Una voce dal lago

di Red Owl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Parte quarta ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


Questa è una piccola storia scritta di getto, tanto per ingannare il tempo. Non cercate in essa verosimiglianze storiche o geografiche, né nessun concetto profondo o filosofico. Sarà breve: due capitoli, tre al massimo.

***

«Le occorreranno degli abiti nuovi.»

Rosa si aggiusta la gonna mentre gli occhi infossati del cugino Edoardo la percorrono da capo a piedi. Sa di non vestire all'ultima moda, ma il corpetto che indossa è ben inamidato, il colletto della camicia di pizzo è immacolato e la sarta è stata capace di allungare ad arte la sottana color carta da zucchero: solo un occhio esperto saprebbe individuare il punto dove l'orlo finiva, all'incirca una decina di centimetri sopra alla caviglia coperta dagli stivaletti di cuoio consunto.

Chissà se il cugino Edoardo ce l'ha, l'occhio esperto. Di certo i suoi abiti parlano di un lusso ostentato - ma non veramente posseduto - e il suo cilindro lucido sembra scimmiottare quelli dei signori di città che mai si accosterebbero di buon grado a un campagnolo arricchito com'è il figlio dello zio.

«Ma certo, figlio mio» lo asseconda la zia Maria Elena. «Tua moglie non ti farà sfigurare.»

Seduto sulla poltroncina accanto alla finestra, lo zio Antonio esala un sospiro puzzolente di sigaro. «Ha il portamento di una cameriera» dice indicando la nipote con un cenno della mano grassoccia. «Gli anni trascorsi a servizio devono averla rovinata. È un vero peccato. Me la ricordo quand'era ragazzina: aveva la stessa grazia di sua madre, pace all'anima sua.»

La zia Maria Elena le si avvicina e le pianta una mano tra le scapole. «Riesci a tenere le spalle dritte, ragazza?» le dice, scrutandola con una piega contrariata delle labbra sottili. «Ce la fai a tenere la testa alta, senza guardarti i piedi con l'aria di una che si vergogna come un ladro?»

«Sì, zia» sospira Rosa spingendo indietro le spalle e alzando docilmente il mento. Nonostante la provocazione della donna, però, si guarda bene dall'incontrare veramente i suoi occhi. L'aria di una che si vergogna come un ladro, ha detto la zia Maria Elena, e le parole non sono state di sicuro scelte a caso.

Alla zia non è mai andato giù il fatto che Angelina, la madre di Rosa, abbia sposato uno come Sante Lombardo: un giovanotto che non aveva che pochi spiccioli in tasca e che oltretutto veniva anche da lontano. Lei e la mamma di Rosa non avevano nessun legame di sangue - Angelina era la sorella dello zio Antonio - ma la zia aveva probabilmente sognato un matrimonio ricco per la giovane cognata, un matrimonio che portasse un po' di buona società in quella casa di campagna che suo marito si era potuto permettere grazie a dei commerci tanto insperati quanto fortunati.

E invece niente. Angelina era morta anzitempo per un male improvviso, lasciando una figlia undicenne e un marito dall'ingegno fino, ma che aveva la sfortunata tendenza a fare il passo più lungo della gamba. Un anno dopo Rosa era finita a servizio da una famiglia di industriali e ora, dieci anni dopo la morte di Angelina, Sante Lombardo è finito in galera con l'accusa di aver rubato una certa quantità di denaro al suo datore di lavoro.

Rosa non ci crede. Sa che il suo papà non è un cittadino modello, ma di sicuro non è nemmeno un ladro. Poco importa, comunque: l'hanno arrestato lo stesso e, a causa del suo arresto, i signori Fiocchi hanno licenziato Rosa. Perché non possiamo permetterci di tenere in casa una domestica che viene da una famiglia di ladri, hanno detto. Non vorremmo mai che un giorno o l'altro anche le tue mani si allungassero un po' troppo.

Il che l'ha condotta nella situazione in cui si trova in quel momento. Scrivere una lettera allo zio Antonio l'era sembrata un'eccellente idea, almeno sulle prime: non avrebbe mai immaginato che lo zio avrebbe accettato di ospitarla solo se lei si fosse impegnata a sposare Edoardo, che era il più vecchio dei suoi tre figli e che era ancora scapolo.

«Non parla tanto» osserva il cugino Edoardo aggrottando le sopracciglia sulla fronte spaziosa. «Non che sia un male, dal momento che non sopporterei mai una moglie pettegola, ma non è che è ritardata?»

Lo zio Antonio grugnisce. «Non dire corbellerie, Edoardo. Rosa è riservata, ma non ha alcun difetto mentale.»

La ragazza si sente in dovere di dire qualcosa. «È così, cugino» lo rassicura con un piccolo sorriso. «La posizione che ho ricoperto negli ultimi anni mi ha insegnato a tenere a freno la lingua, ma sono in grado di fare conversazione, se necessario.»

Il cugino Edoardo sventola una mano. «Non sarà necessario. Ciò che conta è che tu sia una moglie assennata, che non crei scandali e che impari in fretta a mandare avanti la casa.»

Rosa serra le labbra e si sforza di non mostrare il proprio scontento. Il cugino Edoardo e la zia Maria Elena sono scortesi e maleducati, ma lei non deve dimenticare di essere ospite, in quella casa. Fino a quando non si celebrerà il matrimonio, se lo zio Antonio la terrà sotto il suo tetto sarà solo per il suo buon cuore e lei non può permettersi di fargli rimpiangere quella decisione. Il rischio di finire in mezzo a una strada è concreto: non le restano altri parenti ancora in vita e trovare un nuovo impiego senza referenze è pressoché impossibile.

«Molto bene» dice la zia, prendendo a girare attorno a Rosa come un lupo che studia la sua preda. «Vatti a sistemare i capelli, ragazza. Mio figlio ha ragione, e infatti ho chiamato la sarta perché venga a prenderti le misure: non puoi farti trovare spettinata come una contadinotta appena emersa dal fienile.»

***

«Voglio che tu sappia che il furto non sarà tollerato.»

Rosa si volta verso il cugino Edoardo. «Perché dovrei rubare in casa mia, cugino?»

La fronte dell'uomo si increspa e la fanciulla pensa per l'ennesima volta che la sua testa assomiglia a un uovo sodo: un brutto uovo sodo con un ciuffo di capelli scuri sulla sommità del guscio e un'espressione perennemente accigliata.

«Questa non è ancora casa tua, cugina, e ti ho sorpresa un po' troppe volte a girovagare per la biblioteca: cosa ci vieni a fare?»

La fanciulla si sente arrossire. In biblioteca non ci va di certo per leggere, e il cugino Edoardo lo sa. Ha frequentato la scuola per un paio di anni soltanto, troppo pochi per acquisire dimestichezza con la parola scritta: i caratteri neri che ingombrano le pagine dei libri le fanno venire il mal di testa e le si confondono davanti agli occhi. Rosa sa leggere giusto la lista della spesa e poco di più. Però le piace respirare l'odore della carta e delle copertine di pelle, dell'inchiostro e del legno massiccio di cui sono composti i mobili. Le piace il silenzio della biblioteca, un luogo poco frequentato anche dai padroni di casa.

«Dunque, cugina?» la incalza il cugino Edoardo.

«Ci vengo per passeggiare» replica Rosa, cercando di assumere un tono altezzoso.

Edoardo scoppia a ridere: un suono quasi grottesco, quando a emetterlo è quell'uomo troppo serio e con un accenno di doppio mento. «Pensavo che per le passeggiate ti fosse sufficiente il parco. Hai davvero bisogno di percorrere avanti e indietro questi quattro corridoi? Qui si viene per istruirsi, non per fare esercizio fisico.»

Rosa pensa che al cugino Edoardo non debba interessare dove lei vada a passeggiare, ma cosa può dire in sua difesa? È evidente che lui non la vuole lì e allo stato attuale delle cose ha ancora il diritto di allontanarla da qualsiasi stanza in cui la sua presenza non sia gradita.

«Hai ragione» concede allora. «I giardini sono molto più indicati per pratiche di questo tipo, soprattutto con la bella stagione che è ormai alle porte.»

Il cugino Edoardo fa un cenno d'assenso che gli fa tremolare la carne in eccesso sotto al mento. «Vai, allora. Pare che l'aria fresca faccia bene alle signore

Lo dice in un tono che lascia chiaramente intendere che non la ritiene parte di suddetta categoria, ma Rosa non se la prende più di tanto: ha passato poco meno della metà della sua vita a fare la cameriera ed è consapevole della propria posizione sociale. Gli anni trascorsi con i Fiocchi, poi, le hanno fatto conoscere un certo numero di signore e Rosa ha avuto modo di osservare che quelle donne eleganti non sembravano tanto più felici di quelle che erano parte della servitù.

La giovane si inchina appena in cenno di saluto e poi lascia la biblioteca. I suoi piedi la portano oltre le modeste scale di granito che conducono al piano inferiore e oltre il pavimento di cotto della sala da pranzo. Prima di raggiungere la porta che dà sul giardino, Rosa si imbatte in Maddalena, una delle ragazze che lavorano in cucina, e arrossisce quando questa le fa la riverenza. Anche se è passato ormai un mese da quando ha messo piede per la prima volta nella casa dello zio Antonio, non si è ancora abituata a essere trattata con tanta deferenza da persone che fino a poco tempo prima erano sue pari.

Con un sorriso imbarazzato, Rosa si affretta a raggiungere il giardino. Quando i suoi piedi si posano sulla ghiaia che ricopre lo spiazzo antistante all'ingresso principale, la fanciulla si concede un sospiro di sollievo, respirando a pieni polmoni l'aria frizzante di inizio marzo.

Da quando è iniziato il suo fidanzamento con il cugino Edoardo ha spesso l'impressione che le manchi il fiato. Le sembra quasi di essere in procinto di entrare in una gabbia dalla quale le sarà poi impossibile uscire. Sa che è una sciocchezza: per quanto poco desiderato, quel matrimonio migliorerà la sua condizione. Sa anche che ci sono uomini peggiori di Edoardo: suo cugino ha quindici anni in più di lei ed è tutt'altro che avvenente, ma saprà garantirle una vita agiata. È chiaramente disinteressato a lei e non ha mostrato il benché minimo cenno di affetto nei suoi confronti, ma nelle settimane che ha trascorso nella casa di suo zio Rosa l'ha studiato bene e ha visto che non è un uomo violento: al più è supponente e costantemente annoiato.

E anch'io sarò presto terribilmente annoiata, se diverrò la moglie di un uomo del genere, pensa la ragazza, sistemando un boccolo scuro che è scivolato via dalla posizione nella quale era stato appuntato.

Ci sono destini certamente peggiori, riflette Rosa. Ce ne sono anche di migliori, ma essi non sono alla sua portata, considerato il suo stato sociale.

Talvolta le viene il dubbio che parte dell'inquietudine che prova sia legata all'improvviso cambiamento del suo stile di vita. Non è mai stata abituata a starsene con le mani in mano e il fatto che il lavoro manuale le sia stato proibito da un giorno all'altro le riempie le membra di un formicolio nervoso.

Camminare le farà bene.

Rosa si avvia lungo il viottolo curato che parte dall'edificio principale e si dirige in leggera pendenza verso i prati e gli orti di cui è ricca la proprietà dello zio Antonio. La giovane passa accanto alle stalle nelle quali sono ricoverati alcuni cavalli che le sono stati presentati come purosangue di ottimo lignaggio: Rosa ci capisce poco, di cavalli, ma il signor Fiocchi ne era un grande appassionato e negli anni le ha trasmesso alcune nozioni a proposito di quelle bestie. Quelli dello zio Antonio le sembrano più ronzini, che campioni, ma la giovane si guarda bene dall'infrangere le illusioni dell'uomo. Del resto, quegli animali non porteranno nelle sue tasche i proventi delle vittorie in pista, ma tengono occupato lo zio e migliorano il suo umore.

Oltre le stalle il terreno degrada in maniera più decisa. L'assolato pendio meridionale è costellato da olivi: una vista insolita, a quelle latitudini. L'olio prodotto dai frutti di quelle piante è sorprendentemente buono e Rosa pensa che lo zio Antonio ha ben ragione di esserne fiero.

La calma della giornata di inizio primavera è spezzata da un'improvvisa bava di vento e le mani della fanciulla volano ad afferrare la sottana. Non che vi sia davvero il pericolo che essa si sollevi in maniera sconveniente - la stoffa dell'abito verde che indossa, all'ultima moda, è troppo pesante perché quel venticello possa smuoverla - ma le buone maniere hanno il sopravvento sul buonsenso.

Ferma sul piccolo promontorio che sovrasta quella porzione della proprietà dello zio, Rosa lascia che i suoi occhi accarezzino il paesaggio: i tronchi contorti degli olivi che ricoprono parte del declivio, il laghetto argenteo che si trova in fondo a esso, i cespugli che crescono nei pressi delle rive e che già recano traccia dei boccioli che si apriranno nel giro di poche settimane, le siepi che, laggiù in fondo, segnano il limite estremo della tenuta che un giorno sarà sua. L'aria è tersa e frizzante e Rosa ha l'impressione che il suo respiro si faccia più lieve, più facile.

Un piccolo sprazzo giallo accanto ai suoi piedi attira la sua attenzione e Rosa si china per cogliere un fiore di tarassaco. Se lo rigira lentamente in mano e il lattice amaro e biancastro le impiastriccia le dita. Sentendosi più leggera di quanto non si sentisse quando era in casa, la ragazza inizia la discesa verso il modesto specchio d'acqua la cui superficie è parzialmente occupata da canne verdeggianti e da ampie foglie di ninfea.

È un angolo grazioso, quello in cui si trova in quel momento, e la giovane pensa che non le dispiacerebbe trovare una panchina su cui sostare per qualche minuto. È un vero peccato che non ce ne sia nemmeno una. Forse, quando saranno sposati, potrebbe chiedere al cugino Edoardo di realizzare quel suo piccolo desiderio.

Le sue orecchie colgono il suono di una voce sommessa e Rosa si volta per fronteggiare il lago. I suoi occhi perlustrano le rive, i cespugli e il canneto, poi scorrono verso il sentiero che l'ha condotta lì.

Non c'è nessuno. Forse ha udito una voce portata dal vento? Dov'è la donna che ha parlato con voce chiara, ancorché troppo flebile perché lei potesse distinguere le parole? C'è forse qualche serva nascosta tra la vegetazione che circonda il lago? Forse è in compagnia? Si chiede Rosa arrossendo, ricordando quella singola volta in cui anche lei si è appartata con un garzone.

Un po' in imbarazzo, la ragazza si chiede se non sia il caso di proseguire la passeggiata, concedendo un po' di intimità all'ipotetica coppia che si cela alla sua vista, quando un nuovo sussurro si leva da un punto davanti a lei.

Rosa sente che il suo cuore accelera i battiti. Le vaghe parole che le giungono alle orecchie non sono pronunciate nel tono eccitato di due giovani che si scambiano effusioni, ma in quello quieto e solenne di una madre che tranquillizza il proprio bambino. La cosa che più la turba, però, è il fatto che la voce sembra provenire proprio dal centro del lago, dal punto in cui - immagina - l'acqua è più profonda.

Com'è possibile? Si chiede. I suoi occhi sfiorano per un istante la coppia di cigni che pascola poco lontano. Che siano stati loro a parlare? O forse i pesci di questo lago hanno una voce?

Dopo un istante di silenzio, nuove parole risuonano sulla superficie dell'acqua. Pace, crede di sentire la ragazza. Pace, figlia mia.

Quando Rosa si dirige di nuovo verso la casa dello zio, lo fa correndo.




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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Se Rosa è spaventata dalla voce che ha sentito nei pressi del lago, ne è in un certo modo anche attratta.

Nelle settimane successive i pensieri della ragazza tornano sempre lì, a quelle parole sussurrate e trasportate dal vento leggero. La data del suo matrimonio con il cugino Edoardo si avvicina - le nozze sono fissate per l'inizio di maggio, quando il giardino sarà nel suo pieno splendore - ma lei non riesce proprio a sentirsi una novella sposa: le pare di essere piuttosto un'avventuriera in procinto di fare una scoperta eccezionale.

Malgrado la tremarella che rallenta i suoi passi, Rosa visita più volte il piccolo specchio d'acqua. Ci sono giorni in cui l'unica voce che sente è quella delle canne che frusciano smosse dal vento e degli insetti che ronzano sul pelo dell'acqua: in quelle occasioni torna alla villa al contempo delusa e sollevata. Più spesso, però, alla ragazza basta avvicinarsi al lago per cogliere l'eco di parole mormorate: sembra quasi che a parlare sia l'acqua stessa.

Non ha senso, si dice mentre un brivido di orrore meravigliato le corre lungo la schiena. Anche se non è esperta di cose di mondo, Rosa sa che dev'esserci una spiegazione razionale. Quando ha lasciato la sua famiglia era troppo piccola per potersi ricordare quale fosse l'opinione dei suo genitori in merito a spiriti e fantasmi, ma in compenso sa benissimo come la pensava il signor Fiocchi. "Sono tutte fesserie!" Le aveva detto la mattina stessa in cui lei era entrata a servizio della sua famiglia. "Ci sarà qualcuno, nella servitù, che cercherà di farti credere che la casa è infestata: l'edificio è vecchio, lo vedi anche tu, e di voci di questo genere ne circolano fin troppe. Non farti distrarre da esse, bambina: tra queste mura non c'è spazio per l'occulto e le fantasie inutili."

Sebbene Rosa non nutra alcun affetto per il suo vecchio padrone, la sua visione del mondo l'ha in un certo modo influenzata e la ragazza non crede che per le vie della terra vaghino presenze soprannaturali. Però...

La fanciulla si avvicina al lago quasi in punta di piedi e tende le orecchie. Quasi come per farle un dispetto, il mormorio che l'era sembrato di sentire fino a un istante prima si interrompe. Sembra quasi che non voglia farsi trovare, pensa la ragazza guardandosi attorno. Incrociando le braccia davanti al petto, Rosa lascia scorrere nervosamente gli occhi attorno a sé.

Da qualche giorno il cielo terso che aveva benedetto la prima parte del mese si è fatto ingombro di nubi, divenendo una distesa grigia e uniforme che getta una luce plumbea sul mondo. Il lago riflette quel clima quasi autunnale e le sue acque, già naturalmente scure, hanno assunto un burrascoso colore grigio verde che le rende impenetrabili allo sguardo umano. Le mani della giovane tremano impercettibilmente mentre lei fissa quella superficie appena increspata da onde sottili: quasi si aspetta che da essa emerga una bestia mitologica, un drago o un serpente marino capace di parlare con una dolce voce di donna.

O forse c'è qualcosa tra i cespugli, pensa Rosa, mentre la sensazione di essere osservata da qualcuno che sta alle sue spalle le fa sollevare i sottili capelli della nuca. Un folletto dispettoso, una strega o lo spirito di qualcuno che è morto tanto tempo fa... La ragazza si volta di scatto, ma non vede altro che gli arbusti carichi di boccioli, l'erba e gli olivi.

Aggrottando la fronte, la ragazza si chiede se non ci sia forse qualcosa che non va in lei. Lo zio Antonio non le ha mai vietato di passeggiare per il parco, né l'ha fatto la zia Maria Elena, il che significa che ai loro occhi in esso non v'è nulla di insolito o di pericoloso. Di certo l'avrebbero messa in guardia nei confronti di un lago parlante, pensa la giovane con una smorfia. Possibile che sia la sola ad aver mai sentito quelle parole mormorate? Possibile che esse non esistano se non entro i confini della sua mente?

Non sono pazza, si rassicura Rosa, posandosi due dita su una tempia e scrollando lentamente il capo. Forse dovrebbe parlarne con qualcuno, ma chi? Non con la servitù, tra le cui fila non v'è nessuno che le sia amico, non con il prete, che non vedrebbe di buon occhio il fatto che lei senta voci prive di corpo, non con Edoardo, che la ignora e, quando non la ignora, la disprezza.

Cosa posso fare? Si chiede la ragazza, sforzandosi di pensare a una soluzione. Forse potrei iniziare con l'informarmi un po' sulla storia della villa e del parco, decide. Domande di quel genere, che dimostrano interesse nei confronti della sua proprietà, non insospettiranno nessuno. Forse potrebbe provare a dare un'occhiata più approfondita anche alla biblioteca: è vero che i libri la confondono, ma dovrebbe essere in grado di leggere almeno i titoli. E se trovasse qualcosa di interessante, la curiosità potrebbe spronarla a decifrare il testo con più sicurezza del consueto.

L'idea le pare buona e la ragazza si sente quasi rinfrancata. Con una mano sfiora un cespuglio d'ortensia e giocherella brevemente con le foglie spesse. «Non so chi sei», dice, rivolta al lago increspato, «ma intendo scoprirlo.»

Forse è una sua impressione, ma il silenzio che segue le sembra quasi stupefatto.

***

A conti fatti, l'idea di cercare risposte all'interno della biblioteca di famiglia non è poi così buona.

Ora che non cerca svago, ma informazioni, gli imponenti scaffali di legno ricolmi di volumi dall'aspetto vetusto le sembrano austeri, quasi minacciosi. Ha l'impressione che incombano sopra la sua testa, pretendendo di sapere cosa va cercando lei, servetta quasi analfabeta, tra quei corridoi forieri di saggezza.

I suoi occhi scorrono sulle lettere stampate sui dorsi dei libri, ma non trovano nulla a cui appigliarsi. Sto solo perdendo tempo, pensa Rosa abbattuta.

Demoralizzata, la giovane si dirige a passi lenti verso la sala più interna e sussulta nel vedere il cugino Edoardo seduto alla scrivania di legno massiccio. È piegato su alcuni appunti e su quello che sembrerebbe quasi un diario, ma quando la vede arrivare si raddrizza e la fissa con il suo cipiglio altero. «Ancora qui?» la apostrofa con aria di rimprovero.

Rosa si mordicchia le labbra ed è tentata di girare sui tacchi e andarsene, ma un pensiero improvviso la tiene inchiodata al pavimento. Forse potrebbe approfittare della situazione per fare conversazione con il suo futuro marito? Non prova per lui la benché minima attrazione fisica e l'uomo non ha mai dato cenno di desiderare il suo affetto, ma questo non cambia il fatto che nel giro di un mese o poco più saranno marito e moglie. Varrebbe certamente la pena di provare a conoscerlo un po' meglio, prima di recarsi con lui all'altare.

«Sì» dice allora, avvicinandosi lentamente alla scrivania. «In verità speravo di trovare qualche volume che trattasse della storia della casa e del giardino.»

Edoardo sembra sorpreso da quell'informazione, ma lo stupore che si disegna sul suo viso lascia rapidamente spazio alla disapprovazione. «Un volume?» ripete con una smorfia. «L'edifico non è abbastanza antico per meritarsi le attenzioni di uno scrittore e nel parco non c'è alcuna pianta esotica che possa essere studiata e descritta da un botanico. Cosa ti aspettavi di trovare?»

Rosa arrossisce a suo malgrado e non può fare a meno di sentirsi sciocca. «A dire il vero ero più interessata al lago, che alle piante e alla storia della casa» dice comunque, cercando di mantenere un tono neutro.

Sull'ampia fronte del cugino Edoardo si disegna una profonda ruga verticale. «Perché ti interessa?»

La giovane oscilla sui piedi. «Trovo strano che sia stato incluso nel parco. Non è un bacino artificiale, mi pare. Non pensavo che qualcuno avesse il potere di vendere un intero lago» improvvisa.

«A voler ben vedere, è più una pozzanghera che un lago» bofonchia l'uomo, ma Rosa vede che l'argomento lo appassiona. Che sorpresa! Pensa.

«A me non sembra tanto piccolo» osserva lei, cercando di tenere viva la conversazione.

«Quattrocentodieci metri di lunghezza e trecentoquindici di larghezza» la informa Edoardo, prima di stupirla parlando di nuovo: «Non ha alcuna storia particolare alle spalle. Era già parte dei terreni della fattoria che un tempo sorgeva al posto della villa. Un tempo serviva per fare abbeverare il bestiame.»

Rosa si immagina un lago diverso da quello che conosce lei. La forma è la stessa, ma la vegetazione attorno alle rive è più rada, meno rigogliosa. Non c'è traccia del viottolo di ghiaia né degli olivi che crescono sul pendio: ci sono solo prati e mucche che vi pascolano. Nella sua mente, l'orecchio di uno dei bovini ha un fremito e la ragazza si chiede se per caso non abbia udito la stessa voce che da qualche tempo domina tutti i suoi pensieri.

« Quando è stata costruita la villa?» chiede.

Edoardo scrolla le spalle. «All'incirca un centinaio di anni fa. Come ti ho detto, non può certo essere considerata antica o di pregio.» Così dicendo, l'uomo si alza dalla sedia e la fanciulla nota che, sebbene sia ancora nel pieno delle forze, sembra fare fatica a spostare il corpo massiccio. Le sembra già di vederlo vecchio, curvo e grigio, troppo pingue per alzarsi dal letto o dalla poltrona. Rosa non riesce a reprimere un brivido di orrore.

Senza alcuna parola di spiegazione, l'uomo si avvicina alla parete in fondo alla stanza, quella più lontana dalle finestre che danno sul giardino. Su di essa sono appesi alcuni piccoli quadri che la ragazza non ha mai avuto l'occasione di esaminare da vicino. Accorgendosi che Edoardo si è fermato di fronte al primo di essi, Rosa gli si avvicina di nuovo: non capisce perché tutto d'un tratto l'uomo sia così ben disposto nei suoi confronti, ma intende approfittarne come può.

Quando gli si accosta, il cugino Edoardo non abbassa su di lei lo sguardo, ma lo tiene fisso sulla scena agreste raffigurata nel primo dipinto: due uomini che accompagnano un bue impegnato ad arare i campi. Il paesaggio sullo sfondo è accurato e la ragazza comprende che il campo doveva trovarsi nei pressi della villa. «Chi l'ha dipinto?» chiede incuriosita.

«Tale Giovanni Bonfanti, un gentiluomo che visse in città nel periodo in cui la fattoria fu trasformata in villa e che si dilettava nell'arte della pittura» spiega l'uomo in tono piatto. «Il tratto è piuttosto grossolano, ma bisogna riconoscergli una certa attenzione ai dettagli.»

Rosa guarda il quadro: di arte non se ne intende, ma il dipinto le sembra grazioso. Non ha però alcuna intenzione di contraddire il cugino Edoardo e dunque passa al quadro successivo, che raffigura un gruppetto di donne che, con le sottane raccolte, paiono intente a pigiare l'uva. L'immagine successiva raffigura una contadinella di pochi anni che, circondata da grosse galline rossastre, porta alcune uova nel grembiulino sollevato, ma l'attenzione della ragazza è subito attirata da ciò che è ritratto all'interno della quarta cornice.

I suoi occhi scorrono sull'immagine di una fanciulla bionda che, avvolta in vesti candide, siede sulla sponda di un piccolo specchio d'acqua. L'angolo con cui è stata ritratta non permette a Rosa di scorgere con esattezza l'espressione del suo viso, ma alla ragazza sembra che le sue labbra siano piegate nell'accenno di un sorriso. È stata immortalata nell'atto di strizzare i lunghi capelli, forse bagnati dalle acque del laghetto, e la sua posa è stranamente provocatoria, se confrontata con l'innocenza degli altri dipinti: la sua spalle sinistra è nuda e le sue gambe sono scoperte fino al punto che è possibile intravvedere la pelle candida delle cosce.

«Chi è?» chiede, rivolta all'uomo al suo fianco.

Lui scrolla nuovamente le spalle. «Difficile dirlo. Forse una contadina, forse una giovane che il Bonfanti portò con sé dalla città. Forse solo una donna immaginaria che ha dipinto nella posa delle ninfe greche: ci sono alcuni bozzetti che mio padre ha nel suo studio che dimostrano che era assai affascinato dalla cultura classica.»

«Cos'è una ninfa?» chiede Rosa, che non è sicura di aver già incontrato quel termine prima d'ora.

Il cugino Edoardo le rivolge uno sguardo di sufficienza, ma la sua voce è priva di malizia. «Una sorta di spirito delle foreste o delle acque.»

Nell'udire quelle parole, qualcosa nel petto della giovane ha un sussulto. Uno spirito delle acque? Si chiede con il cuore in gola. Può davvero trattarsi solo di una coincidenza? Non è quantomeno curioso che un uomo vissuto un secolo prima abbia dipinto una fata nello stesso luogo in cui lei ha più volte sentito una voce che sembrava provenire dal lago stesso?Possibile che anche quel pittore dilettante avesse udito il mormorio portato dal vento? Possibile che avesse davvero visto la fanciulla vestita di bianco emergere dalle acque del laghetto?

Non essere sciocca! Si dice Rosa, retrocedendo istintivamente di un passo. Le fate non esistono più di quanto non esistano i fantasmi e tu ti stai facendo suggestionare da quello che probabilmente non è altro che il ritratto dell'amante di un damerino locale!

La ragazza si rende corto di essersi portata una mano davanti alla bocca. Imbarazzata, si costringe a riabbassarla e lancia un'occhiata al cugino Edoardo per vedere se si è accorto del suo scatto immotivato. L'uomo però non bada a lei e pare intento a contemplare l'ultimo quadro della fila. Raffigura un giovane uomo con ordinati capelli fulvi e brillanti occhi scuri. Sul suo volto c'è un sorriso enigmatico e nella mano destra tiene stretto un pennello.

«È il Bonfanti?» chiede Rosa.

Edoardo annuisce. «Esatto» mormora senza staccare gli occhi dal quadro. La sua voce è quieta, distaccata, come se l'uomo fosse lì con il corpo, ma non con la mente. «Lo sai che non voglio sposarti, vero?» le chiede dopo qualche istante facendola sussultare.

Rosa è senza parole e ha l'impressione che l'ondata di terrore che le sale dal petto rischi di soffocarla. «Come?» balbetta.

Per una volta, lo sguardo di Edoardo è limpido e diretto. «Non voglio sposarti, cugina» ripete. «Non più di quanto tu non voglia sposare me.»

La giovane pensa che quella confessione dovrebbe confortarla, ma non lo fa: il suo pensiero ora è uno e uno soltanto. «Ma che ne sarà di me, se tu non mi sposi?» chiede con voce strozzata. «Io non ho niente, non mi è rimasta più nemmeno una casa in cui tornare e nessuno sembra più disposto a darmi un lavoro!»

Il suo tono si fa sempre più acuto ed Edoardo leva una mano con palese irritazione. «Cionondimeno, ti sposerò comunque.»

Rosa chiude di scatto la bocca, sentendosi improvvisamente stupida.«Lo farai?» chiede. La sua testa si fa sempre più leggera – troppo, e la giovane ha quasi l'impressione di svenire. «Perché?»

Le labbra dell'uomo si piegano in una smorfia amara. «Perché questo è il volere di mio padre: ho quasi quarant'anni e non ho ancora preso moglie, a differenza dei miei fratelli più giovani. Se non porrò al più presto rimedio a questa situazione, mio padre mi escluderà dall'eredità.»

L'animo di Rosa è scosso da sentimenti contrastanti: sollievo perché sa che non finirà in mezzo a una strada, dolore perché ora è consapevole che il suo matrimonio non sarà mai felice. Cercando di aggrapparsi al primo e di seppellire il secondo, la ragazza si sforza di mantenere un'espressione composta. «Ma non hai...» la fanciulla si interrompe e si schiarisce la voce, cercando le parole giuste. «Non hai mai trovato una donna che desiderassi sposare?»

Il cugino Edoardo scuote il capo. «No, non ho mai desiderato prendere moglie» replica senza distogliere gli occhi dall'autoritratto del giovane pittore.

Senza dire una parola, Rosa retrocede in silenzio e abbandona la biblioteca. 

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Capitolo 3
*** Parte terza ***


Ho detto che questa storia avrebbe avuto al massimo tre capitoli? Ah-ah, scherzavo. Sto già scrivendo il quarto e non escludo di arrivare al quinto.

***

Il giorno che segue la conversazione con Edoardo è uggioso. Il cielo è basso e grigio e lascia cadere una pioggerella talmente sottile da sembrare nebbia. È il tipo di giornata che invoglia a restare in casa, ma Rosa ha l'impressione di soffocare, rinchiusa tra le mura della villa.

Probabilmente non dovrebbe uscire vestita così; non oggi che ha indossato il vestito rosso che la zia Maria Elena le ha fatto confezionare tra mille raccomandazioni, lodando la qualità della stoffa e dei bottoni di madreperla, ma la ragazza non riesce a resistere.

Nel primo pomeriggio sgattaiola in giardino e pensa che forse nessuno si accorgerà della sua piccola evasione perché ha quasi smesso di piovere e la mantella di lana che si è gettata sulle spalle protegge la maggior parte del suo vestito. Deve solo stare attenta a non infangarne troppo l'orlo.

Rosa non si ferma a pensare a dove andare: lascia che siano i suoi piedi a guidarla e nel giro di una decina di minuti arriva al laghetto.

Tutto è quieto. Non c'è un filo di vento e gli uccelli palustri che risiedono nel piccolo specchio d'acqua sono rannicchiati a poca distanza dalla riva, le zampe posate su un qualche trespolo che affiora appena e le penne arruffate. Non si ode il ronzio di alcun insetto e il lago stesso è silenzioso.

L'atmosfera è talmente immobile, quasi sonnolenta, che quando sente dei passi alle proprie spalle Rosa sobbalza con più enfasi di quanta sia accettabile.

C'è un uomo che si aggira tra gli ulivi. È piuttosto giovane, deve avere solo pochi anni in più di lei, e i suoi capelli biondi sono raccolti in un'acconciatura antiquata, una coda bassa che non è più di moda da almeno un secolo. Rosa studia i suoi abiti semplici, ma dal taglio curioso, e si stringe istintivamente al petto un ramoscello che ha raccolto poco prima, turbata dall'inaspettata apparizione del giovanotto.

Notando il suo gesto, lo sconosciuto le rivolge un sorriso di scuse. «Vi prego di perdonarmi» le dice. «Non era mia intenzione spaventarvi.»

«Non mi avete spaventata» replica lei, abbassando le braccia lungo i fianchi, ma continuando a fissarlo con occhi attenti. «Ammetto però di essere sorpresa: negli ultimi tempi mi è capitato spesso di passeggiare lungo le rive di questo lago e prima d'ora non avevo mai incontrato nessuno.»

L'uomo sorride di nuovo. «La vostra presenza è una sorpresa anche per me, in effetti. Immagino che siate un'ospite della villa?» chiede, indicando con un cenno del capo il sentiero che conduce verso l'edificio principale.

Rosa si lascia sfuggire l'accenno di una risata. «Se così si può dire: il signor Antonio Colombo è mio zio; e io vivo sotto il suo tetto, ora.»

Il giovane annuisce con aria solenne. «Vi faccio le mie condoglianze, allora. Per vostra madre.»

La ragazza inarca le sopracciglia. «Vi ringrazio, ma sono passati ormai dieci anni dal giorno della sua morte. Devo supporre che l'abbiate conosciuta? Com'è possibile? Quando ha sposato mio padre, voi dovevate essere soltanto un bambino...»

«Non l'ho conosciuta personalmente», replica lui, «ma è risaputo che l'unica sorella del signor Colombo è morta tempo fa.»

La fanciulla annuisce, trovando quella spiegazione mediamente soddisfacente. Quello che desidera veramente sapere, però, è chi sia quell'uomo che ha invaso un angolo di mondo che fino a poco prima pensava appartenesse esclusivamente a lei. È quasi certamente un giardiniere, si dice, percorrendolo ancora una volta con un'occhiata veloce, ma è meglio accertarsene.

«E voi siete... Un impiegato di mio zio?» chiede, sperando di non risultare inopportuna.

«Esattamente» conferma lui. «Mi prendo cura del giardino.»

La ragazza sorride, ma non riesce a scacciare il vago senso di imbarazzo che sembra aleggiare su quella conversazione: è strano intrattenersi con qualcuno di cui non si conosce neanche il nome.

La fanciulla decide che è giunto il momento di porre rimedio a quella mancanza. «In questo caso, è un vero piacere incontrarvi» dice, imitando inconsciamente il tono artefatto della zia Maria Elena. «Non mi sono presentata: io sono Rosa Lombardo.»

Il giovane pare combattuto e Rosa vede un lampo di indecisione attraversare il suo volto. «Cosimo Ardenghi» dice infine, piegandosi in un piccolo inchino.

La ragazza non può fare a meno di sentirsi intrigata dall'apparente reticenza del giardiniere: ha avuto la netta impressione che non sapesse se rivelarle o meno il proprio nome.

Perché? Si chiede, osservando per un istante il suo volto dai tratti eleganti. È un giovane dall'indubbio fascino, attraente nonostante i capelli lunghi e gli abiti fuori moda. Rosa nota i suoi occhi di un azzurro intenso e le sue spalle larghe e si sente arrossire.

Ma che idee sono queste?! Si rimprovera. Per scacciare la mortificazione, si costringe a parlare di nuovo. «Siete voi che vi prendete cura degli olivi?» fa, indicando il pendio.

Il giovanotto, che aveva gli occhi fissi su di lei, si guarda attorno con espressione stupita, come se fosse sorpreso di trovarsi circondato dagli alberi. «Sì, almeno in parte» conferma poi. «Ma ho chi mi aiuta.»

La ragazza non riesce neppure a fingere di essere incuriosita dagli altri giardinieri. In quel momento l'unica cosa importante è quel ragazzo biondo che sembra essere comparso come per magia nel punto più misterioso di tutta la tenuta. L'interesse che prova nei suoi confronti è senz'altro segno della sua scarsa levatura morale, ma Rosa non può fare nulla per reprimerlo: è come se qualcosa avesse messo radici all'altezza del suo stomaco e ora l'attirasse verso quell'uomo di cui conosce a malapena il nome.

È una sensazione bizzarra e non del tutto gradevole. Non senza un certo orgoglio, Rosa si è sempre ritenuta una persona razionale; eppure lì, sulle rive di quel laghetto dall'aspetto anonimo, la sua razionalità sembra venire meno. Prima sento una voce che sembra appartenere all'acqua stessa, poi sviluppo questa strana connessione con un uomo che non ho mai visto prima, pensa la giovane con un fremito preoccupato. Che cosa mi sta succedendo?

Accorgendosi del suo silenzio, Cosimo le si avvicina. «Signorina?» le fa, percorrendole il viso con gli occhi. «State bene?»

Rosa si riscuote. «Oh, sì, certo» lo rassicura, passandosi una mano sul volto. «A volte tendo un po' a perdermi nei miei pensieri.»

Dopo aver pronunciato quelle parole, la fanciulla arrossisce senza motivo e lui le rivolge un sorriso gentile. «Capita anche a me» le confessa in tono complice.

C'è qualcosa di anomalo nel suo atteggiamento e la ragazza impiega qualche istante a capire di cosa si tratta. A differenza del resto della servitù, quel giardiniere non la tratta con deferenza o malcelata invidia: sembra invece amichevole, si rivolge a lei da pari a pari. Tanta confidenza dovrebbe forse irritarla, ma Rosa non si è ancora abituata al suo nuovo stato sociale e, dopo settimane passate a subire la fredda indifferenza degli zii e del cugino Edoardo, un poco di cordialità è bene accetta.

Ciononostante Rosa si rende conto che la conversazione rischia di prendere una piega un po' troppo intima. È consapevole di essersi intrattenuta fin troppo a lungo con quel giovane e sa che è giunto il momento di accommiatarsi da lui - e non importa se c'è qualcosa in lei che le grida di non farlo, di fermarsi un altro po'.

Piegando le labbra in un sorriso che di naturale ha ben poco, incontra per un attimo gli occhi dell'uomo. «Ebbene, Cosimo, è stato un piacere parlare con voi. Tutta questa umidità mi sta però entrando nelle ossa e credo che sia davvero ora che io torni alla villa: sarebbe davvero un peccato se mi prendessi un malanno...»

"... poco prima del mio matrimonio" stava per dire, ma per qualche motivo le parole mutano forma prima di lasciare la sua lingua.

«... proprio ora che la primavera è alle porte» dice invece.

La voce le si spegne in un tremolio incerto, ma lui pare non badarvi. «Il piacere è mio, Rosa» ribatte; e tanta familiarità le fa sobbalzare il cuore nel petto. «La primavera è la stagione in cui il giardino dà il meglio di sé: magari ci incontreremo ancora?»

È meglio di no, pensa Rosa, perché non sta bene che una donna fidanzata si intrattenga con un uomo che non è il suo promesso sposo. Lo zio Antonio non vorrebbe che io parlassi con te; e non credo che mi convenga contrariarlo, visto che, se non fosse per lui, non avrei neanche un tetto sopra la testa. Oltretutto il cugino Edoardo è brutto e mi considera una stupida, ma resta comunque un partito migliore di un giardiniere.

Sarà meglio che ci incontriamo di nuovo, riflette ancora, visto che io sposerò il padrone della tenuta e che tu sei pagato per curare la mia proprietà.

Le parole che lasciano la sua bocca sono però ben diverse. «Magari sì» sussurra con gli occhi bassi, prima di girare sui tacchi e avviarsi lungo il sentiero che conduce alla villa.

Nell'atmosfera nebbiosa, lo scricchiolio della ghiaia sotto i suoi piedi è l'unico suono che raggiunge le sue orecchie.

***

Passano diversi giorni prima che Rosa abbia il coraggio di tornare al lago. Il tempo si è rasserenato e la fanciulla ne approfitta per esplorare le parti della tenuta che ancora non conosce bene.

Una delle sue mete preferite è la modesta serra nella quale la zia Maria Elena coltiva le orchidee. Ci entra quasi in punta di piedi, dal momento che non è sicura che la zia voglia che lei stia lì, ma una volta dentro rimane affascinata dai fiori eterei che sembrano sospesi a mezz'aria, simili a farfalle che si accalcano attorno ai rigidi steli verdi. Rosa li osserva, tende le dita verso di loro, li sfiora senza osare toccarli: teme che, se lo facesse, cadrebbero a terra come insetti senza più forza nelle ali.

Le prime due volte che visita la serra la trova deserta. L'unico suono che spezza l'umidità immobile che regna nella piccola costruzione di vetro è il ronzio di un insetto ostinato che, scoprendosi incapace di trovare la via d'uscita, percorre palmo a palmo la barriera invisibile che lo separa dal mondo esterno.

Quando vi si reca per la terza volta, però, il sole è sorto da poco e sulle prime la giovane non si accorge di avere compagnia e il suono improvviso di una voce la fa sussultare. «Buongiorno, signorina» le dice una donnina di mezza età che regge delicatamente tra le mani un vaso che contiene un'orchidea adorna di fiori bianchi.

«Oh... buongiorno!» replica lei arrossendo. Non ha davvero motivo di essere in imbarazzo, dal momento che la serra si trova su quella che presto sarà la sua terra e che, comunque, non sta facendo nulla di male, ma Rosa si scopre a strisciare nervosamente i piedi sul pavimento.

La donna le rivolge un sorriso gentile e poi si china per posare il vaso in una tinozza ai suoi piedi. Alle orecchie della fanciulla giunge un leggero suono d'acqua smossa. La curiosità ha la meglio sulla ritrosia. «Cosa state facendo?» chiede, avvicinandosi alla sconosciuta.

«Bagno le orchidee» risponde di buon grado lei. Non sembra che l'attenzione di Rosa le dia fastidio. «Non conviene innaffiarle: è meglio metterle a bagno per dieci minuti. Così prendono solo l'acqua di cui hanno bisogno.»

«Ah» annuisce la giovane, affascinata. «È lei che si prende cura della serra?» Forse è strano che ultimamente stia incontrando tanti giardinieri, ma Rosa scrolla le spalle: è primavera, è normale che vi sia tanto da fare nelle aree verdi della villa.

La donna comunque scuote il capo. «Solo di tanto in tanto: in realtà si occupa quasi di tutto la signora Maria Elena. Io do solo da bere alle piante: bisogna farlo quando il sole è ancora basso; e la signora non è mai stata particolarmente mattiniera.» Lo dice con un sorriso quasi affettuoso e Rosa si chiede se la sua gelida zia sia capace di mostrare un volto più amichevole di quello che di solito riserva a lei. All'oscuro dei suoi pensieri, la donnina la guarda con più attenzione. «Immagino che voi siate la signorina Rosa, giusto?»

«Esatto» annuisce lei, prima di retrocedere di un passo. «Ma vi sto forse disturbando? Ero venuta per guardare da vicino le orchidee, ma non vorrei intralciare il vostro lavoro.»

L'altra donna scoppia a ridere. «Non siete di alcun disturbo, signorina, e non direi che quello che sto facendo è un lavoro: è più che altro un passatempo. Il mio vero lavoro è nell'orto: lì sì che c'è parecchio da fare, soprattutto quando mio marito è troppo occupato per aiutarmi!»

«Anche vostro marito lavora qui?» indaga Rosa.

La donna più anziana annuisce. «In questo periodo si sta occupando della potatura degli olivi: bisogna sistemarli per bene prima che inizino a fiorire.»

È una coincidenza, ma la fanciulla scopre che la bocca le si è fatta stranamente asciutta. «I-immagino...» balbetta, poi si ferma e si schiarisce la voce. «Immagino che non sia un lavoro semplice. Sono stata dalle parti del laghetto sul lato sud, l'altro giorno, e non ho potuto fare a meno di notare che mio zio possiede un gran numero di quelle piante.»

«Oh, sì», annuisce la donna, «e sono molto produttive. Fortunatamente il mio povero Nicola non ci lavora da solo: la sua schiena non è più quella di un tempo.»

Rosa si morde inconsciamente un labbro, mentre la sua mente torna a un paio di occhi chiari e a un corpo solido. «Sì, proprio l'altro giorno ho incontrato uno degli altri giardinieri: Cosimo, se non ricordo male.»

La donna aggrotta le sopracciglia e si asciuga le mani nel grembiule che le cinge la vita. «Cosimo?» chiede con aria perplessa. «Non mi sembra che ci sia nessun Cosimo che lavora da queste parti.»

Di nuovo, la ragazza avverte un rossore imporporarle le guance. «Forse... forse ho capito male il suo nome?» azzarda. O forse mi ha dato un nome sbagliato, pensa confusa. Un attimo dopo la confusione viene soppiantata dall'indignazione. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Si diverte forse a prendersi gioco di me? Un altro pensiero le attraversa la mente: e se il ragazzo che ha incontrato in riva al lago non fosse stato affatto un giardiniere, ma qualcuno che si era infiltrato nella proprietà di suo zio con scopi meno che nobili? La prospettiva le fa girare la testa.

Decisa ad andare in fondo alla questione, Rosa cerca di richiamare alla memoria tutti i particolari che potrebbero esserle utili. «Dimostrava più o meno la mia età» dice con la fronte contratta per la concentrazione. «Forse era un poco più vecchio, ma non di molto. Piuttosto alto, con i capelli biondi e gli occhi chiari. Oh, e i suoi capelli erano più lunghi di quanto si addica a un uomo.»

Il volto della donna rimane impassibile per qualche istante, poi si illumina. «Ah, ma voi state forse parlando di Claudio? Un giovanotto per bene, anche se dall'aspetto forse un poco trasandato?»

«Forse...»

Rosa si interrompe. Possibile che abbia confuso "Cosimo" per "Claudio"? I due nomi non si assomigliano affatto. E, inoltre, non è certa che l'aspetto del giovane che ha incontrato tra gli ulivi possa definirsi trasandato: antiquato, sì, ma comunque piuttosto curato.

«Non posso escluderlo» dice, ma la sua voce ha un suono ben poco convinto e la sua interlocutrice pare accorgersene. Rosa si sforza di sostenere il suo sguardo indagatore e si affretta a cambiare discorso: non può permettersi che quella donna, che sembra avere un buon rapporto con la zia Maria Elena, pensi che lei dimostri troppo interesse per un uomo che non è Edoardo. «Comunque non ha importanza» dice, cercando di assumere un tono noncurante. «La mia era semplice curiosità.»

«Avrete tempo per imparare i nomi della servitù» la rassicura la donna. «Non siete qui da molto e avete avuto molte cose a cui pensare.»

La ragazza fa un cenno d'assenso. «Certamente, signora...?»

«Adele» viene in suo soccorso la donnina. «Mi chiamo così.»

Quando poco dopo si separa da lei, Rosa pensa che dovrebbe tornare a casa nel caso in cui la zia abbia qualcosa in da farle fare. Dopo una vita passata a servire, non si è ancora abituata all'ozio che ora abbonda nelle sue giornate. Quasi senza rendersene conto, però, si incammina invece verso il lago: per vedere se Cosimo si aggira tra gli olivi - e per chiedergli il suo vero nome - per scoprire se l'acqua ha qualcosa da dirle.

Le sponde del laghetto sono deserte, l'unico movimento che si scorge tra gli alberi è quello di un merlo che raspa e saltella alla ricerca di vermi. Rosa è delusa.

«Cosimo?» prova comunque a chiamare. Non che si aspetti una risposta. La speranza che le formicola nel petto è sciocca: se anche il giovane è davvero un giardiniere - e Rosa inizia a nutrire qualche dubbio in proposito - non passerà certo le sue giornate in quella porzione di parco.

«C'è nessuno?» chiede ancora.

Le risponde un mormorio. Cosimo? È il suo primo pensiero, ma no, ovviamente non è il giardiniere. La voce che ha parlato è femminile.

La ragazza si avvicina al lago. Non ha mai provato a rispondere alla voce, ma cosa succederebbe se lo facesse?

Rosa deglutisce. «Chi siete?» sussurra mentre i suoi occhi corrono sul pelo dell'acqua, immobile nella luce del mattino.

Vieni, sussurra la voce. Nella mente della giovane risuonano echi sbiaditi, racconti di marinai e di ingannevoli canti di sirene. Nonostante ciò, la fanciulla si accuccia sulla riva, le scarpe ben piantate nel terreno leggermente fangoso e le dita della mano destra che si stringono sull'erba umida. La mano sinistra, invece, si tende verso l'acqua.

«Cosa volete da me?» chiede Rosa. La voce le trema e si sente sciocca a conversare con il lago, ma come potrebbe smettere di farlo?

Sei sola, è la risposta che giunge dall'acqua. Sei tanto sola.

Accovacciata accanto a un cespuglio di ortensie, Rosa aggrotta la fronte. È vero, è sola, ma la solitudine non è mai stata un problema. In quell'istante capisce che ciò che le pesa è la prospettiva di rimanere intrappolata in un mondo che non le appartiene, in un matrimonio che non la renderà mai felice. E che non renderà felice nemmeno suo marito, se ciò che crede di aver visto nella biblioteca non è stato un abbaglio. Ma cosa deve saperne un lago delle ambasce dei mortali?

Probabilmente sono pazza, pensa la giovane mentre le sue dita sfiorano il pelo dell'acqua. «La solitudine non mi spaventa» risponde allora, spingendo lo sguardo fino al centro del laghetto. «Temo piuttosto l'infelicità: tra poco più di un mese dovrò sposare il cugino Edoardo e so già che lui non mi vuole, né potrà mai volermi. E nemmeno io gli voglio bene, del resto. Preferirei rimanere sola per sempre, piuttosto che diventare sua moglie.»

Delle onde sottili increspano la superficie del lago. Io posso aiutarti, sussurra la voce, che a Rosa non è mai sembrata così suadente. Posso renderti libera e anche meno sola.

La fanciulla si morde le labbra. È una prospettiva allettante, ma lei non è certo tanto folle da prestare orecchio alle proposte fatte da una fata che vive nelle profondità lacustri o, forse, solo negli abissi della sua mente.  

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Capitolo 4
*** Parte quarta ***


Dovrebbe essere assolutamente ovvio, ma, visti i tempi che corrono, preferisco specificare che i pensieri dei personaggi non riflettono la mia personale visione del mondo.

***

Per la prima volta nella sua vita, Rosa si rende conto di essere inutile. La zia Maria Elena non sa più cosa fare per renderla una signora per bene.

Le sue mani sono sempre state abituate a lavorare: a lavare, strizzare, spazzare, rammendare. La ragazza sa come tenere in mano un ago e sta poco alla volta imparando a ricamare esili fiori e figure aggraziate, ma tutti gli altri passatempi femminili le sono preclusi. La lettura le costa fatica, la scrittura le è ancora più ostica e la fanciulla non ha l'orecchio giusto per recitare poesie.

La zia ha cercato di avvicinarla al pianoforte, ma Rosa non riesce ad appassionarsi a esso e la sua mente è troppo impegnata a decifrare i circolini delle note per riuscire a seguire davvero la melodia. Il canto le ha dato qualche piccola soddisfazione, ma la sua voce è tutt'altro che notevole ed è incapace di toccare le note più alte senza distorcersi e infrangersi.

Non ha alcun talento per la pittura - riesce a malapena a copiare in modo approssimativo un vaso o una statuetta - e la danza, per la quale mostra invece una certa attitudine, può essere praticata solo in un numero ristretto di contesti.

«Forse potresti provare con l'equitazione» le dice un giorno la zia. «Non è la più aggraziata delle occupazioni femminili, ma una signora di campagna deve essere capace di andare a cavallo.»

A Rosa il suggerimento non dispiace. «Mi pare una buona idea, zia» risponde in tono giudizioso. «A chi posso rivolgermi per imparare a cavalcare? Mi insegnerete voi?»

La donna le rivolge un sorriso sottile e scuote il capo facendo ondeggiare i riccioli chiari. «Oh, no» dice sgranando gli occhi azzurri. «Io non cavalco più da anni e non ho comunque mai avuto una gran confidenza con quelle bestie.»

La giovane trattiene a stento un sospiro di sollievo. Anche se la zia Maria Elena sembra sopportare meglio la sua presenza rispetto a quanto non facesse nei primi giorni in cui la nipote viveva sotto il suo stesso tetto, in sua compagnia Rosa si sente ancora assai a disagio.

«Allora potete forse indicarmi uno stalliere che possa aiutarmi?» le chiede ancora.

La donna la guarda con quei suoi occhi che, malgrado siano ormai segnati dalle rughe del tempo, hanno ancora un che di felino. «Il nostro stalliere si chiama Sergio e sarebbe certamente un ottimo maestro, ma perché non chiedi a Edoardo di aiutarti? Mio figlio è un cavaliere sopraffino.»

Rosa deve chinare il capo per nascondere l'espressione stupita che le si dipinge sul volto. Ha qualche difficoltà a immaginare il suo pingue cugino - e futuro marito - in sella a un cavallo, ma non può certo contraddire la zia Maria Elena. «Lo farò senz'altro» replica, facendo del proprio meglio per sembrare sincera.

«Perché non vai subito da lui?» insiste la donna più anziana. «Si è recato alle scuderie poco più di un'ora fa: sono certa che si trovi ancora lì.»

Dopo il confronto che hanno avuto in biblioteca, Rosa ha fatto del proprio meglio per evitare Edoardo e adesso la zia la sta guardando in un modo che le fa sospettare che forse ha intuito qualcosa. La giovane non sa se lo zio Antonio avrebbe il coraggio di buttarla in mezzo a una strada, ma ritiene che sia prudente non sfidare la sorte e non lasciare intendere quanto poco entusiasmo susciti in lei la prospettiva del matrimonio con il cugino.

«Non so se indosso gli abiti adatti» azzarda allora, indicando la stoffa chiara della gonna e del corpetto che modella le sue forme.

La zia Maria Elena sventola una mano come per scacciare una mosca. «Non devi montare in sella» ribatte. «Per oggi puoi limitarti a osservare i cavalli e a prendere confidenza con loro. Sono certa che potrai apprendere i rudimenti dell'equitazione semplicemente guardando mio figlio cavalcare.»

«Sì, zia» si arrende la fanciulla. Non ha alcuna voglia di passare del tempo con il proprio fidanzato e ancor meno desidera sentirlo elogiare le proprie doti di cavaliere, ma non v'è modo di sottrarsi alla richiesta della zia.

La giovane si avvia verso le scuderie con passi lenti, chiedendosi se non sia possibile trovare un diversivo, quando un rumore di zoccoli attira la sua attenzione. La stalla è ormai poco distante e Rosa vede che nel recinto adiacente a essa c'è un solo cavallo. È una bestia robusta, dai muscoli solidi e dal mantello talmente scuro che sembrerebbe nero, se non fosse per i riflessi fulvi che nascono quando il sole colpisce i fianchi e il collo elegante dell'animale. In sella c'è un uomo e a Rosa occorre qualche istante per rendersi conto che si tratta del cugino Edoardo. Il suo futuro marito sembra del tutto trasformato. Se quando è a terra i suoi movimenti sono pesanti e un po' goffi, ora che è in sella le sue movenze sono armoniche, leggere, eppure decise, in perfetta armonia con quelle del cavallo.

Rosa si scopre a guardarlo a bocca aperta, mentre un'irritazione che non sa spiegarsi le sboccia nel petto. Possibile che la lente distorta dei suoi pensieri e dei suoi desideri gliel'abbia fatto vedere diverso da com'è veramente?

Ma no, si dice la giovane. Non si è certamente immaginata l'atteggiamento di sufficienza che le ha sempre riservato.

Rosa si avvicina al recinto con piccoli passi circospetti, incerta se sia davvero il caso di attirare l'attenzione di suo cugino, quando improvvisamente si accorge di non essere sola. C'è un uomo, fermo a pochi metri da lei. È un uomo giovane, vestito con abiti eleganti, e anche da una certa distanza Rosa riesce a vedere che il cappello che porta è di ottima fattura. Non è un servitore, né uno degli uomini che si occupano delle stalle o dei giardini.

«Buongiorno» si annuncia avvicinandoglisi.

Nell'udire la sua voce, il giovane sobbalza: non l'ha sentita arrivare, quasi fosse troppo concentrato sul cugino Edoardo per essere consapevole di ciò che lo circonda.

«Oh, buongiorno» replica dopo un istante, rivolgendole un sorriso gentile. Rosa vede che non è esattamente bello, ma i suoi occhi sono morbidi e del colore del tè e i suoi riccioli castani gli incorniciano il viso donandogli un'aria da cherubino. La fanciulla si scopre a corto di parole e il giovane viene in suo soccorso. «Voi dovete essere Rosa.»

Il fatto che sappia il suo nome la sorprende, ma la ragazza si sforza di ricambiare il sorriso con un cenno d'assenso. «È così» conferma.

Il giovane si inchina e le prende una mano nella sua. Indossa dei guanti fatti di una pelle estremamente morbida e il contatto con il materiale vellutato la distrae per un attimo da ciò che avviene un istante più tardi: l'uomo si inchina e le sfiora le nocche con le labbra. Rosa avvampa: è la prima volta che qualcuno le fa il baciamano e la cosa la fa sentire estremamente a disagio.

«Io sono Tommaso Colombo» si presenta l'uomo quando si rialza. «Sono un vecchio compagno di scuola di vostro cugino.»

Rosa non riesce a nascondere un moto di sorpresa. «Mi sembrate più giovane di Edoardo.»

L'uomo ride. «Ho qualche anno in meno, sì, ma non così tanti quanti il mio aspetto potrebbe lasciare presagire.»

La ragazza inarca le sopracciglia. Tommaso è evidentemente consapevole del proprio fascino, ma nel suo atteggiamento non scorge né vanità né arroganza. Rosa sente che le sue spalle si rilassano un po', mentre una tensione che non si era nemmeno accorta di provare scivola via da esse. «Non sapevo che Edoardo avesse degli amici» dice, prima di accorgersi quanto sciocche suonino le sue parole.

Tommaso sorride di nuovo e i suoi occhi tradiscono un luccichio divertito. «Non ne ha molti, in effetti» ammette lanciando uno sguardo all'uomo che, al centro del recinto, guida il cavallo in un bizzarro passo incrociato. «Ha un carattere ombroso e non è facile arrivare a scoprire l'uomo sensibile e intelligente che si nasconde dietro a esso.»

Tutta questa sensibilità e intelligenza devono essere nascoste davvero molto bene, riflette Rosa non senza una certa malignità. Poi sospira. «Temo di non poter dire di conoscere molto bene il mio futuro marito» ammette.

Sul viso di Tommaso passa un'ombra. È solo un'increspatura veloce, ma la fanciulla la coglie lo stesso. «Avrete tutto il tempo per conoscere i lati nascosti del vostro carattere» commenta con una voce che alla ragazza sembra appena un poco più asciutta di quanto non fosse un istante prima.

Per qualche motivo, la sua mente torna al pomeriggio in biblioteca, quando il cugino Edoardo aveva guardato il ritratto di un giovane pittore e le aveva detto che non era affatto felice di sposarla.

Avvertendo che c'è un messaggio nascosto, lì da qualche parte, Rosa fa qualche passo in avanti e stringe tra le mani la parte superiore della staccionata che delimita l'area nella quale si muovono cavallo e cavaliere. Ha bisogno di qualcosa di solido a cui aggrapparsi.

«Voi lo conoscete meglio di me» dice, dopo un silenzio che dura diversi secondi. «Quanto tempo credete che ci vorrà perché accetti la mia presenza?»

Tommaso non risponde subito, ma le si accosta e la studia con i suoi occhi caldi. «Cosa vi fa pensare che Edoardo non accetti la vostra presenza? Ha accettato di sposarvi, dopotutto.»

Rosa china il capo. Probabilmente farebbe bene a non parlare tanto liberamente con un uomo che è a conti fatti un perfetto sconosciuto, ma avverte che quel giovane è l'unico interlocutore sincero che le capiterà di avere all'interno della tenuta. «Vi confesso che non so quanto libera sia stata la sua scelta» dice. Poi aggiunge: «La mia non lo è stata: sono state le circostanze della vita a portarmi a un passo dall'altare.»

Il giovane solleva una mano come per posarla sulla schiena di lei, o magari su un suo braccio, ma si ferma poco prima che le sue dita possano sfiorare la stoffa che ricopre la pelle della ragazza. «Non è forse spesso così, per le donne?»

Rosa aggrotta la fronte. «Edoardo non è una donna» dice, sorvolando sulla domanda retorica che le è stata posta. «Eppure non posso fare a meno di pensare che anche lui sia stato manovrato da fattori indipendenti dalla sua volontà. Mi ha confessato di non avere alcun desiderio di sposarmi, né di sposare un'altra fanciulla: non è stato lui a decidere di prendere moglie.»

Le labbra di Tommaso si assottigliano in una smorfia che la ragazza non sa interpretare. «Non sottovalutate il carattere di vostro cugino» sospira. «Scoprirete che è impossibile imporgli una decisione, per quanto sensata questa possa essere. È possibile che... che abbia deciso di sposarvi controvoglia, questo sì, ma non crediate che sia qualcosa che fa contro la sua volontà.»

E voi come fate a sapere queste cose? Vorrebbe chiedergli. La domanda è troppo sfacciata e le muore in gola, ma Rosa è sicura che Tommaso sia a conoscenza di cose di cui lei è all'oscuro. Quanto è intima l'amicizia che lo lega a Edoardo? Possibile che i due abbiano discusso delle nozze imminenti?

La ragazza china il capo e inconsciamente si morde le labbra, incerta su come proseguire la conversazione. «Non credo di poterlo amare» mormora. Poi sgrana gli occhi: non era un pensiero a cui avrebbe voluto dar voce, quello.

Tommaso fa un piccolo suono d'assenso. «Suppongo che in talune circostanze l'amore abbia bisogno di tempo per sbocciare.»

La sua voce è pregna di tristezza a Rosa si volta per osservarlo meglio. Gli occhi del giovane sono distanti, ma restano comunque puntati sul cugino Edoardo. Il suoi lineamenti sono rilassati e nell'espressione del suo volto la fanciulla crede di leggere una tensione inequivocabile. Il cuore le balza in gola e le gote le si imporporano all'improvviso. È così, dunque? Si chiede, incapace di accettare quello che la sua mente le suggerisce. Tommaso... ed Edoardo? Davvero?

Il concetto le è del tutto estraneo, alieno. Si sta forse sbagliando? È veramente possibile che tra i due uomini ci sia il tipo di legame che le pare di avere intuito? Per un istante i pensieri sembrano vorticarle furiosamente in testa e nel suo animo si scontrano emozioni opposte. È sollevata perché, se Edoardo è legato a Tommaso, non pretenderà mai niente da lei, ma al contempo si sente quasi oltraggiata: accettando di sposarla suo cugino l'ha presa in giro, forse al solo scopo di nascondere la verità. E che verità! Pensa con un capogiro. Non c'è da stupirsi che lo zio Antonio avesse tanta fretta di trovargli una moglie!

Tommaso la sta osservando e lei deglutisce un paio di volte nel tentativo di schiarirsi la voce. «Non credo nemmeno che lui possa amare me, del resto» sussurra infine con un filo di voce.

Il giovane al suo fianco sposta nuovamente la propria attenzione su di lei, ma sembra tutto d'un tratto incapace di incontrare i suoi occhi. «Ci sono diversi tipi di amore» osserva con voce pacata, e per qualche motivo quell'affermazione fa scattare una scintilla di rabbia nel petto della fanciulla.

«Ma io voglio vivere quello che c'è tra marito e moglie!» sbotta con voce troppo alta. Edoardo deve averla sentita per forza, ma non da cenno di aver notato la sua presenza. È naturale! Pensa Rosa con le mani che tremano. Preferisce ignorarmi come fa sempre! Probabilmente gli dà anche fastidio che io sia qui: penserà che mi stia intromettendo tra lui e il suo amante!

Il pensiero le riempie gli occhi di lacrime e la ragazza si strofina rabbiosamente un pugno sul volto: non vuole piangere.

Le mani di Tommaso si serrano gentilmente sulle sue spalle. «Signorina Rosa», mormora con voce quieta, «capisco che le circostanze non siano ideali, ma non intendevo turbarvi.»

La giovane si sottrae bruscamente alla sua presa. «Non sono turbata», ribatte, con la voce appena incrinata dal pianto, «sono...»

"...arrabbiata" vorrebbe dire, ma improvvisamente si rende conto che non è esattamente così. Non prova alcun affetto nei confronti del suo fidanzato, e il fatto che Edoardo sia verosimilmente legato a un uomo, anziché a un'altra donna, la lascia del tutto indifferente. È piuttosto delusa dalla piega che ha preso la sua vita negli ultimi mesi, oppure...

«... sono solo stanca» conclude pochi istanti più tardi.

«Scusatemi» aggiunge poi, frapponendo le braccia tese fra sé e il giovane e allontanandosi a ritroso di qualche passo.

Quando si rende conto che intende andarsene, sul viso di Tommaso si disegna un certo allarme. «Rosa, aspettate!» la implora, facendo perseguirla.

L'esclamazione del giovane sembra attirare finalmente l'attenzione dei Edoardo: fermo al centro del recinto, l'uomo volta il capo nella loro direzione e li guarda. Il suo volto è imperscrutabile e, attraverso le lacrime che le offuscano la vista, Rosa non può evitare di pensare che sembri quasi l'ombra di un condottiero d'altri tempi.

Che vada al diavolo! Pensa con un rinnovato moto di stizza. Che se ne vadano al diavolo tutti quanti! Un sentimento oscuro le divampa nel petto e le lacrime le scivolano copiose lungo le guance malgrado i suoi tentativi di arginarle. Non sa nemmeno contro chi siano indirizzate quelle fiamme che le mordono l'animo, non sa spiegarsi da dove nasca quel peso strisciante che le stritola le interiora: sa solo che deve allontanarsi dalle stalle e dai due uomini.

Quando si avvia a grandi passi lungo il sentiero, Rosa si accorge che Tommaso si muove come per seguirla, ma la voce del cugino Edoardo lo richiama. «Lasciala andare» gli dice; e la fanciulla piega le labbra in una smorfia simile a un ringhio. Sì, lasciatemi andare, pensa mentre i suoi piedi si muovono in un ritmo simile a quello della corsa.

Ci saranno delle conseguenze, non è così sciocca da credere che ciò che è appena caduto cadrà nel vuoto. Il suo fidanzato verrà certamente a cercarla, forse per pretendere delle scuse o forse per capire quanto Rosa abbia compreso della natura dell'amicizia che lo lega a Tommaso. In quel momento, però, il futuro le pare privo d'importanza: desidera solo restare sola.

Quando giunge sulle sponde del laghetto non si stupisce tuttavia di vedere una figura che l'attende accanto a un cespuglio di ortensie. 

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