La notte del lupo e del gatto

di Davide Albertazzi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ATTO I: POLVERE, VINO E SANGUE ***
Capitolo 2: *** ATTO II: LA VIA DEL CACCIATORE ***
Capitolo 3: *** ATTO III: UN CUOCO SOPRAFFINO ***
Capitolo 4: *** ATTO IV: UNA DANZA DI VELENO ***
Capitolo 5: *** ATTO V: LA NOTTE DEL LUPO E DEL GATTO ***



Capitolo 1
*** ATTO I: POLVERE, VINO E SANGUE ***


                                       ATTO I: POLVERE, VINO E SANGUE


Il cielo nero, scuro, privato della luna e persino del tenue bagliore delle stelle a causa di un fitto strato di nubi plumbee, incombeva sulla città addormentata, celandone le forme sotto un velo di tenebra.
Tutt’intorno alle imponenti mura, ammassati l’uno sull’altro alla base della grande collina sulla quale sorgeva l’abitato, i fatiscenti edifici del distretto minerario apparivano ancora più scuri di tutto il resto, ricoperti com’erano dalla polvere che i tunnel vi vomitavano sopra senza sosta.
Le vie, deserte a quell’ora, si snodavano tra le case di legno, formando un labirinto nel quale solo i minatori che vi abitavano sapevano districarsi agevolmente, quasi gli ricordassero le intricate gallerie dove trascorrevano le loro giornate.
La porta della taverna si aprì di schianto ed un uomo barcollò all’esterno, accompagnato da un’ondata di musica, risate e profumo di stufato caldo.
Ubriaco fradicio incespicò in avanti tentando di afferrare uno dei pali che sorreggevano la veranda, ma le sue dita incerte mancarono il bersaglio e, perso l’equilibrio, ruzzolò goffamente giù per i gradini di legno finendo gambe all’aria nel bel mezzo della strada sollevando una densa nuvola di polvere biancastra.
Una donna dai capelli corti, con un grembiule bianco macchiato di sugo ed una grossa caraffa vuota in mano, uscì rapida dalla porta, attirata dal baccano.
Come vide l’uomo faccia in giù in mezzo al selciato la locandiera scoppiò a ridere.
“Te lo avevo detto Mert!” gli disse con tono materno “Sei troppo ubriaco per arrivare a casa intero e con il borsello ancora in tasca!”
“Ah, taci donna!” rispose il minatore alzandosi in modo traballante “Ubriaco… io?” si scrollò la polvere dalla giacca con fare altezzoso “Sarei forse riuscito a scendere le scale della tua bettola con un’acrobazia così complicata se fossi stato ubriaco? Eh? Io sto alla grande!” la indicò con un dito “Quindi torna ad agitare le chiappe e versare birra alla tua raffinata clientela di zotici e contadini che a me penso io!” e così dicendo si voltò e con passo malfermo si avviò lungo la strada.
“Ah come vuoi caprone,” gli urlò dietro la donna “ma poi non lamentarti con me se domattina ti sveglierai nudo in un canale di scolo!” e scuotendo la testa rientrò nella locanda.
Il minatore procedette ancora per qualche metro poi, sbandando leggermente, svoltò verso destra infilandosi in un vicoletto laterale.
Era talmente buio che non riusciva a vedere nemmeno i suoi piedi ed era costretto a procedere quasi a tentoni, con una mano appoggiata alla parete degli edifici che circondavano la stradina.
Il silenzio regnava sovrano, o meglio avrebbe regnato se non fosse stato per i gatti.
Decine, dozzine di gatti acquattati nelle tenebre sui tetti tutt’intorno a lui miagolavano e soffiavano riempiendo l’aria con un’insopportabile cacofonia.
Su un tetto più basso degli altri a pochi metri da lui vide brillare nelle tenebre almeno una ventina di occhi.
Con un grugnito l’uomo si chinò e raccolse una pietra. “Tacete fottute bestiacce!” gridò lanciandogliela contro.
Il sasso descrisse un arco sbilenco e colpì qualcosa nell’oscurità emettendo un tonfo sordo.
Un ringhio cupo rimbombò nel vicolo mentre un nuovo paio di occhi si accendeva sul tetto, un paio di occhi molto, molto più grandi degli altri.
“Oh Melitele… proteggimi” mormorò l’uomo sbiancando mentre una sagoma grottesca avanzava verso di lui.
Il minatore si voltò e cominciò a correre.
Alle sue spalle la bestia balzò giù dal tetto ed emettendo l’orrida e gutturale parodia di un miagolio si gettò all’inseguimento.
Disperato, con il cuore che gli pulsava nel cranio e la gola secca dal terrore l’uomo scappava più veloce che poteva, ma sentiva alle sue spalle il fiato della creatura, sempre più vicino, mentre il rumore degli artigli che grattavano il selciato gli straziavano le orecchie.
D’improvviso una luce apparve davanti al minatore, piccola, sottile, guizzante… una torcia!
“Fermo cittadino!” gli intimò la guardia alzando una mano “Perché stai corren…”
“La bestia di Tredgor!” gridò l’uomo superandolo.
“Come la best…” rispose la guardia voltandosi ed allungando la mano verso l’elsa della spada.
Ma non fece in tempo.
Una valanga di muscoli e zanne lo investì in pieno.
Uno schizzo di sangue caldo investì la schiena del minatore e grida terribili si innalzarono nell’aria.
Sentendosi male per lo sforzo l’uomo continuò a correre fino a che non fuoriuscì dal vicolo guadagnando la via principale, mentre alle sue spalle il rumore di carne strappata e ossa frantumate rimbombava tra gli edifici.
 
 
 
Il tenue sole primaverile splendeva timido nel cielo azzurro, riscaldando con i suoi raggi tiepidi il mondo sottostante, ancora impegnato a scrollarsi di dosso il torpore dell’inverno.
Come un grande mare di fronde reso di un verde brillante dalle foglie appena nate, un’immensa foresta si estendeva in ogni direzione, infrangendosi solo contro i ripidi pendii delle montagne innevate che si stagliavano sul filo dell’orizzonte.
Simile ad un taglio sulla tela di un quadro, una larga strada sinuosa si snodava lungo il bosco, intersecandosi di tanto in tanto con piccoli insediamenti di boscaioli e carbonari.
Geralt si portò una mano alla bocca tossendo sommessamente.
La polvere sollevata dai carri che gli scorrevano a fianco gli era entrata in gola e nel naso irritandolo fino ai polmoni.
Una modesta carovana procedeva lungo la via polverosa, per lo più sgangherati trabiccoli di piccoli commercianti Aedirniani e Riviani, intenti a trasportare merci provenienti dalle terre meridionali verso nord, nella speranza di rivenderle per un buon prezzo nei mercati di Tredgor, capitale di Redania.
Se il guadagno poteva essere aleatorio, il polverone che innalzavano avanzando sulla terra battuta era una dolorosa realtà.
Yarpen Zigrin, appollaiato sulla cassetta di un largo carro assieme ad uno dei suoi ragazzi, un altro nano dalla testa rasata e la barba arruffata, scoppiò in una risata fragorosa.
“Che c’è witcher?” domandò dando una pacca sul legno “Uccidi mostri dalla mattina alla sera e poi basta un po’di terra secca per farti tossire come una donnetta?”
“Taci Yarpen!” esclamò il witcher tirando un secondo colpo di tosse “Darebbe fastidio anche te se il tuo naso fosse in grado di fiutare uno Zeghul dentro ad un letamaio!”
“Che femminuccia…” borbottò Yarpen frustando i cavalli con forza “Dovresti prendere esempio da loro!” esclamò indicando con un gesto del braccio i cadaveri impiccati che neri e macilenti penzolavano a decine dai rami degli alberi intorno alla strada “Tutto il giorno qui in mezzo alla polvere, eppure non un lamento o uno starnuto! Come fanno i veri uomini!”
I tre nani che, incastrati malamente tra botti di idromele di Mahakam e pesce salato, sedevano sul pianale alle sue spalle, scoppiarono in una risata fragorosa.
Geralt scosse la testa e sospirando spostò lo sguardo sui cadaveri.
I corpi in decomposizione, a cui i corvi avevano prontamente divorato occhi e labbra, appartenevano per lo più a non umani, sia elfi dai vestiti strappati che nani dalle barbe intrecciate, e persino qualche gnomo.
Tutti con code di scoiattolo sui cappelli, tutti mossi da una leggera brezza quasi fossero macabre campanelle.
“Sono Scoiatel?” domandò Geralt, anche se conosceva già la risposta.
Yarpen emise un fischio di assenso “Scoiattoli, witcher, dal primo all’ultimo, più qualche collaborazionista e…” con un gesto indicò un gruppetto di umani “…e ovviamente il peggio del peggio, gli Hav’careen!”
“Sono tanti...” disse Geralt.
“Già...” rispose Yarpen grattandosi la barba “Fidati, la seconda guerra con Nilfgaard è alle porte! Si vedono sempre più oscuri oltre i confini a sud di Cintra e gli Scoiatel si sono fatti più violenti che mai! Così le forze speciali redaniane li impiccano lungo le strade, per spaventarli, per lanciare un messaggio!”
“E funziona?” domandò Geralt alzando un sopracciglio.
“Beh diciamo che…”
D’improvviso un alto abete crollò davanti alla carovana sollevando una nuvola di polvere ed aghi, impedendo ad i carri di avanzare mentre alle loro spalle un secondo albero cadeva bloccandogli la ritirata.
“AELIREEN!” il grido risuonò tra le fronde, seguito da una pioggia di frecce che colpì gli uomini in testa al convoglio.
“IMBOSCATA!”  gridò Yarpen a pieni i polmoni
I nani sul carro si abbassarono dietro alle botti, incespicando nel tentativo di afferrare le balestre con le dita tozze.
Geralt alzò il braccio verso il fodero della spada d’acciaio, ma una freccia lo colpì alla spalla disarcionandolo.
Rutilia si impennò nitrendo spaventata mentre il witcher sbatteva pesantemente sul terreno.
Dal nulla due elfi armati di spade ricurve sbucarono dal bosco e gli corsero contro.
Il più vicino alzò l’arma e fece per infilzarlo.
Fulmineo Geralt sguainò la spada d’acciaio e spazzò il terreno davanti a sé, mozzandogli il piede sinistro all’altezza della caviglia.
Lo Scoiattolo crollò in ginocchio urlando mentre il sangue schizzava dal moncherino.
Il secondo elfo attaccò con un fendente urlando a squarciagola.
Il witcher agile come un gatto scattò in piedi, deviò il colpo con la lama, poi osservando un lampo di stupore nei suoi occhi gli conficcò la spada nel petto trapassandolo da parte a parte.
Lo Scoiattolo crollò morto all’istante, mentre Geralt estraeva la lama grondante di sangue e con un fendente finiva il ferito mozzandogli la testa.
Un suono sfiorò le sue orecchie.
Corde tese.
Gli arcieri tra i rami stavano per scoccare, tutti su di lui.
Si preparò a lanciare un segno difensivo, ma le frecce non arrivarono mai.
Solo una serie di tonfi rimbombò sorda, mentre i cadaveri degli arcieri cadevano a terra ed i nani di Yarpen abbassavano le balestre.
Geralt fece un cenno di ringraziamento.
Il nano calvo seduto accanto a Yarpen fece per rispondere, ma un elfo sbucato da chissà dove lo afferrò, tentando di trascinarlo giù dal carro.
Fulmineo Yarpen si voltò e fece schioccare la frusta, colpendo lo Scoiattolo dritto in faccia strappandogli uno schizzo di sangue.
Geralt approfittando del momento scivolò sotto al carro e con un movimento unico lo colpì di taglio al ventre.
Urlando l’elfo si accasciò a terra mentre le budella gli penzolavano dalla ferita insieme ad una cascata di fluidi mefitici.
L’amico di Yarpen libero dalla presa si raddrizzò sul cassone.
Geralt rinfoderò la spada.
Nessun suono giungeva più alle sue orecchie.
La battaglia era finita, tutti gli Scoiatel morti o in fuga.
“Che l’inferno li porti!” esclamò Yarpen sputando a terra “Attaccare un pacifico convoglio di mercanti! Senza vergona!” balzò a terra “Forza ragazzi, giù dal carro! Dobbiamo rimuovere quel maledetto tronco! Geralt aiutaci anche tu! Temo che se non raggiungeremo in fretta Tredgor gli amichetti di questi cani potrebbero farci un’altra visita!”
Il witcher si strappò la freccia dalla spalla e annuì con aria seria.
 
 
 
 
La vista dal costone di roccia era magnifica.
Assediata da rampicanti ed alberi dai tronchi deformi la scarpata scendeva a picco verso il mare della foresta, come uno scoglio tra le acque in burrasca
Alcune centinaia di metri più avanti il bosco si interrompeva in modo netto e quasi brutale, lasciando spazio a una miriade di campi coltivati a frumento e segale con le spighe ancora acerbe che dondolavano mosse dalla brezza.
Oltre quel paesaggio agreste punteggiato di villaggi rurali e piccoli fiumiciattoli si innalzava imponente la città di Tredgor.
Piccola al confronto di Novigrad o Vizima era edificata sulla cima di un colle largo e tozzo, circondata da un’alta e solida cerchia di mura, al di sopra della quale solamente le affusolate e pallide torri di chiara fattura elfica appartenenti al palazzo reale svettavano fiere.
Alla base della collina gli squallidi edifici in legno del distretto minerario si estendevano in modo triste e disordinato, come una macchia di muffa su una bella coperta, con le case che si inerpicavano anche sulla parete rocciosa arrivando ad addossarsi fin sotto le mura.
Infine, lungo tutto il fianco del colle i tunnel di accesso alle miniere di rame si aprivano come grandi ferite nere tra i gruppi di baracche, vomitando continuamente polvere biancastra sull’ abitato sottostante.
Trasportato da un vento favorevole il polverone si spandeva in ogni direzione, arrivando a sfiorare le chiome della foresta.
Geralt si raddrizzò sul cavallo, poi si portò nuovamente la mano alla bocca e tossì leggermente.
“Ah la magnifica Tredgor!” esclamò Yarpen sogghignando “Costruita sulle rovine degli elfi e resa ricca dalle miniere scavate dai nani!”
“Un vero fiore all’occhiello degli uomini non c’è che dire!” rispose Geralt “Dannata polvere…” imprecò tossicchiando ancora.
“Oh witcher se ti infastidisce ora, la tua gola farà scintille in città!” si voltò verso di lui “Cosa farai adesso?”
“Penso che cercherò lavoro!” rispose Geralt pensieroso “Avranno sicuramente qualche mostro da ammazzare laggiù… Tu e i ragazzi invece?”
“Ah, consegneremo la fottuta merce che ci è quasi costata la pelle e aspetteremo qualche giorno alla locanda del Gatto Nero prima di ripartire con un altro carico...” si passò una mano sulla barba “A proposito se ti va’ di passare potremmo scolarci un bel barilotto di birra insieme! Io ed i ragazzi siamo in cinque invece…”
“Invece sei è il numero perfetto per fare ogni cosa, lo so… ci penserò Yarpen!” rispose il witcher, poi spronò la giumenta avviandosi lungo la strada che ripida e contorta scendeva a valle.

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Capitolo 2
*** ATTO II: LA VIA DEL CACCIATORE ***


Visto dall’interno il distretto minerario era ancora peggiore di qualunque cosa potesse apparire dal difuori.
Gli edifici in legno sbilenchi addossati gli uni agli altri davano una sensazione di costante precarietà ed abbandono mentre uno strato di polvere ricopriva i tetti e le strade, quasi fosse una grottesca parodia della neve.
Il witcher, lasciata Rutilia a rifocillarsi in una delle stalle all’ingresso dell’abitato, procedeva infastidito lungo la via affollata, emettendo sottili colpi di tosse ad intervalli regolari mentre con gli occhi ricercava la tabella degli annunci.
Finalmente, tra il brulicare di gente che lo circondava, riuscì a scorgerne il profilo sgangherato appoggiato alla parete di un edificio e imprecando sommessamente si mosse per raggiungerlo, districandosi tra una compagnia di minatori nanici che avanzava compatta con i picconi in spalla cantando una canzonaccia e un gruppo di lavandaie che frettolose procedevano nella direzione opposta.
Quando finalmente guadagnò il marciapiede, raddrizzò con un rapido gesto il fodero della spada d’argento, spostatosi dopo lo scontro con il piccone di un nano (o con la testa di una lavandaia, ma di questo non era sicuro) poi sospirò sconsolato constatando lo stato pietoso in cui versava la bacheca, letteralmente ricoperta da annunci di ogni tipo, molti dei quali palesemente vecchi di anni mentre incurante di tutto ciò un ragazzo con un martello in mano ed una decina di chiodi tra i denti era intento ad affiggerne altri sopra i precedenti.
Mentre si piegava in avanti nel tentativo di trovare qualcosa in quel caos di carta ingiallita il ragazzo si voltò per prendere l’ennesimo foglio dalla borsa di tela che portava a tracolla ed incrociò il suo sguardo.
Come i suoi occhi squadrarono il medaglione che pendeva dal collo del witcher il viso dell’attaccamanifesti si illuminò.
“Per Melitele!” esclamò spalancando la bocca e lasciando cadere a terra tutti i chiodi “Un witcher! Era ora che uno di voi venisse ad ammazzare la Bestia di Tredgor!”
“La… Bestia di Tredgor?” domandò Geralt alzando un sopracciglio.
“AH, vedo che vi suona nuovo!” esclamò il ragazzo, poi si voltò e fece scorrere le dita sui fogli della bacheca finché non ne afferrò uno e lo strappò “Ecco qua, Bestia di Tredgor blablabla, cercasi witcher, blabla bla cinquecento corone di ricompensa” disse porgendoglielo “Questo bastardo ci sta flagellando! Prima ammazzava solo in campagna, ma ora si è fatto coraggioso! Stanotte si è persino avventurato nel distretto e ha sbranato una guardia… a proposito se vi sbrigate dovreste riuscire ad arrivare in tempo per vederlo, ho visto il medico recarsi li pochi minuti fa!”
“Grazie…” rispose Geralt leggermente stordito dal flusso di informazioni “Dove trovo il cadavere?”
“Vai alla taverna del Gatto Nero, poi quarto vicolo a destra, non puoi sbagliare!”
Il witcher fece un segno di ringraziamento e si allontanò.
Pochi minuti e raggiunse l’imboccatura del quarto vicolo a destra oltre la locanda trovandovi una discreta folla accalcata che allungava il collo per vedere cosa fosse successo tra le mura fatiscenti mentre un paio di guardie robuste ne impedivano l’ingresso.
Rapido il witcher si fece strada tra i passanti e raggiunse i due soldati i quali, come videro la testa di lupo d’argento che gli pendeva dal collo si fecero da parte con un vago sospiro di sollievo lasciandolo passare.
Poche decine di metri più avanti, sul luogo dell’attacco, due uomini discutevano animatamente.
Il primo, con indosso una corazza di buona fattura e corti capelli ordinati in netto contrasto con la barba arruffata era in piedi con le braccia conserte e sembrava incalzare l’altro uomo, un ciccione coperto da un grembiule cerato chinato accanto al cadavere mutilato.
Un fastidioso miagolio costante proveniente dai tetti tutt’intorno grattava l’udito del witcher.
“Su dottore, non è possibile che mi sai dire solo questo!” esclamò il capitano delle guardie grattandosi la folta barba castana “Cosa dirò ai miei uomini? Che un non-si-sa-cosa con gli artigli retrattili ha ucciso uno dei nostri? Mi serve una risposta concreta… soprattutto se vogliamo fermarlo!”
“Cosa vuoi che ti dica Drabord?” rispose il medico tamponandosi il sudore che gli grondava dalla testa con un fazzoletto di stoffa scura “Sono un medico, non un maledetto ammazzamostri! Per capirci qualcosa ci vorrebbe un witcher!”
“Mhmm,” borbottò il capitano con aria pensierosa “forse potresti provare a chiederlo a quello che sta alle tue spalle…”
“Molto divertente...” brontolò il medico voltandosi “Quarant’anni suonati e ancora fai scherzi come i bamb….” la vista di Geralt lo interruppe “Ma che… tu capelli bianchi!” esclamò alzando un dito grassoccio “Sei un witcher sul serio?”
“No per finta” rispose Geralt impassibile “In realtà faccio il porcaro” indicò con un gesto del pollice le else che gli spuntavano dietro le spalle “le spade mi servono per farmi rispettare dai maiali, mentre gli occhi da gatto li uso per controllare che di notte nessuno me li rubi…”
Il medico alzò un sopracciglio mentre il capitano delle guardie scoppiava a ridere.
“E poi dicono che le mutazioni vi privano delle emozioni!” esclamò l’uomo continuando a ridacchiare
“Infatti, è così” rispose Geralt ironico “Ma il senso dell’umorismo ce lo lasciano tutto.”
“Molto divertente davvero…” sospirò il medico “Hai trovato un amichetto Drabord!”
Indicò il cadavere squarciato davanti a loro “Ora che ne dite di occuparci di questo? Cosa mi sai dire maestro?”
Geralt si avvicinò chinandosi accanto a lui ed osservò il corpo della guardia.
Il cadavere, o meglio ciò che ne rimaneva, era un condensato di orrore e raccapriccio.
Al posto del volto, divorato dalla creatura rimaneva solamente un buco rossastro dai brodi slabbrati dal quale di tanto in tanto spuntava il biancheggiare di un osso, braccia e gambe spezzate in più punti erano coperte di graffi profondi e irregolari mentre il torace era stato aperto come quello di una bestia dal macellaio, con la corazza a piastre letteralmente strappata in due a ricoprire ciò che restava della cavità addominale, dalla quale tutti gli organi erano stati sbranati.
“Dai tagli sulle braccia direi artigli retrattili, come quelli dei felini… l’armatura è distrutta quindi il mostro ha una forza spaventosa” abbassò gli occhi sul ventre e sulle macchie di sangue rappreso “ha divorato le budella, ma non succhiato il sangue, il che esclude Katakan e tutti i vampiri minori…” strinse gli occhi “Questi piccoli morsi sulle mani? Sembrano…”
“Gatti” lo interruppe il capitano “Quando siamo arrivati circondavano il corpo rosicchiando ciò che la bestia aveva scartato…” fece un gesto con la mano indicando i tetti “E anche ora non vogliono sloggiare...”
“Singolare…” disse Geralt “L’odore di un qualsiasi necrofago dovrebbe invece spaventarli e spingerli ad allontanarsi…” allungò la mano ed afferrò un ciuffetto di pelo castano rimasto impigliato nel metallo seghettato.
Lo sollevò rimirandolo, poi lo annusò leggermente.
“Allora?” lo incalzò il medico tamponandosi le guance con il fazzoletto “Cos’è?”
“Io… è stano, ma penso che si tratti di un gatto mannaro!” rispose Geralt alzando le sopracciglia.
“Ma… come?” domandò il capitano stupito “I mannari non dovrebbero trasformarsi solo durante il plenilunio? Invece questa bestia ci ha attaccati durante quasi ogni fase lunare. Diciamo ogni due giorni!”
“È per questo che è strano…” rispose il witcher alzandosi in piedi “Comunque l’odore sul ciuffo di pelo è particolare… dovrei essere in grado di seguirlo senza problemi.”
“Perfetto allora!” esclamò il capitano “Trova quella bestia e vendica il nostro ragazzo! E non preoccuparti per la ricompensa, sarà la corona a sborsare i soldi per la testa! Se il panico dovesse diffondersi tra i minatori la produzione di rame collasserebbe ed è qualcosa che la città non si può permettere!”
Il witcher annuì, poi fece un respiro profondo e si avviò lungo il vicolo seguendo la labile traccia che solo i suoi sensi superiori riuscivano a cogliere.
Guidato dall’olfatto e da qualche occasionale macchia di sangue o impronta mezza cancellata il witcher procedette tra i caotici vicoli del distretto minerario fino a che non sbucò nelle campagne del contado.
Lì, dopo avere localizzato un lungo sentiero di spighe schiacciate all’interno di un campo di segale, avanzò rapido, lasciandosi presto alle spalle anche il paesaggio agreste mentre la foresta iniziava ad addensarsi attorno al lui in un trionfo primaverile di fiori profumati e cespugli di un verde delicato.
Dopo alcuni minuti che camminava tra gli alti alberi secolari il witcher iniziò a farsi nervoso.
Gli odori della primavera, così potenti in ogni direzione soffocavano la vecchia traccia olfattiva del mostro rendendo il seguirla sempre più arduo.
D’improvviso i cespugli lì accanto si mossero in modo convulso.
Geralt sguainò la spada d’argento, pronto a colpire, ma invece di un gatto mannaro dalle frasche emerse un uomo dai capelli arruffati e la camicia bianca con le maniche arrotolate intento a correre più veloce che poteva.
Spinto dallo slancio sbattè dritto contro il witcher ed entrambi rotolarono a terra.
“Presto signore dobbiamo fuggire!” esclamò il taglialegna tentando di rimettersi in piedi “O la bestia di Tredgor ci divor…”
“Non divorerà nessuno, calma” rispose Geralt afferrando la spada d’argento che era rimbalzata via ed alzandosi con uno scatto “Sono un witcher! Da che parte si trova il mostro?”
“Un… witcher?” esclamò l’uomo incredulo “Oh Melitele benedetta…” indicò convulsamente alle proprie spalle “Io tagliavo legna… una radura da quella parte… il mostro è spuntato dal sottobosco… enorme e con lunghi artigli! Sono scappato per miracolo!”
“Torna a casa” rispose Geralt “Questo è un lavoro da professionisti” e così dicendo si inoltrò tra i cespugli di corsa.
Pochi secondi dopo sbucò nella piccola radura indicatagli dal boscaiolo e lì, nel bel mezzo dello spiazzo di erba tenera, accanto ad un faggio abbattuto con ancora l’ascia conficcata nel legno la bestia sedeva.
Geralt fece una smorfia.
Alta meno di un metro ed estremamente esile la creatura aveva lunghe braccia scarne che terminavano con piccole manine artigliate, mentre una larga bocca dentata si apriva tra le orecchiette puntute sul volto senza collo.
Il nekker, un comunissimo nekker balzò in piedi allarmato non appena si accorse della presenza del witcher.
“La bestia di Tredgor… come no… dannato taglialegna!” pensò Geralt osservando l’esseretto che gli si parava davanti.
Guardandolo meglio notò qualcosa di strano.
Il nekker era vestito.
Sulla testa un cappello floscio si incastrava tra le orecchie, una tunica di ricercata fattura strappata all’altezza della vita e delle braccia per renderla più corta ne copriva grottescamente il corpo mentre sul muso deforme un paio di occhialetti a lente tonda erano incastrati alla meno peggio.
Il witcher alzò la spada ed avanzo verso di lui.
Amanti della moda o meno i nekker erano creature pericolose, quindi tanto valeva fare l’ennesimo favore gratuito a dei paesani ingrati.
Come lo vide sollevare l’arma il nekker invece di attaccare alzò le braccia sopra la testa con fare terrorizzato nel tentativo di difendersi.
Geralt fece per avvicinarsi, ma dopo un passo una fitta tremenda gli colpì il cranio facendolo piegare in due per il dolore mentre una voce spettrale gli rimbombava nella mente
No, per favore, bravo witcher! RISPARMIAMI!”
Geralt confuso sollevò la testa e fissò il mostriciattolo negli occhi “Ma cosa… Tu sai usare la telepatia? E sai… parlare?”
Oh, non ci posso credere” esclamò la vocetta mentre il nekker muoveva le braccia saltellando goffamente per la gioia “Ha funzionato! Forese dopotutto questo inutile corpo ce l’ha un po’ di magia dentro di sé!” si sistemò gli occhialetti con la punta di un artiglio “Oppure tu sei un soggetto particolarmente malleabile a questo tipo di magia! Dimmi ti leggono spesso la mente?
Una fugace immagine di Yennifer passò davanti agli occhi del witcher “Più spesso di quanto vorrei…” rispose raddrizzandosi “Quindi tu cosa saresti? Una mutaforma che ha assunto l’aspetto di un nekker?”
Io… assolutamente no” esclamò la creatura “Io sono Abernatius di Ban Ard maestro in alchimia, telepatia e trasmutazione! Questo corpo è il risultato di un piccolo incidente sul lavoro!” alzò un sopracciglio, anche se in effetti il nekker di sopracciglia non ne aveva “A proposito, scommetto che ti hanno assunto per abbattere la bestia di Tredgor…”
“Scommetti bene…”
“Ecco… la bestia e il mio piccolo incidente sono… connessi… e potremmo, diciamo aiutarci a vicenda, senza contare che uccidendola in effetti decapiteresti un povero innocente” rispose il nekker con un certo imbarazzo.
“In che senso un povero innocente? Conosci il gatto mannaro?” domandò Geralt rinfoderando la spada d’argento
“Se avrai la cortesia di accompagnarmi al mio laboratorio, potrò fornirti tutte le delucidazioni necessarie… come si dice una immagine vale mille parole…” disse Abernatius corrugando la fronticina.
“E va bene…” rispose Geralt con un sospiro “fai strada.”

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Capitolo 3
*** ATTO III: UN CUOCO SOPRAFFINO ***


Il laboratorio, un’unica grande stanza dall’aspetto diroccato, puzzava.
Un rivoltante odore di muffa, umido e putrefazione aleggiava denso nell’aria dell’antica rovina elfica che giaceva da tempo immemore nel sottosuolo della grande foresta.
Lunghe librerie cariche di tomi e rotoli di pergamena ne ricoprivano la parete meridionale affiancate da una larga scrivania sulla quale un caos di documenti, appunti e provette sembrava sul punto di debordare verso il pavimento lercio mentre lungo il muro opposto un laboratorio alchemico, completo di alambicchi e reagenti di ogni tipo tirati a lucido, contrastava nettamente con tutto il resto dell’ambiente.
Al centro dello stanzone un inquietante tavolo per le somministrazioni, simile a quello usato dai witcher durante la prova delle erbe, giaceva riverso su un lato, con il metallo contorto e le cinghie strappate.
Poco lontano, accanto ad una gabbietta aperta, un cadavere in decomposizione con un ampio squarcio nel ventre giaceva abbandonato a sé stesso.
“Posticino accogliente…” commentò Geralt guardandosi attorno “Chi è il cadavere?”
“Sono io!” rispose il nekker scollando le spalle “Ora ti spiego…”si sistemò gli occhialetti “Avrai notato che gli Scoiatel appestano i boschi di Redania ogni giorno di più vero? E che per quanto si sforzino quei bruti delle forze speciali della corona non riescano a fermarli in maniera definitiva! Così ho pensato, per la sicurezza della mia nazione, di ricercare io stesso una soluzione!” indicò gli strumenti alchemici “Attraverso i miei studi ho scoperto l’estrema malleabilità delle mutazioni che causano la trasformazione di un umano in un gatto mannaro, così ho impegnato il mio genio per tentare di rendere indipendente la trasformazione dal ciclo lunare ma collegandola alla volontà dell’infetto e contemporaneamente mantenendo vigile la suddetta volontà durante la fase bestiale!”
Geralt scosse la testa incredulo “Perché fare un cosa così pericolosamente stupida?”
“Per creare il cacciatore di Scoiatel definitivo, mi pare ovvio” esclamò Abernatius “Un soldato in grado di stanare gli elfi ovunque si nascondano!” scosse la testa “Purtroppo qualcosa è andato storto e quando ho iniettato il siero a Franz, il mio apprendista, lui si è trasformato, è impazzito, mi ha aggredito ed è fuggito… da allora insanguina le strade di Tredgor nutrendosi dei suoi concittadini ad intervalli di due giorni circa… è sempre stato ossessivo compulsivo… in ogni caso io mi sono salvato ad un passo dalla morte trasferendo il mio spirito in questo mostriciattolo che usavo per gli esperimenti e… beh in effetti è tutto.”
“Penso sia la storia più idiota che un mago mi abbia mai raccontato…” rispose Geralt scuotendo la testa.
“Quindi cosa posso fare per te ed il tuo amico?”
“Beh con il tuo aiuto penso di poter mettere a punto un antidoto! Mi servono solo un paio di ingredienti! Per la precisione un accelerante ed un reagente!”
“Va bene, puoi contare su di me…” disse Geralt “Il codice witcher mi impedisce di uccidere creature senzienti… Che cosa ti serve?”
“Il primo ingrediente è un fiore abbastanza raro, Axilea Farnensis! Per nostra fortuna un discreto numero ne sboccia sempre in primavere in una radura non troppo lontano da qui...”
“Fammi capire…” domandò Geralt grattandosi il collo “Ti serve un witcher per raccogliere un fiore?”
“Oh no!” esclamò il nekker sistemandosi gli occhialetti “Tu mi servi per convincere il proprietario!” e così dicendo si avviò verso l’uscita del laboratorio, seguito dal witcher.
I due improbabili compagni avanzarono nel sottobosco per una quindicina di minuti fino a che, giunti davanti da un muro di intricati cespugli, il nekker gli fece cenno di fermarsi.
“Non fare movimenti bruschi…” gli intimò nella mente “E tieni pronta la spada d’argento nel caso.”
Geralt annuì, poi entrambi scostarono le frasche ed avanzarono.
La radura era idilliaca, l’essenza stessa della primavera incarnata in un trionfo di piante rigogliose.
Una sottile erbetta appena nata di un verde brillante ricopriva il terreno, mentre un soffice tappeto di fiori rosa pallido vi aleggiava sopra con i petali mossi dalla brezza che spandevano un profumo dolce ed acuto nell’aria.
Solo un elemento stonava.
Al centro della radura, sopra ad un falò di legna ancora verde, che nessun uomo sano di mente avrebbe mai pensato di usare, un grosso pentolone di ferro dall’aria vecchia e consunta bolliva allegramente, gettando verso il cielo una colonna di fumo mefitico.
Lì accanto un grosso troll cantava una canzonaccia mescolando di tanto in tanto.
Grosso, brutto, con la pelle ruvida e spessa e la testa incassata tra le spalle, la creatura portava sul capo un paio di pantaloni annodati e riempiti di paglia che sembravano la ridicola parodia di un cappello da cuoco, mentre sul corpo tozzo indossava una pelle di cervo scuoiata molto male con le zampe anteriori legate dietro il corto collo e quelle posteriori dietro la schiena, formando quello che era a tutti gli effetti un grottesco grembiule.
Il troll, assorto profondamente nel suo lavoro, era intento a mescolare con cura la brodaglia ribollente nel paiolo con una specie di mestolo ricavato da un bastone ed un elmo da fante redandiano, chiaramente trafugato da un campo di battaglia, tanto che ogni volta che lo sollevava per assaggiare una sorsata della sbobba metà gli colava sul grembiule dal buco di freccia sulla nuca che aveva presumibilmente ucciso il proprietario.
Geralt alzò le sopracciglia e si schiarì la voce.
Il troll sobbalzò quasi rovesciando il pentolone e si voltò verso di loro.
“Ohhhh” esclamò squadrando con gli occhietti il bizzarro duo “Un nekkek e un wiccicoso! Ma… strano… perché wiccicoso non tenta di uccidere nekkek?”
“È meno stupido di quanto sembra…” esclamò Abernatius nella testa di Geralt.
“Noi… siamo amici!” disse Geralt al troll “Non sono qui per farti del male”
“Oh, wiccicoso amico di mostri? Tu wiccicoso speciale!” indicò la sbobba “Se tu no venuto a uccidere… tu venuto per delizioso odore di zuppa!” si girò verso di loro zoppicando vistosamente sulla gamba destra.
“Volete ciotola? Me è Gomb! Più grande cuoco troll di tutti troll cuochi!” esclamò agitando in aria il mestolo
“No… ti ringrazio ma… abbiamo già mangiato!” rispose Geralt sporgendosi per osservare l’interno del paiolo.
Una mano, un piede ed un ammasso di interiora chiaramente umane galleggiavano in mezzo al liquido rossastro.
“Ma dimmi,” continuò il witcher alzando impercettibilmente la mano verso la spada d’argento “quali ingredienti hai usato per cucinare questa… delizia?”
“Ingredienti? Gomb usato tanti ingredienti!” esclamò fiero il troll “Usato elfi, umani e anche alcuni nani!” si piegò in avanti “Difficile eh! Nani coriacei, deve cuocere più di tutti altri, mentre elfi secchi, va messi per ultimi e mescolati tanto mentre uomini teneri, anche se prima tu deve togliere guscio di metallo!”
Abernatius sbiancò sotto la coriacea pelle marroncina.
“Dove hai preso gli… ingredienti?” domandò Geralt avvicinando la mano alla spada “Li hai uccisi tu?”
“Uccisi? No no!” esclamò il troll alzando le braccia “Io no uccide, Gomb cuoco no cacciatore! Gomb raccolto tutti ingredienti da alberi dove loro cresciuti!”
“Alberi?” domandò Geralt inarcando le sopracciglia “Stai dicendo che gli umani crescono sugli alberi?”
“Anche nani ed elfi!” esclamò il troll contento “Io gira per foresta, vicino a strada, giorno prima… albero vuoto… giorno dopo rami pieni di elfi!” alzò un dito “Loro cresciuti durante notte! Così io raccoglie e cucina! Alcuna puzza perché un po’ maturi…” si chinò, strappò un pugno di fiori rosa da terra e li gettò nel paiolo “Ma io insaporisce tutto con bei fiori! Bei fiori grande ingrediente segreto di Gomb!”
Geralt scosse la testa.
“Beh almeno le forze speciali redaniane qualcuno stanno aiutando…” ridacchiò Abernatius nella mente del witcher “Forza Geralt, chiedigli i fiori!”
“È chiaro che sei un bravo cuoco Gomb…” disse il witcher poco convinto “Ora noi dobbiamo andare, ma prima dovremmo raccogliere alcuni dei tuoi fior…”
“Voi non raccoglie proprio niente!” esclamò il troll agitando il mestolo in aria “Io capito, voi vuole rubare ingrediente segreto di Gomb! Ma nessuno ruba miei ingredienti segreti! Se voi stacca fiori io stacca vostre braccia!”
“No, no, c’è un equivoco!” esclamò Geralt alzando le mani “Noi siamo qui per aiutarti!”
“Aiutare?” ripeté Gomb corrucciando la fronte sotto al ridicolo cappello.
“Sì, aiutare” continuò Geralt “I fiori che stai usando sono molto… velenosi e noi dobbiamo portarli via!”
“Non possibile!” esclamò il troll “Io mangia sempre zuppa con fiori e mai stato male!”
“Perché è… un veleno lento” rispose il witcher abbassando gli occhi verso la gamba zoppicante del troll.
“Hai visto cos’hanno fatto alla tua gamba?”
“Nooo” disse il troll “Gamba male perché Gomb scivolato ieri!”
“E scivoli molto spesso?” domandò Geralt.
“No, solo ieri” rispose il troll confuso.
“E cosa avevi mangiato prima di scivolare?” chiese Geralt stringendo gli occhi.
“Io mangiato… zuppa di fiori” rispose il troll sgranando gli occhi.
“Visto?” esclamò Geralt “Sono stati i fiori a farti cadere! E ti succederà di nuovo se continui a mangiarli!”
“Tu… ragione!” esclamò il troll, poi preso dalla furia afferrò il pentolone e lo rovesciò a terra, riempiendo il terreno di liquami e cadaveri mezzi bolliti “FIORI CATTIVI, FIORI FA MALE A GOMB!” urlò iniziando a pestare e colpire con il mestolo i fiori che lo circondavano.
“Lascia che ti aiutiamo a liberarti di fiori cattivi!” esclamò Geralt chinandosi e raccogliendo una manciata di candidi petali rosa “Così farai più in fretta.”
“Sì, voi aiuta! Voi aiuta a strappare tutti FIORI CATTIVI!” esclamò il troll annuendo così vigorosamente da far cadere il cappello.
“Geralt, sei un genio!” esclamò la voce del nekker nella sua mente.
Pochi minuti dopo la strana coppia si allontanava dalla radura con le braccia piene dei profumati fiori rosa.

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Capitolo 4
*** ATTO IV: UNA DANZA DI VELENO ***


Abernatius allungò la manina artigliata e con la punta delle dita girò una piccolissima manopola, regolando il flusso di vapore all’interno della spirale di vetro poggiata davanti a lui.
Con il fuoco caldo che bruciava al di sotto degli alambicchi facendone bollire il liquido rosato contenuto al loro interno, il laboratorio alchemico aveva preso vita tra sbuffi e cigolii proiettando soffi di fumo rovente nei lunghi tubicini di vetro che, quasi fossero i viticci di un roveto, si spandevano in ogni direzione, incrociandosi ed intricandosi, convergendo però tutti verso un unico rubinettino in metallo dal quale piccolissime gocce di un composto color rosso pallido cadevano lentamente in una larga beuta.
“Ecco fatto!” esclamò il nekker fregandosi le manine “Il processo di distillazione dei fiori di Axilea Farnensis è iniziato!” regolò nuovamente il flusso di vapore “Tra sei ore dovrebbe essere completato e potrò unirlo agli altri ingredienti per creare la base della cura!” si voltò verso Geralt “Tu witcher, nel frattempo, devi andare a recuperare l’accelerante, per la precisione una tossina neuro degenerativa complessa… in altre parole… veleno di manticora!”
“Stai scherzando?” esclamò Geralt alzando un sopracciglio “Tralasciando il pericolo di una bestia di quelle dimensioni… dove la trovo una manticora in questa zona della Redania?”
“Precisamente dieci miglia a nord est” rispose il nekker con un sorriso inquietante.
“Come fai a essersene certo?” domandò il witcher aggrottando la fronte “Divinazione?”
“No! Semplicemente tre mesi fa ha divorato mezzo battaglione di forze speciali della corona…”
“Cosa?” domandò Geralt contrariato “Ma… perché non è stato affisso un annuncio ed ingaggiato un witcher?”
“Beh...” rispose Abernatius ravvivando la fiamma sotto un alambicco “Diciamo che nel momento in cui ci si è resi conto che la bestia predava abitualmente sugli Scoiatel della foresta… la corona ha preferito interdire l’area al transito e lasciare che fossero i ribelli a vedersela con la manticora!”
“Assurdo...” mormorò Geralt, poi si voltò verso il cadavere in decomposizione che ancora giaceva supino sul pavimento del laboratorio “Senti Abernatius” disse con una vena di disgusto nella voce “Vuoi che prima di partire metta sottoterra il tuo cadavere? Inizia a puzzare forte e credo di aver visto un verme nell’ occhio…”
“Eh No, assolutamente no!” esclamò il nekker voltandosi “Il corpo mi serve qui per prendere dei campioni ed analizzarlo… come potrò recuperare il mio aspetto altrimenti? Ho in mente qualcosa a metà tra negromanzia e clonazione!” si fregò le zampette “Anzi potresti farmi il favore di adagiarlo sul tavolo da somministrazione?” domandò
“Se ci tieni…” Rispose Geralt poco convinto poi, raddrizzato il contorto strumento in metallo, raccolse il cadavere marcescente e ve lo adagiò sopra; dopodiché si voltò, uscì dal sotterraneo e si diresse verso il distretto minerario con l’intento di recuperare la sua cavalcatura.
 
 
Dieci miglia a nord est della città, la foresta si estendeva placida in ogni direzione, con gli alberi più antichi che svettavano sopra gli altri come arbusti in un prato, esibendo lungi rami nodosi carichi di foglie verdi appena nate.
Il cinguettio degli uccellini aleggiava tra le fronde, accompagnato dal lontano bramire dei cervi in amore.
Geralt, in groppa alla sua fedele Rutilia scrutava il cielo con i suoi occhi da gatto.
Stormi di rondini dalle forme bizzarre, singoli merli affannati e persino un grosso falco passarono davanti al suo sguardo senza essere degnati della benché minima attenzione.
Ciò che lui cercava era altro.
Un frullare di penne nere attirò i suoi occhi.
Più avanti uno stormo di corvi volava in cerchio sopra le fronde degli alberi.
Un mezzo sorriso si aprì sul viso del witcher mentre spronava il cavallo.
A mano a mano che si avvicinava il gracchiare si faceva sempre più intenso fino a che, dietro ad un largo cespuglio, non la trovò.
Abbandonata sull’erba di una piccola radura all’interno di una pozza di sangue, la coscia di un cervo, o meglio ciò che ne restava dal momento che gli uccelli l’avevano spolpata fino all’osso, giaceva circondata da una serie di profonde orme impresse nel terreno fresco.
Geralt smontò e legò Rutilia al ramo di un albero, poi si avvicinò agitando le braccia per allontanare la nera massa gracchiante che gli vorticava attorno.
I corvi stizziti ed ormai sazi si allontanarono.
Il witcher si chinò accanto alla coscia.
“Tagli così profondi da lacerare le ossa…” pensò esaminando il femore scheggiato “…forza spaventosa unita ad artigli ricurvi… troppo grandi per un orso o per il nostro gatto mannaro” raccolse una penna seminascosta tra i fili d’erba tinti di rosso “Una penna, larga e scura… potrebbe essere manticora o grifone… ma dalle orme… manticora, maschio giovane!” si alzo in piedi e si guardò attorno “Deve essere piombato sul cervo dall’alto, uccidendolo rapidamente, ma non si era accorto di aver affondato gli artigli troppo in profondità, così quando si è alzato in volo per portarlo al nido una coscia si è staccata! Non mi resta che seguire la scia di sangue gocciolato dalla carcassa…” pensò inoltrandosi tra i cespugli.
Procedette nel sottobosco per una decina di minuti, guidato dall’odore di sangue fresco e dagli schizzi scarlatti che coloravano a sprazzi il terreno e le fronde fino a che d’improvviso il bosco non si aprì in un largo spiazzo pietroso sul quale troneggiava una collinetta di roccia circondata di sottili arbusti secchi.
Con un sospiro Geralt strinse le cinghie dei foderi e raggiunto il colle si diede alla scalata della parete scoscesa.
Quando raggiunse la cima, un’irregolare spianata di roccia grigia, un sorriso si aprì sul viso duro.
Davanti a lui, accanto alla carcassa sbranata di un cervo un grosso nido di giunchi ammassati faceva bella mostra di sé, circondato da una quantità incredibile di scheletri di ogni tipo, molti dei quali dall’aria umanoide.
Geralt fece un sospiro.
Là della bestia non c’era nessuna traccia.
“Dannazione!” pensò il witcher “Dove si sarà cacciato?” si portò una mano alla fronte “Siamo in primavera certo! Il bastardo ha mangiato poi è andato a cercarsi una compagna… potrebbero volerci giorni prima che torni!” si avvicinò al nido con un sorriso storto “A meno che non gli dia un piccolo incentivo…” Borbottò tra sé mentre con le dita componeva il segno igni.
Una fiammata abbacinante schizzò dalle sue dita e pochi secondi dopo il nido ardeva di un fuoco violento.
“Questo lo stanerà…” pensò mentre staccava dalla cintura un paio di boccette e ne tracannava il contenuto, poi si inginocchiò mentre sentiva le pozioni che iniziavano a corrergli nelle vene “…ora non resta che aspettare” pensò prima di scivolare nella meditazione più profonda.
 
Geralt spalancò gli occhi si scatto mentre un fremito attraversava i suoi sensi.
Davanti a lui un rosso sole serale stava tramontando nella distesa di fronde del bosco, colorando con i suoi raggi delicati il cielo di un tono sanguigno.
D’improvviso le chiome sotto al colle pietroso tremarono convulsamente eruttando una grossa figura alata che si gettò in aria alzando un turbinio di foglie.
Con un ruggito furibondo la manticora si stagliò contro il cielo scarlatto.
Il corpo, simile a quello di un leone ma più magro e con due sottili corna che sputavano dal cranio, era sostenuto in aria da due ampie ali da pipistrello scure mentre una lunga coda simile a quella di uno scorpione ma coperta da una fitta peluria pendeva tra le zampe posteriori.
Geralt alzò gli occhi, resi completamente neri dalle pozioni, e osservò la creatura con un ghigno soddisfatto.
La manticora con la bava che le colava dalla bocca irta di zanne lanciò un ruggito terrificante, poi con una furia che avrebbe fatto tremare un grifone si gettò in picchiata contro il witcher, scoprendo i lunghi artigli ricurvi.
Geralt l’attese immobile mentre l’enorme massa di muscoli e morte si avvicinava rapida.
Un attimo prima che si abbattesse su di lui, fulmineo balzò in piedi e scattò di lato evitando di misura gli artigli, poi, mentre la bestia spinta dall’impeto gli scorreva di fianco, compose con le dita il segno aard.
Una terrificante onda d’urto si abbatté contro l’ala destra della manticora, frantumandone le sottili ossa cave.
Lanciando un disperato ruggito di dolore il mostro perse il controllo della planata e rotolò giù per la parete del colle, sollevando una piccola valanga di sassi e pietruzze, fermandosi solo nel largo spiazzo roccioso prima degli alberi, in una nuvola di polvere.
Geralt impassibile estrasse la spada d’argento e scese rapido la collina.
Come vide il witcher avvicinarsi, la manticora, coperta da innumerevoli ferite e con l’ala rotta piegata in una posizione innaturale, lanciò un ruggito bestiale poi si gettò contro di lui scoprendo le lunghe zanne ricurve.
Svelto il witcher balzò di lato evitando il colpo, poi scattò in avanti attaccando con un fendente.
Un lungo taglio frastagliato si aprì sul fianco della bestia.
Sibilando di collera e dolore il mostro fece vorticare la coda tentando di colpirlo con la micidiale punta velenosa.
Mosso da una velocità innaturale il witcher scattò di lato evitando il pungiglione che si conficcò nel terreno con un rumore sordo.
Stringendo la spada a due mani Geralt fece per attaccare nuovamente, ma la manticora fulminea ruotò di lato liberando il pungiglione e colpendo di piatto con la coda.
L’impatto tolse il fiato al witcher e lo fece volare per una decina di metri prima che l’urto con il terreno pietroso non lo fermasse, mentre la spada d’argento rimbalzava poco più avanti.
Geralt tossendo fece per rialzarsi, ma la manticora con un balzo gli fu sopra in un attimo e sbavando spalancò le fauci e sollevò il pungiglione pronta a colpire.
Ma non lo fece.
Una fiammata fuoriuscì dalle dita del witcher piegate secondo il segno igni  investendole il muso e dandole fuoco alla folta criniera rossastra.
Soffiando di dolore la bestia si gettò all’indietro e prese a rotolarsi a terra nel tentativo disperato di spegnere la pelliccia incendiata.
Approfittando dell’attimo Geralt annaspò indietro fino a che le sue dita non strinsero l’elsa della spada d’argento, poi scattò in piedi e fulmineo raggiunse la manticora menandogli un affondo preciso alla zampa sinistra ritirandosi poi di scatto mentre il mostro reagiva con un sibilo graffiandogli il braccio sinistro con gli artigli ricurvi.
Uno spruzzo di sangue fuoriuscì dalla zampa della creatura colando lungo il pelo sciupato.
Geralt ansimò mentre i sottili tagli gli pulsavano di dolore, in coro con tutti i traumi causatigli dal precedente impatto.
La manticora si sollevò sulle zampe ruggendo e, mentre un lago di sangue si allargava sotto di lei, contrasse i muscoli per attaccare.
Barcollando tentò di balzare contro il witcher, ma il suo salto storto non coprì nemmeno metà della distanza che li separava.
Ruggendo furibonda la belva fece per riprovare, ma quando tentò di muovere nuovamente le zampe crollò a terra.
Il witcher con fare calmo avanzò nel lago di sangue avvicinandosi circospetto alla manticora che, ormai dissanguata, respirava a fatica riversa su un fianco e con mano esperta le conficcò la spada nel cuore.
Barcollando Geralt estrasse la lama dal mostro ormai morto poi, dopo averle staccato con il coltello le corna che avrebbe sempre potuto rivendere per un pugno di monete a qualche alchimista, si avvicinò alla coda.
Sfruttando una delle fiaschette vuote delle pozioni e il coltello spremette le ghiandole velenifere estraendone il prezioso liquido.
 

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Capitolo 5
*** ATTO V: LA NOTTE DEL LUPO E DEL GATTO ***


Nonostante fosse calata da poco la sera, la taverna del Gatto Nero era già gremita di avventori.
Le numerose panche sparse all’interno dell’ampia sala brulicavano di minatori dagli abiti impolverati e contadini dall’aria stanca, tutti intenti a tracannare quantità spropositate di birra e vinaccio di pessima qualità mentre come uno spettro si aggirava tra di loro la locandiera, sempre pronta a riempire i boccali vuoti e dire una parola ai clienti abituali.
“Dannazione se è strano!” esclamò Yarpen Zigrin grattandosi la testa.
Davanti a lui Geralt e una piccola figura imbacuccata in un saio puzzolente sedevano assieme ai suoi ragazzi.
“Quindi fatemi capire bene…” borbottò Yarpen aggrottando le sopracciglia “Quindi questo qui…” indicò Abernatius “Sarebbe un mago imprigionato nel corpo di un nekker che può parlarci solo con la telepatia visto che la lurida bestia che lo ospita non ha le corde vocali! E voi due state collaborando per catturare la Bestia di Tredgor…”
“Che sarebbe un gatto mannaro” si intromise il nano calvo seduto accanto a lui.
“Giusto!” approvò Yarpen “E ci state chiedendo una mano per attuare il vostro piano…”
“Precisamente” rispose la voce del nekker rimbombando nella mente di tutti e cinque i nani.
“Assurdo…” Borbottò Yarpen
“Assurdo o no, cosa rispondi Yarpen?” domandò Geralt “Ci aiuterete?”
“Certo che vi aiuteremo!” esclamò il nano “Abbiamo ucciso un drago e dato la caccia ad un altro! Cosa sarà mai un gatto mannaro per noi?”
“Grazie Yarpen” rispose Geralt “Il gatto mannaro probabilmente colpirà stanotte, quindi dobbiamo essere pronti… quando usciremo da qui io resterò in città per scovarlo, mentre voi ed Abernatius preparate una trappola nel campo a maggese vicino al ruscello! Non appena stanerò il mostro cercherò di condurlo lì, poi toccherà a voi!”
Yarpen si passò una mano sulla barba “Come vuoi Ger…”
“I signori vogliono ordinare?” lo interruppe la locandiera dai capelli corti materializzatasi accanto a loro.
“Io sto andando via” rispose Geralt.
La locandiera annuì, poi spostò gli occhi sul nekker infagottato “E il signore vuole qualcosa?”
“Ehm, lui non parla” si intromise Yarpen” è un… monaco gnomo, e ha fatto voto di silenzio in nome del fuoco eterno!”
“Voglio una birra, sono settimane che non tocco alcool” mormorò Abernatius nella mente del nano
“E vuole una birra!”
La locandiera alzò le sopracciglia.
“Che c’è, ha fatto voto di silenzio, mica di sobrietà!” sbottò Yarpen.
La donna scosse la testa, poi scarabocchiò qualcosa nel suo taccuino.
“A proposito Geralt, come troverai la Bestia di Tredgor?” domandò il nano calvo a voce un po’ alta.
“Non lo so ancora ma…” fece per dire il witcher.
“Un momento mastro witcher…” disse la cameriera intromettendosi di nuovo “State davvero cercando la Bestia di Tredgor? Melitele benedetta era ora che qualcuno lo facesse! E forse so anche come aiutarvi!” si voltò verso uno dei tavoli di minatori “Mert, inutile spugna di alcool, vieni qui un attimo” gridò
Un uomo palesemente ubriaco si alzò dal tavolo e barcollò fino a lei.
“Cosa vuoi da me Arpia? “disse con voce impastata.
“Tu sei sopravvissuto alla Bestia di Tredgor, hai idea di come il bravo witcher qui potrebbe trovarla?”
“Mmmmmmh” borbottò l’uomo con lo sguardo perso nel vuoto “I gatti… intorno alla bestia c’erano più gatti di quanti ne avessi mai visti in vita mia!”
 
 
Geralt fece un respiro profondo, concentrandosi nella meditazione.
Il buio lo circondava e tutti i suoni giungevano alle sue orecchie distanti ed ovattati mentre lui, sfruttando a pieno le mutazioni, scandagliava con il suo udito il distretto minerario, in cerca di ciò che il minatore alcolizzato aveva bofonchiato.
D’improvviso li sentì.
Lontani e distorti, una serie di miagolii, tanti, troppi miagolii si sovrapponevano gli uni agli altri con fare aggressivo ed esaltato.
Il witcher spalancò gli occhi, si alzò in piedi e si avviò verso la fonte del suono, calpestando con gli stivali da caccia le piccole monete di rame che alcuni passanti avevano gettato ai suoi piedi vedendolo inginocchiato sul ciglio della strada.
Le vie del distretto minerario erano ormai pressoché deserte mentre una brezza frizzante proveniente dalle montagne spazzava l’abitato, sollevando piccole nuvole di polvere bianca.
Il suono era sempre più vicino, i miagolii così forti che anche un uomo comune avrebbe potuto udirli.
Pochi metri davanti a lui una ragazza mano nella mano con il fidanzato camminava tranquilla lungo il bordo della grande strada principale, rasentando i piccoli pozzi neri delle viuzze laterali.
Intorno a loro sui tetti e negli angoli bui del selciato decine di occhi gialli brillavano nell’oscurità, soffiando e miagolando sommessamente.
D’improvviso da uno dei vicoletti laterali una grossa figura pelosa balzò verso di loro con gli artigli scoperti che splendevano colpiti dalla luce della luna.
La ragazza, vedendola con la coda dell’occhio, gridò.
Fulmineo il witcher sollevò il braccio e compose il segno aard.
Il gatto mannaro conficcò gli artigli nel selciato polveroso, mentre sospinti dall’onda d’urto i due fidanzati volavano alcuni metri più avanti.
La bestia graffiò il terreno frustrata, poi furibonda, mentre le sue prede si rialzavano e fuggivano, si voltò verso il witcher.
Colpito dalla luce lunare il mostro si rivelava in tutto il suo orrore.
Il corpo grottesco ed ingobbito, con una testa da gatto storpiata da lunghe zanne incassata tra le spalle, era ricoperto da una lurida peluria scura mentre una coda soffice e più chiara strisciava contro il terreno.
Alle zampe posteriori, corte al limite del rachitismo facevano da contraltare quelle anteriori che, simili a lunghe braccia pendevano dal tronco terminando con deformi mani dotati di artigli retrattili, così lunghi da spuntare comunque dalla punta delle dita ossute.
Geralt estrasse la spada d’argento.
La bestia, lanciando la raccapricciante parodia di un miagolio, balzò verso di lui scoprendo le zanne.
Fulmineo il witcher scattò di lato evitando il colpo.
Il mostro, atterrando morbidamente sul terreno, ruotò di lato attaccandolo nuovamente con le zampe artigliate.
Fulmineo Geralt parò il primo ed il secondo assalto con la spada d’argento, poi con una piroetta evitò il terzo.
Una piroetta troppo corta.
Tre sottili tagli superficiali gli si aprirono sul fianco macchiando di sangue la corazza e le zampe del gatto mannaro.
L’odore del sangue mandò la bestia su di giri tanto che inarcò la schiena all’indietro lanciando un miagolio gutturale.
Constatando che l’errore voluto aveva avuto successo, il witcher rinfoderò la spada e si infilò nel vicolo dandosi alla fuga.
Ebbro di sangue e di lotta, il mostro si scagliò dietro di lui correndo a quattro zampe tra le strette viuzze.
Sentendo la bestia furente avanzare alle sue spalle Geralt fece un sorriso storto ed accelerò ancora di più mentre il rumore degli artigli che grattavano contro il selciato gli giungeva forte nelle orecchie.
In quello che al witcher parve un’istante, si ritrovò a correre in aperta campagna.
Con il mostro alle calcagna saltò lo steccato che gli si parava davanti, inoltrandosi nel campo a maggese.
Rapido avanzò nel fieno ancora verde che gli arrivava alla vita, poi d’improvviso si fermò e si voltò estraendo la spada.
Il gatto mannaro atterrò a pochi metri dal lui e si sollevò sulle zampe posteriori, fissandolo con gli occhi iniettati di sangue.
Geralt sollevò l’arma e contrasse i muscoli.
Il gatto mannaro lanciò un miagolio furente e scoprì le zanne grondanti di bava pronto a balzare.
Un sibilo attraversò l’aria.
Il gatto mannaro soffiò inferocito tentando di muovere le braccia imprigionate, mentre la corda di una bolas si avvolgeva attorno alle sue braccia deformi.
Prima che potesse reagire una seconda bolas lo colpì alle zampe posteriori facendolo crollare a terra.
La belva si agitò furente facendo scricchiolare la fibra delle corde.
D’improvviso cinque nani emersero dal fieno e gli gettarono addosso una larga rete, creata annodando assieme numerose e pesanti catene d’acciaio, poi grugnendo ad ogni movimento della belva presero a fissarne gli angoli al suolo tramite numerosi picchetti.
“Presto Geralt, non so per quanto riusciranno a trattenerlo” gli rimbombò nella mente Abernatius, poi saltando fuori dal fieno gli poggiò in mano la grossa siringa in metallo.
Il witcher rinfoderò la spada e l’afferrò, dopodichè si avvicinò al gatto mannaro.
La belva in preda alla follia si agitava con forza sovrumana ed i nani di Yarpen, rossi in volto, stentavano a contenerne la furia.
Rapido, Geralt si chinò accanto alla creatura e sollevò la siringa.
Con un miagolio furioso il gatto mannaro riuscì a tagliare una delle catene liberando il braccio sinistro ed attaccò il witcher.
Geralt fulmineo gli tirò un destro sul muso stordendolo, poi gli conficcò la siringa nel petto, dove il suo udito sentiva battere il cuore.
Come il siero gli fu iniettato il gatto mannaro lanciò un folle miagolio gutturale.
Nel suo spegnersi il verso si tramutò nel grido di un uomo, mentre la peluria e gli artigli si ritiravano lasciando il posto ad un corpo imbelle.
I nani si affrettarono a rimuovere la rete e snodare le bolas, mentre un uomo sulla trentina completamente nudo dai capelli neri e scarmigliati ed un vistoso ematoma sull’occhio destro si metteva a sedere tossendo leggermente.
Alzò lo sguardo osservando gli stranieri che gli si paravano davanti.
“Nudo in un campo con un witcher e cinque nani…” mormorò “…o mi sono preso la peggior sbornia della mia vita… oppure l’esperimento non è andato molto bene…” tossicchiò “Dov’è Abernatius?”
gli si avvicinava saltellando “Oh che bello che stai bene Franz… temevo che la cura ti avrebbe ucciso!”
Geralt alzò le sopracciglia.
“Abernatius sei… davvero tu?” domandò il ragazzo stingendo gli occhi “Che ci fai nel corpo di un nekker?”
“Ci faccio che mi hai ammazzato, ecco che ci faccio!” esclamò Abernatius “Ma ti racconterò tutto con calma!” si tolse la coperta di iuta e gliela lanciò “Ora copriti e andiamo al laboratorio, così potrai riprenderti mentre pensiamo ad un modo per recuperare il mio di corpo.”
Il ragazzo annuì ridacchiando.
“Grazie ragazzi!” rimbombò la voce di Abernatius nella mente di Geralt e dei nani “Senza di voi sarebbe stato tutto perduto.”
“Non c’è di che…” rispose Geralt “Mi dispiace solo che senza la testa del mostro, nessuno a Tredgor mi pagherà la ricompensa,” scosse la testa “quindi ennesimo lavoro gratuito per dei paesani ingrati!”
“Non contarci!” disse Abernatius con un sorrisetto, poi si frugò nelle tasche della tunica strappata e ne estrasse un piccolo oggetto che lanciò al witcher.
Geralt lo afferrò al volo e lo sollevò davanti a sé.
Il medaglione di oro puro portava il simbolo di Baan Ard disegnato con una seria di brillanti.
“Consegnatelo al banco dei pegni su in città” continuò il nekker “penso che vi daranno una bella sommetta… e non preoccupatevi per me, non appena avrò recuperato corpo e finanze andrò a riscattarlo di persona.”
“Beh… grazie!” disse Geralt sorpreso “Ora potrò dire che i mostri pagano meglio degli umani quado ti affidando un contratto.”
Tutti scoppiarono a ridere, mentre in lontananza la luce arancione dell’alba iniziava a farsi spazio nel cielo nero scacciando le stelle e facendo risplendere i verdi campi mossi da un filo di brezza.

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