Se avessi un'altra vita

di marshi123
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incubi del presente ***
Capitolo 2: *** Di nuovo in gabbia ***
Capitolo 3: *** Maledetta tisana ***
Capitolo 4: *** Esplosione (Parte 1) ***



Capitolo 1
*** Incubi del presente ***


CAPITOLO 1
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Incubi del presente



 

INTRODUZIONE DA PARTEDELL'AUTRICE:
Ciao, spero tu abbia un momentino per leggere questa introduzione leggera: non rubo molto tempo, promesso!
Credetemi, è stata un'emozione l'altro giorno vedendo che la quarta stagione di Attack on Titan ha riportato in vita di nuovo il fandom! 
Non posso crederci che dopo tutti questi anni la storia avrà una conclusione!
Non vedo l'ora di seguire il resto della stagione e di vedere alcune parti, che già ho letto nel manga un anno fa, venire animate!
La storia a mia opinione, prendendo questa direzione totalmente inaspettata, sta divenendo davvero un'opera d'arte.
Tra disegni, originalità del mangaka e la storia ho perennemente gli occhi a stella!
Sono sempre dell'opinione che in sè Attack on Titan sia un trauma perenne!
Per chi fosse arrivato da poco in questo "mondo" vi auguro una buona visione :)
Pronti per la lettura!
Buona immersione! :)

Marsha 
 





Nel bel mezzo delle tenebre un uomo sussulta e si agita nel sonno. 
 

Vede sangue, creature giganti e morte nei suoi incubi notturni, non capendone la provenienza. Tutto ciò lo portava a dormire non più di 3-4 ore al giorno, assillato da quelli che sembravano dei fantasmi di una vita mai esistita. Gli incubi che faceva erano così surreali, talmente tanto da sembrare la vita di tutti i giorni.   
 

Scioccato dopo l’ennesimo incubo, si passò la mano sinistra nei capelli corvini. Sbarazzini e corti com’erano slanciavano il viso dell’uomo, che nonostante avesse quasi quarant’anni sembrava dimostrarne la metà. Decise di andare a bere un sorso d’acqua, ormai gli incubi lo tormentavano da più di tre mesi.  
 

Il capitano Levi, ecco come lo chiamavano gli uomini e le donne che incontrava in un’uniforme strana all’interno dei sogni. In particolare erano numerosi i sogni in cui appariva un ragazzo dagli occhi verdi smeraldo. Levi non avrebbe mai potuto sapere che quei sogni in realtà erano i suoi ricordi della sua vita, che non avrebbe dovuto nemmeno ricordare.  
 

Quelle terre maledette dai giganti e da Ymir dimenticarono e cancellarono ogni singola traccia inerente al passato, grazie al potere del titano fondatore. I giganti, dunque, erano solo un brutto ricordo per il pianeta e agli eldiani fu nuovamente cancellata la memoria in seguito alle tragedie successe in quei ultimi mesi. Non vi era più possibilità di trasformarsi in giganti e gli eldiani smisero di essere discriminati. Persino Eren dimenticò tutto insieme a Mikasa ed Armin.  


Nel mondo per ora regnava la pace, ma a quanto pare i ricordi di Levi non erano stati corrotti alla perfezione ed ora il povero uomo doveva subirne le tracce in sogno. Prese il suo taccuino, dove annotava ogni volta i dettagli dei suoi sogni, sperando di riuscire a capirne di più.  


“Di questo passo mi manderanno in un manicomio” pensò mentre annotava sulla carta l’ultimo incubo avvenuto.  


Il fruscio che emetteva la sua penna a contatto con la carta era l’unico rumore che vi si poteva udire in quella stanza. Stanco ormai dal dormire male, l’unica cosa che lo confortava era scrivere. Quei sogni erano ricchi di emozioni e dolore, non poteva più sopportarli. Lo accompagnava una tazza di tè nero bella calda, per rilassarsi e calmarsi.  


Mentre scriveva alcune scene a volte sudava, altre volte gli scendeva qualche lacrima. Come possono dei semplici sogni influenzare così tanto la realtà? Sono solo scenari inventati dal proprio cervello. Forse era troppo stressato. Dopotutto, non è che avesse avuto una vita facile. Quanto gli mancava sua madre. Sempre dolce nei suoi confronti, nonostante il lavoro che faceva per debiti e incosciente di chi fosse davvero il padre del suo bambino.  


Bevette un altro sorso di tè, gustandone tutto l’aroma. Gli venne in mente un ricordo molto forte del suo ultimo sogno. Rimase immobile per un attimo, incantato dalla luce debole di una candela sopra la sua scrivania. Sbuffò e si strofinò i capelli esasperato. 


“c’erano... un sacco di cose che avrei voluto dire a quell’idiota, ma... dannazione.” 


Se solo avesse avuto un’altra vita per ricominciare da zero, cercarlo e dirgli tutto. Ma la vita è crudele, anzi no: questo mondo è crudele. È sempre stato così, fin dall’inizio e non è mai cambiato.  


Strinse troppo forte la penna e la ruppe.  

Perché?  


Perché così tante emozioni gli scorrevano addosso senza motivo?  

Rimorso,  

dolore,  

calore.  


Questo era ciò che sentiva sulla sua pelle, nel suo cuore e il ricordo di quegli occhi sicuramente non lo aiutava. Anzi, peggiorava le cose: quegli occhi grandi e verdi non gli uscivano dalla testa. Trascrisse tutto, ogni singola emozione che venne fuori. Sentiva il desiderio di toccare ancora quelle mani, mani dalla pelle delicata. Come se fossero rimaste sempre intatte da qualsiasi graffio o ferita.  


Erano calde, se lo ricordava bene, e quel profumo che emanavano i suoi capelli. Ricordi di nessuno, svaniti nel nulla, ma che stranamente tornarono in mente agli occhi di Levi come un déjà-vu. Incredulo a ciò che gli stava accadendo, rimaneva con gli occhi su quel foglio troppo pieno di sciocchezze, ma lo tenne comunque conservato insieme agli altri.  


Il sole ormai stava sorgendo e la giornata in un modo o nell’altro doveva iniziare, decise dunque di farsi un bagno e di vestirsi. Chissà perché gli veniva in mente sempre quel volto, il volto di un ragazzino ma con una voglia di vivere disumana. Infilò un braccio nella sua camicia nera e poi infilò anche l’altro. Si pose di fronte allo specchio e incominciò ad allacciarsi i bottoni uno ad uno. 


Adorava quella camicia, la indossava solo in occasioni speciali ed esigeva che fosse perfetta senza nemmeno una piega, soprattutto pulita. Finito di abbottonarla si sistemò il colletto, ma mentre lo sistemava vide un capello castano incastrato tra i tessuti, come se fosse stato messo lì apposta da qualcuno pur di non farlo andare via. La sua camicia preferita... Era stata usata da qualcun’altro?  


Prese il capello e lo osservò. Castano com’era non gli veniva in mente nessuno che conoscesse di persona, quel modo di incastrare un capello con tale precisione poi era proprio strano. Un sesto senso gli disse di non buttarlo, anche se la tentazione era forte. I capelli gli facevano schifo dopotutto, soprattutto se erano di qualcun’altro. Poteva essere qualcuno che lo pedinasse o peggio, avrebbe fatto meglio a farlo analizzare da qualcuno del mestiere, così lo tenne da parte insieme al foglio.  


Finì di vestirsi, perché il tempo scorre in fretta e ormai era ora di aprire il negozio alla clientela. Questo giovane uomo aveva una passione profonda per tè e infusi: voleva dimostrare alla gente di quella città quanto una tazza di buon tè potesse allietare l’animo. Non era il personaggio adatto per essere un commesso, era un po’ distaccato, a meno che non gli si chiedesse dei consigli sul prodotto da comprare.  


Non era distante dalla sua dimora il negozietto, poco più di una decina di minuti a piedi. Quella mattina c’era un bel sole, ma comunque c’era freddo: ottima combinazione per avere clientela. Prese le chiavi e aprì la porta in legno, decorata con una semplice vetrata. Donava molta luce, essendo un piccolo locale. Aveva già deciso, non appena avrebbe avuto abbastanza risparmi si sarebbe spostato in un posticino un po’ più spazioso.  


Il suono tintinnante dei campanellini e il tipico odore di erbe, tè e legno era come una coccola, un “ben tornato” caldo e avvolgente. Accese subito il riscaldamento, altrimenti i clienti avrebbero avuto freddo. Mancavano circa una ventina di minuti all’apertura, ce l’avrebbe fatta brevissimamente in tempo ad esporre i vari barattoli di infusi in vetrina. Molte persone preferivano comprare erbe benefiche al proprio corpo. Qualche esempio era camomilla, semi di finocchio, anice, liquirizia: di questi doveva averne sempre a scorte numerose in magazzino.  


Lui però preferiva di gran lunga vendere il tè nero, il suo preferito era quello alla vaniglia: da caldo emana profumi dolci e avvolgenti, come un abbraccio da una persona cara. In quel periodo dell’anno era l’ideale per riscaldarsi e Levi lo consigliava sempre. Nonostante la cioccolata calda non era prevista nel suo menu iniziale, la clientela ne fece molta richiesta, per andargli incontro dunque Levi iniziò a prendere delle fave di cacao. Le lavorava con cura, per poi macinare il tutto finemente e fare dei barattolini regalo.  


La gente li adorava e il fatturato superava di gran lunga la spesa e le ore di lavoro. Era soddisfatto, ma mai quando era ora di pulire: il suo negozio doveva essere immacolato e scintillante. Se avesse notato un po’ di polvere sarebbe andato in escandescenza, non importava se vi erano i clienti o meno, pensava. Dopotutto era l’unico impiegato al negozio, o almeno fino a qualche settimana prima.  


Decise di assumere un dipendente per via del troppo lavoro e del poco riposo alla notte. Fu così che Jean Kirstein iniziò a lavorare in negozio. Principalmente si occupa dell’organizzazione e pulizia del magazzino per ora, è alle prime armi. Levi però crede in lui, ha del carisma il ragazzo ventenne e ha notato che attira un certo fascino nelle ragazze. È bravo a parlare con la clientela e da qualche giorno dunque Levi decise di metterlo al bancone di vendita.  


“Jean, sbrigati o faremo tardi: passami l’infuso ai frutti di bosco.”  


“sì, signore. Ecco qua, ma credo che non sia sufficiente ad andare a domani comunque.” 


Era molto bravo quando si parlava di acquisti e spese, avrebbe potuto tranquillamente studiare per diventare un contabile. L’unica pecca che possedeva era di essere sbruffone in varie occasioni mostrando, ridendo, una faccia da cavallo che Levi avrebbe voluto prendere volentieri a calci.  


“Non preoccuparti piccolo Pony, ne ho già ordinata un’altra cassa. Se tutto andrà secondo i miei piani arriverà domani, in caso estremo dopodomani. Vi sono, inoltre, alcuni articoli che non sono stati ancora venduti e che vanno consumati presto, data la loro scadenza. Cerca di venderli se vuoi guadagnarti il pane stasera. Anice, liquirizia e finocchio: intesi?” 


 Jean sbuffò e con una smorfia amara in volto semplicemente annuì, obbedendo. Non gli piaceva tanto essere comandato a bacchetta da un nano, avrebbe dovuto essere altrove in quel momento e sicuramente non in quello squallido negozio. Non capiva come mai quel posto con mobili in legno scuro piacesse così tanto ai passanti. Va bene, era decorato qua e là con delle rose rosse, ma non era affatto un negozietto di lusso.  


L’unica cosa che piaceva anche a Jean era l’idea di avere l’entrata completamente in vetro, facendo trapassare la luce del sole e riempiendo il locale di illuminazione. Ciò voleva dire tanto risparmio, a Jean piaceva il risparmio. Erano le 08.00: il negozio era ufficialmente aperto alla clientela e inaspettatamente entrò subito una bella ragazza. Anche lei, come Jean, aveva vent’anni circa. 


Bruna, ma dai capelli corti da arrivargli massimo al lobo dell’orecchio. Erano lucidi e ben curati, così come la pelle candida delle sue braccia o delle sue spalle...o di quel collo così fine e pur-  


“Bell’addormentato?! la signorina ha bisogno: dagli un cenno di vita!” 


 “S-sì, buongiorno! Benvenuta al Kucher’s tea shop! Come posso esserle utile?”  


In piedi da dietro il bancone, le indicò le varie erbe:  


“questi sono i nostri prodotti”. 


La donna sorrise al ragazzo e spiegò un pezzetto di carta, su cui aveva scritto la sua lista d’acquisti. Si avvicinò al bancone con molta grazia. Indossava un bel vestito lungo, ma comodo e leggero dal color pesco. Le spalle erano coperte da un pellicciotto folto sui toni arancioni. Un anello all’anulare, dannazione. Gli parve di vedere un miraggio invece che una semplice donna dai tratti asiatici, probabilmente era coreana o giapponese, suppose.   


“Ho sentito che la vostra miscela di cacao per cioccolata calda è deliziosa e vorrei provarne due porzioni” 


 Jean annuì e senza staccarle gli occhi da dosso le preparò un vasetto da duecento grammi circa di miscela.  


“Le consiglio, se vuole scaldare molto la serata, di aggiungervi del peperoncino in polvere. Ne basta poco, glielo aggiungo a parte... ovviamente in omaggio.”   


La guardò con occhi dolci, ma nessun segnale di risposta dalla donna. Sai quanto gli importasse che fosse sposata o promessa? Zero. Era troppo... troppo... affascinante. Quelle labbra rosacee, quegli occhi neri e profondi e quelle mani, mhh. Sua, sì. La voleva con tutto sé stesso.  


“Desidera... altro?” 


 “Sì, per favore. Il mio compagno ultimamente è un po’ agitato in sonno e avrei intenzione di prendere qualcosa che potesse aiutarlo” 


 Jean sbottò una risatina: 


“Mia signorina, spesso è naturale essere agitati in sonno se si mangia come degli anima--GH!!!” 


 “JEAN! Per favore, va un attimo a scaricare quel bancale di infuso che mi dicevi prima” 


La ragazza, da dietro il bancone non poteva assistere e comprendere il dolore del povero Jean a cui fu pestato il piede in modo così forte da ammaccare la suola della scarpa. Non si rovinano gli affari di Levi: aveva troppi debiti da pagare, di certo non avrebbe nemmeno permesso ad un ragazzino di fare i propri comodi e a suo piacimento.  


“penso io alla signorina Ackerman, non preoccuparti” 


 “GHH, Sì signore!!”  


Levi mollò la presa e diede un’occhiataccia al ragazzo, facilmente traducibile in -datti una mossa, prima che tu scuoiola cute- o cose simili.  


“Signorina, è un piacere rivederla. Per quanto riguarda la sua richiesta potrei darle della semplice camomilla, ma la camomilla se presa in quantità eccessive, o troppo frequentemente, potrebbe portare all’effetto contrario. Le consiglio, invece, un delicato infuso ai semi di finocchio, più pratico in quanto è multiuso. Per esempio, può usarlo in caso di insonnia, oppure per aiutare la digestione di un pasto, una coccola serale che non necessita nemmeno di aggiunta del miele. È già dolce di suo, vuole provarlo?” 


La signorina Ackerman annuì e attese che l’infuso le fu preparato. Nel frattempo osservava l’uomo, nonostante fosse un uomo dal bell’aspetto non la convinceva affatto. Aveva sempre delle occhiaie molto pesanti sotto agli occhi, come se non dormisse affatto. Altra caratteristica dell’uomo è che non era una persona molto confidente, tranne sul posto di lavoro ovviamente per poter vendere. Ma gira voce che frequenti sin da giovane della gente poco raccomandabile. Gli abitanti del posto non ne fanno molto parola, perché hanno paura. Come biasimarli, chi a questo mondo ha voglia di morire?  


“prego, assaggi.”  


“grazie.”  


Le piacque e decise di comprarlo.  


“Voi, signor Levi, siete molto bravo nel dialogo e a contrattare. Vi auguro tanto successo per la vostra attività, credetemi.”  


In quell’esatto momento i campanellini al di sopra della porta tintinnarono, attirando l’attenzione di Levi. Entrò un uomo, alto all’incirca un metro e ottanta, indossava un cappottone caldo di color nero, una camicetta bianca e dei pantaloni neri attillati di cotone. Il tacchettio pesante delle scarpe gli fece capire che indossasse degli stivali, dopotutto aveva il bancone davanti e non gli permetteva di vederli.  


Andò incontro alla ragazza e la luce gli illuminò il viso, circondato da qualche ciuffetto di capelli ribelli scappati dal suo codino. Capelli lunghi... e marroni... un volto fine e labbra carnose, il naso non era molto lungo. Levi, lo osservò per bene da cima a fondo. Era così familiare, gli sembrava di aver già visto quell’uomo da qualche parte.  


“Mikasa, eccoti. Mi hai spaventato: non ti trovavo da nessuna parte” 


“Scusami, Eren, ho pensato di comprarti qualcosa che ti aiutasse a dormire la notte. Il signor Levi Ackerman mi ha consigliato questo infuso” 


La donna indicò verso Levi, mentre dal retro del negozio Jean digrignava i denti dalla gelosia. Il ragazzo si voltò, aveva circa una ventina d’anni. Agli occhi di Levi era un ragazzino, insomma. Fu un movimento fluido e veloce, ma che sembrò durare in eterno. Occhi verdi, verdi, verdi, grandi ma pieni di rabbia e rancore, come se avesse visto la disgrazia del mondo per tutta la sua vita. 





 

Bene, siamo arrivati alla fine del primo capitolo!
Per favore, ditemi cosa ne pensate! Ci tengo molto :) 
Non avevo ispirazione per una fanfiction ormai da quattro anni, non potete immaginare che gioia vedere e sentire l'ispirazione ricaricarsi in me
come una pila Duracell!!!
Se anche voi avete avuto un blocco ispirativo, che sia stato di scrittura o di disegno (ecc...) credo proprio che sappiate come ci si sente :)
Avere una recensione aiuterebbe tanto quest'ispirazione spicciola ad andare avanti :)
Ogni settimana pubblicherò un capitolo nuovo, quindi segnate Mercoledì 20/01/2021 sul calendario se la storia vi intriga!

Marsha

 

 

PREVIEW CAPITOLO 2
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Di nuovo in gabbia

 

Eren fu preso per il colletto della camicia e sbattuto contro il muro.  

Un uomo di statura bassa, ma con gli occhi pieni di rabbia lo stava aggredendo.  

Con la velocità di un grilletto di pistola arrivò un pugno da destra in viso,  

facendogli saltare un dente.  

Déjà-vu.  

“Mossa sbagliata signor Jaeger.”  

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Capitolo 2
*** Di nuovo in gabbia ***


CAPITOLO 2
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Di nuovo in gabbia


 

INTRODUZIONE DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti,
grazie mille per quelli che hanno già letto il primo capitolo, spero che li secondo vi piaccia.
Non ho molto da aggiungere, vi lascio alla lettura!
Marsha

 

Come è potuto accadere? Era bastato un semplice fazzoletto imbevuto di cloroformio per impedire rimedio alla situazione in cui si dovettero imbattere Mikasa ed Eren. La giornata stava passando tranquillamente, la coppia dovette andare dal medico per fare un controllo al pancione di Mikasa, ormai incinta da tre mesi. All’interno di quello studio medico ad Eren venne in mente suo padre, avrebbe voluto che fosse lì con loro in quel momento. Fa male il ricordo del suo suicidio. Dopo che sua madre fu assassinata da Dyna, la ex moglie del padre, non accettò la perdita e si fece divorare vivo in un recinto di porci. 


Macabra fu la sua infanzia, povero Eren. Rimase solo qualche ricordo sparso qua e là, a causa dei traumi infantili non ricordava in modo preciso gli avvenimenti che accaddero. Evidentemente la mente ha preferito eliminare definitivamente alcune informazioni per preservare la sua sanità psicologica. Molti erano gli utensili presenti in quella stanza che utilizzava il padre per guarire i malati, ognuno di essi portava in qualche modo a sentirlo più vicino. Mikasa emozionata allungò la sua mano per richiamare l’attenzione stringendola saldamente alla sua. Avere un figlio era una delle cose che desiderava di più al mondo e man mano che le visite per il feto si facevano sempre più frequenti iniziava a realizzare davvero quello che sarebbe successo, lo attendeva con gioia. Il medico rivelò il sesso del feto, si trattava di una femmina, inutile dire che la gioia della coppia fu tanta da colmare tutto il cuore.

“Se verrà al mondo vorrei darle il nome di mia madre” 

Mikasa sorrise, “anch’io lo vorrei tanto, mi manca la zia: se ti vedesse sono sicura che sarebbe orgogliosa dell’uomo che sei diventato Eren”

Incapace di reagire con le parole ad Eren venne più semplice e istintivo ricambiare il sorriso pensando alla madre. Il mondo è strano, pensò Eren, una volta quando era ancora un bambino aspettava suo padre al ritorno a casa e ora sarebbe stato lui quel papà, ma che a differenza di Grisha sarebbe stato presente nella sua vita. Il medico disse che la bambina stava crescendo bene, fu sollevante, probabilmente sarebbe nata verso novembre. Egli si raccomandò con Mikasa di evitare bevande alcoliche e cibi crudi, di bere tanto e di avere sempre qualcuno vicino.

Ringraziarono il dottore e felici della scoperta decisero di fare un giro per le bancarelle nel mercato per vedere se era possibile trovare dei vestitini per tenere al caldo la piccola quando sarebbe nata. Mikasa non mollò mai la mano, era felice. Aveva sempre desiderato quella vita ed ora che i suoi desideri si stavano realizzando non poteva che rallegrarsene, fin quando tre uomini apparvero dal nulla e li strattonarono in un vicolo cieco.  

Eren fu preso per il colletto della camicia e sbattuto contro il muro.  

Un uomo di statura bassa, ma con gli occhi pieni di rabbia lo stava aggredendo.  

Con la velocità di un grilletto di pistola arrivò un pugno da destra in viso,  

facendogli saltare un dente.  

Déjà-vu.  

Dannazione quell’uomo non scherzava affatto, ma Eren non era da meno.  

Schivò un sinistro con abilità e riuscì a  

tirargli una ginocchiata  

 dritta nello stomaco.  

Nei suoi occhi grigi traspariva rancore,  

affascinavano Eren.  

“Mossa sbagliata signor Jaeger.”  

Agile, pericoloso, veloce: troppo.  

In un battito di ciglia da accasciato in basso  

gli sferrò un calcio da terra sulla caviglia.  

Eren  

                   perse l’equilibrio  

e fu la fine.  

Destra,  

sinistra,  

addome,  

naso,                        

                   faccia,  

Testicoli                  

 e schiena.  

Quell’uomo che non era più di un metro e sessanta di altezza, ma non riusciva a ripararsi in tempo da quei calci maledetti che riusciva a scagliargli. Eren era in difficoltà, non respirava e presto il sangue dal naso iniziò a uscire. In quel momento pensò a Mikasa,  

la sentiva urlare e lottare  

contro altri due uomini  

presenti in quel vicolo buio. 

 Sentì tirarsi i capelli verso l’ 

   l 

        t 

                   o,  

bastardo.  

 

“Guardami, imbecille, sono qua! Dove cazzo guardi idiota!”  

l’ultimo calcio fu decisivo: 

Dritto 

 di nuovo 

 in faccia e finì  

accasciato a terra.  

L’uomo si appoggiò accalcato sull'addome di Eren, ormai incapace di muoversi e spaventato per Mikasa.  

Cercò di ribaltare la situazione                            sssssppppingendo l’uomo.  

Un coltello  

fece breccia nel braccio di Eren. 

 Urlò di dolore,  

sentendo in lontananza Mikasa  

che lo chiamava disperata  

“EREN-  

EREN”. 

 

 L'uomo ghignò,  

sfilò il coltello  

e lo puntò alla gola di Eren con la destra  

e con la sinistra lo sofffffocava.  

 

Il povero ragazzo cercava di alleviare  

 

 

la presa                                     per                                  poter                                             respirare.  

“Eccoti qua allora, finalmente ti ho trovato.  

Ti è piaciuto farmi esplodere il negozio eh?  

TI SEI DIVERTITO EH STRONZO?!  

Vediamo come te la cavi con... i debiti.” 

 “Non ho fatto nulla!  

Lasciate andare la ragazza!!  

Nemmeno lei ha colpa di nulla!” 

 “Oooh giochiamo alla famigliola felice eh,  

sappiamo che quella povera donna non ha fatto nulla di male.  

L’unico male che ha fatto  

è amarti  

perché sei una persona riluttante, caro mio. 

 Dovrai ripagare...  

 

a modo mio... 

 Tutti i danni che hai fatto al negozio: fino all’ultimo centesimo. 

 Che tu lo voglia o meno.”  

 

Eren tre-tre-tremava,  

ma non si arrese alla presa dell’uomo. 

 Con gli occhi pieni di rabbia e la faccia ormai viola per la mancanza di ossigeno continuava a lottare per la vita.  

Gli sputò                                                                                        in faccia.  

 

 

“TU.  

Pazzo suicida.”  

L’uomo dai capelli corti e corvini mollò la presa alla gola,  

 

gli tirò i capelli verso l’alto  

e gli fece sbattere in modo violento e 

 Ri- 

Pe- 

Tu- 

Ta- 

Men- 

Te 

 la testa  

sull’asfalto.  

Inutile dire che vi fu sangue,  

Eren non era in forze per superare il suo attacco. Mikasa e i due uomini che la aggredirono non erano più lì ed Eren pianse. Non fece in tempo a far nulla.   

“Ecco le mie condizioni se ci tieni alla pellaccia.  

Sei sotto la mia sorveglianza ed obbedienza.  

Recupererai tutti i soldi che potrai insieme alla tua amichetta con quei due uomini, 

 Niente scherzi

 Eseguirete gli ordini entrambi  

e se oserete disobbedirmi  

vi ammazzerò. 

 Ma guarda tremi come una foglia. Tzè.” 

 

 Eren pensò alla figlia, non era nemmeno venuta al mondo e già avrebbe dovuto subirne la crudeltà perché era stato troppo debole per difenderla.  

“Dannato!!”  

L’uomo gli mise un fazzoletto sulla bocca,  

nonostante la ribellione di Eren a respirare la sostanza,  

non ce la fece  

e svenne.  

 

Due giorni prima...

 

Fu un attimo infinito, Levi non riusciva a staccare lo sguardo da quegli occhi. Sembrava volessero dirgli tutto, ma allo stesso tempo significare nulla. Le mani appoggiate sul bancone, divaricate e le dita ben aperte aiutavano a tenersi stabile, in piedi. Sarebbe stato inevitabile, altrimenti, riuscire a reggere l’equilibrio. Presagio? Sventura? No, Levi non credeva in queste sciocchezze. Doveva mantenere il sangue freddo e calmarsi, lasciarsi andare in foga a sentimenti strani o perplessità non era da lui. Non amava perdere il controllo e se lo faceva manteneva comunque una linea di guida. Il ragazzo lo squadrò per bene, non notando che al nostro commesso diede non poco fastidio. Un’espressione di stupore si stampò sul volto del ragazzino, mostrando sempre più quei due smeraldi.

"Ah la ringrazio, signor Ackerman. Spero che faccia effetto, qualunque cosa abbia comprato la mia ragazza. Ad ogni modo, Ackerman, uh? 
Mikasa ha lo stesso identico cognome, può essere che siate imparentati?"

Lo sguardo che rivolse alla donna era estremamente dolce, le sorrideva e a Levi quel sorriso rimase inciso. Aveva una dentatura perfetta, un sorriso bianco e pulito che si bilanciava perfettamente alla forma del viso. Incantevole ed affascinante, ma allo stesso tempo simile a quello di un bambino. Da anni provava a sorridere in quel modo, ma non ci era mai riuscito. Si trascinava ai piedi una vita piena di dolore, traumi e rimpianti Levi. La sua forza interiore era l’unica cosa che lo portava ancora avanti a vivere e a sperare di trovare la felicità, la libertà di sorridere senza quel fardello.

Lottava da una vita, non avrebbe mai retrocesso nella speranza di rivivere anche solo un minimale attimo puro di felicità, tale da scaldargli appieno l’anima. Chissà se anche lui a quell’età era così o se semplicemente non lo ricordasse. Da quando la madre morì non seppe più sorridere.  Gli abitanti del posto parlavano: alcuni avevano compassione, altri invece ne approfittarono per cercare di deriderlo senza riuscirci. Non era di certo il personaggio che si faceva mettere facilmente i piedi in testa. Jean lo sapeva bene, nonostante non vi era alcun bancale in magazzino rimase lì. Osservava di nascosto la scena e Levi era convinto che non sarebbe riuscito a trattenersi dai sentimenti e avrebbe gonfiato di botte il castano spilungone se solo avesse potuto.

"Non saprei, non ho parenti a cui poter chiedere a riguardo. Potrebbe essere.”


Eren osservò l’uomo, domandandosi come si potesse essere semplicemente così freddi. Gli piaceva molto il naso minutino, leggermente a punta e gli occhi glaciali. Chissà cosa stava pensando, chissà cosa farfugliava nella testa di quell’uomo. Aveva le maniche della camicia nera tirate in dei risvolti, mostrando gli avambracci. Era un uomo che aveva forza, innegabile alla vista si potrebbe dire. Non era alto, anzi, ma la forma fisica non gli mancava. Schiena dritta, spalle forti e petto bell’infuori. Tolse le mani dal bancone di legno e le mise conserte sui pettorali.

Le mani erano quelle di un lavoratore, ma non molto grandi e ben curate. Unghie bianche e pulite immacolate, il marmo era fango in confronto. Era un uomo dall’aria familiare, non gli parve affatto una faccia nuova.  Aveva un non so che di carismatico, lo attraeva tanto e non riusciva a togliervi gli occhi di dosso. Entrambi finirono per fissarsi dritto nelle iridi, connessi da una bella sensazione.  << Tu sei come me >>.  
Eren non riuscì a non sorridere in faccia al destino e Levi ne sentì tutta l’emozione.

Il petto gli si stava scaldando e aveva i brividi alla schiena, che emozione strana. Sentì un leggero calore alle guance, mentre osservava quelle del moccioso diventare rosacee. Si sentiva... felice, era talmente sorpreso da questa nuova ondata di sensazioni che ne era totalmente perplesso, lasciando la sua bocca leggermente aperta. Non se ne rese nemmeno conto a dire il vero, era troppo concentrato sul quel moccioso. 
Mikasa nel frattempo prese il sacchetto preparatole da Levi e appoggiato sul bancone, distraendo i due uomini e staccando quella connessione tra i due. Camminò verso l’uscio della porta, aspettando Eren per andare via. Il ragazzo capì il segnale, prese una banconota dal portafogli e la allungò al nano.

“mi dica signor Ackermann, quanto le devo?” 

 

<< EREN!!! >>

La caviglia, faceva male: che dolore atroce!
Guardò in basso, osservando l’uomo svenuto che stava sorreggendo.
Riluttante, pieno di liquido viscido e puzzolente, ma vivo.
Si era vivo.
Era l’unica cosa che davvero contava, ma che rabbia!
Perché lei non lo comprendeva? 
Vendicare ed inseguire i morti degli altri, invece che salvare i propri vivi.
Le disse di non cercare di uccidere quel gigante: che ragazzina.

<<  Non pensarci nemmeno! Non perdere di vista l’obbiettivo. È davvero più importante ottenere ciò che vuoi? >>

Voleva solo uccidere e vendicarsi, se non fosse intervenuto...
adesso lui sarebbe morto per davvero.
E lei sarebbe l’amica talmente stretta ad 
Eren, palesemente innamorata?!

<< Non è un importante amico?! >>

Volò via tra gli alberi con il ragazzino in braccio.
Lo tenne stretto, stretto.
Non voleva perderlo ancora, ormai si stava affezionando al ragazzo e a quanto pare per ora il destino lo avrebbe lasciato ancora un po’ in sua compagnia.
Il moccioso tossì, soffocato dal liquido gelatinoso.

<< Hey moccioso, mi devi... >>

 

“...la vita” 

Eren lo guardò confuso “Mi scusi signor Acker-”

“Levi.” Il ragazzo sussultò dall’improvvisa sbottata del commesso “Chiamami Levi, Levi e basta. Non darmi del signore, mi fai sentire vecchio.”

“O-ok Levi, come vuoi”

La pronuncia era la stessa, identica. Non ci credeva, il ragazzo che gli appariva in sogno gli sembrava che fosse lì, di fronte a sé. Gli sembrava di vedere un fantasma, con gli occhi sgranati. Stava impazzendo.

 

<< Capitano Levi! Ragazzi! Scappate! >>
 

Ed ora aveva delle visioni anche da sveglio! Non ci voleva, merda!

“sono nove”

Allungò la mano con disinvoltura e prese gentilmente la banconota, ripetendosi mentalmente di mantenere la calma. Osservò le mani, anche quelle coincidevano con la descrizione del sogno. Aprì la cassa, prese le monete di resto e le allungò nella mano del ragazzo. Toccando il palmo della mano con i polpastrelli nell’atto sentì che la pelle era morbidissima e liscia, come quella di un neonato, calda e pulita. Come se la ricordava. Il ragazzo ringraziò e mise il tutto nel portafogli.

A riportarlo con i piedi per terra fu il suono dei campanellini. Infatti, 
Eren aprì la porta per andarsene insieme a Mikasa. Fece passare prima la ragazza in un gesto galante, mentre Levi lo osservava. Fece finta di sistemare alcuni barattoli, per non dare troppo nell’occhio e la voce del ragazzo lo attirò di nuovo a sé. Attendendo con la porta semiaperta, illuminato dalla luce del sole fece di nuovo un sorriso voltandosi verso il nostro commesso.

“allora a presto... Levi”

Salutò con la mano e chiuse la porta, rimase inerme ancora a quella pronuncia perfetta. I campanellini suonarono ancora, da lì in poi tutto tacque. Silenzio. Fu così per un paio di minuti mentre Levi sistemava i barattoli che aveva aperto per servire 
Mikasa. Che moccioso, con che coraggio sorridergli così tanto? Sorrise. Sì, sorrise anche Levi finalmente dopo anni. Jean assistì alla scena dal magazzino e detta sinceramente era terrorizzato: era la prima volta che vide sorridere l’uomo. Forse era meglio lasciarlo a sé stesso e continuare a sistemare in magazzino, almeno fino all’ora di pranzo! Sì, era decisamente una buona idea. Mentre puliva pensava alla donna, si chiamava Mikasa, dunque.

Vedendo quanta sintonia c’era tra quei due uomini era inevitabile notare che c’era qualcosa di strano.  Il signor Ackermann non dava mai troppa confidenza a nessuno, ma con quel ragazzo ha insistito a farsi chiamare solo per nome. Uno scambio di sguardi intenso... mentre quella ragazza li squadrava attentamente con saettate dagli occhi. Meritava di meglio, aveva bisogno di qualcuno di sicuro accanto e che non la facesse preoccupare. Soprattutto di qualcuno che fosse sicuro del suo orientamento sessuale, per giunta. Il signor Ackermann non era un tipo da andare con gli uomini, molte donne lo bramavano e Jean seppe di qualche sua esperienza sotto le lenzuola.  Il mondo è piccolo alla fine, se fosse stato omosessuale si sarebbe saputo subito per il paese.

Continuò a ronzare questa idea nella sua testa per tutta la giornata e chissà cos’altro gli frugava per la mente a quella faccia da cavallo. Levi notò il comportamento strano del collega, ma non gli diede corda. Si sarebbe dato sicuramente una calmata il giorno dopo. Una volta finito il turno di lavoro chiusero a chiave la porticina del negozio. Fuori faceva freddo e nonostante indossasse un bel cappottone nero lungo sentiva le gambe gelare. I due uomini si salutarono e presero le loro strade verso casa. Il tramonto era finito da ormai un’ora e le strade erano buie come non mai.
Per esperienza teneva sempre le orecchie belle tese, sarebbe potuto spuntare chiunque da quel buio.

Un tocco,

una mano sulla spalla.

Bastarono pochi secondi per girarsi,
schivare il braccio dell’aggressore

e soffocarlo al collo in una tenaglia impressionante.

L’aggressore cercò di alleviare la presa del braccio,
ormai senza aria,

mentre Levi aveva un’espressione in volto al dir poco irritata.

“L-LEVI! SONO IO! GH! EREN!” 

 

ErenEren! Lo stupore di Levi era evidente sul suo viso, mollò la presa immediatamente e il ragazzo così cadde a terra. Affannando egli cercò di riprendere ossigeno, incredulo a quello che gli era successo: quell’uomo davvero era forte. Si tirò su e si voltò incazzato nero verso Levi: lo avrebbe gonfiato di botte. Gli aveva solamente appoggiato una mano sulla spalla, diamine! Non si sarebbe mai aspettato una reazione così eccessiva.

“volevo solo salutarti!”

Levi si inginocchiò a terra accanto a lui e gli porse la mano destra. Non avrebbe mai immaginato di incontrare quel moccioso proprio lì.
“Oi, ragazzino. Ti sembra opportuno girare a quest’ora?” 


Eren afferrò la mano e Levi lo aiutò ad alzarsi, 
“Guarda che ho vent’anni, non otto. Non sono né un bambino e né un vecchietto, inoltre è semplicemente ora di cena. Stavo tornando 
dal lavoro e ti ho beccato per strada, tutto qui”

tsk, moccioso”

Levi osservò bene il viso del ragazzo e si divertì ad assaporare tutta l’essenza di quella faccia innervosita. Era proprio come se lo ricordava, non era cambiato di una virgola. Se era davvero lui, come sperava, lo avrebbe seguito. Proseguì camminando e dopo non pochi passi sentì essere richiamato, come s'aspettava.

“Levi! Aspetta!”

 

<>
 

Merda, era proprio lui.  Sentiva le guance andargli a fuoco, piuttosto che darlo a vedere nascose il volto nel suo scaldacollo. Il ragazzo lo raggiunse di corsa, mentre Levi lo guardava.

“Non so per che strada vai, ma devo fare anch’io questo tratto. È un problema se lo facciamo insieme?”

“no, ma conviene che ci sbrighiamo: questo cielo promette solo neve.” 


Eren annuì e così iniziarono a camminare per le strade. L’atmosfera era un po’ tesa tra i due uomini, d’altronde non si conoscevano per nulla. Incominciava ad essere snervante quell’aria gelida ed Eren avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole non volevano proprio uscire. Non sapeva che fare di fronte a quell’uomo dagli occhi così freddi, l’unica cosa che gli riusciva era guardarlo. Non capiva proprio dove lo avesse già visto.

“Smettila, 
Eren.”

Sussultò, diamine lo aveva beccato. Distaccò lo sguardo, ormai troppo imbarazzato per puntarlo dritto verso quegli occhi glaciali. Lo puntò al cielo e vide i fiocchi cadere, gli sembrò che il tempo scorresse sempre più lento. Avrebbe voluto che quell’attimo, anche se strambo, durasse in eterno. Sentiva dentro di sé che non era molto il tempo rimastogli, nonostante l’età giovane. Nel silenzio di quell’uomo però non si stava così male, chissà che esperienze ha avuto. Sarà sposato? Non c’era vista di anello o di oggetti che richiamassero la prova di una moglie, nemmeno in negozio. Gli sembrava impossibile.
 

“La tisana che avete dato alla mia ragazza ha davvero un buon profumo, che cos’è?”

“Semi di finocchio, lei non te l’ha detto?” 


Eren sospirò, Mikasa non era molto in forma. Il bambino le risucchiava tutte le energie, ogni tanto vomitava ancora o altre volte dormiva troppe ore. Ma presto sarebbe passato almeno il vomito, solitamente passa attorno il terzo mese di gravidanza infatti.

“no, non ho avuto occasione di parlarle. A causa della gravidanza è un po’ debole”

“capisco”


Era proprio un uomo dalle poche parole a quanto pare. Dal nervosismo si aggiustò un ciuffo caduto vicino alle sue basette. Lo mise dietro l’orecchio, non riuscendo a ignorare lo sguardo del quarantenne verso di lui. Finalmente lo degnava di uno sguardo e gli parve molto interessato. Le iridi divennero più grandi e, nonostante lo scaldacollo, traspariva dall’alto un po’ di rossore sulle guance. Non sapeva se lo stesse immaginando o meno, ma gli piacque tanto. Quell’uomo così freddo allora riusciva a sciogliersi ogni tanto.

Si fermarono di fronte a una casa, sembrava un monolocale. Non era molto grande, al massimo ci sarebbero potute stare tre persone. Le luci erano spente, finestre chiuse e serrate, la cassetta della posta con un unico nome –Levi Ackermann- Quell'uomo abitava lì, a due vie dalla sua casa, forse per quello gli parve di averlo già visto. Tutto si spiegava adesso, non vi era nulla di preoccupante sotto.

“non hai compagnia a cena questa sera, sbaglio?”

“no, non sbagli moccioso. Cos’è vuoi entrare in casa?” 

Levi indicò la porta facendo gesto con il pollice. 
Eren non riuscì a trattenere una risatina, sembrava che stesse chiedendo l'autostop. Portò la mano ai capelli e ancora per nervosismo se li tirò indietro. Non gli sarebbe dispiaciuto entrare nella casa di quell’uomo, voleva sapere di più di lui. Se il suo passato era davvero oscuro come si dicesse in giro o come negli incubi che faceva ogni notte. Era sicuro che un semplice infuso non sarebbe bastato a farli sparire, ma avrebbe voluto provarlo comunque.

“Non era mia intenzione, ma se insisti accetto volentieri.”

“Non hai detto che la tua ragazza aspetta un bambino? Non la lascerai da sola, spero” 

Eren mise la mano sulla spalla sinistra dell’uomo “ Mikasa ha un impegno stasera, non avremmo cenato insieme ad ogni modo”

Non fece in tempo a finire la frase che Levi si scrollò la sua mano di dosso e si incamminò verso la porta d’ingresso.
“Allora, Rimani lì fuori o entri?” 


Eren non se lo fece dire due volte e lo seguì in casa. Prese le chiavi dalla tasca e apriì la porta in legno scuro, quest’uomo doveva amare tanto quel colore di legno: una volta entrati vide che tutta la casa era allo stesso tema. Levi gli fece cenno di togliersi le scarpe, per non rovinare la moquette e soprattutto per non sporcare, effettivamente quel luogo era estremamente pulito. Non vi era la minima traccia di polvere nei paraggi. Si tolse gli stivali e li appoggiò vicino alle scarpe eleganti di Levi, per poi proseguire nel corridoio.

“Aspettami un attimo qui in sala ragazzino, vado a mettermi dei vestiti più comodi”

Effettivamente portare la camicia per tutta la giornata non doveva essere il massimo. Gli fece un cenno per fargli capire che andava bene e svoltò nella porta a destra. Cavolo, era proprio bella quella sala. Non era grandissima, ma ben decorata. Un divanetto giallo a destra, vicino alla parete, di color giallo si abbinava perfettamente alle lunghe tende della finestra. Le pareti della sala erano rosso bordò, decorate con due bei quadri abbastanza grandi e al centro della stanza c'era un bel tavolo da pranzo. Le sedie che lo circondavano sembravano quelle del 1800, imbottite e ricamate con temi floreali gialli.

Aveva una credenza bella grande, sempre in legno scuro, in cui vi si poteva vedere dal vetro tazzine di ogni genere. Erano tutti servizi da tè ben decorati, alcuni erano con colori sull’azzurrino, altre in porcellana pura, altri ancora con ricami dorati. Tra queste quelle che sorpresero di più 
Eren erano delle semplici tazze bianche ma con incise in oro le iniziali di Levi. Non gli sarebbe dispiaciuto usarle,“

E’ un regalo che mi fece mia madre prima di morire” 

Non si accorse minimamente che il corvino lo stava osservando da due minuti all'incirca. Aveva indossato una maglia leggera in cotone semplice, dal color bianco, e dei pantaloni neri. Ai piedi aveva solo i calzini grigi.
Eren lo guardò negli occhi e si aspettava di vederlo addolorato, ma in realtà ne vide un viso insofferente. Beato lui, Eren non riusciva ancora a lasciare andare sua madre. Ormai erano più di cinque anni che era morta, ma non riusciva a dimenticarla. Aveva litigato fino alla fine con lei, questo era il suo rimorso più grande. Levi però sembrava avesse superato tutto.

“Mi spiace, so cosa si prova... anch’io ho perso mia madre tanti anni fa, la uccisero”

Gli occhi di Levi brillavano, come se avesse visto qualcosa di interessante.

“Oh, avremo molto di cui parlare allora”

Prepararono la cena, niente di particolare in realtà: solamente delle fettine di carne con un po’ di insalata. Ai due uomini andava più che bene, non sarebbe stata sicuramente la cena la cosa più interessante della serata. Entrambi credettero di aver fatto centro, di aver finalmente trovato qualcuno simile a loro e in particolar modo Levi. Era un uomo solo, tutte le persone a cui aveva voluto bene ormai non c’erano più. Avere un compagno o qualcuno con cui parlare gli avrebbe fatto sicuramente bene. Si sedettero ed iniziarono a mangiare, fu così che partì improvvisamente il dialogo. Nella sala non si sentiva altro che il rumore delle posate sui piatti 

“Levi, com’è morta tua madre...?” mise un boccone in bocca

“mia madre era una prostituta: aveva molti clienti alla sera, era una bella donna dopotutto. Non era difficile sentire i clienti che le facevano la corte” 


Eren appoggiò tremando il bicchiere da cui aveva appena bevuto sul tavolo.  “Quanti anni avevi in quel periodo?”

“Non più di sei anni, ma ricordo quasi tutto di lei. Era il mio unico punto di riferimento” 
Eren non riusciva asmettere di tremare dentro

“Hai... hai dovuto assistere anche agli attimi in cui tua madre...lavorava?”

Levi sbuffò e decise di bere un goccio di vino rosso. Aveva vent’anni certo, ma su molte cose era ancora un bambino.
”Ovvio, moccioso. Mia madre lavorava e viveva in una stanza. Faceva quello che poteva per tenermi un po’ lontano da quell’orrore, ma non poteva fare granchè. Spesso ho dovuto ascoltare e vedere quello che accadeva, anche senza volerlo” 

A dirla tutta, da piccolo non ne capiva ancora appieno il senso di tutto quell'affannarsi da parte degli uomini. Era solo un bambino, dopotutto. Per lui quella era la normalità e non vi era nulla di male. Fin quando non capì quanto potesse essere rischioso fare un lavoro simile.

“Fu contagiata da uno dei suoi clienti da una malattia, morì nel suo letto lentamente. Capì molto presto che se ne stava andando, mi abbracciava spesso piangendo. Era talmente debole che non riusciva nemmeno più a parlare, faceva dei mugolii paragonabili a un mostro. Mi terrorizzavano. Mi sono sempre chiesto quali parole avesse voluto dirmi allora, anche se non sono difficili da immaginare. Sentirle da mia madre, però, avrebbero avuto più senso. Una mattina mi svegliai e la trovai morta nel letto. Il suo corpo era completamente ghiacciato in alcuni punti e in altri era ancora tiepido. Era morta da poche ore, era evidente. Mi accasciai in un angolo e piansi. Rimasi lì per un lasso di tempo interminabile, senza mangiare e nemmeno bere. Finché un uomo di nome Kenny Ackermann non venne a far visita a mia madre e scoprì la disgrazia. Mi portò con sé e continuai per la mia strada sotto la sua protezione.” 


Eren si asciugò il volto con un tovagliolo, gli spiaceva molto. Ma la sua fortuna è che aveva potuto osservare a lungo la madre, per Eren non fu così.
“mi spiace, credimi. So come ti senti. Le madri amano i propri figli più di qualsiasi altra cosa, sicuramente voleva dire semplicemente - ti voglio bene -”
 
Lo sguardo di Levi era amareggiato, nonostante la sua espressione cinica e priva di emozione, i suoi occhi trasparivano tutto. 
Eren voleva aiutarlo. Si alzò e gli diede una pacca sulla spalla, notando da vicino che l’uomo stava per piangere. Il naso era rosso, così come le orecchie. Le ciglia incominciavano ad inumidirsi e poi... eccola lì... la prima lacrima forse dopo anni. Probabilmente era meglio lasciarlo sfogare un po' prima di tornare a parlare.


“vado a preparare quella tisana, magari ti aiuterà a dormire meglio stasera. In seguito ti racconterò di mia madre Carla”
 

PREVIEW CAPITOLO 3 
_
Maledetta tisana

 


Levi aprì leggermente gli occhi e si accorse che di fianco a se dormiva ancora Eren,
con i capelli tutti sciolti ed illuminati dalla luce lunare.
Tutto questo grazie ad una tisana?
Impressionante.

 

ANGOLO AUTRICE:
Avrei voluto fare di più, davvero, cercherò di migliorare col prossimo capitolo.
Tempistiche comprese, ovviamente.
Nel prossimo capitolo vi farò più luce su quello che è accaduto in entrambi gli scenari e magari chissà aggiungervi dell'altro.
Si tratta di una bozza del capitolo per ora, ma le idee sono ben chiare.
Per chi avesse visto il nuovo episodio della quarta stagione "Il gigante martello", spero che vi sia piaciuto quanto a me. Temevo che l'animazione avrebbe fatto schifo, invece è stata clamorosa!
La scena finale dell'episodio sarà sicuramente la mia preferita per il resto della saga.
A quanto pare Eren sembra diventare man mano una sottospecie di antagonista. A dire il vero mi manca un po' l'Eren bambino, ma credo che sia andato molto lontano da Eren.
I personaggi cresciuti sono molto belli, sopratutto Mikasa col suo nuovo taglio di capelli insieme a Sasha. Per non parlare di Connie, ne sono rimasta molto sorpresa!
Il capitolo 3 uscirà il 27/01/2021 alle ore 18.00
Vi saluto, tante cose belle!
Marsha



 

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Capitolo 3
*** Maledetta tisana ***


Angolino dell'autrice:

CE L'HO FATTAAAAA!!
Dai qualcosina è stato chiarito, più o meno.
Spero che vi intrighi, avevo la scena finale in mente da quasi una settimana e non vedevo l'ora di metterla per iscritto!!
Scappo per permettervi di leggere il capitolo il prima possibile.
Prossimo capitolo in data 03/02/2021 per le ore 17:00, saluti!
Marsha


CAPITOLO 3
-
Maledetta tisana


Gli si spezzava l’animo vederlo in quello stato, era come vedere una montagna crollare alla valle. Era un uomo forte, magari il più forte di tutti, ma alla fine noi siamo solo umani. Siamo solo carne, che tornerà alla terra al fine del suo circolo. Era quasi inudibile sentirlo piangere, non voleva farsi sentire da sé stesso. Non voleva lasciarsi andare, credeva di aver imparato ormai dopo anni a resistere alle proprie emozioni dopotutto. Non riusciva a comprendere perché proprio ora non ci riusciva. Forse era colpa del ragazzino e chissà, un’epoca diversa. Per quale motivo avrebbe dovuto ora costringersi a tale castigo? Non era in guerra, non era nell’esercito e non combatteva da tempo ormai.

Sì lasciati andare, piccolo Levi. Piangi, piangi tesoro di mamma. Hai sofferto per così tanto tempo, non è vero? Ipotetiche frasi che peggioravano la situazione, ma che rimbombavano nella sua testa senza fermarsi. Era come se fosse ancora in quell’angolino, ancora dopo tutti quegli anni. Era rimasto lì, con quell’odore nauseabondo di quel corpo e la fame che lo divorava lentamente. Una tenaglia alla gola, stretta e appiccicosa che non lasciava andare il respiro. Singhiozzo, singhiozzo, ancora singhiozzo. Quasi quarant’anni passati in un lampo e la vita ancora ferma lì su quel pavimento sporco, in quella stanza infernale. Doveva uscirne, doveva, ma non voleva. Silenzio tra le pareti, mamma non c’era più. Che senso ha andare avanti? Qui sotto si muore, in superfice si muore e fuori da quelle mura si muore. Dove si sopravvive?  Di sicuro non qui dentro, ma forse in una speranza.

“Levi, ehi tieni "

Aveva la vista offuscata dai ricordi, da quel buio. Ma non era al buio, ma alla luce. Appoggiato con i gomiti su quella tavola imbandita per la cena e con affianco un ragazzino che gli offriva un tovagliolo. Per asciugarsi, per cancellare quei fardelli. Sentì il corpo tornare adulto, le mani farsi grandi e la voce mascolina. Non era più in quella stanza, era libero.  La speranza di essere libero, eccola lì di fronte a sé. Un bel ragazzo alto, dagli occhi verdi come le pianure selvagge, moro e dispiaciuto, comprensivo. Ritornò in sé e si risigillò nella sua stessa forza.

“grazie, Eren”

Di solito era il contrario, o almeno era quello che ricordava dai suoi sogni. Levi aveva accompagnato quel ragazzino fino alla fine. Lo aveva sorretto, lo aveva consolato, lo aveva supportato, lo aveva addestrato alla guerra. Anche se l’aratro del carro era guidato da tutta la sua determinazione, dalla sua rabbia, Levi era lì. Non avrebbe potuto, e nemmeno voluto a dire la verità, arrestare quell’aratro che ha cambiato il mondo. Se era lì ora su quella tavola e passava le sue giornate senza troppe preoccupazioni era solo per le sue gesta. Un mostro, fino alla fine. Come poteva, però, un mostro simile portare tanta pace? Levi non sapeva spiegarlo a parole, mai ci sarebbe riuscito. Si asciugò il viso, purificandosi da quelle lacrime nere.

Sentì Eren vicino, voltando lo sguardo notò la tazza fumante che gli stava porgendo. La tisana. Maledetta tisana, quanto eri serena tra quelle mani. Saresti stata lo stesso tra quelle di Levi? L’afferrò e la osservò fumante. La bevve, ma a suo gusto era troppo dolce, davvero troppo.

"Hai messo tutto il barattolo del miele per caso? Questa notte mi verranno le carie nel sonno.”

“S-scusa, adesso la rifaccio”

“No.” Sta zitto. “Va bene così” Era perfetta. Tranquilla e calmante.

Ci voleva Eren per ottenere un infuso simile? Maledetta tisana. Meno male che ci sei. Anche il ragazzino aveva la sua tazza calda in mano, ma non si sedette di nuovo al tavolo. Vedendo il quarantenne in quello stato voleva farlo stare il più comodo possibile, anche se non era casa sua. Gli indicò con gli occhi il divano alla loro destra, di sicuro sarebbe stato più comodo di una tavola con i piatti vuoti.

“Che ne dici? Non saresti più comodo sul divano?”

“Guarda che io dormo sulla sedia tutte le sere, per me è come un letto.”

“E se ti sporcassi la maglia mentre sparecchio? Vorresti stare ancora su quella sedia?”

Fece una faccia di disgusto diretta verso il vuoto, quell’uomo odiava proprio lo sporco. Appoggiò la tazza, facendola scivolare lentamente sul legno in un rumore lieve, le tazze per lui si poteva dire che sembrassero principesse. Guai rovinare una tazza, se non meno romperla! Tirò indietro la sedia sbuffando, sempre con quella faccia infastidita, e si alzò dal tavolo facendo un gran fracasso. Per fortuna abitava al piano terreno e nemmeno in un condominio, Eren era sicuro che altrimenti i vicini non sarebbero stati molto contenti.  Prese la tazza e si buttò a capofitto sul divano, affondando nella spugna. Non fece cadere nemmeno una goccia di infuso, il moro era convinto che si trattasse di qualche magia nera. Non era umana una cosa simile, a chiunque sarebbe caduto sia sul divano che sul pavimento. Si sentì a disagio, lo continuava a guardare con uno sguardo innervosito come se le cose gli stessero fuggendo di mano. 

Ed effettivamente era così, perché non solo era riuscito ad entrare in casa, a farlo sfogare e a sparecchiare. Era riuscito a incollarlo sul divano e a lavargli i piatti, senza che glielo ordinasse.  Non che gli dispiacesse a dire il vero, ma comunque si trattava di un estraneo in casa e si stava comportando in modo troppo imprudente nei suoi confronti. Lasciargli carta bianca non era un’idea saggia, se fosse solo venuto a fare razzia in casa sua non avrebbe avuto i riflessi pronti. In quel momento era ancora su quel divano e ormai aveva finito il liquido nella tazza, decise di usarlo come scusa per andare in cucina e osservare cosa stesse facendo esattamente. Il ruscio dell’acqua e il profumo di sapone erano da garanzia ancora prima di entrare, superò l’uscio della porta e lo vide con un piatto insaponato nella mano sinistra e nella destra la spugna.

Strofinava facendo molta schiuma, era inevitabile che una bolla sarebbe svolazzata fuori dal lavandino.  Gli svolazzò vicino al naso e, come un bambino, la fece scoppiare con l’indice mentre teneva ancora la spugna in mano. Bup. Aveva una faccia indifferente, almeno fin quando non si voltò e notò il caporale alle sue spalle basito. Con una mano stesa sull’altezza della porta e il resto del corpo all’interno della cucina.  Non era di sicuro una scena che si addiceva a un uomo, la vergogna fu tale che ben presto sentì le orecchie arrossarsi. Per sopportare finì di sciacquare il piatto e lo mise in pila insieme alle altre stoviglie lavate.

“Oi, smettila di giocare ragazzino. Dammi un altro goccio di infuso”

Eren non se la prese, ma gli passò subito la caraffa.Per fortuna era ancora bello caldo e ne era avanzata una porzione anche per lui. Non gli dispiaceva, alla fine non era malvagio come temeva. Inoltre, era riuscito a farlo stare per una sera in quella casa.  Non male per due ciuffetti di erba.

“Ti aspetto sul divano, voglio sapere di tua madre”

“Sì. Ho finito, il tempo di asciugarli e sono in sala da te”

Gli conveniva.  Stava osando troppo il marmocchio, non amava la gente che gli faceva aspettare. Inoltre erano le 23.00 passate, Levi temeva che non si sarebbe reso conto dell’orario tardivo. Fuori quei due fiocchetti di neve si erano trasformati in una brutta bufera gelida con vento forte e nebbia fitta.  Se fosse partito per andare a casa non avrebbe saputo con certezza che vi sarebbe arrivato sano e salvo. L’ipotesi che si perdesse lo preoccupava enormemente, forse perché lo vedeva più come l’Eren del passato e non di quello che chiunque avrebbe pensato. Un estraneo.

“eccomi” si svegliò dai pensieri.

“Finalmente, altri due minuti e mi avrebbero mandato la pensione”

Eren non riuscì a trattenere una risata e Levi non potè fare a meno di incidere nella sua testa quell’immagine. Tuttavia rimase inerme continuando a sorseggiare quella tisana troppo dolce, ma al ragazzo non diede fastidio. Anzi, si fiondò anche lui sul morbido divano, facendo ballare i due cuscini giacenti. I ciuffi sulla fronte, che scappavano dal codino, gli parvero delle altalene. Soavi ondeggiarono durante l’atterraggio nel morbido sofà, affascinante. Si girò alla destra, verso Levi, sorridendo ancora spensierato. Troppo attraente. Il sorriso iniziò ad assottigliarsi, che peccato... quella visione lo faceva star bene. 

“Sei pronto?”

“datti una mossa, Jaeger”

“Cavolo, Mikasa non ti ha tralasciato nemmeno il cognome eh”

Cosa?

“va bene, va bene. Se proprio insisti!”

Cosa? Aspetta un secondo.

“Quando ero piccolo, non abitavo qui in zona. Io e Mikasa abitavamo insieme ai miei genitori a Paradiso, in un paesino sulla montagna.”

Lui non gli disse mai il suo cognome

“Un giorno vi fu una forte scossa sismica, furono troppi i danni alle case.”

Levi lo chiamò come il ragazzo che appariva negli incubi notturni “Un grosso masso causato dallo sciame sismico si staccò dalla montagna, rotolando fino a valle.”

I dubbi lo assalivano, mentre ascoltava attentamente il moro. C’era la probabilità che vi fosse un minimo di collegamento, viste le attuali coincidenze.

“Cadde sopra casa mia e mia madre non riuscì a fuggire.”

Era simile alla versione del sogno, ma ben diversa e molto più drastica. La madre di Eren secondo il rapporto militare fu divorata viva da un gigante, in quanto impossibilitata alla fuga dalle gambe spappolate da un masso, caduto sull’abitazione della donna. C’era qualcosa che non tornava nella testa di Levi, aveva come la sensazione che alcuni ricordi fossero stati modificati. Altre cose della sua vita generale non coincidevano molto con la realtà. Per esempio, possedeva dei ricordi di una città sotterranea in cui passò momenti critici della sua infanzia, ma non coincideva con la realtà attuale. Infatti, sin da quando ebbe memoria non si era mai mosso dalla città di Marley. Lì nacque e li crebbe, nessuna zona sotterranea all’oscuro del sole o cose simili. Persino un ricordo di mura altissime, ma che non ne ricordava il significato. Solo ora i suoi incubi iniziarono a svelare qualche mistero della sua vita, facendogliela apparire come un misero fantoccio. In quel momento persino il racconto di quel ragazzo non sembrava veritiero, per errore della sua stessa bocca.Stava per fare una scelta e sapeva che non si sarebbe pentito nell’affrontarla. La verità sarebbe salita a galla, questo era ciò che gli insegnò sempre il suo amico Erwin.

“Mi stai prendendo in giro, ragazzino? Sbaglio o dissi che tua madre era stata assassinata?” 

Eren era visibilmente confuso, non sapeva più a quale ricordo credere, non fece altro che farfugliare qualcosa ad occhi spalancati. Aria al vento, ma fu la conferma per il capitano che le sue supposizioni erano esatte. I suoi incubi non erano semplici schizzi di un uomo ormai stanco, bensì di una possibile realtà nascosta.

“Come sospettavo, c’è qualcosa di strano” 

Eren non riusciva proprio a comprendere a cosa si potesse riferire Levi. Per casualità buttò l’occhio sull’ orologio a pendolo alla sua destra, era davvero tardi. La sua ragazza sarà stata sicuramente in pensiero. Se si fosse preoccupata troppo c’era l’alta probabilità di poter perdere la bambina in grembo. Guardò fuori e vide la tempesta di neve che infuriava. Non sapeva davvero cosa fare, nonostante la posta in gioco fosse davvero alta. Se solo avesse potuto avere qualcuno che le recapitasse un messaggio in massimo un’ora, oppure comunicare da lontano. Fu così che gli venne finalmente l’idea giusta. Un telefono. Non tutti lo possedevano in casa, nonostante esistesse già da una cinquantina d’anni. Non tutti potevano permettersi di averlo a portata di portafoglio, così come avere un’automobile.

In giro per il paese vi erano sparse delle cabine telefoniche da poter usufruire, ovviamente a pagamento. Non costavano tantissimo e per fortuna Eren, nel suo giaccone, possedeva qualche monetina. Avrebbe solo dovuto resistere al freddo per una ventina di minuti: vicino a dove lavorava ce n’era una.  Sapeva però che il quarantenne non l’avrebbe fatto andare via facilmente, era ostinato alla sua compagnia. La sensazione che c’era stata durante l’intera la serata era quella di un incontro dopo svariati anni di due amici, di due compagni d’avventura. Come se ne avessero passate di tutti i colori, ma allo stesso tempo anche quell’aria di disagio, immancabile in certi momenti. Esattamente come quell'istante, in cui Levi lo stava tartassando di domande su gli incubi che faceva la notte, incitando che quella tisana dolce avrebbe fatto presto effetto.

Non riusciva a comprendere quale fosse l’eccessivo interesse ai suoi sogni. Non amava parlarne, sognava cose molto intense. Ogni sera sognava di salvare sua madre da quell’enorme masso in vari modi, oppure addirittura di volare libero tra gli alberi afferrando due spade affilate. In quei sogni si sentiva libero come non mai. Gli sarebbe piaciuto poter vivere quelle sensazioni. Il vento tra i capelli, la luce del sole, la scoperta del mare con i suoi amici e la sconfitta di esseri giganteschi dall’alito putrefatto. Li detestava, con tutto la sua anima. Non importava in quale situazione se li ritrovasse in sogno, li voleva morti e perdeva incredibilmente il controllo. Agire impulsivamente era la regola numero uno, fin quando non appariva un uomo che lo faceva ragionare, guidandolo durante la battaglia.

Lo ammirava e non osava disobbedirgli, come fa un soldato col suo capitano. Quell’uomo glielo ricordava molto, nonostante sapesse che i sogni sono frutto della propria immaginazione. Non riusciva a non ascoltarlo, a non mollare i suoi discorsi e ben presto la mezzanotte passò in fretta. Il ticchettio della lancetta sull’orologio non si sentiva, almeno Eren non lo percepiva. Pendeva da quelle labbra, come se fosse ipnotizzato da quella voce profonda. Rimasero lì su quel divano anche dopo aver finito tutta la tisana fino all’una di notte, quando Eren iniziò a preoccuparsi per Mikasa. Inoltre, se la tempesta avrebbe continuato a sfogare la sua ira in quel modo, non avrebbe avuto alternativa che dormire a casa di Levi.Più guardava l’uomo e più sapeva che la cosa non sarebbe finita in modo morale. Levi si alzò finalmente da quel divano, dopo quasi 4 ore, mise nel lavandino della cucina le tazze e tornò da Eren in sala.

“Come immaginavo ti sei piantato qui in casa mia questa sera. Ti porterò delle coperte, in modo che tu non soffra il gelo durante il sonno.”

L’aveva fatta grossa, non si comportò in modo molto rispettoso.  A dire la verità, però, non gli importava affatto. Sentiva di volersi avvicinare a lui perché era misterioso ed intrigante. Avrebbe davvero voluto vederlo senza quella maschera indifferente, ma con un volto immerso nell’eros. Magari chissà, pronunciando anche il suo nome.

“Eren, dormi in piedi? Sveglia, ragazzo!”

Lo riportò con i piedi per terra sbottando in quel modo, era proprio quello che gli serviva. Forse non erano i pensieri giusti da fare con un uomo che poteva essere perfettamente suo padre, vista la differenza di età enorme.

“Scusami, effettivamente il sonno sta prendendo il sopravvento. Ti ringrazio davvero”

Levi sbuffò e andò a prendere le coperte, nel frattempo Eren iniziò a vestirsi. Doveva avvisare Mikasa: poveretta, ansiosa e rabbiosa com’era sicuramente sarebbe stata capace di ammazzare Levi al primo colpo. Diciamo che si trattava di una ragazza molto possessiva, rispetto all’apparenza. Agli occhi di tutti sembrava la tipica mogliettina orientale, delicata e piena di onore, che alla prima prova inequivocabile di pericolo correva in soccorso del suo amato. Oppressiva, per niente libertina come situazione: al ragazzo era impossibile fare molte cose, in effetti. A volte la odiava a morte, ma allo stesso tempo sentiva di amarla profondamente. Preoccupato alla visione della compagna in lacrime, si vestì velocemente del suo cappotto e si coprì per bene. Non sarebbe bastata la buona forza di volontà ad evitare un raffreddore, con quel vento.

Aprì la porta, esclamando “Torno subito, vado a fare una telefonata Levi!” chiuse la porta e iniziò a camminare contro il vento gelido.

Fortuna vuole che il vento soffiasse contro al moro, che non poteva far altro che seguire quella strada, vista la nebbia impenetrabile. Era impossibile vedere a due metri da sè stesso, non sarebbe stato minimamente in grado di riconoscere la sua posizione nella via. Si allontanò da quella casa a malapena di duecento metri e vi si trovò già in una tenaglia stretta dalla nebbia. Non riconosceva la direzione giusta, la nebbia era troppo fitta e la neve cadeva incessante. Per terra si scivolava, quel poco di neve che si posò a inizio nevicata si trasformò in ghiaccio scivoloso. Mise un piede in modo sbagliato sul suolo ghiacciato e scivolò. Cadde a terra sull’osso sacro, causandogli un dolore atroce. Aveva solo un cappottone, nemmeno guanti o cappello. Le mani erano già viola, nonostante stesse camminando a malapena da dieci minuti. 

Si massaggiò la parte dolorante e provò a rialzarsi. Doveva andare avanti, Mikasa lo aspettava a casa. Sentì strattonarsi il braccio e vide... Levi! Non fece in tempo a parlare che gli arrivò un cazzottone sul naso. Per fortuna niente sangue, ma cavolo che male. Alzò nuovamente lo sguardo e vide un diavolo, un demone, Levi.

“CHE PENSAVI DI FARE, TESTA DI CAZZO?!”

Non vide mai nessuno così infuriato, nemmeno Mikasa. 

“Devo chiamare la mia ragazza, ho bisogno di un telefono!”

Fremeva alla voglia di tirargli un altro cartone, non si trattenne affatto.

“Bastava chiedere moccioso, torniamo in casa. Qua si gela, se resteremo troppo a lungo rischiamo l’ipotermia.”

Il tragitto del ritorno fu silenzioso, nessuno dei due azzardava porre parola. Non era difficile notare, nonostante la maschera indifferente, che il nanetto era ancora infuriato. Quell’espressione rimase, anche dopo essere entrati in casa. Fece entrare prima Eren, per poi chiudere a chiave la porta.

“Renditi conto dei rischi che corri. Agire impulsivamente non servirà a molto. Devi usare la testa, Eren. Vedi di ricordarlo.”

Appoggiò il suo giaccone sull’attaccapanni e si diresse verso una delle altre stanze della casa. “Il telefono è nel mio ufficio, in fondo al corridoio a destra. Se hai bisogno chiamami, sarò in doccia per qualche minuto.”

Prese una pila di lenzuola e asciugamani appoggiata sul lavandino del bagno e gliela porse. “Tieni. Qui ci sono le coperte e gli asciugamani per poterti lavare. Sapone, spazzolino e dentifricio. Azzardati a dormire sporco sul mio divano e ti prendo a calci.”

“R-ricevuto”

“Bene.”

Si rinchiuse nel bagno e sentì Eren allontanarsi. Tirò un sospiro di sollievo: per fortuna lo aveva trovato. Con quella nebbia non è stato per niente facile riconoscerlo. Si sarebbe perso se non fosse arrivato, dannazione. Come può un ragazzo della sua età essere così imprudente ed impulsivo. Non bastava il discorsetto fatto poco fa: domani mattina gli avrebbe fatto capire due cosine. Ormai era stanco morto.  Voleva solo lavarsi dal sudore, aveva corso come un pazzo sotto la neve, pur di riacchiapparlo. L’acqua calda della doccia lo avrebbe tranquillizzato insieme al buon profumo del sapone. Se c’era una cosa che adorava erano i prodotti che profumavano di fresco come limone o muschio bianco, ma anche bagnoschiuma all’iris erano ben accetti. 

Il pulito e l’ordine erano una routine del suo essere, questo comprendeva soprattutto il suo look. Ogni settimana si sistemava il taglio di capelli e si radeva in alcune parti del corpo. Per quanto riguarda la barba la detestava, di conseguenza si radeva ogni sera prima di andare a dormire. Sciacquò la lametta dai residui della barba e riprese a trusciarla sulla guancia. Per fortuna la sua pelle non gli dava problemi, sarebbe stato facile altrimenti avere irritazioni cutanee vista la frequente rasatura. La sciacquò di nuovo, mentre sentiva Eren nella stanza a fianco che parlava al telefono. Che ragazzo irresponsabile, al posto della fidanzata Levi lo avrebbe già ucciso.

Da quello che potè origliare dal bagno, la ragazza non era affatto arrabbiata, ma sollevata. Era rimasta anche lei a casa di un loro amico, vista la bufera. Tornare a casa sarebbe stato troppo rischioso per una donna incinta, chiunque fosse con lei a quanto pare aveva insistito a farla restare. Inoltre, se fosse successo qualcosa non era da sola, come Eren pensava. Sembrava che questo amico con cui stava ridacchiando al telefono si chiamasse Armin e che abitasse vicino alla piazza del paese. Non era molto distante da lì, il giorno seguente Eren sarebbe andato a prenderla per portarla a casa. Il tutto ovviamente sperando che la tempesta si calmasse. Si salutarono e terminarono la telefonata, sentì Eren tirare un sospiro di sollievo.

Sciacquò la lametta, ancora. Se la passò sul collo. Ora che era più tranquillo, gli venne in mente che il ragazzo non aveva un cambio per la notte. Dormire sul suo divano con dei vestiti sporchi da tutta la giornata non era l’opzione giusta. Assolutamente no, non vi erano dubbi che sarebbe andata così. Avrebbe sicuramente trovato qualcosa per il ragazzo, nonostante in confronto a Levi fosse più alto. Finalmente quel pigiama che gli andava largo avrebbe avuto il suo momento di gloria, per i piedi non aveva un paio di scarpe che potessero calzargli. Rispetto a Levi, aveva un piede enorme, data l’altezza. Dei calzini sarebbero andati a pennello, che gli andassero bene o meno. La casa di Levi doveva essere priva di lerciume, soprattutto di puzza di piedi.

Diede un’ultima pulita alla lametta, la asciugò e la ripose nell’armadietto del bagno. Si sciacquò la faccia dai residui rimasti in volto e si mise un dopobarba al muschio bianco. Mettere del profumo forse sarebbe stata una buona idea, chissà. Però, per andare a letto non aveva molto senso a dire la verità: il giorno dopo avrebbe dovuto rimetterselo.  Allungò la mano verso la boccetta trasparente, dal contenuto color verde chiaro, e se ne mise due spruzzi sul collo. Aveva la netta sensazione che quel bel moro non fosse venuto a caso, se le cose sarebbero andate in tal modo allora tanto valeva la pena essere pronti. Perlomeno, forse ad essere pronto avrebbe dovuto essere il novellino perché, in tutta sincerità, Levi non si sarebbe trattenuto molto a lungo ancora.

Chiuse la boccetta, la ripose e si rivestì. Si guardò allo specchio: sapeva ciò che voleva. 

 

<<  Diamine, sembrava un vero e proprio inferno.
Rod Reiss,
il suo gigante era di dimensioni enormi,superiore di gran lunga al titano colossale. 
Eren, sporco di sangue in fronte, piangeva come una femminuccia.
Incapace di gestire la situazione con il sangue freddo.
“E’ inutile. Non possiamo scappare ormai”
Sarebbe stata davvero la fine dunque?
No, Levi non aveva dubbi.
Credeva molto nel ragazzo.
“Lo sai, detesto dirtelo ogni volta, ma... Eren...”
Si voltò verso il ragazzo,
lo guardò dritto negli occhi sperando nel fato e
allo stesso tempo spalancando le braccia in segno di accolta.
O la va o la spacca.
Aprì la bocca dicendo qualcosa fissando nelle iridi Eren.
“...”
Andrà bene qualsiasi cosa, non c’è più tempo. 
Eren continuò a guardarlo negli occhi, captando il suo messaggio.
La determinazione si ricaricò in lui.
Occhi spalancati, lacrime agli occhi, corse verso il vuoto.
Hai la mia fiducia, moccioso.
Non morire.  >>


Un’altra visione, molto simile a quella che ebbe in negozio quella mattina. Che situazione bizzarra e chissà cosa accadde in seguito, solo il cielo lo sa probabilmente. Uscì dal bagno, diretto verso il suo ufficio. Non era più lì, decise di andare a controllare in sala. Spense la luce, perché Jeager l’aveva lasciata accesa, per poi camminare ancora per quel corridoio vuoto con solo qualche quadro appeso. Superò la soglia della porta, ed eccolo lì Jeager con la bava alla bocca, spaparanzato sul divano. Mise le coperte in un modo orripilante, ma soprattutto non si era ancora lavato. Il pensiero che la sua bava potesse rimanere impressa nella spugna del divano gli faceva venire il voltastomaco. Prese un fazzoletto di carta e gli asciugò il volto, disgustato. Ci mancava solo questa. Nonostante l’insistenza del capitano, Eren non si svegliò minimamente. Avrebbe voluto sciogliergli quel codino, avrebbe dormito sicuramente meglio con i capelli sciolti. Sicuramente, però, Levi avrebbe dormito meglio se questo dannatissimo ventenne si fosse dato un’insaponata.

“Oi. Svegliati.”

“Mh...?”

“In riga a lavarti! Stai imbrattando tutto il divano con la tua bava puzzolente.”

“V-vado”. Si alzò frettolosamente e si diresse evidentemente in iimbarazzo verso il bagno.

“Aspettami un attimo lì.” Eren vide l’uomo andare verso un’ipotetica camera da letto e ben presto tornò con degli altri panni. Un pigiama e dei calzini.

“Tieni, spennacchiato. Sembra che ti sia scoppiata una granata addosso con i capelli che ti ritrovi”. 

Eren spalancò gli occhi e corse a vedersi allo specchio in bagno. Aveva proprio ragione, il codino ormai deformato e i capelli ben tesi da essa si erano trasformati in qualcosa di astratto. Più che una granata, sembrava avesse preso una brutta scossa elettrica e che ci fosse rimasto secco. Per decoro aveva i ciuffi dei capelli sbilanciati: a destra un ciuffo più lungo e a sinistra uno più corto. Porca eva, allora Mikasa non scherzava quando diceva che nel sonno non faceva altro che muoversi in modo irrequieto.

“Fanculo”

Si slegò il codino e lasciò cadere i lunghi capelli mori, che gli arrivavano alle spalle. Levi avrebbe giurato che se non fosse stato per la corporatura robusta avrebbe dubitato del suo sesso. Si notava facilmente che aveva dei lineamenti morbidi del volto, inoltre, gli occhioni grandi e pieni di ciglia che si ritrovava non aiutavano a renderlo mascolino. Non male. Chiuse la porta del bagno, dirigendosi di nuovo in sala. Si sedette sul divano e nonostante il novellino avesse dormito li per l’arco di una mezz’oretta le lenzuola si erano impregnate del suo odore. Prese un angolo del lenzuolo, tentato da quel profumo che gli ricordava del bergamotto, anzi no menta, no qualcosa di floreale. Era dolce, ma fresco e libero. Incredibile come gli piacesse, non lo disgustava affatto anche dopo qualche minuto.

Il lenzuolo era ancora caldo e Levi decise di stendersi. I capelli lontani dalla fronte e la mano dietro la nuca. Gambe accavallate verso l’alto, era talmente abituato a dormire sulle sedie che ormai questa era la sua posizione preferita. Era davvero tanto che non dormiva su qualcosa di morbido, saranno passati più di sei mesi oramai. Non sì coprì nemmeno e il sonno iniziò ad avere la meglio. Le palpebre si chiusero in fretta, senza nemmeno riuscire a trattenerle. Dopo un po' sentì dei passi, quanto tempo era passato? Mezz'ora? Un'ora? Vide Eren col pigiama, pantaloni blu scuro e maglia con maniche dello stesso colore. Petto e addome di colore bianco. Gli stava bene tutto sommato.

Aveva ancora i capelli sciolti, tanto valeva dire qualcosa per svegliarsi un po’. “Oh raperonzolo ha lasciato sciolti i suoi capelli, potresti fare la drag queen, sai marmocchio?” 

Eren lo guardò male e non poco, decideva lui per il suo stile di capelli. Non amava che gli si criticasse le sue scelte o opinioni. Controbattere era inevitabile. Non ebbe neanche un briciolo di esitazione, salì a cavalcioni sopra Levi che rimase inerme.

“Se per questo, Levi, tu potresti facilmente dare ordini ad un plotone. Ti ci vedrei come soldato...”

Levi indietreggiò solo un pochino, tenendosi su con i gomiti, guardando il ragazzo dritto negli occhi attendendo il fato. Eren sentì un brivido sulla schiena, come se lo sguardo e le intenzioni di quella scena fossero agganciate da parte di entrambi. Aveva una compagna però e tra non molto persino un neonato, era davvero opportuno seguire quell’istinto irrefrenabile? Digrignò i denti.

“Eren.”

 

<<  Eren stava per mordersi la mano e gombattere contro il titano femmina.
”Eren.”  >>


“Non stai sbagliando”


<<  Continuavano a cavalcare
“Non stai sbagliando” 
Eren continuò ad ascoltarlo,
lui capiva in qualche modo il suo carattere.
“perciò, se vuoi fallo.”  >>


“perciò, se lo desideri fallo. Scegli ora per non pentirtene domani.”

Un deja-vu? Una visione? Eren non seppe descriverlo, sembrava quasi un ricordo. Quell’uomo continuava a guardarlo negli occhi, mentre sentiva le ciocche di capelli scivolargli dalle spalle. Le sue iridi erano diventate belle grandi, facendo diventare quegli occhi gelidi in un mare tropicale cristallino. Sembravano supplicarlo, -procedi, soldato-. Sì, sembrava un ordine di un caporale, di un capitano. Sarebbe stato divertente, giocare. Si avvicinò al bruno e gli prese il volto con la mano. Non sarebbe ovviamente bastato per cambiare quella maschera di indifferenza che aveva il nanetto addosso. Avrebbe dovuto... insistere. Mise le labbra vicino all’orecchio, sfiorandoglielo. Intravide Levi che fece una smorfia, chiudendo l’occhio destro per il fastidio. Le sue orecchie e le sue guance erano bollenti.

“Giochiamo, Levi.”

Sentii Levi contorcersi, si avvicinò di più all’orecchio. Impertinente.

“Sono una recluta molto disobbidiente, Capitano Levi”

A tale pronuncia Levi, per motivi corporei, non aveva modo di contenere l’eccitazione ed Eren non mancò a notarlo. Giocò con l’orecchio e con la mano destra gli liberava la cerniera del pantalone. Levi, in preda alla foga gli afferrò il viso e lo legò in un bacio animalesco. Una bomba ad orologeria che attendeva solo di essere liberata. Quel profumo, Levi ne voleva ancora. Quel ragazzino, stava scendendo verso il basso e Levi lo aiutò spingendolo, tenendogli i capelli. Quella stanza diventò presto il teatro di un bel spettacolo, di cui solo le mura poterono sentire i due uomini ansimare. Eren capì che la parola “capitano” mandava alle stelle Levi, mentre l’altro lo attirava a se chiamandolo per nome.

“Eren” Espirò.

Probabilmente, Levi aveva ottenuto ciò che voleva alla fine. Gli scudi all’esterno della finestra però rimasero aperti, a causa del tempaccio, e qualcuno dall’altra abitazione affianco li stava osservando. Era una bambina, con affianco un padre dall’aria molto innervosita. Li stava osservando ormai da una buona mezz’ora la bambina, troppo sotto shock per parlare. 

“ Papà, cosa stanno facendo il signor Ackermann e quell’uomo?"

...

"Non capisco... perché si fanno male in tal modo?"

...

"Poi si baciano, sono nudi... e poi fanno quella cosa col seder-”

“basta così, Anna."

La bambina tremava, gliel’avrebbe fatta pagare. Sconvolgere così una bambina, per loro sfortuna li conosceva entrambi. Prese una fotocamera e scattò delle foto, pronte per incastrare Eren. Preparò dell’esplosivo, così avrebbe sistemato anche Levi. Li avrebbe distrutti. Era pronto a fare un bordello.

“Lasciate pure che tutti vi vedano, senza chiudere nemmeno la finestra. Povera la mia Anna, tremerà ancora per tutta la sera... Per colpa vostra.”

Levi si svegliò di fianco ad Eren sul divano, la luce della luna gli illuminava il volto ei suoi lunghi capelli. Tutto questo grazie ad una semplice tisana.
Impressionante: maledetta tisana, meno male che c’eri.

 

PREVIEW CAPITOLO 4
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Esplosione



Gli mostrò le foto

“se non vuoi che Mikasa veda queste foto,

dovrai portare questa cassa nel magazzino del negozio”

“cosa c’è dentro?”

“non sono affari tuoi, se vuoi avere tuo figlio vivo."

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Capitolo 4
*** Esplosione (Parte 1) ***


Introduzione dell'autrice:
Ciao! Grazie per voler leggere un'altro capitolo di questa storiella.
Parlando nei riguardi di essa, ho notato che nei capitoli precendenti vi sono degli errori ortografici, li sistemerò in futuro scusatemi.
Ad essere sincera a sto punto ho il forte terrore della morte di ogni singolo personaggio nell'anime, vista l'ultima morte della quarta stagione. L'animazione è stata stupenda anche per l'episodio 8,
lo studio Mappa è stata davvero una scelta fantastica per la serie. L'ultima scena tra Levi ed Eren a me ha ispirato molto non so voi, non perchè lo riempie di calci: non capisco la teoria sadomaso sinceramente.
Mi fa morire il fatto che quando rivede Mikasa ha uno sguardo totalmente assente, quando rivede Levi sembra per un attimo speranzoso di qualcosa. Levi gli ha sempre indicato la retta via, magari sperava che gli desse un indizio su come affrontare il futuro. Povero Eren, che masso che trasporta.. Ad ogni modo, quest'oggi vi lascio una Deleted Scene alla fine del capitolo, insieme alla data del prossimo. Non me lo sarei mai aspettato, ma questa volta ho avuto troppa ispirazione nel scrivere e devo dividere in due il capitolo, per via della lunghezza. Vi lascio alla lettura del capitolo e vi ringrazio per aver letto la mia introduzione. Buona lettura!
Marsha


 

CAPITOLO 4
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Esplosione

(Parte 1)


La Luna era grande in cielo quella sera, vicina alla sua amica Anna, che la aspettava ad ogni tramonto. Anna non era una bambina come le altre, per lo meno, la cosa che la differenziava molto era la sua grandissima dote di ispirazione. Ella vedeva cose che i suoi compagni non avrebbero mai immaginato. Non era eccellente nelle materie alla scuola elementare, per questo era difficile farla stare molto sui libri. Ma se c’era una cosa che amava a scuola era quando il professore di scienze spiegava l’armonia e i misteri dello spazio. Non le interessava altro, giocava poco con i suoi compagni di scuola richiudendosi in se stessa e nelle sue immaginazioni fantasmagoriche.

Chiacchierando giornalmente con i suoi pensieri ebbe una teoria al quanto buffa. Era convinta che la Luna sapesse tutto di tutti, per sino degli animali che abitassero il pianeta Terra. Questo perché Terra era la sua sorellona e non avrebbe permesso a nessuno di farle del male, in particolare quei esseri minuscoli che la abitavano. Avrebbe sempre tenuto un occhio sulla sua sorellona e le sarebbe stata sempre vicino, giocando a giro-tondo per tutta la vita. Papà Sole le controllava da lontano, sperando che non si facessero male insieme a mamma Venere e zio Marte, che le controllavano da vicino. Che meraviglia, era stupendo.

Una visione pacifica ed innocua dell’universo che ci circonda, anche se in piccolo, perché Anna aveva scoperto a scuola, il giorno prima, l’esistenza di altri tre pianeti vicino alla famigliola felice. Il primo che avrebbe voluto vedere era Giove: il maestro disse che era mastodontico ed Anna non sarebbe riuscita a crederci finché non lo avrebbe visto con i suoi stessi occhi. Terra era un puntino in confronto e la sua amica Luna era invisibile: insignificante. Giove proteggeva Terra, così come fece Luna tanti milioni di anni fa con una massa di meteoriti. Il maestro disse che Giove con la sua forza magnetica attraeva a sé vari numerosi elementi dello spazio, come meteoriti o comete, verso la sua traiettoria cambiando la retta originaria dell’oggetto.

In qualche modo così Giove protegge in segreto Terra. Un gigante buono che agisce nell’ombra! Agli occhi di Anna sembrava proprio un gentiluomo e la affascinava molto, era convinta che Giove avesse un debole per Terra. Non le bastava l’immagine illustrata nel suo libro di studi: voleva vederlo dal vivo. L’insegnante disse che tutte queste scoperte astronomiche erano state rese possibili dagli studi degli scienziati. Il primo era un uomo dalla lunga barba, chiamato Galileoo, che creò un cannocchiale ed iniziò ad osservare il cielo. <<  Anch’io voglio osservarlo così!  >> Pensava Anna, ogni notte prima di andare a letto. Non riusciva a dormire, anzi, non voleva affatto.

Il cielo la notte era così sbriluccicoso, tanto da sembrare un bellissimo vestito pieno di pagliette. Le costellazioni ormai le sapeva tutte, il nord sapeva come individuarlo: si sentiva pronta al passo successivo. A casa non aveva un cannocchiale o addirittura un telescopio, ma il padre possedeva qualcosa di utile: un binocolo nero! Sapeva che lo usava da giovane per fare il militare e che riuscì a tenerselo come souvenir. Tuttavia, secondo la piccola Anna, era un peccato lasciarlo a sé stesso nel buio di una scatola. Per quel binocolo sarebbe stata ora di tornare al lavoro e di aiutarla ad osservare il gigante innamorato.

Luna, cara amica, questa sera avrebbe potuto parlarti e vedere il tuo viso da più vicino. Luna la capiva, sapeva che la sfera pallida vegliava su di lei come un fantasma innocuo. Anche di giorno la cercava, vedendola delle volte in cielo nella sua forma più bella. Anna era convinta che quando la Luna era bella tonda in cielo voleva dire che era felice e riposata, man mano che si assottigliava la sua forma allora era stanca. Quando era totalmente oscurata stava dormendo oppure era triste e taciturna. Anna riuscì a rubacchiare il cannocchiale dal cassetto del babbo durante il pomeriggio, ora era il momento giusto per tirarlo fuori da dove lo aveva nascosto.

Diede la buonanotte a sua mamma, che l’aveva accompagnata in camera. Si arrampicò sulla sponda del letto fino ad arrivare alla mensola soprastante. Allungò la mano e prese la scatola impolverata, la aprì tirandone fuori il contenuto. Aveva l’odore tipico della plastica vecchia, le lenti erano ancora linde e pulite, nonostante gli anni passati. Aprì piano la tenda per evitare che facesse rumore. I suoi genitori sapevano che la sera non andava a letto, ma osservava il cielo. Per una bimba di sette anni non era di sicuro una sana routine. Si legò i lunghi capelli neri in una coda alta, così non le avrebbero ostacolato la visione della notte. Aprì la finestra, sentendo il freddo gelido dell’inverno e tremando un pochino. Aprì piano gli scudi, prese il suo quaderno di scienze, il suo astuccio e una copertina da mettersi sulle gambe. Si mise a gambe incrociate sul letto e si coprì per bene i piedini. Matita in mano, pronta per scrivere le sue scoperte di quella sera. Poi la vide, Luna eccoti.Scura l’entità celeste della notte, era triste.

“No... Luna, amica mia... perché piangi questa sera?”

Anna spesso lo chiedeva, ma non riusciva mai a percepire una risposta dall’amica. Non parlava, si chiudeva in se stessa, troppo sminuita dalla sua tristezza. Una stella cadente graffiò limpida il cielo vicino all’amica Luna, ad Anna parve una lacrima.

“Sono qui Luna! Ci sono io con te, non essere triste dai! Non capisco perché tu pianga...”

Gli occhioni neri della bimba erano prossimi al pianto, finchè non realizzò una possibilità del motivo di tanta tristezza. <<  Se fosse triste perché Giove, il cavaliere gigante, riuscisse a proteggere Terra più di lei?  >>  Era minuta e piena di ferite in volto pur di proteggere Terra, ma Giove era abile e astuto. No... forse la sua paura non era solo quella di non riuscire a proteggere Terra, ma che Giove la portasse via da lei. Anna prese il binocolo e puntò a Giove. Era davvero bello, sembrava così calmo e pacifico con i suoi colori caldi. Sembrava avere il pieno controllo di se stesso, ma il maestro disse che spesso le cose non sembrano come sono in realtà.

Giove era sempre in tempesta e i suoi colori soavi non erano altro che i venti, che soffiavano a velocità assurda. Anna lo vide sforzandosi moltissimo, quel puntino rosso diceva tutto. Il suo cuore, rosso e in tempesta da oltre trecento anni, che ruotava senza sosta alla vista di Terra. Erano sulla stessa linea nel cosmo, faccia a faccia. Terra, forse, era incantata dall’essere di Giove, dalla sua bellezza e dalla sua forza, ignorando così Luna.

“Ho capito...Luna! Non ti arrendere, non importa cosa possa succedere. Tu potrai sempre proteggere Terra indipendentemente dalle circostanze!”

Stelle cadenti, un’enorme pioggia di stelle invase l’oscurità del cielo.

“sì, niente di vieta di starle vicino! Nemmeno Giove mai potrà! Anche se loro due si innamorassero” Sentì la porta aprirsi alle spalle e vide suo padre nell’ombra.

“Anna è tardi, va a letto invece di parlare alla Luna come i lupi mannari!”

“ma papà guarda quant’è bello il cielo stanotte, è così emozionante!”

Il padre si avvicinò alla bimba e ossservò il cielo insieme a lei. La figlia aveva un’enorme immaginazione e ne andava fiero. Probabilmente sarebbe diventata qualcuno in futuro. Sorrise, vedendo lo sbrilluccichio negli occhi della bimba. <<  Dio ti prego, non portaglielo mai via.  >> Supplicava la divinità di far sorridere sempre quella bambina pazzerella.

“aaah, è proprio vero Anna. La Luna sembra che pianga, ma presto piangerà papà se non vai a letto”

La bambina annuì e si infilò sotto le coperte mentre papà Luke chiudeva scudi e finestra. Le diede un bacino in fronte0

“Buonanotte, a domani Anna”

“A domani, papà”

Si accucciò nelle coperte e sorrise, mentre Luna piangeva ancora in cielo.



__________



“Armin, perché va sempre via da me?” 

Mikasa di spalle, si copriva il naso con la sua sciarpa rossa. Stanca di quel continuo tira e molla della sua relazione con Eren, si domandava, ancora una volta, quale fosse la soluzione migliore. L’unico con cui poteva parlarne, ricevendo dei consigli, era il loro amico d’infanzia Armin. Un ragazzo che all’apparenza sembrava uno smidollato, ma che in realtà era un uomo dall’animo forte e coraggioso. Aveva dei capelli biondi e corti, rasati ai lati. Occhi azzurro cielo, grandi e pieni di speranza per il futuro. La sua mente andava ben oltre le capacità altrui, risolvendo molti problemi con idee strabilianti.

Quella volta non seppe cosa dire alla cara amica. Temeva già di averlo capito da tempo, ma non aveva il coraggio di ferirla: non avrebbe mai fatto del male ai suoi amici. Nonostante la sua coscienza, sapeva che sarebbe stato un errore tenere ancora una volta il silenzio: avrebbe portato ulteriori sofferenze. Mikasa guardava fuori dalla finestra, osservando la neve che cadeva incessante sulle strade di Marley. I suoi capelli erano l’unica cosa che gli era concessa alla vista. Sembrava la Luna, col suo lato oscuro nel cielo notturno. Abbassò lo sguardo, Armin, e osservò il pancione di Mikasa, che col tempo aumentava sempre di volume. Quella povera creatura non aveva nessuna colpa, Armin sperava davvero che non fosse come dubitasse sui sentimenti di Eren.

Armin aveva beccato più volte il moro tentato da altre donne, riuscendo in tempo a farlo ragionare e a farlo tornare in senno. Temeva che fossero successe altre situazioni, però, in cui Armin non era presente. Si domandava spesso se la sua coscienza lo trattenesse o se il suo brivido di libertà lo avesse sempre spronato ad avanzare. Mikasa, certamente, non era poi una donna che lasciava molto spazio personale, ma lo amava più di chiunque altro. Ella, finalmente, aveva ripreso a sorridere da quando mister Libertà la baciò per la prima volta. Il suo amore era ricambiato, ora dopo svariati mesi portava il suo seme in grembo.

Il giorno seguente avrebbe dovuto sapere, insieme al compagno, quale sarebbe stato il sesso del feto, era emozionata. Eren, a differenza della bruna, non dimostrava molto il suo affetto. Questa caratteristica del ragazzo divenne un problema quando Mikasa scoprì i tentativi fuggiaschi del compagno. Non era difficile uscirne con una lite da allora, quella mattinata ne ebbero una durante il pranzo. Mikasa, bisognosa di conforto e di sfogo, andò da Armin nel pomeriggio avvisando Eren. La lite fondava radici nell’incontro al negozietto, vicino alla piazza, con il signor Ackerman. Il limite era stato oltrepassato, persino un uomo di mezza età riceveva più attenzioni della sua promessa sposa.

Ebbene sì, perché subito dopo l’annuncio della gravidanza Eren si inginocchiò al suo cospetto, proponendole il matrimonio. Un matrimonio è un’unione di due persone a vita, ma se Eren si comportava in modo squilibrato nella relazione, un matrimonio non era l’opzione migliore. Aveva ancora impresso lo scambio di sguardi che si gettavano a vicenda mentre parlavano. Ackerman non gli tolse gli occhi di dosso nemmeno per un attimo, se lo divorò con lo sguardo. Non potendo sopportare di un altro secondo il feeling pericoloso tra i due, la bruna spezzò l’attenzione prendendo il sacchettino sul bancone.

Per tutto il tempo si sentì di troppo in quella scena, Eren infatti appena incrociò lo sguardo del commesso ignorò la donna al suo fianco. Mikasa osservava il suo anello, ricordando la scena della loro promessa. Dopo aver esclamato un “sì” in lacrime, Eren la sollevò in bracciò e si mise a girare su sé stesso. Felici per quella lieta notizia, Mikasa si sentì una principessa. Non essere felice al ricordo di quell’attimo era impossibile per l’asiatica, stranamente con un sorriso stampato in volto. Armin si avvicinò a lei e le sussurrò dolcemente.

“Mikasa, non importa cosa accadrà. Potrai sempre stargli accanto.”

Sì, non importava se Eren non la amasse più come una volta o se solamente voleva avere le redini dei suoi ultimi anni di vita. La bruna avrebbe potuto stargli vicino fin quando ne avrebbe avuto le forze. Mikasa guardò negli occhi Armin, gli sorrise con qualche lacrima agli occhi.

“Grazie, Armin.”

Il biondo ricambiò il sorriso, in quell’istante finalmente il telefono squillò. La mezzanotte era ormai passata da un pezzo, i due ragazzi erano molto preoccupati. Mikasa temeva che non avrebbe telefonato, che fosse andato chissà dove e con chissà chi. Forse avrebbe cercato quell’uomo... il sol pensiero le faceva male. Tirò su lei la cornetta del telefono, ansiosa di sentire il compagno.

“Pronto?”

“Pronto? Mikasa sei tu?”

"Sì, sono a casa di Armin, ha insistito affinché dormissi qui stanotte.”

“...”

“Mi dispiace per oggi, ho esagerato nei tuoi confronti. Ti prego torna a casa.”

“tranquilla, sono già a casa.”

“Meno male. Temevo che fossi in giro con questo tempaccio sotto una cabina telefonica.”

“No, per fortuna sono riuscito a finire il lavoro prima che la tempesta infuriasse. Domani mattina verrò a prenderti sotto casa di Armin, ok?”

“va bene.”

"ciao, Mikasa. Salutami Armin e ringrazialo da parte mia.”

“Sì, ciao tesoro.”

Agganciarono entrambi. Eren tirò un sospiro di sollievo, che Levi percepì dal bagno. Armin, vedendo Mikasa più tranquilla, fu sollevato anche lui. Finalmente avrebbero potuto andare a dormire, non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Sistemò il letto mettendoci un bel piumone caldo, visto il freddo gelido, e invitò la ragazza a raggiungerlo. I due fin da piccoli non avevano problemi di intimità, non era sicuramente la prima volta che dormirono in compagnia. Spesso si ritrovarono a dividere il lettone di zia Carla in tre. Era divertente giocare insieme con i cuscini, svegliando gli zii nel bel mezzo della notte. Fu molto divertente, sarebbe stato bello poter rivivere quei momenti tutti insieme.

Si stese sul letto, notando che al biondo bastarono pochi secondi per addormentarsi. Non importava quanti anni passassero, il suo volto ricordava sempre quello di un bambino. Si accovacciò di spalle all’amico, segno di fiducia e di protezione, mise una mano sotto al cuscino e, coperta fino al naso dalla morbida coperta, si addormentò in pochi minuti. Qualcun altro invece, in quella serata così turbolenta, non riusciva proprio a dormire. Anna si rigirava nel suo letto, capricciosa per l’impossibilità di vedere Luna nel cielo. Tutti dormivano probabilmente, la mezzanotte era già passata secondo l’orologio in camera. Sentiva che se avesse fatto attenzione al rumore, nessuno sarebbe venuta a fermarla quella sera.

Speranzosa nella schiarita del cielo dalle nuvole, aprì la finestra e gli scudi marroni. Ormai la piccola fece questo tutte le sere, per una quindicina di giorni. Luna aveva ripreso a sorridere, ma che delusione, quella sera non era minimamente possibile vederla in cielo. Troppe nuvole oscure la coprivano, insieme a tutte le costellazioni. Poteva però vederne il chiaro bagliore provenire da dietro di esse, più forte che mai. Che bello vederla piena di sé e in forze! Distaccò lo sguardo dalla sua amica, per poter godere la caduta dei candidi fiocchi di neve. Come potevano definirla tempesta Anna non sapeva dirlo, ai suoi occhi quei fiocchi che rigiravano e roteavano spesso su sé stessi erano come dei ballerini al teatro.

Il vento li muoveva allo stesso modo di una possente musica, soffiava imponente facendo fischiare le fessure della finestra. In quel momento notò che gli scudi del vicino si erano sganciati e si muovevano all’unisono col vento. Rispetto a tre ore prima la tempesta sembrava stesse diminuendo, per lo meno lo fece la nebbia. Anna guardò dentro la finestra, commettendo un errore. Il suo vicino di casa, il signor Ackermann, aveva un ospite a casa che aveva dei capelli lunghi e castani.

Non riusciva a capire se fosse un uomo o una donna, ma dato il fisico dedusse che fosse un uomo. Il signor Levi era sdraiato sul divano, quell’uomo gli andò addosso. Forse voleva fargli il solletico oppure voleva qualcosa, Anna faceva così quando voleva da mangiare dalla madre. Continuò a guardare, vedendo il vicino tirarsi su ma non scansando via da sè l’uomo. Lo scorbutico non permetteva a nessuno di avere un contatto così ristretto nei suoi confronti. Odiava toccare troppo le altre persone, diceva che avrebbero potuto trasmettergli dei batteri patogeni. Anna non sapeva cosa volesse dire, ma era meglio non irritare Ackerman. Non sembrava affatto uno dai modi gentili, infatti. Lo sguardo truce, che aveva di solito nei riguardi dell’intero mondo, in quel momento non c’era.

Gli disse qualcosa con quegli occhi strani, subito dopo il capellone iniziò a coccolarlo. Era questa quella cosa che i genitori nascondevano sempre, forse. Facevano delle cose disgustose agli occhi di Anna, non comprendeva la loro fame. Non comprendeva più il motivo della loro follia, del perché si facessero male in tal modo. Temeva che Luna voleva proteggere Terra da Giove per un motivo simile. La bambina, per via della sua forte immaginazione, iniziò a non ragionare con freddezza, la sua mente creava scenari assurdi. Così, allo stesso modo con cui impazzirebbe una macchina programmata, Anna delirava. Giove avrebbe fatto del male a Terra, avvicinandosi ad essa ed inglobandola, così come quei due uomini si stavano inglobando tra di loro. Se una cosa simile sarebbe davvero accaduta, per tutti non vi sarebbe stata via di scampo.

“Non voglio morire, qualcuno fermi Terra e Giove... vi prego!”

La bambina tremava, vedendo i due uomini allo stremo delle forze, ma che continuavano nel loro atto. Si cambiavano di posto, di ruolo, sempre legati da qualcosa di magnetico. I pianeti cambiavano la loro traiettoria, avvicinandosi al Sole trascinandosi gli altri pianeti. La gravità avrebbe avuto la meglio e si sarebbero fusi con l’enorme stella. Erano due esseri umani, ma la piccola di dieci anni non riusciva a vedere altro che quei due pianeti.  

Luna, dall’alto osservava felice di poter proteggere ancora la sua Terra, incurante del fato l’avrebbe seguita sino alla morte. Si spogliarono del tutto alla fine, non rimase nulla, solo i due pianeti.  Il padre, svegliatosi nella notte dal fischiare del vento, sentì la bambina parlare da sola.  Entrò in camera e la vide ancora una volta di fronte a quella maledetta finestra. Era incredibile come tutte le sere dovesse combattere contro la figlia, solamente perchè amava così tanto osservare il cielo. Non era una cosa nengativa, ma era comunque suo padre e non sopportava che la ragazzina non gli desse minimamente ascolto. 

Quella sera c'era qualcosa di strano, solitamente la bambina si accorgeva subito della presenza del padre e correva sotto le coperte.  Non si era minimamente accorto della figura paterna, continuava a fissare, con aria terrorizzata, fuori dalla finestra.  Le stelle non potevano sicuramente fare un effetto simile, così decise di controllare cosa stesse osservando. Si avvicinò e sudando capì il perchè dello sguardo sotto shock della bambina.  Come le avrebbe spiegato adesso la parola "sesso", non ne aveva la pallida idea.  Incominciava a tremargli il labbro, imbarazzato e inconsapevole da quali parole partire. Così piccola, aveva solo dieci anni e l'unica cosa che i suoi occhi avrebbero dovuto vedere erano dei fiori e un pallone con cui giocare in compagnia. Si abbassò in ginocchio vicino alla figlia, voleva agire in modo delicato. Per lo meno, per quanto gli fosse possibile farlo.  

"Anna, ascolta figliola..."

La bambina tremava visibilmente, ma non degnava di uno sguardo il padre ad ogni modo.

“ Papà, cosa stanno facendo il signor Ackermann e quell’uomo?" 

Era difficile da spiegare, ma la bambina non gli lasciava tempo di aprire bocca che l'accumulo di shock uscì fuori: "Non capisco... perché si fanno male in tal modo?  

Poi si baciano, sono nudi... e poi fanno quella cosa col seder-”

L'uomo scattò in piedi, sbottando sgridò la figliola. “basta così, Anna." 

La bambina, finalmente, lo guardava 
terrorizzata, non era stata una mossa perfetta. Quello che contava era che distolse lo sguardo da quella scena.  Voleva semplicemente metterla nel lettone,rimboccarle le coperte e spiegarle che era normale e che quando si sarebbe fatta l'età giusta avrebbe capito meglio. Nel frattempo, gli avrebbe solo accennato qualche cosa, giusto per non farla impazzire. Che sfortuna, sarebbe stato meglio se quella notte si fosse svegliata sua moglie al posto suo. Era molto più brava lei a parole con la figlia, Luke infatti era un po' più sul pugno di ferro con certi argomenti. Le mise le mani sotto le bracciaper poterla prendere in braccio, ma lei si ribellò al gesto. Non le aveva fatto male, anzi, l'aveva a malapena sfiorata. Non ebbe nemmeno il tempo di comprendere cosa stesse succedendo, che Anna iniziò ad urlagli contro. 

"LASCIAMI!!! NON MI TOCCARE!!!"

Luke mollò la presa al busto, facendo scivolare Anna con i piedi per terra. 
La bambina cadde con le ginocchia per terra per l'agitazione, strisciò fino alla parete del letto e si rifugiò nell'angolo. Fissava il padre negli occhi con le lacrime. Solo un padre avrebbe potuto capire il dolore nel vedere la propria bambina osservarlo con odio, terrore, disgusto.

"Anche tu lo fai, vero?"

"Anna, io-"

"ALLORA E' VERO! E' QUESTO CHE CI TENETE SEMPRE NASCOSTO?!" 

"Anna sei ancora troppo piccola per capire, non avresti dovuto affacciarti alla finestra questa sera!"

"MI FATE SCHIFO!!"

La madre di Anna, sentendo tutto quel fracasso, corse nella cameretta e vedendola nell'angolo 
accorse per proteggere la figlia. L'istinto materno le faceva tenere alta la guardia nei confronti del marito, temendo lo scenario più brutto possibile. Luke, terrorizzato, anticipò la moglie che lo guardava infuriata. 

"non è come sembra, Giorgia... credimi" la smorfia sulla faccia della donna non prometteva nulla di buono. 

"Anna... anna ha visto Ackerman fare sesso con un ragazzo, è sotto shock"  

La madre si voltò verso la figlia in lacrime, chiedendole se tutto ciò fosse vero. Anna non riusciva più a parlare e pur non sapendo esattamente cosa volesse dire quella parola, annuì, guardando negli occhi la mamma. La donna la abbracciò e la coccolò, cercandola di farla calmare. Le disse con calma che ciò che aveva visto, non era altro che frutto di un amore. "Vedi Anna, ciò che hai visto non è niente di malvagio. Si tratta di una semplice dimostrazione di affetto, così come quando mi corri incontro al rietro a casa." Le accarezzava delicatamente i capelli, si tranquillizzò in fretta. Nel frattempo papà Luke era esasperato nel vedere che nei confronti della moglie Anna non ebbe alcuna reazione strana. Forse perchè lui era un uomo, dopotutto vide una scena tra due omosessuali. Il ragionamento non faceva una piega, così come il terrore di Luke che la sua piccola bambina, d'ora in poi, non avrebe più avuto lastessa spensieratezza. 

Questo tipo di esperienze cambiano i bambini, facendoli crescere prima del dovuto psicologicamente. Il brusco rifiuto di prima, lo faceva star male. Non poteva accettare che la figliola dovesse portare sulle spalle un masso di tale dimensioni, lo avrebbe portato per tutta la sua esistenza.  Un padre troppo premuroso e una figlia con un'immaginazione troppo folle, mentre la madre risolveva il dilemma della situazione, cercando di far star meglio sangue del suo sangue.  Oscura la mente, oscuri i pensieri. Denti digrignati e sguardo infuocato, chiunque lo avesse potuto vedere avrebbe giurato di vedere il demone in quell'uomo.  

Desiderava la rovina dei due, la morte di entrambi per il dolore causato alla figlia. Dimenticandosi cosa fosse davvero il buon senso e il perdono, nel suo sangue scorreva vendetta e per i due uomini suggeriva di iniziare a tremare. Eren Jaeger, un semplice infermiere che stava avanzando molto in carriera, girava sempre con una donna bruna, visibilmente incinta. Da quel che sapeva, però, non erano ancora sposati e la ragazza aveva un carattere possessivo. Per rovinarlo sarebbe bastato scattare qualche fotografia, la sua ragazza sarebbe andata in bestia e il loro legame si sarebbe così inciso. Per quanto riguarda il nanerottolo conosceva le persone a cui pagava l'affitto del negozio. 

Sarebbe bastato mettere una pulce nell'orecchio di quelle persone e il negozio avrebbe avuto fine, chissà magari avrebbe fatto sfruttare Eren per l'opera. Inquesto modo non si sarebbe sporcato le mani e non si sarebbe fatto nemmeno vedere.  Il piano era perfetto, avrebb solo dovuto metterlo in atto. Prese la fotocamera, incurante delle domande da parte della moglie, e fece numerose foto. Si sorprese che Ackermann non notò affattò il flash, era proprio concentrato su quel ragazzo. 

"Mamma, Giove potrebbe mai inglobare la Terra?"

La donna rise all'ingenuità della figlia.

"hahah! no, amore mio, se davvero quel ciccione avesse intenzione di inglobarci, lo avrebbe fatto tanto tempo fa. Giove è un gigante gassoso molto buono, sai? Ooh! e poi il maestro ti deve ancora raccontare di Plutone, vero?" 

"cos'è?"

"è un altro corpo celeste nello spazio, se farai la brava la mamma ti prenderà un telescopio... ma dovrai usarlo solamente in un orario stabilito." La bambina era su di giri, nel lettone della madre. Quella sera avrebbe dormito più serena con lei, Luke se la sarebbe cavata. Inoltre, Giorgia notò che si stava comportando in modo strano: meglio stare con gli occhi aperti. 


Nel frattempo, in casa Ackermann i due si erano addormentati sul divano disfatto. Nonostante erano stretti, a nessuno dei due diede dispiacere. Fu facile addormentarsi e persino Levi riuscì a dormire qualche ora in più. Il bruno era ancora li, che osservava i capelli del moro. Non poteva credere che una cosa simile fosse accaduta quella sera, inoltre aveva la sensazione che qualcosa di simile fosse già accaduto in passato. Dopo sei buone ore di sonno filate, si era svegliato. Gli sembrava di aver fatto un sogno lunghissimo, quasi eterno. Pensava che fosse dovuto alle due ore in più di sonno, di conseguenzza non ci fece molto caso.

Cercò di alzarsi, facendo attenzione a non svegliare Eren. Era difficile, il ragazzo lo teneva stretto in un abbraccio e quasi se ne rammaricava a doverlo sciogliere. Purtroppo, quando il corpo chiama bisonga rispondere, in quel momento Levi doveva sia andare in bagno e sia mangiare. Aveva un brontolio allo stomaco impressionante, non sarebbe bastata una tazza di tè con qualche fetta biscottata a saziarlo. Fu una bella serata dopotutto, non aveva mai avuto un’esperienza così entusiasmante con nessun’altro. Neppure con una donna, nonostante fosse etero. A questo punto, però, Levi capì che doveva indagare meglio di che orientamento sessuale fosse. Dopotutto il ragazzino sdraiato su quel divano lo attraeva e non poco.

Tra qualche ora si sarebbe svegliato e avrebbe accompagnato la sua ragazza a casa, da quel che ricordava. Non gli andava molto a genio la possibilità di non rivederlo tra molto tempo, non sapeva ve avrebbe resistito. Si preparò del tè e si fece un toast salato, la giornata sarebbe stata pesante. Quella mattina doveva arrivare il rifornimento per il negozio e le casse da spostare erano parecchie. Per fortuna Jean gli avrebbe dato una mano, non che non ce la facesse, ma a quarant’anni la schiena in certi momenti gli faceva qualche scherzetto. Meglio non sforzarla troppo, inoltre fare il lavoretto in due avrebbe impiegato meno tempo. Squillò il telefono, Levi appoggiò il toast sul piatto e vi corse incontro. Si domandava seriamente chi fosse alle 06.00 del mattino. Alzò la cornetta e sentì la voce di Jean un po’ ovattata.

“Pronto, signor Ackerman?”

“Jean, faccia da cavallo, ti rendi conto di che ore sono? Avanti dimmi.”

“Le chiedo scusa, ma non sto affatto bene... non credo di riuscire a venire stamattina, cercherò di venire nel pomeriggio visto lo scarico merci di oggi”

“resta a a casa, riposa. Domani mi farai resoconto di come ti senti.”

“Grazie mille, signor Ackerman. A domani.”

“ciao.”

Riattaccò la cornetta, non sarebbe stato un problema. Anzi, avrebbe potuto risolvere un’altra questione: capitava a pennello. Andò verso il moro, scuotendolo.
“Oi. Eren.”

Il ragazzo stava russando in modo disgustoso, per aggiunta stava per sbavare. Se non fosse per la notte precedente, lo avrebbe già preso ripetutamente a calci.
“Eren, svegliati.”

Finalmente il moccioso iniziò a dare segni di vita, muguliando e rigirandosi. Aprì gli occhi e si alzò di colpo.
“merda, è mattina.”

“esatto, vieni a fare colazione. Dopo ho bisogno del tuo aiuto, non ti ruberò molto tempo. Si tratta di un’oretta.” 

Eren si scollò dal divano, dirigendosi verso il bruno.
“Vuoi il secondo round?”

Levi cacciò uno sbuffo di disapprovazione, mentre vedeva il moro sedersi a tavola. Gli passò un toast, così fecero colazione. Il tempo passò in fretta, nonostante la serta scottante entrambi non spicciarono molte parole. Andava bene anche così, non era necessario parlare ore ed ore per poter star in armonia con un’altra persona, anche se il moro avrebbe voluto sapere di più su quel quarantenne taciturno. Scesero presto, vi erano ancora i colori dell’alba in cielo e l’arietta fresca tipica della mattina. Aprirono il negozio, tirando su la serranda e le tapparelle, da lì in poi Levi gli diede indicazioni su come muoversi.

“Oggi ricevo la merce dal fornitore, ma essendo prodotti provenienti dall’estero sono ingrossa quantità. Il mio collega oggi non riesce a venire e le casse sono varie. Bisogna che tu mi dia una mano, per finire in fretta.”

“Agli ordini.”

Non appena finì di dire la frase, dalla porta posteriore del negozio si udì il rumore di un camioncino. Levi fece cenno al moro e gli fece strada. Prese dei guanti su una mensola e ne lanciò un paio anche ad Eren. Per fortuna aveva i riflessi pronti, altrimenti avrebbe avuto una bella botta in faccia. Li prese al volo con la mano destra, continuando a guardare dritto negli occhi azzurri il quarantenne. "Mettili, quelle dannate casse sono sudicie."

Levi aprì la porta e salutò il camionista. Un singore alto, non proprio in peso forma, anzi eren avrebbe giurato che almeno dieci chili in più lo era sicuramente. Capelli biondi, tendenti al rossastro e occhi verdi. Viso tondo e naso un po’ a punta e grosso. Che faccia buffa, davvero. Lo sguardo era strano, come se fingesse di essere spensierato, invece, che indemoniato col mondo. L’uomo salutò entrambi e aprì gli sportelloni del camion, per poter permettere di scaricare la merce.

“Eren, prendi le casse e portale nel magazzino. Arrivo subito.”

“Ricevuto.” 

Eren si pose di fronte al camion e vide che all’interno vi era un uomo. Gli fece cenno di salire su ed Eren fece come chiesto. La luce del sole non era ancora arrivata del tutto ad illuminare il cielo, di conseguenza nel camioncino non si vedeva granchè. L’uomo che aveva davanti era oscurato dall’ombra delle pareti. Gli mostro una cassa, sbattendoci ripetutamente il palmo della mano, così come si fa per richiamare un micio. Gli fece segno col dito di fare silenzio, con l’altra mano gli mostrò una pistola incastrata nel pantalone. Tornò a battere la mano sopra la cassa e ci sbattè sopra delle foto. Eren sudava, quelle foto illustravano il tradimento di ieri sera.

“Come fa-.”

“Shhh. Ricordi?” 

Eren digrignò i denti, doveva escogitare un modo per disarmarlo. L’uomo continuò a parlare a bassa voce.
“Se vuoi che Mikasa Ackerman veda queste foto, dovrai portare questa cassa all’interno del magazzino. Precisamente nell’angolo a sinistra, senza dare troppo nell’occhio.” 

Eren osservò titubante la cassa, non aveva nessuna intenzione di mettere Levi in pericolo. La verità sarebbe venuta comunque a galla, prima o poi. Non erano importanti quelle prove.
“cosa c’è dentro?” 

Eren vide l’uomo nell’ombra fare una faccia disgustata.
“Non sono affari tuoi, per lo meno, se desideri che la ragazza e tuo figlio vivano anche domani.” 

Eren sentì il suono metallico, per poi accorgersi di avere la pistola puntata in fronte. L’uomo non tremava, la presa era decisa e forte, nessuna esitazione. Jeager doveva riflettere in fretta. Se si fosse rifiutato, avrebbe potuto uccidere facilmente l’uomo con qualche mossa. Tutto ciò, comunque, non gli avrebbe assicurato che Mikasa sarebbe stata al sicuro. Avrebbero potuto ucciderla o farle del male in qualsiasi momento. L’alternativa era fare come diceva quell’uomo e portare la cassa all’interno del negozio. Se il bastardo sarebbe rimasto dentro il camion, non avrebbe potuto vedere minimamente Eren sbirciare l’interno della cassa. Sapeva che Levi aveva delle conoscenze in giro, la gente parla, poteva trattarsi di soldi o di qualcos’altro.

Alzò le mani, in segno di resa verso l’uomo. Lui gli diede un colpo in testa con la pistola, per divertimento. Nascose le foto, continuando a puntare Eren, mentre scendeva dal camion con la merce. “Perfetto.”

Levi stava firmando i documenti per la ricevuta dell’ordine, quando notò che in Eren qualcosa non andava. Il fornitore richiamò di nuovo la sua attenzione per l’ennesimo documento.
“Che seccatura.”

“Ahah! Lo stesso vale per me, Ackerman. Detesto queste prassi al tuo stesso modo. Si perdono...”

Diede uno sguardo ad Eren, mentre trasportava la cassa. Lanciando una frecciatina a Levi.
“Occasioni, Ackerman. Occasioni.”

Levi non riuscì a distaccare lo sguardo da quel pel di carota, non gli diede la soddisfazione di mostrargli il suo nervosismo. Mantenne lo sguardo freddo, senza mai staccarlo dall’uomo. Lo aveva già visto da qualche parte, lo avrebbe giurato. Nel frattempo, Eren aveva spostato la cassa nel punto esatto del magazzino. Prese un piede di porco lì vicino, aprì la cassa. Sacchettini di iuta, semplici sacchettini di iuta contenenti erbe. No, impossibile. Doveva esserci dell’altro, così rovistò tra i sacchetti cercando come un ratto e nel pattume. Sussultò nel vedere la bomba di piccole dimensioni, un timer ticchettante che segnava 7 ore all'incirca.  

Eren sudava, quell'affare era pieno di fili. Non sapeva quale tagliare. 

 
Angolino dell'autrice:
Eccoci arrivati alla fine del capitolo, o almeno alla prima parte. Vi devo confessare che alcune caratteristiche di Anna si rispecchiano in me, per lo meno non mi ritengo così folle.. ma alcune cose sono simili. Ogni tanto immagino di poter fare un video storyboard della mia fanfiction, immaginandomi alcune scene. Sarebbe divertente vedere una storia prendere vita in un'animazione, mia passione dall'infanzia. Non l'ho mai imparata bene eh, ma sono una grande fan e osservatrice delle opere animate. (Pssst Disney is my love!) Vi lascio con la scena cancellata, che nonostante sia dialettale spero possiate apprezzarla. Niente di offensivo eh, mettiamo paletti! Al prossimo capitolo, che uscirà il 10/02/2021 e mi raccomando non fate i pazzi come Luke! Ciao!
Marsha


 Tu potrai sempre proteggere Terra indipendentemente dalle circostanze!”
Stelle cadenti, un’enorme pioggia di stelle invase l’oscurità del cielo.
“sì, niente di vieta di starle vicino! Nemmeno Giove mai potrà! Anche se loro due si innamorassero”
Sentì la porta aprirsi alle spalle e vide suo padre nell’ombra. 
"ANNA! SANG I CHI T'E' VIV! TE NE VUO' IJ A CUCCA' INVEC E ROMBR O CAZZ E L'UNA 'RA NOTT?!"
"CH SFACCIMM PAPA', GUARD O' CIEL COMM'E' BELL!!!"
"M PASS PO' CAZZ! VATT A' CUCCA'!"

TRADUZIONE:
"Anna, mannaggia al sangue delle persone a te care ancora in vita, quando avresti intezione di andare a dormire? Invece di fare rumore e disturbare la quiete notturna all'una di notte?!"
"Per la miseria papà, guarda com'è bello il cielo!!!"
"Non attira minimamente la mia attenzione, nemmeno quella del mio batacchio. Di conseguenza vai a dormire!"
Fine.

 

PREVIEW CAPITOLO 5 

Esplosione

(parte 2) 


 

Eren ha di fronte a sè la bomba,
scegliere il filo giusto non è un'impresa facile.

In servo per l'amico però, Armin ha un'altra bomba che sta per scoppiare.
"Eren, dobbiamo parlare."
"Come fai a mentire così a te stesso?!"

Levi, camminando nel magazzino, sentì uno strano ticchettio.

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