Da Austin a Tokyo con amore e una 357 Magnum di Little Firestar84 (/viewuser.php?uid=50933)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Cpitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Salve a tutti! Torno a voi
con uan nuova multichapter, un po' diversa dal solito... un
esperimento, diciamo. Da Austin a Tokyo con amore e una 357
Magnum è, innazittuo, un crossover, con lo show della CBS
The Mentalist, ed è un giallo (in cui però la
parte romantica sarà presente),e cronologicamente l'azione
è ambientata ai giorni nostri, prendendo spunto dal film
City Hunter: Private Eye che vede Ryo e Kaori (e tutta l'allegra banda)
dell'età che avevano al termine del mange e nell'anime, ma
spostando l'ambientazione ai giorni nostri, con la relativa tecnologia
annessa, ma che seguirà comunque la cronostoria sia di the
mentalist (di cui vi lascio un velocisismo riassunto qui) che di City
Hunter...
NEGLI
EPISODI PRECEDENTI DI THE MENTALIST:
Da ragazzino che
lavorava nel circo, Patrick Jane di strada ne ha fatta: truffatore ed
attore senza pari, Jane è un "mentalista", che riesce,
attraverso il suo intuito, l'hot e cold reading e la manipolazione-
nonchè un carisma innato e un discreto fascino, a farsi
passare con successo per un sensitivo. Successo e fama non gli mancano,
e con tempo, Jane riesce a diventare ricco e riscattare- per
sè e per la moglie Angela e la figlia Charlotte- un passato
fatto di ristrettezze e miseria. Una moglie bellissima, una
bambina tanto bella da sembrare un angelo, una villa sulla spiaggia di
Malibù, vestiti firmati, gioielli, una collezzione di auto
che vale milioni, Jane ha tutto. Ma non gli basta.
Quando una rete
nazionale gli propone uno speciale in cui cercare di contattare le
vittime del Serial killer John il rosso, che da anni terrorizza il
Sud-Ovest degli USA, Jane accetta subito, pregustando il salto di
qualità, la possibilità di essere famoso a
livello nazionale... ma a John il Rosso, quello che Jane dice di lui
quella sera non piace, e quando a mezzanotte inoltrata torna a casa,
Jane trova la porta socchiusa, e sul muro davanti a lui la firma del
killer, uno smiley fatto col sangue- quello di sua moglie e sua figlia.
Accecato dalla
vendetta, Jane si isola dal mondo per alcuni mesi,
abbandonando tutto e tutti, tornando quando scopre che l'indagine
sull'omicida è stata assegnata al California Bureau of
Investigation.
Manipolando il
direttore del CBI, Jane ottiene di divenire consulente
dell'unità che segue il caso, che ha a capo Teresa Lisbon, e
di cui fanno parte Kimball Cho, ex militare, Wayne Rigsby e l'esperta
di informatica e sorveglianza Grace Van Pelt. Lisbon non apprezza la
cosa: sia perchè sa che Jane vuole solo vednicarsi, sia
perchè vede ogni giorno la sanità mentale e
l'equilibrio dell'uomo farsi sempre più precari.
Per oltre un
decennio, Jane segue il caso, in modo maniacale, nascondendosi dietro a
una maschera di pagliaccio, prendendosi gioco di tutti, forze
dell'oridne e criminali compresi, ma, dato il suo alto numero di casi
risolti, Lisbon, anche a discapito della carriera e delle relazioni
personali, continua a supportarlo- e col tempo, ad avvinarsi smepre di
più a Jane, divennedo di fatto il suo unico punto di
contatto con la realtà tutte le volte che John il Rosso
ricompare, prendendosi gioco di loro, e di Jane in primis.
Col passare degli
anni, Jane intuisce di un possibile legame tra la setta Visualize, a
cui c'è Bret Stiles a capo, e John il rosso, ma Jane capisce
che le cose sono ancora più complicate: il killer non fa
solo parte della setta, ma anche delle forze dell'ordine, che, con le
loro soffiate, permettono all'assassiono di essere sempre un passo
avanti, e di mettere in pericolo quella che è divenuta di
fatto la famiglia di Jane, i suoi amici e colleghi, e di Lisbon in
particolare, di cui Jane si è innamorato, ma a cui non
confessa nulla sapendo che vivere quell'amore la metterebbe ancora
più in pericolo con il suo nemico.
Dopo quasi undici
anni, Jane riesce a stilare una lista dei sette papabili candidati alla
figura di Red John, membri di Visualize ai massimi livelli o delle
forze dell'ordine, e, al cimitero dove è sepolta la sua
famiglia, Jane finalmente ottiene la sua vendetta: uccide,
soffocandolo, lo sceriffo McAllister, il vero nome del killer, che,
sibillino, prima di morire gli ricorda che lui non sa, e non
saprà, mai tutto...
Braccato dalle froze
dell'ordine, omicida, Jane fugge, lasciando a Lisbon uno struggente
messaggio sul telefono, in cui la ringrazie, e le dice che gli
mancherà- ma la sua storia non è destinata a
finire così. Quando Cho ottiene un incarico all'FBI di
Austin, sotto al comando dell'uomo che ha braccato Jane, l'agente
Abbott, il Mentalista ottiene di tornare a casa con la fedina pulita,
in cambio di cinque anni al servizio dei federali. Ma solo se Lisbon, a
cui er due anni ha mandato segretaemnte cartoline senza alcun testo e
piccoli regali, andrà a lavorare con lui: il suo scopo?
Conquistarla, ora che è finalmente libero.
E dopo numerose
peripezie, un agente dell'FBI che tenterà di portargliela
via e un assassino che minaccia di impdire le sue nozze, Jane
finalmente ottiene il cuore della sua bella: e se la sua storia era
iniziata con la morte, è con la vita, ed il concepimento di
suo figlio, che il suo destino si compie...
Tokyo
(Giappone), in una placida
mattina di primavera…
“Ryo,
dì un po’, hai intenzione di dormire ancora
a lungo?” Kaori sbuffò mentre si
avvicinava alla stanza del suo coinquilino/partner/interesse
amoroso, sbuffando. Aveva in mano un mestolo e indossava ancora, sopra
il
pigiama a righe, il grembiule da cucina.
Sapeva
che era presto per il suo socio- normalmente Ryo non scendeva mai prima
di
mezzogiorno, specie se, come la sera prima, aveva fatto baldoria fino a
notte
fonda con Mick in giro per locali- ma per quel giorno si sarebbe dovuto
accontentare di svegliarsi alle nove, visto e considerato che, per
grazia
ricevuta, avevano appuntamento con un cliente…
“La
colazione è pronta!” Cinguettò la rossa
mentre apriva la porta della camera da
letto, senza bussare come suo solito, giusto per rimanere impietrita
davanti
allo spettacolo che le stava dinnanzi.
Il
letto era completamente occupato.
Mick,
in mutande, e Ryo, nudo come suo solito, se ne stavano ai lati del
materasso,
mentre una brunetta dai capelli corti in camiciola e slip era
spaparanzata in
mezzo a loro e a un mucchio di bottiglie e lattine di birra vuote.
“Tu,
maledetto porco… e così tu vorresti vivere per la
persona che ami, eh?” gli
sbraitò contro lanciandogli tutto quello che le capitava a
portata di mano e
facendolo cadere dal letto. “Sei un porco, un pervertito, tu
ami solo il sesso!”
“Eh?”
Ryo si massaggiò un bernoccolo, e si guardò
intorno, un po’ intontito, incerto
su cosa stesse accadendo. “Kaori? Ma stavolta cosa ho
fatto?”
Stringendo
i denti, la donna si limitò a indicare con un dito la
moretta mezza nuda, e
Mick, e Ryo subito entrò in modalità difensiva.
Come un fedele cagnolino, le si
attaccò alle gambe, stringendole il più forte
possibile, tentando di impedirle
di andarsene.
“Non
ho fatto niente, giuro! Sono innocente! La colpa è tutta di
Mick, sono certo
che sia lui che si è intrufolato nel mio letto e mi ha
spogliato, sì, sì, deve
essere un suo scherzo per vendicarsi! È arrabbiato
perché ti ho riportato da me
e adesso siamo di nuovo i migliori!!!”
In
quel momento, la moretta si svegliò, e stiracchiandosi
lasciò che il top si
alzasse, rivelando una striscia di pelle bianca come la neve, un addome
perfettamente piatto e una vita sottile –il classico tipo di
Ryo, in poche
parole.
“Mm…Ryo,
sei già sveglio?” la moretta brontolò
con voce impastata. “Oh, ieri mi sono
divertita così tanto… tu e Mick sì che
sapete come darci dentro!” Terminò la
frase con una risatina civettuola- il genere che Kaori non avrebbe
emesso
neanche morta- e guardò Ryo, ancora ancorata alla sua gamba,
che si staccò con
aria colpevole.
“Così,
la colpa è di Mick, eh? Vergognati, scaricare le tue
responsabilità sul tuo
migliore amico!” Sbattendo la porta, Kaori si diresse verso
la sua stanza,
facendo quasi tremare i muri, brontolando le parole porco,
maiale, pervertito, stronzo, col cavolo che mi ama, almeno prima
non se le portava a casa a ripetizione.
“Ma…
ma io non ho fatto niente…” Grattandosi il capo,
si voltò verso il suo migliore
amico, ancora addormentato, e la moretta che faceva le fusa, e mentre
si
chiedeva se effettivamente esistesse la possibilità che
fosse accaduto
qualcosa, sentì di nuovo tremare i muri - Kaori era uscita
di casa sbattendo la
porta.
Ryo
fece per raccogliere i pantaloni ed andare a cercarla, spiegarsi,
chiederle, di
nuovo, per l’ennesima volta, perdono, ma fu interrotto dal
suono del
cellullare, dalle note della canzone preferita del suo defunto amico,
il
fratello di Kaori, che riempirono l’aria.
Controllò
l’identità del chiamante- Saeko. Si chiese cosa
volesse l’ispettore Nogami da lui
a quell’ora, ed immaginò che, qualsiasi cosa
fosse, dovesse essere seria: era
da parecchio che le bella poliziotta non lo metteva più in
mezzo ai suoi casi,
a meno che non si trattasse di qualcosa di veramente grave.
“Si
può saper cosa cavolo vuoi a quest’ora,
Saeko?” Le rispose, un po’ scontroso,
facendo il borioso annoiato e fingendo che, di qualsiasi cosa si
potesse
trattare, a lui non interessasse a priori.
Dall’altra
parte della linea, Saeko rimase in silenzio, e Ryo avvertì
chiaramente la sua
preoccupazione, la rabbia, il suo senso di impotenza davanti a qualcosa
di più
grande di lei… l’aveva sentita così
solo un’altra volta in precedenza, quando
il suo grande amore era morto…
Era
grave. Qualsiasi cosa fosse, era molto
grave, ed in quel momento, Ryo temette di sapere di cosa si
trattasse…
“Quante,
stavolta?” Chiese, appoggiandosi con la schiena al muro,
perso nelle sue
meditazioni.
Solo una, ma il modus operandi è lo
stesso. Una ragazzina che lavorava nel quartiere a luci
rosse… avrà avuto vent’anni,
Ryo. L’hanno drogata, e lasciata a morire
dissanguata… è la quinta in pochi
mesi, e io non so più dove sbattere la testa. Le vittime non
hanno altra
connessione se non che vivono nel quartiere e sono donne, per il resto,
fisico,
età, estrazione sociali sono diversi… e chiunque
sia l’assassino, non lascia
nessuna traccia.
“Vuoi
che mi occupi del caso, Saeko?” Le chiese, mentre si
accendeva una sigaretta e
guardava fuori dalla finestra, con lo sguardo cupo.
Sai che non posso darti alcun incarico
ufficiale, vero?
“Non
importa. Qualcuno a casa mia sta facendo qualcosa che non mi piace.
È ora che l’angelo
della morte gli faccia una visitina…”
Chiuse
la chiamata senza aggiungere altro, mentre una nuvoletta di fumo
raggiungeva il
soffitto.
A
Shinjuku, nel quartiere che era la loro casa, qualcuno stava uccidendo
non per
vendetta o giustizia, ma per il semplice gusto di farlo.
E
questo, lui non lo poteva tollerare. Non a casa sua.
Nello
stesso momento, ad Austin (Texas)…
Jane
osservava il figlioletto neonato disteso nel lettone, seduto su una
sedia pieghevole
al fondo del materasso. La stanza era pressoché avvolta
nell’oscurità, salvo
per una piccola lampada che teneva sul comodino e che non spegneva mai,
quasi
con quella luce avesse potuto controllare e tenere più al
sicuro la sua
famiglia.
Avevano
portato Evan Jane a casa quel giorno stesso, dopo alcuni giorni in
terapia
neonatale; di fretta come il padre, era nato con oltre tre settimane di
anticipo,
obbligando lui e la dolce Teresa- la dura dal cuore tenero che la
maternità
aveva reso una creatura a dir poco angelica- a guardare il loro piccolo
tesoro
attraverso un vetro per giorni e giorni.
E
adesso, era a casa, e l’idea di metterlo nella culla, anche a
un solo passo da
lui, terrorizzava Jane oltre ogni misura. Sapeva che la
possibilità che un
altro serial killer decidesse di perseguitarlo andando ad attaccare la
sua famiglia
era remota, ma c’era una parte di lui che, nonostante
l’amore per Teresa ed il
loro cucciolo, sarebbe sempre rimasta in quella stanza della sua villa
sulla
spiaggia, ormai cenere, con lui inginocchiato a terra, incapace anche
di
versare una singola lacrima mentre teneva tra le braccia i cadaveri
squartati
della moglie e di sua figlia.
Sbuffò,
tentando di allontanare quei lugubri pensieri dalla sua mente. Forse
Teresa e
Cho avevano ragione ed era ora di andare in terapia in modo serio, non
per il
puro scopo di prendere i suoi terapisti per i fondelli e manipolarli a
suo
piacimento, come aveva fatto anni addietro con la povera Sophie Miller,
morta
per la sola colpa di averlo conosciuto.
Chissà.
Forse.
Ma
anche no.
“Dì
un po’, non pensi di essere esagerato?” La moglie
gli chiese, col sorriso sulle
labbra, mentre si appoggiava allo stipite con le braccia incrociate.
Jane si
voltò a guardarla, e le diede uno di quei suoi sorrisi
sghembi che la facevano
arrossire, perché, dalla prima volta che lui
l’aveva guardata così, lei si era
infatuata di quell’uomo dall’animo tormentato e
maldetto che si nascondeva
dietro alla maschera del pagliaccio.
Indossava
una camicia da notte in raso, verde, senza maniche e che le arrivava
quasi ai
piedi. Era bellissima- e come le aveva detto una volta, il verde era il
suo
colore. E poi, quello era un suo
regalo, e lui era famoso per il suo impeccabile gusto…
“Jane,
sai che non abbiamo un’orda di serial killer alle costole
ventiquattro ore su
ventiquattro, sette giorni su sette, vero?” Gli chiese,
avvicinandosi a lui e massaggiandogli
le spalle. Le era scappato di chiamarlo per cognome, Jane, talmente ci
era
abituata… dopotutto, lui era stato Jane, il suo collega, il
suo consulente, per
dodici anni, mentre Patrick… beh, lui era Patrick
da appena nove mesi. Ci doveva ancora fare il callo. O
chissà, forse non se
lo sarebbe mai fatto.
“Lo
hai detto anche al nostro matrimonio, sette mesi fa.” Jane
sospirò, guardando
Evan. “Dove, ti rammento, siamo stati attaccati da un serial
killer.”
Teresa
si morse le labbra e gli diede delle pacchette sulla spalla. Aveva
ragione. Anche
se, tecnicamente, la colpa era stata tutta di Jane- era lui quello
davvero
bravo a far arrabbiare la gente, e tirare fuori il peggio del peggio da
chiunque…
“Vado
a preparati un the.” Gli disse, cambiando argomento,
lasciandogli un bacio sui
boccoli biondi, che quel cherubino di loro figlio aveva ereditato, come
pure quegli
occhi di un azzurro intensissimo.
Appena
lei ebbe lasciato la stanza, Jane allungò la mano al suo
smartphone, e andò a
rileggere un articolo di un quotidiano nazionale pubblicato alcuni mesi
prima,
che era andato a ripescare quella mattina stessa dopo aver controllato,
come
suo solito, le rassegne stampe internazionali giusto per vedere se nel
mondo
stesse accadendo qualcosa di interessante che potesse usufruire delle
sue
eccellenti doti di mentalista.
VISUALIZE,
LA SETTA APRE UNA SEDE A TOKYO
Il
gruppo di “auto-aiuto” inaugura una sede nella
capitale del Giappone tra mille polemiche.
Sono
passati tre anni dal tentato
omicidio di Bret Stiles, quando il fondatore di Visualize- per gli
adepti un
gruppo di auto-aiuto, ma una vera e propria setta per i più
– scampò a morte
certa dopo che uno degli ex-membri del gruppo, lo Sceriffo Thomas
McAllister (Napa
Valley) e l’allora direttore del CBI (California Bureau of
Investigation) tentarono
di incastrare il carismatico e contestato mogul
per gli omicidi commessi dal noto serial Killer John il
Rosso, che per
oltre vent’anni aveva terrorizzato il sud-ovest degli Stati
Uniti.
Oggi,
dopo aver “fatto pulizia del
marcio”, come lui stesso dice, Stiles e Visualize risorgono
dalle ceneri come
la fenice, e la riapertura delle sedi in tutto il mondo coincide con
l’inaugurazione
della prima sede della “Chiesa della realizzazione
interiore” in Giappone.
Luogo
scelto, il controverso
quartiere di Shinjuku (Tokyo), sede del governo centrale della
città di Tokyo,
ma anche di uno dei più grandi quartieri a luci rosse del
mondo. Proprio lì
Stiles ha deciso di aprire la sua nuova casa: “Le
giovani che popolano quella
zona sono anime perse, che noi abbiamo il dovere morale di
supportare”, ha
dichiarato Stiles, 77 anni (raffigurato in un’immagine di
repertorio), che
nonostante l’età e le vicende legali che lo hanno
visto protagonista negli
ultimi anni in tutto il mondo tiene ancora salde le redini del gruppo,
che
ereditò nel 1976 da Timothy Farragut, il fondatore, alla sua
morte, avvenuta in
circostanze misteriose. Voci di corridoio…
Avvertendo
i passi leggeri della moglie, Jane chiuse la schermata e nascose il
telefono, e
quando lei gli offrì la tazza- quella azzurro Tiffany, che
gli aveva regalato
per Natale quando a malapena erano colleghi, figurarsi amici o amanti-
la prese
col sorriso, dandole un casto ma dolce bacio sulla guancia, a cui
Teresa
rispose con un sorriso anche lei, ma tirato- si fermò dalla
porta, voltandosi
verso il marito, conscia che, di nuovo, lui le stava nascondendo
qualcosa,
convinto che quello fosse il suo unico modo di proteggerla, e non
perché non si
fidasse. Ancora non capiva che l’unico modo per essere al
sicuro, essere sempre
pronti, era fidarsi l’uno dell’altra e non
nascondersi nulla: possibile che in
quasi quindici anni non avesse imparato nulla? Che non capisse cosa gli
errori
del passato gli avevano causato?
Scosse
il capo, triste e delusa e preoccupata, mentre il marito fissava il
loro
figlio, vivo e
sano, diversamente dalla
sua sorellina Charlotte, morta a causa dell’ubris del padre,
senza sapere cosa
stesse passando per la mente di Jane. Rimase lì, immobile,
con il cuore
spezzato, a
guardarlo per un tempo
lunghissimo, sapendo quanto l’io interiore di
quell’uomo fosse differente dalla
visione che dava in quel momento- a chiunque altro, con la tazza in
mano,
intento a sorseggiare il suo the, sarebbe parso come il ritratto della
tranquillità, ma lei sapeva che era turbato.
Solo,
non sapeva cosa fosse a renderlo così. Si era pentito di
averla sposata?
Sentiva di star tradendo Angela, la sua defunta moglie? O era
semplicemente un
padre-iperprotettivo, ora che Evan era nato?
Tornò
in cucina per finire di mettere a posto, e non vide Jane che riprendeva
in mano
il telefono, e mandava un messaggio, pensieroso, sentendosi colpevole
come un
ladro….
Tokyo
(Giappone), nel quartiere di
Shinjuku…
Con
le mani in tasca ed il capo chino, Kaori camminava sospirando per le
strade di
quel quartiere in cui era cresciuta, e che forse, solo con Ryo, aveva
imparato
ad amare.
Con
ogni passo, sentiva il peso sulle spalle farsi sempre più
pesante, ed il cuore
spezzarsi in mille pezzettini mentre veniva trafitto da mille cristalli
di
ghiaccio.
Non
sapeva se sentirsi più delusa dal comportamento di Ryo, che
le aveva fatto capire
di amarla per poi ritrattare le parole dette, attribuirle alla foga del
momento,
al bisogno di distare il nemico, e che lei, comunque era come
un fratello per lui.
Non
era stupida. Sapeva che il 90% delle volte Ryo le parlava in quel modo,
uccidendo
la sua femminilità, per allontanarla da sé e
saperla al sicuro, fuori da quella
vita pericolosa, e che il restante 10% delle volte era per pura
abitudine…
eppure, faceva male. Ogni. Sacrosanta. Volta.
“For
fuck’s sake, watch where
you are going!” Kaori
cadde a terra, persa
nei meandri dei suoi pensieri, e sentì una voce maschile
sibilare rabbiosamente
al suo indirizzo con un forte accento inglese- anzi, americano, quasi
del tutto
identico a quello del “buon” Mick.
“Brother
Thomas, enough!” Sentì un’altra voce,
più bassa, ma decisa e autoritaria,
parlare. Con il fondoschiena dolorante, Kaori aprì gli
occhi, e vide che,
nella sua sbadataggine, aveva
fatto cadere a terra un vecchietto, un signore composto, elegante,
dagli occhi
azzurri- ed occidentale- sui settant’anni. “Le
chiedo scusa per l’irruenza e la
maleducazione del mio amico, signorina. Thomas non ha capito che tanto
io
quanto lei eravamo assorti nei nostri pensieri.”
Le
disse, in perfetto Giapponese, in tono galante, mentre, alzandosi e
spolverandosi la polvere dal costoso completo, le offriva la mano per
aiutarla
ad alzarsi, che lei afferrò sorridendogli timidamente, ed
arrossendo- non era
proprio abituata ad avere intorno uomini galanti. “Oh, la
ringrazio, ma il suo
amico ha ragione. Devo scusarmi io, ero assorta nei miei pensieri e non
vedevo
dove andavo…”
“Sembra
turbata, signorina, una vittima degli eventi, della
vita….” L’uomo
la guardò negli occhi, in silenzio,
sembrò scrutarle dentro l’anima con quei suoi
occhi di ghiaccio. Il cuore di
Kaori andò a mille, e desiderò poter ritrarre la
mano che lui ancora stringeva,
ma la morsa dell’uomo sembrava ferrea, i movimenti del
pollice sulla sua pelle
quasi ipnotici.
Aveva
paura. Aveva davanti un vecchietto di ottant’anni, eppure era
terrorizzata.
“Tanto
potenziale… una tale bellezza… eppure, un tale
spreco…” sospirò,
tenendo lo sguardo saldo. Kaori
finalmente riuscì a liberarsi dalla presa, e lui la
guardò correre via, come un
cerbiatto spaventato, una vergine sacrificale, terrorizzata da
quell’inusuale
incontro, che l’aveva lasciata stremata più di
tutti gli altri avversari che
lei e Ryo avevano incontrato negli anni - nemmeno Kaibara aveva avuto
quest’effetto
su di lei.
“Mi
incuriosisce quella ragazza…ha un qualcosa di…
stuzzicante.” L’uomo si voltò
verso uno dei suoi uomini, con un sorriso compiaciuto sul viso.
“David, seguila
e scopri tutto quello che puoi su di lei. Credo che abbiamo appena
trovato un’altra
pecorella da aggiungere al nostro ovile…”
“Come
desidera, Mister Stiles.”
Dopo
avergli fatto un breve inchino, David si mischiò alla folla,
alla ricerca della
preda del padre e leader di Visualize…
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Terribilmente in ritardo, il secondo capitolo... chiedo scusa ai miei
lettori, ma tra impegni vari, lavoro e altre cose da scrivere, il tempo
è volato.
Io però, cose incompiute non ne lascio, quindi...
tranquilli. Non rimarrete delusi!
Tokyo
(Giappone), alcuni giorni dopo…
Jane inspirò profondamente appena sceso
dall’aereo, giusto per calmare i nervi. Si era fatto quasi
venti ore di volo,
salvo i tre quarti d’ora passati a Los Angeles per lo scalo,
e adesso non ne
poteva più, e non era certamente solo perché
sentiva l’intero corpo
indolenzito.
Era il fatto che avesse mentito, di
nuovo, ancora, a Teresa,
raccontandole che il capo – Cho, gli faceva ancora strano che
adesso alla cima
della catena alimentare ci fosse lui, eterno braccio destro di Teresa
Lisbon ai
tempi del CBI, suo pari all’FBI- aveva ricevuto ordine dai
grandi papaveri
dell’FBI di fargli risolvere un delicatissimo e complicato
caso a New York, che
lo avrebbe tenuto impegnato per almeno una decina di giorni, pena
l’annullamento dell’accordo firmato nemmeno due
anni prima e la sua incarcerazione.
Mentire gli rodeva e non poco, ma Jane
sapeva di avere scelta. Non era solo il fatto che mentire, manipolare e
tenere
segreti era parte della sua identità e della sua natura, era
che la voleva
difendere, lei e loro figlio, da chi avesse voluto fare loro del
male… e dal
fatto che, forse, si era sbagliato, si erano sbagliati tutti, e non era
davvero
finita.
Forse, John il Rosso era ancora vivo.
Forse, qualcuno aveva raccolto la sua
crudele eredità di morte.
Quello che sapeva di certo, era che
Visualize doveva essere al centro della cosa, e questa volta non si
trattava
solo di una martellante ossessione, di un’estemporanea
intuizione- no, questa
volta, lui, lo sapeva per certo, se lo sentiva.
Anche se questa nuova consapevolezza
gli era giunta per puro caso, quando gli era capitato tra le mani un
rotocalco,
molti mesi prima, mentre era andato ad accompagnare Teresa ad una
visita
medica. Lì, aveva visto l’articolo che aveva dato
il via al tutto, che aveva
risvegliato il suo comportamento ossessivo e quel nascondersi, quel
fingere di
cui Teresa era ben conscia- perché per capirlo lei non aveva
mai avuto bisogno
di troppe parole- e che le spezzava il cuore.
Sospirò, meditando se accendere il
telefono o meno.
Decise di no- non avrebbe potuto non
risponderle se avesse chiamato, e allora lei avrebbe sentito le voci in
sottofondo e avrebbe capito che non era a New York e che le aveva
raccontato
una balla, l’ennesima, e stavolta si sarebbe incazzata di
brutto e lo avrebbe
mollato di sicuro.
Grazie, ma no grazie. L’avrebbe
chiamata lui, più tardi. Magari da una camera
d’albergo. Nel silenzio assoluto.
Alzò un braccio in segno di saluto
quando vide che i suoi accompagnatori in quel viaggio erano
già arrivati, ed
erano seduti su una panchina vicina al nastro del ritiro bagagli,
ognuno di
loro con la propria solita espressione- Cho era scocciato,
apparentemente
freddo e distaccato, mentre invece Abbott era rilassato,
addirittura… felice,
quasi entusiasta. Jane non avrebbe voluto mettere in mezzo il suo ex
capo in
quella storia, ma era stato Cho ad insistere: Abbott aveva
l’immunità
diplomatica grazie all’importante ruolo ricoperto dalla
moglie, aveva
già lavorato in Giappone come agente
operativo ma, soprattutto, lo aveva rassicurato Cho, aveva dei
“contatti” che
sarebbero stati di aiuto.
“Patrick. Avrei preferito rivederti in
circostanze migliori…” Gli disse stringendogli la
mano, mentre Cho
fece solo un lieve cenno col capo- si
erano visti solo due giorni prima, dopotutto, non sei mesi. “Andiamo, mi
sono già procurato una
macchina.”
Jane alzò un sopracciglio, con un
sorrisetto sghembo. “Curiosa scelta di parole, la
tua…”
“Perché me l’ha
trovata un amico.
Niente tracce, né cartacee né
digitali.” Aprì con il telecomando la serratura
centralizzata di una Jeep Cherokee, verde militare, e, aperto il
portellone,
afferrò un borsone e lo aprì, tirandone fuori dei
passaporti che dette ai
compagni. “A tutti gli effetti, io sono in North Carolina con
le mie figlie e
voi siete a New York ad indagare ad un caso. Nessuno di noi
è mai atterrato a
Tokyo.”
“Non è esagerato?”
Cho chiese. Oltre che illegale, pensò,
ma non lo
aggiunse. I suoi compagni lo sapevano, ma purtroppo, dopo che aveva
condiviso
con loro le sue parole, avevano capito che forse quello era
l’unico modo di
agire. Segretamente, nell’ombra.
“Se la Società di William
Blake esiste
ancora, vuole dire che le forze dell’ordine, a
chissà quale livello, sono
intrigate in questa faccenda.” Jane strinse i denti, sentendo
il sangue
andargli alla testa. Si tolse la giacca del completo ed il gilet,
rimanendo in
camicia, e si rotolò le maniche- il tre pezzi attirava un
po’ troppo
l’attenzione. “Per anni McAllister si è
servito delle sue talpe nelle agenzie
per essere sempre un passo avanti a noi e liberarsi di prove e
testimoni. Non
c’è motivo di credere che il suo pupillo, se di
questo si tratta, sia diverso.”
Abbott salì alla guida della macchina
con sicurezza, dimostrando che le storie che Cho aveva raccontato erano
non
solo vere, ma forse limitative della sua esperienze nel paese del
Sud-Est
Asiatico, e si incamminò nel traffico caotico della capitale
con destrezza e
maestria; di tanto in tanto, si limitava a gettare l’occhio
su un foglietto a
quadretti, su cui erano scarabocchiate delle fitte indicazioni con un
inchiostro chiarissimo. Per l’intera durata del viaggio, non
parlarono,
nonostante Jane morisse dalla curiosità, ma sentiva che
presto avrebbe avuto
tutte le risposte alle sue domande- come pure gli altri avrebbero
saputo tutto.
Ogni cosa al momento debito.
Tirò fuori il telefono, e, lasciandolo
in modalità aereo, iniziò a scorrere le
fotografie- la sua nuova famiglia, il
compleanno della figlia di Grace e Wayne, la nipotina di Teresa, a cui
stava
insegnando i trucchi del mestiere, le foto del matrimonio, la prima
ecografia,
e le foto del suo bambino.
Non gli piaceva piangere, ma in quel
momento desiderava ardentemente farlo, nonostante sapesse di dover
mantenere
forza e lucidità per loro, eppure si sentiva straziato, il
suo cuore a pezzi,
solo, freddo…. Era come se un pezzo di lui mancasse. Proprio
come quando aveva
perso le sue ragazze.
Ma stavolta, sarebbe stato temporaneo.
Stavolta, avrebbe difeso la sua
famiglia con le unghie ed i denti, a qualunque costo.
Abbott entrò nel bar, nonostante il
cartello indicasse la chiusura, deciso, con passo scattante- eppure,
estremamente
rilassato. Il locale, Jane vide, era vuoto, salvo per le due persone
dietro al
bancone, e le luci erano soffuse, quasi a non voler attirare
l’attenzione
dall’esterno.
“Siamo chiusi.”
L’uomo dietro al
bancone tuonò. Jane fu tentato di fare un passo indietro,
tale fu lo spavento.
Era… imponente, come una montagna.
Alto, massiccio, duro, il cranio rasato come molti militari, e dei
militari aveva
la fisicità generale, il portamento. Anche se
c’era qualcosa che stonava in
lui, come se fosse… altro, di più. Qualcosa di
diverso.
“Sì? Anche per un vecchio
amico?”
Abbott gli domandò, sarcastico, dandogli la mano, che
l’uomo afferrò,
stringendola con forza. “Falcon, ne è passato di
tempo…”
“Per te, Danny, la porta è
sempre
aperta, lo sai.” Si liberò dalla stretta
dell’uomo, e, incrociando le braccia,
indicò con un cenno del capo la graziosa ragazza che era con
lui. Di una bella
ventina d’anni più giovane del nerboruto barista,
almeno all’apparenza, aveva
lunghi capelli scuri, e occhi intelligenti e vivaci, che ricordarono a
Jane di
Grace. “Ti ricordi di mia moglie Miki?”
“Di Miki,
sì…” Ammise sedendosi al
bancone, gli occhi improvvisamente tristi e bassi, come se per un
attimo la sua
mente fosse andata altrove, ad un tempo passato che preferiva
dimenticare. “Ma
che fosse tua moglie, questo mi mancava. Ma non me ne meraviglio. Lo
diceva
sempre che saresti stato suo, un giorno….”
“Aspettiamo ancora qualcuno?”
Cho
domandò, sedendosi accanto a Abbott, e Jane fece lo stesso.
La montagna si
limitò a fare cenno di sì, e si mise a trafficare
alla macchina del caffè. In
men che non si dica i tre americani avevano delle tazze fumanti davanti
a loro-
caffè per Abbott e Cho, the per Jane, che scrutò
di sottecchi quel curioso
barista.
“Lo sa, non so cosa mi stupisce di
più:
se il fatto che uomo come lei conosca Abbott- anche se mi sono fatto
un'idea di
come le vostre strade si siano incrociate-, il suo intuito da barista
oppure
quanto ogni cosa le riesca senza il minimo sforzo apparente nonostante
la
cecità.”
Miki sussultò, e sembrò
voler dire
qualcosa, ma il marito alzò una mano, fermandola.
“Le faccio i miei
complimenti, Mister Jane. Non tutti si accorgono della mia
disabilità. Danny
aveva ragione, lei è indubbiamente un uomo particolare. E mi
dica, cos’altro ha
capito di me, dopo aver passato cinque minuti con me e mia
moglie?”
Non lo diceva con cattiveria, né
acidità. Era onesto, curioso, intrigato da
quell’uomo…
“A parte il fatto che lei è
un
mercenario e che probabilmente ha collaborato con la task force di Rio
Bravo, e
che altrettanto probabilmente è stato lei a coprire
l’assassinio dei narcotrafficanti
che minacciavano di sterminare un intero villaggio in
Messico?” Jane spiegò con
tranquillità, come se avesse parlato del tempo, mentre
sorseggiava il suo the-
perfetto, quasi come quello della sua Teresa- facendo sorridere la
montagna
umana.
Non era stato così difficile da capire.
Era bastato guardare lo sguardo triste e rammaricato di Abbott quando
aveva
parlato di Miki per comprendere che il loro incontro era coinciso con
delle
circostanze funeste, e Jane sapeva che quell’operazione- quel
delitto di cui
Abbott stesso si era segretamente macchiato per salvare degli
innocenti,
contravvenendo agli ordini che volevano quel criminale in custodia, era
il suo
più grande rimpianto. Non per ciò che aveva
fatto, ma perché gli era quasi
costato la sua famiglia, molti anni dopo…
“Ma come abbiamo studiato
bene… chi è
il tuo nuovo amico, Umi?” Una voce maschile, saccente,
risvegliò l’interesse
dei tre uomini, che si voltarono e videro che tre persone si erano
unite a loro
nel locale: due di loro, un uomo sui quaranta ed una donna dal corpo
avvenente,
i cui vestiti aderenti nascondevano poco o nulla
all’immaginazione, erano
chiaramente giapponesi. Mentre il terzo, un biondino dagli occhi
azzurri e
vestito con un completo bianco e una cravatta azzurra, era un
occidentale.
Fu
quest’ultimo a guardare Jane, incuriosito ed
allo stesso tempo… quasi emozionato. Come se aspettasse che
qualcosa di
speciale dovesse accadere da un momento all’altro.
“Beh,
questo, Ryo, è il famigerato Patrick Jane, l’uomo
che ha dedicato la sua vita
alla caccia a John il Rosso facendosi bello in TV dicendo che era un
sensitivo…” l’uomo, dal chiaro accento
del mid-west, lo schernì, appoggiandosi
con la schiena al banco e osservando il biondino. “Che cosa
la porta qui?
Guardi che il Giappone ha un trattato di estradizione, se fa uno dei
suoi
casini la rispediscono a casa…”
“Ti
conviene fare attenzione a quello che dici, damerino,” Jane
disse, con estrema
calma, divertito dalla situazione. “Ho ucciso quattro persone
e ne sono uscito
pulito. Niente mi impedisce di rifare il trucchetto un’altra
volta.”
Abbott
alzò gli occhi al cielo, mentre Cho strinse i denti,
sibilando, fingendo
entrambi di non aver sentito nulla- certo, sapevano dei quattro omicidi
di
Jane, era stato indagato e successivamente prosciolto da tutte le
accuse,
grazie alla legittima difesa e allo stato di necessità, ma
ciò non toglieva che
avrebbe potuto cercare di essere meno arrogante, meno soddisfatto di
quello che
aveva fatto.
Meno
compiaciuto di avere le mani sporche di sangue- nonostante quei quattro
uomini
fossero tutti stupratori o assassini senza scrupoli.
“Però,
non male l’amichetto…ti ha subito messo al tuo
posto, eh Mick?” Ryo si sedette
su uno degli sgabelli, e si accese una sigaretta, fumando tranquillo e
godendosi il drink che Falcon gli aveva dato. Eppure, Jane era certo
che fosse
all’erta, pronto a scattare, come un animale, un predatore.
Come lui. “Beh,
Saeko, come mai ci hai fatto venire tutti qui?”
Domandò alla bella donna, che
andò alle spalle degli agenti dell’FBI.
“Mister
Jane, Agente Cho, sono Saeko Nogami, lavoro per la sezione
investigativa
speciale della questura di Tokyo. L’agente Abbott ed io
abbiamo collaborato in
passato….” Disse, affabile ma affascinante, sicura
della propria sensualità e
di come usarla, offrendo al mentalista la mano- ma Jane la
lasciò a mezz’aria,
limitandosi a squadrare la donna con un sorrisetto beffardo.
Lei
non parve offendersi. Anzi- sembrava incuriosita, quasi divertita-
pochi probabilmente
non le sbavavano dietro.
“Falcon
e l’agente Abbott hanno ragione di credere che alcuni casi di
cui mi sto
occupando possano essere legati all’indagine che state
ufficiosamente portando
avanti.”
“Donne
assassinate, seviziate, lasciate a morire dissanguate, senza nessun
apparente
legame tra di loro… diversa etnia, stato sociale,
età, caratteristiche fisiche…
anche il tempo fra i vari omicidi varia di volta in volta, senza
apparente
logica. Tutto sembrerebbe indicare degli omicidi d’impeto,
eppure sono studiati
nei minimi particolari… ” Jane bevve un altro
goccio di the, senza
impressionarsi del sussulto di Saeko, che sembrava sorpresa.
“Incluse le unghie
laccate del loro stesso sangue.”
“Ma
come… come può saperlo? Non ho condiviso con
nessuno questo particolare!” Saeko
fece un passo all’indietro. Con gli occhi sgranati, sembrava
quasi
terrorizzata. Chi era quell’uomo, e che legami aveva con il
misterioso
assassino che terrorizzava
da mesi la
città?
“Lo
so, agente Nogami, perché quello era il trattamento che John
il rosso riservò a
mia moglie e mia figlia quando le uccise, un dato che né io
né gli
investigatori rendemmo mai noto.” Soffiò a denti
stretti. “Come pure so che ho
ucciso con le mie stesse mani John il Rosso, guardando nei suoi occhi
mentre la
vita lasciava il suo lurido corpo. Ma John il Rosso era in una setta, e
mi
creda, non c’è terreno di caccia migliore per gli
psicopatici che le sette. E
le multinazionali.”
“Una
setta? Oh… state
parlando di Visualize!”
Miki capì al volo, e Jane fece cenno di sì col
capo.
“I
tizi che hanno aperto quell’enorme e pacchiano grattacielo
che mi toglie la
visione dal balcone di casa?” Ryo domandò,
spegnendosi la sigaretta.
“È
per questo che ti ho chiesto di venire qui, Ryo.” Falcon gli
disse, accennando
una risposta affermativa con la testa. “Qualcuno deve
introdursi
nell’organizzazione, ma degli occidentali non passerebbero
inosservati…
inoltre, il capo di Visualize li conosce bene. E io… beh, mi
si nota
facilmente.”
“Già,
e poi sei anche cieco come una talpa. Non sopravvivresti due minuti
là
dentro.” Ryo
ridacchiò, buttando giù il
drink tutto d’un sorso. “Mi servirà
qualche dettaglio in più, ma ci sto. Nessuno
macchia le strade della mia casa di sangue senza pagarne le
conseguenze.”
“Voi
non siete poliziotti. Cosa siete, mercenari?” Jane
studiò i due uomini
attentamente, il corpo pervaso dai brividi. Aveva paura. Per la prima
volta
dopo tante tempo, aveva paura- e non per gli altri, ma per
sé. “No, voi siete…
qualcosa di diverso. Di ben più oscuro, più
minaccioso.”
“Siamo spazzini, mister Jane. Niente di
più, niente di meno.” Saeba gli rispose,
tranquillo, mentre se ne andava. “Noi
ripuliamo le strade di questa città
dall’immondizia, facendo piazza pulita. Un
po’ come ha fatto lei quando si è sbarazzato di
quei quattro assassini- anche
se io lo avrei fatto con un po’ più di classe e
senza farmi beccare.” A sentire
quelle parole, Jane fece un sorrisetto soddisfatto- chiunque fosse
Saeba,
sapeva il fatto suo, e sembrava aver fatto i compiti. Conosceva la sua
storia,
e perché avesse ucciso quegli uomini.
Per vendetta. Ma anche per tenere al
sicuro la donna che amava. Lisbon. Teresa.
Alla
porta, la voce di Falcon raggiunse Ryo,
richiamandolo indietro con tono infervorato e preoccupato.
“Ryo! Hai intenzione
di tenere questa storia nascosta a Kaori?”
Ryo sembrò tergiversare. Rimase
immobile sulla soglia, con la porta aperta, il pomello in mano, per
quello che
appariva come un lunghissimo tempo. “Per adesso questa storia
è troppo
pericolosa. Chiunque questo assassino sia, prende di mira le donne del
nostro
quartiere, e io la preferisco sapere al sicuro. Mentre io
indagherò, ci penserà
Angel a tenere Shinjuku al sicuro… e anche lei.”
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Tokyo, quartiere di Shinjuku- nella sede di Visualize
Stiles osservava, compiaciuto, la città dall’alto del suo grattacielo, il più grande che la città avesse mai visto. Da lì, aveva tutto sotto controllo. Da lì, poteva sentirsi padrone di ogni cosa. Com’era giusto che fosse.
Dal giorno in cui il suo cammino aveva incrociato quello di Patrick Jane, tutte le sue certezze erano vacillate: nell’uomo, aveva creduto di vedere un alleato, forse anche un erede, ma quell’uomo si era rivelato essere un piccolo meccanismo della catena di montaggio come tutti gli altri, incapace di vedere oltre il proprio desiderio di vendetta. Jane aveva minato la sua posizione all’interno della Chiesa, osando metterlo in discussione.
Aveva tentato di farlo apparire piccolo, insignificante e pauroso, proprio come era quel pagliaccio. Come erano tutti gli altri.
Ma non lui. Forse Visualize non era una sua creatura, ma quando aveva preso in mani le redini, l’aveva trasformata, resa grande in tutto il mondo; negli anni settanta, era stata poco più di una comune di fattoni che usavano droghe psichedeliche senza capire di cosa potessero essere capaci, inconsapevoli dei mondi che gli si potevano aprire davanti, interi universi di possibilità…
E adesso… adesso, pranzava con reali, primi ministri, si occupava di programmi di recupero di quartieri degradati, teneva conferenze… eppure, mancava ancora qualcosa.
Il rispetto, ed il pieno potere.
Stava invecchiando, lo sapeva. Ormai, era più vicino agli ottanta che ai settanta, e i suoi succubi iniziavano a nutrire dubbi sulle sue capacità psico-fisiche, e molti pensavano che non si fosse mai realmente ripreso dal tentativo di omicidio. Un colpo di stato non era poi così lontano, eppure, lui non si era mai sentito così in controllo della situazione, così rinvigorito, così curioso…
E tutto per quella giovane dai capelli rossi e l’aria smarrita.
“Allora, hai scoperto qualcosa sul nostro agnello?” Chiese, senza voltarsi, quando la porta si aprì con un leggerissimo scricchiolio.
Fratello David, uno dei più fervidi credenti di Stiles, gli si avvicinò, rimanendogli alle spalle e facendo un piccolo inchino; in mano, aveva una cartellina, ed una penna USB.
“La donna è molto ingamba, signore. È stata sul punto di scoprirmi in più di un’occasione. Credo che sia capace di controllare la propria aura, e di avvertire quella degli altri, proprio come noi.”
“Soggetto interessante… sarebbe una perfetta aggiunta al nostro gregge.” Sospirò, compiaciuto, lieto di non essersi sbagliato con quella prima, veloce occhiata alla bellissima fanciulla. “Cos’altro hai scoperto sul suo conto?”
“Le notizie che abbiamo raccolto sono contrastanti, signore. La ragazza si chiama Kaori Makimura, vive nel quartiere dall’età di due anni. Adottata, non siamo stati in grado di trovare informazioni sulla sua famiglia biologica. Orfana di padre, otto anni fa ha perso anche il fratello, un poliziotto. Assassinato, si presume, in un regolamento di conti. Tuttavia…”
David rimase in silenzio, e Stiles, spazientito, si voltò verso di lui. “Tuttavia, cosa? Parla!”
David sussultò, col cuore in gola, vedendo lo sguardo del suo signore e padrone, gelido, terrificante. Un brivido di paura lo percorse da cima a fondo, ed ingoiò a vuoto mentre i suoi occhi si fissavano sull’elegante parquet. “Ecco… dopo la scomparsa del fratello, si perdono tutte le tracce di lei... Nessuna traccia di conti correnti a suo nome, di dichiarazioni dei redditi, bollette, nemmeno esami o ricoveri. Si dice…” David si fermò un attimo, incerto se proseguire o meno, pur cogliendo l’impazienza del suo padrone. “Suo fratello, dopo aver lasciato la polizia, sembrava occuparsi di questioni, uhm, burocratiche per un uomo noto come City Hunter, una sorta di giustiziere urbano. Sembrerebbe… nel sottobosco criminale della città si dice che lei abbia… ereditato quella posizione.”
Stiles inspirò, stringendo i denti ed i pugni. “Continua ad indagare su di lei, e scopri tutto quello che puoi su questo City Hunter, chiama anche i nostri contatti nelle agenzie federali… voglio quell’agnellino, David, ma lo sai… detesto essere sorpreso.”
David lasciò la stanza, dopo essersi inchinato al suo superiore, ed il silenzio piombò tra quella quattro mura asettiche, la pace rotta solo da un suono- quello di un respiro spazientito.
“Cos’è, hai qualcosa da dirmi?” Stiles sbottò, digrignando i denti. Le vene sulle sue tempie pulsavano. “Hai un problema?”
“In realtà, no…” L’altro uomo ridacchiò, uscendo dall’ombra. Raggiunse Stiles davanti alla finestra, contemplando compiaciuto quella meraviglia, e si sistemò la cravatta. Nel vetro, vedeva il proprio riflesso: non più il giovane rampante di bella presenza, ricco e potente e rispettato; ormai, non si riconosceva più, nè nell’animo, nè nel corpo- non con quello sfregio sul viso. “In realtà, sono davvero molto curioso anch’io…”
Tokyo, quartiere di Shinjuku. Casa di Ryo...
Anche quella mattina, Kaori non lo svegliò.
Erano ormai giorni che quella dannata danza stava andando avanti, e se all’inizio lui era stato certo che, tempo ventiquattro ore, Kaori avrebbe sbollentato i bollenti spiriti e sarebbe tornata la virago dal rossore facile, adesso non ne era più così sicuro.
L’aveva fatta grossa. Anche se, tecnicamente, non aveva fatto nulla. Più o meno. Beh, lui non ricordava di essere andato con la brunetta, e dato che difficilmente avrebbe accettato (anche da ubriaco) una cosa a tre con Mick, ne derivava che non aveva fatto nulla e Kaori si stava infervorando per niente- dimostrando, per giunta, di non conoscerlo.
Grattandosi il capo, Ryo sospirò. Non l’aveva svegliato, ma almeno stavolta aveva preparato la colazione, incluso un thermos di quella sbobba orripilante che lui buttava giù a litri il giorno dopo essersi preso una bella sbronza - peccato che la notte prima non fosse stato fuori a bere, ma a indagare sulla misteriosa setta che si era instaurata nel loro quartiere, Visualize, ed il loro leader supremo. Come, d’altronde, faceva dal giorno in cui aveva incontrato Jane: aveva fatto un po’ di domande ai suoi informatori, chiesto in giro a chi gli doveva dei favori, e soprattutto, aveva piantonato quella bruttura che era il grattacielo dove la setta aveva la sua sede locale, cercando una possibile via d’ingresso, ma nulla: né lui né gli altri avevano trovato dei punti deboli. Stiles era maniaco del controllo, della sicurezza, e al suo servizio, come cani da guardia, aveva il meglio del meglio.
Dopo di noi, pensò Ryo; tuttavia, il pensiero non era rassicurante. Fermare quegli uomini avrebbe voluto dire fare rumore, che avrebbe significato mettere in allerta sia Stiles che il presunto assassino, se davvero era lì, quindi, significava che c’era solo una cosa da fare se voleva entrare in Visualize e conoscere il leader supremo: farlo, pacatamente ed umilmente, dalla porta d’ingresso principale, senza fare rumore.
Leader supremo… sembra il nome di un cattivo dei cartoni animati! Ryo pensò tra sé e sé. Peccato che non ci fosse nulla da ridere. A casa loro, erano state assassinate almeno cinque donne, e secondo il biondino americano amico dell’amico di Falcon la setta c’entrava qualcosa.
Bevve un sorso di quella brodaglia, non perché gli servisse o la apprezzasse particolarmente, ma perché l’aveva fatta lei, era stato un pensiero di Kaori verso di lui. Pensava ancora al suo partner, e si preoccupava per lui, chiaro segno che sì, era ancora furibonda, ma le stava passando - forse. Non che Ryo avesse avuto dei dubbi: il loro amore- mai dichiarato chiaramente, mai consumato se non per un casto bacio attraverso una vetrata, era comunque più forte di tutto.
Gelosia inclusa.
“Ragazza mia, quante gatte da pelare mi dai!” Disse lui ad alta voce, lasciando tutto com’era giusto per farla innervosire quando fosse tornata- d'altronde, con le guance arrossate dalla rabbia, Kaori era una delle cose più sexy sulla faccia del pianeta- e andò in camera a scegliersi i capi giusti per l’incursione nel territorio della setta; optò per un completo grigio chiarissimo, una camicia azzurrina e occhiali da sole in cui aveva nascosto una microcamera. Controvoglia, lasciò la sua amata Python nel comodino, conscio della presenza di metal detector all’entrata del “tempio”.
Ma, non sarebbe andato disarmato. Non era nel suo stile, e comunque, sarebbe potuto essere pericoloso, nel caso fosse accaduto qualcosa. Quindi, optò per il curioso regalo che Kaori gli aveva fatto il Natale precedente (su probabile consiglio di uno dei loro amici, ci avrebbe giurato): un pugnale, interamente di porcellana, abbastanza sottile da poter essere tenuto sotto alla camicia senza passare osservato. Sì, lui se la cavava meglio con la pistola, e sì, erano Saeko ed il compianto Makimura quelli che ci sapevano davvero fare con le armi da taglio, ma era meglio di nulla.
Si fece una doccia, e quando la sua mano andò alla mensola dei detergenti, optò per lo shampoo di Kaori, una fragranza alla vaniglia nera abbastanza forte da passare per una profumazione da uomo, ma che su di lei aveva l’effetto di rendere il suo profumo naturale più morbido ed avvolgente. Sorrise mentre indugiò sotto al getto d’acqua tiepido, massaggiandosi lo scalpo mentre faceva le fusa, neanche fosse stata lei a compiere quei rilassanti gesti.
Loro, una cosa del genere, non l’avevano mai fatta- anche se Kaori lo aveva visto ben più di una volta completamente nudo e pronto all’azione, senza sapere che buona parte delle volte quell’effetto era stata lei a causarlo, e lui… beh, forse non l’aveva mai vista completamente nuda, ma le volte che gli era apparsa davanti solo in intimo, in costume da bagno, o con una di quelle succinte tutine che le aveva passato Miki? Le forme devastanti della ragazza erano state abbastanza in evidenza da dare adito a sogni erotici al limite del pornografico che duravano da… beh, da oltre otto anni, se voleva essere del tutto sincero.
In pratica, dalla prima volta che l’aveva vista in reggiseno a balconcino e mutandine estremamente sgambate di pizzo rosa chiarissimo.
Ci mancava solo questa, Ryo borbottò quando si rese conto di cosa avessero causato quei poco casti pensieri alle sue parti basse. Era eccitato, febbricitante di ardente desiderio, per Kaori.
E lei non lo sapeva. O forse, non lo voleva capire. Non che lui non avesse le sue colpe- dopotutto, si era rimangiato tutte le parole che le aveva detto nella radura, il giorno in cui Miki e Umi si erano scambiati amore eterno, e lui, dopo averla vista in abito da sposa, aveva immaginato di… di cosa, esattamente? Cosa poteva darle, lui, un uomo senza passato, senza identità…
Me stesso. Che poi, è tutto quello che ha sempre voluto. Niente di più, niente di meno…
Spento il getto d’acqua, si frizionò i capelli, guardando fuori dalla finestrella del bagno: era una bellissima giornata di primavera, il sole splendeva ed il cielo era pieno di uccellini che volavano qua e là. Era quasi del tutto certo che, se fosse andato a passeggio nel parco, il profumo dei fiori di ciliegio avrebbe invaso tutto il suo essere.
Kaori, la primavera la adorava.
Pensò al suo migliore amico, che presto si sarebbe sposato, a Miki e Umi, che avevano coronato quel sogno iniziato tanti anni prima, quando lei era solo un’adolescente e lui un uomo fatto e finito, e anche a Saeko e Maki, che questa possibilità non l’avrebbero mai avuta, travolti da un crudele destino.
Non ho molto da offrire, ma le posso dare me stesso. E lo farò, decise Ryo, con un sorriso determinato sulle labbra.
Appena finito quel caso, le avrebbe parlato.
Appena finito quel caso, si sarebbero chiariti.
E finalmente, sarebbe stato libero di amare Kaori Makimura nel modo che lei si meritava…
Nel retro del Cat’s Eye Cafè…
“Ma che diavolo….” Saeko osservò la scena davanti a sé lievemente disorientata, coi sudori freddi e, se doveva essere sincera, anche terrorizzata. Di gente intensa ne aveva conosciuta, anche lei e Ryo tendevano ad entrare in un luogo tutto loro quando lavoravano ad un caso, ma, guardando Jane seduto davanti ad una serie di lavagne su cui aveva messo tutto lo scibile possibile su quel caso - articoli di giornale, fotografie di sorveglianza, appunti, post-it, fili rossi gialli e blu a collegare tutte le possibili piste - lei sembrava essere una dilettante…
Sembrava di essere in un film.
Ma era la realtà. E Jane ne era il protagonista.
“Non faccia domande.” Cho, che da quello che lei aveva capito era coreano, o perlomeno di ascendenza coreana, se ne stava seduto su una sedia ad un tavolino a leggere quello che appariva un mattone, ma che ad una più attenta analisi si rivelò essere Il conte di Montecristo- una scelta curiosa, considerata la propensione dell’amico per la vendetta.
“E perché non dovrei chiedere nulla, Signor Cho?” Gli chiese, sistemandosi un ciuffo di capelli dietro all’orecchio con fare seducente, una mano su un fianco messo leggermente in avanti, nel tentativo di mettere in evidenza il seno strizzato in quella camicetta di una taglia più piccola tenuta fin troppo sbottonata.
Cho non batté ciglio- si limitò a tornare a leggere il suo libro. Sembrava essere oltre la metà.
“Perché Cho detesta quando mi metto a fare il primo della classe e spiego alla gente quanto io sia straordinario con le mie tecniche mentre gli altri sono…” Jane si morse il labbro, riflettendo bene sulle parole da usare, considerando che avrebbe decisamente preferito non fare arrabbiare la bella Saeko, visto e considerato che era nel suo territorio che erano- e che li stava aiutando nonostante la loro indagine non fosse autorizzata- non male per essere una poliziotta. Quasi come la mia Teresa, pensò, sorridendo felice al ricordo della sua donna e di suo figlio che dormivano accoccolati nel loro letto. “Diciamo che sono meno bravi di me. Ma mi creda, con l’allenamento, tutto è possibile.”
Lieta che avesse usato la diplomazia- cosa che sembrava costargli fatica- Saeko si avvicinò all’uomo, e con due dita prese delicatamente uno dei numerosi articoli di giornale che graziavano la lavagna.
Era in Giapponese. Come molta altra roba, del resto. “Parla la mia lingua, Jane?” Gli chiese, con una luce curiosa e birichina negli occhi.
“Lei ed i suoi amici avete una perfetta padronanza della mia lingua- anzi, devo dire che il suo amico Saeba sembra avere un leggero accento del sud quando parla in Inglese.” Jane ridacchiò. “Perché io non potrei conoscere la vostra?”
“Ha ragione, mi scusi.” Ammise, arrossendo un po’, mentre entrambi guardavano una foto del leader di Visualize, intento a dare un discorso all’inaugurazione della “casa” di Tokyo. “E dire che uno dei miei più cari amici è americano, quindi non dovrei fermarmi al vecchio cliché del redneck buzzurro ed ignorante che non prova il minimo interesse per tutto quello che gli è straniero.”
“In realtà, non ha tutti i torti, io stesso possedevo solo il minimo indispensabile di nozioni culturali sul vostro Paese fino a qualche mese fa. Ma quando ho letto che Stiles intendeva stabilirsi qui, anche se solo temporaneamente, ho fatto un po’ di spazio nel mio palazzo della memoria liberando i cassetti occupati dalle nozioni di falegnameria ed edilizia, perché, siamo sinceri, da solo casa non me la sarei mai potuta costruire, e mi sono fatto una full-immersion nella vostra lingua.”
Saeko sbattè quegli occhioni, scioccata. “Vuole dire che… che è solo qualche mese che studia la nostra lingua?”
Jane scrollò le spalle, neanche fosse stata una considerazione logica e matematica. “Come ho detto, tutto merito del mio palazzo della memoria. Non so se conosce questa tecnica, consiste nel…”
“Non le interessa,” Cho asserì, guardando di traverso Saeko - o almeno così le sembrò. Quell’uomo sembrava imperturbabile, quasi di ghiaccio. “L’avevo avvertita.”
Sembrò sorridere, e lei si morse il labbro, scoprendosi civettuola e intrigata da quell’uomo di poche parole, che eppure con i suoi gesti, con i suoi sguardi, con il poco che diceva… sembrava dire così tanto.
La donna scrollò il capo, leggermente divertita. “Abbott vi ha lasciato soli?”
“È andato con il suo vecchio amico a fare un giro, immagino per reperire informazioni. Hanno lasciato Cho a farmi da cane da guardia.” Jane disse, senza mai guardarla negli occhi, troppo preso dal quadro generale delle cose. Pensava alla moglie, al figlio, e a quella stanza in cui, dal giorno in cui Teresa gli aveva detto di aspettare un figlio, non poteva fare a meno di tornare di tanto in tanto: vetro e cemento e pittura bianca e legno e sangue.
“Ispettore, desidererei sapere se da quando è iniziata la costruzione della sede di Visualize altre donne sono morte o scomparse in circostanze poco chiare. Non è necessario che il modus operandi sia lo stesso, il nostro killer potrebbe aver affinato la sua tecnica da quando ha iniziato ad uccidere, e non mi stupirei se la sua prima vittima fosse stata fortemente casuale. Forse è stato solo un incidente…” l’uomo sospirò, senza distogliere lo sguardo dalla lavagna. Poi, improvvisamente, si voltò verso di lei, rompendo il silenzio. “Chi è Kaori? Falcon ha chiesto a Saeba se lei sapesse che lui intendeva prendere il caso.”
Di nuovo, Saeko si stupì, ma stavolta i suoi tempi di reazione e risposta furono più celeri, complice il fatto che aveva capito come Jane funzionasse e di cosa fosse capace. Non c’era da stupirsi, quindi, se, nonostante fra loro avessero parlato nella loro lingua, Jane avesse capito il succo della questione.
“Kaori è… lei è la partner di Ryo. Lui è molto protettivo nei suoi confronti.”
“Curioso. Saeba non sembra il tipo da gesti romantici o da relazione fissa, però, il modo in cui lei ha sottolineato la parola partner, mi fa credere che ci sia qualcosa di più di un semplice legame professionale tra i due… amicizia, amore non corrisposto? No… ah!” Il mentalista si illuminò. “Un’altra di quelle coppiette. Si amano ma non se lo dicono perché lei teme che lui non la ami e lui non lo dice perché non vuole metterla in pericolo. Ci sono passato anch’io. Lo so, difficile a credersi, ma mi sono sposato non una ma ben due volte. E non sono divorziato, cosa che non è da poco. Kaori è sua sorella?”
Di nuovo, Saeko sbattè gli occhioni, non essendosi aspettata quella domanda. “Scusi?”
“Kaori. Mentre ne parlava si è portata le mani al cuore e ha socchiuso gli occhi. Immagino siate parenti…” Jane si batté l’indice sul labbro, pensieroso, mentre continuava a guardare e studiare le reazioni di Saeko. “No, ma… sareste potute esserlo. Una cognata? Stava con il fratello di lei? Che è successo, gli ha preferito Saeba? Non sono certo se tra lei ed il moretto sia successo qualcosa o se si sia trattato solo di tentazione...”
Con gli occhi velati di lacrime, Saeko strinse i denti, e schiaffeggiò l’uomo, che non fece nulla per difendersi- né Cho andò in suo aiuto, limitandosi ad alzarsi.
Non disse nulla, ma pianse in silenzio, mentre Jane si massaggiava la guancia, comprendendo cosa fosse accaduto, e perché la donna non facesse parte della famiglia di Kaori. Nei suoi occhi, vide un dolore a lui fin troppo familiare- un dolore che spesso ancora condivideva le giornate con lui.
La perdita. La morte.
“Le chiedo scusa per la mia insensibilità, ispettrice Nogami. Io…non sono molto bravo a relazionarmi con gli altri. Mi è stato solo insegnato a sfruttare le loro debolezze per i miei fini e… sto imparando, e grazie a mia moglie un po’ sono migliorato, ma… questa cosa mi è ancora abbastanza nuova.”
Asciugandosi gli occhi con una manica della giacca, macchiandola di trucco, Saeko si voltò, e fece per uscire.
Si fermò dalla porta, dicendo solo poche parole prima di proseguire, senza voltarsi indietro, ancora scossa da ciò che l’uomo le aveva detto e soprattutto dal suo tono. “Le farò avere quel materiale entro stasera, mister Jane.”
Patrick sospirò, sentendosi come un mostro, il suo senso di colpa quintuplicato dallo sguardo severo di Cho.
Guardò ancora una volta la lavagna.
Mai come allora desiderò avere Teresa al suo fianco.
Austin, Texas, sede dell’FBI…
Lisbon si diresse con passo di marcia verso la scrivania di Whiley, il loro giovanissimo esperto di tecnologia che era uscito da Quantico che non era nulla, e subito lo notò agire con circospezione al suo tavolo.
Si mise le mani sui fianchi, stando in piedi sull’unico lato libero del cubicolo del giovane esperto informatico, guardandolo con quello sguardo truce e severo da mamma orsa delusa che metteva in crisi persino Patrick Jane, figurarsi un suo sottoposto, per di più con una cotta per lei.
“Dimmi, Whiley, sono stupida?” gli domandò, seria. Lui non rispose, limitandosi a guardarsi intorno alla ricerca di una via d’uscita da quel impasse, ma non c’erano vie di fuga- era in trappola. “Perché se il mio capo, il mio ex capo e mio marito pensavano che non avrei chiamato la sede di New York, e che avrei creduto a tutte le fandonie che mi sono state raccontate per giustificare che non uno di quei tre uomini è dove dovrebbe essere, allora sono tre idioti. E tu non vuoi essere idiota come loro, vero?”
Il ragazzo fece cenno di no, e lei sorrise. Come lo volesse compiacere.
Con certa gente, era persino troppo facile… Certo, aveva avuto un ottimo maestro, ma, sul serio, il ragazzino andava a cercarseli, i guai.
“Jason, posso chiamarti Jason, vero? Dicevamo…. credo che tu abbia dato un’occhiata al mio file. Che tu sappia di cosa sono capace. Una volta per farmi valere ho persino distrutto mezzo CBI, e non sto esagerando troppo. E non parliamo della volta che il mio terapista mi ha ipotizzata per incastrami per omicidio. Lì ho davvero dato fuori di brutto. E per di più, sono giorni che dormo poco e male . Quindi… tenendo in mente di cosa sono capace… cosa sai di cosa hanno architettato quell’emerito idiota di mio marito e i suoi compagni di merende?”
“Loro…” Borbottò. “Io… ho promesso che non avrei detto nulla.”
“Agente Whiley, io sono il tuo diretto superiore.” Gli sibilò contro, con gli occhi iniettati di ardente fuoco. “Perciò adesso la smetti di frignare e mi dici cosa diavolo hanno combinato, o giuro su Dio che ti ritroverai per il resto dei tuoi giorni dietro ad una scrivania del più sperduto ufficio dell’FBI dell’intero paese.”
“So solo che Abbott voleva che trovassi un suo vecchio commilitone in Giappone, a Tokyo, ma le giuro, agente Lisbon, che non so altro.”
La donna sibilò una serie di epiteti poco gentili all’indirizzo del divano del compagno, l’unico consulente dell’FBI che avesse mai avuto il coraggio di chiedere un pezzo d’arredamento per contratto, e poi scattò fuori dalla sede del palazzo governativo.
Quel cretino di suo marito si stava cacciando in guai seri, e aveva la netta sensazione che, senza di lei, tutto sarebbe andato a scatafascio.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Tokyo,
quartiere di Shinjuku- nella
sede di Visualize
Le
sette, Ryo si era reso conto guardandosi intorno all’interno
di quel pacchiano
palazzo che sembrava una piramide egizia di un architetto sotto acido
da troppo
tempo, amavano due
tipi di persone; i
disperati, che gli avrebbero dato tutti i loro soldi e avrebbero poi
lavorato
vita natural durante a gratis, facili da irretire e destinati a
rimanere per
sempre nelle loro file, e quelli con tanti soldi. I ricchi erano spesso
viziati
ed annoiati, che stavano con loro il tempo di una volata di vento, ma
che,
oltre ad apportare un influsso di denaro elevato ed immediato,
servivano anche
ad un altro scopo.
La
pubblicità. L’influenza.
Entrambe
cose che Stiles sembrava adorare alla follia.
Ryo,
una volta entrato in quell'obbrobrio, attese un attimo a togliersi gli
occhiali
da sole a specchio, preferendo tenerli per sembrare annoiato e
svogliato, da
vero ricco; indossava un completo di alta sartoria per vendersi meglio,
e Saeko
gli aveva gentilmente offerto un po’ di denaro da tenere a
portata di mano per
fare scena. Camminare per le strade del quartiere con tutti quei bei
soldini in
tasca era stato molto complicato, perché la tentazione di
spenderli in bere e
nella compagnia (puramente platonica) di deliziose conigliette era
stata
davvero forte, ma aveva sospirato, mettendo il muso, conscio che Saeko,
quei
soldi, li avrebbe voluti indietro, che le cose a casa - a Shinjuku-
stavano
andando a rotoli e che comunque, avrebbe preferito la compagnia di
Kaori,
semplicemente rimanere in silenzio con lei, leggere il giornale mentre
lei
canticchiava preparando colazione, a qualsiasi avvenente coniglietta
mezza
nuda.
Già,
era ufficiale: l’amore aveva rincretinito Ryo Saeba. Peccato
che lo sapessero
tutti tranne la diretta interessata.
Ryo
strinse i denti, e si dette una scrollata, maledicendosi: non era
quello il
momento di pensare a Kaori, doveva entrare nella parte. Entrato nella
sala
riunioni, conferenze, qualsiasi cosa fosse, Ryo sbuffò,
cercando di apparire
più annoiato di quel che era, e si sedette con gambe larghe
e malamente, praticamente
stravaccato, su una delle poltroncine che stavano dinanzi al palco
decorato con
una specie di foresta di rami bianchi.
Nel
giro di un quarto d’ora, la sala si gremì, le
porte vennero chiuse- a chiave,
ne era quasi del tutto certo dal suono della serratura che gli era
sembrato di
captare- e le luci si abbassarono. Un occhio di bue puntò
una figura che era
rimasta fino ad allora nella penombra, e quello che inizialmente pareva
solo un
profilo, una sagoma quasi fosse stata solo di cartone,
andò sotto al bagliore accecante,
rivelando, man mano, la propria natura di essere umano e vivente.
Stiles.
Il leader di quella setta piena di misteri. Forse anche un assassino?
Ryo
chinò il capo sulla spalla, e lo studiò
attentamente, e decise che Jane aveva avuto
ragione: no, quell’uomo non era capace di commettere un reato
- non
materialmente, almeno, non ne aveva il fisico, era troppo vecchio e
malridotto,
ormai, ma lo sguardo cinico, beffardo, malvagio, suggeriva che
sì, lui non si
sarebbe mai sporcato le mani, ma di certo non avrebbe disdegnato
chiedere che
venisse fatto scomparire qualcuno a nome suo.
“Sono
molto fiero di ciascuno di voi,” Stiles iniziò,
battendo le mani con fare
teatrale, nemmeno fosse stato davvero in procinto di complimentarsi con
ognuno
di loro; e quel sorrisetto beffardo… possibile che nessuno
si rendesse conto
che li stava prendendo in giro? “Oggi, iniziate il luminoso
cammino verso la
scoperta delle vostre vere potenzialità ed il vostro vero
destino! Io sono
Bret Stiles, e oltre cinquant’anni
fa, col mio migliore amico, fondai Visualize con un unico scopo in
mente: voi.
Tutti voi. Perché qui siamo tutti una grande
famiglia!”
Certo, come no… Ryo
pensò, annoiato. Sì, la presentazione non
era male; sì, Stiles per l’età era
ancora parecchio carismatico, ma lui non ci
sarebbe cascato in quella trappola per topi, non era proprio il
tipo… e se gli
altri babbei lì presenti abboccavano, peggio per loro:
voleva dire che si
meritavano di essere spennati.
La
maggioranza dei presenti, tuttavia, applaudì, il rumore
così forte che faceva
quasi scoppiare i timpani; Ryo, sollevando un sopracciglio con un
sorrisetto
cinico stampato in faccia, assecondò la folla, senza mai
tuttavia smettere di
guardarsi bene intorno… sì, quasi tutti quelli
che erano andati, come lui, a
curiosare stavano applaudendo, ma le loro mani venivano battute in modo
quasi
timido, stentato, assecondando più il bisogno di apparire
come supporter a
quell’uomo apparentemente potente piuttosto che fare la
figura dei cafoni.
I
veri applausi, però, quelli provenivano dai fedelissimi
della setta, esseri
umani che di umano sembravano avere ancora ben poco, e che apparivano
piuttosto
come degli automi con dei sorrisi da mogli di Stepford stampati sul
volti,
ghigni che gli ricordavano caricature, il sorriso pazzo del Joker di
Batman. I
loro sguardi erano piantati fermamente su di lui, sul loro signore e
padrone.
Ryo dovette ammettere che Visualize si sapeva vendere davvero bene: ad
un primo
sguardo, ufficialmente, sembravano quasi insegnare più una
dottrina
psicologica, una sorta di filosofia di vita- e se così fosse
stato, gli sarebbe
pure potuto stare bene- ma una volta che eri dentro, era chiaro e
lampante che
i seguaci ricevessero il lavaggio del cervello,
“ascendendo” al livello
successivo di conoscenza di Stiles e compagnia bella…
divenivano veri e propri
adepti di quella che era a tutti gli effetti una setta e che venerava
quel
vecchio pazzo vanaglorioso.
Ryo
sussultò, avvertendo come una scossa elettrica percorrergli
il corpo, quando
avvertì lo sguardo di Stiles soffermarsi, con un sorriso
perverso, su di lui;
ecco, ce l’aveva fatta: aveva attirato l’attenzione
del vecchio, adesso aveva
solo da sperare che non dubitasse della sua buona fede e di riuscire ad
entrare
nella sua cerchia stretta in un tempo relativamente breve.
“Avverto
dei dubbi provenire da te, fratello…” Scendendo
dal palco, con le mosse e i
tempi giusti da navigata star della TV, Stiles passò tra le
file di sedie fino
a giungere davanti a Ryo, e con quella che sarebbe dovuta essere
un’espressione
caritatevole, ma sembrava invece lo sguardo di un serpente pronto a
divorare la
sua preda, gli mise una mano sulla spalla, stringendola leggermente,
abbastanza
perché Ryo lo avvertisse, ma non così tanto da
mettere in allarme gli altri
“fedeli” presenti all’adunata.
“Non ricordo il tuo nome…”
“Kuroba
Ryosuke,” rispose Ryo, con espressione a metà tra
l’annoiato e lo strafottente.
“Se
non sbaglio, è la prima volta che ti vedo qui,
fratello,” Stiles continuava a
guardarlo con quell’espressione da schiaffi, come avesse
voluto sfidarlo
apertamente, e se avesse avuto la Python con sé, Ryo era
quasi del tutto certo
che l’avrebbe usata su quel rifiuto della società,
facendogli un bel buco in
mezzo agli occhi e facendo un favore al mondo intero.
“Eh,
già…” Ryo gli fece un sorrisetto,
allungò le gambe incrociando le caviglie, e
fece schioccare le nocche delle mani. “Sa, mi sono reso conto
che non so cosa
fare della mia vita… tanti soldi, tante donne, mai lavorato
un giorno grazie a
papino… arrivati alla mia età si inizia a farsi
delle domande….”
“Eppure
lei non sembra essere un uomo con dei dubbi…”
Stiles continuò, per nulla
intimorito da quel giapponese grande e grosso dagli occhi color canna
da
fucile. Lo guardò estremamente bene, studiandolo con calma,
da tutte le
angolazioni- nel vero senso letterale della cosa. Ryo strinse i denti,
mal
sopportando quel silente terzo grado. “No, invece…
lei ha dei dubbi. Ma, fratello,
ascolta…. con la consapevolezza e la
pace interiore, tutte le scelte sono semplici e quasi automatiche, i
dubbi
svaniscono.”
“Chissà,
forse,” Ryo soppesò le parole, scandendole per
bene, lentamente. “Mi sono
smarrito lungo la strada….”
“Capita
a tutti, Ryosuke, io stessi, molti anni,” il
“profeta” continuò, cercando
alternativamente l’attenzione del suo pubblico e quella
diretta del suo
interlocutore, muovendosi con fare deciso, senza tuttavia apparire
pericoloso o
irriverente. “mi sono trovato ad un bivio, e ho messo tutto
me stesso nella
ricerca di una soluzione ai miei problemi, le mie tribolazioni. Dimmi
Ryosuke,”
l’uomo continuò, guardandolo bene, soffermandosi
con occhio critico sugli
eleganti capi che quel giorno sfoggiava, il Rolex al polso, la sua
postura. “Ti
sei mai soffermato su ciò che conta davvero, quello che
c’è dentro di te, la
tua vera essenza?”
Lo
sweeper quasi scoppiò a ridere. Non capiva come qualcuno, a
meno di essere pazzo
da legare, potesse cadere nella trappola di quel tizio. Cosa diceva
Visualize
di diverso dagli altri presupposti guru che si trovavano a frotte in
giro per
il mondo? Dal Papa? Da semplicissimi libri di auto-aiuto che si
potevano
comprare per poco o nulla al mercato delle pulci?
Nulla;
eppure, il circo mediatico che Stiles ed i suoi avevano messo su
fruttava un
mare di quattrini, e, sebbene gli fosse sembrato di capire che dopo la
débâcle
di John il Rosso in America i fedeli fossero diminuiti, sembrava che in
Oriente
il balordo avesse finalmente trovato il suo vero paradiso e un prato su
cui
seminare e raccogliere in gran quantità, ed in particolare
in Giappone aveva
trovato terreno fertile, grazie alla mentalità piuttosto
aperta per quel che
riguardava le convinzioni filosofiche e religiose…
d’altronde, che il Giappone
con le sette avesse un bel problema non era certo una novità.
Ryo
non rispose, si limitò a guardare, intensamente, con fare
enigmatico, il suo
interlocutore. Non doveva apparire scettico, o avrebbe fatto scattare
gli
allarmi di quella gente. Incerto, curioso, dalla mente
aperta… quello sì,
nonostante fosse tutto l’opposto di ciò che Ryo
era realmente.
Ma,
dovette scrollarsi lo sweeper, lui non era Ryo Saeba, spiantato
pseudo-investigatore privato, guardia del corpo, sweeper, e
sì, a volte anche
sicario, perennemente al verde, era Ryosuke Kurobe, erede di un magnate
del
metallo che aveva fatto fortuna vendendo le materie prima
all’Ikea.
Stiles
si allontanò da lui, e continuò a girare per la
sala, parlando al maggior
numero di persone possibile, sempre con quel maledetto sorrisetto
stampato in
faccia; capiva perché Jane odiasse quell’uomo:
aveva il fare, i modi del
truffatore. Nei giorni precedenti era andato a farsi un giro in rete,
cercando
su Google il nome del biondino dell’FBI, e ne aveva trovato
da leggere, per
giorni… principalmente, si trattava di articoli sulla morte
della sua famiglia,
altri che riguardavano casi su cui aveva lavorato, ma c’erano
anche alcuni
video, che Ryo aveva studiato per bene, guardato e
riguardato… registrazioni in
studio dei tempi in cui aveva finto di essere un sensitivo. Non gli era
voluto
molto per capire che Jane si odiava, che rinnegava quella parte del suo
passato, che era disgustato dall’uomo che era stato in quella
vita precedente…
e Stiles era tale e quale a ciò che era stato Patrick Jane
un tempo.
Stile
si congedò con falsa modestia dal suo pubblico, con un mezzo
inchino, e la
folla proruppe in un boato, urla, preghiere, applausi…
sentendosi come un pesce
fuor d’acqua, e chiedendosi se il mondo intero fosse andato a
farsi benedire,
Ryo lasciò la sala, con le mani in tasca degli eleganti
pantaloni, quando
qualcuno lo afferrò alla spalla, da dietro. Con uno sguardo
glaciale e pronto a
tirare un sonoro gancio a chiunque avesse osato agire così,
Ryo incontrò lo
sguardo terrorizzato di uno dei seguaci di Stiles, il suo braccio
destro, da
ciò che aveva capito, Fratello Jason. Con mani tremanti,
l’uomo gli offrì una
scatolina, che Ryo prese svogliatamente e pigramente, come se non
avesse potuto
importargli meno, e mentre si apprestava a lasciare quel luogo, la
aprì; c’era
una tessera magnetica all’interno, ed un biglietto scritto a
mano con
un’elegante e raffinata calligrafia…
Carissimo Ryosuke, desidero dal più
profondo del cuore approfondire con
te ciò di cui abbiamo discusso oggi.
Ti
aspetto domani mattina per un giro della struttura e per
l’orientamento.
La
lettera non era firmata, ma Ryo non aveva bisogno di veder messo nero
su bianco
il nome dell’autore, era a dir poco palese.
Stiles.
Era
riuscito a farsi amico il leone, e adesso avrebbe potuto
avvicinarlo… c’era
solo da capire chi fosse la preda, e chi il predatore.
Nel
retro del Cat’s Eye Cafè…
Saeko
entrò nella stanza dove Jane stava lavorando, controllato da
Cho, con un grosso
scatolone in mano, ed altri due delle medesime dimensioni la
aspettavano in
macchina. Aveva raccolto tutto il materiale che il
“mentalista”, come Jane
veniva definito, aveva richiesto, ed adesso era andata a
consegnarglielo, anche
se non capiva cosa avrebbe potuto trovarci; tutti loro avevano guardato
quei
fascicoli, lei li aveva analizzati più e più
volte, anche dopo il suggerimento
dell’uomo, ma non le sembrava di aver notato incongruenze,
omissioni o legami
che potevano essere stati tralasciati ad una prima occhiata.
Secondo
lei, quello era un vicolo cieco, ma se andava bene a lui…
Si
guardò intorno, con aria smarrita, travolta da un silenzio
quasi assordante-
tutte le altre volte che era stata lì, Jane aveva
borbottato, si era lamentato,
aveva pensato ad alta voce…. la seducente poliziotta strinse
denti e pugni,
sbattendo un piede a terra: quel cretino le aveva fatto fare tutto quel
lavoro,
e per giunta in fretta, ed adesso se l’era data a gambe?
Pregò solo per il suo
bene che lo avesse fatto per un motivo serio, e che non si fosse
ficcato in un qualche
guaio, perché era così innervosita che
difficilmente gli avrebbe salvato le
chiappe.
“Sta
parlando con Abbott ed il vostro amico, Saeba.” Quando
sentì la calda voce
avvolgente, Saeko fu percorsa da brividi dalla punta dei capelli alle
unghie
dei piedi; si voltò, lentamente, e trovò, seduto
allo stesso tavolo dove aveva
preso a sedere da quando aveva assunto l’incarico di cane da
guardia di Jane,
Cho. Tranquillo, pacato, non sembrava darle la benché minima
attenzione, il che
era al contempo tanto strano quanto lusinghiero per Saeko; da una
parte, nessun
uomo le aveva mai resistito, dall’altra, faceva piacere
vedere un uomo che
facesse più attenzione alla sua mente, la sua persona,
piuttosto che al suo
corpo. E, per giunta, Cho era etero: nell’archivio di un
quotidiano
californiano aveva trovato l’annuncio di fidanzamento, ma
immaginava che le
cose non fossero andate a buon fine… niente fede al dito,
niente linee da
abbronzatura all’anulare, e soprattutto nessuna telefonata
strana, non di cui
lei sapesse, almeno.
“Sì,
Ryo mi ha detto che Stiles vuole conoscerlo meglio.” La
conturbante moretta gli
rispose, sistemandosi una ciocca di capelli che le copriva il viso con
falsa
nonchalance ed uno sguardo ammaliatore che su quell’uomo di
ghiaccio non
ottenne però il risultato sperato- era davvero un osso duro,
ma era un bel
tipino, e non le sarebbe dispiaciuto conoscerlo un po’
meglio, specie sotto le
lenzuola. L’amore eterno non faceva per lei, non
più ormai, la sua chance la
aveva avuta e se l’era lasciata scappare per i dubbi e
perché pensava, era
certa, di dover scegliere tra amore e carriera,
ma era una donna di sangue e carne, con bisogni, e ogni
tanto un po’ di
calda ed eccitante compagnia maschile non le dispiaceva. E poi, Cho non
sarebbe
stato lì in eterno: era la perfetta distrazione temporanea
di cui approfittare.
La
discussione sembrò non andare oltre, perciò Saeko gli andò alle
spalle, e mordendosi le labbra
osservò cosa stesse guardando al computer, cosa rapisse
l’attenzione e la mente
sveglia ed elastica di quell’enigmatico essere umano.
Lo
schermo era diviso in due, ma colmo da entrambe le parti di fotografie;
da una
parte, immagini chiaramente tratte da dossier di lavoro, dall'altra,
quelli che
dovevano essere scatti personali, immagini in molte delle quali
c’erano lui,
Jane, Abbott e altre tre, quattro persone che più o meno
apparivano in quasi
tutti gli scatti; molte di esse parevano essere state prese ad un
matrimonio, e
sebbene Jane indossasse bene o male sempre le stesse cose- e Saeko
dovette
ammettere, con una punta di rimpianto, che sebbene con savoir faire e
carisma,
con quei tre pezzi, più che elegante come era Mick, il
mentalista sembrava uno
straccione appena scappato da una clinica per malati mentali- la bella
donna
indossava indubbiamente un abito da sposa ed era a lui che si univa in
matrimonio.
Era
lampante: quella donna guardava Jane proprio come Kaori
guardava Ryo, anche se la rossa raramente si
era permessa di donargli quello sguardo apertamente; lei lo faceva di
sfuggita,
segretamente, quando credeva che nessuno li stesse guardando.
Saeko
si trovò a sospirare, rattristata. Sapeva di non essere la
persona preferita di
Kaori, ma lei, al contrario, teneva molto alla giovane Makimura. I suoi
rapporti con Ryo, le sue battute, erano più che tutto
frecciatine che
continuava a sperare smuovessero i due innamorati, dettati
dall'abitudine,
erano un retaggio di un tempo antico, precedente al giorno in cui,
ragazzina,
Kaori era entrata nella vita dello sweeper travolgendolo come il mare
in
tempesta.
“TORNA
INDIETRO!” Gridò a Cho, e lui, a cui il
caffè quasi andò di traverso, la
guardò
di sottecchi. “La galleria, quella con le immagini di lavoro,
ho visto
qualcosa…” Fece come la donna aveva suggerito e
riavvolgere la galleria di
immagini fino a che lei non gli fece cenno che poteva fermarsi,
indicando sullo
schermo un’immagine ben precisa, che, come ogni volta, faceva
salire la bile in
gola al federale.
Quell’immagine
veniva da un fascicolo su di un caso ben preciso che aveva colpito
tutti loro:
era un primo piano di una donna castana dai lunghi capelli mossi, gli
occhi
chiusi, il corpo immobile, il viso macchiato e disegnato oscenamente
con
qualcosa di rosso, una semplicissima croce di oro giallo al collo e le
mani,
con lo smalto rosso, incrociate davanti al petto: Saeko era certa che
fosse un
cadavere. “Chi era?” gli chiese, tenendo una mano
sulla spalla di Cho, l’altra
sulla scrivania, china davanti allo schermo in quel completo troppo
stretto che
quasi faceva schizzare via i bottini.
“Chi
è, vuoi dire.”
le rispose, ed accennò
un sorrisetto, il primo che gli avesse visto fare da quando era
sbarcato in
Giappone. “Guarda che hai appena visto le sue foto di
matrimonio… quella è
Lisbon…. Teresa… la moglie di Jane.”
Saeko
si ricompose; mettendosi dritta, incrociò le braccia, e
studiò con occhio
critico quell’immagine che, non sapeva il perché,
era certa le avrebbe dato gli
incubi per un lungo, lunghissimo lasso di tempo. “Cho, cosa
le era successo in
quella foto?” gli chiese, diretta, senza troppi giri di
parole.
“Non sono certo
che sia la mia storia da
raccontare, ma…” L’uomo si
lasciò andare sulla sedia, e sospirò, passandosi
una
mano sui capelli; si guardò intorno, come per controllare
che nessuno potesse
sentirli- specie Jane- poi tornò a posare lo sguardo sulla
Nogami. “Pochi mesi
prima che Jane uccidesse John il Rosso…
McAllister… una sera Jane andò a
trovare Lisbon, non mi ha mai detto il perché, ma credo
che… che fosse pronto
ad ammettere di provare qualcosa per lei. Trovò la porta
socchiusa, le luci
spente, e Lisbon non rispondeva. Era come se sapesse che…
lui aveva ricreato la
scena dell’omicidio della sua famiglia. Ed infatti la
trovò così, nel suo
letto. Solo che l’aveva drogata, e non
uccisa…”
“Beh,
conosco qualcuno che non è stato così
fortunato…” Si diresse verso lo
scatolone, lo aprì ed iniziò a far passare, uno
ad uno, tutti i fascicoli, fino
a che non trovò quello che voleva; era una semplice
cartellina gialla, con
pochissimi fogli dentro, forse una o due pagine di rapporto, qualche
foto…
decisamente, quel caso non aveva avuto nessuna priorità.
“Una ragazza che
lavorava in un bordello nel quartiere, assassinata alcuni giorni prima
che
venisse gettata la prima pietra per la costruzione del Visualize
Center. I miei
colleghi non sono stati troppo ligi, e sinceramente non avevo fatto
troppo caso
nemmeno io, questo fascicolo l'avevo aggiunto solo perché il
tuo amico voleva
sapere qualsiasi cosa fosse successa a Shinjuku dall’arrivo
dei vostri
amichetti, ma dopo che ho visto quella foto, la cosa è ben
diversa. Guarda tu
stesso.”
Saeko
gli passò il fascicolo, aprendolo alla foto che la
interessava, e che, era
certa, avrebbe causato un bel po’ di dubbi e domande anche
agli “amici” di
Austin… e difatti, Cho scattò in piedi, facendo
cadere per la foga la sedia
alle sue spalle.
Con
gli occhi sgranati, fissava quell’immagine, scioccato,
impaurito, nervoso…
spaventato.
Una
donna- asiatica, quello sì- dalla pelle chiarissima, lunghi
capelli castani
leggermente mossi, le labbra adornate da un rossetto rosso fuoco, le
unghie
delle mani, incrociate come fosse in preghiera o nella bara, laccate
dello
stesso colore, ed al collo, una croce, semplice, vecchio stile.
Identica
a quella di Lisbon.
“Beh,
le cose sono due: o il tuo amico ha ammazzato l’uomo
sbagliato, oppure abbiamo
a che fare con un emulatore…”
“Oppure
abbiamo capito male cosa Renfrew volesse dirci.” Allo sguardo
allibito di
Saeko, Cho, le mani sui fianchi, prese un grosso respiro, e
tornò indietro con
la mente ad oltre dieci anni prima, quando era ancora il braccio destro
di
Lisbon al CBI e lavoravano da nemmeno due anni con Jane.
“Renfrew è uno dei
pochissimi partner noti di John il Rosso. Era stato arrestato, ma non
aveva mai
ammesso nulla. Jane lo aveva fatto evadere sperando di ottenere delle
informazioni in cambio, ma lui era fuggito in Messico. Lo trovammo
cadavere nel
bagno di un motel alcuni mesi dopo: John lo aveva fatto morire
dissanguato
molto lentamente, ma era riuscito e scrivere col suo sangue qualcosa
sul muro: he is mar. Non abbiamo
mai capito cosa
volesse dire, ma dopo la morte di McAllister avevamo immaginato volesse
dire
“marked”, riferendosi al tatuaggio che tutti i
membri della cerchia di John
avevano. Ma forse…”
“Forse
non aveva finito di scrivere la frase. Forse non voleva scrivere una
“r” ma una
“n”...” Saeko continuò,
pensierosa, leggendogli nella mente, incapace di
distogliere lo sguardo da quella donna, su cui nessuno aveva indagato
perché
vendeva il suo corpo per denaro- molto probabilmente, mossa dalla
disperazione
e dal bisogno, non certo dalla lussuria. “He
is many. Lui è molti… lo avete mai
pensato? Che non avesse solo amici, solo
persone che usava… ma complici ben più vicini,
che quel nome appartenesse a… a
un collettivo?”
“Non
lo so, la cosa mi puzza. Se fosse stato un collettivo, qualcosa sarebbe
accaduto negli anni, e a quest’ora avrebbero già
preso di mira Jane e
Lisbon…” Cho
si grattò il collo,
pensieroso, lo sguardo fisso su quei rapporti di cui capiva poco o
nulla. Saeko
lo guardò con ammirazione ed un sorriso di compiacimento:
capì perché avesse
fatto carriera in fretta all’FBI, era sveglio e con la mente
agile, e
soprattutto, sapeva come muoversi e quando parlare. “Sai, non
c’è bisogno di
tanti attori per interpretare lo stesso ruolo, ne basta uno e la sua
controfigura,
ed un secondo, che lo rimpiazzi al momento del bisogno… e se
McAllister era la
star della produzione, Carter la controfigura che si è
sacrificata spacciandosi
per il killer che cercavamo… chi è il terzo
uomo?”
“Sai,
Cho, credo che sia giunto il momento che facciate vedere a me e Ryo
quello che
avete su questa “Società di Blake” che
il vostro sceriffo pazzo aveva fondato…”
Saeko lo guardò, seria, decisa, determinata a portare a
termine la missione,
dispensare giustizia costasse quel che costasse.
“Perché se davvero il suo
secondo gli era così vicino, non c’è da
dubitare che lo abbia scelto tra quelle
fila.”
“Non
so quanto potrebbe esserci utile,” Cho scrollò il
capo, guardando quella foto
che gli lacerava il cuore. “Quelli più alti in
grado sono morti quando Jane ha
fatto esplodere casa sua, Stiles non sembra avere il profilo da serial
killer
anche se a dirla tutta io l’ho sempre considerato un sadico,
ma penso sia più
un voyeur che altro, e gli altri… erano tutti pesci piccoli,
gente che anche se
è già uscita di galera non aveva il
fegato di fare una cosa del genere.”
“Beh,
qualcuno il fegato lo ha avuto…” Saeko
sibilò, mentre lanciava uno dei suoi
pugnali contro una rivista che mostrava il capo della setta.
“E credimi, quando
City Hunter avrà finito con loro, si pentiranno amaramente
di aver scelto casa
nostra per uccidere.”
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Capitolo 5 *** Cpitolo 4 ***
Shinjuku,
appartamento di Maiko Watanabe- scena del crimine.
Dopo che il giorno precedente Saeko gli
aveva mostrato quelle immagini e quel fascicolo, a Jane era mancata la
volontà
di andare avanti. Sapeva che quel viso non apparteneva alla sua Teresa,
eppure,
era come se non facesse altro che tornare indietro con la mente a quel
giorno,
di tanti anni prima, quando la trovò in casa, segnata
dall’orribile killer, e
temette di averla persa per sempre.
Aveva insistito per poter vedere dove
fosse accaduto, e Saeko, dopo aver telefonato al proprietario
dell’appartamento, aveva acconsentito: l’immobile,
nonostante fosse passato
quasi un anno dalla tragedia, era ancora sfitto, sembrava quasi che gli
abitanti del quartiere volessero starne alla larga temendo che fosse
maledetto.
Peggio per loro, e meglio per le
indagini.
C’erano perfino ancora i sigilli, segno
che nemmeno il padrone di casa non aveva più osato
avventurarsi oltre quella
soglia; la poliziotta sfilò dalla giarrettiera uno dei suoi
amati coltelli,
senza modestia né farsi alcun problema a mostrare un
po’ di pelle all’americano,
e li tagliò in un battibaleno, prima di aprire con una copia
della chiave ed
oltrepassare la porta d’ingresso.
La stanza, nonostante fosse pieno
giorno, era immersa nell’oscurità, le persiane
abbassate, e puzzava di vecchio,
stantio, polvere e muffa e ferro- un odore che fece venire il
voltastomaco a
Jane, che riconobbe quell’aroma purtroppo per lui
inconfondibile come sangue
secco.
Nessuno aveva fatto più pulizia in
quella stanza, nessuno aveva provato a dare dignità a quel
luogo- perché quelle
persone, nelle loro menti, non
ne davano
alcuna a chi, in quel luogo, aveva trovato la morte: Maiko era una
prostituta,
quindi di facili costumi, magari pure tossica, e allora che problema
c’era?
Forse era per questo che solo a Saeko era parso importasse qualcosa di
quella
povera creatura, perché per i suoi colleghi era un rifiuto
in meno che girava
in circolazione.
Mentre la poliziotta cercava
l’interruttore, Jane accennò un sorriso: gli
piaceva, quella donna. Sì, era una
sensuale sirena tentatrice, e probabilmente non era restia ad usare il
suo
fascino per ottenere quello che voleva e manipolare le persone ad agire
secondo
i suoi desideri senza che nemmeno se ne accorgessero- un po’
come lui aveva
sempre fatto- ma soprattutto, nonostante cercasse di apparire ligia
alle
regole, nascondeva un grande cuore, senso di giustizia, e
lealtà verso i suoi
amici. Sì, Saeko Nogami era decisamente una persona che
incontrava le sue
simpatie, soprattutto perché gli ricordava tanto la sua
Teresa.
“Dannazione, devono aver tagliato la
corrente!” La donna sibilò in giapponese, prima di
mettersi a cercare qualcosa
nella tasca del suo giacchino- un accendino.
Illuminò fievolmente l’ambiente
circostante, e Jane, cercando di evitare
i cartellini delle prove, la sagoma disegnata col gesso bianco sul
pavimento,
le macchie di sangue che ancora si potevano scorgere, andò
ad alzare gli scuri,
sperando che la luce naturale fosse abbastanza da permettergli di
vedere, ed
analizzare, per bene quel logo.
“Esattamente, cosa crede di trovare
dopo tutti questi mesi?” Saeko gli domandò,
sbuffando leggermente, le mani sui
fianchi. Era sfiduciata: non credeva possibile che potessero trovare
qualcosa
dopo così tanto tempo.
“In Giappone le sette hanno spesso una
forte influenza politica, vero? Quindi,
non c’è ragione di credere che Visualize non abbia
già cercato di centrare il
bersaglio e arraffarsi
qualche pupillo
benpensante del vostro bel paese. Come nella Polizia- le vecchie
abitudini sono
dure a morire, e a Stiles è sempre piaciuto vantarsi che le
forze dell’ordine
credessero così tanto in lui da unirsi a frotte nella sua
organizzazione.”
“Come i membri della Blake
Society.”
Saeko soppesò le parole, incerta di come
quell’uomo imprevedibile potesse
reagire alle sue deduzioni. “Perché crede che
abbiano amici nelle forze
dell’ordine?”
“Perché,” Jane
rispose, senza guardarla
in viso, senza smettere di controllare ogni singolo particolare, far
passare i
cuscini, i tappeti, tutto. “Qualcuno ha rotto i sigilli di
ceralacca e li ha
sostituiti, se osserva bene vedrà che i vecchi sigilli hanno
lasciato una
traccia, come un alone, ed il nostro killer, o chi per lui, non li ha
allineati
in modo perfetto, segno che forse ha dei problemi con il senso di
profondità.”
“Ah!” Saeko, con espressione
fiduciosa,
si batté il pugno sul palmo della mano, soddisfatta,
sentendo che finalmente
avevano una pista che fosse stata decente. “Forse
potremmo…”
“Chiedere i nastri delle telecamere di
sorveglianza? Lo escludo.” Jane sospirò, spegnendo
ogni speranza sul nascere;
lo fece con una nonchalance tale che sembrava non gli importasse di
spezzarle
il cuore. “Quelle all’ingresso del palazzo sono
finte, e a giudicare dai
palazzi qui intorno, anche ce ne fossero, immagino che siano tutti
sistemi a
registrazione giornaliera, dubito abbiano tenuto i nastri di oltre un
anno fa-
ha visto come erano fragili i sigilli? Si sono subito sbriciolati
appena li ha
toccati. Quindi è passato parecchio da quando il killer
è stato qui.”
Il cellullare di Saeko suonò, e lei si
mise in disparte, parlottando al telefono con il suo interlocutore
alzando gli
occhi al cielo, e digrignando i denti. Jane la spiava con la coda
dell’occhio,
e tese l’orecchio per vedere se riuscisse a cogliere qualche
parola, ma era
difficile- sì, aveva imparato le basi del Giapponese, ma non
era la sua lingua,
ed un conto era chiedere che per favore rallentassero o ripetessero, ma
origliare una conversazione era tutt’altra cosa…
peccato che fosse la sua
attività ludica preferita!
Non percepì chissà che cosa-
le parole
che era certo di aver afferrato erano “Hōō” e
un qualcosa che gli sembrava significasse non
volere… quindi… quindi era
il papà di Saeko al telefono! Con un sorrisetto malandrino e
mordendosi le
labbra per non ridere, si fermò ad osservarla, curiosa. La
bella e composta
poliziotta si stava a dir poco infervorando con il suo interlocutore, e
qualsiasi cosa lui le avesse detto, lei non aveva alcuna voglia di fare
come si
presupponeva che lei agisse.
“Dannazione, brutto balordo
rompiscatole, ma quando imparerà a farsi i fatti
suoi!?” Sibilò mentre quasi
stritolò il suo telefono in mano. Si schiarì la
gola, si ricompose, e, col viso
leggermente arrossato, si
avvicinò a
Jane, che fingeva di essere interessato a qualcosa che poteva vedere
fuori
dalla finestra. “Ehm, signor Jane, purtroppo ho un
contrattempo, e non possiamo
restare oltre…”
Jane non disse nulla, ma si limitò a
guardarla, con un'espressione da so tutto io, uno sguardo che sembrava
andarle
sotto alla pelle, vederle dentro, e che, francamente, la faceva
rabbrividire.
“Due, due ore e mezzo al massimo.” Disse,
battendosi con l’indice destro sul
labbro.
“Scusi?” Gli
domandò, sbattendo gli
occhioni, incerta.
“Il tempo che le servirà a
sbarazzarsi
di suo padre e dell’ennesimo pretendente. Tempo che
impiegherà
principalmente in
macchina, perché suo
padre deve essere un alto dirigente della Polizia, per questo
l’ha chiamata sul
telefono del lavoro, quindi
immagino che
gli piacciano gli intrallazzi e le cose belle. Non si farebbe vedere a
mangiare
con sua figlia qui a Shinjuku nemmeno morto.” Fece una pausa,
poi le si
avvicinò e le sussurrò nell’orecchio.
“Suo padre vuole farla sposare, perché
è
molto tradizionalista, e fino a che lei non sarà sposata,
non potranno farlo
nemmeno le sue sorelle minori, e poi, lui vorrebbe davvero tanto
diventare nonno!”
“Ma come ha fatto
a…”
“Si è sfregata
l’anulare sinistro come
se si stesse rigirando una fede.”
le
rispose, facendole l’occhiolino, e dandole una pacca sulla
spalla. “Vada pure
da suo padre, un paio d’ore da solo, chiuso in una stanza da
solo…. posso
cavarmela benissimo! L’aspetto qui.”
Facendogli un leggero inchino, Saeko
fece cenno di acconsentire col capo, ed uscì a passo veloce
dal decrepito
stabile.
Shinjuku, sede di Visualize
“Salve Ryosuke, sono Maya, fratello
Stiles la sta aspettando…” Appena ebbe varcato la
soglia dell’imponente
palazzone, Ryo venne subito intercettato da una stupenda donna, a cui
riservò
un sorriso smagliante, seduttivo; lei, lo guardò,
civettuola, camminando,
muovendo sinuosa le anche con falsa naturalezza.
Ed ecco un’altra cosa che i leader
delle sette sembravano apprezzare: bellissime donne, con corpo da
modelle.
Peccato che Maya non facesse più per lui: troppo finta,
costruita, una pin-up
da copertina che andava bene sulla carta stampata, ma
null’altro, perché se toglieva
le extension, le ciglia finte, le unghie artificiali, le tette rifatte,
la
rinoplastica… e cos’altro? Labbra a canotto?
Probabilmente anche lenti a
contatto colorate… beh, tolto tutto, cosa restava di lei?
Nulla. Non come Kaori, che era bella
nella sua semplicità, nella sua freschezza, nel suo essere
acqua e sapone.
“Ryosuke, sono felice di
rivederti,”
Stiles lo salutò, stringendogli la mano- presa forte,
maschia, da elemento
alfa, non male per un vecchietto. “Sono felice che tu sia
qui.”
“Anch’io,” Ryo gli sorrise, con un mezzo
ghigno sul volto,
senza lasciare andare la presa. “Apprezzo molto il tempo che
mi sta dedicando.”
“Amo dedicarmi a tutti i miei nuovi
studenti, Ryosuke, e devo dire…” Stiles
lasciò la presa, e scrollò le spalle,
mentre si mise a guardare la vista dalla finestra del palazzo, dando la
schiena
a Ryo, dimostrandogli a fatti che non lo temeva. Osservò la
frenetica città,
persa nelle sue contraddizioni, e sospirò, sentendosi come
in cima al mondo,
come se, con quel palazzo, avesse costruito non solo muri, ma anche
potere,
fama e controllo. “Devo dire che ho pensato molto a quello di
cui abbiamo
parlato ieri, sulle nostre capacità di scelta, e io credo di
poterti aiutare…”
“Davvero?” Stravaccato su una
delle
poltrone, Ryo a malapena si trattenne dal mandarlo a quel paese.
Quell’emerito
truffatore non era meglio di falsi sensitivi e di quei pseudo-dottori
che nel
selvaggio West vendevano olio di serpente per curare la
Tubercolosi…
“Sì, ragazzo mio. Posso
trasmetterti la
mia conoscenza, le tecniche che ti permetteranno di accedere ad aree
del tuo
subconscio che governano la capacità decisionale ed i
desideri… ad esempio, c’è
l'ipnosi, oppure…” gli si sedette accanto, e lo
afferrò per una spalla,
stringendola con forza, ma cercando di trasmettere un messaggio
rassicurante.
“C’è una cosa che potremmo provare, che
credo troverai davvero molto
interessante. Se hai un po’ di tempo da dedicarmi, ho una
sorpresa per te,
ragazzo mio…”
Negozio
di moda di Eriko Kitahara
“Beh, ma si può sapere cosa
diavolo ti
prende? Ormai è quasi una settimana che sei sempre
così mogia….” Eriko,
appoggiata contro uno stand di abiti, guardò la sua migliore
amica, ripiegare
con cura una camicetta prima di riporla dentro un armadietto. Kaori si
limitò a
sospirare, gli occhi tristi, quasi vuoti. Negli ultimi mesi, Eriko lo
aveva
notato, il comportamento della sua migliore amica era drasticamente
cambiato:
passava sempre meno tempo con Ryo ed il resto della loro allegra
brigata,
sempre più tempo con lei, ma soprattutto, si era fatta una
volta più silenziosa
e triste. I suoi occhi avevano perso quella scintilla di
luminosità, e la
stilista, in tutta onestà, non ricordava nemmeno
più quando l’avesse sentita
ridere l’ultima volta.
“Non è nulla,”
Kaori rispose, cercando
di sorridere e dissimulare le sue vere emozioni, celate dietro una
maschera.
“Sono solo di cattivo umore. Forse deve venirmi il
ciclo.”
“Kaori…” Eriko le
si avvicinò; si
guardò attorno con fare circospetto, per essere sicura che
non ci fosse nessuno
in negozio oltre a loro, e la afferrò per la spalla,
costringendola a guardarla
negli occhi. “Kaori, non dirmi idiozie. Lo so quando stai
davvero male.
Sentiamo, cosa ha fatto Ryo stavolta?”
“Ha solo messo in chiaro come stanno le
cose tra noi,” la rossa ammise, con gli occhi lucidi con
lacrime che non aveva
alcuna intenzione di versare, non davanti ad un'altra persona.
“Ho trovato una
ragazza nuda nel suo letto, tutto qui. Avrei dovuto capire che non era
interessato a me, però…”
Kaori si asciugò le lacrime; in
realtà,
quella non era l’unica cosa a preoccuparla; sì,
lui le aveva spezzato il cuore,
ma a darle da pensare era quell’uomo che aveva incontrato
quando era “fuggita”
da casa, quella fatale mattina… gli occhi, il sorrisetto,
come non sembrava
volerla lasciare andare… era stato inquietante, e poi, da
allora, aveva spesso
avuto la sensazione di essere seguita, che qualcuno la osservasse, ma
ogni
volta che si era voltata, non aveva mai trovato nessuno, e si era
convinta che
fosse solo auto-suggestione.
La campanella sopra la porta trillò, e
Kaori, ricomponendosi e mettendosi a posto la divisa,
cinguettò il suo
benvenuto al nuovo avventore; lo raggiunse, ed ebbe un attimo di
esitazione
davanti all’occidentale, perché aveva la netta
sensazione di averlo già visto
da qualche parte, ma non sapeva dire dove, esattamente. Tuttavia, si
dette
della stupida da sola: Tokyo era piena di uomini d’affari
occidentali, dopo
tutto, e poi, quell’uomo aveva una vistosa cicatrice sul lato
destro del viso,
che tuttavia non lo rendeva spaventoso o rivoltante, ma anzi, gli dava
un’aria
misteriosa, seducente…come qualcosa di prezioso e antico.
“Salve, sono Kaori, e la
assisterò con
le sue spese. In cosa posso esserle utile?” Gli
domandò, sforzandosi di
sorridere ed apparire naturale.
L’uomo prese a guardarsi intorno, con
vivo interesse, e le trasmise quasi una sensazione di pace e
tranquillità:
decise che doveva essersi sbagliata, e anche di grosso…
aveva quasi un’aura…
rassicurante.
“Sa, sono l’assistente
personale di un
vecchio e arcigno miliardario, e quel vecchio balordo mi ha trascinato
qui a
Tokyo dall’oggi al domani senza nemmeno darmi tempo di
preparare qualcosa…. e
per di più, mi sono perso un importante anniversario con la
mia fidanzata.” Le
disse, con sguardo sognante, mentre sfiorava la soffice seta di un
delicato
capo spalla. “Per farmi perdonare, avevo pensato di comprarle
qualcosa di
abbigliamento, che fosse di alta classe, sartoria ed esclusivo, che
nessuna
delle sue amiche abbia mai posseduto… crede di potermi
aiutare, Kaori?”
“Sono certa di
sì…. mi dica, aveva in
mente qualcosa di particolare? Un accessorio, un abito….
magari una camicetta…”
“Teresa,” iniziò
lui, guardando le
persone che camminavano nelle vie affollate di Shinjuku, quasi
sovrappensiero,
le mani in tasca. “Si chiama Teresa, ha lunghi capelli
castani mossi, anche se
lei si ostina a lisciarli, dei meravigliosi occhi verdi, grandi, un
po’ come i
suoi, ed è piccolina, solo un metro e sessanta…
ma io la amo dal primo giorno
che l’ho vista.”
Kaori si rabbuiò, e, con le mani
incrociate sul ventre, abbassò lo sguardo, mentre una
lacrima traditrice le
lasciava gli occhi. Doveva essere bello, pensò, un amore del
genere, avere un
uomo che provava così tanto affetto e dedizione…
lei, lo avrebbe mai trovato?
Sarebbe mai stata in grado di allontanarsi da Ryo?
“Lei, invece, soffre per amore, vero?
Il suo cuore è spezzato, sente il bisogno di fare una scelta
per uscire da
questo tunnel, da una relazione infelice che non è altro che
un circolo
vizioso…”
Kaori sussultò, il fiato le
mancò in
gola quando quello
sconosciuto prese a
guardarla come se le stesse leggendo dentro, ed in quel momento, seppe
di aver
avuto ragione. “Oh, a proposito… lei non mi ha
detto come si chiama, vero?”
Domandò, nel disperato tentativo di guadagnare tempo, o
cambiare anche solo
argomento.
“No, infatti, non mi sono ancora
presentato…” Le afferrò la mano, e la
trascinò vicino a sé, strattonandola. La
fissò negli occhi, lo sguardo gelido, sicuro, e prese a
disegnare col pollice
dei ghirigori regolari sulla pelle. Kaori socchiuse le labbra, e fu
incapace di
smettere di fissare ciò che l’uomo stava facendo.
“Brava bambina, Kaori, adesso
ascoltami bene…”
Sede
di Visualize
Ryo fischiò in segno di apprezzamento
quando un estremamente eccitato Stiles lo condusse in una stanza buia,
illuminata
solo da una luce blu ad infrarossi,
insonorizzata con eleganti pannelli di sughero riccamente
lavorati.
All’interno, non c’era nulla, tranne una specie di
astronave a forma d’uovo
con, stampato sopra, il logo dell'organizzazione.
Cristo,
ci mancava solo il santone che vuole mandarci tutti a vivere su un
altro
pianeta dopo la morte…
“Carina. Sarebbe?” Chiese
scettico, a
malapena resistendo all’istinto di prendere a calci
quell’affare.
“Quest’affare, come lo chiami
tu, è una
capsula del galleggiamento.” Sorrise, stringendo la spalla a
Ryo con fare
amichevole, mentre apriva la macchina schiacciando un pulsante su di un
telecomando. Ryo osò uno sguardo all’arnese: era
quasi interamente piena di un
liquido che appariva a prima vista come acqua. “Aiuta a
visualizzare, a
concentrarsi, e credo che possa aiutarti a capire perché
stai lottando così
tanto per trovare la tua strada, perché non vuoi abbracciare
il tuo destino.”
Ryo sussultò, voltando gli sfuggevoli
occhi neri verso l’arcigno vecchietto, la voce tremante.
Forse, forse, poteva
prendere due piccioni con una fava, fermare Stiles e finalmente avere
le idee
chiare su cosa fosse accaduto, e se lo avesse scoperto, ne avrebbe
potuto
parlare con Kaori, le avrebbe spiegato, e poi, e poi… poi,
finalmente finita
quella storia e consegnato alla giustizia- sua o di Saeko, non aveva
ancora
deciso- l’assassino di Shinjuku, le avrebbe confessato cosa
provava per lei,
sarebbe stato onesto e avrebbe dato ad entrambi la
possibilità di vivere il
loro sentimento.
“Crede…”
ingioiò, pugni chiusi e occhi
che andavano all’acqua che, quieta, si muoveva sensualmente
all’interno del
marchingegno. “Crede che potrebbe aiutarmi a concentrarmi
su… su un ricordo che
credo di aver perso?”
“Sì, figliolo, ti
accompagnerò io in
questo percorso, sarò in contatto con te da questo pannello.
Ti ho già fatto
preparare un costume da bagno, non vogliamo rovinare quei bei vestiti,
vero?”
Stiles scoppiò a ridere, e diede una
sonora pacca sulla schiena a Ryo, indicandogli un separé in
bambù e carta di
riso, dall’aria estremamente antica e ricercata- lo aveva
già detto che al vecchio
piacevano le cose belle?
Ryo si cambiò, con calma e
tranquillità, e nascose sotto alla seduta della sedia il
coltello che si era
portato dietro, ed indossò quel costume che, se doveva
essere sincero, a lui
sembrava più un paio di boxer neri. Seguendo Stiles ed
assecondandolo, entrò
cautamente all’interno di quel “veicolo”,
e vi si coricò, come se stesse
facendo il morto in mare. Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro,
e si
preparò ad avvertire il coperchio che si chiudeva su di lui.
“Allora Ryosuke, come ti
senti?” Stiles
gli chiese, con la voce che gli giungeva ovattata
dall’altoparlante.
“Diciamo che è strano, ma
sono stato in
posti peggiori, che tu mi creda o no.” Ed era stranamente
piacevole: la voce
del gota era l’unica cosa che gli giungesse
dall’esterno, salvo quello, era
cullato da quella acque tiepide in cui galleggiava, e distrattamente si
chiese
se fosse quello che aveva provato nel grembo di sua madre, prima di
nascere.
“Apri la tua mente,
Ryo, permettile di svelarti le sue verità ed i
suoi segreti…”
Ryo si lasciò andare, ed
inspirò a
fondo, mentre ciocche di capelli neri galleggiavano nel liquido,
tornò alla
mente al quel giorno, cercò di vincere le ritrosie e le
barriere del suo
subconscio, dovute ai fumi dell’alcol, ed a spezzoni, come in
frammentari
flash-back, rivide cos’era successo…
Mick
che lo trascinava per locali, ma non aveva voglia, tuttavia,
c’era troppa
tensione a casa e non se la sentiva di restare solo con
Kaori…
Il
suo migliore amico che prima lo canzonava, poi lo aspramente criticava,
e poi
quella frase, fredda, cinica, spietata, offensiva- soprattutto verso
Kaori. “Ho
rinunciato a lei perché credevo la amassi, ma forse mi sono
sbagliato. Forse
farei meglio a mollare Kazue una volta per tutte e dedicarmi alle
grazie della
cara Kaori. Scommetto che è così stufa di
aspettare un principe azzurro che
tanto non arriverà mai che mi supplicherà di
scoparla.”
La
scazzottata.
Vedere
una ragazza, una brunetta niente male,
che fuggiva da due bruti che la volevano derubare, e
firmare una quiete
temporanea per salvarla.
Lei
che gli offriva da bere per farsi perdonare. Bere per locali, poi
continuare a
casa perché in giro non c’era più
nessuno che li volesse servire, e
addormentarsi completamente sbronzi a letto, lui che si spogliava
perché aveva
caldo, tanto caldo...
Svegliarsi
la mattina quando Kaori era entrata in stanza, che profumava di
zucchero e
vaniglia, col desiderio di abbracciarla e baciarla.
E
poi, lui, che le spezzava il cuore, inconsapevolmente.
Ryo spalancò gli occhi, la bocca
graziata da un leggero sorriso, e sospirò di sollievo: non
era successo nulla,
non si era dato a quella ragazzina e non aveva tradito Kaori-
perché, anche se
lei ancora non lo aveva capito appieno, loro si appartenevano
reciprocamente, e
adesso lui l’avrebbe informata, per bene, e sarebbe stato
onesto, una volta per
tutte, nessun passo indietro, niente ripensamenti: voleva solo
proiettarsi al
futuro.
La temperatura all’interno della
“cosa”
si abbassò improvvisamente, e la tranquilla luce azzurrina
si trasformò in un
bollente rosso fuoco che gli martellava gli occhi e la testa, dandogli
un senso
di oppressione e soffocamento, quasi fosse stato prigioniero di un
incendio. E
fu allora che si rese conto di una cosa: Stiles lo aveva chiamato col
suo vero
nome. Ryo.
Non poteva essere un caso: Stiles
sapeva.
Digrignando i denti, prese a colpire
alla cieca con i pugni chiusi quella mostruosità in cui si
trovava prigioniero,
ma invece che leggero, gli appariva che il suo corpo fosse pesante, e
sprofondasse verso il basso. Era in trappola, e la cosa peggiore era
che ci
fosse cascato in toto. Si era fatto abbindolare, perché
aveva ritenuto il
vecchietto troppo deboluccio e codardo per fare del male a qualcuno, ma
evidentemente, si sbagliava.
“Bene, e adesso, Ryo, perché
non mi
dici la verità? Perché sei qui, e soprattutto,
chi ti manda? L’FBI? La polizia
di Tokyo, quella… come si chiama? Nogami, vero? Una tua
amichetta, se non
sbaglio.” Fece una lunga pausa, e Ryo credette di avvertirlo
che camminava
intorno a quella capsula; se lo poteva quasi immaginare, soddisfatto,
tronfio,
le mani giunte dietro alla schiena. “Sappiamo chi sei, City
Hunter… quello che
non so è cosa pensavi di trovare qui…”
L’acqua si scaldò, e Ryo
credette di
vedere delle bolle formarsi sulla superficie, e temette che Stiles
volesse
farlo cuocere; il livello si alzò allo stesso tempo, e lui,
galleggiando, stava
ormai sfiorando il soffitto di quella capsula. Sapendo quanto fosse
limitato
l’ossigeno in quello spazio angusto, Ryo fece del suo meglio
per restare calmo,
stringendo i denti , tuttavia quella cosa era sigillata ermeticamente
dall’esterno, e solo una forza erculea- o la pistola che non
aveva con sé-
avrebbero potuto aiutarlo a fuggire.
L’acqua gli sfiorò i lobi
delle
orecchie, e Ryo prese un grosso respiro, sapendo cosa da lì
a poco sarebbe
accaduto, certo tuttavia che sarebbe stato inutile: sarebbe morto, o
soffocato,
o annegato, e avrebbe lasciato Kaori col cuore spezzato, ed il tutto
perché era
sempre stato un codardo: poteva sfidare un intero plotone da solo, ma
quando
era il suo cuore ad essere in gioco, tutto andava a puttane.
Il liquido riempì interamente la
capsula, e Ryo andò a fondo, per la prima volta guardava in
faccia la morte e
sapeva di non essere pronto ad affrontarla, per la prima volta
desiderava
vivere.
Per lei. Per vivere al fianco della
donna che amava. Di Kaori.
Le luci si spensero, e Ryo fu avvolto
dalle tenebre, un attimo prima che il coperchio si aprisse. Si erse,
eretto,
grondante acqua, in quello spazio ristretto, i polmoni che gli
bruciavano, i
muscoli indolenziti, e guardò con odio Stiles, desiderando
piantargli il
coltello nel cuore, bramando vendetta, conscio che si era sbagliato:
era
pericoloso, come e più di un killer armato di coltello,
perché non accettava
che il suo potere assoluto fosse messo in discussione, che qualcuno
potesse
anche solo lontanamente pensare di portargli via ciò che
riteneva suo di
diritto.
“Vattene, Saeba, e non tornare mai
più
qui.” Contornato da guardie armate, il vecchio gli
lanciò disgustato i suoi
vestiti, come fossero stati vecchi stracci lisi. In condizioni normali,
avrebbe
potuto stenderli facilmente, ma lo shock per il suo corpo era stato
troppo
forte, era quasi annegato, e doveva riprendersi; con gli occhi ardenti,
voltò
le spalle all’uomo, e mentre camminava verso
l’uscita della sede della setta,
si rivestì; la pelle ed i capelli bagnati impregnavano il
tessuto, rendendolo
pesante, come avesse un macigno che lo accompagnava, passo a passo.
Una volta fuori, si voltò verso il
palazzone, e guardò in direzione dell’ultimo
piano, dell’ufficio di Stiles, e
fu quasi del tutto certo che i loro sguardi, in
quell’istante, si stessero
incrociando in un’espressione di sfida.
Palpando le tasche della giacca, cercò
il cellulare usa e getta che Saeko gli aveva consegnato per la durata
del caso,
ma non lo trovò: grazie al cielo dentro non
c’erano informazioni, ed aveva
abilmente cancellato tanto le chiamate ricevute quanto quelle
effettuate, ma
era comunque una seccatura: adesso, gli sarebbe stato utile per
avvertire Mick
e gli altri.
Perché se Stiles sapeva,
allora….
allora, erano tutti in pericolo. Dal primo all’ultimo.
Appartamento
di Maiko Watanabe
Jane era rimasto seduto
nell’appartamento per ore, cercando di capire cosa fosse
successo in quel
luogo, cercando di entrare nella mente del killer, ma senza successo-
evidentemente, aveva ancora un briciolo di decenza dentro di
sé, e non era un
completo sociopatico, come gli aveva sempre detto il padre per
spronarlo a
spennare tanti più polli possibili.
Sbuffò, rammaricandosi che purtroppo
Saeko avesse avuto ragione, e che ormai fosse tardi: il tempo, il
decadimento
naturale della materia avevano cancellato ogni possibile indizio che
fosse
potuto sfuggire alla scientifica.
Il rumore di un treno- la stazione era
proprio lì accanto- con la sua sirena, lo stridio dei
binari, rapirono la sua
attenzione per un attimo, e lui, nonostante ciò che era
accaduto in quel luogo,
sorrise, ripensando a quando aveva portato Charlotte, la sua amata
figlia
scomparsa, a vedere i treni che passavano quando aveva solo un anno o
giù di
lì, le sue risate… e pianse, lacrime calde che
gli scorrevano sulle guance, al
pensiero di lei, per il desiderio di poter fare lo stesso con il suo
bambino.
Era così preso dai ricordi e dalle speranze che non
avvertì la presenza alle
sue spalle fino a che non ricevette il colpo in testa- un vaso che
andò in
frantumi- e dopo, non poté fare altro che strisciare a
terra, la testa che gli
girava. Si voltò, proteggendosi il capo con le mani,
sperando anche di dare un
nome, o perlomeno un volto, al suo assalitore, ma vedeva solo una
silhouette
nera contornata dalla luce del sole basso che entrava dalla finestra.
E aveva una pistola in mano- forse solo
una precauzione nel caso lui avesse opposto resistenza, come stava
effettivamente accadendo. Più o meno.
Jane vide il movimento del dito sul
grilletto, pronto a sparare, quando l’uomo misterioso
gridò di dolore,
accasciandosi a terra, tenendosi il braccio dolente al petto, prima di
fuggire,
gettandosi dalla finestra, ed il mentalista, con un sospiro di
sollievo, si
permise di perdere i sensi, una volta che nel suo campo visivo
entrò la ben
riconoscibile sagoma di Saeko Nogami, che, telefono alla mano, si
sporse dalla
finestra per guardare cosa fosse accaduto all’uomo
misterioso, sperando quasi
che si fosse rotto l’osso del collo.
Purtroppo, non era così, dovette
constatare a denti stretti: il balordo si era gettato proprio dentro un
cassonetto, riempito all’inverosimile di sacchi che avevano
attutito la sua caduta,
permettendogli la fuga. La scia di sangue, causata dalla ferita del suo
coltello, era però ben visibile, e avrebbe fatto loro comodo
sapere come e dove
era ferito per rintracciarlo, ma soprattutto identificarlo
all’interno della
maledetta setta.
“Come sta?” Chiese una voce
femminile
in inglese, avvicinandosi alla finestra e voltandosi verso Jane, che
tentò di
alzare leggermente il capo, strizzando gli occhi, in direzione delle
due donne;
Saeko si limitò ad un’alzata
di spalle.
“Posso spiegarti
tutto…” Jane biascicò,
in direzione della nuova venuta.
“Se avessi un dollaro per tutte le
volte che me lo hai detto, a quest’ora sarei
milionaria…”
La donna sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Allora, non hanno ancora risposto?” Non
aveva ancora finito la frase che gli occhi di Saeko brillarono quando
finalmente la linea smise di suonare dall’altra parte, e la
persona che stava
cercando rispose.
“Mick, sono Saeko, abbiamo Jane, ma lo
hanno conciato per le feste, dovremo portarlo dal Professore. Notizie
di Ryo?
Non risponde all’usa e getta che gli avevo dato...”
disse, freddamente, poi,
quando lui le dette la notizia successiva, il telefono le cadde di
mano,
sfracellandosi a terra, il delicato vetro ridotto ad una ragnatela di
schegge
mentre lei, col cuore a mille ed il corpo freddo, guardava nel vuoto,
con gli
occhi spalancati…
Kaori era sparita: di lei, non c’era
più traccia.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Shinjuku,
sede di Visualize
“Si può sapere dove diavolo
sei stato?”
Stiles irruppe nel suo ufficio nella sede di Visualize, e si diresse
verso la
scrivania di elegante legno di noce, che trovò
già occupata; il suo “rampollo”
se ne stava stravaccato sulla poltrona in stile Inglese, con tanto di
caviglie
incrociate sull’elegante piano di cuoio, come se tutto gli
fosse dovuto, come
se tutto fosse già suo. Era calmo e pacato, sicuro di
sé, e teneva le mani
bellamente incrociate sullo stomaco, in una posizione che denotava
rilassamento
e fiducia nelle proprie capacità. “Mi devi la
vita, razza di scarafaggio che
non sei altro, e ti conviene portarmi il dovuto rispetto se non
vuoi…”
Stiles puntò il dito verso
l’uomo,
sibilando a denti stretti le parole con tono minaccioso ed occhi velati
di
rosso; non finì la frase, perché cosa volesse
dire era ben chiaro ad entrambi.
“Non ti hanno insegnato a stare attento
a cosa dici davanti ad una signora?” L’uomo con la
cicatrice sul volto fece un
cenno verso il divano nell’angolo, e Stiles si
voltò, trovando, seduta con le
mani in grembo, la pecorella dai capelli rossi che tanto lo aveva
affascinato:
Kaori Makimura.
“Che cosa ci fa lei qui?”
Tuonò,
sbattendo un pugno sul piano della scrivania che fece tintinnare i vari
ninnoli
che vi erano posati sopra. “Lei non è uno dei tuoi
giocattoli!”
“Ti ricorda Grace VanPelt, vero? Quella
graziosa rossa che non sei mai riuscito a scordare e che non hai mai
avuto…”
sospirò, con uno sguardo a metà tra il sognante e
l’ironico, ridendo del suo
avversario. “Neanche facendola sedurre dal tuo cocco sei
riuscito a farla
vacillare, la sua vera fede era
troppo solida. E alla fine hai perso uno dei tuoi accoliti
migliori.”
Il viso di Stiles era come una roccia:
sembrava che niente potesse farlo vacillare, ferirlo,
intimorirlo… Raggiunse il
più giovane uomo dall’altra parte della scrivania
e gli afferrò le caviglie,
spostandole con determinazione ed una forza insolita per un uomo della sua età,
ma non lui, che aveva una
volontà di ferro ed un controllo completo sul suo corpo
grazie alla sua
indomita mente.
“Ti conviene fare attenzione,
figliolo…” si limitò a dire, con
un’espressione che valeva ben più di mille
parole.
“Non chiamarmi figliolo,
Bret.” L’uomo
sibilò, sbattendo il pugno sul tavolino con rabbia cieca.
“Timothy Ferragut era
mio padre, e tu l’ha
lasciato morire
per poter prendere il suo posto alla guida di questo circo!”
“Tuo padre si è ubriacato ed
ha
bruciato uno stop, non dare a me colpe di altri…”
La voce di Stiles era poco
più di un sibilo.
“Mio padre era astemio, tu
l’ha convinto a bere e salire su
quella macchina, con i tuoi maledetti trucchetti
mentali…” si mise in piedi, e
mentre camminava per la stanza, scoppiò a ridere, di una
risata pazza, maniacale.
“E vuoi sapere una cosa? Anche se ho sempre saputo che eri tu
che avevi ucciso
mio padre, io stesso ho imparato tutti i trucchi del mestiere:
guardala!” in
modo teatrale, indicò Kaori, seduta sempre nella stessa
medesima posizione, gli
occhi bassi e vitrei, quasi fossero privi di vita.
“Arrendevole e silenziosa,
proprio come piacciono a te. Non sei contento?”
“Dobbiamo…
devi lasciarla andare. Non ricorderà nulla e
sarà come se niente
fosse successo… ma lei deve andarsene, non fa parte dei
nostri piani.” Stiles
prese un respiro profondo e mise una mano sulla spalla del giovane;
cercò i
suoi occhi, e parlò con voce quasi implorante mentre
stringeva il tessuto della
giacca elegante. “Ed il suo partner è
già venuto a ficcare il naso in giro.
Quell’uomo è pericoloso, potrebbe essere la nostra
rovina.”
“Sì, Saeba… mi
hanno detto che era
stato qui… anzi, ti aveva preparato una bella sorpresa, ma
purtroppo non aveva
avuto il tempo di farti vedere cosa aveva preparato per
te…” L’uomo con la
cicatrice proruppe in una fragorosa risata mentre scostava Stiles con
un gesto
quasi di stizza, andando ad osservare Shinjuku e Tokyo
dall’ampia vetrata.
“Dalla morte di mio padre, mia madre ed
io abbiamo sempre fatto come volevi tu. Abbiamo seguito i tuoi
insegnamenti, ed
i tuoi ordini. Volevi che ci facessimo da parte? Pronti! Ti serviva
qualcuno
nelle forze dell’ordine per tenerle d’occhio? Io mi
sono creato il curriculum
perfetto, ho persino cambiato nome per te e questo… pozzo di
ipocrisia!!” Si
voltò verso Stiles, la sua voce era ferrea e velenosa, colma
di rabbia. Prese a
camminare verso l’uomo che per lui era stato come un
padre-padrone, e che si
era macchiato della morte di colui che gli aveva dato realmente la
vita.
Cos’altro nascondeva Stiles, si chiese? Ma soprattutto, come
sarebbe potuta
essere la sua vita se Timothy Farragut non avesse bruciato quello stop?
“Mi
sono insinuato nella vita di Teresa per farla mia, perché tu
volevi che lei e Jane fossero
tenuti d’occhio, e quando
stavo per averla, tu hai preferito quello… quel numero da
baraccone a me! ME!”
“Figliolo…” Stiles
prese a camminare
verso il muro, le mani alzate come a creare una barriera, per quanto
flebile,
tra lui e quell’uomo sul cui volto leggeva determinazione e
rancore.
“Non. Chiamarmi. Figliolo!” Fu ammonito, prima che
l’altro iniziasse a
ridacchiare. “Diciamoci la verità, a te rode che
lei sia mia, ora. Tu l’avresti
voluta tutta per te. Ma sai che ti dico? Tu e questi pezzenti mi avete
fatto
penare una vita intera, mi meritavo un giochino nuovo…. e me
lo sono preso!”
“UN
GIOCHINO?!” Stiles urlò con tutto il fiato che
aveva in gola, richiamando
l’attenzione di David e di Jason Cooper, il suo vicario, che
irruppero nello
studio facendo sbattere le porte contro il muro. “Non avrei
dovuto permettere a
McAllister di farti entrare nella sua cricca, quel pazzo non aveva mai
capito
nulla, non sapeva guardare più in là del suo
naso.”
Ormai faccia a faccia, Stiles strinse i
denti e serrò i pugni, fissando con odio quel giovane che
continuava a
guardarlo con aria di sfida, come se lo stesse prendendo in giro.
“Avrei dovuto
ascoltare il mio istinto e uccidere
anche te e quella vacca di tua madre, stronzetto che non
sei altro.”
“Forse avresti fatto bene a
farlo.”
Alla nomina della madre, l’uomo vide rosso, e
schiaffeggiò il leader della
setta con tutta la forza che aveva, così forte che
l’anziano perse l’equilibrio
ed andò sbattere
contro il muro,
vacillando. Stiles, barcollando, gli si lanciò incontro, ed
il giovane non
provò nemmeno ad evitarlo, anzi, lo accolse nelle sue
braccia… piantandogli
nello stomaco il coltello che Ryo aveva nascosto nel palazzo giorni
prima.
Stiles cadde a terra, tenendosi la ferita, disperatamente cercando di
arginare
l'emorragia, ma tuttavia, c’era ben poco che potesse fare:
sentiva sempre di
più le forze venirgli meno, la sua vista si faceva sempre
più sfocata, e
sentiva freddo, un freddo che non aveva mai sentito prima di allora.
Fece per rialzarsi, ma il giovane gli
diede un calcio nella pancia, il suono sordo, forte, potente, come se
avesse
colpito un pallone da calcio. “Scordatelo,
padrone… adesso i giochi li conduco
io… come sarebbe dovuto sempre essere!”
sibilò, continuando a prenderlo a
calci, fino a che Stiles non rantolò, il sangue gli colava
dall’angolo delle
labbra e gli occhi, cerulei, che fissavano, spalancati e senza vita, il
soffitto.
Il giovane, col viso macchiato da
schizzi di sangue, si sistemò la giacca e strinse il nodo
della cravatta, e
pulì il coltello sulla manica della giacca, incurante delle
striature vermiglie
che lasciò sul prezioso tessuto, e posò il
coltello con delicatezza e quasi
dedizione sulla scrivania, fissando l’oggetto orgoglioso,
sospirando.
“Avete forse qualcosa da
dire?” Non si
voltò nemmeno a guardarli, mentre faceva schioccare la
lingua, ma i due uomini
rimasero in silenzio, ed egli lo
interpretò come una forma di assenso. Sorrise
compiaciuto, gonfiando il
petto. “David, sbarazzati del corpo. E Jason…
diffondi la notizia che Padre
Stiles è momentaneamente indisposto e lascia al figlio di
Timothy Ferragut, che
è finalmente è tornato all’ovile, la
cura della creatura di suo padre.”
Mentre gli uomini se ne andavano
trascinando il corpo privo di vita e lasciando una scia di sangue sul
lindo
pavimento di marmo, il giovane Ferragut si avvicinò a Kaori
e le diede un
buffetto sulla guancia, senza guardarla in viso.
“Ah, Kaori, Kaori, Kaori…
cosa ne farò
di te e del tuo innamorato?” sussurrò, la sua voce
era così bassa che pareva
quasi stesse parlando tra sé e sé.
“Chissà… forse potrei farvi risorgere
dalle
ceneri… anzi, mia bella dea dell’amore, mi hai
fatto venire proprio una bella
idea...”
Perso tra le parole del suo pazzo
monologo, non vide la singola lacrima che le scendeva
dall’angolo dell’occhio.
Tokyo,
la casa/clinica del Professore
Ai due lati opposti della casa che
fungeva anche da clinica all’enigmatico anziano che molti
anni prima aveva
salvato la vita ad un Ryo ancora ragazzino, due persone urlavano,
ringhiando il
loro disappunto e la loro delusione, un uomo e una donna.
Da una parte, Ryo, che percorreva i
corridoi della clinica fumando come una ciminiera una sigaretta dietro
l’altra,
passandosi le mani tra i capelli ed infierendo contro tutti - Falcon
per averli
ficcati in quel casino con il suo amico, Saeko per non essere stata in
grado di
risolvere da sola quegli omicidi, Mick per aver perso Kaori-
dall’altra, in una
stanza, con Kazue che gli stava medicando la testa, c’era
Jane; seduto sul
letto con una borsa del ghiaccio, cercava di alzare gli occhi al cielo
nonostante il dolore che gli procurava alle parole della donna che se
ne stava
con le mani sui fianchi davanti a lui, a braccia incrociate, con uno
sguardo
che sembrava urlare mammina delusa; nonostante
la situazione, Saeko trovava il tutto quasi surreale, e non poteva fare
a meno
di ridacchiare sotto ai baffi a quella curiosa visione: si era
abituata, in
quei pochi giorni, a vedere in Jane un uomo freddo, composto, cinico e
a
momenti crudele. Eppure… eppure, stava mettendo il muso come
un bimbetto
qualsiasi alla vista di quella donna.
“Non che non siamo grati di averti qui,
capo, ma come hai fatto a sapere dove trovarci?” Cho le
domandò a braccia
incrociate.
“Non lo so, Cho, forse che ho passato
più di metà della mia vita nelle forze
dell’ordine e magari qualcosa l’ho
imparato? O magari, semplicemente, immaginare che mio marito abbia
fatto
un’idiozia abissale e mi abbia mentito ancora, di nuovo,
nonostante tutte le
sue belle parole, per uno qualsiasi dei suoi motivi idioti è
la mia forma
mentale?” Fece una pausa, sospirando ad occhi chiusi.
“Sinceramente, che
nessuno di voi abbia pensato che forse avrei potuto fare qualche
domanda in
giro quando questo buffone non mi ha risposto al telefono…
nemmeno fossi stata
una cretina. E per di più, avete parlato con Whiley? Quel
ragazzo non è in
grado di mantenere un segreto quando è sotto pressione,
soprattutto quando sono
io ad interrogarlo. Potevate almeno scegliere un complice
più decente.”
“Senti, lo so che sei arrabbiata, ma
stavolta, Teresa, posso davvero spiegarti tutto,”
cercò di giustificarsi il
consulente dell’FBI. “Sul serio.”
“Non me ne frega un accidenti di cosa
mi puoi o non mi puoi spiegare, Jane.” Sibilò il
suo cognome, tanto per fargli
capire quanto fosse arrabbiata con
lui e delusa dal suo comportamento, ferita; a volte, le sembrava che
per quanti
passi avanti facesse con lui, ne facessero altrettanti indietro.
“Da te ormai
mi aspetto di tutto e di più, anche se avrei sperato che da
uomo sposato e
padre di famiglia, prima di prendere un aereo per volare dall'altra
parte del mondo
e mettere in apprensione un serial killer e farlo agire più
velocemente, mi
avresti perlomeno informata invece di sparare
cazzate…”
Il mentalista si morse l’interno della
guancia; la cattolicissima Teresa aveva smesso di fare attenzione al
linguaggio: ciò significava che era davvero molto arrabbiata
e che ci avrebbe
davvero messo un po’ a farsi perdonare; prevedeva un lungo
periodo da passare a
dormire sul divano, una volta tornati ad Austin.
“...Ma voi due? Si può sapere
cosa
diavolo vi è saltato in mente di lasciarvi trascinare in
questa faccenda da
questo emerito imbecille?” Teresa sbraitò, in
direzione di Abbott e Cho, che
stavano con le mani in tasca e il capo chino, pronti ad essere sgridati
per le
feste. “Cho, quando sei riuscito ad entrare
all’accademia di Quantico dicevi
sempre che a causa sua…” indicò il
marito senza guardarlo negli occhi,
facendolo sentire piccolo ed inutile. “Avevi faticato molto
di più degli altri
cadetti perché, solo per essere suo collega, venivi additato
come una testa calda.
E lei, Abbott… lei è l’uomo che era
così ligio al dovere che ha distrutto dalle
fondamenta l'intero corpo di polizia statale della California, lei
è sempre
stato ligio alle regole… e cosa mi fa? Fate
l’allegro trio e ve ne venite in
Giappone a seguire Stiles senza un piano!”
“Ehy, noi avevamo un piano!”
Jane
sbuffò, alzando la voce con un acuto che gli
provocò un attacco di emicrania,
un dolore pulsante al livello delle sopracciglia. La sua
“squadra” si voltò a
guardarlo con disappunto, mentre Saeko si limitò a fare un
sorrisetto e
sollevare un sopracciglio, divertita da quel teatrino
dell’assurdo che tutto
sommato le stava risollevando l’animo.
“Va bene, d’accordo, non era
proprio un
piano, era… una bozza di piano. Un’idea.”
Teresa rimase in silenzio, considerando
cosa dire; non voleva essere cattiva o offensiva, ma la tentazione di
riversare
addosso a Jane velenose parole al vetriolo cariche della frustrazione
di anni,
accumulatesi con ogni idiozia che lui aveva la brillante idea di
mettere in
campo era davvero molto forte.
Stringendo la croce che aveva al collo,
chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, cercando di ritrovare la
sua
stabilità emotiva, per quanto buona parte del suo equilibrio
mentale fosse,
parole sue, volato fuori dalla finestra quando aveva incontrato il
cretino che
aveva finito con lo sposare.
“Jane, saltare su aereo per investigare
una serie di omicidi apparentemente non collegati che potrebbe o no
essere
collegato a Visualize ed intrufolarti sulla scena di uno dei crimini
perché nei
film di Hitchcock l’assassino ritorna sempre sul luogo del
delitto non è un
piano, è un comportamento maniacale di un uomo che ha
problemi con la fiducia,
con le autorità e con la giustizia.” Gli disse con
una calma che era lungi dal
provare realmente. “Un piano, è chiedere al tuo
capo di contattare l’ispettrice
Nogami, che tra l’altro ti ha salvato le chiappe quindi vedi
di ringraziarla,
per confrontare le ipotesi investigative e le prove. Poi
si sale su un aereo e si vola dall'altra parte del mondo,
preferibilmente dopo averlo detto alla donna che si è
sposato, la stessa donna
che, vorrei ricordarti, ha rinunciato a un’ottima posizione a
Washington per
te, nonostante tu fossi un bugiardo manipolatore cronico, quindi un
po’ di
gratitudine ogni tanto sarebbe gradita.”
Jane non provò a difendersi: sapeva che
su quei punti era indifendibile; ma, si diceva, Teresa a quel punto
avrebbe
dovuto conoscerlo, e sapere che quando si ficcava in testa qualcosa lui
andava
fino in fondo, e che quando John il Rosso era in mezzo alla bolgia
della sua
esistenza, lui era come se camminasse coi paraocchi, focalizzato su un
solo
obiettivo.
“Giusto perché tu lo sappia,
dubito
fortemente che la cara ispettrice Nogami abbia incaricato formalmente
Saeba di
affiancarla nelle indagini- anche perché ho fatto un
po’ di controlli in giro,
e, posto che non sia un nom de guerre, non ho trovato riscontri ufficiali nell’area urbana di
Tokyo di un maschio adulto chiamato
Ryo Saeba.” Jane ridacchiò, malefico, con quello
sguardo da gatto che si era
finalmente pappato il canarino, e fissò dritta negli occhi
Saeko, che si sentì
raggelare, come se quell’uomo fosse in grado di scrutarle
dentro. “In compenso
girano parecchie voci nella vostra città, del fantomatico
giustiziere City
Hunter, che lavorerebbe appoggiato nell’ombra da un alto
dirigente delle forze
dell’ordine. O mi sbaglio?”
“Sweeper. Sono uno sweeper, mister
Jane. Uno spazzino. Credevo di averglielo spiegato.” La voce
di Saeba lo
contraddisse, calma e decisa; Ryo entrò con passo felpato
nella stanza,
torreggiando su quasi tutti loro con la sua possente statura ed il suo
fare
sicuro, deciso, quasi letale. Si era cambiato rispetto a quando si era
recato
alla sede di Visualize, lasciando perdere il completo da damerino, come
lui li
chiamava, ed optando per una maglietta nera ed un completo di un beige
chiarissimo.
Con un sorriso disarmante, si voltò verso Teresa che,
nonostante avesse amato
Jane dal primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati,
arrossì come
una ragazzina, e fu colta da un improvviso attacco di timidezza.
“Ryo Saeba - e
lei deve essere l’agente Teresa Lisbon di cui tanto ho
sentito parlare…”
“Già, ed è anche
molto sposata e molto
madre di mio figlio, quindi…” Jane, su piedi un
po’ incerto, si alzò,
sistemandosi fisicamente tra la moglie e lo sweeper,
mostrando il più letale e maligno dei suoi
sorrisi, non sapendo che genere d’uomo fosse quel Saeba.
“A proposito, cos’è
questa storia che ho sentito della sua ragazza che è stata
rapita?”
Ryo cambiò all’improvviso, e
queste
fece venire una gran voglia a Jane di ficcanasare nella vita di
quell’uomo
misterioso: era arrossito, era divenuto rigido, sfuggiva lo sguardo del
mentalista e si grattava, nervoso, il collo. “Cosa, ma no,
Kaori mica è la mia
ragazza, noi viviamo solo insieme e lavoriamo insieme e ci conosciamo
da tanti
anni, quindi sì, magari ci preoccupiamo anche l’un
per l’altro, ma mica vuole
dire niente, eh, eh, eh…”
“Quindi Kaori è la sua
Pussy…” Ryo
sgranò gli occhi, vedendo rosso, e come un cane rabbioso
afferrò Jane per il
colletto della camicia e lo sollevò da terra, sotto gli
occhi spaventati e
stupiti di tutti i presenti, che accorsero in aiuto del biondo
riccioluto prima
che Ryo potesse tirare fuori la sua amata Python e fargli un buco in
mezzo alla
fronte.
“Cosa hai detto di Kaori? Ripetilo se
ne hai il coraggio!” Lo minacciò, e Jane,
nonostante stesse iniziando a sudare
freddo, non poté fare altro che compiacersi
dell’essere stato in grado di
causare una simile risposta emotiva nell’apparentemente
impassibile uomo - e
meno male che Kaori doveva essere solo la sua collega!
“Signor Saeba, per quanto comprenda il
suo desiderio di prendere a pugni mio marito, cosa che io stessa ho
fatto in
ben più di un’occasione, mi duole tuttavia
chiederle di lasciarlo andare. Temo
che questo non sia altro che un problema di comunicazione: Jane non
intendeva
dire che la sua partner fosse una donna di, ehm, facili
costumi, ma si riferiva a Pussycat, il gatto che vive a casa
nostra, e che Jane asserisce essere il nostro gatto perché
noi lo nutriamo, lo
portiamo dal veterinario, l’abbiamo sterilizzato, dorme al
fondo del nostro
letto, e…” Teresa sgranò gli occhi,
arrossendo, e si morse la lingua- non
riusciva a credere di star giocando allo stesso gioco di Jane,
di… di aiutarlo
così!
“Okay, va bene, allora…
perché non la
smettiamo di comportarci come bambini dell’asilo e iniziamo a
pensare alle cose
importanti?” Prese un grosso respiro e si morse le labbra
prima di proseguire.
“La sua amica. Sapete chi l’ha presa? Stiles? Uno
dei suoi?”
“In realtà,
nessuno.” Appena sentì il
dolce accento del sud della California che tanto le era mancato e che
tanto
sapeva di casa- Austin non sarebbe mai stata Sacramento, Austin le era
stata
imposta, Sacramento era quel posto che il caso aveva scelto per lei
quando,
giovane donna, aveva lanciato una moneta sulla cartina degli Stati
Uniti -
Teresa fece un sorrisetto sotto ai baffi e si voltò in
direzione della voce;
all’ingresso della camera c’era un uomo, forse
leggermente più giovane di loro,
vestito con un impeccabile completo bianco e una camicia azzurra, con
tanto di
guanti in pelle. Si avvicinò a Teresa e, presale la mano
destra nella sua, le
fece un delicato baciamano. “Michael Angel, dolcezza. Ma puoi
chiamarmi Mick.”
“Ribadisco: Teresa è mia
moglie!” Jane
asserì con tutta calma, tuttavia i suoi occhi avevano un che
di minaccioso, che
fece sorridere dietro ai baffi Mick; aveva sentito storie su
quell’uomo ai
tempi in cui viveva in California, ci aveva impiegato oltre dieci anni,
ma era
riuscito a mettere all’angolo un uomo che aveva
all’attivo almeno una quarantina
di vittime ufficiali: non aveva il benché minimo dubbio che,
avesse voluto,
avrebbe potuto distruggerlo, ne aveva le capacità,
nonostante non possedesse le
abilità “tecniche” sue e di Ryo. Ma
Jane, forse per questo, era un nemico
ancora più pericoloso: era intelligente,
meticoloso… e paziente. Molto.
“Eh, che vuole che le dica, signor
Jane, a me le donne
impegnate piacciono,
e pure parecchio!” Gli rispose, sornione, scrollando le
spalle con nonchalance
e facendo l’occhiolino alla bella Teresa, che, tuttavia, non
si sciolse
minimamente davanti al suo fascino e alla sua classe; si
limitò ad alzare un
sopracciglio e osservarlo con aria di sufficienza, come se fosse stata
una
cartaccia da levare dal suo cammino con la punta delle scarpe, mentre
invece lo
sguardo che riservò al marito fu molto più
seccato, come per dirgli che sapeva
cavarsela da sola e non aveva bisogno che lui le coprisse costantemente
le
spalle.
“Mister Angel, mi duole ammettere che
il suo fascino su di me ha poco… aplomb.
E mi creda, non è certo perché sono sposata con quello.” Sottolineò
la parola congelando il
marito. “No, il fatto è che lei è
identico
a quell’idiota quando perse la memoria e cercò di
portarmi a letto per
dimostrare semplicemente che poteva riuscirci. Elegante, persuasivo,
seduttivo,
ma un maiale pervertito che è stato sfiorato da un
proiettile che mi era
casualmente partito dalla pistola.”
Mick ingoiò a vuoto, avvertendo inoltre
gli occhi furenti di Kazue, sua fidanzata, su di lui; aveva capito
l’antifona:
la virtù di Teresa era protetta da un marito vendicativo, da
un’infermiera
dall’incavolatura facile (ma giustificata) e da Teresa
stessa, una poliziotta
dal grilletto facile. Già, avrebbe fatto meglio a starsene
buono, e comunque,
come lo sguardo feroce di Ryo gli suggeriva, c’erano cose
più importanti di cui
discutere.
“Sì, sì,
sì, va bene, comunque tornando
alle cose serie, non ti avevo detto di tenere d’occhio Kaori,
testa di rapa?”
Ryo sbuffò, le mani sui fianchi, rivolgendo
un’occhiata gelida a Mick; aveva
casualmente spostato leggermente la giacca, lasciando libera alla vista
la
fondina che custodiva la sua fidata Python .
“Tsè, ci scommetto che il
pivello
faceva il pervertito con qualche bella ragazza invece di fare il suo
lavoro,” Falcon
sogghignò dietro gli occhiali
scuri.
“Guardate che vi sbagliate di grosso,
tutti e due!” Il biondo sbottò, offeso e colpito
nell’orgoglio. “Kaori è andata
da Eriko come quasi tutti i giorni, quando è stata
l’ora della pausa pranzo è
uscita da sola, si è
incamminata da
sola verso il solito bar dove pranza e poi… e poi non lo so,
si è infilata in
una stradina e quando l’ho raggiunta era sparita, ma giuro
che non c’erano
segni di colluttazione, e sappiamo tutti che Kaori non è
esattamente una che
sta con le mani in mano se provano a prenderla!”
“Com’era la sua postura? Il
suo
sguardo?” Jane chiese all’improvviso. “Le
è sembrata assente, abbattuta?”
“Beh, sì, ma lei ultimamente
era di
cattivo umore e avevo pensato che….”
“Beh, hai pensato male, Angel! E se le
capita qualcosa giuro su Dio che mi supplicherai di ammazzarti quando
avrò
finito con te.” Ryo sibilò, con tutta calma,
mentre sollevava Mick per la
cravatta, facendogli mancare il fiato. Non smetteva di guardarlo negli
occhi,
con un’espressione rancorosa ma carica di determinazione, che
mise sul chi va
là i suoi “compagni, che quello sguardo lo
conoscevano bene: non era Ryo,
nemmeno City Hunter: quello, era l’angelo della morte, il
killer spietato,
determinato e vendicativo.
“Non se la prenda con il suo amico,
Saeba, se ho ragione io, lui non poteva fare nulla per
fermarla.” Jane,
pensieroso, si picchettò le labbra con l’indice.
“Stiles a Visualize sono
fautori dell’ipnosi, se la sua amica era sotto pressione,
stress o sconvolta
per qualcosa, questo potrebbe averla resa più facilmente
suggestionabile. Ma
questa è una buona notizia: se Stiles ed i suoi
l’avessero voluta morta a
quest’ora avremmo già trovato il suo corpo. Lei
gli serve viva, per qualcosa.”
Il telefono di Ryo squillò con il
veloce trillo di notifica dei messaggi. Sovrappensiero, non si rese
nemmeno
conto che stava controllando la notifica fino a che i suoi occhi non si
sgranarono per la sorpresa e lo shock: veniva dal telefono di Kaori.
Solo poche parole, che gli gelarono il
sangue. Quattro parole.
CI VEDIAMO DOMANI SERA ALLE 23 . SAPETE DOVE
TROVARMI.
Poco più di ventiquattro ore ancora, ed
i loro destini sarebbero stati decisi.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Shinjuku,
appartamento di Ryo & Kaori
“Allora, sapete tutti qual è
la vostra
parte?” In piedi intorno al tavolo della cucina di casa
Saeba, il gruppo di
(ex)mercenari, sweeper e agenti di polizia osservava in silenzio la
mappa della
città e le planimetrie della sede di Visualize dove quella
notte erano attesi
per liberare Kaori, ed ascoltava senza
parlare lo sweeper noto come City Hunter riepilogare cosa ci si
aspettasse da
ognuno di loro.
“Kasumi ed io faremo da
diversivo,”
Miki iniziò, segnando alcuni punti sulla piantina con
l’indice destro. “Lei
farà scattare gli allarmi al Museo d’arte
Occidentale, dove si trovano in
esposizione i gioielli della Corona Monegasca, mentre io ed un paio di
nostri
amici causeremo un po’ di caos il più lontano
possibile da voi.”
“Mi occuperò io di coordinare
le forze
dell’ordine,” Saeko intervenne. “In
questo modo, anche se
dovesse capitare qualcosa alla sede di
Visualize, io potrò ritardare l’intervento della
polizia e farvi guadagnare
tempo. Se agiscono come hanno fatto negli Stati Uniti, potrebbero
già avere una
rete di contatti nella polizia, e fino a che non scopriamo se e chi
Visualize
ha all’interno delle forze dell’ordine, voglio
evitare un confronto diretto.”
“Io e Cho terremo la situazione sotto
controllo dall'alto, pronti a colpire nel caso vi servissero dei
cecchini…” Lo
sweeper americano, prima metà di City Hunter in una vita
passata, con maestria
fece roteare la sua Desert Eagle tra le dita, quasi fosse stato un
prestigiatore; fisioterapia, chirurgia ed esercizio gli avevano
permesso di
tornare a livelli che, seppure non impallidissero di fronte a
ciò che Mick
Angel era stato in passato, facevano di lui un avversario comunque
degno ma
soprattutto pericoloso.
“Abbott ed io vi copriremo le spalle a
terra,” Falcon sogghignò dietro gli occhiali da
sole, già immaginandosi tenere
in mano il suo fedele bazooka per far strage dei loro avversari e
seminare il
caos nelle loro file.
“Jane ed io andremo ad incontrare
Stiles insieme a Lisbon e…”
“Assolutamente no!” Jane
intervenne,
con voce tonante e sguardo freddo, voltandosi verso la moglie.
“Tu te ne stai
qui buona, buona e lasci fare a noi! Non ho la benché minima
intenzione di
permetterti di mettere a rischio la tua vita così!”
Un silenzio tombale cadde sulla stanza,
tale che se fosse caduto uno spillo, sarebbe stato
l’equivalente di una potente
deflagrazione. Poi, Lisbon si voltò verso il marito, e con
espressione
incredula si limitò a dire una sola parola.
“Scusami?”
“Hai capito benissimo,”
riprese lui in
tono freddo e distaccato, trattandola come se fosse una ragazzina
irragionevole. “Non ho bisogno che tu mi stia tra i piedi
mentre…”
Il suono dello schiaffo, della mano che
colpiva la guancia risuonò con la forza di un tuono; Jane
guardò la sua sposa
con occhi enormi, sgranati, increduli, mentre lei lo fissava con i
denti
stretti in una morsa quasi dolorosa per lei stessa, la mano che le
bruciava e
le tremava per la forza usata contro il suo stesso uomo.
“Ascoltami bene,” gli disse
con tutta
la calma e la freddezza che poteva richiamare, sviolinando le parole
come se
fossero dei semplici dati di fatto, tenendo gli occhi verdi saldi in
quelli
azzurri di lui. “Ho passato dodici anni della mia vita
guardandoti sprofondare
in un abisso di ossessione per John il Rosso, amandoti e sopportando
che tu
usassi me e la mia
squadra per i tuoi
fini. Quando te ne sei andato via per due anni, io mi sono dovuta
rimboccare le
maniche perché grazie a te ho dovuto ricominciare da zero,
ma la vuoi sapere
una cosa? Tu mi mandavi quelle cartoline, quelli sciocchi oggetti, e a
me
bastava, mi accontentavo delle briciole del tuo amore. E poi te ne sei
tornato
negli Stati Uniti e hai deciso che le cose dovevano andare come volevi
tu e io
ancora ci sono stata, mi sono fidata e ti ho seguito. Ho rinunciato
alla
carriera per te, Jane, ho… ho rinunciato a tanto. Potrei
avere un figlio
adolescente adesso, avrei potuto accettare la proposta di Walt, o
seguire
Marcus a Washington… ho sempre messo i tuoi bisogni per
primi, ma adesso basta.
Si fa come dico io. E io dico che vengo con voi a incontrare
Stiles.”
“No, Teresa, non posso
permettertelo,”
Jane provò ad obbiettare un’ultima volta.
“Hai visto anche tu la foto della
Noragami. Chiunque sia il killer con cui abbiamo a che fare, ha
ricreato la
scena del tuo tentato omicidio. Significa che ti ha presa di
mira!”
“E proprio per questo devo venire con
te!” Gli urlò contro. “Si tratta di me,
e io ho il diritto di difendermi! Non
me ne starò buona da parte come ho fatto in passato,
stavolta voglio affrontare
la situazione di petto! Nascondermi non è mai servito a
nulla, se mi vuole
venire a prendere lo farà di nuovo, quindi…
stavolta vado io da lui!”
“Ma…”
provò a dire, ma lei gli mise un
dito sulle labbra, scuotendo il capo con occhi brillanti di lacrime.
“Nessun ma, Patrick. Non voglio tornare
ad Austin solo per crescere nostro figlio da sola. Andremo insieme.
Questa caccia
l’avevamo iniziata insieme, ed insieme la finiremo, una volta
per tutte.”
“Teresa….” Jane
parlò con voce
sommessa, guardando fisso negli occhi la moglie, usando
l’ultima arma a sua
disposizione: il senso di giustizia di Lisbon, la sua dedizione al suo
lavoro e
al distintivo che portava. “Non possiamo giocare secondo le
regole. Quando
andremo ad affrontare Visualize, distintivi, mandati ed aule di
tribunali
saranno l’ultimo dei nostri pensieri. Dovremo, fare delle
scelte, e so che
Abbott e Cho, e anche la Nogami…” Le disse,
guardando in direzione dei volti
dei suoi alleati. “So che loro sono disposti a mettere da
parte il loro ruolo
istituzionale per fare ciò che va fatto, ma non posso
chiederti di sporcarti le
mani e dimenticarti chi e cosa sei.”
“Abbiamo giocato seguendo le regole per
troppo tempo con Stiles ed i suoi,” Teresa ammise con voce
lieve ma decisa,
mentre incontrava lo sguardo deciso di Ryo. “E non siamo mai
arrivati a nulla.
Se per fermarlo e salvare innumerevoli vite dovrò seguire le
vostre di regole,
è un sacrificio che sono disposta a fare.”
Conscio che nulla le avrebbe fatto
cambiare idea, Jane prese la mano di lei nella sua, e la strinse,
baciando il
palmo caldo e delicato, inspirando ad occhi chiusi il suo profumo,
proprio come
aveva fatto la notte in cui aveva temuto di averla trovata morta. Non c’era
bisogno di aggiungere altro: i loro
occhi parlavano per loro.
Fu Mick ad interrompere l’idillio.
“Lo sappiamo tutti quanti che al 99,9%
questa è una trappola, vero?”
“Beh, mi sembra logico, stiamo andando
nella tana della tigre, dopotutto, però, la vera questione
è…” Jane fece un
sorrisetto, facendo schioccare la lingua. “Loro sanno che noi
sappiamo? O si
aspettano che ognuno di noi rimanga incollato ai suoi vecchi schemi
buttandosi
a capofitto senza avere nessuno che gli guardi le spalle?”
Shinjuku,
sede di Visualize
Il suono delle sirene delle forze
dell’ordine in lontananza riempiva l’aria del
quartiere di Shinjuku, che in
quella notte pareva aver deciso di dare manforte ai suoi protettori-
palazzi
abbandonati che crollavano ed andavano a fuoco, furti nelle abitazioni
degli
abitanti più ricchi della zona, ed infine, i gioielli della
corona Monegasca,
misteriosamente fatti sparire dalla teca del museo di Arti Occidentali
da
un’abile ladra che fuggiva saltando tra i tetti quasi potesse
volare.
Ryo, Jane e Lisbon scesero dalla Mini
col cuore in gola, proprio davanti a quel palazzo enorme e freddo,
monumento a
colui che lo aveva commissionato ma che sembrava voler togliere tutto
ciò che
c’era di bello in quella città; lo sweeper
alzò brevemente lo sguardo in
direzione di un altro palazzo, davanti in linea d’aria alla
sede della setta,
da cui, sapeva, Cho e Mick li osservavano con binocolo e trasmittenti.
La porta era aperta, tuttavia,
non c’era una sola luce accesa in tutta la
struttura, affondava nelle tenebre più profonde in un
eccesso opposto al mondo
che lo circondava- Shinjuku era forse uno dei più malfamati,
ma anche più vivi
quartieri della città, dopotutto, e questo senza nemmeno
considerare la zona a
luci rosse.
Una luce sopra la porta si accese, e
loro, col cuore in gola, presero ad incamminarsi nella sua direzione,
guardandosi intorno con circospezione, le mani sulle pistole nelle loro
fondine, pronti a tirare fuori le loro armi quando fosse stato
necessario;
quando arrivarono davanti alle porte di vetro, spalancate per loro,
centinaia
di piccole luci piazzate nel pavimento si accesero dalla loro
posizione,
mostrando loro la via.
“Trappola?” Ryo
alzò un sopracciglio,
con voce strafottente.
“Trappola,” Jane
acconsentì, tirando un
sospiro di sollievo: almeno, stavolta, ad indicargli la strada non
c’era una
scia di sangue sul muro. Tuttavia, questa ambientazione non era meno
spettrale
di quanto lo fosse stata la sua casa molti anni addietro: il silenzio
era lo
stesso, nell’aria aleggiavano solo i loro respiri ed i loro
passi.
Una volta varcata la soglia, le porte
scorrevoli si chiusero, ed il trio si voltò, sussultando;
Teresa si lanciò
contro la porta, prendendola a pugni, ma non si smosse di un
millimetro: era
bloccata, e loro erano come topi in un labirinto. Ryo si
portò un dito
all’orecchio, cercando di attivare la trasmittente per
chiedere a Mick e Falcon
quale fosse la situazione all’esterno, ma non udì
risposta, solo un fischio acuto
che indicava che c’era qualcuno, o qualcosa, che stava
deliberatamente
interferendo sulle loro frequenze. Spazientito, lo sweeper si tolse il
congegno, gettandolo a terra e pestandolo, rancoroso. Una rapida
occhiata di
Jane al suo cellulare gli rivelò che non c’era
nessun segnale all’interno di
quella struttura di vetro e acciaio: era come se si trovassero
all’interno di
una gabbia di Faraday, tagliati fuori dal mondo esterno.
In mano ad un pazzo.
“Già, decisamente
trappola.” Teresa
sospirò, gli occhi ricolmi di determinazione. A guidarla non
era solo il senso
di giustizia, perché sapeva, purtroppo, che forse seguire
quel corso questa
volta non sarebbe stato possibile, e che ancora una volta avrebbe
dovuto
affidarsi a quella privata, non più di Jane stavolta ma
probabilmente di Saeba.
Si incamminò alla cima del gruppo, decisa a porre fine a
quella storia una
volta per tutte, a qualunque costo, sperando che gli incubi del suo
amato
potessero essere finalmente leniti, ed il suo cuore trovare una
parvenza di pace.
“Tutto questo silenzio, è
quasi…”
“Spettrale, già.”
Ryo acconsentì,
mentre, seguendo una nuova scia di luci, salirono lungo le scale di
cristallo
ai piani superiori, dove, intermittente, un alone luminoso dinanzi ad
una porta
chiedeva la loro attenzione. “Questo posto puzza di
morte.”
Dal suo giro sotto copertura, Ryo
rammentava che il piano a cui si trovavano era occupato dalle suite
degli
ospiti del gruppo- in poche parole, dei seguaci. Con sguardo
determinato e
glaciale, provò a girare il pomello della porta indicatogli
dal pazzo, ma
quando la trovò chiusa, afferrò la sua fidata
Python e sparò alla serratura.
Con un sinistro cigolio si aprì, giusto uno spiraglio, e
facendo segno ai suoi
due compagni di fare silenzio, guardando però fisso nella
telecamera a soffitto
che era certo seguisse ognuna delle sue mosse, Ryo la
spalancò con un calcio.
Utilizzando lo schermo del cellulare
come fonte di luce, Ryo illuminò
lo
spazio circostante, fino a che non vide, su di un letto, quello che
aveva
temuto fin dal principio di osservare. Teresa si avvicinò al
mobile con
circospezione, tenendo la pistola pronta, ma un semplice tocco le disse
cosa
tutti loro avevano immaginato dal momento che la luce azzurrognola
dello
schermo aveva mostrato quelle persone agghindate a festa coricate sulle
lenzuola, abbracciati.
Erano morti, tutti e quattro- un uomo e
una donna, adulti, e due giovani ragazze, adolescenti-la loro pelle
sembrava
quasi trasparente sopra ai tendini, e le loro labbra, bluastre,
risplendevano
come sottili lame alla luce del telefono dello sweeper. Jane si
avvicinò alla
moglie, e prese tra le mani il calice di metallo, dal sentore antico,
posato
sul comodino; sul fondo, vi era ancora un po’ di liquido
rossastro, forse
dozzinale vino da supermercato.
“Mandorle amare.”
asserì, arricciando
il naso e mettendo a posto quel calice, mentre gli occhi gli ricaddero
su
qualcosa di metallico che brillava sotto al letto. “Teresa,
controlla la tempia
delle ragazze, sotto ai capelli, nascosto. Scommetto che mammina e
paparino se
ne sono andati col cianuro, ma che le ragazze non erano così
d’accordo con
l’ammazzarsi per quel bastardo di Stiles.”
Rabbioso, prese a calci il letto,
disgustato, da tutto, da tutti, mentre sua moglie scostò una
ciocca di capelli
ad una delle due sorelle rivelando cosa essa nascondeva: un foro da
arma da
fuoco, piccolo calibro, sparato a distanza ravvicinata, così
ravvicinata che,
sul cuoio capelluto, si potevano vedere le ustioni causate dalla
detonazione.
“Come lo hai capito?” Gli
domandò, chiudendo
gli occhi alle ragazze.
“La pelle è traslucida,
fredda e sul
colletto della camicia del padre ci sono chiazze di sudore asciugato,
come di
acqua del mare, tutti segni dell’avvelenamento da cianuro. E
purtroppo…” fece
una pausa, sospirando, incapace di distogliere lo sguardo da quelle
ragazzine,
quelle giovani donne che potevano avere l’età
della sua Charlotte, se fosse
sopravvissuta. “Nel 1978, Leo Ryan, il fondatore della setta
nota come Il
Tempio Del Popolo, che si era insediata in una zona della Guayana che
lui aveva
denominato Jonestown,
quando venne
accusato di trattenere cittadini americani contro la loro
volontà, ordinò che
tutti i residenti dello stabilimento si suicidassero: 923 morti, molti
per
cianuro, ma quelli che non volevano acconsentire, soprattutto bambini e
ragazzi, furono freddati a colpi d’arma da fuoco.”
“Scommetto quello che volete che anche
tutte le altre camere sono così…” Ryo
asserì, freddamente, mentre usciva dalla
stanza con le mani in tasca dello spolverino, e riprendeva a seguire i
led nel
pavimento che avevano ripreso ad indicare loro la via. Teresa, per
ultima, si
fermò un attimo ad osservare quelle ragazze, guardando di
sfuggita Jane che
fissava il corridoio davanti a lui con occhi quasi da pazzo
indemoniato, da
maniaco… sapeva cosa poteva essere passato per la mente del
marito, cosa quel
maledetto di Stiles aveva voluto fargli vedere per farlo vacillare, e
l’odio
per lui, nel cuore della donna, si moltiplicò, conquistando
l’anima di Teresa
con una presa oscura: una ragazza bionda sui vent’anni, una
leggiadra silfide;
quella, nella sua mente, sarebbe potuta essere Charlotte, e vedere quel
corpo
privo di vita, era stato per lui come perderla ancora, di nuovo. La
donna volse
lo sguardo alle povere creature a cui aveva chiuso gli occhi, ed
inspirando,
strinse con quanta forza e determinazione avesse in corpo la croce
donatale
dalla madre per la sua Prima Comunione, e recitò i versi ben
noti nella sua
mente…
Pater noster, qui es in caelis,
sanctificétur nomen tuum…
Guardandosi le spalle, continuarono a
salire, fino a che non arrivarono all’ultimo piano; la porta
dell’ufficio di
Stiles era socchiusa, e da sotto di essa una falce di luce illuminava
il
pavimento davanti a loro. Con le pistole alla mano, Ryo e Teresa si
misero ai
lati della porta, coprendo Jane che entrò per primo, con
passo incerto, ogni
muscolo del suo corpo teso come la corda di un arco pronto a scoccare
la
freccia letale.
Come quel primo giorno in cui Ryo si
era recato lì per investigare sotto le mentite spoglie del
ricco annoiato, le
luci erano basse. Una delle pareti laterali era stata aperta, quasi
fosse stata
poco più di una tenda, rendendo quella stanza un tutt'uno
con una delle sale
conferenze, un luogo che era tripudio di acciaio nero e velluto rosso.
Le luci
erano quasi del tutto spente, salvo per un riflettore, che mostrava
nella
penombra un uomo, seduto ai bordi del palco con le gambe ciondolanti, e
dietro
di lui, una sorta di sinistro altare, dove un corpo femminile giaceva,
immobile, avvolto in un drappo roseo. Teresa fece un passo avanti per
vedere
meglio, e le parve quasi di rammentare le volte in cui Tommy,
l’amato e viziato
fratello minore, le aveva affidato sua figlia Anne, ed insieme avevano
guardato
La bella Addormentata: così vestita, Kaori –
poteva essere solo lei- sembrava
quasi la principessa Aurora, pronta ad essere
svegliata dal bacio del principe.
Eppure… eppure c’era
qualcos'altro in
quel vestito, che le ricordava… che cosa? Dove lo aveva
già visto? C’era
qualcosa, come un ricordo, una sensazione che sembrava bussare
prepotentemente
alle porte della sua mente, senza tuttavia volerle oltrepassare.
Strinse i
denti, come per volersi concentrare, certa che, nonostante sembrasse
apparentemente solamente un piccolo particolare, fosse importante.
Si voltò verso di Jane, e in quel
momento, la sua mente si spalancò. Si rivide nel suo
ufficio, molti anni prima,
al CBI; lui aveva bussato alla porta, e lei gli aveva aperto,
ordinandogli di
non ridere e di non dire nulla, né in quel momento,
né in futuro.
Stava provando il vestito da damigella
per il matrimonio di Grace con O’Laughlin, che avrebbero
scoperto essere al
soldo della Società di Blake e Stiles, e le sembrava di
essere una pastorella
delle immagini degli Stati del sud sotto acido. Si vedeva orribile, con
quella
nube rosa di taffetà.
Non
stai poi così male. Sembri una principessina arrabbiata a
cui abbiano appena
rubato la corona!
Non era possibile… il suo abito,
indosso a Kaori! Come, perché? Possibile che Jane avesse
ragione, che questo
accolita di John cercasse lei nelle sue vittime, e che la conoscesse
così bene?
Ma perché? Guardò suo marito, ma entrambi
rimasero in silenzio, aspettando una
reazione dal loro avversario, o da Saeba.
“Maledetto, cosa le hai
fatto!” Ryo
sibilò a denti stretti, pronto a tirare fuori la sua pistola
per colpire tra
gli occhi quell’abominevole creatura che aveva osato privare
il mondo della
dolcezza e della bontà di Kaori, colpevole di aver
risvegliato l’angelo della
morte; Ryo fece un passo avanti, ma così facendo mise il
piede su qualcosa di
appiccicoso, viscoso e denso. L’odore metallico
colpì le sue narici, e riportò
lui e Jane nei loro rispettivi passati; Ryo era nella giungla, un
guerrigliero,
era ricoperto di ferite, gli abiti lacerati coperti dal sangue suo e di
quello
delle sue vittime, mentre il suo corpo andava a fuoco sotto
l’effetto della
polvere degli angeli; Jane, invece, aveva appena varcato la porta della
sua
casa di Malibu, trovando
sua moglie e
sua figlia sgozzate, le loro unghie laccate del prezioso liquido vitale
che era
stato loro rubato.
Sangue. Molto. Troppo. Qualcuno, lì era
morto, e, a giudicare dal modo in cui giocava con un coltello di
ceramica, che
Ryo riconobbe come quello che aveva nascosto lì giorni
prima, era stato l’uomo
sul palco ad assassinarlo.
“State tranquilli, non è
della cara
Kaori quel sangue… la sua amica, signor Saeba, è
ancora viva… per ora.” L’uomo
sul palco si alzò, e fece alcuni passi nella loro direzione,
brandendo il
coltello dietro la schiena. Nella platea, Jane e Lisbon lo guardavano
avanzare
verso di loro stupefatti ed increduli.
Non poteva essere, si dicevano
entrambi. Loro, lo avevano visto morire. Il suo corpo era stato
riconosciuto
dal coroner. C’era stato persino un esame del DNA...
“Nel caso vi interessasse, quel sangue
è del caro Bret. Non aveva capito che non mi piace essere
contraddetto, e non
voleva accettare che, dato che sono l’unico membro della
Società di Blake
ancora in vita, spettasse a me dettare legge.”
L’assassino si mosse
leggermente, ed il suo viso finalmente lasciò le tenebre e
fu illuminato,
permettendo finalmente a tutti i presenti di concepire davvero quali
fossero i
lineamenti di quel viso…Ryo lo guardò cupo e con
freddezza, ma Teresa si portò
una mano alla bocca, quasi volesse coprire il suo stupore, e fece
istintivamente un passo indietro, scrollando il capo, incredula.
Non poteva essere. Quell’uomo non
poteva essere il suo ex collega, l’uomo che con i gesti e le
belle parole
l’aveva lusingata, convincendola ad
uscire con lui e dargli una possibilità,
l’uomo con cui era finita a
letto, lei, la brava ragazza cattolica, il capo severo e composto,
ligio al
dovere, ma che era stata una donna di carne e sangue, con bisogni e
desideri
che sapeva non sarebbero potuti essere soddisfatti dall’uomo
che amava, troppo
consumato dalla paura e dalla vendetta.
Ray Haffner. Uno degli uomini che Jane
aveva creduto essere John Il Rosso. Adepto di Visualize. Forse, membro
della
Società di Blake. Agente del CBI e dell’FBI.
Amante di Teresa. Ma, soprattutto,
un uomo che tutti credevano morto nell’esplosione della casa
di Jane.
“Ray…” Teresa
sussurrò, sotto shock,
facendo un paio di passi verso quel pazzo che continuava a giocare con
quel
coltello. “Ray, credevamo fossi morto
nell’esplosione…”
“Oh, ma il fuoco non mi ha ucciso, Mia
bella Teresa,” sospirò, scendendo dal palco ed
incamminandosi verso di lei. Col
volto in piena luce, la donna poté vedere la vistosa
cicatrice che gli segnava
circa metà del volto. Non era più il sexy ed
aitante poliziotto, capace, che
aveva incontrato; tuttavia, quel segno sembrava renderlo
quasi…
misticheggiante, seducente. “In realtà, McAllister
mi ha fatto un favore:
grazie a quel fuoco sono rinato, ancora una volta. Ray Haffner, addio,
bentornato Richard!”
“Richard…” Jane
socchiuse gli occhi,
strizzandoli, quasi volesse riportare alla memoria un episodio passato;
si
rivide nel suo vecchio attico del CBI, che guardava dossier e leggeva
vecchi
articoli di giornale, con Teresa che, in piedi, stava sulle spine.
“Beh,
allora, che ne pensi di questo tipo?”
“Dico
che direttamente non ucciderebbe nessuno con le sue mani, è
troppo codardo,
preferisce lasciar fare il lavoro sporco agli altri.” Si
bevve un sorso del suo
the, sorridendo soddisfatto: nessuno sapeva farlo bene come Lisbon.
“Cosa
dice il dossier su Ferragut?”
Jane
scrollò le spalle, con nonchalance, e gettò la
cartellina gialla in un angolo
del tavolo, come se fosse poco più che spazzatura.
“Morto nel 1976 in un
incidente stradale, presumibilmente a causa di un elevato tasso
alcolico nel
sangue. Sposato con Sarah, aveva un figlio di nove anni, Richard,
entrambi
asserirono che fosse astemio, ma la polizia non indagò
perché non gli credette,
dato che vivevano in una comune e
sesso,
droga, alcol e rock and roll dovevano essere all’ordine del
giorno. Dopo la sua
morte, la guida del gruppo è passata a Stiles, mentre sua
moglie e suo figlio
sono spariti nel nulla.”
“Credi
che chi ha ucciso Ferragut abbia anche fatto sparire la sua
famiglia?” Lisbon
sfogliò il dossier, cercando una
risposta.
“Ne
dubito. Molto probabilmente avranno approfittato della morte di
Ferragut per
iniziare una nuova vita altrove con un nuovo nome...”
“Richard… Richard
Ferragut…” Jane
scandì il nome. “Sei il figlio di Timothy, il
fondatore di Visualize. Per
questo McAllister non ti ha marchiato, perché tu eri
l’unico a fare parte del
suo gruppo per diritto di sangue...”
“Già… e io mi sono
ripreso la creatura
di mio padre, quello che Bret ci aveva rubato.” Ray era ad un
passo da loro, e
già Ryo gli stava puntando la pistola al capo.
“Fossi in lei non lo farei,
signor Saeba. La sua amichetta è viva e vegeta, ma lo
sarà solo fintanto che lo
sarò anch’io. Per adesso, è solo priva
di sensi, ma poi, chissà...”
“Maledetto!” Ryo
sibilò, vincendo la
tentazione di rifoderare la
sua Python
nella fondina ascellare che aveva tenuto celata sotto la giacca, ma
gettandola
invece a terra e spingendola verso il killer con un calcio, gesto
imitato da Teresa,
mentre Jane si limitava a tenere le mani alzate. Guardando torvo il suo
avversario, anche Ryo alzò lentamente le mani, facendo un
passo indietro. “Che
cosa vuoi in cambio di Kaori?”
“Vede, Saeba…” Ray
inspirò a fondo; il
suo volto era celato da un sorriso maniacale, pazzo; eppure, dalla luce
nei
suoi occhi era chiaro che credeva fermamente a quello che stava
dicendo. “Ho
amato molto Teresa, e avevo sperato di poterla condurre a me.
Ma… sono stato…
ostacolato, se così vogliamo dire. Oh, e non certo solo da
Jane, nonostante
possa comprendere perché ne sia tanto attratta. No, vede,
quando il signorino
qui presente ha capito che John il rosso poteva nascondersi dietro
solo… quanti
eravamo? Sette? Sì, aveva ristretto la rosa dei sospettati a
sette nomi. Ci
demmo appuntamento dove la grande caccia al drago rosso era cominciata,
a casa
di Jane. McAllister- John- portò una bomba… il
piano era di liberarsi dei pesi
morti, far credere al mondo che nientepopodimeno che il direttore del
CBI fosse
il temuto serial killer, e fingere la nostra morte, sparendo nel nulla
ed
iniziando una nuova vita altrove. Ma purtroppo il mio caro padrino sopravvisse alla bomba, e
quell’agente da strapazzo di
Smith mi colpì, facendomi finire nel raggio
d’azione della bomba e lasciandomi
questo bel ricordino…”
Inspirò a fondo, sfiorando con la lama
del coltello la cicatrice che deturpava il suo bel viso.
“Quando vide che ero ancora vivo, Bret
mi portò via con sé, sperando di potermi
manipolare per i suoi scopi… e così,
sono di nuovo finito nella sua rete, a guardare come quel bastardo
avesse…
avesse trasformato in una bestemmia l’eredità di
mio padre! E io sono di nuovo
finito senza nulla.. il mio lavoro, la mia eredità, il
potere… Teresa.”
“Erano lei.” Jane
ingoiò a vuoto, occhi
lontani e freddi, terrorizzati. “In tutte le donne che hai
ucciso, tu cercavi
lei.”
“Già, e la qui presente
Kaori…” la
indicò distrattamente, con la punta del coltello.
“Lei è quella che più ti
somiglia, Teresa. Il tuo stesso sguardo, la fede incrollabile
nell’uomo che
ama, nella giustizia, ed il suo grande cuore, coraggioso, innocente,
pieno
d’amore per il prossimo… Stiles non era stato in
grado di vedere oltre gli
occhi castani e i capelli rossi, si immaginava Van Pelt quando
incontrava lo
sguardo di Kaori, ci crederesti? Ma io ho visto oltre le
apparenze… Per questo
volevo tenermela, per plasmarla a tua immagine e somiglianza
ma… dato che qui
abbiamo l’originale… tu, in cambio della tua
copia. Ci stai?”
Teresa fece un passo avanti, e poi un
altro ed un altro ancora, davanti agli occhi attoniti di Jane, che
sembrava
congelato, incapace di muovere un solo muscolo del suo stesso corpo; si
muoveva
come in trance, come guidata da un pilota automatico, e si
fermò solo quando
avvertì qualcuno strattonarla per un polso: si
voltò, ed incontrò gli occhi
azzurri del suo amato.
“Teresa…” scosse il
capo,
supplicandola. “Non farlo.”
Lei, in tutta risposta, si morse il
labbro inferiore, e lo accarezzò, indugiando con quel caldo
tocco sulla guancia
su cui la barba stava già ricrescendo. Il suo volto era
rigato dalle lacrime.
“Jane, se me ne andassi ora e le
voltassi le spalle, me ne pentirei per il resto dei miei
giorni.” singhiozzò.
“E poi, è anche colpa mia. Sapevo che Ray mi
amava, e l’ho usato, perché non
potevo avere chi amavo davvero.”
Prese
le mani di lui nelle sue, stringendole, prima di dargli un casto bacio
sulla
guancia, che lo lasciò come se fosse stato in fiamme, poi la
donna si voltò, e
riprese la sua determinata camminata verso il suo ex amante; si
fermò solo un
istante, quando fu fianco a fianco con Ryo, che, con lo sguardo vuoto,
fissava
Jane come per chiedergli scusa, mentre il mentalista apriva il pugno
chiuso in
cui Teresa aveva riposto qualcosa: la croce che fino ad un attimo prima
portava
al collo.
“Ryo, ascoltami
bene…” lo supplicò,
ripetendo lo stesso delicato gesto che aveva usato con Jane.
“Io sto
rinunciando a tutto per te e per lei. So che non sono brava come Jane a
capire
le persone, ma fidati, ho assistito a questo teatrino del riusciranno i nostri eroi a coronare il loro amore
segreto abbastanza
a lungo da capire quando qualcun altro è messo come ero io.
Quindi, promettimi
che non scapperete più, che non perderete tempo e che sarete
felici. Perché io
non potrò più esserlo. E che... e che tu ed i
tuoi amici ogni tanto
controllerete Jane, va bene? Non voglio che rimanga solo...”
Ryo si limitò a fare un cenno di
assenso con la testa, poi, però, quando Teresa lo aveva
quasi superato, la
afferrò per un fianco e la portò tra le sue
braccia; la abbraccio con tutta la
forza e le determinazione ed il cuore spezzato che aveva, sussurrandole
qualcosa all'orecchio e affondando il naso nei capelli mossi- vaniglia,
lo
stesso profumo di Kaori.
Teresa riprese la sua formidabile ed
indomita passeggiata verso la morte, senza mai abbassare lo sguardo o
tremare,
determinata a non
dare una simile
soddisfazione al suo avversario. Quando furono ad alcuni passi di
distanza, Ray
in una posizione leggermente più elevata di lei anche in
virtù della statura
ben superiore al misero 1.58 di Teresa, lei lo guardò per
bene, con rancore e
odio e anche vergogna, chiedendosi cosa avesse visto, oltre ad un bel
visino,
in quell’uomo. Non aveva mai fatto sesso con sconosciuti o
tanto per, con tutte
le sue conquiste c’era sempre stato un minimo di trasporto
emotivo, sebbene il
suo cuore fosse sempre appartenuto a Patrick dal momento in cui lui
aveva
provocato Hannigam nel prenderlo a pugni per ottenere un incarico
ufficiale al
CBI, facendosi assumere come consulente in cambio di una mancata
denuncia.
Eppure, guardando Ray, per la prima
volta si sentiva sporca, e si vergognò di essersi concessa a
quell’individuo.
“Lasciala andare, Ray,” lo
intimò; lui
si limitò a sorriderle, e le offrì una mano.
Teresa si voltò in direzione di
Jane e Ryo, poi guardò Kaori ed infine
acconsentì, posando la sua mano in
quella di lui, che la strattonò e la portò contro
di sé, la schiena di lei
contro il suo petto; il cuore di Ray sembrava voler scappare,
scoppiare, tanto
forte batteva… Teresa poteva sentirlo attraverso strati e
strati di vestiti.
Lui premette la lama del coltello
contro il collo bianco da cigno, lungo e delicato, e spinse la lama
contro la
delicata carne, facendo uscire una goccia di sangue dalla sottile linea
rossa
che aveva creato. Tra le sue braccia, Teresa chiuse gli occhi, cercando
disperatamente di vincere la paura e farsi forza, cercando di non
pensare a
cosa ne sarebbe stato di suo figlio, di che tipo di padre sarebbe stato
Jane….
come poteva, Teresa, scordarsi l’estate dei suoi dodici anni,
quando un
automobilista ubriaco bruciò uno stop a sua madre e la
colpì in pieno,
uccidendola in un istante? Suo padre, troppo innamorato, meglio da
marito che
da padre, morì nell’animo con lei, e Teresa era
rimasta sola a badare alla
casa, alla famiglia, e a difendere sé stessa ed i fratelli
dalle mani e dalla
cintura del genitore colmo di rabbia e risentimento e rancore cieco.
Come si sarebbe comportato Patrick?
Sarebbe stato un buon padre?
“Ah, dimenticavo, ho un ultimo regalino
per voi…” estrasse un congegno che pareva un
inalatore dalla tasca della
giacca, ma Ryo, che con cose del genere ne aveva già avuto a
che fare parecchie
volte, lo riconobbe subito: un detonatore. Lo sweeper strinse i denti,
conscio
che probabilmente quel pazzo aveva riempito la struttura di esplosivi,
un
ultimo gesto “estremo” (ma eroico per lui) per
rivendicare Visualize come una
sua creatura. “Appena schiaccerò questo pulsante,
questo palazzo e tutte le
altre case di Visualize cadranno come un castello di sabbia.”
Uno sguardo, anzi due, e fu abbastanza,
non appena Teresa udì quelle parole: non aveva intenzione di
mantenere la
parola, quindi, anche lei avrebbe fatto lo stesso. Ryo e Jane le
dettero il
loro assenso ad agire come meglio credeva, e mentre il coltello
sprofondava una
volta di più nella sua carne, la donna gettò il
capo in avanti per evitare di
esporre alla lama i delicati organi, e con un urlo straziante, mentre
il sangue
caldo le colava sugli abiti, afferrò qualcosa che teneva
nascosta nei
pantaloni, sotto alla maglia, la Colt MK III di Kaori. Ray appena vide
la
pistola fece la sua morsa ancora più letale, come se fosse
stato un serpente
intento a stritolare la sua preda, ma Teresa non si perse
d’animo e agì con
rapida destrezza ed un pizzico di follia, sperando nella buona sorte.
Si sparò nello stomaco, calcolando
mentalmente che il proiettile sarebbe uscito, trovando
però… Ray. A quel punto
l'energia cinetica rimasta sarebbe stata così limitata che
il proiettile
sarebbe rimasto nel loro avversario, incapacitandolo seppur solo
temporaneamente, ma dando tempo ai suoi alleati di agire; tuttavia, Ray
aveva
ancora in mano il detonatore, e per quanto Ryo fu veloce nel riprendere
l’amata
Python, non riuscì ad impedire che accadesse,
neppure sparando con la sua amata arma, nonostante la sua
bravura non fu
in grado di fermare Haffner, che schiacciò il pulsante dando
inizio alle
deflagrazioni; tuttavia, il secondo colpo non mancò il
bersaglio, andandosi a
conficcare nel cranio del mostro, che ricadde all’indietro
rantolando.
Mentre il fuoco e le fiamme avvolgevano
quella prigione, ed i vetri delle finestre esplodevano conficcando le
bollenti
schegge nelle loro carni, il caldo divenne fin da subito impossibile da
resistere, ed il fumo riempì i loro polmoni ed i loro occhi
mentre i due uomini
corsero verso le loro compagne e le presero nelle loro braccia. Kaori
pareva
quasi una bambola di pezza nelle braccia di Ryo, che dolcemente
accarezzava con
le nocche il viso della donna, mentre invece Jane si trovò
presto la camicia
coperta del sangue della sua sposa. I due
si guardarono senza sapere cosa fare, scambiandosi uno
sguardo
interrogativo, alla disperata ricerca di una via di fuga…
gli ascensori erano
impensabili, le scale stavano cedendo a causa delle fiamme, e non
potevano
certo gettarsi da una simile altezza.
Pensavano,
riflettevano, cercavano una via di fuga che permettesse loro di
salvarsi, ma
soprattutto alle loro amate, quando un fragore proveniente
dall’esterno li mise
sul chi va là.
Pale di elicottero. Possibile?
Gli uomini guardarono fuori dalla
finestra dove un elicottero nero si era avvicinato al palazzo; il
portellone si
aprì, e Falcon si sporse, con sulla spalla il suo fedele
Bazooka. Ryo e Jane si
abbassarono nel medesimo istante in cui il mercenario sparò
il colpo,
frantumando una volta per tutte la finestra e dando loro una via di
fuga. Si
voltò verso il pilota, facendogli segno di avvicinarsi
ancora, e si sporse per
afferrare le due donne ed aiutare i due uomini a salire: Jane si
sporse, una
volta a bordo, e non fu eccessivamente sorpreso di trovare, alla guida,
Abbott.
“Eh, lo avevo detto o no che ti avrei
coperto le spalle, pivello?” Falcon sogghignò,
dando ad Abbott l’OK per
muoversi. “Sei fortunato che sono un uomo pieno di risorse,
mica come te e
l’americano!”
Ryo non rispose; si limitò a fare un
sorriso dolce-amaro, mentre sfiorava il volto di Kaori.
L’elicottero si alzò in volo,
mentre
ancora una volta le sirene riempivano l’aria della notte di
Shinjuku, ma
stavolta, non erano della polizia, ma dei pompieri, e Jane, mentre si
allontanavano, si voltò un’ultima volta verso quel
mostro edilizio…
Visualize crollò su sé
stessa,
fagocitata dal terreno, ed in quel momento, mentre accarezzava i
capelli di
Teresa che riposava sulle sue ginocchia, lo capì.
Stavolta, era finita. Per davvero. Per
sempre. Era un tempo di nuovi inizi… per lei, lui, il mondo
intero magari, o
solo qualcuno.
E forse, anche, per Ryo e Kaori.
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Tokyo,
casa-clinica del Professore
“Sei certa di stare bene?”
Jane le
chiese per l’ennesima volta in quei due giorni dopo
l’attacco alla sede di
Visualize, che, con grande gioia di tutti, aveva alzato un vero
polverone: i
suicidi collettivi nelle sedi del mondo intero, e le bombe che avevano
causato
la quasi totale distruzione delle strutture, ma anche e soprattutto
grazie al
successivo intervento di Saeko, un vaso di Pandora vecchio di anni era
stato
finalmente scoperchiato. L’Interpol aveva finalmente aperto
un’inchiesta sui
vari traffici di Stiles, ed in giro per il mondo tante, molte persone
avevano
finalmente deciso di riconoscere di essere state sue
vittime… non si contavano
più il numero di donne che erano state costrette ad avere
rapporti sessuali non
protetti con il leader spirituale della setta ed i suoi amici, alcune
di esse
erano state addirittura drogate e violentate sull’altare
mentre erano prive di
sensi… Cho e Jane avevano ricevuto anche una mail da
Hightower, che lo
informava che la madre di Haffner era stata trovata morta nella
residenza per
anziani in cui era ricoverata da anni: si era suicidata, indicando che
fosse
stata consapevole che il figlio fosse ancora in vita, scegliendo la
morte nel
momento in cui lui era caduto per davvero. L’ex direttore del
CBI era rimasta
stupita di quel sorriso sul volto, dell’espressione di
pace… Jane si era
limitato a chiudere l’email con aria enigmatica, chiedendosi
se, prima di cadere,
Ray avesse avuto il tempo di dirle che era riuscito a vendicare la
morte del
padre.
Teresa chiuse gli occhi ed inspirò a
fondo, cercando di controllare il battito del suo cuore; strinse forte
la croce
che di nuovo portava al collo, le dita che sfioravano la benda che
copriva il
taglio, sforzandosi di aprire il suo palazzo delle memoria solo ad
eventi e
cose positive e che la potessero rallegrare, eppure, nemmeno il
pensiero di suo
figlio, il ricordo del prima bacio con Jane o del loro ballo sulle note
della
sua canzone preferita, More Than Words, le
fu d'aiuto: pensava a Grace, che era scampata per puro miracolo a quel
covo
infernale, pensava alla ferita all’addome che le bruciava e
pensava a Kaori…
La sweeper era stata visitata da una
collega del Professore, che aveva rassicurato tutti, ma soprattutto
Ryo, sul
fatto che non avesse subito violenza e che sul suo corpo non ci fossero
tracce
di sperma, ma questo non rendeva più facili le cose.
Perché Kaori era ancora priva di sensi.
Erano ormai passati due giorni da
quando l’avevano ritrovata, ma non erano stati in grado di
“rompere” lo stato
ipnotico in cui Ray l’aveva fatta cadere. Era coricata su di
un letto, con
flebo e tubi e cateteri, e non accennava a svegliarsi. Avevano provato
di
tutto, sia Jane che Miki, ma era stato tutto inutile.
Kaori non si svegliava, e neppure le
preghiere silenziose e le lacrime di Ryo, che non abbandonava mai il
suo
capezzale, stringendole perennemente le mani tra le sue, sembravano
servire a
qualcosa.
E, Teresa si disse, era solo colpa sua:
se avesse lasciato Ray in vita, adesso la giovane Giapponese sarebbe
stata
sveglia e tra le braccia dell’uomo che amava, e non un
vegetale nella clinica
privata di un vecchio pervertito che non aveva perso tempo a provarci
con lei e
Saeko nonostante loro lo avessero immediatamente messo al suo posto.
“Lisbon, piantala.” Jane la
redarguì
con una voce leggermente sibilante, la sua postura rigida mentre
stringeva le
mani a pugno. “Quello che è successo non
è colpa tua. Se non avessi sparato,
quel bastardo ti avrebbe uccisa. E comunque, se crede che dopo essere
stato
catturato Haffner gli avrebbe ridato la sua ragazza, allora Saeba
è solo un
sognatore. Ray era esattamente come McAllister, fidati. E comunque,
avevi
ragione tu. Se c’è un colpevole sono io. Se non mi
fossi intromesso forse non
ci sarebbe stata questa escalation...”
“Sì,
però…” lei tentò di dire, ma
Patrick le fu accanto in un attimo, e le mise le mani sulle spalle,
obbligandola a guardarlo negli occhi. Jane la fissò con
amore e disperazione e
dedizione, trasmettendole con il suo sguardo tutto quello che a parole
aveva
sempre fatto fatica a dirle. Ryo, invece, a parlare non si era fatto
troppi
problemi…
“Allora Doc, cos’ha per
me?” Ryo chiese al
suo anziano mentore una volta che, in compagnia di una più
giovane collega, fu
uscito dalla stanza in cui aveva visitato Kaori; erano ormai passate
diverse
ore da quando erano arrivati sul posto, e nella sala
d’aspetto, Mick guardava
il televisore, sintonizzato sulla CNN, che trasmetteva a ripetizione
immagini
delle sedi di Visualize che in tutto il mondo andavano a fuoco e si
accasciavano, quei giganti di ferro, acciaio e vetro, su stessi. Se
alla prima
deflagrazione a Tokyo i reporter lo avevano chiamato un atto
terroristico,
compiuto da un membro di una frangia estremista della
comunità, che, nel suo
delirio, aveva anche assassinato il suo “padre
spirituale”, nelle ore
successive era divenuto lampante che ci fosse un oscuro e tetro disegno
dietro,
e quella distruzione aveva portato a rivolte nelle
“case” di tutto il mondo che
non avevano voluto seguire il disegno di quel folle, ribellandosi, ma
soprattutto... soprattutto, alla notizia della morte del guru, internet
era
stato improvvisamente popolato da tantissime donne, di tutte le
età, che
ricordavano come egli avesse compiuto loro violenza.
Mick,
divorato dal senso di colpa nonostante Falcon gli avesse dato una pacca
sulla
spalla per farlo stare meglio, stringeva i denti ed i deboli pugni
martoriati…
ascoltava la lettura di quei messaggi che non faceva fatica a ritenere
veritieri, e volgeva il capo in direzione della porta dietro cui era
nascosta,
e tenuta al sicuro, il suo primo amore, temendo che la creatura
angelica fosse
stata costretta a
subire quello stesso
triste destino… proprio lei, che per stare accanto
all’uomo che amava, aveva
sempre rifuggito i piaceri della carne, desiderando che Ryo solo
potesse
conoscere il suo corpo.
Mick
si alzò dalla sua sedia, e si avvicinò alla
stanza, rimanendo tuttavia
leggermente in disparte, conscio che il suo migliore amico non
desiderasse
condividere quel momento, ma tuttavia, voleva sapere, voleva sentire il
responso con le proprie orecchie, non tramite altri che avrebbero
potuto
edulcorare la pillola per farlo sentire meglio.
“Le
buone notizie,” il professore iniziò, con voce
baritonale, fissando il
pavimento. “Una buona notizia è che Kaori non ha
subito violenza, non ci sono
tracce di traumi sul suo corpo, e nel suo organismo non abbiamo trovato
tossine
o altro, se non una lieve quantità di scopolamina, o respiro
del diavolo, una
sostanza che presumo Haffner abbia usato per rafforzare la sua presa su
di lei.
Sappiamo quindi che il suo stato di incoscienza non è
fisiologico, ma
tuttavia…”
“Tuttavia….
cosa?” Ryo fece un passo avanti, la voce spezzata dalla
preoccupazione, gli
occhi che brillavano, quasi stesse lottando con tutto sé
stesso per non
piangere. Il suo intero corpo era teso come un arco, come una corda di
violino,
pronto a scattare alla minima avvisaglia o alla parola sbagliata.
“Qual è la
cattiva notizia?”
Il
professore si morse la lingua, in silenzio, chiedendosi cosa e quanto
dire;
tuttavia, al disperazione e l’amore nello sguardo di Ryo, che
già anni prima
lui aveva intravisto, era ora così palese che
l’anziano decise di parlare, facendosi
coraggio. “Kaori non si sveglia, è come in una
sorta di trance. Da quello che
ho potuto capire anche leggendo di Stiles e dei suoi uomini, Visualize
pratica
da anni l’uso dell’ipnosi con ottimi
risultati… e credo che questo trance sia
la conseguenza di uno stato ipnotico.”
“Beh,
allora qual è il problema? La possiamo svegliare,
no?” Mick si intromise.
“Non
è così facile….” il
professore continuò, cupo, mentre la collega gli metteva
una mano sulla spalla come per incoraggiarlo, e poi se ne andava.
“Per poter
svegliare Kaori avremmo bisogno di sapere quale trigger ipnotico
è stato usato,
o se le sono state date determinate istruzioni per uscire dallo stato
di
trance... ma questo lo sanno soltanto lei e l’uomo che
l’ha ipnotizzata…”
“Haffner.”
Ryo sibilò a denti stretti. Senza attendere altro, si
girò sui tacchi, le mani
in tasca, e raggiunse la stanza dove Kazue stava medicando Teresa; le
aveva
suturato la ferita con dei cerotti a farfalla,
ma la cicatrice sarebbe rimasta a perenne ricordo
dell’accaduto.
“Credo
che questa sia sua, Saeba.” Jane gli arrivò
davanti all’improvviso, senza che
Ryo avesse nemmeno avvertito la sua presenza- non aveva ancora capito
se ci
riusciva perché lui ultimamente era distratto, o se
l’uomo possedesse un
qualche tipo di abilità o addestramento che gli permetteva
di nascondere la sua
aura. Con sguardo sofferto, Ryo prese l’amata Colt di Kaori
per il calcio senza
dire una parola, ma leggermente compiaciuto che, da bravo gentiluomo,
seguendo
il loro codice morale, gli avesse passato l’arma non per il
calcio ma per la
canna, mostrando fiducia ma, soprattutto, di non voler essere
considerato un
nemico. “Grazie. Se non fosse stato per lei, io oggi sarei di
nuovo vedovo, e
mio figlio sarebbe stato costretto a crescere senza madre.”
Sarebbe
stato quasi ironico, Jane aveva pensato: Teresa stessa era cresciuta
senza
madre, orfana, ed aveva avuto un padre che aveva saputo solo
trasformarsi in un
mostro: per alcuni interminabili secondi Jane si era chiesto a quale
destino
sarebbe andato in contro il loro fagotto d’amore, se lui
stesso, arso
dall’amore perduto, sarebbe divenuto un mostro destinato ad
essere odiato fino
alla fine dei suoi giorni… ma era stato grato a Saeba-
perché lui non credeva
in forze superiori di nessun tipo- di aver permesso alla poliziotta di
aver
salva la vita, cosicché quello sarebbe rimasto solo un
incubo funesto, per ora.
“Teresa
sta bene?” gli domandò, mesto, e Jane fece cenno
di sì col capo, voltandosi in
direzione di Teresa, che sfiorava la vistosa fasciatura che aveva al
collo.
“La
ferita al ventre non era grave, grazie al cielo, ma dovrà
portare un collarino
di velluto come uno dei personaggi del Fantasma di Canterville di Wilde
dopo
che lo spettro l’aveva bruciata con le dita, ma direi che
è un compromesso accettabile.”
Si grattò il collo, e fece una risatina. “E
comunque, nonostante quello che
dice mia cognata, ho il vago sospetto che lei conosca molto bene un
ottimo
chirurgo plastico.”
I
due uomini rimasero in silenzio; Jane avrebbe voluto chiedere di Kaori,
ma
ricordando fin troppo bene cosa si provava ad essere
dall’altra parte, ad avere
persone che domandavano, pretendevano risposte, era restio a farlo.
Ryo,
tuttavia, era un uomo di poche parole, a cui bastava spesso guardare
una
persona per capire cosa pensasse; in questo, i due uomini erano simili,
e
anticipò la domanda, congelando il mentalista con la sua
freddezza e la sua
rabbia disperata.
“Beh,
allora sei stato fortunato, Jane…” Ryo
parlò con calma, freddezza e
determinazione mentre riponeva nella fondina la sua arma.
“Perché Kaori è
ancora priva di sensi, ed il professore dubita che senza
l’aiuto dell’uomo che
abbiamo ammazzato si potrà riprendere
presto…”
Ryo
si voltò, e se ne andò, senza aggiungere altro,
con occhi freddi, carichi di
morte e desolazione, mentre, all’interno della stanza di
Teresa, calava un
silenzio glaciale…
Aveva
sentito tutto… e sapeva che era vero. Kristina Frye, una
delle poche donne a
cui Jane aveva prestato interesse dopo la scomparsa della moglie
(nonostante il
suo interesse fosse stato solo simulato, atto a farle ammettere di
essere una
truffatrice e non una sensitiva), non era mai uscita dallo stato di
trance in
cui John il Rosso l’aveva fatta sprofondare: giaceva inerte
in un letto
d’ospedale da anni, il suo corpo e la sua mente erano state
ingannate nel
credere di essere stata assassinata… solo in poche occasioni
erano riusciti a
riportarla alla realtà, attraverso una seduta spiritica in
cui Patrick aveva
fatto da medium, ma la convinzione della donna era così
profonda, come la fede
nelle doti divinatorie dell’uomo di cui si era infatuata, che
non erano mai
stati in grado di invertire completamente il processo...
“No,” le disse, con una voce
rotta da
lacrime che si rifiutava di versare per non far star male, ancora di
più, la
sua amata. “No, Teresa, non torturarti così. So
cosa ha detto Saeba, ma non è
colpa né tua né sua- e credimi, lo sa anche lui.
Sapeva quali erano i rischi
quando ti ha dato quella pistola di nascosto per difenderti. Quando si
è feriti
ed arrabbiati non si pensa, lo sai anche tu… io anche ero
così, agivo e parlavo
senza pensare, quando si trattava della mia famiglia.”
Jane le prese le mani tra le sue, ed
iniziò a giocherellare con le loro dita intrecciate, mentre
sua moglie tentava,
attraverso la porta aperta, di intravedere cosa stesse accadendo al di
fuori:
nonostante le ferite non fossero gravi, aveva comunque perso sangue, e
poi, non
si era nemmeno ancora ristabilita del tutto dal parto, e il vecchio -
un porco,
ma che sembrava sapere il fatto suo- non voleva che si stressasse.
Nessuno le
diceva nulla, anche Patrick era stato molto vago dopo la discussione
con Saeba;
l’unica persona che aveva dimostrato di avere le palle era
Saeko, che, da anima
affine, le aveva spiattellato in faccia la semplice verità
riportandole i
fatti, senza aggiungere giudizi.
“La Noragami era molto…
sofferente,”
Teresa cercò la parola più adeguata, ma
più di quello non seppe trovare,
ripensando a come Saeko le era parsa quando era andata a trovarla il
giorno
prima, e le aveva raccontato di Kaori. Era chiaro che, nonostante le
apparenze,
era molto legata alla giovane donna dai capelli rossi.
“Però lo sai cosa mi ha
detto? Che Kaori le era sembrata la bella addormentata nel
bosco…
effettivamente, con quel vestito rosa ci assomigliava pure alla
versione
Disney… subito lo avevo pensato anche io, non avevo visto
subito che era il
vestito che Grace aveva scelto per le sue damigelle.”
Scoppiò a
ridere, scuotendo il capo, le guance arrossate.
“Santo cielo,
quel vecchio deve avermi dato della roba davvero pesante per il dolore,
per
farmi straparlare così, non riesco a credere
che…” Teresa arrossì, nascondendo
il volto dietro alle mani, vergognandosi di aver detto una tale
stupidaggine
riguardo ad una cosa così seria e triste.
Si accorse che il marito non aveva risposto, né
fatto una delle sue
solite sagaci battute o di quelle risatine che la facevano innervosire
e
finivano col farla imbarazzare ancora di più: era rimasto in
silenzio. Quando
alzò lo sguardo per capire cosa stesse accadendo, la donna
trovò Jane
concentrato, perso nei suoi pensieri: stava riflettendo su qualcosa.
“Jane, ma
cosa…”
“Kristina credeva di essere morta e per
rompere il trance ipnotico abbiamo usato una seduta spiritica,
perché lei a
quelle baggianate ci credeva davvero. Quindi...” Le disse, il
volto illuminato.
Adorava il suo lavoro. Adorava risolvere quiz, enigmi e misteri, era
nato per
quello. “Quindi, per rompere lo stato ipnotico di Kaori
dobbiamo scoprire cos’è
che lei voleva di più al mondo, la cosa in cui aveva
più fiducia assoluta, e
usarla a nostro favore. Haffner era bravo, ma non certo come
McAllister, per
questo ha avuto bisogno del Respiro del Diavolo per piegarla
completamente. Se
riusciamo a far emergere Kaori anche solo per un attimo potremo usare
questo a
nostro vantaggio per lavorare su un risveglio sempre più
lungo, fino a che non
rimarrà sempre cosciente.”
“Jane…” Teresa lo
guardò con quella che
lui definiva la sua espressione da piccola principessa inviperita,
stringendo i
denti, nemmeno avesse voluto mandarlo a cuccia. “Non pensi
che magari potresti
dirlo al professore e Saeba invece che a me?”
“Ah, sì,
effettivamente…” e
mordicchiandosi le labbra, con un’espressione divertita,
uscì dalla stanza
della sua bella…
Nella stanza di Kaori, Ryo gettò nel
cestino la tazza di carta del caffè e si
stropicciò gli occhi, facendo
scricchiolare i muscoli della schiena. Era da quando Kaori era stata
“ricoverata” che non la lasciava se non per
brevissimi intervalli di tempo, si
era a malapena fatto una doccia per togliere l’odore di fumo
e bruciato dal suo
corpo, sfruttando però il bagno privato del professore. Si
era sì cambiato, ma
a portargli il cambio era stato Mick: lui, la sua Kaori, non
l’avrebbe lasciata
fino a che non si fosse risvegliata.
Avevano torto, il professore e Jane. Dovevano: lui non poteva concepire la
vita senza di lei, soprattutto non ora che era giunto finalmente a
compromessi
con le sue emozioni ed aveva deciso di essere chiaro e vivere il loro
amore
alla luce del sole.
“Oh, Kaori…”
Sospirando triste, si
sedette accanto al letto, e si chinò su di lei, sistemandole
una ciocca di
capelli dietro alle orecchie. Pareva davvero solo addormentata..
sembrava così
serena, in pace… possibile che stesse meglio in quel mondo
onirico dove, con
tutta probabilità, non aveva a che fare con lui?
“Mi senti? Sono io, Ryo…
riconosci la mia voce?”
Non accadde nulla, come non era
accaduto nulla tutte le altre volte che ci aveva provato. Ryo si lasciò
ricadere sulla sedia, gettando
il capo all’indietro, stanco e stufo e arrabbiato,
soprattutto con sé stesso:
se erano in quella situazione, la colpa era solo e solamente sua, non
poteva
prendersela con Jane e Teresa… Kaori era stata fragile preda
di quei balordi di
Stiles ed Haffner perché dopo la radura si era rimangiato la
sua promessa di
amore eterno. E poi… poi, quella fatidica notte, lui e Mick
si erano ubriacati
con la bella Maiko, erano finiti a dormire tutti nello stesso letto e
lei, la
mattina dopo, li aveva trovati lì, nudi come vermi, e lo
shock era stato così forte
da farle abbassare le sue difese e farla cadere nelle mani di
quell’assassino.
“Ti sveglierai mai, Kaori?”
chiese, a
tutti e nessuno in particolare, fissando il soffitto. Aveva voglia di
una
sigaretta, ma sapeva che la sua partner non avrebbe apprezzato,
perciò
resistette: sarebbe andato a farsi due tiri quando Mick e Miki fossero
arrivati
a dargli il cambio per il pranzo.
Si alzò di nuovo in piedi, e
andò dal
lato opposto del letto, si appoggiò con la schiena contro il
muro e le sfiorò,
con le nocche, la delicata guancia.
“Kaori, cosa ti ha fatto quel
maledetto? Proprio ora, che pensavo di essere pronto a darti tutto
l’amore che
ti meriti...” le chiese, cercando i suoi occhi chiusi.
Temette di averla persa
per sempre, e fu percorso da un brivido freddo. “Se tu non
tornassi più da me…
preferirei la morte che non vederti più.”
“Molto melodrammatico, Saeba, ma non
credo sarà necessario.” Jane gli fece un
sorrisetto sghembo, ed entrò nella
stanza, raggiungendolo; si sedette nella sedia che Ryo aveva lasciato
libera,
accavallando le gambe e portando l’indice destro alle labbra.
“Che diavolo vuoi, Jane? Tu ed i tuoi
non avete già fatto abbastanza casini?” Ryo gli
rispose freddamente, voltandosi
dall’altra parte; Jane lo squadrò da cima a fondo,
con la stessa freddezza,
calcolatore e indagatore dell’animo umano, e aspetto di
percepire il seppur
minimo movimento, un leggero cambio di postura, un sussulto, per
riprendere la
parola: aveva bisogno che Ryo fosse in sé, padrone delle sue
emozioni, e nel
giusto stato d’animo per ascoltare quello che aveva da
dirgli, perché, il
mentalista lo sapeva, la premessa non gli sarebbe piaciuta.
“Kristina,” Jane
iniziò col dire
semplicemente quel nome di donna, gli occhi leggermente bassi e la voce
colma
di dolore e qualcosa che Ryo conosceva fin troppo bene: sensi di colpa.
“Si
presentava come una sensitiva, ma dato che era lo stesso trucchetto che
aveva
fatto io da quando sapevo camminare, ero certo che fosse una
truffatrice. Col
senno di poi, mi sono reso conto che invece era una donna debole,
fragile… e
malata. Era davvero convinta di poter parlare con i morti. E lui
sfruttò
proprio questo.”
Fece una pausa, attendendo che Ryo lo
bloccasse o gli facesse qualche domanda, ma così non
avvenne; tuttavia, lo
sweeper si voltò per guardarlo in viso, e gli fece cenno di
continuare.
“Uscii con lei un paio di volte, ero
molto… combattuto. Mi sentivo ancora molto legato a mia
moglie e non credevo di
meritare di avere anche solo desiderio verso una donna fino a che non
avessi
vendicato lei e Charlotte, e poi c’era Teresa, che ero
convinto potesse avere
di meglio. perciò mi dissi che lo facevo per smascherarla,
ma lo sapevo che non
era così. Ero attratto da lei ma non lo volevo ammettere. Un
giorno si mise a
parlare di John il Rosso con un reporter, gli fece una sorta di
profilo, e lui
la prese molto male… la rapì, ipnotizzandola. la
trovammo in stato catatonico.
L’aveva ipnotizzata, facendole credere di essere uno
spettro.” Chiuse gli
occhi, come per riportare alla mente quel fatto accaduto
così tanti anni prima,
e per preparare quell’affondo che, lui lo sapeva, avrebbe
potuto distruggere il
fragile cuore di Ryo in un battito d’ali. “Non si
è mai svegliata, perché il
trigger ipnotico legato al risveglio era qualcosa che il suo io conscio
sapeva
essere impossibile: lei non era morta, quindi era impossibile che una
seduta
psichica la potesse riportare nel mondo dei vivi. Haffner i trucchi del
mestiere li ha imparati da McAllister, quindi è ragionevole
pensare che abbia
attuato lo stesso processo per lei. Quindi, se riuscissimo a ricreare
ciò che
lei vuole, il suo subconscio sarebbe in grado di percepirlo e si
sveglierebbe.
Da lì sarebbe facile cancellare del tutto la manipolazione
mentale a cui è
stata sottoposta.”
“Tutto qui?” Ryo
domandò, grattandosi
il collo, guardando ora Kaori, ora Jane, con un sopracciglio alzato con
fare
interrogativo. “Credi davvero che potrebbe essere
così facile?”
Jane scrollò le spalle, mordendosi il
labbro. Non era certo di cosa rispondere, dopotutto, la sua era solo
un’ipotesi,
ma…. sì: forse, forse, Kaori non era perduta.
“Si tratta solo di una teoria,
ma, sì, credo onestamente che potrebbe
funzionare.” Fece una pausa, guardando
quell’uomo che forse non avrebbe mai chiamato amico, troppo
diverso eppure così
simile a lui, ma che, nell’arco di pochi giorni, aveva
imparato a rispettare.
“Saeba, tu ed i tuoi amici, siete voi quelli che la conoscete
meglio: cos’è che
Kaori potrebbe volere così tanto da riportarla
qui?”
“Penso di sapere
cos’è che Kaori
vuole…” Me, Ryo
pensò, noi, mentre un
sorrisetto furbo gli
apparve sulle labbra, facendogli risplendere gli occhi che per giorni
erano
stati spenti; si chinò su di lei, respirando la sua stessa
aria, ad un alito
dalle labbra della donna, e, mentre il suo naso sfiorava quello di lei,
prese a
sussurrare. A Jane mancò il fiato in gola, tanto era magica
ed elettrica
l’atmosfera: poteva vedere sul viso dell’uomo tutta
una gamma di emozioni…
gioia, amore, desiderio, ma soprattutto…. pace.
Aveva avuto ragione: lui e Ryo si
assomigliavano più di quanto avesse voluto ammettere.
Perché entrambi erano
angeli oscuri, ancorati in un passato di distruzione, e solo
l’amore aveva
permesso che si salvassero, uscendo, finalmente nella luce,
l’amore di due
donne coraggiose, dal cuore grande, ricolmo d’amore, talmente
innamorate da
aspettare e lasciarli andare: lui aveva Teresa, e Ryo aveva Kaori. Quel
momento
era troppo personale, quasi sacro per essere disturbato,
così Jane si alzò,
allontanandosi, ma rimase tuttavia sulla porta, per vedere non tanto
cosa Ryo
avrebbe fatto o detto, ma per capire se avrebbe funzionato.
“Kaori, quello che ti ho detto nella
radura, era vero. Ti amo, come non avevo mai amato nessuna.”
Ryo le sussurrò,
coprendo le mani di Kaori con le sue, sopra la semplice coperta
azzurrina.
Sospiro, facendo una lunga pausa, alla ricerca delle parole giuste,
quelle
migliori, ma poi scrollò il capo, decidendo che avrebbe
fatto parlare il cuore.
“Quando ti ho detto che il mio era solo
un piano per distrarre il nostro avversario e che tu eri come una
sorella,
penso che tu lo sappia già, ma ho mentito. E vorrei dirti
che l’ho fatto perché
volevo proteggerti, ma la verità è che sono un
codardo. Ho paura a fare
qualcosa in cui non mi sono mai cimentato prima d’ora, che
finirò col mandare
tutto a puttane come mio solito, ma soprattutto, ecco, ho paura che mi
piacerà
troppo, e che mi lascerai e io non sarò più in
grado di andare avanti senza di
te. Ma, credo che il gioco valga la candela…”
prese a disegnarle dei ghirigori
con la punta delle dita sulla pelle, mentre la guardava, con un sorriso
sornione. “Non lo credi anche tu?”
Guardò la sua Kaori, ancora
addormentata, e gli sovvenne quando andò con la piccola Mayu
al cinema, perché
la ragazzina voleva sentire la storia sebbene non la potesse vedere: la
bella
addormentata nel bosco.
Aurora, la bella principessa dall’abito
rosa che si svegliava dopo il bacio del principe azzurro.
“Torna da me,
Kaori…” Si chinò su di
lei, e le sfiorò le labbra con le proprie, fu giusto una
carezza, quasi avesse
passato sulle soffici labbra il petalo di un fiore, carezzevole.
“Svegliati
amore mio.”
Di nuovo posò le labbra sulla bocca di
Kaori, ma stavolta il bacio fu passionale, e mentre con la lingua le
stuzzicava
le labbra, tenendo gli occhi aperti per cogliere il benché
minimo cambiamento,
avvertì come un sussulto, un singhiozzo… un
gemito, e prima che se ne rendesse
conto, la lingua di Kaori stava duellando con la sua, i loro respiri
stavano
divenendo uno, e le loro bocche si univano, affamate e assetate, mentre
Kaori
si aggrappava con tutte le sue forze alla maglietta del suo partner,
avvertendo
calde lacrime bagnarle il viso...
Ryo stava piangendo.
“Ryo…”
sussurrò con voce roca e stanca,
mentre lei stessa scoppiava a piangere, “Cosa…
dove…”
“Non importa,
Kaori…” Ryo la consigliò,
asciugando le lacrime della sua compagna con i ruvidi pollici, mentre
teneva
tra le mani quel viso delicato, quasi fosse stato il più
grande dei tesori- e
per lui, lo era. “Adesso riposati… quando ti sarai
ripresa, ti spiegherò tutto…”
“Ma, io…” Kaori abbassò
gli occhi, arrossendo,
febbricitante ed emozionata, ma timida in quelle dichiarazioni e
richieste che
per lei erano territorio sconosciuto, ma che, dopo quel bacio, si
sentiva
comunque autorizzata a porre. Tuttavia, la debolezza e la stanchezza
ebbero la
meglio su di lei, e Kaori perse i sensi, anche se, stavolta, sul suo
viso
aleggiava un sorriso di gioia e libertà.
“Piccola intrigante, ma cosa volevi
fare, stuzzicarmi? Come se potessi prendermi la nostra prima volta in
un letto
d’ospedale…. Ah, donna di capo fede!”
Ryo scoppiò a ridere, e si sistemò sul
letto, puntellandosi su un gomito, faccia a faccia con Kaori. Riposava,
lei: ma
non aveva alcuna intenzione di allontanarsi dalla sua donna, non ora
che era di
nuovo sana e salva tra le sue braccia.
“Eh, ragazza mia, le cose che ti farò
appena saremo a casa… vedi quando
ti metto le mani addosso che ti combino, chi lo ferma più il
tuo stallone?”
Ridendo, le diede un
bacio sulla fronte, prima di cadere nelle braccia di Morfeo insieme a
lei.
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Capitolo 9 *** Epilogo ***
L’aereo destinato a riportarli negli
Stati Uniti partì poco meno di una settimana dopo; Abbot se
n’era già andato,
lasciando il paese subito dopo l’incendio alla
“sussidiaria” di Visualize; Cho
era partito con lui per riorganizzare l’ufficio di Austin per
l’assenza che si
sarebbe ancora prolungata per un breve periodo di Jane e Lisbon- ma,
Jane ne
era certo, l'ultima notte in Giappone il misterioso coreano non
l’aveva passata
da solo, ma in compagnia della bella Saeko. Non ne sarebbe uscito
nulla, il
mentalista lo sapeva, ma aveva l’impressione che la bella
ispettrice, dopo
quella scappatella, si sarebbe ammorbidita, e avrebbe deciso di credere
di
nuovo all’amore e alla passione, dopo la perdita del fratello
di Kaori. Jane
era rimasto con Lisbon: il professore, che era stato così
gentile da ospitarli
nella sua casa per tutto il tempo, aveva voluto tenere sotto controllo
le
ferite che Teresa aveva riportato quando Haffner aveva tentato di
ucciderla.
Lei era stata reticente, non volendo far restare Evan senza la sua
mamma per
così tanti giorni, ma aveva avuto almeno la grazia di
poterlo vedere sullo
smartphone, in video-chiamata… e poi, aveva la certezza che,
con Grace e Wayne,
il figlio sarebbe stato in buone mani.
Jane sorrise, ripensando al professore.
Era un bravo vecchio, strano, ma bravo, e Jane aveva il vago dubbio che
tutta
quell’apparente idiozia fosse solo per combattere la
solitudine, il senso di
perdita… e tentare, disperatamente, di dimenticare qualcosa
di orribile che era
accaduto nel suo passato. Non aveva indagato- una volta lo avrebbe
fatto, ma
adesso aveva Teresa a fargli da bussola morale- ma lo sguardo carico di
affetto
che l’anziano indirizzava a Ryo, il modo in cui lo chiamava
Baby Face, non per
schernirlo, ma quasi fosse un padre…
Quei due, avevano un passato in comune.
E ambedue avevano visto, e forse anche
vissuto, l’inferno. Li capiva: anche lui non aveva
avuto vita facile, e
poi, era successo quello che era successo, e per tanto tempo era stato
guidato
solo dal desiderio di vendicarsi, perso nelle tenebre da cui solo il
suo amore
era riuscito a salvarlo: Teresa, il suo primo amore adulto, a oltre
quarant’anni.
Con un sorriso soddisfatto, Jane si
palpò compiaciuto la tasca della giacca; la sera prima,
Saeba lo aveva
accompagnato in un club che lui e l’amico americano
conoscevano bene,
frequentato da espatriati statunitensi e britannici, e aveva tentato la
fortuna
tanto al biliardo quanto al tavolo da gioco, ripulendo bellamente i
suoi
avversari nonostante fosse da parecchio che non giocava più,
dal momento che
ovunque andasse era considerato “persona non
grata”... aveva fatto una donazione
al Professore per ringraziarlo del suo aiuto, lasciato qualcosa per
aiutare le
persone danneggiate dall’incendio della sede di Visualize ed
era ancora
riuscito a mettersi da parte una discreta sommetta: conoscendo Teresa,
lei
avrebbe insistito in un fondo studi per il figlio, ma lui aveva tutte
le
intenzioni di farle un bel regalino per esorcizzare il male ed il
dolore che
quel viaggio aveva causato loro: smeraldi, la pietra che stava meglio
addosso
alla sua donna.
La cercò con lo sguardo, controllando
un’ultima volta l’orario sul telefono: stava
chiacchierando con Miki e Kaori-
soprattutto Miki, che era quella con la parlantina più
sciolta in Inglese, e
con cui lei sembrava avere più affinità. E Jane
la fissò da lontano, senza
vergognarsi di apparire come un cretino o sdolcinato, sorridendo come
un
idiota- tanto, non è che la gente avesse chissà
quale alta opinione di lui, e
poi, non aveva la benché minima intenzione di tornare in
quella città, dove
solo quel gruppo sgangherato lo conosceva, e nemmeno bene, alla fine.
“Beh, devo dirtelo, Jane, te la sei
davvero scelta bene… quella donna è davvero una
forza della natura!” Ryo
apparve alle sue spalle, con le mani in tasca dei jeans neri. Stava
sorridendo
anche lui, guardando la scena, ma Patrick sapeva su chi il suo
carezzevole
sguardo si stava posando, approfittando del fatto che solo lui, un
alleato
destinato a lasciare le loro vite, era al suo fianco: Kaori. Anche lei
pareva
provare un profondo sentimento per lui- d'altronde, era stato il bacio
di Ryo a
svegliarla, come una moderna bella addormentata- ma c’era
qualcosa che sembrava
frenarli; sembrava, addirittura, che lei, ferita, fuggisse lo sguardo
dell’uomo, o che non fosse certa di cosa stesse accadendo.
Ah, la
bella Kaori non sembra ricordare nulla di
quello che è successo tra di loro… Jane sogghignò, guardando Ryo con un
sorriso fin troppo compiaciuto per il suo bene,
un’espressione che fece tremare
Ryo perché sembrava non presagire nulla di buono. Lo sweeper
guardò per un
attimo Teresa di sottecchi, chiedendosi quanta pazienza quella donna
possedesse per
avere a che fare ogni
sacrosanto giorno della sua esistenza con il biondino e come
esattamente avesse
fatto ad innamorarsi di un esemplare del genere.
“Dì un po’, Saeba,
esattamente, cosa è
successo tra te e Kaori?” gli domandò senza troppi
preamboli, con la sua solita
aria saccente. “E non dire che non è successo
nulla, perché non ti credo…
carpire i segreti delle persone è la mia
specialità da quando ho tre anni, e
non sto scherzando- mi chiamavano il
bambino che parlava coi morti. Figurati che a fare domande
del genere ho
guadagnato abbastanza soldi da comprami una mega-villa a Malibu, una
collezione
di auto vintage del valore di sette milioni di dollari, un Jason
Pollock
originale in salotto sopra al pianoforte a coda
ed un guardaroba Armani e Calvin Klein. Quindi, prima che
tu me lo
chieda o decida di provare a raccontarmi balle, sappi che
sì, ero bravo, molto bravo.”
Ryo alzò gli occhi al cielo, sbuffando
lieve; avrebbe voluto non rispondere, magari inventarsi qualcosa, ma
un’occhiata al mentalista gli disse che, se lo avesse fatto,
Jane avrebbe
trovato il modo di tirargli un tiro mancino, come un bimbetto petulante
a cui
era stato negato il giocattolo tanto desiderato.
“Beh, ecco… tempo fa le ho
detto che
l’amavo, più o meno, però poi me lo
sono rimangiato…” Ryo disse, grattandosi il
collo e fissandosi i piedi; Jane
si
addolcì, e sospirò, comprensivo, rammentando
quando era stato lui a dire a
Lisbon che l’amava (prima di fingere di decapitarla per John
il Rosso) per poi
dire che era una cosa detta per vendersi meglio al killer…
cosa a cui Teresa
aveva creduto, anche in virtù che nemmeno due giorni dopo
aveva scoperto che
Jane aveva rotto il suo voto di celibato spassandosela con Lorelai
Martins, una
delle groupie di John il Rosso.
“Nel momento in cui hai detto di amarla
eri sincero, ma poi hai riflettuto, hai capito che se fosse stata
lontana da
te, se non avesse fatto parte del tuo mondo, sarebbe stata
più al sicuro…” Jane
scosse il capo, senza mai smettere di fissare Teresa, con una voce
così bassa e
grave che stupì perfino Ryo. “Molti anni fa, lo
feci anch’io. Confessai a
Teresa di amarla mentre tenevo in mano una pistola, e poi le dissi che
era
stata una cosa detta sul momento solo per vendermi a John il Rosso, che
volevo
fargli credere che ero disposto ad uccidere ciò che
più amavo pur di unirmi a
lui. Lo sai cosa ci ho guadagnato?”
Ryo non rispose; tuttavia, il suo
sguardo valeva più di mille parole.
“Io me ne stavo rannicchiato nel mio
solaio a bere tè corretto con allucinogeni per sentirmi dire
che ero amato da
una versione adolescente di mia figlia che mi rompeva le palle
perché mi
facessi Teresa, e lei ha iniziato ad uscire con altri
uomini.”
“Sì,
ma…” Ryo iniziò a balbettare,
volgendo sguardi furtivi a Kaori, le mani in tasca.
“Considerando la vita che
faccio…forse sarebbe più al sicuro se non stesse
con me, no?”
“Già, perché con
me ha funzionato
parecchio…” Jane fissò Ryo con
espressione giudicante, usando lo stesso tono
che avrebbe usato per spiegare, ad un adulto, che due più
due faceva quattro.
“Vuoi che ti elenchi il numero di volte in cui qualcuno che
ce l’aveva con me
se l’è presa con lei? Oh, e sto parlando di prima
che ci mettessimo insieme.
Cosa che
è accaduta dopo che mi era salita su un aereo per andare a
sposarsi con un
belloccio idiota che voleva prendere tutte le decisioni per
lei.”
“Spo- sposarsi?” Ryo
impallidì,
terrorizzato, mentre guardava Kaori ridere.
Kaori sposata? Non con lui? Lontana
da lui?
MAI!
“Già. Sono salito
sull’aereo
intrufolandomi a bordo, dopo aver scavalcato le recinzioni. Mi hanno
arrestato
con l’accusa di terrorismo. E mi sono pure rotto una gamba.
Grazie al cielo
Abbott ci ha pensato e mi ha pulito la fedina, altrimenti adesso non
sarei qui
ma a marcire in galera per l’omicidio di
McAllister.”
“Sposata…” Ryo
ripeté, come in trance,
neanche fosse stato un disco rotto; Jane si strofinò le mani
soddisfatto,
vedendo finalmente la sua finestra aprirsi per scoprire tutti i torbidi
segreti
della relazione dello sweeper con la sua bella.
“Già, e tu non lo vuoi, vero
Ryo?” gli
diede una gomitata nelle costole, parlando con voce bassa ed un tono
amichevole, che ispirasse fiducia. “Allora Ryo, me lo vuoi
dire cosa è successo
tra te e Kaori?”
“Alcuni giorni fa…”
Ryo iniziò a
raccontare, senza nemmeno rendersene conto, guidato dalle parole di
Jane.
“Alcuni giorni fa mi sono svegliato a letto col mio migliore
amico e una tizia
che non avevo mai visto, e Kaori ci è stata male
perché ha pensato che io me la
fossi spassata con un’altra, anche se io voglio solo lei.
Ora, io so che non è
successo nulla, che era solo una ragazza che abbiamo aiutato e poi lei
si è
ubriacata con noi, ma… mi dico anche che se non fosse
accaduto, forse Kaori
sarebbe stata più, non so. Non si sarebbe lasciata
convincere da Haffner a seguirlo…
e poi...”
“E poi? Su, continua, dai…
apriti con
me, confidami i tuoi dubbi e le tue tribolazioni.” Cullato da
quella voce
soave, tranquillizzato da quella presenza rassicurante, dalla presa
sulla
spalla che sembrava sprigionare vicinanza e non forza bruta, Ryo
continuò a
parlare, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo,
senza nemmeno
rendersene conto, senza, forse, nemmeno volerlo: era come se fosse
qualcun
altro a parlare, come se lui non fosse lì e stesse guardando
quel curioso
spettacolo dall’esterno del suo corpo.
“Beh, io le ho detto di amarla e
l’ho
baciata per svegliarla, ma… ma adesso lei dice di non
ricordare nulla, anche se
ogni tanto sembra che mi guardi di nascosto e si sfiori le labbra, come
per
ricordare un bacio, e io non so come parlarle o se le dovrei parlare,
perché
non credo che lei si metterà a discutere di questa cosa
rompendo il ghiaccio
e....” Jane si staccò da Ryo ridendo, e gli
batté le mani davanti agli occhi
due volte; Ryo aprì e chiuse gli occhi, guardandosi intorno
un po’ smarrito,
poi lanciò un’occhiata assassina al mentalista,
stringendo i denti. “Dì un po’,
stronzetto, mica mi avrai ipnotizzato?!”
Jane scrollò le spalle con nonchalance,
forse per dire forse sì, forse no, o
magari e allora…
qualunque cosa
fosse, lui continuava a fare quel suo sorrisetto da so-tutto-io, da
primo della
classe e cocco dei professori che poteva averla sempre vinta. Era a dir
poco
irritante, e Ryo si chiese se, avesse deciso di strozzarlo o sparargli
addosso,
la cara Teresa se la sarebbe presa...
“Comunque, Saeba, ho i miei dubbi che
la tua bella abbia remore ad affrontare l'argomento relazione
sentimentale con
te... guarda un po’ la chi sta arrivando?” Jane gli
mise una mano sulla spalla,
stringendola in segno di amicizia, e gli sorrise, facendogli segno con
il capo
di voltarsi. Davanti a loro, c’era lei, l’unica
donna a cui Ryo avesse pensato
da diversi anni a quella parte, e si stava avvicinando con passo sempre
più
veloce, ed una curiosa luce negli occhi. “Saeba, ho aspettato
quasi quindici
anni per dire a quella donna favolosa che ero pazzo di lei, ed
è stato per puro
miracolo- non che io ci creda a queste cose- che lei ha mollato per me un uomo più bello,
sano,
equilibrato, giovane, atletico e messo meglio economicamente. Sul serio, non
so cosa ci trovi lei in me.
Ora fatti una domanda, anzi, due: la prima, è se
è possibile che esista
un’altra donna, oltre a Teresa,
con un
tale livello di abnegazione, la seconda se esiste, e mettiamo sia
Kaori… perché
cavolo la vuoi far soffrire così tanto?”
“Sì,
ma….” Ryo arrossì, grattandosi il
collo, e Jane sbuffò; quasi pestò i piedi allo
sweeper nella speranza di farlo
rinsavire.
“Niente se e niente ma, Ryo, ascoltami:
se non vuoi che quella dea si stufi di aspettare e si metta a guardarsi
intorno,
tu esci da qui e vai in una bella boutique, le compri un vestito, sexy,
ma di
classe, niente di volgare, ed i suoi fiori preferiti…
margherite? No… tulipani?
Nemmeno… ah! Ci sono: garofani, giusto?
Comunque…” Si mise a contare i punti
sulle dita della mano, parlottando con Ryo e facendo attenzione che
Kaori fosse
ancora abbastanza lontana da non sentirli complottare alle sue spalle
come
sedurla. “Ricapitoliamo; vestito, fiori, cena, qualcosa di
non troppo
pretenzioso, ma nemmeno roba da fast-food, mi raccomando, e ricordati
di
servire nei piatti e non nei cartoni da asporto… ah, e dopo
cena le fai un bel
discorsetto, o magari prima del dolce, sesso e dolce sono davvero una
gran
bella accoppiata, e mi raccomando, l’onestà prima
di tutto o non funzionerà.
Sii onesto, e, amico mio, preparati a non passare mai più
una singola notte da
solo. Raccontale una balla, e finirai
col beccarti il
bicchiere del vino in
faccia come è successo a me la prima volta che ho provato
quel trucchetto.”
Jane terminò la frase con un sospiro
languido, mentre i ricordi della sua confessione a Teresa gli
riempivano
l’anima e la memoria… il caso in Florida,
inventato, in quel grazioso
alberghetto, i vestiti che le aveva regalato, e poi… beh,
lui le aveva detto la
verità molto dopo, però alla fine era andato
tutto bene. Adesso erano sposati e
avevano un bambino che non vedeva l’ora di rivedere.
Ryo scoppiò a ridere, scuotendo il
capo, e mentre il volo degli americani veniva chiamato, si
allontanò, alzando
un braccio come saluto. Gli sarebbe piaciuto rivederlo? Assolutamente
sì, quel
tipo gli stava simpatico, ma solo in circostanze migliori.
“Allora, socia, pronta a tornare a
casa?” Le chiese, sfoggiando il suo sorriso da seduttore, e
camminando al suo
fianco tenendole un braccio intorno alle spalle. Kaori non rispose, ma
abbassò
lo sguardo e si morse le labbra, una cosa che incuriosì, e
non poco, Ryo. “Beh,
ma si può sapere cosa ti prende adesso?”
“Ryo, io… Mick mi ha detto
cosa è
successo con quella ragazza. Che… che non siete stati con
lei.” Kaori si fermò,
e mentre si stropicciava le dita, si mise faccia a faccia con Ryo.
Alzò gli
occhi verso di lui, ed arrossì. Deglutì,
imbarazzata, chiedendosi se stesse
facendo la cosa giusta: dire la verità, o non dirla?
Esporsi, o salvare l’orgoglio?
Rischiare il suo cuore, o no? “E… ecco…
io mi ricordo tutto, Ryo. Di… di come
mi hai svegliata, ecco. E di cosa mi hai detto.”
Ryo non seppe cosa dire: l’ultima volta
che era accaduta una cosa del genere, dopo il loro quasi-bacio sulla
nave di Kaibara,
Kaori aveva preferito mettere tutto nelle mani di lui e aspettare, una
cosa
che, in un certo senso, stava ancora facendo. Ma adesso era stufa, ed
aveva
capito di essere abbastanza adulta- abbastanza donna- da prendere in
mano le
redini della situazione. perciò, con un sorrisetto sulle
labbra, si mise sulle
punte dei piedi, e lasciò un delicato bacio sulle labbra di
Ryo prima di
ritirarsi, attendendo una sua reazione.
“Piccola Cenerentola intrigante,
è così
che si bacia un uomo, eh?” Scoppiò a ridere,
mentre la prese per mano,
intrecciando le loro dita mentre si avvicinavano sempre di
più all’uscita
dell'aeroporto, pronti per tornare a casa e alla loro vita di tutti i
giorni.
“Ma visto che mi hai svegliata con un
bacio, non sarei
meglio come Bella addormentata?”
Lo schernì leggermente, stringendosi al braccio solido e
caldo di Ryo.
“Eh, no, Kaori, tu per me sei tutte e
due, anzi, tu sei un po’ tutte quelle principesse sdolcinate
delle favole che
ti piacciono tanto, anche se il tuo principe azzurro è un
po’ particolare. Ma…”
le fece l’occhiolino, stringendosi ancora di più a
lei e solleticandole il lobo
dell’orecchio con il suo caldo respiro malizioso.
“Mi sembra che ti avessi
fatto una certa promessa mentre eri dal
professore…”
Kaori arrossì ed abbassò lo
sguardo,
ricordando quella lasciva promessa di Ryo, che una volta che fossero
stati
nella loro casa, soli, lui le avrebbe dimostrato esattamente come si
fosse
guadagnato il soprannome di cui faceva vanto. Ryo, deliziato dalla
silenziosa
risposta ben esplicitata però dal corpo della sua dona
– sì, ora la poteva
finalmente chiamare così - con
un
sorriso smaliziato le palpò il sedere, e, staccatosi da lei,
si mise a correre
verso la Mini, con Kaori che lo rincorreva, rossa in volto ed
imbarazzata, ma
stavolta, senza martelli.
Dopotutto, stavolta, era lei che lui
voleva.
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