Brucerò per te

di FreDrachen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Inferno,Voragine

La Voragine, nel Centro dell'Inferno e poco distante dalla tenuta del Boss, era piena quel giorno.

I lamenti, che si levavano dal suo interno, suscitavano una sorta di ebbrezza nei cuori dei Mezzi Demoni che assistevano all'agonia dei prigionieri.

La scena che si presentava agli occhi di chi assisteva, ricordava molto uno di quei quadri medievali che rappresentavano l'Inferno con i corpi che si contorcevano sotto le torture inflitte e diversi strumenti mortali.

Infatti, lungo le pareti terrose che caratterizzavano la Voragine, si intravvedevano diversi strumenti di tortura: seghe, ferri per marchiare con il fuoco, pinze arrugginite. E ancora spade, pugnali di diverse forme e dimensioni, asce, mazze ferrate e chiodate e altri innumerevoli strumenti di tortura di ogni parte del mondo e di ogni era.

Sul fondo, a creare la nebbia che l'avvolgeva senza sosta, erano situati enormi calderoni di olio bollente e tizzoni ardenti. Il bagliore accecante che veniva dal fondo, confondeva la vista di ciò che di raccapricciante accadeva.

E in quella nebbia e luce si distinguevano le figure snelle dei torturatori e i corpi dei torturati.

I primi erano magnifici, e al tempo stesso terribili, fasciati in canotte nere aderenti che lasciavano trasparire gli addominali scolpiti, e pantaloni in pelle infilati in anfibi neri.

I secondi erano vestiti di stracci, la pelle giallastra o cinerea e gli occhi infossati. I loro corpi erano incatenati e penzolavano da travi, altri invece erano intrappolati tra i più svariati strumenti di tortura. Si contorcevano e gridavano di fronte alla smania di dolore e follia dei loro aguzzini che, imperiosi, infliggevano senza pietà tormenti infernali.

E tra di loro stava Lui, un ragazzo all'apparenza  sui diciotto anni.

A differenza degli altri torturati, era vestito come i suoi torturatori, eppure la canotta nera era stracciata e i pantaloni erano graffiati in più punti.

Incatenato a parte, contro il muro, fissava quasi con sfida i suoi torturatori, null'altro che due tra i suoi innumerevoli fratelli e sorelle. Entrambi sfoggiavano un'espressione feroce sul viso.

Uno di loro brandì un attizzatoio, e con mano esperta colpì il ragazzo al fianco.

Quest'ultimo non emise alcun lamento.

Deluso, l'altro Mezzo Demone gli inflisse un profondo taglio sulla coscia destra con la spada che reggeva in pugno.

Neanche questa volta un solo sospiro uscì dalla sua bocca.

Gli unici aspetti che testimoniavano la sua sofferenza erano i rivoli di sudore che gli scendevano dalla tempia, e le labbra contratte.

Eppure, pur soffrendo atrocemente, i suoi occhi non erano spenti e vitrei come quelli degli altri torturati, bensì erano ancora pieni di vita, e fissavano con scherno i due Mezzi Demone.

Sembravano desiderosi di infliggergli le peggiori torture mai esistite. Neppure con i Dannati si accanivano in quel modo quasi morboso.

Ma lui non era come gli altri condannati lì. La sua presenza era per un motivo ben preciso. La sua sentenza era tradimento, ma sapeva fin troppo bene che la verità era ben altra. Eppure solo da poco aveva capito di essere circondato da mentalità ottuse e che non volevano ammettere o solamente accettare ben altre realtà.

Nathan abbassò l'attizzatoio con evidente seccatura.

«Sei impossibile! Qualsiasi pena ti infliggiamo niente, non urli, non chiedi pietà! Che gusto c'è allora a torturarti?»

Il ragazzo sorrise con il labbro spaccato, un sorriso che sarebbe potuto sembrare un ghigno spaventoso.

"E cosí ti stai ammorbidendo, eh Nat? Chi è dei due quello debole adesso?" pensó con disprezzo.

L'altro Mezzo Demone, Diego, invece rialzò la spada che reggeva con la mano destra, mentre con l'altra teneva ben salda una catena in ferro collegata a un collare del medesimo materiale che di lì a poco avrebbe utilizzato per imprigionarci il collo del suo prigioniero e poi assicurato alla parete della Voragine.

«Non credere che io sia sentimentale come Nathan. A me non importa nulla del tuo falso coraggio. Ti faró penare come un dannato!»

«Beh, allora cosa aspetti a colpirmi? Che arrivi qualcuno a darti un ordine diretto? Sei davvero così codardo Diego?»lo sfidò con voce dura l'altro, infischiandosene delle conseguenze.

Il colpo arrivò improvviso. Dal fianco si propagò un dolore lacerante, la dove la lama nera era penetrata.

Il ragazzo strinse le labbra fino a riaprire la ferita appena rimarginata sul labbro, ma si costrinse a non urlare.

Non voleva di certo dargli la soddisfazione di vederlo piegato.

Diego si avvicinó, fermandosi ad un non nulla dal suo viso. «Ti credi forte, eh? Credi di sembrare invincibile e invulnerabile quando non urli, o non mostri alcuna sofferenza alle nostre torture?»gli domandó spietatamente.

Il ragazzo lo trafisse con lo sguardo, con i suoi inquietanti e splendidi occhi verdi.

«E tu cosa ne sai della forza Diego? Non l'hai mai conosciuta, e ancora adesso ti nascondi dietro una spada. Cosa ne sai tu del coraggio?»

Diego sogghignó.

«A differenza tua io so dov'é il mio posto, e qual é il mio compito. Non sono io che mi sono condannato per salvare la vita a quell'insulsa umana, né ho tradito sangue del mio sangue».

"Come fosse lui quello tradito" si ritrovó a pensare in modo sprezzante il diretto interessato, ripensando alla persona di cui si era fidato piú di se stesso. Lo stesso uomo che l'aveva tradito e peggio, che aveva provato a uccidere Lei.

Lei.

Solo a pensare al suo sorriso, sentiva un tuffo al cuore.

Era stato necessario il suo gesto disperato. Per salvarle la vita, si erano dannati entrambi.

Lei con impresso sulla fronte il Marchio, l'unico modo per tenerla al sicuro dai suoi simili.

Lui imprigionato nella Voragine, condannato per l'eternità.

Eppure al ricordo della sua gaia risata, ai suoi occhi scintillanti come stelle pieni di passione e amore, non rimpiangeva affatto la sua scelta.

Aveva fatto una scelta da cui era impossibile redimersi, eppure non gli importava.

E ripensando a Lei, gli vennero in mente le parole del ritornello della Sua canzone preferita: Bruceró per te dei Negrita.

"Bruceró per te
mi ferirò per te
io bruceró per te
mi ammalerò per te..."

Parole che gli erano rimaste scolpite nel cuore. Le stesse parole a cui pensava mentre cercava di salvarla.
Si era ripromesso, quando per la prima volta le aveva sussurrato "Ti amo", che l'avrebbe protetta da tutto e da tutti.

E adesso avrebbe subito le conseguenze di questa sua promessa.

Ad attenderlo, da quel momento in poi , non vi erano altro che i ricordi, e il dolore.


Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti ^^

Vorrei premettere che la storia non è tragica(in fondo dato che è la prima di una trilogia non posso farla finire male proprio adesso)per cui non preoccupatevi per l'inizio un po' cruento ^^

Poi vorrei precisare che tra qualche capitolo sembrerà che sia presente una sorta di incesto...che non è incesto, dato che i Mezzi Demone condividono solo il genitore demonaico che non trasmette patrimonio genetico (ve lo dico già così siete preparati ^^)

Bene...detto questo ci saluto :)
Se volete dirmi la vostra, se avete delle curiosità fatevi pure avanti ^^

FreDrachen

NB!!!
Mi scuso per eventuali errori presenti nel corso della storia. Non appena la terminerò la revisionerò per bene :)

NBB:
La storia all'inizio procede tranquilla ma non temete! I colpi di scena non mancheranno di certo ;)

NBBB(Ultimo che metto giuro XD):
Nel corso della storia troverete talvolta un linguaggio leggermente ""scurrile"" ^^"

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Qualche mese prima(da questo capitolo fino all'epilogo compreso XD)...

16/04/15

Margherita
Terra

"La sua mano scivolò lentamente lungo il suo profilo, delicata, come fosse un oggetto prezioso. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi verdi di lui che brillavano di una luce tutta loro, pieni di desiderio. Desiderio di lei. Il suo fu un gesto dettato dal cuore, quello di alzarsi in punta di piedi, e..."


«Margherita, sei ancora davanti al pc? Sbrigati a prepararti! Sei in ritardo per la scuola».

Margherita gemette.

"Non adesso mamma, ti prego".

«Ancora cinque minuti ti prego! Sono arrivata a un punto importante!»

«Cinque secondi. Non uno di piú»fu la risposta repentoria di sua madre.

«Ma é il tempo necessario per chiudere il documento»protestò la ragazza.

«Appunto».

Margherita non demorse, e partì in quarta per un ultimo tentativo. «Non posso neanche finire la frase?»

«Margherita»la riprese sua madre. «Non costringermi a sequestrarti il computer. Finirai di scriverlo oggi pomeriggio dopo aver fatto i compiti».

Rinunciando a continuare oltre la loro discussione, la ragazza sbuffò sonoramente mentre con il mouse cliccò sull'icona "Salva" per salvare quel piccolo pezzetto che aveva scritto per il suo romanzo.

"Se poi mi passa l'ispirazione é tutta colpa tua"pensò imbronciata, mentre spegneva il pc e si alzava dalla sua sedia girevole verde dallo schienale nero.

Velocemente indossò un dolcevita nero, un pullover nero e un paio di jeans presi a caso nel mucchio poggiati su una sedia. "Viva l'ordine che regna in camera mia", pensò tra sé e sé.

Recuperò la cartella e raggiunse la madre all'ingresso.

Viste da fuori non sembravano neanche madre e figlia. Mentre Margherita era di statura bassa e dalle forme corpose, dai capelli ricci castano scuro lunghi fino alle spalle che si aprivano a sipario su una fronte non troppo ampia, e gli occhi castani anch'essi, la madre aveva invece i capelli biondo platino tagliati a caschetto, gli occhi azzurro slavato, molto alta anche senza i tacchi che lei trovava assolutamente comodi. Essendo la segretaria in un call center vestiva in modo impeccabile e professionale:una camicia bianca morbida sotto una giacca grigia in panno, simile alla gonna al ginocchio che portava.

Non appena si accorse della figlia, le rivolse un'occhiata di disappunto.

«Marghe, quanto ti deciderai a vestirti come una signorina?»

Eccola solita frase di routine, pensó scocciata la ragazza.

«Ogni mattina la stessa storia. Mamma, dammi tregua».

Sua madre, Katherine, la fissó quasi risentita.

«Pensare di migliorare il look della propria figlia é un reato per te?»

Ahia. La conversazione stava entrando in un campo minato.

«Niente affatto»rispose prontamente Margherita.«Solo che, secondo me, non devi questionare per ogni vestito che indosso. Manco andassi in giro nuda. Solo in quel caso posso accettare le tue proteste. E poi, non penso di andar in giro conciata cosí male come vuoi far credere».

Katherine le getto un'occhiata, e annui.«Lo so questo Marghe. Solo non troverai mai un ragazzo se vesti cosí infantile».

Margherita arrossì fino alla punta dei capelli. Con sua madre non tiravano fuori l'argomento ragazzi, dato che lei non ne aveva mai avuto uno in tutti i suoi diciassette anni di vita.
«Mamma! Ho solo diciassette anni e tutta una vita davanti. Se troveró il ragazzo giusto per me, ben venga. Ma non voglio qualcuno che mi ami per il mio aspetto, ma per come sono dentro. Se sono ancora infantile, come dici tu, e sognatrice, ecco, é questo che dovrà amare per amarmi».

Katherine sorrise.«Parli come un libro aperto».

Margherita sorrise a sua volta. Lei aveva una passione innata per i libri e per la scrittura. Aveva cominciato tardi a leggere seriamente veri romanzi, tutti rigorosamente fantasy e paranormali e occasionalmente qualche thriller e romanzo rosa. E da quando aveva iniziato non era passato giorno in cui non leggeva qualcosa.

La scrittura era arrivata dopo.
Dopo che un'altra delle sue migliori amiche, che conosceva da quando era piccola, Laura, si era allontanata da lei senza motivo e senza darle spiegazioni. Dopo che lei avesse scelto una compagnia diversa dalla sua, e che l'avesse abbandonata come spazzatura.

Dopo che il suo mondo, per quello, era andato in mille pezzi.
La scrittura era stata la sua ancora di salvezza, la sua speciale evasione dal mondo reale e dai suoi problemi.

E cosí si era messa in testa di diventare, in un futuro prossimo, una promettente scrittrice.

«E ancora non capisco dove trovi le forze di alzarti cosí presto la mattina per scrivere».

«Mamma, un romanzo non si scrive da solo. Ci vogliono costanza e impegno per portarlo a termine»ribatté pacata Margherita.

Sua madre ancora non accettava questa sua grande passione. In fondo, lei faceva un liceo scientifico biologico.

Come aveva potuto trovare l'amore per le parole in un mondo di numeri e formule chimiche?

Ecco, questo si chiedeva ogni giorno Katherine.

La donna si massaggió le tempie.

«Quando ti capiró sarà troppo tardi, bambina mia». Recuperó il suo touch ultimo modello dalla tasca della giacchetta per vedere l'ora.

«Dato che sono in anticipo, ti accompagneró io, in auto, a scuola».

Margherita strinse le labbra.«Non so. Avevo promesso ad Amira che ci saremmo viste sul bus».

Amira era una delle sue compagne di classe preferite, una delle poche con cui poteva essere davvero se stessa, anche se aveva un unico difetto:detestava i fantasy. Ma a parte quello, era sempre disponibile a seguire i suoi discorsi strampalati sull'ultimo libro che aveva letto, o del suo romanzo in corso d'opera. E c'era stata dopo il dissidio con la sua ex migliore amica.

Katherine alzó il dito indice.«Non importa. Avresti dovuto far piú in fretta. E adesso andiamo».

Margherita la fissó ancora per un momento, poi seguí la madre fuori dalla porta.

Abitavano in periferia, in un palazzo alto cinque piani con la facciata color aragosta macchiata peró dallo smog prodotto dal bus che tutti i giorni gli passava di fronte.

La scuola, invece, distava a quaranta minuti di bus da lí, molti meno invece in auto.

Mentre la madre, seduta al volante della sua Opel, era concentrata sulla strada davanti a sé, Margherita, seduta sul sedile posteriore lasciava vagare lo sguardo fuori dal finestrino, senza peró concentrarsi su ció che vedeva. A quella velocità le persone che camminavano sul marciapiede o ferme alle fermate dei bus, sembravano macchie indistinte ed anonime, fino a quando non si fermarono ad un semaforo.

Fu proprio in quel momento che Marghe scorse Amira alla fermata del bus. L'amica abitava cinque fermate dopo rispetto a lei, ogni mattina(se non era in ritardo) cercava di prendere il suo stesso bus per fare la strada insieme. Con sincero divertimento, Marghe vide Amira sbuffare mentre guardava l'ora sul cellulare, battendo il piede terra con aria ansiosa.

«Mamma accosta alla fermata. C'è Amira»avvisó Marghe sporgendosi verso la madre.

«L'ho vista»fu la risposta secca della donna, e con un colpo di clacson attirò l'attenzione di Amira, che si girò subito nella loro direzione, e aprendosi in un largo sorriso quando la macchina scattò al semaforo verde e si accostò al marciapiede.

Margherita abbassó il finestrino.«Ciao Amira»la salutó.

«Oggi a quanto vedo sei puntuale come al solito»ribattè l'altra. Ormai Amira si era arresa da tempo al suo perenne ritardo.

Ma non era colpa di Marghe che il tempo scorreva troppo veloce.

Margherita sorrise di fronte al buon umore dell'amica.

«Ti va un passaggio?»

«Sarei una stupida se non l'accettassi».

Marghe bloccó le portiere, e spostó lo zaino per far spazio a Amira, che salì con grazia.

Amira di aspetto era molto diversa da Margherita. Innanzitutto la sovrastava di una ventina di centimetri, aveva la carnagione abbastanza pallida e capelli ricci scuri lunghi fino alle spalle. Anche gli occhi avevano una tonalità scura, sempre pieni di ottimismo e vitalità. Nessuno avrebbe mai indovinato le sue origini egiziane.

«Allora, Silvio Pellico, a che punto sei delle tue memorie?»

Marghe sorrise alla battuta dell'amica.

«Non sono cosí portata ad arrivare ai suoi livelli. Comunque oggi ho scritto un pezzetto che ancora non so dove inserire. Era solo un'idea che ho voluto buttare giú prima di dimenticarmela».

«Come hai fatto con tutte le altre idee. Lo sai che prima o poi dovrai riordinarle tutte, no? Non temi di fare confusione?»

Marghe aggrottò la fronte.«Spero di no».

La madre, dai sedile anteriore di giuda, ridacchiò, beccandosi uno sguardo risentito da parte della figlia.

«E i personaggi? Hai già dato loro un volto e un nome?»

Marghe scosse la testa.

«No, non ancora. Per ora mi sto limitando a scrivere le idee migliori che mi frullano per la testa. Poi le riordinerò per dar loro un filo logico, e solo allora darò un nome e un volto a ciascun personaggio».

Ancora non se la sentiva di rivelarle da dove provenivano alcune delle sue idee.

Amira alzò gli occhi al cielo.«Sei veramente strana Marghe».

Marghe assunse un finto broncio.«Grazie tante per il complimento. Non è la prima volta che me lo fai notare. Allora, hai o non hai fiducia nelle mie capacità?»

L'amica la fissò con divertimento.

«Devo risponderti?»

«Siamo arrivate».

La voce di Katherine interruppe sul nascere la risposta sarcastica di Margherita. Salvata dalla intromissione della donna, Amira sospirò di sollievo, regalando all'amica una beffa amichevole.

Marghe le rispose a tono e recuperò la cartella grigio petrolio al suo fianco prima di aprire la portiera. Quando scese, i suoi piedi incontrarono un tappeto soffice di foglie cadute,chissà perché dato che era primavera già da un bel po', davanti all'entrata della scuola.
L'edificio non era molto alto, ma ben sviluppato in lunghezza. A pianta irregolare, era d'un violetto tenue e bianco, pieno di finestre adornate da semplici tendine bianche, che gli conferiva nel complesso un aspetto sereno.

«Buona giornata Marghe. Ci vediamo stasera a cena»la salutò gioviale la madre. Marghe si limitò a un breve cenno di capo. Poi si girò e si diresse verso l'entrata.

«Grazie Signora Parodi per il passaggio» la ringraziò Amira, prima di seguire a ruota l'amica.

«Ah Marghe!»fermó Katherine la figlia.«Stasera ci saranno con noi anche Carlo e i suoi figli».

Questo inchiodò Marghe al suo posto.

No! Non di nuovo!

Si voltò per ribattere, ma la madre aveva già fatto inversione di manovra e si era messa in strada.

«Marghe che hai? Ti vedo un po' combattuta»disse Amira al suo fianco.

Si vedeva lontano un miglio ciò che provava?

Si asciugò con il dorso della mano una lacrima solitaria prima che scendesse giù per la gote.

«No, va tutto bene...credo».

Notando l'apprensione dell'amica, esibì un debole sorriso.«Credimi. Non preoccuparti, non è così grave come lo faccio sembrare».

Carlo Bonarrotti era il nuovo compagno della madre, che aveva conosciuto cinque mesi dopo la separazione da Tommaso, suo padre.

Di professione faceva il medico, per l'esattezza il chirurgo all'ospedale.

Non era una persona sgradevole, anzi cercava in tutti i modi di metterla al suo agio. Il problema erano i suoi figli :Nicolas e Clara.

Nicolas aveva la sua stessa età, e si comportava da vero cretino. Più di una volta ci aveva provato con lei e fino a quel momento, per fortuna era riuscita a gestirlo.

Ma quanto ancora avrebbe retto, se una sera si e l'altra pure, se lo ritrovava per casa?

E poi c'era Clara, l'adorabile sorella di Nicolas. Aveva sedici anni, eppure aveva già manie da prima donna. Credeva di sapere tutto, e parlava sempre di sesso e ragazzi. Nell'arco dell'ultimo mese ne aveva cambiati, si e no, una quindicina. Insomma era un continuo tira e molla.

Ed era un continuo rinfacciarglielo.

Marghe non aveva mai avuto un fidanzato ufficiale, a parte qualche cotta passeggera. L'ultima in seconda superiore per un certo Mattia, che aveva mantenuto un contegno indifferente di fronte ai suoi tentativi di fargli capire quanto gli piacesse. E dopo quel rifiuto silenzioso aveva detto no. Quando sarebbe arrivato quello giusto ben venga.
E così non si era imbarcata in situazioni amorose.

«A cosa stai pensando?»

La voce di Amira fece ritornare la sua mente sulla terra.

«A quanto faccia schifo la mia vita»borbottó aggiustandosi la spallina dello zaino che pian piano stava scivolando giù per la spalla.

Amira la prese a braccetto.«Dai, non è poi così male. Devi solo cercare di cogliere i momenti migliori della vita».

Marghe non sembrava del tutto convinta.«Tipo?»

«Logico! I momenti che passi con me e le altre».

Questo strappò a Marghe un sorriso.

Ma era più facile a dirsi che a farsi.

«Cos'abbiamo adesso?»domandò Marghe per cambiare argomento.

«Inglese».

«E tu vuoi che sia ottimista in questo momento? Quando nei prossimi sessanta minuti saró in compagnia della lingua con cui faccio a pugni da quando sono nata?»

Amira scoppió a ridere.«Non esagerare Marghe. Comunque ti do credito. Ho scelto il momento sbagliato per darti suggerimenti».

Marghe le regalò un debole sorriso. Fece per risponderle, ma qualcuno la urtò non proprio leggiadramente, facendola barcollare.

«Ehi, grazie tante»si lasciò scappare.

La ragazza che l'aveva scontrata si girò. Era Emma, sfortunatamente, una sua compagna di classe. Era considerata la ragazza più bella del loro piano se non di tutta la scuola. Aveva lucenti capelli castani lunghi appena oltre le spalle e occhi verdi come smeraldi, seminascosti dietro a in ciuffo pressochè perfetto. Di corporatura esile, sembrava una di quelle top model uscite dalla riviste di gossip, testimoniato anche dai vestiti che indossava:una maglietta scollata a V che copriva il minimo indispensabile, così come la minigonna. Ai piedi calzava dei vertiginosi tacchi, manco dovesse passare una serata in discoteca.

«Hai qualche problema Fiorellino?»le domandò Emma, con aria di superiorità.

Marghe deglutì. Non era un tipo che rispondeva per le rime, e le sue parole scocciate di poco prima le erano scappate per sbaglio. Rossa come un peperone, cercò nella sua mente, una risposta che rappresentava al meglio ciò che voleva dire senza risultare troppo scortese.

Ma Amira accorse in aiuto della amica.

«Hai per caso un problema alla vista? Non hai visto dove andavi?»rispose per Margherita ad Emma, battendo sul tempo l'amica.

Emma squadrò entrambe con freddezza, per poi scoppiare in una risata cristallina.

«Hai bisogno di una babysitter per risolvere le questioni, eh Fiorellino?»

Marghe si fece piccola piccola, desiderando con tutto il cuore di sparire, o che Emma si decidesse a lasciarla in pace.

Emma ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano, un gesto che sarebbe parso agli occhi degli altri sensuale, prima di allontanarsi per raggiungere il suo ragazzo, Mattia, un giorno si e uno no. Margherita li continuò a fissare anche quando Emma si avvinghiò a Mattia, baciandolo con trasporto.

Emma e Mattia.

La sua ex migliore amica insieme a Lavinia, e la sua ex cotta.

Non si sarebbe mai detto che fino alla prima media, lei ed Emma erano amiche inseparabili. Si conoscevano da quando avevano due anni, ed erano sempre state inseparabili. Fino a un giorno d'estate dopo la fine della prima media, quando Emma aveva deciso che non le importava più nulla di lei.

Le salivano sempre le lacrime agli occhi, ripensando a quella scena.

Emma che si trovava in compagnia di altre due ragazze che non conosceva. Lei si era avvicinata salutando l'amica cordialmente, e come risposta aveva ottenuto sguardi freddi da parte di tutte e tre le ragazze.
Una delle due aveva chiesto ad Emma:«Ma chi è questa?»

La risposta che le aveva dato Emma, l'aveva lasciata senza fiato, e quelle spietate parole si scalfirono nel suo cuore.

«Non l'ho mai vista in vita mia».

Margherita era indietreggiata con le lacrime agli occhi. Perché si era comportata in quel modo? Cosa le aveva fatto di male per indurla a trattarla così? Si sentiva tradita e abbandonata. Con il tempo, il dolore e la tristezza erano scemati, ma non l'amaro in bocca che quella storia aveva lasciato dietro di sé.

«Pronto? Terra chiama Marghe, ci sei?»

Marghe si riscosse.«Si, ci sono...credo».

Amira seguì il suo sguardo ancora puntato su Emma.«Non devi più pensarci, lo sai. Il passato è passato e non si può tornare indietro per cambiarlo».

Marghe si asciugò una lacrima con il dorso della mano.«Vorrei, oh eccome se lo vorrei. Ma non ci riesco. È parte della mia vita, e io non voglio dimenticare».

«Ti capisco Marghe. Ma ora su con la vita. Pensa che tra cinque ore saremo fuori di qui. Sei contenta?»cercò di tirarle su il morale Amira, prendendola a braccetto.

Se la metteva su questo piano, si sentì meglio. Fino a quando non le tornò in mente quello che l'aspettava quella sera, facendola ripiombare nell'angoscia.

La giornata non si prospettava per niente delle migliori.


 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


Capitolo 2

Seth
Inferno, Landa della Paura

Correva come se ne andasse della sua vita.

La terra brulla e scura sotto i suoi piedi era scoscesa, piena di sassi sporgenti e buche. Inciampò proprio in uno di esse, e cadde a terra.

La pelle già scorticata e piena di lividi gli mandò una stiletta di dolore.

Ma non demorse.

Si rialzò in fretta per continuare la sua folle corsa contro il tempo. Sapeva che Loro lo avrebbero trovato presto. Ma se avesse raggiunto la Landa della Lussuria, sarebbe stato salvo. Si sarebbe nascosto in una di quelle locande raggruppate nei Villaggi Carnali sparsi per l'intera Landa, e si sarebbe potuto divertire per l'eternità. Molto meglio del posto dove si trovava fino a quel momento, una terra spoglia popolata dai loro peggiori incubi che si materializzavano per perseguitarli, per l'eternità.

Inciampò in un sasso sporgente e per poco non cadde nuovamente. Si riprese subito e ricominciò a correre.

Aveva da poco guadato il Fiume degli Incubi, posto a metà Landa, quando sentì i passi di uno dei suoi inseguitori riecheggiare in lontananza. Passi rapidi in avvicinamento, troppo veloci, si ritrovò a pensare. Aumentò la velocità, eppure continuava a sentire il fiato del suo inseguitore sul collo.

Poi avvertì il sibilo di una frusta al suo fianco, scattante e veloce come un serpente. In un lampo se la ritrovò attorcigliata intorno alla caviglia. Uno strattone improvviso lo fece cadere a terra, sbattendo violentemente con la mascella. L'impatto fu così violento che il mondo si tinse di nero per qualche secondo. A fatica voltò la testa, e non appena riconobbe le fattezze del suo inseguitore, impallidì di colpo.

Di fronte a lui, la frusta stretta nella mano sinistra, un ragazzo che dimostrava diciotto anni, che si scostò un ricciolo pressoché perfetto castano scurissimo con fare annoiato.

«A quanto pare la tua corsa finisce qui, Hugo»gli disse con voce vellutata, gli occhi verdi che scintillarono di malizia.

Hugo provò un patetico tentativo di liberarsi dalla stretta ferrea della frusta, ma il ragazzo gli si fece d'appresso e gli assestò un calcio all'addome, che lo fece barcollare di dolore.

«Sei stato davvero molto cattivo Hugo a lasciare il tuo posto»continuó con lo stesso tono mellifluo il ragazzo.«E tu sai dove finiscono le anime che non si comportano come devono, no?»

Il volto di Hugo sbiancò.«No. Ti prego! La Voragine no!»

Sul volto del ragazzo apparve un sorriso sadico.

«Avresti dovuto pensarci prima insignificante umano».

Abilmente, come se quel gesto lo avesse ripetuto milioni di volte, serrò i polsi con un paio di manette dietro la schiena.

Hugo cercò di sottrarsi dalla sua portata, ma Seth lo recuperò e come nulla fosse, cominciò a trascinarlo. Subito Hugo cominciò a scalciare come una bestia impazzita, puntando i piedi sul terreno brullo.

«Brutto figlio di put...»fece per urlargli, ma il ragazzo fulmineo, troppo veloce per la visibilità umana, lo lasciò di colpo, estrasse la sua spada dal fodero che portava al fianco, e lo trapassò a livello dello stomaco. Le urla agghiaccianti di dolore del dannato riecheggiarono in tutta la Landa della Paura.

Ma ancora tutto ciò non gli bastò di lezione. Fece nuovamente per divincolarsi, ma Seth lo afferrò per i capelli e ruotò di scatto il polso. Si sentì il crack delle ossa del collo che si spezzavano.

Con la testa a penzoloni, che lo faceva somigliare a Nick Quasi Senza Testa della saga di Harry Potter, Hugo crollo in ginocchio, e cominciò a piangere come una femminuccia.

"Patetico"pensó Seth con disgusto crescente.

Tra tutti gli umani, erano quelli come Hugo che disprezzava in assoluto. Subdoli, che in caso di pericolo si comportavano da vigliacchi.

«Ne hai abbastanza?»gli domandò Seth, mentre un sorriso crudele affiorò sulle sue labbra.«O devo continuare?»

Hugo non rispose, chiudendo gli occhi, apparentemente sconfitto.

«Saggia decisione. Dato che ti sei ribellato molto meno di altri tuoi compagni, farò in modo che il tuo soggiorno nella Voragine sia...memorabile».

Hugo riaprì di scatto gli occhi.«No! Preferisco morire che seguirti!»

E con tutta la forza che aveva, riuscì a rompere le manette, aiutato anche dalla sua stazza che faceva concorrenza a quella di un gigante, si gettò su di lui, con la disperazione di uno che non aveva più nulla da perdere, e con soddisfazione riuscì a farlo cadere di schiena.

Il suo cuore si gonfiò d'orgoglio, quando si accorse di aver sconfitto il Mezzo Demone più forte della Landa.

Ma ben presto la gioia si trasformò in paura, non appena incrociò lo sguardo con gli occhi freddi di Seth, che cominciarono a illuminarsi, conferendogli un aspetto quasi spettrale. Le sue iridi verdi parevano vorticare, in un movimento ipnotico, e Hugo si perse nelle loro profondità.

Gli fu fatale.

Si tappò le orecchie, urlando al tempo stesso di terrore. Ma quello che provava non c'entrava nulla con i centri dell'udito e della vista. Era la sua mente, soggiogata dalle illusioni provocate da Seth, a farlo piombare nella follia più pura. Si alzò in piedi, cominciando a strapparsi i capelli, con gli occhi fuori dalle orbite.

«Smettila! Smettila! Smettila!»sbraitò disperato.

Il ragazzi si alzò da terra, poggiandosi sui talloni, fissandolo con sincero divertimento.

«E perché mai? È una situazione così...appagante».

«Smettila!»

«E perché dovrei? Questo è quello che meriti».

«Maledetto!»

Seth alzò gli occhi al cielo, annoiato.

«Mi hanno detto di peggio».

Hugo crollò a terra, sempre tenendosi la testa fra le mani. Il suo corpo cominciò ad essere attraversato da convulsioni violentissime.

«T-ti...pr-preg-go...sm-smet-ti-la...».

Seth sbuffò, e alzò una mano. Con quel gesto ruppe il contatto con la mente di Hugo, che crollò definitivamente, sfinito.

Ma non era finita lì.

Con uno scatto repentino, Seth lo sollevò da terra, manco fosse un sacco di piume, e gli torse il braccio destro dietro la schiena.

«Fine dei giochi»gli sussurro malignamente Seth all'orecchio.«E da adesso in poi niente scherzi. Sai bene che ciò che hai provato non era altro che un assaggio di quello che ti farò provare se non farai come dici. Mi basta poco per indurti alla follia Hugo. La paura può giocare brutti tiri alle sue vittime».

In quel caso, intimidito dal suo tono minaccioso, e da ciò che aveva appena provato, smise di opporre resistenza.

«Avanti. Cammina». Lo strattonò con violenza, e Hugo ubbidì ormai sconfitto.

Seth sorrise. Sapeva che l'Inferno era in grado di rubare la speranza ai dannati lì condannati. Erano tutti come Hugo all'inizio, temerari e arroganti pensavano di farla franca al loro destino, di fuggire dalla Landa a cui erano stati assegnati, e, eh si, alcuni tentavano di uscire dall'Inferno. Solo i veterani, coloro che da anni erano confinati lì, sapevano come stavano veramente le cose. Nessuno poteva fuggire dall'Inferno, né sottrarsi alla sua condanna.

E torturare quelli come Hugo, gli riempiva il cuore di una sorta di ebbrezza. Non poteva fare a meno di infliggere sofferenza a quelle patetiche creature che avevano scelto coscienziosamente di vendersi al male. E quelli come lui avevano il compito di torturarli per l'eternità, come monito della loro scelta. Per l'esattezza, alcun di loro erano dediti a questo compito, altri invece, come lui, dovevano bloccare i possibili fuggitivi. Un compito che lo appagava al massimo.

Chi si comportava come doveva, la pena veniva resa più sopportabile, chi invece era troppo orgoglioso a piegare la testa, come Hugo,veniva gettati nella Voragine, che si trovava nel Centro dell'Inferno.

Per fortuna non distavano molto da lì, e per questo Seth assolse il suo compito abbastanza presto. E in quel momento, il suo sesto senso da Mezzo Demone, captò un altro dannato che tentava la fuga, questa volta verso nord, dalla Landa degli Ingannatori.

Nuovo divertimento, nuova agonia della sua vittima.

Seth sorrise, cominciando a correre.

La giornata si prospettava come una delle migliori mai avute.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Margherita
Terra

Le prime quattro ore della mattinate passarono noiosamente lentissime. Dopo l'ora di inglese, in cui la prof cominciò a sproloquiare di opere letterarie a caso, tra cui però "Romeo& Giulietta" di Shakespeare la sua opera preferita, si passò a filosofia, la materia che odiava più in assoluto. Non era sempre stato così in effetti. L'anno prima aveva una prof sensazionale, che infondeva passione nella sua materia, senza farla pesare, anzi, cercava di suscitare curiosità con diversi aneddoti.

Quello invece che si ritrovava quell'anno proprio non lo sopportava. A prima vista poteva sembrare uno dei Sette Nani, Dotto. Ma quando attaccava con i suoi discorsi sconnessi e lasciati a metà, e se non staccavi le orecchie dal cervello, rischiavi di tornare a casa con un terribile mal di testa.

Per sua fortuna, le due ore dopo furono d'italiano, anche se sembrava essere l'unica in classe a trovarle piacevoli, forse per via della sua grande passione per la lettura e scrittura.

«Hai preso tutti gli appunti?»le domandò Lucia, la sua compagna di banco.Era piccola statura, con i capelli tagliati a caschetto e un sorriso dolce sul viso. L'unica pecca che aveva, era il numero ragazzi che cambiava abitualmente. Ma non per questo, era da reputare una cattiva persona.

«Si. Credo»rispose sinceramente Marghe.«Ma sono scritti un po' maluccio»aggiunse, in tono di scuse.

Marghe odiava con tutto il cuore la sua calligrafia grossa e rotondetta, a volte schizzata se prendeva appunti veloce. A volte era quasi più semplice decifrare un geroglifico che la sua scrittura.

«Fa lo stesso Marghe. Me lo potresti imprestare questo week end per ricopiare i pezzi che mi mancano?»

Era difficile che Marghe imprestasse i suoi quaderni, ma di Lucia, Amira, Micaela, Celeste eNora si fidava ciecamente.

Per questo annuì.«Peró ricordatelo lunedì. Non vorrei che la prof si metta in testa di interrogarmi».

«Ma se ti sei già fatta interrogare tre volte fa»le fece notare Lucia, dubbiosa.

Marghe scrollò le spalle. «Sai che a volte fa interrogazioni generali. Non vorrei che mi beccasse impreparata».

«Non preoccuparti. Lunedì tornerà di nuovo tra le tue mani»promise, facendole l'occhiolino, a cui Marghe rispose con uno sguardo di profonda fiducia.

In quel momento suonò la campanella per segnare l'inizio della seconda ricreazione.

Marghe si fiondò fuori di volata dalla classe, e raggiunse di corsa le macchinette, e, come ogni giorno trovò il suo unico migliore amico maschio, che le era sempre stato accanto da quando aveva memoria, Daniele. Era il classico nerd dai capelli castano scuro sparati che gli conferivano un'aura da scienziato pazzo, occhi grigi vispi, nascosti dietro a un paio d'occhiali dalla montatura quadrata rossa. Il fisico era asciutto e tornito, merito dello sport che praticava, hapkido o una cosa simile. Faceva sempre confusione tra tutte quelle pratiche orientali.

«Ehilà Ninja. Com'è stato scorrazzare in giro per le vie?»lo salutò Marghe, mettendosi con lui in coda. Non si sarebbe mai stancata quel soprannome che gli aveva affibbiato.

La classe di Dani era appena tornata da un tour per le vie cittadine del centro storico, ed era appena rientrata da qualche minuto, giusto in tempo per la ricreazione.

Daniele le indirizzò un'occhiata divertito.«Divertente per quanto possa esserlo una gita scolastica»le rispose, facendole l'occhiolino.

Marghe sbuffò.«Ci portassero anche a noi in giro»si lamentò.

Dani sorrise.«Prima o poi accadrà. Allora...»aggiunse, volgendo lo sguardo verso la macchinetta.«Cosa ti vuoi prendere oggi? Caffè macchiato?»

Quando vide la smorfia disgustata di Marghe represse una smorfia divertita.«Cappuccino? O preferisci il ginseng?»

«Dani, sei cattivo»lo riprese, facendo un finto broncio.

Daniele stette al gioco.«Ma come? Ma se sono un angioletto»replicò divertito, beccandosi un buffetto scherzoso da parte di Marghe.

«Seh, certo. Nei tuoi sogni. Ora ti tocca una punizione».

Dani fece finta di essere spaventato.«Cosa vuoi farmi? Sai che tengo ancora alla vita, vero Marghe?»

Lei gli sorrise furbescamente, mentre recuperava il bicchiere di caffè lungo con un sacco di zucchero.«Mhm, mhm. Infatti non ho in mente nulla di pericoloso. Solo un pomeriggio a studiare con me chimica organica. Non ci capisco un accidente, e se il prof continua ad andare avanti, ci capirò ancora meno e sarò in guai seri».

Daniele era un vero mago della chimica organica.

Sospirò.«Pensavo peggio Marghe. Ti sei contenuta. È una punizione migliore dell'ultima».

Marghe sbatté le palpebre perplessa.«Quale?»

«Quando ti sei fatta spiegare fisica. È stato il pomeriggio peggiore della mia breve esistenza»spiegò, mentre anche lui recuperava il suo caffè macchiato.

La ragazza scoppiò a ridere.«Se mi tenti in questo modo, potrei prendere in considerazione di cambiare materia».

La campanella suonò in quel momento, salvando la giornata al povero Daniele.

«Troppo tardi Marghe. Vada per organica. A che ora vengo oggi pomeriggio?»

«Alle quattro dovrebbe andare»rispose Marghe.

Daniele annuì con un cenno del capo, poi girò i tacchi per raggiungere la sua classe.

Marghe fece lo stesso, ed ironia della sorte, ad aspettarla, due ore fresche fresche di chimica organica.

"Evviva", pensò con scarso entusiasmo.

Non vedeva assolutamente l'ora.

Le due ore passarono come il resto della mattinata, con sollievo di Margherita. Anche se si erano aggiunte altre sei reazioni da farsi spiegare da Daniele che, per fortuna sua, le aveva già fatte l'anno prima, essendo già in quinta.

Amira e le altre furono molto veloci a prepararsi e a uscire dall'aula, mentre Marghe, con la sua innata lentezza, richiuse il quaderno, e con cura ripose tutte le penne colorate a la sua amata Bic nell'astuccio.

«Barbieri, puoi sbrigarti? Devo chiudere l'aula». La voce della prof era impaziente, e Marghe cercò di affrettare il ritmo.

Non appena fu fuori, trovò Amira ad aspettarla. Era intenta a rispondere a un messaggio, e non si accorse subito della presenza dell'amica.

Ma non appena la notò, gettò un'occhiata all'ora sull'orologio.«Wow Marghe. Hai battuto il tuo record. Dieci minuti per prepararti. Lo sai che se vai avanti così entrerai nel guinness dei primati in ritardo cronico?»

«Eddai Ami. Il mondo non va da nessuna parte, lo sai bene»le fece notare pazientemente Marghe.

«Sarà. Però non vedo perché dobbiamo perdere minuti preziosi che non torneranno».

«Dov'è finito il tuo ottimismo Amira?»la punzecchiò Marghe, incamminandosi con lei verso la fermata del bus.

«Credo sia volato via mentre stavo mettendo radici ad aspettarti»replicò Amira con un sorriso.

Camminarono fianco a fianco, finché non raggiunsero il capolinea del bus che serviva loro, a pochi metri dalla loro scuola.

Un delle poche fortune nella vita di Marghe, era che doveva solo prendere quel bus sia per andare che per tornare a casa.

Si sedettero in due posti vicini, e subito Amira tirò fuori gli auricolari, e ne porse una a Marghe che se la portò all'orecchio.

Subito una musica di Caparezza, il cantante preferito di Amira, rimbombò a tutto spiano nella sua testa.

Quella la riconobbe subito: Sono il tuo sogno eretico. Poi passò a Goodbye Malinconia, e subito dopo a Vengo dalla Luna.

«Ami, potresti mettere Tu Sai Cosa?»domandò Marghe a circa metà tragitto, citando, in un modo tutto suo, Harry Potter.

Amira alzò lo sguardo dallo schermo su cui stava digitando un messaggio al fratello maggiore.

«Di nuovo?»domandò esasperata, come se le avessero sentite chissà quante volte.

«Ti prego! Dai che so che ti piacciono molto. Altrimenti non le terresti neanche nella playlist»la pregò Marghe, facendole anche il labbruccio.

Amira sconfitta, chiuse per un attimo la chat e fece scorrere il dito sulla playlist, alla ricerca delle canzoni. Per fortuna erano una di fila all'altra, e per quello non avrebbe dovuto interrompere ciò che faceva per cercarle.

Cliccò sopra la prima della lista, e subito le note energiche di Sogni Risplendono di Linea77 cominciò a riecheggiare nelle cuffiette.

«Soddisfatta?»

Marghe annuì, e chiuse gli occhi, lasciandosi travolgere dalle parole e dal ritmo incalzante. Finita la canzone subito partì Il Mostro sempre di Linea77, che da giorni la ispirava per una breve storia, una one short come la chiamavano nel sito dove pubblicava alcune fanfiction, di stampo horror. Con un titolo del genere non poteva di certo nascere una favola per bambini!

E infine arrivò lei. La sua canzone preferita in assoluto, quella a cui si ispirava mentre descriveva il carattere del suo personaggio maschile: Brucerò per te dei Negrita.

Sul quelle strofe magnifiche aveva fatto riferimento per le qualità che il suo protagonista maschile doveva avere: il fascino, il mistero e le tenebre. Insomma da tutto ciò ne era uscito un cosiddetto bad boy. Un bad boy però diverso da quelli che leggeva nei libri, bensì con la capacità anche di essere dolce e passionale. Il ragazzo perfetto. Peccato che fosse solo immaginario.

Ecco che di fantasticava sul suo amore platonico per il suo protagonista ancora senza volto e identità, ma con il carattere ben chiaro. A volte domandava se avesse bisogno di uno psicologo.

«Marghe, potresti ridarmi la cuffia? La prossima devo scendere».

Margherita si riscosse. Amira la fissava, mettendola subito a disagio.

«È successo di nuovo?»

Amira annuì.

Succedeva tutte le volte che ascoltava quelle canzoni, in particolare l'ultima. Sembrava che ascoltandole il suo cervello andava in standby perdendosi così nelle sue fantasticherie.

«Scusa»mormoró mortificata.

Amira fece un gesto con la mano, noncurante.

«Ti conosco ormai Marghe. Non ti devi preoccupare. Ci vediamo domani».

Marghe le porse la cuffia, ed Amira le stampò un bacio sulla guancia come saluto, come al solito, e fulminea si affrettò a raggiungere la porta d'uscita del bus. Forse non voleva dirlo apertamente, ma in quegli occhi scuri, Marghe aveva letto una sorta di delusione. E capì che isolandosi così nel suo mondo, tralasciava l'amicizia con lei e le altre. Urgeva passare un bel pomeriggio tutte insieme.

Per questo, dato che avevano pochi compiti per il giorno dopo e solo una materia a rischio d'interrogazione(inglese ma quella poteva benissimo aspettare), scrisse un messaggio a Daniele.

"Ti dispiace se rimandiamo a domani il nostro pomeriggio in compagnia di organica? Dopo recitazione?"

Daniele era un suo amico d'infanzia, e avrebbe senz'altro capito. Infatti rispose:

"Nessun problema :p a domani".

Soddisfatta, scrisse un messaggio sul gruppo su WhatsApp che aveva con le sue amiche.

Le folli siamo noi

(iscritti:Nora,Micaela, Amira, Lucia,Celeste)

Margherita: Vi va di fare un giro in centro oggi pome?

La risposta non tardò ad arrivare.

Nora: E Daniele? Gli vuoi dare buca?

Marghe non si sorprese del fatto che le sue amiche fossero a conoscenza del suo incontro con Dani. Tanto ormai per loro era come un libro aperto.

Margherita: Gli ho scritto, e per lui va bene rimandare a doma pomeriggio dopo recitazione. Allora, ci state?

Quella volta tutte, le risposero quasi all'unisono in modo affermativo.

Si misero d'accordo per l'ora e luogo dove si sarebbero trovate, poi Marghe bloccò lo schermo del cellulare soddisfatta. L'aspettava senz'altro un pomeriggio spassoso in ottima compagnia. Persa nei suoi pensieri non si accorse di essere arrivata alla sua fermata, e scese per un soffio prima che l'autista la chiudesse fra le porte, o che la portasse fino alla fermata successiva.

Arrancò per la salita dove si trovava casa sua. Ma perché i suoi non avevano comprato una casa in piano? ,pensò con il fiatone. Avrebbe fatto volentieri a meno di tutta quella ginnastica. Le bastavano già le due ore che si doveva propinare a scuola. Non si sarebbe mai abituata, su questo non nutriva dubbi.

E come se non bastasse l'ascensore era guasta, e le toccò fare le tanto odiate scale. Per fortuna abitava al secondo piano, e dovette fare solo quarantasette gradini(in un giorno di noia li aveva contati).

Non appena giunse davanti alla porta di casa, inserì la chiave nella toppa, e quando entrò in casa si lasciò scappare un sospiro di sollievo.

Il detto "Casa dolce casa" non le era mai sembrato tanto azzeccato come in quel momento. Casa che, quando era da sola, si trasformava nel suo luogo magico, il suo castello incantato dove poteva essere se stessa senza nessuno che la giudicasse.

Trascinò la cartella pesante fino in camera sua e, come al solito, la poggiò su una sedia di plastica azzurra accanto alla scrivania. Velocemente si tolse i vestiti che indossava, sostituendoli con un paio di leggins neri e una maglia rosa con la stampa dei Puffi. Adorava davvero tanto quei simpatici esserini azzurri che ne combinavano di tutti i colori al mago Garganella. Da piccola adorava quel cartone animato, e anche se aveva diciassette anni continuava vederli con la stessa voglia di prima.

Gettò un'occhiata all'orologio. Aveva ancora tutto il tempo che voleva prima di vedersi con Amira e altre, quello giusto per prepararsi un buon pranzo, fare i pochi compiti assegnati e forse anche scrivere un po' al pc.

Tranquillamente andò in cucina, dirigendosi verso il frigo ancora indecisa sul cosa prepararsi da mangiare. Voleva ardentemente farsi un bel piatto di pasta al pesto, il suo cibo preferito, ma per sfortuna aveva finito l'amato condimento. In quei giorni avrebbe comprato tutto l'occorrente per farlo, si ripromise.

Alla fine fu convinta dalla salsa di pomodoro accanto al latte, con cui si preparò un bel piatto abbondante di pasta. Nel frattempo che la pasta cuoceva e il sugo soffriggeva, si lavò qualche foglia d'insalata che depositò in una ciotolina di plastica trasparente, e a operazione finita, accese il forno per mettere in una teglia piccola tre bastoncini di pesce. Preparato il tutto si sedette a tavola, acchiappando subito il telecomando. Accese alla TV, alla ricerca di un programma che la intrattenesse, senza essere troppo pesante.

"Torto o ragione?" ci avrebbe pensato.

Zap.

Una replica di "Squadra speciale cobra 11". Sicuramente troppi morti e troppa azione per i suoi gusti.

Zap.

"Documentario sulla storia di...". Eh, no. Manco morta. Doveva già studiare a scuola quella materia.

Zap.

"Forum". Lo mise in lista d'attesa insieme a "Torto o ragione".

Zap.

"Beautiful". Marghe fissò lo schermo con tanto d'occhioni. Una Soap Opera? Bleah!

E cambiò in fretta canale.

Zap.

"Simpson". Sarebbero stati anche divertenti se avesse capito almeno una delle loro battute.

Spense la TV sconfitta. Non aveva più voglia di andare avanti con i canali. Già quelli che aveva visitato l'avevano profondamente angosciata.

Possibile che a quell'ora non facessero nulla d'interessante?

Mangiò in silenzio, e nella stessa atmosfera, lavò i piatti che aveva sporcato.

A operazione finita, si trascinò in camera e si sedette alla scrivania, recuperando il suo diario di Snoopy. Adorava davvero tanto quel simpatico bracchetto, pigrone e un po' sfortunato come lei. Nella sua amata libreria aveva qualche fumetto dei Penauts, e il suo preferito in assoluto era quello dove Snoopy voleva pubblicare il suo romanzo. Esattamente come voleva fare lei in futuro.

Sfogliò le pagine del diario, scritte con la sua calligrafia grossa dalle lettere arrotondate, fino a raggiungere la data del giorno dopo. Meno male che l'attendeva ancora solo un giorno di scuola prima del week end dove avrebbe potuto riposare.

Dunque. Doveva rispondere a delle domande su un testo di Letteratura e fare tre esercizi sullo studio di funzione di matematica. E aveva una possibile interrogazione o verifica a sorpresa di inglese. Pensava molto peggio.

Accese la lampada da tavolo, per illuminare meglio la scrivania. Per prima si tolse matematica. Molte sue compagne invidiavano questa sua capacità di svolgere gli esercizi così velocemente. Molte infatti si ricordavano di lei solo per chiederle aiuto in quella materia e in chimica analitica. Per il resto, a parte per le sue amiche più strette, era come se non esistesse.

Letteratura invece, fu più impegnativa. Una delle domande faceva riferimento al pensiero dell'autore del libro da cui era tratto il brano. Chiedeva d'illustrarlo brevemente con parole proprie. Ma come poteva descrivere il pensiero dello scrittore se a malapena capiva il suo?

Scrisse qualche riga a riguardo, sperando che alla prof andasse bene.

Quando ebbe finito notò soddisfatta che aveva fatto prestissimo. Dato che non aveva testa di ripassare inglese, di cui tra l'altro si era fatta interrogare solo due volte prima e la prof non era andata avanti, decise di accendere il suo portatile e gettare giù qualche nuova idea. Magari ritrovava ispirazione per quel pezzo che sua madre non le aveva fatto finire quella mattina.

Dopo che il pc si decise a collaborare, caricandosi con la lentezza di una tartaruga, inserì la chiavetta USB sulla quale aveva salvato i word delle sue storie. Sul monitor si aprì la finestra piena di cartelle, di cui i tre quarti presenti erano fanfiction in cantiere o idee che avrebbe voluto sviluppare più avanti. Con il mouse, dato che non sapeva ancora usare il cursore touch del PC, clicca sulla cartella "My Romanz". Dentro c'erano una pagina piena virgolette che usava per i discorsi, e un documento nominato come "Idee a caso", il suo documento più prezioso, dove scriveva tutte le idee che le venivano in testa per il suo romanzo. Non avevano con un senso logico, ma erano pezzi frammentati, dove i suoi personaggi senza identità interagivano.

Con la rotellina percorse le pagine, e si fermò a quella dove aveva scritto l'idea di quella mattina.

"...si alzò in punta di piedi, e..." queste erano le ultime parole che aveva digitato.

E cosa?

Cominciò a digitare le parole, pigiando le dita sui tastini della tastiera emettendo ogni volta un leggero ticchettio.

...e appoggiò le labbra su quelle perfette e calde di lui. In quel istante sentì scivolare dentro di sé un turbine di emozioni. Il desiderio di fondersi con lui era incontrollabile, e X(così aveva nominato temporaneamente il suo protagonista maschile) non glielo impediva, anzi, sembrava alimentarlo sempre di più.

Sempre uniti in quel bacio lungo e profondo, le mani calde di lui scivolarono lungo il suo profilo delicato, e quando raggiunsero l'orlo della maglia, cominciò ad accarezzarle la pelle liscia con gesti lenti che le provocarono piccoli brividi di piacere. Lentamente portò le sue mani sulla pancia, e da li cominciò a salire. La ragazza era in preda a emozioni forti, e mai prima d'ora era stata così in pace con se stessa. E per la prima volta in assoluto ebbe un assaggio di Paradiso.

La schiena di lei incontrò il muro, ma neanche se ne accorse. Appoggiò le mani sui fianchi di X, che si staccò per un attimo dalle sue labbra, alzando lo sguardo verso l'alto, gli occhi chiusi, in preda al piacere più puro.

Subito Y(la sua protagonista femminile) sentì la mancanza di quelle fantastiche labbra sulle proprie.

«X...»mormorò stringendosi sempre di più a lui, che la zittì con un altro bacio, questa volta più profondo e passionale, che risvegliò in entrambi un desiderio selvaggio e dirompente come una tempesta.

«Ti amo»le sussurro X, e Y sentì il cuore andare a mille.

Sentiva che non avrebbe più voluto vivere la sua vita senza di lui.

Si bloccò. Per fortuna si era ricordata ciò che voleva scrivere quella mattina, e in quel momento non aveva più ispirazione per continuare quel pezzo.

Gettò un'occhiata all'orologio. Era ancora presto. Sembrava quasi che il tempo scorresse più lentamente quel pomeriggio.

Dato che aveva il pc acceso, si collegò a internet. Prontamente entrò nel sito dove aveva pubblicato alcune fanfiction, in particolar modo sul Mondo Emerso e altri libri di Licia Troisi, la sua scrittrice preferita in assoluto. Alcune erano one short, cioè piccole storie da un solo capitolo, che aveva scritto di getto in momenti di noia, poi una serie di storie legate alla seconda trilogia del Mondo Emerso, le Guerre, per tappare il buco tra esse e le Leggende, che si era divertita un mondo a scrivere. Un'altra che la eccitava scriverla era il crossover tra il Mondo Emerso e gli Hunger Games. La sua era stata un'idea strana far partecipare diversi personaggi importanti della saga a quel terribile gioco di Panem.

Dopo aver digitato la password entrò nel suo account. Subito andò a controllare le nuove recensioni ricevute e gli eventuali nuovi follower. Infine passò alla pagina che tutti vedevano, dove aveva salvato le storie che le piacevano di piú. Notò che Celeste, una sua compagna di classe e amica, aveva aggiornato la sua fanfiction sulla coppia Hermione/Tom Riddle. Adorava molto il suo modo di scrivere, così l'aprì subito per leggere il nuovo capitolo che aveva appena sfornato. Mano a mano che scorreva la pagina si incuriosiva sempre più, e cresceva sempre più l'emozione e la voglia di leggere subito il continuo. Era questo che le storie che le piacevano suscitavano in lei. Sia per i libri che per le fanfiction e le cosiddette Originali, cioè storie che non si ispiravano ad opere già esistenti.

A lettura finita scrisse una recensione positiva, elogiando un'altra volta lo splendido capitolo che aveva scritto.

Cliccò su invio, e si apprestò a leggere una nuova storia.

Toccò a una che amava alla follia, una storia incentrata sulle Guerre del Mondo Emerso, che narrava di un amore proibito tra un'assassina e un Postulante. L'autrice era una sua carissima amica, Alyssa, una ragazza poco più piccola di lei di qualche anno, ma con cui aveva stretto un forte legame d'amicizia. Anche se abitavano in città diverse, si sentivano ogni giorno, confidandosi tra loro come fossero l'una accanto all'altra. Insieme stavano già programmando di vedersi al Lucca Comics di quell'autunno, e anche fangirlizzando sui cosplayer che avrebbero portato.

Margherita aveva già cominciato a fare il conto alla rovescia.

E, caso strano, il giorno che avevano scelto per incontrarsi era proprio il suo compleanno, l'uno Novembre, la data in cui sarebbe diventata a tutti gli effetti maggiorenne.

Divorò letteralmente il nuovo capitolo, immedesimandosi completamente nella protagonista, Taliah, e amando follemente Meriph, il co-protagonista.

Anche in quel caso scrisse una recensione, con un po' di difficoltà a esprimere al meglio l'emozione che aveva provato leggendo.

Soddisfatta, si scollegò da internet e chiuse il pc, rimanendo di sasso non appena vide l'ora.

Accidenti. Quando leggeva perdeva ogni percezione sul tempo e su ciò che la circondava. Recuperò al volo una maglia nera con il logo a pipistrello di Batman e un paio di jeans a caso. Gettò nella sua borsa il portafoglio, le chiavi di casa e il cellulare. Prima di uscire indossò le sue amate sneaker nere con le borchie argentate, ormai ridotte a un colabrodo e giunte quasi alla loro fine(sperava che le durassero fino ai saldi), e uscì di casa in fretta, controllando però diligentemente di chiudere bene la porta.

Quando uscì dal portone, notò con angoscia l'autobus girare l'angolo.

Accidenti, lo aveva perso!

Come pensava, quando giunse dalla fermata, lesse sul tabellone che quello dopo sarebbe passato dopo un'eternità. Ecco che i suoi buoni propositi di arrivare per una volta puntuale venivano gettati alle ortiche.

E dato che doveva raggiungere le altre in centro, non ci teneva minimamente a farsi un mucchio di strada a piedi.

Si sedette sulla panchina, e tirò fuori dalla borsa il cell per informare le altre del suo ritardo.

La giornata era cominciata male e stava evolvendo al peggio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

Seth
Landa della Paura, Inferno

La porta in legno d'ebano, che si trovava nella penultima posizione a sinistra del lugubre corridioi rischiarato solo da grossi acciaini posti vicini ad ogni porta, si aprì lentamente con uno scricchiolio. Da essa emerse il proprietario della stanza in cui conduceva, un ragazzo che dimostrava diciotto anni, i capelli castano scurissimo che creavano piccoli riccioli che incorniciavano un viso un poco olivastro. I suoi occhi verdi intenso saettarono veloci verso la figura seduta sul letto. Una mano corse a uno dei pugnali che portava con sé, mentre l'altra scattò verso il collo della figura che lo fissò sorpresa dalla sua reazione.

Lo inchiodò con presa ferrea al letto, poggiandogli un ginocchio sul petto ansante ma non appena lo riconobbe, lasciò la presa, sbuffando infastidito mentre rotolava via.

L'altro si rimise seduto, e si massaggiandosi il collo, laddove le unghie del ragazzo avevano lasciato dei segni abbastanza profondi. Unghie che si erano trasformate in artigli, mostrando una trasformazione parziale tra la sua forma umana e demoniaca che Seth usava di rado. Il vantaggio di essere un Principe Ereditario era che si poteva non ricorrere a quella forma ogni volta per tenere testa ai Dannati oltre che i suoi parenti abbastanza invadenti come in quel caso.

«Cazzo Seth. Dovresti migliorare il tuo interagire con gli altri. Non puoi ogni volta fracassarmi le ossa del collo»si lamentò il malcapitato.

Seth lo incenerì con lo sguardo.«E tu dovresti smetterla di entrare in camera mia quando non ci sono. Intesi?»

L'altro annuì brevemente gettandogli un'occhiata scocciata, che però Seth ignorò volutamente.

«Cosa sei venuto a fare Nathan? Come puoi ben vedere sono tornato dalla Caccia tutto intero»gli fece notare Seth, cominciando a spogliarsi delle armi. Con mani esperte slacciò la cintura a cui erano assicurati: la frusta, una magnifica spada dalla lama d'ossidiana tagliente come il rasoio eppure stranamente sottile e leggera, e dall'elsa vermiglia particolareggiata da arabeschi incisi fin nei minimicissimi dettagli che in quel momento era adagiata in un robusto fodero in pelle, due semplici pugnali di ferro e una pistola, che gettò sulla panca ai piedi del letto.
Poi si avvicinò alla finestra, chiudendo le imposte, impedendo così all'odore intenso e abbastanza nauseante di zolfo di entrare ancora di piú nella stanza.

Alla luce fievole prodotta dagli acciaini assicurati al muro, si spogliò, liberandosi dei vestiti umidi di sudore e imbrattati del sangue dei Dannati.

«Ma ti devi spogliare proprio adesso?» si lamentò Nathan con una smorfia disgustata.

Non appena rimase solo in boxer, si voltò verso il fratello.«Sono in camera mia, e ho tutto il diritto di fare ciò che voglio. Se quello che vedi è troppo per te, quella è la porta»ribatté seccato, indicandogliela con un cenno del capo.

Nathan lo fissò ancora per un attimo accigliato, ma alla fine si alzò dal letto e si avviò verso l'uscita.

«Nat, aspetta»lo fermò Seth, non appena il fratello poggiò la mano sulla maniglia.«Non mi hai ancora detto il motivo per cui sei venuto. Lo sai che mi dà fastidio che controlliate ogni mia mossa. È snervante».

Nathan si voltò lentamente verso di lui. «Hai centrato in pieno il punto fratello. Nostro padre voleva essere sicuro della tua incolumità».

Seth sorrise maliziosamente.«Bé, di pure a papà che sto benone, e che non c'è alcun bisogno di sguinzagliarmi dietro nessuno».

Nathan contrasse la mascella, e uscì dalla porta, chiudendosela dietro di sé silenziosamente.

Seth sospirò gettando un'occhiata all'orologio appeso alla parete.

Stando alla prassi, mancava ancora un po' all'ora di cena. Aveva giusto il tempo di farsi una doccia e di prepararsi. E fu proprio quello che fece.

Il bagno era piccolo, ma c'era abbastanza spazio per muoversi. La doccia era incastrata nella parete opposta alla porta. Aprì il rubinetto, e subito l'acqua cominciò a scendere. La toccò con il dito. Calda. Calda come l'Inferno che lo circondava.
Represse un moto di stizza.

Quanto avrebbe pagato per una doccia gelida, si ritrovò a pensare.
Inspirò. E che non puzzasse di zolfo.

Seccato e infastidito, si sbrigò a darsi una sciacquata. Non appena uscì dalla doccia si avvolse un asciugamano attorno alla vita e con un altro stropicciò i suoi riccioli per eliminare l'acqua in eccesso.

Neppure sentì la porta aprirsi per poi chiudersi lievemente.

La nuova arrivata fece scivolare le sue mani fredde ed affusolate sui suoi fianchi da dietro, facendolo subito irrigidire.

Ma quella non demorse e cominciò a strusciarsi contro la sua schiena come un gatto, emettendo dei mugugni che parevano fusa.

Seth contrasse la mascella, aspettando pazientemente che la smettesse.

«Dovresti scioglierti un po' ed assaporare il momento, fratello»gli sussurrò la ragazza avvicinando le labbra ad un soffio dal suo orecchio.

Seth si girò completamente verso sua sorella Charlotte. Era una ragazza dai capelli neri lisci tagliati in un caschetto serio, occhi freddi come il ghiaccio. Un vistoso trucco nero spiccava sul suo incarnato pallido da bambolina dark, accompagnato anche da un vestito nero provocante con la scollatura a V che lasciava immaginare non poche scene erotiche, e vertiginosi tacchi a spillo che la facevano sembrare piú alta.

«E tu dovresti smetterla di provarci con me ogni singola volta che vieni qui».

Lei di tutta risposta si alzò in punta di piedi e gli mordicchiò il lobo, stuzzicandolo come il gatto fa con la sua preda.

«So per certo che non lo pensi veramente. Lasciarti andare per una volta. Credimi». La sua voce flautata e suadente gli scivolò sulla pelle, mentre le sue mani percorsero il suo corpo fino ad arrivare al suo punto sensibile, causandogli un leggero brivido. Non tanto per il piacere, cazzo non era cieco ed era consapevole che Charlotte fosse davvero una bella ragazza, bensì per il ribrezzo che provava. Era un individuo ferreamente contrario ai rapporti incestuosi seppur nel loro caso fossero solo imparentati da parte di padre.

Seth si scostò di scatto.«Non se ne parla Charlotte».

Charlotte mise su il broncio, come una bimba viziata. «Cazzo Seth! Non ti va mai. Quando me la darai, eh? Quando ti deciderai a fare sesso con me? Quando sarò alla fine dei miei giorni?»

Seth non si scompose alle volgarità della ragazza. Ormai ci si era abituato.
La fissò di sottecchi. «Fammici pensare. Mai. Puoi anche scordartelo».

Charlotte non prese bene le sue parole. «Sei uno stronzo Seth!»gli urlò in faccia, mentre come una furia lasciava la stanza, sbattendosi dietro di sé la porta.

Seth scrollò le spalle, come uno che si era appena liberato di un'enorme seccatura. Lasciò che l'asciugamano scivolasse ai suoi piedi, permettendo alla luce di colpìre senza pudore il suoi fianchi stretti e il petto tonico e muscoloso, ma non come quello di un lottatore di wrestling.

Era piuttosto alto per la sua età, e questo lo considerava un pregio. Almeno, poteva guardare la maggior parte dei suoi compagni dall'alto in basso. In confronto agli altri sembrava allampanato, ma ciò non gli dava fastidio.

Andò verso l'armadio da cui estrasse una maglia nera e un paio di bermuda militari. Si sedette sul letto per indossare ai piedi le sue amate sneaker nere ormai mezze distrutte, che non aveva intenzione di cambiare per nulla al mondo.

Gettò un'occhiata all'orologio a pendolo lugubre appeso sopra al letto. Lì, all'Inferno, il tempo scorreva in modo diverso che sulla Terra, senza razionalità, un modo per far impazzire i Dannati lì condannati. E per non far impazzire anche loro, per non perdere la ricognizione del tempo ogni Mezzo Demone disponeva di un orologio che cambiava ora in base a che stato si trovasse sopra le loro teste, in superficie. Il suo era sintonizzato con l'Europa e in particolar modo con il Bel Paese.
Avendo origini italiane da parte di madre, era davvero contento di essere sintonizzato con la sua amata Italia.
Con rassegnazione notò che si era fatta ora di scendere per la cena.

Uscì dalla stanza, chiudendosi dietro di sé la porta, e percorse l'ampio corridoio che lo conduceva allo scalone principale, che l'avrebbe poi indirizzato in un ulteriore corridoio che sfociava nel salone, dove consumava la cena assieme ai suoi innumerevoli fratelli e sorelle. Suo padre si era dato parecchio da fare con innumerevoli donne.

Quando finalmente giunse a destinazione, buona parte dei suoi fratelli era già seduta ai tavoli e stava già aggredendo il cibo che era stato servito loro dai dannati che fungevano da camerieri.

Seth incrociò lo sguardo con quello di Charlotte, che dopo avergli regalato un'occhiata velenifera si girò dall'altra parte, facendo finta di interessarsi a ciò che le stava dicendo la sua vicina di posto, una certa Camilla che, se non ricordava male, era l'attuale fiamma di Nathan.

Non si fermò ad alcun tavolo, e andò spedito verso quello dove sedeva suo padre Abaddon.

Nella sua forma umana, che assumeva in quel momento, assomigliava moltissimo al suo figlio prediletto. Stessi capelli castano scuro, stessi tratti volitivi e stesso fisico asciutto da guerriero. Dimostrava si e no trentacinque anni al massimo, ed era vestito in modo ricercato:camicia bianca, giacca e pantaloni in velluto nero e ai piedi un paio di scarpe lucidissime.

Solo gli occhi tradivano la sua vera natura di Demone Superiore: erano neri, e parevano orbite vuote, profondi come pozzi infiniti.Anche se la somiglianza era solo una farsa, dato che Seth somigliava interamente alla madre, vera donatrice del patrimonio genetico umano.

Abaddon sorrise non appena scorse il figlio avvicinarsi al tavolo.

«Bene, bene figlio. Finalmente mi fai godere della tua compagnia».

La voce era vellutata eppure raschiante come la carta vetro.

Seth strinse le labbra.«Ho fatto tardi dalla Caccia, padre».

Abaddon mosse la mano con fare noncurante.«Poco importa figlio. Ora siediti».

Seth ubbidì in tutta fretta. Non se la sentiva di far adirare il padre.
Neanche lui che era un Principe Ereditario si sentiva affatto al sicuro dai suoi improvvisi scoppi di rabbia.

Fu un dannato a servire loro i piatti cucinati. Quella sera spettava a un profumatissimo minestrone di verdure, una roast beef da leccarsi i baffi e per finire una mega fetta di torta al cioccolato, la sua preferita e che non avrebbe influenzato la sua linea, dato che l'avrebbe smaltita durante la Caccia del giorno dopo.

A differenza dei Dannati, loro Mezzi Demoni erano vivi, e come tali necessitavano di mangiare.
Abbadon, invece, si limitò a sorseggiare del buon vino rosso da un calice di vetro. Piccolo vantaggio di essere un Purosangue.

«Allora figlio, com'è andata la giornata?»

Figlio. Era così che lo chiamava sempre, e questo lo irritava non poco.

Il Boss lo fulminava se lo chiamava per nome? pensò seccato Seth.

Ma sorvolò sul fatto, e annegò lo sguardo nel bicchiere d'acqua che aveva di fronte.

«E non abbassare lo sguardo. Un Principe Ereditario non si deve mai sottomettere, quante volte te lo devo ripetere? Devi fissare negli occhi il tuo interlocutore e mostrargli così con chi ha a che fare»lo riprese duramente Abaddon.

Seth si affrettò a ubbidire, alzando lo sguardo.«Nulla di eclatante. Hugo ha di nuovo tentato la fuga, insieme ad altri cinque».

«Li hai spediti nella Voragine?»

Seth annuì, e Abaddon allungò la mano per dargli una pacca sulla spalla.

«Bravo figlio, hai imparato bene».

Seth rimase in silenzio. Non sapeva come rispondere alle lusinghe del padre.

Con lo sguardo volò sui volti dei suoi fratelli e sorelle, che chiacchieravano tra loro, raccontandosi la giornata.
Quanto desiderava poter stare tra di loro, sentirsi uno fra tanti e non il Principe Ereditario di una Landa dell'Inferno, nascosta alla luce del sole.

Abaddon notò subito il turbamento del figlio.

«Qualcosa non va?»

Seth cercò di esibire un sorriso forzato.

«Nulla». Si alzò.«Con il vostro permesso padre, vorrei ritirarmi in camera».

Abaddon annuì, e Seth si affrettò a lasciare la sala. I suoi occhi incontrarono quelli di Nathan e del suo vicino, Diego. Nat fece per alzarsi e seguirlo, ma Seth gli indirizzò uno sguardo di fuoco che convinse il fratello a rimanere al suo posto.

Uscì dal salone velocemente. Si fermò di colpo, poggiandosi alla parete nera del corridoio, e si lasciò scivolare a terra.

La sua vita, seppur intrigante e iperattiva, gli sembrava vuota e priva di alcun senso. Sentiva che gli mancava qualcosa , un tassello indispensabile nella sua esistenza. Ma più cercava di capire più gli veniva l'emicrania.
Era legato al sogno che faceva ormai da settimane, o era altro?

Quando riuscì a domare le domande nella sua mente, si alzò e si diresse a passi pesanti nella sua camera.
 

 

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