infanzia morta

di An13Uta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** infanzia morta ***
Capitolo 2: *** nessuno ***



Capitolo 1
*** infanzia morta ***


infanzia morta




A volte la sogna.

 

La radura dentro la Luna.


La sogna sempre più spesso.


E qualcosa cambia ogni volta.


Non è molto - cose da poco: i bambini che corrono si siedono un momento, un vento debolissimi fa stormire le foglie dell'albero. A volte, i bambini rimangono in piedi, perfettamente immobili per tutta la durata del sogno. Neanche lui si muove. Non è sicuro se sia perché non può muoversi, o perché non vuole.


Quando la sogna è sempre un bambino.

Sempre sé stesso bambino.

Porta sempre una qualche maschera in volto, ma non cambia mai aspetto.
 

Si muove raramente, nei sogni.


Osserva.


Un giorno, i bambini sono spariti.

Completamente volatilizzati.


Ne è rimasto solo uno - sono rimasti soli, solo loro due. Come allora.


Siede acciambellato su sé stesso all'ombra dell'albero, in silenzio.


Non vi è alcun suono.


Potrebbe camminare verso la fine della radura. Potrebbe vedere se effettivamente finisce, la radura, o se ad un certo punto l'albero ricomparirà alla vista, come se avesse girato in tondo. Oppure ancora, potrebbe continuare all'infinito verso un orizzonte sempre più lontano, più irraggiungibile, più verde, più pianeggiante.


Non si muove di un centimetro.


Più sogna, più il bambino cambia.


Non solo di posizione (a volte è abbarbicato su un ramo, altre si nasconde dietro al tronco; alcune rimane in piedi, fissando oltre quello che sembra sia il mondo intero, e altre è sdraiato in un qualche modo, ma sempre immobile come un morto), ma anche d'aspetto.


La limpida tunica si sgualcisce, si sporca, si allunga e si allarga fino a diventare troppo per un piccolo corpo, perdendo i semplici motivi ricamativi sopra mentre pende pericolosamente da una spalla. La pelle si scurisce, un po' per la polvere, la sabbia e la fuliggine che si accumulano su ossa sporgenti e un po' per una vita sotto un sole traditore, che brucia e asciuga e uccide. I capelli prima tagliati alla maniera del venditore di maschere, appena visibili dietro alla forma di cuore della sua maschera, ora la circondano con un'aureola fine insanguinata di curcuma.
 

In un sogno, si avvicina.

In un altro, si avvicina un po' di più.


Ci vogliono diversi sogni, ma finalmente, lentamente, si addormenta, ed è proprio sotto l'albero.


Occhi grandi ed arancioni su un viso viola lo fissano senza emozione.


Come allora.


Gli si siede davanti, e si osservano.


Che razza di coppia - rosso, cannella, bianco e biondo, rosa, verde.


Dei si osservano attraverso i loro visi coperti, le loro effigi impresse nel legno; si scrutano e si fulminano, stoici, senza pensieri.


Dita esili spingono dietro a un ligneo viso viola. Lentamente, come se fosse uno strato di pelle, lo rimuove quasi si stesse sbucciando il proprio volto. Lo vede, il segreto sotto alla maschera; eppure, per quanto ci provi, non riesce a tenerlo nella propria memoria. Ogni secondo che lo osserva è dimenticato, perso per sempre, e ogni dettaglio osservato sparisce sciogliendosi davanti ai suoi occhi, riemergendo sporadicamente in piccoli pezzi sconnessi e confusi.


Solo gli occhi rimangono.

Solo i piccoli, tondi, arancioni occhi.


"Io sono Oitesch," la sua voce sibila, allungando un palmo chiaro verso il suo mento, "E non ho nessuno al mondo."


Lui non si muove.


Permette che venga spogliato della divinità - permette che manine gracili passino sul suo viso senza faccia, che esplorino una landa pallida, squallida, rosata, desolata, perfettamente piatta perché privata della montagna di un naso, del canyon tra due labbra, dei crateri in cui vacillano debolmente laghi oculari.

Una delle sue mani chiare di bambino, segnate da anni ed anni di battaglie, si chiude sulla nuca coperta da ciocche selvatiche con una carezza. L'altra si arrampica fino a un polso scuro per accoglierlo gentilmente al suo interno.


Rimangono fermi così, immobili, fissandosi a lungo senza una parola.



Qualcosa gli stringe il petto per la nostalgia.

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Capitolo 2
*** nessuno ***


nessuno



In un sogno, lo tocca.
 

È semplice.

Spaventosamente semplice.

Allunga una mano verso di lui, e la sua pelle è fredda e sottile e screpolata sotto le dita.

I polpastrelli scivolano appena sulla guancia di cannella.


Le maschere giacciono a terra da diversi sogni ormai.


I piccoli, tondi, arancioni occhi lo fissano.


Qualcosa lo prende.

Qualcosa dentro di sé si impossessa di lui.


Passa le mani sulle fattezze che emergono e annegano nel viso scuro e all'improvviso le vede, chiare, perfettamente definite, come se avesse riesumato un teschio ancestrale dalle sabbie del deserto; non ha parole per descriverle ma il petto gli fa male, gli si stringe e collassa su sé stesso e brucia, ed è una cosa così dolorosa che non vuole più smettere di sentirla.


Le dita accarezzano appiattendola un'aureola di capelli rossi come il tramonto e si aggrappano alla nuca, al collo, all spalle, e i loro corpi di bambini crescono e crescono e crescono mentre scivola sopra e sotto le sue braccia, prendendo i lati del suo petto nei palmi, seguendo il taglio dell'anatomia sotto la ruvida stoffa della sua sudicia tunica e stringendo attorno ai fianchi, alla vita, alla pancia mezza vuota, al bacino affilato, e sono adulti senza volti e senza vita e disperati e con tante parole che urlano nelle loro teste e che vogliono vogliono vogliono vogliono così tanto e così terribilmente quando gli tiene la gamba nella mano e la solleva appena e Dee, vuole dirgli, Dee, oh Dee, oh Dee, sei bellissimo, vuole dirgli, sei bellissimo, sei bellissimo e ti voglio così tanto, così tanto, e mentre lui si accascia all'albero e lentamente scende, scende, scende fino a sdraiarsi a terra con le membra abbandonate simile ad un pupazzo che riposa dopo un gioco sfrenato, lui copre la vista del cielo con il suo corpo senza appoggiarlo al suo e lo fissa intensamente con la sua faccia vuota e rosata come se volesse bruciarlo completamente e ridurlo in cenere e con quella bocca che non ha vuole dirgli, sei bellissimo, sei bellissimo, e lo vuole tenere fino a rompergli le ossa e sciogliersi e fondersi con lui e vuole dirgli, sei bellissimo.


Poi si blocca.

Rimangono fermi, immobili.

Come due amanti in un dipinto sconcio.


La sua testa urla ancora e le sue mani sono ebbre e febbrili e il suo petto fa male, fa così male, fa così orribilmente male, e lo vuole.

Ma resta immobile.


I piccoli, tondi, arancioni occhi lo fissano.

In silenzio.


Le costole si gonfiano lentamente sotto la tunica sporca, una volta candida.


Esala.

Il suo fiato è gelido.


Brividi ululanti cavalcano in una caccia infernale sulla schiena coperta di verde.


Fissa.


"Non ho nessuno al mondo." soffia attraverso i denti. "Non ho nessuno al mondo."


Fissa nel viso senza volto che si staglia contro il fogliame.


"Non ho nessuno al mondo." le sue labbra si muovono sottili e la sua voce è flebile. "Nessuno al mondo."


Un viso senza volto preme contro il suo collo; lui inala con un sibilo, e i muscoli nei suoi arti mal sviluppati si contraggono.

Le sue dita si alzano lentamente.


"Nessuno al mondo."


Strisciano e si incastrano tra ciocche di capelli biondi, si chiudono attorno a quei fili di grano sempre di più e tirano, tirano, tirano come se dovessero strappare carne e pelle, tirano fino a far male da impazzire, e ancora lui affonda i denti che non ha nello spazio tra il suo collo e la sua spalla e mentre una mano spinge le unghie chiare nella sua gamba gracile l'altra afferra un palmo protetto da nocche sporche di cannella e lo stringe e ne viene stretta, quasi si dovessero ridurre in polvere a vicenda, e lui continua a lamentarsi con un fil di voce e lui cerca di calmarlo e rassicurarlo con un sibilo che non esce dalla bocca che non ha - sono adulti, sono adulti, sono adulti, basta, basta, sono adulti, queste cose sono finite, devono essere finite, devono finire una volta che si è adulti, devono finire, tutte quelle cose che hanno passato non devono più tormentarli, sono adulti, sono adulti e non possono più essere alla mercé dei ricordi di tutto quello che ha fracassato il delicato cranio di cristallo e foglie secche della loro infinita infanzia dilaniata da lunghi denti di belve e coperta di schegge d'osso e ombre lunghe e odore di ferro scarlatto - e sotto un berretto verde i pensieri urlano come furie intrappolate in un ciclone, e da labbra di vetro scuro vengono ripetuti all'infinito sussurri impercettibili.


Sono adulti.

Sono adulti.

Sono adulti.

Sono adulti.

Sono adulti.

Sono adulti.

Basta.

Basta.

Basta.

Tutto questo.
 

Le ossa si sciolgono.

Si accasciano l'uno sull'altro.
 

Basta.


Fa male.

Fa male da morire.


Dita scheletriche tirano i suoi capelli biondi, sollevano la sua testa - sente che la pelle si allunga e rientra, che si plasma.

Si osservano.

Si fissano.

Si vedono.
 

Finalmente.


Sei bellissimo, vuole dirgli.


Ha gli occhi arancioni.

Così arancioni.


"Nessuno al mondo." mormora ancora.


Lo tiene.

Lo tiene a sé.

Più stretto che può.


Quando si sveglia il petto fa male.


Fa così male.

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