Lo Hobbit - un amore inaspettato

di Kaiyoko Hyorin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** The Shire ***
Capitolo 3: *** Durin's Heir ***
Capitolo 4: *** Beginning the Journey ***
Capitolo 5: *** The Lone-Lands ***
Capitolo 6: *** La testardaggine dei Nani ***
Capitolo 7: *** Rivendell ***
Capitolo 8: *** The Misty Mountains ***
Capitolo 9: *** The Goblin Reign ***
Capitolo 10: *** Into Darkness - Part I ***
Capitolo 11: *** Into Darkness - Part II ***
Capitolo 12: *** Run and Fight ***
Capitolo 13: *** The Beorn's Farm ***
Capitolo 14: *** Mirkwood Forest ***
Capitolo 15: *** Il Dono del Lupo ***
Capitolo 16: *** Woodland Realm ***
Capitolo 17: *** The Great Escape ***
Capitolo 18: *** The Men's World ***
Capitolo 19: *** The Lake-town ***
Capitolo 20: *** Resolution ***
Capitolo 21: *** The Awakening ***
Capitolo 22: *** I am Fire, I am Death ***
Capitolo 23: *** The Lonely Mountain ***
Capitolo 24: *** Kingdom's Ruins ***
Capitolo 25: *** War Council ***
Capitolo 26: *** The Last Hope ***
Capitolo 27: *** The King Beneath the Mountain ***
Capitolo 28: *** The Wolf's Blood ***
Capitolo 29: *** The Queen Under the Mountain ***
Capitolo 30: *** Finale Alternativo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


~ PREMESSA DELL'AUTRICE ~

Prima di cominciare questo viaggio ci tengo a specificare che (parafrasando AleeraRedwoods) per questa storia mi sono lasciata ispirare sia dal libro che dalla trilogia cinematografica, a seconda di quello che più ritenevo adatto e senza preferire una cosa all’altra e che la mia riconoscenza va al maestro J.R.R Tolkien, a cui appartengono fatti e personaggi citati in questa sudata, maldestra Fanfiction (ad eccezione di uno, di P. Jackson).
Di storie come questa ce ne sono molte in giro per il web, con nuovi protagonisti che entrano in un mondo che non è il loro, in un modo a volte spiegato ed altre lasciato all'immaginazione. Questa storia non è qui per fornire spiegazioni incontrovertibili, ma per essere raccontata ancora una volta così come a molti di voi è nota e al contempo non lo è più. L'ho scritta principalmente per me, perché quando l'ispirazione chiama così forte non c'è modo che possa essere ignorata.
E' iniziato tutto come un gioco, un passatempo, uno sfizio che poi si è evoluto ed ha preso forma e colore, ha preso vita propria, per mezzo di un racconto come tanti altri. A differenza delle mie opere precedenti non pretende originalità ad ogni colpo di scena, molte delle idee trascritte qui sono state ispirate da altre opere, perché il mondo del fantasy è vasto ed ampiamente già stato esplorato, ha delle regole e ad esse mi sono attenuta, malgrado le mie personali digressioni. Su questa storia c'è la mia firma di scrittrice in erba, in essa il mio fugace e semplice sogno di raccontarla e nulla di più, giacché è solo questa la mia pretesa: volerle dare forma e struttura, senza lasciarla nel limbo inconsistente che è quella dimensione che segue l'idea e anticipa la stesura nero su bianco.
Questa storia è stata ispirata principalmente da un'altra opera in cui mi sono imbattuta per caso, non avendola cercata, ed è solo grazie ad essa che ha visto la luce. Per alcune cose, lo ammetto, la segue di pari passo (come ho già detto, non vi è pretesa di originalità assoluta per quanto leggerete qui di seguito) mentre per altre vi si discosta, per poi ricongiungersi in seguito. Ci tengo quindi a ringraziare dal più profondo del cuore colei che l'ha pubblicata e che mi ha dato il permesso e l'incoraggiamento necessario a dar vita alla mia: su EFP la potreste conoscere come Princess_of_Erebor, autrice di Non sarà un'avventura, la cui stesura è ancora incompiuta ma che mi auguro prossimamente avrà un seguito e in futuro una fine sul suo sito dedicato [link].
Se avete letto la premessa fin qui e vi è comunque rimasta la voglia di dare un'occhiata a questo scritto, non posso che salutarvi ed augurarvi sinceramente una buona, piacevole, leggera lettura, nella speranza che anche voi vi divertiate a leggerla tanto quanto io mi sono divertita a scriverla.

Kaiy-chan.

















“A tale can be start in many ways [...]
A journey there and back again,
that’s what is told in Hobbit’s tales.”
[ There and back again, Wind Rose ]




La ragazza si ritrovò stesa supina, con l'erba sotto di lei che le solleticava la pelle scoperta di braccia e fianchi. I suoni della natura circostante ed il fruscio del vento fra i rami si fecero strada attraverso il fischio persistente che aveva nelle orecchie, il quale fortunatamente già andava attenuandosi.
Confusa e spaesata, quando provò ad aprire le palpebre la luce del giorno le ferì le pupille, costringendola a cercarvi riparo con un braccio mentre esternava una smorfia infastidita. Le ci vollero un paio di minuti prima che la percezione del mondo intorno a lei si facesse abbastanza nitida e concreta da permetterle di farsi strada attraverso i suoi stessi pensieri.
Dov'era?
Riaprì di nuovo le palpebre e stavolta la luce che filtrava dal tetto di foglie sopra di lei non la costrinse a più di un rapido sfarfallio delle ciglia, prima che i suoi occhi si adattassero alla luminosità soffusa dell'ambiente.
Si trovava distesa su un prato, fra alti alberi verdeggianti, probabilmente un bosco.
Tuttavia, come tentò di tirarsi su facendo perno con un braccio sul terreno umido, la testa prese a vorticarle freneticamente in circolo e lo stomaco le si ribellò senza preavviso. Vomitò sull'erba accanto a sé, mentre i conati e l'acidità della bile le fecero salire le lacrime agli occhi.
Che schifo.
Tossì ed ansimò, prima di rotolare lontano da ciò che il suo stomaco aveva appena rilasciato e riuscire finalmente a porsi carponi sul terreno fresco ed umido.
Dov'era finita?
A giudicare dal bernoccolo che avvertiva pulsarle dietro la nuca doveva aver battuto la testa. Non ricordava nulla sul come era arrivata in quel bosco, né del perché vi si fosse recata. Le ultime cose che ricordava erano uno stridore metallico, una luce accecante ed un senso di vertigine che le smorzava il respiro.
– Finalmente ti ho trovata! – esclamò una voce roca e perentoria segnata dall'età e da una nota di sollievo.
Con un sussulto la ragazza sollevò di scatto lo sguardo, ma appena mise a fuoco l'alta figura che, con passo affrettato, stava avvicinandosi a lei, perse del tutto la voce finendo per boccheggiare come un pesce.
Lo sconosciuto aveva una veste grigia ed un caratteristico cappello a punta blu, del medesimo colore del mantello che gli drappeggiava dalle spalle. Appariva come un uomo anziano, seppur nel pieno delle forze, con una lunga barba cinerea a pendergli sul petto e due occhi penetranti e vividi al di sotto d'un paio di sopracciglia cespugliose. In una mano reggeva un bastone nodoso dall'estremità contorta.
– Sù, in piedi ragazza mia! Siamo già in ritardo! – la esortò impaziente, prima di fermarsi ad un paio di metri da lei, scrutandola con un nuovo cipiglio – Certo che non sembri avere una bella cera... ma hai affrontato un viaggio non da poco, avrei dovuto aspettarmi qualcosa del genere.
La poverina, intenta a combattere contro una crescente confusione ed una assoluta incredulità, non riuscì a far altro che guardare il suo interlocutore con aria stralunata.
Non poteva sbagliare... eppure non poteva essere vero.
– ...Gandalf? – si arrischiò a chiedere, e la sua voce le risuonò più roca e sofferta di quanto avrebbe voluto a causa della nausea.
– E chi altri? Forza, dobbiamo sbrigarci – insistette ancora una volta lo stregone, prima di lasciar perdere ogni riserbo e bruciare le distanze residue. Il suo cipiglio tuttavia si distese in un'espressione più bonaria mentre l'aiutava a mettersi in piedi – Ti spiegherò strada facendo... ho qui con me degli abiti, ma non abbiamo tempo. Per ora indossa il mantello, così non darai troppo nell'occhio. Ce la fai a camminare?
Lei annuì con un cenno del capo, seppur ancora incerta, faticando a riemergere da tutte le parole con cui lo stregone grigio la stava sommergendo, ma tanto bastò.
– Bene – commentò infatti Gandalf, con un cenno del capo in segno d'assenso a suggellare la cosa.
Quindi si voltò, imboccando un sentiero fra gli alberi e prendendo a camminare a grandi passi attraverso la boscaglia, cosicché la ragazza fu costretta ad affrettarsi per non rimanere indietro.
Doveva aver battuto la testa più forte del previsto, rifletté mentre si sistemava il mantello donatole dallo stregone sulle spalle, celando ciò che restava dei propri abiti sotto la stoffa verde scuro. Le suole delle scarpe da ginnastica fecero presa sul terreno umido del sottobosco, affondando leggermente nel terriccio mentre la proprietaria incespicava dietro alla sua guida.
– Gandalf – riprovò – dove stiamo andando? E perché mi trovo qui?
– Sei stata portata qui per un motivo ben preciso, mia cara... a proposito, come ti chiami?
– Kat.
– Bene, Kat. Dicevo: sei qui per un motivo ben preciso, ma al momento non posso dirti di più. Ti basti sapere che c'è bisogno del tuo aiuto per un'impresa non da poco e che dovrai far ricorso a tutto il tuo coraggio per affrontarla.
La voce severa e sbrigativa dello stregone grigio, i suoi modi spicci e concisi, risuonarono familiari alla ragazza, tanto da indurla a farsi trasportare dagli eventi. Probabilmente stava solo sognando e non aveva intenzione di rovinare un così straordinario parto della propria mente.
– Sì, ma dove sono? – domandò, pur già conoscendo intimamente la risposta.
Fu in quel momento che la boscaglia intorno a loro si diradò e Kat si arrestò bruscamente, spalancando nuovamente gli occhi dallo stupore nel ritrovarsi davanti i dolci paesaggi collinari della Contea. Il sole era già basso sull'orizzonte ed i suoi raggi tingevano il cielo punteggiato di nuvole di tonalità che variavano dall'azzurro chiaro all'oro passando dal rosso fuoco. Probabilmente mancava meno di un'ora alla fine del giorno ed i campi dinanzi i suoi occhi spiccavano dorati e bruni fra i prati di smeraldo ed i boschetti rigogliosi, il tutto tagliato dalle ombre che iniziavano a proiettarsi lunghe sulla terra. Il fiume si snodava sinuoso in quello spettacolo al pari di un nastro scintillante, impreziosendo quella visione agli occhi della ragazza già rimasta a bocca aperta.
– Questa è la Contea, – le rispose Gandalf con voce che tradiva il profondo affetto che nutriva per quei luoghi, fermandosi a propria volta – la terra dei mezz'uomini, gli hobbit. Fra i luoghi più pacifici della Terra di Mezzo.
Kat dal canto suo non trovò altro da dire, troppo meravigliata nel ritrovarsi davanti una visione simile, così ricca di dettagli come mai era riuscita ad immaginarsela. La sua attenzione fu richiamata l'istante seguente da una nuova esortazione ad andare dello stregone e la ragazza si affrettò a corrergli dietro mentre imboccava una strada battuta che si snodava poco più in basso, oltre il dolce declivio dell'altura sulla quale aveva indugiato nella sua contemplazione.
Il sapore della bile e del vomito di poco prima la indusse a sputare a terra, prima di riuscire ad affiancarlo, e quando lo fece non mancò di pulirsi la bocca con un lembo di stoffa della maglietta. Quel modo di fare, pur per nulla signorile, non sembrò sorprendere o disgustare lo stregone, il quale continuò a tenere lo sguardo fisso avanti a sé mentre tornava a parlare.
– Ti consiglio il massimo riserbo sul luogo da cui provieni – le disse, procedendo con il bastone che batteva rapido sulla via maestra – ..così come io non farei parola del modo in cui ci siamo incontrati o del come tu sia giunta qui, né del fatto che non sei di questo mondo. – e poi lo stregone parve come accorgersi dell'evidenza e, bloccandosi solo un istante per lanciarle un'occhiata dall'alto della sua statura, sfoggiò una smorfia severa e colpevole al contempo – In effetti è meglio se non parli affatto. Penserò io a spiegare le cose, al nostro arrivo.
Kat si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, non sapendo se offendersi o scoppiare a ridere per l'ironia della cosa: era appena stata trattata come quello sconsiderato del giovane Pipino. Scelse una via di mezzo, sorridendo fra sé e sé mentre procedeva accanto alla sua guida, lasciando spaziare lo sguardo per il paesaggio circostante.
Non sapeva come o perché, ma sembrava proprio che fosse stata magicamente trasportata ad Arda e quella consapevolezza le gonfiò il petto di entusiasmo. L'inattesa vitalità le diede le energie necessarie ad accelerare il passo, mentre il buon umore prendeva il sopravvento. Si sentiva emozionata come una bimba la mattina di Natale e bastò questo stato d'animo a farle ritrovare il resto delle forze ed a farla procedere con più sicurezza sulle gambe.
– Sai, sei un po' diverso da come credevo, Gandalf il Grigio.. – commentò non riuscendo a trattenere il proprio pensiero, mentre gli scoccava un'occhiata da sopra la spalla. L'Istar inarcò un sopracciglio e lei sorrise maggiormente – sei più alto di quanto mi sarei aspettata...
Gandalf, che effettivamente la sovrastava con un'altezza che era quasi il doppio della sua, dopo un primo istante di perplessità mosse la mano libera a mezz'aria, come a scacciare quelle parole, ed il suo atteggiamento non fece altro che indurre la ragazza a continuare, imperterrita.
– ...ed anche il resto del paesaggio è diverso, pur non sapendo bene in che modo. – rifletté ad alta voce, guardandosi intorno – Forse il fatto di viverlo in prima persona me lo rende estraneo ed affascinante, più di quanto potesse risultarmi da dietro uno schermo...
– Vorrei tanto comprendere tutto ciò che dici, mia cara, ma sfortunatamente non ho le tue stesse conoscenze sul tuo mondo – la interruppe lo stregone senza tanti giri di parole – e francamente, dubito vi sia qualcuno in queste terre che le possieda.
Kat chiuse la bocca, comprendendo il messaggio, giacché la via iniziava ad avvicinarsi a delle abitazioni: delle vere case hobbit, sepolte sotto le colline come pittoresche tane di coniglio o asserragliate sui versanti erbosi, con le loro porte circolari ed i loro steccati e muretti ricoperti d'edera.
Eppure, malgrado la meraviglia che ancora le condizionava l'animo, quando passò accanto al cortile recintato di una delle piccole dimore ed ebbe ricambiato con un cenno il gentile gesto di saluto di una hobbit intenta a stendere il bucato, si rese finalmente conto dell'evidenza. Di colpo si arrestò, piantando i piedi sul sentiero battuto e cercando lo stregone con lo sguardo.
Non ci credo! – esclamò mentre quello la superava, ignorandola, troppo di fretta per stare a sentirla – Non sei tu ad essere troppo alto... sono io ad essermi ristretta!
Gandalf non le rispose e lei tornò a corrergli dietro, rischiando di inciampare su un ciottolo della strada maestra, sorpresa e quasi sconvolta per quella rivelazione.
– Gandalf! – lo chiamò accusatoria ed agitata, cercando di indurlo a prestarle attenzione.
La cosa funzionò perché, pur non fermandosi, lo stregone tornò a scoccarle un'occhiata da sopra la spalla, ed il suo cipiglio la colpì in pieno.
– Immagino sia dovuto alla natura della missione che ti attende: segretezza sarà la nostra parola d'ordine in questo viaggio e probabilmente queste sono le dimensioni più adeguate al tuo ruolo. Ma non hai proprio motivo, a parer mio di lamentarti, giacché non differisci poi molto dal resto della Compagnia... ed ora, se vuoi farmi questo piacere, ti invito a tenere per te altre osservazioni di questo genere e ad accelerare il passo. C'è ancora parecchia strada da fare, prima di giungere a Casa Baggins.
Sentendo quelle ultime parole, Kat trattenne il respiro, decidendo di rimangiarsi la risposta pronta che aveva già sulla punta della lingua per non creare ulteriori malumori e fare come lo stregone le aveva suggerito. Abbassò lo sguardo, tornando a procedergli al fianco, cedendo al proprio lato più introverso.
– Certo, chiedo venia – disse soltanto, un po' amareggiata. Non voleva infastidirlo ulteriormente con le proprie sciocchezze o il proprio entusiasmo.
Un attimo dopo la grossa mano dello stregone grigio calò sulla sua spalla, schiacciando le morbide onde di una ciocca di capelli lì adagiata.
– Non devi scusarti, giovane Kat – le disse, più bonariamente di poc'anzi – Posso solo intuire come tutto ciò possa risultarti nuovo e sorprendente e come la tua mente debba essere affollata di pensieri e domande, ma ti invito ad avere pazienza. Vedrai che le risposte arriveranno, quando sarà il momento.
La ragazza allora, conquistata dall'assennatezza e dai modi misteriosi che tanto adorava da sempre nello stregone che le procedeva accanto, annuì con un cenno del capo ed un timido sorriso. Quindi, insieme all'Istar, riprese il cammino verso la casa dello hobbit, mentre si chiedeva in silenzio chi, dei mezz'uomini che abitavano nella confortevole dimora a Sottocolle, avrebbe conosciuto di lì a poco.

continua...

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Capitolo 2
*** The Shire ***







“May you hear us sing along, from the forest.
To the tavern's hall, until we fall.”
[ Drunken dwarves, Wind Rose ]




Bilbo, dopo aver sbottato contro nessuno in particolare per l'affollamento di nani cui era soggetta la sua sala da pranzo, aprì di slancio l'uscio rotondo. Ritrovandosi davanti la figura sorridente e china dello stregone grigio, i tasselli del rompicapo andarono infine al loro posto e lo hobbit sospirò, rassegnato.
Avrebbe dovuto indovinarlo subito che c'era lui dietro tutti gli avvenimenti che stavano accadendo quella sera.
– Gandalf.. – lo accolse, non riuscendo a mascherare il proprio disappunto.
– Bilbo... – lo salutò di rimando lo stregone, poggiandosi al proprio bastone – ...perdona il ritardo, sono stato... trattenuto.
E come pronunciò quelle parole, non senza perdere il sorriso benevolo sul suo volto, varcò l'ingresso di Casa Baggins, non mancando di voltarsi verso di lui una volta al riparo. Fu allora che, da oltre l'accesso rotondo, un'altra figuretta, più minuta ed incerta, si fece avanti attirando l'attenzione del padrone di casa.
– Chiedo venia per l'intrusione – mormorò quella, sfoggiando un tenue sorriso imbarazzato.
Bilbo la fissò, pur non volendo, del tutto sorpreso.
Era una giovane donna piuttosto bassa per la sua razza, seppur fosse comunque più alta di lui, tanto da varcare tranquillamente la porta di casa sua senza dover chinare il capo, con folti capelli castani ed un paio d'occhi chiari incastonati in un volto che doveva aver abbandonato la fanciullezza da pochi anni. Indossava un mantello verde scuro sopra abiti che egli non riuscì a distinguere, dato il sottile spiraglio a sua disposizione.
– Lei è una mia amica – la introdusse Gandalf, attirando la sua attenzione.
– Kat – si presentò di slancio quella, come riavendosi da pensieri tutti suoi e sfoggiando un ampio sorriso, prima di rendersi conto dei suoi modi insoliti ed arrossire – ..cioè, volevo dire: il mio nome è Katla, ma gli amici mi chiamano Kat – e quindi, con lo stesso slancio di prima, si piegò in un inchino rigido del busto, tornando rapida a sollevarsi per guardarlo nuovamente in volto: il suo sorriso se possibile era ancor più ampio – Al vostro servizio!
E Bilbo non poté non ricambiare, pur perplesso ed a disagio, a cotanta spontaneità.
– Ed io al vostro, mia signora – la apostrofò, scegliendo di tenere fede alla propria educazione formale da rispettabilissimo hobbit.
Richiuse la porta dietro alla straniera e poi si volse verso di lei e Gandalf, già pronto a riversare il proprio cipiglio sullo stregone e chiedergli le dovute spiegazioni, quando quello lo anticipò.
– Mio caro Bilbo – lo apostrofò – per prima cosa, potresti offrire una stanza alla giovane Katla? Credo si sentirà più a suo agio dopo essersi cambiata d'abito e lavata della polvere del viaggio.
Preso alla sprovvista ma non insensibile a certe cose, lo hobbit tornò a posare i suoi occhi sulla giovane in questione, rammentandosi perfettamente dei suoi doveri verso la nuova ospite.
– Oh... ma certamente – annuì, notando solo ora che era sotto la piena luminosità delle candele come ella recasse segni di sporcizia sulla pelle del volto. E non erano forse un rametto e delle foglie, ciò che si intravedeva fra le onde color castagno che le adornavano il capo?
– Per di qua – la invitò, facendole strada, rammaricato di dover lasciare soli, seppur per pochi minuti, il branco di nani chiassosi intenti a saccheggiargli la dispensa.
Non osò chiedersi come avrebbe ritrovato la cucina, al suo ritorno.


Kat ringraziò Bilbo prima che lui richiudesse la porta della piccola camera degli ospiti in cui l'aveva condotta. Una volta rimasta sola, la ragazza non riuscì a fare a meno di farsi sfuggire un gridolino di entusiasmo, esternando la profonda contentezza che le bruciava in petto con una serie di piccoli saltelli sul tappeto.
Era a Casa Baggins e quello che le aveva aperto la porta era proprio Bilbo Baggins! Per non parlare del baccano che proveniva da una parte non troppo distante della casa... gli artefici non potevano essere altri che la Compagnia di Thorin Scudodiquercia!
Nascose il volto arrossato fra le mani e contenne come poté la risatina che le affiorò dalle labbra, senza perdere neanche una briciola del proprio entusiasmo.
Ora aveva capito: era a misura di nano perché la missione a cui Gandalf aveva accennato era la riconquista di Erebor! Se fosse stata più alta la segretezza, che era requisito fondamentale dell'impresa, avrebbe finito per essere messa a rischio.
Si voltò verso lo specchio che adornava la camera, alto quanto lei, e rimirò il proprio riflesso.
Le fece uno strano effetto vedersi così bassa, ma non per questo si sentì inadatta. Era sempre andata fiera della propria altezza ma, stranamente, ora non provava alcuna sensazione di inferiorità rispetto alla sé stessa del suo mondo.
Slacciandosi il mantello che le aveva dato Gandalf e poggiandolo sul letto, accanto agli abiti che le aveva procurato lo stesso stregone prima di condurla fin lì, Kat tornò ad avvicinarsi alla superficie riflettente.
Il sorriso gongolante che stava increspandole le labbra sfumò, notando come, sotto gli abiti laceri, le sue forme morbide non erano state intaccate a differenza della sua statura. Anzi, ora che era più bassa il suo riflesso le apparve anche più pieno, con le gambe robuste ed i fianchi generosi. Per non parlare della panciotta, in bella vista attraverso il lembo sbrindellato della maglietta. L'unica nota positiva era che, almeno, anche il seno non si era ridotto.
Sbuffò, ma scelse di non lamentarsi troppo di sé stessa per una volta: avrebbe convertito quella massa in muscoli durante il viaggio, ne era più che certa.
E poi i suoi lineamenti, a lei ben conosciuti, rimandavano in maniera inconfondibile alla razza degli Uomini, quindi era davvero ancora umana nonostante la ridicola statura a cui era stata costretta da chissà quale volontà superiore. Tornando all'incontro appena avuto nell'atrio, si ritrovò di nuovo a gongolare ripensando al nome che si era scelta per quell'avventura: ci aveva riflettuto per tutto il tragitto a piedi sin lì, giacché il proprio non sarebbe stato per nulla adatto. Kathrine era decisamente troppo stravagante per quel mondo, sarebbe risultato fin troppo evidente che era una completa straniera ed era qualcosa che lei sperava di evitare, giacché il suo desiderio era ambientarsi il prima possibile ed essere considerata dai suoi futuri compagni di avventure una di loro. Così aveva scelto Katla, in onore ad uno dei vulcani sepolti sotto il ghiaccio del suo mondo.
Iniziò a darsi una ripulita, disfandosi man mano dei suoi abiti: tolse scarpe e calzini e si liberò di maglia e leggins, non mancando di riservare al proprio riflesso un'occhiata in tralice. Fu allora che si accorse che c'era qualcosa che non andava in ciò che vedeva.
Poggiando la pezza umida sul catino in porcellana colmo d'acqua, Kat tornò ad avvicinarsi allo specchio tenendo gli occhi grigio-verdi puntati sulle proprie mutandine.
– No... no, no, no... – iniziò a mormorare, in una litania che una parte di lei sperava funzionasse a mo' d'incantesimo.
Con una certa inquietudine andò ad allargare l'elastico superiore degli slip di cotone e, come il cespuglio scuro che aveva fra le gambe comparve dinanzi ai suoi occhi, le mancò il respiro. L'attimo dopo un urlo di sgomento scosse l'intera collina.
Il trattamento di depilazione! Che fine aveva fatto la depilazione del giorno precedente? Tutta quella sofferenza per estirpare ciò che, nell'arco di mezza giornata, era ricresciuto più rigoglioso di prima?!
Un rumore di passi pesanti in corsa la distolse dalla propria angosciosa contemplazione ed un attimo dopo, alle sue spalle, la porta si spalancò di colpo.
– Che succede, mia signora?! – esclamò trafelato un Bilbo allarmato, prima di bloccarsi a guardarla ed accendersi dall'imbarazzo.
Kat, voltatasi di scatto in sua direzione, cercò di coprirsi con le braccia mentre al contempo si accendeva a sua volta di un rosso intenso in viso.
– Fuori di qui! – urlò d'impulso, con tutto il fiato che aveva, agguantando la prima cosa che le capitò a tiro.
La spazzola saettò nell'aria verso il padrone di casa, il quale fu tirato indietro appena in tempo da un paio di forti mani guantate. I nani al suo seguito ne presero il posto, scavalcandolo e guadagnandosi la prima fila per correre in aiuto di quella che credevano una donzella in pericolo. L'oggetto contundente colpì in piena fronte il primo di loro, Kili, il quale si sbilanciò all'indietro, frenando la carica del manipolo di guerrieri delle Montagne Azzurre che andavano accalcandosi alle sue spalle.
Ouch!
– Uscite subito, razza di maniaci! – inveì la ragazza, completamente fuori di sé dall'imbarazzo.
Agguantò qualcos'altro, una delle sue scarpe, lanciandola ad occhi chiusi verso la porta e colpendo in pieno naso un altro di loro, Bifur, il più lento a ritirarsi sotto quell'attacco improvviso, finché finalmente la furia che si era scatenata in quella camera non venne arginata dal repentino frapporsi dell'anta della porta ad opera di Dwalin.
Un altro tonfo seguì, dato da un nuovo oggetto che batteva contro il legno.
– Non vi azzardate mai più! – strepitò la voce della donna dall'altra parte, pregna di agitazione.
Rimasti in corridoio, i nani accorsi al salvataggio si guardarono l'un l'altro, celando il disagio della figura appena fatta con sorrisetti e facce imbronciate. Kili, massaggiandosi la fronte, fece qualche passo con l'aiuto del fratello maggiore, che lo guardava con un'espressione fin troppo eloquente: stava per scoppiargli a ridere in faccia.
– Ohu.. mi ha preso in pieno, quella – si lamentò.
– Ma che le è preso? – se ne uscì Bofur, sconcertato – Volevamo solo aiutarla.
– Evidentemente abbiamo frainteso qualcosa – commentò diplomaticamente Balin, trovando l'assenso di Bilbo, ancora stralunato per l'accaduto – Su, torniamo di là, lasciamo alla dama qui presente i suoi affari.
Gli altri nani diedero il loro assenso e si allontanarono, ben felici di poter tornare a mangiare e desiderosi di dimenticare quella bizzarra disavventura.
Come colei che, nella piccola stanza degli ospiti, stava realizzando l'accaduto.


Katla varcò la soglia della cucina con ancora le orecchie che le andavano a fuoco e, come i nani accomodati intorno al tavolo la notarono, nella stanza calò il silenzio.
Aveva indossato un paio di pantaloni in pelle ed una larga camiciola bianca dallo scollo a barca che le lasciava scoperte le spalle, al di sotto d'un corpetto di cuoio che le aderiva alla linea dei fianchi grazie ai lacci anteriori. A causa di quanto accaduto poco prima aveva deciso di tenersi sulle spalle anche il mantello, per quanto le temperature fosse tutt'altro che rigide all'interno di Casa Baggins.
– Oh, Katla... ci dispiace per quanto accaduto poco fa. Spero ti unirai a noi, sarai affamata – la accolse Gandalf con un sorrisetto sornione sotto i baffi ed un'aria benevola, mentre indicava la tavolata accanto alla quale sostava ancora in piedi.
La ragazza si sentì di nuovo avvampare nel sollevare lo sguardo sui commensali, ma gonfiò il petto per riemergere dalla tensione che le permeava ogni muscolo e schiuse le labbra.
– Anche a me dispiace – esclamò di getto, prima di frenarsi e far scivolare l'attenzione su ognuno dei nani della Compagnia lì riuniti mentre cercava una scusa plausibile – ...mi era parso di aver visto un topo, ma mi sono sbagliata.
– Oh, non preoccuparti – intervenne per primo Fili, sorridendo e battento una mano sulla spalla del suo fratellino – Non è successo niente, vero fratello?
Quello per riflesso, accigliandosi, si sollevò una mano a tastare il punto in cui era stato colpito in pieno dalla spazzola volante.
– Parla per te! Tu non hai un bernoccolo grosso quanto un'arancia su quella tua zuccaccia vuota – ribatté Kili, rispondendogli per le rime.
Un coro di risate infranse la tensione residua nell'aria e Katla si ritrovò anch'ella a sorridere, suo malgrado, accogliendo con una certa soddisfazione i commenti che seguirono, fra cui un elogio alla sua indole battagliera ed alla sua buona mira. Le venne fatto posto proprio accanto al più piccolo dei Durin, al quale lei non riuscì a non rivolgere un'ultima affermazione giocosa.
– Quel bernoccolo ti aiuterà a dimenticarti di ciò che i tuoi occhi hanno visto in quella stanza, confido – gli disse, sfoggiando un sorrisetto sbarazzino ed osservandolo dritto in volto.
L'altro, forte dell'orgoglio nanico e cogliendo perfettamente lo stato d'animo giocoso di lei, non si perse l'occasione di ribattere allo stesso modo, sorridendole di rimando.
– Desolato di dovervi deludere, mia signora, ma ciò che i miei occhi hanno potuto scorgere è troppo sfavillante per poter essere dimenticato – e le fece un occhiolino, prima di scambiare uno sgaurdo con Fili, il quale gli sferrò di rimando uno scappellotto di ammonimento.
Kat arricciò il naso, ma alle risate che tornarono a levarsi intorno a lei non poté resistere, ritrovandosi ad unirsi all'ilarità generale. Oramai decisamente più rilassata, scoccò un finto sguardo di rimprovero al giovane nano alla sua destra e poi lo lasciò vagare per l'ambiente, sugli altri presenti.
Erano un po' diversi da come se li aspettava, i loro lineamenti non corrispondevano del tutto a quelli del grande schermo, ma lei era comunque in grado di associare alla maggior parte di loro i nomi corretti ancor prima delle presentazioni che seguirono quel momento di giovialità generale. Tutto ciò le parve decisamente strano perché fosse solo un sogno, ma sapeva di non potersi aspettare che avessero gli stessi volti degli attori che li avevano impersonati sulla pellicola cinematografica. Per non puntualizzare il fatto che, comunque, ci guadagnavano nell'aspetto, per quanto i suoi personali criteri di bellezza non fossero forse molto oggettivi. Erano più caratteristici, in un certo qual modo, senza per questo perdere nulla ai suoi occhi.
Anche quando si era trovata davanti Bilbo era stato così: i suoi lineamenti erano leggermente diversi, ma altrettanto calzanti. Era più Bilbo, in un certo senso.
Vide lo hobbit uscire in corridoio in compagnia di Gandalf, lasciandola lì, ma ancor prima che Kat si chiedesse se stava per fare le sue rimostranze allo stregone come nell'opera che tanto amava, davanti al volto le comparve un boccale colmo di birra.
– Bevete, mia signora? – le domandò amichevolmente Fili, lasciando la presa sul recipiente che le aveva appena riposto innanzi al naso.
La ragazza ricambiò meccanicamente il sorriso, annuendo, iniziando a sentirsi sempre più a proprio agio man mano che il ricordo dell'inconveniente di poco prima svaniva dalla sua mente.
– Certamente – replicò, pur non mancando di scoccare un'occhiata scettica alla bevanda non filtrata.
La birra nel suo mondo non le piaceva, ma sapeva che era la bevanda preferita dai nani e non voleva essere da meno, così si avvicinò il boccale.
– Birra al mio tre! – esclamò a quel punto Kili, attirando l'attenzione di tutti ed iniziando a contare – Uno, due.. tre! In alto!
Ognuno dei nani presenti iniziò a bere, cercando di finire il più in fretta possibile il proprio liquido ambrato in quella gara improvvisata. Kat li imitò, ma rischiò quasi di strozzarsi e dovette spezzare il primo lungo sorso in più d'uno, trattenendo i colpi di tosse per non venire subito buttata fuori dalla competizione. Stranamente il sapore della bevanda alcolica le risultò meno sgradevole di quanto ricordasse, con un vago aroma di miele in sottofondo che le rese il tutto più sopportabile.
Il primo a finire fu Nori, che sbatté il proprio boccale vuoto sul tavolo e diede voce ad un rutto sonoro. Lo scroscio di risate venne infranto da Ori, il quale ne esternò uno ancor più impressionante, suscitando altri scoppi d'ilarità.
In tutto ciò, Katla che non era riuscita ad arrivare in fondo nonostante l'impegno, poggiò il proprio boccale sul legno di fronte a lei e, preda dell'impulso del momento e dell'ebbrezza che le stava già infondendo la bevanda frizzantina, si alzò in piedi. Il rutto che le uscì di bocca non poteva competere con quelli degli altri nani e l'effetto che fece fu diametralmente opposto a quello di coloro che l'avevano preceduta.
Per i primi interminabili istanti a seguire, il silenzio che calò nella sala le fece temere il peggio, ma poi venne interrotto da uno scoppio di risa ed esclamazioni ancor più fragoroso dei precedenti.
– Così, Katla!
– Per tutte le barbe dei nani!
– Piccoletta per una donna, ma si fa sentire..
– Complimenti alla nostra nuova amica!
– A Katla!
A KATLA! – esclamarono in coro, innalzando i boccali al soffitto.
La diretta interessata si ritrovò ad arrossire di gioia, mentre un nuovo calore le si diffondeva al centro del petto, colmandola totalmente. Per la prima volta da sempre si sentì parte integrante di un gruppo a lei affine e fu come se, finalmente, avesse trovato ciò che molti cercavano: il posto che più le apparteneva.
Fece un inchino scherzoso, quindi si risedette, non riuscendo a smettere di sorridere.
Sì, quella sarebbe stata l'esperienza migliore della sua vita, se lo sentiva.


– ..io non capisco che cosa ci fanno tutti questi nani in casa mia! – sbottò Bilbo, al colmo dell'esasperazione.
– Suvvia – tentò di rabbonirlo lo stregone – sono un'allegra combriccola, una volta che ti abitui a loro.
– Io non voglio abituarmi a loro, io...
– La giovane Katla sembra andar molto d'accordo con loro – gli fece notare Gandalf a tradimento, soffermandosi sotto la volta dell'ingresso alla sala e inducendolo a guardare all'interno – ..eppure è ancor meno avvezza di quanto lo sia tu al popolo dei Nani, a quanto ne so.
Lo hobbit osservò la ragazza in questione intenta a chiacchierare con un paio di loro. Sembrava davvero a proprio agio, nonostante quanto avvenuto meno di un'ora prima sotto quello stesso tetto. Da parte sua il padrone di casa stava ancora tentando di non pensarci, troppo imbarazzato per la sua indole gentile e riservata di abitante della Contea.
Si sarebbe scusato a dovere alla prima occasione, decise.
– Chiedo scusa – Ori si avvicinò a lui con il piatto vuoto in mano – come preferite che siano trattate le vostre stoviglie?
Bilbo inarcò un sopracciglio, confuso, e tardò un istante a rispondere, ma tanto bastò perché venisse anticipato. Fili, quello biondo, comparve come dal nulla togliendo di mano il piatto al compagno.
– Ci penso io Ori, dallo a me – affermò, prima di lanciarlo senza riguardo verso il fratello.
Kili lo prese al volo e lo imitò, facendolo volare nei pressi del lavello all'interno della cucina, dove un inaspettato Bifur lo agguantò senza nemmeno voltarsi a guardare.
In men che non si dica piatti e stoviglie iniziarono a volare per aria da un nano all'altro, facendo prendere un coccolone al povero Bilbo.
– ..s-scusate! Quella è una terraglia di mia madre del Decumano Ovest! – tentò di protestare, sull'orlo di una crisi.
Come Fili, incurante dei suoi nervi, prese a far rimbalzare una tazza da un braccio all'altro, lo hobbit si sentì mancare.
– No.. no..!
Niente, nessuno lo stava ascoltando, anzi, altri due seduti a tavola iniziarono ad incrociare le posate fra loro con un ritmo cadenzato.
– Scusate, potete smetterla di fare così? – li interpellò – Le spunterete.
– Oh! – proruppe Bofur, uno dei due malfattori, verso i suoi amici – Avete sentito? Spunteremo le lame!
Ed in Casa Baggins, al tempo di quei rintocchi, iniziarono a risuonare le voci profonde di tutti.

Spuntar lame neanche poco [*]
romper bottiglie e tappi al fuoco
scheggiar coppe con tutto il resto..
questo Bilbo lo detesta!

Katla si guardava intorno deliziata mentre la canzone improvvisata dai membri della compagnia le risvegliava la memoria. Ogni cosa stava procedendo proprio come la ricordava, almeno fin'ora, e quella era una delle sue parti preferite, così si ritrovò senza rendersene conto a battere il tempo con gli altri ed a cantare.

La tovaglia per mangiar,
sopra il letto le ossa lasciar,
in dispensa latte versar,
vino ovunque poi schizzar!
Le stoviglie nell'acqua e poi
nel mortaio le puoi versar,
e se qualcuna si salvò...
sempre in terra gettar si può!

Delle note vennero improvvisate con un flauto nanico e la ragazza rise, deliziata, troppo per provare anche solo un poco di pena per il povero hobbit lì presente, il quale pareva sul punto di svenire da un momento all'altro.
Questo finché la canzone non si concluse con l'ultima strofa – Questo Bilbo lo detesta! – ed il diretto intressato non si fece strada fino al tavolo, bloccandosi nel ritrovare le stoviglie linde e pulite e perfettamente intatte sopra di esso. I nani avevano appena terminato di lavare i piatti, senza scheggiarne nemmeno uno.
E di nuovo vi furono risa per l'espressione stralunata del padrone di casa.
– Hai visto, Bilbo? – chiese Gandalf retorico, traendo una boccata dalla sua amata pipa.
– Guardate che faccia! – proruppe Kili, indicando il loro anfitrione e scatenando altra ilarità.
Katla, pur cercando di trattenersi, ridacchiando si accostò allo hobbit, ponendogli una mano sulla spalla. Come il piccoletto si voltò a fissarla, la ragazza tentò di trasmettergli il proprio messaggio e gli sorrise, e lui in un certo qual modo parve cogliere le sue intenzioni perché, dopo un istante di incertezza, la ricambiò, per così dire.
Lei comunque si fece bastare quella sua piccola smorfietta a mezza via fra un sorriso ed un tic nervoso, lasciando scivolare di nuovo l'arto lungo il fianco e facendo un passo indietro nell'esatto momento in cui risuonarono dei colpi decisi e cadenzati provenire dalla porta d'ingresso.
Tutti, intorno a loro, a quel rumore si bloccarono, scambiandosi sguardi velati di sottintesi: si aspettavano una sola persona.
E Kat già sapeva, come pure gli altri nani, di chi doveva trattarsi.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 3
*** Durin's Heir ***







“Just a taste of the fate
We don't know..
There's a force in our dreams
that ignores the tears
from the face falling straight to the heart”
[ Son Of A Thousand Nights, Wind Rose ]




Fu Gandalf ad aprire la porta d'ingresso, rivelando sullo sfondo della notte scura la figura del nano in attesa. Thorin Scudodiquercia si fece avanti, varcando l'atrio circolare della piccola casa hobbit con passo sicuro e pesante.
– Avevi detto che era facile da trovare – si lamentò verso l'Istar, con una nota di biasimo nella voce profonda che andava colmando l'atrio, mentre Kat tentava di mascherare il sorriso divertito ed emozionato che le era nato spontaneamente sulle labbra – ..ho smarrito la via due volte! Non l'avrei affatto trovata se non fosse stato per il segno sulla porta.
Bilbo, rimasto indietro sino a quel momento, si fece avanti per richiudere la spessa anta di legno dietro al nano.
– Segno? Non c'è alcun segno, la porta è stata dipinta di fresco la settimana scorsa – affermò, non senza una punta acida nella voce.
Gandalf lo contraddisse bonariamente, con quel modo di fare paziente ed accomodante che gli era tipico quando aveva a che fare con lo hobbit, e Katla, rimasta accostata ad una delle travi ricurve che sostenevano come costole le pareti piene della confortevole dimora, si immobilizzò suo malgrado, non appena i suoi occhi si posarono sull'erede al trono di Erebor.
Thorin Scudodiquercia svettava al centro dell'atrio di Casa Baggins con fierezza, il mantello scuro ad avvolgerne la figura dal portamento austero e per nulla intimorito. La giovane smise meccanicamente di respirare nell'osservare la luce delle candele che ne illuminava i lineamenti decisi e regali, messi in risalto dalla folta chioma corvina e dalla barba ben curata e tenuta moderatamente corta per un nano. Distrattamente, Kat si chiese se quella scelta fosse dovuta alla sua età relativamente giovane oppure al suo rango di Principe spodestato e privato del suo regno, poi ogni pensiero coerente andò in frantumi appena ne incrociò gli occhi.
Erano occhi color ghiaccio, fieri e penetranti, quelli che si fissarono nei suoi, minacciando di scavare una voragine all'interno del suo petto e portandola istintivamente a stringersi maggiormente nel proprio mantello.
Il carisma emanato dal nuovo arrivato era palpabile, tanto da renderle improvvisamente difficile respirare. Non era in grado di spiegarlo a parole: c'era qualcosa in Thorin che ispirava un profondo rispetto ed un timore reverenziale che non erano comuni, ma non era soltanto questo ad inchiodarla contro la trave di legno a cui era poggiata. Il sussulto traditore che colse il suo cuore non aveva niente a che vedere con simili considerazioni.
Poi, dopo appena un paio di secondi, un tempo che per lei fu interminabile, gli occhi del nano passarono oltre e Kat fu di nuovo in grado di respirare.
– Bilbo, Katla – esordì Gandalf – permettetemi di presentarvi il capo della nostra Compagnia: Thorin Scudodiquercia.
Sentendosi chiamare in causa, la ragazza riuscì a distogliere lo sguardo dal Principe dei Nani di Erebor per alternarlo fra lui e lo stregone, finendo per avvampare in volto senza apparente motivo mentre il suo cuore accelerava i battiti. Eppure, nonostante le aspettative che già iniziavano a formarsi in lei, Thorin la guardò appena, prima di donare la sua attenzione a Bilbo.
– E così, questo è lo hobbit.. – commentò, posando una mano sulla spalla del mezz'uomo.
La voce con cui pronunciò tali parole risuonò alle orecchie della giovane donna profonda e piacevolmente roca. Se Kat non fosse stata tanto sulle spine, lì a pochi passi da Gandalf e gli altri, ma fosse invece stata sul divano di casa propria, non avrebbe mancato di esternare un sospiro sognante davanti all'immagine del volto del discendente di Durin.
– Ascia o spada? Qual è l'arma che preferite? – lo interpellò direttamente Thorin, prima che spostasse l'attenzione su di lei – E voi, mia signora?
Kat sussultò leggermente, drizzando le spalle, avvertendo la tensione tornare alla carica.
Il nano la stava studiando e soppesando con quello sguardo penetrante e lei ne fu fin troppo consapevole.
– ...spada, – mormorò dopo un attimo, prima di deglutire ed aggiungere con un filo di voce – anche se confesso di non averne mai maneggiata una vera.
Come quelle parole le scivolarono fuori dalle labbra, Kat se ne pentì, mordendosi il labbro e dandosi mentalmente della stupida.
Thorin, dal canto suo, non sembrò affatto sorpreso e scoccò un'occhiata eloquente agli altri suoi compagni lì presenti.
– Lo immaginavo.
Quelle due semplici parole ebbero lo stesso effetto di una pugnalata al petto e la giovane si ritrovò a serrare le mani a pugno lungo i fianchi mentre deviava lo sguardo a lato, verso il pavimento. Premette le labbra le une contro le altre, vergognandosi della figura appena fatta dinanzi a tutti e cercando di trattenere l'improvvisa amarezza che ne stava derivando.
– Anche il signor Baggins sembra più un droghiere, che uno scassinatore – aggiunse Thorin, canzonatorio, e basse risate vennero esternate dagli altri nani.
Quindi si spostarono in cucina, dove il nuovo venuto venne rifocillato e l'oggetto di quella insolita riunione venne esposto a tutti loro. Katla si tenne in disparte, studiandone la figura di spalle dallo stipite in legno contro cui si era appositamente appoggiata. Avrebbe tenuto per sé il vantaggio di poterlo osservare e studiare liberamente, senza il rischio che quei suoi occhi di diamante potessero fare altrettanto con lei.
La pelliccia di lupo che Thorin portava sulle spalle gli conferiva un aspetto quasi selvaggio, del tutto in contrasto con i modi composti con cui stava mangiando e la piega ordinata della sua folta chioma corvina. Fra quelle spesse ciocche scure un paio di anelli in metallo, forse d'oro, catturarono la luce delle candele quali semplici ornamenti, così come erano d'ornamento le due treccioline che gli pendevano sul petto.
Da dietro di lui, la ragazza nella sua contemplazione si ritrovò a realizzare che la chioma del discendente di Durin fosse più morbida e curata di quanto si sarebbe mai aspettata da un nano e provò il desiderio di affondarvi una mano per sincerarsene. Quel pensiero la fece arrossire ancora e si diede della stupida per la seconda volta in pochi minuti.
Cosa diamine le passava per la mente?
Certo, Thorin era sempre stato il nano che più l'affascinava dell'intero racconto, seguito nella sua personale classifica di preferenze solo dai suoi nipoti, ma questo esulava dalla semplice simpatia che sapeva di provare nei riguardi di quel personaggio.
Senza contare l'effetto che le avevano fatto quegli occhi quando si erano posati su di lei.
Se non fosse stata troppo orgogliosa per ammetterlo, avrebbe detto che si era presa una cotta, così, a colpo di fulmine.
Scosse leggermente il capo, scacciando dalla mente tali pensieri, per poi passare in rassegna tutti gli altri nani lì riuniti, esaminandoli brevemente uno ad uno. Iniziò da Balin che, pur atteggiandosi a nano saggio e vissuto, appariva più giovane di quanto ella si sarebbe aspettata a causa della folta barba bianca che gli pendeva sul petto. Ad occhio doveva avere circa la stessa età del capo della Compagnia, ma anche un naso decisamente più grosso.
Oin e Gloin erano quasi identici, non fosse per il colore delle loro barbe; il loro legame di sangue era evidente agli occhi della ragazza, la quale si ritrovò a sorridere nel notare l'intreccio in cui erano agghindati i baffi castani del secondo.
Dori, Nori e Ori erano invece fra loro cugini ed erano del tutto diversi l'uno dall'altro, abbastanza da renderle difficile intuire quale dei tre fosse il più vecchio. Il primo, Ori, con la sua barba relativamente corta e ben curata già sfumata di grigio aveva certamente l'aspetto più raccomandabile del terzetto, ma Dori li batteva in altezza e stazza, riconfermandosi il più forte fra loro. Nori invece era quello dall'aria più sospetta, ma Kat si riservò il diritto di badare bene ai propri pochi averi e nient'altro, giacché non sembrava un così brutto elemento ed era senz'altro un membro leale della Compagnia lì riunita.
Bifur, cugino di Bofur e Bombur, aveva quell'inquietante testa d'ascia che gli spuntava dal lobo frontale, fra le ciocche sparate per aria, e Kat lo aveva sentito parlare soltanto khuzdul da quando era arrivata, ma aveva avuto più volte la prova che egli comprendesse la lingua corrente tanto quanto gli altri.
I suoi cugini invece erano uno diverso dall'altro per stazza e lei dovette sopprimere un sorriso nell'osservare una volta di più l'insolito cappello pesante di Bofur, che gli conferiva un po' l'aria di uno spaventapasseri. Ad entrambi donavano molto le grosse trecce con cui avevano acconciato i capelli, seppur Bombur, il rosso, avesse anche due baffoni che facevano invidia al fratello per foltezza e lunghezza.
Fili e Kili erano Fili e Kili, non c'erano molti altri modi per descriverli, giacché i due principi dei Nani non erano quasi per nulla dissimili all'aspetto che essi avevano nel suo mondo: uno biondo, l'altro castano, uno con una barba ben curata e le treccine, l'altro coi capelli lunghi mossi e la rosea linea del mento ancora visibile sotto i peli del volto. Entrambi avevano la stessa luce negli occhi ed il loro legame fraterno era palesemente forte, più di quanto le loro caratteristiche fisiche suggerissero, ed avevano caratteri somatici che li accomunavano al loro nobile zio.
L'ultimo della sua silenziosa opera di osservazione fu Dwalin, pari per stazza solo a Dori e la cui capa rasata e tatuata la impressionò per l'intricato disegno geometrico formato dall'inchiostro. La sua barba, talmente nera da apparire bluastra sotto la luce giusta, era folta e lunga sino al petto ed il suo naso aquilino faceva il paio con quello di suo fratello maggiore Balin, seppur avesse in volto un'aria perennemente più cupa di quella del familiare. Per quanto apparisse burbero e ruvido nei modi però, Katla trovava la sua presenza quasi rassicurante, giacché sapeva che se avesse avuto bisogno di sapere la verità egli gliel'avrebbe senz'altro detta, così com'era, nuda e cruda, e questo bastava per fargli guadagnare la sua simpatia incondizionata.
Con una certa soddisfazione la giovane donna, ancora a braccia conserte, terminata l'osservazione dei nani lì riuniti, tornò a prestare attenzione allo svolgersi di eventi che intimamente già conosceva. La mappa per la Montagna Solitaria era stata spianata sulla tavola, alla luce di una candela portata dallo stesso Bilbo, ed i nani e lo stregone stavano già colloquiando riguardo all'impresa da compiersi.
– ..e il regno della bestia avrà fine.
Quelle ultime parole parvero riscuotere Bilbo, il quale, indietreggiato fino ad affiancarla, tornò a mettersi sull'attenti.
– Quale bestia? – chiese, scambiando un'occhiata incerta con la ragazza.
Kat non fece una piega, le braccia incrociate sotto il seno e l'aria di pacifica attesa. Non dovette aspettare un istante di più che, come da programma, fu Bofur a rispondergli e senza alcun tentennamento.
– Smaug, il Terribile, – chiarì, con la naturalezza che poteva possedere solo un nano mentre parlava di tali questioni – la maggiorissima e più grande calamità della nostra Era.
Nessun altro fiatò o lo interruppe, e lui continuò.
– Uno sputafiamme volante... denti come rasoi, artigli come ganci da macellaio... appassionato di metalli preziosi...
– Sì, so cos'è un drago – intervenne a quel punto, un po' infastidito, Bilbo.
Eppure Kat si accorse che sotto quell'aria corrucciata da lui assunta vi era un'inquietudine che poteva esser dovuta soltanto al timore che probabilmente gli causava il pensiero di un vero drago sputafuoco.
Balin prese la parola con voce ben più greve e pacata di quella pregna di leggerezza di Bofur, attirando l'attenzione di tutti loro.
– Il compito sarebbe già arduo con un esercito alle spalle, – affermò, palesemente preoccupato – ma siamo solamente tredici. E nemmeno i tredici migliori... né i più svegli.
Un brusio di protesta si levò intorno al tavolo, messo presto a tacere da Fili.
Il nano biondo attirò per la prima volta l'attenzione su di sé con un colpo secco sul tavolo, parlando con orgoglio e decisione.
– Saremo pure pochi di numero – proruppe, facendo vagare lo sguardo azzurro e limpido fra i suoi compagni e amici, guadagnandosi il loro assenso – ma siamo combattenti. Tutti quanti. Fino all'ultimo nano!
– E dimenticate che abbiamo uno stregone con noi! – si accodò Kili, in rinforzo al fratello maggiore, con incoraggiante ottimismo – Gandalf avrà ucciso centinaia di draghi ai suoi tempi!
Kat si ritrovò a dover soffocare una risata sul nascere, sollevando una mano per celare la piega delle labbra. Provò un po' di compassione per lo stregone grigio che, ritrovatosi ora al centro dell'attenzione, stava cercando di uscirne senza perdere la faccia. Per lei era palese che l'Istar non avesse mai compiuto simili imprese, al contrario di quanto i nani erano propensi a credere.
Le esortazioni a parlare si tramutarono ben presto in schiamazzi e lo stesso Bilbo parve in difficoltà, ma non fu la sua vocetta a riportare l'ordine, bensì una più tonante e perentoria.
SHAZARA![1]
Era stato Thorin a esclamare quell'unica parola in khuzdul, sollevandosi in piedi e riportando immediatamente la sala al silenzio.
Kat ne ammirò una volta di più la figura ergersi fieramente a capotavola, affrontando i compagni e le loro paure con stoica inflessibilità. Sorrise, ammirando la stoicità tipica dei Nani in tutto il suo splendore, notando con una parte di sé come il resto dell'ambiente fosse apparso più piccolo di quanto in realtà non fosse intorno all'erede di Durin, la cui personalità ne aveva colmato ogni angolo.
– Se noi abbiamo interpretato quei segnali, non pensate che anche altri lo abbiano fatto? – domandò questi, provocatorio – Le voci hanno iniziato a diffondersi: il drago Smaug non viene avvistato da sessant'anni.
Proprio come ricordava, pensò Kat, annuendo fra sé e sé.
Lasciò che il nano a capo della spedizione continuasse il suo discorso, ispirando nuovamente gli animi dei suoi compagni e persino il suo, che eppure era un'estranea alle vicende ed alle aspirazioni di quel popolo. Nonostante ciò, un sentimento di affinità sbocciò in lei, pervadendola come un brivido sotto pelle al pensiero del viaggio che li attendeva... ed a cui lei era intenzionata a prender parte, ovviamente.
D'altronde l'aveva detto lo stesso Gandalf che lei era lì per una ragione.
La chiave della porta nascosta venne mostrata e poi passata dalle mani dello stregone a quelle di Thorin, e la conversazione prese sempre di più una piega favorevole di fronte ai suoi occhi, finché non si ritornò sull'argomento della presenza di Bilbo.
– Ecco perché uno scassinatore! – proruppe meravigliato Ori, calamitando l'attenzione di tutti sul povero hobbit lì vicino.
Gli altri dodici nani si voltarono a guardarli e pure Kat inizialmente scoccò un'occhiata disinteressata al padrone di Casa Baggins, sentendosi ormai del tutto a proprio agio nelle vesti di spettatrice. Ma aveva fatto male i conti.
– Ed un'esperta di mappe – si accodò con soddisfazione Kili, puntando lo sguardo scuro su di lei.
Improvvisamente oggetto dell'attenzione altrui, Kat si irrigidì in ogni muscolo, facendo saettare lo sguardo fra l'uno e l'altro.
– Sei in grado di leggere questa mappa, ragazza? – la interpellò Balin.
– Come?
– La mappa, Piccola Furia – l'apostrofò Dwalin, con quel suo tono burbero e spazientito, prendendola ancor più in contropiede.
Kat, che non si aspettava certo di essersi guadagnata un soprannome così in fretta, boccheggiò e alla fine cercò con lo sguardo l'unico fra i presenti che avrebbe potuto aiutarla. Gandalf, per contro, non le fornì alcun sostegno, limitandosi a sollevare ambo le sopracciglia cespugliose ed a deviare lo sguardo altrove.
Per contro, a ricambiare il suo sguardo ci pensò Thorin, il quale la inchiodò con quei suoi occhi chiari sul posto e lei, dopo un istante, avvertendo la tensione salire alle stelle e le gote imporporarsi, finì per deglutire.
– Ecco... più... più o meno – balbettò, riuscendo infine a distogliere lo sguardo dal Principe ed abbassandolo sulla mappa in bella mostra sul tavolo – Non so leggere le vostre rune – confessò – ma ci so fare ad orientarmi, ecco.
– E tu, signor Bilbo? – proruppe Nori, apparentemente soddisfatto, interpellando lo scassinatore del gruppo.
– Io cosa? – chiese quello, senza capire, voltando il capo da una parte all'altra.
– Come te la cavi come scassinatore?
Sorpreso, il mezz'uomo ci mise un paio di secondi a realizzare e negò subito dopo.
– Io non sono uno scassinatore, – affermò senza peli sulla lingua – non ho mai rubato niente in vita mia.
– Temo di dover concordare con il signor Baggins – commento Balin, tutto meno che soddisfatto – non ha la stoffa da scassinatore... e, con tutto il rispetto, dubito che la ragazza sarebbe di un'utilità maggiore in quest'impresa.
I muscoli di spalle e braccia le si tesero a quelle ultime parole, non aspettandosi un giudizio simile proprio da Balin. Eppure lei non riuscì a ribattere né a rivalersi, concordando intimamente con quanto affermato: non era una guerriera e non era una gran esperta di mappe di Arda, neanche sapeva leggere le rune naniche! Il suo unico pregio in quella storia era il suo senso dell'orientamento, ma anche i nani lì presenti dovevano averne quanto e più di lei, o almeno così era logico supporre.
– Le Terre Selvagge non sono per la gente a modo che non sa lottare, né badare a sé stessa – rincarò la dose Dwalin, suscitando commenti più o meno concordi fra gli altri nani.
Incrociando gli sguardi di Fili e Kili, Kat li vide abbassare i loro con aria corrucciata ed affranta e lei comprese che la pensavano allo stesso modo, anche su di lei. Cercando di trattenere la delusione, la giovane allora affondò le dita nella stoffa candida delle maniche della camicia, sotto i lembi del mantello, con una veemenza tale da rendere il busto e la posa incrociata delle sue stesse braccia rigidi e tesi come funi.
Fu a quel punto che, contrariato e spazientito, Gandalf proruppe in loro difesa.
– Basta! – esclamò sollevandosi in piedi, mentre la sua ombra si allargava intorno a lui, facendo guizzare la fiamma delle candele e facendo sussultare tutti loro – Se io dico che Bilbo Baggins è uno scassinatore, allora uno scassinatore è!
Il diretto interessato aprì la bocca, palesemente stupito ed impressionato. Persino Kat si ritrovò a spalancare lo sguardo sullo stregone, pur aspettandosi un'uscita così, giacché vivere quell'esperienza sulla propria pelle ed avvertire l'intimidazione esercitata su di loro da parte dello stregone era ancor più impressionante ai suoi occhi. Nessuno osò interromperlo mentre illustrava le qualità del passo leggero degli hobbit, ma fu quando alluse al compito di trovare il quattordicesimo membro della compagnia che Kat si rese conto di una cosa.
Quattordici.
Non quindici.
Erano sempre stati quattordici i destinati a viaggiare con Gandalf verso la Montagna Solitaria.
E allora lei cosa ci faceva lì?
– E la ragazza? – proruppe la voce profonda di Thorin, facendola sussultare silenziosamente, esponendo quello che era il suo stesso interrogativo senza nemmeno saperlo.
– Katla è qui su mia iniziativa personale, – confessò Gandalf, imperturbabile – in quanto è mia convinzione che le sue conoscenze saranno di vitale importanza per il buon esito della missione.
Finalmente lo stregone la degnò di uno sguardo e lei, seppur ancora tesa e sulla difensiva, in quegli occhi affettuosi e saggi ritrovò parte della propria sicurezza. Certo, non aveva ancora ben chiaro ciò che lo stregone si aspettava da lei, ma avrebbe fatto del proprio meglio per non essere un peso per nessuno. Ma non ci sarebbe riuscita se non avesse iniziato subito a combattere le proprie battaglie da sola.
Inspirando profondamente dal naso sciolse la posa delle braccia, lasciandole ricadere lungo i fianchi mentre abbandonava l'appoggio dello stipite della porta e faceva un passo avanti. Entrando maggiormente nel fascio di luce della candela, sostenne quindi lo sguardo di ognuno dei nani presenti, passando da Dwalin alla sua sinistra e continuando in circolo, finché non concluse con Balin e Thorin alla sua destra. Su quest'ultimo la sua attenzione si soffermò più a lungo, sollevando il mento con fierezza e testardaggine.
– Come ha detto Gandalf, sono in possesso di conoscenze a voi inaccessibili e vi servirà il mio aiuto, – affermò con decisione, fronteggiando il Principe ma rivolgendosi al contempo a tutti i nani – che lo vogliate o meno.
– Perché vuoi aiutarci? – la interrogò Thorin, impassibile.
– Perché... – Kat indugiò un solo istante, ma poi scelse di non mentire – ...non ho mai visto un vero drago. Come non ho mai visitato le terre ad oriente dei Monti Nebbiosi, né ho mai parlato con un Elfo o un Nano prima d'ora, esclusi i presenti. Ciò che sto cercando di dire è che ci sono esperienze che voglio fare e questa è la mia occasione... forse l'unica che avrò mai. E non ho intenzione di farmela scappare, non dopo che mi è stata offerta così generosamente dal nostro stregone.
E nel dirlo scoccò un'occhiata in tralice all'Istar, decidendo di riversare su di lui la responsabilità della sua presenza lì. D'altra parte, era esattamente quello che le doveva, giacché non era finita in quella situazione per sua mera volontà... anche se, certamente, non se ne sarebbe lamentata né in quel momento, né in quelli a venire! Era nella Terra di Mezzo e stava per prendere parte ad una delle avventure più emozionanti con la Compagnia che più adorava! Francamente, in quel momento non riuscì affatto a pensare ad un posto migliore in cui trovarsi.
– Molto bene.. – esordì infine Thorin, distogliendo l'attenzione da lei per riporla sull'Istar – faremo a modo tuo.
E Kat esultò intimamente: era fatta!
Per contro, Bilbo parve perdere colore.


La dimora dei Baggins era piombata nella quiete. I nani si erano già riuniti davanti al camino e ben presto, dalla porta socchiusa, Kat udì provenire le profonde voci del loro canto in onore della patria ormai perduta[*].
Si ritrovò a canticchiare fra sé e sé mentre riempiva la sacca da viaggio che lo stesso Bilbo le aveva procurato con coperte, abiti pesanti e stivali di ricambio. Vi infilò dentro anche il proprio contratto, avendo deciso di riconsegnarlo a Balin il mattino dopo. Lo aveva già firmato, mentre Bilbo, come da copione, ne stava ancora parlando con Gandalf. Amava quei versi che conosceva a memoria e li canticchiò con loro fra sé e sé, forte della riservatezza che le dava la piccola stanza.
Fra tutte, la voce di Thorin spiccava al suo orecchio, rendendole quella melodia ancor più piacevole.
Una volta richiusa la sacca, la ragazza si guardò brevemente intorno.
La piccola camera era arredata di tonalità calde e la giudicò decisamente accogliente, con tutto quel legno a delimitare le pareti ricurve. La finestra circolare oltre il letto era piccola e rinforzata in ferro battuto, ma attraverso i vetri ella si ritrovò a scrutare l'oscurità della notte chiedendosi se davvero ciò che stava vivendo era solo un sogno.
Le sembrava tutto così reale... lei stessa si sentiva incredibilmente lucida e viva, come mai prima!
Inspirò a pieni polmoni, cogliendo distintamente fra gli odori dell'ambiente un aroma di cannella misto a legno stagionato, sorprendendosi una volta di più di come tutto risultasse nitido ai suoi sensi. No, quello non poteva proprio essere soltanto un sogno.
La ballata nata dal coro di voci dei tredici nani si concluse, lasciando che la dimora dello hobbit sprofondasse nuovamente nella quiete, e Kat avvertì l'improvviso bisogno di uscire a respirare l'aria della notte, preda di un'agitazione nuova e soffusa, persistente.
Così attraversò con passo cauto i corridoi pavimentati in legno, sgattaiolando verso l'atrio come un'ombra sulle pareti, desiderosa di non farsi notare. Caso volle che, se anche qualcuno la scorse passare, nessuno la fermò o le diede importanza, giacché erano tornati a discutere del da farsi ed a dare le ultime delucidazioni al loro aspirante scassinatore, cosicché in pochi secondi la ragazza fu fuori, sul vialetto che portava alla staccionata.
Sollevando lo sguardo sulla volta celeste, Kat rimase senza fiato: le nuvole erano scivolate lontano, lasciando il posto ad una distesa inimmaginabile di stelle come non ne aveva mai viste in vita sua. Col capo castano reclinato all'indietro, la giovane faticò a muoversi e quando lo fece raggiunse a malapena lo steccato che delimitava l'accesso alla proprietà di Bilbo Baggins, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quella vista.
Così rimase lì, immersa fra i propri pensieri con il naso all'insù, appollaiata sulle assi della staccionata e persa in quello spettacolo mozzafiato e nella sensazione di immensità che le suggeriva. Si sentì piccola, ancor più di quanto era diventata, ed insignificante sotto quel cielo scintillante, e la cosa la indusse a chiedersi cosa avrebbe realmente potuto fare per Thorin e gli altri. In fin dei conti non era nemmeno un'abitante della Terra di Mezzo, che diritto aveva lei di trovarsi lì e dare il proprio contributo?
Che diritto aveva di cambiare la storia, fosse anche con la propria sola presenza?
Sospirò, finendo per ripensare alle parole di Gandalf nei suoi riguardi, a quando le aveva confidato che era lì per un motivo ben preciso e per dare il proprio contributo alla vicenda che stava andando a svolgersi. Si chiese in che modo avrebbe potuto farlo, se non sapeva cosa di preciso lo stregone voleva che facesse.
Inspirò a pieni polmoni l'aria della notte, cogliendo in essa i profumi della Contea, e bastò quell'aroma ad indurla a sorridere, scacciando tali crucci dalla propria mente turbata. Come aveva detto Gandalf, a tempo debito le sarebbe divenuto tutto chiaro, doveva solo attendere ed avere fiducia nelle parole dello stregone.


Thorin notò la porta d'ingresso socchiusa e, dopo un istante di perplessità, deviò il proprio passo in quella direzione. La riunione era finalmente conclusa e lui s'era già congedato dai suoi, i quali, accompagnati da Mastro Baggins, stavano andando a coricarsi nelle stanze della spaziosa dimora del mezz'uomo.
Uscendo all'esterno per verificare la presenza di qualcuno dei suoi, si sorprese tuttavia nel ritrovare la figura della giovane donna ad un paio di metri da lui, voltata di schiena, intenta ad osservare il cielo notturno mentre se ne stava seduta in bilico sulla staccionata.
L'aveva creduta già a letto, o intenta alle sue faccende da donna, pertanto non si era aspettato di trovare proprio lei immersa nella quiete della notte stellata. Il confronto che avevano avuto quella sera, il modo in cui ella aveva sostenuto il suo sguardo e ribadito la propria posizione in sua presenza, per nulla intimorita dal giudizio di nessuno di loro, lo aveva favorevolmente colpito pur non avendogli fatto cambiare idea sul suo conto.
Che fosse una donna non avvezza all'uso delle armi era evidente ai suoi occhi e, non fosse stato per la parola di Gandalf, non avrebbe mai permesso ad una come lei di unirsi alla sua Compagnia. Certo, poteva imparare, ma non era ancora convinto che non si sarebbe rivelata un peso e la cosa lo poneva di fronte ad un conflitto interiore non da poco, tale da renderlo inquieto.
Per questo impiegò un intero minuto per decidersi ad avvicinarla e quando lo fece i suoi occhi azzurri non si staccarono mai dalla schiena coperta dal mantello verde di lei. Gli era parsa di corporatura morbida sotto le stoffe dei suoi abiti da viaggio ed aveva capelli di un castano vivo, tendente ad un particolare rosso mogano, lucidi ed inclini a dar forma a morbide onde boccolose che le ricadevano sulle spalle.
Quando la affiancò, restando dietro lo steccato sul quale ella era appollaiata, si corrucciò un poco nel rendersi conto di non essere ancora stato notato. Se quello era il grado d'attenzione che aveva per ciò che la circondava, non sarebbe sopravvissuta a lungo nelle Terre Selvagge.
– Dovresti rientrare, mia signora – affermò senza alcun tatto, schietto e privo di preamboli.
La reazione di lei fu repentina e più espressiva di quanto tuttavia egli stesso si sarebbe aspettato, giacché sussultò e si volse a guardarlo con una rapidità tale da sbilanciarsi da sola. Scivolò all'indietro e lui per riflesso fece un passo di lato, allargando il braccio destro per afferrarla al volo.
Si ritrovò così a sprofondare in due occhi spalancati e fissi, di un grigio-verde che gli ricordava la tipica tonalità della roccia muschiata d'alta montagna, ad una vicinanza tale che il respiro da lei esalato gli solleticò la barba scura. Stringendola fra le braccia, con la minuta spalla d'ella a premergli sul petto e la sua schiena ben sorretta dalla sua presa, Thorin trattenne il fiato e bloccò ogni muscolo, protraendo con quell'immobilità attonita la situazione che s'era venuta a creare.
Era piccola fra le sue braccia, si rese conto con una parte di sé mentre ne osservava i lineamenti dolci del volto; troppo piccola per un'umana e troppo esile per una nana. Eppure, quell'aria spaesata e sorpresa da lei sfoggiata non fece altro che indurlo a rinsaldare la presa per evitare che gli scivolasse dalle mani.
– T-Thorin... – balbettò Katla, in un soffio.
– Fa' attenzione – le disse lui soltanto, senza dar peso alla reazione di lei ma mantenendo il proprio atteggiamento severo ed al contempo pacato. Tuttavia, si accorse soltanto marginalmente di una nota più premurosa nel proprio tono di voce.
– Sì.. – mormorò quella, tradendo una rinnovata tensione mentre distoglieva lo sguardo e cercava di rimettersi in equilibrio sull'asse di legno – ..scusa.
Thorin l'aiutò a tornare dritta, quindi si appoggiò a propria volta alla staccionata, puntando lo sgaurdo verso l'alto.
– Cosa stavi guardando di così affascinante, tanto da estraniarti da questa terra? – le domandò, di punto in bianco.
– Le stelle – gli rispose lei, di nuovo con il naso puntato all'insù.
Approfittando di quella posa il Principe di Erebor fu libero di studiarne il profilo, non riuscendo ad impedirselo. C'era qualcosa in quella giovane donna che attirava continuamente il suo sguardo e non era soltanto per i suoi lineamenti, graziosi pur restando umani.. erano i suoi occhi, si rese conto con un ritardo che non era da lui. Essi brillavano alla luce della volta celeste, carichi di meraviglia e mistero, celando al loro interno risposte a domande che lui stesso non sapeva di custodire dentro di sé. Quegli occhi, così forti e decisi all'interno della cucina dello hobbit, ora trasudavano ammirazione e struggimento di fronte ad uno spettacolo che per il nano non aveva mai avuto la stessa attrattiva.
– Quelle stelle, così luminose e fredde, racchiudono un'infinità di mondi a noi preclusi... ci hai mai pensato?
Riavendosi dalla propria contemplazione, sorpreso, Thorin sollevò a propria volta lo sgaurdo al cielo notturno, inarcando un sopracciglio.
– No, – ammise, scrutando quei puntini luminosi tanto lontani – temo di no.
– Oh, lo immagino – ribatté lei, tornando a guardarlo.
Thorin fece altrettanto ed il sorriso che le vide rivolgergli lo colpì intimamente per la purezza e la spontaneità in esso racchiuse. Irrigidendosi, il nano della Stirpe di Durin tentò di mantenersi saldo e consapevole di sé, cercando di contrastare l'effetto che incomprensibile ella gli stava facendo. Si accigliò, ma la lasciò continuare, non desiderando interromperla nonostante tutto.
– Voi Nani solitamente siete più interessati alle gemme del sottosuolo che a quelle del firmamento, o sbaglio? – lo interrogò lei infatti, ironica ma non provocatoria.
Vi era pace lì fuori, di fronte a quel paesaggio avvolto dal prezioso mantello della notte, e nessuno dei due era intenzionato a turbarla in qualche modo. Era come se quell'incontro fra loro avesse creato una dimensione distaccata dalla realtà in cui erano immersi, lontana dai problemi e dalle ansie delle rispettive vite terrene e del futuro pronto ad attenderli una volta tornati coi piedi per terra.
E Thorin, forse contagiato da tanta quiete, stette al gioco abbozzando un mezzo sorrisetto a fior di labbra.
– Non sbagli. È più roba da Elfi...
La risata che lieve scivolò fuori dalle labbra della ragazza lo incantò, musicale al suo orecchio.
– È vero – ammise Katla, distogliendo lo sguardo da lui e facendo ondeggiare le gambe nel vuoto mentre tornava ad osservare l'orizzonte. Quando parlò di nuovo, la sua voce era nuovamente più seria, ma non meno serena: – Sai, credo di sapere cosa pensi di me...
Quell'esordio lo fece riscuotere, facendogli inarcare un sopracciglio mentre ne fissava apertamente il profilo nell'ombra.
– Tu pensi che io sia di troppo, che il mio posto non sia al vostro fianco in quest'impresa – continuò, impassibile – ed una parte di me potrebbe anche darti ragione, se non fosse per una cosa.. – e fece una pausa, tornando a perforarlo con quei suoi occhi pieni della luce delle stelle – ovvero, che non ho mai avvertito un senso d'appartenenza più forte di quello che mi lega alla tua Compagnia, Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror. Erede di Durin.
In un primo momento il Principe non le rispose, intimamente sorpreso di essere appellato a quel modo formale e altrettanto di aver pensato, per un unico singolo istante, che ella si riferisse alla sua compagnia e non alla Compagnia da lui radunata e formata. Quando si decise ad infrangere il silenzio era tornato padrone della propria voce e si corrucciò, sospettoso.
– Non si direbbe che tu non abbia mai avuto a che fare con un nano – commentò, alludendo al modo formale con cui lei lo aveva infine appellato.
Quella sorrise maggiormente, sorniona.
– Questo non vuol dire che non sappia come rivolgermi adeguatamente ad uno di loro, all'occorrenza – ribatté la ragazza con malcelato compiacimento, prima di saltar giù dalla staccionata e voltarsi a fronteggiarlo come si deve – Lascia che mi presenti a dovere: sono Katla, figlia di Hekla; ma puoi chiamarmi Kat, se preferisci – ed ammiccò, l'espressione furbetta che le tingeva di riflessi lo sguardo, prima di inchinarsi – ..al vostro servizio, Re sotto la Montagna.
Preso alla sprovvista, Thorin inarcò un sopracciglio, ma se non altro perse il cipiglio che gli aveva corrucciato l'espressione sino ad un attimo prima. Accolse quella presentazione con un cenno d'assenso del capo, tenendo lo sguardo piantato sul volto della giovane di fronte a lui che, tornata a sollevarsi con il busto, stava ancora sorridendogli.
– E sia.. Katla – esordì, accontentandola soltanto in parte, senza tuttavia ricambiarne il sorriso, forte dell'orgoglio nanico della sua stirpe – Anche se, per ora, non sono ancora un Re sotto la Montagna. Ma grazie – le concesse in ultimo, esprimendo una nota di gratitudine per quel riconoscimento da quella che, a conti fatti, altro non era che una straniera.
Avrebbe verificato egli stesso, nel corso di quel viaggio, il valore della donna che aveva davanti, decise.
– Dovremmo andare tutti a riposare: questa notte sarà l'ultima che passeremo in una comoda casa a misura di hobbit per un po' di tempo – osservò, alludendo alla porta alle proprie spalle ancora socchiusa.
Kat annuì concorde e dopo avergli augurato buon riposo si congedò, tornando dentro.
Thorin la osservò scomparire oltre l'anta rotonda, la runa nanica incisa sul battente che brillava di una fioca luminosità azzurrognola nella notte scura. Le ombre tornarono a lambirgli i recessi della mente risvegliando in lui, ora che era solo, le preoccupazioni che aveva per il futuro della Compagnia, ma le scacciò con decisione.
Era come avevano detto i suoi nipoti: poteva fare affidamento sui suoi compagni nani.
Sperò di poter fare altrettanto anche nei confronti di coloro che Nani non erano.


Kat premette con forza la mano ad altezza del cuore, avvertendone il battito accelerato sotto lo sterno.
Si fermò soltanto raggiunta la camera che Bilbo le aveva così gentilmente concesso e, a quel punto, si ritrovò a fissare con espressione stralunata il proprio riflesso nello specchio, mentre riviveva il confronto avuto con il Principe di Erebor.
Cos'era appena successo fra lei e Thorin?
– ..ommioddio, ommioddio, ommioddio.. – prese a mormorare, andando a sollevare ambo le mani per tenersi e nascondersi in parte le gote arrossate.
Gli occhi del suo riflesso rilucevano di quell'emozione che violenta ed implacabile le si agitava in petto.
Non poteva crederci... si stava certamente sbagliando... se solo pensava a quante altre ragazze del suo mondo avrebbero venduto la propria anima per ritrovarsi nella stessa situazione appena vissuta le veniva da ridere.
Le braccia di Thorin.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire le sue mani che, salde come il granito, l'avevano sorretta con facilità. Ritrovatasi fra le braccia del nano, la giovane si era sentita avvolgere dal calore da lui trasmesso e non aveva avuto alcun timore per sé, forte dell'irrazionale sicurezza che egli le aveva suscitato con la sua sola presenza.
Per non parlare del lieve sorriso che le aveva rivolto durante il loro scambio di battute.
Si lanciò sul letto, affondando il volto nel cuscino ed emettendo un gridolino che ben presto si tramutò in una risatina ovattata. Si sentiva una ragazzina alla prima cotta.
Un momento...
Trattenne il respiro, prima di rotolare sulla schiena, gli occhi spalancati e fissi sul soffitto.
Si era davvero presa una cotta per Thorin Scudodiquercia? Seriamente?!
Fu il suo cuore a rispondere per lei e ciò che le disse le fece seppellire di nuovo il volto nel cuscino.
Quella sarebbe stata una lunga notte.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. "SHAZARA!" = "Silenzio!" in lingua khuzdul.

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Capitolo 4
*** Beginning the Journey ***







“Live the pages of a story and you’ll never die.
The green hills flourish,
in a land that calls from far away.”
[ There and Back Again, Wind Rose ]




Sei gentile a passare da noi ogni tanto, ma dovresti trascorrere diversamente il tuo giorno libero, Kathrine.
La ragazza scosse il capo in segno di diniego senza smettere di sorridere.
Non mi dispiace, Madre – negò – e poi, so perfettamente come i bambini si debbano sentire, dopo i giorni di visite.
La suora annuì con un cenno del capo e non ribatté nulla alla sua osservazione, ma tornò a voltare lo sguardo verso il cortile dell'orfanotrofio del convento, osservando con il consueto cipiglio attento i piccoli intenti a giocare.
Non avevano bisogno di dire altro, si conoscevano da tempo e sebbene Kat avesse qualche decina d'anni in meno, ora che era cresciuta e finalmente uscita dalla fase adolescienziale, poteva comprendere meglio la donna di chiesa ed il peso da ella sostenuto come capo di quell’istituzione.
Allo stesso modo però, comprendeva bene anche come dovevano sentirsi i ragazzi più grandi rimasti fra quelle mura... gli indesiderati. I randagi.
Era per loro che tornava, di tanto in tanto, nonostante avesse odiato quel posto sin dal primo momento in cui vi aveva messo piede. Perché dovevano sapere che c'era una vita al di fuori, che c'era una possibilità per loro, nonostante non avessero una famiglia di sangue su cui contare.. perché il mondo degli adulti non faceva grosse distinzioni, se si trattava di costruirsi un futuro. Dovevi rimboccarti le maniche e darti da fare, senza perdere di vista le tue passioni, se non volevi rimanerne schiacciato.
Lei aveva fatto così: dopo aver lasciato la sua casa-famiglia si era costruita il suo angolino di serenità e calore, ed ora affrontava il futuro un giorno alla volta. Non si era arresa e non aveva alcuna intenzione di farlo.
Kat! Sei venuta!
La ragazza e la suora al suo fianco si voltarono all'unisono per accogliere il ritorno di una ragazzina dalla bassa coda di cavallo ed una sacca mezza rattoppata su una spalla.
Certo, te l'avevo promesso dopotutto – annuì lei, sorridendole di rimando.
Com’è andato il colloquio? – le chiese subito la Madre Superiora.
Oh, bene direi – esclamò quella, sussultando leggermente per i modi bruschi della suora – mi faranno iniziare la settimana di prova lunedì!
Congratulazioni, Jane – la lodò Kat, sollevata di sentirglielo dire.
Anche la suora al suo fianco sospirò, seppur con discrezione, mascherando la cosa con un cenno del capo.
Bene – disse soltanto, senza scomporsi e mantenendosi rigida di fronte all'orfanella.
Jane accolse quell'unica parola con un certo disagio, ma senza perdere del tutto il suo buon umore e scambiando con Kat un'occhiata significativa. Non era più una bambina e nel giro di poche settimane avrebbe infine compiuto diciassette anni, e questo voleva dire che sarebbe finita in mezzo a una strada. Per questo, fin dai quindici anni, i ragazzini che non trovavano una famiglia venivano incoraggiati a fare esperienza nel mondo del lavoro, con l'obiettivo di insegnare loro un mestiere e dargli i mezzi per diventare un membro produttivo della società. Stava a loro, dopo, far fruttare ciò che riuscivano ad apprendere in questo genere di esperienze.
Jane non era mai stata entusiasta degli stage che le avevano proposto: era sempre stata una ragazzina vivace e particolare, che si adattava difficilmente, ma ora sembrava aver trovato finalmente una strada da seguire e Kat, che l'aveva sempre incoraggiata a non mollare, ne era oltremodo lieta. Inoltre, non era una stupida e, seppur avendo ancora soggezione per la Madre Superiora, aveva già capito che l'atteggiamento severo della suora era solo di facciata, con lo scopo di spronare ognuno di loro a dare il meglio di sé.
Ma Kat sapeva anche che era per impedire a sé stessa di affezionarsi, perché tanti ne aveva visti andarsene e fare una brutta fine e altrettanti ne sarebbero venuti in futuro, finché avrebbe ricoperto il suo ruolo di direttrice dell'orfanotrofio.
Abbozzò un mezzo sorriso verso la ragazzina, che tuttavia non era così tanto più giovane di lei in realtà.
Mi spiace non potermi trattenere ancora, ma è già tardi e devo andare, – le disse – ma mi racconterai tutto la prossima volta, che ne dici?
Oh – Jane parve spegnersi un poco, ma annuì – Sì, certamente... verrai al mio compleanno, vero?
E Kat, allungando una mano, le scompigliò i capelli corvini sulla fronte.
Non me lo perderei per nulla al mondo.


– Forza Bilbo! – scattò Kat, correndo per le stradine che attraversavano i campi della Contea.
La notte precedente non era riuscita ad addormentarsi se non a notte tarda ed il risultato era che al suo risveglio, dopo aver constatato che gli eventi della sera prima non erano affatto stati tutto un sogno, aveva amaramente scoperto che la Compagnia di Thorin era già partita, lasciandola indietro. E lo scassinatore con lei.
Ci aveva impiegato poco a convincerlo a partire, in realtà era capitata in soggiorno proprio nel momento in cui lo hobbit firmava il suo contratto e con uno sguardo d'intesa lo aveva aiutato a preparare il suo bagaglio in tutta fretta, prima di sfrecciare con lui giù per la collina sul cui fianco si apriva il portone circolare di Casa Baggins.
Il coraggioso hobbit la seguiva con caparbietà, con il documento nanico che svolazzava in una mano ed un'espressione fra l'ansioso e l'entusiasta in volto. Il vento scompigliava ai due i capelli e gonfiava il mantello della ragazza, che a differenza dell'altro, aveva con sé solo una modesta sacca da viaggio piazzata a tracolla. S'era certamente dimenticata qualcosa, dato il bagaglio voluminoso sulle spalle di Bilbo, ma alla fine aveva diplomaticamente concordato con sé stessa che ciò che non aveva lei poteva averlo qualcun altro della Compagnia e le sarebbe bastato condividere ciò che ognuno si era portato dietro per sopperire alle singole mancanze.
Corsero per tutto il tragitto fino a Lungacque, ove la Compagnia di Thorin era in attesa, stando al biglietto rinvenuto sulla mensola del camino. Kat riuscì a mantenere il vantaggio sullo hobbit soltanto per meno della metà del tempo, prima di esser costretta a rallentare a causa della mancanza di fiato. Eppure, intimamente, dovette riconoscere a sé stessa di aver tirato fuori una resistenza che non sapeva di possedere.
Quando raggiunsero il bosco entro il quale, poche decine di metri più avanti, avanzava la Compagnia di nani a dorso di pony, Bilbo era più avanti di lei di diversi metri e per lei, che credeva di essere un po' più allenata rispetto ad un piccolo hobbit casalingo, fu uno smacco non da poco.
Quando finalmente raggiunse il gruppo, alle undici del mattino passate, Bilbo aveva già consegnato il contratto a Balin, il quale lo stava esaminando con l'ausilio di un paio di occhiali da lettura.
Respirando con affanno, la ragazza incespicò fino all'ultima fila di pony e poi si piegò in avanti, alla disperata ricerca d'aria per i propri polmoni in fiamme, in un modo che attirò più di uno sguardo ed una risatina di bonario scherno da parte dei nani più vicini.
– Tutto bene, mia signora? – le chiese da sopra il suo pony un sorridente Bofur, con quel suo ampio cappello color cenere a conferirgli quell'aria da pipistrello.
Kat gli scoccò un'occhiata in tralice, faticando a rimettersi dritta.
– Mi ha ucciso – affermò lamentosa in un ansito, alludendo allo hobbit in testa al drappello – non sembra, ma corre come un leprotto! Oufh! – sbuffò in ultimo, per farsi passare l'affanno.
Quello rise brevemente, così come reagirono divertiti gli altri nani in coda al gruppo, Ori, Nori, Oin e Gloin.
Poi la voce di Thorin tornò a farsi sentire, ordinando ai suoi di dare un pony ai due ritardatari, e Kat accolse quella notizia con sollievo, non aspettando altro. Non aveva dimestichezza con il cavalcare, in tutta la sua vita si era avvicinata soltanto due volte ad un cavallo, ma era fiduciosa e non si sentiva più le gambe, dubitava di riuscire a fare un altro passo da sola. Inoltre era certa non avrebbe avuto le stesse difficoltà di Mastro Baggins, cosa che si confermò di lì a poco.
Le venne quindi consegnato un piccolo cavallino nero, mentre a Bilbo ne toccò uno dal pelo rossiccio, per sua ben magra gioia.
Il vederlo cavalcare al suo fianco in modo tanto rigido sulla sella del suo pony fece scoppiare a ridere la giovane donna, la cui ilarità non fece altro che far aumentare il disagio del povero mezz'uomo. Accorgendosene, Kat si tappò la bocca con una mano.
– ...scusa, Bilbo – ormai si era sbilanciata ad usare dei modi confidenziali, che lo hobbit ricambiò con un mezzo sorriso che in realtà pareva una smorfia.
– No, tranquilla – tentò di minimizzare, seppur non troppo convinto – ..devo solo prenderci un po' la mano. E...eeetchù!
– Oh... – si lasciò sfuggire la ragazza, allo starnuto che scosse il corpo dell'altro.
Quello tirò su col naso.
– Il crine di cavallo... mi fa reazione – le spiegò, iniziando a tastarsi in giro alla ricerca del proprio fazzoletto.
Kat era già pronta ad assistere alla scena dello hobbit che affermava di dover tornare indietro per recuperarlo in quanto sprovvisto, quando, sotto i suoi occhi, Bilbo tirò fuori il riquadro di stoffa merlettata da una delle tasche del panciotto, soffiandosi il naso.
E lei rimase basita a fissarlo, non credendo ai propri occhi.
La sua reazione fu tale che il pony sotto di lei si accorse del cambiamento e rallentò, iniziando a perdere posizioni nella fila.
Era sicura che il piccolo hobbit avrebbe scordato il suo fazzoletto da taschino, e invece, contro ogni pronostico ed ogni sua certezza, era appena avvenuto il contrario.
– Oh merd..– imprecò in un soffiò Kat, rendendosi conto di ciò che stava a significare.
La storia, così come le era nota, stava già cambiando. Un brivido le percorse la spina dorsale al pensiero, giacché se gli accadimenti divenivano imprevedibili persino a lei, allora non poteva più avere certezze per il loro futuro. Probabilmente la riuscita dell'impresa era già compromessa.
– Ehi, guarda che se non acceleri ti lasciamo indietro – la esortò scontroso la voce di Dwalin, nel momento in cui la superò col suo pony.
Con un sussulto Kat tornò in sé e si corrucciò in volto, indispettita per il trattamento riservatole e, ricordando un dettaglio che aveva premura di chiarire al più presto, incitò di nuovo la propria cavalcatura a procedere con un colpetto di talloni.
– Ci avete già provato – ribatté risentita lei, guardando i nani che la precedevano – perché diamine nessuno mi è venuto a svegliare stamattina?
Ci pensò Fili, voltandosi sulla sua sella, sei posizioni più avanti, a darle risposta.
– Dopo quel che è accaduto ieri, nessuno ha avuto l'ardire di avvicinarsi alla tua camera! – esclamò, gioviale e divertito, facendo scoppiare a ridere Kili al suo fianco.
Ahah, senti chi parla! Vorresti biasimarci? Quando anche tu verrai colpito in pieno dalla Piccola Furia, allora potremo riparlarne!
E fra le risate generali, la diretta interessata si ritrovò ad arrossire, soprattutto quando Thorin le scoccò un'occhiata perplessa dalla testa della fila. Lei per contro distolse lo sguardo dal Principe dei Nani, optando per una reazione sostenuta e silenziosa. Anche se il pensiero di quel soprannome la fece sorridere un poco fra sé e sé.
Fu a quel punto che iniziarono a volare sacchetti di monete da un nano all'altro.
Kili, paga! – giunse perentoria una voce dalle retrovie.
Il giovane nano fece come gli era stato detto, lanciando le monete in mano a Dori, e quella scena familiare la fece rilassare un po' di più. Be', se non altro l’episodio delle scommesse era rimasto invariato. Davanti a lei, Bilbo chiese spiegazioni a Gandalf.
– Oh, hanno scommesso su chi di voi due ci avrebbe raggiunti per primo – rispose inaspettatamente lo stregone grigio, con un certo divertimento.
Kat inarcò un sopracciglio.
No, non era rimasta invariata proprio per niente... anche se avrebbe dovuto saperlo che la sua presenza avrebbe cambiato le carte in tavola. Probabilmente avevano dato per scontato che ci avrebbe pensato lei a trascinarsi dietro lo hobbit, convincendolo ad unirsi alla Compagnia.
– E tu cos'hai scommesso? – sentì chiedere a Bilbo.
E Gandalf in quel preciso momento prese al volo la propria vincita.
– Ah, io non ho dubitato nemmeno per un secondo, mio caro amico – gli rispose, sornione.
Di fronte a quella verità, Kat tornò ad esternare una smorfia imbronciata, ma lasciò correre, deviando l'attenzione sul paesaggio circostante, finché la profonda voce di Thorin non si fece udire da tutti loro, severa e perentoria.
– Muoviamoci!
Così la giovane donna, con un nuovo colpetto di talloni e qualche schiocco della lingua, esortò il proprio pony a riguadagnare il terreno perduto, superando i nani sino a raggiungere le spalle di Fili e Kili. Quelli parvero accorgersi di lei e si voltarono all'unisono per riservarle un sorriso il maggiore ed un occhiolino il minore, ai quali ella replicò con un semplice sorriso un po' incerto ed un po' sbarazzino.
Le piacevano quei due, le erano sempre piaciuti, perciò si sentì più a suo agio ora che era più vicina a loro.
Intanto Gandalf aveva proseguito a parlare con lo scassinatore della Compagnia e la sua voce raggiunse nuovamente le orecchie della ragazza, deliziandola con delle parole a lei ben note, che risvegliarono non solo il suo buon umore ma una nuova sicurezza.
– ..tu sei nato fra le colline ondulate ed i fiumicelli della Contea... ma casa è ormai dietro di te, il mondo è davanti.
E, nel silenzio che seguì quella verità, Kat lasciò che la memoria rievocasse la melodia a lei conosciuta e ben presto, accompagnata dal solo suon di zoccoli dei pony e qualche chiacchiera dai nani alle sue spalle, si permise di darle forma dalle proprie labbra.


Casa è alle spalle,[*]
il mondo avanti..

Chiuse gli occhi, facendosi trasportare da quei versi, permettendo alla
propria voce tenue di acquistare fermezza nell'aria umida del sottobosco. I nani più vicini si zittirono subito, qualcuno voltandosi a guardarla con curiosità e sorpresa.

..le strade da seguire tante;
nell'ombra il mio viaggio va
finché luce nel cielo sarà.

Ascoltandosi a propria volta, Kat riconobbe la propria voce ed al tempo le parve del tutto nuova, tanto che si lasciò trasportare, aumentando il volume per saggiare le proprie capacità canore. Come se vi fosse qualcosa nell'aria che rendeva i suoni da lei emessi più limpidi e puri.

Nebbia e ombra, oscurità,
tutto svanirà.
Tutto svanirà.

Quando tacque, tornando a schiudere le palpebre, la prima cosa che vide fu il sorriso aperto di Kili e l'espressione meravigliata di Fili, due cose che la fecero arrossire fino alla punta dei capelli e la fecero render conto del silenzio che era calato su tutta la Compagnia.
Dovevano averla ascoltata tutti, comprese.
Si schiarì la gola, a disagio, volgendo lo sguardo verso la propria sinistra, ma fu Bilbo ad andarle in aiuto.
– Una bellissima melodia, Katla, – la elogiò – è una canzone della tua terra?
Scoccandogli un'occhiata da sopra la spalla, la ragazza si ritrovò a donargli un mezzo sorriso enigmatico.
– Non proprio... in realtà l'ho sentita da uno hobbit.
– E chi?
– Non lo conosci, Bilbo... – gli rispose, voltandosi nuovamente in avanti ed aggiungendo a mezza voce un flebile – ...non ancora.
– Stasera canteremo tutti insieme davanti al fuoco e te ne insegneremo qualcuna delle nostre, allora! – esclamò di punto in bianco Kili, trovando l'assenso del fratello maggiore.
Kat, sollevando gli occhi chiari sui due discendenti della Stirpe di Durin li lasciò parlare, accondiscendente come lo si è nei riguardi dei cuccioli, seppur consapevole che era lei la più giovane in mezzo a tutti loro. Ma fu per questo che, per una frazione di secondo, si accorse di avere puntato addosso un altro sguardo, ben più distaccato e penetrante di quelli dei due fratelli: Thorin si era appena voltato a lanciarle un'occhiata indecifrabile da sopra la spalla.
E tanto bastò a lei perché il cuore le balzasse in petto con un sussulto.


Quella sera, la prima del loro viaggio come Compagnia di Thorin Scudodiquercia, mantennero la parola, cantando intorno al fuoco e ridendo e scherzando fra loro, abbastanza da rassicurare il capo del drappello di nani lì riuniti sullo stato del loro morale.
D'altra parte non si era aspettato qualcosa di meno: il loro cammino era appena iniziato ed erano ancora in terre sicure, lontani dalle Terre Solitarie ad Est ed i pericoli che in esse potevano celarsi, pertanto l’umore generale rimase alto per molti giorni a seguire.
La Compagnia attraversò le distese collinari della Contea, con strade buone e qualche locanda lungo il cammino presso la quale avevano optato per fermarsi e rifocillarsi. Dopodiché varcarono i confini di terre in cui la gente era più alta e parlava in modo un poco bizzarro, soprattutto alle orecchie della giovane donna e di Bilbo, del tutto estranei a quelle regioni, ma il loro viaggio procedette comunque facilmente e senza intoppi.
Durante quei giorni Katla riscosse curiosità ed interesse per i suoi modi a volte fin troppo simili a quelli dei nani e per la facilità con cui si lasciava trasportare dalla loro giovialità e le loro risate, tanto che una volta Gloin le chiese se davvero non avesse neanche una goccia di sangue di Nano a scorrerle nelle vene: esso in effetti avrebbe spiegato anche la sua bassa statura.
Ridendo, la ragazza aveva negato ed il discorso era stato del tutto accantonato.
Adesso erano ormai prossimi al raggiungimento di quelle che erano le Terre Solitarie: una distesa di alture rocciose e boschetti, solcata da torrenti d'acqua limpida e prati costellati di cespugli verdeggianti; e Thorin già avvertiva il cambiamento nell'aria della sera. Essa era più fresca, nonostante Giugno fosse ormai alle porte, ma tenne per sé quella considerazione e la consapevolezza che il viaggio stava giungendo ad una fase meno spensierata, non volendo ancora smorzare l'umore dei suoi.
Difatti, accampandosi all'adiaccio come per la maggior parte delle volte precedenti, i nani si raccolsero intorno al fuoco con le scodelle colme di cibo in mano e con l'intento di lasciarsi andare alla consueta allegrezza, al suono dei loro strumenti e delle loro voci.
Fu quella sera però, nonostante già da un po' le fosse stata fatta quella richiesta, che Katla accettò finalmente di cantar loro qualcosa della sua terra natia. Ormai arresa alla testardaggine ed alla caparbietà dei nani, ella sembrava essersi finalmente decisa ad accontentarli, non senza mostrare un certo imbarazzo quando persino lo hobbit era interveneuto, proclamandosi interessato. Thorin se ne era tenuto fuori, osservando semplicemente come la giovane pareva aver conquistato le simpatie e l'ammirazione dei suoi due nipoti, i quali da qualche giorno avevano preso a cavalcare al suo fianco ed a scambiare continue battute e chiacchiere con lei. Una volta li aveva sentiti chiederle se ci fosse un uomo nella sua vita, ad attenderla, e la risposta negativa non aveva sorpreso soltanto i due discendenti di Durin, anche se Thorin non era ancora disposto a riconoscere il sollievo che gli aveva sfiorato per un attimo il petto.
Ad ogni modo, ora Fili e Kili stavano sorridendo fra loro in attesa che la ragazza iniziasse.
Di fronte all'entusiasmo dei suoi parenti, il capo della Compagnia non si lasciò sfuggire alcun commento, ma rimase seduto sul lato più lontano dal focolare, diametralmente opposto alla roccia prescelta dalla giovane donna come scranno.
Così, vagamente in disparte eppure presente, pilastro e collante della Compagnia, l’Erede al Trono di Erebor si concesse il privilegio di tenere il proprio sguardo color ghiaccio fisso sulla giovane mentre quella iniziava ad intonare una melodia a bocca chiusa.
Ben presto le basse voci di alcuni dei nani lì raccolti la imitarono, creando per lei la musica che l'avrebbe accompagnata. Bofur imbracciò addirittura il suo strumento a fiato, un lungo flauto nanico da cui non si separava mai, e Fili mise mano al proprio violino, dando vita ad una melodia esotica.
Quindi la voce di lei si inserì e sovrastò le note che già riempivano l’aria quieta della notte, risuonando placida e limpida.


Alba d'inverno, odore di neve [*]
mi accoglie il tuo abbraccio silente,
tra intrecci di brina sovviene memoria
del tuo nome e d'antiche leggende.

Nella neve danzi con le ultime foglie d'autunno
sei nel vento, in un mondo sospeso nel tempo.

Perché il tuo canto è nel vento,
nella neve che ancor cadrà,
se da solitarie cime la tua voce sovviene
chi potrà comprenderla?

Thorin rimase immobile, silente, ad osservarla, forte del fatto di non rischiare di incrociarne l'iridi grigio-verdi, almeno per ora. Cullato da quelle strofe si lasciò invece trasportare, abbassando a propria volta le palpebre, come lei aveva fatto dall’inizio.
Era un'ode all'inverno, era questo ciò che aveva anticipato loro la ragazza, e l’Erede di Durin si lasciò andare alla deriva di pensieri e ricordi rievocati da quelle strofe. Tornò fra le montagne che erano divenute la sua casa e dai suoi cari, e poi ancor più indietro, ai tempi della sua fanciullezza e dei ricordi della sua vita presso la Montagna Solitaria, a quegli inverni lontani, finché un lievissimo tonfo attutito non lo indusse a sollevare un'altra volta lo sguardo di fronte a sé, oltre il fuoco.
Katla era saltata a terra ed i loro sguardi si incrociarono, incatenandosi fra loro mentre il canto di lei risuonava con maggior energia, la sua voce decisa e potente a riempirgli le orecchie al di sopra del fruscio della brezza che s'era sollevata fra loro, facendo danzare le fiamme del fuoco e gonfiando il mantello della giovane.

Dimmi chi davvero sei mostruosa forza che
come ghiaccio travolgi e distruggi ogni cosa..

E per un attimo soltanto, a Thorin parve di poter distinguere le singole lingue di fuoco riflettersi all’interno di quegli occhi, e se ne sentì rapito. Strinse le labbra, tendendo la mascella mentre resisteva tanto alla tempesta che minacciava di scatenarglisi nell'animo quanto a quella che distinse nell'iridi di lei.

Perché il tuo canto è nel vento,
quella neve che soffoca,
se da solitarie cime la tua forza tutto annienta
chi resisterti più potrà?

Perché il tuo canto è nel vento
ma il tuo ghiaccio si scioglierà,
se da solitarie cime il tuo destino è già scritto,
se il freddo mai più tornerà!

Con quell'ultima strofa ella concluse, allungando l'ultima vocale abbastanza da accompagnare e smorzare l'impeto sostenuto sino a quel momento, addolcendo la fine di quella ballata. Quando il silenzio tornò a farsi carico del crepitare del fuoco, Thorin ritornò coi piedi per terra e distolse finalmente lo sguardo dalla giovane donna per riergersi in piedi. Fu il primo a muoversi, calamitando su di sé l'attenzione dei suoi compagni.
– È tempo per noi di riposare... e di conservare i canti intorno al fuoco per tempi migliori – affermò, con la consueta severità di sempre mentre dava le spalle al focolare ed alla ragazza che, inspiegabilmente, era riuscita ad attrarre il suo sguardo tanto a lungo.
Era necessario che nessuno di loro sottovalutasse i pericoli che li attendevano, pertanto sarebbe stato bene che avessero tenuto un certo tipo di comportamento da in poi: non potevano permettersi di attirare attenzioni indesiderate, giacché il pericolo poteva giungere da ogni direzione.
E l'ultima cosa che si augurava era di imbattersi in un drappello di orchi a causa della leggerezza di una donna.


Kat, in piedi accanto al fuoco, seguì con lo sguardo Thorin che si allontanava, ed agli occhi attenti di un nano come Balin fu palese la delusione racchiusa in quell'iridi grigio-verdi.
Il guerriero dalla bianca barba tornò a volgersi verso il suo futuro Re, mentre gli altri nani già iniziavano ad approntare i loro giacigli per la notte. Lo aveva visto, il modo in cui il loro condottiero era rimasto a fissare la giovane donna amica dello stregone, e strinse le labbra in una smorfia piatta e pensierosa, chiedendosi se ciò che sospettava essere in procinto di accadere sarebbe stato positivo per il figlio di Thrain.
Fu a quel punto che i suoi occhi incrociarono quelli di Gandalf. In essi il nano scorse un riflesso vispo e quasi soddisfatto, prima che l'Istar traesse un respiro dalla propria pipa ed interrompesse il contatto visivo, chinando il capo e frapponendo fra loro la falda del suo grosso cappello a punta.
E Balin fu certo che lo stregone sapesse più di quanto fosse intenzionato a rivelare.
Pochi minuti dopo la maggior parte dei nani era già coricata a letto e solo pochi si attardarono, fra cui lo stesso Balin, il quale scelse di fare compagnia ai due giovani nipoti di Thorin nella prima parte del loro turno di guardia. Stavano ravvivando il fuoco di fronte a loro quando la quiete della notte venne infranta da un verso sinistro e lontano. Un’eco che mise sull'attenti i tre nani raccolti appresso al focolare e persino il loro giovane scassinatore, sopraggiunto in quel momento dal punto di raccolta dei pony, ne sembrò turbato.
– Che cos'era?
Quando Fili e Kili si scambiarono un'occhiata, Balin già si aspettava ciò che sarebbe seguito.
– Orchi – rispose il primo.
– Sgozzatori – specificò il secondo, con aria cospiratoria.
I due ragazzi perpetrarono il loro scherzo ai danni dello hobbit ed il nano dalla barba bianca si ritrovò a scuotere il capo con accondiscendenza. Erano giovani, molto giovani per i criteri nanici, e questo era il motivo principale per cui veniva spesso chiuso un occhio sui loro scherzi, ma questa volta non andò così. Fu Thorin a mettere fine al divertimento dei due fratelli, riprendendoli aspramente ed attirando l'attenzione anche di qualcun altro.
Katla si sollevò a sedere nel suo giaciglio di fortuna ed il suo sguardo passò da loro al capo della Compagnia, il quale si pose in disparte ad osservare il paesaggio ai piedi dell'altura sulla quale avevano allestito il campo, sondando silenzioso la notte con lo sguardo.
E Balin, l’atmosfera ormai pesante, si sentì in dovere di dare una spiegazione ai più per il comportamento del Principe.
– Non farci caso ragazzo... – esordì verso Bilbo in particolare – Thorin ha più ragione di altri di odiare gli orchi – e da lì prese a raccontare della tentata riconquista di Moria, di come il loro Re, Thror, fu ucciso da Azog il Profanatore, e della valorosa morte di Frerin[1] in battaglia. Fu a quel punto che il principe di Erebor si era levato contro l'Orco Pallido di Gundabad ed aveva combattuto con valore ed estremo coraggio, menomandolo e guadagnandosi il soprannome di Scudodiquercia.
– Le nostre truppe si rianimarono e respinsero gli orchi. Il nostro nemico, era sconfitto – disse, lo sguardo perso nelle fiamme – ma non ci furono feste né canti, quella sera, perché i nostri morti superavano di gran lunga il numero dei vivi.
Fece una pausa, breve, durante la quale il suo sguardo tornò a volgersi verso il suo antico compagno ed amico, e non fu l'unico. Ancora una volta però, non mancò di notare il modo in cui la ragazza stava guardando Thorin e riconobbe in lei le stesse emozioni contrastanti che gli si agitavano in petto, a causa dei ricordi che la mente aveva rievocato per lui.
– E allora pensai, fra me e me: là c'è uno che potrei seguire... là c'è uno, che potrei chiamare Re – concluse grevemente, tornando a guardare i giovani nani e lo hobbit.
– E l'Orco Pallido? – chiese quest'ultimo.
Ci pensò Thorin stavolta a rispondere a quella domanda, tornando ad allontanarsi dal ciglio della scarpata.
– Tornò strisciando nel buco da cui era fuoriuscito – e la sua voce era ancora intrisa di una cupa rabbia, un odio sottile e persistente, che non lo avrebbe mai abbandonato – Quella feccia morì per le sue ferite tempo fa.

Quindi passò loro accanto e senza più rivolgere loro attenzione si allontanò verso il proprio giaciglio, ma Balin seguendolo notò il breve sguardo che scambiò con la giovane donna facente parte della Compagnia e di come ella distolse rapida il proprio, prima di scoccargli un'occhiata alle spalle appena lui l’ebbe superata. Se fosse stato pieno giorno, il nano avrebbe distinto chiaramente la preoccupazione in quei suoi occhi chiari, ma così non era e la sua rimase una mera impressione, un presentimento che gli fece serrare le labbra in una smorfia piatta e niente di più.
Perché Balin non era uno stupido, né un pessimo osservatore, ma era anche un nano a cui non piaceva fare speculazioni di alcun tipo senza prima avere le dovute certezze. Di una cosa era certo però, pensò osservando nuovamente i nipoti di Thorin, qualcuno avrebbe certamente dovuto insegnarle a maneggiare una spada il prima possibile.




continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. Frerin era il fratello minore di Thorin ed il fratello maggiore di Dìs, morto a soli 48 anni combattendo contro gli Orchi nella sanguinosa Battaglia di Azanulbizar, durante la Guerra tra i Nani e gli Orchi iniziata dalla morte di Thror. Il suo corpo fu bruciato assieme a quello degli altri Nani caduti per impedire agli Orchi superstiti di profanarlo. Come per Fili e Kili, anche tra Frerin e Thorin intercorrevano 5 anni di differenza.


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Capitolo 5
*** The Lone-Lands ***







“[...] that’s what is told in Hobbit’s tales.
Instill bravery in the youngest hearts,
destroying their desperation.”
[ There and Back Again, Wind Rose ]




Era da prima di entrare nelle Terre Solitarie che, dopo ogni sosta per accamparsi per la notte, nel tempo che intercorreva dall'ordine di Thorin di fermarsi alla cena, Kat veniva addestrata nell'uso delle armi dai figli di Dìs. Quella sera, dopo aver dovuto fare i conti con una pioggia persistente e molesta durante tutto il giorno, la Compagnia si era infine fermata appresso a quella che doveva essere stata una piccola fattoria di contadini umani, ora ridotta a mere macerie e legni anneriti. 
La ragazza stava cercando di affrontare al meglio Fili, il quale sopra il terreno insidioso le stava impartendo la sua lezione con l'ausilio d'un paio di semplici bastoni di legno recuperati dalla boscaglia vicina.
– Non distogliere mai l'attenzione dal tuo avversario e tieni alta la guardia – la ammonì il giovane nano dopo l'ennesimo scambio di colpi, facendo un rapido passo indietro per ristabilire le distanze.
Kat annuì, rinsaldando la presa sulla propria arma d’allenamento, ringraziando fra sé e sé l'accortezza che aveva avuto nel fasciarsi la mano destra con delle strisce di stoffa: in questo modo era in grado di serrare saldamente le dita intorno al bastone senza che le sue asperità la ferissero o le causassero delle piaghe spiacevoli.
Già dal primo allenamento l'avevano sottovalutata e lei, mettendo in pratica le nozioni puramente teoriche che anni di giochi e letture le avevano trasmesso, era riuscita a guadagnarsi qualche apprezzamento dai suoi mentori. Tuttavia, ora che il suo addestramento era entrato nel vivo, ogni lezione s’era fatta più severa ed impegnativa della precedente, e quella non faceva eccezione.
A discapito delle proprie stesse aspettative però, sul finire dello scontro Kat riuscì finalmente a contrastare l’attacco del nano biondo parandone il fendente laterale e spostandosi, come le aveva insegnato Kili la sera precedente, con un passo in avanti per entrare all'interno della guardia del suo avversario.
Fili spalancò gli occhi azzurri nel ritrovarsela tanto vicina, ma fu rapido a fare un saltello indietro, abbandonando l'offensiva per allontanarsi dal raggio d'azione di lei. Kat non lo seguì, sostenendone l'espressione sorpresa con un sorrisetto piuttosto compiaciuto.
– Ehi, ci è mancato poco fratellone! – esclamò Kili dalla roccia su cui si era appostato per assistere all'allenamento, divertito – Se fosse stato un combattimento vero ti avrebbe colpito certamente.
Lei e Fili si voltarono all'unisono ad osservare il giovane nano sorridente e Katla si sorprese di vedere anche Dwalin, con la sua capa mezza rasata a mettere in mostra l'intricato tatuaggio geometrico, accanto al più giovane dei figli di Dìs.
– Degno della Piccola Furia. Sta imparando in fretta – commentò questi con una nota sorpresa, pur mantenendo il suo tipico fare burbero.
Kat arrossì leggermente, ma accolse quel complimento con un timido sorriso, ormai rassegnata al soprannome con cui i nani della Compagnia avevano iniziato a chiamarla. Quando, un attimo dopo, tornò a cercare Fili con lo sguardo, egli annuì, mantenendo comunque un contegno degno di un maestro d'armi.
– Ottima reazione, Kat – la lodò, prima di riassumere la posizione di guardia – Vediamo se sei in grado di replicare.
La giovane lo imitò, tornando a sollevare il proprio bastone, ma i suoi occhi scivolarono oltre il giovane nano di fronte a lei allorché Thorin, l'espressione seria ed impenetrabile di sempre, si accostò al nipote.
– Aspetta – lo frenò, posando una mano sulla sua spalla, pacato e serio – lascia fare a me.. – e poi, sollevando i suoi occhi di diamante, trafisse Kat con più durezza del solito – Vediamo i suoi reali progressi.
La diretta interessata si sentì improvvisamente sulle spine, nervosa all'idea che fosse proprio il grande Thorin Scudodiquercia a farle da avversario, ma serrando la mascella e corrucciandosi in volto rinsaldò la presa sul legno. Tuttavia venne nuovamente presa alla sprovvista dal capo della Compagnia quando questi, anziché accettare il bastone da suo nipote, sfoderò il proprio spadone in spesso acciaio nanico. La lama rifletté opaca in un riverbero sinistro la luce morente della sera.
– Kili – vociò, perentorio – dalle la tua spada.
E Kat, sotto lo sguardo penetrante che le venne rivolto, avvertì un brivido di inquietudine salirle lungo la schiena e causarle una piccola smorfia. Sapeva già che le avrebbe fatto male, tanto al corpo quanto allo spirito, glielo leggeva sul volto solcato da quell'espressione dura ed impenetrabile, ma non poteva sottrarsi a quella prova.
Cercando di soffocare la propria riluttanza prese in consegna l'arma che il più giovane dei Durin le porse, donandogli un mezzo sorriso prima che tornasse sui propri passi, liberando il campo.
L'arma nanica era pesante nelle sue mani e lei dovette reggerla con entrambe per tentare di brandirla a dovere, cercando di scaricarne il peso su ambo le gambe divaricate mentre la sollevava in posizione. I muscoli, già provati dagli assalti di Fili e dagli sforzi dei giorni precedenti, protestarono a quella nuova fatica, ma lei strinse i denti senza un lamento, ricambiando il suo nuovo avversario con un'occhiata altrettanto dura. 
Erano giorni che Thorin non le rivolgeva la parola e la sua indifferenza, per quanto non avrebbe dovuto neanche sfiorarla, le pesava intimamente. Non che lei avesse tentato di avvicinarlo di nuovo dopo quella sera fuori Casa Baggins, ma la sensazione di chiusura che avvertiva nei propri confronti non voleva saperne di lasciarla.
Per questo prese la propria decisione: non avrebbe ceduto e non si sarebbe dimostrata debole, non d'animo, era il suo stesso orgoglio ad imporglielo.
Thorin attese con pazienza e quando ella fu pronta, dopo un debole cenno del capo, partì alla carica. Bruciò i pochi metri che li separavano con un balzo e la sua lama fendette l'aria con rapidità e precisione, calando in una traiettoria obliqua. Kat sollevò maggiormente la propria arma con l'intenzione di parare quel colpo, ma quando l'acciaio nanico entrò in collisione con un clangore caratteristico, la forza dell’attacco fu tale da farle tremare le braccia e piegarle la spada verso il basso.
La giovane donna agì come le era stato insegnato e fece un passo a lato, spostandosi ed accompagnando la lama avversaria in modo che calasse accanto a lei, mancandola. Nonostante i suoi riflessi però, più rapidi di quanto ella stessa si sarebbe aspettata, non ebbe il tempo di esultare intimamente, giacché il nano di fronte a lei non perse la concentrazione né si lasciò prendere in contropiede. La urtò con una spallata e lei incespicò all'indietro, finendo gambe all'aria.
– Oufh!
Come impattò il terreno erboso con la schiena, Katla tornò a spalancare gli occhi, chiusi per riflesso durante la caduta, e tentò di risollevare la pesante spada per difendersi, ma quella le venne spazzata via dalle mani da un colpo ben assestato dell'avversario.
L'improvvisa fitta al polso per la violenza dell'impatto fra le lame le causò una smorfia e l'istante seguente si ritrovò la punta dello spadone di Thorin ad un palmo dal naso, con una repentinità tale da toglierle il respiro ed immobilizzarla in ogni muscolo.
Il silenzio che calò sull'accampamento in seguito al concludersi del loro scontro le rimbombò nelle orecchie, insieme ai battiti forsennati del suo stesso cuore, reso ancor più pesante dallo sguardo impietoso e severo che le riservò l'erede di Durin.
– Questo non è un gioco – esordì Thorin, la sua voce profonda resa aspra da una strana tensione che gli corrucciava il volto – In uno scontro vero ci sono solo due opzioni: prevalere o soccombere; uccidere o essere uccisi!
– Lo.. lo so – tentò di difendersi Kat, non riuscendo a non balbettare con voce sottile, ma questo non fece altro che alimentare il fuoco dell'irritazione altrui, ormai evidente.
– No, non lo sai! – sbottò, riversandole addosso il proprio pensiero con una violenza ed una severità che la ammutolirono – Da quando siamo partiti ti comporti come se stessimo andando a fare una scampagnata! Ebbene, io non intendo mettere a rischio la nostra impresa, né la vita di nessuno dei miei compagni, a causa della tua superficialità!
Quelle parole, l'ostilità e la disapprovazione insite in esse, la ferirono più di quanto avrebbe potuto fare la lama di lui e Kat si ritrovò senza voce, completamente spiazzata ad affrontare la furia incomprensibile che sembrava aver colto il nano davanti a lei. Il groppo che le si formò in gola le fece salire un fiotto di lacrime amare agli occhi e, attraverso il velo sfocato di queste, osservò Thorin che con un gesto secco rinfoderava la propria spada e le dava le spalle, allontanandosi a grandi passi.
Rimasta sola, Kat tentò di rimettersi in piedi, ma la delusione che le graffiava il centro del petto la indusse ad attendere che il dolore sordo da essa causato si attenuasse almeno un poco, prima di provare a rialzarsi. Seduta sull'erba, col capo chino ed una mano stretta a pugno sopra il cuore, sollevò gli occhi ancora lucidi e gonfi soltanto quando scorse un movimento al limitare del proprio campo visivo, ritrovandosi ad osservare il volto di Kili. Il sorriso che le rivolse il giovane nano racchiudeva in sé contrizione, comprensione ed un tentativo di rassicurazione che espresse a parole, mentre, chino accanto a lei, afferrava l'elsa della propria arma senza ancora staccarla da terra.
– Cerca di non dare troppo peso a ciò che ha detto mio zio, – tentò di dirle, con gentilezza ed una nota forzatamente spensierata – è solo preoccupato.
Kat tirò su col naso, l'espressione contratta mentre cercava di sondare ogni angolo dell'espressione dell’altro. Sembrava sincero, eppure c’era qualcos’altro sul suo volto che le lasciò il dubbio sul fatto che credesse davvero a quanto appena detto.
– ..per voi sono davvero una persona superficiale? – domandò, la voce un po' più incrinata di quanto avrebbe voluto.
– Certo che no, Kat – le rispose subito Kili, quasi sorpreso – Anzi: personalmente, trovo l'ottimismo con cui affronti le giornate ammirevole. È rassicurante sentirti canticchiare durante la marcia – le assicurò con un sorriso ancor più ampio dei precedenti – ..e stai dimostrando una notevole capacità di sopportazione per una ragazza non abituata ai lunghi viaggi a dorso di pony.
La giovane donna si ritrovò a ricambiare il franco sorriso di lui che, unito alle sue rassicurazioni, ebbe il potere di risollevarle l'umore e farla al contempo arrossire d’imbarazzo.
– È così evidente? – gli chiese ancora.
E Kili, ridacchiando sommessamente, le ammiccò con fare complice.
– Un po'. Ma Dwalin ha ragione: stai imparando ed adattandoti molto in fretta.
– Per una volta il mio fratellino ci ha visto giusto – si unì Fili, comparendo accanto al giovane nano e sorridendole dall'alto – e vedrai che presto anche nostro zio se ne renderà conto.
Il biondo le offrì una mano e lei, dopo essersi spazzata gli occhi con una manica della camicia, la afferrò, sfruttando la forza altrui per rimettersi definitivamente in piedi. Di nuovo sulle proprie gambe, sorridendo, osservò i due discendenti di Durin di fronte a lei, rendendosi conto una volta di più della propria statura ridotta: era alta quanto loro, secondi soltanto a Thorin e Dwalin per statura, ed aveva una corporatura meno tarchiata. Nessun mistero che Thorin, guardandola, pensasse a lei come ad una debole, giovane donna incapace di difendersi.
– Grazie ragazzi – disse ad entrambi, sinceramente grata della loro gentilezza. 
Kili le batté una mano sulla spalla con un gesto energico, tipicamente da nano, al quale lei resistette a malapena, per poi farsi condurre appresso al fuoco ove un affaccendato Bofur stava mescolando lo stufato in fase di cottura.
A quel punto Kat si rese conto di un dettaglio nell'ambiente circostante e, spaziando lo sguardo intorno a sé, inarcò un sopracciglio.
– Dov'è Gandalf?
Fu Bofur a risponderle, facendo spallucce mentre girava il cucchiaio in legno dentro il paiolo.
– Si è allontanato poco dopo il nostro arrivo.
– Oh..
Kat ebbe un presentimento e, inarcando un sopracciglio, tornò a scoccare un'occhiata alle macerie carbonizzate della fattoria lì vicino. Quando incrociò lo sguardo di Bilbo, lì accanto in attesa della cena, lesse in lui la stessa apprensione che minacciava di pervederle l'animo.
– ..e immagino non abbia detto quando tornerà – aggiunse.
– È uno stregone – ribadì con pacata mestizia Balin, inserendosi nel discorso, senza tuttavia sollevare lo sguardo dal filo della propria ascia – ..e gli stregoni a quanto ne so fanno spesso come vogliono, ragazza.
– Su, prendete: la cena è pronta! – esordì spensierato Bofur, senza alcuna preoccupazione al riguardo, porgendo la prima scodella di stufato fumante al nano più vicino.
– Oh, finalmente! – ribadì Gloin, il più corpulento di tutti loro, battendo le mani sulle ginocchia per la soddisfazione e l'impazienza.
Kat si ritrovò suo malgrado a sorridere e salutò Kili e Fili con un cenno prima che questi, dopo essersi serviti, si allontanassero per andare a far la guardia ai pony, già sgravati dei loro carichi e delle selle ed intenti a pascolare nelle vicinanze del boschetto.


Era già notte inoltrata quando Fili tornò trafelato all'accampamento.
– Troll! Hanno preso i nostri pony! – esclamò concitato, mettendo tutti sull'avviso e destando i pochi che si erano appisolati, fra cui la stessa Katla.
Ancora intontita, la ragazza fece appena in tempo a lanciargli un'occhiata interrogativa che Kili uscì a sua volta dalla selva con un balzo.
– E Bilbo ha bisogno di una mano!
Non ci fu bisogno d'altro. In un lampo tutti i nani presenti furono in piedi e con le armi in pugno, già pronti a lanciarsi dietro ai due giovani compagni per raggiungere il luogo in cui le creature delle caverne stavano bivaccando e salvare il loro piccolo scassinatore.
Quando però la ragazza fece altrettanto, già guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa da poter usare per difendersi, la sagoma di Thorin troneggiò al suo fianco, immobilizzandola con quel suo sguardo penetrante e severo.
– Tu resta qui – le intimò, duro, prima di passare oltre – Tutti gli altri, con me.
Allibita, Kat fissò ad occhi spalancati la schiena del capo della Compagnia mentre si allontanava a grandi passi, attraversando il prato per infilarsi nella selva senza nemmeno un accenno di indecisione. Un guerriero fatto e finito, un capo valoroso e indomito, che era ispirazione ed esempio per tutti i suoi compagni. Lei compresa.
Contrariata e combattuta, quando poi incrociò gli occhi castani di Kili, dovette sopprimere un guizzo di delusione quando in essi non vi trovò alcun sostegno, prima che il giovane nano seguisse suo zio.
Serrando allora i pugni lungo i fianchi, la ragazza iniziò immediamente a riflettere fra sé e sé mentre i suoi compagni di viaggio scomparivano nell’oscurità.
Non si sarebbe fatta mettere da parte come una bambola di porcellana, avrebbe dato prova del proprio coraggio e del proprio valore, ma soprattutto avrebbe dimostrato a Thorin che si sbagliava sul suo conto, che anche lei era indispensabile per la Compagnia.
Ma come?
Iniziò ad aggirarsi, avanti ed indietro, fra le coperte abbandonate a terra che erano i giacigli di fortuna dei suoi compagni, cercando di essere obiettiva. Non era una guerriera così capace, non ancora, e sebbene sentisse la smania che ogni novizio aveva in sé di dimostrare la propria crescita, non era sicura di riuscire ad affrontare un troll. Non dopo che si era trovata tanto in difetto nei confronti di un solo nano, che per forza doveva certamente essere inferiore a quelle creature.
Allora cosa poteva fare, nel suo “piccolo”, una piccola donna come lei?
Fu a quel punto che rammentò un dettaglio: i pony. Come risultato di quella disavventura la Compagnia avrebbe perso i pony e da lì in poi avrebbe dovuto proseguire a piedi. Forse poteva evitare la cosa e garantire a tutti loro una via più rapida attraverso le Terre Solitarie, fino alle Montagne Nebbiose.
Tanto valeva tentare, decise con rinnovata determinazione.
Quindi, preda di un impulsivo ottimismo, dopo aver frugato fra gli equipaggiamenti sparsi lì in giro ed aver recuperato una corda, si lanciò all'inseguimento, ringraziando il cielo che il frettoloso passaggio di tredici nani nel sottobosco avesse lasciato tracce evidenti. Pur faticando a muoversi nell'oscurità a malapena rischiarata dai raggi della luna, Kat, tentando di fare il minor rumore possibile, procedette spedita fra gli alberi, finché i rumori della lotta in corso non la guidarono sino alla sua meta.
Quando raggiunse il limitare del piccolo spiazzo in cui i troll si erano accampati, dovette nascondersi dietro uno degli alberi più robusti e tapparsi il naso per mitigare l'olezzo che infestava l'aria. Con la coda dell'occhio osservò come i suoi compagni e amici si gettavano sulle tre creature non senza una nota di meraviglia, pur ben sapendo dell'immenso coraggio di cui erano capaci. E, fra tutti, i suoi occhi vennero attratti dalla figura di Thorin che, menando colpi e muovendosi in quella folle mischia, spiccava sugli altri quale l'inarrestabile guerriero che era.
Kat a quella vista, riconoscendone l'innegabile valore ed abilità, avrebbe sospirato, non fosse che il respiro le era già bloccato in gola da un po' per la tensione. Era così presa da ciò che vedeva che quasi si perse il fare furtivo dello hobbit che, approfittando di un momento di distrazione dei tre troll, si era appropriato di una delle loro lame arrugginite e stava segando le funi che tenevano imprigionati i pony.
Bene, era il momento di agire, pensò.
Restando al riparo la giovane donna aggirò la lotta in corso, cercando di tener a freno il cuore che impazzito le galoppava nel petto pompandole ondate di adrenalina nei muscoli. Quando gli animali, spaventati, imboccarono la loro via di fuga, Kat scattò in avanti, spiccando la corsa al loro inseguimento nel bosco, cercando di non perderli. Eppure, per quanto si sforzò, non fece che pochi metri prima che gli animali si disperdessero, prendendo direzioni diverse.
– No! Maledizione! – imprecò contrariata, rallentando – Tornate qui!
Inutile dire che non venne ascoltata e lei, fermandosi col fiato corto, inspirò a fondo prima di alzare di nuovo la voce.
– Mìrtle! Minty! Sandy! Tornate indietro!
Nell'attesa a seguire, col cuore in gola, Kat rimase in attesa, ma gli unici suoni che le rimandò il bosco furono il suo respiro affannoso e qualche schiocco in lontananza. Nemmeno i rumori dello scontro coi troll erano più udibili, ovattati dalla fitta vegetazione circostante.
In un ultimo tentativo la ragazza allora fischiò, un fischio lungo e sonoro, simile a quelli che aveva sentito esternare un paio di giorni prima a Bifur.
– Daisy! Bungo! – chiamò ancora, facendo seguire qualche schiocco della lingua sul palato.
Attese e non osò più emettere un solo suono, perché così come avrebbe potuto farsi sentire dai piccoli cavalli, altrettanto avrebbe potuto essere per i troll che si era lasciata alle spalle. Mentre il respiro le si regolarizzava e lei faceva i conti con il proprio fallimento, a un certo punto un debole eco tornò a farsi strada sino a lei, riaccendendole il cuore di speranza.
Un nitrito.
Voltandosi immediatamente nella direzione da cui le era parso provenisse, Kat tornò ad infilarsi fra i cespugli, sondando la penombra con lo sguardo finché non scorse uno spiazzo aperto ed un paio di sagome davanti a lei. Quando uscì allo scoperto ed i tre pony le si mostrarono alla luce della luna, non riuscì a frenare un ampio sorriso.
– Niki – pronunciò a mezza voce, sorpresa che uno dei tre quadrupedi fosse proprio quello che le era stato affidato all'inizio di quell'avventura – E Daisy e Mìrtle – aggiunse, quando le altre due si spostarono e sbuffarono nella piccola radura, ancora agitate per lo spavento e la corsa nella notte.
Kat si avvicinò con cautela, facendosi riconoscere ed aiutandoli con la propria presenza familiare e rassicurante a calmarsi, quindi usò la corda che fino a quel momento aveva tenuto avvolta a tracolla per legare i tre pony all'albero più vicino.
Carezzò Niki e gli altri sul collo coperto di pelliccia finché non fu sicura che il panico che li aveva travolti fosse del tutto sparito, quindi tornò a dar voce ai propri pensieri.
– Speravo di recuperarvi tutti... ma forse non è ancora detta l'ultima parola – mormorò, tornando a sondare l'oscurità. Fischiò di nuovo, accostando le mani ai lati della bocca per indirizzare quel suono nella boscaglia, quindi tacque.
Niki, con uno sbuffo, nitrì e ben presto anche le altre due bestie lo imitarono, mentre quello la urtava col grosso muso, intenzionato a ricordarle la sua presenza proprio dietro di lei.
– Sì, lo so.. – tornò a parlargli, come se si aspettasse di essere capita, scostandolo da sé con una mano per tornare a osservare il sottobosco, in ascolto.
Pur non volendo, il suo cavallino aveva fatto esattamente ciò che ella si era aspettata ed ora non le restava che incrociare le dita, sperando che il suo verso avesse richiamato indietro qualcun altro dei pony fuggiti. 
Quando alle orecchie finalmente giunse un sommesso scalpitare di zoccoli, Kat trattenne il fiato. Poco dopo, con silenziosa esultanza della ragazza, altri due pony uscirono dal fitto, avvicinandosi ai loro simili e scambiandosi con essi piccoli sbuffi e sommessi versi in segno di saluto.
Katla si sarebbe data una pacca sulla spalla da sola, ma si accontentò di un ampio sorriso compiaciuto mentre si avvicinava ai nuovi arrivati e, con qualche carezza e pacca affettuosa, li riconosceva e si faceva a sua volta riconoscere.
La sua idea aveva in qualche modo funzionato e, forse, con un po' di fortuna, anche gli altri pony sarebbero tornati, essendo animali che per natura tendevano a muoversi in branco. Purtroppo non aveva tempo di verificarlo, avrebbe dovuto confidare nella provvidenza, lei aveva altro ora che la impensieriva.
– Voi restate qui, io torno a vedere come se la cavano gli altri.
Si voltò, ma non fece che qualche passo nella boscaglia prima di rimpiangere la mancanza di un'arma nel suo scarso equipaggiamento: avere una spada con sé l'avrebbe senz'altro fatta sentire meno vulnerabile al pensiero di riavvicinarsi all'accampamento troll.
Scoccò un'occhiata al cielo punteggiato di stelle, verificando che mancava ancora un po' di tempo all'alba. Forse ne aveva abbastanza per mettersi a cercare la grotta da cui quelle creature erano strisciate fuori. Lì, con un po' di fortuna, avrebbe potuto trovare qualcosa di utile e maneggevole.
Sì, tanto valeva tentare, si convinse.
Ci mise più tempo di quanto intimamente sperato per trovare ciò che cercava e, quando accadde, le voci gracchianti dei grossi troll di montagna che stavano iniziando a discutere fra loro risuonavano ormai nitide nel silenzio pressoché totale della selva circostante. Voltandosi avrebbe scorto senza alcun problema la luce del loro fuoco, ma approfittò del tenue bagliore di questo per muoversi con maggior sicurezza sul terreno accidentato, proprio nella direzione opposta.
Fermandosi davanti all'antro, un refolo d'aria fetida proveniente dal suo interno la investì, provocandole un conato di vomito e facendola piegare su sé stessa nel tentativo di trattenerlo. Non avrebbe mai immaginato che i troll puzzassero tanto e fu sul punto di fare dietro-front ed allontanarsi il più possibile pur d'evitarsi quella sofferenza. Invece, dopo aver aspettato un paio di minuti per riprendersi, la ragazza si fece coraggio e, con cautela, si addentrò nel riparo scavato nella roccia e nel terreno. 
Le tenebre più nere l'accolsero e quel tanfo insopportabile le rese difficile respirare, tanto che dovette coprirsi naso e bocca con un lembo del proprio stesso mantello per evitare di rimanerne soffocata.
Procedette a tentoni, sfiorando con le dita la parete umida, mentre gli stivali ai suoi piedi di tanto in tanto incespicavano in ostacoli invisibili ed indefinibili. Quando con la suola affondò in una pozza melmosa, Kat non faticò ad immaginarsi i liquidi di putrefazione di un qualche povera vittima e fu nuovamente sul punto di dare di stomaco. E stavolta non riuscì ad evitarselo.
Si piegò in avanti, alla cieca, rimettendo lo stufato sapientemente preparato dalle mani di Bofur poche ore prima con una serie di versi soffocati. Quando finì e non ebbe altro da vomitare, Kat si pulì la bocca come poté e cercò di rimettersi dritta, sperando con tutta sé stessa di non aver centrato i propri stessi stivali in quel momento di debolezza.
Asciugandosi le lacrime che le erano spuntate sulle ciglia, riprese allora ad avanzare, cercando di non pensare più a nulla che non fosse ciò per cui era venuta: le armi elfiche lì dimenticate dal resto del mondo.
Fu quasi per caso che infine vi si imbatté, giacché mise un piede su un appoggio instabile, un grosso frammento d'osso, e perse l'equilibrio. Quando cadde con un tonfo attutito sul pavimento in terra battuta, qualche frammento di pietra e chissà che altro rotolò via da lei, andando a rimbalzare su qualcosa di metallico proprio di fronte alla sua figuretta distesa nella polvere.
Cercando di respirare il meno possibile allora Kat si alzò carponi, procedendo in quella maniera finché non raggiunse finalmente quello che le parve al tatto un mucchio di polverose armi accatastate. Con la speranza di nuovo viva nel suo animo tastò per bene, ormai immune alla sensazione vischiosa che le ragnatele le davano sotto le dita, finché non distinse i contorni di una corta e sottile lama dalla linea ricurva, racchiusa in un fodero che non poteva essere più lungo d'una quarantina di centimetri.
Col cuore che le tornava a battere vittorioso in gola allora Katla afferrò l'arma e, dopo essersi rimessa in piedi, tornò sui propri passi, guidata dalla luminosità che fioca proveniva dall'esterno. Una volta fuori all'aria fresca e pulita delle Terre Solitarie la ragazza inspirò a pieni polmoni, ansiosa di scacciare il ricordo di quel puzzo dalle proprie narici, ma quando un istante più tardi si accorse che il cielo sopra di lei stava iniziando a cambiare, tornò a farsi irrequieta.
Dopo aver pulito alla bell'e meglio quella che nella luce delle stelle le apparve una fiera spada corta elfica, la estrasse senza un solo sibilo dal fodero, quindi procedette verso la luce del fuoco ancora acceso e scoppietante. Le ombre dei troll si distinsero nel sottobosco davanti a lei ancor prima dell'odore di fumo prodotto dalla legna umida, mentre le loro voci tornavano nette a turbare la quiete della foresta.
– Credi che non so che ti frulla nel cervello? 
Raggiungendo il limitare del cerchio di luce, Kat trovò di nuovo rifugio nella vegetazione e da lì osservò il grosso dito di uno dei troll pungolare il petto di Bilbo con fare accusatorio.
– Questo piccolo furetto – continuò quello, tornando al grosso marchingegno che era stato approntato per tenere sospesi i nani ivi legati come salami sopra il focolare – ci sta prendendo per degli stupidi!
– Furetto?! – ripeté, quasi oltraggiato, il piccolo hobbit dall'interno del suo sacco.
– Stupidi? – fece un altro troll con voce cavernosa.
Erano davvero grotteschi ora che poteva vederli da vicino, si rese conto.
Con la gola stretta dall'ansia, Kat sollevò lo sguardo verso il cielo, constatando con crescente sgomento che l'aurora non era ancora giunta. Dannazione, qualcosa non era andato come doveva. Riabbassando allarmata gli occhi grigi sull'accampamento ed i suoi occupanti, vide il terzo troll sporgersi verso Bilbo con l'intento di afferrarlo con quella sua grossa e grassa mano nerboruta, così lei non ci pensò due volte. Serrando la linea della mascella, saltò fuori dal suo nascondiglio, sguainando la spada e frapponendosi fra questi ed il mezz'uomo, creando non pochi sussulti di sorpresa con la propria comparsa improvvisa.
– Non toccatelo! – li intimò, mentre la lama nel suo pugno rifletteva la danza delle fiamme.
Il troll in questione ritrasse in ritardo la mano, cosicché la punta della spada corta sfoderata da Kat prima gli punse il palmo, facendogli esternare un'esclamazione di dolore.
– Ahi! Qualcosa mi ha punto! – si lamentò quello, confuso dalla rapidità dell'azione della giovane donna, tanto che parve convinto che fosse stato lo hobbit a farlo – Infidi scasshobbit.
I suoi fratelli troll, pur altrettanto lenti, come posarono i loro occhietti cisposi su di lei, iniziarono già a muoversi dai loro posti, ma fu ancora una volta la limpida e chiara voce di Kat a farli fermare.
– Fermi lì o assaggerete il filo della mia lama! – li intimò, sentendosi ridicola l'istante seguente.
Quei troll erano ancor più grossi di quanto le era sembrato in precedenza ora che si trovava ad affrontarli e le bastò un'occhiata ai loro arti tozzi e massicci perché comprendesse quanto in realtà fosse inerme dinanzi ad essi. Eppure, stringendo i denti, mantenne la posizione, facendo scudo al giovane Bilbo dietro di lei, talmente vicino alla sua schiena da avvertirne il respiro sfiorarle la base del collo.
– E questa cos'è, Berto?
– Un'altra nana?
– No, Guglielmo. Somiglia ad una delle figlie del fattore..
– Questa me la pappo io..
– Kat! – risuonò la voce di Kili, allarmato, prima che anche gli altri nani seguissero il suo esempio.
Fu Thorin tuttavia, fra le varie esclamazioni, quello che si fece sentire più di tutti: – Katla, scappa!
Come la sua voce tonante ed imperiosa sovrastò le altre, Kat si voltò a lanciargli un'occhiata e fece appena in tempo a vederne l'espressione, allarmata e contratta dalla tensione, prima che il più vicino dei tre troll facesse la sua mossa.
Come il suo enorme braccio si allungò verso di lei, la giovane donna si spinse indietro, dando una spallata a Bilbo per farlo cadere a terra ed evitare ad entrambi di essere afferrati dal pugno della creatura. Rotolando sul terreno la ragazza sgusciò via e poi, tornando in piedi, menò un fendente che ne prese in pieno lo spesso avambraccio, intaccandone a malapena la pelle coriacea.
– Si muove come un topolino – commentò in tono di scherno Maso, il troll che si era ritratto da Bilbo pochi secondi prima, verso i suoi fratelli.
Quello che lei aveva colpito, Guglielmo, anziché ritrarsi, come se non l'avesse nemmeno sentita mosse il braccio lateralmente, colpendola in pieno e mandandola gambe all'aria. Cadendo a terra Kat per poco non perse la presa sull'elsa della propria spada, ma la sua tenacia le andò in soccorso, impedendole di commettere due volte nell'arco della stessa sera lo stesso errore. Cercando di riprendere fiato, non fece tuttavia nemmeno in tempo a tornare a schiudere le palpebre che si sentì afferrare per una gamba e, quando riaprì gli occhi, il mondo era già sottosopra e lei penzolava nel vuoto.
– E morde anche come un topolino – rincarò la dose il troll che l'aveva afferrata, quello chiamato Guglielmo, ridendo e suscitando l'ilarità degli altri due suoi compari.
Per contro, le voci dei nani si levarono di nuovo in rimostranza, cariche di allarme ed avvertimenti.
– Fate silenzio! Fra poco toccherà anche a voi!
– Su Guglielmo, dalla a me. Non vedo l'ora di assaporarne le tenere carni – intervenne a quel punto quello che l'aveva rivendicata per primo, suscitando altra contrarietà ed una reazione rabbiosa del compare, il quale spostò la piccola donna fuori dalla sua portata.
– No no, Maso. Questa me la pappo io. Tu prenditi uno di quei nani puzzolenti!
– Ma non è giusto! – si lamentò Maso.
– Già – rincarò la dose Berto, col suo vocione indispettito – Perché dovresti gustartela proprio tu?
– Perché l'ho presa io – asserì Guglielmo.
– Sei un pancione prepotente!
– E tu sei un cafone!
E stavolta parve che le sue parole andassero a colpire nel segno, giacché il troll a cui erano indirizzate sussultò costernato, prima di partire alla carica.
– Questo non me lo dovevi dire – strepitò, sferrando un pugno sul naso di Guglielmo.
Col cuore in gola e l'adrenalina ormai a mille, vedendo arrivare il colpo la ragazza contrasse gli addominali e si piegò verso l'alto, affondando rapida la punta della piccola spada nella pellaccia della mano con cui la creatura del sottosuolo la reggeva ancora per aria. Questa volta il suo attacco parve avere un qualche effetto, perché quello di nome Guglielmo con uno strepitio la lasciò andare di scatto proprio un attimo prima che il colpo di Berto lo centrasse in pieno.
Cadendo a terra con un gemito, Kat rotolò via dalla zuffa che in breve prese campo fra i troll, evitando per miracolo di venir schiacciata dai loro grossi arti.
Quindi, al limitare dello spazio aperto, riprendendo fiato ella tornò a rimettersi in piedi, ammaccata e dolorante per la stretta con cui il troll l'aveva trattenuta, ma reattiva al massimo grazie all'adrenalina in circolo. Spalancò gli occhi chiari sul putiferio che stava scatenandosi di fronte a lei. Non poteva credere del tutto ai propri occhi né alla propria fortuna, direttamente proporzionale soltanto alla stupidità dei tre troll che stavano azzuffandosi fra loro, dimentichi persino del fuoco e dei nani impilati nei sacchi lì appresso.
Se andavano avanti così c'era la possibilità che uno o due di loro venissero involontariamente coinvolti nel marasma generale.
Con una smorfia di tensione e contrarietà, Katla lanciò un richiamo perentorio che ebbe l'effetto di attirare l'attenzione dei tre bestioni, facendone cessare la rissa per voltarsi a guardarla mentre lei di rimando tornava a sollevare la propria lama di fronte a sé.
– Piantatela di azzuffarvi o schiaccerete i miei amici! – li redarguì, cercando di essere più convincente ed autoritaria possibile in quella sua improvvisazione – ..e tutti sanno che la poltiglia di nano è tremenda da mandar giù.
Berto, con uno sbuffo, fu il primo a tornare al proprio posto, lasciando andare Guglielmo e tornando vicino allo spiedo di nani ancora posto sopra le fiamme. I poverini che si erano trovati sino a quel momento rivolti verso il fuoco scoppiettante, quando ne vennero allontanati dalla rotazione della trave a cui erano saldamente legati esalarono un sospiro di sollievo.
– Ha ragione la piccoletta – borbottò, scontento ma ragionevole – sbrighiamoci a finire di cucinarli, prima che si faccia mattina.
Maso e Guglielmo con grugniti simili non poterono che acconsentire e Kat, vedendo che il primo tornava a volgersi verso di lei, fece un passo indietro, mulinando la daga a mezz'aria per garantirsi un poco di tempo in più, prima d'essere catturata di nuovo. Ormai a corto di idee, lanciò una nuova disperata occhiata al cielo e, scorgendo l'alone dorato dell'aurora, si rese conto con una nota di sollievo che l'ora di quelle creature era ormai prossima. Ma dove diamine era lo stregone grigio?
Fu in quel momento esatto, come se lo avesse evocato, che la figura di Gandalf comparve alle spalle dei troll, sopra il grosso masso che si frapponeva fra loro e la luce del sole.
– L'alba vi prenda tutti e sia di pietra! – tuonò con voce perentoria, facendoli tutti voltare a guardarlo mentre calava con forza il bastone sulla roccia.
Quella, come colpita da un massiccio martello d'acciaio, si spaccò e crollò per metà, e dalla grossa frattura scaturì un fascio di luce che colpì in pieno i tre troll lì riuniti. Le loro grida di dolore si levarono e si contorsero mentre i raggi tramutavano le loro carni in pietra, finché essa non li rese altro che mere, grosse statue immobili intorno al fuoco.
Quando il silenzio tornò a calare sull'accampamento, nei pochi istanti necessari ai superstiti per rendersi conto che era tutto finito, Kat si lasciò andare ad un sospiro. Grazie al cielo Gandalf era giunto appena in tempo.
Fu per quel disarmante senso di sollievo che le gambe le cedettero, non più sorrette dall'adrenalina che andava scemando nelle sue vene, e la ragazza si ritrovò seduta in ginocchio alla ricerca d'aria. Bilbo le comparve accanto l'istante seguente ed i suoi occhi blu la sondarono con preoccupazione ed ammirazione malcelata.
– Stai bene, mia signora? – le domandò, apprensivo, ancora dentro il suo sacco.
Lei gli sorrise, non riuscendo a non ricambiare quelle attenzioni con altrettanta incredulità.
– Sì, sto bene.. ma, dopo questa, ti prego.. – gli rispose – ..basta con quel “mia signora”, chiamami solo Kat.
E lui, ancora sorpreso seppur lieto dell'epilogo di quella vicenda, annuì, mentre le risate di giubilo dei nani presero a risuonare in sottofondo.


Balin rimase ad osservare la ragazza attorniata da nani dalla sua posizione un po' in disparte, guardandola sorridere e sostenere stoicamente le pacche che i nipoti di Thorin le stavano dando in segno di apprezzamento sulle esili spalle. Lui stesso abbozzò un mezzo sorriso sotto i baffi, compiaciuto e sorpreso degli atti di cui era appena stato spettatore e dell'audacia dimostrata dalla giovane donna.
Un attimo dopo si ritrovò accanto suo fratello Dwalin, anche lui con lo sguardo rivolto verso Katla, e gli scoccò un'occhiata proprio mentre questi s’appendeva le mani in cintura e muoveva il capo in segno d’approvazione sotto la sua solita aria burbera.
– Notevole, per una figlia degli Uomini – commentò il nano dal capo tatuato.
– Già – ribatté serafico Balin, annuendo a propria volta – ..ha fegato, questo è certo.
– Credi che lei ed il mezz'uomo arriveranno in fondo a quest'impresa?
– Inizio a credere che abbiano le stesse possibilità che abbiamo noi, fratello – gli rispose di rimando il maggiore, andando a lisciarsi con fare pensieroso la folta e candida barba.
Dwalin non gli disse altro e nel silenzio meditabondo che seguì Balin tornò a guardarlo, finendo per inarcare un sopracciglio. Sapeva cosa voleva dire lo sguardo che vedeva sotto le folte sopracciglia del fratello al suo fianco e se ne stupì non poco.
– Non dirmi che stai pensando di prenderla sotto la tua ala? – lo interrogò – Non sarebbe da te.
Come preso alla sprovvista, l'altro sbottò cercando di tornare al proprio solito contegno scontroso.
– Ma no, che sciocchezza.. – ribatté, per nulla convincente – ..stavo solo pensando di tenerla d'occhio. Sai, per evitare che si faccia troppo male. Thorin ha ragione: non ha molte speranze di sopravvivere alle Terre Selvagge così com'è ora.
Balin scosse il capo, rassegnato ed ancora incredulo che persino quel burbero di suo fratello fosse bendisposto verso l'unica giovane donna della Compagnia. Non che lui stesso non la trovasse una ragazza deliziosa, ma continuava ad avere qualche riserva sulla sua partecipazione all'impresa che andavano a compiere. Non gli era ancora ben chiaro quale fosse il suo ruolo in quella faccenda, ma non avrebbe comunque avuto motivo di dubitare od opporsi alle decisioni dello stregone.
Senza contare che, in realtà, Kat gli piaceva: la sua presenza nella Compagnia contribuiva a tener alto il morale generale e lui sapeva bene che, nel corso del lungo viaggio che li attendeva, ne avrebbero avuto bisogno.
Emulò un sospiro dal grosso naso aquilino, rassegnato.
L'avrebbe tenuta d'occhio ancora un poco, decise, e nel mentre avrebbe continuato a guardare le spalle a Thorin.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 6
*** La testardaggine dei Nani ***








“Many days and many nights,
awake beside the campfire’s glow,
with the hope of seeing the morning light
and finally your destination.”
[ There and Back Again, Wind Rose ]




Katla li aveva condotti alla grotta in cui era nascosto il tesoro dei troll ma si era rifiutata di entrarci una seconda volta, rimanendo ad attendere fuori il ritorno dei suoi compagni. Quando Thorin le era passato accanto, entrando, l'aveva a malapena guardata e le aveva rivolto una breve frase di monito che l'aveva fatta irrigidire.
– Hai disobbedito ad un mio ordine: che sia l'ultima volta.
Lei, trattenendo la tensione nata dalla severità di quell'avvertimento, aveva sviato a sua volta lo sguardo di lato, imbronciandosi.
Che nano ostinato!
Nell'attesa che gli altri tornassero alla luce del sole dopo aver depredato quel buco puzzolente, lei si appoggiò semplicemente alla parete esterna, incrociando le braccia sotto il seno e ripensando all'epilogo di quella piccola disavventura.
Aveva ricevuto commenti di apprezzamento per il coraggio e l'indole battagliera dimostrati, e Fili e Kili l'avevano affiancata uno per lato e le avevano battuto ognuno una mano per spalla, congratulandosi con la loro allieva come se fosse stata un membro di famiglia. Soltanto uno fra i nani era rimasto in disparte, vicino a Gandalf, col quale aveva scambiato qualche parola in una spiccia conversazione privata: Thorin Scudodiquercia.
Quando la folla si era diradata un poco e lei era stata in grado di vederne la figura, i loro occhi si erano incrociati, ma quello che si erano scambiati era stato uno sguardo indecifrabile, che aveva mantenuto alto il muro che il nano aveva innalzato fra loro. E lei ora si ritrovava a dover combattere con un crescente malumore, insoddisfatta ed amareggiata.
– Tsk.. se non gli basta, vorrà dire che la prossima volta farò anche di più – borbottò fra sé e sé.
In quel momento riemerse dalle profondità della terra lo hobbit, il quale sembrava averne avuto abbastanza dell'aria stantia di quell'antro, a giudicare dal colore verdastro del suo volto. Lei gli sorrise e lui, dopo un momento per riprendere fiato, le si fermò al fianco.
– Grazie... per prima – esordì, un po' goffamente, con una sincerità assoluta – Sei stata molto coraggiosa. Io non credo sarei riuscito a fare ciò che hai fatto tu.
Intenerita dalle parole del piccolo mezz'uomo Kat si ritrovò a sorridergli con la medesima gentilezza da lui usata nei suoi riguardi.
– Io invece credo di sì – gli disse, convinta – Credo fermamente che anche tu, sotto tutti quegli strati di stoffa e ricci hobbit, abbia il coraggio che serve per arrivare in fondo a quest'impresa. Devi solo avere pazienza e vedrai che al momento giusto lo troverai.
Bilbo parve sorpreso di quelle parole, ma poi non mancò di annuire e donarle un nuovo mezzo sorriso riconoscente, mentre si passava le mani sul panciotto. Nel silenzio che seguì, accompagnato dai rumori dei nani che stavano armeggiando per seppellire l'oro rinvenuto, Kat si ritrovò a dar voce ai propri pensieri, cedendo all'impulso di confidarsi con qualcuno.
– Se non ci fossi stato tu, non credo sarei riuscita a fare quel che ho fatto – ammise, abbassando lo sguardo sul terreno ed incassando leggermente il capo fra le spalle, lasciando spazio alla propria amarezza nella voce – ..d'altra parte, sembra che il nostro capo non abbia affatto cambiato parere sul mio conto, nemmeno dopo stanotte.
Inizialmente lo hobbit parve preso alla sprovvista, ma dopo un istante in cui altalenò lo sguardo castano da lei al buco oscuro in cui gli altri si stavano attardando, parlò con rinnovata schiettezza.
– Io credo.. – esordì, soppesando le parole – credo che Thorin non ce l'abbia davvero con te – tentò di rassicurarla – è solo che, con tutta probabilità, non ha mai avuto a che fare con una donna come te. A dirla tutta – e a questo punto sfoggiò uno dei suoi sorrisi auto-ironici di quando qualcuno si prende gioco di sé stesso – nemmeno io ho mai incontrato qualcuno come te. N-non che abbia mai incontrato molti del tuo popolo, in realtà... credo... credo che questa sia la prima volta che mi allontano tanto da Casa Baggins.
Il vederlo così impacciato fece di nuovo sorridere Kat, che apprezzò quel suo goffo tentativo di tirarle su il morale, tanto da decidere di trarlo d'impiccio chiudendo il discorso per lui.
– Ho capito. Ti ringrazio, Bilbo Baggins – affermò, allungando la mano destra per posargliela sulla spalla con fare confidenziale ed amichevole – e, per quel che vale, è lo stesso per me.
Si scambiarono un sorriso complice, mentre le basi di una bella e solida amicizia sembravano ormai essersi formate fra loro, quando la terra iniziò a vomitare i loro compagni d'avventura. Ed il primo ad uscire fu proprio Thorin Scudodiquercia, la preziosa Fendiorchi stretta in pugno, il quale non mancò di notare quel gesto, pur non attardandosi più di un secondo a squadrare la strana coppia ferma a parlare in disparte.
Subito dopo Gandalf uscì alla luce del sole recando seco un'arma per mano, avvicinandosi per consegnare la più piccola a Bilbo.
– Questa è della tua misura – affermò, prima di rivolgere anche a Kat uno sguardo e due parole – Tu invece, pare che ti sia già servita da te – alludendo alla corta spada elfica che le pendeva al fianco sinistro.
Katla di rimando sfoggiò un sorrisetto sornione dei suoi.
– ..non posso accettarla – negò Bilbo, la daga elfica in mano, palesemente a disagio, riattirando lo sguardo accigliatosi dello stregone.
– Sono stati gli Elfi della Prima Era a farla – ribadì il Grigio, con un cipiglio da maestro – significa che diventa di colore blu quando ci sono orchi nelle vicinanze.
Con ancora quel mezzo sorriso a delinearle le labbra, Kat decise di rincarare la dose.
– Un dono provvidenziale, Mastro Baggins – e gli fece l'occhiolino, per non perdere la confidenza appena guadagnata nonostante il modo formale con cui l'aveva chiamato – ..e non sei obbligato ad usarla, accettandola. In fondo, basto già io a far venire i capelli bianchi ai nostri amici nani! – e ridacchiò della propria stessa ironia, riuscendo a strappare un nuovo sorrisetto incerto nello hobbit e uno sbuffetto divertito allo stregone.
– Va bene – capitolò il giovane hobbit, sospirando con una nota di rassegnazione – ..allora la terrò con me. Grazie, Gandalf.
L'Istar gli sorrise di rimando e annuì con un cenno a Katla, come a ringraziarla, quindi passò oltre.
Lei e Bilbo tornarono a guardarsi ed a scambiarsi dei sorrisi fra il soddisfatto ed il sollevato, quando Oin, Gloin e Bofur riemersero dalle profondità della terra con casse e barilotti di vivande.
– Guardate cos'abbiamo trovato in fondo alla grotta! – esclamò il nano dall'ampio cappello, attirando l'attenzione dei presenti.
Con la medesima soddisfazione a delineare le loro espressioni, Oin e Gloin appoggiarono a terra le casse, aprendone il coperchio per metterne alla luce il contenuto. Avvicinatosi ad osservare, Thorin si chinò su di queste prima di sfoggiare un sorrisetto altrettanto vittorioso e battere una mano sulla spalla del più vicino.
– Ben fatto – si complimentò, prima di tornare a raddrizzarsi.
– Le abbiamo trovate oltre la porta di cui Bilbo ha recuperato la chiave – intervenne Oin – Ci sono birra, pancetta e formaggio e persino qualche uovo ancora intero.
Al ché Thorin annuì, tornando ad un'espressione un poco più riflessiva ma non meno soddisfatta.
– Portiamo queste cose alla fattoria: ritengo ci siamo meritati una colazione degna di questo nome.
I tre nani annuirono e ben presto tutti, dopo che l'ordine di Thorin di andare si fece sentire, presero ad avviarsi verso l'accampamento lasciato durante la notte. Tuttavia, Katla indugiò a seguire la Compagnia e quando Bilbo le rivolse uno sguardo interrogativo, lei abbozzò un mezzo sorrisetto, sfoggiando un'aria furbetta e cospiratrice.
– Non vieni? – le chiese lo hobbit.
– No, prima devo fare una cosa.. – gli rispose, prima di rassicurarlo – ..tu vai pure, io vi raggiungerò subito, vedrai!
E, seppur perplesso, il mezz'uomo annuì e si avviò, non mancando di voltarsi un'ultima volta ad osservare la ragazza che spariva nella direzione opposta.


Seppur nessuno di loro cantò o raccontò storie mentre la pancetta veniva rosolata a dovere ed il pane delle loro ormai scarse provviste distribuito di nano in nano, hobbit compreso, Thorin si rese conto che mancava qualcuno.
Passò in rassegna i presenti due volte con lo sguardo, prima di avvertire il disappunto mischiarsi alla confusione ed a un'irrequietezza crescente, e stava per saltar su e chiedere dove ella fosse finita quando Katla comparve sulla strada che costeggiava la boscaglia in groppa al suo pony.
– Che il cielo mi fulmini – gli tolse le parole di bocca Balin.
Dietro di lei, che conduceva la sua cavalcatura come meglio poteva senza sella né briglie, seguivano gli altri pony della Compagnia, gli stessi che Thorin credeva fossero andati perduti chissà dove, scappati troppo lontano per essere recuperati.
Il Principe dei nani si sollevò in piedi senza staccare lo sguardo dalla giovane donna, scorgendone l'ampio sorriso da ella sfoggiato, decisamente evidente su quel suo viso contornato di ciocche ribelli che ondeggiavano al ritmo dell'andatura tenuta dall'animale. Totalmente sorpreso, il nano tardò a muoversi, seguendola con lo sguardo mentre lei li raggiungeva e si fermava nel cortile dinanzi alle rovine della piccola fattoria, guardandoli con aria vittoriosa e fiera.
– Ta-dan! – esclamò, puntellandosi i fianchi con ambo le mani strette a pugno – Ho recuperato i nostri pony!
Il primo a reagire fu Kili, che scoppiò a ridere, ribattendo con un: – Lo vediamo, Piccola Furia! – a cui seguirono altre affermazioni simili insieme a commenti e domande su come avesse fatto.
Alcuni nani si avvicinarono ai rispettivi pony, ansiosi di reclamare le loro cavalcature, e persino Gandalf si accostò alla giovane ancora appollaiata sul suo piccolo cavallino nero, un sorriso benevolo sul volto barbuto.
– I miei complimenti, amica mia – la lodò – sei riuscita a risparmiarci una inutile e noiosa camminata attraverso le Terre Solitarie. Non è vero, Thorin?
Sentendosi interpellato e scorgendo l'occhiata in tralice carica di sottintesi dello stregone, Thorin lo ricambiò con uno sguardo penetrante di disappunto, prima di cedere.
– Sì, è vero – ammise, avanzando anche lui sul prato per accostarsi al pony della ragazza e spostare su di lei l'attenzione, mantenendo il proprio contegno abituale – Ben fatto.
E, per una volta, fu sincero con sé stesso e con lei, che sotto il suo sguardo arrossì in una maniera che gliela rese più bella di quanto già non fosse.
Perché era questo il reale pensiero di Thorin Scudodiquercia mentre la guardava, intento a fare i conti con la parte più orgogliosa e testarda di sé stesso. Quella parte che si rifiutava di vedere nella giovane donna che aveva di fronte la guerriera che poteva essere, giacché lui di femmine era poco pratico e di donne ancora meno. Tutto in lei lo affascinava e lo sorprendeva, continuamente, facendo crollare ogni giudizio o parere superficiale che il nano le riservava volta per volta.
La sera precedente l'aveva colpita duramente per darle una lezione sulla crudeltà del mondo, ma anche perché spinto dal bisogno di allontanarla da sé, di tenerla a distanza mentalmente, se non poteva farlo fisicamente più di quanto già non facesse. Perché lui era Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna, e lei una ragazza di un popolo lontano e completamente diverso.
Aveva tentato di intimidirne lo spirito, ma aveva fallito... e non se ne sentiva rammaricato nemmeno un po'.
Non poteva essere piegata o scoraggiata perché quel suo animo, dotato della stessa fiera caparbietà che animava il popolo dei Nani, rifulgeva in quei suoi occhi grigio-verdi con la medesima compatta solidità dell'acciaio.
– Grazie – replicò lei semplicemente, pur non riuscendo a nascondere una certa soddisfazione per il risultato ottenuto.
Sembrava in attesa di qualcos'altro, ma lui non le avrebbe concesso nulla di più ed inarcò un sopracciglio al notarne la strana staticità.
– Non scendi?
– Oh.. sì, sì certo – replicò Katla, con un leggero sussulto, come cadendo dalle nuvole.
Thorin la osservò non riuscendo a non abbozzare un mezzo sorrisetto divertito, sospettando di essere lui stesso la ragione del disagio e dell'improvvisa goffaggine d'ella. Si spostò un po' più indietro sul dorso dell'animale e scavalcandolo, saltò giù con un balzello, ma incespicò sul terreno irregolare ed il Principe di Erebor si allungò per riflesso verso di lei, ritrovandosela fra le braccia ancor prima di rendersi realmente conto di cosa era appena accaduto.
Kat, le mani saldamente aggrappate ai suoi avambracci, spalancò le palpebre con sorpresa e socchiuse le labbra in un'espressione che lasciò trapelare il suo turbamento, e lo stesso Thorin, altrettanto stupito, si ritrovò a sbarrare lo sguardo di diamante.
Bloccato da una nuova tensione che gli impediva di avvicinarla ulteriormente così come di lasciarla andare, il nano sondò quel suo viso dalla pelle chiara, indugiando in quell'iridi che tanto ai suoi occhi parevano particolari nel colore come nella limpidezza, e passarono invero pochi secondi, tanto intensi da apparire un'eternità ad entrambi, prima che Kat interrompesse il silenzio fra loro.
– ..scusa – mormorò, con voce sottile ed incerta.
L'erede di Durin strinse le labbra, tornando consapevole della realtà circostante e della sua stessa identità.
– Fa' attenzione – le rispose, non riuscendo comunque ad usare alcun rimprovero nella propria voce, prima di fare un passo indietro e sottrarsi alla sensazione di deja-vù che lo aveva assalito.
Vincendo la propria stessa riluttanza la lasciò andare e lei, annuendo, le gote rosse come due meline, indietreggiò di un passo a propria volta, ristabilendo una distanza più consona ed al contempo, per il nano, oltremodo fastidiosa.
Determinato a non dare ascolto a tali emozioni, Thorin si volse verso i compagni ancora sparpagliati per il prato, rivolgendosi a tutti con il consueto tono di capo e condottiero.
– Dato che abbiamo di nuovo i nostri pony, ripartiremo a mezzogiorno – e già prese ad avviarsi verso il fuoco ed i pochi lì riuniti, prima di esclamare imperioso: – E, Bombur.. tocca quelle uova e te la farai a piedi da qui ai Monti Nebbiosi!


Impiegarono altri due giorni ad attraversare le Terre Solitarie, durante i quali l'abituale chiacchericcio che fino a quel momento aveva animato la Compagnia venne meno. Ognuno dei suoi appartenenti aveva iniziato ad avvertire la tensione nell'aria e la percezione di un pericolo più vicino di quanto si sarebbero augurati, così la marcia proseguì più silenziosa e persino Katla non canticchiò nemmeno una nota a mezza-voce.
Procedeva in coda al gruppo, accompagnando Bilbo e scambiando con lui soltanto qualche parola, più per noia che per vera propensione ad infrangere il silenzio che li avvolgeva. Persino durante l'ora dei pasti le cose non migliorarono, giacché le vettovaglie non erano più così abbondanti a causa delle piogge che avevano inzuppato i loro bagagli, e gli unici a cibarsi a sazietà furono ben presto soltanto i pony.
Comunque, durante ogni momento libero, la ragazza s'addestrava con la sua nuova piccola spada elfica e persino Bilbo aveva preso parte alla cosa, col pretesto di ammazzare il tempo ed ignorare i borbottii del suo piccolo e capiente stomaco hobbit.
Fu la mattina del terzo giorno che, quando ancora stavano caricando i pony per riprendere il cammino, Kat si ritrovò abbastanza vicina da ascoltare la discussione in corso fra Thorin e Gandalf, discosti dal resto della Compagnia.
– ..non lascerò avvicinare elfo alcuno alla mappa che mi è stata tramandata da mio padre – stava affermando con palese irritazione il nano, impuntandosi contro lo stregone, che di rimando ricambiò il suo sguardo truce con uno altrettanto contrariato.
– Ma Re Elrond conosce molte cose e senz'altro potrà dirci ciò che noi ancora ignoriamo.
– Qualcun altro nella Terra di Mezzo saprà farlo.
– Thorin, ti prego di ripensarci. Non siamo lontani dalla Valle di Imladris, se solo..
– La decisione è presa – ribadì, inflessibile, Thorin – Non cercherò l'aiuto degli Elfi.
I due rimasero tesi a fronteggiarsi per una manciata di secondi, poi lo stregone, sbuffando come una ciminiera, diede le spalle al nano e si avviò a grandi passi verso il suo cavallo bianco. Passando accanto a Kat, lei colse l'occhiata frustrata che le rivolse ed allora serrò le labbra in una smorfia piatta e tesa, prima di tornare a volgere gli occhi sul capo della Compagnia.
Il Principe dei Nani stava montando in sella in quel momento e, dopo essersi sistemato sul suo pony, diede secco l'ordine di rimettersi in viaggio; e la ragazza si ritrovò a chiedersi se fosse il caso di mettere da parte le proprie insicurezze e provare a parlargli. Era evidente che le cose stavano prendendo una piega a lei ignota, giacché Radagast il Bruno ancora non si era visto e le alte vette delle Montagne Nebbiose erano ormai prossime di fronte a loro.
Esse si levavano verso il cielo scure, le pendici brulle e desolate, più di quanto ella stessa s'era aspettata fossero, giacché non vi erano più alberi a spezzarne la pendenza per lo più regolare dei fianchi. Kat era a conoscenza dell'esistenza di profondi crepacci a tagliare quei declivi, invisibili ed infidi ad occhio inesperto, per questo, quando finalmente uscirono dalle Terre Solitarie, si era aspettata che lo stregone grigio passasse avanti per guidarli, ma ciò non avvenne.
Era già metà mattina e l'ora della merenda, come aveva fatto notare un avvilito Bilbo, era già passata da un pezzo, quando Thorin diede l'inatteso ordine di fermarsi.
– Ma che succede? – domandò il mezz'uomo, cercando di sporgersi sulla groppa del suo pony per lanciare uno sguardo avanti.
Katla, che allungò il collo per lo stesso motivo, scambiò un'occhiata con l'amico.
– Non saprei...
Dal suo punto di vista non riusciva a vedere molto: il pendio brullo pareva continuare imperterrito la sua ascesa verso la vetta e nei dintorni ella non scorse alcun indizio su un pericolo imminente. Poco dopo però, appena Thorin fece deviare la Compagnia dal percorso fino a quel momento intrapreso annunciando che dovevano tornare indietro, ella venne colpita da un sospetto che le venne poi confermato da un'occhiata di Gandalf stesso, che eppure rimase trincerato dietro ad un silenzio offeso.
Allora, mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi, Kat tornò a cercare Thorin con lo sguardo e prese la sua decisione. Spronò Niki ad accelerare il passo ad un trotto più sostenuto e superò la colonna di nani fino ad arrivare in testa, passando oltre persino Fili e Kili, i cui sguardi sorpresi e perplessi le si puntarono addosso come dardi di cerbottana. Lei, ignorando il peso di quegli occhi sulla propria schiena, si accostò al pony di Thorin e ne sostenne lo sguardo color ghiaccio non appena esso si posò su di lei, tradendo sorpresa e perplessità, ma anche un pizzico di contrarietà.
– Sei certo che sia questa, la strada giusta? – gli chiese, cercando di celare il proprio nervosismo.
Parlargli, da quando gli era inciampata fra le braccia, era divenuto ancor più difficile, ma sapeva di doversi far passare l'imbarazzo se voleva andare avanti in quell'avventura.
Thorin, come da programma, parve non gradire la sua domanda, ma si guardò bene dal farglielo presente e, tornando ad osservare la via di fronte a loro, le rispose: – Il sentiero fra queste montagne è più insidioso di quanto sperassi, ma ci basterà continuare verso Est e giungeremo alla sua fine.
La sincerità insita in quelle parole colpì Katla e la indusse a proseguire nel proprio intento.
– Gandalf conosce la via e sa' orientarsi bene fra queste pendici – gli fece notare, piuttosto diplomaticamente, tenendo gli occhi chiari fissi sul profilo del nano.
L'espressione seria in cui era atteggiato gli donava risolutezza, ma c'era qualcosa in lei che reclamava la vista di uno di quei suoi rari ed inattesi sorrisi e le fu difficile restare concentrata sul presente. Ci pensò l'occhiata di sbieco di Thorin a trattenerla, comunque.
– Se non ricordo male, anche tu hai affermato di saper orizzontarti piuttosto bene – ribatté.
– Be', sì.. è vero – ammise, presa in contropiede da quell'osservazione, prima di tentare con una nuova agitazione interiore di rimediare – ma non ho mai percorso queste terre e, sebbene conosca la regione grazie alle mappe che ho studiato e consultato in precedenza, converrai con me che il calcare queste vie in prima persona è una cosa ben diversa.
Il nano al suo fianco, pur insoddisfatto, parve doverlo riconoscere a propria volta, perché esternò un mugugno d'assenso. Così Kat, rianimandosi un poco grazie all'opinione concorde di lui, abbozzò un mezzo sorriso incoraggiante in sua direzione.
– Lascia che sia lo stregone a farci strada – tentò quindi di convincerlo ancora una volta – ..il nostro viaggio è ancora lungo e non possiamo permetterci di perderci fra queste gole, o peggio.
Nel breve silenzio che seguì non scorse alcun mutamento sul volto di Thorin, il quale perdurò a cavalcare con quell'aria inflessibile e seria che tanto gli era propria, finché finalmente non tornò a volgere il suo sguardo penetrante su di lei.
– Non posso ribattere a tanta ragionevolezza... – affermò con pacatezza ed una nota di arrendevolezza, sorprendendola nuovamente – Hai ragione: non possiamo permetterci di cadere in uno dei crepacci che tagliano le pendici di queste montagne.
Quando, poco dopo, Thorin chiamò Gandalf, Kat avvertì in petto una sensazione di contentezza ed orgoglio che le fecero battere più forte il cuore e furono la causa di un ampio sorriso che le si aprì in volto. Il suo entusiasmo non venne del tutto ignorato, perché per un solo istante ella credette di vedere un lievissimo mezzo sorriso increspare le labbra del nano, prima che lo stregone grigio trottasse rapido accanto a loro per prendere il posto che gli spettava. Bastò quel vago accenno da parte del principe nanico a farle sfarfallare il cuore nel petto e, quando l'istante seguente Gandalf le passò accanto, il sorrisetto che le rivolse sotto i baffi era carico di soddisfazione e compiacimento.
Da quel momento in poi la Compagnia procedette con più accortezza sotto l'attenta guida dello stregone, il quale di tanto in tanto doveva fermarsi per cercare le pietre bianche che segnavano il sentiero. Avevano appena superato l'ennesima gola che, infida e ripida, si era parata loro innanzi, quando il pony montato da Kat iniziò a sbuffare e scalpitare, rendendole improvvisamente molto più arduo il proseguimento. Con uno sguardo in tralice ella si accorse che anche Thorin, cui era rimasta a procedere silenziosamente al fianco, aveva qualche problema con la sua cavalcatura.
Poi un ululato si levò nel vento, facendo accapponare la pelle alla ragazza e portando il capo della Compagnia a tirare a sé le briglie mentre voltava di scatto la testa nella direzione da cui quel suono lugubre era sopraggiunto.
– Mannari! – esclamò con decisione Thorin, avvisando tutti del pericolo.
– Correte! – esclamò altrettanto imperioso Gandalf, spronando il suo cavallo al galoppo.
Gli altri non se lo fecero ripetere e lo imitarono, lanciando al galoppo le loro cavalcature sull'erba secca. Kat, col cuore in gola, si ritrovò a lottare per non venire sbalzata di sella e, grazie al cielo, il suo pony sembrava del tutto intenzionato a seguire quello di Thorin, mantenendosi in formazione in quella fuga a rotta di collo.
La paura le attanagliò lo stomaco con forza quando, il respiro corto, deviò lo sguardo verso la propria destra e, fra le rocce, scorse la scura sagoma di uno degli orchi in groppa ad un Mannaro Selvaggio al loro inseguimento. Li avevano già raggiunti.
– Thorin! – chiamò, in avvertimento, ed il nano davanti a lei si voltò a cercarla con lo sguardo, pur restando proteso sopra il dorso del suo pony.
Bastò questo perché cogliesse il messaggio.
– Non fermatevi! – urlò, continuando a spronare la propria cavalcatura.
Fu a quel punto che un grido nel vento giunse dalle loro spalle e Kat riconobbe in esso la voce di Bilbo, il cui pony era appena stato centrato da una freccia. La ragazza, il cui respiro le si era già fermato in gola, si voltò appena in tempo per vedere il piccolo hobbit venire sbalzato via di sella mentre il suo animale crollava a terra ed agì d'istinto, tirando violentemente a sé le briglie di Niki.
– Bilbo! – urlò trafelata, attirando l'attenzione di Gandalf e dei nani.
Cercando di aver ragione del proprio pony recalcitrante, Katla si lanciò verso il loro scassinatore mentre il resto della Compagnia prorompeva in grida di richiamo ed esclamazioni concitate. L'aveva ormai quasi raggiunto e s'era già sporta sulla sella, pronta ad allungare la mano per afferrarlo al volo, quando un Mannaro Selvaggio balzò da dietro il più vicino sperone di roccia e si avventò contro il suo pony, l'orco sulla sua groppa che strideva d'esultanza e malignità. Kat si ritrovò senza neanche rendersene conto a terra, rotolando nella polvere mentre il suo povero piccolo cavallino dal manto morello cadeva sotto le zanne della bestia, e non seppe mai quale fortuna le fece evitare la letale lama della orribile creatura che lo cavalcava.
L'impatto col suolo le tolse il respiro e, boccheggiando, quando aprì atterrita gli occhi chiari e constatò di essere ancora viva, vide le figure di Gloin, Oin e Dwalin lanciarsi sul nemico che l'aveva assalita, mentre una freccia ben piazzata, probabilmente da Kili, centrava il mannaro dritto in un occhio, facendolo crollare a terra con un guaito animalesco. Un'ombra la sovrastò quindi, ed una mano salda la sollevò di peso, strappandole un gridolino prima che si rendesse conto che era stato nient'altri che Thorin a rimetterla in piedi.
– Sguaina la spada! – le ordinò con foga, la voce talmente alta da sovrastare tutte le altre, prima di voltarsi a fronteggiare un altro orco in carica – Udâmai, ifrid ib-bekar![1]
Al comando del loro zio, Fili e Kili le furono subito accanto e deviarono all'ultimo una freccia vagante che stava per colpirla, mentre il principe nanico scattava per affondare la lucente Orcrist nel ventre di uno dei loro nemici. Con le orecchie colme del clangore della battaglia ormai in corso, Kat, cercando di mantenere il panico che l'aveva assalita sotto controllo, fece come le era stato detto ed al contempo cercò con lo sguardo il mezz'uomo.
In pochi secondi se lo trovò al fianco, malconcio ed impolverato, ma vivo ed altrettanto allarmato, mentre il resto della Compagnia, abbandonati i pony, si raccoglieva intorno a loro. Di Gandalf, si rese conto la ragazza osservando le massicce figure dei nani che le facevano da scudo, non sembrava esservi più traccia.
– Dov'è Gandalf? – risuonò incrinata la voce di Ori, esprimendo la sua stessa preoccupazione.
– Ci ha abbandonato – rispose qualcun altro amaramente, forse la voce di Nori, mentre tutti indietreggiavano verso uno dei massi più grossi dei paraggi per avere un fianco riparato.
L'orco più prossimo, a cavallo del suo mannaro ringhiante, avanzò minaccioso verso di loro e quando il sasso scagliato da Ori lo colpì sul muso, quello non fece una piega. Kat, a quella vista, gli occhi spalcanti e l'arma in pugno, deglutì ma tentò di controllare i propri nervi, ignorando la vocetta nella sua testa che le ripeteva che sarebbe morta. Ora che se li ritrovava davanti, gli orchi erano ancor più terrificanti di quanto si sarebbe aspettata, con quella pelle grigiastra e le zanne esposte alla vista. I loro lineamenti non erano così deformi come erano stati rappresentati nel suo mondo, ma incutevano altrettanto timore, arcigni e solcati da espressioni malevole, e vivere quell'esperienza in prima persona era senz'altro diverso dal guardarla dall'esterno.
– Mantenete le posizioni! – li esortò di nuovo la voce di Thorin, risuonando alta sopra i ringhi che riempivano l'aria circostante.
I nemici li stavano rapidamente circondando, si rese conto la ragazza, stringendo con tutta la forza che aveva l'impugnatura della propria lama. Era il momento di lottare, non di farsi prendere dal panico e soccombere, si disse, e si era appena ripromessa di dare mostra di tutto il coraggio che aveva, quando il cappello a punta dello stregone grigio fece capolino da un anfratto fra le rocce alle loro spalle.
– Da questa parte, sciocchi! – se ne uscì, levando il suo bastone per aria.
Quindi scomparve e tutti i nani, già voltatisi a guardarlo con tanto d'occhi, si lanciarono verso le pietre ed il varco insito fra queste. Il primo a raggiungere il riparo fu Bilbo, dietro al quale seguirono Bofur, Ori, Nori, Dori e Oin. Kat indugiò un solo secondo, scoccando uno sguardo ansioso a Thorin che si stava attardando per consentire loro un minimo di copertura, ma tanto bastò perché due paia di mani la sollevassero di peso e la lanciassero all'interno del passaggio.
Rotolando sul pietrisco, la giovane ignorò i graffi e le contusioni, prima di rimettersi in piedi e voltarsi di scatto, in attesa degli ultimi rimasti. Subito Fili e Kili la raggiunsero, rivelandosi gli artefici del suo piccolo volo, ma ella non provò alcun risentimento o desiderio di rimostranza verso i discendenti della Stirpe di Durin, l'animo stretto dall'ansia mentre i nani rimasti si precipitavano al riparo.
Dov'era Thorin?
Un guaito ed un tonfo anticiparono la comparsa del capo della Compagnia, il quale scivolò dentro con un unico balzo, la Fendiorchi sporca di sange nero in una mano e l'ascia nanica nell'altra, facendole così ritrovare il respiro fino a quel momento trattenuto.
Quindi il suono di un corno si levò limpido nell'aria, all'esterno del solco scavato nella roccia dalle intemperie, ed i nani tacquero, prestando orecchio ai rumori della battaglia che sembrava stesse avvenendo in superficie.
– Non vedo dove porta questo percorso – giunse la voce di Dwalin un paio di istanti più tardi, dall'altra estremità del passaggio fra le rocce – ..lo seguiamo o no?
Voltandosi tutti in sua direzione, neanche attesero l'assenso del loro capo per avviarsi in tutta fretta dietro al nano dal capo tatuato. Quando gli occhi di Kat e Thorin si incrociarono, quello le fece cenno di procedere e lei si incamminò dietro agli altri nani, cercando di controllare l'affanno del proprio respiro mentre imboccava la stretta gola che serpeggiava fra le solide pareti di pietra.
Il cuore le batté all'impazzata, colmandole le orecchie e distraendola dallo scalpiccio dei passi di chi la anticipava e di coloro che la seguivano, facendola sprofondare nella tempesta che aveva assalito la sua mente sottoforma di pensieri sconnessi ed immagini di ciò che era appena avvenuto. Tutto era accaduto troppo in fretta perché ella avesse avuto il tempo elaborare, ed ora che era spinta ad avanzare senza un lamento soltanto grazie alla necessità di tener salva la vita, la sua testa era nel caos più totale.
Un caos che si placò soltanto quando, guadagnato finalmente l'esterno, si fermò insieme ai suoi compagni ad osservare meravigliata la Valle Nascosta che verdeggiante si dischiuse dinanzi a loro, illuminata dalla calda luce del tramonto.
E, in quella nuova quiete, l'Ultima Casa Accogliente di Re Elrond le parve lo spettacolo più bello che avesse mai visto.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. "Udâmai, ifrid ib-bekar!" = "Compagni, preparate le armi!" in lingua khuzdul.

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Capitolo 7
*** Rivendell ***







“Golden king of morning, silver queen of night.
Rulers of the day, ancient owners of time.
Shining through the forest.
Glowing through in the night.”
[ Wintersaga, Wind Rose ]




Al loro arrivo erano stati accolti in amicizia, nonostante le riserve della maggior parte dei nani. Il Re Mezzelfo aveva offerto a Thorin ed alla sua Compagnia la sua ospitalità, cosa che aveva riempito di sollievo più di un animo affaticato e provato dai recenti avventimenti.
Katla era stata condotta in disparte quando gli altri erano stati fatti accomodare agli alloggi a loro destinati, e soltanto quando si era trovata di fronte ad una serie di gradini si era accorta di zoppicare. Gli Elfi le avevano curato il ginocchio sbucciato e poi era stata condotta da un paio di delicate dame di Gran Burrone in un luogo in cui avrebbe potuto ripulirsi a dovere. Soltanto dopo che le ebbero fornito un cambio d'abiti puliti e lei si fu vestita, finalmente venne condotta alla terrazza su cui gli altri suoi compagni di viaggio erano già seduti a mangiare.
Mangiare per modo di dire, in realtà, giacché sulla tavola non vi erano altro che erbe e verdure freschissime e si sà come i gusti dei nani differiscano da certe prelibatezze.
– ..non mi va il cibo verde – si stava lamentando Ori.
– E la carne? – sussurrò, nemmeno troppo piano, Dwalin, guardandosi intorno allibito.
– Le avranno le patate fritte?
Di fronte a tale scena, il cuore di Kat si scaldò e si rasserenò e lei si ritrovò a sorridere senza poterlo evitare mentre calcava gli ultimi metri. Sentendosi un poco a disagio a causa della lunghezza eccessiva della tunica elfica che indossava, abbastanza da rischiare di finirle sotto i piedi, passò dietro ad Oin e Gloin e raggiunse il fianco di Kili proprio mentre questi si rivolgeva a Dwalin.
– ..troppi pochi peli sulla faccia, – stava affermando, prima di scoccare un'occhiata ad un elfo lì accanto e aggiungere a bassa voce – anche se quella lì non è male.
– Quello non è un elfo femmina – gli confidò, divertito, il nano tatuato.
E Kat si lasciò sfuggire una risata che subito su unì a quelle degli altri nani lì seduti, subito nasconendola dietro una mano mentre si lasciava ricadere seduta sulla panca accanto al giovane principe. Quello, costernato e sorpreso, sussultò, ma poi le rivolse uno sguardo fra il divertito ed il fintamente risentito, smascherato dal sorriso che gli si formò spontaneo sul volto coperto della sua barbetta incolta.
– Kat, ci stavamo chiedendo se questi elfi ti avessero rapita!
– Be', è giunta appena in tempo, giovane Kili – ribatté bonariamente Balin, seduto poco distante con un ché di bonario compiacimento.
Il nano in questione, come realizzando in quel solo momento lo spettacolo che le aveva fornito, alternò gli occhi castani da lui alla ragazza.
– Non è affatto come sembra – negò lui, tentanto di salvarsi la faccia in qualche modo, suscitando altre risa. 
Nel frattempo, al tavolo di Elrond lì accanto, il Re stava parlando con Gandalf e Thorin delle spade da loro recuperate nelle Terre Solitarie e Kat non mancò di volgere su di loro la propria attenzione nemmeno stavolta, fin troppo palesemente perché non venisse notata.
Balin e Dwalin si scambiarono uno sguardo, prima che il più bianco dei due le rivolgesse la parola.
– Quegli abiti ti donano, giovane Katla – attirandone l'attenzione e suscitando in lei una certa sorpresa.
– Davvero?
– Certamente – convenne, gentile, prima di aggiungere – ..anche se, forse, una sistematina da parte del nostro Dori non guasterebbe. Sembra che siano un po' fuori misura.
Il sorriso imbarazzato ma spontaneo di lei non si fece attendere.
– In alcuni punti in effetti li trovo scomodi – confessò, arrossendo ed abbassando lo sguardo sul tavolo – ..ma, comunque, preferisco i miei vecchi abiti da viaggio, se devo essere sincera.
Balin, che pur aveva l'occhio acuto e l'indole schietta, non mancò di assentire.
– Anche Thorin la pensa di certo allo stesso modo – snocciolò, come se niente fosse, prendendo un sorso del pallido vino che gli avevano versato nel calice.
Non mancò però di osservare, con quel suo modo di fare discreto, la reazione della ragazza e, come la vide sussultare e diventare di un rosso acceso sino alla punta dei capelli, capì di aver fatto centro. Gli fece tenerezza, quella piccola donna la cui natura gentile non era per nulla messa in ombra dal profondo coraggio che più di una volta le aveva visto tirar fuori nei momenti di pericolo, ma una parte di lui si dispiacque per lei, perché ben conosceva il loro intrepido capo e già temeva come le cose sarebbero andate a finire.
Non fece parola dei propri pensieri tuttavia, mentre l'attenzione veniva attirata da Bofur, salito su un trespolo che altro non era se non un ceppo intagliato dalle abili mani di un artigiano dalle orecchie a punta. Ben presto l'atmosfera tornò a vivacizzarsi sotto le note del canto del nano dall'ampio cappello a pipistrello ed i funghi presero a volare da una parte all'altra della terrazza, sotto lo sguardo allibito del loro anfitrione e quello carico di disagio dello stregone lì con lui.
Thorin si era già congedato.


Katla dormì a lungo, per quasi tutta la notte e tutto il mattino seguente, giacché il letto della sua stanza era talmente confortevole e le lenzuola candide talmente profumate, da rammentarle quelli di casa propria, nel suo mondo. Era stata una sensazione talmente intensa che s'era destata durante la notte a causa di un principio di panico ed una sensazione di soffocamento, preda dell'irrazionale pensiero di essere nella propria camera e non a Gran Burrone. La morsa al petto era scomparsa soltanto qualche secondo dopo aver realizzato dove si trovasse e che quanto accaduto nelle ultime settimane non era stato soltanto un sogno. Allora, col confortante pensiero di aver a pochi metri di distanza i suoi compagni intenti a ronfare della grossa e che quella in cui si trovava era l’Ultima Casa Accogliente, si era lasciata vincere ancora una volta dalla spossatezza ed era crollata in un sonno senza sogni.
S'era destata di nuovo soltanto al mezzodì, a causa di un raggio di sole che era andato a posarsi sul suo cuscino, ed era stata accolta dai rumori della vita provenienti da oltre la sua finestra socchiusa. Alla musica elfica si accompagnava il cinguettio degli uccellini, a tratti turbato dalle voci meno melodiche dei nani e dal rumore di sottofondo del fiume, e Kat aveva sorriso, lieta di trovarsi in quel luogo in quel dato momento, mentre la nostalgia delle comodità del suo mondo, covata di tanto in tanto durante il viaggio, veniva meno.
Ancora un po' indolenzita per il lungo sonno, si era dunque vestita con calma ed era uscita con il preciso intento di procurarsi qualcosa da mangiare, ritrovando ad accoglierla una splendida giornata di sole. L'aria profumava degli odori dell'estate e la giovane donna si ritrovò ad affacciarsi ad un piccolo balconcino, richiamata dal paesaggio circostante, il quale appena le si aprì innanzi la lasciò senza fiato per una manciata di minuti.
Ammirando le cascate ed il Fiume Bruinen che scorreva ai piedi della valle, fra i boschi di querce e betulle, Kat si accorse in ritardo della presenza dei due nani sulla via che, nel giardino sottostante, fra colonne e muretti, passeggiavano e parlavano fra loro.
Erano Balin e Thorin e, come riconobbe il secondo, vestito d’una tunica blu dai ricami argentati che tanto bene si sposava con la sua chioma corvina ed al suo portamento, il cuore ebbe un sussulto nel suo petto. Rimase assorta ad osservarlo, meravigliata quasi, mentre le mani poggiate sulla pietra del parapetto si stringevano sulla superficie scolpita, come se necessitasse di un appiglio per resistere alle emozioni che si risvegliarono in lei.
Le piaceva così tanto che il suo animo fremeva ogni volta che, per un qualche motivo, i loro occhi si incrociavano e lei si ritrovava combattuta fra le emozioni che le causava l'intransigenza che lui le riservava ed i più rari, insostituibili momenti in cui dava mostra della gentilezza insita nel suo cuore.
Approfittando dell'opportunità di poterlo guardare liberamente senza il timore di essere notata, Kat rimase ad osservarne la gestualità mentre parlava con il suo compagno, studiandolo quasi, giacché i misteri intorno alla figura dell’erede di Erebor erano molteplici ai suoi occhi sognanti. Sarebbe rimasta lì per un tempo decisamente lungo se, due minuti dopo, Gandalf non fosse comparso alle sue spalle, riportandola alla realtà.
– Oh, eccoti qui.
Alla familiare ed allegra voce dello stregone grigio Kat si voltò con un piccolo sussulto, non riuscendo a non arrossire come una scolaretta nel vederne l’alta figura procedere verso di lei, uscendo a sua volta sul terrazzo soleggiato.
– Hai fatto un buon sonno? – le domandò, cordiale – Non ti si è vista a colazione e qualcuno dei nostri amici non ha mancato di notare la tua assenza.
Un poco sorpresa per quell’affermazione, Katla spalancò le palpebre per la curiosità, e fu sul punto di chiedere di chi egli stesse parlando in particolare, prima di ripensarci e ribattere con un più vago – Davvero?
– Oh sì – confermò l’Istar divertito, mentre le si fermava accanto e volgeva lo sguardo alla vallata sottostante – ..capisco come mai ti ho trovata qui fuori – commentò, alludendo alla vista che si godeva da quel punto.
La valle di Imladris era un tripudio di vegetazione racchiusa fra alte pareti rocciose, i cui prati e boschetti baciati dal sole splendevano di varie tonalità di verde. Al fiume Bruinen, le cui cascate incoronavano la valle come la più fine corona di cristallo, con le sue acque limpide e azzurrognole si doveva tanta rigogliosità.
E Kat quasi avvampò d’imbarazzo nel notare lo splendore del paesaggio soltanto in quel momento, proprio grazie all’osservazione dello stregone. Tale era il suo sentirsi colpevole che non riuscì a ribattere alcunché, così ci pensò Gandalf, ancora una volta, ad infrangere il silenzio.
– Ieri le tue azioni hanno dato mostra del tuo valore. Desidero ringraziarti per aver cercato di aiutare Bilbo, a dispetto dell'enorme rischio che entrambi avete corso... e anche per aver fatto ragionare Thorin.
– Non.. non fa niente – gli rispose la piccola donna, un po' impacciata ma grata di quella distrazione, finendo per abbozzare un mezzo sorriso – ..non devi ringraziarmi: Bilbo è anche mio amico.
Gandalf annuì, concorde, e Kat si ritrovò a ripensare agli ultimi giorni di cammino ed alla mancata comparizione dello stregone bruno. Così, prima di perdere la propria occasione, lanciando meccanicamente una rapida occhiata al capo della Compagnia, diversi metri più in basso, gli domandò ciò che da tempo ormai si stava intimamente chiedendo.
– Gandalf, la mappa che ti ha consegnato Thrain.. l'hai avuta da lui a Dol Guldur, vero?
Se l’Istar a quella domanda diretta fu sorpreso non lo diede esplicitamente a vedere e lasciò intercorrere soltanto una rapida pausa di silenzio, prima di annuire.
– Sì, piccola Kat – le confermò, mentre l'ombra del dispiacere calava sul suo volto segnato di rughe – Ma non è una storia adatta a questi luoghi. Ti basti sapere che era prigioniero di un uomo malvagio, un necromante, e che quando me la consegnò insieme alla chiave aveva già quasi totalmente perso il senno.
Katla inspirò, gonfiando il petto per cercare di mitigare la sensazione funesta che le parole dello stregone le avevano appena infuso, ma non rinunciò a voler saperne di più e glielo chiese direttamente: – ..e poi? Che ne è stato di Thrain, figlio di Thror?
– Purtroppo se ne è smarrita ogni traccia ed io stesso non l'ho più visto, da allora – le rispose Gandalf, guardandola dritto negli occhi – Non so dirti se sia vivo o meno, giovane amica mia, ma non sono l'unico ad augurarsi che calchi ancora queste terre.
Kat colse perfettamente il messaggio insito in quell'ultima affermazione e, stringendo le labbra fra loro, annuì per dargli conferma di aver compreso ciò che egli aveva voluto sottintendere. Il primo che certamente si augurava che Thrain fosse in salute ed ancora vivo era senz'altro suo figlio, Thorin. In più, aveva avuto anche la spiegazione che desiderava su Radagast, giacché non vi era motivo che andasse a cercare il suo collega stregone se il negromante era già stato affrontato. 
Un problema in meno, si disse, seppur questo non avesse influito affatto sulla possibilità di imbattersi in gruppi di orchi assetati di sangue. Ancora una volta rifletté sulla seria necessità di migliorare nel combattimento, ancora troppo inesperta nell'uso della sua nuova piccola spada elfica, quando una figura uscì placida dal colonnato, avvicinandosi ed attirando la loro attenzione.
– Come sta la mia piccola ospite? – domandò Re Elrond, vestendo abiti di un verde pallido ed un sorriso quieto.
– Oh, Elrond, mellonamin [1] – esordì lo stregone, salutandolo amichevolmente, cosa che indusse anche Kat a fare altrettanto.
– Buongiorno a voi, mio signore Elrond – mormorò, chinando il capo in omaggio al Re della Valle Nascosta – Vi porgo i miei ringraziamenti per la gentilezza da voi mostrataci nell'offrirci la vostra ospitalità.
Elrond parve apprezzare, perché le rivolse lo stesso sorriso che aveva rivolto a Gandalf, guardandola dall'alto della sua statura slanciata di elfo.
– Sono lieto di poter essere d'aiuto a un amico – disse soltanto, prima di rivolgersi direttamente allo stregone – E ti informo, a questo riguardo, che ho ricevuto un messaggio da parte del capo del tuo ordine: Saruman il Bianco ti invita ad attendere il suo arrivo. Pare abbia qualcosa di importante di cui parlarti.
Gandalf parve sorpreso, ma non mostrò alcun segno di inquietudine e Kat dovette sopprimere sul nascere la propria, rammentandosi che non era quello il tempo in cui lo stregone bianco sarebbe stato vinto dalle oscure promesse del Signore di Mordor.
Con una parte di sé Kat si ritrovò a desiderare di poterlo vedere, anche solo di sfuggita, prima della loro partenza, interessata alla sua versione benevola di guardiano della Terra di Mezzo, ma poi le sue riflessioni vennero nuovamente interrotte.
– ..se Kat è d'accordo, vorrei che assistessi anche tu alle sue doti – stava dicendo il Grigio verso il Signore di Gran Burrone.
Cadendo dalle nuvole, la ragazza fece del suo meglio per non tradire la propria spaesatezza, ma a quanto pare non fu abbastanza brava perché Gandalf ebbe la compiacenza di chiarirle ogni dubbio.
– Piccola mia, vorrei che tu ci cantassi qualcosa – le disse, ed all'accenno di incertezza che preannunciava un rifiuto da parte di lei aggiunse: – per ricambiare l'ospitalità di Re Elrond. Gli Elfi da sempre sono amanti della musica e della conoscenza ed il nostro padrone di casa sarebbe lieto di sentire qualcosa di nuovo, così come è stato per i nostri amici nani. Qualcosa della tua patria, magari.
Presa alla sprovvista, Kat altalenò lo sguardo sbarrato fra lo stregone ed il Re Mezzelfo un paio di volte, finendo per serrare le labbra sotto una nuova tensione. Per quanto i loro compagni di viaggio all’epoca avessero apprezzato, lei sapeva di non essere all'altezza di un udito fine come quello degli Elfi. Inoltre, le canzoni del suo mondo erano molto diverse dalle melodie della Terra di Mezzo.
– Puoi farci sentire anche solo qualche strofa, purché tu la senta vicina – insistette ancora, Gandalf, cercando di rassicurarla e convincerla a fargli quel piccolo favore – ..se intrisa dei sentimenti di chi la suona ogni melodia acquista valore e, a mio parere, è degna di essere ascoltata almeno una volta.
Con un nodo d'ansia alla bocca dello stomaco, Kat si ritrovò combattuta sull'esaudire l'inattesa richiesta dell'Istar e fu soltanto perché Elrond stesso rimarcò il suo interesse che ella, dopo una nuova pausa, alla fine acconsentì.
Se bastavano poche strofe, allora forse avrebbe potuto soddisfare la curiosità altrui.
Sospirò a labbra serrate, svuotando i polmoni d'aria e con essa cercando di sciogliere la tensione che minacciava di renderla rigida quanto una statua di sale.
– Va bene.. ma ho bisogno di pensarci un momento – ammise, distogliendo lo sguardo.
Entrambi si dimostrarono comprensivi e pazienti, tanto da spostarsi un poco più in disparte e lasciarle la possibilità di riflettere senza ulteriori pressioni, e lei gliene fu grata. Adorava la musica e spesso canticchiava le note e le parole che più le risuonavano vivide nella mente in quel dato momento, ma ora che le veniva chiesto esplicitamente aveva la testa completamente vuota. Persino quando aveva cantato per i nani aveva riflettuto tutto il giorno su quale, delle canzoni del suo mondo che riusciva a ricordare bene, sarebbe stata più appropriata. Alla fine aveva scelto una delle sue preferite, una di quelle che l'affascinavano e la rispecchiavano di più, e la cosa aveva riscosso più apprezzamenti di quanto avrebbe mai immaginato dai suoi ascoltatori... tutti tranne uno, in realtà.
Tornò ad abbassare lo sguardo sul giardino sottostante, mentre i suoi occhi ricercarono automaticamente la figura del Principe dei Durin sul sentiero, non trovandolo subito. S'era spostato ed ella lo ritrovò sotto un albero, intento non più a parlare con Balin ma in compagnia di suo nipote Fili. Avrebbe voluto essere laggiù, anziché lì su, e condividere quella piccola, preziosa esperienza con il biondo. Si chiese di cosa stessero parlando, giacché le loro voci non arrivavano fino a lei.
Sospirò, preda dell'amara consapevolezza di non far parte di quel mondo, dopotutto. 
Eppure, per quante difficoltà avesse incontrato da quando era giunta ad Arda, a spingerla ad andare avanti non vi era altro desiderio che quello di poterne davvero fare parte, nel profondo del suo animo. 
Voleva far parte del mondo di Thorin Scudodiquercia con tutta sé stessa.
Ed allora, finalmente, le venne in mente cosa avrebbe potuto cantare.
Se davvero bastavano poche strofe e l'unica cosa richiesta era che le sentisse nel profondo, allora in quel momento non vi era per lei scelta migliore di quella.
Così, con gli occhi socchiusi fissi sul nano che stava lentamente diventando per lei la sua più intima ossessione, schiuse le labbra, dando forma alle prime parole con voce sottile e quasi confidenziale.

Come vorrei stare lì con te, [*]
cosa darei per sederti accanto,
vorrei che ti voltassi a sorridermi..

Lo struggimento le colmò il petto in risposta alla sua personale versione di quel canto, spingendola a serrare le palpebre mentre una nuova brezza, più fredda di quanto si sarebbe razionalmente aspettata, le carezzava la pelle e le faceva ondeggiare i capelli.

Quando accadrà? No, non lo so,
ma del tuo mondo parte farò..
Guarda e vedrai
che il sogno mio
si avvererà!

Il vento che le turbinò intorno le si insinuò sotto gli abiti leggeri, fresco e rassicurante al contempo, mentre Kat neanche se ne accorgeva, assorta in sé stessa e nella musica che le colmava la mente, e perdurò nella sua intensità finché ella mantenne l'ultima nota. Quando infine lasciò sfumare la propria voce sino a spegnerla, altrettanto fece la brezza intorno a lei e grazie a questo, quando tornò a voltarsi per lanciare un'occhiata incerta a Gandalf ed Elrond, si ritrovò a combattere con una crescente perplessità nell'incrociarne gli sguardi attenti ed un poco attoniti.
Fu l’Istar il primo ad annuire e mostrare all'amico un sorriso compiaciuto.
– Ecco, come avevo detto – annunciò, indicandola con un gesto blando della mano.
– Avevi ragione, Gandalf – ribatté grevemente il Re Mezzelfo, assumendo un'aria riflessiva – ..sorprendente davvero: non ho mai avvertito una magia di tale natura in una creatura della Terra di Mezzo.
Confusa, Katla altalenò gli occhi grigi sui due, prima di deviarli di nuovo dabbasso, ed allora il suo cuore sussultò nuovamente. Thorin e Fili stavano guardando verso di lei ed il biondo, appena vide il suo sguardo ricambiato, sollevò una mano in segno di saluto, sorridendole allegro da quella distanza. Suo zio, invece, non fece altro che fissarla dal basso.
Avvampando in volto, Kat ricambiò i nani con un cenno molto simile e sbrigativo, quindi si voltò per scostarsi dal parapetto e togliersi dalla loro vista. Pareva quasi che il suo desiderio si fosse in qualche modo realizzato, poiché davvero Thorin si era voltato a guardarla ed ancora poteva sentire il peso di quei suoi occhi di diamante perforarle la nuca.
In preda all'imbarazzo si riavvicinò a Gandalf, troppo agitata per prestare ascolto alle cose da stregone di cui stava parlando con il Signore di Gran Burrone. Così, persa in sé stessa e nei propri pensieri che, confusionari, le vorticavano nella mente, rammentò il proprio proposito e decise di porre la propria richiesta al Re Mezzelfo. D’altronde, era proprio quello per lei il momento migliore per inoltrargli la propria richiesta, giacché aveva la possibilità di farlo di persona e non perdere ulteriore tempo in indugi.
Perché il tempo era assai prezioso per i suoi scopi.
– Mio signore Elrond – osò esordire alla prima occasione, puntando due occhi colmi di tensione e fermezza sull'elfo – ..se possibile, avrei una richiesta da farvi. Mi spiace approfittare della vostra gentilezza, ma non vi è nessun altro a cui possa chiedere tale favore.
Senza mostrare alcun segno d'irritazione per l’interruzione, ma solo un innato barlume d’interesse, Elrond la esortò gentilmente a continuare e la giovane donna, serrando i pugni lungo i fianchi, espose la propria richiesta.
Una volta che ebbe finito di parlare, il Re e lo stregone grigio si scambiarono un'occhiata, ma poi un nuovo sorriso si fece largo sul volto elfico del primo.
– Confesso che sono oltremodo sorpreso – affermò – e non è cosa da poco. Ad ogni modo, non vedo il motivo di rifiutarti tale cortesia, se sei certa di ciò che chiedi. Non sarà facile però e non dovrai aspettarti risultati che vanno al di là della tua portata.
Kat mosse il capo in segno d'assenso.
– Sono consapevole dei limiti del mio corpo ma, se grazie al vostro favore questi potessero migliorare anche soltanto un poco, per me sarebbe abbastanza.
– Così sia: chiederò ai miei figli, Elladan ed Elrohir, di occuparsene personalmente – le annunciò – Lunga è ancora la strada che dovrai percorrere, giovane Katla, ma se così potrai affrontarla con più sicurezza e meno timori, allora non ho ragione di dubitare della tua volontà.
E Kat sorrise di rimando, colmata da una nuova, immensa gratitudine per la benevolenza concessale.


Elrohir e suo fratello gemello erano indistinguibili all'occhio umano di Katla, la quale nemmeno dopo una settimana trascorsa dal giorno in cui Elrond le aveva concesso di essere addestrata, riusciva ancora a notare differenze fisiche nei due principi mezzelfi.
Questo però, a parte qualche cipiglio o sorrisetto ironico da parte dei diretti interessati, non costituiva un impedimento alle sue lezioni, nelle quali la giovane donna tentava ogni volta di dare il meglio di sé. Con la propria lama elfica in pugno, ella tentava di eguagliare le movenze dei suoi insegnanti che, comunque, non si sbilanciavano in lodi o critiche particolarmente sentite. I loro consigli, il loro metodo, ben presto risultò dare i suoi frutti mentre il corpo stesso di lei si adattava alle movenze ed alla rapidità necessaria ad eseguirle.
Certamente non sarebbe mai arrivata, nel poco tempo a sua disposizione, ad eguagliare anche di poco la grazia e la velocità degli Elfi, ma già soltanto dopo sette giorni il cambiamento ad occhio altrui era divenuto evidente, perché i suoi movimenti s'erano già fatti più fluidi e precisi.
Era la mattina dell'ottavo giorno e l'estate era ormai giunta, rendendo i raggi del sole più caldi nell'aria, cosicché Kat, per comodità personale, aveva da tempo smesso ogni genere di veste a manica lunga e si era procurata degli abiti da allenamento, forse un po' succinti, ma funzionali.
Scalza, giacché aveva preso l'abitudine di togliersi persino gli stivali, preferendo la sensazione dell'erba verde e del terreno soffice sotto i piedi, la ragazza si lasciò scivolare a terra appena Elrohir le concesse la consueta pausa per riprendere fiato.
Era un giovane elfo d'età indefinita, come il padre ed ogni altro appartenente alla loro razza, con capelli scuri ed occhi grigi, di una tonalità più chiara e scintillante rispetto ai suoi, penetranti come l'acciaio mentre la scrutavano impassibili.
– Per ora può bastare – intervenne Elladan, rimasto in disparte sino a quel momento – riprenderemo nel pomeriggio. 
– Continuando così il tuo fisico ben presto si adatterà ai ritmi di un vero duello – asserì Elrohir, annuendo con un cenno del capo fra sé e sé, rinfoderando la propria spada con grazia – ..anche se, fossi in te, non mi farei illusioni. Ciò che dovresti fare è trovare un equilibrio e definire grazie ad esso lo stile di combattimento che più ti rispecchia. Solo così potrai avere ragione dell'avversario e conservare la tua vita.
Ancora col fiato leggermente affannoso ed il sudore che le imperlava la fronte, Kat annuì, accogliendo tale consiglio con rinnovata gratitudine, tanto da spingerla a sorridere ad entrambi.
– Vi ringrazio... per tutto – disse, prima di lasciare che la testa le ciondolasse all'indietro ed emettere un sospiro.
Quando tornò a volgere attenzione ai due gemelli, essi le si erano già avvicinati e le stavano tendendo una mano per lato, rivolgendole un paio di franchi e complici sorrisetti che erano l'uno lo specchio dell'altro. Sorrisetti che la ragazza si ritrovò a ricambiare, prima di accettare il loro aiuto a rimettersi in piedi.
Pur essendo entrambi maestri d'arme esigenti, una volta riposte le lame, il loro lato umano sembrava farsi strada verso la luce del sole quando si attardavano in sua compagnia, abbastanza da esser la causa e la colonna portante di un'affinità che andava consolidandosi di giorno in giorno, fra i tre.
Così Kat si era ritrovata già un paio di volte a parlare con loro al di fuori delle sessioni a cui veniva sottoposta, ed essi le avevano persino fatto da guida per le vie ed i colonnati di Gran Burrone. Seppur soventemente venisse presa in giro per certi suoi atteggiamenti e reazioni eccessive, o per la sua scarsa capacità d'eseguire gesti aggraziati, ella non se ne sentiva offesa, giacché non v’era malanimo in tali osservazioni ma soltanto una bonaria ironia.
Come di consueto i due fecero un pezzo di strada con lei, cosicché la ragazza si ritrovò a disquisire del più e del meno prima che venissero intercettati dalle piccole figure di un paio di nani altrettanto familiari ai suoi occhi.
Fili e Kili, poco più avanti sulla sua stessa via, le andarono incontro con due ampi sorrisi gemelli, ignorando platealmente i due elfi con lei. Elrohir ed Elladan, che non erano stupidi né propensi al conflitto, si congedarono poco prima che i due nani le si fermassero di fronte, sbarrandole in quel modo il passo.
– Kat, ti stavamo cercando! – affermò il minore dei due, con un sorriso sbarazzino ed una strana luce negli occhi, quella di chi ha senz'altro in mente qualcosa.
– Sì, devi venire con noi! – si accodò il biondo, con la stessa solerzia, facendo inarcare un sopracciglio alla diretta interessata.
– Veramente io stavo per andare a cambiarmi e ripulirmi in vista del pranzo – affermò, con ancora i propri stivali appoggiati su una spalla nuda.
Non le dispiacevano le verdure degli elfi, cosa che ella non avrebbe mai creduto possibile in realtà, non essendo mai stata un'amante del "cibo verde", ma quando le aveva assaggiate le aveva trovate estremamente dolci, molto più di quelle del suo mondo, ed aveva preso l’abitudine di presenziare spesso alla tavola di Re Elrond e dei suoi, alternando i pasti preparati dagli Elfi, più leggeri ed adatti al movimento, con i bivaccamenti dei nani. E poi, a dispetto di quanto la Compagnia di Thorin avesse supposto la sera del loro arrivo ad Imladris, anche a Gran Burrone si mangiava carne e Katla era uscita letteralmente di testa per il cervo.
Comunque, riguardo l’invito dei due figli di Dìs, Kat sapeva perfettamente di avere i capelli scompigliati, pur essendosi premurata di legarli in una spartana coda alta, e segni d'erba e polvere a sporcarle la pelle scoperta di braccia e gambe. Una semplice fascia di pelle e stoffa era stata più volte arrotolata intorno al seno, lasciandole il ventre scoperto, fatta eccezione per i pantaloni a vita alta che ella stessa aveva convertito con l'ausilio d’una semplice lama a pantaloncini in cuoio lunghi fino a metà coscia soltanto. Oltre ad una maggior capacità di movimento, quell’abbigliamento era l’ideale per le temperature estive della valle, e le permetteva di notare i primi segni di cambiamento del proprio stesso corpo alle fatiche affrontate durante il viaggio.
– Era proprio questa l'intenzione! – esclamò Kili – C'è un posto che si presta benissimo a questo scopo e ci tenevamo a mostrartelo subito!
Sbattendo le palpebre, perplessa, Kat a quelle parole rimase un attimo ad osservare i Principi della stirpe di Durin finché, di fronte alle loro espressioni entusiaste e supplichevoli, non cedette, convinta a donar loro un po' di tempo. In fin dei conti la loro compagnia le stava mancando, doveva ammetterlo, e non li aveva di certo dimenticati come forse loro avevano iniziato a temere.
Così, annuendo, si incamminò con i due nani lungo il sentiero lastricato che attraversava il boschetto.
– Come procede il tuo addestramento? – le domandò Kili.
– ..procede. Continuo a passare più tempo a terra che sulle mie gambe, ma sembra che non sia una totale causa persa – si schernì, abbozzando un sorrisetto.
– Se decidi di volerti allenare sul serio, sai dove trovarci – ribatté Fili, con noncuranza.
Kat si limitò a sorridere di conseguenza, comprendendo lo stato d'animo dei due nani al suo fianco, non stupendosi affatto della scarsa considerazione che avevano dello stile di combattimento elfico.
– Prossimamente vi mostrerò i miei progressi, allora – acconsentì, mettendo da parte la sua abituale timidezza in quel familiare scambio di battute.
In breve raggiunsero la meta e quando, di fronte ai loro occhi, si stagliò limpida e gorgogliante una fontana scolpita nella pietra, Katla iniziò a comprendere e scoccò un'occhiata in tralice ai due nani con lei che, compiaciuti e innocenti, le avevano appena indicato la vasca ricolma d'acqua.
– ..ragazzi, – li appellò, dopo un attimo di pausa, squadrandoli dalla testa ai piedi con aria scettica – lo sapete vero, che le fontane non servono a farci il bagno?
– E a cos'altro dovrebbero servire?! – esclamò Kili, per nulla impensierito.
– Sì, guarda coi tuoi occhi, – si accodò Fili, altrettanto allegramente – c'è pure la vasca!
Kat si schiaffò meccanicamente una mano sulla faccia, scuotendo sconsolatamente il capo e facendo così ondeggiare la coda dietro la nuca. Non poteva credere che fossero davvero convinti di ciò che dicevano. Quando tornò a cercarli con lo sguardo, il più giovane era salito in piedi sul muretto in pietra, già disfattosi dei calzari e della camicia, mentre Fili stava ancora lottando con i suoi stivali.
La ragazza, che inizialmente tornò ad inarcare un sopracciglio con evidente perplessità, quando venne esortata ad imitarli scosse il capo in segno di diniego, dando loro le spalle mentre le gote già iniziavano ad imporporarsi. Per essere nani, entrambi i discendenti di Durin erano giovani e prestanti e non ancora provvisti del ventre rigonfio di certi altri membri del loro popolo, e lei che da più di un mese si era ritrovata in quella forma ridotta non era del tutto immune al fisico mezzo nudo di un maschio, uomo o nano che fosse. 
Ma ogni imbarazzo o disagio, finanche ogni rimostranza, vennero meno nel momento in cui i due Principi dei Nani iniziarono a riversarle contro copiosi schizzi d'acqua e ben presto, trascinata a forza dalle circostanze e dalla propria stessa combattività, Kat si unì al gioco, lasciando spada e stivali all'asciutto. Così le loro voci colmarono la quiete dei giardini di Gran Burrone, richiamando l'attenzione non soltanto degli elfi che vi dimoravano, ma anche di molti dei loro compagni, di cui i più intraprendenti finirono per unirsi a quel passatempo e persino Bilbo venne scaraventato in acqua da due paia di mani impietose.
E Kat rise finché ebbe fiato in corpo e la voce glielo permise, lasciandosi andare alla gioia ed alla spensieratezza nate dal semplice fatto di trascorrere parte del proprio tempo in tale compagnia, riuscendo ad accantonare grazie ad essa crucci ed ansie ormai fin troppo conosciuti al suo animo.


– Ecco fatto – esclamò trionfante Fili, togliendo le mani dalla nuca della ragazza seduta ai suoi piedi.
Thorin, in disparte come molto spesso accadeva da quando erano giunti a Gran Burrone, osservò Katla sollevare le mani per tastarsi l'acconciatura con cui il nano biondo le aveva raccolto i lunghi capelli castani.
Il Principe di Erebor si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, giacché la folta chioma d'ella ora appariva più simile ad un porcospino che ad una vera massa di capelli, e ben presto se ne accorse anche lei, che sfoggiò un'espressione più incerta mentre Kili per primo scoppiava a ridere, additandola. Vittima di quello scherzo, la giovane donna scattò in piedi e prese a rincorrere il più piccolo dei due fratelli, una scena che strappò diverse risate ai nani lì vicini ed intenti ad arrostire diverse strisce di pancetta sul fuoco. Persino il capo della Compagnia si fece sfuggire un mezzo sorriso involontario a quella scena carica di vitalità.
Quando la Piccola Furia, così come ormai veniva chiamata da tutti, si calmò abbastanza da rimettersi seduta accanto al muretto della fontana e tentò di sbrogliare i complessi intrecci in cui vigevano le sue ciocche, di fronte alle palesi difficoltà d'ella Thorin non riuscì a rimanere ancora indifferente. Con un sospiro di rassegnazione per il senso di responsabilità che nutriva nei confronti dei suoi due nipoti e sopprimendo al meglio che poté il reale motivo che lo spinse a muoversi, il nano si sollevò in piedi e con passo cadenzato si accostò alla giovane, la quale si accorse tardivamente della sua presenza, troppo presa a borbottare contro gli artefici di quello scherzo.
– Senza la giusta attenzione, sciogliere i nodi di Fili è cosa ardua persino per un nano – le disse, osservandola dall'alto della sua postura.
Kat sussultò leggermente e per lui fu oltremodo facile cogliere sul suo viso il susseguirsi di sorpresa, imbarazzo ed interdizione.
– T-Thorin – balbettò, abbassando le braccia nude – I-io..
Il legittimo erede al trono di Erebor non vi badò, pur sopprimendo un'emozione di tenerezza nei suoi confronti, e si spostò per accomodarsi sul basso muretto dietro di lei. 
– Ci penso io, tu cerca di non muoverti – le disse soltanto.
Attese comunque un cenno d'assenso da parte di lei prima di mettersi all'opera ed iniziare a sciogliere il groviglio di nodi che erano quelle trecce. Come prese a sbrogliare le sue ciocche color castagno però, si sorprese intimamente della loro effettiva morbidezza e ben presto finì per rimanere assorto dalla meccanica dei propri stessi gesti, mentre procedeva in quel compito assegnatosi da sé, cosicché il silenzio li avvolse entrambi, lasciandoli in balia dei rispettivi pensieri.
Da tempo aveva notato la tendenza di lei a sparire per ore, così come non era la prima volta che la scorgeva indossare un abbigliamento tanto poco appropriato per il luogo in cui erano ospiti ed era stato più per caso che per mera intenzione che aveva saputo delle sessioni di allenamento a cui si sottoponeva con i figli di Re Elrond. 
Dalla sua posizione dietro di lei, Thorin poteva distintamente seguire la curva del suo collo con lo sguardo e, soffermandovisi involontariamente, la pelle di lei gli apparve chiara e setosa, rosea alla luce del tramonto. Quando, poco dopo, col pretesto di accompagnarne una ciocca di capelli verso il basso, sfiorò col dorso delle dita la parte bassa del retro del collo, il brivido che scosse entrambi li indusse a porre fine all'intimo silenzio che era calato fra loro.
– Quei due me la pagheranno – mormorò, fintamente scontrosa, Katla.
– Hanno sempre avuto la propensione a burlarsi degli altri, – affermò serafico Thorin, riprendendo l'opera di districamento – ma non lo fanno con cattiveria.
– Sì.. lo so – iniziò lei, e Thorin non ebbe bisogno di vederla in volto per indovinare il sorriso che doveva esser tornato a delinearle le labbra – Sono bravi ragazzi.
Egli convenne con lei, pur restando leggermente colpito del tono di voce morbido da ella usato.
– Sarà anche merito dello zio? – se ne uscì lei poco dopo, e Thorin non riuscì ad impedire a sé stesso di piegare gli angoli delle labbra verso l'alto per quel commento benevolo ed apparentemente immotivato.
– Per lo più di mia sorella – affermò, a tono, un poco divertito – Dìs ha fatto il grosso del lavoro e con lei i suoi figli han poco da scherzare. Sospetto temano più il suo mattarello di qualsiasi arma orchesca, in verità.
Le spalle di Kat sussultarono, scosse da una breve e spontanea risata, e Thorin ridacchiò a propria volta, contagiato dal suono della sua voce e del tutto inconsapevole della scena cui stavano dando luogo, giacché il suo stato d'animo sereno e quieto contribuiva a fargli tener bassa la guardia, soprattutto ora che era fra amici e parenti.
Finì di sciogliere l'ultima treccia e, quando lo annunciò, Kat si passò le mani fra i capelli, ringraziandolo prima di ruotare il capo e scoccargli un'occhiata un po' incerta dal basso. I suoi occhi grigio-verdi, nel guardarlo, catturarono liquidi un raggio di sole morente.
– Non è che potresti... sì, insomma... – esordì lei, reclinando al contempo il capo leggermente all'indietro, in una richiesta imbarazzata che non terminò mai di formulare.
Thorin comprese subito ciò che ella gli stava chiedendo e, dopo un istante di indecisione, acconsentì, tornando a maneggiare con intima e segreta soddisfazione quei suoi capelli setosi pieni di onde dai riflessi di mogano.
– Qual è il motivo per cui lasci che un Nano ti acconci i capelli? – le domandò, non senza curiosità.
– Be' – tentennò lei – ..ho visto come sono salde le vostre trecce ed ho pensato mi sarebbe stato utile raccogliere i capelli in un modo che non li faccia sciogliere facilmente, soprattutto quando mi alleno con la spada.
– Ed è per questo che indossi un tale... abbigliamento? – indagò Thorin, continuando ad armeggiare con la chioma di lei, come se la sua ammissione nel star facendosi addestrare dagli Elfi non avesse importanza.
Eppure, nonostante l'apparenza ostentata, nemmeno il suo orgoglio riuscì a negargli la consapevolezza di quanto spesso, da quando la ragazza ai suoi piedi si era unita a loro sul terrazzo della Casa di Re Elrond, i suoi occhi si fossero rivolti al suo fisico. A quanto aveva capito si era attardata con Fili e Kili dopo il bagno alla fontana, sotto la supervisione del solerte Dwalin, mentre quei due si erano messi in testa di insegnarle a tirare con l'arco.
Kat tardò un momento a rispondergli e quando lo fece la sua voce tradì un disagio latente al di sotto d‘una nota più caparbia.
– Mi lasciano più libera nei movimenti – si difese – ed in questo modo evito di ridurre a stracci i miei vestiti da viaggio durante l'addestramento.
– Ma essi ti darebbero un po' più di protezione – ribatté impassibile il nano, che aveva notato qualche escoriazione qua e là, sulla sua pelle chiara.
– Vero, ma in questo modo sono più motivata a non farmi colpire.
Tale risposta lasciò Thorin momentaneamente sorpreso e non disse più nulla, giacché aveva ormai terminato la sua opera. Così, dopo aver infine stretto il cordino in cuoio alla base della nuova coda di cavallo d'ella ed avervi avvolto due delle quattro trecce da lui stesso formate ai lati delle tempie della ragazza, il nano abbassò finalmente le mani, annunciandole di aver finito.
A quel punto la giovane Katla tornò a passarsi le dita affusolate intorno all'operato dell'erede di Durin e poco dopo, apparentemente convinta, voltò il capo per poterlo guardare direttamente in volto, donandogli un sorriso ampio e carico di grata ammirazione.
Un sorriso che le fece risplendere lo sguardo dei riflessi del tramonto e che colpì Thorin con lo stesso effetto che avrebbe avuto una martellata in pieno petto. Così egli si soffermò ad osservarla ancora una volta, ritrovandosi a pensare che, con quella semplice acconciatura nanica, non fosse stato per quel nasino delicato e gli occhi grandi e gentili, avrebbe potuto passare facilmente per una giovanissima femmina del suo Popolo. In più, il modo adorante in cui lei lo stava guardando gli causò una strana sensazione alla bocca dello stomaco alla quale il Principe dei Nani reagì distogliendo lo sguardo. 
Si rimise in piedi senza più guardarla, congedandosi con un cenno del capo in segno di commiato, prima di procedere verso il colonnato che si apriva sull'Ultima Casa Accogliente. 
E quando, passando, i suoi occhi di diamante si posarono sui nani suoi compagni, nemmeno uno di loro ne sostenne lo sguardo, prendendo chi a fischiettare e chi a tornare con finta attenzione alle proprie vivande allungate ad arrostire sulle fiammelle ardenti.


– Avanti Thorin, mostragli la mappa!
Katla, insieme a Bilbo, Gandalf, Thorin e Balin, si trovava al cospetto di Re Elrond, il quale attendeva che il discendente della stirpe di Durin prendesse una decisione. Sotto lo sguardo della ragazza, Thorin Scudodiquercia, mettendo da parte le proprie riserve, tirò fuori la pergamena e la porse al Mezzelfo.
– Erebor.. – asserì sorpreso questi, dopo averla dispiegata dinanzi ai propri occhi – ..qual è la ragione del vostro interesse?
Fu Gandalf a parlare in vece del Principe nano, intervenendo prima che Thorin dicesse qualcosa di inopportuno o non saggio a causa dell'impulso del momento. Anche nella penombra in cui era immersa la sala, rischiarata dalla sola luce della luna, Kat notò come il nano apparisse teso e guardingo.
– È per lo più accademico – affermò lo stregone, prima di posare una delle sue grandi mani su una spalla dell'unica donna lì presente, prendendola alla sprovvista – Abbiamo fra noi una grande studiosa, Re Elrond. È la qui presente Katla, colei che più di tutti noi si interroga sulla presenza di un eventuale messaggio nascosto – mentì.
Faticando a mantenere un contegno che non rivelasse quanta poca verità vi fosse nelle parole dello stregone, la ragazza strinse le labbra in un moto di tensione, prima di annuire.
– Sì, mio signore – confermò, stringendo le braccia al busto ed intrecciando le mani fra loro, delineando una V con le ampie maniche della tunica elfica grigio chiaro che era tornata ad indossare per l'occasione.
Il Signore di Gran Burrone posò il suo sguardo su di lei dall'alto della sua statura ed in quegli occhi limpidi e grevi di conoscenza trapelò un barlume di curiosità misto a sorpresa. Eppure, degli innumerevoli pensieri che dovevano esser passati per la mente dell'elfo, egli non ne rivelò alcuno, limitandosi ad acconsentire.
Fu dopo un rapido esame della piccola mappa che le loro aspettative vennero esaudite.
– Ah – esclamò, vagamente sorpreso, il Re Mezzelfo – Cirth ithil..[2]
– Rune lunari – ripeté in lingua corrente, altrettanto sorpreso, Gandalf, prima di rivolgere loro uno sguardo comprensivo – ..ma certo. È facile non vederle.
Kat scambiò uno sguardo emozionato con Bilbo, il quale era interessato tanto quanto lei alla vicenda ed a ciò che Elrond aveva loro da dire. Anche lui aveva un amore particolare per mappe e simili, ella rammentava piuttosto bene l'ampia carta raffigurante la Contea che spiccava nell'ingresso della casa dello hobbit.
– Be', in questo caso le rune possono essere lette soltanto al chiaro di una luna della stessa forma e stagione del giorno in cui sono state scritte – confermò il Re di Gran Burrone, rigirandosi la mappa della Montagna Solitaria fra le mani, prima di tornare a sollevare lo sguardo su di loro.
E Katla, contenendo l'emozione per quella conferma nel proprio petto, volse finalmente lo sguardo su Thorin, scorgendo in lui un nuovo guizzo di speranza.
– Riesci a leggerle?




"Sta' accanto alla pietra grigia quando il tordo picchia [3]
ed il sole al tramonto, con l'ultima luce del Dì di Durin,
splenderà sul buco della serratura."




Il sole era già calato ed i nani, insoddisfatti ancora una volta del vitto offerto loro dagli Elfi, si erano presi la libertà di accendere il consueto piccolo fuocherello su cui arrostire salsicce e formaggi che si erano presi la libertà di recuperare dalle dispense dell'Ultima Casa Accogliente. Katla era con loro, di nuovo vestita dei suoi abiti da viaggio, ma non Bilbo.
Il mezz'uomo aveva deciso di tenersi un po' alla larga da quella "allegra combriccola", come l'aveva definita tempo prima Gandalf, giacché se ne sentiva ancora escluso nonostante la presenza della giovane donna. Ella, in verità, sembrava essersi ambientata più rapidamente di quanto avrebbe mai potuto fare lui, ed era proprio questo a rendergli tanto penoso l'attardarsi con i membri della Compagnia e persino con Katla stessa.
Da quando erano arrivati la ragazza si era dimostrata volenterosa e benvoluta e Bilbo, che pure era entrato nella Compagnia di Thorin Scudodiquercia nello stesso momento in cui vi era entrata lei, seppur fosse un hobbit di buon cuore ed estremamente comprensivo quando non si trattava di elemosinare i suoi averi, non poteva non chiedersi perché ad ella fosse riuscito così facilmente qualcosa che per lui pareva essere tanto difficile.
Così aveva trascorso gran parte delle ultime settimane a passeggiare per le vie ed i ponti della Valle di Imladris, rimanendone meravigliato ed affascinato man mano che essa si rivelava a lui. Re Elrond stesso gli aveva elargito la sua benevolenza, invitandolo a restare quanto più desiderava il suo cuore, e se non fosse stato tanto vincolato alla propria parola o non fosse così affezionato alla sua ben più modesta dimora ed alle dolci colline della Contea, Bilbo avrebbe accettato.
Ed ora, all'ennesima passeggiata al chiaro di luna, il nostro scassinatore si ritrovò ad arrestare il passo, udendo una voce conosciuta provenire dai giardini che si estendevano ai piedi delle cascate vicine all'Ultima Casa Accogliente, accanto alle gradinate in pietra che egli stava risalendo.
– ..se i nani si riprendono la montagna le nostre difese ad Est ne saranno rafforzate.
Gandalf, in compagnia di Elrond, stava passeggiando su uno dei ponti che attraversavano la bassa polla d'acqua cristallina, qualche metro più in basso, inconsapevole delle orecchie in ascolto, e il mezz'uomo non poté fare a meno di attardarsi, giacché l'argomento affrontato dai due era proprio l'impresa che doveva compiere la Compagnia.
– È una mossa pericolosa, Gandalf.
– È pericoloso anche non fare niente – ribatté lo stregone.
Soltanto a quel punto Bilbo, come colto da scrupoli risalenti all'educazione esemplare di suo padre, pensò che origliare non fosse degno di un onesto hobbit, ma appena accennò a voltarsi, nemmeno completò il movimento che si accorse di non essere solo: Thorin Scudodiquercia era lì con lui, poco dietro le sue spalle, l'espressione seria ed impenetrabile mentre, immobile, anch'egli assisteva allo scambio fra lo stregone grigio ed il Re Mezzelfo.
E allora, preda della sensazione di trovarsi fra incudine e martello, Bilbo tornò a volgersi verso i giardini, quasi sentendosi costretto ad assistere sino alla fine a quel colloquio apparentemente privato.
– Il trono di Erebor è di Thorin per diritto di nascita! Di cosa hai paura?
– Hai dimenticato? – chiese allora Elrond, grevemente – Una verde pazzia scorre profonda in quella famiglia. Suo nonno uscì di senno, suo padre soccombette all'identica malattia. Puoi giurare – insistette, pacato eppure teso – che Thorin Scudodiquercia non farà altrettanto?
Imbarazzato ed a disagio, Bilbo scoccò un'occhiata al nano in questione ed incrociandone lo sguardo azzurro nella notte, sul suo volto barbuto egli distinse quegli stessi dubbi passare come una rapida folata di vento. Allora, serrando le labbra, il piccolo hobbit riconobbe l'ombra dell'incertezza calare per un singolo istante sul volto dell'erede al trono di Erebor, e la cosa lo stupì giacché mai prima di allora aveva scorto simili sentimenti in Thorin Scudodiquercia. Poi quel momento passò e, mentre il nano ritrovava la propria testardaggine e la determinazione ad andare avanti per la propria strada, la voce di Gandalf tornò a reclamare la loro attenzione.
– Sono fiducioso, invero, Re Elrond – affermò sorprendentemente il Grigio, suscitando l'interesse e la confusione non soltanto nel Mezzelfo, prima di continuare – I Valar hanno inviato a noi un aiuto inaspettato che potrebbe fare la differenza, se tutto va come mi auguro.
– Alludi alla piccola donna che è parte della Compagnia? – lo interpellò, fermandosi, il Custode della Valle di Imladris – L'ho osservata, amico mio, e per quanto trovi la sua dedizione e la sua volontà degne della più nobile delle anime della Terra di Mezzo, esse non basteranno da sole a vincere i pericoli del viaggio che l'attende.
– Ma dimentichi che ella non sarà sola, in quest'impresa – insistette Gandalf – ..ed il suo potere potrebbe rivelarsi decisivo nell'epilogo di quest'avventura.
– Gandalf, di qualunque natura sia la magia in suo possesso, ella non è nemmeno cosciente di possederla, come speri che possa giovare alla vostra impresa? – gli domandò Elrond, grevemente, riprendendo poi a camminare – Inoltre, non sta a noi decidere se e come i sentimenti delle creature di questo mondo influenzeranno il loro destino.
La replica dello stregone giunse più attutita alle orecchie di Bilbo, che non aveva quasi osato respirare sino a quel momento, e comprese che non avrebbe udito altro di quella conversazione, così, la mente piena di nuovi pensieri, prese il proprio coraggio e diede le spalle al giardino.
Fu allora che si accorse di essere nuovamente solo: Thorin se n'era andato.


Kat si lasciò scivolare lungo l'alto corridoio dell'Ultima Casa Accogliente con passo più silenzioso possibile, diretta alle cucine. S'era già congedata dagli altri nani, con cui si era intrattenuta sino a quel momento, per adempiere ai preparativi per la loro repentina partenza.
Thorin aveva annunciato che avrebbero ripreso il viaggio alle prime luci dell'alba e la ragazza, ben consapevole delle avversità che li attendevano da quel punto in poi, non era intenzionata a muoversi da Gran Burrone senza aver rinfoltito il proprio bagaglio.
Così stava cercando di arrivare alle cucine, non sapendo bene nemmeno lei dove dirigere i propri passi, quando fu costretta ad arrestarsi di botto: nel buio due alte figure si erano levate a sbarrarle la via.
Katla sussultò, ma ogni muscolo si sciolse quando i due elfi scivolarono sotto la luce della luna.
– Elladan, Elrohir – li chiamò, con un sussurro strozzato di stupore – ..perché mai vi aggirate come ladri nel buio nella vostra casa?
Il più vicino dei due gemelli le rispose con un sorriso sottile e sornione.
– Potremmo farti la stessa domanda.
– Perché ti aggiri guardinga nel buio della nostra casa, Katla? – rincarò la dose il fratello, con un'espressione identica.
Lei, presa in contropiede, si ritrovò a serrare le labbra mentre arrossiva d'imbarazzo per l'inadeguatezza delle sue stesse azioni. La cosa parve divertire maggiormente i due Principi di Gran Burrone, che si scambiarono un rapido sguardo prima di tornare a lei e rivolgerle un sorriso più ampio ed amichevole.
– Tieni – le disse Elrohir, porgendole un involto.
– Questi sono per la nostra più giovane allieva – continuò Elladan, in un gesto identico.
Sorpresa, Kat inarcò un sopracciglio e dopo un istante prese in consegna i due fagotti di modeste dimensioni. Quando vi sbirciò dentro però, ogni sua reticenza svaporò come rugiada al sole, facendole sollevare nuovamente gli occhi grigi sui suoi due mentori.
– Considerali un dono di commiato, insieme all'augurio di un buon viaggio – le disse Elladan, anticipandola.
– Una porzione di lembas può saziare lo stomaco di un uomo adulto – la rassicurò Elrohir – ed abbiamo pensato che un unguento curativo potesse esserti utile: applicalo sulle ferite un paio di volte al giorno e guariranno rapidamente. La stoffa bruna che vedi sul fondo è un mantello elfico, ben più resistente all'usura ed alla pioggia: ti aiuterà a passare inosservata fra i boschi, qualora fosse necessario.
– Così come ti saranno confortevoli gli abiti e gli stivali della nostra gente. Questa volta ci siamo assicurati fossero della tua misura. – concluse il gemello, con un’ombra di sorriso.
La giovane donna si ritrovò a stringere a sé quei doni preziosi, mentre un nodo le si stringeva sempre di più in fondo alla gola.
– Io... io non so cosa dire... – mormorò, commossa.
Che i due elfi le avrebbero fatto simili doni Kat non l'avrebbe mai immaginato, nonostante la simpatia nata fra loro durante le settimane trascorse insieme nella Valle di Imladris. La gratitudine che le colmò il petto le salì sino agli occhi, riempiendoglieli di lacrime mentre la consapevolezza che quella, con tutta probabilità, era l'ultima volta in vita sua che li avrebbe visti, si faceva strada nella sua mente.
Così, trattenendo a malapena quelle stille salate fra le ciglia, si accomiatò dai suoi amici con un profondo inchino e poche parole d'addio, prima di scappare nella propria stanza con la scusa di approntare tutto il necessario alla partenza.
Ne uscì soltanto quando giunse l'ora fatidica, già vestita dei doni dei Principi di Imladris e con gli occhi gonfi.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. "Mellonamin" = "Amico mio", da mellon (amico) e min (mio) in lingua elfica.
2. "Cirth ithil" = "Rune lunari", da cirth (rune; sing.: “certh”, runa) e ithil (luna) in lingua elfica.
3. Questa versione del significato delle rune lunari sulla mappa di Thorin l'ho estrapolata io stessa dall'originale inglese, adattandola con l'aiuto delle versioni italiane dal libro e dal film, non riuscendo io stessa a decidermi quale delle due adottare. Spero possiate apprezzare comunque il risultato ^^


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Capitolo 8
*** The Misty Mountains ***







“Until the night will fall,
don't leave me alone […].
So, now you can sleep and I must leave.”
[ Close to the End, Wind Rose ]




Le Montagne Nebbiose erano impervie e difficili da scalare, con sentieri che s’inerpicavano fra alte pareti a strapiombo e creste spoglie e ghiacciate. Le pendici verdeggianti lasciarono infatti il posto ad ammassi rocciosi che si levavano verso il cielo e le fonti d'acqua che incontrarono sul loro cammino divennero piccole sorgenti zampillanti fra le rocce, la cui posizione non era sempre facile da raggiungere per i componenti della Compagnia di Thorin Scudodiquercia.
Gandalf era rimasto indietro, cosa che aveva costretto i nani ad affidarsi alla guida di Thorin per percorrere l'antico sentiero tracciato dal loro popolo, ma tale compito iniziò ben presto a rivelarsi più arduo di quanto avrebbero mai supposto, giacché la via era antica e in disuso, confusa a tratti persino per un nano ed il figlio di Thrain, lo sappiamo tutti, non era rinomato per il suo senso dell’orientamento.
Due giorni trascorsero dunque fra quelle vette ed il temporale calò d'improvviso sui quindici viaggiatori come un vendicatore il terzo giorno, rendendo tetro il cielo ed oscurando la luce del sole, tanto che Kat finì per chiedersi se non fosse calata la notte mentre arrancava fra Fili e Bofur, cercando di tener quanto più chiusi i lembi del proprio mantello per ripararsi dalla pioggia.
Tuoni e fulmini rimbombavano sulle rocce, assordando la ragazza e facendola procedere quasi alla cieca, malgrado i lampi improvvisi, in quella tempesta d'alta quota; e gli altri suoi compagni non erano messi tanto meglio in verità, soprattutto Bilbo, un paio di nani più indietro, la cui figuretta rischiava di venir sbalzata nel vuoto del dirupo pregno di nuvole basse ad ogni violenta sferzata di vento.
– Dobbiamo trovare un riparo! – sentì urlare la voce di Fili.
– Se non saranno il vento e la pioggia a spazzarci via, ci penserà qualche gigante! – esclamò, più distante, la voce di Gloin.
Passandosi una mano a spazzare via l'acqua dagli occhi, Katla cercò di schiarirsi la vista e fu proprio quando finalmente riuscì a schiudere nuovamente le palpebre che un lampo illuminò il cielo ed un'ombra nera passò sopra le loro teste. Lo schianto che seguì era quello della roccia che si frantuma sotto un possente colpo e l'intera montagna tremò sotto gli stivali della ragazza.
La voce di Kili si levò in allarme ed il fratello maggiore, con uno scatto del braccio, la schiacciò contro la parete rocciosa un attimo prima che uno dei detriti della frana la colpisse e la trascinasse nella gola. Senza respiro, Katla si ritrovò a sbarrare gli occhi mentre una pioggia di rocce di varie dimensioni le passava a pochi palmi dal viso, precipitando nel vuoto.
– Che cos'è stato?
– Questo non è un temporale, è una battaglia fra tuoni! – esclamò la voce di Balin in risposta, indicando poi un punto dall'altra parte del dirupo – Guardate!
Fu allora, quando si voltò in quella direzione, che Kat lo vide: una grossa sagoma si staccò dalle pendici del versante opposto, un'ombra rilucente nella tetra penombra del temporale, dalle fattezze antropomorfe e la scabrosità della pietra.
– Che mi venga un colpo – questa volta fu Bofur, sporto un po' più avanti di poc'anzi accanto a lei per osservare la scena, a parlare e la sua voce tradiva tutto il suo sconcerto – le leggende sono vere. Giganti... Giganti di pietra!
Ed un nuovo masso fendette l'aria, passando sopra le loro teste.
– Riparati, stupido! – inveì Thorin, bruscamente.
Katla, con un certo spirito d’iniziativa, agguantò Bofur, riportandolo a ridosso della parete rocciosa appena in tempo per evitargli una nuova pioggia di detriti distaccatisi dalla montagna dopo che il masso era andato a colpire un secondo gigante, più indietro rispetto al punto in cui la Compagnia si era fermata.
Quindi il tremito della montagna si fece più violento e la giovane si aggrappò saldamente alla roccia con tutta la propria forza, mentre questa veniva scossa ed il sentiero si divideva in due, proprio accanto ai piedi di Fili.
– Fili! – urlò allarmato Kili, dall'altro lato della spaccatura che andava allargandosi.
Il terzo gigante, sulle cui gambe si erano ritrovati la ragazza e gli altri nani che la seguivano, si staccò dal versante della montagna per prendere parte a quella guerra fra titani, ma venne colpito e perse l'equilibrio, franando sul versante dal quale s'era staccato solo pochi secondi prima.
Il gruppo di Thorin fu il primo a saltare sulla sporgenza della montagna che costituiva il vero sentiero, mentre quello di Katla non vi arrivò abbastanza vicino e lei si ritrovò col cuore piantato in gola quando la parete rocciosa prese ad avvicinarsi con impressionante velocità verso di loro. Non riuscì nemmeno ad urlare e sarebbe scivolata a causa della vertigine se non fosse stato per il braccio di Fili che con forza le premeva sul ventre.
– Attenzione!
L'attimo dopo i nani, la ragazza e lo hobbit persero di vista il gruppo di Thorin e l'impatto li sbalzò avanti, stordendoli e riempiendo le loro orecchie di un fragore crepitante. Kat si ritrovò a rotolare sulla roccia, resa viscida dall'acqua, ed alla cieca si aggrappò al primo appiglio che riuscì a trovare un attimo prima di precipitare nel vuoto.
Sentì di nuovo la voce di Thorin che li chiamava e, per quanto la paura e la tensione fossero ormai un tutt'uno con lei, ella per un attimo credette di distinguere anche il proprio nome nel vento della tempesta.
Quando finalmente riuscì ad aprire gli occhi il peggio pareva essere ormai passato ed i nani intorno a lei, seppur malconci ed ammaccati al suo stesso modo, si stavano già rialzando indenni. Kat ci impiegò un poco di più a realizzare di essere al sicuro ed incolume e quando finalmente iniziò a rimettersi in piedi, ignorando la pioggia che gelida continuava a riversarlesi addosso, la voce allarmata di Bofur infranse il momento.
– Dov'è Bilbo? 
Con una nuova angoscia, Kat spalancò gli occhi alla ricerca del loro scassinatore e un attimo dopo lo trovarono appeso per le sole mani al bordo del dirupo, le gambe penzoloni e lo sguardo sbarrato dal terrore.
– Resisti Bilbo! – vociò qualcun altro, mentre più mani si protendevano per tentare di aiutarlo.
Fu Thorin, con un balzo che lo portò a sporgersi al di sotto del sentiero, ad afferrarlo al volo ed a spingerlo su, e stava per tornare a issarsi sulla sporgenza rocciosa con l'aiuto di Dwalin quando la terra tremò di nuovo. E, stavolta, fu Kat a scivolare nel vuoto mentre la sporgenza rocciosa sulla quale aveva i piedi si frantumava sotto il suo peso. 
Il suo urletto di panico sovrastò a malapena il tuono che seguì e lei, per mero istinto di sopravvivenza, tentò in ogni modo di restare aggrappata alla roccia, ma la superficie resa scivolosa a causa della pioggia non le diede alcun appiglio.
Ancora una volta fu Thorin ad evitare il peggio, afferrandola al volo. L’agguantò per un braccio, ma questo gli costò il precario equilibrio col quale era in bilico sul fianco della parete a strapiombo. Il capo della Compagnia scivolò con lei, sfuggendo alla presa salda di Dwalin e di chi stava tentando di aiutarlo a tornare coi piedi per terra, frenando la propria e la sua caduta soltanto un paio di metri più in basso grazie ad un nuovo appiglio sporgente.
– Thorin! Katla!
Le voci allarmate ed angosciate dei nani sopra le loro teste sovrastarono il rumore della pioggia battente e del vento, che sbatté i due avventurieri contro la parete a strapiombo, facendo gemere la ragazza e digrignare i denti al nano.
Annaspando, Kat sollevò lo sguardo atterrito e l'espressione contratta sul volto di Thorin la aiutò a ritrovare un poco di lucidità. 
– Aggrappati a qualcosa! – le ordinò.
Col cuore ancora saldamente piantatole in gola, lei fece come le era stato detto e poco dopo riuscì a trovare un appoggio con la punta del piede sinistro ed un’insenatura con la mano destra, quella libera. Una volta che si sentì abbastanza sicura, tornò a cercare lo sguardo del nano sopra di lei e gli diede conferma, cosa che le procurò un cenno d'assenso di rimando.
Thorin stava per aprire di nuovo bocca e dirle qualcos'altro quando le voci dei nani tornarono a raggiungerli e questi volse la sua attenzione verso di loro.
– Siamo qui! – esclamò, prima di tornare a lei – Riesci a risalire?
Kat trattenne un singhiozzo mentre negava, cercando al contempo di tenere il panico sotto controllo.
L’erede di Durin tornò a sollevare lo sguardo verso l'alto, inquadrando i volti dei loro compagni che erano affacciati pochi metri più su.
– Ci serve una fune!
Alcune teste sparirono, altre si mossero ma restarono visibili e Kat sapeva che i nani sopra di loro erano indaffarati a recuperare dai loro equipaggiamenti ciò di cui avevano bisogno. Bastò quel pensiero a farla respirare di nuovo, ma fu soltanto un istante prima che il fiato le rimanesse nuovamente bloccato nel petto.
Fu Thorin stavolta a perdere la presa, tradito da quella stessa sporgeza a cui si era aggrappato, e la ragazza venne trascinata con lui, troppo pesante perché ella, dal suo precario appiglio, potesse fare qualcosa di concreto per evitarlo.
Caddero entrambi nel vuoto e l'urlo di lei si disperse nel vento, ghiacciando il cuore di ogni singolo membro della Compagnia che li osservò impotente precipitare nell'oscurità.


Dei tredici della Compagnia, nessuno sembrava intenzionato ad interrompere il pesante silenzio calato fra loro.
Avevano trovato riparo in una caverna all'interno della montagna, infilandovisi dentro senza star troppo a pensare alla necessità di perlustrarla sino in fondo e verificare che non vi fossero pericoli, giacché nessuno di loro era in animo di badare a certe cose. Avevano appena perso il loro capo e, con lui, la speranza di arrivare in fondo a quell'impresa, nonché un amico ed un familiare.
Persino Bilbo si sentiva male al pensiero, giacché riteneva di esser in parte la causa di quanto era accaduto, pur non avendo avuto alcun potere decisionale in merito.
Sedevano al buio ed al freddo mentre all'esterno seguitava a piovere, e nessuno di loro era riuscito ad accendere un fuoco né era stato esortato a farlo, perché si trovavano pur sempre in territorio ostile ed il loro istinto di sopravvivenza era ancora forte, malgrado il dolore.
Ad un certo punto, come non potendo più sopportare la mestizia e l’immobilità generale, il giovane Kili si alzò in piedi d'impulso, infrangendo l’apatia che era calata sul gruppo.
– Dobbiamo andare a cercarli!
Fili, guardando il fratello, annuì con un cenno del capo, ma Oin non era dello stesso avviso.
– Saranno morti di sicuro – lamentò il nano, cupamente, aggravando il peso sui cuori di tutti.
– Non è detto, – ribatté Kili, caparbio – c'è sempre una speranza. E Thorin non è Nano da morire per qualcosa di simile. Ha sconfitto Azog il Profanatore!
Fu Balin stavolta a sospirare.
– Anche se fosse, – esordì – ciò non vale per la giovane Katla.
– In pochi sopravvivrebbero ad una caduta del genere – confermò cupamente Dwalin, il più provato di tutti loro per quanto accaduto, giacché era stato lui il nano che non era riuscito a mantenere salda la presa sul figlio di Thrain – e, diciamoci la verità: la Piccola Furia non ha mai avuto molte possibilità sin dall'inizio. 
– Ciò che è accaduto a lei poteva accadere ad ognuno di noi – si infervorò Kili, serrando i pugni.
Ma Dwalin, che aveva tenuto il capo rasato chino sino a quel momento, nel sollevarlo gli puntò addosso uno sguardo talmente traboccante di rimpianto da smorzare l'irritazione del giovane discendente di Durin.
– Però così non è stato – sancì soltanto il fratello di Balin.
Nessun altro obiettò qualcosa, giacché non vi era nulla da dire in più di quanto non fosse già stato detto, ed il silenzio tornò a calare pesante sui membri della Compagnia. Nemmeno Bilbo ebbe il coraggio di aprire bocca, dovendo lottare contro sentimenti contrastanti nella quiete della notte calante. Se dava adito al suo lato razionale doveva ammettere che non vi erano possibilità per i loro compagni di essere sopravvissuti, ma se ascoltava il suo cuore poteva ancora scorgere una piccola luce, una speranza che gli diceva che non era finita, che erano vivi.
Quando il sonno lo colse, quella luce era ancora lì.


Quando rinvenne, Kat si accorse di essere distesa su qualcosa di tiepido e relativamente morbido.
Confusa su quanto accaduto schiuse le palpebre e le sbatté più volte per schiarirsi la vista, mentre la sua mente iniziava a rievocare il passato recente: il temporale, la battaglia fra tuoni, la caduta... Thorin!
Come il pensiero del nano la travolse, la giovane donna sollevò di scatto il capo e si rese finalmente conto di essere poggiata sul petto dell'erede di Durin, riverso di schiena ed incosciente. Allarmata, Kat fece per sollevarsi di scatto, ma un dolore improvviso alla spalla unito al fatto che la mano di lui era ancora stretta intorno al suo polso, le smorzarono il respiro, facendola crollare nuovamente distesa sull'ampio torace del nano. Ansimando e cercando di schiarirsi la vista allora, la giovane attese che i puntini luminosi comparsi dinanzi ai suoi occhi si spegnessero e fu in quel lasso di tempo che si rese conto di due cose: la prima era che Thorin doveva averla protetta in qualche modo durante la caduta e la seconda era che entrambi erano ancora vivi.
Stordita per quella doppia rivelazione, Katla si ritrovò a prestare attenzione, come ipnotizzata, al sollevarsi ed abbassarsi della cassa toracica del nano, ringraziando silenziosamente ogni divinità di quel mondo e del proprio per la loro fortuna. Questo finché la realtà circostante non tornò a rivendicare la sua attenzione: pioveva ancora, ma erano goccioline rade e delicate, e la luce del sole penetrava fra le spesse nubi con pochi, obliqui raggi aranciati.
Quanto tempo era passato da quando erano precipitati?
Non lo sapeva, sapeva solo che non potevano stare lì.
Inspirò a fondo, prima di tentare nuovamente di sollevarsi, e stavolta fece attenzione a non pesare sulla spalla dolente, cosa che le permise di mettersi finalmente seduta.
– Thorin..? – lo chiamò, sporgendosi un poco per stringergli un braccio. 
Il gesto fece increspare le sopracciglia del nano, ma non fu abbastanza e Kat venne assalita da una nuova ansia al pensiero di aver forse avuto troppa fretta nel pensare al miracolo. Serrando le labbra con aria tesa gli strisciò più vicina, abbastanza da arrivare a cingergli il volto con ambo le mani. Come le sue dita sfiorarono la pelle di lui, tremanti, la trovarono fredda ed umida di pioggia, ma appena fece aderire i palmi sulle gote parzialmente coperte dalla barba curata, il calore del sangue sotto di essa iniziò a trapelare sino a lei. Erano entrambi fradici di pioggia ed era freddo, si rese conto con una parte di sé, mentre cercava di esaminare lo stato del nano con lo sguardo.
– Thorin – riprovò, con maggior determinazione ed una nota morbida nella voce – Thorin, apri gli occhi.
Finalmente l’erede di Durin parve iniziare a tornare al mondo dei vivi, perché mosse il capo e volse il volto proprio verso di lei, contro i palmi delle sue mani. Quando le sue palpebre si schiusero per metà e le sue iridi color ghiaccio incrociarono quelle di lei, Kat avvertì un'ondata di sollievo sciogliere il gelo che aveva attanagliato il suo cuore e si ritrovò a sorridere.
Era così avvinta dalle proprie emozioni che tardò a ritrarsi e il figlio di Thrain, tentando di sollevarsi a sedere puntellando il suolo roccioso con un braccio, sollevò l’altra mano sino ad una di quelle di lei, stringendola delicatamente mentre la abbassava dalla sua mandibola al petto.
– Sei ferita? – le chiese, senza preamboli di sorta, scrutandola brevemente dalla testa ai piedi.
Nuovamente dritta con la schiena, Kat avvertì il cuore accelerarle in petto e si affrettò a negare con un cenno del capo. A quel movimento le ciocche dei suoi capelli ancora acconciati nello stile nanico ondeggiarono, spargendo gocce d'acqua ed aderendo alla sua pelle degli zigomi e del collo.
– No, non credo – affermò, prima di mordersi il labbro inferiore – ..tu?
– Sono ancora tutto intero, – asserì il nano, prima di sollevare lo sguardo verso l'alto – anche se mi chiedo come sia possibile.
Lei lo imitò e si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, cercando di indovinare l'altezza della sporgenza da cui dovevano essere caduti in principio. Parlò senza pensare, troppo presa dalle proprie riflessioni per evitarlo.
– ...c'è una piccola cengia a metà altezza: credo di averla afferrata al volo ed essere riuscita a frenare in qualche modo la nostra caduta, poi dobbiamo essere ruzzolati giù nell'ultimo tratto scosceso.
Quando tornò ad abbassare gli occhi grigio-verdi su Thorin, il suo sguardo era fisso ed attento su di lei e tradiva una nota di stupore che la ammutolì. Tanta intensità ebbe un effetto bivalente sulla ragazza perché, se da un lato la perplimeva, dall'altro la rendeva sempre più consapevole della sua presenza, tanto che l'arto che ancora era racchiuso nella calda mano dell'altro minacciò di tremarle.
– Ho.. ho detto qualcosa di strano? – domandò con voce sottile, più di quanto avrebbe intimamente desiderato.
Alle sue parole Thorin parve riscuotersi, giacché finalmente quell'immobilità in lui venne meno e finì persino per lasciarle la mano, prima di negare. Non espose tuttavia il suo reale pensiero, ma provò a mettersi finalmente in piedi e, una volta sollevatosi, la ghiaia ed il pietrisco scricchiolarono sotto i suoi pesanti stivali. Si scrollò i frammenti di roccia di dosso e quando fu sicuro di non avere nulla di rotto tornò a guardarla dall'alto.
– Riesci ad alzarti? – le domandò, tornato ormai serio e laconico come suo solito.
Kat meccanicamente annuì ma si bloccò un istante quando, nel suo campo visivo, entrò la mano del nano. Accettò quella tacita offerta d'aiuto dopo un momento di incertezza, troppo sorpresa per quel gesto tanto semplice eppure altrettanto prezioso per lei, e gli diede la mano sinistra senza pensare. Per questo, quando Thorin l'aiutò a tirarsi su, l'improvvisa fitta alla spalla la fece soffiare di dolore e barcollare in avanti, abbastanza da indurre il nano ad afferrarla per la vita con l'altro braccio.
– Attenta! – sbottò il nano, in un modo che non riuscì a celare del tutto una nota di preoccupazione – Cos'hai?
– La spalla... mi fa un male cane – gemette Kat, gli occhi ancora chiusi stretti nell'attesa che la fitta passasse. 
Quando ciò accadde, due minuti dopo, e lei fu di nuovo libera di respirare liberamente e di sostenersi da sé, Thorin la lasciò andare, ma solo per porsi di fronte a lei. Quando le intimò di fargli vedere l’arto lei con cautela andò a scostare il lembo del mantello dietro la schiena, esponendo più chiaramente la linea della spalla sinistra sotto la stoffa grigio-chiaro della camicia elfica. All'occhio esperto del nano bastò un rapido sguardo per intuire cosa non andasse e, quando la tastò delicatamente con le dita, Kat venne assalita da un nuovo brivido di dolore.
– È slogata – le annunciò laconico il principe di Erebor – devo rimettertela in sesto.
– Ora? 
– Sì, ora. Prima sarà e più rapidamente sparirà il dolore – ribadì lui, inflessibile.
Katla si morse il labbro inferiore, corrucciata in volto, prima di annuire. Allora, cercando di mantenere il sangue freddo, seguì le sue istruzioni ed arrotolò un lembo del proprio mantello per infilarselo fra i denti e stringere. Quando fu pronta, senza alcun preavviso, Thorin le rimise in assetto la spalla con uno strattone deciso che le provocò a malapena un gemito soffocato, mentre gli occhi le si velavano di uno spesso strato di lacrime. Riuscì comunque a non barcollare, né urlò, cosa che le richiese tutta la sua forza d'animo giacché la sensazione della rotula della spalla che torna al suo posto è qualcosa di scioccante per una ragazza la cui massima lesione sino a quel momento era stata qualche mera sbucciatura.
Quando Thorin fece un nuovo passo indietro, lasciandole spazio, Kat cercò di ritrovare la regolarità del proprio respiro e, quando il formicolio al braccio iniziò ad attenuarsi ad una sensazione più sopportabile, ella sputò la stoffa che aveva tenuto in bocca sino a quel momento. Quindi si asciugò gli occhi con il dorso della manica e, voltandosi verso il nano al suo fianco, gli rivolse uno sguardo colmo di determinazione.
Sguardo che parve suscitare l'approvazione altrui, giacché Thorin le donò un cenno d'assenso col capo corvino, prima di muoversi.
– Dobbiamo tornare dagli altri il più in fretta possibile, – le annunciò, superandola – ma prima sarà meglio trovare un luogo adatto per passare la notte: il sole è quasi tramontato e non è saggio muoversi al buio.
Katla annuì, quindi con passo misurato ma determinato, lo raggiunse e lo superò a propria volta, imboccando un passaggio fra le rocce.
– Andiamo allora, prima che anche l'ultima luce del giorno venga meno – affermò, vinta dal desiderio di muoversi e fare qualcosa, giacché la sua mente, ora che il peggio era passato, stava iniziando a realizzare le implicazioni di quanto accaduto. Tali pensieri, se vi si fosse attardata, sarebbero bastati per portarla sull'orlo di una crisi di panico, perché le cose avevano improvvisamente preso una piega diversa da quella che lei si era aspettata e l'imprevedibilità di quella nuova serie di eventi minacciava l'esito dell'impresa così come lei la conosceva. 
Per non parlare delle ripercussioni sugli eventi del loro futuro prossimo.
E l'incognita era ancor più pericolosa ai suoi occhi di qualsiasi minaccia conosciuta. 


Avevano trovato una grotta in cui potersi riparare per la notte appena in tempo e ne avevano perlustrato adeguatamente l'estensione verso l'interno della montagna, prima di decidere di fermarsi lì, assicuratisi che non vi fossero orsi o creature ben peggiori pronte ad agguantarli nel sonno.
Essa si era rivelata un cunicolo profondo ed oscuro, la cui estensione reale rimase loro ignota, giacché non vi si addentrarono per molto: Thorin non si fidava delle caverne che si diramavano verso il ventre di quelle montagne, giacché quello era territorio orchesco e molte erano state scavate proprio dai suoi più odiati nemici, così aveva decretato sarebbero rimasti in prossimità dell'ingresso, pronti a darsela a gambe al minimo segnale di pericolo.
Non che vi avessero trovato alcuna traccia del passaggio recente da parte di qualcosa di più grande di un topolino, comunque.
Non accesero nemmeno un fuocherello, non soltanto perché ogni arbusto nelle immediate vicinanze era completamente fradicio o perché il suo bagaglio e l'acciarino erano rimasti alla Compagnia, ma per evitare di attirare attenzioni indesiderate.
Il nano era ancora accanto al varco naturale, intento a scrutare con meditabonda attenzione le tenebre, quando Katla gli si avvicinò porgendogli un involto di foglie.
– Mangia – esordì, abbozzando un mezzo sorrisetto che doveva essere incoraggiante e facendogli in tal modo inarcare un sopracciglio – ..non è velenoso, è lembas: pan di via. Abbiamo entrambi bisogno di restare in forze se vogliamo raggiungere il resto della Compagnia in tempo.
Thorin non commentò al riguardo, osservando quella piccola donna di poco più bassa di lui che gli porgeva parte di quelle che con tutta probabilità erano le sue razioni d'emergenza. In realtà, la cosa che più lo sorprendeva era la rapidità di reazione che sembrava riuscire a tirare fuori nei momenti critici, una dote decisamente utile se miravi a sopravvivere a quel genere di avventure.
All'inizio l'aveva giudicata una ragazzina inesperta del mondo ma, dopo tante settimane e tanta strada percorsa, iniziava a notare i piccoli cambiamenti che stavano avvenendo in lei e come ella stesse inesorabilmente maturando, adattandosi e reagendo alle avversità. Persino in quel momento egli era certo che la spalla le facesse ancora male, ma per quanto si fosse aspettato il contrario, lei pareva del tutto intenzionata a non darlo a vedere.
Prese dunque ciò che gli veniva offerto e, quando aprì l'involto di foglie, osservò il pan di via al suo interno con un misto di insoddisfazione e diffidenza, giacché quello era pur sempre cibo elfico e lui non si fidava affatto degli Elfi, né lo avrebbe mai fatto e di ciò era assolutamente convinto.
– Non è ridotto benissimo – commentò, notando la piccola pagnottina ridotta in pezzi e scoccando un'occhiata in tralice alla ragazza al suo fianco.
Quella arrossì, distogliendo lo sguardo ed andando ad arricciare meccanicamente una ciocca castana intorno ad un dito.
– Devo esserci caduta sopra.. forse.. – bofonchiò, imbarazzata – ..quando sono scivolata.
Thorin, suo malgrado, si ritrovò a sopprimere un certo divertimento, non potendo impedirsi di trovarla carina mentre quella tentava di darsi un contegno, fra l’offesa e l’imbarazzata.
– E non credi che sia un po' poco, per tenere in forze qualcuno? – continuò a punzecchiarla.
– Oh, ma ad una persona normale ne basta poco per saziarsi – affermò d'impulso lei, tornando a guardarlo, prima di accorgersi del gesto ed abbozzare un nuovo sorrisetto imbarazzato – ..anche se, forse, non è la stessa cosa per un nano.
La pelle candida di lei era arrossata sulle gote e gli occhi le rilucevano della fioca luce della luna, cosa che non fece altro che acuire la consapevolezza della sua vicinanza nel Principe dei Nani. Serrando le labbra in una smorfia piatta in reazione a ciò che gli stava sfiorando l'animo, Thorin annuì con un cenno del capo ed un ringraziamento mormorato, prima di tornare a volgersi verso l'esterno e mangiare in silenzio. Fra la foschia e le basse nubi la luce argentata della luna riusciva ad arrivare sino a terra, rifratta dall’umidità dell’aria, delineando ombre volubili fra le rocce.
Kat tornò dentro e la sentì armeggiare con la sua modesta sacca da viaggio, unica fonte di equipaggiamento rimasta loro grazie al fatto che ella non se ne separava praticamente mai se non per dormire, tenendola a tracolla senza un lamento per tutto il tempo. Era questo il motivo per cui ora avevano qualcosa da mangiare ed una coperta per scacciare il freddo di quella notte d'alta quota, anche se questo voleva dire dividerla, cosa che lo metteva in una posizione scomoda.
Sì, perché il pensiero di stare tanto vicino a quella ragazza non riusciva a lasciarlo indifferente.
Anche in quel momento in cui la sua mente avrebbe dovuto concentrarsi sul loro intento di ritrovare i loro compagni, di risalire fino al sentiero da loro intrapreso e preoccuparsi di individuare la via più sicura per raggiungere lo scopo, non riusciva a non pensare a lei... a loro, al modo in cui erano precipitate le cose ed allo sconcertante fatto che si sentisse sollevato che lei, la ragazza che tanto gli dava da pensare, continuamente, non si fosse ferita gravemente durante la caduta.
Thorin, a giudicare dalle fitte ricorrenti al costato, doveva essersi incrinato qualche costola e mentre procedevano si era accorto di avere un taglio superficiale sull'avambraccio, ma anche lui era stato fortunato ad uscirne con simili danni di poco conto.
– Fammi vedere il braccio.
L'erede di Durin, preso alla sprovvista, si voltò di nuovo a guardare la ragazza che si era accostata un'altra volta a lui ed ora lo fissava in attesa che le obbedisse. Teneva fra le mani una piccola scatolina intagliata la cui misura era poco più piccola del suo palmo ed il nano inarcò un sopracciglio, alternando lo sguardo da quell'oggetto al volto di lei, ritrovandolo leggermente corrucciato.
– Un'altra diavoleria elfica, presumo... – commentò ironico, per nulla desideroso di sfruttare i doni che gli Elfi le avevano concesso.
Per contro Katla arricciò le labbra in una smorfia, guardandolo severamente.
– È solo un unguento per le ferite – gli rispose, secca – e sì, me lo hanno dato i figli di Re Elrond la notte prima della nostra partenza... e per quanto mi riguarda non intendo voltare le spalle a tale gentilezza per il futile orgoglio di qualcun altro. Ora, se il grande Thorin Scudodiquercia volesse mettere da parte i suoi rancori personali in favore di un po' di buon senso, gradirei che si lasciasse medicare a dovere, prima che il suo taglio faccia infezione e diventi un vero problema.
Thorin rimase basito a guardarla, pur mantenendo la sua aria seria e composta, per una manciata di secondi buoni, incredulo che quella piccola donna avesse osato parlargli in modo tanto diretto ed irriverente. Quando vide che il cruccio su quel visetto non accennava a scomparire ma, anzi, ella perseguiva a fissarlo con un cipiglio orgoglioso degno del più caparbio dei nani, il Principe erede al trono di Erebor si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, prima di scuotere il capo con rassegnazione.
– Come vuoi... credo di poter indovinare come mai Dwalin e gli altri ti chiamano Piccola Furia. – affermò divertito, sollevandosi la manica ed esponendo l'avambraccio all'aria fredda.
Le sue parole sembrarono toccare un tasto particolare, perché Kat da parte sua si irrigidì e distolse lo sguardo, arrossendo nuovamente mentre armeggiava con il piccolo contenitore. Non gli rispose e quando iniziò a spalmargli con due dita l'unguento sul taglio, la sensazione che ne trasse il nano fu piacevole e fastidiosa al contempo, giacché il pizzicorio della mistura dal forte odore di erbe era mitigato soltanto dalla fresca sensazione di quella metodica carezza sulla pelle.
Poco dopo Katla ripose l'unguento e lui fu di nuovo libero di abbassare il braccio e la manica lungo il fianco, pur non riuscendo a scacciare subito il ricordo delle dita di lei sul proprio arto. Tornò a scrutare l'oscurità, giacché sino ad un attimo prima non era riuscito a distogliere gli occhi dalla chioma castana d'ella, mentre un disagio nuovo s'accompagnava ad una goffaggine che non gli apparteneva da più di un secolo, da quando era soltanto un ragazzo. Si sentiva... imbarazzato.
Attese in silenzio che il suo cuore tornasse a battere ad un ritmo più naturale e nella quiete che seguì non mancò di prestare orecchio ai movimenti di Katla, tornata appresso al suo bagaglio. Lo schiocco soffuso della coperta che veniva spiegata e scossa a mezz'aria gli comunicò che finalmente ella stava preparandosi per trascorrere la notte e questo gli avrebbe dato un po' della tregua che gli serviva per riflettere sul prossimo futuro.
O almeno così avrebbe voluto, perché finì per scoccare più occhiate a Katla che fuori dalla grotta, giacché gli era da sempre impossibile non preoccuparsi per lei. Una cosa del tutto inevitabile in realtà in quel momento, considerando che era l'unica rimastagli dell’intera Compagnia.
Fu solo per questo che notò il suo strano comportamento: si era rannicchiata appresso alla parete rocciosa ad un paio di passi da lui, nell'ombra, e si teneva rivolta verso la parte più profonda della caverna, come se si aspettasse di scorgervi qualcosa strisciare fuori da un momento all'altro. Persino il modo in cui stringeva a sé la coperta tradiva la reale tensione dei suoi muscoli e, poco dopo, gli parve persino di distinguere un lieve tremore pervaderla.
Tale comportamento fece inarcare al nano un sopracciglio, giacché l'impressione che gli diede era talmente discordante con l'idea che si era fatto nelle ultime settimane di lei, tanto da farlo quasi dubitare di sé stesso. Se non fosse stato sicuro del contrario, avrebbe creduto che fosse spaventata... eppure non l'aveva mai vista così, in passato, nemmeno quando si era frapposta fra Mastro Baggins e quei troll delle montagne.
Attese qualche minuto ma, alla fine, vedendo che la situazione non accennava a migliorare né lei rilassava un solo muscolo, Thorin si appoggiò alla parete accanto all'ingresso con la schiena, osservando le fitte tenebre della galleria che si apriva verso l'interno della montagna.
– Dovresti riposare quanto più possibile – le disse, laconico.
– ..anche tu – ribatté lei, senza guardarlo, e la sua voce gli giunse lievemente tremula alle orecchie.
Bastò quell'accenno di incertezza nel timbro limpido di lei a farlo voltare a guardarla e quando distinse sul suo profilo la medesima espressione tesa di poco prima, perfettamente vigile e per nulla intenzionata ad ascoltarlo, si corrucciò.
– Chi è che ha messo da parte il suo buon senso, adesso?
La frecciatina per nulla velata colpì nel segno e finalmente ella si voltò a guardarlo, ma ogni intento burrascoso del nano si placò appena si ritrovò a sprofondare in quei suoi occhi grigi e sinceri, riconoscendo in essi un sentimento molto simile all'angoscia. Ammutolito, Thorin la osservò stringersi maggiormente le gambe al petto, rinsaldando la presa sulla coperta in cui si era avvolta come se ciò potesse bastare a proteggerla da qualunque altra cosa ci fosse fuori da questa, prima che tornasse a rivolgere lo sguardo alle tenebre.
– Mi dispiace – soffiò finalmente la ragazza, infrangendo il pesante silenzio calato fra loro – ..è che non ci riesco. C'è... qualcosa che si aggira in profondità, dentro le grotte che si aprono nel ventre di queste montagne... qualcosa di completamente diverso dai comuni orchi.
Thorin inarcò un sopracciglio: non sapeva di cosa stava parlando, ma qualunque cosa fosse aveva tutta l'aria di essere una delle tipiche storie che si raccontano ai bambini per spaventarli ed indurli a dar retta ai genitori.
– Non credo a questo genere di storie – la interruppe atono.
– Non sono storie! – esclamò lei, scattando in un modo che ammutolì ed impietrì Thorin per lo stupore, prima che distogliesse lo sguardo.
Lui la osservò stringersi la stoffa addosso nel silenzio che seguì, il quale durò soltanto il tempo di un respiro, prima che la ragazza proseguisse con il tipico tono basso e teso di chi avverte i morsi della paura serrargli il ventre.
– Egli ha sempre fame... e ci vede e sente benissimo nel buio. Se dovesse accorgersi di noi... – e Kat si bloccò, rabbrividendo, prima di nascondere il volto fra le braccia incrociate – ...scusami, io... io non riesco a controllarla – gemette, la voce esile ed incrinata, tanto da penetrargli dritta nel petto – Lo so che sto facendo la figura della codarda, ma... davvero, non... non riesco a...
Thorin rimase colpito da quella confessione e dalla fragilità emotiva espressa da quella piccola donna, giacché sino a quel momento ella non aveva mai mostrato quel suo lato debole, tanto che il nano aveva finito per convincersi che non ne avesse uno. Eppure, proprio ora, eccolo lì, di fronte ai suoi occhi spalancati e fissi, che infrangeva l'idea irreale che egli si era fatto di lei per riplasmarla più vera e concreta di prima. Anche una ragazza come Katla, riconobbe, aveva le sue debolezze.
E bastò questa nuova consapevolezza ad infrangere l'ultima barriera che lo teneva lontano da lei.
Si accostò senza una parola alla giovane, liberando Orcrist dal fodero dietro la propria schiena prima di sederle accanto. Una volta poggiato alla parete polverosa alle loro spalle, il principe della stirpe di Durin poggiò l'arma accanto a sé, vicina abbastanza da poter tornare ad impugnarla in un solo istante, in caso di bisogno.
Le loro spalle si sfiorarono.
– Non preoccuparti – le disse con voce calma e profonda, cedendo all'impulso di rassicurarla – Niente striscerà fuori da quelle gallerie senza che io me ne accorga.
Kat sollevò il capo, tornando a riservargli uno sguardo lucido nella penombra, ma Thorin seguitò a donarle il profilo, giacché non intendeva venir meno al proprio proposito: non l'avrebbe abbandonata a sé stessa, men che meno ora che aveva finalmente dimostrato di aver bisogno di lui. L'avrebbe protetta, proprio come aveva fatto in passato e avrebbe fatto in futuro.
Perché lei era il suo mistero personale, con quel carattere dalle molteplici sfaccettature e l'animo forte e fragile quanto l'ossidiana; più cose su di lei imparava, più lati scopriva, e più voleva sapere. E questa sua brama lo lasciava in balia di un tumulto interiore che non gli era mai capitato di provare, prima d’allora.
D'altro canto, Thorin non era uno sciocco né uno sprovveduto, sapeva a cosa tali emozioni lo stavano conducendo ed era consapevole che prima o poi anche l'ultima sua resistenza sarebbe crollata sotto l'impeto dei suoi sentimenti, ma era anche consapevole di non poterselo permettere, giacché su di lui gravava da sempre l'ombra della Montagna Solitaria e, più il tempo passava, più avvertiva il peso dell'eredità lasciatagli da suo nonno aumentare.
– ...grazie, Thorin – mormorò ad un certo punto Katla, traendolo dal vortice di cupi pensieri cui era sul punto di soccombere.
Un istante dopo il nano l'avvertì appoggiarglisi esitante al braccio, cosa che lo spinse a tornare ad abbassare finalmente lo sguardo spalancato su di lei. Nella penombra della notte, ne distinse la sagoma rannicchiata su sé stessa e ne percepì il tremito attraverso gli spessi strati di stoffa dei loro abiti. Kat aveva il capo reclinato verso il basso ed il suo volto era celato ai suoi occhi, ma non aveva bisogno di vederlo per indovinarne l'espressione contratta.
E finalmente intuì la vera causa di quel suo tremito diffuso.
– Hai freddo.
La sua non fu una domanda, ma Kat non parve realizzarlo appieno.
– Un poco... – si sminuì, senza cambiare minimamente posizione – ...scusami, mi sposto fra un minuto.
Il tono mortificato di lei lo spinse a trattenere un istante il respiro nei polmoni e, nella breve stasi che seguì, anche il nano iniziò ad avvertire la morsa gelida del freddo attraverso gli indumenti ancora umidi di pioggia. Si sorprese della facilità con cui il tepore che ella gli trasmetteva vicino alla spalla avesse messo in evidenza il calo di temperatura ai suoi sensi e gli venne naturale desiderarne di più.
Così, cedendo all'impulso del momento, si staccò da lei il tempo necessario per farle passare il braccio sinistro dietro le spalle e tirarsela quanto più vicina possibile, permettendole di inserirsi sotto la pelliccia di lupo che gli avvolgeva le spalle ed aderire così al suo fianco.
Come il corpo di lei si insinuò sotto la sua “ala”, la sentì indugiare un solo istante prima che cedesse al bisogno di calore e si sistemasse a dovere. Kat spostò la coperta per coprire entrambi e si raggomitolò contro di lui, insinuando il capo nell'incavo del suo collo mentre gli cingeva il fianco col braccio opposto, ricambiando l'abbraccio.
La sensazione dei capelli umidi di lei sulla pelle della gola, sotto la corta barba, e di quel corpo minuto e morbido al contempo stretto al suo, contribuirono ad accelerargli il battito cardiaco a dismisura. Eppure, un secondo dopo, quando finalmente i muscoli di lei iniziarono a rilassarsi e dalle labbra la sentì emulare un sospiro, non riuscì proprio a pentirsi di quel gesto dettato dal momento.
– Grazie, Thorin.. – mormorò di nuovo Katla, la voce arrochita dalla stanchezza e dalla beatitudine in un modo che gliela rese fin troppo sensuale al suo orecchio.
– Ora cerca di dormire, – le disse lui semplicemente, tentando di tenere a bada la tempesta che gli si stava scatenando dentro – abbiamo molta strada da fare.
La sentì muovere il capo in un lievissimo cenno d'assenso e subito dopo ella sollevò il braccio con cui gli aveva cinto il fianco per affondare la mano al di sotto della sua pelliccia, alla ricerca di un appiglio ed un appoggio che le impedisse di ciondolare con la testa in avanti. La lasciò sistemarsi, attendendo teso come un giunco che trovasse la comodità adatta a riposare mentre il calore dei loro corpi e della coperta iniziava già a pervaderlo.
Fu quel calore, unito alla piacevole sensazione che gli dava la presenza di Kat stretta a lui, a farlo rilassare progressivamente, riportando la pace nel suo animo ed al contempo facendogli notare la profonda spossatezza che gli gravava sulle membra.
Stava già lasciando vagare la mente verso altri pensieri, senza che l'ansia precedente avesse la medesima presa sul suo animo, quando la voce di lei tornò ad infrangere il silenzio, soffusa e piacevolmente arrochita dalla stanchezza.
– Sai, quando ero piccola – esordì Kat – dormivo sempre nel letto dei miei genitori...
Thorin non intervenne, non desiderando interromperla, pur essendo sorpreso della confidenza di cui stava venendo fatto oggetto. Si limitò ad ascoltare, non essendo sicuro di volerlo davvero, ma allo stesso tempo sentendosi ansioso di farlo, e fu la ragazza a prendere quella decisione, proseguendo il discorso con quel tono assonnato.
– Non ho più dormito con nessuno da quando non ci sono più.
Thorin inarcò un sopracciglio, trattenendo meccanicamente il fiato mentre il significato di quelle parole gli diventava via via più chiaro, e si ritrovò a formulare la domanda ancor prima di rendersene conto.
– Come..?
– Un incidente – gli rispose lei senza nemmeno farlo finire, con quella stessa voce sommessa. 
Il nano reclinò leggermente il capo per scostare lo sguardo in un punto più vicino a lei, pur non abbassandolo a guardarla direttamente, rinsaldando meccanicamente la presa con cui la teneva vicino a sé. Sapeva com'era perdere parte della propria famiglia, sapeva cosa voleva dire doversi rimboccare le maniche per affrontare una vita dura ed ostile dopo essere rimasto solo.
– C'era una cosa che mi ripeteva sempre mia madre – riprese inaspettatamente a parlare Kat dopo un attimo e la sua voce era talmente flebile e velata di sonno che Thorin dovette trattenere il respiro per ascoltarla – "un giorno dovrai crescere anche tu, Kathrine"...
Perplesso, l'erede di Durin inarcò un sopracciglio prima di farsi sfuggire un sussurro: – ...Kathrine?
Restò quindi in attesa, non essendo nemmeno sicuro di aver capito le poche parole che la ragazza fra le sue braccia gli aveva rivolto in ultimo, ma l'unico suono che seguì fu il lieve respiro di lei farsi più profondo. Quando, poco dopo, comprese che ella s'era infine addormentata, il nano emulò uno stanco sospiro che lo rilassò e lo spinse ad accettare l'evidenza, giacché gli fu chiaro che i suoi fugaci dubbi non sarebbero più stati chiariti.
Così, mentre le palpebre gli si abbassavano, pesanti abbastanza da costringerlo a socchiuderle, riportò lo sguardo verso l'interno della montagna, proprio come le aveva promesso. Perché Thorin Scudodiquercia non è nano di poco onore e non si sarebbe rimangiato la propria parola: avrebbe pensato lui a tenerla al sicuro da qualunque pericolo, reale o leggendario che fosse.
E così sarebbe sempre stato, se questo implicava il poterla stringere a sé a quel modo anche soltanto una volta nella vita.


La prima percezione che l'accolse al suo risveglio fu il suo odore. Un odore di ferro caldo, di pioggia ed abeti d'alta montagna, che l'avvolse e la fece sorridere nel dormiveglia, spingendola a stringersi maggiormente alla fonte di quel profumo. 
Reclinando il capo verso l'alto, strusciò la punta del naso contro il collo del nano, inspirando a fondo e lasciando che l'odore di lui la pervadesse mentre, al contempo, la morsa delle forti braccia che l'avvolgevano si stringeva, infondendole un senso di sicurezza ed appartenenza che le scaldò il cuore e la fece sospirare beata.
Non era più seduta accanto a lui, giacché quella posizione tesa e la durezza del pavimento dopo un'ora scarsa già l'avevano strappata al suo dormiveglia con un indolenzimento diffuso a gambe e fianco. Per questo si era mossa e, nemmeno sapendo bene come, era finita per accoccolarglisi in grembo e, ancora una volta, sorprendentemente, le braccia di Thorin l'avevano avvolta mentre egli poggiava il mento barbuto sul suo capo.
Ed ogni suo timore più recondito, ogni sua paura dell'ignoto che si prospettava sul loro cammino, era infine sfumata dal cuore d'ella, perché la semplice vicinanza del Principe di Erebor bastava al suo animo per quietarsi. Perché lei, in fondo, si fidava ciecamente di Thorin Scudodiquercia.
Desiderò che quella notte non finisse mai, che quel momento non passasse e non giungesse più il giorno, giacché le prime luci avrebbero portato con loro il tempo in cui avrebbe dovuto rinunciare a tutto quello per far finta che non avesse significato nulla. E, a discapito di ogni sua più recondita speranza, quel tempo arrivò ancor prima dell'alba, perché d'improvviso un rumore giunse dall'esterno del loro riparo, mettendo sull'avviso sia lei che il nano. 
Senza una parola Kat lasciò scivolare le braccia giù dalle spalle di Thorin e questi allentò la stretta dietro la sua schiena, spostando la mano destra per andare a stringere l'impugnatura della Fendiorchi, rimasta tutto il tempo accanto a lui.
Quando quel suono si ripeté, rimbalzando sulle pareti rocciose appresso all'ingresso sottoforma d'un cigolio di pietrisco e polvere, Katla e Thorin scivolarono silenziosamente in piedi con un debole fruscio di stoffa e la ragazza, gli occhi sbarrati e fissi, mise mano alla propria lama mentre il nano si accostava al varco, premendo la schiena contro la roccia.
Si scambiarono soltanto un'occhiata veloce mentre il rumore di passi s’andava avvicinando e Kat strinse le labbra in una smorfia tesa, serrando la presa sulla propria piccola spada elfica e preparandosi mentalmente all'attacco. Quando, pochi secondi dopo, l'alta sagoma dal cappello a punta si delineò sotto l'arco di pietra illuminando il terreno con la luce bianca del suo bastone, ella strabuzzò gli occhi.
– Gandalf! – esclamò, non riuscendo a trattenersi, mentre il sollievo dava forma ad un ampio sorriso sul suo volto e Thorin frenava sul nascere il suo assalto.
L'Istar fece un passo all'interno della galleria, sollevando la punta luminosa di quello che era il suo catalizzatore per puntarle addosso il fascio di luce e, anche se mezza accecata, Kat riuscì a distinguere l'espressione rugosa del mago distendersi di stupore.
– Katla.. – esordì, prima di voltare lo sguardo ed includere anche il nano con lei nel proprio campo visivo – ..Thorin. Cosa fate qui? – domandò, ispezionando l'ambiente – E dov'è il resto della Compagnia?
Il principe nanico, riponendo con un secco gesto Orcrist nel fodero che teneva allacciato dietro la schiena, fece un paio di passi per fronteggiare lo stregone grigio e la sua espressione si mostrò cupa e tesa, greve mentre ne sosteneva lo sguardo.
– Non qui – ribatté, seccamente, prima di spiegare – Siamo stati separati a causa delle insidie di queste montagne.
– Be', mio caro Thorin, allora è proprio come temevo – esordì l'alto stregone, tradendo la sua profonda preoccupazione – Non ti farà piacere sapere che, dopo questa separazione, i vostri compagni sono stati catturati dagli Orchi.
Kat trattenne il respiro e scoccò meccanicamente un'occhiata al Principe di Erebor, il quale la ricambiò brevemente, prima di tornare a puntare quei suoi occhi di diamante sullo stregone.
– Non c'è un secondo da perdere allora – affermò, riscontrando l'assenso dell'altro.
– No, infatti – confermò Gandalf, prima che il suo sguardo azzurro si volgesse verso Kat e la sua espressione si ammorbidisse – ma almeno una cosa positiva in tutto questo c'è, ed è che due di voi sono scampati al pericolo. Mi servirà il vostro aiuto.
Katla annuì di rimando, iniziando a sospettare che lo stregone avesse ragione: seppure il succedersi degli eventi si fosse ormai discostato dalla trama che lei conosceva, riusciva ancora a riconoscere una certa linearità in ciò che stava accadendo e, per quanto assurdo, la cosa contribuì a rassicurarla. Inoltre, il fatto di trovarsi assieme a Thorin e Gandalf la faceva sentire meno insicura sulle loro possibilità di vittoria, giacché le spade di entrambi erano lame potenti e letali. Avrebbe fatto del suo meglio per essere all'altezza della situazione: era infine giunto il momento di mettere in pratica tutto il suo addestramento.
Sfoggiò un piccolo sorriso, colmata da una nuova ondata di fiducioso ottimismo.
– Fai strada, Gandalf. Noi ti seguiremo.
E quando anche Thorin annuì con un cenno del capo, confermando quanto da lei detto, lo stregone grigio li superò, non senza prima aver rivolto loro un pacato: – Bene – velato di soddisfazione.
Quindi, senza ulteriori indugi, dopo aver recuperato il proprio bagaglio Kat si affrettò dietro ai suoi due compagni, spada in pugno, inoltrandosi all'interno delle gallerie che procedevano per kilometri sotto le Montagne Nebbiose, in quello che era da tempo il dominio degli Orchi.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 9
*** The Goblin Reign ***







“Skin made of iron
Steel in our bones [...]
Face us on the battlefield
You will meet your doom.”
[ Diggy Diggy Hole, Wind Rose ]




La razza di Orchi che popolava quelle montagne era più minuta ed infida dei cugini del Nord, con la pelle non altrettanto spessa e scura, ma egualmente perfidi e violenti, a loro modo. Il povero Bilbo, terrorizzato in mezzo agli altri nani, aveva male alle orecchie per il canto che tutt'intorno risuonava sulle rocce, un'irripetibile sequela di crudeltà che lo colmava di terrore e gli rendeva più arduo che mai mettere un piede davanti all'altro.
Eppure ci pensavano le lame e gli strattoni alle corde con cui lo avevano legato, lui come gli altri della Compagnia, ad indurlo ed incitarlo continuamente a procedere, e non seppe mai spiegarsi se non come risultato della sua infinita buona stella come fece a non inciampare e cadere disteso nella polvere, nonostante tutte le volte che incespicò sui propri stessi piedi.
Era accaduto tutto in un istante: i goblin, così li aveva definiti qualcuno dei suoi compagni nani, li avevano assaliti nel buio approfittando della distrazione e della sconsolatezza dei loro cuori e poi, dopo averli legati, li avevano fatti marciare nelle profondità della terra, attraverso gallerie e caverne scavate nelle montagne.
Non sapeva nemmeno lui da quanto tempo stavano procedendo attorniati dai nemici ma, quando finalmente li fecero fermare, a Bilbo facevano male i piedi e si sentiva stanco ed atterrito come mai prima, mentre le note di quella lugubre canzone orchesca giungevano al termine, soffocate da un diffuso ridacchiare maligno che riecheggiò tutt'intorno a loro.
– Allora – proruppe una voce sulle altre, facendo calare il silenzio – vi è piaciuta la canzone?
Bilbo, da dietro ai suoi compagni, cercò di sporgersi per vedere qualcosa da oltre le loro schiene e quando vi riuscì desiderò di non averlo fatto: di fronte alla Compagnia troneggiava il più grosso dei nemici, il loro capo, corpulento e ghignante mentre li scrutava con malevolenza.
Eppure, per quanto ributtante, i nani non si fecero intimidire.
– Non era una canzone, – proruppe Balin – era un'abominazione!
Gli altri nani confermarono con esclamazioni concitate e cariche di sfida, ma il Grande Goblin non perse quel ghigno sfrontato.
– Ed è esattamente ciò che troverete qui: abominazioni, deviazioni, mutazioni – e poi quel ghigno finalmente venne meno, ma soltanto per lasciar posto a un'espressione arcigna e malevola – Allora, chi è che abbiamo qui? Spie, ladri... assassini?!
– Nani – rispose uno dei goblin in prima fila, mentre le armi a loro confiscate venivano riversate sulle assi della piattaforma di fronte al drappello – e sono palesemente in combutta con gli Elfi, Vostra Malevolenza.
– Nani?! – esplose il capo delle creature maligne – E cosa ci facevano dei nani dinanzi alle porte del mio regno?
E allora i membri della Compagnia esitarono, finché a farsi avanti non fu Bofur.
– Eravamo sulla strada.. be', più che una strada era un sentiero.. non era neanche un sentiero ora che ci penso – iniziò a vagheggiare, prendendo tempo, e Dori gli andò in aiuto, ma le parole sempre più confuse dei due nani indispettirono e spazientirono il Grande Goblin.
– Basta, finitela! – gridò, minaccioso, suscitando timore persino nei suoi, che si accovacciarono.
A quel punto fu Balin a farsi avanti, dando pacche sulle spalle ai nani più giovani e prendendo lui il controllo della situazione.
– Andavamo in visita dai nostri parenti – lo informò senza batter ciglio, dimostrando un notevole autocontrollo agli occhi del giovane hobbit del gruppo.
Eppure ciò non bastò per ingannare il nemico, giacché esso li scrutò di nuovo con un cipiglio iroso ed insoddisfatto.
– Basta, ho detto! – tuonò nuovamente, prima di rivolgersi ai suoi sottoposti – Se non vogliono parlare, li costringeremo a farlo! Portate qui il Maciullatore! Portate qui lo Spezza-ossa! Iniziate dai più giovani!
Ed il poco sangue che Bilbo sentiva ancora scorrergli nelle vene si gelò all'istante.


Accovacciato dietro il cornicione roccioso che da uno dei vari cunicoli si apriva sull'ampia caverna degli orchi, Thorin serrò la presa sulla Fendiorchi sino a farsi sbiancare le nocche e, scoccando per riflesso un'occhiata di sottecchi a Katla, gli rivelò che nemmeno lei era del tutto padrona del suo autocontrollo.
Il terzetto capitanato da Gandalf era riuscito a farsi strada attraverso i cunicoli scavati nella roccia senza troppi problemi, sgozzando guardie disattente e sporadiche ogni qualvolta era stato necessario per non farsi rallentare o scoprire. Persino Kat non aveva avuto alcuna esitazione e gli aveva coperto le spalle in una o due occasioni in cui era stato particolarmente incauto, tornando ad essere la medesima giovane donna che si era gettata nell'accampamento troll o che aveva voltato il pony di scatto per andare in soccorso di Bilbo quando era caduto sotto l'imboscata degli orchi. E la cosa gli aveva causato un conflitto interiore che non voleva indagare e che era un misto fra sollievo e rammarico, ma che in quel momento aveva accantonato in favore di una silenziosa soddisfazione: si era scoperto lieto di poter contare su di lei e dovette ammettere, in una recondita parte di sé stesso, che forse si era sbagliato su di lei, che non se la cavava male con una lama in mano.
Erano quindi rimasti in disparte, approfittando dell'eccitazione che stava pervadendo gli orchi intorno a loro e della disattenzione generale per qualunque cosa non fosse ciò che stava avvenendo sulla piattaforma di legno del Grande Goblin, nell'attesa del segnale dello stregone era proprio Kat la prima a tradire insofferenza ed inquietudine per la loro situazione.
– Dobbiamo fare qualcosa – gli sussurrò infatti lei dopo un istante soltanto, senza staccare lo sguardo da ciò che stava accadendo sotto di loro.
Thorin, tornando a osservare la scena con il suo sguardo di ghiaccio, vide l'enorme mazza che stava venendo trasportata sui camminamenti pericolanti verso il capo di quella marmaglia, lo Spezza-ossa, e serrò le labbra in una linea sottile.
– Aspettiamo il segnale – ribatté, con tono altrettanto basso ed inflessibile, corrucciandosi in volto.
Neanche a lui piaceva quell'attesa improduttiva e non vi era un solo muscolo che non gli gridasse di andare alla carica dei suoi nemici per salvare i suoi familiari e compagni. Fu sul punto di cedere quando, da in mezzo al gruppo, i suoi nipoti vennero strattonati in avanti. Fili e Kili tentarono di ribellarsi, ma gli orchi ne ebbero ragione e li spinsero in ginocchio sull'assito, immobilizzandoli ed avendone ragione soltanto grazie alla superiorità numerica.
Kat al suo fianco trattenne il respiro.
– Fili, Kili.. – le sfuggì con voce strozzata e carica dello stesso allarme che provava il nano.
E Thorin fu sul punto di cedere ad esso, di scattare in piedi e correre a spada tratta verso i preziosi figli di sua sorella, quando venne anticipato da un'onda di energia e luce che si sprigionò esattamente a mezza via fra lui e la Compagnia.
L'incantesimo di Gandalf, giunto abbastanza vicino soltanto grazie ai suoi poteri, si riversò su ogni goblin nell'arco di decine e decine di metri, scaraventandoli a gambe all'aria, e persino il Grande Goblin capitolò all'indietro sul suo trono, lasciando per contro ogni altra creatura del mondo di sueprficie illesa.
Eccolo, il segnale.
Eppure, per quanto Thorin fosse stato pronto a scattare, la prima a farlo fu proprio la giovane al suo fianco, la quale si lanciò sotto lo sguardo sorpreso dell'erede di Durin fuori dal loro riparo, la daga elfica già stretta in pugno che catturava la luce delle torce in un freddo riflesso argenteo.
Con un'imprecazione a denti stretti, il capo della Compagnia la imitò con un solo istante di ritardo, correndo verso i nani prigionieri.
– Combattete! – esclamò Gandalf verso i loro compagni, presi alla sprovvista tanto quanto gli orchi, spronandoli e dando l'esempio per primo – Combattete!!
E Kat, veloce ed agile sul camminamento pericolante, lo superò l'istante seguente.
Du bekar! Du bekar!! [1]
Come quelle parole in khuzdul, pronunciate dalla limpida ed alta voce della giovane donna, risuonarono nell'ampia volta della caverna, la stasi che sembrava avvolgere i loro compagni finalmente s'infranse. Thorin, del tutto stupito dal comportamento di lei e dalla naturalezza con cui aveva pronunciato parole in una lingua che non le apparteneva, li vide ribellarsi, liberarsi a pugni e calci ed agguantare le armi che, confiscate loro in precedenza, giacevano sul pavimento. Poi lo scontro entrò nel vivo ed alle urla battagliere dei nani si sommarono gli stridii di sofferenza e rabbia degli orchi dei Monti Nebbiosi.
Kat e Thorin si fecero strada fra i nemici sino ai loro compagni e l'erede al trono di Erebor riprese il suo posto come capo della Compagnia, accostandosi ai suoi due nipoti e finendo per porsi proprio di fronte al Grande Goblin.
La creatura, appena posò i suoi occhietti cisposi su di lui, li sgranò e un attimo dopo la sua sorpresa parve triplicarsi giacché si fece avanti Katla, spadina elfica in mano e qualche schizzo di sangue orchesco e polvere ad imbrattarne la figuretta minuta.
– Chi abbiamo qui? – domandò retoricamente il sovrano di quella marmaglia, mantenendo il sangue freddo – Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror... che si accompagna ad una bambina?
– Non sono una bambina! – ringhiò quella con astio ed animosità.
– Non le torcerai un capello, bestione! – esclamò con altrettanta veemenza Kili, frapponendosi fra lei ed il nemico. Lui e Fili la tirarono indietro e la tennero fra loro, le spade già in mano, come avevano fatto già altre volte in passato per proteggerla.
Quella reazione, che pure sorprese un poco Thorin, gli infuse un certo sollievo, abbastanza per permettergli di dedicarsi totalmente al nemico che stavano fronteggiando. Così scoccò al Grande Goblin un'occhiata sprezzante dal basso della sua statura nanesca e sollevò la lama di Gondolin in sua direzione.
– Lasciateci proseguire e ti verrà risparmiata la vita – lo minacciò.
Quello strabuzzò nuovamente gli occhi, ma stavolta il suo sguardo era calato sull'arma che Thorin brandiva con tanta impietosità.
– Quella è la Fendiorchi! – esclamò con voce alterata da un panico antico ed irrazionale – Uccideteli! Uccideteli tutti e portatemi la sua testa! – inveì, indicando il nano dalla chioma corvina a due metri da lui – L'Orco Pallido la pagherà un buon prezzo.
Quell'ultima considerazione risvegliò in Thorin ricordi che non lo avevano mai abbandonato ed un odio che covava sin dai tempi della battaglia di Moria gli ribollì nel sangue. Si lanciò avanti, brandendo Orcrist come se fosse un'estensione del proprio braccio, intercettando la mazza che il Grande Goblin pose fra loro per contrastarlo e spazzando via essa ed il suo portatore con un unico potente colpo.
Il grosso capo dei goblin, con un urlo, ricadde all'indietro ed il suo trono di legno ed ossa si infranse sotto la sua mole, ma ben presto altri nemici si frapposero fra il nano ed il loro sovrano. La situazione sarebbe ben presto degenerata nuovamente se avessero indugiato ancora per molto in quel luogo, Thorin lo sapeva, così respingendo allo stesso modo un paio di nuovi assalitori tornò a guardarsi indietro, alla ricerca di Gandalf.
Lo stregone grigio si era fatto strada sino alla Compagnia ed ora, menando fendenti con Glamdring, aprì un varco per sé e il resto di loro.
– Correte!
A quell'esortazione i nani si riversarono sul camminamento in assi e Thorin, volgendo una rapida occhiata ai suoi nipoti ed a Katla, incrociandone gli sguardi combattuti fece loro un cenno del capo. Tanto bastò e questi imitarono i loro compagni, Kili afferrando la ragazza per un braccio e tirandosela dietro, mentre Fili chiudendo con lui la fila e coprendo le retrovie al suo fianco.
Così, guidati da Gandalf, la Compagnia di Thorin Scudodiquercia si riversò nelle gallerie degli orchi, scappando e combattendo, facendosi strada a rotta di collo verso la libertà.


Non sapeva da quanto tempo stavano procedendo in quel modo, ma Bilbo iniziava a dare i primi segni di cedimento. Gli pareva che fossero passati eoni da quando aveva respirato aria fresca o aveva avvertito sulla pelle la luce del sole, e la mancanza del cielo sopra la testa stava diventando opprimente per il suo animo hobbit.
Ma, per quanto la spossatezza iniziasse ad infiacchirlo nel corpo come nello spirito, era Katla la più provata ai suoi occhi. I segni della battaglia che avevano affrontato su di lei erano più evidenti, giacché sangue d'orco le aveva imbrattato le maniche un tempo candide e la punta di una lama le aveva aperto un piccolo squarcio sul pantalone, ad altezza della coscia destra, senza tuttavia arrivare a ferirla.
Eppure, anche così, la giovane donna aveva iniziato ad arrancare e dalle posizioni centrali era retrocessa alle ultime del gruppo in fuga, la spada sfoderata che mandava di tanto in tanto riflessi argentei nell'oscurità quando catturava la luce del bastone di Gandalf oppure i bagliori delle torce degli orchi al loro inseguimento. La sua acconciatura, per quanto fosse stata sapientemente fissata ormai diverso tempo prima, andava disfacendosi ed una delle treccioline che originariamente avrebbero dovuto esser tirate indietro, sopra le orecchie, ora le pendeva indomita e mezza sciolta a lato del volto segnato da profonde occhiaie.
Con un espediente dello stregone erano riusciti ad eludere l'ennesimo gruppetto di nemici ed avevano fatto una sosta breve ma necessaria in un'insenatura scura e riparata della galleria. Non si sarebbero fermati a lungo, il tempo di bere un sorso d'acqua e riprendere fiato, soprattutto il mezz'uomo e la donna del gruppo.
Accanto a Kat, Bilbo prese in consegna la borraccia che stava passando di mano in mano fra i membri della Compagnia.
– Grazie – le disse in un soffio, prima di bere un sorso.
Non appena il dolce liquido al suo interno gli scivolò rapido giù per la gola, sorprendentemente lo scassinatore si sentì subito rinvigorito nel corpo come nello spirito.
– Ma che cos'è? – domandò inarcando un sopracciglio e restituendo il recipiente alla compagna di viaggio – Mi pare di aver già bevuto qualcosa di simile... ed è decisamente buono.
Kat gli sorrise di rimando, richiudendo il tappo della fiaschetta.
Miruvor, si chiama: un dono di Re Elrond al nostro stregone – gli rispose con lo stesso basso tono, prima di distigliere lo sguardo per cercare Gandalf.
Bilbo la osservò rimettersi in piedi ed accostarsi all'Istar, riconsegnandogli la borraccia mezza vuota e ricevendo per quella premura un rapido ringraziamento borbottato distrattamente. Quindi, meccanicamente, donò uno sguardo al resto della Compagnia.
I nani erano quasi tutti seduti come lui nella polvere, fatta eccezione per Thorin, Gloin, Nori e Dwalin. Il loro capo non aveva ancora riposto Orcrist nel fodero, nemmeno per un istante, ed il mezz'uomo dubitava che l'avrebbe fatto prima che fossero giunti al sicuro fuori da quelle dannate montagne.
Era merito delle spade di Gondolin se erano riusciti a fare tanta strada, giacché pareva che gli orchi ne fossero oltremodo terrorizzati: ogni volta che Glamdring o Orcrist calavano su di loro, quelli si ritiravano spaventati in un dietro-front a rotta di collo per le medesime gallerie da cui erano venuti.
Per questo motivo Thorin era rimasto a coprire loro la ritirata mentre Gandalf apriva loro la strada in testa alla comitiva, guidandoli per quel dedalo di cunicoli scavati nella nuda roccia.
Bilbo non poté far a meno di chiedersi se sarebbero riusciti ad uscire incolumi da quella situazione, ma non cercò di darsi una risposta, giacché il solo pensiero lo riempiva di sconforto e nuovo terrore.
Per una frazione d'istante, osservando Kat che tornava accanto a lui e gli rivolgeva uno stanco sorrisetto incoraggiante, egli si ritrovò a pensare al modo in cui ancora una volta ella era piombata in loro soccorso, insieme a Gandalf e Thorin, e se ne sentì sorpreso una volta di più, sia per l'audacia da lei dimostrata, sia per il semplice fatto di averla rivista, viva, quando ormai tutti gli altri l'avevano data per perduta.
E invece eccola lì, di nuovo fra loro, combattiva e determinata ad andare avanti ed arrivare in fondo a quell'avventura. Quando, alla prima occasione, i loro occhi si erano incrociati e lei aveva sorriso di sollievo nel distinguerlo fra i nani, Bilbo si era sentito in colpa per il modo in cui si era chiuso in sé stesso durante il loro soggiorno presso la Valle Nascosta degli Elfi.
Dopo che lei e Thorin erano precipitati nella tempesta si era ripromesso che, semmai il fato avesse loro permesso di tornare ad incrociare i loro passi, si sarebbe fatto coraggio e le avrebbe posto le sue scuse, come si conveniva ad un rispettabile ed onesto hobbit della Contea. E l'avrebbe fatto proprio in quel momento se un nuovo scalpiccio concitato, accompagnato dall'ormai conosciuto sferragliare e stridere degli orchi, non avesse interrotto quella loro fin troppo breve pausa di riposo.
– Kili – chiamò subito Thorin, passando loro accanto e cercando il supporto del nipote.
Questi, già con l'arco in mano ed una freccia incoccata, si dispose sulla parete opposta del cunicolo, accanto allo zio, pronto a coprirgli le spalle mentre questo scoccava un'occhiata nella direzione da cui erano sopraggiunti pochi minuti prima.
Non vi fu bisogno di alcun ordine diretto o cenno, ogni membro della Compagnia balzò in piedi e, con le armi in pugno, attese il segnale di via libera dal loro capo per poter riprendere la loro fuga precipitosa, la stessa tensione ad albergare su tutti i loro volti.
Così ripresero a correre giù per quella stretta galleria polverosa, cosa che stava diventando una scomoda e fastidiosa routine, incrociando le armi con i loro nemici quando si spingevano a contrastarli ed aprendosi la strada con la forza e la paura.
Bilbo aveva già perso nuovamente la cognizione dello scorrere del tempo quando, mentre stavano attraversando uno dei rozzi camminamenti in legno e corda orcheschi sul bordo di un profondo crepaccio oscuro, i nemici piombarono su di loro direttamente dall'alto.
Lo hobbit sostenne ed evitò l'assalto a lui indirizzato soltanto per mero spirito di autoconservazione e riflessi che egli stesso non sapeva di possedere, ma non ebbe il tempo di gioirne perché la voce di Fili nelle retrovie lo fece voltare in quella direzione.
– Kili!
Il più giovane dei due fratelli, la faretra ormai vuota, era stato scaraventato a terra e l'orco che gli stava addosso si dimenava nel tentativo di averne ragione, ma l'istante seguente venne preso in pieno da un calcio di Thorin, accorso in aiuto del nipote. Fu a quel punto però che un altro nemico si lanciò alla carica, stavolta del capo della Compagnia, e l'aveva quasi raggiunto, la sua rozza arma levata a mezz'aria e pronta a colpire, quando all'improvviso qualcosa di ruvido e sferico passò rapidissimo accanto allo hobbit e colpì in pieno muso la creatura. Quella cadde all'indietro con un urlo di agonia e rabbia, il suo attacco sfumato, andando ad intralciare i suoi compagni e dando il tempo ai nani della retroguardia di riorganizzarsi e respingere il nemico.
E Bilbo, ancora in parte confuso, volse lo sguardo nella direzione da cui era provenuta quella che, la sua mente lo realizzò poco dopo, era stata una pietra delle dimensioni di un pugno nanico ad essere stata scagliata senza pietà verso l'orco, e sbarrò gli occhi blu nell'incrociare lo sguardo di Katla. Quella sfoggiò sul volto stremato un sorrisetto soddisfatto ed orgoglioso, prima che entrambi tornassero a porre attenzione a ciò che stava accadendo intorno a loro. Subito dopo, l'urlo di Thorin di proseguire si levò sopra il rumore circostante e la Compagnia non se lo fece ripetere due volte, dando ascolto al loro capo quanto agli incitamenti di Gandalf. Ripresero a muoversi sull'assito pericolante, spalmati e stirati su quella via orchesca quanto bastava perché non avessero più la compattezza mantenuta fra le gallerie.
Fu per questo che, seppur fra le ultime posizioni, quando Kat e Bilbo si ritrovarono a girare l'angolo dietro cui la maggior parte degli altri era già sparita, nessuno della Compagnia si rese conto di quanto accadde loro. Urla di avvertimento e di combattività da parte dei nani davanti a loro non furono sufficienti ad impedire a Bilbo di finire direttamente addosso ad un goblin sbucato dal nulla sulla sua strada, né a Kat di imitarlo. Urtarono tutti e due la malvagia creatura e persero l'equilibrio, ricadendo in un aggrovigliamento di arti che si sciolse appena urtarono le assi scricchiolanti del pavimento.
Bilbo scalciò e, trascinato dal nemico che gli si era aggrappato al mantello, tentò di sguainare la sua piccola spada elfica per affrontare la nuova minaccia quando, all'improvviso, l'urlo allarmato di Katla anticipò l'inevitabile. La percezione del pavimento sotto di sé scomparve e la forza di gravità ebbe la meglio: precipitò nel vuoto e la caduta gli serrò un nodo talmente stretto in gola che non riuscì ad emettere un fiato mentre scompariva nell'oscurità.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
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» Note:
1. "Du bekar!" = "Alle armi!" in lingua khuzdul.

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Capitolo 10
*** Into Darkness - Part I ***







“Hear my rhymes
in the fading light.
Scorching skies turn black
in the cradle of the night.”
[ The Eyes of the Mountain, Wind Rose ]




Quando iniziò a riprendere i sensi, la prima percezione che Katla ebbe di sé stessa fu una serie molto familiare di contusioni ed indolenzimenti sparsi per tutto il corpo. Era la seconda volta che precipitava da un'altezza considerevole da quando si erano inoltrati nelle Montagne Nebbiose e la cosa iniziava a contrariarla non poco.
Il suo secondo pensiero andò a Bilbo, caduto con lei e prima di lei nell'oscurità di quelle caverne, ma non fu la preoccupazione per il giovane hobbit a farle rizzare i peli dietro la nuca o a smorzarle il respiro nel petto all'improvviso, quanto un sommesso raschiare di arti strascicati nelle vicinanze ed una voce acuta e cantilenante che si fece strada sino alle sue orecchie.
– Che cosss'è, tesssoro? Si mangia? Sssì, credo proprio di sssì, tessoro!
Il cuore di Kat perse un battito.
Gollum.
La sua mente, seppur ancora intontita dalla caduta, lo riconobbe subito ed ogni suo più recondito istinto di sopravvivenza la riscossero d'improvviso, rendendola in un lampo vigile e ben desta. Perché quello era il suo incubo peggiore, la sua paura di bambina, ed il terrore strisciante che rievocò quella consapevolezza le congelò il sangue nelle vene.
Era caduta.
Alla fine, contro ogni sua più rosea convinzione, era stata separata di nuovo dalla Compagnia ed era precipitata fra le caverne e le gallerie in cui si aggirava la creatura Gollum. E stavolta non c'era Thorin a rassicurarla ed a proteggerla dai suoi fantasmi interiori.
Il nodo che le serrava la gola si strinse talmente tanto da farla tremare ed avvertì il soffocante desiderio di dar sfogo alla propria disperazione, ma ancora una volta il suo istinto intervenne impedendole di versare una sola lacrima e facendole presente che, se voleva difendersi, aveva bisogno di un'arma.
Dov'era la sua spada?
Con il cuore in gola, tese le orecchie a cogliere qualunque rumore provenisse dalla creatura che un tempo era stata Smeagol e tentò cautamente di tastare il terreno pietroso intorno a sé, ma nessuna superficie liscia e fredda incontrò le sue dita.
Doveva aprire gli occhi, doveva guardarsi attorno ed assicurarsi di dove fosse lei e quale fosse la posizione del suo incubo più recondito, ma non finì nemmeno di formulare tale pensiero che un verso gutturale e caratteristico le risuonò proprio sopra il capo.
– Carne tenera, tesssoro! Sembra.. squisiiito. Gollum! Gollum!
Kat, ormai coperta di sudore freddo, colse l'umida sensazione dell'alito altrui sfiorarle la fronte ed aprì di scatto gli occhi nell'oscurità. 
Urlò.


Come le tenebre del cuore della montagna vennero scosse da quell'urlo, Bilbo, che fino a quel momento si era mosso con circospezione per l'ambiente quasi totalmente immerso nelle tenebre, sollevò il capo con un sussulto nella direzione di quel suono.
– Kat! – esclamò col cuore che gli balzava in gola.
Senza pensare si lanciò in avanti, la piccola lama elfica che riluceva abbastanza da permettergli di distinguere le pareti intorno a lui ed il pavimento sotto i suoi piedi, percorrendo la via lungo quell'anfratto roccioso il più rapidamente possibile.
Quando, fatti pochi metri, il cunicolo intorno a lui si allargò in maniera irregolare e la visuale gli si aprì sull'intero passaggio, giunse appena in tempo per vedere la figuretta ben nota di Katla che colpiva con un calcio in pieno petto una creatura ossuta e curva, dalle proporzioni grottesche ed i grandi occhi luminescenti. Quella, scagliata via dal colpo inatteso, cadde con un lamento nel pietrisco, lontano dalla giovane donna che immediatamente balzò in piedi, il respiro affannoso e lo sguardo stralunato sempre fisso sul suo aggressore mentre indietreggiava sino a premere la schiena contro la parete scabrosa.
– Kat – la chiamò di nuovo, fermandosi ad un paio di metri.
Soltanto a quel punto ella parve accorgersi di lui e si volse di scatto a guardarlo. Le lacrime che le rigavano il volto catturarono il fioco bagliore dell'arma che egli ancora teneva fra le mani. Era terrorizzata, si rese conto.
– Bilbo! – esclamò lei un attimo dopo, riconoscendolo, con un tale sollievo da spiazzarlo.
Sembrava come se ad esser corso in suo aiuto fosse il più valente dei guerrieri e non un piccolo ed onesto, pacifico hobbit della Contea, ed egli sotto l'impulso del momento optò per non disattendere le speranze della ragazza.
Si fece avanti, spada spianata, proprio mentre la creatura ossuta si raddrizzava agilmente e si voltava a guardarlo, ed allora Bilbo colse sul suo volto scavato e pallido il susseguirsi di sorpresa, astio, paura e rabbia prima che quello, con un balzo dei quattro arti, scappasse via nell’oscurità della galleria.
In un attimo la strana creatura scomparve nella direzione opposta ed il mezz’uomo, dopo un paio di secondi in cui tentò di assicurarsi che se ne fosse andato davvero, abbassò con un sospiro la propria spada e tornò a voltarsi verso la sua comapgna di viaggio.
Non fece nemmeno in tempo a finire il movimento che quella gli aveva già gettato le braccia al collo e lui tornò a trattenere il respiro mentre Kat lo abbracciava tremante con una forza tale da fargli dolere le spalle.
– Bilbo... grazie al cielo – singhiozzò con voce rotta al suo orecchio, mentre lo faceva affondare fra le stoffe dei suoi abiti.
Fu allora che lo hobbit, ancora spiazzato, la sentì tremare e, appena lo realizzò, pur con una certa goffaggine dovuta all'imbarazzo, l'abbracciò a sua volta, donandole qualche pacca confortevole sulla schiena. Poco dopo però, allorché la stretta altrui non si allentò affatto come aveva sperato, fu costretto ad interrompere il momento.
– Katla... potresti... non-non respiro – boccheggiò contro la sua spalla.
Con un sussulto quella finalmente lo lasciò andare facendo un passo indietro e Bilbo, seppur rammaricato di aver dovuto dare un limite all'emotività dell'altra ragazza, si riempì i polmoni d'aria con rinnovato sollievo.
Katla di rimando, alla luce azzurrognola della lama elfica nella sua mano, si passò più volte il bordo delle maniche sul volto, asciugandosi le lacrime che lo bagnavano prima di donargli un nuovo sorriso teso ed imbarazzato.
– Scusami, Bilbo... 
– No, non devi scusarti. Stai bene? – le rispose lui di getto, prima di tornare a voltarsi verso la direzione in cui quello strano ed inquietante essere era scomparso – Cos'era quello?
– Gollum – gli rispose lei ed il tono con cui lo disse lo spinse a tornare a guardarla mentre quella si stringeva le braccia al petto e rabbrividiva.
Era decisamente provata e Bilbo se ne sorprese, giacché era la prima volta che la vedeva in quello stato, tanto che non riuscì a mascherare la propria confusione. Era come se della giovane donna che aveva fatto tanta strada con la Compagnia e si era lanciata più d'una volta contro ogni minaccia paratasi sul loro percorso fosse rimasto solo un pallido ricordo, e quella che aveva davanti fosse una ragazza del tutto diversa.
Una ragazza spaventata.
Lo hobbit serrò le labbra in una smorfia interdetta delle sue, indeciso se provare a consolarla o rassicurarla in qualche modo, ben consapevole di non essere portato per quel genere di cose. Eppure, dopo un istante soltanto di incertezza, parlò ugualmente.
– Ad ogni modo... se n'è andato.
– Grazie, Bilbo.. – mormorò lei, abbozzando un tenue mezzo sorriso, prima di abbassare lo sguardo sulla sua piccola lama luminosa – ..credo..credo sia il caso di muoversi. Dobbiamo uscire da qui.
La vena pragmatica d'ella tornò ad emergere con quell'ultima considerazione e Bilbo, pur confuso, se ne sentì confortato e rinvigorito egli stesso, perché voleva dire che ella stava iniziando a calmarsi abbastanza da tornare la giovane donna che lui aveva conosciuto nel corso di quel loro incredibile viaggio.
– Puoi aiutarmi a trovare la mia spada? – gli chiese dopo un istante, traendolo dai suoi stessi pensieri ottimistici e strappandogli un veloce assenso.
Optando per far luce con la propria lama elfica, Bilbo prese a scrutare anch'egli la polvere sotto i loro piedi, ma la sua attenzione venne attirata da un fugace riflesso metallico a meno di un passo da lui.
– E questo cos'è? – domandò, non riuscendo ad evitarsi di esprimere quell'interrogativo a parole mentre si chinava a raccogliere il piccolo oggetto.
Katla gli comparve accanto proprio mentre si rialzava ed i suoi occhi si spalancarono nel buio, fissando anch'ella ciò che egli teneva nel palmo aperto.
– Un anello – mormorò la giovane in un soffio, ma la sua voce parve farsi ancor più tesa e solo vagamente sorpresa, cosa che lo indusse a scoccarle un'occhiata in tralice. Si era nuovamente voltata a fissare le tenebre del cunicolo fra le rocce.
– Già, – commentò lui, ingenuamente, tornando a guardarsi attorno – chissà da dove viene.
Era il ritrovamento più insolito che avrebbe potuto fare in un posto simile, questo gli suggeriva la sua mente, ma quando tornò ad abbassare lo sguardo alla ricerca della sua compagna di avventure, quella era di nuovo distante da lui di qualche passo intenta a raccogliere quella che si rivelò subito essere la sua piccola spada.
– Trovata – annunciò infatti, apparentemente disinteressata al monile da lui raccolto, prima di riporre la sua arma nel fodero al suo fianco e voltarsi nuovamente verso di lui – Bene, direi che possiamo andare.
Lo hobbit non riuscì a non esternare la propria perplessità e sorpresa per il repentino cambiamento della ragazza, avvenuto proprio sotto i suoi occhi: appena era rientrata in possesso della sua lama elfica in lei ogni traccia di terrore era scomparsa e quando si era voltata di nuovo a guardarlo, sul suo volto graffiato e sporco egli aveva visto nascere una rinnovata determinazione.
– E dove? – le domandò di getto, inarcando un sopracciglio.
Kat, tornandogli appresso, indicò con un cenno del capo la direzione in cui quella creatura, Gollum, era scomparsa.
– Da quella parte.
Bilbo, ancora incapace di riprendersi, alternò solo una volta lo sguardo dalla galleria a lei.
– E questo? – chiese di nuovo, alludendo all'anello d’oro che ancora reggeva in bella vista.
Il sorriso morbido e bonario che lei gli rivolse venne accompagnato da un ammiccamento complice.
– Lo hai trovato tu, è giusto che sia tu a tenerlo... e poi, secondo me è proprio della tua misura – affermò con fare pacato ed amichevole, prima di aggiungere – Su, provalo.
Seppur scettico, senza abbandonare quell'espressione perplessa, Bilbo la assecondò e dopo essersi messo la lama che ancora teneva in mano sotto il braccio sinistro, si infilò quel monile al dito indice.
Appena questo calzò fino alla base, rigirandosi l'arto davanti agli occhi il giovane Baggins si ritrovò a dover assentire.
– Avevi ragione, sembra proprio mi calzi a pennello – riconobbe, le labbra che gli si sollevarono con fare divertito e meravigliato mentre al contempo tornava a cercarla con lo sguardo – ..ma, in tutta franchezza, non sono molto il tipo da...
Le parole gli si abbassarono di tono sino a morirgli in gola a quel punto però, perché, come posò gli occhi blu su Katla, la confusione tornò prepotente ad assalirlo. La giovane donna che aveva davanti aveva un'espressione sbalordita in volto ed era intenta a muovere gli occhi a destra ed a sinistra, come se cercasse qualcosa; ma ciò che più lo sorprese e lo colmò di domande e dubbi, fu lo strano fascio luminoso che da dietro di lei si perdeva nelle tenebre, irradiandosi dalla sua schiena al pari di una stretta spirale d'energia impalpabile che si dissolveva nel nulla.
– Bilbo... non ti vedo più – mormorò Kat emozionata, traendolo da quella sua contemplazione e facendogli inarcare un sopracciglio.
– Come?
– Bilbo – ripeté lei, allungando una mano esitante fino a ché non gli sfiorò la spalla; a quel punto si aprì di un nuovo sorriso trionfante e la sua voce tornò bassissima a fendere l'oscurità fra loro – Bilbo, è un anello magico. Sei invisibile!
Lo hobbit rimase in silenzio per una manciata di secondi, guardando sé stesso e poi lei alternatamente, finché non provò a sfilarsi il monile dal dito. Come questo tornò nella sua mano sinistra e lui risollevò lo sguardo su Katla, la ragazza che aveva davanti lo guardava con un ampio sorriso sulle labbra e due occhi colmi di luce ed ottimismo. Dello strano fascio di luce che le aveva visto addosso non vi era invece più traccia alcuna.
– Io.. non posso tenerlo – se ne uscì allora il mezz'uomo, dando voce al suo lato meno intrepido e porgendole il piccolo cerchio d'oro.
Katla a quell'affermazione perse quel sorriso in favore di un'espressione corrucciata e contrariata.
– ..che vuoi dire? Certo che puoi, anzi, devi! – ribatté subito, con voce sempre bassa seppur vagamente strozzata dalla foga.
Ma Bilbo negò di nuovo con il capo riccioluto, convinto più che mai a perseguire la propria decisione. Lui non era fatto per quel genere di cose, lui era un semplice, onesto hobbit pantofolaio che amava la sua casa e la sua quotidianità, del tutto inadatto all'avventura. Lui era un Baggins, prima di essere un Tuc, e questo lo aveva già dimostrato in più di un'occasione in quell'impresa.
– No, Kat. Non posso, davvero, io... mi dispiace, non me la sento.
Lei lo fissò con cipiglio eloquente per una manciata di secondi e quei suoi occhi grigi sembrarono intenti a scavargli nel cranio da quanto intensamente lo fissavano, finché non esternò uno sbuffo scocciato che lo prese alla sprovvista, giacché era la prima volta che la vedeva assumere un atteggiamento tanto poco... educato.
– Sei testardo come un Tuc, ci scommetto, – esordì ella a quel punto con una nota d'ironia che le increspò le labbra di un mezzo sorrisetto, ponendo ambo le mani a puntellare i fianchi – ma, ti avverto, io lo sono di più. Segui il mio ragionamento: dei due quello che riesce a muoversi senza un solo fruscio sei tu. Se lo utilizzassi io non mi servirebbe a niente, perché mi sentirebbero comunque seppur senza vedermi, e sarei ugualmente spacciata. Invece, se davvero vogliamo uscire da qui tutti e due sani e salvi, è bene che ognuno di noi abbia a sua disposizione i mezzi a lui più congeniali per sfruttare le proprie abilità al meglio. Mi segui?
Bilbo, che nel frattempo aveva iniziato a sentirsi smarrire, si riscosse ed annuì, seppur con una palese incertezza.
– Bene – riprese allora la ragazza, tornando a volgere uno sguardo alla galleria – Allora ti invito a fidarti di me. La nostra unica possibilità di uscire da qui è cercare di costringere la creatura di prima a mostrarci la via. Ho una mezza idea, ma avrò bisogno del tuo aiuto – e nel dirlo tornò a sondarlo con quei suoi occhi chiari e limpidi – Te la senti, Bilbo?
E lo hobbit, sentendosi preso alla sprovvista da una richiesta tanto ferma ed al contempo carica di tensione, dopo un istante di muta contemplazione in cui si prese il dovuto tempo per riflettere, alla fine cedette. Sospirò a labbra chiuse, ritraendo la mano con l'anello per riporlo in una delle tasche del suo panciotto.
– Va bene, Kat. Suppongo tu abbia ragione.
In fin dei conti, non era stato proprio Gandalf a insistere sulla necessità della presenza di Katla nella Compagnia proprio per le informazioni di cui ella soltanto era in possesso? Era evidente, dopo quanto da lei dettogli, che sapeva molte cose che riguardavano la loro situazione attuale, e quindi non vi era persona più adatta a stabilire una linea d'azione. Senza contare che quanto da ella detto, seppur per certi versi gli risultasse scomodo, gli era suonato piuttosto ragionevole.
Kat di rimando al suo assenso sembrò sciogliersi in un sospiro di sollievo che le delineò le labbra di un nuovo piccolo sorriso.
– Grazie, Bilbo. 
Lui ricambiò con uno spiccio cenno del capo e poi, imitandola, tornò a scoccare un'occhiata nella direzione in cui Gollum era sparito.
– Allora, che facciamo?
– Dobbiamo giocare d'astuzia – gli annunciò senza preamboli e con la stessa voce bassa di prima – Gollum, a quanto ne so, vive sotto queste montagne da tempo immemore e ci vede e sente bene anche nell'oscurità più buia, quindi non abbiamo speranze di prevalere con la forza. Anzi, credo che finirà che sarai costretto a far uso di quello – e nel dirlo alluse chiaramente all'anello che lo hobbit si era infilato in tasca – prima della fine. 
Il mezz'uomo di rimando tornò ad annuire, seppur non riuscendo ad evitare di esternare una nuova smorfia riflessiva delle sue. Smorfia che parve far sorridere Kat maggiormente ed il cui rinnovato guizzo di buon umore ebbe il potere di alleggerire l'atmosfera tesa che era calata su di loro.
Così si avviarono, fianco a fianco quando il passaggio fra le rocce lo permetteva, con passo misurato e cauto, volto a fare il minor rumore possibile, agevolati soltanto dalla fioca luce azzurrognola emanata dalla spada elfica di Bilbo. Un altro oggetto che lo hobbit dovette ammettere stava avendo la sua discreta utilità, anche al di fuori della battaglia.
Fu dopo neanche qualche passo che lo scassinatore della Compagnia di Thorin Scudodiquercia si ricordò del proprio proposito e tornò a cercare lo sguardo e l'attenzione di Katla accanto a sé. C’era assolutamente una cosa che doveva fare, prima che le circostanze tornassero ad impedirglielo.
– Io.. io devo porgerti le mie scuse – attaccò, pur con voce sottile, avendo tenuto ben presente le raccomandazioni di lei sulla necessità di essere il più silenziosi possibile – è da quando ci siamo separati nel temporale che avevo deciso di farlo e.. be'.. mi dispiace se a Gran Burrone ho preso le distanze da te e dagli altri e se ti ho fatto mancare la mia amicizia col mio comportamento.
La giovane al suo fianco, lama sguainata in pugno, continuando ad avanzare con lui inarcò un sopracciglio ma non accennò ad interromperlo, cosa che gli rese meno ostico il suo tentativo un po' impacciato di continuare.
– La verità è che non mi sono ambientato molto nella Compagnia... non quanto te, insomma, e perciò... perciò credo di essermi comportato impropriamente, ecco. Non dovevo proiettare il mio malumore e le mie insicurezze su di te. Quindi, di nuovo, mi dispiace molto, e spero di poter rimediare da qui in avanti.
Nel breve silenzio che seguì egli distinse sul volto di Katla una rinnovata sorpresa che si sciolse in un sorriso comprensivo.
– Non preoccuparti. Accetto le tue scuse, Bilbo, e ti rinnovo la mia più sincera amicizia. Sono lieta che tu abbia deciso di essere sincero con me al riguardo – gli rispose con lo stesso tono basso di lui – Anzi, ora che so la verità sono sollevata: iniziavo a credere di esserti diventata antipatica a causa di qualcosa che ti avevo fatto.
– No, no.. davvero, è stata solo colpa mia – ribadì lo hobbit, percependo il peso che quella loro situazione gli aveva causato sull'animo iniziare finalmente a sgravarsi – e non mi sei mai stata davvero antipatica.. ero solo un po' invidioso, credo.
Seppur ancora sotto la morsa del proprio stesso imbarazzo, Bilbo non mancò di cogliere il nuovo sorriso ampio ed amichevole donatogli in risposta dalla giovane al suo fianco e se ne sentì definitivamente rincuorato. In quel momento pensò persino di esser lieto di trovarsi in quella situazione con lei e non con qualcun altro dei loro compagni di viaggio, giacché sentiva che ogni diverbio, reale o immaginario che fosse, era stato infine chiarito.
Perché Kat in realtà, come si era definitivamente reso conto, gli piaceva come persona e sperava davvero d'esserle amico.
Certo, ancora lo sorprendeva il coraggio che riusciva a dimostrare nelle situazioni più disperate, ma dopo averla vista reagire a quel modo pochi minuti prima, ora riusciva a vederla sotto una luce meno ultraterrena.
Fu in quel momento, sotto l'onda di quel pensiero, che la luminosità emessa dalla lama di Gondolin si affievolì e, nello spazio di pochi secondi, si spense del tutto, facendoli ripiombare nell'oscurità.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 11
*** Into Darkness - Part II ***







“Hear my rhymes
in the fading light.
Scorching skies turn black
in the cradle of the night.”
[ The Eyes of the Mountain, Wind Rose ]




Quando Kat si ritrovò a sbarrare gli occhi sulle tenebre del ventre della montagna, il suo cuore ebbe un sussulto, ma la presenza di Bilbo ebbe il potere di rincuorarla e farla continuare ad avanzare, pur a piccoli passi. Con cautela, la ragazza e lo hobbit si lasciarono la galleria alle spalle e si inoltrarono in quella che era un'ampia caverna naturale, lievemente rischiarata da una luminescenza indefinita e debole.
Quasi non se ne accorsero quando si ritrovarono sulla riva di un lago sotterraneo e fu solo per un debole riflesso sull'acqua che Katla impedì a Bilbo di infilarvi un piede dentro. Allora lo hobbit, con un brivido malcelato, la ringraziò ed entrambi si fecero più attenti e guardinghi.
Quello doveva essere il lago di Gollum, aveva realizzato lei dopo un istante.
Il silenzio era pressoché totale ed in quell'immobilità dell'aria ella avvertiva il sangue rimbombarle nelle orecchie alla pari di un muto frastuono, alimentando la sua stessa ansia. Dovette fare uno sforzo immane per mantenere il sangue freddo e restare devota al proprio proposito di affrontare quella situazione a testa alta.
Perché voleva uscire da lì, lasciare quell'incubo e tornare a sentire il vento sulla pelle.
E voleva rivedere tutti gli altri.
Strinse la presa sulla propria spada, tenendola di fronte a sé come se ne andasse della sua stessa determinazione, e si focalizzò su ciò che la circondava. L'ambiente era davvero ampio, riusciva a percepirlo più che vederlo e questo era, oltre che una piccola sorpresa personale, una fonte di sicurezza in più.
I suoi occhi, per quanto deboli in quell'oscurità, potevano cogliere i contorni delle rocce e delle pareti vicine e questo la aiutò a non inciampare mentre, circospetta, si muoveva. Bilbo a differenza sua non faceva alcun rumore, mentre lei poteva sentire il sommesso raschiare emesso dalle suole dei propri stessi stivali prima di riuscire ad aderire al terreno pietroso. E se lo sentiva lei, lo aveva sentito anche Gollum.
Cercando di far scendere il groppo serratole in gola, Kat si fermò.
– Bilbo.. – sussurrò in un soffio, richiamandone l'attenzione.
Lo hobbit, al suo fianco, si fermò a propria volta e lei riuscì a distinguerne vagamente i lineamenti mentre si voltava a guardarla.
– ..dietro di me. Guardami le spalle – gli ingiunse allora, sempre a bassissimo tono.
Quello dopo un istante sembrò annuire con un cenno del capo, prima di posizionarsi come lei gli aveva detto. Si misero schiena contro schiena, le armi in pugno sfoderate e tese di fronte a loro, mentre Katla si posizionava al contempo rivolta proprio verso il centro del lago.
Allora, dopo un nuovo prolungato istante passato a tergiversare intimamente, fece un bel respiro e schiuse le labbra.
– Sappiamo che sei qui – esordì aspramente, e la sua voce, pur non essendo davvero così alta, la fece irrigidire per il netto contrasto che creò col silenzio assoluto di poc'anzi – Non vogliamo farti del male: fatti avanti, c'è qualcosa che vogliamo domandarti.
Inizialmente non vi fu alcun suono in replica alle parole di lei ed il silenzio che seguì giunse assordante alle sue orecchie, tanto che Kat quasi si ritrovò a pensare con un pizzico di sollievo e disperazione che Gollum non fosse nei paraggi, che fosse in qualcuno dei cunicoli che attraversano la montagna, lontano da loro. Per questo quasi si strozzò quando, dal nulla, la voce sibilante della creatura fendette l'aria immota.
– Che cosssa devono domandarci, tessssoro mio? – cupo e graffiato, il tono tradì una nota curiosa e cantilenante al contempo – Prima ci asssalgono, tesssoro, ed ora vengono a cercarci facendo tutto quessto chiasso... ma che cosss'è, tesssoro?
Katla dovette trattenersi dal gridare di nuovo quando distinse nell'oscurità gli occhi di Gollum fissarli dall'alto di un masso alla sua sinistra, verso il quale lei e Bilbo si erano voltati all'unisono. E, proprio come si era aspettata, quegli occhi tondi rilucevano in quelle tenebre più vividi persino di come avrebbero fatto quelli di un gatto.
Quella visione le fece perdere la voce, strozzata in fondo alla gola da un nodo tanto stretto da farle male, ma Bilbo al suo fianco sembrò intuire la situazione e prese il controllo.
– Il.. il mio nome è Bilbo Baggins, della Contea – e nell'oscurità la sua voce le parve più ferma di quanto lo era stata la sua, cosa che la sorprese e la rincuorò al contempo, mentre lui proseguiva – e non ti conviene tentare giochetti con noi, se non vuoi provare il tocco delle nostre lame.
Se fossero stati in un'altra situazione, Kat avrebbe riso, giacché era proprio in momenti come quello che il giovane hobbit dimostrava di che pasta era davvero fatto, a dispetto di quanto le apparenze potessero lasciar intendere.
– E sono lame di Gondolin – precisò infatti, rincarando la dose lei, con nuovo slancio.
– Giochi? Sssì, a noi piace giocare, tesssoro! – esclamò Gollum d'improvviso, come se non avesse minimamente colto il loro avvertimento sulle spade ed il loro utilizzo – Ai due bocconcini piacciono gli indovinelli, tessoro?
Balzò giù dalla roccia e Kat, la cui vista ormai si era acuita al massimo, effetto anche dell'adrenalina stessa, riuscì a seguirne il movimento ed a reagire facendo mezzo passo indietro senza perdere l'equilibrio o incespicare. Fu a quel punto che, per la prima volta, si accorse di quanto minuto fosse davvero Gollum e non soltanto perché se ne stesse in una postura rannicchiata e curva, abbastanza da farle prendere un altro po' di coraggio.
– Sì, certo che ci piacciono gli indovinelli – rispose, quasi di getto, la ragazza, guadagnandosi un'occhiata in tralice dal suo compagno di viaggio – Siamo qui per giocare.
A quelle ultime quattro parole il lato più antico e benevolo di Gollum parve risvegliarsi, illuminandogli l'espressione di pura felicità e rendendo più limpido ed acuto il suo tono di voce.
Sssì, tessoro! Giochiamo, giochiamo! – ma fu il cambiamento di un attimo, perché l'istante seguente la creatura che un tempo era stata un abitante della Contea voltò il capo dall'altra parte e tornò al timbro roco e cupo di poco prima – No. Finiscili...
Il bipolarismo di Gollum, la repentinità del cambio di personalità, erano ancora più inquietanti di persona per Katla, la quale si ritrovò ad annaspare in cerca d'aria e dell'occasione che tanto serviva loro.
– Giochiamo – e, sebbene avesse tentato di sembrare perentoria, distinse chiaramente nella propria voce una nota di panico, così deglutì, prima di continuare – ..giochiamo agli indovinelli e, se vinciamo noi, ci mostrerai l'uscita.
– E cosa sssuccede se vinciamo noi? – esordì Gollum, sempre tetro e malevolo, prima che l'altra sua personalità rispondesse per loro – Se vinciamo noi, ce li mangiamo, tessoro! Hihi! – esclamò tutto gongolante e candidamente, come un bimbo, prima di tornare a voltarsi verso di loro coi suoi grandi occhi e ripetere – Se loro perdono, ce li mangiamo tutti interi.
Bilbo accanto a lei parve trattenere il respiro a quella prospettiva, ma Kat era preparata a quello svolgersi degli eventi e non si scompose, pur avendo già l'impressione di aver appena fatto un passo più lungo della gamba. Lei non era brava con gli indovinelli, non ne conosceva e non sapeva se sarebbe stata in grado di inventarsene uno così, su due piedi. Il silenzio parve prolungarsi fra loro, la giovane che non riusciva ad accettare, preda di quella nuova ondata di dubbi, ma ancora una volta ci pensò il giovane hobbit a trarli d'impiccio.
– Va bene, affare fatto – accettò con più determinazione di quanto ella si sarebbe mai aspettata.
Deglutì, abbassando cautamente la propria lama elfica verso terra.
– Io non sono brava in questo gioco, però.. – ammise, tesa ed incerta, alternando brevemente lo sguardo dall'amico alla creatura lì con loro, prima di raddrizzare meglio la schiena ed ostentare una sicurezza che non aveva – ..quindi farò da arbitro.
– No – la risposta secca e tetra di Gollum le fece balzare il cuore in gola e per riflesso lei tornò a sollevare la spada per difendersi, mentre quegli occhi luminosi e tondi come due sfere da biliardo tornavano a posarsi su di lei – Anche l'altro bocconcino deve giocare, o ce lo mangiamo per primo.
Kat sarebbe caduta sotto il proprio stesso peso, se non fosse stata così agghiacciata da sentire le articolazioni bloccate. Serrando nuovamente la presa sull'impugnatura con tanta forza da far sbiancare le nocche e dolerle le dita, deglutì più volte, prima di riuscire ad annuire, non riuscendo a trovare un altro modo per svincolarsi.
– Inizio io – si offrì a quel punto Bilbo, rimastole accanto sino a quel momento ed attraendo volontariamente l'attenzione di Gollum su di sé.

Trenta bianchi destrieri
su un colle rosso
battono e mordono
ma nessuno si è mosso.

Come lo hobbit smise di parlare, Gollum parve preda dell'entusiasmo, perché si mise a saltellare e girare su sé stesso.
Sssì, noi lo sappiamo, tesssoro! I denti! Sono i denti, tesssoro! Ma noi ne abbiamo solo ssei! – concluse, tornando a guardare verso di loro tutto gongolante, prima che l'altra personalità prendesse su di lui il sopravvento e si facesse truce – Ora sta a noi.

Non ha voce e grida fa,
non ha ali e a volo va,
non ha denti e morsi dà,
non ha bocca e versi fa.

Kat, che già sapeva la risposta, non volle perdere tempo.
– È il vento.
La repentina risposta che diede sembrò contrariare Gollum, che la guardò d'improvviso con occhio malevolo ed un sibilo fra i denti.
– Oh, è assstuta, più assstuta di quanto volessse farci credere, vero tessoro?
– N-no, io... – tentò di difendersi lei, ma venne interrotta da un nuovo verso della creatura che si spostò di nuovo, iniziando ad aggirarli.
– Domandaci – le ordinò seccamente.
Kat, ruotando a propria volta per non dargli mai le spalle, deglutì per l'ennesima volta, prima di esternare il primo indovinello che ricordava.

Invisibili radici ha,
più in alto degli alberi sta,
lassù fra le nuvole va
e tuttavia mai crescerà.

Ma fu appena finì di pronunciarlo che capì che era troppo facile, perché era uno degli indovinelli di Gollum e lui sapeva senz'altro la risposta ad occhi chiusi, e così fu.
– La montagna, tesssoro! Questa era davvero facile, tesssoro!
Kat dovette reprimere di nuovo la cocente voglia di piangere, giacché lo sapeva di essere scarsa e che, con tutta probabilità, non sarebbe mai uscita da lì. Non avrebbe più rivisto i suoi amici... non avrebbe più rivisto Thorin. La disperazione minacciò di serrarle di nuovo la gola ma la voce di Gollum tornò a riempire il silenzio con un nuovo indovinello.

Vive senza respirare,
freddo come morte pare,
beve ma non è assetato,
non tintinna corazzato.

Fu Bilbo a rispondere e trarli d'impiccio stavolta, con gran sollievo della ragazza, la quale si riscoprì libera di respirare e rilassarsi un poco quando egli esclamò con pacata convinzione: – Il pesce.
Kat gli rivolse un sorriso di sollievo e orgoglio, perché davvero l'abilità dello hobbit in quel genere di giochi si stava rivelando indiscussa. Nella penombra il giovane scassinatore appariva controllato e neanche troppo ansioso, seppur ricambiò il suo sorriso con uno tenero ed appena incerto dei suoi, e questo la aiutò a rendersi conto che era necessario che mantenesse il sangue freddo. Doveva, se voleva che il suo piano per uscire da lì avesse una possibilità in più di riuscita.
Si perse a riflettere fra sé e sé tanto a lungo da estraniarsi dal gioco e si perse l'indovinello dello hobbit, così come la risposta tardiva ma azzeccata di Gollum e quindi il turno cambiò di nuovo, lasciando che fosse la voce del secondo a riempire di nuovo l'aria immota della caverna.

Vedere non si può e neppure sentire,
fiutare no e neppure udire.
Sta sotto i colli e dietro le stelle,
riempie tutti i vuoti, tutte le celle.
Per primo viene ed ultimo va,
a vita e riso termine dà.

Katla non voleva rispondere all'indovinello, non voleva giocare ancora, ma Bilbo stava tardando a parlare e Gollum, assaporando la vittoria, stava diventando sempre più impaziente, così lei, cedendo all'impulso, si fece avanti.
– È il buio.
Il sibilo scontento che uscì dalla bocca sdentata del loro avversario fu una conferma sufficiente per entrambi gli sfidanti.
– Ora sta a me – dichiarò, poco convinta, il sudore freddo che già iniziava a colarle dietro la schiena. Eppure non riusciva a pensare a niente, di nuovo, che non fosse la sua disperata voglia di rivedere uno qualunque dei loro amici nani. Voleva rivedere Fili e Kili, voleva ascoltare gli aneddoti di Balin e Bofur e mangiare di nuovo i pranzetti di Bombur; punzecchiare quel brontolone di Dwalin e farsi stordire dalle incomprensibili parole in khuzdul di Bifur. Voleva ascoltare Gloin mentre vantava i progressi del suo piccolo Gimli e la bellezza di sua moglie ed osservare Oin che alzava gli occhi al cielo per questo; ma, sopra ogni altra cosa, voleva tornare fra le braccia di Thorin. Lo desiderava con tutta sé stessa, pur consapevole che fosse una cosa impossibile, giacché i sentimenti che iniziava ad intuire agitarlesi nell'animo non erano sicuramente ricambiati dal fiero e forte capo della Compagnia.
– Domandaci!
L'improvvisa esortazione truce e malevola di Gollum la trasse dai suoi pensieri e la fece sussultare violentemente e stavolta, spaventata, ella inciampò davvero e si sbilanciò all'indietro, riuscendo a non riversarsi distesa a terra solo grazie ai riflessi di Bilbo. Lo hobbit la afferrò per un braccio appena in tempo e lei quasi gli finì addosso, ma lo scassinatore della Compagnia riuscì a sostenere il peso di entrambi per il tempo necessario affinché ella ritrovasse la stabilità nelle proprie gambe.
– Lo farò io – affermò subito Bilbo allora, andandole in soccorso ancora una volta e non lasciando a Gollum il tempo di opporsi.

Un giorno un occhio in un azzurro viso
vide un altro occhio in un verde viso:
«Quell'occhio è come me, però è laggiù
mentre il mio occhio se ne sta quassù.»

Sss, sss, sss! – sibilò allora di nuovo Gollum, truce, palesemente in difficoltà.
Ed era alquanto naturale, dato l'ambiente in cui viveva da molto, moltissimo tempo. Katla per un attimo sperò che non ricordasse cosa fossero il sole o le margherite, ma non riuscì ad ingannare sé stessa e persino Bilbo parve deluso quando la creatura dell'oscurità diede la risposta esatta. D'altro canto, Gollum apparve ormai del tutto spazientito e, mosso dalla fame che ormai doveva esser cresciuta in lui, tornò a rivolgere i suoi occhi tondi su di loro con tutta la malignità e la cupidigia del suo animo.

Questa cosa ogni cosa divora,
ciò che ha vita, la fauna e la flora;
i Re abbatte e così le città,
rode il ferro e la calce già dura
e dei monti pianure farà.

Era l'indovinello decisivo, Kat lo ricordava, e sapeva anche che Bilbo sarebbe arrivato alla risposta, così si trattenne dal dare la propria. Invece tornò a riflettere all'indovinello seguente da porre a Gollum, quello che, sperava, avrebbe permesso loro di vincere il gioco. Eppure, di nuovo i suoi pensieri slittarono sui nani e su Thorin, sul calore della loro compagnia ed il coraggio e della sicurezza che sapevano infonderle con la loro sola presenza. Per questo si rese conto un po' in ritardo del panico che stava iniziando ad avere la meglio su Bilbo. Lo hobbit stava venendo incalzato da Gollum a dare la risposta e lui tentava di riflettere, facendo su e giù sulla riva del lago sotterraneo.
– Bagginsiss è.. bloccato – esultò Gollum, i cui occhi luminosi si volsero su di lei, e nella penombra Kat riuscì a distinguerne il sorriso ampio e maligno, terribilmente inquietante – L'altro bocconcino può rispondere per il sssuo amico...
La giovane, chiamata in causa, di nuovo tentennò, perché doveva essere Bilbo a farlo, ma quando quello si voltò a guardarla ella vide nei suoi occhi e colse nel suo silenzio atterrito la completa spaesatezza del momento. Gollum aveva ragione, lo hobbit era bloccato e non avrebbe risposto, perché confidava in lei.
E la ragazza si ritrovò, scacciando ogni presentimento di disfatta che minacciava di tornare a ghermirle l'animo, ad andargli in soccorso così come lui aveva fatto in precedenza con lei.
– Il tempo – asserì con una calma che non le apparteneva – È il tempo.
Un nuovo sibilo frustrato, un complimento esternato con lo stesso tono di un insulto e Gollum la esortò a porre il suo indovinello, vietando subito a Bilbo di farlo per lei. Aveva già capito che Kat era in seria difficoltà al riguardo e voleva approfittarne, ella glielo leggeva in quelle sfere luminescenti che aveva in mezzo al volto smunto e tirato.
– V-va bene – balbettò – datemi solo un minuto...
E come Bilbo poco prima prese a camminare avanti e indietro, ma la sua testa non voleva collaborare. Più si arrovellava e meno idee le dava, più il suo pensiero tornava ai loro compagni di viaggio intenti a raggiungere l'uscita senza di loro. Chissà se si erano accorti della loro scomparsa?
– Se il bocconcino non domanda, perde il gioco, tessoro!
– Ora arrivo! – sbottò lei, spazientita e provata da tutta quella tensione. Eppure fu proprio in quel momento che trovò la risposta e un'idea prese forma nella sua mente, una cosa che la fece bloccare e trattenere il respiro. La rima le venne quasi spontanea alla mente e lei non fece altro che darle forma nell'oscurità della grotta, la sua voce bassa e tremante.

È un piccolo oggetto,
mi stava in po' stretto,
ma a Bilbo è perfetto.
Un dono assai lieto,
che nasconde un segreto.

Quindi tacque, trattenendo il fiato e tendendo le orecchie nel silenzio che seguì.
Tesa come un fuscello al vento, la giovane donna dovette concentrarsi per isolare il pulsare del suo stesso sangue nelle orecchie dai rumori dell'ambiente circostante e quando Gollum iniziò ad agitarsi sulla riva del lago ella si lasciò sfiorare da una nuova ondata di ottimismo.
Per riflesso scambiò uno sguardo con Bilbo ed intuì dal modo in cui lui la guardò che aveva capito perfettamente, a differenza della creatura con loro, quale fosse la risposta. E Kat pensò, tornando a Gollum, che forse sarebbe andata bene davvero, che quello avrebbe mantenuto la parola e li avrebbe condotti fuori da lì, nonostante tutto. Perché in quel mondo il gioco degli indovinelli era qualcosa di vincolante, così come lo era la parola data per la maggior parte delle creature che lo abitavano.
Quando Gollum iniziò a lagnarsi, lei non poté far a meno di gongolare.
– Il tempo scorre: tic-toc, tic-toc – esordì, procurandosi in risposta un sibilo insofferente da parte dell'altro.
Gollum si voltò a guardarla ed i suoi occhi tondi brillarono nella penombra.
– Deve darci più tempo, tesssoro!
Ma Kat, che temeva ancora che la mente contorta della creatura arrivasse alla conclusione giusta, non si lasciò smuovere a pietà e, tornando a scambiare uno sguardo con Bilbo, intuì che anche il suo amico era della medesima idea.
– Ne hai avuto abbastanza.
– Noooo... non vale, tessoro! Non era un vero indovinello, tessoro! – si lamentò quello, scuotendo il cranio e ciondolando su sé stesso.
– Era il mio indovinello – ribadì inflessibile lei, senza perderlo di vista e tornando al contempo accanto allo hobbit, la spada elfica ancora in pugno – e tu devi rispondere. Allora?
Di nuovo Gollum si mise a negare e ciondolare e quando fu evidente che non aveva idea di quale fosse la soluzione, fu proprio Bilbo a porre fine al gioco.
– Hai perso: il tempo è scaduto – affermò con un sorriso ad increspargli le labbra e rendergli più vivace il tono di voce.
Gollum si lasciò andare ad un verso di disperazione e scontento che riecheggiò sulle pareti della grotta, e Kat incassò per questo il capo fra le spalle, prima di levare nuovamente la propria arma contro di lui.
– Ora mostraci la via per uscire dalla montagna – lo esortò dura, tornando ad attirarne l'attenzione.
Quello era il punto cruciale, non poteva permettere che la mente della creatura avesse il tempo di elaborare loro qualche tiro mancino.
– Prima deve dircelo, tesssoro! Qual è la risposta, tesssoro?! – ribadì quello, ancora lamentoso e strascicato, mentre tornava a guardarla.
– No, non lo farò. Ora mantieni la tua parola – gli rispose seccamente, trafiggendolo con lo sguardo.
Non appena anche Bilbo sguainò nuovamente la spada e la puntò ad un palmo dal suo naso, la creatura delle caverne si irrigidì ed i suoi occhi rotondi fendettero l'oscurità malevoli ed insoddisfatti.
Gollum sibilò contrariato ma bastò il leggero riverbero che illuminò il filo della lama elfica di Kat perché infine si arrendesse all'evidenza ed acconsentisse.
– D'accordo, tessoro... come dice il bocconcino, tessoro – mugugnò, seccato – ma bisogna fare sssilenzio, ssse non vogliamo che gli orchi sssappiano di noi.
Bilbo e Kat si scambiarono uno sguardo, ma poi tornarono a Gollum e rinfoderarono le rispettive lame per permettergli di far loro strada. La ragazza fece un cenno alla creatura, cercando di tener a freno la propria impazienza. Il piano stava funzionando, l'unica cosa che ora dovevano fare era prevenire ed evitare qualunque tiro mancino la loro guida potesse escogitare per tradirli.


L'oscurità era sempre più fitta nel ventre della montagna, man mano che il giovane Bilbo, insieme a Kat, seguiva la creatura Gollum lungo la galleria scavata nella roccia. Il pavimento in pietra era coperto di polvere e frammenti che iniziavano a causargli un certo fastidio alla pianta dei piedi, nonostante la pelle spessa. Non sapeva bene da quanto tempo avevano preso quella via, ma ormai l'unico suono che li accompagnava erano il respiro strascicato della loro guida e lo scalpiccio degli stivali elfici di Katla.
– Per di qua – li esortò di nuovo Gollum in tono concitato, prendendo una diramazione e scoccando loro una breve occhiata.
Lo hobbit cercò di soffocare l'inquietudine che quegli occhi rotondi e luminosi gli incutevano ogni qual volta si posavano su di lui e, senza fiatare, continuò la marcia, spinto ormai soltanto dal cocente desiderio di tornare a sentire il sole sulla pelle e l'aria fresca entrargli di nuovo nei polmoni.
Quanto gli mancava l'odore dell'aria aperta, dell'erba verde e dei boschi della Contea...
In quel momento il suo stomaco parve voler dire la sua, perché si destò, attirando con il suo borbottio l'attenzione della sua compagna di viaggio.
Katla, fermandosi, si voltò a guardarlo e vide nei suoi occhi la tensione venire addolcita da un'immediata comprensione. Bilbo si ritrovò ad arrossire di fronte al suo sorriso amichevole e complice, ed a ricambiarla.
– Gollum – chiamò piano la ragazza, prima di voltarsi a cercare la creatura, e la sua voce non tradì alcuna incertezza né ammissione di replica – fermiamoci un minuto: abbiamo bisogno di fare una breve sosta.
La creatura delle tenebre inizialmente si voltò di scatto, confuso, ma dopo un paio di secondi e qualche farfugliamento incomprensibile, infine cedette e acconsentì persino di buon grado, mostrando loro un sorriso sdentato.
Ssssì, come i bocconcini desiderano. Noi andiamo avanti per vedere ssse la via è sicura. Gollum! – affermò muovendo il capo su e giù su quel suo collo ossuto.
Quindi li lasciò indietro, scomparendo brevemente dietro l'angolo della parete rocciosa.
Bilbo annuì, più a sé stesso che ad altri, cercando di convincersi che fosse la scelta migliore lasciar andare avanti Gollum, per quanto non averne la figura sott'occhio lo rendeva quasi più inquieto di poc’anzi, ma poi nel suo campo visivo comparve un piccolo involto di forma quadrata.
Tornando a sollevare lo sguardo sulla giovane donna al suo fianco, la vide sorridergli incoraggiante.
– Tieni, me lo hanno dato gli Elfi di Gran Burrone – gli disse, offrendogli metà di quella razione.
Pur sorpreso, lo hobbit accettò di buon grado e, dopo aver ringraziato la ragazza, iniziarono entrambi a mangiare. Il sapore del pan di via lo riportò indietro nel tempo, ai giorni pacifici trascorsi alla Valle di Imladris, e il suo animo venne colmato di nostalgia ed un profondo struggimento. Avrebbe dato qualunque cosa per essere ancora là, a passeggiare per i giardini della Casa di Elrond, anziché perduto nel ventre di quelle montagne.
– Usciremo da qui, Bilbo.. – mormorò a un certo punto Kat, tornando ad attirare la sua attenzione.
Sorpreso, il mezz'uomo si ritrovò ad annuire, mentre la fiducia che pian piano aveva iniziato a provare per la giovane donna al suo fianco si rafforzava. Sin dall'inizio di quella loro disavventura ella s'era dimostrata caparbia e piena di risorse, perfettamente in grado di far fronte alla loro incresciosa situazione, e questo aveva convinto il giovane Bilbo ad affidarsi a lei.
D'altronde, l'aveva vista affrontare le sue paure con stoica determinazione ed assumere quasi naturalmente il ruolo di leader. Sembrava come se quel suo lato nascosto fosse stato da sempre una parte sopita di lei. Ai suoi occhi blu, la piccola donna si era rivelata una guida pronta e capace, dotata dello stesso carisma di cui dovevano essere dotati gli eroi dei tempi antichi di cui si parla sempre nei racconti. Un carisma che aveva scorto anche in Thorin Scudodiquercia, sin dal loro primo incontro. Perciò non dubitò affatto delle di lei parole, ma annuì di rimando.
Sì, se c'era qualcuno che avrebbe potuto tirarli fuori da lì, quella era senz'altro Katla.
Poi, sotto il suo sguardo, l'espressione d'ella mutò, rabbuiandosi leggermente mentre tornava a scrutare le ombre dinanzi a loro, nella direzione in cui Gollum era scomparso.
– Senti... quando è stata l'ultima volta che la tua spada si è illuminata? – gli domandò in un sussurro.
Inizialmente perplesso, il mezz'uomo inarcò un sopracciglio.
– N..non so – balbettò, non capendo dove la ragazza volesse andare a parare ma facendo del proprio meglio per fare mente locale – ..credo, almeno un quarto d'ora fa.. perché?
Kat mugugnò un assenso, apparendo ancor più pensierosa e corrucciata di prima, tanto da finire per esternare una smorfia.
– Perché non credo sia questa la strada giusta.
– Cosa? – squittì lo hobbit, sgranando gli occhi. 
Una nuova ondata di tensione gli fece bloccare il respiro in gola, mentre imitava di scatto la sua compagna e volgeva il proprio sguardo alle tenebre. Di Gollum ancora nessuna traccia.
– Ascolta, ho un'idea per accertarcene, ma non sarà piacevole... – tornò a parlare Kat, senza guardarlo – ..avrò bisogno del tuo aiuto.
Solo a quel punto egli tornò ad incrociarne gli occhi e in essi scorse un riverbero, una silenziosa preghiera. Era del tutto seria e Bilbo capì di non potersi esimere da quel nuovo compito, se davvero volevano uscire vivi da lì.
Annuì.
– Bene – lo imitò lei, sporgendosi un poco di più verso di lui – ecco cosa faremo...


– Un ultimo sforzo.. – li esortò Gandalf – Non manca molto alla porta!
I nani della Compagnia di Thorin Scudodiquercia non replicarono, ma strinsero i denti e continuarono la loro corsa per i cunicoli scavati dagli Orchi. Cinque giorni dovevano essere trascorsi da quando Thorin e Katla erano giunti, con lo stregone, a salvarli e da quando era iniziata quella loro concitata fuga attraverso il dominio degli Orchi.
Fili aveva proceduto avanti per un po', sotto diretto ordine di suo zio, per affiancare Gandalf e dargli man forte nell'aprir loro la strada, mentre il loro capo si occupava di proteggere le ultime file con Kili, Dori e Nori. I nani non erano fatti per la corsa campestre, erano scattisti nati, tutti lo sapevano, pertanto non era strano se persino i più giovani fra loro iniziavano ad accusare la fatica.
– Fili! – la voce di Thorin lo richiamò dalle retrovie ed il biondo si fece subito da parte, fermandosi a lato del passaggio per aspettare che il resto della Compagnia lo superasse.
Una volta che suo fratello e suo zio lo raggiunsero, il secondo gli rivolse uno dei suoi sguardi di diamante.
– Io andrò avanti, tu resta con tuo fratello a chiudere la fila – gli ordinò.
A quelle parole Fili annuì subito e scambiò uno sguardo d’intesa con Kili: erano abituati a lottare fianco a fianco, sapevano di poter contare l'uno sull'altro in ogni momento e anche il loro nobile zio lo sapeva. Soddisfatto, Thorin scattò in avanti e lasciò il resto ai suoi nipoti.
Il nano biondo riprese dunque la corsa insieme al suo consanguineo, scoccando un'occhiata alle loro spalle: nessun nemico in vista.
– C'è qualcun altro dietro di noi? – domandò.
– No, Ori e Dori erano gli ultimi – affermò Kili, il fiato corto.
Fili annuì di rimando, ritrovandosi poi a chiedersi quanto ancora avrebbero dovuto procedere in quel modo, prima di riuscire a tirare un po' di respiro. Meccanicamente si ritrovò a pensare che i due membri più fragili della loro Compagnia dovevano essere messi anche peggio di tutti loro in quanto ad energie, del tutto estranei a sforzi prolungati come quello.
E forse per la stanchezza che iniziava ad esigere il suo prezzo, forse per la costante minaccia che li inseguiva e li braccava come bestie, reclamando la loro totale e costante attenzione, non s'accorse che proprio i due membri della Compagnia di cui s'era incosciamente preoccupato non erano più con loro da tempo.


Katla aveva appena finito di illustrare brevemente il piano a Bilbo quando uno strepitio agghiacciante infranse il silenzio, riecheggiando sulle rocce: era la voce di Gollum.
– Nooooo! Il mio tesssoro è perduto!!
Bastò questo a gelarle il sangue nelle vene ma, serrando la presa sull'impugnatura della propria spada, scattò comunque in piedi, subito imitata dal giovane hobbit al suo fianco. Quindi gli fece cenno di indietreggiare, ponendosi fra lui e la direzione da cui la creatura si era allontanata meno di un paio di minuti prima.
Pochi secondi dopo Gollum tornò di corsa, ansimando sconvolto, gli occhi a palla talmente spalancati da sembrare spiritati mentre scrutavano con panico crescente il terreno ed ogni pietra sopra di esso. Tastava e spazzava ogni anfratto alla ricerca dell'anello, ma Katla sapeva che non l'avrebbe ritrovato.
– Cos'è successo? – gli domandò fredda, ponendo la propria lama fra sé e la creatura – Hai perso qualcosa, Gollum?
Come pose quella domanda, l'infida creatura si volse di scatto dalla sua posa accucciata a fissarla, il volto contratto da una serie di emozioni troppo violente per essere ben definite, ma sulle quali trapelò una frustrazione tale da farlo gemere di sconforto e fargli piegare il capo fra le mani, iniziando a dondolarlo a destra e sinistra.
– Non deve chiedercelo, tessoro, non sono affari suoi! – le rispose indirettamente, rapido e scostante al contempo, prima di esternare un nuovo verso lamentoso e pregno di sofferenza. 
Quando poi espresse la sua frustrazione tornando a spazzare la polvere sul terreno con le ampie mani pallide e ossute, Kat non riuscì a reprimere una smorfia di tensione che le piegò le labbra in quello che apparve come un sogghigno. Il momento cruciale era giunto.
– Ne sei sicuro? Allora.. forse, anche il motivo per cui ci stai conducendo fuori strada non è affar nostro, – affermò, provocatoria, assottigliando lo sguardo – vero, Gollum?
Ed immediatamente quello smise di agitarsi e tornò a fissarla, del tutto sorpreso, ma Kat non gli lasciò il tempo di replicare.
– Esatto. – lo incalzò – Sappiamo che non è questa la strada giusta. Ci stai conducendo sempre più in profondità nella montagna... ed avevi in mente di farci perdere ed assalirci alle spalle, vero? Traditore – lo apostrofò senza pietà, mettendo tutto il suo disprezzo nella propria voce.
Uno spasmo passò sul volto di Gollum, poi un altro, e stava per tradirsi quando all'ultimo tentò di negare, con uno dei suoi finti sorrisi.
– No, tessoro, non è cossì. Noi sstavamo facendo ciò che ci hanno chiesto, tessoro...
– Non mentire!!
Gollum sussultò per la violenza insita in quell'imperativo ed a Kat parve di aver sentito anche lo hobbit alle sue spalle fare altrettanto, ma non si premurò di controllare lo stato del suo amico e compagno di viaggio. Non poteva distogliere l'attenzione dalla creatura lì davanti a lei nemmeno per un secondo, ne era ancora troppo inquietata.
– Dimmi, Gollum – proseguì, spietata – vuoi ancora sapere qual è la risposta al mio indovinello?
Il silenzio che seguì durò poco, giacché le ultime parole di lei colpirono dritto nel segno, ma fu ugualmente raggelante. Durante questo, Gollum passò dal guardarla come un bambino spaesato a scrutarla con rinnovata comprensione e dallo sconcerto passò in un istante solo all'astio puro.
– Ora! Scappa Bilbo, raggiungi la porta degli Orchi! – esclamò la ragazza, divaricando meglio le gambe e rinsaldando la presa sull'impugnatura della propria lama elfica con ambo le mani, pronta ad affrontare l'assalto dell'essere ricurvo di fronte a lei. 
Non ebbe bisogno di voltarsi a guardarlo per sapere che il giovane hobbit aveva fatto esattamente come gli aveva detto e si era dato alla fuga, tornando indietro nella direzione da cui erano venuti. E la reazione di Gollum non si fece attendere più di un secondo, giacché con un urlo animalesco si contrasse tutto e l'assalì, lanciandole addosso una pietra presa da chissàddove. Kat sussultò e schivò a malapena l'attacco, urtando la parete rocciosa dello stretto passaggio con la spalla destra e creando così un varco abbastanza largo perché la creatura potesse infilarcisi. E così fece Gollum, balzando in avanti appena ne ebbe occasione e lanciandosi all'inseguimento di Bilbo senza curarsi affatto di lei.
Così Katla, dopo un primo istante di smarrimento, serrando di nuovo i denti in una smorfia si voltò di scatto, spiccando la corsa dietro all'essere maligno di cui avevano fatto l'errore di provare a fidarsi. Avrebbero dovuto far così fin dall'inizio, si disse cercando di ignorare l'affanno e la protesta dei muscoli. Doveva assolutamente stargli dietro, o non sarebbe mai più riuscita a rivedere la luce del sole.
Quando poco dopo le parve di avvertire un lieve tocco ad un braccio, capì che il piano stava funzionando e che Bilbo era riuscito a fare la sua parte: con l'aiuto dell'anello si era fatto superare da Gollum ed ora correva con lei dietro alla creatura i cui ringhi giungevano da poco più avanti, guidandoli quasi quanto la fioca luminescenza dei suoi malevoli occhi a palla.
Con una parte della mente Kat si ritrovò a constatare che sembravano davvero due piccoli fanali, in quella tetra oscurità, e che era grazie a loro se lei riusciva a procedere speditamente fra le rocce, pur non essendo abbastanza per evitarle di urtare di tanto in tanto qualche sporgenza affilata e protesa verso il centro del passaggio. Finì persino per incespicare due o tre volte, ma ogni volta riuscì a non cadere né si fermò, aggrappandosi a quello o quell'altro appiglio oppure spingendosi con le mani di nuovo in alto, di nuovo in avanti, coi polmoni in fiamme e le gambe doloranti.
Non seppe quanto a lungo andarono avanti nell'inseguimento, né quanta strada fecero, ma non appena un refolo d'aria meno fetido le colpì il volto e le si insinuò nei polmoni, Kat quasi si lasciò sfuggire un ansito di sollievo. Erano vicini all'uscita, dovevano esserlo!
Ce l'avevano quasi fatta!
Fu a quel punto che le gambe iniziarono a cederle e si ritrovò d'improvviso a rallentare alla fine dell'ennesimo tratto in salita. La via si era alternata fra salite e discese tanto spesso da averle fatto perdere il conto.
– Aspetta, tessoro... tessoro... – risuonò di nuovo la voce piagnucolante di Gollum, come un'eco pregna di disperazione e sconfitta, nel passaggio davanti a lei.
Kat incespicò un'altra volta e, superato uno slargo, cadde carponi per terra, al centro di quello che pareva un crocevia in parte ostruito dalle macerie. L'impatto con la pietra le spezzò il respiro e la fece gemere di dolore, mentre la testa le girava a ruota libera. Era ormai allo stremo delle forze, se lo sentiva.
Lacrime di frustrazione le colmarono gli occhi e la gola le si serrò sotto un singulto soffocato.
Non ora... non quando ormai era così vicina.
– Bilbo... va' avanti... esci di qui – mormorò con la voce incrinata, senza nemmeno sapere se lo hobbit fosse davvero abbastanza vicino da sentirla o se avesse già raggiunto la porta.
Avevano stabilito che non si sarebbe dovuto togliere l'anello per nessuna ragione al mondo finché non fosse stato al sicuro, fuori dalle montagne. Una parte di lei sperò ardentemente che fosse già riuscito a superare Gollum, che l'avesse anticipata in qualche modo e che fosse già sgattaiolato oltre l’uscita del Regno degli Orchi.
D'altra parte, lei non aveva alcuna possibilità di fare altrettanto. Sapeva che quelle porte erano sorvegliate e che, senza diventare invisibile, non avrebbe mai potuto superare le sentinelle a guardia di esse... non da sola.
Si ritrovò a sorridere fra sé e sé, nella polvere.
Già, il suo grande piano aveva una falla: lei.
Dei rumori in lontananza riecheggiarono fino alle sue orecchie, di lame e scudi, ed urla di agonia che si mischiarono a richiami ed incitamenti. E la mente di lei collegò subito quei suoni a ciò che di più positivo poteva essere: i nani.
Fu per questo che sollevò lo sguardo da terra e lo fece appena in tempo per scorgere la figura di Gollum rannicchiata fra le rocce come un ragno, o un predatore, con quei suoi inquietanti occhi rotondi che la fissavano in un'espressione arcigna.
Ladri – soffiò roco, malevolo, acquattato nell'ombra, una sagoma pallida fra le rocce scure.
L'adrenalina tornò ad addensarsi nel suo sangue, pompata da un nuovo sussulto del cuore al centro del petto, e Kat si mosse un attimo prima che Gollum si avventasse su di lei, riuscendo a togliersi dalla traiettoria del suo balzo con uno scatto convulso. Andò a sbattere con la schiena contro un masso e scalciando riuscì a respingere nuovamente l'essere lontano da sé, abbastanza da tentare di rimettersi in piedi in un ultimo, vano impulso dato dal suo istinto di sopravvivenza. Una pietra sotto la suola del suo stivale franò, facendola scivolare di nuovo in basso con una smorfia di dolore ed un gemito, e dinanzi ai suoi occhi vide Gollum pronto a scagliarsi nuovamente su di lei, quando avvenne il miracolo.
Il vociare dei nani della Compagnia si fece all'improvviso più forte ed un istante dopo una figura avvolta in una pelliccia di lupo grigio balzò davanti a lei, colmando completamente il suo campo visivo e smorzandole il respiro. Kat si ritrovò a spalancare gli occhi chiari sulla schiena di Thorin e ad udire la sua voce che potente riecheggiava d'un grido intimidatorio sulle rocce circostanti, ancor prima di realizzare la cosa. Era ancora immobile, impossibilitata ad emettere un qualunque suono, quando il riverbero della lama del nano baluginò nell'ombra e lei, costretta a sbattere le palpebre, finalmente riprese a respirare.
E le lacrime le scivolarono oltre le ciglia, sulle guance segnate di polvere.
– ...aspetta!
Come il nano dalla chioma corvina la udì si volse a guardarla, con quell'espressione intensa che tanto gli appartaneva, ed il suo sguardo di diamante le sembrò la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua... Lui era la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua, si corresse.
Poi quei suoi fantastici occhi passarono oltre.
– Dobbiamo andare – affermò imperativo – e in fretta!
Neanche il tempo di finire di dire quelle poche parole che Kat si sentì sollevare di peso da due paia di forti mani naniche e l'attimo seguente era a testa in giù, caricata a mo' di sacco di patate sulle spalle di quello che doveva essere Dwalin, a giudicare dalla stazza e dai grugniti di protesta.
– No..aspettate.. – cercò di protestare la ragazza, ma la sua voce non riuscì a superare affatto il frastuono creato dal drappello di nani in fuga.
– Tranquilla, Piccola Furia, – le giunse, inaspettatamente, dal nano dalla testa tatuata – non ti farò cadere.
E, per quanto quella posizione fosse scomoda e soggetta a continui sballottamenti, Kat non poté evitare ad un'improvvisa ondata di sollievo di colmarla completamente, contribuendo a farne rilassare i nervi.
Ce l'aveva fatta.
Era di nuovo coi suoi amici.
Il suo ultimo pensiero prima di abbandonarsi all'incoscienza fu accompagnato da un'eco lontana e gracchiante: la promessa di un odio eterno ed una vendetta.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 12
*** Run and Fight ***







“May the axe held in my hand
Be the cause of wounds against the ones who stand
Here in front of me
I serve and defend ‘til my time on earth will end.”
[ We Were Warriors, Wind Rose ]




Corsero giù per la montagna con il sole che svettava alto nel cielo terso, i suoi raggi filtravano attraverso le fronde degli alti abeti del bosco rigoglioso simili a sottili e sfavillanti lame traslucide.
Thorin, come ogni altro nano della sua Compagnia, sapeva che avrebbero dovuto mettere quanta più strada possibile fra loro ed il Regno degli Orchi, perché una volta calata la notte questi si sarebbero riversati oltre le porte per inseguirli.
Eppure la voce di Gandalf, rimasto indietro a fare la conta dei fuggitivi, si levò imperiosa ed allarmata, inducendo tutti loro a fermarsi a poche decine di metri dal limitare della selva.
– Dov'è il nostro hobbit?!
L'erede di Durin si volse indietro, osservando come lo smarrimento e la confusione che quell'interrogativo gli aveva procurato si stessero diffondendo anche sui volti degli altri nani. Meccanicamente cercò la figuretta di Katla fra loro, ritrovandola mentre veniva adagiata a terra sotto un albero, priva di sensi. Anche dai metri di distanza che li separavano il Principe dei Nani notò distintamente gli effetti che aveva avuto su di lei quella loro avventura.
Come aveva fatto a non accorgersi della sua assenza fra le loro fila era qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Quando aveva dato il cambio a Fili, raggiungendo il fianco di Gandalf per aiutarlo ad aprire loro la strada, preda dell’agitazione del momento non aveva avuto neanche il tempo di chiedersi se la Compagnia fosse o meno al completo. Si era fidato dei suoi compagni, dando per scontato che ognuno di loro facesse attenzione a quello vicino, ma non aveva fatto i conti con le insidie delle ombre che permeavano fitte le gallerie tortuose ed i passaggi a strapiombo. Soltanto quando ormai erano sul punto di irrompere dinanzi alle porte del Regno degli Orchi se l’era ritrovata davanti, schiacciata dietro un cumulo di macerie che ostruiva il passaggio, e la sua mente era stata assalita da una confusione ed una sorpresa tali che ne avevano ritardato la presa di consapevolezza. 
Il suo corpo si era mosso da solo e lui era balzato innanzi alla giovane donna, frapponendosi fra lei e la minaccia che stava affrontando senza riflettervi un solo istante, mettendo in fuga la creatura ossuta e ricurva, grottesca, che l'aveva messa alle strette. E l'avrebbe inseguita per esser certo che non costituisse più una minaccia per nessuno, se non fosse stato per lei: la sua voce lo aveva fermato, ricordandogli quale fosse la cosa più importante e richiamandolo indietro, alla loro condizione di fuggitivi.
Ripensando ora a quanto accaduto, a ciò che aveva visto coi suoi stessi occhi, Thorin si ritrovò a dover combattere con lo stupore nato dal fatto che quella di Kat non era stata mera soggezione, quella notte, ma che esisteva davvero qualcosa, oltre alle molteplici razze degli Orchi, che viveva nell'oscurità di quelle montagne.
Avrebbe dovuto crederle sin dall'inizio, si era reso conto. Così come si rese finalmente conto di aver rischiato di perderla così, senza neanche accorgersene, in quelle maledette gallerie. L’averla riavuta con sé ancor prima che il suo cuore potesse elaborare la perdita contribuì ad aumentare la sua spaesatezza, mentre la guardava. 
Come capo della Compagnia, Thorin avvertì il senso di responsabilità schiacciargli l’animo ed un cocente senso di colpa misto a vergogna pungergli il petto. Avrebbe dovuto badare di più ai suoi compagni, benché una parte di lui sapesse che aveva fatto del suo meglio là sotto. Eppure, gli sussurrò una vocetta maligna, non era bastato.
Ora era il mezz'uomo a mancare all'appello.
– Accidenti al mezz'uomo! Ora si è perso?
– Era con Dori!
– Non date la colpa a me, stava con Katla l’ultima volta che l’ho visto! – sbottò quello, risentito.
Di fronte all'agitazione ed ai tentennamenti che presero a diffondersi fra i nani, Thorin non poté non iniziare ad irritarsi, giacché quella situazione stava prendendo una piega ridicola persino per il suo animo in subbuglio. Dovevano essersi messe all’opera delle forze oscure contro di lui, che si divertivano a tormentarlo ed a punzecchiare il suo orgoglio di Nano e Capo della Compagnia.
Ben presto la situazione prese la forma di una perdita di tempo che non potevano in alcun modo permettersi e Thorin arrivò a chiedersi se il loro scassinatore si fosse davvero smarrito per caso, giacché era dall'inizio di quell'avventura che lo vedeva restarsene per conto proprio, indifferente ai riguardi che la sua gente aveva avuto per lui. Persino nei confronti di Kat, nonostante i primi tempi in cui aveva supposto il contrario, Bilbo era cambiato.  Fu quell’ultima considerazione a dar forma ad un sospetto che, in pochi istanti, fomentato dal suo orgoglio ferito, divenne per lui una certezza. 
No, probabilmente non s’era affatto perso, bensì aveva approfittato della prima occasione ed era sgattaiolato via come un topolino, cedendo alla paura ed al richiamo della sua tanto amata poltrona e lasciando la ragazza indietro, fra quelle gallerie. Magari era stata proprio la stessa Kat ad accorgersene per prima e, senza pensare, gli era andata dietro finendo per separarsi dalla Compagnia senza che qualcuno, nella confusione, potesse accorgersene.
Be’, che dannato fosse quel mezz'uomo pantofolaio che aveva stupidamente ammesso nella sua Compagnia, e che dannato fosse lui stesso per aver acconsentito a portarselo dietro!
Preda del proprio carattere nanico e dei pregiudizi di cui non era ancora riuscito a liberarsi, non si trattenne oltre.
– Ve lo dico io cos'è successo! – esordì in tono rabbioso e colmo di biasimo, facendosi avanti fra i suoi per affrontare direttamente Gandalf – Il Signor Baggins ha visto la sua occasione e l'ha colta! Pensava solo al suo soffice letto ed al suo caldo focolare da quando ha messo piede fuori dalla porta...
Una pigna lo interruppe, colpendolo dritto dietro la nuca e facendogli mordere la lingua.
Furioso, il Principe dei Nani si voltò meccanicamente nella direzione da cui essa era provenuta, ma la sua aria corrucciata si scontrò con due occhi grigio-verdi colmi di scintille. Quasi boccheggiò. Quasi, perchè è pur sempre di Thorin che si sta parlando, e il suo autocontrollo era saldo quanto l'acciaio, cosicché si limitò a spalancare appena le palpebre dalla sorpresa nel ritrovarsi a fissare una Katla ben sveglia e reattiva, sporca e piena di escoriazioni, ma incolume ed energica sotto l'effetto di una rabbia sottile come una lama di vetro vulcanico.
– Non dirlo! – la sua voce, pur arrochita e graffiata, si levò ad infrangere il pesante silenzio calato fra loro – Non parlare così di lui... è un nostro prezioso compagno e non sarei qui se non fosse stato per il suo coraggio!
In quel momento Thorin, immobile tanto quanto ogni altro membro della loro Compagnia, si rese pienamente conto del motivo per cui la ragazza era stata chiamata Piccola Furia dai suoi compagni nani. Nella sua figuretta traballante sembrava poter contenere la furia di una tempesta. Mentre si rimetteva barcollando in piedi respinse persino l'aiuto di Balin, facendo un passo avanti per fronteggiarlo a testa alta, i pugni stretti lungo i fianchi.
– Bilbo è sicuramente qui vicino, quindi smettiamola di perdere tempo e andiamo a cercarlo! Dobbiamo andarcene da qui tutti insieme!
Le sue ultime parole sembrarono riecheggiare sino alle fronde degli alberi e rimbalzare sui tronchi tutt'intorno a loro, e più di un nano si guardò l'un l'altro, indeciso sul da farsi. Stava a Thorin l'ultima parola e lo sapevano bene, ma la giovane sembrava in grado di smuovere la loro stoica lealtà, tanto che molti finirono per fissarlo con sguardi combattuti, in attesa. 
Il capo della Compagnia si ritrovò a serrare la mascella, contrariato e combattuto al loro stesso modo, ma fu Gandalf ad infrangere il momento, accostandosi a Katla e porgendole la fiaschetta con le ultime stille di miruvor.
– Hai ragione, mia giovane amica, ma prima bevi questo... ne ho diluito le ultime gocce con dell'acqua e sembra proprio che tu ne abbia un gran bisogno.
Inizialmente Kat parve spaesata da quell'intromissione così gentile, ma poi, dopo essersi voltata a guardare lo stregone e ciò che le porgeva, acconsentì. Svuotò la fiaschetta di miruvor in poco più di due sorsi e quando restituì il recipiente all'Istar sembrò agli occhi degli altri un po’ più controllata.
– Non preoccuparti, penseremo noi a cercarlo, vero ragazzi? – proruppe sorprendentemente Fili a quel punto, guadagnandosi l'assenso da alcuni e un'occhiata in tralice da Thorin.
Fu allora, e non un secondo prima, che Bilbo Baggins fece la sua comparsa fra loro.
– Non è necessario: sono proprio qui.
Tutti si voltarono a fissarlo ad occhi spalancati mentre quello si sfregava con un gesto abituale la punta del naso, accanto al grosso tronco d'albero dietro al quale doveva essere stato sino a quel momento.
– Bilbo!
– Bilbo Baggins..
– BILBO! – esclamò Katla, sovrastando qualunque altra voce.
L’erede di Durin la vide scattare come una molla, in un rapido slancio che finì dritto addosso al giovane hobbit e che rischiò di mandarlo a gambe all'aria, tanta era la forza con cui gli si era gettata con le braccia al collo.
La rigidità che lo colse nell'esser spettatore di tale scena, fu ancor più ferrea di quella che tradì il loro scassinatore nel ritrovarsi d'improvviso preso d'assalto da Katla, ed aumentò nel momento in cui lo vide, un po' esitante, ricambiare quell'abbraccio e sorridere imbarazzato da dietro la sua spalla.
Ma che diamine..?
– ..ce l'hai fatta – stava dicendo lei.
– Ti davamo per scomparso! – intervenne Kili a propria volta, tradendo un profondo stupore.
– Già – rincarò la dose Dwalin, col suo tono di voce un po' burbero – Come hai fatto?
Mentre gli altri si raccoglievano intorno a lui, Kat lo lasciò andare, restando comunque al suo fianco mentre entrambi si volgevano verso i compagni. La vicinanza fra i due però, nell'atmosfera pregna di sollievo e gaiezza che si diffuse nell'ambiente, non fece altro che infastidire Thorin Scudodiquercia, il quale si ritrovò a fissare la mano di lei posata sulla spalla del mezz'uomo.
– Oh, è stato merito di Kat... – affermò lo scassinatore, con un sorriso ed uno sguardo alla ragazza – la verità è che non ce l'avremmo mai fatta ad uscire da lì, se non fosse stato per lei.
E prese a raccontare brevemente della loro piccola disavventura, tenendo per sé il particolare del ritrovamento dell’anello.
– Sapevamo che ce l’avresti fatta anche tu! – proruppe Fili una volta che lo hobbit ebbe terminato, suscitando l'assenso del fratello minore ed avvicinandosi a sua volta per donare una pacca sulla spalla ad entrambi – Ma come hai superato le Porte?
Il suo sorriso era ampio tanto quanto quello di Gandalf, se non di più, e dai suoi occhi azzurri traspariva il profondo orgoglio per quella che sembrava esser diventata la sua allieva prediletta.
Di fronte al disagio di Bilbo per quella domanda diretta, lo stregone grigio si fece nuovamente avanti.
– Non ha importanza – esordì, palesemente per trarre lo hobbit d'impiccio, in quel suo caratteristico modo di fare gioviale e leggero – L'importante è che sia di nuovo fra noi.
Quella scena minacciò di far perdere del tutto la pazienza a Thorin, il quale si ritrovò a dover fare i conti con una sensazione che non ricordava di aver provato spesso in vita sua e che, opprimente, tentò di soffocare in fondo al proprio animo.
Ancora una volta la diffidenza ed i pregiudizi che in quei mesi aveva coltivato per il prediletto dello stregone si fecero vivi in lui, fomentati da quella che non era altro che una stilettata di gelosia pura e semplice. Per nulla convinto della versione che aveva preso forma dalle voci della giovane donna e del mezz’uomo, essendoci troppe cose di cui erano all’oscuro, fece quindi un passo avanti, incrociando gli sguardi di Bilbo e Kat e sostenendoli con tutta la stoica fierezza di cui era capace.
– A me importa. – ribadì, severo ed intransigente, i pugni ancora stretti lungo i fianchi con forza tale da farsi sbiancare le nocche sotto i guanti – Perché sei tornato?
Era un confronto fra lui ed il mezz'uomo e, serrando la mascella, Thorin lo trafisse con lo sguardo nella pausa di silenzio che seguì. Un silenzio che ebbe vita breve perché, dopo un istante di incertezza, il giovane hobbit parve trovare il coraggio di affrontarlo e lo fece con tutta la semplicità e la pacatezza di questo mondo.
– So che dubiti di me, Thorin, lo hai sempre fatto.. – esordì pragmatico, facendo un passo avanti e sottraendosi al contatto della mano di Kat – e hai ragione: penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei mobili, i miei libri, la mia poltrona, la mia cucina... perché è quello il mio posto. È casa mia – affermò, deviando lo sguardo da lui al resto dei loro compagni, raccolti tutti intorno a loro – ..per questo sono tornato: perché voi non ne avete una. Vi è stata portata via, ed io voglio aiutarvi a riprendervela, se posso.
Quella spiegazione, unita al fatto di vederlo effettivamente stagliarsi in mezzo a loro da solo per la prima volta da quando avevano lasciato la sua casetta, colpì Thorin nel profondo, facendoglielo vedere per la prima volta con occhi diversi. Era un animo sincero ed altruista quello che scorse nell’iridi blu che lo ricambiavano e, di fronte ad esso, il capo della Compagnia si sentì in difetto per i sentimenti ed i pensieri che gli aveva rivolto sino a quel momento.
Per la prima volta, Thorin Scudodiquercia si sentì in imbarazzo per sé stesso e, l'avversione nei confronti dello hobbit ormai sfumata, abbassò lo sguardo.


Katla assistette al cambiamento di Thorin con il cuore gonfio d’orgoglio e sollievo, commossa nel profondo da quella scena che già conosceva. Eppure, quando il nano dalla chioma corvina sollevò di nuovo lo sguardo, incrociandone gli occhi di diamante ella vi lesse pentimento e scuse rivolti proprio a lei, e la cosa non mancò di provocarle una stretta al cuore.
Abbozzò un lievissimo sorriso, l’irritazione che andava sfumandosi come fumo al vento, e in quell'unico breve momento di segreta complicità avvertì il proprio cuore accelerare in petto al veder un angolo delle labbra del nano imitarla. Poi la bolla di sapone intorno a loro scoppiò.
– Dobbiamo muoverci – proruppe Dwalin burbero, attirando l'attenzione di tutti loro.
Thorin annuì greve, tornando alla consueta espressione severa di sempre, distante da lei, così come fece la sua voce: – Dwalin ha ragione. Presto sarà buio: dobbiamo allontanarci quanto più possibile dalle montagne prima del calar del sole.
– Ce la fai a proseguire? – le domandò preoccupato Kili, comparendole accanto e guardandola con apprensione.
Imbarazzata per essere oggetto di tanta ravvicinata attenzione mentre ancora era soggetta all'effetto che le aveva fatto il lievissimo mezzo sorriso del capo della Compagnia, Kat annuì meccanicamente con il capo.
– Bene, allora andiamo – esordì di nuovo la voce di lui, tornando a risuonare fra loro pacata ma ferma.
Così la Compagnia di Thorin Scudodiquercia aveva ripreso la marcia, scendendo lungo i pendii delle Montagne Nebbiose ad un'andatura sostenuta, per quanto era loro possibile mentre tentavano di riprendere fiato. Prima di andare, Bilbo non aveva mancato di restituire a Kat la sua spada, cosa che aveva sorpreso la ragazza in quanto neanche si era accorta di averla persa, probabilmente durante la breve colluttazione avuta con Gollum.
Grata allo hobbit, l’aveva ringraziato con un cenno ed un sorriso che erano stati prontamente ricambiati, cosa che aveva reso evidente una volta per tutte quanto l'esperienza che avevano condiviso nelle profondità delle montagne li avesse avvicinati. Per una volta, Kat si sentì fortunata ad aver affrontato quella prova, perché l'amicizia del giovane Bilbo Baggins si stava rivelando un dono prezioso ed insostituibile.
Per essa, si ritrovò a pensare, avrebbe riaffrontato Gollum altre cento volte, se necessario.
Sulle Terre Selvagge era calato il crepuscolo da pochi minuti quando, in lontananza, si udì un ululato. Quel suono fece rizzare i peli dietro la nuca ad ogni membro della Compagnia e Kat, voltandosi come molti altri a scrutare le ombre in quella direzione, cercò meccanicamente la propria spada elfica con una mano.
– Questo non pare un buon segno – commentò la voce di Kili, esprimendo l'ovvio.
– Sfuggire agli orchi per essere presi dai lupi! – gemette Bilbo, senza dubbio provato da tutta quell'esperienza.
– Correte! – li interruppe bruscamente la voce di Thorin – Forza, muovetevi!
E nessuno di loro se lo fece ripetere, per quanto le gambe ed i piedi potessero dolere e gli stomaci contrarsi e dondolare come sacchi di canapa vuoti. Si lanciarono tutti, chi incespicando e chi zoppicando, attraverso la boscaglia, calcando il terreno ad ampie falcate ed, a tratti, a veri e propri balzi in avanti.
Fecero del loro meglio e, nella foga del momento, non si curarono di star discendendo un declivio particolarmente ripido di massi ammucchiati ed instabili, cosicché quando il terreno sotto i loro piedi iniziò a muoversi, le esclamazioni che presero a levarsi dai nani furono di pura sorpresa.
Kat rischiò di rimanere con un piede incastrato nel detrito un momento prima che qualcuno l'aiutasse a uscirne, e si scoprì, come molti dei suoi compagni, sopra a quella che pareva una lastra di pietra di considerevoli dimensioni.
Con il fiato corto e gli occhi sgranati, la ragazza volse lo sguardo sul suo salvatore, ritrovandosi a osservare il profilo allarmato di Kili.
– Grazie!
– Non c'è di ché! – le rispose con la sua solita voce spensierata il più giovane dei nani scoccandole appena un'occhiata in tralice, prima di tornar a fissare il pendio in movimento sotto di loro.
L'attimo dopo la pesante lastra sotto i loro stivali tremò e la percezione dello scivolamento di tutto il corpo di frana originario fece accapponare la pelle alla ragazza, che si ritrovò ad accucciarsi istintivamente per non perdere l'equilibrio. L'intera montagna parve muoversi verso il basso, sia sopra che sotto di loro, in un clangore sempre maggiore di massi e rocce in collisione reciproca e rotolamento che riempì loro le orecchie.
Quando i primi grossi blocchi raggiunsero il fondo sollevarono nubi di polvere e altro fragore, e si dispersero fra gli alberi che ricoprivano il fianco della valle in una distesa boschiva uniforme.
– Kat! – la voce del nipote di Thorin tornò a richiamarla, pregna d'urgenza, e quando lei sollevò di nuovo gli occhi grigio-verdi su di lui, vide la sua mano protesa – In piedi! Dammi la mano!
Con il cuore il gola ed il respiro bloccatole in petto, senza un solo momento di indugio ella fece come le era stato detto e con il suo aiuto riuscì a rimettersi in piedi proprio un istante prima che il grosso masso dalla sommità piatta su cui erano in equilibrio giungesse alla fine della sua corsa. Furono gli alberi a salvare la Compagnia, frenando lo sdrucciolamento in massa dell'intero pendio e fornendo loro appiglio e riparo.
Kili e Kat saltarono all'unisono su un grosso pino ed il nano l’aiutò ad issarsi sui rami più bassi, tirandola praticamente su di peso mentre il detrito sottostante continuava la sua breve corsa ed il fragore si mescolava ai sottili schiocchi del legno che si spezza. Ma il loro albero, pur vibrando e inclinandosi leggermente, resistette, così come fecero molti altri sullo stesso fronte, e Kat ringraziò ripetutamente qualunque divinità vegliasse su di lei per quel piccolo miracolo. Era ancora preda dell'adrenalina e dello spavento sperimentato da quell'avventura quando il pericolo passò, la frana si fermò e si udirono gli ultimi deboli slittamenti e i tonfi delle rocce che rotolavano lontano, a fondovalle, perdendosi fra gli alberi e le felci.
– Kili! – risuonò la voce di Fili, a non troppa distanza da loro.
– Sono qui, fratello! – rispose prontamente il minore, sollevandosi in piedi sul suo ramo e cercando di sondare le fronde del bosco circostante – C'è anche Kat con me!
Kat tentò di far lo stesso, agevolata da un ramo vicino che la aiutò a tenersi in equilibrio, ed individuò ben presto il nano biondo fra la vegetazione, e riuscì a scorgere anche altre sagome appese come tante palle di natale sui pini vicini.
– Dov'è Bilbo? – domandò meccanicamente, ricordandolo vicino prima della fine della corsa.
– Sono qui, sto bene!
La voce dello hobbit proveniva dal basso e pochi istanti dopo ella ne scorse la figura un po' ammaccata uscire allo scoperto. Doveva essersi senz’altro riparato dietro ad un tronco in tutto quel trambusto.
Altre voci si levarono, nomi che si diffusero nella notte ormai giunta e che trovarono pronta risposta. Ancora una volta, la loro buona stella aveva fatto il suo lavoro, salvandoli tutti.
Quando riuscirono a riunirsi, meno di un minuto dopo la fine di quello scivolamento indesiderato a valle, fu Gandalf a commentare l'accaduto.
– Be', se non altro abbiamo guadagnato un po' di tempo, – esordì – ma dobbiamo sbrigarci ad allontanarci, se non vogliamo sprecarlo.
Nessuno obiettò, nemmeno i più malconci, giacché ad ognuno di loro era cara la vita che avevano faticosamente conservato sino a quel momento, e dopo essersi rapidamente ripuliti graffi ed abrasioni ripresero la fuga. Avanzarono dunque zoppicando, con le ultime luci del giorno che si intravedevano al di sopra delle punte scure degli alberi, nelle ampie pianure ad Est, e con le ombre che si facevano sempre più fitte di secondo in secondo intorno a loro.
Con Gandalf a far loro da guida la Compagnia procedette compatta, e la luna piena fece in tempo a levarsi alta nel cielo prima che sbucassero in un ampio spazio aperto, al di sopra di quella che pareva una modesta collinetta. Eppure, per quanto non vi fosse indizio che rendesse quella una radura diversa da altre, quando la giovane si ritrovò dinanzi alla distesa erbosa avvertì distintamente un brivido di inquietudine risalirle la spina dorsale.
Erano già a metà della via quando il primo ululato tornò a farsi udire alle orecchie dei membri della Compagnia e Katla ricordò finalmente il motivo per cui quel luogo non le piaceva, nonostante l'atmosfera suggestiva data dall'argentea luce lunare a definirne i contorni. Per questo fu la prima a scattare in avanti, ancor prima che giungesse l'esortazione dello stregone a procedere più in fretta per raggiungere il limitare della selva, e serrò i denti tanto da sentire dolore per sopportare le proteste del suo intero corpo a quell'ennesimo sforzo. Osò lanciare un'occhiata alle loro spalle soltanto quando raggiungero la prima fila d'alberi, un attimo prima di infilarsi fra questi, ma se ne pentì subitaneamente.
Figure irsute, con quattro zampe ed occhi feroci, si stavano riversando nella radura al loro inseguimento: un branco di Mannari  Selvaggi. E non erano soli.
Lasciandosi sfuggire un'imprecazione molto poco signorile e carica di allarme, la giovane donna si lanciò avanti con un balzo che minacciò di trarla in fallo, ma il cui slancio ella riuscì a sfruttare per non finire a ruzzolare a terra. Ripresero tutti a correre a perdifiato e ben presto ella non  fu nemmeno più in grado di distinguere le identità dei nani che correvano con lei, troppo presa dall'intento comune di sfuggire a quella minaccia. Quella sensazione le provocò un fastidioso senso di deja-vù che per un attimo le fece ricordare fin troppo bene la fuga precipitosa attraverso il Regno degli Orchi.
Disperazione e sconforto si mescolarono in lei, minando la sua stessa sanità mentale: non ne poteva più di scappare, aveva bisogno di una pausa da tutte quelle situazioni di pericolo che si susseguivano una dopo l'altra, incessantemente. Aveva bisogno di riposo o i suoi nervi avrebbero presto ceduto, se lo sentiva.
Eppure continuò a correre, riparandosi il volto con ambo le braccia ogni qualvolta che un ramo si poneva sulla sua strada, ignorando aghi e resina che le si riversavano addosso e si impigliavano fra i suoi capelli.
Quando un mannaro dal pelo ispido le tagliò la strada, mancando di un soffio quello che doveva essere Nori, le scappò un urlo carico di allarme e quasi cadde mentre deviava istintivamente dalla sua traiettoria.
– Sugli alberi, presto! – tuonò la voce di Gandalf ancora una volta, in quella baraonda.
Inutile dire che nessuno se lo fece ripetere due volte e persino Bilbo, il più basso fra loro, con un piccolo aiuto da parte di Dori, riuscì a guadagnare i rami di uno dei pini più grossi appena in tempo per evitare di venire sbranato.
Kat era sul loro stesso albero e si aggrappò con forza al tronco quando i Mannari Selvaggi iniziarono ad assalire i pini su cui lei e i suoi compagni si erano rifugiati. In quel frangente la ragazza poté finalmente vedere chiaramente le bestie, il cui aspetto feroce e sanguinario le fece accapponare la pelle e perdere ogni colorito. Erano enormi, grossi più di quanto lo erano stati i loro pony, e con musi arcigni, resi ancor più bestiali dalle zanne lunghe ed affilate messe in mostra con ringhi e latrati minacciosi. La muscolatura sotto la pelliccia ispida era più gonfia e sproporzionata di quella di un normale lupo, oltremodo sviluppata intorno a spalle e torace, ma i loro balzi erano comunque considerevoli ed i loro artigli scavavano grossi solchi nel legno, spargendo schegge tutt'intorno.
Più in alto. Dovevano salire più in alto.
Non fece in tempo a mettere in atto quel pensiero che il pino sul quale si era arrampicata iniziò a scricchiolare sonoramente e ad inclinarsi a causa dei ripetuti assalti e lei, rinsaldando la presa sul tronco, si lasciò sfuggire un gridolino terrorizzato.
– Salta Kat!
La voce di Fili la raggiunse, inducendola a voltarsi nella direzione da cui era provenuta. Dall'albero accanto, quello verso cui il suo stava piegandosi, spiccavano le figure del nano biondo e di suo fratello, entrambi con una mano protesa in sua direzione ed identiche espressioni ansiose.
– Sì, ti prendiamo noi! – rincarò la dose Kili – Presto!
Il tempo che il messaggio raggiungesse la sua sfera cognitiva, il pino cedette del tutto, inclinandosi a velocità sempre più elevata verso il terreno, così Kat agì per mero istinto di sopravvivenza. Seguì il consiglio e, usando il proprio appiglio per darsi ulteriore slancio, si lanciò nel vuoto verso le braccia protese dei due figli di Dìs. Non appena le loro mani si chiusero intorno a lei, traendola in salvo, il tonfo dell'albero che veniva abbattuto salì sino a loro insieme ai ripetuti schiocco dei rami che si spezzavano.
Eppure Katla non ebbe il tempo di gioirne perché, appena ritrovò l'equilibrio sul ramo che condivideva con i suoi amici, anche quello prese a vibrare e tremare allo stesso modo di come era stato il precedente.
Le bastò una singola occhiata ai due nani perché fosse chiaro a tutti loro cosa fare ed immediatamente si disposero in modo da bilanciare il peso e mantenersi in bilico. Fu così che i membri della Compagnia di Thorin si ritrovarono a saltare di albero in albero, man mano che questi crollavano e si sradicavano sotto l'assalto feroce dei Mannari Selvaggi, finché non finirono tutti per raccogliersi sul medesimo: il grosso e robusto pino che lo stregone grigio aveva usato come riparo sin dall'inizio.
Quando Kat spiccò il balzo che la portò a raggiungere, come gli altri prima di lei, l'ultimo albero, venne frenata nel suo slancio dal braccio di quello che era il loro capo, della cui presenza si accorse solo in quel momento. Boccheggiando dallo stupore e dalla mancanza di respiro, la ragazza si ritrovò stretta a Thorin ancor prima di capire come ci fosse finita, ma il suo corpo reagì prontamente per lei, aggrappandoglisi alla pelliccia e perdendosi in quei suoi occhi di diamante insolitamente vicini. In quell'iridi, ella scorse la ferrea promessa che non l'avrebbe lasciata cadere e, in risposta, nel petto le nacque una disarmante sensazione di sicurezza che la lasciò inebetita. Si sentì protetta sotto quello sguardo, fra quelle braccia, esattamente come le era accaduto diverse notti prima, quando erano rimasti soli e lei si era accoccolata nel suo abbraccio, alla ricerca di un poco di calore.
– G-grazie – mormorò con un filo di voce, cercando di trarsi fuori da quella trance e di salvare le apparenze.
– Prego.
Inutilmente, giacché la profonda e vagamente roca voce del nano le scivolò sulla pelle insieme al suo respiro e lei si ritrovò a rabbrividire, mentre i suoi sensi si risvegliavano di colpo tutti insieme, rendendole ancor più acuta la percezione di lui in quella situazione precaria.
Fonte di distrazione per la ragazza fu l'inattesa parabola disegnata nell'oscurità da quello che le parve come un piccolo meteorite avvolto dalle fiamme, il quale andò a rimbalzare sulla pelliccia di uno dei mannari che assediavano il loro albero, appiccandovi subitaneamente fuoco. Lei e Thorin sollevarono di scatto lo sguardo all'unisono, in tempo per vedere una seconda pigna incandescente seguire l'esempio della prima, e ben presto tutti gli occupanti del pino si unirono all'iniziativa di Gandalf, incendiandone i frutti e lanciandoli sui nemici sottostanti.
Il fuoco attecchì facilmente fra arbusti ed erba, seccatisi durante la stagione estiva che andava terminando, e le fiamme ben presto si diffusero nel sottobosco ricoperto di aghi e sterpaglie secche. Dai Mannari Selvaggi si levarono una nuova sequela di ululati di protesta ed allarme e gli assalti al tronco cessarono, non osando quegli animali sfidare le lingue di fuoco che lo attorniavano.
Anche Katla, dopo essersi meglio assestata sul proprio ramo, si mise con soddisfazione a giocare al tiro al bersaglio, sferrando con successo qualche colpo sul muso ringhiante di quello o quell'altro mannaro. E quando accadde ed esultò, dimentica per un attimo della presenza di Thorin al suo fianco, finì per cercarne l'approvazione con lo sguardo, trovandola nel sorriso fugace e sghembo che quello le riservò nell'arco di un solo secondo.
Eppure, non fu questo a farle schizzare il cuore in gola, quanto un nuovo sussulto dell'intero albero su cui la Compagnia era rifugiata, che spinse ognuno di loro a riabbassare lo sguardo verso terra. Un'ascia si era conficcata alla base del tronco, in una delle spesse radici che lo ancoravano a terra, grossa e scheggiata, grottesca e lucente dei riflessi delle fiamme sul suo acciaio nero. Pochi istanti dopo, sotto di essa il legno scricchiolò nel crepitare ormai diffuso del fuoco ed il tronco s'inclinò.
Katla scivolò, ma riuscì ad aggrapparsi al proprio ramo prima di precipitare nel vuoto, e la stessa sorte la subirono altri della loro Compagnia, fra cui lo stesso Thorin, che si ritrovò nella sua stessa posizione quando l'albero si piegò ulteriormente a causa di un cedimento del terreno sottostante.
Fu a quel punto che la ragazza si rese conto del precipizio su cui erano in bilico ed il sangue le si gelò ancora una volta nelle vene, mentre il panico tornava a minacciare di soffocarla nella sua morsa. Contrasse l'addome e, mossa da puro istinto di sopravvivenza, si agganciò al ramo con ambo le gambe, avvolgendole intorno al legno come se si fosse tramutata in un grosso serpente.
Questo la aiutò a stabilizzarsi ed a sgravare le proprie braccia, le quali stavano rapidamente perdendo forza, cosicché poté notare senza troppa fatica il momento in cui il capo della Compagnia, già mezzo issato sul tronco, si bloccò, spalancando gli occhi azzurri in quel mare di fiamme.
– Azog.
Thorin ne pronunciò il nome come se lo avesse vomitato l'inferno stesso e lei, nonostante la sua posizione a testa in giù, vide distintamente i suoi lineamenti da increduli farsi di pietra e le scure sopracciglia abbassarsi, rendendo ancor più cupo il cipiglio che andava formandosi sul suo volto. Il figlio di Thrain fissò il suo nemico come se potesse bastar questo a porre fine alla sua esistenza e quando, nel crepitio circostante, si sollevò dritto ed in equilibrio sopra l'albero, ogni suo muscolo era teso e saldo come la ferrea volontà che lo animava.
Su quei suoi nobili lineamenti, Kat lesse la ferrea volontà del nano di porre fine, una volta per tutte, all'esistenza dell'Orco Pallido, il quale si ergeva dinanzi ai suoi a cavallo di quello che era un grosso mannaro albino, sopra uno sperone roccioso. Era un orco più grosso degli altri, dalla pelle di un grigio talmente chiaro da somigliare al bianco, se paragonato al colore della pelle dei suoi simili, ed il braccio destro e le innumerevoli cicatrici facevano il paio al moncone cui era ridotto. Una lama orchesca gli era stata fissata all’estremità, ficcata nella carne come se fosse un prolungamento delle ossa del l’avambraccio.
Intorno a lui gli orchi al suo comando strepitavano e scalpitavano, ansiosi di affondare le loro armi frastagliate nei corpi dei nani.
Era davvero vivo, dunque. 
Azog il Profanatore era sopravvissuto alla battaglia di Moria ed ora era lì per lui.
Bastò quella consapevolezza a far reagire la giovane, che immediatamente tornò a cercare Thorin con lo sguardo, vedendolo prendere ad avanzare verso il nemico con risolutezza, con Orcrist in una mano ed il suo scudo di quercia nell'altra ed il vento caldo dell'incendio circostante che ne avvolgeva la figura.
– No! Thorin! – esclamò, di getto, mentre i ricordi risalenti al suo mondo tornavano prepotenti a dilaniarle l'animo.
Ma il nano non diede segno di averla udita e proseguì, e Kat ne osservò l'avanzata col fiato sospeso, percependola come al rallentatore tanta era l'adrenalina che le circolava in corpo. Thorin Scudodiquercia stava andando incontro al suo nemico giurato, incurante d'essere in inferiorità numerica o finanche in una posizione di svantaggio, ed inconsapevole di star andando soltanto incontro alla sconfitta. Perché era questo che voleva dire essere un Nano, dopotutto.
E Katla lo sapeva.
Lo aveva imparato a fondo nel corso di quel loro viaggio e si era lasciata stregare da quel modo di pensare, ma ora che la realtà che stava vivendo tornava a coincidere con i racconti del suo mondo, le implicazioni dell'epilogo che andava delineandosi la assalirono con tutto il loro peso.
Doveva fare qualcosa... doveva!
Si issò con un unico sforzo sopra il ramo a cui era stata appesa sino a un istante prima e, con l'ausilio di quello più vicino, vi salì in piedi proprio mentre il capo della Compagnia scendeva dall'albero e partiva alla carica.
Quando la freccia lo colpì, Kat si ritrovò a sussultare violentemente dall'orrore per ciò che i suoi occhi avevano appena visto e lo shock fu tale da minacciare di farle girare la testa. Boccheggiò mentre Thorin, incurante dell'asticella che spiccava dal centro del suo rinomato scudo di quercia, procedeva incontro ad Azog. E l'Orco Pallido, il volto deformato da un ghigno che ne metteva in risalto la cicatrice, fece risuonare nell'aria un secco comando nella sua lingua gutturale, prima di accettare la sfida.
Il mannaro dal pelo bianco e gli occhi rossi balzò in avanti, gli artigli protesi e le fauci snudate pronte a chiudersi sul nano, ma Thorin si scansò all'ultimo istante e parò l'attacco della mazza di Azog, venendone comunque sbilanciato.
Spettatrice di quello scontro spietato, la giovane donna della Compagnia si ritrovò a contrarre ogni muscolo del proprio corpo dalla tensione crescente. Disperata, in conflitto con la precarietà della sua stessa posizione, lanciò una rapida occhiata ai suoi compagni, trovando Ori e Dori appesi l'uno all'altro e poi Bilbo poco più lontano, che faticava anch’egli a rimanere aggrappato al suo ramo. Quando la consapevolezza che nessuno di loro sarebbe intervenuto in tempo, nemmeno lo hobbit, l'assalì, qualcosa scattò in lei e tornò a volgere gli occhi chiari verso lo scontro in atto.
Fu a quel punto che vide Thorin perdere il proprio scudo, strappatogli di mano da una zampata della feroce creatura albina. Il nano venne sbalzato via dal colpo successivo del Profanatore, che lo prese in pieno petto e che lo fece rotolare per alcuni metri sul terreno cosparso di aghi e pietrisco.
E Kat si mosse d'istinto, spinta da un impulso del tutto irrazionale natole nell'animo nel giro di un istante. Dimentica delle vertigini, del precario equilibrio e della spossatezza del suo fisico, pervasa da una nuova ondata di adrenalina salì in piedi sul tronco e si lanciò in avanti, correndo verso terra con la mano già sull'elsa della spada.
Qualcuno gridò il suo nome, qualcun altro le lanciò qualche invettiva, ma invano. Nello spazio di un battito di ciglia si frappose fra Thorin ed il nemico con stoica determinazione, sorda a qualunque altro messaggio, ormai preda della ferrea volontà di proteggerlo e bloccando con la propria comparsa l'ordine di Azog sul nascere. Quando i loro occhi si incrociarono, in quelli di lei ardeva il riflesso della violenta furia che l'aveva pervasa, mentre in quelli dell'orco ella scorse una vaga sorpresa che veniva sostituita da malvagio scherno.
Nonostante ciò, Katla non retrocedette di un solo passo, nemmeno quando il ghigno tornò a farsi strada sul volto solcato di cicatrici dell'Orco Pallido.
– Non ti permetterò di toccarlo! – proruppe con tutta l’irruenza di cui era capace, sovrastando con la propria voce il ringhio dei mannari ed il crepitare dell'incendio ormai estesosi tutt'intorno a loro.
Avrebbe trucidato qualunque nemico avesse osato provare ad arrivare a lui, si disse risoluta, a qualunque costo.
Sollevò maggiormente la spada quando il mannaro albino emise un ringhio nei suoi confronti, incidendo il terreno coi suoi artigli un istante prima dell'attacco. E lei si mosse di conseguenza, di nuovo preda dell'istinto e dei frutti dell'addestramento a cui era stata sottoposta a Gran Burrone. In quell'unico secondo che la creatura impiegò a bruciare i pochi metri che li dividevano, ella si preparò a colpire ed infilò la spada dritta fra le sue fauci protese non appena quelle si schiusero.
Vi fu uno schiocco ed un guaito e Katla avvertì distintamente le zanne del mannaro lacerarle gli abiti e penetrarle nella spalla destra, mentre al contempo veniva sbalzata indietro, trascinata dal peso stesso della bestia.
Kat urlò di dolore, serrando gli occhi mentre il mondo intorno a lei si tingeva di rosso.
Il mannaro cadde con un tonfo, crollandole addosso dopo un paio di balzi convulsi che lo portarono a colpire un albero con un fianco. Il colpo gli fece aprire le fauci e lei fu libera, e la lama elfica che era penetrata attraverso il palato sino al cranio si sfilò senza opporre alcuna resistenza, restandole attaccata alla mano mentre rotolava lontano, sul terreno.
Scariche di dolore la trapassarono da parte a parte, diffondendosi in ogni recesso del suo stesso corpo, ed impiegò diversi secondi per riuscire a risollevare il capo e lo sguardo da terra. Col respiro affannoso e digrignando i denti, vide una freccia spuntare da un occhio della bestia albina che ora giaceva morta ai piedi dell'albero più vicino, e poi, fra il fumo e le fiamme, appresso al corpo riverso a terra di Thorin vi era lo hobbit, una sagoma scura che si accaniva contro uno degli orchi di Azog.
Si ritrovò a tremare di sollievo a quella vista e, con l'adrenalina ancora in circolo in gran quantità, Katla tentò allora di rimettersi in piedi non appena Fili e Kili lo raggiunsero, buttandosi nella mischia seguiti da altri dei loro compagni.
Doveva andare ad aiutarli, doveva andare a combattere...
Eppure, ogni suo muscolo si irrigidì quando tornò a posare gli occhi sull'Orco Pallido.
Egli era stato sbalzato dal dorso del suo mannaro e s'era appena rimesso in piedi a meno di due metri da lei, quando i loro occhi si incrociarono, ed in essi Kat lesse un odio ed una rabbia tanto profondi da farla indietreggiare istintivamente, preda di un nuovo brivido di paura che scacciò persino il dolore alla spalla.
Nei cisposi e collerici occhi dell'orco, ella scorse una promessa di morte.
Una morte che sarebbe senz'altro giunta a prenderla se in quel momento, da oltre le cime degli alberi ed il fumo, non fosse risuonato il potente grido di un'aquila. L'attimo seguente due grossi artigli si abbatterono sul più vicino dei mannari, tanto grandi da racchiuderlo perfettamente nella loro morsa e da gettarlo oltre il dirupo.
E Kat sussultò dal sollievo.
Erano arrivate.
Le Grandi Aquile erano giunte a salvarli.


Bilbo si era lanciato all'attacco non appena aveva visto Katla cadere sotto le fauci del mannaro di Azog, ma non era stato l'unico a muoversi. Ancor prima di lui una freccia aveva trafitto l'aria sino a conficcarsi nell'occhio della bestia albina proprio un attimo prima che questa facesse schioccare le zanne intorno al braccio della ragazza, ma ciò non era bastato ad evitarle la colluttazione.
L'Orco Pallido era stato sbalzato via di sella e la sua voce si era levata minacciosa in quella che doveva esser stata un'imprecazione in orchesco, ma era stato proprio allora che uno degli orchi al suo comando si era mosso verso Thorin. E lo hobbit aveva fatto altrettanto, lanciandosi all'attacco senza pensare, seguendo solo l'esempio della giovane donna che ora giaceva a terra ad un paio di metri dal nano che era accorsa a proteggere. Aveva colto di sorpresa il nemico, sbalzandolo di sella ed affondando la propria lama elfica nel suo corpo.
Come quello aveva provato a reagire ed a dibattersi, lui aveva inferto un altro colpo, finalmente stroncando ogni tentativo dell'orrida creatura di ricambiargli il favore. Quindi, in preda ad un tremito crescente, era indietreggiato rapidamente sino a Thorin, facendogli da scudo, levando la propria arma e catturando con il suo acciaio azzurrino i riverberi delle fiamme dell'incendio circostante. L'aria, pregna di fumo, serbava l'odore del legno bruciato e di un puzzo indefinito di cui Bilbo non ebbe il tempo di schifarsi.
Il mannaro che era stato la cavalcatura dell'orco da lui appena abbattuto stava per avventarglisi contro e lo hobbit, di fronte alle sue zanne, fu sicuro di essere spacciato. Era stato a quel punto che le Grandi Aquile erano piombate su di loro con grida di rapace, catturando la bestia ringhiante e gettandola per prima oltre il bordo dello strapiombo.
Bilbo aveva fatto un salto dalla sorpresa, ma non aveva potuto far altro che assistere al modo in cui le enormi creature alate calavano inesorabili su di loro. Era così intento in quella contemplazione che quando, dal fumo che riempiva l'aria ed oscurava il cielo stellato piombò giù un'aquila che lo raccolse e lo sbalzò nel vuoto, non riuscì ad emettere nemmeno un suono.
Lo scassinatore della Compagnia mancò di urlare dallo spavento, il respiro annodatogli in gola durante la breve caduta che sperimentò, prima di finire fra gli artigli di un altro di quei maestosi rapaci. Il rumore del vento si sostituì al fragore della battaglia ed alle grida che provenivano da essa, pur non riuscendo a coprirle del tutto, e lo hobbit istintivamente si appigliò alle falangi della creatura con tutte le proprie forze, preda di un'intensa ondata di vertigini e panico.
Gli ci volle un po' per realizzare che non sarebbe precipitato e, in quella notte limpida, con il vento ad investirlo ed il volo a sballottarlo, poté assistere a quello che finalmente si rivelò ai suoi occhi come un salvataggio.
I suoi compagni vennero prelevati tutti, dal primo all'ultimo, e portati in alto dalle Grandi Aquile giunte in loro aiuto. Fra i tanti distinse Gandalf balzare sul dorso di una e gli sembrò di scorgerne un'altra far fare a Katla la sua stessa fine, lanciandola nel vuoto. Anche Thorin venne prelevato, pur con più delicatezza di tutti gli altri, e sollevato in aria con pochi e potenti battiti d'ali.
Quando anche l'ultimo di loro si ritrovò sul dorso di un'Aquila, i grandi rapaci si innalzarono maggiormente nella buia notte stellata e venne lanciato un ultimo grido nell’aria fumosa, prima d'iniziare ad allontanarsi da quel luogo.
Lontano dalle fiamme.
Lontano dalla morte.
Verso Nord.


Kat aveva freddo: un freddo gelido che la ghiacciava sin nelle ossa e che non aveva nulla a che fare con il vento che la sferzava ad alta quota.
Accovacciata sul dorso di una delle imponenti aquile delle Montagne Nebbiose si teneva stretta con tutte le sue forze al piumaggio bruno, ma i suoi occhi erano costantemente voltati indietro, alla figura di Thorin immobile fra gli artigli di un'altra creatura alata.
– Thorin!
Il vento spazzò via la voce di Fili e non vi fu segno di vita in risposta, cosicché una folata gelida strappò via dalle sue guance le lacrime che incandescenti avevano già preso a solcarle la pelle arrossata delle gote.
Le aquile trasportarono lei, i nani, lo hobbit e lo stregone verso le cime che ospitavano i loro nidi, superando le spesse nubi che proteggevano la loro patria dalle mire delle creature terrene, reame inespugnabile ed irraggiungibile a coloro che altro non potevano se non strisciare come insetti sulla Terra di Mezzo.
Quando giunsero a destinazione e Kat fu di nuovo coi piedi sulla nuda roccia, il fiato rotto le si condensò in una nuvoletta davanti al viso, fredda e rarefatta. Lo stordimento delle alte quote la travolse, non avvezza ad un'aria così rada, ma strinse i denti combattendo con la mera forza di volontà il giramento di testa ed il dolore alla spalla, lì dove il Mannaro Selvaggio l'aveva azzannata. Il sangue della bestia imbrattava ancora i suoi abiti laceri, abbastanza da mischiarsi al suo.
I membri della Compagnia di Thorin si ritrovarono tutti sulla medesima sporgenza, chi ruzzolando e chi atterrando fortunatamente sulle proprie gambe, ma quando il corpo del loro condottiero venne depositato sul Gran Ripiano, tutti loro si raccolsero zoppicando e caracollando intorno ad esso.
Seppur con una certa fatica, Katla riuscì a farsi spazio fra loro tanto da arrivare alla prima fila e trovò Gandalf chino sul capo della Compagnia. La sua espressione tesa e quelle cupe dei nani intorno a lei le tolsero il respiro e quando incrociò lo sguardo del coraggioso Bilbo, nei suoi occhi scorse incertezza e tormento, e lei sentì come una fitta di dolore artigliarle il centro del petto.
L'immagine di Thorin che veniva colpito in pieno petto dalla mazza di Azog tornò a balenarle nella mente.
Un ginocchio le cedette, ma una presa salda al braccio sinistro le impedì di accasciarsi a terra e lei si voltò sorpresa a fissare Kili, di cui non aveva notato la presenza sino a quel momento, intento a sorreggerla. Il giovane discendente dei Durin abbozzò un sorriso senza dire una parola ed il suo sostegno costituì per lei l'ultimo baluardo che le impedì di crollare nel vento gelido di quelle vette. 
E poi, nel silenzio generale infranto soltanto dal battito d'ali delle Grandi Aquile ed i cuori dei nani lì riuniti, Thorin si mosse, la sua mente che si faceva strada attraverso il velo dell'incoscienza, schiudendo le palpebre con un paio di colpi di tosse e posando i suoi occhi azzurro ghiaccio sull’Istar ancora chino su di lui.
– ...il mezz'uomo? – domandò con un filo di voce resa roca dallo sforzo – Katla?
Come il nano pronunciò il suo nome, la ragazza venne colta da un'ondata di adrenalina che la spinse a fare un passo avanti, attingendo a una forza che non sapeva di avere, preda di un'incredulità, un sollievo ed una gioia indescrivibili. Thorin era sopravvissuto, come doveva essere... e per la prima volta dopo molto tempo, aveva pronunciato il suo nome.
– Stanno bene – lo rassicurò con un sorriso altrettanto sollevato e rassicurante lo stregone grigio – ..sono entrambi qui.
Più d'una testa si voltò verso lei e lo hobbit, ma Katla non riusciva a staccare gli occhi chiari dalla figura di Thorin. Avrebbe ceduto di nuovo al pianto se ne avesse avuto la forza, ma a stento riusciva a restare dritta in piedi, avvertendo le spire di una malsana debolezza iniziare a pervaderle i muscoli.
Fu così spettatrice silenziosa ed immobile del rimettersi in piedi del loro capo e, per un attimo, quando i loro occhi si incrociarono, la ragazza tremò, esattamente come era stato la prima volta che ciò era accaduto, a Casa Baggins. Poi quell'iridi del colore del ghiaccio più puro si indurirono e l'espressione del nano a pochi passi da lei mutò, corrucciandosi severamente.
– Cosa credevate di fare? – esordì, e la sua voce dal timbro profondo risuonò carica di una rabbia inattesa ed impetuosa. 
Calcando il suolo sotto i suoi pesanti stivali, egli si avvicinò puntando il dito su Katla.
– Tu! Tu, ti sei quasi fatta uccidere! – la accusò, prima di continuare, e stavolta non mancando di rivolgere anche a Bilbo quell'espressione accusatoria – E tu, con le tue azioni sconsiderate non sei migliore di lei! Non lo avevo forse detto, che sareste stati soltanto un peso?
Nessuno osò fiatare per interrompere il Principe di Erebor, nessuno si mosse e Kat non osò nemmeno distogliere lo sguardo dal nano ormai giunto di fronte a loro. Nessuno a parte Bilbo le era accanto e la piccola sagoma dello hobbit ella la coglieva a malapena al limitare del proprio campo visivo. La tensione nell'aria minacciò di farsi elettricità pura, finché non fu lo stesso Thorin ad infrangerla, facendo l'ultimo passo che lo separava da loro e racchiudendoli entrambi in un forte, caldo abbraccio.
Katla si ritrovò col volto premuto contro la pelliccia di lupo che ancora rivestiva le spalle del nano, la vista già sfuocata mentre la ferita le mandava un nuova scarica di dolore al cervello. Eppure essa non bastò a soffocare le parole che Thorin proferì subito dopo, mentre li stringeva a sé a quel modo.
– ..non mi sono mai sbagliato tanto – mormorò alle loro orecchie.
Il cuore di Katla si colmò di sollievo ed affetto e finalmente ogni tensione dei suoi muscoli si sciolse, mentre il calore del nano l'avvolgeva. Era una sensazione così bella, così confortante, che le lacrime di commozione le offuscarono la vista dei dodici nani che, intorno a loro, già sorridevano ed esultavano, altrettanto sollevati.
Kat si ritrovò a sorridere a propria volta, prima di avvertire le ultime forze abbandonarla.
Sarebbe caduta se Thorin, accorgendosi del cambiamento improvviso, non l'avesse sostenuta, e subito la sua voce risuonò allarmata sulla sporgenza rocciosa.
– Katla?!
La ragazza si ritrovò stesa sulla nuda pietra, il suo corpo percorso da brividi di freddo, taglienti come lame ghiacciate nella carne e nelle ossa, e quando riaprì gli occhi vide il volto deformato dall'ansia di Thorin venir scostato da quello più anziano ma non meno preoccupato di Gandalf.
– Kat! – la chiamò lo stregone, e lei per dargli segno di averlo sentito reclinò leggermente il capo.
– ...ho freddo.
Anche Bilbo era chino su di lei, dall'altro lato, e le bastò deviare leggermente lo sguardo intorno a sé per accorgersi che tutti gli altri nani non erano meno preoccupati, accatastati gli uni sugli altri, tanto vicini da spazientire l'Istar lì presente.
– State indietro, lasciatela respirare! – li sgridò, prima di tornare a lei ed esaminarla brevemente – Kat, hai assoluto bisogno di cure: hai la febbre e la tua ferita ha bisogno di essere adeguatamente medicata.
Ah, ecco perché si sentiva così intontita, pensò la ragazza.
– Non ci muoveremo finché non si sarà ripresa – la voce di Thorin risuonò perentoria, innescando una sensazione di contrarietà talmente intensa nella diretta interessata da farla reagire.
– No! – esclamò, sollevando persino il capo per cercare il nano con lo sguardo.
Non poteva permettere alla storia di deviare ancora una volta dal suo percorso per lei.
Un attimo dopo ricadde indietro, respirando con affanno per cercare di trarre più ossigeno possibile dall'atmosfera, e l'ombra di Thorin tornò a sovrastarla, soppiantando lo stregone nel suo campo visivo. Gli occhi di diamante che le puntò addosso erano carichi di un'inquietudine tale che, se non si fosse trattato di lui, Kat l'avrebbe scambiata per terrore. 
Lo cercò con una mano e lui gliela strinse, infondendole nuovo calore attraverso i guanti. Bastarono quella scintilla di tepore e la forza insita in quella stretta a farle delineare le labbra in un nuovo lieve sorriso che ella sperò tanto fosse incoraggiante.
– Dobbiamo ripartire subito... il Dì di Durin... – tentò, ma la sua voce era debole a causa di una spossatezza persistente e Thorin parve accorgersi della sua difficoltà, perché non la lasciò continuare.
– C'è ancora tempo – affermò e, per un istante, fu come se ci credesse davvero.
Ma Kat sapeva la verità.
– No, Thorin – lo contraddisse, suscitando nel nano quel suo cipiglio contrariato che gli compariva in volto ogni volta che lei si permetteva di farlo – Non possiamo sprecarlo. Ogni minuto è prezioso...
– Non ti lasceremo indietro – asserì, testardo, l'erede al trono di Erebor.
Di fronte a tanta caparbietà lei si ritrovò a sorridere di nuovo: sapeva che nulla gli avrebbe fatto cambiare idea e se ne sentì confortata; lo conosceva abbastanza da aver ormai capito cosa voleva dire quando assumeva l'espressione ostinata che gli vedeva in volto in quel momento. Così la sua mente offuscata dalla febbre e dal dolore le andò incredibilmente in aiuto, risvegliando nella sua memoria un dettaglio particolare.
– C'è un'alternativa... – mormorò, risvegliando la speranza nei bellissimi occhi altrui – un uomo.. un orso.. ai piedi delle montagne.. Gandalf sa chi è...
Lo stregone grigio parve altrettanto sorpreso degli altri, giacché la sua voce tornò a risuonare accanto a lei, pur restando oltre il suo campo visivo, richiamando rapido l'attenzione di Thorin.
– Beorn? – domandò, scambiando uno sguardo con il nano e lo hobbit.
Kat annuì.
– Le Aquile... chiedi alle Aquile di portarci il più vicino possibile alla sua dimora.. – lo esortò, pur iniziando a sentir la gola bruciare per lo sforzo – Lì potremo riposare alcuni giorni, sotto la sua protezione. Vi prego... fatelo. È l'unico modo.
Ella sapeva infatti che il Signore delle Grandi Aquile non avrebbe mai accettato di portarli troppo vicino ai luoghi abitati dagli Uomini e soltanto la casa del mutatore di pelle avrebbe potuto dare loro riparo e protezione dagli orchi che con tanto accanimento li avevano assaliti.
Il volto di Thorin venne attraversato da una serie di emozioni contrastanti e lui stesso parve indugiare nel conflitto interiore cui il suo animo era sottoposto, ma dopo un battito di ciglia serrò le labbra in quell'espressione tipicamente determinata di quando prendeva una decisione. 
– Va bene, faremo come vuoi tu – la rassicurò.
Kat sorrise di sollievo, poi ogni cosa venne avvolta dall'oscurità più buia.


Gandalf impiegò più tempo di quanto sperato per trattare con il Signore delle Aquile, ma i nani impiegarono quel tempo per riposare e mangiare qualcosa. Lo stregone, pur non riuscendo nell'intento di smuovere l'altro dalla neutralità della sua posizione di mero osservatore dei Popoli che si facevano la guerra al di sotto del suo dominio, riuscì ad ottenerne l'aiuto per discendere fino alle terre del mutaforma.
Così era da poco sorta l'aurora quando la Compagnia di Thorin venne depositata su un'altura fra i boschi, ai piedi delle montagne, a meno di mezz'ora di marcia dalla casa dell'uomo-orso.
Per tutto il tempo che impiegarono a scendere a rotta di collo verso la radura, Kat non riaprì mai gli occhi, saldamente sorretta fra le braccia di Thorin Scudodiquercia, il quale procedeva con ostinata testardaggine fra gli alberi dietro a Gandalf e davanti al resto dei suoi compagni.
Avrebbe dato tutto sé stesso per la sua salvezza. Non l’avrebbe abbandonata un’altra volta.
Quando l'orso piombò loro dietro, avanzando con ansiti e ringhi fra gli alberi, essi corsero con ancor più lena, incitati dalla promessa di morte e sofferenza dei suoi artigli. Per poco il guardiano di quei boschi non li raggiunse, ma i nani riuscirono ad infilare la porta della casa che era il riparo promesso appena in tempo: il grosso muso della bestia, con zanne affilate come lame, sbatté contro il legno massiccio della porta proprio un attimo dopo che Gloin, Nori e Bifur l'ebbero sbarrata, facendo sussultare i più prossimi all'ingresso e facendoli raccogliere tutti intorno a Thorin, pronti a fronteggiare il loro nuovo nemico ed a proteggere il loro capo ed il suo prezioso fardello.
Eppure, a discapito dei loro timori e delle loro intenzioni, i battenti rimasero saldi sui cardini e non vi furono altri colpi sulle spesse assi che lasciassero presagire il peggio. La creatura si allontanò, lasciandoli finalmente in pace, volgendo i suoi passi e la sua attenzione di nuovo all'interno del bosco, ed i superstiti tirarono un sospiro di sollievo.



continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 13
*** The Beorn's Farm ***







“Blessings divine,
moonlight saints upon us.
Blind faith we own,
sweeps away fears for all.”
[ Led by Light, Wind Rose ]




– Quindi ti sei infine decisa.. – commentò il barista, mentre finiva di lucidare i bicchieri appena usciti dalla lavastoviglie.
– Sì – Kat annuì, cercando di apparire entusiasta più di quanto non fosse nervosa in realtà, mentre guardava lo schermo del proprio piccolo netbook di seconda mano – ..è il momento buono. Non ho più un lavoro fisso dopo la chiusura del negozietto di articoli fantasy all'angolo e la padrona di casa mi ha detto che vuole vendere, così ho preso il tutto come un segno del destino.
– E dove andrai, come prima tappa?
– Canada! – annunciò con un ampio sorriso, sollevando finalmente il capo dal monitor per rivolgerlo all'uomo dietro al banco – Ho sempre voluto vedere un alce dal vivo! E i lupi, gli orsi, i castori..
Il barista scoppiò a ridere.
– Ma se lo sciroppo d'acero neanche ti piace!
Kat arricciò il naso e gonfiò le gote in un'espressione offesa.
– Non è una cosa rilevante – bofonchiò, tornando ad esaminare la mappa virtuale sul suo portatile.
Sotto il tavolino da caffé che da tre anni era divenuto il suo posto fisso, ottimo per scroccare il wifi e scambiare quattro chiacchiere con il proprietario del locale, vi era il grosso zaino coi pochi averi che si sarebbe portata dietro in quell'avventura; per lo più vestiti, documenti e qualcosa da mangiare.
Aveva lasciato i libri, i giochi ed i pochi altri elettrodomestici che si era comprata nel corso degli anni al  convento, con la promessa di tornare a riprenderseli quando avesse rimesso piede in città, ma era stata una scusa per permettere ai ragazzini di usare quegli oggetti che, nel corso del suo viaggio, sarebbero stati solo un peso. È bene che le cose continuino a venire usate da chi viene dopo di noi, piuttosto che abbandonarle su uno scaffale polveroso o uno scatolone in un magazzino, o persino in un cassonetto. Era il suo regalo personale a tutti loro ed un tentativo di farsi perdonare per il suo andarsene lontano con la scusa di voler vedere il mondo.
Aveva messo abbastanza soldi da parte per sostentarsi per un bel po' e quelli che le mancavano li avrebbe guadagnati qua e là, perciò era fiduciosa. Doveva solo trovare il coraggio di alzarsi da quella sedia di metallo ed uscire dalla porta del bar.
– Be' – la voce del barista tornò a farsi sentire – se sei davvero decisa, ti conviene avviarti verso la stazione: il tuo treno parte fra mezz'ora e con questo tempo non credo ne passerà un altro a breve.
Sollevando il capo di scatto dal computer, Kat scoccò un'occhiata all'orologio appeso al muro e convenne che aveva ragione, così richiuse il netbook e lo infilò nel suo bagaglio. Quindi indossò il giubotto e si alzò in piedi, assumendo un cipiglio fiero e deciso.
– Mi farò viva di tanto in tanto – affermò con un nuovo sorriso sornione – e ti bombarderò di foto mozzafiato. Vedrai, ti farò morire d'invidia.
L'altro accolse quella promessa con un sorriso altrettanto ampio ed un cenno del capo.
– Fatti viva sul serio ogni tanto, scroccona – la sbeffeggiò quello, ironico, in quel suo solito modo di scherzare abituale che si permettevano fra loro, prima di tornare ad un tono più serio – Ed abbi cura di te.
– Lo farò – gli assicurò lei, caricandosi lo zaino in spalla.
Uscì dal bar senza voltarsi indietro e s’incamminò sotto la neve verso la sua meta, il cuore che le batteva rapido in petto al pensiero di ciò che l'attendeva nel suo prossimo futuro. Era come aveva detto: non ci sarebbe stato momento migliore di quello per intraprendere quel suo viaggio verso l'ignoto e, se non l'avesse fatto ora, sapeva non avrebbe più avuto il coraggio di provarci. I trenta si avvicinavano in fretta, troppo in fretta, ed era determinata ad arrivarci con un bagaglio di conoscenze ed esperienze che un giorno l'avrebbero accompagnata con orgoglio e nostalgia verso la vecchiaia.
E poi, voleva assolutamente vivere un'avventura simile a quelle che aveva letto nei suoi libri almeno una volta nella vita. Una di quelle avventure che ti fanno stringere legami di amicizia che durano una vita o che, magari, ti fanno trovare il vero amore ed un luogo in cui restare e poterlo finalmente chiamare casa.
Era questo il sogno che le si agitava nell'animo.
Era questo che sperava di ottenere, intraprendendo quel suo viaggio in solitaria.
Stava attraversando con passo spedito le strisce pedonali quando venne urtata da un ragazzino intento a ridere e giocare sotto i fiocchi di neve della sera. Meccanicamente rallentò il passo per guardarlo e quella vista le suscitò un mezzo sorriso nostalgico, soprattutto al sentire la voce della madre che lo richiamava arrabbiata. Poi, lo stridio metallico dei freni di una vettura infranse l'atmosfera ed una luce abbagliante l’accecò.


Quando Kat rinvenne, l'indolenzimento delle membra era appena accennato e la sua mente era cullata da una dolce melodia. La voce profonda che la intonava era bassa e musicale e le sfiorò il petto con una sensazione struggente, la quale l'accompagnò nel risveglio.
Fu così che, dopo un leggero sospiro, con la fatica tipica di chi ha dormito a lungo, schiuse le palpebre e la prima cosa su cui le sue iridi grigio-verdi si posarono fu l'assito di legno del basso soffitto. Fasci di luce si infiltravano dorati fra esse, rendendo visibile il pulviscolo che per lei danzava nell'aria. Si trovava su qualcosa di morbido... un giaciglio di fieno; ed era coperta con qualcosa di spesso e caldo.
Quando mosse leggermente il capo con l'intento di guardarsi attorno, la pezza umida che aveva sulla fronte scivolò giù e la nenia che le aveva sfiorato rassicurante le orecchie sino a quel momento cessò. Incrociando due occhi di un azzurro talmente chiaro da apparire due gemme di ghiaccio, la ragazza socchiuse le labbra, confusa e sorpresa. 
Thorin le sorrise, un sorriso morbido, che tradiva il sollievo che gli traspariva dallo sguardo limpido.
– Finalmente sei sveglia – le disse, e la sua voce profonda non le era mai parsa tanto bella come in quel momento.
Kat lo ricambiò automaticamente, ancora intontita, troppo per esserne sorpresa.
Una parte di lei si chiese cosa ci facesse proprio quel nano al suo fianco, mentre l'altra si beò della momentanea serenità che quel semplice fatto le infondeva.
– Dove..? – tentò, riconoscendo a stento la propria voce, prima di venir anticipata sul nascere.
– Nella casa di Beorn. Hai dormito un giorno intero – le annunciò, pur senza far trapelare alcun disappunto, l’erede al trono di Erebor.
– Oh.. – si lasciò sfuggire lei, sorpresa e sollevata al contempo, la voce ancora pregna di quella nota indolente del primo risveglio – ..ce l'abbiamo fatta, allora.
– Sì – le confermò Thorin, e per un attimo il leggero sorriso sulle sue labbra si allargò – Ce l'abbiamo fatta.
Kat si ritrovò ancora una volta a ricambiarlo ed avvertì i profondi sentimenti che provava per il nano al suo fianco ridestarsi in lei, sovrastando e mischiandosi ad ogni altra emozione provata sin dal suo risveglio.
– Grazie al cielo – mormorò.
Il silenzio che si protrasse fra loro durò una manciata di secondi, durante i quali entrambi non fecero altro che guardarsi reciprocamente negli occhi e, per una frazione di tempo incalcolato, soltanto il pulviscolo danzante nell'aria intorno a loro fu complice e spettatore di quel momento unico.
Poi esso passò ed un rumore di passi pesanti, passi di Nano, distolse l'attenzione di Thorin da lei, inducendolo ad alzarsi dallo sgabello sul quale era stato seduto appena in tempo per accogliere l'affacciarsi del nipote.
– Zio, dovresti venire a mangiare qualcosa.. – era Kili, il quale un attimo dopo si accorse di lei – Kat, finalmente! Eravamo tutti così in pena.
Il giovane nano fece qualche passo avanti, affiancandosi al suo giaciglio, e Thorin dopo un istante di insolito tentennamento in cui le scoccò un'ultima occhiata, si rivolse al nuovo arrivato con il suo solito modo di fare pragmatico e pacato.
– Resta tu con lei allora e, se se la sente, raggiungeteci – si risolse, posando una mano sulla spalla del nipote.
Quello annuì con un sorriso, prima di prender posto ove suo zio era stato sino a pochi istanti prima.
Una volta seduto il franco sorriso che le rivolse la rallegrò, ritrovando in esso tutta la vitalità del ragazzo nano che aveva conosciuto a Casa Baggins e che sembrava come sfumata via durante la scalata delle montagne.
– Che buon profumo – commentò Katla, cogliendo nell'aria odore di miele e pane appena sfornato.
– Avevi ragione: il mutatore di pelle ci ha dato asilo, nonostante i dubbi di Gandalf e la fuga a rotta di collo fra gli alberi dall'orso. Ed un po' è anche merito tuo, se si è convinto ad accettare la nostra presenza: ha cambiato atteggiamento quando Gandalf gli ha parlato di te – le rivelò con un palese divertimento il suo amico, con un sorriso sornione che la diceva lunga – Ora gli altri sono di là ad ingozzarsi mentre lo stregone parla con il nostro anfitrione.. ed è grazie a Thorin se ce l'abbiamo fatta: ci ha pensato lui a portarti fin qui in braccio durante la tua incoscienza; non ti ha lasciata a nessuno di noi, nemmeno per un secondo.
Kat spalancò gli occhi chiari di rimando, avvertendo il sangue tornare ad accenderle il volto al dettaglio così incurantemente rivelatole di lei in braccio al capo della Compagnia. 
Cioè, ma davvero? 
Tipo, principessa delle fiabe?
Il cuore prese a pomparle più rapido in petto e l'adrenalina che le si riversò in circolo ebbe il potere di destarla del tutto. Allora si rese effettivamente conto di essere affamata e, pur con una piccola smorfia incerta, tentò di alzarsi. Come iniziò a sollevare il busto, ciò che la copriva scivolò giù e la ragazza si ritrovò a sgranare lo sguardo nel riconoscere la pelliccia dell'erede di Durin.
Si bloccò puntellandosi su un gomito, mentre Kili si sporgeva verso di lei per aiutarla.
– Aspetta, ti aiuto – le disse, ignorando la sua reazione e ciò che in aggiunta alle coperte si trovava lì davanti ai loro occhi. Come se il fatto che fosse stata avvolta dalla pelliccia del nano suo zio non fosse stato un fatto insolito o rilevante.
Cosa stava succedendo? Stava sognando?
Sì, era l'unica spiegazione, seppur quella teoria non stava in piedi al confronto delle sensazioni vivide che le giungevano dal suo stesso corpo. La spalla le era stata fasciata a dovere e la febbre doveva esser già scesa del tutto, lasciandole in cambio un senso di sete pungente e fastidioso.
– Ce la fai ad alzarti? – le chiese il giovane nano al suo fianco, traendola dal momentaneo stato di trance in cui era precipitata.
Voltandosi a guardarlo Kat annuì con un cenno del capo, optando per evitare di soffermarsi su certi pensieri. Ora doveva solo pensare a rimettersi in forze il più in fretta possibile per riprendere il cammino verso la Montagna Solitaria con gli altri, e la via più rapida per raggiungere quello scopo era dare nutrimento al suo corpo. Lo stomaco le borbottò in maniera eloquente, facendo ridere l'amico lì con lei.
– Sì, direi che è il caso che tu venga a mangiare qualcosa – le disse bonario il nano, suscitando in lei una nuova ondata di buon umore.
Aveva una fame spaventosa, in effetti.
Quando varcò la soglia della sala adiacente, tutti i presenti intorno al grosso tavolo posizionato al centro di questa si voltarono verso lei e Kili, accogliendoli con calore ed allegria, riservandole commenti positivi sulla sua tempra e bonari rimproveri sulla necessità di non farli più stare in ansia a quel modo.
Bilbo le fece subito posto e lei si accomodò sulla panca, non senza prima aver cercato e trovato la figura di Thorin ferma, in piedi, appresso ad una delle travi di legno intagliato che sostenevano il tetto.
Beorn, il mutatore di pelle, spiccava nella sala da pranzo spartana ancor più gigantesco di quanto si sarebbe attesa, pur tenendo conto della propria statura. Quando le avvicinò una tazza vuota davanti e la colmò di latte, senza una parola, sondandola semplicemente con quel suo sguardo nocciola, in esso ella non scorse ostilità, ma neanche interesse ed una parte di lei dubitò delle precedenti parole di Kili. Era come se le emozioni del mutatore di pelle fossero ben racchiuse all'interno di lui stesso, e lei si arrese ben presto dal cercarne, ringraziandolo con un cenno del capo prima di bere.
Alla pari di lei, l'attenzione del grosso uomo si spostò altrove, mentre camminava intorno al tavolo a cui aveva fatto accomodare i suoi ospiti inattesi.
– E così tu sei quello che chiamano Scudodiquercia – commentò con voce bassa e roca, graffiata, verso il capo della loro Compagnia.
Il diretto interessato gli riservò un'occhiata in tralice, senza rispondere nulla al riguardo, mantenendosi saldo in quella posa a braccia incrociate che tradiva tutto il suo scarso desiderio di socializzare.
– Dimmi: perché Azog il Profanatore ti sta dando la caccia?
Le sopracciglia scure e folte del nano fremettero e lui tornò a voltare la sua attenzione su Beorn.
– Tu sai di Azog..? – mormorò.
Il popolo di Beorn era stato il primo ad abitare le montagne, prima dell'arrivo degli orchi da Nord.
Mentre il mutatore di pelle parlava, la giovane donna rimase in ascolto pur dedicandosi al proprio piatto. La fasciatura le tirava leggermente quando provava a muovere il braccio ed il dolore era ancora persistente, ma non tanto da impedirle di farlo, così usò entrambe le mani per farcire la pagnotta fragrante a lei destinata e staccarne un morso. La camicia elfica che la vestiva recava ancora tracce del sangue e delle zanne del mannaro che l'avevano ferita, seppur superficialmente. Per la prima volta dopo non sapeva nemmeno lei quanti giorni, aveva i capelli castani sciolti sulle spalle, in una piega che era pronta a scommettere fosse piuttosto buffa ed inusuale a causa della tendenza della sua chioma ad arricciarsi in ampi boccoli ribelli.
Finì per arrossire, non tanto al pensiero che Thorin l'avesse vista in quello stato, ma per ciò che era accaduto fra loro poco prima e per lo sguardo che s'erano scambiati. Era letteralmente andata alla deriva in quei suoi straordinari occhi azzurro-ghiaccio ed anche ora il desiderio di riprovare quell'esperienza la stava dilaniando dentro, costringendola a lottare contro l'impulso di cercarlo nuovamente con lo sguardo.
Ormai ne era certa: quella non era solo una cotta nata da una suggestione che si era trascinata dal suo mondo; si era davvero innamorata di Thorin Scudodiquercia. 
Automaticamente, dopo tale considerazione, si chiese cosa lui pensasse di lei, come lui la vedesse arrivati a quel punto della vicenda: se come una buffa ragazzina umana ridicolmente bassa e goffa o se, magari, l'apprezzasse anche soltanto un poco. A giudicare da come si era comportato sulle Montagne Nebbiose, forse non era così sbagliato sperare nella seconda opzione.
Ricordò il terrore che le aveva attanagliato il petto quando aveva scorto Thorin riverso a terra, lo schiacciante senso di soffocamento che le aveva causato il pensiero che alla fine le cose fossero andate in un modo diverso da quelle del racconto che lei conosceva, e si ritrovò a riflettere su tutte le volte in cui era già capitato sino a quel momento.
Tale imprevedibilità l'inquietava e la preoccupava, ma in un certo senso le fece supporre che, a parte alcuni punti chiave, il destino della Compagnia di Thorin Scudodiquercia forse non era stato del tutto deciso... che forse, se era stata mandata lì, era proprio per cambiarne o plasmarne l'epilogo, in qualche modo a lei ancora sconosciuto.
Forse, si disse, poteva persino influenzare il futuro degli eredi di Durin.
Scoccando uno sguardo da dietro la fetta di pane che stava masticando, Kat si chiese se poteva davvero essere così egoista.
Poteva davvero cedere ai propri sentimenti e provare a salvare le vite di Thorin e dei suoi parenti?
Quando Beorn annunciò che avrebbe fornito loro tutto l'aiuto di cui avevano bisogno per raggiungere incolumi il limitare di Bosco Atro, Kat incrociò lo sguardo limpido del nano che così prepotentemente le era entrato nel cuore ed annuì impercettibilmente. Quindi Thorin mosse il capo allo stesso modo.
– Ripartiremo domani mattina allora, col tuo permesso ed il tuo aiuto – affermò il futuro Re sotto la Montagna, tornando a rivolgersi al mutatore di pelle.
E, dopo quel fugace momento di condivisione, con altrettanta fermezza ella cedette al proprio tormento interiore. Avrebbe cercato di impedire la morte dei Durin con tutta sé stessa, perché il pensiero di perderli tutti le straziava il cuore ancor più di quanto avrebbe fatto una lama incandescente.


La cena così generosamente offerta da Beorn era sul fuoco ed il mutatore di pelle era uscito di guardia, o per lo meno così credevano loro, giacché non si era certo premurato di dare ai suoi ospiti spiegazioni o delucidazioni sulle sue intenzioni. Si era dimostrato gentile però e Thorin si era sorpreso e ricreduto sul suo conto, soprattutto da quando aveva scoperto che quell'omone era un amante dei racconti che gli facevano dono i viaggiatori di passaggio. Così i nani avevano trascorso gran parte della giornata, chi più e chi meno, a narrare delle loro peripezie affrontate in quello ed in altri viaggi passati, e Beorn li aveva ricompensati con rinnovata ospitalità e benevolenza.
Persino Gandalf aveva fatto la sua parte, seppur per la maggior parte del tempo si fosse raccolto in disparte a rimuginare sulle sue cose da stregone e avesse scambiato qualche parola con Oin riguardo quella che era la condizione fisica di Katla.
La giovane, dal canto suo, se n'era rimasta a riposare nel fienile per un paio d'ore e Thorin non era riuscito a non passare con qualche scusa nei pressi del suo giaciglio per verificare coi propri occhi che stesse bene. La febbre però, a discapito dei timori del loro stesso nano guaritore, non si era ripresentata e Katla, dopo essersi svegliata nuovamente, aveva chiesto a Beorn il permesso di fare un bagno, necessità di cui allora si erano resi conto anche gli altri membri della Compagnia.
Così, mentre la ragazza si era lavata in una tinozza d'acqua tiepida che il loro anfitrione le aveva messo a disposizione nel sottotetto, i nani a turno si erano dati una ripulita con l'acqua del pozzo sul prato dietro casa, riempiendo coi loro schiamazzi l'aria calda del pomeriggio.
Ora, la maggior parte dei nani stava ronfando nella paglia del fienile in attesa dell'ora di cena e soltanto pochi, fra cui lo stesso Thorin, erano rimasti nella sala da pranzo di Beorn per scambiare fra loro qualche parola sul da farsi e su ciò che li attendeva nel loro viaggio. Seduto su una delle panche dell'ampio ed alto tavolo che riempiva quasi interamente la stanza, il capo della Compagnia stava confrontandosi con Balin per quanto riguardava il tempo a loro disposizione per giungere entro il Dì di Durin alla Montagna Solitaria, quando con la coda dell'occhio colse un movimento appresso al camino acceso.
Volgendo lo sguardo di ghiaccio in quella direzione, già sapeva istintivamente che quella che s'era appena accomodata su un alto sgabello appresso al focolare era Katla, ma si soffermò comunque ad osservarla mentre si tamponava i capelli color castagna con un panno e prendeva a districarne le ciocche ondulate con le dita. Indossava una camiciola di stoffa bianca dallo scollo a barca che le fasciava largamente le forme ed in vita s'era avvolta una semplice coperta, i cui lembi li aveva legati in un nodo ad altezza dei fianchi. Un lato di questa era sollevato a seguire gli arti inferiori di lei e ne lasciava intravedere la pelle chiara della gamba sinistra, il ginocchio piegato a puntellare, scalza, il piolo del suo seggio.
– Thorin?
Il nano tornò a voltarsi verso il suo amico e compagno di battaglie come se niente fosse, sopprimendo la sensazione di essere stato colto in flagrante.
– Scusami, amico mio.. stavi dicendo? – gli domandò, pacatamente.
Balin gli riservò un'occhiata velata di sottintesi, che Thorin accolse inarcando un sopracciglio ed esponendo uno dei suoi proverbiali cipigli.
– Io credo – esordì allora l'altro, per nulla impressionato – che sarebbe meglio se per oggi la finissimo qui. Parlarne ancora non renderà il resto del viaggio meno pericoloso o più rapido – affermò, abbozzando un vago sorrisetto sotto la barba folta e candida, prima di sollevarsi in piedi – Inoltre, credo ci sia qualcuno che ha bisogno di una mano fidata.
Thorin lo fissò come si guarda una persona che da' segni di follia, ma l'attimo seguente quello gli indicò con un discreto cenno del capo il caminetto in muratura e la ragazza lì seduta e lui, per contro, altalenando un paio di volte lo sguardo fra ella ed il nano, s'incupì. La parte più testarda e razionale di lui gli diceva che era una pessima idea, che non avrebbe più dovuto avvicinarsi a lei, ma l'altra, quella che risiedeva nel suo cuore, scalpitava per cogliere al volo la scusa che gli aveva offerto Balin ed andare da lei.
Con uno sbuffo scocciato, l'erede di Durin stava per ribattere al compagno che era un'assurdità bella e buona, quando la voce gioviale di suo nipote Kili raggiunse le sue orecchie e lo fece voltare nuovamente verso il focolare dall'altro lato della stanza.
– Ehi Kat, ti serve aiuto coi capelli?
Thorin vide la ragazza quasi sussultare nel sollevare lo sguardo sul più giovane dei nani.
– Ehm... ecco, io... – tentennò incerta Katla, abbozzando una smorfia piatta e scettica delle labbra.
Ma poi, l'attimo seguente, sorprendentemente lei si voltò a cercarlo ed i loro occhi si incrociarono, ed il capo della Compagnia si ritrovò ad attraversare la stanza ancor prima di aver realizzato d'essersi sollevato in piedi. Con pochi e cadenzati passi sul legno del pavimento, Thorin raggiunse i pressi del camino proprio mentre Kili, ridendo, tentava di rassicurare la ragazza sulle sue buone intenzioni.
– Non puoi biasimarla se, dopo l'ultima volta, non si fida più di voi, nipote – gli si rivolse con un'occhiata ed un mezzo sorriso bonario Thorin, interrompendo la scena ed entrando così a farne parte.
Kili, che di spalle non si era accorto di lui, nel voltarsi spalancò sorpreso gli occhi scuri, ma dopo un rapido alternare di sguardi dallo zio alla giovane donna seduta lì accanto, sollevò una mano a grattarsi la nuca con un ché di imbarazzato, ridacchiando.
– Hai ragione tu, zio – ammise, spensierato come al solito, facendo un passo indietro e rivolgendo poi a Kat un inchino formale e scherzoso al contempo – Vi lascio in mani più che capaci, mia signora, e tolgo lesto il disturbo. Vado a vedere dov'è quel pigrone di mio fratello.
E, scambiando con lei un sorriso complice, si allontanò con passo affrettato, lasciando i due in un'atmosfera che venne rapidamente pervasa da una tensione imbarazzata. La stessa tensione che si fece strada nel discendente di Durin e che lo portò a deviare lo sguardo da lei, facendogli sperimentare una strana sensazione di deja-vù. Quel disagio però non perdurò a lungo, ci pensò Katla ad infrangere il silenzio calato fra loro e ad attirarne nuovamente l’attenzione.
– Non devi farlo, se non vuoi – esordì lei di punto in bianco, la sua voce che tradiva la stessa tensione che permeava ogni suo muscolo – Sono certa che tu abbia ben altro da fare che rifarmi l'acconciatura, quindi...
Sbattendo le palpebre sorpreso, Thorin ne osservò il profilo giacché ella s'era voltata verso le fiamme e la luce danzante di queste si rifletteva sulla sua pelle del volto, sempre più arrossata.
– No – la interruppe, ancora una volta prima di rendersi conto del proprio stesso pensiero, sorprendendo sé stesso almeno quanto lei, pur conservando il proprio modo di fare pacato – Non ho altro da fare... e non è un disturbo.
I loro occhi tornarono ad incrociarsi e nell'iridi grigio-verdi d'ella egli colse un riverbero più lucido del solito, che gliele fece brillare di un'emozione profonda e senza nome, rendendogliele più belle di quanto ricordasse.
– ...allora... – mormorò Kat, abbassando nuovamente lo sguardo e lasciando incompiuto l'invito.
Ruotò un poco sullo sgabello, abbastanza da porsi frontalmente alle fiamme, e lui si spostò dietro di lei, sostando in piedi alle sue spalle ed abbassando lo sguardo sulla sua nuca. I suoi capelli erano ancora lucidi ed appesantiti dall'acqua del bagno, ma i nodi erano stati quasi del tutto districati e le onde in cui di solito essi tendevano ad arricciarsi iniziavano già a prender forma al calore del focolare. Quando, con delicatezza ed una prima titubanza, infilò le dita in quella massa setosa, la ritrovò fresca e liscia e ben presto l'odore di sapone che ne venne sprigionato risalì sino a lui, contribuendo ad infondergli una sensazione di calore al centro dello stomaco. 
Iniziando la propria opera, col crepitare del fuoco a riempire il silenzio che era calato fra loro e che era soltanto marginalmente disturbato dal ronzio delle enormi api che svolazzavano pigramente subito all'esterno della capanna, Thorin lasciò libera la mente di svuotarsi dei crucci e delle ansie che ultimamente andavano addensandosi sempre più, accantonandoli e dedicandosi soltanto a quel preciso istante della sua lunga vita. Una vita piena di ansie, doveri, peripezie e sofferenze, seppur alternate a momenti di vera felicità e spensieratezza e soddisfazioni personali, ma del tutto estranea a momenti di delicata e pacifica serenità come quello che si stava ora concedendo. Perché per una volta lasciò che il peso della propria identità quale figlio di Thrain, figlio di Thror e Re sotto la Montagna, gli scivolasse dalle spalle, lasciandolo libero di sentirsi un nano come tanti altri intento a condividere un momento di intimità con la donna che, in punta di piedi, si era insinuata prepotentemente nel suo cuore un giorno alla volta, uno sguardo alla volta.
No, non poteva più negare a sé stesso di tenere a lei, non dopo aver cantato per lei o averla tenuta stretta a sé per una notte intera, men che meno dopo aver acconsentito ancora una volta ad acconciarle i capelli. Perché, per un Nano della sua Stirpe, non era cosa di poco conto prendersi cura della chioma di qualcun altro, ed il significato profondo racchiuso in quel gesto apparentemente banale era noto soltanto al Popolo di Durin, e così sarebbe stato per i lunghi tempi a venire. Nessuno dei suoi compagni avrebbe parlato in vece sua, di questo poteva star tranquillo, giacché era suo pieno diritto tenere i propri affari per sé, specialmente quel genere di affari.
Così il silenzio fra loro si protrasse e nessuno dei due, per i minuti a seguire, lo infranse in alcun modo o diede segno di volerlo fare, giacché in esso erano racchiusi sentimenti che non avrebbero altrimenti trovato voce e di cui erano loro stessi ignari.
Quando il tempo a loro disposizione giunse al termine e Thorin, terminato il suo operato, abbassò le braccia e fece un passo indietro, una solida morsa si serrò nel mezzo del suo ventre, ma lui la ignorò con la tipica e stoica caparbietà nanica di cui era dotato sin dalla nascita.
– Finito – annunciò solamente, con voce bassa e pacata, non desideroso di turbare la quiete dell'atmosfera che s’era creata fra loro – Questa volta si scioglierà anche meno facilmente della precedente.
Katla, ancora appollaiata sullo sgabello, ruotò leggermente per scoccargli un'occhiata da sopra la spalle ed i suoi occhi brillarono del riflesso delle fiamme, il cui calore le aveva tinto le gote di un tipico e vivace rossore.
– Ti ringrazio, Thorin – gli rispose, con lo stesso tono basso e confidenziale, accompagnandolo ad un timido mezzo sorriso.
Il nano dal canto suo le riservò un ultimo cenno del capo mentre, distanziatosi di un passo dal camino, lasciava che la temperatura più bassa dell'aria circostante lo avvolgesse, riportando il fardello di cui si era momentaneamente liberato a gravargli sull'animo. Tornò ad essere il Principe Ereditario al trono di Erebor nel tempo di un respiro e, non senza un enorme sforzo, rivestì quella maschera di impassibilità e solenne distacco che, non visto, aveva lasciato cadere sino a un attimo prima.
Le volse le spalle, a lei ed al caminetto acceso dietro di lei, e senza un'altra parola tornò ad attraversare la sala. Quando passò accanto a Balin, con uno sbuffo scocciato ed un'espressione corrucciata ne sviò lo sguardo, superandolo con l'intento di uscire a prendere una boccata d'aria. Non era in grado di sostenerne l'occhiata eloquente che sapeva l’altro gli avrebbe rivolto, non in quel momento.
Così raggiunse la porta che dava sul cortile immerso nella luce del tramonto della casa di Beorn, ma posata la mano sulla maniglia non poté evitare di voltarsi a scoccare un'ultima occhiata in direzione di Katla. Si attardò un solo istante, osservando come con cautela andava tastandosi il capo e le treccine di cui era adorna la coda alta in cui egli le aveva fissato i capelli, mentre le labbra le si tendevano di un grazioso sorriso che sapeva di intima gioia e che ne abbellì il profilo in un modo a lui nuovo ed irresistibile. Sarebbe tornato sui propri passi se soltanto fosse stato meno consapevole di sé e del proprio ruolo, o dell'importanza che aveva l'impresa che andavano a compiere, ma l'accostarsi di Bilbo alla ragazza fu per lui un deterrente sufficiente a non rinnegare ogni suo proposito per un mero impulso del momento.
Così, ricacciando qualunque cosa stesse provando in un luogo oscuro e profondo di sé stesso, uscì nell'aria fresca e profumata del tramonto, richiudendosi la spessa anta lignea alle spalle con un tonfo attutito.


– Non sforzarla per una settimana almeno e vedrai che sarai come nuova – le stava dicendo Oin, mentre Kat si sistemava la fasciatura, osservandola con occhi scintillanti ed un sorriso schietto – Parola mia, è la prima volta che assisto ad un miglioramento tanto netto: il tuo corpo ci tiene proprio a guarire, ragazza!
Katla gli rivolse un sorrisetto incerto, prendendo per buone quelle parole, perplessa giacché non si era mai ritenuta così diversa da qualsiasi altro del proprio mondo, ma scelse di non commentare e prendere le parole del fratello di Gloin come un mero complimento. Quindi si ricoprì la spalla, sistemandosi la camicia bianca e tirandosi su la spallina del corpetto. Aveva dovuto, suo malgrado, rinunciare alle vesti elfiche donatele a Gran Burrone per tornare all’abbigliamento adottato all’inizio di quel loro viaggio, giacché la stoffa della camiciola degli Elfi, per quanto resistente e nuovamente pulita del sangue, era irrimediabilmente lacera e neanche Dori, il più abile fra i suoi compagni con ago e filo, aveva potuto salvarla.
Una volta ultimato di rivestirsi, ringraziò ancora una volta il nano ed imboccò la porta del fienile, uscendo all'esterno.
Una piacevole brezza le sfiorò la pelle appena mise piede sul prato, investendola degli odori della natura, insolitamente forti nella luce del crepuscolo. Il cielo, delle tinte dell'indaco e del blu, era già punteggiato di stelle ed il paesaggio intorno a lei iniziava a perdere molti dei suoi colori vivaci in favore di tonalità più cupe, pur restando vivido nei dettagli ai suoi occhi.
Puntando lo sguardo in avanti, raggiunse la staccionata che delimitava la proprietà di Beorn ed il prato in cui i suoi pony dal manto pezzato trottavano tranquilli, mentre i suoi occhi si fissarono sulla fascia d'alberi che segnava il confine della radura.
Allora, nella quiete della sera, la giovane donna inspirò a pieni polmoni, prima di emulare un lungo sospiro e godersi la pace che la natura e la consapevolezza di essere al sicuro le infondevano. Le sue labbra si delinearono di un morbido sorriso fine a sé stesso, mentre la mente tornava indietro a ciò che era gelosamente custodito nel suo cuore. Ripensò a Thorin, non poté proprio farne a meno, il quale era nella sala di Beorn a bere e rilassarsi coi suoi compagni, concedendosi uno di quei sempre più rari momenti di svago che andavano diminuendo giorno dopo giorno.
Aveva riflettuto più volte sulla propria decisione di fare tutto il possibile per cambiarne il destino ed ogni volta ne era uscita più convinta di prima, sull'andare fino in fondo. Quando aveva visto coi propri stessi occhi il Principe di Erebor in pericolo, la sua mente si era ribellata ed il suo corpo si era mosso da solo. Si era frapposta fra lui ed il nemico con una veemenza che, ripensandoci ora a mente fredda, non aveva mai sospettato di possedere e che la sbalordiva tutt’ora. Era stato come se una forza estranea si fosse impossessata di lei, acuendo ogni emozione ed annullando ogni timore per farla agire come aveva fatto. Era bastato un attimo, l’intuizione che Bilbo non sarebbe riuscito a muoversi per tempo come invece avrebbe dovuto fare, ed il suo istinto aveva preso il sopravvento.
Se non era riuscita a trattenersi in quella situazione, dubitava sarebbe riuscita a sopportare la consapevolezza della morte certa dei figli di Dìs e del loro zio, men che meno avrebbe potuto rimanere a guardare senza fare niente.
No, si ripeté per l’ennesima volta, non l’avrebbe fatto.
Sarebbe stata egoista e avrebbe agito secondo il proprio cuore.
Doveva solo trovare il modo per raggiungere i propri scopi e salvarli tutti.
Sospirò nuovamente, mentre l'ombra dell'incertezza tornava ad oscurarle l'animo, non avendo ancora idea di come avrebbe potuto fare per raggiungere un tale onirico traguardo. Neanche i suoi stessi ricordi le erano d’aiuto al riguardo, giacché la maggior parte aveva preso la forma di fotogrammi annebbiati nella sua mente, come se la trama stessa dell’opera a lei nota non fosse più la stessa… come se il tempo passato in quel mondo avesse in qualche modo influito sulla sua mente, alterando le informazioni immagazzinate all’interno della sua stessa memoria.
Era così presa dai propri pensieri che non si accorse della presenza del nano alle sue spalle finché non le comparve accanto, appoggiandosi al suo stesso modo all'asse di legno del recinto.
– La notte domina tutto il cielo ormai. Come mai te ne stai ancora qui fuori?
L'allegra voce di Kili la fece voltare di scatto a guardarlo sorpresa, ma appena ne incrociò lo sguardo birbone e distinse sul suo volto uno dei suoi soliti mezzi sorrisi, Kat non poté non ricambiarlo automaticamente, rilassandosi in pochi istanti.
– E tu? – ribatté allo stesso modo, prendendolo in giro – Dove hai lasciato il tuo inseparabile fratellone?
– Non mi dirai che è lui il tuo preferito! – esclamò Kili di rimando, con una finta espressione offesa ed esterrefatta sul volto. Una finta che non perdurò, giacché subito le sue labbra tornarono ad allargarsi ed il riso ne minò la credibilità, nonostante i suoi tentativi di sostenere il proprio gioco.
Kat ridacchiò a propria volta, prima che un colpetto di tosse esternato a modo attirasse l’attenzione di entrambi verso il suo autore: Fili si appoggiò alla staccionata dall’altro lato rispetto a suo fratello, le gote arrossate e l’aria di chi stava cercando di darsi un contegno.
– Mi pare scontato, fratellino – rispose per lei, stando al gioco e scoccando un’occhiata divertita ad entrambi – È risaputo che, dei figli di Dìs, il più avvenente e prestante sono io. Se non ci fossi io a tirarti sempre fuori dai guai, non saresti nemmeno più qui.
A quel punto il diretto interessato protestò e Katla scoppiò in una franca ed aperta risata, anticipando di poco gli altri due nani lì con lei. Quando l'ilarità generale tornò a placarsi, pur non portandosi via anche il loro rinnovato buon umore, la giovane tornò a soffermare lo sguardo verso il bosco, non riuscendo a fare a meno di scrutare fra i tronchi degli alberi che lo delimitavano.
– Sei stata pensierosa tutto il giorno – osservò il nano biondo, interrompendo per primo il nuovo silenzio, facendola voltare di nuovo a guardarlo: aveva ancora un accenno di sorriso ma i suoi occhi tradivano una certa preoccupazione – ..assente, quasi. 
– Sì – rincarò la dose Kili, sporgendosi sulla trave per attirare la sua attenzione – puoi affidarti a noi per qualunque cosa! Siamo a tua disposizione! – e l'espressione del nano più giovane acquistò una nota furbesca – Certo, sempre che ciò che ti tormenta non riguardi nostro zio.
A quell'ultima affermazione Kat, che dapprima stava iniziando ad intenerirsi, si irrigidì e spalancò gli occhi, arrossendo di botto.
– Cos..?
Kili scoppiò nuovamente a ridere e Fili scosse il capo, facendo ondeggiare la lunga chioma cosparsa di treccine, ma anche nella penombra Kat riuscì a distinguere il sorrisetto che celava sotto i baffi.
Non sapendo bene come reagire, la ragazza alternò un paio di volte lo sguardo ancora sgranato sui due discendenti della stirpe di Durin, finché non decise di averne abbastanza delle loro arbitrarie canzonature e diede una pacca sul braccio ad ognuno di loro, ridacchiando d'imbarazzo e divertimento al tempo stesso.
– Siete due disgraziati! – li redarguì, pur senza alcun tono di rimprovero.
Perché, malgrado l'imbarazzo che le suscitava l'argomento, specialmente con i due nupoti del nano che le faceva battere il cuore, Kat si sentiva quasi sollevata di affrontare l'argomento con loro. Nel corso di quel viaggio si era instaurato fra loro tre un bel rapporto d'amicizia e complicità, e lei non voleva che quell'omissione avesse la possibilità di incrinare il legame che condividevano.
Andò meccanicamente a scostarsi una cioccha dietro un orecchio prima di prendere a giocherellare con la punta, arricciandosela fra le dita.
– Chi è stato dei due a capirlo? – li interrogò, con un'occhiata di sottecchi.
I due fratelli si scambiarono uno sguardo e Fili sorrise sornione.
– Io, ovviamente. A me non sfugge mai nulla – asserì Kili, sfoggiando un'aria compiaciuta.
Suo fratello però, ovviamente, non era dello stesso avviso.
– Che razza di bugiardo! Sono stato io il primo a notare il modo in cui lei lo guardava a Gran Burrone – sbottò, contrariato, indicandosi.
Il piccolo diverbio non fece altro che accentuare il disagio che la ragazza covava nel petto, ma era anche una scena così familiare che la spinse a rasserenarsi, pur senza mitigare il suo imbarazzo.
– Va bene ragazzi, ho capito, smettetela adesso – li interruppe Kat dopo un poco di tempo, sorridendo rassegnata – ..era solo per avere una conferma.
– Comunque – esordì Fili, prendendo di nuovo la parola – volevamo farti sapere che a noi non dispiacerebbe se entrassi a far parte della nostra famiglia.
– Esatto – confermò Kili, annuendo con un ampio sorriso – ..anche se, devo ammetterlo, per noi sei quasi come una sorellina e l'idea di te e nostro zio è un po'... strana.
Sbattendo le palpebre un paio di volte Kat tornò ad alternare lo sguardo dall'uno all'altro e quando anche Fili annuì per dar man forte a suo fratello, la ragazza finì per abbozzare un nuovo mezzo sorrisetto, le gote ormai in fiamme.
– Qualcuno qui sta correndo un po' troppo – commentò, ironica, prima di lasciar spazio ad un più ampio sorriso rivolto ad entrambi – ..ma grazie. È bello che la pensiate così. Anche io tengo molto a voi.
I sorrisi dei due nani in risposta le scaldarono il cuore, così come l'abbraccio col quale la cinsero all'improvviso, stringendola in una morsa che, pur salda, non le andò a pesare sulla spalla fasciata. Come oggetto di simili attenzioni da parte dei figli di Dìs, Kat avvertì il proprio coraggio ed il proprio ottimismo rifiorire e d'improvviso il pensiero del futuro non le parve più tanto oscuro ed ineluttabile. Perché poteva davvero contare su di loro, per qualunque cosa, anche solo per un semplice abbraccio di conforto nei momenti più bui.
Restarono così per meno di un minuto e quando si sciolsero Kat avvertì l'aria fresca della sera tornare a raggiungerla, in netto contrasto con il calore che le avevano trasmesso i due nani.
– Fili, Kili – chiamò d'improvviso la voce di Gandalf, traendo il terzetto da quel momento di condivisione – ..vostro zio vi sta cercando.
I tre si voltarono ad osservare l'Istar che, con passo quieto ed il suo inseparabile bastone ad accompagnarlo, attraversava il prato per avvicinarsi a loro e Kat, dietro la sua veste grigia, notò la sagoma di un nano stagliarsi fiera sulla porta della casa. E, nonostante fosse in controluce, ella non tardò un solo istante nel riconoscere proprio il capo della Compagnia.
Sentendosi arrossire ancora una volta, mentre il cuore nel suo petto reagiva autonomamente dalla sua volontà, Kat cercò di mantenere una parvenza di naturalezza mentre salutava brevemente i due fratelli e spostava l'attenzione sullo stregone grigio, il quale non mancò di fermarsi con lei.
– Kat, vorrei parlarti un minuto, se non ti spiace – le disse Gandalf, distogliendola del tutto dalla presenza di Thorin ad una decina di metri da lei.
Sorpresa eppur ancora un poco incerta, ella annuì all'Istar, tornando a dare le spalle alla casa di Beorn. Le sembrava di avvertire ancora il peso degli occhi di diamante di Thorin su di sé e la cosa non riusciva a non metterla intimamente in agitazione, ma sapeva che non sarebbe durato a lungo e si impose l'autocontrollo.
Così decise di rivolgere tutta la propria attenzione a Gandalf, il quale le si era fermato accanto e la guardava con sguardo attento e bonario al contempo.
– È sorprendente come tu sia già così in forze: solitamente la ferita causata da un Warg[1] è quantomai problematica – commentò laconico Gandalf, deviando lo sguardo verso il bosco con noncuranza, prima che sul suo viso comparisse una nota più spensierata – ma ormai è certo che in te vi sia più di quanto non si veda dall'esterno.
Katla accolse quel complimento con un nuovo mezzo sorriso velato di gratitudine, prima di deviare a propria volta lo sguardo alla linea d'alberi oltre il prato della radura. C’era qualcosa che continuava ad attrarre inconsapevolmente i suoi occhi, che la chiamava ad un livello totalmente inconscio. La notte ormai era calata del tutto ed il cielo s'era nuovamente adornato della sua veste di stelle, avvolgendo l'oscurità d'una preziosa cornice scintillante.
– Non mi hai mai rivelato cosa ti aspetti da me, Gandalf – disse di punto in bianco Kat, interrompendo sul nascere lo stregone e scoccandogli un'occhiata in tralice dal basso della sua statura – Perché sono qui? Qual è il vero scopo della mia presenza in questa Compagnia?
L'Istar si accigliò, ricambiando il suo sguardo ed assumendo una smorfia d'insoddisfazione per la schiettezza dell'approccio della ragazza, ma lei insistette, senza farsi scoraggiare dal cipiglio altrui. Così Gandalf, dopo un momento in cui strinse le labbra sotto la folta barba, tornò a volgersi completamente verso di lei, affrontandola senza più convenevoli.
– Vi sono forze a questo mondo che esulano dalla comprensione di molti – esordì – forze invisibli, che contribuiscono a ristabilire l’equilibrio fra Luce ed Oscurità. Tempo fa, una parte di queste è venuta a mancare e si è creato uno squarcio della tela di Eru – le diede un poco di tempo per assimilare quanto dettole, prima di proseguire con cipiglio severo – ..è stato il capo del mio Ordine il primo ad accorgersene, e da allora molte cose funeste sono accadute, fra le quali, ho ragione di credere, il ritorno dell'Orco Pallido.
La ragazza inarcò un sopracciglio, incerta e confusa al riguardo, giacché non aveva mai pensato alle difficoltà cui erano andati incontro in quel modo. L’eventualità che i pericoli vissuti non fossero opera sua, ma di una sorta di equilibrio cosmico incrinato, la lasciarono interdetta per un lungo momento e Gandalf, di fronte al suo silenzio, proseguì con rinnovata bonarietà.
– Ma tu puoi porvi rimedio.
– Cosa? – Kat sussultò, sgranando lo sguardo – Come?!
– Nemmeno il più saggio dei saggi ha tutte le risposte, mia giovane amica – la appellò, assumendo quel suo tono da anziano stregone vissuto che tanto poteva impressionare chi non vi era abituato – ma c'è una cosa che credo sia giunto il momento di dirti chiaramente, ed è che hai un potere nascosto dentro di te, Katla... e temo che, prima della fine, sarai costretta a servirtene.
La giovane donna aprì la bocca in un perfetto stile a pesce lesso, presa del tutto in contropiede dall’ultima rivelazione fattale dallo stregone. Tutto ciò le suonava talmente assurdo che fu quasi sul punto di scoppiare a ridergli in faccia, ma la confusione nella sua mente era troppa perché facesse qualunque altra cosa non fosse fissarlo con occhi fuori dalle orbite.
– Potere? – ripeté meccanicamente – Quale potere? Non so di cosa tu stia parlando.
Gandalf alla sua reazione mantenne quell'aria greve assunta di proposito, ma ella distinse comunque nei suoi occhi azzurri uno scintillio di divertimento.
– Immaginavo avresti detto una cosa del genere. – affermò, prima di risponderle – Rammenti il giorno in cui ti chiesi di far sentire a Re Elrond una delle tue canzoni? – le chiese, attendendo che lei annuisse, prima di continuare – Quando l'hai fatto, per una manciata di secondi sei stata in grado di evocare una magia la cui natura si è mostrata sotto forma di una rapida folata di vento.
– Aspetta – lo interruppe a quel punto ponendo una mano avanti, talmente allibita da farsi sfuggire un mezzo sorrisetto di nervoso divertimento, giacché per lei la cosa stava rasentando l’inverosimile – ..stai dicendo che io posso usare la magia? Che ho una canzone magica o una cosa simile?!
Lo stregone grigio parve infastidito, ma pur corrucciandosi lievemente mantenne la sua aria composta e seria mentre annuiva, accogliendo lo scetticismo d'ella senza batter ciglio.
– Dopo averti osservata ed aver parlato con Re Elrond e Saruman il Bianco, ritengo non sia la canzone ad esser magica ma che tu riesca, in qualche modo, ad incanalare la tua magia attraverso la tua voce, grazie a qualche forte emozione o alla tua forza di volontà. Sospetto sia un potere legato agli elementi naturali, ma non so dirti altro, perché non se ne son mai veduti di simili nella Terra di Mezzo prima di te.
Colpita da tanta serietà, Kat richiuse la bocca e serrò le labbra in una smorfia piatta, cancellando ogni traccia di quel sorriso incredulo che s'era fatta sfuggire poco prima, mentre fissava con attenzione lo stregone di fronte a lei. La cosa migliore da fare per la sua sanità mentale era aspettare e star a sentire quanto l’Istar le stava dicendo fino in fondo e, soltanto poi, tentar di elaborare il tutto.
– Una cosa forse l'ho capita e spero ti sia di qualche aiuto, dato che non hai alcun controllo su di essa – continuò imperterrito il Grigio – ed è che, così come noi stregoni diamo forma alla nostra magia attraverso antiche formule, anche tu sei in grado di modellarla attraverso le parole.
Lei si corrucciò e la confusione che le trapelò ancora una volta dallo sguardo non passò inosservata all'occhio dell'anziano guardiano della Terra di Mezzo.
– Ad ogni modo, – aggiunse difatti, richiamando la sua attenzione e rivolgendole un nuovo sorriso incoraggiante – non è l'unica dote in tuo possesso e fin'ora te la sei cavata egregiamente, perciò ti consiglio di non darti troppo pensiero. Sono certo che, quando sarà il momento, saprai cosa fare.
Kat, pur per nulla convinta, annuì con un cenno del capo, prima di tornare a giocherellare con una ciocca di capelli che le pendeva su una spalla e deviare lo sguardo verso l'oscurità del sottobosco diversi metri più avanti.
Una sensazione di soffocamento le strinse il petto in una morsa, mentre il peso delle aspettative e delle rivelazioni dello stregone le opprimeva lo stomaco e le teneva curve le spalle.
Avvertiva il vociare allegro dei nani provenire dall'interno della casa dietro le sue spalle, mentre la distesa degli alberi racchiudeva un mondo del tutto diverso, più quieto e misterioso ai suoi sensi.
Un mondo insolitamente attraente ai suoi occhi, seppur fosse perfettamente consapevole dei pericoli celati in esso, giacché rappresentava la libertà e la leggerezza che in quel momento mancavano al suo animo in subbuglio. Un luogo appartato e silenzioso, in cui poter sbrogliare la matassa dei suoi caotici pensieri e ritrovare sé stessa.
E Gandalf parve intuire quel suo bisogno, giacché di lì a poco si congedò, non mancando di raccomandarle di andare a riposare, dato lo stato in cui verteva ancora il suo corpo. Lei annuì, ringraziandolo della premura e della compagnia, e lo seguì con lo sguardo mentre rientrava in casa, quindi con un nuovo sospiro tornò a rivolgere la sua attenzione alla selva.
Rimase lì fuori a riflettere per un tempo che non seppe mai calcolare con certezza, decidendo di rientrare soltanto quando le palpebre iniziarono a pesarle ed ella si ritrovò a combattere per tenere gli occhi aperti. Allora, seppur controvoglia, rientrò per andare a coricarsi, del tutto inconsapevole del paio d'occhi che vigili la seguirono dalle profondità della boscaglia. 


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 14
*** Mirkwood Forest ***







“The song fills the void
Of a forest black and cold
Hard to see, hard to breathe
Hard is to march for the score
We're sinking in the dark.”
[ The Returning Race, Wind Rose ]




Smontarono tutti di sella una volta raggiunto il limitare della fitta selva di Bosco Atro.
Tutti tranne Gandalf, il quale li esortò a liberare i pony come promesso, prima di annunciare che le loro strade si sarebbero divise momentaneamente. Kat non se ne sorprese molto, pur stringendo le labbra in una smorfia piatta e tesa. Si era ripresa velocemente e, grazie all'impacco che le aveva applicato Oin e nella cui preparazione Kat sospettava ci fosse lo zampino della magia di Gandalf, la spalla non le causava più molto fastidio. Presto avrebbe potuto fasciarla soltanto con delle semplici bende pulite ed aspettare che il suo corpo facesse il resto.
– Come..? Perché? – intervenne Bilbo, dando per primo voce al dispiacere e all'amara sorpresa del congedo dello stregone.
Gandalf il Grigio rivolse allo hobbit uno sguardo comprensivo quanto rammaricato.
– Non vi lascerei se non fosse necessario: ci sono delle questioni di cui devo occuparmi il prima possibile – disse, tenendo il riserbo sulla natura di tali questioni, come suo solito.
Kat non se ne sorprese, ma alternò lo sguardo da lui a lo hobbit, cercando di tenere a freno l'ansia che stava minacciando di assalirla. Anche il giovane Bilbo sembrava turbato e pensieroso, cosa di cui lo stregone si accorse, perché indugiò con lo sguardo sul suo piccolo amico ed infine scese di sella, avvicinandoglisi.
– ..sei cambiato – osservò, seppur non avesse motivo di essere sorpreso da quella verità – non sei lo stesso hobbit che ha lasciato la Contea.
– Io.. stavo per dirtelo – si giustificò Bilbo, con evidente imbarazzo ed un mezzo sorriso – ho trovato una cosa… un’altra – si corresse – nelle grotte, fra le montagne.
Kat trattenne il respiro, non realizzando subito il vero significato di quelle parole e chiedendosi se davvero lo scassinatore avrebbe confessato a Gandalf dell’anello. Poi, mentre li osservava, la susa mente elaborò quanto le orecchie avevano appena sentito e la giovane donna quasi sussultò fra sé e sé.
Un’altra?
Aveva davvero detto “un’altra”?
La confusione la travolse. Di cosa stavano parlando, proprio ora? 
Osservò Bilbo con uno sguardo più penetrante del dovuto, giacché lui se ne accorse e le rivolse un’occhiata in tralice carica di interrogativi. Il suo volto di hobbit si stava arrossando, in quei pochi secondi di indugio.
– Che cosa hai trovato? – intervenne lo stregone, calamitando nuovamente l’attenzione su di sé.
E lo hobbit tornò a sorriderle.
– Ho ritrovato un’amica.
Kat, che era rimasta in disparte fino a quel momento, non poté impedire al proprio animo di gioire né al suo stomaco di contrarsi leggermente per la commozione e la sorpresa che la colsero, giacché era evidente la sincerità dello scassinatore della Compagnia. Si ritrovò a sorridergli di rimando, non potendo frenare in alcun modo la propria soddisfazione, tanto che andò persino a posargli una mano sulla spalla in una pacca affettuosa.
– Il sentimento è reciproco, Bilbo – affermò, per poi sollevare gli occhi grigio-verdi sull’Istar.
– Bene, è davvero una buona cosa – rispose Gandalf, compiaciuto di quella notizia, prima di deviare lo sguardo sulla giovane donna – Soprattutto in quanto sono costretto ad affidarmi ancora una volta a voi due, mia giovane Katla...
Lei di rimando fece spallucce, tenendo per sé la morsa d’inquietudine che le serrò il ventre, ed abbozzò un mezzo sorriso. Da quando l’Istar le aveva finalmente accennato al motivo per cui era finita in tutta quella storia, una sottile ansia aveva preso ad avvolgerle l’animo, rendendolo più pesante.
– Non preoccuparti Gandalf, so che è una cosa importante – e quando lo stregone inarcò un sopracciglio, lei aggiunse – Non ci lasceresti, se fosse altrimenti.
Il Grigio, apparentemente convinto, sembrò rasserenarsi un poco ed annuì con un cenno del capo, prima di rivolgerle un ultimo dire: – Nel caso dovessi tardare, voi andate avanti senza di me.. vi raggiungerò allo spiazzo dinanzi alle pendici di Erebor. E un'ultima cosa.. – gli occhi grigi di lui si fissarono nei suoi, malgrado il suo dire fosse rivolto ad entrambi, e l'aria greve venne accentuata dall'ombra proiettatagli sul volto dal cappello a punta – ..non dubitate mai di voi stessi: una volta presa una decisione rimanete sul cammino che avete scelto, senza fermarvi. Il vostro cuore è più forte di quanto possiate supporre.. e, per quanto difficile da credere, non sbaglia mai.
Kat, pur trattenendo il respiro, colpita dalle ultime parole dell'Istar, annuì e Bilbo fece lo stesso quando il Grigio lo incluse con un'occhiata.
– E riguardo a te, mio caro Bilbo – esordì, abbassando leggermente il tono con un fare confidenziale – ..mi raccomando di fare un uso oculato di quell’altra cosa di cui abbiamo parlato. La magia, in qualunque forma essa si presenti, non va presa alla leggera.
Bilbo annuì mentre Katla tornava a trattenere il respiro, spalancando leggermente gli occhi per lo stupore e la confusione. Quando Gandalf, soddisfatto, raddrizzò nuovamente la schiena e si allontanò verso i pony, lei per contro serrò la presa sulla spalla dello hobbit, inducendolo a voltarsi a guardarla.
– Gli hai detto dell’anello?
La sua domanda sussurrata si scontrò con un’espressione di impacciata sorpresa.
– Sì.. – ammise, alternando lo sguardo da lei allo stregone un paio di volte, prima di tornare ad abbozzare un mezzo sorriso – Ho pensato fosse una buona idea parlarne con chi di magia se ne intende più di me.
Kat sbatté un paio di volte le palpebre, spiazzata ancora una volta dalla piega che stavano prendendo gli eventi sotto i suoi occhi, e stava ancora chiedendosi dove questa nuova via li avrebbe condotti quando la voce dello stregone tornò a richiamare l’attenzione di tutta la Compagnia.
– Tenete la mappa al sicuro e non entrate in quella montagna senza di me.
Un basso rombo di tuono in lontananza annunciò l'arrivo imminente di una nube carica di pioggia, ma nessuno di loro ci fece caso. Seguirono tutti il congedarsi dello stregone, il quale salì in sella alla propria cavalcatura mentre ancora dava loro le ultime istruzioni sul da farsi.
– C'è un ruscello nel bosco che contiene un oscuro incantesimo – li avvisò – Non bagnate nemmeno un dito nelle sue acque. Attraversatelo sul ponte di pietra. E mi raccomando: non lasciate il sentiero. L'aria stessa della foresta è pesante e tenterà di entrarvi nella mente per creare illusioni e sviarvi dalla strada.
– Sviarci dalla strada? – borbottò Bilbo, confuso.
Non. Lasciate. Il sentiero. – scandì per l'ultima volta Gandalf, ignorandolo – Se lo farete, non lo ritroverete.
Gandalf girò il pony, spronandolo al galoppo mentre Thorin, in prima fila appresso allo stregone, si voltava a propria volta verso di loro ed il Bosco Atro, pronto ad addentrarvisi.
– Qualunque cosa accada, non lasciate il sentiero! – si raccomandò un'ultima volta lo stregone, allontanandosi velocemente.
– Coraggio – esordì Thorin, attraversando il gruppo di nani e dividendolo a metà al suo passaggio – Il Dì di Durin è vicino.
Quando le passò accanto le rivolse uno sguardo della stessa durezza del diamante e Kat s’irrigidì meccanicamente, senza capire a cosa questo fosse dovuto. Corrucciandosi in volto, seguì con lo sguardo il nano senza trovare una risposta a tanta freddezza nei suoi riguardi, non dopo le premure che sembrava averle riservato fino ad un paio di giorni prima.
– Forza, Piccola Furia – l’apostrofò con tono fintamente burbero Dwalin, passandole accanto – Non farci caso: ti tiene in gran conto.
Spalancando le palpebre Kat boccheggiò, allibita da quella sorta di rassicurazione non richiesta proprio dal nano più brontolone della Compagnia, e la cosa assunse connotati che ad occhio esterno potrebbero ritenersi decisamente divertenti quando Balin, al seguito del fratello, le ammiccò, prima di imboccare la via che attraversava la foresta.
Allora la giovane donna, serrando la bocca di scatto, sentì parte del magone che le serrava lo stomaco sciogliersi in favore di una tensione diversa. L’imbarazzo le tinse le gote in volto mentre fissava ad occhi spalancati i nani iniziare ad incamminarsi in fila di due dietro al loro capo, sacche in spalla e armi a portata di mano. Quando anche Bilbo accennò a muoversi, come riavendosi da sé stessa Kat si affrettò ad andare loro dietro, sollevando il cappuccio del mantello sul capo.
Avrebbe soprasseduto sull'intera faccenda, ignorando le implicazioni delle parole d’incoraggiamento che le erano appena state donate, così come avrebbe ignorato gli sbalzi d'umore dell'erede al trono di Erebor.
Aveva cose più importanti cui far fronte, adesso.
E l’avrebbe fatto. Non sapeva ancora come, ma le avrebbe affrontate.
Per ora, si risolse, doveva solo mettere un piede davanti all’altro ed andare avanti.
Così si addentrò fra gli alberi, augurandosi soltanto di uscirne tutta intera.


L'interno dell'antica foresta di Bosco Atro era ancor più tetro di quanto Katla si aspettasse. Gli alberi erano immensi ed il muschio sui loro tronchi era d’un insolito colore bluastro, così come era scura ed antica la corteccia. L'aria stessa era pesante, seppur fresca ed umida, e Kat si ritrovò sin da subito a cercare di contenere l'inquietudine che, strisciante, stava tornando ad impossessarsi di lei al pari di un brutto presentimento.
Il tempo ben presto perse il suo significato in quella marcia monotona e la giovane donna non fu l'unica che sembrava guardarsi attorno con circospezione. Durante la seconda sosta della giornata Kat si avvicinò a Bilbo, avendone notato il comportamento insolitamente silenzioso durante il cammino, sedendogli accanto su una delle spesse radici che spuntavano dal terreno.
– Cosa ti turba, Mastro Scassinatore?
Lo hobbit, come ritornato improvvisamente al presente, si voltò a guardarla sorpreso, prima di abbozzare un vago sorriso incoraggiante.
– Credo di iniziare a rimpiangere la luce del sole – ammise, con aria colpevole.
Kat allora, ben felice di avere un’opportunità per distrarsi dai propri crucci, annuì.
– L'aria che si respira in questa foresta è soffocante – convenne, prima di volgere lo sguardo verso le fronde sopra di loro. Esse erano fitte e talmente ombrose da apparire grigiastre ai suoi occhi, nonostante il sole fosse ancora alto.
– Tu sei bravo ad arrampicarti, vero? – gli chiese dopo un istante.
Il mezz'uomo al suo fianco parve un po' sorpreso, ma poi sfoggiò un sorriso più convinto e nostalgico al contempo, mentre si sistemava il panciotto.
– In effetti, quando ero un bambino solevo salire spesso sugli alberi per giocare – le confidò, suscitando in lei un certo stupore in realtà, mentre nei suoi occhi blu passava il riflesso di un ricordo passato – e mia madre ne era costernata. Ogni volta che mi vedeva su un ramo mi ripeteva quanto fosse sciocco ed irresponsabile il mio comportamento.
Kat ridacchiò insieme a lui per la scena evocata dalle sue parole e, dopo un istante, si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, pur sorridendo ancora.
– E tuo padre?
– Bungo Baggins era un vero Baggins! – esordì Bilbo, con una nota di orgoglio che gli fece gonfiare persino un poco il petto, prima che i suoi occhi gentili tornassero a lei – Non ha mai fatto niente di inaspettato... a parte sposare mia madre, credo. Ancora ricordo quando mi raccontarono quanto scalpore fece la loro unione a Sottocolle, o di come mio nonno Mungo abbia persino minacciato di diseredare mio padre, ma lui non si è fatto intimidire ed alla fine, in qualche modo, l'ha spuntata.
Kat ascoltò avidamente quella piccola storia a lei sconosciuta e si ritrovò a sorridere a propria volta con aperto sollievo e rinnovata comprensione.
– Allora, sarà a lui che devi il tuo coraggio: se ha sposato tua madre nonostante le minacce di tuo nonno, tuo padre doveva essere davvero uno hobbit risoluto – commentò, lodandolo con una nota di meraviglia che le aveva fatto spalancare un poco di più gli occhi chiari.
Bilbo parve come preso alla sprovvista dalla franchezza di lei, ma reagì con una pacata e serena riflessività che lo portarono a piegare le labbra in una delle sue smorfie, prima di risponderle.
– Sì... forse hai ragione. Non ci avevo mai pensato sotto questo aspetto.
Lieta di quella piccola parentesi e dell'effetto che parlare con il mezz'uomo aveva avuto sui loro animi, Katla ne ricambiò il sorriso con uno aperto ed ampio dei suoi, prima che entrambi venissero richiamati da uno dei loro compagni: era giunto il tempo di riprendere la marcia.
Così, aiutandolo a rimettersi in piedi, la giovane rimase per un po' a procedere al suo fianco, in fondo alla fila, ad ascoltarne le storie di come per un bimbo fosse pacifica e tranquilla, ma anche piena di avventure, la Contea. Estasiata ed estremamente interessata all'argomento, mentre parlava con Bilbo, Kat proprio non si accorse di essere ella stessa oggetto d'interesse da parte di un nano in particolare.


Quando finalmente giunsero sulle rive del ponte che attraversava il Torrente Incantato, ebbero un'amara sorpresa: il passaggio in pietra era crollato, sbarrando loro la via. Thorin diede quindi l'ordine di attraversarlo sui rami degli alberi vicini ed i nani della Compagnia, già piuttosto provati dall'atmosfera che si respirava nel sottobosco, esitarono, mandando avanti qualcun altro in avanscoperta.
Così Katla e Bilbo, con la scusa che erano i più leggeri, furono i primi a passare da quella via alternativa e per poco non caddero in acqua durante il tragitto. Una volta tornati coi piedi per terra, la giovane donna non mancò di reggersi alla spalla dello hobbit, mentre tentava di riprendere fiato e schiarirsi la mente, e già stava cercando di pensare ad un modo diverso per far attraversare i tredici nani rimasti sulla riva opposta, quando un improvviso tonfo alle sue spalle la fece sussultare.
Voltandosi di scatto, si ritrovò ad incrociare lo sguardo penetrante di Thorin, atterrato a pochi passi da lei, e Kat si sentì rabbrividire sotto quegli occhi di diamante. La fissava come se avesse fatto qualcosa di male e la giovane si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, confusa e spaesata, prima di premere le labbra le une contro le altre ed avvertire il proprio animo ribollirle di contrarietà nel petto.
– Cosa c'è, Thorin? – gli chiese, diretta, sostenendone lo sguardo con fermezza ed un moto di ribellione.
Era da quando erano entrati in quella foresta che Thorin sembrava aver qualcosa contro di lei e, dopo quanto era accaduto nella casa di Beorn, il suo comportamento la lasciava amareggiata e quasi ferita, giacché non credeva di meritarselo. Non aveva fatto niente di male e di questo era certa, quindi se il nano aveva qualche problema con lei, che si facesse avanti e risolvessero la cosa, perché non poteva andare avanti così. Bosco Atro metteva a dura prova i suoi nervi già di per sé, senza bisogno dell'aiuto del capo della loro Compagnia.
– Dobbiamo sbrigarci – ribatté cupo e scontroso Thorin Scudodiquercia, prima di voltarle le spalle e tornare a guardare verso l'altra sponda del corso d'acqua.
Kat e Bilbo si scambiarono uno sguardo carico di interrogativi, quindi fu lo hobbit a farsi avanti.
– Thorin, credo che sarebbe meglio trovare un altro modo – tentò di suggerire lo scassinatore, senza riuscire ad ottenere l'effetto sperato.
Il Principe dei Nani neanche lo guardò, mentre gli rispondeva con la medesima nota scontrosa.
– Non c'è un altro modo, Mastro Baggins.
Quel modo di fare fece esternare una smorfia d'insoddisfazione al povero hobbit, e Kat, spettatrice del malumore del loro capo, inarcò un sopracciglio, allibita per un simile atteggiamento. Era sul punto di aprire di nuovo bocca per esternare le proprie rimostranze quando, dal fitto del sottobosco, giunse un sordo rumore di zoccoli.
Immediatamente tutti e tre si voltarono e dagli alberi sbucò un grosso cervo dal manto bruno che, muso basso e corna spianate, caricò dritto verso di loro.
Completamente spiazzata, Kat tardò a farsi da parte e fu solo grazie alla pronta reazione di Thorin che non venne travolta dalla bestia in corsa. Il nano la trasse a sé appena in tempo e lei si ritrovò senza fiato contro il suo petto, la stretta di lui ferrea intorno al suo braccio, sopra il gomito, mentre con occhi sbarrati osservava l'animale mandare Bilbo a gambe all'aria e spiccare un poderoso balzo sopra il torrente.
Esso atterrò con grazia e potenza sulla riva opposta, rischiando di travolgere allo stesso modo i pochi rimasti appresso ad essa. Bofur, inciampando, rischiò seriamente di cadere in acqua, ma fu afferrato al volo da suo cugino Bifur, che lo riportò coi piedi per terra. Con esclamazioni di vario genere i nani, lo hobbit e la ragazza osservarono il cervo scomparire nella selva e ne ascoltarono lo scalpitio di zoccoli attenuarsi in lontananza, finché un acuto verso ed uno schiocco soffocato non lo fecero cessare di colpo.
Katla, irrigiditasi in ogni muscolo, rabbrividì, e come lei molti altri della Compagnia si zittirono e si immobilizzarono, fissando ad occhi spalancati il sottobosco. Qualcosa aveva appena messo fine alla corsa di quell'animale nel modo più cruento possibile e di questo nessuno di loro ebbe dubbi, nemmeno un'inesperta ragazza di città come lei.
Poi, come riscuotendosi, Kat si divincolò dalla presa di Thorin e fece un passo avanti, mentre Fili e Kili balzavano per primi di nuovo a terra, lì accanto a loro. Lei si guardò brevemente intorno, alla ricerca del nano più corpulento della Compagnia, non vedendolo vicino agli altri.
– Dov'è Bombur?!
Un attimo dopo, come rievocato dal nulla, il nano in questione scivolò sull'acqua.
– Sono qui – vociò scocciato, i grossi baffoni rossi che si muovevano mentre parlava – ho trovato questa e, siccome sono stufo di venir sempre per ultimo, mi sono arrangiato da me.
Era salito su di una barchetta che a stento bastava a tenerlo sollevato sul pelo dell'acqua e si era messo a remare verso la sponda opposta solo con l'aiuto del grosso mestolo che da sempre si portava appresso a mo' di arma. Ed era un'arma ben strana agli occhi di Katla, che tuttavia, dovette riconoscere con sé stessa aveva trovato la sua piena utilità in quella particolare situazione.
Così rimase a fissare il grasso nano raggiungere la sponda del torrente e, con l'aiuto di Fili e Kili, tornare coi piedi per terra illeso ed asciutto, senza nemmeno una goccia d'acqua a inumidirgli i vestiti. E, con assoluto stupore della giovane intenta a fissarlo, perfettamente sveglio.
Era successo di nuovo: qualcosa di quell'avventura aveva preso tutt'altra piega rispetto al previsto, e senza che lei facesse alcunché per farlo accadere.
Katla represse un brivido d’inquietudine in fondo all'animo e deviò lo sguardo sul resto della Compagnia, i cui ultimi membri stavano raggiungendoli proprio in quel momento. Erano tutti lì, pronti a proseguire, seppur non vi fosse traccia del baldanzoso ottimismo che aveva caratterizzato i nani all'inizio di tutta quella storia.
– Kat – la voce di Bilbo all'improvviso la trasse dai propri pensieri e lei si voltò, ritrovandoselo accanto mentre la guardava con una malcelata ed incerta apprensione – ..tutto bene? 
La giovane annuì con un cenno del capo, mentre il peso che avvertiva su di sé si alleggeriva.
– Sì, grazie Bilbo – gli rispose, sinceramente grata del suo interessamento e della sua sensibilità.
Lo hobbit aveva un ottimo spirito di osservazione e, con tutta probabilità, ormai la conosceva abbastanza da leggere i suoi cambiamenti di umore meglio degli altri nani, giacché erano da sempre sulla stessa barca e nel corso del viaggio ella sentiva che il loro legame di amicizia e solidarietà s'era infine consolidato, specialmente dopo quanto accaduto fra le Montagne Nebbiose.
– In questo caso, faremo meglio a muoverci anche noi – le fece notare il suo piccolo amico, alludendo al resto della Compagnia già avviatasi lungo la stretta via lastricata.
Katla, voltandosi in quella direzione, un poco sorpresa dell'indifferenza dei più, annuì allo scassinatore del gruppo e insieme a lui si avviò dietro di loro, procedendo in un rinnovato silenzio riflessivo.
Doveva escogitare un modo per salvare la vita a quel testardo di Thorin ed ai suoi nipoti, ma c'era da dire che il capo della Compagnia non le rendeva certo le cose più facili facendo lo scontroso con lei. Che diamine gli era preso poi, ancora non l'aveva capito.
Inoltre, il fatto che Bombur non fosse caduto nelle acque del torrente era un dettaglio che non poteva permettersi di trascurare, perché questo poteva voler dire che il corso degli eventi stava differendo sostanzialmente dal percorso che lei conosceva, e l'imprevedibilità che portava con sé la preoccupava ancor di più di quanto era stato fra le vette che s'erano lasciati alle spalle.
Forse perché stavolta non c'era un aitante nano a stringerla fra le braccia, le suggerì una vocina maliziosa nella sua testa.
Scuotendo il capo per scacciare tali pensieri insinuanti e terribilmente veritieri, Kat tentò di tornare con l'attenzione a problemi più immediati, come i pericoli che in quella foresta si annidavano sottoforma di giganteschi aracnidi. Forse, se fosse riuscita a fare in modo che gli elfi silvani li catturassero prima dei ragni, almeno si sarebbero risparmiati un po' di tossine e di ragnatele in corpo.
Era così immersa nelle proprie riflessioni che neanche si accorse di quando iniziò a canticchiare fra sé e sé, a bocca chiusa, e pochi minuti dopo, mentre ancora procedeva subito dietro di lei, anche Bilbo la imitò. Quando udì la voce di lui accompagnarla, Kat gli scoccò un'occhiata sorpresa da sopra la spalla e le venne spontaneo sorridergli, mentre davano forma ad un duetto.
In poco tempo, anche i nani che la precedevano si unirono a loro e la marcia tornò ad acquistare un ritmo più celere e quasi spensierato, seppur nessuno di loro abbassò davvero la guardia mentre procedevano lungo il sentiero. E Katla si sentì orgogliosa e quasi commossa per esser riuscita ad alleggerire un'atmosfera che, sino a un attimo prima, stava minacciando di soffocare lei per prima.
Così la Compagnia di Thorin Scudodiquercia proseguì nel suo viaggio sotto le fronde di Bosco Atro, continuando la marcia finché non giunse il tempo di accamparsi per la notte.


Kat s'era allontanata soltanto di una decina di metri dall'accampamento improvvisato dei nani, quando l'oscurità intorno a lei ebbe un mutamento che ella appena distinse, nella fitta coltre del sottobosco.
Aveva appena finito di sistemarsi gli abiti che i suoi sensi si misero subito all'erta, mentre il cuore le pompava nuovo sangue ricco di adrenalina in circolo ed i capelli le si drizzavano sulla nuca. C'era qualcosa, celato fra gli alberi. Non sapeva da dove le venisse quella certezza, se dalle esperienze che aveva accumulato in quel viaggio o dal suo istinto, ma era certa di non sbagliarsi. Allora con cautela iniziò ad indietreggiare, continuando a sondare l'oscurità rischiarata dai flebili ed inconsistenti fasci di luce lunare con occhi ben aperti.
Aveva fatto soltanto pochi metri però quando, d'improvviso, andò ad urtare con la schiena contro una presenza e la tensione del momento le fece prendere un colpo. Fece un salto in avanti, ruotando meccanicamente su sé stessa, già pronta a vender cara la pelle quando si ritrovò, contro ogni suo recondito timore, a fissare la sagoma di un nano a lei ben noto.
– Thorin! – esclamò in un sussurro strozzato, col cuore in gola che stava cercando in tutti i modi di uscirle dalla trachea; dovette concedersi il lusso di inspirare due ampie boccate d'aria, prima di riuscire a parlare di nuovo, ma il tono le uscì invariato – Che diavolo ci fai qui?!
– Dobbiamo parlare – ribadì quello, impassibile e greve come di consueto, sostenendo il suo sguardo senza batter ciglio.
Quell'atteggiamento non fece altro che fomentare l'irritazione che da giorni ella provava nei suoi confronti, cosicché in tutta risposta lei drizzò di nuovo la schiena e pose ambo le mani a puntellare i fianchi in una posa sostenuta, così come era sostenuto il suo tono di voce quando tornò a parlare.
– Ah, davvero? Non credo proprio – sbottò, sempre a bassa voce per non turbare la quiete della foresta, e meccanicamente si mosse per aggirarlo e passare oltre, ma il passo le venne sbarrato dal nano.
– Katla – il tono con cui lui la chiamò era di rimprovero, così come la sua espressione era contratta nella penombra, ma Kat riuscì comunque a distinguere i lineamenti del nano ed il contorno dei suoi occhi di diamante in quell'oscurità che avrebbe dato problemi a più d'uno – non mettere alla prova la mia pazienza.
– La tua cosa? – esplose, incredula, la giovane donna, spalancando gli occhi chiari dallo sconcerto; fu a quel punto che non ci vide più e fece addirittura un passo avanti per affrontarlo, andandogli sotto a muso duro – Senti un po', Principe dei Nani dei Miei Stivali, – lo apostrofò, non riuscendo più a contenersi, mentre gli pungolava il largo petto con l'indice della mano destra – se qui c'è qualcuno che sta perdendo la pazienza, quella sono io! Sono due settimane ormai che mi consideri a malapena, che mi lanci occhiatacce in tralice e che mi tratti con freddezza, come se non fossi più la stessa persona che ha messo a rischio la propria vita per la tua! Quindi, farai meglio ad avere una buona motivazione per questo tuo comportamento da pazzo ingrato nei miei confronti, prima che io decida di riequilibrare l'ago della bilancia a modo mio!
Nel silenzio attonito che seguì lo sfogo minaccioso di lei, Thorin parve non riuscire a reagire prontamente, rimanendo a fissarla con tanto d'occhi per una buona manciata di secondi, prima che ritrovasse il proprio consueto contegno imbronciato e serioso al contempo.
– Non dimenticherò mai quel che hai fatto per noi nel corso di questo viaggio – ribatté finalmente, con una certa solennità, prima di proseguire – ma quello non ha nulla a che vedere con questo.
– Thorin, mi sto innervosendo – lo avvertì, faticando a contenere la propria furia – parla chiaro o fammi tornare dagli altri.
– Cosa c'è fra te e il mezz'uomo?
L'inattesa ed improvvisa domanda, velata di una nota accusatoria, la fece restare a bocca aperta, spazzando via tutta l'irritazione che sino a un attimo prima le aveva infuso tanta forza. Kat boccheggiò, gli occhi di nuovo sgranati nel buio, incredula per essere oggetto di un tale interrogativo da parte del capo della Compagnia.
– ...cosa?
– In questa Compagnia non c'è posto per alcun sentimento romantico – ribadì impassibile il nano di fronte a lei, perforandola con quel suo sguardo di ghiaccio – e, in quanto capo, non permetterò ad alcuna distrazione di mettere a rischio l'esito della nostra impresa.
Katla fece meccanicamente un mezzo passo indietro, tornando a porre un poco di distanza fra sé e l'erede al trono di Erebor, allibita per esser oggetto di tali congetture proprio da parte sua. Le parole di Thorin scavarono nel suo petto un solco doloroso che si colmò di indignazione e contrarietà, e che la spinse a serrare i pungi lungo i fianchi con tutta la forza che aveva.
– Bilbo è mio amico!! – sbottò, non riuscendo più a contenersi, i suoi occhi grigi che mandavano lampi all'indirizzo del nano di fronte a lei – Così come è tuo amico! Non c'è nessun sentimento romantico dietro la sincera amicizia che mi lega a lui, ma, anche se così non fosse, questo non ti da' il diritto di..
L'improvviso schiocco di un rametto che si spezza nelle immediate vicinanze fece zittire all'istante la giovane che, con un sussulto, tornò a voltarsi verso il fitto del bosco mentre, al contempo, Thorin la tirava dietro di sé e sguainava la spada.
Nel silenzio che seguì i due attesero in un'immobilità assoluta, l’uno che faceva da scudo col proprio corpo all’altra, finché, alcuni minuti dopo, entrambi ripresero a respirare.
Un’altra manciata di secondi ci volle perché Thorin, senza ancora riporre Orcrist, si voltasse a cercare Kat di nuovo con lo sguardo, ed ai suoi occhi egli tradì una certa insicurezza quando la vide tenersi la spalla fasciata con la mano opposta. Quando lui l'aveva afferrata e spostata di peso dietro di sé infatti, aveva forzato involontariamente proprio l'arto ferito d'ella.
Lei l’osservò nella penombra del sottobosco e le parve di notare una nota di rimorso nel modo in cui la guardava, cosa che mitigò gran parte dei sentimenti negativi che l'avevano pervasa sino al preciso istante in cui erano stati interrotti.
– ...sarà stato un qualche animale... – ipotizzò la giovane donna, di nuovo a bassa voce, cercando di essere ottimista.
Thorin per contro annuì, poco convinto, tornando a sondare brevemente la boscaglia prima di voltarsi ancora una volta a guardarla.
– ...come va la spalla?
Quella domanda inattesa e pacata la prese un momento alla sprovvista, abbastanza da farle abbassare buona parte delle barriere difensive che aveva eretto intorno al proprio animo da quando quella conversazione era iniziata.
– ...bene – gli rispose solamente, dopo un istante d’incertezza.
Il nano rimase a fissarla in silenzio e quei suoi occhi tornarono a scavarle l'animo ogni istante di più, in un modo che ella iniziava a detestare nel profondo di sé stessa, giacché le impediva di mantenere il pieno controllo di sé e dei propri sentimenti. Perché, per quanto potesse essere arrabbiata con lui, quando la guardava davvero, come in quel momento, ogni suo proposito di mantenere un modo di fare sostenuto vacillava.
– Mi dispiace – le disse all'improvviso, con voce cupa e bassa, di quella tonalità roca che gli aveva sentito assumere già altre volte con lei, lasciandola senza fiato – ne rimarrà una brutta cicatrice.
Ancora lievemente perplessa, Katla scosse il capo in segno di diniego.
– Non importa.
– Credevo che, fra le figlie degli Uomini, si desse una certa importanza alla bellezza.
– Tu mi trovi meno bella?
Nella pausa che seguì, la giovane donna udì distintamente il proprio cuore rimbombarle nelle orecchie mentre già si pentiva della propria sfrontatezza. Con le gote in fiamme rimase a fissare Thorin che, a propria volta, sembrava essersi tramutato in pietra, tanto appariva rigido nella notte, e ringraziò mentalmente l'oscurità che li avvolgeva e che mascherava il suo colorito. Così, insolitamente coraggiosa, attese che il nano di fronte a lei le desse una risposta, ogni muscolo teso in quell'attesa che minava il suo spirito più di quanto avrebbe fatto una qualsiasi minaccia tangibile.
– No – mormorò finalmente, dopo un tempo che alla giovane donna parve un'eternità, il Principe di Erebor – No, per niente.
Kat abbassò il capo e lo sguardo, movimento istintivo per cercare di nascondere ciò che la notte custodiva già gelosamente sul suo volto, e si ritrovò a sorridere mentre il suo cuore tornava a batterle di sollievo e felicità ed un'altra emozione, ben più forte e duratura, nel suo petto.
Dovette ricordarsi che appartenevano a due razze molto diverse e perciò con canoni estetici differenti, per ritrovare il controllo di sé e dei propri sentimenti, cosicché si scostò una ciocca di capelli dietro un orecchio prima di tornare a drizzare il capo. In quella fitta penombra che metteva in risalto soltanto alcune caratteristiche del loro aspetto, erano più simili di quanto apparissero alla luce del sole.
– Io non mi vergognerò mai nel mostrare questa cicatrice – affermò con rinnovata risolutezza – perché è la prova di cosa sono stata in grado di fare e di dove sono arrivata con le mie forze. E questo non vale solo per me: ogni cicatrice è la testimonianza delle prove che si sono superate nel corso della propria esistenza, che tu sia un uomo o una donna. Quindi, se un uomo le può sfoggiare con orgoglio consapevole, perché per una donna dovrebbe essere diverso?
La sua era una domanda retorica e la pose con un sorriso ed un tono che non avrebbero dovuto lasciare alcun dubbio al riguardo, ma Thorin non mancò comunque di risponderle, e quando lo fece la sua voce era ancora caratterizzata da quella nota roca e profonda che tanto aveva il potere di ammaliarla.
– Solitamente, una donna non scende in battaglia.
– Per difendere ciò che le è caro anche una donna non esiterà a combattere, se necessario – ribadì lei, convinta, sostenendo la propria opinione senza batter ciglio.
Non specificò che la cosa aveva una valenza particolare per lei: aveva fatto quel che aveva fatto soltanto perché si era trattato proprio di Thorin, e la cicatrice che ne era nata era qualcosa di molto simile ad un legame, per la ragazza, l'unico che avevano e che, con tutta probabilità, avrebbero mai avuto ad unirli. Vide il nano di fronte a lei sospirare piano, prima di notarne il capo muoversi in un cenno d'assenso, ma il peso del suo sguardo non la lasciò comunque finché non fu lei a sottrarsene, dandogli le spalle.
– Sarà meglio tornare – mormorò, per nulla convinta, spinta da una nuova intima agitazione dovuta alla consapevolezza che erano soli, dopotutto.
Non attese una risposta prima di avviarsi e mantenne un'andatura sostenuta anche quando alle orecchie le giunse il pesante rumore dei passi di lui alle proprie spalle. Quando raggiunsero l'accampamento, molti dei nani presenti già si erano coricati per la notte e soltanto quelli di guardia erano rimasti a vegliare sulle fiamme del focolare.
Dwalin e Bofur non mancarono di scoccare loro un'occhiata quando uscirono dal fitto e Kat si sentì avvampare un'altra volta in viso, ma con stizza si impose di mantenere un certo contegno, mentre deviava per tornare al proprio posto, accanto al piccolo hobbit. Quando si sedette sulla coperta, il mezz'uomo non mancò di donarle la stessa attenzione che gli altri due nani le avevano rivolto, cosa che la indusse a fuggirne lo sguardo interrogativo. Anche per questo la giovane si ritrovò a scoccare un'occhiata verso Thorin, il quale stava prendendo posto accanto all'amico dal capo tatuato senza una parola in replica allo sguardo insistente di lui.
La vista della sua figura illuminata dalla luce delle fiamme le strinse il cuore, ma quando, l'istante seguente, chissà per quale crudele scherzo del destino, i loro occhi si incrociarono un'altra volta, Kat sussultò e si affrettò a coricarsi sul fianco, dandogli le spalle e nascondendogli la propria espressione tesa ed imbarazzata.
Un'espressione che non mancò d’essere notata dall'amico proprio accanto a lei e verso il quale era inevitabilmente rivolta.
– Io... ecco... non so se sia il caso che dica qualcosa, nonostante sia in un certo senso coinvolto in questa faccenda, ma.. – esordì incerto il mezz'uomo, attirando la sua attenzione – ..volevo solo dirti che non era mia intenzione causare dissapori...
– Di cosa stai parlando? – gli chiese Kat, interrompendolo.
– Ehm.. – ancor più a disagio, se possibile, lo hobbit impiegò un istante per continuare, scoccandole un'occhiata fugace – ..ho sentito mentre discutevi con Thorin... in realtà credo che la maggior parte di noi ti abbia sentito, e... – sotto il suo sguardo Bilbo stava arrossendo d'imbarazzo, lo stesso che attanagliò l'animo della giovane donna mentre lo ascoltava con occhi sempre più spalancati, incredula – ...be', grazie... per avermi difeso, comunque... credo.
Katla impiegò diverso tempo per ritrovare la parola, mentre la sua mente si chiedeva quanto e cosa si fosse sentito realmente di tutta la discussione avuta con Thorin. Ancora col cuore che le batteva forsennato nel petto, alla fine annuì appena con un cenno del capo al mezz'uomo accoccolato contro la spessa radice di uno degli alberi accanto al sentiero, optando per accantonare la cosa nel modo più rapido ed indolore che conoscesse.
– Di nulla, Bilbo.
– E, se me lo permetti, vorrei darti un consiglio in quanto amico, tuo e suo... – continuò lui, in un tono basso e confidenziale destinato solo a loro che fece inarcare un sopracciglio a Katla – Dovresti cercare un altro tipo di approccio con Thorin, se vuoi averne ragione.
Lei s’imbronciò, incassando un poco il capo fra le spalle mentre abbassava lo sguardo, corrucciata in volto.
– ..mi ha fatto saltare i nervi con le sue insinuazioni – sbottò piano, avvertendo la stessa irritazione che l'aveva assalita in precedenza minacciare di riafforarle nel petto – e gliene avrei dette di tutti i colori, te lo assicuro, se ne avessi avuto l’occasione. Come se davvero potessi provare qualcosa per qualcun altro...
Non si rese conto di averlo detto davvero finché la sua voce non si spense di botto e lei, scioccata da sé stessa e dalla rivelazione appena data con tanta leggerezza, trattenne il fiato, irrigidendosi in ogni muscolo. Quando, sull'orlo di una piccola crisi di panico, sollevò lo sguardo chiaro verso Bilbo, rimase basita del franco sorriso comprensivo da lui sfoggiato. E comprese.
– Tu lo sapevi – mormorò in un soffio, non riuscendo a mitigare la propria sorpresa ed il proprio disagio – ..ma, come..?
– Mi piace pensare di aver un buono spirito di osservazione – si schernì lo hobbit, prima di fare spallucce – comunque, non credo di essere l'unico ad essersene accorto, della Compagnia.
Sotto il pressante desiderio di sotterrarsi, Katla si sollevò il cappuccio del mantello sul capo, cercando di nascondere il proprio volto in quel modo mentre al contempo lo affondava nella coperta sotto di sé con un lamento.
Era stata un'illusa nel pensare che il suo segreto fosse al sicuro, giacché non era mai stata brava a nascondere i propri sentimenti nemmeno nel suo monotono, grigio mondo, figurarsi in quello.
– Se ti può consolare, credo che quello rimasto all'oscuro della cosa sia proprio Thorin – affermò audacemente Bilbo, come a cercare di correggere il tiro.
Di fronte a quell'affermazione riparatoria, Kat tornò a scoccargli da sotto il lembo di stoffa del mantello un'occhiata in tralice.
– ...tu dici? – gli chiese, in un soffio.
Quando Bilbo annuì, lo fece in un modo che riuscì a convincerla un poco; abbastanza da indurla a non nascondere più il viso e tornare a volgersi con più sicurezza di sé verso di lui. L'occhiata supplice che gli rivolse sembrò toccare qualche corda dell'animo sensibile del mezz'uomo, giacché le abbozzò un quieto e rassicurante mezzo sorriso.
– Tu sei mai stato innamorato? – gli chiese allora lei, a tradimento, dando sfoggio alla propria curiosità, visto che ormai erano in argomento.
E Bilbo, per quanto la sua fosse una domanda assai personale per un abitante della Contea, dopo un istante di indecisione sembrò prendere coraggio e farle quella confidenza. Parlarono ancora un po' nella quiete della notte e Kat lo ascoltò narrarle delle sue fallimentari esperienze con il gentil sesso, riuscendo grazie ad esse a lasciar andare il disagio e l'imbarazzo ed ogni altro sentimento che avrebbe altrimenti turbato il suo sonno, impedendole il dovuto riposo.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 15
*** Il Dono del Lupo ***







“While the woods are all around
all the roads become the same.
Leaving memories behind
the song fills the void.”
[ The Returning Race, Wind Rose ]




Erano passati due giorni da quando Thorin aveva discusso con Kat e da allora la giovane non gli aveva più parlato, non volentieri per lo meno, cosa che lasciava il nano in balia d'un turbinio di emozioni contrastanti. Si sentiva sollevato di non dover affrontare quei suoi occhi grigio-verdi così schietti e puri, ma al contempo era frustrato d’essersi privato della possibilità di rivolgerle la parola ed ascoltare la sua voce. Ed era imbarazzato, sotto sotto, per aver inteso erroneamente che fra lei e lo hobbit vi fosse qualcosa di più di una semplice e sincera amicizia.
Se il suo orgoglio non glielo avesse impedito, avrebbe ammesso d’esserne stato geloso, ma da tempo si era ripromesso di tenerla alla larga da sé ed era determinato più che mai a mantenere quel proposito. E questo nonostante la considerasse la creatura più sorprendente che avesse incontrato durante tutta la sua lunga vita di Nano.
Perché sì, era rimasto sorpreso delle parole che ella gli aveva rivolto riguardo la cicatrice che era destinata a portare per il resto della vita. Era stato in quel momento che una parte di lui aveva capito: ella non avrebbe esitato a ripetere l'esperienza e rischiare la sua stessa vita per salvarlo ancora, così come lo avrebbe fatto un qualunque altro dei loro compagni. Intimamente, Thorin non poteva non ammirarne il profondo coraggio e la determinazione, ma se ne sentiva anche inquietato, giacché rammentava perfettamente l'effetto che gli aveva fatto il vederla in pericolo più d'una volta, finanche il rischiare di perderla. 
E lui non credeva di essere abbastanza forte per vederla morire.
Per questo motivo era così determinato a fare in modo che non accadesse ancora e questo non gli rendeva di certo la vita facile, giacché ogni passo che li conduceva sempre più all'interno di quella foresta cupa e spettrale aumentava le possibilità di imbattersi in qualunque cosa pericolosa ed a loro ignota vi dimorasse. Inoltre, le provviste stavano per finire e se non avessero presto trovato qualcosa da mangiare sarebbero stati in seria difficoltà, come se già tutto il resto non bastasse a renderlo di umore intrattabile.
Quando diede l'ordine di fermarsi a riposare, nessuno della Compagnia mancò di trovare un punto relativamente accogliente per sedersi e, nella breve pausa che il capo concesse loro, fecero un rapido inventario dei viveri a disposizione.
– Di questo passo ne avremo per altri due giorni soltanto – commentò Dwalin, con un'aria cupa tanto quanto quella di Thorin, il quale annuì.
Fu la voce di lei, ancora una volta, a richiamare la sua attenzione.
Stava ridendo con Fili e Kili e pareva che i suoi nipoti non fossero gli unici a prestarle attenzione, giacché molti degli altri nani erano voltati verso di lei ed avevano un'espressione attenta e divertita sui volti barbuti. Kat stava raccontando loro una delle storie del suo popolo, una divertente, a quanto sembrava, che possedeva il potere di distrarre i membri della Compagnia dai languori dei loro stomaci.
Un secondo dopo Dwalin tornò a calamitarne l'attenzione con una singola e diretta domanda.
– Cosa intendi fare?
Voltandosi nuovamente a sostenerne lo sguardo, Thorin inarcò un sopracciglio.
– Che vuoi dire?
– Riguardo a tu-sai-cosa verso tu-sai-chi – ribatté impassibile e vagamente cospiratorio il nano tatuato.
Malgrado i sottintesi, l'erede di Durin comprese perfettamente a cosa egli si riferisse e strinse con rinnovata tensione la striscia di stoffa del suo bagaglio, mentre serrava le labbra in una smorfia piatta. Sapeva che era inutile negare con Dwalin, lo conosceva abbastanza e non avrebbe tradito il suo rispetto tentando di negare l'innegabile.
– Proprio niente – gli rispose invece, piuttosto seccamente anche per i suoi standard, stringendo il laccio del suo zaino per chiuderlo a dovere.
– Sai bene come funzionano queste cose, Thorin – lo redarguì nuovamente il suo compagno d'armi, in un tono che aveva del rassegnato – ..non troverai un'altra nana come lei.
Fermandosi improvvisamente nel richiudere il proprio bagaglio mezzo vuoto, il nano a capo della Compagnia sollevò lo sguardo di diamante sul volto barbuto dell'altro, perforandolo con un'occhiata che avrebbe intimidito un nano con meno esperienza e carattere.
– Lei non è una Nana – ribatté cupamente Thorin, ostinato, prima di alzarsi in piedi e chiudere così il discorso.
Quindi diede l'ordine di riprendere la marcia e, meno di due minuti dopo, la Compagnia era di nuovo in cammino sotto le alte fronde degli alberi di Bosco Atro, con solo la loro caparbietà nanica e la forza di volontà a spronarli ad andare avanti.


Kat sbocconcellava con attenzione l'ultima porzione di pan di via rimastale. L'aveva conservata in fondo al proprio sacco da viaggio proprio in previsione di tempi duri come quelli, ma oramai non ne rimaneva più e lei doveva farsi bastare un unico piccolo morso al giorno, per evitare di rimanere totalmente senza cibo.
Purtroppo Bombur, col suo appetito, aveva messo a dura prova le provviste già scarse della Compagnia e Kat, come molti altri, rimpiangeva il peso delle vivande sulle proprie spalle e persino il fatto che il nano rosso non fosse caduto addormentato, come invece avrebbe dovuto. Ed era in momenti come quello che ella sentiva viva in sé la mancanza del suo mondo e delle prelibatezze facilmente reperibili al supermercato sotto casa, ma cercava di non soffermare i propri pensieri su quell'argomento, giacché avevano un effetto controproducente su di lei.
Un altro giorno  identico a quello precedente stava giungendo al termine e questo aveva fiaccato il morale anche a lei, che eppure sapeva che l'epilogo di quella fase del viaggio doveva ormai essere prossimo. O almeno lo sperava, giacché la fame e le giornate tutte uguali rendevano il trascorrere del tempo una percezione distorta ed inaffidabile.
– Sei sicura che ti basti quella sottile pagnottina rinsecchita?
La voce di Kili interruppe il flusso dei suoi pensieri e lei sollevò lo sguardo sul nano sedutole di fronte, ritrovando sul suo volto un'espressione perplessa e con una nota derisoria nella piega delle labbra. Al ché Kat abbozzò un sorrisetto identico, senza tuttavia prendersela a male per la sfiducia del nano.
– Questo è lembas elfico e, sì, un morso mi basterà – ribatté pacatamente quella mezza verità, prima di concludere con un sospiro – anche se non so cosa darei per una bella salsiccia arrostita sulle braci!
– Non me ne parlare – si inserì nel discorso Bofur, che passava loro accanto proprio in quel momento e che decise di farsi ricadere seduto a terra fra lei e Kili – Ormai non faccio altro che sognare maialini arrosto e boccali di birra, ogni notte.
– Il pasticcio di patate di nostra madre non lo batte nessuno – se ne uscì Fili, unendosi alla comitiva, abbandonandosi a sedere accanto al fratellino, talmente vicino che lo urtò e quasi lo fece volar giù dalla pietra su cui si era appollaiato.
– Ehi! Trovati un posto tutto tuo, per una volta!
Il bisticcio venne sedato sul nascere da un discreto ed al contempo incisivo schiarirsi della gola di Dwalin, il quale lanciò ai due discendenti di Durin un'occhiata in tralice talmente espressiva che quelli, come se fossero tornati all'infanzia, si immobilizzarono subito e poi si diedero le spalle l'un l'altro, imbronciati ed orgogliosi.
Katla, che era rimasta ad osservare la scena con malcelato interesse, si ritrovò a sorridere divertita, prima di donare ai nani un'occasione di distrazione.
– Uno dei piatti preferiti del mio mo.. – s'interruppe appena in tempo, correggendo il tiro – ..popolo, è costituito da una grossa focaccia fatta con la farina di grano, ricoperta di pomodoro e formaggi e qualunque altra cosa si decida di metterci sopra, quindi il tutto viene cotto insieme in un forno a legna.
– Stai parlando della pizza? – intervenne Bilbo, cogliendola totalmente di sorpresa.
Kat, sbattendo più volte le palpebre, cercò di non far vedere quanto l’intervento dello hobbit l’avesse spiazzata e annuì. Non avrebbe mai immaginato che ad Arda ci fosse qualcuno che sapesse di cosa stava parlando.
– Oh sì, non è male – si unì Dori, suscitando il consenso di qualcun altro.
– E poi.. – continuò, in preda ad un nuovo guizzo d’entusiasmo Kat, non riuscendo a mitigare il proprio sorriso sornione – ..c’è il gelato: un dolce freddo e cremoso che è l'ideale per rinfrescarsi quando fa caldo.
– Oh sì, anche noi gente della Contea lo abbiamo – intervenne allora Bilbo, calamitando l'attenzione di tutti su di sé in un modo tanto repentino che sembrò suscitargli un certo imbarazzo, prima di spiegare come erano soliti farlo gli hobbit.
Tutti lo ascoltarono ed il discorso continuò con vari interventi da parte di un nano o di un altro, e Kat si ritrovò ad apprendere deliziata quali fossero le pietanze che ognuno dei suoi compagni preferiva o non vedeva l'ora di mangiare come prima cosa, quando ne avesse avuta l'occasione. Tutti tranne Thorin, il quale se ne rimase in disparte, apparentemente troppo preso a riflettere sui suoi crucci personali per partecipare e farsi trasportare dall'argomento. Quando poi si passò dal cibo ai passatempi preferiti e si finì persino per rivangare qualche aneddoto, la giovane donna non poté più ignorare l'erede di Durin e, approfittando d’essere nuovamente passata in secondo piano, si avvicinò al nano a capo della spedizione. Senza nemmeno chiedergli il permesso gli si sedette accanto, le gote che già s'arrossavano per quell'atto audace, almeno per i suoi canoni, ma fece del suo meglio per far finta di niente e starsene dritta con la schiena, puntellando le ginocchia con ambo le mani.
– Dobbiamo solo tenere duro ancora un po' e raggiungeremo il limitare della foresta – gli disse, scoccandogli un'occhiata di sottecchi, prima di tornare a fissare con ostinazione la selva di fronte a sé.
Stava osando tanto, ma era da quando l'aveva affrontato pochi giorni prima che si sentiva inquieta nei suoi riguardi ed era in preda al bisogno irrazionale di fare qualcosa. Lui tardò un poco a risponderle, ma quando lo fece, la sua voce profonda aveva una nota che tradiva la tenace insofferenza che doveva agitarglisi nel petto.
– Questa maledetta foresta sembra non avere fine e, se non ne usciremo prima dei prossimi due giorni, saremo costretti ad abbandonare il sentiero per procacciarci qualcosa da mangiare.
Riservandogli una nuova occhiata, Kat lo vide intento a sondare con rabbia malcelata il fitto di fronte a loro, le mani raccolte in grembo chiuse a pugno, ed il cuore le si strinse in una morsa.
– Be'... sono certa che in quel caso ce la caveremmo ugualmente – tentò, abbozzando un lieve mezzo sorriso d'incoraggiamento.
Un sorriso che l'altro non ricambiò, pur notandolo nel riservarle un'occhiata in tralice, cosa che la indusse a tentare ancora.
– Possiamo sempre seguire il sole e puntare ad Est – propose ancora, prima di soccombere al peso dello sguardo altrui ed abbassare il proprio, cedendo al proprio lato timido. Quando non era arrabbiata con lui era più difficile sostenere il peso di quei suoi occhi di ghiaccio, ammise a sé stessa con una nota di stizza.
– E tu sei in grado di determinare la posizione del sole, qui sotto?
Quella domanda, dal retrogusto provocatorio, la fece corrucciare e tornare a voltarsi in sua direzione, contrariata e vagamente interrogativa.
– Certo che no – ribatté – ma basterà che uno di noi si arrampichi in cima ad uno degli alberi più alti perché possa farlo.
A quella replica Thorin inarcò un sopracciglio e, per una volta, fu lui a distogliere lo sguardo da lei. Non le concesse neanche un cenno d'assenso, ma lei capì lo stesso di averne avuto ragione e non infierì ulteriormente, non desiderando affatto rendere il capo della Compagnia più insofferente di quanto già non fosse.
– Ad ogni modo, non ne avremo bisogno se continuiamo a seguire il sentiero – aggiunse, concludendo così il discorso ed annuendo a sé stessa per suggellare quel suo proposito.
Avrebbe fatto l'impossibile per evitare ai nani di perdere la strada, perciò non aveva motivo di preoccuparsi di fare incontri mostruosi, aveva decretato con sé stessa.
Aveva appena finito di formulare tale pensiero che l'attenzione di entrambi venne attirata da qualcosa che si mosse fra gli alberi di fronte a loro: una sagoma biancastra che, con un fruscio di fronde, scomparve dietro un ammasso di cespugli.
Immediatamente Thorin balzò in piedi mettendo mano all'arco, e Kat si alzò a propria volta con una strana ed innaturale calma a pervaderla. Non sapeva se fosse la presenza del nano al suo fianco a renderla padrona del proprio sangue freddo o se fosse qualcos'altro, fatto stava che fece un passo avanti, scrutando con attenzione il sottobosco.
I suoi occhi si adattarono in fretta alla penombra, più in fretta di quanto lei stessa si sarebbe aspettata, ma l'adrenalina in circolo la aiutò ad acuire ogni senso, e si concentrò soltanto su ciò che le si estendeva innanzi ed ai lati mentre metteva mano alla spada. Thorin, alla sua destra, procedette con lei, incoccando una delle frecce che Beorn aveva gentilmente donato loro, ma non la fermò e la cosa non poté che compiacerla intimamente.
Così avanzarono entrambi, guardinghi, spaziando con lo sguardo i dintorni alla ricerca di qualunque cosa fosse ciò che avevano scorto di sfuggita. Qualcuno dei nani della Compagnia s'era accorto del cambiamento e Dwalin e Balin s’erano avvicinati di qualche passo, pronti ad intervenire in caso di bisogno.
Avevano fatto soltanto pochi passi quando un nuovo fruscio alla sinistra della giovane donna li fece voltare entrambi in quella direzione. Kat estrasse la propria lama elfica dal fodero prima che, ad alcuni metri di distanza, quell'ombra bianca uscisse allo scoperto, rivelandosi nella sua vera forma. E la giovane donna si ritrovò a scrutare la sagoma di un enorme lupo bianco stagliarsi insolitamente nitida nell'oscurità. L'animale ricambiò il loro sguardo e Katla, incrociandone gli occhi ambrati ed intelligenti, avvertì il proprio respiro rallentare ed uno strano formicolio risalirle su per la schiena. 
Era la creatura più bella che avesse mai visto, si ritrovò a pensare nell'immobilità che permeò l'aria stessa.
Il lupo aveva qualcosa fra le fauci, notò. Una preda, forse un cervo. 
Un istante dopo aver formulato tale pensiero, Kat lo vide tornare a muoversi con cautela, abbassando il muso ed adagiando a terra il suo carico. Quando tornò a risollevarlo, sempre senza perderli mai di vista, ella ne vide le chiazze di sangue che avevano imbrattato il pelo vicino alle fauci serrate.
Inarcò un sopracciglio.
Non vi era minaccia nel modo di fare della belva, non un ringhio le giungeva nel silenzio che permeava l'aria immota della foresta, e la postura non era adatta ad un attacco imminente. Non sembrava nemmeno intimorito, pur continuando a studiarli come loro studiavano lui, e quando Kat, spinta da un impulso irrazionale, fece un nuovo piccolo passo avanti, quello drizzò le orecchie in sua direzione, come se si aspettasse qualcosa da lei.
Meravigliata e perplessa, la giovane donna era talmente assorta da dimenticarsi della presenza di Thorin subito dietro di lei, cosicché finì per sussultare quando il sibilo della freccia scoccata dal nano le passò accanto all’orecchio. Sotto i suoi occhi sgranati l'asticella di legno si conficcò nel tronco subito dietro al lupo, il quale si acquattò sulle zampe anteriori e balzò via, scomparendo in un istante nel fitto della vegetazione.
La contrarietà che divampò nell'animo della giovane donna fu talmente netta e violenta da farla voltare di scatto verso il nano, serrando i pugni lungo i fianchi.
– Che diamine ti è preso? – sbottò, riversandogli uno sguardo carico d’accusa – Sei impazzito?!
– Cosa è preso a te, piuttosto! – ribatté altrettanto infastidito Thorin, ricambiando il suo sguardo con uno altrettanto penetrante – Volevi farti ammazzare?
– No, certo che no!
– Non si direbbe!
– Come, scusa?!
– Perché la prossima volta non ti getti disarmata in mezzo ad una banda di Orchi? Sono certo che in quel caso avresti più possibilità di rimetterci la pelle!
Kat boccheggiò, allibita, mentre scrutava da capo a piedi la figura di Thorin Scudodiquercia come se fosse la prima volta che lo vedeva. Era rigido quanto lei e la fissava con biasimo ed una rabbia malcelata che non fecero altro che istigarla a ribellarglisi.
– Quel lupo non era una minaccia! Non ci avrebbe attaccati! – ribadì, drizzando le spalle e sollevando orgogliosa il mento, ma questo non provocò altro che uno sbuffo ironico nel nano di fronte a lei.
– Come fai a dirlo?
– Non lo so, – gli rispose decisa, giacché davvero non era in grado di spiegare a cosa fosse dovuta la sua certezza – però è così!
– Certo – fece quello, sarcastico, prima di deviare lo sguardo da lei ed indirizzarlo ai due nani nei pressi, incrociando gli sguardi di Dwalin e Balin mentre aggiungeva – ..non potevo aspettarmi nient'altro da una donna.
Katla trasalì pur non volendo e quell'ultimo commento sprezzante la ferì più di quanto avrebbe mai creduto, tanto da costringerla ad aggrapparsi con la mano sinistra alla stoffa del proprio mantello, poco sopra il cuore. 
Alla fine lui l’aveva ammesso, di considerarla insufficiente.
Non sarebbe mai stata abbastanza per il grande Thorin Scudodiquercia.
– Io sarò anche una donna – esordì, la voce bassa e più cupa di quanto le fosse mai uscita, pregna di un'amarezza che le faceva dolere le corde vocali – ma riesco ancora a vedere oltre il mio naso, a differenza di un nano di mia conoscenza!
Non gli lasciò nemmeno il tempo di replicarle qualcosa che si voltò, uscendo a grandi passi dal sottobosco e tornando senza più guardare nessuno in volto al proprio giaciglio. Si chinò ad afferrarlo con foga e, senza una parola di più, lo spostò nel punto più lontano dello spazio adibito ad accampamento, prima di avvolgersi nella propria coperta e rannicchiarsi contro le radici dell'albero vicino, dando la schiena al resto della Compagnia.
I nani, che non avevano mancato di seguirla con lo sguardo, non osarono chiamarla o porle alcuna domanda e anche dopo che l'ebbero vista prendere le distanze da tutti loro si lanciarono occhiate perplesse e preoccupate ed alcune cariche persino di un certo disagio. Fu soltanto quando il primo singhiozzo soffocato li raggiunse che, senza nemmeno bisogno di farsi un cenno, Fili e Kili si sollevarono in piedi all'unisono e, dopo aver recuperato i propri bagagli e le coperte, si affrettarono a raggiungerla.
Le si sedettero accanto, uno per lato, e non vi fu bisogno di parola alcuna: Kat finì per rannicchiarsi contro di loro, affondando il volto nella casacca di Kili mentre scioglieva il nervoso in copiose lacrime, aiutata dalle carezze premurose di Fili sul capo castano.
E nonostante la distanza a separarli, quando Thorin tornò appresso al fuoco con la selvaggina aiutato da Balin, Fili gli rivolse uno sguardo colmo di biasimo che egli non riuscì a sostenere, sviando il proprio e mollando la carcassa di quella che era stata una giovane cerva dal pelo marroncino a terra. Dopodiché, dati un paio di secchi comandi su cosa fare di quella carne, tornò al proprio posto di guardia.


Quello che venne definito, malgrado i pareri discordanti, il Dono del Lupo, diede da mangiare a tutti e quindici i membri della Compagnia di Thorin per una sera soltanto, ma era stato sufficiente a riempire loro le pance abbastanza da rendere il loro sonno più profondo di quanto altrimenti non sarebbe stato, coi crampi della fame a tormentarli.
Il giorno seguente Fili e Kili rimasero appresso a Katla tutto il tempo, camminando subito dietro di lei e Bilbo, che dal canto suo sembrava aver accolto il fare apprensivo dei due giovani nani con filosofica rassegnazione. Il suo definirli pari a due mamme chiocce aveva fatto ridere Kat, che eppure si sentiva grata delle premure dei nipoti dell'erede di Durin e ne apprezzava la vicinanza, soprattutto da quando, a metà giornata, aveva iniziato a notare la comparsa di una serie di spesse ed appiccicose ragnatele sui tronchi degli alberi che costeggiavano il sentiero.
Eppure, nonostante i tentativi dei suoi amici di rinfrancarla, la giovane donna non parlò molto, chiudendosi invece in sé stessa, ed anche Thorin conservò un umore piuttosto cupo e scontroso, cosicché la Compagnia si ritrovò in mezzo a due fuochi di malumore che ne alimentava la tensione.
Una tensione che sfociò quando, a metà pomeriggio, un'esclamazione angosciata si levò fra loro.
– Dov'è finito? Dov'è il sentiero?!
Era stato Ori a parlare ed immediatamente l'agitazione si diffuse come un'onda di marea fra i nani. Persino Katla e Bilbo si scambiarono un'occhiata, prima di voltarsi di scatto e guardarsi attorno alla ricerca della via perduta, ma niente. Ai loro occhi il sottobosco pareva uguale in ogni direzione ed il terreno non recava effettive tracce di alcuna strada precedentemente edificata da mano umana, elfica o nanica che fosse. 
Immediatamente il battito del cuore di Kat si fece più rapido, mentre udiva Thorin dare l'ordine di ritrovarlo ad ogni costo. Fu per questo che, finalmente, la ragazza cedette all'impulso e si fece avanti, andando incontro al capo della Compagnia.
– No, Thorin, è inutile: non abbiamo speranza di ritrovarlo – esclamò attirandone l'attenzione, e come i loro occhi si incrociarono ella serrò le labbra in una linea sottile, giacché vide subito sul suo volto barbuto una ben nota espressione contrariata – Dobbiamo continuare a muoverci, prima che sia tardi.
– Come fai ad esserne certa?
– Non ricordi ciò che ha detto Gandalf? – ribatté lei, serrando i pugni lungo i fianchi e tentando di mantenersi calma di fronte a lui – Una volta smarrito il sentiero, ha detto chiaramente che non lo avremmo più ritrovato.
– E allora cosa dovremmo fare?
– Come ti ho già detto ieri – gli rispose, stizzita, indicando il resto della Compagnia dietro di loro che li fissava discutere senza osare intervenire – qualcuno dovrà salire su uno di questi alberi e ritrovare il sole, soltanto a quel punto potremmo capire da che parte è l'Est e dirigerci in quella direzione.
Fu a quel punto che un timido Bilbo si fece avanti.
– Posso farlo io, se pensate sia necessario.. – si offrì volontario, calamitando l'attenzione di tutti.
Intimamente sorpresa per l'iniziativa presa dallo hobbit, in quanto mai prima di allora si era offerto volontario per una missione d'avanscoperta, Katla finì per scambiare una nuova occhiata con Thorin, il quale parve condividere con lei una malcelata sorpresa. Poi il momento passò e lui tornò ad assumere quella sua aria greve e seriosa.
– Va bene – concesse, la voce profonda nuovamente pregna di una calma controllata – ci affideremo a te ancora una volta, Mastro Baggins.
– Fa' attenzione, Bilbo – si raccomandò Kat, non riuscendo a trattenere la propria inquietudine, perfettamente consapevole che ormai si trovavano all'interno del territorio dei Ragni Giganti di Bosco Atro e che il rischio di venire attaccati era elevato.
Così lo scassinatore, aiutato da Dori e Nori a raggiungere i rami più bassi di uno degli alberi più alti dei dintorni, iniziò la sua ascesa e Kat si ritrovò a serrare la posa conserta delle braccia dal nervosismo mentre teneva il naso all'insù, come tutti gli altri. Eppure lei non cercava con lo sguardo Bilbo come invece facevano i suoi compagni, ma eventuali ombre sospette fra le fronde, non riuscendo ad impedirselo. Sapeva che il pericolo era in agguato sopra le loro teste.
Soltanto quando, inaspettatamente, la mano di Thorin le si serrò salda su una spalla e le infuse attraverso di esso nuovo calore e fermezza, ella riuscì a rilassarsi ed a pensare più lucidamente. E, per quanto, fino ad un attimo prima, potesse essersi sentita offesa ed arrabbiata nei suoi confronti, con quel gesto egli spazzò via ogni sua reticenza ed ai suoi occhi tornò ad essere il nano affidabile e premuroso che aveva imparato a conoscere nel corso di quel loro viaggio.
Le venne naturale cercare la mano di lui e posarvi sopra la propria, stringendo lieve le dita sulle sue, e nessuno dei due ebbe bisogno di abbassare lo sguardo per suggellare quel momento di intimo sostegno reciproco.
Perché Kat in fondo lo sapeva che, per quante volte si scontrassero l'un l'altra, alla fine avrebbe sempre potuto fare affidamento su Thorin Scudodiquercia.


Malgrado le precauzioni suggerite da Katla, dopo ore di cammino la Compagnia si rese conto di star girando in tondo, giacché incapparono in un porta-tabacco nanico terribilmente simile a quello di Nori. Così simile che il nano in questione controllò le proprie tasche, rendendosi conto di averlo perso solo in quel momento.
E le cose andarono soltanto peggiorando quando, calato il buio, quel tratto di foresta si risvegliò ed i richiami delle creature che l'abitavano indussero i nani al silenzio ed all'attesa nell'oscurità quasi totale. Quella sera, stremati ed irritati, consumarono le loro ultime provviste senza neanche accendere il fuoco e anche così non riuscirono a mitigare la fame dei loro ventri, che finì per tenerli svegli la maggior parte del tempo, cosicché quando giunse il mattino esso li trovò anche più di malumore di prima.
Era l'alba e stavano già per rimettersi in marcia quando, in lontananza, fra gli alberi, giunse un latrato di cani ed un’eco, come d’un corno da caccia. Allora tutti loro si misero in ascolto, cercando di determinare da quale direzione fosse giunto, e finirono per discutere ancora una volta sul da farsi.
Kat infatti era del parere di provare a chiedere l'aiuto degli Elfi del Reame Boscoso, mentre Thorin e molti altri della sua stirpe erano dell'avviso opposto. Erano ancora intenti a parlarne in toni sempre meno pacati, quando un grido di allarme si levò in avvertimento.
Il primo ragno si lasciò ricadere dagli alberi proprio addosso a Oin e Gloin, incontrando così una rapida fine ad opera delle loro asce. Subito dopo ne seguirono molti altri e Kat, pur assalita da un terrore nuovo e strisciante, sguainò subitaneamente la propria spada.
Combattendo al meglio delle proprie possibilità mozzò due delle otto zampe della prima creatura che le arrivò abbastanza vicina e trafisse con la piccola lama elfica l'addome di un altro che stava addosso a Bofur, il più vicino a lei, prima che il capo dei nani desse l'ordine di fuggire. Allora corsero per il sottobosco, combattendo per farsi strada in quel loro tentativo di sottrarsi all'accerchiamento, e la giovane ebbe a malapena l'illusione che, forse, ce l'avrebbero fatta, quando cadde.
L'ultima cosa che i suoi occhi videro fu il tentativo di Fili e Kili di raggiungerla prima che venissero bloccati da uno degli aracnidi giganti, e sentì qualcuno nella cacofonia generale chiamare il suo nome, poi una fitta alla schiena la fece sussultare e tutto intorno a lei si fece di tenebra.


Quando Thorin rinvenne, riportato alla realtà da una presenza che stava tranciando le spesse ragnatele che lo avvolgevano come in un bozzolo, non fu mai così felice di rivedere il volto del loro piccolo ed intrepido hobbit come in quel momento.
Una volta libero grazie all'operato di Mastro Baggins, i versi sibilanti dei ragni che si muovevano sui rami soprastanti gli fecero subito mettere mano ad Orcrist mentre, al contempo, passava in rassegna i propri compagni. Ognuno di loro aveva frammenti di ragnatela appiccicati addosso e gli ultimi stavano uscendo in quel momento, aiutati dagli altri, dalla tela vischiosa in cui erano stati avvolti.
Gli venne spontaneo cercare lei con lo sguardo, rammentando perfettamente di averla persa di vista mentre tentavano di scampare all'assalto delle malvagie creature, ma non la vide ed il suo cuore si strinse in una morsa d'inquietudine.
– Thorin! – la voce di Balin, allarmata, lo richiamò, e lui si voltò alla propria destra, trovando il nano chino su un fagotto di ragnatele insieme a Bilbo.
Immediatamente balzò in quella direzione, raggiungendoli con un paio di falcate, e quando abbassò lo sguardo vide che, all’interno di quel bozzolo che i suoi compagni stavano celermente stracciando con l'aiuto delle loro lame, vi era proprio Katla.
– Non si sveglia – annunciò il mezz'uomo, senza riuscire a mascherare la preoccupazione nella propria voce, né nello sguardo che gli rivolse.
– Dev'essere per la sua corporatura: è più esile della nostra, le ci vorrà più tempo per smaltire gli effetti del veleno – considerò Balin, calmo ma affrettato nell'esporre il suo punto di vista.
Thorin, sollevato, non poté che annuire alla spiegazione dell'amico, andando a scoccare una nuova occhiata al resto della Compagnia, che stava già raccogliendosi fra gli alberi. Kili scoccò una freccia verso i rami più alti ed un attimo dopo un urlo straziante infranse la quiete. Una serie di scricchiolii culminanti con un tonfo anticiparono la caduta di un gigantesco ragno predatore privo di vita.
– Dobbiamo andarcene – sentenziò, greve, l'erede al trono di Erebor, prima di chinarsi a raccogliere da terra il corpo della giovane. Se la mise in spalla e, con l'altra mano ancora stretta sull'impugnatura della propria spada, non dovette nemmeno dare l'ordine perché la Compagnia si mettesse di nuovo a correre fra gli alberi.
– Non vi fermate! – li spronò comunque Thorin, guidandoli nel sottobosco mentre lui per primo si apriva la strada con l'aiuto di Orcrist.
Corsero e combatterono per un tempo indefinito al capo della Compagnia, la cui percezione era distorta dall'adrenalina che gli scorreva copiosa nelle vene e lo spingeva ad andare avanti, determinato a raggiungere per sé ed i suoi la salvezza, ignorando la fatica e la propria debolezza. Spalleggiato da Dwalin e Balin che gli coprivano i fianchi, Thorin poté concentrarsi soltanto sulla via di fronte a sé ed i nemici che lo assalivano da quel fronte, cosicché gli fu meno difficile combattere trasportando con sé la ragazza.
Avevano percorso alcune centinaia di metri sul terreno cosparso di foglie secche, quando un grosso ragno si calò dai rami e si mise sul loro cammino, e Thorin rallentò soltanto perché consapevole di non potersi lanciare addosso alla creatura senza rischiare che Kat venisse ferita, ma nessun nano fece in tempo a fare una mossa che una freccia andò a piantarsi vibrante in mezzo agli occhi dell'aracnide. Il sibilo di morte di questi ne anticipò molti altri e la Compagnia si arrestò al centro di un avvallamento, raccogliendosi attorno al suo capo appena in tempo per vedersi costretti all'immobilità da una cospicua serie di punte di freccia puntate ad un palmo dai loro volti.
Persino Thorin, posto dinanzi a quella minaccia, trattenne meccanicamente il respiro ed ogni muscolo gli si tese mentre la presa sul corpo della ragazza si faceva più serrata. 
– Non muoverti, se ci tieni alla vita, nano – gli si rivolse sprezzante l'elfo che lo teneva sotto tiro.
Era di sangue Sindar, diverso dalla maggior parte dei suoi guerrieri, con capelli biondissimi ed iridi azzurre, e non gli ci volle più di un rapido sguardo per comprenderne il ruolo di capo di quel drappello di Elfi Silvani.
Thorin ne ricambiò l'occhiata fredda e minacciosa con una altrettanto penetrante, ma fu abbastanza saggio da fare come dettogli e non muovere un muscolo, cosicché quella sfida di sguardi si protrasse fra i due per una manciata di secondi, finché dal corpo che egli ancora reggeva sulla spalla non giunse un lamento.
Quel suono fu la causa di un nuovo picco di tensione, eppure anche di un'ondata di sollievo nell'erede di Durin, giacché era la prova che Kat era viva e stava riprendendosi. Diverse corde mandarono un sommesso cigolio, segno che venivano tese ulteriormente, ma a quel punto Thorin tornò con lo sguardo sull'elfo che lo stava ancora fronteggiando.
– Posala a terra – gli ordinò quello, impietoso.
L'animo del nano si ribellò al pensiero di dover lasciare la giovane donna, ma gli bastò una sola parola di Balin per convincerlo a collaborare.
Adagiò con cautela Katla sul terreno, quindi fece un passo indietro e venne spinto a raggiungere il resto dei suoi, che già era stato spostato in un punto più aperto del sottobosco e stava venendo perquisito, sotto il tiro degli arcieri.
Li privarono di ogni arma in loro possesso, ma durante la loro perquisizione Thorin non fece altro che tener d'occhio Kat e l'elfo che era rimasto accanto a lei per esaminarne brevemente le condizioni. Un'altra elfa gli si accostò ed entrambi si scambiarono qualche parola nella loro lingua, prima che la giovane donna ai loro piedi accennasse a muoversi. Fu solo un lieve movimento del capo, ma subito entrambi si chinarono su di lei e la femmina le sfiorò la pelle del collo con un rapido gesto di una mano.
L'istante dopo gli occhi di Katla parvero infine schiudersi ed una smorfia le piegò le labbra, prima di venire offuscata da un'espressione confusa.
– ...Legolas?
La flebile voce di lei giunse a malapena alle orecchie del nano, che eppure la colse, e fu ancor più chiara a quelle degli Elfi, perché il biondo tradì una nota sorpresa e la sua compagna d'armi lo fissò come se avesse delle spiegazioni da doverle.
Persino Thorin, che eppure non era del tutto certo di ciò che aveva udito, cercò di prestare più attenzione a quanto stava accadendo ad un paio di metri da lui.
– Come conosci il suo nome? – la interrogò nella lingua corrente l'elfa dalla chioma ramata che era rimasta lì accanto.
– ..io.. – iniziò Kat, la voce ancora bassa e graffiata, prima che tutto il suo corpo venisse scosso da un singulto e lei venisse assalita da un primo colpo di tosse. Un secondo dopo era riversa carponi mentre vomitava l’anima, tenuta ovviamente sotto tiro, preda di una nausea che doveva essere dovuta agli strascichi delle tossine che aveva ancora in corpo.
Nessun elfo la aiutò e quando Thorin accennò ad un passo in quella direzione si ritrovò una lama a premergli sul petto, in un silenzioso e tangibile diniego, cosicché dovette fare da semplice spettatore mentre Katla riversava sul terreno sotto di sé la bile del suo stomaco vuoto.
Legolas si lasciò sfuggire una smorfia disgustata, ma le permise di sfogare la nausea finché finalmente ella non riuscì a riprendere il controllo delle proprie viscere, e soltanto dopo la fece rimettere in piedi, non senza difficoltà.
– Portateli via – ordinò ai suoi, tornando a posare gli occhi chiari su Thorin.
Il nano ne sostenne ancora una volta l'occhiata gelida, prima di venir costretto a muoversi dietro agli altri suoi compagni. Avevano appena intrapreso la marcia quando Bofur gli comunicò a mezza voce la mancanza di Bilbo, ed allora una piccola fiammella di speranza tornò ad accendersi nel petto dell'erede di Durin, scacciando il cupo sudario che aveva avvolto il suo spirito.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 16
*** Woodland Realm ***







“Once they held the fury on a storm,
now the warriors are lying in a cold, dark abode.”
[ Under the Stone, Wind Rose ]




La Compagnia venne condotta al Reame Boscoso di Sire Thranduil e la maggior parte dei nani venne rinchiusa in celle scavate nella roccia, nelle immense caverne che erano la dimora del popolo degli Elfi.
Kat ebbe una prigione tutta per sé, ma questo non la rinfrancò affatto e soltanto quando venne portato loro da mangiare e da bere ella iniziò a sentirsi meglio… almeno fisicamente. Il posto era angusto e la luce proveniente dall'esterno appena sufficiente per distinguere le pareti sul fondo della propria prigione, ma Katla si lasciò sfuggire un gemito sconsolato non appena si rese conto che il buco nel pavimento, nell'angolo più lontano, era tutto ciò che le sarebbe stato concesso come bagno.
Si accasciò sull'unica panca in pietra, emulando un sospiro sconsolato che riecheggiò sulle pareti intorno a lei, e si piegò in avanti, prendendosi il capo fra le mani mentre la testa tornava a vorticarle di pensieri e ricordi recenti, la sua mente preda della necessità di elaborare quanto accaduto e la situazione in cui si trovava.
– Non ci credo che devo farla in un buco – si lagnò, non riuscendo a trattenersi dall'esprimere il proprio dissenso a parole.
– Almeno tu ne hai uno tutto per te, Piccola Furia.
Era stato Kili a riportarla alla realtà con la sua caratteristica voce intrisa d'ironia.
– Kili... dove sei? – esclamò la ragazza, tornando a rimettersi rapidamente in piedi e accostandosi alle sbarre.
– Proprio qui accanto – le rispose il nano.
Quelle parole provenivano dalla sua sinistra e Kat comprese che vi era un'altra cella attigua alla sua.
– E Fili?
– Sempre qui – le giunse la voce del nano biondo, priva di entusiasmo.
La giovane donna si ritrovò a sorridere, un poco più sollevata di aver qualcuno con cui parlare nei giorni di prigionia che sapeva attenderli da lì in poi; quindi si chiese dove fossero gli altri nani. Quando, con voce chiara, pose la domanda ad un tono mediamente alto, le risposte le giunsero da vari punti dell'ampia caverna in cui erano state collocate le prigioni ed ella riuscì a farsi un'idea della posizione di ogni nano, tutti tranne uno.
– ...e Thorin? – chiese.
– È stato portato dal Re degli Elfi – le rispose la voce di Balin, proveniente da un punto imprecisato sopra la sua testa.
Bastò quella notizia a far sfumare una parte del buon umore della ragazza, che si chiese meccanicamente come sarebbero andate le cose: se avrebbero seguito il corso che si aspettava o se avrebbero preso tutt'altra strada. Eppure non dovette attendere molto perché tale quesito trovasse risposta, giacché meno di venti minuti dopo un paio di guardie sfilarono dinanzi alla sua cella, scortando il capo della Compagnia. Le bastò uno sguardo alla sua espressione corrucciata per capire che no, le cose non avevano preso alcuna piega inaspettata e si erano svolte proprio come da copione.
Sospirò, abbandonandosi contro le inferriate, quindi si lasciò scivolare seduta sul pavimento roccioso, poggiando il capo all'indietro e chiudendo gli occhi in un momentaneo stato d'abbandono. Era stanca e la testa le doleva, per non parlare della spalla: da un paio di giorni aveva ripreso a pulsare, sebbene la ferita si fosse ormai quasi del tutto rimarginata, ed ora che era in un momento di relativa quiete la cosa le causava un certo fastidio.
Stava per abbandonarsi ad un pacifico torpore, la mente alla deriva, quando alle orecchie le giunsero le voci di Thorin e Balin che parlavano dell'esito dell'incontro con Re Thranduil. La voce aspra dell'erede al trono di Erebor le provocò una smorfia di insoddisfazione e, forse proprio a causa della stanchezza che si sentiva addosso, forse per il mal di testa, parlò a tono un po' troppo alto.
– Sarebbe bastato dargli quel che voleva, per una volta...
Il silenzio che seguì durò poco, perché fu proprio Thorin a risponderle.
– Non scenderò a patti con un traditore del mio popolo e non intendo concedergli una sola moneta del tesoro che è nostro di diritto – risuonò, dura, la voce del nano sopra di lei.
Kat drizzò il capo di scatto e si morse la lingua, maledicendosi per quel momento di distrazione, ma poi reclinò la testa di lato, optando per non tirarsi indietro, per una volta.
– E perché? Che ve ne fate di qualche gemma bianca, con tutto l'oro che c'è in quella montagna?
Nuova pausa di silenzio.
– Come fai a sapere delle gemme?
E Katla tornò a mordersi la lingua, scuotendo il capo castano in un moto di auto-commiserazione. Non lasciò che passassero più di un paio di secondi tuttavia, prima di rispondergli con più fermezza di prima.
– So' parecchie cose, finanche sui popoli della Terra di Mezzo, ricordi? È per le mie conoscenze che sono diventata un membro di questa Compagnia.
La spiegazione parve abbastanza convincente da non far indagare ulteriormente Thorin e la ragazza si concesse un lieve sospiro di sollievo, prima che la voce di lui tornasse a redarguirla.
– Quali che siano tali conoscenze in tuo possesso, questo non è affar che ti riguardi – sbottò, austero.
La giovane a quel punto si rimise in piedi, sentendo la collera tornare a montare, preda facile della stanchezza e dell'insofferenza nata dalla situazione in cui si trovava. Si affacciò al passaggio e quasi si lasciò sfuggire un verso ironico e sprezzante, mentre replicava.
– Fammi indovinare: è perché non sono un uomo, vero?!
– È perché non sei un Nano – ribatté cupamente Thorin. 
Lei si ritrovò a stringere le sbarre della propria cella, al culmine dell'incredulità e della contrarietà.
– Be', anche se non ho la barba, ho una folta peluria che farebbe invidia a qualsiasi altra nana della Terra di Mezzo da tutt'altra parte! – esclamò d'impulso, dando voce ai suoi pensieri più reconditi e sfogando con essi la sua personale frustrazione, mentre già le gote le si imporporavano.
Qualcuno trattenne rumorosamente il respiro al di fuori del suo campo visivo ed in sottofondo udì qualche esclamazione soffocata di sconcerto ed imbarazzo, cosicché Kat si rese effettivamente conto di aver appena urlato qualcosa di compromettente e si ritrovò a trattenere il fiato.
Sicuramente l'avevano appena sentita in tutta Bosco Atro.
Gemette di sconsolatezza, scostandosi da quelle sbarre a cui era rimasta aggrappata per lasciarsi scivolare a terra, contro la parete. Impiegò un paio di istanti a rendersi effettivamente conto che quello che stava vivendo non era un incubo, ma ci pensò la voce di Kili a darle il colpo di grazia, dall'altra parte del muro.
– ..e se questa non era una proposta, non saprei proprio come definirla – commentò il giovane nano, dalla cella accanto alla sua, prima che un lievissimo tonfo ne anticipasse l'esclamazione di dolore – Ahi!
Abbracciandosi le ginocchia al petto, Katla non rispose, e seppur avrebbe dovuto essere grata della sensibilità di Fili, rinchiuso col fratellino e sicuramente artefice della punizione dello stesso, l'umiliazione a cui si era esposta da sola stava già scavando una grossa e dolorosa voragine nel suo petto. Nascose il volto fra le braccia senza una sola parola, mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi mentre tentava di reprimere il magone che le stava salendo come un groppo dal fondo della gola. Era stata davvero una sciocca a cedere alla rabbia ed alla frustrazione che le parole di Thorin le avevano instillato nel petto.
Bella mossa Kat, si disse amaramente.


– ..mettendo per un attimo da parte ciò che la Piccola Furia ha appena asserito – gli stava dicendo Balin, con il suo solito fare accomodante – non credi di essere un po' troppo severo, con lei?
A quelle parole, Thorin strinse le labbra e finalmente abbandonò l'immobilità che al pari di una statua lo aveva tenuto avvinto alle sbarre della sua cella, permettendogli di scoccare all'amico uno sguardo in tralice prima di scuoter il capo in segno di diniego.
– Nient'affatto – negò, caparbio.
Vide il nano nella cella di fronte alla sua esternare un sospiro a bocca chiusa e, cogliendone la nota di biasimo nello sguardo, deviò il proprio sguardo di nuovo verso il fondo della sua prigione, serrando le labbra in una smorfia tesa. Sapeva di essere davvero molto duro con la giovane donna che da mesi viaggiava insieme a loro, ma non vi era modo per lui di impedirselo, giacché quando si trattava di lei ogni suo raziocinio prendeva il volo ed ogni emozione gli si risvegliava nell'animo con intensità, mettendo a dura prova la sua decisione di tenerla a distanza. E questo lo portava conseguentemente ad essere sempre di malumore, tanto da arrabbiarsi continuamente per ogni minima cosa, soprattutto da quando si erano avventurati in quella foresta.
– Sappiamo entrambi quale sarebbe la cosa giusta da fare...
– Sì – ribadì Thorin, irritato, stoico nella posizione presa sino a quel momento – la cosa giusta sarebbe non farle proseguire il viaggio. La cosa giusta sarebbe rispedirla indietro o persino lasciarla qui, anziché permetterle di mettere ancora una volta a rischio la sua vita per una causa che non le appartiene!
– Dopo tutto quello che abbiamo passato, io non ne sarei così sicuro...
– Non è una Nana.
– No, non è una Nana – convenne diplomaticamente Balin, scrutando il suo Re con comprensione – ..ma io credo che, arrivati a questo punto, anche tu ti sia reso conto che questo non ha più alcuna importanza.
E nel silenzio ostinato che seguì, Thorin ebbe l'impressione che non stessero più parlando della stessa cosa.


La ragazza si sentiva sul punto d’impazzire.
Non sapeva quanto tempo fosse passato: forse poche ore, oppure giorni interi, ma le parole di Thorin avevano continuato a riecheggiarle nella mente sin dall'inizio, scavando in lei un solco doloroso nel ventre.
Perché lei non era una figlia di Durin e questo non sarebbe mai cambiato, per quanto fortemente potesse desiderarlo.
La melodia le affiorò spontaneamente nella mente e lei si lasciò cullare da essa, finendo per darle forma nella penombra in cui era immersa, fioca come un sussurro che prende forza al pari di un'onda.

Quest'ombra enorme è già sopra di me, [*]
è pesante e non sto respirando.
Riesco a sentire la mia voce che
pian piano sta ormai crollando.

Fu come a Gran Burrone, quando aveva cantato dinanzi a Re Elrond, e chiuse gli occhi, abbandonata contro le sbarre con la schiena, lasciandosi trasportare per sfogare il tumulto dell'anima. Era il peso della menzogna, la consapevolezza di non poter rivelare a nessuno la verità su sé stessa e sul mondo che la circondava, a farla soffocare; ma nonostante questo, non poteva fare altrimenti. Non poteva parlare con nessuno dei suoi reali pensieri. Era questo il suo fardello, il prezzo da pagare per vivere quei momenti... e l'avrebbe sopportato sino alla fine.

Ma io so già che se vacillo e tremo
chiunque saprà zittirmi e levarmi il fiato.
Io voglio urlare,
indomita come il mare.
Non mi posso più fermare,
questa voce nessuno la spegne..

La brezza natale intorno le scivolò sulla pelle, carezzandola dolcemente e insinuandosi in lei, prima di spegnersi con il calare della sua stessa voce. E quando il silenzio tornò ad avvolgerla, Katla, che durante la marcia sotto le fronde della foresta aveva avuto il tempo di elaborare almeno in parte le parole di Gandalf, schiuse le palpebre e non ebbe bisogno di distinguere l'ombra dell'elfo alle sue spalle per indovinarne la presenza.
– Mi chiedevo quando saresti venuto.. – mormorò a mezza voce, pacatamente.
– Ho domande a cui spettano delle risposte – ribatté, freddo e controllato, Legolas.
Kat abbozzò un mezzo sorriso fra sé e sé, prima di farsi sfuggire un sospiro. 
Quindi, la sua mente di nuovo all'opera, si mosse, rimettendosi finalmente in piedi e fronteggiando la slanciata figura del principe del Reame Boscoso.
Quando i loro occhi si incrociarono, ogni tentennamento in lei scomparve del tutto.
– Prima dovrai portarmi da tuo padre – affermò, con un tono che non ammetteva repliche.
E, nonostante un primo accenno di fremito nelle palpebre dell'elfo, non ve ne furono.


Quando Thranduil vide il figlio fare il suo ingresso nella sala del trono, non si aspettava di vederlo accompagnato dalla piccola straniera che aveva fatto rinchiudere con gli altri viaggiatori nelle sue celle. Non vi fu alcun fremito tuttavia a tradire le sue emozioni, giacché esse erano pari ad una delicata brezza in un animo antico ed imperturbabile, pur dotato di un'impetuosità che non era comune nei popoli elfici ad Ovest del suo regno.
Così, con i suoi occhi d’un azzurro trasparente, il Re del Reame Boscoso rimase accanto al proprio trono, osservando algido la figuretta che si fermava poco dietro al principe, ai piedi della scalinata scolpita nella roccia calcarea che scendeva dalla piattaforma del trono.
Legolas non fece più di un passo in più rispetto ad ella, prima di porgergli omaggio con un inchino.
– L'attesa è dunque già finita? – gli domandò Thranduil, sondando il figlio con lo sguardo.
Eppure, sin da subito, gli apparve chiaro come qualcosa rendesse inquieto il principe del Reame Boscoso, qualcosa legato alla figlia degli Uomini chinata dietro di lui.
– Costei è più di quanto l'occhio possa cogliere – gli rispose il giovane elfo, andando a ruotare per includere la figura della ragazza nel suo campo visivo e lasciarle al contempo spazio. Eppure i suoi occhi azzurri la sondarono al pari del Signore degli Elfi, mentre quella tornava a sollevare il capo.
Come i suoi occhi grigi incrociarono i suoi, Thranduil notò le sottili venature verde-foglia che le costellavano, dettaglio insolito per un membro della sua razza.
– Mio Signore – esordì, e la sua voce era limpida e ferma, certamente non tipica di un comune membro del popolo degli Uomini – ho chiesto io a vostro figlio di portarmi al vostro cospetto, giacché vi è qualcosa di cui debbo parlarvi.
– Parla dunque – concesse il Re, senza concedere alcun barlume di interesse – se devi.
– Il mio nome è Katla – si presentò – ed ho l'ardire di proporvi un accordo.
– E cosa mai potrebbe offrire una straniera di terre lontane che nulla possiede ad un Re?
Perché sì, Thranduil poteva vedere come quella piccola donna tanto esotica apparisse fuori posto, nonostante vestisse gli abiti della Terra di Mezzo e sembrasse sapere come muoversi su di essa. Erano la sua saggezza elfica e gli innumerevoli anni passati a calcare il mondo, un'Era dopo l'altra, a dargli quella certezza.
– Posso darvi ciò che più bramate del tesoro di Thror, Re sotto la Montagna – suscitando l'interesse del Sindar – ..le gemme di luce stellare che vi furono negate in passato. Sappiamo entrambi che sono ancora là, custodite gelosamente dal drago.
E Thranduil, che eppure possedeva un cospicuo tesoro, avvertì subito il suo interesse risvegliarsi, giacché quanto da ella detto era vero e quelle gemme bianche erano qualcosa che la sua anima bramava da un tempo considerevole. Nonostante questo, non lasciò che tale pensiero sviasse il suo acume di creatura millenaria né mancò di sondare con rinnovata insistenza la figlia degli Uomini.
– E tu saresti davvero disposta a tradire i tuoi compagni e l'erede di Durin per guadagnarti il mio favore? – le domandò, restando impassibile mentre si muoveva, iniziando a discendere verso lei e suo figlio – Dimmi, giovane donna, come potrei fidarmi della parola di una traditrice?
– Io non sono una traditrice! – esclamò d'impulso lei, in uno scatto che le fece guadagnare la pronta reazione del principe.
Legolas estrasse rapido e silenzioso una delle sue lame e gliela puntò alla gola, ma lei dopo un primo istante ed un'occhiata in tralice all'elfo biondo al suo fianco tornò a puntare quei suoi occhi grigi sul Re, ed in essi egli colse ardore e fermezza, in una misura che non si sarebbe aspettato, non in quelle circostanze.
– Io intendo salvare Thorin – ribadì ancora lei serrando i pugni lungo i fianchi e tornando a parlare ad un tono meno alto di prima, ignorando Legolas e la lama che le sfiorava la pelle – ..lo salverò, finanche da sé stesso. È questo il mio unico obiettivo e, se per farlo dovrò sottrargli qualche piccola pietra preziosa, non esiterò nemmeno per un secondo!
Il Signore del Reame Boscoso si fermò proprio di fronte a lei e poté vedere purezza e verità in quel suo sguardo caparbio e luminoso, due doti che riconobbe e apprezzò, abbastanza da decidersi a concedere a quella straniera la sua attenzione.
– Dimentichi che vi è ancora un drago a vegliare su quel tesoro – le fece notare, squadrandola dall'alto in basso – ..e che non vi lascerò andare sulla base della parola di una giovane straniera che non ha alcun diritto su di esso. Come vedi – e prese a girarle attorno con passo candenzato – non avete alcuna possibilità di uscire dalla vostra incresciosa situazione, se Thorin Scudodiquercia non accetterà la mia offerta.
– Scommettiamo?
Questa volta Thranduil non riuscì a non guardare la giovane con un velo di stupore a deturpare i suoi lineamenti, cosa che lo indusse a riprendere a muoversi con andatura placida ed aggraziata al contempo, tornando a porsi di fronte ad ella in tutta la sua austerità.
– Tale sfrontatezza non è ammessa al mio cospetto – la ammonì, osservandola ancora e determinando una volta di più come apparisse una semplice piccola figlia degli Uomini, al suo attento esame – tuttavia, privarti della vita mi porterebbe più svantaggi che benefici... ma non abusare oltre della mia benevolenza.
– Mio Signore – corresse il tiro lei, con un lieve cenno del capo verso il basso in segno di referenza, un gesto che riportò Thranduil ad un umore più accomodante – vi propongo una scommessa: accetterete l'accordo che sono qui a proporvi, nel caso la mia Compagnia riesca a lasciare la vostra gentile ospitalità.
– E cosa ne verrebbe a me, se accettassi tale scommessa?
– Be' – esordì lei, facendo spallucce – non avreste motivo di tirarvi indietro, giacché so che non siete un codardo e che non avete imposto al vostro popolo di estraniarsi dagli accadimenti del mondo per capriccio, ma perché avete a cuore la vita di ogni elfo del Reame Boscoso. E poi – aggiunse, abbozzando un tenue mezzo sorrisetto – non vi annoiate nemmeno un poco? Potrebbe essere divertente, non trovate?
Quella sottile provocazione infarcita di lodi attecchì suo malgrado nell'animo del Re degli Elfi Silvani e, pur essendo consapevole di questo, egli dopo un istante di silenzio infine cedette ad essa, proprio a causa di quella noia che ella aveva tanto astutamente riportato alla sua attenzione. Il tempo delle grandi guerre era finito e, per quanto amministrare un regno non fosse cosa da poco, per un Signore come lui la vita al sicuro fra le sale del suo reame era effettivamente priva di particolari stimoli.
– Potrebbe esserlo – confermò seppur enigmaticamente a quella ragazza, senza mutare il proprio contegno o portamento, prima di riprendere a camminare per la sala e fare un cenno a suo figlio.
Legolas rinfoderò la spada elfica, pur facendosi sfuggire una nota contrariata nella piega delle sopracciglia, ma suo padre non gli fece caso e tornò a rivolgersi a Katla.
– Dunque, cosa sei venuta a propormi, figlia degli Uomini?
– Le gemme in cambio del vostro supporto presso le porte del Regno di Erebor, quando giungerete con le vostre armate a rivendicare ciò che vi appartiene dopo che il drago sarà morto.
– Tu dai per scontato che riuscirete a prevalere su Smaug – le fece notare, non senza una nota di sfiducia.
– I tempi stanno cambiando. – insistette lei, senza distogliere lo sguardo dal suo – La profezia si avvererà ed il lago sarà dato alle fiamme.
– Conosco quella profezia – ribadì Thranduil – giacché è stato il mio popolo a formularla.
La ragazza finalmente parve sorprendersi, ma il Re degli elfi del Reame Boscoso non indugiò su quella piccola vittoria e fece un passo avanti, chinandosi per meglio osservarla dritto in quei suoi occhi carichi di emozioni contrastanti.
– Ma essa non è altro che questo: una profezia. Non è dato sapere a nessuno su questa terra quando essa si compirà e dubito – concluse, tornando a drizzare la schiena – che ciò avverrà a breve.
– Mio Signore.. – insistette lei, ma venne interrotta da Legolas.
Il principe del Reame Boscoso si frappose fra loro, rivolto verso la ragazza, e Thranduil non ebbe bisogno di vederlo per indovinare l'espressione dura che gli era comparsa sul volto elfico.
– Sai molte cose – esordì, distaccato e al contempo intransigente – troppe. Chi sei?
Thranduil a quel punto, cogliendo quanto il proprio figlio fosse prossimo a perdere la pazienza, si accostò a lui, ponendo una mano sulla sua spalla. Legolas ebbe appena un leggero cenno del capo in reazione, eppure bastò quel singolo gesto perché entrambi fronteggiassero la prigioniera con identiche espressioni di placida austerità.
Katla parve non riuscire a sostenere altrettanto bene la pressione che il Re sapeva starle riversando addosso e fessurizzò lo sguardo, seguitando a studiarla mentre quella infine annuiva con un cenno del capo.
– Sono amica di Gandalf, il Grigio – iniziò, pacatamente – e, pur provenendo da molto lontano, so molte cose di queste terre e dei popoli che le abitano, compreso il vostro, Thranduil, figlio di Oropher. Sono anche amica di Elrohir ed Elladan, figli di Elrond, della Valle di Imladris – e nel dirlo posò lo sguardo sul principe – ed è grazie a loro se sono qui davanti a voi, oggi. Non siamo nemici, io e voi, stiamo dalla stessa parte – insistette ed a quel punto i suoi occhi, luminosi e vividi, incontrarono quelli del Re – e per quanto possiate illudervi di potervene restare rintanati qui, al sicuro nel vostro isolamento, sapete anche voi che il male presto tornerà a minacciare i popoli liberi della Terra di Mezzo.
Furono quelle ultime parole a far irrigidire il Re del Reame Boscoso, giacché racchiudevano una grande verità: egli sapeva, sin dai tempo dell'assedio di Barad-dûr, che Sauron sarebbe un giorno tornato.
– Non è più tempo per nascondersi, – continuò lei con una nota più impetuosa, tipica di quello che doveva essere il suo temperamento – ma per rinsaldare alleanze ed antichi legami, in vista dei tempi bui che verranno. Perché tutti saremo costretti a combattere, che lo vogliamo o meno.
E Thranduil, attraverso quei suoi occhi, lesse nel cuore di lei, e per la prima volta credette ad una creatura che in altre circostanze avrebbe considerato inferiore... e riprovò lo stesso timore di un tempo per un orrore che il resto del mondo aveva ormai dimenticato. Fece un passo indietro, lasciando scivolare la mano che sino a quel momento aveva tenuto posata sulla spalla del figlio, attirando per questo anche la sua attenzione.
– Parole di un certo peso, per una creatura tanto giovane ed inesperta – commentò senza alcuna inflessione particolare a tradirlo. Si voltò, dandole le spalle mentre tornava ad avvicinarsi alla scalinata che conduceva al suo trono – Legolas aveva ragione: vi è più di quanto l'occhio colga in te, Katla, amica di Elfi e Stregoni. E Nani – ed il tono con cui lo disse tradì una nota di biasimo che ella colse, giacché egli la sentì trattenere il fiato.
– Mio Signore.. – stavolta la sua voce gli suonò incerta e velata di una supplica malcelata, ma il Re degli Elfi non si smosse, prendendo a salire i gradini con lo stesso passo cadenzato e regale con cui li aveva scesi.
– Prenderò in considerazione la tua offerta, ma nulla di quanto ti auspichi avverrà, giacché non vi sono possibilità che tu o chiunque altro dei tuoi compagni lasciate le vostre celle se non per mia volontà – quindi fece soltanto un cenno al figlio, prima di prendere posto sul suo trono.
Legolas lo colse e senza ulteriori indugi tornò ad accostarsi alla ragazza, afferrandola per un braccio.
– ..no... no! Vi prego.. – cercò di divincolarsi lei, senza successo, giacché la presa del principe si rinsaldò, facendola sussultare, e persino a Thranduil parve chiaro come lo sforzo dovesse averle causato dolore alla spalla destra; ma poi incrociò il suo sguardo ancora una volta ed esso scavò in lui almeno quanto egli scavò dentro il suo animo tormentato – Scommetto la mia vita!
Legolas indugiò un solo istante e suo padre, dall'alto della sua posizione, gli comunicò con una sola fugace occhiata di aspettare il tempo necessario per farla concludere.
– La mia vita, in cambio della vostra parola e di Orcrist, che raggiungeremo la Montagna Solitaria e avremo ragione del drago!
– La Fendiorchi è un cimelio inestimabile per il mio popolo.
– Lo so, – gli rispose lei, con quell'aria sofferente – ma è necessario che scenda ancora una volta in battaglia contro gli Orchi del Nord. La mia vita – ripeté – per quanto poco valore essa possa avere ai vostri occhi, ed i miei servigi, in cambio della spada e della vostra parola, Re Thranduil.
Il Sindar lasciò intercorrere soltanto un secondo di riflessione prima di darle la sua risposta, e quando lo fece, fu per un presagio impalpabile ed un'alta sicurezza di sé che le concesse quella che, ai suoi occhi, era soltanto una vana e fugace gentilezza. Perché sì, era vero, quella situazione iniziava ad incuriosirlo, pur convinto che avrebbe condotto a un nulla di fatto, ma ancor di più lo incuriosiva il mistero che avvolgeva quella piccola forestiera.
– Accetto la tua scommessa, Katla. Prova pure a fuggire, se credi, ma non illuderti. E se anche uno solo della vostra Compagnia dovesse rimanere indietro, tu avrai perso ed io esigerò il pagamento del tuo debito.
Quindi fece cenno a suo figlio di procedere e Katla venne condotta di nuovo in cella, mentre Thranduil restava nuovamente solo nelle sue sale. Dopo quel colloquio inaspettato aveva molto su cui riflettere.


Kat procedette in silenzio lungo i corridoi ed i camminamenti sopraelevati del Reame Boscoso, condotta da Legolas verso la sua prigione, ma ad un certo punto non poté più ignorare quella fastidiosa barriera che il  principe sembrava aver eretto contro di lei.
– Ciò che ho detto è la verità – esordì a bassa voce, cupa, come poche altre volte lo era stata.
Sapeva che egli l'avrebbe sentita ugualmente e così fu, seppure non vi furono cambiamenti d'andatura o nella stretta con cui la teneva saldamente per un braccio.
– So che non ti fidi di me, ma..
– No, non mi fido – le confermò finalmente Legolas, freddo e impersonale come lo era stato suo padre prima di lui – perché c'è qualcos'altro che nascondi.
Katla trattenne il fiato, chiedendosi come facesse l'elfo ad averlo capito, poi rammentò a sé stessa che era soltanto una ragazza di un altro mondo e che non era mai stata brava a fingere, così non ci provò nemmeno. Si fermò ed ignorando la pressione della lama che le premeva sulla schiena, fastidiosamente tagliente, incrociò lo sguardo azzurro del principe del Reame Boscoso ancora una volta.
– È vero – confermò, senza più alcun indugio – c'è dell'altro, ma è qualcosa che riguarda me soltanto e che non posso rivelare.. non mi crederebbe nessuno.
Abbassò per riflesso lo sguardo, rattristata.
– Come puoi saperlo?
– Lo so – gli rispose senza indugio lei, tornando a sollevare il capo e serrando le labbra in una smorfia – e anche se adesso non puoi fidarti, un giorno spero che arriverai a farlo perché, come ho detto a tuo padre, noi combattiamo dalla stessa parte e, quando tutto questo sarà finito, spero potremo salutarci da amici.
Fu sincera e questo parve comprenderlo anche Legolas, perché le concesse uno sguardo prolungato prima di infrangere la loro immobilità e spingerla nuovamente avanti. Sapeva che le sue parole dovevano esser risuonate come una mera ed ingenua fantasia, ma ella sperava anche che avessero attecchito almeno un poco nell'animo di lui, giacché aveva imparato che gli elfi erano d'indole buona e gentile, per quanto induriti fossero dalle avversità e dall'orgoglio della loro stirpe.
Quando infine giunsero a destinazione e la porta della sua cella tornò a chiudersi dietro di lei, Kat si voltò e l'elfo ricambiò un'ultima volta il suo sguardo, prima d'essere infine lasciata alla sua prigionia.
Una volta rimasta sola, Kat si lasciò ricadere a terra, cedendo alla tensione ed alla spossatezza che quell'incontro le aveva causato, così come a svuotarla di ogni cosa era stata la decisione che aveva preso d'impulso, sotto suggerimento di un'intuizione. Sin da quel momento il piano che l'avrebbe condotta alla salvezza dei figli di Durin aveva pian piano preso forma nella sua mente e stava sviluppandosi persino adesso, fra quelle mura di pietra scavata, sola eppure circondata dai suoi amici e compagni di viaggio.
Si chiese distrattamente se Bilbo fosse in salvo, se fosse riuscito ad entrare e poi, con un brivido, se avesse involontariamente assistito al suo colloquio col re, ma un attimo dopo si impose la calma. Era necessario che nessuno sapesse del suo piano, né dell'accordo che aveva osato proporre a Thranduil, perché esso agli occhi di chiunque altro sarebbe parso senza ombra di dubbio come un tradimento a Thorin ed alla sua volontà... ed in un certo senso era così, ma come aveva detto anche al Re del Reame Boscoso, Kat era disposta a qualunque gesto per salvarli, finanche a sporcarsi le mani. Non era più tempo degli indugi.
La ruota aveva ormai preso a girare e lei non poteva più restarsene ferma a guardare.
– Kat.. – la voce di Fili dall'altra parte della parete la richiamò al presente e lei tornò a volgere lo sguardo all'esterno della propria prigione.
– Sì?
– Che ti è successo? Stai bene? Dove ti hanno portata?
Quella valanga di domande una di seguito all'altra l'assalì e seppur il tono del nano biondo era contenuto e sommesso, in esso ella riuscì a coglierne l'ansia e la preoccupazione. Abbozzò un sorriso, ricacciando in fondo all'animo il senso di colpa che strisciante stava minacciando di venire a galla, giacché tutto ciò che aveva fatto e avrebbe fatto da quel momento in avanti, era anche per lui e suo fratello.
– Katla? – la incalzò ancora Fili, un poco più forte di prima.
– Sto bene – replicò allora, cercando di frenarlo, con voce pacata – ...è successo qualcosa durante la mia assenza?
– Niente.. a parte Kili che s'è messo a fraternizzare col nemico – le rispose Fili, riscuotendo il suo interesse.
– Come? – domandò subito, spalancando gli occhi – ..e chi?
– Un'elfa silvana – borbottò scontrosamente – ..è sempre stato affascinato dal popolo degli Elfi, benché sapesse dei trascorsi fra loro e la nostra gente.
Kat dopo un paio di secondi di silenzio si alzò in piedi, accostandosi alle sbarre in ferro e facendovi passare un braccio, protendendo la propria mano destra verso la cella attigua. Non disse nulla, attese e basta, e di lì a poco, seppur con un po' di titubanza, avvertì la mano dell'altro nano arrivare a stringere la sua in una presa che andò pian piano rafforzandosi.
Sorrise.
– Vedì? – domandò, retoricamente – Non è difficile: basta tendere una mano e vedrai che, prima di quanto immagini, il gesto verrà ricambiato. Basta davvero poco per mutare il corso degli eventi e trovare la luce ove non si pensava potesse esservene.
Avvertì la mano altrui allentarsi e lei per contro la strinse con più forza, rifiutandosi di lasciarla andare, cercando di trasmettere attraverso quel contatto la sicurezza e la gentilezza necessarie a vincere le naturali riserve del nano. Poco dopo egli tornò a ricambiare con la stessa energia quel gesto, prima di ritrarsi.
– Per quanto diversa sia la lunghezza delle nostre vite, a volte riesci a pronunciare parole degne del più anziano e saggio dei figli di Durin – commentò Fili dal suo lato, con un sospiro – ma temo che non vi sarà alcuna mano protesa fra Elfi e Nani, non in quest'Era. Perché un nano non dimentica facilmente un torto.
Katla si appoggiò alle sbarre con il busto ed il capo, sospirando di sconsolatezza.
– Lo so.. – mormorò, non riuscendo a mascherare la propria delusione – ..eppure giungerà anche quel tempo, Fili. Dov'è Kili?
– Sta dormendo nel suo angolino. È da quando l'ho affrontato che vi si è rintanato e, conoscendolo, farà l'offeso ancora per un po'.
Suo malgrado, Katla scosse il capo, abbozzando un sorriso fra sé e sé.
– Non trattare male il tuo fratellino – lo redarguì – Non ha fatto niente di male e la sua lealtà resta a vostro zio ed alla nostra impresa, nonostante tutto... e tu lo sai bene, lo conosci meglio di chiunque altro.
Una breve pausa e poi, finalmente, l'assenso che sperava.
– Hai ragione... è che mi preoccupo.
– Come ogni degno fratello maggiore.
Ed indovinò come, finalmente, anche sul volto di Fili dovesse essere comparso un sorriso, pur non potendo vederlo. Ne ebbe conferma appena udì la voce dell'altro nano oltre la parete.
– Ed in quanto fratello maggiore, comprenderai allora anche la mia preoccupazione per la mia sorellina, giusto? – le domandò a tradimento – Non mi hai ancora risposto: dove ti hanno portata?
La giovane serrò nuovamente la presa sul ferro battuto delle sbarre della sua porta, mentre una sensazione agrodolce le colmava il petto. Le piaceva sentirsi appellare a quel modo dai due nani, sin troppo forse, e scelse di non mentire loro. Non del tutto.
– Sono stata al cospetto di Re Thranduil... ho cercato di averne ragione a parole.
– Davvero? E com'è andata?
– Be'.. sono qui, no? – ribatté in tono volutamente ironico, mentre si mordeva di rimando il labbro inferiore.
Attese, trattenendo il fiato e tendendo le orecchie, ma non dovette aspettare a lungo.
– Vero – commentò infatti il discendente di Durin, riconoscendo la logicità della sua osservazione.
A quel punto Kat si scostò dalla porta della sua prigione, provando nuovamente un opprimente senso di colpa serrarle la base della gola. Avrebbe preferito patire una qualunque altra sofferenza se ciò avesse condotto alla salvezza che bramava per i nani che le erano divenuti tanto cari, ma ci aveva pensato e ripensato e non aveva trovato altra soluzione. 
Per questo non aveva altra scelta: da quel momento sarebbe stata sola nella sua battaglia.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 17
*** The Great Escape ***







“Hold the tears that home is far away,
live the pages of a story and you'll never die.
[...] In a land that calls from far away,
turn your sight to the horizon,
when the morn shines again.”
[ There and Back Again, Wind Rose ]




– Legolas!
Il principe si voltò, osservando il suo capitano delle guardie che gli andava incontro. L'elfa silvana dalla lunga chioma ramata aveva in volto un'espressione seria come poche, ma lui intuì in breve quale fosse il problema che l'aveva spinta ad andare a cercarlo.
Aaye, Tauriel – la salutò con la consueta compostezza – Naa rashwe? [1]
Naa tanya nissë, Legolas.. [2]
Uuma dela.. [3] – le disse l'elfo di rimando, ma la cosa non parve suscitare l'effetto sperato. 
– Non sono preoccupata – ribatté passando al linguaggio comune lei, sostenendone lo sguardo con serietà – ma c'è qualcosa in quella ragazza che non mi convince. Come faceva a sapere chi fossi, tanto per cominciare?
– Ella è un'amica degli Elfi di Imladris – affermò diplomaticamente, riprendendo a camminare – non mi sorprende che abbia sentito parlare di noi presso la Casa di Re Elrond.
– Può essere così, ma..
– Tauriel – la interruppe, scoccandole un'occhiata in tralice prima di fermarsi nuovamente e costringerla a fare altrettanto – Nén ci ha condotti sino a loro e mai prima d'ora la saggia lupa della foresta si era spinta ad agire in favore di un estraneo al suo branco. È grazie al suo intervento se siamo arrivati in tempo per scacciare i Ragni Giganti e salvare la vita a lei ed ai suoi rozzi compagni. Non sappiamo cosa l'abbia spinta a farlo, ma non intendo ignorare l'accaduto.
Tauriel si lasciò sfuggire una smorfia mal trattenuta ed agli occhi del principe fu palese come non fosse convinta, così si permise di sbilanciarsi un poco più del solito.
– Parla con lei – le consigliò, prima di aggiungere, con una frecciatina ironica – e non dare troppa confidenza al nano della cella accanto.
Si lasciò sfuggire un lievissimo sorrisetto quando Tauriel tradì un lieve sussulto e Legolas ne approfittò per lasciarla lì ad elaborare quanto le aveva detto. Non provava alcun sentimento romantico, come suo padre era erroneamente arrivato a pensare, ma erano cresciuti insieme come fratelli e si conoscevano abbastanza da potersi permettere simili uscite senza suscitare malanimi o incomprensioni.
Più d'una volta Tauriel gli aveva coperto le spalle e lui aveva fatto altrettanto, ma il suo interesse per quel nano lo preoccupava nella stessa misura in cui ella era preoccupata per la donna rinchiusa nelle prigioni del Reame Boscoso. Non che il principe si fidasse di lei dopo averla affrontata: era ancora guardingo nei suoi confronti, ma aveva riconosciuto una purezza d'animo che raramente aveva scorto in altra gente del suo popolo; inoltre, lo preoccupava molto di più ciò che lei aveva detto a suo padre.
Perché, se davvero stavano per giungere tempi bui, avrebbero dovuto essere pronti e Legolas non era convinto che la soluzione fosse restarsene rinchiusi a Reame Boscoso ed estraniarsi dal resto del mondo come sapeva avrebbe fatto il suo Re.


Katla lasciò che la voce le si spegnesse di nuovo e, quando schiuse le palpebre, di fronte ai suoi occhi andava già sciogliendosi un sottile strato di ghiaccio sul fondo della piccola ciotola posata sul pavimento.
Non sapeva da quanto tempo di preciso fossero chiusi nelle segrete del regno di Thranduil, ma era da giorni e giorni che tentava di evocare la propria magia e quello era il primo successo che era riuscita ad ottenere sino a quel momento. Sorrise debolmente, pur sentendosi stremata, per quel piccolo traguardo raggiunto, consapevole che fosse solo l'inizio. Stava per riprendere il suo personale allenamento fatto a bassa voce quando, dalla sua posizione seduta a gambe incrociate sul pavimento, scorse un'ombra stagliarsi dall'ingresso della sua piccola cella.
Quando sollevò il capo e lo sguardo verso le sbarre in ferro, Kat si ritrovò ad inarcare un sopracciglio nel riconoscere Tauriel ferma oltre queste. Quello che l'elfa silvana le rivolse era uno sguardo duro, diffidente ed indagatorio, che fece tendere i muscoli del corpo indolenzito della prigioniera prima che l’altra infrangesse il silenzio.
– Non sei ciò che dici di essere – esordì senza alcun calore, squadrandola da oltre le sbarre con un pizzico di alterigia nella postura.
Kat avvertì un brivido risalirle lungo la schiena, messa di fronte a quella che le suonò come un'accusa più che come una semplice affermazione, e subito le labbra le si tesero di un lieve mezzo sorrisetto pregno di tensione. Sudò freddo per i pochi istanti che seguirono, temendo d’essersi tradita in qualche modo, che il suo segreto di creatura di un’altra realtà fosse stato infine scoperto, e stava ancora cercando di capire se negare tutto l'avrebbe in qualche modo aiutata quando l'altra continuò.
– Ho avvertito della magia nella tua voce, poco fa.
Sorpresa, la giovane si ritrovò a schiuder le labbra, giacché le parve di distinguere un guizzo di curiosità nello sguardo del Capitano delle Guardie, ed al contempo si rilassò nel rendersi conto che non era della sua provenienza ciò di cui ella stava parlando. Finì persino per sorridere con più delicatezza, cosa che parve esser la causa di un fremito delle sopracciglia dell'altra.
– È una novità anche per me, in realtà – confessò candidamente, senza nemmeno provare a prendere in considerazione l'idea di mentirle, giacché sarebbe stato inutile – ..ma non avete nulla da temere, non la padroneggio affatto e, anche se fosse, non ho intenzione di usarla contro gli Elfi.
– Non lo farai nemmeno se ciò volesse dire tornare libera?
E Kat, sotto lo sguardo attento dell'altra, scosse il capo.
– No, perché non libererebbe i miei compagni – ammise, sollevando lo sguardo ad incrociare quello d'ella – ed io non intendo andarmene senza di loro.
Tauriel non le rispose subito ma rimase a osservarla, come assorta, per una manciata di secondi durante i quali alcuna emozione trasparì dal suo viso d'elfa silvana. Quando infine si decise a parlare, lo fece con la stessa cadenza di poc’anzi.
– La tua lealtà verso i tuoi amici è ammirevole... – e sembrò sul punto di aggiungere qualcos'altro quando la sua stoica e fredda espressione ebbe un fremito – Quello è sangue.
Kat inizialmente non capì, così inarcò un sopracciglio, ma non impiegò più di un istante prima di abbassare lo sguardo su di sé e comprendere su cosa fossero puntati i suoi occhi verdi.
– Sei ferita?
La giovane allora si mosse, sul punto di negare e darle dimostrazione della sua buona salute, ma fu a quel punto che ogni sua parola venne soppressa sul nascere da un tonfo caratteristico ed un'esclamazione allarmata.
– Ferita?! Quando? – proruppe la voce di Fili da oltre il suo campo visivo.
Con un sussulto che la fece incespicare per la sorpresa, Katla puntò lo sguardo fra le sbarre metalliche ed anche Tauriel si volse verso la cella accanto alla sua. Il nano doveva essersi attaccato alla porta per la foga ed il rumore di metallo che batteva contro il chiavistello si fece sentire una seconda volta, segno che il fratello minore doveva averlo imitato.
– Kat! – seguì difatti l'esclamazione di Kili – Kat, stai bene?! Dove sei ferita??
La diretta interessata rimase talmente spiazzata che non riuscì a far altro che fissare l'elfa silvana, altrettanto immobile, mentre l'imbarazzo esplodeva in lei, colmandola da capo a piedi e facendola arrossire sino alla punta dei capelli, e se già la situazione si stava tingendo d'assurdo, ben presto, proprio grazie alle alte voci squillanti dei due figli di Durin, le cose peggiorarono. In pochi secondi l'ampio antro della caverna venne colmato delle voci concitate dei nani della Compagnia che, avendo udito perfettamente le domande dei più giovani, espressero la loro apprensione al riguardo.
– Come ferita?
– Sarà la spalla..?
– Ancora?! Non è possibile!
– Oin! Che razza di guaritore sei?
– Resisti, Piccola Furia!
– Qualcuno chiami un vero guaritore!
E via dicendo.
In mezzo a tutto quel baccano Katla si sentì morire e il suo primo impulso fu quello di cercar di raggiungere la lama elfica portata da Tauriel al fianco per piantarsela direttamente nella giugulare, ponendo fine a quell'umiliazione.
Per riflesso, cercando di non fare movimenti bruschi o simili, si avvicinò alla porta della propria prigione, notando come l'aria indifferente, tipica degli Elfi, sfoggiata sino a quel momento dal Capitano della Guardia avesse lasciato il posto ad un'espressione stralunata e spiazzata, non meno corrucciata di quella che doveva avere lei stessa. 
– Ehi, fate silenzio! – cercò di riportare l'ordine l'elfa, ottenendo l'effetto contrario.
Tutto ciò che ebbe in cambio furono epiteti poco adatti ad essere qui riportati ed una serie di rimbrotti e recriminazioni sul trattamento che la gente del Reame Boscoso riservava ai loro prigionieri, per di più feriti.
Così, preda di un disagio pungente che andava minando la sua pazienza, la ragazza si ritrovò a volgere al Capitano della Guardia un mezzo sorriso contrito, prima di suggerirle con un gesto delle mani e mimando le parole, in uno slancio di premura disinteressato, di coprirsi le orecchie.
Seppur quella inizialmente inarcò un sopracciglio con espressione infastidita e scettica, quando comprese ciò che ella aveva intenzione di fare seguì il suo consiglio e si portò le mani ai lati del capo, facendo un passo indietro sul camminamento roccioso.
A quel punto Kat, schiarendosi la gola in un chiaro preludio, tornò a volgersi verso lo spazio aperto di fronte a sé e riempì i polmoni d'aria.
SHAZARA!! [4]
Urlò quell'unico comando più forte che poté, sovrastando così il baccano provocato dai suoi compagni, e la sua voce rimbalzò sulle pareti della caverna con un'eco che si spense dopo alcuni secondi di ritardo. In seguito a quell'esplosione di carattere in khuzdul, la seconda che si permetteva da quando il suo viaggio aveva avuto inizio, la giovane, afferrato ormai il proprio coraggio a due mani, non attese che uno dei nani si riavesse e si fece avanti per prima.
– Non sono ferita, sto bene! – esclamò con convinzione; si sentiva il volto in fiamme, ma continuò ugualmente, stavolta a voce meno alta ma comunque udibile da tutti – Ho solo... solo quelle cose da donna...
Il silenzio che seguì le fece desiderare di sotterrarsi definitivamente, ma se per un attimo aveva creduto che quella semplice spiegazione bastasse, dovette ben presto ricredersi.
– Quali cose? – chiese Kili, prima che si sentisse un improvviso tonfo attutito – Ahi! Ma che ti è preso?!
Fili doveva avergli appena dato uno scappellotto.
– Sei una vera testa vuota, fratello – lo redarguì, a voce più alta di quanto Kat avrebbe voluto – come fai a non saperlo: una femmina sanguina quando è fertile.
In reazione a quella verità, che ovviamente venne udita anche da altri, qualcuno sussultò, qualcun altro fece un verso di comprensione e si udì persino uno sbuffo che voleva dire tutto e niente e doveva appartenere senz'altro a Dwalin.
Ed ecco: ora la diretta interessata desiderò realmente scomparire dalla faccia della terra. 
– Siete due stupidi! – inveì al colmo del disagio, attraverso le sbarre, prima di nascondere il volto paonazzo fra le mani e rannicchiarsi nell'ombra.
Mai avrebbe dimenticato l'umiliazione provata quel giorno, lo sapeva.
Si era persino dimenticata della presenza di Tauriel, lì fuori, rimasta a guardarla per tutto il tempo e quando, con un colpetto alle sbarre, ella glielo rammentò, il modo in cui la scrutava tradì un'emozione che Katla non riuscì a definire.
– Ti farò portare dell'acqua.
Non le disse altro prima di lasciarla sola, scomparendo ancor prima che la ragazza comprendesse appieno il significato delle parole di lei, e quando ciò accadde non riuscì a far altro che pigolare un ringraziamento a mezza voce, prima di tornare a nascondere il viso in grembo.
Da quando avevano messo piede nel Reame Boscoso non gliene andava bene una.
Sperò ardentemente che Bilbo li tirasse fuori da lì prima che trovasse il modo di mettersi in imbarazzo da sola ancora una volta.


Bilbo aveva fame, ma non era una novità in quegli ultimi tempi, giacché l'unico modo che aveva per procurarsi qualcosa da mangiare nel Reame Boscoso era rubandolo agli elfi. Eppure non osava sgraffignare molto cibo, per quanto affamato fosse, perché la paura di venir scoperto era più forte del languore del suo stomaco e per questo, il più delle volte, si era dovuto accontentare degli avanzi rimasti nei piatti.
Erano trascorse così intere settimane, prima che il giovane hobbit riuscisse a trovare il modo di far evadere i suoi compagni dalle celle del regno degli Elfi Silvani. Fu durante la sera di Meleth en Gilith, la festa della Luce Stellare, che il nostro scassinatore agì, giacché era una ricorrenza speciale per il popolo degli Elfi e litri di vino giravano in gran quantità persino fra le guardie in servizio.
Così, quando il Custode si addormentò insieme ai suoi amici, Bilbo non ebbe poi molte difficoltà a sganciare il mazzo di chiavi dalla sua cintura ed a correre lesto su per le scale ed i passaggi che, dalla cantina, portavano nell'area delle prigioni.
La prima porta che aprì, col cuore in gola per la tensione ed il timore di venir scoperto da un momento all'altro, fu la cella di Katla, la più in basso di tutti. Appena la ragazza lo vide il suo volto si illuminò d’un sorriso tanto ampio che lo aiutò a rincuorarsi, in parte, per i rischi che andavano correndo.
– Sapevo che ce l'avresti fatta – mormorò, ammiccando in sua direzione e posandogli brevemente una mano sulla spalla – su, liberiamo anche gli altri.
E senza farselo ripetere, Bilbo procedette ad aprire le celle dei nani una dopo l'altra, non senza raccomandar loro di far silenzio di volta in volta. Balin e Thorin furono gli ultimi a venir liberati ed una volta che il capo della loro Compagnia uscì alla luce, lo hobbit accolse i suoi complimenti con un sorrisetto un po' imbarazzato, soprattutto per la pacca sulla spalla che ricevette dal nano. Tuttavia, quando gli occhi cristallini dell'Erede di Durin si posarono sulla ragazza alle spalle dello hobbit, essi si rivolsero uno sguardo talmente carico di tensione che nemmeno Bilbo poté non notarlo e anzi, se ne sentì quasi preso in mezzo, cosa che lo indusse a rimarcare la necessità di fare in fretta ed in silenzio.
Così la Compagnia di Thorin Scudodiquercia seguì il loro giovane scassinatore, il quale aveva avuto tutto il tempo di perlustrare e memorizzare i corridoi ed i passaggi che dalle prigioni conducevano alle cantine del Reame Boscoso, e non fu pertanto un caso se non incrociarono nessuno sul loro cammino. Nell'introdursi nelle cantine Bilbo incaricò Balin di tenere d'occhio gli elfi che vi giacevano addormentati per il troppo vino, riversi su un ampio tavolo, quindi raggiunta la stanza attigua in cui erano già state disposte le botti vuote, aveva esposto brevemente il piano.
I nani inizialmente non ne furono entusiasti, ma anzi, finirono per sollevare più d'una rimostranza al povero hobbit, il quale si spazientì e cercò un poco di sostegno nell'unico che avrebbe potuto far qualcosa riguardo la reticenza generale. E, grazie a tutti i Valar, Thorin si voltò verso i suoi, mettendoli tutti a tacere.
– Fate come dice – ordinò a bassa voce.
Gli altri nani allora, senza più un solo fiato, fecero come era stato loro detto e Bilbo sgambettò di qua e di là con una gran fretta, reperendo tutto ciò che riusciva a trovare per riempire le botti in cui i suoi amici si erano infilati ed evitare che questi venissero sballottati troppo durante la fuga per il fiume. Fu talmente preso dal suo intento che quando infine chiuse il coperchio di Balin, l'ultimo dei nani, egli si ritrovò a sbarrare gli occhi blu dinanzi al volto interrogativo di Katla. Era rimasta solo lei da “stivare” e richiudere, ma ogni cosa che in quella cantina potesse essere utile allo scopo, egli l'aveva già usata per gli altri nani e se ne sentì mortificato.
Tuttavia, ancora una volta, dopo che glielo ebbe confessato e se ne fu scusato, la giovane donna gli rivolse uno dei suoi mezzi sorrisi d'incoraggiamento.
– Non fa niente, non preoccuparti, non è così spazioso qui dentro – mentì lei, giacché nel suo barile poteva starci comodamente un nano della stazza di Bombur – ..dai, chiudi bene il mio coperchio, non vorrei bere durante il nostro piccolo viaggetto per il fiume.
L'ironia di lei lo fece sorridere e, pur ancora un poco incerto sul lasciare la sua amica senza protezione dagli urti, si decise a procedere. Una volta sigillata anche quell'ultima botte e rimasto solo nella cantina, si guardò brevemente intorno e tornò sui propri passi con l'intento di restituire le chiavi che aveva precedentemente sottratto al Custode. Invisibile grazie all'anello, fece appena in tempo a farlo che delle voci gli giunsero dalle scale e Bilbo, col cuore che gli batteva all’impazzata, tornò svelto svelto nella stanza dei barili ed azionò la botola.
Uno dopo l'altro, i suoi amici e compagni di avventure rotolarono nel fiume che scorreva impetuoso nella galleria sottostante e lo hobbit, quando anche l'ultimo scomparve, si rese conto di aver dimenticato il dettaglio forse più importante dell'intera vicenda: lui era ancora lì, da solo, senza nessuno che potesse aiutarlo a infilarsi in uno dei barilotti rimasti. Se avesse potuto farlo senza far rumore si sarebbe schiaffeggiato da sé, perché fra l'ansia e l'eccitazione della fuga si era proprio dimenticato di includere sé stesso nell'equazione.
– Siete in ritardo – borbottò una voce impastata dall'altra stanza – siam qui da tre ore ad aspettarvi, c'è poco da meravigliarsi se mi addormento dalla noia.
E il povero Bilbo, riavendosi d'improvviso dalle proprie autocommiserazioni, trattenne il fiato. A Gran Burrone aveva iniziato a studiare l'elfico e, durante la sua permanenza forzata a Reame Boscoso, aveva finito per migliorare inevitabilmente le proprie conoscenze, quanto bastava per comprendere il discorso che prese piede nella stanza attigua.
– C'è poco da meravigliarsi davvero – ribatté qualcun altro in risposta – facci assaggiare un po' del tuo sonnifero, Galion! E non importa che svegliamo il tuo amico, a quanto pare ne ha già bevuto a sufficienza!
Sporgendosi da dietro l'angolo per dare un'occhiata, allora lo hobbit vide gli elfi riprendere a bere fra loro e far festa, e la cosa lo indispettì un poco e lo sollevò al tempo stesso, perché lui era comunque in una brutta situazione mentre quelli si divertivano, ignari dei suoi affanni. Non ebbe tuttavia il tempo di rammaricarsene davvero che uno di loro sembrò rammentarsi il motivo per cui erano scesi fin lì e si avviò proprio verso Bilbo, il quale si fece lesto da parte, fuggendo nell'angolo più lontano della stanza.
– Perdinci, Galion! – vociò quello, già alticcio, esaminando il contenuto della cantina – Sicuro sian tutti qui i barili da inviare alle genti del lago? Sembrano un po' pochi.
– Son quelli, ve l'assicuro. Li ho accumulati io stesso e se non ti bastano puoi sempre andare a prendere quelli che stanno venendo svuotati in questo momento ai piani alti – ribatté l'altro, dall'altra stanza, con aria canzonatoria – d'altronde, potrebbe far bene alle vostre pigre ed esili braccia, faticare un poco.
L'elfo nella cantinetta abbozzò una smorfia.
– Ci penseranno domani – gli rispose, chiudendo infine la questione – Orsù, scarichiamo in fretta questi nel fiume, così possiamo tornare a far festa.
E, con sollievo dello hobbit, un paio di elfi si misero all'opera, allineando le botti per bene sul meccanismo della botola. Quando la azionarono ed esse presero a rotolare via, scomparendo nell'oscurità della grotta sottostante, Bilbo agì d'impulso e temendo di non avere un'altra occasione si gettò su uno dei barilotti più piccoli appena in tempo per venire inghiottito dal vano insieme ad esso.


I primi ad uscire dai barili furono Oin e Gloin, aiutati da un solerte ed infreddolito Bilbo, dopodiché vennero tirati fuori Thorin, Dwalin e Balin, in quest'ordine. Come il capo della Compagnia ebbe rimesso piede sulla solida terra, si guardò brevemente intorno, alla ricerca di qualche segno di un'inseguimento da parte degli elfi.
Era l'alba, la notte stava lasciando il posto ad una luminosità diffusa, ma il bosco intorno alle rive del fiume era grigio e tetro, complici le nuvole che coprivano tutto il cielo sopra le loro teste. Le botti di legno si erano ammassate in una piccola ansa del fiume coronata da un letto di ciottoli e legni strappati dall'ultima piena, permettendo alla Compagnia di porre fine a quella parte fin troppo burrascosa del loro viaggio. Non un nano era stato risparmiato dai sussulti e dai colpi dati dalle rapide, e persino Thorin si sentiva intirizzito ed infreddolito a causa dell'acqua che era filtrata all'interno del suo nascondiglio.
Ciononostante, accostandosi al loro intrepido hobbit, non mancò di complimentarsi con lui con un certo compiacimento per il risultato ottenuto. Erano tutti vivi e liberi dalle grinfie degli Elfi Silvani, e questo al figlio di Thrain bastava per considerare il piano di fuga un vero e proprio successo. Eppure, appena l'ultimo barile fu aperto e dal suo interno venne letteralmente tirata fuori l'ultima della Compagnia, il nano dalla chioma corvina si ritrovò ad accostarsi ai suoi compagni per sincerarsi, senza darlo a vedere, delle condizioni della ragazza.
Katla, sorretta a testa in giù da un nano per caviglia, gemette, e pareva stordita tanto e più di Bombur, rimasto riverso sulla riva dal momento in cui in tre erano riusciti a tirarlo fuori dal suo barile, bagnato fradicio. La giovane donna pareva asciutta ed intera, e persino il colorito sul suo volto iniziò a tornare lesto, seppur in gran parte fosse dovuto alla sua posizione sottosopra.
– Che..che fate? Mettetemi giù, dannazione..! – protestò dopo una manciata di secondi infatti, non tradendo le aspettative di molti e prendendo a divincolarsi, seppur fiaccamente, a mezz'aria.
Le sue proteste vennero ascoltate e Dwalin e Kili la rimisero a terra, lasciandole lo spazio necessario per rimettersi in piedi senza per questo perderla di vista un solo momento. E difatti, come se il fato non volesse tradire i timori del gruppo, appena ella tornò a poggiare il suo peso su entrambe le proprie gambe, un ginocchio le cedette e Thorin quasi sussultò nel vederla piegarsi su sé stessa. Sarebbe ricaduta a terra se Fili non le fosse comparso accanto, agguantandola al volo insieme al fratello minore prima che ciò accadesse.
Seppur sollevato che i suoi nipoti avessero tali buoni riflessi, di fronte a tale premura Thorin non poté far a meno di corrucciarsi in volto e distogliere nuovamente lo sguardo, sopprimendo sul nascere una fastidiosa ed ormai nota sensazione pungente al centro del petto. Si allontanò di qualche passo, intenzionato a salire al di sopra di un rilievo roccioso adiacente alla riva del fiume con lo scopo di far il punto della situazione e decidere come procedere da lì in poi, quando, a metà del suo intento, venne raggiunto da Balin.
L'amico e compagno di Erebor, affiancandolo, lo mise al corrente delle condizioni della Compagnia.
– Be', è andata bene – esordì – ne siamo usciti tutti interi e, per quanto siamo tutti abbastanza infreddoliti ed affamati, la maggior parte sembra già in grado di riprendere il cammino – il consueto dondolio affermativo del capo imbiancato di Balin a quel punto cessò, mentre il nano andava a scoccare un'occhiata al resto della Compagnia, ancora fermo più in basso – ..i più provati sembra siano Bombur e Nori, ma anche la giovane Katla deve aver preso una brutta botta ad un ginocchio, perché pare non riesca ad appoggiare bene il peso sulla gamba destra. Oin le ha dato un'occhiata e ha detto che non è rotto, ma zoppicherà per un po'.
Thorin, il cui sguardo raramente s'era discosto dal paesaggio che si estendeva innanzi a lui, annuì con un cenno del capo. Dinanzi i suoi occhi di diamante il fiume scivolava gorgogliante e sinuoso fra gli alberi al pari d'un grosso serpente, colmando il suo letto quasi per intero e ripiegando in ultimo verso destra. La sua foce non era visibile, celata, così come il lago, dalla selva che si estendeva tutto intorno a loro, fra le alture e la piana ad Est.
Purtroppo, si rese conto di non saper dire quanto distasse Lago Lungo, né quanto avrebbero ancora dovuto camminare prima di giungere ad Esgaroth.
Voltandosi a guardare i suoi compagni più in basso, intenti a rimettersi in piedi o a sgranchirsi, Thorin non poté ancora una volta non soffermarsi su Kat, ritrovandola seduta su un piccolo masso a pochi metri dalla riva. Pareva star bene, tutto sommato, mentre era intenta a massaggiarsi una gamba.
E Fili e Kili erano ancora al suo fianco.
Osservandoli brevemente mentre parlavano e scherzavano con la ragazza, l'Erede di Durin si ritrovò a serrare una mano a pugno lungo il fianco, ma quando tornò a parlare a Balin la sua voce era pacata e seria come al solito.
– Quando saremo pronti riprenderemo il cammino – affermò, prima di scoccare all'amico un nuovo sguardo penetrante – e dì ai miei nipoti di lasciar riposare Katla e di raggiungermi: ho bisogno di parlargli.
Balin annuì di rimando e lo lasciò, tornando dai loro compagni, ma Thorin non rimase solo a lungo nella sua contemplazione dell'orizzonte che andava schiarendosi. Un paio di minuti dopo Fili e Kili lo raggiunsero.
– Volevi parlarci, zio? – gli chiese Fili per primo, non appena lo ebbe affiancato.
Egli annuì ma attese che anche Kili, pochi secondi dopo, li raggiungesse, prima di parlare.
– Ci dirigeremo alla città di Esgaroth – annunciò loro – e una volta entrati, ci procureremo le provviste e le armi necessarie per proseguire il viaggio.
– Sei sicuro che gli Uomini del Lago ci aiuteranno? – gli domandò ancora Fili.
Osservando la preoccupazione sul volto barbuto del suo erede, Thorin scosse il capo.
– Non lo sono, ma non abbiamo alternative.
Osservando i suoi famigliari farsi più cupi e pensierosi, Thorin lasciò loro il tempo di metabolizzare quelle informazioni, prima di aggiungere: – C'è un'altra cosa..
I due allora si scambiarono uno sguardo incerto ed ansioso, ma tornarono a sostenerne lo sguardo in tacita attesa.
– Fra tutti, voi due sembrate esser quelli che più si sono avvicinati alla giovane Katla – affermò Thorin, osservandoli in volto di rimando – quindi saprete senz'altro dirmi in che misura ella sia in grado di proseguire il viaggio verso la Montagna. E voglio che mi diciate la verità, per il bene di lei quanto per quello della nostra impresa.
I suoi nipoti indugiarono un istante, ma poi fu Kili il primo a farsi avanti, con quei suoi modi caratterizzati dalla semplicità e dall'ingenuità della sua ben giovane età.
– Zio – esordì, abbozzando un sorriso per stemperare la tensione – Kat è una di noi e non lo dico soltanto perché le sono affezionato. Ella è forte e testarda e ha dimostrato più di una volta di che tempra sia fatta.
A quel punto Fili annuì: – Kili dice il vero, zio: la nostra Piccola Furia non si farà certo abbattere da una piccola corsa giù per il fiume.
I due fratelli si sorrisero, compiaciuti e divertiti al contempo, e a Thorin fu infine chiaro l'affetto ed il rispetto che nutrivano per quella giovane figlia degli Uomini. E, per quanto potesse attribuirne certamente la causa in parte alla giovane età dei suoi consanguinei, non riuscì a sorprendersene troppo, perché aveva imparato a conoscere un po' anche la diretta interessata. Tuttavia, ciò non bastò a convincerlo o a rasserenarlo del tutto, giacché, per quanto poco volesse ammetterlo, i sentimenti che provava per quella creatura erano più profondi e personali di quelli dei suoi parenti.
– Questo non è sufficiente – ribatté, inamovibile, fissandoli con intensità – Vi sto chiedendo se, obiettivamente, per voi sarebbe in grado di affrontare con successo il drago che dimora nella Montagna.
Fili e Kili esitarono e questo fu sufficiente per far capire a Thorin di aver insinuato il dubbio nelle loro menti. Nello sguardo che si scambiarono, il loro zio vide finalmente i suoi stessi timori e questo gli bastò per dar conferma della legittimità delle proprie preoccupazioni al riguardo. Fili allora si voltò e stava per rispondergli qualcosa, quando un'esclamazione attirò la loro attenzione.
I tre nani si voltarono appena in tempo per vedere, sull'altra estremità dell'argine del fiume, la figura di un uomo stagliarsi nella luce del primo mattino, incoccando lesto una freccia al suo arco e puntandola verso Dwalin, che s'era messo in mezzo fra questi e Katla.
– Fate una sola mossa e siete morti – ingiunse a tutti loro l'arciere, minaccioso.
Era vicino a Kat. Troppo vicino.
Come Kili accennò a muovere un muscolo, Thorin gli afferrò la spalla con presa salda, mentre il resto del suo corpo era già fattosi di pietra. L'attimo dopo scosse con discrezione il capo nell'incrociare lo sguardo stupito dei suoi due nipoti ed eredi: non potevano rischiare, erano troppo lontani per poter far qualcosa.
La situazione di stallo si protrasse alcuni secondi, ma fu Balin ad infrangere la tensione.
– Sei di Pontelagolungo, vero? – domandò il nano dalla barba bianca con un'artefatta disinvoltura che stemperò gli animi – Quella tua chiatta... è possibile noleggiarla?
E Thorin, nella breve pausa di silenzio che seguì, ringraziò silenziosamente il proprio compagno per la sua intraprendenza e l'ottimo spirito d'osservazione. 


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. "Aaye [..] Naa rashwe?" = "Salve/Ciao [..] C'è qualche problema?" in lingua elfica.
2. "Naa tanya nissë" = "È quella donna " in lingua elfica.
3. "Uuma dela" = "Non preoccuparti" in lingua elfica.
4. "Shazara" = "Silenzio" in lingua khuzdul.

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Capitolo 18
*** The Men's World ***







“That will free our lands
Strong pride,
Might and honor are requied
To fight for the reign”
[ Majesty, Wind Rose ]




Superato l'ultimo meandro del Fiume Selva, il Lago Lungo si schiuse dinanzi alla chiatta di Bard alla luce del tramonto, immenso e suggestivo nella foschia che già andava alzandosi dal pelo dell'acqua. Erano riusciti a convincere l'Uomo del Lago a farli entrare in città con la promessa di una cospiqua somma di denaro e Kat, che pure era rimasta senza più alcun avere non fosse ciò che indossava, ancora si chiedeva da dove i suoi compagni avrebbero tirato fuori le monete necessarie.
Quando essi stavano raccogliendo il poco che era loro rimasto in tasche segrete, suscitando l'interesse ed il divertimento d'ella, la giovane donna della Compagnia si perse poi nell'osservare l'enorme distesa d'acqua che era il lago, non riuscendo ad evitare di rimanerne impressionata.
Lago Lungo calzava bene il nome che gli era stato dato, giacché esso aveva origine dal colmamento di una lunga e profonda forra rocciosa, talmente larga da far apparire le rive opposte piccole e remote e talmente lunga che le estremità settentrionali e meridionali non potevano esser scorte ad occhio nudo. Eppure, malgrado ciò, fu quando l'enorme profilo della Montagna Solitaria si stagliò sopra l'orizzonte, al Nord, che ella finì per trattenere il respiro e sgranar lo sguardo. Essa svettava maestosa ed imponente, seppur in lontananza, contro la distesa cremisi del cielo che volgeva al crepuscolo, violacea sopra la grigiastra coltre nebbiosa che andava addensandosi sulla linea dell'orizzonte, e la ragazza avvertì il proprio petto stringersi. Quell'intensa sensazione la confuse e la spaesò, giacché non la comprese. La riconobbe in ritardo; un'intensa nostalgia mista ad una profonda gioia le avevano colmato l'animo, come se dinanzi ai suoi occhi grigi si stagliasse quella che era stata la sua unica, vera casa, e ciò la turbò quasi più dell'incognita che la Montagna rappresentava per il loro viaggio.
Non ebbe il tempo di riaversi dalle proprie emozioni però, giacché pochi secondi dopo nel suo campo visivo entrò la chioma bruna di uno dei nani della Compagnia. Nello spazio di un respiro tutti i figli di Durin si alzarono in piedi, cristallizzati in una stasi volta alla mera e struggente contemplazione del perduto Regno di Erebor. Anche loro l'avevano scorto sopra l'orizzonte ed ora l'ammiravano e lo bramavano dal profondo dei loro cuori nanici, spinti da emozioni ed aspettative differenti ma ugualmente intense, tanto da trasudare nell'aria immota del crepuscolo. 
– Tieni, prendi tutto.. – mormorò la voce spezzata dall'emozione di Gloin, mentre consegnava i soldi sino a quel momento negati a Balin.
E nel breve silenzio che seguì, cullata dallo sciabordio delle onde contro il legno della chiatta, Kat si ritrovò a serrare la presa sul basso bordo dell'imbarcazione mentre la profonda ammirazione che l'aveva colmata venne soppiantata da una rinnovata determinazione che le gonfiò il petto. Erano quasi arrivati, il tempo di mettere in atto i suoi propositi era ormai prossimo, e non poteva permettersi di fallire.
Cercò meccanicamente con lo sguardo il capo della loro Compagnia, così come si trovava a far spesso da quando avevano lasciato il Reame Boscoso, ma quando ne trovò il profilo non poté osservarlo a lungo che quei suoi occhi di diamante, inspiegabilmente, si voltarono a incrociare i suoi, e lei si ritrovò a sussultare e deviare il proprio sguardo di scatto, colta in flagrante. Il suo cuore stava ancora pompandole furioso nel petto quando una voce conosciuta attirò la sua attenzione.
– Tutto bene, Kat?
Un apprensivo Bilbo fece capolino al suo fianco, comparendo inatteso soltanto come un piccolo e silenzioso hobbit saprebbe fare. Sotto quei suoi limpidi occhi blu, lei si ritrovò a sorridere, grata di quella distrazione da tutte le emozioni inattese ed inspiegabili con cui si era ritrovata a lottare in quegli ultimi minuti.
– Sto bene.. – affermò pacata, tornando meccanicamente a osservare la Montagna in lontananza – sono solo impaziente, credo. Voglio raggiungerla al più presto. È un po' strano, forse, non trovi? Non sono un Nano, non dovrei sentirmi così coinvolta, eppure...
Dopo quella mezza verità, Katla non terminò la propria frase, ma non ve ne fu bisogno: quando tornò a cercare lo hobbit con lo sguardo, quello annuì. Eppure, mentre anch'esso osservava l'ombra della Montagna Solitaria, le apparve oltremodo corrucciato ed inquieto, tanto da indurla ad inarcare un sopracciglio.
– ..cosa c'è? Qualcosa ti preoccupa?
– Cos..? – si riebbe Bilbo, mostrando sul suo volto il consueto caleidoscopio di emozioni ed espressioni che la fecero inconsciamente sorridere – ...no, io... cioè... – confusione ed incertezza si alternarono nell’amico mentre tentava di darle una risposta e lei attese, paziente, consapevole che sarebbe arrivata sincera e limpida al momento giusto. E così fu: – ..in realtà, quella montagna mi dà una strana sensazione. – ammise, pur con un certo disagio, sfregandosi il naso con un gesto frettoloso – Non mi sento tranquillo.
Katla se ne sorprese, ma di fronte alla faccia aggrottata dello hobbit annuì con un cenno del capo, prima di cercar di comprendere a cosa egli si stesse riferendo e tornare per questo a osservare la vetta in lontananza, tinta di sfumature di fuoco dagli ultimi raggi del sole. Fu in quel frangente che le apparve pari ad una fiammella che andava attenuandosi sulla cima di una densa piramide oscura, soffocata da un'ombra pesante e pregna di malvagità; e allora capì.
Il drago.
Era l'oppressiva eppur lontana presenza del drago ad aver inquietato Bilbo.
Serrò meccanicamente le labbra in una smorfia piatta e tesa, così come si tesero parte dei suoi muscoli in reazione ad una sensazione analoga che minacciò di afferrarle il cuore.
– Non preoccuparti, Bilbo, – gli disse, avendo cura di tenere il tono basso cosicché fosse egli l'unico a sentirla, mentre tornava a rivolgerglisi – ce la faremo.
E gli sorrise, ottimistica ed incoraggiante, ed il sorriso a metà che il mezz'uomo le rivolse di rimando, pur molto simile più ad una smorfia che ad una vera espressione, ella se lo fece bastare, giacché lo conosceva abbastanza da sapere che stava facendo del suo meglio per crederle.
Lasciò allora vagare di nuovo lo sguardo sui membri della Compagnia e le venne naturale soffermarsi ad osservare due chiome che, ormai, avrebbe riconosciuto fra mille altre. La nuca bionda di Fili si stagliava accanto a quella scura del fratello minore ed entrambi i nani erano intenti a scambiare qualche parola con il loro nobile zio e con Balin. Il denaro doveva già essere in mano a Bard, perché ella non scorse il sacchetto di monete nelle mani del nano dalla barba bianca.
Kat non riuscì a non corrucciarsi leggermente in volto nell'osservare i due nipoti di Thorin, giacché era da quando l'Uomo del Lago era comparso che sembravano comportarsi in modo strano. Entrambi erano stati meno solari e propensi allo scherzo del solito, come se fossero in preda ad una preoccupazione nuova e pressante, ma per quanto ella avesse tentato di indagare al riguardo nessuno dei due si era confidato con lei. Peccato che non fossero riusciti a rasserenarla, né a convincerla del contrario, del tutto inconsapevoli di somigliare tremendamente al loro zio: Kat ne aveva riconosciuto subito le espressioni un po' adombrate, uguali a quella che assumeva Thorin quando era preda di qualche grattacapo, soprattutto quella di Fili. Così la questione era rimasta irrisolta, col disappunto della ragazza, che ora si limitava a fissarli dall'altra estremità della chiatta con un pizzico d’insoddisfazione crescente.
Il quieto e lontano suono delle cascate da cui le acque fluivano presso l'estremità più meridionale di Lago Lungo venne sovrastato dalla voce di Bard, che la trasse dai suoi pensieri mentre incitava tutti loro ad entrare all'interno dei barili. Quando tuttavia lei si mosse per fare altrettanto, l'uomo la fermò.
– Tu no.
Katla si voltò a guardarlo con espressione sorpresa e confusa, ma pochi istanti dopo fu la voce di Dwalin a levarsi in protesta, scontrosa e burbera come poche altre volte.
– E perché no? L'accordo era chiaro: o tutti, o nessuno.
Stupita della veemenza espressa da Dwalin, Kat non fece nemmeno in tempo ad alternare lo sguardo dall'uomo al nano che il primo abbozzò un mezzo sorrisetto sotto i baffetti.
– Per quanto di statura insolita, ella rimane una Donna. Non ha bisogno di nascondersi: può entrare in città spacciandosi per una parente, a differenza del resto di voi – ribatté, pacato e quasi ironico, sostenendo impassibile lo sguardo altrui.
Quel confronto silenzioso ebbe vita breve, perché ci pensò Thorin ad anticipare il borbottio scontento del compagno. 
– Non abbiamo scelta: muoviamoci – affermò con tono basso e cupo, non prima di aver rivolto un'occhiata delle sue verso l'Uomo del Lago.
Non vi furono dunque altre proteste e Kat si accostò, suo malgrado, a Bard mentre questi spingeva la chiatta all'interno della nebbia con solerte maestria. Una volta che i nani, finanche il piccolo Bilbo, furono scomparsi all'interno delle loro botti, la ragazza scoccò all'uomo un'occhiata in tralice, avvertendo una nota di disagio pungolarle l'animo. Da tempo non parlava con uno della sua stessa razza e mai le era capitato di trovarsi di fronte ad uno di loro da quando si era trovata nella Terra di Mezzo, e questo contribuì a farla render finalmente conto di quanto bassa fosse divenuta.
Probabilmente agli occhi di lui, come a quelli di chiunque altro fosse più alto di un nano, ella appariva davvero come una bambina del suo popolo. Per la prima volta da quando si era riscoperta con quelle fattezze, si sentì impacciata ed insoddisfatta di sé e desiderò il proprio vecchio corpo.
– Non preoccuparti – se ne uscì di punto in bianco Bard, riportandola al presente e facendola per questo sussultare – gli Uomini della Stirpe di Girion mantengono sempre la parola data.
Kat si ritrovò a sbatter le palpebre, sorpresa, mentre meccanicamente annuiva con un cenno del capo, ancora troppo stupita che Bard le rivolgesse parola per ricambiarlo a voce, ma non ve ne fu bisogno.
– Vi farò entrare tutti in città, come da accordi – continuò quello, serio e pacato, prima di lasciar spazio a una leggera nota scherzosa – Data la presenza di una Donna fra loro, li avrei creduti meno diffidenti, ma non affermerò che ciò sia un male o che io ne sia in qualche modo sorpreso: so bene di cosa sono capaci gli Uomini.
La ragazza si aggiustò meccanicamente il mantello elfico, dono di Elrohir ed Elladan, intorno al busto, deviando lo sguardo sull'acqua del lago per non dar a vedere il proprio stato d'animo all'altro. Il fatto che Bard stesse dando mostra di un'indole più aperta e meno burbera di quella che si era aspettata sin dall'inizio era qualcosa che la lasciava incerta e spaesata al contempo. Una parte di lei si chiese subito a cosa quell'atteggiamento fosse dovuto, ma un'altra le ricordò che non poteva voltar le spalle a nessun tipo di gentilezza che le venisse donata, non se voleva sperare di raggiungere il proprio obiettivo.
Così, scoccando una nuova occhiata da sopra la spalla a Bard, il cui sguardo era invece fisso dinanzi a sé, lasciò che le labbra le si delineassero di un nuovo mezzo sorriso.
Era un uomo alto, dai capelli castani lunghi sino alle spalle e lineamenti quasi dinoccolati, coronati da una mascella forte coperta di una corta barba incolta. Vestiva gli abiti delle genti del lago, cosparsi di toppe, e pesanti stivali di cuoio macchiati e logori, e di questo la giovane donna non se ne sorprese.
– Forse è la nostra breve vita a rendere i membri del nostro popolo tanto mutevoli, rispetto alle altre razze – ipotizzò, pacata, con un'alzata di spalle, prima di cambiar discorso – ..sicuro che non debba nascondermi anche io?
E allora Bard sorrise, un'espressione che tradiva un lieve divertimento.
– Sicuro – ribatté altrettanto pacatamente, senza alcuna indecisione – e non sarebbe il luogo adatto ad una dama, in verità.
Katla annuì ancora una volta, ma non disse altro, giacché dinanzi ai suoi occhi iniziarono a delinearsi delle forme più scure nella nebbia.
– Ci siamo – l'avvertì infatti l'Uomo del Lago, indirizzando la chiatta verso la banchina che andava definendosi sempre più chiaramente sull'acqua.
Non ci vollero che pochi minuti per raggiungerla ed accostarsi ad essa e Bard, dopo averle fatto cenno di seguirlo, saltò giù dalla sua imbarcazione. Così Kat, facendo come le era stato detto, il dolore al ginocchio di quel mattino ormai passato, poté assistere in prima persona alla contrattazione fra l'uomo ed i pescatori. Una parte di lei non poté far a meno di ridacchiare fra sé e sé al pensiero delle reazioni che avrebbero avuto i suoi amici nel venire sommersi dal pescato del giorno e si voltò verso la chiatta. Scoccando un'occhiata ai barili ammucchiativi, fece addirittura il gesto di celar dietro una mano il proprio sorrisetto, non per malignità quanto per un infantile desiderio di burla nei confronti dei più brontoloni dei suoi compagni.
– ...e la ragazzina chi è? – vociò il pescatore con cui Bard stava parlando, facendola voltare quasi di scatto – Non mi pare una delle tue figlie.
Presa alla sprovvista, Katla non ebbe abbastanza prontezza di spirito per ribattere, ma ci pensò il discendente di Girion a farlo per lei.
– È una lontana parente, è qui per questioni di famiglia – mentì con prontezza l'uomo, deviando di nuovo l'attenzione altrui su di sé.
Ella se ne sorprese e se ne sentì al contempo sollevata, giacché Bard pareva ben sapere come rapportarsi con gli Uomini di Arda, a differenza sua, ma non mancò di chinare leggermente il capo in saluto al pescatore, approfittando dell'ombra che le proiettava sul viso il cappuccio per celare la propria espressione tesa.
– È stato un lungo viaggio, non vedo l'ora di conoscere il giovane Bain e le sue sorelle e godere del calore del focolare con tutta la famiglia – affermò, prima di mostrare un ampio sorriso.
Tanto bastò perché venisse ricambiata e il pescatore le diede pienamente ragione, che quell'umidità ed il freddo poco si addicevano alle sue vecchie ossa e che era un desiderio condiviso, quello di ritornare a crogiolarsi nel calore di casa propria. E di fronte a quel piccolo successo personale, Kat si rilassò un poco ed assistette da mera spettatrice a ciò che seguì, restando miracolosamente impassibile nel momento in cui i pesci comprati da Bard vennero riversati nei barili.
Una volta terminata la contrattazione e tornati sulla chiatta, non mancò di sentirsi qualche bassa voce brontolante, ma l'Uomo del Lago le zittì con un pragmatico avvertimento ed un calcio alla botte più vicina, giacché erano prossimi alla chiusa cui si accedeva ai canali della città.
Così, Kat si ritrovò a spalancare gli occhi chiari quando, di lì a poco, le sagome scure e cigolanti dell'assembramento di case che molte decadi prima avevano costituito la florida città di Esgaroth, si stagliò nella nebbia. La luce delle lanterne e delle torce si rivelò offuscata e vacua, giacché il crepuscolo e l'aria pregna d'umidità ne rifrangeva la luminosità già di per sé fioca, rendendo tali fonti simili a fuochi fatui sospesi sull’acqua, fra le grosse sagome scure che erano gli edifici della cittadina nella penombra. Di fronte a quello spettacolo spettrale, quando l'immensa grata si parò dinanzi a loro, la ragazza si ritrovò a trattenere il respiro, avvertendo una volta ancora tutto il peso della sua piccola statura.
Era una figlia degli Uomini, ma ora che stava per trovarsi in mezzo a loro, non provò altro che soggezione ed un'insolita estraneità.
– Alt! – proruppe una voce dalla guardiola della chiusa – Ispezione merci. Documenti, per favore.
Bard accostò la chiatta alla banchina e, ancor prima di saltar giù dalla chiatta, l'uomo di guardia uscito in quel momento con la lanterna ben sollevata alla mano lo riconobbe subito.
– Ah, sei tu Bard... – affermò con una nota di sollievo, prima che il suo sguardo si posasse su Kat – ...chi è con te?
La diretta interessata si ritrovò a serrare i pugni lungo i fianchi, ma rimase in attesa, lasciando che fosse il chiattaiolo a rispondere.
– Buonasera Persi – lo salutò di rimando quello, come niente fosse – ..costei è mia parente. Starà a casa nostra qualche tempo.
Come l’imbarcazione si accostò del tutto alla banchina Kat saltò giù, imitando l'erede di Girion e facendo scivolare il cappuccio un po' più indietro sul capo, per meglio permettere all'altro uomo in età avanzata di scrutarla in volto.
– Sono Katla, figlia di Hekla – si presentò, chinando il capo in segno di saluto – della Stirpe di Girion. Lieta di fare la vostra conoscenza.
– Perdinci! – se ne uscì quello, strabuzzando gli occhi, altalenandoli fra Bard e lei un paio di volte mentre si grattava il capo – Non credevo avessi parentele fra i nobili, Bard. Ha i modi di una dama del Sud, eppure è piuttosto piccola. Avete un documento, signorina?
La ragazza quasi sussultò dentro di sé, ma ancora una volta riuscì a limitarsi nelle proprie reazioni, limitandosi ad un'aria confusa e rammaricata.
– No – negò, scambiando rapida un'occhiata con l'uomo al suo fianco, di ben due spanne più alto di lei – In effetti il viaggio è stato lungo ed infido, e ho malauguratamente perduto i miei pochi averi in un'imboscata dei briganti. Sono riuscita a fuggire, ma non si può dire che mio cugino, partito insieme a me, sia stato altrettanto fortunato. Non sarei qui ora se non fosse stato per lui – e finse un sincero cordoglio, abbassando il capo e lasciando che le ombre si allungassero sul suo viso.
Una storia strappalacrime inventata sul momento che, dopo un istante di sbigottimento, fece subito presa sulla semplice mente del custode.
– Oh, le mie condoglianze... dev'essere stata un'esperienza terribile per voi. Non preoccuparti Bard, vado a prender subito il modulo per l'accesso ed il timbro – li rassicurò dunque, piuttosto amichevolmente, prendendo in consegna il documento che l'erede di Girion gli stava porgendo e il denaro che era la tassa di passaggio per lei.
Nei brevi secondi in cui rimasero di nuovo soli, Katla si ritrovò a scambiare una nuova occhiata con Bard e si stupì intimamente del mezzo sorriso che, spontaneo, si rivolsero da ambo le parti, velato di soddisfatta complicità. Una complicità che la aiutò a mitigare quell'iniziale sensazione di estraneità che l'aveva colta poco tempo prima.
Quando, poco dopo, le venne consegnato il lasciapassare ed a Bard venne applicato il timbro sulla carta che era la sua licenza di trasporto dei barili da Reame Boscoso, alla ragazza quasi tremarono le mani.
– Ecco fatto, tutto in ordine! – affermò quello, consegnando loro quanto dovuto con benevolenza, prima di aggiungere a lei in particolare – Forse la nostra città non sarà più la stessa di un tempo, ma la troverete senz'altro accogliente, a suo modo.
Il sorriso che il vecchio le rivolse rivelò in parte la dentatura macchiata e storta, ma nonostante questo, in esso vi era una sincera gentilezza che spinse la giovane donna a ricambiarlo, donandogli un nuovo cenno del capo in ringraziamento e riconoscimento della sua persona.
Quindi lei e Bard tornarono a bordo della chiatta e l'Uomo del Lago, una volta che la grata fu sollevata per lasciarli liberi di proseguire, riprese a sospingere l'imbarcazione lungo il canale. La città di Pontelagolungo si schiuse intorno a loro, diversa da qualunque altro centro abitato ella avesse mai visto, ergendosi fiera e vecchia sulle palafitte che la sostenevano sopra il pelo dell'acqua, cupa e misteriosa al contempo sotto il cielo che andava punteggiandosi di stelle.
Era fatta. 
Erano dentro.


Quando Bilbo riemerse dal proprio barile, s'era ormai convinto che quello sgradevole odore di pesce avrebbe per sempre fatto parte di lui, giacché il suo naso ne era già appestato. Dopo un primo fallimentare tentativo accettò volentieri il provvidenziale aiuto offertogli da Katla per saltar fuori da quello sgradevole nascondiglio e non poté non sentirsi un po' meno infelice e misero quando, finalmente, venne investito da un refolo d'aria fredda e pulita.
Mentre il resto dei nani lo imitava, lasciando la chiatta che era stata il loro biglietti d’ingresso in città, l'Uomo del Lago mise in mano ad un concittadino una moneta e scambiò con lui qualche parola a basso tono. Bilbo era un hobbit semplice, non avezzo agli usi e costumi della Gente Alta, e perciò si ritrovò ad inarcare un sopracciglio di fronte ai modi un po' loschi del loro chiattaiolo, ma non ebbe il tempo di porre alcuna domanda alla giovane donna al suo fianco che questo passò loro accanto, superandoli con falcata sicura.
– Statemi dietro – disse loro, accostandosi all'angolo dell'edificio più prossimo e sporgendosi per gettar un'occhiata oltre questo.
Ancora una volta, lo hobbit fu costretto a sopprimere la propria perplessità e, muovendosi a propria volta, si ritrovò con Kat in testa al gruppo, proprio dietro le spalle dell'uomo. Era davvero alto, più alto della giovane donna al suo fianco, e più cupo in un certo qual modo, cosa che glielo faceva risultare meno fidato. Ed anche la sua amica, con il cappuccio ancora sollevato sul capo e l'aria tesa e seria, inconsciamente, nei secondi che seguirono gli appariva diversa dall'idea che s’era fatto di lei nel corso del loro viaggio.
Stava per attirare la di lei attenzione, nella speranza di aver qualche risposta, quando Bard uscì allo scoperto.
– Seguitemi – li incitò di nuovo a basso tono, calcando l'assito della via.
E Kat fu la prima a muoversi, rapida e silenziosa come poche altre volte era stata, prendendo un poco alla sprovvista il mezz'uomo subito dietro di lei. Bilbo, dopo un primo istante di smarrimento, allora li imitò, ma solo per arrestarsi appena girato a sua volta l'angolo.
– Che posto è questo? – mormorò a mezza voce, strabiliato e confuso al contempo.
Dinanzi i suoi occhi blu si stagliò la via del mercato della città, con merci accatastate ai bordi della banchina, innumerevoli pontili e passaggi sospesi sull'acqua, bancarelle, e un gran via-vai di gente vestita d'abiti per lo più consunti e dai colori cupi. Ne rimase del tutto colpito, giacché l'abitato era diverso da ciò cui era abituato nella Contea, e per questo quasi faticò ad assimilare l'inattesa risposta che gli rivolse Thorin, affiancatolo in quei brevi secondi di incertezza collettiva.
– Questo, Mastro Baggins, è il mondo degli Uomini – affermò, superandolo.
E a Bilbo non rimase altra scelta se non quella di imitare lui ed il suoi Compagni, per nulla desideroso di rimanere indietro. Avanzarono sulla banchina con passo affrettato, seppur lo hobbit non riuscì affatto a tener basso il capo come da raccomandazioni, troppo preso da tanta estraneità, e fecero invero pochi metri prima di udire una voce perentoria fra la folla. Una folla che, quando si accorse di loro, ricambiò i suoi sguardi con altrettanta sorpresa.
– Ehi! Fermi!
Una guardia armata si distinse su una delle vie adiacenti, fra le bancarelle e la Compagnia ebbe un sussulto ed un arresto condiviso mentre si voltavano in quella direzione. Un attimo dopo però fu Thorin a riportarli alla realtà.
– Forza, muoviamoci – disse loro a mezza voce, facendo strada.
– Alt! Ho detto: ALT! In nome del Governatore! – ripeté minacciosa la guardia, in futile intimidazione.
La Compagnia tentò di svincolarsi da quella situazione sempre più incresciosa, seguendo le direttive di Bard e cercando di seminare la guardia tra le bancarelle e la folla, ma ben presto altri soldati accorsero alla spicciolata, richiamati dalla voce del loro commilitone.
Quando il primo sbarrò la strada a Kat e Thorin, venne immediatamente steso da un colpo ben assestato dell'erede di Durin e Bilbo fece un saltello dalla sorpresa quando quello cadde sulle casse vuote lì accanto. Lo scontro fu rapido ed indolore, almeno per i membri della Compagnia di Thorin Scudodiquercia, i quali misero fuori combattimento i pochi uomini accorsi ad ostacolarli, e il mezz'uomo, per un attimo, credette che sarebbero riusciti a scamparla facilmente, giacché le persone che avevano assistito ripresero incredibilmente a far come se niente fosse accaduto.
Stavano quindi per riprendere il cammino quando, fra la folla, una nuova voce perentoria si fece udire.
– Che succede qui?
Bilbo rimase accucciato dietro ad una cassa coperta di reti da pesca e ben presto ogni altro nano, e persino Kat e Bard, avevano trovato un nascondiglio in una delle vie secondarie del mercato cittadino.
Fra la gente si fece avanti un drappello di uomini in arme, la ronda cittadina, il cui capitano vestiva una gualdrappa bordeaux intorno alle spalle. Dal suo angolino, lo hobbit riuscì a malapena a scorgere qualche dettaglio prima di esser costretto a tornare ad acquattarsi, per non rischiare di venir scoperto. Una serie di passi pesanti si susseguirono sull'assito in legno della banchina, facendosi sempre più vicini, finché non fu lo stesso Bard ad intervenire, facendosi avanti e incrociando la strada ai soldati.
– Oh, buonasera – li salutò con una sorpresa artefatta.
Mentre sviava la loro attenzione, Bilbo si ritrovò a pensare che gli Uomini sembravano esser davvero dei bravi attori, e non nel senso migliore del termine, più bravi di quel che avrebbe immaginato, e questa considerazione gli nacque dal ricordo dello stratagemma messo in atto dal chiattaiolo e da Katla per entrare in città. In seguito a quel pensiero sorto spontaneo non poté evitare di rabbuiarsi un poco di più, mentre una sgradevole sensazione di disagio gli serrava la bocca dello stomaco. E, l'attimo seguente, lo pungolò il senso di colpa per la facilità con cui aveva proiettato tal poco lusinghiera considerazione anche sulla sua giovane amica.
Era ancora preda del proprio dissidio interiore quando giunse il segnale. In men che non si dica i membri della Compagnia di Thorin Scudodiquercia saltarono fuori dai loro anfratti e si avviarono, in fila indiana, dietro a Bard, il quale li condusse attraverso un tortuoso dedalo di vie secondarie fuori dalla zona del mercato.
Stavano passando sotto un portico dalle assi incrostate d'umidità quando un ragazzo dai folti riccioli scuri sbucò a sbarrare il passo dell'Uomo del Lago.
– Pa', – chiamò, trafelato, raggiungendo Bard in pochi istanti e donando appena un'occhiata al suo seguito – la nostra casa è sorvegliata.
E, dall'occhiata che l'Uomo del Lago volse loro, Bilbo capì che i fatti spiacevoli non erano ancora finiti.


Kat aiutò Tilda, la figlia maggiore di Bard, a distribuire coperte e panni asciutti ai suoi compagni, cercando d’ignorarne i borbottii e le lamentele. Non erano usciti dal gabinetto di casa, ma avevano comunque dovuto farsi una nuotata nelle gelide acque del lago per raggiungere l'accesso sul retro e questo li aveva messi di malumore. Quando Dwalin, che eppure era stato il primo ad emergere dietro la piccola imbarcazione ormeggiata lì nei pressi, s'era ritrovato grondante e tutto intirizzito a salire le scale, lei non era proprio riuscita a non dirgli che era stato fortunato a non dover riemergere da ben altro posto, e quando aveva alluso con un cenno del capo al piccolo gabbiotto del gabinetto, il nano dalla testa rasata aveva strabuzzato gli occhi ed era diventato paonazzo di sdegno alla sola idea.
Erano ora tutti in casa di Bard, ammassati appresso al caminetto che Bain aveva acceso da poco, sotto direttiva paterna, e la giovane aveva appena consegnato l'ultima coperta ad un tremante ed imbronciato, quasi avvilito, Bofur, quando scorse Thorin affacciato ad una finestra.
– Una Lancia del Vento nanica – mormorò l’erede di Durin, e pur parlando fra sé e sé, più d'uno dei presenti si volse a guardarne l'espressione sorpresa.
– Par quasi che tu abbia visto un fantasma – osservò, tentando di sdrammatizzare, il povero Bilbo, che pure gli era più vicino di tutti gli altri.
Katla serrò le labbra in una smorfia piatta e tesa, pur non riuscendo a distogliere lo sguardo, mentre Balin rispondeva per il loro intrepido capo.
– È così. L'ultima volta che abbiamo visto una tale arma, una città andava a fuoco. Fu il giorno in cui arrivò il drago. – raccontò, con voce bassa e carica di altrettanta melanconia il nano dalla barba bianca – Il giorno in cui Smaug distrusse Dale, Girion, il signore della città, radunò i suoi arcieri per colpire la Bestia... ma la pelle del drago è dura, più dell'armatura più resistente di questo mondo: solo una Freccia Nera partita dalla Lancia del Vento poteva trafiggerne la pelle, e poche di quelle frecce furono realizzate. La scorta andava già riducendosi, quando Girion tentò l'ultima resistenza.
– Se la mira degli Uomini fosse andata a segno – commentò con un amaro sorriso colmo di rimpianti il figlio di Thrain – molte cose sarebbero andate diversamente.
La ragazza si ritrovò a serrare i pugni lungo i fianchi, colta da sentimenti contrastanti, e distolse lo sguardo per sottrarsi la vista del terzetto. Fu Bard a farsi avanti.
– Parli come se ci fossi stato... 
– Infatti – ribadì Thorin.
Quell'ammissione colse del tutto alla sprovvista Kat, che si ritrovò a sollevar di scatto il capo per tornare a fissare il nano e l'Uomo del Lago, scorgendo l'intensità e la regalità di Thorin scontrarsi con la sorpresa e la confusione di Bard. Quest'ultimo stava per parlare quando fu suo figlio ad infrangere il silenzio fra i quattro.
– Allora saprai che Girion colpì il drago – si fece avanti il ragazzo, che era poco più alto di Kat e dei nani lì riuniti, attirando l'attenzione di chi ancora non stava assistendo al confronto – ..gli allentò una scaglia sotto l'ala destra. Ancora un colpo e avrebbe ucciso la Bestia. 
– Quella è una favola, giovanotto, – Dwalin, da dietro di loro, attirò l'attenzione su di sé – niente di più.
Il silenzio teso che seguì permeò l'aria della stanza, rendendola pesante e densa, e in quell'atmosfera Katla si sentì quasi soffocare. Eppure, fu quando Bard diede voce ad un'unica e sommessa domanda, che la ragazza cedette all'impulso e si voltò di scatto verso la porta.
– Chi siete?
Non attese nemmeno di sentir la replica di qualcuno dei suoi compagni per fuggire da quell'atmosfera, urtando inavvertitamente lo stesso Dwalin con una spalla mentre lo superava, arrivando lesta all'anta ed aprendola di getto. L'attimo seguente già se l'era chiusa alle spalle con un tonfo sordo, incurante dell'impressione che doveva aver suscitato sugli astanti all'interno e delle voci che, per questo, si levarono ovattate dalla casa in legno alle sue spalle.
Quando l'aria fredda della notte la investì, di nuovo in grado di riempire i polmoni e trarne sollievo, Kat s'appoggiò alla balaustra del pianerottolo su cui si affacciavano le scale che scendevano alla banchina. Chiuse gli occhi, godendo della sensazione della brezza sulla propria pelle e cercando di scacciare il magone che le era nato in petto, insieme ad una strana e pungente sensazione di fastidio. Si sentiva... scontenta. Una ben strana emozione, giacché non aveva ancora ben compreso da cosa fosse nata.
Le ci sarebbe voluto qualche minuto in solitudine per meglio comprendere sé stessa ed i propri sentimenti, ma non gliene furono concessi, perché di lì a poco la porta che aveva chiuso con tanta veemenza tornò a ruotare sui cardini e da dietro l'anta fece capolino la testa riccioluta di Bilbo.
– Kat... qualcosa non va? – lo hobbit, riaccostato l'uscio dietro di sé, la interpellò con quel suo modo di fare un po' esitante ed apprensivo e Katla non poté non ammorbidirsi.
– No, Bilbo – negò, scuotendo il capo, prima di voltarsi a guardarlo e mostrargli un debole mezzo sorriso – ..va tutto bene.
– Allora... perché sei qui?
Lei fece spallucce, tornando a osservare i tetti delle case in legno del quartiere. Non vi era più alcuno nei dintorni della casa del chiattaiolo, non a quell'ora tarda, giacché il freddo s'era fatto mordente in quel tardo autunno, su Lago Lungo, e persino le spie del Governatore, troppo poco pagate per attardarsi, si erano ritirate nelle loro più calde dimore.
Kat, di fronte alla quiete della notte, si sciolse in un sospiro.
– Avevo solo bisogno di un po' d'aria – ammise, pacata.
Tale parca spiegazione parve suscitare nello hobbit una altrettanto debole comprensione, che eppure lo indusse ad annuirle, prima di arricciare il naso in una smorfia indecifrabile. Osservandolo, la ragazza si ritrovò a sorridere maggiormente, non stancandosi mai del caleidoscopio di espressioni che il loro prode scassinatore era in grado di sfoggiare in certe situazioni, per lo più inconsapevolmente.
Tornando ad osservare il cielo notturno, sospirò allora ancora una volta, prima che i suoi occhi si soffermassero sullo spicchio di luna crescente che stava sollevandosi in quel momento sopra i tetti degli edifici dall'altro lato del canale. Dinanzi a quello squarcio luminoso nel cielo scuro, la ragazza se ne sentì come risucchiata e s'accorse d'essere rimasta incantata a fissar l'astro notturno soltanto quando la voce del suo amico tornò a richiamare la sua attenzione.
– Se è tutto a posto, io rientrerei in casa – affermò, un poco esitante, e lei lo vide sfregarsi le mani sulle braccia con una certa lena – confesso di sentirmi, ancora, alquanto infreddolito.
Come ritornata alla realtà, Kat spalancò gli occhi chiari sull'intrepito hobbit al suo fianco e, rammentandosi d'improvviso che egli era reduce da un bagno nelle gelide acque del lago, annuì con subitanea convinzione.
– Certo, scusami Bilbo – si affrettò a rispondergli, non desiderando che prendesse un raffreddore o peggio proprio ora che erano così vicini alla fine del viaggio – ..rientriamo pure: devi assolutamente scaldarti a dovere.
E, scostandosi dal parapetto di legno, quasi lo spinse verso l'uscio, la preoccupazione per l'amico che prendeva il sopravvento su qualunque cosa le si fosse agitato nell'animo sino a un istante prima.  Rientrarono e Kat, richiudendosi la porta alle spalle con più delicatezza di poc’anzi, notò subito che i nani ed il padrone di casa erano tutti raccolti intorno al tavolo.
Non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse succedendo che il secco clangore di legno e metallo la fece trasalire, mentre si voltava di scatto, spalancando gli occhi su Thorin. Aveva appena ributtato nel mucchio una delle tozze armi rudimentali che Bard stava offrendo loro.
– Queste non sono le armi per cui ti abbiamo pagato – affermò l'erede di Durin, squadrando dal basso della sua statura l'Uomo del Lago con un cipiglio torvo.
A tale scena, rapido come se n'era andato, il magone tornò a serrar il petto della giovane donna, che si ritrovò a stringere la presa sulla stoffa del mantello elfico che ancora portava sulle spalle, all'altezza dello sterno, mentre l'espressione le si piegava in una smorfia corrucciata.
– Kat?
La voce di Bilbo di nuovo chiamò piano il suo nome, pregna di preoccupazione, ma stavolta ella non la udì perché alle orecchie le giunsero le proteste degli altri nani, che imitarono il loro capo e reagirono con altrettanto sdegno.
– È uno scherzo.. – si lamentò Bofur.
Vere armi forgiate in acciaio, ecco ciò che vogliamo.. – si accodò Gloin, suscitando l'assenso di molti.
Ed in Katla qualcosa si ruppe. Un argine, di cui ella stessa aveva ignorato l'esistenza sino a quel momento, cedette sotto l'impeto di uno sdegno crescente e lei avvampò d'imbarazzo e rabbia, e strinse talmente tanto i pugni lungo i fianchi da trarne fitte di dolore. Così si ritrovò a fare un passo avanti, e poi un altro, raggiungendo il centro della modesta sala e facendosi largo a forza fra i nani, scostando di netto un distratto Ori e suscitando un paio di versi di sorpresa.
– Adesso parlerò io e farete bene a starmi a sentire tutti, perché questo è il mondo degli Uomini e non dei Nani – esclamò, ergendosi impettita e rivolgendo un'occhiata penetrante ad ogni volto barbuto raccolto intorno a quel tavolo.
La sua voce risuonò cupa e ferma nel silenzio, vibrante di una rabbia che ella percepiva ribollirle nelle viscere, e la sorpresa che suscitò il suo intervento contribuì a zittire ogni anima raccolta sotto il tetto dell'erede di Girion. Bard stesso, dal suo posto all'altro lato della tavolata, s'immobilizzò, squadrandola con un certo interesse, ma Kat, inevitabilmente, finì per fissarsi in ultimo su Thorin e, mirandone gli occhi di diamante, dovette dominare le emozioni che quello sguardo riusciva a risvegliarle nell'animo persino in quel momento, per riprendere da dove s'era interrotta.
– Bard ci ha fatti entrare in città, ci ha aiutati a scampare alla guardia cittadina e ci ha accolti in casa sua. I suoi figli ci hanno dato di ché scaldarci fra coperte, vestiti asciutti e finanche una bevanda calda. Certo – esordì, e il suo tono si velò di scherno, così come le labbra le si piegarono di un mezzo sorriso tirato mentre proseguiva, indicando il padrone di casa – l'abbiamo pagato per questo, ma non era tenuto ad arrivare a tanto solo per mantenere la sua parola. E, come se non bastasse, ci ha offerto quelle che sono le poche armi di cui può sperare di disporre la gente di qui... armi ricavate da utensili comuni, il cui scopo doveva esser ben altro che questo, eppure ciò non vi basta ancora! No, a voi non interessano di certo i problemi di queste persone, neanche vi siete chiesti come mai siano queste le uniche armi che la gente di questa città può sperare di utilizzare nel momento del bisogno! – e più parlava, più il fuoco che aveva dentro si ingigantiva e gli occhi le si colmarono di lacrime di nervosismo mentre gesticolava, ma quel suo sguardo continuò a sondare i membri della Compagnia inchiodandoli al pavimento lì dov'erano – Non credevo avrei mai assistito a tanta ingratitudine e così poca educazione da parte vostra... vi credevo migliori di così. 
Ed era vero, in quel momento Katla era pervasa da un'ondata talmente intensa d’amarezza e delusione da farle dolere il centro del petto, dilaniandola dall'interno. Sapeva ciò che dovevano provare i suoi compagni ma ancor più si sentiva coinvolta dagli affanni e dalle difficoltà dei discendenti di Girion. Non sapeva il motivo di tanta empatia nei loro confronti e neanche ebbe il tempo di chiederselo, non in quel momento, giacché, spinta dall'impulso del momento, girò sui tacchi, cedendo all'intimo desiderio di sottrarsi a tutti quegli sguardi fissi su di sé.
– Dove pensi di andare? – le giunse dalla familire e brusca voce di Thorin.
– Fuori di qui! – sbottò senza voltarsi, raggiungendo in poche rapide falcate la porta.
Neanche finì di udire la secca protesta dell'erede di Durin in merito che uscì, e mai come in quella circostanza impersonò tanto bene il nome che sin dall'inizio di quell'avventura le avevano affibbiato i nani della Compagnia. La Piccola Furia scese le scale di legno cigolante quasi di corsa, respirando forte nell'aria fredda della notte, il suo fiato che si faceva condensa appena lasciate le sue labbra schiuse. Si allontanò a grandi passi sulla banchina che era la via adiacente alla casupola di Bard, senza mai guardarsi indietro.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 19
*** The Lake-town ***







“Hail the king under the mountain!
A new king arises
to reclaim his deathless throne”
[ Majesty, Wind Rose ]




Bilbo era esterrefatto e, rimasto come istupidito a fissare la porta chiusa che Kat s'era tirata dietro, quando udì la voce di Thorin dar vita ad una sequela di imprecazioni in khuzdul non poté non voltarsi a guardarlo, del tutto spaesato. Il nano era già diretto a quella stessa porta quando la voce dell'Uomo del Lago lo bloccò sul nascere.
– Fermo, – gli ingiunse Bard, che già stava imbracciando il cappotto e prendendo una sciarpa dalle mani di una delle sue figlie – andrò io.
– No – protestò subito Thorin, riservando all'uomo una delle sue occhiate di diamante. Era ancora furioso, Bilbo poteva indovinarlo senza guardarlo, giacché la sua voce era ancor più bassa e autoritaria del solito – Restane fuori, non è cosa che ti riguardi.
Ma l'altro non parve affatto rimanerne impressionato perché fronteggiò l'erede di Durin senza alcun tentennamento, voltandosi a squadrarlo dai pochi passi di distanza che li separavano.
– Non è sicuro per voi uscire ora e, comunque, nessuno di voi conosce la città. Anche nel caso riusciste a trovarla vi perdereste o peggio, incappereste in qualche guardia cittadina, e allora sarà stato tutto inutile.
A quel punto Balin si accostò al suo compagno ed amico, con un sospiro a labbra serrate che gli gonfiò il torace massiccio.
– Credo abbia ragione, Thorin – affermò, con quel suo caratteristico modo di fare diplomatico che riusciva a tirar fuori nei momenti critici.
L'Uomo del Lago non perse altro tempo e, infilata la porta, chiamò suo figlio. Il giovane Bain si accostò a lui sul pianerottolo ed a Bilbo parve di udirlo ricevere poche brevi istruzioni sul da farsi, prima che Bard si allontanasse nella notte e li lasciasse lì. Nessun altro a parte lo hobbit aveva fatto caso al breve scambio fra padre e figlio, giacché nel mentre Dwalin aveva deciso di dar voce al proprio pensiero.
– Lasciate che la Piccola Furia si chiarisca le idee, – aveva esclamato, con quel suo caratteristico modo di fare burbero – una femmina quando perde la testa ha bisogno di tempo per ritrovarla.
– E tu da quando sei un esperto di femmine? – lo rimbeccò Dori, suscitando commenti analoghi da parte di altri del gruppo.
– Io invece penso che Dwalin abbia ragione – intervenne Gloin – lasciate che sia lo spilungone a occuparsene.
– È probabile che sappia meglio di ognuno di noi come prendere una donna, in questi casi – si accodò Oin, in sostegno al fratello.
– E anche se così non fosse, credo che la nostra giovane amica abbia bisogno di sbollire un po', prima di rivedere una qualsiasi delle nostre facce – concordò Ori, suscitando altri consensi.
Bilbo, che però non era del tutto convinto e covava un brutto presentimento da quando aveva scorto la Montagna Solitaria nel cielo del tramonto, non vedeva come un buon auspicio quanto era accaduto. Spostando lo sguardo ancora una volta su Thorin, lo vide dove lo aveva lasciato, accanto a Balin, che fissava con cupo cipiglio le assi del pavimento, come se fosse in conflitto con sé stesso.
E, poco distante dai membri della Compagnia, le piccole figlie di Bard stavano assistendo a quello scambio di battute con il medesimo disagio ed imbarazzo che lo hobbit avvertiva dentro di sé, perciò non gli fu difficile provare una certa empatia nei loro confronti. Fu grazie a tale empatia che egli, dopo una manciata di secondi di muta riflessione, sentì di poter comprendere ciò che aveva fatto scattare a quel modo Katla.
– ..Kat è una di noi – stava dicendo Kili, con tutta l'esuberanza della sua giovane età.
– Esatto – rincarò la dose suo fratello Fili, spalleggiandolo e lasciando spaziare i suoi occhi azzurri sui loro compagni – ..ormai fa parte della nostra famiglia e non mi piace affatto l'idea che sia un estraneo a risolvere i nostri problemi.
– Prima di questo – esordì Bilbo, interrompendo la discussione per la prima volta e facendo un passo avanti nella stanza – credo ci sia un'altra cosa che meriterebbe un poco della nostra attenzione.
– E cosa? – chiese Nori, piuttosto bruscamente.
– Ecco.. – ormai sotto l'attenzione di tutti, Bilbo avvertì il proprio spirito d'iniziativa vacillare, ma si fece forza ed espresse il proprio parere al meglio delle sue possibilità, come avrebbe fatto un qualunque altro, onesto, in buona fede, hobbit della Contea – ..parlo di ciò che Kat ha detto, riguardo a come ci stiamo ponendo nei confronti di Bard e dei suoi familiari – e nel dirlo, scoccò un'occhiata alle due bambine ed al ragazzo rimasti in casa con loro – molti di noi neanche se ne saranno resi conto, credo, ma non siamo stati proprio degli ospiti irreprensibili. Non che stia accusando qualcuno, però credo di non sbagliarmi troppo se dico che, probabilmente, le nostre ultime disavventure hanno inasprito diversi di noi.
– Noi abbiamo pagato la somma dovuta, Mastro Baggins, per armi degne di questo nome. – affermò di punto in bianco Thorin, facendo finalmente udire la propria voce, ed era seria e severa come la maggior parte delle altre volte, così come era severo lo sguardo che sollevò sullo hobbit – Non credo di doverti ricordare quale sia la meta ultima del nostro viaggio. Non posso accettare a cuor leggero strumenti di dubbia efficacia, quando il prezzo da pagare in caso di fallimento è la vita di qualcuno di noi.
– Ed io non sto dicendo che dovresti farlo... – gli rispose Bilbo, cercando di spiegarsi al meglio delle proprie possibilità, iniziando a sentirsi frustrato nel non riuscirci appieno – Dico solo che, forse, non è buona cosa disprezzare l'aiuto che ci viene dato, per quanto esso possa risultare insoddisfacente. E Bard s'è dimostrato Uomo di parola, mi pare...
– Nostro padre mantiene sempre la parola – intervenne di punto in bianco Bain, di poco più alto del più alto di loro, facendosi coraggiosamente avanti – se avesse potuto fornirvi armi migliori l'avrebbe fatto. Purtroppo, ogni arma degna di questo nome è ad uso degli uomini del Governatore e tenuta sottochiave nella sua armeria personale. A noi abitanti è vietato possederne.
– E perché mai, ragazzo? – se ne uscì sorpreso Dwalin.
– Per la rivolta..
– Bain, shht! – lo redarguì la sorella maggiore.
– Quale rivolta? – domandò Bofur.
– Quella che sarebbe scoppiata già da tempo contro il Governatore – rispose Bain, ignorando Tilda e apparendo tutto teso nell'esporre i fatti, stagliandosi come un fuscello nodoso fra loro – ..è un uomo egoista ed avido, che detiene il potere col pugno di ferro e non si cura delle sofferenze della gente comune.
– Quali che siano i problemi di questa città, i nostri non scompariranno e non abbiamo tempo di preoccuparci di quelli altrui – osservò Thorin, impietoso, prima di fissar lo sguardo sul ragazzo – Ma non vi priveremo del poco che avete.
E Bilbo, all'implicita concessione celata dietro quella semplice affermazione, si sentì meno inquieto e nervoso.
– Hai parlato di un'armeria, – continuò l’erede di Durin – sapresti dirci come arrivarci?
Bain parve venir preso alla sprovvista da tale richiesta e persino Bilbo inarcò un sopracciglio, mentre al contempo vide Fili e Kili scambiarsi un'occhiata d'intesa ed anche altri fra i nani esternare un certo compiacimento.
– Si trova accanto al palazzo del Governatore, nel centro della città – mormorò incerto il ragazzo, prima di riaversi, come rammentandosi di un dettaglio fondamentale – ..ma non potete andarci, vi arresteranno! Pa' ha detto di aspettare il suo ritorno.
– Devono solo provarci, ragazzo – se ne uscì con quel suo fare burbero e un po' da sbruffone Dwalin, ridendosela sotto i baffi.
Lo hobbit non capì cosa ci trovasse di così divertente nell'eventualità di venir assalito dalla guardia cittadina, ma si astenne dal chiederlo, giacché la maggior parte dei suoi compagni sembrava dello stesso avviso del nano dalla testa tatuata. Cosa di cui, rifletté Bilbo, non avrebbe di certo dovuto sorprendersi ormai, giacché negli ultimi mesi aveva imparato a conoscere un po' il temperamento dei membri di quel popolo battagliero.
– Aspettate – stavolta fu la voce di Fili a levarsi fra le altre – e Kat?
– Torneremo a prenderla quando avremo le nostre armi – ribatté sicuro Thorin, guadagnandosi altri cenni di approvazione, ed a niente valsero i tentativi di Bain o delle sue sorelle di trattenerli ancora.
La Compagnia di Thorin Scudodiquercia ancora una volta fece di testa propria e lasciò la casa di Bard con lo stesso ottimismo che li aveva spinti ad uscire dalla porta di Casa Baggins ormai sei mesi prima. E Bilbo, pur con tutte le riserve del mondo, non poté non seguirli, giacché se di una cosa poteva star certo era che non era un bene per la Compagnia dividersi ulteriormente.
E poi, concluse fra sé e sé, meglio che pensasse lui a tener d'occhio i loro amici, finché Kat non fosse tornata.


Si era ritrovata a girovagare nei pressi del mercato ancor prima di rendersene conto, così aveva deviato verso Sud ed aveva imboccato una delle banchine laterali immerse nell'ombra appena in tempo per evitare il cammino di una delle guardie di ronda. Con l'animo in subbuglio, ci aveva messo un po' a fermarsi e lo aveva fatto soltanto quando si era ritrovata di fronte ad un vicolo cieco, l'ennesima banchina che si interrompeva in uno spiazzo d'acqua gelata. Aveva scelto una cassa a ridosso d'un edificio e ci si era arrampicata sopra, raccogliendo le gambe e nascondendo il volto fra le mani.
Solo a quel punto si era accorta di aver il respiro affannoso e di star ancora tremando dalla rabbia e dall'agitazione, e le ci era voluta una manciata di minuti ancora per riuscire a riprendere il controllo di sé. Quando si sentì di nuovo padrona di sé stessa, allora Kat ritornò a fissare l'acqua di fronte a lei ed il riflesso ondeggiante della luna che andava alzandosi nel cielo.
Cosa diamine le stava prendendo?
Le erano saltati i nervi per una sciocchezza ed era difficile da credere, difficile e pericoloso, perché non poteva permettersi errori. Era troppo vicina alla fase più pericolosa dell'intera avventura, a quella in cui si sarebbe decisa la fine degli eredi di Durin ed all'attuazione del suo piano per impedirla.
Ne aveva passate talmente tante da quel lontano giorno a Casa Baggins, che il solo pensiero di star iniziando a cedere proprio ora le fece nascere un malsano sorrisetto ironico sulle labbra. No, non si sarebbe permessa alcuna debolezza e, se necessario, avrebbe finanche soppresso le proprie stesse emozioni per evitare il peggio.
Fu in quell'istante, non appena quel suo ultimo pensiero prese forma, che la udì.
Era una musica lieve, appena percepibile nell'aria della sera, ma le sfiorò l'animo come se scaturisse da questo e Kat s'irrigidì, mettendosi istintivamente in allerta. Quando riconobbe gli strumenti che davano vita a quel ritmo frenetico, la giovane si ritrovò a balzare in piedi di scatto, saltando giù dal proprio appoggio per cercare l'origine di quella musica.
Lei la conosceva.
Era una delle sue canzoni preferite.
Guardandosi freneticamente a destra ed a sinistra, l'orecchio teso, le ci volle un'altra manciata di secondi per comprendere che non proveniva dal mondo intorno a lei. Eppure le risuonava nitida nelle orecchie, al di sotto dei rumori della città di Pontelagolungo, tanto che per un attimo pensò di aver addosso un paio di auricolari e andò a tastarsele con ambo le mani. Non trovò nulla ovviamente, ma a quel punto era ormai certa che quella musica provenisse dal suo mondo, e questo poteva voler significare una cosa sola: era ancora legata ad esso.
Sorpresa e spaesata, Kat rimase in piedi nella penombra della banchina, col cuore che le batteva energico nel petto e la musica che proseguiva a sfiorare la sua coscienza con un ritmo ed una musicalità del tutto estranei all'universo di Arda. Chiuse persino gli occhi, cedendo all'intimo desiderio di abbandonarvisi come aveva fatto molte volte in passato, sgombrando la mente per seguire quelle note giunte chissà-come fino a lei.
Fu grazie ad esse che riuscì a calmare sé stessa per quanto appena accaduto in casa di Bard e per le emozioni che la stavano dilaniando dall'interno. Grazie ad esse si ritrovò e riconobbe, e rammentò a sé stessa chi era, da dove veniva e dove stava andando, in un modo del tutto nuovo ed irrazionale, come solo la musica che si ama saprebbe fare.
Quando questa si concluse, sfumando in un rinnovato silenzio interiore, Kat tardò a schiuder nuovamente le palpebre, cedendo all'impulso soltanto quando fu sicura che non sarebbe giunto nient’altro dal suo mondo. Una volta riaperti gli occhi sulle acque del lago, lo spicchio di luna le riempì le pupille del suo riflesso e quasi la accecò, eppure ancora una volta la ragazza se ne sentì affascinata ed attratta come non le era mai capitato in passato, tanto da sollevar gli occhi chiari verso il cielo.
L'astro notturno l'accolse con straordinaria immutabilità, splendente come il più prezioso dei gioielli ed ammaliante nella sua sottile forma ricurva. Era bellissima incastonata in quel cielo solcato di nubi scure e ovattate, tanto che Kat, nella sua contemplazione, si ritrovò a sospirare di uno struggimento interiore altrettanto intenso. Con quel sospiro, gli ultimi sprazzi della tensione e del turbamento precedenti scivolarono fuori da lei, abbandonandola, lasciandola sola con la quieta bellezza della notte ed il ricordo di quella melodia tanto lontana da lei. 
Un rumore di passi ovattati sul legno della banchina la riportò presente a sé stessa con una rapidità tale che agì d'istinto e, nel voltarsi di scatto a fronteggiare la presenza in avvicinamento, cercò meccanicamente la spada al fianco sinistro con la mano opposta. Quasi sussultò quando, già in posizione di guardia, le sue dita si richiusero nel vuoto, e sgranò gli occhi al ricordo di dove la lama di Gondolin le era stata sottratta. Non fece in tempo nemmeno a mettere a fuoco la figura che, alta e scura nella notte, si era fermata sotto l'ombra del portico a qualche metro da lei, prima che la sua voce risuonasse insolitamente nitida nel silenzio pregno di tensione.
– Sono io – esordì Bard con tono pacato e contenuto, mentre usciva dall'ombra del portico – non allarmarti.
Sorpresa, la giovane donna tornò a raddrizzare la schiena, abbassando le braccia lungo i fianchi mentre, sbattendo le palpebre, fissava con rinnovata chiarezza la figura dell'erede di Girion mostrarle le mani in universale segno di pace.
– Che fai qui?
– Non è saggio girare per la città, nemmeno durante la notte: le guardie del Governatore vanno di ronda anche dopo il calar del sole.
Quella semplice spiegazione le fece storcere le labbra in una smorfia. Aveva ragione, ovviamente.
– Ho capito – borbottò, non senza sentirsi un po' Dwalin in quel momento, ma senza poterselo evitare, tanto da porre le braccia conserte. 
Il pensiero di tornare dalla Compagnia non la entusiasmava, non ancora, avrebbe voluto qualche altro minuto da sola per metabolizzare tutto quanto le stava accadendo e godere di quel piccolo momento solo per sé.
Bard però non fece cenno di raggiungerlo, invece le camminò incontro sino a ché non le si fermò ad un paio di passi di distanza, guardandola con quell'espressione tipicamente seria di qualcuno che è in procinto d’esternare un cruccio o un dilemma. Facendosi allora attenta, Kat si limitò a ricambiarne lo sguardo con la medesima serietà, inarcando giusto un sopracciglio nella breve attesa che seguì.
– La vostra meta ultima è la Montagna, vero? La storia dei parenti ai Colli Ferrosi era una menzogna – le domandò, pur mancando di assumere un tono interrogativo.
Di fronte all'affermazione altrui, Kat serrò le labbra in una linea piatta mentre il cuore tornava ad accelerarle nel petto. Non poté comunque sottrarsi in alcun modo a quel momento e, dopo una breve staticità di alcuni secondi, infine annuì.
– Il nano a capo della vostra Compagnia non è quello con la barba bianca – proseguì l'uomo.
Lei scosse il capo in segno di diniego.
Il silenzio che seguì crepitava di rinnovata tensione e, nel sostenere lo sguardo altrui con fermezza crescente, Kat sentì il proprio corpo reagire a quella sorta di elettricità nell'aria: era di nuovo pronta al balzo, eppure sapeva non essere necessaria tanta diffidenza, persino quando gli occhi dell'uomo si indurirono.
– Non avete il diritto di entrare in quella montagna – affermò Bard, contenendo il tono aspro che gli stava risalendo la gola. Anche lui era teso.
– Ti sbagli – ribatté prontamente Kat, e le parole che pronunciò le vennero dal cuore, cosicché colmarono la distanza a separarli con una severità assoluta – è Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna, a guidarci. Nessun altro ha più diritto di lui di entrarvi.
E, di fronte a tanta fermezza, Bard tacque pur sostenendo ancora il suo sguardo, mentre Katla faceva lo stesso, del tutto inconsapevole di aver incarnato la medesima tempra dimostrata in più di un'occasione dallo stesso erede di Durin. In quella nuova stasi, la ragazza tuttavia non permise a tale durezza di dilagare e incastonarsi nel proprio animo o nel rapporto che si stava ancora andando ad instaurare fra lei e l'Uomo del Lago, e per questo fu la prima ad infrangerla, ammorbidendo l'espressione con un lievissimo sorriso.
– Sei un uomo giusto, Bard, e la preoccupazione che dimostri per la sorte della tua gente ne è la conferma. Ma vi è in te una forza di cui tu stesso fatichi ancora a riconoscere – esordì con la medesima serietà e pacatezza – e lo so perché è la stessa che alberga in ogni membro del nostro Popolo. Puoi farvi affidamento, Bard, erede di Girion, e non fallirai, te lo garantisco – il suo sorriso si allargò e in risposta l'Uomo del Lago seguitò a guardarla, tradendo una nota di sorpresa, ma ella non permise ad essa di mutare in qualcos'altro – La profezia, se si avvererà, lo farà in ogni sua forma, e tu hai ancora tempo per preparare il tuo Popolo al peggio. Puoi fare in modo che le genti di Pontelagolungo siano pronte alla fuga e, nel mentre, puoi nascondere fuori città quanto più cibo e altri beni di prima necessità possibili con la tua chiatta.
– Dispensi consigli eppure non farai nulla per evitare che la tragedia si compia. Seguirai quel nano comunque, qualunque cosa comporti – la rimproverò amaramente l'altro, trapassandola con il proprio sguardo scuro.
Kat si strinse nelle spalle.
– Lo farò, – confermò senza scomporsi, con un candore ed una semplicità unici – perché è questo il destino che mi sono scelta. I legami che mi vincolano alla Compagnia vanno oltre il mero dovere e non intendo sottrarmene, perché anche io ho qualcosa che devo fare prima della fine. Ma ciò non ti riguarda. Ciò che ti riguarda è legato al destino della tua città e della tua gente ed io, nel mio piccolo, non posso far nulla per esso. Però questo non vuol dire che tu debba aspettare immobile la fine ed è questo il mio consiglio ultimo, sta a te decidere se seguirlo o meno.
Concluse così e, combattendo la nuova agitazione che le si era ridestata sotto pelle, osservò l'espressione dell'Uomo del Lago che andava rabbuiandosi in una più riflessiva e combattuta. Pareva intento a vedersela con il conflitto interiore che le parole che si erano detti doveva aver generato in lui, e sarebbe rimasto lì in piedi a fissare un punto indefinito fra loro ancora per qualche tempo se non fosse stato per l'improvviso infrangersi della quiete notturna.
Si voltarono entrambi a guardare in direzione della via principale del mercato, appena in tempo per scorgere un paio di guardie correre lungo questa, superando la stradina trasversale senza nemmeno lanciarvi un'occhiata tanta era la loro fretta.
Dopo un istante di tesa immobilità, Bard e Kat tornarono a scoccarsi un'occhiata reciproca e l'uomo cambiò argomento.
– Meglio tornare in fretta a casa mia, prima che ci vedano. Non ho nessuna voglia di dover dare spiegazioni sulla tua presenza, non ora che so qual è il motivo per cui tu e i tuoi compagni vi trovate qui – le disse senza mezzi termini, ma senza un'ostilità che, arrivati a quel punto, Kat avrebbe trovato comprensibile.
La ragazza annuì con un nuovo cenno del capo, sollevata, ma quando Bard la condusse di nuovo verso il mercato, nell'unica direzione possibile, nel momento in cui sgusciarono oltre l'angolo per guadagnare il riparo della penombra di un’altra banchina, un nuovo rumore di passi affrettati fece rintanare Kat dietro una delle casse colme di reti, separandola dall'Uomo del Lago che era già al sicuro oltre la piazzola di legno. Fu così che, nel suo nascondiglio di fortuna, rannicchiata sull'assito, la ragazza poté udire distintamente l'esortazione che la guardia stava rivolgendo al suo compagno mentre correvano.
– ..che si tratti di nani o ribelli, dobbiamo catturarli! Corri, prima che il merito se lo prendano altri!
La risposta dell’altro non le giunse chiara, ma Kat non se ne curò, rimasta come impietrita da ciò che aveva colto il suo udito. Si sporse, gli occhi sgranati, per guardare nella direzione in cui le due guardie s'erano dirette e le vide appena in tempo, prima che svoltassero un angolo, diretti verso il centro della città.
Nani. 
Avevano detto “nani”.
Trattenne il fiato un solo istante, prima di agire d'impulso e balzare in piedi. L'attimo seguente già stava correndo in quella stessa direzione e quasi non colse l'Uomo del Lago che la chiamava per nome nella notte, senza dubbio in un tentativo di riportarla indietro. Kat non se ne curò, invece raggiunse rapida la strada intrapresa dagli uomini in arme, seguendoli quasi alla cieca, data la distanza che in un baleno si era creata fra lei e questi ultimi, tanta da costringerla più d'una volta a indovinare la direzione intrapresa più che a vederla.
Per quanto agile ed allenata, la stanchezza degli ultimi giorni e l’intorpidimento reclamarono i suoi muscoli e le guardie la distanziarono ben presto, cosicché le ultime svolte ella dovette farle alla cieca. Quando colse finalmente il tumulto caratteristico di una lotta in corso e suon di voci nella brezza notturna, il cuore le si bloccò in gola. Si lanciò nella direzione in cui pensava provenisse quel baccano, ma l'impeto la portò a gettarsi oltre l'ultima curva senza pensare.
Fu così che si ritrovò nel bel mezzo della mischia: andò dritta ad inciampare contro qualcosa, un piede o forse una gamba, e cadde con un urletto addosso ad una delle guardie girate di spalle. L'attimo dopo era a terra, dolorante per la botta data all'assito di legno e con gli occhi che si spalancavano di scatto mentre veniva immobilizzata da una salda mano guantata sul petto ed una lama proprio sotto la gola, in una silenziosa e concreta minaccia.
Col sangue ghiacciatole nelle vene Kat non osò nemmeno deglutire, eppure, malgrado la smorfia natale in volto, distinse chiaramente i suoi compagni di viaggio che venivano catturati ed immobilizzati dalle guardie della città. Quando, con un gesto brusco, notò l'arma che veniva tolta dalle mani di Fili, allora la mente d'ella collegò tutti gli indizi: avevano appena cercato di saccheggiare l'armeria cittadina.
Stava ancora cercando di spiegarsi come avessero fatto a farsi sorprendere a quel modo che qualcuno la fece alzare con uno strattone.
– Capitano!
L'uomo che ella aveva distinto al mercato poche ore prima, quello con la cappa rossa sopra l'armatura di cuoio e metallo, si voltò nella loro direzione.
– Questa è sbucata dal nulla – gli disse quello che la teneva immobilizzata.
Il capitano la squadrò con cipiglio altero, facendo un paio di passi in sua direzione. Aveva capelli rossicci e legati con un laccio dietro la nuca, ed un pizzetto dello stesso colore. Era alto, grassoccio ma non mollaccione, con le spalle larghe e rughe d'espressione intorno agli occhi che tradivano la sua età non più fiorente.
– Sei una di loro, ragazza?
Ella volse allora uno sguardo incerto ai suoi compagni, scorgendo i volti di Balin e Dwalin, di Fili, Bombur e Oin, e persino di Bilbo, tutti intenti a guardarla colmi di tensione. Le bastò un istante per decidere ed annuì con un cenno.
L'uomo con la cappa scarlatta allora deviò lo sguardo da lei al suo sottoposto.
– Con gli altri. – ordinò secco – Li porteremo dal Governatore.
E mentre veniva condotta con i suoi compagni verso la dimora del Governatore, Katla scorse con la coda dell'occhio Bard, rimasto nascosto dietro l'angolo di uno degli edifici in legno della città, che li osservava allontanarsi.


Quando le porte dinanzi allo spiazzo si schiusero, colui che era il Governatore della città di Pontelagolungo si mostrò loro come un uomo di bassa levatura, grasso e vestito di stoffe pregiate che apparivano allo sguardo di Kat come se fossero state di seconda o, persino, di terza mano. Sul suo petto spiccava una grossa spilla ingioiellata che fermava una mantella bordata di pelliccia bruna che gli pendeva dietro la schiena. Aveva capelli scuri, radi, lunghi a coprire un'evidente principio di calvizie sulle tempie e nella barba c'erano ancora i resti del pasto che doveva esser stato in procinto di terminare in una delle sale alle sue spalle.
– Ebbene – esordì con voce sgraziata, puntando il suo sguardo arcigno su di loro – Che succede?
I membri della Compagnia di Thorin Scudodiquercia erano stati fatti fermare sull'ampia banchina che era la piazzola del centro cittadino ed un folto numero di persone, oltre alle guardie, si era riunito tutt'intorno a loro per assistere a quanto stava accadendo. Molti li avevano visti passare per le strade e li avevano seguiti sin lì, incuranti del freddo di quella notte d'autunno inoltrato, e ora bisbigliavano fra loro, dando vita ad un brusio altalenante.
– Li abbiamo sorpresi tentar di entrare nell'armeria, Signore – affermò con voce chiara il capitano delle guardie, stagliandosi dinanzi all'autorità di Pontelagolungo.
– Ah – esordì quello, come illuminandosi di cupa soddisfazione, continuando a squadrarli – nemici del governo, dunque.
Katla era ferma in seconda fila, nella speranza di passar inosservata fra i suoi compagni, pur consapevole di essere più alta di molti di loro, e per questo aveva finito per avvicinarsi istintivamente a Thorin ed ai suoi familiari. Quando lo sguardo del Governatore, sovrastante un grosso naso aquilino, si posò su di lei, le venne naturale cercare riparo dietro al capo della Compagnia, sfiorandogli un braccio tanto era vicina. Tale reazione non passò inosservata a Thorin, che le rivolse una rapida occhiata da sopra la spalla, prima di tornare a fissare la più alta autorità della città che un tempo era stata Esgaroth. Con la stoica fierezza e l'orgoglio che la ragazza aveva imparato essergli propri, l'erede di Durin fece un passo avanti, affrontando il Governatore a testa alta.
– Non siamo criminali, noi siamo i Nani di Erebor. – affermò, e la sua voce trasudava tutta la sua autorità mentre si stagliava fra loro come il capo che era, mentre le sue parole già davano vita ad un nuovo diffuso brusio fra le genti raccolte in piazza – Siamo tornati a reclamare la nostra terra natia.
E fra le voci che presero a diffondersi nell'aria circostante Kat, alle prese con il battito forsennato del proprio cuore, credette di udire qualcuno pronunciare il nome del Signore delle Argentee Fonti ed altri pezzi dei versi che componevano la profezia del ritorno del Re sotto la Montagna. Tuttavia non si concesse più di una rapida occhiata intorno, prima di tornare a fissare la schiena di Thorin, l'ambiente illuminato dalla luce delle torce disposte agli angoli della piazza.
Le era quasi parso che il nano si fosse fatto avanti per lei, in reazione ai suoi timori, e questo era il motivo principale per cui il suo cuore ancora le batteva con forza nel petto, al di là del momento di tensione che stavano affrontando.
– Disarmati? – proruppe stupito e scettico il Governatore, come se non volesse dar mostra della reale sorpresa che aveva scatenato in lui l'affermazione di Thorin.
– Non abbiamo bisogno di armi, noi che torniamo ai nostri possessi secondo l'antica profezia.
Un nuovo brusio si levò di sottofondo, più forte dei precedenti, e in reazione ad esso l'uomo a capo della città li fissò con rinnovato cipiglio, palesemente infastidito.
– Belle parole, per dei briganti di ventura che han tentato di derubarci – ribatté però l'altro, con una punta di scherno ed un vago mezzo sogghigno.
Kat sussultò violentemente per quell'accusa per nulla velata, comprendendo che le cose stavano rapidamente volgendo al peggio, e la sua reazione attirò più d'uno sguardo, compreso quello del Governatore stesso. Tuttavia, Thorin fu lesto ad approfittare della distrazione fornitagli dalla giovane, perché non attese che quelle accuse sedimentassero negli animi di chi ascoltava, ma tornò subito alla carica, ben piantato con gli spessi stivali sull'assito ligneo.
– Io sono Thorin, – esclamò, rivolto non solo all'uomo a capo della città ma anche alle genti di Lago Lungo, facendo spaziare il suo sguardo su di loro lentamente mentre proseguiva – figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna! E ricordo questa città al tempo della sua grandezza – e mentre proseguiva, con voce un poco più bassa ma non meno ferma e chiara nel silenzio che s'era di nuovo addensato nell'aria, mosse qualche altro passo, andando ad affiancare il capitano e superandolo, finendo sotto i pochi gradini che conducevano al portico del Governatore – ..rammento flotte di navi attraccate al porto, colme di sete e gemme preziose. Questa non era una città abbandonata su un lago, questo – e sollevò una mano dinanzi a sé, chiudendola a pugno mentre metteva enfasi nelle proprie parole – era il centro di tutto il commercio del Nord!
Katla trattenne il fiato mentre le voci delle genti di Pontelagolungo tornavano a levarsi oltre le guardie che li cingevano come un recinto per il bestiame. Non avrebbe dovuto sorprendersi, eppure non poté evitare di fissare ammirata Thorin che, intuendo il punto debole degli Uomini, vi faceva leva per trarli d'impiccio e guadagnare tutti i vantaggi che poteva.
– Io garantirei il ritorno di quei giorni, – affermò infatti l'erede di Durin, serio, solenne, tornando a squadrare il Governatore dritto in quel suo volto untuoso – riaccenderei le fornaci dei Nani e farei fluire di nuovo le ricchezze dalle sale di Erebor.
Le acclamazioni del popolo si levarono chiare e distinte, insieme all'eccitazione generale, tanto che il Governatore non poté rimanerne indifferente. Eppure, non del tutto convinto, dopo essersi guardato un poco attorno ad osservare la reazione della gente della città, esitò un'ultima volta.
– E come possiamo noi credere alle promesse di uno sconosciuto? Non sappiamo nulla di voi. – insistette – Chi potrebbe garantire per la tua parola?
La giovane donna non si sorprese quando Bilbo si fece avanti, ma lo seguì comunque con lo sguardo mentre prendeva le difese del loro capo, finendo addirittura per sorridere al temerario hobbit che era diventato. Ascoltandone le parole, per un attimo pensò di far altrettanto, ma lei sapeva che le cose, invece, erano destinate a finire diversamente da quanto tutti si auguravano e decantavano. Così, pur con una punta di rimorso e disagio crescenti, rimase in disparte, assistendo al cedimento del Governatore ed all'abbandono di ogni traccia di ostilità nei loro riguardi.
– ..che possiate essere i benvenuti fra noi, amici del Regno di Erebor! – concluse con un gran sorriso che sapeva di opportunismo.
E Kat tirò un sospiro di sollievo.
Ancora una volta, ce l’avevano fatta.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 20
*** Resolution ***







“With craftsmen and warriors we come
to take what the north still awaits,
with no regret take all we have
and leave for the battle.”
[ Age of Conquest, Wind Rose ]




Era davvero ampia la casa che venne loro offerta dal Governatore per la loro permanenza in città, così come era sempre abbondante il cibo alla loro tavola, tanto che dopo una settimana ogni nano della Compagnia era nuovamente in carne e nel pieno delle forze. Anche Bilbo e Katla giovarono di quelle premure che riversarono su di loro gli Uomini, fra le quali erano compresi anche abiti nuovi e adatti alla stagione che andava freddandosi sempre più, man mano che l'autunno si avvicinava alla sua conclusione.
Lo hobbit era riuscito persino a procurarsi un nuovo panciotto, dato che il suo aveva perso i bottoni ormai alcuni mesi prima e da allora aveva dovuto usare un laccio intorno alla vita per tenerlo chiuso. In quanto a Kat, lei era stata la meno entusiasta e quella che più aveva avuto problemi nel trovare degli abiti che differissero da qualunque cosa comprendesse una gonna o simili. Aveva finito persino per perdere la pazienza all'ennesima stola che le veniva posta dinanzi al naso dalle serve del Governatore e le aveva buttate fuori dalla propria stanza senza riuscire a serbare più un briciolo di pazienza nei loro riguardi.
Quell'episodio era stato fonte di nuova ilarità fra i membri della Compagnia, ovviamente, che non avevano perso l'occasione per prendere in giro la loro Piccola Furia in quel loro modo bonario di sempre, e questo aveva risvegliato nella ragazza le stesse emozioni che aveva provato per la prima volta a Casa Baggins, quella lontana serata di fine primavera. A discapito di ciò che aveva provato il primo giorno a Pontelagolungo, durante quelli seguenti si riscoprì legata al Popolo di Durin come se fosse il suo e questo le aveva riscaldato e lacerato il cuore al tempo stesso. Perché lei non era una Nana e non lo sarebbe mai stata, ed era una consapevolezza che iniziava a pesarle nel profondo, ogni qualvolta posava il suo sguardo su Thorin.
Allo stesso modo, anche l'umore di Bilbo era caratterizzato da alti e bassi, seppur per ben altri motivi. L'ombra della Montagna Solitaria ed il pericolo da essa rappresentato sembravano aver fiaccato un poco il piccolo hobbit, che eppure era ormai del tutto apprezzato da ogni nano, tanto che non mancò serata in cui non si brindasse in suo onore e lo si prendesse in mezzo, ricoprendolo di lodi e riconoscimenti per l'impresa da lui compiuta presso il Reame Boscoso.
Questa era una di quelle serate spensierate e all'insegna del meritato gozzovigliare nanico, con risate e canzoni, ed aneddoti da parte di quello o quell'altro compagno su episodi divertenti. Ad un certo punto Kat si era ritrovata a ridere con talmente tanto trasporto da finire gambe all'aria, ribaltatasi indietro con tutta la sedia, suscitando altre risa e pugni battuti sulla tavola imbandita.
Riaprendo gli occhi dalla sua posizione ancora riversa a terra, la ragazza, ancora senza fiato, vide entrare nel proprio campo visivo il giovane Kili, che ancora paonazzo per le risate già le stava porgendo una mano. Afferrandola, Katla si lasciò tirare di nuovo in piedi, ridacchiando imbarazzata e al contempo gemendo per la botta presa dietro la nuca: non fosse stato per lo chignon con cui aveva infine raccolto esasperata i capelli le sarebbe comparso già un bel bernoccolo.
Tornata a sedere, deviò automaticamente lo sguardo verso il posto a capotavola, ove sedeva Thorin, e quando i loro sguardi si incrociarono ella lo vide cercare di mascherare il sorriso divertito prima di tornare a conversare con Balin e Bilbo, sedutigli accanto.
Non era la prima volta che il capo della Compagnia sviava lo sguardo da lei con noncuranza, ma questo, unito al fatto che non si erano praticamente più parlati, contribuiva a rendere la percezione della distanza che li separava sempre maggiore per ogni giorno passato a far finta di niente. Kat non era riuscita a scusarsi o a dargli spiegazioni per il suo comportamento e lui non ne aveva chieste, e ciò aveva iniziato ad incrinare la già labile spensieratezza del suo animo.
– Ehi Kat..
La voce di Kili la richiamò al presente e lei, accorgendosi di essersi come incantata a fissare il profilo di Thorin, tornò a voltarsi verso il più giovane dei figli di Dìs, simulando il proprio smarrimento e l'imbarazzo come meglio poté.
– Sì?
– Stai bene? Hai dato una bella capocciata – le disse ilare quello, con un sorriso gioviale che celava una punta d'accondiscendenza – ..forse dovresti prendere una boccata d'aria.
In quei suoi occhi castani, Kat però lesse più di quanto espresso a parole dal nano. In essi scorse comprensione e solidarietà, in una misura tale da farle dolere il cuore al centro del petto. Avvertendo le lacrime minacciare di salirle agli occhi, ella annuì, accettando l'offerta altrui ed alzandosi in piedi. Rimase sorridente ed usò la medesima scusa suggeritale da Kili per allontanarsi dalla sala, quindi seguita dal nano bruno, si allontanò.
Una volta fuori, con intimo sollievo di entrambi, non vennero accolti da uno dei cori che solitamente piantonavano la loro porta e la ragazza poté accostarsi senza indugi alla ringhiera del piccolo terrazzo affacciato direttamente sulle acque del lago. In un attimo il più giovane dei figli di Dìs fu al suo fianco, appoggiato al legno con ambo le braccia e lo sguardo rivolto al cielo coperto di nubi. Le stelle quasi non potevano scorgersi e la luna quella sera era nascosta alla vista, cosa che rese la ragazza meno appagata da quella loro piccola fuga. Questo, unito all'odore particolare dell'aria del lago, umida e fredda, le fece arricciare il naso in una smorfia.
– Un'altra notte buia – commentò Kili, come se le avesse appena letto nel pensiero – la stagione invernale si avvicina.
– Già – annuì lei, facendo spallucce e donandogli un'occhiata in tralice.
L'ilarità che ancora risiedeva all'interno della sala da pranzo e che l'aveva animata fino a pochi secondi prima, ormai era svanita, e Katla si soffermò a scrutare l'amico in silenzio, chiedendosi quando si sarebbe deciso a parlarle chiaramente. Era raro che Fili non li avesse seguiti, ma non era un male, giacché in questo modo avrebbero potuto parlare più liberamente. Difatti nel corso di quel loro incredibile viaggio, dei due nani era Kili quello più propenso a farsi sfuggire rivelazioni e confidenze, mentre il fratello maggiore aveva una diversa consapevolezza del peso che potevano avere le parole e si era dimostrato più d'una volta accorto nel dispensare consigli e commenti.
Sarebbe divenuto un grande Re dei Nani, un giorno... se lei fosse riuscita nei suoi propositi.
– Kat? 
La voce di Kili la richiamò alla realtà, strappandola dal filo dei suoi pensieri, e lei tornò a schiarirsi la vista del volto altrui con un rapido battito di ciglia, trovandolo solcato da nuova preoccupazione.
– Sì? – chiese meccanicamente, ricacciando indietro le proprie angosce e facendo la faccia più innocente che poté.
– D'improvviso ti sei fatta cupa in viso... – le disse senza mezzi termini lui, fissandola con serietà ed un sopracciglio inarcato. Lasciò intercorrere una breve pausa durante la quale Kat si sentì sempre più in tensione, finché egli alla fine non concluse: – Sai, so cos'è che ti turba ultimamente. L'ho capito.
Di fronte a tale affermazione la giovane donna trattenne il respiro, sull'orlo d’una crescente agitazione.
– A-ah sì? – balbettò, le labbra che le si sollevavano meccanicamente in un sorriso di tensione.
L'altro annuì.
– Ho visto come lo hai guardato stasera. È per Thorin.
Kat non poté evitare di rilassarsi di botto, finendo quasi per cedere ad un sospiro di sollievo che la fece appoggiare con rinnovato abbandono alla balaustra di legno del terrazzo. Scuotendo il capo per nascondere la propria reazione, tornò a rivolgere lo sguardo al cielo.
– Non ti si può nascondere niente, vedo – mormorò, come a dargli ragione, prima di avvertire il consueto imbarazzo tingerle le gote ogni qualvolta si parlava di lei e dei suoi sentimenti per l'erede di Durin – ..non ho più nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia, dopo tutte le cose che ho detto.
– Tranquilla – cercò di placarla lui con la sua solita spensieratezza ed un sorrisetto malandrino – l'impulsività è ben nota a noi Nani in ogni sua forma. Nella mia giovane vita ho assistito a scene ben più discutibili da parte di creature meno graziose.
Kat a quelle parole si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, sfoggiando un mezzo sorrisetto ironico.
– Vuoi dire che vi basta un bel faccino per farvi dimenticare ogni sfuriata?
Quindi scoppiò a ridacchiare e Kili si unì a lei, mentre cercava di correggere il tiro, non riuscendoci e finendo per arrossire e ridere ancor di più. Quando tornarono a calmarsi abbastanza da poter riprendere a parlare senza ansimare, fu la ragazza stavolta a prendere l'iniziativa, deviando ancora una volta lo sguardo sulle scure acque del lago sotto di loro.
– Sai, c'è una cosa di cui volevo parlarti.. – esordì, indugiando un solo istante prima di tornare a voltarsi verso di lui per osservarne la reazione – Riguarda l'attrazione che provi per l'Elfa dai capelli rossi di Reame Boscoso.
Come s'era aspettata, la reazione di sorpresa del nano fu tanto violenta da farle credere che sarebbe scivolato in acqua, ma quando fu chiaro che non sarebbe accaduto ella ne interruppe le iniziali rimostranze senza remore, tenendo i suoi occhi chiari sul volto barbuto dell'amico.
– È inutile che provi a negare, non sono stupida – gli fece presente, seria pur continuando a sfoggiare un'ombra di sorriso per alleggerire la conversazione – e tuo fratello nemmeno: è solo preoccupato per te.
A quell'ultima frase, Kili si adombrò e Kat si ritrovò a pensare che forse, poco prima, doveva aver avuto la sua medesima espressione, così si affrettò a correggersi ed a spiegare ciò che veramente le stava a cuore chiedergli.
– Non intendo dire che è sbagliato ciò che provi, – affermò, drizzando la schiena e fronteggiandolo, cercando di apparirgli ben disposta nei suoi confronti – e come potrei? In fin dei conti, sono io la prima a provare qualcosa per qualcuno di un popolo diverso dal mio – e nel dirlo allargò il sorriso, indicandosi con un cenno della mano, suscitando finalmente un pallido sorriso imbarazzato nel suo interlocutore – volevo solo chiederti se ti va di parlarne un po' con me... insomma, dev'essere ben strano per te ciò che stai vivendo.
Katla sperò ardentemente che il nano con lei accogliesse il suo invito, perché, come ella stessa gli aveva detto, era stata la prima a provare dei sentimenti per qualcuno di totalmente diverso da lei e, dopo tutto quel tempo, iniziava a sentire il bisogno di confidarsi con qualcuno che potesse capirla. Soprattutto per questo aveva accettato il muto invito del nano ad uscire a prendere una boccata d'aria, cogliendo quell'occasione al balzo.
Quando Kili se ne uscì con un sospiro che aveva dello sconfitto ed insieme del liberatorio, Kat proiettò tutta la sua attenzione su di lui, cercando di frenare il battito del proprio cuore ed ignorarne il rombo che le riempiva le orecchie.
– Io non so davvero cosa sia, – confessò il giovane nano dopo un breve tentennamento, stringendosi nelle spalle – so soltanto che è spesso nei miei pensieri. Da quando le ho parlato, rivolgo sempre più spesso lo sguardo alle stelle e... non so. – si interruppe, mentre assumeva un'espressione mesta – Vorrei rivederla, ma lei è molto lontana da qui... lontana da me e dal mio mondo.
Kat si ritrovò a corrucciarsi in volto, combattuta dai sentimenti che rievocarono inconsapevolmente le parole scelte dal nano al suo fianco.
– Ti sbagli su questo – ribatté seria, perdendo il proprio sorriso e deviando lo sguardo verso il cielo scuro come la pece – fate parte dello stesso mondo.
E chi meglio di lei poteva dirlo? Lei, che apparteneva a un'altra realtà, un'altra vita. Lei, che era nata in un universo del tutto diverso dal loro e che, prima o dopo, sarebbe stata costretta a farvi ritorno.
Come la sensazione di soffocamento nata dal nodo che le si stava stringendo in gola la sfiorò, deglutì e cercò di correggere il tiro, scacciando tali pensieri dalla propria mente per tornare ad un'atmosfera più leggera e confidenziale.
– Certo, magari è un po' vecchiotta per te, – se ne uscì, tornando a lanciargli un'occhiata in tralice, mentre lo prendeva bonariamente in giro con un mezzo sorrisetto – avrà almeno dieci volte i tuoi anni. Ai suoi occhi dovrai esserle sembrato un poppante.
Kili spalancò gli occhi castani, ma subito dopo la sua faccia si tese di un'espressione a metà fra l’oltraggiata e la divertita.
– Senti chi parla! – ribatté subito, additandola e cercando di non riderle in faccia al suo stesso modo – Sei nella mia stessa situazione, signorina. Quanti anni pensi abbia nostro zio?
Sorpresa, Kat si ritrovò a spalancare le palpebre a propria volta, tanto da faticare a dare una risposta, e la sua reazione parve divertire e soddisfare ancor di più il giovane nano, tanto da indurlo a rivelarle l'arcano.
– Sono centonovantaquattro anni quest'anno – le rivelò, con una nota di compiacimento che gli fece gonfiare il petto.
E Kat quasi cadde dal suo appoggio per lo sconcerto.
– C-cosa? – boccheggiò, completamente presa alla sprovvista.
– Eh già – le confermò Kili, decisamente divertito, osservandola – una bella differenza rispetto a te... quanti ne hai tu, quaranta?
– Ne ho ventiquattro!
– Ops.. be', anche meglio. È come dicevi tu: una vera poppante!
Rossa d'imbarazzo, Katla si ritrovò a battere i piedi sulle assi del pavimento per il dispetto e Kili scoppiò definitivamente a ridere, tornando poi a contagiarla con il suo buon umore e la spensieratezza che era propria della sua giovane età. Quando le loro voci tornarono ad attenuarsi e la quiete della notte fu nuovamente pervasa dai soli suoni provenienti dalla casa alle loro spalle, la giovane donna tornò a farsi pensierosa, ma ci pensò il suo interlocutore ad impedirle che quanto appena detto potesse mutare in un'altra ombra a ridosso del suo animo.
– Non preoccuparti: nessuno di noi ti considera una bambina, – le si rivolse, con ancora l'ombra di quel sorriso sulle labbra – nemmeno nostro zio.
Katla ne ricambiò meccanicamente l’espressione, lasciandosi rassicurare in merito. D'altronde, chi meglio di un suo stretto parente avrebbe potuto indovinare cosa pensasse realmente Thorin? Sperò ardentemente che fosse come diceva Kili, ma poi quel pensiero ne riportò a galla un altro, ben più concreto, che la spinse a tornare a volgersi verso la notte oscura.
– In ogni caso, non fa differenza – mormorò al buio, lo sguardo basso sulle proprie mani intrecciate e pendenti nel vuoto oltre la balaustra – se mai ho avuto qualche possibilità di venir considerata più di un fastidio, ora è tutto svanito. Se non faccio attenzione, finirà che mi lascerete qui a Pontelagolungo e ve ne andrete ad affrontare il drago senza di me.
Nel dirlo la ragazza tornò a voltarsi verso Kili e nel suo tono aveva infuso una nota più leggera, con l'intento di sdrammatizzare e ridere delle proprie stesse paure insieme a lui, esorcizzandole, ma la reazione del nano non la rincuorò, né la convinse. Egli infatti reagì con un secondo di ritardo, apparendo quanto mai sospetto ai suoi occhi quando negò, tornando a prenderla in giro con un ché di artificioso e teso.
La giovane Katla lo squadrò con rinnovato cipiglio, ma ancor prima di indagare la sua reazione, Fili uscì sul terrazzo chiamandoli per nome e inducendoli a voltarsi all'unisono verso il nano biondo. Quello, fatti i pochi passi che lo separavano da loro, mise un braccio sopra le spalle del fratello minore e ammiccò verso di lei con fare complice.
– Stupido fratellino, Kat si congelerà qui fuori se sarà costretta a restarci un altro minuto. Forza, rientriamo, che Bofur ha già iniziato a battere il tempo.
Le profonde voci dei nani giunsero solo in quel momento sino alle orecchie della ragazza, che realizzò doveva essersi fatta l'ora delle canzoni intorno al fuoco. Sorridendo al maggiore dei due fratelli, annuì al suo invito, ma un attimo prima di varcare la soglia trattenne Kili per una manica, inducendolo a voltarsi a guardarla un'ultima volta.
– Kili... – indugiò un solo istante, prima di abbozzare un nuovo sorriso – Domani puoi aiutarmi a rifarmi la treccia? Non riesco più a sopportare quest'acconciatura.
Il nano, dopo un istante di muta sorpresa, annuì di buon grado, avendo probabilmente compreso il motivo per cui si era rivolta a lui e non a qualcun altro. Le confidenze che s'erano fatti quella sera erano state sufficienti ad avvicinarli ancor di più, e poi Kat non avrebbe mai avuto il coraggio di andare da Thorin per una cosa del genere. No, sarebbe andata da lui dopo aver finito di raccogliere i cocci del proprio orgoglio ed aver ritrovato un po' del suo ormai rinomato coraggio... o, per lo meno, dopo esser tornata ad indossare vestiti degni della sua reputazione di Piccola Furia.


– Avanti, mettici più forza! – si levò la voce di Dwalin.
– Alle ginocchia, Kat! Colpisci alle ginocchia! – esclamò Fili dal suo posto di spettatore.
– O ai gioielli di famiglia – si accodò Bofur – tanto non gli servono a molto.
– Si può sapere da che parte state voi? – sbottò infastidito il nano dal capo tatuato.
– Quella più graziosa, ovviamente – questo era Kili, seduto su una cassa accanto agli altri due nani.
I figli di Durin si erano raccolti all'esterno della casa che il Governatore aveva loro concesso, approfittando della tiepida giornata di sole che si prospettava per fare un po' d’esercizio. Katla si stava allenando con Dwalin proprio in quel momento, al centro di quella che era la piazzola dinanzi all'edificio in legno, sotto gli sguardi di molti della Compagnia. Lo stesso Thorin, rimasto in disparte, aveva deciso di starsene un poco fuori al sole, ed ora osservava da una certa distanza i suoi amici e familiari intenti a quel passatempo.
Di fronte a quello scambio di battute l'erede di Durin abbozzò un vago mezzo sorriso, constatando con piacere che il morale ancora una volta era alto fra i suoi. Anche Kat sembrava in forma, almeno da come saltava e scartava il suo avversario. Si era procurata finalmente degli abiti adatti, almeno a suo dire, molto simili a quelli che aveva vestito in precedenza e che poi aveva fatto sistemare a Dori, ed aveva acconciato i capelli in una treccia nanica dietro la nuca. Osservando come la chioma di lei resistesse bene ai repentini cambi di direzione ed al movimento, il capo della Compagnia non impiegò molto tempo per concludere che doveva essere opera di uno dei suoi due nipoti.
Quel pensiero gli procurò una nuova punta di fastidio, ma Thorin non poté comunque sentirsene sorpreso, non faticando certo ad immaginare il motivo per cui la giovane donna della Compagnia non si fosse rivolta a lui. Non s'erano più parlati dopo esser fuggiti da Reame Boscoso e, dopo quanto accaduto presso la casa di Bard, ormai sembrava che le distanze che sin dall'inizio il nano aveva cercato di mantenere si fossero infine interposte fra loro.
Era ciò che voleva, eppure...
Venne distolto dal filo dei suoi pensieri dall'improvviso tonfo della spada d'allenamento di Dwalin contro il pavimento e Thorin, tornando a focalizzarsi sull'allenamento, vide la ragazza tenere la punta della sua arma ad un palmo dal volto dell'avversario. Il nano dal capo tatuato passò in breve dal fissarla con sorpresa ad un'espressione soddisfatta e, sotto lo sguardo del capo della Compagnia, finì persino per sorriderle in segno d'approvazione.
– Ben fatto.
Sebbene quelle due parole fossero state pronunciate con il consueto tono sostenuto e burbero, Thorin, così come gli altri nani, sapeva che Dwalin non era il tipo da far complimenti e rimase sorpreso delle reazioni dell'amico e compagno d'armi. Osservando Katla che, abbassando il braccio e facendo un passo indietro, tornava a sorridere, l'erede di Durin abbandonò il suo ruolo di semplice spettatore e si fece avanti, calcando con gli stivali l'assito in legno.
– Vorrei essere io il suo prossimo avversario – disse pacatamente, con la sua solita serietà.
Dwalin gli rivolse uno sguardo che aveva una nota di perplessità, ma non disse nulla e gli porse la spada smussata che aveva usato sino a quel momento.
Dopo diverse cene formali con il Governatore, il capo della Compagnia era riuscito a convincerlo a concedere loro tutto ciò di cui avevano bisogno per proseguire il viaggio verso la Montagna Solitaria, e questo comprendeva anche delle nuove armi degne di questo nome provenienti dalla stessa armeria che la Compagnia aveva tentato di depredare.
Quando tornò a volgere lo sguardo sulla giovane donna, la vide preda di un disagio che le impediva di tener i suoi occhi grigio-verdi su di lui e non se ne stupì. Anche il nano rammentò perfettamente l'ultima volta che avevano combattuto, ed il modo in cui l'aveva umiliata era qualcosa di cui non sarebbe mai andato fiero. Thorin stava per chiedersi se non avesse osato troppo, quando la ragazza di fronte a lui sollevò il mento e raddrizzò impercettibilmente la schiena, puntando finalmente lo sguardo ad incrociare il suo con rinnovata fermezza.
Le sorrise, riconoscendo ancora una volta la donna fiera ed ostinata che aveva attraversato insieme a loro quasi tutta la Terra di Mezzo, e si annuirono reciprocamente con un cenno del capo in segno di comune accordo. Quindi fecero entrambi un passo indietro e si misero in posizione, Kat rivolgendogli il fianco destro e Thorin rimanendo frontale a lei, la spada rivolta verso il pavimento come era solito fare quando allenava i suoi giovani nipoti presso le Montagne Azzurre.
Nessuna voce tornò a levarsi dai nani poco distanti ed il silenzio contribuì a rendere più pesante e solenne l'atmosfera che s'era andata a formare sulla banchina.
– Sei pronto?
Thorin annuì.
Quando Katla si mosse non lo fece attaccandolo frontalmente ma cercando il suo fianco sinistro, rapida e precisa nei movimenti, ma non abbastanza da metterlo in difficoltà. Il nano dalla chioma corvina parò facilmente l'arma avversaria con la propria e tentò di bloccarle il braccio con la mano libera, ma ella si scostò appena in tempo per evitarlo. Gli scambi successivi fra loro furono segnati dallo stesso meccanismo sfuggente e ben presto Thorin si rese conto che la sua avversaria non stava cercando lo scontro aperto, ma puntava dritta ai suoi punti più vulnerabili, senza fornirgli l'occasione per usare la loro differenza di forza contro di lei. Era un “mordi e fuggi” atto a spazientire e fiaccare l'avversario e, pur non avvezzo a quello stile di combattimento, Thorin riconobbe le potenzialità insite in esso. Si ritrovò persino a farsi sfuggire un mezzo sorriso, giacché a quanto sembrava la loro giovane compagna aveva infine sviluppato non soltanto un suo stile, ma aveva anche compreso quanto fosse importante una relativa conoscenza dell’avversario.
Se la loro prima ed ultima volta era finita in un lampo, il loro attuale scontro si protrasse per diversi minuti, durante i quali saggiarono l'uno le capacità dell'altra e viceversa, alla ricerca di un'apertura o un punto debole. Ma Thorin aveva l'esperienza di molte battaglie dalla sua e vantava una resistenza ed una tecnica che la ragazza, pur con tutti i progressi che era stata in grado di fare negli ultimi mesi, non possedeva ancora. Questo fu il motivo che segnò l'epilogo di quel duello e che permise al nano di averne ragione ancora una volta.
Evitò l'ultimo assalto di lei e, usandone lo slancio, la fece sbilanciare in avanti mentre lui si scostava ruotando su sé stesso. Nel momento in cui ella fu in equilibrio precario, gli bastò spostare il piede per farle lo sgambetto ed al contempo assestarle un colpo dietro la schiena, perché quella finisse per cadere carponi sull'assito di legno con un verso di sorpresa. Quando, l'istante dopo, ella tentò di voltarsi per reagire, aveva già la punta della spada da allenamento di Thorin davanti al naso.
Aveva vinto lui, ovviamente, ed il silenzio teso che accolse quell'epilogo si rifletté nell'espressione seria di entrambi i contendenti e di coloro che erano stati semplici spettatori. Poi, ad infrangere la tensione che aveva permeato l'aria, il capo della Compagnia abbassò la propria arma e fece un passo avanti, tendendo una mano alla sua avversaria.
Gli occhi chiari di Kat si spalancarono ma, dopo un istante di muto stupore, sollevò la propria mano a stringer la sua. Lui l’aiutò a tirarsi in piedi e quando ella tornò nuovamente a reggersi sulle proprie gambe l’atmosfera che stagnava sulla banchina si scoprì del tutto diversa, più leggera e confortevole di poc’anzi, tanto che i due si scambiarono un nuovo flebile sorriso, timido e velato di cose non dette e tenute relegate in profondità nei loro animi. Poi il momento passò: la brezza tornò a soffiare su di loro, portando con sé l'odore dell'umidità del lago e la traccia più flebile e lontana dei fumi della Montagna Solitaria, e Thorin fece un mezzo passo indietro.
– Ricorda di tener sempre le gambe ben piantate a terra – le disse senza ombra di rimprovero nella voce calda e pacata, continuando ad osservarla dall'alto dei suoi pochi centimetri di differenza.
Non aggiunse altro e Katla annuì in risposta, mentre le gote le si tingevano di un rossore che non aveva nulla a che fare con l'esercizio fisico fatto sino a quel momento.
Soddisfatto, l'erede di Durin ne ricambiò il cenno e si voltò, incamminandosi verso la via che, attraverso le case in legno, si congiungeva alla banchina che era la strada principale della città degli Uomini. Passandogli accanto, lasciò nelle mani di Dwalin l'arma che aveva usato e ne ignorò lo sguardo penetrante e serio, superandolo senza una sola parola. Non ve n'erano bisogno, si erano comunicati tutto ciò che dovevano con quel breve scambio di sguardi, e nulla era cambiato nelle reciproche convinzioni rispetto a quando l'amico lo aveva affrontato nelle profondità di Bosco Atro.
Così Thorin proseguì, diretto verso la casa del Governatore.
Aveva infine preso la sua decisione.


Finalmente il giorno della partenza era arrivato.
Il sole era sorto da neanche un'ora e la Compagnia di Thorin s’era radunata nella piazza centrale della città per prendere ufficialmente congedo. Una discreta folla s’era raccolta tutt’intorno, venuta a salutare i nani e ad acclamare la loro audacia e la loro benevolenza. Le guardie li aiutarono a farsi largo fra la gente sino alle barche che li avrebbero condotti all'estremità settentrionale del Lago Lungo, per poi risalire lungo il Fiume Fluente per un buon tratto.
Il Governatore, con sorpresa di Katla, aveva persino concesso loro armi ed equipaggiamenti adatti alle rigide temperature che stavano giungendo con l'approssimarsi dell'inverno e, in particolare, gli elmetti a punta che spiccavano sulle teste dei suoi amici erano per la ragazza una piccola fonte di divertimento, tanto li rendevano buffi ai suoi occhi. In particolare Bilbo pareva totalmente estraneo ed impacciato, tanto che Kat non si sarebbe sorpresa di vederlo disfarsi educatamente di ciò che indossava, magari con un pretesto qualsiasi.
Lei era riuscita ad evitarsi quell'incombenza, probabilmente a causa del fatto che era una Donna e che, per questo, non le avevano riservato alcuna armatura o protezione da indossare, probabilmente ritenendo erroneamente che non sarebbe scesa in battaglia. Per questo motivo, credeva, nel momento in cui aveva preso per sé una delle spade dell'armeria, più d'uno dei soldati le aveva rivolto uno sguardo sbieco e perplesso a cui ella comunque non aveva dato peso.
Mentre passavano in mezzo alla folla, Katla si ritrovò a cercare con lo sguardo Bard o qualcuno dei suoi figli, giacché era dalla notte in cui erano stati tutti portati dinanzi al Governatore che non li aveva più rivisti. In cuor suo si augurava che il discendente di Girion le avesse dato ascolto ed avesse iniziato i preparativi per un'eventuale fuga precipitosa dalla città, ma non nutriva davvero molte speranze in merito e cercava di rammentarsi che, secondo la storia così come lei la conosceva, l'Uomo del Lago sapeva badare a sé stesso ed avrebbe infine trionfato su Smaug, riscattando il nome della sua famiglia e divenendo una guida per la sua gente.
Era ancora intenta a guardarsi attorno quando, ormai percorso il molo accanto al quale erano accostate le imbarcazioni su cui già gran parte dei suoi compagni stavano prendendo posto, fu costretta a fermarsi d'improvviso a causa d'un braccio che le sbarrò la via. Sgranando gli occhi chiari, Kat si ritrovò a osservare l'espressione seria di Thorin, rimasto indietro con l'evidente intenzione d'intercettarla prima che salisse sulla sua barca.
– Tu no – le disse, con la stoica serietà che gli era propria – Tu rimarrai qui.
A quelle parole, la ragazza sentì il sangue gelarlesi nelle vene e spalancò gli occhi grigio-verdi in quelli color ghiaccio del nano, completamente spiazzata.
– ...cosa? – soffiò, boccheggiando, già preda d'un istinto di negazione.
– Ho già preso accordi con il Governatore: attenderai il nostro messaggio per raggiungerci, una volta che il pericolo sarà passato e la Montagna riconquistata – continuò lui senza batter ciglio, con voce bassa e quasi confidenziale.
Non fosse stato per la natura delle affermazioni del nano, Kat si sarebbe fatta ammaliare da quel suo modo di parlarle, ma il rossore che le si accese sulle gote non aveva niente a che fare con i sentimenti che provava per lui. Corrucciandosi in volto, la ragazza scostò con un brusco gesto della mano il braccio che Thorin aveva frapposto fra lei e l'imbarcazione, puntandogli addosso il proprio sguardo penetrante come se, così facendo, avesse potuto trafiggerlo con esso.
– Cosa stai dicendo? – neanche si rese propriamente conto di aver iniziato ad alzare la voce – Io ci sarò quando entrerete in quella Montagna. Non me ne starò qui buona buona ad aspettare vostre notizie, mentre voi rischiate la vita!
L'espressione del nano si indurì a sua volta, probabilmente non abituato ad essere contraddetto dinanzi a tante persone, e fece un passo a lato per sbarrarle il cammino con il proprio stesso corpo.
– È questo il punto, – esordì, mantenendo ancora un discreto autocontrollo, pur serrando i pugni lungo i fianchi – è troppo pericoloso. Non sappiamo cosa troveremo, una volta entrati ad Erebor, e non intendo correre rischi inutili. Aveva ragione lo Stregone nel dire che ci saresti stata d'aiuto, ma il viaggio è ormai terminato e non vi è motivo che tu metta in pericolo la tua vita più di quanto non hai già fatto.
– Il mio compito non è finito, – protestò lei, sfogando la propria contrarietà andando ad indicare nella direzione in cui sapeva ergersi il perduto Regno di Erebor – non siamo ancora arrivati ai piedi della Montagna!
– Non te lo sto chiedendo, – sbottò Thorin, la pazienza ormai agli sgoccioli, sostenendo il suo sguardo con uno altrettanto penetrante ed accigliato – il mio è un ordine in quanto Capo di questa Compagnia. Resterai ad Esgaroth.
Collera e disperazione in Kat iniziarono a mescolarsi, giacché non poteva accettare di esser lasciata indietro, non dopo aver fatto tutta quella strada. Inoltre, aveva ancora un compito d’assolvere e non sarebbe riuscita nel suo intento se non fosse rimasta con Thorin: voleva pensare che avrebbe potuto far qualcosa per lui, per evitare che la Malattia del Drago ottenebrasse la sua mente, se gli fosse stata accanto. Una parte di lei si rendeva conto che era una vaga speranza, che il solo averlo pensato era presuntuoso da parte sua, ma le avrebbe provate tutte per aiutarlo, l'aveva già deciso da tempo.
– Non puoi dire sul serio – la sua voce tremò sotto l'impeto delle sue stesse emozioni.
Thorin si voltò per raggiungere gli altri e lei stava per seguirlo quando venne trattenuta da mani sconosciute. Si lanciò un'occhiata alle spalle e vide le guardie della città al suo fianco, una che la teneva per la spalla destra e l'altra che le aveva afferrato il braccio sinistro.
– ..che state facendo? Lasciatemi! – sbottò, tentando di divincolarsi, ma i suoi sforzi non ottennero altro effetto se non quello di venir immobilizzata con più fermezza e Kat si ritrovò a rivolgere lo sguardo avanti, verso le imbarcazioni ed i loro occupanti, in cerca di aiuto.
Bilbo la guardava tormentato, indeciso su cosa fare per aiutarla, e voltava il capo dall'una all'altra parte alla ricerca di una soluzione. Alcuni fra i nani sostennero il suo sguardo con espressioni colme di dispiacere, ma ciò che la fece boccheggiare come se avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco furono le reazioni di Fili e Kili. Non appena rivolse il suo sguardo implorante verso di loro in cerca di un qualche sostegno, il minore abbassò il capo ed il maggiore si voltò dall'altra parte, negandole anche l'ultima àncora di salvezza.
Fu allora che un gelo mai provato prima le penetrò sino al centro del petto, pietrificandola.
– ..no.. – mormorò in un soffio, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
– Andiamo – ordinò Thorin, ignorandola.
Come gli uomini con le pertiche sospinsero le imbarcazioni lungo il canale, iniziando ad allontanarsi, Katla avvertì il proprio petto contrarsi e fu come se il mondo intorno a lei si frantumasse, rivelando una realtà diversa e terrificante.
No! – esclamò, cercando di nuovo di ribellarsi agli uomini che la trattenevano – Non potete farlo! Dovete portarmi con voi! Dovete..e lasciatemi, maledizione... lasciatemi, ho detto! Thorin! Thorin, torna indietro! Il drago...
Un improvviso strattone ad un braccio la fece bloccare e, con gli occhi colmi di lacrime, ella si voltò a guardare con astio l'uomo che l'aveva costretta a prestargli attenzione. Si ritrovò così a fissare il volto del capitano, che ricambiò il suo sguardo senza perdere la sua espressione di composta facciata.
– Adesso calmati, ragazza.
Calmarmi?! – Kat esplose, letteralmente, paonazza in volto – Se pensate che me ne starò qui buona buona, vi sbagliate di grosso! Seguirò la Compagnia di Thorin a piedi se necessario e voi non potete impedirmelo, quindi smettetela di intralciarmi e levatemi le mani di dosso!
– Mi duole contraddirti, piccola amica dei Nani, ma è proprio ciò che faremo – si intromise la voce untuosa e sgradevole del Governatore, risuonando quasi sprezzante mentre richiamava la loro attenzione dal centro della piazza, a pochi passi da loro – Abbiamo acconsentito a trattenerti qui, finanche a rinchiuderti, se necessario, e non intendo deludere le aspettative del Re sotto la Montagna.
Katla boccheggiò, incredula, e per questo non riuscì ad impedire ad una delle guardie che ancora la tenevano di privarla delle armi che aveva preso dall'armeria diversi minuti prima. Quando i soldati presero a trascinarla lontano dal canale, sollevandola di peso, la ragazza riprese a divincolarsi come una furia, lanciando invettive e minacce verso i suoi custodi.
– Nelle prigioni – ordinò il Governatore al Capitano, ignorandola – qualche giorno lì e si darà una calmata.
– Non potete farlo!
– Sarai libera quando avremo notizie dell'esito dell'impresa dei tuoi compagni – le disse l'Uomo senza nemmeno guardarla, prima di far un cenno ai suoi sottoposti – e sarai la nostra garanzia affinché la parte dell’accordo che li compete venga onorato.
E a quel punto Kat capì le vere intenzioni del Governatore: voleva usarla come merce di scambio perché Thorin rispettasse la sua parola.
Malgrado la veemenza delle sue proteste e l'impeto dei suoi tentativi di dibattersi, Kat venne portata via, e non una voce si levò fra la folla, non un gesto in suo aiuto. Nemmeno da Bain. Notandolo solo in quel momento di sfuggita fra i tanti volti presenti, il ragazzo rimase a guardarla con l'espressione contrita e colma di pena, tipica di un fanciullo impotente di fronte ad un'ingiustizia più grande di lui.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 21
*** The Awakening ***







“Straying from the path (we will dare)
Will bring one to face the unknown (will break the fear)
Can lead to struggle alone
But I will not regret (until I will stand).”
[ Skull and Crossbones, Wind Rose ]




Il sole stava già calando, ormai prossimo all'orizzonte, e la distesa del lago alle spalle della Compagnia rifletteva i suoi raggi come tanti filamenti ondeggianti d'oro rosso.
Bilbo saltò giù dalla modesta barca per primo, aiutato da uno degli uomini che li avevano accompagnati sin lì. Il piccolo molo che li accolse uno dopo l'altro era largo e corto, ed oltre questo lo hobbit scorse distintamente i pony che il Governatore aveva loro concesso per arrivare a destinazione.
– Ci accamperemo per la notte e riprenderemo il viaggio all'alba di domani.
La voce di Thorin si levò al di sopra delle altre, dei tonfi emessi dai nani che a loro volta stavano sbarcando e dei cigolii del legno, ed il giovane scassinatore si voltò ad osservarlo. Il capo della Compagnia era già sull'assito e stava muovendosi verso la terra ferma, cosa che rese più facile a Bilbo, dopo un istante d’incertezza, farsi avanti ad affiancarlo.
– Thorin – lo chiamò, pur nel suo consueto modo da hobbit educato e per bene – vorrei parlarti, se posso.
Il nano lo osservò e quei suoi occhi chiari si lasciarono sfuggire una nota di perplessità, prima che la sua espressione si schiarisse d'un sorriso comprensivo e gli posasse una mano sulla spalla sinistra.
– Certo che puoi, Mastro Baggins, – gli rispose, amichevolmente – ma prima faremo bene a toglierci da qui o saremo d'intralcio.
Bilbo non si sorprese dei modi affabili e gentili del nano, giacché era da tempo ormai che Thorin pareva aver cambiato radicalmente opinione su di lui. In particolare, da quando erano usciti dalle prigioni degli Elfi, l'erede di Durin sembrava considerarlo non solo un compagno degno di stima e fiducia, ma finanche un buon amico, e lo hobbit aveva già capito che il sentimento era reciproco.
Si allontanarono di qualche passo dalla banchina in legno, finché i loro stivali non calcarono la terra erbosa della riva, e soltanto allora si fermarono a parlare. Eppure, ancor prima che Bilbo potesse aprir bocca, fu il nano ad iniziare quel discorso che tanto aveva fatto arrovellare la mente dello scassinatore.
– Penso di sapere cosa ti turba – esordì pacatamente, con fare accomodante – ..e ti assicuro, mio caro amico, che la nostra Katla sarà più al sicuro fra le genti del suo Popolo.
Lo hobbit, pur un poco sorpreso di esser stato letto così facilmente dal nano di fronte a lui, non poté evitare di tradire nell'espressione il proprio tormento interiore riguardo la faccenda.
– Ma, Thorin... perdonami, ma non mi sembra giusto nei suoi confronti, non dopo aver fatto tanta strada ed aver affrontato tanti pericoli insieme – ribatté, quasi in modo confidenziale, cercando di far breccia nell'orgoglio nanico con il buon senso e la gentilezza – E ti ricordo che in più di un'occasione è stata proprio lei a tirarcene fuori.
– È così – ammise – ma affrontare un drago è tutta un'altra cosa, credimi.
– Non lo metto in dubbio, ma non ci sono forse io per questo? – gli chiese, avendo ben presente ormai il suo ruolo in quella storia – Non sappiamo cosa troveremo una volta aperta la Porta Nascosta ed entrati nella Montagna. Non è detto che si arrivi ad affrontare quella bestia.
– Su questo hai ragione e non dubito delle tue doti di scassinatore: ce ne hai dato prova più d'una volta e, ti assicuro, ancora mi chiedo come tu sia riuscito a fare ciò che hai fatto – affermò Thorin guardandolo negli occhi, prima che il suo sorriso infine sfumasse in favore di una nuova serietà – ..ma, in tutta onestà, non voglio che ella corra un simile pericolo e non sono l'unico a pensarla in questo modo. Ogni membro della nostra Compagnia ha finito per affezionarsi a lei, ed io per primo non potrei mai perdonarmelo, se le accadesse qualcosa.
Di fronte a quella confessione a cuore aperto, Bilbo non trovò nulla da controbattere, perché aveva perfettamente compreso il punto di vista del figlio di Thrain e si scoprì a condividerlo, pur in minima parte. Per la prima volta, lo hobbit scorse in fondo agli occhi chiarissimi del nano di fronte a lui una parte dei veri sentimenti che nutriva per la loro giovane amica e rimase ammutolito da quella consapevolezza, tanto che l'altro ne interpretò il silenzio come un’approvazione e tornò a rivolgergli un pacato sorriso soddisfatto.
– Sarà al sicuro fra i membri del suo Popolo, non hai nulla da temere, Mastro Baggins – concluse, prima di battergli una nuova pacca sulla spalla.
Ancora spiazzato, Bilbo non riuscì a trovar nulla da dire per trattenere il Principe di Erebor e, boccheggiando come un pesce, ne fissò la schiena mentre quello si allontanava con passo deciso per tornare dagli altri membri della Compagnia.


Kat aveva ripreso ad aggirarsi nella piccola cella al pari d'un leone in gabbia, mentre cercava di pensare ad una soluzione. In teoria, doveva esser già passato abbastanza tempo perché riuscisse a sfogare la propria rabbia e per pensare a mente lucida: dalla luce che filtrava dalla finestrella a due metri d'altezza dal pavimento aveva contato esser trascorsi almeno tre giorni da quando l'avevano rinchiusa.
Tre lunghissimi giorni in cui le avevano portato da mangiare e nient'altro e durante i quali ella aveva avuto modo di riflettere su molte cose, prima fra tutte la necessità di uscire da quella maledetta prigione prima dell'arrivo del drago.
Thorin l'aveva lasciata indietro con la certezza che sarebbe stata al sicuro dall'ira del malvagio Sputafuoco, non potendo certo immaginare che il luogo in cui essa si sarebbe abbattuta con più violenza era proprio la città degli Uomini del Lago.
Kat si lasciò sfuggire una risata amara a quel pensiero.
Doveva andarsene ed al più presto.
E come lei, anche la brava gente di Pontelagolungo.
La sua mente tornò automaticamente al ricordo di come, nel momento del bisogno, nessuno dei suoi compagni si era pronunciato in suo favore e il dolore tornò a sfiorarle il petto. Persino Fili e Kili si erano voltati dall'altra parte, quando aveva cercato il loro sguardo. Il tradimento dei suoi due autoproclamati fratelli maggiori le fece serrare i pugni sino a far sbiancare le nocche. 
Ora sì, che si spiegava perfettamente l'insolito comportamento che avevano avuto nei giorni precedenti alla partenza. Che ingenua era stata, a non darci peso! 
Avrebbe dovuto cogliere i segni!
Avrebbe dovuto non abbassare la guardia ed indagare, anziché fidarsi ciecamente!
Nuove lacrime di rabbia le salirono agli occhi e lei, con un gesto brusco, le spazzò via, riprendendo ad aggirarsi per la stanza adorna di sbarre.
E quel dannato, pomposo Governatore? Come osava trattarla a quel modo, quel vile opportunista?
Ancora una volta era costretta ad espletare i suoi bisogni in un buco!
Non era mai stata così furiosa e frustrata, e pervasa di tensione, in tutta al sua vita ed era qualcosa che non riusciva a dominare. Aveva caldo, in quello spazio chiuso, e la sensazione di essere in trappola non voleva saperne di attenuarsi, tenendola sempre sul chi vive ed impedendole persino di dormire adeguatamente durante la notte. Non si era mai sentita così, nemmeno nelle prigioni di Reame Boscoso.
Se soltanto Gandalf fosse stato con loro, non l'avrebbe mai permesso!
Doveva calmarsi, doveva tornare a pensare a mente lucida o non ne avrebbe ricavato nulla.
Tornò nei pressi della porta, cercando di esaminare la serratura che in ferro battuto la teneva chiusa. Aveva già provato ad evocare la propria magia per manipolarla, ma non era valso a nulla, era stata troppo agitata per concentrarsi a dovere e, anche riprovandoci, il suo umore era tale da impedirle l'affiorare delle giuste emozioni.
Si costrinse a sedere sul pavimento, lo sporco e la polvere ormai smossi da quel suo girovagare per tutto l'ambiente. Le avevano dato coperte in quantità per la notte ed erano stati più o meno regolari coi pasti, che tuttavia erano risultati subito insufficienti per placare la sua fame. Non che ne avesse molta in realtà, dato il suo stato di agitazione altalenante.
Inspirò, poggiando ambo le mani sulle gambe incrociate, ed espirò sonoramente per tentare di calmarsi. Appena sentì che vari muscoli del suo intero corpo rispondevano al suo comando e si rilassavano, chiuse gli occhi e si immerse ancora una volta nei propri pensieri.
Quanto tempo mancava al Dì di Durin?
Se i suoi calcoli erano corretti, sarebbe stato domani.
In quella dannata cella il tempo sembrava dilatarsi e contrarsi continuamente, non ne poteva proprio più di rimanervi rinchiusa.
Semmai fosse sopravvissuta, parola sua, avrebbe fatto passare un terribile quarto d'ora ad ogni nano della Compagnia, per non parlare di Thorin.
Respirò ancora una volta, accantonando le invettive verso i suoi compagni ormai lontani.
Voleva farsi un bagno. Voleva dormire in un vero letto e mangiare carne arrostita sul fuoco, e non quella brodaglia grigia che le propinavano con la scusa che la città intera viveva tempi difficili. Il cibo per i nani nei giorni precedenti lo avevano trovato, dopotutto. Quell'avaro panzone del Governatore stava tenendo le sue prelibatezze sotto chiave, ci avrebbe scommesso.
Il suo stomaco si contrasse, strappandole una smorfia.
Cosa non avrebbe fatto pur di avere una succosa bistecca al sangue, in quel momento!
Un lieve tonfo, quasi impercettibile, le giunse alle orecchie e Katla balzò meccanicamente in piedi, voltandosi nella direzione dalla quale quel rumore era giunto. Si ritrovò così a fissare il soffitto, prima di far un passo indietro e puntare lo sguardo verso la finestrella che dava sul canale sottostante.
La sua mente le proiettò l'immagine di una banda di orchi sui tetti della città degli Uomini ancor prima che la sua razionalità potesse far qualcosa per impedirlo, e cercò istintivamente la spada al proprio fianco mancino, andando inevitabilmente a stringere il nulla.
Stava già cercando una scappatoia ad un eventuale assalto a sorpresa quando, dal riquadro della finestrella, si affacciò il volto di un elfo dalla chioma del colore del sole d’inverno.
– Legolas!
Katla spalancò gli occhi chiari e rimase a bocca aperta per una manciata di secondi, il tempo necessario all'inatteso visitatore per inarcare un sopracciglio e rivolgerle un sorrisetto di scherno dalla sua posizione palesemente appesa al bordo del tetto.
– Non pensavo di ritrovarti come ti ho lasciato – le disse, ironico – ..hai già provato a stringere un accordo con gli Uomini del Lago?
– Smetti di prendermi in giro e tirami fuori da qui – ribatté offesa, la punta del naso arricciata da una smorfietta caratteristica.
Legolas però, al contrario di quanto si era aspettata la ragazza, inarcò un sopracciglio, ricambiando il suo sguardo penetrante con controllato distacco.
– Perché dovrei? – le chiese candidamente – Mio padre ci ha mandati a verificare che non gli avessi mentito e nient'altro.
– Come sarebbe?! – esclamò la ragazza, prima di frenarsi e reclinare il capo verso la spalla sinistra – Aspetta.. hai detto “ci”? – domandò ancora, per poi illuminarsi in volto – Tauriel è con te?
Di fronte all'entusiasmo della giovane prigioniera, il Principe degli Elfi Silvani si lasciò sfuggire un nuovo fremito delle sopracciglia ed il suo sguardo sospettoso si altalenò da lei a sopra di sé, verso chiunque lo avesse accompagnato sino a lì.
– Come mai ti interessa di Tauriel?
Kat allora, di fronte a tanta diffidenza, sospirò.
– Non sono interessata, ma sarei contenta di rivederla per porgerle i miei ringraziamenti per ciò che ha fatto per me durante la permanenza mia e dei miei compagni nelle prigioni di tuo padre. – gli rispose senza troppi preamboli, ponendo poi ambo le braccia incrociate dinanzi al petto ed assumendo un'aria corrucciata – E se proprio vuoi un valido motivo per aiutarmi ad uscire da qui, te la faccio semplice: ho vinto la scommessa con tuo padre e quindi abbiamo un accordo. Per rispettare la mia parte però devo arrivare alla Montagna Solitaria e non posso farlo se mi lasciate chiusa qua dentro. Se non mi libererete, Thranduil non avrà mai le gemme che desidera e potrebbe aversene a male, non credi? Ora, – scandì, con rinnovata fermezza – dato che il tuo Re è Elfo d'Onore, posso sperare che tu abbia portato con te la mia spada? Sarebbe un bel passo avanti per me.
Legolas strinse gli occhi azzurrissimi da oltre le sbarre della finestra alle sue parole, ma un attimo dopo una voce familiare, dal timbro femminile, attirò la sua attenzione ed i due si scambiarono qualche breve frase in elfico, prima che il principe tornasse a rivolgersi alla giovane donna in cella.
– Dove sono i tuoi compagni?
Quell'unica domanda ebbe il potere di far perdere ogni luce sul volto di Kat, che incupendosi abbassò lo sguardo verso l'estremità opposta della stanza.
– Non sono qui – mormorò, con un'amarezza che trasparì comunque.
Non diede altre spiegazioni e Legolas tornò a rivolgere lo sguardo in alto, prima di issarsi nuovamente sul tetto e liberare la strada alla luce dell’esterno. Katla allora, tornando a guardare verso l'apertura, tese le orecchie e le parve di udire ancora una volta la sommessa voce dell'elfo, prima che calasse nuovamente il silenzio. Immobile, la ragazza dovette contenere la crescente agitazione mentre il pensiero di esser stata nuovamente abbandonata le serrava la bocca dello stomaco, tanto da indurla ad attraversare di getto la piccola cella.
– Ehi!
Usò la branda come perno per darsi lo slancio e saltò verso la finestrella, arrivando ad aggrapparsi alle sbarre in ferro con ambo le mani. Con uno sforzo quindi si sollevò abbastanza da riuscire ad affacciarsi e, con un ansito, cercando di resistere quanto più poteva, premette il volto fra le fredde aste di ferro.
Quando, dopo una manciata di secondi, i suoi occhi non colsero alcun movimento contro la volta del cielo tinta delle sfumature del tramonto, Kat dovette darsi per vinta. Atterrò con un saltello e meccanicamente tornò a volger lo sguardo verso l'alto, già avvertendo la stretta di una nuova disperazione serrarle la gola, prima che un fruscio alle sue spalle la facesse voltare di scatto.
Dalla porta pervenne il rumore della serratura che scattava e, un secondo dopo, l'anta venne sospinta verso l'interno, rivelando le figure del Principe e del Capitano della Guardia di Reame Boscoso in piedi nel corridoio.
Dopo un battito di ciglia, Katla non poté evitare alle proprie labbra di aprirsi in un ampio sorriso da un orecchio all'altro, di fronte alle espressioni austere dei due.
– Ho sempre adorato gli Elfi – gongolò, non riuscendo a smettere di sorridere.
Uscita dalla propria cella, Kat si arrestò in mezzo al corridoio, giacché Tauriel le rivolse la parola.
– Questa apparteneva a te – le disse senza alcuna inflessione particolare nella voce, porgendole la spada di Gondolin che diversi mesi prima aveva sottratto dalla caverna dei troll.
La ragazza annuì, prendendo in consegna l’arma di pregiata fattura e lasciandosi pervadere da un'ondata di sollievo non appena ne avvertì il peso nel palmo della mano. Dopo un rapido esame delle condizioni della lama, se la legò in cintura senza indugio e volse lo sguardo verso le scale che l'avrebbero portata di sotto, alla porta che dava sulla banchina. 
Dovevano esservi sicuramente delle guardie, lì appostate.
– Per di qua – intervenne Legolas, attirando la sua attenzione.
Kat si voltò ad osservarlo, notandolo già diretto nella direzione opposta a quella che ella si sarebbe aspettata, ma non le occorse più d’un istante per individuare la finestra aperta oltre l'elfo, all'estremità del corridoio.
Non se lo fece ripetere e, con passo più rapido e leggero possibile, si mosse, e Tauriel con lei, restandole alle spalle. Con l'aiuto di entrambi riuscì a raggiungere il tetto, facendosi quasi tirare su di peso da Legolas, che l'aveva anticipata con una delle sue acrobazie agili da Elfo dei boschi. Una volta che tutti e tre furono all'aria aperta, Kat non poté evitarsi di esternare un nuovo sospiro di sollievo.
Era fuori.
Era libera.
Sostando sulla sommità delle due falde spioventi, la ragazza allora volse lo sguardo verso occidente, osservando il sole ormai prossimo a scomparire oltre l'orizzonte, socchiudendo gli occhi chiari alla gelida brezza di fine autunno.
– Vi ringrazio, davvero – disse ai due, senza guardarli direttamente.
– Perché i nani che ti accompagnavano non sono con te? – le domandò allora Tauriel, senza preamboli.
Voltandosi per donarle uno sguardo da sopra la spalla, Kat la ritrovò al proprio fianco intenta ad osservarla con un'espressione seria che tradiva una certa tensione. Sembrava quasi che l'interesse che provava per la sua risposta fosse di carattere personale e, con una punta di sorpresa, la giovane si chiese se non dipendesse dall’incontro fra lei e Kili.
– Perché mi hanno sottovalutata. Di nuovo. – le rispose, facendo spallucce e frenando il fastidio che provava dentro di sé – Hanno pensato che fossi più al sicuro qui che con loro e per questo mi hanno lasciata indietro.
I due elfi di Bosco Atro si scambiarono un breve sguardo.
– Ora cosa intendi fare? – era stato Legolas a parlare.
– Non posso più raggiungerli, ormai – rispose lei, volgendo lo sguardo verso Nord e la sagoma della Montagna Solitaria. Alla vista dell'ammasso roccioso illuminato dalle ultime luci del tramonto, il cuore le si strinse ancora una volta, a tal punto che ella sollevò una mano per stringere il bordo della camiciola bianca fra le dita – Domani sorgerà l'ultima luna d'autunno: devo assicurarmi che gli abitanti di questa città siano pronti a fuggire, nel caso il drago si desti dal suo sonno e decida di vendicarsi dell'aiuto che gli Uomini hanno dato alla Compagnia di Thorin Scudodiquercia.
Nel silenzio che seguì, con la coda dell'occhio, Katla si accorse dell'occhiata interdetta che gli elfi si scambiarono l'un l'altro e la cosa la insospettì e la incuriosì abbastanza da rivolgere loro uno sguardo perplesso e corrucciato.
– Be'? Cosa c'è? – li interpellò, diretta.
Fu Tauriel, questa volta, a risponderle.
– Era oggi il primo giorno dell'ultima luna d'autunno.
Di fronte alla pacata affermazione d’ella, Kat si sentì mancare e strabuzzò gli occhi.
– Cosa?!
– Domani sarà il secondo giorno – le confermò Legolas, allo stesso modo.
La ragazza sentì il proprio sangue defluire verso il basso, impallidendo alla prospettiva di essersi confusa a tal punto da sbagliare il conto dei giorni. Si tappò la bocca con ambo le mani, lo sguardo perso nel vuoto mentre la sua mente prendeva atto della realtà dei fatti e la elaborava febbrilmente.
Un attimo dopo, spinta dalla fretta che le salì in corpo, tornò a guardarsi intorno alla ricerca della direzione giusta.
– Dobbiamo andare – affermò, in preda ad una nuova urgenza.
– Dove?
– A casa di Bard – rispose senza neanche voltarsi a guardarli ma prendendo a muoversi sul tetto obliquo, avendo individuato il percorso che da sopra i tetti delle case l'avrebbe condotta dove voleva.
In cuor suo non si aspettava davvero che i due la seguissero, ma quando Legolas la superò con la consueta agilità, ella sentì l'animo venirne rinfrancato. Forse, con il loro aiuto, sarebbe riuscita a portare Bain e le sue sorelle fuori città prima dell'arrivo del drago.


Il sole stava calando rapido dietro l'orlo delle alture ad Ovest, troppo rapido perché Thorin ed i suoi compagni nani non iniziassero a farsi prendere dall'agitazione, mentre cercavano il buco della serratura sulla parete rocciosa.
– Trovatelo! – ordinò con impeto – Trovate quel dannato buco, presto!
Eppure, malgrado si sforzassero di aguzzare al vista e persino procedere al tatto, quella dannata fessura non voleva farsi vedere e il figlio di Thrain avvertiva il peso del suo retaggio e delle aspettative del suo intero Popolo gravargli addosso sempre più.
Quando anche l'ultimo raggio di sole scivolò via dalla roccia di fronte a loro, sempre più in alto lungo il fianco della montagna, il silenzio che calò fra i nani fu pesante e denso come melassa, tanto da sigillare il momento di cupa, cocente delusione.
– Ormai è tardi – mormorò, pragmatico eppure altrettanto adombrato Balin, al suo fianco.
Thorin, ad un passo da dove doveva esservi la porta che suo padre e suo nonno avevano usato molto tempo prima per fuggire dal caduto Regno di Erebor, abbassò lo sguardo sulla propria mano destra e sulla chiave che gli era stata tramandata da Thrain, faticando a capacitarsi di aver infine fallito l'unica impresa che doveva assolutamente compiere nella sua sfortunata, lunga vita.
Assalito da un'ondata di disgusto per sé stesso, smarrito come un bambino, guardò i suoi compagni e poi cercò per ultimo lo hobbit.
– Dove abbiamo sbagliato? – si fece sfuggire, prima di far un passo proprio verso il mezz'uomo che infine era divenuto per lui un amico prezioso e leale.
Questi gli consegnò la mappa e l'erede di Durin lesse nuovamente, per l'ennesima volta, le rune lunari che vi erano trascritte. Nulla era cambiato in quei versi che ormai sapeva a memoria, nemmeno una virgola, e non v'era altro a giustificare il fallimento a cui era corso incontro con tanta facilità.
– Balin, – chiamò, cercando il supporto del nano che fra tutti i suoi familiari teneva in maggior considerazione per sapienza e acume, ripetendo quell'unica domanda che con ostinazione tornava ad affiorargli alla mente – dove abbiamo sbagliato?
L'amico dalla barba bianca scosse il capo con aria mesta.
– Non so dirlo Thorin, – gli rispose lui, prima di rivolgergli uno sguardo carico dei suoi stessi sentimenti – abbiamo fatto il possibile... non è bastato. Ci siamo persi la luce.
E, a quelle poche e semplici parole, il capo della Compagnia sentì scemare anche l'ultima speranza.
– Kat avrebbe saputo cosa fare... – mormorò cupa una voce, infrangendo il silenzio.
– Sì... Gandalf lo aveva detto che sarebbe stata indispensabile – si unì qualcun altro, forse Ori.
La voce scontrosa di Dwalin si levò a dissentire, ma altri concordarono con i primi due nani che avevano parlato e Thorin, di fronte a quell'attacco indiretto alla sua autorità, per quanto inutile ed indegno dei suoi padri si sentisse in quel momento, serrò la mascella.
– Rimpiangere ora la mia decisione non riavvolgerà il tempo per nessuno di noi! – affermò, e la sua voce era di nuovo dura e perentoria mentre sondava i volti dei suoi compagni – Andiamocene... è finita.
Ed i nani presero a sfilare dinanzi a lui ed a Bilbo, che aveva assistito senza dire una sola parola allo sconforto generale, imboccando il sentiero che li aveva portati lassù, sul fianco occidentale della Montagna Solitaria.
– Un momento – squittì il mezz'uomo – ..dove andate? Un momento!
– È finita – ripeté Dwalin dal mezzo della fila che stava già scendendo con passi pesanti la montagna.
Il piccolo hobbit allora guardò lui e Thorin, di fronte ai suoi occhi blu ancora pervasi d'una tenacia latente, scosse il capo e gli restituì la mappa. Quindi, dopo un ultimo sguardo alla chiave che ancor teneva in mano, la lasciò ricadere a terra con un sommesso tintinnio di metallo contro pietra e si avviò dietro ai suoi compagni senza aggiungere altra parola, ignorando la fiacca protesta che tentò Bilbo.
Era finita.
Queste erano le parole che continuavano a riempirgli la mente con un senso di ineluttabilità schiacciante, mentre calcava la pietra polverosa con i pesanti stivali. Il crepuscolo si portò via anche gli ultimi sprazzi del giorno ormai finito, il Dì di Durin ormai trascorso, ed i raggi della luna fecero capolino dalle nubi che nel cielo si rincorrevano veloci, illuminando loro la via.
Fu pochi secondi dopo che la voce di Bilbo si fece strada nel cupo sudario dei suoi pensieri, riportandolo alla realtà.
– ..tornate! È la luce della luna! L'ultima luna d'autunno!!
E, al pari di un raggio di luce argentata, la risata vittoriosa dello scassinatore scacciò l'ombra d'avvilimento che era calata sul suo animo.


– E tu cosa fai qui?
Kat, appena entrata dalla finestra, si spazzò i pantaloni con un paio di rapidi gesti delle mani, prima di raddrizzarsi ed affrontare il chiattaiolo con uno dei suoi franchi e rapidi sorrisi.
– Siamo qui per aiutarvi – affermò, parlando al plurale.
Neanche ebbe finito di pronunciare quelle parole che i due elfi che l'avevano seguita sin lì comparvero alle sue spalle, dalla stessa finestra da cui ella era entrata. Aveva dovuto spalancarla con un calcio mentre si faceva dondolare dal bordo del tetto, e questo probabilmente aveva rotto l'esiguo gancio che l'aveva tenuta chiusa sino a un attimo prima, ma non se ne preoccupò affatto mentre spaziava con lo sguardo l'ambiente.
In fin dei conti, quella città sarebbe presto stata data alle fiamme da un drago, un gancetto rotto era il meno.
– Dove sono i ragazzi?
– Ho mandato Bain e le sue sorelle fuori città.. – le rispose, palesemente controvoglia, l'Uomo del Lago.
Fu a quel punto che la ragazza si rese conto della presenza delle rozze armi di fortuna sopra il tavolo, ancora avvolte nella tela incerata umida d'acqua. Allora, tornando a scoccare un'occhiata a Bard, nel leggerne l'espressione tesa e determinata, capì.
– Vuoi dare vita ad una rivolta? – esclamò sorpresa, non riuscendo a celare il proprio stato d'animo.
L'altro, pur riluttante, annuì con un debole cenno del capo.
– Avevamo intenzione di venire a liberarti, – ammise, scoccando un'occhiata sospettosa all'indirizzo di Legolas e Tauriel – ma vedo che mio figlio s'è preoccupato fin troppo per te. A quanto pare, hai parecchi amici al di fuori del Popolo a cui appartieni.
A Katla non sfuggì il tono di biasimo dell'uomo, cosicché si ritrovò ad inarcare un sopracciglio mentre andava a puntellarsi il fianco sinistro con la medesima mano, scostando inconsapevolmente il lembo del mantello che le drappeggiava dalle spalle e mostrando la spada elfica di nuovo in suo possesso. Era lo stesso che le era stato donato da Elladan ed Elrohir a Gran Burrone, unico capo d'abbigliamento da cui, malgrado lo stato non più perfetto, aveva categoricamente rifiutato di separarsi.
– Sì, certo che ne ho – ribatté – e non capisco perché questo dovrebbe essere un male.
– Non ho detto questo.
– Ma lo hai certamente pensato.
In quel momento un suono di passi per le scale interne della casa li interruppe e il giovane Bain fece capolino dal vano nel pavimento.
– Pa', sono... – esordì, ma si interruppe non appena mise piede sul pianerottolo e si rese conto delle presenze all'interno della stanza. Allora i suoi occhi scuri si spalancarono e la sua espressione contornata di ricci tradì tutta la sua sorpresa.
– Bain! – esclamò di getto Kat – Cosa ci fai qui? Non dovevi essere con le tue sorelle??
Seppur ancora un po' confuso e forse in soggezione per le presenze dei due elfi sotto il suo tetto, il ragazzo scosse il capo.
– Voglio combattere anche io al fianco di mio padre e degli altri, – ribatté – sono un uomo ormai.
La giovane Katla si ritrovò allibita a tornare a voltarsi verso il padre del ragazzo e non riuscì più a tacere.
– Ma siete diventati matti? – esplose, cercando di non alzar troppo la voce – Proprio per stanotte dovevate organizzare una rivolta armata?
Si morse la lingua per evitare di dar di matto un'altra volta e sfogare su di loro la propria rabbia per tutto quanto le era capitato negli ultimi giorni ad opera dei suoi compagni, evitando per un soffio di parlare del drago e del mare di fuoco che si sarebbe scatenato su quella che era stata la città di Esgaroth. Non poteva rivelare nulla di ciò che sapeva, perché non aveva prove e soprattutto avrebbe rischiato di farsi prendere per pazza, così serrò i pugni lungo i fianchi e strinse i denti.
Doveva riflettere.
Mancavano ancora diverse ore al disastro, aveva tempo per convincere Bard a desistere dai suoi propositi e per andare a presidiare la Lancia del Vento insieme a lei in difesa della città. Nemmeno se ne rese conto, quando iniziò ad andare su e giù per la piccola sala, ma ci pensò Tauriel a farla tornare al presente con una secca domanda.
– Cos'è che non ci stai dicendo?
Bloccandosi a metà d'un passo, Katla sollevò allora lo sguardo sull'elfa dai capelli rossi, spalancando i propri occhi grigio-verdi nell'incrociare quelli carichi di severità di lei. Non erano stupidi, da tempo sapevano che nascondeva qualcosa e questo non avrebbe mai permesso loro di fidarsi di lei.
Serrò le labbra in una smorfia tesa, cercando di capire cosa fare, ma volgendo lo sguardo su Legolas vide sul suo volto la stessa esortazione a parlare. Dopo un'ultima occhiata a Bard ed a suo figlio, la ragazza finì allora per capitolare.
– La profezia del ritorno del Re sotto la Montagna si avvererà questa notte – affermò, drizzando le spalle e affrontando i presenti con tutta la fermezza di cui era capace.
– Come puoi esserne certa? – intervenne l'erede di Girion, altrettanto serio.
– Lo so, perché l'ho visto. – gli rispose, ignorando la contrazione che le serrò la bocca dello stomaco, mentre spostava lo sguardo dal padrone di casa agli altri presenti – Io non sono originaria di queste terre. Non ho idea di come abbia fatto ad arrivare nella Terra di Mezzo, ma quando è accaduto Gandalf, lo Stregone Grigio, mi ha trovata e mi ha coinvolta in tutto questo. Non mi ha spiegato il motivo, ma aveva ragione nell'affermare che le mie capacità potevano fare la differenza.
– Stai parlando del tuo potere? – intervenne ancora una volta il Capitano della Guardia degli Elfi.
Kat annuì con un cenno del capo.
– Non so se sono abbastanza forte per affrontare il drago, ma farò del mio meglio per essere di un qualche aiuto... ma l'unico che in questa città può mettere fine alla Bestia è l'uomo qui presente. – indicando Bard e rivolgendosi poi direttamente a lui – Solo tu, discendente di Girion, sei in possesso dell'unica freccia che può trapassare la spessa pelle di una di quelle creature e sei l'unico che abbia abbastanza forza ed abilità da fare buon uso della Lancia del Vento. Devi far evacuare la città e devi mandare Bain a raccogliere quanti più viveri e coperte possibile di casa in casa, perché i sopravvissuti ne avranno bisogno.
– Hai visto anche questo? – le domandò, con tono greve, l'uomo.
Lei annuì nuovamente senza mutare la propria espressione, cercando di trasmettergli tutta la serietà e l'urgenza delle proprie parole, e quando Bard infine spostò lo sguardo su suo figlio Bain, ella incrociò istintivamente lo sguardo con Legolas e Tauriel. Il Principe di Reame Boscoso la guardava con mal trattenuto stupore e persino l'elfa al suo fianco sembrava esser stata colta da una qualche personale rivelazione.
Al suono tintinnante di metallo che sfrega contro altro metallo, Kat si voltò appena in tempo per vedere Bard sganciare la robusta Freccia Nera dal suo supporto appeso ad una trave del soffitto. Non fece in tempo nemmeno a respirare di sollievo però, che d'improvviso un profondo tremore scosse la casa e fece cadere la polvere dalle travi di legno che ne erano la struttura portante, facendola sussultare.
– Cos'era? – domandò il giovane Bain, infrangendo il silenzio che era tornato a calare sui presenti.
Katla e Bard allora si guardarono negli occhi, ritrovandovi la stessa risposta che già conoscevano.
– Il drago – mormorò cupamente Bard, contraendo l'espressione del volto con rinnovata fermezza.
La giovane donna scambiò uno sguardo allarmato verso gli elfi di Bosco Atro, non trovando altro che una ferrea determinazione sui loro volti ed un cenno d'assenso a lei rivolto. L'avrebbero aiutata nei limiti del possibile, giacché era vero che, se mai le fosse capitato qualcosa, l'accordo con Re Thranduil sarebbe saltato ed egli non avrebbe avuto alcuna possibilità di entrare in possesso delle gemme di Lasgalen.
Forte del loro sostegno, le venne spontaneo prendere il comando.
– Legolas, Tauriel, per favore, assicuratevi che Bain riesca nel suo compito e che non gli accada nulla di male, quindi fate ritorno dal vostro Re ed informatelo dell'accaduto. Io e Bard andremo a caricare la Lancia del Vento e...
Non finì mai la propria frase, perché d'improvviso un pesante suono di passi in avvicinamento dalle banchine della città giunse al fine udito degli Elfi ed in contemporanea anche a quello della ragazza, che si bloccò per ascoltare quel rumore cadenzato farsi più distinto e vicino. Neanche si chiese come fece a coglierlo, né si curò della facilità con cui lo identificò come il rumore provocato dalla marcia di diversi uomini in arme, semplicemente cercò ancora una volta lo sguardo di Tauriel.
Un attimo dopo entrambi gli elfi avevano già i loro archi in mano e Kat s'era spostata dietro la porta d'ingresso, spada in pugno.
– Che succede? – chiese Bard.
Eppure, nessuno di loro ebbe il tempo di rispondere, giacché finalmente il rumore di passi che prendevano a salire le scale giunse anche all'udito dell'Uomo del Lago.
– Vi copriremo le spalle, o non ce la farete – affermò Legolas, in un tono pacato che non ammetteva repliche.
E Kat non ne sollevò, limitandosi ad un cenno d'assenso in sua direzione, per poi a scoccare un'occhiata all'Uomo del Lago ancora al centro della stanza. Il tempo di ordinare al figlio di andare alla barca e far come la giovane donna lì con loro aveva detto, che i pesanti colpi che si riversarono sul legno della massiccia porta d'ingresso segnarono la fine del tempo loro concesso.
– Aprite! In nome del Governatore!
Kat quasi gemette, piegando le labbra in una smorfia.
Questa proprio non ci voleva.


Quando le profondità della montagna tremarono, minacciando di far perdere l'equilibrio a coloro che erano poggiati in posizioni precarie alla parete rocciosa, i nani si guardarono l'un l'altro con apprensione.
– Che cos'era? – domandò ansioso Fili.
– Quello, ragazzo mio, – gli rispose greve Balin, voltandosi a guardarlo – era un drago.
Thorin, senza una parola, si accostò alla porta aperta e scrutò le tenebre oltre questa, come se grazie alla sua sola volontà potesse mirare ciò che nelle profondità del Regno di Erebor stava accadendo. Da tempo ormai il loro intrepido scassinatore si era addentrato nelle sale del perduto Settimo Regno dei Nani e, malgrado l'alta considerazione che aveva per le sue fini capacità, l'erede di Durin iniziò a provare una strisciante inquietudine.
Se, malgrado tutto, non fosse riuscito a recuperare l'Arkengemma...
– Che ne sarà di Bilbo? – chiese Ori, traendolo dal filo dei suoi pensieri. 
Si scostò allora dal varco nella roccia, passando lo sguardo sui nani a lui più vicini.
– Diamogli altro tempo..
– Tempo per cosa? – lo interruppe Balin, con voce insolitamente dura – Per essere mangiato??
Thorin lo guardò allora con occhi nuovi, sorpreso che il suo diplomatico amico gli si fosse rivolto a quel modo, e capì.
– Tu hai paura...
Ed il nano con la barba bianca a quelle parole lo guardò con cipiglio severo.
– Sì – annuì infine, dopo una breve pausa – Sì, ho paura. Ho paura per te. – affermò senza indugio, puntandogli un dito sul petto, prendendosi una libertà che Thorin avrebbe concesso a pochissimi altri, mentre continuava – Una malattia grava su quel tesoro... una malattia che portò tuo nonno alla pazzia.
– Io non sono come mio nonno.
– Non sei te stesso. – ribatté fermamente Balin, ignorando il suo diniego – Il Thorin che conosco non esiterebbe un istante nell'entrare..
– Non metterò a rischio la nostra impresa per uno scassinatore – l'interruppe, e quelle parole gli uscirono dalle labbra ancor prima che le pensasse, con uno sdegno di cui non si rese totalmente conto, giacché il pensiero dell'Arkengemma non voleva abbandonare la sua mente.
Ma Balin lo perforò con uno sguardo colmo di biasimo.
– Bilbo – scandì – ..il suo nome è Bilbo.
Fu a quel punto che Thorin tornò a voltarsi verso la porta di pietra e scorse una vaga luminescenza in fondo al buio cunicolo scavato nella roccia, e d'improvviso una frase del suo passato tornò a balenargli in mente, pronunciata da una voce di donna carica d'impeto: 
Bilbo è mio amico!! Così come è tuo amico!
E Thorin avvertì la stretta morsa della cupidigia allentarsi sulla sua mente.


Kat colpì in pieno petto il Capitano della Guardia cittadina con i piedi uniti, tenendosi alla trave della porta e mandandolo dritto a tuffarsi nelle fredde acque del Lago Lungo. Quindi, balzando di nuovo sul pavimento, scivolò di lato, permettendo a Legolas di sgusciare come un'ombra fra i soldati rimasti attoniti sulle scale e far fare loro la stessa fine del loro comandante.
Dal pianerottolo, Tauriel approfittò della confusione per salire agilmente sul tetto e coprire le spalle del suo Principe con una serie di frecce ben piazzate che stordirono o intralciarono i soldati rimasti sulla banchina.
– Andate! – esclamò, dando il segnale, una volta che la via fu libera.
Katla e Bard non se lo fecero ripetere e con un ultimo sguardo di ringraziamento ai due elfi di Bosco Atro si lanciarono giù per le scale, superando Legolas che aveva appena finito di mettere fuori combattimento l'ultimo uomo al servizio del Governatore.
Una volta guadagnata la banchina che era la via che conduceva verso il centro della città, non fecero molta strada prima che Bard deviasse in uno dei vicoletti adiacenti, prendendo alla sprovvista la ragazza, che quasi inciampò a quel cambio repentino di direzione. Confusa, Kat si ritrovò ad andare a sbattere contro la schiena del chiattaiolo e quasi cadde all'indietro, mentre quello a malapena faceva un mezzo passo avanti per il contraccolpo.
Ouff!
– Bard, – una voce a lei ignota risuonò bassa e concitata – cos'è accaduto?
Ancora massaggiandosi il naso arrossato, Kat scoccò un'occhiata in tralice all'erede di Girion e poi all'uomo brizzolato che s'era posto sul loro cammino. Aveva un'aria familiare e soltanto quando Bard ne pronunciò il nome, ella realizzò trattarsi di Persi, l'uomo che li aveva fatti passare al cancello il giorno in cui la Compagnia di Thorin s'era introdotta illegalmente in città.
– ...dobbiamo agire adesso. Gli uomini del Governatore si sono presentati a casa mia poco fa. – stava dicendo Bard, serio in volto – Occupati tu di radunare gli altri e procedete come da piano. Ci vediamo davanti al palazzo del Governatore.
Cosa?! – sbottò Katla in un sussurro strozzato, non riuscendo a trattenersi e spalancando gli occhi grigio-verdi.
Persi per un attimo parve avere un'esitazione a causa di lei, ma poi annuì con un rapido cenno e dopo una solenne pacca sulla spalla si avviò rapido per le viuzze ombrose. Non era ancora sparito che Bard, ancor prima che Kat potesse anche solo pensare di protestare per quella follia, si mosse a propria volta e, accostandosi ad una delle porte che affacciavano sulla strada, vi bussò un paio di rapidi colpi.
Pochi secondi e quella si aprì, permettendo al chiattaiolo di entrare. Kat lo seguì, perfettamente cosciente di non poterlo perdere di vista e determinata a ribellarsi a ciò che s'era inaspettatamente messo in moto, finendo per ritrovarsi all'interno di una modesta stanza di legno scuro, con un tavolo e un paio di sedie come unico arredo. Delle scale conducevano al piano superiore, mentre l'unica luce dell'ambiente proveniva da una fioca lanterna posata sulla mobilia.
Bard era fermo a parlare con l'uomo che aveva aperto loro la porta poco prima, il quale nel notarla le scoccò un'occhiata fuggevole, fermandosi a metà di una frase. Non si aspettava la sua presenza, anzi, probabilmente neanche si fidava di lei.
Riscuotendosi e cogliendo quella pausa come un'opportunità, Katla si fece avanti, agguantando per un braccio Bard e costringendolo a voltarsi abbastanza da incrociare il suo sguardo penetrante e corrucciato.
– Che stai facendo? – gli sibilò, contrariata ed accusatoria – Non mi hai ascoltata, forse? Dobbiamo prepararci per..
– Ciò che è stato messo in moto non può più essere fermato. – la interruppe bruscamente lui, puntandole addosso uno sguardo affilato – Ora, se hai ancora intenzione di aiutare le persone di questa città, c'è solo un modo per farlo ed è quello di combattere con noi. Con un po' di fortuna, quando quella Bestia arriverà, la nostra battaglia si sarà già conclusa e saremo pronti a riceverla.
Kat quasi sussultò alla veemenza del tono dell'Uomo del Lago e serrò le labbra in una smorfia di tensione, mentre la sua mente elaborava in fretta ciò che le era appena stato detto. Vide negli occhi dell'altro una scintilla di sdegno ed una determinazione che lasciarono trapelare chiaramente ciò che pensava e questo le serrò la bocca dello stomaco in una morsa.
Se davvero appartieni al Popolo degli Uomini dimostralo qui e adesso, questo le stava dicendo Bard con quello sguardo intransigente.
E, in risposta, l'animo orgoglioso di Katla si risvegliò.
– E va bene! – sbuffò bruscamente, quasi ringhiando il suo consenso – Vi aiuterò.
Non poteva permettere che accadesse qualcosa all'erede di Girion, giacché era lui l'unico a poter affrontare il drago quando sarebbe giunto a portare devastazione su ciò che rimaneva della fulgida Esgaroth. Avrebbe combattuto al suo fianco le guardie del Governatore e poi, quando fosse giunto il momento, l'avrebbe aiutato ancora una volta.
E forse, con un po' di fortuna, avrebbero superato la notte.


– Scappa, Bilbo!
Lo hobbit non se lo fece ripetere due volte che, con le sue gambette corte, si precipitò fuori dalle grandi Fornaci dei Nani, passando sotto lo spesso arco in pietra ed addentrandosi nell'immensa sala adiacente. Le volte del soffitto erano talmente alte da farlo sentire ancor più piccolo di quel che era, come era per la maggior parte degli ambienti del Regno di Erebor, scolpiti nella pietra con maestosa precisione. Arazzi polverosi ed altrettanto colossali, un tempo dai colori vividi, pendevano fra una colonna e l'altra, donando al salone l'apparenza di un ambiente chiuso e separato dalle forge, ora riaccese dal fuoco del drago.
Per un breve lasso di tempo, alle orecchie di Bilbo giunse soltanto il sommesso scalpiccio dei suoi piedi in corsa ed il proprio stesso respiro, cosa che, per un solo maledetto istante, gli fece credere di avere una qualche possibilità di scampo, ma il fato fu lesto a farlo ricredere. L'attimo seguente l'immensa e scagliosa mole di Smaug si gettò fra le immense colonne portanti ed il suo muso irto di zanne e spine scostò e strattonò i pesanti arazzi, tanto che le aste di metallo si sganciarono dai loro supporti e si riversarono sul pavimento della sala con un gran fragore.
Il piccolo scassinatore finì per venire sommerso dalla spessa stoffa ricamata e cadde, mentre la Bestia, provocando l'apertura di una nuova serie di crepe nel solido marmo con gran fracasso, si gettava nell'ampio salone alla sua ricerca, sibilando furibondo.
Tu! – la sua voce cavernosa e crepitante del fuoco che gli bruciava nelle sacche all'interno del torace riempì senza fatica l'ambiente, rimbalzando sulla volta e vibrando sulla roccia – Credi di potermi ingannare, Cavalcabarili?!
Il mezz'uomo, strisciando, arrivò sino al bordo dell'arazzo che gli era caduto addosso, per poi osservare sgomento la gigantesca e terribile creatura che, superatolo, piegava il collo indietro, i suoi cupi occhi rosso fuoco che saettavano per l'ambiente alla sua ricerca. Aveva già raggiunto l'altro capo del salone e le sue dimensioni erano tali che, voltandosi parzialmente, la sua lunga coda irta di cresta dorsale sfregò sinuosa il pavimento a pochi metro da lui.
Tremò, non riuscendo a impedirselo, quando lo sguardo della Bestia si piantò su di lui e le sue fauci tornarono a schiudersi.
– Siete giunti da Pontelagolungo! – soffiò, e dopo averlo affermato, mosso da un nuovo pensiero malvagio, volse il muso e lo sguardo colmo di perfidia verso destra, in direzione dell’ampio ingresso – Questo è uno squallido complotto ordito da questi luridi Nani e quei miserabili Uomini del Lago! Quei piagnucolosi codardi, con i loro lunghi archi e le Frecce Nere... – inveì, preda di un ricordo ed un antico rancore mai sopito, che Bilbo poté soltanto indovinare esser rivolto alle azioni passate di Girion per tentare di difendere Dale – Forse è il momento che io faccia loro una visita.
Fu a quelle ultime parole, mentre il grosso muso del drago si volgeva malevolo verso le porte di Erebor, che Bilbo smise di tremare. Ogni suo muscolo s’immobilizzò e si tese nel suo piccolo corpo, mentre il respiro gli restava impigliato in gola, ed un solo pensiero gli balenò alla mente: Katla.
Si mosse automaticamente ancor prima di rendersene conto, agendo d'impulso e rimettendosi lesto in piedi, rapido come un topolino che sfreccia fuori dalla sua tana.
– No.. – la sua vocetta da piccola creatura del mondo suonò a malapena udibile alle sue stesse orecchie ed egli, rendendosene subito conto, diede adito a tutto il poco fiato che aveva – Fermo! Non puoi andare a Pontelagolungo!
La paura per la sorte della sua amica soppiantò nettamente quella provata per sé stesso sino a pochi istanti prima, così si ritrovò a sgambettare dietro al drago, incurante del basso suono gorgogliante che uscì dalle sue fauci mentre tornava ad abbassare gli occhi adorni di pupille a cuspide su lui.
– Oh, tu tieni a loro, non è così? – suggerì, divertito, riempiendo nuovamente le sale del Regno di Erebor del suono della sua voce – ...Bene. Allora puoi guardarli morire!
Dopodiché, senza più indugio, Smaug il Terribile si diresse verso l'alto arco delle Porte dei Nani che si aprivano sul versante meridionale della montagna ed ogni suo passo sui solidi pavimenti in marmo produsse cupe vibrazioni in tutto il regno. Bilbo si sentì piccolo ed impotente, e già tentava di escogitare un modo per trattenere la Bestia, quando una voce si levò ad infrangere il momento.
QUI! Inutile, stupido Verme!
Thorin, in piedi sulla sommità di un alto blocco di pietra, si rivelò con orgoglio e fermezza al drago, che al suo insulto arrestò la sua avanzata per voltarsi a guardare il suo sfidante. Allora sibilò, infastidito e rancoroso, eppure quasi divertito dello sciocco, arrogante modo di fare del nano, e deviò dal suo percorso per ripercorrere senza fretta la navata centrale del salone, adiacente a quella del piccolo hobbit.
Mentre Smaug cambiava obiettivo, Bilbo si affacciò sorpreso all'ampia sala in cui il Principe di Erebor ed il suo più odiato nemico stavano per fronteggiarsi, restando al riparo di una delle immense colonne che reggevano la volta del soffitto.
– Adesso mi riprendo ciò che hai rubato. – continuò il capo della Compagnia, indomito e audace come solo un vero Signore dei Nani poteva essere.
– Tu.. – ribatté Smaug, per nulla impressionato, mentre la sua lingua saettava fuori dalle sue fauci incandescenti – ..non ti riprenderai niente da me, nano. Io ho annientato i tuoi guerrieri, tempo fa... io ho instillato il terrore, nel cuore degli Uomini! Io sono il Re sotto la Montagna!
Ma Thorin non fece una piega, continuò a fissare con seria determinazione la Bestia, tenendo una mano stretta intorno ad una delle catene che pendevano dal soffitto.
– Questo non è il tuo Regno, – ribatté invece, la voce arrochita dalla rabbia e dallo sdegno – è il territorio dei Nani.. l'oro dei Nani! E noi avremo la nostra vendetta. – ormai Smaug gli era arrivato di fronte ed il suo possente muso da rettile si fermò alla stessa altezza del nano, che a quel punto esclamò: – Imrîd ur-sùl! [1]
Fu quello il segnale per i nani della Compagnia, giacché alle orecchie del piccolo Bilbo giunsero una serie di scatti metallici e lo stesso Thorin Scudodiquercia, dopo aver dato uno strattone ad una delle catene che gli pendevano accanto, si appese a quella che aveva tenuto stretta sino a quel momento, lanciandosi nel vuoto.
Immediatamente il blocco di pietra perse compattezza e la serie di cinture di metallo che lo tenevano insieme si aprirono una dopo l'altra, facendo crollare quello che era un semplice involucro. Smaug, sorpreso, non riuscì a reagire, giacché davanti ai suoi occhi di brace si rivelò l'immensa statua dell'ormai defunto Re Thror, d'oro massiccio e rovente. La superficie di questa per pochi, interminabili secondi, parve reggere lo schiacciante peso del fuso al suo interno, ma poi, quando ormai lo hobbit credeva che il piano di Thorin fosse fallito, il primo cedimento esplose sul volto del sovrano.
Con un suono ribollente, la statua si riversò in un'onda di piena verso il drago che di scatto tentò di ritrarsi, ma era troppo vicino per riuscire a sottrarsi a quell'assalto dorato. Mentre annaspava, l'enorme corpo scaglioso della malvagia creatura venne investito e sommerso da un mare di quel prezioso metallo, che si spanse a macchia d'olio sul pavimento, colmando tutto il salone.
Anche Bilbo sarebbe stato sommerso a morte se non fosse stato lesto ad arrampicarsi sulla colonna da dietro la quale aveva osservato, riparato, l'intero svolgersi degli eventi. Il calore che si disperse era tale da ricoprire in un istante la pelle dello hobbit di nuovo copioso sudore, e fumi e vapori lo accecarono, mentre il mare d'oro colmava il dislivello fra l’immensa navata centrale e quelle adiacenti, al pari d'una gigantesca piscina scintillante.
Eppure, malgrado le profonde speranze di ogni membro della Compagnia, l’altrettanto enorme mole del drago non ne fu sommersa completamente e, creando una nuova serie di onde nel metallo fuso, la bestia ne riemerse con un ruggito ed un urlo d'offesa tali da assordare il povero Bilbo e fargli quasi perdere la presa sulla pietra dalla paura. Ogni scaglia di Smaug mentre si lanciava fuori da quella che, al suo confronto, appariva come una misera pozza, rifletté giallo-oro la fioca luce dell'ambiente, mentre si allontanava dagli effetti della trappola orchestrata dall'erede di Durin, vibrando e soffiando.
– Vendetta? VENDETTA?! – tutta la montagna tremò sotto gli artigli della Bestia – Ora ve la do' io, la vendetta...
E senza più indugio, preda di un'ira profonda quanto inarrestabile, il drago si avventò verso le porte del Regno di Erebor e, in pochi secondi, le raggiunse e si lanciò oltre l’arcata scolpita provocando il crollo di una parte della cornice e scardinando ciò che restava delle massicce ante metalliche.
Col cuore in gola, Bilbo riuscì in ritardo a trovare il modo di scendere dal suo rifugio e quando arrivò trafelato ad affacciarsi alla vallata ai piedi della Montagna Solitaria, vide la sagoma della Bestia stagliarsi alta contro la volta celeste, le ali spiegate e già gonfiate dal vento notturno, diretto alla città degli Uomini.
E, a quella vista, lo sconforto lo assalì ed il sangue si fece ghiaccio nelle sue vene.
– ...cosa abbiamo fatto...?


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

» Note:
1. "Imrîd ur-sùl!" = "Muori tra le fiamme!" , da imrid (muori; ogg.: "amrad", morte) e ursu/ur-su (sing.; fuoco, fiamma) in lingua khuzdul.

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Capitolo 22
*** I am Fire, I am Death ***







“Echoes of fire
fill my blazing inferno [..]
and my fate will be made.”
[ Born in the Cradle of Storms, Wind Rose ]




La nebbia s'era alzata ammantando le strade della città di Pontelagolungo come una coltre d'ovatta ed era con il favore di questa che la rivolta aveva preso forma. Kat e Bard, in testa ad uno dei gruppi di persone che si erano mobilitati, si aggiravano per le strade tendendo agguati alle guardie di ronda e mettendole sistematicamente fuori combattimento.
L'erede di Girion era stato fra i primi ad essersi procurato una vera spada sottraendola ad uno degli uomini del Governatore, e man mano altri avevano fatto lo stesso, cosicché dopo neanche un'ora dall'inizio della sommossa diversi fra gli Uomini del Lago al loro seguito impugnavano armi degne di questo nome.
Katla s'era messa d'impegno, trovando la propria motivazione a contrastare gli uomini del Governatore fin troppo facilmente a causa del ricordo di com’era stata trattata durante gli ultimi giorni, del modo in cui l'avevano trattenuta a forza e rinchiusa in prigione, e ormai non vi era più nessuno fra i rivoltosi a guardarla con sospetto o diffidenza. Inoltre, aveva deciso di cogliere l'occasione per mettere in pratica tutto ciò che le era stato insegnato nel corso di quegli ultimi mesi su come rendere inoffensivo un nemico senza ucciderlo, giacché Bard era stato chiaro: non sarebbe stato versato del sangue quella notte, giacché i loro avversari erano comunque loro concittadini, con famiglie a cui tornare.
Inutile dire che la cosa aveva colpito favorevolmente Katla, che s'era subito detta d'accordo.
Da tempo ormai la situazione s'era fatta caotica per le strade di Pontelagolungo: uomini in armi correvano in piccoli drappelli qua e là per le vie, cercando di scovare i ribelli fra la nebbia, rumorosi ed incauti, abbastanza da permettere loro di sopraffarli a poco a poco grazie ad una delle loro strategie.
Quando la giovane donna diede un colpo secco dietro la nuca all'ultimo uomo del Governatore in cui si erano imbattuti, Bard le scoccò un'occhiata di sottecchi e si lasciò sfuggire un sorrisetto sardonico.
– Inizio a intuire come tu ti sia guadagnata il soprannome di Piccola Furia – commentò, finendo di stringere il nodo della fune con cui aveva appena legato un altro soldato già privo di sensi.
Kat, concedendosi un piccolo sospiro di soddisfazione, ne ricambiò lo sguardo e finì per rispondergli con un mezzo sorriso ed un'alzata di spalle, prima di levarsi dal centro della strada. Ci pensò qualcun altro a togliere di mezzo il corpo del suo ultimo avversario, trascinandolo per lei nell'ombra con gli altri.
Erano vicini alla piazza principale, si capiva dall'ormai costante risuonare di voci concitate e dal clangore di armi che permeava l'aria umida e fredda della notte. Forse potevano davvero farcela, dopotutto, a raggiungere il palazzo del Governatore, ma dovevano sbrigarsi.
Lei e Bard si scambiarono un nuovo sguardo e tanto bastò per comprendersi sul da farsi, giacché seguì un cenno d'assenso in comune accordo. L'attimo seguente l'erede di Girion richiamò i suoi compagni e insieme si lanciarono alla carica per le poche decine di metri che li separavano dalla loro meta.
Vennero intercettati quasi subito, ma riuscirono a farsi strada combattendo, Kat sgusciando fra le guardie con agilità e destabilizzandoli e Bard affrontandoli frontalmente, dando loro il colpo decisivo. C'era voluto un po' perché sviluppassero un buon gioco di squadra, ma sembrava che adesso riuscissero a muoversi ed agire in sincrono, e questo bastava per elettrizzare la ragazza, che non aveva mai sperimentato quella sensazione.
Quando giunsero finalmente dinanzi alla banchina del palazzo del Governatore, si scagliarono prontamente in aiuto dei ribelli più vicini e, forti grazie al loro numero ed alle motivazioni che li animavano, la gente in rivolta prese ben presto il sopravvento sulle guardie del Governatore.
Il tumulto non s'era ancora placato quando Bard riuscì a sganciarsi dagli scontri e si piantò dinanzi alle porte del grande edificio in legno, chiamando a gran voce l'uomo che vi viveva a spese dei suoi cittadini.
– Vieni fuori, Governatore! Sappiamo che ci sei!
Non dovettero attendere a lungo o chiamarlo ancora, perché l'uomo in questione si affacciò finalmente alle porte coperto da un pesante giaccone di pelliccia. La sua figura, circondata dalla cornice in legno della parete dietro di lui, le apparve ancor più grassa degli abiti con cui Kat lo aveva visto in precedenza. Il suo volto raggrinzito ed arcigno era solcato da un'espressione di disgustoso contegno, che si schiuse in un sorriso saccente quando posò lo sguardo su di loro.
– Bard... Sapevo che c'eri tu dietro a tutti questi disordini! – esordì, con sdegno accusatorio, prima di inarcare un sopracciglio nel notare anche la presenza di Katla – E tu? È dunque questa la riconoscenza che mi devo aspettare dal Re sotto la Montagna, dopo tutto quel che ho fatto per lui?
– Sono qui in mia vece e di nessun altro, – ribatté sicura la ragazza, drizzando le spalle e puntando i suoi occhi chiari sull'uomo di fronte a loro – ma anche se così non fosse, Thorin Scudodiquercia sarà sempre pronto a battersi per la giustizia e la libertà della gente di Pontelagolungo, perché egli per primo può comprendere le sofferenze di un Popolo oppresso ed affamato, ed è un capo mille volte migliore di te!
Colse distintamente l'occhiata in tralice che le rivolse Bard, ma ella non diede peso alla sua sorpresa, giacché s'era troppo infiammata e sentita punta sul vivo per le parole del Governatore.
Come si permetteva di presumere e dare giudizi, finanche far passare non solo lei, ma anche i suoi amici e persino Thorin come un mucchio di ingrati? Che se ne rimanesse lui, rinchiuso in una pidocchiosa prigione di legno e ferro senza motivo, al freddo ed alla fame, per giorni!
Una mano le venne calata sulla spalla sinistra ed ella quasi sussultò a quella stretta, cessando di tentare d’incenerire il Governatore con il solo sguardo per voltarsi a guardare con un guizzo di sorpresa il chiattaiolo, che aveva appena fatto un passo avanti.
– Il tuo Popolo è qui a chiedere giustizia, Governatore! Non siamo qui per destituirti, ma per far valere i nostri diritti. – esclamò con forza e determinazione, stagliandosi nella notte rischiarata dalle torce e riempiendo il silenzio che, mano a mano, era calato intorno a loro – La politica di questa città rende poco più di schiavi i suoi abitanti. Il popolo non è più disposto a soffrire inutilmente!
Eppure, nonostante la veemenza nelle parole dell’erede di Girion, il capo della città non diede mostra di venir scalfito dalle accuse che gli venivano rivolte, bensì donò loro un sorriso di accondiscendenza ed un'espressione di artefatto stupore e cordoglio.
– Questi sono tempi duri per tutti, Bard – esordì, come se stesse parlando a un bambino capriccioso – ..ho dovuto adottare le dovute misure per garantire la sicurezza dei miei cari concittadini. Tutto ciò che ho fatto è stato nell'interesse della nostra amata città e... ma che..?
Il pomposo discorso del Governatore si interruppe, sovrastato dal sonoro rintocco della campana cittadina. Nella perplessità generale dei primi istanti, la prima a realizzare ciò che stava a significare fu proprio Katla.
– Il drago.. – sussurrò con voce strozzata, cercando meccanicamente con lo sguardo l'uomo al suo fianco.
Bard ricambiò la sua occhiata con una nuova incertezza, ma ella non gli lasciò il tempo di elaborare la novità.
– Dobbiamo andare! – esclamò perentoria – Subito!
E l'erede di Girion parve riscuotersi, ritrovando il proprio cipiglio deciso e voltandosi a dare secchi ordini alla gente lì riunita, mentre già altre voci si levavano allarmate: la notizia dell'arrivo della Bestia che si spargeva rapida per le vie ed i canali della città.
Dopo che Bard ebbe dato ordine di evacuare ogni anima di Pontelagolungo, lui e la ragazza tornarono meccanicamente a voltarsi verso il Governatore, senza trovarlo. Il grassone se l'era già data a gambe, rintanandosi nella sua dimora come un topo, probabilmente con lo scopo di raccogliere i suoi averi il più in fretta possibile. Non sarebbe stato lui la guida di cui il loro Popolo aveva bisogno in quel momento, fu chiaro subito ad entrambi.
Avevano una sola possibilità: uccidere il drago prima che riversasse tutta la sua ira su Pontelagolungo.
– Dimmi che hai ancora la Freccia Nera con te! – esclamò Kat al culmine dell'ansia.
Con sollievo vide Bard scostare la pesante casacca rattoppata che lo avvolgeva per quasi tutta la sua altezza e mostrarle il massiccio dardo d'acciaio nero assicurato alla cintura, e la tensione che le aveva serrato lo stomaco in una morsa soffocante si attenuò.
– Seguimi! – la esortò lui, prima di lanciarsi in uno dei vicoli che s’affacciavano alla piazza.
Katla non se lo fece ripetere e gli corse dietro, con la sensazione familiare del fodero della propria spada che le batteva sulla coscia sinistra, quasi a scandire lo scorrere del tempo.
Non avevano fatto che poche decine di metri quando la prima ondata di fuoco si abbatté sulla città, generando grida di sgomento e dolore tra le persone che si erano trovate sulla traiettoria del volo del drago. Il calore improvviso e le raffiche di vento che si insinuarono per i canali di Pontelagolungo spazzarono via gran parte della nebbia e resero limpida l'aria, abbastanza perché Katla potesse scorgere in lontananza la luce delle fiamme e finanche la figura di un uomo che sfrecciava incendiato nell'oscurità, poco prima che si gettasse nell'acqua gelida.
A quella vista, Kat sussultò e quasi si fermò, ma Bard l'afferrò per un braccio e se la trascinò dietro non appena si accorse della sua esitazione. Incespicando, la ragazza allora cercò di riprendere l'andatura spedita di prima, ma ben presto le persone che si riversarono per le banchine che costituivano le strade cittadine furono tante da intralciarli.
– Non raggiungeremo mai la Lancia del Vento in tempo, di questo passo! – esclamò Katla, dopo che entrambi si furono momentaneamente riparati dietro un angolo per riprendere fiato.
Bard, dopo aver ricambiato il suo sguardo, non le rispose subito ma si guardò intorno, finché la sua espressione non si illuminò.
– Per di qua!
Non aggiunse altro e lei non chiese spiegazioni, fidandosi dell'Uomo del Lago e seguendolo dappresso non appena quello tornò ad immettersi in strada. Salirono rapidi una stretta scala che portava al secondo piano di una casa e Kat quasi rischiò di venir spinta oltre il corrimano, dritta nelle fredde acque sottostanti, a causa degli occupanti che stavano dandosi alla fuga nella direzione opposta.
Raggiunto il pianerottolo, Bard salì sulla balaustra in legno e da lì l'aiutò a raggiungere il tetto per prima, lanciandola letteralmente verso la cornice della falda del tetto senza alcun preambolo. Una volta che Kat si fu issata su di essa con uno sbuffo ed una smorfia, non mancò di allungare una mano verso l'uomo e ricambiargli il favore. Quindi entrambi raggiunsero la sommità del tetto e quando si stagliarono nell'aria fredda della notte, essa era meno tagliente sulla loro pelle, giacché il fuoco che andava già divampando, lì ove il drago aveva scaricato la prima fiammata, era una fonte di calore sufficiente a spazzar via parte del gelo dell'inverno.
Negli occhi di lei, la lingua di fuoco si rifletté fra i tetti in legno delle case, più vicina di quanto intimamente sperato dalla ragazza, che si ritrovò a serrare le labbra in una smorfia di tensione mentre osservava la devastazione che Smaug aveva appena iniziato a dispensare. Ci pensò l'erede di Girion a riportarla con l'attenzione al loro obiettivo, indicandoglielo con decisione nella direzione opposta: la Lancia del Vento si stagliava fiera nella notte, in cima ad un'alta piattaforma in legno, una torretta priva di merlatura illuminata dal chiarore degli incendi.
Non era troppo lontana, si rese conto con una punta di ottimismo.
Fu a quel punto che un nuovo ruggito lontano permeò ed attraversò l'aria umida sino a loro, carico di malevolenza, come un cupo rombo di tuono. Si voltarono entrambi nella direzione da cui quel suono profondo e sinistro era preovenuto e Kat riuscì a scorgere nella foschia ormai rada e fumosa un lontano bagliore, come di fuoco provenire dal cuore della Montagna Solitaria. Fu solo un istante, giacché quello dopo la brezza della notte rimodellò l'umidità dell'aria, offuscando quella luce lontana come se si fosse trattato di un semplice miraggio.
– Dobbiamo sbrigarci – mormorò lei, mentre l'ansia e l'urgenza tornavano a stringerle la gola in una morsa.
Bard non le rispose, non ve n'era alcun bisogno, e si avviò per primo lungo la falda del tetto viscida d'umidità. Kat dovette far attenzione a metter bene i piedi per non rischiare di scivolare di sotto, rischio che si concretizzò al primo salto che tentò per passare da un edificio all'altro. L'Uomo del Lago l'afferrò appena in tempo per evitarle il peggio e non sprecò raccomandazioni nei suoi riguardi, entrambi troppo tesi e concentrati sul raggiungere il prima possibile la Lancia del Vento.
Ce l'avevano quasi fatta quando una nuova, violenta folata di vento si abbatté sulla città e, un istante dopo, la notte si accese ancora una volta a giorno. Il fuoco del drago si riversò sulle casupole di legno di Pontelagolungo, talmente rovente da spazzar via ogni traccia di bagnato sulle assi scrostate ed ammuffite, in una lunga lingua di fuoco che dal cielo oscuro si scagliò verso il basso irruenta ed implacabile.
Seppur non si trovassero molto vicini alla scia di devastazione che si abbatté su di loro, Kat non poté non sussultare violentemente ed aggrapparsi con forza al comignolo accanto al quale s'era fermata istintivamente, gli occhi spalancati e fissi su quel muro di fuoco che andava attecchendo rapidamente lì ove era stato riversato.
Il vento portò alle loro orecchie nuove grida di terrore e dolore provenienti dal basso, grida che si mischiarono al crepitare delle fiamme ed al carattestico batter d'ali, come di immense vele telate al vento, che con un sibilo le passò sopra il capo a diversi metri d'altezza. Si ritrovò a tremare ancor prima di rendersene conto e fu Bard, ancora una volta, a trarla dai vortici della sua mente.
Come la mano di lui calò sulla sua spalla e la strattonò, Katla riuscì grazie alla veemenza di quel gesto a tornare a guardare l'uomo accanto a lei in volto, non riuscendo comunque a nascondergli il proprio profondo turbamento. Turbamento che l'erede di Girion condivideva, l'espressione dura e determinata che lasciava intravedere al di sotto un guizzo d'incertezza.
Anche lui aveva paura.
– Andiamo – le disse ancora una volta, urlando per sovrastare il vento ed il caos dilagante intorno a loro.
Kat annuì meccanicamente con un cenno del capo e, serrando con forza la mascella, riuscì a ricordare a sé stessa il proprio obiettivo e la necessità a non arrendersi. 
Non poteva tentennare... non poteva fallire, non ora.
Così ripresero entrambi a muoversi, saltando di tetto in tetto e raggiungendo infine l'edificio adiacente alla torretta in legno della Lancia del Vento. Escluso il campanile, quello di fronte a loro era il punto più alto della città.
Volute di fumo si levavano verso il cielo nero e la luce delle fiamme si faceva sempre più forte, tingendo di sfumature roventi i bordi ed i profili degli edifici e giocando con le ombre danzanti di cui era artefice. Una nuova folata di vento caldo li investì e portò loro l'odore del legno che va consumandosi in cenere.
La ragazza stava giusto chiedendosi dove fosse finita la Bestia, quando il sibilo del vento si fece talmente forte da essere il preludio di ciò che avvenne dopo. L'immensa mole del drago tornò ad abbassarsi sulla città di Pontelagolungo e passò talmente vicina ai due difensori da sollevare una corrente d'aria talmente compatta da rischiare di sbalzare via dal suo appoggio la ragazza, che scivolò sulla falda obliqua, mentre Bard, che già stava salendo la scaletta per raggiungere la Lancia del Vento, vi si aggrappà saldamente  ed evitò il peggio.
Un attimo dopo il ruggito crepitante del drago tornò ad abbattersi sulla città ed il campanile andò in pezzi con uno schianto, scomparendo nella notte e nel fumo che andava addensandosi nell'aria. Il rintocco del batacchio di metallo cessò ed il suono di nuove voci cariche di panico e gli schiocchi del nuovo fuoco che attecchiva ne prese il posto.
Katla, aggrappatasi appena in tempo alla sommità del tetto per mero istinto di conservazione, rimase riversa sul legno e, gli occhi sbarrati sulla devastazione che Smaug stava diffondendo, non riuscì a muovere un muscolo finché la voce dell'Uomo del Lago non tornò a farsi udire.
– Katla!
Sollevando per riflesso lo sguardo verso l'alto, gli arti pesanti come piombo, ella distinse una muta richiesta sul volto dell'uomo che la guardava. Una richiesta che giunse sino a lei, che eppure non trovò la forza di muovere un singolo muscolo, né voce per rispondergli. 
Era la paura ciò che stava minacciando di soffocarla e la teneva ferma su quel tetto, immobilizzata. Una paura diversa da qualunque altra avesse sperimentato nel corso di quel viaggio, giacché nata dalla consapevolezza schiacciante di non essere all'altezza della minaccia che stavano affrontando. 
Un drago era cosa di tutt'altro livello rispetto ad Orchi e qualsivoglia infide creature modellate dall'oscurità. Un drago era qualcosa di inarrestabile, del tutto inaffrontabile per una ragazzina alta appena un metro e mezzo e proveniente da un'altra realtà. 
Non aveva speranze di uscirne viva, non...
Katla!!
Al suono di quella voce, Kat si voltò meccanicamente, e la vista dell'elfa accucciata sul tetto di uno degli edifici accanto le fece sbarrare gli occhi dalla sorpresa.
Cosa ci faceva Tauriel lì?


La città era in fiamme in lontananza, un alone luminoso in un mare di nebbia all'orizzonte, sopra il quale la sagoma del drago si librava implacabile nella notte cupa, appena visibile ad occhio nanico. Ed ogni sguardo era fisso a mirare l'agghiacciante spettacolo, giacché l'intera Compagnia era uscita dalle porte di Erebor ed aveva raggiunto le rovine di Dale, risalendo l'altura sino al punto più alto ed arrampicandosi sulle rocce fino a quando la piana meridionale non si era rivelata loro.
Potevano udire l'eco della campana che suonava ed il ruggito della Bestia in lontananza, nel silenzio assoluto di quella sventurata notte.
– Ce la farà... vero? – chiese esitante Bilbo, cedendo al bisogno di una qualche rassicurazione da parte dei suoi compagni – Se la caverà senz'altro, no? È pur sempre di Katla che stiamo parlando.
Il gelo che gli attanagliava il petto però non si attenuò come sperato quando incrociò lo sguardo di Balin e ne scorse l'aria sconsolata, e non fu quello a rispondergli bensì suo fratello.
– L'hai visto tu stesso di cosa è capace, quella Bestia – brontolò Dwalin con un'amarezza ed una stizza che gli resero la voce ancor più ruvida del solito, mentre gli riservava un'occhiata in tralice. Aveva gli occhi lucidi, come molti altri.
– Non avremmo dovuto lasciarla...
Lo hobbit si voltò a guardare Kili, la cui voce si era levata come un sussurro smorzato a rendere concreto il pensiero dei più, e lo vide seduto su una delle pietre diroccate delle rovine mentre guardava fisso davanti a sé, col volto pallido contratto in una smorfia tesa e sofferente. Suo fratello Fili gli era accanto, anche lui con la stessa espressione sul volto, e gli stringeva una spalla con forza, in un vano tentativo di supporto fraterno.
– Nessuno avrebbe potuto prevederlo – rispose Balin, rivolgendosi a tutti loro, con mestizia e tristezza, senza guardarlo. I suoi occhi di nano si puntarono invece su Thorin, rimasto silenzioso sino a quel momento in cima al punto d’osservazione più elevato.
La sua sagoma si stagliava oscura nella notte, accarezzata dalla brezza nella sua immobilità statuaria. Bilbo riuscì a malapena a scorgerne le mani chiuse strettamente a pugno lungo i fianchi, prima che tale staticità finalmente venisse meno nell’erede di Durin. Egli si voltò verso di loro e, come lo scassinatore ne incrociò lo sguardo, una voragine ancor più profonda di quella già esistente gli si spalancò in mezzo al petto.
Non v’era più luce, in quegli occhi di diamante.
Il figlio di Thrain non parlò, ma scese dal suo punto d'osservazione con passo lento e cadenzato, passando loro accanto al pari d’un fantasma. Nel superarlo, per un attimo lo hobbit credette che fosse sul punto di sollevare una mano verso di lui, ma fu l'illusione di un istante, perché quello dopo il nano era già passato oltre.
E Bilbo, con apprensione ed angoscia crescenti, ne fissò la figura di spalle mentre si allontanava nell'oscurità, verso le Porte di Erebor.


Il crepitare delle fiamme ed il rombo degli incendi si univano al sibilo del vento, in quella notte infinita in cui Kat si trovò a dover lottare contro i propri stessi limiti.
Tauriel, raggiuntala, l'aveva afferrata con fermezza per un braccio e, i capelli rossi mossi dalle correnti, l'aveva fatta rimettere in piedi. La ragazza si era dunque ritrovata a premere la schiena contro la parete della torre della Lancia del Vento, il respiro spezzato ed il cuore impazzito, mentre sosteneva lo sguardo severo dell'elfa.
– Cosa stai facendo?!
A quella domanda diretta ed aspra, Kat boccheggiò spalancando gli occhi chiari sul volto corrucciato dell'altra, insolitamente espressivo.
– Io.. io... – balbettò a malapena, completamente spiazzata.
– Se le tue intenzioni sono di morire qui, non lascerò che accada! – la interruppe l'altra, con la medesima severità.
Alla ragazza salirono le lacrime agli occhi, ma Tauriel l'afferrò per un braccio e strinse, cercando di riscuoterla dal suo torpore. Nelle sue iridi verdi, Katla vide riflettersi il fuoco che alle loro spalle divampava indomabile, e si ritrovò a trattenere meccanicamente il respiro.
– Perché..?
– Sei una figlia della magia! Hai il potere dentro di te, io l'ho visto! – continuò lei, imperterrita, interrompendola ed ignorando il suo fiacco tentativo d'interrogarla sul motivo per cui era tornata indietro – Dimostra che i tuoi amici si sono sbagliati, quando ti hanno ritenuta debole! Combatti per il tuo Popolo, combatti per le vostre vite!
Di fronte a tale veemenza e convinzione, Kat rimase rigida a fissarla, gli occhi spalancati e la mente in subbuglio. Le parole di lei le rimbombarono nelle orecchie e per un po' la ragazza non riuscì a far nulla a parte ricambiare lo sguardo dell'altra con un'attonita immobilità, mentre elaborava la verità che le era appena stata riversata addosso con tanta irruenza.
Sapeva che Tauriel aveva ragione, dopotutto.
Era lì per fare la sua parte, per sopravvivere ed assicurarsi che Smaug cadesse una volta per tutte. Doveva aiutare Bard come meglio poteva, perché se avessero fallito e se il drago fosse sopravvissuto, sarebbe tornato alla montagna e a quel punto per i suoi compagni ed amici non ci sarebbe stato più scampo.
Tornando presente a sé stessa, Katla strinse a propria volta il braccio dell'elfa di fronte a lei e attraverso quel contatto le trasmise il messaggio: aveva capito. Quindi si scambiarono entrambe un cenno d'assenso e si staccarono l'un l'altra, mentre le loro figure venivano investite da una nuova folata di vento che portò loro l'odore acre degli incendi.
In fin dei conti Kat non era sola ad affrontare quel pericolo, c'erano Bard e Tauriel lì con lei.
Potevano farcela, dopotutto.
Socchiudendo gli occhi chiari, la ragazza si voltò a scrutare con apprensione il cielo sopra di loro, alla ricerca della malvagia creatura fra le volute di fumo che s’innalzavano dalla città. Ormai la nebbia era dissolta intorno a quel che rimaneva di Esgaroth, spazzata via dal vento incostante e dal calore rovente delle fiamme del drago, ma l'aria non era comunque limpida abbastanza da permettere una visione netta della Bestia che si librava decine, finanche centinaia di metri sopra le loro teste.
Quando fosse tornato a tiro della Lancia del Vento, per Bard sarebbe stato quasi impossibile prendere la mira con tutto quel fumo. Senza contare il pericolo del fuoco dilagante intorno a loro e di quello che il drago riversava periodicamente sulla città.
Kat si domandò come avrebbero potuto fare ad avere la meglio in circostanze simili, ma soprattutto cosa avrebbe potuto fare lei per aiutare l'Uomo del Lago nella sua impresa. Lanciò meccanicamente un'occhiata a Tauriel, vedendola con arco e freccia già in pugno intenta a scrutare il cielo, l'espressione tesa e concentrata di chi sta cercando un segno della sua preda. Non avrebbe fatto molto contro il drago, con quelle armi.
Fu in quel momento che le venne un'idea. 
Era azzardata e priva di certezze, ma era l'unica cosa che le era venuta in mente. 
Kat inspirò, riempiendo i polmoni d'aria per tentare di ritrovare il controllo di sé e del proprio cuore impazzito nel petto. Gettò varie occhiate tutt'intorno, prendendo mentalmente nota degli edifici vicini e della propria posizione all'interno della città, quindi prese la propria decisione.
Quando chiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il proprio respiro e di rievocare nella mente la giusta concentrazione, il volto barbuto di Gandalf tornò ad affacciarsi nell'oscurità dietro le sue palpebre.
Sono certo che, quando sarà il momento, saprai cosa fare.
Sì, gli rispose mentalmente, traendo da quel ricordo la fermezza e la speranza di cui aveva bisogno. Mise da parte ogni dubbio o interrogativo che la sua mente di giovane ragazza di un altro mondo continuava ad evocare, scegliendo di fidarsi dell'Istar e delle sue parole ancora una volta.
Quando, pochi istanti dopo, capì di essere pronta, schiuse le labbra ed iniziò a cantare.


Non era stata una decisione razionale quella di tornare indietro, separandosi dal Principe del Reame Boscoso. Eppure Tauriel, quando l'aria iniziò a muoversi ed a crepitare intorno alla giovane donna, seppe di aver preso la decisione giusta e non riuscì a distoglier lo sguardo da ciò che stava avvenendo di fronte ai suoi occhi di smeraldo.
Dalla figlia degli Uomini nacque e si manifestò un potere che prese forma in un vortice d'aria, il quale spazzò con folate gelide il tetto intorno ai suoi piedi e si allargò, prendendo forza man mano che la voce della ragazza si stabilizzava e si alzava in volume. Era una canzone nella lingua degli Uomini che parlava dell'inverno e della prima neve, del vento che portava con sé le ultime foglie d'autunno, ed il Capitano della Guardia degli Elfi quasi sussultò quando il vortice d'aria la attraversò e passò oltre, inglobando lei e la torretta sulla cui cima l'Uomo del Lago cercava di armare la Lancia del Vento.
Il formicolio che le lasciò la magia sulla pelle scomparve quasi subito, ma fu una sensazione tanto reale da lasciarla stordita un istante dopo che fu scemata. Fu il forte sibilo del vento accostato al battito d'immense ali telate a farla tornare alla realtà, appena in tempo per distinguere chiaramente la sagoma del drago concludere un'ampia virata e puntare dritto verso di loro.
Tauriel fece appena in tempo a puntare il proprio arco verso la Bestia e scoccare, che quello schiuse le sue fauci irte di zanne e diede sfogo al suo soffio di fuoco. Le fiamme, talmente incandescenti da apparire quasi bianche agli occhi dell'elfa, si riversarono ancora una volta sui tetti di Pontelagolungo, bruciando l'aria stessa ed avviluppando e riducendo in cenere la freccia da lei appena scagliata. Eppure, quando ormai stavano per esserne investiti e Tauriel ne avvertiva già il calore cocente sulla pelle, un'onda gigantesca risalì dal canale sottostante l'edificio, sollevandosi verso il cielo scuro come un enorme muro d'acqua che, modellato da quello stesso vortice di vento magico originato da Katla, prese forma e si solidificò in una spessa cupola di ghiaccio tutt'intorno a loro, incastonata nel legno ed attorno ad esso, sin dalle fondamenta. Quando quelle fiamme draconiche vi si scagliarono contro, il crepitare ed il sibilare del ghiaccio che si faceva vapore riempì le orecchie a punta dell'elfa, lasciandola incapace di reagire. Di fronte ai propri occhi spalancati ella vide il fuoco riversarsi e sovrastare la cupola con violenza, scavalcandola e proseguendo la sua corsa senza riuscire a penetrarla, e volute di candido vapore incandescente si levarono verso il cielo scuro.
Il soffio della Bestia passò oltre senza scalfire né loro, né la piattaforma sulla quale la Lancia del Vento svettava verso il cielo, riversandosi sulla città alle loro spalle e dando vita ad una nuova scia d'incendi mentre la barriera che li aveva protetti si sgretolava e scioglieva, come un vecchio stanco che ha appena completato il suo ultimo compito e si lascia andare al riposo eterno.
Lo scricchiolio del ghiaccio che crollava intorno a loro colmò l'aria, prendendo il posto della voce di Katla, e fu dopo una manciata di secondi ancora, quando Tauriel sentì di nuovo l'aria pregna dell'odore di bruciato sulla pelle, che si rese conto di ciò che era appena accaduto.
Non si era affatto sbagliata: quella ragazza era davvero una creatura baciata dai Valar.
Ancora spiazzata, l'elfa si mosse in avanti, ma ancor prima di affiancare la giovane donna, ella si voltò a lanciarle una rapida occhiata da sopra la spalla e come i loro occhi si incrociarono, Tauriel trattenne un sussulto di sorpresa.
Quelle iridi che fino a un istante prima erano del colore della roccia muschiata, adesso sprigionavano una debole luminescenza argentea che andava affievolendosi, una degna corona intorno alla pupilla stretta e scura.
– Bard avrà una sola possibilità, – le disse Katla, e la sua magia era ancora lì, ancora viva nella sua voce ora limpida e ferma – assicurati che non manchi il bersaglio: il ventre del drago, sotto l'ala destra, dove manca una scaglia.
Il Capitano della Guardia Elfica annuì, tornando presente a sé stessa e alla situazione che stavano vivendo, e senza più soffermarsi su quel potere che mai i suoi occhi di Elfa Silvana avevano visto operare nella Terra di Mezzo, salì i pioli della scaletta della torre di legno.
Quando arrivò a posare gli stivali senza un rumore sulle assi della piattaforma, l'Uomo del Lago appostato accanto alla Lancia del Vento si voltò a guardarla e in volto aveva la stessa espressione sbalordita che per un attimo aveva avuto anche lei. Dopo quel primo momento non vi fu bisogno di parola alcuna fra loro, giacché egli capì e Tauriel si posizionò sulla balaustra della torretta per scrutare la distesa della notte costellata da ondeggianti colonne di fumo e accesa dei bagliori degli incendi.
La sensazione di essere dove doveva la colse intensa, quasi tangibile, e non ne dubitò. Lo seppe istintivamente, che ogni cosa che aveva vissuto e ogni scelta che aveva fatto, sin da quando il suo cammino aveva incrociato quello di quell’insolita piccola donna, l'avevano condotta a quel luogo ed a quel momento. Quanto stava accadendo aveva uno scopo, e così anche lei, e questo le infuse una nuova determinazione, ben diversa da quella nata dalla semplice volontà di sopravvivere.
Avrebbero fatto la loro parte, come Katla aveva appena fatto la sua.
Insieme, avrebbero posto fine alla tirannia del drago Smaug una volta per tutte.


Katla non sapeva razionalmente cosa faceva, era l'istinto a guidarla, e quell'istinto le permise di mantenere vivo il potere che aveva sentito risvegliarsi violento in lei quando si era trovata nella traiettoria del soffio infuocato della Bestia.
Era accaduto tutto così in fretta che, quando la cupola di ghiaccio s'era dissolta intorno a loro, la ragazza aveva finalmente realizzato ciò che era stata in grado di fare, eppure non aveva osato indugiare su quel pensiero. Tutti loro avevano un compito da svolgere e Kat non si permise di perdere la concentrazione o di deviare la propria attenzione da quanto stava accadendo intorno a loro.
Così, quando l'immensa mole del drago planò sugli edifici in fiamme, ella riuscì a scorgerne chiaramente la figura veleggiare nel cielo oscuro, distinguendone finalmente il ventre scintillare di riverberi dorati alla luce dei fuochi. Smaug si adagiò pesantemente sulle case della città con un sonoro rumore di travi che si spezzano e del frangersi delle onde, ma tutti e tre i difensori di Pontelagolungo erano già rivolti verso di lui, stagliandosi al pari di tre piccole statuine in mezzo a quel mare di fiamme che era divenuta la città degli Uomini.
Eppure, malgrado il fuoco ed il fumo, gli occhi fiammeggianti della creatura trovarono subito il loro obiettivo e Katla si sentì perforare sin nell'animo da quelle pupille rettiliformi cariche d'astio e stupito interesse.
– Chi sei tu, che osi metterti contro di me?
La sua voce risuonò cupa e potente nonostante la distanza a separarli, più delle fiamme che si levavano indomite verso la volta celeste, penetrandole sin nelle ossa ed oscurando qualunque altro suono. 
Katla si ritrovò col fiato impigliato in gola, ma non osò distogliere lo sguardo dalla creatura, giacché era il suo istinto di sopravvivenza ad impedirglielo: se l'avesse fatto, se avesse osato volgere le spalle al drago e tentare di scappare, sarebbe morta di certo. Tutti loro sarebbero morti.
Quindi rimase salda nella sua posizione, orgogliosa e fiera, ignorando l'aria sempre più calda che le gonfiava il mantello e le sferzava il volto, mentre il sudore le colava lungo il collo e dietro la schiena.
Il drago non attese a lungo una risposta, come se sapesse che non sarebbe arrivata, e neanche si dimostrò contrariato dal suo silenzio perché le sue fauci si schiusero di nuovo a dar mostra d’un rostro di letali zanne, in quello che poteva essere soltanto un sorriso malevolo. Le sue zampe anteriori schiacciarono e stritolarono un edificio in fiamme mentre volgeva verso di loro la mole del suo corpo scaglioso e protendeva il muso in avanti.
– Non rammento di aver mai visto una simile magia, prima d'ora, – proseguì Smaug, con placida intensità, sondandola ancora con quel suo sguardo acceso dalle fiamme – ma non ha importanza: tu ed i tuoi amici non potete nulla contro di me. 
– Non è così – affermò risoluta Kat, forte dell'energia magica che percepiva scorrere in ogni fibra del suo piccolo corpo – il tuo Regno del Terrore stanotte avrà finalmente fine, Smaug il Dorato.
Il drago sibilò dalle fauci, un suono inframmezzato, come un singhiozzo: la sua risata.
– Hai anche tu delle belle maniere – commentò, spalancando maggiormente le spesse palpebre mentre si faceva di un altro passo più vicino. Le sue narici si dilatarono ed il rumore del suo respiro giunse sino a loro, prima che dalle fauci della Bestia scaturisse una nuova vibrazione – ..sì, lo sento – affermò – sei amica di quello sciocco piccolo ladro e di quei luridi nani che sono giunti alla mia Montagna. Porti addosso il loro odore.
Kat venne scossa da un tremito mentre quell'accenno alla Compagnia di Thorin le veniva riversato addosso, la paura che sottile continuava a lambirle l'animo mentre s'accendeva di nuova contrarietà per gli epiteti che quella creatura aveva riservato loro. Tuttavia non fece in tempo a ribattere alcunché, non ancora, perché Smaug tornò a parlare, e stavolta la sua voce tradì una nota di stupito interesse.
– Ma c'è dell'altro.. – sibilò, malevolo – ..sangue di lupo. – un altro passo, un altro edificio che crollava sotto la sua mole – Sangue di lupo scorre nelle tue vene e sarei quasi tentato di chiederti da dove provenga, – continuò, schioccando le fauci – peccato che non abbia intenzione di farlo.
Katla sussultò e sorpresa e confusione si mischiarono in lei, spezzando la sua concentrazione ed il vivido legame con cui ella era riuscita sino a quel momento a mantener viva la propria magia. 
Cosa voleva dire che aveva sangue di lupo nelle vene? No, non era possibile. Era soltanto una subdola menzogna per farla vacillare e coglierla in fallo.
Quando, l'istante seguente, tornò a focalizzare lo sguardo sulla malvagia creatura, nelle sue fauci dischiuse ella distinse il chiarore del suo respiro infuocato. Il soffio del drago, accumulato sino a quel momento nella sacca all'interno del suo torace, era talmente rovente da rilucere sin dall'interno, evidenziando d'un bagliore rossastro gli interstizi fra le scaglie. Fu grazie ad esso che ella lo vide: il punto in cui una delle scaglie s'era staccata dal resto della livrea naturale della Bestia grazie agli sforzi di Girion.
Eccolo! Era quello il punto in cui colpire!
– Bard! Tauriel!
– Lo vedo! – esclamò l'uomo in risposta.
– Cosa credi di poter fare, Uomo del Lago? – chiese con scherno e superbia la creatura, sollevando il grosso muso adorno di corna e protuberanze scagliose e mettendo in quel modo ancor più in mostra il suo punto debole. 
Nei suoi occhi di serpe tutti e tre scorsero la sua immensa superbia ed il cupo desiderio di elargire morte e distruzione su di loro. Dopo quel suo attacco di fuoco, di loro non sarebbero rimaste nemmeno le ossa, sarebbero stati ridotti in cenere nel giro di pochi secondi.
– Brucerete fra le fiamme. – affermò Smaug verso di loro, annunciando la sua oscura volontà e schioccando la lingua sibillina fra le fauci – Non vi resta altro che morte!
E a quel punto lo splendore delle fiamme nel ventre della Bestia raggiunse il suo culmine e quello, con un sussulto del collo all'indietro, si preparò a soffiare. Fu quello il momento in cui Bard, al segnale di Tauriel, azionò il meccanismo, giacché in quell’istante il punto debole del drago era maggiormente esposto e vulnerabile, e lo schiocco secco della Lancia del Vento che entrava in azione risuonò nella notte.
Allo stesso modo Katla, spinta dall'impulso e dall'istinto, schiuse di nuovo le labbra e protese in avanti una mano, mentre la magia tornava a destarsi potente ed implacabile in lei. Un vortice di gelida aria fredda avvolse la Freccia Nera e la sospinse in avanti, aumentandone la velocità e stabilizzandone la traiettoria, mantenendola salda persino quando il fuoco sgorgò dalle fauci spalancate del drago e si scagliò contro di loro.
Le fiamme rosse e bianche della creatura si divisero intorno ad essa, catturate da quel vortice d'aria e deviate dalla corrente generata, mentre nel suo nucleo il possente dardo d’acciaio volava rapido come un fulmine verso il suo bersaglio. Quando penetrò attraverso la preziosa corazza di Smaug, il suo respiro infuocato perse potenza e si spense ancor prima di giungere sino ai suoi nemici, disperso nell'aria circostante.
Il drago ebbe un sussulto e ruggì di dolore, e mosso dall'istinto scartò, lanciandosi con un poderoso balzo sospinto da un colpo d’ali di lato. Il suo immenso corpo superò i tetti degli edifici vicini e le sue ali batterono l'aria fumosa della notte, riuscendo a sollevarlo dalle gelide acque del Lago Lungo mentre gridava la sua rabbia e la sua sofferenza alle stelle dietro le nubi.
La corrente che giunse sino al tetto dei due figli degli Uomini e dell'Elfa Silvana fu tale da sbalzare la giovane donna indietro e farle perdere l'equilibrio, mandandola a sbattere con la schiena contro la piattaforma di legno della Lancia. Annaspando e tentando di ripararsi al contempo con le braccia, Katla scivolò verso il basso. Rotolò brevemente sull’assito, raggiungendo il bordo del tetto e finendo oltre questo senza riuscire ad appigliarvisi, precipitando nel vuoto con un urlo d'allarme.
Fece appena in tempo a distinguere, fra le volute di fumo, la sagoma del drago raggiungere il culmine del suo ultimo volo, prima che le gelide acque del Lago Lungo la inghiottissero e le togliessero il respiro.


In quell'oscura notte tinta dei colori del fuoco e del fumo, un paio d'occhi colsero qualcosa di scintillante staccarsi dall'immenso corpo del drago, mentre quello veniva vinto dalla forza di gravità ed iniziava a cadere verso il lago e la città degli Uomini. Un puntino luminoso riverberò un solo istante della luce delle fiamme che vive stavano divorando l’antica Esgaroth, spegnendosi quello dopo e perdendosi fra i fumi degli incendi e le ombre danzanti. Poi il drago si schiantò sulla città e l'acqua si sollevò e lo accolse, trascinandolo verso il fondo.
Così ebbe fine la leggenda del temibile drago Smaug, Signore delle Calamità ed Usurpatore di Regni dei Nani.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 23
*** The Lonely Mountain ***







“I face the fear for every tear
that would be dry,
but shadows cannot leave me [..]
Your memory in lies will drown.”
[ Oath to Betray, Wind Rose ]




Il cielo andava rischiarandosi ad est, sancendo la fine di quella che per le genti di Pontelagolungo era stata una notte terrificante ed interminabile. In quel grigiore diffuso, il fuoco andava ormai spegnendosi e gli uomini e le donne scampati alla devastazione portata da Smaug animavano la riva del lago, aiutandosi l'un l'altro in quel momento di cupa sofferenza.
Molti erano i dispersi, molte le voci che si levavano verso le acque scure ed i resti fumanti della città, chiamando i loro cari, piangendoli.
Tauriel, ancora bagnata fradicia per il tuffo nelle acque di Lago Lungo, si chinò sul corpo della ragazza ai suoi piedi, esaminandone le condizioni. Era stato Bard a gettarsi nelle acque gelide per salvarla, mentre lei era stata a propria volta sbalzata via dalla folata di vento che s'era abbattuta su di loro. Era riuscita ad evitare una sorte simile a quella della giovane donna soltanto per merito dei suoi riflessi, ma quando era stato il momento non aveva esitato a tuffarsi per scampare allo schianto che la carcassa del drago aveva provocato, quando s’era lasciato cadere privo di vita ad un soffio da loro.
Comunque, in qualche modo ne erano usciti tutti e tre illesi, ed il Capitano della Guardia Elfica si ritrovò a chiedersi se tale fortuna non fosse merito della volontà dei Valar.
– Tauriel!
Legolas le comparve al fianco, rapido e silenzioso come una foglia che si adagia al suolo, ed entrambi si scambiarono uno sguardo che valse mille parole. Non vi furono manifestazioni d'affetto o sollievo, né contatti fra loro, perché tale era la natura riservata degli Elfi Silvani e non vi furono nemmeno indugi di sorta a distrarli da ciò che in quel momento era davvero importante.
– Ha perso i sensi – gli comunicò lei, tornando ad osservare il volto della ragazza.
Stava per aggiungere qualcos'altro quando Bard tornò di corsa verso di loro, seguito dal figlio maschio e portando seco una pila di coperte.
– Dev'essere tenuta al caldo.. – annunciò, chinandosi sulla giovane e iniziando ad avvolgerla nella lana – Bain, aiutami: portiamola vicino al fuoco. Prima si asciugherà, meglio sarà.
Tauriel si scostò, lasciando che le genti del Popolo degli Uomini di cui la giovane faceva parte si prendessero cura di lei, senza tuttavia distogliere lo sguardo dal fagotto che presto venne sollevato fra le braccia dell'Uomo del Lago. Era piccola per la sua razza, più piccola persino del ragazzo dai capelli ricci che seguiva dappresso il chiattaiolo, tanto da apparire una bambina fra i suoi simili. Un'impressione del tutto diversa da quella che ne aveva avuto l'elfa la prima volta che l'aveva vista, fra le braccia del Principe dei Nani, sotto le fronde di Bosco Atro.
– Ci ha salvati, Legolas – mormorò al suo Principe, tornando dopo un istante a scrutarlo in volto – Senza di lei non saremmo riusciti ad abbattere il drago.
– L'ho visto cadere. – annuì lui senza lasciar trasparire più d’un guizzo di apprensione nello sguardo, sufficiente a Tauriel per capire quanta preoccupazione dovesse avergli causato quando era corsa via, verso la città in fiamme, qualche ora prima – Dobbiamo tornare per riferire quanto accaduto a mio padre.
L'elfa sapeva che Legolas aveva ragione, che avevano un dovere da compiere, ma lanciò comunque una nuova occhiata in direzione di Katla e delle persone che si stavano raccogliendo intorno a lei ed a Bard stesso. Alcune voci in quel momento si levarono ad acclamare l'uomo che aveva scagliato la Freccia Nera.
Avo 'osto, Tauriel [1] – le si rivolse nuovamente il principe, abbozzando persino un tenue sorriso per convincerla – Starà bene.
L'elfa annuì meccanicamente, ma non riuscì a scacciare la sensazione che vi fosse qualcosa di innaturale in ciò che vedeva. Come se la ragazza che Re Thranduil li aveva mandati a rintracciare non fosse parte di quello scenario... come se non fosse davvero quello il suo posto.
Scacciò quella sensazione in fondo all'animo, giacché avrebbe finito per paragonarsi a lei e questo avrebbe destato un'emozione ancora acerba e molto più personale dentro di lei, quindi affiancò Legolas con un paio di rapide falcate. Eppure, mentre si allontanava verso Ovest con il Principe degli Elfi Silvani, il Capitano della Guardia non poté evitare che il pensiero di un giovane nano in particolare le sfiorasse la mente, lasciandola con la sgradevole sensazione di star volgendo i propri passi nella direzione sbagliata.


La Montagna Solitaria svettava imponente e cupa nel crepuscolo, ma era comunque uno spettacolo mozzafiato per la giovane donna che, sulla strada dismessa che attraversava la vallata, procedeva a passo spedito. Le temperature ormai calavano rapidamente superato il mezzodì ed i raggi del sole erano troppo fiochi per scaldare abbastanza la terra, cosicché Kat si strinse maggiormente nel mantello mentre il fiato formava candide nuvolette al di fuori dalle sue labbra.
Dagli avvenimenti di Pontelagolungo erano trascorsi ben tre giorni, prima che la ragazza prendesse congedo da Bard e dalle genti del lago e si incamminasse verso la Montagna Solitaria. Aveva proceduto speditamente, nonostante la stagione inclemente, grazie al fatto d'esser ormai avvezza alle lunghe marce ed alla mancanza di carichi pesanti da portare con sé. Stando ai suoi calcoli, aveva almeno due giorni di vantaggio rispetto all'erede di Girion ed ai suoi, ma questo non la rendeva meno impaziente di giungere a destinazione, giacché l'inverno era la stagione più dura per i viaggi e l'aria gelida della notte già odorava di neve.
Era stato nel corso di quel breve viaggio in solitaria che Katla aveva dovuto venire a patti con sé stessa e ciò che negli ultimi tempi aveva notato esser cambiato in lei. Persino in quel momento, mentre avanzava sicura nell'ombra della notte incombente, con una parte di sé riconobbe quanto nitidamente le risultasse il paesaggio circostante, nonostante la poca luce.
Eppure, per quanto si sentisse diversa, sapeva anche di essere ancora pienamente sé stessa e questo, unito alla necessità di compiere quanto si era ripromessa e di assicurarsi dell'incolumità dei suoi amici, le bastava per non perdere la testa.
Tuttavia, quando giunse finalmente dinanzi alle maestose porte di Erebor, esse le apparvero come una voragine oscura e sinistra, e Kat si ritrovò ad esitare sotto l'alto arco, fra le immense statue di antichi guerrieri nani posti a presidio del regno caduto. Dall'interno le giunse un refolo d'aria e l'odore che portò con sé era penetrante e quasi mefitico, con un pizzico di zolfo che le rammentò immediatamente il drago che ora giaceva privo di vita nelle profondità di Lago Lungo.
Deglutì, mentre l’ansia tornava a ghermirle la bocca dello stomaco. 
Poi, nel silenzio, colse un rumore: un’eco di voci che riecheggiò appena sulla pietra delle colonne, fioco ma persistente, come d’una conversazione in corso, e Katla si ritrovò a procedere in quella direzione ancor prima di pensarlo. Trattenne il fiato quando scorse nell'oscurità una luce e non lo lasciò andare sino a quando non raggiunse l'anta socchiusa di una modesta sala intagliata nella pietra.
Affacciandosi a quello spiraglio il cuore le si strinse nel riconoscere, sparsi per l'ambiente, alcuni dei suoi compagni nani, ed aveva appena posato la mano sull'uscio sorretto da pesanti cardini in acciaio quando alle spalle le giunse uno scricchiolio.
Non fece nemmeno in tempo a muoversi che la pressione di una pesante lama le premette proprio fra le scapole in una minaccia seria e tangibile.
– Non provare a fare scherzi – le ingiunse minacciosamente, la familiare voce di Dwalin.
Rigida in ogni muscolo, Kat si sentì per un solo primo istante divisa fra il sollievo ed il disagio, giacché non era questione da sottovalutare il ritrovarsi la lama dell'ascia del nano dal capo tatuato a premerle sulla schiena. Stava per aprire bocca e farsi riconoscere quando però l'altro la anticipò, inducendola con una pressione decisa della sua arma ad avanzare.
Varcò così la soglia della sala in cui il resto della Compagnia era radunato e, mentre faceva qualche passo avanti dopo aver sospinto l’uscio ed esser entrata, molti volsero il capo verso di lei. Il primo a riconoscerla, nonostante il cappuccio a farle ombra, fu proprio Balin, il quale, accostato al tavolo che capeggiava la stanza, non riuscì proprio a mitigare lo stupore e la meraviglia sul suo volto barbuto.
– Piccola Furia?
A quel nome, chi ancora non la stava guardando alzò di scatto la testa per prendere a fissarla e ci fu anche chi si scambiò sguardi reciproci di confusione ed incertezza, prima che la ragazza cedesse alle emozioni che le infuriavano nel petto e sorridesse ampiamente.
– Non ditemi che mi avevate già data per morta – esordì, ironicamente, prima di farsi scivolare il cappuccio sulle spalle e rivelarsi a tutti.
Come si voltò per scoccare un'occhiata al nano alle proprie spalle, quasi scoppiò a ridergli in faccia per l'espressione assolutamente scioccata stampatagli sul volto, ma non fece nemmeno in tempo a provare a prenderlo in giro per il trattamento che le aveva riservato che venne letteralmente assalita a tradimento.
Fili e Kili, i primi a raggiungerla, le si erano gettati addosso senza neanche pensarci, facendola incespicare e quasi cadere, e Kat, avvolta dalle calde e forti braccia accoglienti dei suoi amici, si sentì di nuovo mancare il fiato dall’emozione. L'entusiasmo giovanile dei due discendenti di Durin la colpì e la commosse, scacciando anche gli ultimi barlumi d’ansia che l’avevano avvinta, ed il suo cuore lo ricambiò all'istante, cosicché ella si ritrovò con le lacrime agli occhi ancor prima di aver il tempo di riprendere fiato.
Non pianse però, nonostante l'iridi le rimasero lucide, e si ritrovò a ridere con loro mentre veniva accolta dal resto della Compagnia, che ben presto le si radunò intorno. E, mentre veniva sommersa di domande sul drago, sul lago e su ciò che era accaduto da quando si erano separati, la ragazza poté districarsi abbastanza da notare la presenza di Bilbo al suo fianco, che la guardava con trepidante attesa ed una nota di disagio, tradita da una delle sue immancabili ed impareggiabili smorfie. Capì al volo ciò che lo scassinatore della loro combriccola attendeva e gli sorrise, un sorriso ampio e morbido, carico d’affetto, che ben presto venne ricambiato mentre lei gli cingeva le spalle con un braccio e se lo stringeva a sé, approfittando della differenza di altezza.
– Perdonami se ci ho messo tanto... avevo un drago da abbattere – gli disse, ammiccando in sua direzione e strappandogli un sorrisetto divertito.
Quindi lo lasciò andare e l'attimo seguente si dedicò al resto dei nani, salutandoli tutti ed iniziando a rispondere alle molteplici loro domande. Raccontò loro la propria avventura, di come Smaug si era scagliato su Esgaroth e dell'operato di Bard, e persino di come Legolas e Tauriel l'avessero raggiunta appena in tempo per aiutare lei e l'Uomo del Lago. Omise il piccolo dettaglio di esser stata fatta prigioniera dal Governatore: non era colpa loro e non voleva fomentare gli animi più di quanto già non sarebbero stati nel prossimo futuro. E non l’avrebbe detto nemmeno a Thorin, non subito, per lo stesso identico motivo.
Quando appresero degli elfi, i nani si scambiarono delle nuove occhiate fra loro, ma fu Kili a parlare.
– E come mai erano lì?
Kat, che s’era aspettata quella domanda ed era preparata a riceverla, si strinse nelle spalle.
– Non ne sono sicura e non ho avuto spiegazioni, ma credo fossero alla nostra ricerca – gli rispose evasiva, prima di far scivolare lo sguardo sul resto della Compagnia – ..la notizia della morte di Smaug sarà già arrivata alle sue orecchie a punta ormai: non passerà molto tempo, prima che Thranduil giunga alle porte di Erebor per rivendicare ciò che crede gli sia dovuto. E lo stesso vale per gli Uomini del Lago.
Balin a quel punto espresse un mugugno pensieroso e Katla lo vide abbassare lo sguardo mentre assumeva quella sua tipica espressione meditabonda.
– Per quanto mi dolga ammetterlo, se la nostra giovane Katla ha ragione, si prospetta un bel temporale.
E non sapeva nemmeno lui quanto avesse ragione, pensò fra sé e sé la ragazza, mentre avvertiva distintamente l'aria nella sala farsi più pesante. Poi la tensione ed i brutti pensieri vennero eclissati da un sommesso gorgoglio e di nuovo tutti si fermarono a fissarla, mentre lei arrossiva e ridacchiava.
– ..ho decisamente bisogno di mettere qualcosa sotto i denti – affermò, suscitando l'ilarità generale.
Fu Bofur a mettersi all'opera e, aiutato dal fratello e dal cugino, le allungò due belle strisce di carne secca, un tozzo di pane ed un intero pezzo di formaggio. Così Kat, mentre si riempiva lo stomaco, rimase ad ascoltare il resoconto delle vicende che avevano coinvolto la Compagnia da quando si erano separati.
– Il nostro caro Bilbo ha risolto l'indovinello della mappa e ha trovato il buco della serratura – esordì Balin con un sorriso bonario e soddisfatto sotto la folta barba, e Bilbo apparve imbarazzato ma anche un poco compiaciuto mentre l'altro continuava – e quando siamo riusciti ad entrare, be'... a quel punto non potevamo più tirarci indietro. 
Kat annuì sovrappensiero, masticando con solerzia un pezzo di carne secca, mentre passava in rassegna i suoi compagni con lo sguardo. Ognuno di loro recava ancora qualche traccia dello scontro con il temibile Smaug, come qualche ciuffo di barba o capelli bruciacchiato, o parte dei vestiti anneriti. Se l'erano cavata "per il rotto della cuffia", come si soleva dire nel suo mondo.
– Quindi? – chiese, rivolgendosi direttamente a Bilbo con una nota curiosa a tradirla – Voglio sentirlo da te: cosa è successo dopo?
Lo hobbit parve un poco preso alla sprovvista, ma si ricompose subito, pur non mancando di sfregarsi il naso con l'indice.
– Be'... dopo sono sceso in avanscoperta – prese a raccontare, deviando lo sguardo su Balin e gli altri, prima di tornare a lei – All'inizio non mi ero accorto del drago: era completamente coperto dal suo tesoro e non lo avrei mai notato se non fosse stato per un mucchietto d'oro che d'improvviso è scivolato dabbasso, rivelando una porzione di scaglie.
Bilbo, al di là delle aspettative della stessa Kat, si rivelò un narratore decisamente avvincente e la ragazza si ritrovò catapultata proprio in mezzo all'azione grazie alle sue parole. Così apprese che non solo Bilbo aveva fronteggiato il drago, come da programma, ma tutti i nani si erano precipitati a salvarlo al minimo accenno di pericolo e che poi, rimettendo in funzione le vecchie fucine della montagna, ne avevano quasi avuto ragione. Quasi, perché adirato Smaug s’era librato in volo verso il lago per perpetrare la sua vendetta sugli Uomini di Pontelagolungo. Ed il resto le era già perfettamente noto.
Quando il silenzio tornò a calare, Kat, nel sollevare di nuovo lo sguardo sui nani raccolti intorno a loro, avvertì il cuore stringersi al centro del petto ed il peso che fino a un attimo prima s'era allentato tornare a gravarle sull'animo. Aveva rimandato anche troppo, ora doveva sapere.
– Bilbo.. – mormorò, quasi timorosa di sentire la conferma ai suoi sospetti, tornando a guardare lo hobbit – ..dov'è Thorin?
La smorfia piatta e combattuta del mezz'uomo le tolse ogni dubbio, ancor prima delle sue parole.
– Laggiù.. nel cuore della montagna. – le rispose lui, perforandola con i suoi occhi blu colmi di preoccupazione – Non mangia decentemente da giorni e nemmeno dorme. È questo posto... lo sta cambiando.
Katla serrò le labbra a propria volta in una smorfia trattenuta.
– L'Arkengemma... è quella, vero? La sta cercando.. – commentò, in cerca di una nuova conferma che non tardò ad arrivare.
– Abbiamo cercato a lungo, – esordì sconsolato Balin – ma la Pietra del Re non è ancora stata trovata.
– A tal riguardo, – intervenne a quel punto Bofur, senza un briciolo di entusiasmo – è tempo che torniamo a perlustrare le sale. Ci fa piacere riaverti con noi sana e salva, Piccola Furia, – le si rivolse, sfoggiando l'ombra di uno dei suoi soliti sorrisi amichevoli – ma temo rimarrai delusa quando incontrerai Thorin di persona.
Bifur, Oin e Gloin furono i primi a muoversi verso l'uscio, non mancando di salutare, e molti degli altri già presero ad imitarli, e su tutti la ragazza non poté ignorare la profonda sconsolatezza che albergava sui loro volti. Si stavano rassegnando, era evidente, e la cosa la indusse ad alzarsi a propria volta, attirando la loro attenzione.
– Abbiate fiducia – li esortò, serrando al contempo i pugni lungo i fianchi, prima di far spaziare lo sguardo fra loro.
Dwalin e Kili erano i più vicini e sulle loro spalle ella posò le proprie mani, in un gesto che il più giovane ricambiò e che fu loro di incoraggiamento, insieme alle sue stesse parole.
– Vedrete che le cose si sistemeranno. Conosciamo tutti Thorin, voi meglio di me, ed io credo fermamente in lui.
Vide gli occhi del nano dal capo tatuato brillare e non furono gli unici, giacché Kat ne incrociò altri mentre lasciava scivolare nuovamente le braccia lungo i propri fianchi. Sapeva che era forse fin troppo facile per lei parlare, eppure da tempo aveva perso ogni certezza, da quando aveva deciso di cambiare il corso degli eventi con le proprie stesse mani ed aveva iniziato ad influenzarli volontariamente; ma sapeva anche che il fiero e leale popolo di Durin, arrivati a quel punto della storia, aveva bisogno di essere incoraggiato.
Eppure, quando incrociò lo sguardo di Balin, esso era combattuto e cupo, molto più degli altri, e lei capì. Era Balin l'unico fra loro ad aver visto la Malattia del Drago avanzare e corrompere l'animo di Thror, così come era sempre Balin ad aver osservato in prima persona la rovina abbattersi sul Regno di Erebor, al fianco di Thorin. Probabilmente, questi era l'unico ad averne riconosciuti gli effetti sul loro capo.
– Potresti aver ragione, ragazza – l’apostrofò, senza convinzione, fermandosi di fronte a lei un momento – ..ma, anche se così non fosse, per stanotte non preoccupartene. Sarai stanca del viaggio: riposati... e domattina, quando sarai più in forze, allora potrai vederlo coi tuoi occhi.
Una mano calò pesante sulla sua spalla e Kat, voltando lo sguardo, vide Fili annuirle e sorriderle da sotto i baffi biondi intrecciati, cosicché ella dovette acconsentire. Riconoscendo di sentirsi piuttosto provata, permise che i nani la lasciassero indietro e quando anche l'ultimo scomparve oltre la porta, ella scambiò un'occhiata con Bilbo.
– Tu non vai? – gli domandò.
– No, preferisco restare a farti compagnia – ribatté un poco a disagio il mezz'uomo, non mancando di far spallucce e infilarsi le mani nelle tasche del panciotto, prima di aggiungere timidamente – sempre che la cosa non ti crei fastidi.
E la ragazza si ritrovò a sorridergli grata.
– Certo che no, Bilbo. Mi fa piacere la tua compagnia.
Lui le sorrise di rimando, rincuorato, eppure sembrava ci fosse dell'altro che volesse dirle e lei semplicemente rimase in attesa, rispettando i suoi tempi e cogliendo, nel silenzio, il rilassante scoppiettare del fuoco nel grande camino alla sua destra.
– C'è qualcosa che ho omesso, nel mio racconto... – esordì quindi lo hobbit, dopo una manciata di secondi di titubanza, la stessa che gli faceva tremare lo sguardo in quel momento – Una cosa che non ho ancora detto a nessuno, e vorrei il tuo parere di amica, se me lo concederai.
Katla inarcò un sopracciglio ed un brivido, un presentimento, le serpeggiò lungo la spina dorsale, ma annuì con un cenno del capo mentre l'atmosfera andava facendosi cospiratoria fra loro.
– Io.. credo di sapere dov'è, – confessò sottovoce Bilbo – ciò che cerca Thorin... ma non sono sicuro che rivelarlo sia una buona cosa, per lui.
La giovane si ritrovò a spalancare gli occhi, sorpresa non tanto per la notizia, quanto per il semplice fatto che l'altro gliene stava parlando di sua iniziativa. Tuttavia non lo interruppe, lanciando una rapida occhiata verso la porta per sincerarsi non vi fossero presenze a distanza d'orecchio, prima di tornare all'amico.
– Cosa vuoi dire?
– È cambiato, Kat – affermò amaramente, sostenendo il suo sguardo – Sembra un altro nano, sin da quando ti abbiamo lasciata a Pontelagolungo... e la cosa va peggiorando. Balin l'ha chiamata la Malattia del Drago e già a Gran Burrone ho sentito Re Elrond e Gandalf parlare di come essa abbia portato il defunto Re alla pazzia.
Poggiandosi coi gomiti sulle ginocchia in quella posizione seduta, Kat reclinò il capo in basso, scuotendolo con fare sconsolato. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma una parte di lei aveva sperato sino all'ultimo che il destino di Thorin potesse essere diverso da quello che conosceva.
– Ti confesso che non so cosa fare.. – concluse intanto Bilbo, con un sospiro.
Tornando a risollevare lo sguardo sul suo amico, Katla lo vide con gli occhi puntati al pavimento e le mani intrecciate che nervosamente giocherellavano con le dita, e la cosa le fece abbozzare un mezzo sorriso.
– Non posso essere io a dirtelo, – gli rispose, dopo un istante di silenzio – la decisione è tua. Sapevo già della Malattia del Drago – aggiunse, suscitando una certa sorpresa nello hobbit, che ricambiò finalmente il suo sguardo – ..ma fra tutti, ritengo sia Balin quello che meglio la conosce. Il mio consiglio da amica è aspettare e vedere... non essere frettoloso o avventato, solo questo. Dal canto mio, ti prometto che sarò dalla tua parte, comunque vadano le cose.
Bilbo parve un po' rincuorato, ma non meno preoccupato e Kat sapeva il motivo, perché era lo stesso per lei, seppur in modo un po' diverso. Perché, per quanto entrambi fossero in pena per Thorin, non vi era nulla che potessero fare per aiutarlo: quella era una battaglia che doveva combattere da solo.


Quando Katla aprì gli occhi, il sole era già sorto da ore ed appresso al focolare, intento a rimestare il contenuto del paiolo, vi era soltanto Bofur. Più d'una volta il nano dal cappello grigio si era occupato del pasto della Compagnia ed a quella scena familiare la ragazza non poté non abbozzare un tenue sorriso, prima di mettersi in piedi e stirarsi ben bene.
Dormire sul pavimento era una cosa a cui non si sarebbe mai abituata, così come non si sarebbe mai abituata all'indolenzimento dei muscoli ed al dolore alle ossa che ne derivava. Sentendola muoversi, il nano le rivolse un'occhiata da sopra la spalla.
– Ben svegliata, Piccola Furia – la salutò con allegrezza – al momento giusto: il pranzo è pronto.
Non fece nemmeno in tempo a sedersi a tavola che l'altro le depositò davanti una scodella fumante di stufato e Kat abbozzò un sorriso, già pronta a ringraziarlo, prima di bloccarsi un istante quando inquadrò il volto altrui. La consueta spensieratezza che aveva sempre caratterizzato Bofur aveva lasciato il posto ad un'aria più spenta e tirata; persino il suo consueto sorriso aveva un ché di forzato ed i suoi occhi, solitamente brillanti, erano cerchiati dalla stanchezza.
– ...dove sono gli altri?
– Nelle sale del tesoro – le risposte il nano, tornando al suo paiolo e dandole le spalle.
Kat si ritrovò a serrare le labbra in una smorfia tesa.
– Cercate ancora? – domandò, pur già intuendo la risposta.
Era palese ai suoi occhi, proprio per lo stato di Bofur, come nessuno dei nani della Compagnia si fosse concesso un minuto di pausa dalla ricerca dell'Arkengemma. Senza dubbio avevano continuato tutta la notte.
– Già... sembra quasi che quella pietra non voglia farsi trovare – affermò, forzatamente spensierato, l'altro, prima di tornare a voltarsi a guardarla di nuovo e farle un cenno – ..ma non preoccuparti per noi. Pensa a mangiare piuttosto, prima che si freddi. Ne hai passate delle belle anche tu.
Le premure dell'altro la convinsero a fare come le aveva detto, pur non riuscendo a mitigare l'amarezza che l'aveva assalita al pensiero di ciò che stava accadendo intorno a lei: che Thorin non permettesse ai suoi stessi amici e familiari di riposare era quantomeno preoccupante, giacché poteva solo stare a significare un avanzamento più rapido di quanto avesse previsto della Malattia.
Mangiò con solerzia pertanto, assecondando il bisogno del suo corpo d’energia per affrontare la nuova giornata, e quando ripulì con l'ultimo pezzo di pane il fondo della ciotola, ad aiutare Bofur a portare da mangiare agli altri erano giunti Oin, Dori, Ori e Bifur. Si unì alla comitiva anche lei allora, prendendo una ciotola per mano a propria volta ed avviandosi in coda al gruppo, verso le sale del tesoro.
Percorsero camminamenti e corridoi intagliati nella pietra, scesero scalinate vertiginose e Kat si ritrovò a spalancare gli occhi grigi per la maestosità del passato Regno di Erebor, giacché era la prima volta in assoluto che poteva ammirare l'opera del popolo di Durin alla luce del giorno. La sala in cui era rimasta a dormire per la notte le era sembrata ampia, ma procedendo verso l'interno della montagna ella dovette ricredersi, giacché ogni volta, passaggio e stanza si rivelavano immensi al suo sguardo meravigliato. Per non parlare della maestria con cui la roccia era stata lavorata o anche solo per la sorprendente capacità che aveva la luce del sole di rischiarare l’interno della montagna. Doveva esservi un ingegnoso sistema di specchi collocato in punti strategici, cosicché non vi fosse mai completa oscurità, nemmeno a torce spente. Vi era, sì, una soffusa penombra, ma piacevole e per nulla oppressiva, piacevolmente rischiarata da torce e bracieri sapientemente locati.
Sarebbe rimasta a girovagare per tutto il giorno se non avesse avuto altre cose ben più importanti da fare e quasi dovette farsi violenza fisica per non imbambolarsi quando, svoltato l'ultimo angolo, dinanzi ai suoi occhi si mostrò l'incredibile distesa d'oro, gemme ed altri metalli preziosi che costituiva il tesoro di Thror.
Rischiò persino d’inciampare, quasi accecata da tanto splendore illuminato a giorno dalle fiamme dei bracieri, ma non mancò di ritrovare il proprio contegno quando Fili e Kili la raggiunsero e le tolsero dalle mani le due ciotole.
– Buongiorno Kat – la salutò con pacato entusiasmo il biondo – ..grazie per il pranzo!
– Di niente – replicò subito lei, lieta di vedere i nipoti di Thorin sorridenti come al loro solito, nonostante le profonde occhiaie che stavano comparendo sotto i loro occhi.
Guardandosi brevemente attorno, la giovane donna allora non mancò di notare come mancasse qualcuno all'appello.
– ...gli altri? – domandò, prima di specificare – Bilbo, Balin e Thorin non mangiano?
– Saranno nella sala del trono – ribatté dopo un istante Kili, che già s'era seduto e stava per dare un morso alla sua porzione di pane inzuppato.
Katla allora tornò a premere le labbra fra loro mentre elaborava l'informazione e, dopo un istante soltanto, prese la sua decisione. Le bastò una rapida occhiata di rimando a Dwalin perché il nano dal capo tatuato cogliesse qualcosa dei suoi pensieri e l'anticipasse, prendendo due ciotole di stufato dal muretto su cui erano state appoggiate.
– Vado io a portargli da mangiare... – annunciò con quel suo solito modo di fare un po' burbero ed un po' spiccio, prima di aggiungere – Accompagnami, Piccola Furia.
E Kat non se lo fece ripetere due volte: prese le due piccole scodelle rimanenti e dopo un rapido cenno gli andò dietro, mentre il cuore prendeva a batterle con più forza nel petto. Era il momento del confronto tanto atteso e temuto, quello che la giovane donna aveva sognato più volte da quando era stata separata da lui, ed ora stava per accadere. Ci aveva pensato spesso, pur non volendo, ed aveva ipotizzato più d'uno scenario, dal più roseo al più nero, ma la parte più profonda di lei sperava ardentemente che le cose volgessero per il meglio, ora che era lì.
Così procedette dietro a Dwalin lungo un'altra serie di corridoi senza che si scambiassero una parola, lo sguardo fisso in avanti e la postura un poco rigida, a tradire il conflitto che le si agitava nell'animo. Stava ancora cercando, con scarso successo, di mantenere il controllo sulle emozioni che la stavano tenendo in fibrillazione, quando il nano di fronte a lei rallentò l'andatura ed un attimo dopo, passando al di sotto di un alto arco, Kat udì chiara la voce di Balin risuonare nell'aria immota della sala.
– ...Thorin, tutti noi vorremmo vedere la gemma al suo posto..
– ..eppure non è stata ancora trovata!
Quelle parole rimbombarono nell'ampio spazio, riecheggiando sulle pareti di pietra, e l'ira racchiusa in esse fece sussultare la ragazza, così come il profondo timbro dell’erede di Durin fu la causa del suo improvviso arrestarsi nel bel mezzo del camminamento che conduceva al trono di Erebor. 
Quando l’istante seguente Kat sollevò lo sguardo e lo vide voltato di schiena, trattenne meccanicamente il respiro. Thorin aveva un mantello pesante e sontuoso a drappeggiargli dalle spalle ed anche a metri di distanza ella poté distinguere la linea decisa della corona d'oro brunito che svettava sul suo capo, le ciocche corvine adorne di qualche filamento argenteo.
Il suo cuore si strinse, così come si strinse la presa intorno alle scodelle di cibo che ancora teneva fra le mani.
– Tu dubiti della lealtà di qualcuno, qui? – domandò Balin al suo Re, non senza una nota cauta nella voce.
In quel momento Dwalin gli si fermò accanto e Thorin, appresso al trono di suo nonno, si voltò quasi di scatto a guardare lui e suo fratello con espressione penetrante e cupa al contempo. Alla vista di quel volto che tanto le era caro, la ragazza avvertì una stretta al centro del petto nel vedere coi propri stessi occhi quanto il nano che amava fosse cambiato: appariva più vecchio, più provato dal peso che il tesoro di suo nonno inconsapevolmente gli riversava addosso. 
Egli non si accorse subito di lei, giacché la sua attenzione era per i suoi compagni; fu Bilbo, a metà strada fra il capo della Compagnia e gli altri due nani, a guardarla per primo, e come i loro occhi si incrociarono ella lo vide assumere un'espressione tesa ed interdetta.
Fu soltanto quando Kat si mosse, un paio di secondi dopo, tornando ad avanzare, che finalmente il figlio di Thrain sollevò i suoi occhi di diamante su di lei e sul suo volto solcato di rughe di tensione ella vide susseguirsi confusione, incredulità e sospetto, in una misura che la spinse ad assumere un'aria altrettanto austera mentre nel petto avvertiva il suo cuore incrinarsi. In quei brevi secondi che impiegò per raggiungere il fianco di Balin e Dwalin e passare loro oltre, fermandosi due passi davanti a loro, ella non scorse alcun sollievo ammorbidire i lineamenti del nano incoronato e questo bastò a farla ritirare dietro un muro d’orgogliosa e dolorosa indifferenza, mentre il risentimento per ciò che lui l’aveva costretta inconsapevolmente ad affrontare tornava a sfiorarle l’animo.
L’aveva lasciata indietro.
L’aveva abbandonata alla mercé di un altro Popolo.
– Katla.. – la voce profonda di lui nel pronunciare il suo nome le fece vibrare l'anima, ma lei neanche sbatté le palpebre – ..sei sopravvissuta alla furia del drago, dunque.
– Sì – confermò, pacata, eppure avrebbe voluto urlare e spezzare il silenzio che era improvvisamente calato intorno a loro. Un silenzio che la faceva ancora sperare, dopotutto.
Bilbo le comparve al fianco per toglierle il suo fardello dalle mani e al suo flebile ringraziamento lei ricambiò con un piccolo sorriso ed un cenno del capo di rimando, cogliendo quella momentanea distrazione con un certo sollievo prima di tornare a fronteggiare Thorin.
Lo studiò dai pochi metri che li separavano, faticando a riconoscere in lui lo stesso nano che aveva incontrato ormai mesi e mesi prima a Casa Baggins. Sembrava più vecchio a causa delle rughe di tensione e della mancanza di sonno e cibo a cui si era sottoposto egli stesso, dilaniato dalla brama di possesso dell'Arkengemma, e questo cambiamento si rifletteva in un riverbero febbrile in quei suoi occhi azzurri.
Poi però, come se il fato non volesse disattendere ogni sua più intima aspettativa, qualcosa cambiò in quello stesso sguardo da ella sondato e le labbra del nano si tesero in un sorriso morbido e quasi sereno. Fu solo un accenno ma esso perdurò qualche secondo e Kat si ritrovò a spalancare gli occhi grigi, non aspettandosi d’essere oggetto di tale espressione da parte di lui, un'espressione che le fece tremare l'animo per il motivo esattamente opposto a quanto era stato un attimo prima.
Quello era il suo Thorin, pensò, preda d’un guizzo di ottimismo e speranza.
– Benvenuta, Katla, figlia di Hekla, nel Regno di Erebor – la salutò solennemente lui, facendo un passo avanti per scendere di un solo gradino dalla piattaforma del trono; ma la sua voce risuonò ancora una volta più cupa e greve di quanto avrebbe dovuto essere, echeggiando sinistra nell'ampio salone.
L'austerità e la regalità emanate dalla sua figura indussero Kat a piegare il capo ed accennare ad un breve inchino del busto, stringendosi una mano chiusa a pugno al petto in reazione ad una nuova strisciante inquietudine.
– Vi ringrazio – rispose soltanto, formale come mai lo era stata prima, per poi tornare a sollevare il capo e lo sguardo.
Thorin la guardava dall'alto in basso e quei suoi occhi erano distanti, freddi.. era come se in realtà non la vedesse, come se le passassero attraverso, e lei serrò le labbra in una smorfia piatta e trattenuta.
No, quello non era davvero il suo Thorin, si disse, non del tutto.
– Ora che sei qui – esordì il nuovo Re sotto la Montagna, voltandole le spalle e tornando appresso al trono – ..posso saldare il mio debito.
Quelle parole fecero inarcare un sopracciglio alla ragazza, che non mancò allora di scambiare un'occhiata agli altri tre compagni presenti, trovandoli nel suo stesso stato d'animo confuso, prima di tornare a Thorin.
– L'impresa per cui la Compagnia è stata formata è compiuta – annunciò solennemente, prendendo posto sull'alto scranno intagliato nella pietra e tornando a guardarla con lo stesso distacco di prima – ..pertanto, non dovrai più sentirti legata ad essa. Ti verrà dato quanto ti spetta per i tuoi servigi e, in virtù dei servizi che hai reso alla mia persona ed ai miei familiari, hai il permesso di restare nel mio regno per il tempo che più ti aggrada.
Sempre più incredula, Katla si ritrovò a spalancare la bocca.
– Cosa?
– Il contratto che ti vincolava alla mia Compagnia è ufficialmente risolto. Sei libera di andare per la tua strada, quando vorrai farlo.
– Thorin.. – intervenne per primo, altrettanto spaesato, Dwalin.
– Un quindicesimo del tesoro – ribadì, con una nota più aspra, il nano seduto sul trono, zittendo ogni replica da parte di tutti loro – in oro ed argento. Questo era l'accordo ed esso verrà onorato, ma non verrà chiesto altro a Katla. Qui, la giovane donna della nostra Compagnia verrà congedata come le è dovuto.
Gli occhi di Thorin li squadrarono uno ad uno e Kat avvertì in petto aumentare la morsa dell'amarezza e dell'insofferenza, tanto che dimenticò persino come si faceva a respirare. 
Prima l’abbandonava fra gli Uomini del Lago ed ora… ora non la voleva più fra i piedi!
Dovette far ricorso a tutto il proprio autocontrollo per trattenere le profonde emozioni che la stavano dilaniando ed in qualche modo vi riuscì, chinando il capo, non tanto per rispetto quanto per celare la propria espressione contratta all'erede di Durin.
– Se questo è il volere del Re... – concesse, pur sentendo lei stessa la propria voce tinta di una nota fin troppo cupa ed un guizzo irriverente: si schiarì la gola, per correggere il tiro – Ho solo una richiesta.
– Quale?
Kat si morse il labbro inferiore, quindi inspirò e cercando di distendere la propria espressione, tornò a sollevare il volto verso il nano seduto sul trono. Ebbene, se non la voleva più come parte della Compagnia, lei sarebbe andata avanti per la propria strada, percorrendola fino in fondo.
– Non è l'oro, né l'argento, ciò che desidero in pagamento dei miei servigi – affermò, tenendo ostinata i propri occhi puntati in quelli di lui – ..bensì qualcosa di più facile da trasportare, se mi verrà concesso: le gemme bianche di Lasgalen.
Vide Thorin reagire alla sua richiesta tornando a corrucciarsi e guardandola con rinnovato sospetto, così la giovane donna giocò d'astuzia, abbozzando un tenue mezzo sorriso che tradiva l'incertezza e l'imbarazzo insiti nel suo stesso cuore per ciò che stava per dire.
– In ricordo di quanto è stato – specificò, con una forza che non sentiva propria – ..giacché non vi è altra pietra preziosa all'interno di queste sale che possa eguagliare lo splendore dei vostri occhi, Re sotto la Montagna.
Quindi tacque e, nell'attesa che seguì, trattenne il fiato ancora una volta, consapevole di essersi forse esposta troppo questa stavolta. Eppure era anche perfettamente conscia che quella era l'unica possibilità che aveva per entrare in possesso di quelle pietre, giacché non aveva alcuna intenzione di restarsene in disparte ad osservare la disfatta di Thorin e dei suoi familiari. Perché anche se lui non la voleva, anche se non sembrava più sé stesso, lei avrebbe adempiuto al dovere che s’era auto-imposta da qualche tempo.
Passarono invero pochi secondi, ma essi apparvero a Kat lunghi un'eternità, prima che finalmente l'immobilità del Re sotto la Montagna venisse meno.
– E sia – concesse il nano – ..avrai quelle pietre, se è ciò che desideri.
Katla chinò il capo un'ultima volta, trattenendo un sospiro di sollievo e sconforto insieme.
– Vi ringrazio, Re Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. "Avo 'osto" = "Non ti impensierire/preoccupare" in lingua elfica.

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Capitolo 24
*** Kingdom's Ruins ***







“Memories of brightness
but ruins upon the landscape lie.
[..] Strong, forget your emptiness.
Through the dark, through the light [..]
watch the sunset faraway.”
[ Endless Prophecy, Wind Rose ]




Il sole calò ancora una volta oltre l'orizzonte, lasciando il posto al drappo della notte che lesta s'appropriò di tutto il cielo. Una spessa coltre di nubi si avvicinava da Sud, celando le stelle e rendendo più umida l'aria risalente dalla piana sino alle pendici della montagna.
Il pomeriggio era trascorso rapido per la ragazza, che l'aveva passato aggirandosi per il Regno di Erebor come un'esploratrice in erba, con il povero Bilbo costretto dal suo senso di responsabilità a seguirla di qua e di là. Si erano spinti talmente a fondo nella montagna, che il piccolo hobbit aveva più volte paventato la possibilità di essersi persi, ma chissà come Katla aveva finito sempre per ritrovare la via dalla quale erano passati. Intimamente, persino lei si era sorpresa della mancanza di spaesatezza che chiunque altro avrebbe provato nel vagabondare per quelle immense sale, collegate fra loro da ampi corridoi e scale vertiginose ed addobbate da immensi arazzi impolverati, ma aveva finito con l'immergersi nell'assoluta meraviglia di ciò che i suoi occhi potevano scorgere tutt'intorno a lei.
L'architettura nanica era uno spettacolo mozzafiato, più imponente ed austera di qualunque altra avesse mai visto, dai tratti decisi e solidi, eppure ugualmente eleganti e perfetti. In ogni incisione, spigolo ed architrave, Katla poteva cogliere la maestria e la precisione della mano che ne era stata l'artefice e ne rimase avvinta, dimenticandosi persino del puzzo di drago che ancora impestava gran parte degli ambienti. Nessun'altra razza, per quel poco che ella aveva potuto vedere nel corso degli ultimi mesi, avrebbe potuto eguagliare l'abilità nanica.
Erano tornati alla sala in cui la Compagnia si riuniva per i pasti appena in tempo per aiutare Bombur a preparare la cena, ma persino nei pochi minuti in cui Kat si era fermata con i suoi compagni, l'atmosfera di cupa rassegnazione le era gravata addosso come una pesante coperta polverosa. Essa le aveva ricordato ciò che s'era prefissa, ciò che nel giro di pochi giorni si sarebbe compiuto, e tutto il buon umore guadagnato durante il pomeriggio era sfumato, lasciando il posto a pensieri che sino a quel momento era riuscita ad ignorare.
Per questo era infine uscita all'esterno, cedendo all'impulso di respirare un poco d'aria fresca, e per questo era ancora lì, seduta su una delle grosse pietre rotolate accanto alla porta dall’ultimo crollo, a guardare il declivio attraversato dal turbolento torrente che più a valle prendeva il nome di Fiume Fluente.
Fra le mani, di tanto in tanto, giocherellava con il sacchetto in cui erano custodite le gemme di Lasgalen che Thorin le aveva concesso in pagamento dei suoi servigi.
Dinanzi agli occhi le comparve ancora una volta il volto austero e freddo del Re sotto la Montagna mentre le consegnava quanto pattuito e la fissava con cipiglio sospettoso, costringendola ad abbassare lo sguardo con il pretesto di un nuovo inchino in segno di ringraziamento.
Sospirò, dando vita ad una nuvoletta di candido fiato che si disperse nella notte invernale.
Il freddo era tagliente in quel luogo, giacché il ghiaccio s'era già esteso dalla vetta della montagna sin quasi alle sue pendici ed in vari punti, fra i più riparati, cumuli di neve riflettevano azzurrognoli la poca luce delle stelle, ultimi resti della nevicata di quel mattino.
La prima neve era venuta e andata. E lei se l'era persa.
Così come aveva perso l'occasione di trovarsi accanto a Thorin nel suo momento più buio e controverso.
Appena formulò quel pensiero, scosse meccanicamente il capo ancora adorno di quell'acconciatura nanica che le intrecciava i capelli color castano-rossicci sin dietro la nuca.
Che diritto aveva lei, che neanche apparteneva a quel mondo, di pensare che avrebbe potuto in qualche modo far la differenza su ciò che Thorin stava vivendo e provando? Che presuntuosa era, a creder d'essere abbastanza vicina al nano da potergli in qualche modo sfiorare l'animo tormentato, quando lei per prima era un vero casino!
Sì, perché per quanto non volesse pensarci, le parole che il drago Smaug le aveva rivolto quella fatidica notte tornavano di tanto in tanto a tormentarla.
Non sapeva nemmeno più lei chi o cosa fosse diventata!
Era così diversa dalla ragazza che era stata nel proprio mondo da non rammentare nemmeno più come fosse la vecchia Kathrine!
Il cambiamento era avvenuto in maniera graduale, tanto da renderle impossibile indovinare quando fosse cominciato o finanche accorgersi di quando era stato in atto, ma ora non poteva più ignorarne gli effetti. Persino da lì fuori riusciva a sentire le voci dei nani all'interno, così come poteva distinguere i resti della città di Dale che si inerpicavano sul versante della Valle di Conca ai suoi piedi, nonostante la fioca luminosità dell'ambiente. Se si fosse concentrata, avrebbe colto nell'aria l'odore della terra e della neve mischiarsi a quello più penetrante di zolfo proveniente dall'interno della montagna.
Certo, esteriormente non pareva essere cambiata, ma...
– Ehi, Kat!
La voce di Kili la trascinò fuori dal vortice di pensieri in cui stava rischiando di affogare e la ragazza, sorpresa di esser stata tanto presa dal proprio dramma personale per non essersi accorta per tempo della sua presenza, si voltò ad osservarlo mentre quello prendeva posto accanto a lei.
– Va tutto bene? – le chiese, e nei suoi occhi scuri ella scorse una preoccupazione che il giovane nano tentò di camuffare dietro la consueta vena ironica – Come mai sei qui? Non mi dirai che è per il lievissimo odore di drago! Dopo tutto questo tempo passato in nostra compagnia, pensavo che il tuo nasino si fosse abituato agli odori forti.
Il fare canzonatorio di Kili, unito a quel suo modo di fare sarcastico e burlone tipico della sua giovane età, sortì l'effetto sperato perché Kat si ritrovò a ridacchiare insieme a lui, e finì persino per sorridergli, mentre parte del peso che le gravava sull'animo si attenuava.
– Per quanto possa puzzare un gruppo di nani, non potrebbero comunque eguagliare il fetore di un drago.. anche se, ammetto, tu ci vai molto vicino! – ribatté lei, restando al gioco e pungolando il fianco dell'amico con qualche colpetto di gomito.
Kili scoppiò a ridere a sua volta per lo scherzo, per nulla convincente quando tentò di ribattere e fare l'offeso, e l'atmosfera ormai s'era fatta decisamente più spensierata quando il silenzio tornò a calare su di loro.
– E tu? Come mai qui fuori? – gli chiese Kat, scoccandogli una nuova occhiata in tralice.
– Ho bisogno di un motivo per passare un po' di tempo con la mia adorata sorellina?
Lei, al sentirsi appellare a quel modo, di rimando gli scoccò uno sguardo carico di sottintesi e Kili, che aveva sfoggiato un'espressione da perfetto angioletto nel dirlo, ridacchiò e andò a sfregarsi la nuca con una mano, tradendo un certo imbarazzo.
– In realtà – esordì pochi secondi dopo, meno esuberante e più mesto – volevo scusarmi con te.
Katla inarcò meccanicamente un sopracciglio, ma non lo interruppe, rimanendo ad osservarlo abbassare gli occhi scuri e puntarli verso Sud, nella direzione in cui il torrente in piena scivolava rumoroso verso la piana ai loro piedi.
– Non avremmo dovuto lasciarti a Pontelagolungo – chiarì il giovane nano moro, continuando il discorso – ..per colpa nostra hai rischiato grosso. Se fossi venuta con noi...
– Sarei corsa ad affrontare il drago insieme a tutti voi. – lo interruppe lei con decisione, osservandone il profilo e posandogli una mano sulla spalla più vicina; quando l'altro tornò a guardarla in volto, ella gli rivolse un mezzo sorriso – Non posso dirti che non mi ha ferita il vostro comportamento, ma posso capire cosa vi ha spinti ad agire in quel modo. Anche io sono stata in pena per voi.
Il minore dei figli di Dìs ricambiò quel suo sorriso con un guizzo di gratitudine che gli illuminò gli occhi castani, prima di tornare ad animarsi.
– E poi, stando a quanto ci hai detto, te la sei cavata piuttosto bene! Per non parlare dell'aiuto che hai ricevuto dagli Elfi...
– Ah! Allora è questo – esclamò con un ché di cospiratorio, realizzando d'improvviso dove il nano al suo fianco volesse andare a parare e tornando a sfoggiare un sorrisetto velato di sottintesi – ..tu sei qui perché vuoi sapere di Tauriel.
Kili, di fronte all'ironica accusa di lei, venne colto da un sussulto di sorpresa e i suoi occhi scuri si sgranarono nella stessa misura in cui il sorriso della giovane donna si allargò, smascherandolo.
– Cosa?! – ribatté dopo un istante, cercando di negare l'evidenza e scrollandosi la mano di lei dalla spalla – Pft..! Ma no, certo che no! Volevo solo sapere qualche dettaglio in più su come ve la siete cavata laggiù...
– Kili, non negare. Te lo si legge in faccia.
L'altro diventò rosso come un peperone e Kat nascose dietro una mano un'altra risatina, cercando di contenersi. Non voleva mortificarlo o farlo sentire troppo in imbarazzo, ma era una situazione decisamente divertente ed era troppo tempo che non rideva e scherzava così con qualcuno. Quando decise di averne abbastanza, frenò un'altra volta i tentativi di giustificarsi del giovane nano e gli sferrò una piccola spallata scherzosa, interrompendolo.
– Mi spiace Kili, ma non ti abbiamo menzionato nemmeno una volta, se è questo che volevi sapere – gli disse, sorridendogli ancora divertita, prima di far spallucce – se invece volevi chiedermi come sta, mi è sembrata in forma.
Kili, ancora un po' a disagio, le scoccò un'occhiata di sottecchi, e quel suo modo di fare intenerì alquanto la giovane donna, che tornò a riservargli un'espressione più comprensiva e complice.
– Non preoccuparti, la rivedrai senz'altro – gli disse, cercando di risollevargli un po' il morale e al contempo promettendosi silenziosamente di far in modo che ciò accadesse – ..e allora potrai parlare di nuovo con lei di stelle, pietre o qualunque altra cosa tu voglia dirle.
Le sue parole parvero sortire l'effetto sperato, perché dopo un istante il nano al suo fianco abbozzò un mezzo sorriso verso di lei e la ringraziò, quindi le propose di rientrare a scaldarsi un poco vicino al fuoco. Lì per lì Katla acconsentì, non desiderando più rimanere sola con sé stessa e ciò che era diventata, spinta dall'intimo desiderio di poter passare un altro di quei preziosi, familiari momenti di cui tanto aveva sentito la mancanza nei giorni precedenti. Quelli vissuti più d'una volta durante la traversata della Terra di Mezzo, quando la Compagnia si accampava per la notte ed intonava canzoni e racconti intorno al fuoco, e c'erano risate, scherzi e giovialità a rinfrancare gli animi.
Tuttavia, quando fu sul punto di entrare all'ombra dell’ampia arcata d'ingresso al Regno di Erebor, si fermò.
– Ripensandoci – esordì, abbozzando un nuovo mezzo sorrisetto teso – prima devo fare una cosa. Da sola. Tu avviati pure, ti raggiungerò subito.
Il nano moro, voltandosi a guardarla con un sopracciglio inarcato, alla sua parca spiegazione non reagì subito, ma appena realizzò le sue necessità, qualunque esse fossero, s’illuminò di nuova comprensione ed annuì. Quando si fu allontanato Katla allora si volse verso la propria destra, emulando un nuovo, profondo sospiro nel silenzio circostante.
– Per quanto ancora volevi startene lì ad origliare?
La figura di Fili uscì da dietro il suo nascondiglio e il suo volto barbuto le rimandò indietro un'espressione sorpresa.
– Si può sapere come hai fatto? – le domandò, non riuscendo a trattenersi mentre avanzava verso di lei.
Kat scosse il capo castano e ne ignorò la domanda.
– Cosa c'è, Fili? – gli chiese invece, osservandolo arrestarsi di fronte a lei ed azzardando a fare un'ipotesi – ..è per Kili?
Lo sguardo cupo che il nano biondo le riservò sarebbe stato già di per sé una conferma sufficiente.
– Vorrei che non lo incoraggiassi – le disse, schietto come solo il nipote di Thorin avrebbe potuto essere.
Katla si sorprese dei modi diretti del maggiore dei due fratelli, ma non troppo, giacché sapeva del suo punto di vista e del parere che aveva riguardo l'intera faccenda. Cercò dunque di mantenersi pacata e bendisposta nei suoi riguardi, pur non condividendo del tutto le motivazioni dell'altro.
– Io non lo stavo incoraggiando, abbiamo solo parlato – ribatté – ..cosa che dovresti provare a fare anche tu, anziché litigarci.
– Io l'ho fatto, è lui che non capisce ciò che gli dico – tentò di difendersi Fili, con un'aria quasi offesa.
La ragazza lo fissò con un sopracciglio inarcato, intuendo perfettamente come doveva essersi svolto il tentativo del nano biondo.
– Scommetto che hai usato la stessa tattica di tuo zio.. ho ragione? – gli chiese, convinta della propria teoria – Ci credo che non ha funzionato.
Il maggiore dei figli di Dìs la guardò con una nuova nota di sorpresa che venne presto soppiantata da un'espressione corrucciata, la quale gli piegò il volto in un broncio talmente iconico da farla sorridere, pur non volendo.
– Fili, devi permettergli di fare le sue scelte da solo – gli consigliò, reclinando il capo verso la spalla sinistra per tentare di incrociarne di nuovo lo sguardo – ..è grande abbastanza da poter badare a sé stesso, soprattutto quando si tratta di certe cose.
– Ci sono un milione di motivi per cui non dovrebbe neanche pensare, a certe cose.
– E sono certa che li conosce tutti, come li conosci tu, per questo è così combattuto – ribatté lei senza scomporsi, ma cercando ancora una volta il contatto visivo. Quando finalmente l'altro nano glielo concesse, gli rivolse un mezzo sorriso incoraggiante dei suoi – ..sii più comprensivo e lasciagli i suoi spazi. Puoi comunque continuare a guardargli le spalle anche così. Siete fratelli, sapete entrambi che nel momento del bisogno ci sarete sempre l'uno per l'altro.
Fili la osservò palesemente a disagio, combattuto, ma dopo una nuova manciata di secondi annuì con un nuovo cenno del capo e fece un ultimo passo in avanti, quello appena sufficiente a permettergli di posarle una delle sue solide mani di nano su una spalla.
– La stessa cosa vale per te, Kat – le disse, prendendola alla sprovvista e inchiodandola coi piedi a terra con i suoi occhi azzurri – Quando sarai pronta a parlare di ciò che ti turba, vieni pure da noi. Ti ascolteremo e ti sosterremo sempre. Ricordalo: sei la nostra adorata sorellina, dopotutto.
Spiazzata, la giovane donna non riuscì a mascherare lo stupore e la commozione che quelle parole così dirette e gentili risvegliarono in lei, e si ritrovò a serrare le labbra in una smorfia tesa nel tentare di controllare tali emozioni. Con un nodo a serrarle la gola, non poté far altro che annuire a propria volta con un cenno del capo e, dopo aver rivolto un debole ringraziamento all'altro, si avviò con lui verso l'interno della montagna, pregando fra sé e sé che il tragitto fosse sufficiente a farle asciugare gli occhi lucidi prima di trovarsi davanti qualcun altro della Compagnia.


All'alba del giorno dopo, ancor prima del sorgere dell'aurora, un Corvo Imperiale portò a Thorin la notizia dell'avvicinarsi delle genti del Lago Lungo e, dopo una pausa di silenziosa riflessione, il Re sotto la Montagna ordinò a tutti loro d’erigere un muro a difesa e blocco dell'ingresso di Erebor.
A nulla valsero le osservazioni e le rimostranze dei più giovani e Katla, rimasta ad osservare lo svolgersi degli eventi in disparte, non intervenne.
Quando il sole prese a riversare la sua luce entro l'ampia arcata delle porte, i nani della Compagnia erano già all'opera da tempo e la base del muro difensivo era già stata eretta. Il Popolo di Durin era una razza laboriosa e caparbia, che faceva della sua maestria in costruzione e creazione un vanto, e questo ne fu ulteriore conferma.
Bofur stava premurandosi proprio in quel momento di rifornire d'acqua sorgiva le borracce dei suoi compagni, quando incappò inaspettatamente in Katla. La giovane donna aveva il suo esiguo bagaglio in spalla e stava aggirandosi per le sale del Regno come se gli stesse dando l'ultimo saluto, ed il nano, dopo un istante di muta perplessità, capì.
– Sei in partenza? – le domandò, non riuscendo a tacere e farsi i fatti propri.
Non era mai stato troppo bravo in questo, pur mantenendo per lo più toni ironici ed avendo più di tutti un modo di fare sempre incline allo scherzo ed alla spensieratezza, caratteristica che lo aveva sempre scusato per il suo impicciarsi di cose che altri avrebbero ignorato.
Quando Kat si voltò a guardarlo al suono della sua voce, il nano credette di notare una nota di rimpianto su quel suo visetto di donna, un attimo prima che questo venisse obliato da un sorriso ampio e colpevole al contempo.
– Credo sia il momento per me di lasciare Erebor – gli rispose con franchezza e mestizia – ..in fondo, non sono una Nana. Non ho motivo di attardarmi oltre, ora che Thorin ha ufficialmente risolto il mio contratto.
– Non hai bisogno di un vero motivo per restare con noi – le fece notare con pacata leggerezza lui, facendo spallucce e continuando ad intingere la borraccia nella fontanella.
Bofur era sempre stato fra quelli che avevano fin da subito guardato con simpatia alla giovane che aveva intrapreso quel folle viaggio insieme a loro, giacché aveva trovato in lei una compagna di battute come nessuno dei suoi familiari era mai stato prima, e per questo non riuscì a tacerle il proprio pensiero.
– ..tanto più se partire ti causa tanto rammarico. – e le lanciò un'occhiata in tralice, tornando a sollevarsi e richiudendo il recipiente che aveva in mano, ormai pieno, per voltarsi completamente verso di lei – L'ho visto, non negarlo: tu non vuoi davvero andartene.
Persino dalla distanza a separarli di diversi passi, egli notò la figuretta della ragazza farsi all'improvviso tesa come una corda di violino e la vide tentennare e mostrargli una di quelle sue espressioni piatte, tipiche di quando tentava di trattener un pensiero o una reazione. Il vederla così sulla difensiva spinse il nano a rivolgerle un mezzo sorriso comprensivo ed incoraggiante al contempo, giacché non desiderava vederla reagire in quel modo. In realtà, sperava soltanto che restasse, perché alla fine si erano tutti affezionati a lei, persino suo cugino Bifur, che alcune volte gli aveva chiesto di fargli da interprete per partecipare alle conversazioni di lei.
Tuttavia, Katla abbassò lo sguardo.
– C'è qualcosa che devo fare – gli rispose, e la sua voce gli suonò più cupa di quanto si sarebbe aspettato.
Il nano dal cappello allampanato se ne dispiacque, ma, non volendo peggiorare le cose, tornò ad alleggerire i toni di quella breve conversazione come meglio poté.
– È un peccato – affermò, facendo addirittura spallucce e celando il suo reale stato d'animo – ma non ci si può far niente, immagino. Sai, continuo a pensare che ci debba essere almeno un po' di sangue nanico in te, nonostante quanto affermi, e sappi che sarai sempre accolta a braccia aperte fra noi, semmai decidessi di tornare.
Fu nel silenzio che seguì quelle sue ultime parole che, nella soffusa luminosità dell'alto salone, un riflesso di luce scivolò su una delle guance di lei. Una lacrima, poi un'altra, le rigarono il volto e prima che Bofur potesse far qualcos'altro a parte mollare a terra le borracce appena riempite, si ritrovò la Piccola Furia gettargli le braccia al collo e stringerlo in un abbraccio sofferto.
Abbraccio che il nano non mancò di ricambiare subito, mentre gli occhi gli diventavano lucidi a propria volta a causa dei sommessi singhiozzi della compagna d'avventure vicini all'orecchio. Gli sarebbe mancata e loro sarebbero mancati a lei, era questo il significato di quell'ultimo gesto impulsivo, e non vi fu bisogno di parole perché quel tacito messaggio passasse dall'uno all'altra e viceversa. Quando il tremito delle spalle di lei cessò, una manciata di secondi dopo, ed entrambi tornarono a distanziarsi di un passo, ella lo guardò con lo stesso tormento che lui le aveva scorto di sfuggita nello sguardo pochi minuti prima, mentre faceva quell'ultimo giro delle sale.
– Grazie, Bofur. Significa molto per me – e gli sorrise, un sorriso melanconico che avrebbe spezzato il freddo cuore roccioso d'una delle immense statue di marmo del Regno dei Nani, se avesse voluto.
Il fratello di Bombur annuì e ricambiò quel suo sorriso, donandole una pacca sulla spalla coperta dal mantello elfico prima di andare a stropicciarsi il naso, in un tentativo di ritornare alla solita aria pacata e serena di sempre.
– Ti auguro ogni bene, Piccola Furia – le si rivolse quindi in ultimo saluto, riuscendo nel proprio intento e mantenendosi saldo nel suo proposito di tener alto il proprio orgoglio di nano della stirpe di Durin.
Lei ricambiò l'augurio e, dopo un ultimo sguardo, si avviò verso le porte senza più voltarsi indietro, con le mani lungo i fianchi strette a pugno ed il mantello che le ondeggiava alle spalle. Bofur, osservandola allontanarsi, non le andò dietro. Avrebbe atteso che i saluti con gli altri membri della Compagnia si fossero conclusi prima di tornare da loro, perché se c'era una cosa in cui era da sempre negato, quella cosa erano gli addii.


– Kat! Kat, aspetta!
Lei si volse a guardarlo, mentre Bilbo la raggiungeva di corsa, sgambettando sul ponte di pietra con quelle sue gambette da hobbit. Per la prima volta in vita sua Bilbo desiderò non essere nato con gambe tanto corte.
– Stai… stai davvero andando via? – boccheggiò una volta raggiuntala, riprendendo fiato e sondando il suo viso di giovane donna con gli occhi blu spalancati – Ti prego di ripensarci, Kat..
Il malinconico sorriso di lei gli diede la risposta ancor prima di udirne le parole.
– Mi dispiace, Bilbo…
– Ma.. – tentò di nuovo il piccolo scassinatore, prima di venir interrotto sul nascere.
– Non c’è più posto per me qui – affermò Katla, guardandolo, e nei suoi occhi grigi egli scorse il riflesso di lacrime a stento trattenute – ..non c’è più posto per me, al suo fianco. Lo hai sentito anche tu.
Lo scassinatore aprì e richiuse la bocca senza riuscire a farne uscire alcun suono, come un pesce sott'acqua, e di fronte all'evidente pena della sua amica si sentì improvvisamente inadatto ed insufficiente.
– Ma.. – tentò di nuovo, deviando lo sguardo a destra ed a sinistra, alla ricerca di una soluzione laddove la sua mente non era in grado di trovarla.
Tornò a guardare Kat soltanto perché ella, vedendolo tanto disorientato, gli strinse una spalla con la mano libera, ed allora egli vide comprensione e rassegnazione nei suoi occhi chiari, ma anche qualcos'altro: una luce in fondo ad essi, come una vaga speranza.
– Non preoccuparti, non andrò troppo lontano – gli disse, reclinando leggermente il capo verso la spalla destra.
Inizialmente Bilbo rimase confuso dalle di lei parole, ma quando seguì con lo sguardo l’inclinazione del capo di lei e posò gli occhi sulle rovine della città di Dale, incastonata fra le pendici della Valle di Conca ed il Fiume Fluente, allora l’intuizione lo aiutò a capire e tornò a guardare la ragazza che aveva di fronte con gli occhi blu spalancati.
Stava andando incontro agli Uomini del Lago.
Fu in quel momento che ella tirò fuori un sacchetto in pelle dal proprio bagaglio e glielo mise fra le mani. Come quel dono gli venne lasciato, Bilbo quasi sussultò al peso di ciò che la pelle dell’involucro conteneva e realizzò quasi subito di cosa si trattasse.
– Questa è una parte di ciò che ho chiesto a Thorin come compenso – gli rivelò lei, confermando i suoi sospetti.
Confuso ed a disagio, lo hobbit la fissò alla disperata ricerca di spiegazioni e di fronte alla sua espressione Katla gli sorrise. Un sorriso vero, pur sempre sofferto, ma con una nuova fermezza ad alimentarlo.
– Tienile tu. Trova a queste un posto sicuro dentro la Montagna. – si raccomandò – Quando sarà il momento, tornerò a riprenderle… ma se ciò non dovesse accadere per un qualunque motivo, voglio che tu le consegni agli Elfi di Reame Boscoso.
Bilbo boccheggiò di nuovo, completamente preso alla sprovvista da tali istruzioni, e la mente gli vorticò di nuove domande che era sul punto di rivolgerle una dietro l’altra, quando la ragazza con il suo fare seguente gliele bloccò tutte in gola. Lei lo abbracciò forte, più di quanto un onesto hobbit della Contea avrebbe potuto sopportare, ma seppur Bilbo si sentì sul punto di soffocare, non fu per la stretta di lei quanto per il nodo di lacrime che gli serrò la gola e gli colmò le ciglia.
Quando il momento passò e la ragazza tornò a lasciarlo andare, incrociandone di nuovo gli occhi grigio-verdi il mezz'uomo sentì affiorare il consueto istinto di ribellione che da un po’ aveva riscoperto avere, sotto tutti quegli strati di buona educazione, affabilità e giovialità hobbit.
– Promettimi che non ce ne sarà bisogno – proruppe, facendosi teso come un fuscello al vento – promettimi che tornerai a riprenderle e che ci rivedremo.
Il nuovo sorriso che lei gli rivolse in risposta però non coinvolse i suoi occhi.
– Nemmeno il più saggio conosce tutti gli esiti, Mastro Baggins – gli rispose, donandogli un’ultima stretta alla spalla e lasciando poi ricadere il braccio lungo il fianco – ...ti saluto qui, dunque, come se dovesse essere l’ultima volta. Addio, mio caro amico. È stato un onore ed un privilegio averti conosciuto.
Ed il magone che crebbe dentro di lui, gli serrò la gola in una nuova morsa d’infelicità, giacché comprese: non c’era nulla che lui avrebbe potuto dirle, che le avrebbe fatto cambiare idea. Qualunque cosa avesse in mente di fare, era troppo determinata perché il piccolo mezz'uomo potesse impedirglielo in qualche modo. E forse, nemmeno era giusto che ci provasse.
– Addio, Kat.
Quindi lei si avviò e Bilbo rimase a guardarla allontanarsi sulla strada dismessa che scendeva verso il fondo della vallata, cercando di soffocare il brutto presentimento che quella vista gli causava in fondo all'animo.


Impiegarono tutto il giorno per attraversare il territorio brullo ed inospitale conosciuto come La Desolazione di Smaug, cosicché il sole era prossimo al tramonto e l'aria s'era già fatta più fredda quando Bard raggiunse le spesse mura di Dale.
Dopo che passò sotto l'arco in pietra che un tempo doveva esser stato l'ingresso principale alla città, si voltò indietro per osservare la gente al suo seguito iniziare a fare altrettanto. Bain, che per primo lo seguiva, gli si fermò di fronte, in attesa.
– Ci accamperemo qui – gli disse, battendogli una mano sulla spalla – ..raccogli qualche volontario e va a cercare abbastanza legna da accendere dei fuochi per la notte.
Il ragazzo annuì e si avviò, chiamando a sé alcuni fra i più giovani, mentre gli uomini di Pontelagolungo confluivano all'interno della città diroccata. I loro stivali scricchiolavano sul terreno gelato, ma per quanto fossero stanchi della lunga marcia i loro volti erano tutti rivolti verso l'alto e gli edifici che, di solida pietra, si stagliavano di fronte ed intorno a loro.
Tilda e Sigrid lo affiancarono in quel momento e Bard, al loro cenno d'assenso a confermare che stavano entrambe bene, si rilassò un po' e si rivolse allora alla sua gente.
– Trovatevi un riparo per passare la notte: ci fermeremo qui – annunciò loro, scandendo bene le parole in modo che potessero sentirlo in molti anche al di fuori della piazzetta.
Dopo qualche cenno d'assenso da parte dei suoi, Bard si avviò allora lungo la strada maestra, diretto alla parte alta della città, spinto dal desiderio di avere una visione più ampia del luogo che era stato la dimora dei suoi padri.
Erano stati giorni difficili quelli che avevano seguito la distruzione della città di Pontelagolungo ed i suoi abitanti si erano trovati costretti a fare scelte ardue, ma i tempi erano stati duri anche prima e questo, malgrado il nuovo dolore e la disperazione, non aveva piegato il Popolo degli Uomini. Per questo, nonostante il maltempo e la fame, gran parte dei suoi concittadini l'aveva seguito sin lì, mentre quelli più anziani o deboli erano rimasti presso le rive del Lago Lungo.
L'oro della Montagna Solitaria era la loro unica speranza per ricostruirsi una vita.
Stava ispezionando uno degli edifici senza porta ancora in piedi ed apparentemente in buono stato, per stabilire se fosse adatto come riparo per la sua famiglia, quando la voce di Sigrid lo chiamò dall'esterno.
– Pa'! Vieni a vedere!
Il suo tono giovane e concitato fece voltare subito l'Uomo del Lago, che in poche misurate falcate fu di nuovo per strada. Quando la raggiunse, nel bel mezzo di un antico ponte costellato da rampicanti secchi e spogli, ella puntò il braccio teso verso la montagna.
– Guarda, i bracieri sono accesi!
Era vero: due fuochi gemelli ardevano appresso alle porte dell'antico Regno di Thror.
Bard, sorprendendosi solo in parte, spalancò gli occhi castani e per riflesso drizzò la schiena in quella sua contemplazione.
– Allora i nani sono sopravvissuti...
– Avevi dubbi? – proruppe una voce gioviale ed ironica al contempo. Una voce che Bard conosceva.
– Katla – l'accolse l'Ammazzadrago, voltandosi a scrutarla con stupore e sospetto – cosa fai qui?
Quella balzò giù dal muretto sul quale era appollaiata, atterrando con agilità sulla nuda pietra del ponte, un lieve sorriso ad incresparle le labbra.
– Vi aspettavo – gli rispose con semplicità, facendo qualche passo per avvicinarsi e volgendo l'attenzione a sua figlia – State bene? Avete avuto difficoltà durante il cammino?
– No, è andato tutto bene, – le rispose subito Sigrid con ingenuo entusiasmo, contenta di rivedere la piccola donna – ma come facevi a saperlo?
E Kat di rimando le fece l'occhiolino, donandole una carezza sul capo biondo.
– Mistero – le rispose in tono pregno d'enfasi, facendola ridere.
Alle sue figlie piaceva Katla, lo avevano dimostrato ampiamente dopo la morte di Smaug e durante il poco tempo che la piccola donna aveva trascorso in loro compagnia, prima di ripartire. Aveva dato una mano a tutti come meglio poteva, ma per Bard vi erano fin troppe cose di lei che esulavano da una comune figlia degli Uomini perché riuscisse a fidarsi completamente. Non per niente, in diversi fra le genti di Pontelagolungo avevano preso a riferirsi a lei con l’appellativo di “strega”, in reazione alle voci messe in giro da chi li aveva visti affrontare il drago quella fatidica notte, mentre lui era divenuto per tutti Bard, l'Ammazzadrago.
Gli occhi chiari della ragazza, brillanti nella luce obliqua del tramonto, si volsero nella direzione opposta alla montagna, verso la parte bassa della città. C’era qualcosa sul volto di lei che disturbava l’Uomo del Lago, un’apparente serenità ostentata che non riusciva a coinvolgere i suoi occhi grigio-verdi. Doveva esserle successo qualcosa.
– Gli Elfi?
Bard inarcò un sopracciglio.
– “Gli Elfi“ cosa? – ripeté, non capendo, attirando lo sguardo dell'altra.
– Non sono venuti con voi?
L'uomo stava per negare ed esprimere il suo dissenso sul motivo per cui avrebbe dovuto essere il contrario quando, nell'aria della sera, risuonò limpido un suono di corno. Tutti e tre si voltarono istintivamente in quella direzione, come se gli edifici e la morfologia del terreno non costituissero alcun impedimento al loro sguardo, e pochi secondi dopo Tilda comparve sulla strada alle loro spalle, gli occhi spalancati e le gote arrossate.
– Pa'! Stanno arrivando gli Elfi!
Bard e Katla si scambiarono una nuova occhiata e l'uomo dovette dare un freno ad ogni reazione che non fosse quella di incamminarsi con passo spedito verso le mura di Dale. Che i Valar lo fulminassero se un giorno avrebbe mai capito come faceva, quella strana, unica, piccola donna, ad aver sempre ragione.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 25
*** War Council ***







“Til the end of my life,
there's a promise I will keep high.”
[ Fallen Timbers, Wind Rose ]




Kat si issò sulla roccia con un ultimo sforzo, quindi si voltò, alla ricerca della sua compagna.
Tauriel era già più avanti, esplorando il sentiero che s'insinuava fra le prime rovine di Collecorvo e s'inerpicava ancor più in alto, verso la vetta.
Dietro di loro, verso il basso, il paesaggio si apriva nella vallata sottostante e, finalmente, la ragazza riuscì a scorgere di nuovo la Montagna Solitaria e le porte del Regno dei Nani, ora sbarrate da un alto muro di massicci blocchi di pietra.
Soffermando i suoi occhi grigi su ciò che era divenuta Erebor, ella emulò un sospiro che era dovuto solo in parte alla fatica fatta per salire sin lì. Una parte di lei avrebbe voluto essere dall'altro lato di quel muro insieme ai suoi compagni ed amici, al fianco di un nano in particolare... ma non si poteva aver tutto dalla vita, questo Katla lo aveva appreso fin troppo bene durante la sua breve esistenza di ragazza orfana. Dall’altra invece stava iniziando a chiedersi se tutti i suoi sforzi alla fine sarebbero valsi la pena. In fondo, non sapeva nemmeno se ne sarebbe uscita viva...
– Il sole è già alto.
La voce dell'elfa la riportò bruscamente al presente, interrompendo il filo dei suoi pensieri e facendola voltare di nuovo a cercarla. Tauriel le si fermò accanto in quel momento, ricambiando il suo sguardo da poco più in basso, e allora Kat annuì.
– Ci abbiamo messo più tempo del previsto – concordò, corrucciandosi e tornando a riflettere sul da farsi.
Era salita fin lì con lo scopo d’esplorare ogni possibile via per Collecorvo, per poterle illustrare quella sera e discutere della strategia che aveva in mente con Re Thranduil. Il Sindarin, venendo a conoscenza delle sue intenzioni, aveva comandato a Tauriel di accompagnarla con la scusante di affiancarla in quell'esplorazione preventiva e di riferire poi quanto scoperto, ma in realtà Kat aveva intuito perfettamente come il vero scopo della presenza di lei fosse quello di sorvegliarla ed assicurarsi delle sue intenzioni. Non che la giovane donna biasimasse il Re degli Elfi Silvani per la sua scarsa fiducia nei suoi confronti, lei avrebbe agito allo stesso modo se si fosse trovata nei suoi panni e avesse dovuto far affidamento su una ragazzina dai misteriosi poteri magici.
– Credi che l'uomo chiamato Bard abbia avuto successo?
La domanda inattesa del Capitano della Guardia degli Elfi le fece inarcare un sopracciglio, prendendola in contropiede. Non si erano scambiate convenevoli, né si erano parlate molto durante tutta la mattina, ma dopo un istante la ragazza tornò meccanicamente a guardare verso i piedi della montagna che immensa si stagliava fra terra e cielo.
– Non lo credo affatto – le rispose con semplicità ed un pizzico d’amarezza che non poté trattenere.
Tauriel di rimando la fissò, come in attesa di qualcos'altro, e sotto quel suo sguardo indagatorio e limpido Kat si ritrovò preda di un insolito disagio, tale da farle spezzare il silenzio che era tornato fra loro.
– Proseguiamo: il sole è già alto – affermò, saltando giù dal suo appoggio senza guardarla.
I muscoli le facevano male per lo sforzo, ma non si lasciò sfuggire un lamento mentre saliva per Collecorvo cercando di mantenere ancora una volta il passo rapido e leggero dell'elfa. Quando finalmente si fermarono per una sosta in un tratto pianeggiante costellato di blocchi di pietre e cespugli, nel farsi scivolare a terra la giovane si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
Poco dopo Tauriel le allungò una porzione di lembas elfico e presero a mangiare in silenzio, ma Kat non si sentiva infastidita o messa sotto pressione in alcun modo dalla mancanza di dialogo. In realtà, da quando s'era destata quel primo mattino, s'era sentita come avvolta in una bolla d’apatia e tale emozione non aveva ancora dato segni di cedimento.
Certo, era ancora determinata a portare a termine ciò che s'era prefissa, ma dentro di lei il suo cuore s'era come fermato, fattosi piccolo e silenzioso per sfuggire alle emozioni che, forse troppo intense, l'avrebbero altrimenti travolto. Katla stessa non aveva ancora capito cosa le stesse succedendo, sentendosi soltanto spaesata da sé stessa, dopo tutte quelle settimane colme di tristezza, ansie, struggimento e sensi di colpa.
D'una cosa però si sentiva sollevata, ovvero dal fatto che l'elfa al suo fianco si era rivelata una compagnia silenziosa e distaccata. Tauriel era tutta pragmatismo e doveri, almeno all'esterno, e ciò le aveva permesso di trovare pace e concentrarsi in quella loro missione esplorativa. Qualunque cosa, pur di non indagare il vuoto che si sentiva dentro.
– Se non si giungerà ad un accordo, il mio Re non esiterà a muovere guerra ai tuoi amici.
Come non detto.
La voce del Capitano della Guardia Elfica che infrangeva il silenzio la prese di sorpresa, non essendo certo un fatto atteso. Voltando meccanicamente il capo verso di lei, Kat si ritrovò a sbattere un paio di volte le palpebre, spaesata, prima di cogliere il significato della frase altrui e, a quel punto, deviare lo sguardo verso la montagna, ancora una volta.
– È probabile – le rispose, senza fare una piega.
– E ti sta bene?
Precise e letali, quelle poche semplici parole la trafissero in pieno petto, irrigidendole le spalle e facendola corrucciare in volto.
– No, certo che non mi sta bene – bofonchiò, infastidita tanto dall'argomento quanto dall'improvviso interesse dell’altra – ma non posso farci niente.
– Credevo che, dopo quanto accaduto a Pontelagolungo, fossi più determinata a farti ascoltare.
Altra frecciatina ben piazzata, altro sussulto delle esili spalle della ragazza.
– Ci ho provato – ribatté lei, senza alcuna variazione nel tono di voce – ma quando un Nano si mette in testa una cosa, non è facile fargli cambiare idea, credimi.
– Quindi hai preferito rinunciare.
Soltanto a quel punto Kat cedette e si voltò di nuovo a guardare la sua scorta, puntandole addosso un'occhiata tagliente. Per contro, come s'era aspettata, Tauriel non ebbe alcuna reazione ma si limitò a ricambiarla con la stessa espressione seria e distaccata che era solita sfoggiare.
– Non ho rinunciato! – negò, ma la veemenza con cui lo fece cadde nel vuoto, giacché non riuscì più ad aggiungere altro.
Innervositasi per quel confronto non richiesto, Katla allora si alzò da terra, andando a spolverarsi i pantaloni con un paio di rapide manate. Quindi si concesse un sorso d'acqua dalla borraccia che le pendeva al fianco, prima di riporla appesa in cintura e drizzare le spalle in quella grigia giornata invernale, il tutto senza guardare la sua interlocutrice.
– Faccio un giro di ricognizione, tornerò qui fra qualche minuto – le annunciò, gettandole una nuova occhiata.
Quindi Kat si avviò, cercando di lasciarsi alle spalle il fastidio natole nell'animo in reazione alle affermazioni che le erano state appena rivolte. Che assurdità: lei non si era arresa! Era lì, no? Stava facendo tutto quello proprio per aiutare i figli di Durin, non certo per sé stessa. Se così non fosse, sarebbe già ripartita alla volta di altre terre, come i boschi di Lotlorien, la città di Minas Tirith o il Regno di Rohan... dentro di sé avrebbe tanto voluto veder quei luoghi coi propri occhi, invece di restarsene lì, in quello che ben presto sarebbe divenuto teatro d’una battaglia campale.
Chiunque, se avesse saputo ciò che sapeva lei, avrebbe detto che il suo era un suicidio bello e buono. Eppure eccola lì, a mettere in atto l'unica idea che le era venuta in mente nel corso delle settimane per raggiungere il suo folle obiettivo ed evitare la morte a Thorin ed ai suoi familiari. 
Non li avrebbe lasciati morire senza fare niente, nemmeno quell'ingrato di Thorin.
Soprattutto quell'ingrato di Thorin.
Quell'ingrato, arrogante, prepotente, caparbio, orgoglioso ed avventato Thorin.
Quello stupido, impulsivo, incosciente, coraggioso, leale, forte e gentile Thorin.
Il singhiozzo che le salì all'improvviso in gola la fece fermare di scatto per tentare di soffocarlo, ma come si premette le mani sulla bocca altri singulti seguirono il primo e le lacrime le colmarono rapide gli occhi chiari fissi nel vuoto, scivolandole sulle guance arrossate una dopo l'altra al pari di un fiume in piena.
Pianse da sola, giacché l'amore è un sentimento controverso ed irrazionale, e lei si lasciò andare in pezzi sotto il suo assalto. Per la prima volta si chiese perché avessero scelto lei, perché i Valar, il destino o qualunque altra entità fosse all'opera, non avessero scelto qualcun altro cui stravolgere la vita.
Perché, comunque fosse finita, quella storia avrebbe avuto per lei un unico epilogo possibile.
Era da quando aveva udito la sua canzone preferita all'interno della propria mente a Pontelagolungo, talmente nitida e presente da non poter essere un semplice ricordo o un'allucinazione del momento, che aveva iniziato a pensarci, ed ora non poteva più negarne le implicazioni. In qualche oscuro ed inspiegabile modo era ancora legata al suo mondo ed era stata stupida a pensare, anche solo per un istante, il contrario. Era e sarebbe sempre stata un'estranea nell'universo di Arda e, prima o poi, avrebbe dovuto tornare alla realtà a cui apparteneva. E, quando questo fosse accaduto, avrebbe perso tutto ciò che le era divenuto caro in quegli ultimi, frenetici, fantastici mesi. 
Avrebbe perso lui.
E quella era l'unica cosa che, stava finalmente iniziando a realizzarlo appieno, non sapeva come affrontare.


Bilbo se ne stava seduto in disparte, non troppo lontano dalle antiche armerie dei nani. In sottofondo poteva sentire i suoi compagni di viaggio che armeggiavano con i cimeli del loro popolo e si preparavano alla guerra. Una guerra che Thorin era sicuro di poter vincere, a quanto sembrava, giacché poche ore prima aveva cacciato via Bard in malo modo quando questi era venuto presso le porte di Erebor a rivendicare la promessa che il figlio di Thrain aveva fatto alla gente di Pontelagolungo.
Il conflitto interiore che lo stava divorando, unito al timore nato dalle reazioni che le azioni di Thorin avrebbero scatenato, lo tenne piegato in avanti, poggiato coi gomiti alle ginocchia e gli occhi fissi dinanzi a sé, ad osservare il vuoto. Stava giocherellando con l'unica cosa che gli era rimasta del suo bagaglio: una ghianda grande la metà del suo pugno, proveniente dal lussureggiante e pacifico giardino di Beorn. Quello era il suo tesoro, il suo premio, l'unica cosa che voleva davvero riportare nella Contea... ma oramai non era più sicuro di riuscire a tornare incolume a quella che era la sua amata, piccola, grande Casa Baggins.
Era così sovrappensiero che non si accorse del passo pesante di Thorin sino a ché quello non fece udire la propria voce proprio dietro di lui.
– Mastro Baggins!
Bilbo sussultò meccanicamente e di scatto balzò in piedi, come se fosse stato appena colto in flagrante a far qualcosa di illecito. Per riflesso, nascose persino il suo piccolo tesoro dietro di sé, ma il suo gesto non passò inosservato e sul volto del nano di fronte a lui nacque un cipiglio severo e dubbioso.
– Cos'hai lì? Cosa nascondi? – gli domandò, sospettoso.
Quindi, un attimo dopo, fece un passo avanti e lo hobbit per riflesso fece un passo indietro, sentendosi terribilmente a disagio di fronte a quel Thorin che negli ultimi tempi non riusciva più a riconoscere.
– Niente – ribatté, ma la sua voce gli uscì più simile ad uno squittio e il Re sotto la Montagna lo squadrò senza remore, trapassandolo coi suoi occhi di diamante.
– Mostrami – lo esortò, calmo e controllato, in un tono che non ammetteva contraddizione alcuna.
Così Bilbo, seppur un poco riluttante, alla fine cedette e sollevò il piccolo seme fra loro, reggendolo nel palmo della mano. Come lo vide, Thorin perse qualunque aria corrucciata o diffidente e persino l'aura minacciosa che per un istante lo aveva avvolto in tutta la sua persona venne rischiarata da un'espressione di pura e semplice sorpresa. Quando tornò ad incrociarne gli occhi chiarissimi, lo hobbit si ritrovò a parlare senza neanche rendersene pienamente conto, dandogli una spiegazione che non gli era stata richiesta.
– L'ho presa nel giardino di Beorn – si giustificò, facendo spallucce – ..avevo intenzione di piantarla nel mio giardino, una volta tornato a casa.
– Un ben misero premio, per un'impresa tanto importante – commentò con tono confidenziale e bonario Thorin in risposta.
Bilbo però scosse il capo.
– È vero, ora è piccola – ammise, abbozzando un sorrisetto a metà – ma un giorno crescerà. E allora, sedendomi fuori a fumare la pipa, guardandola ricorderò. I momenti belli... quelli brutti... tutto quanto.
Fu a quel punto che il sorriso che abbellì l'espressione già rischiarata del nano lo colpì, sorprendendolo quasi più di quanto era stato per l'altro poco prima, giacché non rammentava nemmeno l'ultima volta che aveva visto il capo della Compagnia con un'espressione simile. E allora Bilbo realizzò che quello che aveva davanti era il Thorin che aveva conosciuto all'inizio di tutta quella storia, quello che si era battuto per i suoi compagni e familiari in prima linea ed a cui aveva offerto la sua più sincera e profonda amicizia.
Quello era il Thorin in cui aveva riposto la sua fiducia e per cui aveva dato la propria parola.
Spiazzato da quell'intima rivelazione, quasi non riuscì a reagire alla stretta salda e benevola che gli calò sulla spalla, né ebbe modo di spezzare il silenzio carico di significato che era calato fra loro, pregno di una complicità tanto inaspettata quanto fugace. Sì, perché questo durò solo una manciata di secondi, prima che il nano facesse scivolare la mano da lui e sollevasse l'altra, nell'atto di reggere quella che agli occhi dello hobbit parve una casacca scintillante.
– Ho un dono per te, amico mio.. – gli disse, porgendogli l'oggetto – è stata forgiata dai più valenti maestri del nostro popolo. Ti proteggerà meglio di qualunque armatura esistente nella Terra di Mezzo.
Sbalordito, Bilbo la prese in consegna con mani tremanti e, rigirandosela innanzi, ammirò quella che si rivelò essere una lucente cotta di maglia. Era leggera, di un metallo che lo hobbit non aveva mai visto nella sua breve, pacata esistenza.
E doveva essere anche molto preziosa.
– Thorin, è.. è davvero bella, ma io.. – incespicò un po', tornando ad osservare il nano di fronte a sé con nuovo imbarazzo e scegliendo d’essere totalmente sincero – ..io non posso accettarla: non sono un guerriero, non sarei altro che un peso in battaglia.
Eppure, quando tentò di restituirgliela, l'erede di Durin scosse il capo in segno di diniego e insistette.
– Voglio che l'abbia tu, in segno della nostra amicizia – gli disse, con ancora quel sorriso di affetto e comprensione a delineargli il volto barbuto, prima che un'ombra tornasse a calargli sugli occhi – I veri amici sono difficili da trovare.
Bilbo rimase quasi scottato da quelle ultime parole e non riuscì a far a meno d’inarcare un sopracciglio, mentre il dissenso e la preoccupazione per il nano che aveva di fronte tornavano a farsi strada in lui. Stava per chiedergli di chi parlasse quando Thorin, facendo un nuovo passo avanti, lo sovrastò con la sua ombra, tanto minaccioso e mutevole d'animo da far trasalire il piccolo mezz'uomo e farlo indietreggiare di rimando.
– Sono stato tradito dai miei stessi familiari – gli rivelò cupo e amaro, mentre i suoi occhi mandavano lampi nella penombra dei corridoi e delle sale dietro di lui – ..uno di loro ha l'Arkengemma.
Ammutolito, lo hobbit sgranò a malapena gli occhi blu di sorpresa. Eppure, mentre boccheggiava nel vano tentativo di dir qualcosa che lo riportasse alla ragione, di contraddirlo e fargli aprire gli occhi sulla realtà dei fatti, si ritrovò a ripensare alle poche parole che Balin gli aveva rivolto quello stesso mattino sulla vera natura della Malattia del Drago e cambiò idea. Non voleva esser la causa dell'aggravarsi della condizione del loro compagno e condottiero, non dopo aver appena osservato come una parte del vero Thorin Scudodiquercia albergasse ancora nell'animo del nano che troneggiava dinanzi a lui.
Scelse dunque un altro approccio.
– Thorin – esordì, e la sua espressione era tornata sotto il suo pieno controllo, seria e tesa, nell'affrontare l'amico – ..non è necessario far scoppiare una guerra. Perché non diamo agli Uomini quanto chiedono? Hai dato la tua parola.. abbiamo, in effetti. C'ero anche io, ricordi? Ho garantito per te.
– Me lo ricordo – ribadì, nuovamente comprensivo, il Re sotto la Montagna, tornando a guardarlo come poc'anzi – e ti sarò sempre grato per questo. Ma non intendo cedere una sola moneta dell'oro dei Nani a chi viene a reclamarne il possesso in nome di una promessa estorta con la forza.
E, troncando la conversazione e negandogli ogni possibilità di replica, Thorin gli diede le spalle e tornò da dov'era venuto, vestito della sua armatura in metallo brunito e con il capo adorno della pesante, squadrata corona che era stata dei suoi avi. Bilbo non poté far altro che osservarne, attonito, il mantello ondeggiargli dietro la schiena ad ogni passo mentre si allontanava, e una volta rimasto solo, impiegò diversi minuti per capacitarsi della conversazione appena avvenuta.
Si sentì così combattuto e confuso che si ritrovò a voltarsi su sé stesso ed a fare qualche passo avanti ed indietro, non sapendo nemmeno quale direzione prendere, figurarsi venire a capo dei propri pensieri.
Fu soltanto quando un refolo di vento freddo si insinuò sino a lui, facendolo voltare nella direzione da cui era provenuto, che il mezz'uomo sollevò lo sguardo verso le ampie finestre che davano sull'esterno della montagna, intravedendo uno spicchio di cielo già tinto dei colori del crepuscolo.
Forse non era ancora troppo tardi, dopotutto.
Forse c'era ancora una speranza di far tornare in sé Thorin.
In uno dei suoi rari slanci di ferrea determinazione, Bilbo prese la sua decisione e si avviò lesto, con quel suo passo silenzioso e rapido come quello di un topolino, verso le porte di Erebor con un unico pensiero: trovare Katla.
Se c'era ancora qualcuno in grado di far tornare il lume della ragione all'erede di Durin, quella era lei.


Erano tutti riuniti nella tenda del Re degli Elfi, i drappi abbassati e tenuti socchiusi per tentare di arginare all'esterno il freddo della notte. Dal cielo cadeva un sottile nevischio, troppo fine per definirsi una vera nevicata, ma abbastanza freddo da attecchire sulle rovine e gli speroni rocciosi più esposti.
Katla, dopo aver illustrato il suo piano con l'aiuto d'una mappa appena tracciata dalle mani esperte di Tauriel, tornò a sollevare lo sguardo grigio-verde su Thranduil. Il Re, seduto sul suo scranno a gambe elegantemente accavallate, si alzò in quel preciso momento e i suoi occhi d'un azzurro slavato la trapassarono con precisa indifferenza.
– Rozzo – commentò con il consueto pizzico di superbia che gli apparteneva – ma, suppongo, non potrei aspettarmi di più da una mente tanto semplice. Il tuo piano, ammesso che quanto sei qui ad affermare avvenga davvero, è quello di affrontare un numero imprecisato di nemici dividendo le forze del mio esercito, per cercare di colpirne il comandante...
– È così – confermò Kat, cercando di celare la reale tensione che le serrava lo stomaco in una morsa.
Era fin troppo consapevole dell'importanza del momento che stava vivendo: se non avesse convinto Thranduil a mandare a Collecorvo una squadra dei suoi guerrieri, il piano sarebbe fallito e Fili, Kili e Thorin sarebbero morti lassù.
– E dimmi, di quanti dovrei privarmi? – le chiese di nuovo, in una pacata provocazione – Quanti saranno i nostri nemici?
La ragazza a quelle domande serrò le labbra, abbassando lo sguardo sulla mappa sulla cui superficie erano stati tracciati segni ed annotazioni dalla delicata ed esperta mano del Capitano della Guardia Elfica.
– Non so dirlo – mormorò, cupamente, avvertendo il peso sulle proprie spalle farsi più gravoso.
– Secondo le mie stime, quelle rovine possono nascondere fino a duecento nemici – intervenne Tauriel, andandole in aiuto.
Sorpresa, Kat sollevò lo sguardo su di lei, di nuovo silenziosa a fronteggiare seria ed impassibile l'attenzione del suo Re. Thranduil però, nonostante l'intervento del suo Capitano, non dimostrò alcuna sorpresa ma tornò ben presto ad abbassare lo sguardo su di lei. L'armatura elfica che portava riluceva dorata al bagliore dei bracieri e, con il capo adorno d'una corona modellata ad immagine e somiglianza di un intrico di rami sinuosi e coperti di foglie scarlatte, aveva un'aria ancor più suggestiva della prima volta che l'aveva incontrato presso Reame Boscoso.
– Stando a quanto affermi, un esercito che raccoglie gran parte delle forze del Nord sta marciando contro questa montagna. Dimmi, in che modo potrei mai privarmi di uno solo dei miei soldati, sapendo ciò che dovremo affrontare?
Kat a quella domanda serrò i pugni lungo i fianchi; se l'aspettava.
– Lo so che il mio piano sembra folle, ma è l'unico modo per aver ragione del nemico nel più breve tempo possibile. Senza un comandante che impartisce gli ordini, le forze del nemico si ritroveranno senza una guida. Sarà la confusione, il mezzo che li condurrà alla sconfitta – abbozzò un mezzo sorriso – ..e poi, non saremo soli a combattere.
Gli occhi di Thranduil si assottigliarono.
– Cosa intendi dire?
– Altri verranno in nostro aiuto, per affrontare il nemico comune.
– E chi? – intervenne per la prima volta Legolas, facendo un passo avanti per affiancare Tauriel al tavolo.
Kat indugiò. Non sapeva se rivelare dell'imminente arrivo di Dain Piediferro sarebbe stata una mossa arguta, giacché questo avrebbe potuto influire sulla dinamica delle trattative fra gli Uomini del Lago ed i Nani all'interno della Montagna Solitaria. Scoccando un'occhiata a Bard, rimasto silenzioso ad ascoltare quanto detto sino a quel momento, ci mise un istante solo per prendere la propria decisione.
– I Nani dei Colli Ferrosi stanno giungendo da Est – affermò – Dain, cugino di Thorin, li comanda e giungeranno qui in tempo per unirsi alla battaglia.
– Come lo sai? – intervenne l'Ammazzadrago, tradendo una nota di sorpresa.
– Non avete notato il via-vai di Corvi Imperiali dalla Montagna? – ribatté, in domanda retorica – Ho solo collegato gli indizi e pensato come Thorin. Ha sicuramente mandato a chiamare rinforzi dal momento in cui si è visto assediato.
– Non siamo giunti per assediarlo – controbatté cupamente l'Uomo del Lago, suscitando un nuovo mezzo sorriso da parte di lei.
– Eppure ciò che state facendo non è molto diverso da un assedio.
Quel confronto si sarebbe protratto ancora se il Re degli Elfi Silvani non lo avesse interrotto, riportando l'attenzione sull'argomento principale di quella riunione.
– Ti ho promesso supporto e manterrò la mia parola – affermò austero il Sovrano – ma soltanto finché lo riterrò commisurato al prezzo che pagherà il mio popolo. Quando quest'ultimo si rivelasse troppo alto, non esiterò ad ordinare ai miei la ritirata ed a lasciare queste infauste terre.
Katla annuì, per nulla sorpresa di quanto appena proferito dal Re.
– Non posso e non voglio chiedervi più di questo, Maestà – gli disse, inchinandosi.
Le gemme di Lasgalen erano ancora sul tavolo, il sacchetto socchiuso a far trapelare il riverbero delle pietre preziose al suo interno, candido come la più pura luce stellare. Una volta conclusasi quella storia, avrebbe fatto in modo che Thranduil avesse il resto delle gemme, a prescindere da come sarebbe andata a finire.
Ripresero dunque a parlare della tattica di benvenuto che avrebbero riservato agli Orchi ed ai Warg quando fosse giunto il momento, ma quando venne il turno d'includere gli Uomini allo schieramento, Bard si fece avanti con voce dura.
– Io non permetterò che i miei muoiano in questa guerra.
Il silenzio che seguì calò pesante come il drappo di un sudario e tutti i presenti si voltarono a guardare il chiattaiolo. Fra tutti, fu proprio Katla ad infrangere l'atmosfera, riducendola in pezzi con un'unica impulsiva esclamazione contrariata.
– Non puoi tirarti indietro! È necessario che tutti scendano in battaglia, se vogliamo avere qualche speranza di vittoria!
– Non ho condotto i miei uomini fin qui per combattere contro un'armata simile, ma per poter procurarci ciò che ci occorre per rifarci una vita. Questa non è la nostra guerra.
– Mi duole contraddirti, Uomo del Lago, – proruppe una voce estranea al gruppo lì riunito, una voce profonda ed arrochita dall'età – ma temo proprio che lo diventerà presto.
– Gandalf!
Lo stregone si stagliò sotto il drappo d'ingresso alla tenda del Re degli Elfi, facendo un passo avanti, accompagnato dal suo bastone che batteva il terreno ad ogni suo passo. Le ampie falde del cappello a punta erano intrise d'umidità, come il pesante mantello che gli pendeva intorno all'alta figura.
Kat, talmente presa dalla discussione con Bard da non aver notato il precedente accostarsi al Re degli Elfi di una delle sentinelle poste di guarda all'esterno della tenda, si ritrovò a spalancare gli occhi dallo stupore ed a perdere il respiro, per la contentezza ed il sollievo, appena ne riconobbe il volto solcato di rughe di preoccupazione. Rughe che, appena egli la vide, si distesero, seppur non del tutto.
– Si muovono in massa per affermare il loro dominio su tutta la regione. In questi mesi si sono raccolti presso il Monte Guerrinferno e discendono dal Nord con un'armata di Orchi, Mannari e Pipistrelli – continuò lo stregone, rivolto all'erede di Girion – Dove pensi che volgeranno la loro marcia dopo aver conquistato la Montagna e l'oro custodito al suo interno? No, devono essere fermati qui, o non ci sarà alcuna speranza per i popoli liberi di queste terre.
Malgrado la sorpresa iniziale, sul volto di Bard già contratto dalla tensione calò l'ombra d'una nuova consapevolezza e non trovò nulla da ribattere per contestare la verità portatagli dall'Istar. Eppure, il silenzio non durò a lungo.
– Mithrandir, – lo accolse Thranduil – finalmente. Iniziavo a chiedermi se avresti fatto la tua comparsa, dopo quanto hai messo in moto.
L'allusione all'impresa che il Grigio aveva affidato alla Compagnia di Thorin colse nel segno, ma egli non vi si soffermò, giacché non pareva esservi altro da dire. Invece, dopo un saluto piuttosto spiccio, si fece avanti guardandosi intorno con un'aria quasi stupita.
– Sono giunto più in fretta che ho potuto, ma vedo che vi stavate già preparando al peggio – e nel dirlo i suoi occhi si posarono sulla mappa e le gemme, prima di sollevarlo infine su Katla – ..è merito tuo, immagino. Ma cosa fai qui, giovane Katla? Perché non sei con il resto della Compagnia?
Sentendosi preda di un nuovo disagio per le domande dello stregone, una sensazione che non riuscì a motivare, la ragazza si strinse nelle spalle.
– Thorin mi ha congedata non appena mi sono riunita a loro – gli rispose, cercando di farla breve – ti spiegherò ogni cosa dopo. Tu, come mai hai tardato tanto?
Lo stregone la osservò di rimando increspando le folte sopracciglia al di sotto della falda del cappello, come se stesse ancora decidendo cosa risponderle, ma alla fine lasciò il posto ad un sorriso di circostanza.
– Oh, niente che riguardi ciò che sta accadendo qui – le rispose, prima di aggiungere, vago – ..cose da stregoni.
Katla lasciò perdere, giacché in fondo credeva di ricordare dov'era andato Gandalf e quali fossero gli affari da stregone a cui alludeva, e non era sua intenzione attardarsi su certi argomenti, non in quel momento e non a discapito di questioni ben più urgenti.
– Come intendi procedere domani, Bard? – gli domandò senza preamboli lei, tornando a tali questioni – Tornerai a parlare con Thorin?
– All'alba, con il supporto di Re Thranduil e del suo popolo, tornerò ai suoi cancelli – ribatté quello con rinnovato ardore e determinazione – Di fronte a un tale dispiegamento di forze non potrà che acconsentire alla nostra richiesta. Non potrebbe vincere una battaglia contro un tale esercito.
– Ma questo non lo fermerà! – la voce di Bilbo tornò a spezzare il discorso e tutti i presenti si voltarono verso il drappo lasciato aperto e la figuretta dello hobbit che, riparata dal suo mantello, si stagliava sotto quel diffuso nevischiare. Il suo respiro gli usciva dalla bocca socchiusa in piccole volute di candido fiato.
Tauriel e Legolas si mossero all'unisono, mettendo mano alle loro armi senza tuttavia sfoderarle, giacché erano stati presi alla sprovvista dalla comparsa del mezz'uomo. Neanche loro lo avevano sentito arrivare, a differenza di quando era stato Gandalf a farsi avanti, e questo doveva averli sconcertati alquanto.
– I nani non si arrenderanno, combatteranno sino alla morte per difendere ciò che è loro – continuò il piccolo intruso, facendosi avanti di un passo con ambo le mani sollevate in segno di pace.
Quando la luce gli rischiarò il volto, Kat avvertì il sollievo impossessarsi di lei.
– Bilbo!
Finalmente, ecco l'ultimo elemento del puzzle, il tassello mancante: lo hobbit.
Il solo vederlo le infuse una nuova ondata di coraggioso ottimismo e quasi scoppiò a ridere nel rendersene conto, non sapendo lei stessa come faceva il mezz’uomo ad infonderle tanta forza d'animo con la sua sola presenza.
– Bilbo Baggins – lo accolse con la stessa contentezza Gandalf, andandogli incontro.
Ad un cenno del loro Re, i due elfi si rilassarono e la guardia all'esterno permise al nuovo arrivato di passare. Non appena sotto la tenda, ormai divenuta decisamente affollata per il suo scopo, Kat si ritrovò ad accostarsi all'amico mentre lo stregone gli batteva una mano sulla spalla con evidente compiacimento.
– Se non vado errato – esordì di punto in bianco Thranduil, spostandosi di nuovo verso il suo scranno e tornando a prendervi posto con grazia e regalità, fissando Bilbo con sguardo penetrante – costui è il mezz'uomo che ha rubato le chiavi delle mie segrete sotto il naso delle mie guardie.
Il silenzio imbarazzato che seguì non durò comunque molto, giacché il diretto interessato non si sottrasse a tale responsabilità e fece un passetto avanti, chinando il capo in una riverenza.
– Sì... – ammise, palesemente colto in fallo – ..mi dispiace.
Le sue scuse ed il disagio che tradiva per esser l'autore di un tale smacco per il popolo degli Elfi Silvani fecero sorridere Katla e persino Bard, che tradì un fremito dell'angolo destro delle labbra, al ché la ragazza non riuscì più a trattenersi.
– Sono contenta che tu sia qui, Bilbo! – affermò radiosa – Finalmente potremo dare una svolta alle trattative!
Ma il giovane hobbit la guardò con evidente confusione.
– Cosa vuoi dire?
Avrebbe dovuto essere sufficiente l'espressione sul volto dell'amico perché Kat capisse che qualcosa non quadrava, ma la sua sicurezza per ciò che doveva accadere era tale da farle dimenticare quante altre volte in passato la storia era cambiata sotto i suoi occhi, senza che lei potesse far niente per evitarlo.
– L'Arkengemma – gli rispose, come se fosse ovvio, sempre sorridendo – l'hai portata, no?
– N-no... no, perché avrei...?
Quella negazione balbettante, pregna di stupore e contrarietà insieme, nei modi sempre educati tipici dello hobbit della Contea, incrinò la sicurezza della ragazza, i cui muscoli facciali si congelarono.
– Ma... – Kat tentò ancora, confusa tanto quanto il mezz'uomo – ...ma avevi detto di sapere dell'Arkengemma. Perché saresti venuto fin qui, altrimenti?
– Sono venuto a cercare te.. per parlarti... – le rivelò candidamente lui, guardandosi intorno brevemente in maniera decisamente imbarazzata, prima di continuare – C'è ancora speranza per Thorin, Kat. Sei l'unica ormai a cui darebbe ascolto. Per favore, prova a parlargli un'ultima volta..
Ma Katla, completamente spiazzata, non riuscì ad ascoltarne le parole, sovrastate dall'improvviso brusio che le si era levato nella mente. Un brusio che crebbe d’intensità fino a spazzare via ogni altra percezione, finendo per lasciarla in preda ad un attacco di vertigini e non facendole sentire una sola parola su quanto i nani possano essere testardi e rumorosi, gentili, coraggiosi e leali fin troppo.
Poi tutto ciò cessò e la giovane donna tornò in sé quando una mano delicata ed al contempo concreta le si posò su una spalla. La mano di Tauriel.
Incrociandone gli occhi verdi, la sorpresa si mescolò alla disperazione e Kat ritornò alla realtà.
– Perché non ce l'hai? – domandò a Bilbo, quasi di getto, interrompendolo e tornando a squadrarlo con espressione tesa – Avevi detto che sapevi dove fosse l'Arkengemma.
– B-be', sì.. sì, in effetti l'ho detto – balbettò Bilbo, preso in contropiede, ricambiando il suo sguardo con evidente disagio – ma non intendevo sottintendere di averla con me, o che potessi in qualche modo prenderla.
– Bilbo, – Kat dovette frenarsi dall'afferrarlo per il colletto della camicia – dov'è la Pietra del Re?
– Ce.. ce l'ha il drago.
La risposta inattesa dello hobbit la immobilizzò, contraendole ogni muscolo delle spalle e facendole al contempo spalancare gli occhi grigio-verdi.
– Cosa vuol dire “ce l'ha il drago”?
Gli elfi, l'uomo e lo stregone presenti si guardarono fra loro a quelle parole, ma la ragazza era troppo presa dall'argomento per accorgersene e il povero Bilbo sembrava volersi fare sempre più piccolo ad ogni parola che lasciava la sua bocca.
– Smaug, il drago... sono abbastanza sicuro che l'avesse con sé, quando si è sollevato in volo verso Pontelagolungo – affermò il mezz'uomo, deviando lo sguardo da lei per donare un'occhiata anche agli altri presenti nella tenda, forse in cerca di un qualche sostegno; eppure tutti lo fissavano, chi più e chi meno, con il medesimo sbalordimento ed il povero hobbit si ritrovò a doversi fare forza da solo. Così Bilbo, facendosi coraggio, drizzò le spalle e gonfiò il suo piccolo torace vestito dei suoi consunti abiti da viaggio, prima di proseguire con educata pacatezza – Quando sono sceso nelle sale del tesoro ed ho affrontato la Bestia, egli sapeva che ero venuto per l'Arkengemma. Mi ha detto che me l'avrebbe quasi lasciata prendere, fosse anche soltanto per vedere Thorin soffrire, ma ovviamente così non è stato. Mentre mi inseguiva lui… lui se l’è mangiata. In un sol boccone, mentre tentava di farmi fare la stessa fine, ha finito per inghiottire la pietra.
La ragazza, preda di un'agitazione ed un'ansia nuove ed impetuose, non riuscì più a contenersi e, voltandosi di scatto, prese a misurare a grandi passi la lunghezza del riparo al di sotto della tenda reale sfregandosi al contempo il volto con ambo le mani.
No, non poteva crederci.
La stava prendendo in giro, non poteva essere andata così.
– Temo che il mezz'uomo dica il vero – la placida voce di Legolas infranse il silenzio – la notte in cui Smaug è morto ho visto qualcosa di lucente simile ad un cristallo cadere dal cielo e scomparire nelle acque del lago.
Kat gli riservò un'occhiata in tralice, cercando di capire quanto il dire del Principe del Reame Boscoso fosse attendibile, quindi riprese a camminare su e giù sul terreno battuto.
Come aveva fatto, quella storia, a finire così? Come avrebbero fatto loro, adesso?
– Quindi, la Pietra del Re è perduta nelle profondità del Lago Lungo... – commentò pensieroso Gandalf, il tono basso ed arrochito tipico d'una delle sue rare riflessioni a voce alta.
– Perché era così importante per te, Katla?
Solo la domanda diretta di Tauriel la riscosse, inducendola a fermarsi per voltarsi di nuovo ad affrontare gli astanti. La fredda fermezza sul volto dell'Elfa Silvana la indusse a serrare le labbra in una smorfia di tensione, riprendendo il controllo delle proprie emozioni, prima di risponderle.
– Ho pensato che sarebbe stata utile alla causa degli Uomini del Lago – confessò, scoccando un'occhiata all'erede di Girion e rivolgendoglisi direttamente – Avreste potuto barattarla con quanto vi spetta dell'oro dei Nani di Erebor.
– Una sola gemma, in cambio di una tale somma in oro?
Lei annuì con un cenno del capo, incupendosi in volto, mentre Bilbo si inseriva nel discorso, dandole man forte.
– In effetti, Thorin tiene a quella pietra più che a qualunque altra...
– L'Arkengemma è chiamata la Pietra del Re non a caso – confermò a sua volta lo stregone grigio con cipiglio serio – sarebbe stato davvero un buon piano.
– Non c'è un altro modo? – chiese Bard.
– Qualcos'altro da poter scambiare? – si aggiunse ancora una volta Legolas.
– E se.. se usaste un'altra pietra? Qualcosa di molto somigliante? – intervenne di nuovo lo hobbit.
– No, Thorin non si lascerebbe ingannare facilmente – commentò cupamente Katla, lo sguardo fisso a terra mentre rifletteva a braccia conserte; poi, l'istante seguente, colta da un'illuminazione, tornò a sollevarlo sull'Istar – A meno che... Gandalf, sapresti riprodurre gli stessi giochi di luce dell'Arkengemma?
Lo stregone, preso alla sprovvista, tardò un istante a risponderle, ma un guizzo gli attraversò le iridi grigie.
– Forse... a cosa stavi pensando?


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
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Capitolo 26
*** The Last Hope ***







“All you have done
All you've been fighting for
All you have known
Is covered by falling dew.
[..] No more time now could halt the fall.”
[ The Wolves' Call, Wind Rose ]




L'aria era immota e la bruma mattutina risaliva i fianchi della valle simile a sprazzi di leggiadra ovatta argentata, lungo gli arti rocciosi che dalla Montagna Solitaria si protendevano verso la piana del Fiume Fluente.
La notte era trascorsa rapida durante i preparativi per le trattative con i Nani di Erebor e Kat, per quanto avrebbe voluto trovare il tempo di parlare a Gandalf e Bilbo in privato, quando tutti si erano congedati lei era letteralmente crollata sul tappeto della tenda dalla spossatezza. Si era svegliata soltanto quando Sigrid, mandata dal padre a chiamarla, l'aveva destata da un sonno che l'aveva lasciata del tutto intontita.
Ed era ancora avvolta in quello stato d'intorpidimento mentre, dietro ad Elfi e Uomini, procedeva verso le porte sbarrate del Regno dei Nani. Bilbo era rimasto con loro ed ora le procedeva accanto, mentre lo stregone grigio dall'altro lato faceva rintoccare il suo bastone sul sentiero in pietra, suono quasi del tutto coperto dal rumore di passi dell'armata cui si accompagnavano.
La temperatura quel mattino era particolarmente bassa, di un gelo che faceva tremare la piccola donna nel suo abito da viaggio e tramutava il suo fiato in candide nuvolette di condensa mentre teneva basso lo sguardo, limitandosi ad ascoltare i rumori che la circondavano nel tentativo di soffocare il vortice di pensieri fugaci che le colmava la mente.
La notte precedente lei e Gandalf avevano combinato la loro magia per dare vita ad una finta Arkengemma di ghiaccio e cristallo, seguendo i consigli di Bilbo su dimensione e giochi di rifrazione della luce per ricrearla il più simile all’originale, essendo lo hobbit l'unico fra i presenti ad averla vista abbastanza da vicino.
L'inganno avrebbe funzionato? Non lo sapeva, ma non avevano alternative a quel piano.
Quando l'armata si arrestò dietro ai loro condottieri, il terzetto fece lo stesso e ben presto le voci di Bard, Thranduil e Thorin giunsero sino a loro da oltre la prima fila.
– Un altro passo e la prossima ve la conficcherò in mezzo agli occhi! – stava inveendo il figlio di Thrain, riferendosi alla freccia appena scoccata ai piedi del cervo del Re degli Elfi.
Le voci degli altri nani si levarono al seguito, in incitamenti e altri commenti poco lusinghieri in lingua khuzdul che Kat, per fortuna, non sapeva tradurre.
Il teatrino architettato dal Concilio di Guerra di cui faceva parte ebbe così inizio, eppure la mente della giovane faticò a seguirlo, continuamente distratta da una sensazione di malessere interiore che non sembrava intenzionata a darle tregua. Era una sorta d’irrequietezza, un malcontento la cui origine era troppo profonda perché fosse evidente. Eppure era lì, a dilaniarla da dentro, a fomentare una contrarietà ed un'irritazione crescenti che le si agitavano sempre più pressanti sottopelle.
Gli schiamazzi dei nani della Compagnia cessarono all'improvviso, non appena l'armata elfica rispose alle provocazioni come un sol uomo, incoccando e puntando una moltitudine di frecce verso di loro. Un cenno del loro Re e gli arcieri tornarono ad abbassare le armi, perfettamente in sincrono, in una silenziosa dichiarazione di superiorità militare.
– Siamo venuti a dirvi – esordì Thranduil in quel nuovo silenzio – che il pagamento del vostro debito è stato offerto ed accettato.
Era il momento.
Kat si fece avanti, superando le prime file ed affiancando l'enorme cervo dall’imponente palco di corna del Re degli Elfi ed il cavallo bianco di Bard l'Ammazzadrago. 
L'aveva lei: la copia dell'Arkengemma. 
Avevano stabilito che sarebbe stata più credibile se a presentarla all'interno di una scatolina in legno fosse stata la sua artefice, anziché rischiare di farla sciogliere addosso a Bard, giacché era un artefatto di ghiaccio e vetro e magia di luce quello che avrebbero tentato di spacciare come la Pietra del Re. Ci avevano messo un paio d’ore a crearlo e questo aveva tolto gran parte del tempo che Kat avrebbe dovuto usare per riposare adeguatamente, motivo per cui le era comparso un nuovo paio d’occhiaie sotto i suoi occhi grigio-verdi.
Quando Katla trovò il coraggio di sollevare lo sguardo verso la sommità del muro su cui i nani stavano asserragliati, incrociare quello del Re sotto la Montagna le procurò una nuova fitta al centro del ventre. Negli occhi di diamante di Thorin si susseguirono confusione e sorpresa, mentre sul suo volto lo smarrimento era evidente.
– Costei ci ha fatto dono di ciò per cui siamo venuti sin qui, a nome del Re di Erebor, – proseguì imperterrito il Sovrano di Reame Boscoso – in risarcimento al torto che ci è stato fatto in passato dal sangue del suo sangue.
Le gemme di Lasgalen furono dunque esposte allo sguardo dei nani, giacché era di queste che Re Thranduil stava parlando e non di altro. Sforzandosi di restare impassibile, quasi cupa, Katla distinse la sorpresa accentuarsi sul volto barbuto di Thorin mentre tornava a guardarla. Quando i loro occhi si incrociarono una seconda volta, il nano sembrò esser sul punto di porle una domanda diretta, ma venne interrotto sul nascere dal farsi avanti di Bard.
– Anche noi siamo qui per comunicarti che accettiamo il pagamento del tuo debito – annunciò con voce alta e chiara l'Uomo del Lago, attirando su di sé l'attenzione.
La tensione nel piccolo corpo della ragazza era ormai talmente tanta da renderle difficoltoso ascoltare e respirare al contempo, giacché il brusio all'interno della sua testa si stava facendo insopportabile. C'era qualcosa che le sfuggiva, qualcosa che le impediva di concentrarsi su ciò che stava avvenendo intorno a lei e che le stuzzicava la coscienza.
Quando fu il momento, quasi si lasciò sfuggire la scatola di mano mentre ne apriva il coperchio e lasciava che gli sguardi altrui si posassero sul suo contenuto. Tutti i nani sopra il muro tornarono ad ammutolire, mentre la tensione d'improvviso si fece talmente alta da render l'aria fredda dell'alba densa quanto la gelatina. Sotto quella tensione, Kat deviò meccanicamente lo sguardo verso la propria destra e finì per intravedere, con la coda dell'occhio, una chioma ramata. 
Il ricordo della conversazione avuta con Tauriel il dì precedente le tornò alla mente.
Quindi hai preferito rinunciare.
Sì, comprese finalmente, era vero: con la scusa che la storia come lei la conosceva era già stata scritta, aveva rinunciato a lottare. Quando era giunto il momento del confronto, aveva avuto paura e si era tirata indietro anziché provare a farsi ascoltare da lui.
Era questo a causarle il senso di insoddisfazione che la tormentava da tutta la mattina.
– ...non ci credo!
– Come faceva ad averla lei?
– L’ha rubata!
– Kat! Come hai potuto?!
Katla sussultò meccanicamente, tornando bruscamente al presente mentre i nani, sentendosi presi in giro, la additavano da oltre la merlatura in pietra in preda ad un impeto di rabbia che le fece guadagnare qualche epiteto poco carino.
– Nulla è stato rubato dall'interno della vostra Montagna! – esclamò l'Uomo del Lago in sua difesa – Questa pietra è stata trovata presso la città distrutta di Pontelagolungo. Il drago la portava con sé, quando l'abbiamo abbattuto!
– Come potremmo credervi?! – sbottò, altrettanto bruscamente Thorin, rivolgendo a tutti loro uno sguardo torvo, prima di scuotere il capo incoronato – ..è una menzogna! L'Arkengemma è ancora all'interno di questa montagna!
– No, Thorin... – intervenne Bilbo che, fattosi avanti, era appena passato oltre la prima fila di soldati e si stava accostando, con espressione contrita, a Kat – ...non è più lì dentro sin da quando Smaug ha preso il volo. Io stesso ho visto l'Arkengemma lasciare la Montagna.
Un nuovo silenzio prolungato e pesante, una pausa di sbigottimento e riflessione per i nani di Erebor, che non vennero però lasciati a lungo in quello stato, giacché il piccolo hobbit aveva altro da aggiungere.
– E, francamente, non pensavo avreste dubitato tanto facilmente d’una vostra leale compagna... non è da voi.
Il magone che Kat sentiva serrarle il petto allentò la sua presa a quelle ultime parole, alleviato dal sollievo e dalla commozione provocatele da quella prova di sincera amicizia da parte di Bilbo. Scambiando con lui uno sguardo ed un mesto sorriso di ringraziamento, nel suo petto ella sentì sbocciare una nuova sensazione indistinta, che le fece ritrovare il coraggio di sollevare gli occhi grigio-verdi verso i nani sopra il muro. Molti di loro abbassarono gli sguardi, non riuscendo a sostenere il suo.
No, decise trattenendo il respiro nei polmoni, non avrebbe gettato la spugna. Non avrebbe permesso che il corso della storia che stava vivendo proseguisse oltre, su quella strada. Bilbo credeva in lei ed in Thorin, era giunto il momento di non farlo attendere oltre.
Non si sarebbe piegata al destino, al fato, ai Valar o finanche allo stesso Eru.
Era giunta nella Terra di Mezzo per aggiustare le cose, questa volta avrebbe scelto lei quali.
Passò quasi d'impeto la scatola con l'Arkengemma ghiacciata allo hobbit, colpendolo inavvertitamente al petto con quel gesto, prima di serrar i pugni lungo i fianchi e fare un passo avanti. Schiena dritta, spalle larghe e naso all'insù, rivolse la sua più completa attenzione al nano dalla chioma corvina ancora affacciato al parapetto, puntandogli addosso uno sguardo tanto intenso quanto fermo.
– La restituzione della Pietra del Re, in cambio di ciò che il Re ha promesso agli Uomini del Lago! – esclamò, riportando l'attenzione di tutti sullo scambio – Questo è ciò che ti viene proposto qui, quest'oggi.
– Perché dovrei cedere ad un ricatto.. ricomprare quel che era mio di diritto?!
– Perché hai dato la tua parola e non hai altra scelta, Thorin! – Kat quasi si sentì incrinare il respiro, mentre l'ombra di un sorriso che era d'incoraggiamento e, al contempo, contrizione le tendeva le labbra – Ti prego, Thorin... fai la scelta giusta. Non inaugurare il tuo regno con una guerra inutile. Non versare il sangue di coloro che potrebbero esserti amici ed alleati dinanzi alle tue porte.
– Tu... – l'erede di Durin anche dai metri di distanza a separarli parve turbato, inquieto sopra le mura, cupo come non mai – ..non parlarmi come se fossi niente più che Thorin Scudodiquercia... – e poi il suo volto, il suo stesso tono, tornarono duri come il diamante e la sua voce si levò alta e roca nell'aria del mattino – IO SONO IL RE SOTTO LA MONTAGNA!
E Katla, ormai al limite, cedette.
– MA IO AMO THORIN SCUDODIQUERCIA!
Lo aveva urlato a pieni polmoni, ma se ne rese conto soltanto dopo, giacché la sua voce rimbalzò sulle rocce e si disperse nell'aria del mattino. L'impeto che l'aveva travolta le riempì gli occhi di lacrime e quasi se ne sentì soffocare, mentre i sentimenti che per mesi si era portata dentro trovavano una breccia nelle sue stesse difese e sgorgavano pari ad un fiotto di sangue attraverso una ferita aperta.
Il nano a cui quelle parole erano state rivolte si fece di pietra, così come parvero tramutarsi in statue tutte le anime che popolavano la vallata.
– RIDAMMELO! RIDAMMI IL MIO THORIN!! – continuò incurante Kat, sovrastando con la propria voce persino lo scroscio del torrente.
Come fuoco liquido le lacrime le scivolarono sulle gote, sfuggendo alle ciglia e rigandole la pelle già arrossata. Attraverso il suo sguardo offuscato vide Thorin guardarla come se non la riconoscesse, come se non sapesse nemmeno di cosa stesse parlando, ed in quel silenzio attonito della durata di pochi, interminabili secondi, ella sentì il proprio cuore andare in mille pezzi.
Non era riuscita a raggiungere il suo animo nemmeno con quell’ultima confessione.
Quando una mano si posò sulla sua spalla ella sussultò e, voltandosi a guardare chi si era permesso tale gesto, riconobbe l’alta figura di Gandalf ed un nodo le si serrò in fondo alla gola. Vi era pena nei suoi occhi, un'emozione che non fece altro che farla sentire peggio di quanto già non fosse.
– No.. – gemette fra sé e sé – ..no, mi rifiuto...
Non si sarebbe arresa, non di nuovo. Non con lui.
Tornò a sollevare lo sguardo verso le mura ed il Re dei Nani e, nonostante l'acqua a colmarli, nei suoi occhi tornò vivo il fuoco che l'animava.
– Non intendo gettare la spugna con te! – gli inveì contro, scrollandosi al contempo la mano dello stregone di dosso e tornando a fare un passo avanti. Tremava, ma era per la tensione che la pervadeva da capo a piedi, mentre continuava a gridargli tutta la sua frustrazione e la sua determinazione – Io credo in te, Thorin! So chi sei! Questo non sei davvero tu! Torna in te! – la gola le pizzicava per lo sforzo e quasi incespicò, ma non abbassò più lo sguardo – Sei migliore di così! Tu.. che state facendo?
Un paio di braccia le si erano serrate intorno alle spalle, mentre delle mani la tenevano stretta, trattenendola dall'avanzare e tirandola al contempo indietro. Voltandosi a guardare chi stava osando interromperla, alla vista degli uomini che la stavano trascinando di nuovo fra le loro fila una nuova furia divampò nel suo animo, come una fiamma su una chiazza d’olio.
– Lasciatemi... lasciatemi! No! LASCIATEMI, HO DETTO!! THORIN!!
Eppure, nonostante le sue vive proteste e persino alle voci che si levarono in suo favore dai nani di Erebor, venne trascinata di nuovo fra le prime file dell'armata e lì trattenuta con la forza, nonostante gli strattoni che ella tentò di dare per liberarsi dalla morsa altrui.
La trattativa, interrotta sino a quel momento, venne ripresa dallo stesso Gandalf.
– Non stai facendo certamente una splendida figura come Re sotto la Montagna. Dico bene, Thorin, figlio di Thrain?
– Mai più farò accordi con gli stregoni! – ribatté iroso il diretto interessato, prendendo ad aggirarsi come una fiera in gabbia sulle alte mura della porta. Sembrava combattuto, dilaniato dall'indecisione e da un tormento senza nome.
Agli occhi chiari di Kat, Thorin si rivelò in tutto il suo complesso conflitto interiore, come se il suo vecchio io lottasse con la stessa follia che aveva offuscato la mente di suo nonno prima di lui. Vederlo così le procurò una nuova dolorosa morsa al centro del petto e le forze che fino a poco prima l'avevano animata si dissiparono.
– Qual è la tua risposta? – vociò Bard ancora una volta – Onorerai la tua parola, Re sotto la Montagna?
Katla tremava. Aveva sbagliato a ideare quello stratagemma, a far tornare alla luce l'Arkengemma, giacché era da quando gli occhi del nano che amava si erano posati un'ultima volta su quel tesoro che in essi l'ombra della Malattia del Drago s'era inspessita. Eppure, per un attimo, doveva aver fatto breccia fino al suo animo con le sue parole. Doveva!
– Thorin, – di nuovo Gandalf – deponi le armi. Apri queste porte. Questo tesoro comporterà la tua morte!
Di nuovo un’incertezza, di nuovo uno sguardo verso oriente.
Thorin stava sperando nell'arrivo di Dain.
– Cosa scegli? – ancora l'Uomo del Lago, dando voce alla propria impazienza – Sarà pace o guerra?
Fu a quel punto che Bilbo le si avvicinò preoccupato. Aveva ancora la scatola con la gemma fra le mani e Kat agì d'impulso.
Avrebbe rischiato tutto, decise.
Con un movimento rapido e fluido si liberò delle mani che, nell'attesa, si erano allentate sulle sue spalle ed al contempo, con un unico gesto, sottrasse il mazzapicchio all'uomo a lei più vicino. L'arma era rozza, eppure era anche meno pesante di quanto si sarebbe aspettata, ma non si soffermò su quel pensiero e si voltò verso lo hobbit. Nell’appropriarsi della finta Arkengemma, Bilbo venne colto da un sussulto, ma ella non vi prestò attenzione ed ignorandone la confusione si lanciò in avanti, calcando il ponte di pietra che univa Erebor alla Valle di Conca con ampie e rapide falcate. Si fermò al centro di questo e con decisione sollevò di nuovo la pietra alla luce del giorno.
– Thorin!! – esclamò, attirando ancora una volta l'attenzione di tutti su di sé.
Il sole ormai stava sorgendo ed i suoi raggi ne illuminarono il profilo, rifrangendosi all'interno del cristallo che reggeva fra le dita. Il suo volto era un'espressione di seria risolutezza.
– Non lascerò che questa dannata pietra ti corrompa l'anima!
Qualcuno alle sue spalle chiamò il suo nome, ma ella ancora una volta non vi fece caso ed appoggiò rapidamente la finta Arkengemma a terra, dinanzi a sé. Impugnando poi il mazzapicchio con ambo le mani, tornò soltanto un attimo a sollevare lo sguardo verso l'alto, rivolgendo il volto ancora arrossato e rigato di lacrime all'erede di Durin ed ai suoi compagni. Thorin, sportosi attraverso la massiccia merlatura in pietra, la guardava con occhi sbarrati, ammutolito.
– Non farlo!
– No, Kat!
– Fermatela!
La ragazza abbatté la testa di pesante ferro del mazzapicchio sulla finta Arkengemma, sotto gli sguardi attoniti dei presenti, con tutta la forza di cui era capace, ed il rintocco cristallino che scaturì dall’infrangersi della magia, unito al pesante tonfo del metallo sulla pietra, colmò l'aria immota.
Due secondi dopo, con le braccia tremanti per lo sforzo, Katla risollevò l'arma, rivelando sotto di essa una serie di finissime schegge di cristallo morente: l'incantesimo racchiuso al loro interno andava lentamente scemando.
Ansimando, la fautrice di quell'opera di distruzione sollevò lo sguardo e vide coi propri occhi il volto di Thorin mutare in una maschera di cinereo sconvolgimento. Il suo ultimo inganno aveva dunque attecchito.
– Che tu sia maledetta.. – soffiò il Re sotto la Montagna, prima di esplodere – ..che lo siano tutte le Stirpi degli Uomini!
La guardava con un astio tale che Kat sentì l'ultimo fioco barlume di speranza dentro di lei spegnersi e farsi nero quanto e più del colore delle piume del Corvo Imperiale che, in quel momento, planò verso le mura e si appollaiò su di esse, proprio accanto a Thorin.
E le parole che questi rivolse loro subito dopo risuonarono cupe quanto il canto stesso della morte.
– Sarà guerra.


Quando Dain comparve con la sua armata di Nani dei Colli Ferrosi, Uomini ed Elfi erano ancora lì che cercavano di capire cosa fosse appena accaduto. Kat era di nuovo stata trascinata da parte dagli uomini di Bard e quest'ultimo, smontato di sella, stava avendo una discussione con la piccola donna e lo stregone, quando Bilbo li raggiunse.
– Si può sapere perché l'hai fatto?! – le stava inveendo contro – Era una tua idea quella della gemma!
– Calmiamoci tutti – gli rispose Gandalf tentando di rabbonirlo, lanciando occhiata alla ragazza subito dietro di lui – Sono certo che ci sia un'ottima spiegazione.
Bilbo aveva già capito cosa aveva spinto la sua amica ad agire in quel modo e se ne sentiva in qualche modo responsabile, perché era ciò che aveva intimamente sperato che facesse, ciò per cui era venuto a cercarla la sera prima. Il lieve senso di colpa che provava al riguardo era dovuto alla reazione di Thorin, diametralmente opposta a quella che lui aveva sperato di vedere.
Stava per intervenire a sua volta in favore della sua giovane compagna di viaggio quando il suono d’un corno da guerra si levò sulle rocce, riecheggiando nella Valle di Conca.
– Che cos'è? – si ritrovò a chiedere, col cuore in gola.
– Sono i Nani dei Colli Ferrosi – mormorò Kat, in un tono mortalmente pacato – Sono arrivati.
Bard con un'imprecazione salì di nuovo sul suo cavallo, mentre l'armata degli assedianti si voltava verso Est e si ridisponeva per accogliere i nuovi arrivati, e persino Gandalf si avviò dietro a Thranduil e l'Ammazzadrago con un'espressione tesa sul volto rugoso.
Bilbo invece, gettando un'occhiata a Katla, vedendola fissare il terreno con aria tanto avvilita, non se la sentì di lasciarla indietro e rimase con lei, mentre l'esercito tornava a schierarsi. Persino dalla loro posizione retrocessa, lo hobbit riuscì a distinguere sulle spalle dei nani abbigliati per la guerra dei grossi carichi: voluminosi zaini da viaggio colmi di provviste. Le loro armature scintillavano sotto i raggi obliqui del sole del primissimo mattino.
– Bilbo…
Come ella chiamò il suo nome, lui sorpreso tornò a guardarla e notandone l’abbattimento sul suo viso se ne sentì terribilmente colpevole.
– ...mi dispiace. Non ce l'ho fatta, – mormorò quella donandogli un sorriso carico di rimpianto – non l'ho raggiunto.
Lo hobbit a quelle parole si ritrovò a serrare le labbra in una delle sue smorfie tese e pensierose al contempo, mentre cercava le parole giuste da rivolgerle. Alla fine, come per la maggior parte delle volte precedenti, optò per lasciar spazio all'improvvisazione.
– Io invece non credo – esordì, prima di spiegarsi – Sono certo che almeno una delle cose che hai detto lo ha colpito, arrivando al vero Thorin.
E ne era sinceramente convinto, giacché era riuscito a scorgere un cambiamento impercettibile nel figlio di Thrain, una sfumatura che ai più doveva essere sfuggita e persino a Kat, troppo presa dalle emozioni che stava esprimendo in quel suo particolarissimo ed impulsivissimo modo.
Si sentì meglio non appena l'amica gli concesse un debole sorriso meno sofferto, ma poi la loro attenzione venne attirata dalla voce di Dain, portata loro da una lieve brezza, alta ed aspra, e sprezzante quanto può esserlo un Nano di fronte ai suoi nemici.
– ..chi siete voi, che sedete in questa pianura dinanzi a mura difese? Fatevi da parte, cosicché noi si possa ricongiungerci ai nostri consanguinei nella Montagna!
La risposta che gli venne data si perse nel brusio generale che si levò dagli uomini intorno a loro e Bilbo, inarcando un sopracciglio, non riuscì a scorgere bene la figura dinanzi al massiccio drappello di nani che scendevano intanto l'altura, muovendosi dall'altro lato del fiume.
– ..chi è? – gli venne automatico domandare.
– Quello è Dain, cugino di Thorin – gli rispose la Piccola Furia, senza ombra di entusiasmo nella sua voce. Una breve pausa e poi lei, come rianimandosi, lo prese per un braccio e si mosse in avanti – Vieni, passiamo avanti. Dobbiamo fare qualcosa.
Sorpreso ma non contrariato, lo hobbit si ritrovò insieme a Kat a farsi largo fra le file di Uomini ed Elfi armati, sgusciando fra loro grazie alla loro altezza ridotta, lui più facilmente di lei, ed erano quasi sopraggiunti fra le prime file quando, d'improvviso, la luce del giorno nascente venne oscurata ed un rombo lontano, un tuono che scosse la terra stessa sotto i loro piedi, rimbombò sulle loro teste.
Fermandosi per lo spavento, Bilbo nel sollevare lo sguardo al cielo lo vide improvvisamente coperto da nubi del colore del piombo ed un vento teso, quasi di tempesta, scivolò gelido nella valle facendogli nascere un brivido per tutto il corpo.
– Sono qui – ansimò la voce di Katla davanti a lui.
– Chi?
– Gli Orchi.
Dopo quelle due parole, la terra venne scossa da un tremito molto più intenso del precedente e sul versante sud-orientale si aprì una voragine dalla quale venne vomitata una creatura da incubo: un'enorme verme con mandibole tanto forti da stritolare la roccia come se fosse zucchero. Il Mangiaterra, così erano chiamate quelle primordiali creature, scomparve subito dopo, tuffandosi nel terreno come una serpe si rituffa nell'erba alta, e dalla nube di polvere che si lasciò dietro, dalla galleria presero ad uscire strepitanti orde di Orchi e Mannari Selvaggi, mentre già in lontananza risuonavano nel vento gli echi dei Pipistrelli Giganti. 
Fu così che l'ultima delle cinque armate giunse alle pendici di Erebor e la celebre Battaglia dei Cinque Eserciti ebbe inizio.


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
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[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

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Capitolo 27
*** The King Beneath the Mountain ***






“The fallen reign of the dwarves
glows like embers under the stone,
buried and maybe forgotten
but still burning on.”
[ The King Under the Mountain, Wind Rose ]




Katla affondò la propria spada nel corpo dell'ultimo orco che aveva osato attaccarla con tanta leggerezza, liberandola poi con uno strattone che provocò un rantolo di dolore nella perfida creatura. Come il nemico si accasciò al suolo, andando ad unire il suo sangue nero a quello di molti altri sventurati prima di lui, la ragazza digrignò i denti ed affrontò quello seguente.
Al suo fianco combatteva uno dei nani dei Colli Ferrosi mentre dietro di lei un paio di elfi scoccavano frecce, offrendole un poco di copertura.
Aveva perso di vista Bilbo subito dopo il primo assalto e Gandalf, che pure non era stato troppo distante fino a pochi minuti prima, non poteva aiutarla, così il suo spirito di sopravvivenza le era corso in aiuto mentre prendeva parte alla battaglia.
La Montagna Solitaria svettava immutata, impietosa, dietro di lei, con le sue porte sbarrate da quel muro che era stato eretto da pochi giorni, e Kat si ritrovò a chiedersi per l'ennesima volta dove fossero i suoi amici e compagni, ma soprattutto dove fosse Thorin: se sarebbe uscito in tempo dalla sua roccaforte, o se l'avrebbe fatto quando lei ormai era già esanime a terra, insieme a tanti altri corpi anonimi dilaniati dall'acciaio orchesco.
La battaglia non era iniziata da molto, seppur ella non sapesse dire quanto tempo fosse trascorso da quando il vero nemico era emerso dalle profondità della terra e si era scagliato contro le armate di Elfi, Nani e Uomini, ma già iniziava a sentir male ai muscoli delle braccia ed incespicava sempre più spesso, mentre veniva spinta sempre più indietro dalla foga degli orchi.
Aveva caldo, tremava, le bruciavano i polmoni e le lacrimavano gli occhi per la polvere ed il sudore, ma strinse i denti e serrò la presa sull'impugnatura della propria lama elfica, ignorando la sensazione viscida del sangue nero sulle mani. 
No, non poteva continuare così ancora a lungo.
Fu a quel punto che, disimpegnandosi grazie all'aiuto di un alleato, fece qualche passo indietro ed abbracciò i dintorni con lo sguardo, alla febbrile ricerca d’una figura slanciata in particolare.
– LEGOLAS! – urlò con quanto fiato aveva in gola – LEGOLAS!!
Poi fu costretta a tornare a combattere per difendere la propria vita, ma riuscì ad evitare l'affondo della lama arrugginita dell'orco urlante che le si era scagliato contro con un rapido scarto di lato, colpendolo poi con un rapido e letale fendente dietro la nuca.
La testa della creatura rotolò via e per un solo primo istante la sensazione che le risalì lungo le braccia nello squarciare di netto pelle, muscoli ed ossa, le procurò un brivido d'orrore che la sua mente represse con forza, grazie a quello stesso istinto di sopravvivenza che la sosteneva con crescente disperazione.
– LEGOLAAAS!! – chiamò di nuovo, verso i lati della mischia.
L'ennesimo orco, con un ghigno bestiale stampato sul volto bitorzoluto, attirato dalla sua voce non perse tempo e la caricò, ma non fece in tempo a raggiungerla che una freccia ben assestata gli trapassò il cranio privo di elmo e lo fece crollare esanime a terra.
L'istante seguente il figlio di Thranduil comparve al suo fianco, mentre al suo arco altre due frecce erano già incoccate e destinate a mietere vittime nel giro di pochi secondi.
– Ti farai uccidere se continui così! – la redarguì, come infastidito, l'elfo.
A differenza di lei, il Principe di Reame Boscoso era decisamente meno provato dalla battaglia, almeno all'apparenza, dato che poche gocce di sangue orchestro erano riuscite a macchiargli le vesti, e la chioma biondo platino era perfettamente in ordine, raccolta in una coda bassa dietro la schiena.
Sollevata di vederlo Katla quasi sorrise, pur rimanendo vigile come lui alle immediate vicinanze, pronta ad affrontare chiunque le si fosse scagliato contro ancora una volta. Eppure ci pensò il nuovo venuto ad aiutarla a trovare il tempo per parlargli, scagliando un'altra serie di frecce prima di sguainare la spada di Gondolin che aveva con sé.
– Legolas, devi andare da tuo padre e dirgli di iniziare l'attacco a Collecorvo! – esclamò a quel punto la ragazza, gettandogli un'occhiata in tralice – Il generale nemico è lassù: se vogliamo vincere la battaglia è l'unico modo!
– Non riusciranno a farsi strada fin lassù con quest'armata! – ribatté l'altro, abbattendo un altro nemico.
Lei si scagliò su un orco che stava per affondare la sua lama sulla spalla del Principe, deviandone l'attacco con una smorfia e sferrando un calcio per mandarlo a terra, approfittando del suo stesso slancio.
– Sì, invece, se seguirà il piano! Fra poco avrà la sua occasione, ma non deve esitare o sarà tutto inutile! – ribadì, voltandosi brevemente verso di lui – Digli che è tempo che onori la sua parte dell'accordo e che io non mancherò! Ci vedremo là!
Legolas, dopo essersi liberato dell'ennesimo avversario, ricambiò il suo sguardo e, pur non lasciando trasparire da di esso alcuna emozione, annuì.
– Farò come vuoi – le assicurò – e mi assicurerò che i rinforzi giungano in tempo.
Katla mosse il capo in segno d'assenso e finalmente si permise un vero sorriso, prima di ricordarsi della spada che Legolas ancora impugnava.
– ..E da' a me Orcrist!
Il Principe inarcò un sopracciglio, deturpando l'aggraziata stoicità dei suoi fini lineamenti con una nota palesemente contrariata, ed in un'altra situazione Kat avrebbe riso della sua espressione, ma la necessità e la gravità degli eventi le pesavano addosso come macigni.
– Era parte dell'accordo: Thranduil ha perso la scommessa e mi serve la Fendiorchi! – insistette lei, lasciando trasparire le emozioni che la stavano divorando dall'interno, giacché era indispensabile per lei riportare la spada di Gondolin al suo precedente detentore, se il suo piano voleva avere una qualche speranza di riuscita.
Legolas indugiò un istante, ma poi parve convincersi ed estraendo la lama elfica dal fodero, passò Orcrist alla piccola donna al suo fianco.
– Spero che, qualunque cosa tu abbia architettato, funzioni. Quel marth.[1] – le disse soltanto, in ultimo, prima di allontanarsi, scomparendo in un paio d’istanti fra la massa brulicante del campo di battaglia.
Kat non ebbe il tempo di osservarlo andarsene, giacché fece appena in tempo ad infilarsi Orcrist in cintura prima di tornare a combattere. Indietreggiò colpo dopo colpo, cercando di avvicinarsi all'accesso principale della Montagna Solitaria, ma le ci vollero più tempo ed energie del previsto, giacché non riusciva a fare un passo senza che qualcuno o qualcosa attentasse alla sua vita, fosse anche solo qualche cadavere abbandonato al suolo.
Fu a causa di una testa mozzata che, infine, mise un piede in fallo: appena vi appoggiò inconsapevolmente la suola dello stivale quella rotolò via. Sbilanciata all'indietro, cadde di schiena ed il panico le attanagliò il petto in una morsa quando, con occhi sbarrati, scorse il suo ennesimo assalitore levare la sua arma verso il cielo, pronto ad aprirle uno squarcio nel petto.
In un istante, Kat si ritrovò catapultata nel passato, a quando si era ritrovata nella stessa posizione e davanti a lei Thorin la perforava con quel suo sguardo penetrante ed accusatorio mentre la sgridava aspramente, ed un doloroso nodo le strinse la gola a quel ricordo.
Alla fine, l’erede di Durin aveva avuto ragione: sarebbe morta in quel modo, dopotutto... avrebbe fallito.
S'era già data per spacciata quando, inaspettatamente, una spessa freccia dalla punta in nero metallo scintillante trapassò il cranio dell'orco prima che quello potesse raggiungerla, facendolo crollare ai suoi piedi ed infrangendo la bolla di disperato sconforto che l'aveva avviluppata.
Senza fiato, Katla tornò presente a sé stessa e si sollevò in piedi di scatto, l'arma ancora in pugno ed ogni senso amplificato dall'adrenalina che le scorreva in ogni recesso del suo corpo, mentre si voltava a guardare dietro di sé. Sbarrò gli occhi chiari nel rendersi conto che era infine giunta proprio davanti al muro eretto dai nani di Erebor e che dalla sommità di questo, oltre il fossato colmo d'acqua gelata, alcune teste spiccavano fra le massicce merlature, fra cui il capo bruno di Kili, con l'arco in pugno ed una nuova freccia già incoccata.
– Kat! – la sua voce la raggiunse nel clangore della battaglia, unita a quella degli altri, che la chiamavano a loro volta – Afferra questa!
L'attimo dopo la seconda freccia nanica fendette l'aria, andando a conficcarsi nel terreno accanto ai suoi piedi con quella che era una corda intrecciata legata alla sua estremità. La fune si tese e la ragazza, dopo una rapida occhiata alle proprie spalle, serrando le labbra in una smorfia tesa, l’afferrò e se l’arrotolò intorno al braccio con un rapido gesto. Quindi sferrò un nuovo calcio per allontanare un ultimo orco che si era fatto strada sino a lei e, trattenendo il respiro, si lanciò nel vuoto, mentre i nani dalle mura tiravano con tutta la loro forza. 
Katla chiuse brevemente gli occhi mentre si sentiva sballottare e sollevare in aria, ma si tenne con tutte le proprie forze ed in pochi secondi più di un paio di mani la issarono sulla cima, portandola al riparo dei grossi blocchi di pietra.
Sorreggendosi a malapena sulle proprie gambe, la giovane si ritrovò stretta nel caldo e familiare abbraccio di Fili e Kili e nel suo campo visivo entrarono i volti di Bofur, Ori, Gloin, Balin e Dwalin, mentre veniva sommersa dal vociare concitato dei nani ivi raccolti ed intenti a fissarla con identiche espressioni ansiose.
– Come stai?
– Che spavento ci hai fatto prendere..
– Sei ferita?
– Sei salva, Piccola Furia.
– Ci è mancato poco stavolta, ragazza.
Kat se ne sentì stordita, ma anche rassicurata e non poté impedire alle lacrime di salirle copiose agli occhi, tanto da rompere gli argini e colarle dalle ciglia scure, andando a mischiarsi alla sporcizia che le imbrattava la pelle.
Era al sicuro. Era di nuovo fra i suoi compagni.
E loro la volevano ancora fra loro, nonostante tutto.
Si aggrappò ai due figli di Dìs con un braccio per uno, stringendoli a sua volta ed affondando il volto sulle loro spalle vicine e le chiome riverse su di esse, mentre tentava di soffocare un tremito sempre più diffuso. Tremito che venne soppresso dalla stretta dei nani racchiusi nel suo abbraccio, i quali la cinsero ancora più forte, intuendo il suo bisogno di conforto e sostegno.
Aveva avuto una paura tremenda.
Il loro calore le penetrò attraverso le vesti e la pelle, raggiungendo i suoi muscoli tesi e doloranti e infondendole un sollievo che le permise finalmente di respirare, ma Kat si concesse un solo minuto per crogiolarsi in quella fantastica sensazione, prima di ritrovare la propria forza d'animo e ricordarsi che la sua battaglia non era ancora finita. Così, a malincuore, allentò la presa sui loro colli e fece un passo indietro, incontrando gli sguardi preoccupati dei due fratelli e dei nani alle loro spalle. C'erano tutti, si rese conto, scorgendo i volti dei dodici nani asserragliati sul camminamento di pietra. Tutti tranne uno.
– Dov'è Thorin? – chiese, osservando con gli occhi lucidi i più vicini e finendo per soffermarsi su Dwalin.
Il nano dal capo tatuato deviò lo sguardo da lei, assumendo un'espressione cupa che era la gemella di quella degli altri.
– Da qualche parte, là dentro – le rispose con un tono sconfitto, addolorato, alludendo alle sale che si estendevano all'interno della montagna.
Serrando le labbra in una smorfia piatta, Kat annuì, quindi si spazzò il volto con un gesto della mano per asciugarsi le lacrime e tornò a sollevare uno sguardo carico di determinazione verso l’interno della montagna. Kili, ancora fermo al suo fianco, le toccò una spalla e lei, incrociando i suoi occhi, scorse una scintilla di speranza unita ad una nota interrogativa che non osò esprimere a voce, ma che la giovane comprese perfettamente.
Gli sorrise, muovendo il capo in un leggerissimo cenno d'assenso, quindi tornò a rivolgersi a Dwalin, che non aveva ancora sollevato il capo.
– Portami da lui, Dwalin.
Il nano tornò a scrutarla con i suoi occhi scuri e cerchiati e parve accusare una certa sorpresa per quella richiesta, ma dopo un istante andò ad annuire con un cenno ed a farle strada. Non sapeva cosa quella piccola donna avrebbe potuto fare per il suo Re, ma, per quanto ormai avesse perso ogni speranza di riavere indietro il suo migliore amico, l'avrebbe accontentata ancora una volta.


Thorin era solo nella grande sala, eppure non lo era davvero.
Si stagliava in piedi sopra il pavimento totalmente ricoperto d'oro ormai freddo e solido, con la mente assalita da immagini e voci d’un passato confuso e vivido, che andava riflettendosi in ogni riverbero del prezioso metallo e riecheggiava in alto, sino al soffitto puntellato dalle imponenti colonne scolpite nella pietra dai suoi avi. Il suo animo era tormentato, sconvolto, preda di un conflitto interiore che soltanto un occhio familiare avrebbe potuto distinguere dal delirio di un folle. 
Il capo gli pesava, gli girava sotto la massiccia corona d’oro brunito di suo nonno, ed il pavimento sotto di lui scintillava ed ondeggiava sinistro, infido ad ogni suo passo strascicato. Era sordo e cieco a ciò che lo circondava ed al tempo stesso poteva vedere sé stesso perdersi, scivolare ed incespicare fra dune dorate in continuo movimento, sempre più alte, come onde di tempesta.
E quelle voci…
Frasi di un passato che mai avrebbe potuto dimenticare, parole che lo avevano segnato dentro, avevano scavato un solco nel suo animo inconsapevole e lo avevano plasmato, forgiato e temprato come può fare soltanto il martello nanico sull’acciaio di una spada. Affermazioni che gli si accavallavano di continuo nella mente, si contorcevano e si susseguivano senza logica alcuna, implacabili come la battaglia che Thorin Scudodiquercia stava combattendo contro il veleno che lo stava corrodendo da dentro: la Malattia del Drago.
“..una verde pazzia è radicata in profondità in quella famiglia.”
“Io non sono come mio nonno..”
Eppure si era comportato come lui.
“Questo tesoro comporterà la tua morte!”
“Mai più farò affari con gli Stregoni!”
Eppure era grazie allo Stregone che il suo destino aveva preso una svolta.
Soltanto grazie a Gandalf aveva conosciuto lei.
“Non parlarmi come se fossi ancora Thorin Scudodiquercia...”
“Ma io amo Thorin Scudodiquercia!”
Sull’eco della voce disperata di Katla, il mare in cui era mutato il pavimento d’oro si richiuse infine su di lui in quella visione ad occhi aperti e Thorin venne scosso da un tremito profondo ed ancestrale, nato dal suo stesso istinto di autoconservazione. La vita stessa lo richiamò indietro dal profondo buco oscuro in cui il suo io era precipitato e lo investì, e Thorin rispose, riaffiorando in sé e tornando a percepire finalmente la realtà così come era. Rivide la grande sala immota e silente intorno a lui, cupa e solida, malgrado le crepe aperte dal drago durante il loro ultimo scontro. Udì il crepitare lontano dei bracieri accesi e l’affanno del proprio respiro perdersi nel silenzio antico di quella che un tempo era stata la sua casa. Percepì con impressionante nitidezza l’aria immota, la densità stessa della pietra e persino il bagliore dei fuochi sul pavimento, mentre al contempo la corona sul suo capo si faceva solida ed opprimente come piombo.
Fu così che Thorin Scudodiquercia tornò in sé e sconfisse il male che aveva afflitto la sua famiglia sin dall'ultimo Re sotto la Montagna, Thror.
Un Re le cui orme lui non era intenzionato a seguire.
Ridestatosi dall'incubo, gettò a terra la corona dei suoi avi ed essa andò a rintoccare con un sonoro clangore metallico sul pavimento, sancendo la fine di quella follia che lo aveva soggiogato sin da quando aveva messo piede dentro quella montagna.
Con l'amaro in bocca e l'animo ancora in tumulto a causa del rimorso che audace s’era subito ridestato in lui, Thorin si voltò e fu allora che si rese conto di non esser più solo.
Come i suoi occhi incrociarono quelli di lei, il pavimento sotto i suoi piedi parve scuotersi ed il suo cuore tremò, ritrovandosi a scrutare l'unico volto che non credeva avrebbe rivisto, non lì e non in quel momento.
Era Katla la presenza che, in piedi ad una decina di metri da lui, stava ricambiando il suo sguardo, e Thorin finalmente la vide, la vide davvero, per la prima volta da quando l'aveva lasciata alla città di Pontelagolungo. Aveva gli abiti logori e segnati dalla battaglia in corso, il viso segnato da polvere e lacrime ed i capelli scuri scarmigliati, ma lui non l'aveva mai trovata così bella come in quel momento.
Ed il suo corpo si mosse da solo.
Il primo passo fu incerto, ma il secondo aveva già una falcata più ampia, il preludio di uno scatto più deciso. Le corse incontro e lei lo imitò, cosicché gli bastò bruciare poco più della metà della distanza iniziale per arrivare a stringerla fra le braccia. L'accolse nel proprio abbraccio mentre lei gli si gettava di slancio al collo, stringendola a sé con tutta la disperazione ed il sollievo che covava in petto ed affondando il volto nella sua folta chioma castana. Si aggrappò a lei, finendo per sollevarla da terra, e lei non fu da meno, giacché ne avvertì le piccole mani affondargli fra i capelli corvini e stringerglisi alla stoffa del mantello con forza tale da tirargli le fibbie sotto gli spallacci.
Per Thorin fu come tornare a respirare. 
– Sei tornato... – gli sussurrò lei vicino all'orecchio con voce rotta.
Sì, pensò lui, finalmente era tornato sé stesso.
– Perdonami – le disse invece, greve, senza lasciarla né allentare la stretta delle braccia con cui la premeva contro di sé.
Tremò, ricordando come aveva rischiato di perderla, del pericolo a cui l'aveva esposta costringendola a restare presso la città degli Uomini per colpa del suo orgoglio e delle sue paure, e rivisse con sconcerto attraverso i suoi stessi ricordi il momento in cui l'aveva rivista, la freddezza con cui l'aveva accolta e poi congedata.
Eppure lei era lì, calda, morbida, viva... reale.
Non si era arresa: aveva lottato per lui, per farlo tornare. Aveva creduto in lui.
E Thorin si sentì il nano più indegno e più fortunato dell'intera Stirpe di Durin per questo.
– L'ho già fatto – gli giunse, in un singhiozzo mal trattenuto, la voce di lei.
Gratitudine, sollievo ed una profonda felicità si mischiarono alla profonda vergogna che provava per sé stesso e Thorin cedette al bisogno di guardarla nuovamente in volto, sciogliendo la morsa con cui ancora la teneva avvinta a sé e permettendole di riappoggiare finalmente le suole degli stivali a terra. Affondando in quei suoi occhi lucenti come il più splendente cielo stellato, le cinse il viso con ambo le mani, cogliendo distrattamente la sensazione di bagnato sulla pelle delle gote di lei, e non si trattenne oltre: la baciò con trasporto, premendo la bocca contro la sua, affondando fra quelle labbra voluttuose, trattenendo il respiro e togliendolo a lei, per poi lasciare che il fiato si fondesse a quello d'ella in un sospiro sofferto e liberatorio.
In quel bacio infuse tutto ciò che provava, tutto ciò che avrebbe dovuto dirle e non le aveva mai confessato, tutto quanto, e lei affondò ambo le mani fra i suoi capelli e lo tirò ancor più vicino, ricambiandolo in egual misura, accettando ogni cosa lui le stesse donando senza riserva alcuna.
Con quel bacio, il cuore di Thorin riprese a battere.
Si staccarono soltanto perché costretti a riprendere fiato, ma il Sovrano di Erebor non riuscì a scostarsi da lei e le lasciò una scia di baci dall'angolo delle labbra alla mascella, per poi tornare ad affondare il volto nell'incavo del suo collo ed inspirare a pieni polmoni l'odore della sua pelle, cingendola ancora una volta fra le braccia con trasporto.
Non aveva bisogno d'aria se poteva respirare il suo profumo, né d'acqua se poteva abbeverarsi dei suoi baci.
Completamente in balia di quegli stessi sentimenti che a lungo aveva soffocato dentro di sé, la tenne stretta per un tempo che non seppe mai quantificare ma che, quando giunse alla fine, gli parve comunque troppo breve perché se ne sentisse anche solo in minima parte appagato. Iniziò ad allentare i muscoli, rilassandosi, soltanto grazie alle dolci carezze ch'ella gli stava donando sulla schiena e dietro la nuca. Soltanto allora riuscì a calmare il proprio cuore e con esso l'ondata con cui i suoi sentimenti per lei l'avevano travolto, abbastanza da allentare l'abbraccio e cercarne l'iridi con le proprie. Quando tornò a posare lo sguardo sul suo viso, questo era arrossato e striato di nuove e calde lacrime, ma adorno d'un bellissimo sorriso luminoso che gli procurò un familiare sussulto del petto. 
Sorrise a propria volta, meravigliato ed incerto, quasi intimorito.
– Non merito il tuo amore...
– Eppure ti amo – ribatté Kat con altrettanta profonda emozione, strappandogli un sorriso più ampio.
Thorin avvicinò la fronte a quella di lei, seguitando a guardarla negli occhi, quei suoi straordinari occhi limpidi e fieri che, ne era ormai certo, non avevano fatto altro che volgersi verso di lui, così come lui aveva più o meno inconsapevolmente fatto per lei. 
Per quegli occhi non si sarebbe più comportato da stolto, perdendo di vista ciò che realmente era importante, si ripromise.
Il suono del corno giunse sino a loro, una nota flebile e lontana, ovattata dalle spesse mura di pietra e roccia massiccia della montagna, ricordandogli ciò che fuori stava ancora avvenendo e rammentandogli che c'era ancora qualcosa a cui doveva porre rimedio, prima di poter pensare al futuro.
Scostando il capo da lei, scambiando con ella un ultimo sguardo, lesse in esso aspettativa e comprensione e lui annuì, il petto che gli si colmava di nuovo orgoglio e determinazione mentre ne cercava una mano e la stringeva nella propria, intrecciandovi le dita.
Quindi, senza bisogno che venisse proferita alcuna parola fra loro, Thorin si avviò con Katla verso gli alti corridoi di Erebor, deciso a prendersi finalmente carico di ogni sua responsabilità.
Non l'avrebbe delusa un'altra volta.


Ogni nano appresso all'alta porta di pietra murata era in preda allo stesso rimorso ed alla stessa frustrante sensazione d’impotenza che lo teneva bloccato lì, seduto sulle macerie e sulle scale che risalivano verso la sommità della struttura difensiva, a causa di un ordine cui non potevano ribellarsi; ma il più provato era senz'altro Kili, che con il capo chino verso terra, non poteva non ascoltare i rumori della battaglia in corso all'esterno di Erebor, ed ogni secondo che passava il suo animo si torceva e dilaniava fra la profonda lealtà verso suo zio e quella verso il resto del suo popolo, giacché un Nano non abbandona mai un altro Nano, soprattutto in combattimento.
Fu per questo che, quando il cupo rumore di passi lo spinse a sollevare di nuovo il capo e lo sguardo verso l'interno della Montagna Solitaria, anziché sorprendersi della ricomparsa di Thorin che usciva alla luce, strinse le labbra in un'espressione contratta che non riuscì più a contenere.
Si alzò in piedi, il più giovane dei Durin lì presenti, e, stringendo i pugni lungo i fianchi, fece un passo avanti, ormai deciso a fronteggiare il Re sotto la Montagna.
– Non mi nasconderò dietro a un muro di pietra mentre altri combattono le nostre battaglie per noi! – affermò con sempre maggior enfasi, lasciando libero sfogo al suo tormento ed al furore che gli colmava il petto, perforando con i suoi occhi scuri lo zio mentre gli andava lui stesso incontro, prima d’arrestarsi e concludere amaramente – Non è nel mio sangue, Thorin...
Non fece caso alla scintillante Fendiorchi nella mano destra di suo zio, ma quando furono abbastanza vicini, Kili finalmente vide sbucare da dietro il parente la figuretta di Katla, la cui mano era ancora stretta in quella sinistra di lui. Allora il suo animo si placò un poco ed il dubbio, insieme ad una nuova violenta speranza, si insinuarono nella sua mente.
Il lieve sorriso incoraggiante di lei lo spinse, confuso, a sbatter le palpebre e a tornare con lo sguardo a cercare il fratello di sua madre, e fu allora che riconobbe lo sguardo limpido di suo zio, in un volto privo della tensione e della cupidigia che gli aveva visto addosso sempre più gravosa negli ultimi tempi.
– No, – gli confermò pacatamente, con quella sua voce pacata e profonda, il loro Re, scrutandolo ad un passo di distanza soltanto – non lo è. Noi siamo figli di Durin... e quelli di Durin non fuggono da una battaglia.
Il sorriso di Thorin, così pieno d'affetto ed orgoglio, suggellò quelle parole e Kili si ritrovò a combattere contro un'ondata di lacrime di sollievo e commozione, ormai certo che suo zio, il nano che così tanto aveva ammirato ed amato durante la sua giovane vita, era finalmente tornato sé stesso. Thorin Scudodiquercia avvicinò la fronte alla sua ed il nipote chiuse gli occhi, sorridendo di gioia per quel miracolo in cui molti ormai avevano smesso di credere, suggellando quel momento unico con quel gesto carico di significato.
Quindi, quando si staccarono, Thorin gli diede un'ultima pacca sulla spalla e passò oltre, ed il giovane nano si ritrovò di fronte una più minuta figura che lo osservava con la stessa luce che sapeva possedere lui per primo negli occhi. Sorrise a Katla e, cedendo alla profonda gratitudine ed all'affetto fraterno che provava per lei, l'abbracciò brevemente ma con trasporto, perché ormai era certo che buona parte del merito di quel miracolo doveva essere suo.
– Non ho alcun diritto – risuonò di nuovo la voce greve di Thorin, che nel mentre stava procedendo verso il resto della Compagnia – di chiedere questo a nessuno di voi...
Sciogliendo la stretta intorno alle spalle di Kat, Kili si voltò e, ansioso di raccogliersi accanto al suo Re, s'incamminò lungo la strada lastricata dei Nani di Erebor, seguito d'appresso dalla stessa piccola donna che come lui era rimasta indietro.
Quando Thorin avanzò la sua richiesta, i nani della Compagnia ancora seduti si alzarono e quelli con le armi in pugno le sollevarono in un tacito e fiero assenso, e la solennità di quel momento rimase impressa nel cuore di Kili come un marchio a fuoco sulla pelle. Dietro a Thorin, dall'altro lato di Dwalin, il nipote più giovane cercò con lo sguardo quello del proprio fratello maggiore e con lui scambiò un leggero cenno d'assenso del capo castano, ritrovando con orgoglio le sue stesse emozioni sul suo volto.
Avrebbero combattuto tutti fino alle porte dell'inferno, se necessario, per il loro Re.
– È giunto il momento di buttare giù quel muro – sancì allora Thorin, riscuotendo l'assenso degli altri e dando poi loro i dovuti ordini.
I nani, rinvigoriti, si misero subito all'opera e soltanto in seguito, quando ormai la maggior parte di loro era già al lavoro per recuperare parte dei loro equipaggiamenti o per approntare il necessario allo sfondamento della barriera, che Fili e Kili si ritrovarono a pochi passi dalle figure di Katla e Thorin, fermi a parlare uno di fronte all'altra ed ivi si attardarono.
– Tu non scenderai in battaglia con noi – stava dicendo il Re di Erebor, fissando la ragazza con quel suo sguardo penetrante ed inflessibile.
Kat assunse un'espressione sorpresa e contrariata, spalancando la bocca.
– Cosa?! – esclamò, e la sua voce attirò più d'uno sguardo.
Tuttavia Thorin apparve irremovibile, pur mantenendosi calmo e quasi confidenziale, mentre le prendeva ambo le mani fra le sue.
– Voglio che resti qui, al sicuro – insistette – non posso rischiare di perderti di nuovo.
Katla si morse il labbro inferiore e delle lacrime brillarono nei suoi occhi grigio-verdi, apparendo come dilaniata da quel divieto, e Kili realizzò come i sentimenti d'ella non fossero troppo dissimili da quelli che egli aveva dovuto affrontare fino a pochi minuti prima. Contenendo la pena e l'affinità che gli nacque in petto nei riguardi dell'amica, il giovane nano scambiò un altro sguardo con Fili ed ancora una volta distinse negli occhi del fratello il suo stesso pensiero: Thorin aveva ragione.
Persino a loro era preso un colpo quando l'avevano vista combattere vicino alla porta, quando era stata sul punto di soccombere agli orchi, tanto che non avevano esitato un solo istante ad aiutarla.
– Nemmeno io! – esclamò d’improvviso, caparbia, la ragazza, fronteggiando il Re dei nani di Erebor con una determinazione che traspariva perfettamente dal suo sguardo corrucciato – Non posso lasciarti andare là fuori da solo, Thorin.
Il nano in questione parve come preso alla sprovvista, forse dalle parole di lei oppure dall'aria battagliera e fiera che stava mostrando loro, degna di un qualunque altro figlio di Durin, mentre ricambiava la stretta delle forti mani di lui e sondava con quei suoi occhi d'acciaio il suo volto. E Kili si ritrovò a pensare a quanto quella che avevano davanti non fosse più la stessa ragazza che era capitata in Casa Baggins diversi mesi prima. Katla era maturata, era cresciuta tanto da fronteggiare un Re dei Nani senza per questo risultare inferiore o inappropriata. Adesso più che mai, ella apparve agli occhi suoi e di suo fratello come la futura regina che in cuor loro speravano sarebbe un giorno diventata. 
La Regina di Thorin Scudodiquercia, Re di Erebor.


Katla sondò con ansia crescente ed una certa tensione il volto del nano di fronte a lei, tenendo sottochiave la strisciante paura che stava iniziando a ghermirle il petto a causa della consapevolezza che il momento cruciale stava avvicinandosi. Thorin sarebbe andato là fuori e, se lei non avesse fatto nulla per impedirlo, non sarebbe più tornato.
– Ma non sarò solo, Kat – il tono morbido con cui glielo disse era accompagnato da un sorriso comprensivo quanto incoraggiante, che lo rese ancor più bello e doloroso ai suoi occhi.
– Ma..
– Il mio è un ordine – la interruppe sul nascere, senza darle modo di continuare la sua protesta, inchiodandola lì con quei suoi occhi di diamante, prima di addolcirsi – resta qui e, quando farò ritorno, allora ti chiedo di ascoltare ciò che avrò da dirti.
A quelle ultime parole il cuore d'ella si strinse, mentre la sua mente già galoppava alla possibile natura del discorso che il nano voleva farle al suo ritorno. Non potendo più dirgli di no, col respiro ancora bloccato in gola per la tensione e l'improvvisa aspettativa che le era nata nel cuore, Katla sondò ancora una volta gli occhi del suo amato, cogliendo in essi i profondi sentimenti che lo legavano a lei, e cedette alla prospettiva di farlo andare avanti senza di lei. Con un sospiro, si arrese a lui ed alla sua testardaggine di Nano, giacché sapeva che non avrebbe avuto alcuna possibilità di convincerlo, perché per lei era la stessa cosa, da sempre.
Ma quella sarebbe stata l'ultima volta e glielo disse. 
Thorin in risposta si chinò a sfiorarle le labbra con un rapido bacio e, dopo un ultimo mezzo sorriso che sfumò in un'espressione seria e decisa, si voltò, richiamato dai suoi compagni che avevano quasi ultimato i preparativi.
Osservandolo allontanarsi, Kat serrò la mano destra a pugno sul petto, aggrappandosi alla stoffa del mantello che le drappeggiava dalle spalle come se costituisse un appiglio per il suo animo in tumulto. Fu a quel punto che un paio di pesanti mani naniche le si posarono sulle spalle, una per lato, e lei si ritrovò affiancata dalle figure di Fili e Kili.
– Non preoccuparti, sorellina – le disse il biondo, sorridendole con fare incoraggiante.
– Penseremo noi a riportartelo tutto intero – affermò il moro, con un'espressione gemella.
Kat si intenerì e lasciò che le attenzioni dei suoi due più cari amici la rincuorassero un poco, tanto da annuire.
– Grazie ragazzi... – disse loro, abbozzando un nuovo sorriso, pur non del tutto serena – ..ma fate attenzione anche a voi. Non voglio perdere nessuno, oggi.
I due si scambiarono una delle loro occhiate ed annuirono di rimando, suggellando quell'accordo, quindi si affrettarono a raggiungere il loro zio e gli altri, lasciandola indietro. Kat, lo sguardo puntato sulle loro schiene, lasciò sfumare quell'espressione che aveva assunto per rincuorarli e nient'altro, mentre dentro di sé avvertiva l'inquietudine ed il senso di colpa tornare a serrarle la gola.
Aveva mentito: non era intenzionata a restarsene lì ad attendere la fine, giacché il suo piano non sarebbe andato in porto se lei non fosse riuscita a fare la sua parte, come da accordi con il Re degli Elfi. Non aveva considerato l'eventualità di restare bloccata dentro Erebor per volontà dello stesso nano che era determinata a salvare, e la cosa non fece altro che farla indispettire con sé stessa e le circostanze con cui era costretta a giostrarsi. Aveva creduto di uscire con loro, là fuori, e sfondare insieme alla Compagnia le linee nemiche. 
Doveva assolutamente pensare ad un altro modo per arrivare a Collecorvo prima di Thorin e dei suoi nipoti, ma il tempo stringeva e lei aveva finito le idee.
– Faresti bene a spostarti, ragazza.
La voce rassicurante di Balin la trasse dalla spirale di riflessioni angosciose in cui stava per cadere e Kat si voltò sorpresa a guardarlo mentre quello, fermo a un paio di passi da lei, ricambiava il suo sguardo combattuto con uno placido e comprensivo.
– Fra poco saremo pronti e faremo venir giù il muro alla porta.. – continuò il nano già pronto per la battaglia, prima di assumere un'aria più confidenziale – ma c'è un posto da cui puoi assistere in tutta sicurezza, se lo desideri.
Kat si fece attenta e serrando le labbra in una linea tesa mosse il capo in cenno d'assenso. Allora Balin le indicò le scale che l'avrebbero condotta ad una delle postazioni di guardia al di sopra della porta ed il sorriso incoraggiante che le mostrò le scaldò il cuore, tanto da spingerla ad abbracciarlo brevemente, prima di ringraziarlo a parole e dirigersi verso la gradinata scolpita nella pietra.
Salì in fretta, traendo forza dall'adrenalina che le circolava nelle vene, ed alle orecchie le giunse ancora una volta il suono del corno degli orchi: il segnale dell'attacco definitivo.
Fece le ultime manciate di scalini di corsa, aiutandosi persino con le mani per sospingersi verso l'alto, e quando finalmente arrivò al parapetto che dava sulla valle antistante, un isolato e fioco raggio di sole per un attimo l’accecò, cosicché Kat dovette sbattere più d'una volta le palpebre per abituarsi a tutta quella luce. Fu a quel punto, quando la vista le si schiarì sull'armata che, già schierata, riprendeva ad avanzare verso l'esercito dei nani dei Colli Ferrosi, che nelle orecchie le risuonò il suono potente e prolungato di un altro corno, più vicino a lei.
Sporgendosi dal parapetto, incurante delle decine di metri di caduta libera che la separavano dal fossato, Katla si ritrovò a trattenere il fiato nell'inquadrare Bombur intento a soffiare in un enorme corno da guerra nanico, mentre il cuore le guizzava nel petto in una nuova scarica di energia.
Il segnale d'attacco dei nani di Erebor era stato suonato.
Gli orchi si arrestarono, confusi ed inquietati da quella promessa di rivalsa, ed un attimo dopo un'enorme campana dorata sfondò il muro che limitava l'accesso alla montagna con fragore ed un sonoro rintocco di metallo contro pietra. 
I grossi blocchi di roccia rotolarono e crollarono su sé stessi, formando un ponte rudimentale dinanzi all'ampia porta, e quando anche l'ultima affondò nell'acqua gelida e scura, i nani della Compagnia uscirono alla luce del giorno, correndo impavidi verso la battaglia.
La visione del gruppo di nani in carica, capitanati da Thorin, con le armi in pugno ed il passo pesante e deciso tipico dei membri del loro popolo, colmarono il petto di Katla di una profonda emozione ed ella avvertì le lacrime tornare a colmarle gli occhi chiari mentre osservava i nani di Dain dividersi in due per lasciar passare il Re sotto la Montagna ed i suoi.
– Per il Re! – esplose il Signore dei Colli Ferrosi.
E persino da lì Kat poté udire il grido di battaglia di Thorin, in risposta al quale i nani di Dain si radunarono, ed ella strinse meccanicamente le mani sulla pietra del parapetto a cui era aggrappata mentre osservava la scena, stringendo le labbra in un'espressione tesa e fiera insieme.
Quello era il suo nano… quello era il vero Re sotto la Montagna.


– I Nani.. – esordì, sorpreso, Bilbo, prima di cercare Gandalf dalle alte mura diroccate di Dale – ..si stanno radunando.
Lo stregone grigio, giungendo in quel momento, picchiettò col suo bastone la pietra sotto i suoi piedi e sorrise, soddisfatto.
– Si radunano dal loro Re...
E lo hobbit, osservando come l'armata nanica sfondò le linee nemiche e si fece strada con rinnovato vigore contro le orde del male, si chiese dove fosse Katla e se ce l'avesse fatta a sopravvivere per vedere ciò che vedeva lui. Perché era lei quella che non aveva mai davvero dubitato di Thorin Scudodiquercia ed era solo per la sua fiducia incrollabile nella forza d'animo del nano se avevano potuto in qualche modo prepararsi a ciò che stava avvenendo dinanzi alle porte di Erebor.
E quell’ultima inaspettata piega degli eventi non poteva che essere, in qualche modo, opera sua.
Meccanicamente, sotto l'effetto di una crescente inquietudine, il mezz'uomo andò a tastarsi la tasca in cui teneva segretamente custodito l'anello sottratto a Gollum e prese la sua decisione. Quando si voltò, superando con passo affrettato Gandalf per scendere da quel punto di vedetta, l'Istar non mancò di notare la cosa.
– Bilbo.. dove stai andando?! – proruppe con voce allarmata e sorpresa insieme, gli occhi nuvolosi spalancati sotto la tesa del cappello a punta.
– A Collecorvo! – gli rispose lui senza voltarsi, ormai determinato, l'anello già in mano.
– Come..? Bilbo, è troppo pericoloso andare da solo!
Ma Bilbo non lo ascoltò né permise alla voce dello stregone di instillargli il dubbio e la paura nel cuore, giacché era consapevole che, se si fosse fermato a riflettere sui rischi, si sarebbe tirato indietro e questo il suo spirito non lo voleva. Era un Tuc, oltre che un Baggins, ed avrebbe fatto onore al suo avo.
Voleva esser degno dell'amicizia e dell'affetto dei compagni con cui aveva viaggiato sino a quel momento e, soprattutto, voleva esser in grado di guardare di nuovo in faccia Katla senza sentirsi inferiore a lei ed al suo immenso coraggio.
Sarebbe sgattaiolato a Collecorvo, forte della protezione che gli conferiva l'anello, per assicurarsi che il piano della sua giovane amica andasse a buon fine. E lo avrebbe fatto per lei... e per sé stesso.


continua...





~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. “Quel marth” = "Buona fortuna", da quel (buona/buono, nel senso augurale del termine) e marth (fortuna) in lingua elfica.



~ ATTENZIONE!!! NOTA DELL'AUTRICE ~

Ciao a tutti! E' la prima volta che scrivo qualcosa dopo un capitolo di questa storia, ma si tratta di qualcosa di importante a cui spero in molti di voi mi daranno risposta.
Ormai siamo alla fine e nella mia follia ho scritto due finali (ebbene sì, è successo), ma non so decidermi se pubblicarne uno o entrambi, quindi lascerò questa decisione a voi! Uno è quello "originale" mentre l'altro è un finale completamente opposto a quello a cui avevo pensato inizialmente. Cosa volete fare? In base a ciò che mi direte lo pubblicherò in coda ai capitoli di questa ff quindi non preoccupatevi, non dovrete andare a cercarlo chissà-dove! :D
Quindi, avete piacere di leggerli entrambi o solo uno?
Mi atterrò alle vostre risposte, quindi non abbiate paura e fatevi avanti!
Nel mentre, ne approfitto per ringraziare tutti voi che avete seguito le avventure di Kat e della Compagnia e che avete inserito questa storia fra le Seguite, le Ricordate e/o le Preferite. Un ringraziamento speciale va a coloro che si sono fermati a lasciare una recensione e in particolare Aleera *-* che con pazienza ha lasciato un commento ad ogni capitolo. Grazie mille per tutto, davvero, senza di voi questo viaggio sarebbe stato molto meno entusiasmante (per me come autrice), quindi grazie davvero!
Per oggi è tutto :D un abbraccio e ci si rivedrà alla fine di quest'avventura!

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Capitolo 28
*** The Wolf's Blood ***






“The force that I feel in your voice grows when daylight fades [..]
You will guide your fate, do not ask for more.”
[ The Wolves' Call, Wind Rose ]




Osservando la battaglia che, sotto di lei d’una trentina di metri, infuriava implacabile nella Valle di Conca, Kat iniziò ad avvertire nuovamente il nodo dell'angoscia stringerle la gola e vagò con lo sguardo alle volute di fumo che s’innalzavano verso il cielo. Le nuvole stavano tornando ad inspessirsi sulla piana ai piedi della Montagna Solitaria e la ragazza si ritrovò di nuovo a chiedersi come avrebbe fatto a raggiungere la sua meta, giacché attraversare il campo di battaglia era ormai fuori questione per lei, se voleva arrivarci viva.
Fu a quel punto che una brezza fredda la investì, scostandole il capelli dal viso e penetrandole nei polmoni, permettendole finalmente di respirare. E lei inspirò a fondo, raddrizzando la schiena e svuotando la mente grazie a quel momento di tregua da sé stessa, e finalmente l'idea giunse.
Quando tornò ad aprire gli occhi, il suo sguardo era rivolto al cielo plumbeo e la fermezza le colmò il petto, pronta a fare ciò che sapeva dover essere fatto.
Così si concentrò, e rievocò nella mente e nel cuore la melodia dai recessi della propria memoria, visualizzando dietro le palpebre chiuse la propria magia ed il modo in cui intendeva modellarla. Fu come a Lago Lungo: un crepitante formicolio le si diffuse sottopelle, dal centro del petto alle dita e finanche alle punte dei capelli, mentre intorno a lei percepiva il fischio del vento aumentare d'intensità, turbinandole intorno.
Kat incanalò il cocente desiderio che le dilaniava il petto e ne fece la sua forza, un carburante per il potere di cui era detentrice inesperta, lasciandosi guidare dall'istinto, sorda ai mutamenti del mondo intorno a lei. Un tuono lontano, un rombo soffocato dal clangore della guerra, permeò l'aria e, un attimo dopo, quando ormai l'energia magica si era totalmente destata in lei, Kat le diede suono.[*]
Non cantò a parole, ma modulò la propria voce in una melodia forte e soave al contempo, lasciando che il vento intorno a lei l'amplificasse e la levasse sempre più in alto nel cielo, sino oltre le nuvole e le colonne di fumo che lo offuscavano. E quando le note più alte risuonarono sopra il campo di battaglia, nel vento riecheggiò un acuto stridore in risposta, ed il grido delle Grandi Aquile anticipò la loro comparsa mentre calavano al di sotto dell'orizzonte, trasportate da un forte vento di tempesta.
Schiudendo le palpebre, Katla avvertì il cuore tornare ad esultarle in petto, ma non perse la concentrazione né lasciò sfumare il suo canto, sollevando il braccio destro verso la quinta armata discesa dalle alte vette su cui erano arroccati i loro nidi, presso i Monti Nebbiosi.
Uno degli enormi rapaci si staccò dalla formazione, sbattendo le sue grandi ali piumate nel vento ed indirizzandosi verso la giovane, ed ella comprese di essere stata udita e notata dall'acuta vista della creatura. Così lasciò sfumare la propria voce e la brezza gelida che l'aveva avvolta sino a un istante prima calò d’intensità.
Quando fu il momento, Kat fece un passo indietro e l'Aquila dal piumaggio bruno, ormai prossima, virò seguendo una larga traiettoria ricurva che le avrebbe permesso di passare sotto la postazione di guardia sulla quale la ragazza era rimasta sino a quel momento. Non si sarebbe fermata e lei aveva una sola possibilità. 
Così, strinse le labbra e si fece coraggio, ancora forte dell'esuberanza e dell'eccitazione che l'avevano pervasa grazie alla riuscita del suo intento, e scattò.
Si lanciò in avanti con tutto lo slancio di cui era capace, usando il parapetto come appoggio e trampolino per saltare sopra ed oltre la merlatura del muro, buttandosi dritta nel vuoto. La gravità le serrò la bocca dello stomaco e lei trattenne meccanicamente il respiro, finché quella sensazione non ebbe bruscamente termine a causa di un improvviso ed insperato impatto: atterrò proprio sulla schiena della Grande Aquila e, mossa da un forte ed affinato istinto di sopravvivenza, ne afferrò il piumaggio con tutte le proprie forze, per non venir sbalzata via dal contraccolpo.
La maestosa creatura stridette di nuovo nel vento, comunicando allo stormo la riuscita di quella manovra e la presa in custodia della giovane, quindi s'innalzò in volo sopra il campo di battaglia, prendendo rapidamente quota con una serie di possenti battiti d'ali. Kat, il respiro spezzato dall'affanno, restò rannicchiata sul suo dorso per tutto il tempo, timorosa di cadere al suolo dopo tutta la fatica fatta per arrivare a tanto. Soltanto quando il volo dell'Aquila tornò a stabilizzarsi ad alta quota ed il fischio del vento nelle sue orecchie si rifece sopportabile, che la possente creatura finalmente le parlò.
– Ti presterò le mie ali, figlia degli Uomini, – sancì, solenne, la chiara e potente voce che fendette i turbini di vento che le colmavano le orecchie – fin quando ti sarà necessario, per ricambiare i venti favorevoli di cui ci hai fatto dono.
Di nuovo in preda all'ottimismo ed a un'innata ed insperata fiducia in sé stessa, Katla sollevò il capo, socchiudendo gli occhi per resistere al freddo ed al gelo che la sferzava da ogni lato minacciando d’irrigidirle i muscoli tesi e facendola lacrimare.
– Portami a Collecorvo! – urlò, tradendo pur non volendo tutta l'ansia e la necessità che l'animavano – Il comandante dell'armata nemica è lassù: dobbiamo colpire lì!
– Combatteremo al tuo fianco – affermò l'Aquila di rimando – Tieniti forte!
Quindi levò un nuovo grido nel vento, tanto potente da ferire i timpani della ragazza ancora aggrappata saldamente sul suo dorso, andando a richiamare alcuni dei suoi compagni mentre altri si lanciavano sulle bande di orchi e pipistrelli giganti che brulicavano nella valle sottostante.
Le Aquile che avevano risposto sfrecciarono in alto, contro il vento, e Kat si ritrovò a schiacciarsi contro il piumaggio della creatura alata per evitare di farsi trascinare via dalle correnti, finendo per concentrarsi solo sul suono del proprio respiro e del battito del proprio cuore in tumulto, per evitare di farsi prendere dal panico. Doveva restare salda nello spirito ed aver fiducia, perché se si fosse fatta scoraggiare avrebbe perso tutto. Dwalin glielo aveva ripetuto più volte: mai scendere in battaglia con in testa l'idea di non poter vincere.
Il pensiero del nano che aveva affiancato i giovani nipoti di Thorin durante i suoi allenamenti le infuse nuova forza d'animo e le ricordò che non era sola, che i suoi amici e compagni erano là sotto a combattere senza risparmiarsi contro le orde del male, e lei non sarebbe stata da meno.
Per questo, quando finalmente fu di nuovo coi piedi per terra, ringraziò l'Aquila e senza indugio spiccò la corsa su per il versante dell'altura, incespicando sul sentiero ghiacciato e stringendo i denti per lo sforzo, senza mai guardarsi indietro.
Aveva appena raggiunto la prima fila di macerie appartenenti alle rovine della roccaforte di vedetta costruita in tempi antichi dagli Uomini, quando una freccia le passò ad un palmo dal capo, mancandola d'un soffio. Kat scartò di lato e si gettò dietro un basso muretto, premendo la schiena contro la fredda pietra e cercando di riprendere fiato mentre sguainava la propria spada.
Schiamazzi e grida concitate si levarono intorno a lei, oltre il suo campo visivo, e la ragazza per riflesso serrò gli occhi con forza, nel tentativo di calmarsi e ritrovare il proprio sangue freddo. Ripensò a Thorin, alla cocente sofferenza che le donava il pensiero di perderlo, e questo la portò a serrare la presa sull'impugnatura della propria arma elfica ed a farsi coraggio ancora una volta.
Era il momento di agire… ma dov’erano gli Elfi?
Stava per sbucare fuori dal proprio riparo ed andare incontro ai nemici che, stando al loro scalpiccio ed allo sferragliare delle loro armature, stavano per piombarle addosso, quando un'ombra le passò sopra il capo e con un ringhio animalesco s’avventò nello spiazzo oltre il muretto diroccato.
Dopo un primo istante di sconcerto e confusione che l’avevano fatta scivolare ancor più in basso, Katla tornò a sporgersi da dietro al suo riparo di fortuna, appena in tempo per osservare un grosso lupo grigio avventarsi a zanne snudate su uno dei nemici, squarciandogli la gola. Subito dopo un secondo animale si lanciò su un orco vicino munito d’arco e frecce, scaraventandolo a terra e schiacciandolo sotto le possenti zampe protese, prima di ridurlo a brandelli.
Altre belve fecero la loro comparsa, passando rapide al limitare del suo campo visivo, sbucando fra le macerie ed i sentieri diroccati come antichi spettri vendicatori, insinuandosi fra le rovine e le torri diroccate mentre le Aquile si lanciavano in picchiata, ghermendo con i loro artigli gli orchi tiratori appostati nei punti più alti e scaraventandoli giù o dilaniandone i corpi coi possenti becchi.
E Kat, in preda ad uno stupore assoluto, non potendo credere del tutto a ciò che i suoi occhi vedevano, fece un passo fuori dal suo nascondiglio e lasciò spaziare lo sguardo spalancato sulla caotica scena, senza riuscire a dar forma ad un pensiero coerente.
Era ancora impalata ad ammirare la battaglia che era scoppiata nel giro di pochi istanti dinanzi a lei e tutt'intorno quando, una manciata di secondi dopo, un lieve ticchettio d'artigli sulla roccia ghiacciata anticipò un caldo sbuffo d'alito investirla dietro la nuca, scostandole alcune ciocche di capelli. La giovane donna s’irrigidì meccanicamente e, lentamente, si voltò su sé stessa per sincerarsi della presenza che aveva alle spalle, pur intimamente già sapendo cosa avrebbe visto.
Si ritrovò così innanzi al volto il nero tartufo di un enorme lupo bianco ed ella la riconobbe, giacché l'aveva già vista una volta, ormai diversi mesi prima, sotto le fronde di Bosco Atro: era lo stesso animale dal pelo candido che tanto l'aveva ammaliata ed affascinata nella penombra del sottobosco e, seppur una parte di lei se ne sentisse intimorita, l'altra reagì come allora e ne ricambiò lo sguardo diretto, incurante del fatto che la superasse in altezza e che le sue fauci custodissero una serie di zanne acuminate e letali.
Quando affondò negli occhi della belva, Katla istintivamente seppe perché il branco di lupi del Rhovanion l'aveva seguita sin lì e lo accettò come si accetta una verità troppo grande per negarla o anche solo averne timore. Con un cenno del capo riconobbe la sua presenza e l’animale, dopo un fremito delle orecchie triangolari, sollevò il muso oltre lei e balzò in avanti.
Kat l’imitò subito dopo e, con un urlo battagliero, andò incontro al nemico, sollevando la spada e caricando il primo orco che si frappose sul suo cammino. Fu così che si ritrovò di nuovo ad avanzare verso la vetta di Collecorvo, costretta di nuovo a lottare per la propria vita, colpendo e tagliando quando la sua piccola lama raggiungeva il bersaglio e schivando quando invece erano i suoi nemici a tentare di contrastarla.
Ben presto il fuoco della guerra, lo stesso che l'aveva tenuta in vita e spinta a combattere dinanzi alla Montagna Solitaria, si riaccese nel suo animo, spingendola ad andare avanti, mettendo in secondo piano ogni timore ed ogni tentennamento.
Doveva fare in fretta, doveva muoversi più velocemente o non avrebbe mai fatto in tempo!
Doveva trovare Azog e distruggerlo, prima che lui avesse occasione di fare del male a Fili, Kili e Thorin, o chiunque altro.
Stava salendo per un largo passaggio quando, le orecchie colme dei ringhi e degli strepitii della battaglia in corso, scivolò provvidenzialmente, il ghiaccio e la pietra resa viscida del sangue dei nemici, appena in tempo per evitare un improvviso fendente che le avrebbe staccato di netto la testa dal collo.
L'attimo seguente, ancor prima di rendersi effettivamente conto dello scampato pericolo, la ragazza si gettò con tutto il suo peso contro l'orco delle Montagne Nebbiose, affondando la punta della piccola spada nel ventre della creatura sino all'impugnatura. Quello rantolò, cadendo all'indietro, e lei, già sbilanciata, lo seguì soltanto per rotolare in ginocchio e liberare con uno strattone la propria lama, prima che il nemico morente avesse la possibilità di colpirla un'ultima volta.
Col fiato corto che le scivolava fuori dalle labbra in spesse nuvolette di condensa, Katla tornò a guardarsi brevemente attorno, cercando di ignorare la pressante sensazione di bruciore ai polmoni mentre tentava d’assimilare abbastanza ossigeno. Doveva continuare, doveva andare avanti, ma già sentiva che i muscoli le rispondevano meno prontamente di prima, il suo corpo ancora provato dalla battaglia campale a cui era scampata a stento.
Fu a quel punto che la grossa ombra bianca della lupa tornò a raggiungerla e le si fermò davanti, dandole il fianco e puntando il muso verso le scale, dall'altro lato dello spiazzo in cui Kat si era fermata a riprendere fiato. 
– Sali.
Se Kat fosse stata in tutt'altra situazione sarebbe rimasta a bocca aperta a fissare la belva che, in quel modo sorprendentemente chiaro, le aveva appena parlato, pur avendolo fatto nella sua lingua natia, ma ella era troppo presa dalla necessità di compiere la sua personale impresa per soffermarsi su quel dettaglio. Così, dopo un istante d’incertezza, ruotando la spada nella mano per impugnarla di modo che la lama aderisse all'avambraccio, prese lo slancio e saltò in groppa alla lupa bianca, aggrappandosi alla folta pelliccia che ne adornava il collo.
– Vai! – l’incitò a voce alta, piegandosi sul suo dorso appena in tempo per resistere all'improvviso scatto dell'animale.
Come la lupa balzò in avanti, ella ne avvertì i muscoli tendersi, forti come spesse funi d'acciaio, ed il resto del mondo sfrecciò rapido ai bordi del suo campo visivo nei colori del bianco, dell'azzurro, del grigio e del nero. Salirono rapide fra le rovine, scartando e saltando eventuali orchi appostati lungo il tragitto, e a quel punto a Kat apparvero più numerosi di quanto si sarebbe mai augurata, tanto che bastò quel pensiero a farle serrare la gola in un nodo di tensione.
– Richiama il branco – ringhiò l'animale che con tanta destrezza e potenza la stava trasportando, ed il tono con cui glielo disse non la fece dubitare nemmeno per un secondo.
Kat reclinò il capo all'indietro, pur restando bassa sulla groppa di Nén, e gettò un ululato che andò a rimbalzare sulle rocce ed a disperdersi nel vento con un'intensità tale da sorprendere la stessa artefice di quel richiamo.
Eppure, di stranezze in quell'avventura se ne erano susseguite in abbondanza per la ragazza e quell'ultima era solo una fra le tante cose che aveva scoperto, quasi per caso, d’essere in grado di fare, perciò Katla non soffermò a lungo il suo pensiero su di essa, ma lasciò che fossero i vantaggi che tutto ciò le stava portando ad influenzarla.
Ben presto il branco prese a radunarsi, seguendo la capobranco e la ragazza sul suo dorso, proteggendone i fianchi ed assalendo ogni nemico che si ritrovava o si scagliava avventatamente contro di loro. In alto le Aquile fendevano il vento, sfrecciando di tanto in tanto sopra il capo della ragazza in una delle loro picchiate d'attacco, ma fu soltanto dopo un’altra manciata di minuti che finalmente Kat scorse con la coda dell'occhio la prima di una serie di figure vestite d’armature scintillanti muoversi fra le mura diroccate dell’avamposto fortificato, agile e veloce quanto un battito di ciglia.
Gli Elfi di Thranduil erano finalmente arrivati!
Esultando intimamente, Kat tornò a volgere lo sguardo grigio-verde in avanti, mentre una strisciante ed inebriante illusione d’invincibilità le nasceva in petto e si diffondeva in ogni suo arto, giacché ormai sentiva la vittoria a portata di mano.
Fu a quel punto che finalmente ella lo scorse, l'Orco Pallido, sbucare sulla cima della torre più alta e lontana. Quando i suoi occhi di un azzurro chiarissimo ed agghiacciante si posarono su di lei, la giovane donna s’irrigidì e la lupa sotto di lei s’arrestò, sollevando il muso sporco di sangue nero nella direzione del loro comune nemico.
Kat trattenne il fiato e di nuovo la tensione le bloccò spalle e braccia e le fece serrare con più forza la pelliccia della bianca creatura che era comparsa in suo aiuto, ma non distolse lo sguardo. Si corrucciò in volto invece, sostenendo lo sguardo carico d'odio e rabbia dell'orco che era il nemico giurato di Scudodiquercia, ed una contrarietà ed un istinto di ribellione nuovi ed implacabili si impossessarono di lei, impedendole di cedere.
– Nén – esordì a voce alta, chiamando la lupa per la prima volta con il nome con cui ella era stata omaggiata dagli Elfi Silvani. Era stata Tauriel a raccontarle la sua storia, quel giorno in cui s’erano avventurate in esplorazione di Collecorvo da sole, ma non è questo il momento per narrarvela, giacché è in corso una furiosa battaglia per il dominio delle terre del Nord.
Dunque, Kat non aggiunse altro, e nemmeno ve ne sarebbe stato bisogno, giacché la lupa tornò a scattare in avanti, togliendosi dal campo aperto e riportando sé stessa e la giovane donna al riparo fra le rovine.
Non fecero più di qualche metro tuttavia, prima che l’ormai familiare figura di Legolas tagliasse loro la strada, arco in mano e freccia incoccata, pronto a scagliarla contro il primo nemico alla sua portata. S'arrestarono tutti e tre al centro d’un incrocio ed il Principe di Bosco Atro, come posò i suoi occhi azzurri su Katla e Nén, li spalancò e perse la sua elfica imperturbabilità in favore di uno stupore pressoché assoluto.
Ed’ i’ear ar’ elenea![1] – esclamò in un soffio, squadrando la donna da capo a piedi, prima di ricomporsi e piegar il capo in un rispettoso saluto – San’ auta i lóme. Mae govannen, goth en gothamin: lossë raaka Nén ar aiwe vorth elannah.[2]
Kat, raddrizzando la schiena, ricambiò lo sguardo carico di rispetto di Legolas con un sorriso spontaneo e carico di sollievo ed orgoglio, giacché pur non avendo compreso le sue parole, aveva percepito insito in esse il riconoscimento che le aveva riservato.
– Conduci i tuoi dentro le torri, Legolas Thranduilion – lo esortò, consapevole di sé e del proprio ruolo, tanto da apparire sicura e determinata, più di quanto in realtà non fosse, di fronte al figlio di Thranduil – ..stanateli e non fatevi cogliere impreparati.
In quel momento Tauriel uscì allo scoperto con uno slancio che venne frenato prontamente non appena i suoi occhi verdi si posarono su lei e la bianca lupa del Rhovanion. L’arco era già carico fra le sue mani e dalla faretra sbucavano le estremità piumate d’una decina di frecce soltanto. Dopo un primo istante di stasi, elfa e donna si scambiarono un muto cenno del capo, quindi la rossa andò avanti, guidando i guerrieri di Reame Boscoso con pochi e rapidi comandi in elfico.
Quando tutta quella storia fosse terminata l’avrebbe di certo ringraziata, si ripromise Katla, avvertendo una volta di più il profondo rispetto che le legava l’una all'altra.
– Tu cosa intendi fare? – le chiese Legolas, schietto e diretto come era sua natura, attirando nuovamente la sua attenzione.
– Io vado a riscrivere questa storia – gli rispose Kat di rimando, senza più alcun tentennamento.
Non gli diede nemmeno il tempo di ribattere che tornò a piegarsi sul dorso di Nén e la lupa balzò in avanti, infilandosi in uno dei passaggi fra le pietre che conducevano alla sommità. Se si fosse voltata avrebbe scorto Legolas seguirla brevemente con lo sguardo ed augurarle buona fortuna nella sua lingua, ma ormai Kat non poteva pensare ad altro che allo scontro all'ultimo sangue che di lì a poco avrebbe affrontato.
Eppure esso giunse ancor prima del previsto, giacché non furono loro a trovarlo ma fu il Profanatore a riversarsi su di loro dall'alto, scagliando la ragazza lontana dalla lupa con un urlo intimidatorio. Mentre Katla rotolava sulla neve ed il ghiaccio, Azog afferrò per una zampa posteriore Nén, scagliandola lontano da sé e dalla sua piccola amazzone.
Un latrato che sfumò in un guaito sopraggiunse alle orecchie d'ella che, pur ammaccata e confusa per la repentinità degli eventi, scartò immediatamente di lato, appena in tempo per evitare la pesante mazza impugnata dall'Orco Pallido.
Essa impattò con una forza tale che frantumò roccia e ghiaccio, sollevando pietrisco e frammenti con un rintocco crepitante, scuotendo la montagna, e Kat sollevando lo sguardo sbarrato sul suo nemico serrò le labbra per evitare che il cuore finitole in gola le schizzasse via.
Spinta dall'istinto di sopravvivenza, si rimise in piedi e fece un nuovo salto indietro, appena in tempo per evitare il secondo attacco dell'orco dal volto sfregiato. Quindi, serrando la presa sull'impugnatura della propria spada, digrignò i denti in una smorfia carica di promesse e determinazione, prima di lanciarsi all'attacco con un urlo.
Ancor prima di arrivargli contro però, l'ombra bianca di Nén calò su Azog il Profanatore, azzannandogli il braccio con cui reggeva la pesante mazza orchesca e facendolo grugnire di dolore, prima che lui se la scrollasse di dosso con un ringhio carico di furore.
Lo stesso furore che colmò il cuore di Katla un attimo prima di lanciarsi in avanti, facendosi scivolare sulle ginocchia sopra il ghiaccio che in quel punto ricopriva il terreno ed aprendo uno squarcio nella spessa pelle dietro al ginocchio sinistro del nemico.
Il nuovo urlo dell'orco colmò l'aria e riecheggiò fra le rocce, sovrastando i rumori dello scontro ancora in atto, ma in esso vi erano ancora vigore e crudeltà. Non crollò, pur piegandosi, riprendendosi l'istante seguente e, caricando il peso sul ginocchio sano, lasciò andare la mazza per tentare di infilzarla con la lama che gli spuntava, saldata alla carne come una protesi, dal braccio mozzato.
Kat deviò il colpo con la propria lama, avvertendo attraverso le braccia la tremenda forza del suo avversario e resistendo a fatica, mentre spostava il proprio peso in funzione di essa, così come aveva imparato a fare a Gran Burrone. Tuttavia la giovane donna non era rapida quanto poteva esserlo un Elfo e, quando tentò di scivolare all'interno della guardia avversaria, fallì e venne scaraventata indietro da un colpo a pugno chiuso che le tolse il fiato e le fece scricchiolare le costole. Il contraccolpo contro alcune grosse pietre squadrate, i resti di quello che un tempo doveva esser stato un muro, la fece gemere e la vista le si colmò di piccole stelle danzanti.
Quando la visione della ragazza tornò a schiarirsi Nén era nuovamente su Azog, ma l'orco, dopo pochi minuti di feroce lotta, riuscì ad agguantare la lupa per il collo, sollevandola a mezz'aria ed affondando la sua crudele lama nel suo ventre. Il guaito di dolore e disperazione che riecheggiò sino alle vette più alte di Collecorvo raggelò il sangue nelle vene di Katla, che si ritrovò inorridita a sbarrare gli occhi chiari sulla scena che si stava compiendo dinanzi a lei.
– ..no – mormorò in un soffio, giacché non vi era più voce nella sua gola, e gli occhi le si inumidirono di lacrime di dolore per la perdita di quel confronto, ma non ebbe il tempo di reagire che Azog scagliò il corpo della lupa proprio verso di lei.
Non riuscendo a muoversi in tempo, Katla venne investita in pieno e sbatté di nuovo contro gli spessi blocchi di pietra, ritrovandosi schiacciata sotto il cadavere esanime della bianca lupa, mentre il suo sangue già andava imbrattando il suolo e lei stessa.
Le lacrime bruciarono gli occhi della giovane donna che, pur sofferente, non mancò di rivolgere una nuova occhiata carica di odio e furia verso il Profanatore. Il suo istinto di ribellione si risvegliò, infiammandosi come una fiamma riattizzata dal vento nel suo animo battagliero, impedendole di arrendersi nonostante fosse consapevole della sconfitta imminente.
Non avrebbe lasciato che le cose finissero in quel modo.
Aveva una missione da compiere e l'avrebbe fatto, anche a costo della propria vita!
L'adrenalina, tanto densa nel suo sangue da bruciarle nelle vene, acuì ogni suo senso come mai prima ed il tempo stesso parve rallentare alla percezione della ragazza, la quale si ritrovò ad osservare l'avvicinarsi di Azog come al rallentatore, giacché la sua mente vorticava di pensieri ed emozioni rapidamente e confusamente come mai era stato, alla ricerca di una soluzione.
Il corpo di Nén era pesante su di lei e le impediva di muoversi, ed aveva perso la propria spada, che vide con impressionante nitidezza brillare nella fioca luce del giorno morente a due metri da lei, abbandonata nella neve.
Il sangue della lupa continuava a riversarsi copiosamente al di fuori del suo corpo ed il respiro rantolato della creatura le giungeva come una vibrazione sofferta attraverso la pelliccia, tanto da far meccanicamente muovere la mano sinistra della ragazza sul suo manto, in un tocco che voleva essere di conforto e rassicurazione, nonostante l’ineluttabilità della fine.
La smorfia astiosa di Azog riluceva dello stesso odio che animava lei mentre inesorabile continuava ad avvicinarsi, sempre più deforme sul suo grugno pallido e crudele, insinuando nell'animo di Katla l'agghiacciante consapevolezza che sì, alla fine, sarebbe morta.
Nessuno sarebbe giunto in tempo a salvarla.
Fu allora che lo vide, Thorin, in sella al suo ariete di montagna, sbucare da oltre la curva del sentiero, la spada già ricoperta di sangue, splendente nella sua armatura nanica come il più fiero degli Déi della morte. Quando i loro occhi si incrociarono, Kat vide il suo volto cambiare, lasciando spazio ad un'espressione che da sbalordita si fece atterrita, e la ragazza si sentì mancare.
Anche Azog parve accorgersi del nuovo venuto e, fermandosi quando ormai era giunto a sovrastarla, rivolse al nano un ghigno maligno e compiaciuto, giacché doveva aver notato l'orrore sul suo volto barbuto appena l'aveva vista a terra ed in pericolo.
Quando gli occhi chiarissimi dell'Orco Pallido tornarono a lei, la promessa di morte che le trasmisero divenne per Kat tangibile, giacché non vi era speranza per il Re sotto la Montagna di evitarle quel fato: era troppo lontano per fermare il braccio di Azog ed evitarle quella fine.
Ma lei, forse, poteva ancora evitarla a lui.
Sotto il palmo sinistro, il braccio schiacciato al di sotto del corpo ancora caldo di Nén, Katla avvertì l'asperità della roccia sotto i polpastrelli alternarsi a lisce vene di ghiaccio, lì dove i blocchi di granito si congiungevano o ne erano stati dilaniati, ed al contempo i suoi occhi rimasero fissi sulla grezza lama dell'orco la cui ombra l’aveva ormai inghiottita, cogliendo il riflesso maligno che mandò quando egli prese, con illusoria lentezza, a sollevarla.
Era ormai certa che non sarebbe sopravvissuta, quando l'idea la colse come un fulmine a ciel sereno.
Forse sarebbe riuscita a compiere la sua personale missione, dopotutto.
Così, ignorando il battito forsennato del proprio cuore e l'istinto pressante di fuggire che a stento le permetteva di respirare, tentò con la propria coscienza di rievocare ancora una volta la magia dentro di sé e chiuse gli occhi, lasciando che le strofe della canzone prendessero forma ancora una volta dalle proprie labbra in un sussurro graffiato e sofferto, troppo basso persino per le proprie stesse orecchie.
La magia si risvegliò in lei... e, pochi secondi dopo, l'acciaio le penetrò nella carne.


NOOOO!
L'urlo che, potente e carico di un furore ed un'angoscia senza pari, riecheggiò fra le rocce di Collecorvo, risucchiò e soffocò ogni altro suono circostante ed i rumori dello scontro ancora in atto sfumarono alle orecchie di Thorin, che assistette impotente mentre la lama del suo più odiato nemico affondava attraverso la cassa toracica del lupo sino a lei.
Il tempo si arrestò per il Re di Erebor, permettendogli di incrociare un'ultima volta lo sguardo di Katla mentre reagiva alla sua voce e lo cercava con quei suoi occhi velati di dolore ed incoronati da un riverbero d’argento. Le sue labbra si muovevano appena e lui non capì cosa ella stesse dicendo, reso sordo e cieco dal dolore che gli era esploso in un istante nel petto. 
Stava accadendo di nuovo: l'Orco Pallido lo stava privando di un’altra delle persone che avevano trovato un posto nel suo cuore.
A quella consapevolezza il suo animo venne travolto da una nuova furia che, potente come non mai, gli fece tornare a focalizzare l'attenzione su Azog, e, un istante dopo, partì alla carica spronando il montone da guerra con un unico aspro comando in khuzdul.
Si gettò all'attacco a testa bassa, come era solito fare ogni Nano degno di questo nome.
Nei pochi secondi che l’erede di Durin impiegò per bruciare le distanze, l'orco tentò di reagire, ma quando tentò di ritirare il braccio armato esso si rifiutò di sfilarsi dai corpi delle vittime che aveva appena trafitto.
Fu per questo che non ebbe alcuna possibilità di contrastare l'attacco di Thorin Scudodiquercia che, con foga, si sollevò sulla sella della propria cavalcatura da battaglia ed all'ultimo momento gli balzò contro, brandendo Orcrist con ambo le mani e calandola sul nemico con un urlo intriso di rabbia e vendetta. La lucente lama elfica tranciò muscoli ed ossa, finendo per aprire in due il cranio dell'orco e mettendo fine ai suoi giorni di profanatore.
Il grosso corpo di Azog crollò al suolo e la lama che gli spuntava dal moncone del braccio che lo stesso Thorin gli aveva menomato si spezzò con uno schianto metallico, liberandone il grosso corpo ormai privo di vita.
Il nano, atterrato in piedi sul torace del nemico, liberò con uno strattone altrettanto violento la Fendiorchi e con un ultimo colpo ben assestato gli spiccò la testa dal collo, lasciando che quella andasse a rotolare giù dal sentiero sotto la foga del suo ultimo fendente.
Era finita.
Finalmente quella feccia non avrebbe più fatto del male a nessuno.
Con il petto scosso da un respiro affannoso e la mente pervasa da un odio ed una rabbia che andavano lentamente sfumando, Thorin riemerse dalla marea di pensieri e sensazioni che gli aveva annichilito la mente e colse le voci dei suoi familiari e compagni richiamarlo al presente.
– Thorin!
Riscuotendosi, il Re dei Nani si voltò di scatto, puntando lo sguardo sul corpo della giovane donna che giaceva ancora sepolta sotto la carcassa di un enorme lupo bianco, ed il suo cuore tornò a sussultargli dolorosamente in petto.
– Katla!
Si precipitò da lei, lasciando cadere a terra Orcrist come se fosse stata un ferro vecchio e cercando poi i nani che sapeva essere al suo seguito con crescente agitazione.
– Aiutatemi a liberarla! – ordinò loro, riversando nel proprio tono tutta l'urgenza e l'imperiosità di cui era capace, prima di tornare a scrutare la giovane e lo squarcio aperto nella candida pelliccia della bestia sopra di lei.
Fili e Kili sopraggiunsero per primi, accostandosi subito al lupo senza vita, e Dwalin li imitò l'istante seguente, aiutando Thorin a sostenere il peso dell'animale prima che riuscissero con uno strattone a spostarlo. Quando la belva venne fatta ricadere a terra, la scia di sangue che s’era lasciata dietro e che macchiava in gran parte anche gli abiti inferiori di Katla fece trasalire il più giovane dei suoi nipoti e persino Thorin si ritrovò ad impallidire, un attimo prima che la ragazza si riversasse in avanti, in una pozza rossa che andava allargandosi.
Con un'imprecazione, aiutato dai suoi, Thorin la fece stendere supina e strappò il proprio stesso mantello per andare a tamponare il profondo squarcio lasciato dalla lama di Azog sul suo fianco. Il moncone d'acciaio che ne era la causa ancora rifletteva lucido dalla pietra in cui si era incastrato, trattenuto tanto dalla roccia quanto da un'innaturale spirale di ghiaccio rosso che si schiudeva su di essa come un fiore di cristallo, ma il Re di Erebor non perse tempo a farsi domande in merito, totalmente concentrato sulla sua amata.
– Kat! – la chiamò di nuovo, mentre tentava di arginare la perdita di sangue.
Non ottenendo risposta, cedette al terrore che, sempre più vivido e soffocante, gli ghermiva l’animo in tumulto.
Kathrine!
E finalmente, come reagendo a quel nome che lo stesso Thorin aveva udito una volta soltanto uscire dalle sue labbra quando l'aveva stretta a sé ormai molto tempo prima, fra le Montagne Nebbiose, ella mosse il capo e schiuse le palpebre, sollevando su di lui quei suoi magnetici occhi chiari. Le lacrime di sofferenza che vi scorse, aprirono una voragine nel petto del nano.
– Thorin.. – mormorò, in un soffio, trovando persino la forza di accennare ad un sorriso – sei qui.
– Sì – le confermò lui, tentando di rassicurarla, andando a cercare di stringerle una mano fra le sue per farle percepire la sua presenza – ..siamo qui. Ci sono anche Fili, Kili e Dwalin.
Lei li cercò brevemente con lo sguardo, quindi parve rasserenarsi un poco dopo che li ebbe trovati e fu tornata a volgere l'iridi su di lui. 
– ...sono tutti sani e salvi?
Thorin sarebbe quasi scoppiato a ridere d'incredulità se non fosse stato per la situazione estremamente tragica in cui versavano, giacché era tipico di lei preoccuparsi degli altri ancor prima di sé stessa. Le sorrise, un sorriso modesto ma vero, di quelli che negli ultimi anni aveva elargito sempre più raramente.
– Sì – le confermò di nuovo, senza riuscire a dire altro, il cuore stretto in una morsa talmente dolorosa da impedirgli quasi di respirare.
Ci pensò lei a colmare il silenzio, ancora una volta.
– ..mi spiace... di aver disobbedito un'altra volta, ma... dovevo, Thorin – la pena intrisa nella voce tremante di Katla gli perforò il petto ed il nano tremò quando una lacrima scivolò dalle ciglia scure della ragazza sulla sua pelle, immergendosi fra le ciocche color mogano che le coprivano le tempie – ..non... non essere arrabbiato.
Lui, nonostante la tempesta che gli infuriava nell'animo, scosse il capo.
– Non lo sono – negò, mentendo.
In realtà era sull'orlo di cedere ad una rabbia talmente profonda da tenerlo inchiodato lì, pur non essendo lei l'oggetto di tale suo sentimento quanto il destino stesso che li aveva condotti a quell'epilogo. Avrebbe preferito mille volte esserci lui al suo posto, giacché sarebbe stato motivo di estremo orgoglio, per ogni condottiero, dare la vita in battaglia per difendere quella delle persone a lui care, ed in particolare per salvare quella di lei.
– Siamo fieri di te, Piccola Furia – intervenne Dwalin, attirando l'attenzione del Re dei Nani su di sé, e Thorin notò la profonda pena che gli adombrava il volto e che si rifletteva anche sui visi di Fili e Kili, raccolti intorno alla ragazza.
Anche loro soffrivano, anche loro stavano guardando impotenti una persona cara andarsene.
Con quella nuova, ovvia consapevolezza, Thorin tornò ad abbassare il capo sulla giovane che, contro ogni aspettativa, gli era penetrata tanto a fondo nell'animo e nel cuore, e sentì il nodo in fondo alla gola stringersi. 
Non era pronto a lasciarla andare.
Non era pronto a vivere una nuova vita senza di lei.
– ..scusami.. – mormorò di nuovo Katla, calamitando nuovamente l'attenzione di tutti su di sé mentre teneva lo sguardo su Thorin – ..per aver mentito… nessuna gemma può.. eguagliare la bellezza dei.. dei tuoi occhi, Thorin.
Ed il nano avvertì parte della propria angoscia venir soppiantata da un'incredulità che ebbe il potere di fargli inarcare un sopracciglio ed al contempo farlo sorridere, mentre replicava: – Certi complimenti dovrei essere io a farli a te e non il contrario.
– Per di qua, Gandalf! – risuonò alta una voce squillante; una voce ben conosciuta alle orecchie dei quattro nani, i quali sollevarono di scatto il capo sul mezz'uomo che, sbucato dal sentiero, li raggiunse correndo.
Lo stregone grigio comparve da dietro l'angolo l'istante seguente e, con il volto segnato dalla tensione e lo sguardo cupo, si affrettò a raggiungerli, chinandosi a propria volta accanto a Katla dopo che i nani gli ebbero lasciato lo spazio per farlo. Il grande cappello a punta dell'Istar proiettò un'ombra soffusa sulla ragazza, giacché le nuvole stavano finalmente diradandosi.
– Thorin, che è successo?! – esordì allarmato.
Ma il nano non trovò la forza di rispondere, incupendosi maggiormente, e neanche ne ebbe il tempo, perché fu Kat a tornare a parlare.
– Gandalf.. – lo chiamò, e la sua flebile voce s’incrinò sotto l'effetto di un pianto trattenuto, in un modo che non fece altro che scavare un nuovo solco nel petto di tutti loro – ..io non voglio andarmene, Gandalf.... non voglio lasciare questo mondo... ci sono ancora così tante cose che.. che vorrei vedere – e mentre nuove lacrime le rigavano le tempie ella cercò il suo amato con lo sguardo ancora una volta – ..non voglio lasciarvi.
Thorin rispose a quella supplica stringendo maggiormente la sottile mano di lei nelle proprie, accostandola al proprio petto mentre teneva gli occhi di ghiaccio incatenati a quelli d'ella.
– Non lo farai – le rispose, e la sua voce finalmente risuonò profonda e calda, rassicurante quanto infusa di una ferrea determinazione – Il tuo posto è qui, fra noi. Ed al mio fianco, se lo vorrai.
Lei gli sorrise di nuovo e la cosa lo rincuorò e lo straziò allo stesso tempo, giacché non aveva di certo sperato di farle quella proposta in una situazione simile. Avrebbe voluto dirglielo in un altro modo, in tutt'altra circostanza, ed avrebbe voluto dirle tante altre cose, ma ogni altra parola gli si piantò in gola, impedendogli di aggiungere altro. Ma, ancora una volta, ci pensò lei a infrangere il momento.
– ..se dovessi cavarmela.. vorrei un cucciolo…
Quel mormorio dal sapore di sofferta ironia lasciò il nano spiazzato e confuso per una manciata di istanti, ormai del tutto incapace di distinguere il delirio dal raziocinio, ma decise che non gli importava: avrebbe fatto qualunque cosa per lei, in quel momento, così annuì.
– ...tutto quello che desideri, athunê.[3]
Cieco e sordo a qualunque altra cosa non la riguardasse, Thorin colse soltanto il leggero reclinarsi del capo di lei di nuovo verso lo stregone grigio ed a malapena osservò lo stesso ricambiarla con espressione contrita, mentre diceva qualcosa sulla volontà dei Valar.
Come osservando la scena da un luogo lontano, il Re di Erebor assistette alla perdita di conoscenza di lei ed alla mancanza di reazioni di tutto il proprio corpo, che rimase immobile a fissarla ancora quando l'Istar, dopo essersi accertato che fosse solo svenuta, rimarcò la necessità di portarla via da lì il più in fretta possibile.
– Forse c'è ancora una speranza, ma dobbiamo fare presto! – esclamò Gandalf, perentorio, riscuotendo i nani e lo hobbit lì presenti, tutti tranne Thorin, che si mosse come in trance, circondato da una bolla che gli ovattava i sensi e lo lasciava estraniato dalla realtà.
Una bolla che scoppiò nel momento esatto in cui una delle Grandi Aquile calò su di loro, offrendo ai nani ed allo stregone l'aiuto insperato di cui avevano tanto bisogno. Soltanto allora Thorin, sotto la pressante necessità di salvare la donna che amava, si riscosse ed acconsentì senza remore a lasciarla all’Istar ed alla creatura alata.
Se vi era davvero ancora una speranza, avrebbe fatto tutto il possibile perché si avverasse.
Così osservò ciò che aveva di più prezioso volare via sul dorso del grande rapace che provvidenziale era sopraggiunto da oltre le nubi, l'inquietudine tenuta a freno a stento dal freddo che, sospinto dal vento del crepuscolo, gli si insinuava sotto gli abiti, penetrandogli nelle ossa e mischiandosi al gelo che gli stritolava il cuore.
– Thorin – fu la voce carica di pena di Bilbo a farlo voltare a guardarlo, e nei suoi occhi blu il nano lesse una profonda preoccupazione ed una nota d'urgenza che non gli erano estranee e che lo spinsero ad annuire.
– Torniamo a valle – ordinò, riscuotendo l'assenso dei suoi compagni.
Quindi, ognuno dei nani rimontò in sella alla propria cavalcatura e Thorin, recuperato il proprio ariete da guerra, stava per fare lo stesso quando notò un movimento accanto al corpo del grosso lupo lì accanto.
Si avvicinò con passo pesante ed espressione truce, ma quando fu abbastanza vicino da vedere di cosa si trattasse, inarcò un sopracciglio: un piccolo lupacchiotto, un cucciolo, ricambiò il suo sguardo e gli ringhiò contro, schiacciandosi contro la pelliccia dell'esemplare privo di vita come ad intimargli di starne lontano. Col pelo grigio-argento e gli occhi del colore dei raggi dell'aurora, quello rimase a fronteggiarlo, tremando come una foglia mentre il ringhio acerbo che gli graffiava la gola aumentava e calava di intensità, al di fuori del suo pieno controllo.
– Doveva essere la madre – commentò con una compassione malcelata nel tono di voce Bilbo, affiancando il nano con un'espressione cupa in volto – L'ho vista permettere a Kat di cavalcarla e si è battuta con lei contro l'Orco Pallido, difendendola, come se.. come se fosse stata parte del branco.
Thorin tornò allora ad osservare con occhi di diamante l'enorme lupo bianco privo di vita che giaceva nel suo stesso sangue ed il cucciolo che, con tanta ostinazione, gli rimaneva accanto, rifiutandosi di accettare l’accaduto. Continuò a ringhiargli contro col pelo chiazzato del sangue della madre, il muso schiacciato a terra e la coda rigida e tesa, ed il nano osservandolo avvertì una strana sensazione d’affinità per quella creaturina e la sua profonda caparbietà.
Fu sulla base di tali emozioni che Thorin, elaborando le informazioni che lo hobbit gli aveva appena fornito, prese la sua decisione.
Senza una parola si sporse in avanti e, non curandosi delle piccole zanne del poppante o del suo tentativo di morderlo sul bracciale dell'armatura, lo agguantò per la collottola e se lo caricò sotto un braccio come un qualunque piccolo fardello animato. Quindi tornò ad accostarsi al proprio ariete da guerra e, dopo esser risalito sulla sella, aiutò lo stesso Bilbo a prender posto dietro di sé, prima di dare il segnale ai suoi.
Il quartetto di nani si precipitò dunque giù da Collecorvo con la stessa foga con cui vi era salito, verso l'accampamento di Elfi e Uomini, con una sola intenzione: raggiungere in fretta Gandalf e la ragazza e sincerarsi delle condizioni di quest'ultima.


continua...






~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. “Ed’ i’ear ar’ elenea!” = "Per il cielo e le stelle!", inteso come esclamazione di stupore in lingua elfica.
2. "San’ auta i lóme. Mae govannen, goth en gothamin: lossë raaka Nén ar aiwe vorth elannah" = "Dunque la notte sta per finire. Ben trovato, nemico del mio nemico: bianca lupa Nén e piccola donna guerriera." in lingua elfica.
3. "athunê" = "mia regina" in senso informale ed affettivo, in lingua khuzdul.


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Capitolo 29
*** The Queen Under the Mountain ***






“Live the pages of a story and you'll never die [..]
That's what is told in Hobbit's tales.
[..] Even stars shine forth anew,
the last hope for a new world,
strong will rise.”
[ There and Back Again, Wind Rose ]




Vi era una quiete assoluta ed irreale, in ciò che circondava ed ovattava i suoi sensi.
Quando Kat, dopo un tempo a lei indefinito, iniziò a percepire qualcosa, fu la sensazione di esser sospesa in un nulla bianco candido, una dimensione carica di luce e priva di qualunque suono. Una dimensione che venne colmata da una voce che le giunse sotto forma di una sensazione ed un pensiero estranei, quasi un tutt'uno con l'ambiente in cui era immersa. Perduta.
– La missione è compiuta, l’equilibrio nel flusso è ristabilito.
Kat si sentì pervadere da quelle parole, pur non sentendosi fatta d'alcuna forma corporea.
– La tua vita è appesa a un filo – riprese quella voce composta da più suoni, echeggiante d'eternità – La tua anima è ora sospesa fra due mondi: una scelta ti è stata concessa, in virtù del tuo operato.
Lei non capì, ma l'istante seguente un'immagine venne proiettata alla sua coscienza: Kathrine in un letto d'ospedale, la testa fasciata ed una serie di tubicini attaccati a tutto il suo corpo. Faticò un istante a riconoscersi e quando lo scenario cambiò, mostrandole Katla, la forma che aveva fatto propria nell'universo di Arda, stesa su una branda ed ugualmente incosciente e sporca di sangue, ricordò.
Stava morendo, in entrambi i mondi.
– Una scelta dovrà essere fatta – ribadì la voce ultraterrena.
Kat si chiese come avrebbe potuto farlo, giacché ognuna delle due giovani donne che aveva davanti era parte di lei.
Fu a quel punto che scorse, nello scenario dai toni più cupi in cui era immersa Katla, una presenza che prima non aveva notato: un nano dalla chioma corvina ed un’armatura scura e preziosa, come d’ossidiana.
Era Thorin.
Era lì, con lei, e la guardava in silenzio mentre una fioca e calda luce tremolante si rifletteva sulla sua cotta di maglia e danzava fra i suoi capelli, brillando sugli anelli d'oro che li adornavano. Sostava in piedi accanto a lei e la sua mano andò a sfiorarle la spalla, scendendo in una carezza portata con la punta delle dita lungo il braccio. Un istante dopo il Re sotto la Montagna si voltò ed i suoi occhi azzurro ghiaccio riflessero liquidi la luce mentre si allontanava dal suo giaciglio, provocandole una stretta all'animo che la scosse sin nel profondo. 
E allora prese la propria decisione.
– La magia che ti era stata donata non tornerà con te, giacché essa appartiene al flusso e ad esso farà ritorno una volta guarito il tuo corpo.
Le andava bene così, non le serviva alcuna magia.
– Un prezzo dovrà essere pagato: ogni legame verrà reciso e nemmeno il ricordo sarà conservato, della realtà che sarà abbandonata.
Non le importava, avrebbe pagato qualunque prezzo. 
Avrebbe sacrificato ogni cosa, pur di fare ritorno.
– Il patto è stato sancito, – annunciarono quelle entità che erano Uno e Tutto – è giunto il tempo che tu riapra gli occhi, Katla.


Quando Kat schiuse per la prima volta le palpebre, non capì subito chi, cosa o dove fosse.
La prima sensazione che le pervenne dal suo corpo fu una debolezza soverchiante unita ad una formicolante scarica di dolore dalle varie giunture che le fece digrignare i denti in una smorfia. Era stesa sulla schiena, comprese dopo una manciata di secondi, quando tentò di muovere i muscoli indolenziti, e appena mise a fuoco l'alto soffitto sopra la sua testa, nella sua mente le vivide immagini di quel sogno privo di colori e forme già andavano sbiadendo, lasciandosi dietro soltanto una sensazione di vuoto.
La stanza era rischiarata e riscaldata da due grossi bracieri la cui luce si rifletteva sulle pareti nere e lucide, ma l'odore di polvere dell'ambiente era appena accennato al suo naso e le pesanti coperte in cui era avvolta profumavano di pulito. Una lievissima brezza fresca le carezzò la pelle del viso, proveniente da un'alta e stretta finestra incassata nella parete alla sua sinistra, unica fonte di luce naturale.
Vi erano dei rumori, suoni indefiniti in sottofondo, ma ella si sentiva ancora troppo intontita per comprendere cosa fossero davvero.
– Kat?
Fu la rassicurante voce di Gandalf il primo suono chiaro che le giunse alle orecchie e penetrò la cortina che le ottenebrava la coscienza, spingendola a reclinare il capo in sua direzione. Trovò lo stregone accanto al proprio capezzale, un letto a due piazze con lenzuola di stoffa candida ed una pesante testata in ferro battuto, e come ne incrociò lo sguardo, ella vide i suoi occhi sotto le cespugliose sopracciglia grigie ridere insieme al resto della sua espressione.
– Gandalf...? – tentò di dire, ma la voce che le uscì era graffiata e roca ed avvertì le labbra screpolate e la gola dolere per quel tentativo.
Aveva sete, comprese.
Il Grigio, come leggendole nel pensiero, si alzò in piedi e sporgendosi verso di lei, le porse un bicchiere d'acqua, tenendole sollevato il capo in aiuto. Katla bevve avidamente, chiudendo gli occhi e lasciando che la piacevole sensazione del liquido fresco spegnesse l'incendio che imperversava nella sua gola e soltanto poi tornò, con rinnovato sollievo, a rilassarsi fra i cuscini.
– Come ti senti? – le chiese a quel punto lo stregone, ancora sorridente – Ci hai fatto davvero preoccupare, sai? Non ho più l'età per questo genere di spaventi, mia cara, quindi ti pregherei di non farmi più ripetere l'esperienza.
L'ironia burbera di Gandalf la fece sorridere automaticamente, ma per quanto si sentisse ancora scombussolata e debole, la giovane donna non riuscì a frenarsi dall'iniziare a porre le domande che sempre più frequenti ed insistenti si stavano risvegliando nella sua mente.
– ...come...?
– Ritengo che non ci sia tempo per rispondere a tutte le tue domande, – la interruppe l'Istar, bonariamente – ma ognuna avrà la sua risposta. Per ora posso dirti che sei all’interno della Montagna Solitaria, la battaglia è stata infine vinta e tu hai dormito per quasi una settimana, nonostante il tuo corpo sia guarito nel giro di una sola notte.
Perplessa, Katla faticò a star dietro alla parca spiegazione dello stregone e quando inarcò un sopracciglio lui la ricambiò con uno sguardo velato d'aspettativa, prima di rendersi conto che ella aveva bisogno di più tempo e informazioni per elaborare l'accaduto.
– ...non capisco... – ammise infatti lei, arrendendosi all'evidenza con una certa stanchezza, ma dopo un istante abbozzò un quieto sorriso – ...ma credo che non mi importi più. Sono contenta di essere qui, Gandalf.
Il Grigio dopo un istante di perplessità tornò a sorriderle con affetto, le rughe dietro la sua barba che si incresparono alla luce della candela, e sollevò una mano nodosa per posargliela con gentilezza sul capo in una fugace carezza.
L'istante seguente, anticipata da un pesante scalpiccio di stivali, la porta si aprì di botto e tredici nani la varcarono, catapultandosi dentro la stanza come una valanga dai toni del marrone, del nero, del verde e persino del rosso scuro, infrangendo immediatamente la quiete con un vociare concitato.
Volgendo lo sguardo in quella direzione, Kat si ritrovò a spalancare gli occhi grigi nell'osservare Kili, il primo della fila, venire spintonato di lato da Fili e Bofur, i quali franarono sul pavimento, permettendo a Bifur, Gloin, Oin, Dori, Ori, Nori e Bombur di entrare con slancio ed inciampare a loro volta sui compagni caduti.
– Oufh!
– Ma che..!
– Maledizione!
– Bombur, panzone che non sei altro..!
– Toglietevi!
– Per tutte le barbe di Durin!
E così via, in una sequela di imprecazioni e proteste che non solo animarono l'atmosfera, ma che divertirono profondamente Katla, la quale si ritrovò a ridacchiare nel suo morbido giaciglio, non riuscendo proprio a contenersi.
Dal vano della porta comparvero quindi Balin e Dwalin, arrestatisi appena in tempo per non finire addosso agli amici e compagni d'avventura, e li guardarono con identiche espressioni di compatimento e rassegnazione prima di sollevare i loro sguardi su di lei e lasciar trasparire sui loro volti barbuti una contentezza ed un sollievo innegabili.
Di fronte al sorriso gioviale di Balin ed a quello orgoglioso e soddisfatto di Dwalin, Kat avvertì gli occhi pizzicarle, giacché la gioia che provava nel vedere i suoi amici era tale che non avrebbe potuto contenerla ancora a lungo dentro di sé, ma le lacrime salirono soltanto quando ad entrare, per ultimo, dopo un altrettanto sorridente Bilbo, fu lui.
Come Thorin varcò quella soglia e si fece avanti nella sua tunica blu scuro, passando oltre i membri della Compagnia che lo avevano così rumorosamente anticipato, il silenzio tornò a lambire le alte pareti squadrate della stanza e la stessa aria parve arrestarsi intorno a loro, rispettosa spettatrice di un incontro pieno di significato.
E come la prima volta che era accaduto, quando gli occhi azzurri del nano dalla corta barba corvina si posarono su di lei, Katla avvertì il proprio corpo reagire e destarsi sotto l'effetto di un brivido che, intenso, le risalì lungo la schiena, risvegliando nel suo animo i profondi sentimenti che la legavano a lui.
Thorin era vivo.
Ce l'aveva fatta.
D'impulso Kat tentò di alzarsi, ma non riuscì nemmeno a mettersi a sedere che i muscoli la tradirono e lei franò, come era accaduto poco prima ai nani suoi amici, fra i cuscini e le lenzuola. Lottò per ribellarsi a quella debolezza inopportuna e disattesa, ma non fece nemmeno in tempo a riprovarci che una mano le si chiuse intorno ad un polso, bloccandola e tirandola su di peso, e l'istante seguente ella si ritrovò stretta fra due braccia salde e forti che la premevano contro un corpo altrettanto solido eppure accogliente come quello di nessun altro.
E Kat, inspirandone l'odore di ferro caldo misto a resina d'abete e muschio, vi si aggrappò con tutta la forza che aveva ed affondò il volto contro una sua spalla, mentre una volta di più gioia, sollievo e gratitudine si mescolavano nel suo petto, tanto intense da smorzarle il respiro quasi quanto la stretta in cui era racchiusa in quel momento.
Era tornata... era a casa.


Bilbo rimase ad osservare la scena con un ampio ed indomito sorriso in volto, non riuscendo a far a meno d’esternare il proprio sollievo e la propria gioia per il miracolo di cui era spettatore.
Rammentava ancora fin troppo vividamente quanto era accaduto una settimana prima, di come avesse raggiunto Collecorvo appena in tempo e di come era stato testimone del compiersi del destino della ragazza. Ricordava fin troppo bene la paura, il senso di agitazione ed infine quel coraggio che lui stesso tempo prima aveva affermato di aver trovato fra i Monti Nebbiosi e che si era presentato vivido ed implacabile quando Azog aveva minacciato la vita della ragazza.
Si era messo in mezzo, forte dell'invisibilità conferitagli dall'anello, per tentare di deviare l'attacco dell'orco, ma quell'affondo era stato scagliato con troppa forza per un solo, piccolo hobbit come lui, e Bilbo era riuscito soltanto a modificarne leggermente la traiettoria. Nemmeno lui poteva sapere che il suo intervento era stato provvidenziale, giacché era bastato perché la lama del nemico mancasse i punti vitali della piccola donna, e che, in questo modo, le avesse garantito la possibilità di sopravvivere ad un colpo altrimenti mortale.
Del suo gesto per certi versi sconsiderato Bilbo non aveva fatto parola a nessuno, attendendo con la stessa ansia degli altri il risveglio della loro amica, pregando ogni giorno affinché giungesse quello in cui lei avrebbe riaperto gli occhi.
Dopo che gli Elfi di Thranduil si erano occupati della sua ferita, Bilbo era stato testimone involontario di una discussione fra Gandalf e Thorin e non era riuscito a sottrarsene, giacché se si fosse allontanato sarebbe stato notato sicuramente da entrambi, così aveva finito per venire a conoscenza di una verità ancor più difficile da credere di tutte le stranezze ed i misteri di cui i suoi occhi blu erano stati testimoni nel corso di quel viaggio.
Thorin aveva preteso spiegazioni dallo stregone grigio sull'accaduto e sulla provenienza di Katla, giacché aveva capito che egli aveva taciuto, così come aveva fatto lei, su molte cose, e l'Istar gli aveva rivelato ciò che sapeva: la ragazza non era originaria del loro stesso mondo, era stata inviata a loro per volontà dei Valar e, probabilmente, ora stava lottando con tutta sé stessa per rimanervi.
Gli aveva raccontato ogni cosa, persino dell'accordo che Kat aveva stipulato con il Re degli Elfi per garantire loro una possibilità di sopravvivenza, ed il Re di Erebor aveva accolto quelle notizie con un silenzio cupo e pesante. Quando, dopo una pausa inquantificabile, era tornato a rivolgersi allo stregone, gli aveva posto l'unica domanda che lo hobbit non si sarebbe mai aspettato di sentirgli formulare e, al contempo, l'unica che avesse davvero senso porre in quel momento.
– Avrebbe più possibilità di sopravvivere se facesse ritorno nel suo mondo?
Gandalf lo aveva guardato con una pena ed una compassione che gli avevano addolcito il volto adorno della lunga barba grigia.
– Non vi è alcuna certezza, Thorin – gli aveva risposto, greve, ed il discorso era terminato lì e nessuno dei due lo aveva più sollevato nei giorni seguenti.
Era accaduto la seconda notte d'incoscienza di Katla: poco prima dell'alba una luce intensa aveva permeato la tenda in cui era stata adagiata e Bilbo, che quella sera aveva faticato a prendere sonno, era accorso appena in tempo per trovare gli elfi e Gandalf raccolti intorno al giaciglio della sua amica, intenti a scambiarsi sguardi increduli e confusi. Preoccupato, si era precipitato fra loro, ma aveva dovuto arrestarsi di colpo giacché accanto alla giovane donna era china un'Elfa Silvana, la quale ancora reggeva in mano le bende che avevano usato per fasciarle la ferita. Sotto i suoi occhi blu, Bilbo aveva visto la pelle rosea di lei rimarginata ed aveva meccanicamente fatto un passo indietro, prima di cercare lo sguardo dello stregone. E Gandalf gli aveva sorriso, per la prima volta dopo giorni, e lui ne era stato rinfrancato e sollevato, perché aveva capito che, qualunque cosa fosse accaduta, era stata un vero miracolo.
Nel mentre di tutti quegli accadimenti i tredici nani, e Thorin per primo, si erano tutti dati da fare per rimettere in sesto la Montagna Solitaria e Bilbo era giunto a sospettare che l'impegno nell'opera di ristrutturazione dei grandi saloni e delle porte del Regno di Erebor fosse un modo, per i laboriosi membri della Stirpe di Durin, di tenersi impegnati, mente e corpo, per non pensare alla situazione in cui vigeva la loro amica. Eppure, per quanto fosse stato penoso, nessuno di loro aveva mancato di andare a trovarla un solo giorno, nemmeno quando Thorin aveva disposto di spostarla all'interno della montagna il mattino dopo la sua guarigione miracolosa. Avevano approntato per lei quella magnifica stanza, situata nella parte più alta e meglio conservata della dimora dei Durin, e nessuno si era tirato indietro: persino lo hobbit aveva contribuito, avendo cura di trovare lenzuola e coperte pulite per il letto in cui l'avevano poi adagiata in attesa che si svegliasse.
Erano trascorsi quattro giorni da allora, giorni in cui la ragazza non era mai stata sola a lungo, giacché lo hobbit e lo stregone si alternavano spesso nel vegliare su di lei. Bilbo aveva persino osato osservarla attraverso il potere dell’anello, ed era stato allora che s’era reso conto d’una cosa che lo aveva sorpreso ed allarmato: quello strano fascio di luce che aveva visto ormai tempo prima dietro la schiena di lei era scomparso, svanito, senza lasciare traccia. Quando ne aveva parlato a Gandalf, lo stregone grigio, dopo un momento di silenziosa riflessione, lo aveva rincuorato un poco ipotizzando che quello dovesse esser stato un segno del legame che univa l’anima della ragazza al suo mondo d’origine, qualunque esso fosse. Il fatto che fosse scomparso, poteva voler dire solo una cosa: Katla ora apparteneva unicamente e totalmente ad Arda ed alla Terra di Mezzo.
Quando finalmente ella aveva dato cenno di star riemergendo dall'incoscienza, Bilbo si era subito precipitato a chiamare gli altri. Come era corso giù dalle scale ed aveva percorso in gran fretta gli ampi corridoi chiamandoli a gran voce, tutti i nani si erano voltati a guardarlo ed avevano abbandonato qualunque quanto stavano facendo per corrergli dietro, chi mollando un grosso blocco di pietra che stava trasportando con l'aiuto d'altri, chi depositando a terra casse di provviste e coperte ed altri beni di prima necessità per superare l'inverno e persino chi, come Thorin, era stato impegnato ad affrontare una discussione dall'aria importante con suo cugino Dain.
Ognuno di loro si era caracollato su per le scale e nessuno dei nani dei Colli Ferrosi, pur scoccando loro qualche esclamazione di protesta, li aveva guardati con disapprovazione, giacché quello di Durin era un popolo dal cuore grande, dopotutto.
Ed ora eccoli lì, raccolti tutti appresso al letto di Katla, in attesa fremente che Thorin, ancora intento a stringerla a sé, concedesse loro il permesso e lo spazio di avvicinarsi ulteriormente per riaccogliere nel mondo dei vivi la loro preziosa compagna.
Incrociando lo sguardo dello stregone, Bilbo si ritrovò a ricambiare un sorriso pari al suo, nascosto sotto la sua lunga barba.
– Thorin... – la voce di lei, esitante e soffocata dalla spalla del nano cui era aggrappata, tornò ad attirare l'attenzione di tutti i presenti e persino lo hobbit trattenne il respiro, osservando come il Re di Erebor allentava l'abbraccio con cui la stava sostenendo per guardarla in volto – ...ho fame.
Neanche il tempo di pronunciare quelle parole che il gorgoglio dello stomaco di lei spezzò ogni tensione residua e, nonostante il sussulto che la colse, più di un nano presente diede una pacca sulla spalla a quello vicino, scambiandosi sorrisi soddisfatti e sollevati. Persino Thorin Scudodiquercia finì per sorridere alla sua amata, annuendo con un cenno del capo.
– Ti porteremo subito qualcosa – la rassicurò, prima di gettare uno sguardo allo stregone in cerca di conferma.
Quello annuì di rimando, prima di specificare: – Un brodo di carne e verdure dovrebbe essere abbastanza per evitare scompensi al suo stomaco vuoto, per ora.
Bastò un'occhiata del loro Re perché i nani, così come erano sopraggiunti, imboccassero caoticamente di nuovo la porta con l'intento di andare a procurare quanto di meglio le scorte rimpolpate della montagna avevano da offrire, in barba a quanto appena affermato dall’Istar. Soltanto Fili e Kili indugiarono un istante più degli altri, il tempo di ricevere un nuovo cenno del capo da parte del loro zio, prima di lasciare la stanza.
Quando anche Gandalf abbandonò il suo posto e si avviò verso l'ingresso, Bilbo intuì come fosse meglio lasciare i due da soli, giacché sospettava che Thorin avesse intenzione di parlare in privato con la giovane donna, prima di dover tornare ai suoi molteplici doveri e lasciarla riposare.
Tuttavia non mancò di gettare un'ultima occhiata al letto sul quale Kat era ancora adagiata e su cui Thorin era seduto, proteso verso di lei, e non gli sfuggì una volta di più come i lineamenti del nano fossero più dolci e distesi ora che i suoi occhi erano immersi in quelli d'ella, cosa che contribuì a rasserenarlo anche nei suoi riguardi.
Poteva star sicuro che la Malattia del Drago non si sarebbe mai più ripresentata ad ottenebrargli il cuore, ora che aveva nuovamente con sé il tesoro per lui più prezioso: la donna che amava.


Una volta rimasti soli, Katla si prese il suo tempo per riemergere dalle profondità degli occhi di Thorin ed anche così, quando infine lo fece, se ne rammaricò subito, nonostante avvertisse pressante la necessità di tornare alla realtà.
– Mi vorrei mettere seduta – gli disse, abbozzando in sua direzione un mezzo sorrisetto contrito.
Il nano non parve esserne sorpreso ed annuì, aiutandola a sollevare la schiena dai cuscini e sistemandoglieli in modo che le fornissero il dovuto appoggio, prima di lasciarla scivolare indietro da sé, pur restando a portata di mano. Quando Kat, forte del proprio orgoglio, si fu sistemata alla meglio delle sue possibilità, tornò a guardare in volto Thorin e la preoccupazione che vi lesse la spinse a donargli un nuovo sorriso incoraggiante.
– Non guardarmi così – esordì, in un bonario rimprovero – sono più forte di quanto sembra.
– Lo so – ribatté lui, e la sua voce profonda e leggermente roca sarebbe stata già abbastanza senza il morbido sorriso e lo sguardo adorante che lui le rivolse, lasciandola quasi senza fiato, mentre continuava – ..l'ho visto, molte volte.
Thorin allungò nuovamente la mano a sfiorare la sua e Kat sentì le lacrime tornare a pungerle gli occhi, sospinte da un'ondata di commozione che le colmò il petto. Era un momento così bello, così perfetto, che il solo viverlo la riempì di una profonda gratitudine verso i Valar o qualunque fosse l'entità che glielo aveva permesso.
Fu abbassando lo sguardo sulla grande mano del nano che avvolgeva la sua, che si rese conto di aver addosso una veste che non le apparteneva.
– ...e questa? – domandò, esponendo la manica dell'abito da notte colmo di fronzoli allo sguardo altrui.
– Le figlie di Bard si sono prese cura di te e ti hanno lavata e cambiata mentre dormivi.
Il pensiero delle due ragazzine e la conferma che erano scampate alla morte ancora una volta la rasserenò e la fece al contempo render conto di quante domande ancora affollassero la sua mente sull'epilogo della vicenda. Allora, dopo un istante, tornò a sollevare gli occhi grigio-verdi sul volto del Re dei Nani ed in essi vi lesse una nuova ed al contempo conosciuta determinazione.
– Raccontami tutto – lo esortò, pacatamente, ed il nano di fronte a lei annuì ancora una volta, prima di iniziare a parlare.
Le raccontò di come le Grandi Aquile fossero infine giunte da Nord e del modo in cui si erano scagliate sulle orde di pipistrelli di Gundabad. Le narrò del ribaltamento delle sorti della battaglia che stava avendo luogo nella Valle di Conca ad opera di Beorn che, comparso come uno spettro vendicatore in forma d'orso, aveva abbattuto la progenie di Azog, Bolg, ed infranto lo schieramento nemico, permettendo a Thorin ed ai suoi compagni di dirigersi rapidamente verso Collecorvo.
Le rivelò di essere giunto insieme a Kili, Fili e Dwalin sull'altura che era già in pieno fermento a causa delle schiere elfiche che li avevano anticipati e delle creature che li stavano affiancando. Quando accennò ai lupi, le labbra di Kat si tesero in un vago e sofferto sorriso al ricordo del sacrificio di Nén, ma non lo interruppe nemmeno per un istante, giacché desiderava sapere di più.
Allora egli le disse di come Azog avesse trovato la morte e di come lo stregone grigio, condotto dallo hobbit, sbucati entrambi da chissà dove, l'avesse presa con sé e con l'aiuto di un'Aquila l'avesse riportata a valle.
Gli Elfi l'avevano curata al meglio delle loro possibilità e persino il Capitano delle Guardie ed il Principe di Reame Boscoso si erano fatti avanti per accertarsi delle sue condizioni, ma era stato chiaro a tutti sin da subito come per lei vi fossero state ben poche speranze. E poi il miracolo, la ferita rimarginata, ma lei che aveva continuato a dormire ininterrottamente per tutto il tempo, cosa che aveva fatto prendere una decisione al figlio di Thrain.
Era stato lui a disporre che fosse portata all'interno della Montagna Solitaria, giacché l'inverno era ormai giunto ed il freddo non le avrebbe giovato, così come non avrebbe giovato a nessun altro dei feriti. Li avevano accolti tutti, Nani e Uomini, mentre gli Elfi avevano scelto di ripartire e se n'erano andati lo stesso giorno, ansiosi di tornare nel loro regno fatto d'alberi ed ampie grotte luminose.
Avevano raccolto i corpi dei loro morti e Thranduil li aveva ricondotti a Reame Boscoso, ma non prima che Thorin onorasse il patto che lei aveva stipulato e gli avesse consegnato, grazie alle indicazioni dello stesso Bilbo, le gemme per cui era stato disposto a scendere in guerra sin dal principio. Si erano separati in amicizia, per quanto in amicizia potessero essere un Nano ed un Elfo stoico come il Sovrano di Reame Boscoso, ma anche solo il venire a conoscenza di quel fatto riempì il petto di Kat di orgoglio verso il suo amato, giacché aveva infine lasciato andare il rancore e la diffida che dalla caduta di Erebor lo avevano sempre accompagnato per il Popolo degli Elfi.
Le disse di come i nani dei Colli Ferrosi fossero rimasti e dei lavori che stavano approntando, dentro e fuori la montagna, per riportarla all'antico splendore e renderla degna della dimora del loro popolo. Le annunciò anche della decisione di Bard di fare ritorno a Lago Lungo coi suoi uomini dopo che i caduti erano stati seppelliti e Thorin aveva pagato loro, in risarcimento, non senza vergogna per sé stesso, una somma pari ad un quindicesimo delle ricchezze di Erebor in oro e argento. Anche questo era stata un’iniziativa di Bilbo, giacché s’era trattato della sua parte del tesoro, quella che era stata consegnata agli Uomini del Lago.
Pire funebri erano state accese nella valle, dando alle fiamme pile di orchi ammassati gli uni sugli altri, e questo aveva a tratti infastidito i nani, che pure erano gli artefici di quei fuochi, quando il vento si levava da Est e sospingeva il fumo verso la montagna.
Ma comunque, concluse, c'era ancora molto da fare e, pur con l'aiuto di Dain, i nani non sarebbero mai stati in grado di superare l'inverno senza la benevolenza dei loro vicini. Altre provviste sarebbero presto giunte su barche elfiche che già risalivano il fiume, stando ai messaggi che i Corvi Imperiali gli portavano ogni giorno. Inoltre, in un tempo relativamente breve, mercanti dai Regni degli Uomini sarebbero sopraggiunti, portando seco le loro merci per venderle al loro popolo in cambio d'oro, e così le difficoltà che stavano affrontando sarebbero infine giunte al termine ed il rinato Regno di Erebor sarebbe tornato al suo antico splendore.
Mentre Thorin parlava, Kat vide la speranza nei suoi occhi e si ritrovò a sorridere a tanto ottimismo e sicurezza sull'avvenire, riconoscendo in lui una volta di più il nano che, a Casa Baggins, aveva rapito il suo cuore con un solo sguardo. Non vi era più nemmeno un'ombra su di lui, sembrava persino ringiovanito, pur mantenendo qualche striatura grigia nella chioma corvina, ma ai suoi occhi egli non le era mai parso più bello di così.
Un timido bussare alla porta li interruppe ed un attimo dopo Bilbo varcò la soglia, una scodella fumante in mano ed uno sguardo incerto sul volto sorridente. Sembrò farsi coraggio quando li trovò seduti sul letto a parlare e annunciò che aveva portato, come richiesto, qualcosa da mangiare per Kat.
La ragazza gli sorrise di rimando, grata e confortata della discrezione e della premura dello hobbit.
– Grazie Bilbo... per tutto quanto.
E per un attimo il mezz'uomo parve tentennare sotto il suo sguardo, perché da esso ella lasciò trasparire parte di un sottinteso che era solo un sospetto nella sua mente, ma che ebbe conferma in quel vago tremito del sopracciglio dell'amico: senza dubbio le azioni di Bilbo non si erano limitate a ciò che gli altri sapevano e si ripromise di parlargli adeguatamente alla prima occasione, giacché non voleva vi fossero più segreti o misteri fra loro.
E nemmeno con Thorin.
Dopo aver salutato lo hobbit, mentre beveva con cautela il brodo caldo, apprezzando l'insolito sapore che la carne di capra vi aveva infuso, non mancò di scoccare un'occhiata al nano mentre questi attendeva in silenzio. Pareva intenzionato ad aspettare che lei finisse di mangiare, prima di continuare, e dal modo in cui le sue sopracciglia tendevano ad incresparsi sui suoi occhi doveva avere qualcosa di molto importante da dirle.
Vi fu da dire però che, nonostante quel lieve accenno di tensione, il Re dei Nani mantenne un comportamento esemplare, pur non togliendole gli occhi di dosso, come se avesse paura che, se l'avesse fatto anche solo un istante, lei non sarebbe stata più lì.
Quando finalmente mise giù la scodella vuota, tutt'altro che sazia ma almeno rinfrancata dall'avere un po' di sostanza nello stomaco a fornirle quel poco di forze in più, Katla restituì il recipiente in legno intagliato al nano di fronte a lei, che l'appoggiò sull’antico comodino lì accanto prima di tornare a donarle attenzione.
– Come ti senti?
– Meglio – gli rispose con un sospiro, poggiando nuovamente il capo contro la testiera in ferro battuto dietro di sé, prima di riservargli uno sguardo penetrante da sotto le ciglia – Ora, ti decidi a dirmi ciò che vuoi dire o devo invecchiare qui, nell'attesa che vuoti il sacco?
Thorin sbatté le palpebre ed inizialmente parve preso alla sprovvista, cosa che finì per far sogghignare un'altra volta la giovane. Eppure, dopo un paio di secondi, l'insolita espressione del nano tornò a sfumare in una più quieta e serena e Kat lasciò svaporare la propria ilarità per donare tutta la sua attenzione al Re di Erebor.
– Ricordi ciò che ti dissi prima di scendere in battaglia? – le chiese allora Thorin, tornando a puntarle addosso uno dei suoi sguardi penetranti e grevi.
Kat cercò di ripensare a quel momento e piegò le labbra in una smorfia contrita, giacché rammentò perfettamente di aver disobbedito apertamente ad un suo ordine diretto. Non che in realtà lo considerasse sbagliato, neanche faceva più parte della Compagnia a quel punto della vicenda, però era sicuramente una cosa che Thorin non aveva gradito.
– ...mi spiace, sei arrabbiato? – osò persino chiedergli, con una certa titubanza.
Ma il nano scosse il capo in segno di diniego, prima di tornare a guardarla.
– Non sono arrabbiato... e non mi riferivo all'ordine che ti ho dato e che tu, come al solito, hai ignorato, – le rispose, e già soltanto per averlo sottolineato Kat intuì quanto in realtà la cosa non gli fosse piaciuta, soprattutto dato il risultato – mi riferisco a quanto ti ho detto dopo.
Gonfiando i polmoni d'aria, Katla sbatté una volta sola le palpebre e finalmente rammentò ciò a cui si riferiva Thorin.
– Intendi... quando hai detto che c'era qualcosa di cui volevi parlarmi? – gli chiese, per conferma, ricevendo in risposta un nuovo cenno d'assenso.
– A Collecorvo – continuò quindi, cercando anche l'altra mano della ragazza e sollevandole entrambe fra le proprie mentre l'atmosfera intorno a loro si faceva più intima e solenne al contempo – ti ho detto che il tuo posto è qui.. al mio fianco.
Kat si irrigidì, spalancando leggermente gli occhi chiari mentre la sua memoria le andava in aiuto, riportandole alla mente in un rapido flash quel momento particolare, seppur per lei l’intera vicenda fosse ancora annebbiata e confusa, e subito arrossì, trattenendo il respiro sotto una nuova tensione.
Stava iniziando a capire, ma doveva sentirlo con le proprie orecchie e pregò di aver abbastanza forze per non svenire dall'emozione, giacché la testa iniziava già a girarle. Si morse persino il labbro inferiore con gli incisivi, ricambiando la solida e confortante stretta con cui l'altro le teneva ancora le mani. I suoi occhi color ghiaccio brillavano come diamanti, traditori di un'emozione altrettanto intensa ed una speranza che non lasciava più posto ad alcun tentennamento, in quella breve attesa.
– Katla... vorresti farmi l'onore più grande che un Nano possa ricevere e diventare la mia sposa?
– Thorin... – si lasciò sfuggire lei con voce strozzata, senza respiro, mentre la vista andava annebbiandosi a causa di un nuovo strato di lacrime.
Tutta quell’avventura l’aveva fatta seriamente diventare una piagnucolona, questo era certo.
Non poteva crederci, era tutto troppo bello per essere vero.
– Non vi è tesoro all'interno di questa montagna che eguagli il valore che hai tu per me, – proseguì lui, senza lasciarle nemmeno il tempo di riprendere fiato – per questo ti chiedo: vuoi essere la mia Regina sotto la Montagna?
Incredula, Katla sentì il nodo in fondo alla gola farsi più spesso ed il suo petto venne lacerato da una profonda sensazione agrodolce.
– Ma... io non sono una Nana – mormorò.
– Non ha alcuna importanza... non ne ha mai avuta, in realtà. – le assicurò Thorin, con lo stesso tono di voce basso e carezzevole, profondo – Mi spiace averci messo tanto tempo a capirlo.
– Ma.. – fece di nuovo, e stavolta il nodo in gola si strinse tanto da farle perdere la voce, giacché stava per mantenere il proprio proposito di rivelargli la verità sul proprio conto – ..io...vedi, io...
– Lo so già – la interruppe ancora una volta il nano, risparmiandole il doloroso tentativo di continuare, leggendole dentro lo sguardo ciò che ella stava cercando di dirgli ed abbozzando un lievissimo sorriso incoraggiante – Gandalf me lo ha detto.
Ammutolita, Kat impiegò allora una manciata di secondi nel tornare a serrare le labbra, e quando lo fece le premette in una linea piatta e tesa. 
Lui sapeva. Lui sapeva tutto.
– E ti sta bene...? Sei sicuro?
Di nuovo Thorin annuì e per confermarle la cosa le strinse maggiormente le mani nelle proprie, rivelandole attraverso quel semplice gesto quanta forza e quanta determinazione vi fossero a sostenerlo in quel momento.
– Non mi importa da dove tu provenga o chi tu fossi prima di unirti alla mia Compagnia – le disse, risoluto – Tu sei la donna che ha affrontato i troll delle montagne a spada tratta... la stessa che mi ha tenuto testa più d'una volta. Sei la donna che ha combattuto gli Orchi ed i Mannari Selvaggi al nostro fianco e persino i Ragni Giganti di Bosco Atro, senza battere ciglio. Sei la donna che ha riso, scherzato, cantato, discusso e pianto con il resto di noi e sei colei che più d'una volta ha messo a rischio la sua vita per la nostra. Ma ancor di più, sei l'unica che mi ha affrontato a viso aperto ed ha sempre creduto in me, nonostante tutto. Tu sei.. Katla, e non v'è altra femmina, che sia essa una Nana, una Donna o un'appartenente a qualunque altra razza di questa terra, che io possa desiderare al mio fianco quanto desidero te – a quel punto Thorin indugiò, abbassando lo sguardo, ma fu un solo istante di tenera difficoltà, giacché subito dopo tornò a trafiggerla con quei suoi occhi intensi e penetranti – Quel che sto cercando di dire è che... non ha senso, se non sei tu.
Al suono di quelle ultime parole, la prima lacrima tracciò un solco incandescente sulla guancia sinistra di lei, traboccando dalle ciglia scure mentre il suo cuore in risposta si scioglieva completamente e le labbra le si schiudevano in un nuovo, luminoso sorriso.
– Ci sai proprio fare con le parole... – gli disse, tentando di ritrovare un certo contegno grazie alla chiave ironica della sua risposta, ma fallendo miseramente, perché nuove lacrime le rigarono le gote arrossate mentre proseguiva: – Ti sposerò, Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna.
La gioia che vide fiorire sul volto del nano era la medesima che lei stava provando ed il modo in cui finalmente le sorrise, apertamente come mai prima, le colmò il petto di tutto l'amore che provava per lui. Quando lui si protese in avanti per baciarla, il cuore le guizzò come un piccolo passerotto impazzito entro la gabbia toracica.
Fu un bacio dolce e carico di sentimento quello che le donò Thorin. Un bacio che le fece girare di nuovo la testa e risvegliò lo sfarfallio che da tempo egli era in grado di farle provare all'altezza dello stomaco, e se fosse stata abbastanza in forze certo non se ne sarebbe rimasta ferma a farsi baciare così docilmente.
Quando si staccarono tornarono a guardarsi negli occhi e Kat era perfettamente conscia di avere un sorriso ebete stampato in faccia, eppure non fece nulla per nasconderlo, non stavolta.
– Adoro che tu me l'abbia chiesto con quella tunica addosso – commentò, non riuscendo ad impedirsi di esternare il proprio pensiero – ..ti dona proprio, il blu.
E Thorin la ricambiò, sorridendole a propria volta con tenerezza.
– Continui ad essere tu a riempirmi di complimenti, quando invece spetterebbe a me farli a te – le fece notare con una certa spensieratezza, in un finto rimprovero.
Lei ridacchiò ed il nano continuò a guardarla con quel suo sguardo indescrivibile e privo di ombra alcuna, ma poi un rumore distrasse i due promessi sposi, infrangendo l'atmosfera che s'era venuta a creare e facendoli voltare all'unisono verso la porta. L'anta in legno era socchiusa e stava ancora ruotando sui cardini, pur lentamente, come se fosse stata sospinta da qualcosa che era già sfuggito alla vista.
Thorin, già corrucciato e ritto con la schiena, stava per lasciare le mani di lei ed andare a verificare chi fosse l'artefice di quell'interruzione quando, da oltre il bordo del letto, comparve un musetto grigio incoronato da un bel tartufo nero.
Immediatamente Kat spalancò gli occhi chiari ed il nano lì con lei si rilassò, pur emettendo uno sbuffo che tradiva un certo scontento, mentre entrambi osservarono con espressioni diametralmente opposte il cucciolo che, dopo un paio di istanti di indecisione, balzava sopra allo spartano materasso con una serie di guaiti giocosi.
Spiazzata e meravigliata al contempo, la giovane donna rimase a bocca aperta di fronte al piccolo lupacchiotto che, esitante e curioso al contempo, zampettava sulle lenzuola in sua direzione, continuando ad annusare l'aria, ed impiegò una piccola manciata di secondi per tornare a trafiggere Thorin con uno sguardo pieno di stupore.
– E quello? – gli chiese di getto.
Il Re di Erebor strinse le labbra in una smorfia piatta, prima di tornare a guardarla, e la sua espressione s'era fatta più cupa, così come il tono di voce, mentre le dava la sua risposta.
Quello è il mio dono di nozze per te, – confessò, prima di aggiungere – ma doveva essere una sorpresa per quando ti fossi ripresa completamente.
Kat boccheggiò, assolutamente senza parole, ed il nano le spiegò brevemente quando e dove lo aveva trovato. Il venire a conoscenza che quel cuccioletto era il figlio di Nén, la lupa bianca che tanto coraggiosamente aveva combattuto con lei a Collecorvo, le colmò il petto di una nuova serie di sentimenti.
Allora, tornando alla bestiola, avvicinatasi un altro po', ella protese una mano verso di essa, tenendola sospesa a mezz'aria il tempo necessario perché il lupetto vincesse la naturale diffidenza e si protendesse ad annusarla. Pochi secondi dopo la palla di pelo stava già giocando con la sua manica e prendendosi tutta una serie di grattini ed attenzioni che suscitarono nel nano, rimasto a fare da spettatore, un'incredulità che non mancò di ammettere.
– Non si è fatto avvicinare da nessuno per tutta la settimana – le rivelò, l'espressione ancora incredula che si tingeva di nuova ammirazione nel guardarla – ed ha ridotto la stanza in cui lo abbiamo tenuto un disastro... e adesso, guardalo.
– Gli piaccio, probabilmente – tentò di giustificarsi Kat, prima di mordersi il labbro inferiore ed aggiungere, sovrappensiero – ..o forse c’entra il mio sangue di lupo…
Thorin la fissò di rimando con un’espressione sorpresa e corrucciata insieme, una di quelle che non le rivolgeva dai primi tempi in cui avevano iniziato a viaggiare insieme, e Katla di rimando gli rivolse un mezzo sorrisetto contrito.
– ...è una lunga storia – cercò di giustificarsi – e nemmeno io ne so molto di più.
Dopo una manciata di secondi passati a fissarla, il nano dalla chioma corvina la sorprese a propria volta lasciandosi sfuggire uno sbuffo divertito e scuotendo brevemente il capo.
– Continui a sorprendermi – se ne uscì invece Thorin, abbozzando uno dei suoi mezzi sorrisi pregni di cose non dette nel tornare a guardarla, e dai suoi occhi azzurro-ghiaccio trapelò un calore che la pervase in tutto il corpo, colmandola di sollievo e permettendole di rilassarsi ancora una volta.
– Anche io sono sorpresa – ribatté, del tutto sincera – ..è un dono magnifico. Io non ho nulla per ricambiarlo.
– Non vi è nulla che io possa desiderare a questo mondo, a parte te al mio fianco – affermò il nano, senza alcun tentennamento, e Kat si sentì arrossire nuovamente sino alla punta dei capelli sotto l'intenso sguardo altrui, mentre il cuore tornava ad impennarlesi nel petto.
Una volta di più la giovane si chiese se davvero tutto quello fosse reale, se sarebbe stata realmente quella la sua vita da ora in avanti, e la risposta affermativa che le pervenne dal profondo della sua coscienza la colmò di una nuova ondata di pura gioia che non sfumò nemmeno quando il suo promesso sposo dovette congedarsi da lei per far ritorno ai suoi doveri di legittimo Sovrano di Erebor.
Poco dopo, quando gli altri membri della Compagnia tornarono a trovarla, la scoprirono addormentata con il cucciolo di lupo accoccolatole accanto ed un sereno sorriso a dipingerle le labbra, e quella visione li rincuorò ancor più di quanto avrebbero potuto fare le rassicurazioni di un guaritore.
Quella sera i tredici nani e lo hobbit banchettarono e cantarono, schiamazzando e ridendo più forte di qualunque altro nano dei Colli Ferrosi, festeggiando il ritorno alla vita della loro compagna d’avventure sino a notte fonda.





Il profondo e squillante suono del corno di Erebor infranse la quiete mattutina della valle, riecheggiando sulle rocce ricoperte di ghiaccio e neve. L'inverno era appena iniziato ma già un manto candido, seppur incostante, ricopriva il terreno ai lati della strada che conduceva all'alta porta del Regno dei Nani.
Il grosso lupo dal manto di un delicato grigio-argento sfrecciò rapido sulla piana, imboccando la via lastricata e bruciando a grandi balzi la distanza che separava lui ed il suo cavaliere dall'accesso alla Montagna Solitaria. Il sole, alto e pallido nel cielo punteggiato di nuvolette vaporose, proiettò la loro ombra sul terreno ed il vento gonfiò il pesante mantello bordato di pelliccia che drappeggiava dalle spalle della figura sul dorso dell'animale, mostrando, ad occhio che fosse in grado di vederlo, un involto sotto il suo braccio sinistro.
Quando cavalcatura e cavaliere giunsero sotto l'alta porta, i nani ivi posti a presidio si inchinarono, lasciando immediatamente libero il passo al nuovo giunto, che ricambiò la cortesia con un cenno del capo da sotto il cappuccio.
Eppure, anche così il lupo non fece che pochi passi all'interno della montagna quando la via sotto le alte arcate gli venne sbarrata da un nano in particolare: il Re sotto la Montagna procedette con passo sicuro e pesante incontro al nuovo venuto, l'espressione cupa accentuata dal caratteristico cipiglio intransigente. E mentre egli avanzava, con la corona sul capo corvino ed agghindato della sua tunica più bella nei toni del blu e dell’oro, il cavaliere scivolò giù dal dorso della belva e gli andò incontro, mentre l’animale lo seguiva docilmente con passo ciondolante.
– Saranno qui a momenti, – esordì Thorin, una nota di rimprovero a render più ruvida la sua profonda voce – dove siete stati tutta la mattina?
– Avevo bisogno di prendere una boccata d'aria.
Katla fece scivolare indietro il cappuccio mentre affrontava il nano con naturalezza, rivelando una folta chioma castana già acconciata in una serie di trecce che, dalle tempie, si univano in una folta coda alta dietro la nuca. Otto anelli di metallo dorato e argentato, simili a quelli di lui, adornavano le sue ciocche dai riflessi di mogano, riflettendo i bagliori danzanti delle torce.
– Ero un po' nervosa e ne ho approfittato per andare a Dale a prendere questo – proseguì ad annunciargli, per nulla intimorita dal modo in cui lui l'aveva accolta e mostrandogli l'involto di stoffa che aveva tenuto saldamente sotto il braccio per tutto il tragitto – Mi hanno aiutata Tilda e Sigrid a sceglierlo.
La città di Dale era rifiorita nell’arco di un’estate, soprattutto grazie allo zelo ed al carisma di Bard, che ne era divenuto Signore e Protettore. Fra Uomini, Nani ed Elfi era stata sancita un’alleanza ed un’amicizia stava consolidandosi fra essi, facilitata dai tempi di pace e quiete che stavano seguendo gli eventi della Battaglia dei Cinque Eserciti.
Thorin Scudodiquercia inarcò un sopracciglio.
– Pensavo avessi già deciso quale dono fare a Dìs.
– E invece ho cambiato idea – ribatté Kat candidamente, tornando a porre sotto le falde del mantello il pacchetto di medie dimensioni – Ci tengo a fare bella figura, lo sai... è tua sorella dopotutto.
Il Re di Erebor si lasciò sfuggire un sospiro carico di rassegnazione prima di tornare all'attacco, con meno irruenza ma con la medesima serietà di poc'anzi.
– Lo sai che non voglio che tu te ne vada fuori da sola...
– Ma non ero sola, c'era Mél [1] con me – ribatté prontamente ella, sfoggiando un nuovo ampio sorriso verso il suo amato e al contempo circondando il collo del grosso lupo grigio col braccio libero.
L'animale, alto quanto e più di lei, cercò di divincolarsi per leccarle la faccia e tentare di fare la medesima cosa al Re sotto la Montagna, ma quest'ultimo era preparato e ne sviò il muso con una mano, pur concedendogli qualche grattatina distratta dietro un orecchio.
– Lo sai cosa intendo – ribadì a Kat, rivolgendole una nuova occhiata ombrosa, di quelle che solitamente riservava a coloro che suscitavano la sua contrarietà, prima di fare un passo avanti e sollevare una mano a carezzarle amorevolmente il viso – Non voglio che vi accada nulla.
Quel mutamento repentino da Re di Erebor a Marito non la sorprese né la colse impreparata, giacché nel corso dell'ultimo anno aveva imparato a conoscere il suo sposo più a fondo di chiunque altro, e la giovane si sentì sciogliere, come ogni volta che il nano la guardava in quel modo.
Il sorriso le si ammorbidì, così come si fece più dolce la sua stessa voce nel rispondergli, mentre ne guidava la stessa mano con cui l'aveva carezzata in viso sino al proprio ventre leggermente tondeggiante.
– Non accadrà: non sono certo la prima donna ad aspettare un figlio – gli fece notare, con una nota ironica per stemperare la tensione che sapeva stare infuriando nel suo nano – e sono perfettamente consapevole di quali siano i miei limiti, quindi non darti così tanto pensiero... anche perché manca ancora un bel po'.
Finalmente, sotto il suo tocco, egli si rilassò ed emise persino un sospiro che gli svuotò i polmoni e gli fece reclinare il capo in avanti, sino a ché le loro fronti non si toccarono. Allora, occhi negli occhi, Thorin la cinse per i fianchi e la tenne stretta per una manciata di secondi d’intimo abbandono.
– So che hai ragione... – mormorò, arrendevole – ..eppure non posso fare a meno di preoccuparmi.
– È normale, – gli rispose lei, le palpebre socchiuse ed un quieto sorriso ad abbellirle le labbra – è questo che vuol dire diventare padre.
Il suo sposo finalmente le donò uno dei suoi morbidi sorrisi e Kat sollevò la mano destra per carezzargli, in un gesto del tutto simile a quello precedentemente donatole, il volto. Era passato quasi un anno dal giorno in cui Thorin era stato incoronato e l'aveva presa in sposa dinanzi alla sua gente, e molte cose erano cambiate da allora, mentre altre erano rimaste praticamente immutate.
Il suo nano ancora tentava di rimproverarla per questo o quel comportamento incauto, mentre lei per  contro fronteggiava i suoi malumori con la stessa pacata naturalezza con cui il marinaio affronta il mare in burrasca. Ci aveva messo un po' a farsi accettare come regina dai Nani dei Colli Ferrosi e persino Dain si era dimostrato perplesso della scelta del cugino, ma gli erano bastate due settimane per prenderla in simpatia.
Kat ancora ricordava l'ansia che l'aveva attanagliata nei primi tempi, ma adesso il passato le sembrava una sciocchezza in confronto alla prova che l'attendeva: entro il tramonto Dìs, sorella minore di Thorin e madre di Fili e Kili, sarebbe giunta per riunirsi al fratello ed ai suoi figli e per conoscere la nuova cognata; e lei doveva assolutamente farle una buona impressione, giacché era pur sempre il membro della famiglia più vicino a suo marito.
Fu il suono del corno alla porta ad infrangere il momento e farla tornare coi piedi per terra, e sia lei che Thorin si volsero verso l'alto ingresso, staccandosi pur rimanendo l'uno affianco all'altra.
– Sono qui! I nostri familiari sono arrivati! – esclamò qualcuno dei nani alle postazioni di guardia ed un sommesso vociare accompagnò lo scalpiccio di più di un paio di piedi sulla roccia, mentre i figli di Durin nelle immediate vicinanze già correvano verso l’ingresso.
– Zio, la mamma è qui! – esclamò l'allegra voce di Kili, mentre la sua figura passava correndo accanto ai due sovrani con un'espressione sorridente carica di entusiasmo.
Thorin gli sorrise comprensivo e Kat abbozzò a sua volta un mezzo sorriso, la tensione che tornava a farsi viva nel suo petto mentre seguiva con lo sguardo lui e Fili affrettarsi, come tanti altri, per andare ad accogliere i loro parenti ed amici.
Già altri nani erano giunti dalle Montagne Azzurre negli ultimi mesi, cosicché quella sera vi sarebbe stato più di un ricongiungimento, ma pareva essere occorso del tempo ai familiari del Re di Erebor per prepararsi a lasciare la loro dimora.
Venne riscossa dal proprio stato di torpore dal tocco di Thorin, il quale senza una parola le prese la mano, intrecciando le dita con le sue ed infondendole attraverso la sua stretta una rinnovata dose di coraggio. Allora Kat tornò a guardare suo marito ed incrociandone gli occhi di diamante, ricambiò il gesto stringendo con forza la mano di lui.
Erano arrivati prima del previsto; non avrebbe avuto nemmeno il tempo di cambiarsi d'abito.
– Andrà bene – cercò di rassicurarla Thorin, senza guardarla, ma ella non mancò di notare come le sue spalle e tutta la sua posa apparissero ora innaturalmente rigide.
Di fronte a quell'indizio di un certo nervosismo, Kat si sentì un po' meno in difetto e, dopo averlo indotto a tornare a guardarla, gli rivolse un nuovo sorriso.
– Andrà bene – gli ripeté.
E la cosa sortì l'effetto sperato, perché il Re dei Nani ricambiò il suo sorriso con rinnovata fermezza nello sguardo azzurro, prima che entrambi si incamminassero verso la porta principale della Montagna Solitaria. Si fermarono sotto l'immenso arco di pietra, mentre i nani lì raccolti li lasciavano passare, in piena luce del sole, con Mél che li seguiva dappresso e Fili e Kili dall'altro lato di Thorin che scalpitavano come due capretti di montagna.
Quando il maggiore dei due le scoccò un'occhiata, parve notare il nervoso della ragazza e non mancò di rivolgerle la parola.
– Non preoccuparti, ti adorerà! – esclamò convinto, rivolgendole uno dei suoi ampi e spontanei sorrisi mentre, al contempo calava una mano sulla spalla del fratellino al suo fianco, come a coinvolgerlo.
Allora anche Kili si voltò a guardarla e le sorrise a propria volta.
– Fili ha ragione, zietta! – rincarò la dose.
– Ma se così non fosse, ti consigliamo di restare fuori dalla portata del suo mattarello – aggiunse il biondo, un attimo dopo.
Kat si ritrovò a corrucciarsi in volto, per nulla sollevata dalle parole dei suoi due “fratelloni”, e rivolse ad entrambi uno sguardo pesante e fisso, di quelli carichi d'una velata minaccia o un avvertimento di qualche tipo.
– Vi ho già detto più volte di non chiamarmi così – ribadì, con fare incolore e privo di indecisione al contempo. Non diede loro nemmeno il tempo di risponderle qualcosa, prima di fare un cenno al lupo alle sue spalle – Mél. Addosso.
Non disse altro e tanto bastò all'animale dal pelo argenteo per scagliarsi con un guaito giocoso ed un balzo sul più giovane delle sue prede, atterrandolo sotto le zampre mentre al contempo i nani nelle vicinanze si affrettavano ad indietreggiare di qualche passo, creando spazio. Le esclamazioni di protesta ed avvertimento di Fili e Kili si levarono sino alla sommità della porta, ma nessuno intervenne e anzi, più d'uno sghignazzò del destino dei due Principi dei Nani che, sotto attacco, stavano soccombendo.
Mél, galvanizzato per aver ricevuto il permesso di dedicarsi al suo gioco preferito coi suoi compagni di giochi abituali, spalancò le fauci e ricoprì di bava il povero Kili, steso a terra che tentava invano di divincolarsi, quindi dedicò il medesimo trattamento a Fili quando egli tentò di aiutare il fratello minore.
Kat osservò la scena con un sorriso di compiacimento che aveva del sadico, divertita e soddisfatta per la rivincita che si stava prendendo sui suoi due amici, e quando incrociò lo sguardo di Thorin, in esso lesse una nota di divertito rimprovero che le fece inarcare un sopracciglio.
– Che c'è? – chiese, arricciando la punta del naso in una smorfietta ostentatamente contrariata – Li avevo avvertiti.
Thorin scosse il capo con fare rassegnato, ma il sorrisino che l'attimo seguente tornò a delineargli il volto barbuto non lasciava adito a dubbi e la giovane donna si ritrovò a sorridere a propria volta, lieta che parte della tensione che aveva permeato il suo nano fosse sfumata grazie a quel piccolo intermezzo.
Andò a cercarne di nuovo la mano, stringendola nella propria, e dopo un nuovo scambio di sguardi, Kat richiamò il lupo. Quando Mél tornò accanto a lei, con qualche balzello eccitato ed un tentativo andato a vuoto di riservare lo stesso trattamento anche ai due Sovrani, ella tornò a volgere l'attenzione al drappello di nani e carri in avvicinamento, in fondo alla vallata.
– Fili, Kili – li chiamò serio Thorin, richiamando la loro attenzione.
Bastarono un'occhiata ed un lievissimo cenno quindi, perché i due giovani nani scattassero avanti, scapicollandosi sulla strada per andare incontro ai loro parenti in lontananza. Altri li avrebbero imitati se Mél non li avesse anticipati, giacché, ancora in preda all'eccitazione del gioco precedente e contagiato dall'atmosfera festosa dell'aria circostante, aveva equivocato il fare dei due come un altro dei loro frequenti momenti di gioco ed era balzato di nuovo in avanti. Quando li raggiunse e li superò, rischiando di mandare a gambe all'aria il povero Fili dopo averlo travolto col muso affusolato, i due figli di Dìs levarono proteste concitate ed aumentarono l'andatura con uno scatto considerevole in quella che era appena diventata una gara fra loro ed il lupo.
Kat a quella vista rise e non fu l'unica a lasciarsi andare all'ilarità generale, giacché Mél era ormai benvoluto da ogni nano risiedente all'interno della montagna, e l'ansia che sino a quel momento le aveva attanagliato il petto si dissolse quasi completamente.
Perché lei era Katla Sanguedilupo, Regina di Erebor, e quella era la sua famiglia.


...fine.






~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. “Mél” = apprezzare, amare (come amico/a) in lingua elfica.



~ NOTA DELL'AUTRICE ~

Ciao a tutti!
Siamo finalmente giunti alla fine del viaggio. Spero che sia stato un bel viaggio XD io ho già un po' di nostalgia!
Per prima cosa voglio ringraziarvi tutti dal più profondo del cuore, sia per aver inserito questa storia fra le seguite/ricordate/preferite, sia per averla semplicemente letta fino in fondo. Come già accennato due capitoli fa, senza di voi questa esperienza per me sarebbe stata molto meno emozionante, a livello di pubblicazioni, quindi davvero GRAZIE di cuore.
Come vi è sembrata questa conclusione? Vi ha deluso? Vi è piaciuta? Avreste voluto più risposte?
Beh, per quelle ci sono io qui apposta!! XD Ebbene sì, sarò qui per rispondere a tutti i vostri dubbi, quindi se ne avete e volete sapere la verità, scrivetemi pure! Io di mio non vedo l'ora di rispondervi!
Come sapete, dopo questo capitolo pubblicherò l'altro finale.
Spero lo apprezzerete comunque, anche se sarà diverso da questo (io, personalmente, ci sono abbastanza affezionata nonostante sia la versione B, ma non perché lo preferisca, è solo il frutto di un'ispirazione inaspettata e troppo vivida perché potessi lasciarla andare). Ad ogni modo, mi direte voi cosa ne penserete... detto questo, non mi dilungo oltre ma vi auguro che tutti i vostri sogni, quelli profondi, dell'anima, si avverino come si sono avverati quelli della nostra piccola Kat.
E' stato bellissimo condividere questa passione con voi ^_^ alla prossima...

la vostra autrice di quartiere,
Kaiy-chan

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Capitolo 30
*** Finale Alternativo ***






“Across this crimson sky
I hear the voice who's calling my name
Memories burn, we'll not rest”
[ Led by Light, Wind Rose ]




...e se le cose fossero andate diversamente?


Qualcosa era andato storto.

Un’imboscata, una truppa in agguato, un Orco Pallido e la sua progenie nello stesso posto…
 dove non avrebbero dovuto essere.

Quando Kat provò a riaprire le palpebre, la vista le rimandò indietro soltanto immagini sfuocate.
La testa le girava ed al contempo le rimandava un dolore sordo, per la violenta botta alla roccia dietro di lei. Era stata scagliata via con forza dalla massiccia presenza di Bolg, comparso come dal nulla ad ostacolare lei e Nén.
La giovane guerriera cercò di nuovo di schiarirsi la vista, ma ci riuscì soltanto dopo un interminabile sbattere di palpebre, ed a quel punto lo vide: Bilbo, che a qualche passo da lei stava fronteggiando l’orco con l’inseparabile Pungolo sguainata e brillante.
Si era messo in mezzo per evitarle il colpo di grazia.
Era in pericolo.
Stringendo i denti e lottando contro l’irrigidimento e la freddezza del proprio corpo, Katla provò a rimettersi in piedi, ma quando finì carponi sul ghiaccio capì che c’era qualcos’altro che non andava. 
Perché il suo corpo non le rispondeva più come prima?
La risposta le comparve nella mente per mezzo della macchia di sangue che si propagò in quel momento sotto i suoi stessi occhi, densa e scura come il petrolio. Ci mise un istante a realizzare che quello fosse il suo stesso sangue e quando, con la mancina, si tastò il ventre, avvertì sotto le dita un nuovo fiotto caldo ed umido. 
Era ferita.
Tentò per riflesso di premere la mano sullo squarcio ed a quel punto si rese conto che vi era qualcosa conficcatole nella carne: un pezzo di metallo. La rozza punta d’una spada orchesca, la stessa che le aveva provocato quella profonda lacerazione.
Era ferita gravemente.
Sarebbe morta lì, sulle alture di Collecorvo.
L’ondata di gelido panico che la investì la fece ansimare ed il suo fiato si condensò appena nell’aria, in una nuvoletta trasparente e carica d’una sofferenza nuova, giacché la consapevolezza aveva risvegliato in lei la percezione di quella ferita inattesa.
I suoni dello scontro in corso penetrarono col loro clangore la nebbia che aveva avvolto la mente della ragazza, strappandola dal proprio delirio personale e facendola tornare al presente. Sollevando allora gli occhi grigio-verdi colmi di lacrime e dolore, Katla cercò i suoi compagni, ma il fiato l’abbandonò non appena riuscì a mettere a fuoco una figura familiare stesa a terra a pochi metri da lei.
Il corpo di un giovane nano biondo giaceva immobile al limitare dell’ampio spiazzo che si schiudeva alla loro destra in quello che era un ampio lago ghiacciato fra le rocce, riverso in posizione scomposta sopra quello che non poteva esser altro se non il suo stesso sangue.
Fili.
Il dolore sordo che le artigliò ferocemente il petto si amplificò non appena i suoi occhi scorsero un paio di tozze gambe calzanti stivali nanici far capolino poco più in là, sopra le rocce ghiacciate del fianco della montagna.
Kili.
La consapevolezza la piegò e la fece gemere sotto l’assalto di una rinnovata disperazione e, cedendo alle pressioni della propria stessa emotività, Kat d’impulso tentò nuovamente di rimettersi in piedi, mentre dalle labbra le usciva un ansito pregno di sofferenza.
No, non poteva essere.
Un ringhio ferale anticipò il riecheggiare fra le rocce ghiacciate d’un guaito di dolore e lei voltò di scatto il capo verso il centro della piana, appena in tempo per vedere Nén che cadeva, rotolando sul ghiaccio, come un peso morto.
Il Profanatore se l’era appena levata di dosso con un ultimo colpo mortale ed ora troneggiava sulla superficie piana con un profondo squarcio alla spalla sinistra, rivolto verso una macchia scura stesa a terra. Kat ci mise un attimo a metterla a fuoco, ma il suo cuore le diede la risposta ancor prima della mente ed il respiro, già ansimante, le si impigliò in gola con forza mentre gli occhi le si spalancavano d’orrore.
Thorin era riverso a terra a pochi metri, fra lei ed Azog, l’espressione contratta e sofferente mentre tentava con evidente fatica di ritrovare la propria spada con il solo movimento di un braccio. L’altro se lo stava premendo con forza sotto il torace, cercando di arginare la perdita di sangue che gli aveva già imbrattato l’armatura.
No, le giunse di nuovo dalla sua mente travagliata.
La voce di Bilbo si levò in un rantolo di dolore e sorpresa e Kat, voltandosi meccanicamente a guardare nella sua direzione, lo vide riverso a terra, coperto di neve e polvere, che tentava di rimettersi faticosamente in piedi mentre Bolg gli andava incontro dopo averlo letteralmente sbalzato via con la potenza del suo ultimo attacco.
No, esplose la sua coscienza in una supplica disperata.
Si volse istintivamente a cercare la speranza nell’unica persona che il suo cuore non voleva lasciar andare, ma essa s’infranse non appena ne incrociò gli occhi di diamante. Nell’iridi di Thorin ella scorsa sofferenza e rimpianto, ed una disperazione pari e superiore a quella che le lacerava il petto, ed il suo cuore si ghiacciò all’istante.
Non ce l’aveva fatta, comprese in un ultimo sprazzo di lucidità.
Aveva fallito.
Sarebbero tutti morti.
Nel profondo gelo portato da quell’ultima consapevolezza, allora, qualcosa dentro Katla si ruppe. S’infranse in mille pezzi, in un vago crepitare come di cristallo che si frantuma in microscopiche schegge, un suono muto eppure talmente intenso da esser percepito come palpabile, con la violenza di un’esplosione che le lacerò l’animo e la investì completamente, creando in lei un vuoto assoluto.
L’attimo seguente, la magia colmò quel vuoto con un impeto tale da poter essere paragonato soltanto ad un’onda di maremoto, pervadendo ogni muscolo, ogni fibra, ogni cellula del corpo della giovane donna d’una energia nuova ed indomabile, immensa come la luce del sole.
Quella luce le colmò gli occhi spalancati e fissi, illuminandole le iridi d’argento prima di farsi talmente intensa da pervader completamente pupilla, iride e sclera e farne un tutt’uno bianco accecante. Quel potere immenso reagì ed interagì all’ambiente circostante, trapelando da ogni poro di quello che ormai altro non era se non un fragile contenitore, muovendo l’aria intorno a lei e contrastando la stessa forza di gravita.
Katla, le vesti che si gonfiavano e i capelli che, ondeggiando, si sciolsero dall’acconciatura che li aveva tenuti avvinti sino a pochi minuti prima dietro al capo, si sollevò in aria, perdendo il contatto con il terreno sottostante e levitando sino a tre metri d’altezza di fronte agli sguardi attoniti di coloro che ancora potevano vedere.
Per una manciata di istanti, ogni cosa si fece immobile, persino il nevischio sollevato dal vento si fermò, come cristallizzato a mezz’aria, e soltanto i respiri di coloro che ancora serbavano la propria vita infransero il silenzio.
Poi, i due orchi si mossero all’unisono, facendo un passo verso di lei, le armi in pugno e le espressioni contratte a mostrare le zanne, e le labbra di Kat si schiusero. Il suono che ne scaturì fu talmente limpido da risuonare più puro del cristallo, quasi inudibile ad orecchio umano, e l’effetto fu immediato.
Una serie di letali stilettate di spesso ghiaccio risalì e spuntò dal terreno intorno ai piedi di Azog e Bolg, trafiggendone i massicci corpi sotto forma d’immense spine bianco-azzurre in una misura tale da circondarli e impalarli lì dov’erano, trapassando armature, ossa e carne da parte a parte, in un rostro di punte traslucide e scintillanti.
Per tutta Collecorvo risuonarono i rantoli ed i versi di morte degli Orchi e dei Mannari Selvaggi ancora intenti a contrastare le forze dei popoli liberi del Nord. Poi, quando il silenzio tornò a permeare quelle alture rocciose, l’aria rimasta immota sino a quel momento riprese a spirare libera ed il potere che era scaturito dal corpo stesso della giovane donna finalmente scemò e si ritrasse.
E Katla ricadde, priva di sensi, sul lago ghiacciato.


Quando Dwalin lo raggiunse, chinandosi rapidamente su di lui, Thorin si lasciò sfuggire una smorfia. Poteva percepire distintamente il gelo propagarsi rapido dentro di sé, penetrando dal profondo squarcio che l’Orco Pallido gli aveva aperto in pieno ventre e dal quale fuoriusciva, nonostante i suoi sforzi per mitigarne il deflusso con un braccio, una copiosa quantità di sangue.
– Thorin! – l’allarme ed una sottile nota disperata ne graffiavano la voce solitamente bassa, mentre lo esaminava con una rapida occhiata – ..non preoccuparti, Thorin, vedrai che...
– Aiutami – soffiò l’erede di Durin, aggrappandoglisi con tutta la forza che aveva al braccio ed interrompendolo senza pietà, corrucciato e teso come non mai nello sforzo.
Il suo corpo era divenuto pesante come il piombo, ma doveva alzarsi.
Doveva andare da lei.
Dwalin lo fissò con sgomento e sorpresa misti ad una confusione evidente che, un istante dopo averne incrociato lo sguardo, sfumarono. 
– Non puoi sforzarti Thorin – gli disse ed il suo tono era tornato quello di sempre – ..stai perdendo troppo sangue.
Inizialmente l’erede di Durin non gli diede ascolto e, voltando lo sguardo verso la propria sinistra, cercò le figure di Katla e dei propri nipoti, senza riuscire a distinguerle oltre il velo di sofferenza che gli appannava la vista. Quando tornò a trafiggere l’amico con uno dei suoi sguardi di diamante però, lo trovò irremovibile e si corrucciò ancor di più di fronte alla testardaggine altrui.
– I ragazzi… Kat… – mormorò, stringendo la presa sulla stoffa dell’altro e tirando a sé, cercando di averne ragione – ..devo…
Doveva assicurarsi che fossero ancora vivi.
Doveva assicurarsi che sarebbero sopravvissuti.
Per un attimo gli parve di scorgere un dolore infinito attraversare gli occhi lucidi del fratello di Balin, ma non poté esserne sicuro perché quello, con un battito di palpebre, deviò lo sguardo in un punto oltre il suo campo visivo.
– Non preoccuparti – gli rispose – Bilbo è andato a chiamare Gandalf. Ci sta già pensando lo stregone, tu cerca di resistere.
Cercando di riempire di nuovo i polmoni d’aria, Thorin accolse la notizia con una nota di sollievo che gli permise di rilassare un poco i muscoli, ma la consapevolezza che non sarebbe sopravvissuto alle ferite gli dovette trasparire dallo sguardo, perché dal volto barbuto del nano chino su di lui lesse un rimpianto senza pari. Il rimpianto di qualcuno che non era riuscito a salvare il suo migliore amico.
Gocce di sangue macchiavano il lato del volto di Dwalin, colando da un taglio che gli deturpava la pelle tatuata del capo. Era stato il primo a partire all'assalto delle immonde creature che si erano trovati ad affrontare fra quelle alture non appena si erano resi conto che Katla era lì e stava fronteggiando l’Orco Pallido, ma era stato anche il primo a cadere a causa di un colpo che gli aveva strappato l’elmo di dosso, e quel taglio era la prova del suo fallimento.
– Thorin!
La voce di Bilbo si levò carica di allarme e la sua figuretta scarmigliata e ammaccata comparve nel campo visivo del figlio di Thrain. L’agitazione dello hobbit era fin troppo evidente e si intensificò non appena i suoi occhi blu si posarono sul corpo del nano ferito.
– Oh… Thorin… – ripeté, come se non avesse trovato di meglio, prima di scambiare uno sguardo con Dwalin.
Il nano dal capo tatuato scosse la testa con discrezione in segno di diniego, ma bastò per raggelare i lineamenti del mezz'uomo.
– Bilbo.. – Thorin ne richiamò l’attenzione, dando forma ad una fugace nuvoletta di candido fiato, e come i loro occhi tornarono ad incrociarsi, si concentrò al massimo per scacciare la profonda debolezza che sentiva avvinghiarglisi addosso ogni secondo di più – Fili… Kili?
Doveva sapere.
La domanda inespressa parve cogliere in contropiede lo hobbit, che se ne uscì con una delle sue smorfie tese e combattute, ma dopo una prima manciata di secondi in cui fu impegnato in uno dei suoi conflitti interiori, alla fine prese una decisione.
– Mi dispiace, Thorin.
Non aggiunse altro e la verità trasparì negli occhi blu del piccolo abitante della Contea, arrivando al nano come una nuova martellata in pieno petto.
Ancora una volta non era riuscito a mantenere la propria parola.
– Kat? – riprovò.
– È viva – la conferma di Bilbo rese meno opprimente il peso dei suoi sensi di colpa, ma non abbastanza, perché subito dopo aggiunse: – .. è ferita e ha perso molto sangue, ma Gandalf ha detto che c’è ancora una speranza.
Thorin annuì con un cenno del capo e già quel semplice movimento gli parve talmente difficile da lasciarlo poi ancor più spossato. Tentò comunque, dopo, di cercare una mano dello hobbit e quando la trovò, il calore che gli circondò l’arto fu una sensazione strana ai suoi sensi ormai completamente avvolti dal gelo dell’inverno.
– Mi dispiace... – mormorò in un sussurro sofferto, concentrandosi al massimo per formulare ogni parola ed incrociando gli occhi colmi di lacrime di entrambi i suoi amici – ...per quel che.. ho fatto e detto… sono stato.. cieco.
– No Thorin – cercò di dire lo hobbit, scuotendo il capo riccioluto – non devi scusarti..
– Sì, invece – ribadì il nano, prima di fermarsi e ritrovare il respiro e ripetere: – Sì, Bilbo… sono stato stupido… non merito la vostra… considerazione… né alcun onore.
– Non è così, Thorin – ribatté Dwalin, stoico e categorico, seppur colmo d’una sofferenza che gli traspariva dai lineamenti contratti – Hai riabilitato il tuo nome e quello dei tuoi padri, oggi, e nessuno potrà mai negarlo. Hai agito da vero Re dei Nani.
L’erede di Durin, di fronte alla profonda convinzione dell’altro nano, per quanto il suo animo fosse colmo di rimpianti, si lasciò convincere ed un debole sorriso gli tese gli angoli della bocca. 
– Addio, amici miei – esordì, giacché sentiva le forze ormai averlo abbandonato ed il sapore del sangue sulla lingua. Stava per dire qualcos'altro quando, il suo corpo ormai allo stremo, dalle labbra gli sgorgò il suo ultimo, roco respiro.
E mentre i suoi compagni chiamavano ripetutamente il suo nome, il suo ultimo pensiero fu per Katla.
Avrebbe dato tutto ciò che aveva posseduto in quella vita, per poterla rincontrare ancora una volta… per avere un’altra possibilità.


Vi era una quiete assoluta ed irreale, in ciò che circondava ed ovattava i suoi sensi.
Quando Kat, dopo un tempo a lei indefinito, iniziò a percepire qualcosa, fu la sensazione di esser sospesa in un nulla bianco candido, una dimensione carica di luce e priva di qualunque suono. Una dimensione che venne colmata da una voce che le giunse sotto forma di una sensazione ed un pensiero estranei, come se fosse un tutt'uno con l'ambiente in cui era immersa. Perduta.
– La missione è compiuta, l’equilibrio nel flusso è ristabilito.
Kat si sentì pervadere da quelle parole, pur non sentendosi fatta d'alcuna forma corporea.
– La tua vita è appesa a un filo – riprese quella voce composta da più voci, echeggiante d'eternità –La tua anima è ora sospesa fra due mondi: una scelta ti è stata concessa, in virtù del tuo operato.
Lei non capì, ma l'istante seguente un'immagine venne proiettata alla sua coscienza: la giovane Kathrine in un letto d'ospedale, la testa fasciata ed una serie di tubicini attaccati a tutto il suo corpo. Faticò un istante a riconoscersi e quando lo scenario cambiò, mostrandole Katla, la forma che aveva fatto propria nell'universo di Arda, stesa su una branda ed ugualmente incosciente e sporca di sangue, ricordò.
Stava morendo, in entrambi i mondi.
– Una scelta dovrà essere fatta – ribadì la voce ultraterrena.
Kat si chiese come avrebbe potuto farlo, giacché ognuna delle due giovani donne che aveva davanti era parte di lei.
Fu a quel punto che notò, nello scenario dai toni più chiari in cui era immersa Kathrine, una presenza che prima non aveva visto: una giovane ragazza sedeva accanto al suo letto d’ospedale e reggeva in mano un piccolo lettore musicale.
Era Jane.
Era lì, con lei, e muoveva le labbra, come se le stesse parlando. Quando si sporse a metterle in un orecchio un auricolare e fece partire la musica, Kat capì da dove doveva esser provenuta quella che, a Pontelagolungo, aveva udito nella mente, quella sera in cui aveva quasi dato di matto.
E nonostante non avesse un corpo tangibile, una stretta al petto la colse e si intensificò quando, riportando lo sguardo nella scena che la ritraeva come Katla, vide le sagome di Gandalf e Bilbo accanto alla branda su cui giaceva immobile. Anche loro stavano parlando fra loro e, per un istante soltanto, Kat ebbe l’impulso di raggiungerli, di dire loro che era lì, che stava bene.
Ma poi, quando le labbra dello stregone pronunciarono quel nome e ne vide il capo muoversi in segno di diniego, le si ghiacciò il cuore.
No, ricordò all'improvviso, non ce l’aveva fatta.
Non era riuscita a salvarlo.
Non era riuscita a salvare nessuno.
Thorin e i suoi nipoti non avrebbero mai più calcato la Terra di Mezzo.
E allora qualcosa in Kat si spezzò, mentre la sua coscienza si ritraeva davanti a quella verità come il bordo d'un sottile foglio di carta dinanzi ad una fiamma, e prese una decisione.
– La magia che ti era stata donata non tornerà con te, giacché essa appartiene al flusso e ad esso farà ritorno una volta guarito il tuo corpo.
Le andava bene così, non le serviva alcuna magia.
– Un prezzo dovrà essere pagato. Ogni legame verrà reciso e nemmeno il ricordo sarà conservato, della realtà che sarà abbandonata.
Forse era meglio così, i ricordi l’avrebbero soltanto fatta soffrire ancora di più.
– Il patto è stato sancito, – annunciarono le entità che erano Uno e Tutto – è giunto il tempo che tu riapra gli occhi, Kathrine.


Quando Kat schiuse per la prima volta le palpebre, non capì subito chi, cosa o dove fosse.
L’asettica stanza dalle pareti verde chiaro rifletteva la luce dei neon appesi al soffitto con tale intensità da ferirle gli occhi e la ragazza dovette batter le palpebre con insistenza per mitigarne l’effetto e dar tempo alla pupilla di abituarsi.
Man mano che tornava presente a sé stessa, il bip persistente dei sensori cui era attaccata attraverso appositi cavi iniziò a penetrare attraverso la nebbia che avvolgeva la sua mente, ovattando i suoi sensi. Aveva dei piccoli tubicini che dal braccio pendevano a delle sacche semitrasparenti a lato del letto in metallo e plastica, e delle ombre si muovevano ai lati del suo campo visivo, poco più che delle ombre sfocate vestite di blu.
Una nuova luce le perforò la retina quando una di queste le mosse una piccola torcia a led davanti agli occhi. 
– È sveglia – disse una voce sconosciuta.
Dov’era? Cosa stava succedendo?
– Tranquilla, starai bene – affermò un’altra in tono rincuorante, forse una donna.
Si sentiva così stanca… e vuota.
Quando cercò di parlare scoprì di non riuscirci e neanche lo sentì, il tocco dell’infermiera, quando le iniettò una nuova dose di anestetico nel braccio. Bastarono pochi secondi e Kat sprofondò in una nuova, rassicurante oscurità.


Bilbo osservò le salme dei figli di Durin sfilare dinanzi a loro, verso l’interno della Montagna.
I corpi di Thorin e dei suoi nipoti erano stati accuratamente ripuliti e rivestiti in previsione del sonno eterno che, nelle profondità del Regno di Erebor, li attendeva.
Quando, dopo di loro, passò davanti ai suoi occhi la minuta figura di Katla, altrettanto immobile e pallida, il giovane hobbit non riuscì più a sopportare il magone che gli aveva stretto in una morsa il cuore e, silenziosa, una nuova serie di lacrime gli rigò il volto arrossato dal freddo.
Non c’era stato più nulla da fare per lei.
La seconda notte da quando era stata ferita da Azog il Profanatore, all'improvviso aveva smesso di respirare ed a nulla erano valsi i tentativi degli Elfi di riportarla indietro. Persino quella strana luce vorticante che le aveva visto in passato, ogni volta che gli era capitato di indossare l’anello e guardarla, era scomparsa senza lasciare traccia.
Se n’era andata così, in silenzio, rendendo assoluto e definitivo il vuoto che la morte di Thorin e dei suoi nipoti aveva lasciato nei cuori di tutti loro.
Neanche il suo misterioso sangue di lupo l’aveva salvata.
Era stato allora che Gandalf aveva parlato loro delle vere origini della loro amica, giacché non vi era più motivo per lui né per nessun altro di mantenere il riserbo. Aveva detto loro del ruolo fondamentale che ella aveva avuto, della missione che solo lei avrebbe potuto portare a termine: ristabilire il giusto equilibrio fra forze più grandi di loro.
E ce l’aveva fatta, in qualche modo.
Prima di lasciarli, aveva infine adempiuto al suo compito, riportando il flusso degli eventi al suo posto, qualunque esso fosse.
Bilbo non aveva idea di cosa ciò volesse dire, per la sua mente di semplice ed onesto hobbit della Contea certi affari erano fin troppo complicati. Lui sapeva solo di aver perso degli amici insostituibili e questo era già abbastanza.
In virtù del profondo coraggio e della lealtà che ella aveva dimostrato, non soltanto nel corso del loro viaggio ma soprattutto nella battaglia svoltasi ai piedi della montagna, le era stato concesso il privilegio di condividere il riposo eterno con il figlio di Thrain, per il quale aveva dato la vita, così come avevano fatto Fili e Kili.
Per questo il suo corpo stava venendo condotto all’interno della Montagna Solitaria.
Per questo i Nani dei Colli Ferrosi, nonostante ella non fosse una figlia di Durin, la stavano omaggiando come tale e le avrebbero concesso l’ultimo saluto che avrebbero riservato soltanto ad uno stimato membro della stirpe reale.
Quando la processione verso la camera mortuaria ebbe fine e lo hobbit, terminata la cerimonia e richiuse ermeticamente le porte, uscì nuovamente alla luce del giorno, dovette chiudere gli occhi e concentrarsi per combattere la pena che gli aveva colmato il petto.
– In qualche modo, il mondo non sarà più lo stesso per alcuni di noi..
La placida e roca voce di Gandalf lo raggiunse che lo stregone era già al suo fianco, fermo ad osservare la Valle di Conca ai loro piedi, ed in essa Bilbo colse distintamente la nota di rimpianto per la perdita cui la Compagnia era infine andata incontro.
Sospirò.
– È come se tutta l’allegria sia scomparsa con lei – commentò cupo e demoralizzato lo hobbit, scoccando un’occhiata al volto barbuto dello stregone al suo fianco – ..tornerà mai, Gandalf?
E lo sguardo colmo di saggezza dello stregone grigio tornò a posarsi su di lui.
– La vita proseguirà per tutti noi, a prescindere da quanto buio ci appaia questo giorno, ma non so dirti quando, né quanto questa perdita lascerà un segno nel tuo animo – gli rispose, senza ombra di gaiezza, né ottimismo; solo un grigio pragmatismo – Ma posso dirti, Bilbo Baggins, che non dimenticherò la nostra piccola amica, né ciò che ella ha fatto per noi.
Bilbo annuì.
– Nemmeno io, Gandalf.. – e si volse a guardare gli ultimi sprazzi di luce che andavano scomparendo oltre l’orizzonte – Nemmeno io.





Era già trascorso quasi un anno dall'incidente.
Kathrine s’era ripresa in fretta, così in fretta che i medici non erano riusciti a spiegarselo. La sera prima i parametri erano al limite del critico e la mattina dopo il suo corpo era come tornato alla vita. Non fosse stato per l’intera settimana passata in coma da parte della ragazza, avrebbero creduto ad un malfunzionamento degli strumenti.
Dopo tre giorni trascorsi in osservazione, durante i quali i ragazzi dell’orfanotrofio e persino la Madre Superiora erano passati a trovarla, Kat era stata dimessa a tutti gli effetti dall'ospedale. I soldi tenuti da parte per il suo viaggio erano serviti a pagare le cure mediche, perciò si era ritrovata a dover rimandare i propri progetti d’avventura ed a ricominciare da capo. Grazie a Jane aveva trovato un lavoro come cameriera in una tavola calda e, sapendola senza più un posto dove dormire, la Madre Superiora le aveva proposto di restare in una delle piccole camere del convento per tutto il tempo che le sarebbe occorso. Kat dopo un momento di incertezza aveva accettato, pur di mettere da parte i soldi necessari ed evitare di dormire sotto un ponte, ma non senza pagarle l’affitto: una cifra simbolica, per coprire le spese della sua presenza.
Rimessasi in piedi, erano susseguiti mesi frenetici all'insegna del lavoro, del volontariato presso l’orfanotrofio e delle commissioni che si offriva di fare continuamente per il convento, ma a discapito dei suoi sforzi per arrivare a sera completamente svuotata e spossata, quando si ritrovava da sola entro le mura della sua piccola stanza, giungevano puntuali le crisi di pianto.
Nelle prime settimane dal suo rilascio queste inspiegabili crisi erano state frequenti e violente, ed a Kat occorrevano decine di minuti perché riuscisse a calmarsi. Poi, col passare del tempo, questi picchi di depressione s’erano fatti più brevi e sporadici, ma vi erano ancora momenti in cui l’intenso magone che li provocava le serrava il cuore in una morsa talmente stretta da indurla a credere di essere sul punto di soffocare. Era una sensazione talmente intensa, talmente assoluta, che non era mai riuscita ad averne ragione né a spiegarsene la causa. Sapeva solo che lo schiacciante senso di vuoto che le esplodeva nel petto, in quei momenti di disperazione irrazionale, doveva aver a che fare con il trauma dell’incidente. Sotto consiglio della Madre s’era persino lasciata convincere a incontrare uno psicologo, ma le risposte che aveva avuto erano state solo motivo di ulteriore confusione per lei.
Era come se avesse perso qualcosa di estremamente importante, ma di cui non serbava alcun ricordo.
Per questo ci aveva messo del tempo a riprendere le redini della sua vita.
Non rinunciò mai al suo sogno e alla fine, un bel giorno d’autunno, quasi dieci mesi dopo il suo risveglio, Kat aveva preparato lo zaino, salutato tutti, ed era partita, pronta a riprendere dall'esatto punto in cui aveva lasciato.
Quando la suola delle sue scarpe aveva aderito all'asfalto del marciapiede, subito fuori dal convento, gli strascichi d’un timore irrazionale dovuto al trauma dell’incidente subìto le avevano stretto la gola in un nodo, ma la sua testardaggine e la vivida sensazione di deja-vù che l’avevano colta l’erano andate ben presto in aiuto ed aveva mosso i primi passi lungo la nuova strada. Aveva stretto i denti, come una vera sopravvissuta avrebbe fatto, e per ogni passo portato verso la stazione dei treni aveva avvertito una nuova sicurezza rifiorirle in petto, accompagnata da una vecchia speranza ed una nuova aspettativa.
Da quel giorno erano passate altre tre settimane, durante le quali Kat aveva girato gli Stati Uniti ed aveva visitato i luoghi più rinomati del paese, per concludere con il rinomato Parco Nazionale di Yellowstone. Era stata un’esperienza che l’aveva lasciata un po’ stranita in realtà, giacché pur avendo preso parte ad un’escursione organizzata ed essendo sempre stata circondata da altri turisti, c’erano state volte in cui s’era voltata a cercare... qualcosa fra gli alberi o fra le ombre delle persone che le erano accanto, spinta da un impulso fugace ed irrazionale, del tutto immotivato, che quando passava la lasciava soltanto confusa ed in preda ad un vago senso di frustrazione.
Alla fine, vinta dal tormento interiore che le aveva impedito di godersi appieno quell'esperienza al cospetto del grande spettacolo della natura, aveva fatto rotta verso il Canada, scroccando un passaggio ad una camionista incontrata in una delle tavole calde a ridosso della strada statale. 
Superato il confine, ben presto era giunto il momento di separarsi e Kat, dopo aver controllato un’ultima volta il percorso su una cartina vecchio stile, non mancò di ringraziare di cuore la signora al volante, giacché ella s’era rivelata una compagnia piacevole e piena d’aneddoti interessanti. 
– Sei certa di non voler cambiare idea? – le chiese la camionista – Da qui in poi la strada è lunga. Sicura, che non vuoi tornare al sud? Mi farebbe piacere una compagna di viaggio!
Ma Kat, sorridendole, scosse il capo.
– Grazie lo stesso, me la caverò!
La donna, di corporatura secca e rigida, di quelle che danno l’idea di una vita passata a sopportare le durezze della vita, ricambiò il suo franco sorriso e le augurò buona fortuna.
E Kathrine, ricambiandola, richiuse la portiera del camion e rimase a guardarlo mentre riprendeva la sua strada, allontanandosi verso est.
Una volta scomparso dietro la curva, rimasta nuovamente sola, la giovane allora riempì i polmoni della tiepida e limpida aria autunnale e, col cuore gonfio, si volse verso il cartello che, dall'altro lato della carreggiata, segnava lo sbocco di una delle rare strade secondarie che intercettavano la statale.
Sul legno dipinto c’era l’indicazione per una cittadina di montagna distante alcune decine di miglia verso nord-ovest e Kat, osservando quella nuova via che tagliava di netto l’area boschiva tutt'intorno, s’aggiustò lo zaino in spalla e si avviò in quella direzione.
Voleva vedere le montagne, ancora e ancora. Era un richiamo troppo forte per ignorarlo e Kat, dopo tutti quei giorni di viaggio, aveva rinunciato a comprenderne la ragione ed aveva iniziato a seguire semplicemente il proprio istinto. In fondo, cos'altro aveva da perdere?
Nelle due ore seguenti, mentre il sole iniziava a volgere lentamente alla fine del suo percorso in un cielo insolitamente limpido, non incrociò una sola auto lungo il cammino e la sua ombra si allungò dinanzi ai suoi piedi sempre più, come sospinta dalla leggera brezza che le soffiava dalle spalle.
Persa nel costante moto fisico di quella camminata in solitaria, Kat lasciò vagare lo sguardo più volte fra gli spessi tronchi dei pini che costeggiavano la strada ed iniziò a chiedersi se avrebbe fatto in tempo a raggiungere il paese prima di notte o se sarebbe stata costretta a trascorrerla all'addiaccio.
Non che la cosa fosse una novità: le era già capitato di passare la notte sotto le stelle ed era attrezzata con una piccola tenda ed un discreto sacco a pelo di seconda mano nel proprio bagaglio. Inoltre, pensò meccanicamente, questo le avrebbe senz’altro fatto risparmiare qualche soldo, cosa non da trascurare dato che aveva già dimezzato i suoi risparmi. Avrebbe di certo fatto meglio a trovarsi un lavoretto che le permettesse di sostenersi e metter da parte qualcosa in più, prima di proseguire verso l’ignoto.
Durante una sosta, Kat frugò nel proprio zaino alla ricerca di qualcosa da mangiare. Trovò una barretta proprio sotto l’unico libro che, per chissà quale motivo, non era riuscita a lasciarsi alle spalle. La copertina de Lo Hobbit si piegò docilmente sotto le sue dita, mentre tirava fuori quello che si preannunciava il suo ultimo pasto della giornata. Era una copia vecchia e consunta ed alcune pagine erano slabbrate, ma Kat lo aveva ricoperto di scotch ed aveva lasciato al convento il suo piccolo computer, pur di trovare il posto nel proprio bagaglio e portarselo appresso.
D’altra parte, quel libro era stata sin da subito l’unica cosa che riusciva a calmarla durante le sue crisi. Da tempo Kat aveva smesso di chiedersi il perché, aveva semplicemente accettato anche questo suo nuovo lato di sé ed era andata oltre.
Seduta a lato strada, con lo zaino a farle da cuscino e dando le spalle alla foresta, Kat si ritrovò a fermarsi a metà di un morso mentre veniva assalita da una sensazione di deja-vù che le chiuse improvvisamente lo stomaco. Nel silenzio che la circondava tese meccanicamente le orecchie, ascoltando il frusciare lieve del vento fra le fronde degli alberi ed il lontano gorgoglio d’un torrente.
Il viaggio, la pace della natura, la solitudine. Aveva già vissuto qualcosa di simile, prima.
Serrandosi una mano sul petto, sopra la pesante giacca che in quella stagione l’aiutava a tener lontano il freddo, Kathrine chiuse di scatto gli occhi e, preda di una nuova tensione che le irrigidì gran parte dei muscoli, scosse il capo per scacciare quella sensazione. Se le avesse dato peso, aveva la netta impressione che ad essa avrebbe seguito una delle sue dannate crisi di pianto, così fece del suo meglio per sopprimerla sul nascere.
Basta piangere.
Finì in fretta la barretta al cioccolato e si rimise in cammino.
Se procedeva di buon passo, nel giro di un paio d’ore sarebbe infine arrivata nei pressi di quello che era indicato come un borghetto di montagna. Sollevò lo sguardo al cielo sopra la sua testa e seguì i contorni pieni e d’un arancio rosato d’una nuvoletta intenta ad attraversare la volta sopra la foresta, ammirando ed al contempo prendendo nota del tramonto ormai vicino.
Stava per chiedersi se fosse il caso di proseguire ancora o se avrebbe invece fatto meglio ad accamparsi quando alle orecchie le giunse il lontano ed inconfondibile rumore di un’auto in avvicinamento.
Col cuore in gola, Kat si voltò immediatamente e come i suoi occhi distinsero in lontananza i fari gemelli d’un veicolo in transito in controluce, si morse nervosamente il labbro inferiore e sollevò al contempo il braccio destro nel consueto segno comune a tutti gli autostoppisti: il pollice alzato. 
Quindi, mentre il mezzo si avvicinava sempre più, ella prese a pregare la sua buona stella.
– Ti prego, fa’ che si fermi e che non sia uno psicopatico. Ti prego, fa’ che si fermi e che non mi riduca in pezzettini.. – prese a cantilenare, tenendo gli occhi grigio-verdi incollati sul suo obiettivo ed al contempo continuando a camminare all'indietro, sul ciglio della strada.
Quello che si rivelò ben presto essere un pick-up non più nel fiore degli anni la superò nel giro di mezzo minuto e Kat, seguendolo con lo sguardo mentre le passava accanto, era già pronta a lasciarsi andare ad una sequela di imprecazioni quando le luci dei freni improvvisamente s’accesero. La vettura rallentò e si fermò una decina di metri più avanti e, nella luce del tramonto, la carrozzeria color ruggine rifletté opaca e vivida i raggi del sole calante.
– Grazie al cielo! – mormorò fra sé e sé, rianimatasi.
E fu in quel preciso momento, mentre ella già s’affrettava a colmare le distanze, che la brezza si attenuò e, nella calda e mutevole luce del tramonto, lo sportello si aprì e l’uomo seduto al posto di guida saltò giù dal pick-up con un balzo.
Come il suo sguardo si posò sulla figura di lui, qualcosa in Kathrine reagì a livello inconscio ed il respiro le si impigliò improvvisamente in gola, in risposta ad un’emozione senza nome.
Il passo di lei, da rapido e deciso, rallentò sino a fermarsi in mezzo alla strada.
Perché quello era...
Il cuore stesso le si strinse nel petto ed i suoi occhi si spalancarono quando ne incrociò le iridi chiarissime, di un limpido azzurro ghiaccio, messe in risalto da una chioma corvina ed una corta barba ben curata.
Quello era...
Lui, vestito di jeans ed una consunta camicia a quadri, la guardò di rimando e sul suo volto ella scorse la stessa irrazionale sorpresa che le aveva colmato il petto.
...Thorin.
E gli occhi le si colmarono di lacrime, giacché il suo cuore l’aveva riconosciuto, e le labbra le si schiusero ribelli in un ampio sorriso irrazionale. 
Perché, anche se la mente può dimenticare, il cuore non lo farà mai.


...fine.






~ NOTA DELL'AUTRICE ~

Eccomi qui (in ritardo, lo so, mi spiace ç_ç)!
E' finita.
Non so davvero cosa dire, quel che volevo lo ho scritto lo scorso capitolo ed ora che non ce ne saranno più non ho altro a parte i vari ringraziamenti...
Spero vivamente che anche questo finale vi sia piaciuto e sono curiosa di sapere quale dei due preferite, quindi la mia domanda sarà questa: vi è piaciuto di più il finale originale o quello alternativo?! *_* DEVO SAPERE!
Lol, scusatemi, sono un tipo fin troppo esuberante certe volte. Ad ogni modo, vi volevo solo far notare che, nei capitoli in cui c'erano delle note, ho inserito la possibilità, cliccando sul numerino [1,2,3,ecc.] di arrivare direttamente alla spiegazione a fondo pagina. E' un trucco che ho appreso da Aleera e le ho rubato il codice appena me ne sono resa conto! Scusa carissima, era troppo figo e utile per non usarlo! *-* il bello della programmazione è che c'è sempre qualcosa da imparare!
Detto questo, vi ringrazio ancora una volta per la vostra presenza ed il vostro sostegno ^^ spero che questa storia vi sia piaciuta e vi abbia lasciato un bel ricordo, soprattutto dati i tempi che corrono.
Alla prossima occasione e, nel mentre, tanti auguri per tutto.

la vostra autrice di quartiere,
Kaiy-chan

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