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di FarAway_L
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. ***
Capitolo 10: *** X. ***



Capitolo 1
*** I. ***


Capitolo I.
3.013 parole

Fermati un attimo e dimmi che cosa vuoi fare,
vero che vuoi restare?
E questo tempo difficile va male ma sì,
abbiamo ancora tutto da inventare.
Guarda che non si cancella una vita così,
che te lo dico a fare?


28 Settembre.

Il vento soffiava leggero, cullando le foglie degli alberi con cadenza regolare, regalando un fruscìo dolce e rilassante. Settembre portava con sè un'aria fresca ed accogliente: Camylla se ne stava distesa sul prato verde, circondata da piccoli fiori che sembravano avessero bisogno di tregua dai passanti che ignari della loro esistenza li calpestavano, schiacciandoli al suolo. Aveva lo sguardo perso verso l'alto, dove il cielo regalava la vista di un sole timido e capriccioso che si divertiva a nascondersi dietro nuvole fini e fortunatamente poco dense - almeno per il momento. Lo zaino contenente libri e quaderni a sorreggerle di poco la testa, mentre affianco a sè Alyssa e Khloe affrontavano una dura partita a carte.
«Dovremmo chiedere gli appunti a qualcuno», con la voce quasi assonnata Camylla aveva pronunciato quelle parole, rivolgendo l'attenzione sulle amiche. Non si era però voltata nella loro direzione, catturata ancora dal gioco che veniva creatosi tra il sole e le nuvole: le foglie poi, si divertivano ad oscurare per piccoli momenti la sua visuale per far tornare successivamente tutto nella posizione originale.
«Potrei chiedere ad Ethan», le aveva risposto Khloe. E anche se Camylla non poteva vederla, poteva però dedurne - dal tono di voce usato, che potesse essere decisamente troppo concentrata sulla partita, « Ma stai rubando! Così non vale!». Stavolta l'amica aveva quasi attirato l'attenzione delle altre persone a loro limitrofe, scegliendo di urlare e di scaraventare per aria tutte le carte che stava tenendo in mano. Persino Camylla, colta di sorpresa, fu costretta a tirarsi su di scatto, mettendosi una mano sul petto per lo spavento.
«Come sei suscettibile», Alyssa alzò le mani in segno di arresa, scuotendo lievemente la testa. Un accenno di sorriso però, le era comparso sul viso: sapeva quanto Khloe fosse una persona attenta alle regole e quanto si sforzasse per non infrangerne neanche una, per questo si divertiva a prenderla in giro. Era semplicemente buffo vederla in difficoltà.
«Piuttosto, chiederesti davvero ad Ethan gli appunti?», la rincalzò ancora, usando tutta la malizia che poteva possedere. Quel giorno avevano deciso di saltare le lezioni che si tenevano all'Università: l'assenza di pioggia che nei giorni precedenti era stata protagonista, aveva dato agli abitanti londinesi una tregua. Per questo le tre amiche avevano deciso di approfittarne.
«Beh, ecco..», le guance di Khloe stavano diventando dello stesso colore del maglioncino di Alyssa, la voce rotta dall'emozione, «Potrei, forse..», un sorriso debole ad incorniciarne il viso paffutello ma delizioso; la mano destra a grattarsi nervosamente la nuca.
«Non ne avresti mai il coraggio!», Camylla non riuscì a trattenere l'ilarità, facendo fuoriuscire dalla sua bocca una risata forte e contagiosa. Khloe aveva una cotta paurosa per Ethan: un ragazzo alto e dal fisico atletico, con un viso che all'apparenza emanava semplicità e gentilezza, caratterizzato da occhi di colore verde e bocca sottile. Il tutto era contornato da capelli castani la cui lunghezza arrivava poco sopra le spalle.
«Smettetela! Non siete divertenti!», ma neanche Khloe credeva alle sue stesse parole perchè il sorriso con il quale aveva pronunciato quella frase ne tradiva il significato.
«A te invece, come vanno le cose?», Alyssa cercò di tornare composta, sistemandosi al meglio sull'erba ancora umida ed iniziando un discorso che Camylla non aveva intenzione di proseguire. Sul suo volto era scomparso qualsiasi segno di divertimento.
«Normale», Camylla alzò le spalle, optando per una risposta semplice e diretta: un fondo di verità in quelle parole c'era, dopotutto. Le faceva male parlare di quella situazione, era una ferita ancora troppo aperta che bruciava anche solo se veniva sfiorata; non voleva rovinare l'atmosfera di leggerezza che era andata a crearsi quella mattina, per questo decise di distendersi nuovamente, tornando a farsi cullare dal sole tiepido. Ma le nuvole non le permettevano più quella visuale.
«L'hai più sentito?», insistette Khloe mentre cercava di radunare le carte sparse che lei stessa aveva lanciato: la sua ingenuità alle volte risultava essere banale. Non aveva colto il segnale che Camylla aveva mandato indirettamente. O non aveva voluto coglierlo.
«No», ancora una volta Camylla decise di tagliare corto, sospostando leggermente la testa verso sinistra e puntando lo sguardo in quello di Alyssa: voleva trasmettegli l'ansia che le era salita, il nervosismo che aveva cominciato a farle visita. Institivamente prese a toccarsi la tasca destra dei jeans, quella in cui era posto il cellulare, non avendo il coraggio di tirarlo fuori: non lo aveva sentito vibrare, segno che nessun messaggio le fosse arrivato. Non voleva rimanere delusa nonostante la consapevolezza.
Sbuffò prima di cominciare a giocare con alcune pellicine che le contornavano l'unghia del pollice: erano quattro lunghissimi giorni che non lo sentiva, quattro lunghissimi giorni che non lo vedeva. Era stato lui a creare quella distanza, lui a prendere in mano quella situazione e stravolgerla. E lei non stava facendo assolutamente niente: era entrata in un limbo di emozioni che non riusciva a gestire nè tantomeno controllare, dove per quanto si sforzasse di combattere e reagire in realtà non riusciva ad ottenere che frasi sconnesse pronunciate ad uno specchio e pianti isterici nel pieno della notte.
«Dai, andiamo a bere qualcosa», il silenzio sceso momentaneamente tra di loro era stato spezzato dalla voce squillante e indaffarata di Alyssa. Con un gesto atletico e mal riuscito, stava provando ad alzarsi in piedi risultando però goffa ed impacciata. Khloe la seguì a ruota, annuendo con la testa e cercando di chiudere lo zaino dove aveva appena finito di inserire gli oggetti usati precedentemente.
Camylla guardò le amiche rimanendo nell'esatta posizione di poco prima, osservandole nei movimenti e catturandone la loro semplicità: in quattro giorni aveva pensato più del dovuto a quell'estranea sensazione che si portava appresso, che non le lasciava spazio. Era una sensazione strana e quasi fastidiosa, difficile da gestire. In quel momento si ritrovò a pensare se proprio quelle amiche che si trovava difronte non potessero realmente aiutarla, se potessero consigliarle il modo giusto per reagire; se potessero anche solo restarle affianco, donandole silenziosamente quel coraggio che le mancava.
Si tirò lentamente a sedere, scegliendo di continuare la giornata insieme a quelle persone che fino a quel momento erano riuscite a farla sentire meglio, seppur per piccoli istanti. Afferrò lo zaino, sorridendo debolmente: aveva ancora bisogno di svago, ed era certa che sia Alyssa che Khloe sapessero come alliviare quel nodo che le si era formato alla gola.

Non appena uscirono dalla caffetteria proprio dietro il complesso strutturale dell'Università, Camylla si ritrovò inevitabilmente a stringere più forte al petto il quaderno che aveva in mano: il vento aveva preso ad essere presente in maniera pungente, portando con sè aria fresca; il sole, invece si era totalmente abbandonato alle nuvole lasciando così spazio ad un cielo scuro.
«Ma quanto ha spiegato Johnson?! Accidenti!», a Khloe cominciava a stare stretta l'idea di aver saltato le lezioni: dopo un altro piccolo battibecco tra di loro, aveva deciso di chiedere alla loro compagna di corso Dana, il quaderno per potersi mettere in pari. Quaderno che presentava un numero impensabile di pagine scritte in una calligrafia discutibile, contenenti appunti su argomenti che sicuramente il professore avrebbe chiesto all'esame.
«Non riuscirò mai a farmi piacere quella materia», e Camylla sapeva quanto Alyssa disprezzasse Diritto Internazionale e quanto fosse restìa nei confronti del professore: l'amica si era convinta di non riuscire a passare l'esame, per questo non aveva neanche la minima intenzione di cominciare a studiare. E sembrava intenzionata a coinvolgere anche le altre.
«Stasera usciamo, vero?», aveva chiesto con aria innocente mentre si erano soffermate al bordo del marciapiede in attesa di poter attraversare la strada.
«Dove vorresti andar-», il sorriso con la quale stava pronunciando quella frase morì nell'esatto momento in cui Camylla incontrò con lo sguardo la persona che le stava a pochi metri di distanza, appoggiato con la schiena alla macchina, le braccia al petto e le gambe incrociate tra loro. In attesa.
Fu semplicemente un attimo: il cuore le prese a pulsare talmente forte da poterlo sentir scoppiare; dei brividi impercettibili le percorsero la spina dorsale, facendole mancare il respiro per tratti apparentemente lunghi. Strinse a sè ulteriormente i quaderni, incapace di muovere dei passi in nessuna direzione. Perchè per quanto desiderasse accorciare la distanza e potersi rispecchiare nuovamente in quegli occhi che tanto a lungo avevano saputo capirla più di chiunque altro, qualcosa la tratteneva: era l'orgoglio ferito nell'anima. Era la paura di essere rifiutata, ancora. Un'altra volta.
«Tutto bene?», Alyssa le aveva appena sfiorato con una mano il braccio, in segno di rassicurazione. Il tono di voce nascondeva un velo di preoccupazione che a Camylla non sfuggì, ma quello che le premeva di più in quel momento era riuscire ad affrontare quella dannatissima situazione.
Non riuscì a darle una risposta concreta, si limitò ad annuire con la testa, continuando a mantenere lo sguardo fisso in un unica direzione. Lui era perfettamente al corrente della sua presenza ma non sembrava intenzionato a muoversi: solo la guardava, la scrutava attentamente. In attesa.
«Ci..ci vediamo dopo», la bocca asciutta aveva come conseguenza la difficoltà di articolare correttamente le frasi. Ma la causa era solamente una.
Controllò nuovamente che non provenissero macchine in ambedue le direzioni e salutò velocemente le amiche sorridendo distrattamente: ad ogni passo compiuto equivaleva una respiro profondo a pieni polmoni. Doveva riuscire a calmare il tremolio che la stava accompagnando, tenendola per mano.
Matthias sciolse le gambe, tornando in posizione eretta solo quando Camylla le fu a poca distanza: si mosse in maniera così lenta e calma da far dubitare che realmente l'avesse fatto, allargando un sorriso sul suo volto. Il maglioncino nero riusciva a mettere in risalto ulteriormente il suo fisico asciutto mentre i jeans chiari fasciavano perfettamente le gambe snelle.
«Hey», la voce sottile e delicata le era mancata molto e risentirla in quel momento le fece mordere il labbro inferiore. Non rispose però, troppo concentrata ad osservarlo nei suoi movimenti ben studiati mentre si passava una mano tra i capelli, spettinandoli ulteriormemte.
«Come stai?», una banale domanda di cortesia alla quale Camylla rispose con un alzata di spalle: Matthias sapeva perfettamente qual'era lo stato d'animo della ragazza, per questo una reale risposta non era necessaria. Di lei aveva imparato a leggerne i movimenti mancati, gli sguardi che sapevano di parole non dette.
A Camylla mancava ogni cosa: le mancava sorridere a causa di Matthias, le mancava essere guardata nella maniera in cui solo Matthias sapeva fare, le mancava avere un contatto diretto con Matthias. Le mancava l'aria. E in quel momento era invasa da emozioni che non riusciva a controllare: star così tanto tempo lontano da lui non era mai successo in anni di relazione; avere un comportamento così imbarazzante era fastidioso.
«Dobbiamo parlare», ancora una volta fu Matthias ad interrompere quel silenzio fatto di consapevolezza mista a paura. Ma forse era giusto così: in tutti quegli anni era sempre stato lui ad avere il pieno controllo delle situazioni, lui sapeva quando e come reagire, quando parlare e quali parole usare.
«Cos'hai deciso?», la voce di Camylla risultò essere più debole di quanto avesse mai sperato. Aveva spostato il peso del corpo sulla gamba destra mentre ancora i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalla figura perfetta che si trovava difronte. Decise di andare al centro del discorso senza girarsi troppo intorno: sarebbero stati inutili i convenevoli e non avrebbero giovato a nessuno dei due. Perchè per quanto fosse vero che Matthias conosceva Camylla come nessun altro, era altrettanto vero il contrario. In quegli anni avevano imparato molte cose gli uni degli altri: sapevano come dirsi molto con gli occhi senza dover usare parole, sapevano scavarsi nel profondo senza necessità di toccarsi. Sapevano gestirsi, in qualsiasi tipo di situazione.
Fu a quel punto che Matthias accorciò nettamente le distanze tra loro, avvolgendo Camylla in un abbraccio sicuro e deciso, da far paura. Lei non ebbe le forze per ricambiare: semplicemente si lasciò trasportare da quel calore che non avrebbe più provato. Chiuse gli occhi, inspirando quel profumo delicato che sentiva un pò suo. Si maledisse per avere dei quaderni a fargli da barriera evitando un contatto più profondo ed intenso: la decisione era stata presa, seppur non condivisa. Si maledisse anche per la situazione che le stava velocemente scivolando via: si rendeva perfettamente conto di quello che le stava accandendo ma non voleva accettarlo; non riusciva a proferir parola, non stava provando a rimediare. Sembrava una spettatrice passiva, inerme difronte a qualcosa di stravolgente.
«Cerca di tirar fuori tutta la forza che hai», la strinse ulteriormente a sè, sussurrando parole volte a colpire direttamente nell'anima, «Sii la ragazza indistruttibile di sempre».
Le baciò delicatemene i capelli mentre Camylla riusciva a stento a trattenere le lacrime: riuscì a liberare la mano destra prima di stringere ferocemente il maglioncino sul fianco di Matthias. Con quel semplice gesto voleva trasmettere il disappunto per tutto ciò che stava accandendo. Voleva far capire quanto ancora avesse bisogno di lui nella sua vita; quanto non fosse pronta a lasciarlo definitivamente andare.
«Grazie», la sua voce attutita dalla debolezza e dall'arrendevolezza. Aveva alzato di poco la testa, quanto bastava per poterlo guardare negli occhi un'ultima volta: se i suoi erano lucidi e pieni di false speranze, trovò quelli di Matthias sicuri nonostante un velo di tristezza. Matthias sciolse l'abbraccio portando freddo e distanza tra i loro corpi ma si premurò di accarezzarle piano il viso, sorridendo debolmente. Il suo tocco era nettamente differente se messo a confronto con quelli avuti negli anni passati; le sue parole sembravano fredde se il contesto portava ad una conclusione non piacevole.
Quando Matthias fece un passo indietro prima di voltarsi e allontanarsi, Camylla sentì le gambe cedere e un peso schiacciarle il cuore: erano tutte le conseguenze delle sue azioni, erano le parole urlate silenziosamente, erano gli sguardi mancati e certezze spazzate via dall'ingeniuità. Chiuse gli occhi e abbassò la testa, arrendendosi ancora una volta ad una situazione che era andata creandosi anche per colpa sua.
Nonostante tutto.


29 Settembre.

Il vento soffiava così forte che Camylla dovette premere con maggiore intensità la sua mano sinistra sulla sciarpa. E si maledisse per non essersi messa i guanti: aveva entrambe le mani letteralmente congelate.
Camminava a passo svelto, schivando di tanto in tanto qualche piccola pozzanghera formatasi nell'arco della notte. Stava ancora schizzettando ma il suo ombrello si muoveva in simbiosi con l'incessante vento, non riuscendo così a coprirla a dovere. Doveva strizzare gli occhi, come se quel gesto potesse proteggerla dalle goccioline che le si posavano sulle lenti degli occhiali. Si maledisse nuovamente, stavolta per non aver preferito usare la macchina.
Ma sapeva di essere ormai quasi arrivata a destinazione. Intravedeva la casa di Alyssa: solo altri piccoli passi e avrebbe raggiunto quel cancellino grigio con l'enorme targhetta appesa che recitava testuali parole “non suonate il campanello o Quick vi abbaierà”.
Si fermò davanti ad esso, notando con delusione come quest'ultimo non fosse stato accostato. Si ritrovò, per la terza volta nel giro di pochi minuti, a maledire la situazione: avrebbe dovuto tirare fuori dalla tasca sinistra del giacchetto il suo telefono, per chiamare così l'amica e farsi aprire.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Camylla stava sbuffando sonoramente per evitare che un'imprecazione le uscisse violenta dalla bocca.
Quattro squilli.
«Pronto, Cam?!», la voce dell'amica era leggera e delicata, quasi un sussurro.
«Aly, sono fuori.», e dovette mordersi la lingua per evitare di riversare quel suo nervosismo mattutino sulla sua amica, la quale - per il momento - non le aveva ancora fatto niente.
Il rumore metallico della serratura del cancello quasi la fece sussultare, ma fu entusiasta di poter correre per il vialetto costernato da vasi con fiori che stavano perdendo pian piano i loro colori vivaci, e poter finalmente entrare in casa. Al riparo dalla pioggerella, dal vento e soprattutto dal freddo.
Lasciò andare malamente l'ombrello giallo e verde al di fuori del portone in legno massiccio, si asciugò furtivamente gli stivaletti neri sullo zerbino marroncino e la scritta grigia “La famiglia Hunt vi dà il benvenuto”, prima di adocchiare la tavola imbandita di cibo nella stanza a pochi passi di distanza da lei.
«Buongiorno!», Camylla sentì provenire la voce di Alyssa dal piano superiore. Sembrava distorta e indaffarata.
«Sei pronta?», tagliò corto Camylla. Non che le dispiacesse abbandonare quella posizione, dove le sue mani si muovevano rapide ed indecise sopra ogni benedetta pietanza che mamma Sophie aveva preparato, ma non le piaceva far aspettare terze persone.
«Sì, scendo subito», “scendo subito” quelle parole rieccheggiarono nella mente di Camylla e le venne da sorridere debolmente: conosceva la sua amica e conosceva fin troppo bene il significato di quelle due semplici parole. Decise di prendere una brioche ancora calda. Sembrava ripiena. «Hai già sentito Theo?», domandò
«Non ancora. Gli manderei anche un messaggio ma ho le mani troppo occupate», confessò Camylla, accompagnando tale affermazione con una smorfia sul volto al solo pensiero delle sue mani lontane da tale benedizione.
«Ma dobbiamo dirgli che faremo ritardo!», “ovviamente” avrebbe voluto aggiungere Camylla. «Se gli mandassi un messaggio io, perderei altro tempo», una testolina bionda sbucò dallo stipite della porta e con un sorriso furbo, strizzò il suo occhio destro in direzione dell'amica prima di scomparire nuovamente all'interno della stanza. Era quella del bagno.
«Vorrà dire che, quando non ci vedrà arrivare all'orario stabilito, ci chiamerà». Se era vero che Camylla conosceva bene Alyssa, era altrettanto vero che Theo conosceva bene entrambe le sue amiche. E da buon amico, sapeva benissimo che avrebbero ritardato. Camylla ne era certa.
«Sai chi ho sentito ieri sera?!», lo schiocco delle labbra alla fine della domanda retorica, stava a significare che Alyssa ci aveva appena passato il rossetto. Forse era pronta. «Ethan!».
Camylla dovette afferrare istintivamente un bicchiere colmo d'acqua per evitare che il pezzo di brioche che aveva deciso di gustarsi, non le andasse di traverso. E non tanto per l'aver sentito pronunciare tale nome, perchè per quanto si sforzasse di accantonare l'idea, in realtà sapeva benissimo che sarebbe successo. No, ciò che le fece accendere un pizzichìo di preoccupazione che subito le si era andato ad inserire nel cervello, fu l'aver percepito la gioia e l'enfasi con la quale Alyssa aveva enunciato quel nome; era la felicità con la quale vide scendere l'amica dalle scale, saltellando come una bambina di cinque anni davanti ad un regalo.




 
IM BACK!
Eccomi tornata con un'altra storia :) 
A distanza di anni, sono riuscita a superare ostacoli che non mi avevano permesso di scrivere. In questi ultimi giorni, poi, è tornato anche l'entusiasmo e la voglia di farvi conoscere - se vi va - ciò che ho in mente.
Ovviamente questo è un semplice capitolo d'introduzione, dove si possono fare solo supposizioni. Ma vorrei anticipare che non si tratterà solamente di una storia d'amore giunta al termine, oppure di un "tradimento" tra migliori amiche. 
Ci sarà uno sviluppo dietro, nuovi incontri e soprattutto decisioni che non si riveleranno così sagge.
Spero di aver catturato almeno una piccolissima parte della vostra curiosità. 
E spero possa emozionarvi almeno la metà di quanto non abbia emozionato me nel tornare a scrivere.

Fatemi sapere ciò che vi passa per la testa, qualunque cosa. E' importante per me il vostro giudizio perchè è quello che mi permette di migliorare, di cambiare se necessario il mio punto di vista.
Perciò non abbiate freniiiii :)

Ah, l'ultima cosa: ci sarà un particolare per ogni capitolo. Ovvero verranno raccontati dei trascorsi di due giorni che inizieranno alla stessa maniera. (Esempio in questo capitolo: il vento soffiava).
Adesso vi saluto.


G.xx 
 
 

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Capitolo 2
*** II. ***


Capitolo II.
3.093 parole

Ci vorrebbe un amico
per poterti dimenticare,
ci vorrebbe un amico
per dimenticare il male,
ci vorrebbe un amico
qui per sempre al mio fianco,
ci vorrebbe un amico
nel dolore e nel rimpianto. 

La lezione di Diritto Privato sembrava interminabile: Camylla aveva smesso di prendere appunti già da diversi minuti, intenta a scarabocchiare la pagina del foglio perlopiù bianca. Sotto al banco, aveva le gambe accavallate che stava muovendo con ticchettìo nervoso, battendo di tanto in tanto, il ginocchio sulla lastra fredda.
«Vuoi stare attenta?!», la voce delicata di Alyssa la fece quasi sussultare, «Guarda che non te li presto gli appunti».
«Lo farai», Camylla aveva smesso di disegnare un'aspirale per potersi concentrare sul Khloe, sita due file più avanti,  «Secondo te, come mai stamani non è venuta a far colazione con noi?». Per potersi far sentire meglio, aveva deciso di appoggiare la guancia sulla mano sinistra, avvicinandosi ulteriormente ad Alyssa che - stranamente - sembrava davvero interessata a ciò che il Professor Wright stava spiegando.
«Non avrà sentito la sveglia», la frase era stata accompagnata da un'alzata di spalle. Sembrava quasi non le importasse. Oppure era successo qualcosa la notte prima di cui Camylla era all'oscuro.
«Sssh», un ragazzo paffutello dietro Alyssa aveva appena espresso il suo disappunto verso la conversazione che stavano avendo le due amiche. Camylla si era girata di scatto, e dopo avergli regalato un'occhiataccia quasi minacciosa, era tornata a fissare l'enorme lavagna difronte a sè: presentava un sacco di scritte, vi erano molte freccie che sembravano collegare tra loro alcune parole ma purtroppo Camylla non era in grado di darne il giusto significato.
Improvvisamente, il dispaly del cellulare che aveva appoggiato vicino all'astuccio, alla sua destra, si era illuminato. Camylla fece un balzo sulla sedia, come fosse stata punta sul vivo, ed il suo cuore aveva preso a battere ad un ritmo del tutto irregolare. Riusciva a stento a respirare e le tremavano le mani: sperava con tutta se stessa di aver ricevuto un messaggio, uno qualsiasi, da Matthias. Non le importava ciò che avrebbe letto, non le importava ciò che avrebbe potuto scrivergli. Le sarebbe bastato leggere il suo nome.
Dopo l'incontro avvenuto il giorno prima, non si erano più visti nè tantomeno sentiti: Camylla sapeva che un confronto diretto sarebbe stato più essenziale; sapeva che sarebbe stato utile dirsi a voce ciò che non era stata in grado di dire poche ore prima; sapeva che avrebbe dovuto urlare - se necessario, il suo disappunto per quella relazione finita. Perchè per quanto fosse certa di aver trasmesso ciò con lo sguardo, era necessario e fondamentale dirlo ad alta voce. E sapeva anche che questi erano argomenti da discutere a quattr'occhi e non attraverso lo schermo di un telefono, ma in quel preciso momento desiderava fosse lui.
Non desiderava nientr'altro.

Messaggio ricevuto: ore 10.45 am     
Da: Maaamma!
Buongiorno tesoro, come stai? Io ero in pausa, adesso rientro. Ti chiamo stasera. Un bacio

Camylla era delusa. Non che non le avesse fatto piacere ricevere un messaggio da sua madre, solo sperava in un altro mittente. Si ritrovò a bloccare lo schermo del telefono senza dare nessun tipo di risposta al messaggio ricevuto, prima di posizionarlo affianco all'astuccio. Stavolta poteva ammirarne la cover: non aveva intenzione di sudare nuovamente freddo per un'eventuale messaggio arrivato e poi scoprire non essere nuovamente la persona che sperava.
La lezione, per quanto noiosa, era ancora maledettamente lunga. Decise di provare a riscrivere qualche parola qua e là su quel foglio completamente scarabocchiato, giusto per evitare di avere un'unico pensiero fisso e provare così a tenere la mente occupata, almeno per qualche altra interminabile ora.

Le dense nuvole grigie non promettevano una lunga tregua dalla pioggia che era stata protagonista per tutta la mattina; il vento continuava a persistere rendendo la temperatura poco gradevole: sembrava quasi una tipica giornata di inizio Novembre piuttosto che fine Settembre.
Alyssa e Camylla avevano appena raggiunto un vecchio e arrugginito gazebo in legno posto in un angolo di giardino dell'Università, contornato da piccoli tavolini volti a far invogliare gli studenti a collaborare tra loro nelle giornate soleggiate.
«Perchè abbiamo scelto di incontrarci qua?», Camylla dovette stringersi nelle spalle per evitare che un secondo brivido di freddo le percoresse la spina dorsale,  «E perchè ci mette tanto ad arrivare?», dovette anche ammettere mentalmente che quel giorno in particolare si ritrovava ad essere più  nervosa e meno comprensiva del solito. Non ne sapeva esattamente il motivo ma si stava rendendo conto di essere quantomeno poco tollerante verso chiunque non si comportasse come lei avrebbe voluto - e sperato.
«Beh..noi lo abbiamo fatto aspettare stamani mattina», la voce di Alyssa era distratta ma veritiera. Aveva appoggiato la sua borsa sul tavolo per poterne così tirare fuori un quaderno ad anelli rosso contenenti gli appunti presi solo fino a qualche minuto prima, «Tieni, ti serviranno», e quello sguardo complice velava una sorte di rimprovero. Con quella semplice frase Alyssa era riuscita a racchiudere il suo dissapunto per la poca concentrazione che Camylla aveva prestato alla lezione.
«Grazie», ed in cuor suo sapeva di star ringraziando l'amica anche per non aver approfondito il motivo della sua distrazione. Non richiedeva di parlarne. Semplicemente preferiva incassare i colpi, continuare ad ingoiare bocconi amari e fingere di potercela fare prima di arrivare al culmine; aveva ancora bisogno di finire di costruirsi il muro che le sarebbe servito da barriera nei prossimi giorni, «Piuttosto, vuoi dirmi che sta succedendo con Khloe?».
«Potrei averle detto di Ethan..», Alyssa si era dipinta un viso innocente, quasi avesse bisogno di giustificarsi, «Per messaggio», aggiunse giocando nervosamente con una ciocca di capelli scivolata all'elastico che serviva a racchiudere la massa bionda in una coda quasi disordinata.
«Sul serio Aly, per messaggio?!», Camylla non riusciva a tollerare queste situazioni: ormai erano arrivate in un'età in cui era necessario prendere le responsabilità delle proprie azioni. E qualora ci fosse stato un problema, un qualsiasi problema, sarebbe stato doveroso parlarne a voce. Essere diretti per essere protagonisti delle reazioni. «Non potevi parlarci prima della lezione?», sembrava essere una soluzione semplice ed efficacie, dopotutto.
La stessa che lei non era riuscita a fare il giorno precedente.
«Le passerà, vedrai. Ci siamo scambiati giusto due messaggi innocenti e di cortesia, mica ci siamo dati un'appuntamento!», la calma con la quale Alyssa stava provando a difendersi era impressionante: aveva  la capacità di rendere tutto talmente banale e di poca importanza, che crederle sembrava essere una cosa automatica. A Camylla mancavano perfino le forze per controbattere e provare a farle cambiare idea, perchè era consapevole che sarebbe stato solamente fiato sprecato.
Si limitò a voltare lo sguardo in direzione dell'ingresso principale dell'Università: avrebbe comunque dovuto far qualcosa. Aveva appena perso Matthias, non si sarebbe mai perdonata se avesse perso anche Khloe per una sciocchezza del genere.
«Hey, ragazze», Theo stava salutando le amiche con la mano, mentre a passo svelto e deciso le stava raggiungendo, «Scusate il ritardo. Allora, ho bisogno del vostro aiuto, per essere diretti e sinceri». Theo era il classico ragazzo che Camylla definiva ambiguo: ormai erano diversi anni che le era amico ma nonostante ciò, non riusciva mai ad inquadrarlo; passava dall'essere dannatamente - e quasi fastidiosamente - dolce ed apprensivo all'essere irresponsabile ed insopportabile in pochi minuti. Poteva essere l'amico perfetto dai consigli giusti nel momento opportuno ma anche l'amico che senza pensarci due volte ti pugnala alle spalle. Per questo Camylla si limitava al rapporto base senza spingere oltre.
«Che ti serve, Theo?», Alyssa lo stava osservando con quegli occhi neri socchiusi, tagliando corto e anticipando la mossa di Camylla. Forse la breve conversazione avuta su Khloe le aveva dato un minimo di fastidio.
«Vi ho accennato al fatto che sto lavorando ad un piano geniale ma è necessario avere cura di ogni minimo dettaglio affinchè questo funzioni. E qui entrate in gioco voi», poche ore prima, al loro incontro avvenuto a colazione, Theo si era limitato a valorizzare il suo intelletto per ciò che le stava passando per la testa, senza entrare troppo nel dettaglio. Aveva perso tempo ad elogiarsi di quanto la sua idea, se messa in pratica a dovere, avrebbe portato ad una svolta epicale nelle loro vite.
«Di cosa hai bisogno?», stavolta fu Camylla a parlare, stanca di doverlo ascoltare stando in piedi al freddo quando avrebbe potuto trascorrere il suo tempo sdraiata sul letto, al caldo, affogando nei suoi errori ammettendo silenziosamente ogni suo singolo sbaglio.
«Dovreste cercare di trovare quante più informazioni possibili, quindi anche personali, sul Direttor Patel», stava talmente parlando così a bassa voce che sia Camylla che Alyssa stavano facendo fatica a sentirlo. Il suo sguardo mostrava preoccupazione ma i suoi occhi celesti avevano una scintilla di emozione e vivacità.
«E chi sarebbe?», aveva chiesto ingenuamenete Alyssa
«Il Direttore della banca qua all'angolo», la sua voce apparentemente tranquilla ed ingenua nascondeva un velo di eccitazione mista a paura.
«Perchè lo dovremmo fare? A che ti servono informazioni personali?», le braccia incrociate al petto stavano a significare che Alyssa stava cominciando a perdere la pazienza. Camylla si limitava ad ascoltare mentre la sua concentrazione era totalmente rivolta allo sguardo di Theo, che nonostante si muovesse agile per osservare gli studenti che frettolosamente ci passavano vicino, era fin troppo vigile e acceso.
«Lo saprete a tempo debito», aveva tutta l'aria di essere una minaccia, «Promettete di aiutarmi?».
«Come dovremmo fare? E che cosa ci guadagneremo noi?», Camylla non riusciva a capire se Alyssa stava semplicemente assecondando Theo o se l'idea di divenire stalker la stava allettando sul serio: in ogni caso lei ne sarebbe rimasta fuori. Non aveva la benchè minima intenzione di mettersi a spiare un direttore di banca solo perchè un loro amico aveva chiesto questo favore. Non aveva certo intenzione di cacciarsi nei guai per un “geniale piano” di cui non sapeva niente  - se non l'inventore. Aveva ben altro a cui pensare.
«Troverete il modo», Theo stava loro voltando le spalle, «E se tutto andrà come previsto, il guadagno sarà spettacolare», un piccolo sorriso beffardo a mostrare i denti bianchi e perfetti, stava incorniciando le labbra sottili dell'amico, prima di salutarle furtivamente con un cenno del capo ed incamminarsi verso il parcheggio del campus.
«Mah!», Camylla era allibita: stava guardando Theo andarsene con sguardo perplesso. Non riusciva a trovare un senso a tutto quel mistero e sopratutto a quella strana richiesta, «Io me ne tiro fuori. Ciao», e prima di poter far replicare l'amica - perchè Camylla era certa che Alyssa l'avrebbe fatto - decise di lasciarla sotto al gazebo mal ridotto da sola, compiendo la stessa azione che poco fa aveva fatto Theo: aveva in programma di trascorrere l'intero pomeriggio nel letto, avvolta dal tepore delle coperte.

Un sbadiglio sonoro uscì incontrollabile dalla bocca di Camylla, che si stiracchiò allungandosi sotto le lenzuole color pastello chiaro: si voltò poi, alla sua destra afferrando il telefonino posto sul comodino, insieme agli appunti della lezione di Diritto Privato di quella stessa mattina prestati da Alyssa e non ancora ricopiati. Dalla finestra proveniva un buio non promettente.
Il display segnava le ore 06.54 pm, con quattro messaggi arrivati non letti. Camylla decise di far perno sulla mano ancora libera, posizionandosi con la schiena contro la testiera del letto: era riuscita a chiudere occhio per qualche ora. Si era addormentata con la testa piena di pensieri rivolti tutti ad una sola persona: Matthias. Le mancava, era quasi banale ammetterlo, ma era dannatamente vero. Le mancava sentire la sua voce tranquilla e leggera; le mancava il suo tocco dolce, delicato ed apprensivo; le mancava il suo sguardo complice e protettivo. Le mancavano perfino i suoi messaggi, che riuscivano sempre a strapparle un sorriso. E in quel preciso istante si rese conto di quanto le mancasse anche solo discutere con lui: entrambi irremovibili sui propri pensieri, ogni volta che affrontavano un piccolo battibecco riuscivano a tirare fuori i loro caratteri fermi e decisi. Il loro modo di confrontarsi faceva sì che dopo potessero essere più uniti ed affiatati.
Aveva anche pianto, prima di lasciarsi cullare ed abbandonarsi al sonno: piangendo riusciva in qualche maniera a liberarsi dal peso che lentamente le schiacciava il petto; piangendo aveva la possibilità di urlare tutte le parole non dette; piangendo riusciva a rendersi conto che quella sensazione estranea di nausa e abbandono era maledettamente reale.
Si ritrovò a sospirare passandosi una mano tra  i capelli castani spettinati e annodati, prima di decidere di passare a rassegna i messaggi che le erano arrivati.

Messaggio ricevuto: ore 03.30 pm     
Da: Aly ♥
Hey amica, ho bisogno di parlarti..

Camylla si ritrovò a pensare al motivo di tale bisogno: avrebbe voluto parlare della situazione che lei stessa aveva creato con Khloe oppure avrebbe voluto parlare di quello strano e del tutto fuori luogo incontro avvenuto con Theo?!

Messaggio ricevuto: ore 03.47 pm     
Da: Aly ♥
Rispondiiii! Dove sono le amiche nel momento del bisogno?!

Un sorriso leggero le illuminò il volto. Anche attraverso lo schermo di un telefono, Camylla avrebbe potuto immaginare il volto dell'amica mentre stava scrivendo il messaggio: avrebbe sbuffato per poi cancellare svariate volte ciò che aveva scritto perchè le sarebbe sembrato “troppo aggressivo

Messaggio ricevuto: ore 05.21 pm     
Da: Aly ♥
Per fortuna non sto morendo! Spero tu abbia un valido motivo per non esserti fatta sentire! Comunque, visto che io sono brava, gentile e soprattutto buona amica, vorrei aggiornarti: mi sono vista con Khloe ed abbiamo parlato. Tutto risolto (non che ci fosse stato niente da risolvere..). I dettagli, per quanto abbia voglia di farteli sapere, te li dirò a voce (ammesso che tu ti faccia viva!!) perchè non ho più voglia di scrivere

Si ritrovò a tirare un'enorme sospiro di sollievo dopo aver letto quel messaggio: era davvero sollevata nel sapere che le sue due amiche erano riuscite a chiarirsi. Aveva ancora bisogno di loro per affrontare il dramma che l'aveva investita; aveva ancora bisogno di loro per sfogarsi silenziosamente; aveva ancora bisogno di loro per liberare la mente e riuscire a voltare pagina.
Avrebbe chiamato Alyssa e si sarebbe fatta raccontare ogni dettaglio dell'incontro avvenuto con Khloe, ripromettendosi di essere meno acida di quanto non lo fosse stata quella stessa mattina.

Messaggio ricevuto: ore 06.00 pm     
Da: Theo Baker
Cam! Non credo ce ne sia bisogno ma è bene esserne sicuro: ovviamente non devi farne parola con nessuno. Un bacio xx. A domani

Decise di rispondere partendo proprio da quell'ultimo messaggio perchè era necessario e fondamentale chiarire le cose prima che queste potessero degenerare.

Messaggio inviato: ore 07.04 pm     
A: Theo Baker
Mi spiace Theo, ma non credo di poterti aiutare

Era certa che l'argomento non si sarebe chiuso in questa maniera ma non aveva intenzione di andare oltre.
Compose il numero di Alyssa che ormai conosceva a memoria e mentre abbandonava il suo nido di calore, decise di andare a prepararsi una semplice ma efficace cena aspettando una risposta dall'altro capo della cornetta.


30 Settembre.

La lezione di Diritto Penale sembrava essere più interessante del previsto: il Professor Hill stava offrendo agli studenti del corso la possibilità, facoltativa, di poter visitare il carcere penitenziario di Pentoville - sito a pochi minuti di distanza dalla facoltà. A fine lezione sarebbe bastato segnare il proprio nome sulla lista, attualmente vuota, appesa ad un angolo dell'enorme lavagna.
Era un'occasione che Camylla non avrebbe voluto perdersi per niente al mondo: dalle parole del professore, oltre a visitare la struttura - sorta nel 1842 e divenuta ben presto modello di architettura e disciplina -, vi era anche la possibilità di poter avere un contatto verbale con alcuni detenuti. Sarebbero stati guidati da un secondino, che avrebbe spiegato loro il funzionamento e i loro metodi di approccio alle persone che vi entravano.
«Un'esperienza da non perdere», le aveva sussurrato Khloe alla sua destra: aveva uno sguardo perso a fantasticare su come sarebbe stato poter conoscere in maniera diretta la realtà che si cela dietro un carcere.
«E noi non ce la lasceremo sfuggire!», Camylla aveva strizzato l'occhio all'amica, mentre giocava con la penna che aveva in mano, «Aly, tu verrai, vero?».
«La cosa non mi entusiasma così tanto, se devo essere sincera ma vi seguirò», aveva usato un tono di voce basso ma deciso. Sembrava annoiata dall'iniziativa avuta dal professore.
«Certo che ci seguirai! Ci aprirà la mente!», il sorriso di Camylla stava a mostrare i suoi denti bianchi; anche i suoi occhi brillavano fieri ed energici: non sapeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi. Sapeva solo che avere la possibilità di parlare con dei detenuti poteva far chiarezza su piccoli particolari che a cose normali sarebbero rimasti all'oscuro; avere la possibilità di conoscere - ed osservare - il sistema penitenziaro avrebbe potuto dar loro modo di capire dettagli che dall'esterno sfuggono o semplicemente possono sembrare irrilevanti. Era un mondo, che in qualche maniera, l'affascinava.
«Sssh», un'esclamazione arrivò alle spalle di Camylla: nel voltarsi notò essere il ragazzo paffutello del giorno prima, a cui - neanche stavolta - la ragazza gli riservò uno sgardo minaccioso.
«Giuro che se dovesse venire a visitare il carcere, farò in modo che ci rimanga», Camylla aveva pronunciato quella frase a denti stretti e voce bassa, ma risultò suonare comunque una promessa. Cosa che fece sorridere Alyssa, che per evitare di farsi sentire, dovette mettersi una mano davanti alla bocca.
Camylla si rese conto che il professore aveva smesso di dare informazioni inerenti alla futura “gita” che avrebbero fatto nei mesi prossimi, e decise di focalizzarsi sulla spiegazione riguardante la differenza sostanziale delle carceri ai tempi del Medioevo rispetto ai giorni correnti.
La sua concentrazione durò pressappoco più di tre minuti, perchè la vibrazione del cellulare riuscì ad attirare la totale attenzione della ragazza:  le sembrava una scena già vissuta, provando esattamente le stesse sensazioni di sole ventiquattro ore prima; le sembrava di aver fermato il tempo e aver avuto la possibilità di avvolgerne il nastro.
Si guardò attorno furtivamente per accettarsi che quello che stava provando e ciò che stava vivendo fosse reale, prima di afferrare il telefono ed inspirare profondamente. Chiuse per un breve secondo gli occhi per provare a calmare quello stato di agitazione che l'aveva pervasa ma istintivamente cominciò a muovere nervosamente le gambe sotto al banco: inutile ammettere quanto fosse ansiosa ma la consapevolezza che potesse non essere nuovamente lui la stava consumando così lentamente da farle provare fitte allo stomaco.
Con uno scatto secco aprì gli occhi per osservare il cellulare:

Messaggio ricevuto: ore 09.34 am     
Da: Theo Baker
Oggi pranzeremo insieme ma non saremo soli: ci saranno anche Alyssa e Nathan. Dobbiamo seriamente parlare perchè mi sa che non hai compreso l'importanza della cosa

Camylla si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo: era consapevole che Theo non avrebbe mollato facilmente la presa ma davvero non riusciva a capire perchè continuava ad insistere affinchè lei desse lui una mano.
Si maledisse anche mentalmente per aver solo sperato per una breve frazione di secondo di aver ricevuto un messaggio da Matthias: la loro separazione cominciava ad essere così veritiera da essere amara. Era necessario far qualcosa, provare a fare qualasiasi cosa tranne stare a guardare le loro vite prendere strade differenti senza essere riusciti a dirsi tutto.







 
IM BACK!
Sono consapevole di quanto sia poco questo capitolo, in tutti i sensi. Per questo vi chiedo perdono.
Mi sono ritrovata a cancellare e riscrivere tutto ciò un sacco di volte..però sono qui a chiedervi anche 
fiducia: man mano che andremo avanti insieme in questa avventura, scopriremo molto di più e faremo chiarezza su moltissime cose. 
Dopotutto, se svelassi già ogni dettaglio adesso non ci sarebbero più segreti. Anzi, sarebbe interessante conoscere le vostre ipotesi, e magari chissà, potrei prendere anche qualche spunto. Perchè no!
Perciò fatevi sotto, dite la vostra - 
qualcunque cosa - e non abbiate freniii :)
Sarò felicissima di leggere i vostri dubbi.

A presto!

G.xx

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Capitolo 3
*** III. ***


Capitolo III.
3.397 parole

Vorrei ringraziarti, vorrei stringerti alla gola
sono quello che ascoltavi, quello che sempre consola.
Sono quello che chiamavi se piangevi ogni sera
sono quello che un pò odi e che ora un pò ti fa paura 

 
Al termine della lezione Camylla si ritrovò ad inserire il quaderno all'interno della borsa con estrema calma e lentezza: non aveva risposto al messaggio di Theo che le era arrivato qualche ora prima; con sobrietà la sua mente aveva cominciato ad elaborare delle possibili ipotesi, dando libero sfogo all'immaginazione sulla plausibile motivazione di quell'incontro a pranzo. Era arrivata persino a pensare che la sua amica Alyssa ne sapesse più di quanto in realtà non le avesse dato a credere.
«Dove pranzeremo?», decise di metterla alla prova: si voltò nella sua direzione mentre cercava di chiudere la borsa. Trovò Alyssa immersa nei propri pensieri mentre distrattamente digitava qualcosa sullo schermo del telefono.
«Aly, dico a te», Camylla le passò la mano libera davanti agli occhi per attirare la sua completa attenzione.
«Mmmh..ti ascolto», Alyssa puntò le sue iridi neri in quelli castani di Camylla, ed un sorriso perfetto le incorniciò il volto: si grattò furtivamente una guancia mentre stava cercando di dare un pizzicotto giocoso sul braccio dell'amica.
«Cosa facciamo adesso?», prima che Camylla potesse avere la possibilità di rispondere ad Alyssa, il viso paffutello circondato dai capelli castano chiaro portati sciolti lungo tutta la lunghezza della spalle di Khloe fece capolino tra le due amiche.
«Adesso si mangia. Che ne dite di andare a casa mia?», Alyssa aveva proposto di uscire fuori dall'area universitaria, evitando così di introdurre all'interno dei loro organismi, cibi provenienti dalla mensa - di discutibili qualità - del campus.
«Ottima idea! Ma riusciremo a tornare in tempo per la lezione di Internazionale?», Khloe sembrò la sola ad interrogarsi su quella domanda e se ne rese conto dal sorriso dileggiatore che comparve sul volto di Alyssa. «No, non esiste! Non salterò anche questo discorso accademico», il dito indice di Khloe si stava muovendo ad una tale velocità davanti agli occhi di Alyssa da sembrare quasi volesse minacciarla. Per tutta risposta, Alyssa si trovò a mimare un labbiale ben leggibile in cui le parole “io sì” erano a dir poco scandite e fin troppo chiare - per non dire scontate.
«Io oggi dovrò essere la  “pupillage” di Lucas», Camylla, divertita dalla scena di poco prima, si ritrovò a sbuffare vistosamente: quello stesso pomeriggio sarebbe dovuta andare allo studio  “Price and Kelly” per dare una mano al suo capo con la preparazione di un caso la cui udienza sarebbe stata a breve.
«Passerei volentieri anche io un giorno con Lucas», sotto la risata allegra e sonora di Khloe, Alyssa strizzò l'occhio destro a Camylla, prima di superarla e cominciare a scendere gli scalini che separavano l'aula dall'uscita.
 «Aly, ma noi non-», Camylla riuscì ad afferrare Alyssa per il braccio, raggiungendola brevemente: così facendo era riuscita ad arrivarle affianco, lasciando Khloe qualche passo più indietro. Aveva comunque abbassato la voce per evitare che potesse sentirla.
«Dopo pranzo», l'aveva interrotta Alyssa senza neanche dare il tempo a Camylla di finire la frase. «Dovrai dire a Lucas che ritarderai qualche minuto».
Camylla aprì debolmente la mano con la quale aveva afferrato il braccio di Alyssa, e lasciò che le ricadesse penzolone al suo fianco: rimase interdetta dalle parole dell'amica, bloccandosi quasi istintivamente a metà scalino. Quella sembrava essere la conferma delle insinuazioni silenziose che poco prima avevano fatto capolino nella mente di Camylla; l'atteggiamento dubbio che stava avendo Alyssa sembrava star dando a Camylla risposte segrete e stranamente reali.
«Hai visto un fantasma?!», Khloe le arrivò sorridendo alle spalle, avvolgendole il braccio intorno al collo e stampandole un sonoro bacio sui capelli. Camylla si lasciò condurre fuori dal campus dall'amica e dalla sua risata limpida e cristallina, ripromettendosi di far chiarezza quanto prima su ciò che stava accandendo.

«No, ok. Aspettate un secondo..», Camylla aveva socchiuso gli occhi, respirando aria a pieni polmoni mentre con i palmi aperti delle mani rigide davanti a sè, continuava a muoverle debolmente. «Questo sarebbe il piano geniale?», una risata nervosa le uscì istintiva al termine della domanda retorica. Si trovò ad osservare una per una le persone sedute al tavolo: Theo stava annuendo vistosamente, con fare soddisfatto; Nathan sorseggiava lentamente il caffè - rigorosamente amaro - mentre tamburellava con le dita sul vetro ghiaccio del desco; Alyssa. Alyssa la stava fissando, immobile, con le gambe accavallate e le braccia conserte. Non aveva ancora preso parola, si era semplicemente seduta e aveva lasciato che a spiegarsi fossero gli altri presenti all'incontro.
«Ditemi che è uno scherzo e la finiamo qua!», Camylla era confusa. Si augurava che quello che aveva appena sentito fosse frutto di una beffa riuscita male. Perchè in quel preciso momento non riusciva a darsi nessun'altra spiegazione possibile: non riusciva soprattutto a capire come mai la sua amica non le fosse andata incontro, dandole una mano.
«Sentite, io devo andare a lavoro. Seriamente», la stanza era divenuta fredda, triste e vuota: il silenzio che si era andato a creare - dove anche Nathan aveva smesso di rumoreggiare con la mano - era gelido e  asfissiante; il ticchettìo delle lancette dell'orologio appeso sulla parete sembrava scandire un tempo lento e profondo, carico di ansia, impazienza e irritabilità. Camylla decise di far perno sul tavolo per riuscire ad alzarsi e abbandonare quella posizione scomoda a tutti gli effetti.
Theo aveva appena allungato il braccio davanti a sè, pronto a bloccare Camylla e a prendere parola ma fu interrotto sul nascere da Alyssa che con un cenno negativo della testa fece intendere che avrebbe provato lei a parlare con l'amica. Camylla osservò attentamente per l'ultima volta gli sguardi dei presenti che sembravano trasmettere tutti la stessa ed unica cosa: sicurezza. Scosse flebilmente la testa prima di voltar loro le spalle e raggiungere l'attaccapanni. Anche lei, in quel momento, era decisa: aveva il forte desiderio di uscire da quella casa che le stava andando stretta; aveva il bisogno di esternarsi dai fatti che le erano stati descritti come una ventata di aria fresca. Aveva necessità di scrollarsi di dosso quell'ultima ora trascorsa nell'incredulità.
Camylla sentì alle spalle un rumore sordo e secco e si accorse dei passi decisi di Alyssa volti nella propria direzione: aveva chiuso l'enorme porta a vetri che divideva la cucina dalla sala, isolando Theo e Nathan per poter così avere la possibilità di un confronto.
«Cam, capisco come ti senti ma-», Alyssa stava usando un tono apparentemente calmo e deciso mentre il suo sguardo fisso non trasudava nessun accenno di esitazione o di risentimento.
«Ma cosa Aly, cosa?!», per quanto Camylla avesse voluto essere delicata, stava perdendo il controllo e la sua voce stava risultando essere ben oltre la soglia della calma. «Spero tu mi stia prendendo in giro perchè non posso credere altrimenti», stava cercando di infilarsi il cappotto ma con l'inquietudine che stava prendendo il sopravvento, anche tale semplice gesto stava risultando essere più complicato del previsto.
«Pensaci Cam, davvero. Anche io ho reagito così quando ieri me ne hanno parlato», Alyssa stava aiutando l'amica con la manica sinistra: la stretta solida e il polso ben fermo erano in netto contrasto con il tono comprensibile che stava usando.
«Voi siete completamente impazziti!», dopo essere riuscita ad abbattonare per intero il giacchetto, Camylla si ritrovò a fare due passi indietro per poter osservare meglio Alyssa. «Sei tu che devi pensarci bene, ma come può anche solo passarti per la testa l'idea di accettare?», adesso stava quasi bisbigliando, allentando le difese che aveva creato per controbattere Alyssa: le stava offrendo la possibilità di tirarsi indietro, nonostante ancora non si spiegasse il motivo per il quale avrebbe dovuto accettare.
«E' illegale! Te ne rendi conto, sì?», contrariamente a quanto aveva creduto, Camylla stava continuando a sussurrare, mentre con la mano sul fianco aspettava una risposta che tardava ad arrivare: il silenzio di Alyssa era realistico e troppo deciso; la tensione sembrava essere palpabile e la pazienza sembrava andare scemando.
«Ma poi, chi diavolo è questo Nathan? Come puoi pensare di fidarti se neanche lo conosci?!», ormai la sua tolleranza al silenzio stava risultando schiacciante e fastidiosa, per questo Camylla gesticolava nervosamente mentre mille domande le ronzavano in testa in cerca di risposte che Alyssa sembrava non volerle dare.
«Potrebbe davvero cambiare le nostre vite», Alyssa aveva fatto un piccolo passo avanti, raggiungendo Camylla e avendo così la possibilità di metterle entrambe le mani sulle spalle: si stavano sfidando con gli occhi; nero contro castano; pazzia contro ragionevolezza; follia contro sanità mentale. «La scorsa notte non ho chiuso occhio ma sono arrivata alla conclusione che il rischio potrebbe valerne il guadagno», Alyssa stava usando quella freddezza sicura ed innocente da far sembrare il tutto effettivamente una questione di poco conto.
«Ma ti senti mentre parli?», non avrebbe funzionato. Non stavolta. Camylla scosse impercettibilmente la testa come a volersi scrollare di dosso la frase che aveva appena udito.
«Perchè? Perchè ti stai comportando così Aly?», era quasi una supplica la domanda che uscì debolmente dalla bocca di Camylla; una voce fiaca, disperata. Le aveva preso la mano sinistra nella sua, stringendo lievemente perchè voleva che Alyssa capisse che Camylla era lì, per lei. «Che succede davvero?», gli occhi di Camylla stavano cercando di scavare un velo di verità nello sguardo di Alyssa, un gesto involontario che avrebbe tradito la sua fermezza nella decisione. Ma non vi riuscì a trovarlo.
«Credo solo che Theo e Nathan abbiano avuto davvero una brillante idea», stavolta toccò ad Alyssa allontanarsi da Camylla, liberandone la mano dalla sua stretta. «E tu saresti stupida a non cogliere quest'occasione al volo!», con il dito di Alyssa puntato contro e le labbra serrate alla fine dell'esclamazione, a Camylla crollarono tutte le certezze. Rimase immobile con la bocca semi-aperta e le braccia inerme lungo i fianchi, mentre nel suo cervello una sicurezza dopo l'altra vacillava nel vuoto: stava dubitando della persona che si trovava difronte mentre la osservava da sotto le ciglia umide.
Non riusciva a proferir parola perchè avrebbe avuto così tanto da dire che non avrebbe saputo neppure da dove cominciare. Si ritrovò ad allargare le braccia, e a scuotere visibilmente la testa, arresa. Se la decisione di Alyssa era stata presa, Camylla dovette ammettere a sè stessa di non conoscere così bene l'amica come avrebbe creduto; dovette ammettere di non riconoscerla nei gesti decisi e nelle parole dirette e sincere.
La suoneria improvvisa proveniente dalla tasca dei jeans di Camylla fece sussultare entrambe contemporaneamente: Alyssa si morse il labbro inferiore mentre Camylla venne scossa bruscamente dai propri pensieri. Con la mano incerta e lo sguardo assente, cercò di prendere il telefono e di regolarizzarne il respiro.
«Cavolo!», un sussurro uscì debole ma udibile dalla bocca di Camylla mentre si stava portando all'orecchio il telefono. «Pronto?! Lucas sì, sto arrivando. Sono dietro l'angolo», si passò distrattamente una mano tra i capelli, spettinandoli ulteriormente, prima di voltare le spalle ad Alyssa e sbattersi la porta dietro di sè.
Lasciò quella casa piena di dubbi, di domande senza una risposta, di sconforto e amarezza. Lasciò quella casa divenuta fredda a gelida, sorretta da muri che conoscevano la verità più di quanto la conoscesse Camylla.

01 Ottobre.

Al termine della lezione Camylla si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo: un pò perchè finalmente il week-end era giunto alle porte e per ben due giorni non avrebbe dovuto metter piede in quel campus - nonostante si fosse mentalmente ripromessa di cominciare a studiare per evitare di trovarsi a fare tutto a pochi giorni dagli esami -, un pò perchè finalmente poteva avere la possibilità di lasciare quella posizione scomoda: per non dover affrontare le plausibili domande opportune che avrebbe fatto Khloe qualora Camylla non avesse preso il solito posto in aula, quest'ultima aveva deciso di ingoiare il boccone amaro e silenzioso, e sedere affianco anche di Alyssa.
Oltre ad un saluto pronunciato a mezza bocca da parte di entrambe e qualche occhiata di sfuggita ogni tanto, la loro lezione era stata seguita quasi attentamente.
«Ragazze, io vi saluto», Khloe stava cercando di legare i capelli in uno chignon ma l'elastico usato sembrava essere troppo piccolo. «Oggi è giornata di shopping sfrenato con mia mamma», il suo sorriso spontaneo e sincero fece sorridere anche Camylla.
«Giusto! Domani per qualcuno sarà un giorno speciale», Alyssa diede un tenero pizzicotto sulla guancia di Khloe, facendola arrossire leggermente. «Cerca di non far spendere troppo Brianna».
«Ci proverò», Khloe diede un furtivo bacio sulle guancie di entrambe le ragazze prima di salutarle con la mano e vederla quasi correre per le scale dell'aula pronta ad affrontare un pomeriggio di divertimento con sua mamma.
Camylla la guardò allontanarsi, sorridendo ad una possibile scena sulla scelta di un vestito ritenuto troppo osè per la cinquant'enne ma a dir poco perfetto per la figlia. Con in sottofondo il vociferare degli altri studenti ancora presenti nella sala, Camylla fece perno sulle punte dei piedi ricoperti da stivaletti color amaranto: con quel gesto sperava di riuscire a scorgere all'interno della borsa sommersa da libri e quaderni, gli auricolari che l'avrebbero tenuto compagnia lungo il tragitto che l'avrebbero portata a lavoro, prima di affrontare le ultime ore di impegno in vista del fine settimana.
«Cam, io vorrei parl-», Alyssa le aveva appoggiato delicatamente una mano sulla spalla mentre un sorriso innocente le stava incorniciando il volto stanco e degli occhi ricoperti da occhiaie pronfonde contornavano iridi penetranti.
«Devo andare, mi dispiace», tagliò corto Camylla nonostante una leggera fitta allo stomaco fece sentire la sua presenza: avrebbe voluto chiarire con Alyssa ma Lucas era stato irremovibile sull'orario, considerando il ritardo del giorno precedente. Le dispiacque persino vedere l'amica in quello stato di stanchezza ma dopotutto era una situazione che si era creata da sola.

La porta scorrevole si apriva su di un ampio salone mattonellato chiaro, circondato da piante ben curate - grazie ad Eryn, la signora delle pulizie -, con quadri ben delineati tra loro raffiguranti la storia dello studio e le generazioni che avevano fatto sì che questo diventasse uno dei migliori nella città. Al centro della stanza era sita una scrivania in vetro stratificato che sorreggeva due computer, un telefono, due porta-penne, una cornice e i gomiti pesanti di Naomi - segretaria esperta ed affidabile.
«Salve signora Shaw», Camylla entrò all'interno dell'edificio con un sorriso ad illuminarle il volto: non avrebbe permesso di compromettersi tirocinio. Non avrebbe mischiato i problemi che si stavano creando nella sua vita con il lavoro che sperava avrebbe svolto nel giro di pochi anni.
«Ciao Camylla. Il signor Price ti aspetta nel suo ufficio», Naomi alzò la cornetta del telefono per avvertire Lucas dell'arrivo di Camylla ma mimò con le labbra delineate da un rossetto ben marcato rosso, un “oggi è dura” accompagnando il tutto con un movimento agile della mano sventolata davanti al viso, mostrando così le unghie smaltate di nero, in netto constrasto con il vestito verde acceso che le fasciava fin troppo le curve. Camylla alzò gli occhi al cielo con fare giocoso mentre si dirigeva a passo svelto verso l'enorme ufficio sito alla fine del lungo corridoio.
A metà percorso, Camylla avvertì una leggera vibrazione proveniente dalla tasca sinistra del suo giubbotto: rallettando il passo, cercò di intravedere chi fosse senza dover estrarre il cellulare ed evitare così che Lucas potesse notarlo.

Messaggio ricevuto: ore 02.58 pm
Da: 07985289103
Ciao Camylla, sono Nathan Mills. Scusa il disturbo ma vorrei avere la possibilità di portarti a pranzo fuori, per poter parlare. Da soli. Fammi sapere! A presto

Camylla si fermò istintivamente al centro del corridoio, cercando di mettere ben a fuoco ciò che credeva di aver appena letto. Si maledisse per non essersi messa gli occhiali e si ritrovò a dover strizzare gli occhi per poter confermare quello che a primo impatto le sembrava di essere riuscita ad intravedere.
Un ragazzo sulla trentina le andò a sbattere contro la spalla, regalandole offese silenziose che riuscì a trasmettere con lo sguardo fulmineo che le riservò, prima di scomparire dietro una porta di vetro bianco scuro alla sua destra. Solo in un secondo momento Camylla si rese conto che quella era la stanza delle fotocopie.
«Signorina Evans, pensa di raggiungermi o vuole ritardare anche oggi?», il tono fermo ma allegro di Lucas rieccheggiò tra le mura color arancione chiaro, riscuotendola dai propri pensieri: si stava domandando per quanto ancora avessero provato a farle cambiare idea; a quale sarebbe stata la prossima mossa qualora avesse rifiutato la proposta di Nathan; e chi tra Theo ed Alyssa fosse stato a dare il numero di cellulare a quello sconosciuto.
Bloccò lo schermo del telefono sospirando debolmente, e decise di accorciare le distanze che la separavano dallo studio. «Signor Price», Camylla le sorrise, accennando con la testa ad un saluto di cortesia mentre si richiudeva la pesante porta di vetro alle sue spalle. Lo trovò seduto ben composto dietro la scrivania, con un completo elegante grigio scuro ed una cravatta nera fermata da una spilla oro.
«Bene signorina Evans, oggi ho bisogno che tu ti occupi di un contratto stipulato tra da due soci in affari», Lucas le allungò il fascicolo racchiuso da una foderina blu. «Purtroppo uno dei due è venuto a mancare. E non sembra esser stato un'incidente», il sorriso beffardo, contornato da uno strato leggero di barba, fece istintivamente sorridere anche Camylla: capiva perfettamente perchè Alyssa avrebbe voluto trascorrere una giornata allo studio. Lucas era affascinante, di bella presenza.
«Immagino che io debba scoprire dei cavilli nel contratto che possano confermare o meno l'omicidio e proteggere il nostro cliente», Camylla afferrò il fascicolo, sfiorando con le dita la mano di Lucas. Un brivido strano l'aveva appena percossa, facendole abbassare lo sguardo che fino a quel momento era rimasto vigile e attento.
«Impari in fretta Evans!», Lucas le riservò uno sguardo languido con quegli occhi scuri allungati nascosti da ciglia folte; sorrise mostrandole dei denti perfettamente bianchi. Camylla si ritrovò a stringere a sè il fasciolo ringraziando il proprio capo con un cenno della testa. Si voltò per lasciare così quell'ufficio che improvvisamente si era fatto stretto, piccolo e asfissiante, prima di raggiungere la sua misera scrivania situata nella stanza affianco alla macchinetta del caffè.
Si lasciò cadere sgarbatamente sulla sedia nera, distendendo le gambe sotto al tavolo: si guardò intorno notando come tutti gli altri associati stessero svolgendo il loro compito in maniera efficace ed attenta. Si muovevano tra le scrivanie con passo deciso e svelto, tenendo ben saldi i libri presi in prestito dalla biblioteca posta al terzo piano dello studio. Decise di fare altrettanto, ripromettendosi che avrebbe svolto perfettamente il compito che le era stato affidato.
Si tolse il cappotto prima di sistemarlo sullo schienale alle sue spalle, esitando per qualche frazione di secondo: la tasca conteneva il cellulare e per quanto volesse rispondere al messaggio di Nathan, scelse di concentrarsi sul contratto in questione ed accantonare per qualche ora la sua vita privata.
Stava sistemando tutto il suo occorrente così da aver il necessario a portata di mano, quando un piccolo dettaglio all'interno del fascicolo aperto alla prima pagina, riuscì a  catturare completamente l'attenzione di Camylla: ne afferrò la facciata, portandosela davanti agli occhi e sistemandosi accuratamente sulla sedia.

Contratto di associazione e collaborazione a progetto
Tra il Sig. Mills Davis nato a Londra il 23/07/1970 residente a Londra via Victoria St, 12
e il Sig. Foster James nato a Londra il 05/03/1969 residente a Londra via Webber St, 2
 
Camylla dovette sbattere ripetutamente le palpebre per poter assimilare bene tale informazione letta: ci mise una manciata di minuti abbondanti affinchè il suo cervello riuscisse a collegare il cognome di Mills al nome di Nathan. Rimase a fissare il contratto con occhi decisi, come se le scritte potessero improvvisamente cambiare ma quando si rese conto che ciò non sarebbe mai potuto succedere, decise di alzare la cornetta del telefono situato alla sua sinistra, all'angolo della piccola scrivania per poi comporre il numero 1.
«Evans, che succede?», Lucas rispose al secondo squillo.
«Chi dei due è deceduto?», la voce di Camylla risultò bassa ed attenta, quasi timorosa. Giocherelleva, con la mano libera, con la punta del foglio del contratto. «Mills o Foster?»,  e quella domanda sussurrata le fece socchiudere gli occhi mentre si stava mordendo nervosamente il labbro inferiore.
«Foster», una voce dettata dalla sicurezza che Lucas non tardò a comunicare. In assenza di risposta dall'altro capo del telefono, fu Lucas a stroncare quel silenzio assordante «Se non c'è altro, torniamo a lavoro».
«Certo, sì..Grazie», Camylla si maledisse per l'atteggiamento imbarazzante che aveva appena avuto con Lucas. Riattaccò la cornetta con più domande di quante non ne avesse prima della telefonata: avrebbe dovuto scoprire se davvero Foster James era stato assassinato, e se davvero - come Price aveva fatto sottointendere - nel contratto esisteva una clausola particolare che inconsapevolmente potesse incolpare Mills Davis.
E soprattutto avrebbe dovuto capire quale rapporto si celava tra Davis e Nathan.







 
IM  BACK!
Sono consapevole della stesura dubbia di questo capitolo.
Btw, qualche segreto 
forse potrebbe cominciare a svelarsi: con un pò di  fiducia tutti i nodi verranno al pettine. 
C'è stata una breve ma intensa discussione tra Camylla ed Alyssa, la quale una non ha intenzione di aderire al fatidico 
piano geniale mentre l'altra sembra irremovibile. Ancora però non è chiaro a cosa si faccia riferimento, perciò potrete sbizzarrirvi con la fantasia e farmi conosocere le vostre ipotetiche supposizioni :)
Pooi è subentrato il caso allo studio dove Camylla sta facendo del tirocinio..
Lascio a voi tuuutti i tipi di commenti che avrete da fare: anzi, sarei lieta di chiarirvi le idee (senza scendere nel dettaglio). Perciò, non abbiate freniii :)


AH! Ci tenevo a precisare che i vari dati anagrafici dei personaggi e il numero di telefono di Nathan, sono frutto d'immaginazione. 

L'ultima cosa prima di lasciarvi sul serio. Non sono solita farlo, anzi credo sia la prima volta.
Se avete voglia di leggere qualcosa di semplice a livello di scrittura ma forte a livello d'impatto ed emozioni, vi consiglio 
TEMPORARY FIX di SheHadTroubleWithHerself. Sono sicura che non ve ne pentirete.

Un bacio, a presto! :)

G.xx
 
 

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Capitolo 4
*** IV. ***


Capitolo IV.
8.231 parole

Ti voglio credere perchè tu ci credi
perchè sei dolce tanto quanto sei dura
io ti voglio credere perchè sei sicura di qualcosa.
Ti vengo a prendere mi aspetto di tutto
e non dev'essere per forza perfetto

 
02 Ottobre.

Il materasso si modellò perfettamente, adeguandosi di conseguenza sotto il peso di una seconda persona. Le lenzuola presero a muoversi riuscendo a scoprire un braccio di Camylla: dei piccoli brividi di freddo la fecero mugolare, mentre qualcuno le stava scarruffando ulteriormente i capelli sciolti che distrattamente le coprivano il viso.
«E' ora di svegliarsi», la voce divertita e squillante di Alyssa risultava essere troppo vicina, tanto da causare un movimento brusco da parte di Camylla, la quale stava cercando di tornare a coprirsi sotto il caldo delle coperte.
«Non ti sarai mica dimenticata del compleanno di Khloe, vero?», e ciò portò ad un notevole numero di imprecazioni silenziose manifestate tramite uno sbuffo: ovviamente aveva eclissato tale evento: troppo occupata a passare l'intera serata difronte alla finestra, chiusa nel proprio dolore ed inerme a tutto quello che la stava circondando. Troppo occupata a difendersi dallo stato di paralisi che la stava colpendo, per riuscire a ricordarsi anche la più banale delle cose.
«Ricordami di toglierti le chiavi di casa!», la voce le uscì rauca e ancora impastata dal sonno: la sua nottata era stata un susseguirsi di ipotesi balenate ad intermittenza nella sua testa. I suoi collegamenti mentali non avevano una base solida: i suoi pensieri avevano fluttuato dalla relazione appena conclusa con Matthias, al comportamento incerto di Alyssa per poi passare al fatidico piano di Theo e Nathan fino ad arrivare al lavoro allo studio.
Sentiva gli occhi stanchi e il peso delle supposizioni schiacciarle le spalle. Inutile dire che le intenzioni di Camylla per quel giorno erano ben differenti dai programmi delle amiche: lei avrebbe preferito rimanere avvolta dallo strato di calore che era riuscita a crearsi, continuando ad affrontare il silenzio senza poter interferire con nessuno.
«Certo che no», esclamò Alyssa, sforzandosi di non ridere troppo: aveva afferrato Camylla per un braccio nell'intento di portarla in posizione eretta ma l'amica aveva uno spirito di scarsa collaborazione. «E poi, davvero Cam. Ho bisogno di chiarire questa nostra situazione».
«E' tempo di dormire!», bofonchiò per tutta risposta Camylla, sbadigliando sonoramente ed arrendondosi all'idea di essere lasciata sola: decise di abbandonare la posizione supina che ricopriva e di puntare il suo sguardo verso Alyssa. Entrambe avevano occhi stanchi, nonostante i motivi fossero differenti.
«Mi dispiace per l'altro giorno. Avrei dovuto affrontare l'argomento in modo totalmente diverso», Alyssa stava parlando piano, con voce delicata e sincera. Giocava distrattamente con una pellicina del dito mentre una ciocca di capelli biondi le stava ricadendo davanti agli occhi. «Vorrei però che tu pensassi seriamente alle conseguenze positive a cui potrebbe portare», le sue iridi sembravano essere distrutte ma vi era possibile intravedere un bagliore di luce. Sorrise debolmente, in segno di rassicurazione.
Camylla si ritrovò a ringraziare silenziosamente l'amica: ancora una volta, nel giro di poco tempo, era stata lei ad accorciare le distanze per cercare un chiarimento.
«E alle conseguenze negative, non pensi?», il tono di voce usato da Camylla era flebile, quasi timoroso. Non avrebbe voluto perdere nuovamente la pazienza; non avrebbe voluto un'altra discussione con Alyssa; non avrebbe voluto avere risposte scomode. Ma si era posta l'occasione di poter conoscere i motivi di tale eccitazione e Camylla decise di coglierla al volo, evitando di rovinare l'atmosfera.
«Sì, certo. Nei peggiori dei casi, ci sarà il carcere», Alyssa stava enunciando tale affermazione con spontanea naturalezza da far aprire leggermente la bocca asciutta di Camylla. Quest'ultima la stava osservando senza proferir parola: si stava strusciando l'occhio sinistro, la cui palpebra ancora presentava piccoli accenni di sonno, mentre aspettava ulteriori chiarimenti da parte dell'amica.
«Cam, senti: so perfettamente cosa ti sta ronzando per la testa. Pensi non abbia riflettuto?», Alyssa fece perno sul bordo del materasso per potersi avviccinare a Camylla. Le lenzuola strofinarono tra loro, formando ulteriori pieghe grinzose. «Però noi saremo puntigliose. Studieremo ogni cosa nel minimo dettaglio; penseremo al piano B, al piano C e anche al piano D, se necessario», Alyssa stava gesticolando visibilmente mentre pian piano i suoi occhi cominciavano a riprendere il pieno entusiasmo. Camylla semplicemente la guardava, abbagliata dall'euforia che stava emanando il sorriso di Alyssa.
«Noi saremo attente, precise. Calcoleremo ogni possibile contromossa. Ho fiducia nelle nostre capacità e l'idea che possano esserci conseguenze negative mi ha sfiorato appena, e solo la prima volta», Alyssa inclinò la testa di lato mentre sulla sua fronte si erano formate leggere rughe: era in attesa di risposta.
Camylla dovette deglutire prima di poter riuscire ad emettere un qualsiasi tipo di suono. Alyssa, ancora una volta, era riuscita a rendere la questione una piccolezza da niente. Dovette grattarsi anche la fronte, come se così facendo potesse riuscire a riordinare momentaneamente le proprie idee.
«Aly, stiamo lavorando in uno studio legale e siamo studentesse di Legge», e le uscì quasi un sussurro mentre le sue mani a palmo aperto si stavano muovendo delicatamente avanti ed indietro.
«Non capisci?! E' proprio questo il punto!», il suono chiaro e sonoro della risata di Alyssa rieccheggiò per tutta la stanza; Camylla per tutta risposta la stava osservando con sguardo incerto ed interrogativo. «Noi possiamo aggirarla la legge perchè sappiamo come fare e abbiamo i mezzi per farlo!», semplice. Alyssa si ritrovò ad aprire le mani con fare ovvio dando una spiegazione scontata: Camylla ci mise poco a capire il senso della frase appena udita.
Studiare legge e lavorare a stretto contatto con Avvocati di massimo rispetto, avrebbe potuto dar loro modo di prevedere ed anticipare evenutali mosse; avrebbero saputo come muoversi qualora la questione fosse divenuta strettamente pericolosa. Avrebbero saputo come difendersi o, nel peggiore delle ipotesi, avrebbero saputo da chi farsi difendere. E per la prima volta da quando le era stata data la notizia, un barlume di pensiero positivo si stava insuando vorticosamente nei pensieri di Camylla: l'idea di rapinare una banca, dopotutto, non sembrava essere così malsana.
«Quanto dobbiamo aspettare ancora?», una voce distratta arrivò poco udibile dal piano inferiore.
«Chi c-», Camylla sbarrò gli occhi, spaventata dalla frase inaspettata che aveva appena percepito. Balzò in piedi, abbandonando lo stato di calore che le lenzuola le avevano donato per intere ore.
«Ci sono Theo e Nathan, dobbiamo andare da Khloe!», Alyssa continuava a sorridere mentre cercava di sistemarsi una ciocca dietro l'orecchio destro. «Il suo compleanno. Oggi. Ricordi?!».
Camylla si portò una mano sulla testa, sbuffando vistosamente: per la seconda volta, e in poco tempo, aveva accantonato il compleanno dell'amica. La conversazione con Alyssa aveva preso una direzione totalmente opposta da quella prevista e ciò aveva deviato Camylla dal motivo principale per la quale si trovava sveglia e nella stessa stanza con Alyssa.
«Forza, muoviti!», l'imperativo usato da Alyssa fece intendere a Camylla di non aver diritto di scelta. Alzando gli occhi al cielo, decise di sbirciare frettolosamente nell'armadio per poi afferrare dei vestiti che a primo impatto le sembravano potessero andar bene.
Seppur grossolanamente, sapeva come avrebbe dovuto muoversi; sapeva di dover costruire il più solidamente possibile un muro nel giro di breve tempo: ripromise a sè stessa che almeno per quel giorno i pensieri negativi che le martellavano con insistenza nella testa, sarebbe riuscita ad accantonarli, evitando di rovinare un giorno importante per Khloe.
Per questo una volta difronte allo specchio, si decise di doverci riuscire: si guardò intensamente, scettica forse nel riconoscersi, e respirando profondamente cominciò ad allontare la sensazione di debolezza e tristezza che per giorni le aveva fatto compagnia. Avrebbe reagito, in un modo o nell'altro.

Il locale stava cominciando ad affollarsi e lo si poteva dedurre dalla fila interminale che si era creata al bancone degli alcolici: Camylla sbuffava mentre si rigirava tra le mani il cartoncino che avrebbe dovuto consengare al barista una volta toccato il proprio turno; Khloe al suo fianco, invece non riusciva a smettere di saltellare - forse ballare, ad un ritmo sconnesso e del tutto distorto dalla musica in sottofondo. Con gli occhi chiusi e la testa rivolta verso il soffitto, l'amica si stava lasciando andare ad una serata di divertimento e leggerezza: era la sua festa, ed era giusto che il sorriso non la dovesse abbandonare neanche per un secondo.
«Tanti auguri Lee!», Theo era arrivato alle spalle, spintonando giocosamente Camylla mentre con il tono di voce cercava di sovrastare il rumore assordante delle casse.
«Ce l'abbiamo fatta!», esclamò Thomas con un sorriso ad illuminare quel viso sottile e molto espressivo; le braccia stese in alto sopra la testa in segno di vittoria: Camylla lo guardò il tempo necessario per connettere il cervello all'immagine che realmente le si trovava difronte prima di gettarsi tra le sue braccia.
«Stavo cominciando a preoccuparmi», le sussurrò vicino all'orecchio, più a sè stessa che all'amico d'infanzia. Lo strinse ulteriormente abbandonandosi a quel profumo dolce ed intenso che lo aveva sempre contraddistinto dagli altri.
«Controlla il telefono ogni tanto, Evans!», Thomas sciolse quel contatto volto a tranquillizzare e rassicurare Camylla, e le riservò un furtivo bacio sulla guancia, «Ti avrò scritto una decina di volte», dovette però riavvicinarsi ancora per riuscire a farsi sentire, considerando anche la risata sonora e cristallina che stava emettendo Khloe, al loro fianco.
«E' adesso che inizia il vero divertimento!», anche Theo aveva cominciato ad urlare senza ritegno, saltellando non curante delle altre persone a loro vicine. Aveva afferrato Khloe per un polso, trascinandola al centro esatto della pista: entrambi si divertivano a fare movimenti e passi buffi senza un nesso tra loro, e ridevano così tanto da riuscire a coinvolgere chiunque. Era praticamente impossibile rimanere indifferenti difronte ad una scena del genere. Per questo, sia Thomas che Camylla abbandonarono l'idea di prendere un cocktail: semplicemente raggiungerso gli amici tramite un'occhiata complice, e dopo un'alzata di spalle dettata dalla liberazione ed un sorriso radioso da parte di entrambi, cominciarono a ballare lasciandosi completamente andare.

«Mi sa che comincio ad accusare gli anni!», Thomas si stava sorreggendo con il fondoschiena al muro mentre - con le braccia ben stese - poggiava entrambe le mani sulle ginocchia semi-piegate. Respirava velocemente con lo sguardo fisso nelle iridi di Camylla.
«Se ballare tre canzoni di fila ti sfinisce così tanto, allora non posso che darti ragione», Camylla alzò le mani in segno arresa, mostrando un sorriso sincero e divertito. L'aria fresca della notte di Ottobre le stava donando tregua dall'odore di alcool e dal caldo asfiassante.
«Avresti dovuto contraddirmi», Thomas indicò con un minimo cenno del capo la sigaretta che Camylla teneva ben salda tra l'indice ed il medio della mano destra, «Allora, come stai?».
«Beh, potrei stare meglio», Camylla fece perno sul piede appoggiato al muro del locale per potersi dare una leggera spinta ed avvicinare così la propria mano a quella di Thomas, passandogli la sigaretta. «Ho un pò di casini per la testa, a dirti la verità», tornando nella posizione iniziale, Camylla si accorse di una piccola macchia scura posta sul fianco destro della lunga gonna grigio chiaro che aveva scelto d'indossare per l'occasione.
«Hai voglia di parlarne?», Thomas dovette socchiudere gli occhi per evitare che il fumo emesso nel pronunciare la domanda non offuscasse momentaneamente la vista; si sistemò in posizione eretta, in attesa di una risposta da parte di Camylla.
«Sì, ma non credo che questo sia il contesto ideale», Camylla alzò l'indice della mano roteandolo sopra la propria spalla, sorridendo debolmente: la musica stava facendo da sottofondo alla loro conversazione, seppur non fosse ben definita e scandita come lo era all'interno del locale; la brezza fresca stava cominciando a pungere lentamente, asciugando il sudore che il corpo aveva prodotto fino a pochi minuti prima; ed una festa di compleanno stava proseguendo senza due degli invitati.
«Domani a colazione?!», Thomas mostrò a Camylla un sorriso complice, volto ad illuminargli il viso: gli occhi, di un celeste intenso, brillavano di una scintilla vivace. Lanciò il mozzicone di sigaretta ormai giunto al termine, di lato a sè prima di passarsi distrattamente una mano tra i capelli neri tenuti fermi dal gel.
Prima ancora che Camylla potesse avere la possibilità di confermare la proposta offertagli dall'amico, l'enorme pesante portone d'emergenza scuro vicino a loro provocò un rumore assordante sbattendo violentemente contro il muro, facendola sobbalzare visibilmente per lo spavento.
«Ma che diamine! Ecco dov'eri finita, ti ho cercata ovunque!», la voce di Nathan era sopra le righe: con la mano destra stava gesticolando veemente mentre lo sguardo era rivolto solo ed esclusivamente a Camylla. «Abbiamo un problema», stava respirando affannosamente ma dalla sua bocca uscivano frasi dirette e coincise. Quelle iridi verdi stavano continuando ad osservarla, intensamente.
Camylla sentì quello sguardo perforargli lo stomaco, ghiacciandole totalmente il respiro. Poteva sentire su di sè anche lo sguardo incerto ed interrogativo di Thomas ma neppure lei riusciva a staccarsi dalla figura ferma e decisa di Nathan.
«Dài», con un cenno del capo e la mano a stringere il maniglione rosso antipanico della porta, Nathan ne fece intendere le intenzioni: avrebbero dovuto seguirlo. Camylla notò un piccolo, leggero e quasi impercettibile brivido percorrere la lunghezza del corpo di Nathan: lo notò muoversi di poco e notò divenire bianche le nocche della mano del ragazzo. Il freddo improvviso probabilmente l'aveva travolto inaspettatamente.
Camylla riuscì ad abbassare lo sguardo, scuotendo delicatamente la testa  e sospirando sonoramente. Prese aria a pieni polmoni prima di dedicare, per una breve frazione di secondo, l'attenzione a Thomas «Lui è Nathan», aveva sussurrato, “ricorda la sua faccia” Camylla stava muovendo vistosamente il suo indice davanti al proprio viso per permettere a Thomas di afferrare al meglio ciò che aveva mimato con il labiale.

Una volta tornati all'interno del locale, Camylla fu affiancata da una Alyssa in totale stato confusionale: aveva ingerito una quantità inimmaginabile di alcool e adesso le risultava difficile rimanere in posizione eratta senza barcollare. Decise di farsi spazio tra la folla nella speranza di raggiungere il bagno prima che l'amica potesse svuotarsi lo stomaco senza riuscire a controllarsi. Un sacco di persone le intralciavano il percorso involontariamente, bloccandole tra i loro corpi impregni e appicati di sudore; alcuni rovesciavano il contenuto dei bicchieri troppo intenti a seguire la musica piuttosto che preoccuparsi di ciò che stava loro accadendo intorno. Tra varie imprecazioni e preghiere enunciate a denti stretti, Camylla cercava di trascinare Alyssa nella giusta direzione, anche se quest'ultima non sembrava intenzionata a seguirla in quanto preferiva bloccarsi prima di guardarsi attorno e portare successivamente una mano a tapparsi la bocca.
«Avanti Aly, ci siamo quasi», Camylla aveva pronunciato quella frase contando mentalmente quanti passi la separavano dalla meta e appoggiando con fare deciso la mano sulla schiena dell'amica. La serata aveva preso una piega differente da ciò che Camylla si sarebbe aspettata: era cominciata tra spenzieratezza e scherzi, per proseguire tra divertimento e risate piene di libertà ma stava giungendo al termine con litigi e pianti. Da quel poco che Nathan le aveva riassunto, Alyssa sembrava aver perfettamente assistito alla scena, anche se leggermente in disparte e sembrava aver immagazzinato qualsiasi tipo di dettaglio le fosse stato possibile, del momento esatto in cui le labbra di Khloe e quelle di Theo si erano incontrate per sbaglio.
Da quel momento era stato tutto molto frettoloso: Camylla aveva il compito di tenere a debita distanza le due amiche onde evitare di vederle perdere il controllo e, ne era certa, la scelta di sorreggere Alyssa anzichè stare al fianco di Khloe, a quest'ultima non stava andando giù dignitosamente; Thomas, d'altro canto, stava cercando di capire il motivo per il quale fosse successo ciò senza però riuscire a trarre nessun tipo di certezze. Solo considerazioni più o meno fondate.
«Diamine Alyssa! Vuoi darti una mossa?!», il limite di sopportazione di Camylla stava giungendo al termine dopo che, per l'ennesima volta, l'amica si era fermata con lo sguardo perso nel nulla. Come se non bastasse, una persona le era appena montata sul piede sinistro, avvolto solamente da un dècolletè nero rigorosamente indossato senza calza. Si voltò istintivamente con fare minaccioso, pronta a dar sfogo al suo nervosismo ma dovette mangiarsi ogni tipo di accusa quando i suoi occhi si persero nella figura di Matthias.
Le mancò di colpo il fiato mentre il cuore prese a pulsare ad un ritmo elevato. Si ritrovò a mordere il labbro inferiore, incapace di pronunciare qualsiasi tipo di sillaba. Era stata colta di sorpresa, non assolutamente pronta ad un tale incontro; lasciò istintivamente la presa su Alyssa, abbadonando il braccio stancamente lungo il fianco: in quel preciso istante non riusciva a sentire la musica, non riusciva a vedere tutte quelle persone che la circondavano ballare, non riusciva a sentire che il proprio cuore martellare ad un ritmo irrefrenabile. Ritrovarselo difronte, a distanza di quattro giorni le fece gelare il sangue. Sentiva l'ansia mista ad eccitazione scorrergli nelle vene.
Matthias le sorrise con fare incerto, quasi rassegnato dall'incontro inevitabile. Ed era bello: bello nei pantaloni neri volti a fasciargli le gambe magre. Bello nella sua t-shirt bianca impregnata di sudore, che aveva lo scopo di evidenziare quei muscoli sviluppati grazie ad anni di fatica e sacrifici. Bello con quei capelli perfettamente in ordine.
«Camylla», Alyssa le si aggrappò prepotentemente alla spalla, sussurrando un forte richiamo di attenzione: Camylla dovette trattenersi dall'urlare parole severe e respirò profondamente. Si ritrovò a serrare i pugni mentre cercava una briciola di buon senso affinchè potesse continuare a controllarsi. Chiuse gli occhi e si maledisse per la situazione che era andata creandosi: maledisse sè stessa per aver ceduto ingenuamente ai sentimenti, per essersi lasciata abindolare da un casuale incontro, per non aver saputo gestire una banale situazione.
Superò Matthias abbassando di poco lo sguardo e troncando nettamente il contatto visivo che si era creato. Si sentì vuota quando i suoi occhi dovettero annullarsi senza via di fuga. Il suo profumo la invase, riuscendo a calmarla momentaneamente. Non si voltò nella sua direzione, nonostante ne avesse avuto tutte le intenzioni; non le riservò un'occhiata fugace, nonostante l'immensa tentazione. Non si abbandonò all'idea di averlo perso, nonostante la consapevolezza.

Il viaggio di ritorno era caratterizzato dal silenzio e dalla tensione: quest'ultima era palpabile e sul punto di una forte rottura. Camylla teneva ben saldo il volante, stringendolo nervosamente e provocando in lei un dolore neanche paragonabile a quello che le aveva causato la situazione presentandosi soltanto poche ore prima. Khloe alla sua sinistra, aveva la testa appoggiata al finestrino mentre giocava con il polsino del giacchetto; Alyssa seduta nell'abitacolo dietro, si era abbandonata ad un sonno profondo.
«Ho incontrato Matthias», la voce ferma e solida di Camylla interruppe lo stato di gelo che era andato creandosi. Decise di mantenere lo sguardo fisso davanti a sè, concentrandosi sulla strada da percorrere, piuttosto che osservare la reazione di Khloe. Quest'ultima non rispose, si limitò semplicemente a voltarsi di scatto come colta sul fatto, aumentando il ritmo respiratorio. Perchè per quanto Camylla avesse voluto capire il motivo che aveva spinto l'amica a baciare Theo, era più intenzionata a chiarire il suo stato di agitazione.
«Sapevi sarebbe venuto, non è vero?», continuò quindi Camylla, ancora con voce forte e forse minacciosa. Era arrabbiata perchè sapeva già quale sarebbe stata la risposta e perchè non sopportava di essere stata ingannata. Non dalle proprie amiche.
«Mi dispiace», un sussurro dettato dalla consapevolezza di aver sbagliato.
«Stai scherzando, spero?!», Camylla frenò all'ultimo secondo, fermandosi ad un semaforo rosso: avrebbe anche bestiammato se non si fosse morsa con ferocia il labbro, «Avresti dovuto dirmelo», e questa volta ebbe tutto il tempo necessario per incontrare lo sguardo innocente di Khloe, mentre ancora le sue mani erano ben salde al volante, tremanti.
«Non saresti venuta», esclamò Khloe, aumentando il volume della voce e gesticolando con vigore: si sistemò meglio sul sedile, mentre osservava l'amica con aria di scuse sincere. E Camylla capiva perfettamente ma non avrebbe potuto accettarlo: sapeva quanto Khloe avesse ragione ma quella situazione l'aveva agitata più del previsto. Aveva scaturito in lei vecchi ricordi, attimi così leggeri da avere la forza di penetrare nell'anima. Matthias aveva il potere di stravolgerla, di farla sentire innocente e senza controllo.
«E' stato..», e Camylla non riuscì a finire la frase perchè neanche lei sapeva realmente descrivere tale sensazione. Si riscosse dallo stato di trance che momentaneamente l'aveva travolta non appena un'automobilista suonò il clacson. Riportò l'attenzione sulla strada, accorgendosi del semaforo ormai divenuto verde e riprese il suo andamento verso casa, con il pieno intento di poter affogare e magari annullare quello stato di tensione che la stava scombussolando.
Khloe si allungò nella sua direzione, appoggiando delicatamente la mano sulla sua gamba: una carezza leggera, una scusa silenziosa, un contatto di coraggio. Non le disse niente di più, solo rimasero avvolte nel rumore del traffico scorrevole in attesa di un cambiamento. Improvviso.

Messaggio inviato: ore 04.30 am
A: M.
Mi manchi

03 Ottobre.

Il materasso scricchiolò rumorosamente quando Camylla decise di allungarsi, stirando i propri muscoli intorpiditi dal sonno - e dalla tensione accumulata in quei giorni, dallo stress, e anche dai movimenti sconnessi che aveva fatto al centro della pista per gran parte della serata precedente -. Sbadigliò sonoramente, strusciandosi gli occhi con entrambi i pugni della mani.
«Buongiorno delicatezza», una voce calda e tranquilla arrivò troppo udibile e ben scandita nell'orecchio sinistro di Camylla.
«Cazzo!», Camylla sobbalzò istintivamente sul letto, respirando velocemente mentre il suo battito cardiaco cercava di tornare regolare. «Così mi fai prendere un'infarto, Thomas», riportò le gambe distese con un movimento lento mentre cercava di portare dietro le spalle i capelli disordinati che le ricadevano distrattamente sul viso.
Una risata sonora e cristallina riempì la stanza «Scusa ma sapevo sarebbe stato divertente spaventarti», Thomas dovette portarsi una mano alla bocca per trattenere ulteriormente quella risata così genuina e pulita da aver saputo contagiare anche Camylla. Quest'ultima cercò di afferrare il cuscino che durante la notte aveva schiacciato tra la sua guancia e la testiera del letto, lanciandolo contro l'amico.
«Maledetto..», Camylla degrugnì i denti e cercò di assumere un'espressione minacciosa, inarcando le sopracciglia ma questo gesto provocò solamente l'ennesima risata leggera risuonata limpida per tutta la stanza. «Devi riconsegnarmi le chiavi di casa!», 
«Sai, avremmo dovuto far colazione insieme», Thomas riuscì a bloccare il terzo colpo di Camylla, afferrandole i polsi e tirandola a sè: accompagnò la testa di Camylla delicatamente sulle proprie gambe, spostandole un ciuffo ribelle che durante la collutazione era caduto davanti agli occhi. «Ma ieri siamo stati interrotti prima di poterne decidere i dettagli», le lasciò un sonoro bacio sulla guancia in segno di affetto. «E poi, mi spieghi perchè hai un telefono se non lo usi mai?».
«Sai, stavo dormendo», Camylla rannicchiò le gambe, spostando di poco la testa e poter osservare al meglio i lineamenti perfetti di Thomas. Il silenzio sceso momentaneamente tra loro fece sbarrare improvvisamente gli occhi di Camylla, persa a delineare mentalmente la mandibola ben marcata dell'amico: le si bloccò anche il respiro, per questo dovette aprire leggermente la bocca e poter far entrare aria pulita ed ossigenare i polmoni, «Il telefono», sussurrò.
«Che succede?», Thomas notò perfettamente il cambiamento netto di Camylla, potendone ben udire anche la breve frase seppur dettata dall'incertezza.
«Potrei aver scritto a Matthias ieri notte», sputò tutto d'un fiato Camylla con voce quasi impaurita: continuava a fissare il contorno del labbro inferiore di Thomas con sguardo perso; non ne stava immagazzinando nessun ricordo, «Sono una stupida!», sentenziò infine, sospirando arrendenvole all'idea di aver commesso un grave errore.
«Posso controllare?», per tutta risposta, Thomas stava cercando di allungarsi alla sua destra, sovrastando il braccio di Camylla per riuscire ad arrivare al comodino ed afferrare così l'oggetto incriminato. La sua voce sembrava essere divertita ed il sorriso furbo sul suo volto ne era la conferma.
«Non ti azzardare!», Camylla dovette afferrare Thomas per una spalla e usare troppa forza - per una persona appena sveglia, e riuscire a riportarlo nella posizione iniziale, «Non mi sento ancora pronta e poi non avrà sicuramente risposto». Una frase dettata dalla conoscenza e dalla consapevolezza; una realtà fin troppo veritiera da non essere necessaria la conferma; uno sbaglio dettato dal sovraccarico di emozioni che le aveva causato l'incontro.
«Che cosa gli hai scritto?», Thomas continuava a sorridere, cercando di alleggerire la tensione di Camylla: era esattamente a conoscenza dello stato di agitazione dell'amica.
«Potrei avergli scritto che mi manca», le guance di Camylla si tinsero di rosso emanando subito un leggero calore: abbassò il suo sguardo verso le mani che teneva conserte sulla pancia, abbandonando il volto perfetto di Thomas.
«Ti svelo un segreto: usare il condizionale non lo renderà meno reale», a Thomas uscì una risata sonora e divertita da far sorridere controvoglia anche Camylla.
«Così non aiuti!», Camylla alzò il braccio destro in direzione della guancia sinistra dell'amica, pronta a dedicargli un giocoso schiaffo leggero ed ingenuo. Dovette ringraziarlo, silenziosamente, perchè nonostante il suo senso di disagio verso il gesto compiuto la sera precedente, in quel momento si poteva sentire più leggera. Thomas aveva la capacità di far star bene chiunque, con i suoi modi divertenti, la sua voce allegra ma sincera, e il suo saper esserci in qualsiasi momento.
«Gli hai scritto perchè ieri l'hai visto?», Thomas stava scemando la sua risata, giocando con una ciocca di capelli di Camylla. Non la stava guardando negli occhi.
«Sì, ci siamo incrociati», un brivido di freddo le percosse la spina dorsale, facendola inarcare impercettibilmente: al solo ricordo ancora ben nitido dell'incontro con Matthias, Camylla sentì le mani ghiacce, la testa pesante, gli occhi stanchi e il cuore a pezzi. Si reputava sciocca per aver tenuto un comportamento banale: aveva agito d'impulso, seguendo l'istinto senza soffermarsi a ragionare; il suo intento era quello di far capire a Matthias quanto quell'attimo avesse stravolto le proprie sensazioni; come non stesse riuscendo ad andare avanti - ed accettare - la fine della loro relazione.
«Sapevi che ci sarebbe stato?», Camylla ebbe il coraggio di cercare con lo sguardo un contatto visivo sincero e pulito; aveva bisogno di abbandonarsi nel celeste limpido degli occhi di Thomas. Per tutta risposta, quest'ultimo si ritrovò ad annuire con la testa, dipingendosi un'espressione di dispiacere e colpa sul volto: le labbra leggermente incurvate verso l'altro significavano la colpevolezza colta in flagrante.
«Mi aveva scritto quel pomeriggio ma se te lo avessi detto non ti saresti goduta la serata», Thomas decise di troncare il loro gioco di sguardi dove l'uno cerca di scavare all'interno dell'altro, finendo per capire più di quanto si dovrebbe; buttò la testa all'indietro, appoggiandosi alla tesiera del letto, socchiudendo gli occhi.
«Sì, beh..»,  Camylla semplicemente lo stava osservando nei suoi movimenti lenti mentre pesava il significato di quelle parole: capiva il gesto dell'amico ma avrebbe voluto esserne a conoscenza; avrebbe voluto avere la libertà e la possibilità di scelta. Forse sia Khloe che Thomas avevano pienamente ragione ma lei sarebbe stata capace di ingioiare il boccone amaro e far finta di niente.
Ne era certa.
«Cam, so che vorresti delle scuse ma sappi che lo rifarei», la sincerità nelle parole di Thomas fecero aprire la bocca di Camylla, incapace di proferir qualsiasi tipo di suono; le iridi celesti immerse nel castano avevano la capacità di svuotare l'anima; il tocco leggero delle dita della mano sulla guancia di Camylla, aveva la capacità di far tremare il cuore.
«So quanto ti manca e quanto sia difficile per te tutto questo ma avresti dovuto vederti ieri sera: eri spensierata, finalmente», ancora una volta la verità di quella frase fu come un getto d'acqua gelata; ad ogni movimento di labbra  dettato dalla sicurezza corrispondeva un respiro strozzato in gola; ogni carezza data emanava dolore.
«Non sono stata capace di gestire la situazione, e non solo ieri. L'ho lasciato andare», Camylla sussurrò quelle parole dettate dalla consapevolezza delle proprie azioni: si lasciò accarezzare i capelli ed il volto, inebriandosi del tocco leggero di Thomas, nonostante sembrasse lasciare solchi profondi e dolorosi. Che Camylla credeva di meritare.
«Non sei stata capace o non hai voluto?», Thomas bloccò la sua mano vicino all'incavo del collo, sotto all'orecchio: la osservò attentamente scrutandone ogni suo gesto involontario ed incontrollato, serrando la bocca per potersi concentrare al meglio.
Camylla fece perno sulle gambe, spingendosi in posizione seduta ed abbandonando il calore di Thomas: si sentì pervasa da fitte nello stomaco pesanti che trafiggevano senza pietà; si ritrovò a serrare i pugni, stringendo il lembo della maglia del pigiama; deglutì a fatica, scossa dalla potenza della domanda, dall'impatto che quest'ultima aveva avuto, dalla forza con la quale era stata pronunciata.
Non sapeva risponde; non voleva rispondere. Non aveva il coraggio di ammettere ad alta voce la verità.
«Non pensi sia ora di colazione?!», optò per cambiare totalmente argomento, facendo intendere a Thomas quanto quella loro conversazione stava avendo ripercussioni negative su Camylla. Decise di alzarsi dal letto, stiracchiandosi ulteriormente una volta completamente in piedi: cercò di far schioccare il collo muovendolo da una parte e dall'altra, provando così ad allentare la tensione che si era creata ed accumulata, ma con scarsi risultati.
Thomas acconsentì alla domanda retorica con un semplice accenno del capo, sorridendo debolmente pronto ad accantonare, almeno per quel giorno, quell'argomento ancora troppo problematico e puntiglioso.
«Hai saputo perchè Khloe e Theo si sono baciati?», Thomas si distese al meglio i jeans, una volta in posizione eretta, sistemando anche una piccola piega venuta al bordo del maglioncino nero.
«No, in realtà non ho più chiesto spiegazioni», Camylla cercò di pesare bene le parole con la quale rispondere perchè un breve ed istintivo ricordo le balenò limpido nella mente, rivolto al viaggio di ritorno in macchina dalla festa: non aveva chiesto niente a Khloe; troppo preoccupata per sè stessa e su ciò che era accaduto con Matthias.
«Beh, io sì», Thomas stava saltellando per le scale come un bambino davanti ad un giochino nuovo: con lo sguardo sveglio e il sorriso beffardo a dipingergli il volto, «Khloe l'ha fatto per ripicca ad Alyssa, per un certo Ethan».
Camylla dovette sorreggersi alla ringhiera delle scale per non inciampare sui suoi stessi piedi, «Cosa?! Chi te l'ha detto?», la sua domanda celava stupore.
 «Theo - stamani, che gliel'ha detto Khloe ieri prima dell'accaduto», Thomas aprì le mani davanti a sè con fare ovvio mentre dovette voltarsi per osservare Camylla rimasta due scalini indietro.
«Adesso quelle due mi sentono», Camylla aveva ripreso a camminare con passo deciso e felpato, come se l'impronta dovesse dimostrare la sua collera incomprensibile verso le due amiche.
«Cosa sai che io non so?», il rumore delle gambe della sedia strusciata sul pavimento fece strizzare gli occhi e stringere il collo a Thomas che mimò uno “scusa” a dentri stretti.
«Alyssa qualche giorno fa si è scambiata due messaggi innocenti con Ethan, un ragazzo del campus per la quale Khloe ha una cotta», Camylla dovette allungarsi sulle punte perchè il barattolino del caffè le era scivolato più indietro, andando a finire lontano dalla sua portata, «Solo che Alyssa mi aveva rassicurato di aver chiarito con Khloe».
«Allora dovrai indagare», Thomas stava osservando Camylla in difficoltà senza degnarsi di aiutarla, semplicemente sorridendo con i gomiti appoggiati sul tavolo, «Che poi, con permesso, ad Alyssa gli sta pure bene».
Camylla si voltò istintivamente verso Thomas regalandogli un'espressione interrogativa, corrugando la fronte e allargando le braccia.
«Voglio dire, sono anni che “muore” dietro a Theo, non poteva farsi avanti prima anzichè fare una scenata del genere?», Thomas si riscosse sulla sedia, sistemandosi visibilmente.
«E Theo non avrebbe potuto fare altrettanto? Perchè sappiamo che sa», Camylla abbandonò momentanemente l'idea di preparare la colazione, appoggiandosi con la mano sinistra sul bancone della cucina mentre il destro era posizionato sul fianco. In attesa. «Tocca al maschio fare la prima mossa».
«Non diciamo cavolate, Cam!», Thomas aveva alzato le braccia al cielo ma il suo tono continuava ad essere ragionevole, «Se una persona t'interessa, non aspetti. Agisci», stava puntecchiando il dito indice sul tavolo come a voler marcare affondo la propria idea.
«E perchè allora Theo non si è mai dichiarato?», anche la voce di Camylla era calma: le stava interessando capire il punto di vista di Thomas, perchè forse così sarebbe riuscita a conoscere meglio il loro amico, «E non dirmi che aspettava Alyssa. Non ci credo», stavolta toccò a Camylla muovere da una parte all'altra il dito davanti al viso, accentuando il suo disappunto con il movimento della testa.
«Forse perchè anche lui non è così furbo come dà a credere», Thomas decise di far perno sul bordo del tavolo per potersi alzare: a passi svelti e decisi raggiunse Camylla, «Perchè anche lui interessa Alyssa», le aveva quasi sussurrato, sorridendo apertamente e mostrando i  denti perfettamente allineati e bianchi. Allungò il braccio davanti a sè per afferrare il barattolo del caffè abbandonato da Camylla, prima di aprirlo e versarne il contenuto nella moka.
«Sul serio?!», Camylla era incredula ma divertita: strusciò con fare giocoso le mani tra loro davanti al petto, mentre i suoi occhi si socchiusero beffardamente, «Questo sì che è uno scoop! Però scusa, perchè è stato al gioco di Khloe, Theo?».
«Forse per vedere la reazione che avrebbe avuto Alyssa», Thomas stava tamburellando con la mano sul bordo del bancone, aspettando di poter bere il primo caffè della giornata.
«E poi saremmo noi quelle complicate?!», un sorriso stupito le incorniciò il volto, dando sfogo istintivo alla sua perplessità: non riusciva a capacitarsi degli atteggiamenti infantili che stavano assumendo i suoi amici; stavano perdendo tempo, punzecchiandosi ogni qualvolta vi si trovassero difronte senza esprimere realmente i sentimenti.
«Cam, io non ti ho detto niente, o Theo mi farà fuori», distrattamente prese dalla dispensa un pacchetto di plastica contenente dei toast vuoti mentre lo sguardo vigile di Camylla non lo lasciava neanche per un secondo.
«Tranquillo! Ora però cominciano a tornare alcune cose», Camylla si puntò l'indice sinistro al mento, picchiettando piano, sorreggendosi il braccio con la mano destra. Il fondoschiena appoggiato al bordo del bancone. Le venne un piccolo flash: adesso forse capiva perchè Theo avesse chiesto proprio a loro di dar una mano con il piano geniale; così facendo avrebbero avuto la possibilità di “lavorare” a stretto contatto, trascorrendo più tempo del previsto insieme.
«Quali cose?», Thomas stava rovistando nel secondo cassetto posto sotto ai fornelli, sbatacchiando un ciottolino di vetro fortunamente vuoto, «Hai cambiato posto alle tovagline? Erano qua».
«No, le ho buttate», Camylla aveva la testa inclinata verso il soffitto mentre ancora la sua mente continuava ad elaborare plausibili spiegazioni e chiarimenti sui comportamenti tenuti sia da Alyssa che da Theo: col senno di poi, risultava più semplice capire.
«Cosa? Perchè?! Erano nuove!», il movimento delle mani di Thomas davanti al petto facevano intendere la sua arresa verso le azioni inspiegabili e senza senso dell'amica: si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, scuotendo visibilmente la testa, «Comunque tranquilla, la preparo io la colazione eh!». Il rumore del tostapane stava a significare che il contenuto sito all'interno fosse pronto, così che Thomas potesse prendere due piccoli piatti dalla piattaia e poterli servire al tavolo.
Camylla sorrise con fare disattento, muovendo dei passi in direzione della sedia mentre si roteava intorno al dito una ciocca di capelli che ancora non aveva legato: nella sua mente si presentavano accenni di conversazione avvenuta con Alyssa la mattina precedente, e la sensazione di eccitazione che era riuscita a trasmettergli l'amica, poteva sentirla tutt'ora donandole adrenalina.
«Cam?!», Camylla mugolò, riscuotendosi dallo stato di assenza in cui era finita senza neanche accorgersene. Scosse la testa mentre potè notare davanti a sè una tazza di caffè fumante ed un piattino volto a contenere un toast semi-bruciacchiato.
«A cosa stai pensando?», Thomas le si mise affianco, avvolgendo il panino nel fazzoletto prima di poter staccare un morso e cominciare così a mangiare.
«Avrei una cosa da dirti ed in parte riguarda anche Theo», prese aria a pieni polmoni prima di poter pronunciare quella frase: aveva preso a muovere nervosamente la gamba mentre aveva deciso di non dar tregua a quella povera ciocca di capelli che continuava ad arrotolarsi intorno al dito. Sapeva di poter parlare di qualsiasi cosa con Thomas e sapeva di aver disperatamente bisogno di un suo supporto e di un suo utile ed efficace consiglio; sentiva il bisogno di esporre ad alta voce quella folle idea che la rendeva viva, in qualche maniera.
«Devo preoccuparmi?», Thomas sorrise istintivamente ma notando l'incertezza di Camylla decise di posare il toast ormai mordicchiato nel piatto e passare il tovagliolo davanti alla bocca, «Che succede? C'entrano le cose di cui parlavi prima?».
«Sì ma..», Camylla sospirò scuotendo la testa, «Non so neanche da dove cominciare!», si ritrovò ad appoggiare il gomito sul tavolo per avere la possibilità di poter posare la guancia all'interno del palmo della mano.
«Potresti farmi capire, partendo dall'inizio», la serietà di Thomas nel pronunciare tale frase permisse all'espressione di Camylla di corrugarsi con fare ovvio: sapeva che avrebbe dovuto raccontare dall'esatto momento in cui tutto era sorto ma il problema era che non se ne rendava conto; non riusciva a capire come fosse stato possibile arrivare ad una situazione del genere; non si capacitava neanche di quanto tempo fosse passato.
«Praticamente Theo e Nathan stanno attuando un piano, credo», Camylla decise di partire dal centro esatto del problema, cercando di far afferrare il concetto a Thomas, il quale la stava osservando con sguardo interrogativo.
«Ah, Nathan! Sì, il ragazzo di ieri sera..», Thomas sembrò trarre una deduzione corretta e Camylla per tutta risposta le alzò il pollice verso l'alto. «E perchè credi che stiano attuando un piano? Che piano?».
«Fammi continuare e capirai», Camylla si mosse impercettibilmente sulla sedia, sistemandosi più comodamente possibile mentre le sue mani stavano cominciando a muoversi frettolosamente, gesticolando visibilmente. Thomas estrasse dalla tasca della tuta, il pacchetto di sigarette, mimando l'ennesimo “scusa” flebile della giornata.
«Insomma, qualche giorno fa Theo ha chiesto a me e Alyssa di trovare ogni tipo di informazione possibile su un direttore di banca, Patel mi pare», Camylla sembrò pensarci qualche secondo perchè a quell'incontro la sua concentrazione non stava svolgendo appieno la propria funzione per cui non era certa di ricordarsi il nome esatto del direttore, «Comunque, questo perchè sia Theo che Nathan hanno intenzione di rapinare quella stessa banca».
Thomas tossicò improvvisamente, avendo aspirato il fumo della sigaretta nell'esatto momento in cui Camylla aveva enunciato l'ultima frase:  sbarrò gli occhi e divenne paonazzo in viso. Prima di emettere una grassa e sonora risata che si rieccheggiò per tutta la cucina.
Camylla dovette ammettere che pronunciare ad alta voce tale affermazione la rendeva ridicola e misera al tempo stesso; si rese pienamente conto dell'enorme sciocchezza che racchiudeva quella semplice frase. Rimase però interdetta, ad osservare la reazione di Thomas e aspettare un suo commento. Qualsiasi esso sarebbe stato.
«Questa sì che è bella! Ed io che stavo pure cominciando a preoccuparmi», Thomas dovette alzarsi per riempirsi un bicchiere d'acqua e poterlo bere riprendendosi dalla tosse: stava continuando a sorridere, scuotendo la testa divertito.
«Little T, non sto scherzando», Camylla dovette mordersi il labbro inferiore mentre giocava con la maniche del pigiama, «Cioè ovviamente anche io lo pensavo ma sia Alyssa che Nathan stanno cercando di farmi cambiare idea», stavolta dovette abbassare lo sguardo perchè non avrebbe sopportato l'espressione che avrebbe visto in Thomas.
«Se anche fosse vero quello che stai dicendo, mi auguro che tu riesca a starne fuori», Thomas si stava asciugando un piccola gocciolina d'acqua cadutagli sul mento mentre con una falcata agile, tornò a raggiungere la sedia per risedersi composto. L'odore di fumo ad inondare la stanza.
«Ti racconterei mai delle cazzate?!», dovette ammettere ripetutamente a sè stessa che l'idea dettata a voce alta non rendesse una vera e propria serietà ma Camylla non sopportava di essere messa in discussione dal suo migliore amico per questo scattò con la testa nella direzione di Thomas, «Ti sto dicendo quello che mi è successo nei giorni passati, dato che qualcuno è stato troppo impegnato in altro», si rese immediatamente conto di essere stata decisamente fuori luogo e fuori controllo, avendo aumentato anche il tono della voce. Sospirò sonoramente prima di alzarsi in piedi, scostando la sedia dal tavolo con la forza del piede.
«Scusa se Savanna è finita al pronto soccorso, la prossima volta le chiedo di evitare di ustionarsi», anche Thomas era scattato in piedi, spegnendo con ferocia la sigaretta all'interno del posacenere di cocco. Il suo tono di voce continuava ad essere relativamente basso ma la fermezza con la quale pronunciava ogni singola parola ne dettavano il disappunto per l'insinuazione fatta da Camylla. «Comunque sta bene, grazie per averlo chiesto».
Camylla appoggiò entrambe le mani sul tavolo e abbassò la testa, socchiudendo gli occhi: era consapevole di aver oltreppasato il limite, di aver tervigersato le parole di Thomas, e di essere stata una pessima amica nell'esatto momento in cui per Thomas sarebbe stato importante esserci.
L'aria intorno a loro pesava di colpe ammesse segretamente, di scuse silenziose pronunciate dagli occhi stanchi di Camylla e in quelli dispiaciuti di Thomas.
«Sai che non intendevo dire che stai mentendo riguardo a Theo e Nathan», Thomas parlò piano, sorreggendo un volto provato dall'accaduto: la mano a spettinare i capelli barazzini; occhi che chiedevano un perdono immediato.
«Ho esagerato», Camylla aveva riversato su Thomas una parte del nervosismo accumulato nei giorni passati, aveva lasciato che l'istinto e la rabbia avessero la meglio sulla ragione e la calma; aveva scaricato della tensione sulla persona sbagliata, «E hai ragione, non ti ho neanche chiesto niente di Savanna», gesticolò con la mano sinistra ammettendo, in qualche maniera, la sua irresponsabilità.
«Non mi chiederesti di lei neanche sotto tortura», Thomas cercò di alleggerire la tensione, sorridendo alla battuta ma in cuor suo Camylla sapeva benissimo essere una frecciatina lanciata in pieno volto senza ritegno: non era un segreto che non le andasse a genio la ragazza. In quel momento però, decise di ricambiare il sorriso senza controbattere l'affermazione veritiera ed evitare un'altra breve discussione che non avrebbe sopportato.
«Spiegami del piano però, vorrei capire», Thomas tornò seduto, finendo di sorseggiare il caffè ormai divenuto freddo. Camylla si rese conto di aver lasciato intatto il servizio offertogli dall'amico. Solo, non sentiva il senso di fame.
«In realtà, non so molto di più», Camylla decise di rimanere in piedi davanti a Thomas, con  le braccia conserte davanti al petto, «C'è bisogno che il piano venga studiato dettagliatamente, per il momento hanno buttato giù una bozza. Ognuno di noi ha dei compiti ben precisi -».
«Voi?», la voce di Thomas risuonò allarmata ed interrogativa, interrompendo Camylla: aveva la fronte corrugata in attesa di un chiarimento lecito.
«Sì, insomma..Voglio dire-», Camylla si rese conto di non saper cosa dire, in verità. Si era inclusa nel piano senza neanche accorgersene, mentre con la mente si immaginava alle prese con il Direttor Patel nel cercare di assimilare quante più informazioni possibili ed utili; non sapeva spiegare il suo atteggiamento se non che stava parlando d'istinto.
«Little C, non fare cazzate! Si sta parlando di rapinare una banca, presente?», Thomas apparve visibilmente preoccupato: lo sguardo vigile sui minimi movimenti di Camylla, la schiena ben eretta per aprire il petto ed attutire i colpi che sarebbero arrivati.
«Capisco lo stupore ma se funzionasse, hai idea di quanti soldi avremmo?!», a Camylla quella frase uscì senza freni: era forse la prima volta che si rendeva conto davvero del senso di tutto lo scombussolamento che aveva in testa.
«Riusciresti a fare tutti i soldi che vuoi se tu riuscissi a farti assumere dallo studio di Gabriel», il rumore del pacchetto di sigarette schiacciato significava che Thomas cominciava a preservare uno stato di agitazione.
«Si chiama Lucas», lo corresse Camylla, sorridendo leggermente nonostante l'atmosfera di tensione e preoccupazione.
«E' uno dei migliori in città e non riuscirei neanche a leggere il suo saldo bancario per tutti gli zero che presenta», l'accendino non dava segno di voler collaborare all'accensione della seconda sigaretta di Thomas nel giro di pochi minuti, «Non hai bisogno di rapinare una banca, Cam!».
«Sai benissimo che sto facendo tirocinio lì solo perchè è cliente di mio padre. Non sono all'altezza delle qualità di quello studio», fu dura dover ammettere quella verità ma era del tutto inutile nascondersi dietro false speranze: gli altri associati avevano qualità che a lei risultava difficile persino immaginare che esistessero; ed era inutile negare che solo fino a qualche settimana prima, il suo unico compito era fotocopiare accordi, contratti e cedolini.
«Credo sia meglio imparare il lavoro che scegliere di svaligiare una banca», finalmente la fiamma rosso vivo prese a brillare davanti agli occhi cristallini di Thomas: celavano ansia e sembravano aver voglia di farle capire gli errori che stava commettendo.
«Sì, però se organizzassimo tutto nel dettaglio, prevedendo ogni loro possibile mossa allora questo diventerebbe un piano fattibile ed infallibile», dovette bloccarsi istintivamente perchè quelle parole uscite di getto la fecero tremare impercettibilmente: aveva lasciato sfuggire l'esatto momento in cui la totale negazione per quel folle piano era passato ad essere lo scopo della sua vita; non si riconobbe e fece fatica a credere di averle seriamenre pronunciate.
«E come pensate di raggirare le telecamere ed aprire la cassaforte?», Thomas la stava sfidando, Camylla ne era certa: le stava ponendo domande complicate per poterla far agitare. Lei semplicemente lo stava ascoltando, mordendosi il labbro inferiore e cercando di staccare una pellicina dal dito della mano.
«Se agirete di giorno, dovrete preoccuparvi anche degli ostaggi quindi dovrete procurarvi delle armi? E se arrivasse la polizia?», gli occhi semi-socchiusi di Thomas celavano sicurezza e determinatezza. La mano ferma a tenere salda una sigaretta che lentamente si stava consumando da sola.
«Te l'ho detto, è ancora da pianificare nel dettaglio», ne uscì un sussurro, una banale e fragile difesa.
«E se dovessero arrestarvi?», a quel punto Thomas decise di alzarsi in piedi e di raggiungere Camylla per osservarla con maggiore attenzione: le sollevò con l'indice il mento di poco per poter immergere il celeste nel marrone, spogliandolo completamente.
«Dalla nostra avremmo la possibilità di aggirare la legge», un altro sussurro dove Camylla stava provando a difendere la propria posizione con la stessa arma che il giorno prima Alyssa aveva usato su di lei e che sembrava avesse smosso qualcosa.
«Non per volervi offendere ma siete quattro studenti di Legge del terzo anno», Thomas cercò di usare quanto più tatto possibile per evitare di intaccare quel contatto benevolo che stavano avendo.
«Ci faremo rappresentare», Camylla sembrava interdetta ma con la risposta pronta: faticava a riconoscersi ma non riusciva ad avere il controllo della propria parlantina.
«Da chi? Da Gabriel?», Thomas dovette fare un passo indietro e respirare a pieni polmoni per evitare di perdere letteralmente il controllo, «Così quando lui andrà da tuo padre, tra un'otturazione della carie ed una pulizia del dente, parleranno della tua causa».
A Camylla venne da ridere, nonostante tutto. Non sapeva se quella risata fosse stata dettata dal nervosismo della situazione, dall'ansia della conversazione che la stava invadendo, dallo stress che sentiva schiacciarla ogni secondo che passava.
«Si chiama ancora Lucas», riuscì solamente a replicare.
«Lui! Ma in quel caso potresti davvero scordarti di lavorare per quello studio. O per qualsiasi altro studio. Chi prenderebbe una persona che ha commesso ciò?!», Thomas allargò le braccia con fare arreso ma il suo tono di voce stava risultando più leggero come conseguenza della reazione di Camylla.
«Ok, va bene», Camylla puntò i suoi palmi aperti difronte al viso, respirando intensamente: socchiuse gli occhi e la sua mente ne approfittò per elaborare quello che era appena successo. Thomas era riuscito a far crollare, pezzo dopo pezzo, parola dopo parola, la lunga scala che Camylla stava cercando di salire per poter raggiungere il progetto; le aveva messo davanti a sè le peggiori delle ipotesi, le stesse che fino al giorno precedente martellavano in segno di allarme all'interno di ogni suo muscolo; non riusciva a capire come fosse stato possibile poterle far capolino la malsana idea di prendere parte al piano, «Sei stato chiaro», Camylla riaprì gli occhi trovandosi un Thomas più rilassato e meno teso di come lo era fino a qualche secondo prima.
«Spero di far ragionare Theo con la stessa facilità che è servita con te», Thomas allungò la mano per afferrare il toast immacolato di Camylla, posto nell'esatta posizione in cui era stato messo: si era ghiacciato ma non per questo non commestibile.
«No Thomas, non puoi parlare di questo a Theo!», Camylla riuscì a bloccare il polso dell'amico con una presa salda e solida: cercò un contatto visivo deciso e freddo misto a preoccupazione e terrore. Theo era stato chiaro: non avrebbe dovuto farne parola con nessuno.
«Pensi davvero che faccia finire nei guai un'amico?», con uno strattone, Thomas riuscì a liberarsi della presa per poter finire l'azione inziale. Le sue parole erano dure, nonostante il suo viso risultasse essere rilassato, «Solo perchè tu hai cambiato idea, non significa che non possa succedere anche a Theo».
Thomas aveva pienamente ragione e Camylla ne era consapevole: avrebbe ragionato da egoista se non avesse provato a parlare con l'intero gruppo. Perchè non sarebbero stati loro a convincere Camylla ma sarebbe dovuta essere Camylla a convincere loro del contrario.
«Ci parlerò io», Camylla stava quasi sussurrando ma fu certa essere stata sentita perfettamente da Thomas, nonostante quest'ultimo stesse masticando rumorosamente il toast. In quelle tre semplici parole si celava una promessa nascosta ma sincera; una verità imminente che avrebbe trovato sicurezza e determinazione.
Il suono improvviso del campanello fece sussultare Camylla immersa nei propri pensieri: la tensione che si era creata per brevi istanti, era scemata in pochissimo tempo, lasciando spazio ad una leggerezza domenicale mattutina.
«Hey, Little T! Hai sentito? Il campanello funziona», una risata cristallina invase la stanza, pulita, sincera e divertita. Camylla si mosse in direzione del portone principale, passando davanti ad un piccolo specchio situato sopra un mobiletto in legno chiaro: si fermò giusto quell'attimo per notare i propri capelli in disordine, la matita nera ancora leggermente presente intorno agli occhi, e la maglia del pigiama semi-felpato in discutibili condizioni di pulizia.
«Non posso aprire conciata così!», Camylla si indicò velocemente per tutta la lunghezza del corpo, nonostante Thomas - ancora sorridende ed affamato - se ne stava ad osservarla seduto sulla sedia: in mostra i suoi denti luminosi, lo sguardo vivace e spensierato, gli zigomi delle guance in risalto.
Camylla alzò visibilmente gli occhi al cielo, emettendo un flebile lamento vendicativo.
«Chi è?», le sue preghiere silenziose si dovettero interrompere per domandare chi ci fosse dall'altro lato della porta.
«Tesoro, sono io», una voce squillante ed energica risposte prontamente alla domanda di Camylla.
«Mamma?!», il rumore della maniglia anticipò le feste che Korrine dedicò alla figlia non appena la figura di essa le si presentò davanti agli occhi.







 
IM BACK!
Vorrei chiedervi scusa per il ritardo ma gli impegni quotidiani non mi hanno permesso di dedicare il tempo necessario al capitolo; purtroppo ho la sensazione che anche il quinto slitterà di qualche giorno.
Detto questo..beh, eccoci! Il rapporto  tra Camylla ed Alyssa è comunque intenso, si conoscono da tanti anni e sanno come gestirsi a vicenda; mentre avete avuto l'occasione di conoscere Thomas :) Posso accennarvi che lui sarà
 necessario per Camylla! 
Vi piace questo personaggio?!
Poooi, finalmente un "mistero" è stato svelato: ebbene sì, il fatidico 
piano geniale non è altro che rapinare una banca!!
Thomas sarà riuscito a far cambiare idea a Camylla?!
Fatemi sapere, non abbiate freniiiiii :)
E non dimentichiamoci che Camylla ancora deve controllare il telefono: Matthias avrà risposto al messaggio?

Ne approfitto per ringraziarvi, 
dal primo all'ultimo. Grazie!
A presto!

G. xx
 

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Capitolo 5
*** V. ***


Capitolo V.
5.930 parole

Sperare che domani arrivi in fretta
e che sparisca ogni pensiero,
lasciare che lo scorrere del tempo
renda tutto un pò più chiaro,
perchè la nostra vita in fondo non è nient altro che,
un attimo eterno, un attimo
tra me e te.
Sono solo parole..

 
Il libro che Korinne portò a Camylla sembrava interessante: “Avvocato di difesa” di Michael Connelly. Camylla ne aveva sentito parlare molto, soprattutto tra i suoi compagni di corso ma non aveva avuto ancora modo di potervi leggerne il contenuto. Era perciò entusiasta di quel regalo del tutto inaspettato.
«Grazie mamma», Camylla si stava rigirando il libro tra le mani, ammirandone ogni minimo dettaglio. «Stasera lo comincerò a leggere». Il sorriso sincero ad incorniciarle il volto stava a significare la felicità che la donna era riuscita a trasmettere alla figlia.
«L'altro giorno in libreria l'ho visto e ti ho pensata», Korinne alzò le spalle, quasi volesse giustificarsi per quel gesto dolce ed innocente.
«Una volta finito, me lo presti?», Thomas stava continuando a mangiare il toast ormai divenuto freddo mentre con il tovagliolo davanti alla bocca aveva pronunciato la domanda.
«Ammesso che non lo rovini!», lo ammonì Camylla, puntandole il dito indice contro con fare minaccioso: il leggero sorriso tradiva gli occhi socchiusi e penetranti che avevano il compito di intimidire l'amico.
«Non lo farei mai», Thomas alzò le mani in segno di difesa, mostrando qualche briciola sui rispettivi palmi: dovette passare velocemente la lingua sulla lunghezza delle labbra per evitare di sorridere e mettere in mostra i residui di cibo.
«Devo ricordarti come mi riconsegnasti il libro di storia?», Camylla appoggiò la mano sul fianco, curiosa di sapere cosa avrebbe risposto Thomas in sua difesa. Ricordava perfettamente quante pagine strappate mancavano all'appello, quanti scarabocchi erano presenti sulle descrizioni degli avvenimenti, e quanti disegnini imbarazzanti aveva creato sui pochi spazi bianchi rimasti liberi a disposizione.
«Ma eravamo in quinta elementare!», la risata aperta e cristallina di Thomas riempì l'intera stanza, contagiando anche Korinne.
«Ha ragione, eravate piccoli», la madre prese le difese di Thomas senza pensarci due volte, muovendo delicatamente la testa come a confermare ulteriormente la sua affermazione.
«Tu da che parte stai?», Camylla strabuzzò gli occhi prima di unirsi al suono leggero e gioiale che si era creato: abbandonò il braccio lungo il fianco, arresa; chiuse gli occhi per ritagliarsi quel piccolo momento di felicità. «E pensare che stavo per offrirti il caffè».
«Io sono qui perchè devi offrirmi un pranzo», Korinne incorciò le braccia al petto ma per quanto si stesse sforzando di fare la seria, le leggere curve ai lati della bocca non riuscivano a renderla tale: era chiaro da chi avesse preso Camylla, «Fuori», ci tenne a precisare.
«Grande K!», Thomas dovette fare perno con le mani sul tavolo per riuscire a sporgersi quanto bastava per poter arrivare all'altezza di Korinne e battere un sonoro e schiacciante cinque a palmo aperto.
«Vuoi unirti anche te? Paga mia figlia», Korinne aveva raggiunto, con una falcata veloce, la sedia dove era posizionato comodamente Thomas, appoggiando così un il gomito sulla spalla del ragazzo: un sorriso ad incorniciare il volto di entrambi.
«Ne sarei onorato ma devo andare da Savanna», Camylla stava osservando la scena in disparte, in piedi e con le braccia incrociate davanti al petto: si sentiva bene, nonostante il caos che le ronzava costantemente in testa; si sentiva serena, nonostante fosse consapevole che quella fosse solo una quiete apparente prima della tempesta; si sentiva tranquilla, nonostante quel calore familiare sarebbe ben presto scomparso.
«A proposito! Come sta adesso?», la voce di Korinne cambiò nettamente, celando un manto di preoccupazione sincera.
«Meglio, grazie. Adesso deve continuare ad usare la pomata e medicarla con garze ma il peggio è passato», Thomas bevve un sorso di caffè, socchiudendo immediatamente gli occhi probabilmente per l'essere divenuto troppo freddo.
«Mi dispiace molto», Korinne inclinò la testa di lato mentre stava strusciando con la mano sinistra la schiena di Thomas, «Ieri ho incontrato tua madre al supermercato e me l'ha detto perchè altrimenti ne sarei stata all'oscuro», stavolta l'occhiata quasi severa e di rimprovero rivolta a Camylla arrivò dritta e forte alla bocca dello stomaco.
«Sappiamo tutti che Savanna non è il suo argomento preferito», Thomas sorrise, smorzando quel breve ma intenso momento di silenzio che era andato creandosi dopo la diretta affermazione di Korinne: ancora una volta Camylla si ritrovò a ringraziare l'amico con uno sguardo fugace ma sincero, per non aver dato il peso necessario ad una verità nascosta che prima o poi avrebbero dovuto affrontare.
«Difronte a certe situazioni però, è lecito comportarsi diversamente», Korinne portò le braccia davanti allo sterno, spostandosi impercettibilmente in direzione di Camylla: adesso avevano la possibilità di scrutarsi attentamente negli occhi, nonostante la distanza tra le due. «Non ti abbiamo insegnato niente, Cam?».
Quella scena ebbe un forte impatto su Camylla: ebbe la forza di riportare i suoi ricordi a galla; ricordi di anni che sembravano ormai lontani e poco distinti, in cui sia lei che Thomas erano poco più che bambini: vivaci, sereni, giocherelloni, indisciplinati ma spensierati e felici. Dove ogni qualvolta che succedeva un danno, Korinne - esasperata - se ne usciva con quella solita domanda retorica. Come da copione.
«Hai ragione mamma», non avrebbe ammesso di aver sbagliato: abbassò lo sguardo, interrompendo quel contatto visivo profondo. Avrebbe voluto che quella conversazione avesse una fine immediata.
«Ok, allora io vi lascio considerando che l'ora di pranzo si avvicina», Thomas mosse velocemente il polso sinistro per poter liberare l'orologio dalla manica del maglioncino e  leggerne così l'ora.
«Manda i miei saluti a Fay e Greg», Korinne avvolse Thomas in un abbraccio caloroso e sincero, «E anche a Savanna», cercò di sussurrare l'ultima frase all'orecchio del ragazzo ma quest'ultima arrivò chiara e diretta anche a Camylla.
«Certo! E tu salutami Oliver», Thomas le dedicò un sorriso donandole uno sguardo d'affetto mentre a passi svelti, stava raggiungendo Camylla.
«Sarebbe dovuto venire ma a nonno Alan è venuta la brillante idea di costruire uno scaffale», Korinne alzò gli occhi al cielo, allargando le braccia in segno di resa. 
«Colpa di papà che lo asseconda sempre», Camylla sorrise, potendone immaginare nitidamente la scena. Thomas le si avvicinò, stampandole un leggero bacio sulla guancia.
«Ci sentiamo dopo Evans», le passò una mano tra i capelli, facendo imprecare silenziosamente Camylla: le dita di Thomas si erano imbattute in un nodo formatosi durante la notte. «Ciao K!».
Korinne ricambiò il saluto, alzando la mano e mostrando un sorriso di cortesia. Lo sbatacchiare del portone fece sbuffare visibilmente Camylla che scosse la testa in segno di cedimento.
«Vai a prepararti Cam che sembri uscita da un party», la madre sorrise mentre stava cercando di avvoltolare i lembi delle maniche del cardigan.
«Ieri Khloe ha festeggiato il compleanno», Camylla si era appoggiata con la spalla allo stipite della porta, osservando i movimenti di Korinne che sembrava essere leggermente in difficoltà.
«E' vero!», si portò una mano alla fronte, facendo muovere di poco la frangetta colorata di mogano, «Le ho pure mandato un messaggio di auguri».
Camylla si limitò ad alzare le sopracciglia ed inclinare la testa di lato: era incredibile come sua madre avesse cura dei propri amici, a differenza di quanto invece stava facendo lei stessa. Si rimproverò mentalmente: in pochi giorni, era riuscita a perdere il controllo delle situazioni che la stavano circondando; erano bastate un paio di notizie improvvise per riuscire  a confondere Camylla; lei era inerme, incapace di reagire al momento opportuno, stava diventando spettatrice passiva della sua stessa vita; sapeva di dover reagire ma non riusciva a capire come fare.
«Vai tesoro», Korinne stava sollecitando la figlia che non si era accorta - immersa momentaneamente nei propri pensieri - che la madre avesse cominciato a lavare sotto l'acqua i piattini usati per i toast e le tazzine del caffè, vuote, che aveva bevuto Thomas.
Con una piccola spinta del fianco, riuscì a staccarsi dalla porta per tornare in posizione eretta: si allungò verso il tavolo per afferrare il libro che le era stato regalato e cominciare così a salire le scale, abbandonando la stanza e di conseguenza la visuale delle pulizie maniacali di Korinne.
Una volta entrata in camera, fu travolta da aria pensate: erano ancora ben presenti le colpe non ammesse apertamente di Camylla; erano ben presenti le risposte non date a domande non gradite; fluttuavano per la stanza pezzi di conversazione lasciata a metà. Decise di correre alla finestra per poterla aprire e far entrare così aria pulita, fresca, innocente.
Scosse il letto ma optò per lasciarlo disfatto: era necessario e fondamentale che anche le lenzuola avessero modo di staccarsi parole amare e silenziose di dosso, liberandosi da un peso che l'avrebbero avvolta soltanto poche ore più tardi.
La sua attenzione ricadde sul comodino dove ancora era posto il telefonino con la spina della carica attaccata. Vi si avvicinò a passi lenti, incerti; timorosa nel poterlo afferrare; curiosa di saperne i contenuti; indecisa sul prenderlo; desiderosa di sapere.
Appoggiò il libro affianco alla bajour e dopo aver preso aria a pieni polmoni, socchiuse gli occhi e con fare tremante, portò a sè il telefonino: decise di mettersi seduta al bordo del letto in quanto le gambe sembrano non essere in grado di sorreggere nessun tipo di peso. Dondolando nervosamente con il piede, sbloccò lo schermo notando tre chiamate senza risposta e quattro messaggi.

Una chiamata persa: ore 09.46 am
DaLittle T ♥

Una chiamata persa: ore 09.49 am
DaLittle T ♥

Una chiamata persa: ore 11.01 am
Da: Maaamma!

Camylla cancellò velocemente le chiamate ricevute, ripromettendosi di dover mettere la suoneria fuori dagli orari di lezione e di lavoro.

Un messaggio ricevuto: ore 9.47 am
DaLittle T ♥
Little C, apriii. Sono sotto casa

Un messaggio ricevuto: ore 9.50 am
DaLittle T ♥
Ok, entro!

Un messaggio ricevuto: ore 9.59 am
Da: Aly ♥
Che mal di testa! Non riesco a tenere neanche gli occhi aperti! Ma cos'è successo ieri? Ho ricordi confusi..e adesso vado al bagno

Camylla si ritrovò a scuotere la testa, sorridendo leggermente: non le sembrava corretto scriverle per messaggio che la loro amica Khloe la sera prima si era baciata con Theo perciò si appuntò mentalmente di doverla richiamare nel pomeriggio per poter provare a chiarire tale situazione.

Un messaggio ricevuto: ore 10.27 am
Da: M. 
Dobbiamo parlare

Istintivamente strinse con forza le lenzuola nella mano sinistra mentre poteva sentire il suo cuore rallentare nettamente il proprio battito. Cercò di respirare il più velocemente possibile per poter ossigenare i polmoni; gli occhi serrati le pungevano le tempie, martellandole; i denti stretti forzavano, provocando dolore alle gengive; le unghie spingevano cercando di farzi spazio in un tessuto più resistente.
Attese qualche secondo prima di riuscire ad aprire gli occhi, tornando a fissare il contenuto del messaggio che rimaneva identico, immobile. Continuava a scorrere quelle due semplici parole cercandone un significato più profondo: era certa che a Matthias avesse dato fastidio ricevere un messaggio così diretto e sincero. Era consapevole dell'errore commesso, dell'essersi resa vulnerabile nel momento meno opportuno; di essersi messa a nudo al momento inadatto; di aver scelto parole giuste al momento sbagliato. 

Messaggio inviato: ore 11.57 am
A: M.
Ok. Quando e dove?!

Scrisse e riscrisse quel messaggio diverse volte, non convinta delle esatte parole da mandare. Era sicura di volerlo affrontare per avere la possibilità di poter dire tutto quello che non era riuscita a tirar fuori nel momento del bisogno; aveva l'estrema necessità di fargli capire l'ossessivo bisogno che aveva della sua presenza nella propria vita; di quanto stargli lontano fosse incredibilmente difficile, pericoloso; di come si sentisse persa anche solo a compiere la più banale delle azioni senza averlo affianco. Se necessario, avrebbe allentato le proprie difese: era intenzionata ad esporre, forse per la prima volta, i suoi veri sentimenti.
Abbandonò il telefono sul letto, dirigendosi verso il bagno pronta per immergere il proprio viso sotto la cannella dell'acqua fredda: sperava di potersi scrollare di dosso qualche macigno, qualche peso che la stava facendo sentire piccola e compressa; sperava di potersi sciacquare via qualche lacrima amara rappresa all'interno dell'iride pronta a far capolino quanto prima; sperava di ghiacciare i pensieri insidiosi che le vorticavano incessantemente nella testa. Sperava semplicemente di poter sentirsi più leggera, nonostante tutto.

«Tua zia Tess vorrebbe comprarsi un cane», Korinne scosse la testa mentre teneva ben salda tra le mani a mezz'aria - davanti alla bocca -, la forchetta che sorreggeva un pezzo di crumble di mele.
«Ma non è allergica?», Camylla non aveva richiesto il dolce: osservava sua madrea difronte a lei mangiarlo con gusto perciò decise di impugnare la propria posata e sporgersi in avanti per poterne afferrare una piccola quantità.
«Sì, quando le pare..», alzò gli occhi al cielo e con la mano libera tentò di avvicinare il piattino al centro del tavolo per facilitare il compito alla figlia: sorrise divertita, come se avesse previsto tale azione.
«E' sempre stata un pò particolare, ecco», Camylla dovette mettersi la mano a coprire la bocca perchè - involontariamente - stava parlando mentre il dolce veniva reso a piccoli pezzettini dai denti.
«Per fortuna tuo padre non ha preso da lei, altrimenti col cavolo che l'avrei sposato!», rafforzò la sua esclamazione mimando e gesticolando con l'indice della mano verso la chioma di capelli mogano che le ricadevano ondulati sulle spalle.
«Non commento», entrambe si lasciarono andare ad una risata contagiosa, di quelle liberatorie che scaldano il cuore e fanno bene all'anima.
«Tesoro», Korinne rilassò la curva della bocca, tornando quasi seria. Forse preoccupata. Allungò la mano in avanti, poggiandola delicatamente sopra quella di Camylla. «E' proprio finita?».
Non ebbe bisogno di dire altro: a Camylla bastarono quegli occhi colmi di interesse e fragilità; bastò quel tocco talmente leggero da far vibrare ogni singolo nervo; bastò la voce delicata, velata di amore. Le bastò la presenza materna davanti a sè per sentirsi protetta. «Ho paura di sì». Strinse delicatamente la mano di Korinne, pronta a trasmetterle il disagio che stava provando.
«Tu sei la mia roccia», Korinne afferrò con la mano libera il calice contenente ancora un pò di vino rosso e lo alzò davanti al viso. «So che ce la farai ma se avrai bisogno, io sarò sempre qua», regalò a Camylla un sorriso sincero, volto a trasmettere forza e coraggio, sicurezza e determimazione.
Camylla si limitò a ringraziarla con gli occhi, quegli occhi castani uguali a lei; si limitò a ringraziarla ricambiando il sorriso, stanco ma fiero di aver ricevuto appoggio e comprensione; si limitò a ringranziarla imitando il suo gesto e alzando a sua volta difronte al proprio viso il calice, anch'esso contenente ancora qualche sorso di vino.
«Brindiamo alla famiglia Evans», Korinne fece tintinnare i bicchieri tra loro, provocando un leggero rumore di cristallo. «Stavo pensando: perchè in settimana non vieni a cena a casa? Dato che oggi ne manca uno all'appello». Tra un sorso e un altro, la madre riuscì a formulare per intero la proposta alla figlia.
«Certo! Mercoledì sera, almeno io e papà possiamo vedere la partita di League One», Camylla strizzò l'occhio sinistro a Korinne ed inclinò leggermente il suo bicchiere, sorridendo beffarda.
«Fallirà mai il Doncaster!?», domandò retorica Korinne mentre scuotendo divertita la testa, svuotò completamente l'alcool dal calice, ripulendolo definitivamente.
«Mai», Camylla afferrò il tovagliolo per togliere dalla bocca qualsiasi residuo di cibo o bevanda presenti e visibili, «Comunque mamma, finisci la crumble che io intanto vado a pagare».
«Mi spiace lasciare questo pezzo ma sono proprio piena», Korinne si abbandonò con le spalle allo schienale della sedia, avendo così la possibilità di accarezzarsi giocosamente la pancia ricoperta dal cardigan rosso i cui bottoni stavano indubbiamente soffrendo  nel cercare di rimanere chiusi ai loro posti.
«Ok, allora accompagnami alla cassa», scherzò Camylla mentre cercava di infilarsi il giacchetto senza intaccare il lavoro dei camerieri che le passavano affianco: sarebbe stata lei a pagare - almeno per una volta - il pranzo a sua madre ma si divertiva a prenderla in giro per assisterne alla reazione.
«Tu e tuo padre siete più simili di quanto sperassi», Korinne afferrò la borsetta pronta a farsi strada tra i tavolini del locale e raggiungere così la cassa.
«Non ti hai mai offerto un pranzo o una cena?», Camylla dovette aumentare di poco il tono della voce per sovrastare quella dei clienti che stavano ancora finendo di consumare ai tavoli.
«Sì, sotto minaccia». Entrambe si fermarono davanti al banco che sorreggieva l'enorme cassa nera con il piccolo display al momento non illuminato.
«Salve. Il numero del tavolo, per favore», la voce squillante della signorina bionda rieccheggiò frustrante nella testa di Camylla: troppo vivace e troppo attiva; quella voce le stava ancora martellando incessantemente.
«34», rispose schietta, senza darle troppo confidenza. Forse aveva usato poca gentilezza ma in quel momento desiderava solamente allontanarsi da quelle mani le cui unghie smaltate di nero digitavano rumorosamente sui tasti della cassa; allontantarsi da quegli occhi verdi che scorrevano vigili e attenti ad eventuali errori; allontantarsi da quella voce che continuava a ripetere il numero enunciato da Camylla.
«Ecco perchè non vi trovavo. Il vostro conto è già stato pagato», nel sollevare di scatto la testa e mostrare un sorriso forzato da labbra contornate con un rossetto violaceo, Camylla notò il cappellino a visiera nero della dipendente muoversi di conseguenza.
«Pagato? Da chi?», domandò Camylla spontaneamente.
«Dal tavolo 27», la ragazza aveva preso a tamburellare sul marmo del banco con la mano sinistra e Camylla si accorse avere dietro di sè altre due persone in attesa di saldare il conto.
«Grazie», Camylla quasi sussurrò, pronta a voltarle le spalle e ripromettendosi di escludere dalla sua lista quel locale: non avrebbe sopportato di sentire nuovamente quella voce stridula.
«Sono quei tipi laggiù», Korinne si era spostata giusto quel tanto che bastava per poter permettere il continuo svolgimento del lavoro ma con sguardo vigile e attento, stava passando a rassegna tutti i numeri dei tavoli. «Vedi la finestra con la tenda bianca? Il tavolo a destra».
Camylla dovette sforzarsi notevolmente per riuscire a mettere davvero a fuoco le persone che sedevano intorno a quel tavolo.
«Tesoro, gli occhiali! Non li hai per tendenza», Korinne allargò le braccia in segno di arresa, prima di afferrare la figlia per un braccio e trascinarla in direzione degli individui al momento ancora misteriosi. «Comunque, io non li conosco».
E Camylla dovette fermarsi improvvisamente, bloccata istintivamente non appena i suoi occhi riuscirono a visualizzare anche troppo nitidamente almeno una delle due figure maschili intenti a sorseggiare probabilmente del vino bianco. Sentì dietro di sè un cameriere imprecare per il repentino cambio di passo, rischiando di fare cadere l'intera portata in terra. Korinne la strattonò, cercando di farle riprendere il passo ed evitare di discutere con i dipendenti del locale. «Che succede Camy?».
«Lo conosco», la voce le uscì un sussurro debole e flebile, quasi timoroso. Strinse con ferocia il manico della borsa che teneva ben salda nella mano e respirò a pieni polmoni. Riprese a camminare, intenta a capire il motivo di tale gesto anche se insinuazioni pericolose già avevano cominciato a far capolino prepotentemente.
«Scusate», Camylla si schiarì la voce, tossendo delicatamente. Cercò di attirare l'attenzione dei due presenti al tavolo senza risultare troppo invadente. Potè sentire il calore delle sue guance riscaldarsi velocemente nell'esatto momento in cui il verde degli occhi di Nathan incrociarono i suoi.
«Hey, Camylla!», Nathan l'accolse con un sorriso ingannevole, mostrando un bianco accecante e perfetto. Si alzò in piedi, scostando indietro la sedia: i pantaloni di jeans nero aderivano in maniera esemplare, ricadendo maniacalmente su ogni centimetro di pelle. «Ti presento mio padre, Davis Mills».
A Camylla stava mancando ossigeno necessario; stava mancando il respiro; stava mancando la capacità di emettere qualsiasi tipo di suono. Era inerme, immobile, incapace. Disarmata.
«Piacere, signorina..-», Davis inclinò la testa di lato, allungando il braccio teso nella direzione di Camylla, la quale stava fissando Nathan senza riuscirne a distogliere lo sguardo.
«Evans», s'intromise Korinne, afferrando la mano di Davis pronta a ricambiarne la stretta. «Io sono Korinne, sua madre», sorrise gentile, drizzando la schiena e mostrando al meglio il suo vestiario.
«Volete unirvi?», la voce di Nathan era calda e sensibile. Indicò il tavolo e ciò che ne sorreggieva: stavano mangiando pesce e sorseggiando del costoso champagne.
«Oh no, grazie. Volevamo ringriaziarvi per il pranzo ma non avreste dovuto», Korinne gesticolava con le mani davanti al petto, parlando velocemente - nervosamente -. «Anzi, perchè l 'avete fatto?».
«Avevo chiesto a sua figlia di pranzare ma non ha mai risposto, così mi sembrava carino farle capire le mie intenzioni», Nathan era tornato seduto, con i gomiti sul tavolo e le mani a sorreggiare il viso. La voce delicata era rilassante, quasi ipnotica.
«Cosa?!», a quell'affermazione Camylla si riscosse dai propri pensieri, ancora con gli occhi puntati sulla figura di Nathan. 
«E' stato un piccolo gesto innocente», Davis sorrise mentre afferrò il calice colmo di alcool. La sua voce era roca, dura. Di prepotenza.
«Grazie ancora», Korinne inclinò la testa di lato scoprendo un lembo di orecchio da cui un piccolo brillantino donava luce anche alle parti limitrofe di pelle.
«Ci vediamo domani mattina», il sorriso di Nathan arrivò a Camylla come segno di minaccia. Quest'ultima si limitò ad accennare un saluto con il cenno del capo, che in quel momento le pesava come un macigno. Aveva la testa confusa, le forze azzerate, la voglia scemata, la bocca colma di imprecazioni ed urla.
A passi svelti e decisi, Camylla era intenzionata a lasciarsi alle spalle quell'assurda situazione di imbarazzo e incredulità. Voleva allontanarsi dal pericolo. E stava pregando, silenziosamente, che tutto quello non fosse realmente appena accaduto; che avesse semplicemente sognato ad occhi aperti; che fosse uno scherzo frutto della sua fantasia.
«Ma quel ragazzo è bellissimo!», Korinne espresse il suo giudizio una volta che l'enorme porta di vetro si fosse richiuse dietro di loro.
«Non dire altro», Camylla l'ammunì con l'indice alzato in segno di rimprovero: non richiedeva di dare spiegazioni a sua madre su chi fosse o su come l'avesse conosciuto; non richiedeva più di sopportare quella situazione ingestibile. Riteneva tutto surreale, impossibile. Aveva solo bisogno di estraniarsi e di rilassarsi.

Quando il campanello suonò, Camylla stava cercando di annodare i lacci in vita del pantalone di tuta nero. Cercò di urlare un “arrivo” a gran voce, sperando che la persona al di là del portone potesse aver recepito il messaggio: scese le scale di fretta, stando attenta a non inciampare nei suoi stessi piedi, prima di precipitarsi all'interruttore della luce sito alla parete dell'ingresso vicino allo specchio, ed illuminare così la piccola stanza d'accoglienza. 
Respirò a pieni polmoni, ben consapevole di chi si sarebbe trovata difronte una volta annullate tutte le barriere di divisione che al momento non rendevano giustizia alla vista intrepida di Camylla: era in perfetto orario, come al solito.
La mano sulla maniglia tremava visibilmente e dovette rimproverarsi da sola per quel comportamento imbarazzante che stava cominciando a tenere prima ancora di poter affrontare il temuto argomento: durante tutta l'ultima ora non aveva fatto altro che ripromettersi di essere adulta; di rendersi matura agli occhi esperti di Matthias, nonostante la conoscessero più di quanto avrebbe voluto. Si ripromise di essere sè stessa, ma non infantile; sincera ma non disperata; onesta ma non patetica.
Nell'esatto momento in cui il portone si aprì, una ventata di aria ghiaccia invase in pieno volto Camylla, facendola rabbrividire e stringere nelle spalle: poteva ancora sentire ed essere avvolta dal calore dell'acqua calda della doccia che in qualche maniera era riuscita a rilassarla e farla calmare almeno per qualche minuto.
 «Ciao», Matthias la salutò sorridendo debolmente, riscaldato dal suo cappotto autunnale verde militare: le mani in tasca, il collo circondato da una leggera sciarpa nera, i capelli racchiusi in un cappellino altrettanto nero.
«Ciao», Camylla si spostò leggermente di lato per poter aprire ulteriormente la porta e dar modo a Matthias di varcare la soglia. «Vieni, entra».
«Grazie», strusciò le sue sneakers sul tappetino ripetutamente. Il tempo, in quei giorni aveva reso tregua e giustizia agli abitanti, regalando giornate di relativo sole con annesse nuvole. Niente pioggia. Ma la sera la temperatura sembrava calare drasticamente. E neanche il calore della casa sembrava essere in grado di riscaldare l'ambiente.
«Posso offrirti qualcosa?», a passi svelti e decisi, Camylla si diresse in cucina: aveva bisogno di sciacquare la bocca, di far riprendere vita alla gola, di dissetare il proprio organismo. Afferrò un bicchiere di vetro, mantenendo le spalle a Matthias.
Le era bastato incrociare i suoi occhi per una breve frazione di secondo per far crollare tutte le sicurezze che silenziosamente era riuscita a crearsi; le era bastato osservare quelle iridi familiari per poter annullare la voglia di farsi credere forte e decisa.
«No, in realtà sono un pò di fretta», la voce lenta e delicata le era mancata. Camylla si voltò di poco, posando delicatamente il bicchiere sulla lastra di marmo: lo trovò appoggiato con la spalla allo stipite della porta, con le braccia incrociate. Scrupoloso. Attento. Bello. «Vorrei solo chiarire alcune cose».
 «Ti ascolto», perchè anche se Camylla poteva sapere ed immaginare cosa avrebbe detto Matthias, preferiva sentirselo dire; avere la sicurezza schiacciante di aver, nuovamente, ragione. Poteva sentire il proprio cuore battere a ritmo elevato e avrebbe voluto rassicurarlo ma sapeva che sarebbe stato del tutto invano.
«So che la nostra situazione è..», Matthias dovette soffermarsi qualche secondo, probabilmente per cercare di trovare le parole corrette da enunciare, «Complicata, difficile se vogliamo. Abbiamo molti amici in comune e non ti chiederei mai di allontanarti da loro», le sue labbra si muovevano lente ma precise, erano soffici ma in grado di scavarti dentro.
«Certo, anche perchè non lo farei così come non lo faresti neanche tu», Camylla stava cercando di mantenere una calma apparente: aveva una gran voglia di mordersi il labbro inferiore per provocarsi un dolore differente da quello che la sola figura di Matthias era in grado di donarle. Ma più di ogni altra cosa, aveva voglia di annullare nettamente quell'enorme distanza che li separava; aveva voglia di lasciarsi andare; aveva voglia di farsi cullare e rassicurare da l'unica persona che era in grado di capirla.
«Esatto. Per questo capiterà di vedersi spesso e vorrei che fossimo in grado di gestire determinate situazioni», con una leggera spinta, Matthias si era allontanato dallo stipite della porta per poter muoversi in direzione del tavolo da cucina. Continuava ad osservare Camylla, senza staccarle gli occhi di dosso.
«Non avrei dovuto scriverti, lo so», la voce di Camylla risultava essere un sussurro. Una verità nascosta, debole, timorosa. Un'ammessa di colpa silenziosa. Una promessa difficile da mantenere. Anche lei cercò di muoversi in avanti per raggiungere il lato opposto del tavolo.
«Anche a me manchi ma dobbiamo andare avanti», Matthias stava parlando lentamente, come a voler imprimere con forza ogni vocale e consonante di quella frase troppo veritiera. 
«Perchè?», eccole le difese abbassate, il coraggio scivolare via come l'acqua su di una superficie liscia. Ecco le forze inerme, il cuore fatto in pezzi. Ecco la fragilità, la vulnerabilità, la negazione. Ecco il dolore.
«Ne abbiamo già parlato», rumori di passi che a mano a mano si avvicinavano, risultando essere troppo vicini. «Vuoi davvero che te lo ripeta?», Matthias ormai aveva raggiunto Camylla. Camylla socchiuse gli occhi, inebriandosi di quell'odore inconfondibile che sentiva un pò suo; cercò di inalare quel profumo delicato che non avrebbe più saputo rassicurarla. Annuì con la testa, pronta a ricevere l'ennesima fitta allo stomaco che l'avrebbe spezzata.
«Non riesco più a vederti come la mia fidanzata ma piuttosto come un'amica», le accarezzò debolmente la guancia ed istintivamente Camylla inclinò la testa di lato per poter rendere più duraturo quel contatto. Cercò di penetrare negli occhi di Matthias, di scavarvi un sussulto, un cenno di debolezza, un rimorso. Ma trovò solo una cruda e ferma decisione.
«Io non riesco..», Camylla stava parlando piano. Aveva paura e trovava inutile dire qualsiasi cosa. Si stava rendendo conto di quanto fosse ormai tardi per esporre i sentimenti; di quanto fosse stata sciocca per aver dato per scontato le parole non dette al momento opportuno; di quanto ciò che non aveva fatto in passato si stesse ripercuotendo sul presente. Di quanto le conseguenze ingenue dei suoi errori sarebbero potuti essere evitati se soltanto avesse avuto il coraggio di comunicare.
«Sì, C. Ce la farai eccome!», Matthias l'attirò a sè, avvolgendola nel calore di un'abbraccio sincero che sapeva di abbandono. Camylla si alzò sulle punte, stringendo tra i palmi delle mani quel giacchetto ancora ghiaccio che rendeva reale quell'assurda situazione. «Promettilo», un sussurro leggero dettato vicino all'orecchio che fece inarcare istintivamente la schiena di Camylla.
«Promesso», Camylla dovette alzare gli occhi al soffitto per evitare che una lacrima le solcasse il viso: si morse il labbro subito dopo aver pronunciato tale parole, consapevole di aver appena chiuso definitivamente la relazione senza possibilità di tornare indietro.
Matthias sciolse il calore, portando freddo e malinconia nella stanza. Dedicò un piccolo, leggerissimo bacio all'angolo della bocca di Camylla prima di sorridergli debolmente e allontanrsi per sempre
Camylla rimase inerme, senza difese. Immobile, passiva. Distrutta. Non appena il rumore del portone sovrastò il silenzio assordante della casa, Camylla si lasciò scivolare con la schiena al mobile del piano cottura, fino a toccare il pavimento: le braccia ad avvolgere le ginocchia piegate al petto; il viso ciondolone avvolto da lacrime dal sapore amaro, di arresa, di sconfitta. Si lasciò andare mentre il peso della verità le premeva sulle spalle, schiacciandola ogni secondo di più.

04 Ottobre.

Il libro di Diritto Internazionale non ne voleva sapere di entrare all'interno della borsa, già stracolma di quaderni contenenti appunti che Camylla aveva preso senza prestare una reale attenzione. Si ritrovò più volte a pensare che gli esami previsti per la fine del mese successivo, li avrebbe bocciati prima ancora di potersi sedere difronte ai professori.
«Accidenti!», Camylla stava forzando quasi violentemente quell'enorme volume oggetto - forse - di promisso studio, con scarsi risultati.
«Non credo sia il metodo migliore», una voce sorridente ed inaspettata alle spalle di Camylla la fece sussultare visibilmente sul posto. Si voltò di scatto, con una mano sul petto in segno di spavento.
«Che ci fai qua?», tornò con lo sguardo alla borsa aperta e a quel maledetto libro entrato per metà: gli occhiali da vista le stavano scivolando sul naso, facendola imprecare ulteriormenti a denti stretti.
«Volevo sapere se potevamo trascorrere qualche ora insieme», Nathan stava continuando a sorridere, divertito dalla scena. Si sporse in avanti per poter afferrare gli oggetti incriminati volti a far innervosire  Camylla. «Posso?».
Camylla annuì con un cenno debole del capo, allargando le braccia in segno di sfida: osservò Nathan estrarre due quadernoni ad anelli, uno giallo e l'altro verde, prima di posizionarvi sopra l'“International Law” e stringerli insieme. Dopodichè, con una mano all'interno della borsa a tener ben saldi i rimanenti appunti, cercò di introdurvi i tomi. Con successo.
«Adesso me lo devi!», Nathan spostò di poco la borsa, strusciandola sul banco ormai vuoto di Camylla, strinzzandole l'occhio.
«Non ti arrendi mai?», Camylla si ritrovò a sorridere debolmente, ipnotizzata dalla figura di Nathan affianco a sè.
«No! Forza, andiamo», con un movimento veloce della mano, Nathan fece intendere a Camylla di doverlo seguire.
«Cosa?! Dove?», Camylla, con gli occhi stralunati e la bocca aperta per lo stupore, dovette accelerare il passo - rischiando di spintonare qualche altro studente - per poter raggiungere il ragazzo.
«Qua davanti, così dopo riusciamo ad arrivare in tempo allo studio “Price and Kelly”», Nathan si soffermò davanti alla porta rossa dell'aula, spintonandola quanto serviva per aprirla e potervi passare. «Anche tu entri intorno alle due?», chiese divertito, mostrando i suoi denti nel sorridere.
«No, un secondo..», Camylla si bloccò istintivamente, ignara e noncurante di aver fatto nascere numerose imprecazioni provenienti dai ragazzi a lei limitrofi; si ritrovò a scuotere la testa, visibilmente confusa.
«Sì, anche io faccio tirocinio lì», la interruppe Nathan, dovendosi soffermare e voltandosi leggermente alla sua destra per poter osservare Camylla. «Da un annetto circa, non lo sapevi?».
«In realtà no», la voce di Camylla ne uscì quasi come un sussurro. Si ritrovò a dover ammettere a sè stessa quanto in realtà poco conosceva di quel misterioso ragazzo.
«Stamani sia Alyssa che Khloe hanno saltato?», Nathan continuava a sorridere trasmettendo sicurezza e tranquillità. Avevano ripreso a camminare in direzione dell'enorme portone ad arco aperto dell'università.
«Lasciamo perdere!», Camylla dovette premere sul foulard di cotone avvolto al collo per poterne ricavare un ritaglio di calore da quella ventata di aria fredda e pungente che li aveva travolti. «Quelle due si stanno comportando come bambine dell'asilo», alzò gli occhi al cielo mentre frammenti di conversazione della notte precedente le facevano capolino.
«Come mai?», la voce di Nathan celava curiosità. Aveva messo entrambe le mani all'interno delle tasche del giacchetto blu scuro.
«Anzichè provare a parlare come adulti, preferiscono mandarsi messaggi, puntecchiandosi inutilmente», Camylla si rese conto di aver alzato il tono della propria voce e di aver parlato con enfasi e nervosismo: gesticolava velocemente, puntando lo sguardo fisso davanti a sè.
«Ieri sera ho dovuto sopportare ore ed ore di telefonate in cui l'una accusava l'altra!», scosse la testa, ancora incredula di averle davvero affrontate, nonostante tutto. «Quando ho proposto un civile ed onesto incontro, mi hanno riattacato. Ti rendi conto!?», prese aria a pieni polmoni, prima di continuare.
«Non ho neanche detto loro di Matthias!», si voltò di scatto, rendendosi conto solo in un secondo momento di essersi appena sfogata con Nathan: lo trovò attento ad ogni dettaglio, concentrato sulle parole di Camylla.
«Scusa», provò a difendersi Camylla, rallentando il passo in prossimità delle strisce pedonali. «E' che mi rendono nervosa».
«Figurati», sorrise Nathan mentre la sua testa voltava in ambedue le direzioni in attesa di poter attraversare la strada. «Chi è Matthias?».
Il silenzio nelle parole di Camylla fece bloccare lo sguardo di Nathan sugli occhi della ragazza che lo stavano osservando con le gote rosastre e la bocca socchiusa. «Domanda inopportuna, perdonami», Nathan tirò fuori dalle tasche le mani per mostrare i suoi palmi aperti in segno di scuse.
«No, non è quello. E' che..», Camylla s'interruppe lasciando a metà la sua stessa frase, non essendo in grado di rispondere correttamente a Nathan: non le andava di essere diretta, semplicemente preferiva che la loro conversazione ricadesse su di un altro argomento.
«Tranquilla, non sei tenuta a rispondere», con un cenno fugace della testa, Nathan fece intendere a Camylla che avrebbero dovuto attraversare raggiungendo così un piccolo chiosco economico situato a due passi dal campus. «Comunque se può consolarti, Theo ieri sera mi ha chiamato per ripetermi ininterrottamente quanto sia stato stupido alla festa», sorrise apertamente rivolgendo uno sguardo apprensivo a Camylla.
«Ora che me lo dici, neanche lui era presente a lezione stamani», Camylla sembrò pensarci qualche secondo prima di emettere quella supposizione. Dovette sistemarsi gli occhiali da vista perchè le stavano lentamente sciovolando.
«No, aveva paura di affrontare Alyssa», Nathan scosse la testa, divertito mentre ormai erano giunto ad una panchina libera che regalava la vista sul Tavistock Square Gardens.
Camylla osservò Nathan nei semplici gesti e non potè negare a sè stessa che, nonostante tutto, quel ragazzo stava pian piano catturando la sua totale attenzione.
«Vuoi qualcosa? Là c'è Starbucks», il tono di voce di Nathan era delicato, soffice. Piacevole da ascoltare e sentire. 
«No, grazie», Camylla era confusa: più cercava di provare a fare ordine e a dare un senso logico agli avvenimenti, più questi si susseguivano senza darle tregua, lasciandola indietro e di stucco. Sapeva quale argomento avrebbero affrontato a breve ma l'essere gentile e distaccato allo stesso tempo la rendeva preda passiva di Nathan.
 «Ok, senti..», si sporse in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia ricoperti di jeans. Lo sguardo in avanti, a fissare ciuffi di erba ancora umida. «Non ci conosciamo ancora ma abbiamo tanto di cui parlare». Le mani incrociate tra loro a muoversi impercettibilmente.
«Nathan, voglio essere chiara», Camylla stava parlando lentamente, cercando di dosare attentamente le parole da dire: i suoi occhi puntavano al profilo di Nathan senza osservarne i dettagli. «Non ho intenzione di prendere parte al piano».
«Lo farai ma di quello parleremo dopo», Nathan si voltò di scatto con sguardo profondo e sicuro: iridi verdi che trasudavano sicurezza e determinazione. Camylla trasalì senza riuscire a replicare. «Adesso è della causa di mio padre che dobbiamo parlare».
Camylla aprì leggermente la bocca asciutta, inclinando di lato la testa: non emise nessun suono, semplicemente si spostò una ciocca di capelli ricaduta sul bordo degli occhiali. 
Il peso di quella frase le stava compremendo l'addome, causando fitte continue che rendevano Camylla debole. I suoi pensieri sembravano essere in procinto di voler esplodere per annullarli uno ad uno. Rimase in ascolto consapevole che ciò che avrebbe sentito le avrebbe portato ulteriore angoscia e senso di confusione. 






 

IM BACK!
Ecco a voi il quinto capitolo..lascio a voi i commenti :)
So che la storia sta andando un pò a rilento ma ritengo necessario inquadrare al meglio i momenti salienti volti a far conoscere più nel profondo i nostri amici. Ad esempio qua possiamo ammirrare il rapporto sereno madre-figlia (nonostante Korinne sembri amare più Thomas..). 
Era fondamentale un'ulteriore incontro tra Matthias e Camylla: ormai la loro storia è definitivamente arrivata al capolinea. Questo perchè il loro rapporto era divenuto più amichevole che amoroso (almeno da parte del ragazzo). 
E poi abbiamo Nathan ed il suo alone di mistero. Io adoro il suo personaggio (
FORSE addirittura più di Thomas)..
Alyssa e Khloe fanno confondere: sappiamo che al momento discutono senza affrontarsi a quattr'occhi e chissà se risolveranno. E dall'altra parte abbiamo un Theo codardo :)
Ok, adesso me ne vado sperando di avervi incuriosito almeno un minimo.
Non abbiate freniiiii :)

Un bacione!

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Capitolo 6
*** VI. ***


Capitolo VI.
5.921 parole

 
Ma a te sembra facile dirti che sto bene 
quando tutto non va ed è brutto stare insieme
perchè scordo che era e il ricordo mi  fa male
del rapporto che c'era, prima di questa canzone, io e te
Cosa siamo diventati io e te?
Sono quello che odiavi di me

 
Camylla chiuse con discrezione la porta, spingendo lievemente con il fianco per far sì che entrambi i bordi combaciassero alla perfezione, pregando silenziosamente di riuscire a fare meno rumore possibile e lasciando con delicatezza che la maniglia tornasse nella sua posizione originale.
Il rumore metallico dello scatto della serratura fece stringere istintivamente gli occhi a Camylla che bloccò per una breve frazione di secondo la mano sinistra a mezz'aria: aveva smesso persino di respirare, per concentrarsi su altri possibili terzi rumori non provenienti da sue azioni.
Era circondata da luce tenue pomeridiana che timidamente cercava di farsi spazio tra le tende bianche appese per l'intera lunghezza della finestra sita alle spalle di Camylla; il silenzio calmo ed apparente  stava scaturendo in realtà agitazione mista ad eccitazione, nervosismo misto ad adrenalina. 
Si voltò lentamente, nonostante si fosse assicurata essere la sola persona all'interno della stanza e si perse ad ammirare la perfezione di ciò che le si stava presentando dinnanzi ai suoi occhi: gli scaffali avevano il compito di sorreggere scatole di color paglierino, dove sulla facciata principale vi era scritta a penna nera una grossa lettera; erano posizionate in ordine alfabetico per facilitarne la ricerca. Due piccoli tavoli quadrati di vetro si trovavano ai lati della finestra: su di uno di essi era posta una fotocopiatrice, sull'altro un semplice porta-penne. 
Era un ambiente pulito, profumato e ordinato: il lavoro puntiglioso e maniacale di Eryn rispecchiava in ogni centimetro. Quella era la stanza degli archivi, del catasto e dell'abbandono, eppure Camylla dovette ammettere essere più accogliente di casa sua.
Con una fugace occhiata, Camylla visualizzò lo scatolone con la lettera “M” - il motivo per la quale si trovava in quel posto in quell'esatto momento anzichè essere posizionata davanti alla scrivania cercando di completare il lavoro che Lucas le aveva ordinato di compiere.
Si avvicinò a passi svelti, sistemandosi nervosamente al meglio gli occhiali: non avrebbe dovuto trovarsi lì; quella stanza non era accessibile ai praticanti, a maggior ragione senza permesso di uno dei due capi. Camylla si ritrovò a sbuffare mentre con la mano destra stava afferrando la maniglia del rettangolo: tremava ma si sentiva viva; aveva paura ma voleva osare. 
Si guardò nuovamente intorno, passando a rassegna gli scaffali che la circondavano, accertandosi per l'ennesima volta di essere realmente la sola all'interno della stanza. Un piccolo rumore stava significare che Camylla aveva appena posizionato la pesante scatola sul tavolino in vetro.
Con gli occhi vigili e attenti, stava osservando tutti i cognomi scritti in corsivo presenti sui fascicoli che con le dita stava scorrendo velocemente.  «Marshall, Martin, Miller..», Camylla stava quasi bisbigliando ma era certa essere quasi arrivata all'obiettivo finale,  «Mills!», afferrò con entusiasmo la cartella oggetto della sua ricerca: si morse il labbro inferiore con ferocia, consumata dalla curiosità di poterla aprire all'istante. Optò per dirigersi alla fotocopiatrice situata difronte per poter duplicarne il contenuto e rimettere l'originale al proprio posto. 
Si mosse in fretta, giocherellando nervosamente con la gamba destra: con le dita tamburellava sulla lastra fredda mentre i suoi occhi fissavano minacciosi i numeri sul display azzurro che si modificavano troppo lentamente. 
La vibrazione all'interno della tasca dei jeans fece sobbalzare Camylla: lo estrasse con fatica, impacciata nei movimenti veloci e sconnessi. 
«Pronto?! Thomas», Camylla stava sussurrando mentre il suo sguardo non riusciva a staccarsi dalla fotocopiatrice.
«Cam?! Ci sei? Che combini?», la voce squillante di Thomas fece imprecare silenziosamente Camylla che distaccò leggermente il proprio telefonino dall'orecchio.
«Te lo spiego più tardi», stava parlando caoticamente, «Dimmi».
«Cam?! Ti sento male», Thomas alzò ulteriormente il tono della voce che fece nascere uno sbuffo sonoro dalle labbra di Camylla.
«Non posso parlare», decise di portarsi una mano alla bocca per racchiudere il suono e distaccarlo dalla fotocopiatrice ancora in funzione.
«Perchè? Che stai facendo?», le domande inopportune di Thomas fecero scuotere la testa a Camylla.
«Perchè ti ho risposto?!», Camylla pose quel quesito a voce alta più a sè stessa che alla persona posta all'altro lato della cornetta. I suoi occhi avevano ripreso a vigilare per l'intero perimetro della stanza: troppo rumore era andato creandosi in pochissimo tempo e questo rendeva Camylla ulteriormente più nervosa.
«Ti chiamo dopo», riagganciò senza neanche aver dato a Thomas la possibilità di reclamare o chiedere spiegazioni: gli avrebbe mandato un breve messaggio non appena fosse uscita da quella scomoda situazione e fosse tornata alla scrivania.
«Forza..», Camylla spintonò leggermente la fotocopiatrice, come se quel semplice gesto avesse avuto il potere di accelerare il lavoro e si trovò a domandarsi per quale reale motivo avvesse accettato di compiere tale azione suggerita da Nathan: era semplicemente stato convincente, deciso e diretto con le sue parole; affascinante e minaccioso allo stesso tempo. Camylla non era stata in grado di replicare, abindolata dalla tranquillità trasmessa da Nathan.
Una volta terminata quell'attesa snervante, Camylla riposizionò il fascicolo rigorosamente chiuso all'interno dello scatolone, riportandolo al proprio posto sullo scaffale. Afferrò le centinaia di pagine fotocopiate, cercando di appiattirle e far aderire al meglio i fogli tra loro. Cercò di nasconderle all'interno del maglioncino, con il braccio sinistro ben saldo davanti allo stomaco: si osservò rapidamente, scuotendo amaramente la testa. Non sarebbe riuscita ad ingannare nessuno, sarebbe dovuta solamente essere rapida e svelta nel raggiungere la propria posizione, cercando di attirare il meno possibile l'attenzione.
Si sentiva agitata, in fermento, preoccupata, eccitata, nervosa, viva
Camminava a passi spediti, con occhi vigili cercando di captare qualche sguardo interrogativo rivolto nella propria direzione; cercando di intercettare qualsiasi tipo di domanda silenziosa che qualche tirocinante avrebbe potuto porli. Camminava frettolosamente, pregando mentalmente affinchè i fogli potessero reggere la pressione e resistere nel cadere precipitosamente a terra; cercava di schivare chiunque le passasse troppo vicino alla spalla.
«Scusa, sei tu Evans?», una voce leggera e indecisa le arrivò da dietro, smorzandole il respiro e bloccandole il  battito cardiaco. Si voltò lentamente cercando di indossare un sorriso spontaneo.
«Sì», il tono di voce le uscì quasi come un sussurro mentre tentava di stringere ulteriormente a sè le numerose copie ancora calde.
«Il capo ti sta cercando», la ragazza dai capelli ondulati neri sorrise, mostrando dei denti ricoperti da un sottile strato di ferro. Si portò alla bocca una tazzina fumante, probabilmente contente del caffè, e cominciò a muovere dei passi in direzione opposta.
«Grazie», Camylla rispose debolmente, ritrovandosi a chiedere se fosse stato un ringraziamento udibile. Socchiuse gli occhi, propensa a raggiungere il prima possibile la propria scrivania e deporre in un angolo remoto del terzo cassetto il fascicolo.
Quando si ritrovò a dover nascondere i fogli, i suoi movimenti era ben selettivi e agili: frettolosi ma attenti, nervosi ma scrupolosi. Girò la chiavina per far scattare la sicura in modo che nessun altro avrebbe potuto aprire il cassetto, e vi tirò un sonoro sospiro di sollievo.
«Evans, dov'eri finita?!», la voce di Lucas, troppo vicina e troppo decisa, la fecero sobbalzare. Alzò lo sguardo, osservando il proprio capo guardarla sporto oltre il bordo della scrivania.
«In bagno», provò a giustificarsi cercando di far perno sulle gambe per tornare in posizione eretta. La piccola chiave di sicurezza a rigirarsi tra le mani. «Sarei venuta nel suo ufficio adesso».
Lucas scosse la stessa, «Preparati, dobbiamo andare da un cliente», con l'indice sinistro stava gesticolando nella direzione di Camylla.
«Ok..», Camylla si mosse impercettibilmente sul posto, sistemando il proprio maglioncino con la mano, «Da chi?», domandò curiosa e del tutto sorpresa da tale richiesta.
«Mills», risposta secca e decisa che non lasciava intendere nessun tipo di replica, «Ti aspetto all'entrata tra cinque minuti», picchiettò rumorosamente sull'orologio che avvolgeva saldamente il polso prima di voltarle le spalle e iniziare a camminare.
Camylla si ritrovò ad abbassare la testa, chiudendo gli occhi: con le mani ben salde posizionate sulla scrivania, si lasciò cadere sulla sedia. I pensieri vivi le stavano cominciando a vibrare, provocando scosse fastidiose all'interno del corpo; il peso e l'adrenalina dell'atto appena compiuto stavano lasciando spazio all'ingenuità e consapevolezza di aver appena azzardato rischiando più di quanto avrebbe dovuto; il tremolìo alla gamba celava nervosismo e ansia, non gestibili nella maniera opportuna. 
Afferrò con foga la piccola bottiglietta colma d'acqua posizionata vicino al computer ancora chiuso e spento: con difficoltà riuscì a svitare il tappino; le mani erano energiche ma titubanti, forti ma allo stesso tempo deboli. Cercò di rinfrescarsi sperando di far annegare qualche pensiero scomodo, qualche situazione divenuta poco gestibile e fastidiosa. 
Sospirò rumorosamente quando si accorse che la figura decisa e composta di Nathan stava camminando a passi svelti nella propria direzione: si perse ad osservarlo nel suo andamento forte, nei suoi tratti ben delineati e precisi, nel suo sguardo fermo e penetrante, nella sua voce talmente dura da risultare dolce, forse affascinante.
«Allora?», si era avvicinato sussurrando una domanda apparentemente ingenua. La mano destra a stringere una valigetta nera ben chiusa.
«Fatto», Camylla si alzò, sistemandosi frettolosamente il maglioncino leggermente piegazzato. Con un lieve cenno del capo, e sguardo furtivo ai cassetti sotto alla scrivania, fece intendere a Nathan dove avesse nascosto i fascicoli richiesti. «Adesso devo andare», sollevò da terra la sua borsa prima di lasciare furtivamente la piccola chiave di sicurezza vicino alla mano di Nathan appoggiata sulla lastra.
«Grazie», Nathan si guardò attorno prima di afferrare la chiavetta e nasconderla nella tasca dei jeans. «Ci sentiamo più tardi», le sorrise sincero, strizzandole l'occhio sinistro. Le voltò le spalle, lasciandole la visuale della sua schiena perfettamente fasciata da quegli abiti che calzavano in maniera maniacale.
Camylla lo osservò, chiedendosi per l'ennesima volta quale fosse il reale motivo che l'aveva appena spinta a commettere un'azione che - se fosse stata scoperta - le sarebbe costato il tirocinio. Lo osservò, chiedendosi se quel ragazzo non avesse su di lei una forza malsana, incomprensibile forse. Lo osservò, chiedendosi se quel suo essere di presenza, se quel suo essere persuasivo non l'avrebbe messa in pericolo.
Lo osservò con la bocca asciutta, la gola secca, le mani tremanti. E la voglia inspiegabile di ascoltare ancora una volta la sua voce.

La macchina sfrecciava ad una velocità elevata rispetto ai limiti consentiti, provocando rumori di clacson insistenti e moltecipli imprecazioni che fortunatamente non avrebbero potuto sentire. Camylla era composta, con lo sguardo fisso ad osservare incessantemente il poggiatesta davanti a sè, immagazzinadone ogni minimo dettaglio; la mano sinistra sulla maniglia della portiera, con la presa rapida in caso di frenata brusca all'ultimo attimo di secondo.
«Dovremmo essere quasi arrivati», Lucas, seduto alla destra di Camylla, stava riponendo il telefonino all'interno  della borsetta di pelle marrone lucida. Le gambe accavallate, lo sguardo sereno e  la tranquillità nel  portamento, emanavano uno stato di calma apparente.
Camylla annuì con la testa, pregando silenziosamente affinchè il proprio capo avesse pienamente ragione: quella guida spericolata stava rischiando di mettere a dura prova la resistenza del suo stomaco.
«Ci tenevo a chiarire una cosa», Lucas si mosse impercettibilmente, parlando con voce sottile, «Il rapporto personale che hai con Davis non dovrà in nessun modo interferire con la causa». 
Camylla si voltò di scatto, osservando Lucas con sguardo interrogativo, corrugando la fronte. «Non..», dovette schiarirsi la voce, tossendo lievemente, «Non capisco». Si limitò ad ammettere sinceramente la verità, non riuscendo effettivamente a capire il senso di quella frase.
«Il signor Mills non è tuo suocero?», Lucas si stava sistemando il nodo della cravatta, alluggando il collo verso l'alto per facilitarsi il compito. La macchina sembrava star rallentando, soffermandosi vicino ad un marciapiede poco affollato.
«Cosa?!», a Camylla venne da sorridere, allentando la presa sulla maniglia della portiera, «Assolutamente no! Neanche lo conosco».
Lucas si fermò istintivamente ad osservarla con sguardo deciso e fermo. Il silenzio calato intorno a loro fece allertare Camylla che cominciò a sentirsi a disagio e fuori posto. Deglutì a fatica, rilassando le curve della labbra e stringendo il laccetto della borsa tra le dita della mano.
«Qualsiasi cosa mi state nascondendo tu e Nathan, sappi che lo verrò a sapere», stavolta  le puntò il dito indice nella propria direzione, con fare minaccioso. «E adesso andiamo, il cliente ci aspetta», lo sportello dell'auto si aprì all'istante mostrando Alan - l'autista - fermo di fianco ad aspettare che il proprio capo abbandonasse la posizione. 
Camylla era confusa, più del dovuto. E per quanto avesse voluto cercare di capire cosa intedesse dire Lucas con quelle affermazioni, cercò di accantonare ogni pensiero pesante che premeva di poter esplodere all'esterno. Cercò di liberare la mente per potersi concentrare su ciò che sarebbe accaduto all'interno dell'abitazione dei Mills. Cercò di calmarsi per evitare di sembrare fuori posto e inadeguata. Più di quanto già non si sentisse.

Messaggio inviato: ore 06.49 pm
A: Nathan Mills
Perchè non rispondi??! Ho bisogno di parlarti

Camylla stava cercando di inserire la chiave all'interno della serratura ma il tremore alla mano le concedeva tale azione più complicata del previsto. La luce tenue del lampione posto sulla strada non facilitava Camylla: le spalle della ragazza riuscivano a coprire gran parte della luce, mettendo in pieno buio quella piccola toppa di ferro.
Stava per accendere la torcia del proprio telefonino quando quest'ultimo le cominciò a vibrare in mano, facendola sussultare. Osservò il nome sullo schermo, sperando che potesse cambiare: aveva necessità di parlare con Nathan, pretendeva di avere delle risposte esaustive.
«Hey, ciao», Camylla cercò di assumere un tono di voce sereno e alquanto felice mentre stava ancora perdendo la lotta personale con il portone di casa.
«Ciao Little C, che fai?», anche Thomas sembrava indaffarato: Camylla poteva sentire dei rumori non definiti fare da sottofondo.
«Sto cercando di entrare in casa», la voce rotta dai movimenti, «Tu che cosa stai facendo, piuttosto?», Camylla sorrise, alzando in aria la mano destra: dopo numerosi tentativi falliti, finalmente era riuscita nel suo intento. Soddisfatta nel gesto compiuto, si richiuse velocemente il portone alle spalle.
«Non ci crederai mai! Mamma ha comprato un robot da cucina», la voce di Thomas era elettrizzata: Camylla se lo poteva immaginare, lì difronte all'oggetto in questione ad ammirarlo come fosse un trofeo, mostrando un sorriso ingenuo e sincero. «Sto facendo un dolce».
«E come sta venendo?», Camylla si tolse le scarpe e con i piedi avvolti da dei calzini colorati, si diresse verso il divano di sala.
«Sembra delizioso! Sono uno chef ormai», lo sentì mettere in bocca qualcosa mentre il rumore del robot non sembrava dar tregua.
«Non vorrei deluderti ma un vero chef si sporca  le mani», Camylla si ritrovò a sorridere nonostante la stanchezza. Si portò una mano sulla fronte, spostando alcuni capelli che le stavano cadendo davanti agli occhi.
«Credi che per aprire la farina, non mi sia sporcato?!», la voce di Thomas era allegra, leggera.
«Su questo non ho dubbi, chef», afferrò il telecomando posizionato sul tavolino in vetro davanti al divano.
«Domani te ne farò assaggiare un pezzo», sentì Thomas percorrere di passi allontandosi così dal sottofondo chiassoso, «A proposito, stamani che stavi combinando?!».
Camylla scosse la testa mentre delle immagini ancora nitide di quella mattina si riproducevano senza sosta. «Delle fotocopie», dopotutto un fondo di verità l'aveva detta. Avrebbe voluto parlarne con Thomas ma in quel momento le sue palpebre stavano rischiando di chiudersi per la pesantezza, la sua schiena stava sopportando il peso di verità scomode, la sua testa conteneva informazioni sconnesse che pulpitavano di esser gridate. Semplicemente, aveva voglia di chiarezza, non di ulteriori domande a cui non avrebbe saputo rispondere.
«Gabriel ti ha dato nuovamente quell'incarico?», Camylla non seppe riconoscere se quella domanda fu detatta da una battuta spontanea o se Thomas lo stesse chiedendo seriamente. Sorrise però, appendendo qualsiasi speranza.
«Lucas, si chiama Lucas. Non Gabriel!», Camylla cercò di scandire bene il nome del proprio capo. E cercò di non rispondere alla domanda scomoda posta incosapevolmente dall'amico.
«Sarà, ma secondo me ha più la faccia da Gabriel», si ritrovò a tirare un leggero sospiro di sollievo notando l'argomento scivolare pian piano verso altro.
«Piuttosto, hai intenzione di tornare a frequantare le lezioni?», ne approfittò per ricambiare a Thomas una domanda dalla digeribilità incerta. La tv mostrava le scene di una rapina finita male avvenuta in un supermercato.
 «Se non dovesse andare la carriera da chef, tornerò all'università», lo percepì sorridere ma Camylla sapeva che prima o poi avrebbero dovuto seriamente approfondire anche quell'argomento.
«Allora ti conviene cominciare a studi..-», mentre stava cambiando canale, il suono del campanello la fece bloccare a mezz'aria. «Scusa Little T, hanno suonato», parlò lentamente, domandandosi chi potesse essere a quell'ora della sera senza preavviso. Spense la tv mentre sentiva Thomas pronunciare qualche frase che recepì in maniera sconnessa.
«Sì, ok», cercò di tagliare corto Camylla, camminando incerta verso il portone di casa, «Ciao», riattaccò la cornetta e appoggiò il telefonino sul piccolo mobile posto vicino all'ingresso prima di chiedere chi ci fosse all'esterno della casa.
«Sono Alyssa, insieme a Theo e Nathan», voce squillante e del tutto inaspettata sorprese Camylla che rimase per qualche secondo ferma immobile sul posto, con la bocca asciutta e una confusione in testa che non le permetteva di poter pronunciare nessuna frase di senso compiuto.
«Apri, per favore», stavolta Camylla potè riconoscere la voce di Theo, che la stava supplicando se non altro di poter entrare e ripararsi di conseguenza dal freddo pungente di quella serata autunnale di Ottobre.
Camylla si mosse lentamente, allungando titubante il braccio verso la porta: cominciò a domandarsi il motivo per il quale i suoi amici si fossero presentati inaspettatamente e senza preavviso dinnanzi la sua abitazione, nonostante un pizzico di consapevolezza la stava punzecchiando fastidiosamente; cercò di riassestare le proprie idee, per poter porre le domande giuste e ricevere altresì risposte esaustive; aveva estremo bisogno di parlare con Alyssa, che non sentiva dalla sera precedente dopo la discussione avvenuta con Khloe; aveva necessità di parlare con Nathan e della situazione riguardante suo padre; aveva il repellente bisogno di farsi capire, di far capire di star arrivando al limite, di pretendere una pausa da tutto e di star fuori dal loro inutile piano.
Aprì il portone, ritrovandosi difronte tre sguardi differenti, uno più penetrante dell'altro. Sembravano essere l'uno più pericoloso dell'altro. E in quell'esatto momento Camylla si rese conto di aver commesso il più grande errore della sua vita: non avrebbe dovuto permettere di far entrare quelle persone all'interno della propria abitazione. In quegli sguardi ci lesse la propria condanna, senza possibilità di fuga.
«Che ci fate qui?», provò a domandare con fare incerto mentre i suoi gesti ne tradivano i pensieri: si spostò leggermente alla propria sinistra per dar modo loro di varcare  la soglia e chiudere fuori il freddo della sera. Consapevole che del freddo ormai, si era già andato ad insidiare tra le mura della casa.
«Dobbiamo definire qualche dettaglio», fu Alyssa a parlare con la sua determinatezza schiacciante. Il sorriso beffardo ad incorniciarle il volto, di quei sorrisi che ingannano, illudono. Feriscono.
«E avete pensato bene di auto-invitarvi?», quel sorriso scaturì in Camylla una reazione istintiva: fu colpita al cuore, che cercò di reagire con voce più dura. Meno insicura di quanto ci si aspettasse.
«Certo, sareste dovuti venire da me così magari avremmo chiesto consiglio a mamma Sophie», Alyssa stava continuando a sorrisere nonostante la pronuncia di quelle parole risultassero provocatorie, «Perchè non ci ho pensato prima?!», concluse quella domanda retorica picchiettandosi una mano sulla fronte mentre con lo sguardo sembrava star cercando supporto in Theo.
«Sei l'unica di noi ad abitare da sola», Nathan parlò delicatamente, socchiudendo leggermente gli occhi.
«Potevate avvertire, magari», Camylla si rilassò istintivamente alle parole di Nathan, cercando conforto in quella persona pericolosa. Incrociò le braccia al petto mentre stava osservando i ragazzi dirigersi in sala.
«Ti sono sempre piaciute le sorprese», Alyssa allargò le braccia indicando i presenti nella stanza. La sua fronte corrugata, la smorfia sulla labbra e il tono allusivo fecero rabbrividere Camylla: stentava a riconoscere la sua amica.
«Si può sapere che problemi hai?», Camylla si mosse in avanti, assottigliando gli occhi: tutta quell'assurda situazione le stava cominciando a dare alla testa.
«Dimmelo tu», mentre Theo e Nathan stavano prendendo posto sul divano, Alyssa se ne stava in piedi, «Che prendi le difese di Khloe!».
«Io non ho preso le difese di nessuno», stavolta toccò a Camylla sorridere nervosamente: non riusciva a credere a ciò che Alyssa le stava dicendo; faceva fatica persino a credere di doversi spiegare. «Vi ho solo consigliato di parlarne a voce, come persone adulte», si passò una mano tra i capelli, sospirando piano.
«Potremmo non parlare di questo?!», Theo prese parola, debolmente. Le sue guance si tinsero lievemente di rosa. Era visibilmente a disagio, considerando il suo coinvolgimento all'interno di quella storia.
«Se tu avessi fatto l'uomo, questa situazione non si sarebbe mai creata!», a Camylla quella frase uscì diretta e senza freni. Si ritrovò a sbarrare gli occhi e ad aprire leggermente la bocca, una volta resasi conto di ciò che aveva pronunciato a voce troppo alta. 
«Che vorresti dire?», Alyssa corrugò la fronte, in attesa di risposta da Camylla.
«Sono sicura che tua abbia capito», improvvisamente a Camylla balenò per una breve frazione di secondo una possibile idea fattibile. Si sistemò al meglio gli occhiali prima di puntare lo sguardo verso quello di Nathan, «Comunque, io ho bisogno di parlare con te. Adesso».
Camylla rilassò le braccia lungo i fianchi mentre aspettava che Nathan abbandonasse la posizione comoda presa sul divano e la seguisse nella stanza accanto, lasciando per qualche minuto Alyssa e Theo da soli. Si ritrovò a pregare frettolosamente affinchè almeno quella situazione imbarazzante potesse essere risolta nel migliore dei modi.
Camylla sentiva dietro di sè i passi decisi di Nathan: era arrivato il momento di provare a far chiarezza riuscendo a prendere qualche informazione sulla causa ancora in corso riguardante suo padre. Doveva approfittare dell'attimo per provare a cercare di capire qualcosa in più che potesse aiutarla a mettere in luce tutto il caos andatosi a creare nel giro di poco tempo.
Socchiuse la porta e notò furtivamente Theo parlare con Alyssa: si ritrovò ad annuire debolemte con la testa, come a volersi convincere di aver preso la giusta decisione, prima di voltarsi in direzione di Nathan.
«Mi piacerebbe sapere perchè Lucas pensa che tuo padre sia mio suocero», dovette gesticolare e ripetersi per ben due volte quella stessa frase lentamente in testa prima di poterla esporre a Nathan: non era sicura di aver centrato i gradi di parentela.
«Non ne ho idea», Nathan sorrise liberamente, sorpreso da tale scoperta, «Davvero pensa questo?!».
«A quanto pare», Camylla scostò la sedia posta davanti al tavolo e si lasciò cadere malamente: era stanca, mentalmete e fisicamente. «Pensa anche che stiamo nascondendo qualcosa», con l'elastico al polso nascosto dai braccialetti, Camylla cercò di legarsi i capelli in uno chignon frettoloso.
«Su questo ha ragione», anche Nathan decise di mettersi seduto sulla sedia, con i gomiti poggiati sulla lastra di vetro del tavolo e i pugni chiusi della mano a sorreggere la testa.
Camylla socchiuse gli occhi, «Ti ho aiutato prendendo quel fasciolo ma non farò altro», stava quasi sussurrando, consapevole di aver commesso una piccola infrazione che inconsapevolmente le aveva donato adrenalina e vitalità.
«Ti ringrazio per averlo fatto ma quello è stato solo il primo passo», stava parlando lentamente ma con decisione. Sicuro e fermo, talmente tanto da far vibrare la spina dorsale. «Com'è andata oggi?».
«E' andata», Camylla si ritrovò in difficoltà nel rispondere. Si limitò a quella semplice e banale affermazione, consapevole di star provocando altre domande.
«Cosa vi siete detti?», Nathan assottigliò gli occhi mentre decise di abbandonare le braccia sul tavolo.
«Sai che non posso dirtelo», scosse la testa, sicura della propria decisione: non avrebbe infranto il segreto professionale, nonostante stesse fremendo dalla voglia di poter gridare tutta la matassa di confusione che premeva di venir enunciata.
«Camylla», la sua voce era lenta, delicata. Pericolosa. «Ho chiesto io a Lucas di poterti far lavorare al caso», lo sguardo fisso, penetrante.
A Camylla crollarono velocemente quelle poche certezze che era riuscita lentamente a crearsi; poteva sentirne i frammenti divulgarsi sparsi, allontandosi sempre di più da una verità lontana; sentiva vacillare una sicurezza debole ed incerta; poteva sentire l'odore di una sconfitta amara che si stava insediando nella pelle, nelle ossa, nelle vene.
Il silenzio assordante era rumore fastidioso per le orecchie di Camylla. Il gelo della stanza la stava facendo rabbrividire.
«Credevo ci fossi arrivata», contrariamente da quanto si sarebbe aspettata, nel tono di voce di Nathan, Camylla ci sentì una nota di dispiacere. Ma nonostante questo, faceva fatica a parlare: aveva così tanto da chiedere da non sapere da dove iniziare.
«Ho davvero bisogno di sapere se esiste una remota possibilità di salvare mio padre», Nathan si alzò dalla sedia cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro per la lughezza della stanza. Si passò una mano tra i capelli, non riuscendo a scompigliarli.
Quelle parole colpirono Camylla più di quanto avrebbero dovuto: osservò Nathan nei gesti, nelle piccole azioni, nei movimenti incerti. Lo ascoltò nelle parole non dette. 
Davis, quello stesso pomeriggio, non si era dichiarato colpevole di omicidio del suo (ex)socio in affari Foster James nonostante tutte le prove sembrassero ammettere il contrario: così facendo avrebbe potuto trarre maggiore profitto e prendere il pieno controllo dell'azienda. Il compito di Lucas e Camylla sarebbe dovuto essere quello di trovare un qualsiasi cavillo vacillante che potesse insinuare un dubbio al giudice presente in aula. 
«Ci..», Camylla provò ad emettere una frase di senso compiuto ma le risultò essere più difficile del previsto. Si schiarì la gola, «Ci dobbiamo lavorare con intensità», perchè purtroppo quello che erano riusciti a trovare non risultava essere abbastanza solido da presentare dinnanzi ad una giuria.
«Il fascicolo di stamani forse potrebbe aiutare», Nathan si fermò al centro esatto tra la credenza e il tavolo da cucina, puntando i suoi occhi verdi profondo in quelli spauriti ed incerti di Camylla. «E' una vecchia causa in cui mio padre fu incastrato».
«Sì ma Lucas..-», Camylla era confusa, spaesata. Non per dover difendere una persona presumibilmente colpevole, perchè nell'esatto momento in cui aveva deciso di voler intraprendere la strada per divenire avvocato si era arresa all'idea che quel lavoro avrebbe preveduto anche quel lato. Si ritrovava appesantita dal dover difendere il padre di una persona a lei conosciuta; si ritrovava compressa in una situazione caotica che di chiaro aveva ancora poco.
«Non aspetto che a Lucas venga in mente, per questo ti ho chiesto di prenderlo», Nathan stava parlando con foga, velocemente. «Lo studierò io e ti passerò le informazioni».
«Non potresti, c'è il legame parentale-sentimentale», Camylla era timorosa nel contraddire Nathan: stava parlando debolmente, con la testa bassa e le mani a giocare tra loro.
«Non m'interessa!», Nathan battè il pugno sul tavolo, facendo sobbalzare Camylla per lo spavento: lo osservò in quegli occhi freddi, sicuri; lo ascoltò con quella voce forte, decisa. Alta.
«Hey, tutto bene lì?», la voce di Theo arrivò chiara e preoccupata.
«Sì, tra poco vi raggiungiamo», Nathan parlò senza interrompere il contatto visivo creatosi con Camylla.
Di nuovo quel silenzio incessante talmente rumoroso da far girare la testa. Di nuovo quel gelo che si attacca alle ossa, regalando brividi continui di freddo. Di nuovo quella sensazione di disagio, di ansia. Di nuovo quel sentirsi inutile. Una pedina di un gioco assurdo; un burattino senza voce, senza mani, senza gambe. Senza possibilità di replica. Di scelta.
«Perchè vuoi rapinare una banca?», a Camylla uscì senza freni una domanda che tra tutte aveva cominciato a chiedere di venir espressa. Si mosse impercettibilmente sulla sedia, continuando a guardarlo negli occhi.
«In caso mio padre andasse in prigione, la cauzione su rilascio sarebbe altissima», incrociò le braccia al petto mentre con il fianco sinistro si appoggiò al bordo del tavolo.
«Faremo in modo che non ci finisca», deglutì a fatica cercando di pesare attentamente le parole da dire. Non avrebbe sopportato un'altra reazione improvvisa da parte di Nathan.
«E se così non fosse?», domandò lentamente Nathan.
«Lucas è uno dei migliori in città», una risposta debole ma veritiera. Un sussurro che celava preoccupazione.
«E' vero ma non ho la sicurezza matematica che vincerà», Nathan si grattò la guancia mentre scuoteva la testa come a voler rafforzare la sua opinione al riguardo.
«Hai idea che se dovessero beccarti, finiresti pure te in prigione, sì?», Camylla riuscì a raschiare una piccola parte rimanente di sicurezza. Con il piede fece perno sul pavimento per permettere alla sedia di spostarsi ed avere la possibilità di posizionarsi eretta.
«Dovessero beccarci», la corresse Nathan, indicando con il dito indice entrambi i presenti nella stanza, «Ma comunque questo non succederà», con fare ovvio aprì entrambe le mani davanti al petto, sorridendo debolmente.
«Secondo il tuo ragionamento però, neanche su questo hai la sicurezza matematica», Camylla si mosse impercettibilmente sul posto, riposizionandosi - per l'ennesima volta - al meglio gli occhiali.
«Vero ma mi fido di chi ho al mio fianco», Nathan accorciò le distanze, arrivando vicino al viso di Camylla: si stavano osservando intensamente; stavano cercando di scavarsi dentro per cercare risposte silenziose che ancora non erano riusciti a dirsi a parole.
«Non ti fidi di Lucas?», a Camylla stava mancando il respiro e la sua bocca risultava essere più secca del previsto. Si ritrovò a maledirsi per quella reazione ingenua e banale. Quasi infantile.
«Pochi avvocati prendono davvero a cuore una causa ed il cliente», stava parlando piano, continuando a penetrare con le iridi verdi in quelli castani di Camylla. «Alla maggior parte interessa il guadagno».
«Sì ma se vinci una causa, il guadagno è maggiore e la fama aumenta», Camylla fu costretta a distogliere lo sguardo per osservare il contenitore di latta rosso che all'interno racchiudeva la rimanenza di un pacchetto di biscotti.
«Ok, allora diciamo che amo il brivido», Nathan allungò la mano destra per sorreggere il mento di Camylla e soffiarle delicatamente quella cruda verità.
Camylla era preda completa del tocco di Nathan: deglutì a fatica mentre sentiva la sua schiena rispondere positivamente alle parole che aveva appena udito. Nella sua testa continuavano a martellare pensieri contorti, intrecci di informazioni che non riuscivano a liberarsi; il peso di frasi leggere sembrava essere come macigno, che annientava ogni ragionamento sensato. 
«Se posso», dovette schiarirsi la gola e compiere due passi indietro, «Potresti sempre prendere in considerazione l'idea di un prestito», Camylla faticava a capire il reale motivo che stava spingendo Nathan nella direzione sbagliata: sapeva che ciò che stava sentendo non era la piena e concreta verità.
«Così dovrò ripagarlo per minimo dieci anni e con gli interessi?!», Nathan corrugò la fronte mentre aveva ripreso a camminare freneticamente avanti e indietro per la stanza.
«Nathan, non prendiamoci in giro», Camylla poggiò entrambe le mani sul tavolo, cercando di sorreggere un peso schiacciante che non riusciva più a tenersi dentro, «Perchè vuoi farlo? E perchè mettere in pericolo altre persone?», scosse la testa per permettere ad alcuni pensieri di accantonarsi momentaneamente. 
Camylla vide Nathan bloccarsi per voltarsi di scatto nella propria direzione: aveva uno sguardo duro, profondo. Gli occhi serrati incutevano tremore, paura, angoscia. Lo vide riprendersi lentamente il posto a sedere sulla sedia vicino al tavolo.
«Vuoi davvero la verità?», stava parlando con determinazione mista ad arrendevolezza. Camylla si ritrovò ad annuire con la testa, compiendo la stessa azione svolta da Nathan pochi attimi prima: si lasciò cadere sulla sedia, pronta a far chiarezza, almeno in parte.
«Il fascicolo che hai preso stamani riguarda una causa tra mio padre e il signor Patel», a quelle parole Camylla drizzò la schiena, attribuendo quel cognome alla persona direttore della presunta banca oggetto di rapina. «Qualche anno fa erano soci in affari fino a quando un dipendente si tolse la vita. Il caso fu archiviato come suicidio ma fu proprio Patel ad ucciderlo», Nathan stava parlando senza sosta, senza pause, senza prendere respiro. Camylla stava cercando di immagazzinare ogni singola parola.
«Mio padre intentò una causa contro di lui ma Colin - o per meglio dire il suo avvocato - fu bravo a stravolgere le carte in tavola così che sembrasse essere colpevole mio padre». Si passò una mano tra i capelli prima di abbassare la testa e appoggiare il mento sopra al palmo.
«Lo vorresti fare per vendetta?!», Camylla stava parlando piano, sussurrando una verità venuta fuori che stava avendo il potere di stravolgere ogni minimo pensiero logico.
«Ha rischiato di rovinare mio padre!», con il dito indice stava picchiettando sul tavolo mentre stava parlando a denti stretti. «E nonostante sia un assassino, è riuscito a fare soldi. Non li merita!», stava sputando fuori tutto l'odio tenuto a freno per troppo tempo. I suoi occhi celavano rabbia, gridavano dolore.
«Anche tuo padre è un assassino», parlò di getto, spontenamente. Si bloccò nell'esatto momento in cui si accorse di aver enunciato a voce alta un pensiero istintivo.
«Maledizione Camylla!», ancora un pugno battuto forte sulla lastra di vetro. «Pensi davvero che possa aver ucciso quell'uomo?», una domanda gettata al centro esatto del tavolo. La delusione in quella domanda scomoda.
 «No, scusa. Hai ragione», Camylla scosse la testa socchiudendo gli occhi: stava muovendo nervosamente la mani davanti al proprio petto. «E' che non so cosa pensare», quella sarebbe dovuta essere una scusa in sua difesa. Una sincerità staccata dal suo inconscio.
«Ti dico io cosa devi pensare», stavolta Nathan si ritrovò a parlare piano: probabilmente anche lui aveva sentito movimento proveniente dalla stanza adiacente alla loro, «Non è stato lui e questa tua reazione è il motivo per cui non mi fido di Lucas».
«Che state combinando?», la voce squillante di Alyssa arrivò distorta nelle orecchie di Camylla, che era stata colpita da un'ondata travolgente, fredda e ghiacciata. 
«Chiarivamo alcune questioni», gesticolò Nathan mostrando un sorriso aperto di cortesia. «Voi avete risolto?».
«Sì», ad Alyssa si arrossarono leggermente le guance rosastre mentre sorrideva ingenuamente a Theo che le stava strusciando delicatamente la mano sulla schiena. «Grazie», stavolta parlò in direzione di Camylla la quale stava osservando la scena in disparte, non ricevendo appieno tutte le informazioni che si stavano scambiando. Si ritrovò a rispondere sorridendo debolmente.
«Forza allora! A lavoro!», l'energia nella voce di Nathan fece battere le mani ad Alyssa mentre Theo, che portava a tracolla una borsetta nera, tirò fuori un block-notes ed un paio di penne. 

05 Ottobre.

Camylla chiuse con discrezione il portone di casa, stando attenta a non farlo sbattere: il vento di quel martedì mattina stava soffiando incessante, muovendo numerose foglie e alzando terriccio secco che provocava fastidio agli occhi.
Stava posando a fatica le due buste colme di spesa sul tavolo della cucina: nel momento esatto in cui aveva udito il suono della sveglia avvenuto soltanto poche prima, aveva deciso di saltare le lezioni all'Università. Aveva mal di testa, si sentiva stanca, senza forze.
La nottata era trascorsa a rilento, tra movimenti sconnessi nelle lenzuola alla ricerca di una posizione comoda e viaggi infinti in bagno, con riflessi sfuocati nello specchio e acqua bollente in pieno volto. Era stata una nottata in cui i pensieri avevano vorticato incessantemente, provocando agitazione di stomaco; una nottata che portava con sè ancora troppe domande sospese in cerca di risposte; una nottata amara, passiva.
Camylla cominciò a svuotare le buste mentre osservava nel lavello ancora i piatti, i bicchieri e le posate usate la sera precedente: Alyssa, Theo e Nathan avevano cenato lì, in quell'esatta stanza, eccitati all'idea della stesura del piano; con brillantezza negli occhi ad ogni dettaglio accurato riscritto sul foglio. Mentre Camylla ascoltava, inerme. Imbottita di informazioni surreali, di nozioni sconosciute, di definizioni che non erano riuscite ad attirare l'attenzione sulla ragazza. Camylla ascoltava il suo nome essere pronunciato a gran voce, senza obiettare.
Era preda di un gioco che non avrebbe voluto giocare ma da cui sembrava impossibile restarne fuori.
Quando il campanello suonò, Camylla aveva ormai quasi finito di sistemare la spesa: le mancava da posizionare il pacchetto di zucchero all'interno del cassettone posto vicino alla credenza.
Andò ad aprire senza neanche chiedere chi fosse, sicura nel trovarci la persona che stava aspettando.
«Ciao», Camylla si mosse all'indietro, facilitando l'entrata, «Grazie per essere venuto».
«Sapevo che avremmo dovuto parlare prima o poi», Theo sorrise incerto mentre posizionava il suo cappotto all'attaccapanni.
«Sediamoci in sala», Camylla le indicò la strada, nonostante il ragazzo sapesse esattamente dove si trovasse la stanza in questione. «Vuoi un caffè?», una domanda di cortesia, chiesta solamente per pura gentilezza.
«No, grazie», Theo scosse la testa come a voler rafforzare la sua risposta, «Parliamo».







 

IM BACK!
Con enorme ritardo, eccomi a pubblicare il sesto capitolo.
Qua possiamo ammirare Camylla commettere una 
piccola infrazione. Verrà mai fuori?! Lucas se ne accorgerà?
Poooi, ho voluto alleggerire un pò la tensione prima della grande bomba: ho inserito una breve conversazione con Thomas (che sembra intenzionato a divenire chef..).
Ed eccoci a loro! Camylla e Nathan! 
E' venuto fuori che è grazie a quest'ultimo se lei sta lavorando ad un caso e non fa più fotocopie (poverella). E che il motivo principale nel voler rapinare una banca è la 
vendetta.
Che ne pensate?! Ma poi, secondo voi, Davis Mills è innocente?
Infine, abbiamo Camylla che ha necessità di parlare con Theo. Chissà, chissà..
Siate liberiiii e senza freniiii :)

L'ultima cosa: cercherò di essere puntuale nella pubblicazione del settimo capitolo ma ahimè, non posso promettere niente. Ne ho troppe da fare. Aiuto!
Un bacio,

G. xx


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Capitolo 7
*** VII. ***


Capitolo VII.
6.908 parole

E cosa mi porta a sbatterti in faccia il dolore
non c'era posto migliore.
Sarà che hai perso tutto e l'hai buttato via
qualsiasi cosa fu, qualunque cosa sia
Non ti accompagno più se non c'è più ragione.
Si muore in mezzo a una frase o di frasi a metà. 

 
Nella stanza stava rimbombando il ticchettìo delle lancette dell'orologio appeso alla parete che stava scandendo un tempo definito, preciso. Apparentemente lungo. I respiri lievi, quasi sussurrati erano impercettibili. Il lieve rumore dei jeans strusciati sul tessuto del divano stava interrompendo quel limbo di calma apparente in cui Camylla si stava perdendo prima di poter affrontare argomenti pungenti.
«Da dove vuoi iniziare?», Theo parlò piano, quasi timoroso nel dover riportare l'attenzione di Camylla al presente.
«Ho bisogno di capire», si piegò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia fasciate dalla tuta felpata color amaranto, «Ho davvero bisogno di risposte», stava parlando lentamente, col cuore aperto e la stanchezza negli occhi.
«Cercherò di dartele», Theo accavallò le gambe, posizionadosi al meglio sul divano, drizzando la schiena e sorridendo debolmente, «Forse me ne pentirò ma domandami quello che vuoi».
Camylla lo stava osservando da sotto le ciglia allungate con del mascara; lo stava osservando notando in lui una sincerità nuova; lo stava osservando per poterne dedurre il suo lieve, lento ma fondamentale cambiamento.
«Perchè assecondare Nathan in questa pazzia anzichè farlo ragionare seriamente?», in realtà Camylla aveva così tante domande che le fremevano di essere dette da riuscire a far fatica nello scegliere la prima. Cercò di immaginarsi un filo logico da seguire, pregando di poterci riuscire.
«Nathan è così», allargò le braccia davanti al petto, «Riesce a convincerti con poco», alzò la curva del labbro verso l'alto, facendo schioccare la bocca con fare ovvio.
«Theo..», Camylla le regalò un'occhiata di rimprovero deglutendo a fatica: la sua voglia di conoscere risposte era indirettamente proporzionale all'agitazione che le fremeva interiormente. 
«Ok, beh in realtà ho fatto un casino», Theo si passò una mano tra i capelli facendosi ricadere un piccolo ciuffo sulla fronte. «Devo una grossa somma di denaro a delle persone», parlò frettolosamente, puntando lo sguardo fisso sul piccolo vaso posto sul tavolino in vetro difronte a loro.
«Perchè? Chi sono?», si sporse leggermente in avanti per poter riuscire a catturare lo sguardo perso di Theo che lentamente stava facendo uscire i propri scheletri rimasti chiusi nell'armadio per troppo tempo.
«Ho giocato a poker qualche tempo fa e..», lo vide sospirare prima di riprendere a parlare, «Insomma credevo di avere una buona mano e che un tizio stesse bleffando». Alzò le spalle con fare innocente mentre Camylla poteva immaginare ciò che stava accadendo nella testa confusa di Theo.
Decise di aiutarlo, «Ma in reatà, non lo stava facendo».
«No», Theo scosse la testa, come a voler rafforzare ulteriormente quella negazione fin troppo veritiera. «Avevo puntato più di quanto avessi a disposizione», abbassò lo sguardo, rassegnato da quella realtà successa davvero.
«Quanto gli devi?», Camylla stava parlando piano, quasi timorosa nel dover pronunciare quella frase scomoda. Stava cominciando a sentirsi a disagio; stava quasi per essere pentita: la malsana idea di rimanere all'oscuro dalla verità stava cominciando già a rimpiangerla. E preferirla.
«Tanto, troppo», finalmente Theo puntò i suoi occhi celesti in quelli castani di Camylla: ci lesse disperazione, paura. Ci vide la tristezza, la consapevolezza di aver commesso un grosso sbaglio. «E sa dove abito, capisci? Non posso, non..», preso un respiro, scuotendo lievemente la testa, «Alla mia famiglia non dovrà succedere niente».
«Ma che cazzo Theo!», Camylla scattò in piedi, muovendosi nervosamente avanti e indietro, con entrambe le mani sulla testa. «Io non..», si fermò difronte al ragazzo, allargando le braccia in segno di arresa: era basita, senza parole. Era sconcertata, incredula. 
«Quella stessa sera incontrai Nathan poco distante dal locale e non so, mi venne da raccontargli l'accaduto», Theo aveva cominciato a dondolare impercettibilmente sul posto, strusciando con i palmi delle mani sulle cosce avvolte dai jeans.
«E lui, consumato dall'odio, ha proposto la rapina», stava gesticolando, cercando di far combaciare quelle informazioni ricevute fino a quel momento.
«Sì, più o meno», scosse lievemente la testa, socchiudendo gli occhi. «Andammo a casa sua e dopo diversi bicchieri di vodka e qualcuno di gin, ne uscì questa opzione», concluse la frase mordendosi il labbro inferiore mentre Camylla aveva ripreso a camminare frettolosamente.
«Opzione che adesso accantoneremo», Camylla stava puntando il proprio indice nella direzione dell'amico, «Perchè dev'esserci un'altra soluzione».
«E quale, Cam? Quale?», stavolta toccò a Theo alzarsi di scatto in piedi, aumentando notevolmente il tono della voce. «Ho una scadenza da rispettare! Quella è gente che non scherza», stava parlando con rabbia e con occhi colpevoli.
«Non lo so!», bloccò nuovamente i suoi passi fermandosi davanti a Theo mentre le sue mani completamente aperte si muovevano energiche sopra le spalle, «Ma la rapina non è la via giusta», anche lei stava alzando il volume della propria voce. Le stava sembrando una situazione del tutto surreale.
«Ci ho pensato molto e questa è la soluzione migliore», Theo si stava massaggiando le tempie ad occhi chiusi, respirando profondamente. Adesso stava parlando lentamente, probabilmente cercando di ritrovare la calma iniziale.
«I soldi della banca non sono segnati o come diavolo si dice?!», Camylla si mosse in avanti: si perse qualche secondo nel silenzio riluttante che stava avvolgendo la stanza dove non riusciva a sentire neanche più il rumore dell'orologio. «Li rintraccerebbero subito e vi beccherebbero in men che non si dica».
«Senti Cam», Theo poggiò entrambe le mani sulle spalle delle ragazza e la osservò intensamente, «Sono con l'acqua alla gola. Chiederei una cosa del genere, altrimenti?!», occhi negli occhi.
«Ma piuttosto rapinate il furgone portavalori ma non la banca», Camylla parlò istintivamente, senza afferrare realmente il concetto della sua frase se non dopo qualche secondo abbondante averla pronunciata; solo dopo essersi persa nello sguardo perplesso di Theo. «Voglio dire che la cassaforte della banca ha dei meccanismi contorti, difficili. Insomma, rischiereste troppo», scosse  la testa, rassegnata all'idea di poterlo convincere del contrario.
«Preferirei morire compiendo tale gesto piuttosto che morire per mano di un tizio qualunque», aveva ripreso  a muovere frettolosamente le braccia mentre verità paurose stavano uscendo senza preavviso, «E non mi perdonerei mai se dovesse far del male alla mia famiglia».
Camylla fu colpita in pieno petto dalle parole schiaccianti che aveva enunciato Theo senza ritegno: fu colpita dal significato nascosto, dalla profondità del dolore, dalla consapevolezza mischiata alla determinazione. Fu colpita e ne stava subendo le conseguenza, sentendosi sovrastata da emozioni contrastranti.
«E non pensi a Nathan o Alyssa?», parlò arresa, con la poca forza rimasta. Parlò mentre distrutta si stava lasciando andare malamente sul divano.
«Certo che sì! Ma ieri sera ne abbiamo parlato, non ricordi?», e Camylla avrebbe voluto rispondere positivamente a tale domanda ma purtroppo il suo cervello non era riuscito ad immagazzinare nessuna informazione riguardante l'incontro inaspettato avvenuto poche ore prima. «Siamo tutti consapevoli che potrebbe succedere». Ecco un'altra verità messa al centro esatto del tavolino. 
«Perchè Alyssa sta facendo questo?», riuscì a togliersi le scarpe potendo così incrociare le gambe al petto, rinchiudendosi in un dolore sempre più lacerante.
«La conosci, sai che le piace rischiare e che forse ama più i soldi di sè stessa», Theo si avvicinò al bordo del divano, occupandone delicatamente una piccola parte: stava parlando piano, quasi dolcemente. «E poi, avrebbe le spalle ben coperte», un piccolo sbuffo di sorriso nacque sulle labbra del ragazzo alla fine della frase.
«Già, il grande Brian Hunt! Avvocato emergente nonostante la venerata età», Camylla si ritrovò a pronunciare quella frase imitando il tono di voce dell'amica, la quale con orgoglio e dedizione, cerca di omaggiare il padre definendolo in grande crescita, seppur con qualche anno a pesargli sulle spalle. 
Theo sorrise prima di rilassare le curve ai lati della bocca. «Cam, capisco la tua paura per questo dovrai solamente essere la nostra autista», allungò una mano in direzione della gamba ancora piegata di Camylla.
«In che senso?», Camylla corrugò la fronte.
«Ma ieri eri con noi?!», Theo inclinò di lato la testa con fare divertito, «Entreremo noi in banca, tu ci aspetterai in macchina pronta a scappare una volta tornati col bottino», stava parlando lentamente, come a voler trasmettere tranquillità e soprattutto semplicità nei movimenti. «Ah, e dovrai prendere informazioni sul direttore».
«No, Theo. Mi dispiace», mosse leggermente verso sinistra la gamba che risultava essere più calda sotto al tocco delicato di Theo.
«Perchè?», l'amico aprì le mani davanti al petto, con tono di voce quasi deluso.
«Stai scherzando?! E devo pure spiegartelo?», Camylla stava osservando Theo incredula, mentre cercava di sistemare una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «E' un rischio troppo grande».
«Dannazione! Dovrai guidare un cazzo di furgoncino!», scattò nuovamente in piedi, agitando nervosamente una mano. La sua pazienza al limite della sopportazione.
«Se vi beccano sarei complice tanto quanto voi!», abbassò le gambe, poggiando i piedi sul pavimento freddo. Con le mani cercò il bordo del divano per poterlo afferrare e stringere con foga: avrebbe altresì afferrato il vaso sul tavolino lanciandolo dalla parte opposta della stanza.
«Ma se tutto dovesse filare liscio, saresti ricca forse il quadruplo di adesso», Theo incrociò le braccia al petto mentre le sue gambe faticavano a  trovare una posizione comoda.
«A me non interessa dei soldi», cercò di controllare il suo tono di voce per far sì di scandire nel migliore dei modi e attentamente tutte le parole, «E poi magari, un giorno lavorerò pure per Lucas», un banale flash le riportò alla mente la conversazione avuta con Thomas soltanto pochi giorni prima.
Ancora una volta il silenzio sceso all'interno della stanza sembrava sovrastare qualsiasi altro piccolo e minimo rumore. Era un silenzio pesato, in cui Camylla stava cercando di trovarvi ordine; era un silenzio misurato che a Camylla stava servendo per riprendere aria. Era un silenzio schiacciante a cui Camylla si stava disperatamente aggrappando per poter riuscire a sopravvivere.
«Perchè proprio me?», una domanda sussurrata che celava paura nel ricevere risposta. Camylla cercò con gli occhi lo sguardo indeciso di Theo.
«Sembravi..», Theo dovette soffermarsi, «Ecco, sì. Sembravi facile da convincere», si grattò la nuca visibilmente imbarazzato.
«Facile da convincere», Camylla si stava ripetendo quelle tre parole a ripetezione, annuendo flebilmente con la testa.
«Sì, quando abbiamo parlato con Alyssa lei ti ha subito coinvolta», si mosse in avanti per poi tornare subito un passo indietro, indeciso nei movimenti da compiere. «Ha detto che avresti accettato senza far storie».
«Mi sorprendo, davvero», stava facendo fatica a credere a ciò che Theo le stava dicendo ma dopotutto non le sembrava così surreale un tale comportamento da parte della sua amica. Fece perno sul divano per potersi alzare e dirigersi verso la cucina.
«Abbiamo fatto questo stesso ragionamento io e Nathan nei confronti di Alyssa perchè avevamo bisogno di una terza persona», Camylla vide Theo seguirla con lo sguardo, girandosi solamente con il busto. «E poi lei ha proposto te».
«Da quanto conosci Nathan?», si fermò davanti all'anta contenente i cartoni di latte e ne afferò uno. Nella sua testa fremevano di essere chieste altrettante domande per poter far chiarezza.
«Da qualche anno, essendo amico di mio fratello Samuel», Theo prese coraggio e percorse la distanza che lo separavamo dallo stipide della porta della cucina, «Hanno la stessa età».
Camylla si voltò corrugando  la fronte mentre cercava di mandar giù quel goccio di latte che aveva bevuto, «Ah, quindi Nathan è più grande?!», si asciugò con la maniche della maglietta l'angolo della bocca.
«Sì, di un anno», vide Theo scuotere la testa mentre Camylla si stava rendendo conto di quanto poco conoscesse quella persona: si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, definendosi mentalmente una schiocca.
Eccolo nuovamente il silenzio angosciante che si trascina dietro una consapevolezza pesante; ecco di nuovo il suono delle risposte insinuarsi prepotentemente nelle vene; ecco di nuovo nell'aria il profumo di una verità reale, viva. 
«Vuoi sapere altro?», Theo interruppe quel frastuono assordante che stava martellando nella testa di Camylla, debolmente.
«Alyssa è a conoscenza del tuo casino? E di quello di Nathan?», Camylla aveva ancora molteplici domande che stavano spingendo per poter essere gridate a gran voce.
«Sa solamente di Nathan», assottigliò gli occhi, come a voler trasmettere un messaggio imponente e ben deciso, «E così dovrà restare».
Camylla si ritrovò a scuotere la testa, incredula da ciò che aveva appena udito; dalle informazioni che era riuscita ad ottenere arrendendosi ad una realtà forte e cruda.
«Comunque..», Theo infilò una mano nella tasca stretta destra dei jeans, provocando sul volto un paio di smorfie: ne estrasse a fatica un piccolo registratore che nell'angolo in alto presentava una luminosa spia rossa accesa. Lo stava muovendo soddisfatto con il braccio teso in avanti verso la figura della ragazza, con un sorriso beffardo ad incorniciargli il volto, «Nel caso tu non volessi prendere parte al piano e noi dovessimo venir arrestati. Questo dimostrerà il tuo coinvolgimento», premette un pulsante - probabilmente quello dello stop -. «Com'è che si dice? Favoreggiamento?!», il tono di voce fastidiosamente irritante. Sadico.
«Ma che diavolo..-», Camylla aveva gli occhi sbarrati: stava fissando Theo con la bocca asciutta e una delusione amara stampata in pieno viso. Si ritrovò a stringere con foga il cartone di latte vicino alla sua mano: sentiva la testa pesante, le gambe stanche, il corpo lentamente strinto a catene di ferro che le impedivano qualsiasi tipo di movimento. Sentiva il cuore frantumarsi e poteva sentire ben distintamente il rumore metallico della chiave che veniva gettata a distanza da lei.
 «Sì, beh diciamo che ci hai spinti a fare ciò vista la tua riluttanza», allargò davanti a sè le braccia con fare ovvio, alzando leggermente le spalle, «Quindi adesso o ci denunci o ci aiuterai guidando quel maledettissimo furgone».
«Non potete ricattarmi!», Camylla parlò a denti stretti ingoiando a mano mano pezzi di frasi taglienti; sputando un odio che non credeva di poter avere.
«Tecnicamente lo sto già facendo ma ripeto, vai pure a denunciarci», Theo si spostò in direzione dell'attaccapanni, intendo a riprendersi ciò che era suo, «Però prima sbaglio, o devi procurarti delle prove?!», stava cercando di infilarsi il cappotto non interrompendo un contatto visivo pericoloso. Minaccioso. «Se vuoi posso darti gli appunti scritti ieri sera. Ah no! C'è anche il tuo nome sopra!», si picchiettò il palmo della mano destra sulla fronte, assumendo un finto sguardo dispiaciuto. 
«Bastardo!», Camylla si mosse leggermente in avanti bloccandosi immediatamente due passi dopo: lì nel mezzo alla stanza si sentiva spoglia di ogni barriera; si sentiva ricoperta di imbroglio e falsità; si sentiva nuda e vulnerabile; si sentiva fragile sotto pesanti parole.
«Pensaci!», le strizzò l'occhio sinistro mentre un sorriso scarno gli illuminava il volto. La suoneria del suo telefonino gli fece bloccare la mano a mezz'aria pronta per afferrare la maniglia del portone. Rispose al terzo squillo, abbadonando quella casa divenuta prigione fredda e senza aria. Camylla, con la spina del cervello staccata e gli occhi socchiusi dalla confusione, riuscì a percepire un “Coreen, tesoro mio. Tra dieci minuti sarò da te” provenire dalla bocca di Theo.
E nell'esatto momento in cui il portone  sbattè con violenza troncando nettamente la visuale delle spalle del ragazzo, le gambe di Camylla crollarono a terra, trascinandosi un peso insostenibile: rilassò la testa che ricadde ciondolona in avanti; gli occhi chiusi, strinti stretti creando pieghe sul volto, colmi di lacrime e delusione; le braccia lasciate andare lungo i fianchi, con i pugni che lentamente avevano cominciato a distendersi facendo sì che fuoriuscisse il dolore di una verità assurda. La bocca serrata colma di grida silenziose che avrebbero avuto il potere di abbattere qualsiasi barriera.
Camylla aveva la sensazione di essere sola. Di essere intrappolata in una gabbia che lei stessa aveva contribuito a creare. Si sentiva persa. Si sentiva pervasa da una sensazione di arrendevolezza totale. Si sentiva incapace di reagire, non all'altezza di saperlo fare. Si sentiva indifesa, preda totale del nemico.

Era la quinta volta che il suo cellulare vibrava tra le lenzuola spiegazzate, vicino alla gamba distesa di Camylla, immersa in una lettura coinvolgente: lo afferrò distrattamente continuando a scorrere le righe prima di arrivare alla fine della frase. Guardò lo schermo del display che illuminandosi mostrava il nome di Nathan Mills a grandi caratteri. Si ritrovò a sospirare, prima di cliccare per due volte il pulsante sul lato destro del telefono ed interrompere la chiamata.
Notò essere presente anche un messaggio che non aveva sentito arrivare.

Un messaggio ricevuto: ore 06:25 pm
Da: Little T ♥
Hey, tutto bene? Non ti sei ancora fatta sentire e comincio a preoccuparmi” 

Camylla si ritrovò a sorride debolmente: le faceva piacere ricevere attenzioni da parte di Thomas e per quanto avesse voluto guidare come una pazza in direzione della casa del ragazzo, in quel momento trovava difficoltoso persino capire il senso della frase appena letta.

Messaggio inviato: ore 07:44 pm
A: Little T ♥
Scusami tanto ma è stata una giornata impegnativa! Sono distrutta” 

Aveva scritto quel semplice messaggio circa tre volte prima di inviarlo: non riusciva a trovare un aggettivo che definisse appieno la mattinata trascorsa. 

Un messaggio ricevuto: ore 7:46 pm
Da: Little T ♥
Occorre che arrivi con un pezzo del mio delizioso dolce?!” 

Quella soluzione stava allettando Camylla che contrariamente a quanto il proprio stomaco le stava consigliando, dovette rifiutare tale offerta per evitare di dover affrontare argomenti scomodi che non avrebbe saputo gestire con diplomazia.

Messaggio inviato: ore 7:47 pm
A: Little T ♥
Non vorrai mica avvelenarmi?! Comunque, ti ringrazio ma molto probabilmente adesso riposerò un pò” 

Cercò di risultare divertente per non dover far preoccupare ulteriormente Thomas. Nel momento in cui il suo pollice premette su “invio”, il telefono riprese a vibrare intensamente, mostrando la sesta chiamata da parte di Nathan.
Stavolta aspettò che smettesse, decisa nel voler spegnere il proprio cellulare ed avere la possibilità di continuare a rimanere nel calore incerto che era riuscita a crearsi, distaccandosi dalla realtà per potersi immergere nel libro che le aveva regalato sua madre.
Il suono del campanello la fece imprecare a voce alta: si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo prima di afferrare un lembo del lenzuolo e posizionarlo al meglio sopra la gamba che distrattamente era andata a scoprirsi. Non aveva nessuna intenzione di andare ad aprire, troppo stanca per affrontare chiunque si fosse trovata difronte.
Lo schermo del telefono appena illuminato presenteva un messaggio:

Un messaggio ricevuto: ore 7:50 pm
Da: Nathan Mills
Apri, so che sei in casa. Altrimenti sarò costretto a sfondarla

Camylla dovette leggere per due volte ciò che le aveva scritto Nathan mentre il rumore del campanello non smetteva di invadere l'intera casa provocando fastidio ed esasperazione.
Si alzò controvoglia, gettando malamente il cellulare sul letto e chiudendo il libro senza inserire il segnacolo tra le pagine. Scese le scale velocemente, intenta solo a far cessare quell'assordante fracasso che stava provocando Nathan. Si fermò davanti al portone e prese aria a pieni polmoni.
«Basta!», Camylla gridò, strizzando gli occhi e agitando nervosamente le mani vicino alla testa. Quando il silenzio risuonò come armonia per le orecchie della ragazza, quest'ultima si ridestò, drizzando la schiena e sospirando quasi soddisfatta. «Che diavolo vuoi?».
«Parlarti un secondo», anche il tono di voce di Nathan era alto per potersi far sentire nonostante lo spessore che li stava dividendo.
«Non ho niente da dirti», istintivamente Camylla mosse un piccolo passo in avanti che bloccò subito dopo, ritrovandosi a mordere il labbro inferiore.
«Apri Camylla, per favore», sentì la voce di Nathan leggermente più vicina: una voce calma, gentile. Ingannevole.
Camylla si decise ad afferrare la maniglia, aprendo a metà quell'enorme porta: il vento pungente la invase in pieno volto facendola rabbrividire. Si strinse nelle spalle, spingendo con il braccio sinistro il suo maglioncino affinchè aderisse ulteriormente alla pelle. «Che c'è?».
«Devo scusarmi per..», Nathan abbassò lo sguardo giusto l'attimo che gli occorse per riprendere fiato, prima di rialzarlo e far sì che Camylla si perdesse nelle iridi verdi, «Sì, ecco, il gesto di Theo», aveva le mani all'interno delle tasche ma Camylla notò allargerle di poco.
«Bene, l'hai fatto», non si sarebbe lasciata abindolare per l'ennesima volta dalla grazia innocente che emanava Nathan; non si sarebbe resa ridicola dinnanzi ad occhi penetranti  e taglienti. Con la mano a sorreggere ancora la porta, decise di richiuderla, «Ciao».
«Aspetta!», Nathan scattò in avanti, allungando velocemente una mano in avanti bloccando così il portone ormai quasi giunto al battente, «Lasciami spiegare», e quella che uscì dalla bocca del ragazzo sembrava risultare essere quasi una supplica.
Camylla si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, iniziando una lotta interiore tra ciò che il proprio corpo voleva che facesse e ciò che la testa implorava di compiere. Battè un leggero pugno sul legno della porta. «E tu lasciami del tempo per immagazzinare».
«Ok», abbassò la mano, riportandola all'interno della tasca del giubbotto, «Ci vediamo domani al termine delle lezioni», la salutò con un cenno del capo, sorridendo di cortesia prima di girare le spalle e iniziare a camminare in direzione opposta.
Camylla richiuse il portone, strusciandosi le mani sui bracci per potersi riscaldare: sospirò, appoggiandosi con la schiena e abbadonando la testa all'indietro. Sarebbe stata una lunga notte dove i pensieri avrebbero tartassato incessamente, dove ogni parola non detta avrebbe risuonato ad un ritmo ben scandito e definito, dove gesti proibiti avrebbero balenato vivi e rincuorosi.
Sarebbe stata una notte tormentata, una notte di agitazione. Una notte in solitudine.

06 Ottobre.

Nella stanza stava rimbombando il vociferare degli studenti intenti a scambiarsi battute sulla lezione appesa conclusa. Camylla ancora non si era data una vera e propria motivazione sul perchè non era rimasta, come la mattina precedente, lontana dall'Università e da tutto ciò che potesse farle ricordare gli arrivi quasi imminenti degli esami.
«Pranziamo insieme?», la voce allegra di Khloe alla propria destra la fecero voltare di scatto: la trovò sorridente, leggera e spensierata. 
«Sì, certo», contrariamente ai programmi che si era mentalmente stilata, Camylla decise di accettare l'invito dell'amica: dopo la discussione avvenuta telefonicamente e la quale aveva visto coinvolta anche Alyssa, non aveva avuto modo di poterle più parlare. Si rese conto di non averle neanche più scritto un misero messaggio di cortesia e si ritrovò a chiedere come riuscisse Khloe a farsi scivolare determinate cose.
«Volevo chiederlo anche ad Aly ma stamani non l'ho vista», Khloe prese sottobraccio Camylla, indirizzandola verso la porta alla fine delle scale.
«Voi due avete chiarito?», domandò ingenuamente Camylla, indicandola con l'indice della mano destra: si ritrovò a scuotere la testa, pensando a quante piccole ma importanti cose stava lasciando al caso senza prestarne l'attenzione necessaria.
«Sì, ieri mattina», sorrise Khloe, mostrandole involontariamente la gomma da masticare, «Alla fine a me di Theo non piace neanche il nome e se proprio vuoi saperlo», si ritrovò ad abbassare la voce, avvicinandosi alla spalla di Camylla, «Bacia male».
Istintivamente nella mente di Camylla prese vita la scena avvenuta al compleanno - solamente pochi giorni prima -, dove le labbra di Theo e quelle di Khloe erano riuscite ad incontrarsi dando inizio ad una danza malsana: dovette arricciare il naso e fare una smorfia poco gradevole affinchè potesse riuscire a scacciare tali immagini.
«Sai però, se non fosse successo tutto questo, forse Aly e Theo non starebbero insieme adesso», Khloe fu costretta a lasciare il braccio di Camylla in quanto un gruppo numeroso di ragazzi aveva occupato più di mezzo portone del campus per potersi scambiare gli appunti, «Ed io non avrei il numero di Ethan che gentilmente mi ha passato la nostra cara Hunt!».
«Pensi di usarlo?», Camylla dovette allungare il passo per poter raggiungere nuovamente l'amica e poter parlare senza bisogno di urlare.
«Perchè no?!», alzò le spalle, inclinando leggermente la testa di lato, «Magari andrà bene anche a me».
«Mi piace questa tua sicurezza», sorrise - per la prima volta dopo giorni intensi e difficili -, per davvero. Sorrise spontaneamente, meravigliandosi del coraggio che la sua amica avrebbe voluto tirar fuori. Ammirandone il gesto, qualora lo avesse compiuto realmente. 
«Sì, beh ecco, magari prima berrò qualche drink», per tutta risposta Khloe le regalò la bellezza di due guance paffutelle tinte leggermente di rosa. 
Si fermarono entrambe sull'ultimo gradino delle scale, puntando i loro occhi al giardino ricoperto di foglie secche ed erba - notevolmente più alta del previsto - che presentava accenni di piccole pozzanghere che lentamente si stavano formando. 
«Aspetta..», Khloe aprì il proprio zainetto, cominciando a rufolarvici all'interno, «Ecco, ero sicura di averlo preso stamani mattina», ne estrasse soddisfatta un piccolo ombrellino arancione.
«Io invece l'ho dimenticato», Camylla alzò le spalle, cercando di tirar al meglio il cappuccio del giacchetto sopra la testa in modo da poter essere maggiormente coperta, «Insomma, non sembrava così brutto il tempo questa mattina». Khloe la guardò con un sopracciglio alzato mentre tentava di aprire l'ombrello senza colpire nessun'altro studente, prima di scoppiare a ridere sonoramente.
«Hey, Camylla!», una voce alle spalle delle ragazze le fece voltare contemporaneamente: videro un ragazzo sorridente, ben composto ed elegante salutare con la mano.
«Nathan», Camylla si limitò a ricambiare il saluto cordialmente senza sembrare troppo entusiasta nell'averlo difronte.
«Ciao», Khloe sorrise accogliendo il ragazzo con fare gioiale, «Non ti ho più visto in giro, tutto bene?», domandò formando sulla fronte alcune piccole pieghe della pelle.
 «Ho alcune questioni importanti da risolvere», gli occhi profondi verdi si stavano immergendo nel castano, «Ma sto cercando di non perdere troppe lezioni».
«Ma è vero che Diritto Finanziario e Bancario è difficile da seguire?», continuò il proprio interrogatorio abbassandone l'ombrello semi-aperto.
«No, aspetta», Camylla aprì la propria mano mostrandone il palmo a Khloe, «Tu sai che lui è del quarto anno?», l'incredulità nella propria voce ne fece trapelare tutto lo stupore.
«Sì, se non sbaglio ne parlammo la mattina del mio compleanno», stava cercando conferma nello sguardo di Nathan, ancora incentrato ad osservare a sua volta Camylla, «Eravamo in salotto a far colazione, insieme anche ad Alyssa e Theo. Non ricordi?».
«Oh, giusto. Sì!», Camylla si battè il palmo sulla fronte, sorridendo appena: in realtà non ricordava affatto avessero affrontato argomenti del genere ma dette la colpa alla sua assenza mentale, troppo occupata a rimuginare sulla conversazione che aveva avuto privatamente con Alyssa nella propria camera da letto.
Vide Khloe scuotere la testa, probabilmente arresa dalle rare speranze dell'amica «Comunque, noi stiamo andando a pranzo. Vuoi venire?», rivolse la sua totale attenzione a Nathan, indicando con l'indice oltre le proprie spalle dove si trovava l'uscita dell'Università.
«Credo abbia altri impegni», Camylla parlò con un tono di voce più alto di quanto avrebbe voluto: cercò di controllarsi tossendo debolmente, «Poi, dopo non devi andare allo studio?».
«Sì, perchè tu no?», Nathan sembrò muoversi nervosamente sul posto, drizzando la schiena e corrugando la fronte interessato appieno dalla risposta che avrebbe ascoltato.
«Ho chiesto a Lucas di poter studiare il caso da casa, almeno per oggi», stava rafforzando la propria risposta scuotendo la testa in senso di negazione, «Passerò dallo studio solo a prendere i fascicoli». Camylla aveva contattato il proprio capo quella stessa mattina mentre percorreva la strada che l'avrebbe condotta al campus: si era preparata circa tre scuse ritenute degnamente plausibili da poter proporre in propria difesa ma contrariamente alle aspettative della ragazza, Lucas non aveva obiettato.
«Ok», la voce di Nathan risuonò come un sussurro mentre gli occhi stavano cercando di scavare una verità celata dietro una frase che stonava con i comportamenti di Camylla.
«Allora, pranzi con noi?», Khloe troncò quella sottile tensione palpabile che stava velocemente intrappolando i loro corpi. Camylla cominciava a star stretta in quello spazio aperto; cominciava a sentirsi a disagio sotto lo sguardo vigile e attento di Nathan; cominciava a sentirsi vulnerabile nonostante non riuscisse a distogliere i suoi occhi da quelli del ragazzo.
«Sì, andiamo!», Nathan sembrò volerla sfidare, accettando quell'offerta non condivisa, proposta da Khloe. Si mosse in avanti, superando entrambe le ragazze e cominciando a scendere gli scalini senza degnarsi di ripararsi dalla pioggia che non sembrava aver voglia di dar tregua agli abitanti.
Camylla rimase ad osservarlo, maledicendosi per non essere riuscita a convincerlo del contrario: c'era però una sensazione che stava cominciando a pungere debolmente. Questa sensazione aveva la malsana forza di renderla quasi felice, forse contenta e soddisfatta di poter trascorrere del tempo con Nathan. Era una sensazione fastidiosa ma che prepotentemente stava cominciando a farsi sentire, tradendone ogni gesto contrario. Scosse la testa, ripromettendosi di riuscire a spegnere quella sensazione pericolosa che l'avrebbe condotta ad ulteriori complicazioni.
Decise di seguire Khloe, afferrandone il braccio e riuscire così a ripararsi dalla pioggia sotto l'ombrello nonostante il cappuccio. 
«Che succede tra voi?», Khloe bisbigliò debolmente, allargando giocosamente il gomito e spintonando leggermente Camylla: stava sorridendo mentre continuava a strizzare l'occhio divertita.
«Niente di quello che pensi», Camylla fu costretta a ricambiare il sorriso, rendendo la propria affermazione poco credibile.
«Come no!», la sonora risata che ne conseguì fece voltare Nathan che a passi svelti stava cercando riparo sotto ad una tettoia, «Detto tra noi, è anche meglio di Matthias», dovette riabbassare il tono della voce per evitare di farsi sentire. Il sorriso ancora ad incorniciarle il volto rendendo le guance più tonde del normale.
Camylla semplicemente non rispose: nella sua mente si stavano creando vortici di informazioni ed un susseguirsi di avvenimenti confusionari da non riuscire a farla pensare lucidamente. Avrebbe voluto poter risolvere in successione ogni singola situazione per potersi concentrare sul futuro senza doversi preoccupare di problematiche insidiose, difficili da gestire.
Rallentò il passo, tirandosi dietro Khloe che la stava osservando con aria confusa: estrasse il cellulare dalla tasca sinistra del giacchetto, avendone percepita una leggera vibrazione. Lo schermo presentava l'arrivo di un messaggio.

Messaggio ricevuto: ore 01:46 pm
Da: Maaamma!
Buongiorno tesoro, io e papà ti aspettiamo stasera a cena. Ti chiamo più tardi. Un bacio

Si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, avendo eclissato totalmente tale impegno. Ripresero a camminare, cercando di auto-convincersi mentalmente che una cena con i propri genitori sarebbe servita ad allentare la tensione.

«Ma come si fa?!», Oliver era scattato in piedi, gridando con una rabbia quasi incomprensibile, «Autogol al quindicesimo minuto!», per rafforzare la delusione scaraventò l'adorata sciarpa in terra.
«E' appena iniziata», Camylla si sistemò al meglio sul divano, incrociando le gambe, «C'è ancora tempo!», cercò di calmare il padre strattonandolo per il lembo della maglia per riposizionarlo affianco a lei.
«Sì, per prenderne un altro», stava digrignando a denti stretti mentre con lo sguardo assottigliato osservava l'esultanza assurda dei giocatori dell'Ipswich.
«Volete delle patatine?», Korinne sbucò dalla cucina con i guanti gocciolanti.
«Credo sia preferibile altra birra», Camylla parlò piano evitando di distrarre ulteriormente l'attenzione di suo padre dalla partita: per questo gesticolò, mimando e indirizzando il capo verso il tavolino che presentava una bottiglia già scolata per più di metà.
«Ok», sorrise cercando di alzare il pollice verso l'altro, «Uh, ma state perdendo!».
«Tesoro», Oliver si voltò di scatto cercando di assumere un'atteggiamento calmo e disivolto, «Potrei tirartelo», le mostrò il telecomando ma la risata leggera  e divertita che provocò la reazione di Korinne sminuì nettamente la serietà del marito.
«Puoi venire un secondo?», Korinne indicò con il cenno del capo la cucina prima di voltare le spalle per dirigersi nella stanza in attesa. Camylla si alzò, continuando a fissare lo schermo del televisore fino a che la visuale glielo permise.
«Dimmi mamma», cercò di rimanere vicino allo stipite per tendere un orecchio in direzione della sala - e delle imprecazioni che numerose scorrevano a fiumi dalla bocca del padre -.
«Non ti ho più chiesto di quel ragazzo con suo padre che ci pagò il pranzo l'altro giorno», si tolse i guanti per lasciarli penzolare sulla cannella del lavabo, pronta a dirigersi verso il frigo.
«Sì, lo vedo ogni tanto, perchè?», quella conversazione riuscì ad attirare la completa attenzione di Camylla che distolse lo sguardo per osservare sua madre.
«Lo vedi nel senso che ci esci?», domandò con una punta di curiosità Korrine mentre prelevava due bottiglie di birra.
«No, assolutamente!», Camylla cominciò a muovere frettolosamente le mani davanti al petto, «Lo vedo nel senso che anche lui sta facendo praticantato nello studio di Lucas e stiamo lavorando allo stesso caso», una piccola parte di verità nella frase appena enunciata c'era, per questo si ritrovò ad annuire con la testa.
«Gliel'hai concesso un pranzo? E' stato carino ciò che ha fatto per noi», aprì un'anta della credenza per tirarne fuori un vassoio con una piccola ciotolina e posizionarle sul tavolo.
 «Oggi abbiamo pranzato insieme», Camylla alzò le spalle, incurvando i bordi della labbra soddisfatta, «C'era anche Khloe ma è un dettaglio, no?!».
«Tesoro!», Korinne si bloccò con le mani a mezz'aria ed il pacchetto di pop-corn tra di esse, «Sii gentile, per una volta».
«Mamma, onestamente adesso non mi va», mosse un passo in avanti, allontanandosi dallo stipide della porta: cercò un contatto visivo con sua madre per poter riuscire a trasmettere una sensazione di disagio che le stava cominciando a salire, dettata dal contenuto nascosto della piega di quella conversazione.
«Non ho detto che ti ci devi fidanzare», sorrise mentre il rumore dei pop-corn che venivano rovesciati nella ciotolina faceva da sottofondo, «Solo ricambiare un gesto apprezzato ricevuto da un gentiluomo».
«E rischiare di dargli false speranze?!», Camylla poteva capire ciò che sua madre stava tentando di dirle ma purtroppo non poteva farle sapere che quel gesto ritenuto tanto carino celava in realtà una serie di favoritismi ingrati e pericolosi. Una carezza nascosta in un pugno.
«Dimmi che non lo trovi carino neanche un pò», Korinne le strizzò l'occhio divertita mentre un grido di felicità invase l'intero appartamento.
«Eccolooo!», Oliver era balzato in piedi saltellando felice davanti al divano mentre sventolava sopra la testa la sciarpa del Doncaster, «E adesso chi esulta?! Chi?!», stava parlando con la televisione mentre l'inquadratura era focalizzata sul portiere dell'Ipswich che sconsolato, scuoteva la testa.
«Uno pari, palla centro!», Camylla approfittò all'istante dell'esultanza di suo padre per afferrare il vassoio e dirigersi nuovamente in salotto, intenta a godersi la fine della partita lontata da argomenti poco gradevoli.

«Sono da Savanna», Thomas stava sussurrando rendendo poco comprensibile le parole.
«Che peccato! Avevo bisogno di compagnia», Camylla stava camminando frettolosamente, con un'ombrello mal ridotto a penzolare nella mano destra.
«Che stai facendo?», il ragazzo aveva deciso di abbassare ulteriormente la propria voce, dovendo far sforzare Camylla affinchè recepisse il messaggio.
«Sto tornando a casa, ero a cena dai miei per la partita», la distanza che le mancava per raggiungere la propria abitazione non era eccessiva ma il buio scuro e gli squarci di lampi rendevano l'atmosfera poco tranquilla: avrebbe potuto usare la macchina ma sperava di potersi rilassare passeggiando per le vie della città che stava respirando l'aria in assenza, da poche ore, della pioggia.
«Cazzo, la partita!», Camylla si stava immaginando Thomas con la mano sulla fronte a maledirsi per esserla persa, «Com'è finita?».
«Abbiamo vinto!», si ritrovò ad urlare, alzando per aria il braccio e rischiando di sbattersi l'ombrellino sulla testa: si guardò furtivamente attorno per cercare di capire se avesse attirato l'attenzione di qualcuno rimasto in penombra dai lampioni, «4-1», concluse, aumentando notevolmente il passo.
«Che squadra ragazzi», stavolta toccò a Thomas alzare la voce, esultando soddisfatto, «Però adesso devo riattaccare. Scusa», lo sentì tornare improvvisamente a sussurrare prima di ascoltare il rumore ad intermittenze regolari della cornetta riattaccata.
Sbuffò, riposizionando il proprio telefono in tasca: osservò la strada estendersi davanti a sè, deserta e poco illuminata. I pensieri cominciarono a farsi risentire, più vivi di quanto non lo fossero mai stati: si alternavano tra spazi di luce tenue dove si era riposta una minima speranza tanto fragile quanto debole, e spazi dove l'abisso buio rendeva vano ogni appiglio rendendo l'intera situazione drammatica. Tra quei mille pensieri che vorticavano pericolosi, doveva riuscire a captare una possibile soluzione ed evitare di farsi seriamente male: non doveva perdere la calma e doveva riuscire a tener viva quel pizzico di lucidità che alle volte le donava coraggio.
Mentre il rumore delle foglie secche calpestate a terra rendevano agitata Camylla, la sue mente riproponeva frasi estrapolate dalla conversazione avvenuta con Theo il giorno precedente: ne poteva sentire ancora la voce ben scandita e sicura, ne poteva ricordare esattamente i gesti, le esatte parole; sentiva addosso ancora lo sguardo perforante dell'amico. Si sentì fortunata nel non averlo visto quella stessa mattina a lezione e per quanto avrebbe voluto gridare disprezzo ed odio con Alyssa, cercò di respirare affondo per cercare di capire quale sarebbe stato l'atteggiamento più idoneo da tenere. 
I passi svelti e le leggere botte che l'ombrello le donava ogni volta che le batteva sulla coscia, stavano avendo il potere di renderla nervosa: l'aria fresca e pungente della sera stava ricadendo incessante, non curante di Camylla, riuscendo ad imprigionarla in uno stato di disagio. Un tuono improvviso la fece bloccare a ridosso di un marciapiede crepato, smorzandole il respiro: osservò il cielo così scuro e tenebroso ma nel quale avrebbe potuto lasciarsi abindolare, riuscendo quasi a calmarsi.
Si riscosse scuotendo la testa, riprendendo la sua camminata frettolosa mentre il rumore di una macchina stava cominciando a farsi sempre più vicina: la sentì chiaramente rallentare, decellerando lentamente fino a raggiungerla; Camylla decise di proseguire, preferendo non voltare lo sguardo alla sua sinistra.
«Camylla!», una voce delicata, sottile. Inaspettata. Il rumore del finestrino che veniva abbassato non era riuscito a coprire totalmente quel nome pronunciato con sorpresa.
Camylla si voltò di scatto, incredula nell'averlo riconosciuto: «Matthias?!».
«Che ci fai da sola a quest'ora? A piedi?», il rombo dell'auto ancora in moto costrinse Matthias ad alzare leggermente il tono della voce.
«Ero dai miei, sto tornando a casa», Camylla indicò distrattamente con l'ombrello la direzione davanti a sè, nonostante il ragazzo conoscesse perfettamente dov'era sita l'abitazione. Dovette assottigliare gli occhi per poterlo osservare meglio: la poca luce emessa dal lampione non riusciva a rendere giustizia agli occhi di Camylla.
«Sali che ti accompagno», vide Matthias allungarsi per poter riuscire a raggiungere la maniglia dello sportello del lato passeggero, «Tra poco ricomincerà anche a piovere».
«Oh no, grazie. Sono..», si dovette schiarire la voce mentre dondolava impercettibilmente da un piede all'altro, «Sono quasi arrivata ed ho lui», mostrò l'ombrellino, sorridendo debolmente.
«Non farti pregare», Matthias riuscì ad aprire lo sportello, permettendo così a Camylla di poter entrarvi all'interno: un tenue calore la invase mentre tutti i pensieri distorti stavano lasciando spazio a ricordi dolorosi.
«Fammi indovinare, eri a vedere la partita», inserì la marcia per poter ripartire ad un'andatura scorrevole.
«Sì, certo», Camylla sorrise: una piccola lotta all'interno del proprio corpo era appena cominciata. Si stavano sfidando la voglia irrefrenabile di voltarsi in direzione di Matthias per poterlo osservare e la resistenza timida nel non voler distogliere lo sguardo dalla strada. «L'hai guardata anche te?».
«Ovviamente, ero da Austin che tra parentesi è un tifoso sfegatato dell'Ipswich», la risata genuina e cristallina di Matthias invase completamente l'abitacolo, rendendo notevolmente più difficoltosa la personale lotta di Camylla, «Ti lascio immaginare quante offese ho ricevuto».
«Conosci mio padre, e dopo il loro gol non ti dico le imprecazioni che ha tirato», istintivamente Camylla si voltò, sorridendo apertamente: i suoi occhi si stavano muovendo velocemente, cercando di catturarne più dettagli di quanti già non ne conoscesse.
«Oliver dovrebbe divenire capo ultras», quando Matthias girò il proprio volto nella direzione Camylla, a quest'ultima mancò l'aria. Dovette scattare con la testa per tornare ad osservare la strada, pregando di poter raggiungere casa nel minor tempo possibile. Si rese conto di non aver ancora superato la loro separazione; si rese conto di quanto le mancasse conversare con lui; di quanto avesse bisogno del suo sguardo; di quanto desiderasse continuare ad ascoltare la sua voce.
Il silenzio sceso tra loro stava cominciando a rendere l'aria chiusa un pò pesante, fastidiosa. Imbarazzante. 
Camylla aveva cominciato a giocare con un lembo dell'ombrello poggiato sulle proprie gambe mentre si stava mordendo nervosamente l'interno della guancia.
«Ci siamo», Matthias parlò piano, troncando quella tensione ingenua ma naturale. Soffermò la macchina vicino ad un lampione, accostantosi al marciapiede. Camylla continuava a tenere ben saldo lo sguardo davanti a sè. «Chi è quello?», nella voce di Matthias se ne poteva dedurre ci fosse curiosità, perplessità ed anche un pizzico di paura.
«Chi?», Camylla mosse leggermente verso la propria sinistra la testa per poter riuscire a capire a chi si stesse riferendo Matthias: lo vide allungare il collo oltre la spalla della ragazza che immeditamente scattò con lo sguardo. Si ritrovò ad assottigliare gli occhi, cercando di mettere a fuoco la persona che si trovava davanti al portone e che sembrava avere entrambe le mani in tasca.
«Lo conosci?», Matthias stava sussurrando quasi timoroso.
Camylla dovette avvicinarsi al finestrino per poter osservare meglio mentre un senso di disagio e panico stava cominciando a farsi sentire prepotentemente. 
«Non lo so», Camylla scosse la testa, «Non riesco a vederlo».
«Scendiamo insieme o vuoi venire da me, almeno per stasera?», la bocca di Camylla si aprì istintivamente mentre le unghie delle mani stavano scavando nei palmi. Dovette chiudere gli occhi e prendere un respiro profondo per evitare di esplodere e lasciarsi andare a quelle sensazioni contrastanti di paura ed agitazioni che stavano prevalendo.
Il ragazzo sul portone sembrò intuire la confusione che stava avvenendo all'interno della macchina, e mosse qualche piccolo passo in avanti, soffermandosi dove la luce leggera del lampione poteva renderlo riconoscibile.
«Nathan?!», Camylla corrugò la fronte, facendo nascere qualche piega. Il suo tono incredulo ne esprimeva l'intera sorpresa.
«Ah, allora sai chi è», nella voce di Matthias, Camylla ne percepì un leggero pizzico di delusione che volle scacciare deglutendo a fatica.
«Sì, un amico», stava parlando debolmente, appoggiando le mani sul finestrino per potersi raffreddare: la testa stava diventando pesante.
«A quest'ora?!», Matthias si sistemò al meglio sul sedile, provocando un sottile rumore causato dai jeans strusciati con la pelle. Stava parlando con stizza e risentimento, «No, scusa. Puoi fare quello che vuoi», allargò le mani davanti al petto, inclinando di lato la testa.
Camylla si voltò giusto quel poco che le serviva per poterlo osservare negli occhi, «Non so cosa ci faccia qui a quest'ora ma è solo un amico», sentiva il bisogno necessario di giustificarsi: voleva fargli capire la verità. Camylla aveva bisogno che Matthias le credesse.
«Vai pure comunque, non voglio trattenerti ulteriormente», Matthias le indicò la direzione da seguire con la mano.
«Grazie del passaggio», Camylla abbassò la testa, delusa da sè stessa per non essere stata in grado di farsi capire e delusa da Matthias che avrebbe dovuto riconoscere la verità nelle parole della ragazza.
Aprì lentamente lo sportello, sperando di poter sentire ancora per una volta la voce di Matthias: non lo guardò negli occhi per non doverci trovare tristezza; non lo guardò nei movimenti impercettibili per non doverci vedere disagio; non lo guardò per l'ultima volta per non doversi immaginare continuamente la sua faccia avvilita.







 

IM BACK!
Ciao, eccoci con un nuovo capitolo :) 
Qua possiamo ammirare tutta la 
gentilezza di Theo: ve l'aspettavate? (Avevo detto essere un personaggio un pò ambiguo, ma staremo a vedere). Perciò adesso la nostra amica Camylla dovrà cercare un modo per poterne star fuori in maniera pulita
Abbiamo poi un momento di calma e leggerezza: la cena dai genitori. Ovviamente Camylla cerca di tenere un comportamento naturale e non sospetto! (Mi sono impegnata assai nel descrivere lo stato d'animo di Oliver, poveretto!).
Infine ecco che torna improvvisamente Matthias! :) Ma ahimè, la presenza 
inaspettata di Nathan sotto casa di Camylla sembra turbarlo.
Che dite? Ci sta?
Fatemi sapere, senza freniii :)

Mi auguro di essere riuscita - e di riuscire in ogni capitolo -  a trasmettervi appieno le sensazioni dei personaggi. E mi auguro di commettere pochi errori (grammaticali e di battitura). Nel caso, perdonatemi!
Grazie per essere presenti, nel vostro piccolo.

Un bacio,

G. xx


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Capitolo 8
*** VIII. ***


Capitolo VIII.
8.346 parole

Dove il cielo si muove se lo guardi attentamente,
dove basta un minuto intenso per vivere sempre,
dove piove ma tu esci per bagnare la mente
perchè se la vita è nostra non ci ostacola niente.
Dove al posto dei piedi hai due pagine vuote
e ogni passo che compi loro scritturano note,
dove il sole è un'ipotesi e tu puoi solo pensarlo.

 
Camylla stava fissando la macchina rossa di Matthias ripartire adagio mentre dei brividi di freddo stavano facendo sì che si stringesse ulteriormente nel cappotto: lo sguardo triste, assente. Uno sguardo che racchiudeva desolazione, che gridava comprensione.
«Hey», una flebile voce alle spalle di Camylla stava provando a richiamare l'attenzione della ragazza, intenta ancora a seguire con lo sguardo quella vettura a lei tanto familiare.
Non rispose, preferendo respirare a pieni polmoni. Continuando a non farsi guardare: si sentiva stanca, sia a livello fisico che soprattutto a livello mentale. Le sembrava di esser divenuta una spettatrice passiva della sua stessa vita, dove si limitava ad osservare lo sgretolarsi di ogni cosa costruita fino a quel momento senza esser capace di reagire. Ogni qualvolta si sforzasse di riordinare i propri pensieri, quest'ultimi sembravano esser rinchiusi in un vortice senza uscita, rendendo la confusione più palpabile e meno comprensibile. Le sembrava di essere in balìa di una crisi senza precedenti: sentiva l'oscillazione paurosa vacillare tra l'esplosione radicale e il poco auto-controllo che le era rimasto, e il provare a lasciarsi andare aggrappassandosi alla sicurezza insana che le emanavano gli amici.
 «Camylla», ancora un sussurro alle spalle, delicato e attento. Camylla si ritrovò a sospirare, socchiudendo leggermente gli occhi. 
«Scusa Nathan», si voltò, interrompendo il contatto visivo con l'auto di Matthias ormai divenuta una piccola scia in mezzo al buio, «Sono stanca», lo superò, stando attenta a non sfiorargli la spalla. La voce pesante, quasi assonnata. Annoiata.
«Lo so, mi dispiace essere piombato qui a quest'ora», Nathan provò ad allungare il braccio sinistro per poter afferrare quello di Camylla, «Ma è importante».
Camylla gli riservò uno sguardo profondo, strattonando il proprio braccio per poter riuscire a liberarsi dalla stretta di Nathan e cercare le chiavi dell'abitazione all'interno della borsetta.
«Si tratta di mio padre», continuò Nathan: mosse un passo in avanti, accorciando le distanze con Camylla che non sembrava essere interessata alla conversazione che il ragazzo avrebbe voluto affrontare.
«Allora domani mattina chiama Lucas», Camylla usò un tono di voce assente mentre stava assottigliando gli occhi per provare a trovare le chiavi: un lampo improvviso illuminò per una breve frazione di secondo il cielo, facendo spaventare Camylla.
«Credo sia colpevole», ancora un passo in avanti, seguito da un sussurro poco udibile. Dettato dalla paura e dalla scoperta.
Camylla fu colpita da quelle parole: bloccò i movimenti della mano, deglutendo a fatica. Alzò lo sguardo incerto verso Nathan trovandolo immobile difronte a lei, con le mani in tasca e lo sguardo che gridava ascolto.
«Non è..», scosse la testa, rischiarendosi la voce, «Non è qualcosa che devi dire a me. Ti ripeto, chiama Lucas», abbassò nuovamente lo sguardo intenta a continuare la sua ricerca: stava arrivando ad un punto di collisione senza freni. 
«Penso di aver trovato qualcosa nel fascicolo», Nathan stava continuando a parlare debolmente: stava scandendo con attenzione ogni singola parola pronunciata, rimanendo nella sua stessa posizione; osservando Camylla nei movimenti impacciati e stanchi.
«Ok», Camylla sospirò, puntando i propri palmi aperti davanti al petto, «Domani chiederò di essere tolta dal caso di tuo padre, perciò non m'interessa sapere altro», stava parlando lentamente, come a voler imprimere affondo il concetto che si celava sotto: passo dopo passo sarebbe riuscita a togliersi da quella posizione scomoda in cui era finita inconsapevolmente. 
«No, non puoi farlo», Nathan stava scuotendo la testa: dalla sua voce trapelava incredulità e stupore mista ad una consapevolezza reale.
«Perchè?!», stavolta Camylla non si premurò dell'ora e del luogo, alzando noncurante il proprio tono di voce, «Perchè ho rubato quel fascicolo?», stava gesticolando nervosamente: sentiva, ben scandito dentro sè, il tempo dettare legge, «Beh, sai una cosa? Non m'importa. Ne pagherò le conseguenze ma almeno non avrò più a che fare con questo», l'indice della mano destra sembrava star disegnando dei cerchi concentrici che servivano a definire la situazione a cui erano arrivati.
«Non erano questi i patti», parlò a denti stretti, sputando con sè anche l'odio che in quel momento stava provando: si mosse in avanti, facendo così indietreggiare istintivamente Camylla.
«Patti?!», ne uscì una risata nervosa, «Noi non abbiamo nessun patto! Mi avete incastrata in qualcosa a cui non ho intenzione di prendere parte», anche Camylla stava cogliendo l'occasione di imporsi, di farsi intendere decisa e forte nelle proprie decisioni. 
«Ma ormai ci sei dentro», Nathan allargò le braccia davanti al petto come a voler rafforzare la propria affermazione, continuando a mantenere un tono di voce piatto, contrariamente a Camylla.
«Non per mia volontà quindi stai pur certo che troverò il modo di uscirne pulita», decise di aggrapparsi a quella determinazione che sembrava essersi nascosta da ormai diversi giorni, pigra e timorosa di essere spazzata via come foglie al vento. 
«Tradiresti così i tuoi amici?», ancora un leggero, impercettibile passo in avanti mantendendo una calma apparente; uno sguardo intenso reso ben visibile dall'ennesimo lampo che stava squarciando il cielo della città.
«Perchè, persone che ti coinvolgono senza consenso, li definiresti amici?!», stavolta Camylla incrociò le braccia al petto, con l'ombrellino mal ridotto a penzolare e dondolare nella sua mano destra. In attesa di una risposta; curiosa nel sentire ciò che avrebbe pronunciato Nathan.
«Alyssa credeva in una reazione ben diversa», una voce sottile, sussurrata in mezzo a lente goccioline che il cielo aveva deciso di rilasciare. 
«Nathan, non si tratta di organizzare una vacanza, lo capisci?!», Camylla decise di abbassare il proprio tono di voce, cercando di regolarizzare anche il proprio respiro. «Con quale criterio pensavate che non avrei fatto storie?», si ritrovò ad allargare le braccia davanti al petto mentre una goccia d'acqua le aveva appena sfiorato la guancia.
«Non ti abbiamo chiesto di commettere un omicidio! Ma di aiutare degli amici in difficoltà», Nathan si passò una mano tra i capelli, che lentamente stavano divenendo umidi, «Andrà tutto secondo quanto prestabilito. Non hai modo di preoccuparti». Eccolo il suo trasmettere tranquillità attraverso una voce delicata, uno sguardo leggero, dei movimenti sottili. Forse ben studiati.
Nonostante la sicurezza avesse predominato su Camylla fino a quel momento, quella frase dettata da Nathan ebbe la forza di far vacillare la determinazione della ragazza, rendendola per qualche attimo debole e spoglia: con lo sguardo perso e la bocca semi-aperta incapace di emettere qualsiasi suono.
«Non vi aiuterò in quel modo», nel suo tono di voce non c'era più coraggio e forza ma si distinguevano bene la paura e la delusione.
Infilò nuovamente, con movimenti  veloci e sicuri, la mano all'interno della borsetta intenta a trovar le chiavi e potersi richiudere in uno spazio familiare, lontano da voci insidiose, da sguardi penetranti. Da pioggia sporca.
«Pensaci bene», Camylla non si era accorta della distanza venuta meno grazie ai passi compiuti da Nathan: le accarezzò il braccio ricoperto dalla manica del giacchetto mentre le sorrise debolmente. Camylla sentì qualcosa di ghiaccio toccarle il dorso della mano e ne estrasse finalmente l'oggetto tanto desiderato fino a quel momento. Deglutendo a fatica, si ritrovò ad indietreggiare allontandandosi da quel contatto volto solo a farla sentire maggiormente inappropiata ed insicura.
Rimanendo in religioso silenzio, circondati dal rumore della pioggia sottile autunnale, Camylla voltò le spalle a Nathan, cercando di inserire la chiave all'interno della serratura facendola scattare.
Quando si ritrovò a chiudersi la porta, trovò il ragazzo sotto l'acqua, immobile, con una mano all'interno della tasca del giacchetto e l'altra penzolona lungo i fianchi; con sguardo perforante e attento; la bocca serrata.
Camylla abbassò gli occhi prima di troncare quel contatto pericoloso: si ritrovò a maledirsi per non essere stata in grado di aver dimostrato sicurezza fino alla fine della conversazione; si maledisse per essere stata tanto sciocca quanto infantile; per non essersi saputa dimostrare, ancora una volta, decisa nelle proprie convinzioni; per aver lasciato trapelare riluttanza e dispiacere.
Abbandonò con noncuranza sia il giacchetto che le scarpe vicino all'attaccapanni, prima di afferrare il cellulare e dirigersi sotto un getto di acqua bollente con l'intento di potersi scrollare di dosso almeno una piccola parte di pesantezza che si stava trascinando dietro.
Trovò essere presente un messaggio sul display del telefonino:

Un messaggio ricevuto: ore 11.56 pm
Da: M. 
Mi dispiace per l'eccessiva reazione che ho avuto prima. Ci siamo lasciati perciò entrambi possiamo fare ciò che ci rende più felici. Scusa ancora! Ci vediamo in giro

Camylla si bloccò a metà tra il quarto ed il quinto scalino, rileggendo ininterrottamente quelle righe nella speranza che potessero cambiare: si ritrovò a sospirare velocemente onde evitare di scaraventare il proprio cellulare difronte a sè, riuscendo a sfogarsi solamente in parte.
Era delusa, affranta, amareggiata. Era stanca.

07 Ottobre.

Camylla stava fissando il semaforo rosso, aspettando pazientemente che questo divenisse verde per poter avere la possibilità di attraversare la strada e raggiungere così il giardino del campus: il cielo colmo di nuvole grigio denso non prometteva una giornata serena, e gli improvvisi soffi di vento gelido ne rendevano l'aria circostante ancora più triste. Come era trascorsa la nottata di Camylla: lenta, solitaria, sconsolata. Si era ritrovata a fissare il soffitto della camera intensamente, riuscendo ad immagazzinare ogni minimo dettaglio impertinente; si era ritrovata travolta da onde di delusione, amarezza, desolazione. Le stavano scivolando dalle mani intere giornate: stava lasciando che il tempo prendesse il controllo della sua vita, imprigionandola a decisioni sbagliate e azioni deboli. Si sentiva un burattino che veniva sbatacchiato da un susseguirsi di mani sporche e pericolose: percepiva il dolore, ne poteva annusare l'odore, sentirlo lentamente insediarsi sotto pelle ma non riusciva a reagire perchè bloccata. Incatenata.
Quando un passante le spintonò leggermente la spalla, oltrepassandola a passi decisi e svelti, Camylla si rese conto di aver la possibilità di raggiungere il lato opposto della strada: il peso dei pensieri riuscivano a trasportarla in una realtà distorta e confusionaria, offoscundone il senso pieno della ragione.
I suoi passi erano lenti: si stava trascinando a fatica in una direzione che avrebbe richiesto un'attenzione minima necessaria che Camylla difficilmente sarebbe stata in grado di dare, rischiando di scrivere frasi sconnesse e poco comprensibili. Mentre osservava, tra i rami spogli mossi dal vento, l'enorme complesso di mattoni farsi sempre più grande e vicino, si ripromise di dover seguire con maggiore intensità le lezioni, affinchè potesse dare gli esami con entusiasmo e carica pertinente a passarli con ottimi voti.
«Buongiorno Cam», una voce squillante ed energica alle proprie spalle le arrivò limpida e cristallina, facendola voltare leggermente. Si soffermò vicino ad un piccolo bussolo dell'immondizia stracolmo di sporcizia.
«Oh Signore!», Camylla si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, sbuffando vistosamente, «Siete una persecuzione!».
«Scusa se frequentiamo tutti la stessa Università», a parlare fu Theo, con un sorrisetto ambiguo a dipingerli il volto. Lo sguardo furbo, i capelli spettinati.
«Potrebbe essere un valido motivo di ritiro», Camylla parlò piano, sussurrando quella frase banale la cui opzione non sarebbe stata completamente da scartare, se non fosse che ne stava dipendendo il suo stesso futuro. Abbassò la testa, riprendendo a camminare lentamente, raggiunta dai suoi amici.
«Ma come faresti senza noi?!», Alyssa le circondò un braccio intorno al collo, avvicinando la sua faccia ai capelli raccolti di Camylla pronta a stampargli un sonoro bacio.
«Sicuramente avrei meno pensieri», per tutta risposta Camylla si mosse impercettibilmente tanto da riuscire a liberarsi dalla stretta di Alyssa: si sistemò al meglio il laccetto della borsa contenente i libri, sul braccio. Sapeva che quell'incontro non poteva esser avvenuto casualmente: ne sentiva scandire i ritmi lenti e assordanti dei secondi che fremevano per arrivare allo scoppio.
«La notte ha portato consiglio?», Theo stava puntando lo sguardo davanti a sè, parlando con fare tranquillo. Senza agitazione o fretta.
Camylla notò che Nathan ancora non aveva proferito parola: semplicemente stava camminando alla loro andatura, con le mani in tasca e gli occhi persi. 
«Sentite», Camylla si fermò improvvisamente, bloccandosi sul bordo del marciapiede: puntò le proprie mani difronte al petto mentre cercava di controllare la respirazione, «Ve lo dico per l'ennesima volta, sperando possa essere l'ultima: voglio starne fuori».
«Sì, peccato che..», Theo stava allargando le mani con fare ovvio in modo teatrale mentre la sua voce stava prendendo una piega beffarda.
«Che mi avete registrata?», decise di continuare la frase, anticipandolo e prevedendone inevitabilmente le parole, «Non m'interessa, e oh! A proposito, vogliamo parlare di quello che ci siamo detti?», Camylla appoggiò entrambe le mani sui fianchi, in attesa. Cercò di sfidare Theo con lo sguardo, sicura di ciò che stava dicendo: lui stesso aveva ammesso di aver tenuto Alyssa all'oscuro dalla vera motivazione che lo stava spingendo a compiere un gesto irresponsabile.
«Non ci provare!», Theo si mosse in avanti, puntandole il dito indice contro con occhi sottili e minacciosi.
«Basta!», per la prima volta a parlare fu Nathan, che stava appoggiando la sua mano sul braccio di Theo, spingendolo ad abbassarlo.
«Non so che cosa sia successo ma volevo farti presente una cosa», la voce alta e squillante di Alyssa sovrastò addirittura il frastuono che le macchine stavano provocando sfrecciando a velocità sulla strada: puntò i suoi occhi in quelli di Camylla, ghiacciandola sul posto. Bloccandole il respiro. «Io non avrei mai voltato le spalle ai miei amici». 
«Scusa?!», Camylla era incredula: aveva gli occhi sbarrati, un sorriso leggero ad incorniciarle il volto, la bocca asciutta. Il tono della voce mostrava perplessità. Delusione. Trascorsero diversi secondi prima che Camylla potesse riuscire a parlare: cercò brevemente di riordinare una parte delle idee, provando a ragionare lucidamente nonostante un velo di consapevole tristezza si stava insinuando tra i pensieri. «Io non avrei mai coinvolto un'amica in tutto questo!».
«Quanto la fai lunga!», Theo gesticolò con il braccio sinistro, portandolo sopra le testa che stava inclinando leggermente.
«Ma vi sentite quando parlate?», istintivamente Camylla si ritrovò ad indietreggiare: era quasi intimorita dalla reazione che stavano avendo Alyssa e Theo davanti a questa insana situazione. Un gruppo di studenti le passarono affianco con camminata agile e notò che un ragazzo stava cercando di leggere l'ora sull'orologio al polso.
«Camylla, andrà tutto bene. Perchè ti preoccupi così tanto?», Alyssa tornò ad addolcire il tono della voce, sorridendo debolmente mentre mosse un passo in avanti in direzione di Camylla, «Preferiresti far rimanere suo padre in prigione?», distrattamente indicò Nathan che era tornato con entrambi le mani in tasca.
«Per favore!», Camylla scosse la testa, sorridendo nervosamente, «Non è neanche sicuro che vada in prigione! E ti ricordo che è difeso da Lucas», non credeva possibile che, nonostante tutto, fossero ancora lì a parlare di quel maledetto piano che aveva già cominciato a portare problemi prima ancora di essere stato messo in atto.
«E se fosse tuo padre ad essere in  quella situazione?», stavolta Theo parlò piano, quasi sottovoce.
«Aspetterei la sentenza e in caso negativo, cercherei un modo alternativo per farlo uscire», stava gesticolando intenta a farsi capire: voleva solamente che i suoi amici riuscissero a comprendere lo stato d'animo di agitazione che quella situazione le stava creando. 
«E se fossi nella mia di situazione?», ancora una volta Theo sussurrò una domanda lenta e precisa, con sguardo deciso e pugni serrati lungo i fianchi.
«Chiederei aiuto ai miei amici», Camylla potè sentire chiaramente lo sguardo incerto ed interrogativo di Alyssa perforargli il cranio ma cercò di non darne peso, «Sicuramente non rap..», dovette bloccarsi prima di guardarsi intorno furtivamente per accettarsi che nessuna persona a loro limitrofa stesse ascoltando. Tossicò leggermente, prima di riprendere a parlare, «Sicuramente non farei quello che vorreste fare».
«Non pensavo ti saresti comportata così», Alyssa parlò piano, fissando Camylla negli occhi: scrutandola in ogni movimento nascosto, in ogni parola non detta, in ogni lacrima racchiusa nell'iride pronta ad esplodere, «Gli amici prima di tutto», stava scuotendo la testa, come a voler rafforzare  la propria delusione.
«Potrei dirti la stessa cosa», Camylla sorresse lo sguardo, aggrappandosi disperatamente ad una piccola luce di speranza che stava cercando di intravedere attraverso gli occhi spenti e tristi di Alyssa, «Strano, vero?!».
«Però non ho ancora capito quali sono le tue intenzioni», Theo inclinò la testa di lato, assumendo un aria curiosa mentre le curve delle labbra si stavano aprendo in un finto sorriso, «Ci denuncerai?».
«La mia intenzione è di starne fuori», Camylla ci tenne a precisarlo ancora una volta, mentre il suo peso si stava spostando dal piede destro a quello sinistro, «E per quanto mi fossi ripromessa di farvi ragionare, mi sto rendendo conto che perderei solo tempo», ormai l'arrendevolezza stava prendendo il sopravvento, escludendo all'esterno ogni possibile prova, «Perciò fate quello che vi pare ma non coinvolgetemi».
«Adesso basta», era la seconda volta, quella stessa mattina, che Camylla potè sentire la voce di Nathan: se ne era stato in disparte ad osservare, perso tra i pensieri, racchiuso tra gesti non fatti e parole non dette, «Andiamo a lezione».
Camylla si ritrovò ad osservare Nathan: la conversazione avvenuta solamente qualche ora prima, durante la notte, le apparì nitida e ben visibile alla mente. Col senno di poi, stava riuscendo a catturare il tono di voce preoccupato che aveva usato per comunicargli la possibile sconcertante scoperta; stava immagazzinando lo sguardo assente, le mani titubanti. La sensazione di aver deluso Nathan si stava impadronendo del controllo, insinuandosi nelle ossa. Scorrendo come sangue nelle vene.

Con passi svelti e decisi, Camylla stava cercando di raggiungere la panchina su cui era seduto Thomas: le aveva scritto un messaggio, indicandone il punto esatto e le direzioni da seguire. Il vento sembrava voler dar tregua, rallentando il soffio; contrariamente  le nuvole si stavano presentando più colme d'acqua, in procinto di rilascarla andare.
In lontananza vide una mano allungarsi nella propria direzione: ricambiò il saluto sorridendo visibilemente e accelerando il passo cercò di raggiungere Thomas nel minor tempo possibile.
«Ciao straniera», Thomas le sorrise, spostandosi leggermente verso destra per poter far spazio a Camylla.
«Ciao», Camylla le diede un furtivo bacio sulla guancia prima di lasciarsi malamente andare sulla panchina: era letteralmente distrutta.
«Ti vedo provata. Che succede?», tirò fuori da una piccola busta trasparente, un'involucro contenente un panino. Ne addentò un morso, in attesa di risposta.
«Lezione è stata devastante», scosse la testa rendendosi conto di aver afferrato la metà dei concetti che il professore aveva spiegato con  dedizione: avrebbe dovuto contattare qualche studente frequentante del corso per poter ampliare gli appunti e poterci studiare.
«E poi?», Thomas parlò mentre un pezzo di panino veniva vigorosamente masticato senza ritegno.
«E poi sono giornate difficili», si passò una mano tra i capelli, decidendo di sfare la coda e lasciare liberi i capelli nella speranza che potessero donare un minimo di calore al collo. «Anche oggi niente Università?».
Thomas scosse la testa in segno di negazione mentre stava cercando di afferrare un tovagliolino per potersi togliere un macchia di senape caduta sul mento.
«Hai intenzione di tornarci, prima o poi?», Camylla si rilassò con la schiena sulla panchina cercando di far rilassare anche la testa colma di pensieri confusi.
«A parte che la mia carriera da chef sta prendendo il volo», Thomas sorrise, cercando di coprire la bocca con la mano libera, «E comunque lo sai che mi sono iscritto solo perchè voleva Savanna», un altro morso al panino, che stava arrivando alla metà esatta.
«Sì e non credo rimarrà contenta quando scoprirà che non ci stai andando», decise di tirare fuori dalla borsetta un piccolo snack da mettere sotto ai denti.
«Mi fai pena!», il ragazzo commentò con disgusto la barretta avena e cioccolato che Camylla stava tentando di aprire, «Ma tornando a noi, io e Savanna ci siamo lasciati perciò l'Università non sarà più un mio problema», Thomas alzò le spalle, continuando a degustarsi i morsi che stava addentando al panino.
«Cosa?!», Camylla bloccò il suo intento, rimanendo con le mani a mezz'aria, davanti al petto: la fronte corrugata e gli occhi sbarrati. «Ma se ieri sera, cioè quando è successo?».
«Ieri sera», Thomas sorrise mettendo da parte il cibo ed afferrando una bottiglietta d'acqua, «Mi ha sentito parlare al telefono con te ed ha ricominciato con i soliti discorsi», bevve un sorso, asciugandosi con il dorso della mano.
«E' sempre stata fastidiosamente gelosa!», Camylla assottigliò gli occhi, osservando al meglio Thomas, «Ha cercato più volte di farci allontanare e ancora continua imperterrita?!».
«Sì, dice che non sono normali le telefonate durante la sera tardi», scosse la testa, mentre Camylla sorrideva sconsolata ed allibita da ciò che aveva appena udito, «Così ieri mi ha definitivamente messo davanti ad una scelta: o lei o te», allargò le mani davanti al petto, rassegnato dalla decisione presa.
 «Non ci posso credere!», dette un piccolo morso alla barretta, evitando di disperdere le briciole sui pantaloni, «Mi dispiace», Camylla si sentiva felice: per la prima volta dopo giorni intensi e particolarmente snervanti, finalmente in quell'esatto momento credeva di essere in pace; di aver ricevuto l'affetto necessario che le stava venendo meno; di avere ancora affianco una persona su cui poter contare.
«No, non è vero», Thomas sorrise debolmente, agitando l'indice davanti agli occhi.
«No, vabbè..», Camylla si fermò a ricambiare il sorriso, leggermente imbarazzata, «Nel senso che mi dispiace se stai soffrendo. Ecco».
«Se in questi mesi non è riuscita a capire l'importanza della nostra amicizia allora significa che non mi ha conosciuto affatto», stava parlando serenamente, senza fretta. Misurando il peso delle parole, mischiando il celeste delle sue iridi in quelle castano di Camylla, «Quindi è meglio così», annuì con la testa come a voler accentuare la propria convinzione nell'affermazione.
«Non hai intenzione di darle un'altra possibilità?», Camylla incrociò la gamba destra sotto la sinistra mentre cercava di appallottolare la carta della barretta ormai finita.
«Non adesso», Thomas riafferò il panino appoggiato sulla carta, «La reazione avuta ieri sera mi ha dato da pensare quanta poca fiducia abbia nei miei confronti», un leggero morso.
«Magari sta vivendo un periodo più stressato?!», storse il naso nel pronunciare la domanda.
«L'hai detto tu stessa: non è la prima volta che ha comportamenti simili», si passò la lingua sulle labbra per riuscire ad afferrare una briciola scappata al morso, «Eppure io credo di averle sempre dimostrato di potersi fidare».
«Sì, beh, sei sempre stato un “fidanzato modello”», mimò con le dita le virgolette sulle ultime due parole, abbozzando un sorriso.
«T'immagini poi, io medico?! Ma quando mai!», sorrise apertamente, «Eppure per lei mi ero iscritto all'Università», si ritrovò ad alzare le spalle, con la testa bassa e lo sguardo ad osservare il panino tra le mani.
«Mi dispiace di aver chiamato ieri sera», Camylla si mosse impercettibilmente sulla panchina, incominciando a sentirsi a disagio difronte allo sguardo dispiaciuto di Thomas.
«Figurati! Se non avesse sclerato ieri lo avrebbe fatto oggi, o domani», Thomas alzò lo sguardo in direzione di Camylla, cercando di trasmetterle tranquillità.
«Ok, allora è meglio dire che mi dispiace essere la causa della vostra rottura», stavolta toccò a Camylla abbassare lo sguardo, consapevole di una verità palese che le stava donando una sensazione fastidiosa.
«Smettila subito!», allungò una mano per poggiarla delicato sul ginocchio di Camylla, «Il problema non sei te, e lo sai. Perchè Matthias non ha mai fatto queste storie?!», Thomas stava parlando lentamente. Sinceramente.
Camylla rimase con lo sguardo basso, fisso su quella mano leggera che stava cercando di rasserenarla, trasmettendole una sensazione di benessere provvisorio: nonostante le parole dell'amico, in una piccola parte del suo corpo stava cercando di venir fuori e farsi sentire, un senso di colpa non innocente; la remota possibilità che la causa della tristezza momentanea di Thomas potesse derivare anche per colpa sua, si stava ampliando con facilità disarmante, rendendo reale una situazione dettata fino a quel momento, solo a parole.
Il leggero fruscìo del vento era l'unico rumore che li stava circondando, avvolgendoli in un limbo che oscillava tra la leggerezza e la consapevolezza che quella tranquillità sarebbe terminata da lì a breve. 
«Scusa, io non..», Thomas si sporse in avanti, cercando di catturare con il proprio sguardo, gli occhi di Camylla, «Non volevo nominarlo», concluse con imbarazzo nella voce.
Camylla scosse la testa quanto bastava per potersi scrollare di dosso quel fastidio insidioso che stava avendo il potere di soffocarla, «Come?», chiese, voltandosi leggermente e trovando degli occhi celesti a rilassarla improvvisamente.
«Non volevo tirar fuori lui», sorrise debolmente, cercando di marchiare con più decisione quel pronome personale volto a mascherare un nome ancora troppo lucido, «Volevo solo farti capire che è stata Savanna l'unica a non comprendere la situazione», sollevò la mano dal ginocchio di Camylla per poter avere la possibilità di muovere il dito indice tra la sua direzione e quella della ragazza.
«Oh, non preoccuparti», Camylla si ritrovò ad inclinare gli angoli della bocca, gesticolando con la mano destra: con quel gesto sembrava voler scacciare via lo sguardo incerto dal volto di Thomas, «Matthias l'ho visto ieri sera».
 «Eh?!», Thomas stava tornando ad addentare il piccolo pezzo di panino rimasto, bloccandosi a metà nel sentir pronunciare nitidamente l'ultima parte di frase da Camylla, «E me lo dici adesso? Così?».
«Stavamo parlando di cose serie», Camylla alzò le spalle mentre involontariamente stava giocando con una piccola pellicina presente all'angolo dell'unghia del pollice sinistro.
«Questa è una cosa seria», l'ammonì scherzosamente Thomas, masticando rumorosamente, «Che poi, neanche lui mi ha ancora detto niente», socchiuse gli occhi come a volersi ripromettere mentalmente qualcosa, «Ma comunque racconta, avanti!».
 «E' stato un'incontro casuale avvenuto dopo la telefonata», si passò una mano tra i capelli, accorgendosi che il leggero movimento del vento stava facilitando la creazione di nodi.
«Quella telefonata è stata la svolta», rise apertamente mentre uno sguardo serio cercava di rimanere tale facendo intendere essere stata una pessima battuta. Thomas fu costretto a tossire per riprendere il controllo della situazione, mimando un debole “scusa” prima di completare il panino.
«Stavo tornando a piedi a casa e lui mi ha dato un passaggio», Camylla stava infilando una mano nella borsetta per poterne estrarre un pacchetto di sigarette.
«E..», Thomas inclinò il labbro sinistro, strizzandone l'occhio: era intento ad afferrare dalla busta un pezzo di pizza ma cercò di dedicare la piena attenzione all'amica.
«E niente, anzi», dovette premere sull'accendino una seconda volta perchè il vento le aveva spento la fiamma, «Ha avuto una reazione strana non appena ha notato Nathan davanti al portone di casa», Camylla aspirò lentamente il fumo della sigaretta mentre immagini nitide e ben marchiate le passavano ininterrottamente davanti agli occhi: lo sguardo di Matthias, la voce di Matthias, i gesti di Matthias. Il messaggio ricevuto al quale non aveva risposto.
«Aspetta un secondo», Thomas stava posando la pizza sopra un pezzo di tovagliolo, voltandosi meglio in direzione di Camylla, «Che ci faceva Nathan sotto casa tua? Cioè, sapevi che ci sarebbe stato?».
«No, voleva parlarmi di suo padre», Camylla rispose distrattamente, ancora avvolta tra i ricordi di un'incontro di cui avrebbe voluto poterne cambiare il finale. Il vento a consumargli una sigaretta tenuta debolmente tra le dita.
«No, no Cam, così no», si pulì velocemente le mani strusciandole tra loro, «In questa maniera mi perdo e basta quindi adesso racconti tutto, nel dettaglio, senza farti pregare», appoggiò il gomito sulla spalliera alta della panchina, in attesa. «Grazie», aggiunse sorridendo subito dopo.
«Non te l'ho detto del caso di suo padre?», si voltò in direzione dell'amico, osservandolo con la fronte corrugata a formargli piccole piaghe della pelle.
Thomas scosse la testa in segno di negazione, «Non mi racconti più niente», si allungò in avanti per afferrare la sigaretta che ormai Camylla aveva smesso di fumare.
«Lucas mi sta facendo lavorare ad un caso di omicidio in cui è coinvolto il padre di Nathan», Camylla stava parlando lentamente, colpita affondo dalle parole di Thomas: ancora una volta si rese conto di essere spettatrice inerme della sua stessa vita, lasciando che gli eventi facessero il loro corso senza reagire. «Ma ho scoperto essere stato Nathan stesso a chiedere a Lucas di farmici lavorare», una smorfia nacque spontanea sul volto di Camylla al ricordo della conversazione e al motivo susseguito legato al coinvolgimento.
«E perchè l'avrebbe fatto?», Thomas socchiuse gli occhi mentre del fumo stava circondando l'aria limitrofa.
«Perchè così facendo posso tenerlo aggiornato sui fatti», si ritrovò a sospirare, «E la cosa peggiore è che ho preso un fascicolo di nascosto dallo studio e l'ho dato a Nathan», Camylla si morse il labbro inferiore, chiudendo gli occhi per evitare di poter incontrare lo sguardo severo di Thomas.
«Scusami? Potresti ripetere?», Thomas tossicò talmente tanto da dover afferrare la boccetta dell'acqua per poterne bere un sorso, «Che avresti fatto?!».
«Sono stata stupida, lo so ma mi sono lasciata convincere», Camylla appoggiò entrambi i gomiti sulle ginocchia, lasciando che la testa le ricadesse ciondolona in avanti, «Ho intenzione di dirlo a Lucas dopo», un sussurro debole dettato da una consapevolezza imminente. Necessaria.
«Perchè?», lanciò lontanto la sigaretta ricevendo uno sguardo di rimprovero da parte di Camylla: per tutta risposta Thomas si ritrovò ad alzare le spalle, indicando la posizione in cui si trovavano.
«E' complicato e non dovresti saperlo», Camylla ritornò con lo sguardo su quell'erba umida schiacciata al terreno dai passanti: la sensazione di stanchezza stava tornando a farsi sentire prepotentemente; tutta quella situazione aveva il potere di far sentire Camylla inerme. 
«Non starai per caso cercando di dirmi che c'entra la rapina, vero?», Thomas si mosse in avanti, aspettando una risposta nonostante il tono della voce nascondesse debolmente la conoscenza della verità.
«Sssh», Camylla scattò con la testa, cominciando a guardarsi intorno con occhi sbarrati: nessun passante era relativamente vicino da aver potuto sentire ciò che Thomas aveva pronunciato, «Ma ti pare?!», allargò le mani, rimproverandolo con un tono accusatorio.
«Sì, ok ma rispondi», tagliò corto il ragazzo, noncurandosi della preoccupazione dell'amica.
«Va bene», Camylla chiuse gli occhi, sospirando a pieni polmoni: nonostante sapesse di star commettendo un errore coinvolgendo indirettamente anche Thomas, in quel momento parlarne ad alta voce le sembrava la soluzione perfetta. Si sistemò al meglio sulla panchina scomoda, voltandosi alla sua destra per poter guardare attentamente la reazione che avrebbe avuto Thomas. «Nathan vorrebbe farlo per poter riuscire a pagare la cauzione qualora suo padre dovesse finire in prigione», alzò il pollice verso l'alto cercando di non tralasciare niente di fondamentale, «Il tuo amico Theo - che adesso sta con Alyssa - lo vorrebbe fare perchè ha un debito di gioco», alzò anche il dito indice, osservado lo sguardo di Thomas farsi sempre più allibito e confuso, «Alyssa perchè è Alyssa», alzò anche il medio prendendosi qualche secondo per poter respirare.
«Questo è assurdo!», Thomas stava scuotendo la testa.
Camylla cercò di ignorarlo, continuando a spiegare, «Quindi Nathan vorrebbe che io gli passassi le informazioni sul caso ma qualora Lucas dovesse perdere in tribunale, avrebbe i soldi necessari», stava parlando velocemente: quella verità pronunciata ad alta voce risultava essere nettamente più pericolosa e minacciosa. Una sitazione irreale. «E Theo..», Camylla si ritrovò a sorridere amaramente distrutta, «Beh Theo mi ha registrata rendendomi complice del piano qualora decidessi di denunciarli alla polizia», concluse unendo le mani con uno schiocco sordo mentre scuoteva la testa: aveva appena commesso l'ennesimo errore della sua vita.
Tra loro calò il silenzio: in sottofondo stavolta era possibile udire un bisbiglio lontano e confuso di qualche persona che stava conversando; il vento aveva ripreso a soffiare aumentando le raffiche e staccando prepotentemente le foglie dai rami; le nuvole minacciavano di esplodere da un momento all'altro.
«Fammi capire», Thomas stava parlando piano: un tono di voce delicato. Preoccupato. «Stiamo parlando dello stesso Theo? Lui ha un debito di gioco?», Camylla lo vide deglutire a fatica e per tutta risposta si ritrovò ad annuire con la testa. «E non ho capito la registrazione, la polizia, il denunciare», socchiuse gli occhi, passandosi una mano tra i capelli.
«Voglio starne fuori, ok? Ma loro insistono», Camylla stava parlando con stanchezza assurda: stava trasmettendo il suo nervosismo. «Mi hanno coinvolto perchè pensavano avrei accettato senza storie», si ritrovò a scuotere la testa, alzando distrattamente un braccio, «E adesso mi stanno ricattando: se vado alla polizia ci sono prove sufficienti del mio coinvolgimento», Thomas sembrava essere immobile, cercando di comprendere appieno ogni singola parola, «Mentre se durante il piano dovessero venir presi, verrebbero comunque fuori le prove in cui si evince di quanto io fossi a conoscenza», Camylla si ritrovò ad abbassare la testa: si stava rendendo sempre più conto di quanto quella situazione stretta non lasciasse intravedere nessuna luce. Si stava rendendo conto di quanto la gabbia fosse piccola dove non vi era possibile compiere nessun movimento.
«Ma  hai provato a..», Thomas cercò di prendere parola dopo aver osservato attentamente Camylla.
«A farli ragionare? Secondo te?!», Camylla sbuffò sonoramente, facendo perno sulle gambe per potersi alzare in piedi, «Che facciano ciò che vogliono, sanno benissimo a cosa vanno incontro», stava alzando il tono della voce sotto l'occhio vigile di Thomas. Stava gesticolando nervosamente. «Basta che mi lascino in pace! Per questo dopo andrò da Lucas e gli dirò di togliermi dal caso», si bloccò difronte all'amico, incrociando le braccia al petto, «Questo è un primo passo».
«Non esiste, insomma voglio dire..», anche Thomas abbandonò la posizione seduta per potersi alzare in piedi e raggiungere Camylla, «Ti rendi conto dell'assurdità della situazione?». 
«Sarei così, altrimenti?», Camylla si indicò cercando di far capire a Thomas il proprio stato d'animo: erano giorni ormai che era costretta a convivere con pensieri capaci di togliere il respiro, le forze, le energie. Erano giorni che viveva di sensazioni contrastanti, pericolose, in grado di annientare. Erano giorni che non riusciva a reagire.
«Dobbiamo fare qualcosa», allargò le braccia davanti al petto, con fare ovvio.
«Tu», Camylla puntò contro il proprio indice destro, assottigliando lo sguardo, «Non dovrai fare un bel niente».
«E pensi che dopo aver saputo tutto questo io me ne stia zitto e buono in disparte?», Thomas incrociò le braccia al petto, assumendo uno sguardo beffardo ed il sopracciglio alzato.
«Sì, anzi lo spero», cercò di addolcire lo sguardo, pregandolo silenziosamente affichè potesse ascoltarla. «Dovresti essere all'oscuro di tutto. Se sapessero che ti ho raccontato, chissà come reagirebbero», Camylla riprese a camminare avanti ed indietro nervosamente, imprecando mentalmente: non avrebbe dovuto coinvolgere Thomas in una situazione più grande di lei ma l'idea di tenerlo all'oscuro le lacerava lo stomaco.
«Non me ne frega! Non lascerò che Theo commetta una cazzata dal genere», Thomas stava alzando la voce, rimanendo immobile sul posto ad osservare Camylla.
«Thomas ti prego, ho già un sacco di problemi», Camylla fu costretta a fermarsi nuovamente davanti all'amico: i suoi occhi stanchi stavano cercando di trasmettere ansia e nervosismo; i suoi movimenti scoordinati, agitazione; le parole non dette erano preghiere da ascoltare. «Non peggiorare la situazione».
«Io sarei un problema, adesso?», il tono di voce non riuscì a nascondere lo stupore; lo sguardo accigliato e la bocca aperta ne rendevano l'espressione un dolore lancinante al cuore di Camylla.
«No, certo che no! Non ho detto questo», si ritrovò a mordere il labbro inferiore, indecisa sui gesti da compiere, «Senti, anche io sono preoccupata, ok? Dovesse succedere qualcosa ad Alyssa, io..», Camylla non riuscì a finire la frase, mentre nella sua mente si stavano riproponendo possibili scenari dell'eventuale rapina, «Ma davvero, non li riconosceresti se li vedessi e sentissi adesso».
«Questo non è un motivo per lasciarli fare», Thomas appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Camylla, osservandola attentamente.
Camylla scosse la testa, arresa dalla determinazione insana dell'amico: fu costretta a socchiudere gli occhi, incapace di sorreggere quel celeste profondo volto a comprendere e trasmettere più di quanto sapessero fare le parole; fu costretta a sospirare sonoramente, mentre una consapevolezza aveva cominciato ad attaccarsi alle ossa. «Parlerò io con Theo, va bene?», riaprì debolmente gli occhi, deglutendo a fatica, «Tu però promettimi che non farai niente».
«Grazie», Thomas l'avvolse in un abbraccio caloroso, sicuro. Familiare. La strinse a sè, accarezzandole i capelli sciolti. E Camylla si lasciò cullare da quell'affetto necessario che riusciva a calmarla almeno temporaneamente. Si ritrovò a puntare gli occhi al cielo, reso visibile a tratti dai movimenti sconnessi dei rami, per evitare che alcune lacrime solcassero il volto: era riuscita a prendere una decisione imporante, e si era rivelata una decisione sbagliata; ad ogni passo falso la gabbia sembrava stringersi di più, bloccandole il respiro. Le sembrava di correre all'interno di un cerchio perfettamente chiuso. Sigillato.
«Adesso devo andare da Lucas o farò tardi», Camylla sciolse quell'abbraccio necessario, allontanandosi da Thomas e dalla sua sicurezza. «Non volevo coinvolgerti, io non..», sospirò, scuotendo debolmente la testa, «Cercherò di risolvere, non preoccuparti», afferrò la borsa accorgendosi del rumore della vibrazione all'interno di esso: ne estraesse il cellulare, il cui schermo illuminato presentava il nome di Lucas. Si picchiò una mano sulla fronte imprecando silenziosamente.
«Vai e salutami Gabriel», Thomas le strizzò l'occhio destro mostrandole apertamente un sorriso che Camylla non tardò a ricambiare seppur più stancamente. Lo salutò con la mano prima di voltarle le spalle e cominciare a correre in direzione dello studio.
«Ti voglio bene», Camylla sentì la voce di Thomas arrivarle distrattamente ma furono queste semplici parole a farla sorridere davvero, rincuorata. Le diedero la spinta per accelerare il passo; le diedero la forza per affrontare il capo. Le diedero la speranza di poter trovare davvero una soluzione.

Quando la porta scorrevole dello studio si aprì dinnanzi a lei, Camylla vi entrò energica cercando di accorciare ulteriormente il ritardo che fino a quel momento era di sette minuti e trentradue secondi.
«Salve signora Shaw», Camylla le sorrise distrattamente, salutandola con la mano libera: il respiro affannoso le stavano facendo intendere essere fuori allenamento.
«Buongiorno», il rossetto rosso accesso stonava nettamente con la maglia verde fluorescente che quella mattina Naomi aveva deciso di indossare, «Corri subito in ufficio», le sorrise mostrandole una chewing gum masticata tra i denti prima di alzare la cornetta del telefono.
Camylla la ringraziò con un cenno della testa, percorrendo a grande falcate il corridoio che portava alla grande stanza a vetri: in quel tratto cercò di regolarizzare al meglio il respiro e cercò di assumere uno sguardo rilassato e sereno.
Bussò delicatamente e per cortesia, nonostante Lucas fosse appoggiato al bordo della scrivania con le braccia e le gambe incrociate, ad osservarla.
«Salve signor Price, mi spiace essere in ritardo», Camylla si richiuse la porta alle spalle approfittandone per riprendere l'ennesimo respiro profondo. Socchiuse gli occhi decidendo di voltarsi lentamente.
«Evans», Lucas le ricambiò il saluto accentuando il cognome con l'inclinazione laterale della testa, «Cerca di essere più puntuale la prossima volta», afferrò dalla scrivania una piccolo taccuino iniziando a sventolarlo difronte agli occhi: cominciò a sfogliarlo, soffermandosi su di una pagina. Camylla vide Lucas estrarre dal taschino della giacca blu scuro una penna argentata lucida, il cui inchiostro si stava depositando a caratteri piccoli sul foglio precedentemente bianco.
«Sì, ha ragione», Camylla stava muovendo la testa come a voler rafforzare le sue scuse e il suo dispiacere: sapeva che non avrebbe più dovuto ritardare, per nessuna ragione al mondo.
«Bene, allora..», con una leggera spinta del fianco, Lucas si staccò dal bordo della scrivania per percorrerne il contorno e raggiungere la sedia nera in pelle, «Che cosa sai dirmi di nuovo del caso Mills-Foster?», si mise a sedere, appoggiando i gomiti sulla lastra di vetro, in attesa di risposta.
Camylla si ritrovò a deglutire prima di passare velocemente la lingua in mezzo alle labbra. Si mosse impercettibilmente in avanti, consapevole di star affronttando un argomento che avrebbe potuto portare contrasti.
«Ecco, a proposito di questo, io..», stava gesticolando con le mani mentre la voce risultava essere debole persino alle proprie orecchie, «Vorrei abbandonare il caso».
«Per quale ragione?», Lucas appoggiò la schiena alla sedia, incrociando le gambe e unendo le mani davanti alla bocca: lo sguardo attento con occhi che avevano cominciato a scrutare attentamente.
«Mi crea delle difficoltà», Camylla stava parlando lentamente, con un tono di voce debole: non sapeva come giustificare nel dettaglio la propria scelta senza lasciar trapelare niente di particolarmente compromettente.
«Delle diffcoltà in che senso?», stava dondolando, oscillando prima a destra e poi a sinistra, «Con chi?».
«Conoscendo il figlio mi risulta strano doverci lavorare», decise di muoversi in avanti, raggiungendo la sedia posta difronte a Lucas: si sedette lentamente, quasi timorosa del gesto che stava compiendo.
«E questa stranezza è venuta fuori soltanto adesso?», stava continuando ad osservarla in ogni gesto e movimento, con massima discrezione. Tamburellando con le dita della mano ancora davanti allo sterno.
Le domande insidiose di Lucas stavano mettendo in agitazione Camylla più del previsto. «No, certo che no però diciamo che in questo utlimo periodo ho avuto modo di conoscere meglio Nathan», accavallò le gambe per tornare nella posizione iniziale subito dopo: i palmi delle mani strusciavano sulle maniglie di pelle lucida della sedia; i suoi movimenti 
incerti e la sua voce sottile non rendevano solide le proprie difese.
«Quindi fammi capire», Lucas bloccò il movimento ondulatorio della sedia, fermandosi difronte a Camylla, «Davis non è tuo suocero ma vuoi abbandonare il caso per il rapporto instaurato con Nathan».
«Sì, esatto», Camylla dovette schiarirsi la voce per poter riuscire a farsi sentire.
«C'è ancora qualcosa che non riesco a capire», stava sorridendo beffardamente, gesticolando con l'indice della mano sinistra, «Per questo continuerai a lavorarci».
«Davvero signor Price, io prefe..-», Camylla si spostò talmente tanto da riuscire ad arrivare al bordo della sedia, in procinto di alzarsi in piedi e mettersi a camminare nervosamente avanti e indietro.
«E sappi una cosa», fu Lucas ad interromperla, facendo perno sulla mani aperte posizionate sul vetro della scrivania e sollevandosi in piedi, «Se farai parola del caso con Nathan, infrangendo il segreto professionale, non metterai più piede in questo studio», la voce era forte, decisa. Cruda. Gli occhi erano sicuri, assottigliati ma profondi. «E chissà, magari in nessun'altro studio», allargò le mani davanti al petto con fare ovvio prima di tornare seduto sulla poltroncina. «Quindi dicevamo, hai novità?».
Camylla si ritrovò a sospirare sonoramente mentre con la testa annuiva debolmente: il piano che si era preposta ed immaginata non stava seguendo la linea temporale giusta; gli avvenimenti stavano prendendo una piega differente da quelli sperati e desiderati; la sua sicurezza stava svanendo velocemente via, lasciando spazio ad una sensazione di debolezza e fatica mentale. Le sembrava di correre nonostante si trovasse legata alle caviglie con catene di ferro; le sembrava di respirare sotto l'acqua facendo sì che le se riempissero i polmoni. Si aggrappava ad ogni fragile appiglio, riuscendo a spezzarlo, rotolando sempre più in basso.

Camylla afferò l'ultimo quarto di pizza prima di osservarlo attentamente e riposizionarlo sul cartone unto: si pulì le mani al tovagliolo, pronta a bere il bicchiere d'acqua posizionato difronte a lei ancora pieno. 
«Quindi sei nella merda?», la voce di Thomas le arrivò distratta ma ben udibile.
«Esattamente», si asciugò con la manica della felpa una gocciolina d'acqua che stava scivolando sul mento, «Che poi non avevo niente di nuovo da dire sul caso quindi ti lascio solo immaginare», nel riposizionare il bicchiere sul tavolo, ci mise più forza del dovuto, provocando un rumore sordo.
«Hey, così mi farai perdere l'udito», non seppe spiegarne il motivo ma Thomas stava quasi urlando anzichè parlare con una tonalità considerevole.
«Scusa, ma sei in vivavoce», nonostante non potesse vederlo, Camylla si ritrovò istintivamente ad alzare le spalle e sorridere debolmente: si accorse di quanto il proprio cellulare fosse a pochi centimetri dal bicchiere.
«Cosa pensi di fare, adesso?», Camylla era pronta a scommettere che anche Thomas fosse in procinto di cenare, considerando il rumore di quelli che sembravano essere piatti posizionati sulla tovaglia.
«Non ne ho la più pallida idea!», morsicò il pezzetto di pizza, masticando rumorosamente: qualche ora prima, sotto il getto di acqua calda, aveva provato a dare un senso agli ultimi avvenimenti riuscendo solamente a trovare soluzioni sciocche ed inutili. Non era capace di pensare lucidamente, non riusciva a trovare la spinta giusta per poter affrontare quella situazione soffocante che lentamente aveva il potere di schiacciarla a terra. 
«Come ci sei finita così?!», la voce debole e preoccupata di Thomas ebbe come reazione uno sbuffo da parte della ragazza.
«Vorrei saperlo anch'io», scosse la testa, arresa ad un senso di colpa vivido e prepotente: perchè per quanto si rifiutasse di ammetterlo ad alta voce, Camylla era pienamente consapevole di essere stata complice di quel suo stesso vortice pericoloso, rimanendo ad osservare in disparte anzichè reagire al momento opportuno.
«Dimmi che troverai una soluzione», e quella risuonò a Camylla come una preghiera silenziosa; una forza nascosta necessaria per difendersi.
«Sì, Little T», si passò una mano tra i capelli sciolti, cercando di nascondere un sospiro nervoso, «Adesso però ti saluto: ho voglia di sdraiarmi sul divano e non pensare a niente».
«Va bene, ci sentiamo domani allora», Camylla percepì un rumore secco ed improvviso che la fece sobbalzare sulla sedia, seguito da un “cazzo” pronunciato a denti stretti. «Mi è caduta la pasta in terra».
«Che chef pasticcione», la ragazza si ritrovò a sorridere, alleggerendo per qualche istante le proprie spalle dallo stress e dall'ansia accumulate in quelle ultime ore. Sentì sorridere anche Thomas tra i vari vetri che si scontravano tra loro durante la pulizia. «Ah, chiama Savanna!», Camylla riattaccò prima che l'amico potesse aver modo di replicare: nonostante tutto, sapere che Thomas non era tranquillo e sereno come avrebbe dovuto essere, la faceva sentire peggiore di quanto già non lo era.
Afferrò il bicchiere ormai vuoto per posizionarlo all'interno del lavabo quando il suono leggero del campanello le fece bloccare l'azione a metà: si mosse velocemente, incuriosita nello scoprire chi si trovasse dall'altro lato della porta.
«Chi è?», cercò di individuare la persona attraverso lo spioncino ma il buio già calato rendeva impossibile identificarne l'entità.
«Sono Nathan», la voce squillante del ragazzo arrivò fresca alle orecchie di Camylla che si ritrovò interdetta con la mano sulla maniglia: non richiedeva l'ennesimo confronto a parole; non avrebbe sopportato di sentirsi nuovamente in trappola; non aveva le forze per riuscire ad affrontarlo. «Ti ruberò solo pochi minuti».
Camylla decise di aprire la porta, ritrovandosi difronte un Nathan che sembrava essere stanco. Affranto. Lo fece entrare, osservandolo in quelli che sembravano movimenti sconnessi, non pianificati. Non da lui. Il suo sguardo sembrava essere spento; il suo verde era cupo, forse triste.
«Che succede?», Camylla si fermò nel centro esatto della stanza sentendosi a disagio nella sua stessa casa; non sapendo con precisione come muoversi e in quale direzione andare.
«Volevo scusarmi per la situazione in cui ti ho messo», affondò i suoi occhi verdi nelle iridi castano di Camylla, rendendola incapace di replicare all'istante: si strinse nel cappotto marroncino chiaro, inclinando leggermente di lato la testa.
«Un pò tardi, non credi?», sorrise tristemente, passandosi una mano tra i capelli: più avrebbe voluto provare a staccare la spina, più i problemi si facevano sentire vivi.
«Te l'ho detto, sarebbe dovuto andare tutto diversamente», Nathan liberò le mani estraendole dalle tasche del cappotto per allargarle laterlamente.
«Senti, ti ho chiesto tempo ed è quello che adesso mi serve», Camylla prese a camminare nervosamente avanti e indietro, evitando di guardare Nathan negli occhi, «Vorrei potervi stare lontano per un pò, per pensare», quella frase  le uscì senza freni, spontaneamente. Non aveva mai pensato di poterlo dire ad alta voce ma in quel momento opprimente dove le cominciava a mancare l'aria, ne aveva sentito la necessità. «Tra l'altro oggi ho chiesto a Lucas di farmi allontanare dal caso di tuo padre e indovina?», si fermò davanti al ragazzo, allargando le braccia mentre i suoi occhi gridavano stanchezza.
«So che può sembrare tutto surreale ma..-», Nathan stava parlando piano, muovendosi leggermente in avanti con le mani lungo i fianchi e lo sguardo assente.
«No, no, no», Camylla stava sorridendo nervosamente, muovendo il dito indice come segno a voler rafforzare la negazione, «Questo è surreale! Mi avete incastrata! Mi avete manipolato», stava parlando a denti stretti, sputando tutto l'odio che era riuscita ad accumulare nell'arco di quei giorni trascorsi ad ingoiare bocconi amari.
«E' vero, ti abbiamo coinvolto in qualcosa di losco ma ti posso assicurare che ne uscirai pulita», le appoggiò le mani sulle spalle per bloccarle in parte quei movimenti sconnessi e poter così tornare ad osservarla negli occhi.
«Questo non puoi assicurarlo, lo capisci? Non puoi!», la voce di Camylla stava risultando alta e stonata: con un movimento secco del busto era riuscita a liberarsi dalla presa solida di Nathan, indietreggiando di qualche passo. «Mi state esasperando, mi state facendo impazzire», portò le mani alle tempie, premendo con forza e socchiudendo gli occhi: il dolore nella voce era ben udibile e si stava insediando all'interno del muro della casa.
«Pensi che per noi sia semplice?», stavolta fu Nathan ad incominciare a camminare per tutto il perimetro della stanza, «Ma dammi un'alternativa, una soltando e molleremo tutto», stava cercando con lo sguardo, gli occhi incerti di Camylla,  «Perchè mio padre potrebbe finire in prigione seriamente. Quindi tu cosa faresti?», stava parlando lentamente nonostante lasciasse trapelare un velo di nervosismo comprensibile.
«Io non lo so!», Camylla stava gridando: con le mani le cui dita erano visibilmente separate, a palmo aperto, che si stavano muovendo freneticamente; la fronte corrugata e gli occhi tristi, disperati.
«Perchè questo è l'unico modo», Nathan scelse di fermarsi nuovamente difronte a Camylla, «E noi abbiamo bisogno di te, sei  necessaria ai fini del piano», le passò una mano accarezzandole la guancia.
Camylla si rilassò istintivamente sotto a quel tocco leggero ed infuocato: rilassò le spalle, cariche di rabbia e piegate dal peso delle parole; rilassò gli occhi, lasciandosi cullare da quel verde che stava tornando ad essere limpido; rilassò le braccia lungo i fianchi, stanche di trattenere nervosismo; rilassò la testa, colma di agitazione e ansia.
Nathan accorgiò ulteriormente la distanza tra loro, arrivandole vicino al viso: Camylla ancora una volta si sentiva inerme, indifesa. In balìa totale dei movimenti di Nathan; catturata da quei gesti sottili e impercettibili. Ne poteva sentire il profumo, inebriarsi di quell'odore nuovo ma piacevole; ne poteva sentire il respiro, lento e controllato. E socchiuse gli occhi quando Nathan decise di piegarsi leggermente per poter arrivare a sfiorare le proprie labbra con quelle della ragazza.
In quell'esatto momento Camylla stava davvero riuscendo ad annullare i pensieri, se non fosse che un fastiodoso ed incessante martellamento le fece sbarrare gli occhi, spintonando Nathan indietro. «Sul serio?! Siete arrivati a questo pur di convincermi?!», nella voce di Camylla c'era delusione, dispiacere. Rammarico. «Vattene immediatamente da casa mia!».
Vide Nathan scuotere la testa in segno di negazione mentre a passi svelti raggiunse il portone.
«Lo farò, farò parte di questo stupido piano», stava parlando con disprezzo, rincarando la dose con l'indice della mano sinistra, «Ma d'ora in poi mi parlerete solo se strettamente necessario. E adesso fuori!», osservò il ragazzo aprire la porta, raffreddando ulteriormente quelle mura sorrette da angoscia e disgusto. Non si preoccupò di richiuderla sbattendola violentemente, interrompendo quel contatto visivo colmo di rabbia. 
Afferrò un piccolo soprammobile di vetro posto sulla credenza vicino allo specchio, prima di scaraventarlo a terra frantumandolo in mille pezzi: urlò con tutta la voce che aveva in corpo, facendo fuoriuscire il disagio che stava provando; gridò a gran voce, divenendo rossa in viso e provocando dolore alla testa incessante.
Si arrese all'idea reale di essere preda totale di Nathan; di essere appesa ad un filo di speranza sorretto dalle mani della stessa persona che l'aveva incastrata.






 

IM BACK!
Mi scuso per il ritardo ma eccomi finalmente qua con un nuovo capitolo. E devo ammetterlo: se siete arrivate/i fino allo spazio autrice, meritereste un vero e proprio premio! 
Spero ne sia valsa la pena. Mi sono impegnata molto affinchè le sensazioni dei personaggi potessero risultare veriterie al massimo. 
E a tal proposito, vorrei partire proprio dall'ultima scena e dalla scelta finale di Camylla: vorrei farvi capire che sta accettando di mettere a rischio il proprio futuro, per 
esasperazione. Avete presente quando un bambino piccolo vi chiede costantemente ed incessantemente una cosa? E continua imperterrito fino a che non la ottiene? Bene, questo è avvenuto. 
Poooi, che dire?! Probabilmente il padre di Nathan è colpevole ma tanto lo scopriremo perchè Lucas sta mettendo i bastoni tra le ruote a Camylla e quindi dovrà continuare a lavorarci.
Infine, - anche se non nel vero senso della parola - abbiamo Thomas che si è lasciato e che, cosa non da me, 
conosce tuttoooo!
Bene, adesso davver me ne vado. Voi, fatemi sapere.
Senza freniiii :)

Un bacio,
G.xx

 







 

 


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Capitolo 9
*** IX. ***


Capitolo IX.
6.587 parole

Sulla maglietta c'è scritto 
"stasera faccio la brava"
ma avranno già chiuso la disco
quando dirai "vado a casa".
E' sabato, i tacchi
che tanto a un metro da qui
cantando "bevilo, bevilo"
guardi ed è lunedì.

 
08 Ottobre.

Quella mattina di un venerdì qualunque, Camylla si ritrovò ad aprire gli occhi stanchi ed assonnati, controvoglia. Sbuffando incessantemente al suono assordante della sveglia e cercando distrattamente di porre fine al frastuono, tastando alla cieca con la mano sinistra, il comodino.
Decise di alzarsi, abbandonando quella calorosa e delicata posizione in cui le coperte, quella notte, erano riuscite a tenerla lontana da gesti dettati della rabbia: si sentiva così sopraffatta dalla delusione che qualche ora prima, salita in camera, avrebbe voluto sfogarsi gettando a terra qualsiasi oggetto le fosse capitato sotto mano; si sentiva così fastidiosamente manipolata, che avrebbe voluto urlare, cercando di trasmettere il proprio nervosismo anche alle pareti e al soffitto.
Decise di alzarsi, nonostante la debolezza fisica e mentale stesse predominando prepotentemente: continuare a far presenza in aula non avrebbe portato a grandi risultati se avrebbe dovuto comunque chiedere gli appunti ad altri compagni di corso ma così facendo, le sembrava di poter controllare una piccola parte della sua vita; auto-convincendosi di star costruendo qualcosa di fondamentale e necessario per il futuro, almeno in parte.
Una volta raggiunto il bagno, si osservò attentamente allo specchio, notandosi diversa: le occhiaie scure marchiavano affondo, rendendo il castano delle iridi più profondo; le labbra secche e screpolate dal freddo erano sottili, serrate; i capelli disordinati e annodati, le circondavano un volto spento. Distrutto. Anche la pelle gridava attenzioni: aveva bisogno di essere curata, aveva bisogno di distendere la tensione e potersi rilassare; si mostrava spenta, trasandata.
Socchiuse gli occhi, respirando affondo: nella sua mente apparvero nitide e scandite due semplici parole. E con quelle due semplici parole era stata in grado di abbattere qualsiasi sicurezza costruita fino a quel momento; con quelle due semplici parole dettate dalla rabbia e dall'esasperazione, era riuscita a gettare la chiave della gabbia a chilometri di distanza da lei; con quelle due maledettissime semplici parole, sperava di non aver allontanato anche l'unica persona in grado di donarle conforto e rassicurazione.
Aprì il rubinetto del lavabo, aspettando pazientemente che l'acqua divenisse calda, prima di potersi sciaquare il viso sperando di poter sciaquare via quelle preoccupazioni pesanti che la rendevano debole, incapace di reagire; sperava di riuscire a liberarsi della sensazione di soffocamento che le comprimeva il cervello, rendendola incapace di ragionare lucidamente. 
Si vestì svogliatamente, intenta a scovare una maschera che le sarebbe servita per affrontare la giornata: per evitare, almeno in parte, di rimanere totalmente inerme. Perchè, nonostante tutto, il tempo avrebbe continuato a scorrere; le giornate sarebbero trascorse; e il dolore insediato nelle vene si sarebbe mutato in cicatrice profonda. 
Si vestì con movimenti dettati dall'abitudine, non rendendosi effettivamente conto delle azioni che realmente stava compiendo; non riconoscendosi mentre afferrava distrattamente una camicetta bianca; cercando una piccola briciola di lucidità mentre si apprestava ad infilarsi un maglioncino blu scuro; sforzandosi di concentrarsi mentre cercava di abbottonarsi i jeans. 
Ancora stava cercando di capire quali sarebbero state le mosse giuste da fare per evitare di sprofondare ulteriormente nell'abisso, per cercare - almeno in parte - di tamponare quella voragine che si era andata ad aprire proprio sotto ai suoi piedi. Ancora doveva metabolizzare nel profondo ciò a cui stava andando incontro.
E in quel momento così particolarmente devastante e travolgente, era sicura di aver bisogno di una persona al suo fianco che avesse il potere di farla reagire senza farsi coinvolgere in scelte sbagliate ed azzardate. Per questo, mentre si stava richiudendo il portone alle spalle facendone scattare la serratura, decise di estrarre dalla tasca del giacchetto il proprio telefono e di scrivere un messaggio.

Messaggio inviato: ore 07.39 am
A: Little T ♥
Stasera usciamo, ne abbiamo bisogno e ti devo parlare

Si fermò sul bordo del marciapiede vicino ad un palo del lampione ormai spento, leggendo e rileggendo il contenuto del testo che aveva appena scritto: non aveva ancora inviato, indecisa se cambiarlo oppure lasciarlo così diretto e sintentico cercando di far arrivare al destinatario un messaggio ancora più forte ed importante di quel che poteva sembrare.
Si ritrovò a mordere il labbro inferiore mentre socchiudendo gli occhi, cliccò delicatamente sul tasto “invio”. Alzando gli occhi al cielo e scuotendo debolmente la testa, sperò di non ricevere risposte contenenti domande scomode a cui non avrebbe saputo rispondere: quella stessa sera però, non avrebbe avuto scampo, rendendosi spoglia delle propri azioni e pronta a pagarne le conseguenze. 
Si sistemò al meglio la borsa sulla spalla che lentamente stava scivolando lungo il braccio destro, e riprese a camminare in direzione del campus: la lezione di Diritto Penitenziario avrebbe saputo coinvolgerla, lasciandola libera dalla pesantezza dei pensieri insidiosi.
«Ciao», una voce delicata ma ormai familiare la sopraggiunse inaspettatamente, facendola voltare leggermente alla propria sinistra per poterne notare l'intera figura.
Camylla sbuffò visibilmente, rallentando inevitabilmente il passo: «Vattene», il suo tono di voce risultò essere più freddo e duro di quanto avrebbe voluto ma non se ne preoccupò. 
«Lo capisco, sei arrabbiata ma..-», anche Nathan aveva diminuito il proprio andamento, adagiandolo a quello di Camylla.
«Mi spieghi qual è il tuo problema?», Camylla si fermò improvvisamente, allargando le proprie braccia in modo teatrale; inclinando la testa di lato; sputando una sensazione fastidiosa e pungente. «Hai ottenuto ciò che volevi, ora lasciami stare», la bocca serrata, gli occhi profondi a scrutare attentamente ogni movimento nascosto.
«E' qua che ti sbagli», stava parlando lentamente, con voce sottile e delicata, «Vorrei poter avere la possibilità di spiegarmi», le iridi verdi
 profonde ad immagazzinare Camylla, rendendola debole. Inerme.
«Francamente Nathan, non ho voglia», la sua voce stava risultando essere più flebile di quanto avesse sperato, rendendo dubbia la sua ferma decisione, «E non m'interessa sentire delle scuse patetiche o qualsiasi altra cosa tu abbia da dire», stava scuotendo la testa, corrugando la fronte dando vita a delle piccole piaghe della pelle; gli occhi fissi sulla figura maschile posta difronte a lei; le mani serrate in pugni.
«Ok», Nathan indietreggiò di qualche passo, lentamente, stando attento a non oltrepassare il marciapiede. Allargò i propri palmi aperti difronte al petto, abbassando lo sguardo.
Quella reazione di arresa e forse delusione di Nathan, fece scattare in Camylla un senso di potere che fino a quel momento era sempre rimasto sommerso dalle sensazioni contrastanti che provava. Perchè, nonostante tutto e contrariamente a quanto avrebbe creduto, avrebbe voluto una reazione completamente differente da quella ottenuta.
«Ti conosco da quanto? Una settimana?», aveva alzato l'indice della mano sinistra, avanzando impercettibilmente in avanti con i piedi, «Eppure sei riuscito ad incasinarmi la vita per bene», si dovette mordere il labbro inferiore per interrompere quel leggero tremolìo che aveva cominciato ad invaderle le corde vocali. Sentiva gli occhi pesanti, le spalle pesanti, la testa confusa. 
«Lo so e credimi se ti dicessi che mi dispiace», stava parlando piano riuscendo a scandire ogni sillaba alla perfezione; riuscendo persino a sembrare realmente sincero e spoglio.
«Faccio fatica», Camylla scosse la testa, sconsolata ed amareggiata da quel dispiacere apparentemente vero ma che sapeva celarsi dietro ad un ego poco altruista.
«Posso capirlo ed accettarlo», stavolta toccò a Nathan avanzare debolmente in avanti, dando così anche la possibilità di far passare due ragazze dietro di sè, «Ma vorrei aver modo di farti ricredere».
«Ho bisogno di tempo e di poter respirare», gesticolava, con le mani aperte vicino alla testa: voleva far capire che il loro modo di convincimento risultava essere pesante, stressante e soffocante; voleva poter riuscire a trasmettere la sensazione di esasperazione che erano stati in grado di creare usando atteggiamenti snervanti e claustrofobici. 
Nathan stava ascoltando, accennando con la testa un consenso silenzioso, «D'accordo è..», si dovette schiarire la voce tossendo debolmente, «E' comprensibile».
Camylla si ritrovò istintivamente ad inclinare  la testa leggermente di lato, corrugando la fronte quasi sorpresa dalla risposta che aveva appena potuto udire.
«Quando ti sentirai pronta, chiama», indietreggiò di qualche passo mimando la cornetta con la mano, «Il mio numero ce l'hai», sorrise mentre strizzando l'occhio destro stava cominciando ad allontanarsi camminando lentamente  all'indietro.
Camylla rimase immobile ad osservare Nathan: per quanto si sforzasse di riuscire a comprendere almeno in parte i comportamenti del ragazzo, doveva rendersi conto di non esserne in grado. Per quanto cercasse di dare un senso logico alle parole annesse ai gesti, non vi riusciva a giustificare nessuna delle due. Rimanendo così nel limbo del dubbio, con una confusione maggiore anzichè risposte certe e concrete. 
Lo guardò allontanarsi mentre immagini nitide collegate a brividi percorribili sulla schiena, aleggiavano nella sua mente: i suoi occhi verdi socchiusi, il suo profumo leggero, l'odore delicato, il respiro sul proprio volto, la bocca a sfiorarle la sua.
Dovette scuotere la testa ed abbassare lo sguardo per poter scacciare quel ricordo imprimente e realistico: Camylla si ritrovò a dover prendere un ampio e profondo respiro, decidendo di riprendere la propria camminata in direzione del campus, cercando di riprendere il controllo della propria mente e ritrovare così la giusta concentrazione volta e necessaria per la lezione.

Camylla chiuse la portiera provocando un rumore secco ed assordante che invase per una breve frazione di secondo, l'intero abitacolo.
«Potresti essere più delicata?», Thomas la rimproverò con il sorriso stampato sulle labbra mentre per tutta risposta stava ricevendo uno sguardo minatorio poco credibile.
«E comunque sei in ritardo», Camylla lo ammonì puntando contro il proprio indice sinistro: distrattamente e con fare indaffarato, stava cercando di tirare a sè la cintura di sicurezza.
«Di soli tre minuti», stava facendo girare la chiave per poter mettere nuovamente in moto la macchina, «Che equivale esattamente al tempo con cui sono stato al telefono con Savanna».
Camylla si allungò in avanti per poter arrivare alla radio e poterla accendere: dovette abbassare notevolmente il volume assordante onde evitare di rischiare di perdere l'udito e poter affrontare una conversazione con l'amico.
«E che cosa vi siete detti?», in sottofondo la musica leggera e rilassante di Ed Sheeran stava riscaldando l'atmosfera. Camylla si sistemò al meglio sul sedile del passeggero, abbandonando la testa e socchiudendo gli occhi.
«Tutto e niente», la ragazza intravide, con la coda dell'occhio, Thomas alzare leggermente le spalle mentre lo sguardo era fisso sulla strada da percorrere per poter raggiungere il locale.
«Potresti essere più chiaro?», con la testa aveva cominciato a dondolare, cercando di seguire il tempo della musica. Cercando di farsi cullare da quella melodia soave e dalla voce inconfondibilmente delicata. Inevitabilmente, la sua mente riprese a vibrare, ponendole difronte agli occhi frammenti di ricordi inerenti alla sera precedente con Nathan.
Camylla quasi sobbalzò sul posto, punta sul vivo e presa in contropiede da sè stessa: si sporse nuovamente in avanti, stavolta per spegnere la radio ed interrompere quel flusso di pensieri che avevano deciso di farle visita.
«Perchè?», Thomas le riservò uno sguardo fugace, cercando di indicare il gesto appena compiuto dall'amica, con la testa.
«Mi distraeva», Camylla parlò con voce debole e flebile: deglutì a fatica mentre decise di abbassare un minimo il finestrino della macchina. Nonostante la temperatura autunnale all'esterno, in quel momento ne sentiva il bisogno: sentiva il proprio volto esplodere, i propri vestiti comprimere il petto; la propria schiena inarcarsi istintivamente. «Ma tu rispondi», riuscì a completare la frase a fatica.
«Pensa che dovrei allontanarmi da te e solo a quel punto avrei la possibilità di tornare con lei», il rumore della freccia fece voltare Camylla ancora intenta a respirare a pieni polmoni l'aria fresca che stava entrando dalla piccola fessura provocata.
Quella frase era riuscita a colpirla più di quanto avrebbe potuto immaginare, rendendola nervosa  ed impacciata, «Thomas io n-».
«Non azzardarti a dire niente», distrattamente Thomas riuscì a distogliere lo sguardo dalla strada per potersi dedicare agli occhi spenti di Camylla: il tono di voce era duro ma non accusatorio; fermo ma non minaccioso. «Anzi, vuoi sapere cosa le ho risposto?», sorrise, tornando con gli occhi puntati in direzione dritta.
Camylla accennò con la testa positivamente, confermando il consenso con un piccolo vocalizzo debole della bocca. Lo stava osservando, preoccupata dalla situazione, dallo stato d'animo che l'amico stava cercando di nascondere. Preoccupata di essere la causa della sua tristezza. Di essere, ancora una volta, in mezzo ad una situazione scomoda involontariamente.
«Le ho detto che avrei dovuto riattaccare perchè sarei dovuto venire a prenderti», stavolta sorrise apertamente, sinceramente divertito da ciò che era successo. La sua risata riuscì a contagiare in parte anche Camylla che si ritrovò a sorridere debolmente.
«Cam, davvero. Stavolta sono serio», Thomas rallentò leggermente l'andatura per poter cercare parcheggio, «Se devi stare così giuro che non ti racconterò più niente di Savanna», stava allungando il collo in avanti per poter vedere al meglio, «Aiutami però, intravedi posti liberi?».
«Forse laggiù, davanti a quella macchina bianca», Camylla indicò davanti a lei, «E comunque te l'ho detto, mi dispiace», si ritrovò ad alzare  le spalle, mordendosi il labbro inferiore.
«Bravissima!», con la mano destra alzata, Thomas stava aspettando che Camylla le battesse un sonoro cinque che - seppur debolmente - non tardò ad arrivare. «Adesso aspetta che faccio manovra e poi ti rispondo», la voce impegnata e lo sguardo vigile del ragazzo, fecero intendere a Camylla di doversene stare in silenzio, non disturbando una manovra apparentemente semplice.
«Eccoci», Thomas spense il motore, girando la chiave nella propria direzione, e si voltò leggermente verso Camylla, «Anche a me dispiace, non lo nego ma questo significa che Savanna non è la ragazza giusta», scosse la testa come a voler fortificare una verità già palesemente schiacciante, «Se lo fosse non si sarebbe comportata così e avrebbe capito ciò che siamo e ciò che ci lega».
Ancora una volta Camylla si ritrovò ad annuire delicatamente con la testa, non pienamente convinta dalle parole dell'amico. Sorrise, cercando di ritagliarsi una serenità che da lì a poco sarebbe scemata.
«Dai, adesso andiamo», le regalò un giocoso pizzicotto sulla guancia ricoperta di fard rosa chiaro, prima di aprire la portiera della macchina.
«Ehm, Little T», Camylla fu costretta a richiamarlo mentre tentava di staccare la cintura. Vide Thomas piegarsi sulle ginocchia e poter avere la possibilità di guardarla negli occhi,  «Ho lasciato il finestrino aperto», stavolta sorrise davvero, non appena vide il ragazzo sbuffare visibilmente.
«Sempre la solita», Thomas alzò gli occhi al cielo mentre riaccendeva il motore per poter dar la possibilità a Camylla di chiudere il finestrino. «Tu di che cosa volevi parlarmi?».
«Ho bisogno di dirtelo dopo aver bevuto circa cinque cocktail», Camylla richiuse la portiera della macchina, cercando di abbottonarsi anche il bottone del giacchetto che si trovava sotto al collo: il calore di poco prima l'aveva lentamente abbandonata, tornandola a farla sentire fredda. E sola.
«Cam!», Thomas aprì le mani indicando lo sportello sbattuto per la seconda volta: richiuse a pugno la sinistra, mettendoselo in bocca e cercando di morderselo. 
«Non si smonta, stà tranquillo», scosse la testa divertita, facendo segno di doverla seguire in direzione dell'entrata del locale.
«Ah, sai che ho sentito Theo?», la raggiunse dovendosi però soffermare due passi dopo sul ciglio della strada per poter accertarsi che non vi fossero vetture in movimento e poter attraversare.
Camylla si bloccò istintivamente, nonostante Thomas stesse per avanzare verso il lato opposto: il cuore le prese a battere ad un ritmo elevato, cominciando a far salire a galla anche tutta la preoccupazione che ciò si portava dietro.
«Tutto bene?», Thomas la afferrò per il polso, aiutandola a muovere dei passi in avanti, dandole così la possibilità di arrivare direttamente davanti alla porta d'ingresso.
«Sì, io..», Camylla si lasciò trascinare, cercando di inventarsi una scusa plausibile da dover dare momentaneamente a Thomas, «No, è che credevo di aver visto Matthias», sputò velocemente quelle parole mentre stava ancora cercando di calmare l'agitazione improvvisa che l'aveva travolta.
Thomas cercò di sfilare l'orologio ricoperto dalla manica del giacchetto, in modo da poterne leggere l'ora esatta, «E' sempre a giocare la partita, verrà più tardi».
«Lui verrà qui?», domandò Camylla, corrugando la fronte. Avevano oltrepassato la porta pesante nera opaca del locale: un calore afoso e asfiassante, mischiato al volume alto della musica, li avvolse violentemente, facendo nascere smorfie di disgusto su entrambi i volti.
 «Certo, come tutti i venerdì», Thomas alzò le spalle con fare ovvio, usando un tono scontato ma alto per poter sovrastare il frastuono.
Camylla rimase interdetta, decidendo di lasciare la sua curiosità a metà: sembrava quasi che il suo ex ragazzo avesse l'abitudine di frequentare quel locale ma a lei risultava essere una novità. Nonostante avesse la voglia di sapere e capire, optò per accantonare l'argomento, preferendo riportare l'attenzione su di un'altra persona.
«Credevo lo sapessi», dovette avvicinarsi all'orecchio dell'amica per potersi far sentire chiaramente mentre, con i gomiti appoggiati sul bancone, attendeva la considerazione da parte di uno dei due baristi.
«Sì», a Camylla nacque spontaneamente una smorfia sul viso mentre annuiva positivamente, cercando di essere abbastanza convincente. «Ma comuque, mi stavi dicendo di Theo, giusto?», con le dita della mano destra aveva preso a tamburellare. In attesa.
«Giusto! Brava», alzò il pollicine verso l'alto, «Siamo stati quasi un'ora al telefono», Camylla intravide un sorriso leggero contornare il volto di Thomas, e le venne istintivamente da sorridere anche a lei. Non conoscendone il motivo.
«Di cosa avete parlato?», il sapere la stava consumando lentamente: necessitava di sapere se l'amico avesse rivelato di essere a conoscenza dell'intera situazione; sentiva il bisogno di sapere se Thomas avesse provato a dissuadere Theo dal piano pericoloso ed insensato. Doveva semplicemente sapere. Per poi annunciare la bomba imminente.
«Mi ha raccontato un pò della sua relazione con Alyssa e di qualche problema che sta affrontando», stava continuando ad urlare ma nonostante tutto, stava parlando lentamente per facilitare Camylla alla lettura del labiale qualora non fosse riuscita ad udire tutte le parole.
Camylla stava annuendo, nella speranza che l'amico potesse parlare senza bisogno di aiutarlo attraverso delle domande. Ma quando si accorse che ciò non stava accadendo, decise di spronarlo, «Che tipo di problema?».
«Sembra che i suoi siano sul punto della separazione», Thomas puntò lo sguardo nuovamente sui baristi, entrambi intenti a preparare dei cocktail. «E in più l'hanno cacciato dalla squadra di rugby».
«Come mai?», quella domanda uscì spontanea a Camylla, che seppur fosse dispiaciuta per la situazione che stavano dovendo affrontare i genitori di Theo, la sua attenzione venne catturata totalmente dall'ultima affermazione.
«L'hanno trovato positivo al test anti-droga», Thomas le si avvicinò nuovamente all'orecchio per potersi far sentire esclusivamente da Camylla: con lo sguardo attento, stava cercando di guardarsi intorno per accettarsi che nessuna persona a loro limitrofa potesse sembrare interessato alla conversazione.
Camylla sbarrò gli occhi, aprendo leggermente la bocca ma non riuscendo ad emettere nessun tipo di suono.
«Ha bisogno del nostro aiuto», Thomas si voltò completamente in direzione di Camylla, immergendo il celeste nel castano, creando giochi di sguardi grazie alle luci ad intermittenza colorate che il locale aveva acceso: la osservò profondamente, parlando sinceramente.
Per tutta risposta, Camylla rimase immobile lasciandosi abindolare da quegli occhi tanto caldi quanto familiari; rimase sconcertata, non trovando parole giuste da poter dire in quell'esatto momento. Rimase incredula dalla banale ed assurda situazione che andava ad intrecciarsi e complicarsi ogni giorno sempre di più.
Un ragazzo biondo con il piercing al labbro inferiore e i tatuaggi sulle mani, interruppe quello strano momento di tensione che era andato creatosi tra Camylla e Thomas, chiedendo loro cosa volessero da bere.
«Un White Lady per me», Thomas dovette far perno sui palmi aperti sopra il bancone per potersi sporgere leggermente in avanti: era appena iniziata una canzone con un volume esageratamente alto. «E un..»,  si voltò in direzione di Camylla.
«Oh, ehm..», fu presa in contropiede, ancora immersa tra i mille pensieri che avevano ripreso a vorticare ferocemente. «Un Lady Luck andrà benissimo», sputò di getto il primo nome di cocktail che le venne in mente, con la pressione fastidiosa che il barista, con lo sguardo profondo e il corpo stanco, le stava trasmettendo.
«Arrivano subito», il ragazzo sorrise distrattamente, voltando loro le spalle per poter afferrare tutti gli alcolici necessari a comporre i drink richiesti.
«Dove andiamo dopo?», Camylla cominciò ad osservare l'intero locale che si stava riempendo velocemente: al centro della sala un gruppo di ragazzi aveva già cominciato a ballare in maniera scoordinata; le sedie poste ai lati - su tutta la lunghezza del muro - erano occupate per lo più da borse e cappotti abbandonati malamente.
«Potremmo cercare un tavolo libero», Thomas le sorrise, strizzandole l'occhio destro cercando di sistemarsi la camicia azzurro chiaro che aveva indossato. «Così forse riuscirai a parlare».
«Siamo a malapena al primo cocktail», Camylla alzò le spalle, ricordando esattamente le parole che aveva enunciato solamente qualche minuto precedente.
«Hai intenzione di berne davvero cinque?!», nonostante la musica, la risata cristallina e genuina di Thomas riuscì a sentirsi limpida e chiara mentre afferrava il bicchiere colmo che il barista aveva sbatacchiato frettolosamente sul bancone.
«Forse anche sei», parlò in un sussurro, dettato più a sè stessa che all'amico: non sarebbe stato semplice riuscire a trovare il coraggio di aprirsi totalmente, rendendosi vulnerabile e dovendo affrontare la incerta reazione che avrebbe avuto Thomas.
«Seguimi che forse laggiù c'è un posto», Thomas le fece cenno con la testa, cominciando a farsi spazio tra la folla che imperterrita continuava ad entrare nel locale.
Camylla si ritrovò a sospirare, con l'indecisione a farle da protagonista, a spingerla verso il silenzio. Con il dubbio e la preoccupazione disegnati sul volto, si ritrovò a compiere dei passi incerti in direzione dell'amico, pregando silenziosamente affinchè quello stato di agitazione potesse risultare - a fine serata - un ricordo sbiadito e lontano.

«Attenta!», Thomas urlò, non riuscendo comunque a sovrastare il rumore assordante della musica: afferrò Camylla per un polso, attirandola a sè ed evitando che quest'ultima andasse a sbattare contro un ragazzo dietro di lei con un drink ancora colmo all'interno del bicchiere.
Per tutta risposta Camylla cominciò a ridere, gettando la testa all'indietro e socchiudendo gli occhi. «Sai», stava quasi biascicando, con la gola secca e la voce debole: riuscì ad appoggiare entrambe le mani sul petto di Thomas riuscendo a sorreggersi: decise di avvicinarsi all'orecchio per potersi far sentire meglio, «Mi sto proprio divertendo».
«Sono contento», Thomas si stava muovendo cercando di ballare ad un ritmo pressochè similare alla musica, facendo di conseguenza muovere anche Camylla: si distaccò giusto quel tanto che bastava per poterla guardare negli occhi. In quel castano reso magico dal gioco di luci che si stava andando a creare.
«Potrebbe servirmi un altra bevuta», riuscì a parlare pacatamente, interrompendo quella risata cristallina che l'aveva tenuta viva: stava diminuendo l'andamento del ballo sconnesso, non ascoltandone la musica. Semplicemente, si stava immergendo in quegli occhi celesti volti a calmare uno stato di agitazione che era riuscita ad accantonare, rendondola libera e spenseriata.
«Eviterei, se fossi in te», sorrise delicatamente, mostrando i denti resi quasi fluorescenti dal fascio di luce. «Anche se ancora non mi hai detto ciò che dovresti», la ammonì giocosamente, gesticolando con l'indice della mano destra.
«Che memoria», Camylla cercò di fare un passo indietro, inclinandosi in avanti per mimare la propria graditudine alla mente brillante di Thomas: stava per perdere l'equilibrio, sbilanciandosi troppo e sentì una presa stretta e calda sulla propria schiena, facendo sì che ritornasse in posizione eretta. «Grazie», ne uscì l'ennesima risata spontanea, mentre nella sua mente l'immagine di cosa sarebbe potuto succedere se Thomas non l'avesse afferrata in tempo, si stava ripetendo a rotazione.
«Torniamo al tavolo, dai», Thomas fu costretto ad avvicinarsi all'orecchio di Camylla che nel frattempo aveva ripreso a ballare in maniera sconnessa: con i capelli che non riuscivano più ad oscillare a tempo, rimanendo anzichè appiccicati alla schiena nuda ormai sudata.
«Cosa? Salutiamo un cavolo?», Camylla guardò Thomas con fare interrogativo, corrugando la fronte ed arricciando il naso: continuando con i movimenti liberatori.
Thomas si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, non riuscendo a rimanere serio. «Andiamo al tavolo», decise di aiutarsi con la mano, indicando un posto non definito alle proprie spalle.
«No, balliamo!», alzò un braccio sopra la testa, urlando felice e saltellando spensierata: stava cercando dentro sè quella forza necessaria volta a renderla sicura e decisa nello sputare fuori ciò che l'aveva resa nervosa soltanto fino a poche ore prima.
«Balliamo», Thomas sussurrò arreso, aprendo le mani davanti al petto. 
Camylla non riuscì a comprendere la parola dell'amico, non riuscendo neanche a leggerne il labiale, ma decise di non darne troppo peso, intraprendendo una strada insidiosa e pericolosa «Uh! Lo sai che», afferrò una mano di Thomas, riuscedo così a girare su sè stessa, e rischiando nuovamente di perdere l'equilibrio per la troppa velocità, «No anzi, indovina».
«Eh?!», stavolta toccò a Thomas guardarla con la fronte corrugata e gli occhi sgranati, cercando inutilmente di trovare un senso alla frase espressa malamente da Camylla.
«Qualcuno stava per baciarmi», Camylla cominciò a guardarsi furtivamente intorno, muovendo velocemente il proprio sguardo prima a destra e poi a sinistra, mentre annuiva con la testa per confermare la frase appena pronunciata.
«Chi? Ma quando?», cercò di bloccarla per le spalle ma Thomas non riuscì a portare a termine il proprio tentativo. «Si può sapere che dici?».
«Ti dò un indizio», cercò distrattamente di legarsi i capelli in una coda lenta e disordinata mentre eclissava totalmente l'idea di doversi fermare almeno per un attimo, «E' stato Nathan».
Thomas si ritrovò a scuotere la testa, cercando di seguirla sia nei movimenti che nelle parole sconnesse rese ancora più complicate dalla musica, «Nathan ha cercato di baciarti?».
Camylla annuì soddisfatta con gli occhi socchiusi e una mano ad asciugarsi il collo liberato dalla matassa di capelli.
«E per dirmi questo avevi bisogno di cinque cocktail?», Thomas ricevette una leggera spinta inaspettata da un gruppo di ragazze sorridenti che stavano cercando di farsi largo tra le persone: si mosse in avanti, voltandosi con sguardo quasi minaccioso.
«Oh no! Figurati», Camylla riprese a ridere sonoramente, divertendosi a battere le mani davanti al petto, «Io, sottoscritta Camylla Hayley Evans», decise di fermarsi improvvisamente, allargando con fare teatrale le braccia laterlmente: gli occhi persi, non riuscendo realmente a vedere ciò che le si presentava davanti. «Rapinerò una banca».
«Come?!», l'afferrò con decisione per un polso, cominciando a spintonare chiunque si trovasse davanti alla propria direzione. 
Camylla stava cercando di puntare i piedi, muovendosi debolmente nella speranza di potersi liberare dalla stretta,  «Thomas, lasciami!».
Per tutta risposta, Thomas continuò deciso a trascinarsi dietro una Camylla confusa, con la testa pesante e lo sguardo vuoto; una Camylla fuori controllo, che rifiutava di immagazzinare effettivamente il contorno che la stava circondando; una Camylla ignara di aver lanciato liberamente una bomba pronta ad esplodere.
Arrivarono a fatica davanti al portone d'emergenza grigio piombo che Thomas aprì spingendo sul maniglione rosso: si lasciarono il calore, il rumore e l'odore forte alle spalle mentre venivano accolti da una fredda aria pungente e da una fine pioggerella che aveva cominciato a scendere.
«Ora tu mi ripeti che cazzo hai detto!», la voce di Thomas rieccheggiò nel piazzale vuoto: un tono forte e deciso, reso tale anche dallo sguardo ghiacciato e fisso sulla figura di Camylla.
«Ma che ti prende?», con la voce impastata, Camylla si ritrovò ad allargare le braccia davanti al petto: lo stava osservando a sua volta con gli occhi sottili.
«Hai appena detto che rapinerai una banca!», stava parlando con denti stretti, «Dimmi che è uno scherzo».
Istintivamente Camylla indietreggiò, ritrovandosi a grattare la nuca con la mano sinistra. «L'ho detto?», alzò le spalle, incapace di gestire le proprie reazioni, «Beh se l'ho fatto, sarà vero. Non ricordo», sorrise debolmente, picchiettando il tacco della scarpa, giocosamente.
«Santo Cielo! Perchè?!», Thomas cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro, gettando le mani aperte sopra la testa. La sua voce trasudava preoccupazione, irritazione e delusione. Soprattutto delusione.
«Possiamo tornare dentro?», Camylla cercò di bloccarlo, puntandosi difronte a lui ed avvicinandosi al suo petto: parlò piano sforzandosi di mostrarsi infreddolita, «E andiamo a bere, che dici?!», cercò di sorridere nuovamente, solleticando il mento di Thomas con l'unghia placcata di rosso.
«Sì, andiamo», Thomas sbuffò, riprendendo a camminare in direzione del portone, «Tanto non sei in grado di sostenere una conversazione», Camylla lo notò scuotere la testa, non riuscendo però a capire appieno il senso della frase enunciata dall'amico.
Decise di seguirlo, ripredendo a saltellare scoordinatamente non appena il rumore assordante delle casse non ritornò ad invaderli completamente: Camylla rabbrividì non appena il calore del locale la se insinuò sulle braccia scoperte ma sorrise mentre con lo sguardo in movimento cercava di intravedere il bancone degli alcolici.
Stavano cercando di dirigersi dalla parte opposta, quando l'attenzione di Camylla non fu catturata da una figura maschile a poca distanza da lei: una figura sfuocata ma unica, una figura sconnessa ma nonostante tutto ben riconoscibile. Una figura che le fece mordere il labbro inferiore; che le fece inarcare la schiena; che seppe renderla felice e sicura. Leggera.
Si sporse in avanti, per poter raggiungere Thomas, «Potresti aspettarmi un secondo?», cercò di farsi capire, non cedendo lo sguardo dalla figura.
«Perchè? Che succede?», rallentò il passo cercando di capire cosa volesse intendere l'amica con quella domanda ambigua.
«Torno subito, vado in bagno con Matthias», Camylla le accarezzò la schiena, riprendendo a camminare velocemente in direzione di quel ragazzo talmente potente da renderla debola. Sentì Thomas borbottare qualcosa così decise di voltarsi distrattamente, «Aspettami là», indicò un punto non definito, decidendo di dedicare la piena e completa attenzione a Matthias.

09 Ottobre.

Quella mattina di un sabato qualunque, Camylla si ritrovò a mugolare ad occhi chiusi, voltandosi a fatica sul fianco sinistro.
«Cam», una voce familiare e delicata stava sussurrando vicino al suo orecchio: sentiva il tocco delle dita leggere solleticarle i capelli.
Si ritrovò a sorridere debolmente, continuando a mantenere gli occhi chiusi, beandosi di quelle attenzioni necessarie.
«Cam, sveglia», ancora una volta la sua voce risultò essere delicata nonostante la vicinanza. Camylla provò nuovamente a girarsi, optando per la posizione supina: cercò di aprire gli occhi a fatica notando una leggera luce fioca entrare dalla finestra.
«Buongiorno», sentì il rumore delle lenzuola muoversi sotto di lei: provò per la seconda volta ad aprire gli occhi rendendosi conto di quanto le stessero pulsando le tempie e di quanto la testa rendesse tutto dannatamente complicato. Si portò una mano sui capelli, ancora malamente avvolti in quella che qualche ora prima poteva essere definita una coda di cavallo.
«Come ti senti?», Thomas aveva scelto di mantenere un tono di voce basso, parlando piano e delicatamente.
«Male», Camylla cercò di voltarsi lentamente in direzione dell'amico, notando di essere impacciata e limitata nei movimenti.
«Ti ho preparato l'acqua con zenzero e limone», lo vide afferrare il bicchiere dal comodino per poi porgerlo: Camylla cercò di tirarsi a sedere, appoggiando la propria schiena alla testa del letto, «Tieni».
Camylla si limitò a ringraziarlo con un piccolo sorriso mentre sorseggiando, continuava a sorreggersi la testa.
«Giù è già pronta anche la colazione», anche Thomas sorrise di rimando: Camylla notò i suoi occhi stanchi, il viso spento ed i capelli spettinati.
«Da quanto sei sveglio?», le domandò quasi sussurrando: il mal di testa rendeva la stanza in movimento leggero ma continuo.
«In realtà non ho dormito molto», alzò le spalle, afferrando dalle mani di Camylla il bicchiere ormai vuoto.
«Come mai? Che è successo?», Camylla cercò di sistemarsi più comodamente, stando attenta a compiere movimenti precisi e lenti. Stava anche provando a ricordare qualcosa inerente alla sera precedente ma non riusciva a collegare correttamente le varie singole scene che le apparivano sbiadite.
«Vuoi davvero saperlo?», Thomas provò a sorridere non riuscendo a nascondere la sua stanchezza, «Non sono scene bellissime da raccontare».
Camylla annuì debolmente con la testa, notando solo in quell'istante indossare il proprio pigiama.
«Per essere delicati, in macchina ti sei svuotata lo stomaco», puntò lo sguardo al soffitto, appoggiando il mento sopra il pugno della mano, «La prima volta, poi..-».
«Ho rimesso in macchina tua?», Camylla assunse un'espressione di disgusto, torcendo sia il naso che la bocca, «Che schifo! Mi dispiace», con la testa stava dondolando, maledicendosi per essere stata così infantile e sciocca.
«Ma non è finita! Poi arrivati a casa, hai rimesso altre tre volte», con la mano sinistra mostrò il numero tre con le dita, come a voler imprimere affondo lo stato deliterio in cui si trovava l'amica, «Fortunatamente sempre in bagno».
«Che figura!», Camylla aveva appoggiato la fronte sulla mano aperta. Stava provando ad immaginare le possibili scene e tutte portavano ad una conclusione vergognosa ed imbarazzante.
«Ovviamente ti sei sporcata il vestito così ti ho cambiata e ho messo la lavatrice», Thomas aveva incosciamente risposto ad una domanda silenziosa ma scontata che si era posta Camylla: non avrebbe mai saputo ringraziare a dovere l'amico per ciò che aveva fatto.
«Ricordami perchè Savanna ti ha lasciato», provò a smorzare quell'ambiente teso e ai limiti del ridicolo, sorridendo appena volta a rendergli la sua più totale riconoscenza.
«Già», Thomas sorrise, alzando entrambe le sopracciglia contemporaneamente, «Comunque te dormivi, allora ho deciso di andare a lavare la macchina o ci sarei morto stamani dall'odore», alzò le spalle con fare ovvio continuando a sorridere.
«Perdonami, davvero!», Camylla provò a spostarsi cercando di girarsi lentamente verso la propria sinistra e puntare così i suoi occhi in quelli stanchi di Thomas.
«Non preoccuparti», le riservò una carezza delicata sulla guancia, «Quando sono tornato a dormire, stavi russando», stavolta rise sonoramente, alleggerendo quella tensione parpabile, «Ti ho registrata!».
«Hey!», Camylla diede a Thomas una leggera pacca sulla spalla, rimproverandolo giocosamente. «Dopo però mi fai sentire».
Il ragazzo stava annuendo tra le risate, con la testa tirata leggermente all'indietro e gli occhi quasi alle lacrime «Poi ad una certa, il tuo telefono ha preso a squillare all'impazzata e mi sono svegliato», fece fatica a concludere la frase, ancora coinvolto dal sorriso.
«Più tardi controllo», non richiedeva nessun altro al momento: per quanto avesse voglia di lasciarsi travolgere dal contagioso sorriso di Thomas, a Camylla cominciava a dar fastidio alla testa. Ancora troppo rumore da sopportare. «Cavolo, non bevevo così da anni».
«L'ultima sbornia  la prendemmo ad Ibiza, ricordi?», incrociò le gambe provocando un rumore confuso dei jeans sulle lenzuola ancora calde.
«Beata gioventù! Ora invece», Camylla cercò di sorridere provando a scuotere la testa, amaramente dispiaciuta. «Perchè non mi hai fermata?», nonostante conoscesse la risposta, aveva un disperato bisogno di capire e sapere se il piano erano andato come previsto o se l'ingerire una notevole quantità di alcool avesse portato solamente a situazioni sgradevoli.
«Perchè volevo sapere ma forse era meglio rimanere all'oscuro», Thomas abbassò lo sguardo, distogliendo il contatto visivo con Camylla: stava parlando debolmente, quasi fosse insicuro se pronunciare o meno quelle parole.
«E così, ti ho detto della banca», sospirò, grattandosi nervosamente la nuca: era consapevole che avrebbe dovuto affrontare quella conversazione, solo non si sentiva pienamente al meglio delle energie per poter spalleggiare e sorreggere una reazione negativa da parte di Thomas.
«Ho sperato tutta la notte che si trattasse di uno scherzo», stavolta riuscì ad alzare lo sguardo, osservandola con occhi spenti. Delusi, tristi. «Perchè, Camylla?!».
«Perchè sono una stupida», Camylla provò a sorridere tristemente, alzando le spalle e scuotendo la testa, «Perchè hanno saputo portarmi all'esasperazione, allo sfinimento», cercava di rendere al meglio l'idea gesticolando nervosamente con la mano, «Nathan è arrivato persino a baciarmi, cioè ti rendi conto?».
«No, faccio fatica a rendermene conto», anche Thomas stava scuotendo la testa mentre si muoveva sulle lenzuola, nervosamente, «Anzi, faccio fatica a capire l'intera situazione», stava cominciando ad agitarsi. Comprensibilmente.
«Ci sono dentro, ok?», si portò una mano alla testa, che aveva ripreso a martellare più ferocemente, «Credevo di saperla gestire e invece ci sono andata più affondo», contrariamente a quanto si sarebbe aspettata, Camylla stava mantenendo una tranquillità apparentemente disarmante.
Riusciva ad immaginare lo stato d'animo di confusione e perplessità che stava avvolgendo Thomas ma non poteva mostrarsi altrettanto, cercando di rendere la faccenda meno pericolosa di quanto in realtà non fosse.
«Sto cominciando a pensare che Theo possa averti passato qualcosa», con palese delusione nel tono della voce, Thomas cominciò a muoversi velocemente sul letto, cercando di alzarsi. Abbandonando così quel contatto visivo spento e affranto. «Perchè davvero, fatico a riconoscerti».
«Perchè non hai passato ciò che ho dovuto passare io», anche Camylla cercò di spostarsi dalla propria posizione ma riuscì a percepire solamente un'ulteriore dolore alla testa che permise - per una breve frazione di secondo - alla stanza di girare.
«Ma per favore!», Thomas alzò il braccio sinistro sopra la testa, gesticolando con la mano, «Dì piuttosto che l'idea ti stuzzica», Camylla lo vide piegarsi in avanti e raccogliere il maglioncino da terra. 
Quella semplice frase colpì in pieno volto Camylla, rendendola instabile: la colpirono al cuore, facendo aumentare i ritmi cardiaci; la colpirono sulla schiena dorsale, facendola vibrare; la colpirono sulla pelle, rendendola fredda. La colpirono nella mente, con una potenza tale da riuscire ad abbattere ed indebolire ogni speranza resa vana da Thomas nel poterla comprendere.
La fecero tintìnnare, rendendola incapace di poter replicare. Trovando quelle parole talmente disgustose da essere rese lame di coltelli lanciate dalla persona sbagliata.
«Anzi, sai cosa ti dico?», non si era resa conto Camylla che Thomas aveva preso ad avanzare in direzione della porta di camera, «Farò parte anche io del piano».
 «Come?!», Camylla strabuzzò gli occhi, osservandolo stancamente: ogni decisione presa, portava con sè una conseguenza sgradevole che Camylla non aveva più voglia di sopportare; ogni suo gesto serviva a far allontanare le persone che avrebbe voluto al proprio fianco. «Non dire cazzate!».
«Perchè te sì ed io no?», stava alzando la voce, allargando le braccia davanti al petto.
«Perchè io sono stata manipolata! Nessuno sano di mente si proporrebbe spontaneamente per una cosa del genere!», dovette socchiudere gli occhi per evitare che la sua testa riproponesse immagini traballanti della sua camera da letto. Avrebbe voluto urlare ma riusciva solamente a parlare con una foga tale da farsi capire a stento.
«No Camylla, è qua che sbagli», Thomas stava gesticolando con l'indice della mano sinistra, «Perchè se davvero lo vuoi, una soluzione per toglierti dai casini, la trovi», la sua bocca si muoveva appena, mostrando denti stretti. Facendo percepire la delusione palpabile.
Camylla rimase nuovamente interdetta, ferita dalle parole dell'amico. Ferita dalla sua sincera spontaneità. Ferita dalla verità schiacciante di quella frase.
«Dimostrami che ci proverai o sarò costretto a dire a Theo di darmi un ruolo», appoggiò una mano sulla maniglia, facendovi una leggera pressione: le aveva voltato le spalle, amareggiato e arreso da un ricatto quasi necessario.
«Ma porca..-», Camylla strinse gli occhi, interrompendosi a metà: cominciò a prendere ampi respiri per potersi calmare con la testa appesantita dalla nottata turbolenta appena trascorsa. Serrò i pungi, stringendo un lembo del lenzuolo, «Non puoi farmi questo», la voce debole resa tale dalle lacrime che stavano cominciando ad offuscarle la vista.
«Lo sto facendo per te!», Thomas si voltò di scatto, con gli occhi celesti profondi. Persi. La voce nuovamente alta. «Sto cercando di aiutarti. Possibile che tu non riesca a capirlo?!».
«No, così mi stai mettendo pressione», provò ad alzarsi, barcollando visibilmente: fu costretta a risedersi sul bordo del letto: con le gambe stanche, la schiena gobba e la testa ciondolona, «Come tutti gli altri».
Thomas scosse la testa, abbassandone lo sguardo: aprì la porta della camera prima di soffermarsi a metà di essa, «Ah, comunque ieri sera hai fatto sesso con Matthias».
Camylla istintivamente alzò lo sguardo, corrugando la fronte e cercando di emettere qualsiasi tipo di suono, con scarsi risultati: stava ancora cercando di concepire il senso della frase enunciata da Thomas.
«Nel bagno del locale», parlò quasi in sussurro prima di cominciare a camminare verso il portone principale della casa, lasciando Camylla completamente in balìa della confusione e dell'esasperazione.
Si lasciò cadere all'indietro, rendendo il soffitto offuscato per qualche breve secondo: nonostante stesse cercando di mettere insieme i pezzi della discussione appena terminata con Thomas, non riusciva a capacitarsi potesse essere successa davvero. Riusciva solamente a sentirsi fragile, vulnerabile. Stanca. Riusciva a sentirsi sola. Sentiva la gabbia farsi sempre più piccola, rendedole difficoltoso persino respirare. 
Quando la suoneria del cellulare prese a squillare, Camylla cominciò ad imprecare sonoramente: malamente riuscì a tornare eretta con la schiena, cercando così di afferrare il telefonino sul comodino. Il nome di Nathan lampeggiava ad intermittenza regolare.
La voglia di riagganciare senza neanche rispondere vigeva prepotente ma contrariamente a ciò che il proprio cervello le stava indicando di fare, il dito della mano aveva preso a strusciare delicatamente sul display.
«Che diavolo vuoi ancora?», aveva bisogno di sfogare la sua rabbia. In qualsiasi modo.
«Mio padre è all'ospedale», la voce rotta, commossa. Debole, «Ha tentato il suicidio».
Camylla si maledisse per aver risposto così maleducatamente alla chiamata.
«Dammi il tempo di una doccia ed arrivo».







 

I'M BACK!
Sembra impossibile ma sono proprio io! Sembra passata una vita dall'ultima pubblicazione (e forse è così) ma è stato difficoltoso trovare del tempo da dedicare alla storia.
Btw, finalmente ci siamo :)
Questo capitolo si concentra principalmente sulla serata trascorsa tra Camylla e Thomas: la nostra protagonista ha scelto di 
parlare con l'amico in un ambiente e in un contesto mooolto discutibile. Commettendo anche, un errore madornale (Matthias..).
Spero di essere riuscita a farvi capire lo stato 
difficoltoso in cui si trovava Camylla, essendo andata ben oltre i cinque cocktail previsti (anche se ciò non è stato specificato).
La mattina dopo, va da sè, avere un mal di testa terrificante ma nonostante ciò, si vede costretta a discutere proprio con Thomas. Quest'ultimo la mette un pò alle strette: o reagisce o anche lui entrerà a far parte del piano.
Che ne pensate di questa mossa?!
Il capitolo poi, si conclude con una notizia preoccupante per Nathan.
Fatemi sapere, senza freniiii :)

Ps: sono consapevole essere un capitolo pressochè 
mediocre (a volermi bene) e forse ripetitivo. Ma abbiate pietà :)
Il prossimo aggiornamento dovrebbe tornare ad essere abbastanza regolare.

Un bacione,

G.xx

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Capitolo 10
*** X. ***


Capitolo X.
5.335 parole
 
E ti porto con me
Perché ho paura da solo
Perché violenti il mio sfogo
Però ne ho troppo bisogno, oh
Dammi mezz'ora di sole
A peso morto nel mare, tra le, tra le onde

Quel luogo così maniacalmente pulito le stava dando un senso di fastidio profondo: i pavimenti emanavano un profumo di candeggina disinfettante talmente forte da riuscire a far storcere il naso, facendolo arricciare inconsapevolmente; le sedie ghiaccie e scomode erano state così tirate a lucido da far scivolare chiunque provasse a sedervisi sopra. Anche le pareti bianche donavano un senso di pulizia tale da riuscire a nascondere ogni crepa avvenuta nel corso degli anni. 
Camylla era agitata, inspiegabilmente agitata: stava provando ad accorciare il tempo attorcigliandosi al dito indice della mano sinistra un ciuffo di capelli mentre percorreva meccanicamente cinque passi in avanti e tre nella direzione opposta. Lo sguardo basso, la bocca serrata. L'aria stanca. 
Nathan era seduto due sedie distanti da Camylla, con la testa tra le mani e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. In rigoroso silenzio rotto solamente da sospiri sconnessi che trapelavano uno stato di angoscia tagliente e sottile. Theo, per quanto possibile, stava cercando di trasmettere un leggero tocco di tranquillità e rassicurazione. Leggero, come leggera era la mano sinistra che - visibilmente tremolante - si muoveva delicata marchiando un andamento lento che andava a lambire un piccolo spazio di schiena dell'amico.
In sottofondo un brusìo di voci che andavano a mescolarsi a pianti disperati; rumore di passi svelti, cigolii di ruote sconnesse, di campanelli d'emergenza suonati all'improvviso. In sottofondo prevaleva la paura che si nascondeva cieca e vigliacca di conoscere la verità. Di conoscere risposte a domande silenziose.
«Vuoi stare ferma?», una voce rotta dall'esasperazione aveva appena spezzato quell'equilibrio precario nato dal silenzio imbarazzante che era andato creandosi nell'esatto momento in cui Camylla aveva vercato la soglia d'ingresso dell'ospedale.
«Non ci riesco, ok?», Camylla parlò senza smettere di percorrere i suoi passi snervanti. Parlò senza smettere di attorcigliarsi il ciuffo di capelli attorno all'indice. Parlò limitandosi ad alzare lo sguardo per puntare le iridi negli occhi affossati e stanchi di Nathan.
La risposta di Nathan fu decisa e chiara. Fu talmente forte da far tremare le pareti ed immobilizzare Camylla all'istante: scattò dalla sedia, interrompendo bruscamente il contatto delicato con Theo, che rimase con la mano a mezz'aria, colto di sorpresa. Scattò in piedi voltandosi velocemente. Urlando disperato, preoccupato; urlando forse scoraggiato. Scattò in piedi voltandosi e con la mano serrata a pungo, vi scaraventò il proprio nervosismo sulla parete davanti.
«Hey!», anche Theo scattò in piedi nell'esatto momento in cui vide le nocche arrossate di Nathan farsi vivide. «Reagire così non risolverà il problema», tentò di riavvicinare la mano, pronto a rassicurarlo nell'unica maniera che conosceva. A Camylla non sfuggì lo sguardo profondo e quasi minaccioso che Theo le stava regalando: le iridi socchiuse erano nascoste dai ciuffi di capelli schiacciati sulla fronte dal cappello verde, ma paradossalmente a Camylla quello sguardo arrivò così deciso da farla sussultare.
«Mi dispiace», non fu certa che le sue scuse fossero arrivate al destinatario ma la sua voce risultò essere più debole di quanto avesse voluto. Si fermò con sguardo colpevole, mordicchiandosi il labbro inferiore e abbassando lentamente la mano sinistra donando libertà e tregua ai capelli. Cercò riparo all'interno delle tasche del giacchetto, chiudendosi nelle spalle.
«Chi di voi è il figlio del signor Mills?», una voce rauca ma decisa arrivò d'improvviso ai ragazzi senza preavviso, facendoli voltare all'unisono: non avevano sentito udire i passi del dottore; non avevano sentito arrivare l'ansia che avrebbe portato, forse, delle risposte. Non avevano sentito arrivare la voce della verità, troppo silenziosa per sovrastare la confusione che incombeva in ogni singola persona.
«Sono io», Nathan osservò il dottore esaminandolo con lo sguardo vigile e attento, pronto a cogliere ogni inclinatura e sfaccettatura possibile. Apriva e chiudeva la mano, scuotendola leggermente: il dolore che stava provando non poteva essere minimamente paragonabile allo stato di agitazione in cui si trovava. Camylla si prese dei minuti per osservarlo davvero, forse per la prima volta: si rese conto di quanto fosse fragile ed insicuro, nonostante la falsa apparenza; si rese conto di quanto fosse più simile a lei, nonostante fosse bravo a mascherare le sue debolezze. E forse davvero, per la prima volta, si rese conto di quanto fosse bello nella sua semplicità.
«Suo padre è fuori pericolo ma viste le condizioni ancora poco stabili, preferiamo tenerlo sotto osservazione per l'intera notte», il dottore stava parlando meccanicamente, sfogliando svogliatamente la cartella clinica del paziente. Voltando le pagine rumorosamente. Non guardando Nathan negli occhi.
«Posso vederlo?», una domanda di ruotine dettata dalla voglia di poter ricevere risposte dall'unica persona in grado di poterle effettivamente dare. Camylla poteva percepirne l'ansia dal movimento impercettibile della gamba destra perfettamente fasciata dal pantalone della tuta nera. 
«Adesso sta riposando», uno sbuffo stava accompagnando parole che il dottore sembrava ripetere più e più volte nel corso di una giornata lavorativa, «Appena sveglio la verremo a chiamare», aveva preso a giocherellare con la penna, picchiettandola sul fascicolo. Non attese nessuna risposta da parte di Nathan, neanche un ringraziamento che comunque non sarebbe arrivato. Semplicemente voltò le spalle, donando la visuale della schiena ricoperta dal camice lungo bianco. 
Camylla aveva la testa pesante: si sentiva stanca, confusa. Affranta. Si sentiva arresa da una situazione più grande di lei, ingestibile. Sentiva le gambe tremare, deboli. Incapaci di sorreggere il suo stesso peso; sentiva le spalle ricurve, schiacciate da sensazioni contrastanti. Sentiva il cuore battere ad un ritmo del tutto irregolare, scoppiarle nel petto; sentiva lo stomaco contorcersi, gli occhi chiudersi e farsi pesanti. 
«Nathan», ancora una volta la sua voce ne uscì debole. Quasi in un sussurro. Si rese a malapena conto di aver indietreggiato, «Nathan». Le scoppiava letteralmente la testa: non riusciva a distinguere nessun tipo di rumore, non riusciva a rendersi conto dell'ambiente circostante; faceva fatica a tenere gli occhi aperti, non riuscendo a mettere a fuoco ciò che le si prospettava davanti. La schiena veniva percossa da spasmi di freddo, alternati a brevi attimi di calore soffocante. Voleva potersi allentare la sciarpa che le copriva il collo ma non riusciva a comandare le proprie mani. Le tempie: quelle stavano martellando incessantemente ma fermarne il movimento sembrava pressochè impossibile. «Nathan».
«Camylla!», Camylla non era capace di capire ciò che stava accandendo: qualcuno forse aveva le proprie mani intorno al suo collo, ma contrariamente sentiva anche delle leggere pressioni sulle spalle. E forse - ma solamente per ipotesi, poteva percepire dei rumori sconnessi riconducibili a persone che stavano parlando vicino a lei, non riuscendo però a captarne distintamente nè le voci nè tantomeno il contenuto. 
Decise di abbandonarsi a quei tocchi. Decise di ascoltare il proprio corpo e di reagire secondo le indicazioni che stava ricevendo: decise di non controbattere, arrendendosi alla propria debolezza. All'enorme stress che aveva prolungato per molto tempo, mettendo sotto pressione ogni fibra, ogni centimetro di pelle. Decise di chiudere gli occhi, di rilassare le spalle, di abborbidire le labbra, di allentare la tensione sul collo. 
Continuava a sentirsi in gabbia, stretta in una morsa che apparentemente aveva allentato la presa. Continuava a sentirsi prigioniera dei suoi stessi errori, delle scelte sbagliate prese e delle conseguenze che faticava ad affrontare. Ma cominciava anche a sentire la testa più leggera nonostante la stanchezza fosse decisamente maggiore.
Chiuse gli occhi, beandosi del buio. Annientando il mondo esterno, lasciando fuori ogni preoccupazione. Ogni problema, ogni dramma. Ogni persona. Chiuse gli occhi, allontanandosi da tutto ciò che le stava facendo male.

La luce gialla abbagliante le fece strizzare gli occhi: ne espresse il disgusto voltando la testa a destra.
«Oh, tesoro..», Camylla intravide sua madre alzarsi di scatto da una piccola e presubilmente scomoda sedia posta di fianco ad un mobiletto mal ridotto. «Come ti senti?», per quanto si stesse sforzando, Korinne non riusciva a nascondere il velo di preoccupazione che trapelava dalla voce.
«Mamma?», neppure Camylla riuscì a mascherare lo stupore nel vedere la figura materna davanti ai propri occhi. Cercò di muoversi ma si rese conto di essere bloccata da intrecci di fili che andavano collegati dal suo braccio ad un monitor elettronico.
Camylla faticava a rimettere insieme i pezzi di ciò che era appena successo. Nella propria mente si ripetevano scene sconnesse, pezzi di vita trascorsa non realmente vissuta: sentiva ancora delle mani scuoterle le spalle, altre mani volte a sorreggerle la testa; udiva frasi spezzate, grida di preoccupazione. Percepiva aria di agitazione. Sentiva aghi penetrarle nella pelle; sentiva il proprio respiro mozzato morirle in gola. Vedeva sprazzi di buio interrotti da luce profonda improvvisa. 
Semplicemente, non riusciva a dare un senso logico a ciò che le era accaduto.
«Sono stato io ad avvertirla», la voce di Thomas risuonò stanca ma delicata. Camylla non si accorse della presenza dell'amico fino a che non voltò lo sguardo nella direzione opposta: lo trovò con occhi torvi ma preoccupati. Sorrise a malapena, con le braccia incrociate al petto e il piede destro appoggiato malamente alla parete.
Camylla avrebbe voluto rispondere ma fu la volta di Theo, «Ed io ho avvertito lui», fu lui a parlare usando un tono velato. Ovvio. Camylla notò essere vicino a Thomas e a Nathan. Provò a sistemarsi in posizione eretta, a muoversi nuovamente, ma fu del tutto inutile: quei dannati fili le bloccavano i movimenti. Decise di puntare il proprio sguardo in quello di Nathan non ricevendo nessun tipo di conforto. Neppure la stava guardando.
«Allora, come ti senti?», Korinne riportò l'attenzione su di sè, realmente preoccupata per sua figlia. Camylla si ritrovò a voltare nuovamente lo sguardo: la tempie le stavano cominciando a pulsare con più veemenza, rendendo la messa a fuoco della vista rallentata. Offuscata. Camylla era anche delusa ed amareggiata dalla reazione di Nathan. 
«Confusa», optò per ammettere la verità: aveva troppe domande da fare ma non riusciva a metterle in ordine per poterle esporle. Per questo decise di farsi aiutare come era suo solito fare; chiedendo aiuto e chiarezza in maniera analoga e permettendo a tutti di poter leggere tra le righe. Ancora una volta sperava che i presenti potessero capirla senza bisogno di esplicitare frasi sensate.
«Sei svenuta tesoro», la voce delicata di Korinne era una vera rassicurazione: aveva la capacità di calmare ogni turbinìo di emozioni. La mano era calda e lasciava scie sicure di carezze sulla guancia di Camylla. «E vorrei poter sapere cosa ti sta succedendo», sorrise amaramente mentre dalla sua voce trapelava una supplica nascosta.
Camylla si limitò ad osservare sua madre in quegli così maledettamente simili ai suoi, sperando di potervici ricavare una scusa plausibile e tuttavia convincente. «Questa mattina non ho fatto colazione», Camylla stava parlando lentamente: non aveva intenzione di far preoccupare ulteriormente sua madre e non avrebbe dovuto coinvolgerla in una situazione altamente pericolosa e compromessa. Cercò di usare un tono rassicurante, sorridendo debolmente.
«Colpa mia», Nathan prese parola limitandosi a puntare lo sguardo in quello di Korinne: Camylla provò ad interpretarlo, non riuscendovi a leggerne nient'altro che falsa tranquillità. «L'ho chiamata inaspettatamente». Una verità che nascondeva altrettante verità che Camylla stessa non aveva ancora appreso. Una verità che la fece muovere impercettibilmente sotto il lenzuolo leggero e freddo del letto. Korinne aveva interrotto il contatto sul viso di Camylla.
Camylla provò nuovamente a catturare lo sguardo di Nathan, ancora una volta però senza riuscirci. Quel comportamento ambiguo la mandava in uno stato confusionale non indifferente: non riusciva a darsi delle certezze. E si odiava per questo. 
Deglutì a fatica, aprendo la bocca per formulare una qualsiasi frase ma le parole le si spezzarono in bocca, amareggiate e codarde per poter uscire fuori; rimase con la bocca semi-aperta, lo sguardo scoraggiato e una speranza vana. Si ritrovò a chiudere impercettibilmente gli occhi, respirando a pieni polmoni: la maschera dell'ossigeno era posta su di un carrello vicino al letto; il sacchetto della flebo invece, stava per terminare.
«Tesoro, sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, non è vero?», adesso anche Korinne stava parlando con un tono di voce basso e quiete. Voleva poter trasmettere tranquillità, nonostante lo sguardo trapelasse molta preoccupazione. 
Camylla si ritrovò a sorridere leggermente perchè si rese conto che sua madre stava indossando il maglioncino porpora che lei e suo padre le avevano regalato qualche anno prima per il compleanno: «Certo mamma», immerse le proprie iridi marroni in quello sguardo materno velato di amore puro e sincero; immerse lo sguardo in quegli occhi così familiari da saperla rendere al sicuro. Allungò delicatamente la mano destra, stringendo piano quella di Korinne, distesa su di un piccolo lembo di lenzuolo spiegazzato. Quel tocco doveva servire a rassicurare. 
«Dovresti riposare un pò», Korinne inclinò la testa di lato, ritrovandosi a corrugare leggermente la fronte. Alla fine della frase, le sue labbra rimasero serrate ma lasciavano intravedere un delicato e soffice sorriso.
Il rumore sordo delle nocche poggiate sulla lastra della porta, fecero sussultare Camylla. «Scusate», una voce autoritaria aveva preso parola: un'infermiera di bassa statura e con i capelli corvini si stava avvicinando a passo svelto al letto di Camylla, «Siete troppi in questa stanza e l'orario delle visite sta giungendo al termine».
«D'accordo! Allora ti chiamerò più tardi», Camylla percepì un senso di disappunto nel tono di voce usato dalla madre: Korinne le si avvicinò al viso, con il pendolo a forma di “K” a picchiettarli delicatamente sul naso. Le regalò un tocco leggero di labbra sulla fronte per poi scostarsi e sorriderle debolmente, «Riguardati, mi raccomando». Camylla per tutta risposta, le sorrise di rimando, salutandola con la mano per quanto i fili le potessero permettere di alzarla. Osservò sua madre avvicinarsi alla porta della camera rimasta aperta mentre il rumore dei tacchi rieccheggiava nella stanza silenziosa. L'andamento deciso, la schiena ben eretta, le spalle aperte: sua madre aveva la capacità di comunicare sicurezza solamente usando il portamento. 
L'infermiera stava prelevando un campione di sangue dal braccio destro di Camylla, non preoccupandosi di essere delicata nell'inserire all'interno della vena, l'ago. 
«Me ne vado anche io», Camylla si ritrovò a voltarsi di scatto nell'udire quelle parole: Thomas aveva fatto perno sul piede rimasto appoggiato alla parete per potersi scostare da esso e cominciare a camminare. «Ancora non ho capito cosa sono venuto a fare», stava cercando di chiudersi la cerniera del giacchetto fin sotto al collo mentre passava al bordo basso del letto, davanti a Camylla. Senza guardarla negli occhi.
Camylla avrebbe voluto fermarlo ma ogni tipo di suono le morì strozzato in gola prima ancora di poterlo emettere: nella sua mente cominciarono ad affiorire nitide e distinte immagini sconnesse della conversazione avvenuta solamente qualche ora prima. Avrebbe voluto fermarlo ma non ci riuscì. Semplicemente, non volle riuscirci. «Accidenti», scosse la testa mentre Thomas accorciava sempre più la distanza verso l'uscita. Theo lo seguì di conseguenza, senza proferire parola. Camylla si ritrovò a guardarli scomparire oltre la porta, oltre la parete; lasciando solamente una debole scia di profumo. E delusione. «Accidenti», stavolta usò un tono di voce più alto, distorcendo il braccio sotto al tocco presuntuoso e forzato dell'infermiera.
«Nervosetto il tuo amico», Nathan parlò a voce sottile, mantendo le braccia incrociate davanti al petto e con sguardo in direzione della porta che lasciava intravedere un pezzo di corridoio.
«Dovresti andare pure tu», le parole dell'infermiera si persero tra i pensieri e la scrittura veloce con la quale stava compilando la cartella clinica di Camylla.
«Ho cinque minuti?», come prova della sua lealtà, Nathan aveva alzato la mano a palmo aperto. Sorrise di sbieco mentre le iridi verdi stavano perforando lo sguardo ghiacciato dell'infermiera. «Solo cinque».
Per tutta risposta, l'infermiera lo sfidò con l'indice che impugnava la penna: si limitò a sistemare i fili di Camylla prima di poter uscire dalla stanza e lasciarli soli avvolti in un silenzio colmo di domande.
Camylla riuscì a far perno sulle mani per poter appoggiare la schiena alla testiera del letto: si sentiva indolenzita, fragile. Stordita. Sentiva scorrere il tempo ben scandito dai secondi, marchiando rumorosamente i lembi di pelle di sensazioni snervanti; si sentiva estranea ai fatti, incredula verso una realtà improbabile da accettare. 
«Ci faremo a vicenda tre semplici domande, dopodichè me ne andrò», Camylla vide Nathan avvicinarsi a passi lenti alla stessa sedia su cui pochi attimi prima era stata seduta sua madre. La voce tenue, delicata. Così sottile da lasciar intendere pericolosità. «Comincerò io: che novità ci sono sul caso di mio padre?», con il gomito appoggiato al bracciolo della sedia, Nathan aveva appena alzato il pollice della mano sinistra.
«Come? Io non..-», Camylla dovette scuotere la testa per provare a riordinare le proprie idee: il tempo stava correndo, lasciandola disorientata ed indietro. Faticava a star dietro agli avvenimenti, le risultava difficile apprendere la realtà dei fatti.
«Avanti Camylla!», l'autorietà di Nathan fece deglutire Camylla che si ritrovò a muoversi impercettibilmente: il rumore delle lenzuole fredde sfregate tra loro riuscirono a tradire lo sguardo che Camylla stava provando a sostenere. Inutilmente.
«Lo abbiamo interrogato ma ancora dobbiamo constatare l'alibi a sostenere la tesi di tuo padre», si morse istintivamente il labbro inferiore, sicura di aver stretto una morsa profonda: consapevole di doversene rimanere in silenzio, Camylla stava lottando con tutte le forze rimaste in corpo per infrangere il segreto professionale il meno possibile.
«Hm..ok», Nathan sembrava in procinto di pronunciare la seconda domanda ma si trattenne: prese una pausa, scrutando con intensità lo sguardo incerto di Camylla, «Tocca a te».
Camylla fremeva di avere così tante risposte da non sapere neppure da dove cominciare. Faticava a sostenere quelle iridi vrdi: si sentiva incredibilmente spoglia sotto il suo sguardo vigile; si sentiva vuota da ogni tipo di difesa sotto quelle labbra semi-aperte rese umide dalla lingua passataci lentamente sopra. «Perchè hai provato a baciarmi?», una domanda spontanea dettata dall'impulso che ebbe la capacità di far colorare le gote di rosa accesso Camylla: avrebbe voluto cancellare quegli ultimi secondi di vita appena vissuta ma l'accelerazione del battito cardiaco aveva la capacità di portarla bruscamente alla realtà.
Nathan si ritrovò a sorridere. Un sorriso maledettamente sincero. «Beh, in genere bacio persone che, come dire..-», si ritrovò a sistemarsi sulla sedia, accavallando le gambe, «Che mi interessano, ecco». Allargò entrambe le braccia davanti al petto con fare ovvio per poi poggiare nuovamente il gomito sul bracciolo e alzare il dito indice, «Arrivati a questo punto, Lucas dovrebbe aver già cominciato a parlare di statistiche. Quindi ti chiedo: che percentuale ha mio padre di salvarsi?», il tono di voce di Nathan era tornato talmente serio da far rabbrividire Camylla, lasciandola interdetta.
«Al momento ha il cinquanta per cento di possibilità», parlò meccanicamente, non rendendosi realmente conto di averlo fatto. Si morse la lingua, maledicendosi per ciò che stava ammettendo pur essendo consapevole di non doverlo fare: non riusciva a controllarsi; non riusciva ad affrontare Nathan in modo lucido. Non riusciva a tenergli testa, a fronteggiarlo con coraggio. Ne era vittima e carnefice. «Non hai cercato di baciarmi per convincermi ad aderire al piano?», Camylla dovette spostarsi un ciuffo di capelli ricaduto davanti agli occhi per poter scrutare la reazione impassibile di Nathan. Improvvisamente il suono metallico ed assordante del monitor elettrico posto vicino al letto di Camylla cominciò a rieccheggiare tra le pareti della stanza, facendo sussultare la ragazza per lo spavento.
L'infermiera dai capelli corvini e gli occhi sottili irruppe nella stanza a passi svelti, soffermandosi sullo stipite della porta con la bocca aperta: stava respirando a fatica. «Dobbiamo cambiarle la flebo e lei», si riservò brevi secondi per incrociare lo sguardo sulla figura di Nathan, «Deve uscire da qui».
«Ok, ok», Nathan si alzò in piedi sollevando le braccia davanti al petto in segno di arresa, «La risposta comunque è no», sorrise mostrando sicurezza e determinazione, usando un tono di voce velato ma imperativo, «Sappiamo entrambi che avevi già deciso di aderire».
Camylla si ritrovò a deglutire a fatica: rimase ad osservare in silenzio Nathan uscire dalla stanza; rimase con la bocca asciutta e le parole non dette urlate a mezz'aria. Rimane in quel letto di ospedale con una consapevolezza schiacciante che premeva sul petto. Rimase in quel letto le cui coperte erano impregnate di una verità prepotentemente sputata fuori come veleno.
Ancora una volta, si lasciò trasportare dalle mani esperte dell'infermiera senza rendersi conto di ciò che stava realmente facendo: ancora una volta, Camylla, si ritrivò da sola con i propri pensieri. Pensieri nascosti, pensieri sporchi. Pensieri pericolosi. Pensieri che per quanto cercasse di dimenticare, questi tornavano vivi e ludici.
Cercando di muoversi il più lentamente possibile, stese al meglio le gambe sotto al lenzuolo distendendo di conseguenza anche la schiena: avrebbe voluto chiudere gli occhi per riaprirli qualche ora più tardi e scoprire essere stato tutto soltanto un maledettissimo sogno.
Camylla non si accorse del cellulare posto sul mobilettino avorio di fianco al letto, fino a che questo non vibrò:

Messaggio ricevuto: ore 08.05 pm
Da: Nathan Mills
Ho ancora una domanda: chi è Matthias?
 
Quel messaggio fu costretta a leggerlo più e più volte: Nathan aveva questa insana capacità di mandarla in confusione più di quanto non lo fosse di per sè; avrebbe voluto rispondere ma non riusciva a trovare parole esatte ed appropriate. Si sentiva completamente sbagliata, mai pronta a controbattere una partita. Si sentiva inutilmente capace di reagire. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare ma inspiegabilmente non riusciva a compiere azioni logiche: preferiva arrendersi. Al dolore, alla sconfitta. A sè stessa.
 
10 Ottobre.

Quel luogo così maniacalmente pulito non riusciva più a tollerarlo: mentre seduta sul letto, con i piedi sul pavimento ghiaccio, cercava di legare i capelli in una coda disordinata, osservava Korinne varcare la soglia della porta con un sorriso appariscente.
«Buongiorno tesoro!», il tono di voce leggermente acuto non nascondeva la felicità, «Come ti senti?».
«Molto meglio», Camylla sorrise di rimando, contagiata dalla madre. Si strinsero in un tenero ma fugace abbraccio: tanto breve quanto inteso. Il profumo di Dior ad invadere le narici di Camylla.
«Il medico ha detto che puoi tornare a casa», Korinne stava accarezzando delicatamente la guancia di Camylla che per tutta risposta, si stava beando egoisticamente di quel tocco materno.
«Sì, ho firmato le dimissioni poco fa», aveva trascorso una nottata agitata nella quale si era svegliata molteplici volte: complice l'altezza eccessiva del cuscino, le lenzuola troppo leggere, il rumore scandito del monitor. I pensieri martellanti ed incessanti.
Aveva provato ad infondersi sicurezza, inutilmente; aveva provato a farsi forza, rendendosi ridicola. Aveva provato a reagire, rendendosi conto di non esserne in grado.
«Vuoi venire a pranzo a casa?», Korinne aveva afferrato Camylla per un gomito, aiutandola così alzarsi dal letto, «Tuo padre sta cucinando il Sunday Roast».
«No mamma», Camylla dovette allungare le braccia sopra la testa per poter distendere a dovere la schiena: il materasso non aveva aiutato il sonno della ragazza, «Preferisco andare a casa mia». Sapeva che avrebbe dovuto avere un confronto con i propri genitori ma inevitabilmente, non le sembrava quello il momento appropriato. 
Afferrò il cellulare depositato sul mobiletto: la sera precedente aveva optato per spegnerlo e adesso che si ritrovava a girarselo tra le mani, aveva paura ad accenderlo: paura nel trovare messaggi scomodi. Paura di non aver ricevuto messaggi da mittenti desiderati. 
«Domani sera però, verrai», nonostante il tono dolce e delicato sul volto di Korinne era presente uno sguardo serio e deciso: stava aspettando Camylla a pochi passi di distanza, con le braccia conserte davanti al petto e la testa leggermente inclinata.
«Mercoledì, promesso», Camylla dovette sforzarsi per sistemarsi al meglio la borsa attorno alla spalla: non ricordava fosse così pesante. Si sistemò al meglio la leggera felpa nera, stirandola nervosamente sull'addome: la promessa appena annunciata lasciava presalire una conversazione scomoda che Camylla non era pronta ad affrontare. 
«D'accordo», Korinne afferrò Camylla da sotto al braccio, trascinandola verso la porta, «Che dici, invito anche Thomas?», il sorriso innocente ad incorniciarle il volto.
«Ehm..», Camylla dovette mordersi l'interno della guancia, puntando il proprio sguardo oltre l'enorme finestra che le si prospettava davanti al corridoio. Dovette soffermarsi vicino allo stipite per far passare prima sua madre, «Non so se ha già degli impegni ma glielo chiederò». 
«Vedi di chiarirci», l'ammunì Korinne senza voltarsi a guardarla: Camylla poteva immaginare lo sguardo compiaciuto di sua madre, ne sentiva le iridi marroni scavarle nei pensieri più tristi. Non rispose, ripromettendosi mentalemente di dover chiamarlo una volta arrivata a casa. 
Avrebbe dovuto cominciare a sistemare tutto quel caos che era andato creandosi nella sua vita. Pezzo dopo pezzo, senza tralasciare niente. Avrebbe dovuto riprendere in mano il suo futuro, riportandolo alla priorità, dandole la giusta importanza.
 
Nell'orecchio di Camylla stava risuonando il quinto squillo consecutivo: era seduta sulla scomoda sedia posta in cucina, con le gambe accavallate, le unghie a picchiettare nervosamente sulla lastra del tavolo in vetro. Uno sbuffo sonoro ad irrompere in quel silenzio assordante. 
«Pronto?», una voce stanca aveva interrotto lo squillo metalicco del telefono, facendo sobbalzare Camylla dallo spavento.
«Hey, ciao», si sentiva quasi in imbarazzo. Si ritrovò a scostare la sedia, non preoccupandosi di strusciarla sul pavimento: si morse il labbro inferiore per evitare di trasmettere la propria ansia attraverso l'apparecchio telefonico.
«Ciao», una risposta secca che lasciava intendere nervosismo. Camylla si alzò in piedi, cominciando a camminare intorno al tavolo.
«Come stai?», una banale domanda di ruotine alla quale Camylla però era veramente interessata: sapeva che sarebbe dovuta andare dritta al punto di chiarimento ma targiversare rallentava in qualche maniera l'imminente collisione.
«Cosa vuoi, Cam?», Camylla si bloccò improvvisamente nell'udire quella domanda: erano anni che Thomas non la chiamava più in quel modo. Era un segno evidente di quanto fosse arrabbiato. Cominciò a grattarsi la fronte, imprecando mentalmente.
«Chiederti scusa», aveva sussurrato quelle semplici parole, non certa di averle fatte recapitare al mittente. Riprese a camminare nervosamente, avanti ed indietro mentre con la mano destra accarezzava il tavolo freddo. «Vorrei ehm..», dovette schiarirsi la gola, tossendo delicatamente e spostando leggermente il telefono dall'orecchio, «Ecco, vorrei poterti parlare».
«Ti ascolto», la freddezza nella voce di Thomas fece sbuffare Camylla: capiva la reazione dell'amico ma quel suo comportamento non la facilitava. Si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, optando per soffermarsi vicino alla sedia.
«Potresti venire qua? A casa da me?», la speranza nel tono di voce usato da Camylla era nitido e le dita della mano destra incrociate tra loro ne erano la prova.
«No, non posso», un rumore sordo rieccheggiò all'interno della cornetta: Camylla sentì una leggera imprecazione uscire dalle labbra del ragazzo ma non ci diede peso. «Puoi dirmi anche per telefono».
«Sul serio, Thomas?», Camylla stava perdendo la pazienza: stava provando a fare dei passi in avanti, ad esporsi a sentimenti e sensazioni che Thomas sapeva fossero per lei difficili da emanare. «Siamo tornati ad avere quindici anni? Ci nascondiamo dietro un cazzo di telefono?», aveva allargato il braccio con fare teatrale, come se Thomas avesse potuto vederla.
«Non lo so, dimmelo tu», stavolta il tono di voce usato da Thomas risultò essere alto persino da lontano, «Visto che hai deciso di nasconderti dietro false apparenze».
«Scusa? Cosa vorresti dire?», Camylla cercò di essere più veloce possibile nei movimenti: distolse l'apparecchio allontandolo dal proprio orecchio per poggiarlo sul tavolo ed attivare il vivavoce. In questa maniera poteva sfogarsi gesticolando liberamente, camminando nervosamente, strusciando rumorosamente le ciabatte sul pavimento.
«Vuoi davvero sentirtelo dire? Sei così sadica?», la voce mettalica cominciò ad invadere l'intera cucina facendo strocere il naso a Camylla.
«Ma di che cosa stai parlando?», Camylla si fermò davanti al telefono con le mani serrate a pugno poste sui fianchi, in attesa. Involontariamente, il suo piede destro aveva cominciato a tamburellare freneticamente.
«Da quando saresti una criminale? E quand'è che hai deciso di mandare in frantumi la tua dignità, facendo sesso in uno squallido bagno?», Thomas stava parlando a raffica: Camylla se lo stava immaginando con le gote colorate rosee, il naso arricciato e la sigaretta accesa non fumata nella mano sinistra.
«Ero ubriac..-», Camylla tentò di sovrastrare la frenesia di Thomas, senza successo. 
«Da quanto tempo hai deciso di tenermi lontano dalla tua vita?», Camylla percepì distintamente i denti sbattere tra di loro: la voce dura e profonda che stava usando Thomas scatenavano in Camylla sensazioni contrastanti.
«Non ti sto tenendo lontano dalla mia vita», Camylla si ritrovò ad appoggiare entrambe le mani sul tavolo, avvicinando il proprio viso al telefonino. Voleva scaricare un pò di nervosismo trasmettendolo al tavolo. Inutilmente.
«Mi stai solo nascondendo delle cose», per la seconda volta Thomas aveva interrotto Camylla non preoccupandosi di farla parlare. «Niente d'importante, vero? Solo una rapina in banca».
A Camylla non sfuggì la nota di ironia sottile con la quale Thomas stava parlando ma poteva e doveva capire il suo stato d'animo. Cercò di trattenere uno sbuffo, massaggiandosi la nuca con una mano: socchiuse gli occhi per concentrarsi nel cercare di trovare parole corrette da dire in quel momento, senza dover peggiorare l'intera situazione. 
I secondi di silenzio celatosi tra loro, furono utili a Thomas per ripredere a parlarle. «Ho sempre fatto qualsiasi cosa per te», stavolta la lentezza che stava usando era disarmante, come a voler imprimere un concetto realistico e veriterio, «Non pensavo mi avresti messo da parte così facilmente».
«Non ti sto mettendo da parte!», fu la volta di Camylla nell'alzare la voce: non poteva rendersi conto di quello che l'amico le aveva appena detto. Battè un pugno sordo sul tavolo, facendo rimbalzare leggermente il telefonino, «Dio! E'..», dovette respirare a pieni polmoni, «E' difficile da spiegare».
«Non hai mai provato a farlo», una verità dettata dalla rabbia e dalla frustrazione. Una verità che fece tremare impercettibilmente Camylla, rendendole lucidi gli occhi: riprese a camminare, cercando di contenere le lacrime con l'aiuto delle mani. Cominciò a strusciarsi, togliendosi residui di mascara ormai secco. «Fatico a riconoscerti, Cam».
«Ok, è vero..», Camylla prese a parlare velocemente, incespicando nelle sue stesse parole con la paura che Thomas potesse riattaccarle il telefono, «E' vero, io ti ho nascosto delle cose ma l'ho fatto per te», si ritrovò ad inclinare indietro la testa, aprendo le braccia lateralmenete, «Nel senso che non volevo coinvolgerti in qualcosa di losco e pericoloso».
Dovette rallentare la camminata per potersi soffermare vicino al tavolo ed appoggiarvici una mano sopra, «Credevo di poter gestire diversamente la situazione e magari te ne avrei parlato ridendoci su», provò a sorridere debolmente: aveva bisogno che Thomas capisse lo stato d'animo di agitazione.
«Qualcosa è andato storto», adesso Thomas stava parlando piano: Camylla riconobbe il rumore dei passi che scendevano le scale.
«Già e adesso ho bisogno di te», anche Camylla aveva abbassato il proprio tono di voce, ammettendo forse per la prima volta un pensiero che si era limitata a pronunciare silenziosamente solo nella propria testa. «Ma non nel modo in cui credi, bensì consigliandomi. Aiutandomi».
«E se ti chiedessi del tempo?», una domanda che Camylla dovette aver bisogno di tempo per poter metabolizzare; una domanda che le gambe di Camylla non riuscirono a sorreggere. Dovette appoggiarsi al bracciolo della sedia per evitare di cadera a terra.
«No», un sussurro velato dalla paura mentre cercava di sedersi composta. «No».
«Ti chiedo sol..-», stavolta toccò a Camylla interrompere bruscamente Thomas. «Non puoi, T. Non puoi», stava parlando dettata dalla paura. Mentre scuoteva la testa nonostante il ragazzo non potesse vederla. Mentre lo stomaco le si attorcigliava, la testa le girava e il cuore lasciava spazio ad una consapevolezza amara. «Non chiedermelo. Non tu».
«Mi dispiace Cam», Thomas non dette la possibilità a Camylla di replicare. Semplicemente la lasciò in compagnia del rumore meccanico del telefono.
Camylla si ritrovò a mordersi il labbro inferiore, imprecando a denti stretti: strinse gli occhi mentre lacrime sporche di vergogna e rancore le avevano cominciato a solcare il viso. Si prese la testa tra le mani, dondolando ripetutamente avanti ed indietro. Strinse una chioma di capelli all'interno del pugno, non sentendone realmente il dolore: sapeva di aver nuovamente sbagliato; sapeva di aver meritato una tale reazione ma non per questo voleva accettarlo. 
Non poteva perdere anche lui. 
Non ce l'avrebbe mai fatta senza lui.
Il telefono rimasto sul tavolo vibrò per una brevissima frazione di secondo, talmente lieve da dubitare fosse successo davvero. Camylla vi si avvicinò allo schermo per notare l'arrivo di un messaggio:

Messaggio ricevuto: ore 07.42 pm
Da: Nathan Mills
Ancora non ho ricevuto risposta e tu hai diritto all'ultima domanda






 
I'M BACK!
Ok, ok, ok: non sono un miraggio anche se ammetto possa sembrare così.
Sono tornata - purtroppo o per fortuna :) - soltanto per un brevissimo periodo.
Questo capitolo mi ha destabilizzato totalmente e
 letteralmente!
Non è stato facile scriverlo e, nonostante sia semplicemente di passaggio, mi ha creato non poche difficoltà: la nostra Camylla ha un carattere difficile e non mi risulta così facile come avrei sperato riuscire a farvelo capire. 
Anche Nathan ci mette del suo, oscillando tra atteggiamenti lascivi ed ambigui ad atteggiamenti del tutto distaccati.

MA, il vero succo del capitolo si ha solamente alla fine: avviene un'altra piccola ma fondamentale discussione tra Camylla e Thomas.

Fatemi sapere, senza freniii :)
E prometto che il prossimo sarà più ricco di avvenimenti 
avviccenti!
Anche se, ovviamente, non so quando avrò la possibilità di aggiornare (spero prima del 7 Gennaio).

Vi ringrazio per la pazienza che mi dedicate.
Un bacione, 

G.xx


 

 

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