Life is Strange: Kairos

di Pat9015
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo & Parte Prima: Uroboros ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda: Fragmentis (capp 1-6) ***
Capitolo 3: *** Parte Seconda: Fragmentis (capp 7-11 & Interludio) ***
Capitolo 4: *** Parte Seconda: Fragmentis (capp 12-14) ***
Capitolo 5: *** Parte Seconda: Fragmentis (Capp 15-20) ***
Capitolo 6: *** Parte Terza:Satya Yuga + Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo & Parte Prima: Uroboros ***


 
 
Life is Strange:

Kairos
 



 
 
 
A fan fiction by Patrick Bianchi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTA DELL’AUTORE
 
Essendo scritta interamente in italiano, la seguente fan fiction ha dovuto, per cause di forza maggiore dovute all’impossibilità di un adattamento linguistico dello slang della costa ovest statunitense, riformularsi in un contesto più possibile similare e, soprattutto, vicino al parlata e alle esclamazioni tipiche dei personaggi che siamo abituati a conoscere. Perciò, il tanto adorato ‘Hella’  di Chloe Price, non comparirà, ma si è cercato di darne ‘forma’ a livello di dialogo. ‘Hella’ è, molto vagamente, traducibile come ‘stra-‘ oppure ’dannatamente’  e cosi via, quindi ci saranno tipiche esclamazioni di esagerazione in questa direzione, per sostituire quel termine.
Similarmente, l’espressione ‘Are you cereal??’ di Max, storpiatura della frase inglese ‘Are you serious??’ che significa banalmente ‘ Ma sei serio?/Ma dici sul serio?’ e altre esclamazioni di sorpresa sia positiva che negativa, verranno lasciate con un banale ‘Cereali!’ o addirittura non tradotte, oppure servirà semplicemente per accentuare una disapprovazione forte, magari in sostituzione di una parolaccia. L’obiettivo, perciò, è cercare di lasciare le personalità di Max e Chloe, quanto più simili a quelle che conosciamo, soprattutto nella forma del dialogo, non dissacrando ne dissociandosi troppo dalla loro psiche e ,soprattutto, dalla loro unicità caratteriale. Le canzoni, i testi e gli autori citati sono reali, lasciando quindi una sorta di colonna sonora da accompagnamento, nel caso vogliate ricercarli e ascoltarli.
I luoghi menzionati sono quasi tutti reali, quelli  inventati verranno segnalate con note a piè pagina. Eventuali errori o differenze a livello geografico e/o descrittivo  di alcune aree, luoghi pubblici e strade sono voluti per via di un adattamento a fine narrativo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Kairos

Dal  greco καιρός

Traducibile come  Tempo cariologico .
Nella Antica Grecia significava “momento giusto, opportuno, supremo”
 
 
 
 
 


 
Prologo
 
After The Storm
 

 
 
Bentornati su “WakeUp Oregon!” il programma del mattino più seguito nello stato più bello della West Coast statunitense!
In diretta dagli studi di Salem, sempre con voi fino alle 10:30, il vostro Robert Harvey!
Come promessoVi, adorabili telespettatori, stiamo per fornirvi, anche quest’oggi, altre importantissime informazioni sulla clamorosa e non prevista calamità che ha colpito una ben nota cittadina sulla nostra costa, pochissimi giorni fa. Ma ad aggiornarvi, come ogni mattina, il nostro inviato sul posto! Direttamente dai confini giurisdizionali di Arcadia Bay, David Merkin! David, ci sei?
Assolutamente, Bob! Buongiorno a te e a tutto l’Oregon!
Grazie David. Che aggiornamenti hai per noi? Mi è giunta voce che stamane hai delle grosse novità, e che i media nazionali abbiano annusato che stia per succedere qualcosa di grosso laggiù..
Confermo tutto Bob! Nella tarda serata di ieri ci sono giunte numerose conferme su diverse piccole notizie che filtravano dalle autorità locali e dell’intero distretto di Tillmook. Un nutrito gruppo di sopravvissuti di Arcadia Bay è in procinto di organizzarsi per formare un comitato, una sorta di movimento unito per la ricostruzione della città. La richiesta verrà vagliata, non appena sarà stilata e resa ufficiale, direttamente al governatore dello Stato. Ma già si parla di una possibile riunione di emergenza al Congresso per questo Venerdì, a una settimana esatta dalla tragedia che ha colpito la piccola comunità di Arcadia Bay. Nessuno può dimenticare che qui,  quattro giorni fa, un tornado di mostruose dimensioni e di ancora ignota provenienza, a falciato la cittadina, lasciando la desolazione che si vede alle mie spalle.
Benché le operazioni di salvataggio e soccorso siano state pressoché immediate, ci giunge voce che solo nella tarda serata di ieri sera si siano definitivamente liberate le arterie principali della cittadina, consentendo quindi uno snellimento delle operazioni di ricerca di eventuali feriti e dispersi. Il conteggio delle vittime supera ormai le trecento unità, ma sembra ormai certo che si supererà facilmente il migliaio, ora che stanno arrivando rinforzi anche dallo stato di Washington e dal Colorado. Ieri sera sono giunte sei squadre speciali dalla California e si parla anche di un arrivo di ulteriori soldati dell’Esercito e Marina per cercare di salvare più persone possibili o, quantomeno, fornire una degna sepoltura a coloro che giacciono sotto le macerie. Ancora nessuna novità dal team di meteorologi convocato d’urgenza e riunitosi presso l’Università di Portland, per determinare le cause di questa tremenda tempesta che sì è abbattuta, oltre alla neve che aveva interessato l’area il lunedì precedente al disastro.
Ma, come vi ho annunciato, trapelano interessanti novità! Pare che il gruppo di sopravvissuti di Arcadia Bay si sia riunito grazie a un passaparola nato nella tarda serata di giovedì, da un messaggio mandato da una studentessa della Blackwell Academy. Fonti non confermate, sosterrebbero che tale studentessa avesse chiesto ad alcuni suoi compagni di lasciare Arcadia Bay e di avvisare quanta più gente possibile. Sfortunatamente, molti dei suoi compagni la sera precedente, Giovedì 10 Ottobre, erano alla festa tenutasi nella piscina dell’Accademia e hanno ignorato l’avviso o ritenuto, molto probabilmente, che fosse uno scherzo. Chi ha creduto a questa voce non ancora confermata si è ritrovato nel gruppo di sopravvissuti. Quella ragazza, di cui si è chiesto espressamente l’anonimato, pare avesse notato delle avvisaglie la sera precedente, dato che si trovava sulla riva a osservare le balene spiaggiate in compagnia di una sua amica, ex studentessa della medesima Accademia e figliastra del Capo della sicurezza proprio della Blackwell.
Quanto ci sia vero dietro a questa storia, resta ancora un gigantesco punto di domanda ma, amici miei, sembra che l’incredibile non sia solo qui.
La medesima studentessa, quella stessa sera, prima di poter accorgersi dell’imminente disastro meteorologico, pare avesse avvisato il signor David Madsen, ovvero il Capo della Sicurezza della Blackwell citato precedentemente, della sospetta condotta di Mark Jefferson. Pare sia stata lei a fornire la conferma al signor Madsen del luogo in cui il criminale Jefferson avesse trovato rifugio con per rapire, drogare e seviziare giovani donne e studentesse, con la complicità di Nathan Prescott, studente della Blackwell Academy e  figlio di Sean Prescott, personaggio molto influente qui ad Arcadia Bay. Non ancora confermato il grado di complicità del giovane Prescott, anche se le informazioni a riguardo sembrano confermare lo scenario peggiore. Mark Jefferson non si è pronunciato e sembra che rimarrà in silenzio ancora per molto. La data della sua udienza preliminare è attualmente incerta, dati i disordini di Arcadia. Resta ignota la posizione di Nathan Prescott, anche se il biglietto per Los Angeles non ha convinto gli inquirenti. La polizia di L.A. ha comunque annunciato che collaborerà e cercherà il giovane scomparso.
Va anche confermato che il corpo ritrovato ieri pomeriggio, presso quello che resta della ‘American Rust’, la discarica di Arcadia Bay, è della giovane Rachel Amber, scomparsa lo scorso 22 Aprile.
Confermate anche le voci che vogliano la giovane vittima delle sevizie di Jefferson, che ora dovrà rispondere anche dell’accusa di omicidio di primo grado della giovane.
Il ritrovamento rientrerebbe sempre nella segnalazione delle due giovani ragazze, che avrebbero indicato sia il luogo dei misfatti di Jefferson che il posto in cui avrebbe seppellito la giovane Amber.
Il procuratore di Arcadia Bay e padre di Rachel, James Amber, si è per ora rifiutato di rispondere ad ogni domanda dei media ma si presume che si costituirà parte civile nel processo a Mark Jefferson e alla famiglia Prescott se verranno trovate prove che colleghino anche loro alle malefatte del figlio.
Gli inquirenti sostengono che non sia possibile che la famiglia non sapesse delle attività del figlio. Attualmente, anche i Prescott si chiudono nel silenzio.
Direi che qui ad Arcadia Bay la tempesta non sia finita. A te, Bob!
Beh, che dire David! Ci hai davvero sganciato una bomba bella grossa. Pare che lo “scandalo Blackwell” non passerà in secondo piano rispetto alla tempesta di Arcadia. Questa storia ha ancora molto da raccontare. Ma queste due giovani donne, due piccole eroine che vengono rese anonime, sono ancora ad Arcadia Bay? Riusciresti a scovarle per noi? Sicuramente gli inquirenti avranno molte domande da porre loro, ma chissà se un giorno potremmo averle qui con noi in studio per un dettagliato resoconto su come si siano rivelate decisive in entrambe le catastrofi accaduti alla loro modesta cittadina. Sai dove sono e soprattutto, nonostante l’anonimato, chi siano?
No Bob, purtroppo i loro nomi sono stati occultati per motivi di privacy. Anche i pochi sopravvissuti della Accademia Blackwell, per rispetto, tacciano su queste due improbabili eroine. Ciò che vi ho detto è tutto quello che si sa sulle due, anche se gira insistentemente che la figliastra di David Madsen, sposato con Joyce Price, attualmente dispersa, sia Chloe Elizabeth Price. Attualmente, la ragazza rientra tra i dispersi, quindi va ancora verificato che sia lei l’amica della studentessa della Balckwell che ha scoperchiato questi vasi di Pandora. Ma anche se si trattasse di lei, gli inquirenti hanno la precedenza e rimarrebbero nell’anonimato ancora per qualche settimana.
Bene David. Speriamo che la signorina Price sia in salvo da qualche parte. Da ciò che ci hai detto, sembra che sia lei una delle due eroine di Arcadia. Ma, giustamente, le indagini hanno la precedenza. A proposito di indagini, ci hai riferito che i tempi sull’udienza preliminare di Jefferson sono ancora incerti. Novità su quel fronte quindi non ne abbiamo?
Dunque sappiamo solo che, attualmente, Mark Jefferson si trova ancora nel carcere di South Fork Forest Camp, a Tillamook ma sembra che verrà trasferito a giorni presso il Columbia River Correctional Institute di Portland, ritenuto più idoneo. Non si esclude anche il carcere federale di Sheridan, dato che sembra che la natura dei suoi crimini coinvolga almeno due stati e l’FBI potrebbe avanzare richieste a riguardo.
Altre novità in merito sono, attualmente, non ancora rese note. Sembra che la situazione, ostacolata dalla condizione di Arcadia, stia causando non pochi problemi gestionali alle autorità. La buona notizia è che sembrerebbe, non appena verrà ricostruito il corpo di polizia locale di Arcadia Bay, che lo sceriffo della contea abbia intenzione di assumere David Madsen come merito per le indagini svolte. Se mai Arcadia Bay dovesse tornare a vivere, potrà contare sulla protezione sicura e comprovata del suo più diligente concittadino, il signor Madsen !
Beh David almeno chiudiamo con una buona notizia. Che sia un piccolo spiraglio di luce per una nuova Arcadia Bay? Noi ce lo auguriamo di certo!
Assolutamente Bob!
Bene, se questo è tutto, ci aggiorneremo domani mattina, alla stessa ora David!
Non mancherò Bob! Dalla devastata ma ancora viva cittadina di Arcadia Bay, per stamane è tutto dal vostro David Merkin!
Gentili telespettatori, prima di lasciarci di nuovo per una pausa pubblicitaria, andiamo ad assistere alle previsioni del tempo per oggi sul nostro adorato Oregon. Anche se forse , visto gli ultimi giorni, si fatica a credere alle previsioni!
Ma prima un personalissimo messaggio rivolto alle due eroine di Arcadia Bay, che spero con tutto me stesso che siano ancora vive e là fuori, al sicuro: non siete sole. L’Oregon, i vostri concittadini sopravvissuti e tutti i bravi e onesti americani sono con voi. A voi, giovani e fiere eroine, auguriamo ogni bene e che Dio sia con voi, nella speranza di ospitarvi presto qui, a “WakeUp Oregon!”, per condividere la vostra importantissima testimonianza.
E ora, le previsioni per oggi!
A te Lawrence!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE PRIMA
 
UROBOROS
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1.
 

Il vento gelido e umido le frustava il viso con una ferocia inaudita.
Sferzava sulla pelle nuda del suo viso e delle mani come  artigli di un rapace furioso, affamato, inarrestabile. Bruciava, come lame gelide, tra le sue guance, mentre gli occhi faticavano a restare aperti, lacrimando per il fastidio e la potenza dell’aria che la colpiva.
Si sentiva pesante, sfinita, con braccia e gambe indolenzite dallo sforzo per restare in piedi e non diventare un minuscolo puntino in balia del vento, gettata tra le cime dei pini che popolavano la scogliera.
I suoi capelli castano ramati, pregni di acqua, sembravano più pesanti e la infastidivano mentre rimanevano aderenti alla fronte, finendo per impedirle ulteriormente la vista. Cosi come gli abiti, resi pesanti dalla pioggia, che cadeva in grosse gocce imprecise e in balia dei venti.
Era quasi in cima, mancava poco. Ma si sentiva cosi stanca, cosi svuotata.
E aveva paura. Una tremenda, immonda paura
“Non dovrei essere qui. Non dovrei essere PIU’ qui!” continuava a ripensare.
Il terreno sembrava sempre meno in salita, aprendosi e divenendo pianeggiante. L’odore di erba bagnata, di fango, uniti a quello di umido, le riempivano le narici. Le orecchie, rese sorde dagli ululati del vento, erano divenute inutili e senza scopo. Restava solo la vista su cui affidarsi, se solo avesse potuto aprire di pi gli occhi!
Il terreno sembrò definitivamente più agile, l’impervia scalata sembrava terminata. Alzò ancora un poco le braccia per proteggere i suoi occhi. Gli occhi che avevano visto tanto orrore in pochi giorni, gli occhi che le avevano mostrato le cose più belle. La persona più bella.
Per quanto non avesse autostima, amava i suoi occhi. Di un tenue azzurro macchiato di grigio, come un ‘cielo primaverile, di marzo, quando c’è il sole e un cielo bellissimo macchiato da nuvole di pioggia’ come amava ripeterle sua madre quando era bambina.
Pioggia nei suoi occhi, ora, ve ne era davvero.
“Che cazzo ci faccio qui?”
Con uno sforzo a cui non era abituata, aprì più che poté gli occhi, usando gli avambracci per proteggersi. Sebbene offuscata, la sua vista non poteva tradirla nel riconoscere dove si trovasse: lo spiazzo di fronte al faro di Arcadia Bay.
“Che cazzo ci faccio qui? Non dovrei essere qui!” pensò terrorizzata. Conosceva quel luogo, quel momento. Lo aveva in testa da tanto, troppo tempo.
Si mosse verso la panchina, anche se non la vedeva bene. Ormai si muoveva con naturalezza in quel luogo, come se lo conoscesse meglio della sua casa natale. Tutto ciò le procurava un sentimento di angoscia tale a spezzargli il fiato. Sentiva un peso sullo stomaco che non aveva nulla a che fare con il tempo burrascoso e violento che la flagellava. Non poteva essere reale, eppure sembrava COSI maledettamente reale da crearle panico e confusione.
Avanzò di qualche passo. La  panchina in cui tante volte si era seduta da ragazza e adolescente era ancora li, intatta, resa lucida dalla pioggia, noncurante della devastazione attorno. In mezzo a quel caos, l’unica cosa stabile sembrava proprio quella vecchissima panca in legno massiccio. Un presagio?
Forse, ma non ci pensò in quel momento. Si preoccupò di vincere la sua paura e alzare lo sguardo. Verso l’orizzonte. Verso il cielo.
Maestoso e terrificante, la configurazione perfetta del tornado sovrastava qualsiasi cosa. Il rumore agghiacciante dei venti era il suo ruggito, rabbioso e soverchiante. Immobile, fissò quel feroce mostro di venti a spirale che si apprestava a travolgere qualsiasi cosa. Ma cosa? Lei?
Lo aveva visto più volte, in sogno, in trance e dal vivo. E ora di nuovo era davanti a lui, ma non poteva essere possibile.
Cercò di capire, ma l’unica cosa che realizzò è che …
“Arcadia Bay non esiste più…” pensò amaramente, notando un cumulo di macerie nell’angolo più estremo alla sua sinistra. Piccoli focolai si ergevano tra le macerie di quella che, un tempo, era la sua città natale. Odiava quel posto, lo odiava tanto quanto odiava le persone che l’avevano corrotta. Eppure le faceva male vederla cosi, ridotta a niente, solo pietra e legno, pezzi di lamiera e automobili scagliate come palline di carta…
 
(palline di carta…palline di carta….scagliate come sfregio….scagliate contro Kate Marsh…. La giovane e innocente Kate….drogata, umiliata, bullizzata….Kate, la devota….Kate la cui sola colpa era quella di voler bene a tutti….di volersi far accettare…..Kate che prendeva il tè con me….Kate, umiliata….Kate che si getta dal tetto…)
 
…senza valore, tra gli alberi e i tetti di quello che si era salvato dalla furia dei venti.
Ma se la città era già stata spazzata via, perché lei era ancora li? Non era fuggita? Il tornado dovrebbe rivolgersi verso l’entroterra e non verso…
“di me…vuole me!” strillò
Il tornado puntava verso il faro. La braccava, come un predatore scontento. I venti sembravano ora un lamento lugubre e minaccioso. Sembravano volerle dire…
 
(ci sei scappata una volta. Hai ucciso tutti…ma è te che vogliamo….e stavolta non scapperai…)
 
…che la sua ora era giunta.
L’aveva evitata. Aveva sacrificato centinaia, forse migliaia di vite per non affrontare il suo dolore, le sue paure. Si sentiva cosi…
(egoista! Stronza! Insensibile! Immatura! VIGLIACCA!)
… confusa e spaventata.  Forse meritava quella fine… forse era cosi che doveva andare… la soluzione non era mai stata tornare indietro o andare avanti, ma andare LEI stessa verso quel tornado. Come una vergine in sacrificio. Ecco la giovane e stupida fotografa dilettante che si offre in pasto al King Kong dei venti. Alla vendetta della natura, del tempo, verso colei che li aveva ingannati.
Sentì, per davvero una frazione di secondo, giustizia e pace a quella idea. Poi fu di nuovo panico.
No!
Non doveva finire cosi! Aveva scelto e sapeva di averlo fatto a discapito di molte vite, ma era felice. Finalmente lo era.
Era
Lo è ancora
“IO SONO FELICE ORA!” gridò.
Il vento rispose sradicando la panchina, spezzando le rocce e facendo crollare una parte del promontorio. La terra sotto i piedi le venne a mancare. Vide l’oceano aprirsi sotto di sé per un brevissimo istante, prima di scivolare indietro e cadere e sollevare gli occhi al cielo, mentre il tornado avanzava inesorabile.
Ormai era vicinissimo. Era resa sorda dal vento, dalla rabbia di migliaia di vite spezzate dal suo egoismo. Vide la panchina riemergere e vorticare nel cielo, pronta a colpirla come un proiettile mortale. Le restò solo una cosa da fare: gridare.
E con tutta l’aria che aveva in corpo, lo fece. Di rabbia, di disperazione, urlò…
 
“Max? MAX! MAX SVEGLIATI!”
 
 
Aprì gli occhi d scatto.
Le lenzuola blu del suo letto l’avvolgevano quasi fino al viso, nonostante fosse quasi fine Giugno e le temperature fossero leggermente più alte della media.
Dalla finestra aperta entrava una brezza inesistente, ma poteva vedere il cielo buio e puntellato da poche stelle, cancellate quasi tutte dalle luci della zona centrale di Seattle che, benché  fosse lontana da casa sua, esigeva di inghiottirle. Vivere ai margini della parte pulsante di  una grande città non sempre rende il cielo più terso.
Grilli. Gli ululati feroci erano svaniti e ora solo dei grilli popolavano il vento, che non aveva nemmeno la forza necessaria a smuovere le tende in poliestere rosa che sua madre aveva comprato per arredare la camera, anni orsono, quando si erano trasferiti da Arcadia Bay. Il resto della stanza vigilava nella penombra della notte che anticipava l’estate. Che ore erano? Tardi sicuramente…ma quanto tardi?
“Hey Max…tutto ok?”
La voce di Chloe era poco più che un sussurro, ma la mano di lei che le accarezzava il braccio nudo era tangibile e vivo. E cosi confortante e caldo.
“Cazzo, ma stai tremando Max!” disse, e stavolta non era un sussurro, ma quasi esclamato a tono normale.
Max Caulfield si rigirò nel letto, per guardare negli occhi chi le stava parlando, ma lei si era già sporta verso il suo comodino e accese la luce della sua piccola lampada blu in stile ‘Pixar’.
Una tenue luce giallastra inondò una porzione della sua camera da letto. Anzi, sarebbe più corretto dire la LORO camera da letto, da qualche mese oramai.
Benché debole, quella luce rivelò quello che i suoi occhi avevano cercato quando si era voltata.
Chloe Price era li, viva e tangibile, adagiata con la schiena alla tastiera del letto. Indossava una vecchia maglietta nera con un bizzarro disegno di un cane che andava sullo skateboard. L’aveva trovata in un negozio dell’usato un paio di settimane prima e, senza una logica spiegazione, l’aveva acquistata senza indugio. A Max piaceva quella maglietta, e fu contenta che Chloe l’avesse scelta come pigiama: ne rispecchiava di più l’identità rispetto a quelle magliette punk che indossava quasi sempre, ma questa considerazione preferì tenerla per se stessa. Guai a dirle che, in fondo, era una tenera.
Il resto del suo particolare pigiama erano dei pantaloncini sbiaditi da basket, ma questi erano stati dichiaratamente presi per essere usati per dormire o ‘ qualsiasi altra cazzata debba fare in casa’. In effetti, non aveva molti vestiti con se, quando scapparono da Arcadia Bay. La casa dei Price non era conciata male, ma non avevano voluto indugiare troppo al suo interno quando vi si infilarono per riempire velocemente due borsoni di vestiti, oggetti personali di Chloe e qualcosa da mangiare per sicurezza, anche se Seattle distava circa cinque ore di auto da Arcadia.
Osservò la linea delle sue gambe nude, una distesa e una piegata verso il petto, le sue mani, adagiate sul ginocchio, il collo e il viso, con i suoi zigomi definiti, le labbra sottili e gli occhi di quel blu inteso che tanto le aveva sempre invidiato.
I capelli erano ancora corti e bluastri, ma leggermente più lunghi dato che non era più andata da un parrucchiere in quei mesi.
Chloe voltò la testa e la fissò
“Come va? Un altro incubo?”
“Già” replicò con un filo di voce
“Di nuovo il tornado?”
Max annuì debolmente
“Cazzo.” esclamò Chloe in risposta, a denti stretti “Siamo a tre volte in meno di dieci giorni. Mi potrei preoccupare, Max.”
“E tu? Ancora insonne?” chiese, sviando il discorso
Chloe spostò lo sguardo davanti a sé
“No” rispose “Stavolta no. Ma avevo il sonno leggero e ti ho sentita lamentarti e agitarti parecchio.”
“Merda. Mi dispiace, non volevo.”
Max si sentì in colpa. Chloe soffriva di insonnia da quando si erano lasciate alle spalle la tragedia. ‘Effetto collaterale dell’esperienza traumatica’ dicevano ‘passerà con il tempo’ ripetevano. Fatto sta che Chloe, le prime settimane, aveva dormito un terzo di quello che una persona normale dovrebbe dormire.
Non che fosse la prima volta. Aveva già sofferto di insonnia, in passato, ma era migliorata con il tempo, poco più di un anno prima che Max tornasse ad Arcadia Bay. Si poteva dire che, anche in quel caso, la sua insonnia era dovuta a due motivi ben precisi, ben noti ad entrambe, poiché le riguardavano da vicino anche in quel caso.
Ovviamente, Max non poté fare a meno che sentirsi doppiamente in colpa dato che, direttamente o no, si sentiva artefice dei problemi di sonno di Chloe.
Quest’ultima si sporse leggermente in avanti e con la mano sinistra indugiò sulla testa della sua compagna, accarezzandola dolcemente
“Non è colpa tua, ti pare? Non farti paranoie inutili.”
“Sarà, ma domani devi lavorare…”
“Non faccio io l’apertura stavolta. Inizio presto ma non cosi presto. Dovresti averli imparati oramai, i miei bizzarri orari di lavoro”
Chloe aveva trovato lavoro presso una specie di bar per studenti, chiamato “Bake ‘n’ Take” non molto distante dall’accademia in cui Max si era iscritta per completare gli studi.
Dopo la “Tragedia” di Arcadia, la solidarietà si era fatta strada tra i sopravvissuti e anche verso i (pochi) studenti della Blackwell rimasti. Perciò la Fine Art Academy[1], affiliata della Seattle Pacific University,  si era presa in carico ( e la sua borsa di studi) Max e il suo completamento accademico. Una nota estremamente positiva dato che non doveva sborsare nulla, se non ricomprare i libri, non necessitava di dormitorio dato che era a mezz’ora da casa e, cosa più importante, era abbastanza certa che il suo insegnate di fotografia attuale non la volesse segregare in qualche ambiente sotterraneo per drogarla e farle delle foto.
“Si ma ti ho svegliata. Scusa.”
Chloe sbuffò, fintamente spazientita, e spense la luce. Si infilò di nuovo sotto le coperte, diede un buffetto a Max, che si rigirò dandole le spalle poiché sapeva che intenzioni avesse lei, e si rilassò, avvolgendole le braccia attorno all’addome e infilando il suo viso tra i suoi capelli a caschetto.  Era la loro ‘mossa’ collaudata per essere sicure di poter dormire senza incubi e senza insonnia. Max si sentiva al sicuro, rilassata.
E stupida. Ormai era una adulta eppure possibile che potesse calmarsi solo cosi? Si sentiva cosi debole e patetica, ma adorava quei momenti. Adorava che Chloe la abbracciasse dopo ogni incubo.
“Senti, cerca di focalizzarti su una cosa fondamentale: tra due mesi saremo in spiaggia, in qualche fottuta zona della California, a non fare uno stracazzo di niente se non prendere il sole, bere fino a vomitare e dimenticarci le buone maniere. Ok?” sussurrò Chloe al suo orecchio destro.
Max si sciolse in un largo sorriso. Non vedeva l’ora di quella vacanza. Stavano risparmiando solo per quel momento. Loro due da sole, in California, per due settimane. Non avevano ne cercato ne prenotato nulla. Sarebbero partite e avrebbero improvvisato, fine della cosa.
“Cazzo, si. Inizierò a contare i giorni!” replicò Max.
E chiuse gli occhi, scivolando di nuovo nel sonno, avvertendo a malapena il bacio sulla guancia di Chloe.
Niente più tornado stavolta.
Niente di niente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
2.
 
 
Max odiava una sola cosa di camera sua.
Una sola cosa. In tutta la camera, pregna di memorie della sua giovane vita.
La sveglia.
Si era rifiutata di portarla alla Blackwell proprio perché era troppo, troppo irritante ma efficace. La cosa ironica è che l’aveva acquistata lei, con la sua paghetta, quando aveva dieci anni.
La sveglia in questione era a forma di ranocchio, un po’ in stile cartoon, che reggeva una tazza di caffè, mentre sedeva sopra una sfera verdastra che avrebbe dovuto essere una specie di foglia, in cui all’interno vi era l’orologio. La tazza, invece, recitava la scritta ‘Is too late for you, but not for the coffee!” come se volesse ricordargli che, per quanto si impegnasse, sarebbe stata sempre una ritardataria cronica. Ma il caffè mai. Al massimo eri tu in ritardo per lui, ma mai il contrario.
La parte irritante era l’allarme: un gracido, continuo e potente, che strillava ‘wake up! wake up!’  finché non lo avessi disattivato. Sempre ammesso che avessi premuto la testa della rana, spegnendola, anziché scagliarla contro un muro.
Forse il motivo per cui non lo aveva mai fatto era, oltre che essere stato uno dei suoi primi e personalissimi investimenti da bambina, che a modo suo era decisamente efficace. Non potevi non svegliarti. Certo lo facevi malamente, ma dannazione se eri vigile e scattante!
Dopo qualche tempo, imparò a non usarla le mattine che Chloe si svegliava dopo di lei. Le è bastata udirla una sola volta per sentirla usare epiteti che, per quanto fosse volgare, avevano raggiunto vette comiche e blasfeme che mai si sarebbe immaginata di sentire in vita sua. Ogni tanto Max ripensava e rideva di ciò. Un po’ meno per quello che disse Chloe, dato che rimbalzò per tutta la casa. Comunque sia, quando Chloe non doveva alzarsi prima di lei o aveva il turno più tardi, mai usare la rana-sveglia.
Si sporse verso il confine estremo del suo comodino per premere la famigerata sveglia indemoniata,trovandosi cosi magicamente sveglia e operativa. Scostò il lenzuolo blu, che faceva a pugni con il copriletto rosa confetto, e si mise a sedere.
Con la luce del giorno, camera sua prendeva decisamente una piega più vitale e rassicurante. Le pareti, tinte in occasione del trasloco, erano di un rosa pallidissimo, a tal punto che, a una prima occhiata, si sarebbe potuto pensare che la stanza fosse tinta di un anonimo bianco. Aveva scelto lei che fosse cosi: non voleva stufarsene con il tempo e, soprattutto, aveva circa tredici anni quando vi si insediò. L’arredo era pressoché immutato dal giorno in cui vi arrivò, benché prima della sua (breve) avventura alla Blackwell, lei e sua madre avevano chiuso tutto in scatoloni che, escluso ciò che aveva portato con se all’accademia, erano finiti in soffitta. I suoi genitori, saggiamente, volevano riutilizzare la stanza. Non seppe dire se avevano intenzione di usarla come magazzino o studio di riserva o se, addirittura, metterla in affitto per qualche studente squattrinato. I suoi le ripetevano spesso che sarebbe potuta tornare da loro quando voleva, perciò l’ipotesi dell’affitto o non aveva riscosso successo o, molto più probabilmente, non avevano mai seriamente messo impegno in quella direzione. Dopotutto, economicamente, la famiglia Caulfield non aveva nulla di cui lamentarsi.  La sola cosa che era cambiata, per ovvie ragioni, il letto che fu sostituito con un matrimoniale. Lei e Chloe non avrebbero potuto dormire assieme nel vecchio letto singolo. Non che ci avessero provato (Max non voleva mettere fretta ai suoi) ma risultò impossibile e per le prime tre notti, con enorme insistenza e lotte amichevoli, convinse Chloe a dormire nella sua stanza mentre lei si accomodò del divano al piano di sotto.
Entrando nella stanza, si trovava sulla parete sinistra il letto nuovo e comodissimo (sua madre aveva scelto un materasso da sogno) con la tastiera verso la parete e il resto che si imponeva verso il centro. All’estrema sinistra, quasi a ridosso della porta, vi era un vecchio cassettone bianco di Max, preso a Tillamook quando lei aveva circa otto anni, e ancora adornato di adesivi di Spongebob. Quel cassettone ora era equamente diviso tra lei e Chloe, benché quest’ultima non avesse granché di biancheria e magliette. Cercava di non essere troppo di peso e badava ad acquistare il suo vestiario da sola ma ogni tanto capitava che, aprendo i cassetti, Chloe emettesse un mugugno che era simile a un sorriso soffocato e il commosso nel vedere un capo nuovo accuratamente riposto al suo interno. Max sapeva che sua madre comprava di nascosto cose per Chloe e, senza avvisarla, le lavava, stirava e riponeva nel cassetto, assieme al resto, come se nulla fosse.
La prima volta, Chloe era scesa in cucina con una maglietta che sapeva non essere sua. Aveva dapprima pensato che si fosse sbagliata e avesse messo nel suo cassetto un capo di Max ma, constatato che era nuova e di misura troppo diversa da quelle della giovane Caulfield, era scesa di sotto, con un piglio infuriato.
La madre di Max fece finta di non sapere (era una pessima bugiarda e Max aveva ereditato pienamente questa caratteristica da lei) e negando espressamente tutto. Benché Chloe fosse partita come un toro infuriato, si addolcì immediatamente. Abbracciò la signora Caulfield e tornò di sopra a rimettere in ordine quella nuova maglietta e, anche se lo negò con decisione, a nascondersi perché si era commossa come non le capitava da mesi.
Da quel giorno vi era una sorta di patto silenzioso tra i Caulfield e Chloe, rotto solo in occasione nel giorno del  suo  ventesimo compleanno, ma da Max stessa e non Chloe. Il motivo era abbastanza imbarazzante: finita la cena insieme, a base di junk food e una torta fatta a mano dalla signora Caulfield, con bibite e uno spumante da troppi (troppissimi ) dollari preso apposta per l’occasione dal signor Caulfield,  con tanto di regalo a fine pasto ( una compilation di dischi degli artisti preferiti di Chloe, su suggerimento di Max, per sostituire degnamente quelli abbandonati nella sua casa di Arcadia Bay) e un portatile nuovo per lei, le ragazze erano andate in camera per buttarsi a letto (Chloe, l’indomani, avrebbe iniziato a lavorare al primo turno, quindi doveva recarsi presto al Bake ‘n’ Take per aprire il locale e iniziare a sistemare tutto) e li, aprendo la sua parte del cassettone per prendere un pigiama nuovo, aveva trovato una busta di Victoria’Secret  con un biglietto da parte della madre di Max che recitava
 
Questo regalo è, da donna a donna, qualcosa che era meglio non mostrare a cena. Spero tu possa gradirlo. E pure Max ;)
 
Ancora oggi, a distanza di mesi, Max arrossiva al ricordo. Aveva preso la porta della camera e scesa in cucina a gridare ai suoi se fossero impazziti, lasciando Chloe piegata in due dalle risate. Non aveva voluto scoprire il contenuto, nonostante le insistenze di Chloe che, in un misto di minaccia e promessa, le ricordò che prima o poi lo avrebbe dovuto scoprire. I suoi, invece, non si scomposero e la presero in giro da quella sera per una settimana buona.
Alla fine del cassettone vi era un portabiti esclusivo di Chloe, una pila di libri a terra e il comodino di Chloe, con relativa lampada e svariati oggetti sparsi malamente, tra cui uno scontrino del benzinaio, un accendino (forse scarico) che raffigurava l’adorato Hawt Dwag Man, qualche centesimo.
A destra, invece, dietro la porta vi era il porta abiti di Max e , su tutta la parete opposta al letto, un mobile occupava quasi tutto lo spazio. C’era uno spazio in centro, occupato da una vecchia tv con lettore dvd, film e cd riposti al lato. Due cassetti giganti sotto la tv, mentre sopra e ai lati ante che ospitavano un mix di vestiti, pantaloni, cappotti e tutto quanto le era rimasto (aveva perso un discreto numero di capi nella sua stanza alla Blackwell), oltre che tanti ricordi di quando era bimba, vecchi album che contenevano i suoi primi scatti, qualche giocattolo a cui era particolarmente affezionata e ultimo, ma non per importanza, il suo primo peluches, ricordo di una vincita a una fiera di Arcadia Bay quando aveva sette anni. Lo aveva vinto con Chloe e ne era particolarmente legata. Già si sentiva in colpa costantemente per aver abbandonato il suo orsacchiotto nella sua stanza del dormitorio.
Il resto della stanza si componeva, alla parete opposta alla porta, con il ‘lato di Max’, ovvero nell’angolo a sinistra il suo comodino, decisamente più ordinato di quello della sua coinquilina,  una scrivania molto piccola sotto la finestra, con il suo nuovo portatile, una pila di libri scolastici, un ricambio per le pellicole e, tra la scrivania e il mobile, uno specchio alto quasi quanto lei.  Ed era li che era diretta, appena sveglia.
Senza trucco e con gli occhi appesantiti, con la notte tutt’altro che tranquilla, pensò che le sarebbero servite due docce e un miracolo per non apparire una tossicodipendente oggi, al suo ultimo giorno di lezioni. Il pigiama, in contrapposizione a quello di Chloe, si componeva con una maglietta bianca con sopra un sole sorridente e stilizzato, pantaloncini estremamente corti e aderenti di colore giallo canarino.
“Beh, buongiorno a te, zombie nello specchio.”mormorò.
Prese un ricambio di vestiti, andò in bagno e cercò di rendersi presentabile.
Dopo essersi data una sonora lavata al viso, si ammirò per vedere se poteva essere più ‘normale’. Le sue lentiggini risaltavano particolarmente quella mattina, quasi si fossero scurite e moltiplicate nella notte, mentre i suoi occhi apparivano ancora bisognosi di una sana dormita.
Il bagno era estremamente pulito e le piaceva particolarmente l’alternanza di bianco, blu, verde acqua che popolava quella stanza. Sua madre lo aveva arredato e scelto i colori in modo eccelso. Dopotutto, aveva un talento come arredatrice non indifferente.
Si cambiò di abito, uscì e ripercorse il corridoio fino alla sua stanza.
‘Nostra!’ si ripeté, e abbozzò un sorriso.
Lanciò malamente il suo pigiama verso il letto e richiuse la porta. Il piano superiore della villetta dei Caulfield, in Rockwell Avenue[2] a Seattle, si componeva in maniera semplice ma accogliente. Salita la rampa di scale, a sinistra, si trovava la stanza di Max e Chloe. In fondo al corridoio di sinistra, un piccolo sgabuzzino ospitava alcuni scatoloni, un asse da stiro con relativo ferro, un piccolo aspirapolvere (avevano la moquette su tutto il piano di sopra, eccetto nel bagno, ovviamente. Perciò la madre di Max aveva voluto acquistare quest’altro modello meno potente per pulire efficacemente anche di sopra senza portarsi quello grande e pesante su per le scale ogni volta), e un kit di pulizia estremamente efficace per il bagno.
A destra del corridoio si trovavano la camera dei genitori di Max, lo studiolo/biblioteca e , in fondo al centro, il bagno. 
Max scese velocemente le scale, attratta dal profumo di pancake e dal chiacchiericcio che era udibile ma non comprensibile. Distingueva limpidamente la voce di Chloe che, già di prima mattina, si stagliava sonora e vivace come sempre.
Il piano di sotto era più semplice ma più familiare: appena scese la scale ci si trovava in salotto, composto da due poltrone di velluto e un ampio divano in pelle, con un televisore gigante nell’angolo, tra una credenza con l’argenteria di mamma a destra e una finestra che dava sulla parte frontale del giardino, a sinistra. In centro vi stava un tavolino in legno e vetro trasparente e sotto di esso un bellissimo tappeto orientale (ma non costoso) cremisi con rifiniti disegni e ghirigori in rosso, nero e giallo. Alle spalle di tutto, concludendo il salotto, vi era il tavolo da pranzo e un’altra credenza con piatti, bicchieri e posate. Non avendo la moquette, vi era una porzione di parquet per il salotto e classiche piastrelle nel resto. A sinistra delle scale vi era un anticamera e la porta d’ingresso, che ospitava un piccolo armadio a muro che conteneva i cappotti (in inverno), una scarpiera e un portaombrelli. La porta d’ingresso era di un bianco lucido, contornata di specchi opachi cosicché era impossibile vedere chi si trovasse all’esterno e viceversa. A destra della base delle scale, vi era un piccolo bagno per il piano inferiore e la porta che ava sul retro, collegandosi a un bel giardino che sperava di sfruttare pienamente nelle settimane successive, magari acquistando una piscina gonfiabile dove rilassarsi.  Il ripostiglio del piano inferiore stava nel sottoscala che era anche parte della parete. Voltandosi verso ovest si entrava in cucina. Non vi erano muri o porte che impedissero al salotto d collegarsi alla cucina, se si escludono le uniche due pareti che fungevano da piccola anticamera all’ingresso, cosicché si apriva una specie di arco dall’ingresso fino  metà dello spazio occupato dalla cucina, che era ampia e luminosa. I ripiani di cottura e il forno erano all’angolo, sovrastati dalla cappa, uniti in un mobile unico che prendeva la parete che dava verso il giardino e l’ingresso, fino alla parete estrema a ovest, interrompendosi poco prima della porta che dava sul garage. La parete ovest era anche occupata da vari mobiletti, mentre il resto, escluse le tende per la finestra, era lasciato libero e senza mobilio, esclusi un paio di quadretti e una piccola mensola per le spezie. Vicino al muro che univa con l’ingresso vi era un ripiano dedicato a un paio di volumi di ricette che Max non aveva mai visto venire adoperati.
Al centro vi era la penisola, usata al mattino come ripiano colazione, con tanto di sei sgabelli per accomodarsi. Li vi erano, già operativi e impegnati a parlottare, i suoi genitori, Vanessa e Ryan Caulfield, con Chloe.
Max era più simile alla madre nei lineamenti del viso e nel taglio e colore degli occhi. Inoltre, Vanessa era minuta, graziosa e non molto alta. Da suo padre Ryan, invece, non aveva preso quasi nulla: suo padre era imponente, un po’ corpulento, con barba e corti capelli rosso/castani, occhi limpidi e azzurrini e un viso tondo. Forse solo le lentiggini erano un lascito genetico prettamente paterno (Ryan rimarcava delle lontane origini irlandesi mai confermate), mentre per i capelli era ancora un dubbio, poiché Ryan Caulfield aveva una colorazione più chiara rispetto alla figlia che, nella sua chioma castano rossastra, spiccava decisamente una tonalità più scura, rendendola ancora più simile a sua madre.
“…e quindi gli ho risposto ‘senti testa di cazzo, se quello non lo paghi non è un problema mio, ma di sicuro sarà un problema tuo se mi verrà detratto dallo stipendio perché ti metto sotto con il mio pick-up scassato!’” stava raccontando Chloe, evidentemente la conclusione di un aneddoto accaduto ieri al lavoro e, probabilmente, divertente dato che i coniugi Caulfield cominciarono a ridacchiare.
“Buongiorno a tutti.” annunciò Max entrando in cucina.
“Hey tesoro, ben alzata. Pronta per il tuo ultimo giorno di studi?” l’accolse sua madre, con il solito tono caloroso e sereno “Guarda! Chloe ci ha fatto i pancake.”
Chloe si voltò verso di Max e l’accolse con un sorriso e un occhiolino
“Beh volevo che avessi le migliori energie per affrontare il tuo ultimo, momentaneo, giorno di gabbio per artisti in erba.”
Appoggiò un piatto al posto di Max e poi si voltò, pronta a lavare i piatti.
“Oh no cara! Lascia  subito tutto cosi com’è ! Ci penserò io a lavare prima di andare al lavoro. Tu ci hai preparato la colazione e rischi di fare tardi!”esclamò Vanessa.
“No problem Vanessa. Sono in preciso orario per una volta e poi ci tengo a sistemare almeno le pentole. I piatti ve li lascio volentieri, invece.”
Max sapeva del perché Chloe si rendeva così disponibile: gli pesava vivere con loro. Non in maniera eccessiva o negativa ma le dispiaceva essere di peso per la famiglia Caulfield e voleva poter essere utile il più possibile. Aveva perso il conto delle volte in cui i suoi genitori, alla sera, la tranquillizzassero in merito, poiché se erano resi conto. Per loro era come essere di nuovo ad Arcadia Bay, quando lei e Max si alternavano le ospitalità presso le rispettive famiglie. Per loro, Chloe era di famiglia e le avevano ripetuto che il suo arrivo non aveva impattato minimamente le loro finanze e che erano solo felici di poterla avere li e più sereni sapendola sotto il loro tetto che in qualche squallida stanza di affitto in periferia. Max sapeva, anche se tutti lo negavano in casa, che Chloe lasciava parte della sua paga ai Caulfield. Vi fu una discussione (amichevole ovviamente) in merito e alla fine la spuntarono entrambe le parti, lasciando a Chloe la possibilità di versare dei contanti in casa ma  a una cifra pattuita dai Caulfield che era, praticamente, irrisoria. I suoi volevano che Chloe potesse mettere via da parte il più possibile e non perché si sistemasse il prima possibile ma perché avesse avuto una solida base per ricominciare in un futuro. Per quanto riguardava i Caulfield, Vanessa e Ryan si sarebbero tenuti Chloe sotto il loro tetto anche per altri vent’anni con opzione di rinnovo per altri venti. La adoravano e non mostravano eccessiva pietà verso di lei per ciò che aveva passato, cosa che Chloe adorava moltissimo. Si sentiva amata e accettata e non l’aveva mai vista così felice e serena in famiglia da secoli. Pensando questo, Max si sentì in colpa verso Joyce…
“Chloe sei favolosa. E questi pancake… dio mio” commento Ryan, ingurgitando il suo ennesimo pancake della mattinata, non curandosi del rivolo di sciroppo d’acero che pendeva sulla barba. Max ridacchiò: suo padre era sempre cosi inconsapevolmente buffo e maldestro da renderlo tenero. Ecco un’altra cosa in comune!
Chloe arrossì lievemente ma se ne accorse nessun, dato che era di spalle a lavare. Max si accomodò di fronte a sua madre e si versò del succo d’arancia, prima di arpionare i suoi pancake.
“Dormito bene tesoro?” chiese sua madre
“Si.”
“Non si direbbe. Hai una faccia…”
“No, è tutto ok. “replicò con finta nonchalance. Non se la sentiva di parlarle del suo incubo “Dopo farò finta di truccarmi come mio solito e vedrete che sarà tutto nella norma.”
“Ok.”rispose sua madre, sorseggiando il caffè “Eppure stanotte mi è sembrato di sentirti mugugnare e lamentarti e mi ero preoccupata ma non ho voluto disturbarvi.”
Chloe si voltò di scatto, portandosi una mano alla bocca ed esclamò
“Oh no che imbarazzo! Chiedo scusa Vanessa, colpa mia. Ho detto a Max di trattenersi ma stanotte non voleva proprio darmi retta e..”
“CHLOE!” strillò Max, arrossendo visibilmente
Ryan e Vanessa, invece, risero di gusto.
“Tranquilla tesorino, si scherzava. Max ha avuto un incubo.”
Vanessa smise di ridere fissò preoccupata la figlia
“Davvero? Di nuovo?”
“Si ma… mamma non preoccuparti, ok? E’ tutto sotto controllo. Sto bene.”
“Domani andate dal dottor Rogers, giusto? Glielo dirai, vero?”
“Si mamma. Ma tanto sappiamo già cosa dirà, no?” mormorò Max
Il dottor Edmund Rogers era il loro psicoterapeuta. Aerano riusciti a convincerlo a ricevere lei e Chloe assieme, anche se la prassi non lo prevedeva. Ma, vista la situazione, si era convinto e le aveva accettate come pazienti. Sapeva già degli incubi ricorrenti e tranquillizzava sempre molto le ragazze, anche Chloe che di base non era una fan degli strizzacervelli.
Aveva diagnosticato loro un disturbo da stress post – traumatico e, nel complesso, erano comunque felici del trattamento e del dottor Rogers. Quello che Max non gradiva è che non poteva dire la verità  sui fatti di Arcadia. O almeno, non tutta la verità.
Ma anche se gli avesse confessato tutto, gli avrebbe creduto? No di certo. Al massimo avrebbe cambiato la diagnosi e l’avrebbe fatta internare in qualche ospedale psichiatrico.
 
Ma certo signorina Caulfield. Alzi pure la sua mano destra e riavvolga il tempo mentre la sediamo e le infiliamo una camicia di forza!
 
“Beh tu comunque vedi parlargli  lo stesso di questo incubo ricorrente” affermò Vanessa “Sappiamo che non è facile e non sarà un percorso breve, ma teniamo alla vostra salute e sono certa che ne uscirete prima di quanto crediate.”
“Sicuro Vanessa!”affermò Chloe, con un inaspettato ottimismo “Anche se non mi sarebbe dispiaciuto prendere dei bei pilloloni di tranquillante. Ma mi farò bastare l’erba.”
“Basta che la fumi in giardino, tesoro.”rispose Vanessa. Max ancora faticava a credere quanto i suoi fossero mentalmente aperti.
Chloe prese il suo zainetto, si avvicinò a Max e le diede un bacio sulla fronte
“Ci si vede dopo, allora? Torni a casa con me quando stacco?” chiese
“Woo ragazze, troppa dolcezza qui. Mi basta lo sciroppo d’acero per condire i pancake!”disse Ryan, assistendo alla scena. Chloe sorrise divertita.
“Certo, stupida.” rispose Max con un mezzo sorriso anche lei, ma ignorando suo padre “Basta che non ti metti a fare battute idiote anche davanti al tuo capo e i clienti”
Chloe ridacchiò e le diede un buffetto sulla guancia, come se fosse una bambina
“Hey io sono professionale al lavoro!”
“Ma certo… come no!”rispose Max, ma Chloe riteneva chiusa la cosa e prese le chiavi del suo pick-up dalla ciotola portachiavi e si mise le scarpe, preparandosi a uscire
“Ah dimenticavo Chloe!” strillò Vanessa “Alle diciotto verranno i vostri avvocati. Hanno bisogno di parlare ancora con voi!”
“Che paaaallllleeeeee!!”esclamò “Che vogliono ancora da noi?””
“E’ la prassi tesoro.” disse Ryan
“Ok, ok. Ma io non so se arriverò in tempo. E dovrò farmi una doccia!”
“Vorrà dire che aspetteranno.”rispose Ryan “Tanto hanno meno fretta di voi in questa storia. Anche se temo che ci siano novità, ma non vogliono dirmele per telefono.”
Choe alzò un pollice verso l’alto
“Bueno. A dopo famiglia Cauflield!”
E uscì di casa, senza attendere risposta.
Max si premurò di addentare un paio di pancake (complimenti davvero Chloe!) prima di rivolgersi ai suoi genitori
“Quindi normale routine,  giusto? Altre domande sulle stesse cose?”
Ryan, che aveva iniziato la lettura del giornale, l’abbandonò e fissò la figlia negli occhi
“Temo di si, Max. So che non vi piace ma avete già fatto molto. Si tratta solo di noiose procedure burocratiche.”
“E perché pensi ci siano delle novità?”
“Questo non so dirtelo, tesoro. Diciamo che è una mia impressione. Forte, forte impressione. Ma hanno già accettato di venirvi incontro lasciando che sia io il vostro ‘segretario’ a cui debbano rivolgersi, per lasciarvi serene visto il vostro status. Ormai siete delle donne adulte e, in teoria, io non dovrei nemmeno essere tirato in mezzo. Perciò apprezziamo che almeno si rivolgano a me per fissare gli appuntamenti e siano disponibili a venire addirittura qui, senza che ci dobbiamo scomodare per andare fino in centro. Se hanno delle novità sul caso, voi ascoltateli e poi ne parleremo.”
Max annuì.
Era vero, dopotutto. Lei e Chloe avrebbero dovuto parlare personalmente con gli avvocati ogni volta, ma suo padre si era messo in mezzo, chiedendo un po’ di respiro per loro, offrendosi di fare da ‘segretario’ per le ragazze. Inoltre, tra le enormi concessioni, vi fu quella di non presentarsi fisicamente all’udienza preliminare nel processo a Mark Jefferson (cosa che Max vide come un enorme peso di cui si era liberata, togliendosi un bel carico di ansia dal petto). L’dea di rivedere il suo ex insegnante, seppure in una aula di tribunale, la terrorizzava. Anche se, in teoria, solo Chloe sapeva del perché: lei, ufficialmente, non era MAI stata una vittima. Peccato che il peso dei ricordi, talvolta, riaffiorasse. Potente come il tornado, ugualmente devastane e psicologicamente più viscido. Il vantaggio del suo potere era, adesso, il suo più atroce dei difetti.
Gli avvocati si erano accontentati di vedersi consegnare il messaggio vocale lasciatole da Nathan Prescott poco prima di morire (ufficialmente non era stato dichiarato morto, dato che non era mai stato rivenuto un corpo e, per ora, la tesi della fuga a Los Angeles, sostenuta da un biglietto d’autobus pagato e intestato a Nathan, reggeva ancora nell’impianto difensivo dei legali di Jefferson), un video in cui sia lei  che Chloe rilasciavano una piena testimonianza degli eventi, registrato presso la stazione di polizia di Seattle, in presenza degli avvocati di ambedue, e una copia firmata della trascrizione delle loro dichiarazioni.
Dopodiché, Max si rifiutò categoricamente di seguire il processo al suo ex insegnante, definito dai media, con una certa mancanza di tatto, il ‘Processo al fotografo delle studentesse’. Lo trovava cosi strumentale e di poco gusto. Processo Jefferson sarebbe stato più razionale e moralmente accettabile.
Quindi si, doveva ammettere che i suoi legali erano stati straordinariamente umani verso di loro e le avevano promesso che, se fosse stato possibile, non le avrebbero mai coinvolte fisicamente nell’impianto accusatorio e avrebbero sfruttato le loro testimonianze videoregistrate fintantoché fosse possibile farlo.
“Beh io vado a lavarmi i denti e prendere la giacca. Max, se ti sbrighi ti accompagno io a scuola.”disse Ryan
“Non preoccuparti. Prenderò il bus.”
“Insisto. Devo andare in quella direzione, oggi, per lavoro. Non ho nessun problema a portatrici. E almeno passo da solo con la mia donna preferita.” Insisté il padre che, con un finto tono sommesso aggiunse “Ma non dirlo a tua madre! E’ gelosa!”
Max ridacchio e acconsentì ad andare con lui.
Finì la colazione, lavò il suo piatto, mentre sua madre finiva di lavare gli altri e andò a lavarsi i denti e si truccò sbrigativamente almeno attorno agli occhi. Prese la sua borsa a tracolla, una delle poche cose sopravvissute da Arcadia e si avvicinò all’ingresso, dove suo padre l’attendeva, già in giacca e cravatta, con dei bellissimi mocassini in pelle.
“Buona giornata a entrambi!”strillò Vanessa, che fece capolino dalla cucina “E se vi comportate bene, stasera per festeggiare la fine delle lezioni prendo due chili di gelato di ritorno dal lavoro  e vi faccio i Cheeseburger alla Vanessa!”
“Ecco perché ti amo.”rispose Ryan, leccandosi i baffi “A stasera”
“Ciao Ma’!”
Il sole e la calura di Giugno le colpirono il viso appena fu fuori. Il giardino, almeno davanti, era ben curato ma abbastanza spoglio, se si escludono le due siepi accanto al vialetto di accesso principale e quelle che accostavano lo steccato dal lato est, con i vicini. Max attraversò, camminando sull’erba, la distanza che separava il vialetto in ciottoli bianchi che portava all’ingresso, fino a quello del garage. Senza la macchina di Chloe, suo padre poteva tirare fuori il suo suv, un Ford Edge del 2013,  bianco perla, completamente accessoriato, acquistato solamente otto mesi fa. Era con quello che l’aveva accompagnata alla Blackwell, sostenendo l’acquisto mirato proprio per quella occasione.
“La bambina deve portare giù molti scatoloni, Vanessa!” si era giustificato Ryan, quando era tornato a casa con il suv, notando lo sguardo stupido e furibondo di sua moglie.
“Avevi detto che volevi cambiare auto, non prendere un furgone! E che lo avresti fatto il prossimo anno!” aveva tuonato lei in risposta.
“Beh mancano pochi mesi alla fine dell’anno. Ho solo anticipato un pochino. E poi vedessi che sconto mi ha fatto!”
Vanessa si era vendicata cucinando insalata per una settimana. Max era finita in mezzo a quella guerra e aveva iniziato a odiare anche lei quel suv. Ora, però, lo adorava. Specie il suo impianto di climatizzazione.
Montò sul sedile del passeggero e suo padre mise in moto, imboccando Rockwell Avenue e dirigendosi a sud.
Nonostante l’imponente auto, la musica al suo interno cozzava totalmente.
Suo padre aveva messo a tutto volume l’ennesima compilation di musiche country. Al momento risuonava nell’abitacolo Callin’ Baton Rouge  di Garth Brooks. L’aveva sentita almeno un centinaio di volte.
La passione per la musica country era, tra le altre cose, uno dei motivi che cementò la storica amicizia tra i Price e i Caulfield , ai tempi di Arcadia Bay. Il padre di Chloe, William, era un fanatico della musica country, molto più di suo padre. Max ricordava ancora un Quattro Luglio passato dai Price, in giardino, con griglia e birra (non per lei e Chloe ovviamente) in cui i due padri di famiglia discussero fino a sera degli album di Alan Jackoson, Willie Nelson, Faith Hill, Sono Williams e Dolly Parton.
A un certo punto, William Price si impose di far ascoltare a tutti l’album We Only Make Belive di Conway Twitty e Loretta Lynn, facendo nascere in Joyce l’esigenza di chiudere i festeggiamenti,  dichiarando che era l’ora dei fuochi d’artificio e sussurrando a Vanessa “Appena terminano i fuochi, prendi Max e Ryan e fuggite!”.
Sua madre, divertita, annuì e il piano andò come previsto, risparmiando a tutti l’ascolto di Twitty&Lynn.
“Ancora non capisco come non faccia a piacerti uno come Brooks” disse suo padre “E si che sei tu l’ artista di casa.”
“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, papà.”replicò lei
Ryan ridacchiò
“Pensavo non volessi andare in tribunale. Eppure ti alleni a rispondere come si deve.”
“Lasciamo perdere. Non oso immaginare come starei se dovessi andare. Cosa pensi che vogliano dirci? Che ora dobbiamo per forza essere presenti al prossimo processo?”
“Non so davvero, tesoro.”disse Ryan, abbastanza scoraggiato “Ma posso intuire.”
“E come mai?”
“Beh vedi Max io….. io sto seguendo un po’ la faccenda. Non quando tu e Chloe siete in giro, ovviamente, ma preferisco tenermi informato sugli sviluppi. Non so se ti farebbe piacere sapere.”
Max si sentì un po’ meno felice, ora. Ma comunque non demorse
“Dimmi pure.”
Ryan si schiarì la gola, poi disse
“Stanno avendo complicazioni. Parecchie. Sicuramente, Jefferson si vedrà una accusa per occultamento di cadavere e intralcio alla giustizia. Non si sa se sia stato lui fisicamente a seppellire la ragazza degli Amber, ma era li, ha scattato una foto e il giovane Prescott non sembra apparire lucido abbastanza da averlo fatto. O perlomeno non da solo. Quindi la foto che aveva fatto per tenere per le palle i Prescott, nel caso Nathan gli cominciasse a fare domande, gli si è ritorta contro. Ora sono sicuri che abbia seppellito lui la ragazza. Era in discarica con Nathan, ha fatto la foto e forse l’ha seppellita lui, senza mai denunciare nulla, pur avendo la scuola tappezzata di volantini da Chloe. Che freddo bastardo.”fece una piccola pausa mentre svoltava con l’auto, poi riprese “Ma le buone notizie potrebbero essere finite qui. Benché in quella prigione sotterranea abbiano trovato un sostanzioso numero di raccoglitori con foto, non riescono a determinare quante, ed eventualmente quali, delle ragazze fossero vittime e quante e quali fossero consenzienti. Il raccoglitore di Victoria Chase era vuoto e, essendo la ragazza deceduta a causa del tornado…”
“Quindi Victoria è morta?” esclamò Max. Non aveva più avuto notizie di lei
“Già. Un pezzo della recinzione della recinzione del campo da football si è staccato a causa del vento. La ragazza era, per qualche strana ragione, fuori dal dormitorio nonostante gli avvisi di non abbandonare le stanze. Pare volesse recuperare i suoi lavori dal laboratorio di fotografia, o cosi dicono. Beh, è stata colpita in pieno alla nuca, poco fuori la rampa delle scale che portava dai dormitori allo spiazzo centrale antistante l’ingresso della scuola. Non so se sia morta sul colpo, ma non credo. Mi spiace dirtelo Eravate amiche?”
Max scosse la testa
“No, per niente. Anche se ci stavamo avvicinando. Era una ragazza un po’ complicata ma non era cattiva. Ammetto che mi dispiace e che…
 
(l’ho assassinata io. Sono stata io. L’ho uccisa io. Non mi bastava averle macchiato il maglioncino con la vernice per vendicarmi? Ma non volevo vendicarmi, o forse si? Mi ha tartassato cosi tanto che non ne potevo più. Sono un mostro? No…. Stavamo facendo pace….ci stavamo avvicinando… la stimavo, la stimavo davvero tanto…. Ma allora perché non l’ho avvertita del tornado? L’ho avvertita la sera prima al party, per salvarla dalla oscena trappola di Nathan e Jefferson, ma non l’ho salvata dal tornado? Che cazzo di mostro sono?”)
 
…non era cattiva anche se era si pavoneggiava tantissimo. Meritava di diventare una buona fotografa.”concluse.
Ryan appoggiò una mano sul ginocchio della figlia
“Non potevi fare nulla Max. Hai fatto tantissimo, e quando te ne accorgerai lo ammetterai anche a te stessa.”cercò di consolarla “Comunque, il raccoglitore della Chase era vuoto e, essendo morta, nessuno può smentire ne confermare che sarebbe stato un set volontario. Lo stesso vale per Kate Marsh, per la quale rischia grosso anche verso di lei. Le foto trovate nel raccoglitore che, secondo i media, non sembrano consenzienti, se non addirittura con la ragazzina che appare sotto l’effetto di stupefacenti,  sembrano cambiare le carte in tavola. Se si pensa al video presente sul web durante la festa svoltasi pochi giorni prima che quella povera anima decidesse di gettarsi dal tetto e di cui, ancora una volta, voglio dire quanto io sia fiero di te per aver tentato di fermarla, la cosa sembra combaciare. Beh questi elementi potrebbero far apparire Kate Marsh come una vittima di Jefferson e Nathan Prescott. Inoltre la condotta di Jefferson, pochi minuti prima del suicidio della ragazza, come tu stessa hai riferito “essere fredda” nella tua deposizione. La famiglia, molto credente, ha affermato che la loro bambina non avrebbe mai fatto una cosa simile e che nel video presente sul web non poteva essere in sé. Perciò, se si pensa alla morte per overdose della Amber, direi che Kate Marsh potrebbe essere aggiunta alle vittime di Jefferson e lui dovrà vedersi aggiunta una nuova accusa.”
“Beh ma sembrano notizie positive queste, non allarmanti. Altri capi d’accusa!”
Ryan fece una smorfia
“Fammi finire tesoro. Purtroppo queste non sono avvalorate. Non si capisce, come ti ho detto, se tutte le ragazze trovate in quei raccoglitori siano consenzienti o no. Le prove vertono solo su Rachel Amber e Kate Marsh ed entrambe, purtroppo per loro, hanno incrociato la loro strada con Nathan Prescott, e su questo non si può discutere. Jefferson sta cercando di fare la parte del ‘mentore tradito’. Sapeva che il ragazzo aveva dei problemi, degli impulsi, e voleva tenerlo a freno ma il giovane Prescott voleva fare di tutto per essere amato da lui. E sulla base delle due vittime della Blackwell, la storia non sembra assurda.”
“Ma le altre! Ci sono altre!”
“Si ma non sono state rintracciate ancora. L’FBI è scesa in campo, poiché Jefferson operava anche qui, a Seattle, negli anni 90 e per qualche mese nei primi anni duemila. Prima di Arcadia Bay è stato in Utah e Colorado. Sanno che ha studiato a Chicago. Non ci sono prove sufficienti per incriminarlo per tutte le ragazze, ne abbastanza indicazioni precise su tutte quelle trovate. Attualmente, rischia solo per le due di Arcadia, ma il giudizio maggiore di colpevolezza sembra pendere su Nathan Prescott.”
“Che è morto!” esclamò Max
“Non c’è un corpo. Se Jefferson si trova in quel limbo è grazie a te e al messaggio che il giovane Prescott ti ha lasciato in segreteria, ma bilanciano perfettamente gli indizi che vogliono che lui sia il vero autore dei misfatti della Blackwell e Jefferson come complice, mentre la famiglia Prescott ancora non si pronuncia. Se saltasse fuori Nathan, vivo o morto, la bilancia prenderebbe finalmente una piega decisiva.”
Ora Max si sentiva furiosa come non mai.
“Ma dal messaggio che mi ha lasciato è ovvio che sia stato ucciso. Ucciso da Jefferson, ovviamente. Che poi ha inscenato tutto!”
Ryan rallentò in prossimità di un semaforo rosso. Erano quasi arrivati. A breve avrebbero preso Fremont Avenue e poi il ponte e infine svoltato a destra, su Nickelson Street.
“Amore, fidati: io ti credo. Non perché sia tuo padre, ma perché so benissimo che sei sincera e so che non ti sbagli, oltretutto perché hai vissuto tutto questo sulla tua pelle, hai vissuto a contatto con Nathan e hai conosciuto da vicino Mark Jefferson e se tu pensi che sia andata come dici tu, io ti credo ciecamente. Se ti può consolare, moltissimi la pensano come te. L’opinione pubblica è convinta che sia cosi. Jefferson è la mente manipolatrice e Nathan un pericoloso ma malleabile ragazzo di buona famiglia con una cartella clinica e precedenti non da poco. I Prescott hanno insabbiato tanto, ma non potevano più farlo dopo il disastro e lo scandalo combinato dal figlio, oltre ai dottori di Nathan che pare stiano iniziando a parlare. Io ti credo totalmente, Maxine. Ma giuridicamente servono prove. E purtroppo mancano dei tasselli.”
Max fissò suo padre, in silenzio, sconsolata.
Poco prima che scattò il verde disse
“Grazie papà.” e gli strinse la mano.
Rimasero in silenzio, con la compilation country in sottofondo.
A pochi passi dall’ingresso della Fine Art Academy,  Ryan Caulfield accostò per far scendere la figlia. Prima però, si sporse per farsi dare un bacio sulla guancia e disse
“Goditi il tuo ultimo giorno di scuola! E domani sera porto fuori a cena mamma. Sarà un secolo che non usciamo un sabato sera da soli. Cosi tu e Chloe avete casa libera e un po’ di privacy per voi se..”
“OH CEREALI! PAPA’ TI PREGO!”
Ryan ridacchio di gusto
“Hey lo faccio per voi. Non occorre arrossire cosi violentemente”
“Smettila!”
“Ok, ok. Beh io e tua madre andremo fuori. Non tornate tardi oggi, almeno vi levate il pensiero.”
Max aprì la portiera, prese la sua tracolla, che aveva sistemato ai piedi, e fissò il padre
“Tranquillo.” Rispose “Saremo puntuali e ti prometto che saremo partecipi e collaborative come al solito. Voglio che quel maniaco marcisca in prigione.”
Ryan alzò il pollice in segno di approvazione e si sciolse in un largo sorriso.
Max fece per chiudere la portiera ma si fermò e si rivolse nuovamente a suo padre
“Hey papà quasi dimenticavo: Max, mai Maxine.”
Chiuse la portiera e si incamminò verso il suo ultimo giorno del suo primo, bizzarro, tormentato anno scolastico come studentessa di fotografia.
 
 
 

3.
 

 
Il cielo era limpidissimo e il sole del pomeriggio regalava una perfetta giornata per rilassarsi all’aria aperta. Le lezioni erano finalmente terminate e Max uscì dall’edificio scolastico con un lieve sentore di dispiacere: dopotutto la fotografia restava la sua passione e non frequentare più le lezioni per quasi tre mesi la faceva sentire come se non sarebbe cresciuta ulteriormente come fotografa. Ma era solo una leggera puntina nel retro della sua testa. Il resto delle emozioni era un susseguirsi di rilassamento, gioia e spensieratezza. Avrebbe passato le giornate a staccare definitivamente la spina, cosa di cui aveva un bisogno estremo. Avrebbe potuto passare molto più tempo con Chloe e i pochi amici che avevano.
Finalmente avrebbe potuto leggere tutti quei libri che le avevano regalato a Natale, riordinare le sue cose che, in fretta e furia, erano state ritirate fuori dagli scatoloni e messi in camera, riordinare i suoi album fotografici e, soprattutto, migliorare, migliorare e ancora migliorare la sua tecnica. Seattle offriva centinaia di spunti per delle ottime fotografie e voleva collezionarne il più possibile.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e rispose al messaggio che le era arrivato una oretta prima. Era di Fernando e recitava:
 
‘Ýo Max! Come stai? Da oggi quindi sei ufficialmente una elfa libera, vero? Stasera io e Kristen ci andiamo a bere una cosa al Targy’s Tavern. Sei dei nostri? Viene anche Chloe se non lavora? Fammi sapere appena puoi, intanto sento anche Owen e Melissa!’
 
Sorrise e rispose affermativamente all’invito, dicendo che si sarebbe presentata anche Chloe. Voleva bene a Fernando e Kristen, gli unici due amici che si era fatta a Seattle durante i suoi primi cinque anni di permanenza. Era così contenta di sapere che erano ancora li e le volevano ancora bene, nonostante avesse deciso di tornare ad Arcadia Bay, seppure per poco. Loro stavano aiutando lei e Chloe a rifarsi una vita sociale e a distrarsi notevolmente dai pensieri negativi che popolavano, specie nelle prime settimane, i loro pensieri.
Prese le cuffiette del telefono e le indossò. Poi scorse la sua playlist in cerca di qualcosa di rilassante che l’accompagnasse durante la sua breve passeggiata fino al Bake ‘n’ Take .
La scelta ricadde su Torn on the Platform di Jack Penate. Schiacciò play e si diresse a sud, lungo la 3rd Avenue, seguendo il marciapiede.
 
Once more just before I'm leaving
Torn on the platform
Once more just before I'm leaving
Torn on the platform

 
Il sole le colpiva il viso e le braccia nude mentre camminava senza fretta.
Si sentiva bene, il ricordo della notte sembrava dissoltosi totalmente dalla sua mente, lasciando ampi spazi di luce, pensieri su come avrebbe impiegato le sue giornate e la fantastica prospettiva del viaggio in California.
 
'Cause I miss you and I love you
And I know this is over for now
'Cause I miss you, oh, how I miss you
You're not my girl you're my town

A weekend away, leave the city today
Don't want the big smoke to leave me behind
The train leaves at 2, Platform 3 Waterloo
50 p to the tramp makes me feel kind

 
Era arrivata all’incrocio con Fulton Street e li, con la sua solita aria semplice ma graziosa, si trovava il Bake ‘n’ take. Le vetrine trasparenti del negozio erano spoglie, eccetto per il nome del locale dipinto in verde e con una forma che faceva pensare che fossero fatte con dei palloncini, disposta al centro esatto. L’aggiunta più recente era ad opera di Chloe, che aveva dato prova del su lato artistico: aveva dipinto una fetta di cheesecake umanizzata che portava in trionfo un donut al cioccolato.
L’esterno si completava  con dei pochi tavolini e sedie, dipinte anch’esse in verde, e delle tende da sole, sempre verdi, con il nome del locale però in bianco.
Mentre si avvicinò al locale, intravide Chloe. Era indaffarata e stava servendo una coppietta giovane, forse coetanei o poco più grandi di lei, con il vassoio ben carico nonostante fossero solo due clienti.
La adorava nella divisa da lavoro. Maglietta a maniche corte e bianca da cui faceva bella mostra il suo tatuaggio sul braccio destro, camice lungo verde e una targhetta in cui, anche se non la vedeva lo sapeva, non aveva ancora messo la sua foto. Si rifiutava categoricamente di metterla per motivi noti solo a lei. I pantaloni neri e strappati sulle ginocchia erano la sola  testimonianza ( se si escludono i capelli bluastri) della sua anima punk, anche se oramai pareva meno esuberante. Sorrise nel vederla indaffarata e decise di fare una piccola deviazione, prima di andare a trovarla.
Attraversò la strada e si infilò nel David Rogers Park. Cercò un angolo abbastanza riparato per potersi sedere all’ombra, tolse le cuffiette e prese la sua macchina fotografica. Da quella distanza non poteva fotografare di nascosto Chloe, ma poteva comunque trovare degli interessantissimi soggetti ignari da ritrarre.
Mentre cercava con occhio accorto qualcosa di interessante da immortalare, si ricordò della promessa di Leonard, capo di Chloe e proprietario del  Bake,  ovvero una fetta di cheesecake alla fragola per festeggiare la fine dell’anno scolastico. Gli venne subito l’acquolina in bocca  al pensiero: e pensare che contava di prendersi un donut e un caffè e basta!
I dolci, quasi tutti, erano preparati da Marla, la moglie di Leonard e co-fondatrice del locale, assieme a due ragazze giovani che la seguivano passo passo, per non far calare la qualità della cucina. La storia del Bake ‘n’ take  era così dolce e semplice da meritarsi almeno una menzione su Wikipedia, se solo avessero permesso di crearle una pagina.
Nel 1988, Leonard Foster e sua moglie Marla inaugurarono un carretto di panini e dolci chiamato Bake on the road, e si posizionavano di fronte a scuole, università e anche uffici, girando per tutta Seattle, alternando quartieri differenti ogni giorno, dalla mattina presto fino a dopo pranzo. Poi rientravano e preparavano tutto per il giorno dopo. E cosi via, per tre anni. Poi risparmiarono abbastanza da permettersi un piccolo negozietto che chiamarono ‘Bake ‘n’ Cake’ , in cui fornivano solo cibo, bevande ma niente spazio per accomodarsi, in Boston Street. Nonostante il piccolo spazio, il loro successo non calò e a metà degli anni Novanta rilevarono l’attuale negozio, ampliandolo e rinnovandolo continuamente. Erano una garanzia della zona e la loro clientela variava dagli studenti agli impiegati, dai turisti ai locali. Inoltre, Leonard e Marla offrivano sempre lavoro agli studenti locali, con  contratti vantaggiosi e che si sposavano con le esigenze degli studi. Sostenevano che preferivano tutelare il futuro dei ragazzi, che sapevano essere di passaggio, piuttosto che ostacolarli. L’essenziale era, secondo loro, che chiamassero i loro amici a fare sempre colazione al locale.
Per Chloe avevano fatto uno strappo alla regola. Avevano già del personale regolare e di studenti per occupare le altre ore erano più che a posto ma, nonostante lei non si presentasse come una profuga disperata di Arcadia Bay, ne apprezzarono la buona volontà e , dopo solo due settimane di prova, l’assunsero. Chloe si trovava benissimo, benché non fosse quello il lavoro della sua vita e, ricordato una frase di sua madre, non aveva intenzione di fare la cameriera a vita. Voleva riprendere gli studi, in scienze per la quale era portata oppure, su consiglio di Max, seguire anche lei una chiamata artistica e cimentarsi nel disegno. Ora però diceva, preferiva risparmiare e sistemarsi il prima possibile. Era ancora convinta che i Caulfield l’avrebbero lasciata andare, ma si sarebbero opposti e lei sarebbe rimasta finché anche Max non avrebbe scelto di abbandonare il nido familiare e cercarsi una sistemazione.
Dopo una mezz’ora abbondante, Max aveva scattato un paio di foto che riteneva interessanti. La prima ritraeva un anziano signore ben vestito che dava da mangiare agli uccelli. Il sole filtrava tra gli alberi macchiando il terreno come fosse una pelle di leopardo. Aveva colto il momento esatto in cui le briciole abbandonavano il palmo della mano e le aveva congelate a mezz’aria, con gli uccelli in trepidante attesa.
L’altra era più rozza, ma le era sembrata adeguata al suo stato d’animo: il sole filtrava tra i palazzi e rifletteva sulle finestra, dando un effetto quasi caleidoscopico. Ecco come si sentiva: un riflesso costante di migliaia di ricordi, decine di emozioni, vive, calde, forti e vitali, anche quelle più dolorose.
Era tornata all’ombra per ammirare meglio le foto, quando le parve che qualcosa non andasse. Il sole si era fatto più debole…
 
(forse una nuvola passeggera?)
 
…e sentiva un brivido sulla pelle nuda delle braccia. Non era previsto nessun cambio di clima per oggi! Nessun temporale, che lei ricordasse.
D’improvviso, un vento gelido e fortissimo si alzò alle sue spalle, scombinandole i capelli e quasi sbattendola a terra.
Colta di sorpresa, si voltò di scatto e lo vide
 
IL TORNADO
 
No
Cazzo no
Non è possibile
 
 Il vortice gigantesco e mortale si stagliava tra i palazzi, fischiando e strappando dal suolo tutto quello che poteva. Sentì paura, rabbia e confusione montarle nel petto.  Non poteva essere vero. Lei era al sicuro….
 
(…lo ero? Da cosa sarei al sicuro? Hai incasinato tutto, ed è giusto che tu debba pagare! Egoista, schifosa e bugiarda! Non hai le palle di ammettere al mondo che sei stata tu… SEI STATA TU A DISTRUGGERE ARCADIA BAY, MAX!)
 
… a Seattle. E sveglia. Non era un incubo perché era sveglia!
Fece per scappare ma il vento la spinse al suolo e cadde rovinosamente a terra.
“Signorina, tutto bene?”
Si voltò di scatto verso la voce. Un signore gentile, in tenuta da jogging, era chino su di lei. Max sentiva il terreno caldo scottarle la pelle. Era davvero caduta ma….
“Si. Si tutto bene. Devo essermi distratta.”rispose Max con voce tremante.
“Aspetti che la aiuti.”rispose il runner, che le offrì una mano e la sorresse mentre si rialzava “L’ho vista bloccarsi e cadere. Si sente bene? Ha un colorito pallido…”
“Si. Che imbarazzo… devo aver avuto un calo di zuccheri. Mi capita.”mentì Max, sorridendo all’uomo, come per tranquillizzarlo.
Lui annuì e se ne andò, raggiungendo una donna bionda, anch’ella in tenuta sportiva, che lo aspettava. Moglie o collega? Non importava.
Max rimase un secondo a riflettere. Lo aveva visto. Era certa che fosse reale quel tornado, cosi simile a quello delle sue visioni e che distrusse Arcadia.
“Calmati Max. Sei solo un po’ troppo stressata. L’incubo di stanotte non deve averti aiutata. Andrà tutto bene”  pensò, tentando di convincersi. Ma aveva un grosso dubbio ora in testa e voleva parlarne con Chloe.
Si guardò ancora intorno. Il cielo azzurro e limpido, con un sole magnifico, illuminava tutta Seattle.
Mise vie le foto, la  macchina fotografica , si mise in spalla la sua tracolla e s’avviò verso la sua promessa fetta di cheesecake.
Ancora tremante, decise di sedersi all’interno. Lo trovava più bello e, dopo la visione, più sicuro.
L’interno del Bake era  quasi interamente in legno,  con un bancone ampio e ad angolo, in cui si divideva tra il lato caffetteria e quello delle cibarie. La  cassa stava al centro mentre nel lato opposto, dietro il bancone dedicato al cibo, vi era la porta che portava in cucina e alla parte riservata allo staff.  I tavoli erano quasi tutti circolari e piccoli, mentre sulla parete a destra vi erano tavoli più lunghi, da quattro persone circa. Si sarebbe potuto benissimo spacciare per un pub irlandese o bavarese per come appariva.
Alle colonne che si trovavano in mezzo e nelle pareti, escluse quelle in vetro, vi erano appesi ritratti di gente famosa che era passata di li, anche ex studenti che avevano avuto in seguito una carriera brillante. C’era uno spazio vuoto, in un angolo buio in fondo, vicino alla teca delle torte. Chloe aveva indagato e confermato i sospetti di Max: quello era lo spazio riservato alla foto che ritraeva Mark Jefferson. Leonard e Marla l’avevano fatta sparire prima che Chloe diventasse loro dipendente e Max cliente fidata.
“Un giorno ci troverete la mia Max appesa qui!” sentenziò una volta Chloe rivolta ad alcuni clienti “Vero Leonard?”
“Non vedo l’ora! Le riserverò il posto d’onore!” aveva risposto lui.
Max ricordava quella volta. Molti si erano voltati a guardarla e, nello stesso momento, Chloe le aveva stampato un fragoroso bacio sulla guancia. Sapeva e adorava metterla in imbarazzo. E riusciva sempre.
Appena entrata, Max si diresse al suo tavolino, esattamente al centro del quadrato che era il Bake  e vicino a una delle colonne che intervallavano lo spazio. Non aveva fatto nemmeno metà strada quando
“Attenzione! E’ arrivata la signorina Caulfield!”
La vociona tonante di Leonard aveva riempito la sala.
Leonard Foster era un omone sulla cinquantina. Baffi sale e pepe, qualche capello bianco nascosto sotto un berretto da baseball bianco e personalizzato del locale, t-shirt bianca sempre del locale, jeans e grembiule verde piegato a metà, mostrando orgoglioso il suo pancione. Poteva essere il fratello sbarbato di Babbo Natale. I suoi guizzi occhietti azzurri la fissavano e un sorriso gli si aprì sotto i baffi, mentre abbandonava il bancone per venirle incontro.
“Hey.. ciao Leonard…tutto bene?”rispose Max, un po’ balbettante. Non era ancora abituata a tutta la gioia che Leonard gli dava. Lo adorava.
“Come sempre, piccola mia, come sempre! Allora, felice di aver concluso?”
“Decisamente si, ma un po’ mi mancherà non parlare di fotografia con qualcuno.”
“Beh se ti mancano i tuoi insegnanti, credimi che li troverai qui due volte a settimana, almeno fino a metà luglio. Poi puoi sempre organizzare un bel tavolo con i tuoi compagni di scuola e far uscire di testa Chloe con le ordinazioni” rispose, concludendo con un occhiolino.
Max sorrise ma non aggiunse altro. Non voleva dire che non era riuscita a farsi molti amici tra i suoi nuovi compagni, perlomeno nessuno con cui uscire e passare le giornate. Forse era in parte colpa del fatto che si era inserita ad anno iniziato, forse perché aveva addosso troppe ansie e problemi dalla sua fuga. Stava replicando la Max della Blackwell, ma in peggio.
“Solito tavolino, tesoro?”
“Se possibile si, grazie.”
“Per te qui è sempre possibile!”
Leonard l’accompagnò al tavolo e le scostò galantemente la sedia per farla accomodare.
“Ti lascerei la lista ma so che qualcuno ti ha tenuto via una fetta di cheesecake. E so anche che vuoi un bel cappuccino, ma non posso permettermi di prendere ordinazioni altrimenti…”
“Leonard? Non ci starai provando con la mia ragazza, spero!”
 
La voce di Chloe sbucò dalla cucina. Sorrideva e fissava Leonard con un finto cipiglio arrabbiato
“Parli del diavolo…”disse Max, ridacchiando.
“Non mi permetterei mai! Nemmeno l’ordinazione ho preso. E’ tutta tua. E si, puoi andare in pausa dopo che hai servito Max. Ma non troppo!”sentenziò Leonard, che tornò verso il bancone.
Leonard si congedò, mentre Chloe corse verso Max e l’abbracciò
“Allora? Sei libera ora! Dio che figata! Possiamo spassarcela un sacco da domani!”
“Ma tu lavorerai comunque, Chloe.”
Lei rispose con una smorfia
“Si però ci saranno più occasioni di vedersi, no? Almeno quando non sono di turno, non devo gironzolare da sola. Possiamo esplorare Seattle assieme!”
“Già la conosci meglio di me, piratessa.”
Chloe le scombinò i capelli
“Vado a prenderti la tua stramaledetta cheesecake, ok? E si, anche il cappuccino.”
L’abbandonò al tavolo e Max ne approfittò per tirare fuori le foto che aveva appena fatto e valutarle con calma e al fresco. Dopo pochi minuti, Chloe era di ritorno. Piazzò la fetta di cheesecake davanti a Max, accompagnata dal cappuccino, mentre lei si era presa un donut al cioccolato e un americano.
“Sono nuove? Fa vedere dai.” E gliele tolse dalla mano. Rimase un paio di minuti buoni ad osservarle, poi sentenziò
“Questa del vecchio mi piace, ma mi mette malinconia.”
“Davvero? Non l’ho scattata con quel proposito.”
“Beh ognuno vede trasmessa una emozione differente, no? Io ci sento malinconia. Un povero anziano tutto solo che ha per compagnia dei volatili che se ne stanno li solo per il cibo. Poverino.”
“Da quando Chloe Price ha tanto cuore?”
Chloe rispose con una smorfia
“Spiritosa. Comunque sono belle. Come sempre.”
Max addentò il suo dolce. Era ottimo, ma non se ne stupì più. Mangiare li era una garanzia.
“Prego eh.”disse Chloe “Te l’ho prenotata un mese fa per questa giornata. Marla è davvero una santa se non mi ha ucciso per tutte le volte che gliel’ho ricordato.”
Max si sporse in avanti e prese la mano di Chloe, che stava per prendersi il suo donut.
“Sei tenera, ma volevo mangiare anche io. Ok, ok si sono la tua preferita e mi ringrazi. Ora ho fame anche io!”
“Senti Chloe, Fernando e Kristen ci hanno invitato a bere qualcosa stasera”
“Magnifico. Andiamo.”
“ma domani tu inizi presto. Alle cinque ti devi alzare e..”
“Beh torneremo presto. Che problemi ti fai, Max! Devi festeggiare la fine dei tuoi studi!”
“E’ solo un anno… mica sono finiti.”
“Non importa. Si va a fare un fottuto giro. Cazzo sembriamo delle vecchie: sempre in casa.”sbuffò Chloe.
Max però sapeva che non le dispiaceva stare a casa quattro sere alla settimana. Era diventata una specie di pigrona, ora che lavorava.
“Allora dopo gli mando un messaggio di conferma. Ma usciamo presto e torniamo presto. Intesi?”
“Sissignora!”
Finirono di mangiare e, prima di terminare le bevande, Chloe tornò seria e disse
“Max, stai bene? Sembri pallidina sai?”
Max si rabbuiò. Doveva dirglielo? Certo che si. Non le nascondeva mai nulla
“Vedi Chloe…. È successa una cosa poco fa…”
E le raccontò tutto.
Chloe divenne pallida.  Si avvicinò con la faccia a Max, prendendole entrambe le mani e, abbassando il capo e la voce, chiese
“Come la prima volta? Quando poi è iniziato… tutto?”
“No, no. Sembra diverso. Non ero in un altro luogo, ma esattamente dove mi trovavo. E non è successo nulla, niente di niente, che mi mettesse in allarme o un evento che si ripetesse, facendomi indurre al dubbio che forse potessi aver…”
“Non hai rimandato indietro vero?”
“No, Chloe. Ho giurato che non avrei mai e poi mai più usato i miei poteri. Solo se necessario e solo dopo averne parlato con te. Non ho fatto nulla. Anzi sono attentissima. Non ti dico che fatica e ansia ogni volta che devo muovere la mano. Fossi nata mancina come te, ora non avrei problemi.”
“Ma tu stai bene? Intendo….sai prima l’incubo e ora questo… in pieno giorno.”
“Fisicamente si. Non ti nascondo che mi sono spaventata. Non so che pensare. Forse sto avendo un piccolo crollo nervoso. Forse sto impazzendo del tutto o forse…”
“Forse…?”
Max trattenne il fiato. Doveva dirle del suo dubbio? Certo che si. E sperava di non ottenere una brutta reazione
“… forse, stavolta, non è una premonizione. Ma un modo per dirmi che devo tornare ad Arcadia Bay…”
Chloe spalancò gli occhi.
“NO. Che si congeli l’Inferno prima che ti lasci tornare laggiù. Tu ed io, per il nostro bene, dobbiamo stare lontane da Arcadia. Almeno per po’. Spero per sempre, a dire il vero. Perché pensi questo?”
“Non so Chloe. Sento di aver lasciato in sospeso qualcosa. Sento che ci sia molto altro che non abbiamo fatto. O forse, più semplicemente, li è dove dovrei essere. Li è dove dovrei morire.”
Ora Chloe sembrava decisamente arrabbiata
“Tu non morirai, Max Caulfield. Non ti azzardare nemmeno a pensarlo. Tu devi sopportare me, ok? E non esiste nemmeno che torni ad Arcadia Bay. Se porti il tuo culo ossuto fuori da Seattle, sarà solo per andare a ustionare la tua delicata epidermide nel sud degli USA, chiaro? E magari farci un bagno nude al chiaro di luna, ma non ho ancora deciso esattamente il piano.”
Max sorrise. La capacità di Chloe di rimetterla di buon umore era strabiliante.
“D’accordo. Ma domattina ne parliamo con il dottor Rogers. Si anche di questo.“aggiunse davanti alla faccia contrita di Chloe “Non mi importa se mi prescriverà dei psicofarmaci. Voglio star meglio, Chloe.”
“Anche io lo voglio. Per te e per me. Possiamo superare tutta la merda che abbiamo in testa da sole, senza aiutini psicotropi. Beh forse un po’ di erba ogni tanto, ma niente trattamenti medici. Sono stufa di quella merda.”
“Prima sentiamo quanto sono pazza, d’accordo? Forse è solo il trauma.”
Si strinsero di nuovo le mani e si fissarono negli occhi. Voleva baciarla, ma si trattenne. Doveva dirle ancora molto
“Chloe non è tutto. Ho parlato con mio padre stamane. Ho chiesto aggiornamenti sulle indagini..”
“Ecco perché fai pensieri masochistici.”rispose Chloe “Che ha detto?”
“Che non vanno bene. Non trovano Nathan e…beh Jefferson rischia di uscirne meno malconcio di quanto si prospettava.”
“Merda!” tuonò “Quello lo voglio prendere a calci nelle palle. Se penso a cosa ti ha…”
Max gli strinse la mano, ma non teneramente. Doveva contenersi
“Si giusto… ti avrebbe potuto fare….”si corresse. Anche se nessuno le ascoltava, avevano deciso che la copertura andava mantenuta sempre. Perciò, ogni viaggio temporale di Max non era accaduto. Tutto era posto in ipotesi o al condizionale. E questo creava un certo scompiglio a volte.
“Forse è per questo che gli avvocati vogliono vederci, più tardi.”
“Già. Sara per..”si bloccò e spalancò gli occhi “CAZZO! LEONARD!”
Chloe saltò in piedi urlando il nome di Leonard
“Mi ero scordata di dirglielo!”spiegò a Max “Leonard! Cazzo!”
E corse in cucina.
Max la trovò buffa e sorrise.
Si, solo Chloe Price aveva tale potere sul suo umore. Un potere decisamente migliore del suo.
 
 
Dopo un paio di minuti, Chloe era di ritorno. Si accomodò nuovamente sulla sua sedia e spiegò a Max che aveva sistemato tutto: sarebbe potuta uscire cinque minuti prima dal lavoro, ma che in cambio tagliava la sua pausa e avrebbe aiutato Marla a pulire in cucina.
“Non c’è problema.”rispose sorridendo “Anzi, non voglio esserti di intralcio. Tornerò con il bus, tanto passa a breve. Cosi posso farmi una doccia con calma e, se ce ne fosse bisogno, inizierò io a parlare con i legali. Cosi tu avrai il tempo per tornare e darti una sistemata.”
“Non che mi importi granché se mi vedono in tenuta da lavoro e sudata.”rispose Chloe “Ma visto che devo comportarmi bene e dobbiamo tenerceli buoni, farò il possibile per essere in orario, pulita e più bella che mai. Sicura che non vuoi restare qui e tornare con me?”
“Rilassati Chloe. Non mi pesa prendere il bus. La fermata è qui e mi lascia a mezzo isolato da casa. E poi conviene a entrambe no? “
Fece per prendere il portafogli ma Chloe le prese la mano e la fermò “Sei a posto. Ho pagato io.”
“Ma perché?” protestò Max
“Piantala. Vivo praticamente a sbafo a casa tua. Almeno questo lascia che me ne occupi io. Ora scappo e Max….”Chloe la fissò intensamente negli occhi “Se ricapita di nuovo….beh mandami un messaggio, promesso?”
Max annuì. Si alzò e le diete un rapido bacio sulla guancia “Salutami Marla. Mi è mancata oggi.”
“Come tu desideri, mia signora.”rispose Chloe, mimando un inchino.
“Piantala. Ciao Leonard!” strillò in direzione del proprietario, che stava prendendo due croissant dal bancone, pronti per essere serviti.
“Ciao tesoro! E ricorda che quando vorrai…”
“…venire a trovarvi a casa vostra sono la benvenuta! La cosa è reciproca per te e Marla, Leo!”
“Hey, sbaglio o ti avevo detto di smetterla di provarci con Max, eh?” disse Chloe, mentre si avviava in cucina “Fa il bravo o lo dico a Marla.”
Leonard ridacchiò sotto i baffi
“Mi spiace Max. Il nostro sogno di amore deve finire qui. Tra Chloe e mia moglie non so di chi avere più paura.”
Max lo salutò con un cenno della mano e si avviò alla fermata.
Il bus arrivò pochissimi istanti dopo. Si sentì fortunata a non averlo perso. Obliterò il biglietto e si sedette a metà del veicolo. Prese le sue fidate cuffiette bianche e, per il viaggio verso casa, scelse il brano  Road to Joy  dei Bright Eyes
 
The sun came up with no conclusions
Flowers sleeping in their beds
The city's cemetery's humming
I'm wide awake it's morning
I have my drugs, I have my woman
They keep away my loneliness
My parents they have their religion
But sleep in separate houses

 
Si rilassò, chiuse gli occhi e accolse nella sua testa la musica, le vibrazioni dell’autobus e il calore del sole che filtrava dal finestrino sulla sua pelle, gli odori misti e poco invitanti del mezzo pubblico e il sapore della pelle di Chloe sulle sue labbra.
 
 
 
A casa non era ancora rientrato nessuno. Suo padre sarebbe arrivato verso le cinque e mezzo mentre sua madre avrebbe sicuramente fatto tardi, visto che si sarebbe fermata a prendere l’occorrente per la cena e il tanto promesso gelato. Scommesse con se stessa che si sarebbe fermata a prenderlo a Molly Moon’s Homemade Ice cream dato che amava alla follia il gelato fatto li, fin da quando si erano trasferiti a Seattle. Una delle poche gioie che le aveva dato quella città. Salì al piano di sopra ed entrò in camera. Appoggiò la sua tracolla sulla sedia della scrivania, chiuse le tende e si tolse la maglietta e i jeans. Preso un ricambio e andò a farsi una doccia.
Finito di lavarsi, tornò in camera per vestirsi in maniera meno ‘formale’: voleva comunque apparire bene per gli avvocati. Sentì un rumore al piano di sotto e per un breve istante le si gelò il sangue
“Papà?”
“Si tesoro?”
“Nulla. Volevo solo essere sicura fossi tu.”
Max aveva sviluppato una sorta di ‘ansia’ quando era a casa da sola. L’unica che capiva quello stato era Chloe perché, semplicemente, era l’unica che sapesse cosa aveva passato nella Dark Room, prima di cancellare quelle ore riavvolgendo.
 
….La dark room…
 
Ancora la terrorizzava . Solo pronunciare quelle due parole le facevano venire la pelle d’oca e un senso di nausea pesante. Non aveva mai potuto
 
(O voluto)
 
affrontare la questione con il suo terapeuta. Come poteva dirglielo, in fondo? Aveva cercato di mischiare le sensazioni e le emozioni che provava in altri ricordi più o meno veri. Ma pensava che non sarebbe potuto funzionare e la dannazione di quei ricordi, di quelle torture, le sarebbe rimasta addosso come un marchio.
“Non volevo spaventarti Max. Ho sentito che eri in doccia e non ti ho avvertita. Chloe è con te ? Non vedo il suo magnifico pick up!”
Non era ironico: Ryan Culfield AMAVA ALLA FOLLIA il pick up di Chloe. Come lo aveva sistemato lei, prendendolo dalla discarica, i continui lavoretti che faceva ancora ora per mantenerlo in vita. Ryan ne era estasiato. Era convinto che fosse un vero gioiello. Sarebbe stato capace di metterci lui stesso dei soldi per salvarlo, se si fosse reso necessario.
“No sono tornata da sola. Ora scendo.”
S’infilò in camera e scelse un paio di pantaloni neri leggeri, una maglietta semplice di colore granata, senza disegni particolari se non uno smile bianco all’altezza del petto.
Si rifece il trucco agli occhi, ma senza esagerare, poi scese al piano di sotto.
Suo padre era in cucina, intento a preparare il caffè per se ed eventualmente i legali. Stava anche sgranocchiando qualcosa che Max non riuscì a scoprire.
“Come è andata oggi, pà?”
“Una noia, come sempre. E tu? Felice di aver concluso?”
“Mmmh si dai. Mi mancheranno le lezioni di fotografia. Ma posso sempre mandarvi in rosso comprando pellicole e manuali per scattare ogni angolo di Seattle.”
Suo padre ridacchiò
“Se ti impegni, forse puoi farlo sul serio. Ma spero di non vederti in casa tutta estate. Sei uscita molto poco da quando sei tornata da….” Si fermò un attimo, leggermente imbarazzato “Beh, vorrei vederti in giro, ma non solo a Seattle. Facciamo che prendi la patente cosi fai una gita da qualche parte, no?”
“Beh io Chloe pensavamo di andarcene via ad Agosto. Nulla di organizzato, per ora, ma ci piacerebbe molto la California.”
“Oh ma è magnifico, ragazze. La California del nord non ve la consiglio per una escursione vacanziera a vent’anni. Andate al mare, andate a divertirvi. Senza esagerare, s’intende.”
“Il piano è quello.”ripose Max, sorridendo a suo padre.
Si sedette su uno sgabello della penisola e rimase a fissarlo
“Pà..”
“Si?”
“Non voglio tornare ad Arcadia Bay. Non voglio rivedere Jefferson se si dovrà fare un processo. Non posso reggere questo. Non so se riuscirò mai a reggerlo.”
Suo padre si avvicinò e la cinse in un abbraccio “Lo capisco tesoro. Farò tutto il possibile per tenerti il più lontano e al sicuro da questa storia. Tu e Chloe avete vissuto sulla vostra pelle cose che alla vostra età non si dovrebbe nemmeno immaginare. Avete dato grande prova della vostra maturità come donne e ne sono fiero. Ne siamo fieri. Ed è giusto che ora vi godiate la vostra età, la vostra vita e tutto quello che ne consegue. Faremo in modo che non vi possano più rubare tutto questo.”
A Max venne una stretta al cuore e abbracciò più forte che poté suo padre. Non poteva chiedere di meglio. Nonostante la sua vita le abbia dato ben poche motivazioni per sorridere, aveva dei solidi pilastri nei suoi genitori. E in Chloe.
“Grazie pà. Per tutto. Per il conforto, il sostegno, questa terribile rottura di palle giudiziaria e, soprattutto, per Chloe. Per averla accolta con noi, per trattarla come se fosse di famiglia. Davvero, non so come possa ringraziarvi.”
“Non devi. Ti amiamo e vogliamo che tu sia felice. Ci sentiamo male ogni giorno al pensiero di quello che hai passato ad Arcadia. Assistere a una amica che si getta dal tetto, ad un insegnate che vi voleva rinchiudere in un bubker… e scampare a quel tornado… Max, non sai che gioia averti qui, per noi. Sei la nostra bambina, Chloe lo è stata fin da quando l’abbiamo conosciuta, come tu lo eri per i Price. Non esiste che la lasciassimo sola. Specie ora che tra voi due.. beh insomma la cosa sembra aver preso una piega migliore. Forse Arcadia non vi ha lasciato solo orrore.”
Max sciolse l’abbraccio e annuì. Si era quasi commossa, ma aveva ricacciato le lacrime: non voleva truccarsi di nuovo. Odiava farlo, anche se poco.
“Beh stasera gelato!” esultò “E questo penso sia più che sufficiente per scacciare qualsiasi pessima notizia i nostri avvocati stiano per portarmi, no?”
“Maxine….scusa, Max….il tuo amore per il gelato è pari quasi quanto a quello che tuo padre ha verso il gelato. Speravi dicessi te, ma mi spiace che tu abbia scoperto ora le mie priorità.”
La porta si spalancò ed entrò una Chloe trafilata e sudata
“Caaaaazzzo ho poco tempo. Salve Ryan, ciao Max. Io scappo di sopra a lavarmi. Cazzo se sono di corsa oggi.”
Scappò a grandi falcate al piano di sopra, dove la sentirono trafficare in camera e correre in bagno nel giro di pochissimo.
“Ammetto però che ancora non sono abituato a quei capelli.”aggiunse suo padre “Non dico che siano brutti eh, mi piacciono. Ma sono abituato alla Chloe bimba, con capelli biondo sporco e lunghi lunghi. Ma penso che sia un problema di ogni genitore.”
“Ah non saprei dirtelo. Fortunatamente non è una esperienza che mi tocca al momento.”
 
 
Lo studio Goldman & Inslee (non il celebre Jay  Inslee, ma un certo Frederik Inslee, non imparentato con il più noto collega) aveva preso a cuore la causa delle due ‘sventurate dell’Oregon’ come le definivano a volte dei media, quando non le chiamavano ‘le sopravvissute di Arcadia’  o ‘Le eroine di Arcadia Bay’ (tutti soprannomi che facevano vomitare Chloe e imbarazzavano Max), e si erano presentati alla porta dei Caulfield non appena era trapelata la notizia che le due erano vive e fuggite in tempo a Seattle, mentre montava lo scandalo ‘Insegnantertomano’  (Chloe amava definire tutto in Teachergate) in Oregon prima, a livello nazionale poi, a pari passo con gli aggiornamenti sulla tragedia del disastro ‘naturale’.
Lo studio aveva fornito due dei suoi giovani e ben promettenti avvocati, Erika Bowman e Luke Irvin.
Benché avessero poca esperienza, si erano preparati bene e (cosa da non sottovalutare) offrivano un compenso decisamente alla mano. I Caulfield avrebbero pagato ma speravano di ricevere indietro una cifra modesta se fossero arrivate le condanne definitive, anche se i soldi erano per Max che, appena si era paventata l’ipotesi, aveva preteso che andassero ai genitori. Lo stesso voleva Chloe, anche se  Vanessa e Ryan miravano a farle tenere ogni centesimo nelle sue tasche.
Max aveva anche valutato l’ipotesi di vendere la sua storia a un giornale o a qualche trasmissione pur di ripagare i suoi ma, avendolo intuito, proibissero categoricamente alla figlia di mettersi in mostra, più per una azione protettiva da genitori che per una salvaguardia legale. Max apprezzò e non insistette minimamente: mettersi alla gogna pubblica e raccontare al mondo non era esattamente in cima ai suoi desideri.
I due giovani e rampanti avvocati si erano subito dimostrati molto gentili e disponibili con loro, chiarendo ogni dubbio e andando loro incontro il più possibile.
Speravano di far evitare a entrambe di essere fisicamente presenti in aula, ma non potevano garantirlo al cento percento. Sicuramente, la loro non era una facciata opportunista: intuirono della reale solidarietà verso di loro. Forse perche la differenza di età non era cosi abissale e, soprattutto, perché non erano ancora stati resi cinici da anni e anni di cause e tribunali.
Quel pomeriggio però non portarono buone nuove. Come confermato da suo padre,  Erika le avvertì che Jefferson stava facendo una partita a scacchi con l’accusa. E la stava portando in una situazione di stallo, formalmente comoda per lui.
La famiglia Prescott si era affidata allo studio Eriksen di Portland, uno dei migliori di tutto l’Oregon, anche se parevano essersi rintanati nella loro villa in Florida. Nonostante la discesa in campo di Oswald Eriksen in persona, celebre avvocato sessantaseienne, con una marea di cause vinte brillantemente come dote, la situazione non volgeva affatto a loro favore. I danni che stavano ricevendo, di immagine e di credibilità, erano enormi. Lo scandalo del coinvolgimento di Nathan aveva scoperchiato un vaso di Pandora trasparente: il controllo dei Prescott su Arcadia Bay, l’illecito dietro il progetto Pan Estates, l’eccessivo controllo sulla Blackwell (alcuni degli insegnanti sopravvissuti stavano iniziando a parlare, incluso quello che riguardava l’eccessivo riguardo verso Nathan Prescott a cui erano obbligati a sorvolare) e la conseguente messa alla gogna del preside Wells che, al momento, manteneva ancora la poltrona di una scuola a pezzi. Ma lo scandalo più grosso era quello che riguardava la polizia locale: i Prescott avevano un eccessivo servizio di ‘favore’ da parte delle volanti di Arcadia Bay. Il corpo di polizia della città, decimato dalla tempesta, doveva ora rispondere di diverse scomode verità che venivano a galla piano piano, facendo mobilitare lo sceriffo di Tillamook con il supporto del procuratore di Salem e dell’Fbi, dato che si trovava in zona per le indagini sui crimini di Jefferson, voleva chiarire che l’influenza dei Prescott sulle forze dell’ordine fosse solo limitato ad Arcadia Bay e non vi fosse nulla di illecito anche in Florida, a Tallahassee, ove risiedevano ora.
Max e Chloe gioivano di ciò, ma questo significava di riflesso una cosa: le indagini sembravano stringersi attorno a Nathan Prescott, di cui ancora si cercava di capire se fosse vivo o morto e, in entrambi i casi, dove fosse.
Luke era stato abbastanza onesto nel dire che ‘senza Nathan, il puzzle non si compone’ poiché questo faceva rinvigorire la tesi difensiva di Jefferson che ammetteva la complicità, ma indicava in Nathan il principale colpevole. Dopotutto il bunker era suo. Le spese erano intestate a lui e la droga, seppure in contanti, era pagata da lui.
Altro tassello, un po’ meno importante ma comunque rilevante: Frank Bowers.
Era ancora nella lista dei dispersi, ormai era dato per morto, ma se fosse stato possibile rinvenire il principale spacciatore di Arcadia Bay, forse si sarebbe potuto ricostruire ulteriormente il traffico di droga che coinvolgeva il Vortex Club e, di riflesso,  Nathan Prescott e il suicidio di Kate Marsh.
“Ma è morto! Lo ha ucciso Jefferson!” aveva protestato Max.
Gli avvocati, come suo padre quella mattina, sposavano la sua idea in pieno. Non dubitavano che non fosse cosi e non solo perché era la loro cliente a dirlo, ma perché era logico che lo fosse. Ormai erano passati nove mesi e di Nathan non vi era traccia. Ne in Oregon, ne in Florida e nemmeno  Los Angeles. Un ragazzo che soffriva di schizofrenia non poteva svanire nel nulla senza lasciare tracce.
Avevano fermato due sospettati, uno in una piccola cittadina dell’Arkansas e uno a Phoenix, in Arizona, ma si era trattato solo di un caso di somiglianza fisica. Nathan, in effetti, aveva un aspetto molto comune: capelli biondo scuro, magro, alto nella media, niente barba. Il classico liceale con la puzza sotto il naso come ve ne erano migliaia e migliaia in quel momento in tutti gli Stati Uniti.
Perciò, nonostante fosse opinione comune che fosse deceduto, non vi era nulla per provarlo, mentre le prove a sostegno che fosse la mente criminale dietro tutto e che fosse fuggito, benché circostanziali e facilmente falsificabili (come il biglietto per L.A. intestato a lui, che poteva aver benissimo acquistato Jefferson intestandolo a Nathan, anche se era stata usata la carta di credito della famiglia Prescott), erano comunque più numerose e depositate in un fascicolo.
Niente cadavere di Nathan, niente ribaltamento processuale. Persino i tabulati telefonici e le indagini di David Madsen non avevano dimostrato nulla. Nathan era svanito nella notte del Dieci di Ottobre.
Ma la parte peggiore poteva essere questa? A quanto pare no.
“Le ragazze dei raccoglitori….ecco loro…. Purtroppo non sono ancora state identificate tutte. Le poche che abbiamo scovato o non hanno parlato, o non si sono riconosciute nelle foto. Fatto poco probabile ma credo che se ne vergognano. La tesi difensiva degli avvocati di Jefferson si basa sul fatto che erano tutte consenzienti, pagate in contanti, per posare volontariamente per lui in pose estreme. Le uniche non sue sarebbero quelle di Nathan che, mosso da pietà, le avrebbe nascoste assieme alle sue, cosi da spacciarle per sue e lasciare il ragazzo libero in caso le cose fossero andate male. Logico che non ci crediamo. Ma se fossero state drogate all’epoca dei fatti, ora non è più dimostrabile. Sospetto che se ne vergognino profondamente, come nei casi di stupro.”disse Erika
“Temiamo anche” continuò Luke “Che alcune di loro fossero state realmente pagate da Jefferson. Non sceglieva mai a caso le vittime: sono tutte belle e particolarmente giovani ma, come nel caso di Kate e Rachel, adulte. Perciò se seguiamo questo schema, e presumiamo che lo abbia fatto, lui avrebbe scelto sempre giovani studentesse ma già in età adulta, con un passato difficile e facilmente manovrabili. Sospettiamo che, visto la linea, senza la complicità di Nathan si fosse servito di altre cose oltre alla droga, come il denaro. Pensateci: se una di loro, delle ragazze dei raccoglitori, fosse stata come la vostra amica Kate, ma da una famiglia non benestante? A distanza di anni, ammettereste di aver posato per lui in quelle condizioni, o magari consapevolmente drogate durante il servizio fotografico?”
Chloe chinò il capo
“No. Credo di no.”mormorò
Max intuì cosa c’era nella sua testa: la sera in cui Nathan l’aveva drogata e fotografata. Lei aveva bisogno di soldi e voleva raggirare Nathan che, invece, era stato più avanti di lei e l’aveva raggirata e umiliata. A Chloe bruciava moltissimo e non se lo era mai perdonato. Quindi si, comprendeva benissimo perché delle ragazze potessero finire in certe situazioni. Lei ci era finita involontariamente e ne soffriva, chissà quelle che potevano averlo fatto con consenso cosa provavano.
Annunciarono che, in ogni caso, le acque si sarebbero mosse ma forse Jefferson ne sarebbe uscito non come si auguravano. Complice di un ragazzo disturbato che ha provato a coprire e salvare. Un eroe in carcere. Appena sarebbe uscito di prigione, poteva sparire e ricominciare da capo, a seviziare altre ragazzine, in chissà quale parte del mondo.
Max sentì montare una gigantesca rabbia dentro di sé. Non poteva andare cosi. Non poteva finire cosi!
Ma cosa poteva fare? Riavvolgere fino a scoprire dove aveva nascosto il corpo di Nathan? Certo e poi? Avrebbe sputtanato anche questa realtà? E che garanzie aveva che sarebbe servito? Poi non aveva strumenti che la riportassero a quel momento.
Ma soprattutto, nonostante la rabbia e l’indignazione e il dispiacere per le altre vittime, lei  non voleva.
 Non voleva più usare il suo potere, Chloe non lo avrebbe permesso in ogni caso ma, anche se fosse accaduto, non voleva lei.
Perché, nonostante tutto, si sentiva felice.
D’impulso, strinse la mano di Chloe. Aveva il bisogno fisico di sentirla, come per giustificare quel tarlo nella testa che era l’egoismo, nato da quei pensieri.
Per Chloe aveva distrutto una città. Per Chloe avrebbe fatto di tutto…
 
..anche sputtanare l’innocenza, la vita e la mente di quelle giovani ragazze? Tu dalla dark room sei fuggita, anche se ti ha scattato le foto….ma loro? Tu, Max, puoi vivere con questo pensiero? Farai come Kate e le classificherai come danno collaterale per la tua patetica indagine da detective?
Massi che ti frega, stronzetta egoista! Kate, Rachel, Victoria erano andate!
Le altre si erano rifatte una vita, no? Avevano negato alle autorità di essere vittime o continuavano ad essere nascoste per non dirlo… che cazzo te ne deve importare allora? Non sei egoista, ma solo una stronza. Ma comunque non puoi salvare tutti, vero?
 
…e avrebbe continuato a farlo. A costo di rimettere la sua salute mentale.
 
“Non demordiamo, ragazze!”esclamò Erika “Noi andiamo avanti e sono sicura che qualcosa accadrà. I lavori di ricostruzione di Arcadia Bay potrebbero portare alla scoperta di qualcosa a nostro favore.”
“A nostro favore ci sarebbe solo il corpo di Prescott.”disse Chloe “E dopo nove mesi  dubito che… Aspetta un momento: la ricostruzione di Arcadia??”
“Si.”affermò Luke “Stanno ricostruendo, e anche molto velocemente. Pensavo lo sapeste.”
Le ragazze negarono con la testa.
“Non siamo molto informate su cosa accade in Oregon, anche è il nostro stato di origine.”disse Max
“Detto brutalmente: vogliamo lasciarci alle spalle quel buco di disperazione personale quanto più possibile.”ribatté Chloe
Erika sorrise comprensiva
“Vi capisco ragazze. Probabilmente lo farei anche io nella vostra situazione. E non parlo per solidarietà femminile: quello che avete vissuto farebbe venire voglia di non sentire nemmeno pronunciare il nome di Arcadia.”
“Quindi che si fa?”chiese Max
“Nulla.”rispose Luke “Ora è la parte più dura per voi: si aspetta.”
Il morale delle due, fino all’ora di cena, rimase decisamente molto basso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
4.
 
 
L’ora di cena riportò il buonumore in casa Caulfield, o perlomeno in Max e Chloe.
Mangiarono tutto di gusto e, come previsto, il gelato arrivava direttamente da Molly Moon’s Homemade Ice cream  con immensa gioia di Max.
Verso le otto di sera, le ragazze salirono in camera a cambiarsi e lavarsi i denti, pronte per uscire in direzione Targy’s Tavern.
“Non fate tardi, ragazze! Domani avete appuntamento con il dottor Rogers!”
“Lo sappiamo mà!”rispose Max, mentre usciva.
“Vanessa adoro il fatto che tu ci ricordi dello strizzacervelli, ma dovresti sapere che sono un caso perso, oramai.”aggiunse Chloe, scherzosamente, mentre prendeva le chiavi del pick-up dalla ciotola.
Mentre si incamminava verso il veicolo, indugiò sull’outfit di Max
“Hey quei calzoncini corti ti fanno davvero un bel culo, SuperMax.”commentò.
Questi, d’istinto, si porto entrambe le mani sul sedere, come a coprirsi, e inarcò la schiena come se le fosse scivolato un cubetto di ghiaccio lungo la spina dorsale.
“Sei una idiota!”
“E tu cosi carina quando diventi rossa.” Replicò divertita, mentre la superava per avviarsi alla macchina.
Una volta entrata, Max si giustificò dicendo che erano pantaloncini vecchi. Che li aveva lasciati a casa e messi in uno scatolone. Essendo a corto di vestiario, li aveva riciclati e probabilmente era cresciuta troppo.
“Tu cresciuta? Ma se sei sempre la solita nanetta magrolina! Rilassati, stai benissimo. Specie per la maglietta e la collana che porti.”
Chloe si riferiva a una maglietta rosa con un girasole sopra, con una faccina accaldata che si lamentava del fatto che ‘avesse preso troppo sole’.
La collana era, una piccola clessidra d’argento. Scelta, ovviamente, non casuale. Chloe dichiarò che, appena l’aveva vista, doveva regalarla alla sua ‘signora del tempo’.
Il look di Chloe era più simile del solito: jeans corti, sandali bassi, canotta da uomo con disegnato un gallo incazzato che brandiva un’ascia, reggiseno bianco in evidenza, collana con i tre proiettili e vistosi bracciali. Stranamente, niente cappellino perché ‘cazzo è comunque Giugno anche per me!’
Salite in auto, Chloe mise in moto e accese subito la radio, prima di ingranare la marcia e partire.
Subito si diffusero le note di Burning de The War On Drugs, e sfrecciarono verso i loro amici.
 
On a drive I'm taking backroads
High against where the rivers are flowing
I didn't think that our love had grown
You had me dead to rights
Hey, I'm trying to get some rest
To keep on moving

 
“Seeeenti un po’, Max” cominciò Chloe “Prima Ryan mi ha detto che domani porta Vanessa fuori a cena.”
“Mh-mh.”
“Beh io domani faccio il turno con chiusura. E Domenica sono di riposo a sto giro…”
“Mh-mh”
“Quiiiindi, Mh-Mh-Max, che ne dici se mi aspetti alzata, in pigiama, e anche se arrivo alle dieci passate di sera, ti porto un paio di pizze calde e un milkshake al cioccolato e ci piazziamo in camera a guardare un film fino ad addormentarci come quando eravamo bimbe?”
“Allora vorrai dire fino a quando TU ti addormenterai.”
“Come sei simpatica, Maxine.”
“Hey! Lo sai che…”
“Si, lo faccio apposta. Comunque ci stai, vero?”
 
So if you look, you'll find yourself
You're not the demon in the dark
That you and I, yea we'd been through that
Can you rectify all the time it took you
Away from choosing?

 
“Mi fai stare senza cena fino alle dieci? Contando che dovrai lavarti e sei una lumaca a farlo….”
“Si ma ti porto il milkshake!”
Max rispose scivolando con la testa sulla spalla di Chloe e chiudendo gli occhi.
“Come sei facile da corrompere.”mormorò Chloe
“Sai benissimo che ti direi di si anche se arrivassi il giorno dopo e senza milkshake. Ma con la pizza, però.”
“Altrimenti? Mi cacci di casa?”chiese, sorridendo
“Nah.”replicò Max “Ma ti farei dormire sul divano. Cosi mi godrei il letto tutto per me.”
“Ma se sei cosi minuscola che rischi di non trovare più la strada per uscirne, poi! Almeno con me non rischi di rimanere intrappolata!”
“Ti piacerebbe, vero?”
“Oh no, al contrario. Poi mi annoierei troppo senza nessuna da sfottere.” E concluse dandole una amorevole pacca sulla coscia nuda.
Ripercorsero la strada che Max aveva fatto quel mattino con suo padre. Arrivate sul ponte, Chloe chiese
“Ma come ti senti? Riguardo a quello che han detto gli avvocati.”
“Sto bene. Non ne sono felice, ma sto bene. E tu?”
“Bene. Mi secca davvero sapere che le cose potrebbero non andare come sarebbe giusto che sia ma…hey, ho una casa, un lavoro, il mio pick-up scassato e la mia supereorina preferita nel mio letto. La vita fa schifo, ma non posso certo dire che ora mi vada male.”
“La sai prendere con filosofia tu, eh?”
“No. E’ che sono stanca di essere sempre arrabbiata. Cosa mi ha portato la mia rabbia? Guai e, in qualche parte dell’universo, la morte. Mi hai salvato, Max. Non intendo sprecare il dono che mi hai dato.”
“Vedi che sei un cuore d’oro, in fondo?”
“Piantala, o prosegui a piedi.”
“Eddai….dovresti parlarne con il dottor Rogers, domani. Intendo, questo problema di negazione della tua indole romantica.”
“Max, smettila. Piuttosto, tu domani hai intenzione di dirgli tutto, vero?”
“Assolutamente. Lo sai che lo farò. E tu? Non sei d’accordo?”
“No, mi sta bene che tu voglia chiedergli degli incubi. Voglio che tu stia bene. Te lo meriti.”
“Perché tu no? Lo meriti tanto quanto me.”
“Si ma non sono più spaventata. Siamo incasinate, disturbate e dobbiamo risolverci prima di avere uno stramaledetto sclero. Ma sono ok.”
“Come mai? Erba?”
“No, culo rinsecchito. Sono serena perché siamo insieme.”
 
 
 
Parcheggiarono ed percorsero a piedi l’ultimo tratto che le separava dall’ingresso del Targy’s Tavern.
Appena varcarono la soglia dell’ingresso, furono accolti da un fragoroso urlo di benvenuto da parte di Fernando.
Appena entrati al Targy’s Tavern si viene accolti da una luce soffusa rossastra, con un ampio bancone sulla destra e qualche primo tavolino sulla sinistra con divanetti neri in finta pelle. Il resto del locale si trovava in una stanza dall’altra parte ma Fernando aveva preso un tavolo a metà della sala, poco distante all’ingresso.
“Maaaaaaax” tuonò, raggiungendole all’ingresso e abbracciando allegramente Max.
“E’ un secolo che non ci si vede. Ora però non potrai più scappare eh? Chloe, aiutaci a farla uscire ogni tanto!”
“Auguri!”rispose Chloe “Questa è una ciabattona.”
Le accompagnò al tavolo dove già vi erano seduti Kristen, Owen e Melissa. Mentre i ragazzi stavano seduti da una parte e le ragazze dall’altra, Max e Chloe si divisero, sedendosi l’una di fronte all’altra, Max accanto a Fernando, Chloe Accanto a Kristen.
Loro erano gli unici amici che si era fatta in cinque anni di permanenza a Seattle prima di tornare ad Arcadia. La sua scarsa autostima e poca intraprendenza sociale che l’aveva accompagnata in adolescenza, si era sciolta solo con loro due, gli unici compagni di classe che avevano fatto il primo (e anche secondo e terzo) passo nella sua direzione, in modo da poter farla uscire dal guscio. Senza Chloe, in Seattle, si sentiva tremendamente sola. Non che ad Arcadia Bay sia stata una campionessa di socialità.
Quando decise di tornare alla sua città natale grazie alla borsa di studio, Fernando e Kristen ci rimasero sinceramente male. Le volevano bene e si erano molto affezionati a lei ma, consci del suo sogno, avevano brindato fino a tardi e l’avevano aiutata con i bagagli i giorno della partenza, una buona scusa per dirle addio.
Quando tornò a Seattle, non riuscì a scrivere subito ai suoi unici due amici. Fu Chloe, dopo quasi due settimane che era chiusa in casa, a sollecitare di farsi sentire. Non ne poteva più di restare dentro i confini della casa, aveva bisogno di uscire, staccare la spina e, soprattutto, bere. E iniziare a cercarsi un lavoro per non sentirsi un ospite non pagante.
Sia Fernando che Kristen le avevano scritto molte volte, e tentato di chiamarla a più riprese, non appena ebbero saputo del tornado di Arcadia Bay. Inconsapevoli che la loro amica era sana e salva, nella loro stessa città, avevano disperatamente cercato di contattarla per sapere come stesse. Quando Max, finalmente e per merito di Chloe, decise di chiamarli, Fernando all’iniziò la ricoprì di insulti, poi si sciolse in lacrime di gioia. Kristen, al contrario, pianse subito e tutto il tempo della telefonata. Si erano visti poche ore dopo, perdendosi in smielati abbracci e senza mai chiedere cosa fosse accaduto.
“Ne parleremo quando te lo sentirai.”sentenziò Kristen.
Non lo avevano ancora fatto.
Chloe, d’altro canto, ci mise pochissimo a farsi benvolere da tutti e due, nonostante non fosse una campionessa di socialità ad Arcadia.
Seattle l’aveva cambiata, almeno sotto quel lato. O meglio, quella furiosa e tragica settimana, sembrava averlo fatto. Lentamente, forse anche con l’aiuto del dottor Rogers, stava mettendo via la rabbia e provava ad aprirsi di più con gli altri. Nonostante con Max fosse sempre stata più che aperta e sincera, anche verso di lei sentì un cambiamento: sembrava più responsabile nei suoi confronti e premeva tutelarla maggiormente. Forse un senso di colpa per averla sfruttata per i suoi poteri (non che lo avesse mai fatto con cattiveria o eccessiva volontà) o forse semplicemente per il cambio di rapporto che si era creato tra loro. La loro ‘evoluzione’ come amava chiamarla Chloe.
Owen e Melissa erano diventati amici di Fernando da circa due anni. Stavano insieme però da meno di sei mesi, nonostante si conoscessero da anni. Pare, secondo Kristen, che Owen amasse Melissa da sempre, ma non aveva il coraggio di farsi avanti per timore di finire nella friend zone.
“Sono stata un’abile burattinaia”amava ripetere, quando vedeva i due in atteggiamenti intimi e da coppia.
Owen era un ragazzo non molto alto, in forma ma anche con  qualche chilo di troppo, barba a chiazze e capelli castano chiaro, con due occhi castani scuro mentre Melissa era il suo opposto: una perfetta cheerleader. Snella,alta, curve al posto giusto, capelli di un biondo platino e occhi verdi. Anche caratterialmente erano opposti: lui era permaloso e suscettibile, ma sempre disponibile, lei era più gioviale, energica e dolcissima, per niente altezzosa. Ma entrambi avevano un buon cuore.
Appena si furono accomodate, arrivò Ludmilla, la cameriera del locale con la quale avevano stretto un rapporto amichevole. Ogni tanto usciva con loro, ma molto di rado. Aveva un fidanzato, ma si era trasferito per studiare a Austin. Probabilmente, la loro relazione era già finita, ma nessuno dei due voleva ufficializzare la cosa.
“Hey le mie ragazze preferite: Price e Caulfield. Che vi porto? I vostri soci sono stati cosi gentili da non aspettare e hanno già ordinato.”
“Ma che carini.”sibilò Chloe, mandano una occhiataccia scherzosa a Kristen
“Io prendo un coca e malibù”disse Max
“Woah ferma tutto!”esclamò Chloe, fermando la mano di Ludmilla, prima che annotasse “Coca e malibù? Scherzi? Com’è che io e te stiamo insieme?”
“Moooolto spiritosa.”
“No no no. Ascolta me Lud: portale un Tequila Sunrise. A me una birra media. Fai tu.”
“Scusa? Perché tu una birra?”
“Perché io guido! Vedi? Penso sempre al tuo benessere, anche su come farti sbronzare. Sono responsabile io. “
I loro drink, assieme a quelli degli altri quattro, arrivarono tutti assieme. Brindarono a Max per la fine del suo primo anno da studentessa di fotografia, a Chloe per essere una nuova cittadina di Seattle e poi si persero in chiacchiere.
Chloe riuscì a pagare da bere a tutti, senza farsi notare. Max, dopo un’ora, andò in bagno. Il cocktail e l’alcool in generale, non le dispiaceva ma i suoi reni lo filtravano sempre troppo rapidamente.
Appena terminò, uscì dal suo cubicolo per lavarsi le mani. Chloe l’aspettava, appoggiata al muro, tra i due lavandini.
“Non scappo mica. E non sono ubriaca.”
“Lo so.”
“Allora perché mi pedini, Watson?” replicò “Non ti fidi più del tuo Sherlock?”
Si lavò le mani, senza ricevere risposta. Poi, mentre si allungava per prendere un pezzo di carta per asciugarsi, Chloe le afferrò le mani e la tirò a se, stringendola in un abbraccio.
“Dimmi che stai bene. Ho bisogno di sentirtelo dire.”
“Sto benissimo.”
“Non ho più avuto modo di starti accanto come si deve oggi. Dopo quella faccenda del parco…”
“Stavi lavorando. Poi ci sono stati gli avvocati, al cena e ora siamo qui. So che mi sei vicina, non temere.”rispose, ma comunque la strinse.
“Buffo.”disse Max dopo qualche secondo di silenzio
Chloe sciolse l’abbraccio e la fissò con fare interrogativo
“Che?”
“Siamo in un bagno. Di nuovo.”
“Già ma senza maniaci schizzati con la pistola. Direi che è un enorme passo avanti.”rispose sorridendo.
“Tu pensi mai a come eri un anno fa, a quest’ora?”chiese Max
“Di continuo. Un anno fa sarò stata in camera mai… anzi no, di sera sarò stata alla discarica o a gironzolare per i boschi intorno ad Arcadia. Il giorno passavo il tempo ad attaccare volantini, mentre la sera riflettevo su dove fosse finita Rachel. Sentivo la delusione e la rabbia montare verso di lei, ma anche il sospetto che non fosse tutto archiviabile come una semplice fuga. Vero, lei non mi diceva più tutto, da come abbiamo scoperto ma…..scusa sto divagando…. Comunque un anno fa mi sentivo sola, arrabbiata, senza speranze. Chiedendomi perché non potessi morire invece di continuare a vedere la gente che amavo svanire dalla mia vita.” Rispose Chloe, un po’ emozionandosi
“Se ti consola, io a quest’ora stavo valutando cosa fare del mio futuro. Attendevo di scoprire dove sarei andata a studiare. Pensavo di continuare qui, ma l’idea non mi piaceva per niente. Volevo tanto cambiare. Nonostante Fernando e Kristen mi sentivo sola. Mi sentivo una goffa, stupida e inutile ragazzina che voleva fare la fotografa. Beh è ancora cosi, ma non mi sento più sola almeno.”
“Piantala di denigrarti sempre. Sai che sei migliore di come ti descrivi. Non avevi già fatto domanda alla Blackwell?”
“In realtà si. Sognavo davvero di studiare con Mark Jefferson. Che ironia eh! Ma non ci speravo per niente, a dirla tutta. Era finito in un angolo della mia testa l’ipotesi che sarei tornata ad Arcadia. Non ci ho mai davvero creduto.”
“Per questo non mi hai mai scritto?”
“No. Sono solo stata una schifosa stronza che non aveva le palle di rimediare.”
“Ma lo hai fatto. E ora torniamo di là prima che pensino che ci stiamo dando da fare come delle tredicenni allupate.”
Il loro ritorno fu accolto, ovviamente, con battutine abbastanza inequivocabili. Chloe disse che Max stava già vomitando il cocktail, suscitando proteste da parte della giovane Caulfield. Che non migliorò la situazione ordinando una coca cola.
Verso le dieci e mezzo li dovettero abbandonare per fare ritorno a casa. Non spiegarono molto, non volevano dire che dovevano andare da un terapeuta. Non che ci fosse qualcosa di male e, molto probabilmente, gli altri lo sospettavano ma non dicevano nulla.
Poco dopo le undici erano entrambe in pigiama, a letto, a fissare il soffitto al buio.
“Sai Chloe…”cominciò Max “Forse, se avessi saputo quello che so ora, un anno fa ti avrei scritto subito. Ti avrei chiesto scusa, ti avrei implorato di non odiarmi e di volermi ancora come amica. Ma forse mi avresti sbattuto il telefono in faccia e avresti avuto ragione. Forse quella dinamica assurda di eventi iniziati a lunedì era il modo migliore per riavvicinarci senza incomprensioni. L’avermi quasi investita nel parcheggio era il modo migliore per rincontrarsi.”
“Mh, forse è cosi. Ma su una cosa sono abbastanza certa: non ti avrei mai e poi mai sbattuto il telefono in faccia, ne evitato di vederti. Ero arrabbiata con te ma, ironicamente, una delle poche certezze di quei cinque anni era che, in qualsiasi momento e modalità tu fossi rientrata nella mia vita, ti avrei accolto a braccia aperte. Il resto sarebbe venuto da sé. Ma ora dormi, secchiona. Son stanca dei tuoi sensi di colpa.” Concluse. Poi la baciò sulla guancia, si rilassò e i addormentò quasi subito, mentre Ma rimase a fissare il soffitto ancora un po’, pensando a come sarebbe stata la sua vita se fosse stata capace di uscire dal suo guscio da sola.
 
 
 
Lo studio del dottor Rogers sembrava una piccola sala di lettura. Aveva due poltrone comodissime, dove stavano sedute le ragazze, una più grande che era occupata da Rogers in persona, un tappeto multicolor al centro, una piccola scrivania con un pc acceso, dove probabilmente veniva archiviato ogni incontro con ogni paziente, con eventuali considerazioni personali, una libreria ben fornita e una ampia finestra sul lato nord.
Erano arrivate da poco e avevano cominciato a parlare normalmente, cosa che facevano sempre prima di iniziare a parlare dei problemi veri e propri. Chloe parlava del suo lavoro e del fatto che si trovava bene, che il senso di disagio di essere un peso per la famiglia Caulfield si stava attenuando e che voleva tantissimo poter ricambiare la generosità ricevuta, in qualche modo.
Max, invece, parlò della fine del suo anno scolastico e di come pensava di impiegare il suo eccessivo tempo libero in estate.
“Beh diciamo che hai concluso un anno scolastico decisamente più travagliato della norma.”commentò il dottor Rogers con un sorrisetto complice. Il dottor Rogers era un piccolo uomo sulla sessantina, con pesanti occhiali neri, vestito di tutto punto. Era quasi un nonno per loro, molto dolce, che sapeva farle sentire rilassate e serene. Beh, dopotutto era anche parte del suo lavoro.
“A tal proposito…”disse Max “Gli incubi non stanno migliorando. Ne ho avuti ancora. Due solo ieri. Uno però ero sveglia, al parco, in pieno giorno. Ho un po’ di paura, ad essere onesta.”
Il dottor Rogers abbassò la sua cartelletta, congiunse le mani all’altezza degli occhi e fissò Max per qualche istante.
“In pieno giorno. Da sveglia. Mh. Non posso certo dire che questa notizia mi renda sereno.”
“Ma sta bene, vero? Non ha bisogno di farmaci, vero?”s’agitò Chloe sulla sua sedia
“Oh no, no signorina Price. Vedete, al vostra situazione è complessa. Parliamo di un forte disturbo da stress post traumatico con sindrome del sopravvissuto che si manifesta in maniera similare su entrambe, per alcuni aspetti, e molto differenti in altri. La signorina Caulfield potrebbe aver avuto un momento di ‘sfogo’: finito il suo anno scolastico, inconsciamente potrebbe essersi rilassata mentalmente e aver scatenato dei ricordi repressi. La manifestazione del tornado, nonostante fosse vigile, potrebbe essere una manifestazione dello stress accumulato che trova uno spiraglio di fuga. Non ha bisogno di pastiglie, ma di sfogare maggiormente tutte le ansie e le preoccupazioni quotidiane, facendo uscire poco alla volta il trauma di quello che avete passato. Anche il vostro rapporto, benché benefico, vi consiglio caldamente di non viverlo troppo strettamente. Mantenete le vostre passioni, le vostre differenze e le distanze e i momenti di solitudine l’una dall’altra. Se vivete troppo in simbiosi, dopo questi momenti decisamente orribili, potrebbe fare male a voi stesse, alla vostra socialità e nuocerebbe anche alla vostra relazione, sul lungo periodo.”
Chloe strinse istintivamente la mano di Max
 “Non voglio.”disse
“Lo so, signorina Price. Ma vi state comportando bene. Vero, vivete assieme per cause di forza maggiore e, a parte ciò, non vedo segnali preoccupanti da voi su quel fronte. Dico solo di fare attenzione, ora che la signorina Caulfield potrebbe avere più tempo libero e, soprattutto, più momenti come quello di ieri pomeriggio. Non siate troppo il rifugio dell’altra. Abbiate la necessità di affrontarvi da sole, intimamente. Per il resto, non posso che essere più soddisfatto dei vostri progressi. Ma lei, signorina Price, non ha più avuto problemi di insonnia?”
“No. Cioè solo un paio di notti, a volte fatico a prendere sonno o mi sveglio eccessivamente presto. Ma direi che va meglio. A parte gli incubi anche io.”
“Ah si?”chiese il dottor Rogers
“Ah si?”chiese Max fissandola. Possibile che non gliene avesse mai parlato.
“Si. Sono iniziati un mese fa. So che non ne ho mai parlato, con lei e nemmeno Max. Con nessuno. Pensavo fossero normali. Ma si sono intensificati. Anni fa, due anni dopo la morte di mio padre, feci incubi ricorrenti su di lui, che moriva. Quasi sempre ero in auto con lui, parlavamo e poi arrivava il camion e lo uccideva. Oppure lo vedevo sfregiato. A volte mi sembrava di parlare con lui come in sogno, ma in pieno giorno.”
“Chloe….”mormorò Max, prendendole la mano
“Proprio come Max ieri, forse avevo solo bisogno di sfogare tanta rabbia e frustrazione che avevo verso la morte assurda di mio padre. Forse, in concomitanza con l’arrivo di una nuova persona importante nella mia vita, avevo bisogno di mollare quel peso. Beh ho fallito. Ho smesso di sognarlo, ma ho avuto rabbia e rimpianto verso mio padre fino al tornado. Ora no. Ora i miei incubi sono diversi. Sogno Rachel Amber che mi incolpa di non averla mai cercata davvero. Stava li, sepolta sotto i miei piedi, nel posto in cui andavamo a nasconderci da Arcadia Fottuta Bay, e non l’ho mai capito. A volte la sogno che piange, che mi dice che le spiace non essere stata onesta con me, di essersi allontanata per non ferirmi. Lo so che non mi amava, o meglio, non mi amava nel modo in cui l’amavo io. Ma mi voleva bene con tutta se stessa e se non ha voluto dirmi della sua storia con Frank è perche so che non voleva ferirmi. Ma non riesco a non essere arrabbiata in quegli incubi, non riesco a non urlargli contro di avermi sempre mentito. Se fosse stata onesta, se avesse corso il rischio di ferire i miei sentimenti ma di dirmi le cose come stavano, quasi certamente non sarebbe morta. E mi dispiace perché vorrei non essere arrabbiata con lei, penso e mi convinco di non esserlo, ma se continuo ad avere incubi del genere è perché, nel profondo, lo sono ancora. E sto deludendo tutti, me stessa e soprattutto Max.”
Chinò il capo e Max intravide delle lacrime solcargli il viso. Voleva consolarla, ma non sapeva cosa fare. Poi Chloe riprese
“Ma l’incubo peggiore è proprio questo: deludere Max. La sogno, arrabbiata, che mi urla cose terribili. Che non la amo, che l’ho solo usata come cerotto per tamponare la ferita lasciata aperta da Rachel, che non le dimostro mai quanto devo. Io provo a rispondere, ma mi sento soffocare e Max si arrabbia sempre di più con me, finché lei stessa  evoca un tornado  alle sue spalle dicendo che sarei dovuta morire io.”
Ora Chloe pinageva
“E la cosa che più mi ferisce è che urlo a Max che non è vero. Sono felice di non essere morta. L’ho desiderato tanto, ma ora sono fottutamente felice di essere viva. Di essere qui, di avere lei. E mi sento una merda per questo. Ma nell’incubo Max non si placa. Altre volte, Max piange e prende fuoco, dicendo che l’avevo delusa. In un altro, Max è tra le braccia di qualcun altro e io…” si bloccò, prese un fazzoletto e si ricompose “Cazzo, chiedo scusa. Ho rubato la scena a tutti.”
Max sentì le lacrime anche sulle sue guance. Davvero? Davvero aveva tutte quelle paure, quelle colpe? Davvero si sentiva cosi? Eppure non lo dava a vedere. Si sentì mostruosamente egocentrica a non averlo notato.
Il dottor Rogers si alzò e mise una mano sulla spalla di Chloe
“Sono felice che tu ti sia aperta ulteriormente con noi, Chloe. Le tue paure sono normali, giustificate e umane. Non riesci a darti pace per la morte della giovane Rachel, ma non potevi avere nessuna colpa. Non so se l’essere onesta con te l’avrebbe salvata. Forse si ma probabilmente no. Non potevi immaginare che la trappola fosse nel luogo più sicuro per una ragazza della sua età: la sua scuola. Rachel era finita tra le grinfie di mostri che non lasciano altro che questo: sensi di colpa in chi ama le loro vittime. Seppellirla lì è stato un atto vile, di sfregio e disgustoso. Una innocente gettata in una discarica che è anche il posto in cui si sente al sicuro. Distruggere tutto in lei, la bellezza e la serenità, con un solo gesto. E qui ci sei solo tu, a pagarne le conseguenze. Fa pace con te stessa, signorina Price: sei uno straordinario essere umano, con più emozioni di quante ne possa immaginare la media della gente che passeggia per le vie di Seattle. Per quanto riguarda i suoi incubi e le sue relative ansie verso la signorina Caulfield.. beh non occorre che le dica altro io: basta che volti la testa a sinistra e veda tu stessa la risposta.”
Chloe obbedì e incrociò lo sguardo di Max, ancora commossa.
“Scusami se non te ne ho mai parlato.”mormorò
“Scusami tu per non essermi mai resa conto di quello che hai dentro. Perdonami, di nuovo, Chloe.”
Chloe sorrise e si pulì le lacrime con il dorso della mano
“Woo Max! Tu sottovaluti le mie doti di attrice. Non sei tu che sei una scarsa osservatrice, sono io che sono fantastica.”
Il dottor Rogers sorrise e si rimise a sedere. Parlarono ancora per una ventina di minuti, anche del processo e delle ansie e tensioni che potrebbe comportare quella vicenda. Prima di congedarsi, le ragazze si alzarono, strinsero la mano al dottore ma, all’improvviso, Max dovette esporre un dubbio
“Dottor Rogers e se… e se dovessimo tornare ad Arcadia? Se gli incubi e la continua visione del tornado fosse un modo del mio subconscio per dirmi di tornare là, vedere che effetto mi potrebbe fare?”
Il dottor Rogers incrociò le braccia e rifletté un attimo
“Sarebbe una fortissima terapia d’urto, signorina Caulfield.” cominciò “Non mi sento di consigliarle di tornare laggiù. Non ora. Potrebbe causarle uno shock o una crisi non facilmente gestibile, specie per un soggetto che soffriva di ansia già prima di tutto questo. Tornare nel luogo che tanto vi da dispiacere, sapendo che portate con voi sensi di colpa cosi pesanti, mi sembra troppo rischioso. Forse, quando starete meglio, se lo desiderate in futuro potreste tentare di andare. Ma non mi sento di consigliarvi di rimettere piede laggiù.”
Max annuì. Ringraziò, prese Chloe e uscì, sentendosi meno timorosa per il futuro.
 
 
In auto, le due ragazze non parlarono molto. Chloe, a un certo punto, disse che si meritavano una colazione extra e si fermarono da Starbucks. Li, si sciolsero totalmente e passarono una mezz’ora tranquilla a ridere.
Poi, non volendo tornare subito a casa, fecero una tappa presso l’International Fountain nei rettangoli di verde che vi si trovavano attorno. Li, Max chiese
“Davvero hai cosi tanta paura di deludermi?”
“Costantemente, Max. Ho paura che tu un giorno possa svegliarti e stancarti di me, di pentirti di avermi salvata anziché tornare indietro e farmi morire in quel bagno, che io possa fare una immensa cazzata per la quale tu..”
“La sola cazzata è quella che stai facendo ora, Chloe. Come puoi anche solo pensarle certe cose? Non tornerei Mai indietro, non cambierei mai e poi mai le scelte che ho fatto. Non osare minimamente pensarlo: io posso avere sensi di colpa per tutte quelle persone, per tua madre e per Frank, ma mai e poi mai mi pentirei di non aver fatto cambio, quel promontorio. Getterei quella foto in mare miliardi e miliardi di altre volte.”
“Scusami. Sono un po’… sai…. So che sono cose irreali… cioè è ovvio che tu non potrai stancarti mai di me. In fondo, meglio di me chi pensi di trovare?”
“Rieccola la Chloe che conosco. Dai, andiamo a casa, che alle due devi servire quelle fantastiche cheesecake ma, sfortunatamente , non a me.”
“Ruberò i segreti di Marla e te ne preparerò una favolosa, tutta per te, a casa. Lo giuro!”
Le cinse le spalle con un braccio, poi tornarono in auto, decisero di prendere il pranzo per tutti da McDonald’s (con disapprovazione di Vanessa ma giubilo di Ryan) e si diressero a casa.
Verso le due del pomeriggio, Chloe era già scappata al Bake (“Salutami Leonard e Marla!” si raccomandò) e Max si trovò in camera, a farsi una pennichella.
Verso le quattro del pomeriggio si risvegliò, complice il caldo e il sole che ora filtrava prepotentemente dalla finestra.
Anche se in pigiama, scese di sotto, dove suo padre vedeva la partita dei Seattle Seahawks di cui, per la cronaca, non era tifoso ma li aveva adottati come squadra da quando si erano trasferiti. Sua madre, invece, leggeva un libro sulla poltrona. Una perfetta immagine di quiete familiare. Avrebbe voluto scattare una foto, ma ormai era di sotto. Si sdraiò sul divano, con la testa in grembo a suo padre, che le accarezzò i capelli.
“Tutto bene stamane?”
“Tutto ok.”
“Anche Chloe?”
“Anche Chloe.”
“Meraviglioso. Senti, vuoi che ti lasciamo dei soldi e ti ordini qualcosa d’asporto? C’è un locale che fa cucina thailandese ottima e lo consegnano in maniera precisa e veloce.”
“No, grazie pà. Aspetto Chloe. Ha deciso che prende delle pizze e ci guardiamo un film.”
“Ma sarà stanca e arriverà tardissimo.”osservò sua madre, distraendosi dalla lettura.
“Si ma ci tiene. Sapete com’è fatta: non lo dice espressamente, non è quel tipo di persona. Preferisce fartelo capire a modo suo. E ci tiene molto, a modo suo, passare del tempo con me per dimostrarmi la sua contentezza della fine del mio anno scolastico.”
“E’ sempre stata cosi.”ricordò sua madre, chiudendo il libro “Lei era quella esuberante, un po’ sfacciata e capetta. Tu quella più accondiscendente e mite. Ma quanto teneva a te, era fuori discussione. Joyce, mi ricordo, che diceva sempre che non vi era in classe nessuno con cui Chloe riuscisse a legare quanto con te. Pensava sempre a cosa avrete fatto, a come intrattenerti quando andavi da lei. E’ sempre stata nella sua natura fare, piuttosto che dire. Specialmente con te.”
“Certe cose non cambiano mai. Soprattutto io, eh?”
“Non ne sarei cosi sicuro.”disse suo padre “Da quando siete tornate… beh vedo in te una scintilla diversa negli occhi. Mi sembri, a tuo modo, più decisa e matura. Spero non sia per quello che avete passato.”
“Temo di si, pà. Anche se io mi vedo solo più incerta di prima.”
Cambiarono argomento, ma Max finì per appisolarsi un poco, sempre tenendo la testa in grembo al padre, che cercò di non disturbarla troppo. Si sveglio dopo circa un’ora. Suo padre le aveva messo un cuscino sotto la testa ed era intento a preparare del caffè in cucina. Sua madre non era nei paraggi.
“Buongiorno. Ne vuoi un po’?”
“Decisamente si. Ne ho bisogno. Sto dormendo troppo oggi.”
“Sarà tutto lo stress accumulato, cara. Tutta stanchezza che si fa sentire. Oppure vuoi dormire ora per rimanere vigile per il ritorno di Chloe.”
Max concluse che erano tutte e due ottime motivazioni, ma non sapeva decidere quale fossa la più corretta.
Si avviò in cucina, prese la sua tazza di caffè, dello zucchero e una puntina di latte.
“Mamma dove sta?”
“Di sopra. Si sta facendo un bagno. Come Chloe, non lo vuole ammettere ma è eccitatissima al pensiero di uscire a cena. Sono mesi che non la porto fuori.”
“Per colpa mia.”concluse Max, sconsolata.
Da quando si erano presentate sulla porta di casa dei suoi, più di otto mesi fa, i suoi si erano premuniti di stare accanto a loro due, di non lasciarle sole e di assisterle nel caso avessero avuto bisogno per qualsiasi cosa. Sentiva di averli privati della loro intimità: l’occasione che aveva presentato la Blackwell sarebbe stata utile anche per i suoi, si diceva. Dopotutto erano ancora giovani e potevano fare molte più cose senza un figlia a cui badare.
“Ma che stai dicendo? Ma non dirlo nemmeno.”protestò suo padre “Sei nostra figlia e sei la nostra priorità dal giorno che abbiamo deciso di averti. Non c’entra il tuo ritorno improvviso o quello che avete passato: è il nostro dovere. Inoltre, non pensare che io e tua madre senza di te ci dessimo alla pazza gioia tutti i giorni. Abbiamo comunque un lavoro e una casa da mantenere e, cosa non da poco, iniziamo ad avere la nostra età. A volte, ronfare alle dieci e mezzo della sera è una pacchia! Si anche di sabato sera!”
Max fece una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso. Voleva credergli ma si sentiva in colpa.
 
Molto bene, Max Caulfield! Aggiungiamo anche questa alla lista di sensi di colpa della tua breve e patetica lista! Non fai altro che rovinare tutto a tutti, eh? Beh almeno i tuoi non sono morti per causa tua. Per ora.
 
Ryan intuì che la figlia non si era comunque risollevata. Era straziato nel vederla cosi, dopo tutti quei mesi. Cercava di essere ottimista e sorridente, come lo era sempre stato nella sua vita, ancora di più quando era nata Maxine. Ma ora doveva tenere ancora più duro. Per lei.
Non riusciva a immaginare cosa avesse dovuto passare ad Arcadia, ma aveva la sensazione che vi fosse molto altro che non riusciva a cogliere. Per esempio: tutto quell’odio per Mark Jefferson….
Ok, uno dei suoi idoli l’aveva tradita, rivelandosi un pervertito figlio di puttana. Ma quello che percepiva in lei era più profondo di una delusione. Sembrava sconvolta, rabbiosa e imbarazzata. Sembrava che avesse seviziato anche lei. Ma nelle indagini, fortunatamente, non risultava che avesse mai circuito sua figlia. Anche se, in estrema confidenza, gli avvocati gli avevano confessato che Jefferson ambiva a Max. Se lo era fatto sfuggire in uno dei pochi appunti salvati dal suo ufficio. Il portatile, il cellulare e altri effetti personali importanti erano svaniti, forse con la complicità della tempesta, forse anticipatamente distrutti prima da Jefferson stesso.
Ma avevano trovato il registro di classe e delle annotazioni. E il nome di Max Caulfield era uno dei pochi a ripetersi. La considerava ‘l’unica degna di attenzione’ , ‘possiede un dono, mi sento affine a lei. Devo avvicinarla. L’unica vera pura artista in una classe di mediocrità borghese.’.
Troppo inquietanti per essere semplici considerazioni di un insegnante, specie dopo tutto quello che avevano scoperto. Chiesero a Jefferson del perché di queste note e lui le liquidò come ‘semplici riflessioni da insegnante verso una studentessa brillante’.
Pezzo di merda.
Ryan si sedette accanto a sua figlia e riprese
“Quando sei comparsa sul vialetto quella sera…la sera stessa del disastro, il mio cuore e scommetto anche quello di tua madre, si è fermato. Sai cosa significhi per un genitore svegliarsi al mattino e sentire un’edizione speciale riguardo a un tornado nell’Oregon? Io e tua madre non siamo persone da accendere la tv al mattino, quindi puoi immaginare quando sono arrivato al lavoro, le telefonate da amici e parenti. Tutti che mi chiedevano come stavi, tutti a dirmi che Arcadia Bay non esisteva più. I miei colleghi mi imposero di tornarmene a casa, fare le valigie e venirti a prendere. Tua madre che mi chiama in lacrime dicendo che non poteva essere vero, che tu eri in salvo, che dovevamo partire subito per venirti a prendere perché chissà come sarà spaventata.
La frustrazione di non poter partire. Le autorità che ci contattano ci dicono che non è sicuro. Partiamo lo stesso, ma ci fermano poco dopo. Ci intimano di non andare in Oregon, che l’area è in via di evacuazione, che non sanno nulla di nulla se non che, essendo stato un fenomeno improvviso, non vogliono che nessuno vada ad Arcadia nel caso ne capitasse un secondo.
‘Signor Caulfield, mi duole dirglielo, ma sua figlia risulta dispersa.’ Cazzo se ha fatto male. Tua madre per poco non ci restava secca.”
Ryan fece una pausa e accarezzò la schiena di sua figlia, che lo fissava mortificata.
“E mentre pensavamo a un modo per aggirare i controlli e infilarci in Oregon di nascosto, ecco che sentiamo il campanello e tu eri li. Tu e Chloe. Vive, turbate ma vive. Davanti a noi! Cazzo è stato come quando sei nata, stessa emozione. Ero padre, sono ancora un padre. Siamo ancora un famiglia. E hai portato Chloe! Ci hai dato la gioia di rivedere la figlia dei Price, viva anche lei. Max, come puoi pensare che per noi tu sia stata un intralcio, quando rivederti sulla soglia di casa è stato il regalo più bello che potessi farci?”
Max si sciolse in un largo sorriso.
“Scusami pà. A volte non so…. A volte non sono cosi sveglia.”
“Cosa? Tu sei fin troppo sveglia Max! Non sei madre, tutto qui. Ma credimi: uscire a cena una volta all’anno è un prezzo più che ragionevole per averti qui, viva.”
Abbracciò sua figlia, poi si alzò e dichiarò
“Direi che ci siamo meritati una merendina al cioccolato! Ora: dove le nasconde tua madre? Non vuole che le trovi io.”
“Mmmh… scopriamolo!”
Passarono dieci minuti a rovistare nella cucina, poi trovarono le merendine e ne mangiarono due a testa. Ryan sperò di non essersi rovinato l’appetito, senno sua moglie lo avrebbe linciato sul serio. Per Max fu una gioia quel momento padre – figlia. Cazzo, era felice. Doveva smetterla di pensare, andare in ansia o non godersi tutti questi attimi.
Sua madre scese, già quasi pronta per uscire. Fecero sparire le prove e riordinarono la cucina in tempo.
Ryan riempì di complimenti la moglie e poi sparì di sopra, per lavarsi lui.
“Che ha combinato? Quando fa cosi è perché ha combinato qualcosa.”
“Nulla, che io sappia.”
“Ok. Che AVETE combinato? E' ovvio che sei sua complice...”
“Nulla. Solo un caffè”
“Max…”
“Meglio che vada di sopra a… a….. beh devo andare di sopra!”
 
 
Verso le sette e mezzo di sera, nonostante il sole fosse ancora alto, i coniugi Caulfield si congedarono dalla figlia e andarono a cena.
“Bene Max: ora sei sola.” rifletté a voce alta, guardando il piano inferiore deserto.
Andò verso la tv e l’accese. Non aveva un motivo preciso, semplicemente non voleva silenzio in casa.
Sentì punzecchiare l’ansia alla base del cervello, decise che doveva calmarsi a tutti i costi. Forse era la prima volta che restava sola in casa, da quando era rientrata a Seattle.
Andò al piano di sopra e decise di farsi un bagno rilassante. Doveva spegnere la tv? No.
Anzi, più rumore: prese il telefono e mise la musica mentre si lavava.
S’immerse totalmente in acqua mentre il suo telefono riproduceva Parties di Elizabeth, un brano che la rilassava particolarmente. Ottimo per quel momento.
 
I would lay with you while the flood rushed in
I would lay with you for all time
Show me where you break
I could show you my mistakes
I could keep your hurt with mine
But how quickly things can change
In an instant there is pain
There are clouds where there was always sun
Tell me, when you’re out
Don’t you miss me? Do you doubt
Saying goodbye?
Or do you only feel your high

 
 
Che film poteva scegliere per stasera? Chloe non aveva dato indicazioni. Non Blade Runner. Qualcosa di diverso.
Si disse che ci avrebbe pensato più tardi.
Senza che se ne rendesse conto, era passata più di una ora. Uscì, senza troppa fretta, e con l’accappatoio si diresse in camera, per vestirsi. Ovviamente indossò di nuovo il suo pigiama: tanto il programma era comunque un film a letto!
Sistemò le lenzuola,  prese una coperta nuova per coprire il letto cosi, se avessero sporcato di sugo, non sarebbe incappata nelle ire di sua madre.
Non avendo altro da fare, scese al piano di sotto.
Erano quasi le nove e si stava concludendo il notiziario.
Nulla di grave, a quanto pareva. Ondata di caldo in arrivo, l’economia, la politica…
“Prima di chiudere, un aggiornamento dall’Oregon…!
Max si congelò.
Non aveva più cercato notizie, ne guardato telegiornali. Se i suoi lo stavano guardando, come arrivava il momento delle ‘Notizie dall’Oregon’ cambiavano canale.
Che fare? Aveva scoperto tante cose nelle ultime ore….
Ascoltarle? Darsi l’ennesima pungalata?
Troppo tardi
“….Ufficializzata l’udienza preliminare per Mark Jefferson. I rallentamenti alle indagini causati dal maltempo e da quelli che l’accusa definisce ‘continui depistaggi’ da parte dell’imputato, hanno fatto slittare di molto la data, a tal punto di trovarci oggi con otto mesi di detenzione dell’imputato e una data formale per l’udienza preliminare: Lunedì 7 Luglio. I pareri sono discordanti su come si concluderà, ma le prove a carico di Jefferson…”
Spense la tv.
Tremava.
Era un miracolo e una stranezza che fosse ancora in carcere dopo 8 mesi. La particolarità della situazione lo permetteva, e c’erano prove per accusarlo di qualcosa
 
 
potrebbe essere libero prima di quanto pensi, Max…..Dovrebbe morire….dovresti ucciderlo tu….
 
...ma si augurò che quel qualcosa fosse abbastanza per farlo sparire e tenerlo lontano dalla sua vita.
Non ci sperava. Ma doveva farselo bastare. Quel capitolo doveva chiudersi e lei doveva andare avanti. Basta Jefferson, basta Arcadia Bay.
In lei montò l’inquietudine e l’ansia. Era sola a casa, c’era silenzio. Il sole estivo era ancora bello vivo, e non avrebbe fatto buio ancora per un poco. Doveva rilassarsi.
Andò in cucina, prese un bicchiere d’acqua e cercò di bere, ma si scoprì tremolante, tanto che si rovesciò abbondanti gocce sul petto.
“Merda. Brava Max, proprio brava. Non sai manco più come si beve, ora? Solo perché hai paura di sono stronzo psicopatico RINCHIUSO IN UNA FOTTUTA CELLA.”
Cercò di calmarsi. Era a chilometri e chilometri di distanza. Non poteva sapere che lei fosse a Seattle..
 
(O forse si? Bastava una rapida indagine su i suoi avvocati, no? Avrebbero visto di che studio erano alle dipendenze. Poi forse le era sfuggito in classe che i suoi stavano a Seattle? Non ricordava)
 
…e soprattutto in che zona della città. Inoltre, era in un carcere di non poca importanza. Le sfuggiva il nome, ma aveva controllato ed era abbastanza sicuro da quel che aveva capito. Quindi perché preoccuparsi? Se fosse fuggito, lo avrebbe sentito prima al telegiornale e non sarebbe certo potuto capitarle in casa ORA.
E tra circa un’ora Chloe sarebbe tornata.
Non c’erano possibilità che fosse in pericolo. Tutto andava bene, doveva solo accettarlo.
Ma la casa muta non l’aiutava.
Cercò di distrarsi, cercando il libro che leggeva prima sua madre. Forse era nella camera dei suoi? No, non voleva entrare li. Le sarebbe sembrato di disturbare la privacy dei suoi genitori.
A proposto, a che ore sarebbero tornati? Si stavano divertendo? Cazzo, si! Se lo meritavano.
Salì al piano di sopra, entrò in camera sua e si mise a scegliere il film, sperando che potesse distrarla un poco.
 
 
“PIIIZZZAAAA!!”
Chloe aveva spalancato la porta della camera e urlato. Max, che era assorta in un libro (stava leggendo 1Q84I  di Murakami, sobbalzò violentemente
“Cazzo, ma sei pazza?”
Chloe se la rise di gusto
“Non mi hai sentito entrare?”
“No.”
“Fiiico: sono ancora una stramaledetta ninja!” rispose compiaciuta. Si diresse verso il cassettone e prese un ricambio di intimo
“Allora, le pizze sono in forno. Ho messo il minimo, cosi si riscaldano un po’. I milkshake… beh c’è stato un problema logistico del tipo ‘non-ho-calcolato-il-caldo’ e sono in freezer a rianimarsi. Faranno cagare, ma meglio di nulla. Io vado a farmi una doccia. Fammi il favore: tieni d’occhio la nostra cena, ok?”
“Roger - roger.”
“Tutto a posto?”
“Oh si…. Mi sono annoiata un po’ in queste ore, ma ho rimediato. E ho già scelto un film!”
“Fico! Cosa?” chiese, sballottolando il reggiseno pulito tra le mani
La Mosca. E’ un mezzo horror.”
“Allora hai fatto centro!” e si dileguò in bagno.
Attese un tempo accettabile, poi andò di sotto, spense il forno, riprese i cartoni della pizza che erano abbandonati sulla penisola, vi adagiò e tagliò le pizze. Poi recuperò due lattine di coca dal frigo. Non aveva spazio per i milkshake, cosi dovette fare un altro giro al piano di sotto dopo che ebbe portato la portata principale di sopra.
Chloe arrivò appena ebbe finito di sistemare tutto. Si sdraiarono sopra il letto e si gustarono la cena e il film in silenzio.
Verso metà del film, con le pizze ormai andate, le bevande finite e i milkshake in dirittura d’arrivo, Chloe propose di aggiungerci anche dei pop corn. Max non poté rifiutare.
Pausa, microonde, ciotola e ripresero a mangiare. Quasi a film ultimato, tornarono a casa i genitori di Max. Vanessa, visibilmente ubriaca, si affacciò alla loro porta per augurare la buonanotte, sorretta da suo marito, con una espressione mista tra imbarazzo e divertimento.
“Tua mamma spacca.”sentenziò Chloe.
Terminato il film, Max notò che la sua compagna era provata dalla giornata, benché avesse stoicamente resistito per tutta la durata della pellicola.
“Stai migliorando. Dai infilati sotto le coperte. Io sistemo tutto.”
No, Max. Facciamo domattina. Lascia tutto qui impilato a terra e stop.”
“OK, ok. Ma togliamo il copriletto almeno. “
“Faccio io. Tu togli il dvd e spegni la tv.”
Si alzò, estrasse il disco, lo rimise nella sua custodia e poi nel ripiano dei dvd. Spense la tv, si voltò e vide Chloe, in piedi dietro di lei, senza maglietta, che la osservava.
“Chloe? Tutto o…”
Non terminò la frase. Chloe la prese e la baciò. Non fu per nulla casto. Si ritrovò la sua lingua a frenarle qualsiasi parola. Rispose al bacio con entusiasmo. Poi, Chloe la prese per la maglietta, gliela tolse, l’afferrò per i fianchi e la spinse sul letto.
“Chloe dovresti riposare..”
“Dopo.”rispose decisa
“I miei sono rientrati…”
“Beh allora preparati a dire domattina che hai avuto un altro maledetto incubo.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Interludio: I-5
 

 
“Devo fermarmi.”
Chloe era esausta. Aveva guidato senza sosta per due ore. Non era stanca per la guida, ma per tutto: la notte quasi in bianco, la tempesta, la fuga.
“Assolutamente si.”confermò Max.
Aveva freddo, si sentiva sfinita e aveva perso ancora sangue dal naso, nonostante non avesse usato il suo potere. Ma ora sembrava andare meglio, anche il dolore alla testa era quasi svanito.
Ma aveva gli abiti fradici e non si erano nemmeno fermate per cambiarsi appena uscite dai confini di Arcadia. L’unica preoccupazione per loro fu scegliere la strada. Chloe non sapeva quale fosse la più veloce per Seattle, quindi Max le consigliò di prendere la I-5. Con quella avrebbero impiegato circa quattro ore, mentre la 101 ne avrebbe richieste circa sei e dovevano pure pagare i pedaggi. Il solo vantaggio della 101 era il paesaggio.
Ora, dopo due ore, in mezzo ai boschi dell’Oregon, si erano fermate.
Chloe smontò al volo, intenzionata a sgranchirsi le gambe. Max rimase sul pick-up, tremante di freddo e avvilita. Avevano lasciato alle spalle la devastazione. Circa due ore prima lasciavano i resti di una cittadina dopo che il tornado l’aveva colpita.
Avevano assistito dal faro tutta la devastazione, come era arrivato alla spiaggia e, lentamente, perso potenza una volta piazzatosi nell’entroterra, svanendo nel giro di un minuto, a poche decine di metri dal centro di Arcadia Bay. I venti, però, avevano raggiunto anche le parti più remote della città. Avevano visto, dal faro, parti dell’Accademia Blackwell staccarsi e volare nei boschi.
Alcune aree, una volta sbucato il sole, sembravano quasi intatte: le parti a nord e a sud, ovvero la zona del faro e della discarica verso nord e il quartiere residenziale (dei ricconi rottinculo come l’aveva ribattezzata Chloe) nella parte sud, avevano subito ben pochi danni, confrontati con il resto.
La zona centrale, più nell’entroterra, era stata colpita duramente, ma non in maniera irrimediabile. Tant’è che avevano provato ad andare a casa di Chloe e l’avevano trovata ancora in piedi, senza più vetri, con alcune parti del tetto divelte, ma in piedi. Entrarono, facendo in fretta, presero due borsoni dal garage, dove prelevarono alcune scatolette di cibo per sicurezza, la cassetta degli attrezzi di William che Chloe conservava gelosamente, poi tornarono in cucina e presero dell’acqua, facendo attenzione ai vetri sparsi in giro: la cucina era conciata peggio di tutto il resto della casa, dato che si erano frantumate anche le porte-finestre che davano sul giardino, inondando di schegge il divano, rovesciando il tavolo e quasi tutto ciò che stava sui ripiani della cucina. Chloe calpestò qualcosa che si rivelò essere il vecchio barattolo dei risparmi per il viaggio a Parigi. Lo fissò con un misto di amarezza e dolcezza, si chinò a prendere le banconote fradice e ancora integre che sbucavano e se le infilò in tasca. Max, invece, aveva prelevato anche il vecchio album di fotografie della famiglia Price: ricordava che fosse in un ripiano in alto della libreria, vicino alla porta del garage, quando Joyce due mattine orsono aveva 'pescato' da li, per regalargli la foto di lei e Chloe da bambine, da cui aveva cercato di salvare la vita di William tornando indietro. Salirono in fretta al piano di sopra, facendo attenzione a non ferirsi dai resti che ingombravano le scale. A parte qualche pezzo di legno e vetro delle finestre sfondate, il piano superiore sembrava quasi salvo. Chloe entrò in camera di sua madre, prese una foto di famiglia, con Joyce e suo padre William, alcuni ricordi di suo padre, una collana da pochi soldi di sua madre e, nonostante si sentisse in colpa, ficcò tutto nel borsone. Voleva qualcosa che gli ricordasse la sua famiglia. Di quando non era orfana. Max s’infilò nel bagno, prese il tubetto per colorare i capelli di Chloe, pensando di fargli una cosa gradita, il suo vecchio asciugamano dei pirati e lo spazzolino per Chloe che, notandola, le gridò che stava perdendo tempo e non erano al sicuro. Scivolarono in camera sua, dove la situazione era abbastanza tragica: entrambe le finestre esplose avevano riempito di schegge la stanza, strappando la bandiera americana, i poster, ribaltando la scrivania facendo cadere il computer, che era sfasciato a terra, la giacca di William era finita a terra ma ancora vicino l’ingresso e Chloe la recuperò subito, prima di farsi strada verso l’armadio e prendere a caso manciate di vestiti. Poi si dedicò a recuperare da sotto il letto, facendo attenzione a no aprirsi tagli multipli sulle braccia, la scatoletta di metallo con dentro la foto di lei e Rachel, alcuni risparmi e la sua ultima scorta di erba. Si alzò e notò che Max si era soffermata sul loro murales dipinto durante l’infanzia. Constatò che la sua amica non stava bene e sembrava ancora sotto shock ma non si arrabbiò. La prese per una spalla e le sorrise. Poi, guardando il murales, decise di salvarlo. Lo spogliarono di tutte le prove sulla loro ricerca del corpo di Rachel che erano sopravvissute alla furia dei venti, filtrati dalla finestre rotte, le infilarono in una busta di plastica che misero assieme ai vestiti, presero il murales e lo trascinarono fino al retro del pick-up, dove gettarono anche le borse. Poi salirono e andarono via, facendosi largo tra resti di lamiere e legno, animali incuriositi, cadaveri e auto ribaltate, abbandonandosi alle spalle quello che restava della loro città natale, dirette verso la sola meta sicura che conoscevano: casa Caulfield a Seattle. Non potevano certo bivaccare in mezzo ai boschi e vivere come randagie, senza soldi e senza preparazione alla vita slevaggia. Inoltre le avrebbero potute cercare e, per quanto Chloe l’affascinasse l’idea di farsi credere morte, Max la fece riflettere sull’impossibilità della cosa. Conveniva andare a Seattle e attendere il corso degli eventi, cercando di ricominciare una vita normale.
“Ah merda!” urlò Chloe
Max, udendola, scesa di corsa dal pick–up e le andò incontro. Si erano fermate al ciglio della strada, in mezzo ai boschi. Chloe era piegata sulle ginocchia, con la testa rivolta a terra.
“Che c’è?”chiese Max
“Nulla. Avevo bisogno di sfogarmi. Guarda ora che fottuto cielo stramaledetto azzurro abbiamo. Fino a qualche ora fa lo avresti mai detto che c’era l’inferno? Porca puttana! A cosa cazzo abbiamo assistito!”rispose “Cazzo Max siamo fradice, in fuga e con zero ore di sonno. Cambiamoci. Tanto non passa nessuno qui.”
“Io non ho niente, Chloe.”
Lei rispose con uno sguardo complice. Aprì un borsone, ne estrasse degli indumenti familiari.
“Secondo te non avevo pensato alla mia secchiona preferita? Tieni, tanto sappiamo già che ti vanno” e le passò gli abiti di Rachel Amber: jeans strappati neri, maglietta bianca e camicia a quadretti rosso e neri.
“Volevo tenerli come ricordo e….beh anche perché con i miei vestiti saresti ridicola.” spiegò Chloe.
“Max si infilò nel pick-up e cominciò a spogliarsi. Le fece maledettamente strano vestirsi di nuovo con quei abiti, specie dopo aver scoperto che Rachel….
Era abbastanza sicura che Chloe li avesse presi per ricordo e basta.
Quest’ultima la raggiunse poco dopo, quando ormai era quasi vestita. Gettò la canotta bianca con su il serpente (Uroboros, per essere precisi), i jeans e il berretto. La felpa era già adagiata sul cofano da ore e adesso era in compagnia di un bel mucchio di stracci umidi.
Chloe si infilò un paio di pantaloni grigi, prese le bretelle di suo padre e le riagganciò, s’infilò una vecchissima t-shirt bianca con un gatto pirata che Max riconobbe come un suo vecchio regalo ( e la conferma la ebbe quando notò che non le andava più bene) e fece a meno del berretto, lasciando i suoi capelli blu ancora umidi, liberi e scomposti. Eppure stava ugualmente bene mentre lei si rifiutava di vedere che aspetto avesse.
“Ok, grande piano: avanziamo fino alla prossima stazione di servizio e ci fermiamo per colazione. Si lo so che abbiamo fretta, che c’è del cibo per sicurezza nelle borse, ma nulla di caldo o adatto a una colazione. E ho bisogno di caffeina.”
“Anche io.”mormorò Max.
“Ottimo…. Dunque siamo a….”
“Poco dopo Woodland, se ho letto bene. Siamo già nello stato di Washington.”
“Ottimo. Siamo a metà strada. Cellulare?”
“Spento. Come il tuo.”rispose prontamente.

Avevano deciso di spegnere i loro telefoni. Non volevano essere rintracciate finché non sarebbero arrivate a Seattle. Forse, con questa azione, avrebbe fatto preoccupare i suoi, ma voleva vederla come una sorpresa presentarsi senza preavviso a casa. Anche David si sarebbe potuto preoccupare per Chloe, appena le linee fossero state ripristinate.
Il motivo reale è che non se la sentivano di affrontare le conseguenze. Chiamate, messaggi e tutto quello che poteva ricollegarle al mondo avrebbe avuto un solo significato: scoprire chi era morto.
Mentre abbandonavano la loro terra natia, avevano perso il conto delle ambulanze, dei camion dei pompieri, delle volanti della polizia che avevano visto viaggiare nel loro opposto senso di marcia. Sicuramente venivano da Portland e Hillsbro, ma forse anche da centri più piccoli. Il lavoro da fare era tanto.
Ripartirono e videro che, a due miglia, ci sarebbero stata una area di sosta con bar. Appena arrivate, corsero all’interno e presero due tazze di caffè a testa, tre donut, due hot dog e due bicchieri di succo d’arancia. Pagò tutto Max, dato che aveva salvato il suo portafogli nella sua tracolla, assieme alla macchina fotografica del padre di Chloe e altre poche cose. Pagò anche la benzina. Chloe aveva recuperato il suo portafogli e i suoi risparmi in camera ma non era una grande cifra e le sarebbero serviti tutti, una volta arrivate.
Si sedettero e trangugiarono tutto in fretta. Poi, a pancia piena, scaricarono lo stress. Piansero in silenzio per un minuto, si strinsero le mani più forte che poterono e cercarono di ricomporsi.
“Non è colpa tua Max. Mia madre…. Mia madre sono certa che si sarà messa in salvo. Anche se non ha creduto al mio post-it, sono certa che si sarà messa in salvo. Ma se cosi non fosse, non è colpa tua. Non hai scelto tu…”
“Si che ho scelto.”

“NO!Era un fottuto ricatto, ok? Non so cosa avrei fatto io al tuo posto…perdere te o centinaia di persone di cui, esclusa la mia famiglia, non me ne fotteva un cazzo di niente. Fanculo,io scelgo te.”
“Io sceglierò sempre te, Chloe. Ma….tutto questo l’ho causato io. Lo sappiamo entrambe che è cosi…”
“No,cazzo. Smettila. Non hai mai chiesto tu. Io ti ho spronata ad usare quei poteri. Sono più colpevole di te, se la mettiamo così. Sei stata straordinaria, ok? Ti devo tutto, la vita specialmente. Se ora sono qui, non è certo colpa tua, semmai merito. Ora sta a me dimostrare che merito quello che mi hai donato, sia la vita che l’amore. Ti giuro che farò ogni cosa, Max.”
“Non occorre. Il senso di colpa non andrà mai via, Chloe. Mi sentirò sempre sporca.”
“Allora lascia che mi sporchi anche io.”

Si allungò e la baciò.
“Max….”continuò Chloe, terminato il bacio “Ti giuro che mia madre sarebbe d’accordo con questa scelta. Mi spiace solo non averle detto quanto le volevo bene e che non la odiavo…”la voce le se ruppe e ricominciò a piangere. Appena si calmò un poco, riprese “…ma spero che, in fondo al cuore, lei lo sapesse già. Devo sperarlo per non impazzire. Ma sono certa, più di ogni altra cosa, che avrebbe scelto questo per noi. Almeno ora andrà da papà…”
Max andò a sedersi accanto a Chloe e l’abbracciò più forte che poté.

Notò una coppia di camionisti che le guardavano, chissà da quanto. Uno sembrava divertito. Forse, pensò, ai loro occhi dovevano sembrare due pazze.
“Ora rilassati. Prendo un altro po’ di caffè, ok?”
Chloe annuì.
Fece in fretta e si risistemò accanto alla sua amica, o forse era meglio dire che ora era la sua ragazza, e le allungò il suo caffè. Lei, invece, optò per un macchiato.
Appena iniziarono a bere, si spalancò la porta ed entrò trafilato un altro camionista. Il volto era paonazzo e sembrava sconvolto
“Cazzo gente! Arcadia Bay non esiste più!”
“Coooosa?”strillò il vecchio alla cassa “Che cazzo dici tu?”
“Ve lo giurò!” insistette il camionista appena arrivato “Arrivo da quelle zone e c’è un disastro. Non so quante ambulanze e auto della polizia ho incrociato. Giurerei di aver sentito anche degli elicotteri. Ma la città…cazzo la città… dall’altopiano della 101 si può vedere… è impressionante! Da brividi.”
Il vecchio cassiere armeggiò con la tv sopra di lui, che era spenta. Max non aveva badato granché a come fosse quella stazione, figurarsi se aveva visto un televisore!
“Si ho sentito anche io, alla radio.”disse uno dei due camionisti divertiti “Non sanno spiegare cosa sia successo. Però la città è distrutta. Girano voci di una specie di tempesta tropicale. Ah! Nel Pacifico! Siamo alla follia.”
Chloe si sentì a disagio e Max lo percepì. Si fissarono, si compresero e si alzarono. Presero un po’ di barrette al cioccolato per il viaggio, e pagarono. Mentre erano alla cassa, il televisore riportava una edizione straordinaria di un telegiornale locale. Max badò solo alle parole scritte in rosso “Arcadia cancellata!” e udì farneticare qualcosa come “Tremenda sciagura naturale”.
Naturale un cazzo.
Sovrannaturale.
Che cazzo di settimana. Ed era venerdì!
Mentre uscivano, l’altro della coppia di camionisti divertiti urlò  loro dietro “Hey lesbiche! Voi non sarete mica delle fuggiasche di Arcadia eh?”
Max cercò di ignorare, ma Chloe non resse. Era al limite
“Hey figlio di puttana!”strillò “Metti nel culo tutto il tuo stramaledetto rimorchio, omofobico bifolco di merda.”
I camionisti, tutti e due, s’incazzarono di brutto e costrinsero le ragazze alla fuga. Saltarono sul pick-up e lo misero in moto appena in tempo, fuggendo via.
Appena passò la tensione, le ragazze scoppiarono a ridere di gusto. Poi, Chloe accostò di nuovo sul ciglio, in mezzo agli alberi, spense il motore, si lanciò su Max, la baciò con foga e le disse “Non vedo l’ora di essere a Seattle.”.
Poi ripartì, tenendole la mano.
Fecero molte, troppe soste. Cosicché, anziché quattro ore, ce ne misero quasi sette.
Quando arrivarono alla periferia di Seattle era quasi sera.
Chloe si fermò, scese e ammirò la grande città sullo sfondo. Max le si mise accanto, cingendola in vita.
“Beh…ci siamo… addio Arcadia, benvenuta nuova vita.”disse quasi commossa.
“Benvenuta a Seattle, Chloe Price.”rispose Max con dolcezza.


 
 


5.
 
Il sole era già sorto e la calura stava già facendosi sentire, nonostante l’aria fosse acnora un po’ frizzantina.
Amava quel momento. Quiete, nulla.
Chloe tirò una boccata dalla sua sigaretta, oramai quasi terminata, e rimase a fissare l’orizzonte dal giardino sul retro di casa Caulfield.
Non che si vedesse granché, ma vedere i colori del mattino nel cielo le bastava. Il giardino sul retro della casa di Max era, per dimensioni, simile a quello di casa sua, ad Arcadia Bay.
Un bel rettangolo verde, con un albero rigoglioso di cui non aveva mai chiesto la specie, un piccolo barbecue a rotelle, un tavolino e delle seggiole da giardino bianche. L’ultima aggiunta era il posacenere sul tavolino, esclusivamente per lei, dato che era l’unica fumatrice della casa.
Per rispetto, non fumava mai in casa e, quando poteva, lo faceva in giardino.
Era presto, era domenica ed era di riposo. Si sentiva maledettamente carica e soddisfatta della prospettiva di avere una intera giornata senza lavorare. Una a settimana, ma era comunque una gran cosa.
Finì la sua sigaretta, andò al posacenere e schiacciò il mozzicone all’interno. Ne contò altre sette già decedute, per un totale di otto sigarette fumate  in… due settimane? Non ricordava quando svuotava il posacenere, di solito, ma sapeva che lo faceva lei e basta. Era un modo per imporsi di smettere di fumare con calma. Poco dopo essere arrivata come una profuga dai Caulfield e vedendo con quanto amore la trattavano, aveva deciso di regolare qualsiasi cosa potesse pensare che li infastidisse. Non essendo fumatori, pensò che era il caso di ridurre la sua esperienza come tabagista ma, almeno all’inizio, non fu facile.
Lentamente iniziò a migliorarsi. Sapeva che i Caulfield non si sarebbero irritati se fosse rimasta al solito livello di nicotina consumata, ma voleva comunque imporsi di farlo per loro. A dire il vero, sembrava che niente, assolutamente NIENTE, potesse infastidirli. La trattavano davvero come una figlia loro e non sentiva tanto amore dentro una casa da quando suo padre era uscito per andare a prendere sua madre, salvo poi non tornare più per colpa di un figlio di puttana camionista.
Li odiava quei cazzo di sudici stronzi su quei loro fottuti camion.
Comunque sia, otto. Se sommate alle dodici al lavoro, sempre nell’arco delle ultime due settimane, era a venti. Cazzo, si! Era scesa di altre due sigarette.
“Sei figa, Chloe Price.”
Rientrò, facendo meno rumore possibile dato che era l’unica sveglia. Non aveva senso stare ancora in giardino, ormai il sole stava stravolgendo la sua serie di colorazione preferita.
Andò nel bagno di sopra, si lavò di denti e, presa dal momento, decise che non avrebbe fatto colazione a casa.
Tornò in camera e ammirò Max, seminuda, avvolta nelle lenzuola. Dormiva così beatamente che sarebbe rimasta a fissarla volentieri.
In fondo allo stomaco, sentì ancora quella ansia di non essere alla sua altezza, di perderla.
C’era qualcosa che doveva affrontare per godersi Max al meglio ma non capiva, o non voleva ancora capire, cosa fosse quello che aveva lasciato in sospeso.
Qualunque cosa fosse, però, col cazzo che avrebbe rinunciato alla ragazza della sua vita. Letteralmente, dato che era cresciuta con lei e tutti i ricordi migliori della sua infanzia erano con Max.
Ora capì perché le fece tanto male la sua assenza, durante quei fatidici cinque anni.
“Sei una meravigliosa testa di cazzo, Maxine.”mormorò, prima di baciarla sulla guancia.
Si cambiò, prese gli stessi vestiti di quando erano uscite venerdì sera, le scatole delle pizze, le lattine, i milkshake vuoti e la ciotola finita di pop-corn e scese al piano di sotto.  Getto i cartoni, le lattine e i bicchieri dei milkshake, sciacquò la ciotola e la mise a scolare. Poi andò all’ingresso, si mise le scarpe, prese le chiavi della sua auto, il portafogli e guidò in direzione Northgate Mall, spingendo al massimo la musica. Il brano di buongiorno era Ready To Start  de gli Arcade Fire.
 
Businessmen drink my blood
Like the kids in art school said they would
And I guess I'll just begin again
You say can we still be friends
If I was scared, I would
And if I was bored, you know I would
And if I was yours, but I'm not
All the kids have always known
That the emperor wears new cloche

 
Canticchiò volentieri . Si sentiva di buonumore quella mattina e il programma che si era stilata le sembrava sposarsi appieno con il suo umore: un bel giro al  centro commerciale, colazione, cercare qualcosa di carino per l’estate, magari un costume fico da sfoggiare in California e poi sarebbe tornata per pranzo.
Appena arrivata, parcheggiò il fedele pick-up e s’incamminò verso l’ingresso. Non amava molto la scritta in ferro  ad arco ‘Welcome to Northgate’… troppo rievocativa di un certo posto in Polonia.
Per il resto, non le dispiaceva il Mall.
Era FOTTUTAMENTE gigantesco, specie per una come lei abituata alla realtà della costa dell’Oregon. C’erano negozi di ogni tipo, locali dove mangiare le cose più disparate e, soprattutto, un sacco di articoli geek che avrebbero fatto impazzire Max.
Si diresse al primo bar che adocchiò: ora era davvero affamata.
Consumò una colazione carica: due muffin, un caffè americano, un succo d’arancia. Pulì tutto e dette il via alla sua esplorazione.
Si era convinta che il costume da bagno era fondamentale e sarebbe partita da li.
 
 
Max si svegliò alle dieci passate. Scostò il lenzuolo e si ricoprì subito. Si era dimenticata della sua condizione. Cercò almeno la maglietta del pigiama da qualche parte, tra le lenzuola. Chloe non c’era, forse era già di sotto a fare colazione.
La trovò, per terra davanti al televisore. Si vestì e scese, ignorando la sua immagine allo specchio. Temeva di scoprire come era messa quella mattina.
Appena arrivata di sotto, vide solo suo padre. Era ancora in pigiama, sorseggiava un caffè e leggeva un fumetto.
“Giorno Pà. Chloe e mamma?”
Suo padre ridacchiò
“Ah mamma non credo che si sveglierà prima di mezzogiorno. E quando lo farà, sarà comunque uno spasso. Chloe non c’è. Sarà andata in gita da qualche parte.”
“Si, è possibile.”commentò Max, che aveva notato anche che Chloe aveva risistemato tutto “Mamma ha bevuto parecchio, eh?”
“In realtà no. Ma non era più abituata a farlo. Poverina. Speriamo si riprenda per cena: ha detto che aveva un piano per noi.”
“Uuuh allora me lo auguro anche io! Uova e Bacon?”
“Mh stavo per farmeli io, ma se insisti..”
“Si certo… come no…” lo punzecchiò Max, iniziando a preparare la colazione.
 
 
“Questo è stramaledettamente fico!” commentò Chloe.
Aveva trovato un costume da bagno a due pezzi, nero, con un disegno di ragnatele nel pezzo sopra e delle specie di pipistrelli nel pezzo sotto. Era cosi tristemente emo e da quindicenne complessata che lo adorò subito.
Ora però ne voleva uno carino. Normale se possibile
Dopo una ricerca di qualche minuto, scelse uno. Sempre due pezzi, a righe zigzagate gialle e nere.
“E per eventuali gite in piscina e la California, siamo a posto.”pensò, mentre pagava ventisette dollari e cinquanta e prendeva la borsa con dentro i suoi due costumi da bagno nuovi.
Scarpe. I suoi storici stivaletti iniziavano a soffrire parecchio e non credeva che sarebbero durati ancora molto. In questo caso non ebbe molta fortuna e l’unico paio che sembrava calzarle, era decisamente troppo da cinquantenne zitella.
Non si disperò granché: era estate, di sicuro non voleva passarla con gli stivaletti. Ripiegò su un paio a buon mercato, leggere ed estive, adatte per lavorare. Voleva un paio fichissimo da skater ma immaginava che per lavorare non fossero il massimo. Pensa se, dopo otto ore di corse al lavoro, fosse tornata a casa e le avesse tolte.
Edizione speciale: punkettona dell’Oregon uccide fidanzata e famiglia di lei togliendosi le scarpe.
No, meglio di no.
Capitolo maglie. Ne voleva qualcuna nuova. Solo che il Northgate Mall non sembrava vendere roba di suo gradimento. Una settimana fa aveva visto, in un negozio da qualche cazzo di parte a sud della città, una bellissima maglietta degli Slipknot ma si era trattenuta dall’acquistarla.
Ora se ne pentiva.
Benvenuti nella lunga lista di decisioni errate di Chloe Price!
Trovò comunque un paio di shorts carini, una maglietta di qualche videogioco (Max lo avrebbe sicuramente riconosciuto, a lei piaceva solo il disegno) e una camicia bianca.
Che altro restava? Dio non era abituata ad avere così tanto spiccioli da parte che  ogni spesa le sembrava una colpa atroce ma un piacere al tempo stesso.
Decise di prendere un pensierino per Max e qualcosa per i coniugi Caulfield. Poi,senza pensarci troppo,  aggiunse alla lista degli acquisti anche un bell’ornamento per la sua fedelissima auto.
Ovviamente, avrebbe improvvisato ogni acquisto.
 
 
Vanessa Caulfield aveva una pessima cera, ma questo non suscitò pietà al resto della famiglia, che ridacchiava nel vederla fare colazione con una fatica immensa e gli occhi pesti.
“Non usciremo mai più a cena assieme, Ryan.” mugugnò
“Ok amore.”rispose lui, ridendo.
Max si godeva la scena, mentre puliva la padella e i piatti. Aveva da poco servito la colazione, quando sua madre era risorta e si era presentata in vestaglia in cucina. Ora erano circa quindici minuti che cercava di addentare la sua seconda striscia di bacon e non aveva ancora bevuto nulla, ne latte, ne acqua.
Erano circa le undici e mezzo, quando la porta si spalancò e rientrò Chloe
“Buongiorno famigliola adorabile. Ben svegliati…beh forse Vanessa no…”
“Non ti ci mettere pure tu, Chloe…”
“Aspirina. Ti serve dell’aspirina. Fidati.”
“Ma che hai comprato?” chiese Ryan vedendo i sacchetti di Chloe “Eri al Northgate?”
“Yep, mister. Ho fatto un po’ di acquisti utili per il mio guardaroba.”
“E quel berretto?”chiese Max
Notò il berretto da skater, indossato al contrario, fatto a retina eccetto la visiera. Era completamente nero e non sembrava esserci disegnato nulla.
“Beh mi sentivo nuda senza qualcosa in testa!” si giustificò “Vi ho preso un pensierino”
Entrò in cucina, appoggiò due borse sul tavolo
“Dunque, ho preso l’occorrente per farci dei maccheroni al formaggio, anche se…” fissò Vanessa “Forse oggi a pranzo non è il caso…”
“No tesoro, cucina pure. Massimo me li tengo da parte. Comunque non dovevi: oggi io e Ryan andiamo a fare la spesa.”
“Davvero?”chiese Ryan “Pensavo andassi tu da sola!”
Vanessa replicò con uno sguardo gelido
“Certo amore. Andiamo assieme.”
Chloe si sbellicò dalle risate ma poi estrasse altra roba dal secondo sacchetto
“Dunque : Vanessa per te ho preso questo carinissimo bracciale. Non emozionarti, sembra prezioso ma lo pagato poco! Mentre a te, Ryan, un inutile ma simpatico paio di occhiali da sole nuovi. Scusa ma quelli che hai sono un po’ datati.”
I genitori di Max ammirarono i regali e ne furono entusiasti
“Chloe tu sei pazza! Non dovevi!”mormorò Vanessa
“Davvero Chloe, non ce ne era bisogno. Ma grazie davvero. E come sarebbe a dire che i miei occhiali da sole sono datati?”
Chloe non rispose, prese  Max per mano e, dichiarando che rapiva la loro figlia, si congedò dai Caulfield.
Trascinò Max in camera e, con fare solenne, la fece sedere sul letto e le consegnò il suo regalo
“Non dovevi Chloe.”
“Piantala di rompere le palle e aprilo!”
Si rivelò essere un anello, sembrava d’argento, ma si augurò vivamente di no. Chissà quanto lo aveva pagato, altrimenti! Era molto semplice ed elegante allo stesso tempo.
“Chloe è…”
“Mettilo. Ma prima guarda bene dentro.”suggerì lei, sedendosi accanto  a lei.
Max controllò l’interno dell’anello e notò una piccola ‘c’ in corsivo incisa.
“Almeno ci sarò sempre.”disse Chloe “Volevo qualcosa che lo suggellasse.”
Lo indossò e abbracciò Chloe
“Toccherà a me farti un anello, ora.”
“Woooo piano piano tu. Faccio un regalo e vuoi sposarmi?”
“Cretina. E comunque quella che me lo ha chiesto sei stata tu, dopo il pasticcio con Frank alla discarica!”
Chloe scoppiò in una fragorosa risata
“Oddio quanto eri fica e buffa allo stesso tempo. Tremavi come un foglia e poi…click! Hai premuto il grilletto! Ancora non ci credo…. Si, è vero mi sono dichiarata io. Ma è presto, rimandiamo di qualche anno.”
Max fece per alzarsi ma Chloe la trattenne
“Piano… il regalo vero arriva ora… però aprilo con delicatezza, mi raccomando.”
Prese una busta raffinata, piccola, chiusa con un nastro bianco in pizzo.
“Ma che cazzo…”
“Non preoccuparti.”la tranquillizzò, mentre si alzava e usciva dalla stanza “Vado a vedere come sta tua madre!”
Max aprì il pacco con una non indifferente emozione. Sbirciò dentro la busta, osservò bene, infilò una mano e..
“Chloe, fai sul serio? Oh cereali, mi hai regalato un perizoma?”
Sentiva ridere Chloe mentre scendeva le scale.
 
Accettando l’anello, ma nascondendo l’altro regalo, Max fece per scendere, ma prima decise di togliersi il pigiama. Mentre si cambiava, udì un ronzio. Non ci fece caso ma , mentre stava per uscire dalla stanza, lo udì di nuovo. Lo ignorò ancora.
Si lavò i denti e poi si decise a scendere le scale per andare di sotto ma, appena percettibile, udì ancora quel ronzio intermittente.
Rientrò e provò a risalire alla fonte del rumore.
Scovò, sotto il pigiama di Chloe, il suo cellulare. I ronzii erano delle chiamate senza risposta, da un numero non salvato in rubrica.
Per precauzione, lo portò con se e prese anche il suo telefono, ma nessuno l’aveva cercata. Quindi, chi la cercava Chloe cercava solo ed espressamente lei. Forse dal lavoro?
Scese al piano di sotto, per avvertirla ma, appena arrivata, la trovò in piedi, accanto a suo padre e sua madre, davanti al televisore accesso. Essendo tutti e tre vicini e in piedi, le era impossibile capire che stessero guardando.
“Chloe? Chloe? C’e qualcuno che..”
“Max…. cazzo… vieni subito qui.”
Il tono era serio e angosciato.
Si avvicinò alla tv mettendosi accanto a sua madre. E fu li che vide e comprese tutto.
Veniva mostrato in loop un video girato velocemente e malamente. Si vedeva un gruppo di poliziotti scortare un uomo, sulla trentina, con barba e capelli incolti, sul castano chiaro
Aveva dei tatuaggi sul collo,ma Max lo aveva riconosciuto senza nemmeno guardare quei tatuaggi.
Il titolo a caratteri cubitali della CNN recitava:
 
 
                     RITROVATO FRANK BOWERS, LO SPACCIATORE DI ARCADIA BAY

 
Restarono muti, anche fino a pranzo. Dopodiché, una volta riordinato tutto, Chloe ruppe il silenzio.
“Pensavo fosse morto.” mormorò “Lui con quel cazzo di camper dovevano essere volati almeno fino in Texas. E’ vivo ed è rimasto nascosto per tutto questo tempo. Quel coglione può cambiare le sorti di tutto.”
Era calato il silenzio in casa, e Chloe sembrava più turbata che mai. Aveva detto, e Max le credeva, che era felice di sapere che quel coglione si fosse salvato.
Avevano avvisato anche lui, di salvarsi, ma non aveva mai risposto. Considerando i precedenti, erano certe che non avesse creduto a loro. Dopotutto, lui era vicino alla baia, con il suo camper.
Max non lo ricordava, ma Chloe si. Ricordava quella notte assurda, quando…
 
 
….quando era tornata indietro grazie alla foto di Warren, Chloe aveva  ascoltato tutta la storia e le relative realtà alternative create e cancellate dai salti della sua amica, credendole e abbandonando le sue intenzioni assassine verso Nathan Prescott che, da quello che le disse Max, era già bello che andato. Inoltre, il messaggio in segreteria di Max,  confermava la storia. Prima che lei collassasse (Max collassò tre volte, ma non lo ricordava, eccetto per il primo brusco risveglio in spiaggia) si raccomandò a Chloe di tornare a casa e avvisare David e, in un ultimo spasmo di energie, mormorò di avvisare tutti. Arrivata in auto, era svenuta. Ricordò ancora la fatica per portarla di peso sulle scale e nel suo letto. Poi pensò di avvisare sua madre ma, dovendo andare al lavoro il mattino dopo ed era di turno già alle cinque di mattino per l’apertura, si limitò a lasciare un messaggio su un post-it davanti alla porta d’ingresso in cui intimava a sua madre di NON andare al lavoro. Non era sicuro.
Tornò in camera e rimase a vegliare su Max che, si risvegliò dopo più di una ora, ma sembrava estraniata dal mondo. Chloe sapeva che era in una sorta di limbo tra due linee temporali, ma riuscì farle scrivere un messaggio a tutti quelli della Blackwell, prima che la mente di Max svanisse di nuovo. Fu un momento orribile.
Vide per due volte la sua amica e la ragazza della quale aveva capito, durante quei folli giorni,di essere da sempre innamorata, bloccarsi, gli occhi divenire vitrei, pupille spalancate e persa in chissà dove. In quel momento aveva giurato a se stessa che mai e poi mai, se fosse andata a finire bene, avrebbe permesso a Max di incasinarsi ancora con il tempo. Le faceva male vederla così e si sentiva responsabile. Ancora non aveva realizzato che la sua vita doveva finire per impedire la tempesta in arrivo che, nonostante fosse notte, vedeva già comparire all’orizzonte: nuvole nere avevano oscurato la luna piena e un forte vento si era alzato intorno a mezzanotte.
Inconsapevole di cosa sarebbe accaduto, aveva lasciato tutto così com’era, persino le prove della loro indagine. Lì, in bella vista.
Aveva scritto a David, come su indicazione di Max, che le sue indagini erano corrette e che avrebbe trovato la risposta nel fienile dei Prescott ma di andare laggiù ARMATO e di avvertire la polizia immediatamente. Inoltre, avrebbero dovuto guardare anche all’American Rust Junkyard se volevano trovare Rachel Amber, ovviamente deceduta.
Verso l’una, Max era ancora scollegata dal mondo (Chloe l’aveva messa sdraiata a letto, spento il suo cellulare, chiuso i suoi occhi e ogni tanto le asciugava la bava che le colava dalla labbra, dato che era in condizioni sempre più orrende) e aveva la sensazione che ella si trovasse in una linea temporale orribile e stesse soffrendo. Avrebbe voluto svegliare sua madre per chiederle aiuto, ma cosa avrebbe detto? Come andava giustificato tutto?
Si chiese come avesse reagito Max nel vederla paraplegica. Cazzo era tornata indietro di cinque fottuti anni per salvare suo padre e poi si era ritrovata in un universo in cui tutti i suoi sforzi portavano ai Price sul lastrico e lei in procinto di morire. Sapeva che Max, come lei, provava oramai qualcosa di più, per questo non voleva immaginare quanto dolore le avesse causato vederla su una sedia a rotelle con un cazzo di tubo per respirare. Non riusciva nemmeno lei stessa a immaginarsi una vita cosi, figurarsi per la ragazza che sta facendo a pezzi il tempo per lei, per salvare continuamente la vita.
“Ma io me lo merito?”si chiese, accarezzando i capelli di Max, immobile come una statua, con il respiro corto e irregolare. “Mi merito tutto questo da parte tua, Max? O lo fai solo per un senso di colpa per non esserci stata per me in questi cinque anni? Cazzo,  che situazione di merda essere mia amica, eh?”
Verso le due ricevette una telefonata. Era David. Sembrava isterico e contento al tempo stesso. Avevano beccato Jefferson , mentre per la ricerca del corpo di Rachel dovevano aspettare. Sosteneva, giustamente, che non poteva giustificare come sapesse già che fosse li. Certo, aveva visto le foto nel raccoglitore ma doveva lasciare agli inquirenti la possibilità di verificare che fosse cosi. Lui aveva comunque suggerito che, conoscendo il posto dato che la sua figliastra ci andava spesso e, anche se non era vero, vi si recava spesso a vedere che non facesse cazzate, aveva riconosciuto la zona e supponeva fosse lì che era sepolta.
In altre parole, stava cercando di coprirle il più possibile, ma prima o dopo avrebbero comunque capito che le ragazze erano già a conoscenza di tutto e potevano volerle interpellare. Dovevano risultare il meno coinvolte possibile nella faccenda e cercare di far leva sulla condotta poco chiara di Jefferson alla Accademia ma in quel caso, sarebbe servito tutto l’impegno di Max nel recitare.
Chiese di poterle parlare ma Chloe mentì dicendo che stava dormendo. Era sconvolta ed esausta da tutto ed era crollata dal sonno. David abboccò e disse che era comprensibile e di lasciarla riposare. Inoltre, aggiunse, il tempo sembrava peggiorare e che un grosso temporale stesse per arrivare, ostacolando di fatto ogni eventuale ricerca e recupero del cadavere di Rachel. Raccomandò a loro di restare a casa e che avrebbe provato a fornire una storia solida: una volta che avevano avuto troppi sospetti, erano andate a cercarlo alla Blackwell durante la festa ma, siccome non vi erano entrate, disse che potevano affermare che Max non volesse entrarci per via di Nathan, che le sembrava sempre più instabile, e Jefferson, verso la quale aveva sempre avuto dubbi e ora era certa che fosse coinvolto. Cosi Chloe si era lasciata convincere, mandato un messaggio a lui, portato Max a casa Price e li erano rimaste.
Prima di concludere la conversazione, David disse a Chloe che era fiero di lei e che da domani sperava davvero di ricominciare daccapo il loro rapporto, meritandosi il posto in famiglia. Lei lo aveva ringraziato sinceramente per tutto e chiuse la conversazione. Fu in quel momento che la parola ‘patrigno’ non le sembrò più veleno in bocca e che forse sua madre meritava di essere felice con questo bizzarro ex soldato.
Ma ancora non sapeva come si sarebbero evolute le cose, perciò non poté giurare che tutto sarebbe stato un cazzo di happy ending. La tempesta stava arrivando.
Rimase vigile fino alle quattro poi, complice una serie di lampi accecanti, capì che era meglio andare al riparo altrove. Forse in garage? Cazzo perché non potevano avere un fottuto scantinato?
“FARO!” gridò Max.
Pensò si fosse svegliata, invece era ancora in trance. Il fatto che avesse urlato ‘Faro’ ora che la tempesta andava intensificandosi, non poteva essere casuale. Ricordò che lei gli disse che, in ogni visione del tornado, era sul promontorio. Doveva esserci un collegamento. Forse Max stava ricongiungendosi con questa linea temporale.
Prese di nuovo l’amica in spalla, la mise in auto e si mosse verso la spiaggia. Prima di uscire, aveva notato che il post-it non c’era più. Sua madre doveva aver ricevuto il suo messaggio.
Per le strade, i segni dell’apocalisse erano visibili: acqua scrosciante e lampi terrificanti, venti sempre più forti e rami che iniziavano a vorticare in aria. Le venne in mente di verificare che quel coglione di Frank si fosse messo in salvo. Non era cattivo e l’aveva sempre trattata bene, nonostante tutto. Inoltre, amava Rachel alla follia.
E poi Pompidou era innocente.
Una volta presa la via della spiaggia, non poté controllare che fine avesse fatto Frank perché il tornado era lì. Ed era spaventoso.
Doveva essere più o meno l’alba , o forse il sole era già sorto da un pezzo… non riusciva a capirlo. Era tutto buio, freddo e fottutamente terrificante.
Trascinò Max fuori, voleva che si riprendesse. Per qualche strana ragione illogica, era convinta che se l’amica si fosse svegliata, il tornado sarebbe svanito.
Max si svegliò, ma il tornado non se ne andò. Dovevano andare via dalla spiaggia, verso il faro, l’unico posto sicuro vicino e dove le visioni della catastrofe di Max volevano che andassero.
Ritornò in auto e Max svanì di nuovo. Quando furono arrivate,  parcheggiò il pick-up in uno spiazzo che sembrava quasi al sicuro e al riparo dai venti, poi dovette portarla di peso fino alla cima, contro i venti e la pioggia, impiegando chissà quanto tempo per farcela. Non era proprio in forma, non aveva dormito e si trovava contro un cazzo di uragano. Pesava poco più di cinquanta chili e doveva sfidare quei cazzo di venti da fine del mondo. Fanculo.
Max rivenne poco dopo e poi, quando capirono entrambe, fu li che Max prese la decisione più difficile per entrambe…
 
 
….le loro vite erano cambiate definitivamente.
Nella realtà prima del salto tramite la foto di Warren, Max era nel dinner e aveva visto Frank. Avendolo avvisato, quando era tornata indietro fino alla festa, evidentemente aveva creduto loro, per qualche strana ragione, e si era messo in moto, versò Portland.
La tempesta lo aveva sorpreso ma non impedito che potesse fuggire dalla città.
Il telegiornale aveva detto che era stato trovato presso il Mount Hood National Forest, nascosto chissà da quanto in mezzo a quei boschi, finché una coppia di turisti canadesi non vi si imbatté per caso, credendo che l’uomo avesse bisogno di aiuto visto che risultava fortemente denutrito. Sospettavano che non avesse soggiornato li per tutti gli otto mesi in cui era stato dato per disperso e che avesse dato fondo a tutte le sue scorte di droghe, rivendendole dove poteva, per racimolare denaro e campare il più possibile. Forse, il nascondiglio in mezzo ai boschi alle pendici del Monte Hood era stata l’azione estrema e disperata per continuare a vivere. Cosa sperava di trovare, nessuno lo aveva ancora capito. Dopotutto, erano mere congetture.
Verso le tre del pomeriggio, i Caulfield madre e padre uscirono per andare prendere tutto l’occorrente per la cena.
Max, rimasta sola con Chloe, era ancora con lei in salotto, di fronte alla tv spenta.
“Senti: Fernando ha chiesto se vogliamo andare a fare una passeggiata con loro. Ci aspettano verso le quattro presso il Fremont Troll. Credo che vogliano ubriacarsi. Ti va?”chiese, osservando attentamente la sua reazione. Chloe sembrava affranta, con lo sguardo perso.
“No. Va pure tu, io voglio stare tranquilla per oggi.”
“Allora resto anche io.”
“Max…non devi farmi da balia…se tu hai voglia di uscire, vai..”
“Mica ti faccio da balia, stupida. Sta storia riguarda te quanto me. Voglio solo sapere cosa passa a te per la testa.”
Chloe si alzò in piedi e iniziò a girare in tondo in centro al salotto e iniziò a esporre le sue teorie
“Ok. Dunque, hanno Frank. Sanno che lui è il principale sospettato, se non l’unico, per quanto riguarda la fornitura di droghe agli studenti della Blackwell e, soprattutto, a Nathan Prescott.
Ora: è certo che le droghe usate sulle vittime della dark room, almeno quelle nel periodo in cui Jefferson le pescava da Arcadia Bay con la complicità di Nathan, sono sicuramente state fornite da Frank che, ignaro quanto fosse dello scopo, finirà in guai grossi dato che la sua droga ha ucciso Rach…” si bloccò e fissò Max “Tu già lo sapevi, vero?”
“Che con il suo arresto arriveranno a quel punto? Beh, si è naturale che vada in quella direzione.”
“No: sai già che lui soffrirà appena saprà che Rachel è morta per causa della sua droga. Si sentirà in colpa e complice.”
Max ricordò la prima linea temprale, quella in cui era andata fino al Two Wales Diner per prendere la foto di Warren e tornare indietro fino alla festa e cambiare tutto. Li c’era Frank e, mossa da compassione, confessò la sorte di Rachel. Sapeva che l’amava, ma quando comprese che era morta per una overdose di droga venduta da lui a Nathan Prescott, era distrutto.
Fissò Chloe e annuì.
“Perciò potrebbe confessare tutto.”disse Chloe “Potrebbe tirarci in mezzo!”
“Più di cosi? Non credo. Sanno tutti oramai che cercavamo Rachel Amber. Non è una novità. Sapranno che siamo state da lui e…”
“Chiesto la sua lista di clienti.”concluse Chloe “Non sapendo che però, il diario lo abbiamo noi. E non lo troveranno nel camper”
“Questo non ci colloca nel suo camper in questi mesi e nemmeno prima.”sottolineò Max “Potremmo sempre dire che gli era caduto una mattina al Diner e noi, capendo quando fosse importante,  andammo da lui per farci consegnare la lista di clienti e decifrare le varie operazioni. Ma cosi metteremmo nei guai Stella: anche lei aveva preso qualcosa da Frank. La sua reputazione deve restare intatta, Chloe. Inoltre a livello di indagini, la posizione di Jefferson ne uscirebbe ulteriormente migliorata se si scoprisse che Nathan era il solo collegamento e che abbia drogato di su spontanea volontà Kate a quella festa, senza suggerimenti da quello stronzo del mio ex insegnante. Dobbiamo evitarlo.”
Chloe si bloccò, colpita da quel dettaglio che non ricordava. Annuì ma aggiunse
“Inoltre non c’è nulla che colleghi direttamente  e contemporaneamente Frank, Jefferson e  Nathan. Anzi, si rinsalderebbe la linea difensiva che vuole Nathan come principale colpevole e Jefferson insegnante fin troppo caritatevole.”
“Quindi? Che si fa?”
Chloe fissò la porta che dava sul garage. Li, conservato addosso al muro, vi stava il murales della loro infanzia e, su uno scaffale, i borsoni che avevano usato per il viaggio da Arcadia Bay a Seattle. E dentro uno di quei borsoni, in una busta di plastica sigillata, vi si trovavano ancora le prove che avevano raccolto.
“Dobbiamo distruggere le prove.”sentenziò
“Cosa? Chloe, no!”
“Riflettici: se avessero avuto quel diario, ora collegherebbero a doppio filo Nathan ai crimini della Blackwell e Jefferson ne uscirebbe relativamente bene. Gli altri raccoglitori, con le altre ragazze, diventerebbero secondari, si parlerebbe di modelle giovani e disinibite, che lo fecero per arrotondare un po’ e nessuno indagherebbe più seriamente su di loro, lasciandolo sostanzialmente impunito con soltanto la carriera macchiata, ma potrebbe comunque ricominciare chissà dove a fare quello che ha fatto per anni. Il fatto che abbiamo noi tutte le prove che servono alla difesa di Jefferson per rendersi ancora più forte, è puro stramaledetto culo, Max. Dobbiamo farle sparire. Diamogli fuoco o altro. Chissenefrega, basta che non siano più reperibili.”
“Ma tanto non sospetteranno mai che sia qui. Abbiamo dichiarato che la lista dei clienti l’abbiamo si ricevuta da Frank, ma l’abbiamo persa nella fuga da Arcadia Bay.  Dovremmo tenerle nel caso vi sia qualcosa che ci sfugge e ci possa tornare utile per farlo condannare. Magari, anziché rafforzare la difesa, potrebbe rafforzare l’accusa!”
“E come? Sii realista, Max! Sei più sveglia di me a giocare alla detective, ma qui non abbiamo nulla che possa aiutare noi  e spedire Jefferson in gattabuia per secoli.”
Max cercò di pensare a cosa poteva esserci, mentre Chloe, vedendo che non ribatteva, borbottava che sarebbe andata a prendere tutto e distruggere tutto, anche se lei non approvava. Poi, prima che la sua ragazza potesse effettivamente farlo, ebbe una illuminazione:
“Il cellulare!” esclamò speranzosa
“Il cellulare?”chiese Chloe
“Ma si, rifletti: il cellulare usa e getta che abbiamo preso da Nathan è la chiave! La sera della festa, nella linea temporale principale, prima che la cambiassi, tu ed  io siamo finite in trappola alla discarica.”
“Dove Jefferson mi ha sparato e drogato te. Si, ricordo che me lo dicesti. E allora?”
“E allora, noi come siamo finite in trappola li? Con un messaggio che ti è arrivato da parte di Nathan  mentre abbandonavamo la festa. Non avevamo trovato Nathan, perciò ci siamo convinte che fosse nascosto altrove ma quel messaggio diceva che avrebbe fatto sparire le prove e ci siamo dirette alla discarica. Grande stronzata! Dovevamo mantenere il sangue freddo e riflettere, cosa che sono riuscita a fare solo ora, inutilmente.”
“Consolati, io ancora non ti seguo.”commentò amaramente Chloe
“Aspetta, ora ti spiego: quel messaggio era scritto troppo correttamente. Avevo già ricevuto messaggi intimidatori da Nathan, ed erano palesemente scritti da un ragazzo giovane e che era comunque arrabbiato o teso, ora sappiamo che era anche disturbato. Bene, quello non lo era. Era lineare, freddo e preciso. Niente deliri, niente capslock furiosi, nulla.”
“Ma questo non dimostra nulla.”
“Dimostra tutto perché era scritto in maniera completamente diversa dai soliti messaggi.”
“Si ok, anche se cosi fosse non abbiamo nulla per confermarlo, dato che l’ho ricevuto in una realtà che ora abbiamo sovrascritto.”
“Vero, ma rimane comunque una cosa che non può essere cancellata: il cellulare stesso. Quello di Nathan con cui ti ha scritto. Aveva senso sputtanarsi cosi?Dichiarare che era alla discarica?”
“Beh si, se Jefferson voleva incastrarlo.”
“Precisamente…”
Chloe si illuminò
“Cazzo Max! Se noi avevamo il cellulare di riserva di Nathan in cui ci sono le prove di quello che combinava, mentre Jefferson è stato costretto a scrivere a me dal telefono principale di Nathan, quando ha sempre usato quello di riserva per i messaggi intimidatori e per comprare la droga da Frank, vuol dire che…”
“Abbiamo un collegamento tra Nathan Prescott e Mark Jefferson.”concluse Max, con un sorriso.
Chloe le prese il viso tra le mani e la baciò
“Maxine Caulfield ti amo. Sei una stramaledetta eroina!”
“Ti amo anche io ma è Max, mai Maxine. Anche per te, chiaro?”
Ma Chloe non badava più a lei. Era su di giri e girava ancora in tondo, riflettendo ad alta voce
“Cazzo, quindi dentro quel telefono ci saranno sicuramente messaggi compromettenti tra i due, o forse no, ma chissene frega! Basta che Nathan avesse in memoria il numero di Jefferson. Caaazzzzzoooo abbiamo trovato il….oh apsetta. Ma manca il cellulare di Nathan. Se lo ha distrutto o nascosto con il corpo, siamo fottute. Inoltre, Jefferson potrebbe aver usato anche lui un numero diverso, no?”
In effetti, dubitavano che Mark Jefferson si portasse dietro il telefono di Nathan e, soprattutto, che avesse dato il suo numero principale per discutere con lui di eventuali ‘questioni’…Però c’era un biglietto nella dark room che suggeriva che poteva non essere cosi. Forse aveva fatto un errore.
“Il biglietto che trovammo attaccato al pc nella Dark room lo associammo al padre di Nathan, ma forse era di Jefferson… era infastidito per delle chiamate….Jefferson ha ricevuto una chiamata il giorno che Kate si è suicidata e non sembrava entusiasta della cosa..”
“Ma queste sono supposizioni, non prove, Sherlock.”
“Ma il cellulare usa e getta potrebbe raccontarci qualcosa di più. Per ora inguaia molto di più la posizione di Nathan e conferma che Frank ha venduto tutte le droghe che sono state usate nei crimini… ma se ci fosse il numero di Jefferson, potremmo incastrarlo.”
Chloe alzò le braccia
“Ok, mi arrendo. Teniamo tutto, non bruciamo niente. Ma Max…. non esiste.”
“Che cosa?”
“Che ci mettiamo alla ricerca del numero di telefono di Jefferson. Noi ci chiamiamo fuori, chiaro?”
“Si scusa mi sono…lasciata trascinare… vedremo come si evolve la faccenda e nel caso potremmo suggerire qualcosa ai nostri avvocati…”
“E finire per farci perquisire e magari essere chiamate alla sbarra, quando cerchiamo di essere coinvolte più del necessario? No, grazie.”
“Solo in caso estremo, ok?”
Chloe non approvava ma mormorò un ‘ok’ poco convinto.
Fu allora che a Max venne in mente delle chiamate.. Si precipitò sul mobile della cucina, dove lo aveva mollato e lo consegnò a Chloe.
“Chi cazzo è questo numero? Dodici chiamate senza risposta? Ma che si fotta!” e lo lanciò sul divano, dove si infilò sotto un cuscino.
“Non credi che sia collegato all’arresto di Frank?”chiese Max “Sono iniziate stamane quelle chiamate, non può essere una coincidenza, non trovi?”
Chloe ci penò un attimo, poi fece le spallucce e disse “E’ il mio cazzo di giorno libero. Fanculo. Andiamo a farci uno spuntino da qualche parte.”
Si cambiarono, presero le chiavi dell’auto e andarono a farsi dei waffle con gelato, prima di raggiungere Fernando e il resto della compagnia al Fremont Troll.
Rincasarono verso le sette e mezzo. I genitori di Max erano già rientrati e Vanessa stava cucinando. Un odore buonissimo si sparse per tutta la casa.
“Mamma che cucini?”
“Preparo la mia variante dei French Dip, ma senza baguette e con la salsa speciale per il roast beef. Come contorno un po’ di patate alla Vanessa”
Chloe si mise in ginocchio e urlò
“Vanessa, ti supplico, sposami. Fuggiamo insieme e saremo felici finché mi nutrirai con la tua cucina!”
“Chloe sei cosi dolce che potrei dirti di si, sai?”
“Hey, io avrei qualcosa da ridire al riguardo!”disse Ryan
“Tranquillo: continuerò a cucinare anche per te, ex marito.”
“Oh, allora ok, nulla da obiettare.”
Max ridacchiò e aggiunse
“Beh basta che mi assumete come fotografa ufficiale al vostro matrimonio!”
Chloe si diresse verso di lei, la prese sotto braccio e disse “Ma no Max: tu mi farai da testimone!”
“Sbrigatevi voi due, si mangia tra un’ora!” le avvertì Vanessa “E sapete che mr. Caulfield tollera tutto tranne che aspettare troppo per mangiare.”
Andarono a lavarsi, cambiarsi, poi scesero e diedero una mano ad apparecchiare la tavola. Finalmente, si sedettero a tavola, con le pietanze invitanti di Vanessa, del vino rosso comprato apposta da Ryan, una torta di mele in forno e l’assoluta spensieratezza che era stata loro negata a pranzo.
“Che cos’è questo rumore?”chiese Ryan a metà della cena “Sembra un’ape..”
“Cazzo.”esclamò Chloe “Deve essere il mio nuovo stalker…”
Max notò le facce straniate dei suoi e spiegò le telefonate che Chloe riceveva da quella mattina, da un numero che non conoscevano.
“Faresti meglio a rispondere.”disse Ryan “Potrebbe essere davvero urgente, indipendentemente che c’entri lo spacciatore che hanno trovato oggi.”
Chloe si alzò, andò verso il divano, prese il telefono da sotto il cuscino e, mentre stava per infilarselo in tasca, prese a vibrare di nuovo. Seccata, aprì la conversazione
“Salve! Chi diavolo sei? Oh ciao!”
I Caulfield notarono il visibile cambiamento di espressione di Chloe, da infastidita a sincera sorpresa
“Non sapevo avessi cambiato numero…..beh un messaggio potevi mandar…..si certo sono a casa….si certo te li saluto….si ma che  succed….senti rallenta, non ti capisco….. ripeti e cerca di calmarti….si….cosa? STAI SCHERZANDO?”
Ora sembrava allarmata ma, pochi istanti dopo, gli occhi iniziarono a inumidirsi
“Cazzo….si certo….io sono senza parole….certo… ti aggiorno appena posso, ok? Grazie di tutto, a presto.” E chiuse la conversazione.
Rimase immobile in piedi, con lo sguardo perso. Poi si scosse e fissò tutti e tre i Caulfield.
“Mia madre é…Mamma è….uscita dal coma….mia madre è viva.”


6.
 

Il tramonto le piaceva un po’ meno, rispetto all’alba, ma i colori erano sempre uno spettacolo.
Eppure, non riusciva a percepire la stessa pace che, normalmente, sentiva quando ammirava il sole nascere o morire.
Tutta la giornata era stata assurda. Otto mesi di pace svaniti in meno di …quanto? Dodici ore? Meno?
Fanculo a tutta questa merda.
Ma Joyce….sua madre…era viva.
Eppure perché non riusciva ad essere completamente felice? Che razza di figlia era, se non si sentiva pervadere totalmente dalla gioia alla notizia che sua madre, il solo genitore rimastogli, era uscita dal coma?
Ricordò ancora quando scoprì che Joyce non era morta come credeva.
Poche ore dopo che furono arrivate a Seattle, David l’aveva contattata (con il suo vecchio numero, almeno aveva potuto rispondere prontamente) e si era premurato di sapere se stesse bene e dove fosse. Pochi giorni dopo, era arrivato con la sua macchina sportiva scassata. L’abbracciò, avvertendo un enorme sollievo e, con le lacrime agli occhi, le disse che Joyce era viva. Era in gravi condizioni e in coma, ma non era data per spacciata.
Voleva partire subito, andare da sua madre e starle accanto, ma David l’aveva persuasa.
Aveva una gamba rotta, un trauma da schiacciamento al torace, ferite di lieve entità e in coma. Non voleva che, se fosse successo l’irreparabile, l’ultima immagine che avesse avuto di sua madre fosse quella di lei ingessata, fasciata, arieggiata con dei tubi e impossibilitata a riconoscerla. Già lui soffriva nel vederla cosi e desiderava che almeno la figliastra fosse risparmiata.
A malincuore, comprese e non poté che dargli ragione. Accettò e resistette alla tentazione di prendere il suo mezzo e guidare fino all’ospedale in cui era ricoverata. Si sentì colpevole perche in questi mesi aveva ricominciato a vivere, se l’era goduta, con il pensiero che sua madre era ‘solo’ in coma.
Che cazzo di schifosa egoista di merda .
Quanto si sentiva ricoperta di fango all’idea che non riuscisse a godersela a pieno questa notizia che tanto aspettava.
Sentì aprire la porta sul retro. Passi leggeri, poi un braccio intorno alla vita e un dolce peso all’altezza del petto. Il profumo di Max era inconfondibile, un mix dolce e rose, come era prevedibile che sarebbe corsa da lei in giardino il prima possibile.
Aveva lasciato la favolosa cena di Vanessa a metà, chiedendo una piccola pausa che compresero. Sapeva che la stavano aspettano, in barba al fatto che tutto potesse raffreddarsi. Forse  è merito dei Caulfield se non aveva sofferto ne pensato troppo alle condizioni di sua madre. Joyce sarebbe stata felice nel sapere che era da loro? Beh, lo avrebbe scoperto presto, a quanto pare.
“Dovresti tornare dentro a mangiare. E anche i tuoi. Non badate a me.”mormorò
“Ma piantala.”rispose teneramente Max, senza sciogliere l’abbraccio.
Rimasero in silenzio per un paio di minuti. Poi Chloe si decise a parlare
“Mi ha ascoltato. Alla fine ha avuto fiducia in sua figlia.”
“L’ha sempre avuta, Chloe.”
“David ha detto che era andata al lavoro. Quando siamo rientrate, lei stava già dormendo e quando siamo uscite, lei si era appena diretta al Diner. Ma lì ha realizzato che forse il mio messaggio era giustificato e si allarmò. Cazzo ha preso i pochi clienti, e li aveva intimato di uscire immediatamente e mettersi in salvo. Uno di loro si è offerta di darle un passaggio, ma una folata di vento ha sbalzato la macchina quando credevano di aver messo abbastanza distanza dal tornado. Il tizio che guidava è morto, gli altri due passeggeri  vivi, ma con fratture multiple. Mia madre….beh sbalzata fuori e finita in coma subito, a quanto pareva. Aveva sempre odiato fare quel cazzo di turno alle cinque del mattino e per poco non ci resta secca. Amava, a modo suo lavorare al Diner ma odiava quando toccava a lei il turno del mattino. Ora che pure io faccio lo stesso lavoro, andare alle cinque sul posto di lavoro è una vera merda. Chissà come reagirà quando saprà che faccio la cameriera. Ricordi? Davanti a te disse proprio che non voleva che mi riducessi a fare la sua stessa vita. Che schifo l’ironia.” non le aveva mai raccontato la dinamica. Quando David gliela aveva fatto sapere, se l’era tenuta per sé. Non voleva far preoccupare Max, più di quanto non fosse necessario. Gli incubi stavano iniziando e Max sembrava sempre più afflitta da questo. Già la notizia di Joyce in coma l’aveva resa triste per giorni e a nulla era servito ripeterle che grazie a lei era ancora viva. In coma, certo, ma viva.
Una frase che ripeteva molto frequentemente a se stessa.
“Quindi è stata una eroina. Come te.”disse Max “I Price hanno salvato vite quel giorno.”
“E Max Caulfield ha salvato i Price. Se noi siamo Gesù, tu sei Dio.”
“Smettila. Ti devo tanto e lo sai.”
“E io ti devo tutto. Prima di ogni cosa la vita… almeno quattro volte, credo.”replicò
“Chloe sai che io non…”
“Mi lascerai andare da sola? Ne ero certa.”concluse per lei.
 “Esatto. Voglio vedere anche io Joyce e, soprattutto, voglio essere con te.”
“Max so benissimo che non mi lasceresti andare da sola. Io farei al stessa cosa. Se ti consola, questa volta, ho davvero bisogno che tu ci sia. E so che ti chiedo qualcosa di gigantesco, vista la destinazione. Ma ho bisogno di te.”
“A parti invertite, direi la stessa cosa.”
Le diede un bacio sulla testa
“E’ tutto un fottuto uroboro”mormorò con ancora le labbra tra i capelli castano ramati di lei.
“Il serpente che si morde la coda? La rappresentazione della ciclicità delle cose, giusto?”
“La solita secchiona. Comunque si.”
“E’ una bella metafora. Vedi? Sei più intelligente di me, ma non ci credi mai.”
“Io ti credo sempre. Comunque sia, hai capito che intendo vedo. Per quanto ci impegniamo, per quanto cerchiamo di andare avanti, tutto sembra trascinarci indietro. In quello stramaledetto posto che ci siamo lasciate alle spalle mesi fa. I tuoi incubi che peggiorano, poi l’altro giorno pure da sveglia hai visto quel cazzo di tornado. Frank che viene ritrovato e il rischio che tutto stia per concludersi nel modo peggiore, con un bagaglio di prove compromettenti che teniamo nascoste per impedire che le cose vadano nel verso sbagliato. Prove che potremmo girare a nostro favore ma per farlo dovremmo lasciarci condurre ancora laggiù. Mia madre che si risveglia da un coma che pensavo non la lasciasse mai libera. Cazzo, sembra che tutto quello che abbiamo fatto in otto mesi sia svanito in un battito di ciglia e che l’universo ci voglia rispedire a calci nel culo ad Arcadia Bay. Di nuovo. O forse ci siamo solo illuse di averla abbandonata. Forse abbiamo lasciato troppe cose in sospeso che dobbiamo concludere.”
“Hai paura? Io si.”
“Cazzo, si. Eccome se ne ho. Non riesco nemmeno ad essere felice per mia madre. Mi sento una totale merda a riguardo. Ma questa giornata è stata…”
“Assurda?”
Chloe sciolse l’abbraccio e prese per le mani Max. Distolse lo sguardo dal cielo in tramonto, per fissarlo negli occhi grigio azzurri della sua ragazza.
“Max io ho una fottuta paura. Perché anche se non so cosa ci aspetta, so che non finirà mai con una semplice visita in ospedale a mia madre. S’innescherà uno stramaledettissimo vortice che ci inguaierà e quella cazzo di settimana sembrerà non essere mai finita. Ho paura che ci possiamo perdere, che io possa perdermi e resettare tutti questi mesi in cui ho fatto di tutto per essere una donna migliore. Non voglio che laggiù tutto questo svanisca. Per questo, per quanto mi odi dirtelo, sono felice che tu venga con me. So che con te non posso perdermi. E che mi prenderai a schiaffi se lo dovessi fare. Senza te non potrò reggere.”
“Pensi che io sia migliore? Per me è la stessa cosa. Non so cosa succederà, non so cosa mi farà tornare laggiù, se non tanto male. Ma spero che serva. Spero che questo ultimo viaggio ci dia il permesso di chiudere definitivamente tutto quello che è rimasto in sospeso. Non userò mai e poi mai il mio potere, perciò le scelte che faremo, le strade che prenderemo, non potranno più essere cambiate. Perciò ho bisogno della tua determinazione, della tua meravigliosa testa di cazzo che sa rimanere ferma e caparbia in ogni situazione. Altrimenti, da sola, finirà che mi perda in modi peggiori che in altre linee temporali.”
Le diede un rapido baciò sulle labbra, alzandosi in sulle punte. Chloe adorava che fosse cosi bassa, proprio per vederla in questi atteggiamenti.
“Ci aspetta una tempesta laggiù. Non sarà come quella dalla quale siamo sopravvissute la prima volta e che abbiamo evitato, ma sarà devastante e stavolta ci travolgerà in pieno. Ma, anche se  ho paura, so che posso farcela. Possiamo farcela. Basta che stiamo unite, qualunque cosa accada. Sono felice che tu sia ancora la mia partner.”disse Max
“Criminale e temporale. Sempre.”replicò con un occhiolino e un sorriso.
Max sorrise radiosa. Non la vedeva sorridere così sinceramente da tanto tempo. Nonostante stessero per affrontare una prova pesantissima, sorrideva in quella maniera. Si sentì cosi grata, da avere meno paura. Sentì delle lacrime sulle guance. Max si sporse e gliele asciugò, poi le disse
“Ora rientriamo. Finiamo la cena, ci riempiamo di torta di mele e panna e poi parliamo con i miei. Quando ce la sentiremo, saliremo di sopra per dormire. Ma prima, ci aspetta la cosa più dura.”
“Già.”annuì Chloe “Fare i bagagli.”




 
[1] Non esiste. E’ stata creata apposta a fini narrativi (N.d.A.)
[2] Rockwell Avenue non esiste in Seattle. E’ volutamente inventata. Se si vuole immaginare in che zona si trovi la casa dei Caulfield, posso dire che è liberamente e idealmente localizzata tra la 39th e la 42nd strada nel quartiere Fremont di Seattle, poco distante dalla già citata Seattle Pacific Univeristy, che si trova a sud-ovest rispetto a Fremont. Il motivo di tale scelta è la foto di Max nella sua stanza nel dormitorio della Blackwell in ‘Life is Strange’ in cui ella si ritraeva, assieme a due amici, sul Fremont Troll (N.d.A.)

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Capitolo 2
*** Parte Seconda: Fragmentis (capp 1-6) ***


PARTE SECONDA
 
FRAGMENTIS
 
 
 
 

1.
 
 
La  US-101, come strada, era di sole sette miglia più corta rispetto alla I-5 ma ci si impiegava quasi un’ora in più per raggiungere la contea di Tillamook. Inoltre bisognava pagare dei pedaggi e si evitavano tutte le intersezioni con Portland, ma  in cambio regalava una vista eccezionale. Per quasi tutto il tragitto, una volta entrati nell’Oregon con la 101, si costeggia l’oceano Pacifico e si può godere di una vista eccezionale con un esiguo limbo di terra continuo a separare l’acqua dalla strada. La scelta di questa alternativa più lunga fu quasi ‘obbligata’ : la US-101, infatti, le avrebbe portate vicine al luogo dalla quale erano fuggite, che rappresentava il loro turbolento passato e l’incerto immediato futuro al tempo stesso. Prima di recarsi in ospedale a Tillamook, sentirono dentro di loro che dovevano farlo. Come a voler sfidare apertamente il buco nero che le attendeva  placidamente.
Erano partite tardi e il sole stava già tramontando all’orizzonte. Dalla telefonata di David avevano speso tre giorni di preparativi. Per prima cosa, avevano chiacchierato a lungo con Vanessa e Ryan, che avevano preso due giorni di ferie per aiutarle a organizzare tutto. Bagagli leggeri, poiché non avevano intenzione di rimanere via per molto. Qualche acquisto mirato per il viaggio, una controllata per sicurezza al pick-up, per non rimanere appiedate, recuperato una certa busta di plastica molto scottante e infilata tra le loro mutande per evitare qualsiasi controllo, che comunque non ci sarebbe stato. Poi era stata la volta del dialogo con Leonard e Marla che, essendo persone dal cuore d’oro, avevano compreso la situazione e non avevano voluto sentire ragioni, spronando la partenza il prima possibile. Una madre che si risveglia dal coma non ha bisogno di attendere altro tempo per riabbracciare la figlia, sostennero. Non le tolsero manco un giorno di ferie. La misero in malattia dicendo che ci avrebbero pensato loro a sistemare tutto, cosi non avrebbe intaccato i piani per la loro vacanza ad Agosto. Si perché in tutta questa situazione, quelle due settimane erano diventate oro colato e ne bramavano l’arrivo il più velocemente possibile.
Si ritagliarono del tempo anche per salutare i loro amici. Fernando si raccomandò di tornare presto e di salutare Joyce. Non la conosceva, ma avrebbe voluto farlo presto.
Erano quasi arrivate. Anche se la luce era sempre più debole, iniziarono a riconoscere la forma della costa mentre in lontananza s’intravedeva un promontorio a loro molto noto.
Si fermarono a una stazione di servizio a mangiare un boccone e tirare l’ora. Non volevano vederla alla luce del sole. Non parlarono molto.
Si rimisero in marcia con il cielo ormai scuro. In auto, a fargli compagnia, risuonava Tomb  di  Angelo de Augustine
 
Both been on the rise and fall
Buried in a tomb and lost
Like past visions of Osiris
Now

I walked into your life at the wrong time
Never quite been perceptive of real life
It was not your fault or a fault of mine
But it's hard to let you go this time

 
Parcheggiò il pick-up nello spiazzo denominato Otter Point e per la quale avevano preso la US-101. La frenata alzò una piccola nube di terra, datò che non era asfaltato quel pezzo, e non si era ancora diradata quando Chloe mise piede fuori dal suo mezzo. Sbatté la portiera ed espirò a lungo. Dava le spalle alla macchina e a quello per la quale erano venute fino a li, allungando il tragitto. Chiuse gli occhi, inspirò e ed espirò ancora un paio di volte per rilassarsi e affrontare quella vista. Quando si ritené abbastanza pronta, fece dietro-front, girò attorno al muso del pick-up e raggiunse Max che, incredibilmente, era già appoggiata alla balaustra in legno che impediva ai turisti di precipitare di sotto, nel baratro e nella foresta, che si stagliavano tutto intorno e sotto di loro, fino alla baia.
“Da brividi, vero?” mormorò Max
Chloe non rispose subito, ma rimase malamente colpita.
Arcadia Bay era ferita, straziata, ma viva.
Si apriva  qualche chilometro di distanza da loro, puntellata da alcune gru e piccoli cantieri che, anche in scarsità di luce, stagliavano i loro scuri profili su tutta la cittadina. La ricostruzione procedeva, come avevano sentito dire, e sembrava procedere bene. Anche se quasi totalmente al buio, una piccola parte a sud, ovvero verso di loro, oltre ad avere pochi cantieri, aveva anche tutta l’illuminazione disponibile e in funzione.
“Ma certo: i ricchi rottinculo hanno già il loro quartiere bello che sistemato. Pure l’illuminazione hanno. Scommetto che ci abitano solo loro qui. Che schifo.”disse Chloe a denti stretti.
Non aveva portato il suo nuovo berretto da skater. Alla domanda del perché da parte di Max, rispose che Arcadia Bay non meritava la nuova Chloe, ma solo quella vecchia e rabbiosa poiché quella parte di lei era più facile che sopravvivesse li in mezzo.
“Ho sentito dire che molti sono stati stanziati a Bay City e nei motel della zona. Forse, man mano che sistemano le case, inviteranno i cittadini che se la sentono a tornare.”
“Guarda caso, i primi sono stati i ricconi.”
“Il loro quartiere è stato quello meno danneggiato.”
“Persino nella sfortuna sono fortunati.”
“Già. Ho fatto solo un errore giocando con il tempo: la direzione del tornado.”
Chloe si voltò a guardarla meravigliata: non era da Max una frase del genere. Pensò che fosse una battuta un po’ macabra, ma vide che non c’era traccia di scherno. Era seria.
Poi comprese: i Prescott abitavano sicuramente in quella parte di città, ne aveva sentito parlare.
Anche gli Amber….. chissà se sarebbero tornati nella loro casa, sempre che si fosse salvata.
Sospettò che anche Jefferson abitasse li, ma no ne era sicura. Era un uomo single e nella zona ‘ricca’ erano quasi tutte villette familiari, molto più grandi e belle rispetto a quelle dove abitavano i Price e i Caulfield, prima che se ne andassero.
Forse Jefferson aveva un bell’appartamento gentilmente offerto da Sean Prescott nella zona residenziale più carina di Arcadia, non molto distante dai confini nord della città.
Lasciò perdere queste riflessioni e rimase a fissare Max, che le sembrò imperturbabile.
“Andiamo.”disse infine ella “Non ho voglia di perdere altro tempo ad ammirare questo cantiere, Chloe. Tanto dovremmo metterci piede nei prossimi giorni.”
Si voltò e si diresse all’auto.
Chloe era ancora sbalordita da quel cambiamento. Era la prima volta che la vedeva cosi feroce, fredda e determinata.
Gettò un ultima occhiata alla balaustra e notò una piccola targa commemorativa per le vittime di Arcadia Bay, sotto un’altra targa turistica affissa molte decadi fa.
Ne ignorò la lettura e si rimise alla guida.
 
 
I motel della zona, ovviamente, erano tutti prenotati. Tra curiosi, giornalisti, soccorritori, volontari e qualche familiare dei sopravvissuti che andava e veniva, trovarono una camera in un motel sulla costa, a quasi due ore da Arcadia Bay: il Three Seals Motel[1].  Prenotarono solo una notte e Chloe fu alquanto seccata di trovarsi così lontano. Per arrivare l’indomani mattina a Tillamook avrebbero impiegato quasi tre ore. Si sarebbero dovute alzare alle sei del mattino se volevano arrivare allo scoccare dell’inizio dell’orario delle visite e stare il più possibile con sua madre.
Il motel non era male, per essere di infimo ordine. La stanza (la loro era la numero undici) era pulita e in ordine, sembrava anche ben fornito di ogni necessità. A sinistra dell’ingresso c’era un bel bagno con una ampia vasca che permetteva pure di fare la doccia, se lo si preferiva. La stanza, invece, aveva due ampi letti, un armadio, un tavolo anonimo di bassa qualità con due sedie, una tv vecchissima e dall’aria pesante, nonostante fosse appesa poco sopra il tavolo (si ripromise di non sedersi al tavolo per nessuna ragione) e un piccolo frigorifero, ovviamente vuoto. Tra i letti vi era un solo comodino, le lampade erano piccole e appese al muro. Completava il tutto una orribile carta da parati scolorita a motivi floreali, o perlomeno così le sembrava. Chloe pensò che necessitava di essere cambiata, sostituita con una carta da parati nuova o, almeno, con qualcos’altro. Tipo pareti in legno…si, secondo lei avrebbero donato un tocco in più. La porta finestra dava su un piccolo terrazzo che s’affacciava sulla strada che costeggiava la spiaggia.
Mentre Max si assentò per farsi una doccia, Chloe andò alle macchinette a prendere qualcosa da bere e mangiare. Nonostante avessero cenato, si sentiva ancora vuota e disidratata.
La loro camera era la sola illuminata, ma sospettò che anche tutte le altre fossero occupate: anche a quella distanza vi era gente che era entrata nella realtà della devastata Bay. Chissà se aveva mai avuto una tale popolarità, quel buco di mondo, prima di essere quasi spazzata via dalle mappe.
 
Rientrò in camera. Vide che la porta del bagno era aperta e una vampata di caldo umido la investì in pieno. Max era fatta cosi: anche con la peggiore delle estati, non poteva non farsi una doccia a temperatura lavica. Ed eccola lì, infatti, la piccola ragazza di fuoco. Avvolta nel suo asciugamano, con i capelli ancora umidi, seduta sul letto a fissare la televisione accesa.
“Dove sei stata?”chiese, senza staccare gli occhi dalla televisione.
Le sue guance paonazze a causa della temperatura elevata dell’acqua. Aveva la pelle talmente bianca e delicata che si arrossava con un niente! In quel momento, l’adorò un sacco più del solito. Avvolta in quell’asciugamano, umida e arrossata sulle gote, le sembrò talmente indifesa e innocente che voleva solo stringerla a sé e che tutto si fermasse, che quella merda che stava per travolgerle svanisse, le lasciasse in pace, sole e felici in quella oasi.
“Ho preso qualcosa da mangiare. Ne vuoi?”
Finalmente si voltò a guardarla.
Aveva occhi lucidi e stanchi, che la rendevano ancora più dolce.
Non se ne accorgeva oppure lo faceva apposta? O semplicemente era sempre stata cosi ma ora la vedeva sotto una luce diversa, visto quello che era nato tra loro mesi prima?
Fanculo il motivo: era innamorata.
“Oh si grazie. Se vuoi darti una rinfrescata anche tu posso aspettarti, anche se ammetto di essere k.o.”mormorò, mentre prendeva una lattina di gassosa e una barretta ai cereali.
Chloe appoggiò il resto delle cibarie sul comodino in comune (col cazzo che andava al tavolo, con la testa sotto quel meteorite catodico!) e promise a Max di fare in fretta e tornare prima che si appisolasse.
Notò che la sua compagna aveva già sistemato un asciugamano pulito per lei in bagno e messo da parte bagnoschiuma e shampoo del motel per prepararle già sul bordo della vasca quelli che si erano portate da casa. Sorrise di quelle premure.
Si lavò più in fretta che poté, si asciugò e avvolse il suo corpo nudo e umido nell’asciugamano asciutto. Non aveva preso il ricambio: dopo mesi in cui viveva con delle persone adulte che non erano suoi familiari, poteva finalmente gironzolare svestita per un po’.
Inoltre voleva rilassarsi e quell’asciugamano era dannatamente morbido, quasi la coccolava. O forse, era talmente tesa da quando aveva capito che sarebbe tornata in Oregon che le risultò così.
Uscì e vide che Max, per fortuna, era sveglia e ancora imbambolata. Prese una lattina, delle patatine e si infilò alle spalle di Max, accoccolandosi anche lei sul letto.
“Che c’è di cosi interessante da catturare totalmente la tua attenzione? Sono qui praticamente nuda e tu non mi hai degnata nemmeno di uno sguardo. Potrei offendermi, sai?”
“Nah, non lo farai. Ti piace troppo tentare di sedurmi quando ti respingo.”
Chloe bloccò la mano a mezz’aria, lasciando la patatina al gusto paprika sospesa tra il letto e la sua bocca spalancata più per lo stupore ora che per addentarla.
“Cosa hai detto tu?”
Max si voltò a fissarla divertita
“Ho detto che più ti resisto, più ti piace, più ci provi. Ammettilo, ti tengo in pugno, Price.”
“Ti piacerebbe, Caulfield.”
“Dici? Quindi prima non mi stavi mangiando con gli occhi, quando sei rientrata?”
Come cazzo aveva fatto a….stava guardando la televisione e….
“Non è come credi!” borbottò
“Guarda che viso rosso. Anche tu hai la pelle delicata? Ti presto la mia crema se vuoi.” la punzecchiò Max, aggiungendo un sorriso sornione.
“Che piccola stronza.” disse Chloe a denti stretti, ma sorridendo. Poi fece per addentare la patatina, ma Max l’anticipò gliela rubò con un morso.
“Prima ti mangi le barrette dolci e poi mi rubi il salato.”
“Volevo fare la sexy ma dio mio che schifo che ho in bocca adesso.”
Chloe scoppiò a ridere mentre Max colò il resto della sua lattina in un sorso.
“Comunque stavo guardando questa trasmissione locale.” proseguì, indicando con il capo la televisione  “Pare che Arcadia Bay verrà ricostruita interamente e in tempi brevissimi. Parlano di riaprire la città, indovina un po’, l’Undici Ottobre 2014, con una commemorazione per il primo anniversario della catastrofe. Ma già da Settembre si parla di una ripresa parziale delle attività. Insomma, per Natale, Arcadia Bay potrebbe essere tornata completamente operativa.”
“Ma deserta.”sottolineò Chloe “Chi vuoi che venga  a vivere con il terrore che possa arrivare un altro tornado? Mica siamo in Oklahoma, qui non sono abituati!”
Max indicò nuovamente il televisore “Parecchi, a quanto pare.”
In quel momento, un vecchio baffuto in giacca e  cravatta stava parlando dell’incredibile impennata del mercato immobiliare per l’area di Arcadia Bay, con abitazioni che sarebbero state rese disponibili in tempi brevissimi.
 
“La gente sa che è un affare. Inoltre, va fatta ripartire questa città il prima possibile. Forse non sarà più una cittadina di pescatori, ma ha un futuro molto radioso all’orizzonte: alcune industrie si sono interessate ad aprire stabilimenti in zone limitrofe e, per rilanciare il turismo, si parla addirittura di migliorare le arterie stradali di Arcadia Bay per potenziarne i collegamenti, una volta che tutto si sarà sistemato. Senza i Prescott a monopolizzare la città, Arcadia Bay risorgerà dalle sue ceneri più bella e forte di prima, merito soprattutto degli americani, che sanno cosa vuol dire non arrendersi e ripartire.”
 
“Wowser. Questa si che è una leccata di culo in piena regola.” commentò Max
“Stavo per dirlo io.” affermò Chloe “Quindi ora diventerà una cittadina industriale, eh? Alla faccia degli arcadiani che speravano di tornare a vivere di pesca e maledicevano i Prescott. Tolti loro sono arrivati investitori in massa e molto più pericolosi. Auguri! Possono anche toglierle ‘Bay’ dal nome, no?”
“Decisamente.”
Max si voltò, le diede un rapido bacio sulle labbra, poi si alzò e andò a prendersi dell’intimo e una maglietta per dormire. Si tolse l’asciugamano davanti a lei, e si vestì con innaturale lentezza.
“Sporca provocatrice.” disse Chloe
“Non so di cosa tu stia parlando.”rispose innocentemente, mentre s’infilò sotto le coperte del letto libero “Dovremmo dormire, no? Domattina ci si alza presto e voglio scroccare la colazione da questo posto.”
Chloe, ancora in asciugamano, finì le patatine, la bibita, si lavò i denti e si vestì. Poi spense la televisione e la luce e si accomodò nell’altro letto. Erano mesi che non dormiva da sola. Le sembrò quasi strano.
“’Notte Max.” disse, ma non ricevette risposta. Le dava le spalle, vedeva la chioma bruna sbucare tra il lenzuolo e il cuscino candido.
“Ti amo, Maxine.” sussurrò.
“Max. Mai Maxine.” replicò lei, a bassa voce.
“Non stavi dormendo allora! Brutta piccola….” esclamò a voce alta Chloe
“Anche io, Chloe. Notte.”
 
 
 
Il mattino seguente, grazie al cellulare di Max, il risveglio fu brusco.
“La sveglia del tuo telefono è orribile quasi quanto quella cazzo di rana, sai?” borbottò Chloe.
“Almeno è efficace.” rispose Max, mentre sbadigliava.
La stanza era invasa da una brillante luce mattutina. Non avevano tirato le tende e così la scialba carta da parati scolorita si era tinta di un giallo tenue e caloroso. Non era nemmeno così spiacevole come atmosfera, ma non potevano indugiare ancora per molto.
Attese sdraiata sul letto che Max finisse in bagno, coccolandosi dolcemente in quella situazione di sonno che ancora le attanagliava le palpebre e i muscoli, l’ansia di rivedere sua madre (chissà come l’avrebbe trovata… avrebbe retto alla vista di sua madre in un letto di ospedale, ferita ma comunque viva?) e la consapevolezza che quello sarebbe stato, molto probabilmente, l’ultimo vero momento di quiete per parecchio tempo.
Avrebbe retto oppure avrebbe fatto una cazzata e rovinato mesi e mesi di impegno per diventare una persona più civile e matura? Era sicura di aver fatto pace con se stessa e con la sua rabbia?
Ma quello che temeva di più era la solita storia: avrebbe rovinato tutto con Max? L’avrebbe ferita in qualche modo, involontariamente o no?
Cazzo, quello si che non se lo sarebbe mai potuta perdonare….
Fanculo Arcadia Bay!
Si alzò e prese i suoi vestiti da terra, s’infilò in bagno appena Max uscì e si lavò la faccia fino a rilassarsi e calmarsi. Si era alzata così bene, perché ora si stava facendo prendere dal panico?
Fissò il suo riflesso allo specchio con fare indagatore.
Aveva preso un paio di chili e le sue guance non erano più tanto scavate come prima. Nonostante qualche notte insonne, le sue occhiaie erano quasi svanite. Si sentì, per la prima volta dopo anni, bella.
Si sentiva forte.
“Sei Chloe fottuta Elizabeth stronza Price.” si disse allo specchio “Sei sopravvissuta ad Arcadia, sei sopravvissuta a DIFFERENZA di Arcadia e, per quanto quella fogna possa resuscitare, non ti fotterà mai. Tu fotterai lei.” mormorò per farsi coraggio.
Uscì dal bagno e vide che Max era intenta a finire di chiudere i loro bagagli. Anche quella mattina sembrava passiva, distante, confusa.  Immaginò che anche per lei, il ritorno a casa, fosse una prova durissima.
“Hey, culetto innocente.” le disse nel solito tono spaccone, ma tradì un lieve tremito di ansia “Puoi parlare con me, lo sai? Non dirmi che stai bene: ti leggo come un libro aperto e lo so che non sei in te.”
Max chiuse l’ultima cerniera. Fissò con occhi vitrei la stanza, poi posò lo sguardo su di Chloe.
“Ho….” cominciò timorosa “…..paura. Si paura, credo. Non voglio che si ripeta quello che… Lo so che è assurdo, non uso più i miei poteri ma…. Chloe se ti succedesse qualcosa io… io non esiterei a rimandare tutto indietro e salvarti. Non ho portato nemmeno la mia macchina fotografica perche non voglio avere tentazione di… Beh fare delle foto che potrei sfruttare a mio vantaggio… Ma se ti dovesse accadere qualcosa io…”
“Scateneresti un altro tornado per me? Che cosa dolce, Max.” tentò di sdrammatizzare, incrociando le braccia e lanciandole un sorrisetto
“Non sto scherzando, Chloe.” replicò decisa e stupendo la sua compagna “Se fosse necessario: SI.”
Rimasero qualche secondo a fissarsi negli occhi: Chloe non era più divertita ma colpita, Max meno assente ma più decisa. Fu proprio lei a rompere il silenzio
“Non fraintendere, non voglio assolutamente che accada ma non ho dubbi. Ci ho pensato e ripensato da quando abbiamo capito che saremmo tornate qui. Io non esiterei un solo istante a proteggerti, a costo di ripetere gli eventi di quella settimana. Possano venire due tornado e cancellare anche tutta la contea di Tillamook: io non farò più scelte, Chloe. Io ho già scelto.”
“Wow Max… che dire…. Io non… insomma…ok, ecco… penso che non esista al mondo una dimostrazione di affetto più grande di questa, giusto?”
“Pagherò io le conseguenze. Da sola stavolta.” concluse Max  “Te l’ho detto perché voglio che tu sappia che non dovrai ritenerti responsabile.”
“Beh facciamo che farò più attenzione rispetto all’ultima volta. Non è che io mi diverta a sapere che sono già morta almeno quattro volte, eh… Accetto la tua ferma decisione, ma lasciami la libertà di dire che siamo qui insieme e agiremo insieme. Non abbiamo i tuoi poteri su cui contare? No problem, abbiamo l’un l’altra. Basterà.”
Max sembrò rilassarsi e si tuffò tra le braccia di Chloe. Poteva essere un bel momento, ma il brontolio della fame dallo stomaco della giovane Caulfield era un chiaro segnale.
“Ti prego andiamo a fare colazione.”mormorò lei.
“Ai suoi ordini, Long Max Silver!”
 
 
La colazione del motel non era così ricca come i loro stomaci sperarono, ma non ne furono sorprese. Mangiarono quanto più poterono e ripartirono, con la cartina alla mano e un biglietto scritto a mano appeso in un angolo della mappa. Vi era scritto, nella calligrafia tipica di Chloe, l’indirizzo dell’ospedale dove erano dirette, ovvero l’Adventist    Healt di Tillamook, sulla 3rd Street. Ci sarebbero volute quasi un tre ore, ma misero la musica a tutto volume e chiacchierarono di cose frivole e spensierate rispetto a poco prima.
Chloe si sentiva leggera: ora era felice di rivedere sua madre, indipendentemente da come l’avrebbe trovata. Era viva, chi cazzo se ne frega del resto! Joyce Price aveva la pellaccia stramaledettamente dura e ne era fiera. Sapere anche cosa angustiava Max l’aveva resa più fiduciosa sul futuro. Le stava dando l’ennesima prova dei suoi sentimenti e si sentiva cosi fortunata. Voleva fermarsi e gridare ai passanti ‘Hey stronzi lo sapete che la mia ragazza vi ucciderebbe tutti per me? Sucate!’.
Le prese la mano e si sentì restituire la presa. Arrivò una nuova canzone che adorava e alzò il volume. Era In The Aeroplane Over The Sea  dei Neutral Milk Hotel.  La conosceva a memoria e iniziò a cantarla a squarciagola
 
What a beautiful face
I have found in this place
That is circling all 'round the sun
What a beautiful dream
That could flash on the screen
In a blink of an eye and be gone from me
Soft and sweet
Let me hold it close and keep it here with me

 
Chloe sentì Max ridacchiare e si voltò a guardarla, trovandola con gli occhi fissi su di lei, la cartina abbandonata in grembo e con un sorriso cosi caldo e sinceramente spensierato che le scaldò il cuore.
“Sei stonatissima.” le disse
“Beh canta con me allora! Così lo sembrerò di meno!” suggerì
“Ma non conosco le parole!”
“Improvvisale! Andiamo Max, scatena l’artista che è in te senza fotocamera per una volta.”
 
Si ritrovarono in due, una stonata e l’altra che non sapeva il testo, a urlare a squarciagola, mentre il sole sorgeva e rendeva tutto più vivo
 
Let us lay in the sun
And count every beautiful thing we can see
Love to be
In the arms of all I'm keeping here with me

 
“Dio mio, facciamo schifo come cantanti!” disse Max a fine della canzone.
Era divertita e Chloe lo sentiva.
“No, il contrario. Io e te spacchiamo. Perché non facciamo un bel karaoke con Fernando e gli altri quando torniamo?”
“Per farci prendere in giro fino alla morte?”
“Esattamente!”
“Allora ci sto! Fracassiamo le orecchie a tutta Seattle.”
“E poi fondiamo un gruppo country in onore dei nostri padri e andiamo dilettare i bifolchi.”
“Certo così a ogni fine concerto dovremmo scappare dai forconi.”
Chloe la guardò meravigliata
“Max Caulfield che mi sostiene quando maltratto i bifolchi anziché dire di smetterla? Questa si che è una evoluzione.”
“La vera evoluzione sarà farmi fare stage diving al prossimo concerto dei Firewalk”
Per poco non inchiodò
“TU VERRESTI CON ME A UN CONCERTO PUNKROCK? STAI SCHERZANDO?” urlò
“Perché no? Tu mi dici sempre che devo fare esperienze.”
“Dio mio sono così fiera di te che potrei mettermi a piangere.”
 
 
 
Il sole era già alto quando entrarono nel parcheggio dell’Adventist Healt. C’era un nutrito numero di autovetture ma furono abbastanza fortunate nel trovare posto relativamente vicino all’ingresso.
“Ma non hai scritto a David?” chiese Max
“Nossignora. Lo avverto ora, dicendogli che siamo arrivate e lo aspettiamo all’ingresso. Non volevo che si illudesse che saremmo arrivate in orario.”
“Chloe ma noi siamo in orario!”
“Si ma lui non lo sa! Sorpresa!”
Max scosse la testa, divertita e un po’ rassegnata. Smontarono dal mezzo, presero le valigie e le misero al posto di guida, per non lasciarle in bella vista. Poi , rimasero appoggiate al veicolo, incuriosite da una piccola folla vicino all’ingresso, sulla destra, a pochi metri da loro. A Max sembrò di scorgere delle telecamere. Non si sentì più tanto tranquilla.
“Hey Chloe?”
“Mh?”
“David ha risposto?”
“Nope”
“Forse dovremmo iniziare a entrare. Ci aspetta li, giusto?”
“Ho capito che intendi: non ti fidi di quel mucchio di gente, vero? Nemmeno io. Andiamo.”
S’incamminarono cercando di non farsi notare ma, a metà strada, qualcuno parve notarle perché si levarono distinte grida
 
“….eccole!”
“…..sono loro! SONO LORO!”
“…CAZZO TOM ACCENDI LA VIDEOCAMERA.”
 
“Oh-Oh.”mormorò Chloe “Acceleriamo!”
Max ubbidì e aumentarono il passo, quasi correndo. La piccola folla di giornalisti le fu addosso a pochi metri dall’ingresso
 
“Signorina Price, Signorina Price!”
“Da questa parte!Ragazze, guardate da questa parte!”
“Signorina Price è qui per sua madre? Si fermerà anche per il processo a Jefferson? Che rapporti aveva con Rachel Amber? Dicono che eravate molto unite, vuole confermare?”

“Signorina Caulfield ci spiega come ha saputo del tornado? Come ha capito che doveva mettersi in salvo? Come si sente a non aver salvato i suoi compagni di classe?”
“Chloe, Max, una piccola dichiarazione sui fatti di Ottobre per favore!”
 
Le ragazze abbassarono la testa, ma qualcuno strattonò Max e la costrinse a voltarsi, ritrovandosi con occhi elettronici puntati addosso, qualche rumore di scatto di chissà quante macchine fotografiche e migliaia di parole vomitate addosso in contemporanea. Amava la fotografia, ma essere inquadrata da quei neri obiettivi delle videocamere la inquietava. Sentì il respiro farsi corto, il battito accelerare.
Voleva urlare.
Al suo fianco era ricomparsa Chloe, ma non riusciva a capire quel che diceva. Stava gridando, facendole da scudo. Era visibilmente infuriata
“Che cazzo fate? Volete lasciarci in pace? Vogliamo solo salutare mia madre, porca puttana! Non posso rivedere mia madre senza avervi addosso?”
Ma non ottenne risultati, anzi si fecero più feroci, più avidi. Ora volevano anche lei. Bramavano il suo volto tanto quanto quello di Max. Rabbia blu e confusione e spavento in caschetto. Che bei visi da sbattere in diretta!
“CHLOE! MAX!”
Una voce alle loro spalle. Potente, decisa.
“CHE CAZZO FAI? LA STAI TRATTENENDO PER UN BRACCIO,STRONZO? LE FAI MALE, NON VEDI? STATE TRAUMATIZZANDO LE RAGAZZE, SCHIFOSI AVVOLTOI! LASCIATELA ANDARE A TROVARE SUA MADRE IN PACE!” gridò l’uomo, visibilmente furioso, mentre liberava Max dalla presa del giornalista, e le spingeva via all’ingresso.
Arrivarono anche un paio di agenti della sicurezza dell’ospedale e alcuni infermieri (li riconobbe dal camice verde acqua).
Chloe la prese per le spalle e la portò attraverso la porta a vetri, all’ombra, al sicuro.
L’aria condizionata fu una boccata di ossigeno, una sorta di brezza di montagna. La sua ansia si calmò ma la rabbia di Chloe, no.
“Questi sono pazzi! Ma che cazzo vogliono da noi? Che sappiamo tutto? Siamo solo vive, porca puttana.”
“Vive, ma troppo interessanti per la vicenda che sta scuotendo l’Oregon da quasi nove mesi.” disse la voce dell’uomo, lo stesso che le aveva salvate, alle loro spalle.
Si voltarono ma ora, senza il trambusto dei giornalisti, avevano riconosciuto quella voce.
David Madsen era a pochi metri da loro e sorrideva.
 
[1] Il motel è presente in ‘Life Is Strange 2, Episodio 1: Roads’. Anche la panoramica citata poc’anzi è la medesima che si vede sempre nel primo episodio del sequel di Life Is Strange. (N.dA.)
 
 

 
2.
 
 
“Dovevate avvertirmi che eravate in arrivo, cosi vi avrei avvisate e tutelate subito. Quelli non aspettavano altro da quando si è sparsa la voce che tua madre si è svegliata dal coma. Qualche stronzo di infermiere deve averlo spifferato in cambio di qualche dollaro. Assurdo.”
David indossava una divisa delle forze dell’ordine ma non fu quel dettaglio che balzò subito agli occhi delle due ragazze.
Era sfinito, glielo si leggeva in faccia, soprattutto dalle occhiaie. Aveva la barba sfatta (cosa non da lui) da cui i suoi tipici baffi ora non si stagliavano più solitari, ma iniziarono ad essere circondati da altrettanta peluria grigio-nera sul resto del viso. I capelli non avevano subito sorte altrettanto migliore: il taglio tipico con cui Max lo aveva sempre conosciuto, stava svanendo, lasciando spazio a una ricrescita e radi capelli bianchi ai lati.
Si avvicinò a loro, possente come sempre e allungò la mano
“Chloe. E’ bello rivederti.”
Chloe sorrise e ricambiò la stretta con enfasi. Non v’era più astio tra loro, ma una quiete e una reciproca comprensione degli errori commessi e delle scelte fatte. Entrambi amavano Joyce, in maniera simile e opposta ed entrambi avevano riconosciuto gli sforzi fatti dall’altro per accettarsi cosi com’erano. Va anche sottolineato che, dopo lo sfogo al faro dinnanzi al tornado, Chloe aveva iniziato il suo processo di guarigione proprio accettando David chiamandolo patrigno, senza sapere che lo avrebbe rivisto ben prima di quanto si aspettassero. Ma da lì in poi, tutta la rabbia che aveva era stata placata, rimodellata, compresa, accettata e presa come convivente del suo essere. Certo, non era ancora del tutto una persona priva di qualche sentimento negativo, ma da quel fatidico Undici Ottobre Duemilatredici, Chloe Price aveva iniziato l’accettazione di molte cose, partendo proprio da David Madsen come parte della sua famiglia. Max sospettò che molto aveva fatto anche il racconto della realtà che aveva cancellato in cui, mentre era nella Dark Room e sul punto di morire, David l’aveva salvata.
Finito di scambiarsi quel saluto, l’ex - soldato rivolse le sue attenzioni a Max, allungando la mano anche verso di lei, che la strinse subito. Pensò che gli si erano rovinate, mentre entrava in contatto con il suo palmo. Non che prima avesse delle mani delicate, la vita da soldato l’aveva segnato nella pelle anche fisicamente oltre che letteralmente, ma ora sembravano mani di qualcuno che aveva lavorato senza sosta tra le pietre. Forse, anche se lui non lo aveva mai confermato, aveva davvero dato una mano a scavare in cerca dei sopravvissuti di Arcadia.
“Max.” disse con un sorriso
“David.” replicò sorridendo a sua volta “Grazie per avermi salvato.”
Non aggiunse ‘dai giornalisti’ volutamente. Voleva ringraziarlo di nuovo, per una realtà che non esisteva più, in cui gli aveva permesso di vivere e riscrivere la storia di tutti loro. In fondo, a pensarci bene, il vero eroe era David Madsen.
“Immagino che non vediate l’ora di andarla a trovare.” disse a entrambe, con un rinnovato entusiasmo “Badate bene: fa molta fatica e si stanca in fretta. Si deve riabituare a molte cose, ma già che riesca a parlare è un successo. Un vero miracolo, a sentire i medici. Anche se l’orario di visite è abbastanza generoso, vi chiedo cortesemente di non indugiare troppo. Potete venire tutte le mattine che lo desiderate: le fareste solo un gran bene al cuore.” spiegò David.
Poi, rivolgendosi a Chloe “Non fa altro che chiedere di te da quando ha potuto parlare. Quando le ho detto che eri viva, incolume e con Max  a Seattle, ho temuto le venisse un infarto. Era così felice! Ma seguitemi, vi porto subito da lei. Prendiamo gli ascensori, ci metteremo meno.”
Salirono sul primo disponibile che trovarono. Era ampio, con le pareti laterali circondate da specchi, pavimento in acciaio e soffitto decorato, con lampade al neon bianche e fredde. La pulsantiera sembrava un po’ datata ma ben curata e pulita. David premette il bottone che indicava il terzo piano e partirono immediatamente. Poi riprese
“Mi spiace molto per prima. Sono stato stupido a non avvisarvi per telefono che qui si parla ancora di voi. Certo, non con la stessa enfasi del primo mese, ma le due ragazze che hanno scoperchiato la fogna dei Prescott hanno sempre una speciale menzione ogni tanto. Ora che il processo è in dirittura di arrivo, i vostri nomi sono tornati in auge nei notiziari della sera e avrei dovuto tutelarvi meglio. Mi rincresce.”
“Nah, tutto ok David.” rispose Chloe “Ci hai salvate lo stesso e, cosa più importante, tutti vedranno la mia bellissima faccia incazzata stasera. Un sogno che si avvera!”
Max rise, ma smise subito: lei, invece,  l’avrebbero vista terrorizzata e in ansia. Che bella figura a livello....beh non lo sapeva ma sperò non nazionale.
Le porte dell’ascensore si aprirono e si ritrovarono tutti e tre in un piccolo spiazzo antistante a un corridoio che si apriva davanti a loro e anche alla loro destra. David li guidò in quello che si trovava di fronte. Vi era il cubicolo degli infermieri sulla destra, la zona dello staff, una macchinetta del caffè e varie sedie contro le pareti. Nessun tavolino dove appoggiarsi.
Era un po’ ansiogeno come ambiente, nonostante le pareti colorate di un tenue grigio e una linea blu composta dai corrimani e fosse ben illuminato. Arrivarono di fronte a una stanza, a circa metà del corridoio. David indugiò su Chloe e poi su Max.
“Mi raccomando ragazze: sta bene ma deve ancora riprendersi. Ricordatevelo, ok? Non è come nei film, ma più crudele. Immaginate che si sia appena svegliata bruscamente in un posto che non conosce. I primi tempi era molto aggressiva e agitata, da ieri va molto meglio. Ha fatto passi da gigante in meno di quattro giorni, ma rimane fisicamente e mentalmente ancora molto fragile. Deve riconnettere tutto e non ha memorie se non di lei che esce per andare al lavoro. Non ricorda neppure che c’era brutto tempo. Potrebbe anche fare fatica a ricordare certe parole.”
Detto ciò, sorrise e aprì la porta della camera.
L’interno della stanza, che era non molto grande, era poco illuminato. La finestra era chiusa con una pesante tenda blu, le luci al neon erano accese per metà e quelle sopra al letto erano potenti, ma troppo piccole. L’odore di medicinale permeava l’aria, accompagnandosi con dei ritmici ‘bip´dei macchinari presenti. Il letto era, con la tastiera, contro la parete destra, di colore blu e con un vistoso materasso antidecubito che pompava ritmicamente aria. Sopra di esso, avvolta in un lenzuolo bianco fino al petto, vi si trovava Joyce Price.
Joyce era smagrita in maniera malsana, con pesanti occhiaie e una vistosa cicatrice sopra l’occhio destro che si allungava fino a sopra la fronte. Un tubicino di plastica le si infilava nelle narici, donandole l’ossigeno. I suoi capelli biondi sembravano meno brillanti e curati, con qualche ciuffo bianco che spiccava nella chioma scomposta sparsa sul cuscino. La parte superiore del letto era rialzata, formando un angolo quasi retto. Le braccia, fuori dal lenzuolo, erano segnate da piccole cicatrici, forse per colpa delle schegge di vetro, e in quello destro vi si infilava una flebo, mentre sul sinistro si notavano i segni di una non troppo recente operazione chirurgica. Il petto di Joyce si sollevava lentamente ma con ritmo costante. I suoi occhi erano semichiusi, le labbra inespressive e poco colorate. Sembrava invecchiata di trent’anni troppo velocemente.
Alla sinistra del letto vi era una specie di comodino con degli oggetti che Max non colse poiché seminascosti dalla figura di David ma fu quasi certa che erano tutti di proprietà di quest’ultimo, mentre a destra c’erano due sedie di plastica blu, molto scomode. Dalla posizione, dedusse che erano state il letto di David nelle ultime notti. La busta per il catetere, invece, era sempre al lato destro ma verso i piedi, nascosta alla vista di chi entrava. Un raffinato tocco di privacy.
Evidentemente non dormiva poiché, nonostante fecero pianissimo, appena varcarono la soglia, aprì lentamente le palpebre.
“Hey tesoro. Joyce? Guarda chi c’è.” disse David in un sussurro, trasmettendo però una delicata gentilezza.
Chloe fece un passo avanti con energia, lasciando di poco indietro Max
“Ciao mamma…”
Era in lacrime. Max lo dedusse dal tono di voce spezzato di Chloe e, soprattutto, dal fatto che stava iniziando a piangere anche lei.
Sentirlo dire era bello, ma vedere Joyce viva, anche se malconcia, era un tuffo al cuore di notevole rilevanza.
“Chloe….” sussurrò Joyce, tentando di allargare le braccia nella sua debole situazione.
Chloe vi si tuffò immediatamente, scordando ogni precauzione. Affondò il viso nel collo di sua madre e pianse di gioia, di pentimento, di stress, di ogni giorno passato a credere che aveva abbandonato sua madre a morire.
Max pensò di sentirsi di troppo e che forse era il caso di lasciare le due da sole, a ricongiungersi. Si sentì una estranea dentro un quadretto familiare e pensò che, se fosse sgattaiolata via senza farsi notare, poteva lasciarle un po’ di privacy e tornare tra qualche minuto, esattamente come aveva fatto David, dileguatosi in silenzio in quei pochissimi attimi.
Non aveva fatto nemmeno un passo che Joyce aprì gli occhi, cercandola,  e Chloe si discostò leggermente da sua madre per permetterle di vedere.
“Max Caulfield. Ti fai sempre più bella vedo.”
“Mai quanto te, Joyce.”replicò, memore di quella mattina al Two Wales.
“Oh smettila di dire bugie! Non ho uno specchio, ma so di essere ridotta a uno straccio. Vieni qui, avanti.”
Max si unì all’abbraccio, anche se Chloe si scostò abbastanza da lasciarle tutto lo spazio che voleva. Joyce non aveva il suo solito odore, che le ricordava miele e waffle, ma il tipico odore da ospedale, di staticità e brutti momenti. Non sgradevole, ma non quello a cui era abituata.
“Grazie.” le sussurrò a un orecchio. Non volle chiedere perché, ma lo intuì. Non occorreva rispondere. Ci sarebbe stato sicuramente tempo per farlo. Ora voleva solo essere sicura che quel corpo era reale, che respirava, che si sarebbe ripreso presto.
Sciolse l’abbraccio e le afferrò la mano sinistra, sorridendole. Joyce le ricambiò il saluto. Poi, con la mano destra indicò le due sedie.
“Vi prego ragazze, sedetevi.”
Fecero il giro e s’accomodarono, avvicinandosi il più possibile al letto, per non scomodare troppo Joyce e farle sforzare il collo. La madre di Chloe sembrò sempre più raggiante e vigorosa dall’arrivo di sua figlia nella stanza.
“David mi ha accennato qualcosa. Così ora siete a Seattle eh? Ringrazierò i tuoi appena possibile, Max.”
“Non serve Joyce, dico davvero.” rispose la ragazza “E’ stato un piacere per i miei averla introno. E’ stato un po’ come quando si fermava da noi a dormire, ma con la differenza che stavolta, ogni tanto, ci preparava i pancake.”
Joyce sembrò piacevolmente sorpresa
“Chloe che cucina? Sul serio?”
“E non sono nemmeno niente male i suoi pancake. Beh ha imparato dalla migliore.” sottolineò Max
Sorrise.
Sembrò fiera di sua figlia, con la quale scambiò un lungo sguardo pieno di affetto.
“Beh immagino che i genitori di Max fossero felici di rivederti. Erano secoli che non andavi a mettergli soqquadro casa. Ricordo ancora quando andavi da loro. Eri a solo mezzo miglio ma ti sentivo distintamente dal giardino. Eppure a casa, nonostante tutto, ti contenevi. Ma i Caulfield ti hanno sempre adorata. Sono dei santi.”
Chloe sembrò lievemente imbarazzata
“Però sono sicura che saranno stati felici di vedere queste tue amiche d’infanzia riunite sotto lo stesso tetto.”continuò
“A questo proposito mamma…” disse Chloe con inaspettato tono solenne “C’è una novità di cui dovresti sapere e della quale teniamo molto.”
Prese la mano di Max che si voltò a guardarla sorpresa. Poi riprese “C’è stata una piccola ‘evoluzione’ durante gli ultimi nostri giorni di permanenza ad Arcadia, che si è mantenuta stabile anche a Seattle…. una piccolissima evoluzione nel nostro rapporto, diciamo.”
“Chloe cosa fai?”sibilò Max a denti stretti.
“Ti restituisco quello che hai fatto tu a Seattle.” disse Chloe, senza voltare la testa e anch’essa con un sibilo divertito. Max ricordò come aveva detto di lei e Chloe ai suoi e di come lei si fosse ripromessa che si sarebbe vendicata.
Ci fu un brevissimo momento di silenzio. Joyce le fissò dapprima confusa, poi vide le mani intrecciate, poi di nuovo i volti delle ragazze e spalancò gli occhi e la bocca in un ‘oh’ meravigliato, prima di sorridere ed esclamare
“William lo aveva detto! Oh si, me lo disse anni fa. Se lo sentiva. Dicevo che era fuori di testa, ma lui continuava a ripetere ‘Oh dai Joyce tutti abbiamo avuto un migliore amico d’infanzia, ma quelle due vanno un po’ oltre. Appena cresceranno lo capiranno da sole, vedrai’… oh William!”
Chloe ora sembrava perplessa, Max decisamente stupita
“Papà….come sarebbe a dire che papà era convinto che mi piacesse Max? Non sapevo nemmeno cosa volesse dire….”
Joyce le sorrise
“No che non potevi saperlo. Te l’ho detto, lui diceva che lo avreste capito da grandi. Tuo padre ci ha sempre visto lungo, ma non pensavo così tanto! Sarebbe felice per voi e si farebbe anche una sonora risata se fosse qui.”
Chloe arrossì e fissò Max in cerca di un sostegno che non poteva darle. Si erano appena sentite dire che il defunto padre di Chloe, William Price, aveva predetto la loro relazione con almeno dieci anni di anticipo. Beh, William, congratulazioni!
“Oh non sarete in imbarazzo ora! Con questa dichiarazione sfacciata Chloe, ora non puoi mica rimanere di sasso se tuo padre mi aveva avvisata. Dai datemi un altro abbraccio, insieme però.”
La accontentarono e lei, mentre le stringeva al massimo della sua forza, sussurrò “Le mie ragazze.”con un misto di orgoglio e affetto.
Si sedettero e, dileguato l’imbarazzo, Chloe disse
“Beh, papà poteva anche farsi gli affari suoi.”
Joyce sorrise, poi chiese
“Come è a Seattle? Vi trovate bene? Beh Max tu per forza, è casa tua quella oramai.”
“In realtà non la sento casa mia. Non l’ho mai sentita. Non so spiegare cosa provi per quella città. Non è male, ma è come se fossi un pesce in un bellissimo e vasto acquario, pieno di cose interessanti, eppure non mio. Per quanto la odiassi, quando tornai ad Arcadia mi sentì più a mio agio. Ma ora, dopo tutto quello che è accaduto e non per il tornado, fatico a sentirmi bene anche qui, a pochi chilometri.”
Joyce la fissò preoccupata
“Posso capire. David non me ne ha voluto parlare nel dettaglio, ma ha accennato velocemente qualcosa. Spero di capirci meglio appena sarò meno offuscata dai farmaci.”
“A me Seattle piace, ma’!” esclamò Chloe “E’ una figata! Piena di vita, di posti interessanti, circondata da acqua e con un clima favoloso, una volta che ti ci abitui. Appena uscirai di qui dovrai assolutamente venire a farci un giro. Ti faccio da guida, mamma!”
Max sorrise. Chloe era veramente raggiante e pensò che fosse giunto il momento di lasciare spazio alla famiglia Price di ricongiungersi in privato. Con la scusa di voler prendere un caffè, le lasciò sole ma entrambe capirono le sue vere intenzioni e l’assecondarono.
Appena uscita si trovò di fronte David, che le porse una cola fresca.
“Ti risparmio il viaggio.” disse “Anche tu hai voluto lasciare madre e figlia ricongiungersi, eh?”
“Grazie David.” rispose, prendendo la lattina. In effetti aveva sete “Si penso che fosse più corretto lasciare a loro questa gioia. Chloe era, anche se non lo ammetterà mai, devastata. Penso abbia accettato la condizione di Joyce solo intorno a Natale. Molte volte l’ho sorpresa a fissare il vuoto tenendo in mano la foto di famiglia. Le serviva questa notizia e, soprattutto, rivederla. E grazie a te, David, per averla avvisata ed esserti preso cura di Joyce da solo.”
David fece le spallucce
“Lo stato dell’Oregon pagherà tutte le bollette mediche di ogni sopravvissuto. Direi che il grosso me lo ha tolto il buon cuore del Governatore. Io ho solo cercato di essere il più presente possibile, dividendomi tra le ricerche dei sopravvissuti o dei corpi sotto le macerie e il mio inserimento in quello che dovrà diventare il nuovo corpo di polizia di Arcadia Bay.”
“Te lo meriti. Dico davvero.”
“Non so, Max. Tu e Chloe, senza niente, avete scoperchiato più cose di quante io potessi sperare di fare da solo e con i strumenti giusti. Senza voi non avrei mai potuto farcela. Non potevo prendermi il merito di tutto, anche se vi ho causato un sacco di guai nominandovi nell’indagine. Vi chiedo scusa.”
Max bevve un sorso di cola e poi cercò di alleggerire David. Questo discorso lo aveva già fatto, nella Dark Room, ma lui non poteva saperlo.
“Non avremmo mai e poi mai potuto farcela senza le tue indagini. Certo, abbiamo usato dei metodi ortodossi e ci siamo permesse di ficcare il naso in quello che avevi raccolto anche tu ma, praticamente, era già tutto in mano tua. Serviva solo unire i punti. Ci saresti arrivato da solo, di sicuro.”
“Ma non in tempo. Davvero Max, siamo onesti: tu e Chloe avete fatto praticamente il grosso del lavoro e avete evitato che quello stronzo svanisse impunito dopo il tornado. La città ha un grosso debito verso di voi. E anche io. Anzi ne ho anche uno verso di te: grazie per aver accolto Chloe nella tua casa. Si lo so che siete amiche da sempre ma tu e i tuoi genitori avete badato a lei quando sarebbe toccato a me farlo, anche se so che lei…. Beh ci siamo riavvicinati molto ma non credo che…”
“Ti vuole bene. E ti ha accettato. Non crucciarti oltre, David. Davvero, Chloe ora ha superato tante cose e ti vuole bene. Forse non ti chiamerà ‘papà’, magari le ci vorrà un po’. Forse non lo farà mai, ma credo che tu per lei valga davvero, adesso. Ha capito e non penso che farà un passo indietro.”
David sorrise come mai aveva visto fare.
“Grazie di queste belle parole. In cuor mio ne ero già consapevole, ma è sempre bello sapere di non sbagliarsi.  So di aver avuto anche io la mia bella fetta di colpe. Ero più abituato a ragionare come soldato che come padre. Purtroppo non ho mai avuto modo di costruirmi una famiglia e trovarmi con una figlia non mia, adolescente e arrabbiata e ferita per la perdita del padre è stato quasi come tornare sul campo di battaglia.”
“Diciamo che Chloe E’ un campo di battaglia, se ci si mette.”
Risero. Poi David riprese
“Avrei dovuto capirla. Sforzarmi di più. Invece che fare il padre o l’amico, ero più un sergente istruttore. Che coglione. Joyce avrà cercato di dirmelo molte volte che sbagliavo. Sapeva che non potevo e non sarei mai stato come William, dato che era il mio opposto, ma dovevo cercare di ascoltarla invece di impormi. Chloe sa dare molto amore, una volta che si apre. E io sbagliavo sempre perché ero ansioso di ricevere una parte di quell’amore, come con sua madre. Sono stato veramente un ‘coglionello’.”
“Credimi: era una bella sfida tra voi due. Direi che è stato un bel pareggio.”
Risero di nuovo. Max bevve di nuovo. Ora aveva una sete esagerata.
“Sai, anche io sono in debito con te. Un gigantesco debito.”
“Per cosa, Max?”
“Per tante cose. Comunque, a modo tuo, ci hai tutelati alla Blackwell. Anche se ti ho fatto litigare e quasi divorziare da Joyce, ti sei fidato di noi e hai fermato Jefferson. Hai avuto pazienza con me quando non ti capivo e ti credevo solo un arrogante capo della sicurezza. Non sono stata nemmeno io molto malleabile. Eppure mi hai ascoltato, difeso e creduto quando è servito. Non è da tutti. Non è da soldati, ma da uomini. Perciò grazie, per non avermi voltato le spalle. Per l’ospitalità di Chloe da me, non preoccuparti. Davvero, dico. A noi ha fatto solo bene averla in casa. Tu qui hai dato moltissimo a tante persone ed è giusto che sia stato cosi. Siamo fiere di te.”
David sembrò addolcirsi. Non era più lui, stavolta era certa. La tempesta l’aveva cambiato, come con Chloe, facendogli tirare fuori qualcosa che , forse, credeva di non possedere più.
Spontaneamente, Max lo abbracciò. Dapprima fu sorpreso, ma poi anche lui ricambiò con affetto e decisione. Max sentì un vero abbraccio paterno.
Si, Chloe ora aveva di nuovo due genitori.
“WOOOO, voi due! Max ti lascio da sola e ci provi con un uomo? Credevo che fossi la MIA ragazza.”
Chloe aveva aperto la porta e si era fermata a fissarli divertita
David si ricompose
“Chloe, tutto be… aspetta… La tua ragazza?”
“Oh, si l’ho detto a mamma ma tu non c’eri. Beh: sorpresa!” e alzò le braccia con finta esultanza. Max provò un pizzico di vergogna, ma David sembrò mutare dalla sorpresa al divertito. Fece le spallucce e disse
“Beh, son contento per voi ragazze.”
Inaspettatamente, Chloe lo abbracciò. La reazione di David fu diversa stavolta. Non era Max ma la sua figliastra. La stessa che per molti anni lo aveva odiato. Era visibilmente sorpreso ma finì con stringerla più forte che poté e sorridendo come un bimbo a natale.
“Grazie David. Per tutto. Per aver curato mamma, per….beh davvero tutto. Max? Mamma vorrebbe parlare con te.”
Annuì e li lasciò soli. Anche stavolta, riunione familiare parte due e di nuovo pesce fuor d’acqua!
Dietrofront e via da Joyce, chiudendo la porta.
“Sembra incredibile eh?”chiese Joyce
“Oh! Li hai visti? Non avrei mai immaginato che Chloe l’avrebbe abbracciato.”
Joyce fu visibilmente sorpresa
“Non vedo bene da qui ma…. Davvero?”
“Si”
“Oh cielo. Mia figlia è impazzita. Che le hai fatto?”
Max rise.
“Io nulla. E nemmeno i miei. Credo che da quella settimana siamo tutte e due cambiate. Chloe in meglio, credo. Io non lo so ancora.”
“Sono sicuro che sei sempre la solita adorabile Maxine….scusa, Max Caulfield.”
A Max era bastato cambiare espressione. Tutti sapevano della legge. Rimase in piedi, ma si avvicinò alla sinistra del letto. Joyce era visibilmente più stanca. Le visite stavano per terminare per oggi.
“Max devo ringraziarti. Davvero. No, non rispondere, fammi parlare. Tu e i tuoi genitori vi siete presi mia figlia in casa, l’avete vestita, accudita, sfamata. So tutto, non  negare. So che lavora come cameriera, cosa che speravo non accadesse visto che è maledettamente brillante, ma so che lo ha fatto per voi e so che i tuoi non hanno voluto un centesimo della sua paga. Non negare nemmeno questo come ha fatto Chloe: conosco troppo bene Ryan e Vanessa.”
“In realtà qualcosa prendevano. C’è stata una guerra senza quartiere tra i miei e Chloe per concedergli di lasciargli una parte dello stipendio.”
“Si, so come è fatta mia figlia e quanto sa essere testarda, ma so anche che i tuoi le hanno dato un contentino  ma praticamente mia figlia ha conservato quasi tutto. Potete anche andare a Seattle, ma le cose non cambiano. Specie tra i Price e i Caulfield. Dio quanto mi mancate come vicini.”
“Quanto mancate voi a noi.” rispose Max “Mi spiace Joyce. Per tutto. Non meriti di essere qui. Ne hai già passate cosi tante…”
“Max, sono viva: Non importa se non potrò più portare i tacchi, se non ricordo nulla di alcuni giorni e soprattutto di quel giorno, anche se questa potrebbe essere una piccola fortuna e se mi aspettano mesi di riabilitazione. Sono viva, posso rivedere mia figlia, posso ancora stare con l’uomo che mi ama e che amo, posso ancora vedervi crescere e prima o poi tornare a servire i poveri disperati di Arcadia Bay, sempre se esisterà un diner disposto ad assumermi.”
“Ad Arcadia sei una garanzia, Joyce. Faranno a gara per averti e per farti cucinare le tue colazioni.”
“Grazie Max, sei sempre cosi dolce. Ma non esserlo troppo con Chloe… falla ammattire un po’, mi raccomando.”
Max si avvicinò a Joyce ed abbassò la voce “In realtà, tra noi, quella più dolce è lei. Non dire nulla, odia passare per quella tenera, lo sai.”
Joyce rise
“Oh, eccome se lo so. Passano gli anni e voi due sembrate sempre cosi uguali… Non posso che essere così felice e fiera. Non vedo l’ora di rimettermi in piedi e portarvi fuori a cena. Voglio sapere tutto della vostra vita a Seattle e voglio ringraziare i tuoi di persona.”
“Non preoccuparti! Appena potranno, i miei si precipiteranno qui. Mi hanno raccomandato di salutarti e di avvisarti che vogliono a tutti i costi passare per rivederti in carne e ossa. E la cena si può fare ma offriamo noi. “
La signora Price-Madsen non poté replicare. Una infermiera abbastanza giovane, un po’ in carne ma dal viso gentile e lentigginoso entrò e annunciò, con voce gentile, che aveva bisogno di privacy per la paziente (Max pensò a un cambio di catetere o qualcosa di ugualmente invasivo) e che l’orario di visite era quasi terminato. Si salutarono, con la promessa che sarebbero ripassate il prima possibile e più volte possibili, poi uscì dalla stanza.
Chloe era con David. Ridevano e sembravano sereni l’un l’altro. Era davvero felice per loro due. Lo meritavano.
“Andiamo?” chiese David “Potete tornare domani alla stessa ora.”
“Non stasera?” chiese Chloe
“L’orario lo permetterebbe ma ho paura che possiamo sfinire troppo tua madre. Voglio che ricominciamo passo passo, ok? Ma è una forza, sta già facendo tantissimo.”
Mentre passavano davanti al gabbiotto degli infermieri, uno di essi fermò David, richiamando la sua attenzione
“Mi hanno detto di dirle che c’è una ragazza al piano terra che vi attende. Cioè, attende sua figlia e l’altra ragazza.”
Max e Chloe si guardarono stupite.
“Ok, grazie.”
In ascensore, chiese chi poteva essere, ma sia Max che Chloe erano all’oscuro dell’identità della ragazza che le stava cercando. Non avevano detto a nessuno che erano li e, soprattutto, non avevano amiche in comune in Oregon. O perlomeno, amiche vive in comune.
“Davvero: buio totale David.” sentenziò Chloe
“Beh stiamo per scoprirlo.” disse Max
Arrivati nell’atrio illuminato dal sole, notarono che non vi era molta gente ma, dalle sedie poste alla destra, vicino alla porta a vetri, si alzò una ragazza giovane, forse poco sopra i vent’anni, dai lunghi capelli biondi con spessi occhiali da sole neri. Indossava un prendisole rosso accesso, tacchi non molto alti, una collana che sembrò totalmente fuori dal suo look dato che appariva come una corda con appeso una specie di animale intagliato nel legno, una borsetta rosa probabilmente di marca e sfoggiava un rossetto rosso come il vestito e in contrasto con la sua pelle liscia e rosea.
“Penso sia per voi. Io vado a vedere che i giornalisti siano stati allontanati, cosi potete uscire in tranquillità.” si congedò David.
Le due andarono incontro alla ragazza bionda, incontrandosi quasi al centro dell’atrio. Loro due al sole, lei in penombra.
“Max Caulfield e Chloe Price, vero?”
“S-si. Siamo noi.”disse Max.
La ragazza sfoggiò un sorriso smagliante e perfetto.
“Vi stavo cercando. Ho bisogno del vostro aiuto. Anzi, onestamente, credo che siate le uniche a potermi realmente aiutare. Sempre che abbiate voglia, tempo e pazienza di darmi retta, anche se potrebbe risultarvi assurdo.”
“Beh siamo abituate all’assurdo. Più di quanto tu possa credere, biondina.” replicò Chloe, un po’ diffidente  “Ma aiuterebbe sapere come sai nostri nomi e, magari, dirci il tuo.”
“Beh i telegiornali vi hanno già sbattute in onda. Non è stato difficile riconoscervi e raggiungervi. Non sapevo come contattarvi, altrimenti. Per me è una vera fortuna che siate qui.”
“Ok ma non hai risposto alla mia richiesta.” insistette Chloe
Allora, la ragazza bionda fece mezzo passo in avanti, si tolse gli occhiali, allungò la mano e si presentò a loro. Max notò qualcosa di tremendamente familiare nel viso. Qualcosa che, nell’immediato, non seppe dire ma le provocò un piccolo brivido.
“Mi chiamo Kristine.” disse “Kristine Prescott.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
3.
 
Chloe fece un passo indietro, incrociò le braccia e nel suo volto si dipinse una evidente e amara contrarietà.
“Prescott?” esclamò, come se stesse sputando del veleno.
Max sentì  gli ingranaggi del suo cervello mettersi in moto. Onde e onde che si infrangevano sugli scogli della memoria. Le sembrava un viso familiare…..e quel nome…..
 
…Kristine Prescott…
 
….gli diceva qualcosa….ma cosa??
 
“Lo so. Avete le vostre ragioni per detestare la mia famiglia e vi assicuro che ne avete pieno diritto. Ma non sono qui per conto loro. Mi serve davvero che mi ascoltiate. Per quanto assurdo possa sembrarvi, ho bisogno di voi due.”
 
 
….Prescott….Kristine….Kristine Prescott…..
 
“Si certo. Immagino che vorrai dirci che la tua famiglia non era una cazzo di brutta copia dei Corleone? Che Arcadia Bay non era alla loro mercé?” incalzò Chloe.
 
Max continuava a rimuginare su quel nome. Il viso era familiare, quel nome si era incastrato in qualche angolo della mente. Non era una sconosciuta. O meglio, lo era , ma per qualche strana ragione le sembrò di aver incrociato quel nome e quel viso già una volta.
 
“So che non erano un esempio di eccellenza e non ho assolutamente nulla da dire in merito, soprattutto in difesa. Non è di questo che voglio parlare. Ho bisogno di tutt’altro da voi.” insistette Kristine Prescott.
Max notò che la sua calma e compostezza si stavano incrinando. Ma non in ira. Più disperazione. Che davvero necessitasse il loro aiuto?
Perché non riusciva a….
 
“Ma per favore! Vieni qui come una cazzo di stalker e mi dici che non hai bisogno di questo? Davvero? Perché dovrei crederti?”
Chloe era sempre più nervosa. Il tono della sua voce si stava alzando.
“Sentite, comprendo ogni motivazione ma vi chiedo pochi minuti per ascoltar…”
“Col cazzo!” imprecò Chloe “Non hai idea di cosa cazzo ci avete fatto! Dovresti prendere il tuo culo e andartene da qui, invece di fare altri danni!”
Kristine Prescott accusò il colpo, ma si ricompose in fretta. Fece un respiro profondo, come a recuperare un po’ di contegno, ma l’espressione affranta era palese sul suo volto.
Max si scoprì nel vedere la delusione sul volto di un Prescott. Forse perché non erano abituati a combattere per ciò che volevano. Ma c’era di più. Uno stupore che nel volto di Kristine non era abituata a vedere, o meglio non in quello di lei ma…
“Aspetta Chloe!”
Max si era voltata di scatto, con lo sguardo spalancato e con un piglio deciso. Chloe la fissò negli occhi, dubbiosa. Non coglieva il bisogno di Max di fermarla: eppure era una vittima anche lei.
Max si rivolse  a Kristine Prescott
“Va bene. Ti ascolteremo.”disse.
Chloe spalancò la bocca e balbetto qualcosa ma Max si rivolse a lei, con dolcezza
“Fidati di me, ok?” e le sorrise
Kristine sembrò molto sollevata e abbozzò un sorriso. Si rivolse a Max
“Grazie, Max Caulfield. Davvero, non hai idea di che sollievo sia per me. Non vi chiedo altro che ascoltarmi per ora, non di aiutarmi. Quello starà a voi.”
Max cercò di non apparire troppo morbida, così da non sembrare l’opposto di Chloe. Beh, loro erano letteralmente l’opposto l’una dell’altra (funzionavano per quello?) da tutta la vita. Ma non voleva sembrare la ‘poliziotta troppo buona’ della quale approfittarsi.
Non le sorrise e disse con piglio deciso
“Tu sei la sorella di Nathan, vero?”
Kristine non parve sorpresa, ma Chloe si. Al punto che tornò accanto a Max, la osservò stupita, poi tornò feroce a fissare la Prescott
“Mi pigli per il culo? Quando avresti voluto dircelo? Non solo sei una Prescott, ma addirittura la sorella di quello. Cazzo e vieni a chiedere a noi l’aiuto?”
Max tentò di ignorare Chloe, ma le mise una mano sul braccio per chiederle pazienza
“Ed eri in Brasile quando accade tutto, vero?” incalzò
Ora anche Kristine era visibilmente sorpresa
“Come fai a…”
“Nathan era molto amico di Victoria Chase che aveva la stanza di fronte alla mia. Lei non disdegnava certo di infastidirmi sia in dormitorio, che fuori che a lezione, con  occasionale supporto di tuo fratello, che veniva spesso a trovarla in dormitorio anche se non era concesso l’ingresso ai maschi, ma per lui era normale fare quello che voleva, giusto? Penso di aver colto qualcosa su di te durante uno dei loro incontri.” mentì prontamente.
Non poteva dirle la verità, ovvero come aveva capito chi fosse.
Kristine sembrò crederci e annuì
“Si ero in Brasile…..non amo molto la compagnia dei Prescott, ma mio fratello….beh lo avete conosciuto meglio voi di me suppongo. Almeno, per quanto riguarda la sua vita alla Blackwell negli ultimi mesi.”
“Quindi? Che vuoi?” chiese Chloe, decisa a credere in Max
“Non qui. Vorrei invitarvi a cena da me stasera. Così possiamo parlarne con calma.”
“Ma cosa cazz…”
“Accettiamo.” disse Max, interrompendo Chloe.
Kristine sorrise raggiante. Era palesemente sollevata. Forse aveva davvero buone intenzioni.
Frugò nella borsetta, estrasse una card elettronica di un hotel. Era bianca, con uno stemma dorato al centro, parzialmente nascosto dalle dita.
“Non troverete una camera libera in zona, per questo mi sono concessa di riservarvi una camera al Seaside Hotel[1]  di Bay City per questa notte. Recatevi li e per le otto in punto di stasera vi farò arrivare un’auto, così non userete il pick-up. Troppo riconoscibile e rischiereste di avere fotografi e giornalisti alle calcagna. La cena si terrà a casa mia, o meglio, a casa della mia famiglia ad Arcadia. Siamo una delle poche zone già ricostruite e con acqua corrente ed energia elettrica. Io sono momentaneamente li, finché non si risolverà questa situazione. Prendete pure.” e porse la chiave elettronica.
Max, notando che Chloe non scioglieva le braccia, ancora saldamente incrociate al petto,  afferrò la chiave, se la mise in tasca (quanto gli mancava la sua tracolla!) e sorrise a Kristine
“Grazie. Ci serviva una camera un po’ più vicina. Alle otto, quindi?”
La Prescott annuì e sorrise
“Grazie ancora. A tutte e due. Sapevo che sarei stata accolta freddamente e senza fiducia, ma spero possiate cambiare idea su di me dopo stasera.”
Tirò un altro sospiro di sollievo e le salutò, prima di andarsene.
Appena ebbe abbandonato l’edificio, Chloe si rivolse a Max, visibilmente confusa e infastidita
“Ora mi darai una spiegazione per la quale andremo a cena nella tana di quello che mi ha drogata e ha ucciso Rachel?”
Max l’affrontò con calma
“Ricordi quando ci intrufolammo nel dormitorio maschile per frugare nella camera di Nathan?”
“Va avanti.”
“Beh, ho frugato eccome. Ho spulciato anche le mail e ne ho letta una di Kristine, sua sorella. Era in Brasile ma, a differenze degli altri Prescott, mi sembrava diversa. Più umana. Ha fatto intendere di non essere molto in linea con i genitori. Forse dovremmo provare a fidarci di lei, sentire almeno cosa vuole da noi. Non trovi?”
“Mi stai chiedendo di accettare l’invito a cena in casa di quei maiali sulla base di una tua sensazione dopo aver letto delle e-mail? Sul serio?”
Max non rispose ma si limitò a fissarla negli occhi. Per qualche secondo Chloe rimase imperturbabile poi, all’improvviso, alzò le mani al cielo e sbuffò per l’esasperazione, roteando gli occhi
“Dannazione Max, logico che mi fido. Tu e le tue maledette intuizioni ci han salvato il culo l’ultima volta. E va bene, andiamo a questa cazzo di cena. Ma sia chiaro: non sarò gentile.”
Max rise
“D’accordo Chloe.”
“E visto che paga lei, gli svuotiamo il frigo-bar della camera. Non accetto un no e mi devi aiutare.”
“Affare fatto.”
David rientrò in quel momento e si diresse da loro
“Ok, sembra siano stati allontanati. E’ intervenuta anche la polizia di Tillamook per ricordare loro che si tratta sempre di un ospedale. Vi conviene sloggiare prima che ritornino in forze.”
“Sissignore!” esclamò Chloe “Anche perché ho fame. Meglio pranzare prima di affrontare una straordinaria giornata di ricordi dolcissimi!”
“Avete una camera? E’ un problema abbastanza serio trovare una sistemazione al momento.”
“Si, l’abbiamo.” rispose Max “Al Seaside di Bay City.”
David emise un fischio sorpreso
“Che colpo di fortuna. Credevo fosse pieno fino a Settembre. Me ne hanno parlato molto bene. Beh prima che andiate, Chloe?”
“Mh-Mh?”
David estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca e glielo porse
“Non c’è ne acqua ne luce ma se vi servisse un posto dove nascondervi o semplicemente volessi fare un tuffo nei ricordi, queste sono le chiavi di casa. Io posso usare il mazzo di tua madre. Ti stupirai: e’ già stata risistemata e ci sono molti mobili nuovi.”
Chloe sorrise e prese un mazzo dalla sua tasca, tenendolo tra il pollice e l’indice e sventolandolo all’altezza del suo naso
“Tranquillo: non ho mai abbandonato le mie. Passerò volentieri a casa, uno di questi giorni. Sono una sentimentale in fondo.”
David rimise via le sue e sorrise
“Bene! Allora torno un attimo di sopra e poi andrò a sentire se c’è bisogno di me. Ragazze, è stato un piacere vedervi di nuovo. Ah Max, quasi lo dimenticavo: alla Blackwell so che hanno recuperato tutto il materiale delle stanze dei dormitori e per ora lo conservano nel caso qualche sopravvissuto o le famiglie dei studenti deceduti vogliano recuperare gli effetti personali. Se pensi di poter recuperare qualcosa di utile, troverai nel pomeriggio le porte aperte e qualcuno che ti possa ricevere.”
Max sentì una stretta allo stomaco. Tornare alla Blackwell? Non ci aveva nemmeno pensato. Pensava fosse una tappa che poteva evitare. Li, dove tutto era iniziato, dove si nascondevano due criminali, di cui uno dietro la maschera di amorevole professore. Aveva il vomito. Ma non poteva nemmeno negare che era curiosa di vedere cosa di suo si era salvato.
“Grazie David. Ci penserò su.”
“Ma che pensare e pensare! Ci andiamo eccome, magari dopo pranzo! Voglio sfregiare quel rottame di scuola!”esclamò entusiasta Chloe
David incrociò le braccia
“Chloe….la stanno ristrutturando e non mi sembra il caso di..”
“Calma calma, sto solo scherzando. Forse.” e fece l’occhiolino a Max che, però, non riuscì ad essere entusiasta di quella idea.
David, invece, non lo prese proprio come uno scherzo, ma evitò di redarguire ulteriormente la ragazza
“Beh in ogni caso bentornate a casa. Se passate ora da Bay City, pranzate al Fisherman’s Hotspot[2].  Lo troverete  nella zona del porto, vicino al The Fish Peddler at Pacific Oyster. Ve lo consiglio perché è molto simile al Two Wales, cosi vi sentirete più a vostro agio.”
“Grazie mille David.”disse Max “Per l’indicazione e…beh per tutto.”
“Figurati. Ah un ultima cosa: state lontano dai guai, per favore.”


 
 
Arrivate nel parcheggio, diedero una furtiva occhiata in giro ma non videro assembramenti sospetti o telecamere. Andarono serenamente all’auto e spostarono di nuovo i borsoni nel vano posteriore
“Cazzo ora ammetto che non mi dispiace l’dea di avere una camera.” disse Chloe ”Almeno possiamo mollare le nostre cose da qualche parte. Vuoi andarci prima di andare a pranzo?”
Max annuì
“Penso sia il caso. Almeno non dobbiamo scarrozzare in giro le nostre mutande. Molliamo tutto in camera e poi sbraniamo un cheeseburger con un oceano di patatine.”
“La cucciola è affamata, eh?”
“Da morire, cazzo.”
Salirono in auto e Chloe mise in moto.
“Sai Max.” cominciò “Sei hai fame potresti mangiare anche me in camera.”
“Chloe piantala.”
“Sei sempre cosi tesa. Rilaaaassati tesorino. La Blackwell non ti mangerà mica.”
“Che c’entra la Blackwell?”chiese, fingendosi sorpresa
“Max, finiscila. Sei trasparente. Da quando David ha nominato quella merda di scuola, hai perso quel poco colore che hai. So che hai avuto un aumento dell’ansia, non provare a negarlo o a nasconderlo a me.”
Max si arrese
“Lo so. Insomma Chloe quella scuola è stata, letteralmente, un incubo per me. Oltre al bullismo e alle droghe sottobanco, ho fatto due mesi a stretto contatto con un maniaco che mi fissava e chissà che idee aveva in mente quando diceva che avevo un dono. Cazzate. Non voleva la mia fotografia, non ero brava. Ero solo la sua vittima ideale. Fanculo. In più stavo a stretto contatto con i due che hanno ammazzato Rachel. Ho visto Kate gettarsi da un tetto e, per concludere in bellezza, ti ho vista morire.”
“Ma hai rimediato.”
“Si, scatenando un potere che poi ha distrutto la città e ucciso chissà quante persone. Che si fotta la Blackwell!”
“Sottoscrivo ogni insulto.” disse Chloe, mentre abbassava la musica, capendo che era il caso di parlare seriamente con lei “Ma vorrei sottolineare una cosa: per quanto fosse una merda, credo che Jefferson fosse sincero quando sosteneva che fossi la più dotata. No, non aprire bocca per replicare, fammi finire. Jefferson è un malato, un criminale e uno stronzo ma era anche un fotografo riconosciuto a livello nazionale e forse mondiale (parole tue, io non so un cazzo) perciò penso che fosse sincero quando, almeno nella fotografia, fosse interessato alle tue foto e sosteneva che avresti vinto a mani basse il concorso. Max non lo dico in qualità di tua migliore amica e fidanzata, ma in maniera più sincera possibile: le tue foto spaccano. Hai sempre avuto talento. Non so se diventerai la numero uno mondiale, magari esporrai solo ad Astoria durante la festa del pesce lesso, ma di sicuro verrai riconosciuta un giorno, e non per questa storia di merda in cui siamo finite. Ok?”
Max annuì
“Ok. Grazie, Chloe.”
“E non avere paura della Blackwell. Ci sarò anche io, ricordi? E si, voglio lasciare un ricordino se riesco.”disse sorridendo beffarda.
“Non cambi mai eh?”
“Mai!”
 
[1] Il Seaside Hotel non esiste. Creato a fini di narrazione.
[2] Anch’esso è inventato a fini di narrazione
 
 
 
 
 
4.
 
Bay City, benché sia grande più del doppio di Arcadia Bay, è una cittadina che ha molto in comune con essa.
Si affaccia sempre sulla baia di Tillamook, ospita un porto e, nonostante le dimensioni, ha quasi gli stessi abitanti di Arcadia. O meglio, gli stessi che Arcadia aveva prima di quel fatidico Venerdì Undici Ottobre.
Entrambe basano la loro economia sulla pesca e ripongono poche speranze nel turismo. A Bay City, per l’istruzione superiore dei ragazzi, vi era soltanto il City College, quindi nessuna accademia prestigiosa o privata ma, in compenso possiede una carina attrazione turistica: l’Oregon Coast Railraiders Bay City, una piccola ferrovia che ospita una specie di treno scoperto che viaggia lungo la costa per un tratto. Una piccola differenza tra le due città era anche costituita dalla US-101 che attraversa la città di Bay, mentre Arcadia veniva sfiorata esternamente, rendendo necessario uno svincolo abbastanza scomodo per avventurarsi verso di essa. Questo facilitò di molto l’arrivo delle due ragazze nella cittadina, dato che da Tillamook presero di nuovo la 101 che le portò direttamente a destinazione. Chloe voleva fare una deviazione verso Cape Meares, per vedere il faro. Sosteneva che fosse la brutta copia di quello di Arcadia Bay, ma Max le ricordò che si era lamentata della sua pancia vuota fino a pochi minuti prima. Perciò deviazione evitata.
Il Seaside  si trovava lungo la 101 anch’esso, poco distante dal Municipio di Bay City. La cittadina era immersa nel verde, senza grandiose costruzioni che occupassero la vista. Esattamente come Arcadia.
Il loro hotel era una eccezione, dato che possedeva sei piani. Un po’ grandino per la zona, ma immaginarono che fosse perché godeva di più turismo rispetto la loro città natale. Circondato dal verde, diviso dalla costa e dal porto solo dalla strada statale 101, il Seaside  si stagliava bianco e, grazie alle ampie finestre, luminoso. Una figura stilizzata dorata, dotata di tridente, e avvolta in un cerchio, sempre dorato, doveva essere quasi certamente lo stemma dell’hotel, dato che si trovava sopra la scritta in ferro dorato , posizionata sopra a sua volta all’ingresso a vetri lucidi. Vi era un piccolo parcheggio sulla sinistra, dove posizionarono il pick-up. Da quella distanza notarono che l’hotel aveva anche una specie di giardino privato, circondato da siepi abbastanza alte e spesse, da cui arrivavano distintamente rumori di gente in piscina.
Presero i loro borsoni e si diressero verso l’ingresso.
Max aveva prontamente estratto la carta magnetica ma si accorse solo allora di un biglietto scritto a mano, attaccato con del nastro adesivo
 
Per favore, registratevi comunque presso la reception
Vi Spiegheranno tutto.
Grazie
Kristine
 
 
Chloe fece le spallucce, trovando bizzarro tutto ciò: avevano la chiave, perché non potevano andare direttamente in stanza?
Andarono, perciò, alla reception. Trovarono una donna, bionda, con i capelli raccolti a chignon, sulla trentina, che le accolse. Indossava la divisa blu con la targhetta dell’hotel e il suo nome.
Si chiamava Gloria.
Max si avvicinò timidamente al bancone, sorrise a Gloria e le porse la card magnetica, dopo aver rimosso accuratamente il foglietto di Kristine.
Gloria diete una rapida occhiata e sorrise
“Voi dovete essere le ospiti della signorina Prescott, immagino. Ci aveva avvisati del vostro arrivo. Prego, potete confermare con un documento le vostre identità? Miss Caulfield? Miss Price, corretto?” disse la donna in tono affabile e professionale, rivolgendosi a loro con un sorriso di cortesia.
Consegnarono i documenti e attesero la registrazione. Gloria digitò con molta calma sulla tastiera, tant’è che si chiesero se fosse possibile che una così giovane fosse così inesperta di computer. Probabilmente era flemma lavorativa poiché non seppero darsi una risposta.
Dopo qualche interminabile minuto, Gloria si rivolse a loro con l’ennesimo professionale sorriso e restituì loro prima i documenti e poi la chiave elettronica
“Ecco a voi ragazze. Grazie per la pazienza. La colazione viene servita tutte le mattine dalle sette alle dieci, pranzo dalle dodici alle quattordici e la cena dalle diciannove alle ventuno e trenta. Trovate la sala ristorante in fondo a destra, prima degli ascensori. Il bar dell’Hotel è all’interno dell’area ristorante, ed è aperto ininterrottamente dalle undici del mattino fino all’una di notte. Ora se avete domande..”
“Si!” esclamò Chloe “Per la piscina…”
“Non credo a voi serva, miss Price.” disse Gloria, sempre sorridendo “Lo capirete una volta giunte in camera. A proposito, avrete notato che non siete munite di numero sulla vostra carta. Semplicemente non occorre: salite solo all’ultimo piano. Tutto vi sarà chiaro.”
Chloe non parve entusiasta e commentò con un schietto “Quanta segretezza per un hotel.”
Gloria non si scompose: o la ignorò o non la sentì. Perciò riprese come se nulla fosse
“Avete posto nel nostro garage sotterraneo. La signorina Prescott ci ha avvisato della vostra delicata situazione e mi ha raccomandato di consigliarvi di posteggiarla  dove vi ho appena indicato. Noi faremo il possibile per mantenere la vostra privacy: nonostante la registrazione, voi ufficialmente non siete qui.”
Max e Chloe si fissarono: i Prescott avevano  ancora potere? Addirittura a Bay City ora?
“Vaaa bene, la sposto dopo. Tanto dobbiamo uscire subito.” disse Chloe
“La signorina Prescott mi ha detto che vi manderà un’auto a prendervi intorno alle otto di sera e di avvisarvi con una telefonata in camera.” disse Gloria
“Oh, fico. Ma noi usciamo oggi pomeriggio anche. Posso parcheggiarla dopo, nella bat - caverna?” chiese Chloe
“Certo. Ecco.”
E porse un telecomando che sarebbe servito per accedere al garage sotterraneo. Max ebbe la strana sensazione che fosse per il personale e non per la clientela.
“Fantaaaaastico. Grazie.”disse Chloe, prendendo il telecomando. Era piccolo, rettangolare, di colore blu con un solo bottone nero al centro. Decisamente non esteticamente in linea con il resto dell’Hotel.
“Se non avete altro da chiedere, vi faccio portare le borse di sopra, signorine.”
“Oh no, grazie. Facciamo noi. Davvero. Non vogliamo disturbare oltre.” disse Max “Lei è stata molto gentile. A presto.” Detto ciò, si congedarono.
Attraversarono la hall. Era ampia, fresca e luminosa. La forma circolare, con pavimento in marmo nero e ambrato, faceva da contrasto con il resto delle pareti e del soffitto completamente bianchi. Vi era un colonnato, meramente estetico, in cui la gente si incrociava e si orientava in base ai cartelli appesi ad alcune colonne. Notarono l’ingresso per la piscina a sinistra, dopo una corridoio a vetri che curvava verso il retro, il ristorante sulla destra ma, poco prima, vi era un piccolo corridoio ben mascherato, con un ascensore argentato alla fine. Vi si infilarono subito, dato che era fortunatamente disponibile. L’interno era in legno chiaro, lucido, con uno specchio alle loro spalle. La pulsantiera era nera e aveva pochi pulsanti. Tutti avevano un numero, tranne uno, quello in cima.
“Beh.. ultimo piano, no?” disse Chloe e pigiò proprio il pulsante senza numeri.
La salita fu abbastanza veloce e silenziosa. Le porte si aprirono rivelando uno spettacolo insolito.
“Caaaazzzzooooo” gridò Chloe “Ecco perché…la piscina…”
Davanti a loro vi era un muro a vetri con una porta, sempre a vetri, con un lettore. Aldilà del vetro una splendida piscina privata, chiusa da un tetto in vetro e acciaio, ampia e pulita. Vi erano solo sei sdraio, e quello che sembrava un…
“Max cazzo abbiamo pure l’idromassaggio!”
Chloe era euforica e era corsa a vedere il più possibile da vicino, quasi schiacciando il viso contro il vetro. Max sorrise: era raro vederla così spensierata.
Nel frattempo, però, aveva dato una occhiata al piano.
Metà era occupata dalla piscina mentre il resto era occupato da tre camere e basta. Una a sinistra con un lettore giallo, una al centro con lettore bianco, una a destra con lettore rosso. Il pavimento era in moquette verde smeraldo, le porte in legno dipinte di nero e il soffitto era sempre verde smeraldo, ma non in marmo. Max non decifrò di cosa fosse fatto ma di sicuro sopra vi era solo il tetto dell’hotel.
Guardando i lettori, intuì che la loro camera era quella al centro, per via del colore bianco.
Si avvicinò, estrasse dalla tasca e appoggiò la carta magnetica. Istantaneamente udì un ‘click’ e sentì la serratura sbloccarsi.
“Vieni Chloe. E’ questa la nostra.”
Appena la raggiunse, spinse la porta ed entrarono.
La camera era immensa. Avevano la porta del bagno sinistra ma, anche se era chiuso, ebbe la sensazione che fosse molto grande. Il resto della camera era almeno il doppio della sua cameretta a Seattle.
Avevano un letto matrimoniale che era abbondantemente più grande di quello che condividevano a casa Caulfield, un tavolino  con due poltrone, un mobile bar con un televisore piatto di notevoli dimensioni adagiato sopra. Completavano l’arredamento due comodini in legno d’acero, la moquette verde smeraldo, un attaccapanni vicino all’ingresso, una armadio doppio sempre in legno d’acero sulla parete a destra del letto, mentre quella direttamente in fronte all’ingresso ospitava due ampie finestre coperte da tende bianchissime.
“Beh… è….bellissima…”disse Max
“Si. Cioè non sono abituata a tutto ‘sto spazio.” disse Chloe “Però dobbiamo andare in piscina almeno cinque minuti. Ti prego Maaaax… fortunatamente ho il costume dietro.”
“Beh io no.” disse Max, che andò versò il letto e vi adagiò sopra la sua roba. Non si premurò di disfare il suo bagaglio: dopotutto Kristine aveva detto che era per stanotte.
Chloe la fissò maliziosa
“Beh non è necessario che tu lo abbia. Siamo solo noi quassù.”
“Eddai Chloe. Vediamo di mollare qui tutto e andare a pranzo.”
“La solita guastafeste eh?” la punzecchiò, mentre abbandonava la sua valigia accanto a quella di Max, che le rivolse una occhiata divertita
“Devo essere la tua guastafeste. Altrimenti oggi finisce che non pranziamo e bighelloniamo tutto il giorno. Voglio togliermi dai piedi subito la faccenda della Blackwell. Scusami, ma davvero non sono dell’umore. Non riuscirei a distrarmi a dovere finché mi ronza in testa che devo tornare là.”
Chloe le avvolse le spalle con un braccio e la tirò a sé
“Sei testarda, eh? Che ti ho detto? Ci sono qua io. Non ti succederà nulla e non permetterò che quella scuola di merda di butti giù più di quanto non sia necessario. Essere qui è già abbastanza pesante e ammetto che se non fosse stato perché ho rivisto mia madre, forse avrei un aspetto più funereo del tuo. Ma Max… siamo qui e ne usciremo. Ok?”
Max provò a sorridere il più sinceramente possibile ma seppe di aver fallito quando Chloe la strinse a se. Voleva davvero cercare di essere spensierata, ma da quando aveva rivisto il profilo di Arcadia alla luce della luna, tutto le era sembrato così reale, cosi difficile, come se quei mesi lontano, a casa sua, fossero stati spazzati via. Tutto ciò la mortificava. Anche lei era felice per Joyce, ma il pensiero di tornare alla Blackwell le pesava sullo stomaco. Poteva non andare, abbandonare le poche cose che potevano salvarsi. Ma non era per quello che voleva andare. Era una prova. Doveva affrontare quel posto, come avrebbe affrontato tutta Arcadia. Lo sapevano che sarebbe andata a finire così, se lo sentivano.
La tempesta era cominciata.
“Senti Max facciamo cosi: ora ci andiamo a rimpinzare. Ci facciamo due frullati come dessert e poi ti guarderò negli occhi. Non ti chiederò nulla, non farò domande. Ti guarderò e basta e allora, solo allora mi dirai la risposta a questa domanda: sicura di voler andare?”
Poi la baciò sulle labbra delicatamente, la prese per le mani e la obbligò ad alzarsi, strappandole un sorriso
“Stavolta sei tu che salvi continuamente me, Chloe.”
Lei rispose con un occhiolino
“Sono o non sono la tua spalla di fiducia, SuperMax?”
 
 
Anche se dovevano percorrere solo un centinaio di metri scarsi, Chloe prese direttamente il suo pick-up per dirigersi verso il Fisherman’s Hotspot dato che poi erano decise a partire subito per Arcadia Bay, che distava a meno di dieci minuti di strada in automobile. Altra motivazione era che avrebbero dovuto attraversare la 101 e, benché non fosse un orario di punta data la poca presenza di automobili sulla strada, voleva evitare che fossero investite. Il suo desiderio di morte si era completamente dissolto dalle ormai celebri vicende che le due ragazze avevano vissuto. Inoltre, pareva aver imparato la lezione dopo che Max le aveva elencato tutte le volte che l’aveva vista morire o quasi ma, soprattutto, essere quasi investita da un treno e non in una realtà alternativa o cancellata, è stata probabilmente la vicenda che più di tutte ha fatto pendere la preferenza di Chloe sul continuare a desiderare di morire.
Trovarono un parcheggio libero poco vicino all’ingresso. Il locale non era dissimile da altri diner, perciò aveva una forte somiglianza con il Two Wales. Una struttura rettangolare, con gli angoli arrotondati, che lo facevano somigliare a un grosso panetto di burro e il colore giallo canarino delle pareti esterne non aiutava certo in direzione opposta. Le scale che portavano all’ingresso erano in acciaio dipinte di blu e la porta di un rosso accesso. L’insegna al neon era anch’essa gialla, con un pescatore che faceva il segno dell’ok con la mano destra, mentre con la sinistra stringeva due pesci.
“Un accostamento di colori al limite della legalità.” commentò Chloe con una faccia sconvolta “Spero che almeno il cibo sia buono come ha detto David.”
Varcarono la soglia d’ingresso e si trovarono con due file di tavoli blu, con sedili imbottiti di blu marino. Il pavimento era a scacchi bianchi e neri, il bancone in ferro era dipinto di un rosso accesso in centro e il ripiano era sempre di un blu marino, ove si posavano un paio di saliere, porta bustine di zucchero, una bacheca con degli avanzi di ciambelle o torte e il registratore di cassa in fondo a destra. Aldilà del bancone vi era una cameriera attempata, sulla cinquantina forse, con una blusa rossa acceso, che stava preparando il caffè. La porta bianca della cucina era alla sinistra della macchina del caffè, che era di poco spostata a sinistra rispetto il centro e l’ingresso. Verso destra rispetto alla macchina del caffè vi era il ripiano per le vivande.
Su ogni tavolo vi era una portaspezie con la mascotte, ovvero il pescatore, e un menù pieghevole plastificato. Non vi era nessun juke-box come al Two Wales ma un televisore vecchio modello appeso dietro al bancone e centinaia di poster di attività locali, concerti, ricerca di volontari per ricostruire Arcadia Bay e, sempre sulla loro vecchia città, uno che convocava il comitato ‘Salviamo Arcadia!’ . Leggendolo velocemente, Max notò che vi sarebbe stata una sorta di riunione nel municipio di Tillamook l’indomani sera, con un piccolo gruppo ristretto di persone scelte per rappresentare la comunità di Arcadia Bay, sparsa in tutta la contea ove potevano essere ospitati, la giunta comunale di Tillamook e una rappresentanza dell’ufficio del Governatore dell’Oregon. Evidentemente, la salvezza di Arcadia non dipendeva solo dalla ricostruzione. Forse volevano tornare a casa loro dopo quasi un anno di confino.
Non vi erano molti clienti. Due tavoli sulla sinistra erano occupati da una coppia di anziani e un trio di adolescenti, tutti maschi. Al bancone quello che sembrava un pescatore di mezza età stava consumando in silenzio delle uova sbattute.
Chloe scelse un tavolo a destra, quasi sul fondo, per stare il più lontano possibile dall’entrata. Sperava di non essere riconosciuta ma i suoi capelli blu erano peggio di un allarme antincendio: impossibile non notarla.
Non che Max fosse da meno: indossava degli shorts scuri, una maglietta a maniche corte a righe bianche e nere, delle sneakers nere ei suoi soliti bracciali in silicone blu e rosa. La sua pallida epidermide risaltava il doppio con quei vestiti scuri.
Si accomodarono e osservarono la lista. Si, i frullati c’erano! Subito Max sentì un accesso di salivazione in bocca.
“Ti si sono appena illuminati gli occhi. Sei la solita golosa.” la prese in giro Chloe, che pareva aver colto il suo interesse.
“Sai come sono fatta. E poi finché posso mangiare come una discarica e non prendere nemmeno un chilo, devo approfittarne.” si giustificò
“Siamo in due. Anche se non mi dispiacerebbe mettere su un po’ di chiappe.”
Mentre stava per ribattere, il pescatore al bancone  chiese alla cameriera di alzare il volume della televisione e venne accontentato
La notizia che, pochi istanti dopo rimbombò per il diner, fece capire perché il pescatore volesse sentire meglio
 
Il comitato ‘Salviamo Arcadia Bay’ incontrerà domani una delegazione dell’ufficio del Governatore. La richiesta è quella di poter permettere il rientro nelle case già rese agibili per chi, dei sopravvissuti, ne potrebbe avere o volere facoltà. Il problema sembrerebbe una, ancora non meglio definita,  problematica riguardante la distribuzione dell’energia elettrica in quasi la totalità della cittadina. Solo una piccola area pare essere totalmente operativa e i cittadini hanno fatto notare che tale area corrisponde a quella occupata dalle famiglie più facoltose di Arcadia, tra cui i Prescott.
La famiglia Amber, residente in tale area, per solidarietà non è ancora rientrata nella propria casa ma, secondo gli accordi presi, non ricevono più il fondo statale destinato agli evacuati di Arcadia Bay. Fonti vicine alla famiglia Amber sostengono che, in ogni caso, non intendono fare proprio ritorno nella città e sarebbero intenzionati a vendere la vecchia casa di famiglia, recentemente restaurata anche se colta da pochi danni, non appena sarà possibile.
Il comitato, quindi, vorrebbe delle delucidazioni su questa differenza di trattamento. Vi ricordiamo che è previsto per Settembre il primo rientro dei cittadini evacuati e per i primi di Ottobre il ripristino totale di ogni attività di Arcadia, appena in tempo per le celebrazioni del primo anniversario dalla tragedia dell’Undici Ottobre.
Vi ricordiamo che questa mattina, presso l’ospedale Adventist Healt’ di Tillamook, sono state avvistate Maxine Claudfield e Chloe Elizabeth Price, le ragazze al centro di entrambi i fatti che hanno sconvolto la nostra nazione e che ancora tengono banco. Sembra che siano tornate per via di Joyce Price, madre di Chloe, uscita dal coma quattro giorni fa. La signora Price è benvoluta da tutta la comunità di Arcadia, essendo una storica dipendente del diner Two Wales, celebre punto di ritrovo per tutta la cittadina. Non sappiamo se intendano fermarsi anche per il processo a Mark Jefferson, ex-insegnante di fotografia della Blackwell Academy e della Caulfield, e celebre fotografo, che si terrà il prossimo sette Luglio….
 
 
Max e Chloe si fissarono e cercarono di nascondere il più possibile i loro volti.
“Vuoi andare via?” bisbigliò Max
“No! Col cazzo! Non voglio sentirmi braccata come un fottuto animale perché nessuno si fa i cazzi suoi in questo buco di culo di mondo! Piuttosto li ficco le telecamere nei loro deretani.” rispose Chloe a denti stretti “Devi ancora scegliere che mangiare? Pensavo lo sapessi già!”
“No no, come ti ho detto ho voglia di cheeseburger e una montagna di patatine. Sto solo fingendo per nascondere il viso. Non mi va di essere ripresa mentre mangio. Già non oso immaginare che razza di faccia hanno sbattuto sui notiziari. Ero terrorizzata.”
“Se ti inquadreranno mentre mangi e finisci in tv in tutti e cinquanta gli Stati dovrò fare attenzione alle migliaia di spasimanti che potrei trovarmi ad affrontare per te. Sembri un piccolo scoiattolo indifeso quando mangi qualcosa che adori.”
“Ma cosa diavolo dici Chloe?” ma stava arrossendo. Era imbranata e goffa e lo sapeva. Ma che lo fosse anche mentre stesse mangiando, era una novità.
Chloe ridacchiò e le diete un buffetto sul braccio, poi le prese la mano. La loro copertura non servì a molto, dato che la cameriera dietro al bancone ora si stava avvicinando per prendere la loro ordinazione e aveva notato che cercavano di mascherare il viso
“Non serve che vi nascondiate, ragazze. Qui i giornalisti non sono i benvenuti e se qualcuno osa infastidirvi lo sbatto fuori a calci nel culo.”
Chloe abbassò di scatto il menù e osservò con un sorriso radioso la cameriera
“Ok, questo è appena diventato il mio locale preferito, Max.”
“La ringraziamo per la gentilezza. Non vorremo che venissero qui a infastidire gli altri clienti per colpa nostra.” aggiunse Max
“Gli altri clienti?Ah!” rispose la cameriera ”Posso andare da ognuno di loro e rigargli la macchina ma ti assicuro, cara, che tornerebbero tutti qui. L’essenziale è che la cucina rimanga ottima. Inoltre la maggior parte dei cittadini di Bay City non ne può più dei giornalisti e siamo tutti dalla vostra parte.”
Chloe si sporse in avanti per leggere la targhetta con il nome
“Bene…..Rebecca…direi che vi siamo più che grate per tutta questa gentilezza. In effetti non abbiamo fatto in tempo a scollare il culo dall’auto che ci erano già addosso, stamane.”
Rebecca sorrise comprensiva
“Vi siete persi i primi tempi: un incubo. Erano ovunque e facevano domande per ogni cosa. Speravano di trovarvi qui o a Tillamook. So che si sono spinti fino ad Astoria. Quando sapevano che eravate già a Seattle e al sicuro, con la tutela delle forze dell’ordine, sembravano depressi. Perciò hanno scavato in giro per scoprire qualcosa su quel Jefferson. Qui sono scomparse due ragazze negli ultimi tre anni e volevano trovare un collegamento con quella ragazza della vostra città, la Amber. Ma anche qui buco nell’acqua. Perciò si sono calmati. Ma ora sembrano aver fiutato qualcosa. Ho saputo di tua madre, cara: sono felicissima per te.”
“Grazie Rebecca.”disse Chloe con sincerità “Ma che ti fa pensare che abbiano fiutato qualcosa oltre a mia madre?”
“Oh voci. Dicono che i Prescott vogliano tornare in Arcadia per dimostrare che il figlio è innocente. Balle! Lo sanno tutti che i Prescott sono rintanati in Florida. Non si permetteranno mai di tornare qui. Probabilmente hanno mandato qualcuno nella loro vecchia villa per organizzare il trasloco di quello che possono salvare prima di venderla. Dicono anche che il processo sarà molto più combattuto del previsto. Ma non mi interessa. Basta che vi lascino in pace. Quello che avete fatto è encomiabile e vi stimiamo tutti. Per questo, gli abitanti di Bay City non saranno mai favorevoli ai giornalisti, specie se vediamo che si avvicinano troppo a voi due.”
Max si sentì leggera
“Se potessi abbracciarti, Rebecca, lo farei!” disse Chloe
Rebecca sorrise imbarazzata
“Tieni gli abbracci per tua madre. Ho sentito dire che pure lei era nella mia stessa situazione: una cameriera in un diner. Le sue colazioni sono note fino a qui.”
Chloe raddrizzò la schiena fiera
“Beh ci sapeva fare, si. Spero che sia ancora in grado, ma è una potenza. Non sarà un tornado a spezzare Joyce Price.”
“Mi fa piacere sentirlo. Che vi porto?”
Ordinarono. Chloe optò per un fish and chips.
“Ricordami di lasciarle una mancia gigantesca.”disse Chloe a Max, appena Rebecca se ne andò.
Circa dieci minuti dopo  arrivò il loro pranzo e mangiarono con entusiasmo. Le parole di Rebecca le avevano rilassate e il telegiornale era già un ricordo lontano, seppellito in un angolo della loro mente.
Poi fu il turno dei frullati. Max s’illuminò e si rese conto del sorriso di Chloe che la fissava.
“Non sono uno scoiattolo!”protestò
“Certo che no. Come no.”
Appena finito, rimasero in silenzio. Chloe allungò le braccia e prese entrambe le mani di Max che, però, fissò la sua cannuccia rosa e la schiuma sul fondo della coppa. Fece un respiro profondo, alzò lo sguardo e si tuffò negli occhi azzurri della sua compagna
“Si. Andiamo.”disse
Chloe le sorrise con calore
“Sono fiera di te, Maximus.”
“Chloe prima però…”
“Dimmi.”
“Troviamo la sede televisiva di quelli che han trasmesso prima la notizia e diamogli fuoco. Se osano chiamarmi ancora Maxine in televisione ti giuro che…”
Chloe scoppiò a ridere. Si alzò, pagò tutto lei e lasciò una generosa mancia a Rebecca, che le ringraziò
“Sono sicura che ci rivedremo!” disse “Prima di tornare a casa, ci gusteremo ancora la vostra cucina. Hai ragione: è ottima.”
Salirono sulla vettura e si diressero verso la loro peggiore destinazione nonché la loro città natale, dopo quasi un anno di assenza.
Percorsero un breve tratto della 101 poi un cartello indicava di svoltare a sinistra e proseguire per circa una decina di miglia sempre dritto. Non vi fu ne musica ne chiacchiere: stavano percorrendo la stessa strada che avevano preso per abbandonare la città dopo il tornado. Si fermarono all’altezza di un cartello che sanciva in maniera definitiva la loro decisione
 
 
BENVENUTI AD ARCADIA BAY
 
 
“Ci siamo, dunque.”disse Chloe
Max si limitò ad annuire.
Rimise in moto e proseguì per la strada, senza accelerare troppo. Nonostante l’angoscia e il senso di colpa, la paura e i dubbi, volevano vedere le ferite e come stesse guarendo da esse la loro vecchia città.
Attraversarono la zona della città che già era stata rimessa a nuovo, dove probabilmente sarebbero finite quella sera a cena, proseguendo verso il cuore della città. Vi erano ancora delle gru, ma non molte. Operai si affaccendavano ovunque, molti edifici avevano ancora delle impalcature.
Videro in lontananza la zona che ospitava più cantieri e operai e la riconobbero: il Two Wales diner  era laggiù. Ma vi era anche un motel, il distributore di benzina (che era completamente saltato in aria, ma sembrava già quasi ricostruito almeno da lontano) e soprattutto l’accesso al porto. Sicuramente, quello era ciò che stava costando più sforzi. Anche se il futuro di Arcadia Bay si prospettava lontano dalle attività di pesca, il porto doveva rimanere un punto di riferimento, una pietra miliare, il vero cuore della città. Non avrebbero mai permesso che fosse dimenticato o trascurato.
Chloe non volle andare verso il vecchio posto di lavoro di sua madre e svoltò a destra un po’ prima. Cambiò poco, dato che per la Blackwell, la direzione era quella.
Max notò, però, che fece due deviazioni, allungando di poco la strada, prima di tornare nella giusta direzione
“Chloe ma non avremmo…”
“Si lo so. Non voglio passare davanti casa mia, per ora. Vorrei farlo un altro giorno. Non pensare male, non ho paura o angoscia: voglio solo abbassare il carico emotivo per oggi. Poco alla volta, ok? Per tutte e due.”
“Poco alla volta.” concordò Max. Era una ottima strategia. Piccole gocce per non annegare subito.
La strada che portava alla Blackwell era tutta in salita, costeggiava e si infilava nella boscaglia per un breve tratto. Max ebbe un piccolo flashback di tutte le volte che aveva percorso quella strada con gli autobus della Blackwell. O la prima volta in assoluto, con suo padre, cosi fiero di lei e più entusiasta di lei stessa, al punto che non smetteva più di parlare. Aveva implorato, a un certo punto, di smetterla altrimenti avrebbe lasciato giù lui e lei sarebbe tornata a Seattle.
E delle volte che l’aveva fatta con Chloe, dopo che si erano ritrovate. La volta che era cosi felice di averla di nuovo nella sua vita, la volta che era così infuriata da averla mollata senza salutarla e ferendola, facendola viaggiare indietro tramite la foto che Joyce le aveva regalato.
Ma anche quando l’aveva percorsa al contrario, fuggendo di notte con Chloe, dopo il bagno clandestino in piscina. Era lì che aveva iniziato ad innamorarsi di lei? Non lo aveva mai pensato. Dopotutto, la mattina dopo la baciò senza troppi dubbi e nemmeno nessun rimorso. Sapeva di sentire qualcosa in quella notte ma pensava solo di essere felice per essere di nuovo insieme alla sua migliore amica.
Se Chloe le avesse chiesto di baciarla già in acqua, cosa sarebbe accaduto?
Non aveva mai chiesto a lei se quella notte aveva provato qualcosa di simile. Non aveva mai chiesto nulla sui suoi sentimenti verso di lei, quando erano iniziati e perché. Nella fuga si erano unite e accettate ma non avevano mai effettivamente tracciato un percorso e gli piaceva cosi. Ma forse sarebbe stato catartico per entrambe parlare di quello, prima o poi. Sicuramente avrebbe cementato di più il loro rapporto che già era a prova di bomba.
Si voltò a osservarla. Mentre era così concentrata alla guida ma al tempo stesso spensierata. La mano appoggiata al finestrino, occhi fissi sulla strada. La stessa immagine di lei di circa nove mesi prima, con la differenza che aveva il capo scoperto, non indossava felpe, lasciando scoperto il tatuaggio, nessun tramonto che ne illuminava il profilo, ma sprazzi di luce che filtravano dagli alberi colpivano a tratti i suoi lineamenti, risaltandoli.
Distolse lo sguardo da lei per non risultare una specie di pazza maniaca. Non si capiva più. Aveva troppe emozioni addosso in quelle ore. Era passata dalla rabbia alla indifferenza, dalla paura all’angoscia. Era in lei il tornado, adesso, e le rivoltava lo stomaco. Gli unici momenti in cui avvertiva quiete era con Chloe. O meglio, quando Chloe s’impegnava a essere dolce. Si era stupita di quante volte lo era stata in quelle ultime ore. Lei lo era, per quanto cercasse di nasconderlo dietro l’immagine di dura ma sapeva che non era nemmeno una campionessa di sdolcinatezze. Era più forte di lei. Forse perché era stata ferita così tante volte, abbandonata tante volte, che esprimersi totalmente le era diventato un po’ più difficoltoso. In quei mesi era molto migliorata, soprattutto verso di lei, complice la loro relazione, ma era comunque entrata nella sua personalità questa sorta di ostacolo che provava a limare. Ma in quelle ultime ore lei era stata….meravigliosa? Forse anche di più. Si era davvero lasciata andare tante volte pur farla sentire più tranquilla, serena. Per ricordarle che le era vicino. Le aveva anche detto ‘ti amo’  l’altra notte. Erano mesi che non lo diceva. Non che non lo provasse, lo sapeva benissimo e lei sosteneva che preferiva ‘darsi da fare’…e lo faceva eccome!
 
E io cosa faccio per lei? A parte lamentarmi, che sto facendo per lei? Cazzo, Chloe quanto vorrei darti di più. Sono così stupida e maldestra che non riesco neanche a….
“Hey, guarda un po’!”esclamò Chloe
La distrasse dai suoi pensieri. Chloe stava indicando un edificio i lontananza che riconobbe immediatamente.
Presero con delicatezza la curva e si affacciarono al rettilineo stradale che divideva l’Accademia Blackwell dal suo campo da football. Chloe fermò il pick-up accanto al marciapiede che dava direttamente sulla scalinata principale. Max smontò immediatamente dall’auto e fece per incamminarsi, ma volle aspettare Chloe che, stava un attimo ammirando il campo da football. Le gradinate degli spettatori dovevano aver subito pesanti danni, dato che le stavano ancora ricostruendo. La recinzione, la famigerata recinzione che aveva portato via la vita a Victoria, era stata risistemata a dovere e ora aveva un’aria più solida. Come se arrivassero uragani ogni giorno!
Finito di ammirare, Chloe fece per raggiungere Max, che si era già avviata per la scalinata.
La ragazza rimase perplessa nel vedere che la sua compagna mollava il pick-up dove lo aveva parcheggiato
“Eh se arriva qualcuno?”chiese
Chloe si bloccò sorpresa. Guardò a destra, poi a sinistra e infine allargò le braccia
“Cazzo in effetti c’è molto traffico oggi!”
“Scema. Magari arriva qualche camion o altro per i lavori.”
“Beh se mi daranno la multa non la pagherò, tranquilla. Non ho certo perso il mio stile!”
Max roteò indietro gli occhi e lasciò perdere e riprese a salire.
Il cortile antistante la Blackwell era profondamente cambiato. La fontana centrale con la statua del fondatore, con la annessa base, erano completamente rinnovate. La base della statua era più bassa, una targa lucida dipinta in oro e di nuova forgiatura,al centro della nuova fontana grigia e non più a mattoni. Il design era più moderno ed esagonale. Sembrava non aver ancora l’acqua al suo interno. Forse, anche la celeberrima Accademia era nella morsa della privazione energetica che colpiva quasi tutta la città. Vi era un albero in meno mentre un altro era pericolosamente inclinato, forse per la colpa del vento, ed era sorretto da alcuni pali in legno piantati a terra, nel disperato tentativo di sorreggerlo senza che potesse, in futuro, schiantarsi al suolo e travolgere qualcuno.
Un altro cambiamento notevole del cortile era dato dalla totale assenza dell’installazione dedicata a Jefferson. Chissà se era stata portata prima via dal vento?
La struttura che ospitava la piscina era rimasta quasi identica, se non per la scomparsa della scritta ‘Blackwell Academy’   il nuovo ingresso, con porte a vetri dall’aria più robusta e opaca. Max suppose che anche la scritta sulla palestra fosse stata vittima del maltempo. Notò a sinistra che la vecchia scalinata che conduceva al parcheggio era stata sostituita con una rampa, ideale anche per gli studenti disabili. Forse, molto probabilmente, la Blackwell avrebbe affrontato un drastico calo di studenti e si vedeva costretta ad aprire le porte anche a chi, fino a pochi mesi fa, non avrebbe avuto modo. Ricordava ancora i documenti che aveva letto in camera della Chloe – alternativa, ove non sarebbe potuta andare a scuola a causa della mancanza di strutture per disabili. Altrettanto probabile era che, malauguratamente, qualche studente della Blackwell avesse subito gravi lesioni dopo la tempesta le famiglie avessero chiesto un aiuto in quel senso, se non volevano perdere i pochi studenti rimasti. Max rifletté su questo punto e decise che la verità era esattamente in mezzo a queste due probabilità.
La facciata della scuola, invece, portava i segni di una veloce risistemata ma era pressoché intatta.
S’avviarono verso l’ingresso per entrare, ma furono bloccate da un cartello:
 
 
RECUPERO OGGETTI PERSONALI
STUDENTI BLACKWELL
 
SI COMUNICA CHE IL RITIRO
DEGLI OGGETTI PERSONALI DEGLI STUDENTI
DELLA ACCADEMIA BLACKWELL
SI POTRA’ EFFETTUARE DAL LUNEDI AL VENERDI
DALLE 14:00 ALLE 17:30
SI PREGA AGLI STUDENTI O ALLE FAMIGLIE
DI PRESENTARSI MUNITI DI DOCUMENTO D’IDENTITA’
 
SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE
IL CONSIGLIO SCOLASTICO
 
 
 
 
Max controllò l’ora: erano in anticipo di quasi un’ora. Sbuffò e si grattò la testa.
“Che facciamo ora?” chiese
Chloe sembrò non scoraggiarsi. Si guardò intorno, si avvicinò all’ingresso e provò a spingere la porta. Chiusa. Fece le spallucce.
“Beh Max, facciamoci un giro dai. Vediamo come sono ridotti i dormitori?”
Max annuì e fece per seguire Chloe ma, appena scesero le scale, una voce profonda alle loro spalle le richiamò
“Non vi conviene fare gite per la vostra vecchia scuola, signorine. Potrebbero piombare giornalisti.”
Si voltarono e videro il loro ex preside, Raymond Wells, in piedi che teneva aperta la porta d’ingresso con la mano destra, mentre la sinistra reggeva un bastone da passeggio.
“Yo Ray!” lo salutò Chloe con la mano “Sentivamo troppo il bisogno di farci un corso di recupero estivo!”
“Buongiorno signor Wells.”rispose Max, in tono più formale ma meno intimorito “Volevo vedere se era possibile recuperare le mie cose, sempre che sia sopravvissuto qualcosa. Ma abbiamo letto il cartello e volevamo ingannare l’attesa.”
Wells le squadrò con occhi duri ma poi si sciolse in una espressione più tenera e calorosa, sorridendo a loro due.
“Signorina Caulfield per lei non esiste orario di accesso. Ha tutto il diritto di prelevare i suoi oggetti personali. Prego, entri pure. Si, anche lei signorina Price.”
Non se lo fecero ripetere e si infilarono dentro la scuola. L’interno era immacolato: non vi era più nessuna bacheca, nessun volantino appeso, niente che facesse pensare a una scuola viva e in pausa, ma appena costruita in attesa di essere inaugurata.
“Con i lavori esterni, ne abbiamo approfittato per dare una risistemata anche agli interni. Abbiamo momentaneamente tolto le macchinette, altrimenti vi avrei offerto qualcosa da bere. Se volete posso farvi fare un caffè: ho una macchinetta nel mio ufficio. Almeno, finché rimarrà tale.”disse Wells
Max notò che zoppicava vistosamente, sorreggendosi al bastone. Anche Chloe pareva averlo notato, perciò si affrettò a rispondere prima che diventasse troppo imbarazzante la pausa
“Magari più tardi, signor Wells.”rispose Max “Grazie mille comunque.”
L’unica novità era una piccola opera d’arte costruita al centro dell’intersezione tra i corridoi. Era un libro in rame che si adagiava su quella che pareva una onda.
Max ne era incuriosita, ma Wells rispose prima che potesse porre la domanda
“Quella installazione è in memoria degli studenti che abbiamo perso durante il Tornado. Alcuni i loro erano usciti dai dormitori, nonostante gli avvisi miei e delle autorità di restare al chiuso. Ovviamente, alcuni sono usciti prima che ci si potesse rendere conto della gravità della situazione ma alcuni, per esempio la signorina Chase, hanno voluto ignorare l’avvertimento. Colpa mia, avrei dovuto chiuderli a chiave!”
“Potrei…”
“Certo signorina Caulfield.”
Max si avvicinò alla scultura e lesse velocemente i nomi. Erano circa una ventina. Troppi, troppi nomi. Era convinta di aver salvato quasi tutti, eppure non era cosi. Il suo senso di colpa crebbe immensamente. Nonostante la maggior parte non li conoscesse, si sentì come se avesse perso degli amici. Non fece distinzione.
Dopo un paio di minuti o forse più, tornò verso Chloe e il preside Wells.
“Qualcuno dei tuoi amici?”chiese Chloe
Max annuì
“Alyssa, Victoria, Zachary, Warren, Dana, Stella.”elencò “E Chloe…mi dispiace…anche Justin e la professoressa Grant.”
Chloe sibilò un sonoro e pesantissimo insulto.
“La professoressa Grant si stava recando qui.”spiegò il professor Wells “Aveva capito la situazione ma voleva aiutare. Pensava che gli studenti fossero in pericolo. Mi ha lasciato un messaggio in segreteria, visto che le linee iniziavano a cedere. Purtroppo, una volta arrivata qui, una finestra è esplosa, uccidendola in una pioggia di vetri.”
“Invece a te che è successo,Ray?”chiese Chloe indicando la gamba con un cenno del capo “Perché eri qui?”
“Da preside, era mio dovere essere il primo ad entrare nell’edificio scolastico. Appena capito la situazione e diramato gli avvisi, ho cercato di tornare nel mio alloggio vicino ai dormitori, sbarrando la scuola, ma un pezzo di una delle installazioni esterne di quel maledetto Jefferson è stata sradicata dal prato ed è piombata nel mio ufficio, sfondando la finestra e colpendomi sul femore. Sono svenuto e mi hanno trovato lì i soccorsi. Avevo perso molto sangue e la gamba era in condizioni molto complicate. Ho rischiato di perderla. L’ultimo scherzo di quell’infame.”spiegò.
Max notò che il nome di Jefferson veniva quasi sputato da Wells. Non si erano mai amati, ma ora sembrava che il suo astio fosse ancora più grande , dato l’onta che aveva lasciato all’Accademia.
“Mi dispiace.” disse Chloe con sincerità. La cosa stupì Wells che le sorrise e la ringraziò.
Ricompattatisi, il terzetto proseguì verso il corridoio di destra.
“Perdonami Max, ma abbiamo dovuto accatastare tutto nella aula a piano terra più ampia e facile da sgomberare: l’aula di fotografia.”
Max si chiese se le stesse chiedendo scusa perche avevano profanato il suo nido alla Blackwell o perché la costringeva ad affrontare il luogo in cui un mostro aveva ingannato chissà quante povere studentessa, lei compresa.
“Non si preoccupi, signor Wells. Avete fatto benissimo.”
Arrivati di fronte alla sua vecchia aula preferita, Wells indugiò un istante. Si voltò a guardare le due ragazze, sorrise a mo di incoraggiamento, e aprì la porta, lasciandole passare, seguendole poi zoppicando.
L’aula era irriconoscibile: non vi era più nulla che facesse pensare a un laboratorio di fotografia. Nessun poster nessun banco, nessuno scaffale. Nulla. Vuota.
A terra vi erano depositati scatoloni e oggetti vari che contenevano il materiale degli studenti, tutti disposti ad una equa distanza e con un cartello che recitava il numero della stanza.
Max cercò di non guardare gli oggetti degli altri studenti. Notò soltanto che alcune, ma non molte, zone erano vuote, segno che qualcuno aveva recuperato i propri effetti. Ma, purtroppo, molti erano ancora li, a prendere polvere. Voleva evitare ulteriori sensi di colpa perciò tenne gli occhi fissi sui numeri, in cerca della sua stanza. Chloe rimase indietro, assieme al preside Wells, lasciandole privacy.
Dopo un minuto di ricerca, trovò la sua roba. Era tutto in tre scatoloni, mentre il tappeto che recitava ‘Keep Calm and Carry On!’ era arrotolato e visibilmente in pessime condizioni. Lo avrebbe portato via solo per poi gettarlo.
Aprì tutti gli scatoloni e trovò i suoi libri, il suo portatile in frantumi, dei vestiti di cui la maggior parte odoravano di muffo, le sue polaroid (o una buona parte di esse), alcuni cuscini tra cui quello che aveva cucito con sua madre, le sue lampade (altro oggetto che verrà aggiunto alla spazzatura), le sue cose per la doccia e il suo orsetto senz’occhio. Mancava solo…
“Hey? Ti serve una mano?”
Chloe si era avvicinata e stava allungando il collo nella sua direzione.
“Si. Grazie mille.”
“Hai tutto?”
“No, manca la mia chitarra.”
“Quella è al sicuro nel mio ufficio.”disse il preside Wells “Alcuni oggetti di valore in buono stato li abbiamo conservati altrove.”
Chloe si avvicinò per darle una mano, ma Max ebbe una idea
“Preside? Possiamo venire dopo a ritirare tutto? Potremmo prima farci quel caffè, magari.”
“Si, certo. Nessun problema. Tanto dubito che oggi verrà qualcuno a ritirare le proprie cose.”
Si avviarono verso il vecchio ufficio di Wells. Era ancora pressoché identico, la vetrata era stata sostituita con una identica, mentre il mobilio era cambiato. La poltrona che tanto amava Chloe era sparita, sostituita con una più sobria e con un poggiapiedi abbinato, forse per la gamba malandata di Wells. La scrivania era la stessa, ma era pesantemente rovinata, graffiata e con un angolo mancante: forse sarebbe stata sostituita entro l’inizio del nuovo anno scolastico. Le librerie con i file degli studenti erano in gran parte sostituite con alcune nuove, decisamente meno eleganti e ancora vuote, se non per pochi libri.  Vi era sempre il solito tavolino di fronte alla porta, dove nella loro intrusione notturna vi avevano trovato i primi file: li vi erano adagiati gli oggetti più preziosi, e da un lato la chitarra di Max. Il pc del preside era svanito, sostituito da un normalissimo portatile Vi era un generatore portatile a cui si collegavano tutte le poche strumentazioni elettroniche presenti oltre al pc: una lampada e la macchinetta del caffè, adagiata su un tavolino alla sinistra della scrivania, una lampada e un piccolo frigorifero.
Vi erano sempre due poltrone di fronte alla scrivania, anch’esse cambiate con due più piccole e semplici, ma un dettaglio in particolare colpì Chloe
“Ah….quel falco si è salvato.”commentò, indicando la statua di bronzo sulla scrivania.
Wells non ci badò. Accese la macchinetta, scaldò e versò due tazze bollenti che servì alle ragazze, allungando una zuccheriera da un angolo della scrivania, poi se lo preparò per se e andò ad accomodarsi, lasciandosi andare in un sospiro di sollievo mentre adagiava al gamba sul poggiapiedi.
“Vi chiedo scusa ragazze, non vi ho chiesto se gradivate del latte. Nel caso è dentro il piccolo frigorifero vicino alla macchina.”disse “Dunque: che ci fate qui? Solo una gita per recuperare i vostri oggetti personali o anche nostalgia?”
Max sorseggiò un poco di liquido nero dalla sua tazza di plastica, poi rispose
“Non era nostra intenzione tornare, ad essere oneste. Ma la madre di Chloe è uscita dal coma e ci hanno detto che gli oggetti personali degli studenti erano a disposizione per essere ritirarti, cosi abbiamo voluto approfittarne.”
“Anche la nostalgia ha giocato la sua parte, però.”aggiunse a sorpresa Chloe “Specie sapere se avete cancellato dalla memoria di questa scuola il nome Prescott.”
Eccola lì la stoccata. Sembrava troppo strano che Chloe fosse gentile ed educata. Stava solo preparando il cazzotto da dare. Beh, aveva migliorato il suo stile, almeno.
Wells non si scompose, ma sorrise.
“Ammetto di aver provato una punta di nostalgia verso la sua sfacciataggine, signorina Price. Comunque non dovete preoccuparvi per i Prescott e per Jefferson. La damnatio memoriae che abbiamo applicato qui avrà effetti benefici nel lungo periodo. Purtroppo i loro fantasmi aleggeranno ancora per qualche anno scolastico, temo.”
“Lei, sapeva?”chiese Chloe “Aveva dei sospetti?”
“Mi hanno già interrogato, signorina Price. Ma immagino che debba a voi, più che ai giornalisti, delle sincere risposte. No, ovviamente no. Avessi avuto anche solo il sentore di ciò che quel mostro stesse facendo alle studentesse, vi assicuro che avrei gestito la cosa con mano ferma. Non vi nascondo che mi ha distrutto quando ho saputo ogni cosa. Ma la colpa è anche mia.”
“Non poteva sapere, preside.”disse Max “Non si dia troppe colpe a riguardo.”
Wells le sorrise
“No, signorina Caulfield. La mia condotta è stata inadeguata e assolutamente fuori luogo. Il signor Madsen ha avuto più intuito di me nel comprendere che qualcosa non tornava dentro la Blackwell, mentre io nascondevo la polvere sotto il tappeto. Ho moltissime colpe, signorina Caulfield. Non ho portato io le ragazze in quel nascondiglio sotterraneo, non le ho drogate io, ma è come se l’avessi fatto. Non mi era mai piaciuto Jefferson, non lo tolleravo. In parte, in grande parte, era perché fosse stato messo qui a forza dai Prescott, per tenermi buono, cosi come ogni donazione che facevano. Ma non era invidia perché, come molti sostenevano, lui avesse l’ufficio più grosso del mio. Era un sospetto. Lo trovavo così alieno, così distante, come se avesse dentro qualcosa di rotto. Ma non potevo sapere, non immaginavo.” fece una pausa, poi si massaggiò la testa “E i Prescott…..non credo che sapessero, o immaginassero. Non gli importava nulla. Buttavano denaro dentro la scuola per insabbiare i danni di quel pazzo criminale del figlio. Io dovevo solo tacere. Normale che avessi solo l’alcool come via di fuga. Ma questo mi ha reso ancora più estraneo e cieco nelle dinamiche della scuola. Fossi stato più forte, forse avrei colto il marcio. Non mi stupisce che il consiglio scolastico voglia la mia testa e quasi certamente non sarò più preside il prossimo anno. Solo che diventa difficile trovare qualcuno disposto a mettersi in spalla l’eredità che ha questa Accademia. Ho fallito, e non vi biasimo se mi ritenete responsabile di quanto accaduto alle vostre compagne. Soprattutto alla signorina Amber. So che eravate molto legate, signorina Price. Mi perdoni, se mai vorrà farlo.”
Chloe abbassò lo sguardo. Non era normale che rimanesse in silenzio.
“Non c’è nulla da perdonare.” rispose infine “Le colpe le abbiamo tutti, se vogliamo metterla cosi. I suoi genitori, per tutte le bugie, io per non aver capito cosa le stesse accadendo. Credo che Rachel abbia più di un colpevole per la sua morte, che i soli Nathan e Jefferson. Possiamo solo dare giustizia alla sua memoria e augurarci che Jefferson marcisca in galera.”
“Sempre se salta fuori il signor Prescott. Ancora mi chiedo dove possa essere finito. Ho salvato la memoria del mio vecchio hard disk con la cartella di Nathan e anche quella cartacea, piena di bugie ed omissioni per volere di suo padre. Almeno hanno aiutato la polizia.”
“Una fortuna che si fossero salvati quei fascicoli, allora.”commentò Max “Li ha ancora?”
“Solo delle copie. Gli originali sono ancora in mano alle autorità. Mi servivano in ambito scolastico, perciò ho avuto il permesso a farne delle copie momentanee da conservare. Come mai? Voleva avere anche il suo fascicolo, signorina Caulfield?”
Max sorrise “Beh sarebbe stato comunque un ricordo del mio breve passaggio in questa Accademia. Ne terrò solo memoria nella mia mente.”
“Di sicuro di ricordi qui ne avrai un sacco, Max.”commentò Chloe “Anzi, volevamo andare a farci un giro nei dormitori. E’ possibile, signor Wells?”
Il preside le osservò un po’ sorpreso. Rifletté qualche istante poi disse:
“Non sono molto d’accordo su questa vostra deviazione, ma i dormitori sono essenzialmente risistemati e non dovrebbero esserci pericoli. A quest’ora, gli operai sono ancora in pausa pranzo. Avete qualche minuto prima che tornino, perciò posso concedervi un giro veloce. Mi prenderò la responsabilità, nel caso si dovesse rendere necessario.”
“Lei non viene con noi, signor Wells?”chiese Max
“No, signorina Caulfield. Vedo già abbastanza spesso quella zona, oltre che il mio ufficio, dato che per ora mi stanno lasciando ancora l’alloggio del preside. Inoltre, vorrei sforzare meno possibile questa gamba. Vi attenderò volentieri qui.”
Finirono il caffè, si alzarono e ringraziarono, promettendo di metterci il meno tempo possibile. Una volta uscite, furono sorprese dalla forte luce del sole estivo del pomeriggio, con una calura che ora iniziava a farsi sentire.
Svoltarono  a sinistra e si diressero verso la zona dei dormitori, ove a separarli vi era una banchina degli autobus, attualmente non funzionante e ancora in attesa di essere sistemata, dato che mancavano due piloni e una parte di tetto. Arrivate la zona antistante i dormitori era completamente trasformata. Le panchine e i divisori in ferro e corde non erano più presenti, smontate e accatastate dall’altra parte, vicino al vecchio sgabuzzino di Sam (come stava? Avrebbe dovuto chiederlo a Wells dopo). Il prato ospitava pile di materiale edile e la facciata era interamente coperto da impalcature. Mentre si avvicinavano all’ingresso, Chloe si guardò attorno ed esclamò
“Dov’è finito il totem Tobanga?”
Max non ci aveva fatto caso, ma lo individuò quasi subito
“Stesso punto, ma è a terra. Nessuno si è degnato di risistemarlo, a quanto pare.”
“E’ una delle poche cose interessanti di questo posto e lo lasciano a terra come un comunissimo pezzo di legno senza vita? Che schifo. Questi operai potrebbero risistemarlo in pochi minuti. Lo dirò a Wells.”disse
“Sai, per colpa mia, li intorno sono seppelliti un sacco di uccelli morti. Quando ho incasinato la natura con il mio potere, Sam raccoglieva quelli che morivano qui e li seppelliva alla base del totem.”
“Bizzarro.”
“No, dai. Era un brav’uomo. O lo è ancora. Spero sia vivo, visto che non ho visto il suo nome sul memoriale.”
“Si, lo è. Ma bizzarro.”
Salirono i pochi gradini e si avventurarono fino alla zona dei dormitori delle ragazze.
 
 
Appena aperta la porta, quella che un tempo era una vitale ala abitata da giovani piene di grandi speranze, era tetra, fredda e vuota come un comunissimo edificio appena costruito. Non vi era più nulla che lasciasse intendere che li vi fosse stato, o vi si sarebbe presto ricreato, un dormitorio per una Accademia.
Le porte portavano ancora i numeri delle stanze incisi su di una targhetta nera appesa al centro, ma nulla più restava. Bacheche, lavagnette accanto agli ingressi, rumori, suoni, odori, colori erano svaniti. Dominava il grigio. Un freddo grigio, accentuato dalla poca luce che filtrava per via delle impalcature fuori dalle finestre. Max s’avviò verso la sua stanza, buttando un occhio al vecchio locale docce. La porta era ancora mancante e ne approfittò per sbirciare dentro. Il locale sembrava in corso d’opera, con docce nuove ma nessun divisorio, niente più graffiti alle pareti, piastrelle rosa nuove, lavandini e specchi nuovi. Nessuna traccia del passaggio di altre studentesse. Forse si era optato per un taglio netto: nuova vita, nuovi studenti pronti a incidere la loro storia, per fare ripartire la Blackwell il prima possibile.
Mentre tornava indietro, si era accorta che Chloe non l’aveva seguita. La trovò ferma, davanti alla prima porta della stanza sulla sinistra dell’ingresso.
“Hey, tutto ok? Che fai li impalata?” le chiese.
Aveva notato lo sguardo perso nel vuoto, l’assenza nel suo viso
“Era la sua stanza.” mormorò “Era qui che dormiva Rachel. Certo, dopo di lei sarà stata sicuramente assegnata a qualcun’altra, ma era la sua camera finché veniva qui alla Blackwell. Lo so perché un paio di sere mi sono intrufolata con lei, a bere e fumare. Una volta mi sono addormentata e sono dovuta scivolare via di qua prima che si svegliassero tutti. Era già sorta l’alba. Per puro miracolo non mi hanno beccata.”
Max le si avvicinò e le accarezzò un braccio
“Non ricordo se me lo avessero detto. Ricordo però che tu mi dicesti che lei era di Arcadia Bay e tornava dai suoi.”
“Si, per un po’ lo ha fatto. Poi con il casino fatto da suo padre….sai la storia di sua madre biologica che ti ho raccontato…beh anche se non le ho mai detto tutta la verità, non è riuscita comunque più a tornare da loro a un certo punto. Con la scusa di volersi adattare alla vita da universitaria, lontana da casa, ha fatto i bagagli e preso una stanza qui. Dopotutto era la migliore, una stanza per lei ci sarebbe stata sicuramente. Che stronza! Progettare una vita da universitaria quando non a lei non fotteva nulla di tutto ciò, dato che aveva altri progetti per la testa. Avevamo, vorrei dire ma….beh forse non più, visto cosa abbiamo scoperto. Cazzo,forse voleva andare ugualmente in qualche fottuta università in uno stato lontano, pur di fuggire da questo buco. Con o senza me, poco le importava.”
“Le importava Chloe. A modo suo.” disse, ma non lo credeva. Il fantasma di Rachel era sempre più pesante per lei, per loro, per ogni cosa. Chloe ne parlava sempre meno, anzi ultimamente non lo faceva nemmeno più, ma oramai per Max era un fantasma vivo che premeva sui suoi pensieri ogni volta che glielo permetteva. Sentiva…
 
Rabbia, gelosia, odio, stronza infame….perché Chloe ti pensa? Cazzo, la volevi abbandonare, volevi lasciarla qui sola, ferirla come ho fatto io e magari anche peggio, eppure lei qui ancora a piangere sul tuo nome? Cazzo se sei miserabile.
O forse lo sono io che me la prendo con te, che sei morta? Dimmi, Rachel Amber, perché devi essere cosi ingombrante? Perché ?
Perché sei me….come me….anche io l’ho abbandonata…. E lei ha amato te, ama ancora te…. Ma tu non l’hai amata, non come me….tu hai amato altri, hai nascosto tutto per tenertela buona….
Dio mio come fa Chloe ad amare due come noi? Come fa Chloe ad amarti?
 
 
….impotente. Non poteva fare nulla. Forse si, poteva urlare. Dirle di smetterla. Che almeno lei era li, che ora la amava, che tra loro funzionava tutto. Di smetterla di pensare alla sua cotta deceduta.
Cazzo però l’aveva abbandonata prima lei di Rachel, no? E Rachel era morta, quindi non era un vero abbandono, rispetto a lei che era sparita in un altro Stato e se ne era infischiata di contattarla. Per cosa poi? Per non sentirsi un pesce fuor d’acqua? Davvero? Aveva dimenticato la persona più  importante della sua vita cosi facilmente? Ma quindi era lei…..
 
…anche Rachel! Lei progettava di andarsene ugualmente, senza di lei! Con Frank o Jefferson! Cazzo si era scopata Jefferson e forse anche Nathan, si era fottuta i suoi due assassini! E dava più fiducia a loro per la fuga che a Chloe che l’amava…
Ma Chloe ha creduto anche a me, diceva che anche divise saremmo state sempre amiche, ma io l’ho delusa….l’ho dimenticata….
 
…il vero problema? Non il fantasma di Rachel? O entrambe le cose? Si sentiva in difetto perché lei era sparita solo nei messaggi, mentre Rachel era morta del tutto? Sentiva la testa scoppiarle, il petto gonfiarsi e lo stomaco contorcersi. Smise di toccare Chloe, strinse i pugni e con il tono più dolce che poté emettere dalla sua gola le disse
 
“Ti lascio tranquilla. Io vado solo a vedere la mia stanza..”
S’incamminò in fretta, asciugando una lacrima senza farsi scoprire, mascherandolo con un movimento del braccio. Non puoi vincere con i fantasmi, specie se si sono amati. Non puoi battere ciò in cui credono ciecamente le persone, specie se vi versano tutto il loro cuore, Max Caulfield. Guarda, per esempio, le religioni.
Mentre si perdeva in pensieri, si ritrovò davanti alla sua destinazione.
Aprì lentamente la porta della sua vecchia stanza.
L’odore di chiuso le si infilò tra le narici subito. Nel complesso, era tutto rimasto uguale, solo senza nemmeno un arredo, escluso il letto senza materasso, e il divano, rovinato e pieno di polvere e qualche attrezzo abbandonato. Forse, ogni tanto, qualche operaio usava le vecchie stanze per riposare. Dove stava la scrivania, ora c’era un mucchio di barattoli di vernice. Il vaso che ospitava la sua vecchia pianta era ancora li, rotto e vuoto, riempito da pennelli pronti per essere usati. Accanto al suo letto, vi era ancora la scritta intimidatoria che Nathan le aveva lasciato ‘Nobody Messes With Me Bitch!’.
“Beh, spero che ridipingano prima te. Eri meglio come fotografo macabro che come writer, Prescott.”commentò.
Fece un giro veloce e la sua attenzione ricadde su un angolino di carta bianca che sbucava da un angolo sotto il letto. Si chinò e prese una sua polaroid, un selfie fatto a Seattle, datato pochi giorni prima della partenza. Indossava una canottiera blu elettrico e sembrava sorridere di fronte a quella che doveva essere una piscina. Ma lei era andata in piscina l’estate prima? Se lo era dimenticato. Forse si, ma le sembrò così lontano e bizzarro.
“Wow, finalmente vedo camera tua ed è così inquietante!”
Chloe era apparsa sulla soglia e si guardava attorno. Indugiò un attimo sul murales di Nathan, la fissò negli occhi e s’intesero. ‘Si, era quello di cui ti parlavo – che figlio di puttana’ sembrarono dirsi.
“Ti assicuro che, per come l’avevo arredata io, non era male.”rispose Max, alzandosi in piedi spolverandosi di dosso la polvere dalle ginocchia “Qui a terra ci stava il tappeto che hai visto, li una scrivania, le lampade sopra il letto, la mia chitarra nell’angolo vicino al divano, la mia pianta che ora si è trasformata in un bellissimo bouquet di pennelli, l’armadio con i miei patetici ricambi e infine il muro di polaroid, rovinato da Nathan Prescott. Non male, dai.”
“Se chiudo gli occhi intensamente, forse potrei vederla. Ma forse non occorre, dato che avrai fatto sicuramente qualche foto pure alla stanza e non me l’hai, stranamente, ancora mostrata.”
“Ti stupirò: ho fatto solo un selfie allo specchio che si trovava tra il letto e l’ingresso, proprio li, dietro il tuo braccio destro. Ma foto alla stanza, mai. Dovrai immaginartela.”
Chloe fece le spallucce e compì un giro della stanza vuota, che si concluse in pochi passi.
“Mi sarebbe piaciuto un sacco venire qui dentro, quando era viva. Quando c’eri tu. Sono certa che sarebbe stato un posto pacifico e pieno di calore, come te. Mi avrebbe fatto bene una notte con te qui. Invece ci siamo chiuse nella mia caotica cameretta.”
“Mi mancava la tua camera, Chloe. E’ sempre stata più grande e più bella delle mie. In più, non era caotica. C’era un tocco d’arte.”
“Il caos è arte che sboccia.”disse fiera, incrociando le braccia e sorridendo sorniona.
“Bella questa. Segnatela.” rispose Max “E non sul muro con la vernice, Chloe!”
Rimesso a posto il pennello senza danni, uscirono e percorsero i corridoio, verso l’uscita.
“Ci pensi mai?”chiese Chloe “Al fatto che Nathan sia entrato in camera tua con tanta leggerezza? Sapendo lo svitato che si è rivelato essere, chissà che poteva farti. O anche Jefferson. Avrebbero potuto farti del male in ogni momento.”
“Non credo. Jefferson è stato abile a non esporsi mai. Per questo non era facile capire che vi era lui dietro tutto questo. Non si sarebbe mai permesso di tentare di rapirmi qui. Nathan, invece, era più probabile che lo facesse, ma credo avesse anche lui un limite. Benché girasse per i corridoi con una pistola, non penso si sarebbe spinto tanto oltre.”cercò di tranquillizzarla Max
“Dici? No perché ti ricordo che mi ha minacciato con una pistola, dentro il bagno delle ragazze e, in linea teorica, io ci sono pure morta lì dentro. Non so quanto fosse il suo ‘spingersi oltre’.”le ricordò Chloe
“Lo so, lo so. Ma qualcosa mi dice che non avrebbe mai messo piede qui per farmi del male. Minacciarmi forse si, ma oltre non so. C’era un viavai continuo. Penso di aver visto Trevor una mattina. “
“Allora qualcuno riusciva anche a divertirsi qui!” esclamò compiaciuta Chloe  “Peccato non avere avuto modo di farlo anche noi, eh Max?”
Max, per la seconda volta, alzò gli occhi al cielo e non rispose.
 
 
Tornate indietro, andarono a prendere la roba di Max dalla sua vecchia aula di fotografia. Le avrebbe visionate ed eventualmente scartate in un secondo momento, prima della partenza nel caso.
“E con questo siamo a posto, giusto?”disse Chloe, appoggiando il tappeto nel retro del pick-up, mentre Max adagiava il terzo e ultimo scatolone.
“Si, siamo ok. Anzi manca solo la chitarra, ma ci penso io.”
“Va bene! Visto che non è stata una brutta idea lasciare qui vicino il mezzo?”
“No, direi di no. Anche se non pesava molto la mia roba.”
“No ma fa fottutamente caldo. Senti, mentre sei via, faccio una telefonata, ok?”
Max le fece il pollice in su e si avviò nell’ufficio del preside Wells. Bussò prima di entrare e, appena ricevette risposta, spinse la porta vi si infilò.
Il preside era seduto dietro la scrivania, intento a leggere qualcosa su internet.
“Prendo la chitarra e poi ce ne andiamo. Grazie mille per la disponibilità, signor Wells.”
“Vi ha fatto piacere viaggiare tra i ricordi del suo dormitorio?”le chiese
“Un po’ si. Ammetto che ho avuto un po’ di dispiacere nel rivedere la mia stanza ridotta in quel modo.”
“Purtroppo, i dormitori hanno subito danni abbastanza ingenti e, anche se alcune stanze che erano rivolte verso l’interno del complesso, come la sua, non erano in condizioni tanto gravi,  abbiamo deciso di dare una sistemata generale. Penso faccia bene rimuovere il passato. Soprattutto quello recente.”
Cogliendo l’allusione, Max chiese
“Immagino che non si chiamerà più ‘Dromitorio Prescott’ vero?”
Wells sorrise
“No. Sarà intitolato o alla signorina Marsh o alla signorina Amber. Il consiglio scolastico deciderà in merito a quella nuova denominazione entro Settembre. Lei ha una preferenza? Potrei farlo sapere.”
Max esitò. Chloe non c’era quindi…
“A Kate Marsh.”disse con decisione “Ha perso la vita su quel tetto, per colpa di tutti noi. Che la sua storia e il suo nome sia simbolo di rinascita per il dormitorio e che non venga dimenticato ciò che accadde.”
Wells chiuse gli occhi ed annuì
“Concordo. Anche io ero dello stesso pensiero. Farò avere la sua opinione. Alla signorina Amber verrà intitolata l’aula dedicata al teatro o la biblioteca. La storia di entrambe è orribile, figlie di una violenza che mai avrei pensato di vedere sotto la mia gestione. Ma credo di essermi già lamentato abbastanza.”
“Non si preoccupi. Comprendo il suo stato d’animo. Anche io mi sento colpevole. Avrei dovuto fare di più.”
“Signorina Caulfield più di quello che ha fatto lei, mi creda, non si poteva fare. Per essere una giovane studentessa ha fatto moltissimo. Non ha mica il potere di tornare indietro nel tempo e cambiare ciò che è stato. Lo accetti e si spogli di queste colpe e si senta fiera di ciò che ha cercato di fare, nell’indifferenza comune.”
Max sorrise, non tanto per le parole gentili, quanto per l’ironia involontaria che il suo ex preside aveva appena fatto con quella frase. Se solo avesse potuto dirglielo!
“La ringrazio.”
“Un ultima cosa, prima che vada.”
Wells si alzò in piedi a fatica e assunse un tono solenne
“Se lei ne fosse ancora interessata, vorrei farle presente che l’Accademia Blackwell la riaccoglierebbe a braccia aperte, con la sua borsa di studio integrata. So che il suo corso specialistico e preparatorio per la fotografia  è di due anni, di cui ne basterebbe solo uno per fare domanda nelle università migliori dello Stato. Ma, se lo desiderasse, potrebbe procedere con il secondo anno e prendersi questa piccola specializzazione che tornerebbe utile nel suo curriculum. Si da il caso che lo Stato dell’Oregon, a giorni, comunicherà che abbiamo il permesso di chiedere ai nostri ex studenti sopravvissuti di poter tornare qui a completare la loro istruzione, con il ripristino delle borse di studio ed eventuali nuove create ad hoc per chi si trovasse in difficoltà a ricominciare da noi. Lo so che sembra una mossa disperata per rilanciare la Blackwell, ma l’eccellenza accademica di questa istituzione scolastica non può essere cancellata, altrimenti avrebbero vinto coloro che hanno devastato tutti noi. Non va nemmeno dimenticato che faremo molta fatica ad avere nuovi studenti, forse ammetteremo gente che prima non avremmo ammesso, ma entro due anni l’Accademia Blackwell deve tornare a camminare da sola e dobbiamo giocarci le nostre carte. Se posso permettere di aggiungere un personale appunto, riaverla qui con noi sarebbe meraviglioso. Non mi fraintenda, signorina Caulfield, non è la pubblicità che cerco, ma delle sincere scuse e un vero apprezzamento a lei come studentessa ed essere umano. Darci una seconda occasione per lasciarle dei ricordi positivi, sarebbe per noi, fonte di grande soddisfazione. Le dobbiamo molto. E anche alla signorina Price, per la quale mi sono esposto personalmente e ho fatto rimuovere la sua espulsione dal fascicolo. E’ riammessa e avrebbe anche lei una borsa di studio, sempre se desidera ricominciare gli studi. Dopotutto, siamo debitori anche verso la signorina Price tanto quanto verso di lei. Che ne pensa?”
Max era a bocca aperta. Tornare alla Blackwell? No, mai! Ma era colpita da questo nuovo preside Wells. Quello alcolizzato aveva lasciato posto a un uomo che era pronto a prendersi le sue responsabilità, che cercava di fare ammenda e riparare prima che fosse cacciato.
“Ci penserò su.” mentì, mentre sfoggiava il sorriso più sincero e contemporaneamente falso che poteva creare con suoi muscoli facciali “E ne parlerò a Chloe. Penso che la troverà una bella notizia. Sono sicura che le farebbe bene prendere un diploma, anche se in ritardo. In ogni caso, apprezzo la sua gentilezza, signor Wells.”
“Si figuri, signorina Caulfield.”
Max si avvicinò alla sua chitarra. Vide che due corde erano saltate, che era scheggiata sul bordo in basso e uno dei suoi adesivi floreali si era scollato, ma nel complesso era salva. La prese in braccio e, ricordandosi di una cosa, disse
“Signor Wells? Il totem Tobanga è a terra. Forse è il caso di risistemarlo, era un così bel simbolo! Se gli operai potessero..”
“Si, ha ragione. In effetti è stata la prima cosa a cadere durante la tempesta. Quella mattina, appena uscì dalla mia residenza, anche se i venti non erano ancora così forti, curiosamente avevano già fatto cadere il totem. Chiederò che sia sistemato.”
Max sorrise e si avviò alla porta
“Beh, la ringrazio allora. Magari passeremo a salutarla di nuovo, prima di tornare a Seattle e a comunicarle la nostra decisione in merito al tornare qui.”
Prima che potesse varcare la soglia
“Signorina Caulfield? Un ultima cosa.”
Si voltò. Il preside era ancora in piedi. La fissava negli occhi con intensità
“Max. Grazie di tutto. Davvero. Grazie mille.”
 
 
Tornata al pick-up, notò che Chloe era ancora al telefono ma, appena la vide arrivare, chiuse la conversazione
“Perfetto. Chiaro tutto. Grazie ancora e salutamela. Ciao.”
“Chi…?”
“David, brutta gelosona. Dovevo chiedergli una cosa. Uh, carina la tua chitarra! Mi suoni qualcosa stasera?”
“Non posso, due corde sono saltate.”
“Beh possiamo andarle a prendere. Ci sarà un negozio a Bay City che le vende, no? Dai andiamo. Voglio fare prima una piccola deviazione prima.”
Sistemarono la chitarra nel retro, coprendola con il vecchio tappeto, poi salirono e Chloe mise in moto
“Per quello hai chiamato David?”chiese Max
“Non proprio. E’ una  deviazione che sento di dover fare. Mi serviva solo una indicazione precisa.”
“Per dove?”
“Quanta fretta, Max. Non lamentarti del tempo proprio tu.”
E presero la curva, in discesa, lasciandosi alle spalle la Blackwell e le sue memorie, sperando che fosse cosi per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
5.
 
Arrestò il suo mezzo di nuovo accanto al marciapiede, ignorando il parcheggio poco distante. In effetti, non avevano visto nemmeno una automobile lungo il tragitto, ma non fu questo a far protestare Max.
Scese dalla macchina ma sapeva già dove si trovavano. Alzò gli occhi verso l’insegna in ferro battuto, dopo molti anni che non la vedeva


 
ARCADIA BAY CEMETERY
 
 
Il paesaggio che si apriva oltre i cancelli era deprimente, come sempre. Trovò alquanto strano che fosse aperto, dato che la città era praticamente chiusa. Forse serviva per i familiari delle vittime o per i sopravvissuti che volessero venire a trovare le persone care che avevano perso. Loro due, infatti, rientravano nella seconda categoria.
Non aveva chiesto nulla sulla destinazione, ma lo aveva intuito a metà strada, maledicendosi per non esserci arrivata prima: Chloe voleva vedere la tomba di William. Dopo aver visto sua madre ed essere mancata di casa per tutto quel tempo, trovava logico che volesse fare visita al padre.
Non osò entrare per prima. Voleva che fosse Chloe a precederla, lo riteneva più corretto e rispettoso ma la ragazza sembrò indugiare più di lei. Fissava oltre il cancello, ove si vedevano le lapidi, gli alberi, la montagna che si innalzava con il suo bosco come suggestiva cornice per quel posto, così silenzioso e desolante, più del solito. Non vi era nessuno all’interno, o perlomeno, nessuno che riuscissero a scorgere.
Il cimitero di Arcadia Bay non era molto grande, ma era progettato molto bene e dava una sensazione di maestosità che si dipanava ben oltre i suoi reali confini. Da piccola, quando ci fece visita per la prima volta, era convinta che si estendesse fino a dentro il bosco, ove riposavano i più antichi abitanti di Arcadia.
Sapeva che i suoi nonni materni erano sepolti li, da qualche parte, ma non li aveva mai conosciuti, mentre quelli paterni si erano trasferiti in Colorado quando aveva compiuto sette anni. La prima volta che varcò i cancelli era, ironia della sorte, il giorno della sua partenza per Seattle, quasi sei anni fa. Il giorno del funerale di William Price. Ripensando a quel giorno, ancora soffriva. Aveva abbandonato la sua migliore amica nel giorno peggiore. Finalmente, Chloe si decise ed entrò a passo spedito dentro il cimitero. Si mosse subito, poiché non ricordava dove fosse la tomba del signor Price e ne provava molto imbarazzo, ma non poteva dirlo. Superarono velocemente il sentiero principale, svoltarono a sinistra e sotto un albero trovarono la tomba. Vi era la scritta ‘Price’ in alto e sotto tre caselle, di cui due vuote e solo la prima a sinistra era riempita con il nome di William e le sue date, di nascita e di morte, incise nel marmo.
Con un brivido pensò che quella sarebbe stata anche la tomba di Chloe, se avesse fatto un’altra scelta quel giorno.
Chloe era in piedi davanti alla tomba del genitore e sorrideva. Non un sorriso triste o nervoso, ma un vero sorriso di gioia. Era felice di essere li
“Dio, non ricordo più nemmeno l’ultima volta che sono venuta qua.”disse “Ben prima che tu tornassi ad Arcadia. Forse più di due anni. Non ricordo. So solo che dopo il funerale, per molto tempo, non riuscivo a mettere piede in questo posto. Mi sembrava cosi dura. Era come accettare che mio padre fosse morto davvero. Non fraintendermi, non sono pazza. Ho sempre saputo che lo fosse, ma venire qui dopo il funerale era una sorta di ufficialità che, quel giorno, non ho voluto dare. Forse per quello che ho avuto i primi incubi, quelli popolati da mio padre vivo e io in macchina lui, nel momento del suo incidente. Sono riuscita a tornare qui con grande fatica.”
Max le appoggiò un mano sulla spalla
“Ti lascio sola per un po’, ok?”
Chloe la fissò stupida e le afferrò la mano, stringendola teneramente alla sua.
“No. Vorrei restassi. Ti giuro che non sono una di quelle che parla ad alta voce ai defunti, fissando una pietra.”
“Anche se lo fossi, non è certo un problema. Pensavo solo che preferissi stare sola.”
Scosse la testa e tornò a fissare la tomba
“Sai cosa mi chiedevo? Se potesse rispondermi ora, come reagirebbe vedendoci qui, insieme. Cazzo, si metterebbe a ridere, ci scommetto. Cosa gli diremmo? ‘Ciao papà! Indovina? Hai azzeccato?’. Dio, quando sapeva di avere ragione se la tirava un sacco…”
“Io gli chiederei una nuova previsione” suggerì Max “Su come vincere un sacco di soldi cosi possiamo farci un mese su qualche spiaggia esotica ad arrostirci.”
“Con la tua pelle delicata, Max, non dureresti più di venti secondi al sole.” la prese in giro “Però  si, sarebbe un ottimo suggerimento: farci vincere un sacco di soldi.”
Sciolse la stretta e si chinò verso la tomba, accarezzandola dolcemente
“Sai papà? Se davvero sai come fare felici le tue donne preferite, mandami un segno su come vincere milioni di dollari. “
Max sorrise al pensiero. Si immaginò il fantasma di William che compariva all’improvviso e le prendeva in giro. Magari avrebbe detto che, se fossero ancora state delle vere piratesse, dovevano seguire gli indizi per scovare il tesoro da milioni di dollari che le avrebbe rese ricche e spensierate.
Però, forse, non era il caso di scavare in un cimitero.
Chloe si alzò dopo poco, in silenzio.
“Beh, ora ho un ultima visita da fare. Ho dovuto chiedere a David perché non ho idea di dove sia.”
Max non capiva, ma no poté nemmeno chiedere perché Chloe era già partita a velocità doppia verso la zona più esterna del cimitero.
Si notava,  e senza nemmeno stare troppo attenti, che avevano ampliato da poco il camposanto, dato che andavano aggiunte parecchie vittime dovute alla tragedia. Quanti erano alla fine? Si era giunti alla cifra finale o ancora si cercavano? Max non voleva saperlo ma al tempo stesso si crogiolava nel dubbio: quante vite ho sacrificato per la ragazza che amo?
Chloe salì lungo una piccola collina artificiale, dove ospitava molte tombe nuove, scavate da pochi mesi. Ad alcune mancava ancora la lapide e si potevano identificare i nomi solo da orribili targhe nere adagiate a terra.
In cima alla collina vi era un pino solitario e, poco distante, una tomba con una lapide bianca. Poco sotto ve ne era n’altra, anch’essa bianca, che catturò la sua attenzione e abbandonò momentaneamente l’inseguimento a Chloe. Il senso di colpa la colpì in piena faccia, il cuore saltò un battito….non era vero che lei non aveva nessuno qui. Una persona c’era, adesso. Ora l’aveva trovata e ci restò malissimo per non averci pensato.
 
Kate Beverly Marsh
 

E tergerà ogni lacrima dai loro occhi
non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno
perché le cose di prima sono passate 
 
12 Settembre 1995 – 8 Ottobre 2013
 
 
Come aveva potuto non pensare che vi era anche Kate in quel cimitero? Come aveva potuto dimenticarla? Riposava lì e lei non ci aveva minimamente pensato.
 
….perché è quello che sei: una schifosa egoista, una stronza insensibile. Hai dimenticato Kate, hai dimenticato tutti. Quanti dei tuoi ex compagni sono sepolti qui? Quanti di loro hai spedito in questo terreno per  salvare Chloe? Vuoi contarli? Vuoi fare un giro? Li hai visiti alla Blackwell, ma quelli erano solo nomi incisi….perché non esplori un po’ qui intorno e fai un bel saluto a tutti, dicendo che li hai uccisi per amore? Vittime innocenti del tuo egoismo, dei tuoi ormoni, della tua passione. Chiedi a loro se ne è valsa la pena…..
 
Ma Kate non era vittima sua. Era di Victoria, di Nathan e di Jefferson. Lei non c’entrava. Quella era l’unica tomba di cui non doveva portarsi il peso. Di tutte quelle attorno, probabilmente, si. Ma Kate no. Verso di lei aveva una sola colpa: averla dimenticata. Doveva venire prima da lei, con dei fiori o altro. Prima da lei che alla Blackwell per recuperare delle stupide cianfrusaglie destinate alla discarica. S’inginocchiò  sulla tomba della sua amica più cara nella sua breve esperienza alla Blackwell. Accarezzò la foto. Era bellissima. Non era rintoccata, ma pulita, vera e spensierata. Kate era di una bellezza rara, pura. Gli ultimi giorni l’avevano distrutta, portandole via anche il candore e la gioia che sapeva trasmettere. Morta per il solo desiderio di amare troppo gli altri e voler essere integrata. Sentirsi una ragazza adolescente in mezzo ad altri adolescenti. Uccisa per il crimine di voler essere come tutti.
Guardò ancora i dettagli sul suo viso nella foto, le sue labbra, i suoi occhi, i suoi capelli. Era bella, più di quanto lei stessa potesse credere di essere. Victoria non possedeva la stessa bellezza, ma ne aveva una arrogante e spregiudicata, da ape regina, costruita sulle insicurezze degli altri e sulle sue. Kate avrebbe potuto tranquillamente oscurarla, se avesse voluto.
“Perdonami. Vorrei tanto prendere ancora un tè insieme.”sussurrò.
Si alzò, mentre sentiva i suoi occhi bruciare. Non voleva piangere. Kate non avrebbe voluto. L’avrebbe fatta sentire in colpa.
Max non credeva in Dio. O meglio, non lo sapeva. Non sapeva nulla. Ma ora sperava davvero che vi fosse un posto dove Kate potesse essere felice e libera da tutto. Si ripromise di tornare, prima di salutare Arcadia Bay. Lo doveva a Kate.
Raggiunse Chloe che era in piedi davanti alla tomba sotto il pino. Non sembrava aver notato la sua assenza. Il perché fu presto chiaro.
Max sentì un miscuglio di emozioni miste pervaderle lo stomaco.
 

 
Rachel Dawn Amber

Morire non è nulla
non vivere è spaventoso
 
22 Luglio 1994 – 20 Aprile 2013
 
 
La foto era, ovviamente, differente da quella dei volantini di Chloe. Non aveva visto molte immagini di Rachel, se si escludono quelle  trovate dentro la dark room. Una era nel portafoglio di Chloe, un’altra l’avevano passata al telegiornale il giorno del ritrovamento del suo corpo. Questa proveniva, quasi certamente, dall’album di famiglia degli Amber. Rachel era in posa, davanti a un muro di edera,vestita completamente di bianco. La sua perfetta chioma biondo scuro era il solo contrasto che emergeva. Labbra piene, occhi nocciola. Snella e con forme perfette chiuse in quell’abito bianco in cui era ritratta. Fissava l’obbiettivo con sicurezza, sfida e seduzione allo stesso tempo. Sapeva di possederlo e di non essere posseduta. In quel candore sembrava un angelo….
 
….Lei era….il mio angelo….mormorò Chloe…
 
…bella e potente, casta e provocante. Era un miscuglio di tante cose. Per lei, Rachel Amber era divenuta un enigma da cui fuggire. Aveva provato a capirla, ma le storie che erano uscite su di lei, merito anche della difesa di Jefferson, erano bizzarre. Chloe si arrabbiò moltissimo il giorno che venne fatto un servizio sul ‘lato oscuro di Rachel Amber’, ma non lo contraddisse mai.
Quando loro due la stavano ancora cercando, avevano scoperto tante cose e altrettante le aveva trovate David  e tutto era stato riportato a livello nazionale, assieme ad altri particolari. Non avevano più guardato la televisione, esclusa quella sera al motel, ma potevano entrambe scommettere che, dopo il suo arresto, i media fossero tornati sulla relazione che lei avesse avuto con Frank e, di conseguenza, al traffico di droga dentro l’Accademia Blackwell per la quale lei potesse essersi resa complice volontariamente.
Era inutile ricordare che il padre, ex procuratore distrettuale, aveva fatto di tutto per tutelare la memoria della figlia e anche per difenderla a livello legale, ma la posizione di Rachel lasciava ben pochi dubbi. Il fronte dell’opinione pubblica si era spaccato, vedendo in lei una sbandata, una complice e criminale che, vista la sua fine, era normale che andasse cosi dato che ‘se l’era cercata’. Insomma, buona parte della persone stava cominciando a credere che Rachel non fosse una povera innocente finita in mezzo a due mostri, ma una loro complice eliminata per sbaglio.
Max non supportava affatto questo. Certo, aveva fatto degli sbagli, come ne aveva fatti Chloe, ma era innocente nella sua morte. Non meritava di finire cosi, per niente. Nessuna lo meritava.
Il processo a Jefferson doveva andare per il verso giusto o Rachel e tutte le altre non sarebbero mai state redente agli occhi di molte persone.
Si avvicinò un po’ a Chloe, che continuava a dare segno di non avere colto la sua presenza. O forse la ignorava. Il mostro dentro di lei crebbe velocemente. Stava per scoppiare, ma non doveva farlo ora. Non poteva.
Ma poi, vide una lacrima scorrere lungo la guancia di Chloe.
Una sola, unica, piccola lacrima. Per lei, invece, fu un mare….
“Ti aspetto in auto.”disse in un tono abbastanza duro, più di quanto non volesse. Max si sentì in colpa, ma non ne poteva più.
 
Guardami! Cazzo, guardami!
 
Chloe non si scompose.
Strinse i pugni, sentendo il mostro nel suo petto vomitare fiumi di lava bollente. Fece per andarsene ma
“Puoi restare.”mormorò Chloe “Non dai alcun fastidio. Davvero.”
“Dici? Pensavo preferissi un po’ di solitudine qui. Credevo di essere di troppo.”sibilò
 
 
Non hai pianto davanti alla tomba di tuo padre……non hai pianto davanti all’unico uomo che ti abbia amato sopra ogni cosa….non hai pianto nonostante tu gli abbia dato colpe che non poteva avere….e ora piangi qui…..cazzo Chloe, perché mi fai questo?
 
Chloe si voltò a guardarla, un po’ smarrita. Aveva udito il tono di Max e ne era rimasta colpita e confusa
“Max ma cosa dici? Che ti prende? Sai benissimo che non mi dai alcun fastidio se…”
“Invece sembra di si.”
Esplose.
Non ne poteva più.
Si, era sbagliato. Si, era decisamente il luogo PEGGIORE dove farlo, ma dentro di lei il mostro nel petto ruggiva. Doveva affrontarla ORA. Non ce la faceva più. Si stava dilaniando dentro.
“Non ti sei nemmeno accorta che non ti seguivo più. Non ti sei nemmeno  resa conto che camminiamo sui morti che ho causato io, cazzo. Sono svanita nell’esatto momento che hai deciso di venire qui da lei. Chloe, non mi importa se ti incazzerai di brutto, ma sono mesi che mi reprimo. Tu amavi più lei di me, vero?”
Chloe spalancò gli occhi per lo stupore. Sembrava che avesse ricevuto un ceffone. Poi, pochissimi istanti dopo, il suo viso si contorse in una espressione di furia repressa. Le labbra si fecero sottili e fissava Max con occhi taglienti
“Non qui, Max. Non osare farlo qui.”
Max ormai era guidata più dai dubbi, dalla paura, dalla gelosia. Tornò verso Chloe e le piantò gli occhi dentro i suoi
“La amavi più di me. Vero?”
“Non ora. Non qui.”
“Quindi è un si…..”
“No. E’ che ora faccio io la persona matura al posto tuo e cerco di contenermi dentro a un cazzo di cimitero, senza farmi prendere da infantili sentimenti di inferiorità.”
“Certo. Sei matura. Ma non hai mai voluto affrontare questa cosa, giusto? Teniamocela dentro, dai! Facciamo finta di nulla. Ma  quello che IO ho dentro? Non hai mai pensato a me? A quanto mi pesi la sua memoria?”
“Max , per favore, smettila…..ragiona e smettila subito.”
“L’amavi più di me.”
Non era più una domanda. Era una convinzione. Un tarlo nella mente che le si era insinuato dentro mesi e mesi fa, mangiandole parti del cervello fino a farsi strada e sbucare ora, nel momento peggiore in assoluto. Si sentiva una merda. Verso Chloe, verso di se, verso Rachel, verso Kate ma soprattutto, verso la loro relazione.
 
Se mi molla ora, ha solo ragione.
 
Rimasero a fissarsi con tensione crescente, ma non parlarono.
Poi Chloe tornò a fissare la tomba di Rachel.
“Cazzo Rach, ne hai fatta un’altra delle tue eh?”disse e iniziò a ridere istericamente.
Max non poté più tollerare oltre.
Piuttosto che rispondere a lei, parlava con una tomba!
“non sono una di quelle che parla ad alta voce ai defunti” aveva detto neanche dieci minuti prima! Che bella merdosa coerenza, Price!
Si voltò di scattò, sentiva le lacrime lottare per uscire. Era finita tra loro, ne era certa. Chloe le afferrò un polso prima che se ne andasse.
“Aspettami in auto. Per favore.”disse cercando di essere gentile, ma era furibonda e lo sapeva “Non osare andartene via cosi. Non ci provare, dopo la stronzata che hai fatto. Vai al pick – up e aspettami li, Caulfield.”
Max annuì.
Camminò più velocemente che poté, per allontanarsi da quel posto. Non ne poteva più. Aveva ceduto ai suoi istinti più bassi, ed aveva creato un casino gigantesco. Non sapeva che fare. Non sapeva davvero che cazzo fare. Nonostante volesse piangere, non lo fece. Superò i cancelli del cimitero e fece per andare i auto ma
“Potrei andarmene invece.”si disse
Perché no? Ormai era fatta. Aveva distrutto la sua relazione con Chloe. L’unica che amava, l’unica che abbia mai amato, l’unica che l’avesse mai davvero amata.
Perché non andare via e basta?
Semplice, l’avrebbe raggiunta facilmente. Lei era a piedi, Chloe aveva quattro ruote e un motore. E la sua roba.
Inoltre non poteva tornare a Seattle cosi, senza lei e senza valige. Senza salutare Joyce.
 
Cazzo, che schifo. Perché aveva fatto quella stronzata? Perché non poteva semplicemente essere normale? Stupida, stronza inetta.
 
Inspirò. Trattenne il fiato qualche secondo. Espirò.
Ripeté tutto questo finché non le sembrò di essere più calma. Non funzionò granché. Le mani e le gambe le tremavano ancora, il petto batteva all’impazzata, lo stomaco era contorto. Con la testa china al suolo e le spalle molli, si arrese al suo destino.
Si sedette a terra, all’ombra del pick – up, e attese.
Non seppe dire quanto tempo trascorse. Faceva caldo, ma non abbastanza da sudare copiosamente. Guardò la sua mano destra più volte. Poteva riavvolgere e……
No….aveva già ferito Chloe…. Non poteva infierire ulteriormente.
Dopo un tempo che le sembrò infinito, vide due scarpe comparire davanti al suo campo visivo.
“Alzati.”disse la voce gelida di Chloe.
Obbedì, ma rimase con la testa china al suolo.
“Guardami.”
Non lo fece
“Guardami, cazzo. Max, guardami. Me lo devi!”disse con più durezza e decisione.
Con timore, alzò la testa fino a incontrare il viso di Chloe, ancora contratto dalla rabbia. Aveva le braccia incrociate talmente forte da vedere le dita scavare nella pelle.
“Si può sapere che cazzo ti è preso? Hai idea della stronzata che hai fatto e dove?”
Max annuì
“Parla invece di annuire. Prima non ti sei fatta molti problemi, no?”sibilò
“Si lo so, Chloe. Mi dispiace.”
“Ora ti dispiace, eh?”
Fece due passi cercando si bollire la rabbia, poi Chloe si appoggiò al suo automezzo con una mano, mentre con l’altra si massaggiò la faccia, cercando di calmarsi
“Max”cominciò “Io non ho idea di cosa cazzo ti sia passato in quel cervello, poco fa. Non è da te. Tu sei quella matura, responsabile e intelligente. Io sono la cazzona inopportuna. Quando è che hai deciso di invertire le parti?”
Max voleva ribattere, ma non seppe che dire e non seppe se era il caso di farlo. Ma visto che il silenzio si dilungava, ci provò
“Io….io…..mi dispiace. Davvero. Mi spiace moltissimo. Ho sbagliato tutto. Non dovevo dire niente.”
Chloe sbuffò e incrociò di nuovo le braccia
“No, cazzo. Non hai sbagliato a parlare. Hai sbagliato il dove e il quando. Potevi tenere chiusa quella cazzo di bocca e poi potevi sbroccarmi addosso quando saremmo state in auto. Invece no. Dovevi infuriarti e fare la scenata di gelosia in un cimitero  e per una morta. Cazzo, Max! Ma davvero?”
Benché fosse dispiaciuta, sentì un pizzico di amor proprio reagire. Sbagliatissimo, lo sapeva, ma non le importava. Ormai, se doveva essere mollata, che se lo guadagnasse in pieno.
“Ho sbagliato, ok? Lo so, cazzo. Mi sento una merda, non c’è bisogno di farmelo notare ulteriormente. Cosa vuoi che ti dica? Che mi dispiace per i prossimi vent’anni? Cazzo, ho perso la testa e me ne sono resa conto, ma è tutto maturato da quello: non hai mai affrontato questa cosa. Dio mio, Chloe, non riesco più a tenermelo dentro. Mi fa male, mi fa sempre male. Mi fa un fottutissimo male ogni giorno. Sempre di più. La amavi, lo so. La amavi più di me? Forse si. Ma cazzo, a volte sembra di vivere con te e il suo fantasma. Non l’ho mai conosciuta, ma è la persona che sento nominare più spesso. Chloe, so che mi ami, ma cerca di capirmi….”
Chloe tornò a farsi seria e più furiosa. Fece un passo, quasi andando a muso con Max
“Capirti? Fanculo, non faccio altro! Cazzo, vivo con il senso di colpa per te, per ogni cosa che ti ho costretta a fare, per ogni volta che mi hai salvato la vita perché io sono stata una fottuta testa di cazzo che ha fatto di tutto per disegnarsi dei mirini addosso. Mi sento in colpa perché quel tornado è anche colpa mia! Se non fossi stata una gigantesca cogliona per anni, non mi sarei trovata drogata da Nathan e non sarei entrata nel bagno per minacciarlo, finendo con un buco in pancia e obbligandoti a diventare una maledetta eroina con superpoteri. Cazzo, certo che ci provo a capirti. Ma tirare in mezzo Rachel, la tua gelosia, mi sembrava cosi stupido, da pensare che ci fosse altro in te da capire. Pensare che ti sentissi lorda del sangue di Arcadia Bay ogni maledetto giorno, ogni incubo, ogni volta che avevi lo sguardo assente e pieno di panico. Questo volevo capire, non una merdosa gelosia!”
“Chloe, ovvio che quelle sono le origini di tutte le mie fottute problematiche, non Rachel. Ma tutto questo non mi fa paura perché ho te! Ma  ho solo paura che se le cose fossero andate diversamente, io non sarei qui. Tu saresti felice con lei, chissà dove. E io?”
“E tu? Tu sei sparita per cinque anni. Saresti rimasta dove cazzo volevi, ok? Evidentemente non era me che volevi.”
“Ti sbagli io…”
Ma si ammutolì. Chinò di nuovo la testa
“No. Hai ragione. Non ti merito.”
“Non ho detto questo. Hai sbagliato, si. Sei sparita cinque anni? Si. Mi sono rifatta una vita? Si. Ho trovato qualcuna che ha sostituito il tuo fantasma? Cazzo si. La amo?Si.”
Max sentì più dolore di quello che potesse immaginare. Le gambe le si fecero molli e pensò di cadere. Invece rimase in piedi, annuì e accettò la sentenza. Allungò la mano per prendere lo sportello. Tanto valeva tornare in albergo e poi a casa, a Seattle.
Ma Chloe fu più veloce. Le mise una mano sotto il mento, rialzandole il viso dolcemente, obbligandola a guardarla negli occhi di nuovo
“La amo più di te? Cazzo, no. Non posso amare nessuno più di quanto ami te, Max Caulfield.”
Il petto iniziò a farsi leggero
“Ma hai detto…”
“Zitta. So cosa ho detto. Secondo te non è possibile per una persona amare più persone? Non possiamo avere spazio per altri, dentro di noi? Amo mia madre, amo i tuoi genitori per avermi fatto sentire a casa, amo i nostri amici, amo Leonard e Marla, amo Rachel per esserci stata, per essere stata quella di cui avevo bisogno quando tu non c’eri. La amo per essere stata il mio primo vero amore. Ma tutti loro vengono dopo di te, Max. Ti amo da tutta la vita, da amica, da migliore amica, da mia fedele piratessa, come mia partner, come mia socia ninja, per essere la mia controparte buona e responsabile. Tu sei bianco con un goccio di nero, e io viceversa.”
Max sentì il peso nel petto farsi sempre meno opprimente. Davvero non aveva mandato tutto a puttane?
Chloe le prese le mani e riprese
“Senti, hai sbagliato. Hai fatto una cazzata gigantesca. Non ti nascondo che avrei voluto tirarti una lapide in testa. Ma rimanere sola là, dopo quello che hai detto, mi ha dato modo di riflettere. Certo, ho dovuto calmarmi. E tanto. Ma ho riflettuto e, benché nei modi e nel luogo tu fossi in errore, nel resto eri in ragione. Non avevo affrontato. Non avevo mai considerato che potesse pesarti. Il fatto è che non era semplice accettare una verità lampante: che Rachel non mi amasse come io amavo lei. Ammetterlo a me stessa, davanti alla sua tomba, è stata più dura che accettare che fosse morta. Ma è vero. Abbiamo passato assieme tre anni e ci siamo amate. Certo all’inizio eravamo innamorate e non in senso amichevole, ma non eravamo una coppia. E’ stata lei la prima a…beh tutto. Non in quel senso, ovviamente, ma la prima di cui mi sia innamorata. Non solo la prima ragazza, ma la prima persona in assoluto di cui mi sia resa conto da sola. Forse all’inizio poteva essere una amicizia con una forte carica fisica, uno sfogo reciproco per tutto lo schifo che erano le nostre vite. Ma poi so di esserne stata innamorata e non ho mai smesso, finché non sei tornata tu. Anche se amavo Rachel, il tuo ritorno mi ha aperto gli occhi. Dovevo odiarti per essere sparita tutto quel tempo, ma se ti ho tenuto il broncio per venti minuti è già un record. Ovvio, il tuo potere ha aiutato a riavvicinarci e anche tutto quello che abbiamo fatto, ma anche se pensavo a Rachel, anche se ero ossessionata dal trovarla, ormai in testa iniziavi a restarci solo tu. Così ho capito di essere innamorata da più tempo di qualcun’altra. Una nanetta stronza che era sparita per cinque anni nella mia vita, eppure che non ho potuto non riaccogliere con gioia nella mia vita. Ti amavo prima ancora di saperlo, prima di rivederti.
Ma amo anche Rachel, anche se ho capito che lei sapeva cosa provavo ma non ha voluto ricambiarmi. Non ha potuto. Mi ha nascosto tante cose. Mi sono chiesta perché. Che avessi fatto. Forse aveva scoperto che non avevo detto tutta la verità su sua madre e su come si erano svolte le cose ma la conoscevo abbastanza bene da essere sicura di dire che non lo ha mai saputo, altrimenti me lo avrebbe detto in faccia e mi avrebbe odiato e sfanculato, abbandonandomi. No, lei mi era accanto, ma non più come prima. Lo spaccio per la Blackwell, la relazione con Frank, con Jefferson. Forse addirittura con Nathan ha combinato qualcosa. Tutto finito nel silenzio. Ed era pronta ad andarsene. Senza di me. Con Frank o con chiunque fosse disposto a prendersela con se. Finché non si è fatta ammaliare da Jefferson. Cazzo, che coglioni i suoi genitori. Se solo avessero imparato a gestirla meglio, forse si sarebbe salvata…. Ma in ogni caso, qualsiasi forma di amore provasse per me, non era quello che ha portato a sbocciare qualcosa di più tra me e lei. Al punto che ormai aveva vagliato altri partner di fuga. Mentre io..beh avevo solo lei….finché non sei arrivata tu. Tu sei la sola partner che voglio nelle mie fughe e non progetterei nulla se non ci fossi inclusa anche tu. Perché Max è vero che da tutta la vita è di te che sono innamorata. Ma se non fosse stato per Rachel, non avrei mai capito cosa potevo provare. Sarei rimasta arrabbiata, chiusa al mondo e confusa e avrei continuato a scopare ragazzi di cui non mi importava nulla. Lei mi ha fatto caprie cosa volesse dire innamorarsi ed è grazie a questa esperienza che ho capito quello che provavo per te. Non appena sei tornata sapevo che, per quanto fossi arrabbiata, ti stavo aspettando. Perciò, come puoi essere gelosa di altri, se tu sei nella posizione di forza? Non esiste gara con nessuno per te!”
Chloe ora le sorrideva. La rabbia era svanita nel suo viso e Max sentì un nuovo peso nel petto, più morbido, più dolce. Voleva esplodere ancora si, ma di sentimenti opposti.
“Chloe mi dispiace. Mi dispiace davvero per tutto. Io sono….”
“Stata una cogliona? Certo. Ma anche io, a modo mio, ho sbagliato. Cazzo siamo una forza insieme io e te. Funzioniamo alla grande e non dovremmo preoccuparci di parlare di ciò che ci turba, soprattutto se tra di noi. Promettiamoci di aprire bocca subito prima di mandare giù e poi ancora giù finché…” e con un cenno del capo indicò il cimitero “…una delle due perde la testa e tocca all’altra rimediare. “
Sorrise. Max sorrise a sua volta
“Ti chiedo ancora scusa. Sono stata una grandissima idiota.”
“Cazzo, poi dirlo forte. Ma ho anche io la mia parte di colpe, no? Dovrei essere un po’ più….ecco…chiara con te. Almeno sul mio passato. Anche se devo essere onesta:  se tu fossi tornata e lei fosse stata ancora viva, sareste andate d’accordo. Magari finiva che vi innamoravate voi due  e io rimanevo a bocca asciutta!”
Max rise
“Ma smettila. Non avrei mai potuto….”e abbracciò Chloe, che le accarezzò la testa
“Dai, sclerata. Andiamo via di qui. Andiamo a cercare un paio di corde nuove per la tua chitarra, cosi ti sento strimpellare qualcosa.”
Con ancora la testa affondata nel petto di Chloe, Max annuì.
Chloe le aprì lo sportello e la invitò a salire
“Madame.”
Poi salì a sua volta, mise in moto e poi esclamò
“In verità c’è una cosa in cui Rachel ti superava, però.”
Max spalancò gli occhi
“Che cosa?”
“Le tette. Ne aveva molte in più di te, amore.”
Max incrociò le braccia sopra il seno e sbuffò
“Piantala, Chloe. Non sei di aiuto.”
“Hey, guarda che io sono felice di questo! Almeno questa volta, la tettona della coppia posso essere io!”
Max le lanciò una occhiata gelida e arrossì violentemente.
Ridendo, sgasò e si lasciò alle spalle il cimitero di Arcadia Bay, con i suoi fantasmi.

 
 

 
 
6.
 
 
L’ennesimo tentativo non era andato a buon fine. Ormai era dieci minuti che tentava di accordare la sua chitarra, ma niente.
Avevano trovato un set nuovo di corde per la sua chitarra, ma si erano spinte fino a Tillamook e cercato ovunque. Dopo un’ora, finalmente, avevano trovato un negozio di articoli musicali, con un simpatico ed anziano proprietario, che le aiutò a trovare quello che cercavano. Presero anche una custodia nuova per la chitarra, così da non rovinarla ulteriormente.
Poi, nonostante le insistenze di Chloe nel farle comprare un costume da bagno, erano tornate in albergo. Max pensò che era inutile comprarsi un bikini nuovo, se avevano quella stanza solo per una giornata. L’indomani chissà dove avrebbero dormito, figurarsi se avessero avuto il tempo di cercare anche un posto con piscina.
Ora erano proprio li, nella loro piscina privata, con Chloe ammollo a rilassarsi e Max che, su una sdraio, tentava di accordare la sua vecchia chitarra.
“Allora? Hai fatto o no? Voglio sentirti suonare qualcosa!”gridò Chloe, che si era sbracciata fino al lato opposto e ora si era appoggiata al bordo e voleva aggiornamenti.
“Un minuto. Dovrei esserci. Accordarla a orecchio non è semplice, non sono più abituata.”
La piscina era tonda, non molto profonda ma abbastanza ampia. Le sdraio erano a semicerchio, tutte bianche, con una pila di asciugamani adagiati su un tavolo in centro, vicino al bordo. Vi era anche un piccolo idromassaggio comunicante con la piscina, leggermente rialzato. Quello si che aveva tentato pericolosamente Max ma, per quanto insisteva Chloe, non aveva intenzione a farsi il bagno nuda. Nemmeno lei lo faceva, ma indossava un buffo costume nero con dei teschi o pipistrelli. Sembrava una tredicenne e quando glielo disse, tentò di bagnarla.
Non poteva nascondere che, vederla in costume, non l’aveva lasciata indifferente. Invidiava le gambe della sua ragazza. Invidiava tutto di lei, a dire il vero.
“Ci sono!”strillò entusiasta Max
“Grande MadMax! Suonami qualcosa! Fammi una dolce serenata!”
Max improvvisò un classico,Yesterday dei Beatles, il primo brano che aveva imparato.
“Buuu vogliamo qualcosa di tosto!”strillò Chloe
Max prese il telefono per cercare nella sua playlist ma vide l’ora
“Cazzo, Chloe! Siamo in mega ritardo! Tra meno di un’ora saranno qui a prenderci per la cena!”
Chloe alzò lo sguardo verso il cielo, confusa. Poi parve capire
“Fottuto orario estivo. Pensavo fossero ancora le quattro di pomeriggio!”
Uscì di corsa, prese un asciugamano e si avvolse, mentre Max le teneva la porta aperta per farla uscire.
S’infilarono in camera, dove Max lasciò la doccia libera a lei, dato che era impregnata di cloro
“E tu che fai? Non ti lavi?”
“Quando torniamo. Mi darò una rinfrescata veloce quando avrai finito tu.”
Chloe la squadrò, alzò un sopracciglio e disse
“Non so se hai visto la vasca, ma è enorme. Secondo me possiamo comodamente stare insieme li dentro.”
“Chloe, vai!”
Alzò le mani in segno di resa
“Ok, ok comandante Caulfield. Non vuoi mai divertirti con me eh. Solo strigliate ai cimiteri.”disse, prendendola in giro e poi sparì in bagno.
Mezz’ora dopo, erano pronte.
Max indossava un prendisole bianco, con una piccola borsa per tenere cellulare e la chiave della stanza e dei sandali neri. Chloe un top nero, jeans neri e scarpe da ginnastica, concludendo il tutto con la sua collana con tre proiettili.
Mentre finivano di prepararsi, squillò il telefono della camera. Era la receptionist.  Le avvertiva che mancavano dieci minuti alle venti. Max ringraziò dicendo che stavano scendendo.
“Certo che tutto questo mi inquieta non poco.”disse Chloe, mentre salivano l’ascensore “Non sono abituata a certe cazzate. Io arrivo quando arrivo.”
“Si lo so, ma per sto giro accontentiamoci.”
Arrivate al piano terra, si posizionarono vicino all’ingresso, ma evitando di uscire per non stare al sole.
“Di che vorrà parlare, secondo te?”disse Chloe
“Non ne ho idea.”rispose Max “O meglio ne ho alcune, ma non saprei decidere”
“Sentiamole.”
“Penso voglia sapere le nostre versioni. La sua famiglia attraverserà un processo parallelo per altri motivi, ma è indissolubilmente legata anche al processo contro Jefferson. Vorrà sapere cosa abbiamo detto e se la posizione di suo fratello ne esce più compromessa con le nostre parole o no. Oppure, penso voglia persuaderci che Nathan non c’entrava nulla ma poco probabile, dato che il messaggio in segreteria è inequivocabile. Altra ipotesi che mi sono fatta è che voglia semplicemente parlare di tutta questa situazione e farsi una idea, visto che era isolata dal mondo. Magari teme che la sua famiglia le nasconda qualcosa, forse vuole sentire ogni campana e farsi le sue idee prima di schierarsi. Magari, se esce dal processo contro la sua famiglia, ha di che guadagnare.”
Chloe annuì
“Sono tutte ipotesi valide Max. Io pensavo a una cosa più spregevole: comprarci. Vorrebbe convincerci a schierarci pubblicamente con Nathan e con la sua famiglia, togliendole un po’ di grane.”
“Possibile ma poco probabile. Non so perché, ma Kristine sembra diversa dagli altri Prescott. Penso che non voglia assolutamente manipolarci per parare il culo ai suoi. Ma sembra che lo scopriremo molto presto.”indicò con il mento una auto che si arrestava all’ingresso.
Uscirono nello stesso momento in cui un ragazzo giovane, probabilmente l’autista, si posizionava davanti all’auto con in mano un cartello scritto con l’indelebile nero
 
Caulfield – Price
 
Chloe sorrise
“Cazzo una cosa del genere pensavo che l’avrei vista sono nei film!”
Si avvicinarono al ragazzo che le salutò molto cordialmente e le aprì la portiera posteriore.
Era una Mercedes Classe C, nera, con interni in pelle e un sistema di aria condizionata che fece venire i brividi alle ragazze non appena si avvicinarono alla portiera.
Appena vi entrarono, notarono anche i vetri oscurati posteriori. Troppo lusso a cui non erano abituate, tant’è che rimasero confuse.
“Non so te, ma mi sento un po’ a disagio.”commentò Max
Chloe sorrise
“Goditela, invece. Non ci capiterà mai più una cosa del genere.”
Partirono e, benché fosse un viaggio breve, Max ammise a se stessa che l’auto era confortevole. Certo era l’ennesimo sfoggio di ricchezza di un Prescott, ma se non stava turbando Chloe, perché doveva esserne turbata lei?
Si augurò soltanto di non aver fatto la scelta sbagliata fidandosi di Kristine. Era sinceramente curiosa di sapere cosa poteva volere da loro due.
Il sole non era ancora tramontato, ma iniziava perdere forza nel cielo, lasciando così un’aura romantica ad Arcadia Bay. La vista che offriva era la sola cosa che ancora amasse di quella città.
Entrati dallo svincolo della 101, a differenza del tragitto preso da loro quella mattina, svoltarono a sinistra. S’inoltrarono una parte che non aveva mai esplorato, nemmeno da bimba: il quartiere sud.
Le vie erano più ampie, anche si di poco, le ville avevano giardini così grandi che il terreno di una abitazione poteva comodamente contenere due volte quello di casa Price. Vi erano moltissimi alberi, nonostante il cataclisma, e molti servivano a dividere le varie proprietà.
S’inoltrarono ancora più a sud, verso le case che confinavano con il limite della città e con il bosco. Le case erano meno frequenti, ma più maestose. Sapeva che la casa degli Amber era nei paraggi, ma non chiese nulla a Chloe che, comunque, non sembrava cercarla con lo sguardo. Tutt’altro: sembrava divertirsi su quell’auto.
“Starai mica pensando di tradire il tuo pick-up con questa?”chiese “Hai un viso così soddisfatto.”
“Certo, è una gran bella automobile ma il mio pick – up è la sola cosa al mondo che non tradirei mai.” poi lanciò uno sguardo a Max “Dopo di te, ovviamente.”
“Ah ecco. Volevo ben dire.”
“Se ci offriranno il dolce, cerca di non fare la scoiattola come tuo solito.”
“Non sei spiritosa, sai?”
Si arrestarono davanti a una villa di notevoli dimensioni.
Era rosso vermiglio, con due colonne bianche all’ingresso e la tettoia, sopra una collinetta artificiale con un giardino ben curato, aiuole di rose ai lati, un paio di olmi, uno per ogni lato, a ugual distanza dal vialetto – scalinata di accesso.
Al piano terra, in facciata, vi erano due ampie vetrate ma solo quella a sinistra sembrava illuminata, anche se chiusa da pesanti tende. Il piano di sopra contava un piccolo balcone, tra finestre ampie e, Max fu abbastanza certa, una mansarda.
“Eccovi a destinazione. Vi riaccompagnerò quando avrete finito. A più tardi e buona serata.”disse l’autista, congedandole.
Scesero e rimasero a fissare la casa per un istante, mentre la Mercedes si allontanava, diretta chissà dove.
La cassetta argentata delle lettere recava inciso a lettere nere ‘Prescott’.
“Dici che se la passassero male a vivere qui?”commentò ironicamente Chloe, incrociando le braccia e osservando disgustata la dimora
“Oh, penso che soffrissero molto.”incalzò Max “Dai andiamo. Togliamoci questa cosa.”
Salirono, notando come i gradini bianchi di marmo fossero come nuovi, magari lo erano realmente, sostituiti dopo il tornado. Anche se sembrava bizzarro, dato che non erano più tornati ma si erano rifugiati in Florida.
Aveva comunque notato che, in linea generale, le case non erano praticamente state toccate dalla tragedia. Certo, aveva impattato anche li, ma con meno intensità a quanto avevano riferito. Però, o i lavori erano stati perfetti oltre che veloci, oppure i danni erano stati veramente ridicoli.
Il tornado, secondo le ricostruzioni, si era generato in mezzo alla baia, avvicinandosi lentamente alla città, nonostante la potenza distruttiva e la velocità dei venti che lo componevano. Poi, una volta colpito il porto, si è declassato in maniera sempre più rapida, mano a mano che entrava nell’entroterra. Basti pensare a quello che avevano visto loro una volta scese dal promontorio: una città distrutta ma ancora riconoscibile.
Se fosse stata completamente rasa al suolo, non sarebbero bastati dieci mesi a ricostruirla per intero.
Questa era la parte che più le dava da pensare: perché perdere potenza così rapidamente? Doveva ripagare i danni della distorsione temporale che aveva causato ed erano morte, si diceva,  quasi novecento persone sui milleduecento o milletrecento che vivevano ad Arcadia Bay. Un prezzo orribile, ma perché quel tornado si era esaurito cosi in fretta ancora non lo capiva.
Ma davvero doveva capirlo? Andiamo! Tra tutto quello che era successo, con il suo potere, che razza di dubbio poteva essere quello sulla durata del tornado.
Forse era solo un avvertimento. Altro motivo per cui non intendeva più usare il suo potere.
Erano davanti alla porta di casa. Chloe suonò il campanello e prese fiato
“Dammi la forza di non incazzarmi, Max.” mormorò
“Dammi tu la forza per trattenerti.” replicò.
Suonarono il campanello e attesero relativamente poco tempo prima che Kristine stessa aprì loro la porta. Indossava un abito leggero estivo, blu notte. Sorrideva radiosa nel vederle e le invitò ad entrare con calore. Sembrava molto più rilassata rispetto alla mattina.
“Uh, pensavo ci aprisse un tuo servo. Addirittura la padrona di casa per noi?” commentò Chloe
“Non preoccuparti. Non c’è nessun servitore qui.”
“Invece l’autista era un volontario eh?”
“Era Adam, mio amico ed ex compagno di classe. No, non è qui per interessi romantici. Lui e altri miei amici mi stanno aiutando con alcune faccende, tipo svuotare la casa, gettare via quello che non serve e preparare le cose utili per un bel mercatino delle pulci o venderle direttamente online.”spiegò Kristine con leggerezza
“Wow e papà Prescott è d’accordo?”commentò Chloe
“Papà Prescott ha perso tante cose, oltre che alla faccia e i soldi. Quindi non s’impiccerà se butto o vendo tutto ciò che non è stato già portato via.”
Max sorrise. Forse la sua impressione su Kristine era corretta.
 Le guidò alla sala alla loro sinistra, forse quella da pranzo o comunque adibita a tale ora. Era la sola illuminata che si vedeva dalla strada. Era immensa, almeno due volte una sala da pranzo normale. A sinistra la vetrata con le ampie tende, a destra una porta bianca chiusa.
Al centro un enorme tavolo da pranzo in legno massiccio , apparecchiato una tovaglia dall’aria raffinata e già imbandita. La parete alle spalle del tavolo, di fronte all’ingresso, ospitava un caminetto moderno ed ampio.
Vi erano due sedie molto belle in legno ed imbottite al centro, dalla parte dell’ingresso mentre una sola dall’altra parte, vicino al caminetto.
“Vi ho fatto preparare pasticcio di manzo e rognone, insalata di patate, un po’ di antipasti e una torta al cioccolato in cucina. Ho acqua e vino rosso, un italiano del duemilatredici. Spero sia tutto di vostro gradimento.”
“Cazzo, si.”disse Chloe
Kristine non nascose un sorrisetto divertito e soddisfatto.
Max si accomodò alla destra di Chloe e aspettò che anche Kristine si fosse accomodata, prima di servirsi ma la Prescott indugiò un attimo. Prese la bottiglia di vino rosso  e verso il liquido in tutte e tre i calici. Era vermiglio , come le pareti della sala da pranzo, ma brillava dalla luce che filtrava.
Prima che iniziassero a mangiare, la porta della sala da pranzo si aprì e sbucò una ragazza mora con occhi allegri
“Hey Kri? Io vado. Ci sentiamo dopo, ok?”
“Certo Martha. E grazie di tutto.”
Appena si chiuse la porta, Chloe scagliò la sua frecciatina
“Altra amica pure lei, vero?”
“Si.”rispose Kristine “Conosciuta online quando cercavo una coinquilina in Brasile. Martha è del Montana. Il padre è un imprenditore abbastanza importante là e anche lei odia la sua famiglia. Abbiamo legato facilmente e mi ha seguito qui. Ha cucinato lei tutto: è una cuoca fantastica.”
“Lo scopriremo subito molto volentieri.”disse Max, iniziandosi a servire.
Mangiarono in relativa tranquillità. Kristine chiese come se la passavano via da Arcadia Bay, come avevano superato il trauma del tornado e molte altre domande personali. Sembrava sinceramente interessata e l’umore di Max migliorò di minuto in minuto. Chloe, invece, rimaneva imperturbabile, ma almeno sembrava non peggiorare.
Conclusa la cena, Kristine si alzò
“Direi che ora possiamo passare al dolce, no?”
Chloe si rilassò sulla sedia ma stupì tutti con quello che disse
“No. Prima dicci perché ci hai volute qui.”
Kristine alzò un sopracciglio, ma non si scompose. Prese ancora la bottiglia di vino, si versò un calice, riempì quello di Chloe (Max non aveva ancora toccato il suo secondo bicchiere e già si stava scaldando) e poi rimase in piedi, afferrando il suo calice e passeggiando per la sala.
“La verità è che voi siete le sole a cui mi possa affidare per capire un dettaglio che, secondo me, potrebbe rivelarsi fondamentale per chiudere quello stronzo di Jefferson in cella per parecchio tempo.”
“Sarebbe?”chiese Chloe, visibilmente interessata
“Trovare il corpo di mio fratello.”disse Kristine con onestà, sorseggiando il suo vino rosso e tenendo gli occhi fissi sulle due ragazze, visibilmente scioccate.
 
Chloe si mise a ridere e alzò le mani
“Wo, wo , wo frena tutto tu…Mi stai dicendo che vuoi che scoviamo il copro di tuo fratello? Perché noi dovremmo trovarlo?”
Kristine non si scompose, si avvicinò al caminetto e poi parlò
“So che non è semplice quello che vi sto chiedendo, ma cercate di capirmi: nessuno, nemmeno io, può sapere che ne ha fatto quello stronzo di mio fratello. Non mi faccio illusioni, so che non è in fuga e so che è morto. Però non so come si muovesse o come ragionasse uno come Jefferson, quindi mi serve qualcuno che fosse a stretto contratto con entrambi e nessuno può farlo meglio di voi due.”
“E se non fosse morto? Se fosse in fuga?”la sfidò Chloe
“Andiamo Chloe, sappiamo tutte e tre che è morto. Non mi direte che voi credete alla assurda storia che sia in fuga? Ho parlato con gli inquirenti: non ha speso nemmeno un dollaro dal dieci di Ottobre. Possibile? Mio fratello era abituato a pagare persino per farsi pulire il culo, davvero mi state dicendo che il suo conto in banca non segna movimenti in uscita da mesi? Mio padre non ha sganciato più nulla, dato che è indagato dal quindici di Ottobre. Inoltre, mio fratello aveva effettuato troppe spese e i miei avevano iniziato a toglierli i fondi. Non poteva sopravvivere fino ad oggi in totale degenza. Non ne sarebbe in grado.”
“Che tuo fratello fosse un totale incapace, lo sapevamo già.”disse Chloe “Ma se è stato in grado di fare quello che ha fatto per tutto quel tempo, non mi stupirei che abbia trovato il modo di sopravvivere.”
Kristine si sedette e sorrise sorniona
“Sai benissimo che è morto e vuoi solo mettermi alla prova, vero? Andiamo ha fatto quello che ha fatto perché aveva alle spalle mio padre che, da bravo genitore incapace, ha finanziato senza chiedere e credendo anche lui a Jefferson. Anzi ti dirò di più: a lui stava bene che mio fratello si appellasse a Jefferson. Meno problemi per il vecchio Sean con un bello e bravo insegnate giovane a fare da figura paterna a uno schizofrenico, no? Pagava e stop. Per quello mio fratello è andato avanti.”
“Credi davvero che abbia fatto tutto da solo?”sibilò Chloe. Ora era furiosa. Aveva toccato un tasto dolente e stava scattando “Rachel l’ha scelta lui! E’ stata rapita, drogata e uccisa da lui. Questo, per quanto odiamo Jefferson, è inequivocabile. Lo sappiamo anche noi.”
“Ma non ci sono prove su que…”
“HA DROGATO ME!”strillò, battendo un pugno sul tavolo così forte da far saltare la forchetta dal piatto “QUEL PEZZO DI MERDA DI TUO FRATELLO MI HA DROGATA, PORTATA IN CAMERA SUA E SCATTATO FOTO, CAZZO! SONO SCAPPATA PERCHE’ LA DOSE ERA LEGGERA E GLI HO PIANTATO UN CALCIONE E ME NE SONO ANDATA, MA MI HA DROGATA E SE LO HA FATTO CON ME, PENSI DAVVERO CHE NON LO ABBIA FATTO ANCHE CON RACHEL MESI PRIMA?”
Katrine ora era scossa. Visibilmente scossa dall’attacco d’ira di Chloe. Max, dal canto suo, non era serena ma se lo aspettava.
“E Kate.”aggiunse mormorando appena, ma sufficiente per far attirare l’attenzione su di se. Kristine la fissò negli occhi
“Anche Kate Marsh. Lo sai, vero? E’ una delle vittime, le sue foto erano nella dark room. Alla festa del quattro Ottobre fu drogata e portata laggiù da tuo fratello, ma in mezzo fece quello che ha fatto venendo filmata e poi bullizzata, fino a spingerla al suicidio. Ricordava della dark room, ma credeva fosse l’ospedale ma qualcosa in lei si era rotto e Victoria con quel video aveva dato il colpo di grazia alla povera Kate.”spiegò Max
Kristine chiuse gli occhi e non rispose. Max vide l’opportunità per dire la verità
“E quello che ha detto Chloe…beh è vero… Ho trovato le foto in camera di tuo fratello. Si, sono entrata in camera sua di nascosto: dovevo riprendermi una foto che mi aveva rubato quando si era infiltrato in camera mia per imbrattarla e minacciarmi. Quella scritta c’è ancora sul muro della mia stanza, l’ho rivista oggi. Purtroppo non ho le prove per quello che dico su di Chloe ma… ti chiedo scusa se ti ho mentito oggi. Ma è in camera di tuo fratello che ho letto le vostre mail e scoperto chi fossi. Per questo mi sono fidata di te. Vorrei soltanto che tu capissi che…”
Kristine alzò la mano per stopparla. La gioia nei suoi occhi era spenta. La fissò
“Non occorre vederle. Non ci tengo. Ti credo. Vi credo. E so che quelle foto ci sono perché ho origliato una conversazione con la polizia e parlavano di prove compromettenti, foto di una ragazza in stato confusionale trovate nella camera di mio fratello nel dormitorio. Penso che qualcuno abbia intercesso per voi per non farvelo sapere.”
“David….”disse Chloe con un sospiro. Quelle foto erano sopravvissute. Erano prove. Sarebbero finite in aula e tutti avrebbero visto Chloe drogata e fotografata. Una umiliazione per lei.
Kristine colò il bicchiere e se ne versò un altro. Si rimise in piedi e parlò di nuovo
“Sarò del tutto onesta con voi ragazze, perché non voglio che mi odiate ne ripetere quello scatto di rabbia di poco fa. Non sono vostra nemica e voglio esservi vicina e aiutarvi in ogni modo possibile finché sarò ad Arcadia. Io so che mio fratello non era semplice. So che ha causato danni, ferito persone e quasi certamente assassinato Rachel Amber. Vi stupirà sapere che ne era innamorato. Io ho visto, però, anche questo alto di mio fratello che poche persone hanno visto: quello dolce, infantile e fragile. Mio fratello era malato. Gravemente malato, ok? Mio padre lo vedeva come un disonore: un Prescott doveva essere perfetto, doveva portare avanti la famiglia con dignità e innalzare il nostro nome ovunque. Non accettava che fosse malato. Lo umiliava, lo sgridava e lo puniva con disprezzo. Mio fratello sarà nato con dei problemi, ma il mostro che era è stato plasmato. Altro motivo per cui non sono molto più tanto legata ai Prescott.”si prese una pausa e un sorso di vino “Io ho visto il Nathan che nessuno ha più visto da quando la sua mente e mio padre sono peggiorati, annegandolo nei farmaci e nella ostentazione sociale. Cazzo ogni tanto tornava in se, ma solo con me. Mi diceva che non sopportava più di provare rabbia, che non sentiva più nessun sentimento se non disperazione, che non dormiva, che si sentiva soffocare ogni istante che restava da solo. Cercava di mitigare il tutto spendendo più che poteva in droghe, vestiti e affermandosi, ma sapeva che questo non riempiva il vuoto. Voleva cambiare ma la rabbia era più forte. Voleva farsi male ma finiva per fare del male. E si odiava.”
Kristine bevve ancora. Ora Chloe la seguiva con attenzione, senza rabbia sul volto
“Un giorno mi disse che si stava innamorando. Che lei era una delle poche studentesse della Blackwell che non lo vedeva per il cognome che portava, ma per la persona che era. Nn aveva paura di lui e aveva capito perché tutti si innamorassero di lei, di Rachel Amber. Lei era la sola che sapeva leggerti dentro, usarti o amarti, capirti o farti impazzire. Non l’ho mai conosciuta, ma sembrerebbe che tenesse per le palle Arcadia Bay.”
“Oh, puoi dirlo forte.”commentò Chloe. Poi lanciò una occhiata complice a Max “E non solo.”
Max sorrise imbarazzata.
Kristine sorrise, ignara di tutto
“Si. So che aveva un rapporto speciale con te. Nathan era molto infastidito da questo. Lui ormai se ne era innamorato e ti incolpava di averglierla portata via. Francamente, da quello che posso aver intuito, non aveva mai davvero avuto una reale chance con lei.”
“Nessuno l’aveva.”disse Chloe “Solo una persona è riuscita a domarla. Anzi due. E sono entrambe in carcere.”
“Non ottime scelte, allora. Beh , mi rincresce che mio fratello abbia spezzato una tale forza vitale. Quella ragazza avrebbe potuto riscaldare lentamente o bruciarsi comunque in uno spettacolare incendio, ma non meritava quella fine orribile. Quello non lo meritava nessuno. Ma tornando a noi, quello che voglio che capiate, è che so quello che ha fatto mio fratello, anche perché la sua instabilità divenne più forte dopo la morte di Rachel. Persino dalle e-mail che mi mandava lo avevo capito. Una sera provai a parlare con mia madre, una donna inutile ma chiacchierona se la sapevi prendere, e si lasciò scappare ciò che poteva confermare i miei dubbi: i medici di Nathan erano preoccupati. Il suo crollo era pesante e lui si faceva sempre più imprevedibile e ingestibile. Aveva bisogno di un aiuto vero, concreto. Non imbottirlo di farmaci e basta. Ma Sean….beh avete capito che razza di padre sia….Per quello ho preferito sempre studiare il più lontano possibile da qui e farmi una esperienza di volontariato in Brasile a spese mie, dato che lui non tollerava che una Prescott facesse volontariato. Lo nominava come se fosse merda. Per sua fortuna, le cartelle cliniche di Nathan lo hanno scagionato e tengono però i fili della difesa di Jefferson troppo tesi.”
Si sedette e finì nuovamente il vino.
“Capite? Non posso permetterlo. Non voglio che mio fratello sia visto come un angelo o una vittima, ha le sue parti di colpe ma non può addossarsi la responsabilità di ogni cosa. Non ora che è morto. Jefferson deve pagare anche per la sua morte e per tutte quelle ragazze innocenti che ha violato.”
Max si alzò
“Kristine non posso dire di essere mai stata amica di tuo fratello, ne che mi fosse simpatico. Mentirei se ti dicessi che ora ho cambiato idea su di lui. Certo, mi hai dato molto su cui riflettere ma… forse posso capirlo meglio…ma non so se avrò mai affetto per lui o pietà. Vorrei provarci.”
“Accettate? Mi darete una mano?” chiese speranzosa
“Ecco io…”
“Vorremmo parlarne in privato da sole.”la interruppe Chloe “Per favore.”
Kristine si sforzò di sorridere e si alzò
“Ma certo. Ovvio. Vi lascio sole. Tanto era comunque ora di preparare la torta, no? Meglio affrettarsi.”
Si diresse verso la cucina, la porta bianca chiusa alla destra, e sparì
“Max no…”cominciò Chloe
“Ma Chloe….”
“No….”ripeté “Siamo qui per altre cose, non voglio farmi trascinare in una caccia al cadavere. Cazzo, Max ok che sognavamo di essere piratesse ma volevo dissotterrare forzieri, non il copro in decomposizione di uno stronzo. Non posso farlo! Chissà poi quanto tempo ci potrebbe richiedere….io voglio andarmene da Arcadia Bay il prima possibile!”
“Non sei la sola.”
“Ma? Perché c’è il ‘ma’, vero?”la incalzò Chloe
Max le si avvicinò, le prese una mano e le parlò
“Chloe tornerebbe a nostro vantaggio…. Manderemmo Jefferson in prigione per molto tempo. Non partiamo da zero, ma abbiamo già degli ottimi spunti su cui riflettere. Magari nel suo cellulare o negli appunti di Frank possiamo scovare qualcosa…. Ricordi? Potrebbero essere fondamentali per chiudere il cerchio e incastrare quell’infame…”
“Max sono un cellulare e degli appunti di spaccio! Come pensi che servano? Jefferson non ci ha mica scritto sopra una mappa nel caso avesse voluto sbarazzarsi di Nathan. Siamo senza piste.”
“No, forse no.”disse Max “Possiamo fare qualcosa. Magari non troveremo il corpo di Nathan ma…”
“Max no…. Ti prego..”
“Nemmeno io voglio restare qui. Anche io sento di dover rifiutare ma….Kate…Rachel…. tutte le altre… cazzo abbiamo già troppe colpe addosso, Chloe. Voglio provare a liberarmi almeno di questa. Voglio finire questa storia. Renderebbe tutto il resto più gestibile.”
Chloe rifletté. Sbuffò e annuì
“Cazzo ti odio ma hai ragione anche tu. Controvoglia ma lo faremo. Però promettimi che non impazziremo. Faremo ciò che potremo e se non sarà destino che si risolva per mano nostra, torneremo indietro prima del processo a Jefferson. Ok?”
Max sorrise e le baciò la guancia
“Promesso.”
Poi scattò verso la porta della cucina e l’aprì
Kristine era appoggiata alla penisola, sconsolata e fissava a terra. Appena notò la porta aperta cercò di ricomporsi e si allungò per prendere la torta, piazzando un sorriso in faccia
“Mi prenderesti i piatti e il coltello? Sono li accanto.” Disse
Max ubbidì.
Una volta a tavola, prima che potesse tagliare il dolce, le due ragazze notarono la visibile ansia in lei e decisero di dirle subito cosa avevano scelto
“Ok.”disse Max “Ci proveremo.”
“Sottolineiamo il ‘proveremo’”disse Chloe “Perché siamo in alto mare anche noi, come te.”
Kristine gettò sul tavolo il coltello e sorrise raggiante
“Ragazze io…. Grazie… mangiamo, dai!”
Consumarono il dolce, scacciando il pensiero di quello che avevano appena accettato. Poi, finito di rifocillarsi, Kristine tornò sull’argomento
“Vi servirà tutto l’aiuto possibile e io ve lo fornirò. Anche a livello economico se fosse necessario.”
“E tuo padre? Non penso approverebbe..”disse Chloe
Kristine sfoggiò un sorriso divertito e feroce
“Il lato positivo di tutta questa storia di merda è che, finalmente, mio padre non conta più un cazzo. Tutto il patrimonio Prescott è, ufficiosamente, mio. È in minoranza nel consiglio di amministrazione della nostra azienda, di cui io formalmente ne detengo ora il controllo. Tutti i suoi possedimenti sono, formalmente, miei. A livello legale mancano ancora un paio di dettagli, ma entro la fine dell’anno passerà tutto a me. Posso disporre delle sue risorse, anche se sono ancora a nome suo, come mi pare e piace. I suoi avvocati gli hanno fatto intendere che l’unico modo per non finire a mendicare per strada era farsi da parte. Con quanta riluttanza ha dovuto donarmi tutto! Miglior giorno della mia vita e anche peggiore.”
“Peggiore?”chiese Max
“Già. Volevo solo la mia fetta di eredità in anticipo e levarmi di torno, piantarmi in Europa o aprirmi un locale in Sudamerica e campare di rendita. Invece ora sono la detentrice del marchio Prescott. Godo nel fare a pezzi l’impero di mio padre, ma è una nuova momentanea prigione. Non posso sfanculare tutto, metterei in crisi famiglie intere che non c’entrano. Ho relegato mio padre nella sua villa in Florida, ma il resto me lo gestirò io. Ribalterò tutto e cercherò di usare questa cosa in maniera favorevole.”
“Questo è fico.”ammise Chloe “Ma non vogliamo i tuoi soldi.”
“Ok, ma una camera vi serve. Non ci sono alloggi nel raggio di miglia e miglia. Tenetevi pure la camera al Seaside,  tanto non mi costa nulla.”
“Perché? La camera è tua? L’hai comprata?”chiese Max
“No: l’albergo è mio. Tutto il piano in cui risiedete è vuoto perciò sarà a vostra disposizione e costo zero.”
“Piscina inclusa?”chiese Chloe con gli occhi s’illuminavano
“Ovviamente.”affermò Kristine
“Ora questo lavoro d’indagine inizia a piacermi.”replicò
“Auto? Se non volete usare la vostra perché troppo riconoscibile ne ho una in garage, oltre alla mia, che non mi serve. L’ho fatta portare qui da Portland quando ho fatto svuotare l’appartamento di mio padre laggiù, prima di venderlo. Oppure pc? Vi serviranno dei pc..”
“Solo indizi per ora.”disse Max “Apprezziamo tutto e non esiteremo a chiedere, nel caso ci serva. Ma per ora abbiamo bisogno solo di trovare più indizi possibili sulla vita di tuo fratello. Qualcosa di insignificante che la polizia potrebbe aver trascurato.”
Kristine si alzò
“Seguitemi. Non troverete nulla ma vale la pena di tentare.”
Li guidò fuori dalla sala da pranzo e poi sulle scale che erano poco distanti dall’ingresso, fino al piano di sopra. Era immenso, adornato con tappeti morbidi e lussuosi. Kristine si divertì a commentare che, se fosse stata presente, sua madre avrebbe dato di matto nel vedere sei paia di scarpe camminarci sopra.
Le condusse a sinistra, fino all’ultima porta in fondo a destra
“Quando sono iniziati i lavori di ricostruzione, la nostra casa è stata esclusa. Finché la polizia non ha tolto i sigilli non potevamo entrare ne sistemarla. Cosi, dopo quasi due mesi, ci siamo trovati in pieno inverno a dover tornare qui per poter finalmente dare una pulita e rimetterla in sesto. Io ero da poco tornata dal Brasile ed ero nel pieno della transazione di poteri. Quando potei occuparmi di questa casa, mi fu detto che la riparazione sarebbe stata a completo carico della mia famiglia, dato il coinvolgimento nei crimini del vostro simpatico ex professore. Inoltre, ci dissero, potevamo ristrutturare tutta la casa tranne questa stanza: la camera di Nathan.”
Aprì la porta.
Ora senza sole, la camera in penombra era inquietante. Le finestre non erano stato sostituite, per terra vi erano ancora cocci e disordine. Un telo di plastica spesso era la sola protezione che aveva con l’esterno. Dalle foglie, si capiva che un ramo bello grosso doveva aver impattato contro le finestre, facendole saltare. Dopotutto, camera di Nathan dava sul bosco.
Il letto era di una piazza e mezza, sulla destra. A sinistra un divano, un televisore rotto, una scrivania con scartoffie sparse
“Oltre al vento, anche la polizia ha contribuito parecchio al disastro, senza degnarsi granché del casino che lasciavano. “commentò Kristine “Vi lascio sole.”
Lasciò la porta aperta per far filtrare un po’ di luce.
“Dai cerchiamo in mezzo a sto casino”disse Chloe “Io mi prendo la parte del divano, tu la scrivania.”
Max cominciò a rovistare sopra, cercando di non ferirsi con qualche vetro nascosto tra il ciarpame e la confusione.
Vicino alla televisione, vi era una cassettiera bella ampia. Chloe era decisa a prendersi la fetta di lavoro più impegnativa, probabilmente. Anche se con remore, si era presa questo incarico con più entusiasmo di quanto non volesse dare a vedere. Max, però, si stupì nell’accorgersi di essersi incantata sulla sua schiena nuda, eccetto per il top nero che la copriva a metà. La debole luce risaltava la sua curva, la carenza di imperfezioni…. Sentì una fame diversa, più giù allo stomaco, ma non voleva distrarsi ora. Si concentrò sulla scrivania ma non vide nulla di utile. Trovò una foto della famiglia Prescott: Kristine adolescente accanto a un Nathan molto giovane e dietro di loro, con il volto austero Sean e uno rassegnato per la madre.
Continuò a spulciare ma trovò solo una mail della Blackwell che invitava a non vandalizzare più il totem Tobanga. Lo disse a Chloe, che sbuffò
“Si avevo sentito Rachel parlarne. Sembra che Nathan volesse farlo sparire. Non so perché.”
Dopo alcuni minuti, Chloe si arrese
“A parte un vecchio paio di boxer puzzolenti, non trovo nulla. “
“Dai andiamo a casa. Non so te ma tra il buio, il vino e il cibo, sono un po’ cotta. Non penso che sia il modo ideale di investigare.”
Tornarono di sotto e comunicarono a Kristine l’esito delle ricerche e volevano tornare. Notanto una punta di delusione, le dissero che sarebbero tornate sicuramente, ma di giorno, sperando che fosse di aiuto avere più luce.
Offrì loro ancora del vino, dato che aveva aperto un’altra bottiglia, nell’attesa che arrivasse il suo amico per riportarle indietro. Venti minuti dopo e due calici di ottimo rosso, con Max visibilmente arrossata e gli occhi un po’ lucidi, la Mercedes era nel vialetto che le attendeva. Salutarono Kristine, si scambiarono i numeri di cellulare e tornarono indietro.
Una volta in stanza, Max si ripromise di farsi una doccia, quella che aveva mancato nel pomeriggio.
Si tolse i vestiti, restò in intimo e si avviò in bagno
“Hey Max.”
Chloe la chiamava, seduta sul letto
“Perché prima non vieni qui? Il letto mi sembra comodo e decisamente ampio. Dovremmo testarlo.”
“Beh anche la vasca è ampia, come hai detto tu oggi.” replicò senza emozioni
“Dai non fare la solita….”
“No, hai frainteso…ho detto che la vasca è ampia. Forse dovremmo testare prima quella e poi il letto. No?”
Andò in bagno e lasciò la porta aperta
Chloe rimase con la bocca spalancata dall’incredulità
“Max non so cosa ti stia facendo l’aria dell’Oregon ma ti prego resta cosi d’ora in poi!”gridò. Poi saltò giù dal letto mentre lanciava via il suo top nero.

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Capitolo 3
*** Parte Seconda: Fragmentis (capp 7-11 & Interludio) ***


[ Nota personale:  dato che ogni volta che pubblico sono un equivalente di circa 70 pagine di Word, se pensate che sia troppo lungo, lasciate pure un commento e comincerò a ridurre il numero di pagine pubblicate. Inoltre, per chi sta seguendo la storia, noterà che incominciano ad aumentare di molto i dettagli e per questo pensavo che fosse utile una pubblicazione più corta così da non creare troppa confusione. Mi scuso per eventuali errori che possono essermi sfuggiti in fase di riscrittura ma, come ogni volta, ricorreggo appena posso tutto ciò che è già stato pubblicato. Per qualsisi nota, appunto, precisazione, critica, scrivete pure: sono solo ben  felice di comprendere a che punto la mia storia sia arrivata e come possa essere migliorata. Grazie a tutti! ]


7.
 

 
Non seppe dire che ore fossero, ma poco importava. Il sole era sorto, la loro camera era illuminata fiocamente grazie alle tende spesse che lasciavano filtrare meno luce possibile. Veleggiava una sorta di tenue illuminazione, che rendeva tutto ancora più pacifico. S’inebriò dell’odore del mattino, delle lenzuola, della pelle nuda di Chloe. Le si strinse addosso più che poté, le baciò le spalle e il collo.
Doveva nutrirsi di tutti quei momenti, perché appena si sarebbero alzate, sarebbe ricominciato tutto. Doveva prendere più pezzi possibili di pace per arrivare a fine giornata senza cadere nella depressione.
“Dobbiamo alzarci.”sussurrò dolcemente nelle orecchie di Chloe.
Lei rispose con un mugugno. Sorrise.
Uscì dal letto, si rivestì e si diede una lavata alla faccia per rendersi più presentabile. Non intendeva truccarsi adesso, magari l’avrebbe fatto dopo. Prima voleva scendere e godersi l’aria frizzante, la colazione e il silenzio.
Prese una maglietta e degli shorts, mentre tenne indosso le ciabatte. Chissenefrega di cosa avrebbero pensato!
Si avvicinò al letto, appoggiando una mano sulla spalla nuda di Chloe che sbucava dal lenzuolo. Provò a scuoterla dolcemente ma rispose ancora con un mugugno
“Checccceee” disse con un lamento
“Non vieni a fare colazione con me?”
“Mmmmmmmno….dopo….vai ti raggiungo…”
“Pelandrona.”
Prese la chiave (Chloe l’avrebbe sicuramente dimenticata e sarebbero rimaste chiuse fuori) e uscì.  Prese l’ascensore, scese e svoltò a destra, verso il ristorante.
Il salone era bellissimo e ampio, con tanti tavolini e un divisorio al centro della sala, come a sperare in due la struttura. A sinistra, la parete a vetri dava sul giardino interno con piscina per gli altri clienti. Era decisamente più grande e con molte più sdraio ma di certo non poté provare invidia.  All’immediata destra vi era il bar dell’hotel, separato da tutto con un bancone angolare e degli sgabelli.  A metà, sempre sulla destra, le cucine e i vari portavivande per i pranzi e le cene. Davanti ad esso, per la colazione, vi era il buffet disponibile per la mattina. Affamata, si avvicinò e prese una ciotola di cereali misti, del caffè con del latte, un po’ di succo d’arancia e una brioche ancora calda.
Scelse un tavolino vicino alla parete a vetri, uno piccolo con posto solo per due e ben visibile per farsi trovare da Chloe, quando fosse arrivata. Alla sua sinistra vi era una coppia di anziani, anche loro arrivati da poco da quanto poté notare dalla presenza di ancora quasi tutte le cibarie sul loro tavolo. Si leccò i baffi e iniziò a spazzolare i cereali. Aveva la bocca piena quando Chloe si presentò al tavolo. Era visibilmente ancora assonnata, con gli occhi pesti e le regalò un vistoso sbadiglio.
“Non voglio sapere che ore sono, ma ti giuro che avrei voluto strozzarti poco fa.”
“Buongiorno anche a te.” rispose allegra, mandando giù il boccone di cereali “Vai a prenderti qualcosa? Ti seguo: voglio farmi un secondo giro.”
“Max hai ancora roba in tavola. Sei un pozzo senza fondo.”
“Non eri tu che volevi approfittare del fatto che fossimo in hotel?”
“Si ma regola la tua golosità.” la punzecchiò Chloe “Guardassi me come guardi i dolci, sarei la donna più felice del mondo.”
“Non sei spiritosa.”
Se Max optò per ancora dolce, Chloe scelse una colazione più leggera e salata, con la poca scelta che offriva l’hotel in merito. Concluse con un bicchiere di succo d’arancia anche lei e una tazza di caffè nero.
Si sedettero al loro tavolino e Max ci diede dentro ma notò che Chloe la fissava.
“Che c’è? Puoi non prendermi in giro prima che mi venga una sorta di ansia ogni volta che devo mangiare?”
Chloe rimase impassibile, le prese le mani e la fissò negli occhi
“Baciami.”disse
Max parve confusa da quella richiesta ma fece le spallucce, si sporse e posò le sue labbra su quelle di Chloe. Si rimise a sedere e le sorrise, ma Chloe non mostrò ancora nessuna emozione
“No, Max. Baciami davvero. Come stanotte.”
Max si sentì arrossire. Si guardò attorno e c’erano sempre e solo la coppia di anziani che non badava a loro
“Chloe non capisco..” balbettò, arrossendo sempre di più
“Semplice: sembra che a volte tu abbia timore a mostrare…beh noi…. Non so se lo fai perché ti vergogni o se ti urta che..”
“Cosa? No! Chloe è solo che ….lo sai per me è tutto nuovo…non dico noi, dico… beh tutto…io prima di te ero….”
“Vergine? Si lo so.”
“Intendevo che  non ero abituata.” la corresse arrossendo “Io non so…insomma so che sbaglio spesso ma, penso che baciarti in pubblico come se fossimo sole, magari non è molto carino per gli altri.”
Chloe alzò gli occhi al cielo
“Ma fottitene degli altri. Il fatto è che a malapena mi prendi per mano. Rilassati, ok? Non stiamo mica uccidendo qualcuno! Che male facciamo a sbattere in faccia agli altri che ci amiamo?”
“No hai ragione …io ….”
“Sciogliti un po’, ok? In generale. Te lo dico da sempre. Devi rilassarti di più Max. Goditi un po’ la vita. So che non siamo nel momento migliore, almeno inizia a farlo quando abbiamo questi rari momenti di quiete, no? Io ci sto provando a migliorarmi per te. Fallo anche tu.”
Max pensò che avesse ragione, ma non glielo disse. Si sporse, le prese il viso con le mani e la baciò con più passione del dovuto, lasciando Chloe piuttosto sorpresa.
“Ehm…wow….ecco si così. Magari un filo meno.”disse
“Non ti va mai bene nulla.” replicò Max sorridendo.
Poi, le ragazze sentirono di avere gli occhi addosso e si girarono verso il tavolo occupato dalla coppia di anziani, che li fissava.
“Saaaaalve!”salutò Chloe con la mano. Max divenne rossa come non mai.
La signora salutò con la mano e sorrise
“Magari mio marito mi baciasse così. Non lo fa da almeno fine degli anni Ottanta!”
Finita la colazione, Chloe propose a Max di non mettersi subito all’opera.
“Non sappiamo nemmeno da dove iniziare. Non possiamo perdere tempo, Chloe.”le spiegò MaxNon seppe dire che ore fossero, ma poco importava. Il sole era sorto, la loro camera era illuminata fiocamente grazie alle tende spesse che lasciavano filtrare meno luce possibile. Veleggiava una sorta di tenue illuminazione, che rendeva tutto ancora più pacifico. S’inebriò dell’odore del mattino, delle lenzuola, della pelle nuda di Chloe. Le si strinse addosso più che poté, le baciò le spalle e il collo.
Doveva nutrirsi di tutti quei momenti, perché appena si sarebbero alzate, sarebbe ricominciato tutto. Doveva prendere più pezzi possibili di pace per arrivare a fine giornata senza cadere nella depressione.
“Dobbiamo alzarci.”sussurrò dolcemente nelle orecchie di Chloe.
Lei rispose con un mugugno. Sorrise.
Uscì dal letto, si rivestì e si diede una lavata alla faccia per rendersi più presentabile. Non intendeva truccarsi adesso, magari l’avrebbe fatto dopo. Prima voleva scendere e godersi l’aria frizzante, la colazione e il silenzio.
Prese una maglietta e degli shorts, mentre tenne indosso le ciabatte. Chissenefrega di cosa avrebbero pensato!
Si avvicinò al letto, appoggiando una mano sulla spalla nuda di Chloe che sbucava dal lenzuolo. Provò a scuoterla dolcemente ma rispose ancora con un mugugno
“Checccceee” disse con un lamento
“Non vieni a fare colazione con me?”
“Mmmmmmmno….dopo….vai ti raggiungo…”
“Pelandrona.”
Prese la chiave (Chloe l’avrebbe sicuramente dimenticata e sarebbero rimaste chiuse fuori) e uscì.  Prese l’ascensore, scese e svoltò a destra, verso il ristorante.
Il salone era bellissimo e ampio, con tanti tavolini e un divisorio al centro della sala, come a sperare in due la struttura. A sinistra, la parete a vetri dava sul giardino interno con piscina per gli altri clienti. Era decisamente più grande e con molte più sdraio ma di certo non poté provare invidia.  All’immediata destra vi era il bar dell’hotel, separato da tutto con un bancone angolare e degli sgabelli.  A metà, sempre sulla destra, le cucine e i vari portavivande per i pranzi e le cene. Davanti ad esso, per la colazione, vi era il buffet disponibile per la mattina. Affamata, si avvicinò e prese una ciotola di cereali misti, del caffè con del latte, un po’ di succo d’arancia e una brioche ancora calda.
Scelse un tavolino vicino alla parete a vetri, uno piccolo con posto solo per due e ben visibile per farsi trovare da Chloe, quando fosse arrivata. Alla sua sinistra vi era una coppia di anziani, anche loro arrivati da poco da quanto poté notare dalla presenza di ancora quasi tutte le cibarie sul loro tavolo. Si leccò i baffi e iniziò a spazzolare i cereali. Aveva la bocca piena quando Chloe si presentò al tavolo. Era visibilmente ancora assonnata, con gli occhi pesti e le regalò un vistoso sbadiglio.
“Non voglio sapere che ore sono, ma ti giuro che avrei voluto strozzarti poco fa.”
“Buongiorno anche a te.” rispose allegra, mandando giù il boccone di cereali “Vai a prenderti qualcosa? Ti seguo: voglio farmi un secondo giro.”
“Max hai ancora roba in tavola. Sei un pozzo senza fondo.”
“Non eri tu che volevi approfittare del fatto che fossimo in hotel?”
“Si ma regola la tua golosità.” la punzecchiò Chloe “Guardassi me come guardi i dolci, sarei la donna più felice del mondo.”
“Non sei spiritosa.”
Se Max optò per ancora dolce, Chloe scelse una colazione più leggera e salata, con la poca scelta che offriva l’hotel in merito. Concluse con un bicchiere di succo d’arancia anche lei e una tazza di caffè nero.
Si sedettero al loro tavolino e Max ci diede dentro ma notò che Chloe la fissava.
“Che c’è? Puoi non prendermi in giro prima che mi venga una sorta di ansia ogni volta che devo mangiare?”
Chloe rimase impassibile, le prese le mani e la fissò negli occhi
“Baciami.”disse
Max parve confusa da quella richiesta ma fece le spallucce, si sporse e posò le sue labbra su quelle di Chloe. Si rimise a sedere e le sorrise, ma Chloe non mostrò ancora nessuna emozione
“No, Max. Baciami davvero. Come stanotte.”
Max si sentì arrossire. Si guardò attorno e c’erano sempre e solo la coppia di anziani che non badava a loro
“Chloe non capisco..” balbettò, arrossendo sempre di più
“Semplice: sembra che a volte tu abbia timore a mostrare…beh noi…. Non so se lo fai perché ti vergogni o se ti urta che..”
“Cosa? No! Chloe è solo che ….lo sai per me è tutto nuovo…non dico noi, dico… beh tutto…io prima di te ero….”
“Vergine? Si lo so.”
“Intendevo che  non ero abituata.” la corresse arrossendo “Io non so…insomma so che sbaglio spesso ma, penso che baciarti in pubblico come se fossimo sole, magari non è molto carino per gli altri.”
Chloe alzò gli occhi al cielo
“Ma fottitene degli altri. Il fatto è che a malapena mi prendi per mano. Rilassati, ok? Non stiamo mica uccidendo qualcuno! Che male facciamo a sbattere in faccia agli altri che ci amiamo?”
“No hai ragione …io ….”
“Sciogliti un po’, ok? In generale. Te lo dico da sempre. Devi rilassarti di più Max. Goditi un po’ la vita. So che non siamo nel momento migliore, almeno inizia a farlo quando abbiamo questi rari momenti di quiete, no? Io ci sto provando a migliorarmi per te. Fallo anche tu.”
Max pensò che avesse ragione, ma non glielo disse. Si sporse, le prese il viso con le mani e la baciò con più passione del dovuto, lasciando Chloe piuttosto sorpresa.
“Ehm…wow….ecco si così. Magari un filo meno.”disse
“Non ti va mai bene nulla.” replicò Max sorridendo.
Poi, le ragazze sentirono di avere gli occhi addosso e si girarono verso il tavolo occupato dalla coppia di anziani, che li fissava.
“Saaaaalve!”salutò Chloe con la mano. Max divenne rossa come non mai.
La signora salutò con la mano e sorrise
“Magari mio marito mi baciasse così. Non lo fa da almeno fine degli anni Ottanta!”
Finita la colazione, Chloe propose a Max di non mettersi subito all’opera.
“Non sappiamo nemmeno da dove iniziare. Non possiamo perdere tempo, Chloe.”le spiegò Max

 
Non seppero dire quante ore passarono da sole in camera, ma non importò loro granché. Presa dai dubbi, Max controllò l’ora e notò che erano da poco passate le undici. Male, molto male, pensò, ma  non voleva confessarlo a Chloe. Sembrava cosi felice ora, che non voleva passare per la solita guastafeste. Non che lei non si fosse goduta un po’ di spensieratezza, ma ammise a se stessa che la promessa fatta a Kristine andava mantenuta, o perlomeno dovevano seriamente provarci. Un telefono squillò all’improvviso e Chloe si precipitò a rispondere: lo aveva lasciato nei pantaloni, abbandonati all’ingresso
“David!”esclamò rispondendo al telefono “Sai che non amo il cellula… ah in vivavoce? Ok”
Mise una mano davanti al telefono e sillabò un ‘credo sia preoccupato’ in direzione di Max. Tornò a letto e adagiò il suo telefonino sul materasso, mettendo il vivavoce
“Vai, dicci tutto.”
La voce di David uscì dal telefono con un suono un po’ ovattato
“Devo vedervi per pranzo. Urgentemente. Dove siete?”
“Siamo a Bay City, pensavamo di restarci fino ad oggi pome..”
“Perfetto. Passo da tua madre e cerco di essere li da voi entro massimo un’ora.”
“Potresti spiegarci? Sembri teso.”chiese Max
“No, meglio di no. Anzi Max, ti hanno chiamato i tuoi genitori?”
“No, perché?”
“Nulla. Meglio cosi. Non voglio mettervi ansia ragazze, ma ho bisogno di parlarne a voce e non per telefono. Dove ci vediamo?”
“Beh sarai a stomaco vuoto. Ti facciamo compagnia e ci vediamo al Fisherman? La cameriera mi sta simpatica.”
“D’accordo, d’accordo. A più tardi.”
Finita la conversazione, si fissarono negli occhi in silenzio
“Non sono affatto serena, Chloe.” disse infine Max “Per nulla. Perché questa chiamata? Che cosa c’entrano i miei genitori?”
Chloe scosse la testa. Aveva mantenuto stranamente la calma durante al telefonata ma ora iniziava ad agitarsi visibilmente. Prese il telefono e lo guardò con occhi assenti, prima di lasciarlo cadere nuovamente sul materasso, ove atterrò con un tonfo morbido.
“Non ne ho idea. Non ha voluto accennarci nulla. Credo sia qualcosa di grave. Dovremmo vedere un telegiornale o…”
“Non se ne parla!” s’impuntò Max “Non voglio ricevere nessuna notizia da altri, se David vuole parlare con noi con questa urgenza. Se vedessimo qualcosa dai media e fosse travisato? Magari è una sciocchezza che i giornali vogliono pompare per farsi pubblicità!”
Ma non credeva minimamente che fosse cosi. Era grave e su questo non vi erano dubbi. Altrimenti, perché David avrebbe dovuto scomodarsi così tanto?
Non riusciva proprio a capire…
Si preoccupò di darsi una sistemata, magari una doccia le avrebbe schiarito le idee. Non ne aveva bisogno, ma voleva solo rilassarsi, ragionare e collegare i pezzi che potevano esserle sfuggiti. Aprì il getto bollente, si spogliò e vi si gettò sotto, sentendo le pesanti gocce d’acqua colpirle la nuca e la pelle nuda. Si appoggiò con una mano alla parete, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dai suoi sensi.
Il rumore sordo dell’acqua sulla sua testa, martellante e costante, era il solo rumore che invadeva la sua mente. Aveva chiuso gli occhi, non aveva acceso  nessuna luce e, non essendoci la finestra, era completamente avvolta dal buio e dal calore.
 
….David vuole parlarci…..
 
Erano tornate dove non avrebbero mai e poi mai voluto essere. Troppi fantasmi, troppi brutti ricordi.
 
….parlarci….ma di cosa?
 
 
Ma anche ricordi bellissimi. L’infanzia passata in casa Price, le gite al faro, i bagni in spiaggia in Luglio e Agosto, quando non partiva con i suoi genitori per le vacanze, lontana da Arcadia, lontana da Chloe.
 
….Kristine vuole trovare i resti di suo fratello….perché? Riabilitarlo? Condannare solo Jefferson?
 
Le avventure con Chloe. I suoi bei ricordi non erano legati ad Arcadia, ma a Chloe.
La capsula del tempo, i suoi primi scatti, dedicati solo a lei o realizzati per lei. La degustazione di vini andata male, le feste di compleanno sempre assieme, le notti passate a dormire, a volte abbracciate dopo un film, a volte tenendosi per mano.
 
….che abbiano saputo? David vorrà parlarci di questo? Che sa che stiamo cercando di risolvere questo piccolo mistero? Dopo Rachel, scovare un altro corpo? Vuole aiutarci magari?
 
Quando l’aveva rivista alla Blackwell. Quando si erano scontrate e chiarite. Quando le aveva raccontato dei suoi poteri. Quando si erano intrufolate in piscina  e poi dormito assieme dopo anni. Quando la sfidò a baciarla. Quando raccolse la sfida con naturalezza pensando che baciarla fosse la cosa più normale del mondo. Quando aveva capito che avrebbe voluto baciarla ancora. Quando aveva capito che l’amava.
 
…forse non sa…..forse è successo altro. Dopotutto ha nominato i miei genitori. Quindi è altro….
Ma cosa….che altro mancava al puzzle? Un corpo, certo. Ma altro? Kristine, David, Joyce, Nathan…perché non c’era un collegamento eppure era come se tutto lo fosse?
 
Chloe che veniva colpita. Chloe che cadeva a terra. Chloe paraplegica. Chloe di nuovo viva. Il suo cuore che ripartiva. Chloe che le chiedeva di prendere la decisione più importante della sua vita e per la quale non aveva esitato neppure un istante. I suoi ricordi migliori, più belli, difficili, vitali non erano ricordi.
Erano un nome.
Chloe Price.
Chloe.
Chloe.
Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe. Chloe.
 
 
 
….no, c’è altro… qualcosa che ora mi sfugge ma c’è qualcosa che unisce tutto quanto. Qualcosa che dia un senso al nostro ritorno. Non può essere solo per Nathan….Il tornado era l’inizio, ora dobbiamo sistemare noi le macerie. Ma come? Cosa dobbiamo fare ancora? Forse voglio solo vedere un disegno del fato che, sicuramente, non c’è. Il debito è pagato. Ma allora perché siamo qui? In meno di un giorno ributtate tra le braccia di Joyce, nei corridoi della Blackwell, i nomi di persone che ho ucciso. Rachel che riemerge. Cosa mi sfugge?
 
 
Una rapida e debole lama di luce colpì la sua serrata palpebra sinistra. Pochi istanti dopo, un fruscio e dei rumori di passi umidi. Le braccia attorno alla sua vita, calde, lunghe e forti, che la cinsero in un abbraccio. Due labbra sul suo collo.
“Chloe non è il caso di….”
“Ssssh, giuro che ho solo ottime intenzioni. Volevo solo confortarti e ricordarti che sono qui, ok?” le sussurrò all’orecchio.
Sorrise.
Sentiva l’acqua filtrare tra i capelli di lei, unirsi in una serie di rivoli compatti e fini e colare tra le fessure dei loro corpi, sulla sua schiena. Le prese una mano. Rimase a occhi chiusi e parlò
“Mi sfugge qualcosa. Mi sembra che tutto questo sia così agli opposti delle nostre vite, ma comunque unito. Non credo che sia sovrannaturale o il destino. Penso solo che il nostro ritorno qui abbia scatenato una serie di eventi. Ci hanno viste e sono sbucate fuori molte complicazioni. Mi chiedo cosa manchi ancora all’appello.”
“Forse Jefferson è evaso di prigione.”
“Cazzo speriamo di no. Ci mancherebbe solo quello.”
“Già. E poi, per me, sarebbe una buona notizia.”
“Perché?”
“Beh vorrà dire che posso prenderlo a calci nelle palle senza troppi problemi.”
“Scema. No credo che sia poco probabile. Se scappasse, tutta la sua difesa crollerebbe.”
“Ma ci risparmierebbe di cercare un cadavere. Sono stufa di scavare e trovare gente morta. Non era quello che mi immaginavo per le nostre avventure piratesche.”
Max aprì gli occhi e strinse di più a se Chloe, obbligandola ad affondare le labbra ancora di più nel suo corpo.
“Non so davvero che pensare. Mi sfugge tutto. Mi sembra cosi assurdo, esattamente come un anno fa. All’ora avevo quei poteri, ma adesso?”
“Anche all’ora ci sfuggiva tutto e poi capimmo che era tutto connesso. Forse è ancora cosi. Solo che stavolta noi vogliamo fuggire e non rimediare. Questo è un bell’ostacolo.”replicò, poi la baciò sul collo, dietro l’orecchio, sulla guancia. Max si piego abbastanza da baciarla sulle labbra. Avrebbe dato tutto quello che aveva per non dover uscire da quella doccia, ma non poteva. Terminato il bacio mormorò che dovevano andare. Con uno sbuffo di accettazione, Chloe spense l’acqua e la strinse a sé qualche istante prima di sciogliersi e prepararsi ad affrontare le brutte notizie per bocca di David.
Tutti i suoi più bei ricordi erano in quell’abbraccio umido, nel buio, nel gorgoglio dello scarico. Ed avevano i capelli  blu.
 
 
 
Avevano ancora entrambe i capelli umidi quando si sedettero al Fisherman, ma la calura estiva avrebbe provveduto presto ad asciugarli. Non volevano perdere tempo e temevano di fare tardi, perciò si erano asciugate, vestite e scese per l’appuntamento con David, accomodandosi allo stesso posto del giorno prima, solo con Chloe accanto a Max per lasciare il posto di fronte a loro libero per il patrigno in arrivo. Rebecca, sfortunatamente, non c’era. Al suo posto vi era una ragazza molto più giovane, forse poco sopra la ventina, capelli lunghi e castani, occhi nocciola e piercing al naso ma un sorriso dolce e sincero. Chloe si convinse che ammiccasse a lei, facendolo notare a Max sperando di farla ingelosire un po’, ma la ragazza rimase di ghiaccio.
“Non ti ha affatto ammiccato e non credo che sia interessata a te.”disse dopo l’ennesima provocazione
“Ah! Quindi non sarei appetibile eh?”esclamò, guardandola con sfida e appoggiando la testa sul suo pugno.
“Non ho assolutamente detto questo e lo sai. Vuoi solo farmi ingelosire, ma non ci sono abbastanza prove a sostegno della tua burla.”rispose Max con calma, non staccando gli occhi dal menù “Penso che oggi prenderò una porzione di barbecue ribs e un tea freddo al limone.”
“Mi stai davvero ignorando cosi? Ok, io prendo un lobster roll….hey almeno fingiti arrabbiata però!”
“Perché dovrei? Nessuno qui ci sta provando con te.”
La ragazza giovane si avvicinò al tavolo e Max scorse il nome dalla targhetta. Si chiamava Laureen.
“Siete pronte, ragazze?”
“In realtà si, ma volevamo aspettare una persona. Dovrebbe essere qui a momenti.” spiegò Max
“Ma certo, nessun problema.”rispose Laureen sorridendo “Però volete bere qualcosa intanto?”
“Mh, si dai. Un tea freddo al limone per me e…”
“Birra media per me.”concluse Chloe
“Ricevuto. Se volete dirmi che volete per pranzo, vi dico se occorre molto attendere e in quel caso faccio iniziare a preparare i vostri piatti.”
“Mi sembra una ottima idea!”disse Chloe, allungandosi sul tavolo. Max intuiva quello che stava facendo: voleva fingere moine per cercare di avere ragione. Laureen non si scompose
“Prendiamo un Lobster Roll e una porzione di Barbecue Ribs.”disse Max, prima di far ulteriormente peggiorare il gioco di Chloe.
“Perfetto! Si forse è meglio che inizi  a farveli preparare. Vuoi del ghiaccio nel tea, Max?”
“Oh si grazie!”
Laureen le sorrise con calore e se ne andò. Max riprese il menù per studiarlo a fondo, dato che aveva letto un sacco di piatti che le facevano venire l’acquolina in bocca. Ma  dopo pochi secondi dovette abbassarlo perché sentiva lo sguardo di Chloe piantato addosso.
Era ancora allungata sul tavolo e la fissava con occhi e bocca spalancata.
“Che c’è?”chiese
“Ti ha chiamata per nome!”
“Ovvio Chloe. Ricordi? Qui ci conoscono tutti ormai.”
“E ti ha sorriso!”
“E’ il suo lavoro, Chloe.”
“Io la ammazzo.”
“No, Chloe. E’ il  suo lavoro.”
“Le strappo i capelli. Vorrà  del ghiaccio anche lei per i lividi che le lascerò?”
“Chloe, sarai mica gelosa di una ragazza che fa solo il suo lavoro?”
Chloe si rimise a sedere imbarazzata.
“No.”
“Si e io odio la fotografia. Smettila, non è successo niente.”
S’imbronciò e cominciò a fissare in cagnesco il bancone e, occasionalmente  Max, che continuava beatamente a studiarsi il menù
Un paio di minuti dopo, Laureen era di ritorno con le loro bevande e le adagiò al tavolo, senza fare nulla di compromettente. Questo però non bastò a placare Chloe, che questa volta si disse sicura di essersi sporta apposta in avanti mentre le passava la birra solo per avvicinare il seno al viso di Max.
Quest’ultima, ovviamente, rise e ignorò la cosa.
Finalmente arrivò David. Ordinò anche lui una birra e un hot dog semplice.
Si sedette nel posto libero lasciato alle ragazze. Sorrise, ma notarono che era forzato rispetto al giorno prima. Era nervoso e si tormentava le mani. Aveva appoggiato il cellulare sul tavolo, assieme alle chiavi della macchina e
“Sigarette?”esclamò Chloe “Davvero? Fumi?”
“Avevo smesso ma ho ripreso da qualche mese. Spero di smettere di nuovo appena tutto quanto sarà passato. Odio questa merda.” spiegò
“Prova le canne, secondo me….Sto scherzando, sto scherzando, non fulminarmi con gli occhi!”
Max rise. Fu catartico per un istante. Sentì meno peso sullo stomaco per una manciata di secondi.
Questa nuova versione di Chloe e David, senza rancori ne astio, era un quasi un vero quadretto familiare. Si sentiva sollevata per lei. I piatti arrivarono poco dopo e, di comune accordo, decisero di rimandare le chiacchiere a dopo il pranzo. Chloe chiese novità su sua madre e David la rassicurò dicendole che stava nettamente migliorando e che la vista da parte loro avvenuta il giorno prima sembrava avere dato più forza.
“Sembra che non veda l’ora di tornare a farti ramanzine.”scherzò David “Chissà, magari tornerà anche a me”
“Ehi…”Chloe puntò la forchetta in direzione di David “Se volete una guerra so combattere. Ma lo farò da Seattle, così vi toglierò la soddisfazione di punirmi.”
Terminato di mangiare, attesero che Laureen venisse a sparecchiare, ma Chloe la interruppe
“Scuuuusa maaa potrei chiederti un’altra bi..”
“Chloe, devi guidare, giusto?”chiese David
“…..coca….Una coca. Con ghiaccio. E penso che MAXINE voglia il dolce. Vero Maxin…ahia!”
Max le aveva dato un pizzicotto sul braccio nudo
“Si. Un milkshake al cioccolato e una bottiglia d’acqua. Grazie.”
Laureen si ritirò, sempre sorridendole.
“MI HAI FATTO MALE, CAZZO!”
Max piantò gli occhi su Chloe, gelandola con lo sguardo e minacciandola con una cannuccia
“Non ti azzardare mai più a chiamarmi Maxine solo perché sei gelosa.”sibilò
David scoppiò a ridere
“Voi due si che siete bizzarre. Chloe gelosa? Questa si che è nuova!”
“Si è messa in testa che la cameriera ci stia provando con me.”spiegò
David rise di nuovo
“Chloe sta solo lavorando.”
Ma la ragazza aveva incrociato le braccia e fissava in cagnesco sia Max che David
“Questo è bullismo.” borbottò “Vedrete che ho ragione io.”
Il milkshake arrivò poco dopo, assieme alle bevande. Stavolta però, non se la sentiva di rimandare ancora.
“Quindi David, cosa è successo? Perché volevi vederci?” chiese Max
Questo bastò a far interrompere la finta sceneggiata di Chloe, che si avvicinò al tavolo. David si massaggiò le tempie, adagiò i gomiti sul tavolo e fissò prima Max e poi Chloe con intensità, come a studiare i loro volti prima che desse loro una spiacevole notizia.
“Ho ricevuto una chiamata stamattina, da un agente di polizia di Arcadia che ora opera a Tillamook in attesa di tornare a casa. Beh è stato contattato da un avvocato, a quanto pare, che voleva espressamente parlare con voi direttamente, senza intercedere con i vostri avvocati per il momento. Avrebbe mosso una questione importante e chiede di poter essere ascoltato.”
“Col cazzo.”sbottò Chloe “i genitori di Max pagano due avvocati. Che parli con loro.”
“Lo so ed è quello che ho risposto anche io ma prima mi ha gentilmente chiesto di sentire le sue motivazioni e del perché vorrebbe che prima lo sapeste voi. Poi è disposto ad intermediare con gli avvocati. Sarebbe più corretto dire che non sono esattamente le sue intenzioni, ma del suo cliente. Vuole un contatto diretto con voi.”
“Chi è ?” chiese Max, che sentiva un orribile sospetto crescerle dentro “Che cosa vuole?”
“Il suo cliente ha chiesto di incontrarti, Max. Senza avvocati. Un incontro solo tu e lui. Vuole parlarti”disse David, guardandola negli occhi.
Allontanò il milkshake ancora pieno. La nausea era insopportabile. Aveva capito.
“Chi? Chi cazzo è?”chiese Chloe, che ancora non aveva afferrato.
David emise un sospiro. Chiuse gli occhi e chinò il capo per un istante.
“Mark Jefferson.” rispose con tono asciutto “Mark Jefferson vuole incontrarti, Max.”
Lo sapeva. Aveva intuito, ma comunque non fu facile sentirlo. Accusò il colpo, si appoggiò al divanetto morbido, lasciò cadere le braccia ai fianchi e chiuse gli occhi, cercando conforto. Si sentiva sfinita, come dopo una maratona.
“Col cazzo!” strillò Chloe. I pochi clienti presenti, si voltarono, ma a lei non importò granché “Non lascerò che vada.”
“Ha chiesto di far sapere entro stasera.”continuò David “Potete chiamare voi i vostri avvocati e sentire i loro pareri. Saranno loro i tramite con l’avvocato di Jefferson, ma posso farlo anche io dato che mi ha concesso “l’onore” di essere il messaggero di questa notizia di merda.”
“Non andrà.”s’impuntò Chloe “Non esiste. Puoi chiamarlo anche adesso davanti a noi e…”
“Chloe…”
Max le appoggiò una mano sul braccio, cercando di rasserenarla. Non funzionò granché, dato che lei le prese la mano e la fissò dritta negli occhi
“Non esiste. Non puoi andarci. Non con quello che ti…”
Si bloccò prima di tradirsi. Max ne approfittò per appoggiarle un dito della mano libera sulle labbra. Sorrise, sapendo di non trasmettere tranquillità ma solo stanchezza e rassegnazione
“Lo sapevamo, giusto? Sapevamo che qualcosa sarebbe successo. Ci penseremo con calma, non occorre decidere ora. Non ho alcuna fretta. Poi cosa vorrebbe da me? Non ho nulla che gli interessi e lui non ha nulla che interessi a me. Posso anche tranquillamente lasciare perdere.”
Mentiva. Chloe lo sapeva, gli leggeva dentro. Sapeva che non credeva a una sola parola. Nessuna delle due ci credeva. Ma andava rasserenato David, farsi vedere forti per non dargli più pensieri di quanti non ne avesse già.
“Senti oggi andiamo a farci un giro per i boschi, ok?” propose Max “Potrebbe farci bene!”
Era una bugia. Chloe l’aveva capito, ma accettò la commedia
“Ok, ok. Come vuoi tu. David? Grazie per ….beh la notizia. Ce ne occuperemo noi, non vogliamo tirarti in mezzo più del necessario. Parleremo con i nostri avvocati e poi ci penseranno loro.”
David annuì
“Posso fare qualcosa per voi, ragazze?”
Max fece per dire di no, ma Chloe l’anticipò
“In verità una cosa ci sarebbe…… ma non credo che tu possa farla….”
“Spara.”
“Riusciresti a procurarci tutto il materiale possibile su Nathan Prescott in mano alle autorità?”
Chloe fu diretta e questo spiazzò non poco David, che la fissò sbalordito
“Chloe non ruberò…..”
“No, non fraintendere. Non voglio che rubi nulla. Basteranno delle copie o anche semplicemente un tuo resoconto verbale. Tutto quello che c’è su Nathan, i suoi spostamenti ipotetici, cosa hanno trovato a casa sua e alla Blackwell, eventuali stranezze che la polizia ha preso in considerazione…”
“C’è di mezzo anche l’FBI, lo sai? Una agente sola, ma c’è. Stanno risalendo ad altri crimini che potrebbero essere stati compiuti da Jefferson in altri stati, ma anche la parte di Prescott è entrata nella sua orbita, anche se ufficialmente non le compete. Non mi stai chiedendo una cosa semplice, Chloe.”
“Lo so e mi dispiace molto farlo, dico sul serio” (non era vero, Max lo sapeva. Ok, il rapporto tra loro era nettamente migliorato, ma se Chloe voleva qualcosa non si dispiaceva per niente). “Credo che ci sia qualcosa che potrebbe spiegare la volontà di Jefferson di vedere Max. Forse è convinto che lei c’entri qualcosa o voglia ottenere informazioni da lei. Se noi lo sapessimo tempestivamente, potremmo evitare di cadere nella sua trappola.”
“Non mi raggiri cosi, Chloe. Non è per questo che me lo stai chiedendo. Che motivo avete per sapere tutto sulle indagini in corso?”
Chloe esibì un sorriso forzato a denti stretti, essendo colta in fragrante
Max evitò altre sceneggiate e disse una mezza verità
“Sappiamo tutti che Nathan Prescott è morto, anche le autorità scommetto. Vogliamo capire come hanno condotto le ricerche e cosa hanno ispezionato. Nathan è qui, bisogna solo capire dove cercare.”
David si fece pensieroso
“Non vorrete replicare? Dopo aver trovato il cadavere di Ra….”s’interruppe. Sapeva che Rachel Amber era grande amica di Chloe e non voleva apparire indelicato “Dopo che avete fatto quell’altra scoperta, ora intendete farne un’altra? Ragazze è diverso stavolta: Rachel non la stava cercando il corpo di polizia della contea. Qui ci sono in gioco molti più mezzi e uomini, oltre che interessi giuridici…”
“Ma Nathan, come  Rachel, ha una famiglia che non sembra interessata a trovare il suo corpo.”sottolineò amaramente Chloe “Se solo gli Amber si fossero sbattuti, specie James con il potere che aveva, forse il suo corpo sarebbe stato trovato molto prima e il casino di Jefferson scoperto. I Prescott non sono più nemmeno qui, hanno solo dichiarato che il figlio non è fuggito e si stanno preparando ad affrontare le loro beghe legali e salvare il loro impero finanziario in declino. Nessuno lo sta realmente cercando. E se non è la famiglia a volerlo più di tutti, perché dovrebbero insistere degli estranei, per quanto vadano in giro con il motto servire e proteggere?”
David non replicò subito. Fece una smorfia simile a un sorriso amaro.
“Non so come replicare, Chloe. Potresti avermi messo a tacere per la prima volta. Si, sono brave persone gli agenti che lavorano al caso, ma ammetto che la situazione è talmente complessa e intricata che non faticherei a credere che abbiano mollato il colpo. Oltre ai crimini locali, vi sono le questioni del corpo di Nathan e anche delle piste che lo vogliono vivo, la ricostruzione di Arcadia, il processo di Jefferson…. Il dipartimento di Tillamook è sotto pressione, non che a Salem ci ignorino. E’ un crimine per tutto l’Oregon, ci sono troppe pressioni e troppi interessi in ballo. Serve ripulire Arcadia, oltre che ricostruirla. Ci sono finanziamenti e finanziatori in arrivo. Sbattere in galere almeno Jefferson il prima possibile sembra l’interesse maggiore, indipendentemente dalla condanna che possa ricevere. Su Nathan, perciò, ci troviamo in una situazione di stallo: è importante per l’accusa averlo, ma per la difesa e lo stato dell’Oregon no. Serve un colpevole e serve in fretta, cosi da buttarsi tutto alle spalle e far ripartire Arcadia Bay entro il suo anniversario. Che schifo.”
Max colse uno spiraglio da quelle parole e provò a inserirsi
“Quindi ci aiuterai? “
David sospirò di nuovo, inclinando all’indietro la testa, prendendo tempo. Sapeva cosa stavano chiedendo: un tradimento. Beh, non era un vero e proprio tradimento, ma per l’indole da soldato di David, in parte, lo era eccome. Passare loro informazioni sulle indagini in corso, fatte da potenziali colleghi, era qualcosa che impegnava di molto la sua morale.
Si ricompose e parlò a bassa voce
“Ok, ok. Vedrò cosa posso recuperare. Ma non porterò fuori nulla, sottolineo nulla, dal dipartimento. Niente prove, niente fascicoli. Nulla. Intesi?”
“Va benissimo.” affermò entusiasta Max
“E come farai a passarci tutto?”chiese Chloe
“Dovrete fidarvi delle mie parole.”disse semplicemente “Spulcerò ogni volta che posso, annoterò se possibile, ma poi dovrete credere ciecamente a quello che vi dirò.”
“Certamente.”disse Max “Sappiamo che ci diresti solo la verità.”
David abbozzò un sorriso
“Posso anticiparvi qualcosa di cui sono a conoscenza e che i media non possono ancora aver detto o addirittura ignorano. Badate bene, non è molto.”
“E’ comunque più di quanto potremmo sapere noi adesso.”disse Chloe “Spara.”
“Sembra che la pista della fuga in California sia definitivamente morta. Sono circa due mesi che laggiù non viene più cercato Nathan Prescott e sono quasi sicuro che a breve abbandoneranno ufficialmente le ricerche con un annuncio pubblico. Dichiareranno che, secondo le loro indagini, Nathan Prescott non può trovarsi a Los Angeles e nelle contee limitrofe. Non lasciano comunque chiusa la possibilità che sia altrove in California o negli Stati confinanti. Direi che sperano ardentemente che qualcuno in Arizona faccia una segnalazione e si prendano lì questa patata bollente. Vi sono un paio di comunità isolate nel deserto, ex hippie o cose simili, per cui sperano che qualcuno segnali di fare una ricerca laggiù, spostando l’attenzione in un altro Stato. Manterranno, sempre con il supporto dell’FBI, lo status di ricercato nello Stato della California. Si presume che vogliano estenderlo in tutti gli stati. Ma la verità è che pensano che sia ancora in Oregon.
La squadra di ricerca che si occupa di ritrovare il suo presunto cadavere ha perlustrato palmo a palmo la vecchia fattoria Prescott e dintorni, senza trovare traccia. Era quella più fattibile dato che Jefferson l’ho arrestato li e, per tempistiche, il posto più probabile dove potesse essersi sbarazzato di Nathan.”
“Ma non il solo.”disse Chloe “Lui era scomparso almeno dal pomeriggio, no?”
“Si e no. Victoria Chase era stata vista con lui intorno alle diciotto, dato che stavano ultimando i preparativi per la festa in piscina. Purtroppo la Chase è deceduta, perciò non possiamo sapere la sua versione, ma alcuni studenti superstiti hanno confermato quasi allo stesso modo che era vivo e presente al campus, in evidente stato alterato. Agitato, rabbioso veniva descritto. Ma lo era parecchio dal suicidio di Kate Marsh, da quello che mi ricordo.”
“Tu eri il capo della sicurezza. Avrai dovuto rilasciare dichiarazioni!”esclamò Chloe
“Si, ovviamente. Ma su quel giorno non ho molto da dire. Prescott l’ho incrociato un paio di volte, intorno alle quindici. Poi più nulla.”
Max venne in mente un dettaglio
“Alla festa, quando eravamo andate a cercarlo, ho perso di vista Chloe e chiedevo a tutti dove fosse. Molti non lo avevano visto, ma sembravano spaventati dal suo stato mentale. Sappiamo che nel pomeriggio era al campus, ha avuto una lite con Warren, poi dicono che per le diciotto fosse nei pressi della piscina con Victoria. Noi, quando siamo arrivate alla festa per cercarlo, erano almeno le ventidue passate. Se nessuno lo aveva visto, nemmeno Victoria, allora ci sono almeno quattro ore di vuoto, forse meno. Jefferson può anche averlo ucciso presto, ma non può essersi liberato del cadavere prima del tramonto. Inoltre verso le ventidue e trenta doveva annunciare il vincitore del concorso EveryDay Heroes…”
Aspetta.” disse David “Hai detto che alla festa nessuno sembrava averlo visto…. Non mi avevate detto di essere entrate dentro…. E nemmeno che vi eravate perse di vista…”
 
….cazzo! C A Z Z O! QUELLA LINEA TEMPORALE NON SI E’ AVVERATA MAX! STUPIDA!
 
 
“Max intendeva dire la gente fuori… abbiamo incrociato Warren che, come al solito, molestava Max nella speranza di farsela dare, ma al contrario di lei io non volevo perdere tempo. Ho sentito dire da una scagnozza di Victoria che lei lo stava cercando ma non lo trovava, mentre rientrava alla festa. Ci siamo divise per pochi minuti, il tempo di Max di farsi un selfie con il suo amicone e poi venirmi a cercare. Nel frattempo ho parlato con della gente fuori dalla palestra. Ci siamo ritrovate poco prima di entrare e lì mi ha persuaso a contattare te per dirti dove andare, dicendo che noi non potevamo partire alla caccia all’uomo da sole. Per fortuna mi ha calmato, eh?”
Chloe le parò il culo in maniera convincente. Le rivolse uno sguardo complice e un sorriso furbo. Sembrava dirle ‘visto? Ti serve la tua spalla di fiducia, eroina’  e si compiaceva della sua pronta bugia. Max le appoggiò una mano sulla coscia destra in segno di apprezzamento e sollievo per aver rimediato.
David pensò un attimo tra sé poi annuì
“Si in effetti non vi ho mai chiesto granché su quella sera. Non ricordo un passaggio del genere nelle vostre dichiarazioni, ma può darsi che vi sia sfuggito. Avevate detto che lo stavate cercando e avete desistito e poi chiamato me. Una omissione da poco, ma forse poteva restringere il tempo di ricerca sulla scomparsa di Nathan. O forse non cambia nulla. Se comunque non ci sono più testimoni che lo vedono nel campus dopo le diciotto, cambia poco. E, come ha detto Max, se fosse stato assassinato, di sicuro il corpo non poteva essere occultato prima del tramonto. Il tempo è molto ristretto. Massimo un paio d’ore circa.”
“Esatto. Controllando ogni percorso dalla Blackwell alla fattoria verrebbe fuori….”
“Una pista assolutamente già controllata.”disse David “Hanno perquisito dentro i dormitori, dentro la piscina, dentro l’ufficio di Jefferson e nei boschi. Non hanno trovato nulla.”
“Per quanto tempo?”chiese Max
“Due giorni. Inoltre la struttura, anche se poco danneggiata, è stata comunque colpita e alcune parti andavano ripulite e messe in sicurezza prima. Soprattutto la piscina.  Nulla.   Gli edifici non hanno rivelato niente.”
“E non hanno scavato in giro?”chiese Chloe “La Blackwell è praticamente immersa nel bosco! Potrebbe essere in quella zona!l ”
“No. Non occorreva, a detta loro. Hanno usato i cani molecolari nei boschi intorno, molto a nord. Hanno supposto che Jefferson potesse trasportare un cadavere del peso di Nathan, seppellirlo, cambiarsi e farsi vedere in tempo per la premiazione  per circa un chilometro e mezzo. Hanno portato i cani in quella area. Prima era poco probabile, visto i detriti e la troppa vicinanza alla scuola. Inoltre i cani sono stati usati solo per un pomeriggio, dato che servivano in maggioranza per la ricerca dei sopravvissuti tra le macerie.”
“Mi sembra un po’ fatta con il culo sta ricerca.” disse Chloe “Tolta la Blackwell e la fattoria, non so dove possa averlo scaricato.”
“Beh, non siete obbligate a scoprirlo.”disse David, che assunse un piglio paterno “Avete già dato tanto e fatto anche troppo. Lasciate perdere. So che non volete che Jefferson ne esca quasi pulito, ma meglio qualche anno di carcere che saperlo libero e in fuga. Lo avete fermato e non credo che avrà modo di infierire in futuro. Siate serene.”
Annuirono, ma poco convinte.
“C’è altro?”chiese David, vedendo che non rispondevano
“Si.”disse Chloe “Potresti anche farci sapere esattamente quante sono le vittime certe o sospette di Jefferson? Anche i loro nomi.”
David ora sembrava decisamente infastidito
“Chloe qua andiamo troppo oltre. Per la privacy….”
“Lo so, ma voglio scrivere una lettera a tutte loro. Voglio chiederle scusa. Ho perso una amica per colpa sua, voglio essere solidale con loro. Se solo avessi capito prima…”rispose
Max comprese che era nuovamente una bugia. Ma stavolta non sapeva perché.
David pareva averla bevuta e sembrò sinceramente colpito
“Mh. Ok. Ma sappilo: molte negano. Alcune non vogliono nemmeno parlarci. Si vergognano oppure non ricordano e pensano che le stiamo confondendo. Ti farò avere una lista dei nomi ma non tirarmi in mezzo, chiaro?”
“Ricevuto, capitano!”esclamò Chloe soddisfatta.
Finirono di pranzare in tranquillità. Max bevve il suo ormai disciolto milkshake,  mentre David e Chloe sorseggiarono un caffè. Poi, con enorme insistenza, lo convinsero a lasciare che fossero loro, anzi Chloe, a pagare il suo pranzo. Lo salutarono e lo videro andare via. Appena videro la macchina allontanarsi, Max interrogò Chloe
“Che hai in mente?”
Lei fece le spallucce
“Mi tutelo. Se mai decidessi di incontrare Jefferson, e non so perché ho il timore che tu voglia farlo, voglio avere in mano una lista delle vittime. Cosi, vediamo se qualche nome buttato li lo agita, cosi giriamo il coltello nella piaga.”
“Perché?”
“Perché è il solo che sappia dove Nathan è sepolto. Non ce lo dirà mai. Perciò lo tortureremo mentalmente. Lui lo ha fatto con te, con Rachel e con chissà quante altre. Voglio tenerlo io per le palle, stavolta. Non ci aiuterà a incastralo, ma non vuol dire che debba privarmi di una soddisfazione, no?”
“Chloe tu ragioni come se io volessi davvero vederlo. Non lo so ma non credo. Ti stupirò, ma sono più propensa a non volerlo incontrare.”disse Max.
Chloe la strinse a sé
“Rilassati Max. Io sono solo felice se vuoi evitare quella testa di cazzo. Ma oggi propongo un tuffo nei ricordi, parte seconda: andiamo nella mia vecchia dimora. Ci stai?”
Annuì
“Prima chiamiamo Kristine. Dobbiamo aggiornarla su questa cosa.”disse
Chloe sbuffò e disse che, però, non la voleva dentro casa sua.
Si alzarono, andarono a pagare e in quel momento entrò un ragazzo giovane che salutò con affetto Laureen che rispose
“Arrivo subito amore, stacco tra poco. Vuoi del caffè, intanto?”
Chloe si gelò e ignorò gli sguardi divertiti di Max.
Finché non salirono in macchina, evitò proprio di guardarla, nonostante le occhiate divertite che riceveva. Una volta avviato il motore sbottò
“Non significa che tu abbia ragione!”
“Significa che sei gelosa più di quanto tu voglia ammettere.” la rimbeccò Max, ridacchiando di fronte alla faccia infastidita di Chloe.
 

 


 
 
8.
 
 
Parcheggiarono di fronte al vialetto di casa, dove sorgeva il garage appena risistemato.
Il Quarantaquattro di Cedar Avenue si presentava diverso e al contempo identico da come era sempre stato. L’ultima volta che lo videro era appena stato investito dai venti e non aveva nemmeno un vetro intatto, circondato da detriti nel giardino, parte del tetto scoperchiato e qualche pezzo di ferro e legno conficcato nelle pareti.
Ora si presentava in perfette condizioni, pareti intonse, tetto rimesso a nuovo, lucidi vetri scintillanti al sole, prato pulito ma non curato con erba di discreta altezza e un fantastico tono di azzurro che ora avvolgeva tutta la casa. Evidentemente, durante la ricostruzione, gli addetti pensarono che i lavori furono lasciati a metà a causa della tempesta e devono aver deciso di completare l’opera di tinteggiatura esterna.
Spense il motore, mettendo a tacere l’autoradio che trasmetteva ora un pezzo di Bon Iver, Holocene
 
And at once, I knew I was not magnificent
Hulled far from the highway aisle
Jagged vacance, thick with ice
But I could see for miles, miles, miles

 
 
“Maledettamente adatto” pensò Chloe, mentre scendeva al veicolo.
Si fermò a mirare la sua vecchia casa, che ora sembrava appena costruita. Nulla da obiettare, avevano fatto davvero un ottimo lavoro. Ma la seccava vederla completamente tinteggiata. Doveva farlo lei, se suo padre non poteva farlo. Era un suo compito.
 
Avresti potuto pensarci prima, testa di cazzo. Invece hai speso cinque anni di vita ad essere arrabbiata e a voler fuggire. Non lamentarti se ora qualcuno ha completato un compito che tu ti eri imposta di fare.
 
Max sbucò alla sua sinistra, da dietro del pick-up. Anche lei sembrava colpita dalla messa a nuovo della casa dei Price.
“Sembra in ordine, no?”chiese
“Troppo. Su, andiamo vicino alla strada. Almeno può vederci.”
“Come se ci fosse una ressa qui.”sottolineò Max
Arcadia era deserta, se si escludevano gli operai, ma in quel frangente erano ormai concentrati verso il porto. Cedar Avenue era completamente vuota. Nessun rumore, nessuna auto, nessun odore di qualche pietanza che faceva capolino da una finestra aperta. Nulla. Era sempre stata una delle vie più tranquille di tutta la cittadina, altro motivo per cui i suoi genitori l’avevano scelta e anche i Price, a quanto ricordava. Ma si sentiva il pulsare della vita, anche nella quiete, occasionalmente rotta da loro due, in preda ai giochi più disparati nella bella stagione.
Ora era fredda, vuota e priva di ogni gioco o risata. Era desolante.
“Che vuoi dirle?”chiese Chloe
“Tutto. Ha diritto di sapere. Collabora con noi, mi sembra corretto dimostrarle che ci fidiamo.”
“Non so. Forse non vuole sentire tutto…”
“A me sembra che abbia accettato totalmente la morte del fratello. Conviene essere trasparenti con lei, potrebbe esserci di fondamentale aiuto.” suggerì Max  “E noi abbiamo davvero bisogno di qualsiasi aiuto. Siamo ancora al punto di partenza.”
Chloe si limitò ad annuire ed osservare la strada, come se temesse di vedere arrivare qualcuno. Probabilmente, non sentiva nemmeno lei a suo agio con tutta quella innaturale quiete.
Era primo pomeriggio e il sole iniziava a picchiare forte sulle loro teste, facendo sentire la calura sulle loro pelli e l’asfalto non aiutava di certo a rinfrescarsi. Dopo una decina di minuti di attesa, videro una Dodge rossa fiammante imboccare Cedar Avenue e rallentare in prossimità di casa Price. Non furono sorprese di vedere scendere Kristine, vestita in maniera semplice, senza trucco, gonna di jeans e maglietta smanicata bianca e anonima. Salutò allegramente le ragazze e chiese come era stata la prima notte al Seaside.
“Comoda e rilassante. Non possono non ammettere che la stanza è incantevole.”disse Max
“Moooolto rilassante.”sottolineò Chloe con un sorriso malizioso e una occhiata in direzione di Max, che arrossì lievemente.
Kristine parve non badarci e si limitò a commentare entusiasta
“Sono felice che vi sia piaciuta. E’ una delle mie poche proprietà di cui non vorrei separarmi.”
“Già: uno dei vantaggi delle proprietà Prescott.”
“No Chloe. Quando ieri vi dissi che era mio, intendevo proprio mio. Preso con una mia quota di eredità quando chiesi dei soldi per andarmene in Brasile. Mi innamorai di quel posto e lo presi, partendo per il Brasile con un budget nettamente inferiore. Ma ne è valsa la pena: mi sono goduta di più la realtà brasiliana e ora sto facendo affari d’oro. Mio padre non c’entra nulla.”
Chloe emise un fischio ammirato
“Una bella botta di culo, eh? Se ogni anno viene spazzata via Arcadia, in dieci anni potresti essere la donna più potente d’America.”
“Scusa, mi sono espressa male: è ovvio che avrei preferito andare avanti con le solite entrate. Questa disgrazia mi ha rimesso in pari nel giro di pochi mesi, non posso negarlo. Ma non mi importa, dato che ora investirò i soldi di famiglia in cose decisamente migliori. Anche in Arcadia.”
“No, ti prego no.” esclamò Chloe “Basta Prescott in Arcadia.”
Kristine sorrise affabile
“Tranquilla: il nome della mia famiglia non comparirà mai. Vedrete voi con il tempo.”
Chloe parve un po’ sospettosa e per niente rilassata da quelle affermazioni. Era evidente che ancora non si fidava totalmente di Kristine che, nel frattempo, si era rivolta a Max
“Dunque: di che novità mi devi parlare? Nel messaggio hai detto che volevi riferirmi qualcosa su mio fratello che forse potrebbe essermi utile.”
Max annuì e raccontò tutto quello che avevano scoperto da David, omettendo la fonte e dicendole che avrebbero potuto scoprire più cose, ma avevano bisogno di altro tempo.
Dopo averla ascoltata, Kristine si fece pensierosa per un po’. Infine chiese di poter ascoltare il messaggio in segreteria che suo fratello aveva lasciato a Max. La ragazza acconsentì, porgendole il telefono. Kristine ascoltò due volte la voce del fratello. Se si emozionò, non lo diete a vedere. Rimase impassibile tutto il tempo.
Porse il telefono a Max e disse le sue conclusioni
“Nessun rumore di sottofondo. Nulla. Perciò non poteva essere nelle vicinanze della palestra, visto che i rumori si sarebbero sicuramente sentiti. Azzarderei dire che potesse essere in camera sua, nel dormitorio, ma non credo.”
“Perché?”chiese Chloe
“Perché dice chiaramente che Jefferson sta per arrivare a ucciderlo, e poi si sarebbe occupato di Max. Quindi Jefferson era nei paraggi e gli aveva reso chiare le sue intenzioni. Forse lo aveva già drogato o mezzo sedato per non farlo fuggire e ucciderlo appena possibile. Ma il dormitorio era troppo rischioso: qualche studente che non fosse andato alla festa avrebbe potuto vederlo. Dopotutto, doveva trasportare il corpo di un adolescente, non credo fosse una mossa saggia farlo in un dormitorio, no?”
“Direi di si. Ma quindi dove potrebbe averlo ucciso?” chiese Max “Nel suo ufficio a piano terra? Sembra la cosa più probabile ma poi come poteva trasportalo da li alla sua macchina per nasconderlo e trasportarlo fuori dalla Blackwell?”
Kristine non seppe rispondere
“Nei boschi?”suggerì Chloe “La Blackwell è praticamente circondata dalle piante: butti il corpo di Nathan fuori dalla finestra, esci con tranquillità, lo recuperi, passi tra gli alberi e lo carichi in macchina. Si, la piscina è di fianco al parcheggio e pullulava di gente, almeno quando siamo arrivate noi lo era  e non ricordo di aver visto l’auto di Jefferson ma…”
“Ma eri talmente incazzata e vogliosa di ammazzare Nathan che non ci siamo fermate a guardare le auto.” concluse Max “Quindi poteva stare benissimo in un punto poco illuminato, non necessariamente nel suo posto auto designato. O semplicemente, lo era, ma non ce ne se siamo accorte.”
“Era una cazzo di festa, Max.”disse Chloe “Secondo te, se avesse infilato Nathan in un sacco, nascosto nei boschi, spostato l’auto fino al limite del parcheggio e all’ombra, qualcuno si sarebbe voltato a guardare? Bevevano tutti e all’esterno sono abbastanza certa che chi ci fosse era li per farsi qualche canna. Non credo che fossero al massimo dell’attenzione. Jefferson poteva anche uccidere Nathan davanti a loro e non se ne sarebbero accorti.”
Kristine annuì. Rimase impassibile e questo colpì le ragazze. Avevano parlato di suo fratello, morto, come un oggetto o una persona sconosciuta, ma non aveva battuto ciglio.
“Concordo con te Chloe. Il problema del trasporto di mio fratello, forse, non è stato così difficile. Ma ancora non capisco dove possa averlo sistemato. Ma c’è un altro indizio notevole nel messaggio in segreteria.”
“Cioè?”chiese Max. Era curiosa: le era sfuggito qualcosa e non se ne era accorta?
“Il tuo telefono dice che il messaggio è stato ricevuto intorno alle venti e quarantaquattro. Perciò mio fratello è morto poco dopo. Per cui…”
“Il tempo a disposizione di Jefferson per nasconderlo e presenziare alla festa è di circa novanta minuti.”concluse Max “Sembra molto, ma non lo è. Non può averlo nascosto in bella vista e nemmeno molto lontano.”
“Ma se avesse usato davvero l’auto….. tempo ne aveva eccome…. Poteva andare fino al promontorio e gettarlo in mare dalla scogliera.”concluse Chloe
Le tre ragazze rimasero in silenzio. Involontariamente, quella era divenuta la pista più credibile e sicura, ma faceva perdere loro le speranze di trovare una soluzione. Se il corpo di Nathan era finito nel Pacifico, la loro ricerca era finita.
“Continueremo a cercare.”disse Max “Non accettiamo che lo abbia gettato in mare. Potrebbe non aver voluto rischiare troppo e deve averlo nascosto da qualche altra parte. Se non è alla fattoria, sarà altrove. Lo troveremo.”
Kristine sorrise
“Lo spero. Sinceramente, più per voi che per me stessa. Mio fratello è morto e, indipendentemente da come andrà il processo, il suo nome sarà sempre sinonimo di un criminale che ha ucciso la figlia degli Amber. Le modalità e i problemi non interessano alla gente. Ma se lo trovassimo, una piccola parte potrebbe capire che è stato in parte vittima e, soprattutto, per voi due significherebbe sbattere Jefferson definitivamente in galera per molti, molti anni. Anche per me, a dire il vero. Voglio quel bastardo manipolatore rinchiuso per sempre.”
Max annuì, mentre Chloe non disse nulla
“Un’altra cosa: appena sarà possibile, vorremmo cercare di nuovo in camera sua. Ma di giorno.”
“Quando volete, Max: casa Prescott è sempre aperta per voi. Mandatemi un messaggio quando avete intenzione di passare e vi farò trovare la porta aperta.”
Si salutarono e videro Kristine allontanarsi con la sua auto, in direzione opposta.
Con il caldo opprimente e il desiderio di tuffarsi in qualche ricordo, le due ragazze entrarono finalmente in casa.
 
 
Chloe prese un ampio respiro prima di girare la chiave e aprire lentamente la bianca porta d’ingresso. Il sole accompagnò come un ventaglio  l’apertura dell’ingresso.
“Casa dolce casa.”mormorò Chloe, varcando la soglia.
Ai lati della porta non vi erano più vetri, ma solo muro. Il portaombrelli e il vaso che Max aveva rischiato più volte di rompere, non c’erano più. Ora solo una scarpiera vuota malmessa. Sulla destra vi era la porta bianca che conduceva al garage e la scalinata in legno che portava al piano di sopra, con il bagno, la camera di Chloe e quella matrimoniale, oltre che due ripostigli e la soffitta.
Non badarono molto a quella, per ora, ma percorsero l’ingresso fino alla cucina e al salotto. Non vi era più la bacheca con le foto dei nonni di Chloe e nemmeno il tavolino che ospitava il telefono di casa. La cucina sembrava praticamente nuova: non dissimile da prima, ma con elettrodomestici nuovi ancora avvolti dalla plastica, sgabelli nuovi , credenze lasciate volutamente aperte per mostrare piatti e pentolame nuovi. Max aprì anche il cassetto delle posate ed era rifornito pure quello. Si lasciò andare ad un fischio ammirato: non avevano proprio badato a spese.
Chloe era già in zona soggiorno. Se si escludeva il caminetto, era totalmente diversa: tv simile ma di un modello più recente, un tavolo da pranzo rettangolare con quattro sedie e senza centrotavola, un divano con penisola grigio scuro e tavolinetto in metallo al centro, porte finestre nuove con infissi intonati alla candida parete, con tende azzurro chiaro, niente più moquette ma parquet. Libreria nuova e più ampia, il tavolino in legno di suo padre svanito. La porta del garage era semi aperta e si intravedeva la roba dei Price che si era salvata, accatastata sul vecchio tavolo da pranzo, trasportato vicino al banco da lavoro di David. Non volle attraversare quella zona, ma preferì uscire in giardino, seguita in silenzio da Max.
L’altalena non c’era più e nemmeno il piccolo barbecue di famiglia. La lapide di Bongo era ancora al suo posto, come i cespugli, ma il giardino era di per sé incolto e selvaggio e vuoto. Niente più memorie di infanzia o di famiglia.
“La nostra nave pirata deve essere salpata con il favore dei venti, eh?”disse
“Può essere. Non la notammo quando tornammo qui l’ultima volta. Eravamo troppo di fretta per dare attenzioni.”
Chloe annuì alle parole di Max: in effetti erano entrate, preso quello che volevano, uscite e non si erano mai voltate indietro. Si, avevano esplorato, ma non così a fondo da notare tutti i dettagli.
Fece dietrofront. Voleva vedere cosa era cambiato ancora nella parte di casa che le restava.
Salì al piano di sopra abbastanza in fretta, seguita a ruota da Max, che non disse una parola. Trovatasi dinnanzi alla porta della sua camera da letto, prese la decisone di non vederla subito. Esplorò la camera dei suoi genitori, di Joyce e William e poi David, notando però che la mensola con i libri era svanita, assieme ad ogni quadro appeso. La stanza matrimoniale era ampia, il letto ancora al suo posto, avvolto da un telo di plastica, lo scrittoio era svanito e l’armadio in legno sostituito con un modello più recente, così come la finestra. Quello a muro era aperto e vuoto, mentre la cassettiera sembrava segnata e graffiata, ma intera: mancava però la collana che aveva fatto per la festa della mamma da bambina. Sarà sicuramente andata distrutta e un po’ le dispiacque: non perché fosse un suo lavoro, ma perché era comunque un suo ricordo per sua madre.
Max si era intrufolata nel bagno, l’unica stanza rimasta identica in ogni cosa, perciò non vi era nulla di interessante da notare.
Con uno sguardo di intesa e un sorriso d’incoraggiamento da parte della sua fotografa preferita, Chloe non rimandò più e aprì l’uscio di camera sua.
Fu invasa da sensazioni miste.
Tutto il mobilio era coperto da pesanti teli di plastica semitrasparente. La scrivania, con la sedia e senza computer, il suo letto, il comò, il piccolo scrittoio blu della sua infanzia e la cassettiera malridotta fatta da suo padre. Tutto avvolto da una nebbia artificiale di plastica. Le finestre erano state sostituite, la bandiera americana appesa al contrario e falcidiata dai vetri, era sparita, gettata via assieme alla lampada vicino al suo armadio a muro. Alcuni dei suoi poster erano appoggiati a terra, in una pila in un angolo a destra dell’ingresso, assieme alla targa ‘Parental Advisory´. I suoi graffiti fatti con l’indelebile nero erano ancora visibili sulle pareti, ma senza nulla a dare vita a quella stanza parevano ridicoli e vuoti. Come prima cosa, tolse ogni involucro da tutto, gettandoli a terra e in un angolo. Poi, contemplata la sua opera di disfacimento dei mobili, sospirò
“Beh, non sembra più la mia camera, con o senza plastica.”
Max fece un giro intorno a se stessa, analizzando con i suoi occhi blu ogni angolo della camera di Chloe. Non seppe che dire, se non che forse aveva ragione la sua ragazza. Si sedette sul letto e fissò il mobile azzurro, unico tocco di nostalgia della vecchia anima della camera.
“Sono confusa. E’ come se vi fossero dei fantasmi, non dei ricordi. Manca lo spirito….”
“Manca il tuo tocco, Chloe.”concluse lei
“Già. Mi sento straniera in camera mia per la prima volta in vent’anni. Tutto è così singolare, cazzo.”
Si lasciò andare a peso morto sul letto, finendo prima seduta  e poi sdraiata sul suo vecchio materasso, accanto a Max. Sbuffò annoiata in direzione del soffitto e dentro di se desiderò ardentemente di poter fumare, ma il suo storico posacenere rosso dell’Oregon era andato, chissà dove.
“Non so nemmeno come mi sento. Prima qui era così pieno di ricordi ed emozioni. Anche brutte, per carità, ma era viva a suo modo. Erano i miei anni di vita, invece ora sembra un terreno neutro, con vaghe tracce di me.”borbottò
Max si sdraiò accanto a lei e cercò di tirarle su il morale. Indicò il vecchio mobile bluastro
“Quello è un ricordo tangibile. Ci mettemmo una giornata intera per dipingerlo e fu un disastro totale, soprattutto per i nostri vestiti. Mamma ancora mi ricorda come tornai a casa…..non penso me l’abbia mai davvero perdonata, soprattutto perché avevo anche i capelli blu.”
“Era un presagio allora!”commentò Chloe divertita “Forse, inconsciamente, mi hai ispirata tu!”
“Ma no! Non inconsciamente, non ti ricordi più? Prendemmo quella tinta semipermanente dopo che abbiamo dipinto proprio perché è in quel giorno, macchiandoci, che ti venne in mente di prendere il nome di Barbablù.”
“E’ vero! Quindi non è colpa di quella angosciante fiaba francese?”
“Nope. Quella l’abbiamo scoperta anni dopo. Poco prima che io….”
Si bloccò….
Avevano scoperto che il nomignolo di Chloe piratessa combaciava con quella cupa storia francese dell’assassino Barbablù lo stesso anno che  Max se ne era andata e William….
Chloe non si lasciò buttare giù  e indicò la cassettiera
“Altro ricordo: papà che me la costruisce e si fa male con il martello, colpendosi un dito. Per poco non se lo rompeva! Gli divenne però gonfio e violaceo per giorni. Solo che nell’immediato disse così tante parolacce che mamma si vide in obbligo di istituire il barattolo delle parolacce con la scusa di pagare il viaggio a Parigi.”
“Vero, me lo raccontasti… quel giorno non c’ero, ma venni quello dopo a darvi una mano a finire di decorarla e portarla dal garage fino in camera tua. Mi dicesti anche di scegliere un cassetto perché sarebbe stato mio cosi potevo lasciare dei vestiti qui da te.”
“Cosi sarebbe stato come se fossi sempre con me.”disse Chloe con dolcezza “Eri sempre qui, ma non quanto avrei voluto. Ma i tuoi non hanno accettato per paura di invadere troppo casa nostra.”
“Ma mi concessero di lasciare qui un pigiama di riserva se me lo fossi dimenticato.”
“E anche dei calzini, due paia di mutandine e una maglietta che non ti andava più.”contò Chloe sulle dita “Lo spazzolino no perché, per qualche strano motivo, avevamo deciso di usare lo stesso.”
“Che schifo!”disse Max ridendo
“Non lo dici quando mi baci, però. Eppure è quasi la stessa cosa.”
“No, credimi. Non lo è affatto. Usavo anche il tuo asciugamano da pirata dopo che facevo la doccia qui?”
“Oh, no! Non avevi il permesso, se non in rare occasioni. Avevi il tuo dei Teletubbies. Penso tu lo abbia usato fino ai dodici anni.”
“Si, anche dopo. Penso di averlo usato anche i primi tempi a Seattle. Ora è in qualche scatolone, assieme ad altri cimeli imbarazzanti.”
“Hey, io il telo pirata l’ho ancora!”
“Lo so, lo usi ogni tanto a casa. Ma quello è figo.”
“Ottima risposta.”
Per qualche istante rimasero in silenzio, poi Max indicò l’armadio a muro
“Lì è dove mi sono nascosta e ho scoperto che David era il tuo patrigno.”
“Lì è da dove sei uscita per salvarmi e prenderti una colpa che non avevi.”
“Lì è dove ci siamo date il primo bacio.”
Chloe si alzò sui gomiti e la guardò con sorpresa
“Quello non è il nostro primo bacio!”
“Ah no? Non ti ho mica baciata prima di quella mattina in cui mi sfidasti?”
“Appunto, era una sfida!”
“Per quello ti sei tirata indietro?”
Ora Max volse la testa verso Chloe, a fissarla negli occhi
“Non pensare male, Max.”disse Chloe, grattandosi la nuca “Mi avevi sorpreso, ecco….non sapevo come reagire…”
“Ma mi avevi sfidato!”
“Beh non pensavo lo facessi….”
“Ma volevi che lo facessi?”
“Cazzo, si.”
Silenzio. Si fissarono e si sorrisero per un istante
“Ma non è il nostro primo baciò.”incalzò Chloe
“Ok, e quando sarebbe?”
“Beh mentre andavamo a Seattle, in macchina. Dopo che siamo scappate da questo cumulo di macerie.”
“Vuoi che sia quello? Perché sono abbastanza sicura che, se davvero quella mattina volessi che ti baciassi, direi che…”
“Oh, non conta! Mi hai sorpresa e mi sono tirata indietro. Non è bello pensare che il nostro primo bacio si sia concluso con una mia fuga.”
“Però lo volevi.”
“Certo, ma non….così, ecco. Cioè volevo che mi baciassi, dico sul serio, ma in parte ero convinta che non lo avresti fatto….”
“Perché?”
Chloe si alzò in piedi
“Cambiamo discorso, ok?”
Non era arrabbiata, ma sembrava punta sul vivo. Max era curiosa ora, ma voleva che Chloe si mettesse a nudo con lei
“Perché?”ripeté
Chloe si voltò a guardarla
“Perché sei più cazzuta di quanto pensi.”
“Non è una risposta. Ritenta.”
Ma non la stava più ascoltando. Passeggiava per la camera, osservava fuori dalla finestra che per tante volte era stata la sua fedele via di fuga collaudata
“Sai Max, non so se riuscirei più a dormire in questa camera. Non vedo più ricordi ma fantasmi di una vita che non trovano più spazio. Troppo vuoto, troppo distante da ciò che sono.”
“Se il problema sono i ricordi, creiamone di nuovi allora.”disse con calma.
Chloe si voltò a fissarla incuriosita, al che Max insisté. Si alzò in piedi, spalancò le braccia e ripeté
“Creiamo nuovi ricordi per questa camera, Chloe! Rendiamola di nuovo stramaledettamente tua. Hai perso solo molti oggetti, ma i muri hanno le memorie, e i graffiti sono il segno della tua proprietà. Creiamo nuovi ricordi, ok?”
Le sorrise. Ogni tanto, Chloe tornava ad essere la bambina che sorrideva sempre e Max era riuscita a farla sbucare di nuovo con quelle parole
“Sono d’accordo, Maximus. Riempiamola di ricordi finché saremo qui!”
Fu felice di sentirlo dire. Le provocò un moto di dolcezza e una improvvisa forza che le portò a determinare una scelta che non pensa di prendere ora.
“Accetterò di vederlo.”disse di getto.
Chloe la fissò dubbiosa. Sembrava non aver capito
“Accetterò di vedere Jefferson.”spiegò Max, con fermezza
Ora aveva recepito e il viso non era più spensierato, ma divenne una maschera di preoccupazione
“Stai scherzando? Non puoi dirlo sul serio.”
“No, non scherzo. Devo andare da lui.”
Si precipitò su di lei, afferrandola per le spalle e facendosi sempre più agitata
“Perché dovresti dare il contentino a quello psicopatico? Che diamine ti prende, Max? Non puoi vederlo, ti ferirà!”
“Lo so, ma devo affrontarlo. Voglio chiudere questa storia. Ho bisogno di confrontarmi con le mie paure così come tu stai affrontando tante cose tornando qui. Non potrà farmi nulla, se non abbaiare fino alla fine della sua catena. Rimarrà dove è, che potessimo trovare il cadavere di Nathan oppure no. Voglio dimostrare a lui che non mi ha spezzata e non mi può spezzare.”
Chloe lasciò andare le spalle di Max e sospirò, mettendosi a sedere di nuovo sul letto e osservando le sue scarpe. Poteva immaginare cosa pensasse, ma non voleva allarmarla. Max s’inginocchiò davanti a lei e, appoggiandosi alle sue gambe, le prese il viso tra le mani
“Non preoccuparti per me, ok? Me la caverò. Non pensare che sia un tuo fallimento che io abbia scelto di affrontarlo, tu mi hai protetta molte volte, ma questa cosa non può essere schivata. Forse, evitandola, farei un errore gigantesco.  Non lo so, ma sento che devo farlo.”
“Cazzo, sei incredibile tu. Come te ne esci con certe cose? Prima, per poco, non ti fai venire un attacco di panico davanti a David e ora mi affermi con tutta questa energia che andrai da quel maniaco. Sei veramente strana, a volte.”
“Solo a volte?”
Ridacchiarono, scaricando la tensione per un istante. Poi, presa da una illuminazione improvvisa, Chloe esclamò
“Sai cosa c’è? Ora andiamo a Tillamook e compriamo qualcosa per ridare vita a questa camera. Hai ragione tu, dovremmo creare nuovi ricordi, così posso riappropriarmi della mia stanza!”
Max si alzò in piedi e osservò la stanza
“Di sicuro un paio di lenzuola nuove per il letto. Ma anche una piantina per la tua scrivania.”
“Scordatelo! Sai che non ho il pollice verde!”
“Ma farebbe ambiente!”
“Ok, ok. Come vuoi, capo!”
“Prima però, meglio che faccia una chiamata.”suggerì Max, prendendo il cellulare.
Dopo non molti squilli, Erika ripose prontamente
“Max! Che piacere sentirti, come stai? Come mai questa chiamata?”
“Tutto bene, grazie. Sono qui con Chloe e ti saluta anche lei. Senti, avrei bisogno di parlarti di una cosa. So che non ti piacerà.”
“Hey mettimi in vivavoce!”strillò Chloe
Max annuì e ubbidì
“Beh sono tutta orecchi, Max. Dimmi pure.”
“Mark Jefferson ha chiesto di incontrarmi. Il suo avvocato vuole una risposta entro sera.”
Silenzio. Per qualche istante, Erika tacque. Poi si sentì un rumore debole, come un sospiro, e la voce uscire dall’altoparlante del telefono cellulare
“Max….è una pessima idea. Faresti meglio a non andare.”
Chloe la fissò raggiante sillabando ‘te – lo – avevo -  detto’ con la bocca. Max non demorse
“Lo so, ma vorrei andare.  So che è una cosa controproducente ma…”
“Se lei va, io la accompagno!”s’intromise Chloe
“Cosa? No! Erika non dare retta a lei e…”
“Come pensi di arrivarci, eh? Siamo a Bay City, mica hanno un carcere qui e…”
“Come sarebbe a dire che siete a Bay City? Siete tornate ad Arcadia!”strillò Erika sconvolta
“Ups….forse ci siamo dimenticate di avvertire qualcuno…”sussurrò Chloe
“Si…ehm perdonaci Erika….avremmo dovuto avvisare te e Luke della nostra…”
“Non è avvisare noi! Ma ragazze quel posto vi ha segnate e non credo che il vostro terapeuta vi abbia consigliato di tornarci!”
Chloe si avvicinò all’orecchio di Max e le sussurrò ‘Ma ci spiano per caso?’
Inoltre” continuò Erika “ci sono i media che non aspettano altro che trovarvi e sbattervi su ogni…”
“Già successo. Pensavo avessi visto i notiziari…”disse Chloe “ma siamo dovute tornare: mia madre è uscita dal coma. Dovevo vederla, Erika. Credevo che non le avrei mai più parlato…”
Erika sospirò. Sembrava rassegnata
“Max, non voglio che tu vada da Jefferson.”
“Ti ho chiamata perché ho deciso di andare. E’ una follia ma sento il dovere di farlo. Devo affrontarlo. Voglio vedere in faccia quel bastardo e dimostrargli che non ho paura.”
“E io andrò con lei. Queste sono le nostre condizioni, o non accetteremo l’incontro.”subentrò Chloe “Devo esserci anche io a quell’incontro.”
Max fece per protestare, ma Chloe le mise un dito sulle labbra e la fissò decisa. Non accettava repliche.
Altro sospiro di Erika.
“Contatterò l’avvocato di Jefferson e ne discuterò con lui, ma per prima cosa dovrò fargli il culo per non aver prima parlato con me e Luke. Non esiste che vi abbia contattato direttamente senza nostro consenso!”
“Non ha contattato noi, ma David Madsen.”
“Chi? Il patrigno di Chloe? Perché?”
“Non lo sappiamo. Penso che, essendo l’uomo che lo ha arrestato, abbia voluto vendicarsi rendendolo messaggero di questa notizia.” propose Max. Le era venuto in mente solo ora quella motivazione e, in effetti, sembrava convincente. Altrimenti, perché proprio David?
“Perciò, per favore, vorremmo usare come tramite ancora il mio patrigno, Erika. Non prendertela a male, ma non vogliamo trascinarvi più del necessario. Lui si è reso disponibile perciò continueremo a mediare con lui, così penserà che esiste una sorta di rapporto di fiducia tra di noi.” propose Chloe.
Max ammise che era una ottima mossa. Illudere Jefferson che fossero partecipi del suo gioco, anche se si fosse presentata Chloe, avrebbe dato loro una sorta di piccolo vantaggio. Dovevano manipolare un manipolatore. Scovare qualche crepa e approfittarne per metterlo in fallo.
“Va bene, va bene. Ma dovremmo concordare una data che stia bene anche per me e Luke. Parlerò con quel simpaticone dell’avvocato di Jefferson e metteremo giù le basi per l’incontro. Poi lo farò radiare a vita, questo scellerato.”
Chloe rise, mentre Max ringraziava e chiudeva la conversazione, non senza prima aver accordato anche di non dire nulla ai suoi genitori. Non voleva che suo padre e sua madre vivessero nell’angoscia sapendo di questa evoluzione nella loro innocua trasferta in Oregon.
“Shopping riparatore?”propose Max
“Ovvio. Voglio dare un po’ di vita a sta camera. Magari prendo qualcosa anche per camera di mamma. Almeno quando torna, avrà una sorpresa di benvenuto!”
Senza indugiare oltre, abbandonarono la camera e la casa dei Price, dirette al centro commerciale di Tillamook.
Rimasero via quasi tutto il pomeriggio. Presero delle tende nuove, non troppo costose, per camera di Chloe e quella di sua madre e David (manco a dirlo, le tende di Chloe erano blu), una piantina per la gioia di Max, che avrebbe preso posto sulla scrivania momentaneamente vuota sotto la finestra, un copriletto e delle lenzuola orribili per lei e alcune più carine per camera di sua madre. Il motivo di questo acquisto era che, nel giorno in cui fosse tornata a casa, sua madre avrebbe trovato almeno delle lenzuola nuove ad accoglierla, oltre che una nuova lampada (non appena sarebbe tornata la corrente), uno specchio nuovo e una foto di Max e Chloe, scattata dentro una cabina fotografica. Altri oggetti per abbellire momentaneamente la camera di Chloe furono un paio di poster naturalistici, una lampada piccola ma carina con una tartaruga di plastica come base, una nuova bandiera, ma questa volta della pace e, per finire, consumarono due gelati giganteschi prima di rimettersi in marcia verso la villetta dei Price.
Appena parcheggiarono nel vialetto, con il sole che andava indebolendosi, Max ricevette una chiamata. Era David. Lo mise subito in viva voce
“Hey. Tutto bene? Joyce?”
“Tutto ok, Max. Anche Joyce sta bene. Ma sai già perché ti ho chiamata, vero?”
“Si, immagino di si.”
“Benissimo. Allora, la risposta è che accetterà di vedere te con Chloe ma sottolinea che non devono essere presenti altri. Nemmeno gli avvocati. Solo voi due e lui. Vi va bene?”
Chloe annuì
“Si, mi sta bene.”
“Ottimo. Sapete dove è il carcere in cui è detenuto?”
Non lo sapevano e David spiegò che era, momentaneamente, al South Fork Forest Camp, nella contea di Tillamook. Era un carcere piccolo, massimo duecento detenuti, in mezzo alla foresta della contea di Tillamook, non proprio un carcere di massima sicurezza, insomma.
“Perché in quel posto? Dovrebbe stare in un carcere più sicuro e più duro!” si lamentò Chloe
“Tecnicamente, non è ancora colpevole ed è accusato di aver occultato il cadavere di Rachel Amber e fatto delle fotografie a delle studentesse drogate da Nathan Prescott. Ufficialmente, non è ritenuto pericoloso, oltre che non del tutto colpevole dei crimini commessi. Dopo il processo potrebbe finire a Portland, al Columbia River, che rimane un carcere modesto.”
“Che schifo.”commentò Chloe
“Per arrivarci, è abbastanza semplice in verità” continuò David, ignorando Chloe “Dovete prendere la OR-6 E, proseguire per circa una trentina di miglia e siete arrivate.”
“Sembra facile.”commentò Max
“Quella è la sola parte facile, tesoro.”suggerì Chloe “La merda sarà quando saremo dentro.”
“Liguaggio…. Va beh, lasciamo perdere. Vi mando un messaggio appena so qualcosa sulla data.”rispose David
“D’accordo. Grazie ancora.”
Non dissero più nulla. S’incamminarono dentro casa, sistemarono i loro acquisti nella maniera migliore. S’accorsero che non avevano preso l’acqua per la piantina e che non era ancora stata ripristinata l’acqua corrente in casa, perciò si ripromisero di tornare il prima possibile con una bottiglia da due litri per non lasciarla morire. Appesero i poster e, mentre rifacevano il letto di Chloe, un messaggio sul telefono di Max attirò la loro attenzione. La ragazza lo lesse velocemente.
“E’ di David. L’incontro potrebbe tenersi già domattina….”
Chloe incrociò la braccia ed emise un mugugno ma non aggiunse altro.
Max digitò un semplice ‘ok’.
 
 
 
 
 
 

9.
 
 
Non riusciva a prendere sonno. Scostò le lenzuola, nonostante il condizionatore, sentiva caldo. Ovviamente, la sua agitazione era dovuta all’incontro che si sarebbe tenuto l’indomani mattina.
Non capiva perché. Si sentiva così serena fino a poco fa. A cena, lei e Chloe avevano riso tutto il tempo, facendo voltare mezzo ristorante dell’albergo. Era spensierata e Jefferson non aveva afferrato la sua mente con i suoi viscidi tentacoli.
Ma ora, sentiva una ansia crescente. Una agitazione che non aveva avvertito da quella mattina.
Chloe dormiva beata, russando leggermente con la bocca semiaperta. Sorrise e si compiacque di non averla svegliata. Si mise addosso una maglietta e degli shorts, le ciabatte dell’albergo, prese la chiave elettronica e uscì.
Aveva letto che il bar dell’albergo rimaneva aperto fino all’una. Erano le undici passate, perciò avrebbe usato un trucco per cercare di dormire.
Entrata nella sala ristorante, buia e con i tavoli già pronti per la colazione, virò a destra verso la sola zona illuminata, al bar. Salutò il barista, un uomo sulla quarantina circa, almeno così dedusse dai capelli radi di color sale e pepe, e ordinò un bourbon con ghiaccio. Non amava gli alcolici prima del ritorno nella sua vita di Chloe ma, dopo un anno di scuola, aveva iniziato ad apprezzare qualcosa. Il bourbon era una anomalia, poiché Chloe non lo amava ma lei aveva imparato ad apprezzarlo quando Fernando si era fatto mandare una bottiglia da un zio del Kentucky, patria di quel liquore.  Ne beveva pochissimo, ma quando lo faceva, si sentiva alticcia subito e il sonno giungeva rapidissimo. Se nemmeno questo avrebbe scacciato Jefferson, poteva ufficialmente iniziare a preoccuparsi.
Appena vide il suo bicchiere pieno di ghiaccio e liquido ambrato, ringraziò il barista e bevette il primo sorso. Sentì subito il calore nell’esofago e il sapore di legno invaderle le papille gustative. Max Caulfield che beveva bourbon… un anno fa lo avrebbe mai detto? Assolutamente no.
“Buonasera signorina.”
Una voce maschile la sorprese alle spalle. Era calda e decisa. Comparve un uomo, sulla trentina o forse poco più, che si sedette alla sua sinistra e la fissava sorridendo
“Buonanotte signore.”rispose, senza dare peso e concentrandosi sul secondo sorso di bourbon.
“Una vera intenditrice, non si direbbe. Sembri così innocente…”
“Sembro, esatto.”
“Posso offrirti un secondo giro?”
Max sbuffò. Voleva dire che lei NON pagava nulla al bar dell’hotel, essendo detentrice della magica chiave del piano Prescott e…voilà: prego signorina, a lei. Offre la casa, naturalmente.
Per quello mise ancora in più in evidenza la chiave elettronica, ma il tizio sembrò non cogliere l’importanza di quell’oggettino di plastica
“Ovviamente, ti farei compagnia.”
“Se avessi voluto compagnia, sarei venuta qui con altra gente. Non ti pare?”
“Giusto, ma si può sempre trovare una ottima compagnia quando non la si cerca.”
Max sbuffò. Finì il resto del bourbon e ne chiese un secondo. L’uomo cercò di offrirlo lui, ma si impuntò con foga lasciandolo sorpreso. Appena il secondo bicchiere fu depositato, l’uomo chiese un gin tonic.
“Mi chiamo Alfred, a proposito.
“Fico, come il maggiordomo di Batman.”
“Come?”
“Niente.”
“Non mi sembri molto propensa al dialogo, o sbaglio?”
“Non sono molto propensa al dialogo con sconosciuti quando voglio solo stare da sola.”
L’uomo, il suddetto Alfred, sembrò non accusare il colpo. Sorrise sornione e ritentò l’aggancio, mentre Max era intenta a bere un po’ del suo secondo bicchiere.
“Beh ma io non sono uno sconosciuto, mi sono presentato. Magari cambi idea sul stare sola.”
“Se avessi voluto compagnia, avrei svegliato la mia ragazza ma mi dispiaceva dato che stava dormendo così bene e non volevo disturbarla.”
“Ragazza?”
“Esatto. Se vuoi te la presento: la sveglio e la porto di sotto. Ma ti avverto: appena capisce che ci stai provando con me, probabilmente ti farà saltare tutti i denti. Lei non è diplomatica come me nel dare due di picche.”
Alfred, ora, sembrava aver capito l’antifona. Prese il suo cocktail e se ne andò. Notò che il barista ridacchiava sotto i baffi e questo le fece allargare le labbra in un sorrisetto compiaciuto. L’influenza di Chloe si faceva sempre più pesante.
Terminato anche il secondo, prese la via del ritorno per il letto. Si sentiva leggera e le palpebre un poco calanti, concludendo che  forse aveva trovato il metodo perfetto anche se non molto salutare, per combattere la sua ansia.
Aprì la porta della stanza, accolta dalla frescura del condizionatore e dal buio totale. Si tolse le ciabatte e si avvicinò al letto, mentre si spogliava.
“Dove sei stata?”
Ora che la sua vista si era adattata al buio, vedeva la figura di Chloe emergere nel buio, che si reggeva sul gomito e la testa piantata su di lei.
Non rispose subito. Tolse gli shorts, ultimo indumento che aveva, si infilò sotto le lenzuola, la baciò e avvolse il suo corpo contro il suo, adagiando la testa sulla spalla di Chloe e portandola di nuovo sdraiata, tra le lenzuola.
Sentiva la canotta rossa da basket grattarle parte della sua pelle nuda, ma non ci badò. Si beò dell’odore di Chloe e del suono del suo battito cardiaco.
“Hai bevuto, eh?”chiese tradendo un sorrisetto
“Non riuscivo a dormire. Ho rimediato con del bourbon.”
“Bleah.”
Sorrise, ma il suo sorriso si perse nell’oscurità e nel collo di lei.
“Non hai risposto alla mia domanda, oggi.”
“Quale domanda, Max?”
“Perché eri convinta che non ti avrei baciata?”
Chloe sembrò agitarsi. Sentì le sue gambe strisciare e avvinghiarsi tra le sue, le braccia scivolarle dietro la schiena e stringerla a sé
“Non sapevo se ti fossi resa conto che…. beh che mi stavo innamorando. Non lo so, è stato tutto assurdo. Ero in angoscia per Rachel, ancora provavo qualcosa per lei. Poi arrivi tu, mi sento così bene nell’averti di nuovo nella mia vita e….inizio a guardarti con occhi diversi. Eri la mia migliore amica ma ora….ora mi stavo innamorando? No, era come se fosse tutto cosi…”
“Naturale.”concluse per lei “Si, lo so.”
“Anche tu hai provato la stessa cosa?”
“Si e no. Cioè se ho capito che intendi, si. Era bello rivederti, era ancora più bello averti di nuovo nella mia vita ma….sai non capivo perché ora fossi per me più di…più di ciò che sei sempre stata. Pensavo fosse solo il senso di colpa che avevo per averti lasciata sola cinque anni…”
“Max io volevo che mi baciassi ma come potevo saperlo che lo volevi anche tu? E poi sarebbe sembrato cosi strano…non sapevo cosa provassi, non sapevo ancora se ero sicura di quello che provassi io. Inoltre non ci siamo viste per anni e….non so avevo paura che mi avresti respinta.”
“Volevo baciarti, ma non quella mattina. Quando me lo hai chiesto è stato così immediato, così semplice che non mi è sembrato strano farlo. Anzi, era come se volessi farlo da tanto.”
“Da almeno la sera prima. In piscina.”
Max attirò a sé Chloe.
“Forse. Penso che sia quello il momento in cui ho capito di essermi innamorata di te. Quella sera tra noi è stata così magica, non so come definirla. Per te? Quando è stato che hai iniziato a capirlo?”
“Forse la sera prima anche io. Non so se è stato quello il momento in cui l’ho realizzato o dopo che mi hai baciata. Diciamo che ci siamo innamorate più o meno nello stesso momento l’una dell’altra, eh?”
“No, no. Ho detto che ho realizzato di essere innamorata di te ma….non il momento in cui ho iniziato ad amarti. Quello penso sia successo molto prima.”
“Addirittura! Credi proprio all’idea di mio padre, eh?”
“Non credo solamente ma penso che avesse ragione. Chloe, non ho mai avuto nessuno, te l’ho detto. Ho sempre pensato a te, anche se non avevo il coraggio di scriverti. Sono uscita con un paio di ragazzi ma era come se uscissi con degli amici. Non avevo interesse per loro. Per nessuno a dire il vero. Volevo dare il mio primo bacio, scoprire il sesso, ma non scattava mai niente. Ero anche attratta da molti uomini ma….era come se mi sentissi già per qualche altra persona.”
Chloe le baciò la fronte
“Ti capisco. Non smettevo di pensarti. Ogni cosa che facevo era per te, ogni pensiero era per te. Sognavo che fossi li con me per raccontarti ogni cosa che stavo scoprendo, in preda alla mia rabbia e alle mie cazzate da ribelle. Ma non c’eri. Ti odiavo ma ti rivolevo. Eri la sola persona che rivolevo ad ogni costo. Rachel ha mitigato molto la tua assenza, non posso negarlo, ma pensavo ancora a te. Al fatto che ti saresti divertita con noi e come saresti stata bene nelle nostre folli giornate. Ma forse, con te accanto, non avrei avuto bisogno di Rachel. So solo che, innamorandomi di lei ho capito di amare te quando sei tornata. Cazzo era così semplice dirlo, che non ho mai capito perché in cinque anni non l’abbia realizzato da sola.”
“Allora perché quello non è il nostro primo bacio?”
“Perché volevo che fosse bello, unico, chiesto. Non una scommessa per vedere se ci stavi con me o no, se mi ero fatta dei fottuti film mentali su di te e su quello che provavi o se ero io, di nuovo, ad essermi illusa ed amare una persona a senso unico. Quella notte in piscina ti ho guardata e mi sono sorpresa nel farlo.  Ti ho guardata spogliarti, ti ho guardata con i capelli pieni di cloro e cazzo se mi sentivo una tredicenne con una cotta mostruosa.”
“Ed ecco perché mi hai punzecchiata tutto il tempo fino a sfidarmi sul baciarti. Lo avrei fatto già in piscina, Chloe.“
“L’avessi fatto, non sarei saltata via sorpresa. Non in quel momento.”
“Quindi il primo bacio…”
“Sulla strada per Seattle! Non cambierò mai idea, scordatelo.”
Max rise
“D’accordo, affare fatto. Undici Ottobre: primo bacio e nostro anniversario.”
“Ohi ohi ohi frena filibustiere: anniversario???”
“Beh non dovremmo averne uno? Non ho mai avuto una storia e sembra carina come cosa, no?”
“Mmmh non è nel mio stile, sappilo.”
Max si mise a sedere
“Dai. Ti prego!”
“Ma perché? Non abbiamo bisogno di una data, Max. Non abbiamo mai nemmeno affrontato il discorso se fossimo una coppia o no. Ci siamo prese e stop e mi sembra che ci piaccia tutto questo.”
“Ovvio che mi piace, ma volevo qualcosa che mi ricordasse che la mia migliore amica è diventata anche la mia ragazza.”
“Beh mi vedi tutti i giorni, ormai. Non ti basta come promemoria?”
“Certo ma….. sembra carino avere una data per noi…”
Chloe si mise a sedere anche lei
“Cazzo, sta ansia per Jefferson ti fa fare tutti i discorsi impegnati a quest’ora? Ok, ok ma non l’undici Ottobre: porta sfiga.”
Max rise
“Si, lo so che è successo un po’ di tutto quel giorno, però era bello sapere che in un momento così orrendo per noi possa essere iniziato qualcosa di bello. Altrimenti tu che suggerisci?”
Chloe si rilassò di nuovo, sdraiandosi e incrociando le braccia dietro la testa. Rimuginò un poco prima di dire
“Il giorno dopo? Felici e al sicuro a Seattle? Oppure Lunedì quattordici, quando abbiamo fatto un giro per la città e mi ha baciata di tua spontanea volontà al parco?”
Max sorrise.
Ricordò quella giornata. Erano stanche, stressate e ancora non del tutto tranquille. David aveva contattato Chloe. Non aveva voluto dirle nulla su Joyce, non l’aveva nemmeno nominata, quindi non sapeva che era sopravissuta e ancora, dentro di sé, era sicura di essere orfana. Aveva ancora attimi di terrore e non dormiva che una manciata di ore, ma cercava di essere spensierata, soprattutto per non angustiare i coniugi Caulfield.  Poi era arrivato e aveva aggiornato Chloe su tutto quello che sapeva allora. Per questo, quel Lunedì, Max aveva proposto di farsi un giro per Seattle, facendole spendere una giornata fuori da casa a distrarsi e, soprattutto, mostrarle luoghi in cui negli ultimi cinque anni aveva cercato di essere felice, pensando che Chloe avrebbe potuto apprezzarli quanto lei.
Prima di tornare a casa, senza un motivo, aveva baciato Chloe sotto un albero, mentre si rilassavano. Lei aveva risposto prima sorpresa (non prendeva quasi mai l’iniziativa, nemmeno ora a distanza di mesi, cosa che Chloe sottolineava spesso), poi con entusiasmo a quel bacio. Era servito ritrovarsi in intimità dopo quel week end in casa, a riprendersi e a sfogare i propri nervi tra televisione, brusche pennichelle e distrazioni fornite da Ryan e Vanessa.
“E’ una bella proposta, ma l’undici rimane il mio favorito. E’ il giorno in cui ho scelto te, in cui ho capito che avrei sempre scelto te. Anche di fronte a una catastrofe, non potevo che scegliere Chloe Price.”
La sua vista si era abituata al buio abbastanza per capire che Chloe stava sorridendo, ma finse di sbuffare irritata
“Ok, capo. Vada per l’undici Ottobre. Ma niente regalini o cose sdolcinate, ok?”
Scivolò di nuovo accanto a lei, beandosi del suo abbraccio e facendosi cullare dal battito di lei e dal suo respiro.
“Se me lo avessi chiesto, ti avrei baciata anche in piscina.”
“Se non avessi avuto paura, non sarei saltata via dopo che mi avevi baciata in camera mia.”
“Siamo due dementi, vero?”
“No. Siamo due amiche che hanno scoperto di volere qualcosa di più e non volevamo farci del male. Penso sia l’unico momento di sana natura umana normale che abbiamo vissuto in quella settimana del cazzo.  Cristo, era troppo chiedere un normalissimo teen drama?”
Max rise. Finalmente sentì che poteva rilassarsi e il sonno iniziava a bussare negli angoli della sua mente
“Non avere paura per domani: ci sarò io con te.”le sussurrò Chloe
“E tu non perdere la testa e non colpirlo in faccia.”
“Cazzo, allora che senso ha che venga anche io , adesso?”scherzò
“Tienimi per mano, se vorrò scappare.”
“Hai troppe palle per scappare, Max. Ti terrò la mano solo per dimostrare a quel mostro che non ci ha sconfitte.”
Sorrise.
Il battito del cuore e il profumo di Chloe erano una ninna nanna perfetta e scivolare nell’oblio del sonno  con lei era più dolce di qualsiasi bicchiere di bourbon.
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
10.
 
 
Il South Fork Forest Camp, in Oregon, è un penitenziario di minima sicurezza. I detenuti, circa duecento uomini, erano tenuti a sbrigare lavori utili a sostegno della flora locale, quale mantenimento e pulizia della foresta che circondava il penitenziario, come supporto anche al copro forestale.
Ufficialmente, non si accettano detenuti con disturbi mentali, stupratori, molestatori di animali, con precedenti violenti e piromani.
Eppure, per questa volta, avevano fatto una eccezionale concessione per l’ultimo ospite.
Mark Jefferson era destinato al Columbia River Correctional Institution ma, grazie all’abilità del suo avvocato e la pressione che riuscì a suscitare con i media, fu reindirizzato al South Fork. Humphrey McKinsey, l’avvocato di Jefferson, era un uomo sulla sessantina, famoso per essere un feroce animale del foro, estremamente combattivo e poco propenso a patteggiare. Prendendo la difesa dell’ex insegnante della Blackwell, era sicuro di mettere in cassaforte la sua pensione, con un ultimo colpo di coda eccezionale. Aveva fiutato che, far uscire indenne quell’uomo, poteva essere la conclusione degna di una carriera fatta di molti successi e poche sconfitte. Aver già ottenuto la sua detenzione momentanea nel South Fork era un primo, grandioso passo  verso quella vittoria. Aveva usato tutta la sua arte oratoria e il suo fascino verso i media, benché non fosse di così di bell’aspetto data l’età, i radi capelli bianchi, la pancia che iniziava a farsi notare e la bassa statura. La sua leva sulle ‘attuali condizioni speciali che si sono abbattute sulla costa nella contea di Tillamook’ rendevano difficoltose le indagini e non andava incolpato il suo cliente, prima di un regolare processo.
Certo, era presente sulla scena del crimine, arrestato con molte prove, o meglio indizi, che potevano incastrarlo ma la sua dichiarazione reggeva: era li perché temeva che Nathan Prescott, clinicamente instabile e pericoloso, avesse intenzione di portare una sua compagna di classe, una certa Victoria Chase con cui pareva essere molto intimo, e voleva solo tentare di fermarlo e convincerlo a smettere in quella attività criminosa, dopo il suicidio di Kate Marsh e la morte di Rachel Amber.
Certo, certo. Ma i guanti? Convincerlo con i guanti?
Beh, era un professore e un fotografo stimato, non poteva certo esporsi troppo. Aveva accettato di aiutare quel povero ragazzo sventurato, bisognoso di cure e di una figura paterna in ugual misura, ma doveva anche tutelarsi se le cose fossero andate storte. Lasciare migliaia di impronte digitali era rischioso se fosse stata scoperta quella stanza sotterranea.
Non poteva permetterlo!
Certo, ma convincerlo con un carrello di droghe pronte all’uso?
Ma non è mica colpa di Jefferson! Mark non ha comprato quelle droghe ma il giovane Prescott. Inoltre, Nathan non era stato visto per ore, poteva benissimo essere andato nella stanza sotterranea a preparare tutto per la sera, quando sarebbe arrivato accompagnato dalla Chase.
Un ragazzo gracile come Nathan come poteva, da solo, trasportare a peso morto tutte le vittime in quel posto? C’era una porta pesante, una scalinata, una porta da aprire.
Non è mica difficile! Basta lasciare la vittima incosciente sul mezzo o adagiarla a terra, aprire tutto, prendere il corpo e trasportarlo di sotto. Ovviamente ripulirlo per le foto, poi fare tutto al contrario prima di lasciare la stanza.
Perché non denunciare, se sapeva? Perché fare da complice?
Sciocchezze! Complice! Sappiamo che il signor Jefferson ha commesso il fatale errore di coprire la morte della signorina Amber. Sul resto, non ci sono prove inconfutabili della presenza del signor Jefferson sulla scena. Inoltre, non sottovalutiamo i Prescott. Controllavano Arcadia Bay, erano loro i fautori dell’arrivo di Mark nella scuola. Egli doveva molto a loro, per quel posto di prestigio. Nondimeno, l’influenza di quella famiglia sulla scuola  e sulla città intera, era una costante minaccia: potevano rovinare la carriera di Jefferson in qualsiasi momento. Magari è vero, come dichiara Sean Prescott, che erano all’oscuro delle attività del figlio, ma è anche possibile che lo sapessero e usassero Mark come copertura per il figlio, pronti a screditarlo e rovinare una luminosa carriera nel mondo della fotografia. Basta uno scandalo, anche piccolo, creato ad arte. Se tenevano in mano una città, ci voleva poco per pagare qualcuno che lo mettesse in scacco.
Oppure, semplicemente, la nota assenza della famiglia dalle faccende del figlio, malato e abbandonato come scomodo e indesiderato, ha attratto il buon cuore di un uomo abituato a relazionarsi con adolescenti e a riconoscere casi particolarmente difficili. La scuola ne era a conoscenza ma nessuno ha mosso un dito, solo Mark Jefferson. Dobbiamo, dunque, dubitare di un uomo che ha voluto aiutare? Signori miei, incarceriamo ogni americano onesto da domani, allora!
Inutile dire che gli effetti erano stati, a dir poco, dirompenti ed immediati.
Opinione pubblica spaccata a metà, molte delle (presunte) vittime che rifiutavano di parlare o negavano addirittura. Due ex di Jefferson che, invece, lo attaccavano dimostrando che più di una volta avesse mostrato un lato oscuro e freddo, specie nell’intimità o che le fotografa mentre dormivano, tacciate come becere femministe dal web. Un cazzo di successo!
Ma lui sapeva.
Anche se ostentava supporto e sicurezza alla sua innocenza, lui sapeva che era colpevole. Aveva freddo ogni volta che incrociava i suoi occhi. Sentiva, tra le pieghe delle sue bugie, la verità che lottava per uscire.
Durante una seduta, senza telecamere e registratori e testimoni, lo aveva fissato dritto in quei bui e distanti occhi e gli chiese direttamente
“Mark…sei tu il vero colpevole di tutto, vero?”
Non aveva risposto. Aveva sorriso. Malizioso, seducente, senza emozioni se non freddo compiacimento.
Un semplice sorriso che non lasciava tracce scritte ne orali ne prove. Ma confermava.
Quello era un mostro.
Ma doveva chiudere la sua carriera e andare a bagnarsi le palle in Costa Rica per festeggiare la sua meritata pensione. Non gli importava di come ne sarebbe uscito lui o la sua reputazione: non sarebbe stato un ultimo caso a oscurare quarant’anni di carriera e tantomeno non gli importava che fine avrebbe fatto quel viscido figlio di puttana.
Comunque, doveva recitare la sua parte, come molte volte già in passato, e lavorato sodo su quel fronte. Portarlo al South Fork, forte delle poche prove di colpevolezza a suo carico era, come già detto, una prima fondamentale azione verso la vittoria processuale. Non era ritenuto pericoloso, perciò era in un carcere di minima sicurezza. Potevano condannare un detenuto ritenuto poco pericoloso per la società? Assolutamente no.
Era giusto buttarlo in mezzo ai peggio criminali del Columbia River Correctional? No, certo che no. Lo avrebbero massacrato e la sua immagine al processo ne sarebbe uscita distrutta, un uomo segnato e quindi non presentabile come innocente. No, no. Doveva stare in un ambiente sicuro. Meritava di pagare per occultamento di cadavere e per non aver mai detto che fine avesse fatto la figlia del Procuratore Amber? Cazzo si! Ma occultare non è uccidere. Aveva sbagliato a tutelare così tanto quel Nathan Prescott? Ovvio, ma non doveva pagare troppo per il suo buon cuore.
Che schifo.
Ma non era tutto.
Era un osservato speciale, un detenuto speciale in un carcere normale. Acconsentì ad esentarlo dai lavori socialmente utili e limitare la sua socialità con il resto dei carcerati. Acconsentì anche a lasciarlo in un parziale isolamento fino al suo processo ma, in cambio, regole speciali per lui: orario di visite libero e permesso di contattare il suo avvocato in ogni momento.
Tutto accordato.
Ma questo, chissà perché, ora sembrava essersi ritorto contro.
Il caso conclusivo della sua vita di avvocato ora rischiava di diventare il più celebre degli ultimi dieci anni e lo avrebbero messo sotto i riflettori come mai prima d’ora. Se avesse sbagliato, tutti gli anni precedenti e la sua carriera sarebbero sfumati. Aveva fatto un all-in sicuro, ma non aveva aspettato l’ultima mano.
Pessima, pessima mossa per un avvocato. Aveva premuto troppo sull’acceleratore e ora il caso si stava gonfiando sempre di più. I venti erano sempre a suo favore, l’accusa si arrabattava ma non aveva niente di solido in mano. Eppure….
La richiesta di incontrare Maxine Caulfield non lo convinceva. Era un arma a doppio taglio, pericolosa e poco furba. Aveva insistito perché, se la ragazza avesse accettato, di non dire nulla di sconveniente, di non farsi registrare, di non far portare avvocati o testimoni.
Pregò ogni dio esistente perché la ragazza rifiutasse. Sapeva di essere una vittima prescelta, sapeva che Jefferson era in agguato per lei. Lo aveva intuito, leggendo la sua deposizione. La ragazza dolce e insicura che gli aveva descritto Mark non era una sprovveduta e aveva fiutato il predatore come una cerva nella foresta.
Poi lo aveva incastrato, lo aveva beccato. Lei e la figlia del tizio che lo aveva arrestato, quel David Madsen. Si era fatto fottere da una liceale, una punk lesbica e un cazzo di veterano pazzo che doveva sorvegliare che i ragazzi non si facessero troppe canne nei bagni. Come poteva essere davvero colpevole? Come poteva essere quel mostro geniale e manipolatore se si era fatto beccare da un trio cosi strano?
Cosa aveva sbagliato?
Per quello, la richiesta di voler incontrare la ragazza lo aveva turbato. Forse voleva capirlo anche lui, forse voleva indagare per difendersi. Furbo, in tal caso.
Infatti, ancora non capiva come quelle ragazze avessero scoperto il cadavere di Rachel Amber e la stanza oscura del duo malefico di Arcadia. Si, aveva letto e riletto le dichiarazioni di Caulfield, Price e Madsen ma…. Qualcosa non tornava.
Due adolescenti che scovano un molestatore seriale nel giro di pochi giorni? Si, Jefferson aveva avuto un crollo, un cambiamento e sicuramente l’instabilità di Nathan era stata fondamentale a far creare delle crepe nella sua solida vita criminale, ma mancava un tassello.
Erano troppo scaltre, avevano ottenuto molte informazioni sfuggite facilmente a chiunque per mesi.
Come cazzo avevano fatto?
Se ci erano riuscite allora, perché non potevano replicare? Potevano fottere del tutto Jefferson e distruggere in un secondo la sua carriera e quel maniaco. Non poteva rischiare, non voleva rischiare. Le avrebbe ricevute, ma nessuno avrebbe mai scoperto cosa quelle due ragazze avrebbero detto o sentito.
Poi, probabilmente, sarebbe stato il caso di chiamare il suo detective privato di fiducia e farle tenere d’occhio….
 
 
“Bene. Eccoci qui, allora.”
Chloe mise le mani sui fianchi e ammirava l’ingresso del South Fork. Ammise a se stessa che non era affatto male come posto, troppo bello per sembrare un carcere. Certo, di minima sicurezza, ma pur sempre tale!
L’ingresso non era così austero e la struttura era immersa nel verde, circondata dalla foresta. Il parcheggio era poco distante dall’ingresso poco sorvegliato e dovevano percorrere pochi passi sul cemento cosparso di ghiaia e fogliame.
“Già. Eccoci qui.”commentò Max, affiancandola.
Il cielo era terso, una leggera brezza mattutina colpiva i loro visi e le parti del corpo scoperte. Avrebbero voluto essere più coperte, ma era comunque inizio estate e non potevano mica portare dei maglioni per evitare di mostrare il loro corpo a quel mostro.
Max aveva scelto la sua t-shirt meno bella, rosa cupo con delle farfalle gialle, degli short abbastanza larghi e di jeans mentre Chloe indossava anch’essa una t-shirt nera con la ‘A’ rossa di anarchia, calzoncini neri e i suoi braccialetti borchiati. Tutti, orgogliosamente in bella vista.
Erano in anticipo di qualche minuto, perciò non avevano fretta di entrare ma, saggiamente, Max suggerì che valeva la pena incamminarsi.
“Via il dente, via il dolore!”esclamò allegramente, anche se non lo era realmente.
Appena arrivarono alla struttura dovettero sottostare a tutte le procedure del caso, annunciare la visita speciale per l’ospite speciale del loro carcere (“Messer Schifo ha pure un trattamento riservato in codesta magione!” esclamò Chloe ad alta voce, quando gli dissero che per Jefferson si facevano eccezioni). Sottolinearono che erano obbligate ad essere sottoposte a perquisizione, poiché non avrebbero ammesso nulla che potesse registrare audio o video del loro incontro. Inoltre dovevano firmare tre diversi fogli in cui accettavano queste restrizioni, che avevano scelto di venire con la loro volontà e che non avrebbero usato nulla di eventualmente sospetto in tribunale. Troppe precauzioni per un detenuto ritenuto innocuo in un carcere di minima sicurezza.
Poco prima di arrivare alla sala delle visite, attraversando un anonimo corridoio bianco grigiastro illuminato da lampade al neon, si trovarono di fronte a un uomo sulla sessantina, vestito in giacca e cravatta, che le attendeva.
“Buongiorno. Finalmente vi incontro, signorina Caulfield e signorina Price. Lieto di conoscervi, sono Humphrey McKinsey, avvocato difensore di mr. Jefferson.”disse con voce aulica, tendendo loro la mano.
Max la strinse ma si ritrasse subito, mentre Chloe si limitò a incrociare le braccia al petto e guardare freddamente prima la mano tesa e poi la faccia del vecchio avvocato.
McKinsey colse di non essere ben visto dal duo ma cercò di non darlo a vedere  e mantenne il sorriso di facciata
“Molto bene. Dunque, mi rincresce ricordavi che dovete spegnere i vostri telefoni cellulari e consegnarli alla guardia che entrerà con voi. Inoltre..”
“Ma lei non si fa schifo?”
Le parole di Chloe tagliarono l’aria con una acidità sorprendente. Si avvicinò all’avvocato, quasi andando a muso con lui
“Lei sa.”sputò con disprezzo “Lei sa che quel maiale dietro quella porta è colpevole. Lei lo sa, ma lo difende. Glielo leggo in faccia che lo ripugna quanto noi, ma lo difende lo stesso. Non prova un minimo di vergogna?”
Max appoggiò una mano su braccio della sua compagna
“Chloe…”
Lei reagì alzando solo un dito in direzione di Max, come ammonimento. Non doveva interromperla
“Penso che lei sia colpevole quanto lui, se si ostina a difenderlo. E se uscirà pulito da quel cazzo di processo, allora si: lei sarà equamente colpevole per le ragazze che sono finite tra le fauci di quel psicopatico di merda.”
McKinsey non si scompose. Fece un passo indietro, abbozzò un sorriso e cercò di fare ancora il suo ruolo di avvocato difensore
“Innocente fino a prova contraria. E di prove ne ho viste ben poche. Ragazze, capisco che per voi sia difficile credere che..”
“Cosa?”disse stavolta Max “Che sia innocente? Pensa che lo abbiamo incastrato o che abbiamo frainteso? Che fosse nel posto sbagliato al momento sbagliato? Ha ammazzato Nathan, cosi come ha spinto al suicidio Kate. E’ un mostro, e lei lo difende. Dovrebbe vergognarsi.”
“Signorina Caulfield non intendevo dire…. Il mio mestiere prevede di vagliare ogni prova e…”
“Ha figlie, signor Mckinsey?”chiese Max, interrompendolo
“No. Un figlio maschio che non vedo da…”
“Allora non può capire cosa significhi avere una figlia drogata e molestata da una persona di cui si fidava. Forse per quello riesce a fingere che sia innocente senza provare vergogna guardandosi allo specchio.”
Calò il gelo.
Chloe parve soddisfatta, tant’è che tornò indietro, appoggiando una mano sulla spalla di Max, come per proteggerla e vantarsi di lei. McKinsey non si scompose molto. Sbuffò e poi riprese
“Comprendo la vostra frustrazione e non intendo prendermela con voi nonostante i vostri attacchi personali. Lo accetto, non sono un rettile insensibile. Ma dovete comprendere che la legge opera sempre nel verso giusto. Attualmente, il mio cliente non versa in condizioni di comprovata colpevolezza. Se sbucasse fuori il signorino Prescott, forse se ne potrebbe riparlare, ma pare che si sia nascosto bene, pertanto il mio cliente è, come vi ho detto, innocente fino a prova contraria.”
“Lo vedremo.”replicò freddamente Chloe, sorridendo maligna.
Mckinsey sorrise professionalmente, fece un cenno alla guardia che requisì i telefoni delle ragazze dopo averli fatti spegnere, e si congedò da loro con un cenno del capo.
Appena fuori, tirò un sospiro di sollievo: quelle due lo avevano inquadrato cosi facilmente? Quelle due cazzo di ragazzine? Chi cazzo erano?
Dovevano essere ostacolate. Doveva fare una certa telefonata il prima possibile.
Max si sentì nuda senza telefono. Non lo usava spesso, ma ora stava rinunciando al suo unico collegamento con il mondo esterno. La guardia si mise davanti alla porta, pronto per aprire. Istintivamente, prese il polso di Chloe e strinse i denti.
Aprì la porta e le invitò ad entrare.
La stanza era diagonale, a forma trapezoidale, dipinta di giallo e con due finestre in alto, rettangolari e con della rete in ferro a protezione. Vi erano diversi tavoli rettangolari grigi e anonimi, disposti sui lati lasciando una passerella centrale che conduceva a una porta più robusta, destinata ai detenuti.
Al tavolo centrale nel lato sinistro vi sedeva il loro peggior incubo delle ultime ore.
Indossava una tunica giallo opaco, con una maglietta bianca che sbucava da sotto. Le manette pesanti ai polsi  con catene che lo legavano al tavolo, non lo rendevano meno innocuo o pericoloso, per la loro percezione.
Mark Jefferson era decisamente in una tenuta insolita rispetto a quella in cui Max era abituato a vederlo. Barba incolta, capelli più lunghi e non curati, con qualche ciuffo bianco, occhiali diversi e meno alla moda, mani forti ed eleganti adagiate pacificamente sul piano del tavolo. Appena incrociò la figura di Max, sul suo volto si dipinse un sorriso che la fece rabbrividire. Era il solito sorriso da insegnante a cui era abituata, specie quando rispondeva correttamente a una domanda in classe, ma ora sapeva che era diverso: predatorio, famelico, vuoto.
Gli occhi erano due buchi neri che l’attiravano, fissi su di lei, la studiavano, la seguivano. Sembrava entusiasta.
Finalmente poteva cibarsi di lei.
Si sedette con calma, mentre alla sua sinistra Chloe si accomodò.
Con la coda dell’occhio, vide che la ragazza dalla chioma blu aveva appoggiato il braccio sinistro sul tavolo, il destro sullo schienale, gambe allargate e sguardo truce in direzione di Jefferson, che continuava a snobbarla avendo tutto l’interesse per lei.
“Max Caulfield.”mormorò con la sua solita voce suadente e calda “E’ una gioia rivederti.”
“Non posso dire lo stesso, Mark.”replicò gelida ma senza tradire un tremore alla fine.
 
Non fare cazzate. Non mostrarti debole. Non dargli modo di entrarti in testa.
 
Mark Jefferson sorrise affabile.
“Non ti biasimo. Tutto questo trambusto avrebbe confuso anche me. Poi la tempesta, la fuga. Non hai avuto molto tempo di riflettere, immagino. Ma ti perdono, sai? So che non avevi intenzione di pensare male di me, deve essere stato tutto troppo…”
“So che sei stato tu, Jefferson. Smettila. Non abbiamo microfoni, perciò non prendermi in giro. Non insultare la mia intelligenza.”
“Non me lo sognerei mai, mia cara. Sei troppo brillante e ti ho sempre rispettato. Ma so che sei dolce e fragile e chissà  se con tutto quello che ti sei trovata in mezzo in quella settimana, non sia successo che tu ti sia malauguratamente sbagliata su di me. Certo, ho le mie colpe e ne sono pentito. Non avrei dovuto difendere Nathan dai suoi crimini. Incoraggiarlo così tanto nella fotografia…. Se solo tu mi avessi dato più fiducia, forse avrei avuto in te una più cara e fedele studentessa.”
“Smettila.”sibilò a denti stretti “Le vittime sono quasi tutte antecedenti al tuo arrivo alla Blackwell. Appena lo dimostreranno…”
“Cosa?”disse Jefferson, ora gelido “Cosa dimostreranno, eh? Che delle modelle consenzienti si sono offerte per degli scatti che ho voluto condividere con Nathan per incoraggiarlo?”
“Le hai fatte tutte tu! Hai scritto sui tuoi raccoglitori i nomi! La calligrafia era tua! Anche per Rachel e Kate… mi fai schifo.”
“Credo che tu debba capire che..”
“Oh mettiti nel culo queste cazzate, Jefferson.”esclamò Chloe “Sappiamo tutti cosa è successo. Non c’è nulla da capire e noi non siamo state ‘travisate’ da un cazzo di niente. Siamo ed eravamo lucidissime: sei un cazzo di maniaco di merda. Piantala di prenderti gioco di noi.”
Jefferson, ora, concentrò il suo vuoto sguardo su Chloe, vedendola per la prima volta
“Ah già. La lesbica che ho visto quel giorno con Max. Per questo sei così fredda con me, Maxine? Ti ha travisato lei?”
Max prese la mano di Chloe
“Lei mi ha salvato. Da te, da Nathan e dai vostri giochi malati. Non osare parlare mai più con quel tono, bastardo.” sibilò rabbiosa Max “Non ti permettere più di chiamarla lesbica.”
Jefferson sorrise compiaciuto
“Ah, capisco. Non era solo tua amica. Scopavate già?”
Chloe si avvicinò il più possibile al tavolo e sussurrò
“Perché vuoi saperlo? Ti piacerebbe l’idea? Ma tanto non ti si rizza, giusto? A meno che non fossimo drogate e legate e tu abbia in mano una macchina fotografica, il tuo cazzetto non sente nulla, no?”
Jefferson sbatté le mani sul tavolo e il suo viso si contorse in una maschera d’odio feroce. La guardia alla porta si allarmò e fece un passo in avanti, ma l’ex fotografo si ricompose in fretta e sorrise in direzione sua, tranquillizzando l’ambiente per un momento.
“Uh qualcuno è stato toccato sul vivo.”disse soddisfatta Chloe
Jefferson tornò a fissare il duo con finta benevolenza
“Oh, siete molto lontane dalla verità.” poi fu il suo turno di avvicinarsi a loro con il viso e abbassare la voce “Ma non lontane quante ne abbia Nathan di farsi trovare vivo.”
“Pezzo di merda.”disse Max “Fai schifo. Che cazzo vuoi da me, perché volevi vedermi? Sbrigati, che voglio andarmene.”
Ancora una volta, Jefferson si ricompose, sedendosi con la schiena ritta, il viso sereno, sguardo penetrante e sorriso beffardo
“Nulla. Avevo solo una grande voglia di salutare la mia studentessa preferita. Ho visto ai notiziari che eri tornata per la mamma della tua amica. Volevo solo rivederti e parlare di fotografia con te.”
“Fotografia, eh? Cosa c’è, ora sogni qualcosa che non potrai mai più fare? Sei finito anche come fotografo, non mi interessa parlare con te. La tua arte era merda, serviva solo a mascherare il mostro che sei.”
Anche questa uscita, sembrava averlo colpito. Fece una smorfia orribile ma non disse nulla. Chloe comprese che potevano attaccare
“Ha ragione Max, sai? Dopotutto, uno che deve drogare e circuire delle studentesse, non poteva certo essere un buon artista. Secondo me è per quello che era ancora single.”
“Perché tu, piccola ragazza dai capelli puffo, sei amata vero? Che io sappia, Rachel voleva scappare anche da te.”
Stavolta fu Chloe ad accusare, ma Max intervenne
“Ma io non sono scappata. Rachel aveva guai troppo grossi, ma teneva a Chloe. Non potresti capire.”
“Davvero? Davvero Max?”sussurrò, di nuovo solo per farsi sentire da loro “Eppure a me ha raccontato molte cose. So di sua madre, la vera madre. So delle bugie di suo padre. So che la tua amica la voleva, la desiderava ardentemente ma lei non poteva accontentarla. Ha preferito scopare me che la tua amica. Non la amava. Nessuno ama Chloe, una stronza che crea solo gratta capi con la scusa del paparino morto.”
“Non io. Io la amo. E lei è la persona migliore che potessi incontrare e per quanto tu voglia ferirci, non ci riuscirai, stronzo.”ripose Max “Sappi che ti incastreremo.”
Jefferson fissò le mani unite delle due, poi la faccia di Chloe e si mise a ridere
“Amarla? Tu ami  questa qui? Mio dio Maxine. Potresti puntare un po’ più in alto se proprio ti piace la figa. Per esempio, sono abbastanza sicuro che Rachel avrebbe leccato più volentieri il tuo sesso, invece che quello di questa sporca punk.”
“Hey, coglione.”disse Chloe “Pensi davvero di fottermi con questi giochini da sedicenne? Cazzo e tu saresti un quarantenne maniaco manipolatore e intelligente? Cazzo, non sai reggere un confronto verbale con Max che è peggio di Ghandi. Cristo, sei davvero patetico. Come hanno fatto a non beccarti tutti sti anni, se sei cosi imbecille. Sicuro di non esserti ammazzato di seghe sulle foto che facevi a quelle poverette? Potevi uscire a fare una passeggiata e socializzare un po’, magari ti rendevi meno ridicolo parlando con altre persone. Ora, se hai finito, io mi leverei dai coglioni perché sono stufa di sentire frignare un uomo con la crisi di mezza età.”
Jefferson non le sorrise, ma la fissò con finta pietà
“Ma io volevo Max. Non te. Sei qui perché ti sei imbucata.”
“No, è qui perché io ho voluto cosi.”sottolineò Max “E se non hai nulla da dire, io concordo con l’idea di mollarti qui. Abbiamo di meglio da fare, che sentire le tue finte frignacce.”
Jefferson esibì l’ennesimo finto sorriso,poi parlò con voce impercettibile
“Non troveranno mai Nathan. Io uscirò prima di quanto pensiate. Ci rivedremo Max. Non vedo l’ora che tu sia la mia modella.”
Poi gettò la maschera. Il suo viso si contorse orribilmente, in un sorriso feroce e rapace.
Chloe scoppiò a ridere e riprese con voce altrettanto bassa
“Senti Pennywise del cazzo, tu sei fottuto. Non preoccuparti per noi, preoccupati di non diventare tu la modella dei detenuti, quando finirai in carcere per molto tempo.”
Poi si alzò e urlò
“Hey! Abbiamo finito noi. Portate via noi o questo pezzo di merda!”
Max si rivolse al suo ex insegnante prima di alzarsi
“E comunque è Max, mai Maxine. Stronzo.”
La guardia accompagnò le ragazze all’uscita. Prima che si chiudesse la porta, Max lanciò un ultimo sguardo a Mark Jefferson, ancora seduto e apparentemente innocuo.
Sorrideva.
Guardava lei e sorrideva con occhi famelici.
 
 
 
Appena uscite, Chloe notò che aveva ricevuto un messaggio. Avendo appena riacceso il telefono poté accorgersene subito. Era di David e recitava
 
Se potete, appena finite venite a trovare Joyce. Ci tiene molto. Fareste meglio a venire.
 
Max si preoccupò
“Dici che è successo qualcosa? Tua madre sta bene?”
Chloe annuì
“Non è per mia madre. Se ho imparato a conoscerlo almeno un po’, c’è un altro motivo per cui vuole vederci. Andiamo subito.”
Max fece un passo ma poi si sentì male. Le girò la testa e le venne un attacco di nausea fortissimo. Chloe l’afferrò per un braccio, prima che potesse cadere
“Che cazz….ehi tutto ok?”
“Mi viene da vomitare..”
“Oh, fico….torniamo dentro e diciamo che è l’ora di pranzo per Jefferson? Oppure ti tengo la testa e rimetti qui, davanti all’ingresso?”
“No, no tutto ok. E’ solo un po’ di tensione che viene fuori.”
“Hey, sei stata grande Max! Lo hai inculato senza vasellina a ripetizione. Penso che fosse quello il vero motivo per vederti: magari gli piace essere maltrattato…sai, non mi stupirebbe scoprire che abbia anche quel feticismo.”
Max sorrise. Prese un paio di respiri bei profondi poi si rimise in piedi e disse di andare che ora si sentiva meglio ed era curiosa di vedere come stesse Joyce e scoprire cosa poteva avere in serbo David per loro.
Mentre si dirigevano all’auto, un gruppo di detenuti pronti per andare a lavorare nella foresta le incrociò
 
“hey che bel duo…”
“Wow, giovani ma graziose..”
“Io prenderei la punkettona…
“Chloe?”
“Ma la brunetta non sembra nemmeno tanto male…”
“Perché non entrambe?”
“Hey belline, venite a lavorare con noi!”
“Chloe!”
“Non saranno lesbiche, spero. Che spreco!”
“CHLOE!”
 
La ragazza dai capelli blu si voltò di scatto, udendo quella voce.
Uno nel gruppo dei detenuti si era fermato e la fissava. Era alto, capelli lunghi e barba lunga, sguardo perso, tatuaggi sparsi. Persino sul collo.
“Frank?”mormorò Chloe
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Interludio: Seattle
 
Parcheggiò il suo pick-up nel vialetto antistante il garage della piccola villetta. Max le aveva detto di metterlo pure li, tanto il suv di suo padre sarebbe stato sicuramente dentro il box e non avrebbe dato fastidio, dato che il sabato non lavorava. Aveva indicato la strada fino a casa sua, precisa come un navigatore, ma avevano rischiato di perdersi due volte perché Chloe era rapita da Seattle. Continuava a fissare lo skyline, i palazzi, la vita pulsante delle strade.
“Cazzo davvero vivi qui da cinque anni? Caaaazzzooo. Ecco perché non mi hai più scritto!”
Chloe non aveva visto molte grandi città in vita sua. I suoi non avevano viaggiato molto, se non per gite al mare o scampagnate nei boschi. Era abituata a Portland, ma Seattle era molto diversa.

“Smettila. Non è per quello che non ti ho scritto. E’ che ero….sono solo una stupida.”
Avevano guidato molto lentamente dentro la città, dando modo a Chloe di ammirare più dettagli possibili nella sua memoria, anche se non aveva realizzato che quella città ora era la sua casa e avrebbe avuto modo di studiarla a fondo, con calma, nei prossimi giorni.
Il sole era tramontato del tutto, la sera era completamente padrona del cielo e una frizzante brezza autunnale si faceva prepotentemente sentire sui volti delle ragazze, che avevano chiuso il finestrino. Chloe non aveva indossato più la felpa, ancora umida e adagiata inerte sul cofano.
Spense il motore e tenne le mani sul volante.
“Sei pronta?”chiese a Max
La ragazza alla sue destra annuì vigorosamente, ondeggiando i suoi capelli a caschetto con foga, ma non aprendo bocca. Le tremavano le mani e aveva gli occhi luminosi. Istintivamente, la strinse a sé con affetto
“Sei a casa. Non c’è più niente di cui avere paura.” disse per confortarla
“Non è quello…penso sia tutto un insieme di cose. Questa giornata, questa settimana….le cose che abbiamo vissuto… oh, Chloe! Non avrei potuto farcela senza di te!”
“Sono stronzate e tu lo sai benissimo! Tu eri bloccata con Jefferson, in quella merdosa camera da maniaco e lo hai affrontato con le palle e ne sei uscita!”

“David, mi ha fatto uscire.”
“Hai guidato contro quella tempesta per prendere una foto per cambiare le cose. Cazzo, questo lo hai fatto tu!”
“Lo fatto per te. Per salvarti. Perché era il mio scopo. Mi davi tu la forza di farlo. Da sola non avrei mai pouto…”
“Oh zitta e scendi da questo pick-up prima che ti infili il cambio su per il culo! Sei tosta, superMax. Più di quanto creda.”
Smontò dal mezze e, vedendo che lei non scendeva, si diresse verso la portiera di Max e la spalancò, prendendola per mano

“Mia cara, prego. Scenda dalla carrozza.” disse con tono pomposo e scherzoso
“Stupida.”replicò lei, sorridendole.
Rimasero un istante in silenzio. Si fissarono, si strinsero in un abbraccio veloce e poi Chloe le disse che toccava a lei fare gli onori di casa e andare avanti lei.
Camminarono sul prato, senza prendere i bagagli da fuggitive con dentro i loro pochissimi affetti (o meglio, di Chloe. Max non aveva più nulla se non i suoi vestiti e ciò che conteneva la sua tracolla).
A metà strada dalla porta di casa, videro che le luci erano spente. Eccetto quella a sinistra, del soggiorno. Le pesanti tende oscuravano la visuale, ma Max era alquanto certa che i suoi genitori fossero entrambi lì, incollati davanti al televisore, a scoprire aggiornamenti del disastro a cui erano scampate quella mattina e di cui erano responsabili. La fortuna, se cosi si poteva definire, è che nessuno lo poteva sapere e non le avrebbero mai incolpate per ‘disastro colposo’.
Prese coraggio e attraversò decisa gli ultimi metri e bussò con forza alla porta
“Cazzo, spero non siano i giornalisti. Non ancora!”tuonò suo padre
Sorrise. Spontaneamente, sinceramente e con calore. La voce di suo padre l’aveva aiutata a realizzare: sono viva, sono a casa.
Sentì pesanti passi avvicinarsi, il suo cuore accelerò pieno di entusiasmo e gioia.
Con un gesto secco, Ryan Caulfield aprì la porta con un viso inizialmente seccato e stanco, segnato dall’ansia e dall’angoscia di un padre ignaro. Impiegò un paio di secondi buoni prima di realizzare chi fosse la piccola figura dinnanzi a lui. Spalancò gli occhi, la sua bocca divenne un ‘o’ di stupore e infine
“Vanessa? VANESSA!” urlò
“Ciao, papà…” mormorò Max “Scusa se non vi ho avvisati…”
“Max…” mormorò prima di tuffarsi su sua figlia, abbracciarla e sollevarla da terra, piangendo di gioia.

“Ryan, che succede?”
La voce rotta di sua madre giunse alle spalle di suo padre, seguita dalla visione della sua figura in vestaglia, gli occhi gonfi e arrossati. Tornata a terra, Max sbucò dalla spalla di suo padre
“Ciao mamma…”
“Max…MAX!”gridò piangendo e lanciandosi su suo marito e sua figlia.

Piansero tutti e tre, sfogando tutta la paura e il timore di non rivedersi mai più.
“Mi dispiace…avrei dovuto chiamarvi, dirvi che stavo bene..”disse Max con il viso affondato nel collo di suo padre.
“Va tutto bene, tesoro. Sei a casa, va bene così.”disse sua madre
Ryan Caulfield alzò la testa e vide chi stava assistendo alla scena in mezzo al loro prato. Diete una gomitata a sua moglie che si allontanò da Max e si concentrò su chi stava osservando suo marito: una ragazza alta, magra, con i capelli blu e un timido sorriso dipinto sulle labbra. Un viso che, nonostante non vedessero da anni e fosse segnato dalla sofferenza, non potevano non riconoscere.
“Chloe?” disse Ryan, mentre si separava dalla moglie e dalla figlia
Chloe iniziò a tremare. Non per il freddo. Si torturò le mani, poi le spalle e le labbra e la voce iniziarono a tremare. I suoi nervi, finalmente, si rilassarono e poteva sfogarsi
“Hey signori Caulfield….è un problema se mi fermassi a dormire qui per stanotte?” disse con voce tremula, prima di far comparire le lacrime sul suo viso.
Ryan e Vanessa risposero abbracciandola con lo stesso entusiasmo che avevano riservato alla figlia.
“Puoi fermarti tutte le notti che vuoi.” disse Vanessa
Chloe Price si lasciò andare in quell’abbraccio, avvinghiandosi con le unghie alle schiene di Ryan e Vanessa, piangendo come non faceva da anni. Sentiva il suo dolore, Max. Sentiva i suoi gemiti e il suo grido soffocato. Non era per quella giornata, non era per aver perso sua madre. Era per tutto: per cinque anni senza la sua migliore amica, per aver perso suo padre e non averlo mai accettato, per aver trovato una persona che le desse forza, per aver visto morire quella persona dopo averla cercata per mesi, per aver provato costantemente rabbia verso sua madre che tanto amava, per non aver provato a comprendere David e usare altri modi per conviverci, per aver rivisto Max, per sentirsi cosi egoista, rabbiosa e stupida, per aver distrutto una città a causa della sua costante esistenza precaria e assurda, per aver finalmente rivisto due persone che considerava come la sua famiglia secondaria dopo cinque anni, per essersi finalmente accettata, per aver compreso quanto fosse innamorata della sua migliore amica e di quanto abbia sofferto non averla con sé, per ogni istante che aveva fatto di tutto per farsi male, per ogni notte insonne, per ogni volta che si era incazzata con suo padre che era morto solo perché voleva andare a prendere la donna che amava, per il viaggio a Parigi che non aveva mai fatto, per ogni volta che aveva aggiustato il suo pick-up, per ogni insulto a Frank per avergli rubato Rachel, per non aver capito che non le era stata mai rubata, per essere stata umiliata da Nathan e per ogni singolo giorno in cui aveva guardato in direzione della vecchia casa dei Caulfield sperando di vederli ancora li.
Max sentiva solo amore dentro di se e le lacrime che tornarono a rigarle il viso, stavolta, erano solamente di gioia. Vedeva quella scena, vedeva Chloe finalmente libera di tanti pesi e forse abbastanza forte da poter combattere le conseguenze che avrebbero dovuto affrontare nelle settimane a venire. Silenziosamente, si avvicinò e abbracciò anche lei tutti e tre.
Dieci minuti dopo, Ryan aveva finito di scaricare in salotto le loro borse e portato il loro murales d’infanzia nel garage. Le ragazze erano state fatte accomodare sul divano, con due coperte e avanzi di pizza davanti a loro, che divorarono con entusiasmo. Vanessa si premurò di cucinare altro al volo e di fare due tisane bollenti per riscaldarle.
Finito di sistemarsi e rifocillarsi, Ryan e Vanessa si adagiarono sulle poltrone di fronte al divano e parlarono alle due
“Non intendiamo chiedervi nulla.” disse Ryan “Parlerete e vi confiderete di quello che è successo e di cosa avete dovuto assistere quando ve la sentirete. Siamo solo felici di sapere che siete scampate a quella tempesta. Le immagini..”
“Ryan…”

“Si, scusatemi. Comunque, non sentitevi in obbligo di dirci nulla finché non ve lo sentite voi, ok?”
“Papà..”
“Si, Max?”

“La situazione potrebbe essere più complessa di come sembra…”
Chloe le lanciò una occhiata sorpresa. Voleva raccontare dei suoi poteri?
“Ecco noi…” cominciò, appoggiando la sua tisana fumante sul tavolino “noi abbiamo anche scoperto le attività criminali di Mark Jefferson e Nathan Prescott. Li abbiamo denunciati ma la tempesta è arrivata poco dopo.”
“Cosa?”esclamò sua madre confusa
“Jefferson? Il tuo insegnate di fotografia? Quello di cui ci parlavi sempre così bene? Che cosa ha fatto?”
“Meglio non ve lo dica adesso. E’ una storia lunga e complicata ma il patrigno di Chloe dovrebbe essere riuscito ad arrestarlo prima che fosse troppo tardi..”
“Hanno ucciso Rachel Amber.”disse Chloe “Hanno ucciso quella ragazza. Era mia amica, le volevo bene. L’hanno uccisa e io e Max abbiamo scoperto tutto. Anche il suo corpo..”

Vanessa si mise le mani sulla bocca, Ryan si limitò a un ‘non posso crederci’.
“Diciamo che il mio ritorno ad Arcadia non è stato idilliaco.”concluse Max
“Cazzo. Avevi anche visto la tua amica suicidarsi solo pochi giorni fa. A saperlo non ti avremmo mai fatta tornare laggiù.”
Chloe spalancò gli occhi ferita, ma Max rimediò subito
“No! Volevo tornare ed è stato un bene. Ho rivisto casa nostra, ho rincontrato Joyce e….” prese la mano di Chloe, che la fissò sorpresa “ho ritrovato Chloe. Soprattutto ho ritrovato la mia migliore amica. Ma tra noi c’è stato un piccolo cambiamento.”
Sorrise e la fissò negli occhi, stringendo la mano con dolcezza.
Chloe era sempre più scioccata da quella iniziativa. Stava dichiarando così alla leggera che loro…
Ryan non capì subito, ma Vanessa si ed emise un gridolino di sorpresa, congiungendo le mani davanti al suo sorriso
“Ragazze! Davvero?”
“Si mamma. Tra noi ora è cosi…”
Vanessa si gettò su entrambe e le abbracciò

“Oh, sono felice per voi. Una storia degna di un film! Due amiche d’infanzia che si innamorano! Un po’ di gioia allora Arcadia la sa ancora dare!”
Ryan comprese solo ora ed esclamò un ‘oh’ di sorpresa , prima di scoppiare in una sonora e fragorosa risata
“Beh, ora si che possiamo dire di essere una unica famiglia con i Price! Birra per festeggiare!”
Vanessa andò dietro a suo marito per essere certa che non portasse birre alle ragazze.
Rimaste sole, Chloe sibilò
“Io ti uccido. Ti giuro che me la paghi.”
Era diventata rossa e si era bloccata come pietrificata. Max rise di gusto e le stampò un bacio sulla guancia
“So che è stato un po’ diretto, ma era giusto avvisarli.”
La notte scivolò piano. Prima di coricarsi, Max convinse Chloe a prendere la sua camera, poiché in due era impossibile dormire nel suo letto, mentre lei avrebbe preso il divano di sotto. Si fecero una doccia, recuperarono dei ricambi per Chloe dalle borse e si divisero dopo essersi augurate la buonanotte.
Avevano acceso i telefoni ma avevano ricevuto solo messaggi di allerta dallo stato dell’Oregon e una decina di David che tentava di rintracciarle. Chloe gli scrisse un messaggio rassicurante, dicendo che stavano bene ed erano fuggite a Seattle, dai genitori di Max. L’indomani si sarebbero sentiti per telefono e avrebbero spiegato tutto.
Il giorno dopo, essendo sabato, Vanessa decise di portare le ragazze a scegliere un nuovo letto, dato che non potevano dormire separate. Chloe si era offerta di cercarsi una stanza in affitto appena avrebbe trovato un lavoro, ma i Caulfield si opposero con veemenza. Dissero che poteva trovarsi un lavoro appena la situazione si sarebbe un po’ calmata e tutto si sarebbe chiarito, ma sarebbe rimasta sotto il loro tetto con Max finché sarebbe stato necessario: on intendevano saperla  alloggiata chissà dove con chissà quali persone. Qui era in famiglia e qui sarebbe rimasta.
Allora provò a convincerli dicendo che poteva avere una branda nello studiolo, ma i Caulfield erano irremovibili: avrebbero preso un letto per tutte e due e avrebbero condiviso la camera di Max. Non gli importava della loro intimità, erano giusto che stessero assieme.
Max non se la sentiva di uscire e Chloe decise di restare con lei. In verità, nemmeno lei aveva grande voglia di farsi vedere. Volevano restare tranquille.
Si misero sul divano, con televisore, bibite e merendine, l’una stretta all’altra. Non parlarono, non si distrassero. Mangiarono una montagna di merendine e finirono quattro lattine di cola e si sentirono appagate fino alla fine del film.
Poi Chloe decise di farsi una pennichella e si addormentò quasi subito. Max Andò a farsi una doccia, di nuovo. Sentiva l’umidità e la polvere dei detriti di Arcadia Bay fin sotto la pelle e voleva rimuoverli al più presto.
Dopo quasi mezz’ora uscì dal bagno, con solo l’accappatoio indosso e scese a farsi un tea. Chloe si svegliò, la raggiunse e la baciò sul collo, le slacciò l’accappatoio e baciò ogni punto del suo corpo ma Max non volle proseguire oltre. Non voleva che i suoi rientrassero proprio in quel momento. Si concessero un minuto di solitudine, mentre l’acqua bolliva, baciandosi con più passione di quanta non ne avessero mai avuta in quella strana settimana.
“Sei stata tosta dirlo subito ai tuoi, ma avrò la mia vendetta. Sei avvisata.”
“Sto tremando, Price.”rispose, prendendola in giro
Chloe si avventò di nuovo sulle sue labbra ma il telefono prese a squillare.
Era David.
Rispose immediatamente
La telefonata durò pochi minuti, tant’è che Max fece in tempo a versarsi il tea e basta.
Chloe le spiegò che David era in viaggio e stava arrivando a Seattle per sera. Voleva parlare con loro di persona. Sembrava agitato.
Dopo quasi un’ora, i Caulfield erano di ritorno. Vanessa annunciò di aver trovato un paio di letti molto carini ma per il materasso non era convinta e che ci avrebbero riprovato l’indomani. Ryan ribaltò gli occhi e mimò di essere sulla forca a penzolare, facendo sghignazzare le ragazze.
“Mi spiace, Vanessa. Dovremmo pensarci noi due…”
“Sciocchezze, Chloe! Adoro far soffrire Ryan!”

Annunciarono che verso sera sarebbe giunto David Madsen, patrigno di Chloe. Necessitava di parlare con le ragazze, sembrava dovesse portare notizie urgenti. Talmente urgenti da non volerle rivelare al telefono.
Cominciarono a preparare la cena presto, facendo porzioni abbondanti nel caso David avesse avuto fame. Chloe e Max contribuirono attivamente, per tenersi impegnate e non pensare e, almeno per Max, mitigare la crescente tensione che provava al basso ventre quando stava vicino a Chloe. La desiderava in un modo nuovo. Quando prima l’aveva sorpresa, spogliata  e baciata, un misto si sensazioni nuove e fortissime l’avevano colta. Voleva vederla senza vestiti, scoprire come era il suo corpo come lei aveva fatto con il suo. Era sempre più forte e crescente quel desiderio e più le stava accanto, più osservava la sua pelle, le sue labbra, i suoi occhi i suoi capelli, qualcosa dentro di lei esigeva di assaggiare ogni parte di Chloe.
Era innamorata ma questo era più forte. Era puro desiderio.
Per la prima volta, provava queste pulsioni e non era niente male.
Consumarono la cena in allegria, Ryan permise loro di bere un po’ di vino come scusa per ‘aiutarle a rilassarsi’ un poco, ma verso le ventidue, sentirono il campanello.
Vanessa aprì la porta e David Madsen comparve sulla soglia.
Era visibilmente distrutto, stanco. Occhiaie pesanti, faccia pallida, vestiti sporchi e palesemente mai cambiati da due giorni. Chloe gli andò incontro ma non si scambiarono che una stretta di mano e un sorriso.
“Grazie.”disse infine Chloe “Per essere venuto fino qui. Se stravolto, dovresti riposare un pochino.”
“Si, esatto.”disse Vanessa “Si fermi qui a dormire.”
“No, no meglio di no. Mi tratterrò giusto il tempo di parlare con le ragazze e poi torno subito ad Arcadia Bay.”
“Ma saranno minimo le due del mattino, ora che tornerai laggiù.”esclamò Ryan “E sei palesemente stanco. Dovresti riposare qui e poi ripartire.”
“No, davvero. Vi ringrazio moltissimo, ma ho urgenza di tornare.”
“Almeno mangia qualcosa!”insistette Vanessa

A tal proposito, David cedette. Evidentemente non mangiava decentemente da venerdì mattina. Si accomodo a tavola, di fronte a Max e le sorrise. Lei rispose al sorriso e gli prese una mano
“Grazie, David.”mormorò
“No, Max. Sono io che devo ringraziarti. Ma rimandiamo a dopo, ok? Finite la cena con calma e io ne approfitto per mandare giù un boccone. Ammetto di esser un po’ a stomaco vuoto.”
Finirono di mangiare, David rifiutò il vino (“Devo guidare, ma grazie” disse) e poi chiese di parlare da solo con le due ragazze. Ryan e Vanessa acconsentirono e andarono al piano di sopra.
Si sedettero sul divano, mentre David si accomodò su una poltrona.
“La situazione è problematica. Ho dovuto dire che siete state voi a intuire cosa stava accadendo e che voi due siete state le vere artefici della scoperta delle malefatte di Jefferson e Nathan.”
“Cazzo.”esclamò Chloe

“Non preoccuparti, Chloe. Non è così grave. Ovviamente vorranno farvi delle domande. Concorderemo una versione dei fatti, meglio se la vostra sia identica. Io so che voi avete frugato nella mia roba ma avevate trovato altro che ignoro per la quale avete fatto i collegamenti che a me sfuggivano. Avete ricomposto il puzzle. Poi vi siete rivolte a me e io alle autorità e ho arrestato Jefferson.”
Annuirono

“Ora, questa è la parte più semplice. Il problema è Nathan: non si trova. Non sanno cosa dire. Le dichiarazioni di Jefferson ora iniziano a fare rumore e lui tenterà di uscirne il più indenne possibile, addirittura si dichiarerà innocente. Voi avete detto che siete sicure che Nathan sia morto, corretto.”
Annuirono di nuovo.
“Bene. Se questo non sarà provato, la vedo veramente dura.”
“Ho un messaggio in segreteria!”esclamò Max.

Si mise a trafficare con il telefono e poi lo porse a David mentre partiva il messaggio di Nathan. Davi lo ascoltò con attenzione ed emise un grugnito.
“Interessante, ma non prova nulla. Potrebbe essere usato dalla difesa di Jefferson per dire che è un chiaro depistaggio per incolpare il loro cliente, mentre il ragazzo fuggiva da Arcadia. Tenetelo, non si sa mai.”
Questo deluse un po’ le aspettative delle due, ma David proseguì
“Concordate una versione, poi ci aggiorneremo per telefono. Ora, non vi chiedo di seguire i notiziari ma comunque prestate attenzione all’evolversi della situazione. Non fatevi cogliere impreparate. Non fatevi vedere in giro troppo, anche se siete a Seattle: ci metteranno poco i giornalisti a scovarvi. Quegli avvoltoi arrivano ovunque. Finché le acque non si saranno un po’ calmate: basso profilo.”
Poi si rivolse a Chloe, prendendole teneramente una mano

“Per finire ho una notizia per te: tua madre è viva.”
Chloe era visibilmente sorpresa. Spalancò occhi e bocca

“Davvero??”
“Si. Ha capito che qualcosa non andava ed è fuggita. Presumo tu abbia avvisato anche lei. Ma non esultare: mentre fuggiva, è stata sbalzata via dai venti. E’ in coma e gravemente ferita, ma viva. Non possiamo esultare ne essere molto ottimisti per ancora qualche giorno, ma sta combattendo. Non si arrenderà facilmente, ne sono certo.”
Delle lacrime rigarono il volto di Chloe

“Sono certa che sia così. Quella testarda tornerà per sgridarmi prima di quanto possa pensare.”
David sorrise
“Ne sono sicuro.”
Tentarono di convincere David a rimanere a dormire, ma non vi fu verso. Accettò di bersi numerosi caffè e perdersi in chiacchiere, ma poi confessò che voleva continuare a dare una mano con  le forze dell’ordine e i volontari alla ricerca dei sopravvissuti. Disse che, in caso di necessità, avrebbe dormito in auto. Oramai era quasi mezzanotte ma volle partire lo stesso. Si raccomandò anche con i coniugi Caulfield di non lasciare le ragazze troppo libere per ancora qualche giorno, poi ripartì, promettendo di aggiornare Chloe sulle condizioni di sua madre ogni volta che poteva.

Lo salutarono con la mano, mentre la sua auto sportiva svaniva lungo il viale.
Passarono due giorni prima che il nuovo letto venne sistemato in camera di Max, mentre quello vecchio venne smontato e sistemato in soffitta.
Oltre al letto, Vanessa aveva trovato un materasso fantastico, lenzuola comodissime e preso un discreto corredo di intimo per Chloe, assieme a qualche maglietta, felpa e jeans per l’inverno.
Quella sera, finalmente Max tornò a dormire nella sua camera dopo tre notti di sola presenza di Chloe.
La camera era, essenzialmente, come sempre, tranne per l’appunto che ora non vi era un piccolo letto singolo contro la parete a sinistra, ma un grosso matrimoniale dall’aria comoda.
Si cambiarono e si sorpresero a vicenda a guardarsi mentre erano seminude. Chloe abbozzò un sorriso ma non disse nulla. Una volta spente le luci e sotto le lenzuola, Max sentì che, per quanto provasse un desiderio sempre più crescente, non voleva andare oltre per il momento.
Si accontentò di baciarla finché avesse forze per farlo, poi accoccolò tra le sue braccia e comprese che avrebbe potuto dormire beatamente solo così.
“Bentornata in camera tua, Max.” sussurrò Chloe con dolcezza
Max strinse a se Chloe più che poté
“Non era mia senza te. Buonanotte.”
Gli incubi non erano ancora arrivati, perciò si addormentarono velocemente e iniziarono così la loro nuova vita.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

11.
 

 
Era tarda mattinata quando arrivarono al parcheggio dell’Adventist Healt.
Questa volta, però, fecero molta attenzione riguardo alla gente che sostava nel parcheggio. A loro avviso, pareva non ci fossero giornalisti: nessuna telecamera in vista, nessun assembramento di persone in qualche angolo.
Forse, speravano, qualcuno doveva aver vietato loro di sostare nell’area dell’ospedale ma, dovettero ammettere, che non erano state più braccate. Cosa insolita, visto che erano ambite da ogni televisione della Nazione.
Cercarono di restare comunque attente e caute, anche quando scesero dal riconoscibilissimo pick-up e si avviarono verso l’ingresso. David le aspettava direttamente in camera di Joyce, perciò vi si diressero senza troppi indugi.
Joyce era in forma, aveva un colorito leggermente migliore e i capelli quasi in ordine. Raccontò loro che una infermiera giovane si era offerta di sistemarli lo scorso pomeriggio. Anche David confermò le impressioni delle ragazze, dichiarando orgogliosamente che Joyce era una vera guerriera e la sua guarigione stava sbalordendo tutto il reparto.
“Da qualcuna avrò preso, no?”esclamò Chloe orgogliosamente.
Passarono una ventina di minuti a raccontare come avevano passato i primi due giorni nella loro terra natia. Parlarono della Blackwell e di come era ridotta, degli scatoloni di Max che sostavano in camera d’albergo e che avevano visitato il cimitero per rendere omaggio ai ragazzi che non erano scampati.
Chloe sorvolò sulla faccenda ‘tomba di Rachel’ e inventò una scusa plausibile per la loro camera imperiale gratuita al Seaside.
“Oh un benefattore! Penso si senta in colpa o qualcosa di simile e ci ha donato la sua camera per tutto il tempo che resteremo qui!”
“E quanto durerà?”chiese Joyce
In effetti non ci avevano pensato e non potevano certo dirle che ora cercavano un altro cadavere.
“Non ci abbiamo pensato, Joyce. Direi ancora qualche giorno. Vorremmo partire con la sicurezza che stai migliorando e che qui non abbiamo lasciato più nulla.”mentì Max.
Le raccontarono anche di essere tornate a casa Price, ma senza dirle degli acquisti fatti.
Joyce era raggiante nel vederle li, ma sapevano che non potevano stancarla molto, perciò si congedarono con la promessa di tornare l’indomani.
Appena uscirono dalla stanza, scortate da David, Chloe non tardò un istante e chiese subito che avesse per loro.
“In ascensore.”disse a voce bassa
Appena saliti tutti e tre, David passò a Chloe un  pezzo di carta. Dalla consistenza, capì che erano almeno due fogli piegati più volte su loro stessi. Fece per aprirli, ma David le bloccò la mano.
“Mettili via. Non qui, Chloe!”
Lei ubbidì e li infilò nel portafogli.
Le porte si aprirono e David le accompagnò fino al parcheggio. Una volta all’aperto, parve rilassarsi, ma continuava a lanciare occhiate in ogni direzione.
 “David non ci spia nessuno, tranquillo.”
“Non capisci, Chloe. Nessuno deve sapere! Se si scoprisse che ho fotocopiato quei fogli, mi licenziano in tronco prima ancora che venga ripristinato il corpo di polizia di Arcadia Bay!”
“Ma di cosa si tratta?”chiese Max, ora anche lei incuriosita
“Fascicolo di Mark Jefferson. Elenco delle vittime. Presunte, accertate o ancora da confermare.”disse a bassa voce.
Le due si scambiarono uno sguardo colpito, ma David prese per le spalle Chloe e la fissò dritta negli occhi
“Non dovete perdere quei fogli. Non dovete dire a nessuno come li avete ottenuti e non voglio sapere cosa ne farete. Sto cercando di aiutarvi, ma non voglio essere coinvolto troppo se qualcosa va storto, intesi? Mi fido di voi ragazze, ma se la cosa si dovesse fare troppo complicata e non ne venite a capo, lasciate perdere. Intesi?”
Annuirono.
Si salutarono, poi David corse di nuovo dentro l’ospedale lasciando le due libere di saltare dentro il pick-up.
Presa da una eccitazione febbrile, Chloe prese il portafogli ed estrasse i fogli. Aprendoli, trovò dei semplici fogli bianchi A4 con una lista di nomi. Iniziando da quello con la dicitura 1/2 e con il titolo ‘Vittime presunte di Mark Jefferson’. Vi era una piccola legenda che recitava:
 
 
C = Certa (fascicolo trovato presso la Fattoria Prescott)
Cn = Certa / Non collabora
P = Presunta
S = Sospettata fortemente di essere vittima / carenza di prove a sostegno / non testimonia
D = Deceduta (causa del decesso descritta accanto al nome)

 
 
“Cazzo Max… sono tantissime…”mormorò Chloe sbigottita. I fogli contenevano almeno una quindicina di nomi, per un totale di quasi trenta ragazze.
“E la parte peggiore è la fine.”commentò amaramente Max, porgendo il secondo foglio e indicando gli ultimi nomi
 
  • Amber, Rachel Dawn ; D (Overdose. Possibile responsabilità di Prescott Nathan)
  • Marsh, Kate Beverly ; D (Suicidio. Possibile induzione a tale gesto da bullismo perpetrato da       Prescott Nathan e Chase Victoria Maribeth e Jefferson Mark)
  • Chase, Victoria Maribeth ; P; D (Deceduta in seguito a una ferita al capo durante lo straordinario evento meteorologico che ha interessato Arcadia Bay in data 11 Ottobre 2013)
  • Caulfield, Maxine ; S (l’interesse mostrato dal sospettato per questa ragazza è ragionevolmente fonte di dubbio. Potenziale vittima. Attualmente risiede a Seattle dalla famiglia. Si richiede un colloquio entro il processo.)
 
“Merda.”disse Chloe “Fa male  leggere certe cose. Come ti senti?”
Max fece le spallucce
“Sto bene. Nulla di nuovo. Ma stanno facendo un ottimo lavoro, non credi? Questa lista potrebbe essere determinante.”
“Per cosa? Noi abbiamo bisogno di trovare Nathan, non di creare una associazione per le vittime di Jeffer…”
“Ma non capisci, Chloe?” sbottò Max “David ci ha dato questa lista perché potessimo avere dei punti di rifermento, studiare meglio Jefferson e, se riusciamo, rintracciare qualche vittima e convincerla a parlare. Se otteniamo questo, possiamo appesantire le accuse verso di lui e riuscire a non farlo scarcerare tanto presto. Inoltre, potrebbero darci qualche idea su come operava prima di Arcadia Bay. Magari sanno di un altro posto che usava prima di avere accesso ai fondi dei Prescott, un’altra ‘Dark Room’ dove potrebbe aver nascosto anche Nathan!”
Chloe rimuginò su quelle parole e poi annuì
“Ha senso.” disse infine “Vuoi parlarne con Kristine?”
Max ci rifletté qualche istante poi scosse la testa
“No, meglio di no. Almeno non ora. Aspettiamo prima di capire quanto possa essere determinante. Inoltre qui si tratta anche del lavoro di David: non voglio metterlo troppo a rischio per averci aiutato. Ma proposito: andiamo oggi in camera di Nathan?”
“Dipende. Lo sai che poi dobbiamo andare da Frank.”le ricordò Chloe.
Frank Bowers era detenuto anche lui al South Fork. Appena uscite dalla prigione, dopo il colloquio con Jefferson, lo avevano incrociato. Lui le aveva riconosciute subito e attirato la loro attenzione. Era dimagrito, e di un bel po’, aveva capelli e barba lunghi e non curati, occhiaie pesanti (disintossicazione in corso?) ma tutto sommato sembrava in ottima salute.
Si erano avvicinate e scambiato due parole con lui, omettendo il motivo della loro visita mattutina. Dato che una guardia stava richiamando Frank, gli promisero che sarebbero tornate per l’orario di visite ufficiale, quella sera dalle diciotto e trenta fino alle venti.
Prima però, volevano fare un secondo sopralluogo in camera di Nathan.
E portare l’acqua alla piantina in camera di Chloe.
Max annuì e disse che per metà pomeriggio avrebbero certamente finito e sarebbero andate direttamente da Frank, così poi avrebbero cenato al ristorante dell’albergo e si sarebbero buttate a letto il prima possibile. Sentiva già troppa stanchezza addosso e non vedeva l’ora di farsi una dormita colossale. Chloe poteva anche guardare la televisione, tanto era abbastanza sicura che non si sarebbe svegliata per una settimana.
 
 
Tornato a Portland, McKinsey non si diresse subito a casa sua ma preferì prima andare in ufficio per sbrigare quella faccenda che si faceva sempre più insidiosa nella sua mente. Essendo Sabato, non avrebbe trovato nessuno a dargli fastidio: ne le segretarie e nemmeno i suoi colleghi con la quale condivideva il suo studio, il ‘McKinsey, Hoffman and Brown’. Parcheggiò la sua Lexus al solito posto, prese l’ascensore e si ritrovò dentro il suo studio in men che non si dica. Arano appena le dieci del mattino e sperava di trovare il suo uomo già sveglio e pronto ad entrare in azione. Aprì la porta dello studio con le sue chiavi e si beò del silenzio: la sala d’attesa con un divano di velluto, un tavolino di cristallo con delle riviste prese a caso dalle sue segretarie e un quadro che era una copia ben fatto di un Pollock, lo accolsero con aria pacifica. La porta del suo ufficio personale era a destra e non indugiò un istante ad aprila e rifugiarsi al suo interno.
Il suo studio era lo specchio della sua vita: un ampio finestrone faceva entrare una calda luce che rendeva l’ambiente luminoso, una alternanza per costruita di piante finte con alcune vere,  i suoi titoli e la sua laurea incorniciati e messi in bella vista sulla parete accanto alla sua scrivania ampia e di mogano, con una comoda poltrona in pelle per lui e due poltrone meno confortevoli per coloro che riceveva: doveva indurli a pensare che solo lui poteva metterli a proprio agio e fidarsi che fosse così, visto che  sarebbe parso calmo e rilassato.
Aveva anche una macchinetta del caffè e un distributore d’acqua in un angolo, e due quadri, ovviamente sempre ottime repliche, di un paesaggio di Constable e uno di un macchiaiolo italiano, per indurre un senso di calma e serenità. Dovevano fidarsi di lui: era uno dei migliori dieci avvocati dello Stato, dopotutto.
S’infilò dietro la sua scrivania e si mise a cercare ciò per cui era li.
Nel doppio fondo del primo cassetto a sinistra della sua scrivania vi era un secondo telefono che non usava quasi mai, se non per contattare fonti oppure lui.
Lo aprì e lo accese, mise il pin con destrezza e cercò subito tra i pochi contatti quello che gli interessava.
Dopo due squilli, rispose la solita voce burbera e profonda.
“Ho un lavoro per te.  Devi entrare in azione subito però.”
L’uomo lo ascoltò e infine accettò.
 
S’ingozzarono beatamente al ristorante del Seaside, dove ogni portata era ottima e non si preoccuparono di poter fare una pessima figura in mezzo a tanti ospiti che a quell’ ora popolavano la sala. Non persero tempo e non si rilassarono molto in camera, ma si cambiarono rapidamente e si lavarono i denti prima di scendere di nuovo
Dopo pranzo, partirono dall’hotel in direzione Arcadia, per la precisione casa Prescott. La giornata era limpida e pareva più calda delle altre, pochissime persone erano in giro e solo una macchina sembrava percorrere la oro stessa strada. Curioso che vi fosse un altro turista per Arcadia. Magari era solo un curioso.
La strada era rimasta impressa, perciò arrivarono davanti alla magione con estrema facilità, parcheggiando sempre in mezzo alla strada.
Kristine era in mezzo al prato,  dove stava accatastando cianfrusaglie che sembravano provenire dal garage. Appena le vide, sorrise loro e agitò la mano in segno di saluto. Era graziosa con i capelli raccolti in una coda di cavallo e un paio di calzoncini sportivi e una canotta leggera a motivi floreali.
Le due la raggiunsero e rimasero sorprese e incuriosite dalla pila che si stava formando in mezzo al verde
“Che roba è?” chiese Chloe, ma non ottenne risposta.
Kristine si era fatta di colpo seria e fissava la strada, nella stessa direzione dalla quale erano venute le sue due complici
“Siete venute con qualcuno per caso?”chiese insospettita
Chloe la fissò stranita
“No, non abbiamo chiesto nessun aiuto. Per ora.” sottolineò Max “Perché”
Kristine fece le spallucce e sorrise
“Nulla. Mi pareva di aver visto un auto laggiù, ma forse mi sono sbagliata. Comunque Chloe, questa è roba dei miei che stava in garage. Roba vecchia. Non credo che ci sia nulla di utile ma se volete prendere qualcosa perché vi piace o vi può tornare utile, fate pure: io penso di buttare tutto.”
Le invitò ad entrare, ma a Max non sfuggì il fatto che lanciò un’ altra occhiata sospetta in direzione della strada.
Kristine s’interessò a come passassero le giornate e come stesse la madre di Chloe. Chiese se qualcuno le stava infastidendo ma negarono, anzi erano tutti cordiali e riservati con loro. Max le confidò di aver dovuto vedere Mark Jefferson, dato che aveva insistito il suo avvocato per farli incontrare ma era stata solo una stressante perdita di tempo. Chloe sottolineò con orgoglio che la sua ragazza era stata tosta e lo aveva preso a parole tutto il tempo, ma Kristine sembrava più interessata all’avvocato, trovando inusuale che un uomo di legge insistesse così tanto per far incontrare un suo cliente potenzialmente colpevole con una delle sue ex studentesse, ben sapendo la fama che lo circondava. Inoltre storse il naso all’dea che non fossero presenti i legali.
Furono accompagnate al piano di sopra e lasciate libere di frugare. Alla luce del giorno, la stanza risultava più caotica e sporca, con pezzi di legno e foglie ancora presenti sul pavimento. Frugarono ovunque, ribaltarono anche il materasso ma non riuscirono a trovare nulla che tornasse utile, finché…
“Aspetta un secondo.”disse Max, vedendo un pezzo di carta sbucare da sotto la cassettiera.
Ne tirò fuori una foto, vecchia e segnata come se fosse stata spiegazzata, che ritraeva un Nathan leggermente diverso, forse più piccolo di un paio di anni, accanto a una ragazza dall’aria dolce e timida. Aveva lunghi capelli castani e occhi verdi.
“Chloe? Tu sai chi…”
“Cazzo, ma è Sam!”esclamò, prendendo la foto dalle mani di Max, osservandola meglio “Si! E’ Samantha Myers!”
“Chi?” chiese incuriosita Max
Chloe le sorrise e agitò la foto con entusiasmo
“E’ stata un flirt di Nathan. O meglio, lei era cotta persa di lui quando andavo ancora alla Blackwell. Io in teoria lo ignoravo, era un primino e insignificante, ben lontano dal pezzo di merda che è diventato poi. Anche lei era una primina, sempre timida e riservata. Un po’ come te a pensarci bene. Beh, era palese che gli morisse dietro e ha cercato in ogni modo di corteggiarla. Poi io non ho più di tanto cagato i gossip della scuola e sono stata sospesa, in più era iniziato tutto il casino con Rachel, ma so che si sono frequentati e lei ha avuto un incidente. Sembra sia stata investita o qualcosa del genere.”
“Oh! E’ morta?”esclamò Max
“No, no. Si è fatta male ed è rimasta in ospedale per un po’ ma non è mai stata in pericolo di vita. Ma da quello che ho saputo da Justin e Rachel, alla fine del secondo anno è stata trasferita in un’altra scuola dai suoi, lontano da Arcadia. Ma la cosa più interessante è che negli ultimi mesi alla Blackwell stava bel lontana da Nathan. Lo schifava o ne aveva paura o entrambe le cose. Curioso, non trovi?”
Max sorrise
“Molto. Teniamola e chiediamo a Kristine se sa qualcosa.”
“Aspetta, fammi controllare prima una cosa.”disse Chloe, ed estrasse la lista di vittime di Jefferson. Dopo una rapida occhiata concluse che non c’era, ma questo non significava che non potesse sapere qualcosa.
Scesero al piano di sotto e trovarono la Prescott in cucina, che beveva un sorso di acqua ghiacciata. Iniziava a sudare e il suo viso era chiazzato di rosso.”
“Se avete voglia di aiutarmi anche a svuotare il garage, non fate complimenti. Comunque c’è da bere e mangiare. Servitevi pure.”
“I tuoi amici non ci sono per darti una mano?”chiese Chloe che già stava scartando una merendina.
Kristine scosse la testa
“No, fino a stasera no. Sono andati a farsi un giro a Portland o Astoria, non ho ben capito. Basta che mi portano una pizza gigante per cena, possono andare dove vogliono. Trovato qualcosa di interessante?”
Max porse la foto del fratello
“Hai sentito parlare di questa ragazza, Samantha Myers?”
Kristine studiò la foto per un paio di minuti, in silenzio. L’unico rumore presente in cucina fu il ruminare di Chloe, che era alla seconda merendina al cioccolato e stava per afferrare una lattina di gazzosa con le dita sporche di cacao, sotto lo sguardo rassegnato di Max.
“Non l’ho conosciuta di persona, non andavo alla Blackwell e forse ero già all’Università, in California. Più lontano ronzavo da questo cesso di casa, più stavo meglio. Comunque, ho sentito parlare di questa ragazza. Nat si confidava spesso con me e mi aveva detto che si frequentava con una certa Samantha. Forse è venuta anche a cena qui un paio di volte, sempre quando non ero presente. Poi ha smesso di parlarne. Qualche tempo dopo gli chiesi se la vedeva ancora ma mi liquidò in fretta con un ‘ha cambiato scuola’. Dite che c’entri qualcosa?”
“Non lo sappiamo.” disse Max “Ma se possibile, dovremmo rintracciarla e chiederle se aveva assistito all’arrivo Mark Jefferson e se Nathan poteva essere stato influenzato in qualche modo.”
Kristine prese anche lei una gazzosa e fissò Max
“Pensi che sia utile?”
“Potrebbe. Per capire dove potrebbe averlo nascosto, se non nel vostro vecchio terreno di famiglia o alla Blackwell, dobbiamo scovare più indizi possibili sulla loro relazione. Non penso abbia avuto accesso subito al vostro patrimonio e ai sotterranei antiatomici delle vostre proprietà.”spiegò Max
“Inoltre, Sam era molto vicina a Nathan prima di essere trasferita. Forse, togliergli una persona casa potrebbe averlo reso più arrabbiato e vulnerabile.”suggerì Chloe “E io ne so qualcosa.”
Max abbozzò un sorriso tenero a quelle parole e lanciò un occhiata a Chloe ma, vedendo il suo viso, capì che era stata una mezza verità e una copertura: lei voleva capire altro. Voleva trovarla per scoprire come mai Nathan e Samantha si erano allontanati ben prima che lei se ne andasse dalla Blackwell. Omettere quel dettaglio e usare una sorta di somiglianza personale era stata una vera mossa subdola ma efficace. Si fidava di Kristine, ma allora perché stavano omettendo sempre più dettagli?
Kristine sorrise in risposta a Chloe e accolse con entusiasmo l’idea. Si, trovare Samantha Myers potrebbe tornare utile.
Dopodiché annunciò che la sua pausa era finita e tornava al lavoro, ma Max le disse che avrebbero aiutato a finire di sistemare il garage, con grande sorpresa e disapprovazione di Chloe.
Dopo quasi un’ora, era svuotato, ogni cosa impilata alla maniera migliore, le cianfrusaglie destinate alla discarica pronte per essere caricate su un furgone che avrebbe preso a nolo nei prossimi giorni, altre cose che grazie a Max e Chloe erano ancora in ottimo stato e perciò salvate per imbastire un mercatino o rivenderle su internet e, infine, un paio di ricordi di infanzia che Kristine pensava di aver perduto che salvò.
Lasciò a Chloe e Max la libertà di prendere quello che volevano ma non erano interessate a nulla, tranne a una lavagnetta di legno compensato adatta per appenderci dei memo. Chloe s’impuntò nel volerla e alla richiesta di spiegazioni da parte di Max, sorrise sorniona.
Finito dai Prescott, passarono a casa Price a dare da bere alla piantina. Chloe caricò la lavagnetta in camera e la mise di fronte al suo vecchio armadio a muro.
“Si può sapere che ti serve?”
Chloe sorrise raggiante e spalancò le braccia, come ad abbracciare simbolicamente camera sua
“Max ci serve un quartiere generale e che posto può essere più adatto della mia camera?” esclamò entusiasta “Qui non ci disturberà mai nessuno! Potremmo rifugiarci qui quando ci servirà riflettere e potremmo lasciare qui tutto quello che riteniamo significativo, senza rischiare di portarlo in giro e perderlo o lasciarlo in camera. O pensavi di fare le nostre ricerche in macchina o in hotel?”
Max non ci aveva pensato ed effettivamente era una ottima idea. Quella camera era libera, lontana da occhi indiscreti e sicuramente nessuno avrebbe mai immaginato che si erano rintanate li per cercare un cadavere. Annuì e approvò la cosa
“Inoltre ci ha portato culo l’ultima volta, no?”sottolineò Chloe “La nostra Bat- caverna!”
Decisero però che, per nessuna ragione al mondo avrebbero lasciato la lista di David in quella stanza. Troppo preziosa per loro e l’avrebbero appesa e usata solo in quella camera ma non l’avrebbero lasciata lì. La foto di Nathan, per ora, fu messa in un cassetto. Nei prossimi giorni avrebbero comprato del materiale adatto per renderla una vera area investigativa.
Diedero da bere alla piantina poi, visto che sarebbero dovute andare di nuovo fino al South Fork, decisero di non indugiare troppo oltre e cominciare a muoversi verso la prigione, ma prima occorreva fare benzina.
Ma prima di abbandonare la stanza, Chloe spostò la lavagnetta contro un angolo e disse a Max di mettersi davanti alla cabina armadio. Non comprese il motivo ma lo fece. Erano una di fronte all’altra ora. Chloe le sorrise
“Penso sia giusto rimediare a una cosa, prima di andare.”
“Che cosa?”
Il sorriso di Chloe si allargò
“Ti sfido a baciarmi. Adesso.”
Max comprese. Voleva rivivere quel giorno. Ridacchiò ma l’accontentò, cercando di essere impacciata come quella volta. Si mise sulle punte e depositò le sue labbra su quelle di Chloe che, stavolta, non si sorprese ne saltò all’indietro ma l’afferrò per i fianchi e rispose con entusiasmo al bacio.
“Scusa. Dovevo correggere questa cosa.”spiegò, facendole un occhiolino.
 
 
“Adam?”
Kristine era al telefono e rintracciò uno dei suoi due amici. Mentre aveva guardato andare via le ragazze, era rimasta seminascosta tra le tende a osservare la strada. Dopo un paio di minuti, dal retro di una delle ville, vide una berlina colore vermiglio, certamente di molti anni prima, sbucare e seguire il pick –up di Chloe. Non si era sbagliata, aveva visto giusto.
“Dimmi Kristine.”rispose il suo amico
“Prendetevela con calma, qui ho finito per oggi. Ma fatemi un favore: cercate di raccogliere più notizie che potete su Mark Jefferson e soprattutto chi lo difende.”
“Non riesci a farlo tu, scusa?”
“Certo che potrei, ma non sono sicura di non essere osservata. Fatelo voi. Usate i miei mezzi. Aspetto notizie e pizza per stasera.”
 
Il South Fork nel tardo pomeriggio sembrava più vivo. C’erano altri intorno a loro, un viavai più significativo di parenti o amici che andavano o tornavano dall’orario di visite autorizzate.
Si presentarono all’ingresso per la seconda volta, spiegarono che erano li per il detenuto Frank Bowers.
Furono riaccompagnate nella medesima stanza delle visite della mattina ma in un tavolo diverso. Frank le attendeva nel primo a destra, cupo e chino sul tavolo. Senza manette, a differenza di Jefferson.
Nel vederle, abbozzò un sorriso
“Siete venute. Grazie.”mormorò “Scusate per stamattina ma non potevo trattenermi a lungo. L’agente Williamson non è cattivo, ma giustamente deve riprenderci quando deve. Già è un carcere di minima sicurezza, meglio non cazzeggiare troppo.”
“Non preoccuparti. Siamo venute volentieri.”disse Chloe. Max annuì e sorrise in supporto.
“Grazie davvero. E’ bello vedere facce familiari dopo tanto tempo. Come state ragazze? Ho sentito che ora siete a Seattle.”
“Già.”disse Max “Siamo tornate dai miei. Ero di Arcadia, non penso di avertelo mai detto, ma circa sei anni fa ci trasferimmo a Seattle. Sono tornata per Chloe e per la Blackwell. Dopo il disastro, era la sola meta sicura che avevo in mente.”
Frank ridacchiò
“Eccole qui, sempre insieme le Thelma e Louise dell’Oregon e ora dello stato di Washington. Puntate ancora pistole contro gli spacciatori o a Seattle sono più cinici?”
Chloe sorrise beffarda
“Tutti gli spacciatori sono cinici: sei tu che in fondo sei sempre stato una brava persona. Non negarlo.”
Frank le sorrise ma s’incupì
“Si…. Una brava persona che ha ucciso l’unica ragazza che abbia mai amato.”
“Non è stata colpa tua!”esclamò Max “E’ stato Nathan Prescott che..”
“E dove pensate che abbia preso la droga, quel Nathan?” disse Frank amaramente “Avrei preferito saperla in California con un altro uomo, piuttosto che…”
“Frank.... non puoi distruggerti per questo. Non potevi sapere. Rachel non poteva sapere e sono certa che non si sognerebbe mai di darti la colpa. La conoscevamo bene”tentò di consolarlo Chloe
“Oh, andiamo! Non avrò sparato, ma sono io che ho armato la pistola! Sapevo che poteva succedere. Quando fai lo spacciatore, metti in conto che qualcuno possa crepare per colpa della merda che gli vendi. Cazzo, non tutti vogliono solo erba, magari tutti volessero solo erba! Ma Rachel… cazzo…”si lamentò Frank, nascondendo il viso tra le mani.
“Frank, non è colpa tua. La droga somministrata a Rachel era modificata, arricchite dai medicinali di Nathan. Non era…”
“Ma era la MIA droga Chloe!”s’impuntò lui
Max intervenne mantenendo un tono di voce dolce ma deciso
“Frank, non puoi vivere colpevolizzandoti per qualcosa che non hai fatto. Rachel assumeva droghe, spacciava anche. Non era inesperta ne stupida. E’ stata manipolata e ingannata da quello stronzo di Jefferson, insieme a Nathan. Sono tutti e due vittime sue. Nathan ha tutta la colpa per averla drogata, su questo non ci piove, ma anche Jefferson ha la responsabilità morale per averlo spinto a tale gesto. Rachel era finita in qualcosa di troppo grande, ma era troppo intelligente per farsi fregare così facilmente. Ci sono voluti mesi di seduzione da parte di quel verme per farle abbassare la guardia.”
Frank lanciò una occhiata in direzione di Max
“Quel verme è qui e non posso ammazzarlo.”sibilò
“Non farlo. Deve pagare per ogni crimine: uccidendolo faresti solo un favore a lui e lasceresti troppe ragazze senza giustizia.” sottolineò Max
“Giusto. Inoltre tu sei dentro per… per che cazzo di crimini sei dentro di preciso?”chiese Chloe
“Spaccio, ma il mio avvocato mi dice che non starò dentro per molto. Non ci sono prove. Quando mi hanno trovato avevo un avanzo di canna nel posacenere. Il resto delle droghe lo avevo già venduto o me ne ero sbarazzato. Di fatto, non c’è niente che mi colleghi allo spaccio di Arcadia se non voci e quello stronzo di Jefferson che mi accusa di aver venduto le droghe a tutta la scuola e di aver sedotto e fatto sesso con Rachel fin da quando era minorenne. Dovreste sentire cosa dice di lei quando ne parla. Lui si vende come il suo salvatore e lei una povera vittima della gelosia di Nathan e io un fottuto orco stupratore. Ma, per ora, l’esame tossicologico di Rachel ha individuato tracce di stupefacenti ma nessuno può collegarmi direttamente a lei.”spiegò Frank
“Tu che hai detto?”chiese Max
“Ho ammesso parzialmente alcune cose. Che per un periodo vendevo erba, ma solo a ragazzi maggiorenni e a Nathan Prescott. Ho anche ammesso di aver avuto una relazione con Rachel ma che lei mi ha lasciato dopo che, una sera, ubriaco ero diventato irascibile e si era spaventata. In parte è vero, ma non ero ubriaco ma fatto. E non so ancora se lei mi amasse davvero. A suo modo si, ma se poi si era fatta sedurre cosi velocemente da Jefferson io non….”
“Smettila!”esclamò Chloe, battendo un pugno sul tavolo “Rachel non era una manipolatrice, ok? Non stava con te per fregarti la droga o il tuo camper, non si è portata a letto Jefferson ma si è solo fatta ammaliare. Se ti amava, era vero. Sapeva darti qualcosa, ti trasmetteva dentro qualcosa che… beh non poteva lasciarti dubbi. Se l’ho provato io, non vedo perché non potesse essere vero con te. Ti nascondeva a me, non mi parlava di te o di Jefferson. Sapeva che mi avrebbe spezzato il cuore. Perciò non aveva secondi fini. Si, voleva fuggire e forse non voleva più farlo con me, ma non avrebbe mai e poi mai manipolato noi per i suoi scopi o sarebbe stata allo stesso livello delle persone che l’hanno uccisa. Era solo complicata. Ma era buona. Se ti ha amato, come non ha amato me, allora era sincero. E se ti ha lasciato, forse sarebbe tornata se davvero l’amavi come dici, non appena avrebbe capito che avevi sbagliato e che stava per essere manipolata lei stessa da un maniaco. Suo padre l’ha spezzata troppe volte: voleva solo un uomo che non lo facesse. Io non potevo darle tutto questo, forse solo tu ci sei riuscito.”
Frank rimase in silenzio ma delle piccole lacrime solcarono il suo viso fino a perdersi nella barba
“Mi manca ogni fottutissimo giorno.”disse con voce roca
“Anche a me.”rispose Chloe “Per questo non dobbiamo permettere che Jefferson la faccia franca. Hai fatto il tuo, non dire più nient’altro. Fatti il tuo periodo di detenzione e appena esci vieni a trovarmi a Seattle e fatti una serata con noi due e  prenditi una sbronza alla memoria di Rach.”
Frank sorrise timidamente
“Beh, per stavolta potrei essere io in debito con te. Inoltre ammetto di essere stato fortunato: ho perso il mio diario. Quello mi avrebbe fottuto alla grande. Ero incazzato per non averlo più ma ora, probabilmente, mi ha salvato da molti più anni di gabbio. Anche darvi la mia lista dei clienti è stata una botta di culo.”
Max e Chloe si scambiarono una occhiata complice che non sfuggì a Frank.
“Che avete voi due? Sapete qualcosa?”
“Oh, no!” negò Max “Solo che stavo… beh vedi tu hai perso il tuo diario e Rachel. Io e Chloe abbiamo trovato lei e poi abbiamo trovato… beh noi.”
“Ah. Pensavo foste solo grandi amiche.”
“Lo siamo ma da quella settimana noi…
“Max vuoi smetterla di sbandierare a tutti che scopiamo? Cazzo, a volte sembri timida anche a guardarmi e poi sbandieri in pubblica piazza che stiamo assieme. Una via di mezzo mai?”
Frank rise di nuovo
“Beh, non mi sorprende. Sembravate già una coppia di cazzute lesbiche quando siete venute da me a prendere la lista. A proposito, l’avete ancora?”
“Certo che no!”mentì Chloe “Secondo te conserviamo la pistola fumante! Sceme si, ma non così tanto!”
“Ok, ok. Volevo solo essere certo.”
“Pompidou dove sta?”chiese Max
Questo fece rabbuiare Frank
“Canile a Tillamook. Ogni tanto una volontaria me lo porta qui nell’orario di visite ma vedo che non è felice. E’ una cazzata questa. Dovrebbe stare con qualcuno che lo ama, in un posto al sicuro. Non in un merdoso canile.”
“Che schifo.  Frank, scusa se te lo chiedo ma tu non avrai fatto la cazzata di dire altro agli sbirri, vero?” chiese Chloe
“Altro cosa?” rispose lui confuso
“Sai…pettegolezzi vari su Arcadia…. “disse lei con tono vago, agitando la mano.
Max non colse, ma Frank si
“No. Non ho detto nulla sugli Amber, sulla vera madre di Rachel e i casini. Non ho detto niente nemmeno dello spaccio alla Blackwell, di Drew e degli altri. Come ti ho detto, solo Nathan ho indicato come grosso cliente della scuola e ho fatto intendere che fosse lui a spacciare. Pagherò per aver rifornito un po’ di gente ma ad oggi non si è presentato nessuno ad accusarmi e spero che continui così.”
Chloe sorrise soddisfatta da quella risposta.
Max continuava a non capire il perché di quella richiesta.
Dopo una ventina di minuti di chiacchiere miste, più che altro sulle loro nuove vite a Seattle, si congedarono da Frank promettendogli di tornare a trovarlo prima di lasciare lo Stato. Appena furono in macchina, Chloe sapeva che Max era curiosa della domanda che aveva fatto e le spiegò
“Dobbiamo capire il più possibile su che fronti si sono mossi. Se hanno cercato Sera, se hanno indagato altri ragazzi per spaccio, quanto Nathan risulta colpevole agli  atti. Devo capire quanti ragazzi della Blackwell potrebbero essere coinvolti nelle indagini. Soprattutto chi. Meno gente indagano, meglio è per noi perché vorrà dire che David avrà meno problemi ha navigare nei fascicoli delle indagini. Inoltre, potremmo farci anche una idea più chiara degli spostamenti in Arcadia di Nathan. Oltre alla Blackwell, la fattoria e la spiaggia, potremmo dover individuare altri posti e persone che abbia frequentato regolarmente e lasciato delle tracce. Più tracce ha lasciato, più probabilità ci sono che lo abbia saputo anche Jefferson e, se rientra nelle tempistiche adeguate, potrebbe averlo nascosto in qualche zona che ignoriamo.”
Max la fissò ammirata
“E’ una idea fantastica! Sei grande!”
“Hey, sto imparando dalla migliore.” rispose sorridendole e scuotendole la chioma affettuosamente “Inoltre ho un’altra idea.”
“Sarebbe?”
“Beh la foto di Sam e il fatto che non sia nelle lista delle vittime mi ha fatto riflettere. Non  è finita da Jefferson, ma il suo allontanamento è sospetto. Potrebbe esserci qualcosa di interessante. Ma non so come rintracciarla, a dire il vero. Così come non ho idea di come potremmo rintracciare tutte le altre vittime e provare a convincerle a parlare con noi con degli avvocati per incastrare definitivamente Jefferson. Quindi, ci servirà qualcosa per rintracciare più gente possibile. O meglio, qualcuno.” spiegò
“Chi? Non possiamo coinvolgere gente di cui non ci fidiamo e poi..
“Tranquilla. E’ una persona fidata e una delle più brillanti che abbia mai conosciuto. Spero non abbia cambiato numero. E si, potremmo dirlo a Kristine. Sono certa che non obietterà.”
Salirono sul pick-up e tornarono in albergo.
 
 
 
“Notizie?”
Mckinsey era nel cortile del retro di casa sua. Aveva chiamato il suo detective privato, Marlon Nowak, e lo aveva incaricato di seguire e scoprire il più possibile sulle due ragazze.
“Nulla di rilevante, Humphrey. Penso tu abbia preso un granchio.”
“Stronzate. Che hai scoperto?”
“Sono alloggiate al Seaside di Bay City, al piano più sorvegliato a quanto pare. Non sono avvicinabili. Credo siano sotto tutela dei Prescott.”
“Che cosa?”
“Si, oggi erano alla vecchia villa dei Prescott ad Arcadia. Hanno parlato con una ragazza e si sono trattenute quasi due ore. Le ho viste svuotare un garage e pulire. Hanno portato via una tavola di legno compensato. Nulla di più. Hanno soltanto fatto del volontariato.”
“Non fanno volontariato, non per dei Prescott. Inoltre sono in Florida! Che cazzo stanno combinando?”
“Non ne ho idea ma nulla lascia presupporre che stiano facendo qualcosa di illegale o che vogliano incastrare il tuo cliente.”
“Quella cazzo di tavola…”
“Era semplicemente di legno compensato, molto vecchia. Ho provato ad entrare in casa Price, ma dovrei scassinare la porta di notte. Non poteva contenere nulla di sospetto. Era vuota. Se vuoi entrerò in casa Price, ma mi aspetto un compenso maggiorato per questo.”
“D’accordo, d’accordo. Ma non fare danni, non scassinare nulla , non lasciare tracce. Altro?”
“Si, hanno lasciato l’albergo poco dopo le diciassette, ma le ho perse. Sto aspettando di vedere se tornano all’hotel. “
“Come cazzo hai fatto a perderle? E dovrei pure pagarti di più?”
“Si, perché queste due non stanno facendo nulla di male, Humphrey! Sono solo tue paranoie. Seguirò due ragazze in gita nella loro vecchia città, se ti va, ma non intendo farlo gratis.” e chiuse la conversazione.
McKinsey era furibondo ma anche dubbioso sul suo, fino ad ora, infallibile intuito.






Quella sera, mentre erano nel bel mezzo della cena al ristorante dell’albergo, il telefono di Max prese a squillare.
Era suo padre. Allarmata che potesse essere stato avvisato della sua visita da Jefferson, non si premurò della situazione e rispose prontamente
“Hey, ciao pà, ti avrei scritto un messaggio dopo. Si, qui tutto ok, Joyce sta alla grande. Certo, ci stiamo tenendo lontano dai giornalisti. Ah, mi avete visto l’altra sera? Si, non avevo una bella cera, ci hanno assalite. Certo che ti saluto Chloe. Ricambia, ovviamente. Ma piuttosto voi che mi raccontate? Come il suv… davvero? Cazzo, papà portalo subito a sistemarlo da qualcuno!”
Chloe si sbracciava. Aveva la bocca piena di cibo e voleva attirare l’attenzione di Max.
“Fiasss!!Diilli andae da Fiasss!”borbottò con la bocca piena di patate.
“Eh?”
Ingurgitò con fatica, poi disse
“Digli di andare da Diaz, da Diaz Auto Master. E’ un tipo tranquillo e bravissimo, prezzi onesti. Mi ha dato una sistemata al pick-up un paio di mesi fa e non mi ha scucito tantissimo.”
Max riferì e Ryan ringraziò.  Scambiò alcuni convenevoli anche con sua madre  e poi riagganciò.
“Sanno…?”
“Nulla, per fortuna.” concluse Max “Tu hai sentito questo supereroe che ci dovrebbe aiutare?”
Chloe aveva di nuovo la bocca piena e si limitò a scuotere la testa in senso di diniego.
“Fi penfo dobo fena.”
Risalite in camera, prese il suo cellulare
“Spero vivamente che non abbia cambiato numero….”pensò ad alta voce Chloe
“Puoi sempre provare con Facebook, no?”
“Ti sembro una che si installa Facebook sul telefono? L’’ho usato spesso solo per cercare te quando…. Oh lascia stare.”s’interruppe, arrossendo e voltando la schiena a Max, che sorrise.
Fece scorrere la lista dei contatti finché non trovò il nome che cercava. Provò a chiamare e…
“Squilla! Cazzo si!”
Pochi istanti dopo, una voce rispose
“Heeeeyyyyyy, come butta? Si, sono proprio io. Si è molto che non ci sentiamo. Senti, andrò dritta al punto: ti va se ci vediamo? Ho bisogno di te, mi daresti una grandissima mano per un casino gigantesco che…. no, non posso dirtelo per telefono. Dove è che stai ora? Oh, cazzo. Beh per ora sono a Bay City, puoi raggiungerci….quando…. davvero? Domattina? Sicuro che ci sarò! Ti offro la colazione! Si, al Fisherman’s Hotspot…. Ssiiii metti il navigatore, lo trovi sicuramente. Inoltre Bay City è minuscola, ci metterai poco a trovarlo. Perfetto. Alle dieci, allora.”
Spense la conversazione. Chloe aveva un enorme sorriso stampato in faccia ora.
“Quindi ha accettato?”chiese Max
“Beh non le ho detto cosa, ma solo che ci serve un aiuto. Ma verrà a sentire di cosa si tratta. Anche perché non ci vediamo da un po’ e penso che voglia anche farsi una rimpatriata. Sai, non c’era solo Rachel. Avevi buoni rapporti anche con pochissimi altri.”
“Ottimo. Chi è?”
Chloe scosse la testa
“Sarà una sorpresa, tesorino. Ora a nanna! Cazzo, che figata!”
 
 
McKinsey non era solito portarsi l’altro telefono a casa, con sé. Ma situazioni d’emergenza, richiedevano soluzioni drastiche.
Era in salotto, da solo, a leggere un libro e bersi un bicchiere di Jack Daniel’s  quando lo sentì vibrare nella sua tasca.
“Aggiornami.”disse, senza nemmeno leggere il nome. Solo una persona poteva chiamarlo a quell’ora e su quel numero.
“Pulito. Casa Price non nasconde nulla. La lavagnetta in compensato è una fottuta lavagnetta in compensato. Nella stanza non c’è null’altro tranne una foto di quel ragazzo che pare sia scomparso a cui il tuo cliente affibbia ogni colpa. Ma è vecchia e in compagnia di una ragazza che non corrisponde alle due e a nessuna delle potenziali vittime note. L’ho rimessa a posto, ma ho scattato una foto con il cellulare e te la invierò più tardi. Magari tu sai chi sia.”
“Ottimo. Continua a cercare.”
“Scordatelo. Quella casa è deserta, eccetto per una piantina. Cosa vuoi che faccia, che interroghi le foglie? Quelle due si stanno facendo i cazzi loro, Humphrey. Secondo me hai preso un abbaglio.”
“Se cosi fosse, è solo un mio problema, non tuo. Finché ti pago, continua a tenerle d’occhio. Stasera cosa hanno fatto.”
“Sono in albergo. Cristo Humphrey! Ti conosco da anni e ti sto dando un consiglio da amico, non da detective: lascia perdere. Questa paranoia tua è infondata e rischia di ritorcersi contro. Tra pochi giorni ci sarà il processo, quindi vedi di rilassarti e smetterla di…
“Continua a  seguirle.” ripeté.
Poi chiuse la comunicazione.
Non si sarebbe fatto fottere da due bambine.
 
Il mattino seguente, Chloe era di ottimo umore.
Si svegliò prima di Max, la scosse con foga fino a farla svegliare malamente, beccandosi un cuscino sul naso, si cambiò e incitò la sua ragazza a sbrigarsi. Erano le nove passate e Max, notando la cosa, sottolineò che erano mostruosamente in anticipo. Ancora assonnata, si vestì e raggiunse la sua entusiasta compagna.
Arrivati al Fisherman, con somma gioia di Chloe, vennero accolte da Rebecca.
Solito tavolo, colazione salata per entrambe e mentre mangiavano con gusto, una ragazza non molto alta e snella,  con capelli ramati leggermente più chiari di quelli di Max e lunghi fino alle spalle, occhi blu scuro, labbra piene piegate in un sorriso felino e una maglietta rossa con un dado a venti facce disegnato sopra si avvicinò al loro tavolo e vi si fermò.
“Ciao Callamastia.”disse con voce provocante
Chloe si voltò di scatto, fissò la ragazza ed esplose in un sorriso gioioso
“Cazzo, sei arrivata finalmente. Ciao Steph!”

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Capitolo 4
*** Parte Seconda: Fragmentis (capp 12-14) ***


12.
 

Chloe scivolò fuori dal tavolo e, appena si mise in piedi, abbracciò con entusiasmo la nuova arrivata. Max non aveva mai sentito parlare di lei eppure Chloe sembrava davvero felice di rincontrarla. A parte Rachel, non aveva mai parlato molto delle sue frequentazioni nei suoi cinque anni di assenza.
Sciolto l’abbraccio, la nuova arrivata squadrò da capo a piedi Chloe
“Uh, Price: ti sei fatta molto più interessante.”
“Hey io sono sempre stata interessante. Comunque Steph posso presentarti una persona?”
Con una mano sulla spalla la avvicinò al tavolo e indicò Max che, educatamente, si alzò in piedi fintanto che lo spazio tra tavolo e divano lo concedeva.
“Steph lei è la mia migliore amica e da qualche mese anche la mia ragazza, Max Caulfield. Max, lei è la regina dei nerd di tutta Arcadia Bay, oltre che una delle più cazzute che abbia mai conosciuto: Stephanie Gingrich.”
Le due ragazze si strinsero una mano e si sorrisero. Chloe invitò Steph a sedersi, scivolando sul tavolino nel lato di Chloe.
Squadrò maliziosamente Max e infine commentò
“Pero, Price…. Prima Rachel, ora lei… ti tratti bene, vedo. Com’è che tutte quelle carine le trovi tu?”
Max arrossì violentemente, mentre Chloe diede una gomitata scherzosa a Steph e sorrise orgogliosa.
“Non essere gelosa. Sai benissimo che sono irresistibile. In fondo anche tu vuoi un po’ di Price.”
“Non offenderti Chloe ma no. Certo sei una tosta, sei sicuramente un tipino che si guarda volentieri, ma non so se perderei mai la testa per te.” rispose Steph che poi lanciò un altro sguardo interessato a Max “Mentre una come lei… meow… la assaggerei volentieri.”
“Giù le zampe tu.”disse Chloe, mentre Max si concentrava sempre di più sui resti della sua colazione, arrossendo sempre più.
Steph ridacchiò ma poi si rivolse ancora a Max
“Dimmi un po’ Max: come l’hai domata questa qui? A scuola era un’indemoniata e nemmeno Rachel riusciva a tenerla a bada!”
“Oh, non che io ci sia riuscita. Diciamo che ci completiamo a vicenda dall’infanzia: io le metto i freni quando serve e lei fa uscire il mio lato peggiore quando è necessario.” spiegò Max
“Oh, ma quanto è dolce! Chloe ma è dolcina la tua ragazza. Anche una voce così carina. Una relazione a tre non v’interessa?”
“Steph, non costringermi a rispedirti da dove sei venuta. A proposito, da dove vieni? No perché dopo la Blackwell ti ho perso di vista.”
“Intendi dire dopo che TU sei stata espulsa e non ti sei più fatta vedere? Nulla di che: ho completato gli studi poi mi sono fatta prendere all’Università di Portland, per studiare scenografia. Voglio diventare la migliore in questa fottuta costa Ovest. Dovranno venire Hollywood e Netflix a baciare il mio bel culo per avermi. Perciò ora vivo lì, in studentato. Purtroppo Mike è andato in Arizona, ma lo sento spesso e so che se la sta cavando alla grande anche lui: borsa di studio e ottimi voti nel corso di fisica. Quello farà strada, te lo dico io.”
“Mai dubitato. Lui e Drew meritano un po’ di quiete, dopo tutti i casini che hanno passato.”ricordò Chloe
“Tranquilla. La famiglia North si è rialzata alla grande. Drew è in Minnesota ed è nel circuito del football universitario. Si vocifera che sia seguito da osservatori della NFL. Il loro padre si è risposato con una che ha soldi, ma lui aveva trovato un buon lavoro in un’officina portuale a Garibaldi ma ora dovrebbe essere a Delos Crossing, in Alaska. Li vivono di gente che sa arrabattarsi con le barche.”
“Delos Crossing? Non è quella cittadina dove qualche anno fa ci fu un omicidio strano?”chiese Max
“Si. Una madre uccisa da una delle sue figlie gemelle. Una cosa così.[1]”spiegò Steph “Anche intelligente e informata. Chloe t’invidio sempre di più.”
Fece un occhiolino a Max ma Chloe la minacciò con una forchetta
“Steph…..”
“Eddai si scherza! Fooorse.”
Ora Max non arrossiva più ma cominciava a divertirsi e ridere delle reazioni di Chloe, che la accusò di essere complice.
“Quindi vivi a Portland. Ti manca Arcadia Bay?” chiese Max
Steph sporse il labbro inferiore
“Non saprei. E’ strano ma Arcadia non l’ho mai amata e quando i miei decisero di abbandonarla dopo che ero partita per l’università, non ne fui dispiaciuta. Ora stanno ad Astoria e francamente li è tutt’altra vita. Eppure, a momenti, mi manca quella città. Mi mancano i tramonti, passeggiare nei boschi e tutte quelle cazzate noiose che solo Arcadia aveva. Certo, nulla di diverso a metà delle città costiere dell’Oregon ma Arcadia aveva qualcosa di unico. Una sorta di legame interiore con chi ci nasceva. Quando ho saputo del tornado, mi sono sentita… persa. Come se avessi perso casa. Ora che la stanno ricostruendo, vorrei tornare a viverci sapendo che poi vorrei scappare. E’ strano.”
“Oh, no. Ti capisco eccome.”disse Max “Io circa sei anni fa mi trasferii a Seattle. Abbandonai Arcadia, dove ero nata e cresciuta assieme a Chloe. Mi fece malissimo, soffrì molto e per smettere di sentire quel dolore, cercai di vivermi Seattle più che potevo, dimenticandomi di avere la mia migliore amica che mi attendeva ogni minuto. Sono stata così stronza con lei che me ne vergogno, ma volevo tagliare solo il cordone ombelicale da Arcadia, nient’altro che quello. Non ci sono mai riuscita. Ho sofferto ogni giorno, in maniere differenti e in parte pesanti. Non sono riuscita farmi che solo due amici e mi mancava Arcadia. Mi mancava più di ogni cosa Chloe, ovviamente. Ma questa città…. Quando mi dissero che potevo fare domanda alla Blackwell, dove c’era Mark Jefferson che, purtroppo, stimavo moltissimo, non ho esitato. Potevo studiare fotografia nella mia città! Potevo tornare da Chloe! Cazzo volevo tornare a sedermi con lei sotto il faro come quando avevamo dieci anni. Poi, venne il tornado.  Venne tutta quella merda e scappammo da qui, verso casa mia a Seattle. Ma ora sembra che Arcadia ci reclami. Sta succedendo di tutto e sembra che voglia che noi restiamo qui.”
Steph ascoltò con attenzione e poi annuì
“Ed è qui che entro in gioco io, dico bene? Mi volete con voi perché sta capitando qualcosa e volete una mano, giusto?”
Max e Chloe si scambiarono un’occhiata e non risposero.
“So tutto di Rachel. So che siete  state voi a trovarla e….Chloe cazzo mi dispiace. Non oso immaginare che colpo sia stato per te…”
“Si. Non è stato facile. Non lo è ancora.  Ma avrò un po’ di pace quando Jefferson la pagherà. Per questo sei qui. Ci devi aiutare. Ci serve una persona fidata e sveglia.”
“E con un portatile che abbia una buona connessione a internet.”aggiunse Steph, indicando con il pollice il parcheggio “L’ho portato ed è in macchina. Sms letto e ricevuto, capitano Price. Sono lusingata che io sia stata la tua prima scelta per questa indagine. Di che si tratta allora?”
“Non qui. Ho un posto ideale per parlarne. Prendi qualcosa?”
“No sono a posto. Ma ora mi avete incuriosito, ragazze. Ed io che temevo che mi sarebbe toccata un’estate noiosa!”
Max le sorrise
“Buffo: noi ce lo auguravamo e invece siamo qui!”
Steph appoggiò il viso sulla mano destra e fissò Chloe
“Beh nel frattempo raccontatemi qualcosa della vostra vita di coppia. Si vede che siete unite e felici e, se non sbaglio, vivete insieme di già.”
“A sbafo dai suoi, però sì.” disse Chloe “Causa di forza maggiore.”
“Fico. Chissà che bello. E romantico. Magari avessi avuto la vostra stessa fortuna, ragazze.”
“Ma Steph, tu farai strage. Sei in gamba, non ci credo che non trovi nessuna.”esclamò Chloe
“Mphf, solo avventure occasionali, mai nessuna di così intrigante che mi prenda. Ma ditemi: scopate parecchio? Scommetto che tu Chloe sei una tenerona in intimità ma sei più dominatrice, mentre la tua ragazza mi pare troppo dolcina.”
“Oh non credere: Max quando è in preda agli ormoni è una vera guerriera. Pensa che una volta….”
“STATE – FACENDO – SUL – SERIO – VOI - DUE?” tuonò Max, che era livida in viso per la vergogna “OH CEREALI, CHLOE! TI SEMBRA IL CASO?”
Steph e Chloe esplosero in una fragorosa risata, ma l’argomento fu cancellato dal resto della conversazione finché rimasero sedute a finire la colazione.
 
 
 
Abbandonato il diner, Steph chiese con entusiasmo cosa prevedesse il programma della giornata.
“Dove avete la vostra tana? Dove dormite?”chiese
“Siamo alloggiate al Seaside.”disse Max, indicando con il pollice l’Hotel dall’altra parte della strada “Ma non andremo lì.”
“Già. Abbiamo un altro posto per i nostri loschi scopi.”aggiunse Chloe
“Loschi scopi che non mi avete ancora illustrato. Saltate su e indicatemi la strada.”disse Steph, indicando la sua berlina blu.
“Oh no no no. Tu salti su con noi. Prendi il tuo portatile e lascia qui la tua bella carriola.”sentenziò Chloe che mostrò con orgoglio il suo mezzo con un gesto plateale.
“Uh, un viaggio vicino ai vostri corpicini in amore? Mi hai convinta.”replicò con un occhiolino, poi si diresse all’auto a prendere tutto.
“E’ sempre stata così?”chiese Max a bassa voce
“Oh no, ora è molto meglio. E’ sempre stata una forza.” rispose con entusiasmo Chloe, mentre si avviava al mezzo.
Una volta a bordo dell’auto, Chloe fece manovra e attese che Steph salisse con loro, obbligando Max a scivolare più in mezzo, ma non troppo: c’era la leva del cambio. Perciò si ritrovò a stretto contatto di Steph, che adagiò la sua tracolla tra le gambe.
 “Chloe, sicura che non ti dia fastidio che stia così vicina alla tua dolce metà?”
“Certo, Steph. Perché se una di voi due allunga le mani sull’altra, questo pick-up farà un frontale con un palo della luce.”canticchiò Chloe dolcemente.
Steph si avvicinò a Max che non poté fare a meno di notare che lei profumava di ciliegia e questo le diede una sensazione rilassante.
La guardò con occhi felini e sussurrò, ma comunque in maniera udibile anche per Chloe
“Sai una cosa Max? Se per qualche assurdo motivo l’idillio con quest’adorabile punk dovesse finire, dovresti chiamarmi. Ricordami di lasciarti il mio numero, ok?”
“Steph, ora alzo la radio o alzo le mani…”disse Chloe, sempre cantilenando.
Era ovvio che Steph stesse scherzando e si divertisse a stuzzicare Max, che s’imbarazzava subito, e Chloe, per vederla ingelosirsi ma, comunque, fece un occhiolino a Max, prima di sporgersi verso di lei con fare sinuoso e poi allungare la mano e…..accendere la radio.
Chloe la stava fulminando con lo sguardo mentre Max era pietrificata e viola in viso.
“Mio dio ragazze mi divertirò un mondo con voi!”esclamò Steph prima di scoppiare a ridere.
La sua risata fu presto coperta da un brano dei Pavment: Range Life.

 
After the glow, the scene, the stage
The sad talk becomes slow
But there's one thing I'll never forget
Hey, you gotta pay your dues
Before you pay the rent

Over the turnstiles and out in the traffic
There's ways of livin', it's the way I'm livin' right or wrong
It's all that I can do and I wouldn't wanna let you be

I wanna range life
If I could settle down

 
Steph tamburellò allegramente sulla portiera, andando a ritmo con la canzone e canticchiando a bocca chiusa. Anche se non lo dissero, Max e Chloe pensarono la stessa cosa: ci voleva una come Steph. Qualcuno che portasse allegria e stemperasse la tensione, anche se con metodi particolari. L’aria era già più leggera dal suo arrivo.
“Allora Steph, raccontami qualcosa della tua vita lontana da Arcadia. Hai detto pochissimo.”chiese Chloe
“Uhm non ho molto da dire. Ogni tanto mi commissionano qualcosa, qualche recensione sul giornale dell’Università per qualche film o curare il reparto tecnico del corso di teatro, robe noiose. Senza un pezzo di donna come Rachel da ammirare in calzamaglia, poi, non è divertente come prima. Ma almeno mi tengo impegnata. Ogni tanto arrotondo con qualche lavoretto di straforo. Sapendo che ho esperienza con le sale cinematografiche, ho aiutato a far riprendere dal fallimento un vecchio cinema che sopravviveva a stento dagli inizi del millennio. E’ stato fico, anche perché mi sono occupata del calendario del loro cineforum per due anni, poi hanno imparato e lo gestiscono loro. Io gli faccio solo dei lavoretti ogni tanto, un po’ di tutto tranne le pulizie, e loro mi danno cibo e qualche spicciolo. Per il resto, non mi sto godendo molto Portland. Non gioco a Dungeons and Dragons da almeno due anni, quando i pochi amici nerd che non odiavo se ne sono andati per vari motivi. Cazzo, a volte mi manca più quello che una bella ragazza nel letto. Ma sto cercando di non deprimermi e penso che, appena finirò gli studi, saluterò Portland e andrò dove mi porterà l’istinto. Magari vengo a farvi da coinquilina a Seattle!”
“Perché no?”disse Max con entusiasmo “Non possiamo vivere ancora con i miei per molto e gli affitti non sono a buon mercato ultimamente. Appena sarò indipendente economicamente, una coinquilina ci farebbe comodo.”
Chloe inchiodò l’auto e fissò Max sbigottita
“Tu non me ne hai mai parlato….”
“Beh ma pensavo fosse logico! Pensavo che volessi andare via da casa mia e quindi….”
“TU NON MI DICI NULLA! Mi stai sostanzialmente dicendo che vuoi andare via di casa e convivere e lo dici adesso, proponendolo anche a Steph? Dio mio, cosa ho fatto!” e appoggiò la testa sul volante, facendo suonare il clacson. Per fortuna, in direzione Arcadia Bay, non c’era traffico.
“Eddai Chloe, te l’ho appena detto: mi sembrava così naturale e logico. Cioè dovevo prima chiedertelo se ti andava di convivere tra un paio d’anni?”
“VOLEVO CHIEDERTELO IO, STUPIDA!” rispose esasperata “ PERCHE’ LA MIA RAGAZZA E’ SEMPRE STRAMALEDETTAMENTE IMPREVEDIBILE? PERCHE’?”
Steph, nel frattempo, si sganasciava dalle risate, piegata in due sul sedile
“Oddio sì, voglio essere la vostra coinquilina. Grazie Max, accetto di buon grado se mai dovesse capitare davvero questa offerta!”
“Steph, non capiteranno cose a tre, non sperarci.”disse Chloe “Non so nemmeno se capiteranno cose di coppia per un bel po’.”aggiunse, fulminando Max con gli occhi.
“Tranquilla Max: se ti servisse, ci sono sempre io.”sussurrò Steph
“ORA RIPARTIAMO E CHE NESSUNA FIATI, D’ACCORDO?”strillò Chloe
Appena entrarono in città, Steph infranse l’ordine di Chloe. Fece un lungo fischio e disse
“Wow, da brividi. Non venivo qui da….mh troppo. Eppure si vede che qui è passato un cataclisma. Cazzo, è impressionante essere di nuovo a casa.”
“Dovevi vederla appena dopo il tornado.”disse Chloe “Quello si che era da brividi.”
“Quindi è vero! Le voci sono vere, voi eravate davvero presenti e siete scampate appena si è calmato!” chiese incuriosita, sporgendosi in avanti e appoggiando una mano sul cofano e una sulla gamba nuda di Max. Ennesima provocazione o innocente sbaglio?
“Già.”disse Max “Non lo abbiamo mai dichiarato ma abbiamo assistito tutto dal promontorio del faro. Appena si è placata la tempesta, siamo scese a recuperare l’auto, siamo tornate a casa di Chloe per prendere pochi effetti e poi abbiamo abbandonato Arcadia. Almeno fino a tre giorni fa.”
“Al faro? Che cazzo ci facevate lassù? Come avete fatto a intuire che…”
“Chiedi a Chloe…”
“Chiedi a Max..”
“A chi cazzo dovrei chiedere?”esclamò Steph prima di esplodere in una fragorosa risata “E va bene, teneteveli per voi i vostri segreti saffici. Coppia di romanticone.
“Che?”
“Non fare la finta tonta, Max. Ci sono solo due motivi per cui, all’alba, eravate li insieme, in posto così romantico e isolato da tutti…”
“Cioè?”chiese incuriosita
“Beh uno è la droga.” spiegò Steph “E dal tuo visino angelico direi che non è roba per te.”
“Ok. No, infatti. Quindi l’altro sarebbe?”
Steph la fissò maliziosa, alzo le mani tenendo solo il medio e l’indice all'insù e divaricati come due ‘v’ e poi le incrociò tra di loro.
“Ma Steph! No!”esclamò Max, ma il suo rossore improvviso fece pensare a Steph di averci azzeccato.
“E  tu che ancora ci caschi, eh Max? Dovresti aver intuito che tipo è Stephanie.” disse Chloe.
Max si convinse che, comunque, fosse meglio che pensasse che fossero in intimità piuttosto che dirle ‘Hey non sai che cosa c’è? Posso manipolare il tempo e siccome l’ho fatto troppe volte, ero collassata e Chloe mi ha portato lassù mentre ero in trance. No,  aspetta che ti spiego tutto dall’inizio…’
Sicuramente, non era il caso. Si tenne il rossore e lo sguardo malizioso e trionfante di Steph e non disse nulla, mentre Chloe esibiva un sorrisetto divertito. Si era presa una piccola vendetta.
Se per le due ragazze ormai era abitudine vedere Arcadia Bay come una città – fantasma, non poteva essere per la loro amica. Steph aveva smesso di parlare, tenendo fissa lo sguardo davanti a se, cogliendo ogni dettaglio possibile e non lasciare che nessuna emozione trasparisse. Quando arrivarono al quarantaquattro di Cedar Avenue, espirò rumorosamente e smontò dall’auto.
“Anche se non si ama, fa sempre un certo effetto vederla così.”disse
“Ci puoi giurare.” ammise Chloe “Fatico ad abituarmi dopo tre giorni che scorrazziamo qui dentro.”
Arrivati sulla soglia di casa, Chloe spese un minuto in più del dovuto per aprire la serratura d’ingresso.
“Non ricordi più che chiavi usi per aprire casa tua, Price?”la prese in giro Steph ma Chloe non ci badò. Si limitò a dire “Strano”, e poi aprì con cautela la porta.
“Beh prima le signore, anzi prima le padrone di casa.”disse Steph, facendosi da parte e allungando il braccio per invitare Max, che chiudeva la fila, mentre Chloe s’infilava dentro casa, lanciando occhiate sospettose alla porta.
“Qualcosa non va, Chloe?”chiese lei
“Non so, Max. Mi è sembrato che fosse… bah, la farò controllare più avanti. Dai Steph, entra.”
Non se lo fece ripetere due volte, e la ragazza s’infilò subito in casa, mentre Chloe chiudeva dietro di lei la porta.
“Benvenuta nel mio regno. O la sua versione restaurata, almeno.”commentò
“Price, ti rendi conto che è la prima volta che entro in casa tua? Wow, chissà che cosa hai combinato qui con Rachel e con la piccola e adorabile Max! Ah, se i muri potessero parlare…”
“Ti direbbero di sfogare gli ormoni, prima di peggiorare.” commentò sarcastica Chloe  “E per tua informazione, Max ed io ci siamo solo baciate qui. Anche la prima volta.”
“AH – AH !” tuonò Max trionfante, mentre Chloe si schiaffava una mano in testa con disperazione.
“Mi faccio un giro della casa. Devo approfittarne.”cinguettò Steph, mentre si tuffava in cucina, poi in salotto, con le altre due appresso.
“Qui c’era una macchia di vino.”disse Max indicando un punto preciso del pavimento “Io e Chloe da bambine volevamo fare una degustazione di vini e…. beh incidente… i suoi non l’hanno presa benissimo, diciamo.”
“Eri spesso qui?”chiese Steph
“Molto spesso. In pratica, se non ero a casa mia, ero qui e se ero a casa mia, di solito c’era Chloe.”
“Avete veramente passato una vita insieme.”commentò Steph. Qualcosa in lei era cambiato. Sembrava essersi addolcita nella voce e nello sguardo. Poi, si voltò di scatto e aprì la porta finestra sul giardino, andando a passeggiare nell’erba.
“Li avevamo un’altalena.” disse Chloe  “Era la nostra ‘nave pirata’ quando eravamo piccole. Ci abbiamo speso quasi ogni giorno di sole finché… beh non eravamo troppo grandi…”
Finché non me ne sono andata, volevi dire, pensò Max, sentendosi maledettamente in colpa.
“Addirittura un’altalena?”
Steph sembrava ammirata. Fissò le due ragazze con un sorriso sincero
“Vi rendete conto che parlate al plurale? E’ una cosa tenerissima…Cazzo, perché non ci siamo potute conoscere prima? Mi sarei goduta questa love story come si deve!”
Max e Chloe si guardarono imbarazzate e non parlarono. Allora Steph rincarò la dose
“Oh e smettetela! Dovreste solo essere contente di esservi trovate così presto! Chloe, piantala di sentirti in colpa se ti sei innamorata di Rachel: non hai tradito Max, non sapevi nemmeno cosa fosse essere innamorate. Ti serviva, sennò chissà quanti anni ti ci sarebbero voluti per accettare la realtà dei fatti. Max, smettila di sentirti in colpa per non so cosa, ma si vede che ti senti indegna di Chloe o che hai paura di chissà cosa. Cazzo io ho conosciuto la Price menefreghista e credimi: ti ama. Nemmeno con Rachel intorno era così.”
Le ragazze la fissarono. Erano stupite e imbarazzate allo stesso tempo.
“Steph ma cosa…”
“Piantala Chloe. Non sono solo una nerd, lo sai che amo osservare la gente. Lo facevo sempre alla Blackwell, ricordi? Per questo le mie indicazioni agli spettacoli di Keaton erano perfette: basta capire chi ti circonda. E voi due siete trasparenti. Siete cotte perse l’una per l’altra. Immaginate cosa potreste combinare se solo lasciaste andare un paio di pesi che vi siete messe al collo. “
Silenzio.
Chloe fissava Steph ma Max aveva gli occhi puntati ai suoi piedi
“Non riesco a smettere di sentirmi in colpa per Seattle.”mormorò infine “Cinque anni lontana da te e non ti ho mai….stavo male, continuavo a odiarmi ed essere convinta che mi odiassi anche tu….avrei voluto…”
“Zitta.” disse Chloe “Sei tornata, sei qui, mi hai dimostrato cosa provi dal giorno che ci siamo ritrovate. Io sto imparando a lasciare andare il fantasma di Rachel, ti giuro che so di poterlo fare. Da quella litigata al cimitero, mi sento già meglio. Io sto… OH FANCULO STEPH! PAGHIAMO GIA’ UN TERAPISTA!”
Steph sghignazzò e si batté le mani da sola
“Cazzo, se vi adoro. Dai Price, fammi vedere la tua camera, il tuo antro dell’ammmmoooore.”
E le sorpassò, dando a entrambe una pacca amichevole sulla schiena e rientrando in casa.
Max e Chloe la seguirono. Istintivamente, senza motivo, si afferrarono per mano mentre rientravano.
Steph sembrava entusiasta come una bimba di otto anni in gita. Trotterellò su per le scale, continuando a canticchiare a bocca chiusa. Si fermò in mezzo al pianerottolo, indecisa su dove andare, ma la testa di Chloe sbucò dalla rampa e attirò la sua attenzione.
“La porta a destra, signorina. Ma potresti  aspettare che sia io a fare gli onori di casa?”
Steph si fece indietro per far passare le ragazze e attese l’invito di Chloe per entrare in camera, ove vi s’infilò con entusiasmo. Non lo aveva mai confessato, ma le piaceva molto quella ribelle. Non in senso romantico o sessuale, ma comunque era sempre affascinata e ammirata dalla sua personalità. Ai tempi della Blackwell, vederla in azione le suscitava sempre interesse e, in qualche caso, invidia. Era contenta di aver legato un pochino con lei, ma avrebbe voluto diventare sua amica. Non quanto Rachel, ma almeno più della media delle sue altre conoscenze nella scuola. Sapeva di essere rispettata da quella punk arrabbiata e dal passato difficile, ma molte volte aveva immaginato come sarebbe potuto essere avere un rapporto amichevole ed extrascolastico con lei.
Roteò su se stessa mentre ammirava la stanza, sorridendo spensierata.
“Beh? E’ di tuo gradimento?”chiese Chloe.
Lei e Max erano rimaste accanto all’ingresso, a osservarla. Chloe sembrava alquanto perplessa, mentre l’altra appariva molto divertita.
“Sto cercando di immaginarmela al massimo del suo splendore. Quando, prima della tempesta, qui abitava Chloe Price al massimo della sua cazzutaggine.”
“Oh, non ti sei persa granché”disse Chloe “Era sporca.”
“E odorava di sigarette.”aggiunse Max che, notando l’occhiata gelida di Chloe, aggiunse “Però era molto bella. Particolare direi.”
Steph si sedette sul letto e fissò le due ragazze con un sorrisetto furbo
“E prima com’era? Prima che diventasse la Chloe che ho conosciuto. Illuminami Max…”
La ragazza lanciò un’occhiata alla sua compagna dai capelli blu che le ricambiò lo sguardo con un eloquente ‘di-quello-che-ti-pare’.
“Questa stanza è sempre stata Chloe. E’ cresciuta con lei. Prima che me ne andassi, era luminosa, colorata, con un sacco di roba che non voleva buttare. Conservava tutto ed è stata la prima a esporre le mie foto, sai?”
Indicò il soffitto verso la finestra
“Stavano lì. Appese con una cordicella e delle mollette. Foto terribili, le prime che scattai con la mia macchina professionale. Le facevo pensando che fossero belle, ma in realtà non lo erano. Non mi stupisce che le abbia tolte. Ha fatto bene. Io stessa non le avrei tenute…
“Le ho tolte perché mi faceva male ogni cosa che mi ricordasse te.”disse Chloe.
Aveva le mani dietro la schiena e la testa china, a fissarsi i piedi, appoggiata al muro.
“Scusa Max. Ma ho messo via molte cose che mi ricordavano te, in quel periodo. Mi faceva fottutamente male. Le tue foto erano belle. Lo sono da sempre, Max. Sono io che non potevo tenerle più. Specie con Rachel che dormiva qui dove dormivi tu…”
“OOOK! Basta depressione da teen drama per oggi, ok?” strillò Steph “E’ bellissimo che stiate aprendo voi stesse più di quanto non abbiate mai fatto e che, probabilmente, stasera farete del gran sesso e tra due anni vi sposerete clandestinamente da qualche parte siccome siete sempre più cuccioline, ma io ho solo chiesto com’era questa stanza prima! Tipo, quel cassettone è fatto a mano? Perché lo adoro. E quella specie di scrivania è dipinta di blu a mano. Adoro. I graffiti non mi stupiscono, ne ho visti a iosa a scuola quando Chloe era in giro. Cazzo, chissà che bella infanzia avete passato qui. Però…”
Si fermò con lo sguardo nel punto in cui Chloe aveva pasticciato sopra le righe della sua crescita, dove suo padre ogni anno appuntava i centimetri in più di sua figlia. Tacque.
Aveva letto tutto e ora non seppe che dire.
“Non preoccuparti. Sono solo altri graffiti.” disse Chloe, per stemperare “Ero molto arrabbiata, confusa e stupida. Beh, lo sono ancora a dire il vero, ma sto migliorando. Non come Max: lei è proprio un caso perso. Dovresti vederla quando mangia…”
“La vuoi smettere, Chloe?”
Steph si godette la scena delle due ragazze e sorrise. Chloe la stuzzicava, Max s’imbarazzava. Copione già visto ma sempre efficace.
E di copioni ne aveva visti tanti. Chissà come sarebbe stato metterle in scena…. Nah, non si poteva. O le riprendevi di nascosto o non avrebbero reso.
Erano opposte ma complementari.
Si sentiva bene, sollevata, rilassata. Quelle due avevano un effetto catartico su di lei, qualcosa che negli anni di Portland non aveva più trovato. Aveva bisogno di questo. Di persone vere, di amiche…. Cazzo gli mancava Mickey…
“Se avete finito, mie dolci Giulietta e Giulietta, inizierei a parlare di cose serie.” sentenziò “Ovvero del perché io sia qui. “
Chloe si schiarì la voce e prese a parlare, facendo un paio di passi in direzione del suo vecchio letto
“Come saprai benissimo, ufficialmente noi siamo tornate perché mia madre è uscita dal coma pochi giorni fa. Ovviamente, potevamo essere abbastanza fortunate da dire ‘Hey facciamoci una cazzo di gitarella in tranquillità, salutiamo mamma e torniamo alle nostre noiose vite’? Sicuramente no. Non che avere culo sia mai stata una mia prerogativa, ma sta succedendo di tutto. Prima ci contatta la sorella di Nathan Prescott perché vuole una mano a trovare il cadavere di suo fratello…”
“Aspetta: vi siete incontrate con Kristine?”chiese Steph
Chloe parve sorpresa
“Si, certo. O meglio, lei ci ha stalkerate e implorato di aiutarla ma…”
“Kristine Prescott? Davvero?”
“Si Steph. La conosci?”
“Non di persona.” ammise Steph “Ma mi sono informata molto sui Prescott, specie dopo che Sean faceva pressioni affinché Nathan fosse preso ne ‘La Tempesta’. Dovresti ricordartelo. Beh, da brava ficcanaso mi sono un po’ interessata a loro e Kristine è la più emblematica: in pratica si è distaccata da loro appena ha potuto. Che tipa è?”
“Alla mano. Non c’entra nulla con i Prescott. Per quello abbiamo voluto accettare la sua offerta.”spiegò Max
“Quindi ora siete le sue archeologhe? Alla ricerca della tomba di Nathan?”scherzò Steph
“Può sembrare strano, ma è così. Vorrei anche dirti che è tutto qui, ma non lo è.”disse Chloe “Perché questa bizzarra concatenazione di eventi, ci ha portato prima a dover investigare per trovare un cadavere finito chissà dove, poi alla Blackwell ha parlare con il buon vecchio Wells, poi a ricevere una richiesta da parte di Jefferson di fargli una visitina amichevole in prigione in onore dei vecchi tempi, cosa che Max ha accettato con entusiasmo e abbiamo anche incontrato Frank, poi abbia….”
“COSA?”esclamò Steph “Siete andate da quel pazzo?”
Max annuì debolmente, un po’ imbarazzata. Steph la fissò con un misto di ammirazione e severità
“Stronzata gigantesca! Lo sai, non è vero, Max? Non dovevate accettare! Non dovevate rivederlo per nessuna ragione! Non date a quel maniaco di merda un’occasione per torturarvi!”
“Prova a spiegarlo alla signorina ‘Sono-timida-ma-sono-determinata’. Ha delle palle gigantesche quando vuole e le ha avute con Jefferson, ma non abbiamo ottenuto nulla. Il motivo per cui abbiamo accettato è che, in fondo, speravamo di avere un indizio su dove potesse aver nascosto il corpo di Nathan.”spiegò Chloe
“Perché voi due siete sicure che sia morto?”chiese Steph “Insomma, si penso che sia così. Non sarebbe ancora scomparso, specie dopo il suo coinvolgimento e un tornado sulla città. Ma avete prove?”
Max scosse la testa “No. Ma ne sono certa.”
“Io pure. Anche Kristine. Per quello ci ha contattate: lei dà per scontato che suo fratello sia morto, perciò vuole trovarlo per metterlo nel culo a Jefferson.”
Steph appoggiò i gomiti sulle cosce e fissò le ragazze, aguzzando gli occhi.
“Capisco. Si, Jefferson è palesemente colpevole di tutto. Mi sono un po’ informata a riguardo e so che può essere stato principalmente lui, con la complicità di Nathan. Credo però alla teoria che Rachel sia stata uccisa da Nathan e, se no sbaglio, è la stessa cosa che avete sostenuto voi due. Seguendo il ragionamento di Kristine, trovare Nathan equivarrebbe a trovare una prova decisiva per incolpare Jefferson. Ma non di tutti i crimini: quello stronzo potrebbe uscirne con un ‘ho dovuto farlo per il bene delle altre vittime’ o robe simili. Quel porco ha in mano uno degli avvocati più in gamba di tutto l’Oregon, sapete?”
“Si, lo abbiamo incontrato.”disse Max “Ma secondo me lo appoggia ma non gli crede.”
“Non mi stupirebbe, Max. Tu e Chloe non siete le sole a pensare che Jefferson sia un mostro. L’opinione pubblica è spaccata, è vero, ma a livello legale nulla sembra favorire l’accusa. McKinsey è un verme abile: lo avrà preso per arrivare alle luci della ribalta dopo una carriera discreta ma senza troppi proclami. Ora ha l’occasione di uscire fuori dall’anonimato: l’ultima occasione prima di ritirarsi. Logico che non gli creda ma che lo supporti.”
“E qui arriviamo all’ultimo colpo di scena.” disse Chloe “Incastrarlo. So che non servirebbe molto trovare il corpo di Nathan, ma almeno si farebbe altri anni in gabbia. Però le ragazze che ha molestato non avrebbero giustizia. Rachel non avrebbe giustizia. Non possiamo permetterlo, per cui abbiamo ottenuto una lista di potenziali vittime che la polizia ha rintracciato.”
Prese il portafogli, estrasse un quadrato di carta e lo porse a Steph, che la osservò per un minuto come se fosse una reliquia sacra. Con un sorriso compiaciuto, tornò a fissare il duo in piedi davanti a lei.
“Quindi volete una mano a rintracciare queste ragazze e incastrare quel figlio di puttana?”
Annuirono.
“Non credo che io sia qui solo perché vi serve il mio computer. Sono certa che avreste potuto usarne uno vostro o rintracciare qualcuno più vicino e più scaltro. Mickey è sicuramente più abile in queste cose, ma tu hai voluto me Chloe. Inoltre, voi due sembrate abbastanza sveglie da cavarvela da sole, cosa che avete già dimostrato di saper fare. Perciò sono abbastanza sicura  che io non sia qui solo per questo, ma per ben altri motivi.”
Chloe incrociò le braccia e fissò Steph con aria interessata e interrogativa. Max sembrava solo perplessa. Non vedendo reazioni verbali, la ragazza riprese
“Vi serve qualcuno che non sia coinvolto emotivamente in questa faccenda. Voi due lo siete, anche tropo: conoscevate alcune vittime e Nathan, Max tu andavi a lezione da Jefferson, avete assistito alla distruzione di Arcadia e siete nel bel mezzo di un ciclone mediatico su questa storia. Ci siete dentro fino al collo con le vostre emozioni, perciò fatichereste ad essere lucide e ci impieghereste troppo tempo, tempo che non avete se volete incastrare del tutto Jefferson. Con Rachel, la cosa era diversa perché solo tu, Chloe, eri emotivamente coinvolta nella cosa. Poi arriva Max che, per quanto fosse inconsapevolmente cotta di te da quando vomitava latte, è riuscita a districare i fili nel giro di pochi giorni e avete risolto non solo la sorte di Rachel, ma anche un bel casino ben più grande. Questo la dice lunga sulla testolina che avete. Ma ora non riuscireste a replicare il miracolo in pochi giorni. Troppa pressione, troppa emotività che vi riguarda entrambe in primo piano. Ma soprattutto, vi serviva una ragazza, qualcuno che potesse dialogare e comprendere le vittime di Jefferson. Chi meglio di voi due? Nessuno, ma non potete farlo. Perciò, vi serve un supporto femminile, qualcuno che vi spalleggi, come Max ha spalleggiato te, Chloe, per la situazione di Rachel. Inoltre, il fatto che io sia leggermente più socievole di voi due non dovrebbe guastare.”
Chloe e Max si scambiarono un’occhiata, poi la ragazza con i capelli blu ammise
“Non ci avevo pensato, ma credo che inconsciamente sia come dici tu. Mi sei venuta in mente subito non appena ho capito che quella lista era troppa per solo me e Max. Sei la persona più tosta che mi sia venuta in mente.”
“Per non parlare del fatto che sono la tua preferita anche se non lo ammetti.” scherzò lei, facendole un occhiolino “Ma Kristine?”
“Non sa nulla della lista e non vogliamo dirglielo.”spiego Max, questa volta
“Ok, ma poteva fornirvi lei tutti i mezzi, no? Non aveva un pc da prestarvi? Vi ha chiamate, chiesto di darle una mano e non vi offre nulla?”
“In realtà ci potrebbe dare tutto quello che vogliamo.” spiegò Max “Ci ha dato la sua stanza al Seaside gratuitamente. Sono sicura che ci fornirebbe tutto quello di cui…”
“Al Seaside? Complimenti! Anch’io vorrei farmela amica! Ma a lei non avete detto della lista.”
“No.” disse Chloe “Come ti stava dicendo Max, siamo d’accordo sul tenerla all’oscuro, per il momento. Vogliamo aggiornarla solo per quanto riguarda le ricerche di suo fratello. Questa è una cosa parallela ma che potrebbe aiutare anche per scovare Nathan. Solo che è più personale rispetto alla sua esigenza, perciò teniamola momentaneamente fuori.”
“Ma la avviseremo che sei dei nostri.”aggiunse Max
Chloe si voltò di scatto a guardarla
“Noi…cosa??”
“Dobbiamo farlo, Chloe. Ok tenerla all’oscuro che vogliamo parlare con le vittime di Jefferson, ma almeno avvisiamola di Steph. Gli diremo che potrà tornarci utile in qualche modo.”
Chloe non sembrava entusiasta ma Steph parve appoggiare in pieno l’idea.
“Sono d’accordo. Meglio dire quasi tutto che omettere il più possibile. Non si sa mai che lo veda come un buon segno da parte vostra!”
Chloe non era convinta ma fece le spallucce e borbottò un ‘Ok’. Steph si limitò a un sorrisetto e poi riprese
“Beh avvisiamola subito, così la potrò incontrare già oggi. Intanto, iniziamo? Vediamo i primi nomi su questa lista!”
“Prima vorrei che tu cominciassi con un nome che non è presente sulla lista.”disse Chloe, prendendo una foto da un cassetto. Rimase un attimo perplessa e mormorò qualcosa come ‘non ricordavo di averla lasciata così ‘, poi la porse alla ragazza seduta sul letto.
Steph la osservò rapidamente e poi esclamò
“Samantha Myers?”
Chloe annuì
“So che si è allontanata dalla Blackwell prima di finire gli studi ma, da quello che mi disse Rachel anni fa, si era allontanata prima da Nathan, con la quale aveva una specie di flirt.”
Si, lo ricordo Chloe. Già, tu non c’eri già più e Rachel è stata quasi precisa nel dirti le cose. Ha omesso un dettaglio, però.”
“Sarebbe?”
Steph sfoderò di nuovo il suo sorriso malizioso. Sembrava una gatta che giocava insistentemente con il topo. Si stava divertendo un mondo e non lo nascondeva per niente.
“Hanno litigato. Anzi, Sam gli urlò contro in corridoio.”
“Samantha? Quella Samantha che a malapena apriva bocca in presenza di qualcuno?”esclamò sorpresa Chloe
“Certo. Non so dirti esattamente come andò, io ero di spalle e mi sono voltata solo quando lei ha iniziato a gridare. Ho colto chiaramente le parole ‘Non toccarmi mai più’. Non era affatto diplomatica a riguardo. Mai vista Sam così.”
“Questo si che è interessante!”esclamò Max “Non è una cosa da poco!”
“Certo. Ma dobbiamo rintracciarla, perciò qui entri in gioco tu.”disse Chloe, rivolgendosi a Steph.
La ragazza si alzò in piedi e restituì la foto a Chloe. Poi prese la sua tracolla beige, con sopra disegnato il logo di ‘Doctor Who’, estrasse il piccolo portatile e lo appoggiò alla scrivania, spostando la piantina.
“Dovrò fare un hotspot con il telefono, perché qui non credo ci sia un wi-fi. Ma se tutto va bene, sarà una ricerca breve: non ho il suo numero di telefono, ma sui social dovrei averla aggiunta qualche tempo fa. Se riesco, la contatto direttamente da lì. Intanto, datemi la lista che voglio cominciare a dare un’occhiata. Max, avvisa la Prescott che l’A-Team ha una nuova componente, così risolviamo subito la cosa.”
Poi si voltò iniziò a leggere la lista dei nomi, mentre Chloe e Max discutevano su cosa potevano comprare per rendere la camera più carina e, soprattutto, cosa potesse tornare utile per allestire una bella parete per raccogliere tutto quello che avrebbero potuto trovare e usare.
Steph borbottò nella loro direzione un paio di volte, sostenendo che fosse una pessima idea e che non era così divertente, ma le due sembravano così prese che non le diedero retta. Dopo una decina di minuti, Steph disse di nuovo la sua.
“Sentite, non per infrangere i vostri sogni da commissariato, ma qui la situazione non è rosea. Ho controllato la lista, ci sono pochissimi indizi per risalire a tutte. Dovrò fare una ricerca per ogni nome, incrociando più dati. Suggerimenti?”
Max rispose prontamente
“Non sappiamo per quanti anni Jefferson abbia fatto quello che ha fatto, ma se online ci sono delle sue biografie attendibili, o anche solo su Wikipedia, potremmo sfruttare la cosa. Andrebbero cercate giovani donne, tra i sedici e diciannove anni all’epoca dei fatti, vulnerabili quindi o bullizzate o con una situazione difficile alle spalle, non necessariamente emarginate ma comunque non ragazze comuni o con una vita sociale completamente semplice e stabile. Ma, cosa più importante, devono suscitare innocenza. Devono avere un viso pulito e sembrare delle ragazze caste, non volgari.”
“Rachel non lo era.”pensò Steph “Era bella e aveva un’aria innocente, ma le voci su di lei giravano.”
“Quali voci?”sibilò Chloe
“Nulla che tu non abbia già sentito o scoperto, tranquilla. Penso non te le avesse detto per non sentirsi giudicata, o forse te ne parlava, non lo so. Ma nulla di oscuro o che tu non possa già sapere.”la tranquillizzò Steph, senza non molto successo.
“La vita sessuale di Rachel non era proprio segreta.” disse Max “Ma lei non fa testo: era una vittima di Nathan. E’ nell’elenco per puro caso, ma penso che non sia catalogabile come le altre. Era molto bella, certo, ma non aveva molto altro in comune con le altre.”
“E con te.” disse Steph, sbandierando il secondo foglio “Ti aveva puntato il figlio di puttana, eh? Beh abbiamo una base da dove cominciare: togliamo gli ultimi quattro nomi, anche perché viva ci sei solo tu ormai, Max. Toglierei anche quelle che sono determinate come quasi certe o certe: se non hanno parlato con la polizia, non vedo perché dovrebbero parlare con tre ragazze senza titoli ne distintivi. Magari darò un’occhiata, ma dopo aver cercato le altre. Dovremmo partire da quelle: se convinciamo qualcuna delle più recenti a collaborare, forse avremo più possibilità.”
“Prima però: Samantha. Credo che lei possa dirci qualcosa di veramente interessante su Nathan.”disse Chloe
 
 
 
 
McKinsey era infuriato.
Non stava lavorando, ma solo bevendo quel pomeriggio. Purtroppo però, l’alcool non stemperava il suo malumore, anzi lo ingigantiva. Come cazzo era possibile che non avesse trovato nulla? Che cazzo stavano facendo?
Quella mattina, inoltre, si era sentito dire che una terza ragazza sconosciuta si era aggiunta ma non avevano fatto nulla di strano, a parte andare alla casa dei Price, ove stavano ancora tutt’ora.
Perché una terza? Bisognava scoprirlo! Nowak aveva protestato ma poi aveva ceduto: gli interessava solo il denaro, oramai. Bastava pagarlo e tutto sarebbe stato eseguito.
Aveva anche ricevuto la foto che era nascosta in casa Price: uno scatto fatto con la fotocamera del telefono che raffigurava una vecchia foto in carta, che raffigurava due ragazzi adolescenti. Il maschio era Nathan Prescott, stessa faccia da culo che aveva anche sui volantini da ricercato, ma la ragazza non seppe dire chi fosse. Nowak disse che non poteva saperlo, dato che non vi erano indizi né appunto a riguardo. Non seppe spiegare nemmeno perché l’avessero, forse solo un vecchio ricordo. Ma la ragazza non poteva essere la Price, era completamente diversa. Dovevano trovarla!
Nowak protestava troppo, era palese che lavorasse controvoglia, ma non gli importava. Era un compito facile: doveva solo seguirle e, se necessario anticiparle o depistarle. Doveva durare pochi giorni, il tempo del processo, poi tutto sarebbe finito. Non avrebbe mai perso.
Passeggiò nervosamente nel suo ufficio, riflettendo su quanto tutta quella situazione si stava complicando a un passo dalla fine. Non riusciva proprio a stare sereno, non si fidava di quelle due. Avevano scovato un cadavere e beccato Jefferson con niente, non voleva assolutamente rischiare ora. Non gli fotteva di quel maniaco, ma della sua reputazione. Non avrebbe tollerato uno schiaffo in pubblica piazza, non ora. Iniziava a pentirsi di aver voluto quel caso. Sua moglie lo aveva avvisato: lascia stare, hai quasi terminato la tua carriera, non importa, accetta il ladro di auto, non impegnarti in questa inchiesta è troppo grossa….
Ma no, no  e ancora no! Lui VOLEVA concludere con un ultimo grandioso trionfo. Il più luminoso. Lo Stato lo avrebbe scoperto al traguardo, ma poco importava. Non avrebbe perso.
 
 
Kristine mise giù il telefono. Il messaggio di Max era chiaro: avevano una novità e desiderava vederla. Aveva risposto che si sarebbe liberata entro un’ora e Max aveva risposto che le avrebbe trovate a casa Price.
Adorava quella ragazza: era sincera, dolce e delicata. Aveva sbirciato le sue foto presenti nella sua pagina Facebook e le aveva adorate. Era abile, molto più abile di suo fratello (che amava molto il macabro negli ultimi tempi), ma c’era qualcosa di particolare nei suoi scatti. Non si definiva un’esperta di fotografia, ma aveva girato abbastanza il mondo e visto abbastanza artisti da riconoscere un tocco di magia quando lo vedeva. Max possedeva veramente qualcosa di unico, ma non era solo nella sua fotografia. Guardandola negli occhi, percepiva una fredda determinazione. Era più forte di quanto apparisse e la ammirava. Era più forte della sua ragazza, Chloe. Probabilmente, Chloe stessa lo sapeva. Provava simpatia anche verso di lei, anche se sapeva che non sarebbe mai stata ricambiata. Ma non poteva non ammirarla. Con la sua storia poi….cazzo che schifo di vita che deve aver avuto. Lo vedeva. Se in Max vedeva forza interiore nascosta, in Chloe vedeva una forza gigantesca esterna ma un’inquietudine e una romantica tristezza dentro di se. Ma quelle due insieme erano inarrestabili. Si completavano, e sapeva che aveva affidato alle persone giuste il compito di trovare il cadavere di suo fratello.
L’aver girato il mondo, l’essere uscita dalla gabbia dorata dei Prescott gli aveva fatto questo regalo: la capacità di capire le persone. Era meglio di un superpotere, perché si basava solo sull’esperienza e sulle ferite personali che ogni persona affronta. Una sorta di difesa preventiva: comprendere, anticipare, studiare e selezionare. Questo aveva imparato e presto le sarebbe tornato utile anche negli affari. Suo padre era volgare e aggressivo, otteneva quello che voleva incutendo timore e gettando bustarelle. Che uomo patetico.
Lei, invece, capiva. Bastava ascoltare. Bastava guardare.
Guarda negli occhi una persona e saprai chi hai davanti. Osserva come muove le mani dopo una domanda, e saprai dove colpire. La natura umana era tremendamente affascinante e utile, una volta compresa.
“Siete sicuri?”chiese infine, rivolgendosi ad Adam e Martha.
Annuirono.
Allungò una mano e afferrò il calice di pinot nero gelido che si era versata poc’anzi. Sorseggiò mentre rifletteva sulle conclusioni che i suoi amici gli avevano riferito su quel McKinsey.
C’era troppo su cui riflettere e lavorare. Il tempo scarseggiava. Sentiva la rabbia ribollire in fondo allo stomaco ma doveva restare lucida. Aveva spodestato e ridotto all’anonimato suo padre con la virtù della calma, mentre lui era un fottuto iracondo (esattamente la qualità che aveva donato a Nathan) perciò era stato semplice ingabbiarlo nei suoi stessi errori e toglierli il trono dei Prescott, limitandolo a una gabbia dorata in Florida.
Altro sorso.
Espirazione.
Si stava rilassando. Meglio. La sua mente cominciava già a lavorare: ottimo segno.
“Se devo toglierlo dai giochi, avrò bisogno di altre informazioni. Datemi una mano a scavare: sto stronzo non me la racconta giusta.”
 
 
Max era irrequieta.
Chloe e Steph erano concentrate da mezz’ora sul pc di lei, cercando tutte le informazioni possibili su Jefferson. Per ora avevano trovato abbastanza materiale, ma non potevano stamparlo né trascriverlo. Annotò mentalmente di comprare un bloc notes e delle biro, oltre ad altro che avevano pensato che potesse servire.
Samantha non aveva ancora risposto, ma non sembravano scoraggiarsi.
Max rifletté ancora su come potesse risolvere al più presto quell’intrico. Sentiva che gli sfuggiva qualcosa di minuscolo e ovvio. Una sensazione familiare a quando cercavano Rachel, come se sapessero già la fine di quella storia, ma non riuscissero a leggerla. Cercavano indizi eppure perché era convinta che avessero già la soluzione in mano loro…..
Kristine?
No, lei aveva già dato loro tutto quello che aveva a disposizione. Non aveva altro che potesse aiutarle.
Arcadia Bay aveva inghiottito di nuovo un corpo e lo celava con ancora più riserbo e forza di quello di Rachel. Perché? La città le odiava? Dopotutto avevano deliberatamente scelto di ferirla, quasi a morte, meno di nove mesi fa. Ora Arcadia esigeva vendetta e la stava ottenendo, facendole impazzire e rischiando di liberare il mostro peggiore cui avesse dato i natali.
 
 
No. No, no e ancora no. Non possiamo permetterlo. Per tutte quelle ragazze su quella lista. Quel mostro non deve uscire! Pensa Max, pensa!
 
Sentì vibrare il telefono e vide il numero di suo padre. Scusandosi con le altre due, uscì dalla camera.
“Hey papà…che sorpresa…”
“Max! Sei con Chloe?”
“Si ma lei è al momento…”
 
Inventa una bugia, inventa una bugia
 
“…impegnata. Dicamo impegnata. Se sai cosa intendo..”
 
Tropo vaga!
 
“Oh, capisco…. Beh, tanto cercavo solo te, a essere onesto…”


 
SI!
 
“Dimmi tutto, pà!”
“Non allarmarti ma….. Qualcuno ha chiamato qui a casa…. Chiedendo se fossi qui. Non si è presentato, non ha spiegato il motivo. Sembrava un uomo adulto, di sicuro non David.”
Max era sorpresa.
“Non ho idea di chi fosse, pà. Sicuramente non abbiamo avuto a che fare con nessun uom…”


McKinsey! Figlio di puttana!
 
“Per quello non sono tranquillo. Max, so che laggiù sembra tutto tranquillo, che siete solo andate per Joyce ma, per favore, fate attenzione. Non credo ci siano solo i giornalisti sulle vostre tracce. Ho paura per voi due. Ovviamente non ho detto nulla a tua madre ed eviterò di farlo, ma quella telefonata mi ha preoccupato ed è una fortuna che l’abbia ricevuta io.  Guardatevi le spalle.”
“Ricevuto. Staremo il più possibile al riparo da chiunque, promesso.”
Si sentiva in colpa per aver mentito a suo padre, ma non sapeva che dire: cosa sarebbe successo se avesse scoperto quello che stavano facendo?
Si sedette sulle scale. Non se la sentiva di rientrare dalle altre due, dopo quella telefonata. Certo, non avrebbe mentito a loro, avrebbe detto cosa gli aveva riferito suo padre, ma non occorreva farlo subito. Non sapeva dire come avrebbe preso quella notizia Steph, ma poteva facilmente intuire la reazione di Chloe: si sarebbe eccessivamente agitata, sarebbe diventata protettiva e sul piede di guerra con chiunque. Poteva anche essere capace di investigare su ogni uomo dell’Oregon….
Sospirò.
Voleva solo una vita normale.
Istintivamente, guardò la sua mano destra.
 
 
Cazzo, che casino…. Se non fosse per questo potere, Chloe sarebbe morta da un pezzo e forse la mia vita sarebbe una merda. Sarei stata depressa? Forse. Magari non sapendo che settimana avremmo passato assieme, avrei sofferto ma non quanto avrei potuto soffrire se fossi tornata indietro a quel giorno dopo aver passato tutti quei momenti con lei…. Dopo aver capito di amarla…
Sarei riuscita ad andare avanti? No, non credo.
Forse era meglio rimanere inconsapevole, testimone ignara dell’omicidio della sua amica più cara, dell’unica persona di cui era certa di essere mai stata innamorata? No.
Pero questo potere è un tale peso….
 
Si stupì del fatto che non aveva mai avuto la tentazione di usarlo. Il trauma fu tale da impedirle di avere mai la tentazione di riutilizzarlo. La sua goffaggine le aveva fatto rompere un paio di oggetti nei mesi scorsi e mai si era azzardata a riavvolgere. Persino a scuola, quando non sapeva, piuttosto stava zitta o ammetteva di non conoscere la risposta. Le pesava e la sua ansia di fallire e di fare pessime figure non la aiutava, ma meglio quella che un altro tornado. O peggio!
Che cosa sarebbe successo se l’avesse usato di nuovo? Meteore stavolta?
Sospirò di nuovo.
Con quel potere aveva Chloe nella sua vita, in una veste nuova e più intensa. Forse non era tutto un male, nonostante il prezzo carissimo che aveva pagato.
Ora era qui, di nuovo, a tirare le somme.
Il conto, pensò, non si era saldato con il tornado. Ora c’era un maniaco da tenere in cella e un uomo che chiamava a casa, cercandola. Ovvio che era un depistaggio, era solo una tortura psicologica: chiunque avesse chiamato, sapeva che NON era in casa, ma voleva far sapere che…
“Mi tiene d’occhio….”mormorò fra sé.
Si alzò di scatto e tornò in camera precipitosamente, sbattendo la porta.
Steph e Chloe sussultarono e si voltarono
“Max, ma che cazzo!” esclamò Chloe
“Ci spiano.”esordì
Spiegò velocemente la telefonata con suo padre ed espose le sue riflessioni.
Steph sembrava scettica ma poi ammise che era una possibilità
“Forse sono solo i giornalisti, ma avrebbe poco senso dato che sanno che siete qui. Forse hanno paura che siate tornate nello stato di Washington, ma ha ancora troppo poco senso: il pick – up di Chloe è troppo riconoscibile e vi avrebbero pedinato. Voi non siete state pedinate, vero?”
Max non seppe cosa dire, ma Chloe negò
“Non credo. Ci sono poche auto in giro. Sì, un paio di volte avevamo un'auto sul nostro stesso percorso, ma non ho badato. Però, oggi la porta d’ingresso mi sembrava strana, faceva fatica ad aprirsi come se fosse stata manomessa…”
Calò il silenzio, rotto solo da Max
“Non lasceremo nulla d’importante o delicato qui. Sì, continueremo a usarla come ‘base’, ma non lasceremo nulla che sia fondamentale per noi. Terremo tutto sul pc di Steph, mentre qui solo appunti sparsi. Se ci spiano, chiunque sia, non dobbiamo far sapere che potremmo aver capito, ma nemmeno lasciare in giro qualcosa che potrebbe metterci nei guai. D’accordo?”
Annuirono.
“Mi piaci quando sei così decisa. Ecco cosa diceva prima Chloe quando in intimità sei una decisa, quando vuoi.”
Max arrossì e lanciò un grido esasperato.
 
 
Kristine parcheggiò la Dodge e attese.
Aveva voglia di una sigaretta ma doveva smettere.
Tolse gli occhiali da sole e li gettò sul sedile del passeggero, smontò dall’auto e si adagiò alla portiera in attesa che le due ragazze uscissero dalla casa. Voleva entrare, ma sentiva che Chloe non l’avrebbe presa bene. Doveva guadagnarsi la sua fiducia, perciò limitò le sue azioni. Sapeva che, fosse stata casa di Max, sarebbe entrata senza annunciarsi.
Poco importa.
Certo, cominciava a fare caldo, ma dopo mesi in Brasile, l’estate dell’Oregon era notevolmente sopportabile.
Aveva avvisato le sue due eroine che era in dirittura d’arrivo, ma parevano tardare. Con la coda dell’occhio, vide un movimento sulla finestra sopra il garage. Che diamine facevano lì? E quella sembrava….una piantina?
Stavano ristrutturando?
Sorrise.
Sperava ardentemente che riuscissero ad avere una vita normale, nonostante tutto quello che avevano passato e alla richiesta che aveva fatto loro. Cazzo, se avessero saputo cosa sospettava e cosa cercava….
Non gli avrebbe detto nulla, per il loro bene. Meno pressione avevano, meglio era per loro.
Finalmente, vide aprirsi la porta d’ingresso e sbucare Max, seguita da Chloe e….
Una terza?
Era poco più alta di Max, snella e atletica, affascinante a modo suo nel viso. Quasi sensuale nonostante fosse palesemente impacciata e molto più simile a Chloe nei movimenti. Un’interessante novità, ammise.
Salutò le due ragazze e subito Chloe la introdusse.
“Stephanie. Ma puoi chiamarmi Steph.”disse la terza.
Gli strinse la mano ma quella, oltre a ricambiare, le lanciò un’occhiata penetrante e studiò attentamente la sua fisionomia.
“Però….niente male questa Prescott….”disse, lanciandolo un sorriso malizioso.
“Grazie. Anche tu non sei male ma purtroppo non penso di essere il tuo tipo. Non credo di essere….”
“Mai una gioia qui ad Arcadia, eh?” scherzò Steph “Ma penso tu sia più interessata a sapere cosa ci faccio qui e perché, vero? Prego Chloe!”
La ragazza dai capelli blu fece un passo in vanti, si grattò la nuca e poi iniziò a spiegare
“Crediamo di avere bisogno di un aiuto esterno, qualcuno che sia più obiettivo di noi e che abbia anche un pc portatile che noi, scioccamente, non abbiamo portato con noi. Non pensavamo che…..beh che potesse servire.”
“Quello avrei potuto fornirvelo io.” disse Kristine “Sapete benissimo che avete carta bianca: voi chiedete, io vi procuro.”
“Giiiiià maaaaa ecco….. forse non è solo una questione di pc…”
“Ci seccava farti spendere soldi, Kristine.” disse Max “Ci stai già aiutando tantissimo, non vogliamo aggiungere altro.”
“Come se un portatile fosse per me fonte di perdita. Quello di stronzo di papà Prescott ha abbastanza grana per un paio di portatili.”
“Beh, ok ma abbiamo deciso di sopperire questa mancanza, salvando anche questa spesa unendo l’importanza di Steph per noi con il fatto che ne possedesse uno.” disse Chloe “Perché lei era alla Blackwell quando… beh quando io non c’ero già più. Con Max in trasferta a Seattle, lei è la sola che fosse presente per qualche tempo, prima di andarsene via anche lei da Arcadia, quando tuo fratello era a scuola e Jefferson cominciò a lavorare lì.”
“Ma soprattutto, ero lì quando ruppe con Samantha. E non fu bello.” sottolineò Steph con una occhiata furba.
Kristine ora era interessata. Ottimo risvolto!
“Sicuramente una buona cosa….
“Non solo: forse posso mettermi in contatto Sam. Ma non garantisco. Sto facendo un tentativo e, se dovesse andare in porto, potrò avere un contatto diretto con l’unico flirt che tuo fratello ha avuto alla Blackwell e l’unica ragazza con cui abbia legato prima di Rachel e questa Victoria che non ho conosciuto.”
Kristine sorrise. Forse questa Steph era davvero un valore aggiunto.
“Se dovesse accettare di vedervi, cosa avete intenzione di…”
“Farla parlare. Non importa con che mezzi. E’ una ragazza fragile, basta toccare le corde giuste.” spiegò Steph “A queste due serviva anche una personalità che sappia dialogare con gli altri. Che sia socievole. Come avrai notato, tra rabbia, diffidenza, ansia e remissività, quest’adorabile coppietta non è molto portata per le relazioni con troppe persone.  Aggiungiamo che Sam ha legato più con me che con Chloe, sia perché ero notevolmente meno incazzata di lei, sia perché io non mi sono fatta cacciare malamente. Poi Sam mi vuole bene: negli spogliatoi era l’unica che non mi guardava male. Chissà perché, quando sei adolescente e dichiari apertamente di essere lesbica, le tue compagne non vogliono cambiarsi davanti a te, come se io potessi masturbarmi guardandole. Bah.”
Kristine ridacchiò.
Steph studiava le persone, esattamente come lei. Certo, con metodi più ortodossi e diretti, ma lo faceva. Si, decisamente promossa a pieni voti.
“Credo che tu sia perfetta. Assolutamente perfetta. Le ragazze hanno fatto bene a contattarti: il tuo aiuto sarà determinante.”
Steph fece un finto inchino
“Lieto di sentirlo dire, Lady Prescott. Il mio compenso potrebbe essere una modica cena a lume di candela con lei e magari un dopo cena più intimo e a base di alcool…”
Mi dispiace, ma devo declinare: gusti diversi. Però rimedio con altro: contatto il Seaside e ti faccio riservare una delle stanze al mio piano privato, quella accanto a quella delle nostre due comuni amiche.”
Steph spalancò la bocca colpita.
Max intervenne
“Ma può dormire con noi! Non importa! Non vogliamo crearti ulteriori fastidi…”
“Max dimentichi una cosa: quell’hotel è MIO. Non mi costa nulla. Inoltre, quelle stanze sono vuote da mesi. Preferisco che siano sfruttate.”
Steph s’intromise
“Ammetto che anche la soluzione di Max non mi dispiace però.. Dormire con loro…. Max, tu e Chloe indossate pigiami o andate a letto nude? Perché in quel caso…”
“Dà quella camera a Steph, per favore!”la interruppe Chloe, un po’ seccata e lievemente paonazza.
Steph esplose in una risata sonora poi si rivolse a Kristine.
“Beh, grazie. Sono davvero colpita dalla tua generosità.. sai i Prescott…”
“Non erano ben visti né conosciuti per la loro benevolenza e se donavano, era sempre per corrompere o ottenere favori. Sì, lo so.” concluse per lei Kristine “Ma io non sono la mia famiglia. Il mio cognome è già abbastanza pesante così. Una domanda però.”
“Si sono single. Cercami pure su Facebook: Stephanie Gingrich. Per quella cena sono libera anche stasera.”
“Che cosa pensi di scoprire da Samantha?”chiese Kristine, ignorando ancora le avances di Steph, che rifletté un secondo prima di rispondere
“Capire cosa potesse sapere di inusuale su di lui. Scoprire anche come hanno rotto. So che non è stata molto bella come fine relazione, anzi…. Abbastanza turbolenta, direi. Magari Sam sa, inconsciamente, qualcosa che potesse aiutarci ha scoprire qualcosa che ancora non si sa su tuo fratello. Magari le ha parlato di alcuni posti che potrebbe aver detto anche a Jefferson, noti solo a loro e dove potrebbe averlo sepolto.”
Kristine approvò con un cenno della testa.
“Beh, direi che hai le idee chiare: benvenuta a bordo Steph!”
Steph esibì un sorriso sincero questa volta e fece un finto inchino
“Lieta di sentirlo dire, Lady Prescott.”
Kristine lanciò un’occhiata al pick-up di Chloe, parcheggiato in bella vista nel vialetto di fronte al garage e poi, con tono abbastanza fermo, disse
“Vi devo chiedere di usare sempre meno il vostro mezzo, ragazze: è troppo riconoscibile.”
Chloe lanciò un’occhiata alla sua auto e fece le spallucce
“Sì ma non ci sta infastidendo nessuno. E’ comodo, poi.”
“No, dovete lasciarlo nel garage dell’Hotel, se non per casi eccezionali. Ora che avete anche Steph con voi, se lei possiede un’auto, vi consiglio di usare la sua. Stanno per arrivare un sacco di giornalisti in zona. Il processo a Jefferson non è molto distante…”
Chloe alzò le mani in segno di resa
“Ok, ok. Se la mia auto è troppo sexy per le videocamere, farò in modo di nasconderla. Promesso.”
“Bene. Non vorrei che vi stiano con il fiato sul collo a breve. Cerchiamo tutte di essere discrete, ok?”
“Perché? Anche tu rischi di avere giornalisti addosso?” chiese Max
“Che domanda, Max! E’ la sorella del principale sospettato!” esclamò Steph con fare da maestrina “Penso che vogliano il suo culo tanto quanto vogliano il vostro.”
Kristine abbozzò un sorriso.
Salutò le ragazze e salì in auto, ripartendo a tutta velocità. Nella sua testa, sperò che le ragazze se la fossero bevuta: non dovevano usare il pick-up per un pezzo. Se i suoi sospetti erano giusti, presto le avrebbe tolto un impiccio notevole senza che lo sapessero. Sperava solo di essere sulla strada giusta.
 
 
“Ragazze, dato che sarò vostra vicina di stanza, non fate rumori molesti o potrei essere gelosa.”
Steph era radiosa mentre salivano sull’auto di Chloe. Avevano deciso di andare tutte insieme fino a Portland, usando per stavolta ancora il mezzo della ragazza dai capelli blu. Steph non si era portata nessun cambio, perciò doveva passare al dormitorio della sua università e prendere una borsa con qualche ricambio. Max e Chloe avrebbero ingannato il tempo facendosi una gitarella in città. La strada per Portland non era delle più corte: bisognava dirigersi verso la OR-6 E in direzione SW Market Street, impiegando quasi un’ora e mezza. Sarebbero arrivate poco dopo l’ora di pranzo in città e Steph insistette per portarle a mangiare al Vista Spring Café, suo luogo preferito e molto vicino all’università.
Una volta convintesi, Max e Chloe accettarono e, finalmente arrivate, pranzarono con Steph nel suo adorato locale.
Appena varcarono la soglia, un cameriere salutò allegramente Steph, provando la sua fama di cliente abituale del posto.
In effetti, non poterono negare che mangiarono davvero bene, ma erano troppo lontane per ripromettere che sarebbero tornate lì. Finito di pranzare, si separarono: Steph andò in direzione della Portland State University, mentre le due si diressero al centro commerciale per impegnarsi nella costruzione effettiva della loro idea di ‘camera – centrale operativa’ e continuare ad abbellire la stanza, oltre che cercare un pensierino per i genitori di Max e per Joyce e David.
Fecero una deviazione verso il Multnomah Arts Center che attirò entrambe poi, una volta completato il loro giro, attesero la chiamata di Steph, che le avvertiva di essere pronta e le aspettava all’ingresso dell’Università.
La strada del ritorno fu caratterizzata dalle mille domande di Steph in merito ai loro acquisti e alla sua spiegazione del contenuto della sua borsa, riposta nel vano del retro.
“Steph, perché dovremmo sapere nel dettaglio che mutande ti sei portata?” chiese, infine Chloe
“Non si sa mai che vogliate togliermele! Almeno mi rendo presentabile. Piuttosto: ho preso il costume da bagno come mi hai suggerito. Strano che ne avessi uno dietro in università.”

Arrivarono finalmente al Seaside, sulle note di Neighborhood #1 (Tunnels) degli Arcade Fire

 

The middle of the town
And since there's no one else around
We let our hair grow long and forget all we used to know
Then our skin gets thicker from living out in the snow

You change all the lead
Sleeping in my head
As the day grows dim
I hear you sing a golden hymn

 
Parcheggiarono il pick – up all’esterno, nonostante le indicazioni di Kristine. Steph disse che avrebbe recuperato la sua auto l’indomani mattina con calma, tanto era parcheggiata al Fisherman, perciò a pochi metri di distanza.
Mentre s’incamminavano all’ingresso, videro due persone di fronte all’hotel ad attenderle. Il sole stava calando e riconobbero facilmente David, mentre la donna con lui non seppero dire chi fosse.
Aveva pelle olivastra, capelli neri, spesse sopraccigli neri e occhi molto scuri, bocca piena e fisico slanciato chiuso in un completo leggero ma formale.
Incuriosite da quel comitato, avanzarono dubbiose ma David non si scompose, se non per un cenno e un sorriso tirato.
La donna si avvicinò a passo spedito e, sfoggiando un sorriso d’ordinanza, allungò la mano in direzione del trio.
“Signorina Price? Signorina Caulfield? Sono l’agente Jana Castillo, FBI. Vorrei fare due chiacchiere con voi, se possibile.”
Nessuna delle due strinse la mano, ma Steph si.
“Non ho sentito il mio nome ma, Gingrich. Stephanie Gingrich. Ma lei può chiamarmi Steph, agente.” disse con tono malizioso.
L’agente Castillo la guardò perplessa ma rispose con tono piatto
“No, temo di non avere necessità di parlare con lei, signorina….”
“Steph.”
“…Gingrich.”concluse l’agente “Devo solo conferire con le sue due amiche. Spero non le dia fastidio.”
Steph scosse la testa ma continuava a sorridere
“Nossignora. Ne approfitto per andare a registrarmi. A dopooooo.”
Lanciò un bacio in direzione delle due e, borsa in spalla con tracolla annessa, si diresse verso l’ingresso dell’hotel.
Appena si fu dileguata, l’agente Castillo si rivolse verso Max e Chloe, con un viso rilassato e un sorriso spontaneo
“Vi chiedo scusa se sono piombata qui senza preavviso, ma era necessario potervi vedere. Ho dovuto insistere molto con il signor Madsen che so essere il suo patrigno, signorina Price. Ha cercato di farmi capire che non era il caso che venissi qua, dopotutto siete qui solo per salutare sua madre, ma non so se mi capiterà ancora un’occasione del genere. Vi dispiacerebbe dedicarmi qualche minuto?”
Max e Chloe si lanciarono un’occhiata perplessa, poi annuirono. Sorridendo, l’agente Castillo riprese
“Ragazze, ho saputo che Jefferson ha voluto conferire con voi privatamente. Vi ha detto qualcosa di particolare? Qualcosa che ritenete utile ai fini dell’indagine?”
“No, nulla. Voleva solo infastidirci.” disse Max “Non credo che volesse tradirsi.”
“Già. Voleva solo arraparsi vedendo Max.” confermò Chloe.
Castillo rimase imperscrutabile
“Ditemi: avete idea che possa nascondere qualcosa in particolare o siete a conoscenza di qualcosa che potrebbe incastrarlo? Sarebbe utile una risposta sincera.”
Max ebbe un sussulto.
Lei sapeva….
“No, nulla.” mentì prontamente Chloe “Ci ha solo molestate. Abbiamo anche parlato con Frank, quello che accusate di spaccio, l’ex di Rachel. Giusto per informarvi che non nascondiamo nulla. Siamo solo qui a fare visita a mia madre e tuffarci in brutti ricordi.”
Castillo le puntò addosso uno sguardo indagatore, mantenendo una maschera gentile.
“Vi credo, ma se mai sapeste qualcosa, vi prego di dirmelo.”
“Dove sta il suo Mulder?” chiese Chloe
“Come, scusa?”
“Mulder…sa come Dana Scully e Fox Mulder….X-Files… l’FBI…. Bah, al diavolo: non ha un partner con lei?”
“No, signorina Price. Quantico non ha ritenuto necessario e personalmente, preferisco così. Anzi, ufficialmente l’ho richiesto io, per loro, di essere assegnata da sola. Sono io che mio occupo di seguire gli sviluppi sulla vicenda Prescott. Una mia coppia di colleghi si sta occupando, in maniera ufficiosa, dell’eventuale fuga in altri Stati. Io, anche se assegnata totalmente a Prescott, sto scavando la pista che lo vuole morto e nascosto qui. Per questo vorrei davvero che vi fidaste di me: sono con voi.”
Max si fece avanti, ancora un po’ titubante, ma conscia che Castillo era più interessata a lei che a Chloe.
“Siamo contente di sentirlo. Noi non vogliamo che Jefferson resti impunito, anche se Nathan ha ucciso Rachel. Sono sicura che avrebbe continuato a uccidere e non più a scattare, se David non lo avesse fermato quella sera. Ormai è fuori controllo.”
“Una evoluzione nel suo schema comportamentale? Ottimo suggerimento, signorina Caulfield. Ma di fatto, non ha mai materialmente ucciso nessuno. A meno che, non saltasse fuori il corpo di Nathan Prescott.”
“Cosa che ci auguriamo tutte.” rilevò Max “Anche se da sola, non deve essere facile.”
“Già. Da sola.”mormorò la Castillo, guardandola con occhi complici.
Steph era di ritorno e si unì alla conversazione
“Che mi sono persa?” chiese
L’agente Castillo prese il portafogli, estrasse un biglietto da visita e lo porse a Max
“Qui c’è il mio numero personale. Per qualsiasi cosa e intendo qualsiasi, contattami. Avrei anche bisogno di parlare con te privatamente, prima del processo. Penso che potrebbe servire, dato che eri una potenziale vittima. Scusa se te lo dico così schiettamente, ma era giusto fartelo sapere.”
“Lo avevo intuito.” mentì Max
“Bene. Un’ultima cosa: non andate più da quel pazzo. Non importa quante volte ve lo possa chiedere, ma non accettate più richieste di incontri privati, soprattutto senza avvocati presenti. Che marcisca. Non voglio che vi entri in testa e faccia altri danni. Chiaro?”
Annuirono tutte, Steph compresa.
“Avete domande?”chiese infine l’agente Castillo
“Si, io ne ho una.”chiese Steph “Le agenti dell’FBI sono tutte…. Beh come lei ? No perché potrei fare domanda…”
Questa volta, Jana Castillo ridacchiò e i congedò da loro.
David intervenne immediatamente
“Ragazze, vi giuro che non avrei voluto portarla qui. So che siete già troppo sotto pressione ma…”
“Ti crediamo, David. Tranquillo. Anzi, forse ti dobbiamo ringraziare per averla portata.” disse Chloe “Così ora possiamo mandare lei da Jefferson, la prossima volta. Uh, quello si che sarebbe divertente!”
David sembrò rilassarsi. Salutò le ragazze e andò con l’agente Castillo, per riportarla in centrale.
“Che situazione assurda.” borbottò Max
“Che giornate sempre piene qui in Oregon.” aggiunse Chloe
“Che chiappe sode.” affermò Steph, che ancora guardava in direzione dell’agente Castillo.
 
 
Portarono in stanza i loro acquisti, decidendo di trasferirli l’indomani in casa Price, eccetto che per i souvenir, ovviamente.
Steph aveva la camera alla destra di quella di Max e Chloe. La sentirono gridare un sentito ‘WOW, CAZZO’ attraverso la parete, una volta entrata.
Dopodiché, scesero per cena e lasciarono andare tutte le dinamiche della giornata, dilungandosi in chiacchierate spensierate a base di film e delle avventure di Chloe come giocatrice di Dungeons and Dragons. Max era allibita: Chloe non aveva mai confessato di averci giocato e si divertì un mondo a sentire le storie di Steph, che narrava come fosse una vera elfa spregiudicata, non dissimile dalla sua reale controparte.
“Non mi avevi mai detto di questo tuo lato nerd!”esclamò tra le lacrime Max.
Chloe, che aveva le guance piene di patate, lanciò un’occhiataccia a Steph, che fece il simbolo della vittoria in direzione sua.
Presero un paio di cocktail al bar, fatto che aumentò l’ilarità di Max che iniziava a sentirsi brilla.  Accompagnata a letto, Chloe prese il suo turno per divertirsi, ridendo di come Max era diventata viola per aver bevuto.
“Dio mio non vedo l’ora di vederti davvero sbronza. Chissà di che colore diventeresti!” esclamò tra le risate.
Max, per tutta risposta, la freddò con uno sguardo e le promise che si sarebbe scordata per un mese di vederla con in mano un alcolico.
S’infilarono a letto, dove Chloe tirò fuori il suo lato più mansueto, accarezzando la sua ragazza mentre si addormentava come un sasso, russando lievemente.
Non riuscendo a prendere sonno e non volendola disturbare, Chloe scivolò fuori dal letto, prese la chiave elettronica e uscì dalla stanza, lasciando comunque socchiusa la porta nel caso Max si fosse svegliata e l’avesse cercata.
Voleva andare in piscina a guardare il cielo ma vide che non era sola. Steph era al computer, seduta su una sdraio a bordo vasca.
Il corridoio era illuminato a giorno ma l’area piscina, nonostante le luci dentro l’acqua e sul pavimento esterno, era in penombra.
La porta era spalancata e Steph sembrò non accorgersi del suo arrivo
“Hey, Master. Che fai sveglia?”chiese
“Dovrei farti io questa domanda.” rispose lei, senza staccare gli occhi dal pc  “Dovresti dormire accoccolata alla tua dolce metà, no?”
“Oh, lei è cotta, ma io sono ancora abbastanza sveglia. Posso sedermi?”disse, indicando la sdraio alla sinistra di quella occupata da Steph
“Il piano è nostro, no? Tutta tua, Callamastia.”
Chloe si sedette sulla sdraio, con le gambe piegate verso il petto, e si mise a fissare l’acqua piatta e illuminata.
“Sono felice che tu sia qui.” disse infine  “Mi ha fatto piacere che tu abbia voluto aiutarci.”
“Ho un fascino magnetico, lo so. Ma non dirlo a Max: non vorrei che fosse troppo gelosa.”scherzò Steph, ma sempre intenta a lavorare al pc.
Chloe abbozzò un sorrisetto
“Mi fa piacere che tu non sia cambiata.”
“A me fa piacere che tu lo sia, invece.”
Chiuse il pc e la fissò
“Sai, forse non te ne sei resa conto, ma ora sei completamente diversa da come ti ho conosciuta io. Certo, sei la solita cazzona, ma sembri finalmente serena, meno arrabbiata con il mondo. Non so se sia tutto merito di Rachel o solo di Max. C’è da dire che, nonostante la presenza di Rachel fosse importante, non ti ha mai tranquillizzata così tanto. Ti impediva solo di fare cazzate.”
“Mi ha salvata molte volte, a modo suo.” spiegò Chloe “Tipo sul farmi eccessivamente male  e farne solo agli altri o smetterla di rincorrere persone a cui non volevo bene. Tipi i maschi, in generale.”
“Uomini! Mai potuti tollerare, per fortuna.”commentò sarcastica Steph “Però Max….. lei ti ha cambiata. Anzi, ha fatto tornare la vera Chloe fuori dal guscio di rabbia in cui si era cristallizzata.  Per te, quella ragazza, è speciale più di Rachel, vero?”
Chloe sorrise e si mise a giocare con le dita tra le sue caviglie
“Rachel è stata importante, a modo suo. Non penso si possa fare un paragone. Come non posso paragonare nessuno a mio padre, l’uomo se non l’essere umano cui devo più di tutti. Max è certamente qualcuno che, nella mia assurda esistenza, occupa un posto unico e gigantesco. Le devo la vita, come la devo a Rachel, ma in una maniera molto più complicata di quanto sembri. Non ti parlo della Max come mia ragazza, ma di come sia sempre stata una persona che per me contasse quanto l’aria. Quando lei se ne andò a Seattle, beh….cazzo ha fatto male. Mi fa ancora male, se ci penso. So che è sciocco, lei è lì a due metri che dorme nel nostro letto e mi ama, mi ama, cazzo! Ma se penso a quegli anni senza di lei….Cristo vorrei trovare un metodo per rimuoverli dalla testa.”
“Nemmeno Rachel ci riuscì. Ha mitigato, ma non del tutto, vero? Questo intendevo: sei diversa, sei trasformata. Più matura e forte, se posso dirlo. Un cambiamento notevole che, per quanto fosse straordinaria, Rachel non ti aveva inculcato. Tu e Max siete legate in maniera più profonda.”
“Siamo amiche d’infanzia. Lei abitava a pochi metri da casa mia e ci siamo conosciute un pomeriggio d’estate, all’angolo di Cedar Avenue. Io avevo sette o otto anni e lei era…beh era lì, impacciata e timida con una strana bambola in mano. Una bambola con un cappello da pirata. Non capivo perché dovesse portare un capello da pirata, perciò mi avvicinai a lei per chiedere. Mi rispose ‘Perché i pirati sono tosti!’ mi rispose con la sua vocetta. Cazzo, quella bambina doveva essere mia amica! Non so quando ho iniziato ad amarla, forse non c’è un momento. Forse è così che doveva andare per forza.”
Steph posò una mano sull’avambraccio di Chloe, sorridendole
“Si vede. E’ diverso quello che si percepisce tra voi, molto distante da molte storie che ho visto e, credimi, v’invidio. Cazzo, se v’invidio!”
“Scusa Steph… io non volevo..”
“Smettila! Mica sono offesa! Io sono davvero felice per voi due. Soprattutto per te: con tutta la merda che hai passato, meriti un po’ di serenità adesso. Anzi, chiudiamo questa storia di Jefferson e poi promettimi che vi godrete ogni istante.”
Chloe strinse la mano a Steph
“Ci proveremo ma non lo prometto: ci piace complicarci le giornate, sai?”
Steph rise e diete una pacca sulla spalla destra di Chloe che, per tutta risposta, si ricompose e si mise a sedere guardando l’altra ragazza
“Come è possibile che tu…. Beh che tu non abbia mai trovato una?”
Steph fece le spallucce
“Non so. Non sono abbastanza apprezzata, credo. Troppo sfacciata, troppo nerd, troppo pignola…. Non so, ma andavo bene solo per qualche fugace scopata per qualche sfigata di turno o qualche indecisa in crisi con il moroso. Sai la cosa più triste? Che mi stava bene così. Mi vado bene così, anche se non sono felice. Cazzo, vorrei avere anch’io qualcuno che mi voglia bene. Non dico una Max, ma almeno una che mi ami. Ma la buona e vecchia Steph non è mai adatta per qualcuna. Cazzo, sembra che sia solo il passatempo occasionale delle represse. Evidentemente, essere nerd non è un buon partito di questi tempi.”
Chloe mise una mano sulla spalla di Steph. Si sentiva realmente frustrata e dispiaciuta per lei. Leggeva, nei suoi occhi, una nota amara di tristezza. Sotto tutte quelle battute e la sfacciataggine, Steph si sentiva molto sola e voleva davvero una ragazza che la amasse.
“Ti giuro che se potessi fare qualcosa…”
“Sii mia amica, Chloe.” disse con dolcezza
“Ma lo sono.”
“Non proprio. Non averne a male, ma non mi sei mai stata molto amica. Sì, ti ero simpatica, una delle poche della Blackwell. Avevo il tuo rispetto e la tua considerazione, ma io davvero volevo esserti amica, ma tu non hai mai voluto darmi realmente occasione. Ti chiudevi con Rachel e non permettevi a nessun altro di entrare. Nessuno. Avrei tanto voluto che tu mi considerassi di più che una delle poche decenti di Arcadia.”
“Cazzo, Steph… mi dispiace, io non me ne sono resa conto….sono stata una stupida…”
“No, non fraintendere. Eri ferita, arrabbiata e avevi tutta la mia comprensione. Ma speravo che ti accorgessi di me. Però, sono felice che tu abbia voluto me come supporto qui: almeno ti sei ricordata che esisto, visto che non mi hai più scritto.”
Chloe arrossì per l’imbarazzo ma Steph la rincuorò
“Non pensarci, non te ne sto facendo una colpa. Sono solo contenta che, comunque, hai pensato a me.”
“Steph, ti giuro che finita sta storia del cazzo, cercherò di essere una amica decente. Sia io che Max… beh come avrai notato non siamo proprio degli animali sociali…. Ci servirebbe davvero un’amica come te…. Sai una vera rompicoglioni cazzuta….. non sarebbe male..”
“Sì, peccato che tornerete a Seattle..”
“Vieni con noi!” esclamò Chloe “Fanculo all’ università: ti trattano di merda! Vieni a Seattle, fatti trasferire lì. Finisci gli studi e poi partiamo all’avventura tutte e tre assieme. Ti ci portiamo noi in California a tentare la fortuna!”
Steph sorrise e si mise a fissare il cielo stellato attraverso il soffitto in vetro
“Sì, la fortuna….. siamo oneste, Chloe: è già tanto se riuscirò a essere assistente di regia in un teatro di sesto ordine.”
“Beh, per cominciare. Ma poi, la scalata sarà inarrestabile!”
“E dovrei partire da Seattle?”
“Si. Dovresti partire da Seattle ed essere l’assistente di regia sociale di una testa di cazzo tinta di blu. Scusami, scusami davvero. Vorrei essere io ora a sperare di averti come amica, ora. Non mi sono mai accorta di essere così….beh egoista…. Sto facendo un bel percorso di disintossicazione dalla mia merda, però. Non sarebbe male avere gente come te intorno. Anche a Max farebbe bene, sai? Le daresti una svegliata.”
“Uh, guai a letto?”
“No, quello no. Ma vorrei che si lasciasse andare di più. Ha sempre questa ansia addosso….sempre a pensare troppo…. Lei è troppo…”
“Dolce.” concluse Steph “Qualsiasi cosa tu dica, si riassume in questo. Lo si vede subito che lo è: troppo dolce. Ma se, come sostieni, ha le palle quando serve, allora è già ok così com’é.”
Chloe sorrise a Steph, con molto calore
“Siamo troppo sentimentali, stanotte. Dovremmo ricominciare a cazzeggiare un po’.”
“Vero… anzi a tal proposito…”
Prese il portatile e lo aprì, porgendolo a Chloe che notò una chat aperta
“Sam ci incontrerà. Ha accettato. Beh, ha accettato di vedere me, non te e Max, ma poco importa. Non ho specificato se sarei andata a salutarla da sola. Ops, ho scritto salutarla…. Già le ho omesso i dettagli. Pazienza, sarà divertente.”
Chloe non lesse la chat. Spalancò gli occhi e prese per le spalle Steph
“Sei la stramaledetta numero uno, cazzo! Quando?”
“Domattina. Alle dieci in punto a un café che mi ha indicato.”
“Sei meravigliosa Steph! Sapevo che ci avresti aiutato!”
Steph sorrise
“Frena l’entusiasmo, carina. Non ho detto dove sta Sam.”
“E dove? Ci andiamo, abbiamo le auto!”
“A Eugene.” Rispose Steph, stavolta con meno entusiasmo “a tre ore da qui.”
Chloe si alzò in piedi
“Solo? Chissenefrega! Ci sveglieremo all’alba, se dovesse essere necessario! Andiamo da Sam e facciamole dire qualcosa che ci torni utile. Sento che stiamo per collegare i giusti pezzi.”
Steph si alzò anche lei e si stiracchiò
“Beh meglio andare a letto allora. Sarà una lunga giornata domani.”
Istintivamente, Chloe la abbracciò
“Grazie. Anche da parte di Max.”
Steph, colpita, ricambiò l’abbraccio
“Ora tocca a te, Callamastia.”
 
 
In tutto ciò, Max si era svegliata.
Rimase accanto alla porta socchiusa a vedere le due compagne di scuola riappacificarsi e ritrovarsi.
Si emozionò ascoltandole e per poco non pianse. Avrebbe voluto correre da loro, baciare Chloe, stringere Steph e gettarsi in piscina. Voleva dire a Chloe di invitare Steph in vacanza con loro. Ma non fece nulla. Si limitò ad ascoltare, amando ogni parola. Certe emozioni erano davvero uniche e le dispiacque non avere con sé la sua macchina fotografica per immortalarle.
Poteva amare Chloe più di così? Non seppe dirlo, ma ora sapeva una cosa nuova:
Voleva dannatamente bene a Steph Gingrich.

 
 
 [1] Citazione e omaggio a ‘Tell Me Why’,altro gioco della Dontnod
 


 
13.
 
 
“Svegliati subito pigrona!”
Chloe si mise a scuotere e chiamare Max che, controvoglia, aprì gli occhi.
Era ancora pesantemente confusa e assonnata, tant’è che replicò con un gigantesco sbadiglio
“Che ore sono?” mugugnò
Chloe tirò le lenzuola, scoprendola del tutto.
“Le sei e mezza. E dobbiamo andare! Sam ci aspetta! Dai, alzati!”
Si strofinò gli occhi e scese controvoglia dal letto. Non le aveva detto di aver origliato la conversazione tra lei e Steph, perciò non disse nulla sull’incontro che le attendeva. Non aveva calcolato che avrebbero dovuto svegliarsi così presto e si chiedeva come fosse possibile che la sua ragazza sprizzasse energia quando, molto probabilmente, aveva dormito meno di lei. Sbadigliò di nuovo poi, a piedi nudi, andò in bagno, trascinandosi con fatica.
Mentre si dava una lavata alla faccia, nella speranza che l’acqua gelida aiutasse, Chloe entrò nel baglio e le calò i pantaloncini del pigiama
“Sbrigati! Ti aiuto a cambiarti: eccoti degli shorts!”
“Chloe, apprezzo il tuo entusiasmo ma dammi cinque minuti di tregua, per favore.”
Dopo un quarto d’ora, erano nell’atrio. Max continuava a sbadigliare, mentre Chloe osservava impaziente l’ingresso vuoto.
“Dove si è cacciata?”chiedeva.
La sua risposta giunse poco dopo: Steph uscì raggiante dall’ascensore, dondolandosi sulle punte dei piedi e fischiettando. Max invidiò anche la sua capacità di recupero. Notò che indossava dei pantaloncini corti blu, una maglietta con disegnato Doraemon, la sua tracolla e un paio di occhiali da sole con lenti molto piccole.
“Buongiorno ladies…. Vi vedo in forma!”salutò allegramente
Max si chiese come fosse possibile che sia Steph che Chloe fossero in forma, mentre lei era uno zombie. Steph, inoltre, si era anche truccata. Chloe a malapena aveva messo la matita agli occhi, mentre lei aveva rinviato la sua minima sessione di trucco per il viaggio in auto, talmente era ancora priva di forze.
“Niente colazione?” chiese speranzosa
“Certo che no, Max!” esclamò Chloe “Dobbiamo andare: la faremo con Sam!”
“Ma…. Potremmo farne due no?”
“No! Inoltre il ristorante è ancora chiuso. Scusa Maximus: digiunerai per un paio d’ore. Andiamo, prendo l’auto.”
Steph accelerò il passo e si mise davanti tagliando la strada a Chloe
“No, no e no Price: ti è stato detto di usarla il meno possibile e così sarà. Andiamo al diner, dove ho lasciato la mia. Non rompere!” aggiunse, stroncando sul nascere la quasi certa reazione di Chloe.
Uscite dall’hotel s’incamminarono fino al parcheggio del Fisherman, attraversando la 101. La macchina di Steph, una Toyota Corolla del 2008, blu scuro, era ancora li immobile e in attesa.
“In carrozza, principesse!” esclamò, appena la aprì.
Chloe si sedette sul sedile anteriore, mentre Max occupò beatamente quello posteriore, sdraiandosi e sperando di poter dormire per il viaggio di andata. Speranza resa vana dalla musica a tutto volume che partì un paio di minuti dopo, appena imboccata la 101.
“Che cazzo di musica ascolti, Steph?” strillò Chloe
“Hey, macchina mia, musica mia, ok? E poi ci sta ‘sto pezzo!”
Il brano in questione era 212, di Azealia Banks.
Notevolmente carico di bassi e poco indicato a una pennichella.
“Dove siamo dirette?” strillò Max
“Eugene!”rispose Steph, prima di abbassare il finestrino e mettersi a cantare

 
The bitch who wants to compete and
I can freak a fit that pump with the peep and
You know what your bitch become when her weave in
I just wanna sip that punch with your peeps and
Sit in that lunch if you're treatin'

 
Chloe fissava Steph con una aria mista tra il sorpreso e il divertito.
Max, invece, si rassegnò e prese l’occorrente per truccarsi.  Sperò di mitigare la sua faccia sconvolta dal sonno con un briciolo di make-up rudimentale.
 
 
David stava sorseggiando il suo caffè fuori dalla stazione di polizia di Tillamook. Il dipartimento era un edificio piccolo, con le pareti bianche e il tetto rosso accesso. Ovviamente, prima di tutto il caos, era adibito a un corpo di polizia cittadino abbastanza modesto ma, visto ciò che era accaduto e con l’intensificarsi delle indagini, la contea aveva lasciato campo libero per occupare anche alcune stanze degli edifici limitrofi, tra cui alcune del Tillamook County Justice Court.
Quella mattina, lo attendeva un corso intensivo per le ultime fasi di reclutamento effettivo nel nuovo corpo di polizia di Arcadia Bay, in previsione della sua entrata operativa effettiva nella prima settimana di Settembre. Odiava quei corsi, ma stava per realizzare un piccolo sogno e avrebbe speso ogni energia mentale per sorbirsi tutte e sei le ore che lo aspettavano con un culo adagiato su una sedia di legno scomodissima.
Mentre era assorto nei suoi pensieri, l’agente Castillo uscì dall’edificio e si avvicinò
“La disturbo, agente Madsen?”
“No, affatto. Solo una cosa, come le dissi già ieri: non sono ancora un agente ufficiale e mi chiami pure David. Passiamo alle formalità, se lo gradisce.”
L’agente Castillo sorrise e annuì
“Come vuoi, David. Volevo solo ringraziarti ancora per ieri….”
“Nessun problema.”
“….e chiederti una piccola spiegazione.”
“Dimmi tutto.”
Castillo si appoggiò alla parete, accanto a David.
“Riguardo alla signorina Chase… beh, veramente un peccato che sia morta: ci avrebbe aiutato a incastrare Jefferson definitivamente, non pensi?”
David rifletté. Aveva un senso di colpa immenso verso Victoria: avrebbe preferito che fosse viva e non testimoniasse, piuttosto che morta in quella maniera.
“Francamente, Jefferson è stato abile anche in quell’occasione: ha distrutto la SD della macchina fotografica quando ha capito che stavamo entrando, lasciando il raccoglitore di Victoria Chase praticamente vuoto. Inoltre, ha scaricato la droga rimasta nel lavandino e quella rimasta non prova nulla. Perfino la ragazza era quasi rinvenuta e non ricordava nulla. Disse solo che aveva seguito il suo professore volontariamente, cosa che non ci avrebbe aiutato molto. Lei era attratta dal suo professore, molte voci insistevano su questo fronte. Io stesso la vidi molte volte a scuola attenderlo davanti al suo ufficio. Jefferson ha solo dovuto invitarla e offrile da bere qualcosa corretto con una droga. Nemmeno un buco aveva. E’ stata molto ingenua ma chi non lo sarebbe stato? Tutti ci siamo fidati del nostro professore, no?”
Castillo annuì
“Già. Anch’io ebbi una cotta mostruosa per il mio professore di Inglese: cazzo era sexy da morire e sua moglie era così ordinaria che nella mia mente di stupida adolescente mi feci di quelle fantasie assurde su di lui che la lasciava perché invaghitosi di me. Se lo pensassi ora, immaginerei solo di che crimini imputare un uomo attratto da un’adolescente. Quindi, anche se fosse viva, non ci sarebbe stata d’aiuto?”
“Non saprei dire. Penso di sì, alla fine: dopotutto era stordita e confusa, non credo che volesse questo. Il tuo professore ti offre da bere e ore dopo ti risvegli confusa in una sala sotterranea con dei poliziotti che ti scortano via? Direi che chiunque in grado di fare due più due non potrebbe certo sostenere di non essere stata una vittima. Purtroppo, ho avuto la stupida idea di riportarla alla Blackwell. Dovevo convincerla a restare in commissariato! Cazzo, il tempo non era ancora così peggiorato, sembrava sereno. Lei insisteva nel dire che voleva tornare nel suo dormitorio, che aveva bisogno di stare sola e dormire. Sembrava scossa e bisognosa di riposo e l’ho portata indetro…. Stupido!”
“Non hai fatto nulla di sbagliato. Chiunque avrebbe fatto qualsiasi cosa per abbassare il livello di stress di una vittima. Se lei sentiva quell’esigenza, hai solo fatto il tuo dovere per farla sentire meglio.”
“Si, ma non mi do pace per questo. Se l’avessi persuasa a dormire almeno a casa mia, si sarebbe salvata! C’era Chloe e anche Max. Lei era compagna di classe di Max, sarebbe potuta rimanere in loro compagnia e loro due l’avrebbero salvata, di nuovo. Invece le ho solo detto che sarei ripassato l’indomani mattina alle nove a prenderla e portarla in centrale….Peccato che alle nove Arcadia Bay avesse smesso di esistere e lei era già morta! Cazzo, che imbecille che sono stato!”
“Perché era uscita?”
“Non sappiamo dirlo. Alcuni sostengono che cercasse Nathan Prescott, con cui aveva un rapporto molto confidenziale e magari volesse sfogarsi con lui, ignara del coinvolgimento del ragazzo nella faccenda. Altri sostengono che volesse andare in classe, nell’aula di fotografia, a prendere dei lavori extra che aveva fatto per Jefferson, che abbiamo ritrovato nella scrivania dell’aula e non nello studio del professore. Io personalmente non so rispondere. Ipotizzò entrambe le cose, dato che forse era ancora un po’ stordita dalla droga. Ma è morta e questo non cambia le cose.”
Castillo annuì
“Si. Purtroppo non serve a niente penare perché fosse fuori, dato che non è rilevante. Dispiace che una ragazza così giovane abbia perso la vita, come del resto molti altri studenti e non, in Arcadia, quel giorno. Solo che non riesco a non pensare quanto potesse essere decisiva per noi una sua eventuale testimonianza. Quel McKinsey ha ribaltato molto bene l’accusa. Se non avessi letto i fascicoli e non fossi una sbirra, potrei quasi credergli.”
“Lo so bene: non hai idea di quanti hanno iniziato a dirmi che mi ero sbagliato. Alcuni credono che abbia agito mosso dalla buona fede, che io e le ragazze abbiamo fatto tutto per dovere civico, ma ci siamo sbagliati e abbiamo preso solo un uomo dedito troppo al suo ruolo di mentore per ragazzi, beccato nel posto sbagliato.  Cazzo, ci credo che l’opinione pubblica e il processo pendano verso la soluzione migliore per lui. Non so come andrà a finire.”
“Lo impediremo. Troveremo qualcosa, me lo sento.”
“Mh? Una confessione scritta di Nathan? Oppure Victoria che risorge? Oppure tutte le vittime di Jefferson che finalmente si decidono a parlare?”
Castillo si accese una sigaretta e tirò una boccata. Sorrise a David e disse
“Forse. Ma la tua figliastra e le sue amiche nascondono qualcosa. Speriamo che abbiano più fortuna di me.”
 
 
Steph archeggiò la sua Toyota a pochi passi dal Dutch Bros Cafe,luogo dell’incontro con Samantha Myers.
A Max non sfuggì l’ironia della situazione: il café era nel quartiere di West Eugene che confinava con il quartiere…. Jefferson Westside.
 
Cazzo, una persecuzione!
 
 
Non era mai stata a Eugene e si stupì di quanto fosse enorme e, al tempo stesso, immersa nel verde. Steph disse loro che era la terza città dell’Oregon, come se non avessero studiato geografia, ma Chloe le ricordò che questo non cambiava sostanzialmente un dato fondamentale: non importava di quanto fosse grande, ma che ci fosse solo la persona per cui erano venute fino laggiù.
Il Dutch Bros Café non era propriamente un locale, ma un minuscolo chioschetto con due tavolini di ferro dipinti di blu. Benché vi fosse molta clientela, non era esattamente il tipo di locale cui pensavano di recarsi.
“Pensavo fosse al chiuso, dove potevamo accomodarci e parlare con calma, invece sembra un bar per coppiette preadolescenti.”commentò Chloe, per nulla entusiasta.
Steph si guardava attorno, ma non vide nessuna che potesse somigliare a Samantha. Decisero perciò di avvicinarsi al chiosco, in attesa della ragazza.
“Non fanno da mangiare!” protestò Max, che rimase con la bocca e gli occhi spalancati per l’indignazione.
Chloe le scombinò i capelli con una mano
“Dai, non piangere piccina. Mangerai di più a pranzo.”
“Non arriverò viva a pranzo.” si lamentò Max
Steph, invece, continuava a guardarsi intorno, finché..
“Gingrich?”
Samantha Myers era sbucata dall’angolo di destra. Indossava un vestito leggero, azzurro chiaro con un’ampia gonna e dei sandali e portava una piccola borsetta bianca.
“Heyyyy Sam! Eccoti qui!” strillò Steph, attirando l’attenzione delle altre due “E’ una vita che non ci vediamo!  Ti trovo in forma!”
Samantha abbozzò un sorriso timido e fece per avvicinarsi a Steph ma, vedendo avanzare le altre due ragazze, si bloccò un secondo e le squadrò, soffermandosi parecchio su Chloe.
“Un momento ma tu…. Price?”esclamò
Chloe alzò i pollici all’insù
“In carne e ossa, Sam! Come butta?”
Sam fece un passo indietro
“Bene ma…. Non mi aveva detto Steph che sarebbe venuta con te e….. e lei chi sarebbe?”
Chloe strinse a sé Max
“Max! La miglior fotografa dell’Oregon, nonché la mia ragazza. Max, lei è Samantha Myers, Sam, lei è Max Caulfield.”
Max si sciolse dall’abbraccio di Chloe per stringere la mano a Sam, che ricambiò debolmente e in fretta. Lesse distintamente ansia e terrore nei suoi occhi.
“Piacere….. beh, perché questa ‘sorpresa’, Steph?”
“Prima, ti andrebbe di trovare un posto in cui possiamo sederci e al chiuso? Abbiamo molto di cui parlare.”
Sam annuì, ma era sempre più visibilmente nervosa.
“Possiamo andare al Voodoo Doughnut.  E’ a soli cinque minuti a piedi da qui.”
“Ciambelle eh? Andiamo subito, allora!” esclamò Chloe “Facci strada Sam!”
Mentre passeggiavano fino al Voodoo, cercò di far parlare e rilassare Sam. La ragazza era palesemente tesa come una corda di violino e sospettosa. Ovviamente, aveva ragione. I suoi capelli castani molti scuri brillavano alla luce del mattino, ma la testa rimaneva sempre china, con lo sguardo a terra. Raccontò loro di essersi trasferita a Eugene con la famiglia sia per una occasione di lavoro molto promettente per sua madre  e anche in funzione dell’ Università, dato che era riuscita a farsi ammettere alla locale University of Oregon, per studiare matematica e che le permetteva di tornare a casa sua dopo le lezioni. Sognava di diventare una professoressa in quella materia, ma la strada si stava rivelando più ardua del previsto.
“Non vorrai tornare alla Blackwell per insegnare matematica ai fighetti di Arcadia?” scherzò Chloe
Sam non prese bene la battuta, parendo raggelarsi
“Non ho nessuna intenzione di tornare in quel posto, né per lavoro né per viverci. Sono stata solo felice di abbandonare Arcadia. Certo, mi è dispiaciuto sentire del tornado ma….. non mi ha coinvolto tantissimo. Spero non abbiate perso nessuno di caro.”
“No. O meglio, Max penso abbia perso metà dei suoi compagni di classe ma nulla di grave.”
“Chloe!” esclamò indignata Max.
“Si, battuta infelice. Scusa.”
Arrivate al Voodoo, presero un tavolino e ordinarono tre cappuccini e due tipi di ciambelle a testa, tranne Chloe che preferì tre ciambelle.
Una volta che arrivò tutto quello che ebbero ordinato Steph, a sorpresa, tirò fuori il pc dalla sua tracolla e lo aprì
“Sam, siamo qui per parlare di Nathan.” disse, senza risparmiare giri di parole.
La ragazza strabuzzò gli occhi e il pezzo di ciambella che aveva in bocca, le andò di traverso. Max, che era quella seduta più vicino, le diede un paio di colpetti sulla schiena con la mano.
“Stai scherzando, vero?”mugolò Sam
“No.” disse Steph, con piglio deciso e freddo “Siamo venute qua perché vogliamo sapere cosa è successo tra voi due. Lo sapeva tutta la scuola che vi eravate mollati malamente e la tua scenata nel corridoio è stata leggendaria, visto che nessuno si aspettava di vedere la Myers sbottare così. Perciò, per favore, dovrai parlare.”
“Che vi interessa? E’ una storia di anni fa!” piagnucolò Sam
“Ci interessa perché potrebbe essere essenziale a capire cosa ne potrebbe avere fatto di lui quel maniaco di Jefferson.” spiegò Chloe “Potrebbe esserci un dettaglio rilevante che tu ritieni di poco conto.”
Samantha ora era più cuba e rabbiosa
“So di quella storia. Mi dispiace per Rachel, ma non so cosa dirvi. Nathan l’avrà uccisa, anzi sicuramente è così, ma cosa volete che ne sappia io di cosa sia successo dopo? Cosa c’entra la mia scenata con tutto questo? Nemmeno la polizia è mai venuta a parlarmi!”
“Perché Nathan potrebbe aver iniziato a peggiorare dopo che lo hai scaricato.”spiegò Max “O forse, tu avevi intuito qualcosa e non ci ha dato peso ma, se ci pensassi ora, potresti notare delle incongruenze.”
Sam gelò con lo sguardo Max che, scommise con se stessa, che non sarebbe mai più potuta diventare amica di quella ragazza. Lentamente, però, lo sguardo si fece meno duro, mutando in uno più rassegnato.
“Mi fece delle foto, quando fui investita.” disse infine, a bassa voce, come se si vergognasse.
“Quando eri in ospedale? Nello stesso periodo in cui Rach…”
“No, Chloe. Me le fece durante l’incidente. Quel motociclista mi finì addosso e, prima che potessi realizzare, ero distesa sull’asfalto. Lui era sul ciglio a scattare foto. All’epoca pensai che, essendo stato tutto così rapido lui, semplicemente, non aveva ancora realizzato l’accaduto. Mi fece foto anche in ospedale, mentre ero ingessata e malconcia, dicendo che voleva solo creare un ricordo per me, per quando ne sarei uscita. Stronzate, a quanto pare. Lui aveva solo il gusto del macabro. Più c’era sofferenza, più lui ne era attratto.”
“Non posso negarlo. Come fotografo era inquietante, lo avevo notato anch’io. Non si può negare che avesse un certo stile, ma i suoi soggetti erano sempre macabri, cupi, sofferenti. Sicuramente, si poteva intuire da quello che non stava bene.” commentò Max, ricordando le fotografie fatte da Nathan.
A quell’affermazione, Sam sembrò considerare nuovamente Max in maniera positiva, abbozzando un sorriso per il sostegno.
“Esatto. Ma questo, malauguratamente, non lo compresi. Per tutto il tempo che lo frequentai, pensavo che i suoi attacchi di rabbia fossero causati da quella carogna di suo padre. Nathan, certamente, era pericoloso ma suo padre era veramente il peggio che si potesse avere intorno. Lo umiliava e maltrattava costantemente, come se odiasse saperlo vivo. Per quello, molte volte, lo perdonavo. Poi, un giorno, ho capito che non era solo quello. Sapevo che era malato, sapevo che era trascurato, ma stava diventando pericoloso anche per gli altri, oltre che per se stesso. Io sono stata la prima a farne le spese.”
“Per l’incidente?” chiese Chloe “Pensi fosse voluto?”
“Ci ho pensato moltissimo, ma credo di no. Ma, forse, potrebbe essere stato un acceleratore a fargli capire cosa lo stimolasse. Noi….”
Sam divenne rossa. Chinò la testa e prese un profondo respiro prima di continuare
“Noi….quando facevamo sesso….beh lui sembrava eccitarsi solo se poteva essere violento con me. Doveva dominarmi totalmente. Non come pensate voi ma….”
Il rossore sulle gote di Sam era sempre più acceso. Essendo una ragazza timida già di suo, raccontare dettagli della sua vita sessuale non la stava aiutando. Soprattutto davanti a una sconosciuta e due ex compagne di scuola che non vedeva da anni.
“Con calma. Non avere fretta. Oppure non dire tutto, se non te la senti.” provò a suggerirle Steph, con molta comprensione
“No, siete venute qua per capire e devo farvi capire….. beh la nostra prima volta è stata orribile.  Non orribile come la classica prima esperienza, ma per altri motivi. Sia io sia lui eravamo vergini e lui….beh lui non riusciva a mantenere l’erezione. Più si arrabbiava, più diventava nervoso, più faceva fatica. Ho provato a calmarlo e… beh anche in altri modi….ma nulla. Alla fine, preso dallo sconforto, si stava rivestendo. Ho provato ad abbracciarlo ma lui mi ha aggredita dicendo che era tutta colpa mia, che non ero capace di farlo sentire un vero uomo. Mi ha stretta e spinta sul letto e li…. Mi sono spaventata, aveva uno sguardo così feroce…. Si sentiva umiliato da quella situazione ma, poco dopo avermi aggredita così, si tolse di nuovo i boxer perché era…. Beh lo abbiamo fatto così. Lì mi teneva ferma, schiacciandomi le braccia…..ho solo sentito molto dolore e umiliazione. L’unico modo era che io non provassi che questo: umiliazione e dolore. Doveva controllarmi. Doveva essere sempre lui.”
Sam si coprì la faccia con le mani. Max cercò di consolarla, ma Steph fu più rapida, scivolandole accanto e abbracciandola con calore.
Chloe lanciò un’occhiata d’intesa a Max. Sapeva cosa voleva dirle: non era una prima volta…..
Sam provò a riprendersi e continuò il suo racconto
“Con lui andava solo così: dovevo essere sempre sottomessa, anche umiliata. Per anni, anche dopo che lo avevo scaricato, ero convinta che l’intimità con un uomo fosse solo così. Fortunatamente, ho conosciuto un ragazzo che mi ha aiutata molto a capire che non era quello il modo corretto…..Ci siamo lasciati da poco, ma sono felice che sia entrato nella mia vita. Se foste arrivate qua due anni fa, non so se avrei potuto fare questa conversazione. O forse sì, ma non so come lo avrei dipinto. Purtroppo, questo portò un peggioramento anche fuori dal letto. Si sentiva sempre più inebriato dal potere del controllo e del dominio. Inoltre, alla Blackwell stava diventando lui il maschio alpha, il nuovo bullo. Ma non fu quello il motivo per cui volli rompere con lui. In privato, a volte, rimaneva lo stesso: dolce, premuroso e realmente interessato al mio benessere. So che sembra assurdo, ma era spesso così, specie quando eravamo soli e se suo padre non era in circolazione da un po’. Ma negli ultimi tempi aveva iniziato a…..riprenderci mentre….beh mentre eravamo soli. Ma non si limitava a quello….aveva iniziato a pretendere che fossi legata, imbavagliata…come se non fossi consenziente. A volte mi scattava foto… per un po’ ho acconsentito, ma un giorno ho iniziato a non sentirmi più troppo in me, in quelle situazioni. Ho avuto un attacco di panico e gli ho chiesto di cancellare tutto. S’inferocì moltissimo. Diceva che non capivo, che non apprezzavo la sua arte, che anch’io volevo solo approfittare di lui.
Io approfittare di lui! Quella fu davvero la goccia che mi fece perdere la testa: presi il suo pc portatile, con dentro tutti gli scatti che mi fece e lo gettai a terra, rompendolo. Lui, per tutta riposta, mi colpì.”
Seguì una pausa, con silenzio tombale. Nathan Prescott era instabile e lo sapevano ma furono comunque inorridite e sorprese. Sam, asciougandosi una lacrima, terminò il racconto
“Mi diede un pugno in pancia. Mi fece male, molto male. Non ebbi il tempo di riprendere fiato che mi mollò un ceffone in pieno viso. Caddi a terra e iniziai a piangere e tremare. Provai a guardarlo e lo vidi. Vidi il vero volto di Nathan, di quel Nathan Prescott: distorto dalla rabbia, feroce e appagato dalla violenza fine a se stessa. Forse aveva un’erezione pure in quel momento. Poi, vedendomi conciata così, a terra e piagnucolante, deve aver ripreso lucidità perché pochi secondi dopo era di nuovo un timido adolescente dispiaciuto e disperato per quello che aveva fatto. Cercò di aiutarmi a rialzare, ma rifiutai. Mi presi le mie cose e scappai. Qualche giorno dopo provò ad avvicinarmi a scuola, poiché rifiutavo ogni sua chiamata e non rispondevo ai messaggi. Beh, Steph ha assistito alla mia reazione. Lo volevo morto, morto sul serio. Non dissi niente ai miei, ma capirono che qualcosa era successo. Volevano andare dai Prescott, ma non ci fu bisogno: Sean Prescott venne direttamente da noi, una sera. Circa un mese dopo che avevo urlato nei corridoi della Blackwell, venne dai miei dicendo che voleva parlarmi in privato, ma poi lo obbligai ad accettare di parlarmi solo alla presenza dei miei. Sean Prescott non ama le sconfitte. Quel giorno lo imparai a mie spese. Fece intendere che suo figlio mi aveva scopato, che io ero stata al gioco e poi io avevo reagito male. Insomma, mi dipinse con tante belle parole ma, sostanzialmente, una puttana accondiscendente finché si era stufata. Voleva pagare il mio silenzio facendo passare me per quella che ricattava la sua onesta famiglia che ‘tanto aveva dato ad Arcadia’. Mi offrì una borsa di studio in qualsiasi università avessi voluto, ma rifiutai. Lo cacciammo da casa e meno di un anno dopo ero a Eugene. Curiosamente, ad Arcadia, iniziammo ad avere piccoli problemi e incidenti. Multe non chiare, graffi e gomme tagliate alle auto, piccoli atti di vandalismo che crescevano d’intensità con le settimane…. Beh, per fortuna che c’è capitata quest’occasione, lontano da quel buco di merda. Scusate il termine.”
“Nah, tranquilla Sam: anch’io descrivo Arcadia in maniera simile!” sdrammatizzò Chloe
Steph, dal canto suo, si sentiva amareggiata e la sua espressione in viso era un misto di solidarietà e dispiacere
“Sam io….. non potevo immaginare….. non sapevo che avessi passato tutto questo…. Scusaci, siamo state indelicate…. Volevamo solo delle informazioni ma non immaginavamo che tu avessi passato tutto questo.”
Sam provò a sorridere per tranquillizzarle
“Non preoccupatevi. Ora sto molto meglio. C’è voluto un po’ e qualche seduta da uno psicologo, ma ora fa meno male parlarne. Ammetto che avrei voluto essere meno sciocca e fragile all’epoca: se solo avessi capito subito, chissà: forse Rachel Amber sarebbe ancora viva!”
Max provò a dire la sua
“Non è colpa tua. Non pensarci nemmeno. Non sei stata fragile, ma molto molto forte e coraggiosa. Non ti sei lasciata distruggere totalmente da lui. Anch’io mi sono fidata ciecamente di Jefferson e…. beh, guarda cosa è successo! Avrei potuto finire con lui e Nathan in quella stanza! Non è colpa nostra, se siamo persone che danno possibilità agli altri. Non è di noi che si dovrebbe pensare, ma del loro modo di approfittare di persone come noi, ragazze che vogliono solo dedicarsi a far sentire bene gli altri e sentirsi accettate quando il mondo intero pensa che essere timidi o ansiogeni sia un fottuto problema. Questo non deve e non può essere una nostra colpa.”
Sam le sorrise spontaneamente
“Hai ragione. Non chiedevo altro che farmi voler bene da lui. Una parte di me è ancora convinta che me ne volesse, che non fosse totalmente cattivo. Ma tutta questa esperienza mi crea difficoltà a  immaginare Nathan come una vittima innocente di tutto questo. A volte penso che sia davvero fuggito.”
“Tu lo credi?” chiese Chloe
Sam scosse la testa
“No, penso sia morto. Quel Jefferson deve averlo sicuramente ucciso. Insomma ha stuprato e assassinato Rachel Amber, mentre Jefferson non ha mai ucciso nessuna. Avrà voluto fargliela pagare per aver rovinato tutto, così lo avrà ucciso.”
Steph voleva fare un’altra domanda ma Chloe la anticipò
“Come sarebbe a dire ‘stuprato Rachel’?” chiese, tremante.
Sam spalancò gli occhi
“Scusa, non ricordavo più che tu e Rachel eravate molto amiche. Comunque, sono abbastanza sicura che Nathan, una volta che Rachel aveva perso i sensi, ne possa aver approfittato sessualmente. Era attratto da lei, in maniera morbosa. Lo avevo intuito nell’ultimo periodo in cui lo frequentavo. Da quello che ho sentito dai notiziari, sembra che questo desiderio morboso sia stato poi confermato, giusto?”
Steph annuì e ne approfittò per impedire a Chloe di fare altre domande
“A proposito di interessi morbosi, sai anche se Nathan aveva dei feticci per determinati posti o zone di Arcadia Bay? Qualcosa che, inspiegabilmente, lo attraeva?”
Sam ci pensò su per qualche istante
“Qualcosa si. Aveva una fissa per il cimitero di Arcadia, ma so che andava anche a quelli di Garibaldi e Bay City, ogni tanto. Andava anche in spiaggia, durante la brutta stagione, sperando di cogliere il momento in cui il mare e la vita marina sembravano più desolate e morte. Odiava la Blackwell ma era affascinato dal totem, per tutta la storia che aveva dietro. Ma so che preferiva più di ogni altra cosa il bosco dietro casa sua: non per la natura, ma per le carcasse di animali divorate da lupi e orsi. Se poteva, andava in cerca di quelle per fotografarle. Diceva che era una importante dimostrazione della natura senza il moralismo dell’uomo.”
Le ragazze si guardarono per un istante, poi tornarono a concentrarsi su Samantha. Max chiese
“Ti ci ha mai portato? Nei boschi, dico.”
“Svariate volte. Dietro casa sua, specialmente. Aveva una specie di spiazzo fra tre alberi, a circa cento metri dalla sua proprietà. Li andava spesso a meditare o osservare. So che ci ha seppellito un paio di uccellini, da bambino.”
Steph lanciò un’occhiata decisa alle altre due: era finita la sessione di interrogatorio. Passarono un’altra ora in compagnia di Sam, ordinando un secondo giro di cappuccini e ciambelle, stavolta, però parlarono di cose leggere e imbarazzanti per far ridere un po’ la loro ospite. Sam sembrava gradire moltissimo le storielle di Steph, anche se molte volte erano volgari. Apprezzò moltissimo quella in cui aveva avuto un flirt con la fidanzata di uno dei giocatori di football dell’università. In pratica, lei non aveva mai avuto un orgasmo con il suo ragazzo e Steph si vantò di averci messo sei minuti e mezzo soltanto per darle quella nuova sensazione. Si frequentarono per un paio di mesi, nemmeno tanto di nascosto dato che lui era convinto che la sua ragazza avesse bisogno di aiuto con lo studio. Un bel giorno però, spaventata dall’idea di essere giudicata male da tutta la scuola e dalle famiglie, interruppe bruscamente quella relazione clandestina, affermando che ora sapeva come ricevere piacere e non sarebbe stato difficile farlo capire al suo uomo. Risultato: si lasciarono una settimana dopo, perché lui si era scoperto omosessuale e l’aveva tradita con uno del club di lacrosse. Steph raccontò di come si fosse seduta nel tavolo accanto a quello di lei in cafeteria, il giorno dopo che fu scaricata, osservandola mentre sorseggiava maliziosamente un frappé e sorridendole divertita mentre lei le lanciava occhiate umiliate.
Si congedarono da Samantha che, nonostante loro avessero insistito per accompagnarla fino a casa, decise di tornare da sola. Questo, diede alle tre la possibilità di parlare subito tra loro.
“Quel verme ha stuprato Rachel!” tuonò Chloe
“Non lo sappiamo. Non ho letto il referto dell’autopsia, ma nessuno ne ha mai accennato.” disse Max “Potrebbe essere solo una congettura di Sam.”
“E di congetture ne abbiamo poche: fortunatamente ci ha dato molti fatti.” sottolineò Sam “Alcuni molto interessanti, anche. Direi che dovremmo chiamare Kristine e dirle che passeremo a trovarla il prima possibile.”
“Vuoi andare nei boschi dietro casa Prescott?” chiese Max
“Ovviamente.” affermò Steph “Ma sono onesta: non credo che il corpo sia lì. Ma potremmo trovare altro d’interessante.”
“Tipo?” chiese Chloe, ancora visibilmente irritata all’idea che Rachel fosse stata violentata
“Tracce, indizi, qualsiasi cosa possa suggerire che Nathan amava quel posto abbastanza da lasciare segni riconducibili ad altrove. Un posto abbastanza sicuro e nascosto per lui e interessante per Jefferson.”suggerì Steph.
Prima di andare dai Prescott, decisero di fermarsi a casa di Chloe a buttare giù un po’ d’idee. Rimasero a Eugene anche per pranzo, a base di hot dog al volo, poi ripresero la Corolla e la guidarono alla OE-6, direzione Arcadia Bay.
 
 
 
Nowak era esausto. Non sopportava più McKinsey, nonostante si conoscessero da anni. Quella rogna del processo a Jefferson lo aveva reso più nervoso, avido e spericolato. Lui non ci teneva a finire nella merda per causa di una paranoia immotivata di quel vecchio arrogante avvocato.
Si era dovuto appostare fuori dall’hotel tutta notte perché quel coglione aveva insistito sul fatto di ‘non mollare le ragazzine’.
Poi, aveva dovuto seguirle fino a Eugene, senza aver potuto chiudere occhio. Due ore e più di automobile, senza mezzo minuto di riposo, senza caffè. Cazzo che nervi.
Le aveva seguite fino a un chioschetto anonimo poi, all’improvviso, si unirono a una quarta ragazza che riconobbe come quella nella foto con il giovane Prescott, solo più cresciuta. Le seguì con cautela fino a un locale chiuso, ove si sedette a poca distanza da loro e riuscì a origliare quasi tutto.
Pareva che il giovane Prescott fosse un maniaco come quel fottuto Jefferson, quel maiale che il suo caro avvocato del cazzo voleva difendere.  La ragazza, quella chiamata Sam, sembrava davvero sconvolta dalla sua esperienza con quel pazzoide. Cristo, si augurava davvero che fosse morto! Non seppe ben capire, all’inizio, il perché di quella storia, ma poi verso la fine intuì: le ragazze cercavano di capire se Prescott avesse un altro luogo in cui nascondersi da tutti! O forse ne aveva uno che aveva ceduto a Jefferson? No, impossibile: lo avrebbero già scoperto.
Anche se Jefferson era stato maledettamente furbo: aveva smagnetizzato l’hard disk del suo pc e poi, il tornado imprevisto, lo aveva aiutato distruggendolo del tutto. Aveva anche fatto una discreta pulizia del suo telefono, a sentire le autorità ma Nowak era convinto di una cosa: non c’era nulla su suo telefono, poiché non usava quel telefono. Quello era troppo furbo per cadere in un errore così banale: ne aveva sicuramente uno usa e getta. Doveva dirlo a McKinsey? Forse.
Una volta che le ragazze ebbero terminato, attese un tempo ragionevole e poi uscì dal locale anche lui, ritrovandole e seguendole ma vide che si erano già divise e stavano facendo ritorno all’auto. Aspettò che se ne andassero prima di tornare sulla sua e seguirle, ma non ebbe fretta dato che era alquanto sicuro che sarebbero tornate a Bay City o direttamente ad Arcadia, a casa dei Price. Avevano solo quelle due destinazioni, se si escludeva la vecchia casa dei Prescott che, però, dedusse non fosse un reale rifugio per loro.
Tornato all’auto, accese e fece retro quando sentì un colpo al paraurti. Allarmato, smontò e vide un giovane massaggiarsi la gamba.
“Ci è mancato poco, eh?” disse il giovane
“Cazzo ragazzo! Poteva saltarti un femore! Stai bene? Non ti ho visto!”
“Colpa mia, colpa mia. Ero distratto.” rispose il giovane, sorridendo e sventolando il suo telefono.
“Io non ti ho proprio visto dallo specchietto. Sicuro di stare bene?”
“Si, certo. Solo una botta di striscio, nulla di grave. Sto bene, davvero. Lei è molto gentile, comunque. Grazie e mi scusi per il disguido signor….”
“Nowak” rispose il detective “Beh, se sei sicuro di stare bene, io andrei. Fai attenzione!”
“Sicuro!”
Nowak si rimise al volante e osservò attentamente il giovane, che si dileguava, mentre faceva retro. Lo intravide ancora, mentre saliva nella sua auto, una Mercedes nera. Dopodiché lo dimenticò, pensando solo che voleva dormire almeno un paio di ore.
Quello che non vide, era che il ragazzo era a partito a sua volta, seguendolo a debita distanza. Non aveva intenzione di farsi beccare né di seguirlo sul serio. Non importava se lo avrebbe perso: Adam aveva tutto quello che occorreva.
Con il vivavoce attivato, fece una chiamata. Dopo due squilli, la voce di Kristine Prescott rimbombò nell’auto.
“Dimmi.”
“Ho la targa. Ho fatto una foto con il telefono. Ma ho anche un nome: Nowak. Ti mando tuttavia sms. Poi, se non ti spiace, vorrei andare a dormire, Kristine.”
“Sei grande! Sì, fai pure. Da ora in avanti ci penserò io. Grazie mille Adam, sei un mito. Giuro che farò in modo che Martha cambi idea su di te e ti conceda un appuntamento.”
Adam ridacchiò. Cosa non si faceva per una donna!
Nel suo abitacolo, invece, Nowak aveva a che fare con la voce nervosa di McKinsey.
“Cazzo, la Myers! Perché? Cosa se ne fanno di quella?”
“Te l’ho detto, Mc: stanno scavando nel passato di Prescott. Non sembra che abbiano nulla in mano contro Jefferson.”
“Questo lo dici tu! Scavare su Prescott, è scavare su Jefferson! Se trovano qualcosa che lo possa compromettere…”
“Tu lo farai uscire ugualmente. Cazzo, quel merdone è un pericolo pubblico e dovrebbe stare in galera. Ora scopriamo che pure il ragazzo era pazzo come lui e tu ti ostini a volerlo scagionare per pulirti il culo sui giornali. Cristo Mc! Non eri così, anni fa.”
“Senti Nowak, fatti i cazzi tuoi! Se scoprono troppe cose su Prescott, possono girarle all’accusa, dimostrando che Jefferson potrebbe essersi approfittato dell’instabilità del ragazzo. Se trovano troppi elementi, potrebbero mettere il mio assistito nei guai. Vanno fermate prima che scoprano quel qualcosa che potrebbe spingere troppo in favore dell’accusa. Hai ancora la pistola che ti ho dato?”
“Si ma non mi dirai che..”
“Tienila a portata.”
“COSA? SEI IMPAZZITO? SONO RAGAZZINE, CAZZO!”
“Non mi fotte una sega se sono ragazzine, bambine o vecchie di merda: non mi farò rovinare da tre lesbiche. Non serve che spari, basta che le minacci se capisci che si sono spinte troppo in là, chiaro? Falle vedere i sorci verdi, ma tienile lontano dal caso. Demotivale, Nowak!”
Nowak digrignò i denti e ingoiò un sacco di brutte parole. Poi tentò la domanda
“McKinsey, levami una curiosità.”
“Dimmi.”
“La Amber è stata stuprata?”
“Cosa? Che cazzo c’entra?”
“E’ stata stuprata o no?”
“Non sono affari tuoi e non è una cosa che ti deve interessare.”
“Si o no, McKinsey!”
Pausa.
Silenzio.
“Non sono affari tuoi. Il fascicolo sulla Amber e sull’esame sul suo cadavere sono riservate fino al processo. Non ti dirò nulla.”
 
 
 
Casa Price.
Di nuovo.
Nella calura del primo pomeriggio, le ragazze si erano rintanate nella camera di Chloe, ormai divenuta il vero e proprio centro operativo delle indagini. Avevano preso dei fogli, su cui avevano annotato appunti sparsi su Jefferson e Nathan Prescott. Steph aveva portato il pc quella mattina perché aveva scritto tutto quello che Sam aveva detto loro. Si era scritta un file Word sulle confessioni intime della ragazza che ora stavano esaminando. I punti salienti erano scritti su carta, poi strappati e attaccati, con delle puntine, accanto al nome di Nathan, unendo tutti i foglietti con uno spago rosso tra le puntine. Avevano anche appeso, al centro della lavagnetta, una piccola mappa di Arcadia Bay che avevano trovato al centro commerciale: con l’imminente fine della ricostruzione, si erano cominciate a regalare delle piantine in scala ridotta della nuova Arcadia, in contrapposizione con la piantina della vecchia. Avevano piegato il foglio in modo da avere visibile solo l’Arcadia pre – tornado, cosicché potessero cerchiare i punti da loro ritenuti ‘interessanti’.
Avevano scritto a Kristine, chiedendo di poter passare a casa sua per aggiornarla. Non le dissero che volevano cercare nei boschi dietro casa sua, preferivano dirle tutto di persona. La Prescott accettò, ma le disse di passare dopo le quindici. Perciò, decisero di attendere i restanti quarantacinque minuti circa di attesa a casa di Chloe, per aggiornarsi con i loro pensieri.
“Dite che l’ha stuprata?” chiese Chloe
“No. Non lo so. Ammetto che è probabile che Nathan possa averlo fatto.” disse Steph, ancora china a rileggere le parole di Sam che aveva trascritto.
Max era in piedi, davanti alla lavagnetta, a rileggere tutte le loro riflessioni. Nulla di nuovo, cose già sentite o ripetute e note.
“Diciamo che ci sono le stesse possibilità che lo abbia fatto come non possa averlo fatto. Nathan si legava a pochissime persone e sapevamo che era affezionato, a modo suo, a Rachel. Ma la desiderava sessualmente e ha scritto anche parecchi murales offensivi in quel senso, sia alla Blackwell che altrove in Arcadia. Ma se ha praticamente stuprato Sam, che era la sua prima ragazza, non vedo perché non possa averlo fatto anche con Rachel, specie se lei era sotto effetto di droghe e vulnerabile.” commentò Max “Servirebbe l’esame dell’autopsia sul suo corpo per saperlo ma, perdonami Chloe per la schiettezza, questo non ci interessa. Che lo abbia fatto o meno, non è importante ai fini di quello che cerchiamo.”
Chloe strinse i pugni e serrò le labbra, ma annuì in segno di approvazione.
Steph staccò gli occhi dal pc e lanciò un’occhiata a entrambe le ragazze, prima di dire la sua
“Concordo con Max e aggiungo: temo che la storia di Sam sia stata un buco nell’acqua.”
“Cosa? Perché?” chiese Chloe
“Aspetto di vedere cosa troviamo nei boschi vicino casa Prescott, ma la sensazione è quella e ne sono già abbastanza certa. Sto rileggendo tutto e francamente, per quanto agghiacciante, non c’è nulla che possa indicare con precisione un posto in cui Nathan possa essere stato sepolto.”
“Questo è vero, ma non credo sia stato tutto inutile.” disse Max “
Steph fece le spallucce
“Come ho detto, è una mia sensazione. Spero e desidero di sbagliarmi tantissimo. Ma voglio vedere cosa potremmo trovare. Intanto, continuo la mia ricerca sulle vittime di Jefferson: forse avremo più fortuna con una di loro.”
Max andò a sedersi sul letto, accanto a Chloe. Le prese una mano, nel tentativo di calmarla un pochino. Sapeva che stava avendo pensieri orribili: non era facile per lei immaginare che vi fosse una concreta possibilità che Rachel fosse stata…...
Chloe, dopo qualche istante, ricambiò la stretta con affetto. Aveva recepito, compreso che Max era lì per lei.
 
 
Avanti, Max! Sai di aver capito qualcosa…. Sai di esserci arrivata vicino….. pensa!
 
 
Max si perse osservando il pulviscolo nell’aria. Lo seguiva impassibile, mentre roteava nella luce del giorno, disperdendosi, avvicinandosi, dilatandosi nello spazio.
Lo spazio….
 
 
……spazio… non tutta Arcadia Bay…… solo alcuni piccoli punti…… ci sono dei luoghi ben precisi, che potremmo ridurre per il tempo……ma occorre capire ancora qualcosa….comprendere ancora…..mancavano dei tasselli….piccoli, impercettibili frammenti che sarebbero serviti a ricomporre il quadro…..
 
 
Sentì il telefono vibrare nella tasca. Lo prese e rispose senza guardare chi fosse.
“Max? “
“David!” esclamò Max sorpresa  “Come mai questa chiamata?”
“Jefferson…. Lui…. Lui ha chiesto di vederti di nuovo…. Da sola….”


 
 
Kristine Prescott era seduta sulle scale interne di casa, che conducevano al piano superiore. La porta d’ingresso era spalancata, così poteva osservare se fossero arrivate le ragazze, parcheggiando l’auto davanti al marciapiede, come sempre. Inoltre, stava fumando una sigaretta e non intendeva impregnare le pareti di un pessimo odore. Stava elaborando, nella sua mente, le informazioni di Adam e la prossima mossa da compiere. Sapeva già cosa fare, ma non ne era totalmente certa: doveva agire con estrema cautela.
La situazione si era leggermente complicata, ma ancora pienamente sotto controllo ma lei desiderava che fosse sotto il suo totale controllo. Se avesse agito con calma e lucidità, tutto si sarebbe sistemato.
Poco dopo, vide una macchina blu parcheggiarsi davanti casa. Rimase inizialmente perplessa nel vederla, ma poi notò che vi era alla guida quella ragazza di nome Steph. Finalmente, avevano seguito il suo consiglio e tolto di mezzo il pick – up. Troppo tardi, però. Ma poteva rimediare.
Spense la sigaretta nel posacenere accanto a lei, adagiato sul gradino di legno. Si alzò, prese una gomma da masticare dalla tasca e si avviò verso il trio, salutandole con la mano.
“Bentornate, di nuovo, a casa Prescott. Per te Steph, invece, benvenuta.”
“Cazzo, sembra veramente bella!” esclamò la ragazza
Kristine sorrise. Non per orgoglio, ma perché quella nuova arrivata era sicuramente un essere umano genuino e spontaneo. Le piaceva sempre di più.
“Se vuoi, puoi fare un giro. Ma penso, da quello che ho capito, che non vi interessa la casa, oggi.”
“Esatto.” disse Max
Kristine vide nel volto della Caulfield un’irrequietezza molto marcata. La voce le sembrava più debole e tremolante. Avevano scoperto qualcosa di scomodo o era successo un fatto che l’aveva turbata. Lanciò una rapida occhiata a Chloe.
Lei era la contrapposizione di Max in tutto e per tutto, anche quando stavano male: se qualcosa urtava Max, Chloe reagiva in maniera palese e contrapposta. Difatti, vide i muscoli del collo e della faccia della ragazza dai capelli blu, tesi e le labbra erano volutamente lasciate impassibili ma nascondevano malamente una angoscia non sua.
“Ok. Andiamo allora!!”
“Aspetta Kris.” disse Chloe con tono neutro ma fermo.
Kristine si voltò sorpresa.
‘Kris’??
Da quando la chiamava così??
“Si, Chloe?”
“Ci servirà un badile. Per sicurezza.”
Ne recuperarono uno dal garage, ancora intatto. Kristine aveva in mano di vendere pure quello, ma forse non ci avrebbe ricavato granché, perciò poteva anche usarlo, tanto non avrebbe cambiato di molto l’introito che poteva garantirle.
Una volta recuperato l’attrezzo, le guidò sul retro della casa, poi nel bosco limitrofo, che iniziava a pochi metri dal confine abitativo. Benché non fosse di proprietà dei Prescott, ma del Comune, la sua famiglia aveva disposto di quella vegetazione come voleva.
Ricordò ancora quando suo padre, in mezzo alla boscaglia, tentò di insegnarle tiro con l’arco. Una volta, aveva pensato di costruire una casa sull’albero per Nathan, salvo poi cambiare idea perché riteneva che Nathan fosse troppo grande per simili sciocchezze. Ma lei sapeva il perché di quel cambio di idea: non era mai stato un padre realmente interessato e non voleva che il suo unico garante di successione del cognome andasse perduto. Odiava Nathan, ma il suo retaggio tornava utile al vecchio Sean.
Arrivarono, infine, al vecchio familiare spiazzo tra gli alberi, una specie di piccola piazza semicircolare naturale, nascosta ma non lontano da casa.
Vide subito Steph e Chloe mettersi all’opera, studiando gli alberi in cerca di segni o incisioni, mentre Max si avvicinava a lei.
“Qui ha seppellito qualcosa, vero? Tuo fratello, dico.”
Non si stupì della domanda. Dopotutto, avevano chiesto un badile!
Indicò un punto imprecisato alla sua sinistra.
“Si, un pesciolino o un canarino, non ricordo. Comunque il primo e ultimo animaletto domestico di Nat. L’ha seppellito qui, da quella parte, da che io ricordi. Ma dubito che troverete qualcosa. E poi, non penserete mica che possa essere stato sepolto anche lui qui?”
“No. O meglio, non lo sappiamo. Poco probabile che Jefferson abbia avuto il tempo per farlo e passare anche inosservato. Speriamo che tuo fratello abbia seppellito altro qui in zona. Qualcosa che possa tornare utile.”
“Come avete saputo di questo posto, Max?”
Quella domanda le era nata dal momento esatto che, al telefono, le avevano comunicato che intendevano visitare quel preciso punto. Perché? E soprattutto: come lo avevano saputo??
Max si dondolò sulle punte per un istante, poi le spiego tutto quello che aveva detto loro questa Samantha Myers, la ragazza della foto che avevano trovato in camera di Nathan e della quale avevano parlato insieme.
Kristine si sentì mancare la terra sotto i piedi. Per un secondo, ogni sua certezza venne meno e si sedette a terra, contro un albero.
“Mio fratello…..lui era davvero…. Porca troia…” borbottò confusa “Stava male, ma non credevo fosse così malmesso da tanto. Non ha avuto solo un crollo definitivo dopo la morte di Rachel, lo aveva già in corso. Semplicemente non portava più la sua maschera.”
Max s’inginocchiò di fronte a lei, adagiandole delicatamente una mano sulla spalla
“Credimi: mi dispiace davvero. Non so quanto Nathan fosse… malato, ma non so davvero come abbia fatto tuo padre a ignorare volutamente tutti questi segnali. Forse solo con Samantha aveva queste esplosioni ma lo ritengo comunque poco probabile, visto che andava in terapia. Sicuramente segnali molto forti ce ne erano già. Mi dispiace che tu lo abbia dovuto sapere.”
Kristine nascose il volto tra le mani per qualche secondo, tentando di riflettere e riappacificarsi con se stessa.
Lei lo sapeva ma lo aveva ignorato? No.
Aveva creduto che, nonostante tutto, suo padre stesse facendo curare suo fratello nel modo migliore? Mai, nemmeno per un minuto ci aveva creduto.
Eppure, non immaginava nemmeno lontanamente che suo fratello avesse già iniziato a cedere e diventare così feroce con una ragazza indifesa che, come sola colpa, aveva quella di volergli bene.
Non poteva accettarlo e nemmeno negarlo. Chi era suo fratello?
Si riprese, si rimise in piedi e sbuffò
“Max? Chi era davvero mio fratello, secondo te?” chiese di getto
La ragazza la osservò confusa e dubbiosa. Poi, con molta insicurezza e timore, le rispose
“Credo fosse solo un ragazzo con dei grossi problemi, non capito e trascurato da ogni persona adulta che ha incontrato. Tua madre l’ha abbandonato, tuo padre lo sottometteva, tu lo hai abbandonato. Aveva bisogno di aiuto ma era troppo orgoglioso per chiederlo e se mai lo avesse fatto, non lo avrebbe ricevuto nella forma che necessitava. Sì, medicine adeguate e dottori lo avrebbero aiutato, ma gli serviva una famiglia. Se mi stai chiedendo se fosse cattivo dentro di sé, totalmente marcio, ti risponderei che non lo so. Non credo, visto il suo ultimo messaggio. Penso fosse solo spaventato e molto, molto deluso dal mondo.”
Kristine annuì
“Ma questo non lo giustifica. Non con quello che ha fatto a Samantha e Rachel.” aggiunse la Prescott.
“Non dimenticarti di Kate Marsh!” strillò verso di loro Chloe.
“Direi che vi sfugge anche un piccolo dettaglio.” disse Steph “A scuola è finito nelle grinfie di Jefferson. Un ragazzo confuso, arrabbiato, deluso e con enormi sensazioni di abbandono amplificate dai suoi disturbi era una bomba pronta a esplodere. Aveva bisogno di una miccia ma quella è stata la morte di Rachel, causata da lui stesso. Chi ha maneggiato quella bomba di tuo fratello abbastanza a lungo da farlo scoppiare e approfittarsene abbastanza, contenendolo finché ha potuto? Mark Jefferson. Prima gli ha fatto da finto padre, l’ha accolto e ascoltato, se lo è resto amico. Poi ha ottenuto ciò che voleva, ha finto di istruirlo solo per fare di lui quello che meglio ha creduto. La tua famiglia ha pagato ogni assurda richiesta di Nathan senza sapere che erano solo volontà di Jefferson. Per questo, ora, risultate complici. Tuo fratello è stato una delle vittime, prima che complice. Deve essersene accorto a un certo punto, dato che ha voluto fare di testa sua con Rachel. Voleva sentirsi accettato da Jefferson, di nuovo. Aveva intuito che non c’era più quel rapporto di cui tanto aveva bisogno. Rachel è più vittima di Jefferson che di tuo fratello, così come Kate Marsh. Sempre se quello che ho letto e ciò che mi hanno detto queste due sia tutta la verità.”
Kristine sorrise
“Non finisce di stupirmi questa vostra amica. Fredda analisi ma degna di un film poliziesco. Brava Steph, mi hai quasi tirato su di nuovo il morale.”
Steph fece le spallucce
“Sapessi cosa potrei farti, se solo tu me lo permettessi, mia bella Prescott.”
Lei e Chloe avevano scavato alla base di uno degli alberi più lontani, verso nord. Avevano trovato un piccolo segno sulla corteccia, quasi svanito a causa del tempo e della crescita della pianta, ma ancora abbastanza leggibile. Sembrava una sorta di croce e una lapide: lì sotto doveva trovarsi il vecchio animaletto domestico di Nathan ma la speranza che fosse stato sepolto in quel punto anche lui era risultata presto vana. Steph aveva intuito che era il posto sbagliato e così si era rivelato tale.
Tornarono entrambe verso le altre due, Chloe con badile in spalla e visibilmente sudata.
“Non ha senso che fosse qui, ma valeva la pena tentare per togliersi i dubbi.” disse Steph “In fondo, per tempistiche, non poteva combaciare. Aggiungiamo anche il fatto che non poteva non essere notato, se avesse lasciato la sua auto qui in zona e poi avesse trascinato un cadavere nella boscaglia per poi seppellirlo e tornare indietro, fino alla Blackwell. Davvero impossibile che fosse il sito giusto.”
“Ma poteva esserci altro.” sottolineò Chloe, che non accettava il buco nell’acqua
“Penso che dovremmo ricominciare.” concluse Max “Questa storia ci sta portando da qualche parte: dobbiamo solo capire la direzione.”
Kristine sbuffò
“Non importa, ragazze. Vi state impegnando alla grande e va bene così. Se troverete mai mio fratello o qualcosa che possa aiutare la polizia a rintracciarlo, sarà una vittoria ma, se così non fosse, sarà comunque stato tutto positivo: almeno voi vi state sforzando, a differenza delle forse dell’ordine, specie negli ultimi mesi. Se aggiungiamo anche che voi siete le ultime persone al mondo che vorrebbero collaborare con una Prescott… in ogni caso, non potrò che esservi debitrice.”
Chloe adagiò il badile con la punta a terra e lo porse a Kristine, che lo rifiutò con gesto della mano.
“Tenetelo voi. Non si sa mai, magari sarà di buon auspicio!”
Le accompagnò alla macchina, poi si fermò sul marciapiede a osservare il loro veicolo svanire dietro una curva. Oggi sembrava che nessuno le stesse seguendo. Meglio così: presto avrebbe detto la sua in merito.
 
 
Rientrate al Seaside, Chloe e Steph si erano cambiate e tuffate in piscina, mentre Max si limitò a immergere le gambe dentro la vasca, tenendo su gli shorts e una canotta leggera.
Tutte e tre erano di umore più cupo, specie Max che era, se possibile, più sconfortata che mai.
“Quindi siamo punto e a capo.” mormorò “Tutto quanto non ci ha portato a niente..”
“Se non a sottolineare quanto Nathan fosse grave e che questa storia è un vicolo cieco.” borbottò Chloe
Steph, che era ammollo nell’idromassaggio, mosse pigramente la testa verso le altre due.
“Ma vi ascoltate? La smettete di essere cosi deprimenti. Vi sta sfuggendo un dettaglio fondamentale.”
Chloe, incuriosita, chiese di quale dettaglio stesse parlando. Steph, per tutta risposta, sorrise raggiante.
“Me, naturalmente.”
Max abbozzò un sorriso poco convinto.
“Su una cosa hai ragione: forse siamo troppo coinvolte. Queste nuove informazioni su Nathan non ci hanno lasciato che l’amaro in bocca e messo in difficoltà nel ragionare.”
“Per questo ho detto che sono io il vostro dettaglio, Max. Chloe, anche se non lo ammette, è sconvolta. Tu, invece, sei più spaventata che mai e il tuo livello di ansia si sta alzando.”
Chloe, presa un po’ di energia, esclamò
“Steph non lo faccio apposta, ok? L’idea che possa aver fatto… quella cosa a Rachel… cazzo, non solo me l’ha ammazzata, ma potrebbe averla anche…”
“E Sam?” la rimbeccò Steph con decisione “Si, mi spiace per Rachel, per carità. Pessima fine e non posso darmi pace al pensiero che se ne sia andata così ma, per rispetto, dovremmo pensare anche a quello che ha passato Sam. So che ti farò incazzare, ma Rachel si era infilata volontariamente in un sentiero pericoloso, frequentando Nathan e spacciando. Cazzo, Samantha no! La vostra amica Kate, nemmeno. Non è giusto nemmeno per loro due, ragazze. Che colpe avevano loro, che nemmeno si sognavano di spacciare o altro? Sam voleva solo essere amata da lui e guarda cosa ha passato. Su, riprendetevi e datemi una mano a scovare qualcosa.”
Chloe voleva ribattere ma, stranamente, si zittì da sola. Max, invece, prese l’iniziativa
“Non so, Steph. Sento che ci siamo. Mi sembra che la soluzione sia qui, davanti a noi, lampante e chiara ma che ci sfugga. Come se si stesse sbracciando per attirare la nostra attenzione eppure non la vediamo. Cosa ci manca?”
Steph si appoggiò a bordo vasca a riflettere
“Secondo il tuo ragionamento, niente. Anzi, abbiamo tutto ma non lo vediamo. Ed è qui che vi volevo: abbiamo tutto nelle nostre mani ma dovete seguirmi, ok? Lo so che cosa ho detto, lo so che non potreste essere imparziali però ho bisogno di voi, anche.”
Chloe alzò le braccia al cielo, facendo partire schizzi di acqua e cloro in ogni direzione
“Come?! L’altra volta Max ed io non avevamo nulla e abbiamo trovato Rachel. Max è stata fredda abbastanza da arrivarci, io fin troppo arrabbiata per non capirlo. Ora siamo qui, sotto shock, con meno elementi e meno aiuto se non il tuo.”
“Anche Kristine, Chloe. Credimi, vi sta dando una mano enorme, solo che non lo notate.”
“OK, ok ma a me non sembra che siamo nella stessa situazione della volta scorsa, anzi: mi sembra che siamo fottute alla grande!”
“Chloe, dimentichi ancora una cosa: rispetto alla volta scorsa avete più libertà di azione, più mezzi e meno ostacoli. Soprattutto, come ha detto Max, la soluzione è qui. Sono sicura anch’io di questo, perciò sforziamoci. Manca davvero poco, sono certa che scoveremo qualcosa.”
“Cosa?” sbottò Chloe “Cosa pensi che potremmo trovare? Nessuno può saperlo. Nessuno!”
“Tu dici?” rispose Steph con un sorriso sornione “Jefferson lo saprà di sicuro.”
“Certo, Steph. Anzi, perché non andiamo e chiediamoglielo direttamente?” sibilò Chloe, sempre più insofferente.
Steph, invece, pareva divertirsi. Uscì dalla vasca, sfoggiando il suo fisico asciutto in uno striminzito costume da un solo pezzo, arancione evidenziatore, retaggio di un corso di nuoto che frequentò due anni prima.
Mise le mani sui fianchi e, fissando entrambe le ragazze, disse
“Non glielo chiederemo: sarà lui a dirlo.”
Chloe ridacchiò nervosa, Max la fissò stupita e le chiese
“Come?”
Steph alzò le mani, in segno di attesa
“Prima seguitemi con il ragionamento, ok? Dunque, sappiamo che Jefferson ha sfruttato Nathan. Storia sentita e risentita: lui ha visto la debolezza, la mancanza di una figura paterna, accesso al patrimonio dei Prescott bla bla bla. Ok ci siamo e lo sappiamo. Analizziamo tra le righe. Jefferson non era uno sprovveduto: probabilmente sono anni che andava avanti a fare questo schifo con le ragazze e la lista delle vittime lo confermerebbe, perciò perché focalizzarsi sul Prescott più instabile e imprevedibile? Possibile che non avesse calcolato il rischio? Certo che no, lo sapeva eccome. Ed ecco perché gli è stato molto vicino, anche se discretamente. Voleva rassicurarlo il più a lungo possibile, ritardare il suo crollo mentale finché non fosse stato più necessario averlo intorno. Però non ha previsto la variabile ‘Amber’, che ha sconvolto, o accelerato, i suoi piani, fino a farlo scoprire. Parliamoci chiaro: se Nathan non avesse fatto quello che ha fatto a Rachel, probabilmente Jefferson sarebbe andato avanti tranquillo per almeno un altro anno e la nostra Max sarebbe nella sua collezione. Ma secondo me c’è di più. Se lo aveva previsto, se aveva capito che non avrebbe potuto gestire a lungo Nathan, doveva esserci un motivo. Aveva già predisposto tutto: il finto alibi per farlo sembrare un fuggitivo, un luogo dove seppellirlo che sono sicura non è lo stesso dove potrebbe trovarsi ora, visto che quello forse è stato troppo improvvisato e accelerato per le tempistiche e, soprattutto, molte più prove a carico dei Prescott. Pensateci: in poche ore aveva già creato tutto questo? La sua difesa è troppo solida, troppo perfino per un uomo scaltro come Jefferson. Certo, alcuni eventi potrebbero averlo aiutato ma, pensandoci bene, sono troppo solidi. Non è il suo avvocato a essere un fenomeno ma la sua capacità di anticipare la follia di Nathan. La sola cosa che ha cambiato è il  luogo di sepoltura del ragazzo ed è su questo che dovremmo concentrarci: ha commesso un errore gigantesco, eppure non lo vediamo.”
Max pendeva dalle sue labbra ma, ora, aveva un dubbio
“Se aveva previsto tutto, perché rischiare così tanto? Perché non incastrarlo appena morta Rachel? Avrebbe avuto più senso, no?”
Steph le lanciò un sorrisetto compiaciuto: aveva già una risposta.
“Un professore che svanisce di colpo, abbandona il posto di lavoro così generosamente offerto dai Prescott? Soprattutto: scappa dai Prescott così? Senza prove sufficienti per impedire a Sean di metterlo nei guai? Nah, non era il caso. Jefferson è metodico, freddo e un eccellente calcolatore: un cazzo di ragno. Ha tessuto la sua tela e ha atteso. La morte di Rachel era il campanello d’allarme, il segnale che doveva chiudere con Arcadia però prima, andava chiuso il capitolo più ingombrante: i Prescott. Loro sapevano che era molto vicino al figlio, dunque era necessario svincolarsi il più possibile da loro e metterli nei guai. Prima cosa: la foto di Nathan con il cadavere di Rachel. Quella avrebbe garantito un bel punto di forza per tenere a bada Nathan per un po’, anche a costo di stressarlo e renderlo più instabile. Altra cosa: non destare sospetti, mantenere la sua maschera di bravo professore, stimato fotografo e benvoluto dagli studenti. Direi che ci è riuscito no? Nel frattempo, per soddisfare se stesso e aumentare il carico di colpe sui Prescott, continuare con le sessioni nella Dark Room. I raccoglitori trovati non sono completi, giusto? La lista di vittime che mi avete passato è molto, molto più lunga di quelle che sono state trovate nei raccoglitori, scelta non casuale: dovevano combaciare con l’instabilità di Nathan, esplosa da poco tempo. Inoltre, le ultime erano tutte studentesse della Blackwell che rotavano attorno a Nathan Prescott: Rachel e Victoria erano nel Vortex, Kate è stata avvicinata e poi bullizzata da Victoria. Collegamenti sottili ma che conducono tutti a Nathan. Se aggiungiamo che David lo aveva beccato come ‘spacciatore’ della scuola e scommetto che Jefferson ne era al corrente, dato che Chloe mi ha accennato che David sembrava fidarsi abbastanza di lui, direi che il quadro per incastrare definitivamente il piccolo rampollo disturbato era quasi completo. Serviva solo più tempo. Ma qui interviene una variabile ancora più pericolosa della morte di Rachel…”
Sorrise.
Sembrava una gatta che giocava con due topi. Steph indicò prima Max e poi Chloe con il suo dito indice.
“Voi due siete entrate nella Dark Room. Voi due sapevate.”
“Pensavamo fosse Nathan, però!” esclamò Chloe “Non Jeffers….oh cazzo…”
“Esatto, punk turchina: hai fatto centro e ti sei resa conto che il mio ragionamento fila. Solo che voi due non dovevate esserci in quella stanza, ma avevate comunque creduto che il colpevole fosse Nathan. Questo era l’effetto che voleva ottenere.”
“Ma le foto…” disse Max “Come poteva tenere la foto di Nathan con Rachel nello stesso posto che frequentava anche Nathan stesso? Poteva distruggerla in ogni momento, no? Sempre che…”
“Non avesse copie.” concluse Chloe “Ma su quel pc non ve ne erano. David ha detto che nei file contenuti, non c’erano copie digitali. Le stampava poi cancellava ogni contenuto in maniera impeccabile, tant’è che hanno ritrovato pochi resti. Mentre il pc personale di Jefferson è…. E’ ANDATO DISTRUTTO. CAZZO, STEPH!” esclamò Chloe, sbalordita “Vuoi dirmi che…”
“Aveva previsto tutto? Certo ma, come ho già detto, non voi due.” ripeté Steph
“Ma perché noi saremmo state la sua variante imprevista più pericolosa? Se non c’era nulla su quel pc che potesse incastrarlo, perché temerci?” chiese Max ma, vedendo sempre il viso soddisfatto di Steph, dedusse che la ragazza aveva già una risposta anche a questo quesito.
“Max, perché Jefferson vuole tanto incontrarti, secondo te?”
“Perché ero, potenzialmente, la sua vittima prediletta.”
“Errore. Eri la prima che avesse scelto personalmente dopo Kate, ma forse preferiva più di lei perché tu sei molto appassionata di fotografia e poteva avere, per la prima volta, una connessione con una vittima. Perché vuole rivederti, secondo te?”
“Non saprei. Eccitamento? Pressarmi psicologicamente?”
“Anche. Quando ha detto che vorrebbe vederti?”
“Dopodomani, di mattina.”
“Bene. Conferma e poi non ci andrai.”
“Ovvio che non ci andrà. Col cazzo che rivede quel maniaco. Meglio per lui che nemmeno io lo riveda.” intervenne Chloe “Ma perché confermare?”
“Tortura psicologica.” disse Steph “Come ho detto: sarà lui a dirci quello che vogliamo.”
“Come pensi di fare se Max non la lasci andare, allora?” sottolineò Chloe
Steph si avvicinò al bordo piscina e sorrise a Chloe
“Perché dobbiamo giocare al suo stesso gioco. Andare da lui, cupe e toste, non servirebbe a niente. Dobbiamo torturarlo. Lui ha smania di vedere Max! Un secondo incontro in pochissimi giorni? La brama tantissimo e ha molta, troppa fretta di vederla. Dobbiamo pressarlo, torturalo e negargli quello che vuole, in modo tale che ceda e possa scoprire il fianco. Allora lo colpiremo.”
“Ma questo potevamo farlo con due mesi a disposizione, non con una manciata di giorni all‘udienza. Non faremo mai in tempo, lui non cederà mai.” la rimbeccò Chloe
“Errore.” disse Steph, scuotendo il dito in senso di diniego “Se avesse avuto più tempo, ci avrebbe massacrate e questo giochino non avrebbe funzionato. Ma con poco margine, lui ha più terrore e bisogno.”
“Terrore? Non era eccitamento?”
“Hai già dimenticato cosa ho detto poco fa? Siete la variabile non prevista e pericolosa. Il bisogno di vedere così urgentemente Max in così poco tempo dall’ultima volta non è una cosa che risponde ai soli bisogni di un maniaco, anche se calzerebbe a pennello: voi due siete state nella Dark Room e lui lo sa. Avete maneggiato quel pc e sa anche questo.”
“Ma non c’era nulla!” esclamò Chloe esasperata “Ho cercato ma non c’erano file compromettenti!”
Steph le rivolse un sorriso ancora più ampio con due occhi luminosi
“Si…. Ma lui non lo sa….”
Nella mente di Max si accese un lume: aveva capito dove voleva andare a parare Steph!
“Jefferson crede di aver lasciato qualcosa e pensa che noi potessimo avere visto in quel pc un dettaglio che, inconsapevolmente, potrebbe incastrarlo. Lui vuole essere sicuro di non aver lasciato niente in quel pc!” espose Max, trionfalmente.
Steph batté le mani in segno di approvazione. Aveva fatto centro.
“Lui è un cazzo di maniaco del controllo e metodico, come vi ho detto. Un ragno che lascia la sua ragnatela e vede da lontano due insetti che entrano. Ha paura che possiate aver trovato qualcosa, anche una briciola insignificante. Non importa se non avete trovato nulla: non cambia la sua ansia. Lui ha il terrore che possiate ricordare qualche dettaglio, anche inconsapevolmente, che possa fregarlo.”
“Ma ce lo avrebbero chiesto, no?” disse Chloe
“Sì, ma voi avete fornito una generica testimonianza poi non avete più parlato, corretto? Nella situazione attuale, se domani vi fosse la prima udienza, la difesa prevarrà. Inevitabilmente, per quanto voi potreste protestare, l’accusa vi vorrà far testimoniare in aula, ponendovi domande più specifiche e con prove materiali davanti a voi. Un interrogatorio diverso, non quello che potreste affrontare con la sexy agente latina dell’Fbi o con la polizia, prima del processo. Parliamo di un interrogatorio in tribunale, da avvocati professionisti, McKinsey che tenterebbe di confondervi e quelli dell’accusa di farvi riemergere dettagli. In quel momento, una di voi potrebbe dire qualcosa, dire quel dettaglio che non esiste ma lui crede di si. La sua ansia di non aver avuto il controllo per qualche ora e di non aver rimediato a voi due, che siete scampate alla trappola e poi siete finite a Seattle, lo starà logorando. Vuole sapere se ha commesso un errore, perché lui potrebbe non aver avuto il tempo necessario, per essere sicuro di aver fatto tutto correttamente. Lo stronzo è in trappola e ci è finito da solo. Ora dobbiamo torturalo con la sua stessa fredda logica.”
Max era raggiante. Steph era una fottuta mente geniale.
“Gingrich lo ammetto: ti sei guadagnata una notte di fuoco con Max.” disse Chloe ridacchiando, salvo poi sottolineare che stava scherzando, quando vide Steph tuffarsi e nuotare verso Max.
 
 
Parcheggiò la Dodge fuori dalla stazione di polizia di Tillamook.
Kristine Prescott scese dall’auto, vestita in maniera anonima e con pesanti occhiali da sole. Non intendeva farsi riconoscere e, pensò, che usare la Dodge era stata una pessima mossa in quella direzione.
Si fermò a pochi passi dall’ingresso e attese, accendendosi una sigaretta.
Poco dopo, uscì l’uomo che stava cercando.
“Mi hanno detto che mi cercava, miss Prescott.” disse David Madsen, allungando la mano per presentarsi “David Madsen, come posso esserle utile?”
Kristine sorrise e ricambiò la stretta con energia. Notò la presa dura e sicura di David e approvò: niente galanteria e molta decisione. Magnifico.
“Kristine Prescott. Sì, credo che lei possa essere l’unico in grado di aiutarmi.”
David la squadrò con un viso dubbioso
“Non ci siamo già visti? Lei non era la ragazza che aspettava la mia figliastra e la sua amica fuori dall’ospedale?”
Annuì. Non vedeva perché doveva negare.
In fondo, il motivo per cui era lì aveva bisogno di uscire, parzialmente, allo scoperto.
“Si: gradivo conoscere sua figlia e la sua amica. Sa, con tutto quello che è capitato….”
“Avrà notato che non sono molto inclini all’amare i Prescott dopo che… beh, lo saprà meglio di me.”
“Direi che potrei saperne qualcosa, si. Fortunatamente, credo di aver chiarito abbastanza con le due ragazze, tant’è che sono mie ospiti al Seaside e sono venute  a cena da me. Una tregua non armata giova a tutti, in questo momento. Non crede, signor Madsen?”
Non se la bevve. Lo capì dallo sguardo. Ottimo, Madsen era anche sveglio. Approvò di nuovo.
“Sì, immagino di sì, signorina Prescott.” rispose David, noncurante del pensiero di Kristine “Ma tornando a noi: come mai necessitava proprio di me?”
Kristine porse un foglietto bianco, ben chiuso, a David che lo aprì e lo lesse.
“E’ un numero di targa, con una breve descrizione del veicolo e il cognome del guidatore, tale Nowak. Vorrei che potesse controllare che tutto combaci e, nel caso, fornirmi dettagli su questo Nowak.” spiegò Kristine, senza aspettare che David finisse di leggere.
Dal canto suo, David si prese il tempo per leggere e annuire con calma.
“Beh, questo può farlo un qualsiasi agente già qualificato e in servizio. Come ben saprà io entrerò ufficialmente nel corpo di polizia di Arcadia Bay da Settembre. Per ora sto solo dando una mano. Se vuole le consiglio un bravissimo poliziotto che è molto rapido in queste..”
“Deve farlo lei, signor Madsen.” disse Kristine con decisione “E riferirà lei personalmente a me, me soltanto.”
David incrociò le braccia
“Perché? In che guaio ha cacciato mia figlia?”
Lieta che avesse gettato la maschera, Kristine si rilassò e sorrise, pronta a spiegare almeno una mezza verità
“Nessuno, a dire il vero. Ho solo il sospetto che questo signore stia infastidendo le ragazze.”
“Fingerò di crederle, tanto appena salterà fuori chi davvero sia questo Nowak, dovrà comunque darmi una spiegazione. Non crede?”
“Posso dirle soltanto che tengo a Max e Chloe, per quando queste parole dette da una Prescott non contino molto, semmai possano generare più dubbi che altro. Sono onesta e voglio capire chi sia e cosa voglia da loro.”
“Cosa le ha commissionato, signorina Prescott? Se quello che mi ha detto è vero, Chloe per fidarsi di una con il suo cognome deve aver ricevuto qualcosa o sentito qualcosa di estremamente convincente.”
Kristine non riuscì a trattenere un sorrisetto
“Diciamo che stanno sbrigando un favore a me e, che mi creda oppure no, anche a loro stesse. Stiamo smantellando il nome dei Prescott, ma ho paura che qualcuno non sia del tutto d’accordo. Se tutto va come spero, il retaggio della mia famiglia finirà presto, qui in Oregon. Voglio solo accelerare questo evento. Per il bene di tutti.”
David la fissò dubbioso. Infilò in tasca il foglietto, sospirando rassegnato
“Non so perché debba fidarmi, ma le voci su di lei sono molte e sembrano ben fondate. La Prescott Ribelle, la chiamano. La Prescott controcorrente, la caritatevole. Non sembra proprio parte di quella famiglia.”
“E’ il più bel complimento che potesse farmi.” rispose Kristine, prima di prendere una boccata dalla sua sigaretta “Spero che, anche lei, possa fidarsi di me abbastanza da trovarmi quel Nowak. Al resto, penserò io.”
“Mi dica solo una cosa e sia sincera: le ha infilate in qualcosa di pericoloso o…”
“Assolutamente no. Se lo fosse, le avrei già richiamate. Per quello sono qui: prendo precauzioni e fermo una potenziale problematica.”
Silenzio. Si osservarono per qualche secondo.
“Mi vorrei fidare ma ho bisogno di garanzie più solide: mi assicura che al Seaside sono al sicuro e non possono essere seguite o infastidite, se la situazione dovesse degenerare?”
“Loro non lo sanno ma sono in un bunker. Non rischiano niente.”
Davi annuì, rifletté un altro paio d’istanti, poi allungò di nuovo la mano. Anche stavolta, Kristine la strinse con entusiasmo. Avevano un accordo.
“Solo un ultimo favore, signor Madsen: non dica nulla alle ragazze. Questo sarà il nostro piccolo affare segreto.”
“Paura di scoprire la reazione di Chloe, vero?”
“Anche per quello, in effetti.”
Risero, mentre il tramonto scendeva sulla costa dell’Oregon, illuminando d’arancio il cielo e portando un altro giorno a morire.

 
 
 

 
14.
 
 
Quella sera, dopo la cena al ristorante del Seaside, il trio scelse una passeggiata all’aperto.
Dopo la chiacchierata in piscina, l’umore di tutte era notevolmente migliorato e non potevano far altro che ignorare qualsiasi argomento che ricordasse loro la scoperta di un cadavere o incastrare un maniaco che le attendeva chiuso in una cella.
Volevano distrarsi da tutto e da tutti, perciò uscirono a godersi l’aria frizzante estiva che l’oceano riversava intorno alla cittadina.
Si diressero verso il Griffin Memorial Park di Bay City, poco lontano dal loro hotel. Li, poco fuori i confini del parco, vi era un venditore ambulante di gelati. Chloe offrì a tutte dei coni giganteschi e continuarono la loro passeggiata, entrando nel parco.
Nonostante fossero quasi le ventidue e fosse estate, con una piacevole temperatura ad accompagnare il buio notturno sceso da poco, si meravigliarono di quanta poca gente fosse presente. Si poteva pensare che fosse deserto, il parco, da quanto era desolato.
Si sedettero su una panchina a finire i loro gelati e a perdersi in chiacchierate. Steph, come sempre, faceva battutine sconce a entrambe, soprattutto a Max che, prendendo più confidenza con la nuova arrivata, iniziava a risponderle a tono.
“Se vuoi, puoi assistere la prossima volta che io e Chloe saremo in intimità.” disse “Siccome dirigevi gli spettacoli teatrali, ti potresti occupare delle luci.”
Chloe scoppiò a ridere e anche Steph che però rispose a Max
“Beh dicevo anche agli attori dove stare. Spera che non ti dica dove vorrei che ti mettessi, Caulfield: potrebbe piacerti.”
Dopo una mezz’ora abbondante, decisero di tornare indietro.
Poco prima dell’uscita del parco, un uomo sbucò alle loro spalle e afferrò Max, strattonandola con violenza.
“TORNATENE A SEATTLE, STRONZA!”
Steph e Chloe si voltarono all’istante. Videro Max bloccata per il collo da un uomo alto, magro, con il viso nascosto da una bandana e occhiali da sole vecchio stile. Poteva sembrare ridicolo, ma la pistola semiautomatica nella sua mano sinistra e puntata contro le costole di Max era fin troppo seria.
“Lasciami, stronzo!”gracchiò lei
Chloe strinse i pugni e fece per lanciarsi ma fu anticipata da Steph che, con uno scatto e una finta, si agganciò al braccio armato dell’aggressore.
“Lasciala, stronzo!”
“TORNATEVENE NEL VOSTRO STATO, PUTTANE!” gridò, mentre cercava di liberarsi di Steph e, al tempo stesso, trattenere Max. Chloe ne approfittò per assestare un cazzotto in pancia all’uomo, che mollò la presa su Max. Steph, invece, prese vigore e cercò di strappargli l’arma. Divincolandosi dalla lotta, strattonò ripetutamente la minuta ragazzina, mentre con un calcio allontanava Max, che cadde a terra e picchiò le ginocchia. Chloe, intanto, tentò di colpirlo di nuovo ma, in quel momento, un botto esplose nell’aria.
Un colpo era partito accidentalmente nella colluttazione.
L’aggressore, spaventato, fuggì di corsa con la pistola ancora in mano. Steph cadde a terra, sul sedere e rimase momentaneamente seduta. Chloe le andò incontro, urlando di terrore, mentre Max tentava di rimettersi in piedi, con il ginocchio sinistro che pulsava terribilmente.
“Fanculo!” mormorò Steph, tremante.
Chloe la prese per le spalle, cercando la ferita ma la ragazza alzò il braccio destro: aveva un segno lieve di una scottatura.
“Il colpo è finito chissà dove, però quello stronzo, nel divincolarsi, mi ha strusciato la canna bollente della pistola sull’avambraccio. Cristo, pizzica!” commentò con nervosismo.
Max e Chloe tirarono un sospiro di sollievo. Poco dopo, due passanti accorsero chiedendo cosa fosse accaduto. Le ragazze spiegarono velocemente l’accaduto e indicarono la strada presa dal loro assalitore durante la fuga. Uno di loro seguì l’indicazione correndo mentre l’altro rimase di guardia e cercò di persuaderle a chiamare la polizia ma le tre si opposero. Non volevano che David fosse informato dell’accaduto.
Ripresesi, tornarono all’hotel, accordando che era meglio andare a riposare. Max chiese a Steph se voleva cercare una farmacia, prima di rientrare
“Figurati! E’ come quando ti ustioni cucinando: diventerà viola e tra due settimane avrò una bella cicatrice ma nulla di che. Tranquilla!”
Max invidiò la tempra di Steph, che sembrava essere tornata la solita, anche se le tremavano le mani.
Una volta in camera, Chloe si augurò di poter riuscire a dormire: l’indomani mattina voleva andare a trovare Joyce e sperava, oltre a riposare, di non apparirle stressata o sotto shock per l’accaduto. Non voleva rischiare di turbare sua madre ancora convalescente.
Poco prima di spegnere la luce, sentirono bussare alla porta. Max andò ad aprire e trovò Steph.
Era in un grazioso pigiama bianco con un personaggio di un manga disegnato sopra ma che, stranamente, non seppe riconoscere. Stringeva sotto braccio un cuscino e tremava.
“Vi scoccia se dormo con voi per stanotte? Giuro che tengo le mani a posto.” mormorò, tradendo un velo di angoscia.
Max istintivamente l’abbracciò e la strinse con affetto.
Poi, la accompagnò in camera.
Chloe dormì al centro stringendo a sé entrambe le ragazze, che presero sonno con tempi diversi.
 
 
 
 
“Sei un coglione!”
Nowak era nervoso. Stava insultando McKinsey da cinque minuti buoni e non accennava a smettere
“Un vero coglione. Non un avvocato, ma il re dei coglioni! Hai idea di cosa cazzo mi hai fatto rischiare? Sei completamente impazzito! Potevo uccidere una ragazzina, imbecille! Quel tuo maniaco di merda in carcere vuole anche vedere di nuovo quella con il caschetto e mi dici che dovevo terrorizzarla di più? Sei un pezzo di merda, un coglione, un irresponsabile!”
McKinsey lo lasciò sfogare.
“Hai idea di cosa cazzo sta succedendo per colpa della tua paranoia insensata? Non sanno niente di niente quelle due!”
“Hai finito? Ti ricordo che sei pagato e, in quanto tale, potevi rinunciare a fare quello che ti ho chiesto rinunciando a parte del tuo compenso. Non ti ho obbligato a fare nulla. Perciò sei colpevole quanto me di quello che è successo.”
Nowak non replicò. Si sentì una merda perché, in effetti, McKinsey aveva ragione.
“Dunque, da quello che mi hai raccontato, si sono prese un bello spavento. Anche se hanno lottato, non credo che si sentano al sicuro come prima, quindi ho ottenuto quello che volevo. Bravo.”
Ancora una volta, Nowak non rispose e permise a McKinsey di continuare
“Continua a seguirle per sicurezza. Fammi sapere se lasciano la città.”
“No.” rispose freddamente “Ho chiuso. Decurtami pure parte della paga, ma ho chiuso con questa storia. Sono ragazzine innocenti, nemmeno donne, che hanno passato anche troppo. Non voglio essere ulteriore causa di loro problemi.”
“Come vuoi. Ti farò avere una busta con il contante ma, se fossi in te, continuerei a seguirle almeno fino a domani. Giusto per essere certi che se ne vadano. Se cambi idea, mandami solo un messaggio.”
Detto questo, McKinsey chiuse la comunicazione, lasciando Nowak solo a riflettere. Un giorno solo, cosa mai poteva cambiare? Sono solo soldi extra, soldi di cui non aveva bisogno ma che voleva avere. Perché, poi? Non aveva senso…..
La sua moralità era una bussola impazzita, come se avesse smarrito il suo polo magnetico. Era questo che voleva diventare, quando scelse di entrare in polizia e, in seguito, diventare un detective privato? Davvero? Spiare e terrorizzare ragazzine per racimolare soldi che non gli servivano per scagionare un maniaco?
Che cazzo stava facendo?
Pregò di avere una risposta il prima possibile.
 
 
 
“Hai una faccia strana. Hai dormito bene, tesoro?”
Joyce accarezzò il volto di sua figlia, preoccupandosi nel vederla tesa e poco rilassata.
Chloe non ci badò e sfoggiò il sorriso più sincero che riuscì a ottenere dai suoi muscoli facciali.
“Certo mamma. Solo che sono in pensiero per te.”
“Per me? Sto bene. Si, non sarò la stessa di un anno fa, ma sto decisamente bene per essere una che, in teoria, dovrebbe essere morta.”
Stavolta, il sorriso di Chloe si fece più sincero di prima.
“Vorrei venirti a trovare più spesso. Stare qui più a lungo. Io mi sento così…”
“In colpa?” concluse Joyce “Non dovresti.”
Chloe si alzò in piedi e strinse le braccia al petto
“Sì, invece! Sono stata così… così stronza…. Ero costantemente arrabbiata e non volevo nemmeno provare ad accettare che tu fossi andata avanti. Sono stata così egoista con te…. Volevo impedirti di essere felice, di accettare che tu meritavi di andare avanti. Invece volevo che tu fossi con me a crogiolarti continuamente nel dolore, che mi dicessi che eravamo solo noi due contro il mondo. Non avevo più papà, non avevo più Max e mi sono aggrappata a te con violenza. Ti ho ferita troppe volte, sono stata solo una delusione di figlia.”
Chloe voleva piangere, udendosi, ma si trattenne. Joyce, invece, le sorrise
“Lo so. Non ti dirò che non è vero, perché non ti ho mai mentito, Chloe. Hai commesso i tuoi errori mentre io…. Beh forse avrei potuto ritagliare dello spazio anche per te. Ma bisognava pagare le bollette e…. volevo garantirti un tetto e la pancia piena a discapito della mia figura. Ma forse avevi più bisogno di quella che di mangiare.”
“No, non è vero: così mi stavi dimostrando che c’eri, ma ero troppo stupida e arrabbiata per accettarlo. Sono stata così cattiva con te che quando….. quando credevo che fossi morta io….”
Si risedette e adagiò la testa sulle lenzuola, lasciandosi andare a un pianto liberatorio
“Ho sprecato cinque anni di vita insieme! Se tu non fossi qui, avrei avuto questo rimpianto per tutta la vita. Ora non so come ma devo rimediare: voglio recuperare quei cinque anni, mamma!”
Joyce accarezzò teneramente la testa di sua figlia, nella speranza di rassicurarla un poco.
“Chloe, sono qui. Appena la riabilitazione sarà finita ed io starò meglio, avremo un sacco di anni per recuperare il tempo che abbiamo perso, secondo te. Io, se posso dirtelo, non credo che tu debba crucciarti troppo: ora sei adulta, hai un lavoro e un’auto e sai che Seattle non è in Europa, potremmo sempre vederci. Certo, da bambina ti sembrava lontana e irraggiungibile e t’impediva di rivedere Max ma ora che sei cresciuta, è diverso. Sarai sempre comunque vicina e potremmo sempre vederci. Vederti serena e felice e, soprattutto, così matura mi rende orgogliosa e fiera di te. Basta pensare a quel periodo: hai solo sofferto. Abbiamo solo sofferto. Smettila di farti del male, Chloe.”
La ragazza rialzò la testa, guardando la madre
“Mi sembra comunque di aver gettato via troppo tempo. Perché ero sempre cosi tanto arrabbiata, mamma?”
“Perché non mi avevi. Non avevi Max e, specialmente, non avevi più tuo padre. Per quanto possa voler bene a David, tuo padre era, anzi è, un uomo eccezionale. Uno di quelli che non pensi mai che possa capitarti nella vita. Sapeva amarti incondizionatamente e quest’amore è stato un boomerang pericoloso dal momento in cui è mancato. Ha lasciato un vuoto enorme in te, grande quanto ogni momento felice che hai passato con lui e nessuno poteva colmare quel vuoto. Forse non lo colmerai mai ma puoi sempre iniziare ad accettare quello che ti ha dato. Come ho fatto io: ho accettato e trovato qualcuno che mi amasse. Tu hai perso Max, l’unica che poteva colmare l’assenza di tuo padre in qualche modo, poi hai incontrato Rachel, che ha saputo stabilizzarti ma non calmarti abbastanza da mettere via tutta quella rabbia. Poi, grazie al cielo, Max è tornata e, non so che piani abbia avuto per voi l’universo, in quella settimana orribile avete attraversato ogni cosa ma ti ha aiutata. Anche se con i capelli blu, sei tornata a essere la mia bambina, cocciuta e risoluta ma anche dolce e capace di sorridere. So che stai tornando a essere quella che eri prima di quel maledetto giorno: lo vedo sul tuo viso. Non avere fretta, Chloe: noi siamo sempre qui e ti amiamo. Ricorda sempre cosa diceva tuo padre: tutto ciò che credi, che cerchi, che vuoi è già qui, solo sepolto nella polvere dei ricordi e delle esperienze.”
Accarezzò la guancia di sua figlia che chiuse gli occhi e si godé il contatto con il palmo della madre, afferrandole dolcemente la mano con la sua. Voleva davvero togliersi tutti quei pesi definitivamente ma, purtroppo, avrebbe potuto farlo solo dopo che avesse chiuso quella maledetta storia. Dopo che anche Max sarebbe tornata serena, senza un fottuto Jefferson tra i piedi.
 
 
 
Steph era seduta a terra, incollata al suo portatile. Si era ripresa alla grande, rispetto alla sera precedente, tremolante e spaventata sulla soglia.
Era accasciata con il sedere sul pavimento del corridoio dell’ospedale e con la schiena contro il muro.
Max era nella stessa posizione ma seduta di fronte.
Steph aveva chiesto la password del WiFi a un infermiere che, riluttante, aveva ceduto per via dell’insistenza della ragazza, che millantava un’importante ricerca per la sua tesi di laurea.
“Come va la scottatura?” chiese infine
“Mmmh?”
“Il braccio… la bruciatura…”
“Oh? Ah! Sì, pizzica ma tutto ok…”
“Sembri indaffaratissima. Hai trovato qualcosa d’interessante?”
“Una vittima che potrebbe essere parecchio utile ma che non potremmo sfruttare. Sul web è pieno di sua vignette e qualche articolo, poiché sembra stia riscuotendo un discreto successo per alcune strisce a tema familiare. Ne ho lette alcune e un paio sono buffe ma il suo punto forte è sicuramente il disegno. Si chiama Emily Wyatt e sembra che fosse una ex studentessa della Blackwell ben prima che fosse assunto Jefferson.”
“Allora perché è segnalata come sua vittima se non è una studentessa?” chiese Max
“Pare sia tornata alla Blackwell per un brevissimo periodo, non molto tempo fa. Ha tenuto un corso intensivo sul disegno o cose così, ma soprattutto era in stretto contatto con Wells essendo, leggendo online, una delle più brillanti ex studentesse dell’Accademia e presidiava spesso riunioni di ex studenti. Pare che alla Blackwell sia normale fare radunate di ex studenti che sono riusciti in qualcosa, escludendo chi ritenuto mediocre. Ma che simpatici!”
“Potrebbe aver incontrato Jefferson in quell’occasione, quindi.”
“Molto probabile. Il suo nome risulta tra le vittime certe, perciò è abbastanza sicuro che sia andata così. Nella sua biografia online viene menzionata la fotografia tra le sue passioni e tra le principali motivazioni che la spingono al disegno. Sì, direi che è anche lei potesse aver visto quello che hai visto tu in Jefferson e per lui deve essere stato semplice avvicinarla e…. beh aggiungerla alla collezione.”
“Che sfiga. Dopo quel fatto ha smesso di fare vignette, magari? Non è più riuscita a sfondare a causa del trauma, magari. Potrebbe essere una motivazione che ci tornerebbe utile se volessimo…”
“Non credo. Si era già sposata con il suo storico fidanzato, un certo Charles Eriksen e hanno avuto pure un figlio, a giudicare dalle sue foto su Facebook. Fa solo occasionali strisce che pubblica online: lei lavora come maestra d’asilo, attualmente. Credo che abbia abbandonato del tutto quel mondo, perciò strano che Wells l’abbia continuamente invitata alle rimpatriate dei fenomeni.”
Max non si diede per vinta
“Dove abita?”
“A Beaver Creek, Max. Nella zona del Willamette National…
“Ottimo! Andiamoci! Saranno…. Quante ore sono di auto? Quattro? Se è cosi pieno d’informazioni il web e la polizia non ci ha parlato, dovremmo fare un tentativo noi!”
Steph staccò gli occhi dal pc, rivolgendole uno sguardo rassegnato
“Scordatelo, Max. Ovviamente ci avranno già provato a parlarle, no? Sarà stata lei a opporsi e non voler parlare, magari per il figlio. Se non l’hanno convinta le forze dell’ordine, come pensi che possa farsi convincere da tre ragazze a malapena ventenni?”
“Noi siamo diverse! Noi siamo coinvolte in questa storia! Avrà sentito di me e Chloe, sfruttiamo questa fama a nostro vantaggio per una volta. Ti prego Steph: è la più promettente di tutte!”
 “Anche volendo, non possiamo più permetterci un buco nell’acqua. Sprecheremmo troppo tempo ad andare e tornare da Beaver Creek, tempo che potrebbe essere meglio speso con qualcuna più giovane e residente più vicino. E’ un azzardo che, vista la data del processo, potrebbe non essere così conveniente tentare.”
Max chinò il capo, arrendendosi. Aveva ragione Steph: potevano giocare con Jefferson ma non potevano giocare con il tempo a disposizione per convincere una delle sue vittime. Che schifo, che situazione orrenda!
In più, quell’aggressore si era ritirato? Le cercava ancora?
Forse dovevano davvero semplicemente lasciare stare tutto e tornarsene a Seattle e riprendere una vita normale, in attesa di sentirsi pregare per andare a testimoniare al processo e poi, finalmente, svoltare del tutto le loro vite.
La porta della camera di Joyce si aprì e Chloe sbucò fuori con la testa, fissandola
“Cambio! Max, mamma vorrebbe parlarti un attimo, se vuoi. Ti aspettiamo qui.”
Annuì.
Si rialzò, sentendo il sedere intorpidito, poi entrò in stanza di Joyce, chiudendo la porta, non accorgendosi di Chloe, estremamente meditabonda.
La signora Price la accolse con un sorriso raggiante. Stava riacquisendo colorito e forze, ma restava comunque molto fragile. Non scelse di sedersi, preferendo di restare in piedi alla sinistra del letto. Vide una mano della donna, adagiata sul fianco, e la strinse.
“Ti vedo sempre più in forma.” disse infine
Joyce allargò il suo sorriso
“Sempre gentile, vedo. So come sono messa, Max. Avevo bisogno di parlarti.”
Max annuì semplicemente e attese
“Chloe è turbata. Non le ho detto nulla perché so benissimo che negherebbe ma sono certa che lo sia. Rimane mia figlia, dopotutto. Ora, però, vedo anche te e noto la stessa preoccupazione. Che cosa sta succedendo, Max? Che vi preoccupa?”
“Nulla, Joyce. Diciamo che la passeggiata sul viale dei ricordi non si è rivelata così semplice come pensavamo. Sì, sapevamo che ci avrebbe scosse ma…. Forse abbiamo sottovalutato la cosa.” mentì prontamente Max, complimentandosi con se stessa: stava migliorando come bugiarda.
Joyce non parve convinta ma volle crederle
“Capisco. Avete visitato molti posti di Arcadia?”
“Tutto quello che era necessario visitare: il cimitero, la Blackwell, casa vostra….. il Two Wales no perché è ancora inaccessibile. Sono stati dei piccoli shock, diciamo.”
Joyce strinse affettuosamente la mano in segno di comprensione.
“Non dovete affrontare tutto questo, ragazze. Risparmiatevelo.”
“Ne avevamo necessità. E’ difficile da spiegare, però per noi era necessario rivedere ogni luogo che abbiamo vissuto e abbandonato. Eccetto il cimitero… lì volevamo solo…. Beh chiedere scusa.”
Joyce la fissò interrogativa
“Scusa? Di cosa? Per essere vive? Ma smettetela, ragazze! Non dovete mai chiedere scusa per essere ancora vive! Per quanto sia crudele nei confronti delle famiglie che hanno perso qualcuno, voi non avete colpe. Vi siete salvate e avete tentato di salvare più vite possibili. Siete solo da lodare, semmai.”
Max abbozzò un sorriso. Le seccava mentire così tanto a Joyce, anche se l’ultima parte era vera.
“Promettetemi che state e starete lontane dai guai, ok? Anche dopo che sarete tornate a Seattle.”
“Te lo prometto Joyce.”
Altra bugia.
Il senso di colpa le crebbe dentro con una velocità allarmante.
 
 
 
Chloe era appoggiata al muro e pensava.
Non aveva considerato l’idea che, con la riabilitazione di sua madre, l’avrebbe lasciata sola per tornare a Seattle.
David sarebbe entrato nel corpo di polizia di Arcadia, perciò non poteva essere sempre presente, quindi sua madre come avrebbe potuto fare? Ok, spese pagate dallo stato dell’Oregon ma…. Sarebbe stata da sola...
Max? Non voleva lasciarla a Seattle…. Ma non voleva nemmeno lasciare sola sua madre….
Dio che cazzo di casino….
Poi c’era qualcosa nelle parole di Joyce che le aveva smosso un pensiero… che aveva detto?
 
Mio padre diceva sempre qualcosa riguardo alle nostre cose sepolte sotto l’esperienza… cazzo, come faceva….. perché sta frase mi ronza in testa…. Sepolto…. Tutto quello che ci occorre, è sepolto…. È già qui…. La soluzione che ci serve è già qui, lo diceva anche Max… avevamo tutto.., avevamo tutto…
Tutto….
 
“Cazzo!” strillò “Steph?”
“Mmmh?”
“Dobbiamo andare a casa mia a verificare una cosa e poi forse a trovare una persona. Te la senti di farci da autista anche oggi?”
“Certo, ma prima dovete dare retta a me.”
Steph chiuse il portatile e fissò Chloe. Voleva dirle qualcosa ma Max uscì dalla stanza di Joyce in quel momento. Subito, Chloe scattò verso di lei e la prese per le spalle
“Avevi ragione! Mio padre aveva ragione! Cazzo, forse potrei aver capito qualcosa. Andiamo subito a casa mia!”
“Aspetta, Sherlock.” disse Steph
Le due la fissarono. Sembrava tremendamente seria e non intenzionata a dar loro retta.
“Che c’è? Non mi hai sentita? Forse so cosa fare!”
“Si Chloe, anch’io.”
“Sì, ma.....”
“No, niente ‘MA’. Stavolta seguiamo la mia pista, non la vostra. Non abbiamo tempo, altrimenti Jefferson ci fregherà. Datemi retta e fidatevi, ok?”
Annuirono. Steph apprezzò la loro collaborazione e si mise in piedi anche lei, massaggiandosi il sedere e lamentandosi
“Cazzo ho il culo insensibile. Comunque, ho controllato ancora dei nomi delle vittime. Mi sembrava sciocco insistere con quelle certe e già verificate dalla polizia che non stanno collaborando o lo fanno a malapena. Non avrebbe senso, giusto? La prova definitiva me l’ha data quell’Emily Wyatt, in pratica la vittima perfetta che potrebbe rovinare uno come Jefferson ma se nessuno ci ha cavato un ragno dal buco con lei, non vedo come potremmo aver avuto successo noi. Perciò ho ristretto il campo a quelle non ancora confermate ma, ovviamente, il numero era troppo alto. Quindi serviva una selezione e, notando che sono forse in ordine temporale dato che le ultime quattro lo sono e le conoscevate benissimo, sono andata a ritroso e….BINGO! Vi dice nulla il nome Laureen Lantz?”
Max e Chloe scossero la testa. Max ricordò che era due o tre nomi sopra quello di Rachel ma null’altro.
Steph sogghignò. Aprì il portatile e lo porse alle due: era su una pagina Facebook e, a quanto pare, proprio di Laureen Lantz.
“Nemmeno se vi dicessi che è di Tillamook e lavora come cameriera part time al Fisherman Hotspot di Bay City?” aggiunse la brunetta, mentre le altre due spalancavano la bocca nel vedere il volto della ragazza in foto nella sua pagina social: lo stesso volto che Chloe aveva identificato come una rivale in amore solo poche mattine fa.

 
 
 

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Capitolo 5
*** Parte Seconda: Fragmentis (Capp 15-20) ***


15.
 
 
La Toyota Corolla frenò bruscamente entrando del piccolo parcheggio antistante al Fisherman’s Hotspot. Steph non si curò di mollare la sua auto nel bel mezzo della strada, con le quattro frecce. Chloe era già scesa prima ancora che potesse spegnere il motore, mentre Max era in visibile tensione.
La scoperta che una delle vittime che stavano cercando era stata la loro cameriera per una mattina le aveva visibilmente scosse. Avevano guardato e riguardato quella lista ma si erano tuffate a capofitto su Samantha Myers, senza indagare approfonditamente su quei nomi, senza badare al fatto che una Laureen già la conoscevano e che non potesse essere solo un caso.
 
Stupida!
Stupida, stupida, stupida Max!
L’avevi sott’occhio da subito e non ci hai badato! Stupida!
 
Steph le aveva tranquillizzate dicendo che, senza un controllo online, non era semplice capirlo. Non potevano certo presentarsi al diner e dire a una cameriera giovane ‘hey tu sei stata molestata da Jefferson, per caso?’.
Manco a dirlo, non era sicuramente la soluzione migliore e nemmeno quella più discreta.
Eppure nemmeno questo bastò a placare il sentimento di malessere e la sensazione di aver toppato alla grande nell’animo di Max e Chloe.
Avevano percorso la tratta dall’ospedale al diner in Bay City nel più breve tempo possibile, impazienti di recuperare quello che ritenevano il tempo che avevano sprecato andando a Eugene.
Davvero era stato sprecato?
Anche qui, Steph sosteneva il contrario: parlare con Samantha era stata una mossa saggia e utile che le avrebbe aiutate presto a entrare sempre più nella mente di Nathan Prescott, avvicinandole alla soluzione.
Ricordò loro che la lista delle vittime e la ricerca del corpo di Nathan erano due piste separate che avrebbero portato al medesimo risultato: un ulteriore aggravarsi della condanna di Jefferson. Riuscire in almeno una sarebbe stato un successo, entrambe un miracolo.
Indagare su ogni pista non era una perdita di tempo ma, al contrario, uno stimolo maggiore per continuare a inseguire il loro obbiettivo.
Chloe era sembrata sulle spine tutto il tempo, come se tenesse a dire la sua. Steph suppose che avesse scoperto qualcosa anche lei o, almeno, che pensasse di aver trovato qualcosa d’interessante. Questo le sollevò di parecchio l’umore, scacciando il ricordo dell’aggressore della sera prima.
Max, dal canto suo, sembrava euforica e svilita al tempo stesso. Steph volle pensare che la Caulfield si sentisse indietro rispetto alle sue compagne d’indagini, quasi inutile. Poteva sentire gli ingranaggi dentro la sua mente lavorare frenetici, convinti che ci fosse qualcosa che le sfuggisse e, probabilmente, continuasse a sfuggire a tutte e tre.
Chiusa l’auto, una volta fatta scendere l’ultima passeggera, Steph salì rapidamente i gradini, poco dietro le altre due.
Chloe entrò come una furia dentro il diner e fissò rapace il bancone, in cerca della ragazza.
Con una lieve nota di rammarico, non era presente.
Rebecca alzò lo sguardo, fissandole tutte e tre con un misto di sorpresa e confusione nel vederle arrivare con tutta quella foga.
“Non dovreste lasciare l’automobile in mezzo allo spiazzo, donzelle: rischiate una multa salata.” disse loro a mo di saluto.
“Rebecca, non c’è Laureen?” chiese Max, timidamente
L’attempata cameriera del Fisherman’s ora sembrò platealmente sorpresa e le squadrò con curiosità.
“Oggi è di turno nel pomeriggio. Perché?”
“Avremmo davvero urgenza di parlarle.” spiegò Steph
Rebecca ora si fece sospettosa. Incrociò le braccia e, rivolgendosi a Steph, in tono molto meno amichevole del solito la riprese
“Potete aspettare oggi pomeriggio e sposta quella automobile. Adesso.”
“Non possiamo aspettare!” esclamò Chloe allarmata, spalancando le braccia “E’ dannatamente urgente, cazzo!”
“Cosa mai ci sarebbe di così urgente, eh?”
Chloe abbassò le braccia, impallidendo. Non sapendo che dire, sparò la prima bugia che fu in grado di partorire
“Credo che abbia perso un bracciale e lo abbiamo recuperato noi. Magari ci teneva, perciò…”
“Lasciatelo a me: lo posso consegnare io e grazie per il disturbo.” rispose freddamente Rebecca, avvicinandosi al bancone e allungando la mano destra, in attesa di un bracciale che non esisteva.
Vista la tragicomica situazione e comprendendo che le loro bugie mal costruite avrebbero avuto vita molto, molto breve, Max intervenne
“Non c’è nessun bracciale. Scusa se sembriamo così allarmate ma temiamo sia qualcosa di grave: abbiamo visto il ragazzo di Laureen abbracciare un’altra ragazza.”
Ora Rebecca cambiò totalmente espressione, fissando Max con un’aria vagamente incuriosita e contrariata. Approfittando della pausa, decise di rincarare la dose
“Sai, lo abbiamo visto l’altra mattina e… beh insomma ricordiamo vagamente chi fosse, per quello ci è sembrato strano che la ragazza con lui non fosse Laureen. Tu e lei siete state così gentili con noi che per solidarietà volevamo parlare di questa cosa. Privatamente però.”
Rebecca ora incrociò le braccia e scosse la testa
“Era rossa?” chiese
Non sapendo che fare, Max annuì, sostenuta tempestivamente da Chloe che borbottò un ‘cazzo, si!’ a bassa voce. Rebecca sospirò
“Grace Aceveds. Quella stronza ronza intorno al ragazzo di Lau da parecchio tempo. E’ una ex di quel piccolo bastardo e lui non fa niente per allontanarla. Una volta quella rossa si è presentata qui, sapete? Voleva vedere la nuova ragazza del suo ex coglione. Stavo aspettando che facesse una mossa così stupida, così magari Lau si sarebbe decisa a mollarlo. Sono abbastanza certo che, oltre a quella Grace, l’abbia tradita altre volte. Non mi è mai piaciuto!”
Max voleva urlare di gioia. Che fortuna sfacciata! Avevano fatto centro, ora Rebecca sembrava più disposta a collaborare con loro! Doveva approfittarne
“Senti, siccome non mi sembra una cosa carina da dover dire sul posto di lavoro, che ne dici se andiamo a parlarci noi? Sai, magari tra ragazze può essere utile…”
“In fondo abbiamo tutta la giornata libera noi!” aggiunse allegramente Steph, mentre Chloe si limitava a un religioso silenzio.
Rebecca annuì e Max chiese subito l’indirizzo di Laureen.
“Abita in una piccola villetta a Tillamook, all’incrocio con la 7th e Park Avenue.”
Max le sorrise con calore e la ringraziò, mentre le altre due fuggivano già verso l’auto, pronte per affrontare la loro prima vittima di Jefferson.
“Cazzo, eravamo a Tillamook poco fa!” si lamentò Chloe, mentre entravano nella città, per la seconda volta quella mattina.
“Sì, ma senza alcuna idea su dove abiti. Abbiamo sperato che fosse già al lavoro ma almeno abbiamo rimediato l’indirizzo, no? Smettila di essere sempre furiosa, Price: guarda che otteniamo sempre piccole vittorie ad ogni passo che facciamo!”
“Steph, vorrei avere il tuo ottimismo, ma sarò tranquilla solo quando avremo chiuso questa storia del cazzo. Dove si trova la fottuta Park Avenue? Odio Tillamook!”
Max abbozzò un sorriso: l’impazienza rendeva Chloe sempre un po’ buffa. Guai a dirlo ad alta voce, però.
Aveva visto la rabbia di Chloe diminuire sempre di più in quegli ultimi mesi e quando occasionalmente si faceva prendere da questi scatti d’impazienza e rabbia, non era più carica e aggressiva come prima, capace di ferirti con una sola frase. Era più come un’adolescente offesa. Il che era un notevole controsenso, dato che aveva la mentalità di una donna ormai adulta in tutto e per tutto.
Ma questa era Chloe Price: un puzzle di vent’anni composto di tanti bizzarri colori che rappresentavano un mosaico di vita complicato, più di quanto una persona come lei meritasse di aver vissuto. Si augurò con tutto il cuore che il suo pensiero fosse vero: che a fine di questa storia, sarebbe stata serena e in pace definitivamente.
Girovagarono ancora per Tillamook alla ricerca della loro destinazione finché, imboccata la 6th, videro un incrocio che recitava ‘Park Avenue’.
“Cazzo, finalmente!” gridò Chloe “Gira a destra!”
Ma prima che potesse finire la frase, Steph aveva già messo la freccia e stava seguendo Park Avenue, verso la 7th. Con loro immensa fortuna, la casa di Laureen era sulla destra, all’incrocio, come aveva detto Rebecca.
La zona ricordava moltissimo lo stesso quartiere dove abitava Chloe e, fino a pochi anni fa, Max stessa, solo molto più grande e spazioso. Il classico sobborgo americano, con vie costellate di villette familiari così simili tra loro ma tutte rese uniche dai loro inquilini. L’aria che le avvolgeva era pacifica e per niente contaminata da pensieri o azioni cupe. Si poteva faticare a immaginare che, in una di quelle, vivesse una ragazza che era stata traumatizzata da un uomo adulto del quale si fidava.
Parcheggiarono di fronte alla casa, che riconobbero grazie alle foto postate su Facebook in cui la potevano intravedere. Aveva un tetto marrone scuro e le mura di legno di colore bianco perla. Il giardino, ben curato, ospitava due pini giganteschi, che mettevano parzialmente in ombra l’abitazione. Il vialetto d’accesso, circondato da alternati cespugli rigogliosi, era composto di pietre levigate. Percorsero in fretta la breve distanza che le separava dalla porta d’ingresso e suonarono alla porta senza alcuna esitazione. Con qualche istante di attesa, ad aprire loro si presentò Laureen stessa. Era in tenuta sportiva, forse era così che stava in casa o si stava allenando in camera sua. Aveva una canotta aderente, pantaloncini corti e piedi nudi. I capelli chiari erano raccolti alla bene e meglio in una crocchia, lasciando però delle ciocche ai lati e di fronte che le ricadevano sul viso arrossato. A Max ricordò mostruosamente Kate Marsh e questo, comprese, non poteva essere un caso.
 
 
….cerco l’innocenza…..
 
 
“Oh!” esclamò con enorme sorpresa Laureen, spalancando gli occhi “Siete voi…. Questa si che è una visita inaspettata. Come mai da queste parti?”
“Oh beh sai passavamo di qua e ci chiedevamo ‘Perché non andare a salutare la ragazza che lavora al Fisherman?’ e cosi….”
Max e Steph fissarono Chloe con disappunto. La sua pessima uscita era totalmente insensata e la faccia confusa di Laureen ne era una prova più che evidente.
“Perché? Vi ho mai detto dove abito, per caso? Non me lo ricordavo affatto.”
Appunto.
Steph mugolò impazienza e si fece avanti
“Scusala: non è abituata ad essere delicata. Di solito è sfacciata e non dice cazzate ma c’è sempre una prima volta, no? Dobbiamo parlarti, Laureen. Urgentemente.”
La ragazza non accennava a cambiare dalla sua espressione di pietrificata sorpresa, non lasciando intendere se questo fosse un segnale positivo o negativo.
“Scusa ma tu saresti…?”
“Stephanie Gingrich. Chiamami Steph e siamo tutte più felici, ok? Dunque, possiamo sederci da qualche parte o preferisci ascoltarci qui all’ingresso di casa?”
Laureen era ora più confusa che sorpresa e Max poté comprendere facilmente il perché di quello stato d’animo. Decise che, per rispetto, era inutile girarci intorno e si fece avanti, chiarendo la faccenda
“Laureen: dobbiamo parlare di Jefferson.”
La ragazza ora sbiancò totalmente a quelle parole. Puntò lo sguardo su Max e rimase pietrificata, stringendo le labbra fino a renderle sottili. Le pupille erano buie, svuotate e il rossore della fatica della palestra fatta in casa si attenuò sulle sue guance.
“Non so di cosa stiate parlando.” mormorò a bassa voce, allungando una mano sulla maniglia “Credo stiate sbagliando persona. Ora se volete scusarmi…”
Max scattò e la prese per il polso sinistro, costringendola a fermarsi. Laureen, per un istante, sembrò feroce, come un animale in trappola e pronta a difendersi
“Ti prego. Abbiamo bisogno di parlarne con te.”
“Non so di cosa…”
“Non mentire, sappiamo tutto.” disse Chloe
“Esatto. Non vogliamo essere ciniche ma il tuo nome è tra quello delle vittime.” aggiunse Steph
Laureen ora era palesemente inorridita e pronta alla fuga. Max, lievemente, strinse la presa attorno al polso, pronta a strattonarla se avesse tentato la fuga dentro la casa. Odiava quello che stava facendo e si sentiva non dissimile dal loro comune carnefice ma aveva bisogno di risposte. Era la loro, molto probabile, unica occasione di scoperchiare quell’orribile vaso di omertà e crimini.
Puntò il suo sguardo dentro gli occhi di Laureen, come a comunicarle telepaticamente che non avevano cattive intenzioni
“Come sapete che…”
“Come lo sappiamo non importa, Laureen.” tagliò corto Steph “Credimi, noi per prime vorremmo non sapere. Ma qualcuno deve fare qualcosa.”
“Non potete costringermi a…”
“No, non possiamo, è vero.” disse Max “Ma tu, forse, puoi darci la possibilità di ascoltarci. Lasciarci spiegare e provare a farti comprendere quanto tu possa essere importante non solo per noi, ma per tutte le ragazze che sono finite vittime di quel bastardo. Soprattutto per Rachel Amber e Kate Marsh. Ti prego, dacci questa sola occasione.”
Laureen era combattuta.
Non riuscì a nascondere, sul suo viso, confusione, paura, pietà e rassegnazione. Il suo braccio destro, ancora allungato e sospeso tra la maniglia e il corpo, si pietrificò nell’indecisione mentre chissà quali pensieri si scontravano dentro la sua giovane testa. Dopo un interminabile minuto, sospirò sconfitta. Max, avvertendo il cambiamento, lasciò finalmente andare il polso della ragazza, che si rilassò un poco.
“Non so se voglio sentire la vostra storia.” mormorò Laureen “Non so se…”
Non fece in tempo a finire la frase: una donna sulla cinquantina aveva spalancato la porta. Era abbastanza trascurata, capelli biondi e chiari ma malamente raccolti, occhiali da vista e una veste leggera estiva da casa. Squadrò il gruppetto con occhi carichi di ansia e sospetto.
“Laureen? Che fai qui fuori? Chi sono loro?” chiese con un tono incerto
La ragazza, prima di voltarsi, roteò gli occhi velocemente. Poi, indicandole velocemente con una mano, rispose
“Mamma, tranquilla: sono solo delle clienti abituali. Le vedo spesso al lavoro e ci fermiamo a fare quattro chiacchiere nelle giornate tranquille. Erano di passaggio e hanno voluto farmi un saluto, tutto qua.”
La madre di Laureen, dubbiosa, lanciò una occhiata penetrante e lunga a Max, Chloe e Steph, come se cercasse di capire che stessero pensando in quel momento. Poi, con un mugugno e un cenno di assenso, distolse lo sguardo
“Va bene, ma non rimanete fuori troppo con questo caldo.”
“No, mamma. Ora arrivo.”
La signora rientrò e Laureen chiuse la porta senza quasi darle tempo di far passare l’ultima ciocca di capelli biondi.
“Resteremo qui fuori a parlare, chiaro? Tanto c’è un po’ di ombra, per ora.” disse
“Beh, potremmo anche andare nel giardino o in camera tua: tanto tua madre ci ha viste, ormai.” commentò Chloe.
“Non se ne parla!” sibilò Laureen, gelida “Avete visto anche voi no? E’ paranoica e ansiogena. Non intendo far entrare in casa estranei: voi ve ne andreste e poi a me toccherebbe l’interrogatorio. Già mi tartasserà perché ora sarà convinta che vi abbia dato io il mio indirizzo!”
Chloe alzò le mani in segno di resa, mentre Steph si limitò a un ‘ok’. Max, invece, non si espresse ma rimase con gli occhi puntati su Laureen, in attesa che si calmasse e fosse pronta ad ascoltarle.
“Dunque? Che volete da me?” chiese
“Te lo abbiamo detto: ascoltaci. Poi, se riusciremo a farti capire la gravità della situazione, dicci la tua storia.”
Laureen era furiosa. Incrociò le braccia e fissò negli occhi Max e, con un cenno del mento, la invitò a parlare. La ragazza non attese oltre
“Come sai, io e Chloe abbiamo smascherato i crimini di Jefferson. Ti risparmio tutti i dettagli, dato che li avrai già sentiti e non credo che ti interessino quelli che non hai sentito. Saprai anche che, grazie alla difesa del suo avvocato, Jefferson potrebbe tornare libero prima di quanto sia possibile immaginare: McKinsey è un figlio di puttana e potrebbe riuscire nell’intento di farlo passare come insegnante troppo diligente e di buon cuore, che ha occultato un cadavere e totalmente inconsapevole dei crimini di Prescott. Senza il cadavere di Nathan, le possibilità che la sentenza vada in quella direzione sono alte. Però ci sarebbe una seconda strada: la confessione spontanea delle vittime. Molte non sono rintracciabili, oppure è passato troppo tempo e non ci sono prove sufficienti per dimostrare che fossero state drogate e coinvolte contro la loro volontà o non vogliono parlare. Quelle che, invece,  potevano comprometterlo più di tutte le altre sono morte, ovvero Rachel Amber e Victoria Chase. Non possiamo permettere che questo avvenga, non intendo vederlo libero prima di qualche millennio: ma non posso farcela da sola. L’ho sbattuto in carcere una volta, non so se riuscirò a impedire che ci resti a lungo. Non posso trovare Nathan Prescott, vivo o morto. Ho bisogno che le vittime si facciano avanti: ho bisogno di te. Racconta la tua storia, ti prego.”
Laureen sembrò non smuoversi dalla sua posizione, rimanendo all’apparenza imperturbabile.
Max, con un ultimo disperato tentativo, aggiunse
“Vorremmo solo che tutte noi, soprattutto voi vittime, possiate avere pace e giustizia. Non possiamo farcela se nessuna di voi farà il primo passo.”
La giovane cameriera si passò le mani sul viso, come a rilassarlo, poi si sedette a terra, contro la porta di casa.
“Sedetevi: non sarà né piacevole né breve.”
Obbedirono e si sedettero come poterono davanti a lei.
“Vuotate le tasche e mettete tutto davanti a me. Cellulari spenti.” ordinò Laureen con un tono secco e deciso.
“Hai paura che possiamo registrarti di nascosto?” ironizzò Steph.
“Sì.” replicò gelida lei.
Senza più nulla da obiettare e, con l’intento di farla parlare e non che si rimangiasse l’intento di farlo proprio ora, obbedirono. Disposero i loro pochi effetti personali davanti a loro e spensero i cellulari prima di riporli a terra. Laureen sembrò gradire e parve rilassarsi leggermente.
“La scorsa estate ero al lavoro. Da due anni sono assunta al Fisherman’s, cioè da quando ho terminato gli studi perché volevo mettere da parte dei soldi per l’università. Ho una borsa di studio ed economicamente non avrei problemi, anche se ne fossi sprovvista. Solo che odio l’idea di dipendere dai miei. Mio padre non c’è mai, lavora per la Holliburton ed è più in Medio Oriente che in casa. Vista la sua assenza e la zona dove risiede, mia madre vive in costante paranoia. Da giovane è stata aggredita da uno sconosciuto che lei sostiene essere stato Ted Bundy, ma non ha prove e la sua dichiarazione non ha mai trovato riscontro. Però credo che qualcuno abbia tentato di violentarla quando aveva circa la mia età dato che, da quando sono nata, è sempre stata eccessivamente paranoica e morbosa verso di me. Solo che durante l’adolescenza ho iniziato a non sopportarla, al punto da credere di avere un esaurimento in corso. Non potevo nemmeno godermi una passeggiata con le mie amiche che potevo trovarmi una sua chiamata o un suo messaggio ogni dieci minuti. Perciò, volevo mettere via soldi non solo per gli studi ma per andarmene il più lontano possibile da qui. Sogno il Colorado ma anche il Massachusetts… insomma non lontano da qui. Basta che potessi godermi in pace la mia vita.
Non vi dico che tragedia sia stata quando le dissi che avrei iniziato a lavorare. Per il primo anno non potei fare i turni di chiusura notturna: se li dovevo fare per forza, veniva a prendermi lei nonostante l’auto l’avessi nel parcheggio. Perfino la mia relazione è un segreto: non sa che mi vedo regolarmente con un ragazzo da più di sei mesi. Forse per quello che lui mi tradisce: so per certo che si è scopato un’altra e mi auguro solo che non sia la sua ex. Ma come posso avercela con lui, con quello che lo sto costringendo a passare? Inoltre, dopo la scorsa estate, è già strano che mi fidi di un altro uomo. Già, la famigerata scorsa estate di cui vi stavo parlando….. Beh ero al diner e ho notato che, ogni mattina, veniva quest’uomo. Si sedeva sempre nel solito tavolino, non molto distante in cui vi siete sistemate voi due, ordinava la stessa colazione e rimaneva sempre per circa due ore, leggendo libri di fotografia. Era affascinante, non lo nego: sulla quarantina, aria da intellettuale alla moda, ben vestito e in forma. Non sapevo chi fosse ma si faceva notare pur non facendo nulla. Poi passai a fare i pomeriggi per un paio di settimane e per qualche giorno non lo vidi finché, dopo quasi quattro giorni di assenza, lo vidi regolarmente venire a metà pomeriggio, prendersi del caffè e uno spuntino veloce. Sospettai che mi stalkerasse e chiesi informazioni in maniera vaga e… sorpresa! Un docente della Blackwell Academy! E che docente!”
“Mark Jefferson.” mormorò Max
“Già.” annuì Laureen “Ovvio che era lui. Un fotografo famoso e insegnante di una delle scuole più esclusive dell’intero Stato. Mi faceva strano ma la mia curiosità era placata e non badai più a lui ma, dopo un mese circa di appuntamenti silenziosi, un giorno che il diner era praticamente vuoto, mi si avvicinò al banco. Mi chiese come mi chiamassi e se avevo intenzione di studiare perché notava che fossi giovane e trovava strano che fossi una cameriera. Spiegai lui che stavo solo risparmiando e mi fece una proposta: posare come modella. Mi avrebbe pagato per un servizio esclusivo. Lui era un fotografo famoso ed io, fingendo di non saperlo, mi mostrai sorpresa e interessata. Mi avrebbe pagato cinquecento dollari per un set siccome mi trovava perfetta per il mio viso, le mie forme e altre stronzate che non ho ascoltato. Nella mia mente c’erano solo le parole ‘cinquecento dollari’ e questo mi bastava. Una cifra così e per farsi scattare due foto. Specificai che non volevo posare nuda ma lui rispose quasi offeso e consigliandomi di vedere qualche sua opera in internet per capire il suo stile. Mi scusai e risposi che avrei preso una decisione entro il giorno dopo, ma in realtà avevo già deciso. Speravo solo che potesse alzare la posta, anche solo di cinquanta dollari, ma non lo fece: sorrise, mi salutò e mi diede appuntamento al giorno dopo. A casa, ragionai solo su come evitare di dire a mia madre che andavo in uno studio con un uomo di quarant’anni e di cinquecento dollari che sarebbero comparsi sul mio conto. O forse no, forse sarebbero rimasti nascosti nel mio cassetto assieme alle mance o altri risparmi. Fanculo, avrebbero aiutato moltissimo quei soldi e li volevo. Così, il giorno dopo, accettai e mi disse se potevo raggiungerlo in macchina perché aveva una location inusuale. Mi lasciò le coordinate su un foglio e sul navigatore saltò fuori che era in mezzo ai boschi qui in zona. Mi disse che aveva un progetto in mente, qualcosa di naturalistico. Così, quel sabato presi un giorno di ferie e mi recai nel posto prestabilito all’ora che ci aveva indicato, circa per il tardo pomeriggio. Era Luglio ma voleva una luce tenue, più vicina al tramonto, perciò arrivammo per le diciotto.”
“Arrivammo?” chiese Chloe
Laureen chinò il capo, rammaricandosi
“Si. Mi sono portata mia cugina di diciassette anni. Ogni tanto viene qui a trovarmi e si ferma a dormire per qualche giorno, in estate anche per una settimana. Era appena arrivata e, siccome ero entusiasta della cosa, ne parlai solo con lei. Mi ha supplicato di portarla con me, voleva assistere a un vero set fotografico, con un vero professionista all’opera. Promise di mantenere il segreto con mia madre e, con la scusa di fare un giro con lei, devo ammettere che mi ha semplificato non poco la cosa, cosicché mia madre si allarmò meno del solito. Cazzata gigantesca da parte mia. Lei è così… bella…. Dolce e con un carattere così aperto e generoso, che non fa che far innamorare costantemente chiunque la conosca. Diciamo che è nata fortunata, no? Perciò la portai con me perché mi sembrava una cosa carina accontentare quel suo piccolo desiderio e, diciamocelo, farla anche vedere a un fotografo professionista! Cazzo, immaginate cosa poteva consigliarle per il suo futuro, con quel viso che si ritrova. Volevo solo che le desse consigli….”
Prese una pausa. Era delusa verso se stessa e non faceva nulla per nasconderlo. Le tre si scambiarono una rapida occhiata ansiogena: temevano per la sorte di due ragazze ora.
“Come si chiama tua cugina?” chiese timidamente Steph
“Non la troverete tra le vittime, mi dispiace. E scordatevi che vi dirò come rintracciarla: fatevi bastare la mia storia, ok?” sibilò Laureen freddamente “L’ho già rovinata io.”
“Non volevo andare da lei, credimi. Ma come fa a non essere stata catalogata come vittima presunta?” rispose Steph
“Sono risaliti a me grazie alle testimonianze dei clienti del diner. Hanno affermato che veniva spesso e, visto il mostro che è, la polizia ha dedotto che era a caccia. Ci hanno messo poco a capire che ero io, visto che le mie colleghe sono tutte sopra i quarant’anni e ragazze giovani tra i clienti, in estate, ve ne sono davvero poche. Quindi mi hanno rintracciata e fatto domande, ma non ho voluto espormi ne confermare. Però ho capito che se non avessi parlato, oltre che tranquillizzare mia madre, avrei protetto mia cugina: nessuno l’aveva vista con me quel giorno, niente testimoni. Perciò non si trova in nessun rapporto e in nessun pettegolezzo.”
“Cazzo, potrebbero essere molte di più allora.” borbottò Chloe “Magari altre che non ha sedato e rapito, altre come la cugina di Laureen: adescate senza testimoni e fotografate altrove, non ad Arcadia.”
“Sicuramente. Specie nel periodo precedente a quando è venuto qua in Oregon a insegnare.” aggiunse Max che, come a stimolare un senso di responsabilità, fissò negli occhi Laureen “Un altro stimolo a incastralo con ogni mezzo.”
Laureen colse l’allusione si limitò a sbuffare prima di riprendere il racconto
“Arrivammo in anticipo al luogo concordato. Era non molto distante da Arcadia Bay ma in mezzo ai boschi, molto isolato. Lui aveva preparato tutto: un telo bianco appeso con un filo tra due alberi per allestire un piccolo set e un altro senza telo, completamente in mezzo alla natura. Mi sentì estasiata e fortunata: voleva davvero fare qualcosa di artistico con me, non solo freddi scatti di posa. Ero rapita e non mi accorsi con che sguardo famelico osservò mia cugina. Ne rimase incantato e le propose di aiutarlo, di farle da ‘assistente’, promettendole di farle un paio di scatti come ricordo prima di chiudere la giornata. Per una mezz’ora abbondante fu un set professionale e lui molto esigente: mi aveva anche portato due abiti da indossare, un bianco perla e un blu elettrico. Erano bellissimi e dall’aria costosa… Non ci badai, ero totalmente rapita e cominciai a fantasticare che ne avrei tratto qualcosa di molto di più che cinquecento dollari. Forse era un primo passo per arrivare più in alto di quanto sperassi in vita mia. Ci offrì da bere, dopotutto era estate inoltrata e non faceva esattamente fresco, perciò accettammo. Sembravano bottigliette d’acqua normali e, soprattutto, sigillate. Dio mio, che pessimo errore!”
Si nascose la faccia tra le mani e le ragazze udirono distintamente dei singhiozzi soffocati. Non fiatarono e la lasciarono sfogare per un paio di minuti, prima che si riprendesse e concludesse il suo racconto.
“Ci risvegliammo che era buio, in macchina. Era logico che non ci arrivammo noi, ma ci mise dentro come se fosse stato cosi. Io ero rivestita malamente, mentre mia cugina non aveva più il suo reggiseno. Ci dolevano ad entrambe i polsi e le caviglie e avevamo dello sporco sulla schiena e nei capelli. Mi sentivo, però, sporca in una maniera diversa, più profonda….più intima….. Decidemmo di non parlare mai di questo. Lei se ne andò due giorni dopo, ancora non parlava granché ma evitò abbastanza mia madre perché non potesse insospettirla. Non l’ho più vista da allora. Io Avrei voluto andare in terapia, ma questo avrebbe comportato troppe domande. Mi sono sforzata di dimenticare, ma ogni tanto sento dentro di me qualcosa di guasto, di sporco, che vorrebbe riaffiorare. Mi sono fidanzata con il primo coglione che ho trovato per sopperire e tornare ad avere una vita normale, ma è sempre dura. Sempre.”
Steph batté una mano sulla gamba e fissò in cagnesco Laureen
“E tu vuoi tacere? Ti rendi conto di quello che ti ha fatto? Che VI ha fatto? Davvero vuoi stare qui, in silenzio, nella tua prigione di ansia materna, sperando di dimenticare? Beh, spoiler principessa: non funzionerà! Anzi peggiorerà. Tu e tutte quelle che hanno scelto il silenzio, state rovinando la vostra stessa salute e presto metterete in libertà un mostro perché non avete trovato il coraggio di farvi avanti.”
“Steph!” la richiamò Max, sconvolta e sorpresa per la durezza della ragazza “Insomma, un po’ di…”
“Un cazzo, Max! Noi siamo qui che ci sbattiamo per loro e ci troviamo davanti non una, ma chissà quante ragazze come questa qui che se ne stanno zitte! Possiamo raccogliere tutte le prove che volete, ma quello ce lo metterà nel culo assieme al suo viscido avvocatino, perché LORO non parlano! Certo, non è mai facile parlare di queste cose, posso immaginare cosa si possa provare ma non accetto che si voglia lasciare in libertà quel verme solo perché la nostra vita deve continuare, solo in apparenza, liscia e normale. Sono stufa di vedere apparenza da social per ostentare una perfezione inesistente: è ora di incazzarsi e spaccare il muso a sti fottuti uomini con il cazzo mal funzionante. Laureen? Fa quel cazzo che ti pare, ma se Jefferson sarà scagionato tra due anni, spero che la tua coscienza non ti schiacci più di quanto non faccia già mammina.”
Si alzò e se ne andò. Chloe, allarmata per quella scenata, scattò in piedi e si mise a inseguire la sua amica. Max, rimasta sola con Laureen, ora visibilmente scossa, cercò un tono più conciliante
“Scusala: non ama questi argomenti. Specie perché abbiamo da poco scoperto che …. Beh una sua amica ha subito cose abbastanza pesanti da un ex e… credo che debba ancora processare quello e la tua storia l’ha mandata fuori di testa.”
“Vi state tutte e tre martoriando la testa per questa faccenda, credo. Ma non capisco perché. Non siete qui in gita di piacere o per la madre di Chloe, vero? Non siete venute fino a Bay City per rilassarvi, corretto?”
Max annuì
“Diciamo che l’intenzione era quella ma i nostri scheletri sepolti nell’armadio di Arcadia Bay hanno presentato il conto. Sapevo che avrei dovuto affrontare ciò che avevo lasciato in sospeso… speravo solo di avere più tempo per essere pronta.”
Poi, Max alzò lo sguardo verso Laureen
“Spero che tu, invece, ne abbia. Non ti dirò di aiutarci, perché non è per questo che sono qui. Sono qui per chiederti di aiutare te stessa e le altre vittime, tra cui tua cugina. Se tu prendessi coraggio, forse altre lo farebbero e ti seguirebbero. Ma non posso obbligarti, ne sono cosciente. Perciò, se decidi di tacere, ti auguro solo che gli scheletri nel tuo armadio si prendano più tempo per esigere di essere affrontati, a differenza di me e Chloe. Cerca solo di essere felice. Io te lo auguro.”
Le accarezzò la mano con delicatezza, mentre Laureen la fissava sbalordita. Poi si alzò, le sorrise e se ne andò, dirigendosi verso l’auto, lasciando la giovane e bella cameriera sotto il suo ingresso all’ombra, sperando vivamente che almeno lei potesse tornare a vivere quanto prima, mentre per se stessa augurava presto di trovare un’alternativa a tutto quel casino.
 
 
Steph e Chloe erano appoggiate all’auto. Sembrava che avessero appena finito di confrontarsi: Steph aveva le braccia incrociate e una smorfia di disappunto sulle labbra, mentre lo sguardo era fisso sull’asfalto accanto all’auto. Chloe, invece, teneva la mano sinistra appoggiata su una spalla di Steph, a mo’ consolatorio, le labbra piegate in segno di preoccupazione e tristezza e lo sguardo fisso sulla nuca dell’amica.
“Hey…” mormorò Max “Tutto bene?”
Steph annuì, ma Chloe negò
“No, Max. Steph lo sa di aver esagerato e si dispiace, ma non vuole scusarsi. Non la biasimo, ma questa storia ci sta provando tutte e mi sento in colpa perché lei non c’entrava. L’ho trascinata io.”
“Piantala, Price!” tuonò Steph “Sapevo in cosa mi stessi infilando e non me ne sono tornata indietro, mi pare. Fanculo, mi girano solo perché non abbiamo ottenuto nulla. Mi darò da fare per trovare qualcun’altra, non intendo darla vinta così facilmente a Jefferson.”
Chloe parve diventare insofferente. Incrociò le braccia stizzita e disse
“ Ora volete dare retta a me? E’ da stamane che cerco di farmi ascoltare: ho un’idea. Magari sarà una colossale stronzata, oppure potrebbe essere qualcosa di utile.”
Max s’incuriosì nel sentirla parlare e Steph sembrava un po’ più rilassata
“D’accordo.” disse quest’ultima “Che hai in mente? Che pensi di aver scoperto?”
Chloe sorrise
“Torniamo a casa mia. Parliamone con calma.”
Risalirono sulla Corolla di Steph e fecero rotta verso Arcadia Bay, ma prima si fermarono in un piccolo centro commerciale e presero qualcosa da mangiare a casa Price.
Dopo circa un’ora, erano dentro la camera di Chloe, con sacchetti di patatine, bibite, panini e molto altro, mentre mangiavano scomposte a terra.
“Beh? Che hai fcoperto?” bofonchiò Max, con la bocca piena
Chloe trangugiò un pezzo di pizza fredda con un sorso di birra e poi si alzò con fare solenne
“Max, credo alle tue parole: qui abbiamo tutto. Noi abbiamo già la soluzione, abbiamo tutto ciò che ci occorre, ma non riusciamo a collegare i pezzi. Poi stamattina, mia madre mi ha ricordato una frase che diceva sempre mio padre: tutto ciò che ci occorre è già qui, sepolto sotto i ricordi e le esperienze, o qualcosa di simile. Il punto è che mi ha fatto scattare una scintilla! Non dobbiamo limitarci ai ricordi e alle esperienze di questa settimana e nemmeno dell’ultima passata qui ad Arcadia. Possiamo sfruttare cose più indietro, io posso farlo!”
Andò verso la cartina e indicò un punto imprecisato a nord della città di Arcadia.
“Perché l’hanno sepolta qui? Perché Jefferson e Nathan avrebbero dovuto nasconderla nella discarica, dalla parte opposta della città, rispetto a dove l’avevano assassinata?” e indicò un punto più in basso, dove si trovava la vecchia fattoria Prescott, molto più vicino all’attuale residenza della famiglia di quanto non pensassero “Non avrebbe senso, giusto? Con tutti i boschi e gli alberi, perché proprio lì?”
“Per allontanarne i sospetti se fosse stata ritrovata?” chiese Steph “Difficile collegarla a una fattoria abbandonata dall’altro capo della città ma tutt’altro discorso se fosse stata nascosta nei boschi a pochi chilometri da essa: sarebbe risultata sospetta e un ideale luogo per un omicidio.”
“Esatto!” disse Chloe “Ma non è solo questo. Max?”
La ragazza si sorprese nel sentirsi chiamata in causa. Gli occhi pieni di entusiasmo e fiducia di Chloe, con quel mezzo sorriso vittorioso, suggerivano che tremasse dalla voglia di dire tutto ma voleva vedere se lei lo aveva intuito. In realtà, aveva solo vuoto dentro di se. Era ancora troppo sconvolta per Laureen. Fece uno sforzo, cercando di non copiare le parole di Steph
“Credo che fosse anche perché era lontana da qualsiasi altro posto a lei riconducibile.” borbottò poco convinta, ma il sorriso sul volto di Chloe s’allargò e immaginò di aver fatto quasi centro.
“Ci sei quasi! Fuochino. Nessuno poteva immaginarla lì, perché nessuno poteva sapere che era il nostro rifugio. Portarla lì, in un posto che  la sua famiglia e quasi nessuno ad Arcadia Bay poteva collegarla era perfetto. Ma, come ho detto, quasi nessuno ad Arcadia lo sapeva, tranne me e qualcun altro.”
“Nathan, no?” disse Steph
“Certo, ma che io sappia Nathan non ne era a conoscenza. Non mi ha mai fatto accenni, non l’abbiamo mai visto avvicinarsi e non credo che Rachel tenesse a confessare a quello spocchioso dove andasse ogni tanto. Perciò, dubito che il piccolo Prescott abbia potuto dirlo a Jefferson, a meno che non ci fosse stato qualcun altro che avrebbe potuto dirlo o farselo scappare. Qualcun altro che sapeva: Frank.”
Max ebbe una illuminazione
“Ma certo! Frank sapeva! L’ho conosciuto proprio alla discarica, quando dovetti minacciarlo con la pistola di David!”
“Tu hai minacciato qualcuno? E lo hai fatto con una pistola? Davvero? Tu, Max?” chiese sbalordita Steph
Chloe e Max ignorarono la ragazza e si fissarono
“Esatto, Max. Frank rientra in quella piccola cerchia di persone che poteva sapere che la discarica era il nostro rifugio segreto. Inoltre, lui e Prescott erano entrati in ottimi affari, come ben sappiamo tu ed io. Nathan era diventato il suo cliente numero uno e, assieme a Rachel, il ponte perfetto per lo spaccio dentro la scuola. Insomma, avrebbero potuto essere legati in qualche modo. Comunque non sono convinta che lo abbia detto a Nathan.”
“Ok, ora sono confusa.” disse Steph “Perché non avrebbe potuto confessarlo? Se, come hai appena detto tu, c’era tutto questo legame tra loro…”
“Perché conosco Frank abbastanza bene da affermare che Nathan sia esattamente il tipo di ragazzino che lui odia: ricco e viziato, oltre che studente della Blackwell. Nemmeno se si fossero fatti qualsiasi tipo di droga assieme, si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa che riteneva privato, specie se riguardasse Rachel, ora che sappiamo che avevano una relazione.”
“Ok, ora non ti seguo più. Perché tirare in mezzo Frank se ora dici che non avrebbe mai parlato?” chiese Steph
“Perché, anche se non avesse mai parlato apertamente della discarica, potrebbe aver dato suggerimenti diversi a Nathan. Oppure, Nathan potrebbe averlo dedotto da solo facendo domande riguardanti una certa persona che tu, Steph, hai conosciuto indirettamente. Una persona che era, disgraziatamente, venuta a conoscenza della discarica come nascondiglio ma che non avrebbe potuto dirlo in giro: Damon Merrick.”
Steph spalancò gli occhi per un istante, poi esclamò
“Damon! Certo! No, scherzo: continuo a non capire.”
Chloe sembrava soddisfatta: per una volta era lei a portare avanti le indagini con il suo intuito e stava godendosi il momento
“Merrick era alla discarica quando ha aggredito Rachel. E’ lì che è stata ferita quasi mortalmente da lui ed era in compagnia di Frank. Ora, Damon è stato gentilmente fatto sparire dalla circolazione proprio da Frank stesso, quindi….”
“Quindi Nathan potrebbe avergli fatto domande scomode a riguardo. Oppure domande su come far sparire un corpo. Domande che avrebbe poi riferito a Jefferson, dandogli un'idea su come crearsi una scappatoia con il corpo di Nathan…..” concluse Max “Cazzo, Chloe: sei un genio.”
La Price sorrise fiera
“Lo so, grazie amore. Direi che non sarebbe male andare a fare un salto a trovare Frank più tardi, no?”
Steph si mise in piedi allarmata
“Wo, wo , wo frena Price. Ok, quasi tutto liscio, a parte alcune falle nel tuo ragionamento: Frank non dice nulla della discarica dell’ammmmore ma parla apertamente di come ha fatto fuori un tizio e lo abbia abilmente nascosto per tutti questi anni? Specie perché era Drew il contatto nella scuola e Damon non penso abbia mai preso in considerazione Prescott, all’epoca. Un po’ bizzarro, non trovi?”
“Non credo glielo abbia riferito, ma non possiamo nemmeno escludere che Nathan non sapesse nulla di Damon. C’è stato un vuoto di potere dalla morte di Damon e la partenza di Drew: nessuno riforniva gli studenti e nessun spacciatore sembrava prendere il posto di Damon. Poi arriva Frank che sostiene di fare gli affari al posto di Merrick e per qualche mese i ragazzi vanno direttamente da lui ma poi è Nathan a caricarsi delle principali quantità da girare agli studenti, ricreando la catena di distribuzione dentro la Blackwell che era stata interrotta. Non mi sembra improbabile che Nathan abbia fatto domande su come funzionasse e avesse saputo della scomparsa di Damon. Non dico che abbia fatto confessare Frank, nessuno l’ha mai fatto, ma potrebbe aver capito qualcosa che gli sarebbe tornato utile, come il collegamento tra Rachel e la discarica. Dico solo che conviene scoprire cosa sapeva Nathan e, di conseguenza, cosa avrebbe potuto scoprire Jefferson per occultare Nathan.”
Steph ora annuiva
“Ha senso.”
Max, invece, non si espresse. Non sapeva più che pesci pigliare e quel ragionamento sembrava comunque una possibilità concreta di trovare il bandolo della matassa. Sentiva che forse era davvero questo che stavano cercando, ciò che era convinta che si trovasse davanti a loro da tutto il tempo. Fissò in tralice la cartina di Arcadia Bay e sospirò: basta nascondigli, basta segreti. Rinasci senza più ombre.
“Beh, direi che possiamo andare a parlare con Frank, più tardi.”concluse Chloe, con un sorriso trionfante.


16
 
 
Erano quasi le sei del pomeriggio quando la Toyota Corolla blu di Steph Gingrich entrava nel parcheggio del South Fork Forest Camp. Le tre ragazze erano nervose, ma per motivi diversi.
Chloe era nervosa perché teneva moltissimo a confermare la sua teoria e magari svoltare definitivamente la ricerca del corpo di Nathan, avvicinandole definitivamente alla soluzione.
Steph era nervosa perché quella giornata  (ma anche quella precedente) aveva segnato e di molto la sua serenità. Provava sensazioni miste, dalla felicità di aver finalmente delle amiche, all’insicurezza di avventurarsi in un carcere maschile dalla ridicola sicurezza.
Max era nervosa perché sentiva che la sua ansia e i suoi ricordi premevano per colpirla non appena si sarebbe rilassata: i suoi sensi di colpa e il suo trauma si stavano facendo strada a spintoni nel suo animo e temeva che un racconto di Frank, per quanto fosse utile, avrebbe sancito definitivamente un addio alla sua salute e stabilità mentale.
Marciarono spedite verso l’ingresso, ognuna presa dai propri pensieri e riflessioni, paure e angosce. Non parlarono, non si guardarono nemmeno: dovevano solo arrivare a Frank e scoprire tutto quello che era possibile per tornare indietro, almeno stavolta, soddisfatte e non sconfitte.
“Ok, ci parlerò io. D’accordo?” propose Chloe mentre si addentravano nella struttura, verso la sala delle visite. Le altre due annuirono: era la cosa più logica, dato che Chloe lo conosceva meglio.
Frank era in un tavolino diverso dall’ultima volta che erano venute a fargli visita, più lontano e sulla sinistra, quasi isolato dal resto del gruppo. Si sorprese di vedere Steph con loro e non nascose minimamente tale sorpresa dal suo volto.
“Ciao Frank! Speriamo di non averti disturbato con questa visita!” disse allegramente Chloe “Lei è Steph, una mia vecchia compagna di scuola. Te lo dico, così smetti di essere così stupido che il nostro team sia cresciuto e risparmiamo sui convenevoli.”
Ma Steph allungò ugualmente una mano in segno di educata presentazione e Frank ricambiò la stretta. Dopodiché, si accomodarono di fronte all’uomo.
“Perché ho l’impressione che voi non siate qui per una visita di cortesia?”  chiese l’ex spacciatore, una volta che passò in rassegna i volti delle tre ragazze di fronte a lui.
“Come sei sospettoso, Frank. Volevamo solo vedere come stavi!” mentì malamente Chloe.
Frank non se la bevve e fulminò Chloe con lo sguardo
“Non sei mai stata brava a mentire, Price. Che ci fate qui?”
Chloe roteò gli occhi all’indietro e  sbuffò
“Ok, ok Frank. Siamo qui perché abbiamo bisogno di chiederti se hai mai parlato con Nathan Prescott riguardo posti in cui si poteva nascondere un corpo.”
Frank digrignò i denti
“Ti sei bevuta il cervello, Price? Che cazzo di domande mi fai? “
“Beh, visto la situazione con Dam…”
“NON..” tuonò Frank, prima di calare di tono per non attirare l’attenzione “….non nominare Merrick. Non è successo niente, chiaro?”
Chloe alzò le mani in segno di pace
“Hey, sai che ti devo la vita a riguardo. Non sono qui per sputtanarti, solo che Nathan era un tuo cliente fisso, magari ti ha fatto domande strane e tu hai, involontariamente detto qualcosa.”
“Perché?” sibilò lui “Perché questa curiosità?”
“Sai già la risposta.” disse Steph “Sei molto più sveglio di quello che sembri. Sai benissimo che sta succedendo.”
Frank le lanciò una occhiataccia e uno sbuffo di dissenso
“Un’altra ricerca del cazzo, eh? L’ultima volta non è andata bene.”
“Beh, sotto un certo aspetto, si.” Commentò sarcastica Steph, guadagnandosi un’altra occhiataccia da parte di Frank, a cui lei non badò prima di riprendere “Se non fosse stato per loro due, forse Jefferson l’avrebbe fatta franca del tutto e, con il tornado, chissà dove sarebbe finito ora. Meno male che hanno investigato, anche se il risultato non era quello che volevate.”
Frank sembrava sempre più insofferente verso di Steph ma non replicò. Chloe, invece, ne volle approfittare per dire la sua
“Quello che la mia amica vuole dirti, Frank, è che abbiamo bisogno di te. Ti prego, raccontaci in che rapporti eri con Nathan. Potresti essere il nostro miglior aiuto, al momento. Abbiamo bisogno di incastrare questo tassello.”
L’ex spacciatore di Arcadia Bay si rabbuiò. Congiunse le mani e chinò il capo, sforzandosi di rilassarsi un poco, regolando il respiro.
“Non posso.” mormorò infine
“Perché? Sai qualcosa?”
Frank rialzò lo sguardo, fissando negli occhi Chloe
“No. Ma se voi tre dovreste avere ragione, io sarei fottuto, chiaro? Non so cosa potrei aver detto a quel piccolo bastardo, ma se è morto e sepolto se lo merita per quello che ha fatto a Rachel!”
Chloe si allungò verso di lui, sfiorandole una mano
“Ma è proprio per lei che dovremmo farlo, Frank. Merita la verità. Merita giustizia e la meritano anche tutte le altre vittime di Jefferson. Si, Nathan l’ha uccisa ma è Jefferson ad averlo plagiato fino a portarlo a fare quello che ha fatto. Ti prego Frank….”
“Non posso, Price.” ripeté Frank “Mi odio per quello che è successo a Rachel, mi odio tantissimo. Non trovo pace ma non posso dirvi nulla. Se poi scopriste davvero dove è sepolto Prescott? Cazzo, potrei essere fottuto definitivamente, no? Mi sento una merda a mettere me stesso davanti a Rachel ma, cazzo, non voglio restare qui troppo a lungo. Voglio uscire e rimettere a posto al mia vita di merda anche per lei. Ho fatto troppi casini.”
Chloe ritirò la mano e fissò Frank con un misto di compassione e delusione. Max vide svanire l’entusiasmo dal volto della sua ragazza e decise di dire la sua, pentendosi subito per quello che stava per dire
“Ti manca Pompidou, vero?”
Frank la osservò stupito
“Si, certo. Ma che c’entr…”
“Hai paura che, se rimanessi qui per troppo tempo, potresti non vederlo più, giusto?”
“Si, certo ma non penso che me lo possano impedire per sempre se…”
“Ci prenderemo cura noi di lui. Nessun sconosciuto, nessun canile malcurato. Io e Chloe ti promettiamo che baderemo a Pompidou per ogni giorno in cui sarà necessario, in attesa che torni da te.”
Chloe s’illuminò. Aveva inteso l’idea di Max e non tardò a rincarare la dose
“Sai, Max a Seattle ha un giardino niente male. Scommetto che starebbe comodo. Inoltre, possiamo sempre venire qui una volta al mese con lui, a trovarti.”
Frank ora sembrava depresso e sconvolto. Fissò intensamente Max
“Tu lo prenderesti con te?”
Max sorrise in risposta
“Non ho mai avuto un cane, ma sai che mi piacciono. Mi farebbe piacere aiutarti e accudirtelo per un pochino.”
“Ma se io non dovessi…”
“Uscirai.”disse Chloe “Non è detto che succeda il peggio, Frank. Possiamo sempre evitare che succeda. Forse non troveremo mai nulla. Dobbiamo provare e possiamo solo prometterti che, comunque vada, ci faremo carico di Pompidou per te. Te lo promettiamo.”
Frank era una maschera di emozioni contrastanti: sollievo, rammarico, delusione. Squadrò le tre ragazze, soprattutto Max, poi disse
“Se dovesse succedere qualcosa…. Se dovesse andare male…. Cioè intendo bene per voi ma male per me, vorrei che trattaste Pompidou come se fosse vostro. So che starà bene: stranamente vi ha sempre trovate simpatiche.”
Max sorrise in risposta
“Lo vedrai spessissimo, te lo prometto. In qualche modo, anche se dovessimo andare via da Seattle.”
Frank abbozzò un sorriso e annuì
“Cercherò di essere breve. Ci sono un paio di episodi, forse tre, in cui io e Prescott parlammo un po’. Me li ricordo abbastanza bene…. Magari riuscirò a rendermi utile per voi.”
Si accomodò sulla panca, prese un respiro e cominciò  a raccontare…..
 
 
 
Il tramonto lungo la costa era da sempre uno dei momenti preferiti e uno dei pochi motivi per la quale non aveva ancora abbandonato Arcadia Bay. Era stata una estate assurda ed era tornato da poco in città. Le acque sembravano essersi calmate ma c’erano ancora dei piccoli imprevisti da sistemare. Ci avrebbe pensato poi, ora voleva solo godersi il tramonto sulla spiaggia dopo tutte quelle settimane di assenza. Prese una birra ghiacciata dal frigo, uscì dal suo camper e si sedette sulla sedia, abbandonandosi alla quiete di fine estate, con la brezza marina a lambire la sua pelle. Avrebbe dovuto pensare velocemente a come risistemare gli affari della zona e far sapere a un paio di persone che contava che era vivo e che era di nuovo in pista.
Sbuffò.
Odiava trovarsi ancora in quella situazione, ma non aveva avuto altra scelta.
La macchia di sangue sul camper, perlomeno, era stata cancellata nel frattempo. Almeno un piccolo problema in meno era risolto.
Con la coda dell’occhio, vide avvicinarsi una figura alla sua destra. Piegò il capo un poco, il necessario per vedere meglio chi stesse tentando di avvicinarsi a lui.
Era un ragazzino adolescente, magro e con una faccia smunta, capelli biondo cenere e una maglietta semplice ma palesemente di marca.
“Sei Frank Bowers, vero?” disse con una voce timida
Merda: aveva a malapena adagiato il culo nei confini di Arcadia e già i piccoli tossici erano in cerca di erba di bassa qualità da pagare con la paghetta settimanale. Inoltre, era ancora estate! Cazzo, quanto mancava alla scuola? Due? Tre settimane? Già venivano a rompere i coglioni!
“E tu chi cazzo saresti? Che vuoi?”
Il ragazzo sembrava ora intimidito. Cercò, balbettando, di dare una risposta
“V-volevo solo dell’erba…. Vorrei distrarmi un po’….”
“E perché pensi che l’abbia io?”

Il biondino si fece piccolo piccolo e, con voce tremante, disse
“Beh mi hanno detto di cercare un certo Frank che viaggia sempre con un camper…… almeno così mi dissero alcuni compagni di classe…. Sei il primo che vedo con un camper e non sembra un turista, in tutta l’estate…. Non che Arcadia Bay pulluli di turisti, giusto?”
Maldestro e insicuro, ma qualcosa in lui lo convinceva poco. Frank non voleva tenerselo tra i piedi ancora per molto. Si alzò e lo squadrò da capo a piedi
“Quindi vieni da me e insinui che io sia uno spacciatore, che abbia della droga e che la venda a dei piscialletto. Ora, perché non dovrei incazzarmi e cacciarti a calci nel culo?”
“Perché posso pagare. Non sto accusando di nulla, sto solo chiedendo se…. Ecco se posso comprare dell’erba, tutto qui.” si giustificò lui, alzando le mani e impallidendo.
Bene, allora era un finto duro.
“E dimmi: come intendi pagarla? Con la ricca paghetta del tuo facoltoso paparino?”
Sorprendentemente, il ragazzo annuì. Si mise una mano nella tasca ed estrasse una banconota. Fece per allungarla verso Frank, tremante, che si sorprese nel vedere che era un biglietto da cinquanta dollari.
“Scherzi, vero? Cinquanta sacchi per dell’erba? Chi cazzo sei, un milionario?”
Il ragazzo ridacchiò
“Quasi.”
Frank ebbe una illuminazione

“Sei un Prescott, per caso?”
Il ragazzo ora arrossì ed annuì: voleva vantarsi della sua ricchezza ma non voleva essere associato alla sua famiglia.
“Quindi, più che la tua paghetta, quello potrebbe essere al massimo l’anticipo. Aspettami qui.”
Entrò nella sua casa mobile e frugò in uno degli scaffali in alto. Non aveva scorte: le poche che possedeva le aveva vendute per campare durante quelle settimane. Trovò un barattolo con dentro ancora quattro canne. Ne prese una e la esaminò: sembrava ancora in buono stato.
Tornò all’esterno e porse la canna al giovane Prescott, che la esaminò con curiosità.
“Almeno sai fumare?” chiese, vedendo la faccia stranita del ragazzo
“Certo!” rispose lui offeso, ma Frank ebbe la sensazione che stesse mentendo
“Bene. Me la pagherai la prossima volta. Non ho da cambiare cinquanta dollari.”
Frank pensò che, con ogni probabilità, non avrebbe ricevuto un centesimo per quella canna ma poco importava: ormai poteva non essere più di buona qualità, perciò non ci avrebbe rimesso granché. Prescott lo ringraziò sinceramente e se ne andò, non soffermandosi molto con altri convenevoli.

Convinto che non l’avrebbe mai più rivisto, tornò alla sua birra e a godersi il tramonto.
Circa un mese dopo, però, dovette ricredersi.
Settembre era ormai iniziato da un pezzo e Frank aveva ripreso gli ‘affari’ . Aveva lasciato un tempo più che necessario perché le acque si calmassero anche nella sua area di competenza e aveva, ormai, ufficialmente preso il posto di Damon. Il passo non comportò grossi problemi, dato che era sempre stato il braccio destro di Merrick, quindi la sostituzione nella piazza di spaccio di Arcadia non fu un problema per i fornitori. Anzi, meglio cosi: Frank era meno problematico rispetto a Damon e dava più garanzie. Inoltre, il Procuratore Amber non sembrava più interessarsi al giro di spaccio in città e non aveva mai messo sotto torchio seriamente Frank, quindi che egli fosse il nuovo e unico spacciatore della baia era solo un guadagno aggiuntivo.
Frank si era stabilizzato a sud, non lontano dal quartiere benestante di Arcadia e dalla vecchia fattoria dei Prescott. Era la zona più serena in quel periodo dell’anno e, prima di tornare alla spiaggia, il luogo che preferiva e che aveva eletto a piazza di spaccio principale, voleva approfittare di quella quiete per organizzarsi al meglio.
Convinto che nessuno sarebbe arrivato a rompere le palle, si sentì tradito nel profondo nel trovarsi il giovane Prescott a pochi passi da lui, un pomeriggio di metà Settembre, che si dirigeva a passo spedito e sicuro dopo aver parcheggiato un pick-up nuovo, rosso fiammante.
Frank pensò che quella era l’esatta immagine del tipico studente della Blackwell Academy, ovvero il cliente sicuro e spendaccione ma anche un sacco da boxe fattosi uomo.
“Hey, Bowser!” salutò allegramente Nathan, con la mano e un sorrisetto da rompergli i denti.
“Prescott…” borbottò in risposta, ancora incerto se incazzarsi o ascoltarlo
Nathan frugò nelle tasche. Portava dei jeans normalissimi ma sicuramente di marca. Indossava con orgoglio la felpa rossa fiammante della Blackwell e sotto sbucava una polo firmata. Estrasse, infine, la mano dalla tasca e porse a Frank una banconota da dieci dollari.
“Dovevo saldare un debito. Tieni pure il resto, come interessi per queste settimane di silenzio.”
Lo spacciatore osservò dubbioso la banconota per qualche istante, poi l’afferrò con decisione
“Non sono il tipo che chiede interessi. Non ancora, almeno. Ti darò il tuo resto.”
“No, non preoccuparti. Al massimo, se vuoi, convertimeli in erba a questo punto. Cosi ci guadagni anche tu.”
Frank fece le spallucce. Poteva fregarlo ma pensò che, almeno per ora, poteva tenerselo buono. Giusto il tempo per far ripartire il giro. Con un cenno, gli disse di seguirlo e lo mise ad aspettare fuori dalla porta del suo camper. Lasciando l’uscio aperto, mentre cercava la droga, continuò a parlare con il ragazzo facoltoso.

“Sai, non capita spesso che uno dei Prescott venga a chiedere erba. Che io sappia, sei il primo della tua famiglia.”
Sentì uno schiocco di lingua provenire da fuori e, subito dopo, Nathan parlare
“Può essere. Mia sorella è abbastanza tranquilla: ha scelto la fuga anziché la droga. I miei sono troppo bigotti per darsi alla droga. Il resto della famiglia non so manco che cazzo combini.”
Frank sbucò fuori nuovamente, porgendo il sacchetto con la droga a Nathan, che lo prese senza ringraziare.
“Senti, Bowser…. Avrei anche un’altra richiesta…”
“Se ti servono droghe più, per così dire, elaborate dovrai attendere: primo perché il mercato sta ripartendo ora, secondo perché se inizi ora con l’erba, fossi in te aspetterei a calarmi roba più pesante.”
“No, intendevo altro….. sai, ora tu sei al posto di Damon e a scuola non c’è più North…”
“Non mi interessa… quel toro da football era il galoppino di Merrick, io non voglio rotture di cazzo con studenti…”
“Ma un aggancio ti potrebbe fare comodo, no? Potrei essere io il tuo Drew North, anzi sarei mille volte meglio in confronto a quel coglione.”

“Ehi, non ti sembra di esagerare? Cosa cazzo pensi di fare? Da insignificante signor nessuno figlio di papà a novello Scarface? Senti bello, se vuoi comprare le droga da me, sei il benvenuto, ma non venirmi qui a fare discorsi da narcos perché potrei solo riderti in faccia.”
Frank notò un cambio nell’espressione di Nathan. Una sorta di ira cieca era sbucata per un istante nel profondo degli occhi del ragazzo, salvo poi svanire. Gli rivolse un sorriso beffardo e disse

“Forse hai ragione, per ora. Ma appena il tuo giro tornerà  a crescere e io sarò ben ambientato alla Blackwell, fidati che faremo affari insieme e tu guadagnerai moltissimo, amico mio.”
“Davvero? E come sai che sarai popolare?”
Nathan allargò le braccia
“Sono un Prescott: le donazioni compreranno la mia notorietà e non solo. Ho un progetto in mente: prenderò possesso dell’elite della scuola, lasciando gli sfigati ammessi per sbaglio ai margini. Sono stufo di essere schiacciato da tipi come North: cambierò le carte in tavola, fidati. Quando accadrà, credimi, sarai contento di avere me come contatto nella scuola. Scarface mi può fare una sega.”
Concluse questo pomposo proclama, si voltò e se ne andò.
 
 
“Ammetto che lo trovai presuntuoso e il classico pezzo di merda snob, ma qualcosa mi suggerì che non era solo un proclama pieno di arie. Ero sicuro che avrebbe fatto quello che sosteneva. Quando, quella estate, lo conobbi e mi disse quelle cose, per un mese non lo vidi più. Poi, per un anno circa, divenne mio cliente fisso. Comprava principalmente erba, nulla di esagerato. Pagava in anticipo, mi lasciava spesso gli spicci come ‘disturbo’ e non si fermava tanto, qualche chiacchierata di cortesia ma nulla di che. Poi, con il nuovo anno scolastico, cominciò a dimostrarmi che il suo piano stava prendendo forma. Mi chiedeva sempre più erba, mi disse che era per altri e che, se avessi voluto, mi avrebbe mandato gente a comprare. Oppure, poteva pensarci lui. Non lo voleva fare per i soldi, ma solo per sentirsi importante. Davvero, quello lavorava quasi gratis, non gli fotteva niente. L’unica cosa che voleva è che gli garantissi la totalità del controllo alla Blackwell o di zone che, occasionalmente, trovava interessanti. Di solito erano punti di ritrovo per studenti, ma lì diventava più difficile lasciarlo fare, mentre a scuola non avevo certo problemi. Quindi si, alla fine divenne il mio Drew North.” spiegò Frank “Dopo quasi due anni, il giro era stato creato. La Blackwell viaggiava spedita e, quando non c’erano le droghe disponibili da Nathan, loro venivano direttamente da me, mandati sempre da lui. Solo dopo la merda che è venuta fuori, ho scoperto che allungava le droghe con le sue medicine. Che pezzo di merda. Nel frattempo, mi disse che il traffico era in continua crescita e voleva presentarmi una potenziale collega che aveva bisogno di soldi. Mi garantì che era brava e intenzionata a fare bene il suo dovere, oltre al fatto che in popolarità era la sola a batterlo, perciò poteva essere una garanzia come un ulteriore modo per raggiungere i pochi studenti che si premunivano lo sballo da soli. Fu così che conobbi Rachel: me la presentò Nathan. Era bellissima, cazzo. Ma era una ragazzina, non potevo certo guardarla con occhi diversi se non di un uomo maturo che vede una adolescente sgamata che fa gli occhi dolci per avere quello che vuole. Cazzo, che fregatura che è stata! Acconsentì e, poco dopo, io e Rachel cominciammo a frequentarci. Il resto, immagino, lo sapete anche voi. Quello che non sapete e potete magari trovare interessante, è la discesa verso il delirio che Nathan Prescott fece in quei mesi. Era peggiorato tanto, ma finché c’era Rachel sembrava contenersi. Nell’ultimo anno, però, cominciò a preoccuparmi…..”
 
 
 
Era sera, quasi mezzanotte.
Non sapeva dirlo di preciso. Era alticcio e si era fatto un po’ di canne. Cazzo era stata una primavera di merda! Rachel lo aveva abbandonato e continuava a soffrire. Mancava nella sua vita come l’aria, mancava costantemente. Quella stronza impertinente era entrata nella sua vita come una sorpresa di cui non credeva di essere meritevole. Non era il suo corpo, le sue labbra o i suoi occhi…. Era tutto. Lei era tutto. La sua forza, la sua determinazione, la sua caparbietà lo avevano annichilito e sedotto negli ultimi mesi. Si erano lasciati perché lui era un coglione, certo. Però sapeva che poteva riconquistarla, in qualche modo. Doveva solo lasciarla sbollire…. O scopare qualcun altro.
Cazzo, il sospetto che si scopasse un altro uomo era fortissimo! Ne era quasi certo. Non tutti gli uomini sono così stupidi da non cogliere certi segnali, specie se solo di raffreddamento e di distanza. L’avrebbe lasciata fare e poi l’avrebbe riconquistata.
Peccato per un piccolo dettaglio: era scomparsa.
Da quasi un  mese oramai, Rachel Amber era svanita nel nulla. Nessuna traccia, nessun messaggio, nessun testimone…. Niente.
Si, voleva fare la modella.
Si, voleva scappare con la Price via a Arcadia Bay (quelle due erano convinte che il loro piano super segreto fosse noto solo a loro due, ma mezza città lo sapeva e, forse, anche il padre di Rachel ne era al corrente.).
Si, voleva stravolgere la sua vita….
Ma svanire così?
Non che sembrasse strano che avesse abbandonato tutti, compresa Chloe, per andarsene: rientrava perfettamente nell’indole di Rachel: se non puoi seguirmi, allora non correre nemmeno.
Ma un biglietto… un avviso….
Da due giorni aveva visto comparire dei volantini di segnalazione di scomparsa…. Era certo che non fosse stata la famiglia. Ancora opera di Chloe? Possibile: era abbastanza cazzuta da farlo. Era una testa calda ma era una brava persona e, conoscendo la tragedia che aveva passato anni fa, ammise a sé stesso che provava compassione. Chloe, benché litigassero sempre, era una sorta di sorella minore per lui. Teneva a quella ragazza ma con dei limiti che non voleva che ella superasse.
Dove cazzo era, Rachel?
La sua mancanza, amplificata dalla sua scomparsa, non stava aiutandolo granché a metabolizzare che non l’avrebbe più vista nuda sopra il suo letto.
Buttò giù mezza birra con un paio di sorsi rabbiosi e sperò che i pensieri s’annebbiassero, scacciando la malinconia. Sperava davvero di poter tornare a dormire serenamente, invece di proseguire con notti insonni, alternate da sogni e speranze in cui Rachel bussava alla sua porta, implorando di entrare di nuovo.
Avrebbe trovato la pace anche se avesse scoperto che lei era in California, viva e serena. Anche se fosse stata con un altro.
Basta che vi fosse pace nella sua mente e nel suo animo.
Purtroppo, quella sera aveva tutta l’intenzione di virare verso una direzione sgradita: la spiaggia fu brevemente illuminata da due fari artificiali di una automobile. Il rombo del motore e il freno schiacciato malamente e bruscamente, ne confermarono la presenza. Il guidatore aveva, malamente, parcheggiato all’ingresso della spiaggia, lasciando pochi dubbi che fosse venuti lì per lui. Avrebbe dovuto incazzarsi ma, al tempo stesso, non poteva certo pretendere che la gente sapesse come si sentisse. Ma chi poteva essere? Price? Nah, il motore sembrava decente….
Meno di un minuto dopo ebbe la sua risposta.
Nathan Prescott si sedette pesantemente a terra. Aveva la faccia sconvolta, pesanti occhiaie e guance scavate. Indossava una polo azzurro chiaro e jeans scuri, braccia molli e adagiate sulle ginocchia ossute. Sembrava più pallido e smagrito che mai.
“Brutta serata?” chiese Frank
Nathan non rispose subito. Rimase imbambolato a osservare l’oceano, a pochi metri da loro.
“Hai qualcosa? Qualcosa che mi svegli come si deve?” chiese con voce fioca
“No, finito quasi tutto. Solo erba, ragazzo. Domani vado a Tillamook e mi rifornisco. Con i vostri Vortex Party mi finite tutto, cazzo.”rispose Frank, con un mezzo sorriso, ma Nathan non parve entusiasta ne interessato
“Peccato. Mi farò una canna allora. Te la pago la prossima volta, sono senza portafogli ora.”
“Non occorre, questa te la offro. Ma vedi di non girare senza quel coso, se dentro hai la patente… se ti fermassero gli sbirri…”
“Li compro. Li ho già comprati. Non mi fermeranno mai e se lo facessero, appena sentono il mio nome sanno che non devono rompere i coglioni.”

Frank sbuffò: queste ostentazioni di potere di Prescott ancora lo urtavano dopo tutto quel tempo. Si alzò e prese una canna da dentro il camper e la porse a Nathan che, ringraziando con un mugugno, l’accese e prese una boccata enorme.
“Che cazzo ti è successo? Hai una faccia….”
“Nulla. Periodo di merda. La Blackwell inizia a diventare un fottuto labirinto da cui non vedo l’ora di uscire, questa città è sempre più una fogna abbandonata da ogni Dio e la mia famiglia è un cazzo di scherzo…. A volte invidio quella stronza egoista di mia sorella per essersene andata….”

“Dove sta, adesso? Nicaragua?”
“Brasile…”
“Ah si, giusto… Brasile….”

Pausa.
Altro sorso per Frank.
Altra boccata per Nathan.
“Se non vuoi parlarne, non ti obbligherò, Prescott.”
“Siamo amici? Non pensavo fossimo intimi, Bowser.”
“No, non lo siamo. Siamo soci. Ma capita che anche tra soci si parli, sai? Specie per il bene degli affari. Se la Blackwell ti fa schifo, vuol dire che vuoi qualcuno che ti sostituisca?”

“Cazzo, no! Ho ancora troppi agganci e il prossimo anno arriveranno i novellini del corso pre – Universitario. Quel cazzo di corso inutile e inventato toccherà seguirlo anche a me, perciò devo tenere ancora banco io. Il Vortex Club è mio, ora. Lo useremo come copertura finché sarà possibile. Mi serve, ne ho bisogno…”
“Per distrarti?”

Nathan si voltò a guardarlo confuso
“Che?”
“Per distrarti…. Ripeto: hai una faccia…. È chiaro che non stai bene.. che cazzo ti piglia, Prescott?”
“Anche tu hai una faccia da funerale da un po’ di tempo, ma so farmi i cazzi miei, a differenza tua.”
“No: tu sei solo più bravo a fottertene degli altri.”
Nathan tornò a fissare l’oceano con un ghigno indecifrabile sul viso
“A volte è così.” disse infine.
Frank finì la sua birra. Poi si alzò, ne prese una seconda ghiacciata dal frigorifero e tornò a sedersi. Nathan non batté ciglio. Rimase immobile e finì di fumare.
“Vuoi parlarne?”
“Di cosa? Che cosa può interessarti quello che mi passa per la testa, Bowser?”
“Nulla, ma credevo ti potesse far bene.”
Altra pausa, altro silenzio. Solo lo sciabordio delle onde. L’oceano era nero come l’inchiostro, la brezza stava velocemente raffreddando l’aria e presto sarebbe arrivata l’ora di tornare dentro e provare a dormire, di nuovo. Stavolta, senza sonniferi.
“Se si cadesse dal faro?”
Nathan sputò quella domanda all’improvviso, lasciando Frank con la bottiglia di birra sospesa a mezz’aria, a pochi centimetri dalle labbra.
“Che vuoi dire Prescott?”
“Se qualcuno cadesse dal faro, dici che verrebbe mai ritrovato?”
“Questo non saprei dirlo. Difficile, però… sai, la corrente è forte anche in periodi di calma, in quel punto. Inoltre, se il corpo fosse senza troppi pesi, dopo un certo periodo potrebbe riemergere, ma chissà dove. Forse mai più o forse al largo, chi lo può sapere.”
“E’ lì che hai scaricato il corpo di Merrick?”
Frank s’incazzò moltissimo a quella domanda e rinunciò alla pacatezza, sbattendo la birra con violenza sul bracciolo, al punto che una discreta quantità si riversò fuori con un getto schiumoso
“Che cazzo hai detto, tu? Come cazzo ti permetti di insinuare che io abbia ucciso e scaricato Damon..”
“Andiamo Frank, non incazzarti. Lo sanno tutti, ma non hanno prove per incastrarti. Mi sono informato alla polizia, tanto sono dipendenti di famiglia. Non hanno nulla e James Amber se ne fotte della fine di quel coglione. Ma se non vuoi dirlo, ok. Quindi non lo hai scaricato al faro, d’accordo, non mi frega. Quello che mi interessa sapere è se mi buttassi con delle pietre in tasca da lassù, finirei a fondo e quello che rimarrebbe di me sarebbe legato al fondale per un bel po’, no?”
Frank ora era stranito. Lo osservava con curiosità e preoccupazione

“Che cazzo stai dicendo? Vuoi suicidarti?”
Nathan mostrò di nuovo quel sorriso beffardo.
“No. Non ancora per lo meno.”
“Senti, queste cazzate fattele passare dalla testa, chiaro? Evita di parlarne con altri. Ne hai parlato con qualcun altro?”

“No.”
“Bene. Evitalo. Potrebbero non capirlo o prenderti per strano. Se hai bisogno di parlarne e sfogarti, piuttosto vieni qui e facciamoci una canna.”

“Pago già gente per psicoanalizzarmi. Non occorre che tu lo faccia.” rispose gelido, salvo poi scusarsi timidamente
“Evita di pensarle, certe stronzate.”concluse Frank, porgendoli la birra rimanente che, con un gesto della mano, Nathan rifiutò. Frank fece le spallucce e la trangugiò
“Dove pensi che sia finita Rachel?” chiese poi lo spacciatore
Nathan rimase impassibile. Fece le spallucce e mormorò un tiepido ‘non lo so’.
“Pensavo foste amici. Non ti ha mai detto nulla?”
“No. Amici… termine un po’ esagerato, non credi? Eravamo soci, certo. Eravamo amichevoli, certo. Amici, forse no. Ma è una delle poche persone che tolleravo alla Blackwell.”
Mentiva, glielo leggeva in faccia. Frank sospettò che Nathan fosse innamorato perso di Rachel, che ne fosse affascinato mostruosamente ma, al tempo stesso, sembrava sincero nel dire che non sapeva dove fosse finita.

“Capisco.” rispose, senza intenzione di proseguire la discussione, capendo che da lui non avrebbe ottenuto nulla.
“Hai paura che sia cascata dal faro?” chiese Nathan “Oppure pensi che senza la nostra socia, gli affari andrebbero a puttane?”
Ora toccò a Frank mentire
“No, nulla di tutto questo. Non vorrei che la polizia ci venga a fare domande scomode.”
“Non succederà: non la stanno nemmeno cercando. Il padre di Rach, James – stronzo -  Amber ritiene che la figlia sia scappata per fare la modella. Ha mandato un paio di pattuglie a perlustrare la zona e fare qualche domanda, ma nulla di serio. Se ne frega la sua famiglia, se ne frega la città… forse siamo solo io e te, gli spacciatori, a chiederci dove sia. Oltre a quel tizio che mette volantini ovunque. Ma dopotutto, se lei se ne è voluta andare, perché dovremmo preoccuparcene anche noi?”

“Perché non ci credo e nemmeno tu ci credi. Te lo leggo in faccia.” disse Frank, stufo delle bugie di Nathan. Il ragazzo si sorprese di quella uscita e guardò Frank sbigottito
“Io…io non…”
“Prescott, piantala. Sei preoccupato e anche tu non credi che sia un allontanamento volontario. Ci speri, ma pensi che non sia così.”

Nathan si alzò. Sembrava nervoso, impaziente.
“Non so nulla, ok? Quella è sparita dopo una festa del Vortex. Sembrava ok, si divertiva. Domenica non rispondeva già più ai messaggi e Lunedì era svanita nel nulla. Che cazzo ti devo dire, che è normale? NO. Sembrava preoccupata o inseguita da qualche stalker? Cazzo, no.  Nessuno ha mai capito Rachel Amber e, se ti interessasse sapere, era una ottima bugiarda. Non per niente era la migliore al corso di teatro, sai? Chissà quante cazzo di cose ci ha nascosto quella là.”
Sembrava innervosito. Frank pensò che, visto che ne era innamorato, Nathan si sentiva tradito da Rachel. Forse odiava l’idea che se ne fosse andata senza dire nulla a lui o magari chiedendo di seguirla in quella avventura.
Povero coglione.
Rachel era una leonessa: non la si domava con i soldi o i bei vestiti. Rachel non avrebbe mai chiesto: andava solo seguita. Se non voleva essere seguita, non lo avrebbe mai reso possibile. Ecco perché era svanita.
“Se non fosse fuggita, invece? Se qualcuno l’avesse presa?” chiese Frank
“Te l’ho detto: non aveva stalker.”
“Hai anche detto che era una brava attrice.”
Nathan non rispose stavolta. Esibì nuovamente il suo sorrisetto beffardo, ma il tremolio alle spalle tradì la sua sicurezza.
“Vero. Ma potrebbe essere stata brava a nascondere le sue problematiche. Dovresti chiedere solo a quella punk del cazzo di Price. Erano inseparabili.”
In effetti, pensò Frank, questa era una verità. Andava però detto che Chloe non avrebbe mai messo in giro volantini se fosse stata sicura che Rachel era viva, al sicuro e semplicemente in fuga. Anzi, Chloe sarebbe sparita con lei.
L’ansia di Chloe era, perciò, un diretto segnale di quanto la situazione fosse problematica.
“Forse. Magari le farò un paio di domande: tanto mi chiede sempre erba nonostante il debito gigantesco che ha nei miei confronti.”
Nathan incrociò le braccia
“Perché sei cosi interessato alla fuga di Rachel?”
Frank era decisamente più bravo a mentire e rispose prontamente e con sicurezza
“Perché devo essere certo che non mi metta nella merda, ok? Ovunque sia, qualsiasi cosa stia facendo, non mi interessa. Voglio solo che non possa rischiare nulla, chiaro?”
Nathan alzò le mani e si rilassò
“Chiaro. Vuoi tutelare i tuoi interessi e hai ragione. Messaggio ricevuto. Ora vado. Ci vedremo presto: il party di fine anno avrà bisogno di ricariche. Inoltre preparati per Settembre: voglio organizzare qualcosa per le matricole del corso pre-universitario. Dicono che si iscriverà anche la figlia dei Marsh: quella ultra cattolica del cazzo magari deciderà di sciogliersi un po’ e avremo una cliente in più con un bel portafogli gonfio.”
“D’accordo. Vedrò di rifornirmi presto. Per il resto, ho una estate per pensarci.”
In effetti, i Marsh erano benestanti: una cliente del genere avrebbe fatto comodo.

Nathan sorrise e, con un cenno di saluto, si congedò e se ne andò.
 
 
“Nei mesi successivi, Nathan Prescott appariva sempre più instabile e rabbioso. A volte non mi parlava, a volte parlava troppo, a volte mi scriveva minaccioso in piena notte se non gli davo la droga e altre volte sembrava un bambino spaventato. Non sapevo della sua malattia mentale e non immaginavo che fosse legato alla morte di Rachel, finché non è scoppiato tutto il casino. Certo che, se lo avessi saputo, magari lo avrei potuto intuire anche io: la sua instabilità era cresciuta esponenzialmente dopo la morte di Rachel. Era tutto così chiaro, cazzo! Sono stato un coglione… Non parlò più, o meglio non così spesso e così tanto. Non nominò mai più il faro ne altri posti di Arcadia Bay in cui poteva nascondere un corpo. Buffo, perché lo aveva già fatto, no? Pochi giorni prima che drogasse la figlia dei Marsh, era terrorizzato. Sembrava in ansia, in fuga da qualcosa. Ora capisco che Jefferson lo stava mettendo sotto pressione. Era una cazzo di bomba pronta ad esplodere. Mi meraviglio che non abbia sparato a nessuno di voi, a scuola.”
Max e Chloe si scambiarono una rapida occhiata complice.
Steph, invece, era rapita dal racconto ed esclamò
“Cazzo, sei rimasto a contatto con lui così a lungo! Al punto che sembrava ti rispettasse un minimo. Però mi sfugge una cosa: non ha mai indicato nulla, a parte il faro, vero?”
“No, nulla. Mai una menzione. Mi dispiace ragazze.”
Prima di congedarsi da Frank, passarono ad argomenti più spensierati, per aiutarlo a tirarsi su di morale. Rinnovarono la promessa di tornare e organizzarsi per prendersi cura, in futuro, di Pompidou.
Una volta uscite, di nuovo al sole, i veri umori vennero fuori: Chloe marciava rabbiosa, Steph era pensierosa, Max era insicura e afflitta.
“CAZZO, IL FARO! FIGLIO DI PUTTANA!” urlò Chloe
“Calmati, Chloe: non è detto. Magari non lo ha detto a Jefferson!” tentò di dirle Steph
“Non glielo ha detto? Cazzo, Steph: erano compagni di omicidi, ovvio che glielo avrà detto. Jefferson non avrà esitato a portarlo lassù, mettergli un paio di sassi nel culo e scaraventarlo di sotto, nell’oceano. Merda, merda e ancora merda! Cristo, siamo fottute!”
“Non è finita, Chloe! Esamineremo le vittime, una per una e le cercheremo, se necessario. Come dicevo a Max stamane, ho trovato una potenziale vittima che forse potrebbe aiutarci. Sarà un quasi sicuro buco nell’acqua e butteremo via benzina e tempo per arrivare a Beaver Creek, ma potrei sbagliarmi. Max voleva tentare ma ero io ad averla dissuasa. Possiamo però tentare se lo volete, no? Giusto Max? Max?”
Erano arrivate alla Corolla ma erano solo in due.
Si voltarono e videro che la giovane Caulfield era rimasta qualche metro indietro. Stava osservando il suo cellulare.
“Max!” strillò Chloe “Muoviti!”
La ragazza sembrò riprendersi e mise via il telefono. Raggiunse le altre e si scusò.
“Che hai letto? Brutte notizie?” chiese Steph
Max scosse la testa
“No. Ho solo mandato un messaggio: vedrò Jefferson domani, ho accettato. Da sola, stavolta.”
Chloe divenne viola di rabbia
“Che cazzo stai dicendo? Sei completamente impazzita? Non ricordi cosa ha detto Steph? Non devi avvicinarti! Non devi vederlo? Dobbiamo tenerlo per le palle!”
“Non abbiamo più tempo, Chloe!” strillò in risposta Max, con gli occhi lucidi “Tutto sta andando allo sfascio, tutto! Nathan forse è in fondo all’oceano da quasi un anno, le vittime non ci parlano e non parlano alla polizia….. che cazzo dovremmo fare? E’ l’ultima carta che ci rimane da giocare: Jefferson stesso. Lo vedrò e cercherò di incastrarlo, a costo di svendermi o fare promesse che mi faranno schifo. Ma se tutto andrà bene, non dovrò mantenere nessuna promessa a lui! Cazzo, Chloe, devo! Per quelle ragazze! Per Kate!”
Chloe si lanciò su Max, prendendola per le spalle ossute e immobilizzandola
“Cazzo, ma ti ascolti? Non sei una eroina di tutti i giorni, Max! Non devi niente a nessuno, cazzo! Io e te abbiamo già dato troppo, tu più di tutti. Stiamo trascinando Steph in una merda viscida e noi stiamo crollando. Se domani andrai da lui, sarai ridotta a uno straccio, lo capisci?”
Max si morse il labbro e lacrime silenziose cominciarono a scendere sulle sue guance.
“Io…. Io devo farlo…. Devo, Chloe. Se il prezzo è la mia serenità, lo pagherò: lo voglio in carcere per sempre. Non avrò mai pace, lo capisci?”
“No, non lo capisco. Abbiamo già troppi pensieri per metterci sulle spalle anche questo. Tu hai troppe pressioni per rovinarti la vita facendoti carico dei problemi del mondo. Se non ce la faremo, pazienza! Ci abbiamo provato. Se uscirà di prigione e proverà a cercarti, beh butteremo noi il suo cadavere giù dal faro, stavolta.” insistette Chloe
“No, Chloe…. Non capisci…. Devo….”
“Max?” s’intromise Steph, con un tono stranamente affettuoso “Non ti sei vista ultimamente allo specchio vero?”
“Come?”
“Non ti sei guardata, immagino. Sei devastata, Max. Hey sei sempre bellissima eh, ma il tuo viso è un blocco di stress e tensione emotiva. Non sono solo occhiaie, ma tutto il tuo viso a mostrare segni di sofferenza. Non stai bene, Max: sei a un passo dal crollo. Il tuo ultimo anno e i gli ultimi giorni ti stanno sfiancando. Non puoi reggere.”
Max rimase di sasso.
In  effetti, non si era vista allo specchio. Era davvero così messa male? Stava davvero avendo un crollo nervoso? Cazzo, non ci capiva più nulla. Sentì più lacrime scavarle il viso.
“Hey, scema.”disse Chloe, stavolta con un tono dolce e prendendole il viso delicatamente tra le mani “Per me sei sempre bellissima, ok? Però sei stanca, è vero. Devi riposarti. Meriti di riposarti. Basta farti del male, Max. Non puoi salvare tutti.”
Max chiuse gli occhi e si abbandonò a Chloe, che la strinse a sé
“Andrò da Jefferson. Non cambio idea.” mormorò infine.
Sentì il petto di Chloe gonfiarsi e ingoiare chissà quali parole, messe solo come un sonoro e lungo sbuffo nasale che le raffreddò la nuca. Una mano diversa, quella di Steph, si appoggiò delicatamente alla sua schiena.
“Ci penseremo domattina, ok?” mormorò la ragazza della Corolla “Stasera distraiamoci. Andiamo in hotel, ci facciamo un bagno in piscina, svuotiamo il ristorante e poi fanculo a tutti e occupiamo il bar e facciamo baccano bevendo tutto quello che possiamo!”
Chloe prese nuovamente Max per le spalle e la costrinse a guardarla
“A me sembra un ottimo piano! Lo meritiamo!”
Max sorrise debolmente
“Cazzo, si.”disse infine, suscitando giubilo alle altre due.
Si misero in auto e Max, sedendosi dietro, si sentì sfinita e persa. Odiava mentire. Non poteva non pensarci e non avrebbe bevuto: doveva alzarsi presto e tornare da Jefferson.
 
 
 
Quella sera, McKinsey sentiva odore di vittoria.
Novak lo aveva contattato con un messaggio urgente, dicendo che aveva qualcosa di interessante, che poteva chiudere definitivamente la sua guerra personale con le ragazze. Ma poteva mostrarlo solo di persona.
L’appuntamento era per le ventuno al Pacific Restaurant di Tillamook. Il posto non era dei suoi preferiti, ma non era male: ampio, con lampade sospese che penzolavano dal soffitto, tavoli in legno e non molto affollato, nonostante la posizione e l’ora.
Novak occupava un tavolino vicino alla parete a vetri. Era un tavolo abbastanza visibile ma anonimo.
Si sedete di fronte, con un sorriso ampio e una frenesia incontenibile. Si sentiva un bambino la mattina di Natale.
Novak gli rispose con un sorriso altrettanto caloroso e vivo. Per Dio, era vero allora! Era finita! Le stronze erano fottute.
“Non tenermi sulle spine! Che hai??”
“Non crederai ai tuoi occhi, ma penso che stavolta sia finita. Chiuderemo i conti stasera stessa. “Cazzo, lo sapevo che non avresti deluso! Mi preoccupava la tua reticenza degli ultimi giorni, ma penso che sia solo dovuto dal fatto che sei troppo tenero verso le donne in generale. Ma hai capito che, dopotutto, è solo uno sforzo di poco conto! Avanti, illuminami, mostrami!”
“Calma, non ho qui con me nulla. Sai, per essere sicuri…. Attendimi qui, vado a prendere la tua soluzione finale al puzzle.” E fece per alzarsi.
“No, aspetta!” esclamò McKinsey “Vengo con te!”
Sorrideva e i suoi occhi brillavano nel guardare Novak, il suo eroe del giorno!
Il detective privato sorrise ma, con una mano, fece un gesto per invitarlo alla calma
“Credimi, qui sarà meglio. Ordinati pure da bere: tanto offrirai tu stasera!”
“Oh, è il minimo!”
Novak fece un altro largo sorriso e si alzò dal tavolo e svanì.
McKinsey prese il menù e si rifece gli occhi, puntando a tutto ciò che gli sembrò gustoso e invitante: stasera non si sarebbe badato a spese! Stasera si sarebbe festeggiato!
Passò qualche minuto ma non si preoccupò minimamente. Poi, quando era ancora intento a scegliere cosa ordinare, notò un’ombra infilarsi nel tavolo e, convinto che fosse il suo eroe che ritornava, abbassò il menù e si rivolse al suo amico con aria di gioia, ma rimase sorpreso da quello che vide.
Se era seduta, di fronte a lui, una donna giovane, poco più che ventenne. Indossava un abito rosso fuoco che le aderiva perfettamente al corpo snello e atletico. Era bionda, con labbra colorate da un rossetto della stessa tinta dell’abito e indossava un paio di occhiali da sole, nonostante fosse ormai sera. Al collo, in pieno contrasto con il suo abbigliamento e portamento, portava un ciondolo fatto con una corda rozza e un animaletto in legno intagliato… una tartaruga? Un elefante? Boh, chissenefrega.
Era bella, ma non era Novak di sicuro!
La giovane donna adagiò la sua borsetta nera e firmata sul tavolo e si tolse gli occhiali. Vide uno sguardo deciso e familiare.
“Era libero questo posto, vero?” disse con una voce melodiosa, quasi invitante
“Signorina, in verità no.” rispose lui “Ma se è sola, può sempre accomodarsi qui con noi.”
“Non si preoccupi, signor McKinsey: mi tratterrò solo un paio di minuti.”
Sentì il sangue gelarsi nelle vene. Lo conosceva? Come?
“Senta, forse mi ha riconosciuto per i servizi in televisione ma non sono qui per parlare con altri giornalisti… sto aspettando un…”
“Novak non tornerà. Sono io che volevo parlare con lei, signor McKinsey. Credo che abbiamo da dirci un paio di cose interessanti.”
Novak non…. Che cazzo ha detto?
“Che hai fatto a Novak?”
“Quello  che avrebbe fatto anche lei entro stasera: pagarlo per i suoi servigi. Beh io l’ho fatto già oggi e con una tariffa raddoppiata rispetto alla sua, signor McKinsey. Dopotutto, è facile comprare un detective privato, specie se i compiti che gli si richiedono sono così semplici, come mandare un messaggio all’ex datore di lavoro e invitarlo a cena con una falsa promessa.”
McKinsey si sentiva confuso e raggirato: Novak lo aveva tradito? Dopo tutti quegli anni? Non era possibile!”
“Lei mente! Non mi volterebbe mai le spalle!”
“Davvero? Beh, non lo conosce abbastanza bene, allora. Perché vede, a differenza sua, il signor Novak una morale la ha e minacciare delle ragazzine lo ha messo a dura prova. Si sentiva in colpa e voleva espiare a dovere.”
Pezzo di merda! Doppiogiochista!
“Come cazzo si è permesso di…. Non è vero niente!”
“Ha conservato i suoi messaggi, signor McKinsey. Ha registrato anche le vostre telefonate per sicurezza. Lo fa per abitudine, mi ha detto. Quindi ci saranno molte altre testimonianze. Io volevo solo che smettesse di andare in giro con una pistola e provasse ad alzarla contro tre innocenti…”
McKinsey sentiva la rabbia inondargli il volto.
“Si è fatto comprare così facilmente? Soldi in cambio di smettere di lavorare per me? Che figlio di puttana! Giuro che..”
“Oh no, signor McKinsey.” lo interruppe la donna “Non solo questo, ma anche di scovare qualcosa di interessante che potesse tornarmi utile contro di lei, se avesse deciso di fare lo stronzo di nuovo.”
McKinsey era livido di rabbia. Si avvicinò alla donna e mormorò
“Non mi fermerò: ho altri detective da contattare!”
La donna sorrise
“No, non lo farà.”
Frugò nella borsa ed estrasse un piccolo registratore portatile. Premette play e McKinsey sentì la propria voce riecheggiare dalla piccola cassa dell’aggeggio
 
 
te lo assicuro John! Quello è un pazzo squilibrato! Certo che Jefferson è colpevole ma è un caso troppo ghiotto per potermelo perdere! Ci sono poche prove a carico della accusa e la vittoria difensiva è quasi certa. Ci tengo a chiudere la carriera con il botto, lo sai! Questo mi porterà una bella ventata di popolarità e me uscirò di scena da vincitore e con qualche soldo in più. Magari scriverò un libro pieno di stronzate per sostenere che quel pazzo maniaco è un agnellino e che credevo ciecamente nella sua innocenza, così per lucrarci su. Come? Per le vittime? Beh se non hanno parlato vuol dire che non sono state così male, no? Inoltre non ha mica stuprato qualcuna! L’unica ad aver tirato le cuoia è stata quella Amber e per mano del Prescott, quindi non vedo perché dovrei farmi un esame di coscienza. Dai John, non farmi la paternale! Magari mi verrà del rimorso, ma spero che accada mentre sarò in spiaggia a Costa Rica!
 
 
La donna spense la registrazione e sfoggiò un sorriso predatorio. McKinsey cominciò a sudare freddo: riconobbe quella chiamata….
L’aveva fatta nel suo ufficio, la settimana che aveva preso in carico il caso di Jefferson ed era al telefono con il Procuratore distrettuale, nonché suo grande amico. In ufficio non c’era nessuno, come aveva fatto a…
“Non è un falso e non provi a negarlo. Come faccio ad averlo? Novak tiene sotto controllo i suoi telefoni, giusto per avere una arma di riserva da usare se lei lo avesse invischiato in qualcosa di merdoso, come poi alla fine ha fatto. Bello sentirsi traditi, è? Ci sono molte altre conversazioni interessanti salvate sul mio laptop, ma questa dovrebbe bastare a convincere la giuria e i giornali della contea, dello stato e di tutti i fottuti U.S.A. che seguiranno questa vicenda nei prossimi giorni. Direi che siete fottuti.”
McKinsey ora era carico di ira e si sentiva tradito e umiliato. Uno stupido, fregato come uno stupido!
“Che cazzo vuoi”
La donna ora si avvicinò a lui con un ghigno furioso
“Lascia in pace le ragazze. Gira al largo e non osare mai più, mai più¸ ad avvicinarti a loro, chiaro! Non osare ostacolarle, minacciarle o anche solo guardarle o la tua carriera è morta prima ancora che tu possa rendertene conto. Sparisci, lasciale in pace. Domani, infine, ti dimetterai dal caso e lo affiderai al più incapace che conosci, chiaro?”
“Come cazzo ti permetti! Io non mollerò questo caso!”
“Allora domani i giornali riceveranno questa e molte altre conversazioni interessanti. Scegli: o esci di scena con le tue gambe e salvi il tuo vecchio, flaccido culo grasso e ti godi la pensione senza gli onori nazionali, oppure ti rovino senza appello e la Costa Rica non sarà una tua vacanza ma una fottuta prigione perché non potrai mai più tornare qui senza che la gente ti guardi con lo schifo e l’odio che meriti. Scegli, McKinsey!”
L’avvocato si abbandonò sulla sedia.
Tutti i suoi progetti, tutte le sue idee… tutto finito. Non era stupido, sapeva che era finita. Scelse di ritirarsi con dignità
“Bene, mollerò il caso e lo affiderò a un giovane imbecille, contenta! Ma fai sparire tutto o ti giuro che…”
“Cosa? Cosa intendi giurare? Non sei nella posizione di minacciare nessuno, vecchio stronzo. Io non cancellerò niente, anzi conserverò tutto per sicurezza e come trofeo. Non si sa mai che tu possa fare qualche cazzata in futuro e io non abbia modo di rovinarti. Sparisci e mantieni un basso profilo e vedrai che tutto andrà bene. Fammi incazzare e ti fotto.”
McKinsey digrignò i denti e strinse i pugni sul tavolo. Voleva colpirla in faccia, ucciderla, liberarsi di quella puttana e avere la sua vittoria totale.
Ma non fece nulla di tutto questo. Annuì, sancendo la sconfitta.
“Bene.”disse gelida la donna.
Mise via il registratore, si alzò e fece per andarsene
“Chi cazzo sei? Si può sapere almeno chi cazzo sei e perché difendi quelle tre stronze?”
“Mi chiamo Kristine Prescott. Penso che non occorrano altre presentazioni.”
McKinsey scoppiò a ridere
“Ma logico! Stai obbligando quelle lesbiche a cercare il cadavere di tuo fratello per salvare l’onore della tua famiglia! Auguri, non lo troveranno mai! E è furbo la metà di quanto penso, quel Jefferson lo avrà fatto sparire in modo che non possa essere trovato!”
“Non mi fotte un cazzo della mia famiglia.”
“Inoltre, credi davvero che crederanno a una Prescott? Davvero? Sei vista peggio di me! I Prescott sono finiti, sono caduti nella fogna!”
Kristine si avvicinò pericolosamente al viso di McKinsey che, stupefatto, si ritirò all’indietro, come se avesse paura di essere morso
“Oh loro lo sono di sicuro. Io, però, sono appena sorta.”
Si rimise gli occhiali da sole e , marciando sui suoi tacchi vertiginosi, si diresse verso l’uscita, non degnando nessuno di uno sguardo, lasciando McKinsey ad osservarla con odio, mentre dentro di lui si faceva strada la certezza e la consapevolezza che era finita nel peggior modo possibile.



17
 
 
L’ambiente era cupo e rossastro. Non c’era nessuno in fila per il guardaroba. Era completamente sola.
Sentiva la musica, aldilà del tendone, rimbombare con forza. Sentiva vibrare sotto i piedi. Si avvicinò alle due ragazze del guardaroba , davanti a un tavolo coperto da un telo porpora, in tinta con l’occasione. I manifesti per il party ‘END OF THE WORLD PARTY’ del Vortex Club popolavano il tavolo e le pareti.
Si avvicinò e chiamò le due ragazze. Non voleva lasciare nulla, ma solo chiedere se avevano visto una ragazza dai capelli blu passare poco prima di lei. Magari avrebbe chiesto anche di Nathan….
“Hey!”
Nessuna risposta.
Le due figure erano nella penombra.
Tutto era così tremendamente scuro…
“Hey!” ripeté
Ancora nulla.
Si sforzò di vedere chi fossero, così da poterle chiamare per nome se le avesse riconosciute.
Con sua enorme confusione e sorpresa, comprese che erano due manichini.
Perplessa, decise che doveva andare avanti e non perdere altro tempo.
Scostò la pesante tenda e s’infilò nella festa a bordo piscina. Ciò che l’accolse, la colpì duramente.
L’ambiente era cupo, gli odori erano pesanti e nauseabondi, un misto si sudore, bruciato e qualcosa di ferroso di cui non seppe dire esattamente cosa le rimandava alla mente. La luce stroboscopica era fortissima e lampeggiava a una velocità tale da darle la sensazione che stesse camminando aprendo e chiudendo gli occhi velocissimamente. Quando riusciva a vedere, il tutto era illuminato solo da una tinta rosso sangue.
C’erano corpi che ballavano con foga animalesca, si strusciavano e si spingevano. La musica era più forte che mai, al punto da rimbombarle nello stomaco. Il brano era Got Well Soon  di Breton.
Sapeva già che brano era, cosi come sapeva già tutto di quel luogo, di quello che doveva fare… perché?
Sgomitando, si guadagnò uno spazio in uno dei pochi punti liberi dalla ressa, poco disante dal bancone del bar che, al posto di un barman, vi era il totem Tobaga con un cappellino della Blackwell. Nessuno sembrava interessarsene ma notò, girata di spalle, una figura dai contorni familiari.
“Stella!” gridò con gioia e ansia “Hey, Stella!”
Si avvicinò velocemente alla sua compagna di corso e posò una mano sulla sua spalla, per invitarla a voltarsi, cosa che accadde e provocò una ondata di orrore e stupore in lei, al punto che si mise le mani sulla bocca per non urlare
“Ciao Max!” rispose allegramente Stella.
Le labbra, il viso e il corpo erano intatti, ma gli occhi… gli occhi erano martoriati dalle schegge di vetro dei suoi occhiali, come se le fossero esplosi verso l’interno. Di essi, non restava che la montatura in ferro, mentre copiose lacrime di sangue insozzavano le guance e il collo di Stella, completamente cieca, che la guarda dava con quei brandelli gelatinosi infilzati dal vetro che aveva al posto dei suoi occhi.
“Stella…. Tu….”
“Cerchi Nathan, vero?”
“Io…. Io veramente… Stella, ma tu….”
Stella sorrise, rendendo più macabro il suo volto
“E’ proprio dietro di te, sai?”
Max sentì il sangue gelarsi nelle vene.
“Come sarebbe a dire che è…”
“Max Calufield…”
Il brivido lungo la schiena che la colse fu intenso e la paralizzò sul posto. Quella voce…. Quella maledetta voce….
Si voltò lentamente e lo vide.
Nathan Prescott era in piedi, davanti a lei, con la sua giacca rossa, i capelli corti biondo cenere, il sorriso beffardo e le occhiaie pesanti.
“N-N-Nathan..?”
“Caulfield, dicono che tu mi stia cercando da un pezzo! Beh, mi hai trovato, no? Vieni, facciamo un giro. Ci sono tante persone che ti aspettano, oltre a me. Andiamo!”
Appoggiò una mano attorno alla sua spalla e, benché indossasse la sua felpa grigia, sentiva che era freddo, quasi di ghiaccio.
La musica si fece più assordante, facendole vibrare le budella.

 
 
They say that either you're out or you're in
But you're on
 
 
“Curioso, non trovi?” disse Nathan
“Che c-c-cosa è curioso, Nathan?” balbettò lei, sempre più confusa e spaventata
“Beh è qui che hai iniziato a cercarmi, no? Se ben ricordo, era all’ultimo Vortex Party, proprio al End of the World prima che il mondo finisse per davvero, almeno per Arcadia Bay, che venisti con la tua amichetta stronza a cercarmi. Lo hai chiesto a…. quanti? Tutti? Boh, comunque non trovi buffo che ora tu sia qui, di nuovo, a cercarmi ancora? Tutti questi mesi per tornare al punto di partenza!” spiegò lui, prima di scoppiare in una fragorosa risata.
Condusse Max verso l’ingresso dell’area Vip ma la strada, seppure breve, era ben affollata. C’erano due ragazzi che giocavano con dei galleggianti e per poco non colpivano…
“Alyssa?!” esclamò lei, sempre più confusa
“Oh si c’è anche quella lì” disse Nathan “Hey, Alyssa! Guarda chi ti ho portato! Saluta!”
Alyssa Anderson voltò solo il suo viso, lasciando il corpo immobile rivolto alla piscina. Non batté ciglio nel vedere i due, tantomeno verso Max. Sembrava assente.
“Max? Alla fine sei arrivata.”
“Alyssa…. Occhio… dietro di te ci sono…”
“Si lo so. Un galleggiante partirà e mi colpirà, buttandomi in piscina. Ma non succederà questa volta, sai? Non succederà più niente, non c’è più tempo per niente ora. Non abbiamo nemmeno l’acqua in piscina.”
Nathan la stava accompagnando sempre tenendola per le spalle. Quella lieve pressione, per lei, era come un guinzaglio dalla quale non poteva fuggire e si trovava costretta a seguirlo. Ora erano più vicini alla piscina e constatò che era effettivamente vuota e spoglia, piena di detriti non meglio definiti e sporchi.
“Eppure hai voluto salvarmi anche stavolta eh?” chiese Alyssa
“Certo, Alyssa. Sempre!”
“Sempre eh? Che razza di bugiarda! Quando ho davvero avuto bisogno di essere salvata tu non c’eri!”
Alyssa divenne una furia, il viso reso rosso dalle luci sembrava ancora più cupo e feroce. Voltò anche il corpo verso di lei, scoprendo l’orrore: un tubo dell’acqua spezzato, un pezzo di legno e una sbarra in ferro sbucavano dal petto di Alyssa, mentre il resto del corpo era martoriato da altre ferite e piccoli oggetti infilzati nella carne, trapassandole i vestiti. Si trattenne di nuovo dall’urlare nel vedere quello scempio sul corpo di una ragazza che conosceva.
“Dove eri finita, Max? Dove stavi quando il tornado è arrivato, devastando la casa in cui mi trovavo? Sono caduta, Max! Sono caduta da un foro nel pavimento e questi mi hanno ferita! Oh, speravo tanto di morire prima che arrivasse il tornado a finirmi, ma purtroppo ho sofferto e ho visto il vento, la pioggia e la rabbia dell’oceano abbattersi sul mio corpo. Mi ha fatto a pezzi, Max. Mi ha fatto a pezzi! Di me hanno seppellito un braccio e parte di una gamba, perché il resto non lo hanno trovato. Lo sapevi? No, immagino di no visto che hai scelto di fuggire! Perché mi hai salvato tutta settimana, se quando aveva più bisogno non ci sei stata? Avrei preferito una pallonata in testa che fare questa fine, Max!”
Si sentiva male, voleva piangere e urlare, ma riuscì solo a balbettare delle scuse sconnesse. Alyssa tornò a fissare la piscina con occhi vuoti.
Voleva fuggire, ma Nathan sembrava essere diventato il suo corpo, tant’è che non riusciva a sottrarsi da quel braccio pigramente adagiato sulle sue spalle.
“Come è melodrammatica, eh?” borbottò il ragazzo “Per un volo di un metro e mezzo! Ho visto di peggio. E anche tu, vero? Ma ci sono altre persone che vorrebbero salutarti, specialmente una… ma prima saluta il cubista: ti stava aspettando più di tutti!”
Superati Alyssa e i due ragazzi che, ora, avevano finito di giocare con i galleggianti, trovarono sulla sinistra un piccolo cubo sopra cui si dimenava come un ossesso un ragazzo completamente ustionato. Più che un ballo, sembrava un movimento convulso e disperato, come a spegnere delle fiamme invisibili. Fiamme che, forse, lo avevano consumato da tempo.
“Hey, scimmione! Guarda chi c’è Saluta, prima che vada via!” urlo Nathan in direzione della carcassa bruciata e ballerina.
Questo, alzò quello che rimaneva del suo viso, con le orbite vuote dato che gli occhi si erano sciolti, labbra spaccate e denti biancastri in evidenza.
“Maaaaaax? Hey, Maaaaax comete staaaaiiii?”
La voce! Quella voce….
“Warren?”
“Ciao Maaaax! Cavolo, non sono più bello come prima, scusami. Vorrei dirti che è stato un incidente in laboratorio di chimica, invece mi è esploso il Two Wales in faccia! Ero andato lì convinto di trovarti al sicuro da Joyce, invece eri a fare l’amore con quella puttanella dai capelli blu, immagino! Oh Max, perché mi hai sempre rifiutato? Potevamo almeno essere amici!”
“Warren io…. Warren mi dispiace io non volevo…”
“Nemmeno come amico mi volevi? Ecco perché non ti è importato sapere se fossi ancora vivo? Cazzo dovevo uscire con Stella, era ovvio che avessi più possibilità… in fondo, tu stessa mi hai definito come un fratello…. Wow un due di picche più lampante di così! Avrei dovuto accettarlo…. Forse, se avessi scelto subito Stella, non sarei andato a morire al diner…. Ma ora sono qui e ballo per te Max! Tutti ballano per te!”

 
 
Whatever you like when you came in
Whatever you use
Whatever you choose

 
 
Si sentiva sempre più sconvolta, confusa e delusa da sé stessa. Non aveva mai pensato a tutto questo, non aveva mai immaginato che fine avessero fatto molti dei suoi vecchi compagni finché non aveva letto i loro nomi su quella statua a scuola.
Nathan l’aveva trascinata fino all’ingresso Vip. Si guardò intorno e vide che, in console, il Dj era senza testa e Victoria Chase ballava come una ossessa, con un pezzo di metallo conficcato nel cranio.
“Pronta a entrare?” chiese il giovane Prescott
“No.”rispose lei decisa “Non voglio.”
“Ma come!” disse Nathan sorpreso, togliendo finalmente il braccio dalle sue spalle e posizionandosi di fronte a lei, costringendola a guardarlo. Nathan sembrava sereno e le sorrideva
“Andiamo, Max…. sai che vuoi andare oltre quella tenda. E’ pacifico, silenzioso, riservato…. Niente più sofferenza, dubbi, rimorsi e sensi di colpa… sarà come farsi una canna infinita… Ti piacerà, vedrai!”
“Non posso Nathan! Devo tornare…. Devo tornare da Chloe!”
“Chloe?”
Nathan ora sembrava confuso
“Ero convinto fossi qui per me! Che c’entra Chloe? Hai già fatto tutto questo per lei, hai sacrificato tutti quanti per lei. Ora sei qui per me, no? Non hai mai smesso di farlo, non è certo ora che hai ripreso. Sei tornata qui perché era quello che volevi! Sei tornata ad Arcadia perché sapevi che era la cosa giusta da fare per te stessa. Perché sei cosi, Max: pensi sempre a te stessa e basta. Tu non tieni conto degli altri, ma solo di te. Ma se pensi ancora a Chloe, allora c’è qualcuno che vorrebbe parlarti a riguardo. Si trova già alle tue spalle, sai? Ti ha seguita tutto il tempo!”
Non comprese subito le parole di Nathan ma provò di nuovo una sensazione sgradevole, quasi di disagio e ansia. Voltandosi, si trovò di fronte a un cadavere in avanzato stato di decomposizione.
Era un corpo vestito da ciò che rimaneva di una t-shirt nera e jeans strappati scuri. La pelle era violacea, i capelli sporchi di terra, gli occhi bianchi e lattiginosi, labbra rotte e putrescenti, pustole, spaccature e rigonfiamenti di liquido cadaverico ne deformavano le forme ma l’orecchino a piuma blu la rendeva inconfondibile. Rachel Amber era di fronte a lei ed emanava odio.
“Mi hai portato via Chloe, stronza!”
“Cosa? No, io no….”
“Si! Lei doveva morire e raggiungermi! Doveva morire in quel bagno e Nathan, da vero amico, me l’avrebbe restituita con la sua pistola! Stronza, sei solo gelosa! Io sono quella che l’ha fatta innamorare, non tu! Lei era mia!”
“Ma tu… tu eri da Frank! Tu avevi lui, poi hai voluto Jefferson e….Non la amavi!”
“Che cazzo ne sai tu dell’amore, stronza? Lei voleva me, io l’avrei presa quando mi sarei sentita pronta! Ero libera di avere chi volevo, perché non sono certo una sfigata geek come te! Ero la regina di questo buco di culo ma, soprattutto, ero la regina di Chloe! Tu chi cazzo ti credi di essere? Solo perché siete cresciute assieme me l’hai dovuta portare via? Fottiti, te ne eri andata. L’avevi abbandonata!”
“E tu le hai mentito!” urlò ferocemente.
Non tollerava più quelle accuse. Erano bugie. Lei non aveva amato Chloe abbastanza da farsi avanti, da volerla per sé. Lei aveva speso tre anni con Chloe e tra loro non c’era mai stato nulla, come la stessa Chloe aveva confermato. Allora perché sentiva ancora un peso al cuore davanti a quello che restava di Rachel? Perché non se ne andava?
“Io non mento mai. Ometto, al  massimo. Non sono come te: non pretendendo di salvare tutti ferendo Chloe. Io non l’avrei mai ferita. Le avrei taciuto la verità per il suo bene, come ha esattamente fatto lei con me non dicendomi tante cose, non dicendomi che ti ha sempre amata. Lei con me non avrebbe mai sofferto come soffre ora a causa del tuo egoismo!”
“Non… non è vero!”
“Ah no? A me sembra che lei non volesse nulla di tutto questo… lei voleva solo salutare sua madre… tu no, devi sistemare tutto… devi vedere Jefferson… devi scavare in giro per scoprire tutti i misteri…. Sei ridotta a uno straccio e obblighi Chloe a tenerti in piedi, ancora, ogni giorno. Sei una fottuta egoista.”
“Piantala! Non sai niente di me!” strillò esasperata.
Il ghigno sul viso putrescente di Rachel, però, era un segno. Stava subendo le sue parole, stava perdendo con il cadavere della Amber. Tutto così assurdo.
Voleva colpirla, far sparire quel cadavere dalla sua mente ma Nathan intervenne
“Ottimo catfight, ragazze. Sono quasi un po’ arrapato ma ora è il tempo del grande show! Guarda Max!”
Le prese il viso con entrambe le mani e la obbligò, malamente, a osservare verso il trampolino. In cima, riconobbe la figura di Kate Marsh.
“No, oddio no. KATE NO, NON DI NUOVO!” urlò, ma Nathan la fermò dal correre a bordo piscina “NON FARLO! NON C’E ACQUA! KATE!”
“Non ti sentirà!” mormorò Nathan alle sue orecchie “Inoltre, si è esercitata così tanto a fare questo numero! Guarda!”
Kate aprì le braccia e tenne i piedi uniti. Sembrava crocifissa….
Si lasciò cadere verso il basso, con naturalezza e senza nemmeno un grido. Chiuse gli occhi, non voleva vedere lo schianto e la musica coprì il suono orribile del suo corpo che si sfracellava dentro la piscina vuota, contro i detriti.
“Wow che botto!” tuonò entusiasta Nathan
Max aprì timidamente gli occhi e non vide nulla, tranne che la piscina si stava velocemente riempiendo di acqua. O almeno, così pensò, finché non fuoriuscì dal bordo per la velocità con cui era emersa. Non era acqua tinta di rosso dalle luci…. Era sangue… vischioso e denso…. Sangue di Kate.
“Max…. Max perché non mi hai fermato? Perché non hai insistito?”
Era la voce di Kate.
Era ovunque e rimbombava dappertutto, mischiandosi alla musica, sempre più opprimente e cupa.
Si tappò le orecchie ma Nathan le prese i polsi e le liberò
“No, no e no Max! Questa è la tua festa, devi godertela! Sono tutti qui per te!”
“No, basta. Non voglio più… ti prego… non voglio…”
“Ah non vuoi? Eppure hai voluto tutto questo! Eppure hai voluto che fossimo qui per causa tua, Maaaax!” sibilò Nathan.
Attorno a loro, il cerchio si stringeva. Tutti i ragazzi della festa marciavano verso di lei, chiamandola o supplicandola
“Potevi salvarci tutti…”
“Max perché? Ti credevo amica mia…”
“Maaax possiamo andare a scimmiare ora?”
“Max avresti dovuto pensare a noi invece che a una stronza punk che voleva solo morire!”
“Max credevo che mi volessi bene….”
Si mise le mani tra i capelli.
Voleva urlare, voleva fuggire. Voleva soltanto che la smettessero….
Si voltò per scappare nell’ingresso Vip. Non voleva andare dietro quella tenda, ma non aveva altra scelta: sarebbe stata circondata da ogni studente che la odiava.
Come si voltò, l’Area Vip era sbarrata da Nathan che, davanti a lei, iniziava a decomporsi velocemente, mentre la guardava con odio crescente
“Dove cazzo pensi d andare, eh? Ora sei qui, mi hai trovato. Hai trovato tutti noi, tutti i morti che hai sulla coscienza! Io sono sulla tua coscienza, Max? Certo che si: ah se solo avessi lasciato morire Chloe o se solo mi avessi voluto aiutare! Sarei in carcere o in qualche fottuto ospedale psichiatrico, ma sarei vivo e tu non dovresti cercarmi, giusto?  Invece siamo qui, sei qui con noi…. E’ finita, Max. Finita! Sei fottuta, non hai scampo!”



 
What if we started what became
Don't get found out again
 
Voleva urlare. Non reggeva più tutto questo. Voleva scappare. Voleva urlare.
Nathan ora aveva più della metà della faccia completamente decomposta.
“Trovami.” mormorò.
Da quello che rimaneva dei suoi occhi, vide delle lacrime scendere.
Poi il suo viso si fece più aggressivo

 
 
What if we're starting what remained
You saved our lives again
 
 
“TROVAMI!”
Finalmente, urlò.

 
 
Si ritrovò seduta sul letto. Era sudata, il respiro corto e affannato.
Sentiva le guance umide, segno che aveva pianto davvero.
La camera da letto dell’hotel era buia e silenziosa. Si voltò di scatto a guardare Chloe che le dava le spalle e, apparentemente, sembrava che non si fosse svegliata. Il respiro regolare che sollevava il suo corpo la rilassò. Era viva. Erano vive.
Tornate in albergo, aveva cenato ma non si era unita alla bevuta con Steph e Chloe che, in ogni caso, la raggiunsero poco dopo. Forse volevano fare festa solo con lei e solamente per lei. Avrebbe dovuto fare uno sforzo per apprezzare quel gesto simbolico di volerla risollevare.
Scese dal letto, si tolse la maglietta fradicia e andò in bagno. Accese la luce e si osservò allo specchio e ammise che le altre avevano ragione: era sconvolta. La sua faccia sembrava più pallida e smunta del solito, occhiaie livide e gonfie facevano a pugni con i suoi occhi chiari.
Accese l’acqua per farsi una doccia rilassante e, mentre la temperatura raggiungeva il giusto calore, si spogliò e vi si infilò.
“Che cazzo di incubo.” mormorò fra sé.
Non aveva mai avuto un incubo del genere, altro segnale che la sua stabilità mentale era in precario equilibrio. Tutti i sensi di colpa erano appena emersi prepotentemente dal suo subconscio e la risposta sembrava solo una: trovare Nathan. Avrebbe avuto una apparente calma e pace interiore da tutto quell’inferno solo se avesse trovato Nathan. Ma avevano constatato che, quasi certamente, quella pista era andata a farsi benedire.
Che fare?
Che cazzo doveva fare?
Affidarsi alle vittime? Si forse. Restava solo quello.
Oppure era vero: era solo una egoista. Doveva mollare il colpo e tornare con Chloe a Seattle e godersi la loro vita insieme, lasciandosi alle spalle definitivamente Arcadia Bay e i suoi segreti.
Ma avrebbe vissuto serenamente con se stessa? Avrebbe trovato un modo di dare un senso a tutte quelle morti?
E le ragazze vittime di Jefferson? Anche loro meritavano la pace… ma in fondo quelle non le consoceva….in fondo non poteva salvare tutti…
Però era anche vero che era la sola che sembrava possedere i mezzi per rendere loro giustizia.
La stanchezza cominciò ad annebbiarle la mente.
Non poteva ragionare ora. Lo avrebbe fatto domani, sempre che il confronto con Jefferson non avrebbe dato il colpo di grazia alla sua sanità mentale.
Spense l’acqua e si asciugò. Si rivestì e andò verso il letto. Chloe era ancora nella stessa posizione. Per fortuna non l’aveva svegliata.
Si sdraiò e attese il sonno che arrivò in fretta, senza portare altri incubi.
Se Max avesse fatto il giro del letto, avrebbe visto che Chloe aveva gli occhi spalancati e aveva sentito tutto


18
 
 
Si svegliò al primo trillo della sveglia che aveva impostato sul telefono. L’aveva appositamente puntata prima di quella di Max, in modo da poterla bloccare dall’andare da Jefferson, quando stanotte l’aveva udita soffrire.
L’ennesimo incubo, probabilmente. Solo che non l’aveva mai udita così….. aveva pianto, urlato e si era svegliata piena di terrore. Anziché consolarla, con immenso sacrificio, aveva scelto di continuare a fingere di dormire. Appena la sua compagna si diresse nel bagno, prese il proprio telefono e impostò la sveglia. Poi, si allungò e prese il telefono di Max e tolse la sveglia dal suo. Aveva un codice di sicurezza ma lo conosceva benissimo, dato che era la sua data di nascita. Inoltre, impostare proprio quella data era un modo di dimostrarle fiducia: non aveva nulla da nasconderle e Chloe non aveva motivo di frugare nel suo telefono.
Fiducia reciproca mai venuta meno.
Ma dovette compiere un piccolo tradimento a fin di bene. Voleva proteggerla.
Perciò, era ancora molto presto e Max era notevolmente cotta dalla notte turbolenta, al punto che non udì la sveglia e nemmeno si scompose quando abbandonò il letto.
Si diresse in bagno, ignorò la propria immagine riflessa e si lavò rapidamente. Sentiva rabbia, molta rabbia, dentro di sé.
Ora era tempo di intervenire. Era tempo per Chloe Price di usare ogni mezzo per smetter di vedere soffrire la ragazza che amava. Aveva perso già una volta quella ragazza, aveva perso quella che era venuta dopo di lei. Non avrebbe più perso nessuno. Non l’avrebbe guardata soffrire e crollare in migliaia di frammenti fragili.
Uscì dal bagno e si tolse il suo pigiama di fortuna, scagliandolo verso il suo cuscino in una palla di stracci.
Prese la sua valigia e l’aprì: si era portata dietro qualcosa che, sperava, non dovesse mai indossare.
Arcadia Bay avrebbe visto solo la vecchia rabbia di Chloe, aveva promesso a sé stessa.
Ma forse non l’aveva riconosciuta. Forse non era abbastanza arrabbiata.
Prese un paio di pantaloni lunghi e strappati, le bretelle di suo padre, la canottiera bianca con su l’uroboro e si vestì. Poi, pescò dal fondo il suo vecchio berretto di lana e lo indossò: avrebbe fatto caldo, ma non importava.
Infine, prese il telefono di Nathan dal fondo della valigia e, ancora avvolto nel suo sacchetto di plastica, se lo infilò in tasca.
S’infilò le scarpe e ora tornò in bagno per lavarsi i denti e osservare il suo aspetto: la vecchia Chloe era tornata.
Si sentiva più a suo agio e sorrise beffarda.
Afferrò le chiavi della sua macchina e il telecomando del parcheggio sotterraneo. Infine, prese un pezzo di carta e scrisse un messaggio a Max:

 
Non mi aspetto che tu capisca
E’ tutto per il tuo bene
Appena ti svegli, sta con Steph e andate a casa mia.
Chloe
Prese le chiavi di casa Price e il suo telefonino (dopo che lo ebbe spento) e adagiò entrambi gli oggetti sul comodino di Max, con sotto il suo messaggio cartaceo.
Uscì silenziosamente dalla camera. Il sole era già alto e la zona della piscina brillava di luce propria in quel mattino silenzioso di prima estate.
Prese l’ascensore e si diresse fino al suo vecchio catorcio a quattro ruote. Appena fu salita, bisbigliò un tenero ‘mi sei mancata’ alla sua auto, prima di ingranare la prima e dare gas con foga.
Mentre si dirigeva verso la strada che l’avrebbe portata al South Fork Forest Camp, accese la radio e nell’abitacolo rimbombò un brano che non riconobbe subito.
Era ‘Till I Collapse  di Eminem. Non era il suo stile ma non cambiò frequenza perché quella canzone sembrava abbastanza incazzata quanto lo era lei.


Cause sometimes you just feel tired, feel weak
And when you feel weak, you feel like you wanna just give up
But you got to search within you, and try to find that inner strength
And just pull that shit out of you
And get that motivation to not give up, and not be a quitter
No matter how bad you wanna just fall flat on your face and collapse

 

Sterzò e parcheggiò bruscamente davanti al carcere. Non si preoccupò di chiudere a chiave l’auto quando scese, ma si limitò a sbattere la portiera e marciare spedita verso l’ingresso. Sentiva un’ira crescente ad ogni passo: si ripromise di non colpire in faccia Jefferson appena lo avrebbe visto. Forse dopo, prima di andarsene.
Presentandosi all’ingresso, disse che era qui per l’incontro prefissato con il detenuto. Non chiesero nemmeno se fosse effettivamente lei Maxine Caulfield, ma la lasciarono passare dopo che ebbe firmato e depositato gli effetti personali.
La condussero verso la sala delle visite anche se ormai conosceva la strada a memoria. Ma la prassi era la prassi, no?
Appena aprirono la porta, si gustò la faccia di Jefferson nel vedere che stava entrando lei e non Max. Era seduto nello stesso posto dell’ultima volta, vestito sempre con la divisa da carcerato, eppure sembrava più curato in viso dell’ultima volta: che si fosse fatto bello per Max?
Questo le suscitò ilarità, deformandole le labbra in un ghigno malefico.
Si sedette di fronte  lui e lo salutò con un cenno della mano.
“Che cazzo ci fai tu qui?” sibilò l’uomo con ferocia
“Le buone maniere verso le signorine le hai già dimenticate? Oh pensavi davvero di sedurre la mia  ragazza con un paio di moine da sfigato? Comunque, buongiorno anche a te, prof.”
Jefferson sembrava tentato di sputarle in un occhio, ma cercò di ricomporsi e sembrare il solito finto stronzo amabile di sempre
“Perché sei qui? Dove è Max? Ho chiesto di vedere solo lei!”
Chloe incrociò le braccia al petto e sorrise
“Non verrà: oggi ti farò compagnia io. Max non la vedrai mai più.”
“Che cosa hai detto?”
“Max non la vedrai mai più.” ripeté “Farò di tutto perché tu possa sparire dalla sua vita, anche se il tuo avvocato del cazzo dovesse tirarti fuori di qui tra due mesi, tu non oserai mai avvicinarti a lei o ti ammazzo, chiaro?”
Jefferson scoppiò in una risata fragorosa
“Ma sei seria? Davvero credi che mi farò intimorire da te, punk del cazzo? Non sei niente, ok? Non vali niente! Se volessi prendere la tua adorata Max, tu non potrai mai fare nulla per impedirlo.”
Chloe sentì la rabbia montare rapidamente nel suo petto. Cercò di contenersi, di soffocarla e di rimanere impassibile: non doveva mostrare il fianco al suo nemico.
“Continui ad essere troppo sicuro di te, prof. Eppure non sarei così fiduciosa, se fossi in te, sulla buona riuscita del processo. Qualcosa potrebbe andare storto, sai?”
Jefferson, se aveva dei dubbi, non sembrò farlo intendere. Rimase freddo e distaccato. Sorrise di rimando prima di risponderle
“Non ho assolutamente dubbi sul fatto che tu e la tua adorata fidanzatina vi stiate dando da fare per fottermi ma è questo il punto: non ci riuscirete mai. Non ho fatto errori, mia cara.”
“Anche la volta scorsa eri sicuro di aver fatto tutto bene, eppure mi sembra che tu sia qui, non in libertà.”
Jefferson sbuffò divertito
“Solo un incidente di percorso: non hanno niente per incastrarmi, punk. Niente. La colpa è solo di Nathan Prescott. Si, mi ha un po’ guastato i piani ma ho previsto abbastanza bene le sue mosse.”
Chloe sentì il cellulare di Nathan farsi pesante nella sua mente.
No, non ancora. Doveva tacere.
 “Sai, prof? La tua arroganza ti ha già fottuto una volta. Fossi in te farei attenzione.”
“Dici? Perché la tua amichetta è in giro a cercare indizi per incastrarmi, mentre sei qui a distrarmi? Oppure è troppo devastata per reggere un confronto con me?”
“Nessuna delle due. L’ho lasciata dormire serena. Tu ed io dovevamo fare due chiacchiere.”
“Mi pare che stia succedendo.”
“No, iniziamo a parlare ora perché mi sto stufando di questi giochini del cazzo: stai lontano da Max, chiaro? Non intendo ripetermi, Jefferson: te la puoi scordare. Evita di chiedere altri incontri, evita di pensare a lei, di credere che potrai rivederla e di poterla anche solo contattarla. Hai chiuso con lei. Se proverai a riavvicinarla, te la vedrai con me ma non sarà una discussione pacifica come ora.”
Chloe si era sporta in avanti, sul tavolo, puntando minacciosamente un dito contro l’uomo, che non fece una piega.
“Chi cazzo credi di essere per potermi minacciare, ragazzina?” sibilò Jefferson “Davvero pensi che io sia spaventato da queste parole? Sai che piani avevo per voi due? Sai cosa mi sarebbe piaciuto fare a te?”
Chloe si sentì rabbrividire. Sapeva già la risposta e non la negò
“Sparare a me in testa e molestare Max fino a ucciderla, probabilmente.”
Ora, Mark Jefferson tradì una piccola punta di sorpresa a quella risposta. Bingo! Pensò Chloe: aveva fatto centro.
Grazie Max.
“Si, forse sarebbe andata così. Mi sono dovuto accontentare di quella sciatta di Chase… ma io avrò Max…. oh, la mia collezione, la mia arte sarà cosi alta quando avrò finalmente lei. Tutta per me e per il mio obiettivo…”
“Piantala, verme. Non l’avrai ho detto. Sei fottuto, chiaro? Non sperare troppo nel tuo avvocato del cazzo!”
“Continui a ripeterlo, ma non vedo nulla che possa davvero farmi preoccupare. Sento solo l’aria piena di parole vuote.”
Non si trattenne.
“Abbiamo il telefono di Nathan: quello che aveva nascosto nella sua camera. Quello che usava per parlare con te.” sibilò gelida.
Mark Jefferson spalancò gli occhi per la sorpresa e Chloe fu convinta di avere la vittoria in pugno ma fu un solo istante, dopodiché scoppiò a ridere
“Davvero pensi che questo possa cambiare qualcosa? Se davvero lo aveste, l’avreste già consegnato! E’ una prova troppo importante e sarebbe da idioti tenerla nascosta. Inoltre, non troverete nulla di compromettente su quel telefono, per nessuno. Né per me né per Nathan. Solo qualche richiesta di droga.”
“Ma è la prova che tu avevi un cazzo di secondo telefono!”
“Ah si? E dove sta? Non mi è mai stato requisito e nessuno mi ha mai accusato di possederne uno. Dove sta questo fantomatico secondo telefono, eh? Dove starebbe questo mio incriminante strumento di delitti? No, signorina: avete fatto un buco nell’acqua. Se questa era la vostra arma finale, avete perso. Ci rivedremo al processo e poi vi darò la caccia.”
“Fottiti. Non è questo che abbiamo per incastrarti. Abbiamo molto, molto di più!”
“Oh, sono davvero curioso di scoprirlo, ma lascia che prima ti dica una cosa che dovresti sapere.”
Si avvicinò al tavolo, quasi a sfiorare il viso di Chloe. Sorrise. Un ghigno malefico e pieno di gioia sadica.
“Vuoi sapere come è morta la tua Rachel?”
“Vaffanculo.”rispose Chloe con un ringhio, ma non si mosse. Era una sfida di resistenza.
“Nel suo stesso vomito. Già, mi hai sentito bene: nel suo vomito. La bella, raffinata e delicata Rachel Amber è morta soffocata dal suo vomito. Puzzava come una fogna, colava bile dai lati della sua bocca e penso che si sia anche pisciata addosso poco dopo la morte. Uno spettacolo indegno, vero? Un fiore cosi bello, morto insozzato. Inutile dire che l’abbiamo seppellita così, mica potevamo metterci a pulirla, no? Busta di plastica e via, gettata nella discarica che tanto amava. Così potevate stare vicine per sempre, stronza.”
Chloe tremava di odio.
“TI ammazzerò, bastardo.”
“Non credo. Non sono stato io a ucciderla, ma Nathan. Io sono arrivato che quel coglione già l’aveva portata di sotto. Era li e aveva appena finito di stuprarla…Ops… forse non dovevo dirlo…”
Chloe sentì la salivazione aumentare. Voleva sputare in faccia a quel verme, ma non fece nulla. Tacque.
“Penso l’abbia stuprata un paio di volte. Sai, questi adolescenti pieni di ormoni possono darci dentro facile. Ma quando sono arrivato io lei si stava riprendendo. Nathan era in preda al panico più totale, non sapeva cosa fare: l’effetto delle sue medicine stava svanendo con più velocità rispetto alla droga che aveva dato a Rachel. Ma era una occasione d’oro! Così, gli ho dato la fotocamera in mano e l’ho aiutato a scattare. Certo,non aveva la mia mano e se c’era qualcosa di buono in quei scatti era solo grazie a me, ma diciamo che abbiamo colto perfettamente la vera Rachel: una burattinaia in trappola. Non voleva saperne di starsene buona, così Nathan ha voluto darle una seconda dose ma, ovviamente, ha sbagliato. Rachel è andata in overdose in un minuto ed è morta lentamente, nel suo vomito. Dio c’è stata una puzza di acido per un mese là sotto. Quella stronza, inoltre, mi aveva insozzato il telo bianco: ho dovuto cambiarlo!”
“Una vera tragedia, immagino. Per un figlio di puttana come te, poi…”
“Via, non arrabbiarti, punk. Te l’abbiamo portata, no? Mi aveva detto che si nascondeva spesso in quella fottuta discarica e Nathan era mezzo collassato: per calmarsi si era fatto una dose e quel coglione aveva esagerato assai. Così mi sono ritrovato a fare quasi tutto da solo e mi è sembrato dolce portartela così vicino. Buffo che poi tu l’abbia cercata dappertutto tranne che sotto i tuoi piedi. Non occorre ringraziarmi, ragazza punk: te l’ho portata con gioia.”
Sorrise.
Il solito diabolico e distorto sorriso da malato. Freddo e finto ma quasi accomodante.
Chloe sentiva che la tensione diventava insostenibile. Max sopportava tutto questo? Come cazzo ci riusciva? Come aveva fatto a non crollare prima?
“Sei finito. Continua pure a ripetere che ne uscirai, ma non succederà. Mai. Comincia a mangiare il vetro, perché ti sbatteremo in un posto in cui, per anni, il tuo culo sarà alla mercé di tutti. Troveremo Nathan e sarai fottuto.”
Jefferson spalancò la bocca in un ‘o’ di finto stupore e sorpresa
“Oh, quindi è questo che voi…”poi scoppiò a ridere fragorosamente.
Chloe voleva colpirlo in faccia con qualcosa di appuntito.
Mark Jefferson si ricompose e disse in un sussurro quasi impercettibile
“Non lo troverete mai. Ora, a differenza di Rachel, sarà già stato consumato dai vermi. Vi conviene fuggire prima che io possa uscire e trovarvi: perché quando vi troverò, e vi troverò statene certe, mi divertirò un mondo con entrambe. Si, anche con te, stronza.”
Chloe si alzò sfoggiando il suo migliore sorriso di sfida
“Lo vedremo, bastardo.”
Si voltò e uscì.
Dovevano darsi da fare alla svelta, o stavolta gli sarebbe rimasto davvero, come unico piano, quello di prendere di nuovo una delle pistole di David.
 
 
Il sole mattutino era già caldo e alto. Si tolse il berretto e salì in auto. Non partì subito ma si adagiò contro il volante e chiuse gli occhi.
Doveva fare colazione. Si sentiva debole e lo stomaco brontolava: quell’incontro di pugilato psicologico l’aveva sfiancata.
La cosa peggiore: aveva perso.
 
 
Cazzo, Max! Cosa cazzo stai passando? Perché non lo hai mai detto!
 
 
Prese fiato e partì.
Si fermò a una tavola calda lungo la strada a consumare una colazione fugace e non troppo gustosa, ma almeno placò la fame e la carenza di zuccheri.
Sentiva che voleva rivedere Max e Steph. Voleva correre ad Arcadia e trovarle lì, in casa sua, ad aspettarla.
Voleva baciare Max e dirle che ora la capiva più che mai. Capiva l’orrore. Capiva le sue scelte dolorose e il peso che era costretta a portare.
Viveva con l’ombra di un tale mostro da tutto quel tempo…. Con il peso di dare giustizia a tutte, non solo a Rachel.
Cazzo Max….
Pagò e partì a tutta velocità verso Arcadia Bay.
 
 
 
 
Parcheggiò il suo pick-up nel vialetto di casa, proprio dietro la Corolla di Steph: bene, le ragazze erano qui allora.
Ormai era mattina inoltrata e la calura stava aumentando esponenzialmente. Il momento di rinnovata gloria per il suo berretto era terminato e se lo tolse, lanciandolo sul sedile del passeggero.
Scese dall’auto e s’avviò verso il vialetto di casa sua, sperando che la porta fosse aperta. Fece un tentativo e fu così: brave ragazze.
Non fece in tempo a chiudere la porta che un missile bruno lo colpì al petto. Sentì le braccia di Max avvinghiarsi disperatamente alla sua schiena, mentre la testa della ragazza faceva strada nel suo petto, scavando con foga.
“Stronza! Sei una stronza!” urlò al suo sterno la povera Max
Chloe sorrise e le accarezzò la nuca. Steph stava ancora scendendo le scale con calma e la fissava con uno sguardo misto di rimprovero e divertimento.
“Potevi avvisarci della tua fuga.” disse, mentre completava la discesa dai gradini “Eravamo un po’ preoccupate. Anche se abbiamo intuito le tue intenzioni praticamente subito.”
“Dovevo andarci io!” urlò Max, con ancora il viso premuto contro la cassa toracica di Chloe che sorrise, continuando ad accarezzarla.
“Mi farete il sermone più tardi, ok? Ora andiamo a farci una passeggiata sulla spiaggia. Ho un fottuto bisogno di fare qualcosa di normale almeno fino a dopo pranzo. Poi parleremo di quello che volete. Voglio solo godermi qualche ora di normalità.”
Max si staccò da lei allarmata e ne studiò il viso. Chloe, finalmente, vide l’ombra negli occhi di lei e si parlarono fissandosi ognuna nel buio dell’altra. Ora al capiva e Max capiva lei.
“Non dovevi andare.”
“Anche tu non avresti dovuto.”
Steph smorzò l’atmosfera assestando una sonora pacca sul sedere di entrambe.
“Su, andiamo. Occhi languidi per quando io non sarò presente, ok?” sentenziò, mentre si faceva largo tra Chloe e la porta per passare “Cristo Price! Come tolgo la mia auto da lì? Tocca andare con la tua!”
Chloe, che ancora non aveva staccato gli occhi da Max, sorrise e le premette le labbra sulla fronte, prima di dividersi da lei
“No problem, Gingrich. Comunque quella di prima era una scusa per toccare il culo a noi due, vero?”
Steph sorrise alzò i pollici verso l’alto.
Finirono per pranzare al Pirate’s Cove Restaurant, che Chloe aveva individuato su internet e aveva colto come un segno del destino. Il locale non era male, il menù era prevalentemente di pesce e la vista era magnifica. Pranzarono serenamente, distraendosi un pochino da tutta quella situazione assurda che, ormai, sembrava essere totalmente fuori il loro controllo. Ordinarono anche due bottiglie di vino bianco che finirono prima del dessert. Max non era abituata a bere ed era diventata subito paonazza e con gli occhi lucidi, suscitando ilarità a Steph.
Chloe confessò, vista la situazione, come finì la sua prima sbronza, avuta poco tempo dopo che Max era partita, in un periodo tra i più difficili della sua vita.
“Ricordo ancora la quantità di vomito che produssi: cazzo mi sono sentita una indemoniata. La bimba de L’Esorcista, in confronto, era sana. Non ho bevuto più per quasi sei mesi. Ogni tanto ci ripenso e ancora fatico a credere che un essere umano possa produrre tutto quel vomito.”
“Chloe…sto ancora mangiando.” commentò schifata Steph
“E io non sono ubriaca.” aggiunse Max “Ammetto che mi sta venendo sonno, ma penso che il dessert mitigherà tutto.”
“Eccola qui la mia Max!” sentenziò Chloe “Sempre felice per i dolci e mai per me!”
Max la fissò in tralice e sbuffò
“Fa poco la spiritosa tu, oggi.”
Chloe si mise a ridere, per niente intimorita da quelle parole.
Finito di pranzare, fecero una passeggiata sulla Barview Forest Road, giusto per stare all’ombra degli alberi e rilassarsi nel silenzio più totale. Steph si lanciò in una sfilza di aneddoti universitari che ancora non aveva raccontato a loro, come quando il primo anno si era ingraziata il professore di Storia grazie allo scambio di film, mercato che l’aveva resa nota ai tempi della Blackwell.
“Un giorno mi piacerebbe vivere in un posto simile.”disse sempre Steph, osservando una casa isolata nel verde della foresta “Ma non sola, intendiamoci. In una città che sia in mezzo al verde, lontano dalla metropoli. Poche persone, quiete e natura incontaminata. O almeno, non troppo incontaminata.”
“Dici? Quindi non verrai a Seattle con noi?” disse Chloe
“Certo che si, sciocchine. Ma in futuro! Mica posso essere vostra coinquilina a vita, no? Arriverà il giorno in cui vorrete mettere su famiglia e la vecchia Steph sarà anche stufa di farvi da reggi moccolo. Una esperienza di qualche mese in mezzo ai boschi sarebbe fico.”
“Potresti parlarne con Kristine.” suggerì Max “Non so cosa abbia fatto esattamente in Brasile, ma sembra una che si lancia in queste cose. Magari ti potrà dare consigli e…. come sarebbe a dire mettere su famiglia???”
“Però, che velocità nell’elaborare eh? Ancora vino in corpo?” la punzecchiò Chloe
“Non tirare troppo la corda, Price.” Cantilenò in risposta Max
“A Kristine, eh? Ci penserò su. Magari mi manda da qualche sua amica facoltosa  e single!”
Dopo quasi una oretta di passeggiata (e con il sole pomeridiano che spiccava in alto, sempre più cocente) decisero di tornare indietro. Se dovevano sistemare la faccenda, era inutile rimandare di troppo. La pausa c’era stata e , almeno per Max,  fu anche troppo lunga.
“Non volete proprio mollare il colpo eh?” chiese Steph, ricevendo diniego da entrambe.
Risposta che venne accolta con approvazione dalla Gingrich.
Detto ciò, fecero dietrofront, tornarono al pick-up e si misero in strada, verso casa Price.
Oltre mezz’ora dopo, erano tutte e tre dentro la camera di Chloe, con la proprietaria seduta sul suo letto mentre le altre due sedute a terra, di fronte a lei.
“Beh? Che è successo stamane? Che ti ha detto Jefferson?” chiese Max piena di curiosità e ansia.
Chloe inspirò profondamente e poi raccontò tutto quello che ricordava, cercando di non dimenticare nulla. Steph inorridiva ad ogni frase, mentre Max sembrava impassibile, solo sempre meno viva nello sguardo. Sembrava stesse estraniandosi da tutto, come se si perdesse per non sentire. O stava riflettendo?
Finito di raccontare, calò un silenzio gelido.
Steph incrociò le braccia e si sdraiò a terra
“Bella merda. Che stronzo colossale quell’uomo. Dio mio, povera Rachel.”commentò
Max non disse nulla. Si alzò lentamente e cominciò a passeggiare con sguardo perso, fissando il pavimento.
Chloe la seguiva con lo sguardo, inizialmente incuriosita, poi via via sempre più preoccupata.
“Tu stai bene, Chloe?” chiese infine Steph, rompendo il silenzio
“Uh.. io… uhm si, beh si cioè è stata una discussione di merda, ma penso di stare bene. Si, insomma scioccante e mi ha innervosito, ma ora che ve ne ho parlato sembra andare meglio.”
“Credi davvero a tutto quello che ha detto?”
“Non so, Steph. Penso volesse innervosirmi, eppure…. Ho il sospetto che fosse stato sempre sincero. Voleva ferirmi… voleva spezzarmi…. Lui voleva Max perciò, vedendo me, voleva solo demolirmi per vendetta.”
“Spero non ci sia riuscito.”
“No, Steph. Mi ha solo fatto incazzare di più. Ora pretendo di fotterlo quel bastardo. Vero Max?”
Ma la ragazza era rapita dalla cartina di Arcadia.
Aveva smesso di passeggiare e si era piantata davanti alla cartina, a fissarla con attenzione.
“Max?” la chiamò nuovamente
La ragazza ruotò lentamente il capo e fissò entrambe con una espressione stupita
“E’ uno schema.” disse


19
 
Le due si fissarono incuriosite, poi si rivolsero a Max
“Come?”
“Schema?”
Max mantenne la calma, alzò un dito e indicò Chloe
“Cosa hai detto: che voleva seppellire Rachel alla discarica dopo che lei ne aveva parlato direttamente a lui, corretto? Inoltre le aveva anche detto di quanto fosse felice e spensierata in quel posto, con te. Giusto?”
Chloe annuì
“Si una cosa del genere.”
“Quindi sappiamo del perché non abbia voluto gettarla dal promontorio del faro: voleva infierire.”
Steph si mise in piedi e osservò Max con interessa
“Và avanti, Max….”
La ragazza prese coraggio. Mentre ascoltava Chloe, colse delle frasi da ciò che aveva detto Jefferson che le accesero più di una luce nella mente annebbiata. I pezzi sembravano finalmente incastrarsi, trovare una giusta collocazione. I frammenti di quella settimana tornavano a galla e si mostravano radiosi e perfettamente limpidi. Era vero: avevano tutto già davanti a loro. Doveva solo essere certa di non sbagliare.”
“Perché farlo? Perché voler umiliare così tanto Rachel Amber? Parrebbe che non le avesse fatto nulla di male a lui, no? Si era innamorata, avevano fatto sesso e vedeva in lui una possibilità di fuga che altrove le sembrava impossibile, anche con te Chloe. Non è stato un gesto crudele, ma disperato. Voleva fuggire e Jefferson era la migliore strada. Dubito che avesse fatto qualcosa di tremendamente sbagliato o stupido per incattivirselo, no? Quindi, perché infierire così tanto su di lei? Perché umiliarla così?”
“Non per me, vero?” chiese Chloe dubbiosa
Max scosse la testa
“No, certo che no. Non eri che un nome nella sua mente. Forse Rachel ti avrà nominata, ma nulla di più Non eri né un ostacolo né una persona fisica nella sua vita. Non potevi presentare una minaccia poiché, se lo fossi stata, ti avrebbe ucciso in quei mesi. Non era per te, Chloe: il danno, lo sfregio, era solo per Rachel.”
“Ma perché?” chiese Steph “Perché farlo?”
“Forse possiamo intuirlo, ma dobbiamo fare un passo indietro: la lista.” disse. E tese la mano verso Steph che, titubante, la estrasse dalla tasca, la spiegò e la porse.
Max l’afferrò con decisione e l’appese, con una puntina, accanto alla cartina della città. Poi riprese
“Steph, quante ne hai trovate?”
“Esclusa te, Rachel e le altre ragazze della Blackwell, direi una decina per ora.”
“Quante di loro sono decedute, escluse quelle che già sappiamo?”
“Nessuna, che io sappia.”
“Allora sono abbastanza certa nel dire che, da prima di Rachel, nessuna di loro è stata assassinata.”
Chloe sembrava non capire e azzardò

“Perché non potrebbe esserci una vittima tra loro? Perché pensi che non abbia ucciso nessuna? Magari ci sono vittime che ignoriamo e una di loro potrebbe essere morta.”
Max sorrise
“Si, l’ho pensato anche io. Sono abbastanza certa che questa lista sia incompleta, ma nessuna è morta. Le uniche che ci hanno rimesso la vita sono su questo foglio.”
Chloe sembrò titubante
“Non capisco Max. Cosa ti dà tanta certezza?”
“Laureen.” rispose con decisione.
Steph emise un fischio di approvazione
“In effetti, lei e sua cugina erano finite tra le grinfie di Jefferson dopo l’omicidio di Rachel e sono sopravvissute. Non ci sarebbero state testimoni, erano sole in un bosco, nessuno avrebbe mai potuto cercarle lì.. ma sono state sedate e sono tornate indietro. Non le ha uccise. Potrebbe essere vero, Max. Potrebbero non esserci altre ragazze morte.”
Chloe volle dire la sua
“Perché non le ha uccise? Cioè se aveva una possibilità così grossa, perché non sfruttarla?”
“Perché Rachel è stata uccisa da Nathan.” rispose Max con naturalezza “Questo è un dettaglio fondamentale.”
Ora Max voleva la loro attenzione, alzò le mani e le invitò a seguirla nel suo ragionamento
“L’omicidio di Rachel per mano di Nathan ha coinvolto anche Jefferson ben oltre l’occultamento di cadavere. Ha fatto scattare qualcosa in lui, una naturale evoluzione della sua depravazione. Forse era già insista dentro di lui ma era in grado di reprimerla però, dopo Rachel, qualcosa deve essere scattato in lui. All’inizio faceva servizi normali, poi sempre più spinti ma  comunque nella sfera professionale, dato che vi sono libri pubblicati su di lui e verso la seconda metà degli anni Novanta era comparsa la prima foto in chiaroscuro con una modella con le mani legate. Solo un caso, poi il nulla. Questo è un dettaglio che sarà passato in sordina, ma se pensiamo che dal Duemiladieci in poi ha iniziato a sedare e fotografare ragazze di nascosto, non è più un dettaglio di poco conto, no? Stava sperimentando, stava cercando di soddisfare la sua ossessione per la ricerca di un determinato tipo di fotografia. Era ossessionato dall’innocenza, dalla purezza in ogni scatto e nel volto delle sue modelle…”
“Come fai a dire questo, Max?” chiese Steph
Max si era addentrata, con il suo ragionamento, nei ricordi di una realtà cancellata. Tutto ciò erano confessioni di quella notte nella Dark Room fatte da Jefferson stesso a lei, poco prima di provare a ucciderla. Ma era necessario che riportasse alla memoria tutto quello che lei aveva visto e cancellato. Chloe l’aveva intuito e le lanciò una occhiata d’intesa, ma Max era serena: ormai era abituata a mentire prontamente per difendere quel segreto.
“Lo disse in classe. Era il suo sogno fin da quando aveva iniziato la carriera di fotografo. Ci disse che ogni fotografo ha il suo vizio e il suo era la ricerca della purezza nello scatto e nelle modelle.”
La menzogna fu efficace dato che Steph annuì come ad aver capito e la invitò a proseguire
“Quindi, supponiamo che ha un certo punto questa sua ossessione abbia preso il sopravvento, che sia diventata incontenibile e incontrollabile. Potrebbe aver iniziato a sperimentare, a rapire le prime ragazze. Sceglie fin da subito giovani non troppo segnate da una adolescenza sregolata, pure e vulnerabili. Poi, presumo, le sceglie anche fragili, magari sole o con una situazione complessa. Quindi inizia a scattare, sperimenta le droghe da usare e impara a dosare correttamente per tenerle buone per il tempo necessario. Tutto và liscio finché non arriva qui alla Blackwell, dove accadono tre cose: la presenza di troppe studentesse, Nathan Prescott e Rachel Amber.
Troppe studentesse significa che ci sono più potenziali vittime da scegliere e quindi una accelerata per la sua ricerca ma anche una più difficoltosa gestione del suo bisogno. Nathan Prescott che gli fornisce sia il luogo che gli strumenti per migliorare i suoi crimini, inoltre la sua posizione economica si sposava benissimo anche con il suo ruolo di collegamento con Frank per le droghe: ora poteva far svolgere tutto il lavoro sporco a Nathan: reperire la droga e le vittime. Infine, Rachel Amber: non era una sua vittima, ma di Nathan. Lui la scelse, lui la portò nella Dark Room, lui la dovette sedare e lui aveva iniziato a scattare. Jefferson non poteva tollerare che Nathan lasciasse andare una potenziale testimone, Rachel non era stata drogata a sufficienza ed era cosciente a un certo punto. Ricordi, Chloe? L’abbiamo visto nelle foto che gli ha scattato: un errore del genere, Jefferson non l’avrebbe fatto, per questo l’autore era per forza Nathan. Il fatto che lei fosse cosciente è stata la sua condanna a morte: presumo che sia stato Jefferson a manipolare rapidamente Nathan per sedare di nuovo Rachel. Forse gli disse che serviva sedarla per portarla fuori, forse che andava drogata per rendere i suoi ricordi più confusi e renderla poco attendibile, o cose simili. In ogni caso, Nathan mandò Rachel in overdose con le sue stesse mani ma, forse, la dose letale potrebbe averla preparata Jefferson e Nathan, inconsapevolmente, ha preso la siringa e ha eseguito, convincendosi che fosse stata solo tutta colpa sua. Questo potrebbe aver dato il via alla fine di Prescott ma anche dello stesso Jefferson. Non era previsto che una morisse, non era previsto che il suo instabile strumento di recupero di vittime, soldi e droga impazzisse. Magari aveva capito che Nathan sarebbe esploso comunque e la morte di Rachel deve aver accelerato le cose ma è innegabile che Jefferson si sia fatto trovare preparato. Ha tamponato come ha potuto, anche se lo ha messo in difficoltà e, per ora, in carcere.”
Chloe sembrava rapita, Steph ammirata
“Continua, sembra una buona storia.”disse quest’ultima
“Io forse inizio a capire….” disse Chloe
“Bene, perché ora arriviamo al punto: Jefferson cerca di tenere tutto sotto controllo. C’è un caos silenzioso, ma ancora contenuto. Non ha paura, non pensa stia per esplodere tutto sotto i suoi piedi, ma la morte di Rachel ha innescato qualcosa in lui: la voglia di morte. Si interessa a questa cosa, è una evoluzione della violenza che lui da anni infierisce sulle ragazze. Quindi, reprime questa cosa, risparmia Laureen, ma a Settembre cede. Il nuovo anno scolastico porta in dote un nuovo grosso problema.”
“Il peggioramento di Nathan?” chiese Chloe
Max scosse la testa
“No. Io. Io sono il suo problema. Mi vuole: ha scelto me come prossima vittima e questo lo sappiamo tutti. Però, non può avermi. Forse perché la mia indole riservata e timida mi ha reso poco raggiungibile, forse perché la sua stima verso la mia capacità di fotografa è sincera e mette in naftalina il bisogno di rapirmi, fatto sta che  deve colpire di nuovo e trova altre due vittime: Victoria e Kate.
Ora, Victoria Chase non è il suo tipo di vittima. Per niente. Si è bella ma snob, presuntuosa e per niente innocente. Si, ha una situazione difficile, ma non così tanto. Kate, invece, è più simile a me perciò è un ottimo test per lui. Se ottiene Kate, la prossima sarò io. Quindi incarica Nathan che, alla festa del Vortex Club, la droga, la rapisce e gliela porta per scattare. Una volta finito, la butta nel suo dormitorio. Purtroppo per loro, Victoria ha filmato Kate baciare altri ragazzi e lo ha messo online. Nessuno, eccetto Nathan, sapeva che era sotto l’effetto di droghe pesanti e, credendo fosse solo ubriaca, al grido di ‘in vino veritas’ la fanno passare per una finta cattolica e per una puttana facile e la bullizzano. Questo destabilizza moltissimo Kate che è sempre più emarginata, disperata e sola. I suoi ricordi sono confusi ma, dopo che ebbi parlato con lei, era chiaro che non ricordava di essere andata in ospedale, come disse Nathan, ma che era nella Dark Room. Ora, non so se questo lo avesse capito anche Jefferson o no, dato che era la sua assistente in classe, ma per lui è ora di riprovare quel brivido. Sappiamo che lei aveva bisogno di aiuto, ha cercato sostegno nelle poche persone che ancora apprezzava: me e Jefferson stesso. Un giorno, la vidi parlare con lui. Non so cosa si siano detti, ma due ore dopo Kate era morta. Suicidatasi dal tetto. Anche stavolta, Jefferson aveva spinto alla morte qualcuno senza sporcarsi le mani. Una sua vittima era passata a miglior vita e non c’era nulla che lo collegasse. Kate Marsh è una sua vittima quanto lo è anche Rachel. Capite? Si è evoluto.
Steph batté le mani
“Cazzo! Cazzo si, ha senso! Tutti i maniaci evolvono, per cercare un brivido sempre maggiore. Lui voleva, che ne so, vedere quell’innocenza perduta, lasciare anche il corpo. Forse era eliminare testimoni scomodi  e, al tempo stesso, ricerca di un piacere interiore, una consapevolezza di essere il padrone, un modo di…”
“Avere il controllo.” concluse Chloe, con il viso sconvolto “Il controllo. Decidere non solo di drogarle e fotografarle: ora le voleva anche morte se lui lo avesse deciso. Cazzo, era peggiorato a tal punto?”
Max annuì
“Poi sarebbe toccato a me. Mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani, però.”
“Come fai a dirlo?” chiese Steph
Max si preparò a raccontare fatti accaduti, passandoli per ipotesi. Solo per lei e Chloe era tutto già successo
“Semplice. Immagina: se fosse toccato a me? Se attirato me e Chloe di nuovo alla discarica, magari con uno stratagemma per metterci in trappola? C’erano le telecamere nella Dark Room, sapeva che eravamo state laggiù. Avrebbe potuto capire che noi eravamo in cerca di Nathan o, forse, che sapevamo che fosse lui. Quindi, dovevamo sparire. In qualche modo, ci avrebbe preso in trappola. Sono sicura che avrebbe ucciso Chloe: non rientra nella sua tipologia. Avrebbe rapito me, fatto le foto che tanto desiderava farmi e poi, penso quasi certamente, mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Per rispetto, per paura, per fretta o forse perché ormai il piacere di togliere lui stesso la vita agli altri, anziché lasciare fare a terzi o al destino, era più grande. Dopotutto, aveva già ucciso Nathan direttamente. Si era liberato di quella bomba che aveva causato troppi danni. L’arrivo di me e Chloe nella sua tana devono avergli fatto prendere questa decisone. Uccidendo Nathan, forse, potrebbe aver sviluppato una voglia di uccidere personalmente. Dopo Chloe, si sarebbe liberato di me.”
Steph era pallida
“Ok, è una ipotesi, ma per qualche strano motivo, credo abbia senso. Cazzo, Max…. oddio non reggerebbe mai in tribunale perché sono solo supposizioni, ma ha un debolissimo senso logico tutto questo.”
“Ok, Max: dove vuoi andare a parare?” chiese infine Chloe “Pensi di aver risolto o trovato qualcosa per ingabbiare quel pezzo di merda?”
Max, finalmente, sorrise. Non sorrideva così spontaneamente che sentì dolore alle guance.
“Cazzo si. So come fotterlo.”
Chloe e Steph le rivolsero un largo sorriso
“Allora non tenerci sulle spine!” esclamò la giovane Gingrich
Max si rivolse nuovamente alla cartina e indicò un punto a nord di Arcadia
“La discarica. Lo sfregio finale alla persona di Rachel. Umiliazione nel posto in cui era più felice negli ultimi tempi. Non solo averla seppellita sporca e in un sacco dell’immondizia, ma addirittura infierire scegliendo proprio questo posto? Era con Nathan che, molto probabilmente, non era un aiuto dato che poteva essere confuso e , a sua volta, sotto l’effetto di droghe da come abbiamo notato nella foto nel fascicolo di Rachel che io e Chloe abbiamo visto. Però poteva comunque essere un aiuto, no? Non credo lo abbia portato solo per fargli quella foto per tenerlo al guinzaglio: dopotutto poteva incastrarlo anche senza, no? Poteva sbarazzarsi del corpo di Rachel nell’oceano, gettandolo dal promontorio del faro che è qui.” e indicò un punto più vicino alla discarica, poco più in alto a nord-ovest “Invece ha viaggiato dalla fattoria…” e indicò un punto all’estremo sud di Arcadia “…. Fino alla discarica. Nessun bosco, nessuno sforzo in più per andare al faro.. no, diretti alla discarica, scartando mezza città, una foresta e una soluzione più veloce e facile a poco più di un chilometro. Voleva seppellirla alla discarica per un preciso motivo….”
Max fece una pausa poi puntò il dito su un luogo a est
“Accademia Blackwell…. Kate Marsh si getta dal tetto del dormitorio. Il luogo in cui una ragazza per bene doveva sentirsi al sicuro, un posto in cui una come lei aveva riposto ogni speranza. Non aveva niente, se non la sua casa. Aveva bisogno della scuola per uscire dal suo guscio, per cambiare. Era una cattolica credente e ha scelto il suicidio, il massimo del disonore per qualcuno di quella fede. Così, anche questa memoria è stata insozzata: non solo il dormitorio ha perso la sua figura di luogo sicuro ma, soprattutto, la figura di Kate Marsh ne esce stravolta, sporcata, offesa.
Come Rachel.
Victoria forse sarebbe morta direttamente nella Dark Room, davanti a un obbiettivo, vedendo ciò che amava diventare l’ultimo testimone della sua vita. Esattamente la fine che avrei fatto io se fossi finita lì sotto. Uccisa dal mio mentore, davanti ciò che amavo fare da una vita. Se io e Chloe avessimo commesso un errore quella notte, se lui ci avesse attirati nella trappola, forse Chloe sarebbe stata uccisa nella discarica, nello stesso punto in cui si trovava Rachel, giusto per infierire ancora su una memoria. Poi avrebbe guastato me e la mia memoria. Non sono casuali. Sono collegati. Quel mostro si è evoluto più di quanto sembri: è uno schema.”
Steph si mise le mani davanti alla bocca e mormorò un ‘o porca merda’ e non aggiunse altro. Chloe, invece, benché inorridita, disse
“Allora perché Nathan giù nel faro? Perché ne aveva parlato? Non sembra legato all’oceano… cioè si addormentava con i canti delle balene ma..”
“Nathan non è in fondo al mare, Chloe. E’ sepolto.”
Ora, lo stupore delle sue due spettatrici era palpabile e visibile sulle loro facce
“Ma Max…” disse Steph “Frank ha detto..”
“Si lo so cosa ha detto, ma ci siamo fatte ingannare dalle nostre stesse menti. Frank ha detto che Nathan ne ha parlato. Anche se lo avesse confessato a Jefferson, non avrebbe senso. Innanzitutto, le tempistiche non combaciano: non avrebbe mai fatto in tempo a sbarazzarsi del corpo e tornare alla Blackwell e presentare il vincitore del concorso e sembrare pulito e fresco come una rosa, no? Secondo: Nathan aveva espresso un desiderio suicida per le colpe che lo affliggevano sull’omicidio di Rachel ma al tempo stesso voleva morire senza farsi trovare, forse per dare un ultimo sgarbo a suo padre. Non era legato al faro, non c’era nulla da infangare o rovinare. Non c’era innocenza in quel luogo che lo legasse al punto da distruggerne la memoria. Gettarlo da quel promontorio, non aveva nessun significato. No, lo ha sepolto dove poteva essere sicuro di poter dare un ultimo insulto alla memoria di Nathan, esattamente come le altre vittime. Solo che con lui è stato più spietato e sadico: prima lo ha demolito interiormente, caricandolo dei sensi di colpa per la morte di una ragazza che amava. Poi lo ha continuato a sfruttare e magari gli ha fatto pesare anche il suicidio di Kate, sfruttando la faccenda del video diventato virale per renderlo più instabile e pericoloso, in modo tale che nessuno potesse provare pena per lui se li fosse successo qualcosa. Infine, doveva insultarlo nascondendolo in evidenza e in un luogo che potesse significare qualcosa per Nathan, solo che Nathan era legato e ben poche cose, ma ve ne era una che, se ho ragionato correttamente, nella sua giovane vita poteva significare.”
Chloe prese per le spalle Max e la fissò con ansia
“Dove cazzo sta?”
Max sorrise
“Abbiamo ancora il badile di Kristine?”
 
 
 
Dieci minuti dopo, mollarono il pick-up di Chloe in mezzo alla strada e saltarono giù in fretta dal mezzo. Chloe si allungò verso il retro e prese il badile, mentre Steph seguiva a ruota Max, che saliva velocemente le scale.
L’ombra della Accademia Blackwell l’attendeva carica di promesse.
 
 
Cazzo so che sei qui. Cazzo, non posso sbagliarmi. Cazzo so che sei qui!
 
 
Scattarono verso destra, verso i dormitori.
Il preside Wells sbucò dalla finestra e gridò
“Hey voi tre! Che ci fate qui?”
“Non ora, signor Wells! Anzi, farebbe bene ad avvisare la polizia!” gridò in risposta Steph
“Questa voce…. Gingrich?? Ma che cazzo ci fa lei qui??”
Non risposero e scesero velocemente le scale. Max non intendeva fermarsi ora a dare spiegazioni: sentiva il cuore accelerare sempre di più, il fiato farsi sempre più corto. Era fuori allenamento ma era carica di agitazione e ansia. Doveva essere lì!
Scartò la passerella in cemento e si diresse sul pendio erboso, lontana dall’ingresso del dormitorio, fino ad arrivare al totem Tobaga, che giaceva ancora a terra.
“Aiutatemi!” gridò
Chloe superò Steph. Ficcò il badile a terra e andò al lato opposto del totem, issandolo da terra assieme a Max. Steph le raggiunse e prese il capo della scultura lignea. Facendo leva sulle gambe, le tre ragazze sollevarono il totem e lo spinsero più a sinistra. Fortunatamente, il totem era stato sradicato da terra.
“Cazzo, quanto pesa!” mugugnò Chloe
Dopo mezzo metro, lo mollarono a terra.
Steph diede una gomitata a Max e indicò il terreno
“Max… non c’è erba… il totem potrebbe aver impedito che crescesse rimanendoci sopra, ma quella sembra terra spossa e schiacciata, già privata di vegetazione…”
Chloe non attese oltre: prese il badile e cominciò a scavare con foga. Max si gettò con le mani, rischiando di vedersi tranciare due dita dal badile.
Dopo un paio di minuti, scavando con foga, il terreno regalò loro un rimasuglio di tessuto che, tempo prima, poteva essere di colore rosso. L’aria si fece fredda mentre sbucava anche quello che pareva un polso fatto di ossa e residui di carne.
Max si lasciò cadere all’indietro, mentre Chloe posò il badile
“Chiamo David.”disse infine la ragazza dai capelli blu
Max annuì e aggiunse
“E accenna al fatto che dovrebbe portare una pattuglia per il recupero dei cadaveri.”
In tutto questo, Steph si era voltata e stava andando incontro alla figura zoppicante di Wells, pronta a spiegare. Prima però, si congedò con un
“La prossima volta che organizziamo qualcosa insieme, mi accontenterò di una pizza.”



20
 
L’agente Castillo osservava il sacco nero sulla barella, venire trasportato da due agenti della scientifica e infilato dentro un carro funebre. Era quasi il tramonto, ormai. Avevano passato molte ore nei giardini antistanti il dormitorio della Accademia Blackwell. Troppe ore. Ma era la prassi e la squadra della scientifica era dovuta venire direttamente da Portland. Dopotutto, il corpo di polizia della Contea di Tillamook era attrezzato bene ma non così bene per questo tipo di situazioni e, in ogni caso, lo sforzo era ancora concentrato quasi nella totalità della situazione dovuta al tornado di circa nove mesi prima.
Recuperare il cadavere di Nathan Prescott aveva richiesto, perciò, una bella fetta di tempo. Fortunatamente, visto che la città era ancora deserta, non c’erano curiosi da tenere lontano.
Il preside Wells aveva preferito rientrare nel suo alloggio. Due agenti erano con lui, per tenerlo d’occhio. Non era sospettato, ma in quel punto delle indagini, anche Babbo Natale sarebbe stato tenuto sotto osservazione.
Le tre che interessavano a lei, invece, se ne stavano sedute sulla scalinata che portava all’ingresso del dormitorio.
Quella nuova, Stephanie, era seduta in cima, contro le porte. Le altre due, Chloe e Max, erano a un gradino di distanza. Tutte e tre sembravano provate, specialmente Max, ma intravedeva una tenue luce di sollievo sulle loro guance.
“Cosi eravate qui solo in gita e a salutare la signora Price – Madsen, vero?” chiese in un tono tra il severo e il divertito
Max sollevò la testa e le sorrise
“Ci scusi. Era…. Beh dovevamo farlo noi. Non so se capirebbe….”
Castillo si avvicinò a loro. Incrociò le braccia al petto e sentenziò
“No, non capisco e dubito che qualsiasi scusa diciate mi aiuterebbe a capire. Potevate parlare con me! Vi avrei aiutate!”
Chloe alzò la testa e la fissò sospettosa
“Si, come no! Immagino che il suo aiuto sarebbe stato “no, non fatelo. Fate controllare  a noi cazzi duri dell’Fbi”. Beh, ottimo lavoro avete fatto in questi mesi. Max ci ha messo due ore.”
Castillo alzò le braccia
“Non nego che siate state in gamba, ragazze. Un po’ troppo spregiudicate, forse. Dico solo che avrei voluto essere d’aiuto: non siete il ritratto della serenità, a dirla tutta.”
“Beh, vorrei ben vedere.” commentò Steph “Tra chiacchiere con galeotti, potenziali vittime e cadaveri, non si può dire che sia stata una passeggiata di salute…”
“Potenziali…”
“Lasci perdere agente.” disse Max con voce stanca “Se vuole aiutarci, può ancora farlo.”
Castillo, incuriositasi, si rivolse a Max
“Certo, tutto quello che serve. Che manca per concludere?”
“Nulla. Quello dovrebbe avere tutte le prove del mondo per incastrare definitivamente Jefferson ma, per favore, se dovesse saltare fuori qualcosa che potrebbe incriminare Frank Bowers… beh lo impedisca. E’ innocente, davvero. Frank è una brava persona, in fondo. Non ha niente a che fare con questa storia e forse ha perso molto, come tutti noi. Sta già pagando per i suoi errori: non fategli pagare più di quanto meriti.”
L’agente Castillo fece una smorfia e annuì
“Non posso garantirlo, dato che non so di cosa stiate parlando, ma tutelerò Frank Bowers. Ditemi come avete fatto ad arrivare qui, però…”
Max, con voce stanca, spiegò tutto quello che aveva spiegato a casa di Chloe, aggiungendo anche i particolari della chiacchierata che la sua fidanzata aveva fatto con Jefferson quella mattina. Poi concluse
“Perciò, ho pensato che fosse qui per il medesimo motivo: sfregiare la memoria di Nathan. La Blackwell era il suo regno e, per qualche strano motivo, era fissato con il totem. Nella sua breve carriera di bullo, aveva cercato di rubarlo. Non si sa il perché, ma aveva una attrazione speciale. Forse per ribadire che qui era come se fosse casa sua e poteva disporre di ogni cosa a suo piacimento. Mentre ragionavo su questo mi è tornato in mente che il signor Wells aveva detto che il totem era caduto subito, quella mattina, il che è strano. Se pensiamo alla posizione, i venti che sono arrivati alla Blackwell, per quanto fossero forti, hanno causato relativamente pochi danni nella parte interna. Non che fosse impossibile far cadere il totem, ma che fosse già caduto quando ancora il resto della scuola non avesse riscontrato grossi danni, mi ha fatto riflettere. E se fosse caduto prima del tornado? Il totem era già a terra perché, magari, la base era instabile, magari era instabile dopo che qualcuno aveva scavato alla sua base per un bel pezzo, minandone la già precaria stabilità. Inoltre, se pensiamo al vento, non sarebbe dovuto cadere sdraiato sulla schiena come è effettivamente successo, ma più sul lato, verso nord. Invece era perfettamente perpendicolare. Bizzarro, no? Inoltre i cani molecolari: sono stati usati per pochi minuti e dentro alla foresta, ma non hanno mai pensato di far analizzare i dintorni più vicini al campus. Questo errore di pochi metri è costato tantissimo e mi era tornato in mente, pensando che fosse stata una mancanza non da poco. Quindi ho sospettato che fosse lì.”
L’agente Castillo annuì. Era sinceramente ammirata ma non disse nulla.
“Beh, prima Amber, ora Prescott. Max, forse dovresti riconsiderare la fotografia e darti all’investigazione..”
“Mai. Ho chiuso con tutto questo. Era la mia ultima prova, ora voglio starmene in pace.”
La donna dell’FBI alzò le mani in segno di resa
“Non insisto. Comunque, davvero notevole. Quelle tue intuizioni poi.. sono così lucide da sembrare vere. Come se le avessi vissute. Oppure solo fortuna sfacciata, ma i tuoi ragionamenti, per quanto fragili, hanno sempre una logica. “
Chloe sorrise e fissò Max che, guardandola, le disse
“Consegnalo.”
La ragazza dai capelli blu sembrava titubante
“Sicura? “
Max annuì.
Chloe prese dalla tasca il telefono di Nathan, avvolto ancora nel sacchetto di plastica trasparente, e lo offrì all’agente, che lo osservò incuriosita ma non lo afferrò
“E’ il telefono di riserva di Nathan Prescott: lo usava per comprare droga ma, soprattutto, per comunicare con Jefferson. Magari troverete qualcosa di utile da usare contro quel bastardo.”
Castillo spalancò gli occhi e, finalmente, afferrò il telefono
“Ma come…”
“Era qui. In un condotto dell’areazione. Max ha pensato anche  che, in qualche modo, Nathan dovesse per forza comunicare con Jefferson tramite canali alternativi. Perciò abbiamo frugato un po’ in giro fino a trovarlo.”
Castillo, continuando ad osservare il telefono, annuì decisa e disse
“Capisco… stupefacente…. E senza nemmeno un briciolo di sporco e polvere, eh?”
Alzò gli occhi e fissò Chloe che, si sentì nuda
“Tutti questi mesi e nessuna traccia di abbadnono, polvere, sporcizia o altro. Inoltre nei condotti eh? Quali? Non ve ne sono qui…”
Chloe deglutì nervosamente
“Io intendevo dire…”
“Non dire nulla, Price. Mi inventerò io qualcosa e farò in modo di rendere il vostro ritrovamento più credibile. Nessuno si accorgerà che avete nascosto questa prova per chissà quanto tempo, tranquille. In fondo, ve lo meritate. Garantirò anche per Frank Bowers, promesso. Penso che sia giusto darvi qualcosa in cambio, dopo tutto quello che avete fatto per aiutare noi. Ma vi avviso: ora la vostra testimonianza diventa pesantissima e più preziosa che mai. Dovremmo per forza fare quella chiacchierata molto presto. Vi conviene fermarvi qui ancora per un bel po’.”
Detto ciò, le salutò e si congedò da loro.
“Anche io devo fermarmi qui? Cazzo dovevo portare più mutande.” si lamentò Steph
Max e Chloe ridacchiarono, mentre in lontananza videro arrivare David Madsen
“Ahi ahi.” disse Chloe “Ora non sarà semplice come con miss FBI.”
“No, temo di no.”
David si fermò davanti a loro. Le passò ai raggi x e poi esclamò
“Non so se essere orgoglioso o incazzato. Di nuovo? Quanti casi avete intenzione di risolvere voi, eh?”
Chloe tirò un sospiro di sollievo plateale
“No, abbiamo finito David. Io e Max siamo stufe e credo che anche Steph non abbia più voglia di farsi trascinare in queste avventure.”
David fissò la terza e bizzarra nuova ragazza e sentenziò
“Si, penso anche io. Non ha una bella cera.”
“No, è la mia naturale faccia da culo, signor Madsen.” rispose Steph prontamente, suscitando ilarità generale.
Una volta ricompostosi, David disse
“Davvero ragazze, sono fiero di voi. Di nuovo. Un po’ incazzato, certo, dato che non la finite di ficcarvi in situazioni pericolose, ma fiero. La vostra amica bionda, poi, è stata una vera sostenitrice del vostro operato.”
Le tre si scambiarono uno sguardo
“Kristine?” chiese Chloe
“Si. Sapeva che qualcuno vi teneva d’occhio e lo ha neutralizzato rapidamente. E’ venuta da me per chiedermi di rintracciarlo ma anche di raccomandarmi di non interferire e fidarmi di voi. Una Prescott così strana…. Direi umana…. Vi siete fatte una amica potente, sappiatelo. Ah, io non vi ho detto nulla, sia chiaro.”
Annuirono
“Chloe? Vuoi dire tu a tua madre della vostra impresa? Io ho taciuto, per ora, ma diventerà di dominio pubblico entro sera….”
“No, ora vengo in ospedale e ci penso io. Sempre se tu sei diretto là.”
“Certo che si.”
“Allora aspettaci.” concluse Chloe, salutando David che si allontanò da loro.
“E’ finita. Possiamo finalmente staccare la spina.” disse Steph
Max si rabbuiò
“Manca il processo. E ora non possiamo evitarlo.”


 

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Capitolo 6
*** Parte Terza:Satya Yuga + Epilogo ***


Parte Terza
 
Satya Yuga
 
 
 
 
 
1
 
 
 
 
Dal notiziario di KVAL-TV, Oregon
 
Breaking News!
 
 
Trovato un corpo all’Accademia Blackwell
 
 
 
“Circa due ore fa, la polizia ha rinvenuto un cadavere nei pressi del dormitorio dell’Accademia Blackwell di Arcadia Bay. Il corpo, stando da ciò che dicono le fonti interne, è stato rinvenuto sepolto, perciò non si tratterebbe di una vittima potenzialmente inserita tra i dispersi del tornado. Si fa largo l’ipotesi che sia il cadavere del giovane rampollo della famiglia Prescott, Nathan, dato per disperso da Ottobre Duemilatredici e sospettato di essere l’autore dell’omicidio di Rachel Amber e anche delle molestie avvenute nel bunker sotterraneo nella fattoria di proprietà proprio dei Prescott.
Se fosse confermato, la posizione di Mark Jefferson, attualmente  incarcerato per occultamento di cadavere e complicità nei crimini di Prescott, cambierebbe completamente.
Al momento, la polizia non ha ancora rilasciato nulla di ufficiale e, come vedete alle mie spalle, l’Accademia Blackwell rimane transennata e chiusa al pubblico. Si parla anche di un coinvolgimento dell’FBI, ma questo potrebbe essere solo una prassi per accertarsi se si tratta o meno del giovane Prescott.
Al momento, tutto tace e vi aggiorneremo in caso vi siano ulteriori sviluppi.
 
 
 
2
 
 
 
Dalla prima pagina del giornale ‘Headlight – Herald’ di Tillamook
 
 
Celebre Avvocato abbandona Jefferson
 
di William Green
 
Humphrey McKinsey, avvocato molto celebre nello stato dell’Oregon con all’attivo un impressionante numero di vittorie nella sua lunga carriera, si è ritirato dal caso che vede imputato il suo, oramai, ex assistito Mark Jefferson. Ancora non è chiaro chi raccoglierà il peso della difesa ma McKinsey ha dichiarato che sceglierà personalmente il proprio sostituto e che sarà un giovane promettente che si batterà degnamente per vincere questa battaglia. La nota, inoltre, non fornisce spiegazioni se non un accenno a delle motivazioni strettamente personali.
Immediatamente si sono rincorse voci e sospetti che l’abbandono sia legato al ritrovamento del corpo seppellito presso l’Accademia Blackwell, quasi confermando l’ipotesi che si tratti del giovane Nathan Prescott, diciannove anni, svanito nel nulla poco dopo il tornado e, sulla quale, si basava tutta la struttura difensiva di McKinsey che vedeva nell’erede della famiglia Prescott il vero e solo colpevole, con il ruolo del suo assistito di insegnante troppo diligente e preoccupato nel tutelare un giovane problematico. La nota, si precisa, è stata rilasciata ben prima che il corpo fosse ritrovato, ovvero a metà mattina. Quindi, l’abbandono di McKinsey dovrebbe essere indipendente dal fatto avvenuto nel pomeriggio presso l’Accademia Blackwell.
Continua a pagina 4
 
 
 
3
 
 
Le porte dell’ascensore si aprirono e Kristine Prescott sbucò fuori in gran carriera. Era moltissimo che non metteva piede nel piano privato del Seaside e non badò molto a vedere se era stato cambiato qualcosa (aveva lasciato quasi carta bianca al direttore) dato che le tre ragazze erano davanti alla porta a vetri della piscina. Erano tutte e tre molto provate, specialmente Max, ma sembrava che i loro visi cominciassero a rilassarsi un poco. Erano passate trentasei ore dalla loro scoperta e non aveva avuto modo di raggiungerle prima. Prima era stata convocata in commissariato per rispondere ad alcune domande, poi aveva dovuto riconoscere il corpo in base ai pochi oggetti rinvenuti addosso al cadavere. Infine, aveva atteso il test del DNA per avere la conferma finale.
Nathan Prescott era deceduto da almeno nove mesi, sepolto poco dopo la sua morte, con i vestiti che indossava al momento della scomparsa. Non se ne era mai andato, non era un pericoloso fuggiasco. Era solo l’ultima vittima. Era finita.
Sorrise al trio e, una per una,le abbracciò, mormorando un ‘grazie’ a tutte. Chloe e Max si limitarono a un ''figurati’' '‘ grazie a te'', mentre Steph chiese se ora poteva almeno uscire con lei.
Questo le strappò un sorriso divertito. Era bello sapere che, comunque, stavano mantenendo la loro personalità.
“Vi ho chiesto tanto, forse troppo, e me ne rammarico. Ma ci siete riuscite. Avete fatto ciò che tante persone ben più qualificate non hanno saputo fare. Sono e sarò sempre in debito con voi. Grazie ancora.”
Sospirò, passò in rassegno i loro volti, poi riprese
“Vi devo chiedere un ultimo sforzo, ma stavolta non per me, ma per voi stesse: dovreste continuare a restare qui, nascoste. Non uscite, non incontrate nessuno. Non scendete nemmeno ai piani di sotto. Vi farò portare su tutti i pasti e ogni cosa di cui voi possiate chiedere e necessitare. Per quanto il personale dell’albergo sia professionale e non abbia aperto bocca sulla vostra presenza qui, qualche ospite penso possa averlo fatto, perché stanno già per riunirsi di sotto dei giornalisti. Ora sono pochi, ma se la voce trovasse conferma, presto saranno molti di più.”
“Siamo sotto assedio, quindi?” chiese Chloe
“Brutale, ma si. Sopportate tutto per un paio di giorni, poi spero che le forze dell’ordine li facciano sloggiare.”
“I miei genitori…”
“Non possono venire, Max. Perdonami, ma non ora. Dì loro di aspettare ancora, magari altri tre giorni. Se non trovano alloggio, vi darò la terza suite libera, ma per favore non convocate nessuno dei vostri parenti.”
Steph alzò la mano
“Mi servirebbe un servizio di lavanderia e, se possibile, alcolici. Mandateci su cibo e un barman, per favore.”
Kristine sorrise
“Si, perché no. Ve lo meritate. Vi farò avere un servizio privato di lavanderia per la notte, allestiremo qui un tavolo per farvi mangiare e qualsiasi altra cosa vi serva. L’importante è che sopportiate questi due giorni di reclusione forzata. Il processo, si dice, potrebbe essere spostato di un giorno o di una settimana. I vostri avvocati vi hanno contattato?”
Max e Chloe annuirono
“Ci hanno detto che la situazione è un po’ cambiata, che saremo obbligate a presenziare e che forse abbiamo dato all’accusa l’asso vincente, ma ci hanno pregati di stare ferme e non fare più niente di niente.” spiegò Max
“In parole povere: brave ma non muovete più il culo o vi strangoliamo.” disse Chloe
“A me nessuno mi ha cercata, eccetto i miei. Volevano solo sapere se avessi sentito di quel cadavere ritrovato in questa zona visto che credono che sia qui con delle amiche a rilassarmi.” disse Steph
“Ah si?” chiese Kristine “Che gli hai detto?”
“Che ero con le mie amiche…. Anche quando lo abbiamo trovato. Credo che mia madre sia svenuta per un paio d’ore.”
Kristine rise poi decise che era ora di congedarsi ma, prima che potesse andarsene, Chloe la chiamò
“Sei stata tu, vero?”
Kristine pareva confusa. Steph pescò dalla tasca una pagina di un giornale locale e la aprì. Parlava dell’abbandono di McKinsey. Sorrise.
“Quello stronzo di avvocato. Sei stata tu, vero? Tu lo hai fatto saltare.”
Kristine annuì
“Aveva ingaggiato un detective privato per seguirvi e poi minacciarvi. Non ho voluto dirvi nulla ma sono intervenuta appena ho potuto e l’ho fatto sloggiare. Penso che la sua carriera, con questo scherzo, non sia finita bene come avrebbe voluto. Ho del materiale interessante su di lui che penso di far recapitare, per caso, a qualche giornale locale, non appena l’attenzione su Jefferson sarà calata. Così, giusto per rinvigorire il fuocherello.”
Steph si batté una mano sulla testa
“Cazzo! Il mio aggressore!” esclamò “Ecco chi era e perché sapeva tutto! Bastardo d’un avvocato!”
Chloe, invece, emise un fischio di approvazione
“Notevole, Prescott. Ci hai salvato le chiappe, a quanto pare. Ti siamo tutte debitrici.”
Kristine scosse la testa
“Affatto. Sono io che ho un debito con voi e questo non cambia minimamente la questione. Ho dovuto agire per il vostro interesse tanto quanto per il mio. Inoltre, potrebbe rientrare nel mio compito di fornirvi supporto logistico, come darvi le stanze. Davvero, ragazze mie, vi devo moltissimo. Spero di rivedermi presto, dato che ora anche per me inizierà un bel periodo di caos e sarà meglio per tutte non incrociarci qui fino a dopo il processo, o i media potrebbero fare due più due.”
“Aspetta!” disse Max “Il corpo di tuo fratello…. Dove….”
“Dove si trova? Dove lo seppelliremo?” chiese Kristine “Per ora è ancora in mano alla scientifica. Quando sarà possibile, lo farò seppellire in Florida, dagli avi. Non credo sia giusto seppellirlo ad Arcadia, dopo quello che ha fatto. Anche se qui riposa una bella fetta di generazioni di Prescott, Nathan ha perso il suo diritto a riposare accanto ai suoi nonni e tornare da dove la nostra famiglia arrivò, parecchie generazioni fa. E’ più giusto cosi, per la gente di Arcadia, per i morti di Arcadia e per i crimini che mio fratello ha commesso in Arcadia. Il nome dei Prescott, come vi dissi, deve lasciare Arcadia Bay il più velocemente possibile. Il resto, verrà con la ricostruzione.”
Max annuì e abbracciò nuovamente Kristine che, sorpresa da quel gesto, inizialmente non ricambiò, salvo poi rimediare con estremo affetto.
“Mi dispiace davvero per tuo fratello. Non meritava di finire così…. Se solo fosse stato aiutato…”
“No, non lo meritava, ma ha comunque ucciso una persona e ferito molte altre. Comunque, avrebbe dovuto pagare e sì, andava aiutato. Ma questo non è più un tuo cruccio: lo sarà per mio padre e mia madre. Lascia andare, Max. Lascia andare per sempre tutte queste ombre. E’ finita. Sei uscita dalla tempesta.” le sussurrò Kristine in risposta.
Separatesi, Kristine annunciò che avrebbe pensato lei ai loro abiti per il processo, fornendogli capi su misura e decisamente adatti a spaccare l’obiettivo. In realtà, era solo una provocazione per Jefferson: le avrebbe viste bellissime e irraggiungibili. Per sempre.
 
 
 
Quella sera, per loro, fu abbastanza inusuale cenare in quel tavolo da campeggio, montato in fretta e furia, in mezzo al corridoio.
Verso le cinque del pomeriggio, quattro uomini del personale erano saliti e avevano portato il materiale necessario per allestire tavolo e sedie, oltre che un corredo nuovo di asciugamani, accessori da toletta nuovi, chiedere loro cosa gradissero per cena e colazione e sacchi per la lavanderia che avrebbero ritirato dopocena e consegnato il mattino seguente. Max si sentiva un po’ a disagio a essere così servita, ma accettò il tutto con una sorta di rassegnazione. Alla televisione, infatti, le parole di Kristine si erano presto concretizzate in fatti: servizi di enti locali e non puntavano le telecamere sul Seaside interrogandosi se le ragazze fossero davvero al suo interno, nascoste alla stampa e alla verità nazionale.
Ovviamente, i commenti spaziavano dai più lusinghieri (ancora una volta, le eroine di Arcadia Bay compiono un passo decisivo per le indagini contro Mark Jefferson!) ad altri meno piacevoli (prima Rachel Amber, ora Nathan Prescott: come fanno due ragazzine a scovare due cadaveri mentre le forze di polizia falliscono? Che sappiano o che siano loro le vere colpevoli?). La gogna mediatica era ricominciata e, questa volta, si annunciava pesante e cinica anche verso di loro.
“E nemmeno una menzione sulle mie chiappe. Io ho un bel culo, perché non fa notizia?” commentò Steph, per stemperare la situazione.
Dopocena, si dedicarono a una partita a carte e si fecero servire due giri di mojito, ma nemmeno questo sembrò alleggerire le loro menti.
Max continuava a rimuginare.
Non si era rilassata molto dalla scoperta del cadavere di Nathan. Era triste perché sentiva di aver deluso i suoi genitori, avendo mentito loro. Certo, li aveva sentiti e loro erano parsi orgogliosi di lei e Chloe ma, in cuor suo, sapeva che un po’ si sentivano in ansia per via dell’esposizione mediatica alla quale la loro bambina si era esposta (di nuovo )  volontariamente. I coniugi Caulfield avrebbero voluto raggiungerla subito ma, purtroppo, gli avvocati avevano sconsigliato, per il momento, di muoversi da Seattle poiché presto si sarebbero trovati nell’occhio nel ciclone anche loro. Previsione concretizzatasi la mattina seguente la scoperta del corpo di Nathan, con un nugolo di giornalisti fuori da casa Caulfield. Inoltre, con la visita di Kristine, aveva intuito che i tempi per rivedere la sua famiglia si sarebbero ulteriormente allungati. Forse, se tutto fosse andato bene, li avrebbe rivisti al processo. O forse, addirittura dopo.
Questo, purtroppo, non aiutava il suo umore. Oltre a sentire di aver tradito la loro fiducia, sentiva anche di averli esposti troppo questa volta, stravolgendo la loro vita pacifica. I suoi genitori non erano gente da stare troppo sui riflettori. Erano riservati, tranquilli e pacifici, non avrebbero retto troppo a lungo quell’esposizione.
Si sentiva in colpa anche verso Chloe e Steph.
Sulla prima, non bastava sminuire il tutto con un ‘siamo partner, sempre e comunque’ questa volta. Erano i suoi guai, erano le conseguenze delle sue scelte e avrebbe dovuto affrontarle da sola. Chloe voleva solo rivedere sua madre, invece si era ritrovata a fare i conti con lei, su scelte che non aveva fatto. Sentiva, nella sua mente, la voce di Chloe che ripeteva ‘no Max sono scelte anche mie, ti ho obbligata io, le mie stronzate ti hanno obbligata a compiere certe scelte’ eccetera eccetera, ma stavolta non attaccavano, non la sollevavano. Stavolta, era tutta una sua responsabilità. Anche stavolta, il tornado lo aveva visto solo lei, il senso di colpa di tutte quelle morti negli incubi avevano preso forma dei suoi compagni di classe, non di Chloe. Questa era una sua battaglia e la ragazza che amava ci era finita in prima linea. Non era giusto, non doveva finire così. Poteva esserci tutto l’amore del mondo ma non era comunque sufficiente a giustificare un sacrificio.
E Steph?
Cazzo, l’aveva conosciuta da poco e ora era loro prigioniera, in cima a quell’hotel, con pochi vestiti e con i suoi genitori che le telefonavano ogni ora sempre più in preda all’angoscia, totalmente spiazzati dalla situazione. Certo orgogliosi, ma spaventati.
Steph la metteva sul ridere e non voleva far credere che fosse preoccupata, ma lo era. Le spiaceva sentire suo padre e sua madre così in pensiero per lei, timorosi che la sua vita fosse ora finita in un ciclone che non le avrebbe più restituito tranquillità e anonimato.
Inoltre, lei stessa era rimasta sconvolta dalle testimonianze di Laureen e Samantha, nel sapere quante altre erano finite vittime di Jefferson, senza contare la vita di un cadavere di un ragazzo che, anche se poco, conosceva.
Per quanto loro due apparivano più forti di lei, anche nella loro armatura vedeva crepe di stanchezza e timore. Nessun tornado sarebbe giunto a coprire le tracce, stavolta.
Ora loro erano il tornado.
Lo era la gente che voleva vederle, parlare, chiarire, incolparle, glorificarle. Erano tutti quanti parte di una tempesta che, al momento, non riusciva a capire dove si stesse per abbattere, se non sulle loro stesse vite.
Si sorprese mentre fissava la sua stessa mano destra. Quella mano che era, da quasi un anno, una chiave per un potere che non aveva voluto. Giaceva inerte e abbandonata sulla sua coscia e le sembrò aliena, distante. Non sua.
Negli ultimi, lunghissimi mesi aveva dovuto educarsi a un più corretto e responsabile uso della sua mano destra. Aveva capito che il potere si sarebbe attivato solo che la sua volontà e la sua determinazione erano mirate a riavvolgere il tempo ma, per qualche strano motivo, era fisicamente necessario che la sua mano destra si sollevasse. Non occorreva alzare molto il braccio, solo compiere un movimento con il polso verso l’alto, deciso e con la mente ben determinata a tornare indietro. Aveva, perciò, compreso a suo malgrado che non poteva distrarsi. Ogni movimento della mano destra doveva essere eseguito consapevolmente o comunque in uno stato di quiete. Se si fosse distratta o agitata e, inconsapevolmente, alzato la mano destra, il potere si sarebbe riattivato contro la sua volontà. Non sapeva dire quanto tempo avesse speso a rimanere concentrata, a far diventare di nuovo la sua mano destra una semplice mano, misurando attentamente ogni azione. Per un po’, aveva considerato anche di diventare mancina…
Cazzo, più la guardava e più sentiva il desiderio di amputarsela….
Beata Chloe che era nata mancina!
Il lato positivo è che aveva preso più consapevolezza di sé.
In parte, l’esperienza maturata al primo ritorno ad Arcadia l’avevano aiutata moltissimo a maturare e, perciò, molto del suo nuovo carattere era frutto di quella settimana infernale. Poi però, il costante pericolo del suo potere, la vigilanza ininterrotta fatta per tenerlo imbrigliato e l’attenzione mirata a ogni suo piccolo gesto, l’aveva resa più acuta e più propensa ai dettagli. Forse per questo che aveva risolto il mistero del corpo di Nathan.
Ma quel cazzo di potere, per quanto non lo usasse più, era sempre fonte di guai.
Iniziava a chiedersi (e iniziava a farlo sempre più frequentemente) se i suoi incubi, i suoi traumi e lo stress non fosse anche una sorta di ‘sfogo’ per la repressione del suo potere. Sì, accettava l’idea che lei e Chloe vivessero con una sindrome del sopravissuto, uno stress post traumatico eccetera eccetera, ma perché le sue sensazioni si facevano sempre più amplificate, i suoi incubi sempre più vividi e ferocemente intensi? Temeva, in cuor suo, che il potere avesse bisogno di essere sfogato: se lo avesse usato, la natura avrebbe chiesto il conto, se lo avesse continuato a reprimere, sarebbe stata la sua stessa mente a pagare.
In ogni caso, avrebbe pagato lei.
Una maledizione, altro che cazzo di superpotere!
Inoltre, sentiva occasioni fastidi al polso, come se i nervi si tendessero e si rischiassero di rompere. Inconsciamente, pensava, tendeva a tenere la mano più tesa e immobile possibile, per un timore interiore di usare le sue abilità. Non avrebbe voluto? Cazzo si!
Sarebbe tornata fino all’inizio di quella storia di merda, avrebbe indicato il luogo di Nathan in maniera anonima e se ne sarebbe rimasta tranquilla con Chloe, lontana da tutta la merda. Sarebbero venute solo per salutare Joyce e nient’altro.
Si sentiva così confusa e stanca e oltremodo in colpa per le altre due ragazze.
Se solo…
“Hey, sei ancora con noi?”
Chloe la stava chiamando. Aveva appoggiato una mano sulla sua spalla e la fissava con un sorriso a mezza bocca.
Lei e Steph stavano ancora giocando a carte (lei si era ritirata perché continuava a perdere: non capiva il gioco) e doveva aver notato che si era persa nei suoi pensieri.
“Si, scusatemi… io stavo solo…”
“Pensando?” chiese Steph “Come al solito. Pensi troppo Max! Dico davvero: rilassati.”
“E’ solo che non riesco. Io mi sento…”
“Come? In colpa per Jefferson? Ti ammazzo di botte.” disse Chloe
Steph rise e anche Max abbozzò un sorriso distensivo.
“No, mai. Solo che… beh mi spiace. Per voi” aggiunse “insomma se avessi detto di no a Kristine, ora saremmo tutte più tranquille.”
“Oh, si certo. Saresti in camera tua a frustarti da sola pensando che Jefferson sarebbe uscito dal carcere facilmente e tu non lo hai impedito.” le disse Chloe “Max, smettila, ok? Ci siamo venute dentro noi, di nostra spontanea volontà. Non ci hai mica obbligato!”
“Esatto.” s‘intromise Steph “Io potevo salutarvi appena Chloe mi disse cosa riguardava la faccenda in cui mi volevate coinvolgere. Ho scelto di rimanere e sono felice: se voi due non aveste agito, ora Jefferson avrebbe ancora McKinsey e tutte le possibilità di uscirne quasi indenne. Ora,invece, è fottuto.”
“Sai cosa, Max? Va in camera e lavati i denti e la faccia. Poi torna qui con un bel sorriso e riprova a giocare con noi!” le suggerì Chloe
Pensò che era inutile ( davvero era imbranata a carte!) ma non poteva passare quella prigionia a pensare e ripensare a tutta quella situazione e darsi la colpa. Annuì e andò in camera. Si accorse che avevano lasciato il televisore acceso ma non lo spense subito. Prima andò in bagno e si lavò faccia e denti. Poi, prima di raggiungere le altre, andò a prendere il telecomando dal letto e fece per spegnere il televisore, quando vide la trasmissione e si bloccò.
Era un’edizione straordinaria del telegiornale locale.
Lesse i titoli e urlò a gran voce i nomi di Chloe e Steph.
Le due ragazze si precipitarono in camera, allarmate
“Che c’è ? Che succede??” chiese Chloe
Max non rispose e si limitò a indicare il televisore: l’edizione speciale indicava che, finalmente, qualche vittima presunta di Jefferson aveva iniziato a parlare. Un servizio stava trasmettendo un’intervista a una ragazza, in ombra e con la voce contraffatta, in cui raccontava la sua molestia e che era coinvolta una seconda ragazza con lei, di cui era certa che la polizia non sapesse nulla. Steph spalancò gli occhi ed esclamò
“E’ Laureen!”
Chloe e Max la fissarono per un istante, poi osservarono di nuovo la siluette nera nel televisore. In effetti, somigliava a Laureen nei contorni e la storia che conoscesse una seconda ragazza coinvolta…
Steph cominciò a urlare e saltare perla stanza.
“Cazzo, si! SI! Ci siamo riuscite, ragazze! Abbiamo vinto in tutte le piste! Cazzo, si! SI!!”
Max si lasciò cadere a sedere sul letto e cominciò a ridere nervosamente e a piangere.
Non ci poteva credere, non riusciva lontanamente a credere….
Ora anche le vittime stavano iniziando a parlare. Era finita davvero.
Quel mostro era senza speranze: niente più avvocato difensore esperto, cadavere di uno studente cui aveva scaricato ogni colpa e ora le vittime si stavano facendo avanti per incastrarlo.
Il cerchio si stava chiudendo.
“Dite che è merito nostro?  Cioè perché abbiamo trovato il cadavere di Nathan o perché le abbiamo parlato?” chiese Chloe
“Penso entrambe le cose: il fatto che i nostri nomi siano stati associati al ritrovamento del cadavere del ragazzo più ricercato dell’ultimo semestre, unita a quella visita per farla parlare, potrebbe averle dato la sicurezza per scoprirsi. Ormai Jefferson era fottuto, no? Perso ogni alibi, non c’erano possibilità che se la potesse cavare nemmeno se fosse rimasto McKinsey. Questo potrebbe aver dato coraggio a Laureen per appesantire le accuse e, mi auguro, darà coraggio a tutte le altre. Oh, ragazze vi rendete conto di cosa abbiamo fatto? E’ un fottuto capolavoro!”
Anche Chloe si accasciò sul letto e prese Max tra le sue braccia, stringendola con orgoglio
“Ci sei riuscita ancora, Max. Non puoi salvare tutti, ma quasi. Sono tremendamente fiera di averti.”
Max sentì scaldarsi il cuore
“Merito di tutte e tre, Chloe: non avrei retto da sola.”
“Ok, ok. Ora però promettimi una cosa: che salverai ancora una persona, la più importante.”
“Chi, Chloe?”
“Tu. Salvati Max. Non cadere nel buio. Non permetterò che accada, ti prenderò se dovessi farlo. Ma devi essere la prima a volersi salvare.”
Come al solito, la sua mente era un libro aperto per Chloe. Com’era possibile che quella ragazza la vedesse sempre, anche quando mascherava? Anche quando voleva rendersi invisibile?
Era così forte l’amore tra di loro?
Doveva salvarsi, è vero. Soprattutto per lei, che per se stessa.
Per l’ennesima volta, i suoi nervi cedettero e pianse tra le braccia di Chloe.
Steph, in religioso silenzio, si allontanò dalla camera e concesse loro un po’ d’intimità.
 

 
 
 
 
 
 
4
 
 
La previsione di Steph fu quanto mai azzeccata.
La bomba sganciata dalla confessione spontanea e pubblica di Laureen (ancora non si era provato che fosse lei, ma le tre ragazze erano certe) aveva innescato un domino e nel giro di un giorno, altre tre ex vittime di Jefferson si fecero avanti presso le autorità competenti. Alla sera, le vittime pronte a testimoniare e confermate dalla loro presenza sulla ormai celeberrima lista era salito a sette.
David aveva chiamato nel pomeriggio per far parlare Chloe con sua madre che, venuta a conoscenza della storia, si voleva sincerare che la figlia stesse bene
“Sei una pazza, sai?  Sei davvero folle, ma sei un’eroina. Sei ancora una eroina, Chloe! Ti vorrei strozzare e abbracciare allo stesso tempo. Stessa cosa per Max. Siete pazze, ragazze. Ma per fortuna che lo siete, visto tutto il bene che state facendo. Ora riguardatevi e state lontano dai giornalisti!”
Finita la pseudo ramanzina della madre, David si era soffermato al telefono per dire loro che l’agente Castillo sapeva che l’improvvisa voglia di confessare delle varie vittime, specie della prima che si era esposta, era colpa loro e voleva far sapere quanto era grata verso le ragazze, anche se ufficialmente non poteva dichiararlo apertamente. L’FBI, adesso, contava solo su di lei, mentre gli altri agenti erano stati ritirati da ogni mansione inerente al caso Prescott.
Anche David volle ringraziarle e ripetere quanto fosse fiero e, al tempo stesso, preoccupato per le conseguenze che queste azioni avrebbero avuto sulle loro vite e nell’immediato futuro.
Disse anche loro che, vista l’ondata di confessioni, c’era il concreto rischio che il processo potesse essere spostato di qualche giorno.
Chloe si lamentò, dicendo che non intendeva aspettare rinchiusa in hotel fino a data da destinarsi ma fu rincuorata subito: i giornalisti stavano per andarsene, attirati più dalla caccia alle vittime che, ora, si stavano facendo avanti. Molte volevano ancora l’anonimato, altre erano pronte a parlare pubblicamente.
Così, il giorno dopo, David in persona si presentò all’hotel per annunciare loro che, ufficiosamente, il processo era quasi sicuramente spostato a Settembre. Si sarebbe sempre tenuto nel tribunale di Portland ma, viste le pesanti novità, era necessario analizzare tutto: ogni confessione, ogni dichiarazione, le analisi sul corpo di Nathan. Loro, però, non erano ancora autorizzate a lasciare l’hotel fino al giorno successivo, tranne Steph.
“I tuoi genitori verranno a prenderti oggi pomeriggio. Scusa se te lo comunico così, ma siamo veramente incasinati e vogliamo organizzare anche la vostra partenza nella maniera più discreta possibile. Non tornerai, per ora, in università, ma ti chiediamo di restare a casa dei tuoi genitori finché non sarai convocata per una dichiarazione ufficiale. Non verrai convocata subito al processo, forse alla seconda seduta, a differenza di Max e Chloe. Il motivo è che loro due sono coinvolte anche nella faccenda di Ottobre e sono più interessati a sentire la loro storia da quella famosa settimana. Mi spiace comunicarvelo così, ma a breve dovrete salutarvi.”
Questa notizia rattristò un po’ il trio. Si godettero il pranzo insieme e un ultimo tuffo in piscina. Poi, alle sei di sera, Kristine salì al piano accompagnata da un uomo e una donna sulla cinquantina. La donna era minuta, con capelli castani e punte bianche ai lati, un viso che somigliava tremendamente a quello di Steph: era la famiglia Gingrich.
I genitori di Steph sorrisero nel vedere la figlia che, senza remore, si precipitò ad abbracciare.
“Sei stata eccezionale, Stephanie.” mormorò il padre, con una voce bella rauca.
La madre, invece, si prodigò a ringraziare anche Max e Chloe, trattandole come eroine nazionali e con una formalità che mise a disagio non poco le due.
Steph, che aveva già i bagagli pronti, si attardò a salutare le sue nuove amiche.
“Beh, ci vedremo prima o poi. Vero?” chiese, un po’ triste “Spero che riusciate a fare il vostro viaggio in California questa estate.”
Max lanciò una occhiata complice a Chloe
“Sai, la brandina in soffitta starebbe giusta giusta ai piedi del nostro letto. Vero?”
Chloe, che aveva colto, si fine pensierosa
“Si, penso di si. Certo, lo spazio sarebbe ridotto un po’, ma…. Beh non staremo mica tutto il tempo in camera. Oppure nel finto studio di tuo padre!”
“Si, anche… ma troppo brutto piazzare un’ospite li, no? Senza nemmeno un armadio…”
“Certo. Non siamo incivili. In camera nostra, andrà bene.”
Steph fissava entrambe con aria interrogativa
“Siete impazzite?”
Le due risero
“Ti vogliamo da noi appena possibile, per tutta l’estate.” disse Max
“Sei pazza!” esclamò Steph “Non posso farmi mantenere in casa tua per il resto dell’estate!”
“Non saresti mantenuta!” disse Max “Saresti ospite.”
“Esatto: quella mantenuta sono solo io e ci tengo a rimanere la sola.” ribatté Chloe “E poi io devo tornare a lavorare: servirà che qualcuno controlli Max quando non ci sono, prima che decida di fare ancora la detective.”
Steph era confusa
“Ma il vostro viaggio…”
“Lo faremo.” disse Max “Se vuoi puoi venire con noi. Oppure torna a casa  per i giorni in cui non ci saremo, ma penso ci piacerebbe di più averti con noi in California.”
“Ma è il VOSTRO…”
“Smettila, Steph.” disse Chloe “Ne abbiamo parlato l’altra sera, dopo che ci hai abbandonato in camera: vogliamo che tu venga a Seattle e in California. Con il processo e la tua università, potremmo non vederci più fino al Ringraziamento. Approfittiamone finché possiamo. Inoltre, sei nostra amica ed è giusto che…”
Non finì la frase perché Steph le si era gettata addosso, abbracciandola. Poi abbracciò anche Max
“Grazie. Grazie davvero. Ci sentiamo presto, ok? Si, cazzo si… mi piacerebbe vedervi il prima possibile!”
Ricomposta, si preparò a scendere con i suoi ma, colta da un dubbio, si voltò e disse
“Ma come farete a fare sesso se sarò sempre in camera con voi?”
“CIAO STEPH!” strillò Max, divenuta rossa come un pomodoro dato che la ragazza aveva avuto la brillante idea di dire quella frase con ancora i coniugi Gingrich presenti.
Kristine, invece, si mise a ridacchiare in un angolo.
Erano così concentrate a salutare Steph, che avevano scordato la sua presenza
“Andiamo a cena fuori, stasera?” propose la Prescott “Offro io e vi porto in un luogo esclusivo e lontano da occhi indiscreti.”
“Sul serio? Dove?” chiese Chloe incuriosita
“Promontorio di Arcadia Bay con tre pizze giganti a testa.” disse Kristine
Stupite da quell’affermazione, sorrisero e accettarono di buon grado.
La Prescott si sedette su una sedia vicino al tavolo improvvisato nel corridoio
“Entro due giorni ve ne andrete da qui e tornerete a Seattle. Io mi tratterrò qui fino a Settembre per sbrigare alcune cose e, soprattutto, per godermi la fine di Jefferson in prima linea. Mi prenderò la terza suite così potrò svuotare definitivamente la casa di famiglia e poi potrò abbandonare Arcadia Bay per un po’ di tempo. Ammetto che mi dispiace vedervi andare via, ragazze. Sappiate però, che vorrò vedervi quando dovrete tornare per il processo. Non prendete camere a Portland: alloggerete qui ancora. Per il trasporto, posso portarvi io con la mia auto.”
“Non sarebbe male.” disse Chloe, con un sorriso.
Anche se non lo disse, Max comprese che anche lei era ormai convinta della buona fede di Kristine e che era, a tutti gli effetti, una loro amica. Non era l’idea di viaggiare su una Dodge, quanto la possibilità di rivedere Kristine e passare del tempo anche con lei.
Solo che, ovviamente, non lo avrebbe mai platealmente ammesso. Non era nella sua personalità, specie con qualcuno che aveva inizialmente detestato.
“Allora passerò a prendervi per le otto. Tranquille, vestitevi casual e aspettate il via libera per scendere di sotto: vi farò chiamare dalla reception.”
Rimaste sole, Max e Chloe non spesero molto tempo a rilassarsi perché nessuna delle due si sentiva realmente tranquilla di mente, specialmente Max. I dubbi e le angosce, seppure attenuate, alleggiavano tra di loro come fantasmi scomodi.
“Prima o poi dovrò anche affrontare i miei.” disse proprio Max “Mi sento così colpevole per loro…. Spero che non abbiano avuto troppi problemi troppo a lungo a Seattle.”
Chloe tentò di consolarla
“Credo che se la siano cavati alla grande. Presto li rivedrai e te ne accorgerai da sola e sono abbastanza certa che non sono nemmeno arrabbiati con noi: siamo delle eroine, dopotutto. Sicuro, non saranno entusiasti all’idea che siamo state in zonzo a scavare tombe presunte, ma penso che possano capire, alla luce di quello che sta succedendo, che abbiamo fatto solo la cosa giusta per tutti. Specie per noi stesse. Dico bene?”
Max annuì, ma in cuor suo non sentì alleggerirsi nessun peso. Sentiva di aver deluso, di nuovo, la sua famiglia.
 
 
 
“Non male questo localino, vero?”
Kristine era fiera e ironica mentre chiedeva il loro parere, prima di addentare una fetta di pizza gigantesca.
Il tramonto sul promontorio era luminoso e spettacolare come sempre e la compagnia delle pizze e delle birre (bibita per Max) lo rendeva ancora più intimo e particolare.
Max si sentiva più leggera mentre mangiava in compagnia delle altre due ragazze, con gli occhi fissi sull’oceano e l’orizzonte che andava spegnendosi nel mare. In quel momento, sentì per la prima volta la mancanza della sua macchina fotografica.
“Sì, niente male.” disse Chloe “Anche se il servizio lo trovo un po’ assente.”
“Compensa la vista, però.” suggerì Max
“Sapete una cosa? E’ la prima volta che ci vengo dopo anni. Forse, se non sbaglio, l’ultima volta avevo quindici anni. Ci venni con mia madre e Nathan. Nostro padre era via, non so per cosa e sinceramente non m’interessa, così decidemmo di fare una gita fino a qui. Nathan ci teneva moltissimo a venire: lo vedeva sempre da lontano e nostro padre non voleva mai portarlo. Così, quella volta, convinsi mia madre a portarci qui anziché passare un noiosissimo pomeriggio in casa, ognuno isolato in una stanza a perdersi in solitudine e fredda distanza. Beh, quel pomeriggio almeno, per qualche ora, mio fratello fu sereno. Dovevate vedere i suoi occhi! Erano meravigliati, assolutamente meravigliati, nel vedere tutto questo. Per lui, come disse, era come volare. Si sentiva come un uccello: in alto e libero sopra Arcadia. Forse, è stata anche l’ultima volta che si è sentito così. Se mio padre non fosse stato cosi stronzo, ora lui sarebbe libero e anche molte altre ragazze. A volte mi chiedo come sarebbe stato mio fratello se fosse stato seguito e aiutato…”
“Lo sappiamo già.” disse Max, con un sorriso “Nel messaggio che mi ha mandato… lì era tuo fratello, il bambino che si era emozionato qui, su questo promontorio. Era un ragazzo che si sentiva solo e voleva volare ma non poteva. Però, negli ultimi istanti, era lui. Sono certa che fosse tuo fratello e non quello che è stato per troppo tempo, sotto l’ombra di Jefferson e dei farmaci.”
Kristine sorrise e appoggiò una mano sul ginocchio di Max, mormorando un grazie.
Chloe si alzò in piedi e levò in alto la sua bottiglia di birra
“Un brindisi! Alle donne più cazzute che Arcadia abbia mai visto: Maxin… scusa, Max Caulfield, Stephanie Gingrich, Kristine Prescott e, soprattutto, Chloe Elizabeth Price! A noi, puttanelle!”
“A Joyce, che ha più palle di noi!” aggiunse Max, sollevando la sua cola
“A Samantha e a tutte le vittime di mio fratello e Mark Jefferson..” aggiunse Kristine, sollevando la sua birra
“A Rachel e Kate.” disse Chloe
“A Nathan.”disse Max, notando gli sguardi delle altre due “Perché i mostri peggiori sono le persone che dovrebbero amarci quando abbiamo bisogno di essere protetti, non umiliarci e manipolarci. A tutti coloro che non sono stati aiutati. A Frank, perché fu il suo unico amico per qualche tempo.”
Chloe sorrise, Kristine si commosse.
Brindarono mentre l’ultimo raggio di sole colpiva il vetro delle loro bottiglie levate, come a volersi unire a un brindisi e dire addio a quell’infausta avventura.
“Che sia la vostra Satya Yuga.” disse infine Kristine
“La nostra che?” esclamò Chloe visibilmente confusa
Max non seppe che dire, non aveva mai sentito quella parola.
Kristine abbozzò un sorrisetto e, sempre guardando l’orizzonte, cominciò a spiegare
“Satya Yuga. Per gli induisti indica l’età dell’oro. Dopo il periodo di perdizione e declino del Kali Yuga, in cui un uomo uccide un altro uomo, arriva il tempo in cui gli dei scendono a governare di nuovo gli uomini e portare ordine e pace, ovvero la Satya Yuga. Che sia per voi, ora, il momento della quiete. Ve lo meritate, ragazze mie.”
Finirono di mangiare e rimasero a parlare fino a che non scese il buio. Si sentivano più leggere e spensierate e un po’ tristi all’idea che tutto stesse per finire, che quella tregua volgeva al termine e si preparava il processo, l’ultima battaglia contro un mostro, contro le loro peggiori paure e ansie degli ultimi tempi. Kristine le riaccompagnò in albergo poco prima di mezzanotte, promettendo loro di passare a salutarle prima che dovessero andarsene.
Felici e consapevoli che il legame con Kristine avrebbe potuto durare anche dopo questa faccenda, tornarono in camera e, non avendo voglia di preparare le valige, andarono filate a letto e cercarono di riposare.
Il giorno dopo passò sereno e quello successivo, in altre parole il giorno della definitiva libertà, fu invece stravolto da due notizie, entrambe portate da David.
Erano sedute a fare colazione in compagnia di Kristine che, la sera prima, si era accordata con loro per passare la mattinata in compagnia al loro piano in albergo. Un ultima colazione in compagnia prima di salutarsi. Improvvisamente però, una chiamata di David e una richiesta di poter salire al piano per incontrarle che fu, ovviamente, acconsentita.
Il patrigno di Chloe, che sembrava sempre più indaffarato con il passare dei giorni, annunciò loro che il processo aveva subito l’ennesimo cambiamento: sarebbe cominciato il ventotto di Luglio, con le prime fasi, per poi proseguire nella prima settimana di Settembre. Max e Chloe, manco a dirlo, erano convocate già per il ventotto Luglio.
“Non finisce qui: i vostri genitori non verranno qui. Dovete tornare da sole a Seattle e restare fino al ventiquattro di Luglio, dove verrete interrogate due volte, alla presenza dei vostri avvocati.”
“Perché due volte??” protestò Chloe
“Perché  la seconda interrogazione dovrà avvenire in presenza dell’agente Castillo. E’ stata una sua personale richiesta. Penso che per voi non ci siano problemi ad accontentarla, no?”
Era sottinteso che le dovevano un favore e che non vi erano problemi.
“Perché i miei non possono scendere fino a qui?” chiese Max
“Temiamo che i giornalisti possano inseguire loro da Seattle a qui o viceversa. Dato che, per ora, non vi sono più tutti addosso come avvoltoi, vorremmo evitare che si accorgano che la famiglia Caulfield si riunisca con la figlia a breve. Ad essere sincero, non volevo nemmeno che tornaste a Seattle con l’auto di Chloe: troppo riconoscibile.”
Kristine soffocò un gemito di trionfo.
“Possono prendere la mia auto, se vogliono.” propose la Prescott
Chloe si voltò a guardarla con occhi luminosi: sembrava fosse tornata una bambina di otto anni a Natale
“D A V V E R O?” strillò eccitata
“Non se ne parla.” disse David “Presterò loro la mia, se necessario. O prenderanno un autobus notturno.”
“A me non serve, signor Madsen. Purtroppo, sono costretta a rimanere ad Arcadia tutta estate anche io e, a dirla tutta, posso sempre prendere un auto a nolo per i giorni che le ragazze avranno la mia auto a Seattle.”
“ D A V V E R O ?” strillò, di nuovo, Chloe
“No, non possono avere la tua auto per…”
“David… non c’è problema. Davvero. Sono sicura che non la rovineranno.”
Chloe era sempre più incontenibile ma David era irremovibile.
“Ne parleremo più tardi. Perché non torni per pranzo, David?” propose Max
“Non so. Ho un po’ di lavoro da fare e…”
“Hey, vieni a pranzo qui oppure scappiamo tra poco con la Dodge.” avvertì Chloe
David accettò di buon grado l’invito.
 
 
Chloe appoggiò l’ultima valigia nel bagagliaio prima di richiudere lo sportello con un colpo deciso ma delicato. Ammirava la carrozzeria rossa e lucida della Dodge Charger di Kristine. Ancora non credeva alla fortuna di poter guidare quel bolide e usarlo per le prossime settimane. David non era sembrato molto entusiasta all’idea, aveva spinto perché prendessero un’auto a noleggio, ma Kristine l’aveva convinto che dovevano partire subito, con una auto diversa e magari abbastanza veloce da portarle a Seattle entro sera e senza problemi. Inoltre, aveva fatto promettere a Chloe che l’avrebbe usata solo in caso di necessità e, in cambio, le avrebbe curato il suo pick – up. Se nonostante questa clausola Chloe si era convinta, David non lo era ancora del tutto ma accettò la cosa.
Riuscì anche a farsi convincere su una deviazione prima di tornare a Seattle: andare a trovare Joyce in ospedale. Temeva che avrebbero trovato dei giornalisti appostati all’ingresso, come la prima volta ma, al tempo stesso, non voleva impedire loro di salutare la donna. Perciò, andò in avanscoperta per valutare i rischi e avrebbe mandato un messaggio per dare loro un eventuale via libera.
Erano nella penombra e nella frescura del garage sotterraneo, destinato ai dipendenti. Kristine, appoggiata al cofano della sua auto, osservava divertita Chloe che ammirava estasiata l’auto.
“Non voglio nemmeno un graffio, quando la riporterai.” l’ammonì
“La tratterò meglio di Max!” promise
“Hey!”
“Scusa Max. Comunque giuro di lasciarla nel garage dei Caulfield a Seattle e non usarla mai se non in casi eccezionali. Chiederemo in prestito l’auto di Ryan, ma  dubito che avremo molte possibilità di libertà fino al processo.”
Kristine si separò dall’autovettura e andò incontro a Chloe, porgendole le chiavi
 “Ci vedremo dopo il processo.” disse
Chloe prese le chiavi e porse, in cambio, le sue e il telecomando per aprire il cancello.
“Tratta bene quel ferrovecchio: non sarà come la tua Dodge ma ci sono affezionata.”
Il telefono vibrò nella sua tasca: era il via libera di David, ne era certa.
“Obbedisco, comandante Price. Ora andate, prima che sia troppo tardi per fuggire da questo posto. Scrivetemi quando vi toccherà tornare: vi farò trovare la stanza pronta.”
Istintivamente, Chloe abbracciò Kristine, lasciandola sorpresa.
“Grazie di tutto.” mormorò
“Questa dimostrazione di affetto è perché ti ho lasciato la Charger?”
“Ovviamente.”
Sorrise e si mise al posto di guida, mentre Max emergeva dalla penombra per salutare e abbracciare Kristine a sua volta
“Ti siamo debitrici.”
“Ancora con questa stronzata? Sparisci, Max. Non esistono debiti tra noi. Fate solo attenzione, ok? E scrivetemi!”
“Lo farò. Promesso.”
Poi anche lei sciolse l’abbraccio e abbandonò Kristine, sedendosi accanto a Chloe in auto.
La ragazza ne approfittò per sgasare un poco
“Caaaazzo senti che fottuto motore ha sotto. Dio, è un fottuto orgasmo.”
“Ottimo, così sono esonerata dall’intimità finché esisterà questa auto.”
“Scordatelo Max. Al massimo ti tradirò con questa meraviglia, ogni tanto.”
Partirono, mentre Kristine apriva loro il cancello e le salutava con un cenno della mano. Appena furono svanite, si voltò a cercare il pick-up e sorrise nel trovarlo in un angolo, al riparo da occhi indiscreti.
“Bene. E ora pensiamo a sistemare anche te, vecchia gloria.”
 
 
 
Parcheggiare e spegnere il motore fu, per Chloe, un dramma.
“Non poteva essere più lontano l’ospedale?” chiese
Max, invece, era sconvolta. La guida sportiva di Chloe l’aveva traumatizzata
“Giurami che non comprerai mai e poi mai un’auto del genere.” disse con un pigolio terrorizzato.
“Magari potessi!  Se capitasse un’occasione…”
“Cazzo devo farmi la patente e l’auto il prima possibile.” replicò immediatamente lei.
Scese dal mezzo con le risate di scherno di Chloe che l’accompagnarono finché non chiuse lo sportello alle sue spalle.
Stranamente, l’ospedale sembrava immerso in una relativa quiete. Non videro gruppi di giornalisti, nascosti o radunati allo scoperto, pronti ad aggredirle. Incredibilmente, non erano già più interessati a loro: la caccia alle vittime di Jefferson era iniziata e si prospettava feroce.
La strada per la stanza di Joyce era anch’essa libera da minacce. David le aspettava già all’interno, seduto accanto alla sua consorte che, appena vide le due entrare, si provò a sistemare a sedere.
“Sta giù, mamma! Sei ancora convalescente.”
“Tu e Max siete le ultime che potete dirmi cosa fare, signorina.” la rimproverò lei, ma senza astio.
Joyce sorrise a loro due, mentre si sistemavano in piedi, al bordo inferiore del letto.
“Scusaci Joyce. Non volevamo farti preoccupare.” disse Max, ma venne liquidata con un gesto della mano da parte della madre di Chloe.
“Non avete nulla di cui scusarvi. Anzi, in verità si: ci avete nascosto e mentito questa faccenda. Ritengo, però poco carino darvi una tirata d’orecchie visto cosa siete riuscite a ottenere anche questa volta.  David mi ha accennato qualcosa: sembra che abbiate spedito Jefferson in gattabuia definitivamente.”
Max si grattò la testa per l’imbarazzo: l’elogio da parte di Joyce le causava sempre quell’effetto. Chloe, invece, sorrise orgogliosa a sua madre.
“Siamo state una forza, eh? Oh, non so cosa avrei dato per avere una foto nel momento in cui comunicavano a quello stronzo che era fottuto. Però lo vedremo al processo e ci faremo una idea di come l’avrà presa. Giusto Max?”
La ragazza si limitò ad annuire e questo non sfuggì a Joyce
“Sei preoccupata, vero?”
Annuì di nuovo.
“Non vuoi andare al processo, giusto?”
“No, Joyce. Non vorrei mai andarci ma lo farò. Devo farlo.”
“Piccola mia, ti capisco. Tutto questo incubo è durato anche troppo per te. Per voi. Meritate davvero di voltare pagina. Tenete duro fino al giorno del processo, ok? So che non sarà bello tornare a casa e rimanere in uno stato di quasi prigionia per un po’, ma ricordatevi che è l’ultimo sforzo. Dopodiché, le vostre vite torneranno sui binari di qualche anno fa, noiose e monotone e felici.”
Annuirono, eppure Max non era pienamente convinta di quelle parole: non avrebbe mai avuto una vita normale con il suo potere. Avrebbe dato tutto pur di perderlo per sempre, ma non sarebbe mai capitato, perciò doveva sbrigarsi a rassegnarsi a coesistere con quel fardello, sperando ardentemente che non le costasse ancora un prezzo troppo grande da sopportare.
Non avrebbe più retto.
“Tu come stai, Mà?” chiese Chloe “ Novità?”
Joyce fece le spallucce
“Sto recuperando un po’ di vocaboli e i muscoli rispondono bene. Fino a fine Settembre, però, posso scordarmi di uscire da qui. Spero solo che mi aumentino le ore di riabilitazione in fretta, almeno mi annoierò di meno.”
“Oh, puoi sempre chiamarmi e darmi lezioni di cucina per telefono: posso sbizzarrirmi in questi giorni di reclusione forzata che mi aspettano in casa Caulfield.”
“Tu che vuoi cucinare… ancora non mi capacito.”
“E’ solo un modo per sentirsi meno in colpa verso i miei, Joyce.” spiegò Max.
“Che ingrata malfidente!” esclamò Chloe, dando un pugno al braccio sinistro di Max.
Passarono una buona mezz’ora con Joyce prima di separarsi da lei, augurandole di migliorare e che avrebbero fatto di tutto per vederla, una volta che fossero ritornate.
Prima di uscire, però, David chiese a Chloe di parlare un attimo in privato, lontani da Max e Joyce. Fu una chiacchierata veloce e dal visto di Chloe, Max non vide nulla di particolare per ci sembrasse preoccupata, ma colse una fugace ombra nei suoi occhi.
“Che ti ha detto?”
“Oh. Nulla. Di non andare veloce con la Dodge…”
“Chloe…”
“Nulla, Max. Solo una raccomandazione per il futuro. Nulla che tu non abbia già sentito o che possa intuire.”
“Chloe sei sicura di..”
“ Fidati di me,ok? Nulla che non sia una frase ‘alla Madsen’. Stai serena.”
Si volle fidare ma aveva intuito che gli nascondeva qualcosa. Forse riguardava Joyce e decise di non indagare oltre: se avesse voluto, lei le avrebbe parlato spontaneamente quando lo avrebbe ritenuto necessario.
Scacciò dalla mente ogni pensiero e si concentrò sul non soffrire troppo la guida sportiva di Chloe fino a Seattle.

 
 
 
 
 
 
Interludio: Agosto 2013
 
Osservò la pila di scatole di cartone ancora intatte, pronte per essere utilizzate e riempite della sua roba, dai vestiti agli oggetti che avrebbe portato con sé o lasciato a Seattle, dove sarebbero stati destinati alla soffitta.
Stentava ancora a credere che fosse stata presa alla Blackwell Academy.
La Blackwell, cazzo! Uno degli istituti migliori della West Coast!
Per non parlare del suo futuro insegnante di fotografia: Mark Jefferson! Dio, che emozione!
Sarebbe tornata nella sua vecchia città natale… sarebbe tornata ad Arcadia Bay.
Prese la prima scatola e vi scrisse sopra ‘Magliette’ così per essere certa che almeno una scatola d’indumenti l’avrebbe preso.
Se sarebbero state magliette destinate alla soffitta o no, lo avrebbe deciso poco alla volta.
Aveva anche una piccola valigia, dove aveva già stipato il necessario per partire con qualche vestito ma, principalmente, aveva messo le cose più delicate come la sua macchina fotografica.
Aprì il cassetto e passò in rassegna un po’ di magliette vecchie e meno vecchie: da brava geek, non era molto attenta al suo guardaroba, se non sporadiche magliette a tema nerd.
Una sua piccola fortuna era dal fatto che, in sostanza, non era cresciuta granché negli ultimi quattro anni. Sì, aveva preso qualche centimetro in altezza, ma il suo fisico era rimasto eccessivamente magro e questo le aveva permesso di mantenere invariato il suo guardaroba dalla preadolescenza. Scelse facilmente tre magliette tra le sue preferite che, sicuramente, avrebbe portato con sé. Un paio, magari, tra le più amate le avrebbe lasciate a casa per timore di non rovinarle tutte. Non che andasse in guerra, certo, ma non voleva rischiare di perdere tutte le sue migliori e preferite ad Arcadia.
Pensò a cos’altro potesse portare, di sicuro anche abbigliamento invernale (anche se pensava di tornare a Seattle per Natale) e magari anche un paio di stivaletti se mai avesse nevicato!
Ma sarebbe uscita, in pieno invero, ad Arcadia?
Non era stata capace di farsi grandi amici durante la sua permanenza in Seattle, eccetto che per Fernando e Kirsten, ma voleva cambiare per il suo ritorno ad Arcadia! Voleva farsi degli amici, voleva poter uscire, voleva poter avere una amica con cui….
 
Ma lei l’aveva una amica ad Arcadia Bay… l’ha sempre avuta….
 
“Toc, toc… si può?”
Era sua madre. Aveva appena appoggiato il pugno per simulare il gesto del bussare sull’uscio mentre si affacciava sorridente nella camera e osservava la figlia intenta a cominciare a svuotare tutto.
“Scusa mamma, sono un po’ indietro. Giuro che finirò di dividere i vestiti entro l’ora di cena.”
“Ah, non penso tu possa farcela. Per questo sono qui a darti una mano. Forza, comincio dai pantaloni, visto che tu ti stai già occupando delle magliette?”
“Come vuoi. Fortunatamente non ne ho molti e non voglio portarli tutti.”
“Nemmeno questi jeans con la toppa a forma di ape sulla chiappa?” chiese sua madre, estraendo un paio dal cassetto e mostrando la vistosa ape cartoon all’altezza del gluteo sinistro.

Max, arrossendo, scosse la testa
“Non che per me sia un problema, ma eviterei di portarli: non riuscirei a sopportare tutta la popolarità che potrebbero darmi.”
Vanessa Caulfield rise e piegò i jeans. Li adagiò sul letto in quella che, secondo Max, sarebbe diventata la pila dei vestiti da portare in soffitta.
“Sarai popolare non appena vedranno il tuo talento, Maxine. Magari la fama ti aiuterà a socializzare un po’: in questi anni non ti nascondo che sono stata seriamente in pensiero per te. Non sei mai stata una molto aperta con gli altri, questo lo sappiamo, però sarebbe stato carino che tu ti fossi fatta più sabati sera fuori a divertirti che in casa o a zonzo da sola.”
“Non ero sempre sola. Ogni tanto c’erano..”
“Fernando e Kirsten, lo so. Ma due amici… Maxine, andiamo… sei una ragazza così solare e dolce: perché hai il timore di farti conoscere”?

“Max, non Maxine… Non so, mamma…. Non riesco a pormi con gli altri. Mi mette ansia il confronto.”
“La tua ansia ti ha sempre giocato brutti scherzi e abbiamo sempre lavorato per fartela limare un po’, ma devi fare dei passi avanti anche tu sennò non ne uscirai mai.”
“Grazie mamma: ora si che sono serena e pronta ad affrontare una scuola esclusiva piena di sconosciuti.”
“Non saranno tutti sconosciuti.”
“Non credo che sia pieno di miei ex compagni di classe che abbiano scelto di andare alla Blackwell. Quasi certamente, sono la sola che è andata via da Arcadia e che ora ci torna.”
“Può darsi, ma chi ha parlato di compagni di classe? Persone che conosci ne hai, soprattutto una…”
Max non rispose. ‘Ci siamo’ pensò

“Mamma non mi va di..”
“Scrivile, sciocchina.”

Max scosse la testa
“Meglio di no.”
Vanessa lasciò perdere i pantaloni e mise le mani sui fianchi e osservò sua figlia

“Perché? Perché non vuoi dire a Chloe che torni ad Arcadia?”
“Non penso le interessi più, oramai.”
“Questo non credo proprio, sai? Sei la sua migliore amica!”

“Ero.. sai prima di… prima di aver smesso di scriverle per quasi cinque anni…”
“Potrebbe essere l’occasione giusta per riallacciare i rapporti, allora! Scrivile e magari chiedile se puoi telefonarle, così sentire le vostre voci potrebbe aiutarvi a…”

“Ho detto no, mamma.”
Detto ciò, Max si sedette stancamente sul letto, a osservare il nulla.
“Non posso farlo mamma. L’ho delusa, non siamo più amiche perché io sono stata una stronza. Le farei solo del male a chiamarla… potrebbe pensare che lo stia facendo perché non voglio stare da sola ad Arcadia.”
“Max! Ma cosa vai dicendo? E’ Chloe! Non vedrà l’ora di rivederti!”

“Non le parlo da cinque anni, mamma! Le ho lasciato uno stupido messaggio dopo il funerale di suo padre e mentre ero qui io non riuscivo a scriverle ne ha chiamarla dopo che le avevo promesso che l’avrei fatto! Ho deluso Chloe e l’ho abbandonata nel momento peggiore della sua vita. Non sono stata presente, non l’ho aiutata!”
Sentiva le lacrime lottare per uscire. Teneva dentro tutto quanto da così tanto tempo che ora non poteva smettere di parlarne. Sua madre si sedette accanto a lei e le passò un braccio attorno alle spalle, con affetto e delicatezza.
 
“Max…”
“Avevo paura, ok? Avevo paura che se le avessi descritto come stavo qui, lei si sarebbe sentita ancora più abbandonata. Le avrei sbattuto in faccia la mia vita tranquilla con entrambi i genitori mentre lei doveva fare i conti con la morte di suo padre e rimaneva incatenata ad Arcadia? Mi sentivo così stronza all’idea di parlarle di Seattle che non sapevo cosa dirle. Mi sono sentita una vera merda perché non riuscivo a dirle, con il passare del tempo, che mi mancava e che non riuscivo a farmi amici, che ero sola. La sentivo dentro di me che mi sgridava, dicendomi che dovevo tirare fuori le palle e farmi nuove amiche, che tanto nessuna l’avrebbe sostituita e non sarebbe cambiato niente tra noi ma… era già cambiato tutto perché non le stavo parlando. Prima che potessi chiederle scusa, era già passato un anno e cresceva costantemente questo senso di colpa, di inadeguatezza. Mi sentivo un’amica di merda, mi sento ancora la peggiore amica che potesse mai avere. Sento di averla tradita e non posso scriverle ora che torno, quando avrei dovuto farlo sempre, per cinque anni. Cazzo, mi manca. Mi manca da morire, mi è mancata ogni giorno in questi anni, ma non riuscivo a dirglielo. Perché mi ha fatto tanto male non avere più lei nella mia vita, mamma? Perché non sono più riuscita a trovare un’amica che potesse alleggerire questo peso? Mamma, mi manca Chloe ma non posso più essere sua amica: sono stata troppo egoista per meritarmi una amicizia come quella che avevo.”
Sua madre la strinse a sé e lasciò che si sfogasse un poco con un pianto liberatorio. Poi le sussurrò

“Non dire queste cose. Certo, avresti potuto e dovuto essere più presente nella vita di Chloe. Sì, hai sbagliato e la tua ansia, le tue insicurezze, ti hanno fregata. Per questo dovresti pensare a scrivere a lei, a dimostrarle che ci tieni e che hai sempre tenuto a lei. Dovresti riallacciare i rapporti con lei, se davvero ti è mancata così tanto. Sono certa che anche tu sei mancata a lei, per quanto possa essere stata brava a farsi nuove amicizie in tua assenza. Sono certa che sarà arrabbiata e felice al tempo stesso di poterti rivedere: vi sentirete, vi chiarirete, magari urlerà un po’ e ti dirà parole poco carine ma, ne sono certa, poi ti abbraccerà e ti vorrà di nuovo con sé. Siete amiche da tutta la vita, non si può cancellare questo.”
“Ma io sono sparita per cinque anni…”
“Bene, vorrà dire che gli garantirai i prossimi cinque in esclusiva, no?”rispose sorridendo “Le scriverai?”

“Forse… non lo so…. Magari dopo che sarò già arrivata… prima vorrei ambientarmi e conoscere i miei compagni per non isolarmi…”
“Ottima idea, ma scriverai a Chloe? Oppure ho ancora il numero di Joyce Price in memoria sul telefono e posso sempre avvisarla io.”
“Non ti permettere. Le scriverò. Avrò bisogno dei miei tempi, ma le scriverò.”
“Promesso?”

“Promesso.”
“Bene. Ora torniamo a questi scatoloni: non vorrai andare alla Blackwell con un solo paio di mutande, vero?”
Risero e si rimisero al lavoro. AL piano di sotto, Ryan Caulfield urlò

“Tutto bene? Spettegolate su quanto io sia bello?”
“Assolutamente tesoro!” rispose Vanessa “Ma ci chiedevamo perché non fossi andato a prenderci una torta gelato per stasera!”
“Davvero? Posso andare a prenderla tesoro?”
“Sì, vai. Ma da Settembre giuro su Dio che ti voglio a dieta!”
Seguì una sonora risata dal piano di sotto.

Max sorrise.
Avrebbe raccontato di questo a Chloe? No, perché suo padre era morto…
Le avrebbe scritto almeno? Ci avrebbe provato…
Sapeva che non poteva essere perdonata, ma forse sarebbe stato peggio tornare ad Arcadia e non dirle nulla: se l’avesse vista in giro, sarebbe stato peggio!
Inoltre aveva già l’acquolina in bocca al pensiero di una colazione preparata da Joyce al Two Whales Diner…. Non poteva certo presentarsi nel locale dove lavorava la madre di Chloe senza avvertirla del suo ritorno e si conosceva abbastanza bene per sapere che non avrebbe resistito molto senza mangiare una colazione di Joyce.
Ci avrebbe provato. Sul serio.
Prima però avrebbe speso delle energie a farsi degli amici a scuola e cercare di essere socievole, anche in previsione dei compiti: poteva far comodo avere una compagna di studi, no?
Avrebbe dovuto fare attenzione stavolta: la vita non presentava seconde occasioni e, tantomeno, avrebbe avuto modo di correggere i suoi errori! Poteva solo aggiustare qualcosa con Chloe, ma non poteva tornare indietro e dire alla giovane Max di cinque anni fa di scrivere sempre alla sua migliore amica, in previsione di un ritorno a casa.
Avrebbe preso tempo, ma non troppo tempo.
Poteva farcela.
Nuove amicizie, nuova scuola, nuova Max e, sperava, vecchia Chloe. Con il tempo che sarebbe stato necessario a rivederla.
In fondo, cosa sarebbe potuto andare storto?
 
 
 
 
5
 
Il caldo era insopportabile, nonostante fosse nuvoloso.
Per essere una mattina di fine Luglio, l’estate nell’Oregon era fin troppo pesante quell’anno. Fortunatamente, quella mattina, vi era una bella popolazione di nubi grigiastre e cariche di pioggia che mitigavano la presenza del sole, ma di contro, portavano un’afa pesante sulla loro pelle.
Le sembrò di respirare attraverso una spugna.
 O forse, era solo l’ansia di quello che l’attendeva.
Portland.
Nove e trenta del mattino.
Giorno del Processo a Mark Jefferson.
Erano ancora sedute nella Dodge di Kristine Prescott, isolate e silenziose nei propri vestiti fatti su misura proprio dalla giovane erede Prescott. Erano tornate ad Arcadia due giorni prima e Kristine aveva lasciato loro la stessa stanza al Seaside, dato che si era rivelata una ottima copertura la prima volta. Inoltre, aveva lasciato loro anche la sua automobile  per questo infausto giorno e aveva spedito loro due sarte a prendere loro le misure e confezionare in tempo record due bellissimi abiti per presentarsi al meglio, assieme a due parrucchieri e due giovani ma esperte estetiste.
“Possiamo andare alla fabbrica della Nike e farci un giro turistico, se vuoi. Cazzo, siamo a Portland e la sede di quella fabbrica di scarpe è a pochi minuti da qui. Molliamo tutti e tutto, fanculo il processo e ci facciamo un giro a vedere come fabbricano le Air Jordan.” Suggerì Chloe.
Max si voltò a fissarla.
Era seduta al posto di guida, avvolta nel suo abito nuovo color rosso fiamma e leggero ed estivo. Niente borchie, niente collane: sandali semplici, tatuaggio in evidenza sul braccio nudo e i capelli blu lievemente scoloriti a fare da contrasto e ricordare che lei era, sempre e comunque, Chloe Price. Era bellissima, mentre lei si sentiva così anonima.
Il vestito era identico a quello di Chloe, tranne che era di un blu elettrico. Anche per lei sandali semplici e i suoi bracciali in silicone al polso destro.
“Si, potrebbe essere una buona idea, in effetti.” replicò, sfoggiando un sorriso nervoso.
Chloe le mise una mano sul ginocchio
“Andrà tutto bene. Sono qui e sarò sempre qui con te.”
Allungò la sua mano per toccare quella di lei e cercò di regalarle un sorriso meno carico di ansie e timori.
“Sei bellissima Max.” aggiunse Chloe.
“Nah, non quanto te. Tu fai un figurone: dovresti valutare questo look più spesso. Ti slancia le gambe, sai?”
“Così poi avresti attacchi di gelosia continui? Nah, troppo femminile questa roba, non fa per me.” rispose, stampandogli un bacio sulle labbra “Tornerò ai miei jeans appena possibile. Ho accettato questo vestitino per Kristine.”
Max le diede un’amorevole pacca sulla gamba
“Ammettilo: ti piace questo vestito e ti piace essere femminile. Lo sei e quando vuoi sai essere fin troppo femminile. Sei solo incastrata in questo ruolo di punk che ti piace tanto. Ma io ti conosco fin troppo bene.”
Chloe spalancò gli occhi, meravigliata
“Io femminile? Stai scherzando, spero!”
“Oh, si che lo sei.”
“E tu sei gelosa.”
“Certo che lo sono e certamente lo sarei se ti guardassero. Ma che ci posso fare: sono fortunata ad averti, un po’ di gelosia mi spetta di diritto.”
La ragazza dai capelli blu le sorrise
“Sei una maledetta leccaculo, Max Caulfield.”
Rimasero in silenzio per qualche istante dentro l’auto. Avevano parcheggiato a poche vie traverse di distanza dalla loro destinazione, il Gus J. Solomon  U.S. Courthouse, il tribunale scelto per il processo a Jefferson e si trattava di una scelta inusuale e straordinaria dato che il Solomon era stato pensionato a favore del più moderno Mark O. Hatfield U.S. Courthouse da qualche anno oramai.[1]
La scelta di questo cambio di preferenza per l’ex- tribunale era dovuta per delle semplici ragioni: una mediatica e una di becera propaganda.
Quella mediatica era dovuta dalla capienza logistica: non si voleva intasare il moderno edificio del tribunale Hatfield quando il vecchio  Solomon era praticamente disponibile e con più libertà per disporre testimoni, curiosi, giornalisti e tutta la carovana mediatica che ne sarebbe seguita, oltre che arginare eventuali attacchi di rabbia da parte dei civili.  In sostanza, si stava dedicando l’intero ex tribunale al solo processo Jefferson e, quindi, si legava a doppio filo con la seconda motivazione, quella propagandistica. Essendo un ex tribunale federale, come lo era l’attuale Hatfield, l’FBI aveva premuto per avere più spazio per giudicare un criminale che aveva colpito sicuramente in due Stati diversi e, al contempo, farlo in una vecchia gloria come lo era l’edificio Solomon, notoriamente classificato come monumento di interesse culturale e storico per tutta Portland e dintorni. Quindi, oltre a dedicargli un intero edificio per motivi di sicurezza, lo si faceva dedicandogli anche uno dei migliori che la città aveva da offrire, come per dire ‘Hey lo abbiamo preso e ora lo processiamo anche con stile, vedete?’.
In sostanza: volevano giocare in casa e volevano farlo sul terreno più solido, tranquillo, sicuro e più facile da vendere che disponevano.
Si era anche paventata l’ipotesi di svolgere in processo in sedi alternative, come Eugene o Medford, anch’esse città con un tribunale federale importante, ma Portland era più comoda per tutti, dai giornalisti ai parenti delle vittime.
“David lo sa che siamo qui?” chiese Max
Chloe annuì
“Si, l’ho avvisato con un messaggio appena abbiamo parcheggiato. Sa in che via siamo e che non ho il mio pick-up. Non sarà felice quando vedrà la Dodge, ma pazienza. Comunque ha risposto poco fa dicendo che stava per arrivare e di non scendere assolutamente finché lui non ci avrebbe bussato al finestrino.”
“Eppure sembra tutto tranquillo.”
“Max, sembra perché siamo distanti dal tribunale. Se avessimo parcheggiato cento metri più vicino, sono abbastanza sicura che ci avrebbero trovate subito.”
Max pescò da sotto il sedile, una borsetta da pochi dollari, ma che lei riteneva graziosa, e l’aprì per cercare il suo telefono. C’erano due messaggi presenti, entrambi dei suoi genitori, ma non se la sentì di leggerli e rispondere. Richiuse la borsetta e la rimise sotto il sedile. Non voleva portare effetti personali con sé e non voleva avere contatti con nessuno. Si sarebbe aggrappata alla presenza di Chloe e David e questo le sarebbe bastato.
Da dietro l’angolo, sbucò la figura familiare dell’ex soldato Madsen, proprio in quel momento.
“Oh, perfetto! Mi stavano venendo i crampi al culo qui, anche se si sedili sono comodi. Andiamo.”
Chloe aprì subito la portiera e saltò giù, anche se David aveva chiesto loro di aspettare che lui arrivasse fino all’auto. Dallo specchietto retrovisore, Max vide David alzare gli occhi al cielo, in segno di arrendevolezza.
Max, perciò, non si trattenne oltre e scese dall’auto anche lei, avviandosi verso i due poco lontano. Poteva sentire David redarguire Chloe ma lei, come al solito, minimizzava la cosa
“Dai, non c’è nessuno! Siamo al sicuro… e poi sono si e no dieci metri, cosa ti cambia?”
“Dovete fare attenzione! Non posso farvi da scudo io solamente se vi trovassero qui. I vostri avvocati arriveranno tra un’ora circa perciò muovetevi. Dai, sbrighiamoci.”
Prese entrambe le ragazze sotto braccio e le spinse con delicatezza nella direzione in cui era venuto, cercando di proteggerle da chissà quale nemico invisibile. Svoltarono a destra e proseguirono dritti poi, di nuovo, svoltarono velocemente a piedi a sinistra e si tuffarono nella via che portava al Solomon, con la tensione crescente in tutti e tre. Max sentiva il respiro farsi sempre più corto e le gambe sempre più deboli. Non voleva cadere a terra, ma sentiva che sarebbe successo se avesse ceduto all’ansia martellante nel suo petto.
Cazzo, quanto avrebbe voluto guarire da questa maledetta e perenne ansia!
A pochi metri dall’ingresso, David si fermò
“Impossibile.” borbottò
Non era difficile capire a cosa si riferisse: non c’era nessuno. Vuoto totale.
“Impossibile.”  ripeté David “Qualcosa non quadra. Come fa ad esserci questo deserto?”
Le ragazze si rilassarono e si avviarono all’ingresso del tribunale, a cui si accedeva mediante una ampia scalinata.
David, allarmato, salì i gradini due alla volta ma, poco prima di arrivare all’ingresso, uscì a fermarlo una persona a loro familiare
“Agente Castillo? Che ci fa qui?” chiese l’ex soldato.
L’agente Castillo dell’FBI andò loro incontro con fare rassicurante. Regalò un sorriso di saluto alle due ragazze e le fermò a metà strada, mettendole da parte sulla scalinata.
“Buongiorno, siete mattinieri vedo. Sono qui dato che questa è la mia indagine, signor Madsen. Mi sembra ovvia la mia presenza, non credete?”
“Si, certo ma perché lei è qui e nessuno..”
“Abbiamo spifferato alla stampa a che ore sarebbe arrivato Jefferson.” l’anticipò lei “Come accordo di scambio, non dovevano creare assembramenti fastidiosi qui all’ingresso: così l’attenzione mediatica si è spostata su quel criminale sin dal suo prelievo dal carcere di South Fork. Lo tampineranno tutto il tempo e formeranno un capannello di curiosi abbastanza esiguo quando arriveranno: volevamo evitare il più possibile il coinvolgimento di civili. Le notizie che arrivano sul fronte dell’opinione pubblica non sono buone e vogliamo avere meno persone gironzolare qui intorno. Anche i parenti delle vittime che hanno scelto di testimoniare sono stati convocati a scaglioni e a orari diversi per ogni sessione processuale. Oggi ne sentiremo solo due e nel primo pomeriggio. Meno informazioni possibili: questo era l’ordine perentorio dall’alto.”
David annuì in maniera formale e poco convinto di ciò che ebbe appena sentito.
“Quindi, arriverà un orda di zombie famelici di notizie e scoop insieme a quel bastardo? Li avete dato come scorta i giornalisti? Geniale, cazzo. Davvero geniale.” commentò ammirata Chloe
“Linguaggio.” sbuffò David
Castillo sorrise
“Esatto, Price.  Un modo per unire due problemi e trovare una mezza, temporanea, soluzione. Ora, visto che siete arrivate in anticipo, vi accompagno dentro. Vi faccio accomodare e vi faccio portare un caffè: non è così male quello che abbiamo qui.”
Con un cenno, l’agente dell’FBI li invitò a seguirla e David si mosse immediatamente, con Chloe incerta sul da farsi ma pronta a muoversi.
“Io lo aspetterò qui.” disse Max con tono fermo
I tre si bloccarono e guardarono la ragazza.
“Come?” disse David
“Signorina Caulfield, arriveranno anche i giornalisti e vorranno..”
“Lo so, agente Castillo. Io resto qui.”
Chloe si avvicinò alla sua ragazza. La prese per un polso teneramente e le disse
“Max? Ti staranno addosso.. ti vorranno mangiare viva quei bastardi di giornalisti. Non aspettano altro! Poi perché vuoi vedere Jefferson? Non hai già visto abbastanza quella faccia da culo?”
“No: devo vederlo ora, Chloe. Devo vedere come è da sconfitto. Voglio che mi guardi e che veda che non ho paura di lui. Voglio vedere che espressione proverà a fare di fronte a una ragazzina che voleva tormentare ed è finita per incastrarlo. Devo farlo per me stessa. Ne ho bisogno.”
Chloe annuì e le diede un buffetto al braccio.
“Resto con lei.” disse alla fine.
David alzò di nuovo gli occhi al cielo, mentre Castillo non sembrava entusiasta di quella volontà comune.
“Ragazze, forse voi dimenticate che, dopo Jefferson, siete quelle più ambite dalla stampa. Hanno l’obbligo di non salire la scalinata, ma non posso garantire che tutti vorranno rispettare questo accordo, se vi vedranno qui, in bella mostra.”
“Agente Castillo, non mi aspetto che capisca ma devo vedere in faccia Jefferson prima del processo. Voglio vederlo e voglio che mi veda prima che sia un tribunale a obbligarci a farlo. Voglio vederlo finito prima di andare alla sbarra.” replicò Max con fermezza.
L’agente Castillo sospirò
“Va bene. Restate qui, chiederò a un paio di agenti di farvi da scorta per tenere alla larga eventuali curiosi o giornalisti troppo esuberanti. Ma vi chiedo di non muovervi da qui, chiaro? Restate a metà della scalinata, non un gradino in meno, d’accordo?”
David fece un passo verso le ragazze
“Un agente basterà, signorina Castillo: resterò qui anche io. Sì, lo so, non sono in servizio, ma devo solo tenere alla larga chi vuole infastidire la mia figliastra e la sua amica, dico bene? Penso di potercela fare.”
Castillo annuì e salì le scale fino a sparire dietro le porte d’ingresso, fatte di legno e vetro.
“Spero sappiate cosa state facendo, voi due.” disse David, mettendosi accanto a Chloe e con le braccia conserte all’altezza del petto e sguardo fermo verso la strada.
“Grazie David.” rispose Chloe.
“Sì, grazie.” le fece eco Max.
Un paio di minuti dopo si presentò un agente della sicurezza del tribunale, in divisa, con berretto da baseball con il logo del distretto. Era molto alto, forse oltre il metro e ottanta, abbastanza corpulento e sulla quarantina, viso rasato e capelli radi sale e pepe che sbucavano ai lati del berretto. Aveva penetranti occhi azzurro cielo e sorrise amabilmente al trio.
“Buongiorno signorine. Agente Madsen, è un piacere conoscerla. Sono George Olsen e sarò il vostro supporto morale.” disse l’agente, presentandosi.
Aveva un tono affabile e sembrava sinceramente lieto di essere con loro. Scese i gradini, una volta che ebbe ricevuto i saluti dai tre, fino a posizionarsi alla destra di Max. Anche se se era un paio di gradini più in basso, svettava comunque sulla ragazza. Lanciò uno sguardo e un sorriso e, parlando con voce bonaria, le disse
“Mi sono offerto volontario. Ci tenevo molto a conoscerti di persona, Max Caulfield. Quello che hai fatto è davvero notevole! Per essere così giovane, hai fegato, oltre che intuito. Mia figlia ti considera un’eroina. Sai, ha circa la tua età!”
Max sorrise e arrossì leggermente al pensiero.
“Non sono una eroina. Volevo solo fare la cosa giusta, anche per me stessa.”
“Certo, ma lo hai fatto. Potevi convivere con i tuoi dubbi, goderti la tua età e pensare ad altro per guarire a tuo modo, come farebbe qualsiasi ragazza della tua età. Eppure lo hai fatto e questo, credimi, fa tutta la differenza. Lo dico sia da poliziotto che da padre.”
Max ringraziò di nuovo.
Non si sentiva un’eroina, per niente. Si sentiva, per l’ennesima volta, una grandiosa egoista.  Aveva fatto tutto per coloro che erano morti, o solo per togliersi di dosso i sensi di colpa e tornare a dormire decentemente? Lo aveva fatto per Kate e Rachel, o per togliersi la soddisfazione di vedere Jefferson umiliato? Perché, sostanzialmente, tutto si riduceva al fatto che non tollerava di essere stata delusa dal suo mito.  Uno dei suoi modelli d’ispirazione si era rivelato un verme, allontanandola momentaneamente dal mondo della fotografia, una passione lunga tutta la sua vita, un amore che credeva capace di reggere a qualsiasi cosa. Per quanto tempo aveva faticato a prendere in mano nuovamente la sua macchina? Settimane, mesi forse.
A Natale aveva scattato, ma era più per immortalare il ritorno a casa per le feste e con Chloe, che tornava a sorridere per davvero.
Aveva trascinato all’inferno Chloe e Steph per un senso di giustizia, vero e intoccabile, o solo per un suo personalissimo bisogno di benessere mentale?
Non sapeva rispondere.
Ogni volta che si ripeteva nella mente che era stato tutto fatto in ottica di salvare la memoria di quelle ragazze, di consegnare in pasto al mondo il vero Mark Jefferson e non rischiare che si accollasse ogni crimine un cadavere di adolescente, aveva combattuto con un senso d’inadeguatezza e sconforto.
Sentiva che lo aveva fatto per sé stessa. Sentiva che aveva accettato la proposta di Kristine come una manna dal cielo perché era la scusa perfetta per ottenere quello che voleva.
Era tormentata da quei dubbi dal giorno in cui aveva capito che aveva messo nel sacco Jefferson.
Non trovava pace, la sua testa pareva esplodere. Da quella maledetta settimana, il suo mondo sembrava crollare lentamente, a colpi d’incertezze su chi fosse lei: un’egoista presuntuosa o una ficcanaso altruista?
Reggeva solo grazie alla sua famiglia e all’amore di Chloe, ma sentiva che stava cadendo a pezzi ugualmente.
Si augurava, con tutto il cuore, che il processo mettesse fine a questi dubbi, che vedere quel pazzo bastardo del suo ex professore, ridotto a un galeotto in catene, potesse dargli un suggerimento in qualche direzione, almeno per decidere che cosa fosse davvero il suo più grande desiderio: egoismo o altruismo?
Cominciava solo a faticare di riconoscersi allo specchio e non solo per l’aspetto emaciato, dovuto allo stress dell’ultimo mese e di una carenza di appetito che si era fatta via via più ingombrante con l’avvicinarsi del processo. Faticava a riconoscersi perché sentiva troppo contrasto dentro di sé.
Si udirono dei suoi convulsi, sirene e stridore di gomme.
“Arrivano.” borbottò l’agente Olsen “Rimante vicine e non muovetevi.”
Chloe fece scivolare nuovamente la sua mano destra nella sinistra di Max e la strinse con dolcezza. Entrambe, senza scambiarsi nemmeno uno sguardo, compresero le emozioni dell’altra: Max sentì nella mano sudata di Chloe la tensione, la rabbia e l’impazienza. Voleva pace, voleva tornare a una vita noiosa e normale. L’altra comprese, nella tensione dei nervi di Max, l’ansia costante, l’angoscia e il desiderio di concludere quell’orribile capitolo della sua vita che durava da quasi un anno.
Le prime auto che fecero capolino, erano due volanti della polizia di Portland, che si misero di traverso poco dopo il tribunale, a bloccare la via per eventuali curiosi in arrivo. A seguire, arrivarono altre due volanti della polizia di Portland, due suv neri e un cellulare della polizia penitenziaria del South Fork, blindato e al centro del corteo di auto, chiuso da una berlina nera con i finestrini oscurati.  A breve distanza, arrivarono i furgoncini delle varie reti nazionali e locali. Non fecero in tempo a parcheggiare le auto delle forze dell’ordine che i giornalisti erano già smontati dai loro mezzi, pronti ad attaccare. A seguire, però, Max notò una piccola folla di curiosi e civili che avevano seguito, a piedi, in bici e in auto, la scorta di sicurezza verso il tribunale.
I poliziotti smontarono in fretta dalle auto e si scagliarono subito contro i giornalisti, arginandoli in un piccolo spazio alla base della scalinata, a sinistra rispetto l’ingresso. Erano troppo pochi ma subito, come se fossero pronti dietro le porte d’ingresso, scesero rapidamente i  gradini un’altra decina di agenti, pronti a dare manforte ai colleghi. Dalle auto blu scesero degli agenti diversi, non in divisa.
“Federali.” mormorò l’agente Olsen, come se le avesse letto nel pensiero.
Dalla berlina, invece, scese un giovane in giacca e cravatta, con una lussuosa ventiquattroore: il nuovo avvocato di Jefferson, intuirono le ragazze.
Non lo avevano ancora visto e nemmeno ne sapevano il nome. Notarono il nervosismo sul suo giovane viso, barba sfatta e occhialetti da intellettuale mancato che stonavano con i capelli radi e ricci.
Dal blindato del carcere, scesero quattro agenti con assetto tutt’altro che amichevole: giubbotti antiproiettile, caschi, mitra e protezioni a ginocchia e gomiti.
“Manco scortassero Hannibal Lecter.” commentò Chloe
Infine, scese la ‘star’ della giornata.
Mark Jefferson era vestito elegantemente. Barba e capelli sistemati, occhiali nuovi, scarpe in pelle lucide e schiena dritta.
Se non fosse stato per le manette ai polsi, poteva apparire come il solito professore di fotografia che Max aveva conosciuto.
I poliziotti in assetto di ‘assalto’ lo circondarono e lo scortarono per ogni passo, per ogni gradino.
La folla urlava, i giornalisti chiamavano Jefferson e nessuno sembrava essersi accordo di Max e Chloe, nonostante fossero ben visibili. Erano a pochi passi ormai.
Chloe strinse la mano di Max con più decisione, mentre quest’ultima sentiva lo stomaco ribollire.
Mark Jefferson camminava con passo sereno e sembrava freddo e rilassato ma, appena voltò lo sguardo verso la sua sinistra, incuriosito dal quartetto, vedendo Max il suo voltò si trasfigurò in una maschera di odio feroce.
Sentì un brivido lungo la schiena, la giovane Caulfield, nel vedere tutto quell’odio verso di lei. Poteva intuire quanto ardentemente, in quel momento, lui avrebbe voluto ucciderla.
“Jefferson!”
Mark Jefferson e Max Caulfield incrociarono i loro sguardi per un paio di secondi ma fu uno scambio chiaro per entrambi: odio e desiderio di morte da parte di lui, fierezza e risolutezza da parte di lei. Max avvertì i muscoli del viso contrarsi in un sorrisetto superbo e altezzoso.
“JEFFERSON!”
L’ex professore voltò nuovamente i suoi occhi davanti a sé, concentrandosi sull’ingresso del tribunale, l’ultimo edificio che avrebbe visto oltre alla sua cella.
“MARK JEFFERSON!”
Chloe si sporse in avanti, incuriosita
“Chi è che urla come un’isterica?”chiese
Max si sporse anche lei in avanti, verso la folla dei giornalisti.
Vi era una donna bionda, sulla cinquantina, con il viso scavato e gli occhi che lanciavano fiamme.  Sgomitava, facendosi largo tra la folla. Max pensò che avesse un viso molto familiare.
“MARK JEFFERSON! BASTARDO! MIA FIGLIA, HAI ROVINATO MIA FIGLIA!”
Tutto avvenne al rallentatore.
La donna bionda estrasse un braccio dalla folla in cui si era incagliata, alzandolo fin sopra la testa e rivelando una pistola.
Max prese Chloe e la gettò a terra, mentre i colpi esplodevano nell’aria.
David si tuffò sulla figliastra, mentre l’agente Olsen estrasse la sua arma d’ordinanza e si piazzava davanti al trio.
Max alzò lo sguardo e vide Mark Jefferson cadere al suolo, reggendosi la gola mentre fiotti di sangue sfuggivano tra le sue dita e le sue labbra. La folla di giornalisti era a terra, mentre due poliziotti fermavano la donna, rompendole un braccio e inchiodandola a terra.
“Mia figlia!” urlava ancora tra le lacrime “Mia figlia, bastardo!”
David la prese di peso, insieme a Chloe e la trascinò verso l’ingresso, anche se il pericolo era scampato. Tutti erano in allarme, ma sembrava che non vi fossero altri genitori infuriati in cerca di vendetta.
David non voleva fermarsi, ma Max perse una scarpa e scivolò a terra, trovandosi a pochi centimetri da Jefferson. Lui non la vide ma lei, in cambio, poté assistere agli ultimi istanti della vita del fotografo, del suo professore, del suo idolo, del suo incubo peggiore, del maniaco, del manipolatore, del bastardo che l’aveva allontanata da ciò che amava di più. Il responsabile di tanto dolore, suo e di molte altre ragazze, era morto.
 
No
Non può finire così
No
Così è troppo… semplice… no, bastardo. No!
 
 
Era confusa, distrutta.
Aveva vinto Mark Jefferson.
Aveva vinto lui, alla fine.
La morte non era che  una meravigliosa scappatoia per lui. La sua umiliazione era durata poco, nessun processo in sua presenza, nessuna cella in cui invecchiare.
La morte, l’ingiusta salvatrice.
Si mise in ginocchio a osservare il cadavere di Jefferson e strinse i pugni e i denti dalla rabbia. Voleva urlare dal nervoso.
Voleva colpire quel viso inerte con foga.
Tutto quanto finito in polvere: il processo senza l’imputato non avrebbe donato giustizia.
Qualcuna si sarebbe beata della sua morte, ma altre no.
O forse solo lei?
Ancora egoismo, ancora la convinzione che il suo pensiero fosse il pensiero collettivo.
Magari alle altre vittime stava bene che fosse morto, magari avrebbero festeggiato a breve e tirato un sospiro di sollievo.
Magari sarebbero uscite e avrebbero chiesto a gran voce la scarcerazione della donna che aveva assassinato quel bastardo.
Ma lei non voleva questo. Il suo egoismo era così forte?
 
 
SONO IO O SIAMO TUTTE A NON VOLERE CHE SIA FINITA COSI?  CAZZO!
 
 
Chloe comparve al suo fianco. Si era liberata da David e si era gettata su di lei. La fissò negli occhi e comprese.
Capì senza chiedere, come solo una persona che ti consoce da tutta la vita, che ha vissuto quasi ogni istante con te e che ti ama sopra ogni cosa, può fare.
Non disse nulla. Non parlò
Sorrise e annuì.
Semplicemente, con calma, annuì.
A Max non bastò nient’altro.
Alzò la mano destra e si concentrò.
Dopo mesi, avvenne.
Sentì uno strappo allo stomaco e alla base della nuca. Fu diverso, intenso e le fece un male cane, tanto che dovette chiudere gli occhi per un istante ma, intorno a lei, tutto si mosse a ritroso. La luce si attenuò, i contorni del mondo si erano sfocati.
Il mondo procedeva all’indietro.
Jefferson si rialzò, il proiettile abbandonò il suo corpo, tornando nella canna della pistola della sua assassina, che ripose il braccio in mezzo alla folla di giornalisti, mentre David, Chloe e l’agente Olsen tornavano al loro posto.
Jefferson tornò circondato dai poliziotti in assetto da guerriglia, alla base della scalinata.
Poteva bastare.
Abbassò la mano e sentì un fortissimo dolore alle tempie.
 
Merda… qualcosa non va…  non ha mai fatto cosi male.
Cazzo.
 
Prese la sua scarpa e si rimise in piedi.
“MARK JEFFERSON!”
Chloe si sporse in avanti, incuriosita
“Chi è che urla come un’isterica?”chiese
“David!” urlò
David si voltò sorpreso e stupito nel vederla lì. Spalancò occhi e bocca mentre la squadrava
“Max cosa ci fai lì? Quando ti sei..”
Non lo stette ad ascoltare
“Quella donna ha una pistola! Fermala!”
Alzò il braccio indicando la folla dei giornalisti: la donna bionda era quasi arrivata al limite del corteo.
David fissò preoccupato la folla e anche l’agente Olsen sembrava allarmato a quelle parole.
Chloe, invece, fissava Max terrorizzata e confusa.
La donna bionda estrasse il braccio armato dalla folla.
“HA UNA PISTOLA. A TERRA!” urlò David.
Uno dei quattro agenti della scorta di Jefferson prese quest’ultimo e lo gettò malamente al suolo, mentre esplodevano i colpi. Uno dei quattro, rimasto in piedi, fu colpito alla spalla e cadde a terra gemendo per il dolore.
Il secondo colpo, invece, finì per aria, dato che i poliziotti si erano già gettati sulla donna, con leggero anticipo, senza spezzarle ossa.
“Lasciatemi! Ha rovinato mia figlia! Ha molestato la mia bambina!” urlava disperatamente la donna, mentre veniva immobilizzata e ammanettata al suolo.
Nella confusione che ne seguì, Jefferson fu sollevato di peso e portato dentro di fretta da due agenti, mentre il terzo soccorreva il collega ferito alla spalla, urlando che serviva un’ambulanza.
Max vide, in un angolo della strada, un uomo in piedi che fissava lei, o così le sembrò.
Aveva una polo bianca, jeans scuri e una tracolla molto simile alla sua. Sembrava vicino alla quarantina, capelli rasati e le sorrideva.
Si, fissava lei e le sorrideva. E annuiva anche lui, soddisfatto.
In quel momento, passarono davanti al suo campo visivo gli agenti con Jefferson e, in quell’istante, l’uomo era svanito.
Forse era stata una sua illusione dovuta allo stress.
David fissò sbalordito Max che, nel frattempo, si era seduta sul gradino. Si sentiva sfinita e la testa le pulsava come non mai.
“Come cazzo….?”
Ma David non poté finire la frase, perché Chloe era già su di lei. La prese per le guance e la fissò negli occhi
“Stai bene?”
Annuì ma non parlò
“Come  hai…?”
“E’ la madre di Laureen, Chloe. L’ho riconosciuta troppo tardi.”
“Io non direi.” mormorò lei, sorridendole
David si era avvicinato e la fissò preoccupato
“Stai bene? Sei pallida, Max.”
“Si, sto bene. Solo un po’ di stress.”
“Ok, ma vi farò mettere da qualche parte, lontano da tutti. Meglio che vi rilassiate un po’. Tieni.” disse David porgendole un fazzoletto di carta “Ti sanguina il naso.”


 
Erano sedute su una panca di legno in un corridoio isolato del tribunale, lontane dall’aula in cui si sarebbe tenuto il processo.
Era passata un’ora abbondante, ma Max era ancora dolorante.
La testa le pulsava meno e l’epistassi era praticamente finita. Si stava tamponando con il terzo fazzolettino di carta ma era quasi immacolato, rispetto ai primi due.
Chloe, seduta accanto a lei, le massaggiava amorevolmente la schiena in silenzio.
Passi pesanti sul marmo, che rimbombavano con un eco inquietante, annunciavano il ritorno di David.
L’uomo porse a Max due bustine di zucchero e una bottiglietta d’acqua.
“Prendi. Credo ti serva incamerare un po’ di energie. Il processo è stato spostato all’una, perciò pensavo di fare un salto al McDonald’s in fondo alla strada e prendervi dei panini. Non potete reggere tutto il giorno a stomaco vuoto, soprattutto Max. Sei stravolta: quello che è accaduto fuori deve averti dato decisamente un bell’eccesso di stress, vero?”
Max annuì e si preparò a mentire
“Abbastanza. Diciamo che è stata tutta quest’assurda situazione che mi ha reso molto suscettibile ma quello di poco fa è stato una sorta di colpo di grazia. Mi ci vorrebbe una lunga vacanza.”
“La faremo.” disse Chloe teneramente, prendendole la mano.
David adagiò accanto a Max la bottiglietta d’acqua e le bustine di zucchero, raccomandandole di usarle subito, mentre si allontanava di nuovo, per andare a prendere loro il pranzo. Chloe s’incaricò di mandargli una lista con tutto quello che desideravano.
Appena furono sole, Chloe non esitò molto prima di chiederlo
“Hai riavvolto, vero?”
Max annuì
“Mi hai dato il permesso, te lo giuro. Non lo avrei mai fatto alle tue spalle.”
“Il mio permesso? Max, che cazzo dici? Tu non devi chiedere mai il permesso a nessuno. Abbiamo fatto un patto, anzi hai fatto un patto con te stessa con cui io voglio condividerne il peso: mai utilizzarlo. Mai più. Se non per casi eccezionali. Se questo lo era, hai fatto bene e sono certa di essere stata d’accordo con te se lo hai fatto. Mi fido e non occorre darmi spiegazioni. Il permesso! Ah, ti scuoierei viva se lo dovessi ripetere in futuro e no, non potrai riavvolgere.”
Max sorrise e annuì
“Scusa, intendevo dire quello. Eri d’accordo. Per come si erano svolte le cose hai pensato che….”
“Era morto, vero?” la interruppe Chloe “Quella donna, la madre di Laureen, lo avrebbe ucciso. Anzi, l’ha ucciso. Giusto.”
“Già. Ma non poteva finire così, capisci? Doveva pagare e morire su quella scalinata, per quanto miserabile che fosse, non era la fine giusta per lui. Per le sue vittime, per tutte le donne che ha rovinato. Doveva pagare e non c’è cosa peggiore del tempo che scorre inesorabile dentro una cella, rispetto alla morte.”
“E tu di tempo te ne intendi alla grande, lo so.” scherzò Chloe “Per quanto io lo voglia vedere morto, forse hai ragione tu. Sì, una pallottola in testa e vederlo morire poteva essere una soddisfazione, ma passeggera. Immaginarlo invecchiare tra quattro mura e con il culo rotto da qualche altro detenuto più grosso, forse potrebbe essere il finale più giusto. Hai fatto di nuovo la cosa giusta, Max. Sai la cosa ironica: quello ti deve la vita e non lo saprà mai.”
Max si rabbuiò
“Ma ho fatto davvero la cosa giusta? Non ho solo sfogato l’ennesimo mio desiderio egoistico di far andare le cose come vorrei che andassero?”
Chloe la guardò stranita
“Egoista? Tu? Max sei la persona meno egoista del mondo! Hai idea di cosa avrebbe fatto altra gente, al posto tuo, con questi poteri? Cazzo, avrebbe rubato o peggio e nessuno lo avrebbe mai saputo. Avrebbero sempre commesso crimini senza mai essere puniti. Tu hai scelto di usarlo per me,per aiutarmi a trovare Rachel, per dare giustizia alla sua morte, per salvarmi la vita e per sbattere in carcere un maniaco. Questo per te sarebbe egoistico?”
“Magari molte ragazze volevano Jefferson morto. Per salvare te ho lasciato distruggere Arcadia e ucciso molte persone. Tutto perché volevo te, ti volevo nella mia vita. Non volevo rinunciare a te perciò ho rinunciato alle vite di molti altri e a una città intera. Aiutarti nelle indagini per Rachel, certo…. Se lo avessi fatto perché desideravo tornare ad essere la tua migliore amica? Se lo avessi fatto solo con lo scopo di riprendermi il posto che Rachel aveva preso in mia assenza? Se lo avessi fatto perché eravamo innamorate e ti volevo per me?”
Chloe le accarezzò il viso e le sorrise
“No. Non sapevi che fosse morta, lo hai fatto per me. Sì, mi hai salvato a scapito di molte altre vite e questo ti è costato moltissimo: il peso che porti, per quanto simile, non è comparabile al mio. Io non avevo quel potere di scelta, tu sì. Tu hai scelto, io ho accettato quella scelta e, per quanto sia sottile la differenza, il peso che porti te è migliaia di volte più pesante. Potevi obbligarti a tornare indietro e lasciare che Nathan mi uccidesse, morire senza sapere che eri di nuovo ad Arcadia, morire con la consapevolezza che non ti avrei più rivista, convinta che mi avessi abbandonato e dimenticato. Ma non l’ho fatto. Sono stata codarda e mi sono rimessa a te, come una sporca vigliacca. Su di te è ricaduta tutta la scelta, io ti ho solo consegnato una foto e detto che era giusto far vivere Joyce e David. Potevo insistere, potevo obbligarti, persuaderti che quella fosse la strada più giusta. E sono ancora convinta che sia così.”
“Cosa? No, non esiste Chloe, quella era..”
Chloe non la fece finire. Le mise un dito sulle labbra e riprese a parlare
“Max, come per Jefferson poco fa: c’era una via facile e una giusta. Tu hai visto quella facile e hai scelto quella giusta. Con me non c’era nulla di facile, solo quella giusta per me o quella giusta per tutti. Ma non c’era una via giusta per te, capito? Tu ci rimetti sempre. Non è stato egoistico scegliere me, così come non è stato egoistico scegliere di mandare Jefferson a processo invece che lasciarlo morire sulle scale. Hai scelto quello che tu hai ritenuto giusto, non quello che ti faccia bene. Si, io sono viva e forse ti rendo felice, ma guarda come tutto ciò ti sta devastando dentro…. Non hai chiesto questo potere eppure lo hai sempre usato nel modo che hai reputato migliore per tutti, tranne che per te stessa. Non ti stai regalando la pace, te la neghi. Solo per poter vedere gli altri felici. Volevi vedere me viva, felice e spensierata. Hai cercato Rachel per me, mi hai tenuto in vita tre volte perché credevi che non meritassi di morire e il dono che mi hai fatto è la cosa più grande che potessi ricevere. Mi hai dato mille vite, non una, per rimediare ai miei danni. Nessuno può vantare tanta fortuna. Ma io, senza poteri, ho tale fortuna grazie a te. Te che hai rinunciato a quella fortuna per me. Non è te stessa che stai cercando di migliorare, ma solo me. Stessa cosa per Jefferson. Non lo hai salvato per pietà, ma per coerenza, per giustizia verso chi ha sofferto. Per Kate. Potrei avere tutto ciò che vuoi e non voltarti mai indietro, ma non lo hai mai fatto. Se questo è egoismo, allora non so più cosa sia l’altruismo, Max Caulfield.”
Max pianse silenziosamente
“Sono così confusa. Così stanca. Ho tanti sentimenti misti dentro di me che sento che sto per crollare. Non so davvero più cosa fare, Chloe. Cazzo, non so più se le mie azioni siano mie o siano solo atti di menefreghismo per smettere di soffrire. Per redimermi.”
“Redimerti? Agli occhi di chi? Smettere di soffrire non è menefreghismo, Max. Io guarda come ho agito! Quello era menefreghismo e non volevo smettere di soffrire. Pensavo di volerlo, ma lo alimentavo ogni giorno con rabbia e facendo la stronza. Tu mi hai fatto capire la direzione giusta per guarire. Fallo anche con te stessa, Max. Comprendo come tu ti stia sentendo ma se può aiutarti, allora ricorda solo una cosa: ti amo. Questo non sarà mai confuso e egoistico. Sono qui perché ti amo per ciò che sei e sei sempre stata e se non lo fossi, non so se ti amerei così intensamente. Sei davvero una fottuta eroina di tutti i giorni e la tua sofferenza ne è l’ennesima conferma. Ecco perché sei così fottutamente straordinaria e io sono così innamorata di te.”
Max sorrise e si lasciò baciare delicatamente
“Ti amo anche io. Forse è anche per questo che non riuscirei mai a vederti morire. Ma questo è egoismo.”
“L’amore è la quintessenza dell’egoismo, alimentato da un feroce altruismo.” commentò Chloe “Basta saper dare il giusto equilibrio. E tu lo fai in maniera straordinaria.”
“Questa da dove l’hai rubata?”
“Hey, sono una poetessa anche io! Malfidente!”
Risero ma durò poco. Max ebbe un’altra fitta alla testa e gemette dal dolore.
“Cazzo.” si lamentò
“Ancora?”
“Si. E’ diverso, Chloe. Non come l’ultima volta. Non ha mai fatto male cosi tanto, nemmeno quando lo usavo. Ho provato una sensazione strana, diversa. Come se mi strappasse in due, mi sono sentita spaccare. Di solito era tutto leggero, ma oggi è stato intenso, quasi violento.”
“Forse perché non lo usavi da molto tempo.” suggerì Chloe “Erano mesi che non riavvolgevi e probabilmente il potere si era accumulato troppo e, avendolo attivato così all’improvviso, è come se fosse esploso di colpo, facendoti pagare gli arretrati.”
“Non so. Forse è così. Forse devo solo far riabituare il mio corpo. Ma non servirebbe: non intendo riavvolgere mai più. Basta, ora inizia a farmi male troppo anche fisicamente.”
“E se dovessi farlo? Forse il tuo corpo deve farlo, per scaricare questo eccesso di potere. Non credi?”
“Può darsi ma non voglio usarlo, Chloe. L’ultima volta che..”
“L’ultima volta hai cambiato cose importanti, tipo la mia morte. La natura ha richiesto il suo pedaggio ma solo per quello, non per riparare la tua macchina fotografica o vasi rotti. Max, se tu lo usassi una volta al mese, solo per queste banalità che non influiscono con il tempo, forse ti farebbe bene.”
“Se influissero? Se anche queste piccole cose influissero con l’andamento delle cose? Se riparassi un ombrello che era destinato a piegarsi, magari cambierei una piccola cosa che scatenerebbe una conseguenza enorme altrove. Sai l’effetto farfalla e le solite stronzate.”
“Si, lo so, ma non importa. Se questo potere che non sfoghi, si accumula e diventa come un veleno dentro di te, preferirei rischiare un temporale violento piuttosto che rischiare che tu possa morire, uccisa dal tuo potere represso. Forse serve al tuo benessere, liberarlo un po’.”
Max tentò di pensare a riguardo, ma la testa stava dolendo ancora troppo e non riusciva a riflettere lucidamente
“Non so Chloe. La rischierò, non me la sento di sconvolgere ancora le leggi della natura. Ti prometto che, se sentissi il bisogno fisico di usarlo, lo farò.”
Chloe la osservò preoccupata ma annuì
“Ok. Ma fallo. Non voglio che ti esploda dentro di notte e mi debba svegliare un mattino trovandoti neonata o  ultracentenaria.”
“Beh meglio così che esplosa letteralmente, no?”
“Dipende: se mi svegliassi, potrebbe non dispiacermi. Dai, devo dire a David che  cosa mangiamo o si spazientirà.”

 

 
 
 
6
 
 
Era ormai sera, quando la sua Dodge Charger fece capolino sulla strada che conduceva a casa.
Il cielo tinto di un blu cobalto e un’aria frizzante, rendeva l’atmosfera rilassante per Kristine e fu felice nel vedere Chloe Price smontare dalla sua vettura in prestito, vestita in maniera sportiva e con un sorrisetto rilassato e baldanzoso.
Avvicinandosi a lei, le porse le auto.
“Ecco qui la sua bambina, madame.”
Kristine afferrò le chiavi e, istantaneamente, porse quelle del pick-up alla legittima proprietaria
“La sua bimba l’attende in garage. Vuoi vederla?”
“Oh si cazzo. Mi manca.”
Kristine ridacchiò e accompagnò la ragazza dai capelli bluastri verso il garage della villa, dove sostava il mezzo.
Chloe spalancò gli occhi nel vederla: era tirata a lucido e sembrava in ottimo stato. Troppo in ottimo stato.
“Ma che le hai fatto?”
“Io nulla, ma alcuni a cui ho chiesto l’hanno lavata e dato una mano di cera, ridipinto parti della carrozzeria, sistemato e sostituito alcune parti del motore che erano poco in forma. Direi che ha guadagnato qualche anno di vita in più. Ah, anche i sedili sono stati rimessi quasi a posto.”
Chloe era sbalordita
“Ti sarà costato una fortuna! Sei pazza!”
“Al contrario: non ho speso un dollaro. Sai, molti mi dovevano un favore, altri amano maneggiare auto, altri ancora hanno ammirato quello che tu e Max avete fatto per questa storia… insomma, la tua auto non ha richiesto nessuna spesa extra. Goditela e basta, ok?”
Chloe stava accarezzando l’automezzo con dolcezza, come se fosse davvero una sua bambina.
“Io non so che dire…..insomma… grazie di nuovo Kristine… io… Io non ti ho nemmeno lavato la Dodge… il pieno l’ho fatto però.”
“Hai comunque messo più soldi nella mia auto di quanti io ne abbia messi nella tua. Dai vieni fuori: ti offro una sigaretta.”
Mentre si avviavano al marciapiede, verso la Dodge di Kristine, Chloe buttò un occhio verso la villa dei Prescott. Notò che, senza le tende e con le luci accese, poteva vedere tranquillamente all’interno e fu colpita da vuoto totale che ora aleggiava nella casa.
“Hai concluso.” commentò, colpita
“Già: tutto finito. Rimangono solo le mura.”
“Quindi stasera verrai a dormire all’hotel?”
“Negativo: ho organizzato un piccolo party di addio con alcuni amici. Pizze d’asporto, alcolici, sacco a pelo e tanta spensieratezza. Poi questa casa, finalmente, non mi vedrà mai più.”
“Capisco. Comunque ti saluta Max: voleva venire  ma è completamente distrutta.”
Erano arrivate alla macchina.
Kristine prese dal pacchetto due sigarette e un accendino. Ne porse una a Chloe e l’accese, prima di fare la stessa cosa con la sua. Poi prese una boccata e, infine, chiese
“Che le è successo?”
Chloe fece le spallucce
“Credo sia lo stress. Già lei soffre mostruosamente di ansia da sempre e credo che oggi per lei sia stato troppo. Sai quel tentato omicidio seguito da un processo all’uomo che ha rovinato la sua vita nell’ultimo anno…. Beh penso che abbia i nervi un po’ a pezzi e che l’emicrania che l’affligge sia una conseguenza normale.”
Kristine osservò attentamente il volto della ragazza e capì che era turbata più di quanto la sua espressione indifferente lasciasse trasparire. Le parve anche che ci fosse di più, ma forse avrebbe chiesto qualcosa di privato. Era chiaro che, però, era molto preoccupata per lo stato di Max.
“Ricambiale il saluto e dille che domani sera sarò dei vostri. Magari starà meglio. Quando avete intenzione di andare via?”
“Penso un paio di giorni. Domani arrivano i genitori di Max e andremo a salutare tutti mia madre all’ospedale. Domani sera saremo tutte tue, non preoccuparti. Infine penso ci prenderemo un’altra giornata di libertà e preparare le valigie e poi, via, di nuovo a Seattle.”
“Non ne sembri entusiasta, però.”
Chloe tradì un sorrisetto bizzarro, tra il divertito e il sorpreso
“Ho un po’ di pensieri.”
Kristine la lasciò tranquilla e prese una boccata, prima di chiedere quali pensieri.
Chloe prese a sua volta una boccata dalla sua sigaretta e disse
“Diciamo che anche la mia vita potrebbe cambiare un po’. Ci sono un po’ di cose che mi fanno riflettere, soprattutto mia madre. Insomma, è una roccia, ma vorrei essere certa che si riprenda completamente nell’immediato futuro. Inoltre, sarà in grado di lavorare? Relativamente, è ancora giovane e senza lavoro ho paura che possa impazzire, oltre che faticare a mantenersi. Però, chissà se il Two Whales  verrà ricostruito o no, dato che i precedenti proprietari sembra che non vogliano avere più nulla a che fare con Arcadia Bay. Ma anche se fosse così, prenderebbero mia madre di nuovo, nonostante la sua esperienza, sapendo che potrebbe non lavorare quanto prima, finché non si sistema completamente? Sempre che possa recuperare….”
“Questo non credo che sia un problema per la quale tu debba preoccuparti troppo.” disse Kristine, spegnendo la sigaretta per terra “Il Diner non verrà ripreso dai suoi proprietari.”
Chloe fissò Kristine e non riuscì a nascondere un’espressione sconsolata
“Oh….. capisco…. Beh naturale, insomma.. Verrà acquistato da qualcun altro… beh spero di rintracciare i nuovi proprietari e far capire loro che…”
“Sono io.”
Chloe voltò la testa di scatto verso Kristine, facendo scrocchiare il collo
“Cosa?”
“L’ho rilevato io: è mio. Anzi, momentaneamente lo è. Sto facendo in modo che tua madre ne sia la titolare. Io sarò socia di minoranza ma tua madre e tu sarete le nuove proprietarie del Two Whales. Congratulazioni!”
Chloe era imbambolata e scioccata. Si era ingobbita e sembrava persa nel vuoto
“Scherzi vero?”
“No, affatto. Sempre se t’interessa diventare mia socia. Ho accennato qualcosa a David e ho chiesto di sondare il terreno con Joyce, ma in ogni caso non intendo rimanere ad Arcadia Bay per controllare gli affari di un diner. Non mi fido di nessuno se non della sua impiegata di più lunga data, ovvero tua madre. Perciò, io affiderò tutto a lei e a te. Gestirete voi, o meglio lei se tu torni a Seattle, mentre io mi assicurerò di ricevere la mia minima parte d’incasso mensile. Tutto qui. Mi sembra un rischio calcolato, dopotutto. Perché darlo in mano a sconosciuti quando c’è tua madre che lo consoce come casa sua.”
Chloe si appoggiò alla Dodge.
“Perché? Perché mi aiuti così tanto? Con tutto il fango che ti ho sputato addosso…”
“Non sapevi. Anche io avrei dubitato di me, al posto tuo. Avevi bisogno di tempo e fiducia per conoscermi e sono felice che ora tu abbia cambiato opinione su di me. Affidarti il diner è solo il minimo per quello che avete fatto voi per me.”
“Ci hai mantenuti qui, mi hai sistemato l’auto, hai scacciato McKinsey e il suo tirapiedi e ora mi regali il Two Whales? E’ troppo, Kristine.”
“No, affatto. Io non ho praticamente speso un dollaro per tutto questo. Sì, ho acquistato il diner ma credimi che la cifra è stata irrisoria e non finirò sul lastrico. Ho solo guadagnato da questa storia: mio fratello non è il colpevole e, anche se non è riabilitato, almeno ne esce più come vittima che carnefice. Il nome della mia famiglia è distrutto ed io presto rileverò tutto quello che mio padre possiede, relegandolo in una pensione anticipata in Florida, a nascondersi ancora per chissà quanto, mentre io potrò cambiare tutto l’impero Prescott in qualcosa di più decente e più vicino ai miei interessi. Se questo è possibile è anche merito vostro che, avendo trovato il corpo di mio fratello, avete fatto saltare fuori la sua storia e peggiorato ulteriormente la fama di mio padre. Sono io che ho un debito verso di voi e credimi, ancora non ho trovato qualcosa per sdebitarmi a dovere con Max.”
Chloe alzò gli occhi al cielo
“Credimi: non vorrebbe nulla. Si sente già troppo in colpa per averti trascinato in mezzo a salvarci la cotica con McKinsey e per il vestito fatto su misura per il processo.”
La ragazza dai capelli blu fece un passo avanti, fissando ora il prato ben curato, nonostante la casa fosse ormai spopolata
“Credi che sarebbe cambiato tutto, se fossi rimasta? Che Nathan sarebbe stato in salvo da tutto questo?”
Kristine non si aspettava quella domanda e ne fu colpita, ma sorprendentemente sapeva come rispondere
“No. Non sarebbe cambiato molto perché mi conosco troppo bene e il mio desiderio di fuga mi avrebbe reso fredda e distante dai suoi bisogni. Sono un’egoista, lo sono sempre stata, soprattutto quando mi sento sotto pressione e limitata nella mia libertà. Nonostante ci sia sempre stata per lui, se mi avessero impedito di fuggire da questa casa di merda, sarei fuggita in un’altra maniera: mentalmente. Sarei stata più fredda, rancorosa e disinteressata verso la mia famiglia. Sapevo già che Nathan soffriva e cercavo di star accanto a lui ma, se non fossi andata via, non so quanto mi sarei preoccupata di tutto questo. Avrei smesso di badare a lui, lasciando che diventasse un problema di mio padre. Si forse se avessi notato un peggioramento magari avrei provato a calmarlo, ma sarebbe stato tutto inutile e sarebbe stato troppo tardi. O forse, nella peggiore delle ipotesi, avrei solo accentuato un aspetto di lui che è già stato fonte di guai per molte persone. No, penso che la mia presenza qui non avrebbe cambiato nulla perché le uniche due persone che potevano salvare Nathan erano due genitori normali, amorevoli e attenti a un figlio che aveva bisogno di aiuto. A lui sarebbe bastato questo e le cure giuste, non un abbandono e una vergogna da giocattolo rotto, sballottato di psichiatra in psichiatra. Credimi, per quanto le medicine sarebbero comunque servito, sono convinta che l’amore di un genitore lo avrebbe aiutato meglio nel suo percorso di guarigione. Non è stato così e ora possiamo solo fare i conti con tutto questo.”
Chloe aveva incrociato le braccia e l’ascoltava con attenzione. Attese qualche istante dopo che ebbe finito di parlare, prima di dire la sua
“Forse hai ragione tu. Non ero in casa vostra e non ti conoscevo ma fatico a immaginarti menefreghista verso di lui: guarda come hai trattato me e Max! So che avresti dato una mano a lui, nonostante il tuo risentimento, ma forse lui sarebbe ugualmente crollato perché, giustamente, con i tuoi genitori non poteva essere altrimenti. Mi spiace davvero che sia andata cosi, Kristine. Mi spiace sul serio.”
Kristine notò che era sincera. Nonostante suo fratello avesse tolto la vita a una delle poche persone davvero importanti per lei, Chloe non le portava più rancore o odio, ma era davvero dispiaciuta per lei. Forse non per Nathan, ma solo per lei e per il fatto che avesse perso un fratello.
“Ti ringrazio.” disse infine con un sorriso. Chloe rispose facendo le spallucce e abbozzò il suo solito sorrisetto indifferente.
“Cerca solo di non sparire, ok? So che te ne vuoi andare il prima possibile da Arcadia e, credimi, ti capisco più di chiunque altro ma so che Max non la prenderebbe bene se svanissi dalle nostre vite. Cerchiamo di rimanere in contatto, ok?”
“Certo che rimarremo in contatto.”
“Allora fatti vedere per il Ringraziamento. Puoi passare da Seattle magari, così non devi stare con quella tua simpatica famiglia.”
“Non credo. Penso di voler tornare in Brasile per un paio di mesi, anche se sembra esserci un’emergenza sanitaria al momento.[2] Poi penso di spostarmi in Europa per un po’.”
“Europa?? Dove diavolo vai?”
“Parigi. Ho un piccolo appartamento lì.”
Chloe fischiò ammirata
“Cazzo, che invidia. Ho sempre voluto visitare Parigi ma non…. Beh diciamo che un paio di cose me lo hanno impedito.”
Kristine si fece pensierosa e si grattò il mento
“Mmmh beh potreste venire da me ma dopo capodanno. Farò in modo di ritagliarvi un angolo notte nel soggiorno, penso non sia un problema. Però ve lo pagate voi il volo, tranquilla.”
Chloe prese per i polsi Kristine
“Sul serio?”
“Certo. Non posso venire io a Seattle ma potreste venire voi a Parigi qualche giorno. Almeno non rimarrò in solitaria in un paese straniero tutto il tempo. Amo la solitudine, ma un break ogni tanto potrebbe essere balsamico, no?”
“Cazzo realizzerei un mio sogno d’infanzia a vedere quella città. Cazzo, cazzo, cazzo! Grazie”
Kristine si limitò a sorridere.
Dietro li loro, un rombo e dei fari segnalarono l’arrivo degli amici della Prescott.
“Credo che siano arrivati i tuoi ospiti.” commentò Chloe
“Già. Beh, ci vedremo domani sera, promesso.”
Ma Chloe fece un cenno con capo verso la villa.
“Hai già trovato a chi appiopparla?”
“Nah. Ci penserò a tempo debito, dopotutto non ho fretta. Con l’arrivo delle nuove aziende, qualche imprenditore sadico vorrà sicuramente acquistarla, sapendo che era la casa del pazzo maniaco di Arcadia Bay. Magari non la venderò alla cifra che voglio, ma sono certa che potrebbe fruttare un bel gruzzolo ugualmente. Almeno due o tre offerte me le aspetto, non solo molte ma considerando la storia che ha dietro, sarebbero già sufficienti.”
“Fico. Te lo auguro e spero che potrai spennare qualche vecchio scemo pieno di soldi.”
“Oppure potresti farlo tu. Per te questa casa è al prezzo amico di dieci dollari.”
“Come?”
“Se vuoi villa Prescott, è tua. Per dieci dollari.”
Chloe fissò interrogativamente Kristine
“Mi prendi per il culo?”
“L’offerta scade domani.”
“Ripeto: mi prendi per il culo?”
Kristine scosse la testa
“Potrebbe essere la tua nuova dimora, o quella per te e Max in futuro. Magari solo una base d’appoggio per le vacanze o semplicemente un posto per fare del sano casino. Non avreste la mobilia, certo, ma con pochi dollari e con calma potreste arredarla piano piano. Oppure, soluzione più semplice e credo più a tuo favore, potresti valutare tu le proposte dei vecchi idioti pieni di soldi e intascarti una bella cifra da dividere con Max e costruirvi un futuro in una casa più piccola per voi. Solo se la compri per dieci dollari.”
Chloe era scioccata.
Fissò Kristine, poi la casa, poi di nuovo Kristine e infine di nuovo la villa dei Prescott.
Emise un gemito indefinito e allungò la mano con un fare incredulo e ancora sorpreso
“Affare fatto. Ma ti darò i dieci dollari domani: non ho prelevato.”
Kristine scoppiò a ridere e strinse la mano di Chloe
“Non ho fretta di intascarli. Potrei anche aggiungerli alla mia quota mensile del Two Whales, nel caso ti scordassi. Ti farò avere la documentazione intorno a Settembre.”
“Non ci credo.”
“Ha fatto un affare, signorina Price!” replicò Kristine imitando un agente immobiliare
Chloe scosse la testa, ancora incredula. Gli amici di Kristine si stavano avvicinando e iniziavano a chiamarla a gran voce.
“E’ la casa della tua famiglia…”
“No: è stata una gabbia. Per me, per mio fratello, per Rachel, per Samantha e anche per te e Max. Non mi importa minimamente, puoi anche demolirla da cima a fondo per quanto mi riguarda. Questa casa è stata solo fonte di brutti ricordi, non sono triste all’idea di separarmene. Anzi, sono felice che il fato abbia deciso di destinarla a te e Max: ancora una volta avete in mano il destino dei Prescott, qui ad Arcadia Bay. Demolitela, vendetela, abitatela… non mi importa ma so che in ogni caso, con te e lei, avrebbe finalmente ricordi migliori di quanti io ne possa avere.”
Si fissarono negli occhi scambiandosi intesa e ringraziamenti. Poi, sorprendentemente, Chloe l’abbracciò con affetto sincero.
“Grazie. Grazie davvero di tutto, Kristine.”
“Grazie a te per ogni cosa, soprattutto per esserti fidata di una Prescott ed esserci persino diventata amica.”
Chloe sorrise
“Dovresti andare. Ti reclamano.”
“Già.”
Sciolsero l’abbraccio e si sorrisero di nuovo
“Prometto di non rovinare casa tua, Chloe.” disse Kristine, congedandosi e avviandosi verso i suoi amici, per scortarli dentro la villa.
Chloe Price rimase in piedi e la salutò con un cenno della mano. Sorrise nel vedere la sua nuova e inaspettata amica raggiungere festosa un gruppetto di ragazzi e ragazze. Ancora faticava a credere che una Prescott era ora una delle sue più grandi amiche. Faticava soprattutto a credere nel suo cambiamento degli ultimi tempi: esclusa Max, non era mai stata in grado di farsi amiche. Rachel era stata l’eccezione, ma in generale non legava mai. Era la solitaria, rabbiosa Chloe Price.
Ora aveva Steph, Fernando, Kirsten e Kristine Prescott. Chissà, presto avrebbe ampliato la sua rete di amicizie.
Ma soprattutto, faticava a credere che, guardando la villa dei Prescott, quella ora fosse casa sua.
Si avviò verso il suo pick-up, con il cielo che ormai era sempre più scuro, fremendo dalla voglia di rivedere Max e aggiornarla sulle novità clamorose.
 
 
 
 
L’entusiasmo passò in secondo piano appena varcata la soglia di camera sua.
Max giaceva a letto, con la luce del comò accesa. Era pallida, con profonde occhiaie e respirava irregolarmente. Si avvicinò e vide che il blister delle pastiglie per l’emicrania, adagiato sul comò, contava due pastiglie in meno e il bicchiere d’acqua accanto era quasi terminato. Lo afferrò, andò al frigo bar dove stava una bottiglia d’acqua in fresco e lo riempì.
Mentre si avvicinava di nuovo al mobile per sistemare il bicchiere, Max aprì gli occhi
“Ti ho svegliata? Perdonami.”
Max scosse la testa
“No, figurati. Non stavo realmente dormendo. Stavo solo riposando gli occhi.”
“Hai preso altre pastiglie….”
Max annuì
“Non passa?”
Max, ancora una volta, scosse la testa a mò di diniego
“Cazzo. Dovrei portarti in ospedale…”
“No, Chloe. Non se ne parla, te l’ho detto. E’ solo un mal di testa.”
“Che dura da troppo tempo e ti sta massacrando, cazzo.”
“Lo so, ma cosa posso dire? Come posso giustificare questo continuo dolore? Non posso dire che ho riavvolto il tempo e questo potrebbe essere una conseguenza per aver represso il mio potere per troppi mesi.”
“Sperando che sia così.” borbottò Chloe “Mi auguro con tutto il cuore che sia così.”
Max le sorrise. Allungò la mano e la invitò a sedersi sul bordo del letto accanto a lei. Chloe obbedì.
“Anche se non fosse per quello, non potrebbe aiutarmi nessuno. In ogni caso, sta migliorando. Te lo giuro, non guardarmi con quella faccia.”
Chloe alzò le mani in segno di resa
“Se lo dici tu!”
“Te lo garantisco. Appena riuscirò a dormire, sono sicura che domani starò molto meglio. Non una parola con i miei genitori, ok? Continuiamo con la storiella dello stress e l’ansia.”
“Ma mica è una bugia! Il tuo potere c’entrerà qualcosa, ma credo che i tuoi nervi siano a pezzi e questo stia amplificando il tuo malessere. Diciamo che l’aver riutilizzato il tuo potere potrebbe solo aver dato la botta finale al tuo sistema nervoso in bilico.”
“Forse si. Diciamo che non mi sono molto annoiata in questo ultimo mese.” replicò con un sorrisetto Max
“Nemmeno io. Non me l’hai più data!”
“Chloe ti sembra il caso di..”
“La carenza di incontri sotto le lenzuola è un grosso problema per la sottoscritta. Soffro anch’io, solo che non lo nascondo bene. Vedi come ci tengo a te? Dovresti apprezzare.”
“Sei la solita idiota. Come sta Kristine? Mi sento così in colpa per non essere potuta venire.”
“Sta alla grande e non preoccuparti: la vedremo domani sera. Stasera doveva dire addio alla casa facendo festa con alcuni amici, perciò non mi sono trattenuta molto. Comunque, domani sera spero tu sarai in forze per cenare con lei.”
“Devo: arrivano anche i miei e dobbiamo andare a trovare tua madre in ospedale. Per domani devo alzarmi per forza da questo letto. Kristine demolirà la casa, stanotte? Credo non veda l’ora!”
Chloe si morse la lingua e fissò Max
“Ecco a questo punto…”
“Cosa? Non vorrai demolirla tu…”
“No: è nostra.”
“Come?”
“Villa Prescott…. È nostra. L’ho comprata..”
“COSA?!”
Max si mise a sedere e la fissò con occhi increduli
“Sei impazzita?”
“Per dieci dollari… era un affare..
“Non possiamo permettercela! Hai idea di quanto verrebbero a costarci le bollette? Inoltre andrebbe arredata! Cazzo ma…”
“La possiamo demolire….. oppure rivendere e con i soldi che ne otterremmo in cambio ci sistemeremmo per un bel po’, non trovi?”
Max sembrò tranquillizzarsi e annuì
“Inoltre, mi ha sistemato il pick-up. Gratis. O almeno, così dice lei e spero davvero che non abbia speso nulla per farlo.”
“Me lo auguro anche io…. Ci ha regalato una villa….”
“….e ci ha invitato a Parigi dopo a capodanno.”
“Davvero?? Ma è fantastico! Non vedo l’ora di andarci!”
“…e mi ha regalato il Two Whales…o meglio, è di mia madre ma è anche mio….”
Ora Max era di nuovo sconvolta
“Non posso crederci…. Ma perché?”
“I vecchi proprietari non lo volevano più, perciiò ha pensato che sarebbe stato carino che passasse in gestione all’unica persona rimasta ad Arcadia che lo conoscesse per bene e che avesse anche una notevole esperienza pregressa come lavoratrice in quel posto, quindi lo ha rilevato e poi lo cederà, quasi totalmente, a mia madre. Lei rimarrà socia in minoranza e io pure.”
Max provò a scuotere la testa ma una lieve fitta le interruppe il movimento. Riuscì comunque a trasmettere la sua incredulità
“Incredibile. Kristine ci ha svoltato la vita. Domani dovremmo pagare noi la cena.”
“Come minimo.”
Chloe prese la mano di Max e l’accarezzo amorevolmente
“Tu però non pensarci ora, ok? Penseremo con calma a tutto questo, quando saremo a Seattle e lontane da tutto e tutti. Magari anche dopo la nostra vacanza in California. Ci penseremo a tempo debito. Non caricare la tua testolina spaccata in questioni non più urgenti. Siamo belle, siamo innamorate e siamo probabilmente ricche. Quindi, ora, rilassati e dormi. Chiaro?”
Max annuì
“Chloe?”
“Dimmi.”
“Credi davvero che sia finita? Che finalmente avremo una vita normale e nulla ci impedirà di vivere come due vecchie piratesse imbecilli?”
“Me lo auguro davvero tanto, Max. Tu no?”
Max la fissò negli occhi e Chloe ne lesse una grande tristezza
“Vorrei davvero tanto, Chloe. Dico davvero. Lo vorrei con tutta me stessa ma ho paura che la mia vita non sia ancora destinata a essere pacifica. Ho un brutto presentimento.”
Chloe l’abbracciò e tentò di consolarla
“Sei solo spaventata, ok? Il tuo potere ti ha danneggiata come mai aveva fatto, ferendoti e lasciandoti scossa. Aggiungiamo che arrivavamo da mesi di terapia e ci siamo catapultate qui, affrontando noi stesse e, di nuovo, un cazzo di maniaco manipolatore. Sei solo stressata e insicura ed è normale, cazzo. Andrà tutto bene. Sono qui e se qualcosa andrà storto, sarò sempre e comunque qui. Chiaro?”
Max annuì, ma non riuscì a scacciare quel presentimento.
Non ebbe il coraggio di dire a Chloe cosa popolava la sua mente, da quando aveva riutilizzato il suo potere.
Lo avrebbe fatto, prima o poi. Non ora, però.
 

 
 
 
 
 
7
 
Nel pomeriggio, un leggero temporale aveva colpito Arcadia Bay e ora il cielo era puntellato di nubi simili a batuffoli di lana gettati alla rinfusa su una tela blu. Non vi era afa, ma una dolcissima e rinfrescante brezza, che permetteva di poter passeggiare in tutta tranquillità, senza rimanere scottati o accaldati.
Max e Chloe stavano nella casa di quest’ultima, intente a smontare tutto dalla cameretta che era divenuta loro centro operativo durante i giorni di ricerca del cadavere di Nathan. Si erano entrambe rese conto che non conveniva lasciare troppe cose in giro per casa, una volta che Joyce fosse tornata (o anche semplicemente, che David fosse solo passato per controllare che fosse tutto in ordine).
Già, Joyce.
Quella mattina, la madre di Chloe era più energica e radiosa di quanto non fosse mai stata. In parte era anche merito dei medici ma, sosteneva Chloe, anche per la visita di Vanessa e Ryan Caulfield. La notizia che presto sarebbe diventata anche la proprietaria del suo vecchio posto di lavoro, per poco, non le costò un infarto. Era incredula e divertita all’idea e disse che le sarebbe piaciuto incontrare Kristine Prescott per ringraziarla di persona, non appena sarebbe stato possibile. Si chiese anche, con molta enfasi, quanto tempo avrebbe dovuto aspettare prima di poter entrare al Two Whales in veste di titolare. Ovviamente, sottolineò che avrebbe comunque continuato a lavorare ogni tanto: non le piaceva la noia. I coniugi Caulfield erano divertiti e colpiti da quella ventata di energia che spesero un quarto d’ora buono a ricordare a Joyce che era ancora in ospedale e in osservazione costante e forse doveva frenare un poco l’entusiasmo. I genitori di Max erano venuti da Seattle già di prima mattina, avendo viaggiato di notte, per stare il più tempo possibile con le ragazze e in ospedale per salutare la loro vecchia amica. Volevano anche aiutare le ragazze con i bagagli, ma quello riuscirono a ottenere di poterlo fare da sole e che sarebbero rientrate l’indomani sera, con tutta tranquillità. Accettarono di buon grado di poter pranzare tutti insieme, con David invitato al momento, in un ristorantino carino poco fuori Tillamook, in mezzo al verde. Tutti, ovviamente, si accorsero dello stato di Max: pallida, emaciata, con pesanti occhiaie violacee. La ragazza riuscì a persuadere tutti che fosse solo una conseguenza della pessima nottata passata. Disse che il carico emotivo era stato eccessivo e che non aveva riposato a dovere. Chloe le resse il gioco, ma non si sentì a suo agio a mentire ai genitori di Max. Era preoccupata ma, al tempo stesso, voleva spalleggiare la sua ragazza. Non sapeva cosa fare, perciò si limitò a dare corda, in attesa di capire se convenisse avvertire i Caulfield di far visitare Max da un neurologo, non appena fossero rientrati a Seattle.
Decise che si sarebbe lasciata questo altro giorno e mezzo per valutare le condizioni di salute.
Nel pomeriggio, poco dopo pranzo, si separarono e le due andarono ad Arcadia, con l’intenzione di svuotare la camera di Chloe.
“Abbiamo quasi fatto.” disse Max, guardandosi attorno “La piantina la possiamo portare con noi.”
“David ha giurato che sarebbe venuto qui a darle da bere ogni due giorni.” rispose Chloe
“Non voglio dare questo compito a David. Questo mese, per lui, sarà impegnativo: deve prepararsi per entrare ufficialmente nel corpo di polizia di Arcadia Bay. Hai sentito cosa diceva a pranzo: il nuovo ospedale di Arcadia sarà operativo già da fine Agosto perciò, entro quella data, vogliono mettere in funzione anche la caserma dei pompieri e il nuovo distretto di polizia.”
Chloe sbuffò
“Si si, ho sentito. Solo che i tuoi non mi sembravano entusiasti di una piantina in più.”
“La metteremo in giardino, che fastidio può dargli?”
Chloe però si era rabbuiata e Max lo aveva notato
“Che ti prende?”
“Nulla. Pensavo solo che qui sarebbe meglio.”
Max si avvicinò alla sua ragazza, che reggeva la piantina e lo sguardo perso nel nulla
“C’è qualcosa che devi dirmi, non è vero?” chiese con tono affabile
Chloe annuì, mordendosi il labbro inferiore
“Avanti, spara. Smettila di pensare a me e dimmi cosa c’è che non va.”
Chloe la fissò con sguardo colpevole
“Mi ha chiesto di restare, Max. David vorrebbe che restassi qui o perlomeno che tornassi qui per Settembre, per aiutarlo con mamma. Lui me lo ha chiesto…”
“Poco prima che tornassimo a Seattle, qualche settimana fa. Si lo sospettavo.” concluse Max “ Avevo notato che eri pensierosa e non avevo bevuto la tua bugia, ma so che necessiti del tuo tempo prima di parlare. Sono felice che tu lo abbia fatto, ora.”
Chloe era sorpresa
“Felice? Max, hai capito? Mi hanno chiesto di tornare a vivere ad Arcadia, lo capisci? Tornare qui!”
“Si, l’ho capito.”
“Vorrebbe dire abbandonare Seattle!”
“Beh, è logico.”
“Come sarebbe a dire ‘è logico’ ? Che cazzo di risposta è?”
Max alzò le mani per tranquillizzarla
“La risposta di qualcuno che ti ama e che non oserebbe mai impedirti di fare quello che ritieni corretto per te e per la tua famiglia. Chloe, lo so che in fondo hai già deciso e sono con te, ok? E’ giusto cosi: devi tornare qui per Joyce. Non solo per aiutarla a riprendersi ma anche per gestire il Two Whales in sua assenza. Sappiamo entrambe che è la cosa migliore che tu possa fare.”
“Max io non posso….”
La ragazza non l’ascoltò. Le prese la piantina dalle mani e le sorrise. La adagiò vicino alla finestra e commentò
“Qui starà benissimo. Chiediamo a David di annaffiarla ogni tanto, almeno quando tornerai sarà ancora viva. Andiamo a fare due passi, ti va?”
Max la prese per mano e, con un cenno lieve del capo e un sorriso, la invitò a uscire di casa.
Si avviarono lungo Cedar Avenue, in direzione sud.
“So che pensi che sia una stronza, ma Max credimi io…”
“Non lo penso affatto.”
“….io vorrei anche recuperare il tempo che ho perduto con mia madre a causa mia. Sento che è una seconda occasione che il destino, anzi, che tu mi hai donato salvandomi la vita quel giorno. Posso recuperare tutto quel tempo che ho buttato per colpa della mia rabbia….”
“E’ meraviglioso Chloe e ne sono pienamente convinta anche io. Devi riprendere il tempo che hai perso con tua madre.”
“…..e migliorare il rapporto con David. Inoltre qui potrei tenere Pompidou con più tranquillità, finché Frank non verrà scarcerato….”
“Dobbiamo andare a recuperare Pompidou prima che Frank s’innervosisca, allora. Magari, per ora, teniamolo a Seattle con noi.”
“….. in ogni caso, ora ho una auto funzionante e decente: sono solo quattro ore da Seattle e potrei venire da te spesso, anche tre volte al mese. Non credo che sia un problema, finché non termini gli studi e non decidi cosa fare. Non credi? Ma dove stiamo andando?”
La direzione presa da Max era la stessa che conduceva alla vecchia villa dei Caulfield, quando risiedevano ad Arcadia. Chloe pensò che volesse vedere la sua vecchia dimora, com’era stata ristrutturata o semplicemente riguardare con nostalgia la sua prima casa. Invece si fermò di colpo, all’angolo tra due strade, indicando uno spiazzo verde di una villetta attualmente disabitata, come del resto lo era tutta la città.
“Ricordi?”
Chloe scosse la testa
“No. Non ricordo. Che devo ricordare?”
Max le prese una mano con dolcezza e sorrise
“Qui ci siamo incontrate la prima volta, sai? Io stavo scorrazzando per la strada, con i miei nonni appresso che erano venuti a trovarci. Avevo una spada di spugna e una benda sull’occhio quando tu sei sbucata dall’angolo con la tua piccola biciclettina rosa e tuo padre in gran carriera che tentava di fermarti. Ricordo il tuo viso stupito nel vedermi vestita così e la tua voce entusiasta che mi chiedeva…”
“Anche a te piacciono i pirati?!” concluse Chloe, ricordando tutto con nostalgia “Il primo giorno che ti vidi.”
“Esatto. Il nostro primo incontro. Unite dalla passione per i pirati, ti ho invitata a casa mia, poi tu invitasti me e da allora, per molti anni, non abbiamo fatto altro che vivere l’una a casa dell’altra. Ma quel giorno, in questo punto… questo è il momento che ho scelto. Il mio momento cariologico.”
“Il tuo cosa? Termine di fotografia?”
Max ridacchiò
“Ma no. Indica un momento specifico nel tempo, al di sopra di ogni altro. Bellissimo e unico. Tu che entri nella mia vita per sempre: questo è il mio momento cariologico, il mio istante supremo sopra ogni altro. Perche anche se divise, saremo sempre Max e Chloe. Da quel giorno è quasi sempre stato così.”
Chloe la strinse a sé
“Sei pazzesca, Max Caulfield. Io non ho un momento cariocoso, ma so che ogni momento con te è unico e ciò mi basta.”
Max prese il viso di Chloe tra le mani
“Quello che abbiamo passato è stato orribile, unico e spaventoso. La mia testa sta per esplodere e non so se sarò in grado di reggere a tutto questo. Qualcosa non va in me, Chloe. Si è rotto qualcosa, lo sento. Dentro di me, ora, albergano troppi mostri che non sono miei. Per qualche istante ho pensato di….di…”
Chloe non capì subito ma, vedendo gli occhi di Max inondarsi di lacrime, ebbe un atroce sospetto
“No! Col cazzo, Max. Non osare nemmeno pensarci. Tu non provare nemmeno a suicidarti, chiaro? Cosa diamine sarà di me se tu ti togli la vita? Sei pazza per caso?”
Max pianse per la colpa e la vergogna
“Lo so, non volevo farlo e non voglio farlo ma qualcosa in me, qualcosa che non so se sia mio ma sento che è così, lo voleva disperatamente. I miei sentimenti sono in frantumi come la mia mente dal giorno del processo. Sento che sto per impazzire, anche se il dolore sta diminuendo. Ho paura di non essere più sana. Sono diventata un corpo in balia di tempi e sentimenti alieni e comunque miei. Non ce la faccio più, Chloe.”
Chloe si mise in ginocchio, prese le mani di Max e le strinse con convinzione
“Ascoltami, ok? Cazzo, ascoltami! Sei solo spaventata, chiaro? Appena torniamo a Seattle andiamo di nuovo in terapia e vedrai che tutto si sistemerà. Datti tregua, Max! Sei un essere umano e hai affrontato troppe cose e tutte più grandi di te, in troppo poco tempo. Datti una cazzo di tregua, ok? Respira e promettimi che sarai più egoista e cercherai di star bene. Intesi?”
Max annuì
“Intesi. Ma tu devo tornare qui lo stesso. Ok?”
Chloe sbuffò e annuì
“Si. Tornerò. Ma ti prometto che non starò lontano da te. Noi continueremo a stare insieme e vedrai che andrà tutto bene. Ora ce ne torniamo a Seattle, poi ci facciamo quella vacanza del cazzo che abbiamo progettato e poi, solo poi, penseremo al mio ritorno ad Arcadia Bay, ok?”
Chloe si rimise in piedi e fissò il punto che Max aveva indicato prima
“Il mio momento fico? Quando abbiamo rovesciato il vino. Cazzo, quello si che è stato un momento di follia come pochi. Non potrò mai scordare quel giorno.”
Max ridacchiò
“Nemmeno la strigliata di tuo padre.”
“Oh, quella resta memorabile!”
“Sai Chloe, in realtà mi è tornata in mente una cosa.”
“Sentiamo.”
“Quando siamo tornate qui, il preside Wells mi aveva detto che, se fossi stata interessata, potevo riprendere i miei studi alla Blackwell. Anche tu sei stata reintegrata, se volessi concludere almeno il diploma.”
Chloe fissò Max stupita
“Davvero? Posso tornare in quell’istituto di merda? Cazzo, voglio il diploma ad honorem a prescindere, anche se dovessi fare un giorno di presenza e basta. Perché non me lo hai detto?”
“Non credevo ti importasse e non avevo intenzione di accettare. Poi è successo di tutto e mi è scivolato in un angolino della mente. Solo ora mi sono ricordata di quel giorno. Magari ti potrebbe interessare. Potresti parlare con Wells e vedere cosa si può fare, tenendo in considerazione che devi gestire un locale.”
Chloe ci pensò su un po’ ma poi concluse facendo le spallucce
“Mah, vedrò tra un mese cosa mi andrà di fare. Però tu invece…”
“Diciamo che ora potrei riconsiderare la mia posizone. Dopotutto, l’Accademia Blackwell varrà qualcosa in termini di curriculum scolastico, no? Inoltre, dovrò farti risparmiare benzina.”
Chloe sorrise raggiante e baciò con foga Max
“Stai davvero…..”
“Ti secca avermi come coinquilina? Posso pagare l’affitto aiutandoti al Two Whales…”
Chloe la zittì con un bacio
“Solo una cosa, Max: non radere più al suolo questa città.”



Epilogo
 
18 anni dopo
 
 
Il sole del tramonto filtrava come una lama arancione dalla finestra, illuminando lo studio di un tenue bagliore dorato.
L’ora d’oro.
La famigerata terminologia da fotografa la tormentava in continuazione, anche ora, in preda alla più totale disperazione.
Non badò alla bellezza, ai riflessi, alla quiete che quella luce poteva trasmettere. Esisteva solo il dolore.
“Cazzo, non so più cosa fare.” disse in lacrime “Non riesco a reagire. Sono passati diciotto anni da quel maledetto giorno e ancora ha gli incubi. Cristo, ho trentasei anni e ne dimostro almeno dieci in più, per quanto sono conciata. Vorrei solo star bene, ma non posso. Non è che non riesco io non posso. So che suona assurdo da dire ma è cosi. So cosa sto dicendo, anche se non è semplice da spiegare. Mi manca, cazzo. Mi manca terribilmente. La vedo sempre, nei miei pensieri, dissanguarsi lentamente in quel cazzo di bagno ed io che non posso fare più nulla per salvarla. Cazzo, vorrei poter star bene. Vorrei solo poter star bene un istante.”
Nonostante la vista offuscata dalle lacrime, guardò fuori dalla finestra. Seattle le appariva offuscata, piatta, inerte. Non le dava nessuna gioia. Niente, da troppo tempo, le dava gioia.
Questo era il suo quinto psicologo in meno di dieci anni ma, a differenza degli ultimi, sembrava che si trovasse meglio. Ormai erano quasi due anni che era in cura da lui e, benché non si sentisse meglio, aveva rari momenti di quiete, come una brezza fresca quando sei a corto di ossigeno. Forse perché era giovane, forse perché anche lui aveva le sue stesse origini, forse perché era solo bravo nel suo mestiere.
“Immagino che deve essere snervante, dopo tutte le sedute che abbiamo fatto, sentirmi ancora parlare così, come se tutto il suo lavoro si fosse vanificato in nulla. Perdonami, davvero. Sei bravo è solo che io… io…. Cazzo, non ce la faccio più.”
Sentì nuove lacrime bruciargli negli occhi e scendere sulle gote.
Era seduta su una comodissima poltrona in velluto marrone, con un bellissimo tappeto multicolore sotto i suoi piedi, un tavolino in vetro molto elegante al centro con adagiata una scatola di Kleenex (di cui si apprestò a prenderne un paio) e il suo psicologo, seduto di fronte a lei, in una poltrona in finta pelle nera. Dietro di lui, una scrivania in legno molto semplice e una libreria ben rifornita. Completava quel piccolo studio, un piccolo attaccapanni accanto all’ingresso, posto alla sua destra.
“Se vuole me ne vado e ci vediamo…”
“No. Rimani pure seduta. Continua. Sfogati. Siamo qui per questo.”rispose lui, sorridendole con calore.
“Sfogarmi… ti sto solo annoiando. Ripeto sempre la stessa solfa: mi sento in colpa, so che non posso cambiare le cose e che non potevo allora, che mi manca, che l’amavo con tutta me stessa e lei è morta senza sapere nulla di tutto questo. Senza nemmeno sapere che ero tornata e a pochi passi da lei.”
In realtà avrebbe potuto cambiare tutto, ma non poteva confessarlo. In realtà lo aveva già cambiato, ma aveva scelto lei di rimettere in ordine le cose. Non poteva dirlo e, anche se lo avesse fatto, come avrebbe mai potuto credergli? L’avrebbe presa per pazza definitivamente, altro che depressione.
“Per questo stai pensando al suicidio?” chiese lui, cogliendola di sorpresa.
Sbalordita, lo fissò con occhi vitrei
“Come?”
Lui le sorrise con pazienza e complicità
“Tra tre giorni a partire da oggi, giusto? Farai un mix con i tranquillanti e sonniferi che hai in casa, ingoiando tutto, poi ti addormenterai e cesserai di vivere. Almeno, così lo stai progettando. Alla fine di questa seduta, mi chiederai di vedermi di nuovo, un incontro extra, tra tre giorni, al mattino. Ti presenterai serena e dichiarerai che è tutto merito della tua mostra, inaugurata oggi, che sta andando a gonfie vele. A proposito, sono passato velocemente e i tuoi lavori sono splendidi come sempre. Poi andrai a casa, prenderai il tuo mixi di farmaci e ti distenderai sul divano in attesa di spirare in uno stato di incoscienza, lasciando una lettera di scuse e spiegazioni che stai cercando di scrivere già da qualche tempo, ma che solo domani avrai il coraggio di stilare dal tuo portatile.”
Era sconvolta. Gli aveva letto dentro perfettamente. Come aveva fatto a scoprire tutte le sue intenzioni? Non era ancora convinta di suicidarsi, ma era così che ci stava pensando….
“La cosa che non mi torna….” proseguì lui “è la data. Perché proprio fra tre giorni? Insomma non è Marzo, quindi non è il suo compleanno. Non siamo nemmeno a Settembre, quindi nemmeno per il tuo compleanno. Siamo a Maggio ma mi sfugge il motivo per cui dovresti scegliere esattamente quella data. Ma forse, è solo figlia della tua esasperazione e tristezza. A volte ci sforziamo di cercare un significato laddove non ce ne sono, vero? La fredda logica vince quasi sempre sul sentimentalismo.”
Si sentiva nuda. Spogliata di ogni dubbio, di ogni possibilità di spiegare
“Io…. Io non so…. Ma come…”
“Non occorre negare. So che andrà così perché è già successo. Mi sono preso la libertà di tornare per rimediare. No, non si dovrebbe creare alcun problema a riguardo. E’ solo una sovrascrittura, molto più semplice spiegarla così che scendere nei dettagli. Tu ne sai qualcosa, dopotutto.” disse lui, facendole un occhiolino.
Poi, il suo psicologo si alzò in piedi. La sua polo bianca rifletteva brillantemente il raggio dorato del tramonto. Si diresse verso una tracolla nera adagiata accanto alla scrivania. Pensò che anche lei, da giovane, aveva avuto una tracolla molto simile durante i suoi anni accademici.
Lo psicologo estrasse qualcosa e lo portò alla sua attenzione, adagiandolo sul tavolino in vetro. Tamburellò con l’indice per invitarla a osservare. Era un semplice scontrino di una caffetteria.
“Non capisco.”
“Guarda attentamente.”
Si sforzò di leggere qualcosa ma era troppo confusa e frastornata
“Il caffè lo fanno pagare troppo a Portland.” disse lei
Lui scoppiò a ridere.
“Sì, ma non ti colpisce che stamattina fossi a Portland?”
“Non vedo perché dovrebbe. Non è lontana da qui.”
“Poco fa ti ho detto che ho presenziato alla tua mostra. Ho ancora il biglietto nel portafogli con la data di oggi. Difficile che fossi a Portland stamattina.”
“Non capisco.”
“Guarda la data.”
Si concentrò per leggere la data dello scontrino. Era stato battuto di mattina ma…..
“Curioso che sia di Luglio e, per giunta, di diciassette anni fa.” disse lui, notando che non faceva nessuna espressione sorpresa
“Problema al sistema, magari.” concluse lei, con sicurezza
“Oh, no. Nessun problema. Anche perché, se tu andassi a Portland ora, quel bar non lo troveresti. E’ fallito circa una decina di anni fa. Dopodiché, è diventato un negozio di animali per tre anni e infine un negozio di bigiotteria che è fallito a sua volta tre anni fa. Attualmente, il locale è in disuso e deserto.”
Si sforzò di capire in che direzione stava andando quella conversazione
“Quindi questo scontrino è falso?”
“Assolutamente no. Perché mai dovrei impegnarmi tanto per far creare uno scontrino fasullo di un locale che è fallito dove avrei consumato ipoteticamente una colazione scarna? Per giunta di Portland? No, è autentico.”
Detto ciò, estrasse dalla tasca un tovagliolo di carta malconcio e lo adagiò sul tavolo: vi era impresso in blu il marchio del bar, identico allo scontrino. Ora era più confusa e, al tempo stesso, sospettosa
“Inoltre, mi farei fare anche un tovagliolo di carta di pessima qualità per giocarti un brutto tiro? No, assolutamente no. Voglio solo darti prove a sostegno di quello che ti sto dicendo: sul perché so che ti suiciderai e sul perché possiamo impedirlo.”
Ora sentì un’ansia crescente dentro il suo petto. Cosa stava dicendo? Non poteva essere che lui…
“Era là. Viva. Con te. Si eravate entrambe li, al Solomon, il vecchio tribunale in disuso. Perciò, la risposta alla tua domanda è: si, è possibile. Tutti i tuoi dubbi e le tue ansie sono concrete e possiamo rimediare.”
Si ritrasse sulla sedia, mentre un brivido percorse la sua schiena. Non voleva crederci. Non poteva crederci..
“Chi sei tu?” chiese a quello che credeva il suo psicologo
“Nessuno che non sia il tuo psicologo, amico e confidente preferito degli ultimi due anni. Non sono diverso. Sono sempre io. Forse sono più simile a te di quanto tu possa pensare. Condividiamo un segreto pensate, tu ed io.  Ciò che posso fare io non è tanto dissimile dal tuo. Anzi, lo è, ma posso vedere ciò che tu puoi alterare e viceversa. Penso che, se coordinati correttamente, potrebbero funzionare come un unico grande strumento per sistemare le cose e permetterti di stare bene definitivamente. Possiamo farcela. Ho controllato io stesso stamane e so che è possibile. Esiste una scappatoia per te!”
Ora era emozionata e spaventata. Sentì le gambe tremare e farsi molli, mentre le sue mani affondavano nei braccioli in velluto della poltrona.
Lui si alzò in piedi e si mise in ginocchio davanti a lei, prendendole delicatamente le mani e sorridendole come incoraggiamento. Parlò con voce calma e serena, quasi paterna
“Può funzionare davvero. Ma prima devi farmi un favore: spiegami esattamente come funziona il tuo potere, Max.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ringraziamenti
 
Non sono mai stato un fan delle ‘fanfiction’, anzi è un genere che ho sempre evitato e non ho mai letto nulla a riguardo. Sono abitato a scrivere racconti originali da sempre e, perciò, si può dire che questa sia stata una vera e propria sfida, oltre che la mia prima fan fiction in assoluto. Inoltre, è il primo racconto che pubblico interamente online poiché, di solito, non tendo a rilasciare mai nulla se non a pochi intimi.
Diciamo che ho sperimentato (e parecchio ) prendendo una ambientazione e dei personaggi ben caratterizzati e strutturati e proiettarli in un racconto originale, cercando di non dislocarmi troppo dallo spirito e dai sentimenti che muovono il mondo di Life is Strange. Non so se ho saputo rendere giustizia a Max e Chloe perché, nella loro complessità, sono tra le due creature videoludiche che io abbia mai incontrato (ben fatto, Dontnod). Mi sono avvicinato al mondo di Life is Strange a Dicembre 2020 e ammetto che mi è entrato dentro subito, sconvolgendomi e sorprendendomi come pochi giochi hanno saputo fare e, attualmente, in una personale lista potrei mettere il primo gioco comodamente in seconda o terza posizione. Cercando gente con cui potessi parlare, sono entrato in contatto con la community di LiS dove ho consociuto parecchia gente che ha spunti davvero interessanti e ama davvero questo gioco. Quindi, il primo ringraziamento (o colpa) va necessariamente affibiato al gruppo Facebook Life is Strange (e dintorni) per essere stati i responsabili di questo esperimento di 360 pagine che vi siete letti. A questa community va perciò il primo ringraziamento e per voi che avete letto, vi invito a leggere le fan fiction prodotte da altri membri di quel gruppo, tra cui Life is Strange: Untold  e Life is Strange: Never Go Back. Le troverete sia su EpicFanfic che Wattpad.
Il secondo ringraziamento va a tutti coloro che hanno letto fino alla fine questo racconto, a chi ha lasciato recensioni di ogni tipo e chi anche non lo ha fatto. Tengo a precisare che questo che avete appena letto, per me, è completo all’80%. Sento che questo racconto può essere migliorato e ci sono punti che vorrei approfondire meglio, descrizioni che vorrei rivedere, dialoghi da scrivere oltre a un discreto numero di correzioni dovute alla fretta e alla battitura rapida e a un disattento e poco curato controllo prima di pubblicare. Mi scuso e prometto che correggerò con calma ogni errore di battitura o grammaticale.
Nel frattempo, beccatevi il ringraziamento, voi lettori. Aggiungo anche che, se ne aveste voglia, mi farebbe piacere sapere quale punto, di queste trecento e passa pagine, vi è piaciuto di più o vi è rimasto impresso.
Concludo dicendo che, di solito, quando scrivo racconti miei tendo ad affibbiare un brano che fa da colonna sonora al racconto. Se penso a una canzone, penso a quel racconto o come potrebbe sposarsi bene, come una specie di trailer cinematografico.
Per questa fanfic, ho scelto Elastic Heart  di Sia.
E con questo, concludo definitivamente Life is Strange: Kairos.
 Se è la fine definitiva, basta che rileggiate l’epilogo e mi seguiate nelle prossime settimane.
Grazie a tutti.
 
[1] I tribunali esistono davvero e anche la loro storia citata è vera: il Solomon è stato davvero ‘pensionato’ a favore del nuovo e più moderno Hatfield nel 1997.
[2] Sono curioso di vedere chi saprà cogliere questa citazione

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