Una voce dal lago di Red Owl (/viewuser.php?uid=31841)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Parte terza ***
Capitolo 4: *** Parte quarta ***
Capitolo 1 *** Parte prima ***
Questa
è una piccola storia scritta di getto, tanto per ingannare
il tempo.
Non cercate in essa verosimiglianze storiche o geografiche,
né
nessun concetto profondo o filosofico. Sarà breve: due
capitoli, tre
al massimo.
***
«Le
occorreranno degli abiti nuovi.»
Rosa
si aggiusta la gonna mentre gli occhi infossati del cugino Edoardo la
percorrono da capo a piedi. Sa di non vestire all'ultima moda, ma il
corpetto che indossa è ben inamidato, il colletto della
camicia di
pizzo è immacolato e la sarta è stata capace di
allungare ad arte
la sottana color carta da zucchero: solo un occhio esperto saprebbe
individuare il punto dove l'orlo finiva, all'incirca una decina di
centimetri sopra alla caviglia coperta dagli stivaletti di cuoio
consunto.
Chissà
se il cugino Edoardo ce l'ha, l'occhio esperto. Di certo i suoi abiti
parlano di un lusso ostentato - ma non veramente posseduto - e il suo
cilindro lucido sembra scimmiottare quelli dei signori di
città che
mai si accosterebbero di buon grado a un campagnolo arricchito
com'è
il figlio dello zio.
«Ma
certo, figlio mio» lo asseconda la zia Maria Elena.
«Tua moglie non
ti farà sfigurare.»
Seduto
sulla poltroncina accanto alla finestra, lo zio Antonio esala un
sospiro puzzolente di sigaro. «Ha il portamento di una
cameriera»
dice indicando la nipote con un cenno della mano grassoccia.
«Gli
anni trascorsi a servizio devono averla rovinata. È un vero
peccato.
Me la ricordo quand'era ragazzina: aveva la stessa grazia di sua
madre, pace all'anima sua.»
La
zia Maria Elena le si avvicina e le pianta una mano tra le scapole.
«Riesci a tenere le spalle dritte, ragazza?» le
dice, scrutandola
con una piega contrariata delle labbra sottili. «Ce la fai a
tenere
la testa alta, senza guardarti i piedi con l'aria di una che si
vergogna come un ladro?»
«Sì,
zia» sospira Rosa spingendo indietro le spalle e alzando
docilmente
il mento. Nonostante la provocazione della donna, però, si
guarda
bene dall'incontrare veramente i suoi occhi. L'aria
di una
che si vergogna come un ladro, ha detto la zia Maria Elena, e
le
parole non sono state di sicuro scelte a caso.
Alla
zia non è mai andato giù il fatto che Angelina,
la madre di Rosa,
abbia sposato uno come Sante Lombardo: un giovanotto che non aveva
che pochi spiccioli in tasca e che oltretutto veniva anche da
lontano. Lei e la mamma di Rosa non avevano nessun legame di sangue -
Angelina era la sorella dello zio Antonio - ma la zia aveva
probabilmente sognato un matrimonio ricco per la giovane cognata, un
matrimonio che portasse un po' di buona
società in
quella casa di campagna che suo marito si era potuto permettere
grazie a dei commerci tanto insperati quanto fortunati.
E
invece niente. Angelina era morta anzitempo per un male improvviso,
lasciando una figlia undicenne e un marito dall'ingegno fino, ma che
aveva la sfortunata tendenza a fare il passo più lungo della
gamba.
Un anno dopo Rosa era finita a servizio da una famiglia di
industriali e ora, dieci anni dopo la morte di Angelina, Sante
Lombardo è finito in galera con l'accusa di aver rubato una
certa
quantità di denaro al suo datore di lavoro.
Rosa
non ci crede. Sa che il suo papà non è un
cittadino modello, ma di
sicuro non è nemmeno un ladro. Poco importa, comunque:
l'hanno
arrestato lo stesso e, a causa del suo arresto, i signori Fiocchi
hanno licenziato Rosa. Perché non possiamo
permetterci di
tenere in casa una domestica che viene da una famiglia di ladri,
hanno detto. Non vorremmo mai che un giorno o l'altro
anche
le tue mani si allungassero un po' troppo.
Il
che l'ha condotta nella situazione in cui si trova in quel momento.
Scrivere una lettera allo zio Antonio l'era sembrata un'eccellente
idea, almeno sulle prime: non avrebbe mai immaginato che lo zio
avrebbe accettato di ospitarla solo se lei si fosse impegnata a
sposare Edoardo, che era il più vecchio dei suoi tre figli e
che era
ancora scapolo.
«Non
parla tanto» osserva il cugino Edoardo aggrottando le
sopracciglia
sulla fronte spaziosa. «Non che sia un male, dal momento che
non
sopporterei mai una moglie pettegola, ma non è che
è ritardata?»
Lo
zio Antonio grugnisce. «Non dire corbellerie, Edoardo. Rosa
è
riservata, ma non ha alcun difetto mentale.»
La
ragazza si sente in dovere di dire qualcosa. «È
così, cugino» lo
rassicura con un piccolo sorriso. «La posizione che ho
ricoperto
negli ultimi anni mi ha insegnato a tenere a freno la lingua, ma sono
in grado di fare conversazione, se necessario.»
Il
cugino Edoardo sventola una mano. «Non sarà
necessario. Ciò che
conta è che tu sia una moglie assennata, che non crei
scandali e che
impari in fretta a mandare avanti la casa.»
Rosa
serra le labbra e si sforza di non mostrare il proprio scontento. Il
cugino Edoardo e la zia Maria Elena sono scortesi e maleducati, ma
lei non deve dimenticare di essere ospite, in quella casa. Fino a
quando non si celebrerà il matrimonio, se lo zio Antonio la
terrà
sotto il suo tetto sarà solo per il suo buon cuore e lei non
può
permettersi di fargli rimpiangere quella decisione. Il rischio di
finire in mezzo a una strada è concreto: non le restano
altri
parenti ancora in vita e trovare un nuovo impiego senza referenze
è
pressoché impossibile.
«Molto
bene» dice la zia, prendendo a girare attorno a Rosa come un
lupo
che studia la sua preda. «Vatti a sistemare i capelli,
ragazza. Mio
figlio ha ragione, e infatti ho chiamato la sarta perché
venga a
prenderti le misure: non puoi farti trovare spettinata come una
contadinotta appena emersa dal fienile.»
***
«Voglio
che tu sappia che il furto non sarà tollerato.»
Rosa
si volta verso il cugino Edoardo. «Perché dovrei
rubare in casa
mia, cugino?»
La
fronte dell'uomo si increspa e la fanciulla pensa per l'ennesima
volta che la sua testa assomiglia a un uovo sodo: un brutto uovo sodo
con un ciuffo di capelli scuri sulla sommità del guscio e
un'espressione perennemente accigliata.
«Questa
non è ancora casa tua, cugina, e
ti ho sorpresa un po'
troppe volte a girovagare per la biblioteca: cosa ci vieni a
fare?»
La
fanciulla si sente arrossire. In biblioteca non ci va di certo per
leggere, e il cugino Edoardo lo sa. Ha frequentato la scuola
per
un paio di anni soltanto, troppo pochi per acquisire dimestichezza
con la parola scritta: i caratteri neri che ingombrano le pagine dei
libri le fanno venire il mal di testa e le si confondono davanti agli
occhi. Rosa sa leggere giusto la lista della spesa e poco di
più.
Però le piace respirare l'odore della carta e delle
copertine di
pelle, dell'inchiostro e del legno massiccio di cui sono composti i
mobili. Le piace il silenzio della biblioteca, un luogo poco
frequentato anche dai padroni di casa.
«Dunque,
cugina?» la incalza il cugino Edoardo.
«Ci
vengo per passeggiare» replica Rosa, cercando di assumere un
tono
altezzoso.
Edoardo
scoppia a ridere: un suono quasi grottesco, quando a emetterlo
è
quell'uomo troppo serio e con un accenno di doppio
mento. «Pensavo
che per le passeggiate ti fosse sufficiente il parco. Hai davvero
bisogno di percorrere avanti e indietro questi quattro corridoi? Qui
si viene per istruirsi, non per fare esercizio fisico.»
Rosa
pensa che al cugino Edoardo non debba interessare dove lei vada a
passeggiare, ma cosa può dire in sua difesa? È
evidente che lui non
la vuole lì e allo stato attuale delle cose ha ancora il
diritto di
allontanarla da qualsiasi stanza in cui la sua presenza non sia
gradita.
«Hai
ragione» concede allora. «I giardini sono molto
più indicati per
pratiche di questo tipo, soprattutto con la bella stagione che
è
ormai alle porte.»
Il
cugino Edoardo fa un cenno d'assenso che gli fa tremolare la carne in
eccesso sotto al mento. «Vai, allora. Pare che l'aria fresca
faccia
bene alle signore.»
Lo
dice in un tono che lascia chiaramente intendere che non la ritiene
parte di suddetta categoria, ma Rosa non se la prende più di
tanto:
ha passato poco meno della metà della sua vita a fare la
cameriera
ed è consapevole della propria posizione sociale. Gli anni
trascorsi
con i Fiocchi, poi, le hanno fatto conoscere un certo numero di
signore e Rosa ha avuto modo di osservare che quelle donne eleganti
non sembravano tanto più felici di quelle che erano parte
della
servitù.
La
giovane si inchina appena in cenno di saluto e poi lascia la
biblioteca. I suoi piedi la portano oltre le modeste scale di granito
che conducono al piano inferiore e oltre il pavimento di cotto della
sala da pranzo. Prima di raggiungere la porta che dà sul
giardino,
Rosa si imbatte in Maddalena, una delle ragazze che lavorano in
cucina, e arrossisce quando questa le fa la riverenza. Anche se
è
passato ormai un mese da quando ha messo piede per la prima volta
nella casa dello zio Antonio, non si è ancora abituata a
essere
trattata con tanta deferenza da persone che fino a poco tempo prima
erano sue pari.
Con
un sorriso imbarazzato, Rosa si affretta a raggiungere il giardino.
Quando i suoi piedi si posano sulla ghiaia che ricopre lo spiazzo
antistante all'ingresso principale, la fanciulla si concede un
sospiro di sollievo, respirando a pieni polmoni l'aria frizzante di
inizio marzo.
Da
quando è iniziato il suo fidanzamento con il cugino Edoardo
ha
spesso l'impressione che le manchi il fiato. Le sembra quasi di
essere in procinto di entrare in una gabbia dalla quale le
sarà poi
impossibile uscire. Sa che è una sciocchezza: per quanto
poco
desiderato, quel matrimonio migliorerà la sua condizione. Sa
anche
che ci sono uomini peggiori di Edoardo: suo cugino ha quindici anni
in più di lei ed è tutt'altro che avvenente, ma
saprà garantirle
una vita agiata. È chiaramente disinteressato a lei e non ha
mostrato il benché minimo cenno di affetto nei suoi
confronti, ma
nelle settimane che ha trascorso nella casa di suo zio Rosa l'ha
studiato bene e ha visto che non è un uomo violento: al
più è
supponente e costantemente annoiato.
E
anch'io sarò presto terribilmente annoiata,
se diverrò la
moglie di un uomo del genere, pensa la ragazza, sistemando un
boccolo scuro che è scivolato via dalla posizione nella
quale era
stato appuntato.
Ci
sono destini certamente peggiori, riflette Rosa. Ce ne sono anche di
migliori, ma essi non sono alla sua portata, considerato il suo stato
sociale.
Talvolta
le viene il dubbio che parte dell'inquietudine che prova sia legata
all'improvviso cambiamento del suo stile di vita. Non è mai
stata
abituata a starsene con le mani in mano e il fatto che il lavoro
manuale le sia stato proibito da un giorno all'altro le riempie le
membra di un formicolio nervoso.
Camminare
le farà bene.
Rosa
si avvia lungo il viottolo curato che parte dall'edificio principale
e si dirige in leggera pendenza verso i prati e gli orti di cui
è
ricca la proprietà dello zio Antonio. La giovane passa
accanto alle
stalle nelle quali sono ricoverati alcuni cavalli che le sono stati
presentati come purosangue di ottimo lignaggio: Rosa ci capisce poco,
di cavalli, ma il signor Fiocchi ne era un grande appassionato e
negli anni le ha trasmesso alcune nozioni a proposito di quelle
bestie. Quelli dello zio Antonio le sembrano più ronzini,
che
campioni, ma la giovane si guarda bene dall'infrangere le illusioni
dell'uomo. Del resto, quegli animali non porteranno nelle sue tasche
i proventi delle vittorie in pista, ma tengono occupato lo zio e
migliorano il suo umore.
Oltre
le stalle il terreno degrada in maniera più decisa.
L'assolato
pendio meridionale è costellato da olivi: una vista
insolita, a
quelle latitudini. L'olio prodotto dai frutti di quelle piante
è
sorprendentemente buono e Rosa pensa che lo zio Antonio ha ben
ragione di esserne fiero.
La
calma della giornata di inizio primavera è spezzata da
un'improvvisa
bava di vento e le mani della fanciulla volano ad afferrare la
sottana. Non che vi sia davvero il pericolo che essa si sollevi in
maniera sconveniente - la stoffa dell'abito verde che indossa,
all'ultima moda, è troppo pesante perché quel
venticello possa
smuoverla - ma le buone maniere hanno il sopravvento sul buonsenso.
Ferma
sul piccolo promontorio che sovrasta quella porzione della
proprietà
dello zio, Rosa lascia che i suoi occhi accarezzino il paesaggio: i
tronchi contorti degli olivi che ricoprono parte del declivio, il
laghetto argenteo che si trova in fondo a esso, i cespugli che
crescono nei pressi delle rive e che già recano traccia dei
boccioli
che si apriranno nel giro di poche settimane, le siepi che,
laggiù
in fondo, segnano il limite estremo della tenuta che un giorno
sarà
sua. L'aria è tersa e frizzante e Rosa ha l'impressione che
il suo
respiro si faccia più lieve, più facile.
Un
piccolo sprazzo giallo accanto ai suoi piedi attira la sua attenzione
e Rosa si china per cogliere un fiore di tarassaco. Se lo rigira
lentamente in mano e il lattice amaro e biancastro le impiastriccia
le dita. Sentendosi più leggera di quanto non si sentisse
quando era
in casa, la ragazza inizia la discesa verso il modesto specchio
d'acqua la cui superficie è parzialmente occupata da canne
verdeggianti e da ampie foglie di ninfea.
È
un angolo grazioso, quello in cui si trova in quel momento, e la
giovane pensa che non le dispiacerebbe trovare una panchina su cui
sostare per qualche minuto. È un vero peccato che non ce ne
sia
nemmeno una. Forse, quando saranno sposati, potrebbe chiedere al
cugino Edoardo di realizzare quel suo piccolo desiderio.
Le
sue orecchie colgono il suono di una voce sommessa e Rosa si volta
per fronteggiare il lago. I suoi occhi perlustrano le rive, i
cespugli e il canneto, poi scorrono verso il sentiero che l'ha
condotta lì.
Non
c'è nessuno. Forse ha udito una voce portata dal vento?
Dov'è la
donna che ha parlato con voce chiara, ancorché troppo
flebile perché
lei potesse distinguere le parole? C'è forse qualche serva
nascosta
tra la vegetazione che circonda il lago? Forse
è in
compagnia? Si chiede Rosa arrossendo, ricordando
quella
singola volta in cui anche lei si è appartata con un garzone.
Un
po' in imbarazzo, la ragazza si chiede se non sia il caso di
proseguire la passeggiata, concedendo un po' di intimità
all'ipotetica coppia che si cela alla sua vista, quando un nuovo
sussurro si leva da un punto davanti a lei.
Rosa
sente che il suo cuore accelera i battiti. Le vaghe parole che le
giungono alle orecchie non sono pronunciate nel tono eccitato di due
giovani che si scambiano effusioni, ma in quello quieto e solenne di
una madre che tranquillizza il proprio bambino. La cosa che
più la
turba, però, è il fatto che la voce sembra
provenire proprio dal
centro del lago, dal punto in cui - immagina - l'acqua è
più
profonda.
Com'è
possibile? Si chiede. I suoi occhi sfiorano per un
istante
la coppia di cigni che pascola poco lontano. Che
siano stati
loro a parlare? O forse i pesci di questo lago hanno una voce?
Dopo
un istante di silenzio, nuove parole risuonano sulla superficie
dell'acqua. Pace, crede di sentire la
ragazza. Pace,
figlia mia.
Quando
Rosa si dirige di nuovo verso la casa dello zio, lo fa correndo.
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Capitolo 2 *** Parte seconda ***
Se
Rosa è spaventata dalla voce che ha sentito nei pressi del
lago, ne
è in un certo modo anche attratta.
Nelle
settimane successive i pensieri della ragazza tornano sempre
lì, a
quelle parole sussurrate e trasportate dal vento leggero. La data del
suo matrimonio con il cugino Edoardo si avvicina - le nozze sono
fissate per l'inizio di maggio, quando il giardino sarà nel
suo
pieno splendore - ma lei non riesce proprio a sentirsi una novella
sposa: le pare di essere piuttosto un'avventuriera in procinto di
fare una scoperta eccezionale.
Malgrado
la tremarella che rallenta i suoi passi, Rosa visita più
volte il
piccolo specchio d'acqua. Ci sono giorni in cui l'unica voce che
sente è quella delle canne che frusciano smosse dal vento e
degli
insetti che ronzano sul pelo dell'acqua: in quelle occasioni torna
alla villa al contempo delusa e sollevata. Più spesso,
però, alla
ragazza basta avvicinarsi al lago per cogliere l'eco di parole
mormorate: sembra quasi che a parlare sia l'acqua stessa.
Non
ha senso, si dice mentre un brivido di orrore meravigliato le
corre lungo la schiena. Anche se non è esperta di cose di
mondo,
Rosa sa che dev'esserci una spiegazione razionale. Quando ha lasciato
la sua famiglia era troppo piccola per potersi ricordare quale fosse
l'opinione dei suo genitori in merito a spiriti e fantasmi, ma in
compenso sa benissimo come la pensava il signor Fiocchi. "Sono
tutte fesserie!" Le aveva detto la mattina stessa in
cui lei era entrata a servizio della sua famiglia. "Ci
sarà qualcuno, nella servitù, che
cercherà di farti credere che la
casa è infestata: l'edificio è vecchio, lo vedi
anche tu, e di voci
di questo genere ne circolano fin troppe. Non farti distrarre da
esse, bambina: tra queste mura non c'è spazio per l'occulto
e le
fantasie inutili."
Sebbene
Rosa non nutra alcun affetto per il suo vecchio padrone, la sua
visione del mondo l'ha in un certo modo influenzata e la ragazza non
crede che per le vie della terra vaghino presenze soprannaturali.
Però...
La
fanciulla si avvicina al lago quasi in punta di piedi e tende le
orecchie. Quasi come per farle un dispetto, il mormorio che l'era
sembrato di sentire fino a un istante prima si interrompe. Sembra
quasi che non voglia farsi trovare, pensa la ragazza
guardandosi
attorno. Incrociando le braccia davanti al petto, Rosa lascia
scorrere nervosamente gli occhi attorno a sé.
Da
qualche giorno il cielo terso che aveva benedetto la prima parte del
mese si è fatto ingombro di nubi, divenendo una distesa
grigia e
uniforme che getta una luce plumbea sul mondo. Il lago riflette quel
clima quasi autunnale e le sue acque, già naturalmente
scure, hanno
assunto un burrascoso colore grigio verde che le rende impenetrabili
allo sguardo umano. Le mani della giovane tremano impercettibilmente
mentre lei fissa quella superficie appena increspata da onde sottili:
quasi si aspetta che da essa emerga una bestia mitologica, un drago o
un serpente marino capace di parlare con una dolce voce di donna.
O
forse c'è qualcosa tra i cespugli, pensa Rosa,
mentre la
sensazione di essere osservata da qualcuno che sta alle sue spalle le
fa sollevare i sottili capelli della nuca. Un
folletto
dispettoso, una strega o lo spirito di qualcuno che è morto
tanto
tempo fa... La ragazza si volta di scatto, ma non
vede altro
che gli arbusti carichi di boccioli, l'erba e gli olivi.
Aggrottando
la fronte, la ragazza si chiede se non ci sia forse qualcosa che non
va in lei. Lo zio Antonio non le ha mai vietato di passeggiare per il
parco, né l'ha fatto la zia Maria Elena, il che significa
che ai
loro occhi in esso non v'è nulla di insolito o di
pericoloso. Di
certo l'avrebbero messa in guardia nei confronti di un lago parlante,
pensa la giovane con una smorfia. Possibile che sia la sola ad aver
mai sentito quelle parole mormorate? Possibile che esse non esistano
se non entro i confini della sua mente?
Non
sono pazza, si rassicura Rosa, posandosi due dita su una
tempia e
scrollando lentamente il capo. Forse dovrebbe parlarne con qualcuno,
ma chi? Non con la servitù, tra le cui fila non
v'è nessuno che le
sia amico, non con il prete, che non vedrebbe di buon occhio il fatto
che lei senta voci prive di corpo, non con Edoardo, che la ignora e,
quando non la ignora, la disprezza.
Cosa
posso fare? Si chiede la ragazza, sforzandosi di
pensare a
una soluzione. Forse potrei iniziare
con l'informarmi un
po' sulla storia della villa e del parco, decide. Domande di
quel
genere, che dimostrano interesse nei confronti della sua
proprietà,
non insospettiranno nessuno. Forse potrebbe provare a dare
un'occhiata più approfondita anche alla biblioteca:
è vero che i
libri la confondono, ma dovrebbe essere in grado di leggere almeno i
titoli. E se trovasse qualcosa di interessante, la curiosità
potrebbe spronarla a decifrare il testo con più sicurezza
del
consueto.
L'idea
le pare buona e la ragazza si sente quasi rinfrancata. Con una mano
sfiora un cespuglio d'ortensia e giocherella brevemente con le foglie
spesse. «Non so chi sei», dice, rivolta al lago
increspato, «ma
intendo scoprirlo.»
Forse
è una sua impressione, ma il silenzio che segue le sembra
quasi
stupefatto.
***
A
conti fatti, l'idea di cercare risposte all'interno della biblioteca
di famiglia non è poi così buona.
Ora
che non cerca svago, ma informazioni, gli imponenti scaffali di legno
ricolmi di volumi dall'aspetto vetusto le sembrano austeri, quasi
minacciosi. Ha l'impressione che incombano sopra la sua testa,
pretendendo di sapere cosa va cercando lei, servetta quasi
analfabeta, tra quei corridoi forieri di saggezza.
I
suoi occhi scorrono sulle lettere stampate sui dorsi dei libri, ma
non trovano nulla a cui appigliarsi. Sto solo
perdendo tempo,
pensa Rosa abbattuta.
Demoralizzata,
la giovane si dirige a passi lenti verso la sala più interna
e
sussulta nel vedere il cugino Edoardo seduto alla scrivania di legno
massiccio. È piegato su alcuni appunti e su quello che
sembrerebbe
quasi un diario, ma quando la vede arrivare si raddrizza e la fissa
con il suo cipiglio altero. «Ancora qui?» la
apostrofa con aria di
rimprovero.
Rosa
si mordicchia le labbra ed è tentata di girare sui tacchi e
andarsene, ma un pensiero improvviso la tiene inchiodata al
pavimento. Forse potrebbe approfittare della situazione per fare
conversazione con il suo futuro marito? Non prova per lui la
benché
minima attrazione fisica e l'uomo non ha mai dato cenno di desiderare
il suo affetto, ma questo non cambia il fatto che nel giro di un mese
o poco più saranno marito e moglie. Varrebbe certamente la
pena di
provare a conoscerlo un po' meglio, prima di recarsi con lui
all'altare.
«Sì»
dice allora, avvicinandosi lentamente alla scrivania. «In
verità
speravo di trovare qualche volume che trattasse della storia della
casa e del giardino.»
Edoardo
sembra sorpreso da quell'informazione, ma lo stupore che si disegna
sul suo viso lascia rapidamente spazio alla disapprovazione.
«Un
volume?» ripete con una smorfia. «L'edifico non
è abbastanza
antico per meritarsi le attenzioni di uno scrittore e nel parco non
c'è alcuna pianta esotica che possa essere studiata e
descritta da
un botanico. Cosa ti aspettavi di trovare?»
Rosa
arrossisce a suo malgrado e non può fare a meno di sentirsi
sciocca.
«A dire il vero ero più interessata al lago, che
alle piante e alla
storia della casa» dice comunque, cercando di mantenere un
tono
neutro.
Sull'ampia
fronte del cugino Edoardo si disegna una profonda ruga verticale.
«Perché ti interessa?»
La
giovane oscilla sui piedi. «Trovo strano che sia stato
incluso nel
parco. Non è un bacino artificiale, mi pare. Non pensavo che
qualcuno avesse il potere di vendere un intero lago»
improvvisa.
«A
voler ben vedere, è più una pozzanghera che un
lago» bofonchia
l'uomo, ma Rosa vede che l'argomento lo appassiona. Che
sorpresa! Pensa.
«A
me non sembra tanto piccolo» osserva lei, cercando di tenere
viva la
conversazione.
«Quattrocentodieci
metri di lunghezza e trecentoquindici di larghezza» la
informa
Edoardo, prima di stupirla parlando di nuovo: «Non ha alcuna
storia
particolare alle spalle. Era già parte dei terreni della
fattoria
che un tempo sorgeva al posto della villa. Un tempo serviva per fare
abbeverare il bestiame.»
Rosa
si immagina un lago diverso da quello che conosce lei. La forma
è la
stessa, ma la vegetazione attorno alle rive è più
rada, meno
rigogliosa. Non c'è traccia del viottolo di ghiaia
né degli olivi
che crescono sul pendio: ci sono solo prati e mucche che vi
pascolano. Nella sua mente, l'orecchio di uno dei bovini ha un
fremito e la ragazza si chiede se per caso non abbia udito la stessa
voce che da qualche tempo domina tutti i suoi pensieri.
«
Quando è stata costruita la villa?» chiede.
Edoardo
scrolla le spalle. «All'incirca un centinaio di anni fa. Come
ti ho
detto, non può certo essere considerata antica o di
pregio.» Così
dicendo, l'uomo si alza dalla sedia e la fanciulla nota che, sebbene
sia ancora nel pieno delle forze, sembra fare fatica a spostare il
corpo massiccio. Le sembra già di vederlo vecchio, curvo e
grigio,
troppo pingue per alzarsi dal letto o dalla poltrona. Rosa non riesce
a reprimere un brivido di orrore.
Senza
alcuna parola di spiegazione, l'uomo si avvicina alla parete in fondo
alla stanza, quella più lontana dalle finestre che danno sul
giardino. Su di essa sono appesi alcuni piccoli quadri che la ragazza
non ha mai avuto l'occasione di esaminare da vicino. Accorgendosi che
Edoardo si è fermato di fronte al primo di essi, Rosa gli si
avvicina di nuovo: non capisce perché tutto d'un tratto
l'uomo sia
così ben disposto nei suoi confronti, ma intende
approfittarne come
può.
Quando
gli si accosta, il cugino Edoardo non abbassa su di lei lo sguardo,
ma lo tiene fisso sulla scena agreste raffigurata nel primo dipinto:
due uomini che accompagnano un bue impegnato ad arare i campi. Il
paesaggio sullo sfondo è accurato e la ragazza comprende che
il
campo doveva trovarsi nei pressi della villa. «Chi l'ha
dipinto?»
chiede incuriosita.
«Tale
Giovanni Bonfanti, un gentiluomo che visse in città nel
periodo in
cui la fattoria fu trasformata in villa e che si dilettava nell'arte
della pittura» spiega l'uomo in tono piatto. «Il
tratto è
piuttosto grossolano, ma bisogna riconoscergli una certa attenzione
ai dettagli.»
Rosa
guarda il quadro: di arte non se ne intende, ma il dipinto le sembra
grazioso. Non ha però alcuna intenzione di contraddire il
cugino
Edoardo e dunque passa al quadro successivo, che raffigura un
gruppetto di donne che, con le sottane raccolte, paiono intente a
pigiare l'uva. L'immagine successiva raffigura una contadinella di
pochi anni che, circondata da grosse galline rossastre, porta alcune
uova nel grembiulino sollevato, ma l'attenzione della ragazza
è
subito attirata da ciò che è ritratto all'interno
della quarta
cornice.
I
suoi occhi scorrono sull'immagine di una fanciulla bionda che,
avvolta in vesti candide, siede sulla sponda di un piccolo specchio
d'acqua. L'angolo con cui è stata ritratta non permette a
Rosa di
scorgere con esattezza l'espressione del suo viso, ma alla ragazza
sembra che le sue labbra siano piegate nell'accenno di un sorriso.
È
stata immortalata nell'atto di strizzare i lunghi capelli, forse
bagnati dalle acque del laghetto, e la sua posa è
stranamente
provocatoria, se confrontata con l'innocenza degli altri dipinti: la
sua spalle sinistra è nuda e le sue gambe sono scoperte fino
al
punto che è possibile intravvedere la pelle candida delle
cosce.
«Chi
è?» chiede, rivolta all'uomo al suo fianco.
Lui
scrolla nuovamente le spalle. «Difficile dirlo. Forse una
contadina,
forse una giovane che il Bonfanti portò con sé
dalla città. Forse
solo una donna immaginaria che ha dipinto nella posa delle ninfe
greche: ci sono alcuni bozzetti che mio padre ha nel suo studio che
dimostrano che era assai affascinato dalla cultura classica.»
«Cos'è
una ninfa?» chiede Rosa, che non è sicura di aver
già incontrato
quel termine prima d'ora.
Il
cugino Edoardo le rivolge uno sguardo di sufficienza, ma la sua voce
è priva di malizia. «Una sorta di spirito delle
foreste o delle
acque.»
Nell'udire
quelle parole, qualcosa nel petto della giovane ha un
sussulto. Uno
spirito delle acque? Si chiede con il cuore in gola.
Può
davvero trattarsi solo di una coincidenza? Non è quantomeno
curioso
che un uomo vissuto un secolo prima abbia dipinto una fata nello
stesso luogo in cui lei ha più volte sentito una voce che
sembrava
provenire dal lago stesso?Possibile che anche quel pittore dilettante
avesse udito il mormorio portato dal vento? Possibile che avesse
davvero visto la fanciulla vestita di bianco emergere dalle acque del
laghetto?
Non
essere sciocca! Si dice Rosa, retrocedendo
istintivamente di
un passo. Le fate non esistono più di
quanto non esistano i
fantasmi e tu ti stai facendo suggestionare da quello che
probabilmente non è altro che il ritratto dell'amante di un
damerino
locale!
La
ragazza si rende corto di essersi portata una mano davanti alla
bocca. Imbarazzata, si costringe a riabbassarla e lancia un'occhiata
al cugino Edoardo per vedere se si è accorto del suo scatto
immotivato. L'uomo però non bada a lei e pare intento a
contemplare
l'ultimo quadro della fila. Raffigura un giovane uomo con ordinati
capelli fulvi e brillanti occhi scuri. Sul suo volto c'è un
sorriso
enigmatico e nella mano destra tiene stretto un pennello.
«È
il Bonfanti?» chiede Rosa.
Edoardo
annuisce. «Esatto» mormora senza staccare gli occhi
dal quadro. La
sua voce è quieta, distaccata, come se l'uomo fosse
lì con il
corpo, ma non con la mente. «Lo sai che non voglio sposarti,
vero?»
le chiede dopo qualche istante facendola sussultare.
Rosa
è senza parole e ha l'impressione che l'ondata di terrore
che le
sale dal petto rischi di soffocarla. «Come?»
balbetta.
Per
una volta, lo sguardo di Edoardo è limpido e diretto.
«Non voglio
sposarti, cugina» ripete. «Non più di
quanto tu non voglia sposare
me.»
La
giovane pensa che quella confessione dovrebbe confortarla, ma non lo
fa: il suo pensiero ora è uno e uno soltanto. «Ma
che ne sarà di
me, se tu non mi sposi?» chiede con voce strozzata.
«Io non ho
niente, non mi è rimasta più nemmeno una casa in
cui tornare e
nessuno sembra più disposto a darmi un lavoro!»
Il
suo tono si fa sempre più acuto ed Edoardo leva una mano con
palese
irritazione. «Cionondimeno, ti sposerò
comunque.»
Rosa
chiude di scatto la bocca, sentendosi improvvisamente
stupida.«Lo
farai?» chiede. La sua testa si fa sempre più
leggera – troppo, e
la giovane ha quasi l'impressione di svenire.
«Perché?»
Le
labbra dell'uomo si piegano in una smorfia amara.
«Perché questo è
il volere di mio padre: ho quasi quarant'anni e non ho ancora preso
moglie, a differenza dei miei fratelli più giovani. Se non
porrò al
più presto rimedio a questa situazione, mio padre mi
escluderà
dall'eredità.»
L'animo
di Rosa è scosso da sentimenti contrastanti: sollievo
perché sa che
non finirà in mezzo a una strada, dolore perché
ora è consapevole
che il suo matrimonio non sarà mai felice. Cercando di
aggrapparsi
al primo e di seppellire il secondo, la ragazza si sforza di
mantenere un'espressione composta. «Ma non hai...»
la fanciulla si
interrompe e si schiarisce la voce, cercando le parole giuste.
«Non
hai mai trovato una donna che desiderassi sposare?»
Il
cugino Edoardo scuote il capo. «No, non ho mai desiderato
prendere
moglie» replica senza distogliere gli occhi dall'autoritratto
del
giovane pittore.
Senza
dire una parola, Rosa retrocede in silenzio e abbandona la
biblioteca.
|
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Capitolo 3 *** Parte terza ***
Ho
detto che questa storia avrebbe avuto al massimo tre capitoli? Ah-ah,
scherzavo. Sto già scrivendo il quarto e non escludo di
arrivare al
quinto.
***
Il
giorno che segue la conversazione con Edoardo è uggioso. Il
cielo è
basso e grigio e lascia cadere una pioggerella talmente sottile da
sembrare nebbia. È il tipo di giornata che invoglia a
restare in
casa, ma Rosa ha l'impressione di soffocare, rinchiusa tra le mura
della villa.
Probabilmente
non dovrebbe uscire vestita così; non oggi che ha indossato
il
vestito rosso che la zia Maria Elena le ha fatto confezionare tra
mille raccomandazioni, lodando la qualità della stoffa e dei
bottoni
di madreperla, ma la ragazza non riesce a resistere.
Nel
primo pomeriggio sgattaiola in giardino e pensa che forse nessuno si
accorgerà della sua piccola evasione perché ha
quasi smesso di
piovere e la mantella di lana che si è gettata sulle spalle
protegge
la maggior parte del suo vestito. Deve solo stare attenta a non
infangarne troppo l'orlo.
Rosa
non si ferma a pensare a dove andare: lascia che siano i suoi piedi a
guidarla e nel giro di una decina di minuti arriva al laghetto.
Tutto
è quieto. Non c'è un filo di vento e gli uccelli
palustri che
risiedono nel piccolo specchio d'acqua sono rannicchiati a poca
distanza dalla riva, le zampe posate su un qualche trespolo che
affiora appena e le penne arruffate. Non si ode il ronzio di alcun
insetto e il lago stesso è silenzioso.
L'atmosfera
è talmente immobile, quasi sonnolenta, che quando sente dei
passi
alle proprie spalle Rosa sobbalza con più enfasi di quanta
sia
accettabile.
C'è
un uomo che si aggira tra gli ulivi. È piuttosto giovane,
deve avere
solo pochi anni in più di lei, e i suoi capelli biondi sono
raccolti
in un'acconciatura antiquata, una coda bassa che non è
più di moda
da almeno un secolo. Rosa studia i suoi abiti semplici, ma dal taglio
curioso, e si stringe istintivamente al petto un ramoscello che ha
raccolto poco prima, turbata dall'inaspettata apparizione del
giovanotto.
Notando
il suo gesto, lo sconosciuto le rivolge un sorriso di scuse.
«Vi
prego di perdonarmi» le dice. «Non era mia
intenzione spaventarvi.»
«Non
mi avete spaventata» replica lei, abbassando le braccia lungo
i
fianchi, ma continuando a fissarlo con occhi attenti.
«Ammetto però
di essere sorpresa: negli ultimi tempi mi è capitato spesso
di
passeggiare lungo le rive di questo lago e prima d'ora non avevo mai
incontrato nessuno.»
L'uomo
sorride di nuovo. «La vostra presenza è una
sorpresa anche per me,
in effetti. Immagino che siate un'ospite della villa?»
chiede,
indicando con un cenno del capo il sentiero che conduce verso
l'edificio principale.
Rosa
si lascia sfuggire l'accenno di una risata. «Se
così si può dire:
il signor Antonio Colombo è mio zio; e io vivo sotto il suo
tetto,
ora.»
Il
giovane annuisce con aria solenne. «Vi faccio le mie
condoglianze,
allora. Per vostra madre.»
La
ragazza inarca le sopracciglia. «Vi ringrazio, ma sono
passati ormai
dieci anni dal giorno della sua morte. Devo supporre che l'abbiate
conosciuta? Com'è possibile? Quando ha sposato mio padre,
voi
dovevate essere soltanto un bambino...»
«Non
l'ho conosciuta personalmente», replica lui, «ma
è risaputo che
l'unica sorella del signor Colombo è morta tempo
fa.»
La
fanciulla annuisce, trovando quella spiegazione mediamente
soddisfacente. Quello che desidera veramente sapere, però,
è chi
sia quell'uomo che ha invaso un angolo di mondo che fino a poco prima
pensava appartenesse esclusivamente a lei. È
quasi
certamente un giardiniere, si dice, percorrendolo ancora una
volta con un'occhiata veloce, ma è meglio accertarsene.
«E
voi siete... Un impiegato di mio zio?» chiede, sperando di
non
risultare inopportuna.
«Esattamente»
conferma lui. «Mi prendo cura del giardino.»
La
ragazza sorride, ma non riesce a scacciare il vago senso di imbarazzo
che sembra aleggiare su quella conversazione: è strano
intrattenersi
con qualcuno di cui non si conosce neanche il nome.
La
fanciulla decide che è giunto il momento di porre rimedio a
quella
mancanza. «In questo caso, è un vero piacere
incontrarvi» dice,
imitando inconsciamente il tono artefatto della zia Maria Elena.
«Non
mi sono presentata: io sono Rosa Lombardo.»
Il
giovane pare combattuto e Rosa vede un lampo di indecisione
attraversare il suo volto. «Cosimo Ardenghi» dice
infine,
piegandosi in un piccolo inchino.
La
ragazza non può fare a meno di sentirsi intrigata
dall'apparente
reticenza del giardiniere: ha avuto la netta impressione che non
sapesse se rivelarle o meno il proprio nome.
Perché? Si
chiede, osservando per un istante il suo volto dai tratti eleganti.
È
un giovane dall'indubbio fascino, attraente nonostante i capelli
lunghi e gli abiti fuori moda. Rosa nota i suoi occhi di un azzurro
intenso e le sue spalle larghe e si sente arrossire.
Ma
che idee sono queste?! Si rimprovera. Per scacciare
la
mortificazione, si costringe a parlare di nuovo. «Siete voi
che vi
prendete cura degli olivi?» fa, indicando il pendio.
Il
giovanotto, che aveva gli occhi fissi su di lei, si guarda attorno
con espressione stupita, come se fosse sorpreso di trovarsi
circondato dagli alberi. «Sì, almeno in
parte» conferma poi. «Ma
ho chi mi aiuta.»
La
ragazza non riesce neppure a fingere di essere incuriosita dagli
altri giardinieri. In quel momento l'unica cosa importante è
quel
ragazzo biondo che sembra essere comparso come per magia nel punto
più misterioso di tutta la tenuta. L'interesse che prova nei
suoi
confronti è senz'altro segno della sua scarsa levatura
morale, ma
Rosa non può fare nulla per reprimerlo: è come se
qualcosa avesse
messo radici all'altezza del suo stomaco e ora l'attirasse verso
quell'uomo di cui conosce a malapena il nome.
È
una sensazione bizzarra e non del tutto gradevole. Non senza un certo
orgoglio, Rosa si è sempre ritenuta una persona razionale;
eppure
lì, sulle rive di quel laghetto dall'aspetto anonimo, la sua
razionalità sembra venire meno. Prima
sento una voce che
sembra appartenere all'acqua stessa, poi sviluppo questa strana
connessione con un uomo che non ho mai visto prima, pensa
la
giovane con un fremito preoccupato. Che cosa mi sta
succedendo?
Accorgendosi
del suo silenzio, Cosimo le si avvicina.
«Signorina?» le fa,
percorrendole il viso con gli occhi. «State bene?»
Rosa
si riscuote. «Oh, sì, certo» lo
rassicura, passandosi una mano sul
volto. «A volte tendo un po' a perdermi nei miei
pensieri.»
Dopo
aver pronunciato quelle parole, la fanciulla arrossisce senza motivo
e lui le rivolge un sorriso gentile. «Capita anche a
me» le
confessa in tono complice.
C'è
qualcosa di anomalo nel suo atteggiamento e la ragazza impiega
qualche istante a capire di cosa si tratta. A differenza del resto
della servitù, quel giardiniere non la tratta con deferenza
o
malcelata invidia: sembra invece amichevole, si rivolge a lei da pari
a pari. Tanta confidenza dovrebbe forse irritarla, ma Rosa non si
è
ancora abituata al suo nuovo stato sociale e, dopo settimane passate
a subire la fredda indifferenza degli zii e del cugino Edoardo, un
poco di cordialità è bene accetta.
Ciononostante
Rosa si rende conto che la conversazione rischia di prendere una
piega un po' troppo intima. È consapevole di essersi
intrattenuta
fin troppo a lungo con quel giovane e sa che è giunto il
momento di
accommiatarsi da lui - e non importa se c'è qualcosa in lei
che le
grida di non farlo, di fermarsi un altro po'.
Piegando
le labbra in un sorriso che di naturale ha ben poco, incontra per un
attimo gli occhi dell'uomo. «Ebbene, Cosimo, è
stato un piacere
parlare con voi. Tutta questa umidità mi sta però
entrando nelle
ossa e credo che sia davvero ora che io torni alla villa: sarebbe
davvero un peccato se mi prendessi un malanno...»
"...
poco prima del mio matrimonio" stava per dire, ma
per
qualche motivo le parole mutano forma prima di lasciare la sua
lingua.
«...
proprio ora che la primavera è alle porte» dice
invece.
La
voce le si spegne in un tremolio incerto, ma lui pare non badarvi.
«Il piacere è mio, Rosa» ribatte; e
tanta familiarità le fa
sobbalzare il cuore nel petto. «La primavera è la
stagione in cui
il giardino dà il meglio di sé: magari ci
incontreremo ancora?»
È
meglio di no, pensa Rosa, perché
non sta bene che
una donna fidanzata si intrattenga con un uomo che non è il
suo
promesso sposo. Lo zio Antonio non vorrebbe che io parlassi con te; e
non credo che mi convenga contrariarlo, visto che, se non fosse per
lui, non avrei neanche un tetto sopra la testa. Oltretutto il cugino
Edoardo è brutto e mi considera una stupida, ma resta
comunque un
partito migliore di un giardiniere.
Sarà
meglio che ci incontriamo di nuovo, riflette
ancora, visto
che io sposerò il padrone della tenuta e che tu sei pagato
per
curare la mia proprietà.
Le
parole che lasciano la sua bocca sono però ben diverse.
«Magari sì»
sussurra con gli occhi bassi, prima di girare sui tacchi e avviarsi
lungo il sentiero che conduce alla villa.
Nell'atmosfera
nebbiosa, lo scricchiolio della ghiaia sotto i suoi piedi è
l'unico
suono che raggiunge le sue orecchie.
***
Passano
diversi giorni prima che Rosa abbia il coraggio di tornare al lago.
Il tempo si è rasserenato e la fanciulla ne approfitta per
esplorare
le parti della tenuta che ancora non conosce bene.
Una
delle sue mete preferite è la modesta serra nella quale la
zia Maria
Elena coltiva le orchidee. Ci entra quasi in punta di piedi, dal
momento che non è sicura che la zia voglia che lei stia
lì, ma una
volta dentro rimane affascinata dai fiori eterei che sembrano sospesi
a mezz'aria, simili a farfalle che si accalcano attorno ai rigidi
steli verdi. Rosa li osserva, tende le dita verso di loro, li sfiora
senza osare toccarli: teme che, se lo facesse, cadrebbero a terra
come insetti senza più forza nelle ali.
Le
prime due volte che visita la serra la trova deserta. L'unico suono
che spezza l'umidità immobile che regna nella piccola
costruzione di
vetro è il ronzio di un insetto ostinato che, scoprendosi
incapace
di trovare la via d'uscita, percorre palmo a palmo la barriera
invisibile che lo separa dal mondo esterno.
Quando
vi si reca per la terza volta, però, il sole è
sorto da poco e
sulle prime la giovane non si accorge di avere compagnia e il suono
improvviso di una voce la fa
sussultare. «Buongiorno,
signorina» le dice una donnina di mezza età che
regge delicatamente
tra le mani un vaso che contiene un'orchidea adorna di fiori bianchi.
«Oh...
buongiorno!» replica lei arrossendo. Non ha davvero motivo di
essere
in imbarazzo, dal momento che la serra si trova su quella che presto
sarà la sua terra e che, comunque, non sta facendo nulla di
male, ma
Rosa si scopre a strisciare nervosamente i piedi sul pavimento.
La
donna le rivolge un sorriso gentile e poi si china per posare il vaso
in una tinozza ai suoi piedi. Alle orecchie della fanciulla giunge un
leggero suono d'acqua smossa. La curiosità ha la meglio
sulla
ritrosia. «Cosa state facendo?» chiede,
avvicinandosi alla
sconosciuta.
«Bagno
le orchidee» risponde di buon grado lei. Non sembra che
l'attenzione
di Rosa le dia fastidio. «Non conviene innaffiarle:
è meglio
metterle a bagno per dieci minuti. Così prendono solo
l'acqua di cui
hanno bisogno.»
«Ah»
annuisce la giovane, affascinata. «È lei che si
prende cura della
serra?» Forse è strano che ultimamente stia
incontrando tanti
giardinieri, ma Rosa scrolla le spalle: è primavera,
è normale che
vi sia tanto da fare nelle aree verdi della villa.
La
donna comunque scuote il capo. «Solo di tanto in tanto: in
realtà
si occupa quasi di tutto la signora Maria Elena. Io do solo da bere
alle piante: bisogna farlo quando il sole è ancora basso; e
la
signora non è mai stata particolarmente
mattiniera.» Lo dice con un
sorriso quasi affettuoso e Rosa si chiede se la sua gelida zia sia
capace di mostrare un volto più amichevole di quello che di
solito
riserva a lei. All'oscuro dei suoi pensieri, la donnina la guarda con
più attenzione. «Immagino che voi siate la
signorina Rosa, giusto?»
«Esatto»
annuisce lei, prima di retrocedere di un passo. «Ma vi sto
forse
disturbando? Ero venuta per guardare da vicino le orchidee, ma non
vorrei intralciare il vostro lavoro.»
L'altra
donna scoppia a ridere. «Non siete di alcun disturbo,
signorina, e
non direi che quello che sto facendo è un lavoro:
è più che altro
un passatempo. Il mio vero lavoro è nell'orto: lì
sì che c'è
parecchio da fare, soprattutto quando mio marito è troppo
occupato
per aiutarmi!»
«Anche
vostro marito lavora qui?» indaga Rosa.
La
donna più anziana annuisce. «In questo periodo si
sta occupando
della potatura degli olivi: bisogna sistemarli per bene prima che
inizino a fiorire.»
È
una coincidenza, ma la fanciulla scopre che la bocca le si è
fatta
stranamente asciutta. «I-immagino...»
balbetta, poi si ferma e
si schiarisce la voce. «Immagino che non sia un lavoro
semplice.
Sono stata dalle parti del laghetto sul lato sud, l'altro giorno, e
non ho potuto fare a meno di notare che mio zio possiede un gran
numero di quelle piante.»
«Oh,
sì», annuisce la donna, «e sono molto
produttive. Fortunatamente
il mio povero Nicola non ci lavora da solo: la sua schiena non
è più
quella di un tempo.»
Rosa
si morde inconsciamente un labbro, mentre la sua mente torna a un
paio di occhi chiari e a un corpo solido. «Sì,
proprio l'altro
giorno ho incontrato uno degli altri giardinieri: Cosimo, se non
ricordo male.»
La
donna aggrotta le sopracciglia e si asciuga le mani nel grembiule che
le cinge la vita. «Cosimo?» chiede con aria
perplessa. «Non mi
sembra che ci sia nessun Cosimo che
lavora da queste
parti.»
Di
nuovo, la ragazza avverte un rossore imporporarle le guance.
«Forse... forse ho capito male il suo nome?»
azzarda. O
forse mi ha dato un nome sbagliato, pensa confusa. Un attimo
dopo
la confusione viene soppiantata dall'indignazione. Ma
perché
avrebbe dovuto farlo? Si diverte forse a
prendersi gioco
di me? Un altro pensiero le attraversa la mente: e
se il
ragazzo che ha incontrato in riva al lago non fosse stato affatto un
giardiniere, ma qualcuno che si era infiltrato nella
proprietà di
suo zio con scopi meno che nobili? La prospettiva le fa girare la
testa.
Decisa
ad andare in fondo alla questione, Rosa cerca di richiamare alla
memoria tutti i particolari che potrebbero esserle utili.
«Dimostrava
più o meno la mia età» dice con la
fronte contratta per la
concentrazione. «Forse era un poco più vecchio, ma
non di molto.
Piuttosto alto, con i capelli biondi e gli occhi chiari. Oh, e i suoi
capelli erano più lunghi di quanto si addica a un
uomo.»
Il
volto della donna rimane impassibile per qualche istante, poi si
illumina. «Ah, ma voi state forse parlando di Claudio? Un
giovanotto
per bene, anche se dall'aspetto forse un poco trasandato?»
«Forse...»
Rosa
si interrompe. Possibile che abbia confuso "Cosimo" per "Claudio"?
I due nomi non si assomigliano affatto. E, inoltre, non è
certa che
l'aspetto del giovane che ha incontrato tra gli ulivi possa definirsi
trasandato: antiquato, sì, ma comunque piuttosto curato.
«Non
posso escluderlo» dice, ma la sua voce ha un suono ben poco
convinto
e la sua interlocutrice pare accorgersene. Rosa si sforza di
sostenere il suo sguardo indagatore e si affretta a cambiare
discorso: non può permettersi che quella donna, che sembra
avere un
buon rapporto con la zia Maria Elena, pensi che lei dimostri troppo
interesse per un uomo che non è Edoardo. «Comunque
non ha
importanza» dice, cercando di assumere un tono noncurante.
«La mia
era semplice curiosità.»
«Avrete
tempo per imparare i nomi della servitù» la
rassicura la donna.
«Non siete qui da molto e avete avuto molte cose a cui
pensare.»
La
ragazza fa un cenno d'assenso. «Certamente,
signora...?»
«Adele»
viene in suo soccorso la donnina. «Mi chiamo
così.»
Quando
poco dopo si separa da lei, Rosa pensa che dovrebbe tornare a casa
nel caso in cui la zia abbia qualcosa in da farle fare. Dopo una vita
passata a servire, non si è ancora abituata all'ozio che ora
abbonda
nelle sue giornate. Quasi senza rendersene conto, però, si
incammina
invece verso il lago: per vedere se Cosimo si aggira tra gli olivi -
e per chiedergli il suo vero nome - per scoprire se l'acqua ha
qualcosa da dirle.
Le
sponde del laghetto sono deserte, l'unico movimento che si scorge tra
gli alberi è quello di un merlo che raspa e saltella alla
ricerca di
vermi. Rosa è delusa.
«Cosimo?»
prova comunque a chiamare. Non che si aspetti una risposta. La
speranza che le formicola nel petto è sciocca: se anche il
giovane è
davvero un giardiniere - e Rosa inizia a nutrire qualche dubbio in
proposito - non passerà certo le sue giornate in quella
porzione di
parco.
«C'è
nessuno?» chiede ancora.
Le
risponde un mormorio. Cosimo? È
il suo primo
pensiero, ma no, ovviamente non è il giardiniere. La voce
che ha
parlato è femminile.
La
ragazza si avvicina al lago. Non ha mai provato a rispondere alla
voce, ma cosa succederebbe se lo facesse?
Rosa
deglutisce. «Chi siete?» sussurra mentre i suoi
occhi corrono sul
pelo dell'acqua, immobile nella luce del mattino.
Vieni, sussurra
la voce. Nella mente della giovane risuonano echi sbiaditi, racconti
di marinai e di ingannevoli canti di sirene. Nonostante ciò,
la
fanciulla si accuccia sulla riva, le scarpe ben piantate nel terreno
leggermente fangoso e le dita della mano destra che si stringono
sull'erba umida. La mano sinistra, invece, si tende verso l'acqua.
«Cosa
volete da me?» chiede Rosa. La voce le trema e si sente
sciocca a
conversare con il lago, ma come potrebbe smettere di farlo?
Sei
sola, è la risposta che giunge
dall'acqua. Sei tanto
sola.
Accovacciata
accanto a un cespuglio di ortensie, Rosa aggrotta la fronte.
È vero,
è sola, ma la solitudine non è mai stata un
problema. In
quell'istante capisce che ciò che le pesa è la
prospettiva di
rimanere intrappolata in un mondo che non le appartiene, in un
matrimonio che non la renderà mai felice. E che non
renderà felice
nemmeno suo marito, se ciò che crede di aver visto nella
biblioteca
non è stato un abbaglio. Ma cosa deve saperne un lago delle
ambasce
dei mortali?
Probabilmente
sono pazza, pensa la giovane mentre le sue dita
sfiorano il
pelo dell'acqua. «La solitudine non mi spaventa»
risponde allora,
spingendo lo sguardo fino al centro del laghetto. «Temo
piuttosto
l'infelicità: tra poco più di un mese
dovrò sposare il cugino
Edoardo e so già che lui non mi vuole, né
potrà mai volermi. E
nemmeno io gli voglio bene, del resto. Preferirei rimanere sola per
sempre, piuttosto che diventare sua moglie.»
Delle
onde sottili increspano la superficie del lago. Io
posso
aiutarti, sussurra la voce, che a Rosa non è mai
sembrata così
suadente. Posso renderti libera e anche meno sola.
La
fanciulla si morde le labbra. È una prospettiva allettante,
ma lei
non è certo tanto folle da prestare orecchio alle proposte
fatte da
una fata che vive nelle profondità lacustri o, forse, solo
negli
abissi della sua mente.
|
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Capitolo 4 *** Parte quarta ***
Dovrebbe
essere assolutamente ovvio, ma, visti i tempi che corrono, preferisco
specificare che i pensieri dei personaggi non riflettono la mia
personale visione del mondo.
***
Per
la prima volta nella sua vita, Rosa si rende conto di essere inutile.
La zia Maria Elena non sa più cosa fare per renderla una
signora per
bene.
Le
sue mani sono sempre state abituate a lavorare: a lavare, strizzare,
spazzare, rammendare. La ragazza sa come tenere in mano un ago e sta
poco alla volta imparando a ricamare esili fiori e figure aggraziate,
ma tutti gli altri passatempi femminili le sono preclusi. La lettura
le costa fatica, la scrittura le è ancora più
ostica e la fanciulla
non ha l'orecchio giusto per recitare poesie.
La
zia ha cercato di avvicinarla al pianoforte, ma Rosa non riesce ad
appassionarsi a esso e la sua mente è troppo impegnata a
decifrare i
circolini delle note per riuscire a seguire davvero la melodia. Il
canto le ha dato qualche piccola soddisfazione, ma la sua voce
è
tutt'altro che notevole ed è incapace di toccare le note
più alte
senza distorcersi e infrangersi.
Non
ha alcun talento per la pittura - riesce a malapena a copiare in modo
approssimativo un vaso o una statuetta - e la danza, per la quale
mostra invece una certa attitudine, può essere praticata
solo in un
numero ristretto di contesti.
«Forse
potresti provare con l'equitazione» le dice un giorno la zia.
«Non
è la più aggraziata delle occupazioni femminili,
ma una signora di
campagna deve essere capace di andare a cavallo.»
A
Rosa il suggerimento non dispiace. «Mi pare una buona idea,
zia»
risponde in tono giudizioso. «A chi posso rivolgermi per
imparare a
cavalcare? Mi insegnerete voi?»
La
donna le rivolge un sorriso sottile e scuote il capo facendo
ondeggiare i riccioli chiari. «Oh, no» dice
sgranando gli occhi
azzurri. «Io non cavalco più da anni e non ho
comunque mai avuto
una gran confidenza con quelle bestie.»
La
giovane trattiene a stento un sospiro di sollievo. Anche se la zia
Maria Elena sembra sopportare meglio la sua presenza rispetto a
quanto non facesse nei primi giorni in cui la nipote viveva sotto il
suo stesso tetto, in sua compagnia Rosa si sente ancora assai a
disagio.
«Allora
potete forse indicarmi uno stalliere che possa aiutarmi?» le
chiede
ancora.
La
donna la guarda con quei suoi occhi che, malgrado siano ormai segnati
dalle rughe del tempo, hanno ancora un che di felino. «Il
nostro
stalliere si chiama Sergio e sarebbe certamente un ottimo maestro, ma
perché non chiedi a Edoardo di aiutarti? Mio figlio
è un cavaliere
sopraffino.»
Rosa
deve chinare il capo per nascondere l'espressione stupita che le si
dipinge sul volto. Ha qualche difficoltà a immaginare il suo
pingue
cugino - e futuro marito - in sella a un cavallo, ma non può
certo
contraddire la zia Maria Elena. «Lo farò
senz'altro» replica,
facendo del proprio meglio per sembrare sincera.
«Perché
non vai subito da lui?» insiste la donna più
anziana. «Si è
recato alle scuderie poco più di un'ora fa: sono certa che
si trovi
ancora lì.»
Dopo
il confronto che hanno avuto in biblioteca, Rosa ha fatto del proprio
meglio per evitare Edoardo e adesso la zia la sta guardando in un
modo che le fa sospettare che forse ha intuito qualcosa. La giovane
non sa se lo zio Antonio avrebbe il coraggio di buttarla in mezzo a
una strada, ma ritiene che sia prudente non sfidare la sorte e non
lasciare intendere quanto poco entusiasmo susciti in lei la
prospettiva del matrimonio con il cugino.
«Non
so se indosso gli abiti adatti» azzarda allora, indicando la
stoffa
chiara della gonna e del corpetto che modella le sue forme.
La
zia Maria Elena sventola una mano come per scacciare una
mosca. «Non
devi montare in sella» ribatte. «Per oggi
puoi limitarti a
osservare i cavalli e a prendere confidenza con loro. Sono certa che
potrai apprendere i rudimenti dell'equitazione semplicemente
guardando mio figlio cavalcare.»
«Sì,
zia» si arrende la fanciulla. Non ha alcuna voglia di passare
del
tempo con il proprio fidanzato e ancor meno desidera sentirlo
elogiare le proprie doti di cavaliere, ma non v'è modo di
sottrarsi
alla richiesta della zia.
La
giovane si avvia verso le scuderie con passi lenti, chiedendosi se
non sia possibile trovare un diversivo, quando un rumore di zoccoli
attira la sua attenzione. La stalla è ormai poco distante e
Rosa
vede che nel recinto adiacente a essa c'è un solo cavallo.
È una
bestia robusta, dai muscoli solidi e dal mantello talmente scuro che
sembrerebbe nero, se non fosse per i riflessi fulvi che nascono
quando il sole colpisce i fianchi e il collo elegante dell'animale.
In sella c'è un uomo e a Rosa occorre qualche istante per
rendersi
conto che si tratta del cugino Edoardo. Il suo futuro marito sembra
del tutto trasformato. Se quando è a terra i suoi movimenti
sono
pesanti e un po' goffi, ora che è in sella le sue movenze
sono
armoniche, leggere, eppure decise, in perfetta armonia con quelle del
cavallo.
Rosa
si scopre a guardarlo a bocca aperta, mentre un'irritazione che non
sa spiegarsi le sboccia nel petto. Possibile che la lente distorta
dei suoi pensieri e dei suoi desideri gliel'abbia fatto vedere
diverso da com'è veramente?
Ma
no, si dice la giovane. Non si è certamente
immaginata
l'atteggiamento di sufficienza che le ha sempre riservato.
Rosa
si avvicina al recinto con piccoli passi circospetti, incerta se sia
davvero il caso di attirare l'attenzione di suo cugino, quando
improvvisamente si accorge di non essere sola. C'è un uomo,
fermo a
pochi metri da lei. È un uomo giovane, vestito con abiti
eleganti, e
anche da una certa distanza Rosa riesce a vedere che il cappello che
porta è di ottima fattura. Non è un servitore,
né uno degli uomini
che si occupano delle stalle o dei giardini.
«Buongiorno»
si annuncia avvicinandoglisi.
Nell'udire
la sua voce, il giovane sobbalza: non l'ha sentita arrivare, quasi
fosse troppo concentrato sul cugino Edoardo per essere consapevole di
ciò che lo circonda.
«Oh,
buongiorno» replica dopo un istante, rivolgendole un sorriso
gentile. Rosa vede che non è esattamente bello, ma i suoi
occhi sono
morbidi e del colore del tè e i suoi riccioli castani gli
incorniciano il viso donandogli un'aria da cherubino. La fanciulla si
scopre a corto di parole e il giovane viene in suo soccorso.
«Voi
dovete essere Rosa.»
Il
fatto che sappia il suo nome la sorprende, ma la ragazza si sforza di
ricambiare il sorriso con un cenno d'assenso. «È
così» conferma.
Il
giovane si inchina e le prende una mano nella sua. Indossa dei guanti
fatti di una pelle estremamente morbida e il contatto con il
materiale vellutato la distrae per un attimo da ciò che
avviene un
istante più tardi: l'uomo si inchina e le sfiora le nocche
con le
labbra. Rosa avvampa: è la prima volta che qualcuno le fa il
baciamano e la cosa la fa sentire estremamente a disagio.
«Io
sono Tommaso Colombo» si presenta l'uomo quando si rialza.
«Sono un
vecchio compagno di scuola di vostro cugino.»
Rosa
non riesce a nascondere un moto di sorpresa. «Mi sembrate
più
giovane di Edoardo.»
L'uomo
ride. «Ho qualche anno in meno, sì, ma non
così tanti quanti il
mio aspetto potrebbe lasciare presagire.»
La
ragazza inarca le sopracciglia. Tommaso è evidentemente
consapevole
del proprio fascino, ma nel suo atteggiamento non scorge né
vanità
né arroganza. Rosa sente che le sue spalle si rilassano un
po',
mentre una tensione che non si era nemmeno accorta di provare scivola
via da esse. «Non sapevo che Edoardo avesse degli
amici» dice,
prima di accorgersi quanto sciocche suonino le sue parole.
Tommaso
sorride di nuovo e i suoi occhi tradiscono un luccichio divertito.
«Non ne ha molti, in effetti» ammette lanciando uno
sguardo
all'uomo che, al centro del recinto, guida il cavallo in un bizzarro
passo incrociato. «Ha un carattere ombroso e non è
facile arrivare
a scoprire l'uomo sensibile e intelligente che si nasconde dietro a
esso.»
Tutta
questa sensibilità e intelligenza devono essere nascoste
davvero
molto bene, riflette Rosa non senza una certa
malignità. Poi
sospira. «Temo di non poter dire di conoscere molto bene il
mio
futuro marito» ammette.
Sul
viso di Tommaso passa un'ombra. È solo un'increspatura
veloce, ma la
fanciulla la coglie lo stesso. «Avrete tutto il tempo per
conoscere
i lati nascosti del vostro carattere» commenta con una voce
che alla
ragazza sembra appena un poco più asciutta di quanto non
fosse un
istante prima.
Per
qualche motivo, la sua mente torna al pomeriggio in biblioteca,
quando il cugino Edoardo aveva guardato il ritratto di un giovane
pittore e le aveva detto che non era affatto felice di sposarla.
Avvertendo
che c'è un messaggio nascosto, lì da qualche
parte, Rosa fa qualche
passo in avanti e stringe tra le mani la parte superiore della
staccionata che delimita l'area nella quale si muovono cavallo e
cavaliere. Ha bisogno di qualcosa di solido a cui aggrapparsi.
«Voi
lo conoscete meglio di me» dice, dopo un silenzio che dura
diversi
secondi. «Quanto tempo credete che ci vorrà
perché accetti la mia
presenza?»
Tommaso
non risponde subito, ma le si accosta e la studia con i suoi occhi
caldi. «Cosa vi fa pensare che Edoardo non accetti la vostra
presenza? Ha accettato di sposarvi, dopotutto.»
Rosa
china il capo. Probabilmente farebbe bene a non parlare tanto
liberamente con un uomo che è a conti fatti un perfetto
sconosciuto,
ma avverte che quel giovane è l'unico interlocutore sincero
che le
capiterà di avere all'interno della tenuta. «Vi
confesso che non so
quanto libera sia stata la sua scelta» dice. Poi aggiunge:
«La mia
non lo è stata: sono state le circostanze della vita a
portarmi a un
passo dall'altare.»
Il
giovane solleva una mano come per posarla sulla schiena di lei, o
magari su un suo braccio, ma si ferma poco prima che le sue dita
possano sfiorare la stoffa che ricopre la pelle della ragazza.
«Non
è forse spesso così, per le donne?»
Rosa
aggrotta la fronte. «Edoardo non è una
donna» dice, sorvolando
sulla domanda retorica che le è stata posta.
«Eppure non posso fare
a meno di pensare che anche lui sia stato manovrato da fattori
indipendenti dalla sua volontà. Mi ha confessato di non
avere alcun
desiderio di sposarmi, né di sposare un'altra fanciulla: non
è
stato lui a decidere di prendere moglie.»
Le
labbra di Tommaso si assottigliano in una smorfia che la ragazza
non sa interpretare. «Non sottovalutate il carattere
di vostro
cugino» sospira. «Scoprirete che è
impossibile imporgli una
decisione, per quanto sensata questa possa essere. È
possibile
che... che abbia deciso di sposarvi controvoglia, questo sì,
ma non
crediate che sia qualcosa che fa contro la sua
volontà.»
E
voi come fate a sapere queste cose? Vorrebbe
chiedergli. La
domanda è troppo sfacciata e le muore in gola, ma Rosa
è sicura che
Tommaso sia a conoscenza di cose di cui lei è all'oscuro.
Quanto è
intima l'amicizia che lo lega a Edoardo? Possibile che i due abbiano
discusso delle nozze imminenti?
La
ragazza china il capo e inconsciamente si morde le labbra, incerta su
come proseguire la conversazione. «Non credo di poterlo
amare»
mormora. Poi sgrana gli occhi: non era un pensiero a cui avrebbe
voluto dar voce, quello.
Tommaso
fa un piccolo suono d'assenso. «Suppongo che in talune
circostanze
l'amore abbia bisogno di tempo per sbocciare.»
La
sua voce è pregna di tristezza a Rosa si volta per
osservarlo
meglio. Gli occhi del giovane sono distanti, ma restano comunque
puntati sul cugino Edoardo. Il suoi lineamenti sono rilassati e
nell'espressione del suo volto la fanciulla crede di leggere una
tensione inequivocabile. Il cuore le balza in gola e le gote le si
imporporano all'improvviso. È
così, dunque? Si
chiede, incapace di accettare quello che la sua mente le suggerisce.
Tommaso... ed Edoardo? Davvero?
Il
concetto le è del tutto estraneo, alieno. Si sta forse
sbagliando? È
veramente possibile che tra i due uomini ci sia il tipo di legame che
le pare di avere intuito? Per un istante i pensieri sembrano
vorticarle furiosamente in testa e nel suo animo si scontrano
emozioni opposte. È sollevata perché, se Edoardo
è legato a
Tommaso, non pretenderà mai niente da lei, ma al contempo si
sente
quasi oltraggiata: accettando di sposarla suo cugino l'ha presa in
giro, forse al solo scopo di nascondere la verità. E
che
verità! Pensa con un capogiro. Non
c'è da stupirsi
che lo zio Antonio avesse tanta fretta di trovargli una moglie!
Tommaso
la sta osservando e lei deglutisce un paio di volte nel tentativo di
schiarirsi la voce. «Non credo nemmeno che lui possa amare
me, del
resto» sussurra infine con un filo di voce.
Il
giovane al suo fianco sposta nuovamente la propria attenzione su di
lei, ma sembra tutto d'un tratto incapace di incontrare i suoi occhi.
«Ci sono diversi tipi di amore» osserva con voce
pacata, e per
qualche motivo quell'affermazione fa scattare una scintilla di rabbia
nel petto della fanciulla.
«Ma
io voglio vivere quello che c'è tra marito e
moglie!» sbotta con
voce troppo alta. Edoardo deve averla sentita per forza, ma non da
cenno di aver notato la sua presenza. È
naturale! Pensa
Rosa con le mani che tremano. Preferisce ignorarmi
come fa
sempre! Probabilmente gli dà anche fastidio che
io sia
qui: penserà che mi stia intromettendo tra lui e il suo
amante!
Il
pensiero le riempie gli occhi di lacrime e la ragazza si strofina
rabbiosamente un pugno sul volto: non vuole piangere.
Le
mani di Tommaso si serrano gentilmente sulle sue spalle.
«Signorina
Rosa», mormora con voce quieta, «capisco che le
circostanze non
siano ideali, ma non intendevo turbarvi.»
La
giovane si sottrae bruscamente alla sua presa. «Non sono
turbata»,
ribatte, con la voce appena incrinata dal pianto,
«sono...»
"...arrabbiata" vorrebbe
dire, ma improvvisamente si rende conto che non è
esattamente così.
Non prova alcun affetto nei confronti del suo fidanzato, e il fatto
che Edoardo sia verosimilmente legato a un uomo, anziché a
un'altra
donna, la lascia del tutto indifferente. È
piuttosto delusa dalla
piega che ha preso la sua vita negli ultimi mesi, oppure...
«...
sono solo stanca» conclude pochi istanti più tardi.
«Scusatemi»
aggiunge poi, frapponendo le braccia tese fra sé e il
giovane e
allontanandosi a ritroso di qualche passo.
Quando
si rende conto che intende andarsene, sul viso di Tommaso si disegna
un certo allarme. «Rosa, aspettate!» la implora,
facendo
perseguirla.
L'esclamazione
del giovane sembra attirare finalmente l'attenzione dei Edoardo:
fermo al centro del recinto, l'uomo volta il capo nella loro
direzione e li guarda. Il suo volto è imperscrutabile e,
attraverso
le lacrime che le offuscano la vista, Rosa non può evitare
di
pensare che sembri quasi l'ombra di un condottiero d'altri tempi.
Che
vada al diavolo! Pensa con un rinnovato moto di
stizza. Che
se ne vadano al diavolo tutti quanti! Un sentimento
oscuro
le divampa nel petto e le lacrime le scivolano copiose lungo le
guance malgrado i suoi tentativi di arginarle. Non sa nemmeno contro
chi siano indirizzate quelle fiamme che le mordono l'animo, non sa
spiegarsi da dove nasca quel peso strisciante che le stritola le
interiora: sa solo che deve allontanarsi dalle stalle e dai due
uomini.
Quando
si avvia a grandi passi lungo il sentiero, Rosa si accorge che
Tommaso si muove come per seguirla, ma la voce del cugino Edoardo lo
richiama. «Lasciala andare» gli dice; e la
fanciulla piega le
labbra in una smorfia simile a un ringhio. Sì,
lasciatemi
andare, pensa mentre i suoi piedi si muovono in un ritmo
simile a
quello della corsa.
Ci
saranno delle conseguenze, non è così sciocca da
credere che ciò
che è appena caduto cadrà nel vuoto. Il suo
fidanzato verrà
certamente a cercarla, forse per pretendere delle scuse o forse per
capire quanto Rosa abbia compreso della natura dell'amicizia che lo
lega a Tommaso. In quel momento, però, il futuro le pare
privo
d'importanza: desidera solo restare sola.
Quando
giunge sulle sponde del laghetto non si stupisce tuttavia di vedere
una figura che l'attende accanto a un cespuglio di ortensie.
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