Bedtime stories

di Manila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cappuccetto Rosso - C ***
Capitolo 2: *** Il Mago di OZ ***
Capitolo 3: *** Barbablù ***
Capitolo 4: *** HÄNSEL E GRETEL ***
Capitolo 5: *** Peter Pan ***
Capitolo 6: *** La Storia Infinita ***
Capitolo 7: *** Rapulzel ***
Capitolo 8: *** La bella e la bestia ***



Capitolo 1
*** Cappuccetto Rosso - C ***


(Noiose) Note dell'autrice.
Piccola serie di stupidaggini scritte per riprendere un po' di confidenza con questi tipi che mi mancano tanto, ma da cui la vita mi tiene lontana da troppo. Nessuna pretesa, quindi, solo la speranza di strappare un sorriso e regalare qualche minuto di distrazione a chi capiterà tra queste righe, in un periodo non propriamente allegro.
Tra una settimana è Natale, prendetelo come un regalo poco convincente da una persona che ha sempre odiato i numeri del calendario che vanno dal 24 dicembre al 6 gennaio.
Prima di lasciarvi, colgo l'occasione per ringraziare alcune delle persone che mi sono state sempre vicino, fisicamente e virtualmente, ma sempre nel mio cuore. Probabilmente non riusciranno a leggere questi nuovi deliri, ma è grazie a loro che sono nati e il loro incoraggiamento nella vita e nella scrittura resta una delle cose più belle che potessero capitarmi.
Mila83
Columbrina
Fortix
Michan_Valentine
Calciatore preferito
Grazie, grazie di cuore.


 

BEDTIME STORIES

 
CAPPUCCETTO ROSSO

Vincent osservò la sua preda.
Era da giorni che la braccava, seguendo le sue tracce, setacciando la foresta alla ricerca del suo passaggio, annusando l'aria come se potesse percepirne l'odore - un profumo fresco e invitante di chi ha dalla sua la faccia tosta dell'ingenuità di potersela cavare avvicinandosi al lupo cattivo.
Quasi famelico, nascosto tra i cespugli, spiava la preda ignara mentre si muoveva da un tronco all'altro.
Che lo avesse visto?
Poi, con un balzo, si parò alle sue spalle, afferrandola.
Yuffie.
Gli aveva rubato il mantello, una sera, presentandosi al suo campo di fortuna, raccontandogli una sconclusionata storia secondo la quale avrebbe dovuto attraversare il bosco per far visita alla nonna malata, e che Godo le aveva raccomandato di non fermarsi per strada e di non parlare con gli estranei.  Suo malgrado, avrebbe preferito far parte della categoria, piuttosto che dover ascoltare le ciarle di quella bambina bugiarda e disobbediente.
Non avrebbe dovuto fidarsi di quel visino rotondo e del suo sguardo profondo;  prima di rendersene conto, gli aveva rubato il mantello e le Materia.
Aveva impiegato tre giorni per raggiungerla e, ora che ce l'aveva davanti, con la stoffa rossa calata sulla testa come un cappuccio, ebbe quasi voglia di divorarla in un sol boccone.
O di divorarle le labbra morbide e rosee, aperte in una poco elegante "Oh" di stupore.
I suoi occhi, dapprima assottigliati per rendere più evidente il suo disappunto, si spalancarono quando, rigirandola per le spalle, se la ritrovò tra le braccia.
Yuffie trattenne per un attimo il fiato, sorpresa di essere già stata raggiunta, poi si passò la lingua su quelle stesse labbra invitanti e mai a corto di parole, ed esclamò:
"Oh, Vincent, che occhi grandi che hai!"

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Capitolo 2
*** Il Mago di OZ ***


IL MAGO DI OZ
 


L'alba accompagnò il suo silenzioso ritorno, un po' rosata e un po' lattiginosa.
Cloud alzò gli occhi e guardò il Seventh Heaven come se lo vedesse per la prima volta.
Era stato via e si era allontanato di sua spontanea volontà, ma nel suo cuore sapeva di essere stato travolto da un tumulto interiore, una tromba d'aria che gli aveva strappato le sue certezze fin dalle fondamenta per poi rigurgitarlo in un mondo sconosciuto, insieme alle macerie della sua identità perduta. Frammenti di se stesso da raccogliere lungo il cammino, un sentiero disseminato di avventure condivise con amici, preziosi mattoni dorati, solide basi della ricostruzione che gli hanno fornito sicurezza.
E strada facendo, aveva capito di non essere un uomo di latta privo di sentimenti, né un finto Soldiers, leone codardo con tanta criniera ma senza il coraggio di affrontare le sue grandi paure e, soprattutto aveva conquistato la certezza di non essere uno spaventapasseri, una creatura sprovvista di cervello che  Sephitoth  avrebbe potuto manipolare a suo piacimento.
L'aveva afferrata, la sua volontà, e aveva scacciato i demoni dai capelli argentati e streghe aliene pronte a divorargli l'anima intrappolata in un mare di paglia.
Aveva attraversato oscure foreste per giungere a Lei e ai suoi occhi verdi, incantevole città di smeraldo in cui trovare la pace. Ed è proprio lì, con Lei, che aveva imparato la lezione più grande...
Una finestra si aprì e Tifa si affacciò dapprima assonnata, poi sorpresa e infine felice.
Le sorrise lievemente.
E Cloud seppe che non c'è niente di più bello della propria casa.
 

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Capitolo 3
*** Barbablù ***


BARBABLU'

 

Cid non era mai stato uomo dai grandi misteri, la sua vita si era sempre svolta tra bulloni e cassetta degli attrezzi, le sue ore erano accompagnate dal ticchettio di ferri per le riparazioni, i suoi giorni colorati da macchie di grasso, i suoi migliori amici pistoni e pasticche, il profumo che lo impregnava era quello dell'olio per motori e del fumo delle sigarette. Se non era seduto al tavolo a fare calcoli, lo si poteva trovare a lavoro su motori dispettosi di enormi aeronavi.
Fu per questo motivo che a Shera sembrò strano vederlo chiudersi ogni giorno nello stanzino.
Da un po' di tempo, subito dopo aver sorbito il suo thè, si alzava e si chiudeva nell'angusta stanzetta, senza lasciar entrare nessuno.
Sua moglie, che aveva sempre avuto accesso a ogni stanza di casa Highwind, aveva dovuto addirittura consegnargli la piccola chiave che il marito utilizzava per rinchiudersi per ore. Dapprima non ci fece molto caso, troppo indaffarata a sistemare il loro nido, come conveniva alla sua condizione di novella sposa, ma ben presto lo strano atteggiamento del Capitano aveva attirato la sua attenzione.
Un giorno, poco prima di Natale, aveva ottenuto dal marito il suo benestare per decorare un nuovo albero. Tutta eccitata, aveva cominciato a girare per la casa per cercare materiale di ogni tipo per realizzare simpatiche decorazioni sotto lo sguardo poco convinto di Cid, il quale si era ritirato meditabondo nella stanzetta del sottoscala, aveva sequestrato la chiave e aveva continuato quello strano rituale per le settimane consecutive.
Più e più volte aveva chiesto spiegazioni e lui, criptico, le aveva intimato di non entrare assolutamente.
Un pomeriggio Cid era stato contattato da Reeve per collaudare un nuovo velivolo. Scocciato e bestemmiante, era uscito dalla stanzetta con una vistosa macchia blu sul mento dalla barba incolta. Per la fretta, aveva dimenticato la chiave dello stanzino nella tasca dei pantaloni da lavoro.
Forte del fatto che tra marito e moglie non debbano esserci segreti e divorata dalla curiosità, Shera si diresse a passo deciso verso l'angusta cameretta. Dopo aver rigirato la chiave nella serratura arrugginita, spinse la porta cigolante. Nello spazio castigato, appena rischiarato da una feritoia piena di ragnatele, c'era un tavolino sgangherato su cui erano appoggiati una scatolina impacchettata, una delle decorazioni che aveva realizzato per l'albero e una tovaglia di fogli sparsi su cui spiccavano cancellature convinte e ghirigori sparpagliati.  Poco più in là, una macchia di inchiostro usciva da una penna stilografica abbandonata come una spada dopo aver mortalmente ferito il nemico.
Perplessa, Shera cominciò a scorrere gli occhi su quei righi maltrattati.
Il cuore le si fermò e le venne un groppo alla gola: Cid le aveva preso un regalo per Natale e aveva cercato di scriverle un biglietto di auguri!
Un movimento alle sue spalle la fece sobbalzare. Si voltò e vide suo marito in piedi sulla porta, col volto furente e il mento sul cui blu dell'inchiostro aveva lasciato un evidente alone.
Colta in flagrante non seppe che dire.
Cid la squadrò ancora una volta, poi si tolse la sigaretta dall'orecchio per portarsela alla bocca. L'accese, fece un tiro un profondo e poi disse:" Ti rendi conto che ora dovrò ucciderti?!".

 

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Capitolo 4
*** HÄNSEL E GRETEL ***


HÄNSEL E GRETEL




Se c'era una festa che Tifa amava su tutte le altre, quella era il Natale.
Non capodanno, non San Valentino, non Halloween di cui pure avvertiva il fascino... no, lei era presa da una vera e propria euforia quando avvertiva avvicinarsi il 25 dicembre e non solo per gli addobbi, per il regali, per il buon cibo che si divertiva a preparare e per l'albero che occupava mezzo soggiorno, a Tifa piaceva quell'atmosfera calda e quel senso di famiglia che coinvolgeva tutti: i bambini diventavano stranamente più ubbidienti, forse per timore di ricevere una tirata d'orecchie da Babbo Natale, i clienti del bar sembravano più gentili, Barret diceva meno parolacce e il meteo regalava spesso splendide nevicate.
Magari era solo una sua impressione, ma si sentiva bene.
Soprattutto, la ragazza amava il rombo di una moto che tornava dopo una giornata di consegne, i baci sotto il vischio, gli occhi luminosi di Cloud che la guardavano tra i rami dell'abete, mentre aiutava a mette su le palline.
Camminava per strada coccolata dalle luci, tra le mani dei sacchetti pieni di tesori, ancora il profumo della cannella tra le dita. Sorride fra sé, quell'inverno aveva seguito un corso di pasticceria e aveva scoperto di essere particolarmente portata per la decorazione di torte e altri dolci. Soprattutto, era diventata molto abile nel realizzare soggetti a tema. Desiderosa di arrivare sufficientemente preparata al il Natale, aveva dimostrato grande maestria nell'utilizzo della sac à poche e nella realizzazione di graziosi ghirigori, aveva imparato a dosare bene i colori e a modellare la pasta di zucchero, a preparare la ghiaccia reale e a disegnare correttamente il motivo a losanghe .
Per quel Natale aveva deciso di stupire tutti con una cena sontuosa e con una splendida sorpresa da esibire al centro di quella che sarebbe stata la tavola della Vigilia.
Non volendo spifferare a tutti le novità di quell'anno, aveva lavorato da sola e in gran segreto, facendo centinaia di prove mentre Cloud e i bambini non c'erano e, dopo un'infinità di tentativi a suo dire fallimentari, era riuscita finalmente a creare non qualcosa che l'accontentasse, ma ciò che riteneva sfiorare quasi la perfezione. Mentre era all'opera, però, si era accorta che alcuni insostituibili elementi erano terminati e, di gran fretta, era uscita di casa a cercarli per ultimare il suo lavoro. Zuccherini, perline argentate e altri piccoli dettagli rimbalzavano allegri nei pacchetti che teneva saldi e che oscillavano, seguendo la sua andatura sinuosa, sempre molto morbida e femminile, ma un po' accelerata per la fretta di tornare alle sue amate attività.
Una volta giunta a casa, si accorse dei cappottini lasciati sull'appendi abiti dell'ingresso.
I bambini erano già tornati da scuola?!
Eppure non si era accorta di aver tardato così tanto...
Alcun suono, però, proveniva dai piani superiori.
Man mano che saliva, trovava qualche dettaglio che suggeriva la loro presenza: un paio di scarpe lasciate fuori posto, un oggetto spostato, un guantino sul pavimento... Seguì le cose appartenenti ai piccoli su per le scale, come un percorso segnato da molliche di pane, fino a giungere alla soglia della cucina, la cui porta era socchiusa.
Fu lì che un suono ben preciso tradì la presenza dei bambini.
Un suono che le fece venire uno strano, bruttissimo presentimento, e per un momento si sentì cattiva come una strega.
Rumore di mandibole impegnate a masticare.
Con il fiato sospeso, spinse lievemente la porta giusto quanto bastava per spiare all'interno della stanza e ciò che vide dapprima la fece raggelare, poi sentì il calore salirle fino alle guance, come se l'avessero gettata all'improvviso in un forno.
Denzel e Marlene erano seduti con le ginocchia sulle sedie, intono al tavolo su cui la sua opera era stata momentaneamente appoggiata, con le dita appiccicose, la faccia ancora sporca di zucchero e lavoravano con le mandibole con molto, molto impegno.
Tifa avrebbe voluto metterli in un pentolone e mangiarli, ma tutto ciò che le uscì dalle labbra mentre spalancava la porta della cucina  fu uno sconvolto:
 
" Oh, no, la mia casetta di marzapane!"

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Capitolo 5
*** Peter Pan ***


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PETER PAN
 


Rufus Shinra sbatté forte i pugni sulla scrivania, facendo sobbalzare Elena.
Tseng era di fronte a lui, rigido e serio, quasi imperturbabile, mentre metteva a parte il neo presidente della ShinRa sull'ennesima battaglia vinta da Avalanche.
Avalanche.
Un branco di derelitti, idioti incapaci, inutili come mosche, ora causavano più danni alla Compagnia di quanti se ne fossero registrati negli ultimi anni.
Il colpevole era lui, Cloud Strife, sedicente Soldier di prima classe, capitano di una nave che entro breve sarebbe colata a picco.
E loro, la Shinra, simili a bimbi sperduti, non riuscivano a trovare il modo per schiacciare quell'insulso nemico.
Inammissibile!
Rufus non era avvezzo alla sconfitta, era come se il suo onore fosse stato dilaniato da un uncino; si sarebbe vendicato. Andava bene tutto per abbattere definitivamente quei pirati dei poveri, e al prossimo incontro col biondo, gli avrebbe tagliato la mano con cui reggeva quella enorme, ridicola spada, e l'avrebbe servita su un vassoio d'argento a una bestia qualsiasi, andava bene anche un coccodrillo.
Lasciò la scrivania, preso dai suoi cupi ragionamenti, e si avvicinò alla finestra che mostrava Midgar ai suoi piedi e, in alto, il firmamento stranamente visibile nonostante l'inquinamento atmosferico.
"Dove si sarà nascosto?" si chiese, scrutando il cielo notturno, mentre Reno rivolse lo sguardo nella stessa direzione.
"Provato a controllare dopo la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino?" chiese, poi, guadagnandosi un'occhiataccia dalla sua collega, Elena.
Un segnale acustico e Tseng alzò il ricevitore del fisso per rispondere a una chiamata di Rude che, con voce pacata, informò dell'avvistamento degli ecoterroristi, comunicandone la posizione. Il Turk dagli occhiali da sole, inoltre, diede conferma dell'ultimazione di una nuova, imbattibile arma appena collaudata in uno dei laboratori della Compagnia.
Il viso del Presidente s'illuminò, con una nuova speranza si voltò verso i suoi sottoposti.
"Li braccheremo a Wutai, lì farò a pezzi quel finto Soldier da strapazzo e quei pagliacci che si sono uniti a lui". E lo disse come se, invece di indicare un territorio vessato da anni di guerre e nemico della Compagnia di cui era capo, fosse un'isola felice dove giocare a fare la guerra contro i pirati e a vincere con un colpo di bacchetta magica.
Il ghigno che gli si disegnò sul viso aristocratico non lasciava dubbi sulle sue intenzioni e a Tseng venne il dubbio che non fosse mosso da mero interesse economico e spinto da brama di potere, ma che ci fosse dell'altro, come una sindrome che non spingesse quell'uomo a crescere.
Gli occhi del platinato scintillarono.
Era la prova vivente che un pensiero felice come quello di strozzare Cloud Strife fosse sufficiente a far volare un uomo.

No, decisamente non sarebbe mai cresciuto...

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Capitolo 6
*** La Storia Infinita ***


LA STORIA INFINITA
 

Shelke aprì gli occhi. Il silenzio e l'oscurità la colsero nel brodo primordiale in cui giacevano sopite le sue emozioni.
"Perché è così buio?" domandò con voce incerta.
"All'inizio è sempre buio" le spiegò la persona con cui aveva condiviso dieci anni della sua vita.
Sbatté le palpebre, lentamente l'oscurità si diradò, lasciando il posto a una timida alba.
Davanti a lei, Lucrecia Crescent le porgeva la mano avvolta da un leggero fluttuare di veli.
"Cos'è?", chiese la ragazzina, quando la donna aprì il palmo.
"Un granello di sabbia, tutto ciò che resta della tua anima", le spiegò con una dolcezza materna che, per la prima volta, su di lei sembrò appropriato.
Avrebbe voluto piangere, o urlare, o avere un tuffo al cuore, ma tutto ciò che provò fu consapevolezza.
Negli anni il suo animo era stato dilaniato, l'innocenza della sua infanzia violata, come un vasto impero distrutto e privato del suo autentico splendore.
La sua anima...
"... Distrutta" mormorò con un tono talmente piatto e basso da provocare sgomento.
Allora a cosa era servito tutto ciò che aveva fatto? Conoscere Vincent, rivedere Shalua, accorgersi che i Deepground non erano la famiglia protettiva che si era aspettata, tradire Wheiss, unirsi alla lotta e sacrificarsi...
Per un attimo le sembrò di avvertire il vuoto che aveva dentro, mentre osservava quel minuscolo granello di sabbia.
"No" la rassicurò Lucrecia, " La tua anima può ancora risorgere" spiegò con dolcezza.
Scosse leggermente il capo.
"Come?"
Le labbra della donna si distesero e i suoi occhi si fecero comprensivi.
" ... Dai tuoi sogni, dai tuoi desideri".
Shelke avvertì un brivido e quasi le sembrò di avere di nuovo quel corredo di emozioni che sentiva perso quando la dottoressa le porse la mano e lasciò cadere il piccolo granello di sabbia nel suo palmo un po' tremante.
Contrariamente a quanto aveva creduto, ne avvertì il peso: un elemento così piccolo e insignificante era inspiegabilmente pesante.
E luminoso.
"E' una speranza", le fece notare la Crescent.
" Quindi non è andato tutto perduto?"
Shelke non riuscì a frenare le parole, le uscirono di bocca più precipitose di quanto volesse.
" Dipende da te" aggiunse la donna.
La ragazzina sbatté le palpebre.
" C'è qualcosa che desideri? Solo così la tua anima sarà salva, e più ne esprimerai, più diventerà splendida"
Shelke inspirò forte.
" Il futuro è nelle tue mani" fu l'ultima cosa che la scienziata le disse, prima che Shelke aprisse gli occhi, accorgendosi di aver sognato.
Si mise seduta sul letto e osservò i timidi raggi di sole fare capolino tra le imposte chiuse.
Il viso di Vincent si sovrappose a quello dolce e malinconico di Shalua nella sua mente ancora accarezzata dal sogno appena fatto.
Strinse il palmo e lo portò al petto come stringesse ancora quel piccolo granello di sabbia, tenuemente luminoso come una lucciola solitaria in una selva buia.
Doveva dare ascolto ai suoi sogni.
Nel segreto della sua camera, in penombra, sorrise e bisbigliò:
"Il mio primo desiderio è...".






N.A.
Il dialogo è tratto dal film " La Storia Infinita".

 

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Capitolo 7
*** Rapulzel ***


Rapunzel



Se c'era una cosa in cui Denzel era molto bravo, era sicuramente finire in punizione.
Se c'era una cosa in cui Marlene spiccava, era fare grosse tirate d'orecchio al fratello. Meno brava, però, era a non finire in punizione insieme a lui per averlo seguito e non aver avvertito chi di dovere.
Tifa era una mamma affabile, ma se si arrabbiava sarebbe stata capace di rinchiuderli in una torre senza porte e con una sola finestra per tutta la vita.
Denzel lo sapeva, ma non vi badava. O meglio, se ne ricordava quando era troppo tardi.
E tardi aveva fatto anche quel giorno, quando non si era reso conto del tempo che passava, nonostante le raccomandazioni della mamma adottiva. Mentre correva trafelato, inoltre, si ricordò che uscire anche senza permesso sarebbe stato motivo di una doppia punizione.
Marlene glielo aveva ricordato quando lo aveva beccato a sgattaiolare fuori di casa, mentre sistemava l'amato nastrino rosa alla treccia che, distrattamente, il bambino aveva notato si fosse molto allungata.
" Tornerò prima che se ne accorgano" l'aveva rassicurata, ma accogliere la sfida a una partita a biglie era stato troppo invitante, spenderci tutto il pomeriggio inevitabile.
Accorgersi del danno fatto fu angosciante.
Una volta giunto a destinazione, sudato e col fiato corto, cercò invano di introdursi in casa utilizzando la porta sul retro, ma presto scoprì che qualcuno l'aveva chiusa a chiave.
E che quel qualcuno non gliel'avrebbe fatta passare liscia.
L'unico barlume di speranza fu quella finestra in alto da cui usciva una tenue luce.
Si abbassò e raccolse alcuni sassolini dal suolo che cominciò a lanciare contro i vetri chiusi.
Pochi minuti e il viso accigliato di Marlene fece capolino.
" Brutto scemo..." esordì " per colpa tua sono finita in punizione anch'io!", aggiunse a bassa voce, facendo attenzione a non farsi sentire da Tifa, intenta a lavorare nel bar.
Avrebbe voluto chiederle scusa, avrebbe voluto farle capire che il bottino di biglie che custodiva gelosamente nel sacchetto legato alla sua cintura era troppo prezioso per potervi rinunciare e avrebbe voluto farlo capire anche a Tifa, ma il rombo di un motore ben noto cominciò ad udirsi dal fondo del vicolo.
Cloud non era tipo da ramanzine, ma nessuno osava dire di no a una Tifa arrabbiata, nemmeno il suo taciturno compagno...
L'ansia si fece viva alla bocca del suo stomaco e prese a guardarsi intorno per cercare un appiglio che lo aiutasse ad arrampicarsi fino a raggiungere la sorella, ma nulla gli giunse in soccorso.
La porta principale piantonata da Tifa, quella sul retro chiusa a chiave dalla stessa, Cloud in veloce avvicinamento...
Preso dal panico implorò alla piccola ancora affacciata alla finestra di fare la prima cosa che gli venne in mente:


" Marlene, presto, buttami la treccia!"


 

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Capitolo 8
*** La bella e la bestia ***


 

LA BELLA E LA BESTIA

 

Il silenzio era quasi assordante in quel laboratorio, le luci bianche, lattiginose e asettiche, trasmettevano freddezza, la stasi era interrotta solo dalla presenza di Hojo.
Non vi era nulla di umano in lui, lo aveva trasformato in qualcosa che non poteva essere catalogata, semplicemente appariva una bestia agli occhi di chi lo guardava. Non ricordava più da quanto fosse lì, col tempo aveva cominciato a considerare quel luogo come un cupo castello in cui a fargli compagnia erano solo gli oggetti inanimati che occupavano i tavoli da lavoro. Lampade, ampolle, timer, armadietti e provette avevano preso ad assumere forme diverse: candelabri, eleganti servizi da thè, antichi orologi, sontuosi tavoli imbanditi... Talvolta quelle fantasie prendevano piede in modo sempre più prepotente, quasi gli sembrava di sentire le voci di quegli oggetti bisbigliare tra loro e commentare ciò che faceva.
Gli sembrava d'impazzire, richiuso lì dentro, condannato a una forma innaturale, spaventoso allo sguardo di chiunque.
Red XIII.
Nessuno lo avrebbe mai amato per ciò che era.
Nessuno avrebbe mai visto l'uomo oltre la bestia.
Nessuno avrebbe mai potuto liberarlo.
Fino a quando, un giorno, arrivò lei.
Aerith, l'aveva chiamata Hojo e l'aveva intrappolata come aveva fatto con lui.
Bella, giovane, elegante, anche nella disperazione della prigionia la ragazza conservava i suoi lineamenti delicati, la sua voce soave, la sua dignitosa ostinazione.
La osservava spesso spostando lo sguardo su di lei quando credeva di non essere visto, cercando di non spaventarla più di quanto non lo fosse già, sentiva che quella bellezza in un certo senso lo avrebbe salvato.
Ma temeva la sua paura, lo angosciava l'idea che lei potesse provare repulsione nei suoi confronti, non avrebbe sopportato il suo disgusto, quindi taceva.
Fu quando una notte incrociò i suoi occhi che si rese conto che Aerith non era come le altre, capì che lei sentiva. Lo sentiva. E gli regalò per la prima volta il suono candido della sua voce.
- E' da tanto che sei qui?-
Red non le rispose.
- Hojo ti ha inflitto tanta sofferenza? Posso quasi percepirla...- aggiunse, ma lui si limitò a fissarla.
- Guarda!- gli rivolse nuovamente la parola, tirando fuori qualcosa dalla tasca.
- Questo è un bocciolo di rosa, è molto raro trovarne uno qui a Midgar. E' rosso e nel linguaggio dei fiori rappresenta l'amore, la passione- spiegò.
Red XIII era sempre più concentrato, più affascinato da quegli occhi smeraldini che sembravano leggergli dentro.
Aerith si avvicino di più al vetro, poggio una mano sulla superficie liscia, un tesoro in una teca, mentre con l'altra reggeva il bocciolo tenero e purpureo.
- Beh, io... ti prometto che prima che l'ultimo petalo di questo fiore tocchi il suolo, tu sarai libero -.

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