La Pittrice e il Soldato

di Adamayer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


"Siamo in arrivo alla stazione di Monaco centrale“ annunciò il capotreno passando di vagone in vagone. 

L'avviso attirò l’attenzione di Gracie, che distolse immediatamente lo sguardo dalle pagine di “Orgoglio e Pregiudizio”, nel quale era immersa fino a quel momento. 

Ricordate del passato solo ciò che vi fa piacere. 

Non c’era nulla di più vero. Nonostante fosse appena ventenne, Gracie aveva avuto già modo di attuare la filosofia insita in quella semplice citazione, che l'aveva aiutata a superare i  momenti difficili della propria vita. 
La protagonista di “ Orgoglio e Pregiudizio ” era il suo personaggio letterario preferito, al quale si era sempre ispirata.              
 Adorava il modo in cui la Austen aveva caratterizzato Elizabeth, dotandola di forza morale e intelligenza miste a sensibilità e vivacità, che la inducevano a ribellarsi alle rigide regole del tempo. 
Dopo aver chiuso il libro che aveva poggiato sulle cosce, si apprestò a recuperare la valigia dalla cappelliera, trascinandola fino a far sì che sbattesse con un pesante tonfo sul pavimento, per poi prendere anche la cassetta cavalletto e la cartella che custodiva le tele da pittura.
 Gracie amava dipingere fin da quando aveva memoria, e aveva sempre pensato che disegnare fosse il modo più semplice di esprimere se stessa.         
Raffigurava qualsiasi cosa le capitasse di vedere, imprimendo così su carta i ricordi di momenti di vita quotidiana che altrimenti le sarebbero facilmente sfuggiti dalla mente. 
Nel corso degli anni, aveva trovato in suo padre il suo più grande sostenitore; nonostante le difficoltà economiche insorte per lo più dopo la crisi del 1929, che aveva dissolto i suoi risparmi da modesto insegnante, aveva sempre fatto in modo che non le mancassero mai gli strumenti per mettere in pratica la sua creatività, e di questo lei gli sarebbe stata grata per tutta la vita. 
Era stato proprio lui a insistere nel farla tornare a Berchtesgaden, il piccolo paese dell'Alta Baviera al confine con l’Austria in cui era nata e sua attuale destinazione.                      
 Ed era stato sempre lui ad accompagnarla alla stazione di Francoforte quella mattina. 

Qualche tempo prima, aveva scritto a uno dei suoi più fidati e cari amici, il generale Gunther Mayer e, tramite una breve missiva, gli aveva chiesto di ospitarla. In risposta, il generale stesso le aveva offerto la possibilità di seguire le lezioni di storia dell'arte impartite dai precettori dei suoi due figli, che egli considerava i migliori insegnanti in circolazione. 
Per convincerla a partire, suo padre aveva fatto leva sulla bellezza dei paesaggi di Berchtesgaden, che riteneva essere ottimi soggetti per i suoi dipinti. 
Quelle parole bastarono per persuadere Gracie, che per questo motivo, si trovava nella carrozza numero tre del treno diretto a Monaco.  

Una volta raccolte le sue cose, arrancò fino alle porte del treno, oltrepassandole e, per via del peso dei troppi bagagli, rischiò di inciampare nei gradini. 
Per fortuna ad aspettarla al di fuori della stazione, avrebbe dovuto esserci il signor Kurt, l’autista storico dei Mayer, che l'avrebbe accompagnata fino alla tenuta. 
Spinta da quella consapevolezza, Gracie si fece forza e si incamminò verso l'esterno della struttura, cercando di districarsi tra i pendolari. 
A rendere la situazione più complicata di quanto già non fosse, ci pensò il suo copricapo, che iniziò pian piano a scivolarle davanti agli occhi, coprendole la visuale. 
Proprio nel momento in cui aveva deciso di risistemarlo, urtò contro qualcosa che la fece capitombolare a terra insieme a tutti i bagagli. 

“Scusate, signorina. Vi siete fatta male?“ 

Era la voce di un uomo dall’accento particolare, diverso dal suo. 

La curiosità la indusse ad alzare lo sguardo, incrociandolo con gli occhi cerulei di lui.                         
L'uomo in questione aveva il viso  ovale completamente rasato,  la mascella ben proporzionata, il naso tondeggiante e delicato e la bocca sottile ora incurvata in una smorfia preoccupata. 

“No, sono io che vi chiedo scusa. Vi sono finita addosso…“

Senza indugiare oltre, Gracie si accinse a raccogliere i suoi disegni, soffermandosi poi sulle pagine di un quaderno appartenente al ragazzo con cui si era scontrata. 
Sul foglio che aveva davanti era rappresentato un rigoglioso paesaggio di campagna e, sebbene si trattasse solo di una bozza a matita, Gracie non poté fare a meno di notare il talento di colui che l'aveva disegnato. 

“Avete un animo artistico?“ azzardò lei, mentre lui l’aiutava a rimettersi in piedi. 

“In un certo senso sì. È stato proprio il mio animo artistico a condurmi a Monaco. Anche voi vi intendete d'arte?“ rispose in un tedesco risicato, sbagliando la maggior parte degli accenti, mentre le porgeva il suo cavalletto pieghevole e il resto delle tavole sfuggite dalla cartella.

Prima di restituirgliele però, lo sconosciuto si soffermò su alcune delle tele, studiandole con occhio attento. 

“G.Miller. Posso domandarvi per cosa sta la G? Se non sono indiscreto ovviamente…“ 

“Non lo siete affatto. G  sta per Gracie, il mio nome di battesimo.“ 

Fu colta da un improvviso e travolgente moto d'imbarazzo. Non aveva mai mostrato i suoi dipinti a persone estranee e farlo in quelle circostanze, di certo non l'avrebbe aiutata a superare la paura delle critiche, che l’aveva da sempre portata a desistere dall’esporre in pubblico le sue doti. 

“Complimenti, siete molto brava. Gracie… non mi sembra un nome tedesco. Siete anche voi straniera?“ 

“Mia madre ha origini inglesi, ma io sono nata e cresciuta in Germania.“

In quell'istante, Gracie si concentrò di più su di lui, in modo da farsi un'idea sulla persona a cui stava rivolgendo la parola. 
Secondo la sua stima, il giovane doveva avere qualche anno in più di lei, cinque al massimo.          
Indossava un completo gessato marrone scuro chiuso fino all'ultimo bottone, che lasciava intravedere la cravatta verde smeraldo e il colletto immacolato della camicia bianca, il tutto in tinta con il cappello in feltro. 
Era alto e aveva un fisico asciutto,  i capelli castano chiaro erano in ordine e fissati all'indietro da un modico strato di brillantina, che aveva impedito loro di scompigliarsi dopo la collisione di qualche momento prima. 

“Comunque, per rispondere alla domanda che mi avete posto prima... sì, sono appassionata di storia dell'arte e inoltre mi dedico anche al dipinto, come avete avuto modo di vedere“  Rispose infine, abbassando lo sguardo sulla valigia in cuoio del suo interlocutore. 

“Angelo Della Valle, QuintoSole“

Recitava la targhetta in cartone appuntata sulla maniglia del bagaglio, scritta che lasciava pochi dubbi sulla provenienza del ragazzo e dissolveva quelli sul suo accento. 

“Vogliate scusarmi, ma devo andare, sono in forte ritardo“ tentò di congedarsi Gracie, voltandogli le spalle. 

“Aspettate, posso darvi una mano? Vedo che siete molto carica" 

“Grazie, mi fareste un enorme favore. Mi attendono fuori alla stazione"

Angelo le sottrasse gentilmente la valigia, alleggerendole il peso dei bagagli. 

Proseguirono così silenziosamente in direzione dell'arcata in ferro che segnava la fine della ferrovia. Intorno a loro vi era solo il chiacchiericcio delle persone di ogni età che si affaccendavano per non perdere il treno successivo, altre invece che si abbracciavano dopo essersi ritrovate e altre ancora che si salutavano prima di separarsi. 
Tutto questo però per Gracie non contava poi molto.                        
Il tempo sembrava aver cominciato a scorrere con più lentezza da quando era in compagnia del bell'italiano che condivideva le sue stesse passioni. 
Per forza di cose però, quella magia si dissipò, e i due si ritrovarono all'esterno.           
 Gracie prese a guardarsi nervosamente intorno, scorgendo tra i passanti un uomo dai capelli canuti che cercava di attirare la sua attenzione con un gesto ondulatorio della mano. 

“Grazie ancora… è stato un piacere fare la vostra conoscenza" osò, mentre il giovane straniero
le rendeva la valigia. 

“Il piacere è stato tutto mio“ replicò lui, aggiustandosi il cappello per poi allontanarsi definitivamente. 

A quel punto, Gracie passò istintivamente il palmo sulla giacchetta color porpora, la quale si sposava perfettamente con la gonna della stessa tonalità che le arrivava all'altezza delle caviglie, il tutto con il cuore che ancora le batteva furiosamente nel petto. 
Aveva scelto apposta il suo completo preferito in occasione del ricongiungimento con i vecchi vicini e ci teneva ad apparire in ordine, ma in mancanza di uno specchio a portata di mano, distendere le pieghe del vestito era stato il massimo che aveva potuto fare. 
Con un sospiro si fece nuovamente carico dei propri averi e si affrettò a raggiungere Kurt, che però la precedette. 

“Salve, signorina Miller. Avrebbe dovuto specificare che sarebbe partita con tutti questi bagagli. Avrei potuto raggiungervi al binario“ esordì l'uomo, venendo in suo soccorso e facendole segno di salire sulla Mercedes blu notte, parcheggiata al limite della piazzetta all'esterno della stazione. 

A quel punto, la giovane pittrice si accorse che Rambert Mayer, il suo migliore amico d’infanzia, non era venuto a prenderla insieme all'autista e questo non era quello che si aspettava. Perciò, dopo aver incassato il colpo, Gracie si accinse a entrare nell'auto squadrata, mentre Kurt si metteva alla guida. 

Appena ebbe preso posto, fu investita dalla piacevole sensazione di comodità provocatole dai sedili imbottiti della lussuosa automobile, ben diversi dalle scomode panche in legno del treno. 

Dopo essersi beata per un po' di quella percezione, si voltò verso il retro del veicolo, osservando l’immensa stazione di Monaco rimpicciolirsi sempre di più. 
Quando si furono allontanati un po' dal centro della città, la ragazza si lasciò finalmente  andare alla stanchezza dovuta alle tante ore di viaggio, finendo così per addormentarsi placidamente. 




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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


Fu un violento scossone a ridestare la giovane pittrice, subito seguito dalle parole mortificate dell'autista. 

"Mi dispiace, signorina Miller. State bene? Purtroppo le strade di campagna non sono lastricate come quelle di città."

"Sì, grazie. Non preoccupatevi ." Si affrettò a dire lei, maledicendo se stessa per essersi abbandonata al sonno, rimettendosi seduta composta. 

Per far sì che la sensazione di stanchezza l'abbandonasse completamente, aprì per metà il finestrino posteriore in modo da lasciarsi sfiorare da un timido raggio di sole che era riuscito a farsi strada tra la coltre di nuvole, dando così spazio alla prima giornata che non sembrasse prettamente invernale. 
Tuttavia la sua folta chioma scura, che aveva acconciato con tanta pazienza, si scompigliò a causa della prepotente folata di vento gelido che si infiltrò meschino nell'auto, segno che l'inverno non era ancora pronto a cedere il passo alla primavera ormai alle porte. 
Ciò la indusse a richiudere in fretta il finestrino, per poi poggiare il capo sul morbido sedile della Mercedes, volgendo infine lo sguardo al di là del vetro.

Bastò un'occhiata per far sì che rammentasse il paesaggio alpino che abbracciava Berchtesgaden, fermo esattamente a dieci anni prima. Il paesaggio si divideva dalle mille tonalità di verde della terra e quelle azzurre del fiume e, grazie a quel singolo sguardo, Gracie aveva avuto la conferma che il panorama che stava ammirando era ancora capace di lasciarla a bocca aperta. 
A quel punto però avvertì una dolorosa stretta allo stomaco. Si stava avvicinando al paese in cui sua madre era venuta a mancare. Un orrendo mostro, comunemente conosciuto con il nome di tubercolosi, l'aveva divorata pian piano, portandola via da lei troppo prematuramente. 
Era stata proprio la scomparsa della moglie a spingere il padre di Gracie a trasferirsi nuovamente nella loro casa a Francoforte, animato dalla speranza di riuscire a cominciare una nuova vita insieme alla figlia. 
Da allora, Gracie non aveva più fatto ritorno a Berchtesgaden, fino a quel momento. 

"Signorina, volete che passi per il paese o preferite che tagli per la strada secondaria? " 

"Passate pure per il paese."

Subito dopo chiuse le palpebre, in modo da farsi cullare dal rilassante scroscio familiare delle acque dell'Ache, il fiume che lambiva il sentiero che li avrebbe condotti al centro della cittadina. 
Li riaprì solo quando ormai il fragore dell'acqua fu lontano, ritrovandosi così nel cuore del borgo che aveva fatto da sfondo alla sua infanzia. 
Immaginò di essere tornata bambina, mentre passeggiava con i suoi genitori per le vie del paese circondate da edifici color pastello dalle facciate affrescate e decorate da vasi di fiori variopinti. 

Tutto era come lo aveva lasciato: dall'imponente castello che ospitava gli ultimi esponenti del casato dei Wittelsbach, fino all'adiacente chiesa, la stessa che frequentava da bambina. Le due torri cuspidate che ne delimitavano la struttura sembravano davvero voler imitare la maestosità delle vette che cingevano il borgo. 
Quella vista le fece tornare alla mente le giornate di festa, in particolare le domeniche, quando suo padre non lavorava e tutta la sua famiglia si preparava per andare alla messa del mattino. Sua madre le faceva indossare il suo vestito preferito, un semplice abitino rosa chiaro che d'inverno portava con un maglioncino e un paio di calze. 
In realtà, a lei non piaceva seguire la funzione religiosa, si annoiava a morte e si univa svogliatamente al coro della chiesa, ma col senno di poi, si rese conto che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di tornare a sedere sulle panchine della parrocchia accanto a sua madre, che la invogliava con uno sguardo amorevole ad ascoltare le parole del prete. 

Quel pensiero fece in modo che la gola le si annodasse, ma proprio in quell'attimo l'autista passò oltre la parrocchia e proseguì verso il MarktPlatz, la piazza principale di Berchtesgaden, dove ogni giorno si teneva il mercato, il medesimo che visitava insieme alla governante dei suoi vicini e a Rambert, il figlio minore del generale Mayer. 
Se si concentrava, riusciva ancora a sentire l'odore del pane fresco e del formaggio che aleggiavano nella piazza, il brusio delle voci dei passanti, le grida dei commercianti che invitavano a comprare la propria mercanzia. 

"Allora, vi è mancato Berchtesgaden?" Le chiese l'autista, mentre si allontanavano dal centro abitato. 

"Non voglio mentirvi: dire che mi è mancato è riduttivo. Inoltre, è impressionante il fatto che sia rimasto tutto esattamente uguale a come era..." 

Quello che aveva appena confessato a Kurt era la pura verità. Innumerevoli erano state le occasioni in cui aveva desiderato fare ritorno al suo paese d'infanzia, ma ogni volta che quel pensiero le sfiorava la mente, veniva subito frenato dalla paura di essere nuovamente sopraffatta dal dolore che aveva provato per la morte di sua madre. Adesso che si trovava lì però, non poteva certo dire di essersi pentita di aver compiuto quel passo. 

I suggestivi edifici del borgo si facevano più distanti, lasciando ancora una volta spazio al verde, che veniva interrotto solo da una piccola stradina sterrata leggermente in salita.

Il sentiero li avrebbe portati alla tenuta dei Mayer e alla villetta accanto decisamente più modesta, sempre di proprietà del generale, il quale vent'anni prima l'aveva data in affitto alla famiglia di Gracie. 

La ragazza non aveva mai dimenticato i suoi vicini.

Colui che le era rimasto meno impresso però era proprio il signor Mayer, che a causa del suo impiego nell'esercito era continuamente lontano da casa. 

La maggior parte del tempo lo passava con Rambert, il secondogenito del generale, nonché suo coetaneo e compagno di giochi. Da piccoli lei e Rambert erano molto legati grazie anche al loro carattere piuttosto simile, tanto da spingere Gracie a considerarlo come il fratello che non aveva mai avuto. Trascorrevano quasi tutti i giorni insieme, e non di rado suo padre la portava con sé alla tenuta, permettendole di ascoltare le lezioni che impartiva al giovane Mayer. 
I pomeriggi in compagnia di Rambert, non erano mai stai noiosi per i due bambini, che una volta finito di studiare si cimentavano nei più disparati giochi: dalla lotta con i cuscini, al nascondino, fino ad arrivare alle battaglie tra i soldatini di Rambert e le bambole di pezza di Gracie; questo quando il clima non permetteva loro di uscire all'aperto. 

Tutto ciò era stato possibile fino al momento in cui la madre di Gracie non aveva iniziato a stare male, cosa che li aveva portati a distaccarsi e a vedersi sempre più sporadicamente. 

Anche i loro padri erano uniti da una profonda amicizia nata durante la Grande Guerra, alla quale entrambi erano stati costretti a prendere parte.
Durante una battaglia, suo padre aveva salvato il signor Mayer da una granata e da morte certa, anche se quell'intervento gli era costato una gamba. 
Almeno era questo ciò che il generale Mayer raccontava ogni volta che ne aveva occasione. 

Poi c'era Dominik, il figlio maggiore dei Mayer, un ragazzino borioso e difficile da gestire, era questo il modo in cui la sua governante lo descriveva. 
Gracie non aveva mai interagito più del dovuto con lui, sia per la differenza di età che intercorreva tra loro, sia per il semplice fatto che il ragazzo, così come il generale, non era mai a casa, poiché era spesso a Berlino con il padre. 

Cosa che invece non faceva Rambert. Lui, oltre ad avere qualche anno in meno, era ancora bisognoso delle cure costanti della governante, e perlopiù non era mai stato benvoluto dal signor Mayer, il quale incolpava il bambino di aver ucciso la moglie, dato che la donna era morta dopo averlo messo al mondo. Proprio per questa ragione, l'uomo aveva da sempre preferito tenerlo a distanza. 

Per ultima, ma non per questo meno importante, c'era la dolce ma all'occorrenza severa Helga, la donna che si occupava della tenuta, la quale le preparava una cioccolata calda "magica", o così soleva etichettarla lei, poiché tale bevanda aveva il potere di risollevare l'umore di Gracie ogni volta che la beveva. 
A frenare l'incessante flusso dei ricordi che la stava assalendo, ci pensò la vista delle sagome delle proprietà dei Mayer che, insieme al cielo plumbeo, si specchiavano nelle acque cristalline del Konigssee, il lago alpino appena sottostante, creando un bellissimo gioco di luci e ombre perfetto per essere riprodotto in uno dei suoi quadri. 

Dopo circa un centinaio di metri, la Mercedes proseguì per un vialetto di ciottoli, delineato da due file di sempreverdi che profumavano di muschio, che terminava all'ingresso della tenuta dei vicini. 

"Signorina Miller, siamo arrivati."  annunciò l'autista, spegnendo il motore dell'auto. 

Fu sufficiente una semplice occhiata per constatare che la villa era rimasta immutata. 
La tenuta, dalla forma rettangolare, si ergeva su due piani, pianoterra escluso. 
La facciata principale, dall'aspetto classicheggiante, era intonacata di un bianco immacolato fatta eccezione per le finestre allungate, i cui bordi erano decorati da fiori dorati direttamente dipinti sul muro, in linea con lo stile del paese. 

Fu il rumore della portiera a riportare alla realtà Gracie, la quale si accinse ad uscire dall'auto grazie all'aiuto di Kurt che le teneva aperto lo sportello. 

Una volta fuori dal veicolo, la ragazza si accorse che l'autista aveva già recuperato i suoi bagagli e aspettava pazientemente un cenno per dirigersi verso l'edificio di fronte a loro. 
Gracie però si perse nell'osservare l'ampio e curato giardino che abbelliva l'ingresso della tenuta, che le fece tornare alla mente i momenti in cui lei e Rambert si sfidavano alla guerra a suon di palle di neve. Battaglia che finì con entrambi costretti a letto per un brutto raffreddore, che gli aveva impedito di vedersi per un po'. 
Rambert però aveva aggirato la cosa tenendole compagnia tutte le sere dopo cena, dove dalla sua camera inscenava una versione tutta sua delle favole classiche attraverso il gioco delle ombre, insegnatogli da Gracie stessa, tecnica che lei aveva appreso a sua volta da sua madre. 

"Avviatevi senza di me, vi raggiungo tra un momento. Grazie ancora per la cortesia." 

Dopo aver ascoltato le sue parole e averla salutata, l'uomo caricò tutti i bagagli in una volta, per poi dirigersi senza esitazione verso il portone dei suoi datori di lavoro. 

A quel punto Gracie volle dare uno sguardo a quella che era stata la sua casa, dunque si voltò verso destra, riuscendo a intravedere l'edificio di dimensioni molto più circoscritte rispetto a quello dei Mayer, distante solo pochi metri dalla sua posizione.
La sua vecchia abitazione aveva le serrande spalancate, segno che ospitava nuovi inquilini. A rafforzare la sua teoria, vi erano dei panni stesi sulla corda e diversi giocattoli sparsi sulla verandina. Dall'altra parte, era ovvio che il signor Mayer l'aveva affittata a un'altra famiglia dopo il loro trasferimento. 
Osservando la veranda, le tornò alla mente uno dei momenti più tristi legati a quella casa, escludendo la morte di sua madre. Il ricordo risaliva ad una giornata sul termine dell'estate di dieci anni prima. 

Lei era seduta di fronte alla finestra della sua cameretta ed era intenta a trasferire sulla carta ciò che vedeva fuori. 
Aveva appena abbozzato la sagoma di villa Mayer, quando suo padre aveva dovuto interromperla, riferendole con la dovuta accortezza che di lì a pochi giorni si sarebbero dovuti trasferire. 
In seguito a quella notizia, Gracie aveva pianto per tutto il resto del giorno, trovando la forza d'informare il suo migliore amico solo la sera seguente. 
Ricordava ancora il velo di tristezza che aveva oscurato gli occhi del bambino, ma nonostante questo, Rambert le promise che si sarebbero tenuti in contatto scrivendosi il più possibile, finché lei non sarebbe tornata. 
Promessa che i primi tempi era stata rispetta da entrambi, ma che col passare degli anni i due ragazzi smisero di onorare senza un motivo ben preciso. 

Senza indugiare oltre, Gracie oltrepassò l'imponente fontana di pietra al cui centro era situata la statua di un cavallo impennato, simbolo della casata dei Mayer, fino ad arrivare al portone d'ingresso in legno massello, anch'esso fregiato da fiori dorati. 

La giovane attese una manciata di secondi prima di bussare, rimanendo poi in attesa di essere ricevuta. 
Non dovette aspettare molto e fu proprio Helga ad aprirle la porta. 

Dopo averle riservato una veloce occhiata, Gracie notò che la governante aveva qualche ruga in più a segnarle il viso e in cuor suo sperava che fosse l'unica cosa che la differenziava dalla donna che conosceva. 

Appena la vide, gli occhi celesti di Helga si illuminarono e, senza aggiungere altro, la cinse in un caldo abbraccio che lei fu ben felice di ricambiare. 

"Gracie, sono così felice di rivederti!" esclamò, mentre la teneva ancora stretta a sé. 

Con quel gesto, Helga le aveva dato la risposta alla domanda che la tormentava. 

"Come è andato il viaggio? Ma guardati! Sei diventata proprio una bella signorina!" Senza darle il tempo di replicare continuò: "Aspetta, ne parleremo meglio davanti ad un bel bicchiere di cioccolata calda." Concluse, facendole segno di entrare. 

Una volta dentro, Gracie ebbe il tempo di constatare che così come l'esterno, anche l'interno era rimasto invariato. 

Ad accoglierla ci furono le sinfonie di Wagner, riprodotte dal grammofono che in casa Mayer era quasi sempre in funzione e un intenso profumo di lavanda, fragranza preferita della governante. 
Le pareti erano di un caldo e confortevole color cioccolato, decorate da un motivo floreale ondulato, che rifletteva la luce del lampadario in cristallo posto al centro dell'ingresso. 
Alla destra di Gracie invece faceva la sua bella figura una cassettiera di un tono più tenue rispetto alle pareti, ma non meno decorata, che sorreggeva diversi vasi di terracotta. 
Sopra di essa, vi era dipinto sul muro un incantevole e fedele scorcio del Monte Watzmann e del lago Konigsee, che da bambina l'aveva più volte ammaliata. 
In fondo, si intravedevano le due statue in marmo dalle fattezze canine che sottostavano alla scalinata dai corrimano finemente lavorati, che conduceva ai piani superiori. 

Quando la governante ebbe appeso la giacca all'attaccapanni in legno, la esortò a seguirla attraverso il sontuoso corridoio che conduceva al salone completamente arredato in stile barocco. 
Una volta arrivate, la governate la invitò a sedersi su uno dei divanetti damascati. 

"Aspetta qualche minuto vado a preparare la cioccolata. Tu mettiti pure comoda. Sarai stanca dopo tutto questo viaggiare." 

La ragazza annuì in risposta, obbedendo alla sua richiesta. 
Quando Helga ebbe lasciato la stanza, Gracie decise di dare un'occhiata più approfondita al salone per ammazzare il tempo. 
Cominciò con l'osservare la parete di fronte a lei, impreziosita da una riproduzione della "Nascita di Venere" e da diversi quadri dalla cornice in oro che ospitavano i ritratti austeri degli antenati dei Mayer. 
All'estrema destra del salone vi era un orologio a pendolo che aveva tutta l'aria di stare lì da secoli, mentre al lato sinistro c'era un'elegante vetrinetta che custodiva diverse bottiglie di alcoolici. 
Appoggiata alla parete alla sua destra, vi era invece una cristalliera con diversi soprammobili, ma ciò che aveva attirato l'attenzione della giovane, era una vecchia ribalta in legno con sopra delle fotografie incorniciate. 
Spinta dalla curiosità, Gracie si mise in piedi avvicinandosi ad essa in modo tale da poter vedere le foto più chiaramente.
Una tra le tante la colpì. 
La foto in questione raffigurava un ragazzo dallo sguardo serio con indosso la divisa militare tedesca. Senza ombra di dubbio doveva trattarsi di Rambert.
Mentre era immersa nei suoi pensieri, Gracie avvertì un colpo di tosse alle sue spalle, cosa che la fece trasalire e la indusse a girarsi di scatto. 

Davanti a sé trovò un ragazzo piacente in uniforme, che era alquanto diverso da quello in foto. 
Era alto, di corporatura media, dai capelli crespi color del fuoco e la fissava intensamente con i suoi occhi ambrati. 

Gracie era rimasta completamente rapita dallo sguardo accattivante di lui, ma soprattutto era stata catturata dal peculiare colore delle sue iridi. 

Il giovane non perse tempo e si affrettò a giustificarsi: "Domando scusa, non era mia intenzione spaventarvi." Poi fece una breve pausa durante la quale prese la mano destra di lei avvicinandola alle sue labbra, tutto questo senza staccarle gli occhi di dosso. 

"Piacere, Dominik." 

Le sue mani erano calde proprio come il suono della sua voce... ma nell'ascoltare il suo nome si ricordò che il ragazzo doveva essere il primo figlio del generale Mayer.

"Dominik!" ripeté lei di getto, abbassando lo sguardo. 

"Dominik, togli subito quei tuoi artigli da rapace dalla signorina, su!" lo ammonì Helga, poggiando il vassoio che aveva tra le mani sul tavolino intarsiato al centro della stanza. 

Il giovane ubbidì lasciando andare la mano di Gracie.

"Posso almeno sapere il vostro nome?" 

"Davvero non ti ricordi di me?" balbettò lei, tentando di evitare il suo sguardo magnetico. 

"Mi duole ammetterlo, ma no." 

"Sono Gracie." 

"Contento? Adesso torna a fare quello che stavi facendo, forza!" insistette Helga, alzando la voce per farsi ascoltare. 

"È stato un piacere, Gracie. Spero di rivedervi presto." detto questo, il giovane si dileguò, non prima di averle fatto l'occhiolino. 

"Stammi a sentire figliola, non dargli retta, gli avevo accennato che saresti tornata. Come hai avuto modo di notare, a Dominik piace burlarsi delle persone. A maggior ragione se si tratta di ragazze di bell'aspetto e, scusa la mia franchezza, semmai dovessi scegliere di cedere alle sue attenzioni, stai pur certa che non sarai né la prima né l'ultima fanciulla che farà soffrire." 

La avvertì Helga, porgendole una delle due tazze di porcellana contenenti la cioccolata calda fumante. 

"Grazie del consiglio, ma ti assicuro che puoi stare tranquilla. Non mi lascio abbindolare così facilmente." La rassicurò Gracie, soffiando sulla bevanda. 

"Brava la mia piccolina. Comunque cosa ti porta a Berchtesgaden? Il signor Mayer mi ha solo avvisata che saresti venuta a trovarci, senza specificare il motivo della tua visita." 

"I miei studi d'arte. Mio padre ha chiesto al signor Mayer di partecipare alle lezioni dei precettori dei suoi figli. Poi ha insistito col fatto che respirare un po' d'aria di montagna mi avrebbe fatto bene..." Rispose Gracie, portandosi la tazza alla bocca in modo tale da assaporare un sorso della cioccolata calda, a dir poco deliziosa.

Per fortuna, anche il sapore della sua bevanda preferita era rimasto invariato.

"Eh sì, concordo con tuo padre. A tutti fa bene ogni tanto cambiare aria." replicò la donna, poggiando la sua mano grinzosa su quella morbida di Gracie. 

"E tu invece? Come stai? Ti trovo in forma." 

"Non adularmi, ragazza. Ormai gli acciacchi dell'età si fanno sentire..." 

"E... e Rambert?" chiese la giovane, tentando di mascherare il suo interesse. 

"Sta bene. È solo un po' troppo sciupato per i miei gusti. Insisto sempre per farlo mangiare, ma sai com'è fatto. Quando si mette in testa una cosa è difficile dissuaderlo. Vedrai, sarà contentissimo di rivederti!" 

Gracie si lasciò sfuggire un sorriso, cosa che Helga non ebbe il tempo di notare a causa del rintocco dell'orologio a pendolo, che segnava le tre e un quarto del pomeriggio. 

"A proposito di Rambert, chissà dove si sarà cacciato quel ragazzo... È uscito stamani in fretta e furia, ma mi aveva assicurato che sarebbe tornato per merenda..." 

La sua voce tradiva un velo di preoccupazione, che si curò di  nascondere cambiando argomento. 

"Bene, vorrà dire che ci intratterremo senza di lui. Raccontami un po' cosa hai fatto in tutto questo tempo."

Quella domanda la lasciò senza parole. Aveva talmente tante di quelle cose da dirle, che non sapeva da dove iniziare. 
Decise di cominciare col narrarle di come fosse monotona la città in cui si era trasferita, dei suoi dipinti, di suo padre, che per colpa del lavoro passava davvero poco tempo con lei; delle sue amiche che in realtà tali non erano, dato che non si erano minimamente interessante alla sua partenza. Parlare con la governante l'aiutò a capire quanto fosse sola... era da tempo che non si confidava così con qualcuno. 
Helga la ascoltava con attenzione, intervenendo in alcuni casi con una battutina saccente e in altri con uno dei suoi tanti suggerimenti. 

Passarono così quasi tre ore, scandite dalle loro confidenze e dal ritmo incessante della pioggia che picchiettava sui vetri delle finestre, ma Gracie ed Helga se ne resero conto solo dopo il rintocco dell'orologio, che stavolta segnava le sei in punto. 

"Se quel ragazzo non è qui per l'ora di cena, giuro che..." sbottò la governante, alzandosi in piedi. 

Tuttavia la donna non fece in tempo a concludere la frase, poiché fu frenata da un'altra voce in lontananza. 

"Helga, sono tornato. Puoi farmi preparare un bagno?" 

"Era ora." borbottò la governante, lanciando uno sguardo sollevato a Gracie. 

"Helga!" continuò il ragazzo spazientito, lasciando però la frase in sospeso non appena ebbe messo piede in salone. 

"Gracie..." Sussurrò poi, con la voce evidentemente incrinata dall'emozione, dopo aver scorto la giovane seduta sul divano. 

In quei secondi di pausa, Gracie si concesse del tempo per osservare quello che era stato il suo migliore amico, che sostava immobile all'ingresso della sala. 

Rambert era diventato molto più alto di lei e aveva i capelli decisamente più scuri di come li ricordava. 
La sua capigliatura era passata dal biondo chiarissimo che aveva da bambino a un biondo cenere, o se bagnati e in disordine come li vedeva lei in quel momento, poteva sembrare addirittura castano scuro.
Il volto era smunto e contornato da un accenno di barba di un tono più chiaro rispetto ai capelli.
Indossava un maglione di qualche taglia in più rispetto a quella che avrebbe dovuto portare, maglione che era interamente zuppo e che una volta doveva essere bianco, ma che ora era grigiastro e ricoperto da macchie di terra. 
I pantaloni di fustagno invece erano dello stesso colore dello sporco sulla maglia, mentre ai piedi aveva un paio di stivali da lavoro anch'essi sudici, ma di fango. 

"Ti abbraccerei, se solo non fossi... in queste condizioni." 

Gracie non poté fare a meno di notare che gli occhi castano-verdi del ragazzo non avevano perso quella dolcezza che li rendeva unici al mondo.
Quindi, spinta da un moto di felicità, gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte a sé, stretta che però lui ricambiò a stento.



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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


"Dove sei stato tutto questo tempo si può sapere? Come hai fatto a ridurti in questo modo? E per giunta sei uscito anche senza cappotto! Vuoi proprio prenderti un bel malanno, eh? Non venirmi a dire che non senti il freddo che c'è fuori... ma poi, anche se fosse, non ti sei accorto della pioggia?" si intromise la governante. 
 
Rambert si staccò dall'abbraccio dell'amica e nel farlo le loro dita si sfiorarono appena. 
Lei non potè fare a meno di notare che le sue mani erano fredde come il ghiaccio. Gli occhi di Gracie, color del mare, incontrarono nuovamente quelli castani chiazzati di verde del ragazzo, constatando che il suo volto era dello stesso colore della neve, fatta eccezione per le labbra scarlatte e il naso reso paonazzo dal freddo. 
 
"Scusami per il ritardo Helga, ma ho avuto un piccolo contrattempo. Sono caduto da cavallo... prima che ti agiti, ti anticipo già che non ho nulla di rotto." 
 
"Oh Santo Cielo, sei sicuro?" Insistette la donna, avvicinandosi ai ragazzi. 
 
"Sì, sì." la rassicurò Rambert, in tono non tanto convincente. 
 
"Quante volte ti ho raccomandato di non allontanarti troppo..."
 
"Helga, fai un bel respiro e cerca di calmarti. Va tutto bene." 
 
La donna assecondò le parole di Rambert, inspirando ed espirando profondamente. 
 
"Un giorno di questi tu o tuo fratello mi farete morire di crepacuore. Non avete proprio rispetto..." 
 
"Helga, me lo fai preparare questo bagno oppure no?" 
 
"E va bene. La prossima volta cerca di stare più attento." si arrese infine la governante per poi accingersi ad uscire dal salone, senza dimenticarsi di indirizzargli un'ultima occhiata severa. 
 
Gracie, che per tutto il tempo era rimasta un silenzio ad ascoltare il battibecco, intervenne timidamente: "Helga, aspetta. Non vorrei essere sfacciata, ma anch'io avrei bisogno di un bagno..."
 
"Certo. Faccio preparare a Bertha la vasca anche per te." 
Nel rivolgersi a lei, l'espressione della donna si addolcì di colpo, rendendo meno accentuate le rughe sul suo viso. 
 
"Cedi pure il mio bagno a Gracie, è più confortevole. Io userò quello degli ospiti. " 
 
"Va bene, ma fate in fretta. Tra poco è ora di cena. Ah, Rambert ti occupi tu di accompagnare Gracie alla sua camera?" 
 
Il ragazzo fece un cenno d'assenso col capo e Helga lasciò il salone. 
 
Rambert allora si concesse un lieve sospiro di rassegnazione, per poi orientare il suo sguardo verso l'amica: "Non farci caso. A volte tra lei e mio fratello non so dire chi è peggio. A proposito di Dominik, hai già avuto il piacere di incontrarlo?" 
 
Gracie annuì, accorgendosi della nota d'ironia che aveva usato il ragazzo nel pronunciare il termine "piacere". 
 
"Mi auguro che non ti abbia importunata." 
 
"No, ci siamo solo salutati."  
 
Perdendosi di nuovo nelle iridi del suo migliore amico, notò quanto Rambert fosse diverso dal fratello, a partire proprio dagli occhi, per poi passare ai capelli e al fisico fino ai lineamenti del viso. 
Forse l'unica cosa che avevano in comune era l'altezza, ma non ne era del tutto certa. 
In effetti si ritrovò a pensare che se avesse incrociato i due ragazzi per strada casualmente, non avrebbe mai creduto al fatto che fossero parenti, o almeno non così stretti. 
 
"Sai, ti trovo bene." 
 
Fu Rambert a riportarla alla realtà, con quelle semplici parole e un sorriso appena accennato. 
 
"Ti ringrazio. Ma non posso dire lo stesso di te" rispose lei, soffermando lo sguardo sugli abiti fradici di pioggia. 
 
"Grazie. Tu sì che sai come azzerare di colpo la considerazione che ha di sé una persona, complimenti." Ribatté il ragazzo, accentuando il sorriso. 
 
"Guarda che faccio sul serio. Non hai una bella cera. Fossi in te farei tesoro dei suggerimenti di Helga." 
 
"Beh, se come dici tu devo ascoltare i consigli di Helga, prima di tutto dovrei sbrigarmi a darmi una ripulita, per evitare di farla arrabbiare ulteriormente, no? Ma innanzitutto lascia che ti mostri la tua stanza. Vieni con me. " 
 
Prima di andare, Gracie si accinse a a recuperare la valigia che aveva poggiato ai piedi del divano al centro della stanza, per poi prendere anche il cavalletto e la cartella con i dipinti. 
 
"Da' pure a me." intervenne Rambert, notando lo sforzo che aveva fatto lei nel sollevare il bagaglio. 
 
"Accidenti, cosa ci hai messo dentro? Pesa tantissimo. Certo che voi donne siete sempre esagerate..." 
 
"Se non ce la fai puoi restituirmela..." lo punzecchiò Gracie, allungando la mano verso il manico del bagaglio. 
 
"Non sarebbe da gentiluomo." Concluse lui, facendole segno di raggiungerlo al di fuori del salone. 
 
"Ma tu non sei mai stato un gentiluomo, Rambert..." Ribattè la ragazza, ricordando tutte le volte che da bambini il suo amico l'aveva fatta piangere dopo averle nascosto i suoi giochi preferiti. 
 
In quel momento, Gracie immaginava di essere tornata a quei tempi, quando lei e Rambert giocavano a rincorrersi per gli infiniti corridoi di villa Mayer, quando tutto era più semplice. 
 
"Potrei essere cambiato da allora, non credi?" esclamò lui con leggerezza, tenendo lo sguardo in avanti. 
 
Quelle parole, a cui lei non rispose, giunsero alle sue orecchie come un fulmine a ciel sereno. 
Ciò nonostante, continuò a farsi guidare da Rambert, stavolta per la rampa di scale che li avrebbe portati al piano superiore. 
L'idea che il suo migliore amico potesse essere mutato, almeno per quanto riguardava il lato caratteriale, non le aveva mai sfiorato la mente, o così era stato fino a pochi attimi prima.
Superata la scala, il ragazzo si fermò davanti a una porta color noce, adagiando il bagaglio. 
 
"Questa è la tua stanza, spero che la giudicherai comoda. La porta dovrebbe essere aperta, se non sbaglio. In caso contrario, chiedi la chiave a Helga. Se dovesse servirti qualsiasi cosa, puoi domandarla a lei o a un'altra domestica senza problemi. Il mio bagno invece è alla fine del corridoio. Ora ti lascio, ci vediamo a cena." 
Rambert pronunciò tali parole affannando, mentre la sua fronte era puntellata da goccioline che scendevano copiose dai capelli. 
 
"Rambert, aspetta. Sei sicuro di stare bene?" lo trattenne lei, afferrando la mano destra del giovane, umida ma allo stesso tempo gelata, come poco prima nel salone. 
 
"Sì" rispose lui con un sussurro, dopo aver socchiuso gli occhi ed aver espirato una piccola quantità d'aria. 
 
"È stata una giornata faticosa" concluse anticipando un'eventuale altra domanda, poi sfilò la mano da quella di Gracie e si avviò verso il piano terra. 
 
Rimasta sola, abbassò la maniglia della porta, afferrando il manico della valigia per poi accompagnare lo stipite con la spalla, facendo sì che si aprisse. 
Appena fu dentro, non tardò a riconoscere la camera che i Mayer le avevano ceduto, la stessa di quando era bambina. 
Le pareti color panna ospitavano tuttora i suoi disegni infantili incorniciati, e nel complesso l'arredamento era rimasto invariato. 
A partire dall'enorme armadio bianco e dorato, alla toeletta dalle medesime tinte e decorazioni tipiche del barocco, fino ad arrivare alle tende che coprivano l'unica finestra. 
Senza indugiare oltre, trascinò la valigia, e con un ultimo sforzo la sollevò pesantemente sul letto ad una piazza e mezza dalla testata in oro e avorio, poggiato al muro infondo alla camera. 
Si ricordò all'istante della coperta ricamata a mano sul materasso, la stessa che la riscaldava dieci anni prima. 
Le labbra di Gracie si allargarono a dismisura, mentre accarezzava il tessuto morbido fino ad arrivare al cuscino, dove c'era la sua bambola di pezza preferita fräulein Liesbeth, quella a cui Ulf, il cucciolo dei Mayer, aveva strappato accidentalmente un occhio giocandoci. 
 
Si ridestò dai propri ricordi, e aprì così la valigia alla ricerca di vestiti puliti. 
Scelse una modesta giacchetta color caramello e un maglioncino chiaro da abbinare a una gonna plissettata marrone scuro che le arrivava alle caviglie, nulla di troppo vistoso. 
Prima di lasciare la stanza, però Gracie volle mettere in ordine i suoi lavori, che erano fuoriusciti dalla cartella sparpagliandosi lungo la coperta. 
Mentre riponeva i suoi disegni, scorse tra essi un quaderno che non le era per niente familiare, perciò lo prese, iniziando a studiarlo. 
Aveva le dimensioni di una mano, un rivestimento in cuoio e sembrava abbastanza vissuto. 
Spinta dalla curiosità, cominciò a sfogliarlo, avendo cura di non strappare la fragile carta. 
Ben presto si rese conto che il quaderno era pieno di schizzi a matita, da paesaggi rupestri,  all'architettura di edifici, come la facciata della stazione di Monaco, rimasta incompleta. 
Una cosa accomunava quei disegni; la stessa firma scritta in un corsivo tondeggiante. 
 
Angelo Della Valle
 
Gracie avvertì le guance diventare di fuoco, mentre riviveva nella mente lo scontro avuto con l'artista italiano. 
Superato il momento d'imbarazzo, e analizzando le dinamiche del loro incontro, realizzò che la fretta di recuperare le proprie cose, l'aveva portata a prendere involontariamente il taccuino del ragazzo. 
Dunque, cominciò a pensare ad un modo per rimediare alla sua distrazione, supponendo che lei, al posto dell'italiano, avrebbe desiderato avere indietro i propri lavori. 
A tal proposito, prestando maggior cura ai disegni, notò che sotto i paesaggi rappresentati compariva più volte la scritta QuintoSole, affiancata dal nome dell'autore. 
Scritta che era appuntata anche sulla valigia dell'italiano e che era riportata ugualmente sulla prima pagina, insieme a un indirizzo. Ciò indusse Gracie a comprendere che QuintoSole fosse il paese in cui risiedeva l'artista.
Dopo molteplici ripensamenti, arrivò ad una conclusione: l'indomani sarebbe andata alle poste per spedirgli il quaderno. 
 
"Signorina, il bagno è pronto." l'avvisò una domestica con un paio di colpetti alla porta, interrompendo le sue riflessioni. 
 
"Arrivo, grazie."
 
Col cuore più leggero, fece per uscire dalla stanza in direzione del bagno. 
Quindi, raggiunse finalmente la vasca, che era riempita di una profumata acqua bollente. 
Si sesto rapidamente e si immerse nell'acqua, facendosi cullare dal forte odore di vaniglia. 
Istintivamente chiuse le palpebre, venendo investita tutta d'un colpo dalla stanchezza del viaggio, stanchezza che per poco non la fece addormentare. 
 
Ancora non poteva credere di essere tornata a Berchtesgaden, il suo paese... Prima di rischiare di abbandonarsi al sonno, però Gracie aprì gli occhi iniziando a insaponarsi per poi sciacquarsi, e una volta finito riemerse, avvolgendo poi il corpo nel soffice accappatoio che lei stessa aveva lasciato sul bordo del lavandino. 
Quando fu sufficientemente asciutta, rimase per qualche minuto a osservare la sua figura riflessa nello specchio appannato. 
Aveva fianchi morbidi, un seno florido, la vita stretta e le spalle ben proporzionate. Caratteristiche che le avevano garantito una cospicua coda di spasimanti, ai quali lei non aveva mai dato attenzioni. Il viso invece era tondo, più simile a quello di una bambina che a quello di una donna. Senza indugiare oltre, Gracie indossò i vestiti puliti e modellò con le dita i boccoli scuri, per poi affrettarsi a scendere di sotto. 
 
Arrivata all'ingresso della sala da pranzo, fu travolta da un moto di vergogna: Dominik, Rambert ed Helga la aspettavano seduti ai loro posti con il piatto già davanti a loro riempito d'arrosto e patate. 
 
Il primo ad accoglierla fu Dominik. "Stasera abbiamo una pietanza speciale alla nostra tavola..." 
 
Helga non perse tempo nel richiamarlo, sbattendo violentemente i palmi sulla tovaglia, cosa che fece traballare l'acqua contenuta nel bicchiere di fronte a sé:"Dominik! Ti sembrano queste le maniere da adoperare nei confronti della nostra ospite? Chiedi immediatamente scusa e fai in modo che non accada mai più, intesi?" 
 
"La mia osservazione non era un'offesa, bensì un complimento." si giustificò lui, assumendo un'aria di finta innocenza. 
 
"Allora... Gracie, giusto? Ne è passato di tempo dal nostro ultimo incontro, vero? Se non sono indiscreto, posso chiedervi il motivo della vostra visita e della vostra permanenza?" 
 
"Lo scherzo è bello quando dura poco, Dominik. Comunque, sono venuta a Berchtesgaden per approfondire i miei studi d'arte." 
 
"Ah, dunque sei diventata un'artista. E quali sono i tuoi soggetti preferiti?" 
 
"Tutto quello che attira la mia attenzione."
 
"Quindi ti occupi anche del reparto... come dire, più spinto? Se così fosse sarei felice di farti da modello." 
 
Dominik diede una leggera gomitata al fratello che sedeva al suo fianco, il quale gli rivolse un'occhiata sdegnata, a cui lui non diede importanza, mantenendo invece lo sguardo fisso su Gracie. 
A quel punto Rambert sollevò gli occhi al cielo manifestando il suo disappunto con un sonoro sbuffo. 
 
"Adesso basta Dominik, mi hai sentito? Se non la smetti guarda che ti ritrovi a finire la cena fuori, insieme al cane" urlò Helga, mentre la sua faccia diventava rossa di rabbia. 
 
"La mia era una domanda lecita." 
 
"E tu invece, perché non mangi? Mi date l'impressione di aver a che fare con due mocciosi..." proseguì la governante, sfogando la sua furia su Rambert, il quale non aveva nemmeno assaggiato la cena. 
 
In risposta, lui cessò di tormentare il cibo che aveva nel piatto, poggiando finalmente la forchetta sul tovagliolo. 
 
"Non ho molto appetito." 
 
"Tanto per cambiare. Cosa c'è che non va stavolta nella cena?" 
 
"Nulla, davvero. È solo che ho lo stomaco chiuso." 
 
"Almeno uno di voi pensa a gustarsi il cibo senza troppi fronzoli." Affermò la governante rivolta a Gracie, che nel frattempo stava per concludere la cena, complimentandosi con la cuoca. 
 
Era davvero affamata e ciò l'aveva invogliata a mangiare più velocemente del solito. Ovviamente era anche spinta dal desiderio di voler lasciare quella tavola al più presto, dato che lo sguardo insistente di Dominik e l'atmosfera che si era venuta a creare la mettevano a disagio.
 
Una volta finito, Gracie insistette nell'aiutare Helga e le altre domestiche a riordinare la cucina e a pulire i piatti, e nonostante le iniziali proteste, Helga le permise di dare una mano. 
Quando ebbero terminato, la governante la prese in disparte e, dopo aver inspirato una grossa boccata d'aria, finalmente parlò: "Senti Gracie, mi dispiace molto per quello che è successo a cena. Dominik si è comportato in un modo davvero increscioso. Ti faccio io le scuse a nome suo. Spero vorrai accettarle comunque." 
 
"Non ti preoccupare, è acqua passata" la rassicurò Gracie, avvolgendo le mani rugose di Helga nelle sue. 
 
"Domani ti prometto che ti faccio trovare i bretzel con la cioccolata per colazione." 
 
"Ci conto. " 
 
"Allora, buona notte, a domani. " 
 
"Ho dimenticato di darti questa." la frenò Helga, mettendole in mano una piccola chiave ramata. 
 
"È quella della tua stanza. Fa sogni d'oro piccola, a domani." 
 
Quando Helga si fu allontanata, la ragazza si stropicciò gli occhi, pregustando già il letto caldo che l'attendeva di sopra. Mentre si apprestava a salire le scale, incrociò gli occhi del suo migliore amico, il quale le augurò di passare una buona notte.

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