L'UOMO CHE VOLEVA DIMENTICARE

di ZereJoke94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- STATO D'INERZIA ***
Capitolo 2: *** 2- LA RICHIESTA ***
Capitolo 3: *** 3- QUEL GIORNO DI FEBBRAIO ***



Capitolo 1
*** 1- STATO D'INERZIA ***


L'UOMO CHE VOLEVA DIMENTICARE

1- STATO D'INERZIA
 
A Levi non era mai piaciuto chiedere il permesso. Era qualcosa che non gli apparteneva, anzi, gli faceva venire uno strano prurito alla base del collo. Insopportabile.
Viene da se, che Levi odiasse chiedere il permesso per pisciare, nonostante riuscisse a mantenere un'espressione assolutamente neutra, mentre quel prurito che poteva calmare solo a suon di pugni, lo consumava.
Odiava chiedere il fottuto permesso in generale, figuriamoci per andare a pisciare. Fu per questo preciso motivo che, quel giorno, decise di non farlo.
Si afferrò l'elastico dei pantaloni della divisa, preso da chissà quale senso di stupida ribellione, e fece per tirarseli giù.
"Che diavolo stai facendo?!" Jean gli afferrò i polsi, fissandolo con aria accigliata. Da dove diavolo era sbucato?
"Jean, dannato imbecille. Lasciami fare" Ringhiò Levi.
"CHE. COSA. DIAMINE. STAI. FACENDO?" Scandì nuovamente Jean, aumentando la stretta intorno alla sua pelle. Lo sovrastava di quasi venti centimetri. Ciò nonostante, a Levi sfuggì una risatina di scherno.
-Non è ovvio?-
-Si, è ovvio che vuoi farti sbattere di nuovo in isolamento-
Con la coda dell'occhio, Levi notò una guardia che si era voltata nella loro direzione, posando lo sguardo sulle mani di Jean. Si liberò con uno strattone.
Jean era qualcosa di simile ad un suo amico. Lo era sempre stato, da quando era arrivato al "Rose State Penitentiary", tre anni prima. Levi era dentro già da un anno quando lo aveva conosciuto, eppure quest'ultimo sembrava essersi ambientato molto meglio di lui.
Chiedeva il permesso di pisciare quando gli scappava. Senza il minimo problema. Non si faceva sbattere in isolamento ogni mese. 
"Sembra fottutamente facile per te startene a novanta gradi ogni cazzo di giorno" Sputò fuori Levi, mettendosi a camminare, le mani serrate dentro le tasche. Jean roteò gli occhi e lo seguì.
C'era un bel sole, pensò. Considerò che quell'ora d'aria che era loro concessa ogni giorno sembrasse un pò una crudeltà, con un tempo simile. Preferiva le giornate in cui il cielo sembrava una lastra grigia. Così tutto si mescolava meglio. Si confondeva, almeno cromaticamente.
"Cerco solo di cavarmela" La voce dell'amico lo riscosse da quei pensieri, e Levi raddrizzò la testa.
"Alcuni di noi sono più bravi di altri con questo genere di cose"
"C'è un limite a quello che la mente di una persona può sopportare. Prima o poi ti stancherai anche tu, e allora scoprirai di essere bravo almeno quanto me"
Levi liquidò la faccenda con un gesto della mano. Jean era troppo opportunista e interessato ad aver salva la buccia per capire i suoi momenti. Intendiamoci, Levi rispettava Jean e viceversa, ma erano molto diversi. Semplicemente Levi certe volte non riusciva a sopportare la sua attuale condizione.
Non che non se la meritasse.
"Cazzo, odio questo tempo".

Diverse ore dopo, Levi appoggiò la testa a due delle sbarre della sua cella. Le giornate erano lunghe al "Rose State Penitentiary", eppure sembravano così corte a volte...e così inutili.
Al mattino, li buttavano giù dalla branda non più tardi delle cinque (o almeno così ipotizzava Levi; non gli era concesso avere un'orologio), lasciavano loro qualche minuto per espletare le loro eventuali esigenze fisiologiche e per lavarsi (se darsi una sciacquata a mani e viso potesse in qualche modo definire quel concetto. Levi avrebbe avuto diverse cose da ridire sul frangente "pulizia") e poi venivano condotti ai loro posti di lavoro.
Levi non aveva un'occupazione fissa, come la maggior parte dei detenuti. Certi giorni veniva assegnato alla lavanderia, altri a zappare la terra, altri ancora a fare piccoli lavori di manutenzione in giro per il carcere. Non che fosse particolarmente bravo in quell'ultimo compito; preferiva di gran lunga stare in lavanderia. Vedere le condizioni in cui arrivavano le divise dei detenuti e confrontarle con quelle in cui uscivano dalla lavanderia dopo essere passate per le sue grinfie gli dava una soddisfazione considerevole.
Comunque, dopo aver passato non meno di nove o dieci ore a lavoro, concedevano loro qualcosa come un pasto. In realtà, la prima volta che aveva fissato quello che aveva nel piatto, dubitò che quella poltiglia marroncina potesse essere commestibile. Si rifiutò di mangiare, per qualche giorno. 
Botte. Isolamento. Crampi.
Non mangiò nemmenoi primi due giorni che lo tennero rinchiuso in quella stanzetta imbottita, al buio. Due volte al giorno una mano faceva capolino dall'unica, piccola fessura ai piedi della porta, e lasciava a Levi una scodella piena di quella poltiglia schifosa.
La ignorò, appunto, per due giorni. Il terzo giorno (il sesto che non mangiava), allungò debolmente la mano verso la scodella.
Non lasciò nemmeno un briciolo di quello schifo.
Dopo il pranzo, un'ora d'aria.
Circa duecento uomini provenienti dai tre stabili di cui si componeva il "Rose" lasciati a bighellonare per sessanta minuti in uno spiazzo di cemento circondato da una cinta muraria con quattro torrette di controllo agli angoli. Praticamente ti lasciavano fumare una sigaretta e fare quattro chiacchiere con un fucile di precisione puntato alla testa. Non che potesse biasimarli.
Il resto della giornata si trascinava all'interno dell'area comune. Nello stabile dove si trovava Levi, il numero 1, erano una sessantina.
Quella era forse la parte delle sue giornate che più odiava. Essere costretto a starsene seduto in una sala gremita di uomini. Chi giocava a carte, chi si faceva due risate, chi si azzuffava e veniva poi pestato a sangue dalle guardie...che noia infinita. 
Alla fine, la sera,  dopo che le luci erano state spente, si ritrovava sempre con la testa appoggiata alle sbarre della sua cella, a pensare alla sua vita li dentro, e a contare gli anni che gli mancavano prima di poter uscire...
-Levi?- La voce di Eren, dalla cella accanto, interruppe il flusso dei suoi pensieri depressi.
-Mmm-
Eren Jaeger. Il suo vicino di cella fin dal primo giorno in cui aveva dormito al "Rose". Era dentro per omicidio. In uno scatto d'ira aveva messo fine all'esistenza di un'intera famiglia. Ogni tanto Levi captava quella follia omicida, in uno scintillio in fondo ai suoi occhi verdi...ma per la maggior parte del tempo, lo sguardo di Eren era velato, quasi vuoto.
-Niente- Eren fece una pausa che durò diversi secondi -...E' che, certe volte, tutto questo è così opprimente-
-Già...-
Sia Levi che Eren non erano due chiacchieroni, quindi la coversazione rimase sospesa. Lo sarebbe stata fino alla sera seguente, probabilmente. Se non si fossero incontrati prima.
-Domani arrivano le nuove reclute- Mormorò invece Eren. 
Levi si staccò dalle sbarrre e diresse lentamente verso la sua branda.
"Cazzo" Pensò, allungandosi su quella sottospecie di materasso e cercando di scacciare con un certo orrore la crescente convinzione che le lenzuola fossero le stesse da quattro anni "E' passato solo un mese dall'ultima volta?".


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Angolino dell'autrice:
Ciao a tutti! E' la mia prima ff su quest'universo, e come avrete notato ho voluto ambientarla in un AU in cui Levi e altri personaggi de "L'attacco dei giganti" si trovano in prigione.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo lasciandomi una recensione! A presto spero!

 

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Capitolo 2
*** 2- LA RICHIESTA ***


L'UOMO CHE VOLEVA DIMENTICARE

2- LA RICHIESTA

-Che hanno da guardare?- Mormorò Jean, con un'espressione corrucciata e le braccia incrociate al petto.
-Lo sai- Levi si sedette sulla gradinata e fece cenno a Jean di fare altrettanto -Rilassati, o capiranno che sei sulla difensiva; la cosa li intrigherà e allora le loro attenzioni non si limiteranno a semplici sguardi-
Jean obbedì senza fiatare, ma gli parve che il tono di Levi fosse un pò troppo accondiscendente.  Non che dalla sua espressione trasparisse alcunchè.
-Gli uomini restano sempre uomini, Jean. In mancanza di ciò che li aggrada di più, finiscono per farsi piacere qualcos'altro- Continuò.
-Non venirmi a spiegare certe cose, dannazione- 
Levi ruotò leggermente il busto verso l'amico, per vederlo meglio in faccia. Quelle attenzioni sempre crescenti da parte del gruppo che in tutta la prigione era conosciuto come "Le Signore", preoccupavano davvero Jean. Le sue sopracciglia erano così arcuate che quasi si toccavano.
Era comprensibile. Levi aveva avuto a che fare con quelli qualche mese dopo essere arrivato al "Rose". 
All'inizio, come stava succedendo ora con Jean, erano stati semplici sguardi lascivi. Il tizio calvo, il più grosso dei quattro, aveva fatto una faccia elettrizzata quando Levi, accortosi dell'ennesima occhiata indirizzata tra le sue cosce, aveva alzato gli occhi al cielo senza preoccuparsi troppo di nasconderlo ai diretti interessati.
Lì per lì, non aveva capito che con quel gesto non aveva fatto altro che buttare  benzina sul fuoco. Fu un ingenuo, e fu strano, perchè non era da lui fare certi errori.
Non voleva che Jean facesse lo stesso mostrando apertamente loro di non avere alcuna inclinazione in quel senso.
-Alle Signore piace stuprare la gente, Jean- Mormorò, guardando di nuovo fisso di fronte a se. Dall'altra parte del piazzale, a un centinaio di metri da lui, quattro paia di occhi erano fissi sull'uomo alla sua sinistra. Di solito, la fase intimidatoria era corale -L'importante è che Rod non carpisca il tuo terrore, o il tuo disgusto. E' lui che decide con chi si gioca-
-Ma...tu...- Jean lo guardò di sottecchi, lasciando che il resto della domanda rimanesse sospesa nell'aria. Si passò una mano sudata tra i capelli biondo scuro.
-Ci hanno provato. Hai presente quello a cui manca un dito?- Levi si accese una sigaretta.
-Vagamente-
Inspirò profondamente una boccata di fumo. In realtà non amava fumare, ma era l'unico vizio che gli era concesso li dentro.
-Gliel'ho mozzato io. Gli ho detto che se ci avessero riprovato, gli avrei staccato a morsi quei quattro cazzi mosci-
-Ma non dire stronzate...- Jean scosse la testa, accennando un sorriso.
Levi si voltò lentamente, lasciando tutto il tempo all'amico di rendersi conto di essere osservato. Quando Jean lo guardò negli occhi, Levi non disse nulla. L'angolo della bocca di Jean si abbassò, e il discorso finì li.

Tra le tante cose che Levi non amava, c'era il chiasso. Quello ingiustificato, perlomeno...ed era consuetudine, una volta al mese, che al "Rose" si levasse un gran chiasso.
All'inizio era un mormorio di eccitazione. Poi un passaparola, puntuale come la morte di Cristo il venerdì prima di Pasqua. Alla fine, nel momentro in cui le nuove reclute sfilavano loro malgrado davanti a tutti i detenuti dentro le loro celle, l'intero braccio si trasformava in un girone infernale.
-Tsk- Fece Levi osservando la scena, da  una posizione a dire la verità piuttosto buona. La sua cella si trovava al primo piano, a una ventina di metri rispetto alla porta da dove si accedeva al braccio. Non era ne troppo in alto ne troppo in basso, e poteva godersi con facilità quello spettacolo pietoso.
Di certo, quelli al secondo e terzo piano non sarebbero riusciti a vedere le lacrime che rigavano le guance del ragazzo che entrò nel braccio per secondo. Ne il leggero tremolio delle mani di quello che lo precedeva. Quelli al piano terra invece, non avrebbero potuto osservare la scena nella sua completezza.
"Sono davvero uno stronzo fortunato..." pensò amaramente. Avrebbe volentieri lasciato la sua cella dalla vista privilegiata a qualcuno più interessato a quello che stava accadendo. Ciò nonostante se ne rimase appoggiato alle sbarre, troppo annoiato per negarsi l'occasione di passare cinque minuti in un modo diverso dal fissare il soffitto sopra di se.
Erwin Smith, il capo delle guardie, colpì violentemente con il manganello la sbarra metallica di una delle celle al piano di sotto. L'uomo all'interno della cella sobbalzò e le urla dei detenuti si placarono un pò. Lui non era il classico secondino stronzo che ti prendeva a manganellate perchè glielo faceva venire duro. Semplicemente incuteva un certo rispetto con il suo sguardo glaciale e la postura diritta persino nel più scalmanato dei delinquenti.
Appena vi fu qualcosa di simile al silenzio, Smith rimise il manganello al suo posto e incrociò le mani dietro la schiena.
Fece un cenno ad suo uomo.
-Fermi. Voltatevi verso sinistra!- Urlò quello.
Le nuove reclute si fermarono e fecero come era stato detto loro.
-Parecchi di loro non arriveranno alla prossima settimana- Fece Eren dalla cella accanto.
Levi non rispose, scandagliando i volti degli uomini. A giudicare dalle espressioni di alcuni, era probabile che Eren avesse ragione.
-Benvenuti al "Rose State Penitentiary"- Iniziò Erwin, cominciando a camminare lentamente lungo il corridoio e sfilando a sua volta davanti alle nuove reclute -Le regole qui sono davvero molto semplici-
-A prova di idiota!!- Sghignazzò qualcuno dal secondo piano, suscitando qualche risata.
Smith fece una pausa, passando davanti al ragazzo che non riusciva a smettere di piangere.
-Uno: Scontate la vostra pena con dignità. Lavorerete tutti i giorni. Non tollererò chi pretende di bighellonare in giro per tutto il tempo.
Due: Non create problemi al personale penitenziario o agli altri detenuti. Non amiamo abusare del nostro potere, ma se io o un mio collega saremo costretti a sbattere qualcuno in isolamento o, peggio, a picchiarlo fino a mandarlo in infermeria o al Creatore, state certi che lo faremo.
Tre: Pregate per le vostre anime. L'uomo non ha il potere di assolvervi, ma solo quello di punirvi-
Levi alzò gli occhi al cielo. Qualcuno gridò "AMEN!" suscitando si nuovo diverse risate e qualche commento blasfemo.
-Avete domande?- Fece Erwin.
Qualche istante di silenzio, poi qualcuno parlò -Si, io ne ho una. Una richiesta-
Levi rimase sorpreso. Di solito nessuno si disturbava a fare domande, dopo la paternale di Erwin. Si sporse leggeremente per riuscire a vedere meglio chi avesse parlato.
"Una richiesta?" Ripetè mentalmente Levi.
Il capo delle guardie fece qualche passo verso destra e si fermò davanti ad un uomo biondo, piuttosto alto, anche se non quanto lui. Con il suo corpo che gli impediva la visuale sul prigioniero, Levi non riusciva a vederlo in faccia.
-Il tuo nome?- 
-Reiner Braun- Rispose il biondo, con voce ferma.
Levi immaginò che Erwin avesse semplicemente annuito, perchè non disse nulla per qualche istante.
-Parla- Fece alla fine, spostandosi leggermente. Levi allungò ancora di più il collo e scorse il viso dell'interlocutore di Erwin. Lineamenti virili, quasi duri. Un'espressione severa. Sopracciglia lunghe e ben definite ad incorniciare occhi di cui non riuscì a identificare il colore. Più in basso, spalle larghe e una corporatura in generale robusta. La bocca di Levi si piegò involontariamente all'ingiù.
-Vorrei essere condotto in isolamento-.

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Capitolo 3
*** 3- QUEL GIORNO DI FEBBRAIO ***


L'UOMO CHE VOLEVA DIMENTICARE

3- QUEL GIORNO DI FEBBRAIO

Levi chiuse gli occhi. Di solito, lavorare in lavanderia gli piaceva.
Quel giorno però, complice il fatto che al "Rose" fossero arrivate diverse decine di detenuti in più, alcuni lavoratori che di solito si occupavano di tutt'altro erano stati assegnati al lavaggio delle nuove uniformi.
Ora, Levi apprezzava Jean singolarmente. Tollerava le sue battute stupide e il fatto che avesse un'altissima considerazione di sè.
Anche Eren gli andava relativamente a genio. Non era un gran chiacchierone, quindi come vicino di cella andava più che bene.
Il problema nasceva nel momento in cui Jean ed Eren si ritrovavano a dover trascorrere del tempo insieme. Levi si premette una mano sulla tempia sinistra.
-...proprio lasciar perdere. Sei negato!- Sbuffò Jean, strappando di mano ad Eren un paio di pantaloni.
-Ah beh, se lo dici tu! Pretratti tutte le macchie indistintamente, non credo che funzioni così-
-Sta zitto! Dio!-
Jean diede le spalle ad Eren e fissò la macchia marroncina per un paio di secondi di troppo. Questo fece schizzare il sangue al cervello di Levi.
-Quanto a lungo devi fissarla per capire che è vomito!? Razza di idiota?- Fece. Solo un leggero tremolio del sopracciglio a tradire l'attacco di isteria che l'aveva colto.
Eren e Jean si voltarono verso di lui. 
-Tu dici? Ora che lo guardo bene...-
-Fammi annusare!- Lo interruppe Eren, allungando una mano verso l'oggetto di tanto trambusto.
-Levati!-
Levi diede loro le spalle -Tsk-
"Cazzo, come odio la mia vita".

Levi osservò con un malcelato senso di disgusto il tizio che gli sedeva di fronte.
Si rendeva perfettamente conto che una saponetta che non odorava di sapone e un lavandino da cui usciva solo acqua gelida non fossero chissà quanto incentivanti al mantenimento di una igiene personale più che buona, ma cazzo, poteva sentire la puzza proveniente dalle ascelle di quel tipo da un metro di distanza! Un metro e mezzo, se consideriamo il balzo all'indietro che aveva fatto non appena si era accorto della cosa.
Sospirò e si portò alla bocca quel che rimaneva della patata insapore che aveva nel piatto. Masticò velocemente e la buttò giù, tentando in tutti i modi di smettere di chiedersi se fosse effettivamente una patata poco saporita, quella che aveva appena introdotto nel suo corpo.
Il tizio puzzolente sembrava averla apprezzata molto più di lui, a giudicare dal modo in cui si leccava le dita sudicie mentre se ne andava.
Avrebbe potuto vomitare, se la sua attenzione non fosse stata catturata da un paio di guardie che facevano il loro ingresso in mensa. In mezzo a loro, il biondo della sera in cui erano arrivate le nuove reclute.
Quanti giorni erano passati da quando quello svitato aveva chiesto a Erwin Smith di essere messo in isolamento? Cinque?
-Reiner Braun- Aveva sbuffato Eren subito dopo l'accaduto -Il classico sbruffone che vuole mettere in chiaro sin da subito che non ha paura di niente. Sentiremo le sue urla dal fottuto tetto se Erwin lo farà contento-
Levi non sapeva se essere d'accordo con lui. Non che gli interessasse più di tanto.
Abbassò di nuovo gli occhi, percependo intorno a se un brusio di sottofondo. In effetti, negli ultimi giorni, Reiner Braun era divenatto quanto di pù simile ad una celebrità. Nel senso negativo del termine.
Un paio di giorni prima Levi, durante l'ora d'aria, aveva intercettato due diversi gruppi di uomini che scommettevano su quanto velocemente sarebbe impazzito questo Braun dentro quella cella.
-Hey tu, Ackerman- Lo aveva spostrofato uno di quei tizi. Era strano che quasi tutti conoscessero il suo nome, mentre lui perlopiù si riferiva a quasi chiunque come "tizio". Intendiamoci, conosceva la faccia e il temperamento di ogni singolo uomo li dentro; ma non si prendeva la briga di memorizzarne il nome.
Levi si era voltato, le mani in tasca e i capelli che gli ricadevano sulla fronte.
-Tu ci sei stato. Com'è li dentro?- 
Si era stretto nelle spalle -Noioso. Non è così semplice impazzire, comunque. Fossi in voi mi terrei le sigarette in tasca-

In ogni caso, Erwin Smith non era tanto sadico da mettere qualcuno in isolamento solo perchè questi glielo chiedeva, anche se in effetti Reiner Braun non si era più visto dopo quella sera. Fino ad ora.
Si raddrizzò sulla sedia e osservò le guardie fare dietrofront, mentre Reiner si stava dirigendo verso le sedute senza prima fermarsi a prendere nulla da mangiare. Quando Levi si accorse che stava per sedersi di fronte a lui, pensò di alzarsi e togliere il disturbo, ma un insolito senso di curiosità lo spinse a non muovere il culo dalla sedia.
Si rilassò sulla sedia e incrociò le braccia, osservandolo mentre prendeva posto sulla stessa sedia che cinque minuti prima era stata occupata dal tizio dalla scarsa igiene. Reiner si massaggiò i polsi per qualche istante, per poi piantare i gomiti sul tavolo prendendosi la testa tra le mani. Rimase in quella posizione per una manciata di secondi.
Levi lo fissò torvo.
-Come hai fatto a convincere Smith a metterti in isolamento?- Eren Jaeger, spuntato dal nulla alle spalle di Levi, si sedette di fianco a lui come se nulla fosse.
Levi scosse la testa. La maggior parte del tempo, Eren era taciturno e il suo sguardo sembrava oltrepassarti senza che ti guardasse davvero...ma altre volte, come quando si azzuffava con Jean o faceva domande indiscrete senza il minimo filtro, sembrava un dannato moccioso.
Reiner alzò lentamente la testa, rivelando degli occhi dal taglio lungo e sottile, di un color nocciola. Occhiaie violacee facevano loro da contorno.
Guardò Eren senza dire nulla per qualche istante, sistemandosi sulla sedia. Poi sollevò un angolo della bocca e aggrottò leggermente la fronte -Ho fatto in modo di meritarmelo, ficcanaso-
-Eppure non mi pare di averti sentito mandare Erwin a farsi fottere- Insistette Eren, gli occhi verdi piantati su Reiner che ora sembrava sinceramente divertito.
-Oh, non sono così trasparente- 
-Dì un pò Levi- Fece Eren, dandogli una gomitata -Quanto pensi che durerà il nostro eroe?-
-Spero abbastanza da farti un occhio nero, deficiente-
Eren alzò gli occhi al cielo, e poi sembrò afflosciarsi, come un palloncino sgonfio.
Reiner lo sguardò brevemente, poi pose la sua attenzione su Levi.
-Reiner Braun- Si presentò, alzandosi in piedi e porgendogli la mano. Levi lo fissò per qualche istante e alla fine lo imitò.
"Cazzo, quanto sei grosso" Pensò amaramente. Il suo metro e sessanta sembrava accorciarsi ancora di più vicino ad una fisicità così robusta e ad un'altezza di almeno un metro e ottantacinque.
La stretta di Reiner fu sicura e calda, e a Levi sembrò che la sua mano fosse sparita in quella di lui. La ritirò con un moto di stizza che nascose perfettamente.
-Levi Ackerman-
Le pupille di Reiner si dilatarono leggerermente -Ackerman?-
-Mmh-

Levi era abituato allo stupore della gente, quando veniva a sapere il suo cognome.
La famiglia Ackerman aveva da decenni un forte legame con la mafia di Shiganshina, e si portava dietro una lunga scia di sangue. Fin da piccolo, Levi era stato educato da suo zio a diventare il mercenario perfetto.
Addestrato a nascondere le proprie emozioni; a portare a termine il lavoro in modo rapido e pulito, Levi, a soli ventidue anni, era già in grado di rivaleggiare in quanto a letalità lo zio che lo aveva cresciuto e formato, Kenny.
Per dieci anni aveva servito i Reiss, togliendo di mezzo chiunque fosse stato d'intralcio alla supremazia della Famiglia. Per dieci anni non si era mai fermato a pensare se quello che stava facendo fosse giusto o sbagliato, semplicemente era la sua vita; quello che il fottuto destino aveva riservato per lui. 
Fino a un giorno di febbraio.

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Angolino dell'autrice:
Ciao a tutti!! Eccomi tornata con questo nuovo capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate lasciandomi una piccola recensione :)
Ci siamo come lunghezza o è troppo corto? Di solito tendo a fare i capitoli più lunghi (chi ha letto "Live for him " sa! ahah). Continuo con questa lunghezza o allungo? Ho gi° materiale per altri 4/5 capitoli...si tratterebbe solo di modificarne la suddivisione. Fatemi sapere!
Un bacio a tutti!

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