Da Austin a Tokyo con amore e una 357 Magnum

di Little Firestar84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Cpitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti! Torno a voi con uan nuova multichapter, un po' diversa dal solito... un esperimento, diciamo.  Da Austin a Tokyo con amore e una 357 Magnum è, innazittuo, un crossover, con lo show della CBS The Mentalist, ed è un giallo (in cui però la parte romantica sarà presente),e cronologicamente l'azione è ambientata ai giorni nostri, prendendo spunto dal film City Hunter: Private Eye che vede Ryo e Kaori (e tutta l'allegra banda) dell'età che avevano al termine del mange e nell'anime, ma spostando l'ambientazione ai giorni nostri, con la relativa tecnologia annessa, ma che seguirà comunque la cronostoria sia di the mentalist (di cui vi lascio un velocisismo riassunto qui) che di City Hunter...

 NEGLI EPISODI PRECEDENTI DI THE MENTALIST:
Da ragazzino che lavorava nel circo, Patrick Jane di strada ne ha fatta: truffatore ed attore senza pari, Jane è un "mentalista", che riesce, attraverso il suo intuito, l'hot e cold reading e la manipolazione- nonchè un carisma innato e un discreto fascino, a farsi passare con successo per un sensitivo. Successo e fama non gli mancano, e con tempo, Jane riesce a diventare ricco e riscattare- per sè e per la moglie Angela e la figlia Charlotte- un passato fatto di ristrettezze e miseria.  Una moglie bellissima, una bambina tanto bella da sembrare un angelo, una villa sulla spiaggia di Malibù, vestiti firmati, gioielli, una collezzione di auto che vale milioni, Jane ha tutto. Ma non gli basta.
Quando una rete nazionale gli propone uno speciale in cui cercare di contattare le vittime del Serial killer John il rosso, che da anni terrorizza il Sud-Ovest degli USA, Jane accetta subito, pregustando il salto di qualità, la possibilità di essere famoso a livello nazionale... ma a John il Rosso, quello che Jane dice di lui quella sera non piace, e quando a mezzanotte inoltrata torna a casa, Jane trova la porta socchiusa, e sul muro davanti a lui la firma del killer, uno smiley fatto col sangue- quello di sua moglie e sua figlia.
Accecato dalla vendetta, Jane si isola dal mondo per alcuni mesi, abbandonando tutto e tutti, tornando quando scopre che l'indagine sull'omicida è stata assegnata al California Bureau of Investigation.
Manipolando il direttore del CBI, Jane ottiene di divenire consulente dell'unità che segue il caso, che ha a capo Teresa Lisbon, e di cui fanno parte Kimball Cho, ex militare, Wayne Rigsby e l'esperta di informatica e sorveglianza Grace Van Pelt. Lisbon non apprezza la cosa: sia perchè sa che Jane vuole solo vednicarsi, sia perchè vede ogni giorno la sanità mentale e l'equilibrio dell'uomo farsi sempre più precari.
Per oltre un decennio, Jane segue il caso, in modo maniacale, nascondendosi dietro a una maschera di pagliaccio, prendendosi gioco di tutti, forze dell'oridne e criminali compresi, ma, dato il suo alto numero di casi risolti, Lisbon, anche a discapito della carriera e delle relazioni personali, continua a supportarlo- e col tempo, ad avvinarsi smepre di più a Jane, divennedo di fatto il suo unico punto di contatto con la realtà tutte le volte che John il Rosso ricompare, prendendosi gioco di loro, e di Jane in primis.
Col passare degli anni, Jane intuisce di un possibile legame tra la setta Visualize, a cui c'è Bret Stiles a capo, e John il rosso, ma Jane capisce che le cose sono ancora più complicate: il killer non fa solo parte della setta, ma anche delle forze dell'ordine, che, con le loro soffiate, permettono all'assassiono di essere sempre un passo avanti, e di mettere in pericolo quella che è divenuta di fatto la famiglia di Jane, i suoi amici e colleghi, e di Lisbon in particolare, di cui Jane si è innamorato, ma a cui non confessa nulla sapendo che vivere quell'amore la metterebbe ancora più in pericolo con il suo nemico.  
Dopo quasi undici anni, Jane riesce a stilare una lista dei sette papabili candidati alla figura di Red John, membri di Visualize ai massimi livelli o delle forze dell'ordine, e, al cimitero dove è sepolta la sua famiglia, Jane finalmente ottiene la sua vendetta: uccide, soffocandolo, lo sceriffo McAllister, il vero nome del killer, che, sibillino, prima di morire gli ricorda che lui non sa, e non saprà, mai tutto...
Braccato dalle froze dell'ordine, omicida, Jane fugge, lasciando a Lisbon uno struggente messaggio sul telefono, in cui la ringrazie, e le dice che gli mancherà- ma la sua storia non è destinata a finire così. Quando Cho ottiene un incarico all'FBI di Austin, sotto al comando dell'uomo che ha braccato Jane, l'agente Abbott, il Mentalista ottiene di tornare a casa con la fedina pulita, in cambio di cinque anni al servizio dei federali. Ma solo se Lisbon, a cui er due anni ha mandato segretaemnte cartoline senza alcun testo e piccoli regali, andrà a lavorare con lui: il suo scopo? Conquistarla, ora che è finalmente libero.
E dopo numerose peripezie, un agente dell'FBI che tenterà di portargliela via e un assassino che minaccia di impdire le sue nozze, Jane finalmente ottiene il cuore della sua bella: e se la sua storia era iniziata con la morte, è con la vita, ed il concepimento di suo figlio, che il suo destino si compie...

Tokyo (Giappone), in una placida mattina di primavera…

“Ryo, dì un po’, hai intenzione di dormire ancora  a lungo?” Kaori sbuffò mentre si avvicinava alla stanza del suo coinquilino/partner/interesse amoroso, sbuffando. Aveva in mano un mestolo e indossava ancora, sopra il pigiama a righe, il grembiule da cucina.

Sapeva che era presto per il suo socio- normalmente Ryo non scendeva mai prima di mezzogiorno, specie se, come la sera prima, aveva fatto baldoria fino a notte fonda con Mick in giro per locali- ma per quel giorno si sarebbe dovuto accontentare di svegliarsi alle nove, visto e considerato che, per grazia ricevuta, avevano appuntamento con un cliente…

“La colazione è pronta!” Cinguettò la rossa mentre apriva la porta della camera da letto, senza bussare come suo solito, giusto per rimanere impietrita davanti allo spettacolo che le stava dinnanzi.

Il letto era completamente occupato.

Mick, in mutande, e Ryo, nudo come suo solito, se ne stavano ai lati del materasso, mentre una brunetta dai capelli corti in camiciola e slip era spaparanzata in mezzo a loro e a un mucchio di bottiglie e lattine di birra vuote.

“Tu, maledetto porco… e così tu vorresti vivere per la persona che ami, eh?” gli sbraitò contro lanciandogli tutto quello che le capitava a portata di mano e facendolo cadere dal letto. “Sei un porco, un pervertito, tu ami solo il sesso!”

“Eh?” Ryo si massaggiò un bernoccolo, e si guardò intorno, un po’ intontito, incerto su cosa stesse accadendo. “Kaori? Ma stavolta cosa ho fatto?”

Stringendo i denti, la donna si limitò a indicare con un dito la moretta mezza nuda, e Mick, e Ryo subito entrò in modalità difensiva. Come un fedele cagnolino, le si attaccò alle gambe, stringendole il più forte possibile, tentando di impedirle di andarsene.

“Non ho fatto niente, giuro! Sono innocente! La colpa è tutta di Mick, sono certo che sia lui che si è intrufolato nel mio letto e mi ha spogliato, sì, sì, deve essere un suo scherzo per vendicarsi! È arrabbiato perché ti ho riportato da me e adesso siamo di nuovo i migliori!!!”

In quel momento, la moretta si svegliò, e stiracchiandosi lasciò che il top si alzasse, rivelando una striscia di pelle bianca come la neve, un addome perfettamente piatto e una vita sottile –il classico tipo di Ryo, in poche parole.

“Mm…Ryo, sei già sveglio?” la moretta brontolò con voce impastata. “Oh, ieri mi sono divertita così tanto… tu e Mick sì che sapete come darci dentro!” Terminò la frase con una risatina civettuola- il genere che Kaori non avrebbe emesso neanche morta- e guardò Ryo, ancora ancorata alla sua gamba, che si staccò con aria colpevole.

“Così, la colpa è di Mick, eh? Vergognati, scaricare le tue responsabilità sul tuo migliore amico!” Sbattendo la porta, Kaori si diresse verso la sua stanza, facendo quasi tremare i muri, brontolando le parole porco, maiale, pervertito, stronzo, col cavolo che mi ama, almeno prima non se le portava a casa a ripetizione.

“Ma… ma io non ho fatto niente…” Grattandosi il capo, si voltò verso il suo migliore amico, ancora addormentato, e la moretta che faceva le fusa, e mentre si chiedeva se effettivamente esistesse la possibilità che fosse accaduto qualcosa, sentì di nuovo tremare i muri - Kaori era uscita di casa sbattendo la porta.

Ryo fece per raccogliere i pantaloni ed andare a cercarla, spiegarsi, chiederle, di nuovo, per l’ennesima volta, perdono, ma fu interrotto dal suono del cellullare, dalle note della canzone preferita del suo defunto amico, il fratello di Kaori, che riempirono l’aria.

Controllò l’identità del chiamante- Saeko. Si chiese cosa volesse l’ispettore Nogami da lui a quell’ora, ed immaginò che, qualsiasi cosa fosse, dovesse essere seria: era da parecchio che le bella poliziotta non lo metteva più in mezzo ai suoi casi, a meno che non si trattasse di qualcosa di veramente grave.

“Si può saper cosa cavolo vuoi a quest’ora, Saeko?” Le rispose, un po’ scontroso, facendo il borioso annoiato e fingendo che, di qualsiasi cosa si potesse trattare, a lui non interessasse a priori.

Dall’altra parte della linea, Saeko rimase in silenzio, e Ryo avvertì chiaramente la sua preoccupazione, la rabbia, il suo senso di impotenza davanti a qualcosa di più grande di lei… l’aveva sentita così solo un’altra volta in precedenza, quando il suo grande amore era morto…

Era grave. Qualsiasi cosa fosse, era molto grave, ed in quel momento, Ryo temette di sapere di cosa si trattasse…

“Quante, stavolta?” Chiese, appoggiandosi con la schiena al muro, perso nelle sue meditazioni.

Solo una, ma il modus operandi è lo stesso. Una ragazzina che lavorava nel quartiere a luci rosse… avrà avuto vent’anni, Ryo. L’hanno drogata, e lasciata a morire dissanguata… è la quinta in pochi mesi, e io non so più dove sbattere la testa. Le vittime non hanno altra connessione se non che vivono nel quartiere e sono donne, per il resto, fisico, età, estrazione sociali sono diversi… e chiunque sia l’assassino, non lascia nessuna traccia.

“Vuoi che mi occupi del caso, Saeko?” Le chiese, mentre si accendeva una sigaretta e guardava fuori dalla finestra, con lo sguardo cupo.

Sai che non posso darti alcun incarico ufficiale, vero?  

“Non importa. Qualcuno a casa mia sta facendo qualcosa che non mi piace. È ora che l’angelo della morte gli faccia una visitina…”

Chiuse la chiamata senza aggiungere altro, mentre una nuvoletta di fumo raggiungeva il soffitto.

A Shinjuku, nel quartiere che era la loro casa, qualcuno stava uccidendo non per vendetta o giustizia, ma per il semplice gusto di farlo.

E questo, lui non lo poteva tollerare. Non a casa sua.

 

  Nello stesso momento, ad Austin (Texas)…

Jane osservava il figlioletto neonato disteso nel lettone, seduto su una sedia pieghevole al fondo del materasso. La stanza era pressoché avvolta nell’oscurità, salvo per una piccola lampada che teneva sul comodino e che non spegneva mai, quasi con quella luce avesse potuto controllare e tenere più al sicuro la sua famiglia.

Avevano portato Evan Jane a casa quel giorno stesso, dopo alcuni giorni in terapia neonatale; di fretta come il padre, era nato con oltre tre settimane di anticipo, obbligando lui e la dolce Teresa- la dura dal cuore tenero che la maternità aveva reso una creatura a dir poco angelica- a guardare il loro piccolo tesoro attraverso un vetro per giorni e giorni.

E adesso, era a casa, e l’idea di metterlo nella culla, anche a un solo passo da lui, terrorizzava Jane oltre ogni misura. Sapeva che la possibilità che un altro serial killer decidesse di perseguitarlo andando ad attaccare la sua famiglia era remota, ma c’era una parte di lui che, nonostante l’amore per Teresa ed il loro cucciolo, sarebbe sempre rimasta in quella stanza della sua villa sulla spiaggia, ormai cenere, con lui inginocchiato a terra, incapace anche di versare una singola lacrima mentre teneva tra le braccia i cadaveri squartati della moglie e di sua figlia.

Sbuffò, tentando di allontanare quei lugubri pensieri dalla sua mente. Forse Teresa e Cho avevano ragione ed era ora di andare in terapia in modo serio, non per il puro scopo di prendere i suoi terapisti per i fondelli e manipolarli a suo piacimento, come aveva fatto anni addietro con la povera Sophie Miller, morta per la sola colpa di averlo conosciuto.

Chissà. Forse.

Ma anche no.

“Dì un po’, non pensi di essere esagerato?” La moglie gli chiese, col sorriso sulle labbra, mentre si appoggiava allo stipite con le braccia incrociate. Jane si voltò a guardarla, e le diede uno di quei suoi sorrisi sghembi che la facevano arrossire, perché, dalla prima volta che lui l’aveva guardata così, lei si era infatuata di quell’uomo dall’animo tormentato e maldetto che si nascondeva dietro alla maschera del pagliaccio.

Indossava una camicia da notte in raso, verde, senza maniche e che le arrivava quasi ai piedi. Era bellissima- e come le aveva detto una volta, il verde era il suo colore. E poi, quello era un suo regalo, e lui era famoso per il suo impeccabile gusto…

“Jane, sai che non abbiamo un’orda di serial killer alle costole ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, vero?” Gli chiese, avvicinandosi a lui e massaggiandogli le spalle. Le era scappato di chiamarlo per cognome, Jane, talmente ci era abituata… dopotutto, lui era stato Jane, il suo collega, il suo consulente, per dodici anni, mentre Patrick… beh, lui era Patrick da appena nove mesi. Ci doveva ancora fare il callo. O chissà, forse non se lo sarebbe mai fatto.

“Lo hai detto anche al nostro matrimonio, sette mesi fa.” Jane sospirò, guardando Evan. “Dove, ti rammento, siamo stati attaccati da un serial killer.”

Teresa si morse le labbra e gli diede delle pacchette sulla spalla. Aveva ragione. Anche se, tecnicamente, la colpa era stata tutta di Jane- era lui quello davvero bravo a far arrabbiare la gente, e tirare fuori il peggio del peggio da chiunque…

“Vado a preparati un the.” Gli disse, cambiando argomento, lasciandogli un bacio sui boccoli biondi, che quel cherubino di loro figlio aveva ereditato, come pure quegli occhi di un azzurro intensissimo.

Appena lei ebbe lasciato la stanza, Jane allungò la mano al suo smartphone, e andò a rileggere un articolo di un quotidiano nazionale pubblicato alcuni mesi prima, che era andato a ripescare quella mattina stessa dopo aver controllato, come suo solito, le rassegne stampe internazionali giusto per vedere se nel mondo stesse accadendo qualcosa di interessante che potesse usufruire delle sue eccellenti doti di mentalista.

 

VISUALIZE, LA SETTA APRE UNA SEDE A TOKYO

Il gruppo di “auto-aiuto” inaugura una sede nella capitale del Giappone tra mille polemiche.

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 Sono passati tre anni dal tentato omicidio di Bret Stiles, quando il fondatore di Visualize- per gli adepti un gruppo di auto-aiuto, ma una vera e propria setta per i più – scampò a morte certa dopo che uno degli ex-membri del gruppo, lo Sceriffo Thomas McAllister (Napa Valley) e l’allora direttore del CBI (California Bureau of Investigation) tentarono di incastrare il carismatico e contestato mogul per gli omicidi commessi dal noto serial Killer John il Rosso, che per oltre vent’anni aveva terrorizzato il sud-ovest degli Stati Uniti.

Oggi, dopo aver “fatto pulizia del marcio”, come lui stesso dice, Stiles e Visualize risorgono dalle ceneri come la fenice, e la riapertura delle sedi in tutto il mondo coincide con l’inaugurazione della prima sede della “Chiesa della realizzazione interiore” in Giappone.

Luogo scelto, il controverso quartiere di Shinjuku (Tokyo), sede del governo centrale della città di Tokyo, ma anche di uno dei più grandi quartieri a luci rosse del mondo. Proprio lì Stiles ha deciso di aprire la sua nuova casa: “Le giovani che popolano quella zona sono anime perse, che noi abbiamo il dovere morale di supportare”, ha dichiarato Stiles, 77 anni (raffigurato in un’immagine di repertorio), che nonostante l’età e le vicende legali che lo hanno visto protagonista negli ultimi anni in tutto il mondo tiene ancora salde le redini del gruppo, che ereditò nel 1976 da Timothy Farragut, il fondatore, alla sua morte, avvenuta in circostanze misteriose. Voci di corridoio…  


Avvertendo i passi leggeri della moglie, Jane chiuse la schermata e nascose il telefono, e quando lei gli offrì la tazza- quella azzurro Tiffany, che gli aveva regalato per Natale quando a malapena erano colleghi, figurarsi amici o amanti- la prese col sorriso, dandole un casto ma dolce bacio sulla guancia, a cui Teresa rispose con un sorriso anche lei, ma tirato- si fermò dalla porta, voltandosi verso il marito, conscia che, di nuovo, lui le stava nascondendo qualcosa, convinto che quello fosse il suo unico modo di proteggerla, e non perché non si fidasse. Ancora non capiva che l’unico modo per essere al sicuro, essere sempre pronti, era fidarsi l’uno dell’altra e non nascondersi nulla: possibile che in quasi quindici anni non avesse imparato nulla? Che non capisse cosa gli errori del passato gli avevano causato?

Scosse il capo, triste e delusa e preoccupata, mentre il marito fissava il loro figlio, vivo  e sano, diversamente dalla sua sorellina Charlotte, morta a causa dell’ubris del padre, senza sapere cosa stesse passando per la mente di Jane. Rimase lì, immobile, con il cuore spezzato,  a guardarlo per un tempo lunghissimo, sapendo quanto l’io interiore di quell’uomo fosse differente dalla visione che dava in quel momento- a chiunque altro, con la tazza in mano, intento a sorseggiare il suo the, sarebbe parso come il ritratto della tranquillità, ma lei sapeva che era turbato.

Solo, non sapeva cosa fosse a renderlo così. Si era pentito di averla sposata? Sentiva di star tradendo Angela, la sua defunta moglie? O era semplicemente un padre-iperprotettivo, ora che Evan era nato?

Tornò in cucina per finire di mettere a posto, e non vide Jane che riprendeva in mano il telefono, e mandava un messaggio, pensieroso, sentendosi colpevole come un ladro….

Tokyo (Giappone), nel quartiere di Shinjuku…

Con le mani in tasca ed il capo chino, Kaori camminava sospirando per le strade di quel quartiere in cui era cresciuta, e che forse, solo con Ryo, aveva imparato ad amare.

Con ogni passo, sentiva il peso sulle spalle farsi sempre più pesante, ed il cuore spezzarsi in mille pezzettini mentre veniva trafitto da mille cristalli di ghiaccio.

Non sapeva se sentirsi più delusa dal comportamento di Ryo, che le aveva fatto capire di amarla per poi ritrattare le parole dette, attribuirle alla foga del momento, al bisogno di distare il nemico, e che lei, comunque era come un fratello per lui.

Non era stupida. Sapeva che il 90% delle volte Ryo le parlava in quel modo, uccidendo la sua femminilità, per allontanarla da sé e saperla al sicuro, fuori da quella vita pericolosa, e che il restante 10% delle volte era per pura abitudine… eppure, faceva male. Ogni. Sacrosanta. Volta.

“For fuck’s sake, watch where you are going!” Kaori cadde a terra, persa nei meandri dei suoi pensieri, e sentì una voce maschile sibilare rabbiosamente al suo indirizzo con un forte accento inglese- anzi, americano, quasi del tutto identico a quello del “buon” Mick.

“Brother Thomas, enough!” Sentì un’altra voce, più bassa, ma decisa e autoritaria, parlare. Con il fondoschiena dolorante, Kaori aprì gli occhi,  e vide che, nella sua sbadataggine, aveva fatto cadere a terra un vecchietto, un signore composto, elegante, dagli occhi azzurri- ed occidentale- sui settant’anni. “Le chiedo scusa per l’irruenza e la maleducazione del mio amico, signorina. Thomas non ha capito che tanto io quanto lei eravamo assorti nei nostri pensieri.”

Le disse, in perfetto Giapponese, in tono galante, mentre, alzandosi e spolverandosi la polvere dal costoso completo, le offriva la mano per aiutarla ad alzarsi, che lei afferrò sorridendogli timidamente, ed arrossendo- non era proprio abituata ad avere intorno uomini galanti. “Oh, la ringrazio, ma il suo amico ha ragione. Devo scusarmi io, ero assorta nei miei pensieri e non vedevo dove andavo…”

“Sembra turbata, signorina, una vittima degli eventi, della vita….”  L’uomo la guardò negli occhi, in silenzio, sembrò scrutarle dentro l’anima con quei suoi occhi di ghiaccio. Il cuore di Kaori andò a mille, e desiderò poter ritrarre la mano che lui ancora stringeva, ma la morsa dell’uomo sembrava ferrea, i movimenti del pollice sulla sua pelle quasi ipnotici.

Aveva paura. Aveva davanti un vecchietto di ottant’anni, eppure era terrorizzata.

“Tanto potenziale… una tale bellezza… eppure, un tale spreco…”  sospirò, tenendo lo sguardo saldo. Kaori finalmente riuscì a liberarsi dalla presa, e lui la guardò correre via, come un cerbiatto spaventato, una vergine sacrificale, terrorizzata da quell’inusuale incontro, che l’aveva lasciata stremata più di tutti gli altri avversari che lei e Ryo avevano incontrato negli anni - nemmeno Kaibara aveva avuto quest’effetto su di lei.

“Mi incuriosisce quella ragazza…ha un qualcosa di… stuzzicante.” L’uomo si voltò verso uno dei suoi uomini, con un sorriso compiaciuto sul viso. “David, seguila e scopri tutto quello che puoi su di lei. Credo che abbiamo appena trovato un’altra pecorella da aggiungere al nostro ovile…”

“Come desidera, Mister Stiles.”

Dopo avergli fatto un breve inchino, David si mischiò alla folla, alla ricerca della preda del padre e leader di Visualize…   

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Terribilmente in ritardo, il secondo capitolo... chiedo scusa ai miei lettori, ma tra impegni vari, lavoro e altre cose da scrivere, il tempo è volato.
Io però, cose incompiute non ne lascio, quindi... tranquilli. Non rimarrete delusi!

Tokyo (Giappone), alcuni giorni dopo…

Jane inspirò profondamente appena sceso dall’aereo, giusto per calmare i nervi. Si era fatto quasi venti ore di volo, salvo i tre quarti d’ora passati a Los Angeles per lo scalo, e adesso non ne poteva più, e non era certamente solo perché sentiva l’intero corpo indolenzito.

Era il fatto che avesse mentito, di nuovo, ancora, a Teresa, raccontandole che il capo – Cho, gli faceva ancora strano che adesso alla cima della catena alimentare ci fosse lui, eterno braccio destro di Teresa Lisbon ai tempi del CBI, suo pari all’FBI- aveva ricevuto ordine dai grandi papaveri dell’FBI di fargli risolvere un delicatissimo e complicato caso a New York, che lo avrebbe tenuto impegnato per almeno una decina di giorni, pena l’annullamento dell’accordo firmato nemmeno due anni prima e la sua incarcerazione.

Mentire gli rodeva e non poco, ma Jane sapeva di avere scelta. Non era solo il fatto che mentire, manipolare e tenere segreti era parte della sua identità e della sua natura, era che la voleva difendere, lei e loro figlio, da chi avesse voluto fare loro del male… e dal fatto che, forse, si era sbagliato, si erano sbagliati tutti, e non era davvero finita.

Forse, John il Rosso era ancora vivo.

Forse, qualcuno aveva raccolto la sua crudele eredità di morte.

Quello che sapeva di certo, era che Visualize doveva essere al centro della cosa, e questa volta non si trattava solo di una martellante ossessione, di un’estemporanea intuizione- no, questa volta, lui, lo sapeva per certo, se lo sentiva.

Anche se questa nuova consapevolezza gli era giunta per puro caso, quando gli era capitato tra le mani un rotocalco, molti mesi prima, mentre era andato ad accompagnare Teresa ad una visita medica. Lì, aveva visto l’articolo che aveva dato il via al tutto, che aveva risvegliato il suo comportamento ossessivo e quel nascondersi, quel fingere di cui Teresa era ben conscia- perché per capirlo lei non aveva mai avuto bisogno di troppe parole- e che le spezzava il cuore.

Sospirò, meditando se accendere il telefono o meno.

Decise di no- non avrebbe potuto non risponderle se avesse chiamato, e allora lei avrebbe sentito le voci in sottofondo e avrebbe capito che non era a New York e che le aveva raccontato una balla, l’ennesima, e stavolta si sarebbe incazzata di brutto e lo avrebbe mollato di sicuro.

Grazie, ma no grazie. L’avrebbe chiamata lui, più tardi. Magari da una camera d’albergo. Nel silenzio assoluto.

Alzò un braccio in segno di saluto quando vide che i suoi accompagnatori in quel viaggio erano già arrivati, ed erano seduti su una panchina vicina al nastro del ritiro bagagli, ognuno di loro con la propria solita espressione- Cho era scocciato, apparentemente freddo e distaccato, mentre invece Abbott era rilassato, addirittura… felice, quasi entusiasta. Jane non avrebbe voluto mettere in mezzo il suo ex capo in quella storia, ma era stato Cho ad insistere: Abbott aveva l’immunità diplomatica grazie all’importante ruolo ricoperto dalla moglie,  aveva già lavorato in Giappone come agente operativo ma, soprattutto, lo aveva rassicurato Cho, aveva dei “contatti” che sarebbero stati di aiuto.

“Patrick. Avrei preferito rivederti in circostanze migliori…” Gli disse stringendogli la mano, mentre  Cho fece solo un lieve cenno col capo- si erano visti solo due giorni prima, dopotutto, non sei mesi.  “Andiamo, mi sono già procurato una macchina.”

Jane alzò un sopracciglio, con un sorrisetto sghembo. “Curiosa scelta di parole, la tua…”

“Perché me l’ha trovata un amico. Niente tracce, né cartacee né digitali.” Aprì con il telecomando la serratura centralizzata di una Jeep Cherokee, verde militare, e, aperto il portellone, afferrò un borsone e lo aprì, tirandone fuori dei passaporti che dette ai compagni. “A tutti gli effetti, io sono in North Carolina con le mie figlie e voi siete a New York ad indagare ad un caso. Nessuno di noi è mai atterrato a Tokyo.”

“Non è esagerato?” Cho chiese. Oltre che illegale, pensò, ma non lo aggiunse. I suoi compagni lo sapevano, ma purtroppo, dopo che aveva condiviso con loro le sue parole, avevano capito che forse quello era l’unico modo di agire. Segretamente, nell’ombra.

“Se la Società di William Blake esiste ancora, vuole dire che le forze dell’ordine, a chissà quale livello, sono intrigate in questa faccenda.” Jane strinse i denti, sentendo il sangue andargli alla testa. Si tolse la giacca del completo ed il gilet, rimanendo in camicia, e si rotolò le maniche- il tre pezzi attirava un po’ troppo l’attenzione. “Per anni McAllister si è servito delle sue talpe nelle agenzie per essere sempre un passo avanti a noi e liberarsi di prove e testimoni. Non c’è motivo di credere che il suo pupillo, se di questo si tratta, sia diverso.”

Abbott salì alla guida della macchina con sicurezza, dimostrando che le storie che Cho aveva raccontato erano non solo vere, ma forse limitative della sua esperienze nel paese del Sud-Est Asiatico, e si incamminò nel traffico caotico della capitale con destrezza e maestria; di tanto in tanto, si limitava a gettare l’occhio su un foglietto a quadretti, su cui erano scarabocchiate delle fitte indicazioni con un inchiostro chiarissimo. Per l’intera durata del viaggio, non parlarono, nonostante Jane morisse dalla curiosità, ma sentiva che presto avrebbe avuto tutte le risposte alle sue domande- come pure gli altri avrebbero saputo tutto.

Ogni cosa al momento debito.

Tirò fuori il telefono, e, lasciandolo in modalità aereo, iniziò a scorrere le fotografie- la sua nuova famiglia, il compleanno della figlia di Grace e Wayne, la nipotina di Teresa, a cui stava insegnando i trucchi del mestiere, le foto del matrimonio, la prima ecografia, e le foto del suo bambino.

Non gli piaceva piangere, ma in quel momento desiderava ardentemente farlo, nonostante sapesse di dover mantenere forza e lucidità per loro, eppure si sentiva straziato, il suo cuore a pezzi, solo, freddo…. Era come se un pezzo di lui mancasse. Proprio come quando aveva perso le sue ragazze. 

Ma stavolta, sarebbe stato temporaneo.

Stavolta, avrebbe difeso la sua famiglia con le unghie ed i denti, a qualunque costo.

 

Abbott entrò nel bar, nonostante il cartello indicasse la chiusura, deciso, con passo scattante- eppure, estremamente rilassato. Il locale, Jane vide, era vuoto, salvo per le due persone dietro al bancone, e le luci erano soffuse, quasi a non voler attirare l’attenzione dall’esterno.

“Siamo chiusi.” L’uomo dietro al bancone tuonò. Jane fu tentato di fare un passo indietro, tale fu lo spavento.

Era… imponente, come una montagna. Alto, massiccio, duro, il cranio rasato come molti militari, e dei militari aveva la fisicità generale, il portamento. Anche se c’era qualcosa che stonava in lui, come se fosse… altro, di più. Qualcosa di diverso.

“Sì? Anche per un vecchio amico?” Abbott gli domandò, sarcastico, dandogli la mano, che l’uomo afferrò, stringendola con forza. “Falcon, ne è passato di tempo…”

“Per te, Danny, la porta è sempre aperta, lo sai.” Si liberò dalla stretta dell’uomo, e, incrociando le braccia, indicò con un cenno del capo la graziosa ragazza che era con lui. Di una bella ventina d’anni più giovane del nerboruto barista, almeno all’apparenza, aveva lunghi capelli scuri, e occhi intelligenti e vivaci, che ricordarono a Jane di Grace. “Ti ricordi di mia moglie Miki?”

“Di Miki, sì…” Ammise sedendosi al bancone, gli occhi improvvisamente tristi e bassi, come se per un attimo la sua mente fosse andata altrove, ad un tempo passato che preferiva dimenticare. “Ma che fosse tua moglie, questo mi mancava. Ma non me ne meraviglio. Lo diceva sempre che saresti stato suo, un giorno….”

“Aspettiamo ancora qualcuno?” Cho domandò, sedendosi accanto a Abbott, e Jane fece lo stesso. La montagna si limitò a fare cenno di sì, e si mise a trafficare alla macchina del caffè. In men che non si dica i tre americani avevano delle tazze fumanti davanti a loro- caffè per Abbott e Cho, the per Jane, che scrutò di sottecchi quel curioso barista.

“Lo sa, non so cosa mi stupisce di più: se il fatto che uomo come lei conosca Abbott- anche se mi sono fatto un'idea di come le vostre strade si siano incrociate-, il suo intuito da barista oppure quanto ogni cosa le riesca senza il minimo sforzo apparente nonostante la cecità.”

Miki sussultò, e sembrò voler dire qualcosa, ma il marito alzò una mano, fermandola. “Le faccio i miei complimenti, Mister Jane. Non tutti si accorgono della mia disabilità. Danny aveva ragione, lei è indubbiamente un uomo particolare. E mi dica, cos’altro ha capito di me, dopo aver passato cinque minuti con me e mia moglie?”

Non lo diceva con cattiveria, né acidità. Era onesto, curioso, intrigato da quell’uomo…

“A parte il fatto che lei è un mercenario e che probabilmente ha collaborato con la task force di Rio Bravo, e che altrettanto probabilmente è stato lei a coprire l’assassinio dei narcotrafficanti che minacciavano di sterminare un intero villaggio in Messico?” Jane spiegò con tranquillità, come se avesse parlato del tempo, mentre sorseggiava il suo the- perfetto, quasi come quello della sua Teresa- facendo sorridere la montagna umana.

Non era stato così difficile da capire. Era bastato guardare lo sguardo triste e rammaricato di Abbott quando aveva parlato di Miki per comprendere che il loro incontro era coinciso con delle circostanze funeste, e Jane sapeva che quell’operazione- quel delitto di cui Abbott stesso si era segretamente macchiato per salvare degli innocenti, contravvenendo agli ordini che volevano quel criminale in custodia, era il suo più grande rimpianto. Non per ciò che aveva fatto, ma perché gli era quasi costato la sua famiglia, molti anni dopo…

“Ma come abbiamo studiato bene… chi è il tuo nuovo amico, Umi?” Una voce maschile, saccente, risvegliò l’interesse dei tre uomini, che si voltarono e videro che tre persone si erano unite a loro nel locale: due di loro, un uomo sui quaranta ed una donna dal corpo avvenente, i cui vestiti aderenti nascondevano poco o nulla all’immaginazione, erano chiaramente giapponesi. Mentre il terzo, un biondino dagli occhi azzurri e vestito con un completo bianco e una cravatta azzurra, era un occidentale.

Fu quest’ultimo a guardare Jane, incuriosito ed allo stesso tempo… quasi emozionato. Come se aspettasse che qualcosa di speciale dovesse accadere da un momento all’altro.

“Beh, questo, Ryo, è il famigerato Patrick Jane, l’uomo che ha dedicato la sua vita alla caccia a John il Rosso facendosi bello in TV dicendo che era un sensitivo…” l’uomo, dal chiaro accento del mid-west, lo schernì, appoggiandosi con la schiena al banco e osservando il biondino. “Che cosa la porta qui? Guardi che il Giappone ha un trattato di estradizione, se fa uno dei suoi casini la rispediscono a casa…”

“Ti conviene fare attenzione a quello che dici, damerino,” Jane disse, con estrema calma, divertito dalla situazione. “Ho ucciso quattro persone e ne sono uscito pulito. Niente mi impedisce di rifare il trucchetto un’altra volta.”

Abbott alzò gli occhi al cielo, mentre Cho strinse i denti, sibilando, fingendo entrambi di non aver sentito nulla- certo, sapevano dei quattro omicidi di Jane, era stato indagato e successivamente prosciolto da tutte le accuse, grazie alla legittima difesa e allo stato di necessità, ma ciò non toglieva che avrebbe potuto cercare di essere meno arrogante, meno soddisfatto di quello che aveva fatto.

Meno compiaciuto di avere le mani sporche di sangue- nonostante quei quattro uomini fossero tutti stupratori o assassini senza scrupoli.

“Però, non male l’amichetto…ti ha subito messo al tuo posto, eh Mick?” Ryo si sedette su uno degli sgabelli, e si accese una sigaretta, fumando tranquillo e godendosi il drink che Falcon gli aveva dato. Eppure, Jane era certo che fosse all’erta, pronto a scattare, come un animale, un predatore. Come lui. “Beh, Saeko, come mai ci hai fatto venire tutti qui?” Domandò alla bella donna, che andò alle spalle degli agenti dell’FBI.

“Mister Jane, Agente Cho, sono Saeko Nogami, lavoro per la sezione investigativa speciale della questura di Tokyo. L’agente Abbott ed io abbiamo collaborato in passato….” Disse, affabile ma affascinante, sicura della propria sensualità e di come usarla, offrendo al mentalista la mano- ma Jane la lasciò a mezz’aria, limitandosi a squadrare la donna con un sorrisetto beffardo.

Lei non parve offendersi. Anzi- sembrava incuriosita, quasi divertita- pochi probabilmente non le sbavavano dietro.

“Falcon e l’agente Abbott hanno ragione di credere che alcuni casi di cui mi sto occupando possano essere legati all’indagine che state ufficiosamente portando avanti.”

“Donne assassinate, seviziate, lasciate a morire dissanguate, senza nessun apparente legame tra di loro… diversa etnia, stato sociale, età, caratteristiche fisiche… anche il tempo fra i vari omicidi varia di volta in volta, senza apparente logica. Tutto sembrerebbe indicare degli omicidi d’impeto, eppure sono studiati nei minimi particolari… ” Jane bevve un altro goccio di the, senza impressionarsi del sussulto di Saeko, che sembrava sorpresa. “Incluse le unghie laccate del loro stesso sangue.”

“Ma come… come può saperlo? Non ho condiviso con nessuno questo particolare!” Saeko fece un passo all’indietro. Con gli occhi sgranati, sembrava quasi terrorizzata. Chi era quell’uomo, e che legami aveva con il misterioso assassino che  terrorizzava da mesi la città?

“Lo so, agente Nogami, perché quello era il trattamento che John il rosso riservò a mia moglie e mia figlia quando le uccise, un dato che né io né gli investigatori rendemmo mai noto.” Soffiò a denti stretti. “Come pure so che ho ucciso con le mie stesse mani John il Rosso, guardando nei suoi occhi mentre la vita lasciava il suo lurido corpo. Ma John il Rosso era in una setta, e mi creda, non c’è terreno di caccia migliore per gli psicopatici che le sette. E le multinazionali.”

“Una setta? Oh…  state parlando di Visualize!” Miki capì al volo, e Jane fece cenno di sì col capo.

“I tizi che hanno aperto quell’enorme e pacchiano grattacielo che mi toglie la visione dal balcone di casa?” Ryo domandò, spegnendosi la sigaretta.

“È per questo che ti ho chiesto di venire qui, Ryo.” Falcon gli disse, accennando una risposta affermativa con la testa. “Qualcuno deve introdursi nell’organizzazione, ma degli occidentali non passerebbero inosservati… inoltre, il capo di Visualize li conosce bene. E io… beh, mi si nota facilmente.”

“Già, e poi sei anche cieco come una talpa. Non sopravvivresti due minuti là dentro.”  Ryo ridacchiò, buttando giù il drink tutto d’un sorso. “Mi servirà qualche dettaglio in più, ma ci sto. Nessuno macchia le strade della mia casa di sangue senza pagarne le conseguenze.”

“Voi non siete poliziotti. Cosa siete, mercenari?” Jane studiò i due uomini attentamente, il corpo pervaso dai brividi. Aveva paura. Per la prima volta dopo tante tempo, aveva paura- e non per gli altri, ma per sé. “No, voi siete… qualcosa di diverso. Di ben più oscuro, più minaccioso.”

“Siamo spazzini, mister Jane. Niente di più, niente di meno.” Saeba gli rispose, tranquillo, mentre se ne andava. “Noi ripuliamo le strade di questa città dall’immondizia, facendo piazza pulita. Un po’ come ha fatto lei quando si è sbarazzato di quei quattro assassini- anche se io lo avrei fatto con un po’ più di classe e senza farmi beccare.” A sentire quelle parole, Jane fece un sorrisetto soddisfatto- chiunque fosse Saeba, sapeva il fatto suo, e sembrava aver fatto i compiti. Conosceva la sua storia, e perché avesse ucciso quegli uomini.

Per vendetta. Ma anche per tenere al sicuro la donna che amava. Lisbon. Teresa.

 Alla porta, la voce di Falcon raggiunse Ryo, richiamandolo indietro con tono infervorato e preoccupato. “Ryo! Hai intenzione di tenere questa storia nascosta a Kaori?”

Ryo sembrò tergiversare. Rimase immobile sulla soglia, con la porta aperta, il pomello in mano, per quello che appariva come un lunghissimo tempo. “Per adesso questa storia è troppo pericolosa. Chiunque questo assassino sia, prende di mira le donne del nostro quartiere, e io la preferisco sapere al sicuro. Mentre io indagherò, ci penserà Angel a tenere Shinjuku al sicuro… e anche lei.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Tokyo, quartiere di Shinjuku- nella sede di Visualize

Stiles osservava, compiaciuto, la città dall’alto del suo grattacielo, il più grande che la città avesse mai visto. Da lì, aveva tutto sotto controllo. Da lì, poteva sentirsi padrone di ogni cosa. Com’era giusto che fosse. 

Dal giorno in cui il suo cammino aveva incrociato quello di Patrick Jane, tutte le sue certezze erano vacillate: nell’uomo, aveva creduto di vedere un alleato, forse anche un erede, ma quell’uomo si era rivelato essere un piccolo meccanismo della catena di montaggio come tutti gli altri, incapace di vedere oltre il proprio desiderio di vendetta. Jane aveva minato la sua posizione all’interno della Chiesa, osando metterlo in discussione. 

Aveva tentato di farlo apparire piccolo, insignificante e pauroso, proprio come era quel pagliaccio. Come erano tutti gli altri.

Ma non lui. Forse Visualize non era una sua creatura, ma quando aveva preso in mani le redini, l’aveva trasformata, resa grande in tutto il mondo; negli anni settanta, era stata poco più di una comune di fattoni che usavano droghe psichedeliche senza capire di cosa potessero essere capaci, inconsapevoli dei mondi che gli si potevano aprire davanti, interi universi di possibilità…

E adesso… adesso, pranzava con reali, primi ministri, si occupava di programmi di recupero di quartieri degradati, teneva conferenze… eppure, mancava ancora qualcosa. 

Il rispetto, ed il pieno potere. 

Stava invecchiando, lo sapeva. Ormai, era più vicino agli ottanta che ai settanta, e i suoi succubi iniziavano a nutrire dubbi sulle sue capacità psico-fisiche, e molti pensavano che non si fosse mai realmente ripreso dal tentativo di omicidio. Un colpo di stato non era poi così lontano, eppure, lui non si era mai sentito così in controllo della situazione, così rinvigorito, così curioso…

E tutto per quella giovane dai capelli rossi e l’aria smarrita. 

“Allora, hai scoperto qualcosa sul nostro agnello?” Chiese, senza voltarsi, quando la porta si aprì con un leggerissimo scricchiolio. 

Fratello David, uno dei più fervidi credenti di Stiles, gli si avvicinò, rimanendogli alle spalle e facendo un piccolo inchino; in mano, aveva una cartellina, ed una penna USB. 

“La donna è molto ingamba, signore. È stata sul punto di scoprirmi in più di un’occasione. Credo che sia capace di controllare la propria aura, e di avvertire quella degli altri, proprio come noi.”

“Soggetto interessante… sarebbe una perfetta aggiunta al nostro gregge.” Sospirò, compiaciuto, lieto di non essersi sbagliato con quella prima, veloce occhiata alla bellissima fanciulla. “Cos’altro hai scoperto sul suo conto?”

“Le notizie che abbiamo raccolto sono contrastanti, signore. La ragazza si chiama Kaori Makimura, vive nel quartiere dall’età di due anni. Adottata, non siamo stati in grado di trovare informazioni sulla sua famiglia biologica. Orfana di padre, otto anni fa ha perso anche il fratello, un poliziotto. Assassinato, si presume, in un regolamento di conti. Tuttavia…”

David rimase in silenzio, e Stiles, spazientito, si voltò verso di lui. “Tuttavia, cosa? Parla!”

David sussultò, col cuore in gola, vedendo lo sguardo del suo signore e padrone, gelido, terrificante. Un brivido di paura lo percorse da cima a fondo, ed ingoiò a vuoto mentre i suoi occhi si fissavano sull’elegante parquet. “Ecco… dopo la scomparsa del fratello, si perdono tutte le tracce di lei... Nessuna traccia di conti correnti a suo nome, di dichiarazioni dei redditi, bollette, nemmeno esami o ricoveri. Si dice…” David si fermò un attimo, incerto se proseguire o meno, pur cogliendo l’impazienza del suo padrone. “Suo fratello, dopo aver lasciato la polizia, sembrava occuparsi di questioni, uhm, burocratiche per un uomo noto come City Hunter, una sorta di giustiziere urbano. Sembrerebbe… nel sottobosco criminale della città si dice che lei abbia… ereditato quella posizione.”

Stiles inspirò, stringendo i denti ed i pugni. “Continua ad indagare su di lei, e scopri tutto quello che puoi su questo City Hunter, chiama anche i nostri contatti nelle agenzie federali… voglio quell’agnellino, David, ma lo sai… detesto essere sorpreso.”

David lasciò la stanza, dopo essersi inchinato al suo superiore, ed il silenzio piombò tra quella quattro mura asettiche, la pace rotta solo da un suono- quello di un respiro spazientito.

“Cos’è, hai qualcosa da dirmi?” Stiles sbottò, digrignando i denti. Le vene sulle sue tempie pulsavano. “Hai un problema?”

“In realtà, no…” L’altro uomo ridacchiò, uscendo dall’ombra. Raggiunse Stiles davanti alla finestra, contemplando compiaciuto quella meraviglia, e si sistemò la cravatta. Nel vetro, vedeva il proprio riflesso: non più il giovane rampante di bella presenza, ricco e potente e rispettato; ormai, non si riconosceva più, nè nell’animo, nè nel corpo- non con quello sfregio sul viso. “In realtà, sono davvero molto curioso anch’io…”

 

Tokyo, quartiere di Shinjuku. Casa di Ryo...

Anche quella mattina, Kaori non lo svegliò. 

Erano ormai giorni che quella dannata danza stava andando avanti, e se all’inizio lui era stato certo che, tempo ventiquattro ore, Kaori avrebbe sbollentato i bollenti spiriti e sarebbe tornata la virago dal rossore facile, adesso non ne era più così sicuro. 

L’aveva fatta grossa. Anche se, tecnicamente, non aveva fatto nulla. Più o meno. Beh, lui non ricordava di essere andato con la brunetta, e dato che difficilmente avrebbe accettato (anche da ubriaco) una cosa a tre con Mick, ne derivava che non aveva fatto nulla e Kaori si stava infervorando per niente- dimostrando, per giunta, di non conoscerlo. 

Grattandosi il capo, Ryo sospirò. Non l’aveva svegliato, ma almeno stavolta aveva preparato la colazione, incluso un thermos di quella sbobba orripilante che lui buttava giù a litri il giorno dopo essersi preso una bella sbronza - peccato che la notte prima non fosse stato fuori a bere, ma a indagare sulla misteriosa setta che si era instaurata nel loro quartiere, Visualize, ed il loro leader supremo. Come, d’altronde, faceva dal giorno in cui aveva incontrato Jane: aveva fatto un po’ di domande ai suoi informatori, chiesto in giro a chi gli doveva dei favori, e soprattutto, aveva piantonato quella bruttura che era il grattacielo dove la setta aveva la sua sede locale, cercando una possibile via d’ingresso, ma nulla: né lui né gli altri avevano trovato dei punti deboli. Stiles era maniaco del controllo, della sicurezza, e al suo servizio, come cani da guardia, aveva il meglio del meglio. 

Dopo di noi, pensò Ryo; tuttavia, il pensiero non era rassicurante. Fermare quegli uomini avrebbe voluto dire fare rumore, che avrebbe significato mettere in allerta sia Stiles che il presunto assassino, se davvero era lì, quindi, significava che c’era solo una cosa da fare se voleva entrare in Visualize e conoscere il leader supremo: farlo, pacatamente ed umilmente, dalla porta d’ingresso principale, senza fare rumore.

Leader supremo… sembra il nome di un cattivo dei cartoni animati! Ryo pensò tra sé e sé. Peccato che non ci fosse nulla da ridere. A casa loro, erano state assassinate almeno cinque donne, e secondo il biondino americano amico dell’amico di Falcon la setta c’entrava qualcosa. 

Bevve un sorso di quella brodaglia, non perché gli servisse o la apprezzasse particolarmente, ma perché l’aveva fatta lei, era stato un pensiero di Kaori verso di lui. Pensava ancora al suo partner, e si preoccupava per lui, chiaro segno che sì, era ancora furibonda, ma le stava passando - forse. Non che Ryo avesse avuto dei dubbi: il loro amore- mai dichiarato chiaramente, mai consumato se non per un casto bacio attraverso una vetrata, era comunque più forte di tutto. 

Gelosia inclusa. 

“Ragazza mia, quante gatte da pelare mi dai!” Disse lui ad alta voce, lasciando tutto com’era giusto per farla innervosire quando fosse tornata- d'altronde, con le guance arrossate dalla rabbia, Kaori era una delle cose più sexy sulla faccia del pianeta- e andò in camera a scegliersi i capi giusti per l’incursione nel territorio della setta; optò per un completo grigio chiarissimo, una camicia azzurrina e occhiali da sole in cui aveva nascosto una microcamera. Controvoglia, lasciò la sua amata Python nel comodino, conscio della presenza di metal detector all’entrata del “tempio”.

Ma, non sarebbe andato disarmato. Non era nel suo stile, e comunque, sarebbe potuto essere pericoloso, nel caso fosse accaduto qualcosa. Quindi, optò per il curioso regalo che Kaori gli aveva fatto il Natale precedente (su probabile consiglio di uno dei loro amici, ci avrebbe giurato): un pugnale, interamente di porcellana, abbastanza sottile da poter essere tenuto sotto alla camicia senza passare osservato.  Sì, lui se la cavava meglio con la pistola, e sì, erano Saeko ed il compianto Makimura quelli che ci sapevano davvero fare con le armi da taglio, ma era meglio di nulla. 

Si fece una doccia, e quando la sua mano andò alla mensola dei detergenti, optò per lo shampoo di Kaori, una fragranza alla vaniglia nera abbastanza forte da passare per una profumazione da uomo, ma che su di lei aveva l’effetto di rendere il suo profumo naturale più morbido ed avvolgente. Sorrise mentre indugiò sotto al getto d’acqua tiepido, massaggiandosi lo scalpo mentre faceva le fusa, neanche fosse stata lei a compiere quei rilassanti gesti. 

Loro, una cosa del genere, non l’avevano mai fatta- anche se Kaori lo aveva visto ben più di una volta completamente nudo e pronto all’azione, senza sapere che buona parte delle volte quell’effetto era stata lei a causarlo, e lui… beh, forse non l’aveva mai vista completamente nuda, ma le volte che gli era apparsa davanti solo in intimo, in costume da bagno, o con una di quelle succinte tutine che le aveva passato Miki? Le forme devastanti della ragazza erano state abbastanza in evidenza da dare adito a sogni erotici al limite del pornografico che duravano da… beh, da oltre otto anni, se voleva essere del tutto sincero. 

In pratica, dalla prima volta che l’aveva vista in reggiseno a balconcino e mutandine estremamente sgambate di pizzo rosa chiarissimo.

Ci mancava solo questa, Ryo borbottò quando si rese conto di cosa avessero causato quei poco casti pensieri alle sue parti basse. Era eccitato, febbricitante di ardente desiderio, per Kaori. 

E lei non lo sapeva. O forse, non lo voleva capire. Non che lui non avesse le sue colpe- dopotutto, si era rimangiato tutte le parole che le aveva detto nella radura, il giorno in cui Miki e Umi si erano scambiati amore eterno, e lui, dopo averla vista in abito da sposa, aveva immaginato di… di cosa, esattamente? Cosa poteva darle, lui, un uomo senza passato, senza identità…

Me stesso. Che poi, è tutto quello che ha sempre voluto. Niente di più, niente di meno…

Spento il getto d’acqua, si frizionò i capelli, guardando fuori dalla finestrella del bagno: era una bellissima giornata di primavera, il sole splendeva ed il cielo era pieno di uccellini che volavano qua e là. Era quasi del tutto certo che, se fosse andato a passeggio nel parco, il profumo dei fiori di ciliegio avrebbe invaso tutto il suo essere. 

Kaori, la primavera la adorava. 

Pensò al suo migliore amico, che presto si sarebbe sposato, a Miki e Umi, che avevano coronato quel sogno iniziato tanti anni prima, quando lei era solo un’adolescente e lui un uomo fatto e finito, e anche a Saeko e Maki, che questa possibilità non l’avrebbero mai avuta, travolti da un crudele destino. 

Non ho molto da offrire, ma le posso dare me stesso. E lo farò, decise Ryo, con un sorriso determinato sulle labbra. 

Appena finito quel caso, le avrebbe parlato. 

Appena finito quel caso, si sarebbero chiariti. 

E finalmente, sarebbe stato libero di amare Kaori Makimura nel modo che lei si meritava…

 

Nel retro del Cat’s Eye Cafè…

“Ma che diavolo….” Saeko osservò la scena davanti a sé lievemente disorientata, coi sudori freddi e, se doveva essere sincera, anche terrorizzata. Di gente intensa ne aveva conosciuta, anche lei e Ryo tendevano ad entrare in un luogo tutto loro quando lavoravano ad un caso, ma, guardando Jane seduto davanti ad una serie di lavagne su cui aveva messo tutto lo scibile possibile su quel caso - articoli di giornale, fotografie di sorveglianza, appunti, post-it, fili rossi gialli e blu a collegare tutte le possibili piste - lei sembrava essere una dilettante…

Sembrava di essere in un film. 

Ma era la realtà. E Jane ne era il protagonista. 

“Non faccia domande.” Cho, che da quello che lei aveva capito era coreano, o perlomeno di ascendenza coreana, se ne stava seduto su una sedia ad un tavolino a leggere quello che appariva un mattone, ma che ad una più attenta analisi si rivelò essere Il conte di Montecristo- una scelta curiosa, considerata la propensione dell’amico per la vendetta. 

“E perché non dovrei chiedere nulla, Signor Cho?” Gli chiese, sistemandosi un ciuffo di capelli dietro all’orecchio con fare seducente, una mano su un fianco messo leggermente in avanti, nel tentativo di mettere in evidenza il seno strizzato in quella camicetta di una taglia più piccola tenuta fin troppo sbottonata. 

Cho non batté ciglio- si limitò a tornare a leggere il suo libro. Sembrava essere oltre la metà. 

“Perché Cho detesta quando mi metto a fare il primo della classe e spiego alla gente quanto io sia straordinario con le mie tecniche mentre gli altri sono…” Jane si morse il labbro, riflettendo bene sulle parole da usare, considerando che avrebbe decisamente preferito non fare arrabbiare la bella Saeko, visto e considerato che era nel suo territorio che erano- e che li stava aiutando nonostante la loro indagine non fosse autorizzata- non male per essere una poliziotta. Quasi come la mia Teresa, pensò, sorridendo felice al ricordo della sua donna e di suo figlio che dormivano accoccolati nel loro letto.  “Diciamo che sono meno bravi di me. Ma mi creda, con l’allenamento, tutto è possibile.”

Lieta che avesse usato la diplomazia- cosa che sembrava costargli fatica- Saeko si avvicinò all’uomo, e con due dita prese delicatamente uno dei numerosi articoli di giornale che graziavano la lavagna.  

Era in Giapponese. Come molta altra roba, del resto. “Parla la mia lingua, Jane?” Gli chiese, con una luce curiosa e birichina negli occhi. 

“Lei ed i suoi amici avete una perfetta padronanza della mia lingua- anzi, devo dire che il suo amico Saeba sembra avere un leggero accento del sud quando parla in Inglese.” Jane ridacchiò. “Perché io non potrei conoscere la vostra?”

“Ha ragione, mi scusi.” Ammise, arrossendo un po’, mentre entrambi guardavano una foto del leader di Visualize, intento a dare un discorso all’inaugurazione della “casa” di Tokyo. “E dire che uno dei miei più cari amici è americano, quindi non dovrei fermarmi al vecchio cliché del redneck buzzurro ed ignorante che non prova il minimo interesse per tutto quello che gli è straniero.”

“In realtà, non ha tutti i torti, io stesso possedevo solo il minimo indispensabile di nozioni culturali sul vostro Paese fino a qualche mese fa. Ma quando ho letto che Stiles intendeva stabilirsi qui, anche se solo temporaneamente, ho fatto un po’ di spazio nel mio palazzo della memoria liberando i cassetti occupati dalle nozioni di falegnameria ed edilizia, perché, siamo sinceri, da solo casa non me la sarei mai potuta costruire,  e mi sono fatto una full-immersion nella vostra lingua.”

Saeko sbattè quegli occhioni, scioccata. “Vuole dire che… che è solo qualche mese che studia la nostra lingua?”

Jane scrollò le spalle, neanche fosse stata una considerazione logica e matematica. “Come ho detto, tutto merito del mio palazzo della memoria. Non so se conosce questa tecnica, consiste nel…”

“Non le interessa,” Cho asserì, guardando di traverso Saeko - o almeno così le sembrò. Quell’uomo sembrava imperturbabile, quasi di ghiaccio. “L’avevo avvertita.”

Sembrò sorridere, e lei si morse il labbro, scoprendosi civettuola e intrigata da quell’uomo di poche parole, che eppure con i suoi gesti, con i suoi sguardi, con il poco che diceva… sembrava dire così tanto. 

La donna scrollò il capo, leggermente divertita. “Abbott vi ha lasciato soli?”

“È andato con il suo vecchio amico a fare un giro, immagino per reperire informazioni. Hanno lasciato Cho a farmi da cane da guardia.” Jane disse, senza mai guardarla negli occhi, troppo preso dal quadro generale delle cose.  Pensava alla moglie, al figlio, e a quella stanza in cui, dal giorno in cui Teresa gli aveva detto di aspettare un figlio, non poteva fare a meno di tornare di tanto in tanto: vetro e cemento e pittura bianca e legno e sangue.

“Ispettore, desidererei sapere se da quando è iniziata la costruzione della sede di  Visualize altre donne sono morte o scomparse in circostanze poco chiare. Non è necessario che il modus operandi sia lo stesso, il nostro killer potrebbe aver affinato la sua tecnica da quando ha iniziato ad uccidere, e non mi stupirei se la sua prima vittima fosse stata fortemente casuale. Forse è stato solo un incidente…” l’uomo sospirò, senza distogliere lo sguardo dalla lavagna. Poi, improvvisamente, si voltò verso di lei, rompendo il silenzio. “Chi è Kaori? Falcon ha chiesto a Saeba se lei sapesse che lui intendeva prendere il caso.”

Di nuovo, Saeko si stupì, ma stavolta i suoi tempi di reazione e risposta furono più celeri, complice il fatto che aveva capito come Jane funzionasse e di cosa fosse capace. Non c’era da stupirsi, quindi, se, nonostante fra loro avessero parlato nella loro lingua, Jane avesse capito il succo della questione. 

“Kaori è… lei è la partner di Ryo. Lui è molto protettivo nei suoi confronti.” 

“Curioso. Saeba non sembra il tipo da gesti romantici o da relazione fissa, però, il modo in cui lei ha sottolineato la parola partner, mi fa credere che ci sia qualcosa di più di un semplice legame professionale tra i due… amicizia, amore non corrisposto? No…  ah!” Il mentalista si illuminò. “Un’altra di quelle coppiette. Si amano ma non se lo dicono perché lei teme che lui non la ami e lui non lo dice perché non vuole metterla in pericolo. Ci sono passato anch’io. Lo so, difficile a credersi, ma mi sono sposato non una ma ben due volte. E non sono divorziato, cosa che non è da poco. Kaori è sua sorella?” 

Di nuovo, Saeko sbattè gli occhioni, non essendosi aspettata quella domanda. “Scusi?”

“Kaori. Mentre ne parlava si è portata le mani al cuore e ha socchiuso gli occhi. Immagino siate parenti…” Jane si batté l’indice sul labbro, pensieroso, mentre continuava a guardare e studiare le reazioni di Saeko. “No, ma… sareste potute esserlo. Una cognata? Stava con il fratello di lei? Che è successo, gli ha preferito Saeba? Non sono certo se tra lei ed il moretto sia successo qualcosa o se si sia trattato solo di tentazione...”

Con gli occhi velati di lacrime, Saeko strinse i denti, e schiaffeggiò l’uomo, che non fece nulla per difendersi- né Cho andò in suo aiuto, limitandosi ad alzarsi. 

Non disse nulla, ma pianse in silenzio, mentre Jane si massaggiava la guancia, comprendendo cosa fosse accaduto, e perché la donna non facesse parte della famiglia di Kaori.  Nei suoi occhi, vide un dolore a lui fin troppo familiare- un dolore che spesso ancora condivideva le giornate con lui. 

La perdita. La morte.

“Le chiedo scusa per la mia insensibilità, ispettrice Nogami. Io…non sono molto bravo a relazionarmi con gli altri. Mi è stato solo insegnato a sfruttare le loro debolezze per i miei fini e… sto imparando, e grazie a mia moglie un po’ sono migliorato, ma… questa cosa mi è ancora abbastanza nuova.” 

Asciugandosi gli occhi con una manica della giacca, macchiandola di trucco, Saeko si voltò, e fece per uscire. 

Si fermò dalla porta, dicendo solo poche parole prima di proseguire, senza voltarsi indietro, ancora scossa da ciò che l’uomo le aveva detto e soprattutto dal suo tono. “Le farò avere quel materiale entro stasera, mister Jane.”

Patrick sospirò, sentendosi come un mostro, il suo senso di colpa quintuplicato dallo sguardo severo di Cho. 

Guardò ancora una volta la lavagna. 

Mai come allora desiderò avere Teresa al suo fianco.

 

Austin, Texas, sede dell’FBI…

Lisbon si diresse con passo di marcia verso la scrivania di Whiley, il loro giovanissimo esperto di tecnologia che era uscito da Quantico che non era nulla, e subito lo notò agire con circospezione al suo tavolo. 

Si mise le mani sui fianchi, stando in piedi sull’unico lato libero del cubicolo del giovane esperto informatico, guardandolo con quello sguardo truce e severo da mamma orsa delusa che metteva in crisi persino Patrick Jane, figurarsi un suo sottoposto, per di più con una cotta per lei. 

“Dimmi, Whiley, sono stupida?” gli domandò, seria. Lui non rispose, limitandosi a guardarsi intorno alla ricerca di una via d’uscita da quel impasse, ma non c’erano vie di fuga- era in trappola. “Perché se il mio capo, il mio ex capo e mio marito pensavano che non avrei chiamato la sede di New York, e che avrei creduto a tutte le fandonie che mi sono state raccontate per giustificare che non uno di quei tre uomini è dove dovrebbe essere, allora sono tre idioti. E tu non vuoi essere idiota come loro, vero?”

Il ragazzo fece cenno di no, e lei sorrise. Come lo volesse compiacere. 

Con certa gente, era persino troppo facile… Certo, aveva avuto un ottimo maestro, ma, sul serio, il ragazzino andava a cercarseli, i guai. 

“Jason, posso chiamarti Jason, vero? Dicevamo…. credo che tu abbia dato un’occhiata al mio file. Che tu sappia di cosa sono capace. Una volta per farmi valere ho persino distrutto mezzo CBI, e non sto esagerando troppo. E non parliamo della volta che il mio terapista mi ha ipotizzata per incastrami per omicidio. Lì ho davvero dato fuori di brutto. E per di più, sono giorni che dormo poco e male . Quindi… tenendo in mente di cosa sono capace… cosa sai di cosa hanno architettato quell’emerito idiota di mio marito e i suoi compagni di merende?”

“Loro…” Borbottò. “Io… ho promesso che non avrei detto nulla.”

“Agente Whiley, io sono il tuo diretto superiore.” Gli sibilò contro, con gli occhi iniettati di ardente fuoco. “Perciò adesso la smetti di frignare e mi dici cosa diavolo hanno combinato, o giuro su Dio che ti ritroverai per il resto dei tuoi giorni dietro ad una scrivania del più sperduto ufficio dell’FBI dell’intero paese.”

“So solo che Abbott voleva che trovassi un suo vecchio commilitone in Giappone, a Tokyo, ma le giuro, agente Lisbon, che non so altro.”

La donna sibilò una serie di epiteti poco gentili all’indirizzo del divano del compagno, l’unico consulente dell’FBI  che avesse mai avuto il coraggio di chiedere un pezzo d’arredamento per contratto, e poi scattò fuori dalla sede del palazzo governativo. 

Quel cretino di suo marito si stava cacciando in guai seri, e aveva la netta sensazione che, senza di lei, tutto sarebbe andato a scatafascio.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Tokyo, quartiere di Shinjuku- nella sede di Visualize

Le sette, Ryo si era reso conto guardandosi intorno all’interno di quel pacchiano palazzo che sembrava una piramide egizia di un architetto sotto acido da troppo tempo,  amavano due tipi di persone; i disperati, che gli avrebbero dato tutti i loro soldi e avrebbero poi lavorato vita natural durante a gratis, facili da irretire e destinati a rimanere per sempre nelle loro file, e quelli con tanti soldi. I ricchi erano spesso viziati ed annoiati, che stavano con loro il tempo di una volata di vento, ma che, oltre ad apportare un influsso di denaro elevato ed immediato, servivano anche ad un altro scopo.

La pubblicità. L’influenza.

Entrambe cose che Stiles sembrava adorare alla follia.

Ryo, una volta entrato in quell'obbrobrio, attese un attimo a togliersi gli occhiali da sole a specchio, preferendo tenerli per sembrare annoiato e svogliato, da vero ricco; indossava un completo di alta sartoria per vendersi meglio, e Saeko gli aveva gentilmente offerto un po’ di denaro da tenere a portata di mano per fare scena. Camminare per le strade del quartiere con tutti quei bei soldini in tasca era stato molto complicato, perché la tentazione di spenderli in bere e nella compagnia (puramente platonica) di deliziose conigliette era stata davvero forte, ma aveva sospirato, mettendo il muso, conscio che Saeko, quei soldi, li avrebbe voluti indietro, che le cose a casa - a Shinjuku- stavano andando a rotoli e che comunque, avrebbe preferito la compagnia di Kaori, semplicemente rimanere in silenzio con lei, leggere il giornale mentre lei canticchiava preparando colazione, a qualsiasi avvenente coniglietta mezza nuda.

Già, era ufficiale: l’amore aveva rincretinito Ryo Saeba. Peccato che lo sapessero tutti tranne la diretta interessata.

Ryo strinse i denti, e si dette una scrollata, maledicendosi: non era quello il momento di pensare a Kaori, doveva entrare nella parte. Entrato nella sala riunioni, conferenze, qualsiasi cosa fosse, Ryo sbuffò, cercando di apparire più annoiato di quel che era, e si sedette con gambe larghe e malamente, praticamente stravaccato, su una delle poltroncine che stavano dinanzi al palco decorato con una specie di foresta di rami bianchi.

Nel giro di un quarto d’ora, la sala si gremì, le porte vennero chiuse- a chiave, ne era quasi del tutto certo dal suono della serratura che gli era sembrato di captare- e le luci si abbassarono. Un occhio di bue puntò una figura che era rimasta fino ad allora nella penombra, e quello che inizialmente pareva solo un profilo, una sagoma quasi fosse stata solo di  cartone, andò sotto al bagliore accecante, rivelando, man mano, la propria natura di essere umano e vivente.

Stiles. Il leader di quella setta piena di misteri. Forse anche un assassino?

Ryo chinò il capo sulla spalla, e lo studiò attentamente, e decise che Jane aveva avuto ragione: no, quell’uomo non era capace di commettere un reato - non materialmente, almeno, non ne aveva il fisico, era troppo vecchio e malridotto, ormai, ma lo sguardo cinico, beffardo, malvagio, suggeriva che sì, lui non si sarebbe mai sporcato le mani, ma di certo non avrebbe disdegnato chiedere che venisse fatto scomparire qualcuno a nome suo.

“Sono molto fiero di ciascuno di voi,” Stiles iniziò, battendo le mani con fare teatrale, nemmeno fosse stato davvero in procinto di complimentarsi con ognuno di loro; e quel sorrisetto beffardo… possibile che nessuno si rendesse conto che li stava prendendo in giro? “Oggi, iniziate il luminoso cammino verso la scoperta delle vostre vere potenzialità ed il vostro vero destino!  Io sono Bret Stiles, e oltre cinquant’anni fa, col mio migliore amico, fondai Visualize con un unico scopo in mente: voi. Tutti voi. Perché qui siamo tutti una grande famiglia!”

Certo, come no… Ryo pensò, annoiato. Sì, la presentazione non era male; sì, Stiles per l’età era ancora parecchio carismatico, ma lui non ci sarebbe cascato in quella trappola per topi, non era proprio il tipo… e se gli altri babbei lì presenti abboccavano, peggio per loro: voleva dire che si meritavano di essere spennati.

La maggioranza dei presenti, tuttavia, applaudì, il rumore così forte che faceva quasi scoppiare i timpani; Ryo, sollevando un sopracciglio con un sorrisetto cinico stampato in faccia, assecondò la folla, senza mai tuttavia smettere di guardarsi bene intorno… sì, quasi tutti quelli che erano andati, come lui, a curiosare stavano applaudendo, ma le loro mani venivano battute in modo quasi timido, stentato, assecondando più il bisogno di apparire come supporter a quell’uomo apparentemente potente piuttosto che fare la figura dei cafoni.

I veri applausi, però, quelli provenivano dai fedelissimi della setta, esseri umani che di umano sembravano avere ancora ben poco, e che apparivano piuttosto come degli automi con dei sorrisi da mogli di Stepford stampati sul volti, ghigni che gli ricordavano caricature, il sorriso pazzo del Joker di Batman. I loro sguardi erano piantati fermamente su di lui, sul loro signore e padrone. Ryo dovette ammettere che Visualize si sapeva vendere davvero bene: ad un primo sguardo, ufficialmente, sembravano quasi insegnare più una dottrina psicologica, una sorta di filosofia di vita- e se così fosse stato, gli sarebbe pure potuto stare bene- ma una volta che eri dentro, era chiaro e lampante che i seguaci ricevessero il lavaggio del cervello, “ascendendo” al livello successivo di conoscenza di Stiles e compagnia bella… divenivano veri e propri adepti di quella che era a tutti gli effetti una setta e che venerava quel vecchio pazzo vanaglorioso.

Ryo sussultò, avvertendo come una scossa elettrica percorrergli il corpo, quando avvertì lo sguardo di Stiles soffermarsi, con un sorriso perverso, su di lui; ecco, ce l’aveva fatta: aveva attirato l’attenzione del vecchio, adesso aveva solo da sperare che non dubitasse della sua buona fede e di riuscire ad entrare nella sua cerchia stretta in un tempo relativamente breve.

“Avverto dei dubbi provenire da te, fratello…” Scendendo dal palco, con le mosse e i tempi giusti da navigata star della TV, Stiles passò tra le file di sedie fino a giungere davanti a Ryo, e con quella che sarebbe dovuta essere un’espressione caritatevole, ma sembrava invece lo sguardo di un serpente pronto a divorare la sua preda, gli mise una mano sulla spalla, stringendola leggermente, abbastanza perché Ryo lo avvertisse, ma non così tanto da mettere in allarme gli altri “fedeli” presenti all’adunata. “Non ricordo il tuo nome…”

“Kuroba Ryosuke,” rispose Ryo, con espressione a metà tra l’annoiato e lo strafottente.

“Se non sbaglio, è la prima volta che ti vedo qui, fratello,” Stiles continuava a guardarlo con quell’espressione da schiaffi, come avesse voluto sfidarlo apertamente, e se avesse avuto la Python con sé, Ryo era quasi del tutto certo che l’avrebbe usata su quel rifiuto della società, facendogli un bel buco in mezzo agli occhi e facendo un favore al mondo intero.

“Eh, già…” Ryo gli fece un sorrisetto, allungò le gambe incrociando le caviglie, e fece schioccare le nocche delle mani. “Sa, mi sono reso conto che non so cosa fare della mia vita… tanti soldi, tante donne, mai lavorato un giorno grazie a papino… arrivati alla mia età si inizia a farsi delle domande….”

“Eppure lei non sembra essere un uomo con dei dubbi…” Stiles continuò, per nulla intimorito da quel giapponese grande e grosso dagli occhi color canna da fucile. Lo guardò estremamente bene, studiandolo con calma, da tutte le angolazioni- nel vero senso letterale della cosa. Ryo strinse i denti, mal sopportando quel silente terzo grado. “No, invece… lei ha dei dubbi. Ma, fratello, ascolta…. con la consapevolezza e la pace interiore, tutte le scelte sono semplici e quasi automatiche, i dubbi svaniscono.”

“Chissà, forse,” Ryo soppesò le parole, scandendole per bene, lentamente. “Mi sono smarrito lungo la strada….”

“Capita a tutti, Ryosuke, io stessi, molti anni,” il “profeta” continuò, cercando alternativamente l’attenzione del suo pubblico e quella diretta del suo interlocutore, muovendosi con fare deciso, senza tuttavia apparire pericoloso o irriverente. “mi sono trovato ad un bivio, e ho messo tutto me stesso nella ricerca di una soluzione ai miei problemi, le mie tribolazioni. Dimmi Ryosuke,” l’uomo continuò, guardandolo bene, soffermandosi con occhio critico sugli eleganti capi che quel giorno sfoggiava, il Rolex al polso, la sua postura. “Ti sei mai soffermato su ciò che conta davvero, quello che c’è dentro di te, la tua vera essenza?”

Lo sweeper quasi scoppiò a ridere. Non capiva come qualcuno, a meno di essere pazzo da legare, potesse cadere nella trappola di quel tizio. Cosa diceva Visualize di diverso dagli altri presupposti guru che si trovavano a frotte in giro per il mondo? Dal Papa? Da semplicissimi libri di auto-aiuto che si potevano comprare per poco o nulla al mercato delle pulci?

Nulla; eppure, il circo mediatico che Stiles ed i suoi avevano messo su fruttava un mare di quattrini, e, sebbene gli fosse sembrato di capire che dopo la débâcle di John il Rosso in America i fedeli fossero diminuiti, sembrava che in Oriente il balordo avesse finalmente trovato il suo vero paradiso e un prato su cui seminare e raccogliere in gran quantità, ed in particolare in Giappone aveva trovato terreno fertile, grazie alla mentalità piuttosto aperta per quel che riguardava le convinzioni filosofiche e religiose… d’altronde, che il Giappone con le sette avesse un bel problema non era certo una novità.

Ryo non rispose, si limitò a guardare, intensamente, con fare enigmatico, il suo interlocutore. Non doveva apparire scettico, o avrebbe fatto scattare gli allarmi di quella gente. Incerto, curioso, dalla mente aperta… quello sì, nonostante fosse tutto l’opposto di ciò che Ryo era realmente.

Ma, dovette scrollarsi lo sweeper, lui non era Ryo Saeba, spiantato pseudo-investigatore privato, guardia del corpo, sweeper, e sì, a volte anche sicario, perennemente al verde, era Ryosuke Kurobe, erede di un magnate del metallo che aveva fatto fortuna vendendo le materie prima all’Ikea.

Stiles si allontanò da lui, e continuò a girare per la sala, parlando al maggior numero di persone possibile, sempre con quel maledetto sorrisetto stampato in faccia; capiva perché Jane odiasse quell’uomo: aveva il fare, i modi del truffatore. Nei giorni precedenti era andato a farsi un giro in rete, cercando su Google il nome del biondino dell’FBI, e ne aveva trovato da leggere, per giorni… principalmente, si trattava di articoli sulla morte della sua famiglia, altri che riguardavano casi su cui aveva lavorato, ma c’erano anche alcuni video, che Ryo aveva studiato per bene, guardato e riguardato… registrazioni in studio dei tempi in cui aveva finto di essere un sensitivo. Non gli era voluto molto per capire che Jane si odiava, che rinnegava quella parte del suo passato, che era disgustato dall’uomo che era stato in quella vita precedente… e Stiles era tale e quale a ciò che era stato Patrick Jane un tempo. 

Stile si congedò con falsa modestia dal suo pubblico, con un mezzo inchino, e la folla proruppe in un boato, urla, preghiere, applausi… sentendosi come un pesce fuor d’acqua, e chiedendosi se il mondo intero fosse andato a farsi benedire, Ryo lasciò la sala, con le mani in tasca degli eleganti pantaloni, quando qualcuno lo afferrò alla spalla, da dietro. Con uno sguardo glaciale e pronto a tirare un sonoro gancio a chiunque avesse osato agire così, Ryo incontrò lo sguardo terrorizzato di uno dei seguaci di Stiles, il suo braccio destro, da ciò che aveva capito, Fratello Jason. Con mani tremanti, l’uomo gli offrì una scatolina, che Ryo prese svogliatamente e pigramente, come se non avesse potuto importargli meno, e mentre si apprestava a lasciare quel luogo, la aprì; c’era una tessera magnetica all’interno, ed un biglietto scritto a mano con un’elegante e raffinata calligrafia…

Carissimo Ryosuke, desidero dal più profondo del cuore approfondire con te ciò di cui abbiamo discusso oggi.  Ti aspetto domani mattina per un giro della struttura e per l’orientamento.

La lettera non era firmata, ma Ryo non aveva bisogno di veder messo nero su bianco il nome dell’autore, era a dir poco palese.

Stiles.

Era riuscito a farsi amico il leone, e adesso avrebbe potuto avvicinarlo… c’era solo da capire chi fosse la preda, e chi il predatore.

Nel retro del Cat’s Eye Cafè…

Saeko entrò nella stanza dove Jane stava lavorando, controllato da Cho, con un grosso scatolone in mano, ed altri due delle medesime dimensioni la aspettavano in macchina. Aveva raccolto tutto il materiale che il “mentalista”, come Jane veniva definito, aveva richiesto, ed adesso era andata a consegnarglielo, anche se non capiva cosa avrebbe potuto trovarci; tutti loro avevano guardato quei fascicoli, lei li aveva analizzati più e più volte, anche dopo il suggerimento dell’uomo, ma non le sembrava di aver notato incongruenze, omissioni o legami che potevano essere stati tralasciati ad una prima occhiata.

Secondo lei, quello era un vicolo cieco, ma se andava bene a lui…

Si guardò intorno, con aria smarrita, travolta da un silenzio quasi assordante- tutte le altre volte che era stata lì, Jane aveva borbottato, si era lamentato, aveva pensato ad alta voce…. la seducente poliziotta strinse denti e pugni, sbattendo un piede a terra: quel cretino le aveva fatto fare tutto quel lavoro, e per giunta in fretta, ed adesso se l’era data a gambe? Pregò solo per il suo bene che lo avesse fatto per un motivo serio, e che non si fosse ficcato in un qualche guaio, perché era così innervosita che difficilmente gli avrebbe salvato le chiappe.

“Sta parlando con Abbott ed il vostro amico, Saeba.” Quando sentì la calda voce avvolgente, Saeko fu percorsa da brividi dalla punta dei capelli alle unghie dei piedi; si voltò, lentamente, e trovò, seduto allo stesso tavolo dove aveva preso a sedere da quando aveva assunto l’incarico di cane da guardia di Jane, Cho. Tranquillo, pacato, non sembrava darle la benché minima attenzione, il che era al contempo tanto strano quanto lusinghiero per Saeko; da una parte, nessun uomo le aveva mai resistito, dall’altra, faceva piacere vedere un uomo che facesse più attenzione alla sua mente, la sua persona, piuttosto che al suo corpo. E, per giunta, Cho era etero: nell’archivio di un quotidiano californiano aveva trovato l’annuncio di fidanzamento, ma immaginava che le cose non fossero andate a buon fine… niente fede al dito, niente linee da abbronzatura all’anulare, e soprattutto nessuna telefonata strana, non di cui lei sapesse, almeno.

“Sì, Ryo mi ha detto che Stiles vuole conoscerlo meglio.” La conturbante moretta gli rispose, sistemandosi una ciocca di capelli che le copriva il viso con falsa nonchalance ed uno sguardo ammaliatore che su quell’uomo di ghiaccio non ottenne però il risultato sperato- era davvero un osso duro, ma era un bel tipino, e non le sarebbe dispiaciuto conoscerlo un po’ meglio, specie sotto le lenzuola. L’amore eterno non faceva per lei, non più ormai, la sua chance la aveva avuta e se l’era lasciata scappare per i dubbi e perché pensava, era certa, di dover scegliere tra amore e carriera,  ma era una donna di sangue e carne, con bisogni, e ogni tanto un po’ di calda ed eccitante compagnia maschile non le dispiaceva. E poi, Cho non sarebbe stato lì in eterno: era la perfetta distrazione temporanea di cui approfittare.

La discussione sembrò non andare oltre, perciò Saeko  gli andò alle spalle, e mordendosi le labbra osservò cosa stesse guardando al computer, cosa rapisse l’attenzione e la mente sveglia ed elastica di quell’enigmatico essere umano.

Lo schermo era diviso in due, ma colmo da entrambe le parti di fotografie; da una parte, immagini chiaramente tratte da dossier di lavoro, dall'altra, quelli che dovevano essere scatti personali, immagini in molte delle quali c’erano lui, Jane, Abbott e altre tre, quattro persone che più o meno apparivano in quasi tutti gli scatti; molte di esse parevano essere state prese ad un matrimonio, e sebbene Jane indossasse bene o male sempre le stesse cose- e Saeko dovette ammettere, con una punta di rimpianto, che sebbene con savoir faire e carisma, con quei tre pezzi, più che elegante come era Mick, il mentalista sembrava uno straccione appena scappato da una clinica per malati mentali- la bella donna indossava indubbiamente un abito da sposa ed era a lui che si univa in matrimonio.

Era lampante: quella donna guardava Jane proprio come Kaori  guardava Ryo, anche se la rossa raramente si era permessa di donargli quello sguardo apertamente; lei lo faceva di sfuggita, segretamente, quando credeva che nessuno li stesse guardando.

Saeko si trovò a sospirare, rattristata. Sapeva di non essere la persona preferita di Kaori, ma lei, al contrario, teneva molto alla giovane Makimura. I suoi rapporti con Ryo, le sue battute, erano più che tutto frecciatine che continuava a sperare smuovessero i due innamorati, dettati dall'abitudine, erano un retaggio di un tempo antico, precedente al giorno in cui, ragazzina, Kaori era entrata nella vita dello sweeper travolgendolo come il mare in tempesta.

“TORNA INDIETRO!” Gridò a Cho, e lui, a cui il caffè quasi andò di traverso, la guardò di sottecchi. “La galleria, quella con le immagini di lavoro, ho visto qualcosa…” Fece come la donna aveva suggerito e riavvolgere la galleria di immagini fino a che lei non gli fece cenno che poteva fermarsi, indicando sullo schermo un’immagine ben precisa, che, come ogni volta, faceva salire la bile in gola al federale.

Quell’immagine veniva da un fascicolo su di un caso ben preciso che aveva colpito tutti loro: era un primo piano di una donna castana dai lunghi capelli mossi, gli occhi chiusi, il corpo immobile, il viso macchiato e disegnato oscenamente con qualcosa di rosso, una semplicissima croce di oro giallo al collo e le mani, con lo smalto rosso, incrociate davanti al petto: Saeko era certa che fosse un cadavere. “Chi era?” gli chiese, tenendo una mano sulla spalla di Cho, l’altra sulla scrivania, china davanti allo schermo in quel completo troppo stretto che quasi faceva schizzare via i bottini.

“Chi è, vuoi dire.” le rispose, ed accennò un sorrisetto, il primo che gli avesse visto fare da quando era sbarcato in Giappone. “Guarda che hai appena visto le sue foto di matrimonio… quella è Lisbon…. Teresa… la moglie di Jane.”

Saeko si ricompose; mettendosi dritta, incrociò le braccia, e studiò con occhio critico quell’immagine che, non sapeva il perché, era certa le avrebbe dato gli incubi per un lungo, lunghissimo lasso di tempo. “Cho, cosa le era successo in quella foto?” gli chiese, diretta, senza troppi giri di parole.

 “Non sono certo che sia la mia storia da raccontare, ma…” L’uomo si lasciò andare sulla sedia, e sospirò, passandosi una mano sui capelli; si guardò intorno, come per controllare che nessuno potesse sentirli- specie Jane- poi tornò a posare lo sguardo sulla Nogami. “Pochi mesi prima che Jane uccidesse John il Rosso… McAllister… una sera Jane andò a trovare Lisbon, non mi ha mai detto il perché, ma credo che… che fosse pronto ad ammettere di provare qualcosa per lei. Trovò la porta socchiusa, le luci spente, e Lisbon non rispondeva. Era come se sapesse che… lui aveva ricreato la scena dell’omicidio della sua famiglia. Ed infatti la trovò così, nel suo letto. Solo che l’aveva drogata, e non uccisa…”

“Beh, conosco qualcuno che non è stato così fortunato…” Si diresse verso lo scatolone, lo aprì ed iniziò a far passare, uno ad uno, tutti i fascicoli, fino a che non trovò quello che voleva; era una semplice cartellina gialla, con pochissimi fogli dentro, forse una o due pagine di rapporto, qualche foto… decisamente, quel caso non aveva avuto nessuna priorità. “Una ragazza che lavorava in un bordello nel quartiere, assassinata alcuni giorni prima che venisse gettata la prima pietra per la costruzione del Visualize Center. I miei colleghi non sono stati troppo ligi, e sinceramente non avevo fatto troppo caso nemmeno io, questo fascicolo l'avevo aggiunto solo perché il tuo amico voleva sapere qualsiasi cosa fosse successa a Shinjuku dall’arrivo dei vostri amichetti, ma dopo che ho visto quella foto, la cosa è ben diversa. Guarda tu stesso.”

Saeko gli passò il fascicolo, aprendolo alla foto che la interessava, e che, era certa, avrebbe causato un bel po’ di dubbi e domande anche agli “amici” di Austin… e difatti, Cho scattò in piedi, facendo cadere per la foga la sedia alle sue spalle.

Con gli occhi sgranati, fissava quell’immagine, scioccato, impaurito, nervoso… spaventato.

Una donna- asiatica, quello sì- dalla pelle chiarissima, lunghi capelli castani leggermente mossi, le labbra adornate da un rossetto rosso fuoco, le unghie delle mani, incrociate come fosse in preghiera o nella bara, laccate dello stesso colore, ed al collo, una croce, semplice, vecchio stile.

Identica a quella di Lisbon.

“Beh, le cose sono due: o il tuo amico ha ammazzato l’uomo sbagliato, oppure abbiamo a che fare con un emulatore…”

“Oppure abbiamo capito male cosa Renfrew volesse dirci.” Allo sguardo allibito di Saeko, Cho, le mani sui fianchi, prese un grosso respiro, e tornò indietro con la mente ad oltre dieci anni prima, quando era ancora il braccio destro di Lisbon al CBI e lavoravano da nemmeno due anni con Jane. “Renfrew è uno dei pochissimi partner noti di John il Rosso. Era stato arrestato, ma non aveva mai ammesso nulla. Jane lo aveva fatto evadere sperando di ottenere delle informazioni in cambio, ma lui era fuggito in Messico. Lo trovammo cadavere nel bagno di un motel alcuni mesi dopo: John lo aveva fatto morire dissanguato molto lentamente, ma era riuscito e scrivere col suo sangue qualcosa sul muro: he is mar. Non abbiamo mai capito cosa volesse dire, ma dopo la morte di McAllister avevamo immaginato volesse dire “marked”, riferendosi al tatuaggio che tutti i membri della cerchia di John avevano. Ma forse…”

“Forse non aveva finito di scrivere la frase. Forse non voleva scrivere una “r” ma una “n”...” Saeko continuò, pensierosa, leggendogli nella mente, incapace di distogliere lo sguardo da quella donna, su cui nessuno aveva indagato perché vendeva il suo corpo per denaro- molto probabilmente, mossa dalla disperazione e dal bisogno, non certo dalla lussuria. “He is many. Lui è molti… lo avete mai pensato? Che non avesse solo amici, solo persone che usava… ma complici ben più vicini, che quel nome appartenesse a… a un collettivo?”

“Non lo so, la cosa mi puzza. Se fosse stato un collettivo, qualcosa sarebbe accaduto negli anni, e a quest’ora avrebbero già preso di mira Jane e Lisbon…”  Cho si grattò il collo, pensieroso, lo sguardo fisso su quei rapporti di cui capiva poco o nulla. Saeko lo guardò con ammirazione ed un sorriso di compiacimento: capì perché avesse fatto carriera in fretta all’FBI, era sveglio e con la mente agile, e soprattutto, sapeva come muoversi e quando parlare. “Sai, non c’è bisogno di tanti attori per interpretare lo stesso ruolo, ne basta uno e la sua controfigura, ed un secondo, che lo rimpiazzi al momento del bisogno… e se McAllister era la star della produzione, Carter la controfigura che si è sacrificata spacciandosi per il killer che cercavamo… chi è il terzo uomo?”

“Sai, Cho, credo che sia giunto il momento che facciate vedere a me e Ryo quello che avete su questa “Società di Blake” che il vostro sceriffo pazzo aveva fondato…” Saeko lo guardò, seria, decisa, determinata a portare a termine la missione, dispensare giustizia costasse quel che costasse. “Perché se davvero il suo secondo gli era così vicino, non c’è da dubitare che lo abbia scelto tra quelle fila.”

“Non so quanto potrebbe esserci utile,” Cho scrollò il capo, guardando quella foto che gli lacerava il cuore. “Quelli più alti in grado sono morti quando Jane ha fatto esplodere casa sua, Stiles non sembra avere il profilo da serial killer anche se a dirla tutta io l’ho sempre considerato un sadico, ma penso sia più un voyeur che altro, e gli altri… erano tutti pesci piccoli, gente che  anche se è già uscita di galera non aveva il fegato di fare una cosa del genere.”

“Beh, qualcuno il fegato lo ha avuto…” Saeko sibilò, mentre lanciava uno dei suoi pugnali contro una rivista che mostrava il capo della setta. “E credimi, quando City Hunter avrà finito con loro, si pentiranno amaramente di aver scelto casa nostra per uccidere.”

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Capitolo 5
*** Cpitolo 4 ***


Shinjuku, appartamento di Maiko Watanabe- scena del crimine.

Dopo che il giorno precedente Saeko gli aveva mostrato quelle immagini e quel fascicolo, a Jane era mancata la volontà di andare avanti. Sapeva che quel viso non apparteneva alla sua Teresa, eppure, era come se non facesse altro che tornare indietro con la mente a quel giorno, di tanti anni prima, quando la trovò in casa, segnata dall’orribile killer, e temette di averla persa per sempre.

Aveva insistito per poter vedere dove fosse accaduto, e Saeko, dopo aver telefonato al proprietario dell’appartamento, aveva acconsentito: l’immobile, nonostante fosse passato quasi un anno dalla tragedia, era ancora sfitto, sembrava quasi che gli abitanti del quartiere volessero starne alla larga temendo che fosse maledetto.

Peggio per loro, e meglio per le indagini.

C’erano perfino ancora i sigilli, segno che nemmeno il padrone di casa non aveva più osato avventurarsi oltre quella soglia; la poliziotta sfilò dalla giarrettiera uno dei suoi amati coltelli, senza modestia né farsi alcun problema a mostrare un po’ di pelle all’americano, e li tagliò in un battibaleno, prima di aprire con una copia della chiave ed oltrepassare la porta d’ingresso.

La stanza, nonostante fosse pieno giorno, era immersa nell’oscurità, le persiane abbassate, e puzzava di vecchio, stantio, polvere e muffa e ferro- un odore che fece venire il voltastomaco a Jane, che riconobbe quell’aroma purtroppo per lui inconfondibile come sangue secco.

Nessuno aveva fatto più pulizia in quella stanza, nessuno aveva provato a dare dignità a quel luogo- perché quelle persone, nelle loro menti,  non ne davano alcuna a chi, in quel luogo, aveva trovato la morte: Maiko era una prostituta, quindi di facili costumi, magari pure tossica, e allora che problema c’era? Forse era per questo che solo a Saeko era parso importasse qualcosa di quella povera creatura, perché per i suoi colleghi era un rifiuto in meno che girava in circolazione. 

Mentre la poliziotta cercava l’interruttore, Jane accennò un sorriso: gli piaceva, quella donna. Sì, era una sensuale sirena tentatrice, e probabilmente non era restia ad usare il suo fascino per ottenere quello che voleva e manipolare le persone ad agire secondo i suoi desideri senza che nemmeno se ne accorgessero- un po’ come lui aveva sempre fatto- ma soprattutto, nonostante cercasse di apparire ligia alle regole, nascondeva un grande cuore, senso di giustizia, e lealtà verso i suoi amici. Sì, Saeko Nogami era decisamente una persona che incontrava le sue simpatie, soprattutto perché gli ricordava tanto la sua Teresa.

“Dannazione, devono aver tagliato la corrente!” La donna sibilò in giapponese, prima di mettersi a cercare qualcosa nella tasca del suo giacchino- un accendino.  Illuminò fievolmente l’ambiente circostante, e Jane, cercando di evitare i cartellini delle prove, la sagoma disegnata col gesso bianco sul pavimento, le macchie di sangue che ancora si potevano scorgere, andò ad alzare gli scuri, sperando che la luce naturale fosse abbastanza da permettergli di vedere, ed analizzare, per bene quel logo.

“Esattamente, cosa crede di trovare dopo tutti questi mesi?” Saeko gli domandò, sbuffando leggermente, le mani sui fianchi. Era sfiduciata: non credeva possibile che potessero trovare qualcosa dopo così tanto tempo.

“In Giappone le sette hanno spesso una forte influenza politica, vero?  Quindi, non c’è ragione di credere che Visualize non abbia già cercato di centrare il bersaglio e  arraffarsi qualche pupillo benpensante del vostro bel paese. Come nella Polizia- le vecchie abitudini sono dure a morire, e a Stiles è sempre piaciuto vantarsi che le forze dell’ordine credessero così tanto in lui da unirsi a frotte nella sua organizzazione.”

“Come i membri della Blake Society.” Saeko soppesò le parole, incerta di come quell’uomo imprevedibile potesse reagire alle sue deduzioni. “Perché crede che abbiano amici nelle forze dell’ordine?”

“Perché,” Jane rispose, senza guardarla in viso, senza smettere di controllare ogni singolo particolare, far passare i cuscini, i tappeti, tutto. “Qualcuno ha rotto i sigilli di ceralacca e li ha sostituiti, se osserva bene vedrà che i vecchi sigilli hanno lasciato una traccia, come un alone, ed il nostro killer, o chi per lui, non li ha allineati in modo perfetto, segno che forse ha dei problemi con il senso di profondità.”

“Ah!” Saeko, con espressione fiduciosa, si batté il pugno sul palmo della mano, soddisfatta, sentendo che finalmente avevano una pista che fosse stata decente. “Forse potremmo…”

“Chiedere i nastri delle telecamere di sorveglianza? Lo escludo.” Jane sospirò, spegnendo ogni speranza sul nascere; lo fece con una nonchalance tale che sembrava non gli importasse di spezzarle il cuore. “Quelle all’ingresso del palazzo sono finte, e a giudicare dai palazzi qui intorno, anche ce ne fossero, immagino che siano tutti sistemi a registrazione giornaliera, dubito abbiano tenuto i nastri di oltre un anno fa- ha visto come erano fragili i sigilli? Si sono subito sbriciolati appena li ha toccati. Quindi è passato parecchio da quando il killer è stato qui.”

Il cellullare di Saeko suonò, e lei si mise in disparte, parlottando al telefono con il suo interlocutore alzando gli occhi al cielo, e digrignando i denti. Jane la spiava con la coda dell’occhio, e tese l’orecchio per vedere se riuscisse a cogliere qualche parola, ma era difficile- sì, aveva imparato le basi del Giapponese, ma non era la sua lingua, ed un conto era chiedere che per favore rallentassero o ripetessero, ma origliare una conversazione era tutt’altra cosa… peccato che fosse la sua attività ludica preferita!

Non percepì chissà che cosa- le parole che era certo di aver afferrato erano “Hōō” e  un qualcosa che gli sembrava significasse non volere… quindi… quindi era il papà di Saeko al telefono! Con un sorrisetto malandrino e mordendosi le labbra per non ridere, si fermò ad osservarla, curiosa. La bella e composta poliziotta si stava a dir poco infervorando con il suo interlocutore, e qualsiasi cosa lui le avesse detto, lei non aveva alcuna voglia di fare come si presupponeva che lei agisse.

“Dannazione, brutto balordo rompiscatole, ma quando imparerà a farsi i fatti suoi!?” Sibilò mentre quasi stritolò il suo telefono in mano. Si schiarì la gola, si ricompose, e, col viso leggermente arrossato,  si avvicinò a Jane, che fingeva di essere interessato a qualcosa che poteva vedere fuori dalla finestra. “Ehm, signor Jane, purtroppo ho un contrattempo, e non possiamo restare oltre…”

Jane non disse nulla, ma si limitò a guardarla, con un'espressione da so tutto io, uno sguardo che sembrava andarle sotto alla pelle, vederle dentro, e che, francamente, la faceva rabbrividire. “Due, due ore e mezzo al massimo.” Disse, battendosi con l’indice destro sul labbro.

“Scusi?” Gli domandò, sbattendo gli occhioni, incerta.

“Il tempo che le servirà a sbarazzarsi di suo padre e dell’ennesimo pretendente. Tempo che impiegherà principalmente  in macchina, perché suo padre deve essere un alto dirigente della Polizia, per questo l’ha chiamata sul telefono del lavoro,  quindi immagino che gli piacciano gli intrallazzi e le cose belle. Non si farebbe vedere a mangiare con sua figlia qui a Shinjuku nemmeno morto.” Fece una pausa, poi le si avvicinò e le sussurrò nell’orecchio. “Suo padre vuole farla sposare, perché è molto tradizionalista, e fino a che lei non sarà sposata, non potranno farlo nemmeno le sue sorelle minori, e poi, lui vorrebbe davvero tanto diventare nonno!”

“Ma come ha fatto a…”

“Si è sfregata l’anulare sinistro come se si stesse rigirando una fede.”  le rispose, facendole l’occhiolino, e dandole una pacca sulla spalla. “Vada pure da suo padre, un paio d’ore da solo, chiuso in una stanza da solo…. posso cavarmela benissimo! L’aspetto qui.”

Facendogli un leggero inchino, Saeko fece cenno di acconsentire col capo, ed uscì a passo veloce dal decrepito stabile.

 

Shinjuku, sede di Visualize

“Salve Ryosuke, sono Maya, fratello Stiles la sta aspettando…” Appena ebbe varcato la soglia dell’imponente palazzone, Ryo venne subito intercettato da una stupenda donna, a cui riservò un sorriso smagliante, seduttivo; lei, lo guardò, civettuola, camminando, muovendo sinuosa le anche con falsa naturalezza.

Ed ecco un’altra cosa che i leader delle sette sembravano apprezzare: bellissime donne, con corpo da modelle. Peccato che Maya non facesse più per lui: troppo finta, costruita, una pin-up da copertina che andava bene sulla carta stampata, ma null’altro, perché se toglieva le extension, le ciglia finte, le unghie artificiali, le tette rifatte, la rinoplastica… e cos’altro? Labbra a canotto? Probabilmente anche lenti a contatto colorate… beh, tolto tutto, cosa restava di lei?

Nulla. Non come Kaori, che era bella nella sua semplicità, nella sua freschezza, nel suo essere acqua e sapone.

“Ryosuke, sono felice di rivederti,” Stiles lo salutò, stringendogli la mano- presa forte, maschia, da elemento alfa, non male per un vecchietto. “Sono felice che tu sia qui.”

“Anch’io,” Ryo  gli sorrise, con un mezzo ghigno sul volto, senza lasciare andare la presa. “Apprezzo molto il tempo che mi sta dedicando.”

“Amo dedicarmi a tutti i miei nuovi studenti, Ryosuke, e devo dire…” Stiles lasciò la presa, e scrollò le spalle, mentre si mise a guardare la vista dalla finestra del palazzo, dando la schiena a Ryo, dimostrandogli a fatti che non lo temeva. Osservò la frenetica città, persa nelle sue contraddizioni, e sospirò, sentendosi come in cima al mondo, come se, con quel palazzo, avesse costruito non solo muri, ma anche potere, fama e controllo. “Devo dire che ho pensato molto a quello di cui abbiamo parlato ieri, sulle nostre capacità di scelta, e io credo di poterti aiutare…”

“Davvero?” Stravaccato su una delle poltrone, Ryo a malapena si trattenne dal mandarlo a quel paese. Quell’emerito truffatore non era meglio di falsi sensitivi e di quei pseudo-dottori che nel selvaggio West vendevano olio di serpente per curare la Tubercolosi…

“Sì, ragazzo mio. Posso trasmetterti la mia conoscenza, le tecniche che ti permetteranno di accedere ad aree del tuo subconscio che governano la capacità decisionale ed i desideri… ad esempio, c’è l'ipnosi, oppure…” gli si sedette accanto, e lo afferrò per una spalla, stringendola con forza, ma cercando di trasmettere un messaggio rassicurante. “C’è una cosa che potremmo provare, che credo troverai davvero molto interessante. Se hai un po’ di tempo da dedicarmi, ho una sorpresa per te, ragazzo mio…”

Negozio di moda di Eriko Kitahara

“Beh, ma si può sapere cosa diavolo ti prende? Ormai è quasi una settimana che sei sempre così mogia….” Eriko, appoggiata contro uno stand di abiti, guardò la sua migliore amica, ripiegare con cura una camicetta prima di riporla dentro un armadietto. Kaori si limitò a sospirare, gli occhi tristi, quasi vuoti. Negli ultimi mesi, Eriko lo aveva notato, il comportamento della sua migliore amica era drasticamente cambiato: passava sempre meno tempo con Ryo ed il resto della loro allegra brigata, sempre più tempo con lei, ma soprattutto, si era fatta una volta più silenziosa e triste. I suoi occhi avevano perso quella scintilla di luminosità, e la stilista, in tutta onestà, non ricordava nemmeno più quando l’avesse sentita ridere l’ultima volta.

“Non è nulla,” Kaori rispose, cercando di sorridere e dissimulare le sue vere emozioni, celate dietro una maschera. “Sono solo di cattivo umore. Forse deve venirmi il ciclo.”

“Kaori…” Eriko le si avvicinò; si guardò attorno con fare circospetto, per essere sicura che non ci fosse nessuno in negozio oltre a loro, e la afferrò per la spalla, costringendola a guardarla negli occhi. “Kaori, non dirmi idiozie. Lo so quando stai davvero male. Sentiamo, cosa ha fatto Ryo stavolta?”

“Ha solo messo in chiaro come stanno le cose tra noi,” la rossa ammise, con gli occhi lucidi con lacrime che non aveva alcuna intenzione di versare, non davanti ad un'altra persona. “Ho trovato una ragazza nuda nel suo letto, tutto qui. Avrei dovuto capire che non era interessato a me, però…”

Kaori si asciugò le lacrime; in realtà, quella non era l’unica cosa a preoccuparla; sì, lui le aveva spezzato il cuore, ma a darle da pensare era quell’uomo che aveva incontrato quando era “fuggita” da casa, quella fatale mattina… gli occhi, il sorrisetto, come non sembrava volerla lasciare andare… era stato inquietante, e poi, da allora, aveva spesso avuto la sensazione di essere seguita, che qualcuno la osservasse, ma ogni volta che si era voltata, non aveva mai trovato nessuno, e si era convinta che fosse solo auto-suggestione.

La campanella sopra la porta trillò, e Kaori, ricomponendosi e mettendosi a posto la divisa, cinguettò il suo benvenuto al nuovo avventore; lo raggiunse, ed ebbe un attimo di esitazione davanti all’occidentale, perché aveva la netta sensazione di averlo già visto da qualche parte, ma non sapeva dire dove, esattamente. Tuttavia, si dette della stupida da sola: Tokyo era piena di uomini d’affari occidentali, dopo tutto, e poi, quell’uomo aveva una vistosa cicatrice sul lato destro del viso, che tuttavia non lo rendeva spaventoso o rivoltante, ma anzi, gli dava un’aria misteriosa, seducente…come qualcosa di prezioso e antico.

“Salve, sono Kaori, e la assisterò con le sue spese. In cosa posso esserle utile?” Gli domandò, sforzandosi di sorridere ed apparire naturale.

L’uomo prese a guardarsi intorno, con vivo interesse, e le trasmise quasi una sensazione di pace e tranquillità: decise che doveva essersi sbagliata, e anche di grosso… aveva quasi un’aura… rassicurante.

“Sa, sono l’assistente personale di un vecchio e arcigno miliardario, e quel vecchio balordo mi ha trascinato qui a Tokyo dall’oggi al domani senza nemmeno darmi tempo di preparare qualcosa…. e per di più, mi sono perso un importante anniversario con la mia fidanzata.” Le disse, con sguardo sognante, mentre sfiorava la soffice seta di un delicato capo spalla. “Per farmi perdonare, avevo pensato di comprarle qualcosa di abbigliamento, che fosse di alta classe, sartoria ed esclusivo, che nessuna delle sue amiche abbia mai posseduto… crede di potermi aiutare, Kaori?”

“Sono certa di sì…. mi dica, aveva in mente qualcosa di particolare? Un accessorio, un abito…. magari una camicetta…”

“Teresa,” iniziò lui, guardando le persone che camminavano nelle vie affollate di Shinjuku, quasi sovrappensiero, le mani in tasca. “Si chiama Teresa, ha lunghi capelli castani mossi, anche se lei si ostina a lisciarli, dei meravigliosi occhi verdi, grandi, un po’ come i suoi, ed è piccolina, solo un metro e sessanta… ma io la amo dal primo giorno che l’ho vista.”

Kaori si rabbuiò, e, con le mani incrociate sul ventre, abbassò lo sguardo, mentre una lacrima traditrice le lasciava gli occhi. Doveva essere bello, pensò, un amore del genere, avere un uomo che provava così tanto affetto e dedizione… lei, lo avrebbe mai trovato? Sarebbe mai stata in grado di allontanarsi da Ryo?

“Lei, invece, soffre per amore, vero? Il suo cuore è spezzato, sente il bisogno di fare una scelta per uscire da questo tunnel, da una relazione infelice che non è altro che un circolo vizioso…”

Kaori sussultò, il fiato le mancò in gola  quando quello sconosciuto prese a guardarla come se le stesse leggendo dentro, ed in quel momento, seppe di aver avuto ragione. “Oh, a proposito… lei non mi ha detto come si chiama, vero?” Domandò, nel disperato tentativo di guadagnare tempo, o cambiare anche solo argomento.

“No, infatti, non mi sono ancora presentato…” Le afferrò la mano, e la trascinò vicino a sé, strattonandola. La fissò negli occhi, lo sguardo gelido, sicuro, e prese a disegnare col pollice dei ghirigori regolari sulla pelle. Kaori socchiuse le labbra, e fu incapace di smettere di fissare ciò che l’uomo stava facendo. “Brava bambina, Kaori, adesso ascoltami bene…”

 

Sede di Visualize

Ryo fischiò in segno di apprezzamento quando un estremamente eccitato Stiles lo condusse in una stanza buia, illuminata solo da una luce blu ad infrarossi,  insonorizzata con eleganti pannelli di sughero riccamente lavorati. All’interno, non c’era nulla, tranne una specie di astronave a forma d’uovo con, stampato sopra, il logo dell'organizzazione.

Cristo, ci mancava solo il santone che vuole mandarci tutti a vivere su un altro pianeta dopo la morte…

“Carina. Sarebbe?” Chiese scettico, a malapena resistendo all’istinto di prendere a calci quell’affare.

“Quest’affare, come lo chiami tu, è una capsula del galleggiamento.” Sorrise, stringendo la spalla a Ryo con fare amichevole, mentre apriva la macchina schiacciando un pulsante su di un telecomando. Ryo osò uno sguardo all’arnese: era quasi interamente piena di un liquido che appariva a prima vista come acqua. “Aiuta a visualizzare, a concentrarsi, e credo che possa aiutarti a capire perché stai lottando così tanto per trovare la tua strada, perché non vuoi abbracciare il tuo destino.”

Ryo sussultò, voltando gli sfuggevoli occhi neri verso l’arcigno vecchietto, la voce tremante. Forse, forse, poteva prendere due piccioni con una fava, fermare Stiles e finalmente avere le idee chiare su cosa fosse accaduto, e se lo avesse scoperto, ne avrebbe potuto parlare con Kaori, le avrebbe spiegato, e poi, e poi… poi, finalmente finita quella storia e consegnato alla giustizia- sua o di Saeko, non aveva ancora deciso- l’assassino di Shinjuku, le avrebbe confessato cosa provava per lei, sarebbe stato onesto e avrebbe dato ad entrambi la possibilità di vivere il loro sentimento.

“Crede…” ingioiò, pugni chiusi e occhi che andavano all’acqua che, quieta, si muoveva sensualmente all’interno del marchingegno. “Crede che potrebbe aiutarmi a concentrarmi su… su un ricordo che credo di aver perso?”

“Sì, figliolo, ti accompagnerò io in questo percorso, sarò in contatto con te da questo pannello. Ti ho già fatto preparare un costume da bagno, non vogliamo rovinare quei bei vestiti, vero?”

Stiles scoppiò a ridere, e diede una sonora pacca sulla schiena a Ryo, indicandogli un separé in bambù e carta di riso, dall’aria estremamente antica e ricercata- lo aveva già detto che al vecchio piacevano le cose belle?

Ryo si cambiò, con calma e tranquillità, e nascose sotto alla seduta della sedia il coltello che si era portato dietro, ed indossò quel costume che, se doveva essere sincero, a lui sembrava più un paio di boxer neri. Seguendo Stiles ed assecondandolo, entrò cautamente all’interno di quel “veicolo”, e vi si coricò, come se stesse facendo il morto in mare. Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro, e si preparò ad avvertire il coperchio che si chiudeva su di lui. 

“Allora Ryosuke, come ti senti?” Stiles gli chiese, con la voce che gli giungeva ovattata dall’altoparlante.

“Diciamo che è strano, ma sono stato in posti peggiori, che tu mi creda o no.” Ed era stranamente piacevole: la voce del gota era l’unica cosa che gli giungesse dall’esterno, salvo quello, era cullato da quella acque tiepide in cui galleggiava, e distrattamente si chiese se fosse quello che aveva provato nel grembo di sua madre, prima di nascere.

“Apri la tua mente, Ryo, permettile di svelarti le sue verità ed i suoi segreti…”

Ryo si lasciò andare, ed inspirò a fondo, mentre ciocche di capelli neri galleggiavano nel liquido, tornò alla mente al quel giorno, cercò di vincere le ritrosie e le barriere del suo subconscio, dovute ai fumi dell’alcol, ed a spezzoni, come in frammentari flash-back, rivide cos’era successo…

Mick che lo trascinava per locali, ma non aveva voglia, tuttavia, c’era troppa tensione a casa e non se la sentiva di restare solo con Kaori…

Il suo migliore amico che prima lo canzonava, poi lo aspramente criticava, e poi quella frase, fredda, cinica, spietata, offensiva- soprattutto verso Kaori. “Ho rinunciato a lei perché credevo la amassi, ma forse mi sono sbagliato. Forse farei meglio a mollare Kazue una volta per tutte e dedicarmi alle grazie della cara Kaori. Scommetto che è così stufa di aspettare un principe azzurro che tanto non arriverà mai che mi supplicherà di scoparla.”

La scazzottata.

Vedere una ragazza, una brunetta niente male,  che fuggiva da due bruti che la volevano derubare, e firmare una quiete temporanea per salvarla.

Lei che gli offriva da bere per farsi perdonare. Bere per locali, poi continuare a casa perché in giro non c’era più nessuno che li volesse servire, e addormentarsi completamente sbronzi a letto, lui che si spogliava perché aveva caldo, tanto caldo...

Svegliarsi la mattina quando Kaori era entrata in stanza, che profumava di zucchero e vaniglia, col desiderio di abbracciarla e baciarla.

E poi, lui, che le spezzava il cuore, inconsapevolmente.

Ryo spalancò gli occhi, la bocca graziata da un leggero sorriso, e sospirò di sollievo: non era successo nulla, non si era dato a quella ragazzina e non aveva tradito Kaori- perché, anche se lei ancora non lo aveva capito appieno, loro si appartenevano reciprocamente, e adesso lui l’avrebbe informata, per bene, e sarebbe stato onesto, una volta per tutte, nessun passo indietro, niente ripensamenti: voleva solo proiettarsi al futuro.

La temperatura all’interno della “cosa” si abbassò improvvisamente, e la tranquilla luce azzurrina si trasformò in un bollente rosso fuoco che gli martellava gli occhi e la testa, dandogli un senso di oppressione e soffocamento, quasi fosse stato prigioniero di un incendio. E fu allora che si rese conto di una cosa: Stiles lo aveva chiamato col suo vero nome. Ryo.

Non poteva essere un caso: Stiles sapeva.

Digrignando i denti, prese a colpire alla cieca con i pugni chiusi quella mostruosità in cui si trovava prigioniero, ma invece che leggero, gli appariva che il suo corpo fosse pesante, e sprofondasse verso il basso. Era in trappola, e la cosa peggiore era che ci fosse cascato in toto. Si era fatto abbindolare, perché aveva ritenuto il vecchietto troppo deboluccio e codardo per fare del male a qualcuno, ma evidentemente, si sbagliava.

“Bene, e adesso, Ryo, perché non mi dici la verità? Perché sei qui, e soprattutto, chi ti manda? L’FBI? La polizia di Tokyo, quella… come si chiama? Nogami, vero? Una tua amichetta, se non sbaglio.” Fece una lunga pausa, e Ryo credette di avvertirlo che camminava intorno a quella capsula; se lo poteva quasi immaginare, soddisfatto, tronfio, le mani giunte dietro alla schiena. “Sappiamo chi sei, City Hunter… quello che non so è cosa pensavi di trovare qui…”

L’acqua si scaldò, e Ryo credette di vedere delle bolle formarsi sulla superficie, e temette che Stiles volesse farlo cuocere; il livello si alzò allo stesso tempo, e lui, galleggiando, stava ormai sfiorando il soffitto di quella capsula. Sapendo quanto fosse limitato l’ossigeno in quello spazio angusto, Ryo fece del suo meglio per restare calmo, stringendo i denti , tuttavia quella cosa era sigillata ermeticamente dall’esterno, e solo una forza erculea- o la pistola che non aveva con sé- avrebbero potuto aiutarlo a fuggire.

L’acqua gli sfiorò i lobi delle orecchie, e Ryo prese un grosso respiro, sapendo cosa da lì a poco sarebbe accaduto, certo tuttavia che sarebbe stato inutile: sarebbe morto, o soffocato, o annegato, e avrebbe lasciato Kaori col cuore spezzato, ed il tutto perché era sempre stato un codardo: poteva sfidare un intero plotone da solo, ma quando era il suo cuore ad essere in gioco, tutto andava a puttane.

Il liquido riempì interamente la capsula, e Ryo andò a fondo, per la prima volta guardava in faccia la morte e sapeva di non essere pronto ad affrontarla, per la prima volta desiderava vivere.

Per lei. Per vivere al fianco della donna che amava. Di Kaori.

Le luci si spensero, e Ryo fu avvolto dalle tenebre, un attimo prima che il coperchio si aprisse. Si erse, eretto, grondante acqua, in quello spazio ristretto, i polmoni che gli bruciavano, i muscoli indolenziti, e guardò con odio Stiles, desiderando piantargli il coltello nel cuore, bramando vendetta, conscio che si era sbagliato: era pericoloso, come e più di un killer armato di coltello, perché non accettava che il suo potere assoluto fosse messo in discussione, che qualcuno potesse anche solo lontanamente pensare di portargli via ciò che riteneva suo di diritto.

“Vattene, Saeba, e non tornare mai più qui.” Contornato da guardie armate, il vecchio gli lanciò disgustato i suoi vestiti, come fossero stati vecchi stracci lisi. In condizioni normali, avrebbe potuto stenderli facilmente, ma lo shock per il suo corpo era stato troppo forte, era quasi annegato, e doveva riprendersi; con gli occhi ardenti, voltò le spalle all’uomo, e mentre camminava verso l’uscita della sede della setta, si rivestì; la pelle ed i capelli bagnati impregnavano il tessuto, rendendolo pesante, come avesse un macigno che lo accompagnava, passo a passo.

Una volta fuori, si voltò verso il palazzone, e guardò in direzione dell’ultimo piano, dell’ufficio di Stiles, e fu quasi del tutto certo che i loro sguardi, in quell’istante, si stessero incrociando in un’espressione di sfida.

Palpando le tasche della giacca, cercò il cellulare usa e getta che Saeko gli aveva consegnato per la durata del caso, ma non lo trovò: grazie al cielo dentro non c’erano informazioni, ed aveva abilmente cancellato tanto le chiamate ricevute quanto quelle effettuate, ma era comunque una seccatura: adesso, gli sarebbe stato utile per avvertire Mick e gli altri.

Perché se Stiles sapeva, allora…. allora, erano tutti in pericolo. Dal primo all’ultimo.

Appartamento di Maiko Watanabe

Jane era rimasto seduto nell’appartamento per ore, cercando di capire cosa fosse successo in quel luogo, cercando di entrare nella mente del killer, ma senza successo- evidentemente, aveva ancora un briciolo di decenza dentro di sé, e non era un completo sociopatico, come gli aveva sempre detto il padre per spronarlo a spennare tanti più polli possibili.

Sbuffò, rammaricandosi che purtroppo Saeko avesse avuto ragione, e che ormai fosse tardi: il tempo, il decadimento naturale della materia avevano cancellato ogni possibile indizio che fosse potuto sfuggire alla scientifica.

Il rumore di un treno- la stazione era proprio lì accanto- con la sua sirena, lo stridio dei binari, rapirono la sua attenzione per un attimo, e lui, nonostante ciò che era accaduto in quel luogo, sorrise, ripensando a quando aveva portato Charlotte, la sua amata figlia scomparsa, a vedere i treni che passavano quando aveva solo un anno o giù di lì, le sue risate… e pianse, lacrime calde che gli scorrevano sulle guance, al pensiero di lei, per il desiderio di poter fare lo stesso con il suo bambino. Era così preso dai ricordi e dalle speranze che non avvertì la presenza alle sue spalle fino a che non ricevette il colpo in testa- un vaso che andò in frantumi- e dopo, non poté fare altro che strisciare a terra, la testa che gli girava. Si voltò, proteggendosi il capo con le mani, sperando anche di dare un nome, o perlomeno un volto, al suo assalitore, ma vedeva solo una silhouette nera contornata dalla luce del sole basso che entrava dalla finestra.

E aveva una pistola in mano- forse solo una precauzione nel caso lui avesse opposto resistenza, come stava effettivamente accadendo. Più o meno.

Jane vide il movimento del dito sul grilletto, pronto a sparare, quando l’uomo misterioso gridò di dolore, accasciandosi a terra, tenendosi il braccio dolente al petto, prima di fuggire, gettandosi dalla finestra, ed il mentalista, con un sospiro di sollievo, si permise di perdere i sensi, una volta che nel suo campo visivo entrò la ben riconoscibile sagoma di Saeko Nogami, che, telefono alla mano, si sporse dalla finestra per guardare cosa fosse accaduto all’uomo misterioso, sperando quasi che si fosse rotto l’osso del collo.

Purtroppo, non era così, dovette constatare a denti stretti: il balordo si era gettato proprio dentro un cassonetto, riempito all’inverosimile di sacchi che avevano attutito la sua caduta, permettendogli la fuga. La scia di sangue, causata dalla ferita del suo coltello, era però ben visibile, e avrebbe fatto loro comodo sapere come e dove era ferito per rintracciarlo, ma soprattutto identificarlo all’interno della maledetta setta.

“Come sta?” Chiese una voce femminile in inglese, avvicinandosi alla finestra e voltandosi verso Jane, che tentò di alzare leggermente il capo, strizzando gli occhi, in direzione delle due donne; Saeko si limitò ad  un’alzata di spalle.

“Posso spiegarti tutto…” Jane biascicò, in direzione della nuova venuta.

“Se avessi un dollaro per tutte le volte che me lo hai detto, a quest’ora sarei milionaria…”  La donna sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Allora, non hanno ancora risposto?”  Non aveva ancora finito la frase che gli occhi di Saeko brillarono quando finalmente la linea smise di suonare dall’altra parte, e la persona che stava cercando rispose.

“Mick, sono Saeko, abbiamo Jane, ma lo hanno conciato per le feste, dovremo portarlo dal Professore. Notizie di Ryo? Non risponde all’usa e getta che gli avevo dato...” disse, freddamente, poi, quando lui le dette la notizia successiva, il telefono le cadde di mano, sfracellandosi a terra, il delicato vetro ridotto ad una ragnatela di schegge mentre lei, col cuore a mille ed il corpo freddo, guardava nel vuoto, con gli occhi spalancati…

Kaori era sparita: di lei, non c’era più traccia.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Shinjuku, sede di Visualize

“Si può sapere dove diavolo sei stato?” Stiles irruppe nel suo ufficio nella sede di Visualize, e si diresse verso la scrivania di elegante legno di noce, che trovò già occupata; il suo “rampollo” se ne stava stravaccato sulla poltrona in stile Inglese, con tanto di caviglie incrociate sull’elegante piano di cuoio, come se tutto gli fosse dovuto, come se tutto fosse già suo. Era calmo e pacato, sicuro di sé, e teneva le mani bellamente incrociate sullo stomaco, in una posizione che denotava rilassamento e fiducia nelle proprie capacità. “Mi devi la vita, razza di scarafaggio che non sei altro, e ti conviene portarmi il dovuto rispetto se non vuoi…”

Stiles puntò il dito verso l’uomo, sibilando a denti stretti le parole con tono minaccioso ed occhi velati di rosso; non finì la frase, perché cosa volesse dire era ben chiaro ad entrambi.

“Non ti hanno insegnato a stare attento a cosa dici davanti ad una signora?” L’uomo con la cicatrice sul volto fece un cenno verso il divano nell’angolo, e Stiles si voltò, trovando, seduta con le mani in grembo, la pecorella dai capelli rossi che tanto lo aveva affascinato: Kaori Makimura.

“Che cosa ci fa lei qui?” Tuonò, sbattendo un pugno sul piano della scrivania che fece tintinnare i vari ninnoli che vi erano posati sopra. “Lei non è uno dei tuoi giocattoli!”

“Ti ricorda Grace VanPelt, vero? Quella graziosa rossa che non sei mai riuscito a scordare e che non hai mai avuto…” sospirò, con uno sguardo a metà tra il sognante e l’ironico, ridendo del suo avversario. “Neanche facendola sedurre dal tuo cocco sei riuscito a farla vacillare, la sua vera fede era troppo solida. E alla fine hai perso uno dei tuoi accoliti migliori.”

Il viso di Stiles era come una roccia: sembrava che niente potesse farlo vacillare, ferirlo, intimorirlo… Raggiunse il più giovane uomo dall’altra parte della scrivania e gli afferrò le caviglie, spostandole con determinazione ed una forza insolita per un uomo  della sua età, ma non lui, che aveva una volontà di ferro ed un controllo completo sul suo corpo grazie alla sua indomita mente.

“Ti conviene fare attenzione, figliolo…” si limitò a dire, con un’espressione che valeva ben più di mille parole.

“Non chiamarmi figliolo, Bret.” L’uomo sibilò, sbattendo il pugno sul tavolino con rabbia cieca. “Timothy Ferragut era mio padre, e tu l’ha lasciato morire per poter prendere il suo posto alla guida di questo circo!”

“Tuo padre si è ubriacato ed ha bruciato uno stop, non dare a me colpe di altri…” La voce di Stiles era poco più di un sibilo.

“Mio padre era astemio, tu l’ha convinto a bere e salire su quella macchina, con i tuoi maledetti trucchetti mentali…” si mise in piedi, e mentre camminava per la stanza, scoppiò a ridere, di una risata pazza, maniacale. “E vuoi sapere una cosa? Anche se ho sempre saputo che eri tu che avevi ucciso mio padre, io stesso ho imparato tutti i trucchi del mestiere: guardala!” in modo teatrale, indicò Kaori, seduta sempre nella stessa medesima posizione, gli occhi bassi e vitrei, quasi fossero privi di vita. “Arrendevole e silenziosa, proprio come piacciono a te. Non sei contento?”

“Dobbiamo… devi lasciarla andare. Non ricorderà nulla e sarà come se niente fosse successo… ma lei deve andarsene, non fa parte dei nostri piani.” Stiles prese un respiro profondo e mise una mano sulla spalla del giovane; cercò i suoi occhi, e parlò con voce quasi implorante mentre stringeva il tessuto della giacca elegante. “Ed il suo partner è già venuto a ficcare il naso in giro. Quell’uomo è pericoloso, potrebbe essere la nostra rovina.”

“Sì, Saeba… mi hanno detto che era stato qui… anzi, ti aveva preparato una bella sorpresa, ma purtroppo non aveva avuto il tempo di farti vedere cosa aveva preparato per te…” L’uomo con la cicatrice proruppe in una fragorosa risata mentre scostava Stiles con un gesto quasi di stizza, andando ad osservare Shinjuku e Tokyo dall’ampia vetrata.

“Dalla morte di mio padre, mia madre ed io abbiamo sempre fatto come volevi tu. Abbiamo seguito i tuoi insegnamenti, ed i tuoi ordini. Volevi che ci facessimo da parte? Pronti! Ti serviva qualcuno nelle forze dell’ordine per tenerle d’occhio? Io mi sono creato il curriculum perfetto, ho persino cambiato nome per te e questo… pozzo di ipocrisia!!” Si voltò verso Stiles, la sua voce era ferrea e velenosa, colma di rabbia. Prese a camminare verso l’uomo che per lui era stato come un padre-padrone, e che si era macchiato della morte di colui che gli aveva dato realmente la vita. Cos’altro nascondeva Stiles, si chiese? Ma soprattutto, come sarebbe potuta essere la sua vita se Timothy Farragut non avesse bruciato quello stop? “Mi sono insinuato nella vita di Teresa per farla mia, perché tu volevi che lei e Jane fossero tenuti d’occhio, e quando stavo per averla, tu hai preferito quello… quel numero da baraccone a me! ME!”

“Figliolo…” Stiles prese a camminare verso il muro, le mani alzate come a creare una barriera, per quanto flebile, tra lui e quell’uomo sul cui volto leggeva determinazione e rancore.

“Non. Chiamarmi. Figliolo!”  Fu ammonito, prima che l’altro iniziasse a ridacchiare. “Diciamoci la verità, a te rode che lei sia mia, ora. Tu l’avresti voluta tutta per te. Ma sai che ti dico? Tu e questi pezzenti mi avete fatto penare una vita intera, mi meritavo un giochino nuovo…. e me lo sono preso!”

“UN GIOCHINO?!” Stiles urlò con tutto il fiato che aveva in gola, richiamando l’attenzione di David e di Jason Cooper, il suo vicario, che irruppero nello studio facendo sbattere le porte contro il muro. “Non avrei dovuto permettere a McAllister di farti entrare nella sua cricca, quel pazzo non aveva mai capito nulla, non sapeva guardare più in là del suo naso.”

Ormai faccia a faccia, Stiles strinse i denti e serrò i pugni, fissando con odio quel giovane che continuava a guardarlo con aria di sfida, come se lo stesse prendendo in giro. “Avrei dovuto ascoltare il mio istinto e uccidere  anche te e quella vacca di tua madre, stronzetto che non sei altro.”

“Forse avresti fatto bene a farlo.” Alla nomina della madre, l’uomo vide rosso, e schiaffeggiò il leader della setta con tutta la forza che aveva, così forte che l’anziano perse l’equilibrio ed andò  sbattere contro il muro, vacillando. Stiles, barcollando, gli si lanciò incontro, ed il giovane non provò nemmeno ad evitarlo, anzi, lo accolse nelle sue braccia… piantandogli nello stomaco il coltello che Ryo aveva nascosto nel palazzo giorni prima. Stiles cadde a terra, tenendosi la ferita, disperatamente cercando di arginare l'emorragia, ma tuttavia, c’era ben poco che potesse fare: sentiva sempre di più le forze venirgli meno, la sua vista si faceva sempre più sfocata, e sentiva freddo, un freddo che non aveva mai sentito prima di allora.

Fece per rialzarsi, ma il giovane gli diede un calcio nella pancia, il suono sordo, forte, potente, come se avesse colpito un pallone da calcio. “Scordatelo, padrone… adesso i giochi li conduco io… come sarebbe dovuto sempre essere!” sibilò, continuando a prenderlo a calci, fino a che Stiles non rantolò, il sangue gli colava dall’angolo delle labbra e gli occhi, cerulei, che fissavano, spalancati e senza vita, il soffitto.

Il giovane, col viso macchiato da schizzi di sangue, si sistemò la giacca e strinse il nodo della cravatta, e pulì il coltello sulla manica della giacca, incurante delle striature vermiglie che lasciò sul prezioso tessuto, e posò il coltello con delicatezza e quasi dedizione sulla scrivania, fissando l’oggetto orgoglioso, sospirando.

“Avete forse qualcosa da dire?” Non si voltò nemmeno a guardarli, mentre faceva schioccare la lingua, ma i due uomini rimasero in silenzio, ed egli lo  interpretò come una forma di assenso. Sorrise compiaciuto, gonfiando il petto. “David, sbarazzati del corpo. E Jason… diffondi la notizia che Padre Stiles è momentaneamente indisposto e lascia al figlio di Timothy Ferragut, che è finalmente è tornato all’ovile, la cura della creatura di suo padre.”

Mentre gli uomini se ne andavano trascinando il corpo privo di vita e lasciando una scia di sangue sul lindo pavimento di marmo, il giovane Ferragut si avvicinò a Kaori e le diede un buffetto sulla guancia, senza guardarla in viso.

“Ah, Kaori, Kaori, Kaori… cosa ne farò di te e del tuo innamorato?” sussurrò, la sua voce era così bassa che pareva quasi stesse parlando tra sé e sé. “Chissà… forse potrei farvi risorgere dalle ceneri… anzi, mia bella dea dell’amore, mi hai fatto venire proprio una bella idea...”

Perso tra le parole del suo pazzo monologo, non vide la singola lacrima che le scendeva dall’angolo dell’occhio.

Tokyo, la casa/clinica del Professore

Ai due lati opposti della casa che fungeva anche da clinica all’enigmatico anziano che molti anni prima aveva salvato la vita ad un Ryo ancora ragazzino, due persone urlavano, ringhiando il loro disappunto e la loro delusione, un uomo e una donna.

Da una parte, Ryo, che percorreva i corridoi della clinica fumando come una ciminiera una sigaretta dietro l’altra, passandosi le mani tra i capelli ed infierendo contro tutti - Falcon per averli ficcati in quel casino con il suo amico, Saeko per non essere stata in grado di risolvere da sola quegli omicidi, Mick per aver perso Kaori- dall’altra, in una stanza, con Kazue che gli stava medicando la testa, c’era Jane; seduto sul letto con una borsa del ghiaccio, cercava di alzare gli occhi al cielo nonostante il dolore che gli procurava alle parole della donna che se ne stava con le mani sui fianchi davanti a lui, a braccia incrociate, con uno sguardo che sembrava urlare mammina delusa; nonostante la situazione, Saeko trovava il tutto quasi surreale, e non poteva fare a meno di ridacchiare sotto ai baffi a quella curiosa visione: si era abituata, in quei pochi giorni, a vedere in Jane un uomo freddo, composto, cinico e a momenti crudele. Eppure… eppure, stava mettendo il muso come un bimbetto qualsiasi alla vista di quella donna.

“Non che non siamo grati di averti qui, capo, ma come hai fatto a sapere dove trovarci?” Cho le domandò a braccia incrociate.

“Non lo so, Cho, forse che ho passato più di metà della mia vita nelle forze dell’ordine e magari qualcosa l’ho imparato? O magari, semplicemente, immaginare che mio marito abbia fatto un’idiozia abissale e mi abbia mentito ancora, di nuovo, nonostante tutte le sue belle parole, per uno qualsiasi dei suoi motivi idioti è la mia forma mentale?” Fece una pausa, sospirando ad occhi chiusi. “Sinceramente, che nessuno di voi abbia pensato che forse avrei potuto fare qualche domanda in giro quando questo buffone non mi ha risposto al telefono… nemmeno fossi stata una cretina. E per di più, avete parlato con Whiley? Quel ragazzo non è in grado di mantenere un segreto quando è sotto pressione, soprattutto quando sono io ad interrogarlo. Potevate almeno scegliere un complice più decente.”

“Senti, lo so che sei arrabbiata, ma stavolta, Teresa, posso davvero spiegarti tutto,” cercò di giustificarsi il consulente dell’FBI. “Sul serio.”

“Non me ne frega un accidenti di cosa mi puoi o non mi puoi spiegare, Jane.” Sibilò il suo cognome, tanto per fargli capire quanto fosse arrabbiata con lui e delusa dal suo comportamento, ferita; a volte, le sembrava che per quanti passi avanti facesse con lui, ne facessero altrettanti indietro. “Da te ormai mi aspetto di tutto e di più, anche se avrei sperato che da uomo sposato e padre di famiglia, prima di prendere un aereo per volare dall'altra parte del mondo e mettere in apprensione un serial killer e farlo agire più velocemente, mi avresti perlomeno informata invece di sparare cazzate…”

Il mentalista si morse l’interno della guancia; la cattolicissima Teresa aveva smesso di fare attenzione al linguaggio: ciò significava che era davvero molto arrabbiata e che ci avrebbe davvero messo un po’ a farsi perdonare; prevedeva un lungo periodo da passare a dormire sul divano, una volta tornati ad Austin.

“...Ma voi due? Si può sapere cosa diavolo vi è saltato in mente di lasciarvi trascinare in questa faccenda da questo emerito imbecille?” Teresa sbraitò, in direzione di Abbott e Cho, che stavano con le mani in tasca e il capo chino, pronti ad essere sgridati per le feste. “Cho, quando sei riuscito ad entrare all’accademia di Quantico dicevi sempre che a causa sua…” indicò il marito senza guardarlo negli occhi, facendolo sentire piccolo ed inutile. “Avevi faticato molto di più degli altri cadetti perché, solo per essere suo collega, venivi additato come una testa calda. E lei, Abbott… lei è l’uomo che era così ligio al dovere che ha distrutto dalle fondamenta l'intero corpo di polizia statale della California, lei è sempre stato ligio alle regole… e cosa mi fa? Fate l’allegro trio e ve ne venite in Giappone a seguire Stiles senza un piano!”

“Ehy, noi avevamo un piano!” Jane sbuffò, alzando la voce con un acuto che gli provocò un attacco di emicrania, un dolore pulsante al livello delle sopracciglia. La sua “squadra” si voltò a guardarlo con disappunto, mentre Saeko si limitò a fare un sorrisetto e sollevare un sopracciglio, divertita da quel teatrino dell’assurdo che tutto sommato le stava risollevando l’animo.

“Va bene, d’accordo, non era proprio un piano, era… una bozza di piano. Un’idea.”

Teresa rimase in silenzio, considerando cosa dire; non voleva essere cattiva o offensiva, ma la tentazione di riversare addosso a Jane velenose parole al vetriolo cariche della frustrazione di anni, accumulatesi con ogni idiozia che lui aveva la brillante idea di mettere in campo era davvero molto forte.

Stringendo la croce che aveva al collo, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, cercando di ritrovare la sua stabilità emotiva, per quanto buona parte del suo equilibrio mentale fosse, parole sue, volato fuori dalla finestra quando aveva incontrato il cretino che aveva finito con lo sposare.

“Jane, saltare su aereo per investigare una serie di omicidi apparentemente non collegati che potrebbe o no essere collegato a Visualize ed intrufolarti sulla scena di uno dei crimini perché nei film di Hitchcock l’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto non è un piano, è un comportamento maniacale di un uomo che ha problemi con la fiducia, con le autorità e con la giustizia.” Gli disse con una calma che era lungi dal provare realmente. “Un piano, è chiedere al tuo capo di contattare l’ispettrice Nogami, che tra l’altro ti ha salvato le chiappe quindi vedi di ringraziarla, per confrontare le ipotesi investigative e le prove. Poi si sale su un aereo e si vola dall'altra parte del mondo, preferibilmente dopo averlo detto alla donna che si è sposato, la stessa donna che, vorrei ricordarti, ha rinunciato a un’ottima posizione a Washington per te, nonostante tu fossi un bugiardo manipolatore cronico, quindi un po’ di gratitudine ogni tanto sarebbe gradita.”

Jane non provò a difendersi: sapeva che su quei punti era indifendibile; ma, si diceva, Teresa a quel punto avrebbe dovuto conoscerlo, e sapere che quando si ficcava in testa qualcosa lui andava fino in fondo, e che quando John il Rosso era in mezzo alla bolgia della sua esistenza, lui era come se camminasse coi paraocchi, focalizzato su un solo obiettivo.

“Giusto perché tu lo sappia, dubito fortemente che la cara ispettrice Nogami abbia incaricato formalmente Saeba di affiancarla nelle indagini- anche perché ho fatto un po’ di controlli in giro, e, posto che non sia un nom de guerre,  non ho trovato riscontri ufficiali nell’area urbana di Tokyo di un maschio adulto chiamato Ryo Saeba.” Jane ridacchiò, malefico, con quello sguardo da gatto che si era finalmente pappato il canarino, e fissò dritta negli occhi Saeko, che si sentì raggelare, come se quell’uomo fosse in grado di scrutarle dentro. “In compenso girano parecchie voci nella vostra città, del fantomatico giustiziere City Hunter, che lavorerebbe appoggiato nell’ombra da un alto dirigente delle forze dell’ordine. O mi sbaglio?”

“Sweeper. Sono uno sweeper, mister Jane. Uno spazzino. Credevo di averglielo spiegato.” La voce di Saeba lo contraddisse, calma e decisa; Ryo entrò con passo felpato nella stanza, torreggiando su quasi tutti loro con la sua possente statura ed il suo fare sicuro, deciso, quasi letale. Si era cambiato rispetto a quando si era recato alla sede di Visualize, lasciando perdere il completo da damerino, come lui li chiamava, ed optando per una maglietta nera ed un completo di un beige chiarissimo. Con un sorriso disarmante, si voltò verso Teresa che, nonostante avesse amato Jane dal primo momento in cui i loro occhi si erano incrociati, arrossì come una ragazzina, e fu colta da un improvviso attacco di timidezza. “Ryo Saeba - e lei deve essere l’agente Teresa Lisbon di cui tanto ho sentito parlare…”

“Già, ed è anche molto sposata e molto madre di mio figlio, quindi…” Jane, su piedi un po’ incerto, si alzò, sistemandosi fisicamente tra la moglie e lo sweeper,  mostrando il più letale e maligno dei suoi sorrisi, non sapendo che genere d’uomo fosse quel Saeba. “A proposito, cos’è questa storia che ho sentito della sua ragazza che è stata rapita?”

Ryo cambiò all’improvviso, e queste fece venire una gran voglia a Jane di ficcanasare nella vita di quell’uomo misterioso: era arrossito, era divenuto rigido, sfuggiva lo sguardo del mentalista e si grattava, nervoso, il collo. “Cosa, ma no, Kaori mica è la mia ragazza, noi viviamo solo insieme e lavoriamo insieme e ci conosciamo da tanti anni, quindi sì, magari ci preoccupiamo anche l’un per l’altro, ma mica vuole dire niente, eh, eh, eh…”

“Quindi Kaori è la sua Pussy…” Ryo sgranò gli occhi, vedendo rosso, e come un cane rabbioso afferrò Jane per il colletto della camicia e lo sollevò da terra, sotto gli occhi spaventati e stupiti di tutti i presenti, che accorsero in aiuto del biondo riccioluto prima che Ryo potesse tirare fuori la sua amata Python e fargli un buco in mezzo alla fronte.

“Cosa hai detto di Kaori? Ripetilo se ne hai il coraggio!” Lo minacciò, e Jane, nonostante stesse iniziando a sudare freddo, non poté fare altro che compiacersi dell’essere stato in grado di causare una simile risposta emotiva nell’apparentemente impassibile uomo - e meno male che Kaori doveva essere solo la sua collega!

“Signor Saeba, per quanto comprenda il suo desiderio di prendere a pugni mio marito, cosa che io stessa ho fatto in ben più di un’occasione, mi duole tuttavia chiederle di lasciarlo andare. Temo che questo non sia altro che un problema di comunicazione: Jane non intendeva dire che la sua partner fosse una donna di, ehm, facili costumi, ma si riferiva a Pussycat, il gatto che vive a casa nostra, e che Jane asserisce essere il nostro gatto perché noi lo nutriamo, lo portiamo dal veterinario, l’abbiamo sterilizzato, dorme al fondo del nostro letto, e…” Teresa sgranò gli occhi, arrossendo, e si morse la lingua- non riusciva a credere di star giocando allo stesso gioco di Jane, di… di aiutarlo così!

“Okay, va bene, allora… perché non la smettiamo di comportarci come bambini dell’asilo e iniziamo a pensare alle cose importanti?” Prese un grosso respiro e si morse le labbra prima di proseguire. “La sua amica. Sapete chi l’ha presa? Stiles? Uno dei suoi?”

“In realtà, nessuno.” Appena sentì il dolce accento del sud della California che tanto le era mancato e che tanto sapeva di casa- Austin non sarebbe mai stata Sacramento, Austin le era stata imposta, Sacramento era quel posto che il caso aveva scelto per lei quando, giovane donna, aveva lanciato una moneta sulla cartina degli Stati Uniti - Teresa fece un sorrisetto sotto ai baffi e si voltò in direzione della voce; all’ingresso della camera c’era un uomo, forse leggermente più giovane di loro, vestito con un impeccabile completo bianco e una camicia azzurra, con tanto di guanti in pelle. Si avvicinò a Teresa e, presale la mano destra nella sua, le fece un delicato baciamano. “Michael Angel, dolcezza. Ma puoi chiamarmi Mick.”

“Ribadisco: Teresa è mia moglie!” Jane asserì con tutta calma, tuttavia i suoi occhi avevano un che di minaccioso, che fece sorridere dietro ai baffi Mick; aveva sentito storie su quell’uomo ai tempi in cui viveva in California, ci aveva impiegato oltre dieci anni, ma era riuscito a mettere all’angolo un uomo che aveva all’attivo almeno una quarantina di vittime ufficiali: non aveva il benché minimo dubbio che, avesse voluto, avrebbe potuto distruggerlo, ne aveva le capacità, nonostante non possedesse le abilità “tecniche” sue e di Ryo. Ma Jane, forse per questo, era un nemico ancora più pericoloso: era intelligente, meticoloso… e paziente. Molto.

“Eh, che vuole che le dica, signor Jane,  a me le donne impegnate piacciono, e pure parecchio!” Gli rispose, sornione, scrollando le spalle con nonchalance e facendo l’occhiolino alla bella Teresa, che, tuttavia, non si sciolse minimamente davanti al suo fascino e alla sua classe; si limitò ad alzare un sopracciglio e osservarlo con aria di sufficienza, come se fosse stata una cartaccia da levare dal suo cammino con la punta delle scarpe, mentre invece lo sguardo che riservò al marito fu molto più seccato, come per dirgli che sapeva cavarsela da sola e non aveva bisogno che lui le coprisse costantemente le spalle.

“Mister Angel, mi duole ammettere che il suo fascino su di me ha poco… aplomb. E mi creda, non è certo perché sono sposata con quello.” Sottolineò la parola congelando  il marito. “No, il fatto è che lei è identico a quell’idiota quando perse la memoria e cercò di portarmi a letto per dimostrare semplicemente che poteva riuscirci. Elegante, persuasivo, seduttivo, ma un maiale pervertito che è stato sfiorato da un proiettile che mi era casualmente partito dalla pistola.”

Mick ingoiò a vuoto, avvertendo inoltre gli occhi furenti di Kazue, sua fidanzata, su di lui; aveva capito l’antifona: la virtù di Teresa era protetta da un marito vendicativo, da un’infermiera dall’incavolatura facile (ma giustificata) e da Teresa stessa, una poliziotta dal grilletto facile. Già, avrebbe fatto meglio a starsene buono, e comunque, come lo sguardo feroce di Ryo gli suggeriva, c’erano cose più importanti di cui discutere.

“Sì, sì, sì, va bene, comunque tornando alle cose serie, non ti avevo detto di tenere d’occhio Kaori, testa di rapa?” Ryo sbuffò, le mani sui fianchi, rivolgendo un’occhiata gelida a Mick; aveva casualmente spostato leggermente la giacca, lasciando libera alla vista la fondina che custodiva la sua fidata Python .

“Tsè, ci scommetto che il pivello faceva il pervertito con qualche bella ragazza invece di fare il suo lavoro,”  Falcon sogghignò dietro gli occhiali scuri.

“Guardate che vi sbagliate di grosso, tutti e due!” Il biondo sbottò, offeso e colpito nell’orgoglio. “Kaori è andata da Eriko come quasi tutti i giorni, quando è stata l’ora della pausa pranzo è uscita da sola, si è incamminata da sola verso il solito bar dove pranza e poi… e poi non lo so, si è infilata in una stradina e quando l’ho raggiunta era sparita, ma giuro che non c’erano segni di colluttazione, e sappiamo tutti che Kaori non è esattamente una che sta con le mani in mano se provano a prenderla!”

“Com’era la sua postura? Il suo sguardo?” Jane chiese all’improvviso. “Le è sembrata assente, abbattuta?”

“Beh, sì, ma lei ultimamente era di cattivo umore e avevo pensato che….”

“Beh, hai pensato male, Angel! E se le capita qualcosa giuro su Dio che mi supplicherai di ammazzarti quando avrò finito con te.” Ryo sibilò, con tutta calma, mentre sollevava Mick per la cravatta, facendogli mancare il fiato. Non smetteva di guardarlo negli occhi, con un’espressione rancorosa ma carica di determinazione, che mise sul chi va là i suoi “compagni, che quello sguardo lo conoscevano bene: non era Ryo, nemmeno City Hunter: quello, era l’angelo della morte, il killer spietato, determinato e vendicativo.

“Non se la prenda con il suo amico, Saeba, se ho ragione io, lui non poteva fare nulla per fermarla.” Jane, pensieroso, si picchettò le labbra con l’indice. “Stiles a Visualize sono fautori dell’ipnosi, se la sua amica era sotto pressione, stress o sconvolta per qualcosa, questo potrebbe averla resa più facilmente suggestionabile. Ma questa è una buona notizia: se Stiles ed i suoi l’avessero voluta morta a quest’ora avremmo già trovato il suo corpo. Lei gli serve viva, per qualcosa.”

Il telefono di Ryo squillò con il veloce trillo di notifica dei messaggi. Sovrappensiero, non si rese nemmeno conto che stava controllando la notifica fino a che i suoi occhi non si sgranarono per la sorpresa e lo shock: veniva dal telefono di Kaori.

Solo poche parole, che gli gelarono il sangue. Quattro parole.

CI VEDIAMO DOMANI SERA ALLE 23 . SAPETE DOVE TROVARMI.

Poco più di ventiquattro ore ancora, ed i loro destini sarebbero stati decisi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


 

Shinjuku, appartamento di Ryo & Kaori

“Allora, sapete tutti qual è la vostra parte?” In piedi intorno al tavolo della cucina di casa Saeba, il gruppo di (ex)mercenari, sweeper e agenti di polizia osservava in silenzio la mappa della città e le planimetrie della sede di Visualize dove quella notte erano attesi per liberare Kaori, ed ascoltava  senza parlare lo sweeper noto come City Hunter riepilogare cosa ci si aspettasse da ognuno di loro.

“Kasumi ed io faremo da diversivo,” Miki iniziò, segnando alcuni punti sulla piantina con l’indice destro. “Lei farà scattare gli allarmi al Museo d’arte Occidentale, dove si trovano in esposizione i gioielli della Corona Monegasca, mentre io ed un paio di nostri amici causeremo un po’ di caos il più lontano possibile da voi.”

“Mi occuperò io di coordinare le forze dell’ordine,” Saeko intervenne. “In questo modo, anche  se dovesse capitare qualcosa alla sede di Visualize, io potrò ritardare l’intervento della polizia e farvi guadagnare tempo. Se agiscono come hanno fatto negli Stati Uniti, potrebbero già avere una rete di contatti nella polizia, e fino a che non scopriamo se e chi Visualize ha all’interno delle forze dell’ordine, voglio evitare un confronto diretto.”

“Io e Cho terremo la situazione sotto controllo dall'alto, pronti a colpire nel caso vi servissero dei cecchini…” Lo sweeper americano, prima metà di City Hunter in una vita passata, con maestria fece roteare la sua Desert Eagle tra le dita, quasi fosse stato un prestigiatore; fisioterapia, chirurgia ed esercizio gli avevano permesso di tornare a livelli che, seppure non impallidissero di fronte a ciò che Mick Angel era stato in passato, facevano di lui un avversario comunque degno ma soprattutto pericoloso.

“Abbott ed io vi copriremo le spalle a terra,” Falcon sogghignò dietro gli occhiali da sole, già immaginandosi tenere in mano il suo fedele bazooka per far strage dei loro avversari e seminare il caos nelle loro file.

“Jane ed io andremo ad incontrare Stiles insieme a Lisbon e…”

“Assolutamente no!” Jane intervenne, con voce tonante e sguardo freddo, voltandosi verso la moglie. “Tu te ne stai qui buona, buona e lasci fare a noi! Non ho la benché minima intenzione di permetterti di mettere a rischio la tua vita così!”

Un silenzio tombale cadde sulla stanza, tale che se fosse caduto uno spillo, sarebbe stato l’equivalente di una potente deflagrazione. Poi, Lisbon si voltò verso il marito, e con espressione incredula si limitò a dire una sola parola.

“Scusami?”

“Hai capito benissimo,” riprese lui in tono freddo e distaccato, trattandola come se fosse una ragazzina irragionevole. “Non ho bisogno che tu mi stia tra i piedi mentre…”

Il suono dello schiaffo, della mano che colpiva la guancia risuonò con la forza di un tuono; Jane guardò la sua sposa con occhi enormi, sgranati, increduli, mentre lei lo fissava con i denti stretti in una morsa quasi dolorosa per lei stessa, la mano che le bruciava e le tremava per la forza usata contro il suo stesso uomo.

“Ascoltami bene,” gli disse con tutta la calma e la freddezza che poteva richiamare, sviolinando le parole come se fossero dei semplici dati di fatto, tenendo gli occhi verdi saldi in quelli azzurri di lui. “Ho passato dodici anni della mia vita guardandoti sprofondare in un abisso di ossessione per John il Rosso, amandoti e sopportando che tu usassi me  e la mia squadra per i tuoi fini. Quando te ne sei andato via per due anni, io mi sono dovuta rimboccare le maniche perché grazie a te ho dovuto ricominciare da zero, ma la vuoi sapere una cosa? Tu mi mandavi quelle cartoline, quelli sciocchi oggetti, e a me bastava, mi accontentavo delle briciole del tuo amore. E poi te ne sei tornato negli Stati Uniti e hai deciso che le cose dovevano andare come volevi tu e io ancora ci sono stata, mi sono fidata e ti ho seguito. Ho rinunciato alla carriera per te, Jane, ho… ho rinunciato a tanto. Potrei avere un figlio adolescente adesso, avrei potuto accettare la proposta di Walt, o seguire Marcus a Washington… ho sempre messo i tuoi bisogni per primi, ma adesso basta. Si fa come dico io. E io dico che vengo con voi a incontrare Stiles.”

“No, Teresa, non posso permettertelo,” Jane provò ad obbiettare un’ultima volta. “Hai visto anche tu la foto della Noragami. Chiunque sia il killer con cui abbiamo a che fare, ha ricreato la scena del tuo tentato omicidio. Significa che ti ha presa di mira!”

“E proprio per questo devo venire con te!” Gli urlò contro. “Si tratta di me, e io ho il diritto di difendermi! Non me ne starò buona da parte come ho fatto in passato, stavolta voglio affrontare la situazione di petto! Nascondermi non è mai servito a nulla, se mi vuole venire a prendere lo farà di nuovo, quindi… stavolta vado io da lui!”

“Ma…” provò a dire, ma lei gli mise un dito sulle labbra, scuotendo il capo con occhi brillanti di lacrime.

“Nessun ma, Patrick. Non voglio tornare ad Austin solo per crescere nostro figlio da sola. Andremo insieme. Questa caccia l’avevamo iniziata insieme, ed insieme la finiremo, una volta per tutte.”

“Teresa….” Jane parlò con voce sommessa, guardando fisso negli occhi la moglie, usando l’ultima arma a sua disposizione: il senso di giustizia di Lisbon, la sua dedizione al suo lavoro e al distintivo che portava. “Non possiamo giocare secondo le regole. Quando andremo ad affrontare Visualize, distintivi, mandati ed aule di tribunali saranno l’ultimo dei nostri pensieri. Dovremo, fare delle scelte, e so che Abbott e Cho, e anche la Nogami…” Le disse, guardando in direzione dei volti dei suoi alleati. “So che loro sono disposti a mettere da parte il loro ruolo istituzionale per fare ciò che va fatto, ma non posso chiederti di sporcarti le mani e dimenticarti chi e cosa sei.”

“Abbiamo giocato seguendo le regole per troppo tempo con Stiles ed i suoi,” Teresa ammise con voce lieve ma decisa, mentre incontrava lo sguardo deciso di Ryo. “E non siamo mai arrivati a nulla. Se per fermarlo e salvare innumerevoli vite dovrò seguire le vostre di regole, è un sacrificio che sono disposta a fare.”

Conscio che nulla le avrebbe fatto cambiare idea, Jane prese la mano di lei nella sua, e la strinse, baciando il palmo caldo e delicato, inspirando ad occhi chiusi il suo profumo, proprio come aveva fatto la notte in cui aveva temuto di averla trovata morta.  Non c’era bisogno di aggiungere altro: i loro occhi parlavano per loro.

Fu Mick ad interrompere l’idillio.

“Lo sappiamo tutti quanti che al 99,9% questa è una trappola, vero?”

“Beh, mi sembra logico, stiamo andando nella tana della tigre, dopotutto, però, la vera questione è…” Jane fece un sorrisetto, facendo schioccare la lingua. “Loro sanno che noi sappiamo? O si aspettano che ognuno di noi rimanga incollato ai suoi vecchi schemi buttandosi a capofitto senza avere nessuno che gli guardi le spalle?”

Shinjuku, sede di Visualize

Il suono delle sirene delle forze dell’ordine in lontananza riempiva l’aria del quartiere di Shinjuku, che in quella notte pareva aver deciso di dare manforte ai suoi protettori- palazzi abbandonati che crollavano ed andavano a fuoco, furti nelle abitazioni degli abitanti più ricchi della zona, ed infine, i gioielli della corona Monegasca, misteriosamente fatti sparire dalla teca del museo di Arti Occidentali da un’abile ladra che fuggiva saltando tra i tetti quasi potesse volare.

Ryo, Jane e Lisbon scesero dalla Mini col cuore in gola, proprio davanti a quel palazzo enorme e freddo, monumento a colui che lo aveva commissionato ma che sembrava voler togliere tutto ciò che c’era di bello in quella città; lo sweeper alzò brevemente lo sguardo in direzione di un altro palazzo, davanti in linea d’aria alla sede della setta, da cui, sapeva, Cho e Mick li osservavano con binocolo e trasmittenti.

La porta era aperta, tuttavia,  non c’era una sola luce accesa in tutta la struttura, affondava nelle tenebre più profonde in un eccesso opposto al mondo che lo circondava- Shinjuku era forse uno dei più malfamati, ma anche più vivi quartieri della città, dopotutto, e questo senza nemmeno considerare la zona a luci rosse.

Una luce sopra la porta si accese, e loro, col cuore in gola, presero ad incamminarsi nella sua direzione, guardandosi intorno con circospezione, le mani sulle pistole nelle loro fondine, pronti a tirare fuori le loro armi quando fosse stato necessario; quando arrivarono davanti alle porte di vetro, spalancate per loro, centinaia di piccole luci piazzate nel pavimento si accesero dalla loro posizione, mostrando loro la via.

“Trappola?” Ryo alzò un sopracciglio, con voce strafottente.

“Trappola,” Jane acconsentì, tirando un sospiro di sollievo: almeno, stavolta, ad indicargli la strada non c’era una scia di sangue sul muro. Tuttavia, questa ambientazione non era meno spettrale di quanto lo fosse stata la sua casa molti anni addietro: il silenzio era lo stesso, nell’aria aleggiavano solo i loro respiri ed i loro passi.

Una volta varcata la soglia, le porte scorrevoli si chiusero, ed il trio si voltò, sussultando; Teresa si lanciò contro la porta, prendendola a pugni, ma non si smosse di un millimetro: era bloccata, e loro erano come topi in un labirinto. Ryo si portò un dito all’orecchio, cercando di attivare la trasmittente per chiedere a Mick e Falcon quale fosse la situazione all’esterno, ma non udì risposta, solo un fischio acuto che indicava che c’era qualcuno, o qualcosa, che stava deliberatamente interferendo sulle loro frequenze. Spazientito, lo sweeper si tolse il congegno, gettandolo a terra e pestandolo, rancoroso. Una rapida occhiata di Jane al suo cellulare gli rivelò che non c’era nessun segnale all’interno di quella struttura di vetro e acciaio: era come se si trovassero all’interno di una gabbia di Faraday, tagliati fuori dal mondo esterno.

In mano ad un pazzo.

“Già, decisamente trappola.” Teresa sospirò, gli occhi ricolmi di determinazione. A guidarla non era solo il senso di giustizia, perché sapeva, purtroppo, che forse seguire quel corso questa volta non sarebbe stato possibile, e che ancora una volta avrebbe dovuto affidarsi a quella privata, non più di Jane stavolta ma probabilmente di Saeba. Si incamminò alla cima del gruppo, decisa a porre fine a quella storia una volta per tutte, a qualunque costo, sperando che gli incubi del suo amato potessero essere finalmente leniti, ed il suo cuore trovare una parvenza di pace. “Tutto questo silenzio, è quasi…”

“Spettrale, già.” Ryo acconsentì, mentre, seguendo una nuova scia di luci, salirono lungo le scale di cristallo ai piani superiori, dove, intermittente, un alone luminoso dinanzi ad una porta chiedeva la loro attenzione. “Questo posto puzza di morte.”

Dal suo giro sotto copertura, Ryo rammentava che il piano a cui si trovavano era occupato dalle suite degli ospiti del gruppo- in poche parole, dei seguaci. Con sguardo determinato e glaciale, provò a girare il pomello della porta indicatogli dal pazzo, ma quando la trovò chiusa, afferrò la sua fidata Python e sparò alla serratura. Con un sinistro cigolio si aprì, giusto uno spiraglio, e facendo segno ai suoi due compagni di fare silenzio, guardando però fisso nella telecamera a soffitto che era certo seguisse ognuna delle sue mosse, Ryo la spalancò con un calcio.

Utilizzando lo schermo del cellulare come fonte di luce, Ryo illuminò  lo spazio circostante, fino a che non vide, su di un letto, quello che aveva temuto fin dal principio di osservare. Teresa si avvicinò al mobile con circospezione, tenendo la pistola pronta, ma un semplice tocco le disse cosa tutti loro avevano immaginato dal momento che la luce azzurrognola dello schermo aveva mostrato quelle persone agghindate a festa coricate sulle lenzuola, abbracciati.

Erano morti, tutti e quattro- un uomo e una donna, adulti, e due giovani ragazze, adolescenti-la loro pelle sembrava quasi trasparente sopra ai tendini, e le loro labbra, bluastre, risplendevano come sottili lame alla luce del telefono dello sweeper. Jane si avvicinò alla moglie, e prese tra le mani il calice di metallo, dal sentore antico, posato sul comodino; sul fondo, vi era ancora un po’ di liquido rossastro, forse dozzinale vino da supermercato.

“Mandorle amare.” asserì, arricciando il naso e mettendo a posto quel calice, mentre gli occhi gli ricaddero su qualcosa di metallico che brillava sotto al letto. “Teresa, controlla la tempia delle ragazze, sotto ai capelli, nascosto. Scommetto che mammina e paparino se ne sono andati col cianuro, ma che le ragazze non erano così d’accordo con l’ammazzarsi per quel bastardo di Stiles.”

Rabbioso, prese a calci il letto, disgustato, da tutto, da tutti, mentre sua moglie scostò una ciocca di capelli ad una delle due sorelle rivelando cosa essa nascondeva: un foro da arma da fuoco, piccolo calibro, sparato a distanza ravvicinata, così ravvicinata che, sul cuoio capelluto, si potevano vedere le ustioni causate dalla detonazione.

“Come lo hai capito?” Gli domandò, chiudendo gli occhi alle ragazze.

“La pelle è traslucida, fredda e sul colletto della camicia del padre ci sono chiazze di sudore asciugato, come di acqua del mare, tutti segni dell’avvelenamento da cianuro. E purtroppo…” fece una pausa, sospirando, incapace di distogliere lo sguardo da quelle ragazzine, quelle giovani donne che potevano avere l’età della sua Charlotte, se fosse sopravvissuta. “Nel 1978, Leo Ryan, il fondatore della setta nota come Il Tempio Del Popolo, che si era insediata in una zona della Guayana che lui aveva denominato  Jonestown, quando venne accusato di trattenere cittadini americani contro la loro volontà, ordinò che tutti i residenti dello stabilimento si suicidassero: 923 morti, molti per cianuro, ma quelli che non volevano acconsentire, soprattutto bambini e ragazzi, furono freddati a colpi d’arma da fuoco.”

“Scommetto quello che volete che anche tutte le altre camere sono così…” Ryo asserì, freddamente, mentre usciva dalla stanza con le mani in tasca dello spolverino, e riprendeva a seguire i led nel pavimento che avevano ripreso ad indicare loro la via. Teresa, per ultima, si fermò un attimo ad osservare quelle ragazze, guardando di sfuggita Jane che fissava il corridoio davanti a lui con occhi quasi da pazzo indemoniato, da maniaco… sapeva cosa poteva essere passato per la mente del marito, cosa quel maledetto di Stiles aveva voluto fargli vedere per farlo vacillare, e l’odio per lui, nel cuore della donna, si moltiplicò, conquistando l’anima di Teresa con una presa oscura: una ragazza bionda sui vent’anni, una leggiadra silfide; quella, nella sua mente, sarebbe potuta essere Charlotte, e vedere quel corpo privo di vita, era stato per lui come perderla ancora, di nuovo. La donna volse lo sguardo alle povere creature a cui aveva chiuso gli occhi, ed inspirando, strinse con quanta forza e determinazione avesse in corpo la croce donatale dalla madre per la sua Prima Comunione, e recitò i versi ben noti nella sua mente…

Pater noster, qui es in caelis, sanctificétur nomen tuum…

Guardandosi le spalle, continuarono a salire, fino a che non arrivarono all’ultimo piano; la porta dell’ufficio di Stiles era socchiusa, e da sotto di essa una falce di luce illuminava il pavimento davanti a loro. Con le pistole alla mano, Ryo e Teresa si misero ai lati della porta, coprendo Jane che entrò per primo, con passo incerto, ogni muscolo del suo corpo teso come la corda di un arco pronto a scoccare la freccia letale.

Come quel primo giorno in cui Ryo si era recato lì per investigare sotto le mentite spoglie del ricco annoiato, le luci erano basse. Una delle pareti laterali era stata aperta, quasi fosse stata poco più di una tenda, rendendo quella stanza un tutt'uno con una delle sale conferenze, un luogo che era tripudio di acciaio nero e velluto rosso. Le luci erano quasi del tutto spente, salvo per un riflettore, che mostrava nella penombra un uomo, seduto ai bordi del palco con le gambe ciondolanti, e dietro di lui, una sorta di sinistro altare, dove un corpo femminile giaceva, immobile, avvolto in un drappo roseo. Teresa fece un passo avanti per vedere meglio, e le parve quasi di rammentare le volte in cui Tommy, l’amato e viziato fratello minore, le aveva affidato sua figlia Anne, ed insieme avevano guardato La bella Addormentata: così vestita, Kaori – poteva essere solo lei- sembrava quasi la principessa Aurora, pronta ad essere  svegliata dal bacio del principe.

Eppure… eppure c’era qualcos'altro in quel vestito, che le ricordava… che cosa? Dove lo aveva già visto? C’era qualcosa, come un ricordo, una sensazione che sembrava bussare prepotentemente alle porte della sua mente, senza tuttavia volerle oltrepassare. Strinse i denti, come per volersi concentrare, certa che, nonostante sembrasse apparentemente solamente un piccolo particolare, fosse importante.

Si voltò verso di Jane, e in quel momento, la sua mente si spalancò. Si rivide nel suo ufficio, molti anni prima, al CBI; lui aveva bussato alla porta, e lei gli aveva aperto, ordinandogli di non ridere e di non dire nulla, né in quel momento, né in futuro.

Stava provando il vestito da damigella per il matrimonio di Grace con O’Laughlin, che avrebbero scoperto essere al soldo della Società di Blake e Stiles, e le sembrava di essere una pastorella delle immagini degli Stati del sud sotto acido. Si vedeva orribile, con quella nube rosa di taffetà.

Non stai poi così male. Sembri una principessina arrabbiata a cui abbiano appena rubato la corona!

Non era possibile… il suo abito, indosso a Kaori! Come, perché? Possibile che Jane avesse ragione, che questo accolita di John cercasse lei nelle sue vittime, e che la conoscesse così bene? Ma perché? Guardò suo marito, ma entrambi rimasero in silenzio, aspettando una reazione dal loro avversario, o da Saeba.

“Maledetto, cosa le hai fatto!” Ryo sibilò a denti stretti, pronto a tirare fuori la sua pistola per colpire tra gli occhi quell’abominevole creatura che aveva osato privare il mondo della dolcezza e della bontà di Kaori, colpevole di aver risvegliato l’angelo della morte; Ryo fece un passo avanti, ma così facendo mise il piede su qualcosa di appiccicoso, viscoso e denso. L’odore metallico colpì le sue narici, e riportò lui e Jane nei loro rispettivi passati; Ryo era nella giungla, un guerrigliero, era ricoperto di ferite, gli abiti lacerati coperti dal sangue suo e di quello delle sue vittime, mentre il suo corpo andava a fuoco sotto l’effetto della polvere degli angeli; Jane, invece, aveva appena varcato la porta della sua casa di Malibu,  trovando sua moglie e sua figlia sgozzate, le loro unghie laccate del prezioso liquido vitale che era stato loro rubato.

Sangue. Molto. Troppo. Qualcuno, lì era morto, e, a giudicare dal modo in cui giocava con un coltello di ceramica, che Ryo riconobbe come quello che aveva nascosto lì giorni prima, era stato l’uomo sul palco ad assassinarlo.

“State tranquilli, non è della cara Kaori quel sangue… la sua amica, signor Saeba, è ancora viva… per ora.” L’uomo sul palco si alzò, e fece alcuni passi nella loro direzione, brandendo il coltello dietro la schiena. Nella platea, Jane e Lisbon lo guardavano avanzare verso di loro stupefatti ed increduli.

Non poteva essere, si dicevano entrambi. Loro, lo avevano visto morire. Il suo corpo era stato riconosciuto dal coroner. C’era stato persino un esame del DNA...

“Nel caso vi interessasse, quel sangue è del caro Bret. Non aveva capito che non mi piace essere contraddetto, e non voleva accettare che, dato che sono l’unico membro della Società di Blake ancora in vita, spettasse a me dettare legge.” L’assassino si mosse leggermente, ed il suo viso finalmente lasciò le tenebre e fu illuminato, permettendo finalmente a tutti i presenti di concepire davvero quali fossero i lineamenti di quel viso…Ryo lo guardò cupo e con freddezza, ma Teresa si portò una mano alla bocca, quasi volesse coprire il suo stupore, e fece istintivamente un passo indietro, scrollando il capo, incredula.

Non poteva essere. Quell’uomo non poteva essere il suo ex collega, l’uomo che con i gesti e le belle parole l’aveva lusingata, convincendola ad  uscire con lui e dargli una possibilità, l’uomo con cui era finita a letto, lei, la brava ragazza cattolica, il capo severo e composto, ligio al dovere, ma che era stata una donna di carne e sangue, con bisogni e desideri che sapeva non sarebbero potuti essere soddisfatti dall’uomo che amava, troppo consumato dalla paura e dalla vendetta.

Ray Haffner. Uno degli uomini che Jane aveva creduto essere John Il Rosso. Adepto di Visualize. Forse, membro della Società di Blake. Agente del CBI e dell’FBI. Amante di Teresa. Ma, soprattutto, un uomo che tutti credevano morto nell’esplosione della casa di Jane.

“Ray…” Teresa sussurrò, sotto shock, facendo un paio di passi verso quel pazzo che continuava a giocare con quel coltello. “Ray, credevamo fossi morto nell’esplosione…”

“Oh, ma il fuoco non mi ha ucciso, Mia bella Teresa,” sospirò, scendendo dal palco ed incamminandosi verso di lei. Col volto in piena luce, la donna poté vedere la vistosa cicatrice che gli segnava circa metà del volto. Non era più il sexy ed aitante poliziotto, capace, che aveva incontrato; tuttavia, quel segno sembrava renderlo quasi… misticheggiante, seducente. “In realtà, McAllister mi ha fatto un favore: grazie a quel fuoco sono rinato, ancora una volta. Ray Haffner, addio, bentornato Richard!”

“Richard…” Jane socchiuse gli occhi, strizzandoli, quasi volesse riportare alla memoria un episodio passato; si rivide nel suo vecchio attico del CBI, che guardava dossier e leggeva vecchi articoli di giornale, con Teresa che, in piedi, stava sulle spine.

“Beh, allora, che ne pensi di questo tipo?”

“Dico che direttamente non ucciderebbe nessuno con le sue mani, è troppo codardo, preferisce lasciar fare il lavoro sporco agli altri.” Si bevve un sorso del suo the, sorridendo soddisfatto: nessuno sapeva farlo bene come Lisbon.

“Cosa dice il dossier su Ferragut?”

Jane scrollò le spalle, con nonchalance, e gettò la cartellina gialla in un angolo del tavolo, come se fosse poco più che spazzatura. “Morto nel 1976 in un incidente stradale, presumibilmente a causa di un elevato tasso alcolico nel sangue. Sposato con Sarah, aveva un figlio di nove anni, Richard, entrambi asserirono che fosse astemio, ma la polizia non indagò perché non gli credette, dato che vivevano in una comune  e sesso, droga, alcol e rock and roll dovevano essere all’ordine del giorno. Dopo la sua morte, la guida del gruppo è passata a Stiles, mentre sua moglie e suo figlio sono spariti nel nulla.”

“Credi che chi ha ucciso Ferragut abbia anche fatto sparire la sua famiglia?”  Lisbon sfogliò il dossier, cercando una risposta.

“Ne dubito. Molto probabilmente avranno approfittato della morte di Ferragut per iniziare una nuova vita altrove con un nuovo nome...”

“Richard… Richard Ferragut…” Jane scandì il nome. “Sei il figlio di Timothy, il fondatore di Visualize. Per questo McAllister non ti ha marchiato, perché tu eri l’unico a fare parte del suo gruppo per diritto di sangue...”

“Già… e io mi sono ripreso la creatura di mio padre, quello che Bret ci aveva rubato.” Ray era ad un passo da loro, e già Ryo gli stava puntando la pistola al capo. “Fossi in lei non lo farei, signor Saeba. La sua amichetta è viva e vegeta, ma lo sarà solo fintanto che lo sarò anch’io. Per adesso, è solo priva di sensi, ma poi, chissà...”

“Maledetto!” Ryo sibilò, vincendo la tentazione di rifoderare  la sua Python nella fondina ascellare che aveva tenuto celata sotto la giacca, ma gettandola invece a terra e spingendola verso il killer con un calcio, gesto imitato da Teresa, mentre Jane si limitava a tenere le mani alzate. Guardando torvo il suo avversario, anche Ryo alzò lentamente le mani, facendo un passo indietro. “Che cosa vuoi in cambio di Kaori?”

“Vede, Saeba…” Ray inspirò a fondo; il suo volto era celato da un sorriso maniacale, pazzo; eppure, dalla luce nei suoi occhi era chiaro che credeva fermamente a quello che stava dicendo. “Ho amato molto Teresa, e avevo sperato di poterla condurre a me. Ma… sono stato… ostacolato, se così vogliamo dire. Oh, e non certo solo da Jane, nonostante possa comprendere perché ne sia tanto attratta. No, vede, quando il signorino qui presente ha capito che John il rosso poteva nascondersi dietro solo… quanti eravamo? Sette? Sì, aveva ristretto la rosa dei sospettati a sette nomi. Ci demmo appuntamento dove la grande caccia al drago rosso era cominciata, a casa di Jane. McAllister- John- portò una bomba… il piano era di liberarsi dei pesi morti, far credere al mondo che nientepopodimeno che il direttore del CBI fosse il temuto serial killer, e fingere la nostra morte, sparendo nel nulla ed iniziando una nuova vita altrove. Ma purtroppo il mio caro padrino sopravvisse alla bomba, e quell’agente da strapazzo di Smith mi colpì, facendomi finire nel raggio d’azione della bomba e lasciandomi questo bel ricordino…”

Inspirò a fondo, sfiorando con la lama del coltello la cicatrice che deturpava il suo bel viso.

“Quando vide che ero ancora vivo, Bret mi portò via con sé, sperando di potermi manipolare per i suoi scopi… e così, sono di nuovo finito nella sua rete, a guardare come quel bastardo avesse… avesse trasformato in una bestemmia l’eredità di mio padre! E io sono di nuovo finito senza nulla.. il mio lavoro, la mia eredità, il potere… Teresa.”

“Erano lei.” Jane ingoiò a vuoto, occhi lontani e freddi, terrorizzati. “In tutte le donne che hai ucciso, tu cercavi lei.”

“Già, e la qui presente Kaori…” la indicò distrattamente, con la punta del coltello. “Lei è quella che più ti somiglia, Teresa. Il tuo stesso sguardo, la fede incrollabile nell’uomo che ama, nella giustizia, ed il suo grande cuore, coraggioso, innocente, pieno d’amore per il prossimo… Stiles non era stato in grado di vedere oltre gli occhi castani e i capelli rossi, si immaginava Van Pelt quando incontrava lo sguardo di Kaori, ci crederesti? Ma io ho visto oltre le apparenze… Per questo volevo tenermela, per plasmarla a tua immagine e somiglianza ma… dato che qui abbiamo l’originale… tu, in cambio della tua copia. Ci stai?”

Teresa fece un passo avanti, e poi un altro ed un altro ancora, davanti agli occhi attoniti di Jane, che sembrava congelato, incapace di muovere un solo muscolo del suo stesso corpo; si muoveva come in trance, come guidata da un pilota automatico, e si fermò solo quando avvertì qualcuno strattonarla per un polso: si voltò, ed incontrò gli occhi azzurri del suo amato.

“Teresa…” scosse il capo, supplicandola. “Non farlo.”

Lei, in tutta risposta, si morse il labbro inferiore, e lo accarezzò, indugiando con quel caldo tocco sulla guancia su cui la barba stava già ricrescendo. Il suo volto era rigato dalle lacrime.

“Jane, se me ne andassi ora e le voltassi le spalle, me ne pentirei per il resto dei miei giorni.” singhiozzò. “E poi, è anche colpa mia. Sapevo che Ray mi amava, e l’ho usato, perché non potevo avere chi amavo davvero.”  Prese le mani di lui nelle sue, stringendole, prima di dargli un casto bacio sulla guancia, che lo lasciò come se fosse stato in fiamme, poi la donna si voltò, e riprese la sua determinata camminata verso il suo ex amante; si fermò solo un istante, quando fu fianco a fianco con Ryo, che, con lo sguardo vuoto, fissava Jane come per chiedergli scusa, mentre il mentalista apriva il pugno chiuso in cui Teresa aveva riposto qualcosa: la croce che fino ad un attimo prima portava al collo.

“Ryo, ascoltami bene…” lo supplicò, ripetendo lo stesso delicato gesto che aveva usato con Jane. “Io sto rinunciando a tutto per te e per lei. So che non sono brava come Jane a capire le persone, ma fidati, ho assistito a questo teatrino del riusciranno i nostri eroi a coronare il loro amore segreto abbastanza a lungo da capire quando qualcun altro è messo come ero io. Quindi, promettimi che non scapperete più, che non perderete tempo e che sarete felici. Perché io non potrò più esserlo. E che... e che tu ed i tuoi amici ogni tanto controllerete Jane, va bene? Non voglio che rimanga solo...”

Ryo si limitò a fare un cenno di assenso con la testa, poi, però, quando Teresa lo aveva quasi superato, la afferrò per un fianco e la portò tra le sue braccia; la abbraccio con tutta la forza e le determinazione ed il cuore spezzato che aveva, sussurrandole qualcosa all'orecchio e affondando il naso nei capelli mossi- vaniglia, lo stesso profumo di Kaori. 

Teresa riprese la sua formidabile ed indomita passeggiata verso la morte, senza mai abbassare lo sguardo o tremare, determinata  a non dare una simile soddisfazione al suo avversario. Quando furono ad alcuni passi di distanza, Ray in una posizione leggermente più elevata di lei anche in virtù della statura ben superiore al misero 1.58 di Teresa, lei lo guardò per bene, con rancore e odio e anche vergogna, chiedendosi cosa avesse visto, oltre ad un bel visino, in quell’uomo. Non aveva mai fatto sesso con sconosciuti o tanto per, con tutte le sue conquiste c’era sempre stato un minimo di trasporto emotivo, sebbene il suo cuore fosse sempre appartenuto a Patrick dal momento in cui lui aveva provocato Hannigam nel prenderlo a pugni per ottenere un incarico ufficiale al CBI, facendosi assumere come consulente in cambio di una mancata denuncia.

Eppure, guardando Ray, per la prima volta si sentiva sporca, e si vergognò di essersi concessa a quell’individuo.

“Lasciala andare, Ray,” lo intimò; lui si limitò a sorriderle, e le offrì una mano. Teresa si voltò in direzione di Jane e Ryo, poi guardò Kaori ed infine acconsentì, posando la sua mano in quella di lui, che la strattonò e la portò contro di sé, la schiena di lei contro il suo petto; il cuore di Ray sembrava voler scappare, scoppiare, tanto forte batteva… Teresa poteva sentirlo attraverso strati e strati di vestiti.

Lui premette la lama del coltello contro il collo bianco da cigno, lungo e delicato, e spinse la lama contro la delicata carne, facendo uscire una goccia di sangue dalla sottile linea rossa che aveva creato. Tra le sue braccia, Teresa chiuse gli occhi, cercando disperatamente di vincere la paura e farsi forza, cercando di non pensare a cosa ne sarebbe stato di suo figlio, di che tipo di padre sarebbe stato Jane…. come poteva, Teresa, scordarsi l’estate dei suoi dodici anni, quando un automobilista ubriaco bruciò uno stop a sua madre e la colpì in pieno, uccidendola in un istante? Suo padre, troppo innamorato, meglio da marito che da padre, morì nell’animo con lei, e Teresa era rimasta sola a badare alla casa, alla famiglia, e a difendere sé stessa ed i fratelli dalle mani e dalla cintura del genitore colmo di rabbia e risentimento e rancore cieco.

Come si sarebbe comportato Patrick? Sarebbe stato un buon padre?

“Ah, dimenticavo, ho un ultimo regalino per voi…” estrasse un congegno che pareva un inalatore dalla tasca della giacca, ma Ryo, che con cose del genere ne aveva già avuto a che fare parecchie volte, lo riconobbe subito: un detonatore. Lo sweeper strinse i denti, conscio che probabilmente quel pazzo aveva riempito la struttura di esplosivi, un ultimo gesto “estremo” (ma eroico per lui) per rivendicare Visualize come una sua creatura. “Appena schiaccerò questo pulsante, questo palazzo e tutte le altre case di Visualize cadranno come un castello di sabbia.”

Uno sguardo, anzi due, e fu abbastanza, non appena Teresa udì quelle parole: non aveva intenzione di mantenere la parola, quindi, anche lei avrebbe fatto lo stesso. Ryo e Jane le dettero il loro assenso ad agire come meglio credeva, e mentre il coltello sprofondava una volta di più nella sua carne, la donna gettò il capo in avanti per evitare di esporre alla lama i delicati organi, e con un urlo straziante, mentre il sangue caldo le colava sugli abiti, afferrò qualcosa che teneva nascosta nei pantaloni, sotto alla maglia, la Colt MK III di Kaori. Ray appena vide la pistola fece la sua morsa ancora più letale, come se fosse stato un serpente intento a stritolare la sua preda, ma Teresa non si perse d’animo e agì con rapida destrezza ed un pizzico di follia, sperando nella buona sorte.

Si sparò nello stomaco, calcolando mentalmente che il proiettile sarebbe uscito, trovando però… Ray. A quel punto l'energia cinetica rimasta sarebbe stata così limitata che il proiettile sarebbe rimasto nel loro avversario, incapacitandolo seppur solo temporaneamente, ma dando tempo ai suoi alleati di agire; tuttavia, Ray aveva ancora in mano il detonatore, e per quanto Ryo fu veloce nel riprendere l’amata Python, non riuscì ad impedire che accadesse,  neppure sparando con la sua amata arma, nonostante la sua bravura non fu in grado di fermare Haffner, che schiacciò il pulsante dando inizio alle deflagrazioni; tuttavia, il secondo colpo non mancò il bersaglio, andandosi a conficcare nel cranio del mostro, che ricadde all’indietro rantolando.

Mentre il fuoco e le fiamme avvolgevano quella prigione, ed i vetri delle finestre esplodevano conficcando le bollenti schegge nelle loro carni, il caldo divenne fin da subito impossibile da resistere, ed il fumo riempì i loro polmoni ed i loro occhi mentre i due uomini corsero verso le loro compagne e le presero nelle loro braccia. Kaori pareva quasi una bambola di pezza nelle braccia di Ryo, che dolcemente accarezzava con le nocche il viso della donna, mentre invece Jane si trovò presto la camicia coperta del sangue della sua sposa. I due  si guardarono senza sapere cosa fare, scambiandosi uno sguardo interrogativo, alla disperata ricerca di una via di fuga… gli ascensori erano impensabili, le scale stavano cedendo a causa delle fiamme, e non potevano certo gettarsi da una simile altezza.  Pensavano, riflettevano, cercavano una via di fuga che permettesse loro di salvarsi, ma soprattutto alle loro amate, quando un fragore proveniente dall’esterno li mise sul chi va là.

Pale di elicottero. Possibile?

Gli uomini guardarono fuori dalla finestra dove un elicottero nero si era avvicinato al palazzo; il portellone si aprì, e Falcon si sporse, con sulla spalla il suo fedele Bazooka. Ryo e Jane si abbassarono nel medesimo istante in cui il mercenario sparò il colpo, frantumando una volta per tutte la finestra e dando loro una via di fuga. Si voltò verso il pilota, facendogli segno di avvicinarsi ancora, e si sporse per afferrare le due donne ed aiutare i due uomini a salire: Jane si sporse, una volta a bordo, e non fu eccessivamente sorpreso di trovare, alla guida, Abbott.

“Eh, lo avevo detto o no che ti avrei coperto le spalle, pivello?” Falcon sogghignò, dando ad Abbott l’OK per muoversi. “Sei fortunato che sono un uomo pieno di risorse, mica come te e l’americano!”

Ryo non rispose; si limitò a fare un sorriso dolce-amaro, mentre sfiorava il volto di Kaori.

L’elicottero si alzò in volo, mentre ancora una volta le sirene riempivano l’aria della notte di Shinjuku, ma stavolta, non erano della polizia, ma dei pompieri, e Jane, mentre si allontanavano, si voltò un’ultima volta verso quel mostro edilizio…

Visualize crollò su sé stessa, fagocitata dal terreno, ed in quel momento, mentre accarezzava i capelli di Teresa che riposava sulle sue ginocchia, lo capì.

Stavolta, era finita. Per davvero. Per sempre. Era un tempo di nuovi inizi… per lei, lui, il mondo intero magari, o solo qualcuno.

E forse, anche, per Ryo e Kaori.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Tokyo, casa-clinica del Professore

“Sei certa di stare bene?” Jane le chiese per l’ennesima volta in quei due giorni dopo l’attacco alla sede di Visualize, che, con grande gioia di tutti, aveva alzato un vero polverone: i suicidi collettivi nelle sedi del mondo intero, e le bombe che avevano causato la quasi totale distruzione delle strutture, ma anche e soprattutto grazie al successivo intervento di Saeko, un vaso di Pandora vecchio di anni era stato finalmente scoperchiato. L’Interpol aveva finalmente aperto un’inchiesta sui vari traffici di Stiles, ed in giro per il mondo tante, molte persone avevano finalmente deciso di riconoscere di essere state sue vittime… non si contavano più il numero di donne che erano state costrette ad avere rapporti sessuali non protetti con il leader spirituale della setta ed i suoi amici, alcune di esse erano state addirittura drogate e violentate sull’altare mentre erano prive di sensi… Cho e Jane avevano ricevuto anche una mail da Hightower, che lo informava che la madre di Haffner era stata trovata morta nella residenza per anziani in cui era ricoverata da anni: si era suicidata, indicando che fosse stata consapevole che il figlio fosse ancora in vita, scegliendo la morte nel momento in cui lui era caduto per davvero. L’ex direttore del CBI era rimasta stupita di quel sorriso sul volto, dell’espressione di pace… Jane si era limitato a chiudere l’email con aria enigmatica, chiedendosi se, prima di cadere, Ray avesse avuto il tempo di dirle che era riuscito a vendicare la morte del padre.

Teresa chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, cercando di controllare il battito del suo cuore; strinse forte la croce che di nuovo portava al collo, le dita che sfioravano la benda che copriva il taglio, sforzandosi di aprire il suo palazzo delle memoria solo ad eventi e cose positive e che la potessero rallegrare, eppure, nemmeno il pensiero di suo figlio, il ricordo del prima bacio con Jane o del loro ballo sulle note della sua canzone preferita, More Than Words, le fu d'aiuto: pensava a Grace, che era scampata per puro miracolo a quel covo infernale, pensava alla ferita all’addome che le bruciava e pensava a Kaori…

La sweeper era stata visitata da una collega del Professore, che aveva rassicurato tutti, ma soprattutto Ryo, sul fatto che non avesse subito violenza e che sul suo corpo non ci fossero tracce di sperma, ma questo non rendeva più facili le cose.

Perché Kaori era ancora priva di sensi.

Erano ormai passati due giorni da quando l’avevano ritrovata, ma non erano stati in grado di “rompere” lo stato ipnotico in cui Ray l’aveva fatta cadere. Era coricata su di un letto, con flebo e tubi e cateteri, e non accennava a svegliarsi. Avevano provato di tutto, sia Jane che Miki, ma era stato tutto inutile.  Kaori non si svegliava, e neppure le preghiere silenziose e le lacrime di Ryo, che non abbandonava mai il suo capezzale, stringendole perennemente le mani tra le sue, sembravano servire a qualcosa.

E, Teresa si disse, era solo colpa sua: se avesse lasciato Ray in vita, adesso la giovane Giapponese sarebbe stata sveglia e tra le braccia dell’uomo che amava, e non un vegetale nella clinica privata di un vecchio pervertito che non aveva perso tempo a provarci con lei e Saeko nonostante loro lo avessero immediatamente messo al suo posto.

“Lisbon, piantala.” Jane la redarguì con una voce leggermente sibilante, la sua postura rigida mentre stringeva le mani a pugno. “Quello che è successo non è colpa tua. Se non avessi sparato, quel bastardo ti avrebbe uccisa. E comunque, se crede che dopo essere stato catturato Haffner gli avrebbe ridato la sua ragazza, allora Saeba è solo un sognatore. Ray era esattamente come McAllister, fidati. E comunque, avevi ragione tu. Se c’è un colpevole sono io. Se non mi fossi intromesso forse non ci sarebbe stata questa escalation...”

“Sì, però…” lei tentò di dire, ma Patrick le fu accanto in un attimo, e le mise le mani sulle spalle, obbligandola a guardarlo negli occhi. Jane la fissò con amore e disperazione e dedizione, trasmettendole con il suo sguardo tutto quello che a parole aveva sempre fatto fatica a dirle. Ryo, invece, a parlare non si era fatto troppi problemi…

 “Allora Doc, cos’ha per me?” Ryo chiese al suo anziano mentore una volta che, in compagnia di una più giovane collega, fu uscito dalla stanza in cui aveva visitato Kaori; erano ormai passate diverse ore da quando erano arrivati sul posto, e nella sala d’aspetto, Mick guardava il televisore, sintonizzato sulla CNN, che trasmetteva a ripetizione immagini delle sedi di Visualize che in tutto il mondo andavano a fuoco e si accasciavano, quei giganti di ferro, acciaio e vetro, su stessi. Se alla prima deflagrazione a Tokyo i reporter lo avevano chiamato un atto terroristico, compiuto da un membro di una frangia estremista della comunità, che, nel suo delirio, aveva anche assassinato il suo “padre spirituale”, nelle ore successive era divenuto lampante che ci fosse un oscuro e tetro disegno dietro, e quella distruzione aveva portato a rivolte nelle “case” di tutto il mondo che non avevano voluto seguire il disegno di quel folle, ribellandosi, ma soprattutto... soprattutto, alla notizia della morte del guru, internet era stato improvvisamente popolato da tantissime donne, di tutte le età, che ricordavano come egli avesse compiuto loro violenza.

Mick, divorato dal senso di colpa nonostante Falcon gli avesse dato una pacca sulla spalla per farlo stare meglio, stringeva i denti ed i deboli pugni martoriati… ascoltava la lettura di quei messaggi che non faceva fatica a ritenere veritieri, e volgeva il capo in direzione della porta dietro cui era nascosta, e tenuta al sicuro, il suo primo amore, temendo che la creatura angelica fosse stata costretta  a subire quello stesso triste destino… proprio lei, che per stare accanto all’uomo che amava, aveva sempre rifuggito i piaceri della carne, desiderando che Ryo solo potesse conoscere il suo corpo.

Mick si alzò dalla sua sedia, e si avvicinò alla stanza, rimanendo tuttavia leggermente in disparte, conscio che il suo migliore amico non desiderasse condividere quel momento, ma tuttavia, voleva sapere, voleva sentire il responso con le proprie orecchie, non tramite altri che avrebbero potuto edulcorare la pillola per farlo sentire meglio.

“Le buone notizie,” il professore iniziò, con voce baritonale, fissando il pavimento. “Una buona notizia è che Kaori non ha subito violenza, non ci sono tracce di traumi sul suo corpo, e nel suo organismo non abbiamo trovato tossine o altro, se non una lieve quantità di scopolamina, o respiro del diavolo, una sostanza che presumo Haffner abbia usato per rafforzare la sua presa su di lei. Sappiamo quindi che il suo stato di incoscienza non è fisiologico, ma tuttavia…”

“Tuttavia…. cosa?” Ryo fece un passo avanti, la voce spezzata dalla preoccupazione, gli occhi che brillavano, quasi stesse lottando con tutto sé stesso per non piangere. Il suo intero corpo era teso come un arco, come una corda di violino, pronto a scattare alla minima avvisaglia o alla parola sbagliata. “Qual è la cattiva notizia?”

Il professore si morse la lingua, in silenzio, chiedendosi cosa e quanto dire; tuttavia, al disperazione e l’amore nello sguardo di Ryo, che già anni prima lui aveva intravisto, era ora così palese che l’anziano decise di parlare, facendosi coraggio. “Kaori non si sveglia, è come in una sorta di trance. Da quello che ho potuto capire anche leggendo di Stiles e dei suoi uomini, Visualize pratica da anni l’uso dell’ipnosi con ottimi risultati… e credo che questo trance sia la conseguenza di uno stato ipnotico.”

“Beh, allora qual è il problema? La possiamo svegliare, no?” Mick si intromise.

“Non è così facile….” il professore continuò, cupo, mentre la collega gli metteva una mano sulla spalla come per incoraggiarlo, e poi se ne andava. “Per poter svegliare Kaori avremmo bisogno di sapere quale trigger ipnotico è stato usato, o se le sono state date determinate istruzioni per uscire dallo stato di trance... ma questo lo sanno soltanto lei e l’uomo che l’ha ipnotizzata…”

“Haffner.” Ryo sibilò a denti stretti. Senza attendere altro, si girò sui tacchi, le mani in tasca, e raggiunse la stanza dove Kazue stava medicando Teresa; le aveva suturato la ferita con dei cerotti a farfalla,  ma la cicatrice sarebbe rimasta a perenne ricordo dell’accaduto.

“Credo che questa sia sua, Saeba.” Jane gli arrivò davanti all’improvviso, senza che Ryo avesse nemmeno avvertito la sua presenza- non aveva ancora capito se ci riusciva perché lui ultimamente era distratto, o se l’uomo possedesse un qualche tipo di abilità o addestramento che gli permetteva di nascondere la sua aura. Con sguardo sofferto, Ryo prese l’amata Colt di Kaori per il calcio senza dire una parola, ma leggermente compiaciuto che, da bravo gentiluomo, seguendo il loro codice morale, gli avesse passato l’arma non per il calcio ma per la canna, mostrando fiducia ma, soprattutto, di non voler essere considerato un nemico. “Grazie. Se non fosse stato per lei, io oggi sarei di nuovo vedovo, e mio figlio sarebbe stato costretto a crescere senza madre.”

Sarebbe stato quasi ironico, Jane aveva pensato: Teresa stessa era cresciuta senza madre, orfana, ed aveva avuto un padre che aveva saputo solo trasformarsi in un mostro: per alcuni interminabili secondi Jane si era chiesto a quale destino sarebbe andato in contro il loro fagotto d’amore, se lui stesso, arso dall’amore perduto, sarebbe divenuto un mostro destinato ad essere odiato fino alla fine dei suoi giorni… ma era stato grato a Saeba- perché lui non credeva in forze superiori di nessun tipo- di aver permesso alla poliziotta di aver salva la vita, cosicché quello sarebbe rimasto solo un incubo funesto, per ora.

“Teresa sta bene?” gli domandò, mesto, e Jane fece cenno di sì col capo, voltandosi in direzione di Teresa, che sfiorava la vistosa fasciatura che aveva al collo.

“La ferita al ventre non era grave, grazie al cielo, ma dovrà portare un collarino di velluto come uno dei personaggi del Fantasma di Canterville di Wilde dopo che lo spettro l’aveva bruciata con le dita, ma direi che è un compromesso accettabile.” Si grattò il collo, e fece una risatina. “E comunque, nonostante quello che dice mia cognata, ho il vago sospetto che lei conosca molto bene un ottimo chirurgo plastico.”

I due uomini rimasero in silenzio; Jane avrebbe voluto chiedere di Kaori, ma ricordando fin troppo bene cosa si provava ad essere dall’altra parte, ad avere persone che domandavano, pretendevano risposte, era restio a farlo.

Ryo, tuttavia, era un uomo di poche parole, a cui bastava spesso guardare una persona per capire cosa pensasse; in questo, i due uomini erano simili, e anticipò la domanda, congelando il mentalista con la sua freddezza e la sua rabbia disperata.

“Beh, allora sei stato fortunato, Jane…” Ryo parlò con calma, freddezza e determinazione mentre riponeva nella fondina la sua arma. “Perché Kaori è ancora priva di sensi, ed il professore dubita che senza l’aiuto dell’uomo che abbiamo ammazzato si potrà riprendere presto…”

Ryo si voltò, e se ne andò, senza aggiungere altro, con occhi freddi, carichi di morte e desolazione, mentre, all’interno della stanza di Teresa, calava un silenzio glaciale…

Aveva sentito tutto… e sapeva che era vero. Kristina Frye, una delle poche donne a cui Jane aveva prestato interesse dopo la scomparsa della moglie (nonostante il suo interesse fosse stato solo simulato, atto a farle ammettere di essere una truffatrice e non una sensitiva), non era mai uscita dallo stato di trance in cui John il Rosso l’aveva fatta sprofondare: giaceva inerte in un letto d’ospedale da anni, il suo corpo e la sua mente erano state ingannate nel credere di essere stata assassinata… solo in poche occasioni erano riusciti a riportarla alla realtà, attraverso una seduta spiritica in cui Patrick aveva fatto da medium, ma la convinzione della donna era così profonda, come la fede nelle doti divinatorie dell’uomo di cui si era infatuata, che non erano mai stati in grado di invertire completamente il processo...

“No,” le disse, con una voce rotta da lacrime che si rifiutava di versare per non far star male, ancora di più, la sua amata. “No, Teresa, non torturarti così. So cosa ha detto Saeba, ma non è colpa né tua né sua- e credimi, lo sa anche lui. Sapeva quali erano i rischi quando ti ha dato quella pistola di nascosto per difenderti. Quando si è feriti ed arrabbiati non si pensa, lo sai anche tu… io anche ero così, agivo e parlavo senza pensare, quando si trattava della mia famiglia.”

Jane le prese le mani tra le sue, ed iniziò a giocherellare con le loro dita intrecciate, mentre sua moglie tentava, attraverso la porta aperta, di intravedere cosa stesse accadendo al di fuori: nonostante le ferite non fossero gravi, aveva comunque perso sangue, e poi, non si era nemmeno ancora ristabilita del tutto dal parto, e il vecchio - un porco, ma che sembrava sapere il fatto suo- non voleva che si stressasse. Nessuno le diceva nulla, anche Patrick era stato molto vago dopo la discussione con Saeba; l’unica persona che aveva dimostrato di avere le palle era Saeko, che, da anima affine, le aveva spiattellato in faccia la semplice verità riportandole i fatti, senza aggiungere giudizi.

“La Noragami era molto… sofferente,” Teresa cercò la parola più adeguata, ma più di quello non seppe trovare, ripensando a come Saeko le era parsa quando era andata a trovarla il giorno prima, e le aveva raccontato di Kaori. Era chiaro che, nonostante le apparenze, era molto legata alla giovane donna dai capelli rossi. “Però lo sai cosa mi ha detto? Che Kaori le era sembrata la bella addormentata nel bosco… effettivamente, con quel vestito rosa ci assomigliava pure alla versione Disney… subito lo avevo pensato anche io, non avevo visto subito che era il vestito che Grace aveva scelto per le sue damigelle.”

Scoppiò a ridere, scuotendo il capo, le guance arrossate.

“Santo cielo, quel vecchio deve avermi dato della roba davvero pesante per il dolore, per farmi straparlare così, non riesco a credere che…” Teresa arrossì, nascondendo il volto dietro alle mani, vergognandosi di aver detto una tale stupidaggine riguardo ad una cosa così seria e triste.  Si accorse che il marito non aveva risposto, né fatto una delle sue solite sagaci battute o di quelle risatine che la facevano innervosire e finivano col farla imbarazzare ancora di più: era rimasto in silenzio. Quando alzò lo sguardo per capire cosa stesse accadendo, la donna trovò Jane concentrato, perso nei suoi pensieri: stava riflettendo su qualcosa. “Jane, ma cosa…”

“Kristina credeva di essere morta e per rompere il trance ipnotico abbiamo usato una seduta spiritica, perché lei a quelle baggianate ci credeva davvero. Quindi...” Le disse, il volto illuminato. Adorava il suo lavoro. Adorava risolvere quiz, enigmi e misteri, era nato per quello. “Quindi, per rompere lo stato ipnotico di Kaori dobbiamo scoprire cos’è che lei voleva di più al mondo, la cosa in cui aveva più fiducia assoluta, e usarla a nostro favore. Haffner era bravo, ma non certo come McAllister, per questo ha avuto bisogno del Respiro del Diavolo per piegarla completamente. Se riusciamo a far emergere Kaori anche solo per un attimo potremo usare questo a nostro vantaggio per lavorare su un risveglio sempre più lungo, fino a che non rimarrà sempre cosciente.”

“Jane…” Teresa lo guardò con quella che lui definiva la sua espressione da piccola principessa inviperita, stringendo i denti, nemmeno avesse voluto mandarlo a cuccia. “Non pensi che magari potresti dirlo al professore e Saeba invece che a me?”

“Ah, sì, effettivamente…” e mordicchiandosi le labbra, con un’espressione divertita, uscì dalla stanza della sua bella…

 

Nella stanza di Kaori, Ryo gettò nel cestino la tazza di carta del caffè e si stropicciò gli occhi, facendo scricchiolare i muscoli della schiena. Era da quando Kaori era stata “ricoverata” che non la lasciava se non per brevissimi intervalli di tempo, si era a malapena fatto una doccia per togliere l’odore di fumo e bruciato dal suo corpo, sfruttando però il bagno privato del professore. Si era sì cambiato, ma a portargli il cambio era stato Mick: lui, la sua Kaori, non l’avrebbe lasciata fino a che non si fosse risvegliata.

Avevano torto, il professore e Jane. Dovevano: lui non poteva concepire la vita senza di lei, soprattutto non ora che era giunto finalmente a compromessi con le sue emozioni ed aveva deciso di essere chiaro e vivere il loro amore alla luce del sole.

“Oh, Kaori…” Sospirando triste, si sedette accanto al letto, e si chinò su di lei, sistemandole una ciocca di capelli dietro alle orecchie. Pareva davvero solo addormentata.. sembrava così serena, in pace… possibile che stesse meglio in quel mondo onirico dove, con tutta probabilità, non aveva a che fare con lui? “Mi senti? Sono io, Ryo… riconosci la mia voce?”

Non accadde nulla, come non era accaduto nulla tutte le altre volte che ci aveva provato.  Ryo si lasciò ricadere sulla sedia, gettando il capo all’indietro, stanco e stufo e arrabbiato, soprattutto con sé stesso: se erano in quella situazione, la colpa era solo e solamente sua, non poteva prendersela con Jane e Teresa… Kaori era stata fragile preda di quei balordi di Stiles ed Haffner perché dopo la radura si era rimangiato la sua promessa di amore eterno. E poi… poi, quella fatidica notte, lui e Mick si erano ubriacati con la bella Maiko, erano finiti a dormire tutti nello stesso letto e lei, la mattina dopo, li aveva trovati lì, nudi come vermi, e lo shock era stato così forte da farle abbassare le sue difese e farla cadere nelle mani di quell’assassino.

“Ti sveglierai mai, Kaori?” chiese, a tutti e nessuno in particolare, fissando il soffitto. Aveva voglia di una sigaretta, ma sapeva che la sua partner non avrebbe apprezzato, perciò resistette: sarebbe andato a farsi due tiri quando Mick e Miki fossero arrivati a dargli il cambio per il pranzo.

Si alzò di nuovo in piedi, e andò dal lato opposto del letto, si appoggiò con la schiena contro il muro e le sfiorò, con le nocche, la delicata guancia.

“Kaori, cosa ti ha fatto quel maledetto? Proprio ora, che pensavo di essere pronto a darti tutto l’amore che ti meriti...” le chiese, cercando i suoi occhi chiusi. Temette di averla persa per sempre, e fu percorso da un brivido freddo. “Se tu non tornassi più da me… preferirei la morte che non vederti più.”

“Molto melodrammatico, Saeba, ma non credo sarà necessario.” Jane gli fece un sorrisetto sghembo, ed entrò nella stanza, raggiungendolo; si sedette nella sedia che Ryo aveva lasciato libera, accavallando le gambe e portando l’indice destro alle labbra.

“Che diavolo vuoi, Jane? Tu ed i tuoi non avete già fatto abbastanza casini?” Ryo gli rispose freddamente, voltandosi dall’altra parte; Jane lo squadrò da cima a fondo, con la stessa freddezza, calcolatore e indagatore dell’animo umano, e aspetto di percepire il seppur minimo movimento, un leggero cambio di postura, un sussulto, per riprendere la parola: aveva bisogno che Ryo fosse in sé, padrone delle sue emozioni, e nel giusto stato d’animo per ascoltare quello che aveva da dirgli, perché, il mentalista lo sapeva, la premessa non gli sarebbe piaciuta. 

“Kristina,” Jane iniziò col dire semplicemente quel nome di donna, gli occhi leggermente bassi e la voce colma di dolore e qualcosa che Ryo conosceva fin troppo bene: sensi di colpa. “Si presentava come una sensitiva, ma dato che era lo stesso trucchetto che aveva fatto io da quando sapevo camminare, ero certo che fosse una truffatrice. Col senno di poi, mi sono reso conto che invece era una donna debole, fragile… e malata. Era davvero convinta di poter parlare con i morti. E lui sfruttò proprio questo.”

Fece una pausa, attendendo che Ryo lo bloccasse o gli facesse qualche domanda, ma così non avvenne; tuttavia, lo sweeper si voltò per guardarlo in viso, e gli fece cenno di continuare.

“Uscii con lei un paio di volte, ero molto… combattuto. Mi sentivo ancora molto legato a mia moglie e non credevo di meritare di avere anche solo desiderio verso una donna fino a che non avessi vendicato lei e Charlotte, e poi c’era Teresa, che ero convinto potesse avere di meglio. perciò mi dissi che lo facevo per smascherarla, ma lo sapevo che non era così. Ero attratto da lei ma non lo volevo ammettere. Un giorno si mise a parlare di John il Rosso con un reporter, gli fece una sorta di profilo, e lui la prese molto male… la rapì, ipnotizzandola. la trovammo in stato catatonico. L’aveva ipnotizzata, facendole credere di essere uno spettro.” Chiuse gli occhi, come per riportare alla mente quel fatto accaduto così tanti anni prima, e per preparare quell’affondo che, lui lo sapeva, avrebbe potuto distruggere il fragile cuore di Ryo in un battito d’ali. “Non si è mai svegliata, perché il trigger ipnotico legato al risveglio era qualcosa che il suo io conscio sapeva essere impossibile: lei non era morta, quindi era impossibile che una seduta psichica la potesse riportare nel mondo dei vivi. Haffner i trucchi del mestiere li ha imparati da McAllister, quindi è ragionevole pensare che abbia attuato lo stesso processo per lei. Quindi, se riuscissimo a ricreare ciò che lei vuole, il suo subconscio sarebbe in grado di percepirlo e si sveglierebbe. Da lì sarebbe facile cancellare del tutto la manipolazione mentale a cui è stata sottoposta.”

“Tutto qui?” Ryo domandò, grattandosi il collo, guardando ora Kaori, ora Jane, con un sopracciglio alzato con fare interrogativo. “Credi davvero che potrebbe essere così facile?”

Jane scrollò le spalle, mordendosi il labbro. Non era certo di cosa rispondere, dopotutto, la sua era solo un’ipotesi, ma…. sì: forse, forse, Kaori non era perduta. “Si tratta solo di una teoria, ma, sì, credo onestamente che potrebbe funzionare.” Fece una pausa, guardando quell’uomo che forse non avrebbe mai chiamato amico, troppo diverso eppure così simile a lui, ma che, nell’arco di pochi giorni, aveva imparato a rispettare. “Saeba, tu ed i tuoi amici, siete voi quelli che la conoscete meglio: cos’è che Kaori potrebbe volere così tanto da riportarla qui?”

“Penso di sapere cos’è che Kaori vuole…” Me, Ryo pensò, noi, mentre un sorrisetto furbo gli apparve sulle labbra, facendogli risplendere gli occhi che per giorni erano stati spenti; si chinò su di lei, respirando la sua stessa aria, ad un alito dalle labbra della donna, e, mentre il suo naso sfiorava quello di lei, prese a sussurrare. A Jane mancò il fiato in gola, tanto era magica ed elettrica l’atmosfera: poteva vedere sul viso dell’uomo tutta una gamma di emozioni… gioia, amore, desiderio, ma soprattutto…. pace.

Aveva avuto ragione: lui e Ryo si assomigliavano più di quanto avesse voluto ammettere. Perché entrambi erano angeli oscuri, ancorati in un passato di distruzione, e solo l’amore aveva permesso che si salvassero, uscendo, finalmente nella luce, l’amore di due donne coraggiose, dal cuore grande, ricolmo d’amore, talmente innamorate da aspettare e lasciarli andare: lui aveva Teresa, e Ryo aveva Kaori. Quel momento era troppo personale, quasi sacro per essere disturbato, così Jane si alzò, allontanandosi, ma rimase tuttavia sulla porta, per vedere non tanto cosa Ryo avrebbe fatto o detto, ma per capire se avrebbe funzionato.

“Kaori, quello che ti ho detto nella radura, era vero. Ti amo, come non avevo mai amato nessuna.” Ryo le sussurrò, coprendo le mani di Kaori con le sue, sopra la semplice coperta azzurrina. Sospiro, facendo una lunga pausa, alla ricerca delle parole giuste, quelle migliori, ma poi scrollò il capo, decidendo che avrebbe fatto parlare il cuore.

“Quando ti ho detto che il mio era solo un piano per distrarre il nostro avversario e che tu eri come una sorella, penso che tu lo sappia già, ma ho mentito. E vorrei dirti che l’ho fatto perché volevo proteggerti, ma la verità è che sono un codardo. Ho paura a fare qualcosa in cui non mi sono mai cimentato prima d’ora, che finirò col mandare tutto a puttane come mio solito, ma soprattutto, ecco, ho paura che mi piacerà troppo, e che mi lascerai e io non sarò più in grado di andare avanti senza di te. Ma, credo che il gioco valga la candela…” prese a disegnarle dei ghirigori con la punta delle dita sulla pelle, mentre la guardava, con un sorriso sornione. “Non lo credi anche tu?”

Guardò la sua Kaori, ancora addormentata, e gli sovvenne quando andò con la piccola Mayu al cinema, perché la ragazzina voleva sentire la storia sebbene non la potesse vedere: la bella addormentata nel bosco.

Aurora, la bella principessa dall’abito rosa che si svegliava dopo il bacio del principe azzurro.

“Torna da me, Kaori…” Si chinò su di lei, e le sfiorò le labbra con le proprie, fu giusto una carezza, quasi avesse passato sulle soffici labbra il petalo di un fiore, carezzevole. “Svegliati amore mio.”

Di nuovo posò le labbra sulla bocca di Kaori, ma stavolta il bacio fu passionale, e mentre con la lingua le stuzzicava le labbra, tenendo gli occhi aperti per cogliere il benché minimo cambiamento, avvertì come un sussulto, un singhiozzo… un gemito, e prima che se ne rendesse conto, la lingua di Kaori stava duellando con la sua, i loro respiri stavano divenendo uno, e le loro bocche si univano, affamate e assetate, mentre Kaori si aggrappava con tutte le sue forze alla maglietta del suo partner, avvertendo calde lacrime bagnarle il viso...

Ryo stava piangendo.

“Ryo…” sussurrò con voce roca e stanca, mentre lei stessa scoppiava a piangere, “Cosa… dove…”

“Non importa, Kaori…” Ryo la consigliò, asciugando le lacrime della sua compagna con i ruvidi pollici, mentre teneva tra le mani quel viso delicato, quasi fosse stato il più grande dei tesori- e per lui, lo era. “Adesso riposati… quando ti sarai ripresa, ti spiegherò tutto…”

“Ma, io…”  Kaori abbassò gli occhi, arrossendo, febbricitante ed emozionata, ma timida in quelle dichiarazioni e richieste che per lei erano territorio sconosciuto, ma che, dopo quel bacio, si sentiva comunque autorizzata a porre. Tuttavia, la debolezza e la stanchezza ebbero la meglio su di lei, e Kaori perse i sensi, anche se, stavolta, sul suo viso aleggiava un sorriso di gioia e libertà.

“Piccola intrigante, ma cosa volevi fare, stuzzicarmi? Come se potessi prendermi la nostra prima volta in un letto d’ospedale…. Ah, donna di capo fede!” Ryo scoppiò a ridere, e si sistemò sul letto, puntellandosi su un gomito, faccia a faccia con Kaori. Riposava, lei: ma non aveva alcuna intenzione di allontanarsi dalla sua donna, non ora che era di nuovo sana e salva tra le sue braccia.  “Eh, ragazza mia, le cose che ti farò appena saremo a casa… vedi quando ti metto le mani addosso che ti combino, chi lo ferma più il tuo stallone?”

Ridendo, le diede un bacio sulla fronte, prima di cadere nelle braccia di Morfeo insieme a lei.

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


L’aereo destinato a riportarli negli Stati Uniti partì poco meno di una settimana dopo; Abbot se n’era già andato, lasciando il paese subito dopo l’incendio alla “sussidiaria” di Visualize; Cho era partito con lui per riorganizzare l’ufficio di Austin per l’assenza che si sarebbe ancora prolungata per un breve periodo di Jane e Lisbon- ma, Jane ne era certo, l'ultima notte in Giappone il misterioso coreano non l’aveva passata da solo, ma in compagnia della bella Saeko. Non ne sarebbe uscito nulla, il mentalista lo sapeva, ma aveva l’impressione che la bella ispettrice, dopo quella scappatella, si sarebbe ammorbidita, e avrebbe deciso di credere di nuovo all’amore e alla passione, dopo la perdita del fratello di Kaori. Jane era rimasto con Lisbon: il professore, che era stato così gentile da ospitarli nella sua casa per tutto il tempo, aveva voluto tenere sotto controllo le ferite che Teresa aveva riportato quando Haffner aveva tentato di ucciderla. Lei era stata reticente, non volendo far restare Evan senza la sua mamma per così tanti giorni, ma aveva avuto almeno la grazia di poterlo vedere sullo smartphone, in video-chiamata… e poi, aveva la certezza che, con Grace e Wayne, il figlio sarebbe stato in buone mani.

Jane sorrise, ripensando al professore. Era un bravo vecchio, strano, ma bravo, e Jane aveva il vago dubbio che tutta quell’apparente idiozia fosse solo per combattere la solitudine, il senso di perdita… e tentare, disperatamente, di dimenticare qualcosa di orribile che era accaduto nel suo passato. Non aveva indagato- una volta lo avrebbe fatto, ma adesso aveva Teresa a fargli da bussola morale- ma lo sguardo carico di affetto che l’anziano indirizzava a Ryo, il modo in cui lo chiamava Baby Face, non per schernirlo, ma quasi fosse un padre…

Quei due, avevano un passato in comune. E ambedue avevano visto, e forse anche vissuto, l’inferno. Li capiva: anche lui non aveva avuto vita facile, e poi, era successo quello che era successo, e per tanto tempo era stato guidato solo dal desiderio di vendicarsi, perso nelle tenebre da cui solo il suo amore era riuscito a salvarlo: Teresa, il suo primo amore adulto, a oltre quarant’anni.

Con un sorriso soddisfatto, Jane si palpò compiaciuto la tasca della giacca; la sera prima, Saeba lo aveva accompagnato in un club che lui e l’amico americano conoscevano bene, frequentato da espatriati statunitensi e britannici, e aveva tentato la fortuna tanto al biliardo quanto al tavolo da gioco, ripulendo bellamente i suoi avversari nonostante fosse da parecchio che non giocava più, dal momento che ovunque andasse era considerato “persona non grata”... aveva fatto una donazione al Professore per ringraziarlo del suo aiuto, lasciato qualcosa per aiutare le persone danneggiate dall’incendio della sede di Visualize ed era ancora riuscito a mettersi da parte una discreta sommetta: conoscendo Teresa, lei avrebbe insistito in un fondo studi per il figlio, ma lui aveva tutte le intenzioni di farle un bel regalino per esorcizzare il male ed il dolore che quel viaggio aveva causato loro: smeraldi, la pietra che stava meglio addosso alla sua donna.

La cercò con lo sguardo, controllando un’ultima volta l’orario sul telefono: stava chiacchierando con Miki e Kaori- soprattutto Miki, che era quella con la parlantina più sciolta in Inglese, e con cui lei sembrava avere più affinità. E Jane la fissò da lontano, senza vergognarsi di apparire come un cretino o sdolcinato, sorridendo come un idiota- tanto, non è che la gente avesse chissà quale alta opinione di lui, e poi, non aveva la benché minima intenzione di tornare in quella città, dove solo quel gruppo sgangherato lo conosceva, e nemmeno bene, alla fine.

“Beh, devo dirtelo, Jane, te la sei davvero scelta bene… quella donna è davvero una forza della natura!” Ryo apparve alle sue spalle, con le mani in tasca dei jeans neri. Stava sorridendo anche lui, guardando la scena, ma Patrick sapeva su chi il suo carezzevole sguardo si stava posando, approfittando del fatto che solo lui, un alleato destinato a lasciare le loro vite, era al suo fianco: Kaori. Anche lei pareva provare un profondo sentimento per lui- d'altronde, era stato il bacio di Ryo a svegliarla, come una moderna bella addormentata- ma c’era qualcosa che sembrava frenarli; sembrava, addirittura, che lei, ferita, fuggisse lo sguardo dell’uomo, o che non fosse certa di cosa stesse accadendo.

Ah,  la bella Kaori non sembra ricordare nulla di quello che è successo tra di loro… Jane sogghignò, guardando Ryo con un sorriso fin troppo compiaciuto per il suo bene, un’espressione che fece tremare Ryo perché sembrava non presagire nulla di buono. Lo sweeper guardò per un attimo Teresa di sottecchi, chiedendosi quanta pazienza quella donna possedesse  per avere a che fare ogni sacrosanto giorno della sua esistenza con il biondino e come esattamente avesse fatto ad innamorarsi di un esemplare del genere.

“Dì un po’, Saeba, esattamente, cosa è successo tra te e Kaori?” gli domandò senza troppi preamboli, con la sua solita aria saccente. “E non dire che non è successo nulla, perché non ti credo… carpire i segreti delle persone è la mia specialità da quando ho tre anni, e non sto scherzando- mi chiamavano il bambino che parlava coi morti. Figurati che a fare domande del genere ho guadagnato abbastanza soldi da comprami una mega-villa a Malibu, una collezione di auto vintage del valore di sette milioni di dollari, un Jason Pollock originale in salotto sopra al pianoforte a coda  ed un guardaroba Armani e Calvin Klein. Quindi, prima che tu me lo chieda o decida di provare a raccontarmi balle, sappi che sì, ero bravo, molto bravo.

Ryo alzò gli occhi al cielo, sbuffando lieve; avrebbe voluto non rispondere, magari inventarsi qualcosa, ma un’occhiata al mentalista gli disse che, se lo avesse fatto, Jane avrebbe trovato il modo di tirargli un tiro mancino, come un bimbetto petulante a cui era stato negato il giocattolo tanto desiderato.

“Beh, ecco… tempo fa le ho detto che l’amavo, più o meno, però poi me lo sono rimangiato…” Ryo disse, grattandosi il collo e fissandosi i piedi;  Jane si addolcì, e sospirò, comprensivo, rammentando quando era stato lui a dire a Lisbon che l’amava (prima di fingere di decapitarla per John il Rosso) per poi dire che era una cosa detta per vendersi meglio al killer… cosa a cui Teresa aveva creduto, anche in virtù che nemmeno due giorni dopo aveva scoperto che Jane aveva rotto il suo voto di celibato spassandosela con Lorelai Martins, una delle groupie di John il Rosso.

“Nel momento in cui hai detto di amarla eri sincero, ma poi hai riflettuto, hai capito che se fosse stata lontana da te, se non avesse fatto parte del tuo mondo, sarebbe stata più al sicuro…” Jane scosse il capo, senza mai smettere di fissare Teresa, con una voce così bassa e grave che stupì perfino Ryo. “Molti anni fa, lo feci anch’io. Confessai a Teresa di amarla mentre tenevo in mano una pistola, e poi le dissi che era stata una cosa detta sul momento solo per vendermi a John il Rosso, che volevo fargli credere che ero disposto ad uccidere ciò che più amavo pur di unirmi a lui. Lo sai cosa ci ho guadagnato?”

Ryo non rispose; tuttavia, il suo sguardo valeva più di mille parole.

“Io me ne stavo rannicchiato nel mio solaio a bere tè corretto con allucinogeni per sentirmi dire che ero amato da una versione adolescente di mia figlia che mi rompeva le palle perché mi facessi Teresa,  e lei ha iniziato ad uscire con altri uomini.”

“Sì, ma…” Ryo iniziò a balbettare, volgendo sguardi furtivi a Kaori, le mani in tasca. “Considerando la vita che faccio…forse sarebbe più al sicuro se non stesse con me, no?”

“Già, perché con me ha funzionato parecchio…” Jane fissò Ryo con espressione giudicante, usando lo stesso tono che avrebbe usato per spiegare, ad un adulto, che due più due faceva quattro. “Vuoi che ti elenchi il numero di volte in cui qualcuno che ce l’aveva con me se l’è presa con lei? Oh, e sto parlando di prima che ci mettessimo insieme.  Cosa che è accaduta dopo che mi era salita su un aereo per andare a sposarsi con un belloccio idiota che voleva prendere tutte le decisioni per lei.”

“Spo- sposarsi?” Ryo impallidì, terrorizzato, mentre guardava Kaori ridere.

Kaori sposata? Non con lui? Lontana da lui?

MAI!

“Già. Sono salito sull’aereo intrufolandomi a bordo, dopo aver scavalcato le recinzioni. Mi hanno arrestato con l’accusa di terrorismo. E mi sono pure rotto una gamba. Grazie al cielo Abbott ci ha pensato e mi ha pulito la fedina, altrimenti adesso non sarei qui ma a marcire in galera per l’omicidio di McAllister.”

“Sposata…” Ryo ripeté, come in trance, neanche fosse stato un disco rotto; Jane si strofinò le mani soddisfatto, vedendo finalmente la sua finestra aprirsi per scoprire tutti i torbidi segreti della relazione dello sweeper con la sua bella.

“Già, e tu non lo vuoi, vero Ryo?” gli diede una gomitata nelle costole, parlando con voce bassa ed un tono amichevole, che ispirasse fiducia. “Allora Ryo, me lo vuoi dire cosa è successo tra te e Kaori?”

“Alcuni giorni fa…” Ryo iniziò a raccontare, senza nemmeno rendersene conto, guidato dalle parole di Jane. “Alcuni giorni fa mi sono svegliato a letto col mio migliore amico e una tizia che non avevo mai visto, e Kaori ci è stata male perché ha pensato che io me la fossi spassata con un’altra, anche se io voglio solo lei. Ora, io so che non è successo nulla, che era solo una ragazza che abbiamo aiutato e poi lei si è ubriacata con noi, ma… mi dico anche che se non fosse accaduto, forse Kaori sarebbe stata più, non so. Non si sarebbe lasciata convincere da Haffner a seguirlo… e poi...”

“E poi? Su, continua, dai… apriti con me, confidami i tuoi dubbi e le tue tribolazioni.” Cullato da quella voce soave, tranquillizzato da quella presenza rassicurante, dalla presa sulla spalla che sembrava sprigionare vicinanza e non forza bruta, Ryo continuò a parlare, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, senza nemmeno rendersene conto, senza, forse, nemmeno volerlo: era come se fosse qualcun altro a parlare, come se lui non fosse lì e stesse guardando quel curioso spettacolo dall’esterno del suo corpo.

“Beh, io le ho detto di amarla e l’ho baciata per svegliarla, ma… ma adesso lei dice di non ricordare nulla, anche se ogni tanto sembra che mi guardi di nascosto e si sfiori le labbra, come per ricordare un bacio, e io non so come parlarle o se le dovrei parlare, perché non credo che lei si metterà a discutere di questa cosa rompendo il ghiaccio e....” Jane si staccò da Ryo ridendo, e gli batté le mani davanti agli occhi due volte; Ryo aprì e chiuse gli occhi, guardandosi intorno un po’ smarrito, poi lanciò un’occhiata assassina al mentalista, stringendo i denti. “Dì un po’, stronzetto, mica mi avrai ipnotizzato?!”

Jane scrollò le spalle con nonchalance, forse per dire forse sì, forse no, o magari e allora… qualunque cosa fosse, lui continuava a fare quel suo sorrisetto da so-tutto-io, da primo della classe e cocco dei professori che poteva averla sempre vinta. Era a dir poco irritante, e Ryo si chiese se, avesse deciso di strozzarlo o sparargli addosso, la cara Teresa se la sarebbe presa...

“Comunque, Saeba, ho i miei dubbi che la tua bella abbia remore ad affrontare l'argomento relazione sentimentale  con te... guarda un po’ la chi sta arrivando?” Jane gli mise una mano sulla spalla, stringendola in segno di amicizia, e gli sorrise, facendogli segno con il capo di voltarsi. Davanti a loro, c’era lei, l’unica donna a cui Ryo avesse pensato da diversi anni a quella parte, e si stava avvicinando con passo sempre più veloce, ed una curiosa luce negli occhi. “Saeba, ho aspettato quasi quindici anni per dire a quella donna favolosa che ero pazzo di lei, ed è stato per puro miracolo- non che io ci creda a queste cose- che lei ha mollato per me un uomo più bello, sano, equilibrato, giovane, atletico e messo meglio economicamente.   Sul serio, non so cosa ci trovi lei in me. Ora fatti una domanda, anzi, due: la prima, è se è possibile che esista un’altra donna, oltre a Teresa,  con un tale livello di abnegazione, la seconda se esiste, e mettiamo sia Kaori… perché cavolo la vuoi far soffrire così tanto?”

“Sì, ma….” Ryo arrossì, grattandosi il collo, e Jane sbuffò; quasi pestò i piedi allo sweeper nella speranza di farlo rinsavire.

“Niente se e niente ma, Ryo, ascoltami: se non vuoi che quella dea si stufi di aspettare e si metta a guardarsi intorno, tu esci da qui e vai in una bella boutique, le compri un vestito, sexy, ma di classe, niente di volgare, ed i suoi fiori preferiti… margherite? No… tulipani? Nemmeno… ah! Ci sono: garofani, giusto? Comunque…” Si mise a contare i punti sulle dita della mano, parlottando con Ryo e facendo attenzione che Kaori fosse ancora abbastanza lontana da non sentirli complottare alle sue spalle come sedurla. “Ricapitoliamo; vestito, fiori, cena, qualcosa di non troppo pretenzioso, ma nemmeno roba da fast-food, mi raccomando, e ricordati di servire nei piatti e non nei cartoni da asporto… ah, e dopo cena le fai un bel discorsetto, o magari prima del dolce, sesso e dolce sono davvero una gran bella accoppiata, e mi raccomando, l’onestà prima di tutto o non funzionerà. Sii onesto, e, amico mio, preparati a non passare mai più una singola notte da solo. Raccontale una balla, e  finirai col beccarti  il bicchiere del vino in faccia come è successo a me la prima volta che ho provato quel trucchetto.”

Jane terminò la frase con un sospiro languido, mentre i ricordi della sua confessione a Teresa gli riempivano l’anima e la memoria… il caso in Florida, inventato, in quel grazioso alberghetto, i vestiti che le aveva regalato, e poi… beh, lui le aveva detto la verità molto dopo, però alla fine era andato tutto bene. Adesso erano sposati e avevano un bambino che non vedeva l’ora di rivedere.

Ryo scoppiò a ridere, scuotendo il capo, e mentre il volo degli americani veniva chiamato, si allontanò, alzando un braccio come saluto. Gli sarebbe piaciuto rivederlo? Assolutamente sì, quel tipo gli stava simpatico, ma solo in circostanze migliori.

“Allora, socia, pronta a tornare a casa?” Le chiese, sfoggiando il suo sorriso da seduttore, e camminando al suo fianco tenendole un braccio intorno alle spalle. Kaori non rispose, ma abbassò lo sguardo e si morse le labbra, una cosa che incuriosì, e non poco, Ryo. “Beh, ma si può sapere cosa ti prende adesso?”

“Ryo, io… Mick mi ha detto cosa è successo con quella ragazza. Che… che non siete stati con lei.” Kaori si fermò, e mentre si stropicciava le dita, si mise faccia a faccia con Ryo. Alzò gli occhi verso di lui, ed arrossì. Deglutì, imbarazzata, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta: dire la verità, o non dirla? Esporsi, o salvare l’orgoglio? Rischiare il suo cuore, o no? “E… ecco… io mi ricordo tutto, Ryo. Di… di come mi hai svegliata, ecco. E di cosa mi hai detto.”

Ryo non seppe cosa dire: l’ultima volta che era accaduta una cosa del genere, dopo il loro quasi-bacio sulla nave di Kaibara, Kaori aveva preferito mettere tutto nelle mani di lui e aspettare, una cosa che, in un certo senso, stava ancora facendo. Ma adesso era stufa, ed aveva capito di essere abbastanza adulta- abbastanza donna- da prendere in mano le redini della situazione. perciò, con un sorrisetto sulle labbra, si mise sulle punte dei piedi, e lasciò un delicato bacio sulle labbra di Ryo prima di ritirarsi, attendendo una sua reazione.

“Piccola Cenerentola intrigante, è così che si bacia un uomo, eh?” Scoppiò a ridere, mentre la prese per mano, intrecciando le loro dita mentre si avvicinavano sempre di più all’uscita dell'aeroporto, pronti per tornare a casa e alla loro vita di tutti i giorni.

“Ma visto che mi hai svegliata con un bacio,  non sarei meglio come Bella addormentata?” Lo schernì leggermente, stringendosi al braccio solido e caldo di Ryo.

“Eh, no, Kaori, tu per me sei tutte e due, anzi, tu sei un po’ tutte quelle principesse sdolcinate delle favole che ti piacciono tanto, anche se il tuo principe azzurro è un po’ particolare. Ma…” le fece l’occhiolino, stringendosi ancora di più a lei e solleticandole il lobo dell’orecchio con il suo caldo respiro malizioso. “Mi sembra che ti avessi fatto una certa promessa mentre eri dal professore…”

Kaori arrossì ed abbassò lo sguardo, ricordando quella lasciva promessa di Ryo, che una volta che fossero stati nella loro casa, soli, lui le avrebbe dimostrato esattamente come si fosse guadagnato il soprannome di cui faceva vanto. Ryo, deliziato dalla silenziosa risposta ben esplicitata però dal corpo della sua dona – sì, ora la poteva finalmente chiamare così -  con un sorriso smaliziato le palpò il sedere, e, staccatosi da lei, si mise a correre verso la Mini, con Kaori che lo rincorreva, rossa in volto ed imbarazzata, ma stavolta, senza martelli.

Dopotutto, stavolta, era lei che lui voleva.

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