Rosso d'Autunno || An Alternative Reylo

di Nives_as_snow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Miss Palpatine ***
Capitolo 3: *** 31 Ottobre... Una giornata sinistra ***
Capitolo 4: *** Ognissanti (Parte Seconda di 31 Ottobre) ***
Capitolo 5: *** Il giovane Solo ***
Capitolo 6: *** "Sorpresa!" - Baby it's cold outside ***
Capitolo 7: *** Goodnight Moon ***
Capitolo 8: *** Professor Solo ***
Capitolo 9: *** Best Time of the Year ***
Capitolo 10: *** Buon Compleanno Professor Solo ***
Capitolo 11: *** La Presentazione - Parte Prima: Così Simili. ***
Capitolo 12: *** La Presentazione - Parte Seconda 23 Novembre. ***
Capitolo 13: *** Colpevoli ***
Capitolo 14: *** Jean ***
Capitolo 15: *** Il Vaso di Pandora ***
Capitolo 16: *** Skellig Michael ***
Capitolo 17: *** Satelliti ***
Capitolo 18: *** Fuoco e Pioggia ***
Capitolo 19: *** Luce e Tramonti a Nord-Est ***
Capitolo 20: *** La Tomba ***
Capitolo 21: *** Segreti ***
Capitolo 22: *** ~Carmen~ ***
Capitolo 23: *** Una promessa da mantenere ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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La nuova docente di Psicologia Rey Palpatine, laureata a pieni voti presso la Saint Martin University, nella cittadina di Lacey, Contea di Thurstone, nello stato di Washington, proviene da un prestigioso stage presso una clinica privata della medesima.

È senz'ombra di dubbio avvezza al clima rigido che trova, circa alla stessa latitudine, ma nella ben più grande, blasonata, universitaria Boston sulla costa opposta.

I primi freddi si avvertono specie al mattino presto, ma nelle ore centrali della giornata, durante la pausa per il pranzo e alle cinque del pomeriggio, ad attività terminate, può ancora godere dei tiepidi raggi del sole che riescono piacevolmente a ferirle le iridi chiare, filtrando attraverso gli alti rami rossastri degli aceri che circondano il College ed i viali tutt'attorno, i quali la conducono verso il piccolo basement dove si è sistemata presso l'abitazione di Lady Tano.

Si ritrova, percorrendo ogni pomeriggio la strada verso casa, con brio un po' infantile a guardarsi le punte dei piedi, mentre con gli stivaletti preme maggiormente sulle foglie per sentirne il crepitio.

Le piace il crocchiare, che producono a contatto con le suole.
Un suono di cui ama bearsi una volta lontana dal chiacchiericcio degli studenti e dei suoi colleghi, a mano a mano, che i viali principali del Boston College, ammantati dei colori dell'autunno rosso, si svuotano smistando il flusso che li riempie, fuori della cittadella universitaria in un dedalo di strade ben più strette e scarne.

Per sua fortuna, l' alloggio dove risiede, non dista che qualche centinaio di metri dal lavoro.

Puntualmente, una volta allontanatasi abbastanza dal vociare per perdersi nel silenzio e negli odori della natura, una berlina grigia - deve essere una Chevrolet d'epoca forse - le sfreccia di fianco.
Alla guida intravede sempre la stessa persona: un uomo alto, dai capelli mori, indossa gli occhiali, veste distintamente, ma in modo informale.

Lo ha intravisto nei corridoi del Campus e, pur non essendo Rey una che ha l'ardire di fissare lo sguardo su una persona, a meno che non le stia rivolgendo la parola, il collega svetta notevolmente data la sua statura.

Deve, probabilmente, essere il professor Solo, brillante insegnante, di pessima fama - stando alle ciarle di corridoio - intransigente, lunatico, egocentrico.

A Rey non piace dar credito al sentito dire; suole essere riservata per natura; aldilà dei necessari scambi con i colleghi è piuttosto sfuggente.

Non è che non le piaccia avere compagnia, è pur sempre una ragazza di ventisette anni, ma riservata. Aspetta quella parola in più, quel gesto di apertura che non la faccia sentire di troppo, che non è ancora arrivato! Del resto è nuova in una grande città.

Così spesso, suo malgrado, si ritrova ad ascoltare involontariamente i discorsi altrui magari mentre ripone il suo materiale nell'armadietto, assegnatole nella sala professori o quando siede alla tavola calda del Campus.

"..Questo tale, Solo, pare essere il terrore del campus.."

Sorride Rey a questo pensiero, tra sé, mentre manda giù con ossequiosa riverenza l'ultimo boccone del pancake ricoperto di candido zucchero a velo, che inzuppa scrupolosamente nello squisito sciroppo d'acero rimasto nel piatto, per non lasciarne nemmeno una misera goccia, non sia mai una tale leccornia vada sprecata!

Quasi non le va' di traverso quando si accorge di una presenza incombere dinnanzi a lei ad interrompere quell' ozioso momento di puro piacere, costringendola a sollevare lo sguardo.

Due iridi scure da dietro gli occhiali la fissano in attesa della sua attenzione.

Un uomo alto, molto alto, in silenzio, dinnanzi a lei, reclama la sua attenzione evidentemente spazientito di dover aspettare i tempi della giovane collega.

Angolo dell' Autrice:

Eccoci qui, ancora insieme, bene gente! 
Ci siamo.

Il 31 Ottobre il professor Solo sarà protagonista di una nuova avventura con la sua collega appena arrivata in città: Rey Palpatine!

Quale sarà il programma? 
Si accettano le vostre idee in merito. 😏

 

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Capitolo 2
*** Miss Palpatine ***


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"Miss. Palpatine, immagino" mormorò asciutto.

"Si, salve con chi ho il piacere di...?" esclamò Rey con il sorriso di cortesia più tirato che riuscisse a fingere benedicendo, tra sé, di non essere per poco soffocata.

"Professor Solo, ho bisogno di vederla nel mio ufficio al termine delle lezioni."

"Bene, consulto la mia agenda, sa sono nuova non ho ancora memorizzato tutti gli orari delle mie lez..."

"Domani alle 2.30 p.m." La freddò, girando sui tacchi come avesse impartito ordini a un soldatino.

Non ebbe quasi il tempo Rey, di sollevare lo sguardo dal suo taccuino, tanto meno di replicare, al suo amabile interlocutore, oramai già oltre il suo campo visivo.

"Ma tu guarda!" bofonchiò mentre raccoglieva spazientita la borsa e il blazer.

Quel tale era riuscito a farle andare di traverso l'intero resto del pomeriggio non solo il pranzo.

Poi l'aveva apostrofata 'signorina', quando tutti gli altri colleghi la chiamavano 'professoressa'
Le voci ricorrenti su quel tizio, nella mente di Rey, iniziavano a prendere forma.

Era trascorso un mese dal suo arrivo a Boston. 
Abbandonate scarpe, giacca e borsa nell' ingressino del basement, si diresse verso il divano dove si lasciò cadere con il cellulare tra le mani, rimettendosi a consultare la sua agenda.

Era stata talmente impegnata tra l'inizio del nuovo lavoro e tutte le formalità da sbrigare, per il trasferimento, che le era passato di mente: la mattina seguente aveva appuntamento con il rettore

Qualcosa le suggeriva che, la questione che le avrebbe sottoposto, riguardasse Solo.

"Sono stanca, molto, perché mi sia sfuggito così alla leggera" realizzò, mentre il vapore della doccia calda la ritemprava.

Poco dopo cena, avvolta nel suo comodo pigiama, contrtollò le mail dal portatile.
Era l'ultimo 'dovere' prima di abbandonarsi al meritato riposo: il suo infuso ai frutti rossi, poco distante che  fumava già in tazza e la lettura del prossimo capitolo del libro che, fosse stata meno impegnata, avrebbe divorato in una settimana nemmeno, come ai bei vecchi tempi della Lacey High School.

Ad un tratto, un fastidio, le salì alla bocca dello stomaco.
La strana sensazione prodotta dalla voce cupa di quell'uomo così poco gioviale le percorse la spina dorsale in un sussulto.
Si sentì turbata.
Gli occhi che l'avevano fissata, erano come la notte e il tono imperioso utilizzato, le suggeriva una forte somiglianza con i sinistri personaggi delle sue abituali letture.

D'un tratto le parve di udire dei rumori sordi provenire dall'esterno.
"Procioni ingordi..." pensò distrattamente, tornando a immergersi nella lettura.

Poco dopo udì un trillo molto distintamente.
Lo udì una seconda volta e fissando lo sguardo, istintivamente, verso i finestrotti notò delle ombre, le parvero passi affrettati.

Senza esitare afferrò un tegame da cucina per il manico e, salendo i pochi gradini, sgattaiolò verso la porta d'ingresso poggiandovi un orecchio.

Fuori c'era sicuramente qualcuno; con circospezione, d'improvviso, aprì la porta: da subito non vide nulla nel buio, ma guardando meglio, tra le fronde della siepe, una figura scura con il capo coperto non le fece per poco venire un infarto!
 

Angolo dell' Autrice Nottambula:

Spero, come minimo di mandarvi a dormire facendovi guardare fuori dalle finestre, prestando attenzione ai rumori.

Per la serie: "Era una notte buia e tempestosa..." 🤔
Che poi partorire queste cosucce alle 2.30, fa un attimo effetto anche a me! 🥶

Fatemi sapere se il professor Solo vi è già abbastanza antipatico o devo renderlo ancora più cattivo. 😈

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Capitolo 3
*** 31 Ottobre... Una giornata sinistra ***


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"Lady Tano! Che mi venga un colpo!" eruppe Rey, con una mano sul petto ansante, bianca in viso dalla paura.

"Oh mia cara... Mi dispiace davvero non intendevo spaventarti... è che la lampada qui fuori è fulminata e cercavo della legna nel capanno degli attrezzi, avrai sentito armeggiare."

"Lady Tano, qui è davvero molto buio si rischia di inciampare, la prossima volta non esiti, bussi pure, la aiuterò volentieri." Cercò di rincuorarla Rey vedendo l'anziana donna, sinceramente rammaricata.

"Ti prego vieni a prendere una tazza di tè, se ti va, così mi farò perdonare."

Rey, nonostante già in pigiama, infilò una giacca e accettò l'invito. 
Sapeva ancora così poco della sua cordiale padrona di casa.

"Così vive qui da quindici anni da sola ormai?" Chiese alla donna dagli occhi che parevano narrare mille storie seduta di fronte a lei.

Si, da quando mio marito è mancato.
Anche i miei figli vivono lontano, mi occupo di beneficenza nel quartiere e del volontariato, non c'è molto altro che si possa fare alla mia età, ma non mi lamento ho avuto una bella vita per tanti anni.

"Non si sente sola a volte?" Chiese Rey candidamente.

"Ci sono abituata... ad ogni modo vado a trovare i miei figli quando possibile."

Seguì qualche momento, nel quale le donne si studiarono, silenziosamente, alternando un sorriso ad un sorso di tè.
"Per quanto ti fermerai a Boston Rey?"

"Ancora non lo so, di sicuro, almeno per tutto l'anno accademico."

"Sono molto contenta di avere un po' di compagnia in questa grande casa ormai rimasta vuota."

"Ed io le sono grata della sua ospitalità Lady Tano." Sorrise dolcemente Rey, all'anziana signora.

"Verrò ancora a trovarla, mi farà sempre piacere bere un tè con lei."

Non rispose Lady Tano, ma lo sguardo - contornato dalle stanche rughe che le incorniciavano gli occhi di ghiaccio, come fossero le pagine della sua vita - le luccicò emozionato.
La donna proruppe in un sorriso così genuino che Rey, per un momento, ebbe l'impulso di abbracciarla tant' era la pace che emanava da quegli occhi saggi.


***

 

"La aspettavo prima, è in ritardo."

Una voce cupa la accolse, appena fatto capolino sull'uscio del soleggiato ufficio situato nell'ala est
del lungo corridoio, che si snodava, poi, verso i dormitori.

Su quel piano, il primo, erano situati tutti gli uffici degli insegnanti di ruolo del College.
Chissà, pensò Rey, se anche lei ne avrebbe posseduto uno tutto suo, un giorno.

Quell'uomo era veramente impossibile: aveva tardato si e no tre minuti, persa nel dedalo di corridoi di un' ala dove non si era mai avventurata.

La luce calda che dall' alta bifora illuminava il legno vivido della grande scrivania color mogano, meticolosamente in ordine, riuscì a conferirle un attimo di sollievo.

"A disposizione Mr. Solo, di cosa voleva parlarmi?"

Ancora non vedeva la sua imponente sagoma nella stanza, eppure gli rese immediatamente pan per focaccia, apostrofandolo 'Signor Solo' come lui aveva fatto il giorno prima con lei.

Avvertì la sua incombente presenza, incedere alle spalle, che gli aveva rivolto di proposito; si mostrò imperturbabile mentre la sagoma le girava attorno per porsi a sedere sull'ampia poltrona di pelle proprio di fronte a lei.

Con un cenno della mano Solo le indicò di accomodarsi, non gli piaceva che qualcuno stesse più in alto di lui.

Rey si finse ingenuamente all'oscuro, lo lasciò parlare, ma l'incontro con il rettore, al mattino, era stato delucidante.

Solo avrebbe dovuto lavorare, all'interno del suo corso di studi di Storia Contemporanea, per un intero semestre, al giallo di una studentessa del Boston College, trovata senza vita, misteriosamente, dopo mesi di ricerche, verso la fine degli anni Settanta.

Il docente di Psicologia, Palpatine avrebbe dovuto affiancarlo per analizzare la psiche criminale dietro il delitto.

"Dovremo necessariamente trascorrere del tempo di studio insieme per coadiuvare un'analisi coerente della questione, da sottoporre ai corsisti."

"Possiamo cominciare quando vuole, Solo, compatibilmente con i reciproci impegni." asserì serafica Rey.

"Adesso!" esclamò perentorio.

La ragazza fremette dentro, aveva promesso a Lady Tano che sarebbe andata a darle una mano, dopo le cinque, per sistemare alcuni vecchi oggetti di famiglia, ma una cosa era assolutamente certa, che di quel tale doveva liberarsi quanto prima. Quindi meglio iniziare con solerzia.

"Faccio una telefonata, per rimandare un impegno preso in precedenza."

"Si sbrighi però, non ho tutto il pomeriggio."

La ragazza estrasse il cellulare dalla borsa; voltandosi, occhi al cielo, si diresse fuori la porta dell'ufficio, lasciandola aperta con noncuranza, perché il tizio capisse con chi aveva a che fare.
Non certo con un soldato sottoposto!

I due si recarono nei seminterrati dove giaceva l'immenso, polveroso archivio del Campus.

L'umidità penetrava nelle ossa, e quell'idiota con cui doveva forzatamente confrontarsi, non le lasciò nemmeno il tempo di prendere il cappotto.

Erano trascorse diverse ore; seduti uno di fronte all'altra i due lavoravano ai rispettivi notebook, prendendo appunti.

Ormai fuori era buio e lo stomaco di Rey iniziava a brontolare.

"Solo, ho bisogno di una pausa, devo assolutamente bere, assumere degli zuccheri." 
ed adempiere alle funzioni fisiologiche vitali... che tu sia maledetto, emerito imbecille! -"

Le tremava la voce dal freddo, che la stava quasi paralizzando, tanto da non sentire più braccia e gambe, se non in un fastidioso formicolio, mentre l'energumeno dinnanzi a lei non si era degnato di rivolgerle la benché minima attenzione.

La verità è che avrebbe ritrovato la strada dell'ufficio di Solo, dove aveva lasciato le sue cose, con molta fatica da sé, ma pareva l'unica soluzione.

Si alzò di scatto spazientita e iniziò a cercare i cartelli direzionali, intenzionata a tornare due piani sopra il livello di ipotermia che, di lì a breve, l'avrebbe messa a tappeto.

A quel punto, visibilmente seccato dell'interruzione, Solo la seguì dovendo quasi correrle dietro.

Avevano perso completamente la cognizione del tempo.

Rey posò la mano sul maniglione antipanico, ma raggelò, la porta era bloccata.

Solo guardò l'orologio, mancava poco a mezzanotte e si sarebbero spente le luci e scattate quelle d'emergenza.

A quel punto Rey lo fissò furiosa, se uno sguardo avesse potuto uccidere, stecchito! Questo sarebbe stato l'idiota che le stava davanti con quell'aria da damerino sfigato nei suoi abiti ricercati, il suo golfino di cachemere a tono con calzini e pantaloni, la bocca semi spalancata e lo sguardo da pesce lesso con il quale la fissava.

La stava guardando senza dire una parola, sul suo viso, forse, per la prima volta era comparsa un' espressione simile alla compassione?

Mezzanotte in punto, rintoccarono le campane, le luci si spensero.

Per più di dieci minuti avevano tentato, con i cellulari, di contattare qualcuno, ma non c'era campo.

Nulla da fare. Rey, tornata nei pressi della sua postazione si sedette su un divanetto tenendosi la testa tra le mani.

Poco dopo sentì Solo affiancarla.

Lo guardò truce, le labbra livide che ormai teneva serrate, le braccia strette intorno al corpo sulla camicetta leggera, le gambe esili, aggrovigliate inutilmente, in cerca di un po' di calore.

La stava fissando e questo la irritava di più. 
D'un tratto si tolse gli occhiali poggiandoli sul divano, si alzò e sfilò il golfino che porse alla ragazza senza proferire parola.

Se mai ci fosse stato un camino ve lo avrebbe lanciato volentieri dentro, ma non le parve il caso di rischiare seriamente l'ipotermia per orgoglio.

Accettò quel momentaneo gesto di tregua, dal collega, che tornò, come niente fosse, al PC.

Il calore del golfino la ristorò almeno dal freddo, ma non dai morsi della fame; si rannicchiò in un cantuccio del sofà e aspettò... che passasse un poco il freddo, aveva riparato le gambe sotto la gonna plissè di lanetta che indossava e immerso il viso nelle maniche ove respirava per scaldarsi.

Quanto avrebbe voluto essere nel suo letto, o a bere del tè con Lady Tano.

Persa in quei pensieri sollevò lo sguardo verso il collega: non indossava gli occhiali, la luce azzurrina proveniente dallo schermo del portatile, gli contornava il volto stanco, una mano tra i capelli e gli occhi strizzati per riuscire a leggere.

Pochi istanti dopo un' esile mano gelida, porse a Solo gli occhiali, dimenticati sul divano.
Egli sollevò lo sguardo verso miss Palpatine, prendendoli.

 

Note dell' Autrice:

Era una notte buia e fredda nei seminterrati del Boston College. 
Professor Solo l'ha combinata grossa 'stavolta', ma abbiamo la vaga sensazione che non sarà l'ultima!

Spero che abbiate colto l' easter egg dedicato alla Trilogia Prequel. 😏
Come suo nonno prima di lui, non sopporta che qualcuno stia più in alto di lui.

 

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Capitolo 4
*** Ognissanti (Parte Seconda di 31 Ottobre) ***


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Un brivido e il fioco bagliore di un raggio di luce, che filtrava attraverso il pulviscolo da una delle finestre in alto, la risvegliarono dal torpore che quella notte sinistra le aveva lasciato addosso.

Stirò le braccia, ma le riportò subito attorno a sé, per il freddo. 
Erano indolenzite, come ogni muscolo del suo corpo.

Il contatto delle dita, che affondavano nella lana soffice del golfino le dette ristoro. Vi immerse, per un attimo, anche il viso - che pensò dovesse essere diventato di marmo, tanto era gelido -
respirandovi piano, a scaldare le gote e la punta del naso.

Il profumo che emanava il morbido tessuto, era un misto tra una delicata, ma decisa, fragranza da uomo e l'odore fresco di bucato, un mix piacevole, di cui la ragazza protrasse la sensazione tenendo il maglione, con entrambe le mani, sulle guance.

Il professor Solo - doveva ammettere - aveva buon gusto ed era sempre curato e impeccabile.

Pigra, voltò il collo dolorante verso la scrivania, dove aveva lasciato al lavoro, il suo collega, poche ore prima.

Da dietro il notebook, ancora aperto, sporgevano i gomiti di Solo, distesi lungo il piano di lavoro. 

Rey si avvicinò piano, senza scarpe, per non fare rumore. Se ne pentì quasi subito, a contatto dei suoi piedi coperti solo da leggere calze di velo, sul pavimento ghiacciato.

Una massa di  folti capelli corvini, leggermente scompigliati, era sprofondata sugli avambracci a faccia in giù.

Dunque era un essere umano! Aveva infine ceduto al sonno, il professor Solo, non era un vampiro o un essere modificato in laboratorio, come le era venuto in mente, più di una volta, la notte precedente tanto da essere così inquieta tra il freddo e quei pensieri, da non riuscire ad addormentarsi.

Un moto di - non sapeva quale - compassione, la spinse a sfilare il largo, comodo golfino.

Lo tese meglio possibile, adagiandolo pianissimo sulle larghe spalle del collega addormentato.

Il comodo indumento, che era riuscito a regalarle tepore e sonno durante quella notte, bastava appena, a coprire mezza schiena,
dell'uomo che giaceva inerme davanti a lei.

D'un tratto si riattivarono le luci e - benedetto sia il cielo* - si sbloccarono le porte.

Si volse appena, sentendosi osservata da due occhi assonnati e un po' spaesati, più in basso di lei, che la stavano fissando con aria interrogativa.

"Buongiorno Mr.Solo, possiamo andare via da qui."

"'Professor Solo'!", biascicò, con la voce ancora impastata dal sonno, mentre si tirava su a fatica.

Proprio quando Rey aveva iniziato a pensare che fosse un 'essere umano'.

Una volta giunti nell' ufficio, al primo piano, Rey racimolò le sue cose in un battibaleno. 
Si diresse verso il distributore automatico di caffè, Solo la seguiva poco distante.

Non era tenuta, ma in un impulso di generosità,  gli porse il bicchiere fumante, appena prelevato.

Solo le parve la stesse guardando come si osserva un insetto molesto, comunque dopo qualche attimo, esistante, accettò la bevanda dalle mani della ragazza.

"Grazie Miss. Palpatine."

"Professoressa Palpatine" puntualizzò la ragazza, ondeggiando con nonchalance la chioma castana, praticamente sotto il naso dell' irritante collega, mentre selezionava dell'altro caffè per sé.

Solo le passò oltre a grandi falcate.
Poco dopo rallentò il passo, fuori le vetrate del portone d'ingresso c'era una nebbia da non scorgere a un palmo.
Richiuse bene il paltò di pregiato velour nero e sistemò in alto il bavero.

D' istinto si voltò verso la collega, che nel frattempo era giunta sulla soglia vestita in modo del tutto inadatto alle temperature dei primi del mese di Novembre, a Boston, osservò.

"Le do un passaggio in auto."

"Non è necessario, non sono che due passi."

"Insisto." proferì deciso.

Guardando la fitta coltre che lasciava intravedere i caseggiati di fronte, simili a spettri,
sentendosi frastornata e senza energie, annuì debolmente non avendo la forza nemmeno di controbattere.

Era vero, l'abitazione di Lady Tano non era che a una decina di isolati, ma una volta arrivati, Solo constatò che la sua collega era silenziosa perché s'era riappisolata, complice il sedile riscaldato della Chevrolet super accessoriata che la trasportava.

Spense il motore dell'auto e passandosi una mano tra i capelli, dietro la nuca, un po' a disagio si schiarì la voce, nel tentativo di ridestarla.

Rey aprì gli occhi, nonappena il tempo di riaversi si raddrizzò sul sedile, imbarazzatissima, lisciandosi i vestiti, soprattutto la gonna, le cui gambe abbandonate, avevano lasciato che scoprisse pericolosamente sopra il ginocchio e ben oltre.

A quel gesto, Solo trattenne una risata sotto i baffi "Le temperature sono rigide a Boston, Miss Palpatine, e sicuramente ci toccherà far tardi diverse sere, la prossima volta vesta adeguatamente."

Sentì le guance arderle e il cuore pulsarle nelle orecchie.

Come osava quell' ignobile misogino, magari anche maniaco, osare fare apprezzamenti sul suo vestiario?!

Che stupida Rey, stupida, stupida, come hai potuto accettare un passaggio da quest'essere ripugnante? Come hai solo potuto pensare, che si fosse mostrato realmente gentile, le solite tattiche da pervertito sessista.-

"Questi non sono affari suoi." replicò secca sbattendo lo sportello dell'auto.

Imperterrito Solo, abbassò il finestrino "Miss Palpatine? Buon Ognissanti anche a lei, si riposi, ne ha bisogno!"

Non lo degnò neanche di uno sguardo, mentre, imboccato il vialetto spariva nella nebbia.

- Buon Ognissanti te lo do io! Pezzo di... Il caffè bollente avrei dovuto rovesciartelo sui tuoi bei pantaloni in velluto griffati, dove non batte il sole, ammesso che ci sia qualcosa di 'vivo' lì in basso.-

Guardò allontanarsi la sua silhouette snella, più sveltiva, nervosa il passo, sui tacchi, più ancheggiava sinuosa, il che era un piacere per gli occhi, insieme a quel broncio inviperito che faceva risaltare le adorabili efelidi che le incastonavano gli occhi da cerbiatta.

Solo doveva ammettere che la sua permalosa collega,  nonostante l'aria austera, aveva fuoco ardente nelle vene, un caratterino niente male.
Si sentiva già incredibilmente stimolato dal lavorare con lei, intelligente lo era, ma non le avrebbe concesso tanto presto di farle intendere che lo aveva afferrato molto bene, parimenti al suo aspetto curato, innegabilmente attraente.
Ci scommetteva che avrebbero fatto scintille.

L
'ultima cosa che voleva era l'ennesima assistente o studentessa gatta morta che cercasse banalmente di sedurlo.
Non che fosse disdicevole - intendiamoci - a patto fossero assistenti e non corsiste disposte a tutto per aumentare i voti; più di qualche volta, gli erano capitate anche avances dai ragazzi.
Ma di certo non era uno sprovveduto, non avrebbe mai compromesso la sua posizione di spicco all'interno del College, o la sua reputazione, per la leggerezza del salutare divertimento. 

 

Note dell' Autrice :

Se non si fosse capito Rey Palpatine è la classica 'donna di legno' per usare un pallido eufemismo.

Solo ha l'ambizione di scioglierla, non per portarla a letto, ma perché da anni non lavora con qualcuno che sappia sfidarlo, tenendogli testa.

L'intelligenza di Miss Palpatine è palese, Solo lo percepisce, ma gioca con lei, a carte coperte, prudente come sempre.

Per la prima volta dopo tempo si sente realmente preso dal progetto che porterà avanti, in un rapporto alla pari, con una collega arguta e perspicace.

* 3PO e le sue citazioni sempre nel cuore. 😅

 

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Capitolo 5
*** Il giovane Solo ***


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La sensazione di calore - agognata all'estremo - il profumo che emanava da lei, mentre distribuiva la crema idratante sulla pelle ancora tiepida, dopo una lunga doccia bollente, che aveva rimosso l'umidità penetratale fin nelle ossa, lasciatale dalla funesta notte appena trascorsa e dal disagio del tempo passato con quell'individuo, l'avevano sprofondata in un sonno tranquillo, quasi istantaneo.

Non si svegliò che poche ore dopo: se pur fievole, il chiarore grigiastro del mattino che filtrava pigramente da dietro le tendine ricamate di Lady Tano bastò a schiuderle le palpebre.

Sapeva cosa avrebbe fatto in quella meritata giornata di assoluto riposo: si sarebbe concessa il lusso della sua sacra, salutare, lenta colazione dolce.

La moka italiana, in alluminio, da tre tazze, comprata in un negozietto vintage di Lacey borbottava sulla piastra a induzione spargendo il suo aroma inconfondibile per tutta la stanza, nel frattempo, con gli occhiali sulla punta del naso, aveva già aperto le pagine dei quotidiani locali online per leggere le ultime notizie.

Versò, lentamente, tutto il contenuto della caffettiera nel mug, macchiando appena la bevanda con latte di mandorla.

Sedette, avvolta nel soffice pigiama di ciniglia, che avrebbe oziosamente indossato per tutto il giorno e prese ad inzuppare le due brioches, al burro, che si sarebbe gustata con estenuante lentezza.

Si mise al lavoro, comodamente in déshabillé.

Dopo aver cambiato l'aria e sistemato letto, bucato eccetera, prese dalla borsa tutti gli appunti annotati sul caso di Jean O' Connel, li catalogò in ordine cronologico, trasferendoli sul suo portatile.

Da una prima lettura, sembrava davvero una storia molto triste e sicuramente più intricata di ciò che si potesse pensare; la morte di una ragazza di ventitré anni è già una cosa sconvolgente in sé, ma il mistero attorno ad essa, non poteva ridursi al giovane che era stato incolpato.

La O' Connel pareva essere caduta in un giro di amicizie strane e, dagli elementi raccolti finora, c'era da pensare - a suo avviso - che quell' omicidio avesse più di una mente dietro, oltre al 'colpevole ufficiale'.
La famiglia della ragazza non si era mai data pace, ma Jean era figlia unica, ed i suoi erano ormai deceduti, neanche a pensarci di poter contattare qualcuno dei suoi vecchi colleghi di corso.

Pensierosa, fissava lo schermo, erano trascorse molte ore, la campana della monumentale chiesa metodista, poco distante, le ricordò che erano le tre del pomeriggio.

Assorta com'era nello studio del caso, non si era accorta che un tiepido sole aveva dissipato la nebbia, perlomeno nelle ore centrali della giornata.

Sollevò il vetro scorrevole della finestra, poggiò i palmi aperti sul davanzale e inspirò profondamente l'odore acre dei camini.
Il sole le scaldava il viso, facendole strizzare gli occhi, il rosso degli imponenti aceri era uno spettacolo.

Rientrò e si preparò per pranzare.

Mentre le briciole del suo pane tostato con prosciutto e sottiletta si andavano ad infilare ben bene nelle fessure, tra i tasti del portatile, la sua mente vagò inspiegabilmente su Solo.

Mise in pausa, momentaneamente Jean O'Connel e provò a digitare il nome del collega per vedere se avesse dei profili social, ma niente, a suo nome non corrispondeva nulla.

Per come lo immaginava, doveva essere uno di quelli in incognito, il cui unico scopo è spiare le debolezze altrui, tramite il web per poi, al momento giusto, sferrare il suo attacco micidiale alle ignare vittime, suoi corsisti magari.

Provò a googlare, dunque, il suo profilo ed eccolo apparire in foto di eventi ufficiali, a fianco del rettore Johnson, c'era anche il suo curriculum dettagliato, che iniziò a leggere, con interesse.

Al secolo Benjamin Solo Organa, anni 36, una carriera universitaria costellata di encomi vari, in ambito accademico e sportivo.
Specializzazioni e  aggiuntivi corsi di prestigio, privati, non propriamente alla portata di tutti.

Nientemeno che figlio del sindaco di Boston, la senatrice Leia Organa, in corsa persino per le presidenziali, anni prima!

Il padre Han Solo, un generale dell' aviazione, veterano della guerra del Vietnam.
Praticamente il rampollo, figlio unico, della famiglia più in vista della città. 
Vicini di casa ed amici proprio del rettore Johnson.

Ma Rey, ostinata, continuava a cercare nel web, notizie scabrose a riguardo del professor Solo. 
Era certa che vista la potenza della loro casata, avrebbero potuto insabbiare tutto ciò che non risaltasse la loro facciata patinata, eppure doveva esserci qualcosa.

La senatrice Lady Carise Sindian, collega della madre di Solo, ma molto più giovane di quest'ultima:
pare fosse rimasto invischiato in una torbida storia di molestie, delle quali era stato lui, però, l' oggetto.

All'epoca dei fatti era un giovane neo laureato venticinquenne, stagista presso l'ufficio di Lady Sindian, avvenente quarantaduenne, sposata e con prole.

Solo era stato praticamente beccato con le mani 'quasi' nella marmellata - o forse col biscotto, sarebbe meglio dire - dal marito della Sindian, nel bel mezzo di un tentato amplesso a senso unico, nel quale la  senatrice, 's-vestita' di tutto punto per l'occasione, cercava di dominare il giovane Solo, in stato di semi incoscienza, dopo averlo drogato, denudato e legato, per i polsi, dietro la schiena e immobilizzato caviglie e bacino con le lunghe stringhe di pelle delle  zeppe dal vertiginoso tacco a spillo.

La questione era stata liquidata con una causa di divorzio epica, nella quale il marito di Sindian le aveva letteralmente sfilato le mutande - per restare in tema - oltre alle ottenute: restituzione dei gioielli regalatile, custodia esclusiva dei figli, proprietà, lauta parte dei conti in banca e, un risarcimento milionario per danni morali, sia per il giovane, che per le corna subite.

E, naturalmente, la fine di qualsiasi carriera per lei.
Fuggita in una remota regione a nord dei Grandi Laghi, qualcuno vociferava vivesse sotto copertura, con un'altra identità.

Sorrise sorniona Rey, immaginando il giovane professorino 'io so tutto' marpionato da una mistress, se ne pentì poco dopo però, sicuramente non doveva essere stato piacevole essere quasi abusati, senza consenso.
È che faceva proprio fatica a immaginare Solo nelle vesti di vittima, o ingenuo ragazzo.

Forse questo spiegava perché fosse così arrogantemente stronzo, per quel motivo era così schivo, altezzoso e, probabilmente, detestava maggiormente le donne... chissà... pensò Rey.

 

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Capitolo 6
*** "Sorpresa!" - Baby it's cold outside ***


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Il giorno seguente, l'ozioso break di riposo aveva dovuto ricedere, a malincuore, il posto ai ritmi frenetici scanditi da lezioni, pause, correzione dei quiz di verifica, preparazione delle lezioni e... Solo... il 'lavoro extra.'

La ragazza aspettava nel suo ufficio; lo guardava raccogliere le sue cose dalla scrivania adagiandole nell'ampia tracolla di cuoio invecchiato, recante un pregiato logo italiano intarsiato sulla patta.

Ogni cosa che lo riguardava aveva stile da vendere, senza vistosi fronzoli, ad esempio il Brieteling Navitimer da capogiro che indossava con quadrante blu notte, personalizzato - rispetto al modello originale - da due piccoli zirconi: le lancette che vi brillavano nel mezzo.

I dettagli non erano mai affidati al caso, la Clark blu in camoscio richiamava il pullover e il cinturino dell'orologio, mentre la camicia carta da zucchero, i jeans.

Non che lei tenesse troppo all' apparenza, ma l'eleganza le pareva indispensabile in un College rinomato, oltretutto, se non si fosse abbigliata in maniera classica, l'avrebbero certamente scambiata per una corsista, tutti le dicevano dimostrasse un'età molto più giovane dei suoi ventisette anni.

Rey s'arrestò di colpo, sulla porta dell'ufficio, tornando alla cruda realtà: il pensiero di trascorrere un altro solo minuto, in quell' insalubre seminterrato la paralizzava.

"Professor Solo, possiamo lavorare altrove alla nostra ricerca? Nei seminterrati dell'archivio si gela, l'unica stanzina adeguatamente riscaldata è il minuscolo ufficio della custode, Mrs. Gwendoline."

L'uomo la fissò interdetto per qualche istante, per poco non le aveva urtato, mentre usciva dalla stanza a testa bassa non si era accorto che lei avesse smesso di avanzare.

"Dove suggerisce Miss. Palpatine?"

"In biblioteca andrà benissimo, almeno fino alle cinque."

"E dopo? Non sono che due ore o poco più." osservò titubante lui.

"Potremmo... andare da me, non ci disturberà nessuno ed avremo maggiore luce e calore, che ne pensa?"

La fissò ancora più stranito... "una ragazzetta frignona e freddolosa, ma tu guarda con chi mi tocca lavorare, che perdite di tempo" imprecò silenziosamente.

"Dobbiamo ad ogni modo passare in archivio da Mrs. Gwendoline per prendere tutto il necessario."

La custode fu piuttosto restia.
"Le ricordo, Dottor Solo, che non è consentito portare documenti ufficiali fuori dell'archivio, non è che lei possa fare il bello e il cattivo tempo, qui dentro!"

Solo alzò gli occhi al cielo, era sul punto di esplodere, Rey ne era sicura e si era preparata al peggio.

Con tono roco e strisciante le intimò,
"Signora Gwendoline, suvvia, non vorrà farmi fare rapporto al rettore dello spiacevole incidente occorso qualche giorno fa, a me e alla signorina Palpatine, per negligenza di un custode che non sa fare il suo dovere." 
Aggiunse, con enfasi finale.

"Senza contare altri tipi di incresciosi inconvenienti ogni volta che la mia presenza è richiesta da queste parti!"

Mrs. Gwendoline avvampò, e non oppose più resistenza. Presero il necessario e si diressero verso l'uscita.

Chissà a quale tipo di inconvenienti si riferiva Solo, la Gwendoline era diventata paonazza.
Che avessero una tresca segreta? Era una bella donna, alta e bionda, anche se diversi anni più grande di lui.

Una volta lungo i viali, giunsero verso il parcheggio delle auto, ma Rey fece per proseguire a piedi, Solo dunque brontolò, schiarendosi la voce, per richiamare l'attenzione della collega.

La giovane si fermò, occhi al cielo e si voltò pensando tra sé "Che altro vorrà adesso..."

Il professor Solo la guardava basito, un sopracciglio alzato, un avambraccio poggiato sul suo bolide fiammante, l'altro braccio teso verso di lei le indicava di salire.

Inarcò le sopracciglia a sua volta Rey, mentre lo fulminava con lo sguardo "meglio congelare."

"Non mordo..."

"Eccome, brutto mandrillo!" sperò di poterglielo dire presto o tardi, ma non volendo parere di legno, accettò rassegnata.

Stavolta il breve percorso filò liscio e Solo accostò l'auto appena fuori il vialetto di Lady Tano.

Prima di scendere fissò attentamente la casa, alzando lo sguardo fuori dai finestrini. Sembrava cercare qualcosa.

"Va tutto bene?" chiese Rey.

"Oh... oh si, certo."

Una volta entrati nel piccolo basement, accese le luci, Rey sfilò il cappotto lasciandolo sul vicino divano, mentre toglieva gli stivaletti e indicava a Solo il posto, vicino l'entrata, per riporre le scarpe.

La ragazza si diresse per prima cosa in bagno.
Il collega restò in piedi, guardandosi attorno.

L'ambiente era piccolo, ma le pareti chiare e il pavimento in parquet in legno di rovere, vi conferivano luminosità.

Non era un tugurio, tutt'altro. 
Arredamento minimalista ed essenziale: un divano bianco al centro della stanza ai cui piedi vi era un grande tappeto color tortora, abbinato alla coperta sul letto di pelle bianco. Da rivista d'arredamento. 
Sul divano, un plaid scozzese spezzava con i colori chiari, dominanti.

Un tavolino bianco, su cui era poggiata una grande lampada illuminava il divano, mentre i faretti del controsoffitto erano quasi accecanti.

Il piccolo angolo cottura disponeva di un tavolo/penisola in rovere, suppose sarebbe stato quello il loro piano di lavoro.

Lì vi era poggiato il portatile di Rey, qualche pila di libri e quiz da correggere e la sua borsa, abbandonata su una sedia.

In giro c'era qualche foto di lei bambina, poi adolescente amazzone pluripremiata.
Solo prese le cornici delle foto tra le mani.

Poco dopo il rumore della porta del bagno, che si apriva, lo ridestò dalla sua attenta osservazione.

Rey si era messa comoda, raccogliendo i capelli in una mezza coda, indossando una larga felpa, dei calzoni da tuta e buffi calzini pelosi.

Non ricordava nemmeno da lontano la rigida professoressa fasciata nei suoi tailleurs austeri e stivaletti a punta, da fare invidia a Mary Poppins.

Vestita in modo informale, senza occhiali, sarebbe sembrata tranquillamente una studentessa sedicenne.

"Prego Dr.Solo" gli fece cenno di posizionarsi al loro tavolo.
Prese dell'acqua e dei bicchieri da tenere a portata di mano.

Intanto si erano fatte le cinque, iniziava a far buio. 
Rey propose una pausa per mangiare qualcosa.

"D'accordo, le va del cinese? Ordino subito."

Rey gli rispose che andava bene, ma che nel frattempo avrebbe provveduto a uno spuntino.
"A lei va del caffè italiano Dr.Solo?"

"Del vero espresso?" mormorò lui fissandola scettico.

Annuì convinta Rey, mentre si accingeva a preparare la moka.

Davanti alle tazzine fumanti, l'uno di fronte all'altra, silenziosi, sorseggiavano la bevanda aromatica e fragrante che prometteva loro concentrazione assoluta per almeno un altro po' di ore.

Qualche attimo più tardi Solo esordì chiedendo: "A chi appartiene questa casa Miss. Palpatine?"

"A Lady Tano" esclamò la giovane, "un'amabile vedova che..."

Rey vide l'espressione di Solo farsi diversa, come prima in macchina.

"La conosco." la interruppe Solo. "Non la vedo da moltissimi anni, era amica della mia famiglia... e... come sta, se posso chiedere?"

Rey lo guardava con il capo leggermente inclinato lateralmente per scorgere i suoi occhi, fissi nella tazzina.

"Presumo bene, nonostante la sua età è molto attiva ed anche gentile." osservò Rey in tono disteso.

Le parve quasi un miraggio che un flebile sorriso comparisse sul volto del suo collega. Avrebbe azzardato dire persino, che un velo di malinconia gli velasse gli occhi che non sollevava mai.

"Gliela saluto volentieri!"

"Oh non si disturbi, forse non ricorda neanche gli Skywalker, la famiglia di mia madre."

D'un tratto sentirono bussare vigorosamente alla porta, il che fece balzare Rey sulla sedia, portandosi le mani al petto, mentre Solo cambiava decisamente espressione ridacchiando sotto i baffi.

Rey si apprestò ad andare a vedere chi fosse, quando aprì la porta, fu travolta da quattro braccia possenti: due prestanti giovanotti la stringevano da ogni parte, facendo un tale baccano, mentre Solo imperturbabile si godeva la scena.

"Due, addirittura, non uno, ma pensa..." gli balenò, osservandoli a braccia conserte.

"Finn, Poe! Ma che ci fate qui?" esclamò Rey eccitata.

"Sorpresa Rey!" dissero in coro. "Hai da fare?"

"Stavo... stavo lavorando, ragazzi lui è il mio collega, il professor Solo."

"Lieto" rispose in un abbozzato sorriso di circostanza.

"Scusaci Rey se siamo piombati all'improvviso."

"Sono così felice di vedervi, io e il dottor Solo stiamo per ordinare del cinese."

"Non ho ancora chiamato" la interruppe Solo.

"Professor Solo, allora facciamo per quattro? Se non le dispiace."

"Oh, non si preoccupi, signorina Palpatine, non sarà possibile continuare a lavorare, pertanto vado a casa."

"Davvero, insisto professor Solo, resti con noi*" gli sorrise dolcemente Rey.

Ma lui, replicò, stranamente pacato "È una serata tra amici, non è opportuna la mia presenza. Grazie del caffè Miss. Palpatine, buona serata."

Rey gli porse lentamente il morbido paltò di velour nero - che, nello spostamento, aveva rilasciato fino alle sue narici, un delicato odore di felci - accompagnandolo alla porta.

"È freddo e fuori è scesa la nebbia Dr.Solo, sia prudente... buonanotte." Disse la ragazza guardandolo con i suoi grandi occhi sinceri.

Solo ricambiò lo sguardo per qualche istante, poi, senza dire niente, dopo pochi passi scomparve nella nebbia.
 

Angolo dell' Autrice pazzerella:

*E all'invito di Rey, a Solo, di restare a cena tra amici parte il Lumiere che c'è in me:

"Stia con noi
Qui con noi
Si rilassi d'ora in poi
Leghi al collo il tovagliolo, poi faremo tutto noi
In alto i calici
Facciamo un brindisi
E stia con noi
Sì con noi
Qui con noi"

Ahahahah 😁🥂🍽🍴

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Capitolo 7
*** Goodnight Moon ***


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Tutti e tre finalmente insieme.
Che bella sorpresa era stata per Rey, si sentiva al settimo cielo.
Tutti e tre nell'enorme lettone.
Al minimo accenno di imitazione - con vocettina stridula di Poe dell' 'austero professor Solo' - 
"Signorina Palpatine è una serata tra amici... la mia presenza sarebbe inopportuna." Rey era scoppiata in una poderosa risata, rovesciando tutte le patatine sulle coperte e Finn e Poe si erano fiondati su di lei per tirarle cuscinate. Quest'ultima si era vendicata con il solletico. Tre bambini.

Al limite del soffocamento per il troppo ridere, Rey riuscì a divincolarsi mettendosi in piedi.
"Ragazzi perché non andiamo a bere qualcosa in un locale niente male qui vicino?"

"Ci sei già stata?" Chiese Finn entusiasta.

"Ancora no, ma è di strada tornando dal Campus, so che ci suonano live anche degli studenti." Rispose Rey.

"Ci sto dolcezza, guidaci nelle notti di Boston!" esclamò di rimando un Poe festante.

"Stasera c'è un gruppo jazz, i 'Figrin D’an and the Modal Nodes', sembrano essere popolari...
Ma adesso, fuori di qui!" Disse ai due tirandoli per le braccia. "Una ragazza, per farsi bella, necessita di privacy!"

Un' oretta dopo i baldanzosi amici, a braccetto, sfidavano il freddo pungente che lasciava un manto di brina sulle auto e i larghi marciapiedi, rischiarati appena dalla luce dei lampioni che sbucavano, uno per volta, dal manto di nebbia, simili a fantasmi aleggianti.

Per fortuna non erano che pochi isolati.
Una calda invitante luce dalla vetrata appannata e il risuonare delle note di un clarinetto, invitavano ad assaporare, presto, il tepore dell'interno.

Lasciati i pesanti cappotti che li infagottavano, i giovani si sistemarono nei comodi divanetti di pelle impunturata, color vinaccia, ordinando subito qualcosa di forte per riscaldarsi.

La band non era per niente male e la serata procedeva rilassata, il locale non era troppo pieno per essere un giovedì sera.

D'un tratto risuonò, dall'orchestrina, una rivisitazione di Goodnight Moon, una hit molto in voga nei primi anni duemila.

Poe guardò saettante Rey e, senza darle il tempo di replicare, la afferrò per la mano traendola a sé al centro della sala.

La ragazza arrossì violentemente, sentendosi sotto gli occhi di tutti, ma poco dopo - anche grazie all'aiuto dell' alcool - reclinò il capo indietro, sciogliendo le sue inibizioni in un sorriso disteso, contornato di un rosso carmineo, che le incorniciava le labbra sottili e i denti bianchissimi,
mentre il giovane uomo, dai ricci ribelli, le teneva una mano dietro la nuca, quasi a simulare un casquè.

Rey indossava una blusa di raso bianco e dei jeans che ne sottolineavano il fisico modellato, con comodi anfibi: uno stile semplice, ma elegante.

Il piacevole calore che irradiava dalla mano di Poe, sulla sua schiena, attraverso la stoffa leggera, era avvolgente.

Rey gli sorrideva con la testa lievemente inclinata lateralmente, che presto finì per posarsi sulla spalla del giovane, il quale la cingeva, gentilmente con un solo braccio, mentre l'altro era sollevato a tenerle la mano, come un gentiluomo d'altri tempi.

La candida mano di Rey, poggiata sulla spalla di Poe, contrastava con lo smalto rosso scuro e con la camicia immacolata dell' uomo.

Anch'egli indossava dei jeans blu navy e stivali texani testa di moro.

I due ballavano tempia contro tempia ad occhi chiusi, come una coppia navigata, nelle luci soffuse del club.

"What should I do I'm just a little baby
What if the lights go out and maybe
And then the wind just starts to moan
Outside the door he followed me home
Now goodnight moon
I want the sun
If it's not here soon
I might be done
No it won't be too soon 'til I say
Goodnight moon."
(Shivaree: Goodnight Moon)

Presto anche un'altro paio di coppie li avevano imitati, mentre Finn al tavolo sorseggiava la sua birra, serafico, messaggiando con la sua bella, lontana.

Quello fu l'ultimo brano della band, per quella sera, dopodiché nel locale rieccheggiò musica decisamente più vivace, dal jukebox vintage a destra del lungo bancone in legno di mogano.

Oramai il buon vino aveva scaldato gli animi e l'atmosfera era sempre più frizzante, Poe, Rey e Finn danzavano insieme ad altre persone. La loro era un'alchimia perfetta, un gioco di sguardi taciti e sorrisi complici di chi si conosce da una vita.

Dalla penombra ai margini del club, una sagoma si palesò nella luce calda del locale, mentre si dirigeva verso la cassa, per pagare il suo conto.

Gli occhi di Rey, in quello stesso istante, mossero lungo quella traiettoria mentre il suo corpo si muoveva a ritmo incalzante.

Se avesse potuto scegliere di farsi inghiottire viva, dalla terra, sarebbe stato quello il momento, senz'ombra di dubbio!

Il professor Solo dall'alto del suo metro e novanta la guardava con il bourbon che roteava nel bicchiere, facendo tintinnare il ghiaccio, che non si era ancora sciolto del tutto.

E lei per tutta risposta? 
Che diavolo avrebbe potuto fare per cavarsi d'impiccio?

"Professor Solo!" esclamò con voce dai decibel decisamente sopra la media - tanto che tutti i presenti sicuramente ora conoscevano il suo nome-
"Si unisce a noi?" gli andò incontro sorridente, ravvivandosi i capelli.

"Miss. Palpatine... sto andando, le auguro... buonanotte e... buon divertimento."

Rey rimase a guardarlo inebetita, incapace di formulare un solo pensiero di senso compiuto, da poter proferire sillaba. 

***

L'indomani nei corridoi del Campus, una professoressa Palpatine, nel suo rigoroso tailleur sale e pepe, camminava osservando da sotto gli occhiali chi incrociasse,
per evitare di approcciarsi a un certo collega, il quale sapeva, non aspettasse altro che la sua testa su un piatto d'argento.

Nella pausa pranzo era riuscita ad evitarlo per tutto il tempo, ma il consiglio dei docenti la aspettava implacabile.

Arrivò trafelata, in ritardo di un paio di minuti, fu l'ultima ad accomodarsi, dovette quindi sfilare, mentre le guance le si colorivano, davanti ai suoi colleghi. Non che fosse un problema, nessuno la metteva in imbarazzo, ma lui... il suo sguardo inquisitore sembrava voler penetrare fin nella sua testa, in posti in cui mai gli avrebbe consentito il benché minimo accesso.

Era il loro turno di mostrare l'esito delle ricerche svolte fino a quel momento, sul caso O' Connel: Solo, stranamente, lasciò iniziare lei, ma era una tattica calcolata ahimè, per poi contrattaccare, dall'alto della sua esperienza, sulle fantasiose teorie della sua collega.

"Dr.Solo" tuonò Rey, "lei vorrebbe dunque negare che, dalla fine degli anni Settanta, aveva preso piede la moda dei santoni? Sedicenti maestri senza scrupoli che, con la scusa della comune hyppie, seducevano  giovanissime prede, compiendo veri e propri riti iniziatici dove molte di queste ragazze venivano spinte al suicidio o sacrificate come giovani vergini?"

"Non sto negando nulla, dico solo che dai santoni delle comuni hyppie ai riti iniziatici è mistificazione Miss. Palpatine, mistificazione,  nient'altro, siamo obiettivi suvvia!"

Rey scalpitava, ne avevano parlato in privato ed era stato totalmente d'accordo con lei, ora aveva cambiato versione.
Quell'uomo era un sadico, per il gusto di umiliarla e contraddirla in presenza di tutti, avrebbe fatto carte false.

A fine riunione la giovane donna scattò per essere la prima a lasciare l'aula, ma la tortura non era ancora finita, dovevano vedersi in biblioteca e concordare gli incontri della settimana.

Solo, a grandi falcate la sorpassò per fermarsi ai distributori di caffè a fare la ruota di pavone con i colleghi veterani come lui, per l'uscita imminente del suo nuovo libro.

Da sopra il bordo del bicchiere fumante la osservava arrivare a passo spedito, lei, del resto, sentiva quello sguardo venefico, gelarla dentro; infastidita superò il gruppetto, imboccando le scale per la biblioteca.

Seduta al suo portatile, solo la luce della ministeriale ad avvolgerla in un cono di luce calda mista al pulviscolo, oltre quella dello schermo che le si rifletteva nelle lenti, se ne stava assorta a leggere fascicoli.

Solo la raggiunse dopo poco. "Perché non si è fermata per il caffè Miss. Palpatine?"

"Che ti sia andato di traverso pallone gonfiato impenitente."

"Abbiamo molto lavoro da pianificare per la prossima settimana e sono di fretta Solo, non ho tempo per il caffè." 
Lo freddò tutta soddisfatta, grazie a Dio era venerdì!

Solo sembrava perdere tempo intenzionalmente, ci stava mettendo ogni impegno a tenerla lì più del dovuto, ora con la scusa di telefonate urgenti, ora avanzando improbabili difficoltà sulla modalità degli incontri.

Rey ad un tratto esausta lasciò cadere la penna,  portandosi una mano alla fronte.

"È stanca Miss. Palpatine? Oh... capisco... la sua... esuberanza... sulla pista da ballo ieri sera, deve averla stremata."

Quel figlio di buona donna! - Alla faccia del sindaco Organa - Ma come osava?

Rey raccolse furiosa i suoi effetti e si diresse verso l'uscita.

"Ah... e... signorina Palpatine, lunedì pomeriggio, da me!"

Oh se solo la terra si fosse potuta davvero spalancare, più della bocca di quel tale.
Sarebbe stato poco per il suo sadismo!

Angolo dell' Autrice birichina:

Allora che ve ne pare? Che combina Rey con Poe?

Domanda due: professor Solo è tornato più acido e sadico di prima?
Se si, perché?

Avete capito qual è la band 'starwarsiana' da me citata? Ma i Cantina Band ovviamente. 😅

 

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Capitolo 8
*** Professor Solo ***


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Avrebbe dovuto lasciare i locali della biblioteca tutto tronfio della stilettata che era riuscito ad infliggere a 'Missfinta perfettina' - essì, perché finta lo era parecchio, la legnosa bacchettona, tutta ligia alle regole, che aveva sempre impersonato al lavoro si era sgretolata, quasi all'istante, al cospetto della scatenata ballerina della sera prima, in compagnia di non uno, ma ben due bellimbusti.

Se ne andava, invece, di un umore che faceva 'pendant' con il tempo uggioso. 
Nemmeno l'ennesimo complimento, per l'imminente presentazione del suo ultimo libro, da parte di un giovane collega, scalfì minimamente la sua poker face.

I pneumatici della Chevrolet Corvet C3 nera, stridettero sul selciato del vialetto di 'Villa Organa - Solo'.
Il venerdì era la sera prestabilita in cui la famiglia si riuniva.

Al rampollo di nobile casata, non sfuggì l'altra berlina parcheggiata appena sulla strada, fuori del vialetto dei suoi, una Porche Warna 911 rossa, gran bella macchina, ma quale proprietario avrebbe potuto scegliere un colore così 'kitsch'?!

Varcata la soglia, appena superate le fini colonne di marmo in stile corinzio, l'anziana governante gli si fece incontro per prendergli il cappotto.

"Oh Nance" la salutò con un bacio affettuoso sulla guancia, mentre le posava una mano su una spalla "Sei sempre tanto cara, non sono più un bambino, faccio da me... non voglio che ti stanchi."

L'attempata donna lo guardò sorridente, allungandogli una stanca mano tra i capelli, dietro la nuca "Ragazzo mio adorato, tu sarai sempre il mio piccolo Ben."

Le posò un altro bacio delicato sui capelli d'argento, mentre la cingeva a sé con tenerezza, per le spalle, con un braccio.

Quel momento di intimo benvenuto fu interrotto dalla tuonante voce del generale Han Solo.

"Ben, ragazzo mio, lascia che ti presenti il tenente colonnello Dameron, pluridecorato pilota della nostra Aviazione Nazionale, avete quasi la stessa età."

Per poco non venne una sincope ad entrambi, i quali rimasero muti per diversi momenti.

"Beh allora? Non dite niente?" Incalzò Han.

"Prima tu o prima io?" Ridacchiò Dameron.

"Piacere di rivederti." proseguì l'altro, telegrafico.

"Vi conoscete? Ma è fantastico! Bene allora proseguiremo la conversazione dinnanzi allo stufato preparato a quattro mani da Nance e tua madre, uno spettacolo!"

Poteva andare peggio di così? 
Per tutta la serata il generale non aveva decantato che il pregio del pilota loro ospite, le missioni cui avevano partecipato insieme, gloriosamente, in Afganistan (Han tirava fuori quell' aneddoto ad ogni occasione in cui poteva).

Il curriculum di Dameron vantava addirittura un anno al servizio del presidente, alla guida dell' Air Force One... mancava solo un Nobel per la pace, a completare il bel quadretto di famiglia, dove, questo, arrivato dal nulla, sedeva tra i suoi genitori mentre, in disparte e taciturno, il legittimo erede se ne restava ai margini.

La situazione precipitò quando il pilota/imbecille, loro ospite 
impiccione ficcanaso - chiese a Ben come mai, non avesse seguito le orme di suo padre, nella carriera militare.

Leia, che fino a quel momento aveva cercato di mediare la conversazione, includendovi suo figlio, si sentì oggettivamente in difficoltà.

Salvò la situazione dirottando la risposta su quanto il suo ragazzo fosse sempre stato estremamente riflessivo e dotato di grande talento e sensibilità per gli studi e che la carriera da letterato era senz'altro stato il suo destino, da sempre.

"Signori, si è fatto tardi ed è stato un vero piacere, ma è ora che torni a casa.
Sindaco Organa, un vero onore essere vostro ospite." Li congedava, mentre baciava galantemente la mano di Leia.

Ben giurò, a quel punto, di stare quasi per dare di stomaco.
Ma le sorprese non erano finite.

"A proposito ragazzo, dov'è la graziosa creatura che era con te a Lacey, l'ultima volta che ci siamo visti a casa del senatore Palpatine? Sua nipote se non erro."

Deglutì a fatica, troppe associazioni in un'unica frase.

"Sono giusto venuto a trovarla" rispose Poe un po' in imbarazzo, accarezzandosi la nuca.

"Ah! Ecco a cosa si deve la tua presenza sull'altra costa, sei qui per la tua ragazza, da quando si è trasferita? Ricordo che suo nonno era molto fiero di lei, stava per finire il suo tirocinio, due anni fa, presso una clinica privata, per l'abilitazione alla professione." Osservò Han.

"Insegna Psicologia qui, al Boston College." esclamò Poe rivolgendo uno sguardo inequivocabile al collega della ragazza!

"Lavora con te Ben? Perché non ce lo hai detto subito?"

A quel punto le sue orecchie avevano sanguinato abbastanza.

"Scusate, io... devo proprio scappare, domattina ho una colazione di lavoro con dei colleghi, per discutere dell'uscita del libro, grazie della squisita cena, mamma, papà, Nance, Dameron."

Schizzò in macchina come una scheggia, quasi senza infilare il cappotto. 
Accellerò, mentre selezionava la musica per distrarsi, e guidò. Guidò senza una direzione precisa.
Quando la rabbia e la frustrazione scemarono un poco, iniziando a fargli sentire freddo, si rintanò in un vecchio bar a bere.

Giù, un bicchiere dietro l'altro. 
L'alcool doveva avergli annebbiato la ragione oltre il limite, perché davanti agli occhi, gli si riproponeva la mano di Dameron, nella luce soffusa di quel locale, che scendeva sulla schiena sinuosa di una Miss. Palpatine diversa da come l'aveva sempre vista.

Disinibita, la testa abbandonata, i capelli fluenti, dello stesso colore caldo delle labbra e dello smalto, ondeggiavano al ritmo sensuale della musica.

Pensieri tossici e completamente fuori luogo, perché fantasticava su Miss Palpatine? 
Perché la immaginava ora, tra le possenti braccia di quel pilota?... 'la sua ragazza' - così aveva detto suo padre - e Dameron era in città per lei.
Li immaginava scaldare focosamente, insieme, le fredde notti Bostoniane.

Picchiò il bicchiere sul bancone, posandovi di fianco i soldi.

"Ernest ho bevuto troppo, non posso guidare in queste condizioni, ce l'hai una camera?"

"Certo professore! Era da un po' che non ti si vedeva."

"Ti ho detto di non chiamarmi così." Gli intimò tra i denti.

"Tranquillo Mister Solo... ti porto il solito."

"Ingenua e giovane, stanotte carne tenera!" Biascicò con tono arrochito.

Si lasciò cadere sul letto, occhi fissi al soffitto, le sue movenze erano quelle di un automa.

Poco dopo, il cigolio della porta gli suggerì che Ernest gli aveva mandato quanto richiesto.

Una ragazza dagli occhi spauriti color nocciola, illuminati appena dalla luce fioca dell' abat jour, il corpo minuto ma tornito, avvolto da un candido intimo di pizzo bianco, se ne stava immobile, serrata alla porta.

No, non era il 'solito'. Questa doveva essere alle prime armi.

La prese per mano facendola sedere accanto a sé, le sollevò il viso, con l'altra mano le spostò i capelli castani dalla fronte.

"Sei nuova? Non ti ho mai vista... quanti anni hai?"

"Venticinque" pronunciò con un filo di voce, mentre tremava.

"Non avere paura, se faccio qualcosa che non vuoi, devi solo dirmelo e smetto, promesso... Come ti chiami?"

"Nina" pronunciò la ragazza, guardandolo con i suoi grandi occhi 
"E tu?"

"Professor Solo, tu chiamami professor Solo!"

«Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto»
Seneca


 

Angolo dell' Autrice:

Professor Solo ha sdoppiamenti di personalità secondo voi? Aspetto numerosi pareri. 🤔

 

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Capitolo 9
*** Best Time of the Year ***


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Lo tenne abbracciato mentre dormiva, ma il suo sonno era agitato, mormorava sommessamente qualcosa che lei non riusciva a comprendere.

Lui era un 'cliente speciale' le avevano detto. 
E se n'era accorta.
Rispettoso più di chiunque altro mai, gentile nonostante l'impeto con il quale l'aveva presa.

Avvertiva un dolore sordo, infondo a quell'urgenza.

La giovane lo cinse dolcemente carezzandogli le larghe spalle, baciandolo su una tempia, mentre lo cullava quasi.
Lui le restituì il favore sfioranfola con la punta delle dita per sentire il velluto della sua pelle.

Poi risalì per guardarla negli occhi "Non sono mai stato con una ragazza così giovane" le 
disse "perdonami... dovevo capire una cosa."
finendo la frase sulle labbra voluttuose di lei.

I baci sulla bocca erano vietati, ma per lui aveva fatto un' eccezione, sarebbe stato il loro segreto.

Un mutuo, tacito scambio un bisogno ancestrale da colmare,
per entrambi.
La vita era fin troppo amara.

Si rivestì pigramente mentre Nina lo guardava ammirata.
"Sei bello professor Solo" sussurrò.

"Bello?" ribadì lui "Troppo vecchio di sicuro, per te."

"No, sei bello, davvero." gli sorrise "Vecchio? ma se hai una pelle stupenda."

Sorrise un po' imbarazzato professor Solo e la salutò con un bacio sulla fronte e la promessa che lui, lì, non l'avrebbe più voluta rivedere.

***

Si diresse verso Newbury Street, la principale area per lo shopping a Boston.
Vi si recava di solito il sabato mattina, in vista di compere essenziali.

Si definiva un tipo abitudinario - nuovo modo di identificare un tizio patetico - che stava invecchiando, in preda alla medesima noiosa routine.

Decise di stravolgere un po' l'ordinario, non era in programma, ma si recò all' Hair Salon in anticipo di un paio di settimane.

"Salve Tedd, ce l'hai un posto? Perdona, non ho avvisato prima."

"Buongiorno professore, non la aspettavo oggi, una sistemata, giusto?"

"Non so... tu... non trovi che abbia uno stile troppo... classico ?"

"Beh è quello che mi ha sempre chiesto... non è male... però, se potessi osare un po', valorizzerei il taglio per esaltare i capelli folti, sicuramente saprei renderla più sbarazzino."

"Non voglio sembrare un quasi quarantenne che si rende ridicolo atteggiandosi a teenager."

"Si fidi di me."

Il suo hair stylist di fiducia era uno dei migliori in zona, per Mario Russo lavoravano solo i più innovativi.

Tedd fece accomodare il suo titubante cliente e voltò la poltrona in direzione dello specchio.
Gli sfilò gli occhiali e gli scompigliò la chioma corvina.

"Guardi, già così con un po' di volume e un bella sfoltita, nei punti giusti, accentueremo naturalmente lo sguardo e gli zigomi, inoltre, consiglio una bella lente a contatto ogni tanto.
L'occhiale dona austerità, ma senza, con i capelli che ha, avrebbe un'aria davvero sexy."

E Tedd, avvenente trentasettenne dal fisico definito e capello a spazzola, dalle punte lievemente dorate, era uno che di fascino, donne ai suoi piedi - e non solo -  e stile, ne aveva da vendere.

"Siamo coetanei Dr. Solo." 
Addusse, sicuro di sé il giovane uomo, chinandosi, mentre teneva per le spalle il suo cliente "Siamo uno schianto, e lo saremo per molto."

Si mise dunque sapientemente all'opera, finito che ebbe, l'ego di Solo fu risanato.

"Alla presentazione del libro sarà irresistibile, mi dia retta, li stenderà tutti; a proposito, mi saluti quella vecchia volpe di suo padre e... sua madre... oh sua madre... è divina, vorrei essere nato prima per..."

Solo lo fulminò con sguardo truce "Grazie Tedd, sei sempre il top! A presto."

***

Quella mattina stava iniziando a prendere un'altra piega, il suo stravagante parrucchiere gli aveva decisamente risollevato il morale.

Si sentiva ispirato quindi decise di tirarsi ulteriormente a lustro, acquistando da Serenella, boutique di riferimento tra le prime a proporre brand del lusso a Boston,
un abito di fine manifattura italiana, una cifra da capogiro, per un Carlo Pignatelli in gabardine.
Lo avrebbe indossato per l'occasione.

"Oh professor Solo, le sembra cucito addosso da un sarto!" esclamò la donna sulla cinquantina - completamente ammaliata - direttrice della rinomata Maison, rivolta al suo facoltoso, affascinante acquirente.

Ma non si era limitato a quello, in uno Store dal target decisamente più casual acquistò un giubbetto in pelle nero, dei jeans stone-washed e maglioni a taglio vivo.

A un tratto, le note in diffusione, provenienti dal vicino Ritz Hotel, mentre muoveva verso lo snodo di caseggiati a mattoncini e vetrine, in direzione del Boston Public Garden, richiamarono la sua attenzione, riportandolo bruscamente al periodo dell'anno che si andava avvicinando.
Lui così pragmatico, serrato nel suo mondo ermetico. 

"It's beginning to look a lot like Christmas
Everywhere you go
There's a tree in the Grand Hotel, one in the park as well
It's the sturdy kind that doesn't mind the snow."

It's beginning to look a lot like Christmas - 
Michael Bublè version 

Stranito si guardò intorno: era già un pullulare di decorazioni, i negozi di giocattoli strabordavano di colori dal verde scuro degli abiti degli 'elfi addetti alle vendite', al rosso di fiammanti trenini in latta, schiaccianoci di legno dipinti a mano e ammiccanti, paffuti Santa Claus realizzati in ogni materiale immaginabile, adatto agli usi più disparati, gioia dei piccoli festanti e disperazione del portafogli di mamme e papà.

Una pungente sensazione gli si annodò tra lo stomaco e la gola, deglutì ricacciando indietro quel disagio, una piccola inezia.

Finalmente l'umore gli  si era risollevato, niente avrebbe dovuto turbare la tranquillità che gli necessitava per immergersi ancora nel lavoro, quel week end.

Voleva proseguire lo studio dei fascicoli sul caso O'Connel ed arrivare in anticipo rispetto alla sua collega a carpire ulteriori dettagli, voleva arrivare primo in tutto lui, soprattutto se si trattava di Miss. Palpatine.

'Miss. Palpatine'... se non fosse stato certo che non poteva essere, l'avrebbe creduta una persecuzione.

Eccola lì col suo fidanzato pilota.
Fermi, nel parco, presso il Dylan’s Candy, le porgeva una mela caramellata appena comprata per lei; tutta sorridente, i capelli raccolti in due trecce laterali alte che poi lasciavano libero il resto della chioma, il cappotto color panna, al ginocchio, stretto in vita dalla sua cinta, il collo e le maniche bordate di astrakan,
Le calze nude look rigorosamente abbinate allo stivaletto scamosciato imbottito.
L'immancabile rossetto rosso intenso abbinato allo smalto, a spiccare sulla sua carnagione ambrata, richiamavano le efelidi sulle guance.

 

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Osservava la sua mela con il luccichio negli occhi di una bambina che sta per scartare il suo regalo.

Poi aveva sorriso allo stesso modo anche al suo prode fidanzato, lo aveva preso per mano e trascinato verso Forever 21, dov'erano spariti.

Non ce la vedeva vestita in un negozietto cheap come quello, era sempre così elegante; poi si ricordò che aveva solo ventisette anni. 
E si sentì vecchio. Tremendamente. 
E viscido, per aver dormito intenzionalmente con una ragazza troppo più giovane di lui.

La musica natalizia rieccheggiava, si fermò un istante a fissare assente la sua immagine riflessa sulla vetrata di una casa.

Patetico, ecco come si vedeva. Tedd aveva fatto un indubbio ottimo lavoro, ma lui restava patetico.

Tutta quella frenesia che - più del solito - gli sfarfallava intorno, non faceva che acuire il suo senso di inadeguatezza verso la vita, verso i rapporti sociali (che non aveva, se non di lavoro o per necessità).

Mancava poco più che un mese al 'periodo più bello dell'anno' , e una settimana a...
ma quella era un'altra storia

"It's beginning to look a lot like Christmas
Soon the bells will start
And the thing that'll make 'em ring is the carol that you sing
Right within your heart" 

E lui... lui... non riusciva a provare assolutamente niente!

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Angolo dell' Autrice innamorata:

Spero che lungo il dipanarsi della storia voi respiriate il mio amore smodato per l'autunno, la malinconia dei suoi pomeriggi scorciati, e la favolosa storica Boston. Let me know.

Curiosità: i posti della città, dai negozi ai parchi, ai sobborghi, in corsivo, si trovano realmente a Boston.
Cerco di rendere la narrazione veritiera. 😌

 

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Capitolo 10
*** Buon Compleanno Professor Solo ***


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Rey era un po' tesa, non vedeva Solo dal loro ultimo incontro-scontro, di venerdì in biblioteca.

Il taxi si fermò davanti ad una delle curatissime villette a mattoncini rossi di Beacon Hill, quartiere residenziale della classe alto-borghese bostoniana.

Una vera perla che consisteva in un susseguirsi di abitazioni incorniciate da curatissime aiuole. 
Non faceva eccezione casa Solo.

Esitante, deglutì, sospirando più di una volta prima di decidersi a bussare.
La porta le si spalancò davanti "La aspettavo Miss. Palpatine, prego."
Si scostò lasciandola passare.

Quella mattina non lo aveva incrociato a lezione, probabilmente non aveva classi.

Reggeva, su un braccio, il cappotto, la borsa e il portatile, Solo allungò la mano nella sua direzione nel gesto di prendere le sue cose, lei gliele porse e, nel farlo, le loro mani si sfiorarono leggermente.

Quella di Rey era un pezzo di ghiaccio che beneficiò del tepore trovato dall'altra parte.

Si accomodarono alla grande scrivania del suo studio. 
Lavorarono a ritmo serrato per almeno due ore, il tempo volava, stavano analizzando la dinamica del delitto, e lo scenario che si andava prospettando era sempre più inquietante. 
Rey ricostruiva la psicologia dell'omicida. Al momento di dover consultare le foto dell' autopsia, le quali, mostravano il corpo della povera ragazza in avanzato stato di decomposizione, Rey accusò il colpo.

Solo notò quanto lei si sforzasse di mantenere i nervi saldi, ma le tremavano le mani, mentre le passava le immagini.

"Ha bisogno di una pausa Miss. Palpatine?"

Guardava in basso, era turbata e non voleva darlo a vedere, mai mostrarsi deboli. 
Inspirò profondamente. "Qualche momento...  riprendiamo subito."

"Preparo del caffè."

Mentre lui si dirigeva verso la cucina, Rey ne approfittò per sgranchirsi un po', si alzò dirigendisi verso le grandi vetrate che lasciavano filtrare la luce tiepida delle quattro del pomeriggio, tagliare di netto l'oscurità del mobilio.

Tutto estremamente impeccabile, per essere un single - o forse non lo era, chissà - effettivamente non sapeva un accidenti di lui, magari aveva una compagna.

Lei non era così attenta, al di fuori del lavoro.
Piuttosto disordinata.
Pensò comunque che, ricco com'era, si avvaleva certamente di aiuto, per occuparsi di una casa così grande .

La biblioteca era strabiliante, come se l'aspettava da uno con la cultura di Solo:
quattro pareti in ciliegio massello, interamente tappezzate, dal pavimento al soffitto, di libri, un piacere per gli occhi e per l'anima.

L'alta scala a pioli ancorata ad una delle mensole, ognuno degli ordinati ripiani, contornato lungo tutto il perimetro della stanza, da piccole balaustre a protezione dei libri.

Sul tavolino accanto al Chester a lavorazione capitonnè, sul quale era adagiato un pesante plaid in tweed, dalle tonalità del verde scuro, non poté non notare un'edizione pregiata, con copertina in pelle, de "Il Rosso e Il Nero" di Stendhal.
Era aperto, non resistette alla tentazione di accarezzarne le pagine.

Come fosse stato il viso di un amante, vi scorreva i polpastrelli per tastare la ruvidità della trama, sembrava una bambina in un negozio di caramelle e Solo la osservava già da qualche attimo, sulla soglia.

Riemerse da quel momento d'evasione al lieve tintinnio del vassoio poggiato sul tavolino, davanti al divano.

"Le piace Stendhal?"

"Se posso permettermi, mi piace tutto quello che contiene questa enorme libreria!" Pronunciò briosa con le mani giunte, mentre i vispi occhi raggiungevano ogni angolo di quel paradiso.

Il parquet chiaro dai toni color canapa, in contrasto con particolari in ciliegio, rendevano l'ambiente moderno, ma caldo e accogliente nello stesso tempo.

Solo si accomodò sul sofà, "Zucchero?" chiese alla sua ospite.

"Si due, di canna." lo ringraziò Rey, ponendosi a sedere anch' ella, ma a distanza di sicurezza.

La guardò un po' perplesso.

"La vita è già amara di suo, almeno il caffè dolce." osservò la ragazza, cercando di smorzare la tensione che avvertiva, non sapeva se per le foto della povera Jean, o per le contrastanti vibrazioni che le trasmetteva il suo collega.

Era come un mare dalla superficie calma, ma cupo, profondo, i cui abissi erano insondabili, difesi dal suo sguardo magnetico e impenetrabile.

Stava sciogliendo quello zucchero, nel caffè di lei,
con una lentezza talmente estenuante che tra poco avrebbe finito per dissolvervi
anche l'acciaio del cucchiaino.

Rey lo osservava con la coda dell'occhio: le ampie spalle leggermente chine, fasciate da una maglia beige a trama grezza, dei jeans stone-washed nella lunghezza superiore, lungo la coscia; aveva qualcosa di diverso, un abbigliamento più informale forse... o forse i capelli, sembravano più lunghi non accomodati, al solito, dietro le orecchie, ma liberi, tanto che le ciocche del ciuffo e laterali arrivavano sugli zigomi.

Solo sollevò lo sguardo verso di lei per porgerle la tazza, non portava gli occhiali, la luce che, lateralmente penetrava dalla vetrata dietro il divano, gli feriva le iridi; non erano scure come sembrava, ma molto più chiare dei capelli.

Le passò il caffè mentre continuava a guardarla, lei, dal canto suo, non riusciva a smettere di fissarlo.
Le striature d'ambra in quelle pupille le avevano provocato un pizzicore allo stomaco.
Ne osservava le labbra piene appena schiuse, i contorni un po' irregolari del viso, i numerosi nei disseminati sull' incarnato latteo.
Quegli occhi... erano un favo che stillava miele nel quale rimanere invischiati.

Allungò entrambe le esili mani fredde, per prendere la tazza, poggiandole appena su quella calda e grande di lui.

"Grazie Dr.Solo" pronunciò con un filo di voce.

Silenziosamente sorseggiavano il caffè. Rey tornò alla realtà, "Dr.Solo, che ne pensa della modalità dell'omicidio?"

"Una storia terribile Miss. Palpatine, terribile!"

"Circolavano strane teorie di segrete tresche tra alcuni alti prelati e giovani studentesse, cui, in cambio di determinate prestazioni, sarebbe stata garantita laurea con lode."

"Queste cose sono disgustose, ma ne sono tristemente a conoscenza anch'io." pronunciò tenendosi il mento tra l'indice e il pollice, pensieroso.

"Ah si?" Cambiò tono Rey, richiamando d'immediato, ancora, lo sguardo del collega su di lei "non mi pareva fosse così d'accordo ai consigli di classe, venerdì!"

"Ero un po' stanco." La liquidò.

"Ma non ero io quella...'esausta'?"

Solo risollevò nuovamente lo sguardo ad incontrare quello di lei: fuoco vivo le ardeva nelle pupille del colore delle nocciole, frementi erano le labbra rosse, come le guance, che bruciavano (forse per la rabbia?) accentuando le lentiggini di un tono appena più caldo, lo stesso del colore dei suoi capelli.

Era vestita con semplici jeans e un maglioncino bluette, cui aveva abbinato uno smalto pendant, che metteva ancor più in risalto il suo incarnato dorato.

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Solo non riuscì a controbattere nulla, restò a guardarla, mentre sentiva la pressione sanguigna pulsare violentemente nelle vene insieme ai suoi battiti accelerati.

Sperava di non lasciar trasparire quanto la trovasse ancora più attraente, quando inarcava le sopracciglia, contrariata.

Miss. Palpatine, soddisfatta della sua piccata rivincita, tornò alle questioni prettamente lavorative, illustrando al collega la sua tesi, più complessa di quanto si potesse pensare: uno sporco affare ordito ai piani alti da alcuni professori e porporati, una vera e propria setta, all'interno della confraternita della quale Jean faceva parte. Tutto affinché si potessero immolare gli studenti come colpevoli.

Solo la guardava sempre più preso nel discorso, arguta, intelligente,
era totalmente affascinato da quanto nel profondo della psiche umana riuscisse ad arrivare.
Lo sguardo palpitante di idee sempre nuove.
Era rapito dal suo modo di collegare tutti i tasselli e incastrarli alla perfezione, come le tessere di un puzzle.

Alla fine erano rimasti a lavorare accomodati sul divano, dove stavano accanto al camino, con i notebook in grembo.

Analizzavano la modalità del rituale macabro che doveva aver portato al delitto, i particolari erano raccapriccianti, stando ai dati dell' autopsia, lo strangolamento, come mostravano i segni violacei intorno al collo, era stato solo la fine delle pene inflitte alla povera ragazza.

Rey ebbe un altro attimo di cedimento, portandosi una mano alla bocca mentre scorreva i referti medici. 
"Mio Dio!" Esclamò, occhi al cielo, per trattenere disperatamente le lacrime che però impietose le erano rotolate lungo le guance.

Solo chiuse il laptop di scatto e fece lo stesso con quello di Rey.

"Ne ho abbastanza, per oggi può bastare Miss. Palpatine."

Lo guardò, grata, sentendosi assolutamente patetica, mentre asciugava le guance.
Il pomeriggio tutto sommato era scorso tranquillo, niente sangue sul bel tappeto grigio ghiaccio sul quale Solo si era sistemato a gambe incrociate.

Rey tirò un sospirone, sperava che il suo collega volesse smettere, ma non perché la sua compagnia fosse sgradevole, anzi, era stato molto pacato, e lei lo apprezzava, ma era proprio il caso a cui lavoravano che le dava il voltastomaco.

Visibilmente scossa, rimase imbambolata sul sofà, Ben Solo, dal basso del tappeto la guardava.

"Miss. Palpatine non si sente bene? È molto pallida."

"Non si preoccupi, mi riprenderò presto."

L'uomo si alzò, ravvivò il fuoco nel caminetto e le porse la coperta che era sul bracciolo poco distante.

"Professor Solo, muoio di fame, le va se prendiamo del cinese come avremmo dovuto fare la settimana scorsa? Oh... mi scusi, non è mia intenzione autoinvitarmi, possiamo andare da me, le va?"

"Se... non ha fretta di rientrare... faccio arrivare l'ordinazione qui, non la aspetta nessuno da Lady Tano?"

"Nessuno." Rispose la ragazza.

"Bene, chiamo allora."

"Purtroppo stasera non possiamo effettuare consegne, però può venire lei a ritirare."

"Sarò lì in dieci minuti." disse alla cameriera.

"Miss. Palpatine, se vuole può restare qui mentre ritiro il cibo, quando è così terso fuori si gela." le parlava mentre armeggiava tra cappotto, chiavi di casa e della macchina, si voltò, non ricevendo risposta... si era addormentata, acciambellata nel tweed, pareva uno scricciolo.

Sorrise, istintivamente e richiuse piano la porta alle sue spalle per non svegliarla.

Poco dopo il trillo prolungato del telefono e un messaggio in segreteria la ridestarono.

"Ben, tesoro, siamo mamma e papà, buon compleanno! Ci dispiace di essere fuori città, appena torniamo organizziamo una bella cena. 
Riguardati tesoro, esci, non startene sempre rintanato, ti vogliamo bene, spero tu stia passando una buona giornata, proviamo a richiamare dopo, il tuo cellulare è irraggiungibile."

Il suo compleanno, pensò tra sé Rey, sentì un enorme senso di solitudine pervaderla.

Si alzò, reinfilò gli
scarponcini imbottiti di caldo pelo bianco
e si guardò intorno.

Nel giorno del suo compleanno quell'uomo era completamente solo e lei per puro caso sarebbe stata la sua unica compagnia.
Frugò un tantino negli stipi in cucina, apparecchiò meglio che poteva aggiungendo un tocco carino, dei fiori freschi in un piccolo vasetto come centro tavola, era riuscita a rimediare persino una candela smoccolata.

Solo rientrò in men che non si dica, Rey sentì stridere le ruote dell'auto sul selciato nel vialetto e il rumore metallico della chiave che girava nella toppa della porta di casa.

Un po' a disagio, infilando una ciocca di capelli dietro l'orecchio mormorò
"Professor Solo... mi sono presa la libertà di apparecchiare almeno, per ricambiare la gentilezza di essere morto di freddo per portarmi la cena."

Fosse stato per lei, avrebbe spento le luci, gonfiato i palloncini e urlato "Sorpresaaa!" organizzato qualcosa...
Ma lui non era nè Finn, né Poe, era solo il suo collega tremendamente serio e musone, però era pur sempre il suo compleanno e Rey voleva essere gentile.

"Oh... grazie mille Miss. Palpatine, non era necessario... ma... grazie davvero."

"Lavoriamo insieme da un mese, Rey va benissimo, io sono... Rey" gli sorrise sinceramente in segno di una tregua che sperava davvero duratura.

"O... ok... Rey... prego" le fece cenno di sedersi. Cenarono dandosi vicendevolmente pareri sul cibo, su quali erano i piatti meglio cucinati, scoprendo di avere gusti simili."

Tutto sommato Solo sapeva essere anche alla mano, non sembrava certo il tipo da cinese da asporto, invece lo era e mangiava pure come un disperato, voracemente con quella bocca enorme che aveva.

Anche Rey affamata, era aggraziata come uno scaricatore di porto.

Ad un tratto Solo aveva proprio esagerato, si rese conto di non essere per niente signorile, nella foga il ripieno degli involtini primavera era finito ovunque.

Rey iniziò a ridere perché aveva combinato un casino e i crauti gli erano finiti persino tra i capelli, nel vano tentativo di toglierli aveva peggiorato la situazione.

"Oh la prego, professor Solo, venga qui" fece per aiutarlo a rimuovere carotine e verze tra le folte ciocche nere.

Si rese conto che era a un passo dal suo viso, con la punta delle dita ritorte tra i suoi capelli mossi, ma incredibilmente morbidi e setosi.
Finirono occhi negli occhi, più di una volta, istanti infiniti, fuggenti, intensi, nei quali tentavano di distogliere invano lo sguardo per fuggire l'imbarazzo, ma la voglia di tornare a guardarsi era prepotente.

"Ecco quà, finito... e
io-io... si è fatto tardi professor Solo."

"La accompagno."

"Non è necessario, chiamo un taxi, come ho fatto all'andata."

"Sarei passato a prenderla anche all'andata se avessi saputo che veniva in taxi, credevo avesse un mezzo personale."

Prima che lei potesse protestare 
Infilò scarpe e cappotto e la aiutò ad indossare il suo.

Durante il percorso, al solito, sui sedili riscaldati, Rey si era addormentata. Aveva un'aria incredibilmente infantile, ne sbirciava, ogni tanto, l'espressione buffa, i tratti delicati del viso, illuminati dai lampioni durante il tragitto.

Giunti che furono la ragazza si svegliò stropicciando gli occhi, finendo per rovinare il mascara.

"Allora... buonanotte Miss. Palpatine."

"Rey!" Precisò, poi guardò l'orologio erano le 23.40; prese una decisione di cui forse si sarebbe pentita, ma volle agire d'istinto, fare ciò che riteneva giusto.

Mentre Solo la accompagnava fino alla porta, sorreggendole la borsa del laptop, che le passò appena sulla soglia, la ragazza si sporse in avanti, salendo in punta di piedi, gli infilò dolcemente le dita tra i capelli, dietro l'orecchio, traendolo a sé.

"Buon compleanno professor Solo." gli sussurrò, tremante - non sapeva se per il freddo - baciandolo su una guancia.

La guardò con occhi languenti, mentre fuggiva da lui, da quel contatto così intimo che era stata capace di creare, con sfrontatezza, ma anche grande tenerezza.

La afferrò delicatamente per un polso "Ben, va benissimo Ben... come lo sapevi?"

Rey rossa in viso, lo sguardo basso... "Mentre eri a prendere la cena è arrivata una telefonata, è scattata la segreteria, erano i tuoi, ti auguravano buon compleanno."

"Sei restata più a lungo perché, per caso, hai saputo che era il mio compleanno?"

Rey allora risollevò gli occhi - tristi - verso quelli di lui 
"Te lo avevo chiesto da prima di saperlo... e comunque... sono stata in ottima compagnia."

Fece per andarsene, ma il tono avvolgente della voce di lui la bloccò ancora una volta "Perdona, dico sempre la cosa sbagliata."

Rey si voltò di scatto, la guardava con gli occhi colpevoli di chi sa di non meritare che biasimo.

Fu un istinto ancora più impetuoso del primo, gli gettò le braccia al collo e lo strinse, intrecciandogli le mani dietro la nuca, tra i capelli.
Era così alto e possente che per un momento credette che le sue braccia non sarebbero riuscite a contenere la larghezza del suo torace.
Si strinse a lui poggiandogli la testa su una spalla, emanava un calore inverosimile e lei tremava come una foglia.

"Buon compleanno Ben... qualche volta prendi solo le cose belle, buon compleanno Ben, davvero."

Colto completamente alla sprovvista se ne rimase con le braccia inerti, come un grosso ciocco di legno inanimato, incapace di muovere un muscolo o pensare.
Poi, piano, gli ingranaggi arrugginiti mossero animati da qualcosa di non meglio definito.

Lentissime le braccia di Ben Solo si unirono fino a intrecciarsi dietro la schiena della ragazza, seppellendo il volto, arrossato dal freddo, nel soffice calore dei capelli di lei.
Gli occhi chiusi, persi in quel delicato profumo speziato che sapeva di cannella, di mela e di rose. 

"Grazie... Rey." mormorò, a fior di labbra, mentre la vedeva sparire dietro l'androne del portone di Lady Tano. 
 

Angolino dell' Autrice Monella:

Auguri, auguri e ancora auguri professor Solo/ Adam Driver.

Un po' di fluff (leggi tonnellate) ti era dovuto nel tuo giorno, ma non canterai ancora vittoria tanto presto.

Però ti vogliamo bene perché sei uno strarompi, noioso, musone, vecchio, burbero but very very inside sei bono come il pane caldo e non 'solo'. 😈

 

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Capitolo 11
*** La Presentazione - Parte Prima: Così Simili. ***


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Rientrò in macchina, per sfuggire alla morsa implacabile del freddo, eppure le sue guance ardevano.
Con la punta delle dita gelide sfiorò la pelle nel punto in cui lei gli aveva posato quel bacio delicato.
Sorrideva ancora al pensiero del calore che il suo esile corpo era riuscito a trasmettergli mentre si stringevano.

Lei... forse... non lo avrebbe mai saputo, ma gli aveva regalato un conforto che era giunto fino all'anima.
Un conforto autentico, per il quale non aveva dovuto chiedere o dare nulla in cambio; era piovuto come un piccolo miracolo in un giorno che, da almeno sei anni, significava meno degli altri per lui.

Ma sarebbe stato meglio concentrarsi per la presentazione, che era ormai alle porte, e lui era riuscito ad invitarla formalmente.
Chissà... sarebbe venuta in compagnia? - sperava proprio di no - ma era pronto alla spiacevole evenienza .

Lei, dal canto suo, dormiva già come un sasso appallottolata tra le calde coperte, mentre lui si perdeva in quei pensieri guidando verso casa.

***

"Buongiorno splendore"
sussurrò Poe posandole un delicato bacio sulla fronte.

"Ehi..." sorrise ad occhi ancora chiusi "Sei tornato?"

"Non vedevi l'ora?" Bisbigliò al suo orecchio stringendola.
Si lasciò cullare nel caldo abbraccio dell'uomo.

"Finn non è tornato con te?"

"No è rimasto da Rose... dunque siamo io e te e... potremmo..."

"Mi farai fare tardi al lavoro" protestò divinconlandosi a malincuore dal quel tepore così familiare
per correre in bagno a prepararsi.

"E dai... hai detto che eri contenta che fossi qui..."
ma lei era già sparita oltre la porta.

"Come è andata ieri sera a casa di Solo?" le chiese quando riemerse dalla toilette.

"Molto bene! Ben non morde! "

"Ben?... avete fatto progressi? Non dovevi chiamarlo sempre 'professor pallone gonfiato'?"

Rise Rey mentre cercava i vestiti nell'armadio, avvolta nell'accappatoio "Abbiamo fatto progressi, si... e adesso, se vuoi scusarmi..."

"Fai la timida? Ti avrò vista centinaia di volte senza... e non mi stancherei mai..."

Lei arrossì come un peperone abbassando lo sguardo.

"Ti aspetto fuori per accompagnarti." Sospirò sconsolato, rivolgendole quello sguardo da rubacuori incallito, cui Rey restituì una cuscinata.

***

Mentre prendeva la sua borsa dall' auto, Solo non poté fare a meno di notare la rossa fiammante che sostava poco più arretrata e il suo proprietario - che poteva avere circa la sua età - nel ridicolo tentativo di apparire più giovane, e nel modo di vestire, e nell'accompagnarsi a una ragazza che era una bambina, dieci anni anni in meno di lui.

Si rabbuiò pensando alla sera prima: gli aveva detto che non l'aspettava a nessuno a casa, ed in effetti la macchina di Dameron non si era vista da Lady Tano, quindi... lui dormiva altrove?

Eppure il loro atteggiamento era intimo, il modo in cui si guardavano, i sorrisi complici, c'era un innegabile sintonia e lei... lei aveva quello scintillio negli occhi; più quello si metteva in mostra per fare colpo, più lei rideva alle sue battute. Un gran bel siparietto, a che gioco giocava Miss. Palpatine?

Ma che diritto aveva lui, poi, di sindacare la sua vita privata? In fin dei conti era stata solo gentile la sera prima, mossa sicuramente a compassione, per il povero sfigato di turno, nell'anonimo giorno del suo compleanno.

Pensava anche a quanto fosse stupido, lui che si sentiva squallido ad aver pagato per dormire con una ragazza troppo più giovane di lui, mentre il pilota da strapazzo non si poneva problemi e Rey nemmeno.

Eppure.. avrebbe giurato di avere avvertito pura elettricità tutte le volte che i loro occhi si erano intrecciati e fuggiti la notte precedente.

***

Quella era la loro prima lezione insieme.
Giunti ad avere abbastanza materiale da sottoporre agli studenti, Rey distribuì dei questionari ad ognuno di loro.

Solo introdusse con meticolosa accuratezza tutta la premessa, necessaria per i corsisti, a comprendere I Movimenti Sociale, Politico e Studentesco che avevano agitato, dal finire degli anni Sessanta gli Stati Uniti, ma più in generale la nuova mentalità liberale che, stava profondamente cambiando l'immagine dei ruoli nella società, a livello globale: la rivoluzione sessuale, l'aborto, le manifestazioni femministe, la guerra del Vietnam, responsabile di una profonda spaccatura nell'opinione pubblica mondiale, tra chi era a favore delle scelte di J.F. Kennedy e chi lo ritenne responsabile di sperperare i soldi dei contribuenti per scopi economici.

Stava riassumendo con maestria più di un decennio storico altamente 
controverso, che 
passava per radicali innovazioni, nella musica, nella moda, le quali, se da un lato avevano sancito come risultato apparente la parità di diritti tra uomini e donne, per certi versi, avevano portato le giovani, negli anni Settanta - a volte proprio come Jean O' Connel - verso un nuovo modo di essere mercificate e usate, in nome di trasgressione, eccessi, sfrenato libertinaggio.

Rey restò ammirata nell' ascoltarlo parlare con una destrezza e una semplicità - nello stesso tempo - resa efficace da un' arringa ricca di esempi calzanti, di come, di fatto, non fosse mai cambiato niente e le donne fossero ancora oggetto di discriminazione e lo sono anche fino ai nostri giorni.

E pensare che lo credeva misogino.

Poi fu il suo turno e partendo proprio dalle risposte ai quiz, tracciava, insieme ai ragazzi, i profili psicologici di Jean e tutte le persone che le erano orbitate attorno, per capire cosa avesse portato la giovane ad una fine così tragica.

"Non erano che ricche sgualdrinelle eroinomani, le cagne della confraternita, andiamo, lo sanno tutti. Hanno avuto la libertà cui hanno inneggiato, una in particolare."

Rey sentì la frustrazione nel dover assolutamente reprimere la rabbia, guardò Solo con la coda dell'occhio: una sfinge.

"Quindi mister Keaton?"
Incalzò.

"Quindi... cosa Miss. Palpatine?" rispose saccente 
la testa rossa in quarta fila.

"Professoressa Palpatine, Mister Keaton."

Solo abbassò il mento, accavallando le gambe infilò la matita dietro l'orecchio, gli scivolò però, non c'era stavolta la consueta stanghetta dell'occhiale da vista a farvi da base.

La tensione era alle stelle, scariche di elettricità permeavano l'ambiente ad ogni movimento di lei. 
Miss. Palpatine era come un fulmine prima del suo scatenarsi in un violento temporale.
Stava per sferrare un attacco micidiale, Solo lo sapeva**.

Si diresse al centro della stanza, fiera chiese a Keaton di raggiungerla
"A lei la parola, nel resto della lezione ci esporrà come muoiono le ricche cagne eroinomani delle confraternite studentesche!"

Tornò a sedersi lentamente, accentuando, di proposito, il calpestio dei tacchi sul pavimento.
Accavallò le gambe di modo che la stretta longuette lasciasse scoperte le ginocchia ossute e ben oltre più in su.

In aula si sentì un brusio generale e delle risatine.

Solo abbassò il capo,
ridendosela sotto i baffi, un po' per non dare a vedere la letterale venerazione che stava rivolgendole, per 
il sarcasmo pungente con il quale aveva fatto a pezzi quel pivello arrogante, un po' perché andava a fuoco come avesse masticato uno Scorpione di Trinidad*, al gesto intrigante di Rey.

"Stiamo aspettando Keaton, non abbiamo tutta la mattinata."

Il ragazzo, in evidente difficoltà, iniziò a farfugliare i soliti sessisti luoghi comuni per cui una donna i guai va sempre a cercarseli in quanto femmina.

"Perciò io sono merce, e in svendita suppongo, visto il mio licenzioso modo di abbigliarmi, truccarmi? Lo faccio esclusivamente per provocare gli istinti bassi di ominidi con il quoziente intellettivo di un'ameba, giusto? 
Sono merce tutte le donne, per questo meritano di essere sgozzate come animali? E mi faccia capire? 
Le donne sono tutte così? O possiamo risparmiare almeno quelle della sua famiglia? 
Fuori dalla mia aula Keaton! Vada a rinfrescarsi le idee altrove, per una settimana lei è sospeso!"

"Sospeso?" Inveì quello "e per cosa professoressa Palpatine? Tutto questo è ridicolo, lei non sa chi è mio padre, farò ricorso al rettore!"

"Tuo padre può fare ricorso al presidente degli Stati Uniti in persona, se preferisce.
Ah, a proposito, come motivazione adduci che hai indugiato un minuto di troppo sulla tua scosciata cagna di una professoressa che ti provocava!"

"Professoressa Palpatine, può bastare!" le suggerì sommessamente Solo ponendole una mano sull'avambraccio nel tentativo di placarla.

"Lei non sa contro chi si sta mettendo." Le intimò il giovane.

"Se insiste aggiungerò anche le minacce Keaton, una nota di biasimo e le servirà una lettera formale di scuse per rimettere piede in questo College. 
Adesso evapori dalla mia vista!"

Angolo dell'Autrice:

La seconda parte arriverà domani, Stay tuned. Uscita doppia questo fine settimana.

Qui non c'è nessuna Diade nella Forza intesa in maniera 'canonica', ma i due sono sempre e comunque Two That Are One e pian piano lo scopriranno.

*Vi state chiedendo cos'è lo Scorpione di Trinidad? Peperoncino piccantissimo sudamericano. 🌶🌶

**curiosità: I Solo lo sanno sempre 🤣

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Capitolo 12
*** La Presentazione - Parte Seconda 23 Novembre. ***


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"Rey..." le suggerì mentre percorrevano il corridoio verso la sala professori "capisco la reazione, ma non ne vale la pena, quello sbruffone ha sempre di queste uscite. Il punto è che il rettore è un amico di suo padre, l'avvocato Keaton, un vero squalo qui in città. 
L'unico effetto che otterrai, se continui a raccogliere le sue provocazioni, sarà farti trascinare al suo livello."

"Ma parli tu che macini i tuoi studenti, abitualmente, nel tritacarne dei tuoi umori variabili? Ah aspetta... immagino che tu possa, in quanto pilastro inamovibile di questo istituto, figlio del sindaco Organa e del generale Solo e poi, non meno importante, 'uomo' giusto?" Lo rimbeccò mentre lo seminava seccata.

-Incredibile come ogni cosa che avesse detto fosse sbagliata.-

Accellerò e le si parò davanti fermandola con una mano sulla spalla "Mi stai fraintendendo! Ti sto solo dando un consiglio, tutto quà."

"Beh, anch'io ho conoscenze in alto!" controbattè risoluta.

"Eccome! 'professoressa Palpatine' nipote dell' omonimo senatore!"

"E tu come lo sai?" chiese, fulminandolo con lo sguardo.

"Nello stesso modo nel quale tu sai chi chi è la mia famiglia." 
La piantò lì non lasciandole modo di replicare "E... sai... il tuo amichetto pilota chiacchiera un sacco, immagino ti abbia riferito che venerdì era a cena dai miei."

Rey lo guardò andare via livida di rabbia. 
Amichetto? A cena dai suoi? Parla troppo? Ah! Che tu sia dannato Solo-

Si ritirò nel suo studio rammaricato, cosa aveva mai detto stavolta per ottenere una reazione così ostica?
"Ragazzina viziata" mormorò a labbra serrate sbattendo la porta del suo ufficio. 
Di sicuro non si sarebbe fatta viva alla presentazione - se la conosceva almeno un po'- orgogliosa com'era.

***

"Ehi..." pronunciò in un sospiro mentre sorrideva e lui l'abbracciava alle spalle "Che bella sorpresa trovarti qui" disse seppellendo il viso nell'incavo del suo collo, che sapeva di buono. 
Vi strofinò la punta del naso per saggiarne la pelle morbida, fresca di rasatura.

"Ci devi proprio andare a quella noiosa presentazione?" Mormorò Poe tutto rattristato.

"Si e non ho molto tempo, tra un'ora devo essere lì e sono pessima. Devo cambiarmi."

"Per forza?" rimarcò.

Gli scivolò dalle braccia come una saponetta, "Scusa è veramente tardi, mi farò perdonare, promesso."

Poe la aspettò fino a quando fu pronta "Ti accompagno."

"Ho già chiamato un taxi, tranquillo."

"Ehi... ma sei troppo bella così." le sussurrò, fronte contro fronte, stringendola per salutarla "ed io sono geloso, quello e tutti gli altri, non ti toglieranno gli occhi di dosso."

Sorrise Rey, arrossendo un po' "Non sono niente di che, ma c'è un rinfresco dopo l'evento e il posto è esclusivo, ci sarà anche una piccola conferenza e le classiche foto di rito."

***

In una delle grandi sale congressi della Boston Public Library vi era gran fermento; l'elegantssima guest star si guardava intorno in attesa che gli fosse data la parola. 
Appoggiato all'antico caminetto che fiancheggiava una delle monumentali vetrate, se ne stava serioso parlando solo se interpellato. 
Conoscendolo bene sapevi che quell'espressione tra lo spaesato e l'indifferente si chiamava ansia.

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Lei era in piedi sulla scalinata.
Lo cercò immediatamente tra la gente e non le fu difficile: di una classe da togliere il fiato!

Distinto lo era sempre stato, ma era diverso - lo aveva notato da qualche giorno - forse il taglio di capelli, non portava più gli occhiali in maniera fissa, si era lasciato crescere un pizzetto molto curato, che gli conferiva un'aria più sbarazzina.
Il modo di vestire, ora, valorizzava la differenza tra l'ampiezza di torace e spalle e il punto vita, decisamente più ristretto.

Non sarebbe arrivata, pensava Ben tra sé, poi alzò gli occhi e la vide. 
E fu come se in quella stanza non ci fossero altri che lei.

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Un abito monospalla color cipria in taffetà le conferiva l'aspetto di una perla iridescente.
Gli occhi e i capelli erano la cornice che contrastava il tono delicato del vestito, da non distinguere dove finiva la stoffa ed inziava la pelle.
Le labbra: un nastro di porpora.

"Iniziamo professor Solo" La voce della responsabile dell'evento lo riportò bruscamente al lato pratico della questione.

"Gentili signori, do il benvenuto a tutti voi, vi invito a prendere posto per lasciare la parola al professor Benjamim Solo che ci parlerà del suo ultimo libro "Movimenti Sociale Politico e Studentesco - (dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta.)"

La presentazione fu un successo, gli applausi piovvero prima della conclusione, mentre il brillante docente di Storia leggeva con tono cadenzato e morbido
un estratto dall' Epilogo.
Sollevò lo sguardo accennando un' espressione ridente agli uditori, anche lei applaudiva e lui fu contento di leggere nei suoi occhi quello sguardo di approvazione che significava 'Non ce l'ho con te per prima.'

Terminate le formalità, finalmente poté avvicinarglisi,
"Ben, complimenti, davvero."

"Grazie Rey." Abbozzò un sorriso sfuggendo gli occhi di lei.

Non ebbero tempo di dirsi molto altro, quel pomeriggio c'erano davvero tutti, il rettore, i colleghi, chissà se c'erano anche i suoi genitori, Rey non li conosceva, se non per qualche informazione che le aveva fornito Poe, in merito.

La serata procedeva come da rituale, un susseguirsi di complimenti, affettati perlopiù, lo stringersi formale di mani e convenevoli di questo genere.

Rey, dal canto suo, discorreva amabilmente con i colleghi insegnanti del suo stesso corso; era perfettamente a suo agio, persino il rettore Johnson si era fermato a farle i complimenti per l'ottimo lavoro che Solo, aveva riferito stessero svolgendo.

Si recò alla toilette e, mentre controllava allo specchio di essere in ordine, ascoltò involontariamente i discorsi di due donne dietro il separé che divideva gli impianti sanitari dai lavabo.

"È sempre fantastico non è vero?"

"Oh assolutamente, peccato sia così inaccessibile, non lo vedi mai con nessuna?"

"Macché ho perso le speranze, però hai visto? Teneva gli occhi incollati alla brunetta, quella nuova."

Rey avvampò.

"Che invidia! Gli piacciono quelle in erba!"

"Beh povero diavolo del resto è passato tanto da quel lontano 23 novembre, avrà ripreso a funzionare."
Risero taglienti e inopportune le due.

E a Rey rimase dentro uno strano turbamento.

Tornò nel grande salone.
La musica di sottofondo riempiva la sala insieme al brusio dei convenuti, lei lo cercava con lo sguardo. 
Le note di I'll Be Home For Christmas*
avevano appena iniziato a risuonare, per lei non era mai difficile vederlo, svettava su tutti, stava lasciando il locale.

Trattenuta dai colleghi non riuscì a vedere che direzione prendesse, ma non si dette per vinta, appena poté svincolarsi, iniziò a vagare nell' androne sottostante la sala congressi, si avventurò verso un lungo corridoio buio che portava al piano di sotto.

Di lì notò una flebile luce provenire dal terzo piano, imboccò le scale trafelata. 
Istintiva com'era non aveva preso nemmeno il soprabito ed ora digrignava i denti dal freddo, mentre avanzava affannosamente. 
Lo aveva trovato al centro di un grande stanzone, gli occhi su uno degli incunabili: i preziosi tesori della libreria.

"Ben" pronunciò con un filo di voce.

Non seppe che dire... quel presentimento, da quando aveva sentito parlare quelle due donne, non l'aveva più lasciata.

Sinistro era anche lui; il livore che aveva dipinto negli occhi, mentre la guardava, era simile a un demone errante che le urlava "Vattene di qui!"

La ragazza indietreggiò di qualche passo, forse era stata invadente.
Un tacco le si incastrò in uno dei listelli delle travi del pavimento e rovinò a terra.

Fu una frazione di secondo e Ben era accanto a lei, la teneva tra le braccia.

"Rey, Rey mi dispiace, ti ho spaventata, ti sei fatta male?"

La giovane restò senza fiatare, tremava terribilmente e... si, per un attimo, lo sguardo torvo che gli aveva visto le aveva messo paura, ma ora i suoi occhi erano tornati rassicuranti.

Solo si sfilò la giacca facendola indossare alla ragazza, mentre l'aiutava a risollevarsi.

"Non è niente Ben, sto bene... scusa, non volevo disturbarti, è che non ti ho visto più di sotto e..." 

Ben la guardava, deglutì mentre in una smorfia si mordeva il labbro inferiore a mascherare quanto inadeguato si sentisse in quel momento.

"Posso chiederti che cosa leggevi poc'anzi?" Cercò di cambiare discorso lei.

"Vieni." la invitò ad avvicinarsi al tomo.

Lesse Rey 
"Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si consumano al primo bacio. 
Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo per levarsene la voglia."
Lo guardò... "Romeo e Giulietta!" osservò sorridendogli appena per tentare disperatamente di smorzare la tensione che sentiva, mentre continuava a tremare.

Ben dette un'occhiata, di sotto: la sala congressi iniziava a spegnere le luci, si era fatta ora di andare.

"Torniamo a prendere i cappotti, ti accompagno."

Rey era stranita e lui restò silenziosissimo per tutto il tragitto.
Arrivati da Lady Tano lo guardò, teneva gli occhi bassi e la mano sul cambio.

Fu un attimo e Rey vi lasciò scivolare su la propria; non poteva in alcun modo contenerla, la mano del professor Solo era molto grande e... gelida.

Poté sentirlo sospirare impercettibilmente, mentre lei muoveva le dita accarezzando il dorso di quell' enorme pezzo di ghiaccio.
Solo ruotò il suo palmo ad incontrare quello della giovane e loro dita si intrecciarono.

Rey coraggiosamente lo guardò fino a che lui non le restituì lo stesso, piantando negli occhi della ragazza uno sguardo carico di amarezza, sofferente.
Rey allungò una mano verso il viso dell'uomo, con la punta del pollice gli sfiorò uno zigomo, mentre le altre dita cercavano di rilasciare il loro calore sulla gota gelida di lui.
Lo trasse appena a sé e gli posò le labbra sulla fronte, restando a contatto con la sua pelle fredda, per momenti interminabili.

Chiuse gli occhi, lei non poteva vederlo e lui... lui credeva di non poter sentire più nulla, non quel giorno, non quella notte.

Aveva scelto quella data per la presentazione apposta, per distrarsi, stordirsi con il da fare, ma la notte era giunta impietosa con i suoi macabri fantasmi ad attanagliarlo più di sempre.

Gelava - lui che non aveva mai freddo - ma ora, così vicino a lei, avvertiva tanto calore avvolgerlo: quella piccola mano nella sua, l'altra sul viso.
Ad occhi chiusi così, vicino alla sua bocca, sentiva di nuovo quel profumo, mirra liquida che effondeva dalla sua pelle. 
Nardo puro che stillava
sull'acre dei tagli del passato che lo tormentavano, riaprendosi.

"Buonanotte Ben."

"Buonanotte, 
buonanotte - Rey - Separarsi è un sì dolce dolore, che dirò buona notte finché non sarà mattina."

Romeo e Giulietta: Atto II, Scena II

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Capitolo 13
*** Colpevoli ***


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Rey fece pianissimo per non svegliare Poe. 
Gli aveva promesso che si sarebbe 'fatta perdonare' ed invece, quando era con Solo, rientrava tardissimo.

Gli posò una coperta addosso, si era appisolato sul divano.
Poi si diresse in bagno a cambiarsi e, una volta nel suo pigiama, distesa tra le soffici coperte, ripensava a ciò che quelle donne avevano detto, parlavano di una data che coincideva con quella, appena trascorsa: qualcosa che gli era successo, nel medesimo giorno, anni prima.

Con il cellulare provò ad effettuare una piccola ricerca in internet, ma niente di particolare riportava a qualche fatto degno di nota, a Boston, il ventitré novembre.

Avere a che fare con lui era come essere in bilico sull'orlo di un baratro e restarci - di proposito - nonostante sapessi che ci saresti potuta sprofondare.
Il vissuto criptico e il suo comportamento mutevole era una calamita che la attirava a voler sapere di più di quell'uomo.

***

L'indomani mattina si svegliò presto, nonostante non avesse classi.
Guardò Poe ancora addormentato, i ricci indomabili, scompigliati, gli ricadevano sulle lunghe ciglia brune.

Sorrise.
Gli avrebbe preparato il suo magnifico caffè italiano e dei pancakes da leccarsi i baffi. Meritava una sorpresa dopo le miglia percorse per lei, in lungo e largo.

Poco dopo, il suo ospite, fu destato dall' invitante fragranza del burro fuso e dello sciroppo d'acero, nonché dal borbottio del caffè che sbuffava dalla moka.

"Buongiorno dormiglione, vieni?"

Un sorriso enorme illuminò il volto del bell' ufficiale che le posò un bacio tra i capelli arruffati, per salutarla, mentre prendeva posto accanto a lei.
Era bellissima, candida, in quel pigiamone di ciniglia bianco.

"Sei anche uno chef sopraffino." ridacchiò.
"Hai fatto di nuovo tardi ieri, peccato. Comunque... com'è andata?"

"Tutto liscio." Rispose evasiva.

"Sono contento, immagino che fossi con i tuoi colleghi e ti ci trovassi come una regina, sono così fiero della donna che sei diventata." disse accarezzandole dolcemente la mano.

Un tocco caldo e delicato che uno strano scherzo della mente, la stava rimandando ad 'un 'altro' - molto recente - ben diverso.

"Vieni qui" gli prese il viso avvicinandolo al suo, con la punta delle dita ne percorse la linea della mascella un po' squadrata,
il mento regolare, soffermandosi su ogni particolare: le meravigliose fossette che gli venivano quando sorrideva... specialmente a lei.
E i suoi occhi, grappoli d'uva nera matura,
scuri, profondi, le piccole rughe che li contornavano.
Il modo in cui la veneravano, mentre la accarezzava, a sua volta.
Quanto era familiare la sua pelle, il suo odore inebriante, deciso.

Lo trasse ancora più vicino fino a che le loro labbra divennero una cosa sola... Quanto le erano mancate!
Un bacio, poi un altro, un altro ancora.

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Capelli simili a
vite d'uva fragola 
tra i cui tralci 
mi irretisce il desiderio

Nettare degli dei la linea piena delle tue labbra

Un favo che stilla miele gli occhi adoranti

Il tocco sacro dei palmi che increspano la pelle di brividi

Bianche dune d'avorio la schiena e la curva dei tuoi fianchi
scolpiti tra le spalle possenti

Colonne di basalto le gambe intrecciate alle mie

Sto impazzendo sognandoti così?

***

L' integerrimo, stimato, talvolta temuto, professor Solo.
Si immerse nella sua Iacuzzi lasciandosi scivolare sulla schiena finché, a fatica, il suo viso non fu seppellito sotto l'acqua, lasciando riemergere le ginocchia flesse.
Sparire, ecco l'unica cosa che desiderava.

Gli applausi, la gloria, il prestigio, una finzione.
Un inchino, un sorriso appagante per il pubblico e una mesta uscita di scena.
Tutto aveva un prezzo! 
E lui, il suo, non avrebbe mai finito di pagarlo.
Un patto col diavolo, avrebbe scommesso più di qualcuno.
Una vita patinata e maledetta.
Il calore dell'acqua sulla pelle era l'unica cosa che lo facesse sentire ancora vivo.

Si avvolse in un asciugatoio che lo copriva appena, guardò allo specchio - passandovi dinnanzi - le profonde occhiaie che gli segnavano il volto, gli occhi arrossati e spenti.
Fuggì l'immagine riflessa davanti a sé; gli dava la nausea.

Spense le luci, tranne quella soffusa della grande lampada, sul tavolino accanto al sofà, dove troneggiava l'edizione personalizzata de Il Rosso e Il Nero.

Indossò la vestaglia di vigogna dai toni granata e a piedi nudi si diresse verso il mobile bar per versarsi il suo bourbon, poi sedette sul divano.

Lo sguardo era fisso sul ghiaccio che roteava nel bicchiere.
Gettò all'indietro il capo, l'esofago bruciava, mentre al palato era restato il sapore dei frutti primaticci.

Le note di una delle sue arie favorite, da Turandot, acuivano il languore che avvertiva al basso ventre.

"Tu che di gel sei cinta,
da tanta fiamma vinta,
l'amerai anche tu!...
Prima di questa aurora
io chiudo stanca gli occhi,
perché egli vinca ancora...
Per non vederlo più!
Prima di questa aurora,
io chiudo stanca gli occhi
per non vederlo più!"

Turandot - Giacomo Puccini - Scena Prima - Atto Terzo

Un nodo in gola gli serrò le labbra - in quella smorfia solita di quando non riusciva più a trattenere le emozioni -
per poi dischiuderle piano.
Una lacrima calda si staccò dalle palpebre appesantite tracciando un sottile rigagnolo che discese la tempia, lungo l'orecchio, terminando tra i capelli ancora umidi, mentre allungava un braccio per sfiorare la grana delle pagine aperte.

E per lui poca cosa erano il freddo, il calore, la musica, il gusto del whisky, lui non sentiva niente.
Il vuoto lo divorava dall'interno, al ritmo di ogni battito inerte del suo cuore.

 

Angolino dell' Autrice Sadica:😈

Allora facciamo un gioco: chi sono i Colpevoli e perché?

Cosa hanno fatto per essere tali?

Non lasciatevi ingannare da una prima lettura decidendo di pancia, non tutto è come sembra, questa è la chiave.

Curiosità: l'uva fragola è una qualità di frutto prodotta dai vitigni americani.

PS: Helmwige mia, questo capitolo è tutto per te!
Ma pure per me, perché Dameron è un bravo ragazzo ed è un 'pess de gnocc' incredibile.

Il libro che Solo ha sempre aperto, sotto la grande lampada accanto al divano, rappresenta qualcosa a cui tiene molto. Ne accarezza la grana, in modo nostalgico.
Più avanti sapremo meglio qual è esattamente il suo valore simbolico.

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Capitolo 14
*** Jean ***


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Jean O'Connel era sparita la notte del primo novembre 1977 in misteriose circostanze.
Il suo cadavere fu trovato mesi dopo nei pressi di una delle baie paludose al limitare di una zona portuale in espansione.
Una squadra operaia addetta al dragaggio della banchina, durante le operazioni di bonifica, aveva riportato alla luce la poveretta, in un tratto lungo una delle miriadi di canali che tessevano la foce del Mystic.

In precedenza, mesi di ricerche frenetiche, non avevano potuto nulla.
La ricca famiglia di banchieri da cui O'Connel proveniva aveva continuato a cercarla, a proprie spese, dopo lo scadere del termine delle indagini ufficiali.
Nemmeno i cani da ricerca e l'aver scandagliato buona parte delle rive del fiume, a un costo altissimo,
aveva prodotto risultati.

***

Riprese le lezioni, dopo il break del Ringraziamento, Rey aveva propinato a Solo una serie di scuse immaginarie per evitare di lavorare con lui.
Quel pomeriggio si era rintanata nei sotterranei dell'archivio - a malincuore - purtuttavia  era l'unico posto dove potesse consultare indisturbata altra documentazione, oltre a quella che il suo collega era già riuscito a far fuoriuscire con la complicità di Mrs. Gwendoline.

Si era nascosta bene, così che la custode non si accorgesse della sua eventuale presenza oltre l'orario di chiusura.
Era anche riuscita a bypassare l'ostacolo di sbloccare le porte: un collega le aveva suggerito come 'in via confidenziale'.

***

Era bella la povera Jean, un viso d'angelo si poteva ancora scorgere sotto il livor mortis, i lunghi capelli biondi, il corpo dinoccolato in una posizione innaturale. Dall'espressione pareva dormire, non fosse stato per le evidenti chiazze ipostatiche disseminate non solo sul viso, ma evidenti anche attraverso il tessuto lacerato, in alcuni punti, dell'uniforme - che ancora indossava - e sulle mani e le gambe scoperte.

Era come se qualcuno avesse tentato di darle compostezza prima di consegnarla all'oblio di quella cava che sarebbe stata la sua dimora eterna, privata della vita nel fiore degli anni e persino di una degna sepoltura.

Di nuovo quella sensazione di nausea le affiorò guardando le immagini allegate ai referti e stavolta non c'era il suo collega a riscuoterla, a volte, semplicemente con il tono calmo e rassicurante con il quale la riportava alla realtà.

Il professor Solo - il terrore del campus... un diavolo qualcuno diceva - ma lei non dava mai retta alle ciance ed in quel momento le mancava il supporto che riusciva darle.

L'umidità si infiltrava sottopelle nella penombra grigia e spessa tra le pile di faldoni. 
Solo la flebile luce della piccola lampada rosseggiava appena sulle gote di Rey. 
Poneva, ogni tanto, le mani sotto il raggio di luce per scaldarle un poco, mentre piccole volute di vapore volteggiavano nell'aria quando lei vi soffiava su, nel vano tentativo di trovare un po' di calore.
A poco era valso essere particolarmente infagottata in vista della giornata che aveva programmato.

Jean faceva parte della  Kappa Alpha Theta (ΚΑΘ) divisione di Boston. 
Lei ed alcune altre ragazze della confraternita erano legate ai rampolli più in vista, atleti degli Eagles la squadra di football del campus e membri della famigerata Skulls and Bones Society, una vera e propria organizzazione segreta,
la quale - secondo il sociologo Rick Fantasia -  funge da 'condotto verso la Corte Suprema, la CIA, gli studi legali e i consigli di amministrazione più prestigiosi del paese.'
Associazione tra le cui fila, negli anni recenti, avevano militato George Bush e il suo antagonista per la corsa alle presidenziali John Kerry; la cosiddetta 'Power Élite': diplomatici, militari, sportivi, personaggi del jet set e diverse eminenze religiose di stampo protestante, per finire a prelati del clero romano, eccezione concessa alla sezione del Boston College, in quanto Istituto notoriamente cattolico.

Si andava delineando una trama più fitta e torbida di quanto lasciato volutamente emergere dalle sentenze definitive.
Le ricerche di Rey avevano portato persino al cardinale Lorenzetti vescovo dell'arcidiocesi di Burlington nel Vermont.

La sensazione che Rey avvertiva, proseguendo la stesura della sua relazione, era che la sfortunata non fosse che una dei tanti a cui era andata male, mentre le altre vittime, sottoposte ai rituali della società, in qualche modo se l'erano cavata.
Le cronache, tra la fine degli anni sessanta e i primi anni novanta, riportavano di pericolose iniziazioni balzate più volte all'attenzione per aver causato delle morti.

Cercò di riaversi, era stanca e voleva andare a casa; chiuse tutti i fascicoli che stava consultando e sgattaiolò lungo i corridoi in penombra, tra le pareti di cassetti e scaffali, per rimettere tutto al suo posto quando sentì un rumore sordo provenire come da dietro un divisorio, si mise in ascolto per qualche secondo, ma niente...
forse un vecchio libro o lo scricchiolio delle mensole sotto i pesanti faldoni; imboccò il passaggio obbligato che accedeva all'ambiente contiguo, il piccolo ufficio di Mrs. Gwendoline, per poi fuoriuscire dall'ingresso principale.

Varcata la soglia si accorse decisamente di non essere sola.
L'orario di chiusura era passato da un po' e Mrs. Gwendoline faceva gli straordinari - a quanto pare - con il professor Solo.

"Miss Palpatine che ci fa qui?" biascicò il collega passandosi una mano tra i capelli.

"Potrei chiedere lo stesso ad entrambi" sibilò cerea.

"Mrs. Gwendoline vada pure."
L'avvenente bionda gli appioppò un'occhiatataccia in segno di disappunto, poi  girò sui tacchi squadrando, inviperita, la ragazza prima di scomparire.

Rey rapidissima si fiondò dietro di lei per fare altrettanto, ma Solo la afferrò per un braccio. Lei, senza voltarsi, livida di rabbia si puntellò saldamente al pavimento e oppose resistenza a quella presa possente.

"Quanta fretta... non avevi mal di testa?"

"Metti giù le mani immediatamente!" gli intimò a denti stretti.

"No" la freddò seccamente forzando la stretta con maggior fermezza - prestando attenzione a non farle male però -
costringendola così,  spalle alla parete, a fronteggiarlo.

"Avevo il sentore che mi evitassi volutamente da giorni, ora ne ho la certezza. 
- che ho fatto stavolta? -
Non abbiamo tempo infinito, il semestre terminerà prima di rendercene conto."

Rey fissava in fermento le travi del pavimento
- quanta arroganza... stupido cascamorto -
Un incendio divampava nelle sue viscere ed ogni parola di lui era un nuovo tizzone. Freddo, umidità, un lontano ricordo.
Avrebbe voluto prenderlo a calci nel sedere e correre da lady Tano e da Poe, che di certo la stavano aspettando per cena.

"Allora?" insistè lui.

"È...è che per un po' volevo continuare le ricerche da sola, ti avrei richiamato al massimo tra un paio di giorni aggiornandoti in merito." Pronunciò seguitando a non guardarlo, fissando però la mano di Solo che aveva finalmente allentato la presa sul suo braccio, per appoggiarsi alla parete.

"Potrei fare rapporto al rettore lo sai?
I patti non erano questi."

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"Mi piacerebbe vederti tentare... professor Solo, mentre gli spieghi però i tuoi metodi per portare fuori dall'archivio i documenti ufficiali." gli ghignò in faccia la giovane.

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"Quali... metodi?" Mormorò accorciando pericolosamente la distanza tra loro così che Rey fosse sempre più costretta a ridosso della  libreria.

Ora lo guardava furente con sempre maggior voglia di schiaffeggiare quella sua faccia tosta e levarlgli, una volta per tutte, quel sorrisetto sghembo - da incallita canaglia - e il piglio strafottente dell'espressione dei suoi occhi68747470733a2f2f73332e616d617a6f6e6177732e636f6d2f776174747061642d6d656469612d736572766963652f53746f

"Quelli che usi con Mrs.Gwendoline."

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"Spiegati meglio."

"Falla finita ora, lasciami passare." Gli premette una mano sul petto e sgusciò sotto il suo braccio appoggiato ancora alla parete.

"Non che debba darti spiegazioni, ma io chiedevo solo a Mrs. Gwendoline di prendere altri documenti e sai che devo insistere per ottenerli." La bloccò nuovamente lui, ma solo parlandole. 

"Si certo, ho visto in che toni." esclamò mentre continuava a voltargli le spalle.

"E che cosa credi di aver visto? Sentiamo."

Rey rimase in silenzio, che cosa avrebbe mai potuto dire? Solo non aveva mostrato nessun atteggiamento equivoco quando lei aveva fatto irruzione nello studio, casomai disagio, se ne stava ad occhi bassi con le dita che tamburellavano lo zigomo affilato mentre Mrs Gwendoline era tutta in fermento.
Gli ronzava attorno come un'ape sul miele, cercava ogni pretesto per scorrergli le lunghe unghie laccate
su una spalla o toccarlo mentre gli porgeva dei libri.
O peggio, in maniera ridicola, si morderva un  labbro ravvivando la chioma spostandola poi su un lato a scoprire il collo, ondeggiava sinuosamente sui tacchi o metteva in mostra la mercanzia sporgendosi in avanti a far risaltare il generoso décolleté. Ogni movimento era una provocazione palese.

"Mi aspettano per cena Ben." Non mancò di enfatizzare "Domani, da te, nel pomeriggio. Se non ti spiace."

"Perfetto." annuì Solo, lasciando la stanza, poco dietro di lei.

Angolo dell'Autrice:

Scrivere questo capitolo è stato abbastanza difficile per quel che riguarda il rapporto che Rey scrive per suo conto, per qualche pomeriggio, e renderà a Ben solo dopo.

Mentre le stupende fan art che ho inserito, a tema Reylo AU Hogwarts, hanno ispirato le scaramucce più giocose tra i due. Esse appartengono all' artista igneel.art che trovate su IG.

Perché Rey non vuole lavorare fianco a fianco col suo collega dopo la parentesi del Ringraziamento?

Perché si rende poi conto di quanto sia più vantaggioso avere il suo supporto, frutto di tanta esperienza?

Attendo i vostri pareri. 😊

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Capitolo 15
*** Il Vaso di Pandora ***


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Lady Tano, ogni tanto, chiedeva a Rey di fermarsi da lei per il desinare e, dopo una piccola chiacchiera tra donne, ognuna si ritirava nel suo appartamento.
Da quando c'era Poe la compagnia si era fatta vivace. 
L'allegria del giovane pilota era contagiosa, il suo ottimismo, il carattere prorompente rendevano l'atmosfera briosa.
Lui del resto, da prode cavaliere, si offriva di riparare i guasti in casa dell'anziana signora o di aiutarla in qualche ordinaria faccenda 
e lei, oh lei lo adorava non mancava di viziarlo preparandogli ogni genere di leccornia.

Lady Tano li coccolava come fossero cari nipoti, si questo erano diventati Rey e Poe per lei.
La ragazza irradiava gioia quando vedeva la sua padrona di casa contenta, si era affezionata moltissimo a quella donna, ella emanava una grazia ed una saggezza antiche e Dio solo sa quanto a Rey fosse mancata una figura materna. 
Se n'era fatta una ragione da tempo ormai, non era certo una che piagnucolava miss Palpatine, non usava chiedere per sé e viveva bene comunque, tuttavia la vita le aveva fatto proprio un bel regalo ed intendeva goderselo per tutto il tempo che sarebbe rimasta a Boston.

Una volta finito di cenare Poe riaccompagnò Rey nel basement, erano un po' brilli, qualche bicchiere di troppo rallegrava gli animi
e l'intraprendente pilota si stava lasciando andare a tenere effusioni, la giovane sghignazzava cercando di divincolarsi dalla sua stretta.

"Ehi" le sussurrò languido mentre la baciava tra i capelli "credevo che ne avessi voglia... come le notti scorse... poi... devo partire, lo sai quanto mi mancherai."

"Poe..." lo sospinse dolcemente senza sciogliersi del tutto dal suo abbraccio "è tutto perfetto, che tu sia venuto fin qui per me, è così rassicurante averti con me... vorrei solo che ci andassimo piano ok?" Lo baciò sulla fronte.

Il pilota la guardò con i suoi irresistibili occhi da cucciolo - tattica collaudata di quando voleva ottenere qualcosa - e lei scoppiò a ridere stringendolo forte.

"E va bene" brontolò un po' contrariato salutandola con un bacio sulla guancia "buonanotte e promettimi di non stare sveglia a lavorare."

Sorrise Rey, era dolce il suo Poe così paziente, premuroso con lei; le sue braccia erano l'unica vera casa che avesse mai conosciuto.
Quando pensavi al tenente colonnello Dameron ti veniva per forza da sorridere.
Leale, coraggioso, pieno di grinta non c'era niente in lui degno di biasimo se non che era tremendamente istintivo - carattere che strideva con la rigidità della disciplina militare e che gli aveva procurato non poche beghe in servizio -
ma avresti perdonato anche la stupidaggine più grossa a quella incorreggibile canaglia.

***

"Ben capisci quello che sto cercando di dirti?" Rey, tutta assorta a non tralasciare il minimo particolare, mostrava al collega i risultati delle ricerche svolte nei giorni in cui aveva lavorato da sola. "Qui abbiamo addirittura la pista di un cardinale da seguire."

"E come lo dimostriamo? È la nostra parola contro delle sentenze emesse venti anni fa? Ammesso che raccogliessimo abbastanza prove, ti rendi conto che scoppierebbe un tale putiferio da far riaprire il caso?"

"Tu non mi credi vero? Mi dai ancora della visionaria come ai consigli?" Controbattè mordace lei, per tutta risposta.

Solo sfilò gli occhiali e ad ampi gesti con le mani negò "No, no, no, no, no Rey, il punto non è che io non ti credo, ma far riaprire un caso dopo quasi quarant'anni. Tutto quello che hai scoperto ha senso, ma qui le cose sono più grosse di quello che sembrava."

"Quindi ti tiri indietro?"

Solo alzò gli occhi al cielo, ah se era testarda.

"Non lo so, dico continuiamo a fare il lavoro che ci compete cioè ricostruire contesto storico e movente criminale, per il resto non siamo avvocati, tanto meno sbirri, non ci è chiesto scovare altri colpevoli."

Rey si passò una mano tra i capelli sfibrata dal tentativo di convincere quell'osso duro del suo collega delle sue buone ragioni.

"Ho fame e sono già le sette di sera, possiamo mangiare un boccone?" Sgombrò rapidamente la mente Rey.

"Non ti aspettano a casa?"

"No, in verità."

"Potremmo andare da Tatte Bakery è proprio qui vicino."

"Andiamoci di corsa non resisto più" scattò dinamica mentre già lo aspettava sulla porta, imbacuccata di tutto punto, pronta a sfidare qualsiasi temperatura siderale ci fosse là fuori.

Oh quella panetteria aveva del cibo favoloso, gli interni tutti bianchi 'stilosi' in contrasto coi vecchi tavoli di legno, una vasta gamma di dolci e brioches, disponibili anche a sera.

Avevano preso posto in uno dei tavoli accanto alle vetrate che davano sulla strada.
Rey stava addentando la specialità del posto, il Morning Bun gigante dopo aver divorato con foga un maxi Grilled Cheese Sandwich.
Solo invece si gustava serafico il suo consueto caffè di fine pasto,  ridendosela sotto i baffi da quanto fosse curiosa miss Palpatine con gli zuccherini tutti sparsi sulle guance che facevano a gara con le lentiggini intorno al naso.
Lei a un certo punto doveva essersene accorta perché si dette una ripulita e lo guardò di traverso.
Solo allargò un mezzo sorriso sollevando le sopracciglia a sancire un segnale di pacifica resa mentre terminavano in un riverente, sereno silenzio fatto di sguardi appena accennati.

Il professore guardava pigramente fuori della vetrata contornata dalle luci natalizie e dalla brina negli angoli, lo sguardo un po' assente correva sulla strada deserta e le auto parcheggiate ordinatamente in fila lungo il marciapiede.
Il suo posto dava le spalle alla parete che accedeva ad un altro degli ambienti del locale, dove era seduta qualche persona, mentre Rey volgeva lo sguardo in direzione degli altri tavoli nella stanza attigua.

"Ehi, ma hai visto? È il professor Solo, guarda in 'compagnia', incredibile!"

"Intendi quel Solo... l' intoccabile figlio del sindaco e del generale veterano?"

"Si l'idiota che ha ammazzato la sua ragazza e il suo migliore amico senza farsi nemmeno un giorno di galera."

"Dicevano che fosse diventato un fantasma dopo il fattaccio e neanche più buono con le donne." 

"Si vede che la ragazzina fa miracoli, avrà rinvenuto il morto!"

I due ridacchiavano in maniera sguaiata, visibilmente alticci, non curandosi del tono di voce che aveva fatto voltare più di qualche testa in un locale dal target informale, ma ad ogni modo frequentato dalla Beacon Hill 'bene'.

Quelle parole le arrivarono come una  frustata, la sensazione era quella di una miriade di funicelle di cuoio che le sferzavano impietosamente la pelle sanguinante, senza darle la minima tregua per poter riprendere aria.
Continuava a fissare il suo piatto in un'espressione vitrea
senza avere il coraggio di sollevare lo sguardo verso la persona che aveva di fronte .
Con la coda dell'occhio aveva notato che in maniera impercettibile aveva posato il caffè sul tavolo e vi teneva le grandi mani poggiate. 
Il cuore le si era ritorto tra le costole come le lamiere di un'auto incidentata.
Le vene pulsavano violentemente nelle tempie e attraverso la gola, la cui arsura le era divenuta insopportabile
- cosa diavolo avevano detto quei due? - non riusciva a rimettere insieme l'ordine logico di quelle parole che nella sua testa non avevano alcuna connessione.
Attimi di pura angoscia intercorsero prima che lei o Solo accennassero anche solo a respirarsi accanto.
L'atmosfera di colpo era mutata: un'ombra soffocante, densa come polvere da sparo si era allungata su quella che, fino a quel momento, era stata una serata distesa.

Rey trasse a fatica un respiro tra le costole doloranti, lasciò scivolare gli occhi sulle mani del suo collega: inerti, entrambi i polsi poggiati mollemente sul tavolo.
Lo sguardo della ragazza dunque ardì spostarsi sul viso di Ben Solo che volgeva più in basso possibile per non incontrare gli occhi di lei.

"Si è fatto tardi, saràmeglio andare." esclamò cercando di smorzare la tensione.

Ben si riscosse forzatamente dal torpore che gli era piombato addosso impedendogli persino di articolare un singolo movimento.
In silenzio indossarono i soprabiti.

Quei due, mezzi ubriachi, continuavano a fare disgustosi apprezzamenti sulle miracolose doti della ragazza, mentre lei e il collega si dirigevano verso l'uscita.
Rey a quel punto si fiondò verso il duo tanto divertito mentre Solo quasi le corse dietro perché desistesse.

"Vogliate scusarmi signori, il mio amico è molto sensibile. 
Sono sicura che i vostri commenti sono solo spacconate maschili. 
Sono certa peraltro che avete un uccello grande quanto un fagiolino, per cui non potreste ambire, come il professor Solo, a stare con una ragazza giovane e bella.
Godetevi la cena, il Morning Bun è squisito!"*

Fu dura ripercorrere i passi a ritroso verso casa di Ben, non erano che pochi isolati, ma onde di ghiaccio si abbattevano su entrambi - e non era merito delle temperature.
Muti, a testa bassa, le mani seppellite nelle tasche alla ricerca di un posto caldo dove nascondersi.
Un sipario di immenso imbarazzo era calato su Rey mentre gli camminava accanto.
E lui chiuso in una indecifrabile espressione; se avessi voluto sapere cos'era il niente, te lo avrebbe raccontato lo sguardo di Ben Solo.
Rey non riusciva che a  lanciargli fuggevoli occhiate sbieche per carpire una qualche forma d'emozione, un segno da cui captare uno stato d'animo.

Arrivati, la ragazza raccolse i suoi effetti, la borsa con il portatile, l'altra con i documenti e fece per chiamare un taxi dal cellulare. 
Una voce cavernosa le fece eco "Ti accompagno, non c'è problema."
Riattaccò voltandosi di scatto per cercare finalmente il suo sguardo, sperava avrebbe potuto rivelarle ciò che nascondeva.
Lui fuggì immediatamente quel confronto, ma a Rey bastò quella frazione di secondo per sentircisi risucchiare in quelle iridi.
Era come nella sala degli incunabili la sera della presentazione: un demone errante gli tormentava l'anima danzando nei suoi occhi che guizzavano di disperazione.

"Vado da sola, non preoccuparti."

Solo restò impassibile incapace di muovere un solo muscolo. Rey si voltò per non guardarlo sentendosi travolgere dal vortice opprimente che lo stava risucchiando. Sentiva che se fosse rimasta lì un secondo di più sarebbe stata trascinata con lui agli inferi.

"Allora... buonanotte."

Non ricevette risposta dall'automa che se ne rimase a capo chino a fissare un punto indefinito.

Richiuse la porta alle sue spalle miss Palpatine, grazie a Dio il taxi era già arrivato e quella serata finita, forse.

Angolo dell'Autrice:

* La frase che Rey rivolge ai due simpaticoni è un richiamo palese ad un' epica scena di Nothing Hill dove Anna, interpretata da Julia Roberts, rimette al suo posto un gruppetto di maschi con il quoziente intellettivo di un' ameba e "l'uccello grande quanto un fagiolino".
Mi sono divertita un sacco a far reinterpretare a Miss. Palpatine questa scena.

Per il resto del capitolo, a voi le considerazioni. 😏

 

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Capitolo 16
*** Skellig Michael ***


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Partito. 
Tutto ciò che si era sentita rispondere era una parola: partito.

Dopo ore infernali trascorse a resistere alla sensazione soffocante di essere ingoiata viva da un abisso di dubbi, segreti, torbide verità, dopo aver ponderato mille volte se tentare di recuperare sonno al mattino e avvisare al lavoro - perché oggettivamente non stava per niente bene - si era fatta forza e, nonostante le profonde occhiaie che la invecchiavano oltremodo scavandole il viso smunto dalla notte insonne, si era recata al campus ligia al dovere prima che ai suoi stati d'animo.

E quel vigliacco, quel codardo era... 'partito'.
Scappato. Andato. Dileguato. Nel bel mezzo di tutte le ricerche che avevano ancora da fare, l'aveva piantata in asso sull'orlo di un precipizio e se n'era fuggito pensando bene di esaurire le sue dannate ferie arretrate proprio adesso.

Rey d'improvviso ricordava come e perché avesse sempre mostrato riluttanza nei confronti del genere maschile.
Finn e Poe l'avevano fatta ricredere, loro non rientravano nella categoria 'vermi' essì perché la signorina Palpatine teneva - nel taccuino della memoria - una lista di tutti gli esseri di genere nei quali era incappata per strani scherzi della sorte, parenti compresi.

Comunque se n'era andato, senza lasciar detto quando sarebbe stato di ritorno, così avevano detto i colleghi in sala professori quando era andata a chiedere dove fosse, a fine lezioni, non avendolo incrociato per tutto il tempo.
Pronta a riprendere il loro lavoro, se pure fosse ancora molto scossa dalla serata appena trascorsa, era stata liquidata.
Non seppe dire se era più un sollievo sapere di non vederlo per un po' o se doveva preoccuparsi, dato il modo in cui si erano lasciati l'ultima volta. 
Ad ogni modo mosse verso casa. 
Cercò di rilassarsi sotto la doccia. 
Poteva comunque sfruttare quel tempo per studiare comodamente a casa tra le coperte, al caldo, immersa da scartoffie e tisane e il suo PC senza la tensione assurda che quell'individuo le trasmetteva per la maggior parte del tempo. 
La parola normalità strideva decisamente con la personalità del suo collega, ci si sposavano meglio concetti quali volubilità e imprevedibilità in quantità.

***

In men che non si dica Rey era già nel suo letto con una camomilla doppia ad attenderla, ed era il minimo per riprendersi dal sapore acre che le serate con Solo le lasciavano addosso per giorni.

Non era molto tardi e Lady Tano ardì bussare piano attraverso la porta comunicante della lavanderia.
"Perdonami Rey ho fatto dei pancakes alla cannella volevo lasciartene un po' per domattina vado via subito."

"Oh Lady Tano la ringrazio le andrebbe di entrare a bere una camomilla calda? mi faccia compagnia."

"Sei sicura? non voglio stancarti."

Rey le prese la mano "La prego." Non voleva proprio stare da sola.

Quando si furono accomodate e la giovane ebbe versato da bere anche a Lady Tano, questa le chiese "Quel giovanotto adorabile è partito di già?"

"Oh Poe, si è già lontano... purtroppo." annuì ad occhi bassi guardandosi le mani tremanti riprendere la tazza per continuare a bere.

"Gli vuoi molto bene vero?"

"Come non potrei... lui è tutto per me." Il suo viso si fece sempre più scuro e questo non sfuggì a Lady Tano la quale allungò un braccio stanco verso la ragazza e la accarezzò dolcemente sui capelli.
"Che c'è bambina? Sei turbata, lo vedo."

Rey raccolse tutto il poco coraggio che aveva e fissò il proprio sguardo negli occhi di limpidi dell'anziana donna.
Ricordava bene un particolare che il suo collega le aveva rivelato quando avevano iniziato a lavorare a stretto contatto.

"Lei conosce gli Skywalker?"

Un bagliore guizzò negli occhi vividi della donna "Certo mia cara, da molti anni."

"E conosce anche la famiglia Solo-Organa?"

"Si, perché me lo chiedi?"

"Che cosa sa dirmi del professor Ben Solo?"

Lady Tano rimase pensierosa per qualche momento poi collegò nella sua mente il nesso di quella richiesta.
La ragazza continuava a guardarla molto preoccupata di quella che sarebbe stata la risposta.

"Pofessore hai detto? È diventato un professore? Lo stesso con il quale lavori gomito a gomito?

"Si." asserì Rey.

Lady Tano non riuscì a trattenere l'emozione, le vennero gli occhi lucidi mentre le mani fragili e tremanti cercavano quella esile e gelida di Rey.

"Non lo vedo da tanto tanto tempo e... sta bene?" chiese.

"I-io... suppongo di sì, ma che cosa può dirmi di lui? Una volta è stato qui per lavoro e mi ha chiesto con chi abitassi, quando gliel'ho detto si è un po' rabbuiato, mi ha raccontato che le vostre famiglie si conoscevano, che non si vedevano da anni, tenendosi sul vago."

"Ah... ha detto così?... capisco... si da anni, questo è vero. Conosco bene i suoi genitori e conoscevo ancor meglio i suoi nonni. Si può dire che Ben sia cresciuto in casa mia."

"Davvero? Da ciò che mi ha fatto intendere io credevo aveste un mero rapporto tra conoscenti, mi ha detto che lei neanche ricordava gli Skywalker?"

"Ti ha detto davvero così?"

"Si, non è esatto?"

"Io non ricordare gli Skywalker?" le venne fuori una risata amara "come potrei? Il destino ci ha uniti indissolubilmente volenti o nolenti... Professore... ma pensa, l'ultima volta che l'ho visto aveva preso da poco un altro brevetto di volo ed era pronto alla promozione al grado di pilota di caccia, insieme a mio nipote."

"Ha detto suo nipote? Pilota di caccia?" Le fece eco Rey basita.

"Si mio nipote Peter."

"E poi? Che è successo?"

Lady Tano lasciò scivolare lo sguardo in basso le labbra le si erano deformate in un tremolio sempre più evidente seguite dalle mani diafane che si aggrappavano a quelle della ragazza.

"Una tremenda disgrazia ha spezzato le nostre vite e le nostre famiglie."

"Quale disgrazia?" Incalzò Rey sempre più angosciata.

"Un terribile incidente in elicottero mentre sorvolavano la periferia di Philadelphia, erano andati a trovare la fidanzata di Ben Sopravvisse solo lui, non si sa come, era alla guida. 
Per gli altri due non ci fu nulla da fare. 
Effettuarono un atterraggio di fortuna ed erano ancora tutti vivi, poco dopo però l'elicottero prese fuoco ed esplose per una perdita di carburante non lasciando scampo a mio nipote Peter e a Lara."

"Ma Ben... come si è salvato?"

All'impatto con il suolo pare sia stato sbalzato fuori a molti metri di distanza e comunque riportò danni permanenti che gli impedirono di poter continuare la carriera militare. 'Professore' uno con il temperamento irruento di Ben Solo."

Le due donne rimasero a lungo in silenzio, mani nelle mani, un silenzio attonito scandito solo dal ticchettio degli orologi e dal saltuario ronzio del frigorifero. 
Poi, lentamente, Rey abbracciò Lady Tano se ne stettero strette a cercare un po' di conforto reciproco.
"Mi dispiace tanto per suo nipote. Un' ultima domanda prometto, quale fu la causa dell' incidente?"

"Una distrazione del pilota, così dissero, forse una bravata tra ragazzi questo non si è mai capito del tutto."

"E da allora l'amicizia tra le vostre famiglie è finita?"

"Oh Rey cara, io non ce l'ho affatto con loro, Ben amava Peter erano come fratelli, ma i Solo non sono riusciti a sopportare il senso di colpa credo, perché si sono molto allontanati ed io non ho voluto insistere. È stato un duro colpo per tutti, ma vivere con un tale rimorso, per loro, non deve essere semplice."

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Così sono partito per un lungo viaggio
lontano dagli errori e dagli sbagli che ho commesso

Ho visitato luoghi
per non doverti rivedere
e più mi allontanavo
e più sentivo di star bene

E nevicava molto
però io camminavo
A volte ho acceso un fuoco per il freddo e ti pensavo
Sognando ad occhi aperti sul ponte di un traghetto
Credevo di vedere dentro il mare il tuo riflesso

 

Le luci dentro al porto
sembravano lontane
ed io che mi sentivo felice di approdare
E mi cambiava il volto
la barba mi cresceva
trascorsi giorni interi senza dire una parola
e quanto avrei voluto in quell'istante che ci fossi.
(Ti ho voluto bene veramente - Marco Mengoni)


Angolo dell'Autrice:

Curiosità: la 'categoria vermi' è una chicca da Colazione da Tiffany citata Audrey Hepburn 😅 perla del cinema che vi consiglio qualora vi fosse sfuggito.

Professor Solo è partito per un lungo viaggio, l'immagine di copertina del capitolo e le prime tre inserite in capo al testo sono tratte dal video dell'omonima canzone e si tratta di luoghi a Sud dell' Islanda.

Mentre, l'avrete di certo riconosciuta, nelle immagini successive, l'isola di Kellig Michael in Irlanda a 17 km dalla costa Irlandese è Ahch-To, si proprio l'isola di ep. VII e VIII.

Ipoteticamente Solo compie un viaggio in questo luogo fuori dal mondo per fuggire i rimorsi con i quali convive da molto. Ma non esiste pace per lui.
I versi potrebbero sembrare dedicati a Rey ed è così all'inizio, ma successivamente è a Lara che torna il pensiero, perché quello era il loro posto, quello nel quale si rifugiavano lontano da tutti.
Il suo spirito è però diviso perché pensa inevitabilmente a Rey, alla tenerezza che prova per la sua caparbia e sensibile collega e alla delusione che l'amara verità comporterà nel loro rapporto appena iniziato e nel quale lui, per la prima volta dopo anni, cerca una briciola di normalità che lo riporti a una vita sociale decente che è per lui un lontano ricordo.
Ogni sua speranza sembra svanire a causa dei pettegolezzi nella panetteria.
La verità apparente sull'incidente, sulle cause, sulle conseguenze, non è che la punta dell' iceberg.

 

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Capitolo 17
*** Satelliti ***


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"Satellite, headlines read, someones secret you've seen
Eyes and ears have been

Winters cold spring erase
and the calm by the away 
the storm is chasing
Everything good needs replacing
Look up, look down, all around... satellite"

- Dave Matthews Band's -

Il più tagliente vento del Nord abbatteva le sue impietose raffiche, a sprazi, sul
molo del porticciolo da dove era pressoché impossibile salpare, sbatacchiando i pescherecci e le imbarcazioni, dalle più grandi alle più piccole, come fossero di carta.

La sua furia imperversava da Settembre fino a primavera inoltrata ed arrischiarvisi in quella stagione era più un' impresa di sopravvivenza che un'avventura, da compiersi rigorosamente a stomaco vuoto.

Che cosa si fosse aspettato di diverso, arrivando a Portmagee in pieno Dicembre, in effetti non lo sapeva nemmeno lui.

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La taverna del vecchio lupo di mare O'Neill era la tana ideale per trovare riparo dallo sferzante impeto del mare che lottava contro il verde delle coste.

Sorseggiava il suo irish whisky - tredici anni invecchiato, dalle intense note ciliegio - osservando dalle piccole vetrate salmastre il maestoso spettacolo che la natura offriva e non sapeva dire se fosse peggiore la burrasca che si agitava dentro di lui.
Ad ogni respiro un grappo di rovi gli risaliva la trachea, dipanandosi dal diaframma attraverso muscoli e costole.
"Ne avrà per molto secondo te?" chiese.

Il vecchio oste gli fece eco, in tono rassicurante, da dietro il bancone "Almeno quanto la tua ostinatezza nel voler raggiungere il monastero col mare grosso. Tutto tuo zio."

Il professore gli lanciò un' occhiata sbieca.
Rex O' Neill rise di gusto a quell' espressione corrucciata.
"Voleva essere un complimento ragazzo! Solitario, riflessivo. 
Come lui. 
Lo ricordo ancora quando veniva qua alla ricerca di sé stesso."

"Mio zio è un vecchio egocentrico con la fissa della fede." ironizzò, seccato dell' accostamento delle loro personalità. 
Se mai si era sentito tanto diverso da qualcuno, quello era il fratello di sua madre Luke Skywalker, il Monaco, l'irreprensibile.

Proprio da quel suo credere incondizionato
aveva preso le distanze, anni prima. 
Non vi era alcun conforto, nella perdita, per Ben Solo, che il suo caro vecchio zio, animato da autentico zelo e purezza d'intenti, non avesse cercato di inculcargli da sempre.

L'indole di suo nipote era però estremamente razionale - o forse il suo cuore troppo fragile - per riporre incrollabili certezze in ciò che non si può toccare con mano.

"Ragazzo" ribadì benevolo Rex - che frattanto gli si era fatto prossimo - posandogli una mano sulla spalla
"Tu non lo hai conosciuto nei tempi migliori; la vita lo ha piegato esattamente come ha fatto con te. Era un giovane pieno di sogni e speranze, un punto di riferimento per tanti, qui e ovunque la vita lo abbia condotto."

Ben risalì lo sguardo verso il corpulento oste dalla folta barba bianca che contrastava la carnagione bruno rossastra, solcata da rughe profonde e
ispessita da anni di lavoro sotto il sole.

Lieve il rimorso bussò, smuovendogli le viscere dall'interno, alle parole del vecchio marinaio. 
Sapeva quanto la vita fosse stata dura e per suo padre, che per sua madre e suo zio Luke.

Separati nei primissimi anni di vita, per motivi di sicurezza, Luke Skywalker e la sua gemella Leia - figli del magistrato Padmè Amidala e della sua personale guardia del corpo Anakin Skywalker - erano stati nascosti, dopo la morte dei loro genitori in un attentato per motivi di stato.
Furono sottoposti a programma di protezione.
Si erano ritrovati appena diciannovenni quando Luke aveva iniziato i suoi studi di Teologia a Boston e sua sorella aveva intrapreso, invece, il percorso che l'avrebbe condotta in politica.

Luke era sempre stato animato da una grande vocazione, possedeva uno spirito solitario, a tratti malinconico, ma il suo carattere era calibrato da una saggezza innata.
Una specie di predestinato per essere guida dei più giovani.

Ben lo vedeva di rado, tuttavia aveva sempre ammirato suo zio.
Era uno sportivo, soleva meditare ed allenarsi in posti dimenticati dal mondo.
Skellig Michael era proprio uno tra questi.

L'antico monastero sorgeva all'interno di un recinto murario su un altopiano roccioso in pendenza, sulla sommità nord-orientale. 
Una struttura monastica unica costruita in malta di calce: l'arenaria portata dalla vicina isola di Valentia, nota per le sue caratteristiche decorative.

Un' estate di quando Ben aveva nove anni, zio Luke lo aveva portato con lui.
Nonostante la fatica per risalire, giorno per giorno, il fianco roccioso lungo le scale impervie e sconnesse, malgrado le levatacce in pieno buio, l'acqua perennemente gelida per lavarsi e bere, a dispetto delle notti all' addiaccio per la fissa del frate di insegnargli a distinguere le costellazioni e il doversi nutrire di pesce e carne di uccello per la maggior parte del tempo,
la generosità di quei paesaggi incontaminati mozzava il fiato, ricompensando generosamente l'anima di ogni sacrificio compiuto.

Da quella volta aveva voluto passare ogni estate con lui, in giro per qualche sperduta destinazione sul pianeta.
La meravigliosa Irlanda tuttavia era rimasta la sua preferita.

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Anni più tardi - ormai uomo - ci aveva portato la donna che amava, Lara.
Per lei non prevedeva acqua gelida e notti al freddo. 
La Taverna di O'Neill - dove spesso si era recato con Luke da bambino - con le sue camere ricoperte di robuste travi di legno era il loro rifugio fuori dal mondo, dove dalle piccole finestre, al caldo di un fuoco, potevano veder divampare mareggiate furiose.

La sua Lara, conosciuta al secondo anno di corso, da cui non si era mai più separato.
Una splendida peonia, pura, elegante. 
I lunghi capelli di seta nera, lasciati liberi di notte,
sparsi sul suo pigiama. Le dita affusolate intrecciate alle sue, le labbra dischiuse come ciliege mature mentre dormiva contro il suo petto. 
Le guance di pesca e la carnagione lattea.
I ridenti occhi a mandorla assopiti dietro le lunghe ciglia.
Era l'immagine perfetta che conservava di lei, l'ultima con la quale volesse ricordarla. 
Così effimera stava inesorabilmente sbiadendo.

Lei che aveva lasciato dietro di sé una vita lontanissima per venire a studiare negli Stati Uniti.
La giovane che gli si era promessa gioiosa e piena di fiducia e che per quei sogni aveva perso tutto, per colpa sua, di un suo capriccio.

Serrò le nocche di una mano alla stretta feroce di quel ricordo.
"Voglio salpare, devo raggiungere il monastero."

"Se instisti... partirà solo un traghetto oggi, verso l'ora di pranzo, quando il vento s'accheta un po'... Tanti auguri se arrivi intero senza buttar fuori ciò che hai bevuto finanche alle budella.
E non mangiare, ti raccomando!"

In fretta lasciò a Rex il denaro dovutogli e proseguì intenzionato a raggiungere la cinta muraria prima che fosse buio.

***

Il traghetto ci aveva impiegato il doppio del tempo per arrivare e solo per miracolo non aveva dato di stomaco.

Tutto ciò che aveva desiderato, arrivando lassù, era potersene restare dall'alto del crinale a lasciarsi agitare come una canna al vento perdendo lo sguardo nel nero mare d'inverno.

Se ne stava serrato nel suo giaccone, le braccia appoggiate lungo un muricciolo più basso, le mani conserte che penzolavano, al gelo, fuori del bordo.
Da sei anni non metteva piede lì. 
Da sei anni la sua vita si era cristallizzata. 
Si limitava ad esistere senza vivere. 
Un respiro dietro l'altro, l'aria ostinata arrancava nei polmoni. 
I suoi giorni spenti erano l'inesorabile trascinarsi di una catena, ogni giorno più opprimente, forgiata e appesantita via via da un dolore cieco. 
Ma l'ora era giunta, forse, di fare i conti col passato.

Non sarebbe mai stato pronto, ma doveva a sé stesso almeno di provarci a lasciarla scivolare dai ricordi, come una lacrima furtiva che dal cuore era traboccata piena d'amarezza fino a bruciare sugli occhi stanchi.

***

22 Dicembre

Lo spiazzo antistante il Campus era pieno di addobbi e il soffice manto di neve fresca aveva disteso generoso il suo candore su ogni superficie che occhio potesse scorgere.

All the lights are shining so brightly everywhere -

Anche nell'atrio c'era gran fermento intorno al grande albero allestito nel mezzo.

And the sound of children's laughter fills the air -

Miss. Palpatine con alcuni studenti e colleghi si erano fermati per sistemare gli ultimi addobbi, dopo la fine delle lezioni. 
Erano le cinque e quindici del pomeriggio e Poe Dameron - che aspettava, nella sua rossa fiammante, la sua ragazza - decise di fare capolino, visto che si era abbondantemente oltre l'orario di lavoro.

I canti natalizi intonati dagli studenti riempivano l'aria frizzantina di magia.
Anche Miss. Palpatine e il tenente colonnello Dameron ne erano stregati, tanto che lui, ebbro di spirito natalizio, e nel pieno della sua consueta verve giocosa la prese tra le braccia per farla ballare.

Non ci era abituata Rey, non erano stati troppi i natali felici per lei e Poe era tutto ciò che la vita le avesse regalato, insieme a Rose e Finn.

And everyone is singing
I hear those sleigh bells ringing -

Sorrideva serena, come non era da tanto, riusciva a vivere solo il momento presente, finalmente leggero, senza pesi sul cuore.

In un istante i suoi occhi vagarono, ad un richiamo istintivo, lungo la testa della scalinata dell'androne. 
Due *occhi bruni* striati d'ambra e miele liquido la fissavano lasciandola invischiata nella loro malinconia.

Won't you please bring my baby to me? -

Lo sguardo proseguì sulla cinghia di cuoio della tracolla che passava sul giaccone sbottonato, quindi sulla camicia, ma fuori nevicava!
La mano pallida con le nocche arrossate dal freddo stringeva la tracolla proprio all'altezza del cuore, le lunghe dita poggiavano sulla cinghia di cuoio.
Poco sotto la gola la camicia addirittura sbottonata e, poco più in su, una sciarpa di lana grezza girava intorno al collo passando ora sotto la giacca, ora fra la giacca e la camicia e al lato del collo, direttamente tra il tessuto e la pelle.

Un velo di barba incolta sulla mandibola e le guance arrossate, incorniciava le labbra piene, ma comunque maschili.
Sulla fronte, qualche ciocca di capelli scuri, bagnati e ondulati terminava in piccole gocce di neve sciolta.

Doveva essere ben confuso in una sera di fine Dicembre per indossare una camicia sbottonata in cima, sotto una sciarpa arrotolata alla meno peggio, con una nevicata in corso. Tutto diceva che l'uomo di fronte a lei era al limite tra la voglia di scaldarsi e quella di fingere che il freddo, come niente altro al mondo, potesse scalfirlo.

Una linea di confine in bilico tra due posti, contemporaneamente.

Angolo dell'Autrice :

Che dire ragazzi vi sono mancata?
Voi tantissimo, più di quanto le parole possano raccontare. 
Mi sono mancati anche i miei adorati, incasinati protagonisti.

Mi è mancato scrivere, purtroppo, come già anticipato, devo procedere un po' a rilento per cause di forza maggiore, ma non vi mollerò.

Suona più come una minaccia che una promessa? 😆

Che ne pensate di Lara? Finora non ho mai parlato di lei.
Come vi aspettate fosse la donna che il professor Solo ha amato fin da molto giovane?
Che tipo potrebbe essere per conquistare un uomo dal carattere tanto schivo e introverso?
O forse prima dell'incidente era un' altra persona?
Sarà riuscito a iniziare a far pace con il suo passato?

Ci leggiamo presto. 

PS: Il Bed&Breakfast O'Neill's a Portmagee, villaggio portuale di partenza per le isole Skellig è una piccola perla sull'oceano in tempesta. 
Alcuni particolari sull'interno delle stanze però, me li sono inventati di sana pianta  perché faceva più figo, nella realtà lo stile delle camere è semplice, senza travi di sorta.

E, non meno importante, ascoltatevi Satellite, merita. 

Senza contare che qualche personaggio di TCW o Rebels lo inserirò sempre.

*occhi bruni ad omaggiare Din Jarin mi piaceva troppo.

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Capitolo 18
*** Fuoco e Pioggia ***


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I giorni di festa erano trascorsi sereni come mai, forse. 
Per la prima volta Rey si sentiva circondata da una vera famiglia.
Poe, Finn e Rose erano riusciti ad ottenere qualche giorno per stare con lei e naturalmente Miss. Palpatine aveva fatto in modo di preparare, insieme ai suoi amici, squisite pietanze perché Lady Tano fosse in ottima compagnia e non dovesse affaticarsi di nulla. 
Rey e Poe le avevano decorato casa, rispolverando dalla soffitta addobbi, luci ed aggiungendovi un personalissimo tocco.

Anche quest'anno nevicava molto, i figli di Lady Tano erano lontani e lavoravano.
Le sue condizioni di salute iniziavano ad essere delicate per intraprendere viaggi in aereo a Dicembre e così si era abituata, poco a poco, ai Natali in solitudine, sulla sua poltrona, in compagnia della sua vestaglia, un vecchio plaid disteso sulle ginocchia e il suo fedelissimo Gary - un piccolo Bulldog Francese - che non si separava mai dalla sua adorata padrona.

Rey, d'altro canto, aveva perso i suoi genitori, in un misterioso incidente, quando aveva solo sei anni.
Da allora aveva vissuto con suo nonno, il suo unico parente più prossimo. 
In pratica era stato come crescere da sola, tra educatrici, governanti, bambinaie varie e collegi privati.
Una vita adiafora.
Il senatore Sheev Palpatine era sempre in viaggio per lavoro, per lei rappresentava poco più che uno sconosciuto. 
Certo, uno sconosciuto a cui portava rispetto, dal momento che non le aveva mai fatto mancare niente, materialmente.

E Poe, oh lui era un toccasana per lo spirito, l'anima della festa, sempre.
Un estro trascinante, non c'era da annoiarsi con lui.

Il momento del commiato, tra loro due, lasciava sempre l'amaro dietro di sé.
"Perché devi andare? Quando ti rivedrò?" Recriminò la professoressa al suo uomo, tenendogli le mani dietro la nuca.

"Prima di quanto pensi!
È incredibile come tu sia sempre la bambina che si arrampicava alla mia finestra, in piena notte, rannicchiandosi tra le mie braccia durante i temporali." 
La rassicurò il giovane pilota.

La Eglin Air Force Base, nella contea di Okaloosa in Florida, reclamava uno dei suoi migliori aviatori e grazie a Dio non erano previste missioni all'estero, lunghe mesi.

Poe chiudeva le ultime cose in valigia, mentre il pensiero della giovane donna aveva vagato, in tutti quei giorni, sul chiedergli se mai avesse conosciuto Peter, il nipote di Lady Tano.

Che Poe non conoscesse, da prima Ben Solo ne era certa, ma forse in accademia poteva aver fatto altri incontri, anni addietro.
Questa idea fissa aveva disteso un velo di preoccupazione nell'animo della ragazza.

Avrebbe dovuto dire a Poe di cosa era venuta a conoscenza? 
Beh a lei sembrava di violare l'intimità di un'altra persona, in fin dei conti quei tristi accadimenti non riguardavano nessuno di loro, a parte Lady Tano.

Senza contare che dalla sera delle rivelazioni scottanti, sul passato del suo collega, non si erano più visti ed era umanamente preoccupata per lui.

Seguì con lo sguardo l'auto di Poe finché non voltò l'angolo. 
Rimase sulla porta, nonostante nevicasse.
Il maglione, i jeans e gli scarponcini imbottiti non erano nulla per ripararla dal freddo intenso, eppur peggiore era quello che sentiva infilarlesi sottopelle.

Rientrò in casa, frugò in borsa velocemente recuperando il suo cellulare e chiamò un taxi, mentre con l'altra mano sistemava già il pesante giaccone.

"412 di Beacon Street, grazie." fu la destinazione per l'autista.

***

Won't you look down upon me, Jesus?
You've got to help me make a stand
You've just got to see me through another day
My body's aching and my time is at hand

Fire and Rain - James Taylor

Un tonfo sordo che sembrava provenire da un'altra dimensione - tanto ovattato era - lo stava riportando indietro dall' Ade nel quale era sprofondato.

Sentiva quel picchiare cadenzato, regolare, insistente, eppure non una fibra del suo corpo pensava neanche lontanamente di reagire.

Per sfinimento sollevò meccanicamente le palpebre; puntellò le braccia per sollevare il torace dal materasso, inspirando a fatica attraverso le costole che scricchiolavano come carta pesta, mentre
distendeva la spina dorsale dolorante. 
Si costrinse in piedi, facendo leva sui quadricipiti femorali e mosse verso la fonte di quel rumore molesto.

Gli occhi semichiusi, si trascinava con i capelli scompigliati a coprirgli il volto.
Questo lo spettacolo che si palesò agli occhi di Miss. Palpatine.

"Ben... scusa se non ho avvisato, io... io... ero solo passata per vedere se stavi bene. Ecco."

Rimase a fissarla stranito, aggrappato quasi, alla porta per reggersi in piedi, sprezzante delle temperature rigide.

"Per favore, copriti, si gela!" Lo pregò.

In quel momento iniziò a realizzare in che stato pietoso fosse: afferrò la prima cosa che gli capitò a tiro e la avvolse intorno alle spalle spostando con una mano i capelli disordinati dal viso.
Si discostò dal passaggio per lasciarla entrare.
La parole gli morirono in gola, serrate nei recessi dell'animo di un animale selvatico.
Perché tale si sentiva in sua presenza, non solo per la sorpresa di ritrovarla all'improvviso dietro la porta di casa, ma soprattutto per il senso di inadeguatezza che provava.

Tutt' intorno era un disastro.
Il lezzo ed un trolley da viaggio aperto, al centro della sala, raccontavano che non vi era stato un sufficiente ricambio d'aria da giorni. 
Indumenti sparsi tra pavimento e sofà, la obbligarono a fare la gincana, entrando, per non calpestarli.
Era sicuro che lei non se lo sarebbe mai aspettato dal professor Solo.

"Se mi dai un momento..." esclamò concitato, mentre si muoveva goffamente per la stanza, nell'impresa di raccogliere più roba possibile da ogni superficie ove era disseminata e serrare intorno a sé, con l'altra mano, il plaid con il quale cercava, senza successo, di coprirsi, ma che impietosamente scivolava scoprendo ora  le spalle, ora il torso, quando con la stessa spostava infastidito le lunghe ciocche di capelli che gli finivano negli occhi.

Rey tirò un gran sospiro quando lo vide scomparire in direzione delle camere. 
A quella visione il colorito della giovane aveva assunto tutte le sfumature dal rosso fuoco al paonazzo.
Un' espressione languida le era arrivata, tra le ciocche corvine e ribelli, mentre le rivolgeva lo sguardo smarrito, noncurante che fosse svestito dal bacino in su.

Si tolse i guanti posando il dorso delle mani gelide sulle gote in fiamme, in cerca di riequilibrare quelle due parti del suo corpo che non andavano quasi mai d'accordo.

Intanto, con le orecchie tese, prestava attenzione ad ogni suono che potesse darle un indizio su cosa Solo stesse combinando o quando sarebbe nuovamente riemerso, facendola ripiombare nell'imbarazzo più totale.

Scorgeva solo rumori smorzati, poi d'un tratto un distinto scrosciare d'acqua significava doccia in funzione, qualche minuto di vantaggio dunque.

Prese un altro respiro, si guardò intorno sgomenta, ma dopo un breve attimo di esitazione, si fece animo, posò giacca, cappello e sciarpa; per prima cosa scostò le tende e spalancò i vetri, qualche minuto sarebbe bastato a risanare l'aria. Di buon'ordine rimise un po' in sesto, raccolse gli avanzi di cibo e i resti delle confezioni miste di cartone e plastica dei preconfezionati,  sparpagliati dalla cucina al soggiorno, fin sul tappeto.
Adagiò i vari indumenti sullo schienale del divano.
Chissà in che condizioni versavano la camera da letto o il bagno, fosse stata sola, con del tempo a disposizione, avrebbe tirato a lustro ogni angolo.

Chiuse le finestre armeggiò per accendere il fuoco nel camino.
In quel momento avvertì la presenza di Solo ricomparire alle sue spalle, l'odore della rasatura fresca e del dopobarba da uomo le avevano riempito le narici. 
Rimase intenta a rinvenire il fuoco, nel frattempo quello interno aveva ripreso a divampare dalle guance al petto, lasciando le mani bluastre dal freddo. Non aveva la benché minima intenzione di voltarsi, fin quando la voce profonda di lui non la costrinse.

"Non... era necessario che sistemassi la mia roba... ad ogni modo... grazie."

"Ti prego, fa che sia presentabile, fa che sia presentabile!"
La giovane donna si voltò lentamente fissando verso il basso, timorosa di ciò che i suoi occhi avrebbero potuto incontrare.

Si posarono sui piedi, scalzi dalle lunghe dita affusolate. 
Normalmente essi non sono una parte del corpo particolarmente attraente, specie quelli di un uomo, ma i suoi erano armoniosi e curati: la forma regolare, ogni sporgenza ossuta si incuneava perfettamente nelle anse di pelle.

Avanzò verso di lei con il consueto incedere un po' sghembo.
Rey ebbe un sussulto, la sua mano era finita di striscio su una grata incandescente.

Una delle grandi mani di lui le si fermò sotto il naso, quasi, ben distesa.
Chiuse gli occhi Rey, cercando di riempire i polmoni, impercettibilmente, che lui non potesse accorgersi che sospirava - dall' alto, pensò, non poteva vedere che i suoi capelli - ne afferrò il palmo, stringendovi attorno il suo, incastrando bene le sue dita esili, tra quelle robuste di lui.

"Fammi vedere" con entrambe le mani le prese quella dove si era scottata rigirandola con dicatezza; le fece strada verso il lavabo della cucina dove lo scorrere dell'acqua fredda poteva alleviare il dolore.
La pregò di accomodarsi sul divano e le pose un impacco di ghiaccio che teneva tra le sue mani e quella della collega.

Aveva cercato di evitare il suo sguardo in ogni maniera, ma ora lui era inginocchiato sul tappeto ed era impossibile sfuggirgli ancora.
Doveva pur dirgli qualcosa, pena sembrare una perfetta squilibrata a piombare in casa di un collega di lavoro a tarda sera.

"Ti fa male? Mi dispiace, avrei fatto io" esordì lui.

"Oh, l'ho fatto volentieri,  sono pratica, mi sono solo distratta" controbattè lei, nella speranza che dai suoi occhi lui non potesse aver letto quanto si fosse sentita a disagio fino a pochi istanti prima.
"Volevo rendermi utile."

"Non riesci proprio a non voler aiutare qualcuno Rey Palpatine?"

Temette un rimprovero in quelle parole, ma in un momento gli occhi di Solo mutarono in una espressione ridente mentre allargava un angolo della bocca in un inequivocabile sorriso.
A quel rassicurante segnale abbassò la guardia, decisamente più rilassata.

"Io sto bene Rey, grazie d'esser passata."

"Ben... quando pensi che potremo rimetterci al lavoro? Lo so che sei stato fuori, ma il tempo stringe."

Il docente deglutì ovviando lo sguardo verso il tappetto, poi, piano si sollevò e prese posto sul sofà accanto alla collega.
"Io, ecco, chiederò al rientro a lezione di essere sollevato da questo incarico, credo che lavoreresti più serenamente con altri colleghi Rey."
Rimase ad occhi bassi.

Nonostante il tepore del vicino camino il gelo estendeva la sua ombra incorporea, ancora una volta, sui due colleghi.

"Ben..." un tremito nella voce di Miss Palpatine giunse fino alle orecchie di lui " Non puoi, mi toccherebbe ricominciare tutto, non a questo punto! Mesi di ricerche perse se dovessi stare a rispiegare ogni cosa a un novellino, non te lo permetto!" protestò decisa la giovane donna che ora lo fronteggiava, in piedi, sfidandolo apertamente, con un fuoco negli occhi capace di consumare qualunque cosa le si ponesse d'ostacolo.
Ben ritto davanti a lei - a raccogliere il guanto di sfida - la guardava di rimando con pari ardore.

Oh, I've seen fire and I've seen rain
I've seen sunny days that I thought would never end
I've seen lonely times when I could not find a friend
But I always thought that I'd see you again.

Fire and Rain - James Taylor

Angolo dell' Autrice:

Direi che non c'è molto da aggiungere a questo capitolo che è una sorta di intermezzo, se non che dovete leggerlo con la sua canzone di sottofondo.

Prende origine dall' omonimo famosissimo brano Folk Rock  di una delle leggende della musica ancora viventi, James Taylor che adoro praticamente da quando ero bambina.

La malinconia e la dolcezza dei suoi brani ben si sposano con gli stati d'animo di Solo, oltretutto *curiosità* James nasce proprio a Boston.

Gary, il piccolo Bulldog Francese di Lady Tano altri non è che l'inseparabile amico a quattro zampe di Carrie Fisher, nella vita reale.

Vi farò pure scuola di musica mentre vi faccio leggere 😅.
Divertitevi.

Nives ❄

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Capitolo 19
*** Luce e Tramonti a Nord-Est ***


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Burlington - Vermont - Parte Prima

"La ringrazio rettore Johnson per il permesso accordatomi. 
Conto, nel giro di una settimana, di aver svolto le mie ricerche sul posto.
Non c'è stato proprio verso di far cambiare idea al professor Solo, invece?"

"Mi spiace professoressa Palpatine, è stato irremovibile."

Sospirò corrucciata..."La prego, non nomini nessun altro suo al posto, almeno fino al mio ritorno. 
L'indagine di questa settimana è delicata, voglio portarla a compimento da sola, un cambio in questo momento mi comporterebbe notevole rallentamento e di dover rivedere le mie strategie, rimandando la partenza che ho fissata a un ottimo prezzo."

"Oh, ma per quello non si preoccupi professoressa Palpatine, le sarà tutto rimborsato dal nostro Istituto."

"Non è mia abitudine approfittarne comunque, mi lasci andare ora, con queste tariffe, la prego."

"Se insiste..."

"Non se ne pentirà rettore Johnson!"

La verità era che voleva prendere tempo non aveva nessuna intenzione di condividere mesi di impegno e indagini scottanti con nessun altro che non fosse lui. 
Era stata un' impresa conquistare la sua fiducia, a livello professionale e lei non era disposta a gettare alle ortiche l'aiuto prezioso che l'esperienza di un collega maturo le aveva fornito.
Si sarebbe inventata qualcosa per dissuaderlo mostrandogli nuovi risultati a cui era certa di giungere.

Noleggiò un pick-up per avere la sicurezza di un mezzo stabile, dovendo percorrere strade dalle curve insidiose, molte volte ghiacciate, al calar della notte.
Un po' di comprensibile ansia corredava il tutto, ma era pronta a questa avventura, sebbene rischiosa, da sola.
Era partita in tutta fretta lasciando detto soltanto a Lady Tano dove fosse diretta.

Oramai guidava da qualche ora, si era gustata uno di quegli spettacolari tramonti rosati di inizio gennaio, tra le aghifoglie, complice il freddo che rendeva la rifrazione solare di quel colore così particolare in quel periodo dall'anno.
Insieme alla poesia del momento era perfettamente cosciente, però, delle temperature che sarebbero scese in picchiata. Più terso era il cielo, peggiore sarebbe stata la gelata.

Il fuoristrada non era nuovissimo, non poteva permettersene uno migliore, sperò con tutta sé stessa che non decidesse di lasciarla in mezzo al nulla una volta scesa la sera.
Tutto filava liscio da diverse miglia, la radio e i pensieri le tenevano compagnia.
Ora la mente andava a Poe che era lontano e le dispiaceva che dovessero separarsi così spesso.
Ora si ritrovava ad empatizzare con il suo collega, ripensava al suo sguardo severo e triste nello stesso tempo. 
Occhi che nascondevano un vissuto aspro che avrebbe voluto conoscere.
Sembravano anelare un perdono per chissà quale nefandezza.
Aveva come l'impressione che si accusasse più di quanto meritasse.

Come da manuale della peggiore sfiga possibile iniziò a sentire l'auto perdere potenza, si stava spegnendo come stesse terminando il carburante.
Accostò al ciglio della strada, il quadro elettrico spento, defunto.
Sulla provinciale non un lampione.
Questa proprio non ci voleva! 
Nessuna spia aveva mai lampeggiato durante tutto il percorso, c'era stata molto attenta, aveva anche fatto controllare tutti i parametri dell'auto prima di partire.

Il cellulare non aveva campo e, con l'auto spenta, presto sarebbe sopraggiunto il freddo.
La buona notizia era che il Motel che doveva ospitarla non era tanto distante dall' Arcidiocesi di Burlington e nemmeno distante dal luogo che era venuta a cercare.

L'indicazione sulla mappa del navigatore indicava che vi era proprio vicina.
Tutti e tre quei luoghi, sulla cartina, non distavano che qualche miglio ancora, ma con quel buio e quel freddo sarebbe stato quasi impossibile raggiungerli a piedi.
Decise di aspettare, magari la linea sul cellulare sarebbe tornata, oppure qualche pio automobilista di passaggio avrebbe potuto darle una mano.

Aprendo il cofano, aiutata da una grossa torcia, non vedeva niente che non andasse. 
Con un voltometro aveva controllato i valori della batteria ed era carica.
I liquidi nei vari radiatori, tutto era a posto e intanto lei iniziava ad aver freddo ed anche bisogno di espletare i suoi bisogni fisiologici dopo tutte quelle ore.
Dovette arrangiarsi alla meno peggio, nella radura, dietro il portello dell'auto, sperando che dalla boscaglia non spuntasse fuori un orso o chissà quale animale.

Pensò di avere imparato a imprecare in tutte le lingue che conosceva o forse no, quando sentì accostare un auto proprio sul più bello, così che si bloccò per la paura di essere vista.

Una situazione davvero incresciosa. 
Continuava ad alitare sulle mani livide dai geloni. Sentiva la pelle del viso tirare dall' asprezza del clima.

L' auto intanto accostava, non era in grado di vederne nitidamente né il modello né il conducente, abbagliata dai fari, pose una mano a coprirle parzialmente gli occhi.
Accovacciata dietro la portiera, scongiurando di finire prima che, chiunque fosse su quell'auto, uscisse a cercarla... ma niente!
Ma più tentava di sbrigarsi più la minzione era difficoltosa.

Una sagoma scura le veniva incontro.
La vedeva avanzare, da sotto lo sportello dell'auto, i passi sul selciato, grazie a Dio, avevano deviato verso il posto di guida, fermandosi. Pochi istanti dopo aggiravano il veicolo in direzione dello sportello aperto.

"Ehi!... c'è nessuno? È lì dietro? Ha bisogno d'aiuto?"

"Maledizione!"

Fece appena in tempo a tirarsi su le braghe senza badare troppo all'igiene, non ce n’era il tempo, pena finire chiappe al vento di fronte a uno sconosciu...

"Che-che... Cosaa?? Come sapevi che ero qui?"

"Tuu?... Non c'è tempo per le domande adesso, sali in macchina, io prendo i bagagli dalla tua, cerchiamo riparo.
Oddio, ma cos'è questo puzzo infernale?" protestò tappandosi il naso con la faccia più schifata che avesse mai visto.

"Ti uccido idiota cafone."

"Scusi tanto sua altezza reale, se vuole posso farla sui suoi sedili fiammanti, starei certamente più calda!"

"Scusi tanto lei, Miss. Perfezione se sono venuto in suo soccorso, in mezzo al nulla e al gelo, per non avere sulla coscienza la sua morte per assideramento! 
Ma come diavolo fa la pipì di una ragazza a puzzare così tanto? Ci ho anche camminato sopra!" continuava a rincarare la dose.

"Ci vuole un coraggio, ma TU ce l'hai! Sono fuori a congelarmi da ore per fare quello che a te non interessa più. Che tu marcisca all'inferno con le tue preziose scarpe, Ben Solo!"

Si avviò risoluta a piedi, diretta verso il... niente, mentre le lacrime - dalla rabbia - le bruciavano come limone su una ferita tanto si sentì umiliata. 
Lo sentiva avanzare correndole dietro, voleva correre a sua volta, ma il gelo le aveva indolenzito ogni muscolo, non ne aveva la forza.

"Rey, Rey... dai non fare così, ti congelerai." La afferrò delicatamente per un braccio, ma lei si divincolò furente, alzando il passo. 
D'un tratto si sentì letteralmente sollevare, le aveva avvolto le braccia intorno e di peso l'aveva caricata sulle spalle come un sacco di patate, trasportandola verso l'auto.

"Bruto! Mettimi giù!" scalpitava quella, ancora più arrabbiata.

"Quante storie! Basta con questi capricci!" tuonò.

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Aprì la portiera della sua Chevrolet adagiandola come una piuma sul sedile riscaldato, aveva lasciato l'auto accesa. Le proteste inviperite della collega finirono in quell'istante. Richiuse il portello dopo averle adagiato addosso anche il suo giubbotto, tremava come una foglia. Si rimise al posto di guida in fretta e si diresse verso il Motel più vicino, era lo stesso che Rey aveva prenotato e l'unica stanza disponibile era la singola a nome Palpatine.

"Dormo in macch..."

"Sul pavimento andrà benissimo!" Lo trattenne lei.

Finalmente una doccia calda, sebbene fosse oltremodo inquietante che a distanza così ravvicinata - nell'altra stanza - ci fosse il suo collega.

Una comoda tuta e i capelli sciolti ancora umidi sulle punte, la osservò riemergere dal bagno.

"Posso... entrarci io?"

Lo guardò di traverso
"E quando sarai uscito da lì, starai su quella poltrona senza muoverti! Non farti venire strane idee. Sei già fortunato a non assaggiare il pavimento."

"Prego Rey... non c'è di che."

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Se ne stava a naso all' insù fissando il soffitto.
Pensieri inopportuni si affacciarono nella sua mente: ripensò a qualche giorno prima, quando era a casa di lui, a come le si erano imporporate le guance alla vista del professore in vesti discinte.

Una lunga, vistosa cicatrice gli fendeva il petto simmetrica, dispiegandosi dal centro delle clavicole lungo lo sterno, pensò all'incidente, probabilmente uno dei segni che gli aveva lasciato.

Sentendo riaprire la porta del bagno chiuse gli occhi a dare l'impressione di essere crollata. Poté sentirlo indugiare sull'uscio, tesa, al pensiero che la stesse osservando. 
Con passo felpato, attutito maggiormente dalla moquette, prese posto sulla poltrona alle spalle del letto, ne sentì chiaramente il fruscìo dell'attrito tra la stoffa dei vestiti e la pelle della seduta.

Solo spense la lampada e sperò di chiudere occhio.
Rey dopo qualche minuto, sentendosi protetta dal buio, cambiò posizione voltandosi verso di lui.
Nella penombra ne scorgeva il profilo stravaccato sul suo giaciglio di fortuna. 
I piedi scalzi, i jeans e una t-shirt nera lasciavano intravedere attraverso la fioca luce della notte che filtrava da una finestra, il contorno delle braccia tornite, delle terminazioni nervose in rilevo e più in alto il folto di una chioma scompigliata.

Ne avvertiva l'odore fresco e intenso lasciato dalla doccia sulla pelle.
Certa di non essere vista gli si avvicinò felina, accomodandogli una coperta addosso.

Invece la sentiva, finse anch'egli di dormire per gustarne il respiro tiepido, al suo avvicinarsi, l'essenza inconfondibile, simile al cinnamomo, che la sua pelle e i suoi capelli rilasciavano ad ogni movenza aggraziata.

Si sentiva un tantino in colpa, era stato poco delicato, ma quando faceva la difficile ostinandosi orgogliosa a rifiutare il suo aiuto, la poca pazienza che aveva di natura, evaporava.

Un richiamo antico, buono riprese vita quando si chinò leggermente su di lui per coprirgli le spalle.
Dovette fare appello a tutte le sue forze per non scoprire le carte, non dormiva affatto, come avrebbe potuto? 
Nella stessa stanza con la donna più caparbia che conoscesse, ma anche l'unica capace di far accelerare il suo battito alle stelle, con la semplicità di un gesto tanto casto.

Un qualcosa, sopito da tempo dal senso di colpa, si faceva strada. Qualcosa che negava a sé stesso.
Andava ben oltre il semplice desiderio.
Ma a lui la vita non avrebbe dovuto concedere più nulla, perché aveva già avuto tutto, una volta, ed era riuscito a perderlo.
Non erano contemplate seconde possibilità a un fallimento costato così caro.

Ad ogni modo sarebbe stato meglio riposare, la giornata successiva sarebbe stata un vorticare di eventi, solo per stare dietro alle idee vulcaniche e avventate di quell' impertinente, cocciuta della sua collega68747470733a2f2f73332e616d617a6f6e6177732e636f6d2f776174747061642d6d656469612d736572766963652f53746f


Note dell'Autrice:

La seconda parte arriverà prima possibile; strane cose attendono questi due a breve.
Ma strane, strane davvero... 😅
Oltre ogni immaginazione 👽👻

 

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Capitolo 20
*** La Tomba ***


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"You, you who smiled when you're in pain
You who soldiered through the profane
They were distracted and shut down

So why, why would you talk to me at all
Such words were dishonorable and in vain
Their promise as solid as a fog

And where was your watchman then

I'll be your keeper for life as your guardian
I'll be your warrior of care, your first warden
I'll be your angel on call, I'll be on demand
The greatest honor of all as your guardian

You, you in the chaos feigning sane
You who has pushed beyond what's humane
Them as the ghostly tumbleweed

And where was your watchman then..."

Guardian - Alanis Morissette

***

Avvertenze: Il presente capitolo contiene la descrizione e le immagini e di scene un po' forti, a riguardo della morte di Jean O'Connel.
Se ne sconsiglia la lettura per un pubblico impressionabile.

***

"Come mi hai trovato?"

"Sei prevedibile Miss. 
Palpatine."

"Sei stato... a casa mia?"
Miseria, ha incontrato Lady Tano allora! -

"Assolutamente, ho chiesto al rettore, semplice."

"Perché?... dal momento che non ti interessava più."

"Ci ero andato con l' intenzione di rinunciare alla rimozione dall'incarico e dunque, mi ha detto che eri partita."

"E hai pensato bene che, da per me, non potessi farcela?"

"Vista la pericolosità di ciò che stai cercando non mi andava fossi sola?"

"Chi ti ha detto che lo fossi? E comunque so cavarmela! Avevo già pensato di stare in macchina e attendere l'arrivo di un automobilista di passaggio, nel frattempo che avessi atteso i soccorsi del 911."

"Non hai fatto caso che dai cellulari non partiva neanche la chiamata d' emergenza? Non si riusciva a visualizzare nemmeno il display sul mio.
Non lo ammetterai mai, lo so, ma è un bene che sia arrivato. 
Piuttosto, andiamo a dare un'occhiata alla tua auto, vediamo di recuperarla e restituirla al più vicino noleggio; visto che sono qui, useremo la mia."

Le caratteristiche strade del Vermont, immerso nelle foreste dalle cime spolverate di neve, restituivano, alla luce del mattino, un paesaggio lunare.

Solo, controllò intanto l'auto, si era accesa tranquillamente. 
"Non capisco, è tutto a posto."

Lei lo guardava con la stessa espressione greve della sera prima.
Per tutto il tragitto non aveva proferito una sillaba, lui men che meno.
"Io te l'avevo detto, ma tanto... donne e motori..."

Occhi al cielo, invocò un' ulteriore briciola di pazienza, già andata in frantumi, da un pezzo.
"Che genere di problemi hai Rey Palpatine? Non ti ho mai dato dell'incapace, sono qui per lavorare con-te! Per aiutarti!" Scandì. "Perché travisi ogni mio intento?"

Sbuffò, gesticolando ampiamente con le mani,
lasciando andare la leva del cofano che si richiuse con un tonfo metallico assordante.
Le dette le spalle, mentre scuoteva il capo, passando una mano nervosa tra i capelli.
A testa bassa, mani sui fianchi, sentiva vanificarsi, completamente, qualsivoglia spiraglio avesse in precedenza intravisto di parlare la stessa lingua, loro due.

Lei non demorse; ardì avvicinarglisi. Il calpestio sul selciato indicava l'esatta distanza cui si era posta: la linea di confine che si era cautamente imposta di non travalicare ulteriormente, conscia di stare esagerando con il suo atteggiamento sprezzante.

"Ben..."

Non si voltava, non voleva concederglielo, eppure ne sentiva lo sguardo colpevole trafiggerlo, tradito dall'inflessione del tono di voce che gli arrivò contraddittorio, come il contentino dopo una carognata dietro l'altra.

La stessa inflessione aggraziata - insolita quando gli si rivolgeva - che lo aveva sfiorato, come una carezza, il giorno del suo compleanno e la sera della presentazione.

Un dolcezza che lei, non poteva sapere, aver iniziato a corrodere la superficie incartapecorita della sua corazza.

La percezione del tempo si dilatò - per entrambi - per attimi che parvero molto di più. 
Rilasciò i tendini tesi delle braccia, in un movimento impercettibile, abbassando le spalle, abbandonando successivamente le braccia inerti lungo il corpo e, flemmatico, si volse in un unico movimento fluido - avrebbe solo dovuto continuare ad ignorarla a oltranza -  rivolgendole l'attenzione che chiedeva, annuendo con un cenno di sufficienza.

"Il motore ha perso potenza improvvisamente, come avesse le pile scariche, ho avvertito come se tutto si spegnesse, nel buio più completo, persino la natura stessa, in un silenzio surreale, come se gli animali del bosco si fossero nascosti in attesa di un incombente pericolo."

"La percezione extracorporale di essere inglobati in una bolla." enunciò serafico.
"Deve essersi generato un campo magnetico, ho avvertito la stessa sensazione intorno alle 7 p.m. quando il mio telefono non ha più funzionato e... la mia auto anche, si è spenta, per poi ripartire, inspiegabilmente."

"Esatto!" continuò lei solerte, facendosi più vicina, nonappena scorto, nel mutare del suo sguardo, uno spiraglio d'apertura attraverso il quale ricucire lo strappo degli infiniti battibecchi.

"Sarà meglio iniziare le ricerche, il buio sopraggiungerà al pari di un ladro tra le ombrose fronde degli alberi, appena ci saremo inoltrati lungo il sentiero forestale."

"Sei pratico di questi posti?"

"Mio padre mi ci portava a caccia, lo puoi ben dire, ne conosco quasi ogni insidia." 
Per questo non ti avrei lasciato sola.

"Aspetta, oltre alle torce e agli zaini con le provviste, ho altro." Tirò fuori dal baule una Carabina a lunga canna.

Solo non sapeva se essere divertito o spaventato, nel dubbio un'aria di stupore gli si disegnò in viso.

"Te l'ho detto che non sono una sprovveduta." Tutta tronfia lo sorpassò, certa di averlo impressionato, diretta a guidare la marcia.

"Posso vederlo?"

Gli intimò guardinga "Vacci cauto però... beh, allora?"

"Dove lo hai reperito?"

"Non sono affari tuoi!"

"Mhmm... vediamo, è un sounvenir che ti sei portata da Lacey o l'hai rubato al tuo fidanzato pilota?
Facciamo così, questo lo tengo io!" Asserì perentorio.

"Dammi il fucile!"

"L'unico modo che questa cosa venga con noi è che la porti io."

"Dallo... a me!"

"Non sia mai decidessi di spararmi, in uno dei tuoi accessi d'ira."

"Un giorno me la pagherai, Solo!"
Accigliata oltremodo, a passo celere, lo precedeva lungo la strada sterrata, mentre un sornione professore la seguiva ingegnandosi a demolire, passo dopo passo, le sue granitiche certezze.

"Rey, dovremmo essere vicini, qui il sentiero si biforca, avanziamo senza perderci di vista."

Concentrati, si aprivano un varco tra l'erba alta ad ostruire il passaggio.

Eccola, era proprio davanti ai suoi occhi, non distava che qualche altro passo.
Intanto Solo aveva preso un'altra direzione, poco distante, ma riusciva a vederlo.

Sebbene lassù dovesse essere ancora giorno pieno, al di sotto degli alberi, una lieve foschia saliva dalla terra, in mezzo alla boscaglia.

La Tomba della confraternita degli Skull and Bones era proprio davanti ai suoi occhi, tetra, avvolta da una nebbia insalubre che, simile a vapore, si sollevava a bassi banchi.

L' aveva riconosciuta,  mancava poco, fece per allungare una mano verso l'entrata ricoperta di muschio, fermata da un catenaccio intrappolato in fitte ragnatele, quando le parve che il grosso lucchetto di ferro facesse cigolare la porticina di legno, sotto il suo peso, rilasciando un flebile stridio.
Tese l'orecchio per meglio udire... un richiamo, come il vociare lontano di una moltitudine, le giunse.
Toccò la serratura e la porta, con sorpresa, si dischiuse.

Una oscurità fitta permeava tutto ciò su cui occhio poteva posarsi.
A giudicare dall'interno, l'edificio giaceva in stato di decadente abbandono, forse addirittura, da molto più tempo di ciò che ci si aspettava.

Rey avanzava a fatica tra le nerborute radici che avevano finito per invadere la pavimentazione.
Una soffocante cappa cinerea sembrava avvolgere tronchi secchi e ritorti contribuendo a rendere l'ambiente claustrofobico e raggelante.

Sembrava, decisamente, una porzione del bosco stesso, quello nel quale si trovava, non si scorgeva traccia di qualunque riferimento al simulacro di un luogo, un tempo, circondato da mura.

Il freddo era penetrante,  le ragnatele parevano intessute di una sostanza viscida.
Si strinse nelle spalle, rendendosi infelicemente conto di essere lei stessa bagnaticcia: nel sollevare le dita dalla manica del giaccone poté osservare i filamenti gelatinosi che, dalla stoffa, si allungavano tra le sue dita.
Colta da tremore convulso pronunciò a fil di voce il nome di Ben, il fiato strozzato e gli occhi strabuzzanti le orbite.

"Ben... Ben..." ma niente, non una risposta.

Assottigliò lo sguardo, mentre cercava di mettere a fuoco quel poco che riusciva a vedere, anche sollevare i piedi era difficoltoso, invischiati nel fondale melmoso, i fili d'erba erano ricoperti di spore biancastre e tra di esse ebbe l'impressione di scorgere qualcosa.
Un lezzo putrescente rendeva opprimente ogni respiro, si avvicinò ulteriormente, con una mano dinnanzi al naso e l'altra dietro la schiena, a mantenere l'orientamento verso la via di fuga da quel posto: la porta.

Non era qualcosa,  era qualcuno... più che qualcuno.
Invischiato tra quelle orrende spore, il corpo semi decomposto di Jean, orrendamente consumato da un' entità dal sembiante tra un umanoide - era capace di reggersi su due arti - e un rettile dall' epidermide umida e squamosa.

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Mossa da un presentimento la creatura si voltò di scatto verso Rey, spaventandola a morte.

Non aveva volto, allungò uno dei suoi lunghi artigli verso la ragazza, la quale iniziò a correre ed urlare, senza che le sue corde vocali potessero emettere suono.

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Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo fino a che giunse in prossimità della porta, ne cercava l'apertura a tastoni,
un varco, coperto da una membrana viscosa, le si aprì davanti - nel legno - un braccio vi emerse e lo sentì - finalmente - la chiamava "Rey...
Rey"

"Ben, Ben, mi senti? Sono qui! Aiutami, fa' presto!"

"Afferra il mio braccio, ti tiro fuori!"

"Ben, mi ha presa! Mi ha presa per le gambe, non resisto!"

Prese un respiro Solo, si immerse fino a metà busto attraverso il varco, fu come tuffarsi in una pozza di catrame, era difficile tenere gli occhi aperti, con fatica mise a fuoco Rey e... la creatura che la traeva con foga a sé.

Inorridito, con tutta la forza che aveva riuscì a strappare Miss. Palpatine dalle grinfie rivoltanti di...  qualunque cosa fosse, assestando, subito dopo, un colpo secco, dalla carabina che reggeva con l'altro braccio.

Lo squarcio attraverso il legno si richiuse dietro di loro, lasciandoli tramortiti.
Si ritrovarono nella boscaglia; la teneva tra le braccia, priva di conoscenza, le membra abbandonate, temette il peggio.

Non poteva succedere! Non di nuovo! L'avrebbe impedito, a qualunque costo!

Cercò di mantenersi saldo nell' accertarne i parametri vitali essenziali.
La adagiò, ben stesa, ne rilevò con forzata freddezza il polso radiale, premendo indice e medio sul quell'esile lembo di pelle gelida.

Con il cronometro del suo orologio, ad alta precisione, ne misurò i battiti per trenta secondi, sembravano regolari.
Le stesse dita passarono sulla gola della giovane, qui la pelle umida era più calda.
Il polso carotideo indicava gli stessi battiti dell'arco di tempo appena precedente, nella norma.

La sollevò trasportandola fino in macchina. Fradici di melma maleodorante - la sua povera Chevrolet sarebbe stata da rottamare, forse - non si perse d'animo, deciso a trovare riparo e un po' di agognato calore, zuppi e raggelati com'erano.

Rinvenne di colpo, sussultando violentemente sul sedile, Rey.

"Sei al sicuro, tranquilla."
La sua voce arrivò, calda, a riscuoterla dall'orrore che le sbarrava, ancora, gli occhi vitrei.

Non un suono ruppe la solennità del silenzio che come una cappa era calato sui loro corpi infreddoliti e le loro coscienze duramente provate.

Accompagnò Miss. Palpatine fino in camera, poi mosse in direzione della sua - finalmente avrebbe potuto dormire in un letto - quando la voce di lei ne bloccò ogni intento.
"Per favore... resta."

Si passò una mano sul volto stanco e solcato dalle occhiaie profonde, che non poteva vedere, ma sentiva cerchiargli gli occhi spenti.
Le rispose laconico, ma a lei bastò, per non sentirsi annegare tra il disgusto e la paura per l'esperienza appena vissuta.

Non le aveva mai visto uno sguardo così smarrito. 
Dissimulò - per pudore - tentando di distoglierlo, repentina, da lui, nel vano tentativo di ritrovare una parvenza di dignità, dopo lo spettacolo penoso del disperato implorare di solo pochi momenti prima.

Attraverso gli occhi di lei, i consueti demoni gli fecero visita; altra paura cui non aveva potuto porre rimedio.

Se solo avesse potuto tornare indietro.

E se fosse successo ancora?

L'adrenalina gli aveva serrato il respiro fino a che non l'aveva vista riprendere i sensi.

Così inerme, immobile, fredda...

Vividi flash visivi, simili all'effetto di un allucinogeno, ora,  sovrapponevano al volto di Rey, quello di Lara, ed ora quello di Peter.

Ma no, non gli era stato concesso poterli vedere  l'ultima volta, non un ultimo abbraccio in quel feroce addio.

Lacrime prepotenti pizzicavano, con pungente insistenza, le iridi e le narici, le quali teneva premute pesantemente sulle nocche ossute.

Si accorse, solo dopo - perso nei meandri della sua mente - che dall'altra parte della stanza, due grandi occhi, ricolmi di tristezza, reclamavano silenziosi un cenno, specchiandosi insieme al suo riflesso, sul vetro della finestra.

"Allora uso il bagno, se non ti spiace."

***

Lavare via il viscido dalla pelle e dai capelli era stata impresa non da poco, pareva aver attecchito tenacemente alla cheratina del tessuto pilifero e all' epidermide.

Sperando che una doccia lo avesse ristorato - anche dall'incredulità di quanto vissuto - Solo si diresse rassegnato verso la poltrona, pronto a vegliare un'altra notte sulla sua collega.

"Vieni, accanto me, non voglio che dormi male, ancora, per causa mia."

Non ardì guardarla. Gli occhi, inquieti, tradivano spudoratamente ciò che i suoi pensieri reconditi ricacciavano a galla, sottoforma di sentimenti fin troppo leggibili, in ogni piega del viso.

La fissità dello sguardo, verso la porta del bagno, una mano sotto la guancia, rannicchiata su un fianco, al ciglio del letto, sentì la sua richiesta silenziosamente accolta dal deformarsi del materasso, sotto il peso consistente del suo collega.
La struttura del letto cigolò, assestandosi, allo sdraiarsi sulla schiena, di quest' ultimo.

Non una parola, un suono, accompagnarono i momenti successivi, a parte l'alternarsi dei loro respiri sussurrati e il confine che mantenevano scrupolosamente, in quello spazio angusto.

"Che cos'era Ben?...Quella cosa...l'hai vista anche tu? Non sono pazza vero?" Fu lei a rompere il silenzio.

"L' ho vista, non sei pazza, stai tranquilla ora, cerca di riposare."

"Non posso, non ci riesco. Io-io... l'ho vista!"

"Rey, anch'io l'ho vista."

Si rigirò verso di lui fronteggiando finalmente il suo sguardo "No... ho visto... Jean e la creatura che la divorava pian piano. Era avvolta da quelle spore orrende, già morta da tempo... è orribile Ben, ho i suoi occhi sgranati davanti, sono immagini che non riuscirò più a cancellare." le lacrime sgorgavano copiose, mentre gli parlava, scossa da un tremito inarrestabile.

Ho i suoi occhi sbarrati davanti, sono immagini che non riuscirò più a cancellare -

Non poteva sapere, Miss. Palpatine, quanto quelle parole, lui, fosse in grado di comprenderle.
Sei anni prima aveva vissuto la medesima, devastante, esperienza.

Rey tornò silenziosamente a stringersi il viso tra le mani avvolta dal tremore convulso che la imprigionava a maglie strette.
Sentì Solo, spostarsi.
Nel buio della notte, fece per allungare una mano verso la sua spalla... esitò, incerto, poi si fece coraggio.

Il calore che irradiava da quel tocco gentile, si propagò attraverso la pelle di Rey che aprì gli occhi per incontrare i suoi.

Il pollice soltanto, scorreva lieve, sulla pelle esposta e fredda della sua spalla, al di sotto della spallina della canotta nera, che indossava come pigiama.

Allungò una mano anche lei, la posò delicata sulla t-shirt seguita, subito dopo, dalla fronte che vi poggiò, fino poi a seppellire completamente il viso sul suo petto.

Ben Solo - suo malgrado - la strinse a sé, posandole una mano sui capelli. 
Prese ad accarezzarle il capo, non disse niente, proseguì con quel gesto semplice, spontaneo, finché non avvertì il respiro della ragazza farsi regolare.

Lei, con una mano posata vicino la cicatrice, poteva scorgerne nettamente il rilievo, sotto i polpastrelli.
In un moto di pura tenerezza avrebbe voluto carezzarla, come lui faceva dolcemente con lei, ma sarebbe stato un contatto troppo intimo, troppo pericoloso.

Volse il viso lievemente a poterne percepire, così, il battito cadenzato andare in sincrono con il suo.

Le palpebre sfinite di entrambi si assopirono al calore, misto all'odore buono della pelle, l'uno dell'altra.

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Note dell'Autrice:

Dire che questo capitolo mi ha fatto sudare sangue è poco!
Ce l'ho in mente dall'inizio della storia e, francamente, non vedevo l'ora di condividervi questa stramba idea.

Non ho mai scritto niente di vagamente simile all' horror in vita mia, quindi tutto ciò è da considerarsi un esperimento, per me divertente, magari per chi si intende del genere, invece, una gran sola!

Passiamo a qualche dettaglio tecnico:

• 911: è il numero telefonico di emergenza per il piano di numerazione nordamericano e anche di diversi paesi dell'America Latina.
Permette di essere collegati ad una centrale operativa che è in grado di localizzare le chiamate e di gestire qualsiasi richiesta di soccorso, inviando forze di polizia, vigili del fuoco o soccorso sanitario.
È una cosa abbastanza risaputa, ma ho preferito specificarlo, pensando anche ad un pubblico più giovane 😉.

• Carabina a lunga canna: fucile da caccia tra i più comuni per l'alta precisione, determinata dalla lunghezza di tiro.

• La Tomba: cosiddetti luoghi, teatro di riunioni segrete, dei membri di confraternite studentesche.

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Qui sopra la Tomba, sede di Skull and Bones, agli albori del XX secolo.

•  Skull and Bones
«Teschio e ossa» è una società segreta studentesca,

la più antica fra associazioni analoghe.

Nasce a Yale, ma ha varie sedi nelle università statunitensi, quindi, per comodità, ne ho pensata una anche qui al Boston College.
Per ulteriori chiarimenti si veda il precedente capitolo 14: Jean.

• La creatura senza volto: ditemi che avete riconosciuto tutta questa parte dell' ambientazione!

All'interno della Tomba, durante 'le riunioni' sono successe le cose più strane, giovani vite sono state offerte a mostruose creature o se preferite demoni 😉.

Ovviamente questa è solo una parentesi, nella storia, che conduce i due verso l'inizio della soluzione del caso Jean O'Connel ed, inevitabilmente, li porterà ad un' unione più profonda attraverso la condivisione di un' esperienza così 'particolare'.

Spero che non ne sia venuto fuori un minestrone scombinato.
Let me know.

•  Polso radiale: è una variazione pressoria corrispondente all'onda sfigmica che si propaga, generata dalla sistole cardiaca; è percepibile sui vasi periferici sotto forma di "pulsazione" la sua rilevazione avviene con il metodo descritto sopra.

• Polso carotideo: Situato sull'arteria carotidea che è localizzata sul collo, a lato della laringe, tra la trachea e il muscolo sternocledomastoideo. È il polso che viene utilizzato in emergenza per valutare o meno la sua presenza.
Il metodo di rilevazione è quello descritto più su.

 

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Capitolo 21
*** Segreti ***


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"Tu pure, oh Principessa,
nella tua fredda stanza, guardi le stelle che tremano d'amore
e di speranza...

Ma il mio mistero è chiuso in me,
il nome mio nessun saprà!
No, no, sulla tua bocca lo dirò,
quando la luce splenderà!

Ed il mio bacio scioglierà il silenzio, che ti fa mia.

🌟- Il nome suo nessun saprà... e noi dovrem, ahimè, morir, morir! -🌟

Dilegua, o notte! Tramontate, stelle!
Tramontate, stelle! All'alba vincerò!"

'Nessun Dorma' 
- Principe Calaf -
- Turandot - 
Giacomo Puccini

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Burlington - Vermont- Parte Ultima

Così, inerme, senza difese, il capo e le mani esili, dalla pelle diafana, arresi sul suo petto.
In un' espressione candida era rimasta cinta nel tepore del suo abbraccio.

Al risveglio, le dita ancora immerse nei capelli di lei, come a tesserne le delicate ciocche di seta.
Il viso appoggiato alla fronte.
Timidi raggi che filtravano attraverso le feritoie di una veneziana malandata, proiettavano sottili fasci luminescenti intrisi di corpuscoli di polvere, a solleticargli le ciglia sopite.
Non si mosse, se non impercettibile, per udirne il respiro lieve.

Come fossero riusciti a riposare, dopo aver visto l'inferno, non avrebbe saputo spiegarlo.
Nel conforto del calore di  quell'abbraccio vi era - senza ombra di dubbio - la più potente delle cure.

Pian piano, il sorgere del sole, aveva ridestato anche Miss. Palpatine, rendendo evidente, sul suo volto, agli occhi di Ben Solo, un pudico rossore che tentava di celare fuggendo i suoi occhi attenti e il calore delle robuste braccia che, fino a quel momento, l'avevano cullata.

"Buongiorno" biascicò a fior di labbra, la voce ancora intorbidita dal sonno profondo, ristoratore che l'aveva avvolta.

Ben Solo allargò in un sorriso pieno le labbra, di rimando.
Ne seguì, discreto, ogni movenza, fino a che non la vide eclissarsi dietro la porticina del bagno.

Allora, solo allora, si sentì libero di stropicciare il viso e stirarsi nel suo modo solito.
Incrociò le braccia sotto il capo standosene, naso in sù, a godere di essersi messo comodo, dopo quanto stretto era stato, addossato a Miss. Palpatine, tutta la notte.
Non che gli fosse dispiaciuto - sia chiaro - però se ne sarebbe stato sbragato, almeno fino a che lei avesse finito di sistemarsi.

Una vibrazione da un cellulare lo riebbe dai suoi pensieri, era quello di lei. Lo lasciò squillare. Finito che ebbe, la tentazione di vedere chi fosse prevalse.

Tre chiamate perse e due messaggi in sovrimpressione, sullo schermo, da Poe Dameron
"Hey, tutto ok?"
"Rey, ti sto chiamando da un po'... appena riesci richiama... ti amo."

In un moto di stizza, scorse il dito sul display azzerando le notifiche. Per ora, l'inopportuna insistenza del pilota era stata silenziata.

Il momento appena condiviso con lei era riuscito a creare un livello di intesa così profondo tra loro, attraverso il parlarsi degli occhi, il tacito comprendersi.
Braccia che si erano fatte scudo, rifugio, casa l'uno per l'altra.

Si lasciò accarezzare dalla dolce illusione che - riemersa dal bagno - sarebbe tornata a stringersi a lui, ancora bisognosa del suo abbraccio.
Se solamente fosse riuscito a bloccare il tempo, che nessuna interruzione infrangesse la sottile cortina di quella complicità appena creatasi.

Rey fece capolino all'improvviso, per poco non lo beccò con le mani in pasta, appena sistemato il cellulare della ragazza sul comodino, per poi sfoderarle un sorriso smagliante.

"Hai fame?"

"Muoio!" languì lei.

"Faccio in un attimo e andiamo a cercare un posto, in città, dove fare una colazione super, ok?"

Gli restituì un sorriso grato, stavolta, non tinto d'imbarazzo come il precedente.
Quello era il tipo di rapporto che avrebbe voluto avere, sempre, con il suo collega.
Quegli sprazi di sereno, tra gli umori plumbei di lui, riuscivano a creare un contatto tangibile, che funzionava... fino all' ergersi di nuovo muro, sorretto dagli spettri invisibili del passato.

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***
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"Rey, che ti sei messa in mente di andare in un posto così sperduto da sola?
Perché non rispondi?
Che ti sia successo qualcosa? 
Testarda...mi farai morire."

L'eco dei pensieri lo corrodeva, come un tarlo, dall'interno.
Un presentimento serpeggiava strisciante, tra le certezze del tenente colonnello Dameron.
Era in pericolo.
Lui... la sentiva, sempre.

Giunto che fu allo Starlight Inn Motel - Lady Tano gli aveva detto dov'era diretta, lui aveva fatto in modo di rintracciare la prenotazione, era pur sempre un ufficiale dell' Aviazione - si accorse con amara sorpresa che non era sola.
La corvette grigia, parcheggiata fuori l'interno cinque era di inequivocabile proprietà.

Che l'avesse chiamato perché in difficoltà lo escludeva categoricamente.
C'era solo una persona cui si era sempre rivolta, le rare volte nelle quali le cose si mettevano male.
Era abituata a cavarsela egregiamente.
O peggio, che l'avesse seguita nonostante lei non volesse?
Lady Tano era stata chiara, Solo aveva rinunciato al caso!

Picchiò alla porta piuttosto infervorato.
Ad aprirgli fu proprio il professore che lo guardò con un'espressione indecifrabile tra il disappunto e il soddisfatto.

"Dov'è lei?" mugghiò Dameron senza nemmeno cercare di dissimulare.

"Poe!" cinguettò con voce squillante riemergendo dal bagno.
"Stavo finendo di raccogliere la mia roba, stavamo giusto per rimetterci in viaggio, verso casa."

Lanciando un'occhiata tagliente al professore, si diresse verso la sua fidanzata per abbracciarla.
"Ero preoccupato, da tre giorni cerco di contattarti."

"Qui le comunicazioni sono state un disastro Poe, mi dispiace, non ho ricevuto i tuoi messaggi ed ho avuto tanto lavoro da sbrigare."

"Metto i bagagli in macchina da me, allora."

"Oh... certo, grazie."

Il tenente colonnello, in tutta fretta, caricò in macchina il trolley ed altro armamentario di Rey.

"Ben, allora... grazie, davvero, per tutto, puoi incaricarti di restituire il furgone e relativo fucile?" glielo disse mentre Poe, dall' auto, già scalpitava impaziente, con un lieve colpo di clacson.

"Ci penso io Rey, tu vai, tranquilla. Stai meglio adesso?"

"Sì." mormorò sommessamente.
Infilò il cappotto e si voltò, sull'uscio, un'ultima volta, a guardarlo, sorridendogli mesta.

***

"Credevo si fosse ritirato dall'incarico, ti ha dato fastidio?"

"No Poe, alla fine ha deciso di restare nel progetto, quindi mi ha raggiunta per continuare il lavoro insieme. Il rettore Johnson, ovviamente, sapeva dove ero diretta, perciò non è stato un problema, per lui, trovarmi."

"Ah, capisco... non sai del perché abbia cambiato idea?"

"Non me l'ha detto, ad ogni modo abbiamo trovato ulteriori indizi."

"Di che si tratta, vuoi parlarmene?"

"Non prendertela, ma fino a quando non avremo finito vige uno stretto riserbo, è una questione molto delicata. Un po' come i vostri segreti militari."

Un po' pensieroso, il tenente colonnello Dameron sospirò, sollevando poi lo sguardo verso la donna che più di chiunque meritasse fiducia incondizionata.
Le fece cenno di sedere accanto a lui e la avvolse in uno dei suoi abbracci familiari, ma lei se ne ritrasse ben presto.

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Il paragone, nella mente di lei, corse infausto sulle ali di un'immaginazione sleale.
Ad altre braccia dalle quali si era sentita avvolgere, rilasciando ogni paura in quel contatto casto, pregno di tenerezza.

Più che in qualche occasione, tra le braccia dell'uomo che amava, s'era ritrovata irretita tra pensieri colpevoli!

***

Ma il mio mistero è chiuso in me

Il nome suo nessun saprà...-

Giunta ormai notte, liberava il peso di quelle estenuanti giornate, rilasciando le lunghe braccia penzolare dal letto del Motel, che pareva sempre troppo piccolo per contenere la sua altezza.

Le lunghe dita artigliarono un lembo delle lenzuola che portò al viso, chissà che vi fosse rimasto intriso il suo odore - profumo di cannella, di mela e di rose - forse sì, o probabilmente si era solo mescolato al proprio.
Lasciò scivolare la stoffa sgualcita tra le dita e fantasticò su cosa sarebbe potuto accadere se Dameron non fosse piombato a marcare il territorio.

E poi, eccolo bussare. Sordido. Ineluttabile. Puntuale. Emetteva la sua sentenza. Colpevole!
Dichiarò il senso di colpa e il pensiero si ricompose tornando alla sua principessa venuta dall'Oriente. 
La stava dimenticando?

Non avrebbe mai potuto!
La gioia di vivere contagiosa che sprigionava, insieme ad un ottimismo incrollabile Lara era la sua musa.
Gli occhi ridenti, gioia e tormento, lo visitavano quasi ogni notte, per poi trasformarsi in quello sguardo fisso, pieno di terrore, pochi attimi prima che precipitassero.

La sua condanna era segnata. 
A volte lacrime inaspettate accompagnavano quei ricordi.
Come spine le sentiva risalire graffiando internamente l'esofago, la gola, le narici, le cornee e si chiedeva da quale fonte inaridita - prosciugata da una disperazione senza tregua - fossero ancora capaci di sgorgare a solcare le asperità del suo volto indurito dal tempo e da troppo dolore.

Il rimorso aveva diligentemente assolto al suo compito, fustigandolo a dovere per aver solo osato provare una qualche sorta d'emozione, lui che si era inflitto una sentenza eterna e inappellabile.

Il suo dolore, lei, Peter, sarebbero rimasti chiusi, stretti nello scrigno impenetrabile dei più insondabili anfratti dell'animo.

***

Aveva tuttavia, trovato il modo di rendere proficuo il restante di quello scomodo soggiorno, perché lui, non era ripartito!
Dato che si era fatto vivo il cavaliere senza macchia, per riportare la donzella in difficoltà al castello, altresì professor Solo aveva deciso di restare e proseguire le ricerche per suo conto.

L'indomani mattina si recò presso l'Arcidiocesi di Burlington, era già riuscito a fissare un'udienza dal cardinale Lorenzetti, annunciandosi, in via ufficiale, come figlio del sindaco Organa.

Lorenzetti era una conoscenza di sua madre - ambizioso e dai modi piuttosto subdoli, dietro l'abito talare - Solo ricordava di averlo intravisto a qualcuno degli eventi di beneficenza indetti proprio dalla giunta comunale di Boston, sempre entusiasta di essere in prima linea a raccogliere consensi e laute donazioni a sostegno delle opere caritatevoli dell' Arcidiocesi.

Le residenze private del cardinale tradivano un fine gusto architettonico, non propriamente alla portata di tasche modeste. 
A Solo pareva abbastanza ovvio che le cospicue cifre delle donazioni non servissero unicamente per i bisogni più essenziali, di manutenzione, o per la causa dei meno abbienti della comunità.

Soprassedendo al forte dissenso personale che nutriva nei confronti delle autorità ecclesiastiche, cercò di concentrarsi sui fatti.
Sul perché un alto prelato del suo calibro, fosse stato in precedenza membro degli Skulls and Bones.

Abilità di parola e scaltrezza erano le peculiarità salienti del porporato. Cercava di glissare su quasi tutti gli argomenti, sviando l'attenzione verso discorsi generici, ma più Solo incalzava senza tregua, mentre ne studiava meticolosamente il linguaggio non verbale, incredibilmente pacato, tradendo la maestria nell'arte della dissimulazione.

Eppure all'occhio attento del docente di Storia non fu difficile intravedere, dietro il fare compassato, un certo fervore nelle pupille sfuggenti e dilatate.

Rimase a Burlington, rintanato nello Starlight Inn Motel a catalogare gli appunti, trascrivendoli in maniera metodica.

Con sua sorpresa - ma neanche troppa, vista la fama che lo precedeva - il senatore Palpatine stesso, insieme  a Lorenzetti erano stati membri onorari dei Bonesman proprio negli anni a cavallo tra il 1970 e il 1978, quelli nei quali la società era stata investita dall' ennesima bufera mediatica a causa di misteriose morti.

Ci aveva passato almeno tre notti bianche per finire nei tempi stabiliti dalla prenotazione del Motel, per tornare a casa entro il venerdì sera.
Ne era valsa, però, la pena.
Stava rientrando con parecchie consapevolezze in più, sul caso, su Miss. Palpatine e - non l'avrebbe mai ammesso - persino su sé stesso.

 

Note dell'Autrice:

Andiamo per ordine e partiamo da Turandot, ho scelto quest'aria ed anche l'altra citata nel capitolo 13 - Colpevoli - appunto perché, Lara, la fidanzata di Solo, è una ragazza cinese, di buona famiglia.

Una ragazza cinese di nome Lara, vi starete chiedendo?
Certo, perché i suoi genitori, dignitari cosmopoliti, le hanno dato il nome della protagonista 
Lara Antipov dal romanzo di Pasternak, Il dottor Živago

Compagna di corso di Ben, timida e un po' spaesata, arriva a Boston dove non conosce nessuno e nessuno sembra troppo amichevole nei suoi riguardi. Una creatura delicata e bellissima con la quale Ben instaura da subito un rapporto protettivo molto forte.

La principessa venuta dall'Oriente è introversa e riservata.

Soltanto a Ben, come al principe Calaf in Turandot, è dato di scioglierne la ritrosia.

 

Colpevoli: questo si ritrovano ad essere Solo e Miss Palpatine quando i loro pensieri - non più esclusivi, riservati ai rispettivi partners - si ritrovano già da diverso tempo a vagare laddove non dovrebbero.

Bonesman: nome dei membri degli Skulls and Bones.

Bene, chiedo venia per le note lunghissime, ma certi riferimenti vanno spiegati successivamente a quanto letto in precedenza così da lasciarvi un po' in sospeso.

A presto con un prossimo capitolo fiammeggiante.

 

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Capitolo 22
*** ~Carmen~ ***


È dura proteggere qualcuno.
Si finisce - sempre -
troppo coinvolti.
Se è qualcuno che ami è peggio.
Se non lo è ancora,
è solo questione di tempo.


***


I preparativi per l'evento di beneficenza, indetto dal sindaco Organa e dal suo staff erano giunti al culmine.
Il Boston Opera House era in fermento per la Prima che apriva la Stagione Lirica.

Alla spicciolata arrivavano illustri invitati ed ospiti vari, sfilando sul pregiato Kirman Carpet battuto all'asta da Christie's a New York.

Era giunta anche Miss. Palpatine, fiera, al braccio del suo uomo, che fissava ammirata.
Entrambi elegantissimi, salivano per la monumentale scalinata che conduceva all'ampio atrio antistante l'ingresso ai palchi.

Poe si diresse, con sottobraccio la sua amata, verso una distinta coppia di mezza età che discorreva fitto con il rettore Johnson.
Salutò accoratamente il suo mentore, il generale Solo, con sorpresa di Rey, la quale non aveva idea di essere alla presenza dei genitori di Ben.

Poe si era chiesto spesso come due persone così amabili come Han e Leia potessero avere un figlio tanto burbero.

"Incantato!" proruppe entusiasta Han "Lei dev'essere Rey Palpatine."

La giovane docente sorrise, lievemente imbarazzata, alle lusinghe del veterano dalla spumeggiante personalità, non potendo fare a meno di constatare il divario, nei modi, tra padre e figlio.

Poi fu la volta delle presentazioni con il sindaco Organa.
Forse Ben era più simile a sua madre, nella compostezza dei modi, nell'eleganza.

Gli occhi di Miss. Palpatine vagarono, rapidi e smaniosi, per ogni canto dell'ampia hall.
Era lui che cercava, tra i vari gruppetti, i quali, alimentavano il frenetico chiacchiericcio che aveva invaso la sala gremita.

Lui.
Perché non era di già con la sua famiglia?
Cosa lo tratteneva?
Fremeva, di un nervosismo che le si irradiava dalle viscere riverberandosi fino alla pelle.

"Rey," le sussurrò Poe all'orecchio "tremi!"

"Non è niente, sarà qualche spiffero." Replicò sottovoce.

Il pilota le cinse con un braccio, in un gesto estremamente protettivo, le spalle nude.
Il calore di quel tocco di velluto rilasciò come un benefico e durevole segno sulla pelle della giovane.

Agli occhi di tutti lei era la fidanzata perfetta, virtuosa e invidiatissima del bell' ufficiale, ma dentro... dentro, si accartocciava su sé stessa.
Un grido senza voce che nessuno poteva udire. Soffocata. Murata viva in una prigione claustrofobica, senz'aria, senza luce.
E la cosa più assurda?
Vi si era infilata con le proprie mani. Aveva fatto tutto da sola!

L'amour est un oiseau rebelle
Que nul ne peut apprivoiser
Et c'est bien en vain qu'on l'appelle
C'est lui qu'on vient de nous refuser
Rien n'y fait, menaces ou prieres
L'un parle bien, l'autre se tait
Et c'est l'autre que je prefere
Il n'a rien dit mais il me plait
L'amour... L'amour... L'amour... L'amour...

Habanera - Carmen
Atto Primo

Come per un presentimento, seppure di schiena, si voltò avvertendo la presenza di lui.

Un incendio divampava dagli occhi ambrati di Solo, nonostante tentasse di nasconderlo con malcelata goffaggine.
Le sue pupille le marchiavano la pelle come tizzoni ardenti.

Avanzava con incedere austero verso Johnson e la sua famiglia in uno smoking nero che ne modellava - esaltandolo perfettamente - il fisico prestante.

Le mani nervose, strette a pugno, seppellite nelle tasche, potendo le avrebbe martoriate, com'era solito, rosicchiando la pelle intorno alle cuticole, per ora si accontentava - per così dire - di tendere la pelle così tanto sulle nocche, da imbiancarle malamente.

Lei. Una apparizione ultraterrena. Ancor più angelica che alla presentazione.

L'incarnato bronzeo risaltava in perfetta contrapposizione alla tonalità cremisi del lungo abito che indossava per l'occasione e che ne accarezzava, morbido, la silhouette.
Le caviglie minute incastonate tra il raso lucente di un tacco delicato e - visione che gli aveva trapassato, feroce, cuore e costato, tramortendolo quasi -
un'apertura laterale, talmente pronunciata, da lasciare in mostra finanche parte della tenera rotondità della coscia e le gambe affusolate e tornite, che alternava una davanti all'altra, scoprendo ulteriormente le sue meravigliose grazie.

Un autentico struggimento lo bramava, mentre ne osservava minuziosamente ogni particolare, dal filo di perle del suo sorriso incastonato tra petali di rosa rossa - le labbra -
agli occhi di felce incorniciati di un trucco leggero che esaltava la profondità del suo sguardo cristallino.

In quegli occhi erano rimaste invischiate le iridi liquide del professore, il quale si compiaceva, sornione, che lei lo stesse ricambiando, con fuggevole imbarazzo, eppure con il medesimo fuoco nelle pupille.

Purtroppo lo sguardo cadde, infelice, anche sulla mano candida che stringeva sull' avambraccio dell' impettito ufficiale, adorna di un magnifico rubino.

"Generale Solo, che piacere! E, i miei ossequi sindaco Organa." Esordì Poe, esibendo un galante, quanto volutamente provocatorio, baciamano nei riguardi Leia; il che raggiunse immediato lo scopo, facendo pervenire un languore nauseante al basso ventre di Ben.

Mentre la conversazione si srotolava tra gli argomenti più disparati; dai complimenti affettati,
alle critiche più aspre in merito all'outfit dei presenti, ai convenevoli sulle reciproche carriere, con grande sorpresa dei presenti, un' illustre personalità fece il suo ingresso avanzando verso la famiglia Solo.

"Nipote mia, adorata!" Una voce impostata, atona la colse, di sorpresa, alle spalle.

"Nonno!... Tu qui?" Dopo l'evidente stupore iniziale dei presenti, Rey disciolse la sua espressione di meraviglia in un sorriso, salutando con un bacio sulla guancia il senatore Sheev Palpatine.

Giunto il momento di prendere posto, ognuno andava dirigendosi verso I propri palchetti; i coniugi Solo erano naturalmente ospiti di quello d'onore, riservato agli organizzatori dell'evento.
Rey e Poe erano destinati - insieme ai colleghi docenti - ai palchi del primo ordine, posizione tutto sommato privilegiata e dall'ottima visuale.

Gli occhi smaniosi di Miss. Palpatine continuavano a perlustrare ogni angolo dei corridoi, sbirciando ossessivamente, dietro le spesse cortine degli accessi ai palchetti antistanti l'ingresso del loro.
Poe acuì leggermente la stretta sulla mano della sua ragazza

"Ti sento nervosa Rey... sicura di star bene?"

"Assolutamente, tranquillo. È l'elettricità che si respira all'evento che mi fa quest'effetto e poi... mio nonno... chi se lo sarebbe aspettato?"

Ma nella sua testa un solo pensiero martellava come un chiodo fisso.
Lui si era dileguato alla chetichella, lo aveva perso di vista per qualche momento e puff... svanito.
L'aveva lasciata irritata, contrariata, svuotata.
Se in un primo momento era stata certa di essere stata oggetto delle sue attenzioni - nemmeno tanto velate -
avvicinatosi non l'aveva degnata della benché minima considerazione, spiazzandola completamente, con il suo comportamento altamente contraddittorio.

Si pose a sedere nei posti più in basso: la prima fila di poltroncine, nel palchetto, ed era stata una fortuna non accomodarsi in alto, con quello spacco vertiginoso, sugli sgabelli retrostanti.

Suo nonno sedeva nei palchi frontali al loro in compagnia di un porporato ed altre cariche politiche di spicco.

L'orchestra si preparava per Il Preludio, le luci in sala stavano per calare e gli occhi di Rey vagavano, ancora e ancora, senza posa, incessanti, instancabili in cerca di quell'unica presenza che, pure chiusa in un ermetico silenzio,
la riempiva, totalmente, invadendole la mente, irridendo strafottente ogni suo principio, inondandole le vene, non più di sangue, ma di un magma che si propagava dai recessi più angusti del suo essere, alle giunture, in un rogo che bruciava, dietro di sé, macerie di una vita costruita tutt'attorno ad un equilibrio fragilissimo, le sue poche certezze ed ogni barlume di lucida determinazione, per poi lasciarla fredda, vuota, in balìa di un baratro di incertezze.

Il vorticare frenetico degli occhi si arrestò brusco. Era lì, due palchi più a destra, nei divanetti in prima fila.

Le si mozzò il fiato in gola alla vista della mano di lui risalire il fianco, fino a fermarsi appena sotto la pericolosa linea di confine di una zona troppo intima, di una venere dalla pelle d'ebano, molto più giovane di lui, fasciata di un abito ceruleo che lasciava le spalle scoperte.
Gli sorrideva - ricambiata - in un atteggiamento confidenziale che lasciava intendere un rapporto tutt'altro che professionale.

Un impeto d'ira la fece sussultare, scansando la calda vicinanza del suo accompagnatore, che rapito dalla trionfale apertura dell'orchestra - grazie a Dio -
si era perso lo spiacevole siparietto.

"Rey, che ti prende?" sbottò l'ufficiale.

Lo guardò, colpevole, senza proferire sillaba -
e come avrebbe potuto? - il suo Poe...
Raccolse tra le sue fredde mani quella gentile di lui e gli posò il capo su una spalla, rigirando il viso tra le pieghe della stoffa della sua camicia candida, mordendo ferocemente il labbro inferiore, trattenendo a stento l'istinto di lasciarsi andare in un pianto dirotto, come da bambina, quando quel ragazzone, il suo vicino di casa, la confortava ad ogni paura.

Come poteva essere una spudorata del genere?

A lui aveva confidato la prima cotta, lui le aveva asciugato le lacrime quando l'assenza di una famiglia si faceva sentire più forte.
Lui la difendeva dai ragazzi più grandi, a scuola, quando la prendevano di mira.
Le notti abbracciati durante un temporale.
Uno spavento per un brutto sogno svanito sotto una coperta calda.

La prima mestruazione a casa sua, una mattina, un timore che seppe rassicurare con una dolcezza unica.

Poi era sbocciata, divenendo una ragazza e non correva più nel suo letto, non poteva.
La guardava con occhi diversi - se ne era resa conto - se pure con la medesima tenerezza e lei se ne vergognava... era cambiata.
L'allontanamento fu inevitabile anche se doloroso.

Si scoprì gelosa vedendolo frequentare coetanee della sua età.
Lei non era che una bambinetta.
L'Aviazione, il College per lei.
Addii e infiniti ritorni.
Perché mai si perde ciò che si ama.
La propria anima gemella.

Un'estate, alla fine del secondo anno di corso per lei, tornati entrambi a casa, lui in licenza, si erano ritrovati.

Cambiati eppure gli stessi - ma non più uguali - più maturi, un uomo e una donna senza più nessuna tacita etica che potesse loro impedire di viversi pienamente.
Così ci avevano provato e tre meravigliosi anni di puro amore - alternato a infausta distanza - erano seguiti.

Poi, la lontananza aveva logorato entrambi avvolgendoli in un turbinio di recriminazioni, dubbi, gelosie così lei aveva deciso per entrambi.

Così come lo aveva voluto prepotentemente, ora non sapeva se fosse giusto tenerlo legato a sé, a separarli infinite distanze.

Due anni e svariate vicissitudini dopo aveva realizzato di voler dare loro un'altra chanche.
Le mancava come aria. Questo aveva raccontato a sé stessa e lui... lui, l'altra metà del suo cuore, non l'aveva mai dimenticata.

Ed ora?

L'oiseau que tu croyais surprendre
Battit d'aile et s'envola
L'amour est loin, tu peux l'attendre
Tu ne l'attends plus, il est là
Tout autour de toi, vite, vite
Il vient, s'en va, puis il revient
Tu crois le tenir, il t'évite
Tu crois l'éviter, il te tient
L'amour... L'amour... L'amour... L'amour...

Si riebbe dall'abisso che l'aveva ingoiata cercando di concentrarsi sulla potente Habanera che risuonava.

Ed ecco quella sensazione, strisciante, sottopelle, insinuarsi, quando nella penombra aveva scorto la bella venere nera concentrata sullo spettacolo, mentre gli occhi di lui erano fissi su di lei.
Quegli occhi! Una notte buia che la ghermiva, per poi cullarla.

L'amour est enfant de Bohême
Il n'a jamais, jamais connu de loi
Si tu ne m'aimes pas, je t'aime
Si je t'aime, prends garde à toi
Si tu ne m'aimes pas, si tu ne m'aimes pas, je t'aime
Mais si je t'aime, si je t'aime, prends garde à toi.

Le note di Carmen riempivano l'auditorium, sembravano scritte apposta per colpirla, come stiletti affilati, il cuore.
Nel mentre era tutto un occhieggiare: dallo sguardo compiaciuto, a tratti quasi sadico, di Solo verso di lei, a quello malevolo che Miss. Palpatine scambiava con la venere nera e in quel gioco perverso - come da copione - ve n'era uno invisibile ai più.

Toréador, toréador!
Et songe bien, oui, songe en combattant
Qu'un oeil noir te regarde
Et que l'amour t'attend,
Toréador!
L'amour, l'amour t'attend.

Toreador - Carmen
Atto Secondo

Alla fine del secondo atto Rey si assentò per andare alla toilette.
Si sistemò guardandosi allo specchio, il riflesso di sé stessa la nauseò.
L'immagine di rimando, in sé, era perfetta solo esteriormente.
Lasciò i locali da bagno addentrandosi nei corridoi semi deserti quando si sentì bloccare un polso.
Una stretta rude, decisa la trascinò nella penombra dietro una delle colonne poste a mo'di divisorio tra i palchi.
Serrati, nel buio, il suo fiato a solleticarle le guance.

"Quanta fretta Miss. Palpatine!" sibilò.

"Hai l'abitudine di confrontarti così con tutti? Che razza di modi! Metti giù le mani Solo!"

"Sicura che sia quello che vuoi?" le intimò a fior di labbra.

"Si può sapere che c'è?Vieni al dunque!"

"Nascondi più di ciò che fai credere, ma mi dirai quello che voglio sapere, con le buone o con le cattive! Vai a raccontarla a qualcun altro che non sapevi della presenza del senatore." Serrò ancora più forte la stretta sul braccio.

Il tenente colonnello Dameron, nel lucore che dai riflettori giungeva flebile alle logge, aveva osservato la scena trattenendo a stento la collera.
Ingoiò come un degno Don Josè un fiotto di sangue ribollente che gli era affiorato alla gola, in un rigurgito, talmente forte s'era martoriato un labbro alla vista della sua donna, stretta a un altro.
Lo avrebbe sgozzato senza pietà, come un torero la sua preda.
Verme! Come osava allungare le sue sudice dita su di lei.
Perché non lo respingeva? Perché?
Lei lo amava, ne era certo, non poteva fingere, non ne era capace.

Come una furia si diresse verso la toilette e vi si chiuse, spalle alla porta.
Si prese il capo tra le mani, rovinando la cera che lateralmente gli fissava ordinatamente i ricci.
Tirò le ciocche tra le dita fino a farsi male, che quel dolore superasse quella puntura asfissiante che premeva tra le costole.
La gola dolorante di un singhiozzo violento che tratteneva, mentre le labbra tremavano incontrollabilmente.
Infine eccole, amarissime, irrefrenabili, cocenti gocce di limone bruciare dagli occhi annebbiati alla ferita del labbro.

Miss. Palpatine era tornata ai loro posti da molto ormai, il terzo atto era a metà abbondante, provò a chiamarlo, mandargli dei messaggi, ma niente.
Mosse risoluta verso il guardaroba, esausta, chiamò un taxi che presto la riportò a casa.
Rigirò la chiave nella toppa, ad agio posò borsa scarpe e cappotto vicino l'uscio e lanciò un'occhiata verso il letto, era lì, di spalle, probabilmente dormiva già, erano passate due ore scarse da quando si erano persi di vista.

Entrò in bagno e piano si svestì, dell'abito, delle calze, di tutto.
Rimaneva il trucco e questo la costrinse a riflettersi nello specchio, sfilò gli orecchini, l'anello, il suo anello.
Pulì il viso con il tonico e lo risciacquò.
L'ultima maschera era caduta.
Nel gesto di togliere l'asciugatoio dal viso lo vide, nello specchio il suo riflesso dietro di lei.

I ricci indomabili che gli ricadevano morbidi sugli occhi assonnati, un po' stanchi, dolci.
Si voltò cingendogli le braccia dietro la nuca. Intrecciando le dita tra le ciocche nere, gli baciò e ribaciò la fronte, le palpebre.

"Che hai fatto?" sussurrò passandogli il pollice sul labbro rotto.

Non disse una parola, la prese, lì, dov'erano e l'amò.
Con l'urgenza
Con ardore.
Con tutto il dolore.
E poi... poi le fece male, non curandosene, quasi, abbandonandola per tornare verso il letto a rivestirsi.

"Poe," languì lei.

Non una risposta, non un filo di voce emesso dalle sue corde vocali.
La sentì alle spalle, percorrergli le braccia robuste, avvertendo la tensione estrema dei fasci nervosi.
Risalì piano fino alle spalle massaggiando i muscoli tesi dietro la nuca, baciandolo tra i capelli.

Reclinò il capo alle effusioni di lei
"La Carmencita non è soddisfatta?" mugugnò uno sconfitto Don Josè contro le labbra di lei, mentre s'era rigirato riportandola verso il letto, dove - come un povero diavolo - avrebbe sottoscritto la sua condanna eterna, amandola, ancora!

Carmen - Bizet
'L'Atto Quarto è consumato.'

Carmen (la zingara, l'operaia, la sigaraia, la ricercata).

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Note dell'Autrice:

Kirman Carpet: pregiato tappeto persiano in seta, tessuto con perle.

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Ingresso alla Hall del Boston Opera House

Primo Ordine (dei palchi) sarebbe la prima fila a semicerchio più in basso, appena sopra la platea.
Il riferimento è palese e ci sta tutto 😅.

Carmen: Opera-Comique di George Bizet in quattro Atti. Un inno alla libertà femminile.
Un becero femminicidio.

Preludio: Intro dell'opera, assolo iniziale dell' Orchestra.

Habanera: Danza cubana, diffusa in Spagna, di ritmo binario in movimento vario ma sempre moderato.
Prende nome da L'Avana, appunto.

Dunque, dunque... veniamo a noi.

Perché professor Solo fa di nuovo il prezioso/str***?
Sdoppiamento di personalità come sempre.

Cosa ha combinato Poe?
Si è calato troppo nei panni di Don Josè? (mi sa che vi tocca studiare per le risposte) 🤭.

Cosa dobbiamo farci con questo povero diavolo dai ricci e dalla vita inquieta?

Rey "ha giocato" alla Carmencita.
Ma troppo spesso, in una società ancora patriarcale, alle donne non è concesso.
Il prezzo è ancora molto alto.

Pubblico in piena notte, mi devo togliere il vizio.
Non mi assumo pienamente la colpa di qualche castroneria che rivedrò in seguito.

A presto ♥️.

 

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Capitolo 23
*** Una promessa da mantenere ***


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Mistificazione

"A lungo ho atteso, giovane Solo!"

Da una poltrona voltata, con lo schienale rivolto all'ampia vetrata soleggiata, da dietro la scrivania del rettore, una voce nuova alle sue orecchie, lo accolse.

"A cosa devo questa convocazione?"

"Johnson mi ha parlato dell'arguzia e dell' abnegazione che contraddistingue il suo lavoro."

"Venga al dunque senatore, un uomo del suo calibro non si scomoda per complimentarsi con un docente sconosciuto, di un'università sull'altra costa."

Rise sommessamente, voltando lentamente lo schienale verso il suo interlocutore.

"Il suo nome la precede, Solo.
Perspicace, anche, una dote materna!"

Il docente assottigliò lo sguardo, fiero, riducendolo a due fessure, sugli occhi di ghiaccio del diplomatico.
Ne scrutò meticolosamente i lineamenti scavati dal tempo: il naso appuntito, il sorriso di circostanza che innalzava un angolo delle sottili labbra crepate, raggrizendogli una guancia e conferendogli un'aria serafica, sicura di sé.
Il contorno delle iridi arrossato, la mimica del volto, l'inflessione vocale, rivelavano molto di lui.
Prima tra tutte l'astuzia che traspariva, ad un occhio attento come quello di Ben Solo, nonostante il timbro volutamente mellifluo.

"L'ho vista in buona compagnia all'Opera. Lei e il cardinale Lorenzetti fate coppia fissa agli eventi?" Controbattè irriverente.

"Come lei tiene il piede in tutte le scarpe che le pare, professor Solo, comprese quelle di mia nipote!
Vi ho visti, fin troppo intimi, celati nel buio di una cortina che non è riuscita, tuttavia, ad eludere la mia vigile osservazione.
Vede, Solo, la piccola Rey è tutto ciò che ho al mondo e io sono altrettanto per lei.
Si dà il caso che sia felicemente fidanzata con un giovane valoroso, cui ne ho affidate le cure, in mia assenza."

"Il cane da guardia che la controlla per lei?" Ironizzò sprezzante, trattenendo il consueto languore nauseante che affiorava ogni qualvolta c'era di mezzo il pilota da strapazzo.

"Venire fino nel Vermont a tediare un uomo virtuoso e caritatevole come Lorenzetti, nel tentativo di conquistare le grazie di mia nipote?
Mi delude, Solo.
Lei è un uomo avveduto.
Rey è una ragazza troppo pura, non sa niente delle persone disposte a tutto pur di raggiungere i propri scopi."
Gli sibilò girandogli attorno come una fiera prima di sferrare l'attacco, nel gesto di  fregarsi le mani.

"Confermerà a Johnson di voler lasciare l'incarico entro lunedì mattina."

"Lei sottovaluta sua nipote, e me, e il rettore.
Questa conversazione non sta avendo luogo senatore, sarò io ad informare Johnson delle sue intimidazioni."

"Ha del fegato, devo ammetterlo, una dote ereditata da suo padre.
Nessuna intimidazione, io le ho solo dato un consiglio amichevole."

"Senatore!" Si congedò freddamente, stringendo forte le mani a pugno.

***

Negazione

Si destò di soprassalto, intorpidita, non aveva sentito la sveglia, un sasso!
Così era crollata, ed ora un terribile cerchio le stringeva le tempie doloranti, come in una morsa, a ricordarle che la notte – da bravi – si dorme piuttosto che fare bagordi.

Con una telefonata breve giustificò la sua assenza. Per motivi di salute, disse.
Grazie al cielo non aveva molte classi, un paio d’ore, niente di più.

Lui non c'era!
Corse fuori dal letto trascinandosi dietro la prima cosa capitata a tiro per coprirsi.
Andò verso l'armadio, il trolley, sparito!

"Maledizione!" Imprecò.

Chiamò un taxi e in men che non si dica si rimise in sesto e – con le cervella in fumo –  corse verso il Boston Logan.

"Non può andare più veloce? La prego!" Incalzò, Rey, il tassista che già metteva a repentaglio le loro vite, per poco, al limite massimo di velocità, con la strada ghiacciata dalla frezeeng rain, tipica del periodo.

Un telefono irraggiungibile, una ricerca affannosa per trovare le palazzine del gate per i voli verso la West Coast
Che indizio aveva?
Il solo intuito, che sperava non si facesse beffe di quanto bene lo conoscesse.
Terminal A, uscita B-22 per lo stato dell'Oregon, scalo per Portland.
Pensò che fosse già tardi, che avesse passato i controlli.

Corse, corse a perdifiato e non le importava di chi la stesse guardando, sapeva che doveva parere una svitata, ma l'unica cosa che voleva era trovarlo, in mezzo ai passeggeri di quella enorme sala d'attesa.

Con il telefono in una mano, provando e riprovando a comporre il suo numero, se pure invano, squillava a vuoto, o dava segreteria.

Fu una frazione di secondo, di lucidità, nel caos della sua mente, si sentì afferrare alle spalle – gli occhi arrossati che a stento trattenevano il pianto – quel tocco... tra mille l'avrebbe riconosciuto, avvolgente, protettivo.

Chiuse gli occhi, le lacrime precipitarono senza ritegno, non lo guardò neanche,
conosceva la via che conduceva alle sue labbra.
Lo strinse, come se non dovessero più separarsi.

"Non te ne andare, non di nuovo!"

"Rey, dovresti essere al lavoro, la tua vita è qui, adesso."

"Fammi venire con te."

"È folle Rey."

"Per questo devo! Prenderò qualche giorno, non mi sono mai assentata.
Solo io e te.
A casa, come ai vecchi tempi. Dimmi di sì."

Il problema non era tanto andarsene, in sé, ma averla lì, così vicina, tra le braccia, gli occhi da bambina imploranti.
Perché fino a che in quegli occhi non ci si fosse perso, poteva tentare la via più semplice, fuggire da lei senza affrontarla.
La donna cui aveva già consacrato tutto; anima, dignità, corpo, ragione, volontà.

***

Unione

Mancava da Lacey da fine Agosto.
Era estate e gli aceri che dalla sua finestra andavano fino a quella di camera di Poe erano ancora carichi quando li aveva salutati nostalgica.

Ora il freddo pungeva l'aria e, da dietro i vetri appannati, il lento, pigro grigiore dell'inverno li avvolgeva nel suo abbraccio scarno.

Lì in quella stanza, dove tutto era iniziato e niente sarebbe potuto finire.
Eterno – da sempre – come loro due.
Come il tempo che si dilatava all'infinito.

Acciambellata nel maglione oversize di lui, seduta gambe al mento, di fianco la finestra, guardava attraverso il vetro dei ricordi, disegnando con la punta del dito sulla condensa.
Ogni listello, ogni trave, ogni chiodo fissato alle pareti era intriso, zeppo di loro.

Della volta che, a diciannove anni, aveva trovato il coraggio di dichiararsi, folle di gelosia, per via dell'ennesima fidanzata bionda di lui.

Ricordava bene, come un ceffone in pieno viso, la delusione cocente ricevuta dal gentiluomo di fronte a lei – che gli si era offerta – e lui che, con garbo, l'aveva respinta.

E poi il primo bacio, casto, dolce, dopo una litigata amara, appena poche settimane dopo.

La sua prima volta.
Con lui.
In quel letto, dove mille volte si era addormentata.
Nella casa dove erano cresciuti.
Dopo parecchi mesi, nei quali, il bell'ufficiale aveva continuato a comportarsi come un cavaliere, fino a che lei non si fosse sentita pronta.

Tra quelle mura, si erano presi e lasciati, amati e allontanati.
Consolati, mille e una volta, dei dolori che la vita non aveva risparmiato a nessuno dei due.

Con la punta del naso umida, premuta sugli avambracci, lo guardava dormire.
Le spalle larghe, la pelle brunita, i grappoli d'uva nera che gli adornavano la fronte, le lunghe ciglia a custodire il sonno che lo avrebbe protetto da qualunque dolore.
E lei, così colpevole, lo aveva amato fino a rimanere senza forze, senza fiato.

Volse nuovamente gli occhi verso il cielo bianco, carico di neve, che di lì a poco avrebbe ammantato tutto con il suo candore.
Tratteneva strenuamente lacrime che minacciavano di irrompere, prepotenti, premendo sulla gola dolorante.
Poi lo sentì... la stava guardando da un po', in silenzio, da dietro le ciglia assonnate.

Andò verso di lei.
Ne osservò il corpo perfetto come quello di una divinità greca, la lampada sul comodino rilasciava giochi di luce sulla pelle tesa e luminosa.
Senza curarsi del freddo, né di essere davanti ad una finestra – e già che contava poco, appannata com'era – le posò un bacio tra i capelli.

"Scusa, ti ho disturbata."

Lo guardò meravigliata sorridendogli "Tu, nella tua stanza, mi chiedi scusa perché mi avresti disturbata?"
Allargò il maglione e ci infilò pure lui dentro.
"Vieni a scaldarti almeno."

"Da tre giorni interi non ho che la tua pelle come coperta, e va bene così" sorrise il tenente colonnello.

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"Eri così assorta... non volevo interrompere i tuoi pensieri e ti guardavo, perché sei bella e mi piace sempre guardarti, lo sai."

Lo abbracciò più forte scompigliandogli i capelli con una mano, mentre le dita dell'altra giocavano tirando e attorcigliando le ciocche dietro la nuca.
Era bellissimo, ne accarezzò, con le dita, ogni piega del volto, la fossetta sul mento, quelle laterali che gli venivano quando rideva, il filo di barba incolta che aveva fatto capolino dopo tre giorni nei quali, non si era usciti dal letto se non per mangiare e andare in bagno.
Il naso strofinato contro il suo così che potesse guardarlo negli occhi grandi, color nocciola. Delicata, con i polpastrelli gli sfiorava le ciglia, ne disegnava il profilo e quello delle sopracciglia folte.

"Come fai ad essere così perfetto? Spiegamelo."

"Sei tu che mi vedi nel modo in cui preferisci, non c'è niente di perfetto, Rey."

Si sfilò dal contatto pelle contro pelle, tornando a sedersi sul letto, avvolgendosi la coperta attorno.
Rimase qualche momento a testa bassa, lo sguardo fermo sulle assi del pavimento.

"Rey, sarebbe bello se il tempo si congelasse in questa bolla surreale, ma sappiamo bene che non è possibile." Tornò a fissare gli occhi, seri, in quelli di lei.
"Non possiamo risolvere sempre tutto così, lo sai anche tu."

"Perché no? È stato spiacevole? Non mi è parso." Obiettò candida.

"Perché è stucchevole e irreale!"

Si alzò avanzando di nuovo verso di lei, le prese la mano, gracile e fredda, tra le sue, calde.

"Dimmi solo una cosa, per favore... provi qualcosa per lui?" la voce tremante in un modo che non poteva dissimulare.

Una lama affilata la trapassò dividendole lo spirito dalle midolla Diretta, semplice, disarmante, cristallina qual'era.
Dovette distolgliere gli occhi da quelli attoniti e lucidi di lui, mentre l'aria le fiaccava i polmoni, pesante come un macigno, lasciandola senza respiro.

Quel silenzio assordante valse più che una risposta.

Poe raccolse anche l'altra mano di lei tra le sue. Congiungendole le portò alle labbra baciandone e ribaciandone le nocche delicate.
Lei respirò forte l'odore intenso, di mirra, dei suoi capelli, mentre cercava di nascondere le lacrime impazzite, tra i suoi ricci.

La abbracciò.
La sua voce le giunse così calma, balsamo sulle ferite.
Attraverso il palmo della mano, poggiata sul suo petto caldo, percepiva il battito del cuore e le braccia vigorose che ancora si facevano focolare, per lei.

"Sei confusa Rey, l'ho sentito dal primo momento che sono arrivato a Boston.
Una tempesta all'improvviso.
Non l'avevi previsto, in questo ti credo, ma non posso rimanere in balìa dei tuoi dubbi.
Fa male.
Mi logora dentro.
La gelosia finirebbe per distruggere tutto quello che di bello siamo l'uno per l'altra.
Quindi stavolta decido io per entrambi.
Non ho nessuna intenzione di arrendermi.
Vorrei proteggerti, non posso ogni volta, devi capire da sola.
Nel frattempo... io vivo."

Soffocava l'amarezza sulla sua spalla di lui, che cercava di calmarla carezzandole i capelli.

"Non fare così, non riesco a lasciarti andare in questo stato."

Tirò su col naso, si asciugò gli occhi tentando di fermare il fiume in piena dei sentimenti.

"Ma io, Poe, non ho deciso e non so niente eccetto che non voglio perderti. Non posso perderti."

"No Rey, tu hai paura!
Di intraprendere una strada che non conosci e non sai dove porta.
La donna che amo, ammiro e rispetto, però, ha sempre trovato il modo di essere onesta, anzitutto con sé stessa.
Il tempo darà tutte le risposte."

"Quindi... questo è un addio?" singhiozzò più forte.

"Mai! Non ti dirò mai addio, siamo uno nel cuore dell'altra, te lo ricordi?"

"Una promessa fatta per essere mantenuta, me lo ricordo."

Le baciò la fronte, rimasero stretti.
E il tempo ghignò loro contro, perché l'avevano giocato.
Ancora.
Mentre lui li separava, loro restavano.
Uniti.
Dentro.
Nel profondo.
Oltre l'amore fisico.

Say goodnight, not goodbye
You will never leave my heart behind
Like the path of a star
I'll be anywhere you are
In the spark that lies beneath the coals
In the secret place inside your soul
Keep my light, in your eyes
Say goodnight, not goodbye

Like a jewel, burried deep
Like a promise meant to keep
You are everything you want to be
So just let your heart reach out to me
Keep my light, in your eyes
Say goodnight, not goodbye

Bet Nielson Chapman

 

Come una promessa destinata a essere mantenuta.
Lascia solo che il tuo cuore mi raggiunga.
Conserva la mia luce nei tuoi occhi.

***

Cognizione

Il treno per Portland la riconduceva verso la strada dei doveri.
Mai, durante nessun tragitto, si era sentita più vuota.
Stavolta c'era qualcosa di diverso, la paura tangibile di un non ritorno.

All'andata aveva creduto fermamente di poter aggiustare tutto.
Si possono colmare davvero le infinite crepe di un cuore?

Non piu l'odore caldo, avvolgente del maglione del suo Poe a farle da cuscino, ma un vetro freddo contro la sua fronte stanca.

Come avrebbe dormito, da sola, con la presenza di quella terribile creatura che temeva di vedere spuntare da ogni angolo delle pareti di casa?

Era stato facile con lui accanto, ogni notte.
E adesso?
Ad ogni passo, il niente.

Non gliel'aveva raccontato.
L'ennesima questione taciuta.
Così come non gli aveva detto di aver dormito stretta a un altro – per la paura – certo.

Compose il numero di Rose una, due volte. Esitò. Ritentò. Rimise giù.
Patetica.
Era solo patetica!

Poco dopo il cellulare squillò, Rose la richiamava.
Pensò di non rispondere per non tediarla con le sue paturnie. Alla fine si decise.
Tentò di tergiversare, ma quando all'altro capo, l'amica, chiese diretta dove si trovasse, non poté più negare.

Come un fiume in piena le raccontò il pasticcio che aveva combinato, per l'ennesima volta.

"Un uomo Rose, lo capisci? Non è un ragazzo che possa stare dietro ai capricci di una indecisa.
Lo sai quanto l'ho fatto soffrire?
Non ha bisogno di me, ma mi ha aspettato, per così tanto. Lui per me c'è sempre stato ed io..."

"Non punirti Rey, la conosci anche tu la risposta, lui è Poe Dameron!"

***

Percezione

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Le giornate cominciavano ad allungarsi di un passetto per volta, ad ogni rotazione.
Erano passate da poco le 4.30 p.m. ed ancora i timidi raggi del sole giocavano a nascondino, tra luci ed ombre, sui mattoncini, dipingendoli  di una tonalità di rosso variabile.
Facevano poi capolino, tra i vialetti delle case di Beacon Hill, bussando ai lucernari delle porte e filtrando dai vetri.

Udì picchiare alla porta con un certo vigore.
Si affacciò e sulle prime non vide nessuno.
Da dietro la siepe, incerta, una sagoma esile che conosceva bene, si sporse un poco,  restando ai piedi dei pochi gradini, fino alla porta d'ingresso.

Se ne stava fissa, gli occhi grandi sgranati, imbambolati, spuntavano tra il cappello e uno sciarpone di lana, intrecciato e multicolore che le finiva sotto il naso, arrossato dal freddo, puntellato di lentiggini.

Le fece cenno di entrare.

Sfilò i guanti, per prima cosa, strofinando le mani, assaporando subito il piacevole tepore all'interno dell'appartamento.
Pulito, in perfetto ordine,  molto diverso dall'ultima volta che ci era stata, appena lui era tornato dall'Irlanda.

Posò sul sofà il resto della sua roba.
Restò così, tra il camino, che la scaldava alle spalle e l'immaginaria linea di confine tra lei e Solo: il divano, continuando ad osservarlo con la stessa espressione incerta di quando era arrivata.

Lui sedette appena, divaricando le braccia, poggiando i palmi sul grande tavolo da soggiorno e allungò le gambe in avanti incrociandole.
La guardava da sopra la punta del naso,
aspettando che si decidesse a dirle il motivo della sua visita, non ottenendo che silenzio, esordì per primo.

"Hai l'abitudine di piombare sempre senza preavviso?"

Rey sotterrò lo sguardo sotto le suole, dall'imbarazzo.

"Scusami, è che... Io, noi, dobbiamo parlare, Ben."
Di colpo mosse verso di lui gesticolando nervosa.

Lui si limitò a sollevare le sopracciglia in segno di assenso a quella richiesta che pareva tanto improrogabile.

"Quella... cosa, Ben... Che diavolo era? Non ne abbiamo più discusso dopo essere rientrati."

"Hai avuto da fare Miss.  Palpatine... Hai persino preso ferie..."

"Avevo una questione familiare da risolvere, a casa."

"A casa? Strano. Sai, tuo nonno ha chiesto di vedermi nei giorni in cui dici di aver avuto da sbrigare questioni familiari."

"A Lacey non ho solo mio nonno, e comunque che voleva da te?"

"Questo poi? Aspettavo che me lo dicessi tu."

"Non so di che parli, Ben."

"Ah no?" Si staccò dunque dal tavolo, facendosi, cautamente, più vicino a lei.
"Mentre sei corsa tra le braccia del tuo prode pilota a farti rincuorare, ho finito io il tuo soggiorno nel Vermont e sai? Ho scoperto qualcosa di interessante che scommetto tu sappia già."

Rey lo guardava stralunata, con un'espressione sbalordita in volto.

Si passò una mano nervosa tra i capelli, fermandola dietro la nuca, mentre prendeva un sospiro.
"Tu quindi non sai di chi era in compagnia, all'Opera, tuo nonno?"

Il viso di Rey si fece ancora più interrogativo.
"Sei stato da Lorenzetti? Era lui il cardinale che sedeva accanto a mio nonno?"

"È incredibile davvero, come tu provi a recitare la parte dell'ingenua, con me." sentenziò sempre piu irritato.

"Adesso smettila con i rebus Solo, mi hai stancata, vieni al punto!" tuonò lei.

"Perché sei venuta?" Le sibilò a un palmo dal viso, che potevano respirare l'uno l'odore dell'altra.

Gli occhi di Rey si fecero sfuggenti a cotanto ardore, "Te l'ho già detto, volevo parlare di quello che ci è successo nella Tomba."

"Il vero motivo!" mugghiò lui, più amaro e duro, serrando le labbra, per poi rilasciarle in un sibilo tremulo, quasi strisciante "Sei qui a chiarirti i dubbi?"

Lei tornò a fronteggiare i suoi occhi, fiera, se pure ferita dal tono acre della sua voce.

"Ne avremmo potuto parlare domani a lezione, che fretta avevi di precipitarti qui?"
incalzò sempre più vicino.

"Hai ragione lo sai? Non sarei mai dovuta venire. Che pretendevo da te?"

Di colpo si diresse verso il sofà afferrando le sue cose, ma dovette lasciarle cadere di malagrazia quando un braccio di lui le cinse la vita sottile traendola schiena al suo petto, mentre la mano robusta scivolava dal fianco fino sull'addome, dove se ne stava salda, pericolosamente, con le dita spalancate ed una presa ferrea che le contorse le viscere.

Lo sentì appoggiare il capo, al suo.
Respirarle, intenso, i capelli.

Come fosse una piuma, la voltò verso di sé, occhi negli occhi.
La mano, dalla vita sottile, era risalita lentamente, tracciando la scia di una carezza lieve, fino a fermarsi sulla guancia, che teneva teneramente nel palmo, mentre il pollice ne accarezzava lo zigomo delicato e l'angolo delle labbra.

Un attimo che immortala l'eternità,
prima che sprigioni in uno sfarfallio di
miriadi di coriandoli,
di luci, colori, sensazioni, emozioni,
diventando labbra, respiri, sospiri, fusione, unione.
Elettricità. Da un corpo all'altro.
Di due, uno.


 

Note dell'Autrice:

Bene ragazzi che dire?
Siamo ad una svolta di un certo rilievo.

Il nostro professore abbottonato, perde il senno e compie il misfatto, si lascia andare.

Una affranta Miss. Palpatine – per la recente ennesima falla, nel suo rapporto fatto di certezze incrollabili, ma instabili, quanto irrealizzabili a causa della lontananza, con l'uomo di sempre – non rifiuta l'impulsivo gesto del collega.

Che confusione ragazzi!
Non vorrei essere al suo po_____ ahaha se,se.
E chi non lo vorrebbe con due fustacchioni del genere.
Povera Rey, io sclererei.

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Frezeeng rain pioggia congelantesi o:
La pioggia sopraffusa è una precipitazione di gocce di pioggia che cadono da una nube aventi una temperatura superficiale sotto 0 °C. È spesso associata al gelicidio:

Le gocce a contatto col suolo formano depositi di ghiaccio (vetrone) o anche una mescolanza di acqua allo stato liquido e ghiaccio, con una temperatura di 0 °C.

La pioggia congelantesi è molto pericolosa, sia per chi guida che per chi è a piedi.

Non vi dico che scivolate.
Quello che ad occhio vi sembra un manto bagnato è ghiaccio.

Il video che ho inserito su Poe e Rey, non è farina del mio sacco, vi ho semplicemente sovrapposto la canzone che mi sembra perfetta per la loro storia.
Purtroppo non so editare, mi sarebbe tanto piaciuto realizzarne uno più lungo che comprendesse anche la seconda strofa, che merita davvero.
Anyway, let me know se vi piace almeno un po' ♥️.

A presto.

 

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