Nel nome di Artù

di martos95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio mio re. ***
Capitolo 2: *** l'alba di una nuova era ***
Capitolo 3: *** La magia più grande ***
Capitolo 4: *** la profezia ***
Capitolo 5: *** Emrys ***



Capitolo 1
*** Addio mio re. ***


                                                                                     CAPITOLO 1 : Addio mio re
Restò lì seduto ancora un po’ fissando quella barca in mezzo al lago, quasi a volersi assicurare che giungesse a destinazione, quasi come se dovesse ancora, per l’ultima volta, guardare le spalle al suo re. Lo aveva sistemato con cura, in una posa elegante, regale. Gli aveva scostato i capelli sulla fronte cerulea, chiuso quegli occhi colore del cielo e sistemato l’armatura con quella delicatezza che solo la morte ti impone. Avrebbe voluto si destasse, che iniziasse a scherzare sull’armatura sporca che avrebbe dovuto lucidare. Ma questa volta non poteva essere, il pallore della sua pelle tradiva quel desiderio e quel suo corpo freddo mostrava una vita ormai spenta, come la fiammella d’una candela al soffiare del flebile vento d’autunno. Aveva pianto Merlino, appoggiato a quella barca, con l’impotenza che gli sgorgava dagli occhi e gli accarezzava grave il volto, e con l’amarezza di chi aveva fallito il suo compito. “Nessun uomo merita le tue lacrime Merlino”, gli suggerì un ricordo dalla voce familiare, ma ancora una volta, non avrebbe dato ascolto al suo re, ed avrebbe pianto comunque. Avrebbe voluto più tempo. Sì, tempo…lui che aveva l’eternità.
“Addio Artù” sussurrò nel vento regalando al suo cuore l’ultimo intenso sguardo di quella barca ormai lontana, poi scomparve dietro la collina. Camminava Merlino lungo i sentieri rocciosi delle montagne che ospitarono la battaglia, fiere spettatrici del compiersi di un glorioso destino. Artù, re adesso e re in futuro, venuto a morire nel cuore della terra, tra le valli rocciose ed immense di Camlann che per sempre sarebbero rimaste nella memoria degli uomini. Quel posto, non l’avrebbe mai dimenticato. Si voltò indietro sovrastando la pianura dal punto più alto, distese la mano dinanzi a sé, chiuse gli occhi e lasciò che ancora una lacrima gli solcasse il volto. “rubrum in sempiternum” disse accarezzando l’aria con la mano… e quelle montagne di nuda e fredda pietra si colorarono di rosso sotto il peso della sua magia. Rosso come il mantello dei cavalieri di Camelot,  come il sangue di Artù che quella terra aveva assaggiato. Quelle distese fiammanti, da quel momento, avrebbero ricordato agli uomini che lì un uomo aveva teso la mano al suo destino e che il suo sangue aveva irrorato di gloria quelle valli senza vita. Aprì gli occhi e sorrise a quella vista, “guardate Artù, è per voi” sussurrò guardando il cielo.    
Camminò 3 giorni e 3 notti, ma quasi non se ne rese conto;la sua mente non aveva fatto altro che pensare. “Il futuro ha molte vie, e non tutte sono delineate; alcune sono chiare, altre invece prendono forma con le nostre azioni” aveva detto Gaius qualche tempo fa, eppure lui non era riuscito a condurre Artù per altre strade che non fossero quella che lo portava dritto al proprio destino. Chissà, si chiese, se fosse possibile trovare una scorciatoia al destino, un sentiero che ti permettesse di avere un’altra possibilità, di riscrivere il finale della tua storia. Ma forse Kilgharrah aveva ragione, alcune vite sono state predette, ed è necessario che si lascino guidare dal proprio fato per ricongiungersi al proprio destino al calar della vita, per l’onore e la gloria di cui godranno nei secoli.
La vista della cittadella che si ergeva imponente dinanzi a lui ruppe il flusso di quel pensiero, e Merlino restò a guardarla per un momento, sospeso tra un ricordo e una speranza. Cosa sarebbe cambiato? Cosa avrebbero detto coloro che lo ritenevano soltanto l’imbranato e gracilino servo del re? E Gwen, chissà se avrebbe capito… La magia a Camelot era vietata…sarebbe entrato da amico o da stregone, si chiese varcando la soglia del ponte levatoio.
Gaius, che lo vide dalla finestra, si precipitò all’entrata.
-“ Merlino, non ero sicuro che tornassi” disse stringendolo in un abbraccio commosso e sciogliendosi in una sincera risata di benvenuto.
- “non volevo farlo, ma…ho pensato che non potevo andarmene senza prima passare a salutarvi Gaius, siete la mia famiglia”disse sorridendo con gli occhi pieni di gratitudine per quel vecchio dai capelli grigi che era la cosa più vicina alla parola “padre” che avesse a questo mondo. lo aveva amato per quello che era, dal primo istante in cui lo aveva visto e soprattutto, aveva creduto in lui ogni volta che nemmeno lui era riuscito a farlo. “ è bello rivedervi ma…non credo che resterò. Ero il servo del re ed ora il re…” ma non riuscì a finire la frase che le parole gli si ruppero in gola, ed il cuore tornò a bruciare.
- “Merlino…hai fatto ciò che dovevi, Camelot è salva grazie a te. Molte vite sono state risparmiate. Il re sarebbe fiero del suo servitore”.
- “ ed anche la regina lo è….” Disse Gwen sull’orlo dell’entrata con il volto rigato di lacrime. Nobile e composta nella sua dolcezza ed umile e bellissima nel suo dolore.
- “ Mia signora , io non vi metterò nella posizione di dover…”
- “ Merlino. Camelot sarà sempre casa tua” disse Gwen avvicinandosi a quel ragazzo che da sempre era stato suo amico. “ so quello che hai fatto. grazie…”. E s’inchinò, dinanzi agli occhi chiarissimi di quello che poteva sembrare un semplice ragazzo esterrefatto.
- “No Gwen…cioè…no mia signora. Vi…vi prego, alzatevi. Non merito un ringraziamento…ho tradito la mia promessa, non l’ho riportato a casa stavolta.” disse Merlino a volto basso, non riuscendo a sostenere lo sguardo di Gwen, “io avrei dovuto….proteggerlo” continuò tra le lacrime, “spero possiate perdonarmi, sapendo che ho fatto tutto ciò che era in mio potere per salvare il mio re”.
- “Tu hai fatto molto Merlino, e questo regno ti è debitore. Artù ti amava molto e si fidava di te, non eri solo il suo servo, eri suo amico”.  Disse Gwen avvicinandosi e prendendogli le mani. “Sei leale Merlino, lo sei sempre stato. Artù è stato fortunato ad averti avuto con sé, ed io ti ringrazio perché…” Gwen pianse e cercò parole di riserva nei meandri di quello che rimaneva ormai del suo cuore “ perchè, lo hai protetto dal primo istante fino alla fine, e lo hai accompagnato alle porte della morte con la fedeltà e la lealtà di un vero amico. Artù è morto amato, e questo non potrò mai dimenticarlo. Sappi che…Non ti tratterrò se non vorrai restare, so quanto può essere doloroso per te, ma… io spero che resti, perché anche io ho bisogno di te. Camelot ha bisogno di te”.  Disse, e due lacrime calde le solcarono ancora una volta le guance ambrate, ma tra le lacrime, cercò ancora una volta un sorriso di scorta lì da qualche parte nell’anima, e lo trovò, perché Gwen sapeva che per un amico un sorriso lo si trova sempre.
- "Grazie mia signora. con o senza di me... voi renderete Camelot all'altezza del sogno che aveva Artù.
Ginevra fece un cenno di gratitudine con il capo e prese a salire le scale del castello per tornare ai suoi doveri, ma c'era ancora qualcosa che voleva chiedere a quell'incredibile mago....
- "Merlino, ancora una cosa" disse Ginevra voltandosi a metà della scala...."volevo....volevo chiederti se..." ed i suoi occhi divennero lucidi.
- " Ma certo mia signora"...Merlino capì al volo e con dolcezza si avvicinò al volto di Gwen con i suoi grandi occhi chiari pieni di lacrime. Gwen tremò per un istante, ma Merlino prese le sue mani "non abbiate paura, dovete solo guardare, l'ho conservato per voi". Fu allora che Gwen gli prese il volto con le mani, appoggiò la sua fronte a quella del mago e guardò nei suoi occhi, con quell'intensità tale che solo l'amore sa permettere. Non vide che con il cuore, e quello sguardo fu così intenso, che riuscì a scorgerlo. Era lì, l'ultimo sguardo di Artù intrappolato in una lacrima del suo fedele servitore. Gwen sorrise piangendo. .
- "  Hai mantenuto la tua promessa Merlino. Non lo dimenticherò mai". disse Gwen continuando a salire le scale. 

Merlino fece un cenno con la testa. Forse si sbagliava, Artù aveva ancora una missione per lui.

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Capitolo 2
*** l'alba di una nuova era ***


  CAPITOLO 2 : L’ALBA DI UNA NUOVA ERA
 
Era la sua prima notte al castello senza Artù, pensò, con la fronte appoggiata alla finestra dello studio di Gaius. La prima notte da quando era lì, in cui non aveva niente da fare. Nessun inseguimento, nessuno da sorvegliare, nessun incantesimo da dover imparare o armatura da lucidare, nessuna chiave da dover sottrarre dalle stanze di quello zuccone di Artù. L’aria gli sembrava di un’ insolita, strana immobilità e le sue membra, ancora una volta, faticavano ad arrendersi al sonno. Aveva persino perso l’appetito, e la sua ciotola di riso era ancora lì sul tavolo, eppure sembrava non preoccuparsene. Il suo respiro creò un alone sul vetro gelido e, pensieroso, vi disegnò un cerchio con le dita, poi un altro, e poi un altro ancora: 2 vicini che si intersecavano tra loro, ed un altro più sotto, che intrecciava entrambi. Domani, avrebbe fatto a Ginevra un nuovo regalo, nella speranza che potesse essere di buon auspicio per l’alba della nuova era che li stava attenendo. Avrebbe pagato oro per la certezza di dover correre, come ogni mattina da ormai qualche anno a quella parte, a svegliare il suo sire e doverlo letteralmente buttare giù dal letto con tutta la forza possibile. Scosse il capo quasi a voler scacciare quella malinconia, ripetersi che Artù non sarebbe tornato forse, prima o poi, avrebbe fatto effetto. Se si concentrava, poteva ancora sentirlo bofonchiare “Merlino vattene via” con una voce impastata dal sonno, e come sempre avrebbe dovuto rispondergli “Sire è ora, oggi avete una giornata piena di impegni”….. Certo, dopo avrebbe dovuto schivare un vaso volante, un cuscino o quel maledetto solito cucchiaino con cui Artù spesso lo minacciava, ma avrebbe pagato per rivivere tutto ciò, solo una volta ancora. Si scoprì a sorridere tristemente a quel ricordo, ed una ruga si increspò all’angolo destro della bocca. Chissà… forse un giorno, lo avrebbe rivisto. 
 
 
- “Merlino” disse Gaius riportandolo bruscamente alla realtà, “non riesci a dormire?” chiese, non troppo sorpreso di trovarlo sveglio. Gli si avvicinò piano, sospirò e si sedette faticosamente accanto a lui su uno sgabello. Gli anni cominciavano a pesargli addosso come un’armatura e le sue ginocchia diventavano sempre meno forti. “Mi sono sempre chiesto cosa ti passasse per quella mente complicata, ma credo dovresti smetterla di torturarti Merlino… è la legge del mondo. Ci sono destini che non possono essere arrestati….se così fosse, non godrebbero della gloria che meritano”. Disse appoggiandogli una mano sul ginocchio. “Dobbiamo andare avanti. Artù non vorrebbe che ci fermassimo proprio ora.”
 
Merlino annuì ma non rispose, sapeva che aveva ragione, ma doveva farci l’abitudine, ammesso che al dolore ci si potesse abituare. Continuò distratto a guardare nel vuoto di quella stanza buia e si inumidì le labbra con la lingua per cercare di ordinare in qualche modo alle lacrime di tornare indietro.
 
- “ come vuoi, io torno a dormire, spero tu ci rifletta meglio. Buonanotte Merlino” 
- “buonanotte Gaius”.
 
Ma Gaius restò lì nel letto a guardarlo seduto alla finestra, senza spiegarsi come quel ragazzo così gracilino potesse avere in sé la storia del mondo, come un corpo così minuto potesse possedere così tanta conoscenza, così tanta potenza senza esserne dilaniato. Il mago più potente del mondo, nel corpo di un ragazzo che non riusciva a darsi pace. Un ragazzo che portava sulle spalle il peso del destino di un amico e di un impero. Troppo per una sola persona, eppure, tra tutte le sue medicine, non ve n’era una per l’anima. Quella si cura col tempo, e col tempo soltanto. 
 
Si svegliarono entrambi alle prime luci dell’alba, e come ogni mattina, iniziarono a riordinare lo studio e a controllare i nomi dei pazienti da visitare, mettendo nella solita borsa di cuoio quanto necessario per il consueto giro di visite. Lo studio era un disastro, ma…a Merlino bastò uno schiocco di dita perché tutto tornasse immediatamente al proprio posto. Quando lo aveva fatto in passato Gaius si era infuriato, ma stavolta si limitò a guardarlo minacciosamente per poi sfociare in una fragorosa risata. “Va bene Merlino…ora puoi farlo” disse, alzando le mani in segno di resa, “ma non credo che la vasca delle sanguisughe si pulisca da sola, dubito che per quella ci sia un’apposita magia” e rise nuovamente.
 
- “allora vorrà dire che dovrò inventare qualcosa anche per quella ” rispose divertito il giovane mago. “Gaius… cosa farò io adesso? Resterò qui con te ad aiutarti?” chiese passandogli la borsa che intanto aveva riempito per lui.
 
- “se lo desideri….” Chiosò Gaius, mostrandogli con un solo sguardo, che quella sarebbe sempre stata casa sua.
 
“Gaius E’ permesso?” Tuonò la voce di sir Lion dall’altro lato della porta appena prima che Merlino potesse rispondere. 
 
- “Entrate prego, come posso aiutarvi di così buon mattino?”
 
- “sono qui per ordine della regina, vuole vedervi e….Merlino, vuole vedere anche te”
 
- “molto bene” disse Gaius. Merlino fece solo un cenno con il capo.
 
- “è bello rivederti Merlino, io…. Penso di parlare a nome di tutti noi, anche se solo io e Parcifal abbiamo l’onore di potertelo dire dal vivo. Ma sono certo che Galvano ed elyàn direbbero lo stesso se potessero”. 
 
- - “grazie sir Lion, è bello anche per me” ed i due si abbracciarono calorosamente. “Ehy ehy sir Lion, non sono un cavaliere” scherzò Merlino
 
- “ diciamo che è da parte di 4 amici” e gli diede un pungo sulla spalla in segno di affetto.
 
Entrarono in 3 nell’ampia sala che ospitava la ormai leggendaria tavola rotonda: Gaius e Merlino davanti, sir Lion dietro. Si inchinarono dinanzi a Ginevra e lei stessa li invitò a prendere posto. Gaius e Sir Lion si sedettero ai propri posti, quelli di sempre. Merlino invece, come di consueto,si sistemò in piedi accanto alla porta principale, esattamente dietro la sedia del re,ora occupata da Ginevra. 
 
- “Bene” Disse Ginevra alzandosi in piedi e girando sul proprio dito l’anello col sigillo reale per stemperare il nervosismo “questa è…” dovette schiarirsi la voce tremante di pianto, come se un colpo di tosse bastasse a lavar via il dolore dal cuore, “..la prima riunione del consiglio da quando Artù…non è più tra noi. Tante cose sono cambiate qui a Camelot da quando sul nostro regno è rischiarata l’alba di un nuovo giorno. Camelot non ha più nemici, e non è più nemica, dovrà prosperare in questa nuova luce… e sono sicura, che con l’aiuto di noi tutti, il disegno di Artù potrà dirsi presto realizzato.” “ Cavalieri”, prese fiato, “ Artù, ed Uther prima di lui, avevano bandito la magia da questo regno, ma si sbagliavano. E’ stata la magia che ci ha salvati tutti, è stata la magia ad arrestare l’avanzata dei sassoni, ed è stata la magia a fermare Morgana. Coloro che sono stati feriti dalla magia, alla fine hanno trovato la pace in essa ed è ad essa che devono essere grati per la salvezza di Camelot. Questa guerra ha dimostrato che non importa ciò che siamo, cavalieri,dame, re, servi…” si fermò incrociando per un attimo lo sguardo di Merlino, “importa chi scegliamo di essere con le nostre azioni, e con quelle soltanto” disse non distogliendo mai lo sguardo dai suoi occhi. “Da vostra regina, annuncio la rinascita di Camelot in una nuova luce, una Camelot giusta, fondata sull’uguaglianza, sulla lealtà e sulla giustizia, che ora e per sempre, saranno i suoi simboli” “ Che a nessuno sia mai negato aiuto qui a Camelot, che nessuno debba mai più avere paura di essere ciò che è, o debba vergognarsene, Camelot darà a tutti una possibilità”.
Un fragoroso applauso risuonò nella grande stanza del consiglio, e l’euforia colse i cavalieri.  
 
- “ Un’ultima cosa ancora cavalieri….Questa tavola rotonda è così per un motivo preciso…ci insegna che tutti siamo uguali” Disse Ginevra accarezzando delicatamente gli intarsi della tavola accuratamente incisi, quasi come a voler cercare tra le trame del legno le parole che suo marito avrebbe usato. “…e che tutti dobbiamo continuare a camminare nella speranza di Artù e dei suoi valori dallo stesso punto di partenza. Ma…c’è una cosa che Artù,sono certa, vorrebbe che vi dicessi… per lui eravate più che cavalieri,eravate amici. Ognuno di voi in questa stanza era parte di lui, ed è in ognuno di voi che io, oggi, lo rivedo. Lui avrebbe voluto che vi ringraziassi, uno ad uno, per quello che avete fatto per il vostro re, per un amico, e per Camelot.” Un altro lungo applauso commosso seguì le parole della regina. “C’è una sedia vuota lì, tra sir Lion e sir Parcifal” Disse Ginevra indicandola con la mano. “ Quella sedia apparteneva a Galvano, ma io….vorrei offrirla a te Emrys, per quello che hai fatto per noi, per tutti noi…. E per quello che hai fatto per Artù. Sarebbe fiero di te, ma so che ha fatto in tempo a dirtelo.” Disse Ginevra fiera e solenne, dando le spalle a Merlino. 
 
Nessuno capì. Nessuno se non Gaius, che poggiò la sua mano su quella della regina esattamente accanto a lui accennando un sorriso conformtante.  I cavalieri cominciarono a bisbigliare confusi guardandosi intorno per cercare di scorgere quel vecchio barbuto vestito di rosso, aspettandosi che sbucasse da qualche angolo della sala. Merlino restò lì pietrificato ed incapace di dire qualunque cosa, si chiese ancora se stesse respirando. Solo ora aveva colto: il destino di Artù ed il suo si erano finalmente compiuti, ed una lacrima rigò ancora il suo volto quando Gwen si girò a guardarlo. La Magia sarebbe stata di nuovo la benvenuta.
 
- “Emrys… mia signora? Lo…stregone del tuono di Camlann?” chiese dubbioso sir Lion percependo lo stesso dubbio negli occhi degli altri cavalieri e guardando Ginevra con l’aria di chi crede di non aver capito. “ma…non abbiamo idea di dove sia, dalla battaglia nessuno lo ha più visto”.
 
- “non tutto è come sembra sir Lion, non è così Merlino?... potresti…spiegarlo tu.” Disse Gwen incamminandosi verso il mago e fermandosi a poca distanza da lui.
 
- “io…io…non credo di poter….” Disse Merlino in un flebile sussurro che a fatica gli uscì dalla gola, e che solo lei riuscì a sentire.
 
- “Artù avrebbe voluto così” rispose lei d’un fiato.
 
Merlino si incamminò piano, verso il posto vuoto di sir Galvano, nel silenzio generale, tra i volti che lo osservavano dubbiosi e desiderosi di una spiegazione. Proseguì verso il posto con lo sguardo basso di chi non avrebbe mai creduto di poter riuscire a convincere gli altri. Nella stanza piombò il silenzio, un silenzio così profondo che si sentì il rumore delle sue dita che sfioravano lo schienale della sedia con estrema incredulità, o della saliva che a fatica cercava di ingoiare in quella gola diventata secca tutto d’un tratto. 
 
- “ Non è facile per me spiegare….” Alzò lo sguardo terrorizzato ed incrociò quello di Gaius, quasi a chiedergli di suggerirgli le parole, ma ebbe in cambio solo un cenno del capo che gli suggerì che il tempo della verità era ormai giunto. “io….” E fece una lunga pausa in cerca delle parole più adatte, ammesso che vi fossero. “io vi chiederei di posare i vostri scudi davanti a voi, qui sul tavolo”. 
I cavalieri si guardarono tra loro straniti.
 
- “perché?” chiese sir Lion tra il sospetto ed una consapevolezza che cercava di voler trovare assurda.
 
- “ Sir Lion, fate come dice” Tuonò Ginevra.
 
E lui fu costretto a posare lo scudo dinanzi a sé, e così tutti gli altri. Merlino distese le mani aperte verso il centro della tavola, pronunciò a voce solenne un qualcosa di incomprensibile, e tutti gli scudi a punta , che prima recavano il drago verde simbolo di Camelot, divennero tondi, e sopra vi furono impressi 3 anelli: 2 vicini che si intersecavano, ed uno sottostante che si intrecciava ad essi. I cavalieri sobbalzarono all’indietro spaventati ed attoniti, qualcuno sguainò la spada, altri alzarono le mani in segno di difesa. Quel ragazzo, il servo del re….era uno stregone, era LO STREGONE. Ma prima che potessero dire qualcosa, Merlino prese la parola. “ Questi anelli rappresentano ciò che Artù voleva fosse Camelot; UGUAGLIANZA…” e con il dito ricalcò l’intarsio del primo cerchio, “ LEALTA”, e ricalcò il secondo….” E GIUSTIZIA”, ripercorse le linee del terzo. “ Questa era la Camelot che Artù sognava e per la quale è morto, ed è la Camelot che lui ha affidato a voi, a tutti noi. Mia signora….io non sono un soldato di Camelot, e non ho diritto a sedermi a questo tavolo. Sono sempre stato e sempre sarò, umile servo del mio re….e vostro, fino a che vorrete, ma…questo posto è di Galvano, è di elyàn, è di Lancillotto… e di tutti coloro che sono morti per un’idea che era Camelot….. Anche loro erano miei amici, ed anche loro combattevano per il sogno di Artù. Mi dispiace non abbiano fatto in tempo a vederlo realizzato. “Miei signori, questo scudo….” Si fermò, prese lo scudo con entrambe le mani e lo rivolse verso di sé, “…spero possa sempre ricordarvi chi siete, per chi avete combattuto, per quali ideali i vostri amici hanno perso la vita”. Ed alzò lo sguardo verso i cavalieri… “Artù non sarà morto invano se ognuno di noi ricorderà quello che siamo, e quello che diventeremo in suo onore. La Camelot che agognava, è appena risorta. ….” E per un attimo, mentre pronunciava quelle parole, in quello stesso scudo, avrebbe giurato di aver visto Artù accanto alla sua immagine annuire sorridendo.
 
- “Merlino tu….” Provò a chiedere Lion scuotendo lentamente il capo e non riuscendo a completare la frase, quasi a volersi convincere del contrario…
 
- “ Sì, Lion… Io. È me che avete visto su quella rupe. Quel tuono…è stata opera mia. “ disse quasi sentendosi in difetto. “Mi dispiace non avervelo detto prima, ma….non potevo, spero che questo non cambi la vostra fiducia”.
 
Lion si accasciò pensoso sullo schienale della sedia, e Parcifal incorciò il suo sguardo con un’espressione confusa e sconvolta. Quante volte erano stati in compagnia di quel ragazzo… quante battute di caccia, quante spedizioni. Quante volte lo avevano preso in giro, o trattato duramente, eppure…non si erano mai accorti di nulla, non lo avevano nemmeno sospettato.
 
- “Artù lo sapeva?” chiese Parcifal non riuscendo a guardarlo negli occhi.
- “no Parcifal….gli è stato rivelato al momento opportuno” rispose Merlino stringendo i pugni. 
 
Parcifal annuì ad occhi bassi, sospirò, si alzò in piedi e disse “non mi importa cosa sei Merlino, o chi sei…. Io sarò con te per Camelot”.
 
- “anche io” rispose sir Lion destandosi e battendosi il pugno sul petto. E tutti presero a seguirlo.
 
Un raggio di sole illuminò il trono di Artù, e tutti i cavalieri alzarono le spade in nome del proprio re, giurando fedeltà a quegli anelli incisi nel ferro del proprio scudo. "Ora e per sempre" urlò sir Lion, "ora e per sempre" risposero tutti gli altri. Ognuno in quella stanza sapeva che nulla sarebbe più stato come prima, e che Artù avrebbe vegliato su di loro. 

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Capitolo 3
*** La magia più grande ***


Un grido squarciò una tiepida notte d'estate come tante. Era il momento. Finalmente.
“Coraggio, coraggio mia signora” disse Lyra, la nuova giovane serva di Gwen stringendole la mano più che poteva e  sorreggendole la testa con l’altra. “Ancora un po’” le sussurrò all’orecchio mentre Gwen urlava disperatamente in preda al dolore.

“Non ce la faccio, ti prego non ce la faccio” disse la regina piangendo, madida di sudore e con il fiato corto, volgendo il suo sguardo sfinito verso di lei quasi a implorarla di far cessare tutta quella sofferenza.
Con estremo strazio, Lyra adagiò Gwen su due cuscini, avvicinò un secchio con dell’acqua e le tamponò un panno bagnato sulla fronte continuando ad accarezzarle i capelli, come se quel gesto così intimo potesse alleviarle tutto quel dolore. “Forza mia signora, tra poco sarà tutto finito” disse guardando con aria sospesa l’altra donna lì con loro, quasi a chiederle, con gli occhi, di assicurarle che fosse vero.

L’altra, con la testa tra le gambe della regina e le mani sulle sue cosce, si assicurava che Gwen non perdesse la giusta posizione e tra un grido e l’altro, le chiedeva di spingere, di spingere e respirare, spingere e respirare. Era lei che solitamente aiutava le donne della città a partorire. Aveva fatto nascere quasi tutti i bambini di Camelot, compresi i suoi sei figli, compresa Gwen. Sapeva come funzionava: a volte tutto andava per il meglio, altre invece riusciva a salvare solo il bambino, o solo la madre. Talvolta, non troppo di rado, nessuno dei due. A Camelot era conosciuta da tutti, e tutti, almeno una volta, le avevano aperto le porte di casa propria perché fosse d’aiuto a qualche figlia, nipote o sorella. Una settimana prima, aveva aiutato la moglie di sir Lion a dare alla luce il loro bambino e si era presa cura di loro, con tutta la sua discrezione, fino al suo ritorno. Ed infatti fu proprio a lui che venne in mente di chiamarla appena Gwen ebbe i primi segnali dolorosi. Se c’era qualcuno nato per quel compito, quella era lei. In tarda serata, con il permesso di Ginevra, sir Lion aveva raggiunto Aghata nella sua dimora della città bassa e, chiedendole di coprirsi con un mantello perché nessuno la riconoscesse, l’aveva aiutata a salire sul cavallo, e con lei era partito alla volta del castello.

Gaius e Merlino non avrebbero potuto intervenire. Non era un compito da uomini, ma erano rimasti dietro la porta chiusa della stanza di Gwen ad attendere la lieta notizia. Come sempre in questi casi, sarebbero entrati subito dopo la nascita del bambino ed avrebbero somministrato alla partoriente qualche siero antidolorifico e distensivo. Quella volta però, pareva ci volesse più del solito. Era passato molto tempo, eppure, nulla era cambiato, nulla se non le grida di Gwen che andavano intensificandosi col tempo, ed erano così strazianti che a tratti, sembrava anche a loro di sentire quel dolore.

“ Gaius, non vi sembra sia passato troppo tempo?” Chiese Merlino preoccupato passeggiando nervosamente su e giù per il corridoio.

“non c’è motivo di preoccuparsi Merlino,Aghata sa quel che fa, è la persona migliore per cose come questa… anche volendo, non potremmo fare nulla” rispose Gaius cercando di mascherare, con la calma che lo caratterizzava, un’insolita agitazione che gli graffiava la voce. Qualcosa non andava, se ne rendeva conto, ma non voleva allarmare nessuno.

“Ancora niente?” chiese timidamente Sir Lion che, di tanto in tanto, li raggiungeva per avere notizie “è passato ormai…un po’”
“ecco vedete…lo dice anche sir Lion… Dovremmo fare qualcosa” rispose Merlino sbattendosi le mani sui lati delle cosce in segno di disappunto all’inerzia del suo maestro.

“Con mia moglie è stato…” si arrestò a cercare un aggettivo corretto “veloce?” disse con tono interrogativo rivolgendosi a Gaius,sperando vivamente di non aver sbagliato parola, ma ottenne in cambio solo 2 sguardi preoccupati ed impotenti.

Nessuno fece in tempo a replicare, che Agatha uscì dalla stanza della regina, toccò la spalla di Gaius e gli fece cenno di seguirla qualche passo più in là. “ Gaius…non ce la farà. La regina è stremata ed il bambino non è in posizione” disse a bassa voce , con tono pacato ma rassegnato.

“non è in posizione”? Chiese Gaius non sicuro di aver capito bene “come fate a saperlo?”

“ ho visto un piedino…” rispose lei, e quella sua espressione stanca lasciò presto spazio ad una cruda consapevolezza.

A Giaus mancò la terra sotto i piedi “e il bambino?” chiese, temendo la risposta.

“se facciamo in fretta, può vivere; va a prendere un siero di somnium mortis, io preparo i coltelli”. Aggiunse stringendogli il braccio con la mano in segno di vicinanza al suo dispiacere. “fa presto…” lo pregò e così dicendo, rientrò nella stanza di Gwen e chiuse le porte alle sue spalle lanciandogli un ultimo sguardo di pietà.

Gaius chiuse gli occhi per un istante, il tempo di realizzare. Li riaprì, si massaggiò la parte superiore della fronte con il pollice e l’indice e sospirò grave. Guardò Merlino e con aria affranta, scosse il capo. Dopo gli fece cenno di seguirlo. Avrebbero dovuto sbrigarsi. Si precipitarono per le scale, attraversarono i lunghi corridoi del castello e giunsero di corsa allo studio

“Gaius che succede?” chiese freneticamente Merlino più di una volta lungo tutto il percorso, senza però ricevere risposta. “Gaius…ditemelo!” e gli sbarrò con un braccio l’accesso alla porta.

“Per favore…”“Merlino, non c’è tempo…Aiutami a trovare un somnium mortis, quello….quello nero”.
“Cosa? Perché?... la ucciderà!!!”

“morirà comunque…”Urlò Gaius irritato da quelle domande incalzanti che gli impedivano una ricerca veloce. “ Merlino, abbiamo fretta…trova quel siero”.

 “ io potrei tentar..”

“ Merlino!!!…Allora le tue esperienze non ti hanno insegnato nulla?” Disse Gaius con un tono che a lui stesso sembrò eccessivo, poi, calmandosi, si avvicinò al giovane mago, aprì un cassetto e tirò fuori una lettera accuratamente sigillata con la ceralacca nera, quella che spesso usava Artù. “Ginevra se lo aspettava” disse facendogli ondeggiare quella busta davanti agli occhi. “Sua madre è morta di parto cercando di dare alla luce il suo ultimo figlio: il bambino che portava in grembo non era nella posizione corretta. Aghata, al tempo, fece quanto in suo potere per salvarle la vita, ma non vi riuscì. Morirono entrambi” Disse Gaius con tono serio.

Merlino si accasciò sullo sgabello dietro di lui col fiato corto, iniziando ad immaginare cosa ci fosse in quella busta, ma lasciò continuare Gaius:

“Ieri sera, Ginevra mi chiamò nelle sue stanze per darmi questa”. Disse Gaius consegnandogli la busta “Aveva paura accadesse lo stesso. Mi ha fatto promettere che, comunque fosse andata, io avrei salvato il bambino, che se avessi dovuto scegliere, in qualità di medico di corte, avrei scelto il bambino. In quella busta sono contenute tutte le sue volontà, compresa la persona a cui ha scelto di affidare il bambino.”

“ e voi glielo avete promesso”? Chiese Merlino rigirando quella busta su se stessa, come se, da un momento all’altro, si aspettasse di vedervi comparire qualcosa.

Gaius annuì con un cenno del capo e si congedò ad occhi bassi,recando in mano la boccetta che fino a pochi istanti prima aveva cercato.

Nulla. Merlino non ribattè nulla. E restò lì, ancora una volta. Si chiese se il suo destino fosse quello, fosse starsene seduto, con i suoi amici tra le braccia, a vederli morire uno dopo l’altro. Se il suo destino fosse rimanere impotente tutte le volte, fosse dover arrendersi all’idea che alcuni destini sono scritti, alcune storie sono predette, che la magia può aiutare, ma non cambiare le cose. Cosa avrebbe detto Artù, cosa avrebbe fatto…cosa gli avrebbe chiesto di fare? Battè i pugni al muro, urlò. Un’altra volta, un’altra volta quella situazione. Di nuovo lì, lui e la sua magia da una parte, la morte dall’altra, ed in mezzo il tempo, quello che gli sfuggiva tra le dita, come sabbia in un pugno aperto.

Ma nella sua disperazione, d’un tratto ebbe un’idea.

Corse per le scale sperando di raggiungere Gaius in tempo, sperando che quella boccetta non fosse già arrivata a destinazione. Le grida di Gwen non erano mai state così confortanti… almeno era ancora viva e sveglia, forse ce l’avrebbe fatta. Arrivò affaticato davanti le stanze della regina. Le urla strazianti di lei gli dilaniavano il cuore, ma stavolta, aveva un’idea. Stavolta, non sarebbe rimasto a guardare o, in quel caso, non sarebbe rimasto ad ascoltare dietro una porta. Aveva già visto come muore un amico, non si sarebbe arreso al tempo anche in questo caso, non senza averci almeno provato. Vide Gaius in procinto di bussare alla porta…”Gaius no, vi prego” riuscì ad urlargli in tempo mentre questi aveva appena appoggiato le nocche alla porta, pur senza bussare. “Fatemi provare. Ho già controllato una volta il potere della vita e della morte. Mi avete visto…Eravate con me sull’isola dei giusti quando ho sconfitto Nimueh. L’ho fatto una volta, posso farlo ancora….”

“E stavolta Merlino… che vita prenderai per una strappata alla morte?” rispose Gaius, accarezzando la porta che, fino ad un secondo prima era pronto a colpire per consegnare ad Aghata il siero.
“Nessuna, non morirà nessuno se il mio piano funziona. Lasciatemi provare, vi prego…un solo tentativo, non voglio che Gwen muoia”. Chiese con occhi pieni di speranza e decisione. Così tanto profondi che Gaius si sentì quasi rincuorato da un pensiero, da un’idea. Quel ragazzo era il mago più forte del mondo, probabilmente, se Ginevra aveva anche solo una possibilità, quella era lui. Ed un grido di Ginevra fu risposta che attendeva.

“ Finalmente ce l’hai fatta” disse Aghata aprendo la porta per controllare perché Gaius ci mettesse tanto. Gli strappò il siero dalle mani e disse “due gocce come mi hai insegnato, ed appena la vita inizierà ad abbandonarla io…”

Ma Gaius non volle ascoltarla. “Aghata, forse c’è un altro modo” disse interrompendola e guardandola dritta negli occhi. E sperando che Merlino sapesse cosa stava facendo.

“Gaius” rispose lei dolcemente, abituata a quella frase sentita centinaia di volte “mi piacerebbe tanto che tu avessi ragione, ma sappiamo entrambi che non è così”.

“ non per la scienza, certo, ma…forse questa volta possiamo tentare in un altro modo”.

Gwen urlò dallo strazio… ed Aghata si girò a guardarla, avevo vista nascere quella ragazza e suo fratello prima di lei, non ne poteva più di vederla così, era troppo anche per lei che, a quelle urla, ci era abituata ormai da un po’. “Quale è questo modo di cui parli?” chiese voltandosi nuovamente verso Gaius e guardandolo sperando ne valesse davvero la pena.

“Lascialo provare...” rispose lui spostando la sua ampia veste rosso mattone e rivelando, dietro la sua figura , quella di un ragazzo magro e gracilino con 2 determinati occhi neri.

Aghata strabuzzò gli occhi, guardò Gaius incredula indicando il ragazzo “lui?...oh no..non può entrare, cosa direbbe la regin…”

“Non so cosa direbbe la regina, la interruppe Merlino avvicinandosi a lei, “ma so cosa direbbe Artù se gliela consegnassimo prima del tempo”. E Gwen urlò di nuovo, un grido feroce e stanco, come quello d’una gazzella che s’arrende alla morte martoriata dal morso di un leone nel tentativo di salvare il suo piccolo.

Aghata abbassò gli occhi impotente, non aveva altra soluzione. “Molto bene ragazzo…” il peso di quella decisione gravava su quelle piccole e gracili spalle di una vecchietta che ormai, aveva forse perso le speranze. “Ma solo un tentativo, se non dovesse funzionare, la addormenteremo per sempre”.

Potente e risoluto fu il cenno di Merlino e quello di Gaius ed il giovane mago entrò nella stanza. “Aghata, Lyra, ho bisogno di voi…scopritele il ventre” prese a dire Merlino freneticamente riempiendo nuovamente il secchio con dell’acqua fresca ancora rimasta in una brocca. Si affacciò alla porta ed ordinò a Gaius e sir Lion di prendere delle bende pulite e dei cuscini. Si avvicinò a Gwen, la vide sfinita e con la disperazione nel cuore che si era piano piano impigliata tra le sue lunghe ciglia nere. Le prese la mano “non vi lascerò morire…fidatevi di me”.

“Merlino” disse lei con l’ultimo fiato che aveva in gola stendendo un braccio per averlo vicino. “Questo bambino è l’unica cosa che mi resta di Artù” pianse. “Se non dovessi vivere, voglio che tu te ne occupi” disse bianca in volto ormai sussurrando. Le sue labbra persero il loro colore solito e divennero secche, chiare. La vita le stava scivolando dagli occhi come lacrime e portava via con lei la luce di quel desiderio.

“Ginevra, avrete questo bambino, è una promessa” disse lui portandosi la sua mano sulle labbra per baciarla “Perdonatemi per quello che sto per fare…”. E così dicendo le strappò dal corsetto il vestito scoprendo il suo corpo completamente nudo. Freneticamente chiese a Lyra di sedersi dalla parte opposta del letto e di sorreggere col suo corpo la schiena della regina, in modo da tenerla in posizione eretta. “Lyra, posa le tue mani sul ventre, quando te lo chiederò, dovrai dirmi se senti qualcosa”. Gwen lo guardò al limite della vita, era ancora sveglia, sebbene non troppo vigile. Non le importava del pudore, dei regolamenti, il dolore era troppo perchè la mente potesse concepire altro. Le importava solo che smettesse.

“Aghata in posizione” urlò Merlino notando che Gwen cercava di non arrendersi alla morte, di combattere per quello che le restava di Artù. “coraggio Gwen…coraggio” disse a denti stretti lui accarezzandole delicatamente il volto e sentendo l’adrenalina che gli bolliva il sangue. Aghata afferrò velocemente le caviglie della regina e, con delicatezza, sollevò il corpo di lei portandole il bacino ai bordi del letto. Le aprì le gambe ed urlò “Ora ragazzo, Ora” e Merlino stendendo le sue mani sul ventre di Ginevra, a pochi centimetri dalla sua pelle pronunciò “ Vitae fata manu eversa. Fatum autem rex et in ventre matris” ed i suoi occhi si illuminarono d’oro.

“Niente” urlò Lyra disperata tra le lacrime con le mani premute sulla pancia di Gwen, “non ho sentito niente”.

“Ancora, ancora, fallo ancora” intimò Aghata non volendosi arrendere alla sconfitta. “Vitae fata manu eversa. Fatum autem rex et in ventre matris” ripetè nuovamente Merlino credendoci di più. E di nuovo gli occhi assunsero il colore dell’ambra. Niente. Non funzionava. Di nuovo. “Non funziona…” disse piano Merlino col terrore negli occhi, e lo sguardo perso nel vuoto. Poi guardò Ginevra con la sconfitta in volto, come chi pare condannato a consegnare alla morte i suoi amici. Anche lei ricambiò il suo sguardo afflitto con un’aria di estrema dolcezza e gratitudine, seppur incapace di dire qualcosa per il dolore che le stava consumando quel corpo ricolmo di vita, una vita che la consegnava alla morte sempre più in fretta. Con quell’ultimo battito di ciglia, Ginevra pareva volesse ringraziarlo per averci provato, e con le ultime forze che aveva il corpo gli toccò la spalla con la mano, ma non riuscì a proferir parola. I tratti del suo volto si stavano abbandonando ad un rilassamento più profondo del sonno, un rilassamento che solo la morte imprime alle membra.

“…dobbiamo fare presto” disse Aghata correndo a prendere il siero da Gaius “dobbiamo salvare il bambino, Merlino prendi il coltello”. Lyra continuava a piangere nascondendo il volto tra i capelli della regina, nuda ed inerme tra le sue braccia, stringendola sul petto. Merlino ebbe un leggero giramento di testa, e per un attimo dovette appoggiarsi ad un mobile lì nella stanza “ancora una volta” sentì dire ad una voce nella sua testa.

“cosa?” chiese Merlino guardando Lyra, ma lei lo guardò non capendo di cosa stesse parlando. “Hai detto qualcosa?” provò a richiedere lui. Ella fece cenno di no col capo, tra una lacrima e l’altra, aveva finito tutte le parole.

“Merlino! Ancora una volta, ti prego” sentì riecheggiare nel suo cervello. Quella voce…
Si girò intorno spaesato, il tempo pareva essersi fermato. Non c’erano più suoni, né rumori. Né i singhiozzi di Lyra, né i passi di Aghata che chiedeva a Gaius il filtro. Merlino si girò a guardare Ginevra, nuda, pallida e fragile come una bambola di vetro. Ma stavolta lui era lì. Artù era vicino al suo letto, esattamente dietro di Lyra…e lo stava guardando. “Ancora una volta Merlino” disse senza muovere le labbra, e Merlino udì quella sua voce nella testa quasi come fosse un pensiero. Nello stesso modo in cui, anni prima, aveva comunicato con Mordred.

“Bene, ancora una volta” disse guardando negli occhi il suo re; lo disse a voce alta, tanto che Lyra si chiese con chi stesse parlando, si avvicinò a Ginevra, mentre Aghata aveva appena varcato la soglia della porta con il siero tra le mani, distese le mani su di lei, e con quanta forza ebbe in corpo, con quanto fiato ebbe in gola urlò “Vitae fata manu eversa. Fatum autem rex et in ventre matris” ed una forza sovrumana si liberò nella stanza spaccando i vetri delle finestre e riversando a terra i mobili. Lyra che premeva le mani sul ventre della regina sentì qualcosa all’interno di esso. Qualcosa si era mosso in modo evidente. “l’ho sentito…l’ho sentito si è mosso” urlò lei euforica ma ansiosa

Ad Aghata cadde il siero dalle mani…corse tra le gambe di Ginevra che sembrava aver ripreso un po’ del suo colore, le buttò in faccia tutta l’acqua del secchio in cui venivano immerse le bende, e tanto bastò per permetterle di destarsi da quel sonno quasi mortale. I dolori erano ricominciati, ma non sarebbero durati ancora molto. Il bambino era in posizione. Qualche spinta ancora.

“coraggio mia cara, coraggio” disse Aghata visibilmente commossa sapendo di essere riusciti a strappare quella giovane alla morte, ci siamo quasi”. E Ginevra urlò, una, due, tre volte… alla quarta, un pianto coprì il suo dolore e Gwen sfinita, conobbe una nuova piccola vita.

“una femmina” urlò Aghata. “è una femmina!!!” E Gwen pianse di gioia, sembrandole il dolore un ricordo ormai lontano.
Incredibile, pensò Merlino sorridendo con il cuore in gola; per la prima volta qualcuno aveva fatto una magia più grande della sua: aveva donato una vita. Non poteva esservi magia più grande di quella che facesse una madre dando alla luce il proprio bambino, e commosso dall’intimità di quello spettacolo, alzò lo sguardo per guardare Artù, ma non lo vide. Lui non c’era.

“Artù?”, disse sottovoce cercandolo nella stanza con lo sguardo.

“Merlino, cosa stai facendo?” Chiese Aghata prendendo in braccio la neonata per avvolgerla in una coperta.

“Artù…lui..lui era qui prima che voi entraste…e…” bofonchiò confusamente il ragazzo

“ecco perché gli uomini non dovrebbero mai assistere ad un parto, cominciano ad avere le allucinazioni” disse sbigottita Aghata divertendo Lyra, che, dopo tanto pianto, si sciolse in un sorriso sincero stampando un bacio sulla fronte di Gwen.
Merlino non si trovò completamente in disaccordo e, stranito, pensò che qualche ora di sonno, gli avrebbe fatto sicuramente bene. Prima di lasciare la stanza con il loro permesso, si assicurò che le due donne non avessero bisogno di aiuto e che Gwen e la bambina stessero bene. Uscì e trovò Gaius e Sir Lion di cui, tra l’altro si era completamente dimenticato.

“allora?” chiese Sir Lion ansioso vedendo la sua faccia sconvolta e stranita…  

“ Voi c’eravate quando vostra moglie ha partorito Sir Lion?”

“No…sono arrivato subito dopo, perché?”

“Siete un uomo fortunato…Sir Lion” disse con un tono da ubriaco, “molto fortunato” concluse prima di vomitargli sulle scarpe. Suscitando l’ilarità di entrambi che iniziarono a ridere fragorosamente. “ Ed io che ero pronto a proporti come assistente di Aghata” scherzò sir Lion facendo ridere ancor di più Gaius che lo aiutò a trascinare Merlino dritto nel suo studio. Quel ragazzo, stavolta, avrebbe avuto bisogno di un bel sonnifero.

“ Voi lo avete visto Artù?” chiese Merlino con lo stesso tono da ubriaco di qualche minuto prima, mentre veniva trascinato dai suoi amici giù per le scale.

“oh si certo….certo Merlino, perchè scusa, Galvano non l'hai visto?” continuarono loro a prenderlo in giro e si allontanarono ridendo.

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Capitolo 4
*** la profezia ***


Una goccia di sangue che cade in un lago, le fiamme che avvolgono Camelot, una donna che urla. Era sempre lo stesso sogno, quello che lo tormentava ormai da diverse notti. Si svegliava nella notte sudato ed ansimante, quasi sempre alla stessa ora, accendeva una candela, guardava fuori dalla finestra, fuori dalla porta, nessuno. Cercava un segno, un indizio…cosa volesse dire, non lo sapeva. C’era qualcuno che cercava di comunicare con lui? Cosa doveva capire che non riusciva ad afferrare? Non ne aveva parlato con nessuno. Solitamente, quelli erano discorsi che avrebbe fatto con il buon vecchio Gaius. Lui sì che avrebbe avuto una risposta. Lui sì che avrebbe saputo dove e cosa cercare. Niente, non sapeva da dove cominciare. Gli indizi erano troppo generici, eppure…qualcosa non andava, qualcosa stava per accadere ed era intenzione di qualcuno comunicarglielo.

“Un lago… un lago…un lago…andiamo” ripetè fra sé e sè freneticamente buttando giù dallo scaffale tutti i libri che potevano tornargli utili. Dove poteva essere questo lago? Cosa poteva voler significare? Qualche libro in quella stanza avrebbe sicuramente contenuto la risposta, sì, ma quale?
Li aveva passati in rassegna tutti. Nessun lago, non lì vicino almeno. Nonn aveva trovato nulla. L’ultima speranza era il frammento di cristallo che aveva portato via dalla grotta della conoscenza anni orsono. Ma non voleva usarlo. La conoscenza è un fardello terribile da sopportare, si era ripromesso di non rifarlo. Lo aveva avvolto in un panno e riposto lì in uno scrigno sotto le assi del pavimento. Aveva promesso a se stesso che lo avrebbe usato solo in caso di estremo bisogno, ed un brutto sogno di certo non era una buona ragione. Il potere di quei cristalli era enorme, talvolta oscuro, talvolta non veritiero. “I cristalli ti mostrano solo una delle possibili ipotesi del futuro, non sempre quella che è destinata a compiersi” aveva detto Gaius una volta, dunque perché fidarsi? Eppure, quel maledetto potentissimo pezzo di roccia, gli aveva permesso di salvare Artù dall’attacco delle truppe a Camlann avvisandolo dell’imboscata, era attraverso il cristallo che lui era riuscito ad avvertirlo. Ma scacciò presto quel ricordo dalla mente per non autoconvincersi a violare ciò che si era ripromesso. No, per ora, non lo avrebbe usato.

Tale fu il concentrarsi su quel pensiero che non si rese conto del tempo che passava, e quando finalmente si destò dal suo torpore il sole aveva ormai mostrato i primi raggi tingendo di rosa tutta la cittadella, ed un’altra notte ancora era passata senza che riuscisse a dormire neanche per un attimo. Non poteva continuare così, doveva capire. Prese il suo cesto delle erbe, si abbottonò il lungo mantello blu con il cappuccio alzato e, di buon mattino, pensò che la cosa migliore da fare per schiarirsi le idee fosse quella di raccogliere un po’ di bacche per i suoi preparati, aveva finito quasi tutto.

“Posso venire con te Merlino?” chiese una vocina sottile ed acuta alle sue spalle. Merlino ebbe un sussulto, non si aspettava nessuno a quell’ora, men che meno una bimbetta di appena 5 primavere, scalza e con ancora indosso il vestito per la notte.

“Thora… che ci fai già sveglia? E’ ancora molto presto. Se tua madre non ti trovasse si spaventerebbe terribilmente” le disse Merlino chinandosi verso di lei con aria seria. Ma riuscire a tenere a lungo un’espressione imbronciata con quella piccoletta era impossibile, quei ricci color del cioccolato che le incorniciavano un visino vispo e furbetto erano irresistibili e Merlino non potè che sciogliersi quasi subito in un sorriso divertito notando che lei era rimasta immobile a fissarlo dubbiosa. Le scompigliò i ricci, le “rubò” il nasino tra l’indice ed il medio e le promise che più tardi le avrebbe fatto vedere una cosa molto divertente lì nel suo studio, ma solo se fosse tornata a dormire immediatamente.

“Ti prego Merlino, mia madre lo sa che vengo sempre con te” rispose la piccola piagnucolando,puntando su di lui quegli enormi occhi nocciola sempre attenti a scrutare ogni suo movimento. “ Così …ti aiuto”.  
“E va bene” sospirò il mago…”ma prima…mangiamo qualcosa. Hai fame?” Entusiasta la bimba annuì e corse a mettersi le scarpe e la sua mantellina rossa. Merlino intanto scaldò un po’ di latte con la magia, prese la piccola in braccio e le passò la scodella di legno. “Attenta che scotta”, ed insieme restarono lì ancora un po’ a vedere le figure delle erbe su un grosso librone. Finirono la colazione e, tenendosi per mano, si incamminarono verso il cavallo, ognuno con il suo cestino. Quella bimba era la sua ombra. Passavano insieme quasi ogni pomeriggio, lui le insegnava a riconoscere e dividere le erbe e le ricette, lei gli insegnava che Artù viveva ancora dentro le cose che lo circondavano, dentro due occhietti marroni vispi e curiosi, ad esempio. Mai avrebbe pensato di potersi innamorare così di una creatura, l’aveva vista nascere, l’aveva fatta nascere! Era dietro i suoi primi passi a reggerle la mano, e c’era alla sua prima parola. L’amava come fosse sua figlia, Artù avrebbe meritato di vederla anche solo una volta,pensò, aveva il suo stesso coraggio.

“Siamo arrivati?” chiese lei riportandolo immediatamente alla realtà.
“Sì, lo vedi quel grosso albero lì giù? Ci fermeremo lì, così possiamo posare i cestini ed iniziare a raccogliere quello che ci serve, e tra qualche ora potremo tornare al castello”. Così dicendo, aiutò la piccola a scendere dal grosso animale ed insieme si allontanarono di poco per iniziare a raccogliere un po’ di bacche nere e qualche petalo di rosa da essiccare al castello. Era incredibile come Thora, così piccola, fosse in grado di seguire attentamente tutte le indicazioni di Merlino, raccoglieva quei petali con una maestria insolita per una bimba della sua età, riponeva tutto con cura nei cestini e, talvolta si sedeva stanca sull’erba a guardare Merlino intento nel suo lavoro, indugiava un po’ e poi riprendeva più svelta di prima.

“ Allora è qui che vi nascondete!” Disse Gwen raggiante scoprendoli a mangiare insieme qualche bacca.

“Madre!!” esclamò subito la piccola correndole incontro felice che fosse arrivata! “Abbiamo raccolto tante cose, vieni a vedere” e con la mano trascinò la regina fino ai cestini, li aprì e con soddisfazione guardò la sua espressione fintamente sorpresa!
“Wow, hai fatto tutto da sola?” disse Gwen complice dell’entusiasmo della figlioletta e, strizzando l’occhio a Merlino aggiunse “ Beh, allora non c’è più bisogno di Merlino, la prossima volta potrai fare tutto da sola!”
“No!!”Urlò la piccola risentita rifugiandosi tra le braccia del mago che finse un’aria dispiaciuta “ Merlino è mio amico” disse guardando sua madre in modo molto arrabbiato, tanto da farla ridere di gusto. “ Va bene, allora vorrà dire che dovrete sempre raccoglierle insieme queste buonissime bacche” disse addentandone una, e la piccola parve rincuorata.
Quella bimba aveva preso le sue difese, degna figlia di suo padre. Si era schierata con tutto il suo cuore dalla parte di un amico che credeva fosse in difficoltà, ribellandosi per ciò che non le pareva giusto. E Merlino lo vide in lei…per un attimo, riconobbe in quella testolina riccia, il riflesso di suo padre. Sebbene non somigliasse ad Artù, aveva il suo stesso cuore, era indiscutibile! Gwen sembrò aver captato il suo pensiero, quasi come se lo avesse raccontato ad alta voce. Lo guardò, gli sorrise malinconica e prese la piccola in braccio che intanto pareva si stesse abbandonando al sonno.

“Dovremmo tornare al castello, ci cercheranno, e poi sta per arrivare una tempesta” Disse Gwen guardando in aria i grossi nuvoloni che cominciavano a coprire l’azzurro sopra di loro. Avvolse Thora meglio che poteva nel suo mantello verde e l’adagiò sul suo petto, in attesa di poterla sistemare sul cavallo con il quale era arrivata. Dormiva già, non si sarebbe accorta del viaggio.
“Avete ragione mia signora, il tempo sta peggior…” ma non ebbe finito la frase che un fulmine cadde poco lontano da loro ed il tuono assordante che ne seguì aprì la porta ad un forte ed improvviso scroscio d’acqua. I cavalli spaventati scapparono senza che gli fu possibile fermarli ed i tre si rifugiarono in una grotta nelle vicinanze. Avrebbero aspettato la fine della tempesta, poi si sarebbero incamminati verso il castello, o comunque qualcuno li avrebbe cercati.

“ Strano, conosco bene questi boschi, non ho mai visto questa grotta” disse Gwen “come è possibile?”

“Non saprei…anche io non ricordo di averla mai vista, eppure, vengo spesso qui a raccogliere erbe”. Prese un legno ed, accendendone l’estremità per farsi luce in quella cavità della terra, notò un passaggio all’interno della grotta. “Mia signora, non è prudente che veniate con me…aspettate qui, sarò di ritorno tra poco”

“Non pensarci neanche un secondo Merlino, se arrivasse qualcuno non sapremmo difenderci,non saprei come proteggere Thora”.
Merlino annuì, e le regina, con la piccola in braccio ancora avvolta nel suo mantello, si avviò con lui tra i meandri di quella roccia. Il percorso fu breve prima che poterono vedere la luce dall’altro capo deltunnel. Pareva ci fosse il sole, eppure era piuttosto strano, potevano ancora sentire la pioggia ticchettare sulle pareti della grotta appena sopra di loro. Raggiunsero l’altro capo della galleria, e dinanzi ai loro occhi si rivelò un luogo che non avevano mai visto, quasi incantato, un pezzo di mondo che si rifletteva nelle limpide acque di un lago al centro di un’immensa vallata, a pochi passi da loro.
Il lago. Pensò Merlino con lo sguardo perso nel vuoto. Era stato lui a farsi trovare.

“State indietro mia signora, non vi avvicinate” disse dirigendosi verso il lago con cautela, misurando con attenzione un passo dopo l’altro. Immerse i piedi nelle sue acque gelide, si concentrò, chiuse gli occhi e pronunciò qualcosa nella sua testa, una formula che non sapeva di conoscere e che mosse le sue labbra quasi fosse stata da sempre stampata su di esse. Nulla, non accadde nulla. Per quello che sembrò essere un lungo tempo, Merlino guardò le acque perfettamente immobili nell’attesa che qualcosa accadesse. Silenzio. Probabilmente, il suo, era davvero solo un sogno, ma appena fece per voltarsi verso Gwen, una luce accecante si sprigionò dietro lo scroscio d’acqua di una piccola cascata tra le rocce. Si voltò, si coprì gli occhi con una mano e udì la voce di una donna che lo stava chiamando.

“Emrys… ci hai messo molto per arrivare fin qui” disse una fanciulla vestita di luce, avvolta in un mantello bianco che riluceva come le acque dalle quali era emersa.

“Chi sei?” disse Merlino presagendo un pericolo.

“ Non è importante chi io sia giovane mago”, disse avvicinandosi a lui facendosi largo tra le acque “ciò che importa, è perché io sia qui”.

“Era questo il luogo del sogno, non è vero?” domandò lui inquieto

“E’ questo” rispose lei, fermandosi a qualche passo di distanza da lui. “Sono Freydis, la ninfa del lago della verità, nato dalle lacrime della dea Freya. “Quale verità sei venuto a conoscere , giovane mago?”.

“Mi hai chiamato tu”

“Ti ha chiamato Freya”, fece qualche passo indietro immergendosi nelle acque cristalline fino a raggiungere la cascata da cui era arrivata, allungò un braccio verso Merlino e lo invitò ad entrare. “ Vieni Emrys, il tuo istinto saprà guidarti”
Merlino, prima di accogliere quell’invito, si voltò verso Gwen che con il terrore negli occhi, gli fece cenno di no con il capo, non si fidava. Strinse forte a sé la bambina ancora addormentata e fece qualche passo indietro.

Il mago si immerse senza staccare gli occhi da Freydis e dalla roccia da cui era sbucata. Ora che ci faceva caso, notava che aveva la forma di un volto con un unico occhio al centro della fronte, cavità da cui sgorgava la cascata. Avanzò guardingo fino a che l’acqua non gli arrivò all’altezza dello stomaco, ed un peso gli si adagiò sul cuore. Cosa stava accadendo? Si chiese,prima che la voce di Freydis gli intimasse di fermarsi. “Inchinati Mago, la mia signora è quì” disse abbassando a sua volta il capo, e la roccia dinanzi a loro prese vita, la cascata si arrestò, e la grande dea del lago mosse il suo enorme occhio.

“Emrys…” disse la dea in un sussurro che pareva provenisse dalle acque in cui erano immersi. La sua voce riecheggiava nelle cose che avevano intorno, Sembrava quasi che parlasse attraverso la terra, che il suono uscisse dalle rocce come un sospiro. Merlino non aveva mai avvertito un simile potere, una simile sensazione…“Tu cerchi di sfuggire alla conoscenza di tutte le cose, ma è nella conoscenza che si nasconde la verità”.

“C’è un motivo per cui mi avete chiamato mia signora?”

“Oh sì Emrys, hai commesso un terribile errore, ma tu questo lo sai già…”ci fu silenzio per un istante, ma Merlino non fece in tempo a chiederle di che errore stesse parlando che la dea continuò “ Sei poco saggio giovane mago. I tuoi sentimenti verso i tuoi amici ti annebbiano la mente e ti allontanano dal destino che è stato scritto per te” e mentre ascoltava, Merlino vide la propria immagine riflessa nelle acque dinanzi sè. Era vecchio, con una lunga barba ed un bastone sulla cui punta poggiava fiero un Nibbio reale. Accanto a lui il volto di un giovane Artù, così come lo ricordava, ed una donna, giovane e bionda con una corona tra le mani. “Cosa vedì, Emrys?” chiese la Dea.

“Vedo, me stesso…vecchio. Ed Artù…e…è il futuro non è vero?” chiese fissando quel grosso occhio di roccia immobile su di lui.

“Se lo sarà, dipenderà solo da te, Emrys. Ciò che vedi, è ciò che dovrebbe essere, e ciò che difficilmente sarà se non presterai ascolto a quello che ti dirò. Tu hai un grande destino Emrys, un destino che è legato ad Artù, ed a nessun altro, ma sembra che tu non voglia capirlo…se non farai come ti sarà ordinato, la profezia si avvererà, e Camelot cesserà di esistere. Mai più Artù avrà motivo di tornare…”.

“Q-quale profezia?” chiese il mago dubbioso. “Non conosco nessuna profezia”

“Sei qui per questo, Emrys. Per conoscere la tua verità”.
Freydis prese a quel punto la mano del giovane mago, ne aprì il palmo e vi chiuse all’interno una pietra tagliente. Merlino si ferì e una goccia del suo sangue cadde nelle acque del lago. Allo stesso modo di come l’aveva sognata. La terrà tremò ed il cielo si scurì. Una voce potente tuonò la sua sentenza:

“ Nacque una vita da un destino mutato,
ma ciò che è non può essere cambiato,
rinuncia a proteggere quella bambina
lei che di Camelot sarà la rovina.
il destino di Artù deve compiersi ancora
se non ascolterai,non ne giungerà l’ora.

E così dicendo la roccia tornò immobile, e la cascata cominciò di nuovo a sgorgare dall’”occhio di Freya”.
Merlino rimase attonito, ed il fiato gli si ruppe in gola, come se qualcuno gli impedisse di respirare. Si piegò in avanti appoggiando una mano a quella roccia che fino ad un istante prima gli aveva parlato. Le sue gambe pareva avessero perso la forza di sorreggerlo e per un secondo, dovette fare appello a tutte le proprie energie per tenersi in piedi. Ma la cascata fu l’ultima cosa che vide prima che fosse nuovamente buio, e si svegliò nel suo letto, ancora una volta, fradicio e dolorante. Non aveva risposte, solo tante domande.

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Capitolo 5
*** Emrys ***


Era ancora madido di sudore quando, seduto sul bordo del letto, indossò i suoi freddi calzari accorgendosi che uno era bucato. “Ancora quel dannato ratto” sentì la voce di Artù risuonargli nella testa quando era accaduto anche a lui. Lo aveva obbligato a cercarlo per almeno una settimana, ed alla fine ne avevano anche condiviso quel disgustoso stufato.  Se solo quello zuccone non avesse ucciso quell’unicorno scatenando la carestia... “Vuoi dire che mi ritieni responsabile di ciò che sta accadendo, Merlino?” “Sì…cioè, non intenzionalmente sire” era stata l’unica risposta che aveva saputo farfugliare per non scatenarne l’ira.
Sorrise divertito a quel ricordo. Quante ne erano accadute, quante sperava ne accadessero ancora per poterle risolvere insieme. Non aveva mai davvero pensato ad un mondo senza Artù, e sebbene tutti gli avvertimenti, le profezie, le previsioni, pensava che tutto prima o poi avrebbe trovato la strada giusta. Ma che altra strada può esserci per un uomo, se non quella del suo destino? La vita doveva continuare, con o senza Artù, e se lui mancava, questo non valeva per i guai, che a Camelot, parevano essere sempre presenti. Si stupì quasi della profondità di quel pensiero, ed ancor di più che lo stesso rasentasse una saggezza che non sapeva di possedere. Chissà, forse era ancora il dolore a parlare al posto suo, o la preoccupazione per quella profezia. “già…la profezia, perché ovviamente ci mancava anche la profezia” ripetè tra sé e sé ancora frastornato.
Chiuse gli occhi, si accarezzò il collo con una mano e buttò la testa all’indietro. Era stanco delle profezie. Ne aveva paura. Sapeva perfettamente di non poterne evitare gli esiti e gli era ormai chiaro che conoscere il futuro poteva essere una carta molto pericolosa, eppure, ancora una volta, era il futuro a cercarlo.  Ancora una volta, qualcuno richiamava la sua attenzione. Doveva scavare più a fondo, forse il destino aveva girato un’altra spiacevole carta. Alzò lo sguardo stanco e sconfortato sulla libreria ai piedi del letto. Sapeva non vi avrebbe trovato risposte; per lo più vi erano libri di medicina, formule scientifiche, pozioni di preparati…no, niente poteva tornare utile. Si era ripromesso di riordinare tutto prima o poi buttando il superfluo, ma ognuno di quei manuali conteneva la scrittura di Gaius, ed un po’ del suo odore, e, così come gli piaceva pensare, almeno un pezzo della sua anima colta e severa. Ripensandoci, non avrebbe mai potuto disfarsene. Era tutto troppo importante lì dentro. Ma se i libri non potevano aiutarlo, restava da fare solo una cosa: far visita ad un vecchio amico.  
“Mia signora” disse bussando alla porta della sala del trono e spingendola verso l’interno.
“Oh Merlino” disse Gwen tra l’ansioso ed il preoccupato correndogli incontro “Allora? Hai trovato qualcosa? Temo per la vita di Thora. Da quel giorno alla grotta…non chiudo occhio”disse toccandosi la fronte con la mano quasi volendo arrestare quel mal di testa che da giorni non riusciva a domare. “E’ solo una bambina…” disse puntandogli gli occhi dritti nei suoi, prima che due lacrime le rigassero il volto. Il suo viso era stanco, segnato da una preoccupazione che pareva la invecchiasse. Il peso di quella profezia le pesava sul volto e sul cuore, togliendole il sonno e la pace. Se non l’avesse vista il giorno prima, Merlino avrebbe pensato che fossero trascorsi anni dal loro ultimo incontro.
“Gwen io…temo di non saperlo” disse Merlino desolato, “ma lo sai…farò tutto il possibile per arrivare alla verità”
Rincuorata la regina annuì, si asciugò le lacrime con il bordo della manica “sì, so che lo farai” rispose accennando un sorriso e cercando di ricomporsi come meglio poteva. “ Perdonami… eri venuto a chiedermi qualcosa?”
“Di partire mia signora, se c’è qualcuno che può aiutarmi, è la fuori. Ed io devo raggiungerlo”. Disse Merlino in tono serio. “credo che non ci sia altra scelta Gwen” aggiunse scuotendo la testa “ la verità…è che non so da dove iniziare, le mie ricerche non hanno portato a nulla finora, perciò…non resta molto altro che io possa fare”.  
“ Questo tuo amico…insomma…possiamo fidarci? Cosa ti dice che saprà come aiutarci?”
“Oh Gwen, diciamo che questo mio….amico…sa molte cose, molte più di quante ne possiamo immaginare. La sua conoscenza non è che una piccola parte del suo sconfinato potere”
“ potremmo invitarlo al castello, faccio preparare una stanza confortevole, vorrà vedere Thora…”
“Gwen, temo non sia possibile, sarebbe, ecco….” Ci pensò su in cerca delle parole adatte “complicato… non ama molto il castello”
“oh, capisco…bene allora voglio venire con te Merlino”
“ E lasciare Thora qui, con i servitori e qualche guardia a sorvegliarne la stanza? No Gwen, non se ne parla. E’ troppo pericoloso. Andrò da solo, voi dovete restare qui. Ci vorranno giorni di cammino, Camelot potrebbe non essere al sicuro senza di voi, e nemmeno Thora. Farò più in fretta che posso.”
Così dicendo, con nel cuore una promessa e sulle spalle un sacco con appena il necessario per il viaggio, Merlino salì sul cavallo e, voltandosi verso il castello, pregò di farvi ritorno con una buona notizia. Ci vollero tre giorni e tre notti prima che potè raggiungere le montagne di Eldor. Aveva dimenticato l’impagabile senso di libertà che quelle vette gli avevano sempre regalato, lì dove quelle montagne dominano la valle e toccano il cielo, si era sempre sentito solo se stesso, e dove adesso, pareva sentirsi anche appena più vicino ad Artù. Inspirò a fondo quell’aria fresca di fine inverno e lasciò che il primo raggio di sole del giorno gli illuminasse ,tagliente, una parte del viso, lasciando che il vento gli scompigliasse i capelli. Provò un senso di irrefrenabile felicità, come se quel posto fosse esattamente il trono del mondo. Le sue montagne, casa sua. Lasciò le sue membra diventare parte di quella infinita bellezza e gridò di felicità, rise immotivatamente e udì il mondo rispondergli, come se tutto fosse stato collegato al suo corpo, ogni fiore, ogni filo d’erba, ogni uccello del cielo, erano in quell’attimo parte integrante della sua anima e poteva giurare di riuscire a scorgerli uno ad uno dentro di sè. Fu allora che più forte che mai urlò quel solo, potente, nome solenne, con quanta più forza aveva in corpo, come se quel grido dovesse raggiungere l’azzurro di quel cielo che non era più ormai, così tanto lontano.
“Kilgarrahhhhhhhhh”
E lo vide. Maestoso e fiero sorvolare poderoso le cime più alte con la velocità del vento e la grazia delle aquile.
“ Giovane mago, che piacere rivederti” disse la creatura alata adagiandosi pesantemente al suolo. “E’ passato tanto tempo dall’ultima volta. A cosa devo questo incontro?”
“Kilgarrah” lo accolse Merlino con un sorriso “ sono qui perchè… ho bisogno di riposte”
“come sempre Merlino, come sempre…”rise il drago “ e se tu le ascoltassi, ogni tanto, sarebbe anche meglio. Ma ora dimmi, quale cruccio è per te così grande da raggiungere questo luogo lontano solo per ascoltare questo vecchio drago?”
“ Kilgarrah, io… ho fatto un sogno, una profezia….c’è una dea, Freya…”
“ So a cosa ti riferisci giovane mago. Ho visto quel sogno molti secoli orsono….odo la tua inquietitudine quasi ogni notte. Tu tieni molto a quella bambina, così come tenevi a suo padre…ma, ancora una volta Merlino, sebbene tu fatichi a comprenderlo, il destino non può essere mutato. Neppure noi draghi, esseri più potenti su questa terra, abbiamo un potere così grande. Ricorda: Artù è re adesso e re in futuro, tutto è funzionale a che il cerchio si chiuda, nello stesso modo in cui è iniziato. Perché Artù possa risorgere, Albion dovrà averne bisogno….”
“ e la chiave è Thora, non è così? È Thora che farà sì che Albion abbia bisogno del suo re…” Riflettè Merlino ad alta voce, realizzando solo in quell’istante il senso della profezia. “Dovrei lasciare che Thora distrugga Camelot e se stessa senza fare nulla? Dovrei … dovrei restare a guardare? E’ questo che mi stai chiedendo?...Non permetterò che le accada qualcosa. Ho promesso a sua madre di proteggerla. ” Ruggì rabbiosamente il giovane mago”
“ e cosa farai Merlino? Sentiamo…” replicò alterato il drago “Permetterai che Artù non risorga? Rammenta bene chi è l’altra faccia della tua medaglia, mago. Non sei qui per nessun’altro che non sia il tuo re. E’ questo il tuo destino.”
“ E’ solo una bambina…Ci deve essere un altro modo”
Il drago rise fragorosamente “ Furono le stesse parole che usasti quando ti chiesi di uccidere il bambino druido, o di non soccorrere Morgana. Scegliesti in entrambi i casi di fare a modo tuo, ti dispiacerebbe ricordarmi come è finita?  Se non hai il coraggio di ascoltare la risposta,Merlino, allora non fare la domanda” E così dicendo il grande drago alato spiccò il volo dandogli le spalle.
Inutile fu chiedergli di aspettare. Che tante erano ancora le domande, e forse di più lo smarrimento. Ancora una volta il destino si rivelava in tutta la sua crudeltà, chiedendogli di abbandonare chi amava. Sapeva bene come avrebbe operato, dapprima glielo avrebbe chiesto, poi lo avrebbe preteso, ed infine, glielo avrebbe strappato dalle mani. Aveva perso Artù, cercando in tutti i modi una scorciatoia alternativa al sentiero già tracciato dal fato. Ma presto, aveva dovuto arrendersi alla realtà, le cose accadono esattamente per come devono accadere e non c’è nulla che si possa fare perché vadano diversamente. Sarebbe stato meglio capirlo, meglio accettarlo. Inutile opporsi, inutile far finta di poter cambiare la meta. Inutile scegliere di amare, perché dover dire addio è troppo difficile. Proteggere Thora o scegliere il ritorno di Artù? Che importava in fin dei conti…comunque avesse fatto, avrebbe rinunciato ad una parte di sé. Ma forse Kilgarrah aveva ragione… per una volta avrebbe dovuto seguire e basta le direttive del fato, senza domande, senza aspettarsi spiegazioni. Era così, e così doveva essere. Era chiamato ad essere strumento, non penna di un destino già scritto. Basta dolore, ne era stanco. Amava quella piccina con tutta la sua anima,o almeno con quella che ne era rimasta tra un brandello e l’atro del suo cuore, ma amava anche Artù…ed il suo destino aveva una sola direzione. Avrebbe fatto ciò che doveva, ciò per cui lui esisteva, seppur con dolore, ma avrebbe giurato di non tornare mai più tra la gente. Meglio vivere in solitudine, è più facile che dover dire addio continuamente, pensò quel ragazzo, dalle spalle davvero troppo fragili e magre per poter portare il peso del mondo.
Il colore dei suoi occhi cambiò, e cambiò anche il colore del cielo. La sua anima si indurì, graffiata dall’ennesima lama. Merlino crebbe d’un tratto, da ragazzo fu uomo, molto più di quanto non lo fosse già prima. Che il dolore ti logorasse dentro lo sapeva, che scavasse come un tarlo nel legno gli era fin troppo chiaro, ma, se davvero il suo dono, o forse la sua maledizione, fosse stata quella dell’immortalità, non poteva permettersi una simile fragilità. Aveva dovuto abbandonare tutti coloro che aveva amato: il suo amico Will,Lancillotto, Artù, Galvano, Gaius… ora anche Gwen, e soprattutto la sua meravigliosa Thora dagli occhi vispi ed intelligenti. Non avrebbe rinunciato ad altro. Non poteva permetterselo.
Prese dunque un bastone lì intorno, pronunciò solenne e grave una formula, ed un tuono ne colpì l’estremità incastonandovi saldamente una piccola sfera di vetro. La montagna ebbe un sussulto, e le nude rocce e i rami si assemblarono in una baracca solida e sicura dal tetto saldo, coperto di pelli d’animale. Si sarebbe fermato lì. Sarebbe stata quella, da ora in poi, la sua nuova casa. Camelot sarebbe rimasta un ricordo lontano, felice, ma lontano. Lì avrebbe lasciato il suo cuore e la sua gioventù, ed avrebbe portato con sé solo i ricordi. Voleva dimenticare, lasciarsi alle spalle la vita che fu e concentrarsi su quella che doveva essere. Non era più Merlino, il gracile ragazzo dal fisico mingherlino e dalla poca forza nelle braccia, non lo sarebbe mai più stato, ora doveva essere ciò per cui era nato.  Perse così il vigore del suo corpo giovane, e muovendo il suo bastone, ingrigì ed allungò i suoi capelli ed una folta e lunga barba gli crebbe in volto. Una veste verde ed ampia prese il posto di quei calzoncini sempre troppo strappati e sporchi ed un cappuccio largo gli coprì il capo per proteggerlo dal freddo. Fu così che Merlino lasciò il posto ad Emrys, che conservò di lui solo gli occhi buoni,segnati da dolore, ed ora, anche da qualche ruga. Se il destino doveva cominciare, allora doveva farlo alle sue regole.  Dalla vetta delle montagne di Eldor che si specchiano nel lago di Avalon avrebbe atteso, immobile, il compiersi del fato, così come narrato nei secoli. Un giorno o l’altro, Artù avrebbe bussato a quella porta e lui sarebbe stato pronto.    

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