Sometimes the only choices you have are bad ones. But you still have to choose.

di Quasar93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - The Downfall ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - War of Change ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - The Next Right Thing ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - HYMN for the missing ***
Capitolo 5: *** Epilogo - Coming Home ***



Capitolo 1
*** Prologo - The Downfall ***


Paura.
Improvvisa, senza senso e così intensa da farti mancare il respiro.

La prima volta che Gintoki aveva sperimentato di nuovo quella sensazione era stata dopo la battaglia di Iga contro il suo vecchio amico Shinsuke Takasugi.
Era all’ospedale di Edo ed erano passate ormai tre settimane da quando aveva di nuovo incrociato la spada con quella dell’altro ragazzo e non riusciva a smettere di pensarci. Tutti quegli anni, tutto quel tempo sprecato ad odiarsi quando in fondo, la persona che davvero entrambi odiavano, erano loro stessi.
Gli faceva male vedere quanto tutto questo avesse trasformato il ragazzo col quale combatteva schiena contro schiena in guerra, il bambino al cui fianco aveva seguito gli insegnamenti di Shoyo, l’amico al quale avrebbe affidato la propria vita in battaglia. E non poteva non viverlo come il suo ennesimo fallimento: non solo non era riuscito a proteggere Shoyo ma nemmeno i suoi compagni, andati alla deriva a causa di un dolore che lui più di chiunque altro ben conosceva.
Se solo si fossero parlati prima, se solo avessero incrociato prima le spade in quel combattimento che era servito più di mille parole.
Era proprio mentre ripensava per l’ennesima volta a quegli eventi, chiedendosi se, in fondo, non ci fosse una speranza per Takasugi, se non fosse stato possibile riportarlo in qualche modo nella luce invece di farsi carico anche del suo cadavere, che la paura si era fatta viva.
La testa aveva iniziato a girargli e si era sentito mancare il respiro. Si era guardato subito intorno allarmato, più del fatto che qualcuno potesse vederlo in quello stato di agitazione che per ciò che temeva gli sarebbe successo.
Fortunatamente in quel momento al suo capezzale non c’era nessuno.
Cercò di respirare profondamente e lentamente, e la paura pian piano se ne tornò da dov’era venuta.
Che stesse di nuovo impazzando?
Che bisogno c’era di avere paura ora?
Paura di cosa poi?
Che il suo cuore non potesse sopportare l’idea di uccidere anche Takasugi dopo Shoyo? Che non sarebbe riuscito a salvarlo per la seconda volta?

 

Fear in me so deep
It gets the best of me
In the fear I fall
Here it comes face to face with me
Here I stand
Hold back so no one can see
I feel these wounds
Step down, step down, step…

 
La seconda volta che quella paura improvvisa bussò alla porta di Gintoki fu mentre si nascondeva ad Akiba insieme ai ribelli Joi di Katsura.
Dopo gli eventi della battaglia sull’isola prigione di Kokujo infatti era diventato un ricercato del Bakufu e non poteva certo tornare alla Yorozuya come se niente fosse. La sua vita, per la prima volta dopo molto tempo, stava per cambiare irrimediabilmente.
Quella sera stava riposando in un futon accanto a Shinpachi e Kagura, le ferite che aveva riportato durante lo scontro con Utsuro gridavano in cerca di attenzione, più per riportargli alla mente chi era ora il suo nemico che per il dolore fisico in sé. Se già dopo lo scontro con Takasugi Gintoki stava vivendo un frenetico miscuglio emotivo, l’incontro con Utsuro l’aveva definitivamente destabilizzato.
Non sapeva cosa pensare e cosa fosse giusto fare.
Mai come in quel momento la propria volontà e la cosa giusta da fare divergevano in tal modo. Ma non poteva lasciar trasparire nulla, doveva essere forte, doveva essere idiota, doveva essere il Gintoki di sempre per non preoccupare i ragazzi che contavano su di lui.
Non c’era spazio per i propri pensieri, non ora che la situazione era tutt’altro che risolta.
Si girò a guardare i due ragazzi che giocavano tra loro al suo fianco e sentì una stretta al petto.
Gli mancava il respiro e si sentì le mani sudate.
No, no… Non adesso, non con loro
Pensò, cercando con tutte le sue forze di ricacciare indietro quelle sensazioni che sempre più prepotentemente stavano prendendo il controllo del suo corpo e della sua mente.
Era terrorizzato e iniziò a tremare impercettibilmente, cercando di nascondere il respiro affannoso e il senso di pericolo immotivato che avvertiva.
Avrebbe voluto mandare subito via i ragazzi ma temeva che se avrebbe aperto bocca si sarebbe tradito.
Perché questa paura insensata era tornata a fargli visita, perché? Sperava che fosse un capitolo chiuso del proprio passato, una debolezza debellata. L’ultima volta che era stato così…
No, pensarci non faceva che peggiorare la situazione.
Voleva scappare.
Se non fosse riuscito ad allontanare i ragazzi poteva sempre scappare lui. Se l’avessero visto così, se avessero capito che in lui c’era qualcosa che non andava, temeva che l’avrebbero lasciato solo.
Si alzò di scatto e, sotto gli sguardi sorpresi e interrogativi dei due ragazzi, si chiuse in bagno lasciandosi cadere contro la porta con la schiena e respirando affannosamente.
Gli faceva schifo sentirsi così debole e spaventato, si vergognava da morire, soprattutto perché non ce n’era motivo.
Ma dopotutto era sempre stato così, pensò, anche allora come oggi non era che un samurai difettoso incapace di proteggere alcunché.

 
No one can see
Everything on the other side of me
I walk I crawl
Losing everything and waiting
For a downfall
No one can see
Anything on the other side of me
I walk I crawl
Losing everything on the downfall

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Note:
Gli headcanon presenti in questa fanfiction sono condivisi con Bored94 e Magnetic_Ginger, quindi se avete letto (o leggerete, molte sono in wip) più fanfiction nostre e trovate delle somiglianze è normale, siamo d'accordo per riempire a turno i vari missing moments (ci conosciamo irl, quindi nessun plagio all'orizzonte).

Le nostre fanfiction che rientrano al momento nel progetto sono, in ordine cronologico:
- Sometimes the only choices you have are bad ones. But you still have to choose - Quasar93 (questa che state leggendo)
- L'unica scelta possibile - Bored94 (contemporanea a questa)
- Il peso di una promessa - Bored94
- Riconciliazione - Bored94
- Propositi e vendette - Bored94
- Nightmares - Quasar93


Mentre la timeline su cui ci basiamo, ricavata dai riferimenti canon e adattata un pochino è questa (basata sull'età di Gintoki):
- 8 anni Gintoki viene trovato da Shoyo
- 10/11 anni Takasugi e Katsura arrivano alla Shoka Sonjuku
- 16/17 anni Shoyo viene catturato e i ragazzi entrano in guerra
- 21 anni morte di Shoyo, i joi4 si separano, Gintoki si consegna agli Hitotsubashi
- 22 anni Gintoki si stabilisce a Kabuki-cho
- 27 anni incontro con Shinpachi e Kagura
- 30 anni guerra contro l'esercito della liberazione
- 32 anni arco dei due anni dopo
- 34 anni epilogo del manga

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - War of Change ***


It's a truth that in love and war,
World's collide and hearts get broken,
I want to live like I know I'm dying,
Take up my cross, not be afraid
 
Gintoki uscì dall’infermeria da campo per dirigersi al falò dove lo aspettavano due degli altri tre Re Celesti dell’esercito dei ribelli Joi: Kotaro Katsura, la Nobile Furia e Shinsuke Takasugi, il comandante del Kiheitai.
Quella sera il samurai coi capelli argentati era nervoso, cosa strana per lui.
Nonostante la sua giovane età di appena ventuno anni era infatti abituato al campo di battaglia. Si poteva dire, in un certo senso, che ne fosse egli stesso una creazione. Orfano di guerra, si era ritrovato a dover combattere e derubare i cadaveri uccisi da altri per sopravvivere fin da quando avesse memoria. E ora, che già da qualche anno il sensei Shoyo era stato catturato e la sua dimora data alle fiamme, il campo di battaglia era tornato la sua casa.
Erano circa 4 anni che lui e i suoi compagni calcavano quei terreni intrisi di odio e sangue, combattendo la guerra contro gli invasori del cielo a difesa del proprio paese. Ma la verità, che non avrebbero mai ammesso davanti alle truppe, era che avevano anche un altro obbiettivo, che per loro era perfino più importante della propria patria: attaccare la Tenshoin Naraku e salvare il loro sensei dai loro artigli.
Proprio per questo motivo Gintoki era così teso quella sera.
Il momento era finalmente arrivato.
Avevano individuato la localizzazione di una delle fortezze dei Corvi, quella dove tenevano Shoyo. Avrebbero attaccato quella notte stessa, restavano da definire solo gli ultimi dettagli. Il samurai coi capelli argentati avrebbe dovuto sentirsi euforico, eccitato quasi, all’idea di poter finalmente combattere la battaglia che più di ogni altra voleva combattere, alla vista così vicina dello scopo che si era prefissato fin da quella notte in cui i Naraku avevano bruciato la sua scuola e la sua casa e avevano portato via quell’uomo che per lui era stato come un padre oltre che un sensei.
Eppure non era questo il sentimento che provava.
Non era questa l’agitazione che gli pervadeva il corpo.
Aveva… Paura?
Ricacciò indietro quella sensazione con tutto sé stesso.
I samurai non hanno paura, lui non poteva averne. Non in battaglia. Non prima di quella battaglia.
 
Is it true what they say, that words are weapons?
And if it is, then everybody best stop steppin',
Cause I got ten in my pocket that'll bend ya locket,
I'm tired of all these rockers sayin' come with me
 
“Gintoki! Ci hai messo molto, è tutto a posto?” lo distolse dai suoi pensieri Katsura, vedendo che indugiava a sedersi accanto a loro attorno al falò.
Gintoki annuì e li raggiunse, ma non rispose.
Le parole dell’amico l’avevano scosso, ma dentro di lui continuava a sentire quella sensazione di prima, per quanto flebile, e non riusciva a ignorarla totalmente e a metterla a tacere.
“Bene, ora che la principessina è arrivata possiamo cominciare. Tra parentesi, complimenti per esserti ferito il giorno prima della nostra operazione, Shiroyasha” disse Takasugi, mentre la sua voce e il suo sguardo facevano a gara per quale dei due fosse il più tagliente.
complimenti per esserti ferito il giorno prima della nostra operazione, Shiroyasha” gli fece il verso il ragazzo coi capelli argentati con una smorfia, per poi continuare “…e comunque per la cronaca sto benissimo, ho ricevuto solo un colpo di striscio alla spalla” finì, mal celando l’indignazione nella voce.
“Fortuna che oggi tocca a me essere il generale, altrimenti l’operazione sarebbe finita prima di cominciare” sentenziò Katsura, cercando di porre fine all’ennesimo litigio degli amici.
“Zura, non essere così duro con me. Qui quello non adatto è chiaramente Takasugi” ghignò Gintoki, ricacciando sempre più giù la punta di paura che continuava a sentire dentro di sé.
“Ma se sei tu che non riesci a non finire in infermeria dopo ogni scontro” ribatté il comandante del Kiheitai, avvicinandosi al ragazzo coi capelli d’argento, lo sguardo fisso in quello dell’altro.
“Evidentemente almeno io faccio qualcosa! Solo chi non combatte non si ferisce” sghignazzò ancora Shiroyasha e schivò abilmente un pugno che Takasugi sferrò nella sua direzione.
Senza dire una parola Katsura si alzò, mentre gli altri due continuavano imperterriti a litigare, arrivò alle loro spalle e gli assestò due colpi dritti sulla zucca in un modo che ricordò a tutti e tre il loro sensei.
“Se avete finito, è ora di passare a definire i dettagli del piano” disse poi tranquillamente, con un tono così inquietante nella sua calma che entrambi si misero sull’attenti.
 
I tre ragazzi discussero per ore della loro strategia, di come avrebbero gestito le loro unità per attaccare da tre diversi fronti la fortezza dei Naraku, di quanti e quali soldati avrebbero impiegato e di come avrebbero portato via Shoyo una volta liberato.
Avevano quasi finito quando Gintoki avvertì di nuovo quella sensazione. Quella strana paura così improvvisa e fuori contesto, perché aver paura in quel momento? Non era in pericolo immediato.
Certo, il sole stava tramontando e il buio imminente non era d’aiuto ma lui era abituato a gestire queste sere di tensione prima dell’attacco eppure…
Proprio ora che mancavano poche ore quella sensazione incontrollabile gli stava impedendo di concentrarsi su quello che i suoi amici stavano dicendo.
“Gintoki, tutto bene?” chiese Katsura, notando che il ragazzo si era imbambolato un attimo.
“Si Zura, tutto ok. Mi ero solo incantato” mentì Shiroyasha.
Non era tutto ok.
Non sentì nemmeno l’amico ripetere per l’ennesima volta che non era Zura ma Katsura, perché la testa iniziò a girargli come una trottola. Fortunatamente era seduto. Un conato di nausea lo fece sussultare.
Cosa gli stava succedendo?
La paura iniziò ad aumentare, ora non era soltanto una sensazione, era palpabile. Aveva paura di quello che gli stava succedendo. Non lo capiva, era senza senso, e questo lo terrorizzava.
Perché il suo corpo stava impazzendo?
O era lui a star impazzando?
Forse non riusciva a reggere quella tensione! Forse non era adatto ad essere un samurai, dopotutto e il suo corpo stava cercando di dirgli questo. I samurai non hanno paura. Non così lontano dal campo di battaglia.
Shoyo l’aveva giudicato male.
Ma quale speranza.
Proteggere lui gli altri al suo posto? Ma se non riusciva a ricacciare indietro quella paura assurda che lo paralizzava? Cosa avrebbe mai potuto proteggere!
Più pensava e peggio stava, iniziò a far fatica a respirare, come se delle mani invisibili gli stringessero la gola.
 
Wait, it's just about to break, its more than I can take,
Everything's about to change,
I feel it in my veins, its not going away,
Everything's about to change.
 
Doveva andare via da lì subito prima che gli altri si accorgessero che non stava bene. Se si fosse calmato sarebbe tornato. Se non ci fosse riuscito… Bhè di questo passo forse sarebbe addirittura morto, sentiva il suo cuore accelerare a un ritmo insostenibile e il fiato mancargli sempre di più. Ebbe la forte tentazione di portarsi le mani alla gola ma riuscì a trattenersi.
Biascicò una scusa e si alzò, cercando di dissimulare il caos che lo stava scuotendo dall’interno e di comportarsi in un modo almeno all’apparenza normale.
Girato l’angolo riuscì a intrufolarsi in una tenda dell’accampamento che fortunatamente era vuota. Si accasciò a terra e iniziò a respirare affannosamente, non capiva più niente.
L’unica cosa che sentiva era la paura che lo scuoteva dal profondo delle sue ossa. Le mani gli tremavano leggermente e aveva freddo.
La testa gli girava così forte da provocargli una forte nausea e il cuore batteva così rumorosamente che si convinse di poterlo sentire.
Sarebbe morto così, ormai ne era certo.
Spaventato.
Solo.
Lontano dal campo di battaglia e con disonore.
Poi, improvvisamente, come tutto era arrivato tutto se ne andò.
Gradualmente recuperò il senso di sé, il cuore rallentò e il respiro tornò normale.
Anche quella paura improvvisa, quel terrore immotivato, era sparito così com’era arrivato, lasciando il posto alla naturale tensione che precedeva una battaglia così importante.
Quando fu sicuro di essere tornato alla normalità Gintoki si alzò per uscire e tornare dagli altri, cercando di seppellire quell’episodio molto in fondo dentro sé stesso, senza davvero cercare una spiegazione razionale. Ciò di cui era certo era che non ne avrebbe mai parlato con nessuno, nella speranza che fosse stato soltanto un episodio isolato, causato dallo stress della guerra. Poco più di un incubo a occhi aperti. Non voleva nemmeno prendere in considerazione di sentirsi così di nuovo.
 
It creeps in like a thief in the night,
Without a sign, without a warning,
But we are ready and prepared to fight,
Raise up your swords, don't be afraid
 
Tornò dagli amici adducendo come scusa che gli scappava la cacca e doveva assolutamente farla. Zura lo picchiò, e poi ricominciarono a definire i dettagli finali. Mancavano una manciata di ore all’attacco e non potevano perdere altro tempo.
Quello che Gintoki non sapeva era che, ciò che più di ogni altra cosa avrebbe voluto tener nascosto ai compagni, non era già più un suo segreto. Takasugi non vedendolo tornare era andato a cercarlo e, da uno spiraglio della tenda, aveva visto tutto. Aveva visto il terrore nel suo sguardo e sentito il suo respiro affannoso.
Sul momento aveva preferito non dirgli nulla e fingere di non aver visto. Dopotutto avrebbe avuto molte altre occasioni una volta rientrati dalla missione con sensei al loro fianco.

________
Note: per i riferimenti temporali che ho utilizzato vedi note del prologo

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - The Next Right Thing ***


I've seen dark before, but not like this
This is cold, this is empty, this is numb
The life I knew is over, the lights are out
Hello, darkness, I'm ready to succumb

Le cose non erano andate come speravano.
Katsura e Takasugi erano stati catturati per primi e i loro plotoni dispersi.
Gintoki aveva ricevuto la notizia da un soldato che aveva raggiunto il suo distaccamento e ci mise un secondo ad abbandonare la propria missione e a correre a salvare gli altri. Non aveva neanche avuto bisogno di pensarci. L’aveva promesso a Shoyo, avrebbe protetto lui i suoi compagni fino al suo ritorno. Doveva andare a salvarli, avrebbero ritentato la missione più avanti.
Ma quando arrivò da loro i Corvi lo stavano aspettando, gli avevano teso un’imboscata e riuscirono a catturarlo in breve tempo. Era andato lì senza un piano, mosso solo dall’irrefrenabile desiderio di salvare i suoi amici, mentre loro erano sicuri che sarebbe arrivato ed erano preparati.
E ora era lì, a sfilare in mezzo ai suoi nemici, su una rupe altissima senza vie di fuga.
Il fatto che fosse slegato era un brutto segno e il fatto che gli avessero dato un’arma non migliorava la situazione.
Poi vide e capì.
Davanti a lui i suoi amici, i suoi fratelli, legati e sbattuti a terra.
Più avanti Shoyo, anche lui legato, in ginocchio di spalle rispetto al ragazzo.
No, non poteva essere così che sarebbe andata.
La mano con cui teneva la katana tremò, aveva capito cosa sarebbe successo. Indugiò un attimo, ma i Naraku alle sue spalle lo tenevano sotto tiro con le loro armi e così avanzò ancora.
Vide per un attimo gli sguardi di Takasugi e Katsura, sorpresi di vederlo lì e terrorizzati nel vederlo slegato e armato. Probabilmente anche loro avevano intuito cosa stava per succedere. Dopotutto la posizione in cui avevano costretto il loro sensei lasciava poco spazio all’immaginazione.
Volevano un’esecuzione in grande stile.
Gintoki sentiva l’uomo del Tendoshu in piedi oltre il suo sensei farneticare qualcosa sulla guerra, ma non riusciva davvero a sentire cosa stesse dicendo.
Era come se avesse iniziato a muoversi quasi per inerzia.
Dovette concentrarsi per ascoltare e non estraniarsi da quella scena che non sembrava appartenere alla realtà.
“… I tuoi allievi sono morti per nulla, come avevi insegnato loro. Mi guardi come per dire ‘non ho insegnato loro nulla di tutto questo’. Allora vogliamo fare una prova?”
Per la prima volta le parole dell’amanto raggiunsero Gintoki, ma la rabbia che avrebbe dovuto provare non arrivò. Tutto ciò che provava in quel momento era una profonda e cupa rassegnazione, un senso infinito di impotenza che lo privava della forza di reagire, di alzare la testa, di ribellarsi.
Era finita, e lo sapeva.
Avevano perso, avevano fallito la missione e oramai non c’era più nulla che potessero fare.
I suoi compagni erano a terra, il suo maestro nella posizione di un condannato a morte.
I Corvi, come messaggeri di morte, li circondavano e sembravano soffocarlo con la loro presenza.
 
I follow you around, I always have
But you've gone to a place I cannot find
This grief has a gravity, it pulls me down
But a tiny voice whispers in my mind
‘You are lost, hope is gone
But you must go on
And do the next right thing’
 
L’uomo del Tendoshu parlò ancora, senza girarsi, ma era ovvio che stava parlando agli allievi di Shoyo. Anzi, Gintoki era sicuro che stesse parlando con lui direttamente.
“I tuoi allievi, sceglieranno di morire invano, come te, oppure sceglieranno di sopravvivere anche a costo di uccidere il proprio maestro con le loro mani?”
Gintoki sentì una scossa attraversargli tutto il corpo.
Qual era la scelta che gli proponeva? Uccidere Shoyo con la katana che gli avevano dato oppure commettere seppuku?
O avrebbe dovuto scontrarsi da solo contro tutti quei corvi? In quel caso la scelta sarebbe stata semplice: meglio una morte in battaglia che uccidere il proprio maestro con le proprie mani.
“Non la trovi un’esecuzione degna di uno come te, che millantava di essere un educatore?” era stato l’uomo del Tendoshu a parlare di nuovo, distraendo Gintoki dai suoi pensieri.
“Il tuo maestro o i tuoi compagni. Scegli come preferisci” terminò poi l’amanto rivolto al samurai, che si paralizzò sul posto.
Era anche peggio di quanto avesse pensato.
Quell’uomo, quell’amanto… Come, come poteva metterlo di fronte a una scelta simile?
Quale uomo avrebbe mai potuto decidere se uccidere con le proprie mai i propri fratelli o il proprio padre?
Poi la riposta gli apparve davanti chiara come il sole in un cielo senza nuvole. Il ragazzo sapeva benissimo qual era la scelta giusta, cosa avrebbe dovuto fare.
Doveva rispettare la volontà di Shoyo, doveva proteggere i suoi compagni.
Doveva farlo.
Allora perché il suo corpo non si muoveva?
Era la cosa giusta da fare.
Allora perché le sue gambe non avanzavano? Perché sentiva la presa sulla spada affievolirsi?
Gintoki non riusciva ad alzare lo sguardo dal sensei. Avrebbe voluto scappare con tutto sé stesso, prendere i compagni e il maestro e tornare ai giorni felici che avevano trascorso insieme alla Shoka Sonjuku, giorni che ormai erano perduti per sempre.
Non ci sarebbe stato nessun lieto fine per loro. Avevano fallito. Su tutta la linea.
E lui più di chiunque altro. Era arrivato al punto in cui avrebbe dovuto infrangere una delle promesse che aveva fatto: una a Shoyo e una a Takasugi.
Poteva sentire le loro voci sussurrargliele nelle orecchie anche adesso: “proteggi tu i tuoi compagni finché non torno”, “Se dovessi morire devi salvare tu il sensei, posso chiederlo solo a un altro senza onore come me”.
Le sentiva ripetersi ancora e ancora.
Poi, improvvisamente, si ritrovò a stringere la katana e a camminare verso il sensei.
Ed era strano, lui non si stava muovendo. Anzi, gli sembrava quasi di vedersi camminare, come se osservasse la scena dall’esterno del proprio corpo nello stesso modo in cui si vedeva agire negli incubi, era lui ma contemporaneamente non lo era, come se fosse protagonista e pubblico della stessa scena.
E non provava rabbia, odio, paura o risentimento.
Ormai non provava più nulla.
Era come un manichino i cui fili venivano tirati da qualcun altro, mentre il vero Gintoki osservava la scena da fuori, incapace di fare qualunque cosa.
Aveva quasi raggiunto Shoyo, mentre i corvi si facevano da parte per farlo passare, quando Takasugi gli urlò di fermarsi con quanto fiato aveva in gola.
Aveva capito cosa avrebbe scelto e non era d’accordo.
‘Mi spiace, Takasugi’ pensò il samurai coi capelli argentati ‘non potrò mantenere la promessa che ti ho fatto.’
“Ti prego!” sentì implorare ancora, vedendo che l’amico non si stava fermando, ma ormai Gintoki aveva preso la sua decisione.
Alzò la spada.
La sensazione che provava era indescrivibile.
A fare quelle cose era lui ma contemporaneamente qualcun altro. Si muoveva per inerzia, quasi come se la sua determinazione a rispettare la volontà di Shoyo avesse preso il controllo del suo corpo soverchiando la sua volontà che tutto avrebbe voluto fare tranne ciò che si accingeva a compiere.
Proprio in quel momento Shoyo si girò verso di lui.
“Grazie” gli disse soltanto, sorridendo, approvando con quella semplice parola la sua scelta.
Per un attimo volontà e determinazione diventarono una cosa sola e Gintoki si preparò a sferrare il colpo, sorridendo a sua volta, certo di aver fatto la scelta giusta, per quanto dolorosa.
“Fermati! Ti prego!” urlò ancora Takasugi, con quanto fiato avesse in corpo, implorando disperatamente come non aveva mai fatto in vita sua ma Gintoki non lo sentì nemmeno.
Caricò il colpo.
E poi fu questione di un secondo.
Un veloce colpo di spada fu tutto quello che servì per porre fine non ha una ma a quattro vite.
A morire sotto quel fendente non fu solo Shoyo. Una parte di Gintoki morì insieme a lui, così come una parte di Takasugi e una di Katsura. I loro scopi erano morti, la loro vita cambiata per sempre.
Avevano fallito, come guerrieri e come samurai. Non erano riusciti a proteggere nulla.
Cosa avrebbero fatto ora?
Gintoki se ne stava lì, in piedi, come se non riuscisse ad afferrare questa consapevolezza.
Una sola lacrima rigò il suo viso, era troppo sconvolto perfino per piangere.
Era ormai poco più che un guscio vuoto, che ancora stringeva la spada con cui aveva ucciso il suo maestro incapace di fare altro.
 
Can there be a day beyond this night?
I don't know anymore what is true
I can't find my direction, I'm all alone
The only star that guided me was you
 
Gintoki non ricordava con precisione cosa fosse successo da quel momento a quello in cui si erano divisi.
Ricordava che Takasugi gli era subito scattato contro, ancora legato, impazzito per il dolore.
Ricordava che uno dei corvi, dopo averlo colpito all’occhio con un pugnale, aveva deciso di lasciarli in vita, dato che, avendo perso il loro scopo e la persona che più di ogni altra volevano proteggere, ormai era come se fossero morti.
E aveva ragione.
Almeno, era così che Gintoki si sentiva.
Durante tutto quel discorso non si era mosso. Era rimasto fermo in piedi lì dov’era per tutto il tempo. Non si era mosso nemmeno mentre i corvi andavano via, portando con sé il cadavere di Shoyo e lasciando a loro soltanto la testa, come monito del loro fallimento.
Non riuscì a muoversi nemmeno quando furono rimasti soli, continuava a fissare il vuoto oltre la rupe, incapace di elaborare cos’era successo.
Cosa aveva fatto.
Anche Takasugi e Katsura erano rimasti in silenzio tutta la notte, seduti uno distante dall’altro e distanti da Gintoki. Non riuscivano nemmeno a guardarsi negli occhi.
Tutto ciò che li aveva uniti era morto quella notte, ognuno incolpava gli altri e sé stesso per il proprio fallimento e nessuno era in grado di vedere negli altri una fonte di conforto, ma soltanto un nemico, il più difficile da uccidere: la propria debolezza. Era andata così come aveva detto quel corvo, erano stati loro ad aver ucciso Shoyo e non solo tramite la katana di Gintoki. Avevano distrutto tutto ciò che avevano con le proprie mani.
Erano orami solo rifiuti che non valeva neanche la pena di uccidere, risparmiati perfino dal nemico. Poteva esserci disonore peggiore per dei samurai?
 
How to rise from the floor?
when it's not you I'm rising for
 
Il sole sorse che erano ancora in quella posizione.
Gintoki con la spada ancora stretta in mano, non aveva più mosso un muscolo. Il vero Gintoki si era rintanato da qualche parte dentro quel guscio che di lui aveva solo l’aspetto, lasciando qualcun altro lì in piedi sulla rupe a non chiudere occhio tutta la notte.
Gli altri due ancora a sedere in silenzio, ugualmente insonni.
I pensieri che avevano attraversato le loro menti quella notte erano stati i medesimi. Chi prima chi dopo tutti e tre avevano considerato il seppuku ma infine nessuno di loro lo tentò: se potevano non fallire almeno in qualcosa sarebbe stato nel non gettare al vento le vite che il loro maestro aveva salvato al prezzo della propria.
E se tutti e tre esitavano nel muoversi in parte era anche perché sapevano che non appena l’avessero fatto e si fossero guardati e parlati quelle sarebbero state le ultime parole che si sarebbero mai detti e gli ultimi sguardi che si sarebbero rivolti.
Non c’era più posto per il loro legame in quel mondo, era stato tranciato dalla spada di Gintoki la notte scorsa insieme alla vita del sensei e nulla avrebbe più potuto ricucirlo.


Infine, il primo a riemergere da quello stato catatonico in cui erano sprofondati, fu Takasugi.
Provò ad aprire la bocca e ci mise diversi tentativi prima di riuscire ad articolare una frase.
“Gintoki…” esitò ancora un attimo, mentre la rabbia sopita dalla notte insonne si ridestava dentro di lui. L’altro ragazzo non diede segno di averlo sentito e questo lo fece esplodere definitivamente.
“Gintoki! Perché l’hai fatto? Perché non hai ucciso noi?” urlò, alzandosi e facendo girare l’altro ragazzo verso di sé. Il samurai coi capelli argentati non reagì, era come un manichino in balia di quello che gli stava succedendo.
Sentiva le grida di Takasugi, voleva rispondergli, ma non sapeva se ne sarebbe stato in grado. Farlo, uscire dal suo nascondiglio nei meandri di sé stesso, avrebbe significato dover fare i conti con la realtà.
“Perché non mi rispondi, Gintoki?! Cosa c’è che non va nella tua testa? E’ come ieri notte vero? Ti ho visto sai, nella tenda?” continuò a gridargli in faccia, prendendolo per il bavero e stringendolo con forza per costringerlo a guardarlo negli occhi. Per risvegliarlo da quella trance che lo stava facendo ribollire dall’ira. Come, come poteva non dire nulla?
In tutto questo Katsura li guardava dalla sua posizione senza intervenire.
Capiva Takasugi, anche lui provava quegli stessi sentimenti, ma d’altro canto capiva anche Gintoki. Al loro posto non avrebbe saputo cosa fare.
Nessuno avrebbe saputo cosa fare.
Proprio in quel momento Takasugi tirò un pugno in faccia a Gintoki, che non reagì.
“Ti vuoi svegliare? E’ per colpa della tua debolezza che Shoyo è morto! Ti sei bloccato, come ieri sera, ci scommetto. Non hai capito più niente e hai fatto quello che ti dicevano di fare. E’ solo colpa tua. Che samurai sei se non sei nemmeno in grado di gestire le tue emozioni? Se lasci che la paura ti condizioni a tal punto. Mi fai schifo” concluse, sbattendolo a terra.
“Takasugi…” intervenne appena Katsura, ma l’altro ragazzo lo guardò con l’occhio destro così intensamente da fargli male.
Normalmente Katsura sarebbe andato ad aiutare Gintoki e avrebbe calmato Takasugi ma in quel momento nemmeno lui se la sentì di fare nulla. Per quanto non sarebbe arrivato a mettergli le mani addosso, in quel momento anche lui era arrabbiato con il ragazzo coi capelli argentati, una rabbia irrazionale nella disperata ricerca di un colpevole su cui poter scaricare tutto il dolore che provava dentro di sé.
Just do the next right thing
Take a step, step again
It is all that I can to do
The next right thing
 
Così il ragazzo coi capelli lunghi si alzò e basta, Gintoki ancora a terra non dava segno di volersi muovere, Takasugi stava respirando affannosamente e solo in quel momento si portò finalmente una mano all’occhio ferito stringendola forte, come se quell’esplosione d’ira l’avesse finalmente riportato alla realtà e solo in quel momento avesse davvero iniziato a sentire il dolore della ferita.
Katsura cammino tra loro, prese il fazzoletto su cui era poggiata la testa di Shoyo e lo annodò per poi sollevarlo e incamminarsi giù dalla rupe.
Takasugi lo seguì e perfino Gintoki, in qualche modo, si alzò, iniziando vagamente a riacquistare il senso di sé. Guardava il fagotto insanguinato con dentro la testa di Shoyo e più lo guardava e più si rendeva conto di cosa aveva fatto.
Le emozioni assopite dalla notte prima iniziarono ad arrivare e il samurai dovette fare un enorme sforzo per non crollare di nuovo davanti ai suoi… Come poteva definirli ora? Di certo non amici, e nemmeno compagni. Doveva tenere duro ancora un po’, così continuò a seguire Katsura senza dire una parola così come Takasugi.
Arrivarono finalmente in un punto ai piedi della rupe e, senza dirsi nulla, seppellirono la testa del loro maestro, infilando nel terreno una katana come lapide.
Poi si guardarono e, sempre in silenzio, iniziarono a camminare in tre direzioni diverse, dividendo le loro strade per quello che credevano essere un addio.
 
 
I won't look too far ahead
It's too much for me to take
But break it down to this next breath, this next step
This next choice is one that I can make

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - HYMN for the missing ***


Tried to walk together
But the night was growing dark
Thought you were beside me
But I reached and you were gone

 
Erano passati alcuni mesi da quella mattina in cui Katsura, Takasugi e Gintoki avevano diviso per sempre le loro strade.
Durante quel periodo la guerra, che già durante le loro ultime battaglie sembrava aver preso una direzione chiara, andò verso la sua conclusione con la vittoria degli amanto e la sconfitta dei samurai. Erano quindi iniziate le purghe, il Bakufu guidato da SadaSada, che si era venduto agli amanto, stava usando infatti la fazione di Hitotsubashi per fare piazza pulita dei samurai superstiti, etichettando tutti i guerrieri Joi sopravvissuti come criminali di guerra da eliminare al più presto.
L’anima dei samurai, le loro katana, furono messe fuori legge dall’editto Haitorei e chiunque fosse trovato in giro con una spada in cintura veniva arrestato e giustiziato, con l’accusa di essere un ribelle nemico del governo.
Inoltre le purghe non colpirono soltanto i patrioti e i soldati che fino a poco tempo prima stavano dando anima e sangue al proprio paese, ma anche le loro famiglie: donne, bambini e anziani. Nessuno veniva risparmiato.


Durante questo periodo Gintoki non era stato bene.
Gli ci erano voluti diversi giorni per riuscire a comprendere appieno cos’era successo.
Cosa aveva fatto.
Il giorno in cui finalmente aveva rotto il guscio di apatia dietro il quale si era trincerato il dolore fu così forte che non riuscì a far nulla se non urlare e piangere, da solo, nel rifugio in cui era nascosto. Era rimasto per ore rannicchiato in un angolo mentre la voragine che si era aperta nel suo petto lo dilaniava. Non riusciva nemmeno a dormire, perché ogni volta che chiudeva gli occhi si immaginava lì, su quella rupe, con in mano la katana e il sensei Shoyo inginocchiato davanti a lui. Puntualmente si svegliava urlando, il respiro affannoso e il volto imperlato di sudore. Ma accanto a lui non c’era nessuno a prenderlo in giro o a consolarlo. Era solo. Era tornato tutto a come quando aveva otto anni, prima che Shoyo lo trovasse.
Ci vollero altri giorni prima che riuscisse a fare altro che restare rannicchiato in quella tenda sudicia in cui si stava nascondendo dalle prime incursioni degli Hitotsubashi. Era dimagrito molto, non mangiava e beveva solo il necessario per sopravvivere. Chissà se anche i suoi compagni stavano come lui? Se lo chiese più volte, inizialmente, ma poi pensare a loro lo faceva solo stare peggio e così smise di farlo.
Dopo due settimane fu costretto a uscire, le purghe stavano aumentando di ritmo e numero e quel posto non era più sicuro. Si vergognò a scappare in quel modo ma l’istinto di sopravvivenza fu più forte della depressione in cui stava scivolando. Non voleva morire.
Anzi, non era nemmeno l’istinto a gridargli “sopravvivi”. Era la volontà di rispettare almeno l’ultimo desiderio di Shoyo e di non gettare al vento la propria vita per nulla. Anche se, come si era ritrovato a pensare spesso, non era sicuro che quella che stesse conducendo si potesse propriamente chiamare ‘vita’. Stava sopravvivendo, e a stento anche, senza la minima certezza di poter, un giorno, tornare quello di una volta. Chi o cosa avesse salvato Shoyo con la sua morte non gli era più chiaro, non di certo il ragazzo allegro che aveva cresciuto. Ma, nonostante questo, continuò a cercare di salvarsi. Fosse stata anche una vita misera e strappata costantemente agli artigli della morte doveva preservarla, non voleva deludere il suo sensei, non di nuovo.
Sometimes I hear you calling
From some lost and distant shore
I hear you crying softly
For the way it was before

 
Gintoki vagabondò per un po’, finché non trovò un rifugio in una vecchia magione abbandonata nei pressi di Edo, occupata da altri ribelli Joi e dalle loro famiglie, che la stavano usando come nascondiglio dagli Hitotsubashi. Lo riconobbero come Shiroyasha e lo accolsero immediatamente tra di loro.
Per quanto odiasse che tutti si riferissero a lui come Shiroyasha e che lo elogiassero per le sue prontezze sul campo di battaglia, vivere in quell’accampamento gli fece decisamente bene. Più di una volta infatti si era ritrovato a occuparsi delle sentinelle del Bakufu che ronzavano troppo intorno alla magione e, gradualmente, gli altri Joi che vivevano lì avevano iniziato a sentirsi più al sicuro grazie alla sua presenza.
Per la prima volta dopo tanto tempo aveva trovato qualcosa che potesse essere definito uno scopo. Qualcuno che aveva bisogno di lui. Forse, se non si fosse imbattuto in loro, non avrebbe trovato la forza di rialzarsi.
Era però altresì vero che del ragazzo allegro e compagnone di una volta non era rimasta che l’ombra. Gintoki era rimasto molto schivo, diffidente all’idea di legarsi di nuovo a qualcuno, timoroso che la sua amicizia portasse solo disgrazie. Rimaneva quindi sempre sulle sue, sorrideva raramente. Faceva quello che doveva fare per la comunità in cui si era ritrovato a vivere, aiutava chi aveva bisogno, ma poi, la sera, era sempre solo nel suo alloggio. Respingeva chiunque gli porgesse una mano, incapace di aprirsi di nuovo a un rapporto che andasse oltre la collaborazione per necessità. Le notti poi erano terribili, raramente riusciva a dormire senza sogni, per quanto si ammazzasse di lavoro durante il giorno o per quanto il poco cibo che poteva mettersi nello stomaco lo faceva restare sveglio per la fame. Spesso si ritrovava a raggomitolarsi in un angolo, spaventato, come se fosse di nuovo sul campo di battaglia ma solo e disarmato. Vere e proprie scene della guerra si dipanavano davanti al suo sguardo terrorizzato come se le stesse rivivendo nel suo alloggio.
In quei momenti pensava che sarebbe impazzito e allora chiudeva gli occhi e si stringeva le gambe al petto aspettando che passassero come gli incubi notturni, anche se, essendo sveglio, non poteva aprire gli occhi per mandarli via.
 
You took it with you when you left
These scars are just a trace
Now it wanders lost and wounded
This heart that I misplaced
 
Quella sera era una di quelle in cui, per quanto Gintoki stesse provando a rimettere insieme i pezzi della sua vita, le cose non stavano andando bene per niente.
Aveva bevuto, nella speranza di addormentarsi velocemente, ma non era servito e i suoi pensieri erano tornati a quel giorno sulla rupe, ai suoi amici sperduti chissà dove, ai campi di battaglia e agli innumerevoli avversari contro cui si era misurato, portando sempre a casa la pelle per un pelo.
Fu questione di un attimo e lo scenario attorno a sé iniziò a cambiare. Era di nuovo là, in guerra. Attorno a sé c’erano i suoi compagni e tutt’attorno erano circondati dai nemici.
Sbattè le palpebre, cercando di tornare alla realtà. Sapeva che era solo un delirio, che quella scena che vedeva non era reale, che non era più stato bene dopo la guerra.
Lo sapeva?
O forse la vera follia era pensare che non fosse reale?
E se fosse stato davvero sul campo di battaglia?
Improvvisamente sentì un rumore alle proprie spalle. Era stato nella visione o nella realtà? Quale delle due era la realtà?
Non poteva rischiare così sguainò il pugnale che teneva in cintura e si voltò di scatto, vedendo con la coda dell’occhio una figura alle proprie spalle. In pochi secondi Gintoki gli fu dietro, tenendolo sotto tiro col pugnale puntato alla gola, il respiro reso affannoso dall’agitazione e dalla paura.
“Kintoki! Sono io! Tatsuma!” esclamò più sorpreso che spaventato il ragazzo che aveva appena varcato la soglia dei suoi alloggi.
Gintoki spalancò gli occhi e improvvisamente riuscì a tornare alla realtà. Non appena si rese conto contro chi stesse puntando il pugnale, che portava veramente in cintura, lo lasciò cadere di scatto producendo un rumore metallico che riecheggiò nella piccola stanza.
“Tatsuma io… Scusami” disse soltanto il samurai coi capelli argentati, per poi lasciare andare il vecchio amico.
“Colpa mia, sono entrato all’improvviso. All’ingresso mi hanno riconosciuto e mi hanno indicato la tua sistemazione” rispose comprensivo Sakamoto. Si era accorto da subito, vedendo lo sguardo di Gintoki, che c’era qualcosa che non andava.
Tatsuma era sempre stato il più attento agli altri del loro gruppetto, placava le liti tra Takasugi e Gintoki e tirava in mezzo Katsura quando se ne stava troppo per le sue. Per lui, sia divertirsi che combattere insieme a quei tre scavezzacollo era la cosa che preferiva in assoluto. Almeno prima che le cose degenerassero.
Gintoki non disse nulla in risposta al vecchio amico, più per abitudine a stare sulle sue e per via del suo umore sotto zero che per vera maleducazione. Di nuovo Sakamoto intuì la situazione e parlò ancora: “Sai, quando finalmente mi sono ripreso, se così si può dire, dalla ferita al braccio…” indugiò giusto un attimo, stringendosi il polso destro con la mano sinistra “… sono subito venuto a cercarvi. Ma ormai la guerra stava volgendo al termine, nessuno sapeva dove foste, tutti si stavano nascondendo per evitare di rimanere coinvolti nelle purghe. Mi hanno detto… So che vi siete separati. Ho trovato soltanto te. Gintoki, cos’è successo?” chiese Sakamoto, guardandolo intensamente con uno sguardo profondamente triste.
Il ragazzo coi capelli argentati sostenne il suo sguardo per un po’ e poi abbassò la testa. Quello sguardo non apparteneva al Tatsuma Sakamoto che conosceva. Non aveva neppure sbagliato il suo nome e questo, di per sé, bastava a sottolineare la gravità della situazione. Gli doveva una spiegazione, lo sapeva. Quello che non sapeva era se sarebbe stato in grado di parlarne. Improvvisamente vide Sakamoto avvicinarsi a lui e mettergli le mani sulle spalle, costringendolo di nuovo a guardarlo negli occhi.
“Gintoki, se non vuoi non sei obbligato a dirmi nulla. Ma in tutta sincerità penso che tu ne abbia bisogno. Da quant’è che non parli con qualcuno? Da quando hai deciso di chiudere fuori tutti? Quando gli altri patrioti qui ti hanno descritto come taciturno e schivo pensavo di aver sbagliato posto o persona. Non serve che mi racconti tutto nei dettagli, ma parlami. Parla con me. Lo vedo che non stai bene” disse il ragazzo castano, con la voce incrinata dalla preoccupazione. Vedere l’amico in quelle condizioni l’aveva turbato più di quanto pensasse.
“Tatsuma…” si limitò a dire Gintoki “io…” balbettò, faticando a sostenere l’intensità dello sguardo dell’altro.
“Scusami” disse poi improvvisamente Sakamoto, cambiando tono ed espressione “ho esagerato, sono arrivato qui all’improvviso e ti ho chiesto una cosa assurda. Capisco se non vuoi dirmi nulla o se vorrai cacciarmi” abbozzò un sorriso senza allegria e spostò le mani dalle spalle dell’amico per andarsene, ma Gintoki lo fermò.
“No Tatsuma, hai ragione. Non parlo davvero con qualcuno da mesi e poi… Te lo devo. Per tutto. Hai il diritto di sapere cos’è successo”
 
Where are you now? Are you lost?
Will I find you again?
Are you alone? Are you afraid?
Are you searching for me?
 
I due ragazzi si erano seduti su due cuscini vicino a un tavolino basso, unico mobile presente nella stanza di Gintoki oltre a un paio di armadietti e al futon.
Il ragazzo coi capelli argentati tirò fuori una bottiglia di sake già bevuta per metà e due piattini scheggiati da uno scompartimento e versò da bere per entrambi, scusandosi per le condizioni dei suoi pochi averi.
Iniziò a raccontare all’amico a grandi linee tutto quello che era successo da quando aveva dovuto abbandonare il fronte, fermandosi di tanto in tanto quando sentiva il suo cuore accelerare o il respiro farsi più difficoltoso. Non voleva certo avere una crisi, come le chiamava, davanti a lui. L’ultima volta che qualcuno l’aveva visto stare così era stato Takasugi e non voleva che nessun’altro lo sapesse e potesse rinfacciargli che ormai era solo un samurai fallito in balia delle proprie emozioni. In quei momenti Sakamoto non diceva nulla, lasciando all’amico il tempo e lo spazio di cui aveva bisogno, ma sapeva che non erano questi racconti il problema. Anche lui era un veterano di guerra e capiva le sofferenze del ricordare certe battaglie ma, proprio per questo, capiva che c’era altro. Che c’era di peggio.
Quando Gintoki fece una pausa più lunga delle altre il ragazzo castano capì che era arrivato il momento in cui avrebbe scoperto la verità. Sperava solo di essere in grado di gestirne le conseguenze. Il suo amico non stava bene e, se già quando l’aveva incontrato gli era sembrato brillo, ora era praticamente ubriaco, e questo non migliorava le cose.
“L’ultima notte prima che ci dividessimo fu quella in cui pensavamo di essere sul punto di salvare Shoyo” disse di colpo Gintoki, senza convenevoli, buttando giù in un colpo solo un altro piattino di sake senza guardare l’amico negli occhi.
Sakamoto strabuzzò gli occhi, avrebbe dovuto immaginarlo che qualsiasi cosa avesse separato quei tre doveva aver avuto a che fare col loro maestro. Quanto era stato stupido a non averci pensato prima?
“Partimmo ognuno col proprio plotone, avremmo attaccato da tre punti diversi. Io e i miei uomini stavamo andando abbastanza bene ed ero convinto che anche gli altri fossero a buon punto quando un soldato del Kiheitai venne da me di corsa, l’armatura distrutta e il volto insanguinato. Mi disse che erano stati sconfitti e che avevano catturato Takasugi. Mi informò inoltre che la stessa cosa era successa a Katsura e al suo gruppo. Katsura capisci? Kotaro il fuggitivo era stato catturato. Quanto dovevano essergli andate male le cose?” Sakamoto si chiese da quanto tempo Gintoki si stesse tenendo dentro tutto questo. Sembrava che qualcuno avesse buttato giù la diga che tratteneva i suoi pensieri che ora si stavano riversando come un fiume in piena. Non era nemmeno sicuro che ne stesse davvero parlando con lui, anzi. Sembrava quasi dire quelle cose a sé stesso. Come se dirlo ad alta voce lo rendesse finalmente vero. Non disse quindi nulla e lo lasciò continuare.
“Sapevo benissimo cosa dovevo fare. L’avevo promesso. L’avevo promesso al sensei Shoyo, finché non ci fosse stato lui avrei protetto io i miei compagni, come mi aveva chiesto. E così lasciai perdere la mia missione e andai a salvarli ma mi stavano aspettando. Mi catturarono. Mi portarono…” la voce di Gintoki si spezzò un attimo, nella sua mente l’immagine di quella rupe e dei suoi compagni, di Shoyo, legati davanti a sé era più vivida che mai. Si sentì girare la testa e stringendo i pugni si accorse che aveva le mani sudate. Si fece forza, ignorò la paura che iniziava a farsi strada dentro di lui e continuò il racconto “… mi portarono su una rupe. Lì c’erano Takasugi e Katsura, legati e disarmati, a terra. Davanti a loro… Davanti a loro…” Il ragazzo chiuse gli occhi, mentre i capogiri aumentarono al punto da fargli venire la nausea, ma doveva finire il racconto. Doveva dirlo a qualcuno.
Inconsciamente una parte di sé sapeva che doveva farlo anche se temeva che, dopo aver saputo la verità, anche Sakamoto lo avrebbe abbandonato così come avevano fatto gli altri. Se non per le condizioni patetiche in cui sarebbe stato a fine racconto per le cose orribili che aveva fatto. D’altro canto chi mai vorrebbe essere amico di un samurai difettoso come lui?
“Gintoki, se non te la senti...” provò a dire Tatsuma, appoggiandogli una mano sulla spalla. Gintoki scosse la testa e riprese a parlare: “Io ero in piedi, mi avevano dato una katana. Mi… Mi misero di fronte a una scelta…” il respiro del ragazzo coi capelli argentati diventò affannoso, rendendogli difficile parlare. Sakamoto aveva già capito cosa stava per dirgli e inorridì al pensiero “…Potevo scegliere se… Se… Se uccidere Takasugi e Katsura o il sensei e io… L’ho fatto Tatsuma, ho ucciso Shoyo. Con le mie mani. Ho ucciso l’uomo che mi ha cresciuto con la mia spada. Io l’ho fatto capisci? L’ho fatto” Gintoki era ormai fuori di sé, aveva perso ogni controllo sulle proprie emozioni. Colpì il tavolo con un pugno e abbasso la testa, cercando di fuggire lo sguardo dell’altro, di nascondersi dentro sé stesso, tremando appena, mentre una lacrima solitaria fuggita al suo controllo gli scendeva sul viso.
Sakamoto inorridì, non sapeva cosa dire, era molto peggio di quanto avesse pensato. Come? Come avevano potuto metterlo di fronte a una scelta del genere? Era un miracolo che l’avesse trovato ancora vivo!
“E’ colpa mia, della mia debolezza” disse ancora Gintoki, senza muoversi dalla sua posizione “anche adesso ho paura, paura da non reggere. E non ne so il motivo, non c’è un motivo. Takasugi quel giorno mi disse che faccio schifo, che i samurai non hanno paura. Bhè aveva ragione. Se non fossi il fallito che sono, incapace di controllare le proprie emozioni, forse Shoyo sarebbe ancora vivo”. Dentro di sé si sentiva come risucchiato da un tornado, frasi, immagini, ricordi si mescolavano e vorticavano confondendolo e facendolo impazzire. Aveva detto tutto, e ora anche Sakamoto, così come Takasugi e Katsura, l’avrebbe abbandonato. Rimase immobile, tremando, sforzandosi di trattenere le lacrime per salvare quel minimo di dignità che gli era rimasta in attesa di sentire i passi dell’amico che se ne andava per lasciarlo solo.
Poi, improvvisamente, sentì le braccia dell’amico avvolgerlo e stringerlo piano e il vortice che lo avvolgeva si placò. Tutto si aspettava fuorché quel gesto, così rassicurante nella sua semplicità da lasciarlo completamente disarmato. Per la prima volta dopo tantissimo tempo si sentì accolto invece che respinto. Tra lui, Zura e Takasugi comportamenti del genere erano impensabili, i loro modi di esprimere i sentimenti erano tutt’altri. Ma con Tatsuma era sempre stato diverso, era l’unico che non aveva paura di dimostrare ciò che provava, tenendo emotivamente unito il loro gruppo, e fu veramente contento che in quel momento fosse lì, a dargli quel minimo di conforto che loro tre, quel giorno, su quella rupe, non erano stati in grado di darsi a vicenda. Non disse nulla, non ce n’era bisogno e qualunque parola sarebbe stata superflua. Il significato di quell’abbraccio era chiaro e valeva più di mille ‘mi dispiace’ e ‘non sei solo’ e il samurai dai capelli argentati fu grato all’amico per non aver detto nessuna di quelle cose ad alta voce.
 
Why did you go? I had to stay
Now I'm reaching for you
Will you wait?
Will you wait?
Will I see you again?
 
Quando Gintoki smise di tremare Tatsuma lo lasciò andare, lasciando solo una mano sulla sua spalla, permettendosi finalmente di parlargli.
“Non fai schifo e non sei nemmeno difettoso, Kinotki!”
Il ragazzo alzò finalmente la testa, sorpreso che proprio in quel momento l’amico l’avesse chiamato in quel modo e con quella voce squillante, e fu ancora più sorpreso di vedere il suo solito sorriso da ebete sul suo viso.
“Anche io non sono stato bene sai? Dopo la ferita. Continuavo a rivedere la scena in cui mi hanno colpito ancora e ancora, sia di notte che di giorno. Tutt’ora a distanza di mesi lo sogno più spesso di quanto mi faccia piacere ricordare” era incredibile come Tatsuma potesse dire quelle cose con quell’espressione sorridente.
“Penso sia normale stare male, con quello che abbiamo passato. Sono sicuro che anche quei due musoni siano da qualche parte rintanati in loro stessi, proprio come noi. Per questo Takasugi ti ha attaccato tanto aspramente, ne sono convinto”
“Tatsuma io… Anche se fosse vero quello che dici ho comunque…”
“Ti hanno messo davanti a una scelta che non era una scelta. Sarebbe andata a finire così in ogni caso. Ma non sono così presuntuoso da pensare di poterti convincere, ci vorrà tempo. Dovrai scendere a patti con te stesso e non è facile. Io… Io devo ancora convincere me stesso che non potrò mai più impugnare una spada, eheheh” rise senza allegria e Gintoki capì.
Per la prima volta quel giorno capì che non era il solo a portare le cicatrici di quella guerra e che non tutte le ferite si sarebbero rimarginate velocemente, fossero esse del corpo o dell’anima. Gli sarebbe servito del tempo. Era vero, Tatsuma l’aveva assolto dalle sue azioni ma l’assoluzione vera, quella che l’avrebbe guarito, poteva arrivare solo da sé stesso.
“Ci rialzeremo, amico. Ci metteremo del tempo e non sarà più come prima, ma ce la faremo” disse soltanto Sakamoto, quasi come se gli avesse letto nel pensiero, poi versò da bere a entrambi.
 
I due amici passarono la notte a bere finché non si addormentarono ubriachi l’uno accanto all’altro. Non parlarono più molto, quello che dovevano dirsi era già stato detto. Gli bastava sapere che almeno un’altra persona, nell’universo, si sentiva come loro e già questo sarebbe stato sufficiente a darsi la spinta per ricostruire sé stessi, un passo dopo l’altro. Perché in fondo, se Sakamoto era andato là quella sera era perché anche lui, così come Gintoki, aveva bisogno di sapere che non era solo, che non era difettoso o inutile, che era normale non stare bene e che non succedeva solo a lui. Aveva parlato dandosi arie da grand’uomo ma la verità era che quanto stava dicendo all’altro l’aveva appena realizzato lui stesso proprio grazie all’amico.
 
La mattina dopo si salutarono, Sakamoto sarebbe partito per realizzare il suo sogno di commerciare nello spazio. Invitò più volte Gintoki a partire con lui ma il ragazzo rifiutò. Avrebbe trovato il suo scopo lì, sulla terra. Ci sarebbe voluto del tempo e non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, ma sapeva che sarebbe rimasto lì, nella terra dove una volta lui e i suoi compagni erano stati felici.
Quando si scambiarono l’ultimo saluto entrambi sorridevano, davvero sta volta.

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Capitolo 5
*** Epilogo - Coming Home ***


 
And the blood will dry, underneath my nails
And the wind will rise up, to fill my sails

See you can doubt, and you can hate
But I know, no matter what it takes
 
 “Gin-san! Gin-san! Stai bene?” gridò Shinpachi davanti alla porta del bagno, bussando energicamente.
Gintoki si era rifugiato lì all’improvviso e si vedeva dalla sua espressione che qualcosa non andava.
“Gin-chan!” gridò anche Kagura, facendo eco all’amico.
Gintoki era incerto se uscire o no, ormai la crisi stava passando ma aveva ancora paura.
Come avrebbero reagito i ragazzi? Come Sakamoto… O come Takasugi? Se l’avessero guardato con quello sguardo pieno di pietà e disgusto, come a dargli del patetico fallito, non avrebbe saputo cosa dirgli né cosa fare. Non era sicuro di voler rischiare, non era pronto a perderli.
“Gin-san! Se non mi rispondi faccio sfondare la porta a Kagura-chan” sbraitò ancora Shinpachi, cercando di nascondere la nota di preoccupazione nella propria voce.
“Stupido di un Gin-chan! Guarda che lo faccio! Ci stiamo preoccupando per te e tu ci ignori” rincarò la dose Kagura, dicendo ad alta voce quello che entrambi pensavano.
Gintoki a quel punto si fece forza e aprì la porta, tanto ormai l’avevano visto. Era ancora seduto a terra e non si era accorto che, nel ripensare al proprio passato, qualche lacrima era scesa a rigargli il viso, lasciandogli gli occhi umidi.
“Gin-san hai pianto?” chiese confuso Shinpachi. Dopotutto dal suo punto di vista non erano trascorsi che pochi minuti.
“Scusate ragazzi, so che è strano ma…” Gintoki abbassò la testa per nascondere lo sguardo ai ragazzi, sfregandosi velocemente gli occhi con la manica del pigiama vergognandosi per le proprie condizioni “…ho avuto paura. All’improvviso. E temevo che voi, se mi aveste visto così…”
Non riuscì a terminare la frase che se li ritrovò entrambi addosso a stringerlo forte, così forte che tutte le sue ferite gli fecero male, ma non se la sentì di allontanarli.
“Sei un cretino, Gin-San” disse Shinpachi.
“Un vero idiota!” confermò Kagura.
“Ci saremmo spaventati se tu NON avessi avuto paura. Abbiamo affrontato un vero mostro”
“Già. E poi solo gli stupidi non hanno mai paura. Cioè tu sei stupido ma non così tanto”
“Esatto, per esempio il raffreddore ti viene no? Agli stupidi non dovrebbe, quindi hai ancora un margine di possibilità”
“Già. Però è anche vero che spendi sempre le nostre paghe al pachinko, forse in effetti sei stupido”
“Anche questo è vero però…”
I ragazzi continuarono a parlare senza lasciarlo andare e Gintoki ascoltò con insolito piacere le loro farneticazioni senza interromperli e, senza rendersene conto, iniziò a sorridere.
Aveva trovato il suo scopo.
Ci erano voluti all’incirca 10 anni, ma l’aveva trovato.
Ed era stato un idiota davvero a pensare che l’avrebbe… Anzi, che li avrebbe persi per così poco.
 
II'm coming home
I'm coming home
Tell the world I'm coming home
Let the rain wash away all the pain of yesterday
I know my kingdom awaits and they've forgiven my mistakes
I'm coming home, I'm coming home
Tell the world that I'm coming
 
 
________________________________
Note:
Se avete letto fin qui vi ringrazio, spero che questa fic vi sia piaciuta. Era nata come una OS che però si è evoluta troppo e alla fine è diventata una piccola long *ride*
Ci sarebbe tantissimo ancora da dire sul periodo in cui Gin-san era in guerra e scriverò presto altro, ma questa fic doveva concludersi qui, prima di uscire dall’idea originale che era “come gestirebbe un attacco di panico Gin-san”?
Se però volete leggere qualcosa sugli eventi che accadono subito dopo il momento in cui Gin-san e Sakamoto si sono salutati Bored94, la mia partener in crime, ha scritto “Il peso di una promessa” che parte da poco dopo quel momento, ovvero quando Gin-san si consegna agli Hitotsubashi e prosegue da lì.
Grazie ancora e a presto!

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