la vegetazione fitta, riuscì a illuminare la faccia della creatura: due gemme gialle, che brillavano come monete, erano incastonate sul manto color ebano, e mi fissavano intensamente. Una capra! Aspetta un momento! Avevo già visto quella testa di animale da qualche parte…nel mio incubo! Riconobbi allora la bestia che avevo davanti e mentre realizzai che mi avrebbe attaccata e tramutata in pietra, le gambe avevano già iniziato a tremare. Intanto, la bestia rimaneva lì, immobile, intenta a fissarmi e a annusare l’aria circostante. Ero terrorizzata, ma non riuscivo a spezzare il contatto visivo con quelle gemme dorate. Ero sul punto di muovere la mano verso il pugnale che portavo sotto la veste quando accadde qualcosa di inaspettato. La creatura drizzò le orecchie lunghe, e dopo qualche secondo di silenzio, emise versi furiosi, irritata chissà da cosa. Pietrificata dalla paura non osai muovermi, mentre la bestia calpestava il terreno e sollevando così la polvere con i possenti zoccoli. Infine, in un lampo si gettò in una corsa feroce verso il sentiero opposto, dimenticandosi completamente di me. Nonostante la paura e il terrore, non temporeggiai oltre e subito presi al volo l’occasione. Durante la folle corsa per mettermi in salvo, nella mia mente si accumularono tante domande. Come era possibile? Eppure ero sicura che quel mostro era lo stesso che avevo incontrato nei miei sogni. Cosa mi stava succedendo? Un sogno premonitore? Anche adesso, che sto correndo in questa sorta di labirinto di sentieri oscuri, braccata da una bestia simile al Minotauro di Minosse, mi sembra tutto così…familiare, e reale. Non mi sarei stupita se lì da poco avrei trovato la tenda color porpora ad attendermi. E io mi ci sarei intrufolata all’interno, sapendo l’esito in largo anticipo? Ma magari la bestia non mi stava affatto inseguendo, pensai positiva. Con un po’ di coraggio, mi voltai per pochi secondi indietro, per accertarmi della situazione. Ma pochi attimi di distrazione bastarono per farmi scivolare e cadere proprio sull’orlo di una lunga discesa, e inevitabilmente ruzzolai giù come una balla di fieno. Quando mi fermai, ero ricoperta di polvere e alcune foglie erano rimaste impigliate tra i miei capelli. Senza badare né al mio aspetto, né allo spazio circostante, la prima cosa che feci fu strisciare tra le foglie morte e mi intrufolai nell’oscurità di un cespuglio basso. Beh, almeno non si trattava di una tenda sospetta. Rannicchiandomi con le gambe strette al petto, decisi di dedicarmi un momento per riprendere fiato e calma. Ero talmente scossa per il pericolo che avevo rischiato che mi sarei messa a piangere. Troppe, troppe emozioni in così poco tempo. Respirai regolarmente e aspettai che il cuore smettesse di galoppare nel mio petto. All’improvviso qualcosa mi mise all’erta. La sensazione di essere osservata mi provocò un brivido che mi corse lungo la schiena. Mi voltai di scatto e scoprì due occhi che mi fissavano nel buio. No! La bestia mi aveva raggiunta!… e mi avrebbe divorata in un sol boccone, proprio come doveva andare a finire! Cercai di urlare, ma una mano, magra e salda, mi afferrò la bocca per chiuderla. Una voce calda e sussurrata mi accarezzò l’orecchio col suo alito.
- Shhh! Non gridare! –
Era una voce maschile, che con lo stesso tono, un po’ invadente e ammaliante, mi aveva donato strane sensazioni la notte precedente. Anche in quel momento, nonostante la situazione per niente tranquilla, avvertì un brivido sulla pelle, e non era per paura. Finalmente, lui era lì. Forse per via del contesto, dovetti ammettere che ero davvero sollevata di averlo così vicino. Con le dita gli scostai la mano per darmi la possibilità di parlare.
- Klopin…-
- Parla piano. Potrebbe essere ancora nei paraggi – mi ammonì il capo tribù e mi fece segno di accucciarmi al suolo. Senza obiettare feci esattamente come mi aveva ordinato, e ci trovammo insieme nascosti nel cespuglio, con i volti all’altezza dei fili d’erba.
- L’hai visto anche tu, vero? – mi bisbigliò, mantenendo gli occhi fissi sotto il livello delle foglie, spiando la situazione attraverso l’apertura a pochi centimetri da terra. Gli rivolsi lo sguardo e risposi:
- Quel mostro con la testa da capra…- non ebbi però il tempo di finire che lui aggiunse.
- Non è una testa da capra. E’ un ariete –
Non ero ben sicura di aver capito, ma decisi di tralasciare quel dettaglio. Forse Klopin non sapeva ancora che quell’essere era proprio la creatura della maledizione, dato che quasi nessuno conosceva il suo aspetto.
- Beh, comunque sì. E ci è mancato poco che mi tramutasse in pietra – dissi a bassa voce, ripensando con orrore a quel preciso momento in cui stavo per rimetterci la vita. Il fauno, che per tutto il tempo era rimasto vigile fissando attraverso l’apertura del cespuglio, finalmente mi diede la sua attenzione.
- Tramutarti in pietra? – mi chiese, corrugando la fronte, come se non avesse capito il concetto delle mie parole. Cosa c’era di così complicato?
- Esatto. Quel mostro è la bestia della pietra – dissi con decisione, alzando di un tono la voce. Klopin mi sfiorò le labbra con un dito per farmi tacere, per poi darsi un’occhiata in giro, muovendo le orecchie che spuntavano dai capelli corvini. Quel gesto così improvviso, quel contatto così semplice, mi fece arrossire. Meno male che lui era troppo occupato per accorgersene. Quando si rilassò, tornò a guardarmi e mi donò un mezzo sorriso, uno di quelli sornioni che aveva già sfoggiato alla nostra prima conoscenza.
- Piccola ninfa, si vede che sei cresciuta in una campana di vetro, se non sai con chi abbiamo a che fare – sussurrò, e quasi si fece scappare un risolino. In quel momento non sapevo se chiedere spiegazioni o risolvere la questione prendendo a schiaffi quella faccia spudorata. La sua aria saccente mi dava sui nervi. E io che volevo metterlo in guardia…
- Che vuoi dire? Non è la bestia che stavate cercando? – chiesi, mantenendo il tono di voce basso e pacato.
- Certo che no – affermò il fauno, tornando alla sua posizione di poco fa, col petto contro la terra erbosa – Per tua fortuna è solo il guardiano del confine. Ma a dirla tutta anche lui non è un docile agnellino -. All’improvviso udimmo un suono frusciante che ci fece ammutolire del tutto. Klopin mi ordinò di non muovere neanche un muscolo. Ma nei paraggi non vi era anima viva, a parte noi due nel nostro rifugio fatto di foglie.
- E'così pericoloso? – osai chiedergli, con voce quasi soffocata - Insomma, a parte la testa, sembra un fauno come te –. Anche io ero consapevole della mia ignoranza, ma ero comunque curiosa. A parte le leggende che mi aveva raccontato mio padre, non sapevo praticamente nulla del mondo oltre la siepe.
- Non è affatto come noi. Il guardiano non ha nessun briciolo di razionalità, si lascia guidare dal primitivo istinto animale. Il suo compito è di non permettere agli estranei di superare il confine tra queste terre. Cioè quella del semplice bosco, dove i fauni sono soliti rifugiarsi, e quella dei centauri. È capace di farti volare al di là della selva se ti carica con le sue possenti corna, o peggio, traforarti lo stomaco se sei così esile -.
Immaginando la scena dell’ultimo dettaglio, provai un senso di ribrezzo. In seguito rimanemmo per qualche secondo in silenzio. Klopin non si era scostato da me nemmeno di un millimetro. Ogni tanto spostava lo sguardo da una direzione all’altra, annusava l’aria e faceva fremere le orecchie per udire ogni singola vibrazione. Osservando il suo profilo, avendolo così vicino potevo studiare ogni tratto del suo volto, del suo “essere”. Non so, ma in quel preciso momento lo trovavo così…insolitamente interessante. Avevo avuto già occasione di osservare quei “dettagli” che lo rendevano unico, ma in quel momento potevo dedicarci più attenzione. Ritornando poi alla nostra situazione, ripensai al fatto che lui era davvero venuto a cercarmi.   
- Così sei venuto a salvarmi – dissi sottovoce, ma in realtà era un pensiero che mi era sfuggito dalle labbra. Il fauno si voltò verso di me e mi guardò con quei occhi color pece.
- Beh, sì, se vogliamo metterla in questo modo -.
In un primo momento avvertì uno strano calore nel petto, accompagnato da un senso di tenerezza nel vedere il suo modo di tormentarsi il ciuffetto sotto al mento.  
- In fondo sei la nostra alleata e preziosa guida per il viaggio verso il Tempio. Non possiamo permetterci di perderti – aggiunse poi, allargando un sorriso di intesa.
- Ah, capito. Beh sì, ovvio – risposi, e quella nota euforica di poco fa svanì dalla mia voce.
- Come hai fatto a trovarmi? – gli chiesi, cercando di tornare disinvolta. Nel frattempo, il fauno aveva premuto un orecchio sulla terra, e dopo alcuni secondi tornò a parlarmi.
- Abbiamo seguito il tuo odore. Inoltre, Zarias e compagni sono stati i primi a rintracciarti, seguendo le tracce del guardiano che ti stava cacciando -.
- Zarias? Il fauno che hai sgridato ieri notte? – gli chiesi. Non mi ero dimenticata di quel tipo che mi aveva dato un “benvenuto” troppo movimentato. 
- Esatto. Beh, almeno questo straccio alla fine è servito a qualcosa – mi spiegò e mi mostrò un lembo della mia vecchia veste, quella che mi fu strappata dai fauni – grazie a Djali, che ha un fiuto infallibile, è stato così facile -.
Quella spiegazione mi fece rimanere completamente di sasso. Tutti loro, non solo Klopin ma anche il resto dei fauni si erano mobilitati per cercarmi. Non importava se per loro ero solo una ninfa da salvaguardare per i loro interessi, non cambiava la realtà che si erano comunque esposti al pericolo per salvarmi. Forse, un po’ di sincera fiducia che avevo perso stava finalmente riaffiorando dalle ceneri.
- Bene, sembra che la situazione sia tranquilla – mi annunciò il fauno, senza però lasciare il suo diligente tono basso – Magari Zarias e gli altri sono riusciti a tenerlo a cuccia per un po’ -.
La notizia mi fece tirare un sospiro di sollievo. Meno male. Poi, inavvertitamente, mi ritrovai lo sguardo di Klopin che mi fissava insistente.
- Posso sapere perché sei scappata dal campo? – mi chiese senza mezzi termini.
- Non sono scappata – risposi subito. Avrei dovuto aspettarmi una domanda simile, in fondo ero sparita così improvvisamente. Ma con quale motivazione mi sarei potuta spiegare? Cosa mi invento adesso?
- Ah, davvero? – fece lui, alzando un sopracciglio – e allora come mai ti sei allontanata? -.
Ecco, ora cosa faccio? Se gli avessi raccontato che era inspiegabile anche per me, cosa avrebbe pensato? La storia dello strano e misterioso richiamo che mi aveva ipnotizzata lo avrebbe convinto, o no? Con tutte quelle domande che mi frullavano in testa non mi resi conto che ero rimasta in silenzio per vari secondi, e il fauno assunse un’aria sospettosa.
- Posso dirti cosa penso? Questa volta non centrano i miei uomini, vero? – affermò poi, e sulla sua faccia ambrata si dipinse un’espressione seria. Mi stava studiando. Mi stava mettendo alla prova.
- Cosa intendi dire? – feci, cercando di non perdere la calma per non farlo insospettire di più.
- Che non mi hai ancora detto tutto di te – mi rispose, con i suoi occhi che non cessavano di fissarmi.
“No, ti prego. Non dirmi che se ne è accorto? “pensai tra me, e l’ansia ricominciò a farsi sentire. Intanto, senza troppe cerimonie, Klopin si era avvicinato ancora, limitando lo spazio già ristretto tra noi due.
- Sei strana – ricominciò, e il suo odore, di muschio selvatico, mi stuzzicò le narici – anche se sei cresciuta lontana da tutto, come una semplice figlia di pastori, rimani pur sempre una ninfa. Ma sei comunque…singolare -.
La mia mente e il mio cuore erano in subbuglio. Il fauno mi stava mettendo alle strette, e a quel punto sentivo che non potevo più fingere. Mi avrebbe strappato comunque la verità, con le buone o con le cattive. Dovevo confessare di non essere una ninfa. Mi chiedevo solo se poi, sentendosi ingannato, avrebbe spezzato il nostro patto e non mi avrebbe più aiutata nell’impresa. Cosa faccio?!
- Su, Roxanne, dimmi cosa mi nascondi – disse, rompendo il silenzio, togliendomi una foglia secca dai capelli. Sospirando, socchiusi gli occhi e cercai di mettere insieme le parole.
- Volevo provare a dirtelo oggi – cominciai – stavo venendo a cercarti nella tua tenda…Vedi…io…-.
In quel preciso istante, la faccia di Klopin cambiò repentinamente.
- Sta giù! -
Le sue orecchie si drizzarono di colpo, gli occhi si spalancarono e subito dopo le sue braccia mi tennero stretta, col suo corpo che mi schiacciava al suolo. Ma cosa sta facendo? La mia faccia si fece rossa e bollente. Poi, in mezzo secondo, sentì una ventata fredda che mi scompigliò i capelli. Una pioggia di foglie, quelle del cespuglio, cadde frenetica e danzante. Un verso animalesco che avevo già udito risuonò feroce nelle orecchie. Quando Klopin, tenendomi ancora al riparo col suo abbraccio, si mosse e alzò il capo, anche io potei vedere cosa stava succedendo.

Il cespuglio rigoglioso dove la ninfa e il fauno si erano nascosti era stato letteralmente spazzato via da una forza sovrumana. O meglio precisare, da un essere mostruoso. Roxanne finalmente lo vide bene, in tutta la sua forma. Una specie di ibrido tra uomo e ariete che camminava su due zampe, con tanto di zoccoli di piombo che scuotevano il terreno. Il busto tonico e le braccia muscolose, di una carnagione olivastra, erano segnati da mille cicatrici. Infine la testa, grossa e maestosa, era nera, incorniciata da un vello grigio e ricciuto, e due enormi corna erano ricurve verso il basso. Sopra il muso bovino si presentavano quelle gemme, gialle come topazi preziosi. Il guardiano del confine aveva scovato le sue prede.  
 
Angolo dell’autrice
Bonsoir a tutti! Perdonate il ritardo mostruoso, ma questo è stato un periodo molto particolare, fatto di cambiamenti e di tante cose nuove. Ma bando alle ciance, ecco per voi il nuovo capitolo della storia. Finalmente abbiamo scoperto che fine avesse fatto Roxanne, ma la situazione non è certo delle migliori. Il guardiano del confine è un personaggio davvero singolare (mi sono ispirata alla mia idea iniziale di un qualcosa di più animalesco di un fauno, e prendendo spunto da qualche tavola su google) spero che vi piaccia <3 Vi ringrazio in anticipo, a tutti voi che state continuando a leggere la storia e abbiate pazienza con i miei tempi da lumaca XD  Al prossimo capitolo  
         

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Capitolo 9
*** La luce della verità ***


                                              9
                                                                                     
                                      La luce della verità
 
Nella zona più remota della selva, dove nessuno osava avventurarsi, qualcosa stava cambiando. I colori caldi tipici dell’autunno si erano scoloriti, anneriti, privi di ogni tono. Ogni foglia, radice, corteccia, si era spenta della propria vitalità e la selva appariva come una palude morta e oscura. Qualcosa aveva disturbato la quiete di quel luogo sacro, scatenando la furia del guardiano; un essere metà uomo e metà ariete che sorvegliava il confine tra le terre dei fauni e le terre dei centauri. Klopin e Roxanne, per loro sfortuna, avevano involontariamente superato quel confine e così facendo infranto un codice non scritto.
 
Pv. Klopin
 
- Dannazione! Ci ha scoperti! - imprecai ad alta voce. Ora sì che siamo nel letame fino alle corna!
Mentre rimanevo fermo e immobile, con gli occhi fissi sul possente guardiano, sentì Roxanne tremare, sotto di me. Per un brevissimo istante mi ero dimenticato che la tenevo ancora stretta tra le mie braccia. Abbassai leggermente lo sguardo ed ebbi giusto il tempo di vedere come stava. Era terrorizzata. Con un gesto spontaneo, feci sciogliere l’abbraccio, e giunsi le mani sopra la sua testa, circondata da foglie grigie e nere. Essendo in stretto legame con quel pezzo di bosco, tutto appariva e si trasformava a seconda dell’umore del guardiano.   
-K-Klopin...- fece la sua voce, così flebile che sembrava il belato di un agnello tra le grinfie di un lupo. I suoi grandi occhi verdi erano offuscati da una nebbia di terrore puro. Provai una gran pena per lei.
-Sta calma, non ti muovere…- le sussurrai, avvicinando il mio viso al suo, un po’ per farmi sentire, un po’ per nasconderla ulteriormente. Che ingenuo, mi ero illuso che fossimo fuori pericolo, e mi ero lasciato distrarre dalle nostre chiacchiere. Quel dato di fatto mi fece digrignare i denti, mentre non perdevo di vista il guardiano. Se ne stava lì, a qualche metro di distanza, sbuffando e calpestando il terriccio. Evidentemente era molto irritato dalla nostra presenza. Tsk, come se noi fossimo entusiasti di trovarci nel posto sbagliato, al momento sbagliato.  
-Cosa facciamo, ora?...-mi chiese ad un tratto la ninfa. A quel punto rimuginai sul da farsi, ma prima di tutto dovevo fare un piccolo tentativo, per evitare il peggio e sporcarmi gli zoccoli. Forse era tutto inutile, ma dovevo almeno provarci.
- Guardiano del confine, ti chiedo perdono per l’offesa arrecatati. Ma sappi che non sono ostile nei tuoi riguardi -.
Dalla mia bocca uscì quella richiesta in sottoforma di un verso animalesco, una serie di belati che provenivano da un’antica lingua che solo i fauni e altre creature simili potevano comprendere, Era la prima volta che mi approcciavo col mistico guardiano, ma avevo saputo da alcune fonti che non conosceva il linguaggio umano. Sperai quindi di riuscire a comunicare con lui in quel modo. Attesi per un po’ la sua reazione. Il bestione colpì per l’ennesima volta il terreno, alzando un cumulo di polvere. Curvò infine la schiena all’indietro ed emise un forte belato nella mia direzione. Era un verso senza significato, ma dal tono rabbioso non ci voleva un saggio per capire che non aveva gradito le mie scuse. Ero ormai arrivato a una conclusione. Dovevo proteggerla ad ogni costo; la fanciulla che custodivo sotto il mio corpo doveva rimanere sana e salva.
-Ascoltami bene – le dissi a bassa voce, concentrandomi sulle parole che stavo per formulare. – Di questo passo rischiamo di rimanere uccisi, tutte e due -.
Sotto il mio torace avvertì fremere nuovamente il corpo armonioso di Roxanne. Ammetto che,se non fosse stata per la circostanza poco serena, sarebbe stato tutto alquanto piacevole ed eccitante. Ebbi un senso di deja-vù, nella tenda, sdraiati l’uno sull’altra, con i nostri corpi che si toccavano e il calore della pelle. No, non era proprio il momento adatto per pensare a una cosa simile. Tornai sui miei passi e mi concentrai.
-Nonostante ci abbia provato, sembra che quel maledetto non mi abbia capito, o semplicemente non ha voluto sentire ragioni. Vuole farci fuori…Ma io non glielo permetterò-.
La fanciulla tacque per qualche secondo, forse stava riflettendo sulle mie parole, finchè non la sentì dire:
-Cosa intendi fare? –
-Non lo hai ancora capito?- le risposi allargando un mezzo sorriso,stupito da tanta ingenuità.
Intanto la bestia dalle lunghe corna si era abbassata verso il suolo, le zampe posteriori piegate, il fiato che si faceva sempre più forte. Non c’era più tempo, dovevo darmi una mossa.
-Ninfetta, quando ti darò il segnale, corri il più veloce che puoi, trova il sentiero e non fermarti mai. Sono sicuro che i miei uomini ti troveranno e ti riporteranno al campo – le ordinai tutto d’un fiato. Con una mano raggiunsi lentamente il pugnale che portavo sempre con me,mentre l’altra la chiusi in un pugno, puntato saldo contro il terreno. Ero pronto..
- Klopin, ti prego…ti ucciderà…scappa con me -.
Che ninfetta stupida. Se credeva che una semplice fuga fosse bastata per salvarci da quel bestione si sbagliava di grosso;ci avrebbe raggiunti e massacrati in mezzo secondo. Tuttavia,quel “ scappa con me” mi risuonò così dolce. Stupido, ma dolce. Caddi nella tentazione e abbassai la testa per guardarla negli occhi.
-Vuoi rimanere in vita, oppure no?-le dissi con voce meno bassa – Proteggerti e metterti in salvo è la priorità del capo fauno. Non mettermi in difficoltà proprio adesso. Scappa e non voltarti mai indietro. Intesi? -.
Roxanne non mi diede alcuna risposta, neanche il minimo cenno di conferma. Il suo viso d’avorio era una maschera di paura, dispiacere e qualcos’altro che non riuscivo a decifrare.
-Suvvia, non fare quella faccia. E poi non è carino dare per scontato che io ci rimanga secco – le sussurrai ironicamente, donandole uno dei miei sorrisi migliori. Mentre i suoi occhi luccicarono per le prime lacrime, le sfiorai una guancia con il pollice, tenendo conto che quella poteva essere l’ultima volta che la vedevo. Memorizzai ogni suo lineamento;ciglia, gote, neo, e labbra. Era così bella. Che peccato non essere riuscito a baciarla. Ma forse, non era ancora troppo tardi…sarei andato con piacere verso la morte con quel dolce ricordo.
D’istinto mi abbassai su di lei. I nostri nasi si sfiorarono appena, ma lei non oppose resistenza. Il suono del suo cuore andava così veloce che avrei potuto danzare a quel ritmo e infine…scoppiò un verso mostruoso che mi fece sussultare. Alzai di scatto la testa e urlai:
-Corri! -.
Proprio come avevo sospettato, il guardiano aveva lanciato il suo grido di battaglia. Il mio corpo fu scosso da una scarica di adrenalina. Con gli zoccoli mi diedi una spinta in avanti e saltai in direzione del mio avversario. Ci scontrammo faccia a faccia, il mio pugnale sferrò sulle corna robuste e arcuate. Aveva una forza pazzesca.
-Sei un gran bastardo,sai? Non mi hai concesso neanche il tempo di dare un addio speciale a quella fanciulla. Questo non te lo perdonerò mai!-.
Assurdo come fossi riuscito, nonostante tutto, a mantenere vivo il mio lato ironico. Dovevo però sperare di mantenere integro anche il mio fondoschiena, quindi richiamai tutte le mie forze. Il guardiano, dal canto suo, sbuffava rumorosamente e alzò la testa verso l’alto. La sua forza fu così grande che mi fece volare via il pugnale. Per tutti i fulmini! Non avevo tempo per ritrovarlo, quindi feci la prima cosa che mi venne in mente. Mi allontanai velocemente e afferrai un grosso ramo in mezzo all’erba. Nel frattempo il mio nemico fece agitare la testa a destra e a sinistra, belando furioso e strofinando gli zoccoli nella polvere. Come un toro incavolato mi stava puntando e subito si fiondò verso di me. Con il cuore che batteva a mille, corsi verso di lui alzando il ramo per aria. Prima che mi potesse raggiungere, battei un lato del ramo sul terreno, mi feci leva dandomi una spinta e volai sopra la testa del guardiano. I miei calcoli furono giusti e mi ritrovai proprio addosso a lui, dietro la nuca. Con entrambe le mani gli afferrai le corna e con tutta la forza che disponevo cominciai a tirare, come per cercare di domarlo.
-Sarai anche grande e grosso, ma io sono più agile e furbo di te!- gli gridai, mentre lui cercava con movimenti goffi di disarcionarmi, come un cavallo impazzito. Ero consapevole che non avrei avuto alcuna possibilità contro di lui. Neanche un’intera tribù di fauni sarebbe riuscita a ucciderlo, e a dirla tutta era una cosa inammissibile. Il guardiano del confine rimaneva pur sempre una creatura mistica creata dagli stessi Dei. Eliminarlo sarebbe stato un vero affronto. Quindi, onde evitare qualsiasi ripercussione, stavo solo cercando di prendere tempo. Al momento giusto, sarei scappato anche io e il guardiano non mi avrebbe inseguito fino al mio territorio. Ma proprio quando fui certo di avere la situazione sotto controllo, accadde una cosa che non avevo pianificato. La creatura, non riuscendo a liberarsi di me, si diede una spinta all’indietro e insieme a me atterrò sul suolo con un botto fragoroso. Per un attimo ebbi il timore di essermi rotto qualcosa.
-La mia schiena…- mi lagnai serrando gli occhi per il dolore. Maledetto ammasso di carne, ti avevo sottovalutato! Mentre cercavo di tornare in me,avvertì dell’alito caldo sulla faccia. Quando aprì gli occhi vidi la bestia, in piedi di fronte a me, trionfante e minacciosa. Ero spacciato…! Cercai disperatamente di alzarmi, ma non avrei fatto in tempo per salvarmi;il guardiano aveva già puntato le corna verso di me.
-Lascialo stare!-.
Un sasso, uscito chissà dove, arrivò a colpire il testone del mio avversario. Seguì quella voce e per un attimo non volli crederci. Stupida testarda di una ninfa! Nonostante fossi irritato da quella sorpresa, una parte di me era felice di vederla. Ma una nuova ansia mi fece vibrare le membra. Il guardiano sbuffò nervoso e belando verso Roxanne fece qualche passo nella sua direzione. Non c’era più tempo, e non avevo il mio pugnale, ma dovevo intervenire in qualche modo.
-Non toccarla o ti ammazzo!-                           
 
Pv. Roxanne
 
Ero pietrificata dal terrore. Avevo sentito la voce di Klopin così lontana che mi sembrava provenisse dall’altra parte del bosco. Ma ad un tratto, lui era lì, proprio davanti a me.
-Klopin?- lo chiamai, e appena mi sporsi un po’ in avanti realizzai cosa era appena successo. Il capo fauno mi stava facendo da scudo contro il guardiano del confine. Le sue esili e affusolate dita stringevano salde le corna della creatura. Un gemito di dolore mi fece rabbrividire. Gocce rossastre cadevano copiose sul terriccio. Era il sangue di Klopin. Inorridita, sussultai e il mio cuore riprese a martellarmi nel petto.
- Ti avevo detto…di scappare-.
Lentamente Klopin girò la testa verso di me. Un rivolo di sangue gli colava da un lato del mento. I nostri sguardi si incontrarono per un breve istante. Ancora una volta quel fauno, beffardo e impudente, mi aveva salvata. All’improvviso emise un disperato grido di dolore; il guardiano, che lo aveva arcionato con le corna, lo alzò da terra e sollevandolo lo fece volare per aria come un sacchetto di grano. Schizzi di sangue scarlatto caddero come una lieve pioggia, macchiandomi il viso, mentre una voce riecheggiò nella mia mente.
“E’ capace di farti volare al di là della selva se ti perfora lo stomaco con le sue corna…”.
Le parole di Kloipin mi scossero come una scarica fulminea. Nel frattempo il suo corpo inerme, dopo un volo di qualche metro, atterrò per terra con un tonfo. Urlai il suo nome, ma invano, poiché rimaneva immobile in mezzo all’erba. Era morto?! Terrorizzata e incredula, scoppia a piangere e mi maledissi per non aver seguito i suoi ordini. Ero tornata indietro perché non sopportavo l’dea di abbandonarlo, ma avevo solo peggiorato le cose. Klopin voleva solo proteggermi, mettermi al sicuro, anche a costo della sua vita. Ripensandoci, era ciò che aveva sempre fatto, fin dall’inizio. Nonostante i suoi modi e la mia diffidenza che ne era scaturita, dovevo ammettere quanto avessi sbagliato. Il mio animo fu pervaso da mille sensazioni, e qualcosa dentro di me, nuovo e travolgente, stava crescendo a dismisura. Intanto, il guardiano era di fronte a me, che mi bloccava la strada, e molto probabilmente si stava preparando per uccidermi. Riuscivo a sentire il suo alito e il respiro pesante su di me. Ma stranamente non avvertivo più né paura, né terrore. Avevo nel cuore un'unica certezza; salvare Klopin. Da quando ci eravamo incontrati, ero sempre stata la fanciulla indifesa da proteggere. Per tutto il tempo avevo finto di essere una ninfa dei boschi, capace di comunicare con gli animali e di essere in stretto contatto con la natura.
“Ora più che mai, io voglio essere una ninfa”.
Un richiamo a me familiare mi risuonava nelle orecchie. Sentivo quella dolce brezza del vento che faceva oscillare le fronde degli alberi. Una strana luce sembrava circondarmi come un velo di protezione. Asciugai gli occhi e quando alzai lo sguardo incrociai quello del guardiano. Sembrava confuso e mi fissava insistentemente. Avevo ancora il mio pugnale sotto le vesti, ma non lo sfilai. Con una fermezza che non riconoscevo in me, incatenai il mio sguardo con quello della bestia, ed ebbi il coraggio di formulare:
-Ti prego, lasciami passare-.
 
Pv. Klopin
 
Buio e silenzio. Mi sentivo così leggero e in pace. Presto mi sarei trovato sulle sponde dello Stige e avrei fatto conoscenza con quel vecchiaccio di Caronte. Ma aspetta un momento, dove avevo messo la mia moneta?
Quando riaprì gli occhi feci vagare lo sguardo, e mi resi conto che ero sdraiato di schiena. La vista era ancora offuscata, ma ero certo di vedere la luce del cielo e i rami che danzavano nel vento. Tutto intorno era sereno, con colori vivi e l’aria che profumava di erba fresca. Strano, non era così che mi ero immaginato il regno dei morti. All’improvviso avvertì un forte e lancinante dolore. Gemetti e mi portai le mani allo stomaco. Nel farlo, le mie dita incontrarono altre dita.
-Non fare sforzi,Klopin- fece una voce gentile e preoccupata al tempo stesso. Girai la testa di lato.
I contorni erano confusi, ma riuscivo a intravedere la sagoma di una persona.
-Piacere di conoscerla, Caronte – provai a dire, con un filo di voce – per la barca dove si va? -.
-Klopin? Che stai dicendo?-
-Eh? Ah certo, sì hai ragione, ma vedi…temo di aver perso la mia moneta. Posso passare lo Stige senza pagarti?-
Sentì una mano,piccola e morbida,darmi dei colpetti sulla guancia. La cosa mi lasciò disorientato.
-Oh no, stai delirando. Ti prego, riprenditi!-.
Quel contatto, anche se inaspettato, mi aiutò a scuotermi e il senso di confusione stava diminuendo.
Strabuzzai gli occhi, li sfregai con le dita, e tornai a guardare la persona che mi stava parlando. Non era Caronte. Era una splendida donna che emanava una luce chiara e luminosa. Sembrava una creatura scesa dall’Olimpo. Era bellissima. Insomma, non poteva essere il traghettatore di anime…
-Per la barba di Pluto..oh,scusi non volevo bestemmiare. Perdonatemi, sono al cospetto della regina Persefone?- dissi, con un senso di vergogna, inciampando sulle mie stesse parole. Nel frattempo, quella sorta di dea stava armeggiando con dei pezzi di stoffa, tamponando una grossa ferita sul mio stomaco. Un’altra fitta su quel punto. Perché tutto quel dolore se ero morto?
-Klopin, sono io, Roxanne – disse ancora la donna al mio fianco. Ovviamente ricordai all’istante quel nome. Scrutai il suo viso e riconobbi ogni suo dettaglio. Era proprio lei! Stavo recuperando lucidità. Alzai di poco la testa e le vertigini non si fecero attendere. La ninfa mi sorresse il capo con una mano, ma non perdeva di vista la mia ferita. Probabilmente stava cercando di fermare l’emorragia.
-Non muoverti, hai perso molto sangue –mi ammonì lei,e mentre mi lasciavo soccorrere,i miei occhi catturarono un’altra immagine. Un animale. La testa di un grosso ariete era accucciata sul grembo di Roxanne. Ebbi quasi un sussulto. Forse avevo le allucinazioni. Non era possibile che quello fosse proprio il guardiano del confine, docile e mansueto come un capretto sul ventre della mamma. No, non poteva essere! Ero sicuramente morto, quella ninfa era Caronte e quella bestia era Cerbero!...Se non sono morto, allora sto impazzendo…
-Capo!Capo! – sentì in lontananza un misto di varie voci. La creatura addormentata aprì gli occhi dorati, mosse di scatto le orecchie, infine si alzò sulle proprie zampe bovine e corse via come un fulmine, sparendo nel folto della selva. Era davvero il guardiano…
-Stanno arrivando i rinforzi. Resisti, Klopin – mi incoraggiò quella che ormai ero certo, fosse la mia ninfa.Già…non avevo più dubbi ormai…
Con occhi socchiusi per lo sforzo, rimasi incollato ad osservare il suo viso d’avorio. Era sporco di sangue, ma illuminato da un rassicurante e radioso sorriso. Era davvero bella, anche così…ma soprattutto, era sana e salva…
 
Pv. Roxanne                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
 
Il peggio era ormai passato. Quando gli uomini di Klopin ci trovarono, non persero neanche un secondo e ci riportarono tutte e due all’accampamento. Ovviamente, quello che aveva più bisogno di cure era il loro capo. Venne portato nella sua tenda personale, dove già un mucchio di persone si erano radunate,creando un caos generale. Erano tutti molto preoccupati. E a dirla tutta, lo ero anche io. Appena misi piede nel campo, il primo che mi venne incontro fu Morò.Non smetteva più di piangere. Lo coccolai e lo rassicurai per molto tempo. Poi, fu il turno di Esme, che mi riempì di domande su cosa fosse successo, prima e dopo l’incontro con il guardiano. C’erano tante cose da spiegare, e alcune non erano chiare nemmeno a me. Ma alla fine la guerriera dovette accontentarsi di quel poco, anche perché voleva assicurarsi che suo fratello fosse fuori pericolo. Senza pensarci, la seguì fino alla tenda color porpora, ma rimasi dietro a tutti gli altri. Loro avevano la precedenza, mi sembrava giusto. Anzi, mi sentivo quasi di troppo. Poco dopo, Esme annunciò alla tribù che Klopin stava bene. I fauni esultarono rumorosi. Sospirai, risollevata. Con mia grande sorpresa, fui chiamata per essere ricevuta da Klopin; voleva parlarmi in privato. Con soggezione, sotto gli occhi di tutti, mi avvicinai ed entrai nella tenda. Il capo fauno era disteso su un cumulo di cuscini. L’intero busto era stato fasciato con cura. Appena mi vide, Klopin fece un cenno alle sue ancelle e queste se ne andarono. Dopo un attimo di silenzio, fu lui a rompere il ghiaccio.
-Una giornatina niente male, eh?- disse, con quella sua aria ironica – il tuo primo giorno a stretto contatto con una mandria di fauni, compreso l’incontro movimentato con un bestione scorbutico. Beh, direi che te la sei cavata alla grande -.
Era incredibile come riuscisse a tirar fuori un simile atteggiamento dopo tutto quello che aveva passato.
Lui mi fece cenno di avvicinarmi. Senza temporeggiare lo raggiunsi e mi misi in ginocchio vicino a lui.
-Stai bene?Sei rimasta ferita?- mi chiese lui, e a quel punto lo guardai interdetta.
-Se sto bene!?- risposi – Assurdo,dovrei essere io a chiederlo a te!-.
Forse non era esattamente ciò che lui si aspettava di sentire, perché il suo volto si incupì.
-Perché dici questo?-
-Ovvio. Per colpa mia hai rischiato di morire pur di salvarmi. Ti ho messo in una brutta situazione…-.
Non stavo esagerando, ero solo realista. Se qualcuno mi avesse rinfacciato la mia condotta di quel giorno, sarei stata la prima ad ammetterlo a testa bassa. Mi sentivo terribilmente in colpa.
-Ti sbagli – disse lui, con tono serio e deciso – In quel momento avevo fatto la mia scelta. Ero consapevole fin dall’inizio del rischio. Perciò non darti la colpa di tutto -.
- Non merito tutta questa generosità. Sono solo un peso inutile -,
-Inutile?Non direi– disse poi, strofinandosi il pizzetto – Grazie a te, ora che ti sei guadagnata la fiducia del guardiano, possiamo oltrepassare i confini e raggiungere le terre dei centauri senza ulteriori problemi-.
Ripensai a tutti gli avvenimenti accaduti quel giorno. Ogni volta che rivedevo quegli attimi di puro terrore, un terribile brivido mi assaliva e d’impulso tremavo nuovamente. Ciò che mi faceva più angoscia era l’esatto momento in cui lo stomaco di Klopin veniva infilzato dalle corna del guardiano. Tutto quel sangue e il tonfo del suo corpo che si schiantava al suolo. Era un miracolo che fosse ancora vivo. Ma io mi ero fatta un esame di coscienza. Se tutto era successo per colpa mia, era perché mi ero spacciata per qualcuno che non ero. La mia menzogna,che avevo sfruttato per i miei comodi, aveva portato solo disgrazie. Non potevo permettere che accadesse di nuovo. Non dopo quello che Klopin aveva patito. Era giunto il momento della verità.
-Klopin, c’è una cosa che devo confessarti -.  
 
Quella rivelazione mi costò terribilmente. Ricominciai da capo e gli raccontai tutto di me. A differenza della notte precedente gli svelai tanti altri dettagli e ovviamente che non ero una ninfa dei boschi. Una volta che terminai, abbassai la testa poiché non avevo più la forza di guardarlo negli occhi. Non mi sarei sorpresa se mi avrebbe punita o cacciata dalla tribù.
-Roxanne, guardami – fece il capo fauno e con gran difficoltà ubbidì. Stava sorridendo compiaciuto.
-Era questo quello che stavi cercando di dirmi oggi,sotto a quel cespuglio? Beh, e quindi? -.
Rimasi con un palmo di naso. Mi aspettavo di tutto ma tranne quella reazione.
- Non sei in collera con me?! Ti ho mentito e questo è tutto quello che hai da dire-.
Il fauno si stiracchiò le braccia, e poi sospirando si passò una mano tra i capelli spettinati.
-Semplicemente non mi sorprende la cosa- cominciò –in fondo, anche io nella tua situazione avrei fatto lo stesso. Ma devo ammettere che ho avuto qualche vago sospetto e dubbio su chi fossi realmente -.
La mia faccia divenne rossa, ne ero certa perché la sentivo bollente come una stufa a legna. Ero così imbarazzata che mi ci volle un po’ di tempo prima di aprire bocca.
-Davvero? E perché non mi hai detto niente? – gli chiesi, cercando di vincere la vergogna.
Klopin allargò uno dei suoi sorrisi sornioni. Era uno di quelli che sembravano nascondere un segreto.
-Beh, avevo capito che non ti fidavi completamente di me, nonostante avessi accettato di rimanere con noi. Volevo metterti alla prova. Comunque, che tu mi abbia mentito o meno, non importa. Perché oggi ho visto qualcosa che ha spazzato via tutti i miei dubbi. Tuo padre non te l’ha mai detto, e per questo non lo hai mai sospettato, ma tu sei una vera Alseide -.   
Appena il fauno terminò, rimasi senza parole e mi sentivo confusa. Che cos’era un’Alseide?
-Sei una ninfa dei boschi, ma per davvero – mi spiegò, come se mi avesse letto nel pensiero – Una protettrice dei bovini, rigeneratrice del fogliame e custode dei boschi-.
-No, aspetta, non è possibile – obiettai, scuotendo la testa – Klopin, io non posso esserlo. Sono solo la figlia di un pastore -.
-Appunto. E tua madre? Da come ho notato non mi hai accennato nulla di lei. La verità è che tu stessa non conosci in fondo le tue origini. Non ti sei mai chiesta perché ti accadono certe cose, soprattutto da quando ti sei inoltrata nella selva? -.  
Ero sul punto di smentire tutto, ma le parole di Klopin mi fecero riflettere. Non volevo assecondare la sua certezza, ma dovevo ammettere che la mia situazione era alquanto misteriosa. Inoltre, era tutto vero: c’erano troppe cose del mio passato, della mia famiglia, di me stessa che non sapevo. Avevo passato così tanto tempo nella mia valle in miniatura, accontentandomi di quello che mi era stato offerto, che non riuscivo a capacitarmi di una simile possibilità. Forse, il capo fauno aveva ragione. Ma avevo ancora tante domande in sospeso.
–Io…non lo so…è tutto così nuovo per me – dissi, trascinandomi sulle parole- sei sicuro di quello che dici?-.
Gli occhi color carbone del fauno brillarono alla luce delle lanterne.
-Credimi, posso anche essere un misero caprone col vizio del vino, ma so riconoscere una vera ninfa tra mille fanciulle. Io me ne intendo-.
Con quell’ultima affermazione emise un risolino, ma ben presto tornò serio e aggiunse:
-Roxanne, dico sul serio. Ero ferito, ma sono certo di ciò che ho visto. I tuoi poteri, la luce che ne scaturiva, l’influenza che hai avuto sul guardiano e su tutto lo spazio circostante. E’ stato in quell’istante che ho capito-.
Il suono convinto della voce di Klopin mi diede un senso di sicurezza. Per la prima volta qualcuno mi stava dando delle risposte preziose. Mi sentivo in qualche modo rincuorata. Pensai che quel viaggio che avevo intrapreso non avesse il solo scopo di salvare mio padre. E il fauno impertinente mi stava dando l’opportunità di capire chi fossi davvero e magari scoprire le mie origini. Sentivo che mi potevo fidare di lui. Alla fine decidemmo di lasciare quell’argomento, di rimandarlo al giorno dopo. Una volta ristabiliti, avremo avuto modo di riparlarne e insieme ci saremo aiutati a vicenda. Inoltre, in quel momento la cosa più importante era che Klopin stava bene. Che fossi stata io o qualcun altro a intervenire, lui era salvo. Istintivamente abbassai lo sguardo e mi fermai sulle fasce che gli coprivano il busto.
-Mi dispiace…non sarebbe dovuto accadere- dissi con voce bassa e colma di amarezza. Non potevo fare a meno di sentirmi ancora colpevole.  
-Beh, almeno ne è valsa la pena- disse Klopin, con una voce calda e vellutata. Quel tono mi fece vibrare le corde dell’animo. Poi una domanda mi giunse spontanea.
-Ma c’è una cosa che non capisco. Avevi dei dubbi sul mio conto, non eri ancora sicuro che io fossi una ninfa. Eppure non ti sei tirato indietro per salvarmi, arrivando a un passo dalla morte. Perché? -.
Klopin allungò una mano verso il mio viso, ma si fermò a metà strada prima di raggiungerlo.
-Non potevo fare altrimenti. Anche prima di scoprirlo sentivo che eri troppo preziosa-.
Il cuore, proprio come era accaduto quel giorno, custodita sotto il corpo del fauno, cominciò a battere forte. Stavo arrossendo, lo sentivo. Così come riuscivo a sentire il tocco dei suoi polpastrelli sulle mie labbra.
 
La fanciulla a quel contatto si scosse leggermente, come se si fosse risvegliata da un sonno profondo. Il fauno allora, ritirò la mano, cercando di sembrare disinvolto. Erano entrambi un po’ nervosi, un po’ impacciati. Il sole stava tramontando e ben presto le prime ombre della sera avrebbero offuscato ogni cosa. Per tale motivo, Roxanne decise di congedarsi e tornare nella sua tenda. Aveva bisogno di cibo e riposo..
Klopin le diede il permesso e lei era pronta a lasciare la stanza. Ma prima di sparire oltre i veli della tenda, si fermò e rivolta al capo fauno disse:
-Non ti ho ancora detto grazie per avermi salvata -.
Klopin abbozzò un sorriso e le rispose – Grazie a te, per avermi aiutato -.
Quando ognuno di loro rimase solo con i propri pensieri, rivivendo i momenti di quella giornata straordinaria, si accorsero che qualcosa di nuovo stava nascendo e maturando.  
 
 

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Capitolo 10
*** Le parole giuste ***


     10

                                    Le parole giuste

Un nuovo giorno stava nascendo nella selva mistica, dove la tribù dei fauni si stava preparando per un importante incontro. Infatti, quella mattina Klopin avrebbe ricevuto la visita del padrone dei territori al di là dei confini: il capo dei centauri. La straordinaria vicenda dello scontro tra il capo fauno e il temibile guardiano, si era diffusa non solo tra la tribù dei “uomini-capra”, ma era anche giunta alle orecchie sensibili dei “uomini–cavallo”. Siccome Klopin era ancora inchiodato nella sua tenda per via delle brutte ferite, non poteva recarsi al cospetto del suo vicino. Così, fu quest’ultimo a muoversi e fare la sua comparsa nell’accampamento dei fauni. Esme aveva ricevuto l’incarico di accoglierlo. Una certa curiosità si faceva spazio dentro la giovane amazzone, dato che di lì a poco avrebbe conosciuto una delle creature più rispettate del circondato.

PV.Esme

L’arrivo del capo centauro non si fece attendere. D’altronde avevamo percepito la sua presenza ancora prima che mettesse “piede” nel nostro territorio. Nel frattempo, tutti erano ansiosi e si era creato un brusio generale. Dopotutto non eravamo abituati ad avere ospiti, e per di più di così alto livello. Avevo sentito spesso parlare di lui, ma mai mi era capitato di incontrarlo. Mi chiedevo che tipo fosse. Quando il centauro si presentò tutti i miei interrogativi si dissiparono, ammirandolo così da vicino mentre mi porgeva il suo saluto.
-I miei omaggi, fanciulla- disse rivolgendosi a me – posso chiedere udienza a Klopin, il capo fauno?-.
Era un uomo alto e dal busto ampio. I capelli avevano il colore dell’oro e gli occhi erano profondi come due specchi d’acqua. Uno scialle blu intenso, dalla stoffa pregiata e dai ricami perfetti, gli ornava il collo e metà del petto. Naturalmente al di sotto dell’ombelico, dove terminava la forma umana e iniziava quella animale, si manteneva su quattro possenti zampe, la cui base si allargava su grossi zoccoli. La linea che divideva le due metà era nascosta da una spessa cintura in cuoio, con la fibbia dorata che luccicava splendente. Infine, il suo mantello ben curato aveva il colore dell’ocra grigiastra. Dovevo ammetterlo, quello era il centauro più maestoso che avessi mai visto. Ero certa che non ne esistessero di altri così belli ed eleganti.
-Permesso concesso. Vi stavamo aspettando- dissi, con un tono serio ma più garbato possibile.
Detto ciò, lo feci accomodare all’interno della tenda. Mentre si presentava al cospetto di mio fratello, io rimasi in un angolo della stanza, intenta a preparare un infuso di erbe.
-Vi porgo i miei sinceri saluti, capo Klopin- lo sentì dire – vi ringrazio per avermi ricevuto nel vostro rifugio-.
La sua voce risuonava virile, ma anche molto gentile. Non vi erano ormai dubbi che fosse il capo della più grande e nobile tribù esistente nella selva. Dopo aver versato l’infuso in una tazza di legno, mi voltai per assistere alla scena. Il centauro si era inginocchiato davanti a Klopin, mentre quest’ultimo se ne stava sdraiato sui cuscini. La ferita allo stomaco era ancora in fase di guarigione, e le bende di ricambio non bastavano mai, purtroppo. Mio fratello gli sorrise e fece un cenno col capo.
-Grazie, capo centauro. Quale evento particolare! Questa è la prima volta che ci incontriamo, vero Phebous?-.
-Assolutamente. Credo che questo giorno sarà scolpito nella storia di entrambe le nostre tribù-.
Il centauro di nome Phebous sorrise a sua volta al capo fauno, come due fratelli separati dalla nascita e che si incontravano dopo anni e anni di silenzio. Era comprensibile: fauni e centauri non si incrociavano mai, e non per semplice sfortuna o casualità. Ad un tratto, Klopin si fece serio.
-Ti chiedo venia, caro cugino, se non sono venuto di persona a porti i miei omaggi…e le mie scuse-.
Phebous rimase interdetto, ma annuì come se avesse compreso il significato di quella frase.
-Devo confessarti che sono rimasto alquanto sconvolto dalla vicenda. Nessuno di noi se lo aspettava. Non era mai successo…insomma, stiamo pur sempre parlando del guardiano…-.
Il centauro fu interrotto da Klopin che, mortificato e un po’ nervoso, cercò di spiegarsi.
-Lo so, hai ragione. Non sarebbe dovuto accadere. Le leggi della selva sono uguali per tutti, nessuna eccezione. Specialmente per noi fauni, le bestie più indisciplinate…così come in passato, la colpa è nostra-.
Sapevo benissimo a cosa si riferiva. Era una storia che riguardava da vicino tutti noi della tribù dei fauni. Il disastro che ci aveva causato una punizione che stavamo tutt’ora scontando. Il vero motivo per cui eravamo prigionieri nella selva e ci era vietato di passare tra le terre dei centauri. Phebous scosse la testa e alzò una mano in segno di pace.
-Caro cugino, se posso permettermi, non fasciarti le corna prima di avertele rotte- disse il centauro, con una nota ironica tra le parole. Perfino io dovetti trattenere un lieve risolino. Ma il fauno fece una smorfia contrariata, come se non fosse d’accordo. Mio fratello prendeva molto seriamente quell’argomento e ne aveva tutte le buone ragioni.
-Non serve che tu sia così indulgente. Abbiamo varcato i confini. Calpestato il tuo territorio. Scatenato la furia del guardiano. Nonostante il valido motivo, per l’ennesima volta abbiamo macchiato la nostra reputazione-.
A quel punto il fauno fece una pausa per riordinare le idee. Ne approfittai per avvicinarmi e offrire al nostro ospite l’infuso ancora caldo. Per un breve istante i nostri sguardi si incrociarono. Ebbi un attimo di soggezione e abbassai gli occhi. Infine mi allontanai lasciando che i due capo tribù tornassero alla loro discussione.
Phebous si rilassò e sorseggiò un po’ dalla tazza, per poi rivolgersi ancora a Klopin.
-Ascoltami, Nessuno più di voi ha dovuto patire le conseguenze di quell’atto di tanto tempo fa. Capisco il tuo tormento, dato che il colpevole dello scempio faceva parte della tua razza. Ma non puoi addossare tale peso a te e alla tua tribù, anche se l’ira degli Dei non si è ancora placata. Inoltre, penso che abbiano altro a cui pensare che badare a una scaramuccia -.
Sia io che Klopin rimanemmo colpiti da quel monologo. Sembrava così profondo e sincero.
Phebous allargò un sorriso amichevole. Il suo volto, marcato da una barbetta corta, era fresco e raggiante.
-Quindi non temporeggiamo con scuse inutili. Francamente sono più curioso di sapere come hai fatto a cavartela-.
A quel punto Klopin curvò un sorriso sornione, come se nascondesse chissà quale segreto.
-Se avrai un po’ di pazienza, almeno il tempo per riprendermi, ti racconterò tutto con piacere-.
Eccolo, il solito esibizionista, pensai tra me e me. Il centauro emise una risata divertita.
-A tal proposito, ho qualcosa che può tornarti utile-.
Il capo centauro aveva portato con sé un prezioso unguento, preparato con erbe medicinali che crescevano solo nelle praterie dei suoi territori. Grazie alle sue qualità curative, Klopin sarebbe guarito nell’arco di poche ore.
-Ti ringrazio infinitamente. Non sai che gran favore ci stai concedendo-.
-A dire il vero, sono io che ho bisogno di un favore-.
Klopin smorzò all’istante il suo entusiasmo e sul suo volto apparve un’aria interrogativa.
-Non credo che sia necessario metterti al corrente della situazione che sta vivendo anche la mia gente-.
Il tono di Phebous era divenuto più serio e preoccupato.
- Dunque, la bestia della pietra si è spinta così lontano…- disse il fauno mentre si tormentava il pizzetto con le dita.
-Esatto. I miei uomini sono abili cacciatori ma abbiamo avuto molte perdite. Tem0 che la faccenda sia più complicata e pericolosa di quanto ci aspettassimo. E anche tu, da come ho sentito, necessiti di aiuto-.
A quel punto tutto fu chiaro come la luce del giorno. Prima che il nostro ospite continuasse Klopin rispose:
-Mi stai forse chiedendo un’alleanza, Phebous?-.
Il centauro annuì con fermezza. A quel punto fui pervasa da un senso di ansia e agitazione.
-Una sola tribù non potrà fermare quella furia- aggiunse Phebous –Ma se unissimo le nostre forze avremo qualche speranza. Non ti chiederei in ginocchio il tuo aiuto se la situazione non fosse così seria-.
Klopin rimase fermo a riflettere. La sua titubanza era così palpabile che chiunque avrebbe percepito l’indecisione che non gli dava tregua. Ma poi, come un ultimo disperato tentativo, Phebous aggiunse:
- Pensaci, se accetterai avrai qualcuno che ti guarderà le spalle. E dato che ormai avete domato il guardiano del confine siete liberi di entrare nei miei territori. Giusto in tempo per partecipare alla Festa della Vendemmia-.
A quella notizia gli occhi di mio fratello si illuminarono di una luce che poteva significare solo una cosa: euforia.
Come dargli torto. La Festa della Vendemmia, che si svolgeva ogni anno nelle splendide e rigogliose terre dei centauri, era l’evento più meraviglioso a cui si potesse partecipare. Un banchetto festoso e colorato per dare il benvenuto all’Autunno. Rinunciare a tale invito sarebbe stato da folli.
-Siamo invitati alla tua festa?Possiamo davvero parteciparvi?- chiese Klopin senza mezzi termini. Nella sua voce traboccava un’inconfondibile emozione di gioia. Phebous allargò un sorriso e annuì.
-Certamente. Inoltre, e questa è una confidenza che ti faccio in largo anticipo, è probabile che durante la cerimonia possa farci visita anche il divino Bacco,con il suo gruppo di ninfe e capre-.
Ormai era evidente che il centauro stava facendo di tutto per convincere mio fratello ad accettare la sua proposta, e niente poteva far gola a un fauno più di una festa piena di vino,danze e femmine umane e ovine.
Riuscivo a sentire nel pieno silenzio l’entusiasmo soffocato di Klopin, quella stessa euforia che cercava di tenere a freno per poter ragionare in maniera lucida e prendere la giusta decisione.
-Accetto la tua offerta. Credo che questa alleanza gioverà ad entrambe le nostre tribù, in un modo o nell’altro-.
Dopo aver stipulato gli ultimi accordi e deciso il da farsi, il capo centauro era pronto per congedarsi. Mantenendo la mia solita aria impassibile lo accompagnai all’uscita della tenda. I suoi occhi mi fissarono per un brevissimo istante, che per me durò invece molto di più.
-A presto, mia signora. Vi aspetto entrambi nel mio territorio- disse con galanteria, per poi uscire dalla tenda.
Non so il perché, ma non ebbi il fiato per rispondergli. Mi limitai a guardarlo mentre si faceva largo tra i fauni dell’accampamento. Mi voltai verso mio fratello e una domanda non si fece attendere.
-Klopin, si può sapere perché hai accettato?-.
Il fauno, nel frattempo, aveva già sciolto le bende e con le dita impastate di unguento stava procedendo alla  medicazione. Sembrava che avesse una gran fretta di rimettersi in sesto, e il motivo era intuibile.
-Esme cara, io stesso non ne sono convinto- rispose, mentre si massaggiava la ferita con cautela- ma effettivamente abbiamo bisogno di qualcuno che ci pari il fondoschiena. Col guardiano sono stato molto fortunato, ma tu sai che più ci inoltreremo in questa missione più potremo imbatterci in altri pericolosi imprevisti. Dobbiamo sfruttare questa alleanza a nostro vantaggio-.
-Quindi ti fidi di Phebous?- gli chiesi, ancora un po’ scettica.
-Non proprio- rispose lui, per poi lanciarmi un’occhiata furbetta – E’ per questo che ho bisogno di te. Devi tenere d’occhio quel cavallino-.
-Cosa?! Che hai in mente?- esclamai senza nascondere un briciolo di disappunto nella voce.
-Temo che possa tradirci da un momento all’altro- si spiegò meglio –e poi, chi ci dice che i centauri non abbiano un secondo fine? Forse, in realtà, sanno molto di più su di noi e su…-.
A quel punto non ebbi bisogno di ascoltare il resto. Roxanne, la nostra complice, poteva sembrare una semplice ninfa dei boschi. Ma dopo tutto quello che era successo, avevamo il dubbio che qualcosa di molto potente albergava in lei. Klopin aveva preso le sue difese, l’aveva custodita, le aveva fatto da scudo nella selva e si era preso l’importante compito di proteggerla ad ogni costo. Per lui, almeno da come ripeteva, era una questione di piani. Perciò, alla fine, non mi suonava così strano che stesse cercando di salvaguardare l’unica “speranza” per portare a termine la nostra missione.
-Mi raccomando, sorellina, concentrati sul nostro piano e non lasciarti distrarre da qualche puledro con la chioma dorata- mi canzonò mio fratello, provocandomi un gran fastidio da farmi innervosire.
-Con chi credi di parlare, stupido!- tuonai, portandomi le mani sui fianchi. Fingendo di guardare altrove, con la coda dell’occhio vidi Phebous che si allontanava dall’accampamento, diretto verso il sentiero che lo avrebbe condotto nel suo territorio. La sua figura possente si stagliava sullo sfondo della natura, dove il disco solare si stava alzando per dare vita a un nuovo giorno.
-Sai, il suo nome, Phebous, significa “Sole”. Curioso, vero?-.
     
PV. Roxanne

L’aria frizzante del nuovo giorno mi diede la grinta per alzarmi dal mio giaciglio di cuscini. Stiracchiandomi, mi lavai il viso con l’acqua fresca e mi pettinai delicatamente i capelli. Su un cuscino c’era piegata una nuova veste che mi aspettava. Quella di colore lilla che portavo il giorno prima era ancora sporca di terra e fango. Stavo ripensando agli straordinari eventi che io e Klopin avevamo vissuto, ma tutto sfumò quando Morò, il mio piccolo cerbiatto, sbadigliò rumorosamente. Mangiammo insieme la nostra colazione, fatta principalmente di frutta e pane. Il mio compagno di viaggio non mi aveva dato tregua la notte precedente. Dopo avermi tempestato di domande gli svelai ciò che avevo scoperto, sulla mia vera natura che era sopita dentro di me. Mi sembrava ancora così assurdo. Con mia grande sorpresa, invece Morò non si era affatto scomposto, come se lo avesse sospettato da chissà quanto tempo. “Io lo immaginavo, Sentivo che c’era qualcosa di speciale in te, sorellona” mi aveva confessato, infine. E allora molti altri pensieri si erano accumulati nella mia mente. Vari pezzi del mosaico stavano cominciando a incastrarsi tra loro. Mi era ormai chiaro il motivo di tutte quelle strane sensazioni che percepivo. Senza saperlo, avevo creato un qualche legame che mi univa da tanto tempo a quella selva, ancor prima di averci messo piede. Quell’eco inspiegabile che mi risuonava dell’animo come una dolce melodia. E cominciavo a capire, forse, perchè mio padre mi aveva tenuta lontana da tutto, proibendomi di oltrepassare la siepe, limitandomi ogni contatto con altri esseri, che questi fossero creature strane o meno. Non voleva che io scoprissi che fossi una ninfa. Ma perché?
-Sorellona, posso andare a giocare con Djali?- mi chiese all’improvviso il cerbiatto, facendomi tornare alla realtà.
Con un sorriso gli diedi il permesso, raccomandandogli di stare attento a non strapazzarsi. La sua zampa stava guarendo e ormai riusciva a stare in piedi e a camminare da solo, zoppicando ogni tanto. Inoltre ero molto felice che lui e la capretta fossero diventati amici per la pelle. Non era più il timido cerbiatto che mi imitava le sue compagne pecore, lì sulla valle in miniatura. Mentre indossavo la veste, di un bel verde erba, mi osservavo allo specchio. Quante cose erano cambiate da quando avevo iniziato la mia avventura. E chissà cos’altro mi aspettava al di là di quel presente? Scossi la testa, facendo ondeggiare i capelli, che li alzai e li legai con dei cordoncini dorati. Ero pronta per affrontare quella giornata, ed ero più determinata che mai. Quando misi il naso fuori dalla tenda mi accorsi che vi era un gran viavai, più rumoroso del solito. Alcune ancelle mi salutarono amichevoli e sorridenti. Risposi con un gesto della mano. Dovevo ancora abituarmi a quello stile di vita, a quei volti e a quelle fattezze insolite. Ma in fondo non era così male. Dovevo solo imparare a gestire le situazioni con gli altri componenti della tribù. Istintivamente, i miei occhi vagarono per il campo, e si fermarono sulla zona opposta. La tenda color porpora, la più grande di tutte. Chissà come stava Klopin? Mentre formulavo quella domanda in silenzio, mi accorsi di non essere sola. Tre fauni, ingobbiti e con gli occhi bassi, si erano presentati al mio cospetto. All’inizio ebbi un momento di timore, dato che avevo riconosciuto il trio. Ma invece di scappare rimasi immobile, con la schiena dritta e mostrando sicurezza. Era arrivato il momento giusto per applicare i consigli di Esme. Zarias, il fauno al centro, fece un solo passo nella mia direzione e infine disse:
-Signorina Roxanne, vi chiediamo un attimo del vostro tempo, se possiamo…-.
La voce profonda del fauno era molto diversa da come me la ricordavo. Sbalordita da quel cambiamento stavo per schiudere le labbra, ma i tre fauni si inginocchiarono di botto, lasciandomi senza fiato.
-Vi chiediamo perdono per il trattamento orribile dell’altra sera – disse ancora Zarias, e subito dopo anche gli altri due fauni, con la testa e le corna che toccavano terra, pronunciarono scuse accorate.
-Ci scusi, signorina ninfetta-.
-Come ti permetti, idiota! Ti devi rivolgere a lei con “signorina Roxanne”- lo sgridò Zarias, nervoso.
- Ma che male c’è?- fece il fauno, piagnucolando.
-Sei p0roprio un caprone- si intromise l’altro fauno che non aveva ancora parlato.
-Senti chi parla! Siete tutte e due dei caproni, non lo avete notato?!- disse Zarias sgridandoli entrambi.
-Ehm, se è una questione di corna e zoccoli…scusaci, amico, ma allora vale anche per te?...- dissero i due fauni intimoriti. La faccia di Zarias divenne di colpo rossa, per la rabbia e l’imbarazzo. Quel teatrino di battute esilaranti mi scossero piacevolmente e non riuscì a trattenere le risate. Improvvisamente mi sembrarono così buffi. I fauni finalmente mi guardarono, con volti attoniti, mentre io cercavo di ricompormi. Il mio sguardo si fermò su Zarias e allora ricordai, tralasciando il nostro primo incontro, che era stato lui con la sua squadra ad avviare le ricerche quando mi ero persa nella selva. E molto probabilmente erano stati loro tre a rintracciare il guardiano per primi, distraendolo e portandolo lontano da me, poco prima di scontrarmi con Klopin. Sentivo che dovevo provare a dargli una seconda possibilità. Se volevo davvero creare una pacifica convivenza con quel popolo non potevo continuare ad essere così ostile e sfuggente. Magari,stando a contatto con loro, avrebbe giovato persino ai miei poteri di ninfa.
-Vi prego, non litigate –cominciai con calma- Accetto le vostre scuse-.
A quel punto l’atmosfera si fece più serena e i tre fauni si rialzarono sulle zampe, sollevati e contenti. Con un po’ di cautela inizia una vera conoscenza con quei tipi bizzarri, e man mano mi resi conto che stavo cambiando del tutto opinione nei loro riguardi.
-Dimmi Zarias – chiesi ad un tratto – ho notato che oggi c’è molto movimento. Ci stiamo preparando per lasciare il campo?-.
-Ebbene sì, partiremo domani stesso- mi spiegò il fauno –Giungeremo nelle terre dei centauri -.
Quella notizia non mi sorprese molto, dato che lo stesso Klopin mi aveva accennato a qualcosa, la sera precedente. Al contrario Olmo e Nestor, gli altri due fauni, erano molto ansiosi.
-La festa della Vendemmia! Sono così eccitato! Cosa mi metto per l’occasione?!- disse Nestor euforico.
-Tanto casino per niente! Chi vuoi che ci faccia caso?- lo schernì Olmo.
-Stai zitto! Scommetto le mie corna che nessuna ninfa ti guarderebbe, neanche se fossi coperto d’oro-.
Zarias alzò gli occhi al cielo, sospirando profondamente. Ero disorientata e curiosa da quella novità.
-Aspettate un momento. Di cosa state parlando? -.
In pochi minuti i fauni mi misero al corrente di tutto. La visita del capo centauro, l’alleanza con la tribù dei “uomini-cavallo” e infine l’invito alla festa della Vendemmia. A detta loro, si trattava di un evento imperdibile, dove danze, cortei e nuove conoscenze erano visti quasi come un rito sacro.
-La verità, signorina Roxanne, è che noi fauni non siamo bravi a parlare con le fanciulle, a far loro una corte dignitosa…siamo così impacciati che diventiamo nervosi, e quindi ci lasciamo guidare dai nostri istinti animali. Siamo un vero disastro -.
Zarias aveva da poco finito di parlare e diedi un’occhiata a Olmo e Nestor. Erano così scoraggiati che mi fecero tenerezza. Ma allora non sono cattivi, sono solo molto goffi, pensai tra me. Quindi, senza pensarci troppo, presi una decisione.
-Forse non sono un’esperta, ma sono comunque una ragazza. Potrei darvi io qualche consiglio e suggerimento-.
I tre fauni mi guardarono, e potei leggere nei loro occhi, gialli come topazi, una piacevole emozione.
-Davvero? Fareste questo per noi?- chiese Nestor, così euforico che il ciuffo sotto al mento tremava leggermente.
Feci un cenno col capo in segno di conferma, smorzando un mezzo sorriso.
-Oh, per tutti gli agnelli! Grazie, signorina ninfetta- fece Nestor, con le orecchie che si agitarono per l’emozione.
-Ancora?! Ma allora è un vizio…- affermò esasperato Zarias, tirando per un orecchio il suo compagno. Ed eccoli che ricominciano. Ridendo divertita, i tre mi rivolsero un’occhiata per poi unirsi con me in quel fragoroso entusiasmo. In quel preciso momento ebbi la sensazione che stava cambiando qualcos’altro, non solo in me. Poi, Zarias si fece un po’ serio e si rivolse a me:
-Non mi sorprende che Klopin ti abbia scelto…-.
Quella frase mi lasciò perplessa e confusa. Cosa intendeva dire?
-Ehi, cosa sta succedendo qui?-.
La voce del capo fauno mi fece sobbalzare il cuore dal petto. Appena mi voltai, lo vidi, dritto sulle zampe caprine e con lo sguardo fiero. In una mano stringeva il suo inseparabile bastone.
-State di nuovo importunando la nostra ospite?- chiese Klopin, avvicinandosi di qualche passo. Fui alquanto sorpresa di vederlo “in piedi”; ciò significava che la ferita era migliorata, ma non riuscivo a piegarmi come fosse possibile. Il guardiano lo aveva quasi ridotto in fin di vita con quel colpo. Abbassai lo sguardo sul suo stomaco. Una sottile fasciatura gli copriva la ferita.
-No, Capo. Non è così- cominciarono a spiegare Nestor e Olmo – Stavamo solo facendo due chiacchiere-.
Sbalordito, Klopin spostò lo sguardo su di me. Annuì con decisione, cercando di rassicurarlo.                           
-Due chiacchiere, eh? Questa sì che mi giunge nuova- fece lui, curvando un angolo della bocca. I suoi occhi, neri come il carbone, mi fissarono per un bel po’. Nel frattempo i due fauni ne approfittarono per sgattaiolare via, sicuri di non essere notati.
-Zarias, vai con loro, e assicurati che svolgano tutti i compiti – disse Klopin guardando il suo compagno con la coda dell’occhio. Il fauno fece un cenno con la testa e dopo avermi salutato con un inchino, corse via. Io e Klopin rimanemmo soli. All’improvviso, e non so spiegarmi perché, cominciai a sentirmi nervosa.
-Cosa hai fatto?- mi chiese lui con voce indagatrice. Rimasi perplessa e intontita.
-Eh? A cosa ti riferisci?- domandai, e il mio sguardo seguì gli zoccoli del fauno che si muovevano verso di me.
-I miei uomini non possono infastidirti sotto mio ordine. Ma il semplice fatto che tu sia riuscita a conversarci senza problemi,beh, è già un miracolo. Cos’è, hai usato i tuoi poteri anche su di loro?-.
Klopin emise un risolino, sfoderando la dentatura scheggiata. Quel dettaglio mi era già noto,ma non mi dava alcun fastidio. Lo trovavo semplicemente curioso.
-Ora non esagerare- risposi convinta – in fondo non sono così male. Hanno solo bisogno di fare esperienze giuste. Di socializzare. E anche io ne ho bisogno-.
Ero stata sincera. Era proprio quello che pensavo, e sicuramente il fauno lo aveva capito. Mi scrutava con insistenza, come se stesse cercando di leggermi nel profondo dell’anima. Cominciai a sentire un gran caldo, eppure era arrivato l’autunno. Klopin fece qualche altro passo per avvicinarsi e infine disse.
-Hai ragione. E sai, noto già un certo cambiamento. Forse stai cominciando ad aprirti alla tua vera natura -.
Una leggera brezza fece oscillare le mie vesti, così sottili che scostandosi misero in mostra le mie gambe. Mentre cercavo di coprirmi alla meglio, alzai lo sguardo. Un lieve rossore, alquanto insolito, stava colorando le guance del fauno. La sua attenzione si spostò altrove e poi si schiarì la voce.
-Oggi c’è parecchio da fare – cominciò – e anche io devo mettermi a lavoro -.
A quel punto diedi un’altra occhiata alla sua ferita. Non sembrava così grave ma non potevo fare a meno di preoccuparmi.
-Sei sicuro di farcela?- gli chiesi con un po’ di apprensione. Klopin mi guardò con aria intenerita.
-Tranquilla. Ho ricevuto delle cure miracolose e niente potrà tenermi ancora inchiodato nella tenda – mi spiegò, facendo un saltello e roteando attorno al bastone. La sua agilità mi sorprese, e quella sua energia frizzante mi fece sorridere di sollievo. Ero così contenta di vederlo di nuovo in forma.
-Ma se devo essere sincero- aggiunse, tornando a fissarmi – ho delle faccende molto sfiancanti. Mi farebbe comodo l’aiuto di una pastorella con molta esperienza nel campo agricolo -.
Mi bastò giusto qualche secondo per intuire a chi si stesse riferendo. Dopo tanto tempo, da quando avevo iniziato a conoscerlo, sul mio viso prese vita un sorriso sincero e gioioso.
-Sono pronta – dissi con entusiasmo. Il solo pensiero di poter essere utile e dare il mio contributo a quella tribù, che ormai stavo imparando a conoscere, mi diede una buona dose di grinta e voglia di mettermi in gioco. Inoltre, si trattava pur sempre di Klopin, che aveva rischiato quasi di morire per salvarmi. Sentivo che dovevo in qualche modo sdebitarmi. Chissà, non so come spiegarlo, ma ero felice di iniziare quella nuova esperienza.
-Ben detto- mi incoraggiò il fauno- allora cominceremo con la raccolta delle mele. Seguimi-.
Che bellezza! Quel compito, a me tanto familiare, mi fece gridare dalla gioia nel profondo dell’anima. Anche se la mia serenità era stata messa a dura prova, mi sembrava essere tornata alla calma della mia vita monotona. Con l’unica eccezione che stavo vivendo quei momenti in modo diverso e in un luogo del tutto nuovo. Insieme a quel singolare “pastore”, con corna e zampe caprine, che mi stava aiutando così tanto a riscoprire me stessa. E, lo ammetto, in me stava crescendo la curiosità, il desiderio, di conoscere qualcosa di più del mio compagno di avventura. 

 

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