The Trial di _Gin___ (/viewuser.php?uid=1169439)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.”
Ho divorato la saga dell’Attraversaspecchi durante la quarantena e questa storia nasce dal finale del secondo libro (che è in assoluto il mio preferito): mi sono sempre chiesta cosa sarebbe successo se Thorn avesse aspettato il ritorno di Ofelia in prigione anziché scappare.
Adoro particolarmente Thorn e spero quindi di rendergli giustizia (anche se è così difficile da scrivere!)
La storia è abbastanza ben delineata nella mia testa e sarà lunga almeno 5-6 capitoli, cercherò di pubblicare abbastanza regolarmente ma dipenderà anche da quanto sono presa dal lavoro.
Ho letto i libri principalmente in inglese e francese, quindi se notate errori in qualche nome ditemelo e provvederò a rimediare! Non è la prima volta che scrivo una storia su questo universo ma è la prima volta che lo faccio qui, quindi sono curiosa di sentire cosa ne pensate. Commenti, consigli e critiche sono sempre super apprezzati.
Spero vi piaccia,
S.
CAPITOLO 1
“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.
Ofelia fremeva mentre i gendarmi aprivano lentamente la porta dorata della cella di Thorn. Sperava che lui l’avesse ascoltata e non avesse compiuto alcun gesto sconsiderato. Era sicura che avesse scaricato la pistola addosso al Mille Facce, ma nella stanza erano rimasti fin troppi oggetti che avrebbe potuto utilizzare. Inoltre, aveva già perso grandi quantità di sangue e la gamba sembrava essere in condizioni terribili. E se avesse sottovalutato le sue condizioni? Era in pericolo di vita? Temeva di non ritrovarlo nella cella. Aveva escogitato un piano per fuggire? Era possibile uscire da quella cella senza farsi notare?
Ma quando finalmente la porta si aprì e Ofelia entrò nella cella al fianco di Faruk, con tutto il corteo al seguito, Thorn era ancora seduto a terra, la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi. L’acqua che usciva dai tubi del lavandino gli scorreva tra i capelli e sul corpo, formando intorno a lui una pozza rossastra. Per un istante Ofelia credette di essere arrivata troppo tardi e sentì le sue gambe tremare.
“Thorn!” La voce angosciata di Berenilde gli fece riaprire gli occhi e il suo sguardo si posò immediatamente sulla donna che stava correndo verso di lui. Ofelia era esausta, si sentiva completamente svuotata e ormai i muscoli le si muovevano in automatico, senza bisogno di alcun impulso nervoso. Crollò in ginocchio davanti a Thorn, che non aveva mai smesso di guardarla, e gli gettò il braccio sano intorno al collo, appoggiando la fronte sulla sua spalla. Non sentiva l’acqua che le bagnava le scarpe e le gambe, non sentiva il dolore del braccio rotto, non sentiva il brusio dei cortigiani al seguito di Faruk. Non sentiva più nulla.
E allo stesso tempo sentiva tutto.
Sentiva la mano di Thorn appoggiata sulla sua schiena, sentiva il suo sguardo ancora incollato sul suo viso, sentiva il suo petto sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente.
“Vi concedo un titolo nobiliare” Thorn, ancora concentrato sulla donna stretta contro di lui, trattenne il respiro. La voce di Faruk era tornata annoiata e inespressiva, ma a Ofelia non importava. Ce l’aveva fatta. “Vi affranco dalla vostra condizione di bastardo. Il processo si terrà tra dieci giorni, per ora siete libero.” Dal gruppo di cortigiani si levarono nuovamente delle proteste, ma lo Spirito di famiglia si era già voltato per tornare indietro.
Ce l’avevano fatta.
Erano salvi.
Erano salvi.
Erano salvi.
“Grazie.” La voce di Thorn non era stata nulla più che un sussurro impercettibile, un sospiro contro la guancia di Ofelia, ma lei sentì un enorme peso sollevarsi dal suo cuore e le sue spalle si rilassarono. Sciolse l’abbraccio e si tirò indietro, alzando lo sguardo verso di lui con un enorme sorriso. Non si era mai sentita così felice.
Ma quando i loro sguardi si incrociarono, Ofelia sentì il suo stomaco chiudersi e le budella contorcersi.
Lo sguardo di Thorn era metallo ardente. I suoi occhi non si erano mai spostati dal viso di lei da quando era rientrata nella cella e sembrava guardarla come se fossero le uniche due persone nella stanza. No, le uniche due persone in tutto il Polo.
Ofelia fu costretta a distogliere lo sguardo per riuscire a riprendere fiato, mentre le lenti dei suoi occhiali si tingevano di rosa. Non l’aveva mai guardata in modo così… intenso.
“Oh Thorn!” Berenilde si era accasciata a sua volta sul pavimento, aggrappandosi alla camicia fradicia dell’intendente. “Ero così preoccupata! Faruk sembrava impazzito! Qualsiasi cosa dicessi, o facessi…” Ofelia notò gli occhi della donna riempirsi di lacrime. Non l’aveva mai vista perdere il controllo in quel modo. La paura di perdere il nipote e l’impossibilità di comunicare con Faruk dovevano averla profondamente sconvolta. “Continuava a ripetere la stessa frase, sembrava un fantasma… Nemmeno la bambina…” Berenilde si voltò verso Ofelia e lei realizzò che gli occhi di Thorn non erano gli unici che la scrutavano attentamente. Oltre ai due Draghi, tutta la sua famiglia, le due guardie vicino alla porta dorata e Archibald, che teneva ancora la figlia di Berenilde tra le braccia, a distanza di sicurezza dal suo corpo, la stavano osservando attoniti. “…Come avete fatto?”
L’Animista non sapeva cosa rispondere. Di certo non poteva rivelare cos’era accaduto nella cella o cosa avesse scoperto durante la lettura del frammento contenuto nel libro dello spirito di famiglia del Polo. Inoltre, non era nemmeno sicura di come fosse riuscita a risvegliare Faruk dalla sua ipnosi. Era come se improvvisamente un’altra memoria, una memoria non sua, si fosse impossessata di lei, facendole capire come dovesse agire. Ma tutto ciò non aveva senso. Oppure… Era stato l’effetto dei poteri ereditati da Thorn con il loro matrimonio? Cercò risposte nel viso dell’Intendente ma l’uomo continuava a guardarla avidamente, come se tutto il resto non avesse importanza.
“Siete liberi.” Annunciò una delle guardie schiarendosi la gola. “Avete intenzione di rimanere qui?”
“No…” farfugliò Ofelia. Ancora inginocchiata a terra, si avvicinò a Thorn. La gamba dell’uomo era piegata in un angolo innaturale e l’acqua che gli scorreva sul volto aveva portato via ogni residuo di trucco, rivelando completamente i lividi e le ferite. Conciato com’era, era un miracolo non avesse ancora perso i sensi. Non sarebbe mai riuscito a rimettersi in piedi da solo. Ofelia gli passo il braccio sano dietro alla schiena mentre Berenilde si rialzava in piedi. La lettrice cercò di spingere sulle sue gambe nel tentativo di alzare entrambi da terra ma l’unico risultato ottenuto fu un grugnito di dolore da parte di Thorn. L’intendente era troppo alto e pesante per lei, soprattutto con un braccio fuori uso e in quelle condizioni.
“Lasciate fare a me.” Il prozio, che era entrato nella cella per avvicinarsi a loro, le tese una mano per aiutarla a rialzarsi, prima di accovacciarsi al fianco di Thorn.
“Tenete”, l’ex Ambasciatore mise la bambina tra le braccia di Berenilde come se si trattasse di un pacchetto più che di un infante. Sogghignando si abbassò a sua volta e si posizionò il braccio di Thorn intorno alle spalle. Scambiò un cenno d’intesa con il prozio e insieme sollevarono l’intendente. Ofelia vide Thorn stringere la mascella, ma l’uomo non emise alcun suono, continuando a seguirla con lo sguardo. “Visto che la pistola che vi ho portato prima è stata inutile, facciamo che con questo siamo pari.”
“PISTOLA?!” Berenilde si guardò intorno freneticamente, notando solo in quel momento l’arma abbandonata a terra e i proiettili sul pavimento. Ofelia sospirò, Archibald aveva davvero il dono di intervenire nei momenti meno opportuni. Strizzò i lembi del suo vestito e si avvicinò a una delle guardie mentre i tre uomini uscivano lentamente dalla cella, seguiti dal resto del gruppo. Berenilde continuava, invano, a chiedere spiegazioni sulla pistola.
Ofelia si fece restituire gli oggetti personali di Thorn e si fermò per un istante sulla soglia, cercando di imprimere i dettagli di quella cella nella sua memoria. Erano successe così tante cose, in così poco tempo… Il matrimonio. Thorn. Il Mille Facce. Faruk.
L’Altro.
La sua vita era stata rivoltata e messa sottosopra.
“Ofelia…” L’animista si girò di scatto.
Sua madre e il resto della famiglia la guardavamo con apprensione, impalliditi. Non avevano ancora aperto bocca. Berenilde cullava la bambina irrequieta tra le sue braccia. Il prozio, Archibald e Thorn erano fermi qualche metro più avanti. L’intendente aveva voltato la testa nella sua direzione, in una posizione decisamente scomoda, costringendo gli altri due uomini a bloccarsi. Aveva ancora lo stesso sguardo incandescente e Ofelia sentì una morsa piacevole alla bocca dello stomaco.
“Signora Thorn,” sbottò l’ex Ambasciatore. Con un cenno della testa la intimò a raggiungerli. “Vostro marito non è particolarmente leggero. Né profumato. Se potessimo darci una mossa, avrei cose più piacevoli a cui dedicarmi.” Il fatto che Archibald non avesse ancora ricevuto un’artigliata o uno sguardo pieno d’odio confermava ad Ofelia che le condizioni di Thorn fossero più gravi di quanto lasciasse trapelare.
Si posizionò di fronte a Thorn, suo marito, guardandolo dal basso verso l’alto per alcuni lunghi secondi. Archibald alzò gli occhi al cielo.
“Grazie.” Mormorò Ofelia, vedendo le sue lenti colorarsi di rosa. Doveva smetterla di guardarla in quel modo. La faceva sentire indifesa, scombussolata, come se tutti i suoi organi interni fossero annodati tra loro. “Per non aver compiuto gesti sconsiderati.”
“Non faccio mai niente di sconsiderato” ripeté serio l’intendente. “Avevo un piano di riserva, ma non è servito… Voi distruggete ogni statistica.” Anche il suo tono di voce era incandescente e Ofelia dovette ricordarsi di respirare per non rischiare di andare in apnea.
Si studiarono in silenzio ancora per qualche istante, mentre Ofelia lottava contro l’istinto di avvicinarsi a lui per stringerlo. Avrebbe rischiato di fargli del male. Poi, improvvisamente, Ofelia vide il calore nello sguardo di Thorn spegnersi. L’intendente cercò di fare un passo in avanti e i due uomini al suo fianco ripresero a camminare, sostenendolo.
Ofelia si fece da parte, confusa, lasciandoli passare. Le sembrava di aver appena ricevuto una doccia gelata. O che qualcuno avesse spento tutte le fonti di calore presenti al Polo. Non capiva.
Tremando leggermente seguì gli uomini fuori dalla prigione, dirigendosi verso la dimora di Berenilde.
La sua famiglia, ancora in silenzio e sotto shock, li seguiva poco dietro.
Usciti da Città-cielo, quasi mezz’ora dopo, Thorn non le aveva più rivolto uno sguardo. Continuava ad avanzare faticosamente, con il sudore che gli bagnava la fronte e la mascella contratta. Se finché erano rimasti nella cella era sembrato non esistessero altre persone al di fuori di loro due, in quel momento Ofelia si sentiva come se la sua presenza fosse stata cancellata dalla memoria di Thorn.
Il prozio lo aiutò a salire su una carrozza e Ofelia ci si infilò dentro a sua volta prima che sua madre potesse fermarla. Aveva il terribile presentimento che se l’avesse perso di vista anche solo per un istante non l’avrebbe mai più rivisto. Archibald ridacchiò, sedendosi vicino a lei. “Allora, quali sono i piani per la vostra luna di miele?” Nessuno lo degnò di una risposta e il prozio fece passare lo sguardo tra lei e Thorn, che fissava qualcosa fuori dal vetro, leggermente imbarazzato.
Ci fosse stata sua madre seduta al posto di Archibald, Ofelia avrebbe creduto di essere stata rispedita indietro nel tempo di circa un anno, al suo primo incontro con Thorn su Anima. L’ansia la stava attanagliando.
Trascorsero tutto il tempo del viaggio in silenzio, ad esclusione delle battute di Archibald che vennero ignorate dal resto del gruppo. Ofelia nel frattempo si interrogava per capire cosa avesse suscitato quel cambiamento così improvviso nell’umore dell’intendente. Di suo marito, si ripeté. Aveva detto, o fatto, qualcosa di sbagliato? Thorn stava semplicemente soffrendo a causa di tutte le ferite? Sembrava quasi caduto nello stesso stato catatonico che aveva pervaso Faruk qualche ora prima. Era un effetto dell’incontro con il Mille Facce? L’adrenalina causata da tutti gli avvenimenti di quella giornata la stava abbandonando e si sentiva sempre più stanca e scombussolata. La sua mente era offuscata e non riusciva a pensare con lucidità. Il braccio rotto le lanciava fitte di dolore e aveva bisogno di dormire. Ma soprattutto, aveva bisogno di parlare con Thorn, da soli.
Arrivati finalmente alla dimora di Berenilde, Thorn scese dal mezzo reggendosi sul prozio, con una smorfia di dolore, e zoppicò con difficoltà fino all’entrata mentre l’ex Ambasciatore aiutava Berenilde e tutti gli animisti a scendere dalle loro carrozze. Un uomo calvo e con spessi occhiali scuri li stava aspettando davanti all’entrata principale.
“Questo è il dottore”, annunciò Berenilde conducendoli in casa. Doveva averlo contattato prima di lasciare la prigione. “Fate stendere Thorn nella camera da letto”, la donna indicò una porta al prozio, “e qualcuno faccia sedere Ofelia prima che svenga!”
L’Animista riuscì a schivare la madre e le sorelle che cercavano di trattenerla e sgusciò dietro i due uomini e il dottore nel corridoio, seguita da Berenilde, che aveva adagiato la figlia in una culla in salotto, e Archibald. Il dottore entrò nella camera con Berenilde, ma Thorn si fermò sulla soglia, liberandosi dal sostegno del prozio, nonostante restare in piedi gli costasse un’enorme fatica. “Non entrate”, ordinò tra i denti, dandole la schiena. Anche la sua voce era diventata gelida e Ofelia seppe con assoluta certezza che si stava rivolgendo principalmente a lei. “Siete libera.”
“Cosa significa?” Ofelia fece un passo in avanti, cercando di toccarlo.
“Considerate nullo il matrimonio. Dimenticate tutto quello che è successo in quella cella. Prendete la vostra famiglia e tornate su Anima.” Chiuse la porta dietro di sé, lasciando il resto del gruppo in corridoio.
Ofelia rimase immobile per qualche istante, mentre il suo cervello registrava le parole dell’intendente.
Tornate su Anima.
No.
Assolutamente no.
“Come sta?” chiese Ofelia appena Berenilde entrò nella sua stanza. Quando Thorn le aveva sbattuto la porta in faccia lasciandola nel corridoio, aveva cercato in ogni modo di farsi aprire ma alla fine il prozio e Archibald avevano dovuto trascinarla di forza in salotto, dove il resto della famiglia l’aveva obbligata a distendersi su una delle poltrone. L’avevano sommersa di domande a cui Ofelia non aveva dato risposta e l’unico a rimanere in silenzio, stranamente, era stato l’ex Ambasciatore. Quando i suoi famigliari avevano finalmente capito che lei non avrebbe soddisfatto la loro curiosità, Ofelia si era ritrovata da sola con i suoi pensieri.
Considerate nullo il matrimonio.
Tornate su Anima.
Stava impazzendo. La sua sciarpa, che le teneva il braccio rotto legato al collo, si muoveva contagiata dal suo animismo e il bicchiere sul tavolino accanto alla poltrona continua a cadere e rialzarsi. Thorn voleva davvero annullare il matrimonio? Stava cercando ancora una volta di proteggerla? O era solo un tentativo di lasciarla all’oscuro dei suoi piani? Stava escogitando un piano per fuggire? Voleva davvero che lei dimenticasse tutto ciò che era accaduto? Il matrimonio? L’incontro con il Mille Facce? Le sue spiegazioni? Anche…
Ofelia si ritrovò a mordicchiarsi i guanti mentre Berenilde la studiava con un misto di apprensione ed esasperazione. “È vivo, ma la gamba è in pessime condizioni.”
“Devo parlargli.”
“No”, sbottò Berenilde facendo un cenno alla zia Roseline e al prozio. “Ho bisogno di voi due.” Riempì il bicchiere d’acqua e lo passò ad Ofelia insieme ad una pastiglia. “Dovete riposarvi, prendetela.”
“Ho bisogno di parlargli, prima che annulli il matrimonio o tenti una fuga!” Riprovò Ofelia con una nota di disperazione nella voce.
L’espressione di Berenilde si addolcì leggermente. “In questo momento non è nelle condizioni di annullare alcunché. In quanto alla fuga, se vuole uscire da quella stanza dovrà prima passare sul mio cadavere. Riposatevi.”
“Devo…”
“No”, la bloccò Berenilde perentoria. Ofelia iniziava a percepire gli artigli della donna come una scarica elettrica sulla pelle. “Prendete. Quella. Pastiglia.” Ofelia sospirò e mandò giù la capsula bianca, conscia che il tranquillante avrebbe avuto effetto in breve tempo. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che Thorn le avesse nascosto qualcosa. Qualcosa che poteva aiutarlo ad uscire di lì.
Avevo un piano di riserva.
Mentre le palpebre iniziavano a farsi pesanti, Ofelia continuava a rimuginare su quella frase. Qual era il piano? Se l’idea iniziale era stata quella di chiedere una pistola ad Archibald, quando aveva ideato il piano di riserva? Durante l’incontro con il Mille Facce?
Ofelia chiuse gli occhi. Prima che lei uscisse dalla cella per fermare Faruk… Thorn le aveva detto che non aveva più importanza. E aveva detto…
Anche voi mi avete insegnato molto.
Mentre il tranquillante le annebbiava la mente e le rendeva impossibile aprire gli occhi, Ofelia cercò di aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno, con il braccio sano. “Gli specchi.”
“Cosa state dicendo?” domandò Berenilde confusa.
“Toglietegli gli specchi”, mormorò cadendo in un sonno profondo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Cap 2
Ciao!
:D
Speravo di riuscire a
pubblicare prima ma ahimè sono stata troppo impegnata con il
lavoro e i regali di Natale.
Il capitolo
è scritto interamente dal punto di vista di Thorn (mentre
nel prossimo torneremo su Ofelia... Penso ci sarà un po' di
alternanza durante tutta la storia).
Spero vi piaccia! A
presto,
S.
CAPITOLO 2
Thorn si
svegliò
improvvisamente nel buio della stanza, completamente solo, mentre la
sua mente
riordinava i ricordi delle ore precedenti. Aveva dormito 191 minuti, ma
nonostante
i tranquillanti somministrategli dal medico per attenuare il dolore e
il suo
stato confusionale, finché era rimasto cosciente la sua
memoria aveva
registrato ogni secondo di ciò che era accaduto in quella
stanza.
Era contento di
aver impedito ad Ofelia di assistervi.
Ofelia.
Il suo cervello,
sempre in grado di compartimentalizzare ogni cosa e concentrarsi solo
sulle
questioni fondamentali, sembrava incapace di lasciarla andare. Quella
ragazza
era diventata una presenza costante nella sua mente, un sottofondo
impossibile
da ignorare. Stava bene? L’aveva ascoltato? Era
già partita? L’avrebbe mai più
rivista? Il rumore dei suoi pugni sul legno della porta continuava a
riecheggiare nella sua testa. Separarsi da lei gli aveva comportato una
lacerazione interiore, un’agonia pari al
dolore proveniente dalla gamba.
Ma era stato necessario.
Una volta chiusa
la porta della stanza alle sue spalle, aveva ceduto al dolore, sotto lo
sguardo
preoccupato di Berenilde e quello terrorizzato del dottore. Non avrebbe
sopportato di farsi vedere in quello stato anche da lei. Avevano dovuto
spogliarlo per sistemare le sue ferite e farlo distendere sul letto. I
farmaci
gli avevano annebbiato i pensieri, e invece di riflettere
sull’incontro con il
Mille Facce e sui nuovi dettagli che aveva appreso dalla lettura
di
Ofelia, lui si era ritrovato a rivivere in loop i due momenti in cui
l’aveva
stretta a sé.
Sua moglie.
Aveva rischiato
tutto per sposarlo, in un disperato tentativo di salvargli la vita.
Aveva
accettato di compromettere la sua libertà e di ereditare
poteri terribili,
aveva sfidato Faruk pur di trascinarlo fuori da quella prigione. E lui
l’amava
profondamente, ma sapeva con assoluta certezza che non sarebbe mai
stato
abbastanza. Si era dichiarato in quella cella perché non
poteva accettare
l’idea di morire senza che lei sapesse, senza che lei capisse
i suoi
sentimenti. Ofelia gli aveva stravolto la vita, aveva messo in
discussione le
sue priorità, l’aveva trasformato. Vedendola di
fronte al Mille Facce,
minacciata e indifesa, aveva realizzato che i dadi del mondo non
avevano per
lui più alcuna importanza. Avrebbe sconfitto Dio e tutti i
suoi burattini per
lei. Ofelia non ricambiava i suoi sentimenti, ma le avrebbe
restituito la
sua libertà, le avrebbe permesso di tornare a casa, di
decidere del suo futuro,
di vivere la vita in cui lui non avrebbe mai dovuto inferire.
A qualsiasi
costo.
Si mise a sedere
sul letto, osservando la gamba che era stata massacrata in cella. Il
medico era
riuscito a salvarla, ma Thorn era perfettamente consapevole del fatto
che non
sarebbe più riuscito a camminare come un tempo. Sei ore, 18
minuti e 52 secondi
prima, il prozio di Ofelia, con l’aiuto di Berenilde, aveva
finito di costruire
un’impalcatura intorno al suo ginocchio distrutto. Mentre il
suo cervello
tornava per l’ennesima volta a soffermarsi sulla sensazione
delle mani di
Ofelia aggrappate alla sua camicia, ai suoi capelli che gli sfioravano
il viso,
al corpo di sua moglie premuto contro il suo, meravigliandosi ancora
una volta
di quando il contatto fisico con lei gli provocasse piacere invece che
repulsione, la sua memoria aveva registrato la voce dell’uomo
comunicargli che
se aveva davvero ereditato l’animismo della sua famiglia
avrebbe potuto
imparare a controllare l’armatura della sua gamba. Ma
animismo o no, rimaneva
uno storpio.
Distolse lo
sguardo dal suo corpo con disgusto e si infilò velocemente
la camicia e i
pantaloni che sua zia aveva lasciato sul letto. Facendosi forza sulle
braccia,
si alzò, valutando l’entità delle
ferite subite. Il taglio sulla testa, che era
stato fasciato, pulsava leggermente. Sentiva la pelle del volto tirare
a causa
dei lividi e delle escoriazioni, ma il peggio rimaneva la gamba. Non
riusciva
ad appoggiarla completamente a terra e un dolore costante si irradiava
dal suo
polpaccio al resto del corpo. Ma per lo meno riusciva a muoversi senza
sudare
freddo. Avrebbe sopportato il dolore.
Zoppicò
velocemente verso la porta del bagno connesso alla camera. Doveva
continuare la
sua missione, doveva fermare Dio. I nuovi dettagli che aveva appreso
dalla lettura
del Libro gli avevano indicato quale dovesse essere la sua prossima
mossa:
avrebbe sfruttato il suo nuovo potere per raggiungere Babel.
Non era sicuro di
aver ereditato l’animismo di Ofelia, ma di una cosa era
assolutamente certo:
era diventato un attraversaspecchi. L’aveva percepito sulla
pelle quando Ofelia
aveva attraversato la parete dorata della cella per mettersi al suo
fianco. In
quel momento aveva deciso che avrebbe sfruttato il suo nuovo potere per
sfuggire all’ira di Faruk, ma quando lei gli aveva chiesto di
non compiere
gesti sconsiderati e di fidarsi, aveva cambiato piano. Non poteva
separarsi da
lei, non senza essere certo che fosse al sicuro. L’aveva
aspettata immobile
nella cella, pronto ad afferrarla e trascinarla con sé nel
caso in cui non
fosse riuscita a fermare Faruk.
Invece aveva
ancora una volta distrutto ogni statistica ed era riuscita
nell’impossibile.
Era tornata in quella cella ed era corsa tra le sue braccia, e mai, mai,
come
in quell’istante Thorn aveva desiderato essere un uomo
diverso. Un uomo in
grado di esternare i suoi sentimenti, di renderla felice, di regalarle
anche
solo un briciolo della libertà che lei aveva restituito a
lui. Un uomo degno di
lei.
Fece un altro
piccolo passo in avanti e il dolore fece fremere i suoi artigli, come
per
riportarlo alla realtà. No, non sarebbe mai stato degno di
Ofelia.
Aprì la porta
del
bagno, ignorando il dolore proveniente dalla sua gamba, ma rimase
stupito
quando vide la parete vuota di fronte a sé. Tutto era in
perfetto ordine, ma il
grande specchio sopra il lavandino era scomparso. Erano trascorsi 97
giorni
dall’ultima volta che era stato in quella stanza, ma
ricordava perfettamente lo
specchio. Che qualcuno l’avesse rotto? Difficile potesse
essere stata
Berenilde, visto che aveva trascorso quasi tutto il tempo a corte.
Forse uno
dei domestici? Si erano dimenticati di cambiarlo?
Scosse la testa e
tornò nella camera, dirigendosi verso l’armadio.
Lo specchio dell’anta gli
sarebbe bastato. Si sarebbe mosso attraverso gli specchi del Polo,
senza farsi
notare, fino a raggiungere i dirigibili.
Aprì il grande
armadio di legno e rimase interdetto. L’anta era spoglia.
Eppure, il suo
cervello aveva registrato la presenza dello specchio solo qualche ora
prima,
quando Berenilde aveva aperto l’armadio per cercare degli
asciugamani mentre il
dottore gli fasciava la gamba. I farmaci avevano alterato le sue
percezioni?
Quello a cui stava pensando era in realtà un ricordo
più vecchio? Oppure… Possibile
fosse un modo per ostacolare il suo piano? Il Mille Facce aveva intuito
le sue
mosse e aveva fatto sparire tutti gli specchi? Era stato lì?
Il suo pensiero
corse ad Ofelia e sperò che fosse già su Anima,
lontana da ogni pericolo.
Chiuse l’anta
dell’armadio con violenza e serrò la mascella.
Poco importava che fossero
spariti gli specchi, si sarebbe accontentato di una qualsiasi
superficie
riflettente.
Ma quando aprì
la
porta della camera per uscire, rimase pietrificato sulla soglia.
La risposta a
tutte le sue domande era seduta sul pavimento, raggomitolata su se
stessa e
addormentata contro il muro, di fronte alla porta della camera. Thorn
percepì
il suo cuore saltare un battito e il suo stomaco stringersi.
Non era
partita.
Non si era
nemmeno allontanata da lui.
Ofelia aveva la
testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi e la bocca leggermente
aperta. I
lunghi capelli erano raccolti in una treccia laterale e il braccio
rotto era
ancora legato al collo dalla sciarpa, nella mano sana stringeva il suo
orologio. Addormentata, con le gambe nude piegate sotto al corpo e i
lineamenti
rilassati, gli sembrò improvvisamente molto più
giovane. Si chiese come facesse
a non aver freddo con solo quella vestaglia leggera addosso, lei che
sembrava
sempre sul punto di congelare.
Era stata
sicuramente lei a togliere gli specchi, doveva aver intuito le sue
intenzioni.
Si domandò per un istante se fosse entrata nella stanza per
rimuoverli
personalmente. Aveva visto le sue cicatrici? La sua gamba? Un brivido
lo
percorse. No, in quel caso l’avrebbe probabilmente trovata
seduta sulla sedia
di fianco al letto.
Si avvicinò a
lei
cercando di non fare rumore. Perché era ancora
lì? Lo stava sorvegliando?
Aspettando? Pregando che la sua gamba sana riuscisse a mantenerlo in
equilibrio, si piegò lentamente. Non poteva lasciarla
lì, a dormire sul
pavimento. Le passò un braccio dietro la schiena e
l’altro sotto le ginocchia,
sollevandola da terra. L’avrebbe svegliata? O avevano
imbottito anche lei di
tranquillanti? Da quanto tempo era in quella posizione? Ofelia si mosse
leggermente nel sonno e appoggiò la testa contro il suo
petto, facendogli
trattenere il respiro. Era certo che se si fosse svegliata non avrebbe
apprezzato quella vicinanza e il fatto che lui l’avesse presa
in braccio. La
strinse contro di sé. Era più leggera e
più calda di quanto si aspettasse. E
ancora una volta, come era accaduto nell’Immaginatoio e in
prigione, la sua
vicinanza sembrò curare tutte le ferite, fisiche e non, che
lo torturavano.
Anche il flusso dei suoi pensieri sembrava meno incessante.
Camminò
lentamente verso il salotto, dove trovò l’intero
gruppo di animisti
profondamente addormentati. I più piccoli erano distesi
vicini sul divano, la
madre di Ofelia era raggomitolata su una poltrona mentre il padre era
addormentato sul tappeto. Thorn si mosse il più
silenziosamente possibile,
svegliare anche solo uno di loro avrebbe scatenato il finimondo. Si
avvicinò
alla poltrona libera e rinforzò la presa su Ofelia per un
istante, osservandola
con attenzione prima di depositarla sulla poltrona e sistemarle la
coperta. Non
l’aveva mai vista così rilassata.
“Mi stupisco
riusciate già a reggervi in piedi, figuriamoci trasportare
un’altra persona.”
Thorn si voltò di scatto verso l’angolo della
stanza da cui proveniva la voce,
bloccando gli artigli che avevano reagito alla sorpresa. Il prozio di
Ofelia stava
fumando tranquillamente la pipa, seduto vicino alla finestra.
“L’ho
trovata
addormentata in corridoio.”
L’uomo
annuì. “Voleva
sorvegliarvi. Vostra zia, su suo ordine, ha fatto sparire tutti gli
specchi ore
fa. Ma quando si è svegliata temeva ancora poteste
scappare”
Thorn lo scrutò
attentamente. Tra tutti i parenti di Ofelia, era quello che
più gli ricordava
la ragazza. Avevano lo stesso sguardo intelligente e determinato,
nascosto
dietro un’apparenza tranquilla e riservata. Sapeva che Ofelia
era molto legata
al suo prozio e forse proprio per quel motivo era l’unico,
tra tutti gli
animisti, che l’Intendente riuscisse a sopportare per
più di cinque secondi. Ma
ricordava anche lo sguardo disgustato e spaventato che gli aveva
rivolto
durante il pranzo.
“Comunque, se
siete davvero un attraversaspecchi, c’è ancora uno
specchio disponibile.
L’unico che non è stato spostato è in
questa stanza”, continuò il vecchio uomo
indicando l’angolo opposto.
Thorn guardò
per
un’ultima volta Ofelia, profondamente addormentata sulla
poltrona, e si voltò
verso lo specchio. Probabilmente aveva ritenuto che la presenza di
tutta la sua
famiglia bastasse a farlo desistere dall’utilizzare lo
specchio.
“State davvero
scappando?”
chiese l’uomo prima di riprendere a fumare. Thorn
fissò attentamente il proprio
riflesso allo specchio, soffermandosi sul livido quasi nero sotto
l’occhio e
sulla sua gamba. No, non poteva scappare, non finché Ofelia
fosse rimasta al
Polo.
“Ditele che
quando…” sospirò appoggiando la mano
sulla superficie riflettente. Sotto la sua
pelle il vetro sembrava essere diventato liquido. “Che se
vorrà parlarmi mi
troverà all’Intendenza. La solita regola
è sempre valida.” Immerse il braccio
nello specchio.
Il prozio annuì
guardandolo con una luce diversa negli occhi. “Siete un tipo
interessante”,
Thorn lo sentì mormorare, prima di sbucare
nell’armadio del suo ufficio.
Quattro ore e sei
secondi dopo, mentre Thorn sfogliava velocemente tutti i libri su Babel
che era
riuscito a recuperare, nel tentativo di immagazzinare nuove
informazioni su
quell’arca, Ofelia comparve improvvisamente nel suo ufficio,
cadendo sul
pavimento.
Thorn aggrottò la
fronte. Non si aspettava di vederla comparire così presto,
ma non poteva negare
di esserne contento. In quelle quattro ore una parte del suo cervello
si era
concentrata solo su di lei, sulle possibili motivazioni che
l’avevano fatta
restare al Polo. Era incredibile come la sua mente, solitamente
governata da
assiomi, leggi e regole, si popolasse di dubbi e incertezze quando
pensava a
lei. “Dovreste controllare se l’armadio
è aperto prima di piombare così nel mio
ufficio. E verificare se possiedo un riflesso, il Mille Facce conosce
il mio
aspetto”, le ricordò aprendo un altro libro.
“Oh, siete
davvero qui”, esclamò Ofelia quasi sorpresa,
rialzandosi e sistemandosi il
vestito.
“Come avevo
detto
al vostro prozio”, puntualizzò lui sfogliando
velocemente le pagine. Conosceva
già a memoria la mappa dell’arca.
“Non ne ero
sicura…
Pensavo vi foste dimesso”, sospirò
l’Animista e lui chiuse il libro,
studiandola.
“Assieme al
titolo nobiliare mi è stato fatto dono anche del mio vecchio
lavoro.”
Si scrutarono in
silenzio per qualche momento. Ofelia appariva più riposata
e, a parte il
braccio rotto, non sembrava riportare altre ferite sul suo corpo. Ma il
loro
incontro con il Mille Facce aveva avuto qualche altra ripercussione su
di lei?
Lo scontro con Faruk?
“Come
state?”
Avevano parlato contemporaneamente, così le fece un cenno
per indicarle di
rispondere per prima.
Era strano. Più
strano del solito.
Sembrava che tra
di loro ci fosse un imbarazzo nuovo, una formalità che era
scomparsa in quella
cella ma che ora si era ripresentata, più forte di prima.
Era a causa del
matrimonio? Della sua dichiarazione? O più semplicemente in
prigione la loro
distanza si era attenuata a causa del pericolo imminente?
“Sto
bene”, rispose
Ofelia e la sua sciarpa le sistemò meglio gli occhiali,
leggermente rosati, sul
naso. A cosa stava pensando? Non era mai riuscito a comprendere cosa
scatenasse
il cambiamento del colore delle sue lenti. “Voi? La vostra
gamba?” Gli occhi di
Ofelia corsero sulla fasciatura intorno alla sua fronte e sui lividi
sul suo
viso. Si domandò cosa significasse il suo sguardo. Era
preoccupata? Spaventata?
Disgustata? Almeno non poteva vedere la gamba dietro la scrivania.
“La ferita sulla
testa e i lividi guariranno a breve”, disse afferrando
l’ennesimo volume sul
tavolo. Sentire il suo sguardo addosso, in quelle condizioni, lo
metteva a
disagio. “La gamba non tornerà più come
prima. Una parte dei tendini e dei
nervi sono stati distrutti” ammise senza avere il coraggio di
guardarla. Non
voleva vedere la pietà nei suoi occhi. Si ripeté
che la gamba non cambiava
nulla, il suo corpo era già ripugnante prima, e Ofelia in
ogni caso non
l’avrebbe mai visto, era stata estremamente chiara su quel
punto. “Il vostro
prozio mi ha costruito un’armatura per permettermi di
camminare, portategli i
miei ringraziamenti”, aggiunse rileggendo la storia di Babel.
“Se avete
ereditato il mio animismo, potreste imparare ad animarla, vi renderebbe
le cose
più facili!”
Thorn trattenne
una smorfia udendo l’entusiasmo nella voce di Ofelia.
“Non penso di averlo
fatto.”
“Ma siete un
attraversaspecchi.” Thorn rialzò lo sguardo e
scorse un piccolo sorriso sul
volto di Ofelia. Sembrava quasi orgogliosa e ciò fece
stringere il suo stomaco.
“Sì.
Non riesco a
leggere e non so se ho ereditato il vostro animismo,
ma posso
attraversare gli specchi. Devo ammettere che è
più comodo e veloce della mia Rosa
dei Venti.”
Ofelia emise un
piccolo suono che sembrava una risatina e improvvisamente
sembrò che la
temperatura della stanza si fosse alzata di qualche grado. Si rese
conto che
non l’aveva mai sentita ridere davvero.
“Io non ho
ereditato nulla da voi”, continuò Ofelia
scrollando le spalle.
“Impossibile.”
Nel corso della storia, in ogni Cerimonia del Dono
c’era stato uno scambio
di poteri. Nessuna esclusa.
“Pensavo di aver
ereditato la vostra Memoria. Subito dopo il nostro matrimonio ero
riuscita a
cogliere altri particolari della mia lettura dai
miei ricordi, ma adesso
è tutto come prima... Confuso.”
“Potrebbe
esserci
un’interferenza tra i vostri poteri e quelli che avete
ereditato”, Thorn rifletté,
chiedendosi se Ofelia sarebbe stata in grado di annientare pure quella
statistica. Forse il suo potere da lettrice
interferiva con la Memoria
che aveva ereditato, così come per lui era accaduto il
contrario. O forse,
essendo lui stesso un bastardo, i poteri ereditati da Ofelia erano
troppo
deboli perché si manifestassero. “Se non avete
ereditato nulla, meglio per voi.
Entrambi i miei poteri sono terribili, sarei contento di avervi
risparmiato
questo fardello”, disse guardandola attentamente. Non
riusciva a immaginarla dotata
dei suoi Artigli o della sua Memoria. Eppure, per un istante, la parte
di lui
più orribile ed egoista aveva sperato che Ofelia avesse
bisogno del suo aiuto
per imparare a controllare i nuovi poteri. Ma aveva già
interferito troppo, non
poteva più essere egoista. “In ogni
caso,” sospirò, “annullerò il
matrimonio.”
Ofelia strinse le
labbra e rimase in silenzio per 12 secondi, prima di annuire.
“Mi sembra una
buona idea.” Thorn non si era aspettato delle proteste, ma
vedere Ofelia
accettare la cosa così serenamente riusciva comunque a
ferirlo. Sapeva che lei
non l’aveva sposato di sua spontanea volontà,
però… Però in quella cella, per
alcuni istanti, aveva pensato ci fosse del reale affetto nei suoi
confronti
dietro le motivazioni di Ofelia. Si era dichiarato sperando che contro
ogni
probabilità Ofelia provasse dei sentimenti per lui, che
stesse cercando di
salvarlo perché teneva a lui e non solamente per un innato
senso di giustizia.
Ma lei non aveva
risposto.
“Così
potrò
testimoniare al processo”, continuò
l’Animista annuendo convinta.
Ed ecco spiegato
perché fosse rimasta al Polo. “Assolutamente
no.” Non aveva ucciso un uomo per
rimetterla nelle mani dei Miraggi un’altra volta.
“Perché
no?!” per
la prima volta da quando era comparsa nel suo ufficio, Ofelia si mosse,
avvicinandosi alla scrivania. “Una volta annullato il
matrimonio non sarò più
vostra moglie e la mia testimonianza sarà ritenuta
valida!”
Thorn chiuse il
libro di scatto e appoggiò i gomiti sul tavolo, intrecciando
le dita delle
mani. “Non testimonierete.” Sentiva i suoi artigli
pizzicare alle estremità del
suo sistema nervoso e cercò di tenerli a bada.
“Tornerete su Anima.”
Ofelia sbatté
le
mani sulla scrivania, facendo volare intorno a loro fogli e appunti,
con suo
immenso disappunto. “Non ho alcuna intenzione di tornare su
Anima. Rischiate di
tornare in quella prigione e di essere mutilati perché avete
ucciso un uomo, a
causa mia!”
“Ve lo ripeto:
non ho rimpianti”, disse calmo. Odiava la violenza, ma sapeva
che avrebbe
ucciso senza esitazione chiunque altro avesse mai tentato di ferirla.
“Siamo
finiti in quella situazione perché ho sottovalutato la
minaccia, è stato un mio
errore. Mi prenderò le mie responsabilità, ma non
vi metterò di nuovo un
pericolo”, sentenziò categorico.
“Tornerete a casa con la vostra famiglia e
riprenderete la vostra vita normale, dimenticherete quello a cui avete
assistito. Quella tra me e Dio è una faccenda che non vi
riguarda, lasciate a
me il compito di risolverla.”
Ofelia sembrava
furiosa. “Io ho liberato l’Altro, la faccenda non
riguarda solamente voi.”
“Non sapete
nemmeno se questo ‘Altro’ esiste davvero. Non vi
coinvolgerò in questa storia.”
Thorn si chiese in quale momento il suo piano avesse davvero iniziato
ad andare
a rotoli. Quando aveva annullato il contratto stretto con Faruk e di
conseguenza il loro matrimonio, 103 ore prima, pensava che in quel modo
l’avrebbe protetta. Era stato pronto a rinunciare a tutto pur
di sapere che lei
sarebbe tornata su Anima, sana e salva. E invece si erano ritrovati in
un
vortice di avvenimenti che la stavano trascinando sempre più
a fondo.
“Non siete
stanco
di portare il peso del mondo sulle vostre spalle?” Ofelia
sembrava
improvvisamente esausta. “Non vi sto chiedendo di rinunciare.
Rendetemi
partecipe, condividete quel peso con me! Mi avevate promesso di non
tenermi più
all’oscuro su faccende che potessero riguardarmi. Sappiamo
entrambi che questa
ora mi riguarda.” Lo stava osservando con
un’incredibile determinazione e Thorn
sospirò. Cercare di fermare Ofelia era difficile
più che cercare di fermare un
treno in corsa. Avrebbe dovuto escogitare qualcos’altro per
impedirle di
partecipare al processo, aveva bisogno di tempo per riflettere.
“Annullerò il
matrimonio. Siete libera di fare ciò che volete, anche
restare”, concesse. Sarebbe
stato contento di vederla restare, se la motivazione dietro alla sua
decisione fosse
stata lui e non un pazzo che si era eretto al grado di Dio.
“Per quanto
riguarda il resto, ne riparleremo. Ora ho da fare.” Si
alzò con fatica dalla
sedia, e zoppicando fece il giro della scrivania, fino a raggiungere
l’armadio.
Sentiva lo sguardo di Ofelia su di sé. “Avete
altro da dirmi?”
“Non so se la
cosa possa interessarvi”, rispose Ofelia avvicinandosi allo
specchio, ancora
stizzita. “Ma vostra cugina si chiama Vittoria.”
Thorn annuì
leggermente. Era lieto che Berenilde e la figlia stessero bene, ma
aveva
cercato di non concentrarsi su cosa significasse la nascita di quella
bambina.
“Ah, quasi
dimenticavo”, Ofelia infilò una mano nella tasca
del suo vestito, estraendone
il suo orologio. “Ho recuperato il vostro orologio dalle
guardie della
prigione”, disse avvicinandosi a lui e porgendoglielo.
Thorn prese
l’oggetto dalla sua mano, guardandola attentamente, e la sua
Memoria lo riportò
sulle mura, sotto la pioggia. Sentiva il freddo avvolgerlo,
l’acqua scorrergli
sulla pelle, le labbra morbide e calde di Ofelia contro le sue. Strinse
l’orologio
tra le dita, cercando di rimanere aggrappato alla realtà.
Vide gli occhiali e
le guance di Ofelia arrossire e per una volta seppe per certo che
stavano
pensando alla stessa cosa.
Non l’avrebbe
baciata di nuovo. Ofelia era stata molto chiara a riguardo e lui non
aveva
intenzione né di molestarla né di ricevere un
altro schiaffo. Ma avendola così
vicino, dopo ciò che era successo all’Immaginatoio
e in prigione, era difficile
resistere alla tentazione di stringerla a sé. Era sua
moglie, almeno per qualche
altra ora. Non desiderava altro che poterla sfiorare, abbracciare, ma
ogni
tocco non faceva altro che amplificare quel bisogno.
Trattenne la mano
che si era allungata verso il suo viso, per sistemarle una ciocca di
capelli, e
fece un passo indietro. “Ofelia, non dormite sul pavimento.
Se avrete bisogno
di parlarmi mi troverete qui.”
La donna annuì
lentamente in silenzio, senza staccare lo sguardo dal suo, e
scivolò nello
specchio.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Ciao!
Chiedo scusa per il ritardo, le feste hanno fatto rallentare un po' la
mia scrittura.
Spero che il capitolo vi piaccia!
Vi ringrazio per i commenti che ho ricevuto, sono sempre molto
apprezzati :)
A presto
S.
CAPITOLO 3
“VUOI ESSERE
RIPUDIATA?!” Ofelia, seduta sul divano, fece una smorfia in
risposta all’urlo
della madre. Forse rivelare a tutti la decisione di annullare il
matrimonio non
era stata una delle sue idee migliori. “Sai cosa significa?
Cosa dovrai
affrontare?” continuò ad urlare Sophie in piedi in
mezzo al salotto. Lampadari,
tavolini, sedie, bicchieri… Tutto ciò che si
trovava nella stanza rispose
all’animismo della donna, tremando come nel mezzo di un
terremoto. “Eravamo
disposti a riportarti a casa, ma hai voluto inseguire
quell’uomo e sposarlo di
nascosto in prigione! E ora vuoi annullare il matrimonio! SEI
IMPAZZITA?”
Ofelia sospirò
osservando il resto delle persone radunate nella stanza. Berenilde era
seduta
di fianco alla zia Roseline, dall’altra parte della stanza.
La donna era
rimasta inizialmente pietrificata dall’annuncio di Ofelia, ma
ora la osservava
con uno sguardo affilato. Vittoria, sorridente tra le sue braccia, non
sembrava
affatto spaventata da tutte quelle urla e rumori mentre cercava di
attirare
l’attenzione della zia Roseline agitando una manina.
“Perché?” chiese Berenilde
dubbiosa.
“Oh non ha
importanza il perché!” La Relatrice sfoggiava un
grande sorriso soddisfatto, seduta su una delle poltrone.
“Era ora che metteste fine a questa assurda
vicenda. Le Decane sono stanche di tenervi d’occhio, dopo
l’annullamento del
matrimonio tornerete finalmente su Anima!”
Ofelia si
maledisse nuovamente per non aver tenuto la bocca chiusa e scosse la
testa.
“Non tornerò su Anima”, disse scatenando
l’ennesima reazione di sua madre.
“Non tornerai a
casa?!” Hector e le sue sorelline, seduti per terra,
osservavano intimoriti la
scena, con lo sguardo che rimbalzava velocemente tra Ofelia e la madre.
Le frange
del tappeto battevano sul pavimento ritmicamente. “Cosa hai
intenzione di fare?
Se quell’uomo ti ripudia non potrai rimanere al Polo!
Né prendere un altro
marito! Farai nascere tensioni tra la nostra Arca e il Polo!”
Agata annuiva a
ogni parola della madre, osservando Ofelia con gli occhi spalancati.
Ofelia ne aveva
fin sopra i capelli di tensioni interfamiliari, Spiriti, Decane,
Dio… Come era
riuscito Thorn a sopportare quel fardello per tutta la vita?
“Vi chiedo solo di
avere fiducia in me…”
“Vostra madre ha
ragione”, la interruppe Berenilde. “Se mio nipote
vi ripudia non potrete
rimanere qui.”
Archibald, che
fino a quel momento era rimasto in silenzio, sospirò.
“Il nostro caro
Intendente potrebbe semplicemente dichiarare invalido il contratto di
matrimonio.” Era disteso sul pavimento, con le braccia
incrociate dietro la
testa, gli occhi erano coperti dal cappello appoggiato sulla fronte.
Sembrava
terribilmente annoiato.
Tutte le teste si
rivolsero verso di lui. “Sulla base di cosa?”
domandò Berenilde seccata.
“Oh, i casi sono
due”, spiegò l’uomo alzando una mano e
contandoli sulle dita. “Caso uno: il
contratto può essere invalidato se la Cerimonia del Dono non
è avvenuta o se,
incredibilmente, non ci sono stati scambi di poteri.” Ofelia
si mordicchiò i
guanti, consapevole che quel caso non potesse essere applicato. Thorn
era
diventato un Attraversaspecchi. “Caso numero due”,
Archibald si mise a sedere
con un rapido movimento e si tolse il cappello dagli occhi,
sorridendole
maliziosamente. “Il matrimonio non è stato
consumato.”
Ofelia arrossì
violentemente.
“Mi pare ovvio
che non sia stato consumato!” sbottò Sophie
portando le mani sui fianchi e
voltandosi verso l’ex-Ambasciatore. “Si sono
sposati meno di 24 ore fa, in una
prigione!”
Archibald alzò
le
spalle, mentre il suo sorriso si allargava. “Non sappiamo
cos’abbiano combinato
nell’ufficio dell’Intendente… La signora
Thorn è stata via parecchio”, aggiunse
rivolgendosi di nuovo a lei.
Ofelia sperava di
essere inghiottita dal pavimento. I suoi occhiali avevano raggiunto una
gradazione di bordeaux quasi violacea e tutti gli occhi nella stanza
erano
fissi su di lei. Pensavano davvero che fosse corsa da Thorn per quello?
Si erano solamente parlati!
Ma la sua mente, traditrice, la riportò agli ultimi
secondi del loro incontro, allo sguardo di Thorn, a
quell’istante in cui aveva
pensato che l’avrebbe baciata. Cosa sarebbe successo se
l’avesse baciata?
“Mamma…”
la voce
di Domitilla, confusa, spezzò il silenzio. “Cosa
vuol dire ‘consumato’?”
“Che hanno
dormito insieme!” rispose rapidamente il fratello, seduto sul
pavimento vicino
a lei, con un sorriso soddisfatto.
“HECTOR!”
Ofelia si coprì
il viso con le mani e si lasciò sprofondare sul divano,
mentre la madre
riprendeva il fratello minore. Perché non era rimasta
semplicemente zitta?
“Se non
è stato
consumato, potete semplicemente annullare il matrimonio.”
Concordò Berenilde,
ma la sua voce, così come la sua espressione, si era fatta
più dura. “Tuttavia,
continuo a non comprenderne il motivo.”
L’Animista
annuì
lentamente. Capiva le loro perplessità, dopotutto aveva
insistito per sposare
Thorn in cella ad ogni costo e ora stava combattendo per annullare
quello
stesso matrimonio. “Voglio poter testimoniare al processo,
voglio che la mia
testimonianza possa essere ritenuta valida. Non possiamo rischiare che
Thorn
finisca nuovamente in prigione!”
La freddezza
nell’espressione di Berenilde si sciolse e nel viso della
donna apparve un
sorriso. “Nessuno ve lo impedisce”, disse
dolcemente, alzandosi in piedi.
Vittoria, tra le sue braccia, aveva chiuso gli occhi.
“Nessuna legge del Polo
vieta a un coniuge o ad un parente di prendere parte a un
processo.”
Confusione e
dolore attraversarono Ofelia. Nessuna legge del Polo.
Thorn conosceva
perfettamente tutte le leggi del Polo e non dimenticava mai nulla,
eppure non gliene
aveva parlato. Ofelia aveva pensato che l’annullamento fosse
necessario, motivo
per cui non si era opposta. Ma Thorn sapeva, sicuramente.
Eppure, aveva
insistito per annullare il matrimonio, anche dopo che lei gli aveva
assicurato
che sarebbe rimasta al Polo. Stava escogitando un nuovo piano? Voleva
allontanarla?
L’idea di essere sposato con lei, senza un Libro da leggere,
era davvero
così terribile?
Archibald
ridacchiò. “Il nostro Intendente dovrebbe essere
al corrente di queste regole,
non pensate?” Chiese ironico, facendo montare
l’irritazione di Ofelia. “Fossi
in voi, se volete tenervelo stretto, cercherei di consumare in
fretta”,
continuò l’ex Ambasciatore sistemandosi il
cappello in testa ed alzandosi dal
pavimento, posizionandosi di fronte a lei.
“L’Intendente ora non è più
un
bastardo… Non è particolarmente affascinante, ma
un nobile, nonché ultimo
discendente dei Draghi e degli Storiografi, avrà sicuramente
la fila di donne
fuori dalla porta.”
In un istante,
Ofelia percepì una strana sensazione sulla superficie della
sua pelle, come un
formicolio, e Archibald si ritrovò per terra. Tutte le teste
si voltarono nella
sua direzione, confuse e allarmate, mentre Ofelia scattava in piedi,
spaventata.
Riconosceva quel potere, l’aveva visto in azione, ne era
stata vittima lei
stessa.
L’uomo la
guardò
sbalordito, prima di scoppiare a ridere, con la testa piegata
all’indietro. La
solita noia che albergava nel suo sguardo sembrava scomparsa.
“Gelosia e
Artigli vi si addicono, signora Thorn.”
Ofelia camminava
avanti e indietro nel salotto della dimora di Berenilde, davanti allo
specchio.
“Sono cose che
succedono a tutti”, la tranquillizzò per
l’ennesima volta Berenilde, cullando
Vittoria tra le braccia, con un sorriso. Erano rimaste solamente loro
in
salotto. Dopo l’incidente, a cui tutti
avevano assistito, la sua
famiglia si era ritirata in una delle stanze per gli ospiti, con la
scusa di
dover riposare, e Archibald era tornato a corte ridacchiando. Ofelia
sbuffò.
“Non è nulla di grave, non capisco
perché vi affanniate tanto.”
“Devo parlarne
con vostro nipote” mormorò Ofelia. Erano trascorse
solamente un paio d’ore da
quando era tornata dall’Intendenza, ma sentiva già
la necessità di attraversare
la superficie riflettente e vedere Thorn. Doveva parlargli
dell’incidente.
“E non vi basta
attraversare quello specchio per farlo?” Berenilde
alzò gli occhi al cielo.
“Ah, ditegli che se non torna a casa entro stasera
andrò io stessa a prenderlo
all’Intendenza. Ho diritto ad avere una spiegazione! E
dovrebbe stare a letto a
riposare, non chiuso in ufficio!” Dietro al tono spazientito
della donna Ofelia
riusciva a scorgere una nota di preoccupazione.
Sì, teoricamente
le bastava attraversare lo specchio per parlare con Thorn, e
lui stesso le
aveva detto che poteva andare nel suo ufficio per parlargli. Ma era
passato
pochissimo tempo dal loro incontro. Era ancora arrabbiato? Avrebbe
cercato di
rispedirla su Anima? Anche lei era ancora scossa da ciò che
era successo. Thorn
era stato freddo e inflessibile durante il loro incontro, ma non gelido
come
quando l’aveva lasciata in corridoio mentre lo medicavano. E
alla fine… Ofelia
sospirò. Alla fine, quando gli aveva dato
l’orologio, aveva riconosciuto negli
occhi di Thorn lo stesso ardore che aveva visto quando erano usciti da
quella
cella.
“Ofelia,
non
dormite sul pavimento”.
Anche il suo tono
di voce era cambiato in quel momento, facendo nascere uno strano fuoco
nel suo
stomaco. Aveva intuito fosse stato lui a spostarla dal corridoio in cui
si era
addormentata mentre lo aspettava, ma ora si chiedeva come fosse
riuscito a
prenderla in braccio. Si morse il labbro pensierosa.
Però le aveva
mentito, aveva insistito per annullare il matrimonio nonostante non
fosse
necessario in realtà. Si sentiva terribilmente confusa e
frustrata. Thorn aveva
cercato di diminuire la distanza tra loro per mesi e ora che finalmente
Ofelia
gli si era avvicinata, lui sembrava determinato ad allontanarla di
nuovo.
Ad aggravare la
situazione, si era aggiunto l’incidente di poco prima. Aveva
percepito, per un
solo istante, gli Artigli, prima di sferrare un attacco involontario ad
Archibald. L’ex-Ambasciatore e Berenilde avevano trovato il
tutto estremamente
divertente, ma lei era spaventata. Non capiva cosa avesse fatto
scattare il suo
nuovo potere, non sapeva come controllarlo, e aveva visto la paura
negli occhi
della sua famiglia.
“Ofelia, siete
sua moglie, avete il diritto di interrompere qualsiasi cosa stia
combinando.”
L’Animista evitò di ricordarle che non era sicura
di essere ancora sua
moglie e annuì. Doveva parlargli.
Prese un profondo
respiro per farsi coraggio e immerse la testa nello specchio.
Con suo immenso
sollievo l’anta dell’armadio era aperta.
La fronte di
Thorn si increspò vedendo la sua testa comparire dallo
specchio e l’uomo le
fece cenno di rimanere in silenzio, prima di alzare la cornetta del
telefono. “Posticipate
gli appuntamenti. Vi richiamerò io.” Ofelia
sollevò le sopracciglia stupita
uscendo dallo specchio. Era la prima volta che Thorn non imponeva un
limite di
tempo a un loro incontro se aveva degli impegni di lavoro.
“Non pensavo di
rivedervi così presto.” Ammise
l’Intendente, afferrando uno specchietto dal
cassetto della scrivania e controllando i loro riflessi.
“Ho bisogno di
parlarvi.”
Thorn appoggiò
il
mento sulle dita intrecciate delle sue mani e la guardò
attentamente. Ofelia
osservò i lividi violacei sul suo volto e si chiese dove
trovasse la forza di
lavorare in quelle condizioni. “Ditemi”, la
incalzò.
Ofelia si
mordicchiò i guanti per qualche istante. Doveva iniziare dal
problema principale.
“Ho ereditato i vostri Artigli” ammise in un
sussurro.
Thorn si
irrigidì. “Ne siete sicura? Li avete
percepiti?”
“Li ho
scatenati.” La voce di Ofelia si era fatta ancora
più sottile. Non l’aveva
rivelato a Berenilde, ma temeva il giudizio di Thorn. Sapeva quanto
l’uomo odiasse
la violenza e lei era stata stupida. Si era convinta di non aver
ereditato
alcun potere e aveva abbassato la guardia. Cosa sarebbe successo se
avesse involontariamente
colpito sua madre? O una delle sue sorelle? Un brivido la percorse.
Il volto di Thorn
era diventato una maschera scura, ma si era alzato lentamente dalla
sedia per
avvicinarsi. “Contro chi li avete scatenati? State
bene?”
“Archibald.”
Ofelia vide la
mascella di Thorn contrarsi con forza e i suoi occhi emanare disprezzo.
L’uomo
si fermò in piedi davanti a lei, costringendola ad alzare lo
sguardo, e le posò
una mano sul braccio sano, poco sopra il gomito. “Ofelia, se
quell’uomo ha osato
anche solo sfiorarvi…”
“No,
no” si
affrettò a chiarire. Archibald si era già beccato
un’artigliata da parte sua,
non voleva sottoporlo anche all’ira di Thorn.
“Ne siete certa?
Sono
ancora vostro marito, se vi ha mancato di
rispetto…”
“No.”
Ofelia
scosse la testa con forza, mentre il suo cervello registrava i
dettagli. Il
matrimonio non era ancora stato annullato. La mano di Thorn era rimasta
sul suo
braccio. “Ha lanciato le sue solite frecciatine, ma dopo il
nostro incontro
ero… nervosa. Una delle sue frasi mi ha punta nel vivo e gli
artigli sono
scattati prima ancora che potessi rendermene conto.”
Thorn la
osservò
in silenzio per qualche secondo. “Cosa vi ha detto?
L’avete ferito? I vostri
artigli sono particolarmente potenti?”
Istintivamente,
Ofelia alzò il braccio, per mordicchiare il guanto, e Thorn
rimosse con uno scatto
la mano, guardando il suo arto quasi confuso. “Non penso di
averlo ferito”,
Ofelia sorvolò sulla prima domanda, sperando che Thorn non
ci facesse caso, “inizialmente
è rimasto sorpreso ma poi è scoppiato a ridere,
prima di andarsene. Vostra zia
dice che è stato un attacco abbastanza forte.”
Lo sguardo
dell’uomo si indurì mentre si appoggiava alla
scrivania dietro di sé. Sembrava
improvvisamente furioso e Ofelia fu percorsa da un brivido.
“Vorrei…
Vorrei
mi insegnaste come controllarli”, mormorò, mentre
la sciarpa si sistemava meglio
intorno al suo collo e al braccio rotto, come per infonderle coraggio. “Vi avevo
detto che io vi
avrei insegnato a leggere, ma…
Sì, insomma…”
Ancora in
silenzio, Thorn estrasse l’orologio dal taschino e lo
appoggiò sul tavolo,
dove, sotto lo sguardo stupito di Ofelia, si aprì e si
richiuse di scatto. “Potete
insegnarmi a gestire il vostro Animismo”, disse afferrando
un’agenda. “Posso
dedicarvi dure ore al giorno, da mezzanotte alle due.”
Ofelia, con lo
sguardo ancora fisso sull’orologio, annuì
lentamente. Il fatto che Thorn avesse
ereditato il suo Animismo, e lei i suoi Artigli, la faceva sentire
strana, come
se all’improvviso il loro legame si fosse fatto
più profondo.
Non era una
brutta sensazione.
“Possiamo
iniziare stasera”, aggiunse Thorn tornando dietro alla
scrivania. Aprì uno dei
quaderni sul tavolo e prese una penna tra le mani. “Se non
c’è altro, dovrei
tornare al lavoro.”
Ofelia si
riscosse dai suoi pensieri e fece un passo in avanti. “Volete
ripudiarmi?”
La fronte di
Thorn si aggrottò, muovendo la fasciatura, ma
l’uomo rimase concentrato sui
suoi appunti. “Certo che no.”
“Volete
annullare
il matrimonio perché non l’abbiamo
consumato?” A quel punto, Thorn alzò lo
sguardo di scatto verso di lei, e Ofelia si sentì arrossire.
L’Intendente la
fissò per diversi secondi, prima di chiudere il quaderno.
“Voglio
annullare
il matrimonio così che possiate tornare su Anima e
dimenticarvi tutta questa
faccenda”, disse lentamente. “Il fatto che non sia
stato consumato rende tutta
la procedura di annullamento più semplice.”
“Ma cosa
penseranno di voi? Avevate già annullato le nozze e
ora…”
“Ve lo
ripeto”,
la interruppe Thorn, riprendendo a lavorare, “essere
ricoperto di ridicolo non
è un problema. Non mi interessano i pettegolezzi della
corte.”
“Nemmeno ora che
siete un nobile?” Ofelia non riusciva a comprenderlo. Poteva
immaginare i
commenti terribili che sarebbero nati se il loro matrimonio fosse stato
annullato, specialmente con quelle motivazioni.
L’angolo della
bocca di Thorn si sollevò in un sorriso amaro.
“Nel caso in cui non l’abbiate
notato, il fatto che io ora sia un nobile non cambia nulla. La corte
continua a
detestarmi, i Miraggi mi vogliono morto. Il titolo nobiliare mi
permette di
avere un processo equo, ma agli occhi di tutti sono ancora un bastardo.
Pensate
possano interessarmi le dicerie? I sorrisi di scherno perché
non mi sono imposto
su di voi?” La sua voce si era fatta tagliente.
Ofelia deglutì
e ripensò
al contratto stipulato da Thorn con Faruk. Per mesi aveva creduto che
il loro
matrimonio fosse solo un modo, per Thorn, di essere riabilitato. Aveva
poi
compreso di essersi sbagliata, era venuta a conoscenza delle reali
motivazioni
di Thorn e di cosa quel contratto comportasse davvero, ma si era
comunque
aspettata che il loro matrimonio e il conseguente titolo nobiliare
avrebbero
messo fine alle ostilità degli abitanti del Polo nei
confronti dell’Intendente,
al disprezzo causato dal suo stato di bastardo. Anche le parole di
Archibald le
avevano fatto pensare che le condizioni di Thorn fossero cambiate, in
meglio.
“Non avete la
fila fuori dalla porta?”
Thorn rimase
interdetto per qualche secondo, poi fece passare lo sguardo tra lei e
la porta
dell’ufficio, confuso. “Ho rimandato un paio di
appuntamenti a causa vostra”,
rispose perplesso, “tuttavia dubito che la gente si stia
accalcando in sala
d’attesa.”
Ofelia sentì un
sorriso aprirsi sul viso e scosse debolmente la testa, mentre gli
occhiali le
si tingevano di rosa.
“Ad ogni
modo”,
riprese Thorn schiarendosi la voce, “il matrimonio
verrà annullato perché, non
avendo potuto voi avere scelta, non può essere considerato
valido.”
Ofelia sollevò
le sopracciglia. “Di cosa state
parlando?”
“Siete stata
costretta a sposarmi perché ero in pericolo di
vita.”
“Costretta?!”
Ofelia lo guardò sbalordita e irritata. Si era sentita
davvero libera di prendere le sue
decisioni solo dopo che Thorn aveva annullato le nozze e le aveva
chiesto di
andarsene dal Polo. “Ho scelto io di leggere
il Libro di Faruk, ho
scelto io di stipulare un nuovo contratto con lui e di sposarvi in
prigione!”
Thorn si alzò
in
piedi, appoggiando le mani sulla scrivania.
“Perché il vostro innato senso di
giustizia non vi avrebbe permesso di agire diversamente!”
“Ho avuto una
scelta! E ho deciso…”
“Non capisco
quale sia il problema!” sbottò Thorn
interrompendola. “È il modo più
semplice
per invalidare il nostro matrimonio!”
Ofelia sbuffò e
si avvicinò alla scrivania, mentre la sua sciarpa si
agitava. “Non voglio che
annulliate il matrimonio!”
Fu il turno di
Thorn di restare allibito. “Tre ore fa mi avete
detto…”
“Tre ore fa non
sapevo di poter testimoniare anche se sono vostra moglie!”
Thorn afferrò al
volo i documenti sul tavolo prima che Ofelia potesse farli volare in
giro
sbattendo la mano sulla scrivania e le lanciò
un’occhiataccia.
"Vi siete dimenticato
di mettermi a conoscenza di questo dettaglio?"
“Non
testimonierete”, disse lapidario. “Non mi interessa
cosa vi ha detto l’Ambasciatore,…”
“È
stata vostra zia.”
“…tornerete
su
Anima una volta invalidato il matrimonio.”
L’Animista prese
un respiro profondo e strinse il pugno. “Ve l’ho
già detto, non tornerò a casa.
Prenderò parte al processo. E mi opporrò
all’annullamento, è la vostra parola
contro la mia dopotutto.”
Gli occhi di
Thorn erano fissi sul suo volto, mentre rifletteva. La sua espressione
era
contrariata, ma allo stesso tempo sembrava combattuto, come se al suo
interno
si stesse svolgendo una guerra.
“Potrei
ripudiarvi perché vi rifiutate di condividere il mio
letto”, tentò, ma la sua
voce era debole, insicura. Ofelia sospirò sollevata.
“Berenilde
chiede
che torniate a casa”, cercò di cambiare
l’argomento del discorso, sperando che
Thorn mollasse definitivamente la presa e accettasse le sue scelte.
Ma l’uomo non
sembrava della stessa idea, osservandola con attenzione in silenzio.
“Ofelia, perché
volete continuare ad essere mia moglie?”
“Io…”
iniziò, ma
si interruppe. Ofelia non aveva idea del motivo che l’aveva
spinta ad opporsi
all’annullamento. Aveva sempre desiderato essere
indipendente, ma il fatto di
essere sposata con Thorn la tranquillizzava, invece che spaventarla. Si
era
abituata ad averlo al suo fianco. “Penso che non siate poi
così male come
marito." mormorò. "Inoltre, così non potrete
escludermi dai vostri piani” aggiunse
sorridendo, ma pronunciate a voce alta le parole sembravano sbagliate.
Avevano un sapore amaro e Ofelia vide le sue lenti tingersi di uno
strano colore grigiastro.
La
mascella di Thorn si irrigidì e le sue labbra si strinsero.
L’uomo fece un
cenno secco con la testa e le indicò lo specchio.
“Devo tornare al
lavoro”, annunciò freddo. “Dite a mia
zia che passerò a trovarla dopo cena, devo
parlare con l’Ambasciatore.” Ofelia
annuì, augurandosi che Archibald non
dovesse ricevere due attacchi in un solo giorno. “Se avete
paura che i vostri
Artigli si scatenino, mantenete le distanze dalla vostra famiglia. E
non
parlate con nessuno del nostro appuntamento per questa sera.”
Thorn si
risedette e aprì una serie di libri davanti a sé,
prima di afferrare la
cornetta del telefono.
Ofelia lo
guardò
per un’ultima volta, con uno spiacevole peso sullo stomaco, e
si diresse verso l’armadio,
attraversando lo specchio.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Ciao a
tutti!
Mi scuso
per l'enorme ritardo nella pubblicazione di questo capitolo, ma il
lavoro mi sta prosciugando tutte le energie vitali, quindi quando
arrivo a casa la sera(l'unico momemnto in cui posso scrivere)sono
esausta.
Il
capitolo sarebbe dovuto essere più lungo, ma
poichè la scena che sto scrivendo mi sta creando qualche
problema e sono già quasi a 2000 parole, ho preferito
intanto pubblicare questo (quindi vi beccate i pensieri di Thorn anche
nel prossimo capitolo ;) ). Spero vi piaccia!
All'inizio
avevo detto che la storia sarebbe stata lunga 5-6 capitoli ma posso
già dirvi che saranno almeno una decina. Purtroppo non
riesco a promettervi aggiornamenti regolari.
Grazie a
tutti coloro che stanno seguendo questa storia e in particolare a MaxB
(la scena di cui ti ho parlato sarà nel prossimo capitolo).
A presto,
S.
CAPITOLO 4
Thorn chiuse il
quaderno davanti a sé con un sospiro e il suo orologio,
appoggiato sul tavolo,
si aprì di scatto con un tac-tac. Aveva iniziato a
comportarsi in quello strano
modo precisamente sette minuti dopo che Ofelia gliel’aveva
restituito e,
inizialmente, l’Intendente aveva pensato che
l’oggetto fosse stato contagiato
dall’Animismo della ragazza. Solo quando aveva avuto bisogno
di consultarlo per
due volte e il coperchio si era aperto di scatto prima ancora che
potesse
toccarlo, Thorn aveva capito che l’orologio rispondeva alle
sue esigenze, al suo
Animismo.
Cinque ore, 42
minuti e 18 secondi dopo, l’Intendente non si era ancora
abituato a quella
stranezza. Aveva provato ad animare i libri impilati sulla scrivania e
l’armatura che gli sosteneva la gamba mutilata, senza alcun
successo.
L’orologio, però, continuava ad aprirsi non appena
Thorn sentiva il bisogno di
prenderlo in mano. Era impaziente di chiedere spiegazioni ad Ofelia, ma
allo
stesso tempo pensare a sua moglie lo infastidiva. Da quando si era
immersa per
la seconda volta nello specchio, Thorn aveva cercato, invano, di
ignorare il
mix di emozioni che provava.
Ofelia gli aveva
chiesto di non annullare il matrimonio e lui si era ritrovato, ancora
una
volta, a sperare che lei provasse qualcosa, prima di capire che le
motivazioni
erano sempre le stesse. Indipendenza, libertà, voglia di
avventura… Ciò che
spingeva Ofelia era solo il desiderio di far parte del suo piano, di
non essere
esclusa dalla guerra contro Dio. Aveva deliberatamente ignorato la sua
dichiarazione
in prigione, ma insisteva nel rimanere legata a lui. Thorn strinse i
pugni sul
tavolo.
Eppure, per quanto ciò lo ferisse e pur sapendo che
così Ofelia sarebbe
stata in pericolo, lui non riusciva ad opporsi a quella decisione.
Voleva
essere egoista, voleva continuare a considerare Ofelia sua moglie,
voleva averla
per sé. Sentì i suoi Artigli fremere, mentre il
suo stomaco si chiudeva. Aveva
imparato a conoscere la gelosia fin da bambino, guardando Freya e
Godefroy
giocare tra loro senza degnarlo di uno sguardo, osservando le persone
accanto a
sé ricevere amore mentre lui ne veniva escluso, sentendosi
messo da parte a
ogni gravidanza di Berenilde... ma Ofelia riusciva ad amplificare
tutto. Il
pensiero che l’Ambasciatore potesse averla anche solo
sfiorata annebbiava la
sua capacità di ragionamento, la consapevolezza che le
parole di quell’uomo,
così disordinato e lascivo, avessero fatto scattare gli
artigli di Ofelia lo
disturbava, rendendogli difficoltoso anche deglutire. Possibile che per
lei le
considerazioni di Archibald avessero una tale importanza? Con lui
Ofelia si era
arrabbiata, aveva sbattuto il pugno sul tavolo, fatto volare documenti,
l’aveva
accusato di volerla ripudiare, si era opposta alle sue
decisioni… Ma, Thorn
aveva realizzato con estremo disappunto, nulla di tutto ciò
aveva rischiato di
scatenare il suo nuovo potere. Non era stato lui a ritrovarsi vittima
degli
Artigli di Ofelia.
Si alzò dalla
sedia con rabbia e si diresse verso l’armadio. Nonostante le
interruzioni di
Ofelia e i suoi tormenti interiori avessero comportato un ritardo di 25
minuti
sull’orario previsto per la fine dell’ultimo
appuntamento, aveva a disposizione
ancora 93 minuti prima di dover tornare all’Intendenza.
Afferrò uno dei
cappotti e il bastone che si era fatto procurare, ignorando lo specchio
nell’anta dell’armadio. Aveva già deciso
che sarebbe ricorso al suo potere di
Attraversaspecchi solo in casi di estrema necessità.
Detestava guardarsi allo
specchio, osservare la sua figura spigolosa segnata da profonde
cicatrici,
soffermarsi su tutti i dettagli che lo rendevano aberrante…
Non aveva bisogno
di ricordare per quali ragioni Ofelia non ricambiasse i suoi
sentimenti. Inoltre,
la sua Rosa dei Venti era più che sufficiente per fargli
raggiungere la villa
di Berenilde senza perdere tempo.
Thorn lasciò il
cappotto a uno dei domestici e si diresse verso la sala da pranzo, dove
sua zia
e tutti gli ospiti erano radunati per la cena. Il rumore sordo del
bastone sul
pavimento annunciò il suo arrivo e tutte le teste si
voltarono verso di lui.
“Oh
Thorn!”
Berenilde si alzò di scatto dalla sua sedia, a capotavola, e
si lanciò contro
di lui, stringendolo in un abbraccio. L’Intendente, sorpreso
da quello slancio
di affetto, spostò il peso sulla gamba sana, cercando di non
perdere
l’equilibrio. Si era aspettato di trovare sua zia concentrata
sulla figlia. “Ero
così preoccupata!” La donna lo fissò
con apprensione, sfiorandogli il livido
violaceo sullo zigomo. “Come stai? Riesci a camminare? Era
davvero necessario
tornare subito all’Intendenza? Non dovresti riposare? E
cos’è questa storia
dell’annullamento del matrimonio?”
Thorn ignorò il
fiume di domande e spostò lo sguardo su Ofelia. Sua moglie
era seduta, con suo
immenso fastidio, di fronte all’Ambasciatore, che teneva tra
le braccia un
fagotto. Cercò di ignorare il disgusto che la fiducia di
Berenilde nei
confronti di quell’uomo gli suscitava e si
concentrò sulla donna seduta davanti
a lui. A differenza degli altri commensali, che lo fissavano con un
misto di
odio e diffidenza, Ofelia aveva un gran sorriso sul volto e
l’Intendente si
ritrovò a chiedersi se fosse stato il suo arrivo a causarlo
o la presenza di
Archibald.
“Sto
bene”
rispose freddamente, sciogliendo l’abbraccio e avvicinandosi
al tavolo. “Sono
qui perché ho bisogno di parlare con
l’Ambasciatore.”
“Stiamo
cenando!”
sbottò Berenilde afferrandogli il braccio.
“Siediti e mangia qualcosa con noi!
Sembri così sciupato, devi riprenderti!”
Archibald, che
stava facendo smorfie alla neonata tra le sue braccia e ignorando
completamente
la sua cena, alzò lo sguardo con un sorriso divertito.
“Oh siete qui per me,
signor Intendente? Interessante! Ditemi!”
Thorn serrò la
mascella e cercò di trattenere la sua irritazione.
“In privato”, specificò
seccamente.
Il sorriso
dell’Ambasciatore si allargò. “Molto,
molto interessante!” esclamò saltando in
piedi come una molla. “Mia dolce Vittoria, devo assentarmi un
attimo con quel
burbero di vostro cugino!” stampò un bacio sulla
fronte della bambina, che
rispose con un gorgoglio divertito, prima di piazzarla tra le braccia
di una
terrorizzata Ofelia. “Ma non temete, vi lascio con la vostra
madrina!”
Thorn sentì la
sua muscolatura irrigidirsi ulteriormente, mentre Ofelia lo guardava
con gli
occhi spalancati, tenendo la bambina stretta a sé con il
braccio sano. “Thorn,
vi ho detto che non…”
“Non
temete.” La
interruppe bruscamente, l’acredine chiaramente percepibile
nel suo tono. Tutti
gli Animisti avevano smesso di mangiare e osservavano la scena con un
misto di
paura e interesse. Possibile che Ofelia tenesse così tanto a
quell’uomo? Era
davvero preoccupata che potesse ferirlo? “Ve lo
restituirò tutto intero.”
Berenilde si fece
passare la figlia da Ofelia con un sospiro e Thorn si voltò
di scatto, senza
attendere risposta, dirigendosi verso lo studio in silenzio. Dietro di
lui, Archibald
saltellava allegramente.
Entrò nella
stanza e controllò che effettivamente tutti gli specchi
fossero stati rimossi e
Ofelia non potesse origliare, prima di sedersi alla sua scrivania.
Archibald si
tolse il cappello malandato e si sedette di fronte a lui, appoggiando i
piedi
sul tavolo e guadagnandosi un’occhiataccia.
Thorn lo scrutò
per qualche istante in silenzio. Quell’uomo e il disordine
che lo accompagnava
l’avevano sempre infastidito, ma l’idea che Ofelia
potesse trovarlo piacevole,
che potesse provare dei sentimenti per lui… Cercò
di reprimere quel pensiero
con un brivido.
“Cosa le avete
fatto?”
L’Ambasciatore
lanciò per aria il cilindro e lo riprese al volo con un
sorriso. “Non so di
cosa stiate parlando.”
Thorn lasciò
che
i suoi Artigli fremessero alle estremità del suo sistema
nervoso. “Mia moglie.”
Il sorriso
dell’Ambasciatore si allargò ulteriormente.
“Ah, la nostra dolce signora
Thorn”, sospirò prima di fare una leggera smorfia,
percependo gli Artigli. L’Intendente
non aveva apprezzato l’uso di quell’aggettivo
possessivo. “Vi ha convinto a
consumare il matrimonio?”
Thorn serrò la
mascella, cercando di trattenere la rabbia.
Convinto.
Come se lui
avesse bisogno di essere convinto.
“Cosa le avete
fatto?” ripeté lapidario.
“Oh, le ho solo
proposto
di venire da me nel caso in cui si sentisse trascurata”
rispose Archibald
facendogli l’occhiolino, ma la sua espressione
cambiò rapidamente in una
smorfia di dolore. “Se poteste tenere a bada i vostri
Artigli, Signor
Intendente, ve ne sarei grato. Non è eccitante tanto quanto
essere colpiti da
vostra mog… OK, OK, OK!” Thorn era scattato in
piedi e si era sporto in
avanti, spingendo i piedi dell’uomo giù dal tavolo
e afferrando l’Ambasciatore
per i lembi della giacca sgualcita, sollevandolo di peso dalla sedia.
Non
avrebbe tollerato un altro commento su Ofelia, non da
quell’uomo viscido e
senza alcun valore. Percepì i suoi Artigli estendersi
ulteriormente, ma
nonostante l’espressione di dolore l’Ambasciatore
sembrava ancora fin troppo
divertito. Non aveva mai desiderato di colpirlo così tanto,
nemmeno quando…
“Se osate anche
solo sfiorarla,” minacciò Thorn cupo, lasciando
andare l’uomo con disgusto, “dovrete
vedervela con me.”.
“E se fosse lei
a
venire da me?” chiese l’Ambasciatore con tono di
sfida. Thorn gli voltò le
spalle, rivolgendo lo sguardo verso la finestra. Stava facendo di tutto
per non
pensare alla possibilità che Ofelia scegliesse
quell’uomo, continuava a
ripetersi che se davvero lei avesse provato dei sentimenti per
quell’individuo
non avrebbe insistito per mantenere il loro matrimonio. Ma allo stesso
tempo la
gelosia gli attanagliava le viscere, la sua mente non riusciva a
smettere di
chiedersi perché gli Artigli di Ofelia
fossero scattati proprio a causa
dell’Ambasciatore.
Sapeva che,
nonostante i vestiti stracciati e l’aspetto perennemente
disordinato,
l’Ambasciatore era considerato un uomo estremamente attraente
dalle donne del
Polo. Thorn aveva visto 213 donne, Berenilde compresa, restare
ammaliate dalle
sue lusinghe e cadere nel suo letto. Donne sposate, fidanzate, vedove,
illibate, giovani, vecchie, ricche o povere… Sembravano
tutte cedere al suo
fascino nel giro di pochissimo tempo. Quando Ofelia era inizialmente
arrivata
al Polo, aveva temuto non solo che Archibald potesse approfittare di
lei per
puro dispetto, ma anche che alla sua fidanzata quel libertino potesse
piacere.
Eppure Ofelia, a differenza di tutte le altre donne, era apparsa
insensibile al
suo fascino. Le cose erano cambiate? Possibile che
l’Ambasciatore fosse riuscito a vincere il
suo cuore?
Thorn aveva
capito, con il tempo, che ciò che Ofelia apprezzava di
più era la sincerità e
aveva sperato che questo potesse giocare a suo favore. Aveva deciso di
non
nasconderle più nulla, di essere onesto, di dichiararle i
suoi sentimenti… Ma
lei aveva fatto finta di nulla.
Non poteva però
fargliene una colpa. Non era un uomo
affascinante, né particolarmente loquace o divertente. Le
aveva rubato la sua
libertà e indipendenza, strappandola dalla sua Arca e dalla
sua famiglia. Il
suo corpo era ricoperto di cicatrici e, come se tutto ciò
non fosse già stato
abbastanza, l’incontro con il Mille Facce l’aveva
reso uno storpio.
A quel pensiero,
Thorn ignorò la fitta di dolore proveniente dalla gamba e
rimase in piedi. Non
aveva intenzione di mostrarsi debole davanti all’Ambasciatore.
“Ditemi
perché vi
ha attaccato.”
Archibald
sospirò
e sollevò il cilindro, passandosi una mano tra i lunghi
capelli biondi. “Mio
caro Intendente, posso solo dirvi che i vostri Artigli agiscono in modo
piuttosto simile”, disse con un sorrisetto furbo.
Thorn trattenne ancora
una volta la rabbia e il proprio potere familiare. Non riusciva mai a
decifrare
i commenti di quell’individuo.
“Ora se avete
finito con le domande, io tornerei alla mia cena e alla mia adorata
figlioccia”,
aggiunse l’uomo avvicinandosi alla porta dello studio.
“No”,
lo bloccò
Thorn, tornando a voltarsi verso di lui. Deglutì e prese un
profondo respiro. “Vi
devo chiedere un favore”, mormorò estremamente
infastidito.
“Ah!”
l’Ambasciatore scoppiò in una risata fragorosa.
“La vostra dolce zia non vi ha
insegnato le buone maniere? Vi sembra normale aggredire il gentiluomo a
cui
volete chiedere un favore?”
Thorn lo
ignorò.
“Siete in debito.”
“Oh no no
no!”
Archibald alzò la mano e mosse il dito per sottolineare il
suo diniego. “Vi ho
portato una pistola in cella e ho messo a punto un piano per salvare la
vostra
dolce mogliettina in caso di pericolo. Direi che siamo pari.”
L’intendente
percepì la sua mascella contrarsi. “Vi faccio
notare che entrambe le cose si
sono rivelate inutili.”
Il sorriso
dell’Ambasciatore si allargò. “Io ve
l’avevo detto di riporre più fiducia in
vostra moglie!”
Thorn sospirò.
Il
colloquio, indesiderato, che aveva avuto con quell’uomo
mentre si trovava in
cella era stato incredibilmente tedioso. “Ad ogni
modo… Siete ancora in debito
nei confronti di Ofelia. Senza di lei, sareste già morto da
un pezzo.”
“Scommetto che
non vi sarebbe dispiaciuto!” Thorn gli rispose con una
smorfia eloquente.
“Comunque avete ragione, sono in debito con vostra moglie,
non con voi. Cosa le
potrei offrire?” chiese malizioso, spingendo
l’Intendente a chiedersi perché
avesse promesso a Ofelia di riportarle Archibald vivo.
“Il
piano”,
mormorò tra i denti. “Ho bisogno di sapere se
è ancora attuabile.”
Archibald
sembrò
improvvisamente sorpreso. “Avete intenzione di far arrabbiare
nuovamente Faruk
e tornare in cella?”
“No,”
rispose
tetro, “ma Ofelia è decisa a voler testimoniare al
processo.” Testarda,
inarrestabile Ofelia. Ma non le avrebbe permesso di presentarsi
un’altra volta
di fronte a Faruk senza poter fare nulla per aiutarla, per proteggerla.
Gli occhi di
Archibald si fecero improvvisamente seri, e il suo intero aspetto
sembrò
mutare. Sembrava di colpo più vecchio e stanco.
“Farò in modo che il piano sia
pronto”, disse serio, annuendo con un cenno della testa.
“Perché come avete
detto, sono in debito con vostra moglie.”
Thorn annuì,
stupito e sollevato. Non si fidava di quell’uomo, ma sapeva
che possedeva le conoscenze
giuste per portare Ofelia lontana dal Polo in caso di
necessità. “Vi ringrazio”,
mormorò. Le parole che pronunciava così raramente
sembravano ancora più strane
in quel contesto.
Le sopracciglia
dell’Ambasciatore si sollevarono, ma il suo sguardo
continuava ad essere serio.
“L’amore vi rende strano, Intendente…
Quasi umano.” Disse prima di dirigersi verso la
porta. “Ah, vi ripeterò il consiglio che vi ho
dato in cella. Dichiaratevi
esplicitamente, vostra moglie su certe cose è proprio
ottusa.”
“L’ho
fatto”, si
lasciò sfuggire Thorn prima di poter rendersene conto.
“Ah.”
Archibald
si bloccò con la mano sulla maniglia, sorpreso, e Thorn si
maledisse. Perché
mai ne stava parlando con quell’uomo? Non aveva di certo
bisogno dei commenti
di un tipo del genere! “Interessante… Ma non vale
se l’avete fatto mentre consumavate il
matrimonio!” esclamò l’uomo
maliziosamente e l’Intendente lasciò finalmente
liberi i suoi Artigli, irritato verso l’Ambasciatore e verso
se stesso.
Archibald
ridacchiò trattenendo una smorfia di dolore e
uscì dallo studio saltellando.
“Pungete meno di vostra moglie, signor Intendente!”
Thorn lo guardò
tornare
verso il salone da pranzo baldanzoso e sospirò. Parlare
seriamente con
quell’uomo era sempre estremamente difficile, ma almeno era
riuscito ad
ottenere parte di ciò che voleva. Il suo cervello, con suo
estremo disappunto,
continuava però a chiedersi per quale motivo gli Artigli di
Ofelia avessero
attaccato l’Ambasciatore. Afferrò il bastone che
aveva lasciato vicino alla
scrivania e seguì Archibald, chiudendo la porta dello studio
alle sue spalle.
Quando arrivò
in
sala da pranzo Ofelia aveva finito di cenare e stava conversando con il
prozio
e la zia Roseline. Il rumore del bastone la fece voltare e i suoi occhi
corsero
velocemente tra lui e Archibald, che si era fermato vicino a Berenilde
per fare
strane smorfie alla neonata.
“Di cosa avete
parlato?” domandò Ofelia incuriosita.
“Avevo bisogno
di
alcuni dati per terminare i riconteggi. Il funzionario che mi ha
sostituito
durante la mia permanenza in cella non era particolarmente
preciso.”
L’Animista lo
guardò perplessa. “Ed era necessario parlarne in
privato? Adesso?”
Thorn abbassò
lo
sguardo e prese l’orologio dalla tasca della sua giacca,
ignorando le domande.
L’oggetto si aprì di scatto sul palmo della sua
mano e si richiuse velocemente.
“Tra trenta minuti devo incontrare un funzionario del
tribunale nel mio ufficio
e…”
“Per tutti i
tappeti svolazzanti!” la voce della zia Roseline, che li
fissava sconvolta, li
fece girare di scatto. “Il vostro orologio si è
animato!”
“La cerimonia
del
Dono. Ho
ereditato il potere di vostra nipote, il vostro potere”, spiegò
sbrigativamente Thorn, tornando a concentrarsi su Ofelia.
“Comunque, devo
tornare…”
“Siete un lettore
ora?” Thorn lanciò
un’occhiataccia alla donna che l’aveva interrotto
una
seconda volta e il prozio ridacchio lisciandosi i baffi.
“No”,
rispose
seccamente, ripensando a come aveva desiderato leggere quella pistola
in
prigione, a come aveva sperato di poter leggere il Libro di Faruk.
“Ofelia,
devo tornare all’Intendenza a sistemare alcuni documenti
prima del mio prossimo
appuntamento.”
L’Animista
annuì
lentamente, ma sembrava confusa. Thorn si chiese se stesse ripensando
alla
Cerimonia del Dono o se fosse perplessa a causa dell’Animismo
manifestato dal
suo orologio. “Avete mangiato?”
No, i pensieri di
Ofelia non seguivano la normale logica, non poteva prevederli.
Scosse
leggermente la testa e si diresse verso la porta della stanza.
"Ehi!"
“Thorn!”
L’Animista e
Berenilde, con la figlia in braccio, erano scattate in piedi per
seguirlo.
“Thorn, devi
riposarti!”
“Aspettate, devo
chiedervi una cosa!”
Thorn camminò
con
passo veloce verso l’entrata della villa, appoggiandosi al
bastone. Non poteva rischiare di
essere in ritardo. Si fermò vicino alla porta di ingresso.
“Ti prego Thorn,
prenditi cura di te stesso!” esclamò Berenilde
raggiungendolo. Con una mano gli
accarezzò il volto. “Sono così
preoccupata! Gli ultimi giorni sono stati
terribili! E vorrei che tu passassi un po’ di tempo con
Vittoria!”
L’Intendente
sospirò, estraendo nuovamente l’orologio, che si
animò. Non aveva intenzione di
perdere tempo con una neonata.
Ofelia, intanto,
lo fissava quasi preoccupata.
“BERENIIIIILDEEEE”
la voce dell’Ambasciatore sovrastò il frastuono
proveniente dalla tavolata e
Thorn alzò gli occhi al cielo. La presenza di tutta quella
gente, con tutto
quel rumore, lo infastidiva.
Berenilde fece
scorrere lo sguardo tra i due e sorrise. “La tua mamma
è stata proprio brava!”
disse contenta stampando un bacio sulla guancia della figlia.
“Proprio, proprio
brava! Torno
dai miei ospiti, mi reclamano. E voi due non avete più
bisogno di uno chaperon!”
Gli occhiali di
Ofelia, così come le sue guance, arrossirono mentre si
avvicinava a lui,
guardando Berenilde sparire nell’altra stanza. "Dovreste
prendere della zuppa."
“Voi siete
incomprensibile” mormorò Thorn osservandola, e
ancora una volta lei lo stupì.
Il suo viso avvampò ulteriormente e la sua espressione
divenne quasi adirata.
“Cosa significa?
Siete voi quello che non mangia! Arrivate qui all’improvviso,
sparite insieme
ad Archibald e poi ve ne andate senza dirmi nulla! Non so nemmeno se il
nostro
appuntamento è confermato!”
Sua moglie
sembrava furiosa, ma l’Intendente non percepiva la tensione
normalmente
prodotta dal suo potere familiare. Non riusciva a comprendere cosa
avesse
scatenato gli Artigli di Ofelia, ma poteva di certo escludere la
rabbia.
“Era un
complimento” sbottò infastidito. Possibile che non
capisse? In un mondo in cui
chiunque incontrasse gli sembrava noioso e prevedibile, in cui tutto
era comprensibile,
lei era l’eccezione. Lei era l’unica persona che
riusciva a sorprenderlo, a stimolare
la sua curiosità. L'unica che desiderasse avere
intorno.“Vi aspetto a mezzanotte, siate puntuali”
aggiunse prima di
uscire, senza attendere risposta.
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