Scenes From a Memory di mask89 (/viewuser.php?uid=61727)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Scenes from a memory
Capitolo 1
“Questa storia
partecipa alla Challenge
del Superfluo indetta dal gruppo facebook Il
Giardino di Efp”
Prompt 13: Pendolo;
Prompt 59: Giradischi;
Mi
chiamo Carlotta, ho 22 anni e sono sul baratro della follia.
Ormai
ho smesso di contare le notti insonni. Vi dirò la
verità, ho paura di dormire,
di poggiare semplicemente la testa sul cuscino e tentare di chiudere
gli occhi,
per dare il giusto riposo alle mie membra e al mio cervello. Ho paura
di
rivedere certe immagini, che ormai mi perseguitano, di rivivere vite
che non mi
appartengono e che, purtroppo, sembrano cucite sulla mia pelle. Non so
per
quanto tempo riuscirò ancora ad andare avanti, a reggere
questa pressione,
questo vissuto che si vuole insinuare dentro di me e che vuole prendere
possesso del mio corpo. Vedo la mia vita scivolare via dalle mie dita,
come
granelli di sabbia e non riesco a fare nulla. Vedo le persone a me
più care
guardarmi con espressioni sempre più preoccupate, con il
trascorrere dei giorni.
Ultimamente il mio aspetto non è dei migliori, lo ammetto;
le profonde occhiaie
ormai sono un ornamento fisso sul mio volto scavato e i capelli sempre
in
ordine, brillanti e setosi sono ormai un lontano ricordo, o almeno
così mi
sembra. La verità è che ho anche perso la
cognizione del tempo; ormai faccio
fatica a distinguere cosa sia reale e cosa appartenga al mondo
dell’onirico, a
volte mi capita di confondere le due entità. Ma non sono
pazza, almeno, non
ancora. So perfettamente quando tutto questo è cominciato,
il 04 dicembre del
2014; una data normalissima, quasi insignificante, o perlomeno credevo
fosse
così inizialmente; peccato non sapessi che si sarebbe
rivelata l’inizio di
tutti i miei guai, il mio personale inizio della fine. Eppure, quel
giorno era
iniziato alla grande; come altro lo descrivereste un evento
più unico che raro,
ovvero che il professore universitario, a cui avete chiesto un
appuntamento,
arrivi puntuale? È un qualcosa che ti svolta la giornata, ti
permette di
rispettare quella scaletta mentale di programmazione dello studio, con
cui,
prima o poi, ogni studente prossimo alla tesi comincia a fare i conti.
Ebbene
sì, la professoressa Marcella Immacolata Teodosi, era stata
di una puntualità
svizzera; probabilmente quel giorno le sveglie, a casa sua, avevano
deciso
stranamente di funzionare, oppure era successa qualche strana
congiuntura
astrale, che non le aveva fatto trovare qualche incidente sulla
statale. A
prescindere dagli eventi lei era lì e, stranamente, era
interessata ad ascoltare
quello che le volevo dire, ovvero una proposta di tesi alquanto
particolare,
per una studentessa triennale di Beni Culturali. Insomma, proporre come
caso di
studio un omicidio, avvenuto quasi 400 anni prima nella
città di Bari, non è
proprio un argomento che rientri nella canonicità per quel
corso di laurea.
Tuttavia, l’idea sembrava entusiasmarla; quasi sicuramente,
ricostruire le
circostanze di quel terribile omicidio, con l’esclusivo
ausilio delle carte e
delle testimonianze dell’epoca, stuzzicava la sua anima di
storica dell’età
moderna e di esperta archivista. Una giornata insignificante per la
popolazione
mondiale, ma per me fondamentale, visto che segnava l’inizio
di un lavoro
importante, che si sarebbe coronato con il raggiungimento della tanta
agognata
laurea. Un traguardo molto ambito per me e per la
mia famiglia,
considerato che sarei stata la prima in assoluto a laurearmi.
Ciò che ancora
non sapevo era che, tutto questo, avrebbe rappresentato
l’inizio della perdita
della mia ragione. Probabilmente, quello che mi accingo a intraprendere
è il
mio ultimo viaggio, ma non nel senso fisico del termine. Ho trovato una
persona, uno psicoterapeuta, che è pronto a darmi sostegno
nella missione che
voglio intraprendere. I rischi sono altissimi, le
possibilità che non torni più
indietro superano quelle di una buona riuscita, ma voglio provarci
ugualmente;
cosa ho da perdere? I miei familiari mi guardano con pena, i miei amici
pensano
che sia folle e con il mio ragazzo sono sull’orlo della
rottura, perché non
riesce più a gestire i miei sbalzi d’umore, sempre
più frequenti. Per non
parlare della mia relatrice, la quale ormai pensa che mi sia data alla
latitanza, dato che sono settimane che non mi faccio viva. Nulla da
perdere e
tutto da guadagnare, eccetto quel barlume di sanità mentale
che mi è rimasto
ancora, ma sono sicura che molto presto anche quello sarà un
lontano
ricordo. Mi siedo
sulla poltrona dello
studio del dottor Sforza; il pellame della seduta è caldo e
morbido al tatto,
come la sua mano sulla mia spalla, la quale mi trasmette un senso di
serenità
che non provo da tempo. La musica che esce dal giradischi, un
madrigale, anche
se non è proprio il mio genere, mi dona un senso di
benessere e tranquillità.
Fabrizio mi sussurra all’orecchio che andrà tutto
bene, che sarà sempre accanto
a me, che non devo preoccuparmi di nulla. Le sue parole sono sincere,
ma è
nella mia natura preoccuparmi sempre di tutto e per tutto. La sua bocca
allargata in un sorriso rassicurante e i suoi denti candidi sono
l’ultima cosa
che vedo.
Un
pendolo, dalla inusuale forma di nota musicale, inizia a oscillare
dinanzi ai
miei occhi, le mie iridi lo seguono incessantemente nel suo moto. Sento
le
palpebre farsi più pesanti, mentre avverto la testa farsi
sempre più leggera.
Cinque.
Quattro.
Tre.
Due.
Uno.
Benvenuti
nel mio mondo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
Sono appena le 6.00 del mattino, ma sono già sveglia nel mio letto; porto una mano alla sveglia per disattivarla, non voglio rischiare che tutti si sveglino in casa, a causa di quel mini-allarme presente sul mio comodino. Ogni giorno la stessa routine: svegliarsi, alzarsi, fare colazione, lavarsi e poi uscire di casa, per andare dritti in stazione per prendere il treno che mi porterà a Bari, sede dell’Università. Sia chiaro, non mi sveglio a quell’ora per farmi bella allo specchio o perché me la voglio prendere comoda; semplicemente, la compagnia di trasporti che sono costretta a prendere è un tantino particolare. Il treno, per percorrere una fascia di appena 20 km, ci impiega, se tutto va bene, all’incirca quaranta minuti. Veloce vero? Ma questo è il male minore! Sarei felicissima se fosse sempre così! Capita spesso di arrivare in stazione e trovare il treno soppresso per ragioni sconosciute, oppure tre miseri vagoni talmente strapieni di persone che è impossibile entrare, o le magiche ed interminabili soste nel bel mezzo della campagna barese, in attesa della fantasmagorica coincidenza. Però, guardo l’aspetto positivo; almeno su questa linea ferroviaria non ci si annoia mai, ammesso che con sé si abbia un buon libro o da studiare. Tuttavia, questa mattina per me ha un sapore leggermente diverso; finalmente comincio a mettere mano sul mio progetto di tesi, quindi nessun treno costantemente in ritardo minerà il mio buon umore.
La corsa è andata meglio del previsto, ho impiegato solo 45 minuti per arrivare a Bari, niente male. Vedo Anna che mi aspetta davanti al portone dell’Università, alza un braccio per salutarmi, ricambio il gesto. Ci siamo conosciute il primo anno di Beni Culturali, tra noi è nata una bella amicizia ed il merito è di una penna. Da buona sbadata cronica che sono, il primo giorno di università ho dimenticato il mio adorato astuccio, che custodisco gelosamente dalle medie, a casa. Quando si dice cominciare con il piede giusto! Probabilmente, sarà stata la mia faccia disperata o per semplice pietà, quando all’improvviso ho visto sbucare una penna davanti ai miei occhi e il suo volto sorridente; è stato l’inizio della nostra splendida amicizia, a cui con il tempo, si sono aggiunte tante altre persone.
Mentre mi avvicino noto qualcosa che non va. La sua espressione è molto cupa, il che è strano, considerato che è una delle persone più solari e positive che conosca. C’è solo una persona capace di ridurla in quello stato: il suo ragazzo. Ho avuto la sfortuna di conoscerlo e, purtroppo, c’è stata antipatia reciproca fin dal primo secondo. Premetto, non ho mai giudicato nessuno prima di conoscerlo, però nel suo caso è stato diverso. Il mio sesto senso, ereditato da mio padre, mi diceva di non fidarmi di quella persona e con il tempo ha avuto ragione. Come si può stimare una persona che tradisce ripetutamente la propria ragazza? E non lo dico solo perché io e Anna apparteniamo allo stesso sesso, nessuna solidarietà femminile, per me è qualcosa di universalmente inconcepibile. Non stai bene con una persona? Lasciala! Perché farla soffrire? È una cosa che non capirò mai.
«Ciao Anna, tutto ok?» Noto gli occhi lucidi, istintivamente l’abbraccio.
«Lo ha fatto, di nuovo...»
«Filippo?»
«Si.»
«Altre chat spinte con ragazze?» La vedo annuire con la testa. Soffoco un’imprecazione, anche se mi costa una fatica tremenda. «Cazzo Anna, quando ti deciderai a mollarlo?»
«Io lo amo.»
«E questo non lo metto in dubbio, il problema è se lui ama te!» La sento tremare contro il mio corpo e non è colpa del freddo umido di dicembre. Sento la rabbia ribollire dentro di me, ma mi trattengo; non voglio ferire ulteriormente la mia amica. «Anna, io non posso dirti cosa fare della tua vita, ma devi prendere una decisione. Sai come la penso su di lui, non mi piace, non credo che sia l’uomo adatto per te. Meriti molto di meglio…e credo che tu lo sappia, inconsciamente già ti sia guardata intorno, altrimenti una certa persona non farebbe visita nei tuoi sogni. A proposito, guarda chi c’è! Ciao Francesco!» Vedo la mia amica sussultare e voltarsi di scatto, per poi rigirarsi verso di me infuriata.
«Sei una stronza!»
«Ma ho anche dei difetti. E poi vedo che stai sorridendo, è bastato solo pronunciare il suo nome.»
«Io sono fedele.»
«Fin troppo mia cara. Che ne dici se andiamo a fare colazione al bar?»
«Non eri a dieta?»
«Lo sono, ma il cornetto alla crema che prenderò sarà anche il mio pranzo. Su andiamo, che dopo bisogna andare in biblioteca per le ricerche.»
«La Teodosi ha accettato il tuo progetto di tesi?!»
«Era entusiasta.»
«Quindi era questa la bella notizia che mi dovevi dare! Non ci posso credere, studieremo insieme anche per la tesi!»
«Te lo avevo promesso, non ti avrei lasciata da sola; nella merda insieme, fino alla fine!»
Adoro la biblioteca della sede distaccata dell’università, situata nel centro storico di Bari; mi dà un senso di serenità che in ben pochi luoghi sono riuscita a trovare. Saluto con la mano il bibliotecario ed entro nella sala; il profumo di libri antichi, misto a quello del legno di abete, delle antiche scaffalature, mi riempie le narici. Inspiro a pieni polmoni, non c’è odore migliore di questo. Mi avvio verso la sezione degli autori greci e latini, sicuramente Anna sarà lì, dato che è il suo angolo della biblioteca preferito; in realtà è anche il mio, dato che è spazioso, ben illuminato e frequentato da poche persone. Ed infatti la trovo lì, già china su alcuni libri. Il suo umore è leggermente migliorato rispetto questa stamattina, spero che lo studio riesca a distrarla dai suoi problemi.
Dopo diversi minuti passati davanti al pc della biblioteca, posso affermare, con tutta certezza, che ricercare la bibliografia è una delle cose più noiose che ci sia. L’unico aspetto positivo è che tutti i libri che mi serviranno, per capire da dove iniziare con il mio caso di studio, sono tutti presenti in questa sede distaccata; almeno non dovrò impazzire fra le diverse biblioteche presenti a Bari, un colpo di fortuna, ogni tanto. Ritengo, che cominciare con la vita della protagonista femminile dei miei studi, sia un buon inizio. Fortunatamente il libro che riguarda la sua casata, la De Bellis, è su uno scaffale alla mia portata. Ebbene sì, madre natura non mi ha donato chissà quale grande altezza, come direbbe mio fratello, sono alta un metro ed un CD messo in orizzontale. Scherzi a parte ho una statura normale, il problema è lui, ha appena compiuto 18 anni ed è alto 1.90 m. Scuoto la testa, non è il momento di pensare certe cose, Maria D’Avenia mi attende. Sono quasi riuscita a prendere il libro dallo scaffale, quando una voce mi fa letteralmente sobbalzare.
«Ma guarda chi abbiamo qui, l’ottima Fiore!»
«Professor Ferri!»
«L’ho spaventata?»
«No no, non mi aspettavo la sua presenza qui.»
«Cosa ci fa in biblioteca, si prepara per un esame?»
«Non proprio, cerco di reperire del materiale per la tesi.»
«Capisco. Chi è la sua relatrice?»
«La professoressa Teodosi.»
«E su cosa verterà il suo lavoro?»
«Un caso di omicidio che vede coinvolta la duchessa Maria D’Avenia e il conte Federico Brocca.»
«Interessante. Se devo essere sincero, mi dispiace un po’ che non sia venuta da me per la tesi, visto il suo brillante esame e la sua ottima collaborazione durante la campagna di ricognizione subacquea al molo Sant’Antonio, qui a Bari. Però, devo ammettere che è un lavoro interessante quello che sta portando avanti; spero di essere in commissione il giorno della sua laurea, per ascoltare la sua relazione.»
«Prof., se per lei andrebbe bene, mi proporrei per la tesi di specializzazione, in realtà avrei già un’idea in tal caso.»
«Ovvero?»
«Uno studio del commercio dell’ossidiana e del rame in età protostorica, per una ridefinizione dei commerci marittimi.»
«Interessante! Allora l’aspetto per l’inizio del prossimo anno accademico in ufficio, così cominciamo a lavorare fin da subito. Due anni passano in fretta e iniziare subito aiuta molto.»
«La ringrazio.»
«Bene, io vado, le ho già rubato parecchio tempo prezioso. Aspetto una sua mail dopo essersi laureata. Arrivederci.»
«Arrivederci professore.»
Lo vedo allontanarsi e non posso fare a meno di sorridere. Il professor Ferri è uno dei più giovani ed in gamba del corpo docente del dipartimento. Lavorare con lui è stato molto interessante e mi ha permesso di imparare parecchie cose. Studiare con lui, ne sono sicura, sarà molto stimolante.
Interessante la vita di Maria, figlia di Carlo D’Avenia, viene istruita fin da piccola alle arti e alla musica. Viene data in sposa, a soli quindici anni, al duca di Benevento Federico Arnone; un’unione felice, da cui nascono due figli, ma la fortuna decide di voltargli le spalle, facendo all’improvviso morire il marito, dopo solo pochi anni di matrimonio. Il padre, senza perdere molto tempo, le combina un altro matrimonio, con un nobile siciliano; ma, anche questo legame non ha grande fortuna, in quanto l’uomo muore solo dopo pochi mesi di matrimonio, durante una battuta di caccia, ferito mortalmente da un cinghiale. Profondamente ferita anche da questo matrimonio andato in rovina, ritorna a Bari, da suo padre. Qui conobbe il signore di Troia, Fabrizio del Ginepro, tra i due scoppia subito la passione e decidono di sposarsi. Il loro matrimonio all’inizio è felice, hanno anche un figlio; ma, con il passare del tempo, l’unione diventa sempre più instabile. Lui era troppo preso dalle sue composizioni musicali, i madrigali, per questo trascurava la moglie, che diveniva sempre più irrequieta. L’unico modo per sfuggire a quella vita sempre più monotona, erano le varie feste che si tenevano mensilmente alla villa del duca Carafa e proprio in una di quelle occasioni conobbe Fabrizio, detto l’arcangelo, per la sua straordinaria bellezza. Le voci che si susseguirono sul loro conto furono parecchie, ma mai nessuno poté dimostrare che la donna tradiva suo marito. L’unica prova fu data proprio in occasione della loro misteriosa morte: la notte tra il 16 e il 17 settembre del 1595, i due furono trovati uccisi nella residenza di campagna della duchessa D’Avenia, i due corpi giacevano orrendamente sfigurati sull’ampia scala la quale portava verso le stanze da letto, che si trovavano al piano superiore della magione.
Continuo a sfogliare il libro, ma non c’è più nulla di interessante sulla vita di Maria, non è molto quello che ho trovato, però almeno è un buon punto di partenza. Guardo l’orologio sono quasi le 12.00, lo si nota anche dagli odori che entrano prepotenti dalle finestre della biblioteca. Uno degli aspetti “positivi” di avere la sezione distaccata della facoltà nelle città vecchia, è che ti offre degli spaccati di vita che difficilmente si possono trovare in altre zone. In quale università al mondo sentireste, nel bel mezzo della lezione di letteratura latina, urlare in vernacolo barese i migliori improperi? In nessuna! Ma, la cosa più divertente è che il prof cercava di spiegare l’etimologia latina di alcune espressioni colorite. Insomma, una lezione fatta in questo modo non la si farebbe in nessun'altra parte del mondo, no? Per non parlare di quando si è in biblioteca ed è ora di pranzo; tutti gli odori forti e decisi della cucina barese, che entrano soavi in quelle aule, mandando in frantumi tutta la concentrazione per lo studio, non facendo desiderare altro di essere in quella casa per mangiare un buon piatto di riso, patate e cozze o di spaghetti ai frutti di mare. Lo so, è una gran brutta cosa, per la linea ovviamente.
Faccio cenno ad Anna che è ora di fare una pausa, ho il cervello in fumo e lo stomaco che gorgoglia. Lascio i libri e la mia roba sul tavolo, so che non li toccherebbe nessuno e poi, a breve sarò di ritorno, o almeno lo spero.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Alla fine, la pausa è durata più del previsto; non perché io e Anna avessimo fatto un pranzo luculliano, bensì la mia amica aveva bisogno di sfogarsi un bel po’. Lo studio era riuscito a distrarla, ma Filippo, che conosce molto bene i suoi orari, ha iniziato a tempestarla di messaggi su Whatsapp. Ogni forchettata dieci messaggi. Prima o poi gli chiederò qual è il suo segreto per mandare messaggi così velocemente e sempre nei momenti meno opportuni. Mi sono dovuta trattenere, considerato che il mio istinto primordiale mi suggeriva di prendere quel maledetto smartphone e gettarlo nella prima grata presente nel basolato della città vecchia; peccato che ripagarlo avrebbe inciso non indifferentemente sulle mie esigue finanze. L’unico aspetto positivo di questo faticoso pranzo è stato che Anna abbia dimostrato, finalmente, di avere un po’ di spina dorsale. Ora mi chiedo fin quanto resisterà, ma non nutro grandi speranze.
La biblioteca è più affollata rispetto a questa mattina ma, come ben supponevo, i miei libri sono ancora al loro posto. Getto un’ultima occhiata ad Anna, è in compagnia di Francesco. Il suo volto ha assunto una nuova luce in sua presenza; mi domando fino a quando resterà sorda ai suoi veri sentimenti e quando lui si deciderà a fare la prima mossa. Apro il quaderno, per ricominciare il lavoro che avevo interrotto prima di pranzo e non posso impedire alla mia bocca di emettere un urlo. Vedo gli sguardi delle persone presenti puntati tutti su di me, ma sono troppo inebetita per cercare di trovare una scusa per il mio comportamento. È solo un’allucinazione, deve essere così! Ora chiudo il quaderno, lo riapro e quello che ho visto sarà sicuramente sparito. È certamente colpa della stanchezza e dei diversi caffè che ho bevuto durante la giornata. Non è possibile, è ancora lì. Provo a stropicciare gli occhi, ma quella scritta non accenna a sparire sul mio quaderno.
“Omicidio.”
Scritta in rosso, con una calligrafia di cui mi è ignota la provenienza. Non può appartenere alle persone presenti in biblioteca, le conosco tutte ed ho avuto modo di vedere e scambiare con loro diversi appunti, presi durante le innumerevoli ore di lezione. Probabilmente, sarà stato lo scherzo di qualcuno che non conosco, considerato che l’omicidio di Maria D’Avenia è una storia che si tramanda da generazioni in tutta Bari; forse è meglio che mi rimetta a studiare, ho perso già abbastanza tempo.
Guardo accigliata il caffè che mia madre ha preparato. Ho avuto un sonno agitatissimo, gli incubi mi hanno perseguitato per tutta la notte, non dandomi un attimo di tregua. Forse leggere “I Tre Moschettieri”, subito dopo aver finito di mettere in ordine il materiale della tesi, non mi ha fatto alquanto bene, considerato che ho sognato di morire accoltellata presso la corte di Francia, una decina di volte. È da diverse notti che ho incubi ricorrenti di questo genere, precisamente da quando ho trovato quella strana scritta rubricata sul mio quaderno. Probabilmente sarò stata talmente suggestionata, che il mio subconscio ha cominciato ad elaborare cose strane. Forse dovrei prendermi una piccola pausa, ma il tempo incalza; sono quasi a Natale e non ho fatto grandi passi in avanti nella tesi, pensavo di trovare qualche elemento interessante in quella montagna di libri che ho letto. Invece niente, diverse centinaia di pagine lette, oltra una decina di libri consultati, ma non ho ricevuto informazioni utili, oltre a quelle che già sapevo, sulla vita della duchessa. Come se non bastasse la biblioteca nazionale, dove sono custoditi alcuni carteggi interessanti, ancora non ha risposto alla mail che la professoressa ha inviato, dopotutto sono passati solo dieci giorni, cosa sarà mai?! Mi guardo allo specchio, ho delle occhiaie orribili, probabilmente neanche il correttore riuscirà a coprire lo scempio che ho dipinto in volto. Ma, non posso perdere tempo nel truccarmi, devo andare a Bari poichè ho un appuntamento con una discendente della duchessa Maria, precisamente nel palazzo Fizzarotti, dove attualmente risiede. La mia professoressa è riuscita a strapparle un appuntamento.
Questo palazzo riesce sempre a stupirmi, considerato che è così diverso dagli edifici che vi sono accanto. La facciata è di chiara matrice neogotica veneziana. È suddivisa in cinque arcate ogivali di diversa dimensione; la più ampia è situata al centro, mentre le altre si restringono verso i lati. Alle sua estremità sono affiancate due torri, sormontate da cupole squisitamente decorate con mosaici a foglia oro. Al di sotto del loggione, che chiude la facciata superiore, intervallati tra gli archi si trovano quattro medaglioni decorati a mosaico. Inoltre, sul prospetto, sono presenti balconi e finestre bifore e trifore in pietra merlettata, le quali creano un forte contrasto con la pietra semplice degli archi. Anche il portone d’ingresso emana (trasuda) una certa importanza, poiché di massello di quercia finemente intarsiato. Lo attraverso e, anche l’androne, è in sintonia con l’artistica facciata, situata sul Corso Vittorio Emanuele. Attraverso l’inferriata in ferro battuto, in stile liberty, si intravede la fontana del Nettuno, posta nel cortile retrostante. Deglutisco nel guardare la scalinata tutta in marmo, mentre le colonnine della balaustra sono in rosso porfirio. Sento un brivido attraversarmi la schiena, quando incrocio lo sguardo del leone marmoreo, collocato a guardia della scala. La contessa Francesca Altavilla-D’Avenia mi attende al primo piano, nel salone rosa; guardo l’orologio, sono quasi le 11.00, devo sbrigarmi se non voglio rimediare una pessima figura. Rimango incantata nel vedere i quadri che sono appesi sopra le porte; solo il rumore dei passi, proveniente dalle mie spalle, riesce a distrarmi da tutta quella bellezza presente in quel luogo.
«Carlotta Fiore?» Mi giro e rimango piacevolmente sorpresa. È una donna che avrà poco più di quarant’anni; ha un fisico tonico e asciutto, risaltato dal semplice ma magnifico abito blu che indossa, che tra l’altro mette ben in evidenza i suoi occhi cervone; i capelli corvini, morbidamente, le ricadono sulle spalle.
«Sì, sono io. Lei è la Contessa Francesca Altavilla-D’Avenia?»
«Sono io. Però, per favore, mi chiami solo Francesca e, soprattutto, diamoci del tu, altrimenti mi fai sentire anziana.»
«Ma cosa dice?! Non avrà neanche quarant’anni!»
«Cinquantuno, cara. Prego, accomodati qui.» E mi indica la poltrona accanto a quella dove si è seduta. «Allora, di cosa vuoi parlarmi?»
«Ecco, volevo chiederle…»
«Ti vorrei chiedere.» Mi rimbecca.
«Giusto! Ti vorrei chiedere qualche informazione sulla tua antenata Maria D’Avenia.»
«Interessante, la sua storia è famosa. Mai nessuno, fino ad ora, mi ha chiesto qualcosa su di lei e sulla sua sfortunata vita. Le persone conoscono solo la sua vicenda e credono di sapere tutto su di lei, ma è tutto ciò che sanno.»
«Infatti…»
«Se posso chiedertelo, come mai?»
«Ecco, il suo omicidio è oggetto della mia tesi.»
«Si lo ricordo…però, mi chiedevo il perché. Non è usuale come lavoro di tesi.»
«Ne sono cosciente, però, se ti dico il motivo, prometti di non ridere?»
«Perché dovrei? Su dimmelo.»
«È solo una sensazione, ma l’omicidio della marchesa non mi ha mai convinto del tutto.»
«In che senso?»
«Che motivo avrebbero dei banditi di uccidere la contessa ed il suo presunto amante, lasciandoli poi in quel modo lì sulle scale?» Noto che abbozza un sorriso, fortuna che aveva promesso!
«Finalmente qualcuno con un po’ di buon senso!»
«Prego?»
«Diciamo che, le circostanze sulla morte della mia antenata non mi hanno mai del tutto convinto e, finalmente, qualcuno la pensa come me!»
«Credi anche tu che sia strano?»
«Quando avevo la tua età ho cominciato ad indagare anch’io sulla sua morte. Più leggevo e più mi convincevo che quell’omicidio fosse una farsa.»
«In che senso?»
«Come dici tu, sensazioni; però, non ho mai trovato una prova o un’evidenza, o forse non ne sono stata capace.»
«Ricorda ancora cosa ha consultato?»
«Sì, alcuni libri presenti nella biblioteca di famiglia. Se vuoi te li posso prestare.»
«Ne è sicura? Saranno libri di valore!»
«Non ti preoccupare, probabilmente saranno più utili nelle tue mani, piuttosto che nella libreria a prendere polvere. Però, ci sono delle condizioni.»
«Sarebbero?»
«Devi impegnarti a fondo e, quando avrai finito le tue ricerche, devi darmi un resoconto. Inoltre, voglio una copia della tua tesi. Affare fatto?»
«Affare fatto!»
«Perfetto! Aspettami qui, vado a prendere i libri.»
Fortunatamente non devo aspettare molto, la vedo tornare con tre libri non molto voluminosi. Hanno l’aria di essere molto antichi; spero di farne un degno utilizzo, viste le aspettative della contessa Francesca.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Sono
passati quasi due mesi dall’incontro con la contessa
Francesca e ancora non ho
toccato i suoi libri. Sono lì, sulla scrivania, che mi
guardano con occhi
dolci, ma mi rifiuto categoricamente di aprirli. Non che non abbia
voglia o mi
sia passata la volontà di proseguire la tesi; gli ultimi
esami che mi mancano
stanno completamente assorbendo le mie energie. Dopotutto, Metodologia
della
Ricerca archeologica, Storia Medievale e Agiografia non si studiano
mica da
sole, no? Il problema non sono gli esami in sé, ma il
professore, specialmente
quello della prima materia, Carmelo Silvio Fiorillo, e come si dice nel
mio
dipartimento: un tria nomina, una
garanzia. Avete presente il tipico professore che vi incute il terrore,
senza
saperne il perché? Ecco, lui è il prototipo! Non
parlo dell’aspetto fisico; è
un uomo che ha passato i quarant’anni, né bello,
né brutto. Il problema è
quando apre bocca: sarebbe capace di far sentire ignorante anche Dio in
persona
e, credetemi, non scherzo assolutamente. Ho visto ragazzi uscire
piangendo dal
suo studio, solo perché avevano sbagliato di un quarto di
secolo la datazione
di un manufatto ceramico; o studenti sferzati dalle sue pungenti
battute
ironiche, solo per aver sbagliato un “misero”
congiuntivo, dopo un’ora di
colloquio. Ora, capite la mia ansia? Quello non è un esame
in cui ti prepari ad
affrontare un essere umano abbastanza normale, per quanto possa essere
normale
un professore universitario; trattasi, invece, di una vera e propria
sfida di
coraggio contro un mostro terribile. Getto lo sguardo
un’ultima volta su quei
tre libri; se domani andrà tutto bene, potrò
finalmente cominciare a leggere,
se va male…spero che la mia relatrice si riveli clemente,
considerato che sarà
un ulteriore ritardo sulla tabella di marcia verso la laurea.
Tutto
sommato è andata molto meglio di quanto sperassi, un bel 25;
esame archiviato e
compleanno salvo. Eh sì, dare l’ultimo esame della
triennale il giorno in cui
si festeggia la propria nascita è il massimo; 13 febbraio
2014, l’inizio della
fine di questa lunghissima laurea di primo livello. Vorrei riposarmi
prima di
uscire stasera con Giuseppe, il mio ragazzo, ma sento il senso di colpa
allargarsi a dismisura, quando lo sguardo cade su quei libri. Devo
darmi da
fare e non solo per me; ho fatto una promessa e devo mantenerla a tutti
i
costi!
Non
ho chiuso occhio per tutta la notte e non a causa delle ore piccole.
Gli incubi
sono ritornati, più forti che mai. Sogno di essere in un
letto, di fare l’amore
con un uomo di cui non riesco a riconoscere il volto, quando
all’improvviso
vengo assalita da uno sconosciuto ed accoltellata a morte. Vedo il mio
corpo
dilaniato e poi gettato sulle scale, esposto al ludibrio di molti e al
biasimo
di pochi. Ho perso il conto di quante volte ho rivissuto questa scena;
ogni
volta che cercavo di riaddormentarmi e ci riuscivo, ecco che si
presentava
puntualmente, facendomi sobbalzare diverse volte nel cuore della notte.
Mi
guardo allo specchio, ho un aspetto orribile: le occhiaie, amiche
fedeli da
quando ho memoria, sono più vistose che mai, i capelli
completamente in
disordine, nonostante i diversi tentativi di rimetterli in riga; ma, la
parte
più impressionante è il viso: è
tangibile ogni minima traccia di stanchezza.
L’unica nota positiva è che non devo uscire di
casa, ho con me tutto il
materiale che mi serve per studiare; per leggerlo tutto ci
vorrà minimo una
settimana. Meglio che mi dia da fare, prima che qualche altra
distrazione mi
faccia perdere ulteriore tempo.
Uno
spreco di ore, ecco cosa è stato. Tutta la mattina
è stata un buco nell’acqua.
Il primo libro che mi ha dato la contessa non si è rivelato
di grande aiuto,
non ha aggiunto nessuna informazione utile a quelle che già
avevo. Mi mancano
ancora un centinaio di pagine da leggere; ma, posso dire, con quasi
assoluta
certezza, che non vi troverò nulla di buono. Lo lancio
infastidita sul letto.
Di solito non tratto così i libri, specialmente quando mi
sono stati dati in
prestito, però ho i nervi a fior di pelle a causa del tempo
perso. Vedo lo
schermo del mio telefono illuminarsi e noto una serie di notifiche.
Diamine!
Cinque chiamate perse da parte di Anna, nel giro di tre ore! Come
minimo, appena
la richiamo, vorrà farmi la pelle. Non chiama mai se non
c’è un motivo valido
e, quella sequenza di chiamate, sono un evento più unico che
raro. Mi faccio il
segno della croce e inizio a prepararmi mentalmente alla sfuriata che
seguirà.
Ma non è colpa mia se non ho sentito il telefono. Era
impostato sul silenzioso
ed appoggiato sul soffice piumone del letto; soltanto una persona con
l’udito
di un pipistrello lo avrebbe sentito, no?! Meglio che mi sbrighi a
chiamarla,
prima che il senso di colpa si allarghi a dismisura; cosa di cui non ho
assolutamente bisogno, considerato che già ne sono la
campionessa mondiale.
«È
uno sporco maiale traditore!»
«Buongiorno
anche a te, Anna!» Provo a sdrammatizzare. Non ho bisogno del
soggetto, so
perfettamente di chi stiamo parlando.
«L’ho
colto sul fatto, mentre mi tradiva con un’altra ragazza!
Capisci?!»
«Perfettamente...»
«Alla
luce del sole, in pieno giorno, in uno dei bar più rinomati
di Giovinazzo! Ma
non è stata questa la cosa peggiore!»
“E cosa può esserci di peggio?!”
Penso,
ma mi astengo dal dirlo ad alta voce. Il tono della mia amica non mi
piace per
nulla, è sull’orlo di una crisi isterica, riesco a
percepirlo anche se non sono
con lei. Intuito femminile, mi apostroferebbe Giuseppe scherzando.
«Ci
sei?»
«Certo
che ci sono! Non volevo interromperti!»
«Sai
cosa ha detto quando gli ho fatto la scenata?»
“Grave
errore, amica mia...”
Penso. Però, oramai le uova sono rotte, meglio farsi una
frittata, no?
«Che
mi ha tradita perché sono frigida! Frigida! Capisci?! Dopo
che l’ho assecondato
in ogni porcata che mi proponeva, senza alcuna esitazione!»
«Bhe,
però hai tenuto duro sul ménage...»
Mi mordo la lingua. Perché diavolo la mia bocca non tace mai
quando dovrebbe? I
misteri della fede, quelli insondabili.
«Ti
ci metti anche tu, ora? Non bastava quello stronzo?»
«Scusami,
non volevo» provo a rimediare «è stata
una battuta infelice.»
«Fa
niente, non sono arrabbiata con te.»
«Mi
ha mollato per una che ha aperto le gambe a mezza Giovinazzo!»
«E
non poteva essere altrimenti!» Lo so, non sono il massimo
della consolazione.
Ma preferisco dire le cose come stanno, piuttosto che
falsità. «Filippo può
stare solo con ragazze del genere! Non ti ha mai meritata, eri troppo
per lui!
Lo so, ora vedi tutto nero, però credimi, è stata
un’autentica fortuna.»
«Dici?»
Mi chiede con un tono supplice.
«Ne
sono convintissima...Ho un’idea! Domani mattina ci vediamo
all’università, così
studiamo insieme e chiacchieriamo un po’? Che ne
pensi?»
«Penso
che tu sia un’amica...»
«Quasi
quasi lo chiedo anche a Francesco…»
«E
ora penso che tu sia una grandissima stronza!»
La
sento ridere dall’altro capo del telefono. Tiro un sospiro di
sollievo. Non è
più una valle di lacrime, per quel grandissimo idiota e
questo, per ora, mi
basta.
«Lo
so, ma sai benissimo che ho anche dei difetti.»
«Sei
la solita cretina! Comunque, Carlotta, grazie mille! Ci vediamo domani.
Ciao.»
Chiude la chiamata senza darmi il tempo di replicare. Sa benissimo
quanto i
ringraziamenti mi mettono in imbarazzo. Infatti, sento il mio volto
andare a
fuoco.
Mi
butto di peso sul letto. La mattinata intensa e infruttuosa di studio,
associata alla telefonata di Anna, mi ha mentalmente stremato. Il mio
movimento
ha fatto aprire il libro, che avevo “delicatamente”
depositato prima sul letto.
Le pagine si muovono da sole pigramente, come se ci fosse una mano
invisibile a
sfogliarle. Non ci faccio molto caso all’inizio; poi quel
movimento comincia a
incuriosirmi e ad inquietarmi allo stesso tempo. Non sono mai stata una
“cima”
in fisica, ma quello sfogliare prima o poi dovrebbe fermarsi,
poiché non c’è
nessuna forza che compia quel lavoro, ed invece no! Non può
essere possibile,
in camera mia non ci sono spifferi ed i fantasmi non esistono, vero?
Lentamente, lungo i bordi delle pagine, comincia ad apparire una
scritta rossa.
Mi avvicino per capire che parola sia. Le pagine cominciano a girare
velocemente, quasi violentemente; vorrei dire qualcosa, ma sono
completamente
paralizzata e rapita da quello strano spettacolo. Arrivata
all’ultima pagina,
quello strano fenomeno si blocca. Una parola spicca su
quell’ultima pagina
bianca.
“Tradimento.”
Non
riesco a reprimere l’urlo che mi si è formato in
gola. Passa qualche secondo e
vedo mia madre aprire la porta.
«Cosa
diavolo succede qui?»
«Ho
sbattuto l’alluce sul piede del letto.» Mento.
Spero di essere stata abbastanza
credibile.
La
osservo mentre richiude la porta, non del tutto convinta della cavolata
che ho
detto. Quando sono sicura che sia andata via, guardo nuovamente il
libro.
Quella parola è ancora lì, quasi a farsi beffe di
me. Cosa diamine mi sta
succedendo?
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
Le
candele di sego poste sugli enormi candelabri a soffitto, assieme alle
lampade
ad olio, illuminano sufficientemente l’ampio salone. Sono
circondata da molte
persone, ai cui volti non riesco ad associare ancora un nome;
è la prima festa
a cui partecipo, da quando mi sono trasferita a Bari, dopo il mio terzo
matrimonio lampo. Sono stata fortunata a “trovare”
un uomo come Fabrizio, mi
tratta molto bene, mi rispetta, non mi fa mancare nulla;
però temo che ami più
il suo lavoro, la sua musica, i suoi madrigali, che me. Siamo sposati
da più di
tre anni e posso definirmi soddisfatta della nostra relazione
combinata, ad
alcune mie amiche è andata molto peggio, ma non riesco ad
essere felice. Mi
direbbero che sono pazza a lamentarmi di un uomo del genere. Quasi
subito dopo
la fine del mio secondo matrimonio sfortunato, fallito a causa di un
cinghiale
o per meglio dire, per colpa dell’idiozia del mio defunto
marito, il quale non
sapeva neanche tenere una spada in mano. Voleva praticare
l’arte venatoria,
lui. Risultato? Ferito a morte da quella bestia! Così impara
ad andare a
caccia, per puro divertimento e non per qualcosa di effettivamente
utile.
Gli
unici momenti che condividiamo, ormai, sono quelli che ci vedono in
viaggio per
raggiungere la corte del Re a Napoli; quando siamo a Bari riusciamo a
malapena
a incontrarci, a stento condividiamo il letto coniugale una volta a
settimana,
con difficoltà saluta nostro figlio. Ma non era tutto
così all’inizio: eravamo
così passionali, così pieni di vita ed interessi
comuni, passavamo ore intere a
discutere di musica, che invece, ora, è diventata la causa
della nostra
separazione. E dire che lo aiutavo nella stesura delle partiture! Ho
scritto
interi spartiti per lui che, tra l’altro, apprezzava ed erano
elogiati da
molti. Non ho mai preteso la maternità o la
paternità di quei brani, mi andava
benissimo che si prendesse lodi dovute al mio genio ed al mio lavoro.
Cosa è
successo tra di noi? Non me lo so spiegare ancora. Ho rinunciato a
tutti gli
eventi mondani di Bari per aiutarlo nel suo lavoro, per cosa? Per
vederlo
allontanarsi da me.
Cerco
con lo sguardo la mia accompagnatrice, la contessa Giovanna Di
Malaspina; la
vedo intenta ad intrattenere diversi uomini, vorrei essere come lei!
Vorrei
sentirmi anch’io a mio agio tra queste persone che non
conosco, invece i miei
problemi personali mi impediscono di godere appieno di questa bella
serata. La
sua risata argentina giunge chiara e melodiosa alle mie orecchie, a
provocargliela è l’uomo che mi dà le
spalle. Riesco a vedere solo i suoi
riccioli biondi, ma i lineamenti del suo volto mi sono negati. Deve
essere un
tipo molto divertente, considerato il modo in cui sta facendo sorridere
la mia
amica. Evento alquanto inusuale, considerato che di solito si esprime
per
mugugni. Giungo nelle loro vicinanze, vedo quel misterioso viso e non
posso che
rimanere ammaliata da quello sguardo. Quei boccoli incorniciano
perfettamente
il suo volto volitivo. Mi sento nuda di fronte a quegli occhi azzurri,
che
sembrano scrutare la mia anima. Non riesco a non arrossire e mille
pensieri
poco casti affollano la mia mente. Bello da togliere il fiato. Un
angelo. Prima
d’ora mai nessun uomo mi aveva provocato tale sensazione, ed
è molto strano.
Penso che se restassi ancora un po’ vicino a lui rischierei
di prendere fuoco.
«Maria!»
Dice contenta la mia amica «Ti stavo per chiamare, mi hai
anticipata!»
Come
sempre l’etichetta non è mai stato il suo forte,
ma ciò che mi piace di lei è
proprio questo: l’essere costantemente fuori dagli schemi,
che questa società
ha imposto a noi donne. Non ha paura di parlare alla pari con gli
uomini; non
si è mai fatta piegare dalla volontà dei suoi
genitori, nel dover sposare un
determinato uomo per esigenze familiari. Uno spirito libero, una
persona
determinata, che non ha mai avuto paura nel mostrare chi è
veramente. Un po’ la
invidio, vorrei essere tanto come lei, ma non ne ho la forza. Se
l’avessi avuta
non mi ritroverei incatenata nuovamente in un matrimonio senza amore.
«Non
vi volevo disturbare, stavate così amabilmente
discutendo...»
«Duchessa
Maria, lei non disturberebbe neanche se ci mettesse tutto
l’impegno di questo
mondo.»
Sono
sicura di essere andata a fuoco; non tanto per il complimento che mi ha
rivolto, quanto per il suono melodioso della sua voce. Bellezza,
galanteria e
musicalità, tutte caratteristiche riunite in una sola persona.
È
un
angelo, ora ne sono del tutto sicura. Non posso non rimanere ammaliata
da
quest’uomo affascinante e, per ora, misterioso.
«Conosce
il mio nome, ma io non il suo...»
«Che
imperdonabile mancanza di rispetto ho commesso nei suoi confronti,
duchessa.
Sono il marchese Carlo d’Avalos. Spero possiate perdonare la
mia
maleducazione.»
«Non
si preoccupi marchese, stavo scherzando! Come potrei prendermela con un
uomo
che è stato così galante nei miei confronti! E
poi, per una cosa di così poco
conto!»
«Lei
è troppo buona, contessa. Mi farebbe l’onore di
essere la mia compagna, alla
rappresentazione dello spettacolo, che avrà luogo a
breve?»
«Ci
sarei anche io qui!»
«Mi
scusi contessa Di Malaspina, non volevo mancarle di rispetto.»
«Non
si preoccupi Carlo. In realtà, non ho la minima voglia di
assistere alla
rappresentazione teatrale, che vede protagonista il principe De Bellis;
è un
pessimo attore, anzi, un cane.»
Non
posso fare a meno di ridere. Quella donna è fin troppo
spontanea quando parla;
dovrebbe imparare a contare fino a dieci, altrimenti, prima o poi, si
ritroverà
in qualche guaio.
«Sei
una pessima amica, sai? Mi vuoi lasciare da sola tra questi
sconosciuti!»
«Ma
se hai appena trovato un cavaliere! Sono sicura che il Marchese
D’Avalos sarà
all’altezza del ruolo. Vero?»
«Assolutamente,
ne va del mio onore!»
«Visto?
Sei una donna fortunata! Ora vado a farmi notare dalla principessa,
così non
potrà dire nulla sul mio conto. A presto, cari.»
Giovanna
ha fatto una scelta senza dubbio lungimirante. Aveva ragione su tutta
la linea,
il principe De Bellis è un autentico cane! Ma,
ahimè, non è questa la cosa
peggiore. A qualsiasi latitudine, le rappresentazioni teatrali messe in
scena
in casa, finiscono sempre allo stesso modo: con qualcuno che vomita il
vino
bevuto in eccesso, dietro ad un paravento! Devo ammettere che, chiunque
sia a
rimettere, abbia la capacità di attirare
l’attenzione molto più di chi sta su
quel palco improvvisato. Mi guardo intorno, potrei andarmene senza che
nessuno
se ne accorga, ma ho un po’ di timore. È
abbastanza buio e molti degli invitati
stanno dormendo beatamente sulle sedie, disposte nell’ampio
salone. Solo due
paia di occhi azzurri mi scrutano.
«Vuole
fuggire anche lei da questo strazio, contessa Maria?»
«Si,
ma non saprei dove andare.»
«Mi
segua.»
«E
se il principe dovesse accorgersene?» Chiedo titubante. Lo
vedo scrutare il
palcoscenico con aria assorta.
«No,
è troppo preso dalla sua arte per accorgersi di
noi.»
«Ne
è sicuro?»
«Abbastanza,
però…»
«Però?»
«La
scena è quasi al termine e, a breve, inizierà
l’inframezzo musicale. Potremmo
approfittare di quel momento. Cosa ne pensa?»
«Credo
sia un’ottima idea.»
Carlo
ha avuto ragione. Oddio, ora lo chiamo anche per nome!
L’inframezzo musicale ha
coperto la nostra fuga. Inoltre, mi ha condotto
attraverso stanze e corridoi dell’enorme villa,
di cui neanche conoscevo
l’esistenza. La sua mano calda mi fa sentire sicura, ma allo
stesso tempo
scombussolata. Può, un semplice contatto fisico, causare
tante emozioni
contrastanti tra loro? Evidentemente sì! Gli strattono un
po’ il braccio.
Questo vestito ingombrante, associato al busto che sono costretta ad
indossare,
mi fanno respirare a fatica. Sembra intuire la natura della mia
richiesta;
rallenta il passo fino a fermarsi.
«Mi
perdoni contessa. Il mio incedere era troppo veloce, vero?»
«Non
è colpa tua Carlo.» Ecco, ora gli ho dato anche
del tu, oltre che chiamarlo per
nome. La mancanza d’aria sta giocando brutti scherzi!
«Posso
darle anch’io del tu?»
Mi
guarda intensamente e non posso che rimanere estasiata e allo stesso
tempo
imprigionata in quegli occhi azzurri.
«Certo.»
Balbetto. È decisamente per la mancanza d’aria che
gli ho permesso di comportarsi
in modo simile, non perché ho il cervello completamente fuso!
«Mi
onori, Maria.»
Quel
tono basso e profondo, con cui pronuncia il mio nome, mi fa
rabbrividire di
piacere. Siamo nel bel mezzo del giardino della villa del principe;
nascosti
alla vista di eventuali visitatori inopportuni, grazie
all’alta siepe che
recinta quel paradiso floreale. Inoltre, a causa della luna nuova, la
visibilità è molto ridotta. Sento le sue mani
risalire lungo la mia schiena.
Lentamente, si infilano tra i miei lunghi capelli castani. Sento il suo
corpo
sempre più vicino al mio. So che tutto questo è
sbagliato, ma non riesco a
staccarmi da lui. Sono come una falena attorno alla fiamma d'una
candela: posso
bruciarmi, prendere fuoco, ma ne sono inesorabilmente attratta. Vedo la
sua
bocca carnosa ed invitante sempre più vicina alla mia,
avverto il suo respiro
sulla mia pelle e non posso fare a meno di gemere. La mia testa diventa
sempre
più leggera; il suo sguardo occupa tutta la mia visuale, i
suoi occhi
incantevoli sono leggermente socchiusi. Sento le sue labbra sulle mie
e…
Il
rumore della sveglia mi fa sobbalzare all’improvviso dal
letto. Maledizione!
Una volta tanto che stavo facendo un sogno così piacevole,
anche se molto
strano. Sembrava molto reale, per essere un prodotto del cervello
durante il
riposo. Guardo la sveglia, segna le 7.00 del mattino; ne approfitto per
andare
in bagno, prima che si sveglino tutti.
Una
bella doccia, a prima mattina, è proprio ciò che
serve per riprendersi
completamente, oltre a far apparire il mondo un posto, decisamente,
migliore.
Con il palmo della mano destra tolgo il leggero strato di vapore, che
si è
posato sul vetro sopra il lavabo. Sobbalzo. Una donna vestita con abiti
eleganti seicenteschi, dai lunghi capelli castani e dai begli occhi
verdi mi
sorride allo specchio. I suoi candidi denti bianchi sono messi in
mostra da
quel sorriso sereno. Il suo volto è di una bellezza
disarmante, tutto è
perfetto: dal naso piccolo leggermente all’insù,
ai suoi zigomi alti. È
identica alla protagonista del mio sogno. Mi giro inquieta, ma non vedo
nessuno
alle mie spalle. Mi volto nuovamente verso lo specchio; lei
è ancora lì, ma
qualcosa è cambiato nel suo sguardo. Il sorriso è
sparito, lasciando il posto
ad un’espressione dolorosa. Vedo un rivolo di sangue uscire
da quella bocca
piccola e carnosa, successivamente lacrime di sangue sgorgano dai suoi
occhi.
La pelle lentamente inizia a staccarsi, mettendo a nudo il teschio. Sul
vetro
comincia ad apparire una scritta: “Cercami.”
Urlo.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Una
volta tanto, ringrazio i costanti ritardi della compagnia ferroviaria
che sono
costretta a prendere. Sono ferma allo scambio ferroviario di Triggiano
da più
di dieci minuti, in attesa della fantomatica coincidenza, che
chissà quando
arriverà. Poggio la testa contro il freddo vetro del
finestrino, in cerca di
ristoro. Più penso a quello che ho visto questa mattina in
bagno e più il mio
cervello si lancia verso ragionamenti astrusi e folli. Il problema
è che non
può esserci una spiegazione logica a quello che mi
è accaduto, perché sono
sicura che quella visione era reale. Ok,
normalmente sarei la prima a dire che
i fantasmi non esistono, sono soltanto una proiezione della nostra
psiche, di
ciò che vogliamo vedere e via discorrendo; ma, chi vorrebbe
vedere una
nobildonna del Seicento, alla quale il viso si decompone? Nessuno! Ma
la cosa
peggiore è stata trovare una scusa plausibile da dare alla
mia famiglia, per
quell’urlo disumano che ho emesso a prima mattina. Sono
scivolata uscendo dalla
doccia, che cavolata! Infatti, non se la sono bevuta, mi hanno lasciata
in pace
solo perché sapevano che avevo un impegno a Bari, oltre al
fatto che sono molto
irritabile prima della solita tazza di caffè mattutina. Il
treno ha finalmente
ripreso la sua corsa verso la mia meta. Mi specchio al vetro, ho un
aspetto
alquanto trasandato, onestamente non m’importa più
di tanto. Vorrei soltanto
capire cosa ultimamente mi stia accadendo, perché mi sembra
che abbia perso il
controllo degli eventi della mia vita. Probabilmente ho solo bisogno di
riposare, ma non me lo posso permettere. Siamo quasi a fine febbraio ed
ho
scritto pochissimo, ma non è quella la cosa che mi preoccupa
di più. Ciò che mi
fa andare in ansia è il materiale che ho trovato, veramente
poca roba; nulla di
interessante o di nuovo, rispetto a quanto è stato
già edito in passato.
Anna
mi sta già aspettando vicino al bar, che è
situato nei pressi della sede
distaccata di Bari vecchia; anche il suo aspetto non è dei
migliori. Ha delle
occhiaie vistose ed i capelli non sono in perfetto ordine, come al
solito;
inoltre, sembra che abbia preso degli indumenti a casaccio
dall’armadio e li
abbia indossati; diciamo che il suo aspetto ricorda vagamente i quadri
di
Pollock e, se per caso ve lo state chiedendo, no, non è
affatto un complimento,
almeno da parte mia. Personalmente non mi sarei
mai ridotta in quello stato,
per quella sottospecie di essere vivente. Spero che passi il
più presto
possibile questa fase; non se lo merita per nulla, non per Filippo, che
l’ha
solo usata per i suoi porci comodi.
«Ciao,
Anna. Ti sei svegliata di soprassalto oggi?»
«Divertente,
Miss Chipmounk. Ti sei vista allo specchio per caso?»
Roteo
gli occhi al cielo, odio quel nomignolo con tutta me stessa, ma ho la
mia dose
di colpe. Dopotutto ho iniziato io a “sfottere”. Se
per caso vi state chiedendo
da dove derivi quel soprannome, bhe, è tutta colpa del mio
primissimo scavo,
effettuato presso il parco archeologico di Egnazia.
Quel simpaticone, ma
competente, del supervisore ebbe la felice idea di soprannominarmi
così dal
primo giorno di tirocinio e da allora non me lo sono più
levato di dosso.
«Touché,
Anna. Hai ragione, ho un aspetto orribile anche io. Guardiamo
il lato positivo!
Conciate in questo modo nessun ragazzo si vorrà
avvicinare!»
«Data
la mia ultima esperienza, non voglio sentire parlare di ragazzi almeno
per un
paio d’anni!»
«Sei
la solita esagerata! Semplicemente, come ti ho sempre detto, Filippo
non era
innamorato di te. Anzi, era interessato solo
alla tua abbondante quarta coppa
D.»
«Grazie
per rigirare sempre il coltello nella piaga, Chipmounk.»
«Lo
sai che a consolare sono la migliore. Andiamo a bar?»
La
colazione è andata molto meglio di quanto credessi; non
pensate a male, ho
mangiato solo un cornetto, integrale ovviamente, e un cappuccino. Dopo
la
sfuriata di ieri al telefono mi aspettavo la mia amica a pezzi, invece
l’ho
trovata lucida e risoluta nell’analizzare la sua situazione
sentimentale. Non
sono una persona che nutre molta fiducia nel genere umano, considerato
che
reitera i soliti errori da quando esiste ma, nel caso di Anna, sento di
poter
fare un’eccezione! Credo, che abbia veramente imparato la
lezione. Mai
sminuirsi o farsi sottomettere per nessuna ragione al mondo, ma trovare
una
persona che ci ami così come siamo, con cui condividere un
percorso di
crescita. Ora spero solo che Francesco si dia una mossa, o giuro che lo
spingo
tra le braccia della mia amica a suon di calci nel sedere!
Anche
la mattinata di studio si è rivelata utile. Se il primo
libro dato dalla Contessa
Francesca si è rivelato del tutto inutile, il secondo,
invece, è stato alquanto
ricco di sorprese. Interessante è stata la teoria avanzata
da alcuni studiosi,
secondo i quali sarebbe Maria la vera artefice della fortuna del terzo
marito:
Fabrizio. Alcuni esperti di musica rinascimentale hanno analizzato la
produzione musicale, del signore di Troia, prima e dopo il suo
matrimonio con
Maria ed hanno notato un enorme balzo in avanti nella
qualità della sua
composizione dopo questo evento. Questo dato non sarebbe risultato
strano se
non fosse che, dopo la morte della moglie, la musica del marchese si
è
attestata nuovamente su livelli mediocri. Questo sfasamento ha portato
i vari
studiosi ad avanzare l’ipotesi secondo la quale, in
realtà, fosse Maria la vera
autrice delle varie partiture e non Fabrizio; non essendo mai riusciti
a
trovare un singolo documento firmato da lei, per quanto affascinante e
dotata
di una certa logica, questa teoria, è rimasta sempre e solo
tale. Questo sì che
è un risvolto abbastanza interessante per i miei studi. La
Teodosi aveva
proprio ragione: “Non
sai mai dove una ricerca ti potrà condurre!”
è proprio
vero. Ma, se questa notizia è stata molto interessante,
quella che ho letto
successivamente mi ha fatto rimanere ancora più di stucco.
Subito dopo la morte
della Duchessa, per ordine regio, sono state sequestrate tutte le sue
corrispondenze epistolari e, nel corso del tempo, la casata Del Ginepro
ha
acquisito tutti i documenti scritti o che nominavano Maria
D’Avenia. Una volta
acquisiti tutti, nessuno è stato più in grado di
visionarli. Anche i
discendenti, nonostante fossero passati anni dall’omicidio
irrisolto, non hanno
permesso che fossero esaminati. L’ultima discendente dei Del
Ginepro è morta
nel 1829, dopo un parto alquanto difficile; si era sposata qualche anno
prima
con Domenico De Gemmis, giovane rampollo di una famiglia nobile
terlizzese, in
ascesa proprio in quegli anni. Grazie
a
questo matrimonio, tutte le proprietà dei Del Ginepro
passarono ai De Gemmis.
Nel 1960, per opera della generosa iniziativa di Gennaro De Gemmis,
venne
fondata la “Biblioteca Provinciale di Bari”, che
oggi porta il nome del
benefattore. Alla fondazione contribuì con denaro e donando
il suo intero
patrimonio librario. Non ho potuto far a meno di sobbalzare dalla
sedia.
Incredibile! Tutto quello di cui ho bisogno è letteralmente
a pochi passi da
me. La biblioteca de Gemmis è praticamente alle spalle della
sede distaccata
dell’università! Non so se esultare per il mio
colpo di fortuna o per il fatto
che, dopo molti decenni, potrei essere la prima persona a leggere gli
incartamenti della Duchessa.
Continuerei
molto volentieri nella mia lettura, ma il tamburellare nervoso di
alcune dita,
sul piano di legno della scrivania, mi deconcentra. Alzo
lo sguardo e trovo
l’espressione cupa di Anna.
«Allora
stakanovista, ti decidi a fare una pausa pranzo di tua spontanea
volontà o ti
devo trascinare di peso?»
«Ho
scelta?»
«L’hai
mai quando si tratta di pause o cibo?»
«No.»
«Esattamente!
Chiudi tutti i tuoi amati libri e andiamo a mangiare, ho
una fame pazzesca.»
Quella
ragazza è una cosa assurda, anzi, improbabile come direbbe
Sheldon Cooper;
mangia come se non ci fosse un domani e non ingrassa. Vorrei sapere
dove
finiscono tutte le calorie che ingurgita; mi basta guardarla di profilo
per
intuire quale sia la loro destinazione: le sue tette. Mi alzo di
malavoglia
prima che l’invidia mi spinga a fare qualcosa di avventato,
come scagliarle
questo vecchio libro su quella graziosa chioma biondo cenere; e anche
oggi
inizio la dieta domani.
Io
ho qualche rotella fuori posto, non può esserci altra
spiegazione logica o
razionale! E dire che il pranzo stava scivolando via molto
allegramente, grazie
alla ritrovata verve di Anna. Tutto questo finché non ho
cominciato a notare
qualcosa di strano. Insomma, non è proprio normale vedere
una dama del
Seicento, vestita di tutto punto, nel locale dove si sta pranzando.
All’inizio
avevo pensato ad uno scherzo, poi mi sono accorta che non era affatto
così. La
donna in questione era identica a quella del mio sogno, anzi incubo, ed
era lì
che mi fissava, mentre mangiavo, con aria assente. Ho dovuto faticare,
e non
poco, per mantenere l’autocontrollo, altrimenti avrei
cominciato ad urlare come
un’ossessa; cosa che ultimamente sta diventando
un’abitudine, purtroppo. Ha
continuato a guardarmi fin quando non sono uscita dal locale con Anna,
poi è
sparita all’improvviso. Non so più cosa pensare;
più ci rimugino su e più non
riesco a trovare una soluzione logica. Forse è meglio che mi
rimetta a
studiare, magari occupare la mente mi distrarrà da questi
oscuri pensieri.
Riprendo dal punto in cui mi ero interrotta e noto subito
qualcosa di strano.
Su ambo le pagine a cui avevo apposto il segnalibro ci sono delle
parole
cerchiate in rosso; inizio a leggerle e mi si gela il sangue nelle vene.
“Ti
ho scelta come mia erede. Scoprirai la
vera storia di Maria D’Avenia.”
Mi
precipito fuori dalla biblioteca, noncurante degli sguardi straniti
delle
persone lí presenti. All’improvviso quel posto a
me tanto caro, è diventato
ostile. Ho bisogno di una boccata di ossigeno. Subito!
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
Ormai
sono
settimane che guardo sempre accigliata la tazza del caffè di
prima mattina. No,
non ho mai sofferto di quel comune disturbo per il quale non si
può parlare ad
una persona, prima che abbia bevuto la bevanda magica, che fa sembrare
il posto
un mondo migliore. Fortunatamente, le mie capacità cognitive
sono subito
attive, non appena mi sveglio. Però, ultimamente, non sembra
essere affatto
così. Sono rare le notti in cui riesco a dormire
serenamente, ormai gli incubi
sono diventati un costante tormento, ogni qualvolta mi addormento. I
sogni
piacevoli sono diventati una rarità, come quello che ho
fatto qualche giorno
fa, di cui ricordo veramente pochissimo; l’unica cosa sicura
è che mi ha
lasciato addosso una sensazione piacevole.
È
una settimana
che non vado all’università. Dopo quella specie di
attacco di panico che ho
avuto, non me la sono sentita più di ritornarci. Credo che
con quella fuga
precipitosa mi sia giocata la mia scarsissima credibilità. A
mia discolpa,
posso dire che in quel momento il mio cervello è andato nel
panico totale;
dopotutto, chi non andrebbe in crisi in quel modo, dopo aver letto una
scritta
del genere? Ma non
è questo l’aspetto
peggiore. La mancanza di sonno sta giocando dei brutti scherzi al mio
umore, che
sta diventando molto ballerino. Non di rado mi capita di avere degli
scatti
d’ira per degli episodi veramente insulsi; situazioni su cui,
fino a qualche
settimana fa, neanche ci avrei fatto caso. Ieri sera ho fatto una
scenata a dir
poco assurda a Giuseppe, perché era venuto
all’appuntamento con soli due minuti
di ritardo. Devo chiedergli scusa immediatamente, non meritava di
essere
trattato in quel modo. Anche in famiglia le cose non vanno meglio,
ugualmente
subiscono i miei costanti sbalzi d’umore. Infatti, sono
diversi giorni che mi
riservano sguardi a dir poco inquietanti. Devo fare ammenda con
parecchie
persone. Non sono così, non lo sono mai stata! Ultimamente
queste visioni sia
oniriche, che ad occhi aperti, mi stanno mandando fuori di testa.
Forse, dovrei
chiedere l’aiuto di un professionista. Magari mi aiuterebbe a
capire cosa mi
sta succedendo, ma ci voglio pensare bene, magari è solo un
momento dovuto al
forte stress a cui mi sto sottoponendo.
«Se
continui a
girare il cucchiaino nella tazzina, rischi di
bucarla…»
La
voce di mio
fratello mi ridesta dai miei pensieri. Mi guarda con aria leggermente
preoccupata, il che è una novità assoluta.
«Come?!»
«È
da cinque
minuti buoni che stai rigirando il caffè con aria assente.
Mi vuoi dire cosa ti
sta succedendo?»
Mi
mordo il
labbro inferiore con i denti, fino a farlo quasi sanguinare. Cosa posso
rispondergli? Non so neanche io cosa mi sta accadendo di preciso. Devo
dirgli
che sogno di venire uccisa brutalmente, quasi ogni notte? Che
all’improvviso
appaiono delle scritte, alquanto strane, sui libri che consulto per la
tesi? Che ho visto
una donna in abiti
seicenteschi nel riflesso del vetro del bagno e poi per strada? Non
riesco a
capacitarmene io, figuriamoci se riesco a dirlo?! Sicuramente mi
prenderebbe
per pazza! Ed avrebbe anche ragione!
«Niente
Nico,
sono solo stressata e sai benissimo come reagisco quando sono sotto
pressione…»
«Sai
che non me
la bevo questa cazzata, vero?»
«Cosa
vuoi dire?»
«Che
sei una
pessima bugiarda, lo sei sempre stata. Quando menti arrossisci
sempre.»
«Non
sto
arrossendo! Ho solo caldo.»
«Immagino
che i
sei gradi fuori per te siano una temperatura tropicale, considerato che
hai
caldo.»
«Sei
il solito
idiota! Sono solo in quei giorni lì…»
«Certo…Ascoltami,
non voglio forzarti, ma vederti così tesa e stressata mi
preoccupa un po’. Devo
preoccuparmi?»
«No,
è solo un
periodo un po’ storto e pieno di cose da fare. Dammi un
po’ di tempo e vedrai
che tornerò la solita rompiballe.»
«Lo
spero.»
«Ci
puoi
contare!»
Bene
ho fatto
preoccupare anche Nico, che di solito è quello
più imperturbabile della
famiglia. È quasi fuori dalla cucina, quando si volta
nuovamente verso di me.
«Ah,
dovresti
chiedere scusa a Giuseppe. Ieri sera le tue urla si sentivano fin
qui…e siamo
al terzo piano. Sai benissimo che se provi a lasciarlo ti disconosco
come
sorella.»
Ed
eccolo che è
ritornato il solito stronzo, ma non posso far a meno di sorridere.
Sentivo la
necessità di questo sprazzo di normalità. Seguo
immediatamente il suo
consiglio, corro subito a chiamare Giuseppe.
Parlare
con Nico,
anche se non gli ho rivelato la verità, mi ha fatto
veramente bene, oltre che
piacere. Se quel testone di un fratello mostrasse più spesso
il suo lato umano
ne sarei molto felice, ma mi accontento delle piccole vittorie.
Per
essere metà
marzo è davvero caldo. Ebbene sì, dopo diversi
giorni di clausura ho deciso di
uscire nuovamente di casa, dopotutto una tesi ha bisogno di molte
ricerche, no?
Il terzo libro che mi ha prestato la contessa Francesca si è
rivelato pieno di spunti
interessanti su cui far luce, ma sono problematiche che voglio
affrontare in un
secondo momento; ora voglio concentrarmi sul fondo De Gemmis. Dalla
biblioteca
nazionale non ho ancora ricevuto risposta: dopotutto cosa saranno mai
quasi tre
mesi di attesa, per avere un responso? Dalla biblioteca De Gemmis hanno
riposto
in giornata, appena qualche ora dopo aver inviato la mail e questo
depone molto
a loro favore. L’ingresso è sotto un arco di
pietra calcarea con volta a
crociera. Appena entrata, l’odore della carta stampata mi
investe inebriandomi.
Inspiro a pieni polmoni quel dolce profumo; è una delle
fragranze che amo di
più. Non giudicatemi male, ognuno ha i suoi gusti, i miei
sono solo un po’
strani, tutto qui. Alla reception c’è ad
attendermi una signora un po’
paffutella, dai lunghi capelli neri, intenta a parlare con un ragazzo
che
sembra avere la mia età. L’espressione che mi
rivolge è a dir poco supplice; ho
come la vaga impressione che voglia essere salvato dalla sua collega,
che lo
sta subissando di chiacchiere.
«Buongiorno,
sono
Carlotta Fiore. Ho un appuntamento con la Dottoressa Costa alle 10.00.
Sono un
po’ in anticipo, spero non sia un problema.»
«Buongiorno»,
risponde prontamente il ragazzo «non credo. Francesca, puoi
chiamare la
Dottoressa?»
Della
conversazione telefonica capisco ben poco. Parla talmente veloce, che
ci
vorrebbe un interprete per capire cosa dice. Forse riesco a intuire
perché il
ragazzo mi abbia rivolto quella muta richiesta di soccorso. La voce del
portiere mi riporta alla realtà.
«Prego,
mi segua.
La Dottoressa è al primo piano, nel suo ufficio; le faccio
strada.»
«Per
favore dammi
del tu, abbiamo la stessa età!» Gli dico mentre
saliamo le scale.
«Hai
quasi
trent’anni anche tu?»
Lo
guardo
scioccata, non può avere l’età che mi
ha detto! Non la dimostra per nulla.
«Mi
prendi in
giro.»
«Sono
serissimo,
ma stai tranquilla, non sei la prima che reagisce in questo
modo.» Mi sorride
leggermente compiaciuto. «Cosa studi?»
«Fra
qualche mese
mi laureo in Beni Culturali, poi proseguirò con
Archeologia.»
«Allora
sarai una
futura collega!»
«Come?!»
«Anche
io sono
laureato in Archeologia. Archeologo non praticante per la
precisione.»
«In
che senso?»
«Che
considero
quello dell’archeologia un capitolo chiuso della mia vita. A
quasi trent’anni
non avevo ancora voglia di avere la testa china sui libri, per
chissà quanti
altri anni. Siamo arrivati. La seconda porta a sinistra. A
dopo!»
La
dottoressa
Costa è una signora di mezz’età molto
graziosa. Non è molto alta, all’incirca
quanto me, ed ha un fisico molto asciutto. I capelli neri, che ricadono
morbidamente sulle spalle, incorniciano l’incarnato ambrato
del suo viso. Fin
dal primo momento si è dimostrata cortese, disponibile e
molto interessata alla
mia ricerca. Mi ha rivelato di essere la prima persona, di cui avesse
memoria,
che chiedeva di quella particolare sezione del fondo librario.
«Sei
la prima
dopo quattrocento anni che potrà leggere la corrispondenza
di Maria D’Avenia.»
«Davvero?»
«Certo!
Anche la
famiglia De Gemmis ha continuato a negare l’accesso a quegli
incartamenti. Ma,
avendoci donato tutta la loro collezione libraria negli anni Sessanta,
possiamo
disporne come meglio crediamo.»
«È
una notizia
fantastica! Quando posso cominciare le ricerche?»
«Da
subito.
Vieni, ti accompagno nella sala in cui è custodito il fondo.
Non ti verrà a
disturbare nessuno, è una stanza riservata alla
ricerca.»
I
tre faldoni
presenti sul tavolo superano di gran lunga le mie aspettative:
traboccano di
documenti! Ogni folio è conservato in una speciale
cartellina trasparente, in
modo tale da poter visionare, senza nessuna difficoltà, il
contenuto.
«Tutti
questi
documenti sono stati digitalizzati, in modo tale che nessuno tocchi
direttamente con mano gli originali. Ogni cartellina ha un proprio
codice: è sufficiente
inserirlo nel database sul pc, collocato su questa scrivania, per poter
accedere alla copia digitale. Ti lascio i faldoni, in modo tale da
poter avere
un riferimento cronologico: tutta la documentazione è in
ordine temporale.
Ovviamente, non devi mai sfilare i documenti dalle loro cartelline,
intesi?»
«Certo!
Non si
preoccupi! Se avessi la necessità di stampare qualche
documento?»
«Puoi
farlo
tranquillamente. Potrai prendere i documenti stampati dalla
fotocopiatrice alle
nostre spalle. Direi che è tutto. Se hai bisogno del mio
aiuto digita
venticinque sul telefono qui presente. È il mio interno. A
dopo!»
«Grazie
mille
dottoressa, a dopo!»
Sono
ore che
leggo senza sosta tutta la documentazione che mi capita sotto mano. Gli
occhi
iniziano a bruciare, ma non riesco a staccarmi dallo schermo; le
notizie che
sto leggendo sono davvero incredibili. Nessun libro che ho consultato
fino ad
ora si era avvicinato a quanto scritto qui dentro, solo quelli che mi
ha
affidato la contessa sono leggermente paragonabili a quanto trovato.
Devo
trattenermi dallo stampare tutto il materiale o rischio seriamente di
finire
tutta la risma di carta presente nel vassoio della fotocopiatrice.
Guardo
l’orologio e impallidisco: le 14.30 ed ho il treno alle
15.08. Praticamente ho
a malapena il tempo di chiudere tutto e precipitarmi in stazione,
considerato
che sono venti minuti di camminata.
Prendo
i fogli
dal cassetto e comincio a sfogliarli velocemente, per controllare che
tutte le
stampe siano venute correttamente. Sono quasi a metà quando
noto qualcosa di
strano. Un’immagine. Sono sicura di non aver stampato nulla
del genere. Guardo
meglio il foglio ed impallidisco. Sulla pagina è raffigurato
il volto della
donna che ho visto nello specchio del bagno di casa, che mi fa
l’occhiolino.
Sento
le forze
venire meno.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
Sono riuscita a prendere il treno per il rotto della cuffia. Ho ancora il cuore che batte a mille, nonostante sia seduta da oltre dieci minuti sul sedile del mezzo. I fantasmi non esistono, i fantasmi non esistono! Eppure io ne vedo uno e fa tiri mancini non indifferenti! Ok, Carlotta, ripeti: i fantasmi non esistono, finché non ti convinci di questo assioma.
Poggio la testa contro il vetro del finestrino, i tiepidi raggi solari di marzo lo rendono piacevolmente caldo al tatto. Chiudo gli occhi e continuo a ripetere mentalmente quel mantra, fino allo sfinimento. Cosa mi sta succedendo? Quello che vedo, quello che mi accade, non può essere descritto come un fenomeno naturale. Non credo di avere qualche malattia che mi provochi allucinazioni. Mi sento fisicamente bene; certo, mentalmente un po’ meno, ma non credo che lo stress da studio alteri la percezione della realtà! Eppure quelle scritte, quelle immagini, quelle visioni, non posso essermele inventate di sana pianta, che motivo avrei? Forse dovrei parlarne con qualcuno, ma ho paura. Nel migliore dei casi sarei fraintesa, nel peggiore riterrebbero un TSO indispensabile e non credo di essere così fuori di testa da meritare di finire rinchiusa in qualche istituto psichiatrico. Però, se chiedessi aiuto ad uno specialista, magari potrebbe trovare una spiegazione logica a quello che mi sta accadendo. Forse sono più stressata di quello che penso, o magari ci sono delle situazioni che ritengo marginali, che in realtà stanno incidendo sulla mia psiche, facendomi vedere e pensare cose assurde. Probabilmente sarà così, non può esserci altra spiegazione razionale a questi fenomeni. Domani mattina mi metterò alla ricerca e poi mi toccherà affrontare mia madre. Dovrò usare tutta la diplomazia di questo mondo, per farle capire che non c’è nulla di male nel chiedere un aiuto psicologico; ma si sa, a volte è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.
Un lieve tocco sulla spalla destra mi fa leggermente sobbalzare, distraendomi dai miei pensieri. Noto con sorpresa che è il mio amico Daniele.
«Dani, ma cosa ci fai su questo treno? Hai cambiato paese e non me lo hai detto?»
«Buongiorno anche a te Carlotta, noto che la tua memoria continua ad essere il tuo punto forte!»
Lo guardo un attimo spaesata. Il suo ghigno divertito si allarga sempre più sul suo volto, mettendo in mostra i suoi candidi denti bianchi. Poi un’illuminazione!
«Azetium!»
«Ci sei finalmente arrivata, Miss Chipmounk!»
Roteo gli occhi, oggi decisamente è la mia giornata no. Prima Anna con questo nomignolo, poi il fantasma simpaticone che decide di farmi visita attraverso una stampante e poi Dani, nuovamente, con questo soprannome. Ho per caso pestato i piedi a qualche divinità, senza che me ne sia accorta? È l’unica spiegazione logica a questo periodo alquanto contorto!
«Ho un appuntamento con la direttrice del Museo archeologico di Rutigliano alle 16.00. Te lo avevo detto qualche giorno fa, quando ti ho chiesto dove si trovasse e come arrivarci dalla stazione. Ricordi?»
Noto che assume un’espressione mista tra il disperato e il divertito. Probabilmente, mi si legge in faccia che non abbia la più pallida idea di cosa mi stia dicendo.
«Buon dio, sei veramente un caso disperato di memoria a brevissimo termine inesistente. Un giorno di questi riuscirai anche a dimenticarti la testa.»
«Sei il solito stronzo!» E inizio a ridere. «Scusami se non riesco a tenere a mente tutti i tuoi impegni. Però, ti ricordo, che la segretaria va pagata per essere efficiente.»
«Ma io ti pagherò, appena avrò un lavoro, ovvero tra venti o trent’anni, considerata la bassa percentuale di occupati per il nostro ramo di studi e il precariato dilagante.»
«L’ottimismo è il profumo della vita…»
«Sono realista, lo sai benissimo.»
«Se per realista intendi il superlativo assoluto di disilluso.»
«Oh, a quanto vedo, qualcuno apprezza i miei aforismi.»
«I tuoi aforismi, certo come no!? Che hai biecamente copiato dal forum di Spinoza.»
«Sottigliezze, ciò che conta è che lo abbia eletto a mio personalissimo motto di vita.»
«Te lo ha mai detto nessuno che non stai bene di testa?»
«In molti, tu in primis. Ma ormai ho accettato questo mio modo di essere, tant’è vero che quando mi presento alle persone dico: “Piacere, sono Daniele e sono mentalmente deviato!”»
Non posso che scoppiare a ridere. Dani è un pazzo, ma di quelli buoni. Nonostante finga di essere una persona cinica e sprezzante, ha un cuore d’oro; oltre ad avere una mente brillante, considerato che ha una media del trenta e all’attivo già diversi scavi. Se dovessi puntare su qualcuno come futuro professore universitario, bhe, punterei tutto su di lui!
«Dici che questo macinino ce la farà ad arrivare a Rutigliano?»
«Abbi fede, arriverai alla tua meta. Ci impiegherai il doppio del tempo normale, ma arriverai a destinazione.»
«Come va con la tesi? Hai fatto progressi rispetto all’ultima volta?»
«Non ci crederai, ma ho fatto una scoperta interessantissima. Era Maria D’Avenia la compositrice di casa!»
«Davvero?! Fedifraga e di talento, interessante.»
«Ehi, non ti permetto di parlare male della persona oggetto dei miei studi. Se il marito fosse stato più presente, probabilmente non avrebbe ricercato attenzioni altrove.»
«Giusto! Hai ragione. Quindi Maria componeva musica per il marito…la Teodosi sarà entusiasta di questa scoperta.»
«Già…»
«Dai su, dimmi cosa ti preoccupa. Le persone normali esulterebbero per il risultato che hai ottenuto, ma tu no. Perché?»
«Non ho fatto passi avanti riguardo il suo misterioso omicidio.»
«Dici? A me non sembra.»
«In che senso?»
«Hai un possibile movente tra le mani: il marito geloso del suo talento…»
«Lo aiutava volentieri, lo dice anche nelle sue lettere!»
«In quelle che hai letto fino ad ora, le hai lette tutte?»
«No, ci vorranno giorni.»
«Allora segui un mio consiglio, una volta tanto: domani contatta la tua relatrice per fissare un incontro, nel frattempo leggi più missive che puoi. Secondo me qualcosa d’interessante, più di quello che hai trovato, salterà fuori.»
«Dici?»
«Dico! A proposito di fedifraghi, come sta Anna? Mi ha accennato di aver finalmente mollato quel buono a nulla di Filippo, ma non ho avuto modo di approfondire l’argomento, ho avuto giorni pieni…»
«Se devo essere sincera mi ha sorpresa. Sta reagendo molto bene alla rottura, mi ha detto che ha chiuso tutti i ponti con l’Innominabile. Questa volta fa sul serio!»
«Sicura?»
«Sicurissima. A proposito…»
«Guai in vista! Quel ghigno malefico sul tuo volto non mi piace affatto!»
«Tu che sei molto vicino a Francesco…puoi far arrivare “casualmente” alle sue orecchie la notizia che una nostra amica in comune si sia lasciata; che finalmente è diventata libera, come l’aria.»
«Fammi capire, a Francesco interessa Anna?!»
«E viceversa.»
«Stai scherzando, vero?»
«Non mi dire che non ti sei mai accorto degli sguardi che si lanciano o delle battutine a doppio senso!?»
«No. Decisamente no…»
«Ma quando Dio distribuiva l’empatia, per caso, eri in fila al bagno?»
«Sono empaticamente incapace, dovresti saperlo!»
«Non so come Veronica faccia a sopportarti, da quasi un lustro…»
«Non a caso l’ho soprannominata “la martire”, no?»
«Devi farti vedere da uno bravo! Comunque, puoi o no?»
«Certo che posso! Domani lo vedo, farò ricorso a tutta la mia nonchalance quando gli comunicherò la notizia.»
«Immagino lo sforzo…»
«Comunque, salutami i tuoi.»
«Come?»
«Siamo a Noicattaro, il tuo paese, sei arrivata a destinazione, no?»
«Oddio, non me ne ero accorta. Grazie di tutto, Dani.»
«Non c’è di che, poi fammi sapere se ho ragione sulla tesi.»
«Ci puoi giurare!»
Parlare con Daniele mi ha fatto bene. È come se mi avesse tranquillizzata in qualche modo. Dovrei distrarmi più spesso; ultimamente non faccio che pensare alle tesi e a Maria D’Avenia, senza tenere conto degli strani fenomeni che mi accadono. Forse, anziché ricercare il numero di qualche psicologo, dovrei prendermi qualche giorno di vacanza dallo studio, con buona pace dei giorni che passano.
Finalmente sono a casa, dopo quasi dieci ore che sono fuori. Appena entrata guardo intorno e mi accorgo che qualcosa non va. Dal soffitto pendono degli elaborati candelabri in ottone, ricolmi di candele accese; proseguendo lungo il corridoio, noto che l’arredo non è il solito, mi sembra di essere stata catapultata in una casa del seicento. Dal riflesso dello specchio vedo che anche i miei abiti sono in linea con il periodo del mobilio. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, ma prima che possa reagire, sento chiamarmi da una melodiosa voce maschile.
«Maria, sei finalmente arrivata, ti stavo aspettando con trepidazione!»
Provo a replicare, ma sento il respiro farsi più corto. All’improvviso inizio a vedere tutto bianco, le energie mi vengono meno.
Poi, il nulla.
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