Gerico

di Mina7Z
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~1~ ***
Capitolo 2: *** Gerico ***



Capitolo 1
*** ~1~ ***


 

 

 

 
È il colore dei tuoi occhi che ricorderò per sempre, quel turchese cangiante in cui albergano le onde tumultuose di un oceano in tempesta. 
La tua risata, porterò con me, ovunque, nel tempo e nello spazio, così rara prima, quanto preziosa, oggi,  quando ti ascolto e il mio cuore palpita, ricolmo di gioia. La tua voce, mentre mi dici ti amo, ti desidero, stai con me, per sempre. Mai dimenticherò, mai. 
Occhi, voce, corpo, porterò tutto con me, ricorderò i tuoi baci, la rabbia del primo tocco, cancellata poi da altri mille baci redentori che hanno accompagnato carezze, tremanti, mani che percorrono  il tuo corpo, le dita sfiorano la pelle, in un gioco a rincorrersi, ad afferrarsi e poi stringersi. 
Tu che ami e gemi, accogli, mi doni il tuo amore generoso, perché tu sei così, amore mio, e non avrei potuto che vivere ogni attimo di noi con una passione profonda e completa. 
Esiste un limite ad un amore così,  gioia mia, c'è ancora un barlume di ragionevolezza in me o il mio senno si è smarrito, perso dentro i battiti folli del mio cuore? 
Nemmeno un istante potrei vivere, senza di te, nemmeno un respiro, neppure un battito di cuore. Senza che il tuo mi sia accanto. E che batta accanto al mio. 
"Promettimi che se un giorno ti chiedessi di aiutarmi ad andarmene, tu lo farai".
Ho iniziato a morire, in quell'istante, non più onde nei tuoi occhi, ma un placido navigare  nella quiete turchese. 
Ho strizzato il mio occhio traditore, più e più volte, volevo vedere meglio il tuo volto niveo, la pelle quasi trasparente, su cui si posava un flebile fascio di luce. 
"Promettimelo, ti prego".
"Non arriverà mai, quel momento" ho sussurrato facendomi più vicino. 
Hai scosso leggermente la testa in segno di diniego. 
Ho serrato la bocca con un morso feroce, socchiuso gli occhi e ricacciato indietro lacrime amarissime che avrebbero bruciato  la pelle come lava incandescente. 
Sono  rimasto zitto a guardarti, stringendo le tue mani minuscole tra le mie e ho cercato in me la forza di un sorriso. 
"Lo sai che per te farei qualunque cosa, amore mio". 
L'ho sussurrato, la voce traballava.  
"Vita mia, vita mia"  ho ripetuto e la gravità delle mie  affermazioni  si è scontrata  con una devozione totale, senza condizioni. 
Ai piedi della Bastiglia, in un giorno di vittoria, ti ho giurato amore eterno, infinito, ti ho promesso di regalarti tutti i miei giorni, e le notti, e di portarti via dall'inferno. 
Un anno è trascorso da quel giorno di luglio,  vita mia, momenti di tenerezza, di passione, hanno accompagnato il trascorrere dei  nostri attimi. 
Abbiamo vissuto Oscar,  sfamandoci delle piccole gioie, che a noi sembravano giganti, sorridendo davanti al mare, davanti alla corsa incerta di un cucciolo randagio sulla spiaggia che ci leccava le mani bagnate di sale, scodinzolando. 
E con me porterò il calore del tuo grembo di donna,  umido e materno, acerbo, generoso. Rinasco in te, ogni giorno, mi inebrio di vita nuova, luce mia,  e mai dimenticherò. Mai. 
Andare via. Come puoi chiedermi una cosa del genere? 
Come puoi solo pensarlo?
In quell'istante di dolore  lancinante, ho finalmente compreso perché Dio abbia voluto l'oscurità per me.  Ombre e luci si avvicendano sul mio sguardo, ma sarà il buio a impedirmi di vederti andare via. 
Rido e scuoto la testa, chiedo alla follia di rubarmi anche la ragione, oltre che la luce. 
 
"Non arrenderti, ti prego, non farlo". 
Le mie parole hanno il sapore di una supplica, adesso ti guardo seduta a scrutare il mare e non riesco a trattenere tutta la disperazione che mi divora l'anima. 
Ti sono accanto le notti in cui cerchi aria nei polmoni, mentre con gli occhi sbarrati  ti rifugi nel  mio sguardo, terrorizzata.  So che stai lottando come una leonessa, so che farai di tutto per impedire all'aria di lasciare il tuo respiro e ogni istante prego il Signore di non dimenticarsi di noi.
"Non mi arrenderò, lotterò fino a quando ne avrò le forze. Ma tu non abbandonarmi". 
"Come potrei mai abbandonarti, luce mia, come?" 
Verrei con te oltre le porte dell'inferno, seguirei i tuoi passi, come ho fatto per una vita intera, camminerei verso la luce abbagliante, sarò sempre al tuo fianco, in ogni battaglia che ancora ci aspetta. E quando gli angeli accoglieranno il tuo ingresso, io sarò lì a dire loro che tu sei un essere speciale, la più pura delle creature, la più coraggiosa, leale, indomita e sincera. Direi loro che hai combattuto perché gli uomini fossero liberi, uguali, perché nessun bambino dovesse più avere un padrone da servire. 
Direi che è il fuoco della passione  che brucia i tuoi occhi, il coraggio, la giustizia hanno accompagnato il tuo cammino. 
E direi che ti ho amata, più di ogni altra donna al mondo lo sia stata,  perché tu sei la sola e unica Dea che abbia calcato la terra, che  hai amato un uomo semplice, malato, oltre ogni immaginazione. 
E gli angeli plaudiranno al tuo cospetto, riserveranno un posto d'onore alla Dea della guerra, giunta in Paradiso per combattere ancora, contro ogni ingiustizia. 
Non voglio farmi vedere piangere, odio la mia codardia in questo momento, tiro su con il naso e sospiro. 
"Obbedirò, anche questa volta"  dico in un soffio. 
"Non mi hai mai obbedito, André,  hai sempre fatto di testa tua" ribatti sorridendo e il mio cuore si riempie di gioia, ancora una volta. 
Come farò ad obbedire, amore mio, questa volta, e come farò, invece, ad agire diversamente, di testa mia? 
Prendi le mie mani e le stringi tra le tue, il contrasto della nostra pelle è ancora più evidente, tu sembri sempre di più in angelo,  dal candore abbagliante. Poi le porti al volto, fino alle labbra e posi baci umidi sulla mia pelle, che trema. 
"Dovrai procurarti del veleno" . 
Le tue parole suonano come il più severo degli ordini, ma hanno il sapore dell'agonia, per me, che resto  qui  immobile e zitto a chiedermi dove troverei la forza di obbedire, e per te, che vuoi decidere per tutti e due, come è sempre stato e come sempre sarà.
Annuisco, alla fine.
La Dea della guerra vuole vincere la battaglia, ancora una volta, a modo suo. So che non ci rimane molto tempo e so che non lascerai alla malattia decidete per te, rubandoti l'ultimo respiro. So che sai bene quanto sia atroce la morte di chi ha ha tisi, soffocati in un respiro che non arriva più. 
"Va bene, lo farò".
Non è codardia, la mia, amore, non è obbedienza, è il desiderio di mettere te, prima di ogni altra cosa, il tuo dolore, la tua gioia. 
Verrò con te, quel giorno, ma non te lo dirò, fino all'ultimo. Verrò con te ancora una volta, come ho sempre fatto. 
E chiederò perdono al Signore, per noi due, peccatori vinti dall'amore, chiederò per noi le luci più luminose del cielo, chiederò la pace, la grazia eterna. E supplicherò gli angeli di restare accanto a te, qualunque sia il nostro cammino, la strada da percorrere insieme. La punizione da scontare, i peccati da espiare. 
"Grazie, André" sussurri  accanto al mio volto e poi ti fai più vicina per posare un bacio sulle labbra socchiuse. 
Faremo l'amore, anche questa notte di pazzia, lo faremo per non pensare al domani, a noi, al nostro destino crudele, per smettere di avete paura e ritrovarci più forti, una dentro l'altro. 
Ti dirò che sei la mia donna, che rendo  grazia al Signore  per ogni istante con te, anche quando non ero nessuno, non ero amore. 
E ti lascerai spogliare, inarcherai il corpo e solleverai in alto le braccia per sfilare via la camicia di batista. 
Poi mi accosterò a te, adagio, con delicatezza, e ti bacerò i  seni, stuzzicherò e giocherò con i capezzoli rosa, che poi morderò, strappandoti un grido stridulo. 
E scenderò per soffermarvi all'ombelico,  piccolo cratere di un ventre scarno. 
Per poi discendere ancora, dimorare tra le tue cosce calde, leccare ogni tuo sapore. Ed entrerò in te come si varca un tempio, la Dea della guerra si scinde, nella Dea dell'amore. 
Ecco, se mai un giorno tutto dovesse finire, vorrei essere dentro di te, luce  mia, proprio in quel momento, nel passaggio tra la vita e la morte.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Gerico ***


 

Invece l’amore non l’hanno più fatto.

La vede diventare ogni giorno più fragile, la fatica di ogni respiro le si legge sul volto e lo ferisce come una pallottola in pieno petto. La guarda dormire, strizza gli occhi più e più volte per cogliere i tratti del suo volto che solo nel sonno si fanno distesi, scruta con agitazione il lieve movimento del petto che raccoglie aria e che poi lentamente si distende. E ogni giorno gli sembra che la pelle diventi più trasparente, nivea, candida e tesa come non era mai stata.

E si domanda, ogni giorno mille volte, quanto tempo verrà loro concesso, cattura ogni suo sguardo con avidità, ogni parola, ogni soffio, ogni pensiero, ogni sorriso, ogni lacrima, ogni desiderio, ogni gesto, ogni istante, ogni attimo e racchiude tutto nella memoria.

A volte è lui che sembra non riuscire a respirare, ci sono momenti in cui si sente tremare, scosso da un groviglio doloroso che gli morde lo stomaco. Gli tremano anche le mani, se le osserva stupito per qualche istante e poi le ricaccia spaventato lungo i fianchi, strette forte a pugno.

A volte, invece, gli sembra di non provare nemmeno più dolore, come se il suo cuore si congelasse improvvisamente e una scia di ghiaccio gli scorresse nelle vene, lungo tutto il corpo e alla fine gli impedisse di sentite ancora qualcosa, portandosi via il terrore, l’angoscia, ma anche la ragione.

Di notte le si sdraia accanto, resistendo al sonno finché gli è possibile, aspettando con ansia un nuovo respiro, uno ancora, un altro e poi ancora un altro, ma poi cede e prima di lasciarsi scivolare via, stringe più forte le dita tra quelle di lei, perché nemmeno il sonno possa dividerli.

Non li può dividere il sonno, al calare delle tenebre, come non lo farà la morte.  Mai.

Se l’è procurato, alla fine, quel veleno, assecondando la richiesta estrema di lei. L’ha nascosto in casa, in un cassetto di un mobile dell’ingresso, dopo averle detto di esserci riuscito ad obbedirle, ancora una volta, cacciando via le lacrime che gli annebbiavano la vista. E sa che non sarà l’ultima. Che presto si troverà a dirle di nuovo di si, dovrà annuire per liberarla da questa vita e allora come farà a non urlare, a non strillare a Dio di averli abbandonati?

Ha provato una rabbia feroce, estrema, ha represso a fatica la voglia di strillare, di imprecare, e adesso, improvvisamente gli sembra di non provare più tutta quella folle disperazione.

La ragione. Ho perso la ragione.

Non possiamo esserci trovati in questa vita per poi perderci così. Non può finire tutto qui. Non possiamo dirci addio. Non è possibile.

Può la morte diventare l’unica speranza?

Sobbalza spaventato quando sente il tonfo di un libro che cade dal letto. Si stupisce nel vedere che è la Bibbia che sempre più presso si trova a leggere, da solo, oppure insieme a lei. Si inchina per raccoglierla e si sofferma, quasi senza volerlo, su alcune righe delle pagine rimaste aperte e un po’ sgualcite.

Va verso la finestra, la luce del sole gli viene in soccorso, le ombre svaniscono, le righe sembrano più nitide.

“Il Signore disse a Giosuè: 'Io darò in tuo potere Gerico, il suo re e i suoi soldati. Ti metterai in marcia con tutti i tuoi uomini (...)

Appena si sentirà il lungo segnale delle trombe, tutto il popolo lancerà il grido di guerra e le mura della città crolleranno. Così ogni vostro soldato troverà la strada aperta davanti a sé'”.

Gerico, la Terra Promessa. Le mura crolleranno. Il grido del popolo. 

La Bastiglia.

Allora c’é davvero una speranza. 

“Andrè”.

Lei ha aperto gli occhi e lo chiama con un filo di voce.

“Sono qui, amore”.

 “Mi aiuteresti a vestirmi?”

“Dove vuoi andare?” chiede titubante.

“Ho un viaggio molto lungo da fare, André”.

“Cosa?” ma l’esclamazione gli muore in gola. Deglutisce, a fatica, e si obbliga a mettere un passo dietro l’altro per andare vicino a lei, sedendosi poi sul letto. La Bibbia ancora stretta tra le mani. 

“E dove andrai, amore mio?”  ma fatica a riconoscere il tono della sua voce, mentre un labbro inizia a tremare.

Lei stenta a rispondere, solleva lentamente una mano fino a toccare il viso di lui, le dita scivolano sulla guancia ispida. Le sente ghiacciate e per un attimo gli pare un sollievo dato che poco prima briciava di febbre. Lo sguardo scende lungo il braccio, la pelle è cangiante, colorata solo da un reticolo di minuscole venature, percorre i capelli color del sole, giunge sulle labbra che ora non parlano, ma che fino a poche ore prima aveva baciato e desiderato, forse nel disperato tentativo di fermare il tempo e occultare ogni pensiero. 

E poi trova quegli occhi fatati, un tempo di Minerva, ardenti di fuoco e orgoglio, ora così limpidi e placidi, che lo scrutano assorti.

“Non lo so, esattamente, ma è tempo che io vada”.

Le dita, ancora a scivolare sul viso, si bagnano di lacrime. 

“Mi dispiace così tanto, André, non avrei mai voluto farti questo”.

Lui scuote la testa, posa la mano sulle dita di lei per portarsele ancora più strette al viso. Deglutisce e cerca la forza di un respiro. Non la lascerà andare, mai.

“E cosa vorresti metterti per questo viaggio?”,

“Un abito da uomo. Sai, è un viaggio importante e vorrei che chi mi incontrerà mi  riconoscesse subito, e che capisse che sono stata una persona complicata”. 

“Ovunque tu vada, avrai tutti gli onori che meriti, amore mio”.

Si stacca a fatica dalla mano di lei e si solleva dal letto per raggiungere l’armadio, apre le ante e inizia a frugare tra i pochi vestiti appesi, che appartengono ad entrambi. 

La mano gli trema, eppure riesce a stringere tra le dita una camicia di batista, un gilet di raso color ghiaccio con ricami dorati che la nonna é  riuscita a fargli recapitare, e dei pantaloni bianchi. 

Anche lui indossa un gilet color tortora sopra una camicia di batista, getta l’occhio verso lo specchio appoggiato alla parete e nell’immagine riconosce l’attendente che é stato per una vita, il suo angelo custode. Decide che anche lui va bene vestito così.

Tornato accanto a lei, toglie le coperte dal suo corpo e afferrati i lembi della camicia da notte, inizia a tirare verso l’alto, con delicatezza, scoprendo le cosce e il ventre scavato. 

Quanto l’ha amata, quanto l’ha desiderata. 

Signore, dammi la forza, o toglimi la ragione. 

Quando la camicia da notte scivola via, èil corpo nudo di lei a riempirgli gli occhi. Si accorge di averla spogliata senza nemmeno respirare, ma il tentativo di riportare aria dentro di sé gli procura una sensazione di capogiro. Si costringe a riprendere il controllo, non può deluderla, non lo farebbe mail.

“Non ho mai visto nulla di più bello in vita mia” e lei gli sorride.

Afrodite impallidirebbe accanto a lei, gliel’ha ripetuto ogni notte quando la teneva nuda tra le braccia, finché lei ci ha creduto davvero di essere tanto bella.

E lui è stato il più fortunato degli uomini per aver goduto di lei, accanto a lei. 

Lei.  Lei. Solo e solamente lei. 

Lei che adesso non gli stacca gli occhi di dosso mentre lui le infila la camicia e poi i pantaloni, sollevandola un po’ con la sua presa forte, perché sente che lei non ne ha la forza. 

Riuscire ad infilarle il gilet, invece, é più complicato, deve alzarle il busto fino a farlo aderire al suo. 

Si sente come un burattino mosso da fili altrui, trasparenti e impalpabili, compie gesti che potrebbero portarlo alla follia, ma una voce dentro di sé gli grida che deve farlo, che forse quella è davvero l’unica soluzione. 

Con il corpo stretto a lei può sentire chiaramente il battito del suo cuore, ora che le ha infilato anche il gilet, se la stringe forte al petto, una mano adagiata alla schiena e l’altra persa tra i capelli morbidi come fili di seta ribelli.

“So quanto ti costa, André, ma ogni respiro è insopportabile. Spero solo che tu possa perdonarmi”. Lo dice con un filo di voce e le lacrime che cadono giù e a lui una lama in petto avrebbe inferto meno dolore. 

Non gli ha mai parlato del dopo, di ciò che ne sarebbe stato di lui quando lei se ne fosse andata. Non gli ha mai chiesto di sopravvivere, oppure di morire con lei. Non gli ha mai chiesto niente e questo lo turba perché lui avrebbe fatto esattamente tutto ciò che lei avesse chiesto. Tutto. 

“Ti devo raccontare una cosa, Oscar” le sussurra adagiandola sul letto “aspettami un istante”.

Lei annuisce e socchiude gli occhi, forse non nota nemmeno che lui si é tolto la camicia che indossava e ha infilato quella pulita di batista e anche il suo gilet. 

Quando va verso l’ingresso della casa, toglie il chiavistello alla porta e apre lentamente il cassetto del mobile che custodisce il loro segreto. Un’ampolla di porcellana nera che gli sta tutta nel pugno di una mano. 

Il sole sta tramontando, dalla finestra della camera vede una scia color vermiglio dipingere l’orizzonte. Sorgerà ancora, il sole, domani, senza di lei?

Le si sdraia accanto con l’ampolla stretta tra le mani. 

“Oscar, devi ascoltarmi attentamente, è importante”.

Le apre gli occhi e gira la testa verso di lui. 

“Quando inizierai il tuo viaggio, devi assolutamente ricordarti una cosa, ovunque tu sarai, ovunque andrai, qualunque cosa vedrai, e chiunque incontrerai. Devi ricordarti che c’è un posto in cui dovrai tornare, perché là ci potremo incontrare, solo là potremo riconoscerci e ricordarci di quanto ci siamo amati. E se lo facciamo, ci sarà una nuova possibilità per noi, per amarci nuovamente”. 

“E dov’è questo posto, André?”.

“É ai piedi della Bastiglia”.

Lei lo guarda stupita e accenna un sorriso. 

“Il Signore ci darà la vita promessa, dobbiamo solo sapere dove ritrovarci e non potremo che riconoscerci e stare di nuovo insieme”.

“E quando devo andare alla Bastiglia?” domanda assorta. 

“Non appena ti sarà possibile, quando il tuo viaggio ti riporterà in quel luogo, guidato dalla tua volontà.  Io ci sarò ad aspettarti, te lo giuro. L’amore non può finire in una sola vita. L’amore è esso stesso vita. E chissà in quante altre vite ci siamo già amati, Oscar. Ti prego, ricordatelo, non dimenticare mai che dobbiamo ritrovarci”. 

“Te lo prometto, André, un giorno ti riconoscerò e allora niente andrà perduto”.

Non è follia l’amore? Pura ed eterna follia. 

Signore, toglimi la ragione, donami la follia. 

Apre gli occhi di soprassalto, deve essersi abbandonato al sonno per qualche minuto, cerca lo sguardo di Oscar e la trova addormentata, la mano stretta nella sua.  C’é una lacrima che le è caduta dalle ciglia, scivolata giù, lungo la guancia, e lì si è cristallizzata, poco prima di toccare le labbra, ancora ricurve in un sorriso. Avvicina di più la bocca a quella di lei, come ha fatto altre mille volte, ne ricerca un alito di vita, mentre una sensazione di angoscia si impadronisce di lui. 

“Oscar” sussurra con la voce spezzata “Oscar” e grida il suo nome sempre più forte. Si solleva dal letto e la guarda tremando. “Non…non mi hai aspettato, Oscar, dovevo accompagnarti anche in questo viaggio, come sempre”. 

Cattura la boccetta di veleno che è scivolata sulle lenzuola, il dubbio che lei abbia potuto utilizzarla, da sola e di nascosto da lui, lo dilania, ma la trova ancora sigillata.

E la partenza di lei, ora gli sembra anche un suo ennesimo regalo perché non sa se ci sarebbe davvero riuscito ad assecondarla, non sa come avrebbe potuto assistere senza impazzire di dolore e di colpa. 

 

E’ un segreto che lui non le ha mai confessato, un’intenzione mai uscita dalle sue labbra, per evitarle un ulteriore dolore.

Solleva il tappo e si porta l’ampolla alle labbra, bevendone un sorso abbondante.

Qui tutto finisce e tutto avrà un nuovo inizio.

Ricorda la nostra promessa, ti prego.

Si distende di nuovo sul letto, accanto a lei, gli occhi ricolmi del suo viso perfetto, il cuore che esplode di amore.

“Aspettami, amore mio”.

Più tardi, Madame Louise si recherà da loro per rigovernare la casa.

Li troverà addormentati l’uno acanto all’altra, con le mani tra le mani, le labbra vicine.

Morire non fa poi molto male, morire, dopotutto, è solo partire per un lungo viaggio.

 

Ho scritto questo secondo e ultimo capitolo di Gerico a distanza di un paio di anni dal primo. L’ho buttato giù di getto, anche se l’epilogo era chiaro fin dall’inizio, ma le parole non volevano mettersi in coda nella mia testa.

E’ anche l’epilogo di un amore tra me e due meravigliose anime del settecento che hanno accompagnato tanti miei pensieri, tante parole, immagini.

Non vogliatemene, se finisco in questo modo la mia narrazione, forse era l’unico modo possibile e l’unico che ancora mancava all’appello delle mie folli elucubrazioni.

 

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