Destini - Parte seconda

di Francyzago77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Arthur ***
Capitolo 3: *** Lieto evento ***
Capitolo 4: *** La veste bianca ***
Capitolo 5: *** Temporale ***
Capitolo 6: *** Notte di pioggia e d'inquietudine ***
Capitolo 7: *** Via come la tempesta ***
Capitolo 8: *** Sorprese ***
Capitolo 9: *** Desmond ***
Capitolo 10: *** Confronti e tormenti ***
Capitolo 11: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 12: *** Ricordando il passato ***
Capitolo 13: *** Peccati ***
Capitolo 14: *** Luci e ombre ***
Capitolo 15: *** Rimproveri ***
Capitolo 16: *** Battesimo ***
Capitolo 17: *** Ballo in casa Gerald ***
Capitolo 18: *** Mai più ***
Capitolo 19: *** Tornando a casa ***
Capitolo 20: *** Ospite inatteso ***
Capitolo 21: *** Confessioni ***
Capitolo 22: *** Una strana società ***
Capitolo 23: *** Bambini ***
Capitolo 24: *** Chi sei, Desmond? ***
Capitolo 25: *** Vendetta ***
Capitolo 26: *** Verso l'inferno ***
Capitolo 27: *** Tutto finito ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


E così sotto il cielo d’Australia iniziò una nuova vita per tutti.
Il conte e Maria andarono a vivere a Sydney, nella nuova casa, quella che lui aveva comprato quando ancora non pensava minimamente di trovare una compagna con cui andare ad abitarci ma credeva soltanto di andare lì a fare il padre e il nonno.
Era una bella villa bianca a due piani con un grande giardino attorno e non molto lontana dal mare. Al piccolo Abel piaceva un sacco correre su e giù per le scale che dall’ampio salone conducevano alle stanze da letto. Ogni volta che andavano a trovare il nonno si divertiva un mondo mandando su tutte le furie Lizzie la cameriera prendendo poi le sgridate da sua madre.
In realtà Georgie era felice del legame che suo padre aveva instaurato con il bambino e volentieri si recava a trovarlo avendo superato anche l’iniziale imbarazzo del matrimonio con Maria.
L’idea che suo padre si fosse risposato non la infastidiva, in fondo era vedovo da tanti anni e aveva tutto il diritto di rifarsi una vita dopo tutto quello che aveva passato. Era che l’avesse fatto con Maria però che aveva inizialmente stupito Georgie la quale non riusciva a comprendere come suo padre potesse avere al suo fianco una ragazza così giovane e per giunta nipote del suo peggior nemico. Non aveva nulla contro Maria, l’aveva sempre stimata, ma non riusciva a vederla come la moglie del suo adorato papà. Col passare del tempo Georgie cominciò a capire, suo padre e Maria erano veramente affini, provenivano entrambi dallo stesso mondo, quella nobiltà che né lei né Arthur amavano, avevano ricevuto la medesima educazione, avevano uguali interessi e soprattutto si amavano profondamente, di un amore tenero e sincero. Quando comprese tutto questo Georgie non si fece più alcuna domanda, era felice di aver riabbracciato suo padre ed ora aveva anche una nuova amica su cui contare, Maria.
-Che sorpresa! Non ti aspettavo – esclamò Georgie uscendo di casa avendo sentito il rumore di una carrozza fuori al cortile.
Corse ad aprire il cancello a suo padre.
-Sono di passaggio – disse Fritz baciandola sulla fronte – sei indaffarata?
-Veramente stavo per pranzare – rispose Georgie – ti fermi qui a mangiare spero? Arthur e il bambino sono a pescare al fiume, sono sola.
-Volentieri – asserì il conte sorridendo.
A tavola c’era già la zuppiera con la minestra calda, il pane affettato e le verdure pronte. Georgie aggiunse soltanto il piatto per suo padre.
-È da una settimana che Abel junior voleva andare a pesca – spiegò Georgie servendo il pasto – oggi Arthur non aveva da lavorare e quindi stamattina sono partiti presto. Torneranno nel pomeriggio.
Fritz annuì iniziando a gustare quella zuppa in silenzio. Anche Georgie si mise a mangiare.
-È buonissima – sentenziò il conte soddisfatto – era da tanto che non ne assaggiavo una così!
-Non dirmi che la tua cuoca – disse Georgie sbalordita – non è brava nel preparare i pasti! 
-Oh non ho nulla contro la signora Polly – rispose Gerald – ma la tua zuppa ha un sapore eccezionale. Sarà per l’amore che ci metti nel prepararla.
Georgie sorrise arrossendo un po’, amava parlare con suo padre e se lui le faceva un complimento, come spesso accadeva, ne era veramente felice.
Avevano un buon rapporto, nonostante fossero stati divisi per anni e anni, avevano ben recuperato il tempo perduto. Fritz comprendeva sua figlia e lei aveva imparato a conoscere suo padre anche dai gesti e dai silenzi, quel giorno lui sicuramente era lì per dirle qualcosa. L’aveva capito Georgie, non era andato da lei per caso.
-Ne vuoi ancora? – gli chiese avendo visto che la sua zuppa aveva ottenuto un gran successo.
-Se proprio insisti! – rispose il conte allungando il piatto.
Georgie mise due mestolate a suo padre poi servì le verdure. Quel silenzio che si era creato fra loro fu spezzato dalla ragazza che disse:
-Va tutto bene papà? Devi dirmi qualcosa?
Il conte la fissò poggiando il cucchiaio nella scodella.
-Tutto bene – rispose – ora assaggerò queste verdure.
Georgie non fu insistente con le domande e tranquillamente terminarono il pasto ma dentro di sé sentiva che suo padre era lì per parlarle.
Mentre lei iniziava a sparecchiare Fritz si alzò da tavola e uscì nel cortile, passeggiava lentamente a testa bassa con le mani in tasca. Georgie decise di affrontarlo.  
-Papà – lo chiamò – mi dici cosa c’è? Non ti vedo sereno.
Si appoggiarono entrambi alla staccionata, guardandosi negli occhi.
-Non sei capitato qui per caso, vero? – domandò lei con premura e dolcezza – Cosa ti tormenta?
-Georgie – sorrise Fritz – dovrei essere io a preoccuparmi per te ed invece mi ritrovo ad aver bisogno delle tue attenzioni!
-È giusto sia così! – affermò la ragazza aggiungendo - Non vuoi confidarti con me?
Dal volto del conte trasparì un certo imbarazzo.
-Si tratta di Maria – esordì – erano giorni che non si sentiva bene, abbiamo chiamato il medico …
-Dio, cos’ha? – lo interruppe subito Georgie con agitazione.
-È incinta – rispose Fritz – Maria aspetta un bambino.
Finalmente era riuscito a dirlo, le sue parole erano intrise di dolcezza e di timore.
-Che meraviglia! – esclamò Georgie – È una notizia fantastica, la più bella che mi potessi dare.
Lo abbracciò forte mentre lui le diceva:
-Sei contenta Georgie, veramente?
-Certo! – rispose lei con fermezza – Cosa pensavi che fossi gelosa? Non sono più una ragazzina papà!
-Sono io – ammise Fritz – che non sono più un ragazzino e mi sento totalmente fuori luogo.
-Ma no! – ribatté Georgie – Non ne sei felice? 
-Sì – rispose subito il conte deciso – quando l’ho saputo sono impazzito di gioia ma poi riflettendo … Georgie, sono troppo vecchio per rimettermi a fare il padre.
-Non dire sciocchezze – lo spronò lei – non sei vecchio e sarai un ottimo papà. Come lo sei per me lo sarai anche per questa nuova creatura, anzi, avrai tutto il tempo che non hai potuto dare a me.
-Le tue parole mi rincuorano – sussurrò Fritz più disteso – in questi giorni ero così confuso ma non riuscivo a confidarmi con Maria, non volevo turbarla. Lei è così felice!
-Metti da parte le tue paure – gli consigliò Georgie – fallo per te stesso e per Maria. Come sta ora?
-Bene, bene – rispose il conte – perché non la vieni a trovare? Ne sarebbe molto lieta.
-Certamente – asserì lei – verrò al più presto con Arthur e il piccolo Abel.

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Capitolo 2
*** Arthur ***


Perché il nonno è andato via così presto? – sbuffò Abel junior rivolto alla mamma – Poteva almeno aspettare il mio ritorno!
-Doveva andare a casa e non sapevo quando sareste arrivati – gli rispose Georgie mettendo il pesce pescato in un grosso recipiente.
-Avrebbe visto tutto quello che ho preso oggi! – sorrise il bambino soddisfatto di quel ricco bottino.
-Veramente – esordì Arthur – la maggior parte l’ho pescato io, tu ti sei limitato a guardare!
-Ma io sono piccolo zio! – ribatté prontamente Abel junior.
-Per quello che ti pare! – rise Arthur divertito.
C’era un’atmosfera gioiosa in casa, Georgie ne approfittò per iniziare il discorso dicendo:
-Comunque molto presto andremo noi a trovare il nonno, gli ho fatto una promessa.
-Evviva! – urlò subito Abel junior – Mi piace stare con lui e mi piace la sua casa, mi divertirò li.
-Dovrai comportarti bene – disse Arthur – e non far impazzire quella povera servitù.
-Sì, sì – annuì il bimbo – quando andiamo?
-Quando vogliamo – rispose Georgie – e porteremo i nostri auguri soprattutto a Maria.
-È il suo compleanno? – chiese Abel junior incuriosito.
-No, ma c’è una bella novità – disse Georgie guardando ora Arthur – il nonno è venuto oggi qui per annunciarmela.
E intanto spinava il pesce sul tavolo avendo gli occhi addosso di suo figlio e suo marito.
-Mio padre e Maria avranno un bambino – sussurrò continuando a fare il suo lavoro.
La sua affermazione non ottenne un’immediata risposta ma un silenzio prolungato nella stanza.
Ad un certo punto il piccolo Abel esclamò:
-Come un bambino?
-Un figlio – rispose prontamente Arthur – è una notizia meravigliosa. Andremo al più presto a trovarli allora. Tuo padre sarà molto felice?
-Oh sì – disse Georgie un po’ pensierosa – è anche preoccupato, però l’ho visto contento.
Intanto Abel junior si era appoggiato con le braccia conserte sul tavolo e non diceva più una parola. Georgie gli andò vicino e, mettendogli una mano sulla testa, disse:
-Cosa c’è? Non fare quella faccia, è una bella notizia per il nonno e per Maria.
-Ma io – iniziò a dire il bimbo – avevo chiesto alla cicogna di portarmi un fratellino, credo abbia sbagliato casa!
Georgie ed Arthur si diedero un’occhiata, lei rassicurò il bambino dicendo:
-Le cicogne fanno molti viaggi, non è detto che prossimamente una di loro non si fermi qui. Ora devi essere contento per questo nuovo arrivo, anche se è a casa del nonno.
Il bimbo apparve più convinto e dopo un po’ corse a giocare fuori allegro.
Georgie continuava a sistemare il pesce mentre Arthur si era fermato, era seduto silenzioso e sovrappensiero. Ad un certo punto esordì:
-Non dici nulla Georgie?
Lei sollevò lo sguardo dal tavolo e rispose stupita:
-Cosa devo dire? Vi ho già riferito tutto!
-Hai sentito tuo figlio, vuole un fratellino – ammise lui con tono più freddo.
-Tutti i bambini lo dicono – rispose Georgie – è normale.
-Se Abel non fosse morto – continuò Arthur – ne avrebbe già due di fratellini!
Ed uscì sbattendo forte la porta.
Georgie si alzò e tentò di chiamarlo ma lui era già fuori, distante dalla casa.
Non avrebbe mai voluto vederlo così, Arthur era dolce, rassicurante e pacato ma l’esperienza di Londra l’aveva inevitabilmente cambiato.
Nonostante Georgie, la fattoria e il bambino c’era ancora tanto dolore dentro di lui, rabbia e frustrazione.
Quel terribile passato non l’aveva abbandonato e lo perseguitava anche nei vasti campi australiani, nei momenti di solitudine e soprattutto nel suo letto.
Il destino era stato spietato con lui.
-Arthur – pensò Georgie – ti sto aiutando in tutti i modi. Non è facile anche per me, sapevo che le tue sofferenze erano profonde ma l’ho accettato, convinta che supereremo tutto. Io ti sto accanto, non m’importa ma ti prego non paragonarti sempre ad Abel. Questa cosa mi distrugge. Ti amo anche se tra noi non c’è ancora una grande passione. Con Abel c’è stata. Lui però non aveva vissuto l’inferno che hai sopportato tu.
 

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Capitolo 3
*** Lieto evento ***


La frenesia e l’agitazione pullulavano nella grande villa, la servitù era tutta indaffarata e Georgie faceva la spola tra la camera da letto e il giardino dove suo padre si era rifugiato per ingannare l’attesa.
-Allora? – le domandò Fritz trepidante vedendola uscire di corsa verso di lui.
-Sta tranquillo – rispose Georgie con tono rassicurante – ora che è arrivata la levatrice è tutto sotto controllo.
-Sicura che non c’è bisogno di chiamare anche il dottore? – chiese il conte con ansia.
-Ma no! – esclamò subito sua figlia – Se non ci sono complicazioni non serve un medico. Noi donne siamo coraggiose papà!
-È che Maria è così fragile – sussurrò Fritz con un po’ di preoccupazione.
-Invece è molto più forte di quanto tu creda! – ammise sorridendo Georgie.
Padre e figlia si strinsero in un tenero abbraccio mentre li raggiunse Lizzie, la cameriera dicendo:
-È qui signora Georgie? Dovrebbe salire in camera.
-Arrivo subito – rispose immediatamente lasciando il conte di nuovo in solitudine.
Era da una settimana che Georgie era lì per dare conforto a Maria sapendo che il giorno del parto era imminente. Tra le due ragazze era nata una bella complicità e anche per Fritz la presenza di Georgie era certezza e rassicurazione.
Il conte, durante quell’attesa, vedeva passare davanti ai suoi occhi alcuni momenti della sua vita come la nascita di Georgie e la felicità legata a quell’evento. Incredibilmente, provava le stesse sensazioni di allora, a distanza di tanto tempo stava per diventare padre per la seconda volta.
Un vagito lo distolse dai suoi pensieri, rientrò di corsa in casa richiamato da quel suono tanto atteso.
Nel salone fu accolto da Lizzie che, scendendo le scale, gli disse con enfasi:
-Congratulazioni conte Gerald! Tutto è andato nel migliore dei modi.
La porta della camera si aprì e uscì Georgie portando tra le braccia un piccolo fagottino piangente.
Fritz la raggiunse, lei gli sussurrò piena di gioia:
-È una bambina papà.
Il conte, nel vederla, si commosse e quando Georgie gli diede teneramente in braccio la piccolina i suoi occhi si riempirono di lacrime.
-Maria sta bene? – domandò subito dopo.
-Sì, certo – rispose prontamente Georgie – potrai vederla più tardi.
E intanto osservavano amorevolmente quella bimba appena nata e già entrata fortemente nei loro cuori.
-Come la chiamerete? – chiese Georgie ora curiosa – Avete deciso tra quella lista di nomi che tenevi sullo scrittoio?
-Milly – disse ad alta voce Fritz – la chiameremo Milly.
-Mi piace! – esclamò Georgie prendendo ora lei la bimba – Benvenuta al mondo, Milly!
La giornata, lunga e faticosa, si concluse con un’ottima cena nel salone delle feste alla quale parteciparono, oltre a Fritz e a Georgie, tutta la servitù, felice di condividere con il conte quell’immensa gioia. Maria, nella sua stanza perché la levatrice le aveva ordinato di non alzarsi assolutamente dal letto, riceveva le visite di tutti a turno.
-Dopodomani arriveranno Arthur e il piccolo Abel – comunicò Georgie a suo padre – non sapendo con precisione quando sarebbe avvenuto il parto avevamo concordato che lunedì comunque sarebbero giunti qui.
-Benissimo – asserì Fritz contento – così riuniremo tutta la famiglia.
E così, due giorni dopo, arrivarono Arthur e il bambino che, saltando giù dalla carrozza abbracciò subito sua madre.
-Vieni – lo esortò Georgie – andiamo a vedere Milly!
-È una bambina allora! Evviva! – urlò Abel junior – Zio, portiamole la bambola che abbiamo comperato.
Arthur, oltre ad avere in mano un mazzo di fiori per Maria, prese un pacco ben incartato e lo diede al nipote che corse velocemente in casa.
-Credevo preferisse un maschietto – disse Georgie a suo marito mentre guardava il bimbo allontanarsi.
-Abbiamo preso due regali – spiegò Arthur – una bambola in caso fosse una femmina e un trenino in legno se invece fosse un maschio. Visto che è una bimba il trenino rimarrà a lui, per questo è così contento!
-Che opportunista! – sorrise Georgie prendendo sotto braccio suo marito e conducendolo dentro.
Andarono a vedere la piccolina che dormiva nella culla, Arthur portò i fiori a Maria.
-Tanti auguri – le disse – è una bimba bellissima.
-Grazie, che pensiero gentile! – disse lei sorridendo – Spero che tu, Georgie e Abel junior vi fermerete per un po’ qui.
-Per due giorni – rispose lui – non di più, la fattoria ha bisogno di me ed io di lei.
Si mise accanto alla finestra guardando fuori, lontano, come per estraniarsi.
Stare in quella ricca villa, con Maria, gli faceva tornare in mente il passato che era doloroso e ancora inquietante.
Fra tutti Arthur era quello che aveva sofferto di più.    
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** La veste bianca ***


Il vecchio Kevin scese lentamente dal carro e si avviò verso il cancello che lo conduceva alla fattoria Buttman. Quante volte aveva percorso quella strada? Ormai non le contava più ma il sorriso di Georgie era sempre quello, sincero e solare, nonostante tutte le vicissitudini affrontate.
-Zio Kevin! – lo accolse con gioia la ragazza – Vieni in casa?
-Posso fermarmi solo un attimo – disse l’anziano con rammarico – ti lascio questo mio dono per la figlia di tuo padre.
E le diede un pacchetto colorato aggiungendo:
-Ringrazialo veramente tanto da parte mia ma preferisco non venire al battesimo della bambina. Sai, non mi sentirei a mio agio tra la nobiltà anche se tuo padre e sua moglie sono due persone squisite.
-Ti capisco zio – disse prontamente Georgie – anche io e Arthur non amiamo molto quel mondo ma non possiamo sottrarci. Sei stato gentilissimo!
Intanto guardava il regalo rigirandolo fra le mani.
-Partirai nel pomeriggio? – chiese Kevin.
-Sì, - rispose la ragazza – papà mi manda una carrozza che arriverà qui dopo pranzo. Arthur e Abel junior, invece, ci raggiungeranno sabato. Io vado con due giorni di anticipo anche per provare a Milly l’abito bianco che le ho cucito.
-Oh deve essere delizioso! – sorrise lo zio.
-Ormai la bambina ha quasi un mese – disse Georgie – non è stato facile realizzare quel vestitino.
-Sei la miglior sarta che io conosca – sentenziò Kevin – vedrai, sarà perfetto! Piuttosto, il cielo minaccia pioggia, spero tu riesca ad arrivare da tuo padre con tranquillità.
E alzò gli occhi in alto, già si vedeva in lontananza qualche nuvola grigia. Se Kevin diceva pioggia, pioggia era! Da buon contadino, gli bastava osservare la natura per capire se c’era un temporale in agguato e mai aveva sbagliato.
Georgie lo sapeva bene e salutatolo rientrò in casa un po’ preoccupata. L’idea di partire col brutto tempo la inquietava, non sopportava i lampi, i tuoni e la pioggia incessante.
Fu un temporale a far cadere l’albero che avrebbe messo fine alla breve vita di sua madre.
E sempre durante un temporale lei era caduta nel fiume, dopo aver scoperto l’amara verità per poi esser salvata coraggiosamente da Arthur.
Ma soprattutto era sotto la forte pioggia di un temporale australiano che Abel l’aveva protetta e abbracciata chiedendole di rimanere così, per un po’ e lei non aveva capito. Non poteva capire perché lo credeva suo fratello, se solo le cose fossero andate diversamente …
Era sempre nei suoi pensieri Abel, sempre.
Ecco perché non sopportava i temporali perché le ricordavano chi non c’era più.
-Mamma hai preparato tutto per il viaggio? – gridò entrando in casa il suo bambino mentre lei cercava di nascondere le lacrime.
-Oh sì, certo – rispose – non porto molte cose con me.
-Ma anch’io avevo una veste bianca il giorno del mio battesimo? – chiese curioso Abel junior guardando l’abitino che era sulla sedia pronto per essere sistemato e portato via.
-Sicuramente – rispose Georgie facendogli una carezza sul volto – tutti i bambini ce l’hanno. Era bellissimo, l’aveva cucito la mia amica Emma.
-Papà non c’era, vero mamma? E neppure zio Arthur? – domandò subito il bimbo rendendo Georgie ancora più triste.
-Purtroppo tuo padre non ti ha mai conosciuto – rispose lentamente – ma c’era il nonno. E poi i signori Burns e il buon signor Allen. E Joy e Catherine che ti adoravano.
-Mi ricordo poco di loro, sai? – disse il bambino.
-Ci scriviamo spesso – aggiunse Georgie – ti volevano tutti bene. Anche tuo padre ti avrebbe amato di un amore immenso.
Abbracciò forte suo figlio che lo guardava intenerito non capendo che quelle domande erano come coltellate al cuore per la mamma.
-Il nonno – continuò Abel junior – ha organizzato una grande festa per il battesimo di Milly ma anch’io avevo avuto dei festeggiamenti quindi?
-Certo amore – disse subito Georgie – ti ho detto di quante persone avevamo accanto quando sei nato!
Il pensiero di tutti quegli amici la rese più sorridente, si mise a preparare il pranzo cercando di non pensare più a nulla.
Quando arrivò la carrozza mandata da Fritz tutto il cielo era ormai coperto da nubi portatrici di pioggia. Arthur caricò il piccolo bagaglio sulla vettura, Georgie prima salutò il suo bambino e poi si rivolse al conducente.
-John, il tempo sta peggiorando visibilmente, riusciremo ad arrivare a destinazione per questa sera?
-State tranquilla signora – rispose quello con tono rassicurante – anche il conte mi ha detto che l’importante è arrivare sani e salvi.
-Georgie non agitarti – aggiunse Arthur con premura – anche dovesse cogliervi un temporale durante il tragitto non è la fine del mondo. Sei in buone mani, John è un ottimo conducente e conosce bene il suo cavallo, saprà cosa fare.
Arthur riusciva sempre a calmarla, le sue parole, il tono della sua voce erano per Georgie serenità e sicurezza. Salì sulla carrozza e partì osservando non più il cielo cupo ma il regalo di zio Kevin posto sul sedile di fronte con accanto quella veste bianca, ben piegata e distesa, simbolo di purezza e d’innocenza.
 
 

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Capitolo 5
*** Temporale ***


Anche questa volta il vecchio Kevin non aveva sbagliato, la pioggia arrivò, battente, incessante e forte.
Georgie, sola nella carrozza, sentiva l’acqua picchiare sopra il tettuccio e riusciva a intravedere il bagliore dei lampi.
Il cavallo aveva rallentato la corsa, l’andatura era lenta, quasi a passo d’uomo.
-Signora Georgie – era John il conducente che la chiamava a gran voce – devo fermarmi, questa povera bestia non ce la fa più.
-Sì John, è la miglior cosa – disse Georgie tirando fuori un attimo la testa dal finestrino bagnandosi subito i capelli.
-È peggio di quanto pensassi – esclamò l’uomo ora sceso per vedere di trovare qualche riparo – abbiamo ancora diversa strada da fare, è buio e il cavallo è stanco.
Non erano neppure le sei del pomeriggio ma pareva notte fonda, dalla direzione opposta avanzava lentamente un’altra carrozza.
-Ehi! – gridò John al cocchiere – com’è la strada per Sydney? Praticabile?
-Per niente – rispose subito quello – io sto tornando indietro, c’è un albero caduto a poche miglia da qui, è proprio in mezzo alla via.
John corse subito da Georgie.
-Ha sentito signora? Siamo praticamente bloccati – disse – impossibile arrivare a palazzo Gerald per stasera.
-Oh John riportami indietro – sussurrò Georgie spaventata – torniamo alla fattoria. Tu puoi dormire da noi e domattina ripartiremo con calma sperando che la tempesta sia passata.
-È troppo rischioso anche ritornare indietro – rispose prontamente John – bisogna trovare un riparo.
E intanto si guardava intorno, pensando in fretta a cosa fare.
-E se prendessimo quella strada a sinistra? – domandò Georgie indicando una via più stretta – Se non sbaglio laggiù dovrebbero esserci delle case.
-Tentiamo – disse John salendo prontamente e facendo pian piano avanzare il cavallo con tatto e delicatezza.
Forse avrebbero trovato ospitalità presso un’abitazione sperava Georgie mentre osservava con timore la pioggia che cadeva come secchiate.
Dopo momenti di ansia e preoccupazione la voce di John portò una buona notizia.
-C’è una luce laggiù – urlò l’uomo – è una casa. Siamo fortunati!
Fermò la vettura e saltò giù per andare a bussare alla porta sperando di trovare persone ospitali e comprensive. Georgie, da dentro, non riusciva a vedere ma attendeva un cenno da parte di John.
-La buona sorte è con noi – le disse tornando indietro zuppo ma felice – è una locanda! Possiamo passare la notte qui. Ora avvicino la vettura.  
Georgie tirò un sospiro di sollievo, quel posto era la miglior cosa, aveva del denaro con sé, poteva riposare e arrivare da suo padre il giorno dopo.
Furono accolti da una donna, la proprietaria, che assieme al marito gestiva quella piccola locanda. Era un posto semplice e alla buona, ospitava soprattutto viaggiatori e mercanti infatti aveva anche una stalla dove far riposare il cavallo.
John si accontentò di una stanzetta al piano terra, per Georgie invece era libera una camera più ampia e comoda al piano superiore.
-Se volete – disse loro la donna – c’è della minestra sul fuoco. Tra mezz’ora qui si serve la cena, la sala dei pasti è questa qui alla mia destra.
-Gentilissima – rispose con garbo Georgie – ma io non ho fame. Se John vuole fermarsi può tranquillamente farlo.
-Oh avrei bisogno di mettere qualcosa sotto i denti – disse l’uomo sicuramente affamato – ma se voi non mangiate signora, io …
-Non fare complimenti – rise Georgie – ti offro io la cena, è bene che ti rifocilli per poi proseguire il viaggio domani. Sei un’ottima persona John, devo ammettere che mio padre sa scegliere perfettamente i suoi dipendenti.
La tensione era svanita, il bravo John andò a sistemare il cavallo mentre Georgie fu condotta dalla locandiera in una stanza, nell’attesa di salire nella sua camera.
-Mi aspetti qua – le disse la donna – vado a prepararle il letto.
Georgie si guardò intorno, era buio e la piccola luce non riusciva ad illuminare tutta la stanza. Vi era un grande camino ma spento sulla destra e alla sinistra, a fianco della finestra, scorse una figura in penombra.
Un lampo improvviso illuminò tutta la sala e Georgie vide ora bene quell’uomo che era in piedi ad osservare il temporale. Fu un attimo che bastò per farla sobbalzare, ebbe come un tuffo al cuore. Quel ragazzo, con il mantello e gli stivali, sembrava proprio il suo Abel. Un altro lampo, poi un tuono, Georgie emise un grido, lui la fissò, aveva gli occhi scuri, penetranti, non blu come quelli di Abel.
-Vi spaventa il temporale? – le chiese continuando a guardarla.
-Sì, molto – rispose Georgie a bassa voce rimanendo ferma accanto alla porta.
-A me invece piace – disse lui tornando a fissare fuori dalla finestra – mi ci rispecchio.
-Prego, può salire – la voce della locandiera che entrando comunicava che la camera era pronta, diede sollievo a Georgie.
Seguì la donna lasciando quello sconosciuto ad osservare la tempesta.

 

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Capitolo 6
*** Notte di pioggia e d'inquietudine ***


La camera era ben ordinata e pulita, un letto matrimoniale, un comò e un piccolo armadio erano tutto ciò che faceva parte dell’arredo.
-Se ha bisogno di qualcosa sono di sotto – disse a Georgie la proprietaria della locanda chiudendo la porta e lasciandola sistemare il suo esiguo bagaglio.
Aveva assolutamente bisogno di togliersi quegli abiti bagnati, tirò fuori dalla valigia la camicia da notte e la spazzola per sistemarsi i capelli ancora un po’ zuppi.
Non c’era neppure una sedia nella stanza, mise il suo vestito ad asciugare nell’armadio mentre sentiva la pioggia ancora battere forte e incessantemente.
John doveva essere a cena, sicuramente stava mangiando la zuppa calda e Georgie rise immaginandolo intento a trangugiare quella minestra con avidità. Era una persona veramente efficiente, affidabile e anche simpatica.
Pensò a suo padre, doveva essere tranquillo, di certo immaginava che, vista la serata, si sarebbero fermati a dormire in qualche posto sicuro.
Oltre alla sedia, nella stanza, mancava anche uno specchio e Georgie ne aveva bisogno per pettinarsi. Chiamare subito la locandiera e disturbarla le sembrava scortese, piano piano aprì la porta andando alla ricerca di uno specchio.
Salendo le scale, prima, le era sembrato di averne visto uno all’inizio del corridoio. 
Camminava lentamente quando vide arrivare dal fondo dell’ingresso quello sconosciuto, il tizio che era ad osservare il temporale e che inizialmente le aveva fatto ricordare Abel. Georgie tornò subito indietro per non incontrarlo ma lui l’aveva già scorta, la fermò sulla porta.
-Avete ancora paura della pioggia? – le chiese.
-Io – balbettò lei rientrando in camera – stavo cercando uno specchio.
-Ora vedo di procurarvene uno – continuò lui guardandola – siamo vicini di stanza, a quanto pare!
Mise la chiave nella serratura e scomparve dentro la sua camera.
Georgie si rinchiuse nella sua, avendo negli occhi l’immagine di quel ragazzo così enigmatico.
No, non assomigliava poi così tanto ad Abel, aveva occhi scuri e capelli castani un po’ mossi, era alto ma non quanto lui. Forse era stato l’abbigliamento ad averla ingannata oppure quell’aria inquieta e tormentata.
La pioggia non era cessata, continuava imperterrita a battere ancora, Georgie la sentiva sul tetto e sulla finestra. Era ovunque. Batteva forte e ora si confondeva con il bussare alla porta.
-Mi apra, ho trovato uno specchio – disse la voce al di fuori.
Georgie tolse il catenaccio, aprì la porta e si trovò davanti quel ragazzo che le porgeva uno specchio portatile, vecchio e un po’ impolverato.
-Era nel cassetto del comò – le disse – io non ci faccio nulla.
-Grazie- sussurrò Georgie sentendosi addosso gli occhi di quel tipo che aggiunse:
-Vi siete bagnata molto quest’oggi, dovete affrontare un lungo viaggio? 
-Non lunghissimo – rispose imbarazzata.
-E il temporale vi mette paura – continuò lui ironico.
-Non è solo quello – disse Georgie stizzita – la strada era bloccata per via di un albero.
-Lo so, lo so – rise lui – ha fermato anche me.
Georgie stava per chiudere la porta, gli disse:
-Buonanotte e grazie per lo specchio.
-Avete già sonno? – domandò scrutandola nuovamente – Io non credo che dormirò stanotte.
-Sono molto stanca – sospirò Georgie fissando i suoi occhi scuri, intensi ma tristi.
-Comunque io mi chiamo Desmond – dichiarò con sicurezza lui.
-Io sono Georgie, buonanotte – e chiuse la porta ancora più forte.
Corse verso il letto e vi ci si buttò sopra, pioveva ancora a dirotto e lei non riusciva a togliersi dalla mente quello sguardo.
-Desmond – pensò – che tipo misterioso e affascinante. I suoi occhi hanno qualcosa di particolare, vogliono fissarti ma allo stesso tempo sono sfuggenti. Sono tristi e malinconici. Desmond chissà chi sei?
Si alzò di scatto e seduta sul letto parlò ora a voce alta:
-Georgie che pensieri fai? Sei sposata, sei una madre e non una ragazzina che può permettersi certe considerazioni! 
Si mise sotto le coperte a sentire la pioggia che batteva. Si appisolò. E la pioggia batteva, batteva, batteva e qualcuno bussava, di nuovo.
-Chi è? – gridò Georgie destandosi di soprassalto. 
Aveva dormito, era notte e non sapeva che ore fossero.
-Chi è? – ripetè avvicinandosi alla porta.
-Sono Desmond, mi apra per favore! – sentì dire dall’altra parte.
-È successo qualcosa? – chiese Georgie fissando la maniglia non sapendo se aprire o meno a quello sconosciuto.
-Sì – rispose laconico lui.
Georgie allora tolse di nuovo il catenaccio e buttò giù la maniglia silenziosamente.
Si trovò davanti Desmond con i capelli bagnati, la camicia sbottonata fradicia come i suoi pantaloni e uno sguardo penetrante.
-Siete zuppo! – esclamò Georgie – Perché siete uscito con questo tempo?
-Perché – rispose lui – volevo venire da voi ma sapevo che non mi avreste aperto la porta. Allora sono fuggito sotto la pioggia, io amo i temporali come vi ho detto. Mi piace sentire l’acqua che mi bagna la pelle, le mani, il volto come mi piace sentire le carezze di una donna sul mio corpo.  Solo questa notte Georgie e non vi chiederò più nulla.
-Siete pazzo! – gridò lei cercando di richiudere la porta ma Desmond l’aveva bloccata con un piede.
-Ti prego Georgie – la supplicò lui passando ad un tono più confidenziale – domani sarò già sparito dalla tua vita ma fammi passare questa notte con te.   
-Per chi mi hai preso? – urlò la giovane donna – Vado a chiamare il proprietario che ti sbatterà fuori di qui!  
-Solo una notte Georgie – ripetè con più dolcezza – ho capito di non esserti indifferente. Per favore. È tutta la sera che immagino di tenerti fra le mie braccia.
Georgie era attonita, lo fissava mentre lui, teneramente, le prese una ciocca di capelli con la mano sinistra per poi arrivare ad accarezzarle il viso.
-Io, io non posso – balbettò lei guardando ancora i suoi occhi.
-Solo questa notte, non voglio altro – ripetè Desmond ormai a un passo dall’entrare nella stanza.
La pioggia non era ancora cessata, i due erano fermi sulla soglia intenti a guardarsi negli occhi, Georgie doveva dirgli che era sposata ma forse a lui non sarebbe importato poi nulla.
Non poteva passare la notte con uno sconosciuto, non poteva.
Ma voleva? 
 
 

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Capitolo 7
*** Via come la tempesta ***


Quando Georgie aprì gli occhi vide un timido raggio di sole entrare dalla fessura della persiana.
Si girò pigramente e con il braccio destro cercò invano colui che per tutta la notte l’aveva stretta a sé con passione. Ne sentiva ancora l’odore fra le lenzuola. Desmond era invece in piedi, si stava rivestendo, Georgie lo chiamò con un filo di voce.
Lui finì di sistemarsi la camicia e poi si avvicinò al letto dove lei, sdraiata coi capelli sparsi sul cuscino, lo guardava con occhi assorti.
-Addio Georgie – le disse – mi rimetto in viaggio. Addio.
-Desmond – sussurrò lei mentre lo vedeva avviarsi alla porta – addio.
Uscì senza voltarsi lasciandola frastornata, coperta soltanto da una parte di lenzuolo.
-Non voglio altro – si ripeteva nella mente Georgie – e poi sparirò dalla tua vita.
Erano le parole di Desmond.
Si alzò cercando la camicia da notte finita da qualche parte sul pavimento. La indossò e andò ad aprire la finestra.
Un sole splendente la colpì, il cielo era limpido, non una nuvola all’orizzonte. Sembrava impossibile ma del temporale non c’era più alcuna traccia.
Sì, Desmond era andato via, proprio come la tempesta.
-Cosa ho fatto? – si domandò Georgie con le lacrime agli occhi – Arthur, come ho potuto?
Si buttò di nuovo sul letto e pianse. Nel suo cuore era rimasto qualcosa, un forte senso di colpa.
-Signora, la sua carrozza è pronta! – la voce della locandiera che bussava alla porta la destò e la fece tornare alla realtà.
Si preparò in fretta, cercando di nascondere le lacrime e scese di sotto.
John era pronto accanto alla vettura e al suo cavallo, Georgie saldò il conto con i proprietari della locanda e poi uscì.
-È una splendida giornata – esclamò John sorridente – arriveremo con tranquillità a Sydney per l’ora di pranzo.
-Bene – rispose Georgie senza entusiasmo – possiamo partire.
Caricati i bagagli andarono via da quel posto, John fischiettava allegro, Georgie passò tutto il tempo ad osservare quella veste bianca posata sul sedile di fronte a lei, era simbolo d’innocenza e di purezza.
Arrivati a palazzo Gerald, varcato il cancello, trovarono Fritz ad attenderli davanti al portone. Georgie, nel vederlo, provò dapprima imbarazzo, avendo paura che suo padre capisse semplicemente dal suo volto che qualcosa non andasse bene. Poi, scendendo dalla carrozza, trovatoselo davanti, corse ad abbracciarlo buttandogli le braccia al collo, proprio come una bambina.
-Papà, papà – gridò – quel temporale ci ha bloccati, era impensabile arrivar qui ieri sera! 
-L’avevo immaginato – la rassicurò Fritz – vi sarete fermati a dormire da qualche parte al sicuro.
-Signor conte – si inserì nel discorso John – abbiamo passato la notte in una locanda. Ho preferito non continuare il viaggio con quel tempaccio, la strada era poi impraticabile.
-Hai preso una giusta decisione – gli disse Fritz dandogli una pacca sulla spalla – ti meriti una giornata di assoluto riposo oggi!
John ringraziò lasciando padre e figlia entrare in casa.
-Hai avuto molta paura del temporale? – chiese il conte amorevolmente a Georgie.
-Sì, io – balbettò lei – ho sempre avuto paura dei temporali.
Furono interrotti da Maria che li aveva raggiunti nel salone.
-Oh Georgie – esclamò forte – finalmente sei qui! Ieri, nel vedere tutta quella pioggia, mi ero talmente spaventata che sono stata in ansia per ore. Poi Fritz è riuscito a tranquillizzarmi, era ovvio che avreste trovato riparo da qualche parte.
Georgie fu travolta dall’entusiasmo di Maria che la condusse subito nella stanza della bambina per iniziare a parlarle del ricevimento previsto per il giorno del battesimo.
-Questa veste bianca è meravigliosa – disse Maria osservando i ricami e toccando l’abitino con delicatezza – hai creato un capolavoro Georgie! La mia Milly sarà un incanto. 
E mentre Maria andava a prendere la bimba nella culla Georgie rimaneva ferma al centro della stanza, avendo la mente altrove.
-Domani sera verrà il prete per un breve colloquio – le annunciò Maria – sono contenta ci sia anche Arthur visto che tu e lui sarete la madrina e il padrino della bimba.
Si avvicinò a Georgie tenendo Milly in braccio, si era da poco svegliata.
-Che ti prende? – le chiese – Mi dà l’impressione che tu non mi abbia sentita affatto!
Georgie rispose seria:
-Scusami Maria, invece ti ho ascoltato bene. Sai, forse non sono la persona più adatta per fare da madrina a tua figlia.
-Sei impazzita! – disse Maria a voce alta – E a chi dovrei affidare questo compito? Per me e Fritz è stato naturale pensare a te e ad Arthur, siete la nostra famiglia! Cosa c’è Georgie? Sembri strana.
Non era proprio il caso di confidarsi con Maria, cercò di sorridere e non pensare a cosa era successo l’altra notte.
-Sono solo stanca per il viaggio – rispose – il temporale mi ha terrorizzata. Ora va meglio, fammi tenere un po’ la mia sorellina, ne ho proprio bisogno!
Prese Milly e disse con gioia:
-Certo che voglio essere la tua madrina, puoi contarci!
Il senso di colpa l’attanagliava, si sentiva sporca in contrapposizione a quella veste bianca che ora era ben ripiegata sopra il lettino della bambina. 
-Non devo pensarci – rifletteva in silenzio mentre cullava Milly – è stata solo una notte, lui è andato via per sempre.
Intanto Maria parlava e le illustrava i regali che aveva ricevuto la bambina.
Uscendo, nel corridoio, Georgie notò un via vai di domestici, Lizzie puliva accuratamente una stanza mentre Amy, l’altra cameriera, veniva su dalle scale con delle lenzuola in mano.
-Ci saranno ospiti? – chiese Georgie incuriosita.
-Il vecchio conte Huxley – rispose Maria – un nobile inglese trasferitosi in Australia da anni, vive a Melbourne. Con Fritz c’è stato uno scambio epistolare, si conobbero a Londra, ha saputo della nascita della bambina e così l’abbiamo invitato. Tuo padre lo stima molto.
-Saremo in tanti al ricevimento? – domandò Georgie pensando che suo padre non avesse badato a spese per quella festa.
-Una buona parte della nobiltà di Sydney – asserì Maria soddisfatta.
Nel pomeriggio, infatti, arrivò una prima carrozza a palazzo Gerald. Fritz abbracciò con affetto quell’uomo brizzolato, un po’ sovrappeso che era sceso appoggiandosi ad un bastone.
-Carissimo – esclamò quello sfoggiando un sorriso sincero – da quanto non ci vediamo!
-Conte Huxley è un’immensa gioia avervi qui – disse Fritz commosso.
-Avremo tutto il tempo per ricordare il passato – ammise l’uomo – ma non vedo l’ora di conoscere tua moglie e le tue figlie! 
Dalla vettura, intanto, era scesa un’altra persona che, in disparte, attendeva di essere presentata.
-Caro Gerald – continuò Huxley – come ti scrissi, mia moglie non è potuta venire, il viaggio l’avrebbe stancata troppo ma sono in compagnia di Lord Graves.
-Molto piacere – disse Fritz andando incontro a quel giovane per dargli la mano.
-Piacere mio conte Gerald – rispose con una stretta decisa – mi chiami pure Desmond.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Sorprese ***


Dalla terrazza di casa Gerald s’intravedeva, in lontananza, uno scorcio di mare.
Desmond era in piedi, appoggiato alla balaustra, intento ad osservare quel pezzettino d’azzurro mentre sorseggiava lentamente dell’ottimo vino.
Fritz e il conte Huxley, seduti, discutevano piacevolmente nell’attesa che la servitù portasse nelle stanze tutti i bagagli degli ospiti.
-Desmond – lo chiamò Gerald – cosa ti ha spinto a lasciare l’Inghilterra per l’Australia? Pensi di trovare qualcosa in particolare qui?
Lui si voltò e, raggiunti i due, iniziò a parlare rimanendo in piedi:
-Tutto ciò che è sconosciuto mi affascina. Morti i miei genitori non sapevo più che farmene della vita di Londra. Mio padre era molto amico del conte Huxley, ricordo le lettere che si scambiavano e le descrizioni che lui faceva di questa terra così diversa, particolare ma appunto interessante. L’ignoto mi attira, è un richiamo così forte che non riesco a sottrarmi.
Il conte Huxley rise e rivolgendosi a Fritz disse:
-Il nostro Desmond è un tipo romantico e misterioso. È stato per un po’ mio ospite a Melbourne poi gli ho consigliato di fare un giro per le campagne sconfinate intorno a Sydney. Ha una discreta eredità in tasca, potrebbe diventare un ottimo proprietario terriero. 
-Ti auguro di realizzare tutto ciò che desideri – gli disse Fritz con tono paterno, sollevando il bicchiere per proporre un brindisi.
Desmond rispose con un mezzo sorriso per poi domandare:
-Voi invece conte Gerald perché avete scelto proprio l’Australia? Non vi ricorda la deportazione?
Fritz lo fissò rispondendo prontamente:
-Per mia figlia. Non starò a raccontarvi tutta la storia ma lei vive qui con la sua famiglia ed io volevo starle accanto.
Desmond terminò di bere poi fu lui a sorridere a Fritz come per approvare la sua decisione.
-A proposito – continuò Gerald ora meno serio – dove sono finite mia moglie e mia figlia? Ho detto alla cameriera di avvisarle del vostro arrivo.
-Caro Fritz – affermò allegro il conte Huxley – non sai che le donne si fanno sempre attendere? Piuttosto, racconta, com’è stato diventare padre dopo tanti anni?
-Vi confesso che inizialmente ero un po’ frastornato – rispose Gerald imbarazzato – essendo già nonno trovavo la situazione abbastanza particolare. Ma quando è nata Milly tutte le mie incertezze sono scomparse.
Il conte Huxley ascoltava interessato mentre Desmond fu distratto dal vedere una figura femminile avanzare verso di loro con una bambina fra le braccia.
-Finalmente! – esclamò Fritz alzandosi in piedi – Ecco i miei due tesori.
Georgie si bloccò nel vedere accanto a suo padre Desmond, il ragazzo con cui aveva trascorso una notte di passione alla locanda, cosa mai ci faceva lì?
Attonita e spaventata fu raggiunta da Fritz invece sorridente e felice. 
-Le mie figlie – disse Gerald con fierezza – Georgie e la piccola Milly.
Fritz prese in braccio la bimba dicendo:
-Georgie, questo è il conte Huxley, mio caro amico e Lord Graves che lo accompagna.
-Felicissimo di fare la vostra conoscenza – disse l’anziano conte rivolto a Georgie la quale non riusciva a proferir parola.
-Incantato – sussurrò Desmond prendendole la mano e sfiorandola delicatamente con le labbra mentre con gli occhi fissava con intensità quella giovane donna inaspettatamente ritrovata.
Visibilmente arrossita e a disagio Georgie esordì tentennando:
-Papà, Maria scenderà tra qualche minuto, io … credo che andrò a chiamarla!
E scusandosi si allontanò dalla terrazza per rientrare di corsa in casa.
-Ah le donne, le donne! – esclamò divertito il conte Huxley – Che ti avevo detto Fritz? Sempre in ritardo! Goditi questa bimba finché è piccolina!
Fece una carezza a Milly e tornò seduto mentre Desmond, avvicinatosi a Fritz, gli disse piano:
-Complimenti conte Gerald, vostra figlia è semplicemente stupenda.
-Oh grazie – rispose lui - è un simpatico frugoletto.
-Veramente – affermò il giovane quasi ammiccando – io mi riferivo alla grande. 
Fritz, a questo punto, squadrò dall’alto in basso il ragazzo e gli disse:
-Georgie è sposata.
-Il matrimonio non è mai stato un mio obiettivo – asserì prontamente Desmond.
-Questa frase l’ho sentita spesso – sorrise Gerald – è tipica di noi uomini ma alla fine cediamo tutti! Io l’ho fatto per ben due volte.
Baciò teneramente la piccolina e tornò seduto accanto all’anziano amico, Desmond si rimise a passeggiare guardando il mare in lontananza.
Georgie, scossa e disperata, entrò nella camera di Maria.
-Sono quasi pronta – disse quest’ultima – finisco di sistemare i boccoli e arrivo.
Dallo specchio notò subito l’espressione agitata di Georgie.
-Milly è con papà – sussurrò la ragazza – io non scendo più.
-Come non scendi? – domandò Maria scandalizzata – Accompagnami dagli ospiti, non puoi esonerarti dal riceverli!
-Ci sei tu, sei una perfetta padrona di casa – ammise Georgie – io li ho appena salutati, non ho la tua grazia e la tua competenza per queste cose.
-Vieni con me! – ordinò Maria conducendola verso la porta – Devi imparare Georgie. Fritz ci tiene molto all’amicizia con il conte Huxley.
-Non è venuto da solo il conte – affermò Georgie.
-E allora? – esclamò Maria scendendo le scale – Qual è il problema? Aveva scritto che sarebbe venuto con un amico se sua moglie non avrebbe potuto sostenere il viaggio!  Segui me, osserva quello che faccio io.
Georgie s’incamminò, in fondo non poteva rimanere nascosta per giorni ma la presenza di Desmond la inquietava terribilmente. 
Maria avanzava verso la terrazza seguita da Georgie spiegandole quanto fosse importante il portamento in una vera signora.
Gli uomini stavano ancora parlando fra loro lì, all’aperto, furono raggiunti dalle due donne ma non si accorsero subito della loro presenza.
-Ma quello è Desmond! – esclamò piano Maria.
-Lo conosci? – domandò Georgie stupita – È venuto con il conte Huxley.
-Il passato mi perseguita – affermò Maria seria andando incontro a suo marito e a sua figlia.
-Ecco anche mia moglie! – disse Fritz con orgoglio.
-Questa casa mi riserba una sorpresa dopo l’altra! – esclamò Desmond divertito.  
 

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Capitolo 9
*** Desmond ***


Maria avanzò lentamente, con grazia e un sorriso di circostanza stampato in volto.
-Conte Huxley sono lieta di fare la vostra conoscenza – disse porgendogli la mano – non credo di aver mai avuto il piacere di incontrarvi a Londra. Mio marito mi ha detto che siete in Australia da una decina d’anni.
-Eh già – affermò quello dopo averle fatto il baciamano – penso eravate ancora una bambina quando io vivevo in Inghilterra!
-Per Desmond invece vale un discoro diverso – asserì Maria con tono allegro voltandosi verso il ragazzo.
-Maria! Non avrei mai immaginato di ritrovarti qui e addirittura moglie del conte Gerald – disse il giovane che poi, giratosi verso Fritz aggiunse – permettete?
I due si strinsero in un caloroso abbraccio sotto lo sguardo stupito degli altri presenti.
-La vita dei giovani a Londra è abbastanza monotona – disse Desmond con ironia – tra balli, feste e ricevimenti ci si conosce un po’ tutti. 
-Ci siamo frequentati spesso per un certo periodo – affermò Maria rivolta a suo marito.
Georgie era sempre più inquieta soprattutto perché Desmond non le toglieva gli occhi di dosso.
La servitù arrivò ad annunciare che le camere degli ospiti erano pronte, tutti rientrarono in casa, Fritz sussurrò a sua moglie:
-Mi sembra di aver capito che conosci molto bene il giovane Graves. Ora sarà scandalizzato nell’aver appreso che ho sposato una Dangering.
-Ti vergogni di me? – domandò Maria affranta.
-Certo che no! – rispose fermamente lui – Ma voglio chiarire alcune cose con Desmond.
-Non preoccuparti – aggiunse sua moglie – non è il tipo che si scandalizza facilmente. 
E presa Milly in braccio s’incamminò verso la stanza della bambina.
Fu raggiunta immediatamente da Georgie, desiderosa di parlare con Maria per avere spiegazioni.
-Tuo padre è apparso poco felice del fatto che io conoscessi Desmond – esordì Maria – ora dovrà giustificare il nostro matrimonio!
-La Regina lo ha approvato – sentenziò Georgie – non vedo il problema. Piuttosto, lo conosci molto bene, a quanto pare.
Attendeva una risposta perché voleva saperne di più su quel ragazzo con cui aveva passato una notte non solo peccaminosa ma, a questo punto, anche pericolosa.
Maria era seduta accanto alla culla dove Milly tentava di addormentarsi al suono melodioso di un carillon, sicuramente uno dei tanti regali ricevuti.  
-Desmond frequentava palazzo Dangering – iniziò a spiegare Maria – perché era molto amico di mio fratello.
-Di Irwin? Era amico di Irwin? – la voce di Georgie divenne pian piano flebile mentre si sedeva vicino a Maria la quale continuò:
-Sì, veniva spesso ai ricevimenti che si tenevano da noi, a volte si fermava a cena oppure passava i pomeriggi con Irwin e altri nella sala del biliardo a giocare, bere, fumare, almeno così credo, io non ero ammessa lì.
Georgie era impallidita, l’idea che Desmond fosse un amico di Irwin la disgustava e il suo senso di colpa si ingigantiva sempre di più.
-L’averlo rivisto – aggiunse Maria – mi ha fatto tornare in mente il passato. Anche per me è stata dura.
-Lo so – disse subito Georgie – e penso che mio padre non debba giustificarsi proprio con nessuno per averti sposata. Ora ti lascio altrimenti la piccolina non si addormenterà mai.
Si scambiarono un sincero sorriso poi Georgie uscì dalla stanza per andare nella sua.
-Un amico di Irwin – pensò molto scossa – come posso aver ceduto a un tipo del genere! Oh Arthur, riuscirò a guardarti in faccia quando arriverai?
Saliva in fretta le scale per dirigersi in camera quando si trovò davanti proprio Desmond che le disse:
-Il destino ci ha fatto ritrovare, è bizzarro no?
-Sparisci dalla mia vita – gli rispose Georgie a bassa voce per paura che qualcuno la sentisse. 
-Non preoccuparti – affermò lui – non racconterò a tuo padre di noi due. Penso proprio che l’onesto e retto conte Gerald non approverebbe il comportamento libertino della sua amata figlia.
-Desmond, ti prego, non importunarmi! – disse Georgie con angoscia – Ho commesso un enorme errore e me ne sto pentendo amaramente. Passati questi due giorni di festeggiamenti per la bambina andrai via e per sempre!
-Non è colpa mia se ti ho rincontrato. È il destino e nessuno si può mettere contro di lui – ammise il ragazzo.
-Tra noi non può esserci niente di niente – disse Georgie decisa – io sono sposata.
-Lo eri anche l’altra notte – disse con semplicità Desmond.
-E poi – aggiunse Georgie – ho saputo che eri amico di Irwin e questo mi fa ancora più ribrezzo.
-Ti ricordo – rispose lui immediatamente – che tuo padre ha sposato la sorella di Irwin. Questo lo hai accettato?
-Maria è diversa! – esclamò con foga Georgie, ammettendo tra sé e sé che Desmond aveva una risposta pronta a tutto.
-E cosa ne sai – le sussurrò Desmond all’orecchio – di come sono io?
Le sfiorò il volto con una mano ma lei lo scansò subito correndo in camera. La situazione stava diventando veramente complicata.
La sera, a cena, erano tutti seduti a tavola tranne Georgie. Arrivò Lizzie annunciando: 
-Conte Gerald, vostra figlia non scenderà per mangiare. Si scusa ma si sente poco bene.
Fritz, abbastanza preoccupato, lasciò i commensali per raggiungere le camere da letto.
-Georgie, mi apri? – domandò bussando alla porta.
Lei acconsenti, il conte la trovò nel letto, visibilmente stanca.
-Papà ho un forte mal di testa – mentì – non riesco a cenare.
-Chiamo un medico? – le chiese Fritz.
-No, no ho solo bisogno di riposare – rispose – voglio star bene nei prossimi giorni, lasciami qui stasera e da domani tornerò la solita Georgie.
Sapeva bene che non era così, non sarebbe mai tornata come prima. Quella notte l’aveva cambiata per sempre e non poteva sfuggire al destino.
 

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Capitolo 10
*** Confronti e tormenti ***


Terminata la cena il conte Huxley salì in camera, era stanco per il viaggio e aveva assolutamente bisogno di dormire.
Maria andò dalla bambina lasciando suo marito in compagnia di Desmond.
-Vorrei parlarti – esordì Fritz approfittando della situazione – vieni, ti offro da bere.
Si spostarono nella stanza accanto, il conte prese dei liquori che versò nei bicchieri e con Desmond si sedette sul divano.
-Ho capito che conosci molto bene mia moglie – iniziò Gerald pacatamente – e frequentavi la sua famiglia.
-Era un periodo – lo interruppe subito il giovane – in cui essere ospite a palazzo Dangering era un vanto. Poi, certo, le cose sono cambiate.
-Ti sarai chiesto – domandò Fritz – perché io abbia sposato Maria.
Desmond mandò giù le ultime gocce di liquore nel bicchiere e disse:
-Tutto ciò mi ha stupito! Il conte Gerald con una Dangering, sembra assurdo!
-La Regina ne è al corrente ed ha approvato – puntualizzò Fritz.
-Mi fraintendete – continuò Desmond – non sono uno che ama i formalismi, mi chiedo soltanto come voi possiate aver preso in moglie una Dangering. Con tutto quello che vi ha fatto il duca! 
Il conte lo guardò e gli disse:
-La vita ci mette davanti a situazioni inaspettate. Sei mai stato innamorato, Desmond?
-Forse – rispose dopo una breve pausa lui.
-Ti auguro di esserlo seriamente – sorrise Fritz.
Il giovane si alzò di scatto e domandò:
-E voi non avete mai provato il desiderio di vendetta?
Il suo tono era ora diventato più serio, grave.
-Inizialmente sì – rispose Gerald mantenendo la calma – ma poi capii che non era quella la giusta strada. Mi sono battuto, ho sofferto e la giustizia infine ha fatto il suo corso.
-La giustizia? – rise amaramente Desmond – Arriva sempre troppo tardi! Quanti anni di vita avete perduto?
Fritz posò il bicchiere e rispose a voce più alta:
-Ho passato buona parte della mia esistenza da esiliato, trattato come il peggiore dei criminali quando invece non avevo alcuna colpa. La mia adorata Sofia è morta, Abel, l’amato di mia figlia, è stato ucciso e tutto a causa di Dangering.
-Appunto per questo – lo incalzò il ragazzo – come avete fatto a sposare Maria? Avreste dovuto ucciderla!
-No Desmond! – disse forte Fritz – Maria è diversa, la conosci, dovresti saperlo.
-È una Dangering – sentenziò l’altro. 
-Non m’interessa più nulla – continuò il conte più tranquillo – Maria è la donna che amo e basta. Adesso che c’è anche Milly devo guardare al futuro.
Desmond si versò dell’altro liquore nel bicchiere, fissò negli occhi Fritz e aggiunse:
-Non vi capisco ma non vi giudico.
La loro conversazione terminò lì.
La mattina dopo Fritz trovò Georgie già nella sala a fare colazione, era presto e nessuno era ancora uscito dalle proprie camere.
-Vedo che stai meglio! – esclamò l’uomo felice di vederla lì, intenta a mangiare qualcosa.
-Sì papà, ho riposato – rispose mentendo ancora una volta.
In realtà non aveva ben dormito, presa dai pensieri, dalla presenza di Desmond e soprattutto dall’idea di rivedere Arthur. Suo marito e suo figlio, infatti, sarebbero arrivati nel pomeriggio.
Se da Desmond poteva fuggire, in fondo dopo la festa le loro strade si sarebbero divise, da Arthur non era possibile e soprattutto era il suo senso di colpa che non l’avrebbe più abbandonata. Come aveva potuto tradire suo marito?
Dopo colazione si rinchiuse in camera a sistemare un vestito per Maria, conversò un po’ con lei aiutandola con la bambina, cercando di tenere la mente occupata.
Non poteva però credere di riuscire ad evitare Desmond ed infatti, lo incontrò sulla terrazza dove lei era andata per occuparsi dei fiori.
Era seduto sul parapetto, con la schiena appoggiata al muro e le gambe semidistese sulla balaustra, stava fumando, assorto nei suoi pensieri. 
Georgie prese un vaso e si accinse a portarlo in casa non rivolgendogli la parola ma la sua presenza lo infastidiva.
-Ti aspettavo stanotte! – esclamò ad un tratto lui non guardandola ma continuando a fumare.
Georgie si voltò di scatto dicendo:
-Sei pazzo? Non avvicinarti più a me, te lo ripeto, tra noi non ci sarà più nulla!
-Piantala di fare la brava ragazza – disse Desmond scendendo dalla balaustra e andandole vicino – reciti bene la parte della figlia devota e della fedele mogliettina. Se non sbaglio tuo marito arriverà nel pomeriggio, giusto?
-Stammi lontano! – gridò Georgie – Non ti permettere di parlare in questo modo.
-Fai piano, non urlare – sorrise lui – tuo padre potrebbe sentire.
Lei riprese il vaso e non rispose ma Desmond le chiese di getto:
-Chi era Abel?
Georgie rimase spiazzata, non si aspettava quella domanda.
-Lo amavi, vero? – continuò lui tornandole accanto – Dimmi chi era.
-Non ti deve interessare – sussurrò Georgie guardando in terra con gli occhi lucidi.
-Tu non ami tuo marito – aggiunse Desmond – di questo ne sono certo.
-Lasciami in pace, ti prego – lo supplicò lei fissandolo ora negli occhi.
Corse in casa lasciandolo lì da solo.
Desmond la inquietava, con le sue domande, il suo atteggiamento e il suo sguardo.
-Lo scoprirò Georgie – si chiedeva il ragazzo tornato a fumare seduto sul parapetto della terrazza – scoprirò chi era Abel.
 

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Capitolo 11
*** Sensi di colpa ***


Gli occhi chiari e profondi, i capelli lisci, il sorriso, tutto in suo figlio le ricordava Abel. Lo osservava mentre cercava di accarezzare Milly ma non riusciva ad arrivare al volto della piccolina perché la culla era troppo alta per lui eppure, caparbiamente, non si arrendeva. Anche nel carattere quel bambino assomigliava tutto a suo padre, nonostante non lo avesse mai conosciuto.
-Ti aiuto – gli disse teneramente Maria prendendolo in braccio e facendolo raggiungere la meta.
Georgie lo guardava con amore, appena era arrivato lo aveva subito portato a vedere Milly, lasciando Arthur parlare con suo padre.
Stava facendo del tutto per evitare suo marito.
-Posso andare nella mia camera? – chiese a Maria il bimbo dopo esser stato per un po’ con Milly.
Immaginava che il nonno gli avesse sicuramente fatto un regalo e, come al solito, lo avesse messo nella stanza dove lui dormiva ogni volta.
Alla riposta affermativa di Maria, il piccolo Abel corse velocemente fuori seguito da Georgie.
-Il nonno mi vuole sempre bene, vero mamma? – domandò salendo le scale.
-Certo – rispose Georgie sbarrando gli occhi – come puoi pensare che non te ne voglia più! 
-Adesso che c’è Milly – disse il bimbo – potrebbe volermene di meno.
-Assolutamente no! – esclamò sua madre sorridendo – L’amore non diminuisce, si moltiplica.
Entrarono in camera, sul letto c’era un grosso pacco, Abel junior si precipitò a scartarlo.
Georgie rimase sulla porta ad osservarlo.
-Ma che bel bimbo! – la voce di Desmond la fece girare di soprassalto.
Era lì, sul corridoio che la guardava, appariva ovunque, ormai era un’ossessione.
-Mamma! – gridò il bambino andando verso di lei – Guarda che bello il regalo del nonno!
Georgie ora era frastornata, Desmond si era appoggiato alla porta esclamando:
-Che fortuna avere un nonno così generoso!
-E tu chi sei? – gli domandò il bimbo incuriosito.
-Scusa se non mi sono presentato prima – disse il giovane inginocchiatosi all’altezza del piccolo – ma eri talmente preso dallo scartare il regalo che non volevo disturbare. Mi chiamo Desmond e sono molto molto amico della tua mamma.
Georgie apparve subito contrariata da quelle parole ma suo figlio sembrava invece interessato a quel ragazzo.
-Davvero? – chiese il bimbo – Io sono Abel junior ma puoi chiamarmi Abel.
-È un bel nome – disse Desmond fissando ora Georgie.
-Certo, è il nome di mio padre! – ribatté prontamente il ragazzino. 
-Allora piacere di conoscerti – aggiunse il giovane stringendogli la mano – ora vai pure a giocare con il tuo regalo.
-Mi sei simpatico Desmond – esclamò Abel junior prima di buttarsi sul nuovo gioco, dono del nonno.
Dal modo in cui aveva parlato al piccolino, come si era rapportato con lui, dallo sguardo che aveva ora, Desmond appariva agli occhi di Georgie come un’altra persona. Gli sembrava quello che aveva pensato di lui appena lo aveva visto nella locanda e cioè un tipo inquieto e tormentato ma anche ricco di sentimenti. Quella notte con lei era stato non solo passionale ma dolce e premuroso, molto lontano dall’arrogante che si mostrava in casa ogni qualvolta che le rivolgeva la parola.
-Io scendo – disse a Georgie allontanandosi – vado a conoscere tuo marito.
Lei s’irrigidì immediatamente, Desmond continuò:
-Tranquilla, ti ripeto che non dirò nulla di noi due!
Georgie era tentata di seguirlo, andare da Arthur ma infine preferì rimanere con il bambino in camera, non riusciva ad affrontare la situazione.
Andò nel salone soltanto più tardi quando stava per arrivare il prete per il colloquio.
Non era per nulla tranquilla, anche quell’incontro la tormentava, si sentiva immersa nel peccato, era una sensazione che non riusciva a togliersi dalla mente. 
-Padre Baker sarà qui tra poco – esordì Maria andandole incontro – sono felice, mi sono tolta un grosso peso dal cuore.
Georgie non capì cosa l’altra voleva dire e palesò subito un’espressione di dubbio.
-Sai, ho parlato con Arthur – continuò Maria – e finalmente abbiamo chiarito diverse questioni.
Si misero entrambe sedute sul divano, non c’era nessun altro nella stanza, Georgie ascoltò con attenzione.
-Mi sono sempre sentita in colpa nei suoi confronti – iniziò a raccontare Maria – è da quando sono giunta qui in Australia che avrei voluto parlarci ma non ho mai trovato né l’occasione giusta né il coraggio. Poi, quando ho saputo di essere incinta, mi sono concentrata solo su me stessa pensando a me, alla bimba e a Fritz. Sono un’egoista, soltanto oggi sono riuscita a chiedergli perdono.
-Ma di cosa? – domandò Georgie con impeto – Se Arthur è vivo lo deve soprattutto a te e lui questo me lo ha ribadito spesso.
-Non mi ero accorta di niente io! – esclamò Maria con forza – Di tutto quello che accadeva in casa mia non avevo capito nulla, ero immersa nel mio mondo di sogni immaginando un futuro roseo con Arthur quando invece lui stava soffrendo le pene dell’inferno.
Georgie le prese la mano, Maria continuò:
-Io sono molto felice ora, ho una figlia meravigliosa e un marito che mi ama profondamente. Con Fritz ho scoperto l’amore vero ma avevo bisogno di chiarirmi con Arthur, avevo intuito che lui non veniva volentieri qui e oggi me lo ha confermato. Gli ricordo il passato, le giornate a palazzo Dangering e soprattutto le notti. Dio, che sofferenza!
Maria scoppiò in pianto gettandosi fra le braccia di Georgie che la strinse forte.
-Voglio che Arthur sia felice – continuò Maria – come lo sono io. Ho capito che le sue angosce non sono scomparse, è terribile!
-Asciuga le lacrime – le disse teneramente Georgie – non devi sentirti in colpa.
Pensò che era lei a doversi sentire fortemente in colpa perché aveva tradito Arthur con uno sconosciuto che poi si era rivelato, ironia della sorte, pure un amico di quel pervertito di Irwin. Suo marito aveva bisogna d’aiuto e lei invece si era buttata fra le braccia di Desmond.
-Siete qui! – esclamò Fritz entrando nella sala – vi stavo cercando. È arrivato Padre Baker, ci attende nel mio studio.  
Le due donne seguirono il conte per il colloquio con il prete, Georgie era sempre più angosciata.
Terminato quell’incontro, durante il quale il sacerdote aveva conosciuto il padrino e la madrina della bambina, si diressero verso il salone in attesa della cena. Arthur sembrava di buon umore, Georgie lo lasciò solo un attimo per andare a chiamare suo figlio che era in giardino a giocare.
Con sua grossa sorpresa lo trovò intento a parlare con Desmond.
-Mamma sono qui!  - gridò Abel junior – Sai che lui è proprio simpatico?
-Vai subito dentro! – gli ordinò Georgie seria – Il nonno ti aspetta, fra poco si cena.
Il piccolo s’incamminò senza dire una parola.
-Sei severa – esclamò Desmond – oppure non vuoi che tuo figlio passi un po’ di tempo con me?
Georgie non rispose ma iniziò ad avviarsi in casa, lui la prese per una mano fermandola.
-Perché fuggi? – le chiese – Tuo figlio è un bambino simpatico e oggi ho potuto conoscere anche tuo marito.
-Lasciaci in pace – affermò Georgie.
-Arthur, si chiama Arthur – aggiunse Desmond – oppure preferisci che lo chiami Cain?
 

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Capitolo 12
*** Ricordando il passato ***


Georgie sentì un brivido lungo la schiena, si voltò verso Desmond chiedendo attonita:
-Cosa ne sai tu di Cain?
Lui le rispose con naturalezza:
-Come sei ingenua Georgie! Ti ho detto che frequentavo palazzo Dangering.
Ora Desmond era dietro di lei, le posò entrambe le mani attorno alla vita e le sussurrò:
-Vuoi che ti racconti tutto?
Georgie lo strattonò con vigore per poi dirgli:
-Toglimi le mani di dosso!
-Non dicevi così la notte scorsa – rispose prontamente lui – e comunque credo tu voglia ascoltare la mia storia.
Aprì un poco la porta finestra e vide nella grande sala la tavola apparecchiata, nessuno era ancora lì, soltanto Amy, la giovane cameriera, stava sistemando le ultime stoviglie, Desmond aggiunse:
-La cena non è ancora pronta, c’è tutto il tempo per raccontarti quello che so. 
Georgie, impaziente e agitata, pendeva dalle sue labbra, Desmond con tranquillità iniziò a parlare:
-Non so cosa ti abbia detto Maria ma certamente ti avrà raccontato della mia amicizia con suo fratello Irwin.
-So soltanto che andavi a casa loro – puntualizzò subito Georgie – per un certo periodo.
-Infatti – continuò lui – essere ammessi a palazzo Dangering era un onore per i nobili inglesi. Sai, mio padre era un marchese ma non aveva mai conosciuto personalmente la Regina né aveva mai partecipato a balli o a ricevimenti reali. Per poter salire i gradini della scala sociale, mia cara Georgie, bisogna essere ambiziosi ma anche molto fortunati. Incontrai Irwin per caso, al compleanno di un’amica comune, lui era proprio con Maria, capii che il destino mi stava porgendo una grossa opportunità.
-Sei diventato il suo amante? – domandò d’istinto Georgie quasi imbarazzata nel toccare quell’argomento.
-Ti sembro uno a cui piacciono gli uomini? – rise Desmond mettendole due dita sotto il mento – Eppure dovresti saperlo quali sono i miei gusti!
Georgie si scansò, lui continuò a raccontare:
-No, non credo che Irwin mi abbia mai desiderato, ho un carattere forte, dominante, non sarei stato proprio il suo tipo. Però ci trovammo subito sulla stessa linea di idee, entrambi cercavamo il potere, avevamo grandi ambizioni. Certo, lui era molto avvantaggiato, il duca Dangering era allora l’uomo più potente di Londra, vicinissimo a Sua Maestà ma Irwin sapeva anche essere generoso. Entrai subito nella sua cerchia di amici fidati, iniziai a frequentare il palazzo dove si tenevano i migliori ricevimenti ed ebbi l’occasione di farmi un nome. E di avere un sacco di donne ai miei piedi. Ecco, questa era una vera fortuna, non c’era rivalità con Irwin in campo sentimentale, lui aveva altre preferenze ed io potevo spassarmela con qualunque ragazza entrasse in quella casa.
-Con Maria? – chiese a bassa voce Georgie avendo il terrore di quella risposta.
-No – tuonò forte Desmond – c’era una regola ed io sono un uomo d’onore! Irwin non voleva assolutamente che si sfiorasse neppure con un dito la sua cara sorellina, io sono sempre stato di parola.
Georgie fu più sollevata da quella dichiarazione ma Desmond proseguì con disprezzo:
-Se la vedesse ora, sposata con il conte Gerald. E pure una figlia gli ha dato!
-Non parlare con quel tono di mio padre – esclamò con forza Georgie – lui è stato una vittima dei complotti del duca e anch’io lo sono stata. Il mio Abel è morto per mano sua e il mio Arthur è rimasto segnato per sempre a causa di Irwin.
Le lacrime scendevano copiose sul suo volto, Desmond era in silenzio, le sfiorò una guancia con la mano dicendole:
-Non piangere Georgie, la vita, a volte, prende delle strade che non ci aspettiamo, tocca a noi riuscire a condurle sulla via che ci appare migliore.
Lo sguardo di Desmond si era intenerito, Georgie era stupita per come quel ragazzo riuscisse a passare in poco tempo dall’essere freddo e distaccato a dolce e premuroso.
-Non hai risposto alla mia domanda iniziale – disse Georgie rompendo il silenzio che si era creato fra loro – cosa ne sai di Cain? 
Allora Desmond riprese a raccontare, non guardando più Georgie ma avendo la mente altrove:
-Iniziò a spargersi la voce che Maria si era fidanzata con un nobile di campagna di nome Cain. Essendo lei una Dangering la notizia interessò molto tutto l’ambiente nobiliare, diverse ragazze erano curiose di conoscere questo fantomatico giovane che era riuscito ad accalappiarsi una delle dame più richieste nel panorama londinese, soprattutto per la sua cospicua dote. Ma io avevo capito che questa storia era tutta una montatura, una recita ben costruita per nascondere, in realtà, i desideri inconfessabili di Irwin.
-Ti prego – lo interruppe Georgie tremando – non andare nei dettagli, non voglio sentirli!
-Tranquilla, non lo farò anche perché ne so molto poco – continuò Desmond – vidi Cain soltanto una volta, era nel giardino di palazzo Dangering con Maria, mi fu presentato in tutta fretta, c’erano altri ospiti e Irwin seguiva la coppia senza mai mollarla un attimo. Mi colpì quel ragazzo perché aveva uno sguardo spento e sfuggente, intuivo il perché e non mi soffermai a parlare con loro. Non era un periodo fortunato per me quello, mia madre si era ammalata, mio padre era già morto da tempo ed io dovevo accudirla. Le mie uscite divennero sporadiche poi quasi nulle. Venni a sapere, in seguito, che Irwin era stato ucciso dal fidanzato di sua sorella e che questo era finito in prigione in attesa di essere giustiziato. Mi sembrò impossibile che quel ragazzo così fragile fosse riuscito ad ammazzare uno come Irwin. Mia madre morì poco dopo, dovetti occuparmi di tutto quello che c’era da fare e seppi con ritardo della condanna di Dangering e della riabilitazione di tuo padre. Tutto il potere del duca era crollato, era terminata un’epoca a Londra ma io ero scosso per la scomparsa di mia madre, l’unica donna che mi abbia veramente amato.
Georgie osservava gli occhi di Desmond ora velati da lacrime sicuramente sincere e vere.
-Quando ho visto tuo marito oggi – continuò lui – è stato come fare un tuffo nel passato. Ho pensato fosse il fratello gemello di Cain, non c’era altra spiegazione ma poi ho intuito, mettendo insieme i tasselli delle parole di tuo padre e delle tue, che a morire sotto gli spari del duca fu Abel e non Cain ovvero Arthur. C’è stato uno scambio, giusto?
Georgie annuì con la testa lasciando a Desmond le conclusioni:
-Abel era il padre di tuo figlio e fratello di quello che ora è tuo marito. Abel era l’uomo che amavi, hai tentato di cercarlo nei modi, nei sorrisi, nelle fattezze di Arthur ma non ci sei riuscita. Sei sposata con un uomo che non ami, hai provato a costruire una felicità che sai non arriverà mai.
-Non è vero! – gridò Georgie – Non mi conosci, non puoi fare queste dichiarazioni.
-Ti aspetto stasera – affermò Desmond tornando insolente come al solito – inventa una scusa e vieni in camera mia! Non costringermi a passare la notte con quella cameriera, Amy, è graziosa ma non ha nulla a che vedere con te.
Si avviò in casa lasciando Georgie sulla terrazza.
-Come ho fatto a cederti così facilmente! – ripeteva lei – Come ho fatto?
Eppure sembrava che Desmond poteva leggerle nell’anima, nel cuore, in poco tempo era riuscito a capire che lei amava Abel, solo Abel e nessun altro.
 

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Capitolo 13
*** Peccati ***


Seduto a capotavola padre Baker discuteva tranquillamente con Fritz e il conte Huxley mentre Arthur raccontava a Desmond della fattoria e del suo lavoro di agricoltore. Maria li ascoltava con interesse, Georgie invece, silenziosa e scostante, non aveva quasi toccato cibo.
-Cara – le disse Maria guardando il piatto ancora pieno – non ti piace? Preferisci altro?
-No, non ho appetito – rispose Georgie a bassa voce.
-Anche ieri non hai cenato – continuò Maria preoccupata – ti senti male?
-Mangerò il dolce – sorrise Georgie fingendo interesse per il pasto – deve essere buonissimo!
-Se è la torta al cioccolato – disse Abel junior – io ne voglio due fette! Intanto posso alzarmi per andare a giocare con il gattino qui fuori?
-Chiedi il permesso al nonno – fu la risposta laconica e disinteressata di sua madre.
In quel momento Amy, la cameriera, era arrivata per servire le verdure, Desmond la osservava con attenzione sbriciolando con le dita il pane sulla tavola. 
-Molte grazie – disse con voce suadente alla ragazza che gli cambiava il piatto, continuando a guardarla mentre con diligenza e accuratezza svolgeva il proprio lavoro.
-Georgie, assaggiane un po’ – le propose Arthur riferendosi alle verdure – sono deliziose, non farmi preoccupare!
-Va bene – rispose lei – ci provo.
Aveva lo stomaco chiuso dall’ansia e la presenza a tavola di Desmond la destabilizzava.
Era sfacciato, inquietante ed ora anche allusivo con quegli sguardi alla giovane cameriera. Si divertiva a usare le donne a suo piacimento e questo Georgie proprio non lo sopportava. Ma soprattutto non mandava giù il fatto che Desmond avesse ammaliato anche lei, quella maledetta notte alla locanda.
Era seduto di fronte a lei mentre Arthur le era accanto, la premura con cui suo marito la seguiva era di una tenerezza infinita.
E lei invece lo aveva tradito, così, in un attimo.
-Padre Baker – domandò Desmond ad un certo punto della cena – permettete una domanda?
--Certo figliolo – rispose il prete mentre gustava il pasto – sono tutt’orecchi!
-Perché mai la Chiesa – iniziò il giovane – fa battezzare i bambini appena nati? Che colpe hanno quelle creature?
-Con il Battesimo – rispose il prete – siamo liberati dal peccato originale e rigenerati come figli di Dio. È così che si entra a far parte della Chiesa, come comunità di credenti.
-La storiella del peccato originale – ironizzò Desmond – mi sembra una favoletta per fanciulli. Trovo invece che molti adulti, me compreso, abbiano tanti di quei peccati nascosti che non basterebbe l’acqua di un fiume per lavarne le colpe.
-Suvvia Desmond – s’intromise il conte Huxley – non è il caso di iniziare un discorso simile, ci sono delle signore a tavola!
-Non escludo – rispose lui prontamente, fissando Georgie – che anche loro debbano farsi perdonare dei peccati!
A questo punto fu Fritz a prendere la parola:
-Desmond, credo che, terminata la cena, padre Baker possa rispondere a tutte le tue domande. Ora, almeno finché siamo seduti qui a tavola, gradirei una conversazione più leggera e tranquilla.
-Sempre sagge le sue decisioni, conte Gerald – esclamò il ragazzo tornato ora a guardare Amy che era arrivata con le altre pietanze.
Georgie fingeva di apprezzare il dolce ma in realtà non aspettava altro che chiudersi in camera e piangere. Sarebbe riuscita ad affrontare suo marito?
Le parole di Desmond erano state come una pugnalata, lei aveva un grosso peccato da farsi perdonare, enorme.
Terminata la cena Arthur si recò subito fuori, sulla terrazza, le cameriere iniziavano a togliere i piatti dalla tavola e Desmond, alzatosi quasi per ultimo, chiese a Maria:
-Trovi la servitù australiana molto diversa da quella inglese?
-Direi di no – rispose la giovane donna incuriosita da quella domanda – anche qui abbiamo domestici laboriosi e puntuali nello svolgere il lavoro. Forse c’è un rapporto più informale, io stessa non curo molto l’etichetta come invece facevo a Londra. 
Intanto Amy stava sparecchiando velocemente la tavola insieme a Lizzie.
Fritz aggiunse:
-Mi piace considerare i miei dipendenti come una famiglia, sono persone fidate.
Io e Maria li abbiamo scelti insieme accuratamente.
-Perdonereste loro un comportamento, diciamo, poco corretto e non consono alla morale? – domandò subito Desmond.
-Non tollero, in generale, determinate condotte – rispose Gerald con fermezza – quindi non esiterei a mandarli via dalla mia casa, qualora accadesse ciò.
Il giovane sorrise incamminandosi verso lo studio dove padre Baker e il conte Huxley si erano già diretti.
-Salgo un attimo con Maria in camera dalla nostra bambina – annunciò Fritz – arriverò tra poco.
-Papà, io raggiungo Arthur sulla terrazza – comunicò Georgie desiderosa di lasciare al più presto tutti quanti, convinta comunque di trovare conforto in suo marito.
Desmond le si avvicinò sussurrandole:
-Hai sentito tuo padre? Se non sopporta certi atteggiamenti nella servitù figuriamoci nella sua amata Georgie!
 
 

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Capitolo 14
*** Luci e ombre ***


 
-Starei le ore a guardarla mentre dorme – sussurrò Fritz teneramente osservando Milly che, tranquilla e beata, nella culla, era immersa nel mondo dei sogni.
-Credo invece tu debba scendere – affermò Maria riponendo nel cassetto del comò dei lenzuolini – non è bene lasciare soli gli ospiti, soprattutto padre Baker. Immagino ora stia discutendo con Desmond riguardo il peccato, il nostro caro Lord Graves non avrebbe dovuto tirar fuori quell’argomento a tavola!
Fritz rise e aggiunse rassicurando sua moglie:
-A Desmond piace provocare ma padre Baker saprà rispondergli dettagliatamente. Comunque hai ragione, vado a raggiungerli e, in modo pacato, esporrò anch’io la mia opinione.
Baciò sulla testa la bambina dicendo:
-Sogni d’oro piccola mia! Domani sarà un grande giorno, sia io che tua madre crediamo fermamente nel sacramento del Battesimo, tu sarai veramente rigenerata da quell’acqua benedetta.
Maria esclamò:
-E sarai bellissima con la veste bianca cucita da Georgie!
Fritz che stava per uscire dalla stanza disse restando fermo sulla porta: 
-Ecco, Georgie mi preoccupa in questi giorni.
-Sì, non ha cenato neppure stasera – asserì Maria – da quando è qui è anche strana, distratta come se qualcosa la turbasse.
I due rimasero in silenzio poi lei tornò a parlare:
-Credo che il rapporto con Arthur non vada per il meglio.
-Te lo ha confidato? – chiese Fritz con ansia.
-No, è una mia sensazione – rispose sua moglie – anche perché ho avuto nel pomeriggio un lungo colloquio con Arthur e ho percepito un malessere nella coppia.
-Proverò a parlarle – affermò il conte – con me si è sempre aperta, domani affronterò l’argomento.
E mentre Fritz scendeva le scale Georgie era con Arthur sulla grande terrazza.
-Che ti succede? – le domandò dolcemente – C’è qualcosa che ti turba, lo sento.
Georgie era scossa, non sarebbe riuscita a dire la verità a suo marito.
-È che non mi piace stare qui per lungo tempo – mentì – se penso a domani, con tutti quegli ospiti, la festa, il ballo…
-Ma Georgie! – esclamò Arthur deciso – Non la pensavi proprio così quando sei partita!
-Non credevo ci fossero tutti questi invitati, pensavo a un qualcosa di più intimo, ristretto – dichiarò lei non riuscendo a confidare a suo marito che l’unica presenza a farle timore era soltanto quella di Desmond. 
-È vero, non è il nostro mondo – continuò Arthur – ma stiamo parlando di tuo padre! Gli vuoi un bene infinito, io lo stimo moltissimo e anche Maria è sempre graziosa, gentile e poi hanno avuto una bambina, la tua sorellina. Credo che possiamo sopportare qualche giorno qui, o no? Ero io quello che non voleva venire e invece sto reagendo.
Georgie mise le mani nelle sue e sussurrò:
-Maria mi ha detto che vi siete confrontati oggi.
-Sì, e sono stanco di pensare al passato – affermò Arthur con fermezza – è stato terribile e doloroso ma ora più nessuno potrà farmi del male. Il tuo amore per me è così forte che mi sta aiutando a superare tutto.
La strinse fra le sue braccia e lei non poté che rimanere lì, al sicuro, in quegli attimi riuscì a non pensare più a nulla di angosciante.
Soltanto il suo senso di colpa rimase, enorme, devastante. Proprio ora che Arthur si stava risollevando dai traumi lei lo aveva tradito.
Rientrando in casa, mano nella mano, s’imbatterono nel conte Huxley che saliva nella sua stanza. Fritz era andato ad accompagnare alla porta padre Baker mentre Desmond era ancora seduto sul divano a bere.
La coppia salutò l’anziano conte e Arthur si offrì di aiutarlo sulle scale, poi, con Georgie entrò in camera tenendola sempre per mano.
Desmond, che aveva osservato tutta la scena, si versò dell’altro liquore nel bicchiere che bevve velocemente alzandosi in piedi.
Quando nella stanza entrò Amy per sistemare, il giovane le andò subito accanto.
-E ’tanto che lavori qui? – le domandò con gentilezza. 
-Da qualche mese, signore – rispose continuando a svolgere le sue mansioni.
-Ti trovi bene? – continuò Desmond osservandola.
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui e arrossendo rispose:
-Sì, molto signore.
Aveva gli occhi azzurri, la carnagione chiara che lasciava intravedere delle lentiggini sul volto.
-Sei carina, sai? – aggiunse Desmond accarezzandole una guancia per poi lasciarla terminare il suo lavoro.
-Hai ancora da fare? – le chiese.
-No signore, con questa stanza ho finito – rispose mettendo tutti i bicchieri su di un vassoio per portarli via.
-Avrei bisogno – continuò lui – di un servizio in camera, più tardi. Vuoi?
Amy si bloccò un attimo per poi uscire lentamente dalla porta.
-Vedremo – rise Desmond appoggiato al caminetto – se la servitù australiana è come quella inglese!
E, assicuratosi che anche Fritz fosse salito di sopra, seguì la giovane cameriera.
La mattina dopo, complice uno splendido sole, la colazione fu servita in terrazza, sulla tavola vi erano dolci di ogni genere e il piccolo Abel aveva solo l’imbarazzo della scelta.
Era sceso per primo e mentre prendeva una fetta di torta al cioccolato si sentì chiamare allegramente. 
-Hai scelto la mia preferita! – gli disse sorridendo Desmond arrivando con passo sicuro accanto a lui.
-Ciao, ne vuoi anche tu un pezzo? – chiese il bambino con la bocca già piena.
-Vedo che abbiamo gli stessi gusti – affermò il ragazzo prendendone una fetta e spostandosi verso la balaustra.
-Non c’è ancora nessuno! – bisbigliò il piccolo – Possiamo mangiarne quanta ne vogliamo.
Ne prese ancora una porzione e la portò a Desmond che rise:
-Non è educato, bisogna lasciarne un po’ per gli altri. Tuo nonno ci tiene a queste regole.
Abel junior ribatté prontamente:
-Il nonno mi lascia fare quello che voglio quindi possiamo mangiarla pure tutta!
Desmond lo accarezzò sulla testa, il bambino gli chiese:
-Perché ti sei messo qui, sul parapetto?
-Mi piace osservare il mare – rispose subito il giovane.
-Anche a me – aggiunse il bimbo – io da grande farò il marinaio!
-Hai già le idee chiare! – esclamò Desmond pensando ai suoi sogni da bambino.
-Mio padre è stato marinaio – continuò Abel junior – lui sapeva anche progettare le navi!
Entrambi guardavano lontano, verso quella distesa azzurra, Desmond domandò:
-Ti manca molto il tuo papà? 
-Dato che non l’ho mai conosciuto – rispose il ragazzino – non posso dire se mi manca, certamente è andato via troppo presto e questo proprio non lo sopporto.
Desmond lo accarezzò di nuovo.
-Sei in gamba – gli disse – hai già capito che per te, la vita, è iniziata in salita. Chissà perché il destino si accanisce con determinate persone.
Il piccolo, preso dal mangiare, non ascoltò con attenzione quelle parole ma continuò a guardare il mare con Desmond finché non sentì la voce di sua madre che lo chiamava.
-Sei già qui! – esclamò Georgie uscendo sulla terrazza accompagnata da Arthur.
-E sto mangiando del dolce da un po’ – rise lui trovando la complicità di Desmond che aggiunse:
-Siamo stati i più mattinieri oggi!
Si salutarono, Arthur e Desmond iniziarono a conversare tranquillamente e Georgie rimase stupita da come quel ragazzo appariva sorridente, sereno e gentile.
L’arrivo di Amy fermò il colloquio.
-Il conte Gerald – esordì la cameriera – dice di iniziare a mangiare, lui e la signora scenderanno più tardi.
-Grazie – rispose Arthur – anche se qui c’è qualcuno che ha già terminato la colazione!
E rise, guardando Abel junior che masticava quasi di nascosto. 
Tra l’ilarità generale, Desmond si avvicinò al tavolo dove Amy stava sistemando le pietanze.
La giovane arrossì di colpo e nel muoversi fece cadere un piatto con dei dolci che finirono per terra.
Imbarazzata scappò via mentre Desmond, sfoggiando un sorriso beffardo, sussurrò a Georgie, senza farsi sentire da Arthur:
-Aveva ragione Maria, non è poi così diversa la servitù australiana da quella londinese. Ubbidiente, timorosa, accondiscendente. Però più informale, direi selvaggia in certi casi. Soprattutto la notte.
-Sei disgustoso Desmond – gli disse Georgie per poi raccogliere i cocci da terra.
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Rimproveri ***


Georgie rientrò di corsa in casa lasciando Desmond, Arthur e il piccolo Abel sulla terrazza.
Si sentiva impazzire, quella situazione la stava consumando, l’apparente tranquillità ritrovata la sera prima accanto a suo marito era già svanita.
Era bastato un nuovo episodio, una parola di Desmond per farla angosciare ancora.
Si sentiva in colpa, in colpa con se stessa e basta.
Nella sala da pranzo trovò Amy che, in un angolo, stava ripiegando delle tovaglie.
Le andò vicino, la ragazza aveva gli occhi ancora un po’ gonfi dal pianto.
-Amy – esordì Georgie con tono severo – quello che è accaduto non deve succedere mai più.
La ragazza balbettò:
-Mi dispiace per i dolci e per il piatto rotto.
-Non mi riferivo a quello – continuò Georgie – ma a ciò che è successo stanotte.
Lo sguardo di Amy ora divenne spaurito, voltò gli occhi verso il basso quasi a nascondersi mentre Georgie diceva con fermezza:
-Se lo viene a sapere mio padre ti butterà fuori da questa casa. 
-Per favore – pianse la giovane – non dica nulla al signor conte, ho bisogno di lavorare non posso permettermi di perdere il posto.
-Mio padre non tollera certi comportamenti – aggiunse Georgie andando via.
In realtà i rimproveri fatti a quella ragazza erano rivolti a se stessa.
Arrivata sulle scale scoppiò a piangere. Era un pianto di sfogo, di rabbia e di liberazione.
Non poteva continuare così, o parlava apertamente con Arthur confessandogli il tradimento oppure doveva andare via il più lontano possibile da Desmond.
E poi aveva paura di suo padre, per la prima volta provava timore per quello che era sempre stato per lei un rifugio sicuro.
Sobbalzò nel sentire una porta aprirsi, si nascose dietro una colonna per non farsi vedere in lacrime, Fritz e Maria uscivano da una stanza con Milly, erano diretti alla terrazza e parlavano sereni del ricevimento previsto per quella sera.
-Non posso confidarmi proprio con nessuno – pensò Georgie osservando di nascosto la coppia – Maria è così felice che le rovinerei tutta la giornata. Non lo merita. Di mio padre ho troppo timore.
Attese per qualche istante poi si asciugò le lacrime e scese andando al piano inferiore, questa volta incontrò Lizzie che la fermò rivolgendole la parola con calma:
-Perdonatemi ma avrei bisogno di parlarvi di Amy.
Lo sguardo della donna era triste ma fermo e sicuro, era lo sguardo di chi sa cosa deve dire.
-La ragazza ha sicuramente sbagliato – esordì – ha fatto qualcosa di deplorevole ma, per piacere, non riferisca l’accaduto al conte Gerald. Mi sento responsabile perché sono stata io a raccomandare Amy a vostro padre quando ho saputo che cercava dell’altra servitù in previsione della nascita della bambina. Non merita di perdere il lavoro, è affidabile, volenterosa ed è sola al mondo. Per questo ho fatto il suo nome quando il conte mi chiese se conoscevo una servetta da prendere in casa.
Georgie la interruppe dicendo:
-Non avevo intenzione di parlarne con papà, il mio è stato solo un avvertimento e ritengo che Lord Graves sia più responsabile della ragazza in quanto si è dimostrato tutto fuorché un gentiluomo!
-Oh signora Georgie – sorrise Lizzie – si vede che voi siete lontana dall’aristocrazia e dagli ambienti nobiliari! Il comportamento del giovane Graves può non piacere a una persona come vostro padre, onesta e di alto spessore morale, ma la maggior parte degli uomini presso cui ho lavorato, mi creda, lo troverebbero un atto consueto e inevitabile.
Georgie era attonita, la cameriera continuò:
-Vostro padre lo manderebbe via da questa casa ma sarebbe costretto a licenziare anche Amy e per lei significherebbe finire per strada. È difficile essere donne al giorno d’oggi, essere donne e servette lo è ancora di più!
-Ti ripeto – disse allora Georgie – che non dirò nulla a mio padre. Hai la mia parola.
-Vi ringrazio per la comprensione – rispose Lizzie che, salutandola a testa bassa, andò verso la cucina.
Spostatesi sulla terrazza Georgie trovò tutti a far colazione tranquillamente, lo stesso Desmond stava ancora conversando con Arthur e Fritz mentre il piccolo Abel giocava con Milly e Maria. Lei si sentiva estranea a quella felicità. 
La mattinata passò velocemente, grandi preparativi si stavano svolgendo per la festa, Georgie aveva dato gli ultimi ritocchi al suo vestito e poi si era intrattenuta con il conte Huxley, sceso molto tardi dalla sua camera.
-Carissimo – esordì Desmond entrando col suo fare sicuro – ha riposato bene?
-Ho dormito come un sasso – rispose il conte – e non ho neppure fame vista l’ora! E tu Desmond?
-Se ho dormito? – chiese il giovane guardando Georgie – Verso l’alba, non prima.
-Vi lascio alla vostra conversazione – sussurrò la ragazza salutando con un cenno l’anziano e andando via velocemente.
Credeva di scappare ma Desmond la raggiunse subito.
-Sei diventata gelosa? – le disse fermandola sulla porta che conduceva allo studio di Fritz.
-Non so a cosa tu ti riferisca! – rispose con sgarbo Georgie, desiderosa di fuggire via.
-Al fatto che sei andata da Amy a rimproverarla per aver passato la notte con me – disse lui con tono grave – ma cosa credevi di fare? Ti ritieni migliore di quella cameriera? Se tuo padre viene a sapere di noi, cosa succederà? E tuo marito? Se lo scopre anche lui?
-Basta! Lasciami! – urlò Georgie spazientita – Non puoi pensare di far ciò che vuoi con una donna!
-Guarda che io non ho mai costretto nessuna – le disse Desmond fissandola profondamente negli occhi – se non volevi, potevi dirmi di no quella notte alla locanda e io sarei andato via. Ricordalo Georgie, nessuna donna è stata con me contro la sua volontà.
Se ne andò lasciandola lì, accanto alla porta.
Seduta di fronte allo specchio, nel pomeriggio, Georgie si stava preparando per la cerimonia.
Suo figlio era già sceso di sotto, tutto euforico e contento per essere così elegante, “come un vero lord” aveva esclamato.
-Sei pallida – le disse Arthur mettendole le mani sulle spalle mentre lei continuava a guardare la sua immagine riflessa.
-Devo truccarmi – rispose Georgie osservandolo dallo specchio.
Lui le scostò i capelli e la baciò sul collo aggiungendo:
-Vado anch’io, quando sei pronta scendi, la carrozza è già in strada per andare in chiesa.
Appena Arthur chiuse la porta Georgie si mise le mani sul volto e pianse.
Rimase così per alcuni istanti poi iniziò a pettinarsi pensando che non sarebbe più riuscita a tenersi tutto dentro.
Sentì bussare alla porta.
-Posso entrare? – era la voce di suo padre – Dovrei parlarti.
-Cosa deve dirmi? – pensò Georgie allarmata voltandosi di scatto.
-Un attimo – rispose asciugandosi le lacrime.
Si specchiò ancora una volta, gli occhi erano meno rossi, mise un tocco di cipria e disse con tono agitato:
-Entra pure papà.
 

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Capitolo 16
*** Battesimo ***


Georgie si alzò dalla poltroncina davanti allo specchio e accolse suo padre fingendo serenità.
-Sei bellissima! – esclamò Fritz baciandole la fronte.
-Stavo per scendere – disse lei frettolosamente – è bene arrivare puntuali in chiesa.
-Aspetta! – la chiamò il conte porgendole un cofanetto non molto grande -Vorrei che tu indossassi questa.
Aprì la scatola, dentro vi era una collana in oro con un ciondolo di smeraldo.
-È stupenda! – furono le sole parole che Georgie riuscì a pronunciare.
-Era di tua madre – spiegò Fritz un po’ commosso – mi farebbe un immenso piacere se tu la mettessi oggi.
-Certo, lo farò subito – rispose Georgie appoggiando la collana sulla scollatura del vestito e chiedendo a suo padre di aiutarla ad allacciarla.
Si specchiò per bene, il verde dello smeraldo brillava come i suoi occhi.
-Le assomigli ogni giorno sempre di più – affermò Fritz guardandola con dolcezza – io non l’ho mai dimenticata.
-Come potresti? – gli domandò Georgie stupita.
-Vedi – iniziò il conte con calma – l’aver sposato un’altra donna non significa che io abbia sostituito tua madre ma neppure che Maria sia una seconda scelta. Doveva andare così, la vita è imprevedibile ci toglie tanto ma ci dà anche molto, l’importante è andare avanti e fare spazio all’amore, se si ripropone. E l’incontro con Maria, per me, è stato un dono.
Georgie abbracciò forte suo padre che aggiunse:
-Non lasciare che il passato ti distrugga il futuro.
Si guardarono intensamente poi Fritz uscì dalla stanza dicendo:
-Ti aspetto di sotto, la carrozza è pronta.
Quel breve dialogo con suo padre fece riflettere Georgie, non era andato lì perché aveva scoperto qualcosa su lei e Desmond ma per rincuorarla.
Con molta delicatezza e in modo velato le aveva consigliato di lasciarsi andare all’amore verso Arthur e di non essere troppo legata al passato, cioè ad Abel.
Quel passato rischiava di distruggerla.
Ciò che suo padre non sapeva però, era che lei si era lasciata andare a Desmond, cioè alla persona sbagliata.
Dentro di sé si faceva mille domande, amava veramente Arthur? Oppure era stato soltanto un ripiego?
Ormai pronta, scese al piano inferiore dove trovò suo marito ad attenderla.
-Quanto sei bella! – esclamò lui andandole incontro e, dopo averle preso la mano, aggiunse – Sai che ti preferisco in abiti semplici ma oggi sei veramente un incanto.
Georgie sorrise incamminandosi con lui verso la carrozza.
Trovarono Abel junior già seduto sulla vettura mentre Fritz attendeva Maria parlando con il conte Huxley e Desmond il quale, vedendo Georgie arrivare, fu anch’egli colpito da tanta grazia e bellezza.
-Ecco anche mia moglie con la bambina – disse Gerald – ora possiamo partire.
Milly sembrava una nuvola bianca con indosso l’abitino cucito da Georgie, sua madre la teneva amorevolmente fra le braccia, Fritz si occupò subito di loro aiutando Maria a salire in carrozza.
-Andiamo anche noi Desmond – disse il conte Huxley diretto verso la sua vettura.
Il ragazzo, prima di seguire l’anziano, si avvicinò a Georgie sussurrandole:
-Si capisce che non conosci le regole e l’etichetta della nobiltà.
Lei lo guardò stupita, non comprendendo quell’affermazione.
-La festeggiata è Milly – spiegò Desmond – e di conseguenza Maria dovrebbe essere la donna più elegante e ricercata della cerimonia. Tu la stai offuscando Georgie, nessuna può competere con la tua bellezza, sei meravigliosa oggi più che mai e non so se riuscirò a resisterti.
Quelle parole le gelarono il cuore, stava per salire in carrozza, si girò verso il giovane e gli disse piano:
-Non potrò offuscare Maria, lei possiede la bellezza che solo una moglie e una madre felice può avere.
Partirono per dirigersi in chiesa, Georgie pensava che con quella frase aveva ammesso di non essere affatto soddisfatta della sua vita e Desmond, purtroppo, l’aveva compreso bene.
L’acqua scendeva sul capino della bambina facendola piangere, era fredda e nonostante le accortezze di padre Baker fu inevitabile quella reazione.
Georgie aveva osservato quel breve getto che colava giù, sulla testa di Milly, fino a bagnarle un po’ gli occhi e le orecchie.
Era un’acqua chiara, limpida, fresca, incontaminata.
Come quella veste che lei aveva cucito, bianca, candida, nitida, senza macchia, senza ombre.
L’acqua che purifica, che deterge, che lava via il peccato aveva detto il sacerdote nella breve omelia e Georgie aveva ascoltato quelle parole facendole sue.
-Ho come l’impressione – le sussurrò Desmond passandole accanto al termine della cerimonia – che oggi il conte Gerald abbia battezzato la figlia sbagliata.
 
 

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Capitolo 17
*** Ballo in casa Gerald ***


-Complimenti, veramente una festa splendida – disse a Maria la giovane ragazza mora, entusiasta di tutto ciò che la circondava nell’ampio salone di casa Gerald ormai pieno di gente.
-Ti ringrazio cara Vivien – rispose Maria con orgoglio – sono felice tu sia soddisfatta dell’accoglienza e del buffet. Tra poco inizieranno le danze, la piccola orchestra sta già prendendo posto.
-Sarebbe perfetto se io avessi un cavaliere! – esclamò la giovane con rammarico – Non voglio ballare soltanto con mio padre.
Maria scoppiò a ridere e affermò:
-Dai, ci sono diversi ragazzi qui, non credo farai difficoltà a trovarne uno!
-Ecco – disse allora Vivien – con quello laggiù, accanto alla porta della terrazza, ci ballerei volentieri per tutta la serata.
-Ma è Arthur! – la voce di Maria era divertita – Mi dispiace per te ma è il marito di Georgie, la figlia di Fritz. È la ragazza bionda che gli sta vicino.
-Lei è Georgie? – domandò – È bellissima ed ha un marito così affascinante. Che fortuna!
-Oh Vivien – disse Maria – Georgie si merita tutto ciò che ha, è anche stata molto provata nella vita. Vieni con me, andiamo a loro. 
Raggiunsero la coppia e, dopo le presentazioni, Maria esordì:
-Io e Fritz apriremo le danze quando partirà la musica, siete pronti per ballare?
Georgie, ancora molto tesa e scossa, rispose immediatamente:
-Il ballo non fa per noi.
-Ti prego – la interruppe Maria – devi fare assolutamente anche un solo ballo, come figlia del padrone di casa non puoi non danzare!
-Tranquilla Maria – la rassicurò Arthur – se questo ti fa felice balleremo. Non vogliamo assolutamente rovinarti la festa.
Furono raggiunti da Fritz che condusse sua moglie a ricevere altri ospiti, i tre rimasero a conversare e Arthur e Georgie appresero che Vivien era la figlia del conte Boleyn, un nobile di Sydney inglese di origine.
-Mi piacerebbe – diceva la ragazza – andare in Europa un giorno, mio padre è nato a Londra, quella città mi affascina.
Una risata la fece voltare, Desmond si era unito inaspettatamente al gruppo, Georgie trasalì nel vederlo apparire.
-Nebbia, nebbia e solo nebbia – ironizzò il giovane – Londra è questa, signorina.
Le prese la mano, la sfiorò con le labbra e aggiunse:
-Permettete di presentarmi, sono Desmond Graves e provengo da quella che voi ritenete una città affascinante.
-Io sono Vivien – rispose la ragazza catturata da quello sguardo – mio padre è il conte Boleyn. 
-Vivete in una terra meravigliosa – continuò Desmond – perché mai, contessina, vi interessate tanto alla vecchia Inghilterra? Qui avete l’immensità che vi si spalanca davanti, praterie sconfinate, sole, mare, perché rinchiudersi nella fredda e grigia Londra?
-Siete così interessante e simpatico! – esclamò Vivien ridendo – Raccontatemi allora perché siete venuto qui.
-Ehi Georgie – sussurrò Arthur mentre i due parlavano fra loro – sembra che Desmond abbia impressionato molto la giovane amica di Maria.
-È semplicemente ridicolo – disse lei seria – spero che la contessina non si faccia ammaliare troppo da Lord Graves.
-Come sei severa con lui – ribatté Arthur – non ci troverei nulla di male se la corteggiasse.
Georgie non rispose e si voltò verso i musicisti che avevano cominciato a suonare, in quel momento suo padre e Maria aprirono le danze.
-Tocca a noi Arthur – disse – andiamo a ballare, lo abbiamo promesso a Maria.
Suo marito le sorrise e la condusse al centro della sala, si cimentarono in un classico valzer.
-Perché mai – pensava Vivien in piedi accanto a Desmond – non mi invita a danzare?
Con la coda dell’occhio lo scrutava ma lui era assorto a guardare altrove, guardava Georgie che, tra le braccia di Arthur, volteggiava serena, si sentiva protetta con lui, aveva bisogno della sua presenza, del suo affetto. 
-Ti vedo tranquilla finalmente – le sussurrò Arthur stringendola più forte – se il ballo ti fa questo effetto allora balleremo più spesso!
-L’importante è che tu stia con me - affermò Georgie abbracciandolo e facendogli perdere tutto il ritmo.
Si fermarono e mentre le altre coppie intorno continuavano a danzare loro si baciarono noncuranti del resto.
Rimasero l’una tra le braccia dell’altro in un angolo della sala, cullandosi al suono della musica che piano piano andava scemando.
Aprendo gli occhi Georgie sentì su di sé lo sguardo di due iridi scure che la fissavano incessantemente.
Desmond era laggiù, in piedi, appoggiato a una colonna e l’aveva osservata per tutto il tempo. E ancora era lì.
Il valzer era terminato ma l’orchestra stava iniziando un’altra aria, Arthur e Georgie tornarono al lato della stanza dove Vivien era rimasta ferma, delusa dal comportamento di Desmond il quale, prendendole la mano disse ad alta voce:
-Arthur, alla contessina farebbe piacere ballare con te, non preoccuparti penso io a tua moglie!
E lasciata Vivien portò Georgie a ballare.
-Sei impazzito! – gridò lei – Non voglio.  
-Ora siamo al centro della sala, non puoi scappare, daresti nell’occhio – rispose lui – guarda tuo marito invece com’è gentile, sta facendo danzare quella ragazzina!
-Mi imbarazzi Desmond, mi hai fissato per tutto il tempo – disse Georgie spaurita. 
-Ora continua a volteggiare, so io dove condurti – affermò il giovane sicuro di sé.
Mescolandosi fra gli invitati giunsero sulla terrazza, non c’era nessuno ma la musica e il vociare delle persone si sentivano anche lì.
-Perché mi hai portata qui? Cosa vuoi da me? – chiese Georgie angosciata liberandosi dalle braccia del giovane.
-Voglio che mi ami – rispose Desmond di getto – come hai amato Abel. Sì, come lui, non come Arthur.
-Ti prego, vattene – lo supplicò Georgie comunque affascinata da quegli occhi che la penetravano dentro – non posso e non voglio amarti!
-Se non fossi sposata – continuò abbracciandola di nuovo – mi ameresti?
Georgie cercò di liberarsi ma Desmond aveva iniziato a baciarla prima sulla guancia, dietro l’orecchio per poi scendere lungo il collo.
-Lasciami – sussurrò lei – possono vederci!
-Vieni – disse lui conducendola verso i gradini che da lì portavano al giardino – qui è più buio, non c’è nessuno.
-No – affermò Georgie con vigore – non voglio. Tu mi fai paura Desmond.
Lui si voltò di scatto, la fissò dapprima irato poi più disteso disse:
- Io sono un dannato ma se tu mi amassi forse potrei cambiare.
Lei scosse la testa e spaventata fuggì via lasciandolo sul secondo gradino, nascosto da tutto e da tutti. 
-Se tu sapessi la verità – pensò Desmond – il vero motivo che mi ha spinto qui, malediresti il giorno che mi hai incontrato. Non credevo potesse esistere una come te, Georgie, ma purtroppo il destino è avverso, io sono un dannato, senza rimedio, anche se tu parli alla mia anima sofferente e tormentata.
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Mai più ***


Nel salone ancora si ballava, Georgie, affannata e nervosa, riusciva a intravedere suo marito che conversava con Vivien e un uomo brizzolato, forse era il conte Boleyn ma poco le importava.
Si appoggiò al tavolino dove vi erano delle bevande, si versò dell’acqua e bevve a piccoli sorsi, visibilmente preoccupata.
Lizzie, che si occupava del buffet, la notò e le rivolse la parola:
-Vi sentite poco bene? Siete pallida, chiamo vostro padre?
-No, no – rispose subito Georgie – il ballo mi ha stancata. Grazie, sei gentilissima ma non ho bisogno di nulla.
Avanzò lentamente dalla parte opposta, non voleva farsi vedere da Arthur, doveva prima calmarsi e poi sarebbe andata da lui.
Il colloquio con Desmond l’aveva distrutta.
Raggiunse il piccolo Abel che, in una stanza accanto, si stava divertendo con alcuni bambini sicuramente figli di nobili presenti alla festa.
-Mamma ho trovato degli amici! – esclamò suo figlio vedendola arrivare da lui.
Georgie gli sorrise, era seduto sul tappeto e giocava con il gattino di Maria insieme a una bambina bionda e a un ragazzino quasi certamente della sua età.
-Loro sono Brian e Kate – disse a sua madre felice. 
La salutarono per poi tornare a ridere e scherzare.
Nei loro occhi Georgie rivedeva se stessa bambina accanto ad Abel e Arthur, rivedeva quella gioia, quella spensieratezza, quell’essere felici senza rendersene conto.
-Nulla – pensava Georgie – tornerà come prima, Abel non c’è più ma vive nel sorriso di nostro figlio. E Arthur è qui con me, in realtà c’è sempre stato, non mi ha mai abbandonata. A Londra morivo dalla voglia di tornare qua, nella nostra Australia, sentivo questo richiamo, non posso gettare tutto al vento, non posso.
Lasciò quella stanza per dirigersi verso suo marito.
-Dove eri finita? – le chiese Arthur lasciando Vivien e suo padre – Dopo il ballo non ti ho più vista, tra poco ci sarà la torta, anche Maria ti stava cercando.
-Ero da mio figlio – rispose in fretta – ma ora devi ascoltarmi Arthur.
E lo condusse in un angolo della sala più nascosto.
-Torniamo a casa, ti prego! – lo supplicò – Andiamo via domattina presto, non ce la faccio più a stare qui, non sto bene.
-Ma perché? – domandò lui stupito – Cosa c’è che non va? Se partiamo domani tuo padre ci resterà malissimo!
-Non m’interessa – rispose di getto Georgie – la festa terminerà fra poco, non ha senso rimanere più del dovuto.
-Cosa mi nascondi? – ora il tono di suo marito era più severo – Perché non vuoi stare qualche altro giorno con tuo padre? Casa ti è successo Georgie?
-Riportami alla fattoria – sussurrò lei quasi spaventata – Ti ripeto che non sto bene.
Arthur, quasi spazientito, dapprima non rispose poi, vedendola pallida e agitata disse:
-E va bene, partiremo domattina ma noi due dobbiamo parlare Georgie. Terminata la festa, visto che ti senti male, andrai a riposare poi domani, molto presto, torneremo a casa. Anzi, lasceremo qui Abel junior, così noi due potremo risolvere le nostre questioni. Non credo ci siano problemi per tuo padre occuparsi di lui per un po’ di tempo. Il bambino è sereno qui, non darà preoccupazione a nessuno. Parlane tu con Maria e Fritz, è tuo il desiderio di lasciare questa casa.
Arthur era deciso, determinato e freddo. Aveva intuito che qualcosa non andasse in lei ed era stanco.
Si diresse al centro della sala conducendo con sé anche Georgie, la servitù stava portando il tavolo con la torta e loro dovevano raggiungere Fritz, Maria e la bambina.
Tra brindisi, auguri e festeggiamenti il tempo passò in fretta e Georgie elargiva finti sorrisi misti ad ansia e preoccupazione. Si sentiva sola tra la folla, anche Arthur le sembrava un estraneo. Suo figlio era allegro, aveva trovato degli amici e si stava divertendo tanto. Georgie pensò che sarebbe rimasto volentieri dal nonno e prima di andare a dormire gli avrebbe detto che, per altri giorni, sarebbe potuto restare da lui.
Lei e Arthur, invece, sarebbero andati via l’indomani mattina, presto, come due fuggiaschi. Voleva scappare da Desmond ma contemporaneamente aveva timore di affrontare suo marito. Da sola. Ma doveva farlo.
La festa giungeva ormai al termine, diversi invitati salutavano il conte Gerald e uscivano dal palazzo, Georgie ritornò sulla terrazza a prendere una boccata d’aria. 
Rivedeva davanti a sé gli occhi di Desmond, le sue parole risuonavano come un’eco, voleva amarla ma era un dannato. Perché?
Avanzò lentamente verso le scale dove prima era scappata da lui, guardò quei gradini e le parve di sentire ancora le sue mani che la stringevano forte.
Era maledettamente attratta da Desmond ma non poteva cedergli di nuovo.
Mai più, pensava, mai più.
Udì un rumore provenire dal fondo delle scale, qualcuno era là, si voltò e capì che vi erano due persone appartate.
Imbarazzata si accinse ad andar via ma riconobbe la voce di Desmond e della contessina Vivien.
Accelerò il passo, corse in casa, mai più pensò, mai più, con ancora più decisone.
Fuori albeggiava, John stava caricando i bagagli sulla carrozza mentre il conte Gerald accompagnava Georgie e Arthur al portone.
-Fate buon viaggio – disse loro – mi rattrista non vi fermiate ancora ma la permanenza del piccolo Abel mi rende comunque felice.
-Spero si comporti bene – esclamò Georgie – e che non vi faccia disperare. Noi abbiamo molto lavoro alla fattoria, qui starà meglio in questo periodo.
Fritz non rispose, si limitò ad abbracciare sua figlia sentendo, in cuor suo, che c’era dell’altro ma non sapeva cosa.
Maria li raggiunse, era ancora in vestaglia.  
-Non potevo non salutarvi – disse – Abel sta dormendo, non dovete preoccuparvi di nulla.  
-Grazie di tutto - affermò Arthur – e salutateci il conte Huxley e Desmond, non vogliamo apparire scortesi nei loro confronti.  
Georgie salì prontamente sulla vettura seguita da suo marito, Fritz rimase ad osservarli fino a che la carrozza uscì dal cortile, allora chiuse il cancello e disse a Maria:
-Tutta questa fretta di partire mi mette ansia e anche preoccupazione.
Sua moglie invece sorrise aggiungendo:
-Non essere così turbato Fritz. Ancora non hai capito?
Il conte la guardò con occhi stupiti.
-Preparati – rise lei – a diventare nonno per la seconda volta!
E detto ciò rientrò in casa.
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Tornando a casa ***


Il sole era rosso fuoco e dava al cielo quella tinta caratteristica facendo intuire che sarebbe stata una calda giornata.
Georgie lo osservava dal finestrino della carrozza ricordando il viaggio di andata, con un cielo così diverso da quello.
Andata e ritorno.
Temporale e sole.
Freddo e caldo.
Buio e luce.
Desmond e Arthur.
Timore e timore.
Paura di non arrivare a destinazione, paura di ritornare a casa.
Due viaggi distinti, differenti ma accomunati da simili stati d’animo.
Paura. Ora Georgie aveva il terrore di raccontare la verità a suo marito e, dentro di sé, malediceva quel temporale che l’aveva portata a quella locanda e, di conseguenza, a quell’incontro peccaminoso.
In realtà malediceva se stessa, lei lo aveva voluto e solo lei ne aveva la colpa. 
-A cosa pensi? – domandò Arthur, rompendo quel silenzio che dall’inizio del viaggio li stava accompagnando.
Georgie faticò a dischiudere le labbra per rispondere.
-Guardavo il cielo – sussurrò – è limpido e sereno ma io non lo sono.
-Perché? – chiese lui con dolcezza, non era più freddo e distaccato ora.
Lei distolse lo sguardo dal suo e cominciò a mentire nuovamente:
-È la prima volta che lascio mio figlio per alcuni giorni e ciò mi mette ansia.
-Sta con tuo padre! – esclamò Arthur deciso – È felice lì, l’ambiente è sereno, più che in casa nostra.
Quella frase colpì Georgie, era evidente ormai che tutto stava naufragando.
-Mi ami? – fu la domanda che le fece Arthur spiazzandola totalmente, rendendola attonita davanti a tanta franchezza e schiettezza.
-Certo – rispose – sei mio marito.
-Non è così ovvio – la incalzò prontamente lui – soprattutto se mi hai sempre considerato il sostituto di Abel.
-Ma cosa dici? – esclamò Georgie sbarrando gli occhi – Non è come pensi!
-Sono ormai consapevole che mi hai sposato perché ti ero rimasto solo io – disse con rammarico – se Abel fosse sopravvissuto non staremmo qui a parlare.
-E allora – lo interruppe Georgie con foga – se mia madre non fosse morta mio padre non avrebbe mai sposato Maria.
-Non mettere in mezzo gli altri! – gridò Arthur – Non m’interessa, io voglio parlare di noi. 
-E tu – aggiunse lei prendendogli la mano – non mettere avanti Abel, ogni volta è così!
-Io ti ho amata da sempre – disse lui – anche io come mio fratello rendendomene conto man mano che passava il tempo. Ma ero cosciente che fra te e Abel c’era un legame particolare, fin da bambini era così, tu e lui e io un passo indietro.
-Siamo sempre stati inseparabili – sussurrò Georgie con le lacrime agli occhi – tutti e tre.
Arthur scosse la testa affermando:
-Tu eri di Abel ma il destino è stato crudele con lui ed io mi ritrovo a raccogliere la sua pesante eredità facendo i conti anche con il mio sofferente passato fatto di abusi e sevizie. Forse abbiamo sbagliato a sposarci Georgie, è successo tutto troppo in fretta. Entrambi felici di esserci ritrovati abbiamo creduto che quella fosse la scelta giusta.
Georgie non riusciva più a parlare, Arthur non meritava tutto questo ma lei era veramente ancora legata ad Abel?
Se ci fosse stato lui molto probabilmente Desmond non l’avrebbe neppure considerato, ne era certa.
Come poteva ora confessargli il tradimento?
-Io ti ho amata da sempre – ripetè Arthur – da quando eravamo bambini e correvamo spensierati. Voglio vederti felice Georgie, farei di tutto per te, di tutto.
La carrozza avanzava lentamente, Georgie chiese a suo marito: 
-Siamo ancora in tempo per salvare a nostra unione? Io ti amo Arthur.
-Certo – le rispose subito lui – farei del tutto amore mio. Ti prego, scrolliamoci di dosso il passato, cerchiamo di ricominciare.
Georgie si rifugiò fra le sue braccia chiudendo gli occhi e non dicendo più nulla.
Era incredibile come si sentiva protetta, rassicurata, nonostante quello che era successo. Non voleva perderlo per niente al mondo.
-Perché – chiese allora Arthur – sei voluta andar via dalla casa di tuo padre? Ti ho visto scossa, agitata e tormentata in questi giorni. Perché?
Georgie non riuscì a confessargli tutta la verità per paura di perderlo.
-Non mi sentivo a mio agio – tentennò – non so spiegarmi, c’era qualcosa che mi faceva star male.
-Ascolta amore – disse lui – ora cerchiamo di essere sereni, io e te, lasciamoci alle spalle tutto il passato, vale la pena ricominciare.
-Certo – affermò mentre suo marito la guardava intensamente.
Un bacio sugellò quel nuovo inizio, nonostante una nuvola ancora turbasse Georgie il suo cielo sembrava tornare sereno.
Il viaggio proseguì tranquillamente, giunsero alla fattoria nei tempi previsti.
-Con questo mi sento decisamente meglio! – esclamò Georgie dopo essersi cambiata d’abito.
-Ti vedo già più sorridente – disse Arthur felice – io vado a controllare gli animali nella stalla. Zio Kevin veniva ogni mattina ad occuparsene, rimarrà stupito nell’apprendere che siamo rientrati in anticipo. 
Georgie rimase in cucina ed iniziò a preparare la cena, era veramente più tranquilla e intenta a ricominciare da capo.
Desmond sarebbe rimasto soltanto un ricordo, una notte e basta, così doveva essere fin dall’inizio ma il destino poi ci aveva messo del suo.
Si mise a cucinare una zuppa pulendo le verdure e apparecchiando la tavola con gioia.
Ricominciare, era la parola che teneva in mente e le dava l’impulso ad agire, a non farsi prendere dall’ansia.
Quando Arthur rientrò tutto era pronto e perfetto, la cena, la tovaglia, anche i fiori sul tavolo. E Georgie che lo accoglieva sorridente.
-Il tuo volto felice – esclamò lui sedendosi – è l’immagine più bella della serata.
-Iniziamo subito a mangiare – disse Georgie prendendo la zuppiera – la minestra è calda.
Il nitrito di un cavallo e un rumore di ruote fecero subito dire ad Arthur:
-Ecco zio Kevin! Aggiungi un piatto, cara.
-Lo zio qui? – domandò Georgie attonita – A quest’ora?
-Chi vuoi che sia? – rispose Arthur alzandosi e andando verso la porta – Passando, avrà visto le finestre aperte e avrà capito che siamo ritornati.
-A saperlo – rise Georgie – preparavo più zuppa, ne va matto!
Prese un’altra scodella dalla credenza mentre suo marito era uscito per andare al cancello. 
-Sicuramente – pensò Georgie – zio Kevin vorrà sapere del battesimo e della festa. Non è pratico di nobiltà ma questi racconti gli interessano!
E divertita giunse sull’uscio.
-Questa è una vera sorpresa – diceva Arthur in modo cordiale percorrendo il vialetto – sei il benvenuto in casa nostra, Desmond.
Georgie potè solo rimanere senza parole mentre vedeva suo marito avanzare verso di lei facendo strada a Lord Graves.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Ospite inatteso ***


-Georgie! – esclamò Desmond arrivato sull’uscio – Bentrovata.
Lei gli aprì la porta accennando un mezzo sorriso mentre Arthur lo invitava in casa dicendo:
-Mettiti seduto e cena con noi, c’è già il piatto pronto. Credevamo fosse un nostro zio, la tua visita proprio non ce l’aspettavamo!
-Ho deciso questa mattina di partire – disse Desmond guardandosi intorno, accogliendo l’invito di Arthur a prendere posto a tavola – avrei comunque lasciato il conte Huxley a Sydney, ho preferito farlo subito.
-Dove sei diretto? – chiese incuriosito Arthur aiutando Georgie a servire la minestra.
Desmond, ringraziando gentilmente per il pasto, iniziò a raccontare:
-Sono da queste parti per visionare dei terreni, devo investire dei soldi, l’eredità di mio padre. Il conte Huxley mi aveva parlato di questa zona vicino Sydney, ottima per fare affari di quel tipo. Avevo già fatto un giro di perlustrazione giorni fa, raggiungendo poi il mio amico per andare dal conte Gerald, avevo promesso di accompagnarlo. Quando questa mattina ho appreso della vostra partenza ho deciso di mettermi in viaggio anch’io, ho pensato che forse potresti aiutarmi, Arthur, a trovare un’occasione di acquisto. 
-Certamente – affermò subito lui – ne sarò ben lieto. Qui intorno dovrebbero esserci terreni in vendita, posso informarmi e fartelo sapere.
Georgie aveva ascoltato in silenzio, non commentando e senza mai alzare la testa dal piatto.
-A proposito – continuò Arthur – dove alloggi Desmond?
Il ragazzo posò il cucchiaio e guardando Georgie rispose senza esitazione:
-Ancora non ho trovato un posto anche se mi hanno consigliato una locanda confortevole e tranquilla in zona.
-Sarà la stessa – domandò Arthur a sua moglie – dove hai alloggiato tu, cara, nel viaggio di andata?
Presa alla sprovvista e tesa Georgie farfugliò qualcosa mentre suo marito propose a Desmond:
-Perché non ti fermi da noi? C’è la stanza del piccolo Abel libera.
A questo punto Georgie parlò d’istinto:
-Quella locanda è ottima. Credo sia l’ideale per Desmond.
-No amore – la contraddisse Arthur – deve essere nostro ospite!
E poi rivolto al giovane disse:
-Ti prego di accettare l’invito così potremo parlare con tranquillità dei terreni e di affari.
-Sei gentilissimo – rispose Desmond – ma mi sentirei di troppo. Non voglio assolutamente disturbare. 
-Ti ho detto che sei nostro ospite – affermò Arthur con più decisione e Desmond, a quel punto, accettò la proposta.
Georgie non parlava, era diventata ancor più silenziosa e si limitava a cambiare i piatti e a servire le altre pietanze.
-Domani – propose Arthur – potremo andare da zio Kevin. Sicuramente conosce meglio di me la situazione dei terreni limitrofi, una bella chiacchierata con lui ti sarà utile, Desmond. Intanto vorrei farti assaggiare questo vino, è speciale!
I due continuarono a parlare cordialmente come vecchi amici mentre Georgie, dopo aver sistemato velocemente la cucina, si diresse in camera di suo figlio.
Chiuse la porta e si gettò sul letto pensando:
-Non è possibile, Desmond dormirà qui, si fermerà nella nostra casa e Arthur l’ha accolto a braccia aperte. Sono una stupida, una bugiarda, è solo colpa mia. Non sono riuscita a rivelare la verità e lui mi sta ora perseguitando. Mio marito mi fa tenerezza mentre ci parla, se sapesse…
Guardava il soffitto disperata ma nella mente le riaffioravano le immagini di quella notte alla locanda.
Maledetta notte, dolce notte.
I suoi occhi, la sua bocca, le sue mani…perché mai era tornato? Perché?
Veramente era interessato a quei terreni?
E comprandoli si sarebbe stabilito lì, vicino a lei, per turbare la quiete della sua famiglia.
No, non lo poteva sopportare, sarebbe stato un vero e lento supplizio. 
Si alzò dal letto, prese delle lenzuola dal comò e sobbalzò sentendo Arthur che la chiamava.
Lei uscì dalla stanza con le lenzuola in mano, suo marito le disse:
-Bene, vedo che stai preparando il letto a Desmond.
Intanto il giovane portava il suo bagaglio in casa, Arthur gli fece strada poi uscì per condurre il cavallo nella stalla.
Desmond e Georgie rimasero soli nella camera.
Lei sistemava le lenzuola nervosamente, senza guardarlo, lui poggiò la valigia su una sedia e domandò:
-Sei sempre così fredda con gli ospiti?
Le andò più vicino continuando:
-Arthur invece è molto accogliente e disponibile.
Georgie diede uno strattone al cuscino e con stizza disse:
-Ora sei anche un futuro proprietario terriero? E guarda caso ti interessi a queste zone! Cosa vuoi ancora da me, Desmond?
Il ragazzo, con tutta calma e in modo ironico, rispose:
-Credi di essere la reginetta attorno alla quale ruota tutto il mondo? Lo scopo per cui sono in Australia è quello di comprare dei terreni per investire al meglio la mia eredità.
-Ah, sì? – lo interruppe Georgie – Pensavo il tuo fine fosse quello di importunare le giovani donne, soprattutto se sposate. Anzi no, anche nubili vanno bene, vedi Amy o la contessina Vivien! 
Desmond rise fragorosamente:
-Sei ridicola, cosa volevi ti dicessi che sono qui perché morivo dalla voglia di vederti nel tuo ambiente ideale, con abiti semplici, alle prese con la terra e la campagna?
Erano vicinissimi, uno di fronte all’altra, lui le mise l’indice sulle labbra sfiorandole appena sussurrandole:
-Se non ti bacio è solo perché ho troppo rispetto verso Arthur.
Si allontanò da lei e, avvicinatosi alla valigia, iniziò a disfarla.
Georgie uscì dalla stanza senza proferire parola.
-Quanto rimarrà qui? – chiese ad Arthur quando, entrambi nel letto, erano nella loro camera a notte inoltrata.
-Non so Georgie – rispose suo marito – il tempo di trovargli una sistemazione più definitiva.
-Ricorda che Abel junior non resterà in eterno da mio padre! – affermò lei con vigore.
-Ascolta cara – disse Arthur con calma – mi sembrava proprio scortese mandarlo in una locanda. Si tratta di qualche giorno anche perché, hai ragione, quando tornerà il bambino non potremo più ospitarlo da noi.
-Ho lasciato mio figlio in città per rimanere sola con te – si sfogò Georgie – e invece mi ritrovo con un estraneo in casa.
-Ti prego – continuò Arthur cercando di tranquillizzarla – si tratta solo di pochi giorni.
-Lo spero vivamente – ribatté lei mettendo la testa sotto le lenzuola e girandosi dalla parte opposta.
La mattina dopo, sul tavolo della cucina, Georgie trovò un biglietto scritto da suo marito.
“Siamo andati da zio Kevin, non aspettarci a pranzo. Ci vediamo questa sera. Ti amo. Arthur."
Rimase a leggere quelle due righe in piedi, pensando a come Arthur fosse proprio così, di poche parole ma di grandi sentimenti.
Si diresse in camera di suo figlio e scoprì, con enorme stupore, che Desmond aveva già rifatto il letto, aperto la finestra e sistemato i suoi vestiti nell’armadio.
-Almeno mi ha esonerato dall’occuparmi della stanza – pensò Georgie accarezzando quelle lenzuola, cercando di percepire un odore, un profumo, una sensazione.
Non sarebbe stato per niente facile averlo lì.
Proprio per niente.
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Confessioni ***


Quella mattina Georgie sistemò il letto e la cucina, avviò il pranzo, si occupò degli animali e poi si diresse al paese per comprare alcune stoffe.
Essere affaccendata non le pesava, anzi, le permetteva di non pensare a nulla e a nessuno.
Giunta al negozio si mise a conversare amichevolmente con la proprietaria per poi decidere di acquistare anche del tessuto per confezionare un abito nuovo a suo figlio. Scelse i colori preferiti del piccolo Abel e, uscita di lì, andò al carro per tornare a casa.
Avrebbe preparato un dolce per cena, molto probabilmente lo zio Kevin si sarebbe fermato alla fattoria con loro e lei aveva deciso di confidarsi con lui riguardo tutta la sua complicata situazione.
Si era pentita di non averlo fatto precedentemente con Maria, parlare con la ragazza poteva esserle di sollievo ma Georgie non ne aveva avuto il coraggio.
Maria conosceva bene Desmond e avrebbe potuto dare delle informazioni in più a Georgie la quale, però, aveva il forte timore che la giovane riferisse tutto a suo padre, non intenzionalmente ma ciò poteva accadere.
Con zio Kevin invece avrebbe parlato con tranquillità, era sempre stato il suo mentore fin da quando era una bambina.
Non l’avrebbe giudicata, ne era certa. 
Pranzò tardi, si riposò un poco e infine iniziò a preparare la cena. Sarebbe stato un pasto elaborato, con ottime pietanze e terminato con una buonissima torta di sua creazione.
Le mani impastavano e la mente non pensava.
Il cuore però sussultava e batteva forte.
Arthur e Desmond arrivarono quasi al tramonto ma zio Kevin non era con loro.
-È stanco – spiegò a Georgie suo marito – e domani dobbiamo tornare da lui per andare a visionare dei terreni. Ci sono buone opportunità di vendita in giro, lo zio conosce alcune persone che potrebbero essere interessate alle proposte di Desmond.
-Allora verrò con voi – esclamò Georgie inaspettatamente – ho voglia di salutare lo zio, sono giorni che non lo vedo.
Era decisa e determinata e non più messa in soggezione da Desmond con il quale non aveva scambiato una parola durante la cena accettando però, con educazione, i suoi complimenti per il pasto e per il dolce.
Andarono da zio Kevin il giorno successivo, lo trovarono a preparare il formaggio da vendere in paese. Appena vide Georgie esclamò:
-Ci sei anche tu? Sono felicissimo di questa sorpresa, non ti aspettavo!
Lei scese dal carro andandogli incontro:
-Sei sempre al lavoro, zio! Ora riposati, sono qui per chiacchierare con te, devo raccontarti della festa, di Milly e di tanto altro. 
-Certo cara – rispose Kevin – ma più tardi, adesso dobbiamo andare. Voglio presentare a Desmond un agricoltore che è intenzionato a vendere una parte di terreno però c’è anche da andare a portare il formaggio al negozio in paese.
-Ascolta zio – si intromise Arthur – andrò io a vendere il formaggio, tu e Desmond dirigetevi dal tuo amico per vedere la terra.
-È una buona idea – affermò il vecchio – Georgie potrà venire con noi e fermarsi con la moglie del mio conoscente. Poi ci ritroveremo qui per l’ora di pranzo.
Non era quello che Georgie aveva previsto ma accettò la proposta per non sembrare scortese e destare sospetti. Nel pomeriggio avrebbe avuto tutto il tempo per parlare con zio Kevin.
Il terreno non era poi così distante da lì ma partirono subito mentre Arthur si dirigeva in paese.
Durante il viaggio Desmond osservava con attenzione il paesaggio rispondendo alle domande che Kevin gli rivolgeva inerenti alle sue intenzioni di stabilirsi in quella terra molto diversa da Londra.
Georgie si limitava ad ascoltare in silenzio pensando a cosa passasse per la testa a quel ragazzo così enigmatico e misterioso.
-E lì cosa c’è? – domandò ad un certo punto Desmond attratto da un vecchio rudere che s’intravedeva tra sterpaglie e alberi.
-Oh no! – esclamò Georgie spontaneamente – Ancora in piedi quella casa!
-È un posto abbandonato da anni e anni – spiegò lo zio Kevin rallentando l’andatura del carro – nessuno ci vive più lì ormai da tempo. 
-Diverse volte da bambini andavamo là dentro – ricordò Georgie assorta – ma io avevo una paura tremenda e correvo via appena messo piede nell’ingresso. Soltanto un giorno arrivai sino alle scale ma poi scappai perché ero convinta di aver visto il fantasma della signora.
-Quale signora? – chiese Desmond incuriosito.
Zio Kevin allora raccontò al giovane quella storia:
-Molti anni fa, io ero un ragazzo, qui ci abitava una coppia originaria dell’Inghilterra. Credo fossero dei nobili perché avevano la servitù e un uomo che si occupava del giardino. Un giorno il maritò scoprì che la moglie la tradiva con un altro e la uccise sparandole un colpo di pistola. Poi lui s’impiccò, fu ritrovato appeso nella camera da letto al piano superiore. Non avevano figli né parenti e la casa rimase abbandonata, nessuno l’ha mai voluta per andarci a vivere, in paese tutti la conoscono come la casa stregata.
Desmond saltò giù dal carro esclamando:
-Interessante, andiamo a dare un’occhiata!
-Sei impazzito? – gridò Georgie – Non tornerò lì!
Kevin rise affermando:
-Non fare la bambina, non crederai ancora d’incontrare il fantasma della signora? Andiamo!
Si diressero a piedi verso la casa, Desmond disse:
-È un peccato vedere tutto questo terreno incolto e abbandonato.
-Infatti – sentenziò il vecchio – un vero peccato. 
Girarono intorno al rudere, Georgie era inquieta Desmond invece pareva proprio a suo agio.
-Vado più avanti a vedere dietro quegli alberi – disse Kevin – è da molto che non passavo più qui, una volta là c’era una piccola stalla.
-Andiamo dentro! – propose Desmond prendendo Georgie per mano – Non avere paura.
Entrarono, a destra vi era un grosso camino e a sinistra le scale che conducevano al piano superiore.
-È ridotta proprio male – constatò Desmond – ma sono certo potrà tornare un’ottima abitazione.
-Vivresti qui? – domandò Georgie stupita.
-Perché no? – rispose prontamente lui – Saliamo sopra, vieni!
I gradini scricchiolavano ad ogni passo dei due giovani che si ritrovarono in una stanza dove ancora vi era un letto matrimoniale con addirittura la coperta sopra, il tempo l’aveva resa inesorabilmente impolverata e ingiallita.
-Io ci vivrei veramente – affermò Desmond guardandosi attorno – ristrutturerei tutto e mi stabilirei qui. Mi ricorda la prima casa dove ho vissuto da bambino vicino Londra.
Georgie sentiva l’ansia salire, si avvicinò alla finestra e vide zio Kevin che si era allontanato ancora di più, Desmond, da dietro, l’avvolse teneramente fra le sue braccia dicendo:
-Non aver paura, sono qui con te. 
Lei si voltò incontrando i suoi occhi che la desideravano come non mai mentre le sue labbra la cercavano inesorabilmente.
Non gli oppose resistenza, accolse la sua bocca per un bacio, e poi un altro e un altro ancora sentendo le sue mani scendere e risalire con bramosia e passione.
Le slacciò con esperienza il vestito volendo condurla sul letto ma Georgie si fermò sussurrando:
-No, non posso, non posso!
-E invece puoi - disse lui – tu mi desideri, lo sento.
-Zio Kevin potrebbe entrare da un momento all’altro! – ribatté la ragazza.
-Non ora – affermò Desmond adagiandola sulla coperta continuando ad accarezzarla – è lontano.
-No, lasciami! – urlò Georgie tornata in sé dandogli uno strattone.
A quel punto il giovane si fermò, lei si alzò dal letto e cercò di ricomporsi.
Si fissarono senza parlare finché sentirono la voce di Kevin chiamarli, allora scesero.
Lasciarono quel posto, Georgie assorta sul carro, pensava che non sarebbe riuscita a confidarsi neppure col buon vecchio zio Kevin.
 
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Una strana società ***


-La trovo una pessima idea! – disse con fermezza Georgie a suo marito alzandosi dalla sedia e battendo la mano sulla tavola apparecchiata per il pranzo.
-Perché? – domandò lui stupito da quella reazione così plateale – Ci ho riflettuto molto e invece credo sia la migliore soluzione.
-Non puoi proporre a Desmond di diventare tuo socio nella gestione della fattoria – ribatté con forza lei – io non sono d’accordo, non lo trovo adatto.
-Georgie, stai sbagliando – spiegò Arthur – lui sta cercando dei terreni per investire i suoi soldi e io ho bisogno di ampliare i miei per mandare avanti al meglio tutto questo. È sempre stato il mio sogno far fruttare alla perfezione la fattoria di papà.
-Lo so benissimo – aggiunse Georgie più calma – ma non penso che Desmond se ne intenda di agricoltura e commercio, ha vissuto a Londra tra i nobili, cosa ne può sapere lui di come si porta avanti una fattoria?
-Ma non dovrà occuparsi dei campi! – disse Arthur motivando la sua tesi – Trovo possa essere un’opportunità per noi Georgie, con quei soldi si può ampliare la stalla e prendere più animali, ad esempio.
-Può aiutarti mio padre – esclamò Georgie cercando di convincerlo a non mettersi in società con Desmond – se il problema sono i soldi può farci un prestito lui. 
-Non voglio la carità di tuo padre! – gridò Arthur ora un po’ alterato.
-Ma potresti chiedere a lui di diventare tuo socio – ribadì Georgie.
-No, Fritz non è interessato – rispose immediatamente Arthur – si occupa di politica lì a Sydney, ha altri progetti.
-Noi non conosciamo bene Desmond – disse allora Georgie pacatamente – e se fosse un truffatore?
-Cara, a me sembra un ragazzo che ha voglia di emergere – aggiunse Arthur – ha del denaro da spendere ed è motivato ad investire nella terra. Era con il conte Huxley, grande amico di tuo padre, è una garanzia questa.
-Ti prego Arthur, allora aspetta almeno che arrivi mio padre prima di prendere questa decisione – lo supplicò – consigliati con lui su Desmond.
-So quello che faccio – ribatté suo marito – ma se proprio insisti mi consulterò con tuo padre quando verrà per riportare il piccolo Abel.
Georgie sperava vivamente di togliere dalla testa quell’idea ad Arthur.
Dopo quella mattina alla casa abbandonata, Desmond si era trasferito dallo zio Kevin. La sera stessa aveva comunicato ad Arthur che non avrebbe più alloggiato alla fattoria ma aveva accettato la proposta del vecchio di fermarsi da lui. Poteva muoversi meglio lì, aveva detto, visitare i terreni e parlare con gli amici di Kevin.
Georgie, più sollevata, aveva però pensato che il caro zio avesse intuito qualcosa invitando Desmond a dormire da lui.
Comunque, da quando era andato via, lei si sentiva più serena nonostante pensasse spesso a cosa era accaduto alla casa abbandonata. 
Il suo timore era, ora, che Desmond potesse rivelarsi un pessimo socio per Arthur facendolo fallire, spinto dalla gelosia.
Ne avrebbe parlato con Maria, era la persona che più di tutti conosceva Desmond e poteva rivelare qualcosa su quel ragazzo misterioso.
Sì, perché Desmond per Georgie, era ancora un mistero da svelare.
Maria sarebbe arrivata nel pomeriggio assieme a Fritz, la bambina e Abel junior.
Rivedere suo figlio fu una gioia immensa per Georgie, il ragazzino saltò giù dalla carrozza per abbracciarla.
-Mamma – urlò il piccolo Abel – sono ritornato!
Le buttò le braccia al collo raccontando:
-Dal nonno sono stato benissimo, siamo andati alcune volte in città a comprare dei giocattoli, sono potuto stare con i miei nuovi amici e ho anche aiutato Maria nell’accudire Milly.
-Sei diventato così bravo? – gli domandò Georgie passandogli una mano nei capelli e guardandolo con occhi luccicanti di orgoglio.
-Chiedilo a loro! – esclamò il bimbo girandosi verso Fritz e Maria appena scesi dalla vettura con Milly.
Dopo i saluti iniziali, il conte si disse molto felice di vedere Georgie così rilassata e serena mentre Maria dichiarava:
-È la prima volta che la mia Milly viene alla fattoria, mi piacerebbe tanto se crescesse anche in questo ambiente così sano, circondata dalla natura e dagli animali.  
-Non dirmi che papà – chiese Georgie con stupore – permetterebbe tutto questo? Credevo le avesse già prenotato l’insegnante di francese e quello di pianoforte!
Gerald sorrise e Maria ribatté:
-Certo che Milly farà tutto ciò ma non mi dispiacerebbe se conoscesse anche un altro tipo di vita.
-Sarete sempre i benvenuti qui! – esclamò Georgie conducendoli in casa, raggiante in volto aggiungendo, poi:
-Potrete fermarvi qualche giorno, ci organizzeremo al meglio con le stanze. Non è una reggia qui ma si sta bene. Ora non abbiamo più nemmeno Desmond come ospite, per voi ci sarà sempre un posto in questa casa!
-Desmond ha dormito qui? – domandò Fritz incuriosito.
-Sì – rispose Georgie in fretta – per qualche giorno, ora è dallo zio Kevin.
-Mi chiese come poteva raggiungervi – spiegò il conte – gli interessano queste terre e la zona attorno a Sydney ma non pensavo si fermasse per lungo tempo.
-Sta cercando delle occasioni di vendita – disse Georgie – ma parliamone a cena quando ci sarà anche Arthur. Ora voglio che il mio Abel mi racconti tutto quello che ha fatto senza di me!
Il pomeriggio trascorse così, con le vicende allegre del bimbo, il ritorno di Arthur dai campi e la sistemazione delle stanze da parte di Georgie.
Durante la cena il discorso tornò inevitabilmente su Desmond.
-Così vuoi proporgli di diventare tuo socio? – chiese Fritz ad Arthur dopo aver ascoltato tutta la questione.
-Sì, credo sia la persona giusta capitata al momento giusto – spiegò il giovane al conte.
-Papà, ti prego – sussurrò Georgie teneramente – convinci tu Arthur che è un azzardo prendere Desmond in società. Non sappiamo nulla di lui, io non sono per niente favorevole.
Fritz terminò di bere e poi prese la parola:
-I soldi ce li ha, questo lo so per certo. Il mio amico Huxley mi ha detto dell’eredità che Desmond ha ricevuto dal padre, è una somma importante. Se ha fatto tutto questo viaggio da Londra a qui per investire nei terreni è anche molto motivato.
-Maria tu lo conosci da tempo – chiese allora Georgie – possiamo fidarci di lui? Io ho i miei dubbi.
La ragazza rise rispondendo:
-Non lo consiglierei come marito ad un’amica ma come socio credo sia valido!
-Quindi sono l’unica – esclamò Georgie con stupore – a non condividere questa scelta.
-Se volete un mio parere – argomentò Fritz guardando sua figlia e Arthur – Desmond potrebbe diventare un buon socio, sia per la disponibilità economica che ha ma anche per l’entusiasmo e l’interesse verso il progetto di ampliamento della fattoria. Comunque aspetterei un po’ prima di proporgli la questione, Georgie non ha proprio tutti i torti, è un ragazzo che non conosciamo in modo approfondito. Se volete posso contattare il conte Huxley e chiedergli maggiori garanzie.
Le riflessioni di Gerald avevano sempre una certa influenza su Arthur che si dichiarò d’accordo sull’attendere notizie più dettagliate riguardo Desmond.
Georgie, quella sera, comprese che suo padre poteva essere ancora un porto sicuro dove rifugiarsi senza aver timore di essere giudicata o poco capita.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Bambini ***


Uscendo di casa, la mattina successiva, Georgie trovò suo padre intento a passeggiare per il cortile con Milly fra le braccia.
Era assorto nel guardare con amore la piccolina e le parlava di chissà cosa continuando a camminare tra i due grandi alberi accanto alla stalla.
A Georgie fece tanta tenerezza, gli si avvicinò lentamente, aveva quasi paura di disturbarlo.
-Come sei mattiniero! – gli disse sottovoce per non rompere quella serena atmosfera che si era creata.
-Georgie, cara – la chiamò Fritz – vieni! Sai, Milly si è svegliata presto, non volevo che Maria si alzasse allora ho preso la bambina e l’ho portata fuori, si sta così bene qui! C’era Arthur che ci ha fatto vedere l’ultimo agnellino nato poi è andato nei campi. Il lavoro è molto duro ma lui sa come gestire il tutto.
Georgie sorrise senza parlare accarezzando Milly che era vispa e allegra coccolata teneramente dal suo papà.
-Sei in ansia per la fattoria? – domandò Fritz intravedendo preoccupazione sul volto della sua adorata figlia maggiore.
-Non mi fido di Desmond – rispose fermamente Georgie – anche se sono consapevole che un socio sia fondamentale per avere un rendimento migliore. 
-Se avete bisogno di denaro – aggiunse il conte – sai che non dovete fare complimenti con me.
-Arthur vorrebbe formare una società – spiegò lei – e gli piacerebbe riuscirci senza aiuti esterni.
-Capisco – annuì Fritz aggiungendo – comunque, appena tornato in città parlerò con Huxley riguardo Desmond.
Georgie spontaneamente abbracciò suo padre per poi chiedergli di poter tenere Milly con sé.
-Vai a fare colazione – gli disse – ho preparato la tavola, c’è del latte fresco, una torta e del pane.
Rimase sola con la sua sorellina, aveva voglia di spupazzarsela, era così dolce con quei grandi e vivaci occhi azzurri.
L’aria era calda e non c’era vento, Georgie, seduta tranquillamente sotto l’albero con Milly, fu raggiunta da Maria.
-La colazione era squisita – le disse andandole incontro – vorrei essere capace anch’io di cucinare i dolci come sai fare tu!
Georgie rise esclamando:
-Perché mai, hai la servitù che te li prepara!
-Non è la stessa cosa – aggiunse subito Maria – è per questo che mi piacerebbe se Milly imparasse anche a cucinare, cucire, ricamare. Insomma, vorrei assomigliasse a te.
Allora Georgie alzò gli occhi al cielo dicendo:
-No, non sono da prendere come esempio, assolutamente! 
Poi guardò di nuovo Milly dandole un bacio sulla fronte e la strinse forte a sé.
Maria, un po’ titubante, le chiese a bassa voce:
-Georgie, hai mai pensato di avere un altro figlio? Scusa, forse sono troppo indiscreta ma ti reputo un’amica, io molte volte mi sono confidata con te e mi sei sempre stata d’aiuto. Ultimamente ti ho vista triste e scostante, ho capito che fra te ed Arthur si è incrinato qualcosa e mi dispiace. Forse un bambino potrebbe aiutarvi.
Georgie strinse ancora più forte Milly rispondendo:
-Sì, certo che ci ho pensato e l’ho desiderato anche, soprattutto per Arthur. Lui adora Abel junior ma un figlio nostro sarebbe il coronamento di un sogno.
Maria non parlò ma la sua espressione stava a significare qualcosa tipo “allora fatelo, cosa aspettate?”
Non immaginava certo i tormenti che invadevano la mente e il cuore di Georgie.
Tormenti che riaffiorarono quella sera, quando, alla fattoria giunsero zio Kevin e Desmond per la cena.
A tavola gli uomini parlarono dei terreni ma Arthur, seguendo il consiglio di Fritz, non propose a Desmond la faccenda della società anche se aveva appreso che il ragazzo non era riuscito a concludere l’affare con l’amico di Kevin.
Il conte aveva cercato di chiedere a Desmond ulteriori notizie circa il suo interessamento ai terreni e le sue idee riguardo eventuali progetti futuri ma il giovane era di pessimo umore che rispose a monosillabi e sgarbatamente ad ogni domanda di Gerald.
A fine pasto si isolò dal gruppo andando fuori verso la staccionata. Seduto su di essa in solitudine fu raggiunto dal piccolo Abel. 
Georgie, accortasi che suo figlio era uscito, andò a chiamarlo e lo trovò accanto a Desmond.
Quell’intesa che si era creata fra i due incuteva timore a Georgie, era incredibile come andassero d’accordo.
-Vai, rientra dentro – lo esortò Desmond avendo visto la ragazza – ti stanno cercando.
Il bambino lo salutò per poi ubbidire a sua madre la quale, invece, si avvicinò al giovane per parlare sola con lui.
-I tuoi affari non sono andati a buon fine quindi? – gli domandò sperando di carpire qualcosa di più consistente.
Lui si voltò di scatto, aveva gli occhi bagnati dalle lacrime, le disse:
-Vattene Georgie, vai via!
Mai Desmond l’aveva cacciata, pensò, stava piangendo, era lì, solo, proprio come la prima volta che l’aveva visto alla locanda. Solo, mentre osservava il temporale. Ora però aveva gli occhi pieni di lacrime.
-Stai male? – gli chiese dolcemente.
-Ti ho detto di andar via! – ribadì lui con violenza.
A quel punto Georgie non potè che lasciarlo senza dire più una parola.
Il giorno dopo, accanto a quella staccionata, vi era ancora Abel junior questa volta alle prese con Milly che, sdraiata fra l’erba, rideva ad ogni smorfia buffa del bambino. 
Georgie, indaffarata con il bucato, era divertita e credeva sempre di più che a suo figlio avrebbe fatto bene un fratellino. Lo desiderava da tempo e lei era decisa ad accontentarlo. Sarebbe stata una gioia immensa per il bimbo, per lei e per Arthur.
Si diresse dietro la stalla a lavare altri panni, aveva ancora nella mente il volto di Desmond che, fra le lacrime, la cacciava via.
Quel ragazzo era volubile, misterioso e troppo tormentato.
Georgie sperava vivamente se ne andasse da altre parti a concludere i suoi affari e si sentiva più rasserenata dal fatto che suo padre aveva consigliato ad Arthur di attendere a proporgli l’idea della società per la fattoria.
Con il sapone strofinò ben bene quegli indumenti, l’acqua poi lavò via le macchie, il pensiero tornò nuovamente al peccato ma Georgie strofinò ancora più forte. La sua camicia da notte era tornata bianca, come la veste di Milly.
Più serena ripose il bucato in una cesta, ora doveva stendere all’aria il tutto.
Aveva tempo, Arthur, Fritz e Maria erano andati in paese a fare un giro per poi dirigersi dallo zio Kevin, Georgie non doveva neppure preparare il pranzo.
Tornò davanti casa dove il piccolo Abel si era spostato sotto un albero.
-Dov’è Milly? – gli domandò Georgie posando la cesta con una certa preoccupazione non vedendo più la bimba.
-L’ha presa Desmond – rispose il ragazzino tranquillamente – la portava a fare una passeggiata.
-Desmond? – esclamò Georgie attonita sentendo un mancamento che le tolse per un attimo il respiro – Come Desmond! Dovevi chiamarmi, cosa ti ha detto? 
E intanto si guardava intorno, si girava tentando di scorgerli.
-È sceso dal cavallo – spiegò stupito Abel junior – l’ha presa in braccio e l’ha portata con sé, risalendo in sella.
-Ma dove? – urlò Georgie strattonando suo figlio che non capiva – Dove?
-Non lo so mamma – rispose – ha detto che io non ci potevo andare con loro.
-Se le farà del male – affermò Georgie con vigore – non me lo perdonerò mai, per tutto il resto della mia vita!
Corse a chiudere la porta di casa, prese un cavallo e disse a suo figlio:
-Vieni, dobbiamo andare e bisogna fare in fretta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Chi sei, Desmond? ***


Kevin sgranò gli occhi, ascoltando il racconto concitato di Georgie, mentre faceva entrare in casa il piccolo Abel ancora scosso e ignaro di tutto ciò che stava succedendo.
-Se è davvero così pericoloso come dici – affermò il vecchio con determinazione – non puoi andare da sola a cercarlo! Io mi dirigerei alla polizia ma se invece avesse veramente portato la bimba a fare semplicemente un giro sul cavallo?
-No zio! – urlò Georgie con agitazione – L’ha rapita, ne sono certa. Tu resta qui con mio figlio, Arthur e papà dovrebbero arrivare fra poco, spiegherai loro la situazione, io devo trovare Milly assolutamente!
-Perché? – domandò Kevin – Perché l’avrebbe fatto?
-Non trattenermi ancora – gli disse Georgie – ogni minuto è prezioso, devo scappare!
Corse al cavallo lasciando lo zio sulla porta. Abel junior, alla finestra, guardava sua madre andare via veloce.
-Perché Desmond ha rapito Milly? – chiese il bambino – Io non ci credo.
-Spero anch’io non sia vero – rispose il vecchio – ora però attendiamo Arthur e il conte Gerald. Dovrebbero star qui per pranzo con Maria, attendiamoli ma sarà difficile per me stare con le mani in mano. 
Un senso d’angoscia lo assalì rapidamente, il vecchio Kevin non si sentiva tranquillo per niente.
Georgie galoppava verso il fiume, l’istinto la conduceva lì, il suo timore era che Desmond volesse annegare la piccolina, questa era stata la sua prima sensazione.
Con suo figlio era arrivata a casa dello zio Kevin, il quale le aveva detto che Desmond era uscito presto quella mattina, lui neanche l’aveva visto.
Si chiedeva il perché di quel gesto Georgie, intanto incitava il cavallo a fare ancora più veloce, ancora di più.
Desmond era un folle, pensava, non aveva accettato i suoi rifiuti e ora riversava tutto il suo odio sulla bambina.
Oppure c’era dell’altro? Qualcosa che le sfuggiva, qualcosa nel passato di quel misterioso ragazzo che nessuno sapeva.
Perché Milly? Perché?
Una piccola creatura innocente, senza macchia, senza peccato.
Che colpe aveva quella tenera bambina?
Percorse il tratto di fiume che non era distante dalla casa di Kevin, di Desmond e Milly nessuna traccia.
Non riusciva neanche a immaginare quel dolce esserino tra braccia estranee, senza affetto, senza amore.
E Maria? Al solo pensiero a Georgie parve fermarsi il cuore. Come avrebbe reagito alla notizia? Da madre sapeva e poteva comprendere quel dolore. 
Lungo il fiume nulla, solo il rumore dell’acqua che scorreva come sempre senza sosta. Tutto tranquillo intorno, assolato, sereno.
Non poteva essere andato troppo lontano con una bimba così piccola, rifletté Georgie rallentando la corsa. Ora non voleva più pensare alla peggiore delle ipotesi ma a un rapimento a scopo di riscatto, anche se a Desmond i soldi non mancavano ma forse voleva far finire sul lastrico suo padre. Ripensandoci aveva spesso tenuto un atteggiamento ostile verso il suo adorato papà.
Perché? Perché? Perché?
Dove si era nascosto con Milly, dove?
In paese? Avrebbe dato nell’occhio.
Al porto? Non poteva imbarcarsi con una bambina bisognosa di ogni cura.
Fu un attimo e la sua mente s’illuminò.
La casa abbandonata. Sì, poteva essere quello il nascondiglio ideale. Perché non ci aveva pensato prima?
-La casa abbandonata – esclamò ad alta voce lo zio Kevin porgendo al piccolo Abel una bevanda calda – è lì che si nasconde Desmond con la bambina!
Il ragazzino lo fissò prendendo la tazza bollente fra le mani e il vecchio continuò:
-Sono certo sia andato in quella casa, ne è rimasto troppo colpito quando l’ha visitata. Appena arriveranno il conte e Arthur li manderò subito laggiù.
Georgie aprì lentamente quella porta socchiusa, provava ansia ma anche speranza, la piccolina doveva essere lì, viva.
Non aveva sbagliato, trovò Desmond inginocchiato, di spalle che armeggiava con la legna nel camino. 
-Dov’è? – gridò Georgie andandogli incontro senza paura ma con il coraggio che si ritrova quando la situazione diventa estrema – Dove l’hai nascosta?
Lui si girò, aveva il viso sconvolto, gli occhi stanchi, la camicia intrisa di sudore, Georgie gli si avventò addosso urlando ancora:
-Dimmi che non l’hai uccisa, dimmelo Desmond!
-Sei stata brava – rispose sottovoce il giovane – mi hai trovato, hai capito che mi ero diretto qui.
-Dov’è Milly? – continuò lei con tono isterico.
Il ragazzo non rispose ma un pianto proveniente dal piano superiore fece voltare Georgie che con la voce spezzata, ma dalla gioia, esclamò:
-È la mia sorellina!
Desmond la bloccò sussurrando:
-Non la porterai via.
Con forza le strinse i polsi e la spinse su una sedia che era nella stanza.
-Sei un pazzo! – continuò Georgie desiderosa di salire quelle scale per raggiungere la piccola – Cosa vuoi da me, da noi? Lascia che la bambina torni dalla sua mamma e dal suo papà, ne ha diritto!
-Tutti hanno diritto a una famiglia, vero Georgie? – domandò il giovane mentre teneva forte la ragazza per non farla scappare.
Georgie capì che Desmond era fuori di sé, le parlava avendo lo sguardo altrove, come la sua mente. 
-Mi fai male – gli disse provando dolore alle braccia – perché Desmond? Perché hai fatto tutto questo?
-Ogni bambino ha diritto a una famiglia – ripetè il giovane lasciandole piano piano i polsi – a una famiglia che lo ami.
Georgie lo fissava riuscendo ad alzarsi adagio, senza fretta, aveva compreso che Desmond voleva parlare. Anche lei aveva bisogno di sapere e pregava in cuor suo che Arthur e suo padre arrivassero al più presto.
-Ti racconterò una storia – esordì lui conducendola con delicatezza verso un angolo della stanza – è una storia vecchia quanto il mondo.
La ragazza era ora appoggiata con la schiena al muro e Desmond, davanti a lei, le prese una ciocca di capelli per rigirarla e giocarci fra le dita poi, iniziò:
-Anni fa, diversi anni fa, una giovane donna conobbe un uomo, a Londra. Fu amore a prima vista, si frequentarono per breve tempo finché lei scoprì di essere incinta. Lui non ne volle sapere nulla lasciandola sola con il figlio del peccato nel grembo. Quindi sposò un altro, un matrimonio combinato, senza sentimento solo per dare un nome a quella creatura e nascondere lo scandalo. Quella donna era mia madre e quel bambino ero io.
Georgie aveva ascoltato in silenzio, deglutì con lentezza, nella mente cominciava a farsi strada un’idea che la conduceva verso il baratro.
-Mi dispiace – balbettò cercando di intenerire Desmond che ora guardava in terra.
-Quando il marchese Graves morì – continuò – io ero abbastanza grande da poter conoscere la verità. Mia madre mi disse che lui non era il mio vero padre e io finalmente capii quell’indifferenza verso di me, quella mancanza d’affetto,quella severità senza un motivo. E quelle liti feroci tra lui e mia madre, quelle botte prese in silenzio perché ero un bastardo e non avevo diritto alla sua considerazione. Tutto questo perché quell’uomo mi aveva abbandonato, non si è mai interessato a me, mai!
Ora mise le sue mani sulle spalle di Georgie per poi dirle:
-Quanto ho odiato quell’uomo, con tutte le mie forze.
Lei chiuse gli occhi non riuscendo neppure a pronunciare quel nome, dolce e tenero nome.
Se così fosse quella notte alla locanda era stata la più ignobile delle notti, il peccato impronunciabile, l’atto più proibito.
Non Abel aveva il suo stesso sangue, non Arthur ma quello sconosciuto nato da una relazione clandestina.
-Quell’uomo – riuscì a domandare Georgie – era sposato, è per questo che abbandonò tua madre?
La voce tremava, il cuore batteva forte quasi a voler coprire la verità che era atroce.
-No, non lo era – rispose Desmond secco – ma io non facevo parte dei suoi piani. Lui ambiva al potere, ad alto livello.
Georgie aggrottò le sopracciglia palesando confusione e incertezza, il giovane affermò:
-Mio padre era il duca Dangering. Io sono il figlio illegittimo del duca Dangering.
Sollievo e paura si mescolarono in Georgie dopo che Desmond pronunciò quelle parole. 
Di una sola cosa ora era certa, doveva fare attenzione ma molta molta attenzione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 25
*** Vendetta ***


-Sei stupita, Georgie? – domandò Desmond passandole una mano sulla guancia poi sul collo e sfiorandole il seno – Non pensavi potessi essere il figlio del duca?

La ragazza scosse la testa, lui continuò:

-Non ho avuto la fortuna del tuo bambino che, nonostante non abbia mai conosciuto suo padre, ha potuto godere dell’affetto di Arthur. Fin da subito ho provato simpatia per il piccolo Abel, così solare, sereno, sveglio.

-Lasciaci in pace – sussurrò Georgie – ti prego, mi dispiace veramente per la tua storia ma non capisco cosa tu voglia da noi.

Desmond, preso dall’ira, gridò:

-Fammi finire il mio racconto!

Georgie, spaventata, tornò con le spalle al muro, portando lo sguardo alla finestra, sperava di vedere Arthur arrivare.

-Quando scoprii chi era il mio vero padre – spiegò Desmond – d’istinto ebbi la voglia di prendere una pistola, andare da lui e sparargli in faccia per come aveva trattato mia madre e me. Ovviamente non lo feci, avevo bisogno di capire e di meditare bene per organizzare il da farsi. Avevo spesso sentito parlare di lui come l’uomo più vicino alla Regina, come colui che riusciva ad influenzare addirittura le scelte politiche di Sua Maestà, come quello che era tra i più potenti di tutta l’Inghilterra. Per me invece era soltanto un ignobile che mi aveva abbandonato senza avermi visto neppure una volta.

Negli occhi di Desmond bruciava il fuoco dell’odio, Georgie terrorizzata sperava di sentire al più presto la voce di Arthur o di suo padre.

-Dal giorno in cui seppi la verità – continuò il giovane – solo una parola occupò la mia mente, vendetta! Mia madre mi supplicava di lasciar perdere, che non potevo mettermi contro di lui, era troppo pericoloso ma io dovevo in qualche modo palesare la mia presenza, io c’ero e lui doveva conoscere il mio dolore, le mie sofferenze, tutto il male che mi aveva provocato.

Fece una pausa guardando intensamente Georgie, dicendole poi con tenerezza:

-Quanto ha sofferto mia madre, povera donna! Era bionda, come te, gli occhi però li aveva scuri e sempre tristi.

-Ti ripeto – lo interruppe lei – che sono dispiaciuta.

-Devi ascoltarmi attentamente – disse in modo brusco Desmond.

-Scusami – rispose la ragazza per assecondarlo, chiudendo ora gli occhi.

-Guardami – gridò lui – devi guardarmi!

Georgie annuì, era pronta a sentire il seguito di quella triste storia.

-Ti avevo raccontato – proseguì Desmond – che conobbi per caso Irwin e Maria a una festa. Non fu così. Avevo pianificato tutto. Sapevo che era praticamente impossibile avvicinare il duca quindi pensai che potevo entrare più facilmente in amicizia con i suoi nipoti che, all’incirca, erano miei coetanei. Tramite un conoscente riuscii a farmi presentare una certa Charlotte, grande amica di Maria. Entrai nelle sue grazie, ammetto di averla corteggiata, lei m’invitò al ricevimento per il suo compleanno e lì incontrai i nipoti di Dangering. 

Georgie lo ascoltava nel silenzio più assoluto, sperando sempre di sentire la voce di Arthur che la cercava.

-Maria – continuò il ragazzo – era la classica giovane nobile un po’ frivola e presa dalle mode del momento, graziosa, educata ma anche molto timida e riservata. Con Irwin, invece, legai fin da subito, capii che era un tipo senza scrupoli e che poteva essermi d’aiuto per raggiungere il mio obiettivo. Entrai in confidenza con lui scoprendo i lati più oscuri del suo carattere e le sue perversioni. Era terribilmente attratto da giovani ragazzi dal volto delicato e con un fisico aitante, non necessariamente nobili ma anche di bassa estrazione sociale. Riuscii a procurargliene qualcuno e, grazie a ciò, divenni suo amico entrando finalmente a palazzo Dangering. Fu anche divertente quel periodo della mia vita, ricordo serate passate fra il lusso, le donne, gli svaghi. E poi, un giorno, in conclusione, incontrai l’uomo per cui ero lì, il duca, cioè il mio vero padre.

Fui presentato a lui durante una cena, sono convinto che aveva ben capito chi fossi perché mia madre mi disse era al corrente che lei aveva sposato il marchese Graves. Il mio nome doveva pur dirgli qualcosa, mi accorsi che mi osservava attentamente durante il pasto non domandandomi nulla, a differenza di altre persone che erano con noi alle quali chiese notizie sulla loro vita. La cosa che però più mi fece male durante quell’incontro, sai quale fu? 

Georgie rimase spiazzata da quella domanda, dopo quel lungo racconto non si aspettava proprio di dover rispondere immediatamente.

Balbettò timorosa:

-Non so, forse il fatto che non ti rivolse mai la parola?

Desmond continuò con tono sprezzante:

-No, quello mi dimostrò che era un vigliacco.

-E allora cosa? – chiese Georgie lentamente.

-Lui adorava Maria – rispose – esaudiva ogni suo desiderio, era la sua prediletta. E Irwin era designato come suo erede, l’amato nipote che l’avrebbe affiancato negli affari e nelle scelte importanti. Lo dichiarò proprio quella sera e io ero lì, ad ascoltare in silenzio. Capisci Georgie, lui provava affetto per loro, quell’affetto che a me è sempre stato negato. Aveva un figlio ma non lo aveva mai considerato!

-Desmond – lo interruppe la ragazza – un padre così meglio non averlo avuto, credimi.

-Le stesse parole di mia madre! – urlò il giovane alterato – Stai affermando ciò che mi disse anche lei.

Le scostò i capelli e sussurrò:

-Dio, come siete simili.

Georgie nei suoi pensieri invocava Arthur e sperava che zio Kevin avesse capito dove erano nascosti.

Attendeva aiuto mentre continuava ad ascoltare quel folle racconto.

-Lei si ammalò – proseguì Desmond – il suo cuore era già malandato, così mi disse il dottore, non la lasciai più neppure per un istante, sino alla fine.

Georgie annuì approvando, lui affermò:

-Quando lei morì il duca era già stato arrestato ed io non riuscii a compiere la mia vendetta. Ucciderlo.

-Ma è morto successivamente! – esclamò la ragazza con naturalezza.

-Non per mano mia – gridò lui pieno di rancore.

Georgie era attonita e sconvolta, osservava Desmond che indietreggiò di due passi per avvicinarsi al caminetto.

Il giovane, senza mai distogliere lo sguardo da lei, allungò la mano destra su una mensola e prese qualcosa. Era una pistola.

Georgie rabbrividì mentre lui le tornò accanto.

-Doveva morire per mano mia – disse accarezzando l’arma delicatamente - ho fallito!

Si avvicinò ancora di più, con la canna della pistola le sfiorò il viso per poi baciarla sulle labbra.

-Hai paura? – le domandò sfoggiando un sorrisetto ironico.

-Sei un pazzo Desmond – furono le uniche parole che lei riuscì a pronunciare.

-Non ho terminato il mio racconto – affermò deciso – devi ancora ascoltarmi, Georgie.

-Arthur – pensò – papà, dove siete? Correte, fate in fretta! Milly è qui. Dio, ti prego, proteggi almeno lei! 










 

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Capitolo 26
*** Verso l'inferno ***


-La morte del duca Dangering – continuò Desmond rivolto a Georgie – non portò sollievo nella mia vita. Mia madre si era spenta lentamente, nella sofferenza, lasciandomi solo con il mio dolore e il mio desiderio di vendetta. Seguii con interesse tutta la storia di tuo padre, la sua riabilitazione tra la nobiltà di Londra e seguii la discesa agli inferi del mio. La notizia della sua morte mi lasciò indifferente, avevo però un rimpianto, l’avrei voluto uccidere io.
Mentre raccontava sfregava la pistola con le dita rendendo Georgie ancora più tesa.
-Tutto ciò mi lasciò un vuoto dentro – riprese a ricordare il giovane – avevo molti soldi in tasca e nulla più. Lo scopo per cui avevo lottato si era dissolto, ero rimasto solo io con il mio odio, le mie paure, i miei demoni.
Ricevevo le lettere del conte Huxley, amico del marchese Graves, che mi scriveva di trasferirmi da lui in Australia per poter iniziare una nuova vita. Non sapeva nulla della mia storia personale ma, avendomi visto crescere, forse voleva aiutarmi sapendo che ero rimasto solo. Non sapevo veramente che fare della mia vita finché un giorno, il destino, mi mise a conoscenza di un fatto che fece riemergere il mio rancore. Per caso conobbi un uomo, Wilson, che parlando mi raccontò essere molto vicino al conte Gerald.
-Il miglior amico di mio padre! – esclamò Georgie interrompendo la narrazione.
-Sì – annuì Desmond – fu lui a dirmi che Gerald era partito per l’Australia dopo aver sposato Maria. Quella notizia mi destabilizzò non poco, l’adorata nipote del duca Dangering era diventata la moglie del conte Gerald. Come era possibile? Un’unione del genere mi faceva rabbrividire. Tu come hai fatto ad accettare tutto ciò, Georgie?
La ragazza rispose con decisione:
-Maria è una persona meravigliosa, di buon cuore, mio padre è molto felice con lei.
-È una Dangering – sentenziò Desmond – come l’uomo che ha ucciso il tuo amato Abel.
Al sentire quel nome una lacrima le scese sul volto mentre il ragazzo continuava:
--Non dirmi che non hai mai sentito dentro di te la voglia di uccidere colui che ti ha distrutto tutti i sogni d’amore?
-Oh sì – balbettò Georgie – sì.
Lui le asciugò le lacrime e aggiunse:
-Tu sei come tuo padre, credi nella giustizia, nel perdono sia terreno che divino, se un Dio c’è è talmente buono che ama tutti i suoi figli? A questo credi? Io no, non ci credo. Un Padre buono non permetterebbe tutto questo dolore.
Georgie lo fissava provando anche tenerezza per quel ragazzo così deluso, amareggiato e disilluso dalla vita ma pure folle e fuori di sé.
-Partii per l’Australia – continuò Desmond – non avendo più nulla da perdere, c’era tanta rabbia dentro di me e un’ossessione che mi perseguitava. Volevo conoscere il conte Gerald, capire come aveva potuto sposare una donna appartenente alla famiglia che gli aveva distrutto la vita. 
-Ti ribadisco – lo interruppe Georgie con vigore – che Maria non ha nulla a che vedere con le malvagità di suo zio.
-E io ti ripeto – disse a voce più alta Desmond – che è una Dangering. Nelle sue vene scorre il mio stesso sangue, il sangue dei dannati.
Accarezzò nuovamente la pistola mentre Georgie, ora più spaventata, domandò:
-Quindi tu sei venuto in Australia per uccidere Maria e distruggere di nuovo la vita di mio padre? Qual è la sua colpa, essere un uomo onesto, pronto a perdonare?
-Oh no, Georgie – rispose lui – sono venuto fin qui perché sono predestinato ad essere un dannato, come tutti i Dangering. Maria non può essere felice, come io non lo sono mai stato e come non potrà esserlo quella maledetta bambina che ora è al piano superiore, adagiata su quel vecchio letto matrimoniale.
-Pazzo! – urlò Georgie – Sei fuori di testa! Milly non la toccherai mai più!
-Come fai ad amarla? – gridò il giovane – Come?
-È un dono di Dio – ammise lei candidamente.
-Ancora con questo Dio! – sbraitò Desmond – Quando il conte Huxley mi propose di accompagnarlo da tuo padre perché aveva avuto una figlia ho provato una sensazione di disgusto. Gerald doveva essere proprio un folle.
-Tu sei un folle! – gridò Georgie tirando di nuovo fuori la sua rabbia – Metti da parte il tuo livore, è ridicolo, prendi i tuoi soldi, compra dei terreni e ricomincia tutto da capo. Puoi farlo!
-No, non posso – disse lui – il mio destino è di marcire all’inferno, come mio padre. E come quella bambina, figlia di un amore sbagliato.
-Non le farai del male – affermò Georgie – non te lo permetterò. Tu puoi cambiare, Desmond.
-No, no – ripetè il ragazzo – avrei potuto se tu  mi avessi amato Georgie ma so che è ora impossibile. Quando ti ho ritrovata, a casa di tuo padre, dopo la notte alla locanda, ho pensato che il destino era veramente stato avverso con me. Eri la figlia del conte Gerald.
-Puoi avere tutte le donne che vuoi – gli disse Georgie – lascia il tuo astio verso il mondo, trova una ragazza che ti ami.
-Solo tu puoi farmi cambiare – le sussurrò Desmond – nessun’altra.
Iniziò a baciarla mentre con la mano le scopriva la spalla tirando giù la manica del vestito.
Georgie non oppose resistenza sperando di convincerlo a posare la pistola, guadagnando tempo nell’attesa di veder arrivare Arthur.
-Se tu mi amassi – proseguì Desmond scendendo con le labbra sul collo della ragazza – potremo andarcene lontano da qui. Io e te. E tuo figlio.
-Sì posso amarti – mentì Georgie terrorizzata pensando però di riuscire a togliergli l’arma in qualche maniera.
-Sei l’unica che può far placare i miei demoni – le disse guardandola negli occhi.
Quegli occhi scuri che l’avevano tanto colpita quella notte, occhi tristi e sfuggenti. Ora sapeva il perché.
Un pianto fece sobbalzare entrambi.
-Quella bambina! – esordì Desmond con disprezzo – Perché non sta zitta? 
-Vado a prenderla - suggerì Georgie a bassa voce – posso calmarla.
-Non la sopporto – ribadì lui – avrei già dovuto portarla all’inferno con me! Ma ho atteso te Georgie, sapevo che saresti venuta qui.
Riprese a baciarla mentre quel pianto continuava insistente.
-Basta! – urlò Desmond – Adesso mi ha proprio stancato!
E con la pistola in mano si avvicinò alle scale.
-Non le farai alcun male! – ribatté Georgie decisa.
Ci fu una corsa sui gradini, il pianto si mescolava al rumore sordo dei passi dei due che fremevano nell’entrare in quella stanza dove la piccolina si dimenava sul letto.
Fu un attimo. Georgie si gettò istintivamente sulla bimba.
Ancora il pianto e delle voci. Ancora rumore di passi.
Poi lo sparo.
Georgie si ritrovò fra le braccia di Arthur.
Sentiva ancora il pianto della bambina ora protetta dal suo adorato papà.
Il sangue, il pianto.
Georgie vedeva il sangue di Desmond che, esanime, giaceva sul pavimento.
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Tutto finito ***


Fritz accostò la porta soffermandosi ancora una volta a guardare Milly che dormiva accanto alla sua mamma nel letto di Kevin.
Il piccolo Abel invece, si era appisolato sulla poltroncina vicino alla finestra anche lui stremato per tutto ciò che era accaduto durante quella lunga giornata.
Finalmente sorridente il conte Gerald tornò in cucina dove Georgie, Arthur e Kevin erano seduti attorno al tavolo.
-Papà – esordì la ragazza togliendosi dalle spalle la coperta che le avvolgeva il busto – la bambina si è addormentata?
-Sì, Milly come Maria sta tranquillamente dormendo – rispose Fritz sedendosi – anche tuo figlio è crollato dalla stanchezza.
Arthur ricoprì con premura sua moglie ancora un po’ pallida e con i brividi addosso, Kevin propose:
-Rimanete tutti qui stanotte, è buio ormai, in qualche modo ci sistemeremo.
-Non credo riuscirò a dormire – disse Georgie – come non sono riuscita a toccare cibo.
-Dovresti stenderti un poco – le consigliò Arthur – oramai è finito tutto. Hai risposto ad ogni domanda del capo della polizia, non hanno più bisogno della tua testimonianza, il caso è chiuso. 
Georgie annuì e si voltò verso suo padre che, con i gomiti appoggiati sul tavolo, si teneva la testa fra le mani in silenzio.
Lei gli sfiorò il braccio, Fritz sollevò il capo e guardandola dichiarò:
-Ho temuto fortemente di perdere le mie due figlie, grazie al cielo non è accaduto.
-Tu e Arthur siete arrivati in tempo – sussurrò la ragazza ancora frastornata.
-No – rispose Gerald – credo che Desmond si sarebbe ucciso comunque. Nella sua follia voleva uccidere anche Milly, tu l’hai salvata gettandoti sopra di lei e, per fortuna, non ha sparato a te.
-È stato determinante anche zio Kevin – disse Arthur aggiungendosi al discorso – ha capito che la casa abbandonata era il nascondiglio di Desmond e ci ha subito indirizzati là.
-Ne era rimasto troppo colpito – spiegò il vecchio – quando l’abbiamo visitata. Georgie ha avuto la mia stessa sensazione.
Dopo un attimo di silenzio Kevin continuò:
-Quella casa da oggi porterà fra le sue mura l’onta di un altro suicidio.
A quelle parole Georgie ebbe un sussulto poi, mentre Arthur le scansava delicatamente i capelli dalla fronte, si domandò a voce alta:
-Perché? Perché l’ha fatto?
Allora Fritz capì che doveva prendere la parola per mettere fine a quella storia e cercare di tranquillizzare sua figlia, per quanto fosse possibile. 
-Desmond non è riuscito a mettere da parte il rancore, il risentimento – disse – ha vissuto per la vendetta e quando l’oggetto del suo odio è venuto a mancare ha dovuto trovare altro su cui riversare il suo scopo malsano.
Quando un bambino cresce in un ambiente poco sereno, nei sensi di colpa, difficilmente potrà colmare quel vuoto di affetto formatosi intorno a lui.
Desmond, purtroppo, non ha saputo trovare una via d’uscita nonostante avesse i mezzi e i soldi per poterlo fare. Il suo cuore era intriso di odio, un odio antico difficile da rimuovere.
Arrivato all’apice l’ha riversato tutto su Milly colpevole, secondo lui, di avere nelle vene il sangue dei Dangering.
È un ragionamento contorto, proprio di una mente folle come la sua.
I suoi demoni l’hanno inseguito da sempre finché l’hanno ucciso.
Nessuno parlò più, il conte ora tamburellava le dita sul tavolo, Arthur con il braccio destro teneva stretta sua moglie mentre Kevin riponeva via lentamente i bicchieri nella credenza.
Fu Georgie a riprendere il discorso chiedendo:
-Che ne sarà del suo cadavere?
Kevin, tornato a sedere, rispose subito:
-Ai suicidi non è consentito l’ingresso al camposanto, molto probabilmente sarà gettato in una fossa comune.
Non lo nominarono ma il pensiero di ciascuno di loro andò ad Abel.
Del suo corpo non si era saputo più nulla. 
Nel parapiglia generale, dopo l’arresto del duca e tutti i fatti che si erano succeduti, non era stato possibile recuperarlo. Riconquistato il suo titolo nobiliare, Fritz aveva tentato di saperne di più ma ormai era trascorso troppo tempo. Quel che rimaneva di terreno di Abel era sicuramente in una fossa comune insieme ai resti di altri sconosciuti malcapitati.
-Avevo chiesto – esordì Arthur inaspettatamente – di poter far mettere una croce con il nome di mio fratello accanto alle tombe di mamma e papà. Il prete mi disse che non c’era problema, si poteva fare, ricordi zio Kevin?
Il vecchio annuì mentre il ragazzo proseguiva dicendo:
-È un modo per mantenere un contatto con suo padre per il piccolo Abel e anche per te Georgie.
Lei ascoltava con gli occhi pieni di lacrime, Arthur affermò guardando il conte:
-C’è posto vicino a quelle croci.
Fritz colse subito l’intenzione e disse:
-Godo della stima del capo della polizia, non credo sarà difficile richiedergli il corpo di Desmond.
-E il prete – suggerì Kevin – farà uno trappo alla regola, è mio amico.
Arthur sorrise e asserì:
-A nessuno dovrebbe esser negata una degna sepoltura.
Georgie strinse ancora più forte la mano di suo marito e osservò suo padre che si stava alzando, quella notte capì con decisione che era stata veramente fortunata ad avere accanto due uomini così generosi, leali e di buoni sentimenti. 
Avendo compreso che altre parole sarebbero state di troppo, Fritz baciò Georgie per poi raggiungere Maria e Milly nella stanza adiacente.   
Kevin lo accompagnò prendendo delle coperte mentre Arthur sentì il bisogno di uscire fuori nel cortile con sua moglie.
-Hai freddo? – le chiese percependo un lieve tremore nella ragazza.
-Un po’ – bisbigliò Georgie -è fresco qui.
-Sei ancora scossa, è normale – affermò Arthur - ma passerà, te lo ripeto, è finito tutto.
Georgie, prendendo forza dentro di sé, gli disse:
-No, ancora c’è qualcosa che devi sapere. Questa storia non è definitivamente conclusa.
Lui sorrise scuotendo la testa:
-Cosa altro può esserci? – domandò – È stato detto tutto.
-Quando mi fermai alla locanda per via del temporale – esordì Georgie non distogliendo lo sguardo dal suo – la notte prima di arrivare da mio padre. Devi ascoltarmi Arthur.
-Va bene – rispose il giovane con dolcezza – raccontami.
E lui ascoltò.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


Milly si divertiva con Abel junior sul prato, il sole scaldava i loro volti sorridenti, intorno gli adulti conversavano tra loro tranquillamente avendo quasi terminato l’ottimo pranzo.
-Adoro questa atmosfera bucolica – confidò Maria a Georgie sedendo accanto a lei – è una festa così serena e intima, perfetta per l’occasione!
Georgie annuì guardando con amore il piccolo Adam che, fra le sue braccia, si era appena svegliato.
-Il rito del battesimo poi – continuò Maria – avvenuto qui, all’aperto, è stato caratteristico e molto sentito.
In quel momento furono raggiunte da Arthur che disse:
-Georgie, credo che tuo padre voglia dire due parole di ringraziamento, avviciniamoci a lui.
Le due ragazze si alzarono per raggiungere il conte che, preso Adam in braccio, iniziò rivolgendosi ai presenti:
-Grazie a tutti per aver condiviso questa giornata di gioia con noi. È stato bello poter festeggiare insieme il battesimo di mio nipote Adam e l’ampliamento della fattoria. Un grazie speciale all’amico padre Baker che è venuto volentieri a celebrare il rito e al conte Huxley, nuovo socio di Arthur. 
Ci fu un semplice brindisi seguito da un lungo applauso che sottolineò quel bel clima creatosi.
Il banchetto continuò serenamente, Maria portò dei dolci a Milly e Abel junior che si erano posizionati sotto un albero, Fritz dialogava ora con Huxley e padre Baker con zio Kevin.
Georgie e Arthur erano alle prese con il bambino che era attratto dalla confusione e da tutta quella gente intorno.
-Sono così felice Georgie – disse Arthur a sua moglie – credo che la vita non potrà darmi niente di più bello di quello che possiedo ora, una famiglia unita e serena e un lavoro che mi soddisfa pienamente.
-Entrambi siamo felici – aggiunse Georgie – finalmente felici.
Un bacio suggellò quelle parole poi Arthur portò il piccolino dagli altri ospiti mentre Georgie andò in casa a prendere ulteriori dolciumi.
Tornando fuori, dopo aver lasciato il vassoio sulla tavola, Georgie si appoggiò alla staccionata in solitudine.
Da lì poteva vedere tutti i suoi cari, era veramente un bel quadretto familiare. Arthur e i bambini, suo padre e Maria con Milly, zio Kevin e poi gli amici sinceri.
Una brezza di vento le scostò i capelli, ora il suo sguardo andava lontano.
Anche Abel era lì, lo percepiva in momenti come quelli, quando la pioggia improvvisa, un raggio di sole o una semplice folata di vento la sfioravano inaspettatamente. 
Era felice perché sapeva che Abel non l’aveva mai abbandonata, era nella rugiada del mattino, tra le foglie dei grandi alberi dei boschi, era nelle piccole cose forse impercettibili agli altri ma non a lei.  
Era certa che Abel stava dove non c’è più odio, né tormento, né dolore, dove tutto è quiete e dove, forse, anche Desmond aveva finalmente trovato pace.
 
Fine
 
 
 
Non so se questo era il finale che preferivate, io ho amato fortemente questa storia nata per caso, come ho amato Desmond nonostante l’epilogo per lui amaro. Grazie a voi che avete letto, commentato, recensito.
A presto con altre storie.
Francesca
 
 

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