Il giglio bianco

di Dangerina15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


1.


Non ha mai sopportato il velluto rosso utilizzato per tappezzare le sedie; conferivano all’ambiente un’aurea troppo gotica per i suoi gusti. Inoltre, la sensazione viscida che le mani avvertivano ogni volta che sfioravano il morbido cuscino rivestito di quel tessuto lo infastidiva. Non ha mai apprezzato neanche le tende alle finestre, in tinta con il rosso della tappezzeria. A dire il vero, non avrebbe neanche mai voluto recarsi in quel luogo! Ma ha dovuto farlo.
Era necessario.
Le mani strette tra loro sudano incessantemente, in un continuo stato di tensione che non lo lascia dal momento in cui ha varcato la soglia d’ingresso; gli occhi profondi e striati d’azzurro e verde si perdono in un vuoto di pensieri ed emozioni, lo sguardo fisso su un quadro di Monet, una perfetta imitazione di quei papaveri che avevano reso celebre il suo artista. Si era chiesto mille volte se aveva davvero bisogno di questo momento e la risposta era sempre la stessa.
‘Devi capire. Non c’è altro modo.’
Dicevano che fosse la migliore nel suo campo, silenziosa e discreta, capace di liberarti il cuore e l’anima dalle oppressioni che li tormentano; ed era allora che aveva accettato di parlarle, di confrontarsi e di “liberarsi”.
Un tremolio alla gamba lo rende nervoso ed inquieto; una sensazione del tutto nuova per uno come lui, che delle emozioni aveva fatto il suo pane quotidiano. Mille pensieri gli passano per la mente, ma uno in particolare è il suo chiodo fisso, il vero motivo che lo ha spinto a scegliere di prendersi quel venerdì pomeriggio libero da altri impegni per dedicarsi a sé e al suo “problema”.
La donna davanti a lui rimane in silenzio ad osservarlo, spostando gradualmente la sua attenzione ad ogni movimento che emerge da quello stato di preoccupazione e tensione chiaramente leggibile. Con la mano, scosta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sistema leggermente sul naso gli occhiali verde scuro. Pratica la professione da qualche anno e, fino ad ora, non le è mai capitato un paziente così taciturno. In realtà non le è mai capitato un paziente come lui e questo la rende nervosa ma allo stesso tempo entusiasta e curiosa. Si chiede quale problema potesse mai avere un uomo della sua importanza e del suo stato; di sicuro per essersi trovato nel suo studio doveva essere qualcosa di veramente importante.
 Sono trascorsi già venti minuti da quando, seduti l’uno dinnanzi all’altro, hanno iniziato la loro prima sessione di ascolto, ma tra loro è piombato un silenzio assordante che non sembra voler interrompersi. La donna si immerge per un attimo nella cartellina che tiene poggiata sulle sue gambe e, prendendo la penna dal tavolo accanto a lei, annota qualcosa di veloce.
«E’ la sua prima volta dallo psicologo, non è così?»
Il suo viso calmo e sorridente incrocia lo sguardo dell’uomo dinnanzi a lei, che sembra aver bisogno di essere rassicurato.
«E’ così evidente?» risponde emettendo un sospiro.
La donna sorride ancora e chiude la cartellina sulle sue gambe.
«So che può sembrare una condizione innaturale per lei, ma le assicuro che può fidarsi di me. In fondo è il mio mestiere.»
Benedict accenna un sorriso; il tremolio alla gamba sembra essere rallentato e una piacevole sensazione di rilassamento comincia a pervadere i suoi muscoli contratti e tesi. Gli occhi di quella donna gli trasmettono tranquillità e gli ricordano il perché di quella seduta e ciò che lo ha condotto lì.
«Da questo momento in poi avrò bisogno di darle del “tu”, per lei va bene?»
«Si, certo.»
«Molto bene, Benedict. Tu potrai fare lo stesso: il mio nome è Emily. Adesso ti porrò una serie di domande e ho bisogno che tu mi risponda senza pensarci troppo su, d’accordo?»
Benedict fa cenno con il capo e si sistema meglio sulla sedia vellutata di rosso. Emily riprende la penna e un foglio bianco:
«Nome di battesimo.»
«Benedict Timothy Carlton Cumberbatch.»
Emily appunta velocemente la risposta sul foglio, per quanto conoscesse bene il nome e cognome dell’uomo a cui stava rivolgendo le sue domande.
«Età.»
«39.»
Il rumore della penna sul foglio è leggero ma veloce.
«Se ti dico la parola “rosso”, a cosa pensi?»
Benedict non ha alcun dubbio.
«Velluto.»
«E se ti dicessi “emozione?»
«Lavoro.»
«La parola “famiglia”?»
«Stabilità.»
Un attimo di silenzio.
«Cosa vuol dire per te “importante”?»
Il battito cardiaco di Benedict aumenta leggermente di ritmo.
«Direi…” essenza”, credo.»
«”Fiore?”»
La mente di Benedict corre più veloce delle sue parole.
«Giglio.»
Non riesce a controllare i pensieri, sente il bisogno di dire ogni cosa che il cuore gli suggerisce e tutto si ricollega ad una sola parola…
«Qual è la cosa che ritiene più preziosa?»
«Lily.»
Un lungo silenzio si frappone tra i due interlocutori. Benedict prende un grande respiro e si alza dalla sedia, guardando fuori dalla finestra. Emily lo osserva in silenzio; sa bene che bisogna lasciare i pazienti ai loro momenti di riflessione; li aiutano a sentirsi connessi con le loro emozioni più profonde e a lasciare che fuoriescano da sole.
Quando Benedict torna a sedersi, Emily gli sorride.
«Vorrei ascoltare la storia di Lily. Ti va di raccontarmela?»

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.



Novembre 2005, KwaZulu-Natal, Sudafrica
 
 «E…Stop!»
Un applauso liberatorio da parte di tutta la troupe. David Attwood ha appena concluso quella lunga, quasi interminabile, giornata di riprese. Benedict sospira per buttare fuori tutta la tensione emotiva e mentale che ha accumulato durante le estenuanti 15 ore di lavoro, ma in fondo è felice; l’attore è il mestiere che sognava di fare fin da bambino, da quando andava a vedere i suoi genitori alla prima di qualche importante spettacolo teatrale. Si era immaginato così tante volte nei panni di Amleto o del russo Kostjia o persino di Titania, la regina delle fate che alla recita di terza elementare gli avevano chiesto di interpretare.
‘Mamma, un giorno diventerò un bravo attore, proprio come te e papà.’
Sua madre e suo padre lo avevano sempre appoggiato e adesso che a ventinove anni si ritrovava come protagonista della serie To the Ends of the Earth non riesce a smettere di sorridere, sebbene la stanchezza si faccia sentire in ogni muscolo del suo corpo. Ancora con gli abiti di scena, si dirige verso la macchinetta del caffè; se vuole guidare e tornare in hotel sano e salvo, deve trovare un modo per darsi una scarica di adrenalina immediata, altrimenti crollerebbe seduta stante sul volante. Inserisce una moneta e preme sul pulsante “espresso”, aggiungendo una dose di zucchero per non renderlo troppo amaro.
«Sei stato incredibile oggi.»
Una voce femminile alle spalle richiama la sua attenzione. Benedict sorride e fa un cenno con la testa, in segno di ringraziamento.
«Grazie, ne sono felice. È un onore poter lavorare con te.»
Denise Black è il suo punto di riferimento fin dal primo giorno di riprese; per qualunque confronto personale e artistico, Benedict sa che può contare su di lei.
«Adesso però vedi di darti una svegliata, ricordati che sei tu l’autista stasera.» riprende lei guardando il caffè che Benedict ha in mano e allontanandosi verso la sala trucco per smontare la parrucca che la mattina le hanno fatto indossare. Benedict sorride tra sé, bevendo l’espresso tutto d’un fiato; adesso deve solo recarsi in sartoria per lasciare i suoi abiti di scena e finalmente può andare a farsi una meritata doccia e una lunga dormita rigenerante.
«Hey Ben,». Theo Landey, il collega più gentile e pasticcione che abbia mai conosciuto, gli corre incontro sorridendo, «ho bisogno di chiederti un favore: potresti darmi un passaggio fino all’hotel dove state tu e Denise? Oggi sono venuto in taxi perché ho la macchina con una gomma bucata e il meccanico non me la restituirà fino a domani.  La casa dei miei genitori è a 200m dal vostro hotel, per cui se per te non è un disturbo, approfitterei di questa occasione.»
Benedict è conosciuto come il “gentiluomo inglese” e ne ha ragione da vendere: sua madre gli ha insegnato fin da bambino ad essere sempre disponibile e cortese con tutti, soprattutto con i colleghi; in fondo in questo mondo è meglio essere visti di buon occhio, dato che i meccanismi dello spettacolo sono difficili da capire e da gestire.
«Ma certo, non c’è alcun problema. Ci vediamo tra dieci minuti all’ingresso degli studi, d’accordo?»
Theo gli dà una pacca sulla spalla e mostra il suo sorriso più smagliante.
«Grazie amico, sei la mia salvezza.» e corre via tra i macchinisti.
Benedict accenna un mezzo sorriso; è così buffo quel ragazzo da mettergli sempre allegria. A questo punto riprende il suo cammino verso la sartoria, dove ad attenderlo c’è Debby, la capo reparto che lo aiuta a togliere tutti quegli strati di costume che dalla mattina alle sette sono appiccicati al suo corpo. Una volta rivestitosi con un paio di jeans, un maglione blu e infilatosi il cappotto, saluta Debby e si dirige verso l’uscita, incontrando Denise.
«Eccoti qui, Ben. Sei tornato ad essere te stesso, finalmente!» lo punzecchia lei ridendo.
«Ormai mi ero abituato ad un abbigliamento più “vintage”,» risponde lui contraccambiando il sorriso, «comunque, stasera abbiamo un ospite nella nostra carrozza a quattro ruote.»
Denise lo guarda incuriosita.
«Scommetto che è Theo.»
Benedict rimane sorpreso dalla velocità della deduzione di Denise e la guarda con aria sorpresa.
«No, non sono un’indovina, se è questo che pensi. L’ho incrociato diverse volte in giro per il set a chiedere passaggi a destra e a manca ed ero sicura che quando sarebbe arrivato il tuo turno, avresti acconsentito. D’altronde, il tuo savoir affaire da inglese è leggenda.» conclude lei lanciandogli un’occhiata che mette Benedict in un leggero imbarazzo. Dopo un breve percorso che separa il set dall’ingresso degli studi, ritrovano Theo davanti alla macchina con un gomito poggiato sul tettuccio.
«Che fortuna, vero Theo?» sussurra Denise al collega, dandogli una leggera gomitata sul braccio, «alla fine ce l’hai fatta a rimediare qualcuno che ti scarrozzasse fino a casa?». I tre scoppiano a ridere divertiti e salgono in macchina: Benedict al volante, accanto a lui Denise e sul sedile posteriore Theo.
Il set si trova fuori dalla cittadina in cui alloggiano, a circa 15km. Non c’è nessuno per strada, essendo passata mezzanotte e Benedict si sente più sveglio che mai; è sicuro che il caffè stia facendo il suo dovere. Per dare un po' di atmosfera al breve viaggio verso l’hotel, Denise decide di inserire l’unico cd presente nell’auto che la produzione ha noleggiato per loro, facendo partire le note di “How To Disappear Completely” dei Radiohead. Benedict ne è estasiato, adora quella canzone.
«Mi sembra di essere dentro un vecchio film americano.» commenta divertito Theo, intento a guardare fuori dal finestrino il succedersi di alberi e luci. Il silenzio dei passeggeri lascia spazio alle note della canzone che pervade l’intero ambiente; Denise e Theo si addormentano sui loro rispettivi sedili. Benedict invece, impegnato alla guida, gode della compagnia di quella musica e della sensazione di rilassamento che gli provoca. Riflette a quanto sia fortunato; la vita gli ha permesso di vivere della sua passione, del suo sogno. Pensa a quanti anni di studio ha dovuto affrontare per arrivare fino a lì, quante rinunce e quanti sacrifici fatti per amore dell’arte e adesso che ci è dentro, non vorrebbe trovarsi in nessun altro posto.
Sorride tra sé.
‘E’ uno dei momenti più belli della mia vita.’
 
 
 

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.


Un rumore sordo ed improvviso sveglia di soprassalto Denise e Theo. La macchina sembra fare un balzo verso l’alto, per poi ricadere con un tonfo sull’asfalto, rallentando la sua corsa. Benedict stringe forte il volante per non perdere il controllo del mezzo e, con una manovra improvvisa, cerca di accostarsi al bordo della strada. Il lato del guidatore sembra essere più inclinato rispetto a quello del passeggero e uno strano rumore di pneumatico fa capolinea alle orecchie dell’attore, madido di sudore e con gli occhi fissi e spalancati sulla strada. La macchina perde velocità e tenendo premuto il piede sul freno, Benedict riesce a frenare la folle corsa del mezzo, accostandosi in un punto della strada, accanto ad alberi e cespugli; i fanali rimangono accesi, in modo da essere visibili a chiunque passi da lì. Una volta fermatisi, i tre si cercano con gli occhi per accertarsi di stare bene e per costatare la tremenda paura che si percepisce dai loro affannosi respiri.
«Santo cielo, che cosa è stato?!» sussurra tremante Theo, scendendo dall’auto come un fulmine, seguito da Denise che sente di aver bisogno di riprendere aria. Benedict apre lo sportello e, slacciandosi la cintura, esce a sua volta dal veicolo, controllando lo stato della gomma anteriore che, così come sospetta, trova completamente scoppia e flaccida.
Maledizione! Di questo passo ci metteremo ore a tornare in città e domani ci aspetta un’altra giornata faticosa…e pensare che stava andando tutto così bene…’
«Dobbiamo chiamare Tom e avvisarlo che siamo rimasti in mezzo alla strada, con una gomma bucata.» continua lui dando voce al proseguimento dei suoi pensieri, cercando all’interno della tasca del suo cappotto il cellulare; le sue mani sono sudate e il cuore gli batte all’impazzata.
«La seconda in una settimana! Secondo voi sarà questo posto che non sopporta le gomme delle macchine?». Theo cerca di smorzare la tensione, ma l’attrice di fianco a lui gli lancia un’occhiata nervosa.
«Non mi sembra questo il momento di scherzare. Pensiamo invece a chiamare qualcuno che possa venire a recuperarci e a portarci in hotel…ci mancava solo questa!» sbuffa a sua volta Denise, desiderosa di trovarsi nella sua bella camera d’albergo a godersi il suo bagno caldo a base di sali al muschio bianco.
Benedict compone velocemente il numero dell’assistente alla scenografia Tom e tenta di rintracciarlo telefonicamente, senza successo.
«Prova a chiamare Debby, di solito lei risponde sempre.» suggerisce Denise, stringendosi la sciarpa sulle spalle, cercando di proteggersi dal freddo pungente della notte che incombe. Benedict cerca di contattare Debby ma anche questo tentativo si rivela un buco nell’acqua. Sbuffa nervosamente e comincia a camminare su e giù, nei pressi dell’auto; quella situazione lo mette in uno stato di stress, accentuato ulteriormente dalla stanchezza della giornata di lavoro.
«Dannazione! Non possiamo neanche cambiare la ruota, perché non ne abbiamo una di scorta.» riprende Benedict, scurendosi in volto. La sua mente sta cercando di elaborare una soluzione veloce e pratica che gli permetta di ripartire da quella strada desolata il più in fretta possibile; non si sente a suo agio in tutta quella solitudine. Mentre riflette sul da farsi, un rumore di foglie attira l’attenzione di Theo, che si gira furtivo ad osservare la massa di fronde e foglie che costeggiano il manto stradale.
«Che cos’era quel rumore?»
Denise e Benedict guardano nella stessa direzione di Theo.
«Io non ho sentito nulla…» risponde Denise continuando ad osservare il punto tra la boscaglia.
«Sarà un animale…» interviene Benedict, tornando ad occuparsi della lista di persone da contattare.
Theo si volta nuovamente verso la boscaglia; avverte quel rumore, questa volta più vicino e continuo, tanto che cerca di attirare l’attenzione dei suoi due compagni ma Benedict lo interrompe prima ancora che possa proferire parola.
«Sei ancora tramortito per lo spavento, Theo. È normale che la mente possa giocare brutti scherzi…» ma non fa in tempo a finire la frase che proprio dal gruppo di alberi e cespugli escono sei uomini, vestiti di nero, con il viso coperto da un passamontagna e un fucile puntato verso di loro. Denise tenta di urlare ma Benedict le fa cenno con gli occhi di tacere; non sanno chi sono né perché siano lì, armati e pronti ad aprire il fuoco contro di loro. Quello più vicino a Benedict urla qualcosa nella sua lingua ma che l’attore non riesce a capire, rimanendo fermo con le mani alzate in segno di resa. Ad un tratto Theo mormora qualcosa che sembra somigliare ad una risposta, nella stessa lingua della banda armata.
«Ci hanno chiesto di mettere le mani sopra la testa.» dice Theo voltandosi verso Benedict e Denise con lo sguardo del terrore. Denise cerca di chiedere a Theo come faccia a conoscere la lingua di quei malviventi ma il più grosso dei sei, che si trova vicino alla donna, le da uno strattone con il suo fucile, facendola barcollare e rischiando di farla cadere. Urla di nuovo qualcosa e stavolta i tre eseguono gli ordini che Theo ha tradotto per loro. Benedict sente il cuore scoppiargli in petto; non ha controllo delle sue emozioni e vorrebbe sparire sottoterra e fuggire il più lontano possibile ma sa bene che mostrare anche solo un pensiero al riguardo equivarrebbe alla condanna a morte di tutto il gruppo. Deve mantenere la calma se vogliono uscirne vivi e, guardando Denise, cerca di far capire il suo pensiero anche alla donna che, continuando a tremare, comincia a singhiozzare dalla paura.
«Vi prego non uccidetemi…» pronuncia tra le labbra senza farsi sentire dagli uomini col fucile; uno di loro, nel frattempo, è incaricato di perquisire i tre ostaggi appena catturati e di verificare la presenza di armi o oggetti di valore. Benedict, Denise e Theo sentono le mani del loro aguzzino cercare tra i loro abiti qualcosa che possa valere la loro attenzione: oggetti preziosi, anelli e soldi. Non appena termina l’indagine e sottratto loro carte di credito e cellulari, l’uomo fa segno al suo capo e scambia con lui poche parole, che terminano con un grido verso i tre attori e delle spinte alla schiena per farli salire nuovamente in macchina. Denise continua a piangere terrorizzata e si aggrappa al braccio di Benedict, stringendolo forte quasi a stritolarlo. Theo rimane paralizzato e immobile nella sua posizione, incapace di emettere un qualunque flebile suono. Benedict riflette velocemente su chi siano quegli uomini e cosa fare per cercare di sopravvivere a quel rapimento.
La macchina con la gomma bucata sfreccia ad una velocità folle verso la direzione opposta della strada, intrufolandosi in un viottolo secondario sterrato, che provoca ancora più danni alla vettura già in pessime condizioni. Dietro di loro, un furgoncino nero dove a bordo si trova il resto della banda.
«Sono locali.» sussurra ad un tratto Theo all’orecchio di Benedict, cercando di non farsi sentire dagli uomini sui sedili anteriori. Benedict rivolge leggermente la testa verso di lui, incrociando lo sguardo perso nel vuoto dell’amico che, come lui, continua a gocciolare sudore dalla fronte.
«Io sono nato qui, per questo capisco la loro lingua. Sono dei criminali locali, abituati a razzie e furti ai forestieri che si imbattono in queste zone. Ma non avevo mai sentito parlare di rapimenti, o peggio, riscatti e omicidi…»
A quelle parole Denise aumenta il volume dei suoi singhiozzi, facendo girare bruscamente l’uomo accanto al guidatore e facendo puntare contro i tre il fucile da caccia che ha con sé, mormorando qualcosa e obbligando Theo a tradurre per lui.
«Dice che se non smetti di lagnarti, la prima a cui faranno saltare le cervella sarai tu.» dice Theo abbassando gli occhi. Denise spalanca gli occhi dal terrore e cerca, con tutta la forza d’animo che le è rimasta in corpo, di trattenere i singhiozzi.
Il resto del breve viaggio trascorre in silenzio, in un ammontare di respiri e sospiri. Ad un tratto la macchina si arresta e i due uomini seduti davanti scendono velocemente, imbracciando le loro armi e aprono violentemente gli sportelli, sbalzando fuori bruscamente i tre attori. Benedict, Denise e Theo vengono spinti a terra, costretti a mettersi in ginocchio come fossero davanti ad un plotone d’esecuzione. Benedict sa che deve trovare alla svelta qualcosa che costringa quegli uomini a non ucciderli, così da guadagnare tempo per cercare una via di fuga, in qualunque modo possibile e con ogni mezzo necessario. Ai due carcerieri che tengono sotto controllo i prigionieri, si aggiungono gli altri che si trovavano nel furgone che li seguiva a poca distanza. Uno di loro si avvicina a Denise e, sciogliendole i lacci delle scarpe, le lega in modo serrato i polsi davanti a sé; poi, allo stesso modo, lega Benedict e Theo, costringendoli alla più totale immobilità. All’improvviso i tre si ritrovano con sei fucili puntati dinnanzi a loro e un uomo che sussurra altre parole incomprensibili. Theo, cominciando a singhiozzare, cerca di rispondere agli aggressori ma senza successo e lo costringono a tradurre le parole pronunciate poco prima.
«Dice che se avete un’ultima preghiera da fare, questo è il momento giusto.»
Benedict ha il cuore in gola, respira affannosamente; nota i polsi leggermente sanguinanti a causa della forte stretta a cui erano sottoposti. È terrorizzato ma non è disposto a morire, non oggi! Ad un tratto si accende nella sua mente un barlume di speranza, un tentativo estremo ma forse la loro unica via di scampo da quell’inferno.
«Non potete ucciderci, noi siamo attori famosi!» dice tutto d’un fiato, raccogliendo quel po’ di coraggio che possiede in corpo e con quel pizzico di follia che avrebbe potuto ucciderli all’istante oppure salvarli, almeno per il momento. Theo traduce velocemente le parole pronunciate da Benedict che, in un primo momento, colgono l’attenzione del capo della banda, che pronuncia a sua volta una serie di parole.
«Se noi adesso veniamo uccisi, voi potreste perdere l’occasione di chiedere tre grossi riscatti. Guadagnereste un mucchio di soldi, ve lo assicuro! Pagheranno profumatamente per chiedere la nostra liberazione.»
Theo non perde tempo e, mentre Benedict parla, lui traduce più in fretta che può per far arrivare chiara e limpida ai rapitori la loro richiesta implicita di salvezza. Gli uomini osservano Benedict con sospetto ma poi, consultandosi tra di loro, si avvicinano a Theo, dicendogli delle frasi.
«Ha detto che se è vero quello che dici, non tarderanno molto a mettersi in contatto con l’ambasciata americana e che per ora possiamo considerarci appesi al filo tra la vita e la morte.»
Dopo di che, prendendoli violentemente da un braccio, Benedict, Theo e Denise vengono condotti all’interno di una tenda e obbligati a sedersi in ginocchio, rimanendo legati e sanguinanti. Usciti i carcerieri, Denise guarda Benedict con gli occhi pieni di lacrime.
«Ci hai salvati, Benedict. Dio, non riesco a crederci…»
«Saremo salvi solo quando potremmo uscire vivi da qui e correre via il più lontano possibile» risponde Benedict, osservando l’uscita della tenda.
«Hey, ragazzi, guardate laggiù» interrompe ad un tratto Theo, facendo cenno con la testa verso il fondo della tenda. Ad un paio di metri di distanza da loro intravedono una piccola figura minuta e accovacciata, girata di spalle, con dei lunghi capelli che scivolavano a terra.
Non sono più soli in questo inferno.

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.


Benedict osserva per qualche secondo quella ragazza dai lunghi capelli rossi che poggiano disordinati a terra: è rivolta di schiena, accovacciata come fosse dentro un guscio d’uovo. Le sue spalle sembrano muoversi a singhiozzo, come se stesse piangendo, ma da quella distanza non può percepire alcun suono.
«Ragazzina! Hey, ragazzina, mi senti?!» tenta di chiamarla Denise alzando leggermente il tono della voce, ma lo sguardo di Benedict la frena; non possono e non devono destare l’attenzione dei rapitori. Theo, allora, prova a sussurrare alla ragazza qualcosa nella lingua locale ma senza ricevere risposta. Nella tenda piomba un silenzio assordante, indurito dalla paura e dalla tensione dei presenti. Benedict comincia a percepire il dolore ai polsi, dovuto alla corda che li tiene legati, e alle gambe, a causa della posizione che lo costringe ad una immobilità forzata.
‘Ci vorrebbe un miracolo per tirarci fuori da qui ancora vivi…’ pensa tra sé, chiudendo gli occhi. Ad un tratto sente un fruscio, qualcosa che si sta muovendo: è la ragazzina dai capelli rossi che, mormorando, ha leggermente cambiato posizione.
«Non fatemi del male…»
Benedict afferra queste flebili parole uscire dalla bocca spaventata della giovane.
«Nessuno di noi è qui per farti del male, lo giuro. Noi siamo ostaggi e credo che anche tu lo sia…» risponde dolcemente lui con la sua calda e suadente voce che lo contraddistingue e che trasformerebbe anche la peggiore delle minacce in una piacevole carezza sonora. A quel punto la ragazzina si volta leggermente verso i tre attori, in modo che possa osservarli direttamente in viso. Benedict non può fare a meno di notare lo stato fisico della ragazza: è sporca di terra, i vestiti stropicciati e bucati in più punti; ha i polsi legati come i loro, il viso sciupato con delle profonde occhiaie e solchi ben visibili. Gli occhi sono gonfi e tristi; deve aver pianto molto. Rimane in silenzio ad osservare quegli uomini e quella donna che adesso sono lì con lei, continuando a tremare.
 Ogni istante potrebbe essere l’ultimo e lei lo sa bene ormai.
«Come ti chiami, piccola?» chiede Theo, facendole un sorriso. La ragazza aspetta qualche secondo, volgendo lo sguardo verso l’ingresso della tenda.
«Sta tranquilla, non verranno se parleremo piano…» la rassicura Benedict; in realtà sa di averle appena mentito, perché non è certo della sorte che toccherà ad ognuno di loro, ma in cuor suo sa che in quel momento l’unica cosa che quella ragazzina davanti a lui sta cercando è la sicurezza di due occhi che possano infonderle un po' di coraggio.
Lei cerca con fatica di mettersi a sedere.
«Il mio nome è Lily.»
La sua voce è sottile e debole.
«Hai un nome molto bello, Lily. Significa giglio…» riprende Denise, mostrandole un sorriso che maschera la sua profonda paura.
«Sei qui da molto tempo, Lily?» continua Theo. La ragazza fa un lieve cenno affermativo con la testa e abbassa gli occhi ad osservare i suoi polsi legati. Il cuore di Benedict si riempie di rabbia; perché rapire una ragazzina così piccola e trattarla alla stregua di un oggetto?
‘È disumano…’ pensa tra sé, scurendosi in viso.
«Posso chiederti quanti anni hai, Lily?»
Denise interrompe il flusso dei pensieri di Benedict rivolgendo una nuova domanda alla piccola prigioniera.
«Quattordici…» risponde sommessamente la ragazza.
«E’ così giovane!» commenta tra sé Theo con rabbia e indignazione.
«E dove sono i tuoi genitori?» incalza ancora Denise, credendo di aver trovato il modo di dialogare con la piccola.
Lily non risponde, distoglie lo sguardo e comincia a singhiozzare, nascondendo il viso all’indietro. Denise si volta verso Benedict, sentendosi in colpa per aver posto una domanda probabilmente dolorosa per la piccola; lui cerca di richiamare la sua attenzione e di sorriderle per aiutarla a calmare le sue lacrime.
«Ci dispiace, non avremmo dovuto farti questa domanda, in fondo non sai nemmeno chi siamo…»
«Ho paura.» risponde tremante Lily, facendo scivolare una lacrima sulla guancia.
Benedict le sorride ancora.
«Ho paura anche io, sai?»
Lily alza lo sguardo e incrocia gli occhi azzurri di Benedict, rimanendo ad osservarlo a lungo in silenzio. Il viso di quell’uomo le trasmette un senso di sicurezza e il suo sorriso la incoraggia a ricambiarlo, seppur con uno appena accennato.
«Ti posso confidare un segreto?» sussurra Benedict. Lily fa cenno con la testa e avvicina leggermente il viso, come per ascoltare meglio ciò che l’uomo dinnanzi a lei sta per rivelarle, anche se si trova all’altro capo della tenda.
«Noi adulti abbiamo sempre paura. Abbiamo paura di sbagliare, abbiamo paura di morire, di farci male, di cadere. Abbiamo paura delle cose piccole e delle grandi cose, abbiamo paura di volare, di arrivare in ritardo, di perdere il lavoro; abbiamo paura degli insetti, dei serpenti, degli scorpioni, degli animali feroci. Abbiamo paura di tutto quello che non conosciamo. Abbiamo paura della gioia, del dolore, della delusione, del tradimento. Abbiamo paura persino dell’amore! Credimi, Lily, noi conviviamo sempre con la paura, ogni giorno della nostra vita, ma sappi questo: l'uomo coraggioso non è colui che non prova paura, ma colui che riesce a superarla.»
Benedict fa l’occhiolino alla ragazza e le sorride dolcemente mentre Denise e Theo si scambiano uno sguardo d’intesa, inteneriti da quella semplice conversazione. Lily lo fissa come rapita e ne ascolta ogni parola ed ogni respiro; non conosce quell’uomo, non ha idea del perché si trovi lì con quelle altre due persone, eppure le sue parole sono come un cucchiaio di miele dolce. Ha bisogno di aiuto, di forza per affrontare tutto quello che le sta capitando e nella solitudine in cui è stata costretta fino a quel momento, quello sguardo e quelle parole le infondono quel po' di coraggio che le basta per non rimanere schiacciata dalla insormontabile montagna di dolore e paura che le è piombata addosso. Le sue mani smettono lentamente di tremare e le lacrime pian piano svaniscono; gli occhi le cominciano a brillare di una luce nuova, di quel barlume di speranza che Benedict riesce a cogliere, seppur a distanza dalla giovane. Ma proprio in quell’istante, l’ingresso di due uomini armai interrompe la breve conversazione tra i quattro; lo sguardo di Lily si dipinge nuovamente di terrore, si chiude a guscio su sé stessa, abbassando la testa per non guardare. I due uomini si fermano davanti ai tre attori lanciando loro una piccola borraccia e un tozzo di pane a testa e uno di loro accenna qualcosa in modo severo e inflessibile. Poi rivolgono lo sguardo a Theo, facendogli capire di dover tradurre quelle parole:
«Dice di muoversi a prendere cibo e acqua perché potrebbe essere l’ultima cosa che mangeremo.»
A quel punto i due uomini rivolgono lo sguardo su Lily e, avvicinandosi repentinamente a lei, la tirano su dalle braccia e con forza cercano di trascinarla con loro fuori dalla tenda. La ragazza urla e si dimena, piangendo le ultime lacrime che le sono rimaste e fissa lo sguardo su Benedict, implorando di aiutarla.
«Fermi! È solo una bambina, non avete il diritto di farle del male!» ma le parole di Benedict cadono nel vuoto, provocando scompiglio e facendo infuriare il più grosso dei due energumeni che, con gli occhi iniettati di sangue, si avvicina all’attore tirandogli un pugno in viso, lasciandolo tramortito a terra. Denise grida spaventata e Theo, con tutta la voce che gli era rimasta in gola, prova ad implorare pietà per la ragazza, con scarsi risultati. Rimasti soli dentro la tenda, Denise respira affannosamente, trattenendo il terrore che sgorga incontrollato da ogni parte del suo corpo.
«Benedict, alzati!» dice Theo guardando l’amico steso a terra, apparentemente privo di sensi.
Un buio improvviso ha circondato la stanza e Benedict non sa per quanto tempo sia rimasto ingabbiato dentro quel baratro. Apre gli occhi e tossisce; la vista è annebbiata e la testa gli gira maledettamente. Il suo sguardo si posa sulla macchia di sangue sullo sterrato; quel bestione gli ha fatto davvero male. Poi, rivolgendo la testa verso i suoi amici, cerca di rimettersi in piedi e di asciugarsi il sangue che cola dal naso con le mani ancora legate insieme.
«Stai bene, Ben?» gli chiede preoccupata Denise. Benedict annuisce e cerca di rimettersi in sesto per capire bene cosa sia successo; guardandosi attorno, nota l’assenza di Lily e in quel momento gli ritorna in mente tutto: le grida della ragazza, i suoi occhi che gli hanno implorato aiuto e lui che, nel tentativo di fermare gli aggressori, si è preso un destro in pieno volto.
«Maledetti bastardi!» dice tra sé pensando alla ragazza; la rabbia sembra esplodergli in corpo, ma allo stesso tempo non può dimenticare che è in gioco anche la sua vita e quella dei suoi amici.

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.

Le ore scorrono in modo confuso dentro la tenda fredda e solitaria; l’acqua è finita da un pezzo, la fame è un tarlo che non li lascia liberi e l’alba di un nuovo giorno appare all’orizzonte, attraverso un flebile raggio di sole che attraversa il tessuto sintetico della copertura. Theo sente le forze abbandonarlo ogni momento di più e Denise si è gettata nello sconforto, rassegnandosi all’idea che nessuno sarebbe venuto a salvarli e che sarebbero morti lì, in un luogo dimenticato da Dio e per di più preda di assassini locali in cerca di denaro e ricchezze. Benedict cerca di toccarsi la guancia fortemente indolenzita e gonfia per la botta subita; la sua mente è un cumulo di pensieri: cercare una via di fuga da quell’inferno, il terrore della morte che lo assilla, gli amici che sono lì con lui e Lily, quella ragazza indifesa che da ore ormai è sparita, trascinata via da quegli uomini come fosse una bambola di pezza. In cuor suo spera che sia ancora viva, ma più il tempo scorre e più questa possibilità gli pare remota. La paura è tornata dentro il suo cuore, questa volta però non ha i mezzi né la forza per contrastarla; sperare in un miracolo è la sola cosa che gli rimane, a cui aggrapparsi con le unghie e con i denti.
A rompere la catena dei suoi pensieri è un uomo con il passamontagna nero, uno della banda che porta con sé una donna.
«Lily!»
L’istinto di Benedict si risveglia, pronunciando il nome della ragazza. L’uomo spinge la giovane ai piedi dei tre attori e rimane davanti all’ingresso della tenda a scambiare qualche parola con un altro membro della banda.
La figura che atterra davanti a Benedict lo lascia impietrito: ha gli occhi fissi e sbarrati contro il vuoto, un labbro gonfio e sanguinante e i vestiti strappati in più punti; trema come una foglia, tenendo le sue gambe nude e piene di ferite e lividi strette tra loro. Benedict, Denise e Theo si scambiano velocemente uno sguardo: la condizione della ragazza mostra chiaramente che cosa le sia successo. Benedict cerca di sfiorarle il braccio, ma lei lo ritrae velocemente verso di sé, come se avvertisse una sensazione viscida che la toccasse…ancora. Non parla, non piange, non distoglie lo sguardo da quel vuoto che le si è fissato dentro le pupille: sembra essere una morta che respira.
Una lacrima scivola sulla guancia di Denise, toccata da quella visione; lei è donna, è madre e nonna e la piccola Lily avrebbe potuto essere sua figlia o sua nipote.
«Come può l’essere umano essere così crudele e senza cuore?» sussurra tra sé Theo, indignato per le condizioni della ragazza. Benedict sente covare dentro di sé una sensazione nuova, che non aveva mai provato prima, che non è disprezzo, ma assai peggiore: il ribrezzo, per quello che hanno fatto a quella bambina degli assassini senza Dio, ribrezzo verso sé stesso per non essere in grado di salvare nemmeno sé stesso, figurarsi i suoi amici! Abbassa gli occhi e stringe forte i denti, cercando di frenare l’istinto che pian piano sembra prendere il sopravvento sulla sua mente.
‘Al diavolo!’
 La sua pancia e il suo cuore sembrano sul punto di esplodere, non riesce più a contenere tutta quella quantità di emozione che prova. Si alza di scatto in piedi, trovando un’energia nuova e nascosta, e con tutta la sua forza si avventa contro l’uomo davanti alla tenda che, essendo girato di spalle, cade con la faccia in avanti. Benedict cerca di liberarsi le mani utilizzando il coltellino che l’uomo porta con sé in tasca, ma in un momento di distrazione, l’uomo sotto di lui ribalta l’attore portandolo con la schiena a terra; un destro ben assestato stordisce Benedict che torna a vedere tutto nuovamente offuscato. Nel frattempo, Theo, per non lasciare solo l’amico, segue la sua iniziativa e aggredisce il secondo uomo, accorso per i rumori provocati da quella rissa. Denise si alza in piedi e, avvicinandosi a Lily, cerca di attirare su di sé l’attenzione della ragazza.
«Presto, piccola! Dai, guardami. Lily, sono Denise, dobbiamo andarcene, forse abbiamo una possibilità!»
Lily sembra non ascoltarla fin quando Denise, colta da una carica di adrenalina, tira su la ragazza da un braccio e la tira, con le mani ancora legate. In quel momento la giovane sembra riprendere coscienza e si rende conto di quanto accade attorno a lei; i suoi occhi cadono su Benedict che, cercando di difendersi dai pugni del suo aggressore, si è ridotto ad una maschera di sangue e dolore. Il suo sguardo si sposta su Theo, immobilizzato dal suo avversario e con il fucile puntato alla testa. Un terzo uomo entra nella tenda e trascina le due donne fuori, facendole mettere in ginocchio accanto a Theo, anche loro con un fucile dritto verso di loro. Benedict intravede la scena con la coda dell’occhio, subendo ancora i colpi del suo aggressore.
‘Stavolta è davvero la fine.’
Anche lui, così com’è ridotto, viene spinto violentemente accanto agli altri ostaggi; gocce di sangue scivolano dal viso dell’attore verso terra. L’uomo dinnanzi a lui sta gridando per dare l’ordine di fare fuoco ai quattro ribelli. Benedict sa che stavolta non c’è via di fuga e in un secondo gli scorre davanti agli occhi tutta la sua vita: sua madre e suo padre, il giorno in cui ha cominciato a fare l’attore, tutte le soddisfazioni che fino a quel giorno lo hanno condotto a vivere la vita che ha sempre sognato. Adesso si ritrova a ventinove anni vittima di un sequestro, sul punto di chiudere gli occhi e non riaprirli mai più. Denise ha consumato le ultime lacrime che le sono rimaste e adesso non le resta altro che chiudere gli occhi e attendere l’ultimo fatale colpo, così come Theo. Lily non emette alcun suono: il suo sguardo è fisso a terra, immobile, il respiro lento e regolare; non ha più niente da perdere, la rassegnazione è diventata la sua compagna.
Un rumore.
Ma non quello di uno sparo come tutti si aspettano. Lontano e continuo, che si avvicina ogni secondo di più…un rumore d’elica. Benedict solleva leggermente lo sguardo e all’orizzonte intravede una macchia nera nel cielo, che si avvicina ad una velocità elevata.
‘E’ davvero un miracolo!’
Gli uomini con i fucili cominciano ad agitarsi e a distogliere l’attenzione dai prigionieri, cercando di prendere da quell’accampamento di fortuna il necessario per una improvvisa fuga da quello che sembra essere un elicottero di perlustrazione. Benedict avverte che questa è l’occasione per salvare tutti quanti; non sarebbe accaduta una seconda volta. Si alza in piedi barcollando, stordito da tutti i colpi ricevuti in precedenza, afferra un coltello rimasto a terra dallo scompiglio che quegli uomini stanno provocando e riesce a liberare finalmente i polsi, ormai ridotti ad un cumulo di ferite. Corre velocemente a liberare Denise e Theo.
«Presto, correte! Cercate aiuto, attirate l’attenzione di quell’elicottero! Correte verso la strada, svelti!»
Denise blocca Benedict da un braccio.
«E tu cosa fai?»
Benedict rivolge lo sguardo verso Lily, pietrificata a terra. Denise lascia la presa e annuisce con la testa.
«Sbrigatevi.» aggiunge e, raggiungendo Theo, cominciano a correre tra i boschi per raggiungere la strada principale.
Benedict corre verso Lily, ormai in uno stato di paralisi, la afferra per un braccio e la trascina con sé. La ragazza lo guarda negli occhi e capisce che deve aiutarlo, altrimenti sarebbero rimasti intrappolati lì, senza speranza di salvezza.
«Dobbiamo correre, adesso!» la incita Benedict accelerando il passo.
Uno sparo improvviso.
Benedict si sente tirare verso terra; un peso gli si è avvinghiato alla mano. Voltandosi indietro scorge i rapitori in fuga, tranne uno che imbraccia un fucile fumante; abbassando lo sguardo scorge Lily a terra, con una spalla sanguinante. L’uomo cerca di fare fuoco nuovamente verso l’attore ma il fucile, scaricatosi, ha pietà della vita di Benedict. L’uomo si dà alla fuga, lasciando i due nella solitudine di quei boschi.
«Lily!» urla Benedict; la ragazza ha una pallottola nella spalla ed emette flebili e sofferenti suoni. La prende in braccio e comincia a correre, seguendo il solco lasciato dagli amici pochi minuti prima; Lily respira a fatica, il sangue sgorga copioso, scivolando sulle braccia di Benedict.
«Resisti, piccola, possiamo farcela!» continua a ripeterle come mantra, convincendo anche sé stesso di essere in grado, questa volta, di salvare la vita a quella ragazzina che di torture ne aveva passate fin troppe.
Nel frattempo, Denise e Theo hanno raggiunto la strada principale, deserta e abbandonata. Denise volge lo sguardo in alto, individuando il rumore dell’elicottero proprio sopra le loro teste; agitando violentemente le braccia, cerca di attirare l’attenzione del pilota. Theo si sposta di qualche metro da Denise, sbracciandosi sempre di più e coprendo una distanza di visuale maggiore.
«Siamo qui! Venite a prenderci!» continuano ad urlare i due attori. L’elicottero sopra le loro teste rallenta leggermente la sua corsa per abbassarsi pian piano di quota. Denise ride senza controllo e corre ad abbracciare Theo; il pilota li ha visti e sta andando a prenderli.
Benedict riesce a districarsi da tutta quella massa di alberi e cespugli, raggiungendo gli amici con Lily svenuta tra le sue braccia. Si ferma davanti a Denise, inginocchiandosi per la stanchezza e il dolore che gli percuote tutto il corpo.
«Le hanno sparato mentre fuggivamo.» riassume velocemente mentre, attratto dal rumore d’elica che si fa sempre più vicino, nota che l’elicottero che viaggiava sopra di loro sta per toccare terra a poche decine di metri da loro. Theo corre per raggiungere il mezzo dal quale, non appena fermatosi a terra, scende un uomo brizzolato con una divisa militare.
«E’ uno degli attori scomparso da ieri sera?» è la prima domanda che il soldato gli pone; Theo fa cenno di sì con la testa e indica gli altri, rimasti indietro con la ragazza.
«C’è una ragazza con noi! Era ostaggio dei sequestratori. Non sappiamo chi sia, ma è ferita! Dobbiamo portarla in ospedale subito!» continua Theo, allarmando l’uomo di fronte a lui che, correndo verso il resto del gruppo, scorge Benedict intento a tamponare la spalla della ragazza con ciò che rimane della manica del suo maglione. L’attore alza gli occhi e sorride sollevato alla vista del militare.
«Benedict Cumberbatch?»
«Si, sono io.»
«E’ grazie a lei se siamo riusciti a trovarvi.»
Benedict lo guarda perplesso.
«Il suo cellulare è l’unico ad essere rimasto acceso dopo tutte queste ore e ci ha permesso di localizzarvi tramite il GPS. I vostri sequestratori hanno peccato di superficialità…»
«Direi proprio “meno male”!» risponde Denise, ridendo in modo nervoso; sta scaricando tutta la tensione accumulata. Il soldato abbassa gli occhi su Lily, avvicinandosi per costatarne il respiro e i battiti.
«E’ ancora viva, ma respira a malapena. Venite!» riprende e prende in braccio la ragazza, correndo verso l’elicottero, «possiamo ancora salvarla!».
Benedict, Denise e Theo corrono dietro il militare, salendo a bordo del mezzo, diretti nel modo più celere possibile verso l’ospedale più vicino.
Benedict siede accanto a Lily, tenendola sotto sorveglianza e stringendole istintivamente la mano.
‘Puoi farcela, Lily. Non arrenderti!’

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Capitolo 6
*** 6. ***


6.
 
Le voci che provengono dal cortile sono numerose e confusionarie; i giornali non hanno perso tempo a rendere il sequestro di tre attori un evento da prima pagina, lo scoop di cui tutti sono alla ricerca e che porta alla lotta per la supremazia, al primo che riesce ad accaparrarsi l’esclusiva. La notizia si è diffusa a macchia d’olio, fin dall’arrivo dell’elicottero che trasportava i tre ostaggi e quella ragazzina ridotta in fin di vita. Il maggiore Robertson, l’uomo che ha soccorso i fuggitivi avvistandoli dopo un volo di perlustrazione nella zona in cui il GPS aveva captato il segnale telefonico del cellulare di Benedict ancora attivo, aveva avvertito l’intera produzione del ritrovamento degli attori scomparsi e immediatamente il regista David Attwood, la costumista Debby e tutto il resto del cast si erano precipitati in ospedale per constatare le condizioni fisiche e mentali dei loro colleghi; questo aveva allargato la notizia fino a farla giungere alle testate giornalistiche che, sempre pronti sul pezzo, si erano lanciati come furie alla ricerca delle informazioni utili a far uscire l’articolo che sarebbe andato in prima pagina a livello internazionale.
«Abbiamo quasi terminato, signor Cumberbatch.»
Il medico completa la suturazione delle ferite riportate da Benedict: ha dovuto farsi dare diversi punti sulla fronte e sui polsi, fasciandoli stretti con delle bende bianche. Non ha riportato fratture né in viso né sul resto del corpo ma i numerosi lividi che i pugni gli hanno procurato sono ben visibili in molti punti. Denise e Theo sono con lui, in attesa che il medico lo finisca di controllare; Denise ha riportato solo ferite ai polsi e un forte shock emotivo, così come Theo, che è stato anche sottoposto ad una flebo a causa della forte disidratazione che le ore passate in tenda gli avevano procurato. Benedict tiene lo sguardo basso e un tremolio alla gamba mostra una spiccata agitazione.
«Sapete dirmi qualcosa sulla ragazza?» esordisce con un filo di voce; l’immagine che gli scorre davanti agli occhi è l’arrivo in ospedale e Lily che viene caricata su una barella e trasportata d’urgenza in sala operatoria. Da quel momento non ha avuto più notizie di lei, essendo stato immediatamente rapito dai medici che lo hanno sottoposto ad ogni tipologia di controllo e hanno curato le ferite che ha riportato. Il medico che si occupa di lui toglie i guanti che indossa, buttandoli via dentro un apposito cestino, e posa gli attrezzi su un vassoio d’acciaio per cominciare la loro sterilizzazione:
«Purtroppo, non ho molte informazioni, poiché non mi sono occupato direttamente della paziente. L’unica cosa che so è che si trova ancora in sala operatoria: l’intervento chirurgico al quale è stata sottoposta è molto complesso…»
Theo si allontana dalla stanza a passo svelto, visibilmente turbato dalla notizia, mentre Denise si asciuga una lacrima con un fazzoletto; si è affezionata a quella bambina, pur non conoscendo nulla di lei. La sua giovane età e persino il sangue freddo dimostrato in una situazione impossibile come quella che avevano vissuto la rendono speciale. Benedict sospira; il suo cuore ha i battiti accelerati e il tremolio alla gamba non accenna a fermarsi. È preoccupato per lei e mille pensieri gli affollano la testa.
‘Ha ancora tutta la vita davanti! Non può andarsene così giovane, non è giusto! Tu che sei lassù nei cieli, se puoi sentirmi, io ti imploro con tutta la forza che posseggo di salvarla!’
 «Dovremmo rintracciare i genitori. Chissà che angoscia per loro non avere notizie della figlia…» riprende Denise sommessamente. Benedict alza la testa e incrocia lo sguardo della collega, volgendosi poi verso il medico.
«Chiederò al primario di contattare la stazione di polizia e di cercare una denuncia per scomparsa di questa ragazza. Qual è il suo nome?»
«Lily» risponde prontamente Benedict, «ma, dottore…posso chiederle una cortesia?»
«Certo, mi dica pure.»
«Se aveste bisogno di qualcuno che rimanga con la ragazza, potreste farmelo sapere?»
Il medico sorride e mette una mano sulla sua spalla.
«Si è affezionato molto a lei non è così?»
In realtà Benedict non sa cosa rispondere; i suoi sentimenti sembrano essere confusi, in un miscuglio tra tenerezza e compassione, ma allo stesso tempo avverte un senso di protezione nei confronti di una sconosciuta, ma che sembra avergli toccato le corde del cuore. Si limita a scuotere la testa e a ricambiare il sorriso.
«Vi terrò aggiornati non appena finirà l’intervento. Potete andare a casa adesso, sarete stanchi.»
Il medico si congeda dalla stanza, lasciando Benedict e Denise in silenzio. Nessuno dei due proferisce parola e un’aurea di malinconia aleggia tra quelle pareti. Denise si avvicina a Benedict e lo abbraccia forte, senza dire una parola; Benedict rimane sorpreso da quel gesto e lo ricambia con altrettanto sentimento, sentendosi confortato dalla sua presenza, come fosse sua madre. Ad interrompere il momento è Theo che, aprendo la porta, balza velocemente nella stanza.
«C’è una folla di giornalisti alle porte dell’ospedale. È quasi impossibile uscire senza essere assaliti da telecamere e microfoni. Ho paura che dovremmo rimanere qui tutta la notte, sperando che questi ficcanaso vadano via il prima possibile.»
Benedict sorride amaramente; in fondo al cuore sperava di poter andare a riposare in un morbido letto e fare un bagno caldo, ma la sua mente lo trascina ogni momento lì dove si trova, in quella stanza d’ospedale dove l’unico pensiero costante è Lily.
«Vado a parlare con qualche infermiere. Magari ci trovano un posticino dove dormire, almeno questo.» risponde Denise uscendo dalla stanza, seguito da Theo.
Benedict scende dal lettino in cui è seduto e indossa lentamente gli abiti che Debby gli ha portato dalla costumeria; i suoi vestiti sono ridotti a stracci sporchi di terra e sangue. Esce dalla stanza e getta un occhio al corridoio che collega direttamente con la sala operatoria; spera di veder uscire una barella, un’infermiera, chiunque che possa dirgli che Lily sta bene e che la sua vita è salva. Si siede nella sala d’aspetto, osservando il via vai di tutto il personale ospedaliero che corre da una parte all’altra dei reparti e lascia che il tempo trascorra senza freni e limiti.


 
 
  • ‘Benedict, tesoro mio, stai bene?’
  • ‘Mamma…si, si, sto bene. Non preoccuparti!’
  • ‘Oh, figlio mio! Sei stato così coraggioso a cercare di difendere quella ragazza’
  • ‘L’ho fatto, mamma?’
  • ‘Ma certo, Benedict. Andrà tutto bene, vedrai. Si salverà…’
  • ‘Ho paura, mamma. È giovane, non merita di soffrire così tanto: ha tutta la vita davanti! Immagino i suoi genitori come saranno preoccupati per lei...’
  • ‘Questo lo saprai presto, figlio mio…’
 
«Signor Cumberbatch…»
Benedict apre gli occhi di soprassalto; deve essersi addormentato per lo stress subito e la stanchezza che lo attanagliava. Davanti a lui un uomo alto sulla cinquantina, con un pizzetto brizzolato e degli spessi occhiali da vista. In mano tiene una cartella clinica:
«Mi dispiace averla svegliata, ma mi è stato riferito che voleva avere notizie sulle condizioni della ragazza.»
Il viso di Benedict si irrigidisce all’istante. Si alza in piedi di scatto, ma la testa comincia a pulsargli violentemente, tanto da doversi poggiare al medico per mantenere l’equilibrio.
«Stia calmo, non deve fare sforzi, è ancora debilitato,» lo ferma il medico, rimettendolo a sedere e accomodandosi accanto a lui, «è stato un intervento molto difficile: la pallottola che abbiamo estratto le ha quasi perforato un polmone. Ha perso moltissimo sangue e non so come reagirà il suo corpo a tutto questo. Se riuscirà a sopravvivere alle prossime 24 ore, allora potremo dichiararla fuori pericolo…». Il medico si arresta per un attimo, scorrendo i fogli che tiene in mano, lasciando Benedict pietrificato; le mani gli sudano, il cuore gli pulsa nelle orecchie. «Adesso è in camera. Non potrà risponderle, l’abbiamo messa in coma farmacologico, ma se vuole vederla, l’accompagno.»
Benedict fa cenno di sì con la testa e, alzandosi lentamente con l’aiuto del dottore, lo segue verso la camera.
L’immagine che gli si para davanti lo turba: Lily è intubata, attaccata ad una macchina che le controlla le frequenze cardiache, con diverse flebo attaccate alle braccia e una grande fasciatura che le copre mezzo busto e gran parte della spalla. Il dottore apre la porta e fa cenno a Benedict di entrare.
«La ringrazio di cuore, dottore.» dice lui accennando un amaro sorriso. La porta si richiude alle sue spalle, lasciando come unico suono definito il continuo ticchettio della frequenza cardiaca di Lily. Benedict la osserva, posando gli occhi su ogni tubo che le attraversa il corpo e sulla fasciatura bianca alla spalla; lui sa che quello che vede non è tutto. Non è certo dell’ipotesi, ma di sicuro tutte quelle ore trascorse con i sequestratori non sono state per discutere o chiacchierare in modo amichevole; ricorda in modo nitido la posizione in cui la ragazza gli si è fermata davanti in tenda, con gli occhi fissi nel vuoto e le gambe serrate e piene di lividi. Il suo corpo è ancora provato da tutto ciò che hanno vissuto in quelle ultime ore, per cui prende una sedia e si affianca al letto della ragazza, rimanendo ad osservare il lento scorrere del frequenzimetro.
«Noi non ci conosciamo affatto, eppure sono qui…» dice tra sé Benedict, sospirando. Incrocia le mani e si posiziona meglio con la schiena sulla sedia. «Però sento che è giusto così. Spero di trovare presto i tuoi genitori e dirgli che sei viva, perché tu vivrai, Lily. Quando ti sveglierai vorrei sapere chi sei, da dove vieni e perché ti hanno rapita. Magari ti racconterò anche qualcosa di me, se lo vorrai. Sai, io sono un attore ed era il mio sogno da quando ero un po' più piccolo di te. Quando ti sveglierai, se vuoi puoi raccontarmi i tuoi di sogni…»
Benedict poggia la sua mano su quella della ragazza.
«Hai tutto il diritto di vivere ed essere felice, Lily.»
La stanchezza vibra forte e i muscoli cominciano a rilassarsi. Benedict è esausto e dolorante, ma non vuole andar via dalla stanza. Prende un cuscino e una coperta dall’armadietto di fronte al letto e cerca di accomodare la sedia come meglio può. Rimane con lei, sente di doverlo fare. Chiude gli occhi e cade in un profondo sonno che gli allontana le paure e i timori di quelle ore che gli hanno devastato il corpo e la mente.

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Capitolo 7
*** 7. ***


 

7.


C’è un odore di caffè nell’aria che pervade tutto l’ambiente. Benedict apre leggermente gli occhi, risvegliandosi dal lungo sonno che ha dominato la sua mente e il suo corpo. Cerca di stropicciarsi le palpebre con le mani, ma i punti sulla fronte gli tirano la pelle procurandogli dolore; inoltre ha le gote indolenzite e ogni movimento gli provoca fastidio. Nel tavolo di fronte a lui intravede una tazzina bianca, poggiata su un piattino, con del caffè caldo e una donna in piedi, intenta a fissare come assorta la finestra accanto a lei. Indossa una divisa blu da poliziotta, con nella cintura una pistola e un distintivo ben in vista; la coda di cavallo nera la fa sembrare più atletica e slanciata. Benedict la osserva incuriosito, destando l’attenzione dell’agente che, accorgendosi dello sguardo fisso dell’attore, gli accenna un breve sorriso e si avvicina a lui.
«E’ un piacere fare la sua conoscenza, signor Cumberbatch. Sono l’agente Cox, della Secret Intelligence Service.» inizia lei, stringendogli leggermente la mano, «Non volevo svegliarla, capisco che per voi tutti siano state ore travagliate, ma ho bisogno di parlare con lei.»
Benedict si volta istintivamente verso il letto accanto a sé; Lily è ancora lì, sedata e imbottita di cure e controlli. I suoi capelli rossi le incorniciano il viso, rendendola come una bambola di porcellana, preziosa e fragile.
«È passato il dottore poco fa. Ha detto che la ragazza è stabile e il suo corpo sta reagendo molto bene a tutte le cure che le stanno sottoponendo. Mi ha detto che è rimasto sorpreso della sua tempra e che, se continua in questo modo, tra qualche ora sarà fuori pericolo e potranno risvegliarla dal coma farmacologico in cui si trova. Pensava che quando si sarebbe svegliato, avrebbe voluto avere qualche buona notizia.» afferma l’agente Cox, accomodandosi accanto a Benedict che, accolta la notizia, mostra un grande sorriso che lo mette di buon umore. «Ho bisogno di farle alcune domande, signor Cumberbatch, poiché il vostro rapimento è stato inserito in una lista già nota alla nostra Intelligence.»
«Conoscete l’identità dei nostri sequestratori?» domanda Benedict sistemandosi meglio a sedere.
«Non ancora, ma siamo sulle loro tracce da diverso tempo. Abbiamo già avuto altri casi di rapimento, proprio nella stessa zona. Siamo quasi sicuri che questi terroristi locali non lo facciano solo per soldi o per chiedere riscatti, ma credo che ci siano delle faide interni tra paesi locali che coinvolgono il sequestro di stranieri.»
Benedict osserva l’agente con gli occhi sbarrati; il loro rapimento sarebbe stato il risultato di scontri tra fazioni?
«E perché rapire Lily? È una ragazzina, cosa c’entra lei in tutto questo?» domanda l’attore, aumentando leggermente il tono di voce.
«Non lo sappiamo ancora, ma lo scopriremo.»
«Avete avuto modo di rintracciare i suoi genitori? Devono sapere che è viva.»
L’agente Cox respira profondamente e poggia la schiena sulla sedia.
«Dai nostri database non risulta nessuna denuncia di scomparsa di una certa “Lily”. Nessuno è venuto a cercarla, almeno fin ora.» dice tutto d’un fiato.
Benedict sgrana gli occhi stupefatto.
«Che cosa?! È impossibile, dovrà pur esserci qualcuno che ha denunciato il rapimento, la scomparsa o che so io di una ragazzina di quattordici anni. È assurdo che non ci sia niente…»
«Purtroppo, questo è tutto quello che sappiamo al momento. Adesso devo chiederle di rispondere ad alcune mie domande e di raccontarmi tutto quello che ha visto e vissuto durante la sua prigionia, dopodiché la lascerò andare.»
Benedict fa cenno affermativo con la testa e lascia che l’agente Cox lo interroghi sui fatti accaduti, che lo riportano con la mente e con il cuore a quei momenti di angoscia e terrore, non solo per sé stesso, ma per i suoi amici e per una piccola sconosciuta che gli ha lasciato, in qualche modo, un segno.
 
Congedata l’agente Cox dopo diverse ore di colloquio, Benedict esce dalla stanza di Lily, lasciando che i medici entrino per il controllo di routine. Ha bisogno di sgranchirsi le gambe e passeggia per il corridoio, perso nei suoi pensieri; la cosa che più lo lascia riflettere è il fatto che non esista alcuna denuncia di scomparsa con su scritto il nome di Lily. Possibile che i suoi genitori non siano mai venuti a cercarla? O se non i genitori, qualche parente o membro della famiglia? Sembra che sia sola al mondo, catapultata in un incubo dal quale ne è uscita per miracolo. Mentre cammina sovrappensiero, la spalla di Benedict urta per sbaglio quella di Denise che sorseggia un caffè.
«Ben…tutto bene?» gli chiede dolcemente la donna, facendogli una carezza materna sulla guancia. Benedict le sorride e l’abbraccia; ne sente il bisogno.
«Si, sto bene. Sono rimasto con Lily stanotte.»
«Lo immaginavo. Theo mi ha detto che ormai è fuori pericolo, vero?»
«Si. Tra poco la risveglieranno e forse potremmo saperne di più su di lei. L’agente Cox mi ha detto che nessuno ha denunciato la sua scomparsa…non ti sembra strano?»
«L’agente Cox? Ah sì, la donna che è venuta a farci tutte quelle domande, giusto?» domanda Denise, figurandosi nella mente la giovane poliziotta con la coda di cavallo, «Certo che è strano, una ragazzina così piccola abbandonata a sé stessa…»
Ad interrompere quella conversazione è il medico col pizzetto brizzolato che la sera prima ha spiegato a Benedict la situazione clinica di Lily.
«Dottore, ci sono novità?» domanda repentinamente l’attore. Il medico sorride con una luce diversa negli occhi.
«Si. Abbiamo smesso di tenerla in coma farmacologico e credo che tra qualche minuto si risveglierà: il peggio è passato.»
Benedict non può fare a meno di essere felice della notizia; gli occhi gli si riempiono di gioia e gratitudine per tutto il lavoro che l’equipe medico sta facendo per loro e per la piccola. Si congeda da quel gruppo, portandosi dietro gli occhi brillanti del dottore e il sorriso materno di Denise, e si dirige nuovamente nella stanza di Lily. Entrando, nota che la ragazza accenna qualche piccolo movimento con le dita delle mani, segno che ormai dovrebbe risvegliarsi a momenti. Benedict si siede nella sedia accanto al letto e la osserva sorridente, attendendo i suoi piccoli e lenti gesti.
Gli occhi di Lily si aprono lentamente; una visione sfocata le appare davanti a sé. Tutto sembra avvolto da una nebbia fitta. Sente la testa e il corpo pesanti, come fossero incapaci di muoversi, tirati in basso da un pesante macigno. Tutto ciò che le è attorno rotea vorticosamente e per un attimo sente di perdere nuovamente i sensi, ma resiste a quella sensazione, forzando i suoi occhi a focalizzare un punto fisso davanti a sé. Pian piano la nebbia sembra diradarsi, i colori diventano sempre più nitidi e gli oggetti definiti.
È sveglia, anche se estremamente debole.
La testa è confusa, piena di voci e ricordi sparsi; ricorda delle grida di uomini e donne, ricorda la stanchezza di una corsa, uno strano dolore che le pervade il corpo e il viso di un uomo che la incita a rialzarsi, a non fermare la sua corsa e poi il buio. I suoi pensieri sono disturbati da un rumore fisso e continuo che attira la sua attenzione, facendole ruotare la testa in quella direzione: uno strano macchinario è accanto a lei e una linea verde fa su e giù seguendo un ritmo regolare. Un pizzicore le desta nuovamente l’attenzione, facendole riportare lo sguardo su di sé e sul braccio sinistro: dei tubi sono collegati a lei, bloccati da grandi cerotti bianchi.
«Dove mi trovo?» domanda con un filo di voce, quasi come a chiederlo a sé stessa. Non si accorge che accanto a lei, Benedict la sta osservando sorridendo.
«Sta tranquilla, Lily. Va tutto bene, sei al sicuro, adesso.»
Quella voce le è familiare. Gli occhi della ragazza si posano dritti sul viso dell’uomo accanto a lei, accolti da un caldo sorriso rassicurante. Rimane a fissarlo per qualche istante, senza mostrare alcuna espressione.
«Sei tu, non è vero?» prosegue Lily a fatica, cercando di forzare la sua voce ad emettere le parole che le escono dritte dal cuore, «tu mi hai salvata…»
Benedict continua a sorriderle e le fa una carezza sul viso, ma la ragazza lo scosta istintivamente, come infastidita dal quel gesto ma nell’eseguire quel movimento, sente un lancinante dolore alla spalla, che le fa emettere un gemito di sofferenza.
«Che cosa mi sta succedendo?» riprende la ragazza, agitandosi e iniziando a tremare. Il frequenzimetro accelera notevolmente il suo ritmo, diventando un rumore continuo ed insistente.
«Non aver paura, sei in un posto sicuro, dove si prendono cura di te.»
Benedict cerca di calmare la ragazza, ma inutilmente. Le sue mani sono sudate e gli occhi mostrano un profondo terrore, impossibile da controllare. D’improvviso un’infermiera ed il medico col pizzetto brizzolato entrano di corsa nella stanza, avvicinandosi ai macchinari e cercando a loro volta di calmare Lily, in preda ad un attacco di panico.
«Non toccatemi!» dice ad un tratto Lily, rifiutando qualunque tentativo di approccio da parte dei medici. La visione di quella scena sconvolge l’animo di Benedict che osserva impotente il dolore e la confusione della ragazza. Fa per uscire ma la voce di Lily attira di nuovo la sua attenzione.
«Non andartene, ti prego.»
Benedict osserva la ragazza in lacrime e i dottori che gli fanno cenno di avvicinarsi a lei. L’attore si siede sul letto, di fianco, e le stringe le mani dentro le sue; avverte quelle della ragazza tremare, tentando di toglierle dalla sua presa, ma lui le tiene serrate alle sue, come fossero dentro un guscio di protezione.
«Io sono qui con te, piccola. Andrà tutto bene, te lo prometto.» continua a ripeterle, come fosse un mantra. La ragazza respira profondamente e pian piano il suo cuore rallenta i battiti, tornando nuovamente alla calma. I medici osservano attenti, incuriositi dalla capacità di Benedict di calmare la giovane, per cui fanno cenno all’attore di seguirli fuori dalla stanza per scambiare due parole.
«La ragazza è spaventata, ma è comprensibile: le hanno piantato una pallottola nella spalla.» inizia il medico osservando la ragazza dalla porta aperta. Benedict si appoggia alla parete del corridoio, sospirando.
«Bisogna trovare la sua famiglia. Deve rivedere i suoi genitori, ne ha bisogno.» risponde Benedict determinato.
«Signor Cumberbatch, ho bisogno di chiederle un favore.» riprende il medico, «Lei è l’unico che riesce a parlare con la ragazza. Qualunque informazione le possa dare, le chiedo di riferircela.»
Benedict accenna un leggero sì e lascia che il medico e l’infermiera si allontanino verso il reparto, lasciandolo solo davanti alla porta; è confuso, ma allo stesso tempo prova una profonda tenerezza e un istinto di protezione che non aveva mai avuto. Rientrando nella stanza, chiude la porta dietro di sé e si riaccomoda sulla sedia di fianco a letto, seguito con lo sguardo da Lily.
«Va meglio, adesso?»
La ragazza fa un cenno con la testa.
«Perché non riposi un po'? Ne hai bisogno per rimetterti in forze.»
«Tu rimani qui?» chiede lei con un filo di voce. Benedict le sorride dolcemente.
«Si, certo.»
Lily accenna un piccolo sorriso e chiude gli occhi, «Non so però come ti chiami.»
«Mi chiamo Benedict.»
«Io Lily…» risponde la ragazza dentro un sospiro, che la fa addormentare. Benedict sorride tra sé.
‘Si, lo so, piccolo giglio’

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Capitolo 8
*** 8. ***


8.


I giorni sembrano correre verso una meta sconosciuta, veloci e impossibili da arrestare. La vita frenetica di un attore è ben nota e Benedict ci si è ritrovato nuovamente catapultato dentro; non appena possibile, David Attwood ha ripreso l’attività interrotta, continuando a filmare dalla mattina fino alla sera per cercare di recuperare il tempo perso a causa della brutta disavventura vissuta dai tre membri del suo cast. Benedict è felice di essere tornato sul set, gli da un senso di normalità, ma, ciò nonostante, c’è un pensiero fisso che gli si è inchiodato in mente e il suo nome è Lily. La ragazza migliora ogni giorno, le sue condizioni fisiche vanno assestandosi sempre di più e anche lei lo avverte dentro di sé. Ad ogni pausa pranzo concessagli durante le riprese, Benedict prende la macchina e si dirige verso l’ospedale per farle visita; lei lo aspetta, accogliendolo con un dolce sorriso e gli occhi pieni di gioia. I due trascorrono molto tempo a parlare, in certi momenti scherzando e ridendo come bambini; una simbiosi nata per caso tra le file di un dramma. Quel giorno Benedict è di ottimo umore; il suo agente lo ha contattato per proporgli il suo prossimo lavoro, che gli permetterà di tornare nella sua città, la sua amata Londra che mai come prima d’ora gli è mancata così tanto. Entrando nella stanza di Lily, trova la ragazza intenta a mangiare una zuppa calda.
«Tempismo perfetto, a quanto vedo.» inizia Benedict sorridendo, mostrando una busta con del cibo all’interno. Lily accenna una piccola risata, posando il cucchiaio a lato del piatto.
«Se tardavi un altro po', il pranzo lo potevi mangiare da solo!» risponde lei, indicando il suo piatto quasi vuoto. Benedict prende la sedia e si affianca al letto della ragazza, poggiando sulle gambe la busta e cominciando a spacchettare un panino. Lily lo osserva incuriosita.
«Ma gli attori mangiano sempre panini? Non dovrebbero pranzare al ristorante super lusso o qualcosa del genere?»
Benedict ride divertito; la purezza e l’ingenuità di Lily lo tiene allegro e di buon umore.
«Quando diventerò Benedict “sono una super star” Cumberbatch, allora potrò andare a pranzare in un ristorante “super lusso”, come lo chiami tu. Fino ad allora, credo che mi accontenterò dei panini fatti in casa.» conclude lui, facendo finta di darsi delle arie da grande star, facendo ridere Lily a crepapelle.
Non appena terminato il pranzo e superata la visita di controllo giornaliera del medico, abituatosi a vedere la ragazza in compagnia dell’attore, i due rimangono in silenzio dentro la stanza, persi per un attimo ognuno nei propri pensieri. I giorni trascorrono e Benedict non ha avuto alcuna notizia dall’Agente Cox sui sequestratori ma, soprattutto, se è riuscita a rintracciare i genitori di Lily. Le domande si affacciano alla sua mente una dietro l’altra: chi è in realtà quella ragazza? Cosa ci faceva in mano a quei delinquenti? Perché non riescono a trovare la sua famiglia? Mille domande e nessuna risposta. Benedict sa che l’unica che può risolvere i suoi enigmi è Lily, ma fino a quel momento non ha dato alcun segno di voler raccontare la sua storia o di concedergli davvero fiducia, al di là del benessere che il passare del tempo insieme gli concede. Ad un tratto i suoi pensieri vengono interrotti dalla mano di Lily che, delicata con un petalo, sfiora quella di Benedict; gli occhi della ragazza incrociano quelli dell’attore e in lei si legge un disperato bisogno di aiuto, di liberazione. Poi, in un attimo, lei ritrae la mano, come se avesse toccato qualcosa di viscido.
«Non ci riesco…» sussurra tra sé, stringendosi le mani al petto, come a proteggersi. Benedict la osserva, senza mai distogliere lo sguardo.
«Non hai nulla da temere, Lily. Non sono qui per farti del male…»
«Lo so…» ma lui non la lascia finire.
«Puoi fidarti di me.»
Tra di loro cade un lungo silenzio, che mescola l’attesa col timore. Lei abbassa gli occhi, a cercare le sue sicurezze in qualunque parte della sua anima, dei suoi pensieri esse possano trovarsi, ma non riesce ad abbattere quel muro che la separa da Benedict; non è pronta, non ancora. Lui la osserva attentamente, in attesa di un qualunque gesto, di una parola che possa cambiare la visione che lui ha della ragazza ancora sconosciuta. Lily scuote la testa, le mani le tremano.
«Mi dispiace…»
Benedict le accarezza i capelli dolcemente, poggiando la sua mano in modo delicato sulle ciocche. Istintivamente, lei si scosta ma il calore di quella carezza la incita a resistere, a godere di ogni attimo e accogliere a pieno l’affetto che quell’uomo le dona. I capelli rossi scivolano tra le dita di Benedict, che le mette una ciocca dietro l’orecchio. Le sorride.
«Non devi scusarti. Quando sarai pronta e vorrai parlare, io sarò qui ad ascoltarti.»
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo.»
Lily incrocia lo sguardo profondo di Benedict.
«Mi porteresti un album da disegno e delle matite colorate?»
Benedict rimane interdetto da quella richiesta, stupito dalla semplicità della voce della ragazza ma allo stesso tempo di quel lieve tremore che la rendeva sottile e flebile. Gli fa cenno positivo con la testa, sorridendole.
«Domani la tua richiesta sarà esaudita.» le risponde, facendole un principesco inchino, per farla ridere, «Oh, e per me, cameriere, un gelato al triplo cioccolato e una porzione gigante di patatine fritte. La signorina qui dice che mangio solo panini a pranzo!»
I due scoppiano in una fragorosa risata, alleggerendo la tensione che aleggia nell’aria dopo quegli attimi di silenzio.
Lily saluta con la mano Benedict diretto nuovamente sul set, girando leggermente il viso per nascondere le risate; la sua pausa pranzo è durata più del previsto e, guardando preoccupato l’orologio come il Bianconiglio di Alice in Wonderland, lo sente ripetere ‘ è tardi, è tardi’ correndo all’impazzata da un capo all’altro della stanza, recuperando tutto ciò che ha portato con sé e sfrecciando fuori dalla stanza, dandole appuntamento al giorno dopo all’ora di pranzo, con la sua richiesta esaudita. Rimasta da sola, sospira pensierosa. Appoggiandosi ad una stampella che ha di fianco a letto, si avvicina a piedi nudi alla finestra che dà sul giardino dell’ospedale, osservando Benedict correre verso la macchina e andare a tutto gas per tornare al lavoro. Lo segue con gli occhi fin quando non scompare, inghiottito dalla linea dell’orizzonte; il suo viso si incupisce, gli occhi le diventano piccoli e malinconici.
Si sente in colpa. Lui è l’unico amico che ha e lei non è capace di aprirsi con lui, le manca il coraggio ma soprattutto la forza di dar voce all’oscurità che porta dentro di sé. Il dolore che ha cuore è troppo grande, così forte da essere un macigno che la opprime e non la fa respirare. Le attenzioni che Benedict le riserva sono preziose e benefiche, ma la sua mente si oppone ad accettarlo. Ricorda la sensazione che ha provato sulla sua pelle quando lui le ha sfiorato la mano, i capelli e non vorrebbe fosse così, non con lui! Le immagini sono ancora troppo chiare nella sua mente, impresse come un marchio a fuoco, il suo pensiero corre sempre lì, a quel momento, a quegli uomini.
Le loro mani.
I loro fiati sul collo.
Il rumore dei vestiti strappati e il gelo che il suo corpo e il suo cuore hanno provato.
L’immobilità e l’impotenza alla quale è stata costretta.
Il suo corpo. Violato.
Le lacrime le scendono sul viso una dietro l’altra; sente il peso di una macchia che la tormenta e che non riesce a cancellare. Si vergogna di rivelarlo a Benedict; si è sentita umiliata, spogliata del suo essere ragazza e donna. E se Benedict non la guardasse più con la stessa dolcezza? Se anche lui andasse via?
Non ha il coraggio di dirgli la verità, né su questo né sui suoi genitori. Come fa a dirgli di essere davvero sola? Come fa a raccontargli di aver perso tutto il giorno del sequestro? Adesso lei è lì da sola, senza un futuro davanti a sé.
Spera solo che quell’ultima porta che le è rimasta da aprire non sia sparita insieme a tutto il resto.
Ne ha bisogno.
La sua arte è la sua vita. Non vuole perdere l’ispirazione, non vuole perdere la cosa che la rende viva, non vuole e non deve.
I suoi occhi si perdono tra il cielo azzurro, osservando lo scorrere delle nuvole bianche. Non smette di pensare a quell’attore, alla sua bontà e a quell’affetto che le ha donato senza chiedere nulla in cambio, incondizionato e gratuito.
Allontanandosi dalla finestra, si inginocchia ai piedi del letto e, abbassando la testa, inizia una piccola preghiera.
‘Ti prego, dammi la forza di dirgli la verità. Dammi la forza di ritrovare la mia arte. Dammi la forza. Non posso e non devo crollare al suolo. Io voglio tornare a vivere.’



ANGOLO DELLO SCRITTORE:
Ciao amici lettori. Scusate l'assenza di questi giorni, impegni di vario tipo mi hanno tenuta lontana dalla scrittura. Ma adesso sono tornata per portare avanti questa storia che mi sta molto a cuore. Se volete, sarei felice di leggere qualche vostra recensione, per sapere cosa ne pensate. Vi ringrazio già per aver intrapreso con me questo viaggio nel mondo di Benedict e Lily.
A prestissimo
Dangerina

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Capitolo 9
*** 9. ***


9.

«Questi sono per te.»
Ogni promessa è un debito e nella sua vita ha sempre mantenuto la parola data. Benedict osserva Lily col sorriso sulle labbra, che stringe a sé quella inusuale ma interessante richiesta: un album da disegno e delle matite colorate. Lei alza lo sguardo e incrocia gli occhi di Benedict, inondandoli di gratitudine e dolcezza; se c’è una cosa che Benedict ha capito su di lei è la capacità di comunicargli ciò che pensa senza proferire parola, solo attraverso la profondità dei suoi grandi occhi verdi. Ad un tratto Lily scosta le coperte del suo letto bianco, poggia lentamente i piedi per terra e, lasciando i regali di Benedict sul comodino di fianco a lei, si poggia alla stampella e allunga la mano verso l’attore per aiutarla a reggersi bene in piedi. Lui accorre a sorreggerla, allontanandosi poi lentamente ad un suo cenno con la mano di essere in grado di sostenersi da sola.
«Ti va se andiamo a fare una passeggiata in giardino? Avrei voglia di una boccata d’aria fresca!» inizia Lily sorridendo; è una giornata di sole, senza un filo di vento e con un tepore tipico della primavera in arrivo. Benedict annuisce con la testa e, lasciando la giacca appoggiata alla sedia, fa per uscire dalla porta quando la ragazza lo ferma.
«Porti con te anche l’album ed i colori? Non si sa mai…»
«Hai paura che te li rubino?» la canzona Benedict, sorridendo maliziosamente. Lily arrossisce imbarazzata, turbata dal fatto che l’uomo ha potuto fraintendere le sue parole, ma prima ancora che abbia il tempo di controbattere, Benedict prende tutto l’armamentario artistico e si affianca a lei.
«Stavo scherzando, piccola…» le dice ridendo, accarezzandole i capelli. Lily fa un sospiro di sollievo e torna a sorridere, lasciandosi carezzare anche se con difficoltà; cerca di controllare l’istinto di scappare da lui, non ha nulla di cui aver paura. Benedict si rende conto di questa diversità nell’atteggiamento della ragazza e la guarda incuriosito, senza proferire altre parole.
Il giardino dell’ospedale è grande e molti pazienti quel giorno hanno scelto di concedersi un piccolo momento di svago all’aperto, riscaldandosi al sole o rilassandosi all’ombra di qualche albero. Lily recupera ogni giorno di più, i suoi passi sono spediti, anche se ancora accompagnati dalla stampella, e il braccio che ha tenuto per settimane attaccato al collo, adesso è più libero e meno dolorante. I due passeggiano lentamente lungo il viale, osservando i passi susseguirsi uno dietro l’altro.
«Il dottore mi ha detto che in questi giorni potrà toglierti la fasciatura, lo sai?» esordisce Benedict osservando il cielo, «dice anche che il tuo recupero si sta dirigendo verso la conclusione. Crede che tra circa una settimana riuscirai a camminare senza stampella e allora potrai essere dimessa. Non sei felice?» continua lui fermandosi a sorriderle. Lily lo guarda e avverte la gioia immensa che Benedict porta con sé per questa notizia, ma lei non la condivide così a pieno; i mille pensieri che le sono tornati alla mente aleggiano su di lei come una nuvola nera che copre il sole caldo e luminoso. Benedict nota il suo viso incupirsi, così la ferma delicatamente da un braccio.
«Ti va se ci sediamo un po'?»
Lily indica una panchina rivolta verso una quercia secolare, in un angolo appartato in cui potevano stare tranquilli in solitudine. Si dirigono allora in quella direzione, sedendosi l’uno di fianco all’altro. Per un attimo tra di loro si instaura un lungo silenzio, che provoca in Benedict una sensazione di imbarazzo per non saper cosa dire. D’un tratto ricorda di non averle detto che di lì a una decina di giorni, sarà in partenza verso casa, a Londra, per il nuovo set che lo aspetta. Nei giorni precedenti era stato preso dalla goliardica risata che la ragazza gli provocava, dal benessere che insieme si regalavano e non aveva voluto rattristarla con quella notizia. Ma ora è giunto il momento di confessarglielo.
‘Forse in questo modo, riuscirò a sapere qualcosa in più sui suoi genitori…’ riflette tra sé, prima di ritrovarsi faccia a faccia con il piccolo “giglio” a cui si è tremendamente affezionato.
«Ascolta, Lily. C’è una cosa che dovrei dirti.»
Lily si volta a guardare Benedict, profondando nei suoi occhi. Benedict sa che quello che sta per dire è una cosa molto difficile, ma deve raccogliere ogni briciolo di coraggio che ha dentro di sé per essere sincero e dire le cose per come stanno. Sta per dare fiato alle parole, quando nota una lacrima scivolare sulla guancia della ragazza; ha il labbro che le trema, come a cercare la forza necessaria per emettere un suono. Benedict rimane bloccato da quell’immagine.
«L-loro mi…»
Le parole faticano ad uscire dalla bocca. Le mani di Lily tremano incontrollate, piange e le lacrime le scivolano sul viso copiose. Gli occhi verdi della ragazza sono gonfi e arrossati e continuano a guardare il loro interlocutore che, a sua volta, rimane fisso ad ascoltare qualunque cosa lei stia cercando di comunicargli. Benedict poggia la sua mano su quella della ragazza e le sussurra delle parole che risultano confuse alle orecchie della giovane, ma che sembrano dargli la spinta necessaria per terminare la frase, la prima delle due impronunciabili verità, nascoste nei meandri profondi del suo cuore.
«L-Loro mi h-hanno…mi h-hanno…»
«Puoi dirlo, Lily. Non aver paura…»
«Mi h-hanno….»
Benedict stringe la mano della ragazza alla sua e lei prende un profondo respiro.
«V-violen…violentata!»
Il sospetto di Benedict si concretizza come un macigno; il cuore sembra bloccarsi in gola e le parole gli muoiono in bocca. Lily non riesce più a trattenersi, scoppiando in un disperato pianto convulsivo, nascondendosi il viso tra le mani. L’attore è pietrificato, pur avendo sospettato fin dall’inizio che potesse essere accaduta la peggiore delle sue ipotesi. Vorrebbe dirle qualcosa, ma qualunque cosa gli passi per la testa o cerchi di materializzarsi in parola, sembra non essere mai quella giusta. La sola cosa che riesce a fare è afferrare la piccola Lily e stringerla a sé, tra le sue braccia, lasciando che le sue lacrime di dolore gli bagnino la camicia e il cuore. Lily singhiozza in modo convulso e incontrollato, lasciandosi a sua volta invadere dal dolore e dalla vergogna che ogni parte di sé prova ma che cela agli occhi di Benedict. Si sente catturare dalla sua presa ma non vuole scappare; in quel momento ciò che la domina è un sentimento diverso dalla paura e questo le rilascia tutte le barriere e le permettono di godere del calore di un abbraccio sincero e di protezione. Non si è mai accorta, forse proprio perché non gliene ha mai dato la possibilità, di quanto si senta bene tra le braccia di quell’uomo, coccolata e difesa, come se fosse all’interno di una campana di vetro indistruttibile.
«Mi dispiace così tanto…» le sussurra all’orecchio Benedict, con un tremolio alla voce.
«Mi vergogno così tanto…» risponde Lily tra un singhiozzo e un altro. Benedict le accarezza i capelli dolcemente.
«Non devi dirlo neanche per scherzo!» controbatte lui, «tu non hai alcun motivo per provare vergogna! Quei cani maledetti invece si, dovrebbero!»
«Mi sento come se fossi…macchiata.»
Benedict le alza il viso, guardandola dritto negli occhi.
«Nessuna macchia potrà mai sbiadire il tuo candido sorriso, hai capito? Nessuna macchia si deve depositare nel tuo cuore. Tu sei un giglio, ricordati! Un giglio bianco, puro e incontaminato. Ciò che ti è successo non sarà mai una macchia, te lo prometto!».
Gli occhi di Lily si riempiono di gratitudine e di speranza, quella che aveva visto sfumare ogni suo sogno di ragazza e la possibilità di riavere indietro tutto ciò che ha perso in così poco tempo. Rialzandosi lentamente, si asciuga gli occhi con la manica della vestaglia. Tra i due si frappone il silenzio, ancora carico di quelle parole pesanti come sassi. Benedict la osserva e, come fosse un lampo al ciel sereno, si ricorda di ciò che deve ancora dirle: che ben presto il loro potrebbe essere un definitivo addio. La fronte dell’attore è crucciata per tutto ciò ma prima che possa dar fiato alle parole, viene interrotto nuovamente da Lily.
«C’è un’altra cosa che devi sapere…»
Benedict rimane in ascolto della ragazza.
«So che vuoi conoscere il motivo per cui non avete ancora trovato i miei genitori. Non potrete trovarli, perché sono morti.»
Quella notizia gli gela il sangue nelle vene. Sbarra gli occhi e si irrigidisce, come un pezzo di marmo.
«Cosa?».
È l’unica cosa che riesce a pronunciare.
«Sono stati uccisi dagli stessi sequestratori che hanno rapito voi e hanno…» ma Lily non termina la frase, inghiottendo il groppo di lacrime che le ritorna in gola, «mio padre era un importante membro dell’ambasciata americana in Sudafrica e noi ci trovavamo qui per appoggiarlo durante un congresso internazionale con altri Stati del mondo. Ma il giorno in cui, appena terminato il congresso, ci stavamo dirigendo all’aeroporto per tornare a casa, negli Stati Uniti, siamo stati attaccati. Io sono l’unica sopravvissuta, ancora viva per essere il loro divertimento e la ricompensa per aver bruciato due vite. Speravano che l’ambasciata americana, o qualche nostro parente in America, pagasse un lauto riscatto per riavermi a casa. Ma nessuno ha mai sporto denuncia. Credono che siamo tutti morti durante l’attentato.»
Benedict è stordito da tutte quelle informazioni; Lily gli ha raccontato tutto ciò che avrebbe voluto sapere da settimane e, adesso che è a conoscenza dei reali fatti accaduti, fa fatica ad accettare che una ragazzina così piccola possa aver vissuto tutto quello di cui ha parlato nel giro di così poco tempo, rendendola troppo adulta per l’età che possiede.
«Adesso non so cosa fare della mia vita.» conclude la ragazza tra le lacrime, prendendo l’album e i colori poggiati sulla panchina. Benedict cerca di dirle qualcosa, ma lei fa cenno di no con la testa.
«Non riuscivo più a tenere dentro di me tutto questo. Sei la prima persona con cui ho avuto il coraggio di rivelare la verità. Grazie, Benedict. Sei il mio angelo custode! Però adesso ho bisogno di stare un po' da sola. Scusami…».
Lily si allontana con in mano i suoi oggetti per disegnare, appoggiata alla stampella. Benedict la segue con lo sguardo, restando immobile a fissare il cielo dalla panchina in cui è seduto. Nel silenzio che adesso c’è intorno a lui, mille immagini gli scorrono davanti agli occhi: immagina la scena in cui la macchina dei genitori di Lily viene assaltata, lo strazio che la ragazza ha dovuto sopportare per ben due volte, sulla sua famiglia e su di sé. Il pensiero della solitudine della ragazza lo angoscia: dove andrà? Tornerà in America da sola? Ha solo 14 anni, è una ragazzina. Lui si è affezionato così tanto a lei, si sente in dovere di proteggerla! È stato rapito da lei, dai suoi magnetici e profondi occhi, dalla sua chioma rossa e dalla dolcezza che la contraddistingue, malgrado il nero vissuto. Non riesce ad accettare l’idea di doverla abbandonare, di doverla lasciare ancora una volta da sola, senza alcuna certezza, non se lo sarebbe mai perdonato. Deve fare qualcosa, per salvarle la vita una seconda volta ancora.
D’un tratto un’idea gli balena in mente. Prende al volo il cellulare, compone velocemente un numero sulla tastiera e aspetta che l’interlocutore dall’altra parte della cornetta gli risponda.
«Pronto, Benedict?»
«Ciao Steve, ti disturbo?»
«Affatto. Dimmi tutto, amico.»
«Ho bisogno del tuo aiuto.»

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