Le Custodi - E poi....

di LadyStone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CLAUDIA ***
Capitolo 2: *** VALERIA ***
Capitolo 3: *** SAGA ***
Capitolo 4: *** MU ***
Capitolo 5: *** GIADA E LUCIA ***
Capitolo 6: *** LUCAS ***



Capitolo 1
*** CLAUDIA ***


Il caldo sole di Luglio stava pigramente calando all’orizzonte, attenuando un po’ l’afa di quei pomeriggi sonnolenti, e Claudia, seduta sugli spalti di una delle arene minori, guardava quella piccola scheggia correre e ridere senza freni.
Axia.
La sua inaspettata e bellissima bambina.
La osservò correre dietro a suo fratello Axel tirandogli il mantello, mentre Lucas la prendeva in braccio e la faceva volare in alto per poi riprenderla al volo.
Solo due anni e mezzo ed in lei tutta l’energia del mondo. Lei che non possedeva un cosmo, lei che sarebbe stata libera di decidere della sua vita e fare le sue scelte senza dover tener conto di antichi codici e doveri ultraterreni. Lei che non avrebbe mai dovuto rinunciare alla sua femminilità.
Lei che era giunta come un fulmine nelle loro vite.
“Mamma! Mamma! Assel non mi dà l’emmo!”
“Amore mio, il suo elmo non è un giocattolo, te l’ho detto tante volte.”
La piccola sbuffò e con gesto quasi teatrale si spostò la frangia castana dagli occhi, quelle due perle verdi che facevano sciogliere tutti i suoi innumerevoli zii, ma in primis suo padre.
Osservando  sua figlia, Claudia cominciò, inconsapevolmente,  ad accarezzarsi il tenis che portava al polso.
“Per i nostri venti anni insieme, amore mio. Come allora, anche oggi e per sempre. Ti amo.” Le disse Kanon una volta tornato da quella missione, il giorno dell’investitura di Lucas, e mostrandole un astuccio di velluto blu. Quando lo aveva aperto era rimasta senza parole, emozionata per il gesto romantico del suo uomo, ma anche addolorata per ciò che gli aveva fatto, cedendo alla passione con Saga.
Quel monile era il simbolo del loro amore che era riuscito a durare nel tempo ed allo stesso tempo un ammonimento per ricordarle che cadere in tentazione può costare caro, molto caro.
Un urletto di gioia di sua figlia la distolse dai suoi pensieri, così riposò gli occhi su di lei in tempo per vederla ridere e riempire di baci suo fratello, ed in un attimo rivide se stessa, così come la mostravano le sue foto da piccola, perse ormai per sempre in quel mondo che non le apparteneva più e che non custodiva più nessuna memoria di lei.
Così simili nell’aspetto e nel carattere lei e la sua Axia. 
Claudia si riteneva davvero fortunata. Sarebbero state amiche, complici, confidenti, le avrebbe parlato di tutto, le avrebbe insegnato le regole di quel mondo e l’avrebbe aiutata a trovare la sua strada di donna libera, ma le avrebbe anche raccontato di sé, della sua storia, affinché potesse imparare dai suoi errori, solo una cosa le avrebbe taciuto: La sua angoscia quando aveva scoperto di averla in sé.
Istintivamente, come lo aveva accarezzato, stavolta nascose il braccialetto sotto la manica larga della sua tunica di lino. Ogni qual volta ripensava a quel momento evitava di guardarlo, le faceva troppo male.
Il giorno che aveva scoperto di essere incinta di Axia, il suo cuore si era fermato per un secondo perché, rifacendo i calcoli, il periodo a cui risaliva il suo concepimento coincideva proprio con…Ancora oggi, dopo tre anni e mezzo, le veniva la nausea solo a pensarlo.
Solo due potevano essere stati i momenti esatti, o quella sera in spiaggia in cui si era lasciata completamente andare con Kanon, oppure…oppure…Chiuse gli occhi e si morse la labbra, in quelle maledette terme, in cui non era mai più entrata. 
Scosse la testa come percorsa da un brivido.
No, no, lei ne era certa, la scintilla che aveva permesso a quelle dolcissima creaturina di venire al mondo era solo di lei e Kanon, solo loro, era così, doveva essere così.
“Mamma, mamma! Ucas non mi tira!”
“Ma lascialo un po’ in pace a Lucas” Claudia rise alla faccia corrucciata di quella monella, poi, alzando lo sguardo verso passi che sentiva avvicinarsi “Girati un po’ e guarda chi c’è”
Axia non se lo fece ripetere ancora, così si volto e da quelle labbrucce corrucciate nacque uno splendido sorriso
“Papà!” e corse, trotterellando, verso Kanon.
“Ecco la mia principessa!” la sollevò in alto, abbracciandola forte a sé, mentre con lo sguardo sorrise a sua moglie.
Claudia ricambiò il sorriso e, illuminata dagli ultimi raggi di sole, si perse nel rimirarli. Così stretti, sorridenti e felici erano la personificazione della gioia, di quella famiglia che si era creata e, nonostante gli errori, era riuscita a mantenere salda e felice.
Sì, tanta felicità non poteva nascere da uno sbaglio, ma solo da un amore solido. 
Sì, era così.
Doveva essere così.

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Capitolo 2
*** VALERIA ***


Ferma dietro una delle colonne della dodicesima casa, Valeria trattenne il respiro nel guardarlo passare. Lui era arrivato solo una mezz’ora prima, ma lei era rientrata da soli dieci minuti, e nello scoprirlo  maledisse la sua lentezza nello sbrigare la commissione che Aphrodite l’aveva mandata a fare.
Se solo non si fosse fermata a parlare un po’ con le sue ex compagne sacerdotesse, lo avrebbe accolto lei in casa, sarebbero riusciti a parlare un po’ come facevano diciannove anni prima in quella villa nelle Marche, quando era ancora troppo giovane e spocchiosa e non era stata in grado di leggersi dentro come avrebbe dovuto.
Soffocò in gola un risolino nel ripensare a con quanta veemenza aveva comunicato a Shion quale sarebbe stata la sua scelta “Io sarò una sacerdotessa.”
Grandissima cazzata!
Quella era tutto tranne che la vita che faceva per lei. Eppure a diciannove anni si sentiva tanto cazzuta, una tutta onore e cazzotti, ed, invece, dopo neanche due anni di addestramento aveva capito che non avrebbe mai potuto rinunciare completamente alla sua femminilità, ad amare in modo normale un uomo. Le era stato chiaro ogni qual volta che lui si era offerto di darle qualche lezione, per migliorare i suoi attacchi o la sua difesa, e le sue gambe non tremavano per il timore di affrontare, seppur in lezione, un gold, ma per la voglia di affondargli le mani in quei capelli spettinati ad arte e riempirgli la faccia di baci, quei baci di cui lui non sapeva nulla e che lei non aveva mai avuto il coraggio di dargli.
Lo osservò scendere ogni singolo gradino fino alla casa dell’Aquario. Ogni passo, ogni movimento delle sue spalle, ogni ciocchetta di capelli che si appoggiava su quel collo forte e lungo, le sembrava perfetto.
Come aveva potuto far scemare così la confidenza che era nata anni prima? Come?
Ma poi si diede della sciocca da sola.
Perché erano venuti nel loro mondo e lui era tornato ad essere solo uno dei forti e fieri dodici gold e lei una ragazzina che tentava, maldestramente, di intraprendere una strada che era più che evidente non essere la sua.
Sospirò vedendolo sparire nell’undicesima casa, ma forse, se si fosse spostata nel colonnato ovest, magari, lo avrebbe continuato ad intravedere per un altro po’, forse, e cercò di arrampicarsi su un muretto vicino al colonnato, quando
“Ma non avresti fatto prima a fermarlo quando stava uscendo da qui e chiedergli un appuntamento.”
Valeria si fermò immediatamente, piccata per essere stata colta in flagrante, così si ricompose e si girò a guardare il suo amico-padrone-ex protetto.
“Senti, Phro, non ti ci mettere pure tu!”
“Oh sì, che mi ci metto. Sono anni che muori dietro al di lui pensiero e non è difficile immaginare a chi pensi quando sospiri nella tua stanza.”
Valeria fece finta di sistemare due vasi, non sopportava che Aphrodite la vedesse arrossire.
“Guarda che è inutile che fai finta di nulla. Il rossore ti è arrivato fin sopra le orecchie e mi infastidisce vedere come perdi tempo con lui. Cosa aspetti? Che si faccia avanti qualcun’altra?”
“Senti Phro, se gli fossi interessata avrebbe potuto farsi avanti anche lui, o no?”
“Ma chi? Shura manico di scopa? Ho più sangue caliente io nelle vene che sono un vichingo, che lui che è spagnolo. È un uomo che va preso di petto. Strano che tu non lo abbia ancora capito…eppure eri l’unica sacerdotessa a cui aveva offerto il suo aiuto, ma forse” e le si avvicinò sfiorandole il viso con una delle sue rose innocue “hai paura di non essere alla sua altezza, perché hai rinunciato a conquistare una cloth e seguire quella vita semi monastica, per essere la mia sguattera?”
Valeria chiuse gli occhi in due fessure e, strappandogli la rosa dalla mano, lo ammonì
“Attento a come parli, bel pesciolino, perché se puoi ancora sfoggiare quel bel sedere sodo è anche grazie a me, che da brava custode nei giorni nella mia realtà non mi sono mai allontanata da te.”
Pesci rise di cuore. Era quella la Valeria che voleva rivedere: Forte, impertinente ed anche un po’ presuntuosa.
“Ah, allora ci sei ancora sotto quegli straccetti da ancella! Quel peplo non ti ha avvolto anche il cervello. Bene, quindi fammi la cortesia di tirare fuori le unghie ed andare a prendertelo il tuo bel principe.” Poi le diede le spalle ed entrando aggiunse “spesso le principesse devono salvarsi da sole…ah e per stasera salmone e champagne che i tuoi leggerissimi piatti piemontesi mi si mettono sullo stomaco.”
Valeria rise di cuore, adorava quell’odioso stronzetto.

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Capitolo 3
*** SAGA ***


“Zio, zio, eccomi!” Axia gli corse in contro felice e sorridente come ogni volta che lo passava a trovare al tredicesimo tempio. “Mamma è dal Grane Sacerdote ed io ho preferito venire qui da te.” Gli stampò un bacio sulla guancia.
Nonostante i suoi cinque anni era molto esile e, quando Saga la teneva in braccio, le sembrava di tenere tra le mani un uccellino, ma quegli occhi blu così profondi lo facevano tremare ogni volta, perché ogni volta che ci specchiava i suoi dentro, non poteva non vedere una parte di sé in lei.
Assomigliava molto a sua madre, ma, osservandola bene, riusciva a vedere molti dei loro tratti, molti suoi lineamenti.
 Sì, suoi, nonostante tutto ne era più che convinto.
Papà e non zio.
Padre e non parente.
Ricordava ancora come se fosse stato ieri la sera in cui Kanon lo aveva invitato a cena e, davanti ad un succulento tiramisù, gli aveva annunciato la gravidanza di Claudia.
“Axel, fratello, stasera non vi abbiamo invitati solo per il gusto della vostra compagnia, ma anche per fare un annuncio importante: Io e Claudia saremo di nuovo genitori.”
Quelle poche parole lo avevano sorpreso e lasciato interdetto allo stesso tempo, tramutandosi in sgomento e rabbia solo qualche giorno dopo, quando ebbe modo di parlare da solo con sua cognata. 
Avrebbe ancora potuto dirle che ore fossero o come erano vestiti entrambi e se sulla scrivania della sala operativa, vuota, ci fossero o no dei faldoni.
“Perché non me lo hai detto?”
“Cosa?”
“lo sai cosa! Che sei incinta”
“Ma se ve lo abbiamo detto un paio di giorni fa e noi stessi lo abbiamo scoperto solo tre giorni prima. Quando avreste voluto saperlo, scusami?!”
“Perché non sei venuta a parlarmene subito, eh?”
Claudia lo aveva guardato di sguincio ed il sorriso, che aveva mantenuto fino a quel momento, era svanito.
“E perché lo avrei dovuto fare? È figlio mio e di Kanon”
“Di quanti mesi sei?”
“Due”
Saga si era fermato un attimo, osservando il calendario da tavolo su una delle scrivanie.
“Allora non è detto che sia di mio fratello.”
Claudia gli si fece sotto con passi lenti e sguardo duro.
“È di tuo fratello. Non ci sono né se né ma. Poco tempo prima che” si fermò un attimo socchiudendo gli occhi “facessimo quella stupidaggine, io e Kanon abbiamo avuto un rapporto non protetto e questo chiude la questione.”
“Forse non ricordi che anche noi non abbiamo usato protezioni. Non” aveva abbassato lo sguardo “non c’era stato modo.”
“Sì, ma tu sei venuto fuori.” La voce di Claudia era bassa e stridula allo stesso tempo.
“La prima volta, ma la seconda, eh? Ricordi che nell’uscire io avevo già cominciato a…”
“Basta!” gli aveva tappato la bocca con una mano.
“No, non è come dici tu. Questo bambino è di Kanon e basta.”
Saga ricordò di averla guardata dolcemente e di averle baciato il palmo della mano, nello spostarla dalla bocca.
“Lo sai che io ti voglio bene, Claudia, come lo si vuole ad una persona cara, ma se questo figlio dovesse essere mio, io non potrò rinunciarvi. È tutto quello che ho sempre desiderato in questa mia nuova vita, non puoi negarmelo.”
A quel punto Claudia era andata su tutte le furie non controllando più il tono della voce, gli sembrava di sentirle ancora risuonare nella sua testa quelle urla.
“Tu! Tu non devi neanche pensarci! Avevamo detto che ci saremmo lasciati tutto alle spalle. Sei stato tu il primo a dirmi che dovevamo tacere! Ed ora? Cosa vorresti fare? Distruggere tutto? E poi come faresti ad accertartene? Perché non puoi montare un casino solo su una supposizione.”
“Ho sentito che esiste un test molto costoso. Si chiama test del DNA e quello non mente.”
“Oh lo conosco anche io, da noi si fa abbastanza facilmente, ma non te lo permetterò mai. Io lo so che è come dico io. Non ho bisogno di prove!” e se n’era andata sbattendo la porta.
“Ma io sì” aveva sussurrato tra sé nella stanza ormai vuota.
Ora, ora che lei era qui con loro da cinque anni, non aveva mai trovato il coraggio di fare ciò che aveva detto. Non lo aveva ad ogni compleanno che Axia compiva, non lo aveva ogni volta che la vedeva seduta sulle ginocchia di suo fratello mentre giocavano al principe e alla principessa, non lo aveva mai trovato quando la vedeva cavalcioni sulle spalle di Axel, indossando l’elmo di Gemini che le copriva tutta la faccia sino alle spalle.
Però il kit se lo era fatto mandare, ed ogni sera lo guardava, chiuso in un cassetto del suo armadio, pensando a come sarebbe se Axia fosse davvero sua figlia, sfiorando l’idea di una sua famiglia, di quel sogno mai realizzato e che ora lo tormentava attraverso gli occhi di quella bambina, che ora attendeva una risposta ad una domanda, che lui non aveva sentito.
“Allora, zio?”
“Cosa piccola?”
Axia sbuffò, annoiata di dover ripetere la sua domanda.
“Ho detto: Posso dormire da te, stasera?”
Saga le diede un bacio sulla guancia, adorava quando potevano passare del tempo da soli.
“Se la mamma dirà di sì, per me va bene.”
Saga non la riuscì a fermare, che la vide correre verso lo studio del Grande Sacerdote e bussare.
Quasi rise nel vederla fare un inchino alla Shirley Temple prima di entrare e vederla poco dopo uscire con Claudia.
“Allora, mi spiegate che urgenza avete?”
“Mamma posso dormire da zio Saga, stanotte?”
Claudia scoppiò a ridere “E questa era la questione di vita e di morte che hai detto a Shion? Sei tremenda! Va bene, ma domattina, dopo colazione subito a casa, ok?”
La bambina annuì felice, saltellando attorno allo zio.
“Allora buona serata Saga” e gli diede una pacca sulla spalla con fare canzonatorio “non sai cosa ti attende!” rise.
Saga rise con lei, poi, quando Axia si allontanò un po’, prese Claudia per un braccio ed attirandola a sé, le sussurrò “Io non mi sono ancora arreso, se è mia voglio saperlo. Ho un kit e, forse, stanotte lo userò”
Lo sguardo di Claudia si incupì.
“Se vuoi la guerra, avrai la guerra, ma non ce ne sarà bisogno. È di Kanon”
Queste parole lo perseguitarono tutto il restante pomeriggio e la notte. 
Un capello, gli serviva solo un capello e avrebbe saputo. Guardò Axia dormire beata sul lato destro del letto. Le accarezzò i capelli, ci sarebbe voluto così poco e staccarne uno. Voleva avere la sua risposta e al contempo voleva mantenere la serenità che si era creato in quegli anni con Axel e Kanon. 
Voleva una sua famiglia, ma gli mancava l’aria al pensiero di perdere ciò che aveva già. Gli sembrava di impazzire, quando un papà sussurrato da sua nipote nel sonno fu illuminante. 
Padre è anche colui che si sacrifica per la serenità e felicità di un figlio.
Lui desiderava con tutto se stesso essere un padre, quello avrebbe voluto essere, così comprese e, indossata la tunica da notte, prese il kit, che teneva nel cassetto più in basso del suo comodino, e lo gettò nella spazzatura, per poi dormire fronte contro fronte ad una delle sue due ragioni di vita.

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Capitolo 4
*** MU ***


MU
 
“Tu l’ami ancora, vero?”
Mu alzò lo sguardo dal cruscotto, la macchina appena spenta, e guardò il volto di Kaliklia, che lo osservava languida e triste al contempo.
“Ma cosa dici?” le sussurrò, sorridendole appena.
Kaliklia non rispose, ma continuò a fissarlo, il volto metà arancione per via del lampione sotto cui erano parcheggiati e che rendeva la luce interna dell’auto simile a quei film anni ’50.
“Che lei non è mai uscita di lì” gli sfiorò il petto all’altezza del cuore con  la punta dell’indice.
Mu voltò appena la testa, guardando fuori dal finestrino la notte buia di Rodorio.
Erano settimane che Clarissa lo tormentava per quella cena a quattro, non gli aveva dato tregua.
“Dai Mu, ho così voglia di conoscere la tua ragazza e di fare, finalmente, un’uscita a quattro. Dai!! Sarà divertente, vedrai.”
Al decimo assalto non aveva potuto che capitolare e quella sera avevano cenato insieme in uno dei ristorantini più romantici del paese, che aveva scelto Kaliklia, entusiasta come Clarissa all’idea.
Luci soffuse, musica soft, una coppia di fronte all’altra, avevano cenato in armonia. Deathmask, da quando aveva messo quell’anello al dito di Clarissa, sposandola davanti a tutto il Santuario, non lo guardava più con aria di sfida, era quasi rilassato, evidentemente non lo riteneva più una minaccia, e quell’anello, che quella sera brillava sotto la luce delle candele del loro tavolo, era stata la sua spada di Damocle. Il suo Alt!
Davanti a quel monile dal gusto antico si era arreso ed aveva fatto in modo di chiudere Clarissa nell’angolo più remoto del suo cuore, ma da quel che gli stava dicendo ora la sua donna, non c’era riuscito poi così bene.
Prese la mano della sua ragazza e la baciò.
“Non hai nulla da temere, davvero.”
Kaliklia liberò la sua mano da quella dell’Ariete e, abbassando il parasole, si guardò nello specchietto.
“Vedi, Mu, il mio rossetto è intatto, uguale a quando sono uscita di casa e non era mai successo prima di oggi” se lo sfiorò, sporcandosi appena il polpastrello. “Non un bacio da che mi sei venuto a prendere sino ad ora.” Lo guardò abbassare lo sguardo e togliere le chiavi dal quadro.
Avrebbe voluto anche dirgli che più di una volta aveva versato il vino prima a Clarissa e poi a lei, che ogni tanto, quando beveva, da dietro il calice, guardava Clarissa negli occhi fino a che l’ultima goccia non aveva bagnato le sue labbra, che…diverse cose gli avrebbe potuto dire, ma ricordarle tutte ora iniziava a fare ancora più male.
Come poteva mentirle? 
Era vero, non l’aveva mai baciata, neanche quando era andato a prenderla, schiavo dell’idea di cosa stesse per vivere, di essere per la prima volta seduto ad un ristorante con Clarissa, ora che non avrebbe mai più potuto essere sua, che era entrata Kaliklia nella sua vita, che Clarissa lo trattava davvero solo da amico, ma lui?
Mu aprì la portiera e scese da quella macchina passandosi una mano sul viso, cercando di allontanare l’immagine di Clarissa, che aveva ancora in fondo ai suoi occhi, così bella e raggiante in quell’abito rosso che non le aveva mai visto prima, così serena e a suo agio nel parlare con la sua ragazza e con quello sguardo adorante, che rivolgeva a suo marito, sempre lo stesso di molti anni prima.
Lei era davvero andata avanti, ma lui?
Lui, evidentemente, no.
Girò attorno alla macchina ed aprì la portiera della ragazza che lo attendeva. L’aiutò a scendere, mentre lei lo fissava con aria triste e quasi rassegnata. Vicini, i corpi quasi a sfiorarsi, lui le diede quel bacio che lei attendeva da tutta la sera.
Kaliklia lo guardò ancora una volta, un po’ del suo rossetto, non più perfetto, sulle belle labbra di Mu. La prima volta che lui le aveva chiesto di uscire, aveva sentito mancarle il fiato, ma in quel momento la cosa giusta da fare era tornare la donna razionale che era sempre stata, il medico che analizzava ogni sintomo per individuare la giusta diagnosi e, per lei, la diagnosi, stavolta, era più che chiara.
“Mu, io, io non credo di poter accettare di essere la seconda a vita. Sono stata sempre la prima della classe, la prima figlia, la prima nipote, e pretendo di essere lo stesso per il mio uomo.” Parlava, ma un laccio le soffocava il cuore un po’ di più ad ogni parola.
Mu non la interruppe una sola volta, la guardò in silenzio, serio, una serietà intrisa di dolcezza che lei non potè non notare.
Era davvero la seconda per lui?
Clarissa aveva ancora lo scettro del suo cuore?
Lui che non aveva mai avuto un dubbio nella sua vita, ora stava vacillando, eppure ogni mattina nello specchio sopra il lavandino poteva giurare di vedere il sorriso della sua bella genetista, ma quella sera tutto era confuso, sfumato, impercettibile.
“No, non meriti di essere seconda a nessuno o di sentirti tale.” Le diede un altro bacio, ma stavolta sulla fronte, prima di abbassare lo sguardo e rifare il giro della macchina ed aprire la portiera. “Ti chiamo domani.” Le disse con un sorriso mesto sulle labbra.
Kaliklia annuì appena con la testa, mentre lo guardava mettere in moto e fare manovra. Se avesse seguito il suo istinto si sarebbe messa nel bel mezzo della carreggiata, braccia spalancate, costringendolo a fermare nuovamente la macchina, per poi farlo scendere e correre insieme nel suo appartamento, ma sapeva che non sarebbe stata la cosa migliore da fare, serviva solo che lo lasciasse fare, che gli lasciasse un pizzico di tempo e Clarissa sarebbe davvero diventata solo un ricordo, una parte di passato. Poteva farcela, doveva farcela.
“Ce la faremo e saremo felici” pensò fra sé, vedendolo allontanarsi nella notte di Rodorio.

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Capitolo 5
*** GIADA E LUCIA ***


Nella loro casetta, vicino al dormitorio delle nuove reclute, Giada guardava la custodia della sua armatura come imbambolata.
Le era costata sangue e sudore, umiliazioni e spirito di sacrificio, ma alla fine l’armatura della lince l’aveva riconosciuta come sua padrona e da quel giorno quella vita da saint, che aveva sempre sognato sui manga, era divenuta realtà.
“Giada, Giada!” Lucia cercò di smuoverla dal suo torpore, ma da lei ricevette solo uno sguardo severo. “Allora? Cosa hai deciso di fare?”
Lucia era lì di fronte a lei, la sua cloth dell’Uccello del paradiso addosso e la sua maschera appoggiata vicino a lei, sul letto. Anche lei, come la sua ragione, chiedevano una risoluzione decisiva a quel grosso problema.
Mai, mai avrebbe pensato che sarebbe potuto succedere a lei. Lei conosceva a memoria l’anime ed il manga, sapeva quali potessero essere le situazioni in cui ciò poteva accadere, in cui si poteva incappare in quel fatale errore e allora? Come aveva potuto essere così ingenua e avventata?
Prese in mano la sua maschera e se la rigirò tra le dita, la fece quasi vorticare, ma dopo appena due giri le cadde ai piedi.
“Sai Lucia, non capisco come mi sia potuto venire in mente. Conosco le regole, conosco tutti i tranelli, tutto! Ma quel giorno non sono riuscita a resistere al desiderio di sentire il sole sulla mia pelle. Stare lì a crogiolarmi come facevo quando ero a casa mia durante i primi caldi giorni di primavera, in spiaggia. È, è stato quasi istintivo.”
“Lo so, capita anche a me, spesso. Però, Giada, non puoi fuggire da ciò che è successo. Rimane il fatto che lui ti ha vista.”
Giada chiuse gli occhi e si lasciò cadere sui cuscini del divano.
“Amarlo o ucciderlo. Conosco la regola.”
“E quindi?”
“Quindi non lo so.” Si girò dall’altra parte, verso la credenza.
La prima volta che le avevano assegnato quella casa non le era parso vero. Spartana, piccola, giusta giusta per due persone, era il simbolo del loro nuovo status. Non più allieve, non più cadette, ma sacerdotesse ed allenatrici. Finalmente al servizio del Grande Tempio e ne avevano fatte di missioni, ne avevano ricevuti di incarichi dal Grande Sacerdote e dal Primo ministro, ma per una debolezza di cinque minuti tutto era precipitato.
“Lucia, io non voglio diventare un’assassina.”
“Non sarebbe la prima volta che uccidi un uomo, però. Ci è già capitato diverse volte.”
“Sì, ma erano nemici. Erano persone che avevano giurato odio eterno al Santuario e a tutto quello che noi rappresentiamo. Non è la stessa cosa. E poi lui…” chiuse gli occhi e si morse un labbro “lui ha ricevuto l’addestramento da Gold, non so se avrei mai la meglio in uno scontro.” Ed avvicinandosi alla finestra socchiusa “ma soprattutto è loro figlio.”
Lucia le si avvicinò, cingendole le spalle come faceva sempre nei momenti di sconforto nei loro anni di addestramento, da buona amica, da buona sorella.
“Guarda che io ho già capito, ma devi dirlo anche a te stessa, ammetterlo, o non riuscirai mai ad uscire da questo limbo in cui sei finita.”
Giada sospirò, girando il viso e guardando in direzione della casa dove lui era vissuto e cresciuto fino a pochi anni prima, prima di accettare il ruolo che Shion gli aveva offerto, prima di divenire il coordinatore responsabile degli informatori e custodi del segreto Grande Tempio, prima di essere la seconda figura di maggior spicco a Villa Kido e alla fondazione.
Giada fermò il sorgere di un sorriso sulle sue labbra, abbassando lo sguardo.
Chissà cosa avrebbe pensato la sua vecchia amica se avesse saputo che per l’eternità il suo cuore di sacerdotessa sarebbe stato di suo figlio Nico.

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Capitolo 6
*** LUCAS ***


LUCAS
 
Lucas l’aveva già vista dalla rampa di scale precedente, non sapeva proprio nascondersi, per fortuna che non aveva un cosmo o non avrebbe avuto un futuro roseo nel loro mondo. Si avvicinò ancora un po’, gli veniva da ridere, ma si trattenne, voleva sorprenderla e ricambiare la sorpresa che lei voleva fargli.
 
A lei piaceva troppo vederlo tornare a casa, così fiero ed elegante nella sua armatura argentea dell’Altare, i bei capelli lunghi sotto l’elmo che fluttuavano spostati dal vento. Era una visione paradisiaca. 
When I’m with you it’s paradise..”
No! Ogni volta che pensava a Lucas nella sua mente Phoebe Cates cominciava a cantare quella canzone, non ne poteva quasi più. 
Si sporse appena da dietro la colonna che la celava, ma di Lucas neanche l’ombra, eppure tornava quasi sempre a quell’ora.
“Ciao bella fanciulla, aspettavi qualcuno?”
Axia saltò come scottata da un tizzone ardente nel sentire quella voce alle sue spalle.
“Lucas! Così mi farai morire!”
“Perché non ti faccio già morire ogni volta che mi vedi?”
Axia lo guardò di sottecchi, quando faceva così le ricordava troppo Deathmask e le battute che era solito fare a Clarissa, ma non ebbe il tempo di controbattere nulla che lui le prese il mento tra le dita e… “When I’m with you it’s paradise. You kiss me once, I kiss you twice” .
Adorava i suoi baci: Dolci, avvolgenti, sexy. Li aveva sognati per mesi nella sua cameretta, rimirando la foto di quei tre che teneva nascosta nella federa del suo cuscino. Era la foto che Axel si era fatto fare con Lucas e  Nico prima della partenza di quest’ultimo per Nuova Luxor.
 
Lucas la guardò ancora un attimo, così bella e sbarazzina, dolce e tremenda allo steso tempo. Chi lo avrebbe mai detto che quella scricciolina, venuta al mondo così inaspettatamente, avrebbe un giorno rubato il suo cuore di uomo. In tutti quegli anni ne aveva frequentate di ragazze prima di lei, ma tutte erano passate come passa l’acqua sotto i ponti, ma lei no, lei era speciale, unica.
“Senti, ma se andassimo un po’ a casa mia? Sono tutto sudato e ho bisogno di una doccia…” l’abbracciò, piegandosi su di lei, per rubarle un bacio sul collo.
“Uh, hai ragione…allontanati che puzzi!” scherzò “Ma cosa diciamo a zia? Mica posso venire in camera con te se…”
“Non c’è nessuno a quest’ora.”
Axia gli sorrise felice e con Lucas corsero fino alla quarta casa.
Immersi nel silenzio della casa vuota, chiusi nella camera di Lucas, i due ragazzi cominciarono a spogliarsi piano, senza timori o vergogna, ormai abituati ai loro corpi nudi.
“Vado ad aprire l’acqua” le sussurrò Lucas nell’orecchio, provocandole un dolce brivido, quando dal fondo del corridoio una voce fin troppo nota tuonò, lasciandoli di sasso.
“Proprio ora doveva scassare l’anima, quel minchione di Kanon! Lucas? Ci sei?”
Lucas, impietrito, guardò Axia impallidire e chiudere i suoi occhi in due fessure strette fino a che sottovoce lo aggredì 
“Mi avevi detto che non ci sarebbe stato nessuno ed ora tuo padre sta venendo qui! Cacchio, passami il vestito!”
Axia afferrò la sua biancheria intima e, infilatosi al volo l’abito e le scarpe, la mise in tasca. 
“Aiutami a scavalcare, muoviti!”
Lucas, sentendo i passi di suo padre avvicinarsi, la prese in braccio e la posò nel giardino fuori la sua finestra.
“Dopo ci vediamo?”
“Sì, sì” la giovane rispose frettolosamente, scappando verso casa il più velocemente possibile.
Lucas, ancora nudo davanti la finestra, cercò di chiuderla in fretta, quando suo padre, come sua fastidiosa abitudine, aprì la porta senza bussare.
“Kanon vuole quella mappa che…” ma Deathmask si fermò a guardare suo figlio.  Agitato, nudo come lo avevano fatto, intento a chiudere frettolosamente la finestra, quasi scoppiò a ridere “Minchia fai? Che hai paura che l’uccello ti voli via?” avvicinandosi alla finestra e gettando un occhio fuori “Ah no, è volata via una colombella”

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