Zihuatanejo (Every man has his Shawshank)

di D a k o t a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zihuatanejo (Every man has his Shawshank) ***
Capitolo 2: *** Get busy living or get busy dying ***
Capitolo 3: *** I hope ***



Capitolo 1
*** Zihuatanejo (Every man has his Shawshank) ***


 

NDA: questa storia suppone come metanarrativo - quindi come storia dentro la storia - tutto ciò che accade dopo la sconfitta di Chuck nella 15x19, sulla spiaggia. Suppone che una volta venuto meno il narratore interno, Chuck, non si sia più saputo nulla di quello che è successo a Sam e Dean perché erano liberi di scrivere le loro storie e non vi era più nessuno a raccontarle. Va da sé che tutto ciò che rimane - 15x20 e ultima scena della 15x19 - non è nient'altro che il finale della serie di libri di Supernatural scritta da Chuck.

Zihuatanejo (Every man has his Shawshank)

“I’ll tell you where I’d go:Zihuatanejo. It's a little place on the Pacific Ocean. You know what the Mexicans say about the Pacific? They say it has no memory. That's where I want to live the rest of my life. A warm place with no memory.”

[Andy, The Shawshank Redemption]

Da qualche parte, Dean inizia a soffocare piano.

Così piano che, mentre quel dolore lo trafigge, Sam a malapena si accorge che è ora, che è inesorabilmente ora. O forse non vuole accorgersene come chi, incapace di accettare una fine, ne immagina un’ illusoria continuazione.

I reni sono i primi a cedere, svuotandosi di un’urina piena di proteine e sangue, seguiti dal fegato e dall’intestino e, lentamente, il corpo perde la capacità di ricostituire le molecole – proteine, lipidi, acidi nucleici, zuccheri – che ha smarrito.

Sam gli stringe la mano e appoggia la sua fronte su quella di suo fratello: è solo un corpo, quello che tiene fra le dita, un corpo che, lentamente, muore.

“Va bene, Dean. Puoi andare adesso”

Il silenzio è rotto solo da un “addio, Sammy” che a Dean rimane sulle labbra: è l’amore interrotto, è il sibilo della vita che esce dal corpo.

[...]

Le pagine della vita di Sam scorrono veloci sotto le sue dita, sibilano beffarde: eccoti un bambino, una moglie e la tua staccionata bianca, non è forse quello che volevi?

Non è forse così che sarebbe dovuta sempre finire?

Non c’è tempo per rimuginare.

In fondo non importa: quelle pagine non sono nient’altro che una parentesi fra la morte di Dean e la sua.

Ma Sam entra ancora nell’Impala di tanto in tanto. Appoggia le mani dove le metteva suo fratello e pensa. Pensa che deve esserci un mondo, da qualche parte dell’universo, in cui sono stati felici.

Lo pensa, perché è la sua unica consolazione.

[...]

Sam è vecchio e rugoso, quando si spegne nel suo letto.

Quando apre gli occhi per l’ultima volta, non trova ad accoglierlo il volto di suo fratello, ma il peso confortante di una mano sulla sua, le mura familiari di casa e un respiro leggero. Il rumore rischia di cullarlo nuovamente nel sonno, ma Sam è un Winchester, stringe i denti, si sforza di tenere gli occhi aperti e volta il capo verso la provenienza del suono.

“Papà”

C’è un ragazzo seduto sul suo letto, ha i capelli scuri e gli occhi castani e un brivido scorre lungo la sua schiena al pensiero che quello sia suo figlio, che siano passati tutti quegli anni, che…

Prima di chiudere gli occhi – e i polmoni, e il cuore – Sam sussurra, con voce spezzata:

“Dean”

Si ferma, gli manca il fiato. Sente una morsa stringersi intorno al suo cuore, che forse è la morte, forse è già la nostalgia di non aver avuto suo fratello accanto per quasi quarant’anni. Suo figlio si volta a guardarlo con i suoi occhi castani, come il legno del tavolo in cui avevano inciso i loro nomi, e chissà che fine aveva fatto quel bunker ora che Dean non c’era più, ora che lui non c’era più e di nuovo, per sempre, con un dolore sordo che gli riempie il petto anche se non è il suo, pensa: non doveva andare così.

Suo figlio prende parola.

“Papà, va bene, puoi andare adesso”

Un sorriso di lacrime umide gli spacca il viso – come una vecchia barra avrebbe potuto lacerargli il torace, se solo si fosse trovato altrove, se solo le cose fossero andate diversamente.

[…]

Sam ha gli occhi chiusi e non c’è più. E’ fermo e steso sul letto da tanto di quel tempo, che sulle gambe e sulla schiena hanno iniziato a formarsi piccole piaghe da decubito.

La sua carne ha iniziato a morire prima di lui – la sua carne ha iniziato a morire nel giorno in cui si è chiuso le luci alle spalle e ha lasciato il bunker e Dean era cenere nell’aria e non era accanto a lui e avrebbe dovuto esserlo, se solo, se solo, se solo -

Dove si trova, adesso? In un’altra vita.

[…]

“Ehy, Sammy”

“Dean”

Perché nulla finisce sul serio, non è vero?


 

E Dean stringe la carta con una forza ingestibile, tale che la carta si spezza, dopo aver opposto una breve resistenza, separando la metà di quell’ultima pagina.

Lancia il libro il più lontano possibile da sé e quello cade per terra, chiudendosi con un tonfo che gli permette di osservare la fottuta ironia di quella tomba in copertina con su scritto Winchester. Sotto, a caratteri cubitali, c’è il nome Carver Edlund. Figlio di puttana.

Non è che sia una sorpresa che Chuck abbia deciso di pubblicare comunque il finale e che Sam abbia affittato l’unica baita con una libreria di merda, maledizione.

La cosa nel libro non è più lui, ma ha i suoi capelli, il suo volto; sono le sue labbra, è il suo fiato che gli lascia la bocca in un ultimo singulto. Sono i suoi vestiti quelli che indossa ed è l’odore del suo dopobarba, quello che gli pare di percepire, sotto il tanfo della morte; è il suo peso quello che cade addosso a quello che non è più Sam (ma avrebbe dovuto esserlo), quando la cosa muore.

La cosa nel libro non è più lui, ma avrebbe dovuto essere lui.

Guarda il dorso del volume con sopra scritto “Supernatural:la fine” e poi guarda il fuoco perché vorrebbe...

Ma poi il suo telefono sul tavolo squilla, ed è Sam che lo chiama e Dean pensa solamente che sia bello e ringrazia – e non sa perché gli venga il pensiero, ma gli viene e resta incastrato in qualche emisfero del cervello – di essersi fatto convincere a lottare contro Chuck. Ringrazia di aver lottato abbastanza perché non abbiano avuto bisogno di rischiare la vita per rincontrarsi, forse.


 


 

***

Quando Sam rientra nella baita, la biblioteca è rovesciata per terra ed è ancora troppo presto perché un brivido non gli scorra lungo la schiena e non pensi ad una colluttazione. Spalanca la porta della camera di suo fratello.

“Dannazione, Sammy, non ti hanno insegnato a bussare?” inizia Dean, ma quella frase esce più stanca e spezzata di quello che Sam si aspettava, di quello che si immaginava dopo essere andato a comprare qualcosa da mangiare e averlo lasciato a spalare la neve, fuori da quella casetta.

Suo fratello maggiore è seduto alla scrivania e gli dà le spalle. Ha l’agenda di papà fra le mani e sta fissando lo schizzo di una maschera.

“Dean, non ti hanno insegnato a rispondere al telefono?” ribatte piccato, avvicinandosi verso di lui. “La libreria era per terra, ho pensato che...”

Gli occhi di Dean si posano su di lui per un momento, in un moto di scuse silenziose, senza lasciare che finisca quella frase. Poi la sua attenzione viene di nuovo risucchiata dall’agenda, come non succedeva da mesi, da quando Jack aveva portato via tutti i mostri come un ultimo regalo per loro, nel Giorno del Giudizio. Da qualche mese, il Paradiso sembrava davvero essere sulla Terra.

“1986. In Ohio papà stava indagando su un caso in cui i bambini venivano rapiti dalle loro famiglie. Quei figli di puttana uccidevano il padre dissanguandolo e strappavano la lingua alla madre” spiega ad un certo punto, con un grugnito. “Il caso non fu mai risolto, Sammy.”

Poi Dean chiude gli occhi per un secondo, cercando di cacciare tutte quelle voci che lo portano a pensare che possa non essere finita, che possa essere ancora prigioniero di quella storia, che possa -

“Ci sono stati casi simili di recente?”

La domanda di Sam è una domanda cauta, la domanda di chi ancora percepisce come possibile una nuova Apocalisse, di chi ancora stenta a credere che, dopo anni di dolore, cacce e morte, possa davvero essere possibile. Possa davvero esservi la pace.

Dean d’altra parte si lascia andare ad un sospiro. Tutta la stanchezza che aveva smaltito sembra ripiombargli nuovamente addosso. Lancia un’occhiata diffidente a suo fratello.

“No. Non da quello che ho controllato, niente di simile in giro da almeno quindici anni, forse di più.” ammette alla fine, in un sospiro.

Un’ombra di domanda sembra aleggiare nello sguardo del minore dei Winchester. Poi stringe gli occhi, come a voler vederci chiaro – si trova a pensare, non per la prima volta, che nessuno sia abile come lui a individuare e smascherare ogni singolo tentativo di bluff di suo fratello.

“Quindi hai solo deciso di smettere di spalare la neve di punto in bianco, distruggere la libreria e di metterti a indagare su un caso di papà di qualche decennio fa perché ne avevi voglia? Cosa è successo?” gli chiede Sam, inarcando il sopracciglio.

Dean esita per un attimo sotto il suo sguardo. Sam non è più un bambino di cinque anni che fa domande scomode e si impiccia troppo di cose da grandi, ma ha ancora quel dubbio, ha ancora l’insistenza che aveva all’epoca. Sbuffa, alzandosi di scatto e aprendo uno dei cassetti per tirare fuori il maledetto libro. Poi glielo passa rudemente, sbattendoglielo all’altezza dello sterno.

“E’ successo Chuck, ecco cosa è successo.” afferma, mentre suo fratello sfoglia nervosamente le pagine.

Il minore dei Winchester sussulta, guardando la tomba in copertina. Ci vuole un attimo perché trovi il coraggio di aprirlo, perché Sam osservi quelle pagine come se fossero altro da sé: Dean irrigidisce la mascella mentre scruta il modo in cui scorrono sotto le sue dita flesse. Poi Sam arriva a ciò che resta dell’ultima pagina - che non è molto, ma è abbastanza perché studi gli spasmi che scuotono il corpo di suo fratello in quelle pagine, i tremori che gli squassano le membra. Deglutisce, senza guardare l’uomo che ha davanti, attendendo di avere la fermezza necessaria per farlo.

Sente una morsa nel petto ricordargli quanto sia andato vicino a perderlo per sempre. Poi alza la testa e Dean ha un’espressione così simile a quella che Chuck sembrava aver descritto mentre moriva da farlo sussultare.

“Saresti morto in quella caccia” trova alla fine il coraggio di dire ad alta voce alla fine, per poi concludere. “Se le cose fossero andate diversamente”

Quel fratellino idiota che si ritrova è sempre stato più bravo di lui a buttare tutto fuori e, dannazione, Dean abbozza un mezzo sorriso, uno di quelli che - Sam lo conosce bene - fa per nascondere un tumulto un po’ più profondo.

“Oh, andiamo, Sam. Non è che sia poi così sorprendente.” afferma alla fine, lasciandosi andare a sedere sul letto, alle sue spalle. “Vampiri, qualche figlio di puttana che ritorna dal passato, un ultimo bang-bang e poi puff, Paradiso? Non suona neanche così male, in fondo l’ho sempre immaginato e...”

Il minore dei Winchester alza gli occhi al cielo e solo in quel momento si accorge delle bottiglie di vetro vuote, nascoste sotto la scrivania. Sbuffa, perché non è come se non sapesse che suo fratello si comporta così quando ha una paura fottuta di qualcosa.

Perché la verità è che, dopo una vita passata a morire e a rinascere, sapere che ci sarà comunque una fine è una verità assai dura da accettare.

Specie se quest’inverno arriva troppo presto, quando hai ancora tanta neve da assaporare, dopo aver spalato tanta, tanta merda.

“Dean” inizia, avvicinandosi lentamente verso di lui.

Non è facile rassicurare Dean, quando ha appena letto di essere stato a poco così da perdere suo fratello in un bagno di sangue. Non è facile, e Sam non può che rabbrividire, ripensando al contatto con quelle parole.

Dean invece continua a parlare, senza prestargli la minima attenzione.

“Guarda il lato positivo: almeno quel bastardo si è degnato di mettere Baby in paradiso...” chiosa poi, senza riuscire a trattenere uno sbuffo sardonico.

Sam alza gli occhi al cielo e scuote la testa, in un moto di pura esasperazione, spingendolo verso il letto. Non l’avrebbe mai ammesso, ma l’idea di un Dean nuovamente terrorizzato lo spaventa come nulla al mondo – non l’Inferno, non la Gabbia, non Lucifero.

“Dean, vuoi stare zitto un secondo?” ribatte suo fratello, alzando la voce, ed eccolo il fuoco dei Winchester.

In altre situazioni, Dean avrebbe trovato divertente quel piglio deciso così simile a quello di papà quando si arrabbiava. In altre situazioni. Ma ora c’è quel libro che Sam ha lasciato sulla scrivania, c’è l’agenda di papà fra loro ed è tutto più complicato.

Sam attende che gli occhi di suo fratello - che si ostina a rimanere seduto sul letto - si posino su di lui, prima di prendere parola.

“Abbiamo sconfitto Chuck, Dean.” afferma alla fine, con lo stesso tono perentorio che aveva utilizzato in precedenza. “Non ha alcun potere su di te, almeno che non sia tu a darglielo! E non avrò questa conversazione con te da ubriaco.”

Sam distoglie lo sguardo dall’espressione indispettita che si è dipinta sul volto di suo fratello, ma non è abbastanza per nascondere i gemiti di dolore che ha appena letto. Non è abbastanza perché - dopo aver spinto Dean a sdraiarsi - non sospiri di sollievo nel vedere che non c’è nessuna traccia di sangue sulle sue mani, a quel contatto.

Suo fratello oppone resistenza, poi si lascia cadere pesantemente sul letto e gli dedica uno sguardo di pura diffidenza.

“Bel tentativo, fratellino.” commenta, con una punta appena di amarezza a incrinargli la voce. “Ma non sei stupido e hai visto quel disegno nell’agenda di papà, Sammy. Quella caccia esiste davvero.”

Dean continua a tenere su incessantemente un mezzo sorriso ironico. C’è una parte di lui, che inizia e termina nelle ossa e nei muscoli della sua schiena, rigida per la tensione, che si aspetta di sentire l’aria muoversi per poi vedere uno di quei maledetti vampiri materializzarsi davanti a lui per finirlo. E’ pronto a sentire il ferro lacerargli la carne.
Ma c’è solo suo fratello, che lo ha spinto gentilmente a sdraiarsi sul letto, in un modo che lo riporta ad un’altra scena – i suoi capelli più corti che si stagliavano contro le pareti opache di un motel, le stesse bottiglie nascoste troppo maldestramente e gli occhi di Sammy che gli pregavano di ucciderlo se mai avesse fatto qualcosa di male a qualcuno.

Poi Sam si allontana, si siede alla scrivania e comincia a leggere dal diario di papà.

“Dean, in questi casi i corpi venivano dissanguati” afferma poi, scorrendo le pagine. “Ne abbiamo già parlato in passato qualche anno fa, non ti ricordi? Papà non sarebbe stato convinto che i vampiri si fossero estinti, se avesse letto di corpi dissanguati. Doveva aver capito che si trattasse di altro. Un serial killer forse, la dinamica sembra ritualistica...”

Dal cuscino su cui ha appoggiato la testa, una smorfia si dipinge sulle labbra di Dean.

Davvero, Sammy?” chiede alla fine, con piglio sarcastico. “Stai davvero utilizzando la tua ossessione per i serial killer per risolvere un vecchio caso di papà?”

Solo dopo che Dean ha terminato quell’obiezione, Sam si accorge dei post-it che suo fratello aveva sparso per tutta la scrivania. Su di essi sono annotati i numeri dei commissariati che si erano occupati di quei casi nel corso degli anni.

Sam sospira, gira la sedia e si volta a guardare suo fratello con entrambe le sopracciglia inarcate, ma per un attimo gli permette di condurre il gioco, gli lascia credere che possa davvero persuaderlo, gli lascia credere che non abbia capito nulla di quella paura che sembrava indossare come un secondo vestito, nelle ossa. Glielo lascia credere, perché per un attimo, ha solo bisogno che continui a parlare, che possa vedere che è in grado di continuare a parlare.

Poi si alza; si alza perché è Sam Winchester ed ha un piano. Si alza perché ha ingoiato il desiderio e la solitudine per anni, ha lavorato e viaggiato e fatto ricerche per anni, fino a quando non erano riusciti a trovare una soluzione per qualsiasi problema – il demone che aveva ucciso la mamma, Amara e dannazione, persino Chuck – e non si sarebbe arreso. Perché è Sam Winchester e anche quando si arrende, anche quando si lascia andare, lo fa curando ogni minimo dettaglio, così che nessuno potesse dimenticare che era stato lui.

“Tu credi davvero che papà non avrebbe pensato ad un vampiro se avesse letto che quelle persone erano state dissanguate, Dean? Pensi che avrebbe lasciato perdere?” lo incalza, improvvisamente stanco di aspettare, di giocare a rincorrerlo con le parole, ancora prima che con le azioni. “Uno dei suoi migliori amici era Daniel Elkins!”

Suo fratello si sistema in una posizione leggermente più composta. Si siede sul letto, appoggiando il cuscino alla spalliera, non degnandolo di uno sguardo per qualche momento. Poi scuote la testa ed esala uno sbuffo, e Sam lo vede: vede i suoi occhi spalancarsi leggermente come se cominciasse a capire dove vuole condurlo, come se avesse paura che potesse sbagliarsi – salvo poi castigarsi mentalmente perché, maledizione, si era promesso che sarebbe stato stoico, che sarebbe rimasto impassibile.

“Anche i cacciatori fanno errori, Sammy” prova alla fine, ma indugia abbastanza perché l’espressione di suo fratello minore si ammorbidisca.

Dean pensa al brivido che gli era corso lungo la schiena, alla premonizione di qualcosa. Qualcuno – suo padre, sicuramente suo padre – doveva avergli detto che quando le bombe vengono scagliate contro le città, ne senti il fischio e il peso nell’aria prima che cadano e c’è quell’istante – quell’eterno, infinito istante – in cui sai che stai per sentire il boato di quartieri interi che crollano come castelli di carte. Per l’ennesima volta, maledizione, Dean si era sentito come un maledetto castello di carte, sotto uno stupido cielo bombardato.

“Papà avrebbe raso al suolo quella città se avesse pensato che si trattasse di un vampiro, Dean. Era tante cose, ma non un idiota.” sottolinea Sam, scuotendo la testa. “Chiamerò quei commissariati e chiederò riguardo a questo cold case. Non mi sei di nessun aiuto da ubriaco, Dean”

Una smorfia, che sa di lenzuola sfatte e umide, gli tira gli angoli della bocca verso l’alto, accompagnata da un borbottio confuso - “Non sono ubriaco, smettila di dire stronzate” -, ma si lascia andare nuovamente sul letto. Suo fratello, maledizione, è bravo a convincerlo di qualsiasi cosa, almeno fino a quando nulla gli trapassa la schiena e tutto intorno a loro non esplode come una città bombardata.


 

***

Nella stanza illuminata solo dalla penombra e dalla luce del suo computer, Sam ringrazia il cielo da cui sono caduti, quando sposta lo sguardo e trova Dean rannicchiato sulla pancia, con il fiato che gli sguscia piano dalle labbra semichiuse.

Ringrazia il cielo - o Jack o Cas o quello che è - che non li ha uccisi, quando scorre quelle pagine e pensa che non è quella la loro storia, che non è quello il loro destino. Non può esserlo.

Ringrazia il cielo che non li ha uccisi, mentre rovista fra gli articoli di archivio su quel caso.

Lancia una rapida occhiata verso Dean. Quella storia diventerebbe infinita e se qualcuno può mettere la parola fine, quello è lui.

E’ abbastanza forte per farlo.

***

Visita un cimitero pieno di tombe di sconosciuti e si inginocchia davanti a nomi altisonanti e misteriosi per ricordare i suoi morti. Per chiedere loro perdono per essere diventato così diverso da quello che aveva promesso di essere. Per desiderare altro da quello che aveva promesso.

C’è un ramo di melo, posto in un vaso davanti ad una tomba, e Dean ne osserva i fiori chiari, mentre continua a raccontare ogni sua colpa, ogni sua scelta. Poi improvvisamente legge il nome sulla tomba.

“Papà” mormora, con voce già spezzata. “Papà”

Vorrebbe che John fosse lì, come era stato lì prima, a scompigliargli i capelli, rispondergli e dirgli che va tutto bene, che non importa, che è fiero di lui, che vuole soltanto che sia felice, che lo autorizza ad essere felice, che gli ordina di esserlo, di scendere a compromessi, di accettare tutta l’oscurità e la morte che si porta dietro, che si porta dentro.

Alle spalle sente un fruscio. Quando si volta, vede una sagoma con una maschera in lontananza. Si dice che non è più un bambino, che sa a cosa va incontro. Cerca di concentrarsi sul peso del machete che ha improvvisamente in mano. Fanno pochi passi – superano la strada che porta fuori dal cimitero, svoltano a destra una volta e poi a sinistra – prima che quello gli afferri il polso e lo sbatta contro il muro alle sue spalle.

Fa in tempo a vedere un albero di mele in fiore, prima che il nome di Sam gli muoia sulle labbra.

Ed è la voce di suo fratello a riportarlo indietro, a riportarlo ad aprire gli occhi e Dean non osa pensare cosa sarebbe successo se Sammy non fosse stato lì con un sorriso, seduto sul suo letto.

“Ehi, Dean, va tutto bene” mormora fra i suoi capelli, spingendolo verso il letto.

Continua a ripeterlo un paio di volte e a Dean pare di sentire una punta di senso di colpa nella sua voce e non può fare a meno di chiedersi se quell’incubo sia davvero finito. Ci mette un secondo a ritrovare il controllo perduto, notando che l’orologio da parete segna le due. Dannazione, non era nemmeno ora di cena quando si era addormentato; aveva davvero dormito così a lungo?

“Avrei dovuto ucciderlo quando ne ho avuto l’opportunità” afferma alla fine, in un sospiro.

Dean scuote la testa, come a cacciare via il pensiero assillante di Chuck. Un moto di frustrazione lo assale perché avevano vinto, capite? Loro che erano solo un branco di ragazzini al confronto erano riusciti là dove Chuck, Dio, aveva fallito. L’avevano reso inoffensivo, eppure eccolo rispuntare sulla copertina di quel dannato libro.

Sam scuote la testa, in un moto di dissenso.

“No, non avresti dovuto” risponde poi suo fratello, alzando le spalle, in un movimento solo apparentemente leggero. “Non avresti dovuto, perché non è quello che siamo, Dean”

Ed eccole, quelle parole. Era stato assurdo che fosse stato lui a dirgliele e Dean aveva cercato di dimenticarle per mesi perché era pur sempre un angelo e gli angeli mentono, ma è Cas e non è mai stato solo un angelo e -

La cosa più assurda – quella più assurda in assoluto – è che Dean gli era stato grato.

Il maggiore dei Winchester non può fare a meno di cacciare via quel pensiero con una smorfia scettica.

“E’ quello che ha detto Cas, fratellino.” afferma, distogliendo un attimo lo sguardo da suo fratello per poi scuotere la testa, in un moto di amarezza e rabbia. “E guarda com’è finita per lui”

Sam vede gli occhi di suo fratello distogliere lo sguardo e posarsi sulle coperte. Sospira.

“Cas ha fatto una scelta. E quella scelta è stata di dare la sua vita per salvare te” ribatte Sam, scuotendo la testa, in un moto di dissenso. “E Jack ha detto che ci sta lavorando: lo tirerà fuori di lì.”

Dean può quasi sentire il nervosismo invadergli piano piano ogni cellula del corpo perché gli aveva detto ogni cosa tranne – e non voleva tenere segreti con Sam, ma quelle erano state le parole più ingannevoli e oh, migliori che qualcuno gli avesse mai rivolto, e davvero, com’era possibile? Com’era possibile che Cas le avesse rivolte proprio a lui? - tranne cosa avesse portato a quella scelta. Alza un sopracciglio, seppellendo quel pensiero sotto un’altra obiezione, perché non è il momento di pensare a certe cose.

“Ti sembra il momento adatto per dirmi di avere fede in un dio, Sammy?” ribatte, lanciandogli un’occhiata eloquente.

Sam scuote la testa, continuando a guardarlo in quel modo che era così da Sam e così maledettamente insopportabile.

“Non in un dio, Dean” chiarisce poi, abbassando per un momento lo sguardo. “In Jack

Jack è da qualche parte, nell’universo. Non in quel preciso momento, ma nel tempo da cui proveniva, in qualunque tempo si trovasse; era da qualche parte, in qualche galassia lontana. A volte Dean guarda il cielo fuori dalla finestra e pensa con amarezza a quanto dovesse essere felice adesso che era libero, che aveva trovato il suo posto nel mondo, che aveva centinaia di migliaia di pianeti da esplorare; a volte beve intere bottiglie di alcol e pensa a quanto dovesse essere grato di non averlo più fra i piedi.

A volte si chiede come diavolo fosse esistito un tempo in cui aveva creduto che si sarebbe sentito sollevato, vedendolo lasciare il bunker. Sotto lo sguardo di Sam, Dean si alza in piedi, per poi limitarsi a borbottare qualcosa su come Jack abbia solo tre anni, insieme a qualche imprecazione masticata.

“Vado a prendere qualcosa da mangiare” dice alla fine, sulla soglia della porta.

La voce gli esce come un borbottio confuso, in quella tana di ossa e di pelle in cui si è nascosto. Sam annuisce e accenna un debole sorriso, ma non è proprio sicuro del fatto che le cose potessero andare peggio di così.



NDA
Eccomi qui. Come molte persone, ho odiato follemente tutta la prospettiva finalistica del finale. Follemente. Ci sono decine di ragioni per cui l'ho odiata e credo di averle dette tutte più di una volta, quindi mi atterrò a parlare della mia storia - anche per rispetto di chi l'ha amato ed è qui solo per la voglia di leggere un'alternativa, perché so benissimo che se cominciassi a parlarne non riuscirei a fare altro che farlo a pezzi su ogni singolo dettaglio (salvo solo Dean che fa lo stalker a Stanford, giuro).  
Questa storia sarà composta da due capitoli più epilogo. La maggior parte delle domande che si possono avere a riguardo sul concept su cui si basa quest'idea trova risposta all'interno del pdf all'inizio, quindi andate tranquillamente lì e guardate cos'ha partorito la mia mente.
Il disegno di quello che nella 15x20 è un vampmime è comunque all'interno del diario di John perché nella mia testolina malata (anche nel canon, in realtà) nell'86 Chuck aveva il controllo sulla storia, quindi John ha davvero indagato su un caso del genere e l'ha davvero lasciato irrisolto. Peccato che in quel periodo cacciasse (canonicamente, non ho aggiunto nulla) con un cacciatore di nome Daniel Elkins, esperto di vampiri. Ora, possibile che l'abbia lasciato irrisolto insieme al BFF esperto di vampirologia e si trattasse di un vampiro? Spoiler: no, ma figurati se chi ha scritto SPN si ricordava di uno dei BFF di John. 
Tecnicamente, Jack nel finale di SPN avrebbe dovuto portare il paradiso in Terra, ecco perché non ci sono più mostri. Mi rendo conto, tuttavia, che questo presenta a sua volta delle problematicità, perché vi sono mostri buoni, vedi Garth. Si potrebbe risolvere questo problema facilmente, con una sorta di Giorno del Giudizio, a cui però all'interno della storia ho solo accennato. Non è necessariamente una cosa che mi piace, forse è il punto più farraginoso della storia stessa, ma è funzionale e quindi, anche se non ci indugierò troppo, prendetelo per quello che è. 
Perché Zihuatanejo (Every Man has his Shawshank)? Perché The Shawshank Redemption è uno dei miei film preferiti da almeno tre o quattro anni, sebbene l'abbia visto per la prima volta che non ne avevo più di tredici e l'abbia poi visto in lingua originale solo di recente. Lo so cosa state pensando: se da SPN ti aspettavi Shawshank, il problema non è il finale di SPN, sei tu che ti aspettavi il finale di Shawshank. Non fa una piega se parliamo su un piano qualitativo, ma se parliamo su un piano emotivo, non ho assolutamente dubbi sul fatto che SPN avrebbe dovuto potuto dare lo stesso messaggio di Shawshank, perché come dice saggiamente Tim Robbins in questo video , ognuno di noi ha la sua Shawshank, o almeno l'ha avuta. La Shawshank di Dean è la caccia. Il finale di SPN mi deprime e mi annichilisce per questa ragione: è come se Red avesse fatto quello che ha fatto Brooks in Shawshank. 
Molto spesso, ho pensato che l'arco narrativo di Dean fosse molto simile all'arco narrativo di Red, sebbene adattato al contesto. Molto spesso mi è capitato di  pensare che Sam avesse un che di Andy Dufresne e, senza rovinare il film a chi magari non l'ha visto, per me la conclusione a livello narrativo poteva solo essere una - la stessa di Shawshank, visto che c'è anche una scena in cui Dean parla della spiaggia nello stesso modo dreamy in cui Andy parlava di Zihuatanejo. Il confronto è fra gli archi narrativi dei singoli personaggi, non fra la dinamica Sam&Dean e la dinamica Andy&Red, che sono molto - molto - diverse. Credo, nonostante ciò, che il finale migliore sarebbe stato quello in cui Sam aiuta Dean a trovare la speranza, non quello in cui Dean muore con le stesse convinzioni che aveva da giovane. Quello è stato il regalo di Andy per Red, e quella è la direzione che avrà questa storia. 
Immagino che nessuno abbia bisogno di me che consiglio un film quattro anni più vecchio di me, ma se qualcuno non l'avesse visto e si fosse incuriosito leggendo le mie parole in merito, controllatevi i trigger, perché ne ha parecchi. 
Se qualcuno invece è solo curioso di capire meglio il paragone che ho fatto prima e perché quell'arco narrativo fosse funzionale in questo caso, lo spiego in due scene dal film:  una e due . 
Le recensioni sono sempre gradite. Ci vediamo fra massimo due settimane (possibilmente meno). 

 

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Capitolo 2
*** Get busy living or get busy dying ***


 

NDA: Menzioni di suicidal thoughts e varie tematiche delicate. 

Get busy living or get busy dying

I guess it comes down to a simple choice, really: get busy living or get busy dying.“

[Andy Dufresne, The Shawshank Redemption]

 

Quando incontra Eileen all’appuntamento che le ha dato in una tavola calda in Ohio, Sam non le dice subito di quel libro e della solitudine e del dolore che ne avevano fatto seguito, negli occhi di Dean. Non le dice di non aver mai provato una sofferenza così grande, neanche in tutto quel tempo che aveva passato nella Gabbia, convinto che non esistesse nessuno simile a lui, sulla faccia del mondo – e che per questo fosse un abominio, uno nuovo tipo di mostro.

Un giorno forse lo farà, le parlerà della Gabbia e Eileen non avrà nessuna frase di conforto da offrirgli perché non esistono parole abbastanza grandi, abbastanza morbide per avvolgerlo come merita e si limiterà a stringerglisi addosso e lui sospirerà contro la sua pelle perché la conosce ed è comunque l’unica persona a cui abbia mai davvero aperto il suo cuore dopo Jessica.

Un giorno. Non oggi che ci sono ancora ferite così fresche da leccare. Oggi si limita a rispondere all’abbraccio che gli offre, a nascondere il volto fra le sue ciocche castano chiaro e a soffocare un singhiozzo contro la sua pelle. Eileen gli circonda la vita con un braccio e gli accarezza i capelli con la mano libera. “Grazie”, le dice, toccandosi il mento, prima di trovare il coraggio di cominciare a parlare.

“Si tratta di Dean” riesce a sputare fuori alla fine, sedendosi mentre lei si accomoda di fronte a lui. “Potrebbe essere in pericolo.”

Ma è bastato che Eileen vedesse la risoluzione negli occhi di Sam ancora prima della forma che quelle parole assumono sulle sue labbra perché capisse.

 

 

***

L’ultima volta che suo fratello era sparito con la sua macchina era stata anni prima. Aveva lasciato solo un maledetto messaggio con scritto “Torno subito”, e quando l’aveva trovato, Dean l’aveva preso a pugni. Mentirebbe se dicesse che quell’impulso non lo assale anche adesso, che ha fatto la stessa identica scelta di merda, lasciandolo in una maledetta baita mentre se ne era andato chissà dove.

“Basta” si dice, lasciandosi cadere sulla sedia nel salotto, dopo essersi trovato di fronte alla segreteria del telefono di suo fratello per ben due volte. “Basta, dannazione” ripete alla stanza vuota.

Basta. Al diavolo Chuck. Se quella è la fine, è pronto ad accettarla, si dice, e vaffanculo anche a Sam, a quel suo avergli fatto venire voglia di pensare a cosa avrebbero fatto, adesso che tutto sembrava finito e i demoni non sembravano che essere una stupida leggenda folkloristica.

Non lo sopporta: non sopporta di essersi fermato una volta, sotto il cielo terso di Palo Alto, ed essersi chiesto come sarebbe stata la vita, se solo fossero potuti rimanere così per sempre.

Pensa a quel libro che pende sulla sua testa come un’incudine e si chiede distrattamente quando aveva cominciato anche lui ad avere speranza e quanto poco c’era voluto per tornare alle vecchie abitudini.

Scuote nuovamente la testa, pensando a Sam. Dean è certo di poche cose, nella sua vita: una era che la sua macchina non l’avrebbe mai tradito (finché sarebbe rimasta nelle sue mani e non in giro per l’America con suo fratello, grazie tante), che non c’era nessuna speranza di trovare una soluzione e che, a volte, la speranza e la fede non bastavano – se fossero bastate, Cas sarebbe ancora lì con loro e Dean non sarebbe stato costretto a provare questa assurda nostalgia per qualcuno che probabilmente stava patendo le pene dell’inferno a causa sua.

Ma Sam, con i suoi occhi sempre fissi sull’orizzonte, non l’avrebbe mai ascoltato, e Dean non aveva mai pensato nemmeno per un momento di spiegarglielo di nuovo perché aveva sempre ammirato la convinzione con cui sputava ogni singola parola e aveva sempre odiato il candore con cui usava parlare. Adesso però non può non trovarsi distrattamente a pensare in quanti pezzi sarebbe caduta tutta quella fermezza una volta che avesse capito che di lui non sarebbe rimasta che polvere, una volta che avesse capito che a volte non ci sono speranze.

***

 

“Dovrebbe essere a poca distanza da qui” esala Sam, in un solo sospiro, mentre il suo sguardo cade rapidamente sul volante, come a non voler guardarsi intorno.

Eileen gli lancia un’occhiata apprensiva, per poi osservare dal finestrino la distesa di verde in cui si trovano, fuori Canton. Grazie al libro di Chuck, non era stato difficile trovare l’area in cui si trovava quel fienile. Sam deglutisce, parcheggiando a poco meno di un miglio di distanza dal fienile; proprio là, dove secondo il libro si sarebbe dovuto fermare a preparare le armi con suo fratello prima che. Prima che.

Stringe appena più forte le dita contro il volante, perché quegli stessi alberi, quello stesso vento a muoverli, quello stesso cielo sono improvvisamente troppo e non può che sentirsi stritolato da come tutto sembri improvvisamente così tangibile. E’ tutto così nel copione da dargli un improvviso e agorafobico senso di soffocamento, da non fargli comprendere cosa sia reale e cosa non lo sia e -

Le dita affusolate di Eileen si appoggiano delicatamente sulle sue, sui suoi legamenti tutti in tensione sul volante; ancora una volta si trova a pensare che sì, quello è reale. Prima che Sam possa dire qualsiasi cosa, il suo sguardo si posa nel portaoggetti dove si trova il suo telefono. Il display si illumina con il nome di Dean ed Eileen intercetta rapidamente il movimento dei suoi occhi.

“Dovresti rispondergli. Si preoccuperà” commenta alla fine, allontanandosi appena.

Sam rimane in silenzio per qualche istante. Poi osserva lo schermo del telefono a distanza, fino a quando quello non smette di squillare. Le sue dita esitano, ma sa che non può permettere a Dean né di rintracciare il suo numero e di raggiungerli, né di percepire l’improvvisa tensione nella sua voce, perché basterebbe molto meno a farlo crollare. E, soprattutto, non può autorizzare se stesso all’idea di rischiare di trovarsi con Dean lì.

“Non posso” ammette, rifiutando quell’improvviso accenno di colpa che gli riempie la gola e la bocca dello stomaco, al pensiero della preoccupazione di suo fratello. “Sarebbe più facile per lui rintracciare il telefono, se rispondessi. Non posso rischiare che...”

Ha una vulnerabilità tale nella voce che non può fare altro che fermarsi.

La stretta di Eileen sulla sua mano si fa per un attimo più forte. La sua pelle è una terra conosciuta – Sam potrebbe tracciarne a occhi chiusi ogni contorno, ogni cicatrice e ogni neo e raccontare la storia dietro ogni ferita – che sembra essere stata disegnata, con tutta la morbidezza e i suoi spigoli, per accoglierlo e riportarlo indietro con la forza che solo le braccia di un’altra (ex) cacciatrice possono avere. Perché Eileen può dormirgli accanto, senza che lui debba temere di strozzarla nel sonno in preda ad uno dei suoi incubi – come era successo con Amelia, come potrebbe succedere con ...- e Sam ha sempre potuto lasciare che i suoi nemici la vedessero al suo fianco senza dover temere per la sua vita.

Sbatte le palpebre, tornando alla realtà, quando percepisce la presenza di quella mano sulla sua sparire.

“Dean capirà. Urlerà, minaccerà di prenderti a calci e poi capirà” gli dice alla fine, cercando di suonare rassicurante.

Sam stringe gli occhi per un attimo, come a metterla fuoco e a comprendere che è davvero là, che suo fratello non c’è e che non gli succederà niente – non gli succederà niente, non gli succederà niente, non gli succederà niente - e che è diverso da quel libro, che Chuck non è diventato una maledetta versione di Nostradamus.

Respira, focalizzandosi sul suo volto e sull’aria che la donna ha nel guardarlo, fra l’allarmato e l’interrogativo.

“Non capisco, Sam” afferma, scuotendo la testa. “Se Jack ha eliminato tutti i mostri, perché pensi che quel nido di vampiri possa essere là?”

La risposta che arriva è semplice, ma – Eileen l’ha ormai imparato – non è del tutto inaspettata.

“Non lo penso” afferma, con ritrovata fermezza. “Ma devo capire perché papà ha lasciato quel caso irrisolto. E non c’è nemmeno una possibilità che Dean non avrebbe controllato questo posto, se si fosse trattato di me”

E di questo, insieme alla sua ritrovata compostezza, Eileen non può dubitare neanche per un istante.

 

***

Dean regge due ore di segreteria telefonica di Sam solo per riempire quel silenzio pesante come l’aria gravida di umidità nella stanza, prima di lasciare andare il telefono sul tavolo a cui è seduto, in un moto di stanchezza. Ha imparato a non parlare, a riflettere prima di farlo. Ha dovuto, per poter sopravvivere alla sua solitaria esplorazione del mondo, ma maledizione, non è mai stato bravo a tollerare i pensieri che gli si affollano nella mente e pretendono attenzioni, quando tutto intorno a lui tace. Perché sì, il mondo è pieno di meraviglie, ma l’erba di Central Park è un po’ meno verde, quando l’unica ragione per cui lo frequenti è interrogare i passanti su un possibile fantasma; l’Oceano Pacifico è un po’ meno blu, quando puoi osservarlo solo dal finestrino perché c’è sempre un altro caso, ci sono sempre altre ossa da bruciare, altri posti e catastrofi soprannaturali da fermare e non c’è mai tempo. Fino a quando Jack non aveva portato via tutti i mostri, ma dannazione, come aveva fatto a credere solo per un momento che fosse finita?

Quando il suo telefono squilla, lo afferra per rispondere con tutta l’intenzione di dirne quattro a suo fratello per essere scappato così all’improvviso, per aver preso la sua macchina e per aver permesso che sperasse che -

“Sam, ti giuro che se non torni subito a casa, io...”

Ma Dean non fa in tempo a completare quella minaccia prima di essere bruscamente interrotto.

“Dean?” chiede la voce femminile dall’altro capo del telefono, con chiara preoccupazione. “Ho visto la tua chiamata. Va tutto bene? Dov’è Sam?”

Jody. Un singulto esce dalle labbra di Dean, insieme ad un’imprecazione. Per un attimo, è davvero ad un passo dal confidarle tutto, dirle di come suo fratello l’abbia piantato in asso in nome di chissà quale missione suicida e di come quelle parole suonino come l’ultima beffa, un’ultima condanna a morte. Ma poi si schiarisce la voce e si impone un suo contegno, perché se c’è una cosa che, dannazione, si impone di non fare è gettare di nuovo tutta quella merda addosso a Jody e alle ragazze, non ora che ne sono fuori.

“Jody, ehi. Scusa per prima, ho sbagliato numero.” inizia e la sua voce non sembra neanche un po’ colpita dallo scarso uso, perché è bravissimo a nascondere la frustrazione e la paura sotto un tappeto. “Sam, lui è... uscito a prendere da mangiare e dannazione, sto morendo di fame….Come state tu e le ragazze? “

Dean esita, perché grazie tante, era stato decisamente più bravo nel tergiversare in passato, possibile che stesse già perdendo il suo tocco? Non può fare altro che raddrizzare la schiena e aspettare, in attesa di un giudizio o di una condanna.

Jody dall’altro capo del telefono si lascia andare ad un sospiro.

“Alex è tornata all’università con Patience” risponde, per poi esitare un attimo, rincorrendo un pensiero. “Claire non è voluta andare con lei, ma ci sta lavorando...”

Il maggiore dei Winchester scuote la testa e non può fare a meno di roteare gli occhi, perché nessuna delle due cose è poi particolarmente sorprendente.

“Su cosa? Su qualche stronzata adolescenziale su quanto la scuola faccia schifo?” ribatte, un po’ troppo velocemente.

Da Jody arriva uno sbuffo di dissenso e Dean non fa fatica ad immaginare lo sguardo storto che gli avrebbe rivolto, se fosse stato lì con lei. Dalla sua voce, quando parla nuovamente, non traspare nessuna rabbia, solo un misto di stanchezza e sollievo.

“E’ impegnata a capire chi vuole essere adesso, Dean” lo redarguisce Jody e ha nella voce il tono di chi sa. “Ne ha passate tante. Ha solo bisogno di tempo.”

Dean si lascia sfuggire un sospiro. Non è colpa di Claire, ma Claire è tutta capelli biondi, occhiate scettiche e sorrisi ostentati, e non può non sentirsi vicinissimo a quel segreto che nasconde nell’armadio, al sé stesso che non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi davvero. Perché Claire è come lui, solo con l’assolutismo di chi ha poco più di diciotto anni: non è pronta a nulla che rimanga, non è pronta a dedicarsi a qualcosa che rimanga.

E’ tutto solo un terribile gioco di specchi, in fondo.

“Beh, ha tutto il tempo che vuole” commenta con una punta appena di amarezza, perché l’unica cosa bella del morire adesso sarebbe sapere che sì, forse ne ha davvero, forse ne hanno tutti davvero ed è un po’ anche grazie a lui, no?

Jody sembra esitare, rimanendo per un attimo in silenzio, davanti alla leggera punta di inquietudine che quell’affermazione tradisce. Un’espressione morbida si dipinge sul suo volto, mentre si appoggia allo stipite della porta, e Dean può quasi immaginarla chiudere gli occhi, nel riflettere su quella frase.

“Solo che a volte le cose che vogliamo ci fanno paura” mormora alla fine, sovrappensiero. Forse pensa distrattamente a sé, al suo aver lasciato entrare le ragazze in casa, dopo aver perso un figlio.

Una protesta muore sulle labbra di Dean, mentre quasi sussulta di consapevolezza e si stupisce del suo essere così colpito dalle parole di una donna poco più grande di lui. Qualcosa si stringe nel suo stomaco perché c’è una cosa peggiore dell’essere grato a Cas per essersi sacrificato per lui, peggiore di qualsiasi stronzata scritta sul libro di Chuck - qualsiasi cosa significhi -, c’è una cosa peggiore del morire sotto le grinfie di un vampiro; è desiderare di sapere quale delle stupide versioni di sé che si porta dentro prevarrà fra tutte le altre.

“Mi fa fottutamente paura” mormora, perché è facile parlare, mentre abbraccia il silenzio di una stanza vuota, mentre Jody crede che stia parlando della paura di vivere e non di quella di morire o di non sapere come vivere.

A volte, Dean si trova a guardarsi alle spalle, a cercare di capire quali passi l’abbiano condotto dove si trova ora. E’ facile trovare l’inizio nel momento in cui sua madre era morta – la prima volta, pensa distrattamente, senza soffermarsi sulla stilettata di dolore che ne consegue perché non doveva andare così – ma ben presto il filo della matassa si perde nel reticolo di strade che l’hanno condotto in un infinito girotondo per l’America; si mischia ai capelli di Jack, che sembravano brillare di luce propria e assomigliare ad una stupida aureola l’ultima volta che li aveva visti, si perde fra litri di sangue e veleno e odore di zolfo e…

“Dean? Sei ancora lì? Va tutto bene?” ripete nuovamente Jody, dall’altro capo del telefono, con una rinnovata nota di allarme.

Stringe i denti e si costringe a parlare, perché non importa quanto non voglia morire, quando gli rimbombi nelle orecchie il borbottio di Bobby - “Dannazione, ragazzo! E’ la tua vita!” - in un ricordo lontano, c’è un’altra cosa che viene prima, che non può permettere che accada e...

“Jody...” inizia, ma la voce gli esce più spezzata di come aveva programmato. “Se succedesse qualcosa, dai un occhio a Sam, d’accordo?”

Non attende una risposta, prima di tirare giù, non attende che lo copra con tutta quella premura e preoccupazione a cui non è abituato e che l’ha sempre messo un po’ a disagio.

Tira giù il telefono, si lascia andare contro lo schienale della sedia e pensa che non sia giusto, non adesso, maledizione. Non adesso che per la prima volta percepisce il senso di vertigine di avere una vita davanti, non adesso che l’erba di Central Park e l’Oceano Pacifico sembrano improvvisamente più luminosi. Non è giusto, ma c’è qualcos’altro che non può permettere ed è che le carni di Sam inizino a morire con lui o qualsiasi dannata cosa significhi.

 

***

Le cose iniziano a finire fuori Canton, poco dopo il tramonto, quando Sam passa gli shuriken* a Eileen, senza dire una parola, e lei gli concede la grazia di afferrarle e di non chiedergli perché abbia bisogno di quelle stupide stelline ninja. Sam chiude il cofano, andando contro ad ogni istinto che gli dice di prendere l’Impala e andarsene il più lontano possibile da lì.

“Dobbiamo andare da quella parte” afferma, imponendosi una parvenza di fermezza.

Prima che incomincino a camminare in silenzio, Eileen gli lancia uno sguardo rassicurante, che sembra vedere ogni timore che vuole nascondere a sé stesso prima ancora che a lei; Sam non può non trovarsi a sperare che non percepisca il leggero tremito che gli scuote le dita, spera che non si accorga di come, mentre camminano sul sentiero alberato, tenda sempre a restarle alle spalle. Ma è una speranza vana, perché Eileen si volta a guardarlo e per un attimo sembra non sapere cosa dire. Poi abbozza un mezzo sorriso e gli tende la mano e il cacciatore esala un sospiro, prima di stringere le dita della mano in cui non tiene il machete.

Il bosco fuori Canton è pieno di colori, ma l’aria è spaventosamente fredda e Sam sente quel gelo risalirgli nelle vene e cristallizzarglisi nei polmoni, quando vede la sagoma del fienile stagliarsi contro l’orizzonte. Distoglie lo sguardo, ma non è abbastanza per nascondere l’immagine di quei gemiti di dolore e dell’odore del sangue che sembra risalirgli le narici e incastrarvisi come terriccio.

La pressione della mano di Eileen stretta alla sua aumenta appena. Poi si gira verso di lui, con aria apprensiva.

“Sei sicuro di stare bene?” chiede alla fine.

Sam la osserva per un momento, prima di guardare il fienile. Gli ricorda quella scena, suo fratello, i capelli appoggiati contro quel legno e non è la stessa cosa, non c’è la stessa violenza, ma Sam trattiene a stento l’istinto di allontanarsi e sussultare, con l’immagine degli occhi di Dean – sbarrati e spaventati – fissa nella sua mente. Lascia andare la mano di Eileen per poi aprire il palmo e toccarsi il petto con il pollice, in uno “Sto bene” che non sembra affatto convincerla, ma si ingiunge comunque di proseguire in silenzio verso il fienile, che agli occhi del minore dei Winchester non può che sembrare un grosso felino pronto a balzargli addosso.

Un passo è il pensiero di quel bambino che aveva conosciuto e che viveva lì, a Canton. Chissà che fine aveva fatto col tempo, chissà se era riuscito a diventare astronauta come affermava di volere, con gli occhi pieni di stelle dietro a un minuscolo banco di legno.

Cinque passi. Sam cerca di non rabbrividire, di non ricordare: denti bianchi e maschere e buio e sangue e i suoi singhiozzi che si mischiavano al rumore del battito rallentato del cuore di suo fratello.

Dieci passi. Stringe il pugno della mano libera fino a sentire le semilune delle sue unghie contro il palmo della mano e si impone di respirare – inspira, espira, inspira, espira –, di non pensare ai vampiri che hanno tentato di ucciderlo quando aveva poco più di vent’anni, di non rivedere i loro denti bianchi nel buio della stanza in cui aveva dormito quella volta con suo fratello.

Trenta passi, ed è la porta che fa resistenza, è una preghiera, è la voce di Eileen che -

“Ci sono i sigilli della polizia” afferma alla fine, guardandolo con un’espressione indecifrabile. “Qualcuno è stato qui prima di noi”

Ed Eileen non sa se sia sorpresa o terrore quello che vede dipingersi sul suo volto.

 

***

Due giorni dopo

 

Per un istante, Sam rimane a osservare l’ombra che il suo pugno disegna sulla porta chiusa che lo separa da Dean, si chiede se suo fratello sia rimasto lì per tutto quel tempo, lo immagina muoversi; si chiede se lo prenderà a pugni appena lo vedrà o se lo stia attendendo.

Ripensa ad Eileen e al suo volto privo di espressione, quando le aveva raccontato di quel libro.

“Ho trovato l’indirizzo di quel fienile” gli aveva detto, con un’ombra di preoccupazione. “Ma sei sicuro di volerci andare?”

Sam non aveva risposto, allora. Si era limitato a guardarla e a scuotere leggermente il capo più per il rifiuto della domanda che in risposta ad essa, ma ora si trova di fronte a quella porta e lo sa che la risposta era sì. Era sempre stata sì.

Da quando aveva visto quella dignitosa paura negli occhi di Dean, da quando ha dato appuntamento ad Eileen a Canton, da quando ha visto quei sigilli su quel fienile, la risposta è sempre stata sì.

Il rumore delle sue nocche che si scontrano contro il legno della porta è quasi assordante nel silenzio che regna nel paesaggio ovattato dalla neve. Dall’altra parte lo accoglie il silenzio assoluto e, mentre cerca le chiavi di quel posto, Sam sente un nodo in gola formarsi alla prospettiva che Dean non sia più lì, che forse non sia più in quello stato, quando, improvvisamente, sente un sospiro affranto, frustrato, sorpreso, scontrarsi contro le tavole e infine la porta aprirsi sul volto di suo fratello.

Suo fratello indossa un paio di jeans e una maglietta nera con le maniche arrotolate e il suo volto sembra essere scolpito nella pietra e solo i suoi occhi che seguono, guardinghi, ogni suo agitato movimento sembrano tradire qualche emozione.

“Ciao, Sammy. Hansel ha trovato la strada di casa, vedo” commenta sardonico, non appena apre la porta di casa.

Sam si aspettava un ringhio, che gli sputasse addosso tutta la sua ira, ma la sua voce è fredda e distante e la cosa fa ancora più dannatamente male. C’era calore negli occhi di Dean, c’era calore negli occhi di suo fratello ogni volta che lo guardava – anche quando era furioso, anche quando avrebbe voluto solo strozzarlo -, ma ora non c’è più nessuna luce nel suo sguardo. Sam potrebbe essere un perfetto sconosciuto, un’ombra sull’entrata di casa.

“Ho provato a chiamarti stamattina, Dean” chiarisce, in un flebile tentativo di difesa. “Ma non rispondevi. Non hai risposto neanche a Jody”

Dean scuote le spalle, un braccio mollemente appoggiato allo stipite della porta. La posa sembra casuale e rilassata, ma Sam può scorgere come faccia attenzione a nascondere la tensione che gli irrigidisce i muscoli - come faccia attenzione a non offrirgli la minima fessura di spazio in cui infilarsi. Dentro quella baita e dentro la sua vita.

“Non...” alza la mano ed esala un ringhio frustrato. “Oh, maledizione. Non ci credo che tu abbia davvero il coraggio di rinfacciarmelo, Sammy”

E’ il tono con cui lo dice, è l’espressione che ha sul volto che gli racconta che suo fratello ha passato due giorni a chiamare la metà dei loro contatti per avere sue notizie, è il leggero movimento delle spalle, il leggero voltarsi come a mettere fine a quella conversazione, a sé stesso, a loro che gli spezza il cuore e le parole che ha da dire – quelle che si era preparato in macchina – gli si affollano in bocca.

“Non c’era altro da dire, Dean ” inizia, e riesce ad elaborare un mentale mi dispiace - lo volevo-ci ho provato, prima che il pugno di suo fratello rimbombi secco nell’aria.

Dean è il primo a rimanere paralizzato con lo sguardo fisso sulla sua mano e sul volto di Sam, spostato più per la sorpresa che per la violenza del colpo.

Il minore dei Winchester ci mette pochi secondi a ricomporsi, mentre un livido rossastro comincia a fermarsi sul suo zigomo sinistro e si rifiuta di percepirne fino a fondo il dolore.

Guarda Dean. Non ha paura di suo fratello, ma gli si spezza il cuore a vederlo così con lui. A vedere i chilometri che ha frapposto fra loro.

“Puoi colpirmi quanto vuoi, Dean.” insiste, tenendo lo sguardo fisso sugli occhi di suo fratello. “Nascondere il dolore non lo farà diminuire”

Improvvisamente, il petto di suo fratello sembra essere scosso da un ruggito ferale. Soltanto uno stupido bambino poteva fermarsi per un momento e credere che quella storia potesse avere un finale diverso dalla canna di una pistola o dalla lama di un coltello o di chissà quale altra arma. Soltanto un ingenuo poteva permettersi il lusso di pensare a qualcosa di diverso, ma lui è Dean Winchester e di sogni così futili e così pericolosi non ha bisogno.

C’era stato un momento in cui Dean aveva pensato -

Ma era passato ed era stato sciocco anche solo immaginare di avere una vita abbastanza lunga da poter perdere tempo su una spiaggia.

“Oh, per favore. Piantala con le stronzate e risparmiami la pietà, Sammy.” esala in un solo respiro alla fine.

Il minore dei Winchester chiude gli occhi per un istante prima di riaprirli, rialzare il capo dolorante e approfittare di un attimo di distrazione di Dean per entrare dentro la stanza e chiudersi la porta alle spalle, sotto lo sguardo improvvisamente atterrito di suo fratello.

“No, Dean” afferma con tutta la fermezza del mondo, puntandogli un dito contro e pregando che suo fratello non si accorga del tremore che gli scuote in maniera irrimediabile la voce. “Non smetterò mai di parlare perché tu hai bisogno di qualcuno che ti dica le cose come stanno”

E perché, se le cose fossero andate diversamente, avresti detto che è quello che ammiravi di me, non aggiunge.

Dean scuote il capo, irrigidendosi davanti a quel rifiuto e alzando gli occhi al cielo. Sam lo guarda, ne osserva gli occhi chiari e furiosi, la piega ferrea che assume la sua bocca, il tremore che scuote le sue labbra. Sapeva che non sarebbe stato facile farlo ragionare e fargli capire che aveva ragione lui, grazie tante, ma in nessuno dei suoi peggiori incubi sarebbe stato capace di immaginare la frustrazione che lo riempie, mentre cerca di discutere con Dean, che si comporta come un fottuto muro di gomma. Vorrebbe urlare che non dovrebbe essere lui il maggiore fra i due e allo stesso tempo sa che sarebbe inutile, che non c’è altro modo.

“Sam” ringhia Dean, e per la prima volta gli permette di percepire un po’ di quella stanchezza che ha nelle ossa.

“Non saresti così incazzato” mormora, avvicinandosi con sicurezza verso di lui, perché è suo fratello e non ha paura. “Se non stessi soffrendo. E non saresti ancora vivo, se non tenessi ancora a qualcosa.”

A me, rimane sospeso fra di loro.

“Sammy” mormora Dean, in un nuovo ammonimento, mentre si lascia cadere sul divano del salotto, in un moto di improvvisa stanchezza.

Sam – my.

Sam sospira e abbozza un mezzo sorriso, perché non è molto, ma è qualcosa che riconosce, finalmente.

E’ la sua voce che ha di nuovo quel tono che sembra volersi prendere cura del suo nome, ancora prima che di lui.

E’ solo quando è sicuro che Dean non scappi, che si siede su quel divano, accanto a lui.

Il maggiore dei Winchester si ripete che, maledizione, quella concessione non ha nessun significato.

 

***

“Te ne sei andato, Sammy”

Dean aveva immaginato cosa dire, fra le stanze silenziose di quella piccola baita in mezzo al nulla. Un discorso lungo e articolato che avrebbe spiegato a Sam che si era comportato di merda e che non iniziava con quel tono da disperato, maledizione.

Si morde la lingua e si maledice, ma è troppo tardi per tornare indietro.

“Dannazione, te ne sei andato” ripete con più forza, schizzando in piedi e trovandosi improvvisamente davanti al tavolo, a fronteggiarlo. “Non me ne frega un cazzo dei vampiri né di quello che avevi letto. Te ne sei andato.

Come avevi già fatto, come faceva papà, come ha fatto la mamma, non sottolinea.

Quando suo fratello minore fa ribattere, lo zittisce con un gesto.

“E non hai avuto neanche il coraggio di dirmelo, Sam” continua ancora, girando come uno squalo intorno al tavolo e puntandogli un dito contro. “E sai qual è la cosa peggiore, fratellino? E’ che ti avrei aiutato, se tu mi avessi detto cosa stavi cercando di fare. Se tu ti fossi fidato di me.”

Sam quasi sobbalza di consapevolezza, perché ci sono cose che si possono negare, ma non quella. Lascia cadere le spalle in un gesto di impotenza, prima di alzarsi in piedi e avvicinarglisi, con cautela.

“Lo so, Dean.” concede alla fine, in un sospiro. “Ed è esattamente la ragione per cui non potevo dirtelo. Avevo bisogno di qualcuno che non corresse alcun rischio nel verificare se fosse vero oppure no.”

Si trattiene dal dire che se ci fossero stati dei vampiri, se Chuck avesse avuto ragione, non sarebbe stata Eileen a morire in quella storia. Non era previsto.

Una risata strozzata e amara lascia le labbra del maggiore dei Winchester, zampilla come il sangue rosso e limpido da una ferita finalmente pulita dall’infezione che lo stava divorando.

“Cosa diavolo significa questo, Sammy?” chiede alla fine, con una nota di diffidenza appena a incrinargli la voce.

Sam prende un respiro, trattiene dell’aria nei polmoni che non gli serve più a nulla, se non a ricordargli gli esercizi che aveva imparato a fare, quando non capiva se qualcosa fosse reale oppure no. Si gratta distrattamente il palmo della mano, alla ricerca di una ferita invisibile che non è più lì da tempo, perché non si può più permettere il rischio di illudere Dean. Non nuovamente.

“Dean, sta’ zitto e ascoltami: papà non ha abbandonato quel caso perché non ha saputo riconoscere un vampiro. E, per la cronaca, ti prenderebbe a calci se sapesse che è quello che hai pensato.” inizia, e attende che gli occhi di Dean si posino, irritati e furiosi, su di lui. “Ha lasciato quel caso perché c’era un sospettato, tale Fred Wilson”

Dean non gli corre incontro, non lo abbraccia, non esulta perché è Dean ed è impegnato a guardarlo con una tenue e terrorizzata speranza nei suoi occhi, con i pugni serrati e i denti che vogliono trasformarsi in zanne, e un lupo sotto pelle che vorrebbe ringhiare e-

“Oh, per favore, Sammy. Come se il fatto che la polizia avesse un sospettato fosse mai stato rilevante per papà” si limita a dire, a denti stretti.

Sam non può fare a meno di sbuffare, scuotere il capo e fare un passo avanti, con maggiore sicurezza, perché è suo fratello e non è cambiato, è distrutto da tutto ciò che sta succedendo, ma è Dean e non gli avrebbe fatto del male.

“Nell’86 ci sono stati tre casi di questo genere sulla strada ‘66, ad Arkon, Canton e East Sparta. I padri dei bambini erano stati uccisi, mentre alle madri era stata tagliata la lingua. I corpi dei padri vennero rinvenuti sull’entrata, mentre quelli dei bambini non furono mai trovati. Una sola delle tre donne sopravvisse alle lesioni” inizia, cercando di tenere ferma la voce e di non lasciare che Dean percepisse la minima esitazione. “Ora, dimmi, qual è la prima cosa che avrebbe fatto papà nel sentire un caso del genere?”

Dean, in piedi a poca distanza da lui, alza gli occhi al cielo e non può fare a meno di rivolgergli un’occhiata in cagnesco, irrigidendosi automaticamente a quelle parole.

“Cos’è, un interrogatorio? Devo preoccuparmi del fatto che papà ti abbia posseduto adesso, Sammy?” gli chiede, un filo di sarcasmo ad incrinargli la voce, a smorzare quel filo di speranza che ha negli occhi.

“Dean” tenta di ammonirlo, ma il suo nome assume ben presto la forma di una supplica, di un pigolio.

Sam prende un respiro, azzardando un altro passo. Quando se n’è andato, l’ha fatto perché ha sentito l’aria mancargli, perché ha visto il terrore nascosto negli occhi di Dean e ha capito che sarebbe stata la fine, che Dean sarebbe potuto morire se non avesse fatto qualcosa e non se lo sarebbe mai potuto perdonare. Aveva chiamato Eileen, aveva serrato i pugni e aveva costretto i suoi piedi a muoversi, ad andarsene prima di fare qualcosa di cui si sarebbe pentito per l’eternità. O prima che fosse suo fratello ad andarsene.

Dean gli lancia una lunga occhiata truce, prima di esalare un lungo respiro e cedere.

“Va bene, finiamola, maledizione” acconsente, ma senza evitare di sottolineare che si tratta di questo: di una concessione. “Avrebbe cercato una connessione fra i delitti e avrebbe interrogato la sopravvissuta. Sei contento, adesso?”

Sam non riesce a trattenere uno sbuffo, davanti all’aria vagamente minacciosa di suo fratello.

“Esatto. Ho fatto delle ricerche e non è stato difficile risalire al fatto che quei nuclei familiari fossero legati l’uno con l’altro da una parentela. Samantha Wilson era la cognata di Peter Tuxon” prosegue alla fine, senza far vacillare di un secondo la sua convinzione. “La Wilson, unica sopravvissuta, è morta anni fa. Le lesioni erano molto gravi e non ha mai recuperato l’utilizzo della parola. Ha passato buona parte in una casa di igiene mentale, a disegnare questo

Sam ha un vago bagliore di soddisfazione negli occhi nel lasciare scivolare un foglietto da block-notes sul tavolo, con un disegno simile a quello sull’agenda di suo padre. Dean dall’altro lato non sembra ancora pronto a dargliela vinta, sebbene non possa fare a meno di deglutire e serrare la mascella, nel guardarlo, perché per un attimo può sperare -

Alza le sopracciglia, in un moto di incredulità.

“Grazie, Sammy. Il fatto che possa essere uno spirito vendicativo accanitosi su un nucleo familiare è incredibilmente rassicurante.” afferma alla fine, allontanandosi da suo fratello, come a porre una nuova distanza. “Hai almeno bruciato le ossa?”

Sam chiude gli occhi e serra la mascella perché, ovviamente, suo fratello aveva scelto il momento meno opportuno per comportarsi come un maledetto testardo.

“Riesci a stare zitto per un momento e ad ascoltarmi, Dean?” non può fare a meno di intimargli nuovamente. “Quella maschera è stata trovata da un cane della polizia nella proprietà di Fred Wilson, fratello delle due donne dei primi due nuclei familiari e cugino di primo grado della terza. Fu sospettato, ma non venne mai arrestato per insufficienza di prove. E per la cronaca, Dean: il test del DNA non era ancora utilizzato su larga scala, negli anni ‘80”

Una risata amara e gracchiante – la gola gli brucia per quei due giorni, in cui l’alcol sembrava essere stato come acido sui quei pensieri e sulle sue corde vocali – gli sfugge dalle labbra. Si lascia andare stancamente su una sedia, per poi alzarsi di scatto e fronteggiarlo.

“Questo non spiega un cazzo, Sammy. Non è detto che sia stato lui perché c’era una stupida maschera nella sua proprietà.” gli dice alla fine, puntandogli un dito contro. “Non spiega dove siano finiti quei bambini e non spiega perché diavolo abbia tagliato la lingua alle sue sorelle e a sua cugina.”

Sam trattiene un respiro, perché ecco, quella è la parte più dolorosa, quella di cui sperava Dean non chiedesse, quella che lo fa sentire sbagliato e schifosamente egoista per aver impiegato un secondo di troppo a pensare che quei bambini sarebbero dovuti diventare grandi, che avrebbero meritato una chance. Non aveva subito connesso il fatto che avrebbero avuto poco più della sua età, se solo avessero avuto una maledetta chance. Non può fare a meno di trattenere un singulto, prima di iniziare a parlare.

“Sam? Cosa diavolo è successo?” lo esorta allora Dean, senza che quel bagliore di terrorizzata speranza nei suoi occhi si spenga.

“Io e Eileen abbiamo trovato il fienile. Abbiamo scoperto che in quel periodo era in mano proprio a Wilson” afferma, con la voce che trema appena. “I nuovi proprietari hanno deciso di ristrutturarlo, ma nell’iniziare i lavori, hanno trovato delle ossa al suo interno. ”

Dean non può fare a meno di girare un paio di volte per la stanza, come una tigre in gabbia che non aspetta altro che scapparne, senza sapere davvero come fare. Continua a scuotere la testa nervosamente, fino a quando non si ferma, animato da un pensiero.

“Spero che quel figlio di puttana abbia passato gli ultimi giorni della sua vita in prigione, ma non puoi sapere per certo che sia andata così, Sammy” afferma, irrigidendo la mascella e fronteggiandolo, senza vacillare nemmeno un secondo. “Non puoi sapere che non sia un altro stupido giochetto di Chuck per farci credere di essere al sicuro. Non puoi saperlo, Sammy”

E’ di nuovo il suo nome quello a cui si attacca come se fosse un’ancora, è di nuovo il suo nome a tenerlo ancorato mentre galleggia in un mare di disperazione. E Sam decide che non può arrendersi, che lo deve a sé stesso prima ancora che a lui.

“Non è mai stato condannato per questo reato, ma ha finito i suoi giorni in prigione, Dean. E’ morto di cancro nel 2016, nella Prigione di Stato del Montana. Era dentro per aver ucciso sua madre, che viveva in quello stato. Fu ritrovata con la lingua tagliata” afferma alla fine, per poi concludere. “Ho parlato con alcuni conoscenti dei Wilson. Fred aveva smesso di parlare durante l’infanzia, in seguito a degli abusi. I vicini non ricordano molto, ma gli inquirenti sono convinti che il suo vero obiettivo fossero le figure della sua famiglia, specialmente quelle femminili. Non è stato uno stupido spirito vendicativo, Dean. E’ stato un uomo.

Suo fratello maggiore resta in piedi di fronte a lui per qualche secondo, regge il suo sguardo per un po’ e Sam non può fare a meno di chiedersi cosa stia pensando, se sia sul punto di colpirlo di nuovo. Ha i pugni serrati lungo i fianchi e fra di loro cala un silenzio vischioso e Sam si guarda intorno, cercando di non impazzire o peggio, riprendere a parlare a vanvera pur di sentire qualcosa. La stanza era elegante, seppur dai toni troppo scuri e barocchi per i suoi gusti. Lo si riesce a capire anche adesso che sembra sepolta sotto le schegge di legno di quelli che una volta erano stati mobili, sotto gli strati di piume liberate dai cuscini squartati e dai divani sventrati, sotto gli strati di fogli che suo fratello aveva sparso per la casa, alla ricerca di un minimo indizio.

Dean sospira, si passa stancamente una mano sul volto e si allontana di qualche passo. Distoglie lo sguardo.

“Volevo uccidermi, Sammy” si lascia sfuggire, in un sussurro, mentre il suo intero corpo sembra essere scosso da brividi e si ostina a non guardarlo negli occhi.

A quelle parole, Sam non può fare a meno di sbarrare gli occhi: aveva sempre saputo che quel genere di pensieri aveva attraversato la mente di suo fratello in passato, ma che ci avesse pensato di recente...avrebbe voluto dire qualcosa – che gli dispiaceva, che era terribile o forse solo abbracciarlo e proteggerlo anche da quello –, ma Dean riprende a parlare prima che possa decidersi, trovando il coraggio di sollevare il capo.

“Non perché volessi morire, dannazione! Ma perché se dovevo morire, volevo farlo a modo mio e non come uno stupido mezzo di intrattenimento di Chuck” ammette alla fine, scuotendo il capo, improvvisamente scottato dalle sue stesse paure. “Ero pronto a morire.”

Sam sussulta a quelle parole, ma è solo un attimo. Ritrova subito il controllo perduto e si impone di fare un passo avanti, di mettere fine a quella storia.

“Ma non l’hai fatto, Dean” constata solamente.

Per un lungo istante rimangono immobili a guardarsi: gli occhi di Dean sono due fenditure incazzate; quelli di Sam sono immensi e fermi, mentre si sforza di non distogliere lo sguardo, di non mostrare la paura e il dolore che gli scivolavano lungo la schiena.

“Chissà come mai. Forse perché non era così che finiva quella stupida storia, fratellino.” ribatte alla fine, irrigidendo ogni muscolo del suo corpo ed avanzando di un passo a sua volta.

Il volto di Dean è così vicino al suo che basterebbe così poco perché Sam lo tiri in un abbraccio, ma è troppo presto. Ci sono armadi da svuotare e scheletri da ricomporre, prima.

“No, Dean. Non l’hai fatto perché non ti sei arreso nemmeno quando avevi ogni motivo per farlo.” afferma, trovando in sé stesso la forza di scuotere la testa e di abbozzare un sorriso. Spera che suo fratello non senta quel sollievo di lacrime che sembra essersi accalcato – minaccioso – alla base della sua gola. “E posso saperlo, perché ti conosco meglio di chiunque altro. Conosco il Dean che mi ha cresciuto. Ma non funzionerà mai se non ti fidi di me e se non ti fidi di te.”

L’uomo solleva la mano e per un attimo Sam non sa se prepararsi all’impatto di un colpo o a qualcosa del genere. Ma Dean si limita a sbuffare, a lasciarsi andare ad un moto di frustrazione e a sfiorare il vuoto, davanti a sé.

“Non so come fare, Sammy. Maledizione, non so nemmeno se posso farlo, oramai.” ammette, in un sospiro frustrato.

Sam china il capo e quanto vorrebbe poterlo appoggiare sulla spalla di suo fratello e lasciarsi andare, lasciarsi respirare contro la sua pelle. Rialza la testa, torna a guardarlo negli occhi.

“Neanche io, Dean” ammette, scuotendo le spalle. “ Forse è una cosa che va imparata. E che...possiamo imparare?”

L’ultima sua frase assume, contro la sua volontà, la forma di una domanda, di un vecchio accusato in attesa di un verdetto sul patibolo, ma quando Sam se ne accorge è ormai troppo tardi per tornare indietro: le parole sono già lì nell’aria, con quell’inclinazione finale.

Dean esala un sospiro, quasi contro la sua pelle.

“Non so se sono in grado di farlo, Sammy”

Sam alza gli occhi al cielo e non può fare a meno di scuotere il capo e nascondere più di quanto vorrebbe la paura, le lacrime che gli stringono la gola.

“Non era davvero una domanda, idiota”

Dean esala lo sbuffo di una risata, che assume il retrogusto di una certa amarezza. E’ Sam a chiudere la distanza fra sé stesso e suo fratello, è Sam a mormorare un è quello che avrebbe voluto anche papà che sembra svuotarlo di ogni energia, che sembra risucchiare tutta la violenza che riempie la stanza.

Resta il vuoto, restano le braccia di Dean intorno alle sue spalle, il suo sospiro spezzato quando borbotta qualcosa come “Da quando ti importa di quello che avrebbe voluto papà?” e non hanno risolto niente, non davvero, ma forse basta così. Forse è un inizio.

Resta uno spazio, uno spazio per costruire qualcosa.

 

 

***

 

Sono entrambi in piedi: Dean gli si è avvolto intorno e Sam non può fare a meno di stringerselo contro, esalando un singhiozzo che è solo parzialmente di sollievo. Le dita di Dean sono tanto strette intorno alla stoffa della sua maglietta da essere diventate bianche come piccole perle.

Il suo respiro sembra essere tornato regolare, ma muoversi significa ammettere che ogni cosa – anche quell’assurdo, disperato ed impacciato abbraccio – sia reale. Quindi, semplicemente, stanno.

Stanno, ma non può durare per sempre. Dean è il primo a muoversi: sospira e scosta impercettibilmente il volto che aveva sepolto nell’incavo del collo di suo fratello, per poterlo guardare. Sam ha la testa china e i capelli gli ricadono intorno in ciocche scomposte e scompigliate; dalla posizione in cui si trova, Dean non riesce a vederne gli occhi, ma può intravedere l’ombra del livido che si sta formando sotto l’occhio sinistro. Sente la bile risalirgli nella gola e l’odio e la rabbia verso sé stesso e -

Sam si scosta di qualche centimetro e lo costringe a guardarlo, mentre volta il capo verso di lui e gli sorride timidamente, come se avesse letto nella sua mente cosa lo turbasse e di cosa avesse bisogno, prima ancora che apra la bocca per elaborare delle scuse.

“Stai zitto” lo rimbecca, per poi proseguire. “Sei libero. Va bene, Dean. Va tutto bene. Puoi andare adesso...possiamo andare dove vuoi”

Lo aveva preso a pugni, gli aveva rinfacciato il fatto di essersene andato, sono circondati da macerie e resti di mobili e quella è l’unica cosa che Sam sembra essere intenzionato a soffiargli, con sollievo, a pochi centimetri dal viso: sei libero, va tutto bene, puoi andare adesso.

Dean posa la fronte contro la spalla di suo fratello e Sam fa finta di non sentire le lacrime che attraversano la stoffa della sua maglietta e gli scivolano lungo la spalla.

***

 

Dopo, Dean è seduto con la schiena appoggiata allo schienale della sedia e gli occhi fissi sul tavolo di fronte a sé. E’ sorprendente, pensa, l’idea di avere un intero mondo ad aspettarlo ed è fottutamente terrificante perché è quasi tutta la sua vita, quella che si sta lasciando alle spalle.

Dal divano, Sam di tanto in tanto gli lancia delle occhiate apprensive, seppur discrete, ma nessuno dei due sembra più intenzionato a parlare – di quel caso, del futuro o di tutto il resto -, fino a quando Dean non si lascia andare ad un sospiro frustrato.

“All’inizio non volevo saperne nulla, Sammy” mormora, con gli occhi fissi nel vuoto. “Tutte queste stronzate su una vita normale erano una debolezza e una distruzione. E tu invece...credevi in cose insperabili per la nostra famiglia. Quando papà mi ha salvato, l’ho odiato per averlo fatto...”

Una risata spezzata e amara gli lascia le labbra tumide.

“Maledizione, quando mi ha detto che forse avrei dovuto ucciderti, sopravvivergli mi è sembrato solo un altro carico di merda da dover sopportare...” ammette, in un solo sospiro, prima di proseguire. “E poi c’è stato Cas, le cose buone succedono e tutte quelle stronzate del genere...”

Sam si alza, sedendosi di fronte a lui, sentendo improvvisamente il bisogno di avvicinarglisi con discrezione, senza interromperlo.

“Li ho odiati entrambi per questo. Io...non volevo essere salvato. Non ho mai voluto...” afferma, lasciando quella frase a metà.

Sam esala un empatico “Dean” e il maggiore dei Winchester non può che guardarlo e poi chiudere gli occhi e sentire la pressione delle lacrime dietro di essi.

“Ma poi Cas si è ribellato, ha deciso di restare con noi. E ho cominciato a farmi quelle stupide domande che ti facevi tu e che papà non avrebbe approvato, non avrebbe capito.” afferma, scuotendo la testa, prima di guardarlo, in cerca di un cenno di assenso o di una condanna. “Mi sono chiesto perché diavolo avrei dovuto sentirmi in colpa, se quella volta a St. Petersburg abbiamo rallentato per guardare il mare dal finestrino… è stato allora che ho capito che...”

Le parole di Dean muoiono in un singulto e serra le palpebre per non lasciare uscire nessuna delle lacrime che sente premergli negli occhi. Ha imparato che il momento perfetto – quello in cui si è pronti e sicuri e ogni cosa va al suo posto – non esiste davvero, non nella sua vita almeno, e non sa se si perdonerà mai per avere voluto tutto ciò.

“Che volevi qualcosa di normale. Dean, non c’è nessuna vergogna nell’ammetterlo.” soffia allora Sam, completando la frase che suo fratello aveva lasciato in sospeso.

Sam non può non vedere il corpo di Dean irrigidirsi.

“Già. Comunque” ribatte, trafelato, scuotendo la testa mentre le sue labbra si incrinano in un sorriso sardonico e si alza in piedi. “Era un pensiero stupido. Voglio dire, cosa diavolo dovrei fare? Scrivere “Salvo le persone, caccio le cose” nel mio stupido curriculum? Far finta che Cas, che papà, che le persone che sono morte a causa mia semplicemente non esistano?”

Dean si allontana di qualche passo, scuotendo la testa e calciando via i resti di un appendiabiti per terra.

“Dean, dannazione!” lo chiama di nuovo Sam, dopo aver tratto un altro respiro, arrivandogli da dietro e posandogli una mano sulla spalla – lentamente, per non spaventarlo. “Smettila di mentirmi e di mentire a te stesso!”

Lo sente irrigidirsi contro la sua presa sulla sua spalla e non può fare a meno di rifiutarsi di desistere; non può permettergli di scappare di nuovo, di sparire di nuovo dietro a montagne e muri, non ora, non da lui.

“Oh, dannazione. Vuoi che ti dica la verità, Sammy?” grida allora, scrollandosi di dosso la sua mano e sferrando un pugno contro il muro. “La verità, Sammy? La verità era che Cas era innamorato di me ed è morto a causa mia!”

Sam si lancia verso di lui prima che possa aggiungere anche solo una parola e il suo gesto avrebbe molto più effetto se fosse effettivamente riuscito a farlo indietreggiare almeno un po’.

“Non è stata colpa tua” sibila, con urgenza. “Non sei stato tu ad ucciderlo, non è stata colpa tua”

Mesi prima, Dean avrebbe inarcato un sopracciglio o gli avrebbe sorriso, tutto allusioni e battute sagaci, ma ora si limita ad alzare uno sguardo vacuo su di lui, quando cerca vanamente di strattonarlo verso di sé.

“Bel tentativo, Sammy. Ma il Vuoto l’ha preso con sé perché era innamorato di me. “ gli urla, contro il volto.

Sam scuote la testa, lasciandosi andare ad un sospiro frustrato.

“Questo non ne fa una tua colpa!” grida, senza dargli nemmeno una possibilità di intimidirlo. “Stai zitto e ascoltami, Dean: decine di persone sono morte perché abbiamo preso decisioni sbagliate. Quelle persone, quelle famiglie, quelle morti sono una nostra responsabilità. Ma Cas...non è stata colpa tua. E quando ce ne andremo da questo posto, risponderai a quella proposta di Sonny, perché io ti conosco e so che puoi fare tutto questo. So che salvare le persone è sempre venuto prima di uccidere le cose. Lo sapeva anche Cas.”

Dean scuote il capo e irrigidisce la mascella, nel registrare quelle parole.

“Non ho neanche potuto fargli un maledetto funerale, Sammy. Me ne sono andato e...” la voce gli si spezza.

Sam non può fare altro che allontanarsi abbastanza da poterlo guardare negli occhi.

“Ora ci alzeremo e poi chiameremo Jody, le diremo che stiamo bene e organizzeremo un funerale.” mormora.

E potrai parlargli, potrai dirgli tutto quello che non hai detto a me e potrai salutarlo, pensa, ma non lo dice perché sa che Dean non è pronto e ci sarebbe stato tempo.

Da suo fratello arriva solo un sospiro.

Ci sarebbe stato tempo.

 

***

C’è il sole quando lasciano quella baita, il giorno dopo, e c’è un leggero profumo di fiori di montagna nell’aria.

“Dean?” chiede Sam, dal sedile del passeggero dell’Impala.

Dean attende qualche secondo, lasciando che quel sole sia come balsamo sulle ferite altrui e sulle proprie. Una coppia di anziani si volta a guardarli, all’entrata del parcheggio di un sentiero per fare trekking: la donna sorride con condiscendenza, prima di voltarsi verso il marito e mormorargli qualcosa in una lingua che Dean non comprende e che lo spinge a voltarsi e a guardarli con un sorriso cortese così simile a quello della moglie. Per un istante sembrano avere quasi gli stessi lineamenti, ma è solo la familiarità. Sono solo gli anni passati a guardare intorno, respirarsi e inconsciamente, imitarsi. Ed è spaventoso che un giorno potrebbe accadere a Sam o a lui – che forse sta già accadendo. Che accetta che gli accada. Che accetta di crescere e di invecchiare e di farlo dopo aver visto due Apocalissi e intere città crollare come castelli di carta. Che lo accetta, che lo vuole – maledizione, è così spaventoso – e si perdona, nonostante tutto. Per tutto.

Che non teme più così tanto di finire per assomigliare a suo fratello. Che non teme lo scoprire cosa rimarrà di lui, fra una decina di anni. Non è certo di essersi ritrovato – niente affatto -, ma almeno ha recuperato il filo di Arianna da seguire e ha tutto il tempo per scovarsi.

“Dean?” insiste Sam, affacciandosi dal finestrino del passeggero, con un filo di impazienza. “Dobbiamo andarcene prima che ci arrestino per danneggiamento di proprietà privata. Ed è maleducato fissare le persone in quel modo”

Dean scuote la testa.

“Mi ero incantato” borbotta, a mo’ di scuse, mentre sale in macchina.

“L’ho notato” osserva, guardando la coppia di anziani fuori dal finestrino. “Ma dobbiamo andare”

Dean inarca un sopracciglio.

“Non pensavo che avessimo degli orari così stringenti anche adesso, Sammy”afferma, nel guardarlo.

Sam scuote le spalle, con un sorriso. Non dice che ha avuto lo stesso pensiero, che sa che non sarà facile, ma che per il momento non ha intenzione di andare da nessuna parte dove non possa tenerlo d’occhio; non gli dice che ha comunque ogni intenzione di lasciare quel posto, bruciare quel libro e non tornarvi per i prossimi cinque secoli.

Non glielo dice, ma Dean gli stringe la spalla in un gesto di conforto e mormora un quasi inudibile “grazie, Sammy” prima di mettere in moto, come se sapesse.

Un giorno, i telegiornali di tutto il mondo saranno aperti da immagini di pura devastazione. Una baita è crollata nella notte, intitoleranno i quotidiani, sotto il peso della neve e della leggerezza del vuoto su cui è costruita e ci saranno macerie e sangue e ossa e così tanti morti, ma il suolo sarà finalmente pieno e solido. Ci saranno macerie, ma sarà un inizio.

 

 

 

 

Quando Jody sente squillare il telefono e vede, sullo schermo, un numero sconosciuto, tutto si aspetta fuorché di sentire la voce roca e aspra di Sam Winchester e il rumore di un'automobile in sottofondo.

“Chi è?” chiede Claire, alzando la testa dal suo telefono.

“E’ Sam” mormora, sorpresa. “Stanno tornando a casa”

 


NDA. 
Ai coraggiosi che sono arrivati fino a qui senza sbadigliare, un immenso grazie. 
Questo capitolo, il penultimo, è stato un parto. Quando ho iniziato a scrivere questa storia, sapevo che doveva essere abbastanza soddisfacente e - seppur in modo assurdo e paradossale - volevo che fosse abbastanza canon- compliant da darmi un senso di chiusura - la chiusura o te la danno o te la vai a cercare e non indugio sui miei pensieri sulla 15x20, perché - ancora una volta - sarebbe come aprire il vaso di Pandora.  
Questo capitolo ha varie difficoltà, in primis c'è tutta la questione di un abilismo di cui spero di non aver peccato. Il mio primo ragazzo era non udente, ma eravamo adolescenti e non ho mai imparato la lingua dei segni perché lui leggeva il labiale (e non la utilizzava, ogni situazione è ovviamente a sé), quindi ho indubbiamente tantissimo da imparare su questa comunità e spero di non aver scritto troppe cavolate, in merito. I - pochi, perché Eileen legge il labiale canonicamente - gesti che ho scelto di utilizzare all'interno della storia sono in ASL. Credo che - nonostante non l'abbia esplicitato del tutto - sia praticamente evidente che i due finiranno insieme in questa storia - se non lo è, lo sarà nel prossimo e ultimo capitolo.
L'introspezione di Sam&Dean, soprattutto quella di Dean, all'interno di questa storia è forse la cosa a cui ho dedicato più tempo, perché secondo me, non è tutto così semplice  e automatico, credo davvero che in qualche modo ci sia una dinamica psicologica molto complessa che va di pari passo con quella fisica. Tutto il capitolo è orientato su questo concetto: Dean qui è libero, ma si sente libero? 
Shawshank è calzante da questo punto di vista e gran parte - anche tutto - questo capitolo è orientato sul binomio morte-vita, sul prezzo che costa il sopravvivere. Perché volevo scrivere un happy ending e volevo scrivere una storia life-affirming, ma per affermare la vita, bisogna necessariamente negare la morte. Far sembrare tutto happy-go-lucky in questo capitolo avrebbe secondo me fatto sembrare il prossimo capitolo completamente tacked-on e ricordiamoci che ho adottato questo video molto interessante  da un'intervista di Tim Robbins per capire cosa volevo scrivere in questa storia. E volevo, soprattutto, che tutto fosse ponderato e genuino. La scena del "you can go now" doveva essere, in questa storia, il culmine di questo processo - del trasformare una storia di morte in una storia di vita. 
Cas&Jody&le ragazze: spero di aver fatto un buon lavoro nel non tradire il concetto di found family, perché se Sam e Dean escono vivi da questa storia, lo devono senz'altro anche alla famiglia che si sono scelti lungo la strada. E Cas... mi piace l'idea che la ribellione di Cas abbia acceso il dubbio in Dean o lo abbia quanto meno risvegliato. 
Nel prossimo capitolo avremo un flashback da Jody dove Dean avrà le ultime risposte di cui ha bisogno per quanto riguarda la situazione di Cas, sapremo cosa farà Sam adesso (ho già accennato a cosa farà Dean e amo quest'idea per lui...l'idea per Sam non è particolarmente originale, ma è quello per cui ha lottato), e avremo - dopo la scena a casa delle ragazze - un salto temporale di tre o cinque anni (devo pensarci un attimino).
Vi lascio un video a caso dove lo spirito di Shawshank viene catturato in sei minuti per nessuna ragione oltre al fatto che è un edit perfetto. 

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Capitolo 3
*** I hope ***


I hope

 

Get busy living or get busy dying.

That’s good-damn right.

For the second time in my life, I’m guilty of commiting a crime. Parole violation. Of course, I doubt they’ll toss up any roadblocks, not for an old crook like me…

I find I’m so excited I can barely sit still or hold a thought in my head. I think that’s the excitement only a free man can feel, a free man at the start of a long journey whose conclusion is uncertain.

I hope I can make it across the border.

I hope to see my friend and to shake his hand.

I hope the Pacific is as blue as it has been in my dreams.

I hope.”

 

[Red, The Shawshank Redemption]

 

Quando Sam e Dean arrivano a Sioux Falls, a far capolino sulla porta e ad accoglierli è Jody, con una vaga ma non nascosta espressione di sollievo sul volto. Per un attimo, il suo sguardo sembra esitare su di loro, come in cerca di una risposta; gli ingranaggi dietro i suoi occhi castani sembrano lavorare intensamente nel fermarsi sul livido sotto l’occhio di Sam. E’ Dean il primo a schiarirsi la voce, il primo a rompere quel silenzio scomodo e vischioso che si è creato fra di loro.

“Non è successo nulla. E’ stata colpa mia” inizia, per poi girarsi e fulminare con uno sguardo suo fratello, che ha già aperto la bocca per ribattere. “Oh, per favore, tu sta’ zitto, Sammy. Non hai niente di cui vergognarti.”

Non tu, rimane in sospeso fra di loro. Il sorriso che Dean abbozza dopo quell’affermazione non serve a scacciare l’amarezza e quella punta di disprezzo verso sé stesso che nasconde.

“E’ una lunga storia” puntualizza testardamente il minore dei Winchester.

La fronte corrucciata di Jody impiega qualche istante, qualche battito di ciglia scure, il tempo alle sue parole di farsi strada ed essere comprese, a rilassarsi. La donna si lascia andare ad un sospiro, prima di abbracciare Sam.

“Claire è fuori con Kaia. Alex e Patience saranno qui a breve” dice, guardando per un attimo il minore dei Winchester. “Forza, entra. Ho del ghiaccio in cucina.”

Sam abbozza un mezzo sorriso, prima di farsi spazio oltre la porta, mentre Dean rimane in piedi davanti a lei, incerto. Per la prima volta da quando lo conosce, Jody lo vede indugiare, insicuro: gioca con l’orlo della giacca e non osa fare nemmeno un passo oltre la soglia.

E’ lei ad avvicinarsi, lei a sfiorargli la guancia con un tocco leggerissimo, da cui sembra ritrarsi, quasi scottato.

“E’ bello vederti, Dean” gli soffia contro il collo prima di abbracciarlo.

E Dean sospira, perché c’è tutto un mondo dietro quell’E’bello vederti.

Non fa fatica a immaginarsi Jody nei panni di una madre.

Non fa fatica ad immaginare la paura che deve averla divorata quando, dopo aver perso un figlio e dopo aver passato gli ultimi anni in pena per loro e per Claire, si è sentita impotente dall’altro lato del telefono, senza nessuna possibilità di salvarlo. Non da sé stesso, almeno.

“Oh, non hai idea di quanto lo sia per me” risponde, e sente i muscoli della schiena tendersi, prepararsi a...

Un sorriso nervoso gli piega le labbra, quando tutto ciò che riceve è una leggera spinta ad entrare dentro. Perché è una lunga storia, lo è davvero, ma c’è tempo.

 

***

“Alex” ringhia Claire quando la vede, ma è un ringhio basso e poco minaccioso di chi si conosce da anni, di chi si disprezza più per abitudine, più perché non sa parlarsi in altro modo, che per vero astio.

Dean guarda quella parte della sua famiglia riunita, guarda Kaia indugiare leggermente imbarazzata mentre passa qualcosa – un bigliettino? Un disegno? - a Claire, guarda Sam e Alex chini su un progetto dell’Università della ragazza sul folklore locale, guarda il modo in cui Jody scuote leggermente il capo, quando vede Claire mangiare prima di pranzo.

“Alex, giusto per essere chiari: non ho alcuna intenzione di restituirti la tua stanza.” ribadisce, con le guance gonfie di patatine, come un criceto.

E davvero, Dean non può fare a meno di rabbrividire davanti all’assoluta normalità di quella scena, dove una madre normale si preoccupava che le sue figlie non litigassero o che Claire non mangiasse prima di pranzo. Suo padre forse aveva fatto lo stesso con lui (“Dean, non mangiare quei biscotti o ti rovinerai l’appetito per cena”), ma aveva smesso molto prima che potesse decidere da solo se potesse mangiare le patatine alle undici di sera. C’è qualcosa che lo fa sentire come un intruso, che lo fa sentire come se non avesse alcun diritto di essere lì, a sbirciare nella loro intimità.

Suo fratello sembra però accorgersi di quel suo turbamento. Si avvicina e si siede accanto a lui, sul divano.

“Manca solo Patience. Dopo pranzo, andremo a bruciare questo libro e a fare quello che ti ho detto” gli dice a bassa voce.

Un mezzo sorriso incoraggiante si dipinge sulle labbra di Sam, e Dean non può non fare a meno di sbuffare davanti a quel suo essere attento e maniacale nello scegliere le parole, come se stesse maneggiando una stupida bomba.

“Dopo pranzo, andremo a bruciare quello stupido libro e poi seppelliremo Cas. Anzi, non lo seppelliremo né lo bruceremo perché non abbiamo nemmeno un dannato corpo” conclude alla fine, in un moto di frustrazione. “Puoi dirlo, Sammy. Non esploderò da un momento all’altro.”

Sam al suo fianco sbuffa appena, scrollando le spalle in un moto di stizza, perché è suo fratello ma non deve essere necessariamente così impossibile. Serra la mascella: non c’è niente che odia di più di quel senso di impotenza, di quel non sapere come dargli sollievo. L’unica cosa che può fare è stargli accanto e sperare che finisca tutto presto.

Dean lo scruta severamente per qualche istante, prima di sospirare e abbassare lo sguardo sulle sue dita, abbandonate in grembo. Scuote la testa e fa per abbozzare delle scuse, ma -

“Bruciare i libri non è qualcosa che facevano i nazisti?”

Alex li osserva entrambi per un momento, con l’aria perplessa di chi ha da poco iniziato un corso di Storia Contemporanea e non ha idea di quale libro stiano parlando. A quelle parole, Sam non può non rivolgerle un mezzo sorriso, prima di lanciare un breve sguardo d’intesa verso Dean.

“Già, hai ragione” afferma Sam, scuotendo appena la testa. “Ma Dean ha ucciso Hitler quindi noi abbiamo un lasciapassare, non è vero?”

Dean non può fare a meno di alzare gli occhi al cielo, improvvisamente divertito.

“Oh, puoi dirlo forte, fratellino.” risponde.

Il maggiore dei Winchester scuote il capo, in un moto di improvvisa incredulità. C’era stato un tempo, quando Sam aveva sei anni e lui qualcuno in più, in cui Dean era stato capace di cancellare il broncio dal suo volto con una stronzata pensata ad alta voce. Mentre si sorprende del sorriso che gli piega irrimediabilmente le labbra, non può che rendersi conto che c’è una cosa che ha sempre sottovalutato: è l’incredibile capacità di Sam di fare lo stesso con lui, senza mai chiedere nulla – nemmeno delle scuse – in cambio.

 

***

Ogni Ribellione è fatta di morti – e di sangue, di ossa bianche e spolpate e di polvere – che hanno spianato il cammino di chi è venuto dopo. Ci sono mani amputate che hanno aperto portelloni verso la salvezza di qualcun altro, braccia distese in un ultimo colpo di pistola; ci sono corpi sventrati e piedi che puntano verso una via d’uscita, verso una via di fuga.

E ci sono eroi. Ci sono così tanti eroi che a volte è difficile ricordare ognuno di essi: ci sono così tanti nomi da onorare e da commemorare che non basterebbe l’intera superficie della Terra per scriverli tutti. E Dean ha sempre ammirato e sentito il peso di tutte quelle morti, di quegli uomini e donne e folli e speranzosi morti per combattere la loro causa – Charlie, Jo, Ellen, e dannazione, persino Crowley -, ma ce n’è sempre stato uno il cui nome ripeteva come un mantra, nel corso degli anni, come un’invocazione della Forza, quando ogni via di fuga sembrava perduta.

Dean guarda le ragazze oltre al fuoco davanti a sé, guarda Claire avvicinarglisi, ed è improvvisamente tutto così fottutamente ironico e irraggiungibile. Non può non pensare che maledizione, aveva sognato per mesi come sarebbe stata la Terra quando si sarebbero liberati di Chuck; aveva immaginato l’ossigeno e la brezza accarezzargli i capelli, aveva immaginato che quella sarebbe stata la loro salvezza. Ed è ancora quello a farlo andare avanti, la sicurezza che quello possa essere un mondo sicuro dove continuare a vivere, anche se tutto assomiglia più ad un campo di battaglia dopo la fine della guerra, che ad uno stupido Paradiso.

“Eravamo amici” mormora, come testando la parola sulla lingua e il palato. Non c’è davvero molto altro che possa aggiungere. Non c’è davvero molto altro che qualcuno di diverso da lui o da Castiel possa capire.

Sam lo scruta per un lungo istante prima di annuire. Forse sanno entrambi che è una bugia, ma in quel momento, in mezzo a tutto quella morte e alle confessioni che ancora sembrano rimbombare nella sua testa, è abbastanza.

Dean conta le persone raccolte nel prato – cinque oltre a suo fratello, come cinque sono le fasi del lutto - , ne studia le lacrime agli angoli degli occhi e pensa che non c’è nessuna lapide e va bene così, non ha bisogno di una fottuta lapide per ricordarsi di ricordare. Si lascia andare ad un sospiro carico di stanchezza, prima di ripetere mentalmente quel nome – Cas. Non lo fa più con la speranza di qualche miracolo, di una qualche improvvisa salvezza, ma con la preghiera di sapere accettare quella morte per tutto ciò in cui crede e per tutto ciò che ha di più caro.

 

***

Dean continua a fissare quella cenere, anche quando rimane solo, anche quando chiede a suo fratello di lasciargli uno stupido momento da solo. E’ così impegnato a guardare tutto ciò che resta, quello che rimane, che quasi non si accorge di Claire alle sue spalle ed è sollevante e spaventoso che ci sia ancora qualcosa in grado di distrarlo. Sollevante perché non gli accadeva più da quando era bambino – da quando ogni rumore era diventato una minaccia – e spaventoso perché ha visto decine di cacciatori morire per aver abbassato la guardia per un misero istante, il tempo necessario ad un proiettile di perforarti il cranio o ad uno stupido vampiro di trapassarti la schiena.

Dean pensa distrattamente che, nel tempo passato ad osservare quelle ceneri, in un’altra situazione – in un universo che non era stato concepito da Jack – sarebbe già morto almeno quattro volte.

Un leggero colpo di tosse alle sue spalle lo fa sobbalzare.

“Maledizione, Claire, va’ dentro. Comincia a fare a freddo e non ho intenzione di dirti nulla riguardo a quel libro.” la rimprovera nel voltarsi, non appena i loro occhi si incrociano.

Claire non può che fare un passo avanti, con una smorfia.

“Sembravi aver bisogno di supporto” afferma, ostinandosi a guardarlo negli occhi, senza sussultare. “Ed è stupido da parte tua credere di poterci tenere qualcosa nascosto, quando viviamo con una sensitiva. Ti facevo più intelligente”

Dean sbuffa, scuotendo il capo. Non è che ci sia da stupirsi del fatto che Patience sia la degna nipote di Missouri, ma c’è qualcosa nella consapevolezza di quello che la giovane sensitiva poteva conoscere di lui che non può fare a meno di metterlo in soggezione. Sapeva di quello che sarebbe successo se solo le cose con Chuck fossero andate diversamente? Di come sarebbe morto in quel caso? Di come Cas aveva sacrificato la sua vita? Di quello che aveva detto prima di sacrificarla? Di quella domanda che, assillante, non può che rimbombargli nella testa?

C’è qualcosa nell’avere davanti Claire senza sapere cosa Patience le abbia detto che lo agita, come se fosse stato scoperto a violare delle regole tacite, ma condivise.

“Non del tuo supporto. ” ribatte bruscamente.

Se ne pente solo quando vede l’espressione sul volto di Claire mutare. E per la prima volta realizza: non è l’unica persona a percepire il peso di quella perdita. Non è l’unico ad avere perso Cas, non è l’unico ancora troppo preso a contare le perdite per potere celebrare la fine della guerra.

La ragazza si lascia andare ad un sospiro frustrato, nel vedere quelle scuse non pronunciate che si sono improvvisamente dipinte sul suo volto.

“Oh, per favore. Smettila di guardarmi come se fossi una stupida ragazzina a cui hai chiesto di confortarti.” afferma, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo. “Sono un’adulta”

Dean piega la testa di lato, rivolgendole un’occhiata critica.

“Claire” mormora, così piano che solo lei possa sentire.

C’è una domanda implicita in quel nome, c’è un come stai? che Dean non le chiede perché la conosce abbastanza da sapere che si nasconderebbe dietro un sorriso o che non potrebbe fare altro che scappare, ma dalla giovane non arriva che un gemito di frustrazione.

“Cosa vuoi che ti dica, eh? Che è stato come se papà fosse morto di nuovo?” ribatte, alzando appena il tono.

Claire scuote la testa, come a scacciare un pensiero. Non può non pensare a come fosse stato traumatico in quei primi giorni guardare la forma del suo volto, i suoi occhi, confondersi e pensare papà e fermarsi, prima che la voce le si spezzasse in un informe gracchiare.

“Claire, mi dispiace” dice solamente, perché non c’è altro da dire e non c’è altro che sia abbastanza.

La ragazza lascia per un attimo che Dean la stringa in un abbraccio, che gli permetta di appoggiare la testa contro il suo sterno e di percepire il battito del suo cuore. Non piange, non lì, ma permette a sé stessa di lasciarsi andare per qualche istante. E Dean lascia che lo faccia, perché forse dovrebbe uscire e andare da qualche parte a festeggiare il fatto di essere ancora vivo, ma è difficile farlo quando ogni rumore è più forte del previsto, quando persino il cozzare dei bicchieri a tavola gli ricorda il suono di un’esplosione o di uno sparo; è difficile farlo quando ogni risata gli ricorda coloro che si sono lasciati indietro.

“Menomale che ero io ad aver bisogno di supporto, ragazzina” borbotta burberamente, quando la giovane si allontana.

“Oh, sta’ zitto” risponde indignata, per poi asciugarsi velocemente una lacrima sotto l’occhio.

Per qualche momento rimangono entrambi in silenzio, senza sapere cosa dire.

“Ho trovato quell’opuscolo per un corso di Criminologia al college che hai nascosto sotto il materasso” afferma ad un tratto Dean, ammorbidendo appena il tono nel proseguire. “Mi aspettavo un nascondiglio più intelligente da parte tua, ragazzina.”

Claire fa per aprire la bocca e protestare perché è un colpo basso e non ha alcuna intenzione di dirgli che sì, grazie tante, ci aveva pensato, ma si porta ancora dentro quei volti fatti di ombre nere e denti che ha incontrato in quegli anni, in cui la sua stanza era stata una gabbia da cui scappare e il mondo un posto di cui riempirsi tramite le vite degli altri, in un continuo guardarsi intorno e ripetersi che era vita anche quella, anche se non era quella che Jody e i suoi genitori avrebbero voluto per lei.

“Oh, smettila, fammi finire. L’hai detto tu, sei un’adulta. E penso che dovresti andare, se è quello che vuoi.” gli dice semplicemente, senza sottolineare che forse vederla trovare la sua strada – qualunque cosa fosse – è quello che avrebbe voluto anche suo padre per lei. Non glielo dice, perché sa per esperienza cosa significhi dover vivere per soddisfare le aspettative di qualcuno.

Claire scuote appena il capo. Lo osserva per un secondo, prima di sbuffare e di cedere.

“E’ stupido. E non so se è quello che voglio, ma non so cos’altro fare” ammette alla fine.

Dean gli posa una mano fra i capelli, come è sua consuetudine ormai da anni e Claire è così abituata a quel gesto che non cerca nemmeno più di scuoterselo di dosso.

“Ehi, lo hai detto anche tu: sei un’adulta. Benvenuta nel club di chi non sa cosa diavolo fare, ragazzina” le risponde semplicemente, sovrappensiero.

La ragazza non può che alzare gli occhi al cielo in una smorfia esasperata, mentre la mano di Dean si fa più pesante, più corporea fra i suoi capelli, un’ancora fatta di dita e calore.

“Oh, andiamo. Abbastanza adulta da lasciarmi l’Impala per un appuntamento con Kaia?” ribatte, trattenendo appena un sorriso.

E davvero, Dean è tanto così dal dirle di scordarsi di toccare Baby per i prossimi tre secoli, che essere un adulto non è mai stato abbastanza per avvicinarsi a lei, ma per farlo dovrebbe negare che quel sorriso – quel sorriso fiero e orgoglioso e ironico – che Claire gli rivolge gli dia alcuna soddisfazione.

“Dannazione, adesso non esagerare. Non così adulta” borbotta invece, a denti stretti.

E se, davanti alla smorfia della ragazza, Dean le stringe la spalla un po’ più forte, si dice che è solo per ricordarle che quella è la sua macchina e non si tocca, non per confortarla, non per incoraggiarla, non per ricambiare il sorriso.

 

 

***

Quando Dean riparte insieme a suo fratello, lo fa con la valigia stretta fra le dita e con un pacco di nostalgia che gli ferisce le costole, più che riempirle.

Riparte con addosso un abbraccio quasi violento di Claire e il ci vediamo presto di Jody che non è più carico di quella preoccupazione di prima, di chi non sa se si vedranno mai di nuovo; riparte con Alex che lo saluta sulla porta, con un sorriso. A volte Dean non sa che farsene di quell’amore che è fatto di presenza e di parole a cui non è abituato, a volte vorrebbe scrollarseli di dosso, urlare che gli chiedono troppo, che ci sono cose che non può dare e prendere, che può solo osservare, ma quella famiglia ha ormai radici resistenti come quelle di una quercia e resta. Resta sempre.

E’ Patience a distrarlo da quel pensiero, comparendo sulla porta quando suo fratello si è già diretto verso la macchina e gli altri sono rientrati.

“Dean” lo chiama, con un cipiglio serio sul volto. “Ho la risposta alla tua domanda.”

Dean scuote le spalle, interdetto da quell’apparizione improvvisa come la neve in California. Le sue labbra si piegano in una smorfia di scetticismo perché non ha posto alcuna domanda – non ad alta voce – e se quella non fosse la nipote di Missouri Moseley, non potrebbe fare a meno di ridere - non che non faccia comunque un tentativo di dissimulare.

“Oh, dannazione. Mi leggi nella mente, ragazzina? Sai che questo è piuttosto inquietante da parte tua, non è vero?” le chiede, ma l’ironia nella sua voce non è spontanea come l’aveva prevista.

La ragazza non si scompone, ha sul volto un’espressione seria ed eterea che la rende improvvisamente più simile alla nonna, più simile al cipiglio severo che si dipingeva sul suo volto.

“La sua anima è in Paradiso e ha trovato la pace” afferma alla fine, senza nessun tentennamento. “E’ morto con l’amore nel cuore e non si pente della scelta che ha fatto. Ma ha una domanda per te.”

Patience avanza di un passo e il suo sguardo sembra trapassarlo e sondargli l’anima e scavare dentro, fino a trovare tutte le sue paure più recondite, tutti i dubbi che non potevano fare a meno di tenerlo sveglio la notte. La giovane non gli dà tempo di controbattere, prima di concludere.

“Tu hai trovato la tua?”

 

 

***

 

Dicembre 2022 – due anni e mezzo dopo

 

Sam a volte si chiede ancora quanto durerà. Per quanto ancora Eileen gli resterà accanto prima che tutto scompaia, prima che si accorga che il sangue sulle sue mani è troppo perché possa restare; si chiede quanto manchi ancora prima che si accorga che è stato un miraggio, uno stupido sogno Dijin da cui non si è mai svegliato.

In certe mattine, prima di aprire gli occhi, ha la distinta sensazione di essere solo nel letto matrimoniale. Una parte di lui pensa: era solo questione di tempo, fino a quando non guarda il lampadario sul soffitto e sente quel respiro nell’incavo del suo collo o il peso delle sue mani contro il suo petto o della gamba di Eileen fra le sue. A volte apre gli occhi e vede una massa di capelli castani sul cuscino accanto al suo e improvvisamente, con un sospiro che gli scuote il petto come un singhiozzo, il mondo torna al suo posto. E lui può tornare a contare i giorni che mancano prima che la trovi sul soffitto, prima che si renda conto che era tutta solo un’illusione.

Sam continua a contare, ma quando apre gli occhi, Eileen è ancora lì, rannicchiata contro la sua spalla, con un braccio abbandonato sul suo petto, come se neanche nel sonno volesse lasciarlo andare.

“Buongiorno” la saluta, con un sorriso e con un cenno della mano quando si volta a guardarlo.

Eileen ricambia il sorriso e Sam non può che pensare che c’è qualcosa di strano e alienante nello stare lì, in quella casa che Sonny li aveva aiutati a prendere, nell’averla fra le braccia, nel sentire Dean litigare con un frullatore al piano di sotto - “Non sapevo che le case potessero avere stanze così vicine” “Di solito le bifamiliari sono fatte così, fratellino” - , nel vedere ogni mattina la chioma scura della donna sgattaiolare fuori dal letto e toccarsi il polso in un deciso “Che ore sono?”, mentre si affretta a raggiungere lo studio legale in cui sta facendo il suo tirocinio.

C’è qualcosa di strano e alienante e meraviglioso nello svegliarsi e trovare sempre uno spazzolino accanto al suo – nell’assoluta e meravigliosa banalità del trovare ogni mattino uno spazzolino accanto al suo.

“Sono le nove e mezza. Dean ha un impegno da Sonny questa mattina e partiamo nel pomeriggio” risponde Sam, mettendosi a sedere sul letto, in modo che lei possa vedere meglio la forma che quelle parole assumono sulle sue labbra. “Sei sicura di non voler venire?”

Non c’è bisogno che Sam le spieghi dove, perché non è una giornata qualsiasi quella.

Perché anche quella nuova esistenza, quella dopo la fine della guerra, è fatta di momenti.

Ci sono momenti in cui si ci tiene per mano e si ci ama in silenzio e momenti in cui invece lo si urla al mondo intero ad un concerto dei Kansas all’aria aperta, momenti in cui dedica a Dean la sua laurea in Legge, momenti in cui Eileen lo bacia fino a rimanere senza fiato perché hanno pubblicato un articolo sulla sua ultima vittoria legale su un mensile importante, momenti in cui Dean asciuga le sue lacrime e lui asciuga le sue, momenti in cui si sostengono e momenti in cui litigano, momenti in cui si toccano e si chiedono scusa silenziosamente. Momenti di delicatezza, di dolore, di soddisfazione e momenti come quello in cui Sam guarda il calendario con una data di lì a due giorni – 9 dicembre 2022 - e si ricorda che, per quanto possa essere stato ingiusto e folle e doloroso, alla fine una possibilità l’hanno avuta.

“Devo andare al lavoro” gli dice Eileen, battendo piano un pugno sull’altro.

E Sam sorride, perché è strano e alienante e meraviglioso dopo tre anni sentirla parlare di lavoro e vederla riferirsi al tirocinio che sta facendo, mentre sta per concludere la laurea in Legge. E’ strano e alienante alzarsi la mattina e sentirla parlare delle difficoltà che molte persone non udenti hanno nel cercare un avvocato che li comprenda e sappia soddisfare le loro esigenze.

“Mi hanno detto che il clima delle coste del Messico è bellissimo a dicembre” osserva, guardandola con un sorriso. “Sicuramente è migliore di quello di Hurleyville”

Il volto di Eileen si apre in un sorriso: Sam può quasi sentirlo contro la sua pelle, può immaginare la luce che le riempie gli occhi e la piega di lusingata sorpresa perché ha capito a cosa si riferisce e non è solo il viaggio per cui partirà di lì a poco – più di due giorni di macchina perché quell’idiota di suo fratello si era categoricamente rifiutato di prendere l’aereo, grazie tante.

“Potremmo tenerla in considerazione per il futuro, allora” gli mormora fra i capelli, avvicinandosi.

Sono fidanzati ufficialmente da così poco e Sam fa ancora fatica a crederle quando gli dice che lo ama, che non desidera altro; fa ancora fatica a credere di poterle sfiorare le labbra con un bacio la mattina e di poter ridere delle sue proteste perché è presto e non si è ancora lavata i denti. Fa ancora fatica a credere che abbia scelto lui, nonostante tutti i modi in cui le cose hanno rischiato di naufragare, fa ancora fatica a credere che sia il suo l’anello che porta al dito.

“Dico sul serio” afferma la donna, solleticandogli la pelle nel fianco e il più piccolo dei Winchester esala una risata, contorcendosi per sfuggire alle sue dita.

Sam ride e fa ancora fatica a credere che sia tutto reale e Eileen ha intenzione di ripeterglielo fino a quando non riuscirà a convincerlo e non importa se ci vorranno giorni o anni, non importa se le ci vorrà una vita intera, perché è a lei che ha promesso quella vita ed è un voto che ha intenzione di rispettare a tutti i costi - perché hanno tempo e non ha intenzione di andare da nessuna parte.

 

***

Dean Winchester, o quello che resta della pelle di un uomo che sarebbe dovuto morire in un fienile se le cose fossero andate diversamente, conosce il peso dell’essere secondo, dell’essere il pensiero che sfiora la mente solo dopo che il piano è stato messo in atto, solo dopo che qualcuno è stato salvato.

Per questo, quando ha raggiunto l’istituto di correzione di Sonny, Dean si è promesso di non commettere l’errore di preferire un ragazzino ad un altro ed è stato facile farlo. E’ stato ed è facile recarsi alle attività extrascolastiche di ciascuno di loro e gustarsi il sorriso soddisfatto di chi credeva che non si sarebbe mai presentato, è stato facile proporre a Sonny una serata film ogni sabato sera - “Oh andiamo, Sonny. Questa è una cosa che si fa in una vera famiglia e devono sapere come funziona una vera famiglia per costruirne una.”-, è stato facile fare il giro per tutto il dormitorio almeno tre volte ogni notte e assicurarsi che nessuno si addormentasse piangendo o stesse avendo incubi.

Le cose sono diventate più complicate quando Jake, quindici anni da compiere, una sfilza di problemi di gestione della rabbia alle spalle e un futuro fatto di un processo per eccesso di legittima difesa, aveva varcato la soglia di quel posto che per lui non aveva significato altro che speranza e futuro ogni volta che vi era tornato.

Dean non si rende immediatamente conto dell’attenzione con cui lo segue lungo i corridoi della struttura, di come segua improvvisamente i suoi progressi con la stessa dedizione con cui aveva seguito anni prima quelli di Ben. Non se ne accorge fino a quando quella mattina Sonny gli si siede davanti nel suo ufficio, con un sorriso tirato come quello di un vecchio palloncino sgonfio.

“Hai portato di nuovo Jake a cena fuori, ieri sera”

La voce di Sonny lo fa appena sussultare e Dean si umetta le labbra in una parvenza di serenità.

“Disse l’uomo che mi portava a mangiare fuori ogni volta che vincevo un match di pugilato.” sussurra furiosamente, per non farsi sentire fuori dall’ufficio. “Oh, andiamo, Sonny. La situazione è complicata. Lo sai chi è e sai cosa sta passando. Sto cercando di farlo ambientare perché nessun ragazzino merita una cosa del genere.”

Sonny lo guarda con un sopracciglio inarcato e un’ espressione divertita sulle labbra che per un istante non può che strappare un gemito indignato al maggiore dei Winchester. E’ che Dean sembra tanto diverso, tanto lontano dal Dean che voleva dare le dimissioni nemmeno una settimana dopo il suo arrivo perché aveva reagito male, nel sentire uno dei ragazzi più grandi cercare di convincere i più piccoli che ci fosse un fantasma nell'istituto. E ha imparato la lezione più importante: in un posto del genere, non puoi aiutare tutti nello stesso modo o finirai per non aiutare nessuno.

“La situazione è complicata, ma non per i motivi che dici tu.” non può che rispondergli, con l’aria di chi ha vissuto più di te e vede cosa stai cercando di nascondere. “Mi ha chiamato il Difensore pubblico. La difesa della sua famiglia affidataria vuole cercare di portare il processo in un tribunale per adulti.”

Dean mastica un’imprecazione fra i denti. E’ difficile parlare con Sonny di Jake e non farsi scivolare sulla lingua tutte quelle attenzioni particolari che Dean, ancora ora, non riesce ad impedirsi di dedicare a quel ragazzino, dal momento in cui aveva saputo che aveva sparato a suo padre affidatario per difendere un bambino che conosceva da poco più di tre settimane. E’ difficile lasciare che gli occhi non gli si ammorbidiscano al pensiero delle diciannove famiglie affidatarie in cui era stato sballottato prima di quella.

“Oh, andiamo.” inizia, sbuffando appena. “Se stai per dirmi qualcosa come “Se ti lasci coinvolgere, ne morirai”, sappi che non ha funzionato nemmeno quando c’era la possibilità che succedesse davvero.”

Ed era successo davvero, in realtà. Beh, quasi. A volte pensa ancora a tutta la morte che si sono lasciati dietro. Ci pensa ancora, davvero, ma la cosa più terribile e assurda è che ci pensa solo quando si ricorda di non pensarci da due giorni. Quando si ricorda che dovrebbe farlo e si sente in colpa per un istante, prima che i ragazzi tornino a richiamare la sua attenzione.

Perché dannazione, ogni giorno che passa, si sente un po’ più lontano dal Dean che ha lasciato casa di Jody tre anni prima e che per mesi è fuggito alla tomba di sua madre e al ricordo di Cas. Si sente un po’ meno smarrito in un mondo in cui non sa cosa fare.

Sonny si alza in piedi, guardandolo negli occhi e appoggiandogli una mano sulla spalla.

“No, questa è la parte in cui ti dico che avrà bisogno di un buon avvocato.” ribatte, scuotendo il capo. “E di goderti il Messico, D-Dawg. E’ sempre strano vederti lasciare questo posto, ma questa volta è diverso.”

Questa volta so che tornerai, non gli dice.

Dean scuote appena il capo, ma la smorfia che si apre sul suo volto è molto più simile ad un ghigno. Sonny non può fare a meno di sentirsi come un artista davanti al suo capolavoro.

“Non ti facevo tipo da sentimentalismi.” afferma Dean, ma quel groppo che ha alla gola deve essere necessariamente il prodotto di un’influenza stagionale e non del fatto di non aver mai riflettuto su quante persone abbiano passato anni in pena per lui.

L’uomo scuote il capo, inarcando le sopracciglia in un accenno di tenerezza mista a disapprovazione che non può fare a meno di ricordargli come lo guardasse, quando era ragazzino e combinava casini.

“Torno presto” mormora contro la spalla di Sonny, quando l’uomo l’abbraccia per salutarlo.

“E troverò un dannato avvocato con due coglioni così per Jake, te lo prometto” aggiunge, senza esitazione.

Del resto, per farlo non è che debba poi andare molto lontano e se c’è una cosa che gli manca di tutto quello si sono lasciati alle spalle, è proprio lavorare con suo fratello.

L’uomo annuisce, ma lascia ancora per qualche secondo la mano sulla spalla di Dean, prima di mollare la presa.

“Ti aspetteremo, ragazzo” risponde, con un mezzo sorriso.

Quando il maggiore dei Winchester esce dalla stanza, rimane a guardare dalla finestra l’Impala che si allontana. Dean lo saluta da sotto con un gesto della mano e poi con il clacson, nello scorgerlo fra le tende di lino. Sonny sorride e questa volta il cuore stringe meno dell’altra.

 

***

Dean dimentica – dimentica le linee di sale la sera, dimentica il codice di sicurezza del bunker, dimentica il numero di gradini che portavano alla sua casa di Lawrence. Dean dimentica e la vita va avanti.

Non dimentica il suo volto e nemmeno quelli di coloro che erano morti per combattere la loro causa, ma non ricorda più come il solo sentirli nominare non potesse che dargli un senso di soffocamento, come gli facesse stringere le gambe alla ricerca di qualcosa – sollievo, forse, o una via di fuga, dalla sua pelle ancora prima che dalla caccia.

Si dimentica perché ogni scelta che ha compiuto l’ha portato più lontano dalla vita che (non) avrebbe potuto avere se solo, tre anni prima, non fosse riuscito a vedere altro rispetto a quello che era stato cresciuto per essere, se solo non avesse saputo accettare la mano che Sam gli stava tendendo.

Si dimentica, semplicemente, perché è felice. E perché non avrebbe dovuto esserlo? Aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato (o

meglio, tutto ciò che aveva sempre desiderato dopo aver realizzato che diventare una rockstar o fare il pompiere non era più parte delle sue possibilità – ed era una consapevolezza che l’aveva ferito meno di quanto avrebbe dovuto.)

Sam era tornato al college, era diventato un avvocato (almeno una parte del piano che quello stupido testardo aveva fatto quando era bambino si era realizzata, hurrà!) e nonostante quel dramma continuo che era stata la loro esistenza, nonostante Azazel, nonostante Chuck, nonostante un cognome che li seguiva come un incudine dovunque andassero, nonostante tutto ciò che avevano perso, si erano ricostruiti una vita. Non era stato facile, nossignore, ma dannazione, suo fratello è Sam Winchester e davvero, era stato felice.

Quindi dimentica e, mentre parcheggia sotto casa, si trova a pensare che è così naturale che nemmeno per un istante si pente delle scelte che l’hanno condotto dove si trova ora, dove non si sarebbe trovato, se non fosse stato per l’uomo che lo fissa dal balcone.

“Pronto per ingozzarti di churros, fratellino?” gli urla, uscendo dall’abitacolo della macchina.

I capelli di Sam illuminati dalla luce malata di Hurleyville a dicembre sembrano ancora più chiari. I suoi occhi invece sono animati da un piglio divertito.

“Dean, non riesco a credere che l’unica cosa che conosci del Messico sia un dolce di origine spagnola” ribatte il minore dei Winchester, con una vaga nota di indignazione.

Dean sbuffa perché dannazione, non sarebbe suo fratello se non fosse così dannatamente puntiglioso. Mastica un insulto rivolto a Sam fra i denti e si ferma per qualche istante davanti alla porta, con il mazzo di chiavi in mano, mentre cerca di trattenere il sorriso che la familiarità della scena rischia di strappargli.

“Forza, sali” ribatte suo fratello, con una smorfia vagamente indispettita. “E comunque sia, sappi che ti ho sentito.”

La serratura scatta con la familiarità di sempre e Dean quasi si sorprende della risata che gli lascia le labbra.

 

***

L’appartamento di suo fratello è appena più grande di quello al piano di sotto – il suo – e le prime volte in cui Dean si era fermato lì non aveva potuto fare a meno di pensare che ad Eileen averlo sempre intorno avrebbe potuto dare fastidio, che aveva sicuramente altro da fare, ma lei non si lamenta mai delle sue visite. Non quando si presenta nel mezzo della notte perché ha sentito un rumore e deve controllare che stiano bene, non quando è entusiasta e deve condividere con qualcuno uno dei progressi dei suoi ragazzi. Così ben presto casa di Sam e Eileen si era riempita dell’eco delle loro risate, delle discussioni, delle prime notti fatte di paure e incubi, passate semisepolto fra le coperte del loro divano – Sono passati mesi, Sammy. Dannazione, perché non smettono? Voglio solo dormire -, della loro e della sua vita.

Gli incubi non se ne erano andati, alla fine. Erano solo diventati tutti e due più bravi a gestirli, così che solo uno dei due si svegliasse nel cuore della notte, coperto di sudore freddo e con la gola chiusa da un urlo abortito, e l’altro fosse pronto ad abbracciarlo e a ricordargli che sono vivi, che respirano, che sono solo cicatrici, vecchie ferite - almeno fino a quando non era riuscito a prendere sonno nel suo appartamento. E nessuno – nessuno tranne Eileen – avrebbe mai potuto comprendere tutto ciò, accettare tutto ciò.

“Dovresti venire con noi. Dico sul serio, Eileen” gli dice Dean, seduto al tavolo della cucina di Sam, mentre afferra una birra che la donna gli ha offerto, una volta in casa. “Oh, andiamo, sei la ragazza di mio fratello. Sei praticamente parte della famiglia”

Sam è appoggiato al mobile della cucina e ha la testa china, ma non riesce a trattenere un risolino. Dean non può che lanciargli uno sguardo interrogativo, ma è Eileen a rompere il silenzio.

“No, non lo sono” afferma, con convinzione, prima di rivolgere un sorriso a Sam. “Non ancora”

Per un attimo Dean resta interdetto, ma poi la donna si apre in un sorriso compiaciuto e Sam guarda la coda in cui sono raccolti i suoi capelli sulla nuca come se fosse la cosa migliore del mondo. Qualsiasi dubbio possa avere su cosa diavolo stia succedendo, si scioglie quando Sam fa segno di sì con il capo, quando le sue labbra si piegano in un sorriso.

“Dean!” lo ammonisce Sam, quando suo fratello lo tira in un abbraccio troppo caldo.

Ma il maggiore dei Winchester ride, leggero. La sua fronte è spianata da qualsiasi ruga di tensione e la risata che ne esce è l’eco di un vecchio imbarazzo, di un vecchio non saper vivere l’amore, di chi comunque non riesce a fare a meno di nascondere quel nodo di commozione alla gola con una battuta scema.

“Però, Eileen, eh? E io che quando eri adolescente pensavo che saresti morto vergine, fratellino” gli sussurra contro l’orecchio, prima di rompere l’abbraccio.

Sam non può fare a meno di lasciarsi andare ad uno sbuffo oltraggiato che è accompagnato da una discreta gomitata nelle costole, ma Dean scuote le spalle, impenitente, prima di trovare un’altra vittima da abbracciare, sebbene con molta più delicatezza.

“L’idea è stata tua, quindi è colpa tua” afferma il minore dei Winchester, passando il pugno sul dorso dell’altra mano, rivolgendosi alla sua futura sposa, ancora fra le grinfie di suo fratello.

Gli occhi di Dean si posano, enormi e felici, un’ultima volta su di loro, prima che si precipiti verso il frigorifero, da cui emerge con una bottiglia.

“Champagne analcolico? Sul serio? Sei sempre stato noioso, Sammy” afferma, in una smorfia di incredulità, per poi puntare un dito contro Eileen. “Ma Eileen, io mi fidavo di te.”

Eileen per tutta risposta sorride. In fondo ci sarà tempo anche per parlare con Sam di quel test di gravidanza. Dean si limita a scuotere il capo e a sorridere, prima di versare comunque quello stupidissimo champagne nei bicchieri - “Solo perché dobbiamo comunque festeggiare, Sammy. E parlare di lavoro, anche...Oh, andiamo, fratellino, non ti era mancato lavorare con me?.

 

***

Ci vogliono giorni, settimane, anni. E’ un esercizio lento e difficile imparare che se anche i tuoi genitori sono stati poco più di stelle cadenti, fatti di luce lontanissima e già fredda nella tua vita, non per questo ogni forma di amore ti è preclusa. E’ un esercizio lento e difficile imparare che chiedere aiuto – a Sam o a chiunque altro – non è una forma di debolezza, ma è l’unica strada possibile per rompere un ciclo di violenza.

C’erano voluti mesi dopo essersi stabilito a Hurleyville, c’era voluto un inverno speso sul divano di Sam, c’erano volute le telefonate dal college di Claire attraverso una linea telefonica interrotta, c’era voluta quella domanda assillante che a volte lo attanaglia ancora e non riesce a mollarlo: cosa diavolo aveva fatto di più di Cas, di Jo, di Charlie per meritarsi un appartamento, un lavoro e dannazione, persino la possibilità di una vacanza?

L’aveva chiesto a Sam, una notte. Suo fratello l’aveva guardato impassibile e aveva ribattuto Cos’hai fatto per meritartelo meno, Dean?, mentre lui era rimasto in silenzio, a osservarlo come i pesci dentro l’acquario per poi emettere un verso oltraggiato perché non è questo il punto, Sammy.

Dean scuote la testa. Quando, indugiando a fari spenti, con le mani strette sul volante, supera il cartello State lasciando lo Stato del Texas, pensa a come prima di Cas, prima di quello stupido testardo di Sam, non fosse mai esistito nessun piano che vedesse un Dean Winchester vivo andarsene in vacanza in Messico. Nessun piano prima di Sam.

E chissà, pensa, accelerando sul buio dell'interstatale mentre l’aria fresca dei finestrini aperti si insinua fra i suoi capelli, un giorno magari avrebbe trovato il coraggio di dirlo alla persona più testarda che conosce, che si sta strofinando gli occhi al suo fianco, ancora assonnato.

“Alzati e splendi, Sammy” afferma Dean, voltandosi appena, per poi tornare a concentrarsi sulla strada. “Benvenuto nel Golfo del Messico, fratellino.”

Quando Sam si volta verso di lui a guardarlo, Dean è tutto fossette e occhi chiari e un sorriso divertito stampato sulle labbra. Per un attimo, vorrebbe dirgli che il Golfo del Messico è esattamente sulla costa opposta di Zihuatanejo, che ha allungato la strada, ma un sorriso gli piega l’angolo delle labbra e Sam, nel vederlo così sereno, nel vederlo a suo agio con tutta quella stupida tenerezza sgraziata che lo caratterizza, si sente finalmente a casa. Sente i polmoni riempirsi d’aria e gonfiarsi come palloncini che gli sollevano la cassa toracica. Scuote le spalle, in un moto di incredulità.

“Dean, sai che siamo ancora a dodici ore di distanza, vero?” lo rimbecca, ma è solo la familiarità, è solo il loro modo di comunicare.

Dean scuote la testa, perché è strana anche quella sensazione, a volte. E’ strano che sia così naturale crogiolarsi in quella vita di città di provincia, naturale come indossare un vecchio paio di jeans ritrovati sul fondo di un armadio che non avrebbe mai avuto, se le cose fossero andate diversamente.

“Oh, andiamo. Vorresti seriamente dirmi che non vuoi vedere l’alba sul golfo del Messico?” ribatte, e continua a sorridere.

Sam non può che nascondere una risata dietro un colpo di tosse. Ad accoglierli in Messico, c’è un cielo coperto di nuvole, ma Dean lo trova comunque incantevole.

 

***

Zihuatanejo.

La parola suona ancora straniera sulla sua lingua, anche dopo averla sussurrata così tante volte in quel viaggio verso il Messico. Non importa quante volte Dean la ripeta e quanto si avvicini, sembra qualcosa che non gli appartiene davvero, che non può essere pensato o raggiunto, non da lui almeno. Ma è così con molte cose, oggi: è un mondo di contraddizioni, e non c’è nessuna semplicità in esso. Quell’esistenza ha persino nella sua estraneità qualcosa che gli ricorda di un vecchio amico: è un sentiero fatto di briciole di pane che Cas ha seminato per lui, come un’ultima eredità, come un ultimo abbraccio preso di striscio e che Sam lo ha aiutato a percorrere, a raggiungere.

Zihuatanejo sembra ancora un sogno, ma in realtà tutto il Messico lo sembra. Tutto il mondo lo sembra. E Dean, davanti all’alba sulla spiaggia di Veracruz, ha ancora paura – dannazione, è più spaventato di quanto lo sia stato in tutti quegli anni a caccia. Ma è entusiasta e questo lo rende sopportabile, rende sopportabile quel sole che non brucia la sua pelle e che non gli ferisce gli occhi.

“Il ragazzino sta facendo un bel lavoro, non è vero, Sammy?” gli chiede mentre guarda il sole sorgere, seduto su quella spiaggia, prima di ingoiare un altro sorso di birra.

Jack è uno di quei punti interrogativi rimasti in sospeso nella sua vita, è un dopo ti devo dire una cosa rimandato fino a quando dopo non arriva più. Dean non lo aveva mai pregato - dannazione, chi diavolo pregherebbe mai uno stupido ragazzino con le Air Force? - ma gli era capitato di guardare il cielo e di sperare che lo sentisse, che lo ascoltasse, che lo perdonasse, se poteva.

Al suo fianco, Sam si limita a un piccolo sorriso davanti a quella tela di colori che è l’alba su Veracruz, perché improvvisamente gli sembra di ricordare qualcosa, gli sembra di aver recuperato un ricordo. E forse sono i colori dell’alba sul volto di Dean, ma giura di aver visto i suoi occhi brillare.

“Dannazione, Sammy, potrei morire in un posto del genere!” continua Dean.

Sam, davanti a lui, non può che irrigidirsi per un momento per poi scuotere il capo, quando lo vede scoppiare a ridere. La mano di Dean si posa sulla sua spalla e Sam ripensa, distrattamente, all’alba di un altro giorno di sole. Era primavera e gli uccellini cinguettavano allegri, fra le fronde degli alberi. Aveva otto anni, c’era suo fratello – ovviamente c’era suo fratello - , e suo padre aveva una strana luce nello sguardo, che aveva fatto chiedere a Sam perché non potesse essere tutti i giorni così: sorridente e gentile come i padri dovevano essere. Ricorda quello che gli aveva detto, ricorda la sua mano sulla sua spalla, ne ricorda la voce e il tono e le parole e ricorda di non aver capito – non allora, almeno.

“Dean, ti ricordi quando papà si è fermato per strada per guardare l’alba?” chiede, improvvisamente animato da una certa urgenza.

Dean si volta a guardarlo, con un sopracciglio inarcato. Proprio non riesce a nascondere il ghigno che gli increspa le labbra, improvvisamente divertito.

“L’alba ti rende più sentimentale e in vena di reminiscenze del solito, Sammy?” lo rimbecca appena.

Sam gli lancia un’occhiataccia e non trattiene il verso di esasperazione che gli lascia le labbra, prima di riprendere a parlare.

“Sta’ zitto” ribatte solamente, ancora preso a inseguire quel ricordo, ancora così lontano. “Tu dormivi, mi aveva detto di non svegliarti, perché voleva mostrarmi una cosa. E mi portò fuori, a vedere l’alba. Disse che era uno dei pochi ricordi che aveva di suo padre ...”

Dean lo guarda sorpreso e non sa se sia più perché è lì, su quella spiaggia, con i vestiti pieni di sabbia o per quello di cui suo fratello sta parlando. Non lo sa e non importa, perché qualunque cosa sia, ha perdonato suo padre anni e anni prima per qualsiasi ordine ricevuto, lo ha perdonato per avergli accarezzato i capelli mentre gli diceva di prendersi cura di Sammy, prima di sparire per giorni.

“Quindi lo scoop è che anche papà aveva sbronze buone?” gli risponde, con un leggero scuotere di spalle.

Per un attimo Sam sembra esitare; Dean vede gli ingranaggi lavorare dietro i suoi occhi chiari. Suo fratello minore si porta la birra alle labbra, ne prende un sorso, prima di guardare il sole far capolino timido fra le onde e decidere che non importa, non ha paura, che sa perché quel ricordo gli è tornato in mente, adesso.

“Non era ubriaco, Dean” afferma, per poi continuare. “Tu ti svegliasti poco dopo, mentre eravamo fuori dall’Impala. E lui ci ordinò di avvertirlo nel momento in cui il sole sarebbe stato alto. Ricordo di avergli chiesto perché fosse così importante. E lui rispose...”

Si interrompe e lancia uno sguardo verso Dean, prima di guardare nuovamente il sole: sa esattamente perché quel ricordo – di quel giorno e di quelle parole – gli torni in mente ora, perché gli faccia pensare che, tutto sommato, è una bella vita. Un giorno quella frase si trasformerà in ho avuto una bella vita, ma quel giorno la morte non farà più così paura.

“Perché è sempre bello vedere la luce trionfare sull’oscurità” conclude alla fine.

E Dean può dare la colpa al sole di quell’ammutolirsi e di quelle lacrime che gli lambiscono improvvisamente gli occhi, perché ci sono varie versioni di come quella storia sarebbe dovuta finire, ma nessuna è come quella.

Nessuna finisce con un’alba, quella del 10 dicembre 2022, che non avrebbe mai dovuto vedere, se anche solo uno dei piani di Chuck fosse andato in porto.

Nessuna finisce con quell’improvvisa sensazione che - mentre il vento gli accarezza i capelli - gli scorre nelle vene e inizia ad attraversargli il sangue, gli penetra i polmoni e glieli riempie insieme all’aria e allo iodio, gli invade il cervello e sembra occupargli la mente e il cuore. La pace.

Nessuna finisce così. Nessuna, tranne quella che sta scrivendo grazie a Sam. Perché Cas aveva ragione: le cose buone succedono. E nessuna cosa buona muore mai.

 

 

 

“C’era una volta un principe” Sam inizia a raccontare una sera, steso sul letto della cameretta di suo figlio. “Anzi, no: c’era una volta un povero orfanello”

L’obiezione arriva rapida quanto aspettata.

“Non puoi cambiare una cosa del genere, papà. Se cambi una cosa del genere, cambia tutto” ride il bambino, rannicchiato contro di lui.

“Ehi, il ragazzino ha ragione” ribatte Dean, dall’altra stanza, in cui sta chiacchierando con Eileen.

Sam sbuffa appena e accenna un sorriso, prima di continuare.

“Non cambia tutto, cambia solo l’inizio, Dean. Ascolta e capirai...”

 

 

NDA
Grazie mille a chi è arrivato fino a qui. Non so come ringraziare, questa storia è stata infinitamente importante per me e spero di aver chiuso più archi narrativi possibili senza buchi di trama e in maniera coerente con quella che era la storia che volevo raccontare e con quello che volevo che il finale di SPN ci raccontasse. Ovviamente "Nessuna cosa buona muore mai" è una citazione che non mi appartiene, ma appartiene a Frank Darabont, il regista di The Shawshank Redemption (Remember, Red: Hope is a good thing. And no good thing ever dies) e sembrava perfetta da abbinare al "Good things do happen" di Cas. Sembrava la conclusione della storia, davvero. 
Importante 1: John Winchester che si ferma con i figli a guardare l'alba e dice che è bello vedere la luce trionfare sull'oscurità può sembrare melenso, ma è canon. La vignetta in cui fa ciò è parte del fumetto di Supernatural "Rising Son", che è stato approvato da Eric Kripke. Dal momento in cui l'ho letto, ho pensato che sarebbe stata un'ultima battuta conclusiva adatta. 
Importante 2: Il 9 dicembre 2022 non è una data scelta a caso nella maniera più assoluta, così come non è un caso che l'alba  davanti alla quale Dean si sofferma sia l'alba del 10 dicembre. Vi rinfresco la memoria con un video: è un'altra versione mostrata  da Chuck da cui sono scappati, un'alba che non avrebbero mai dovuto vedere. 
Importante 3: Perché Cas non ha mai fatto sapere a Dean di essere in pace? Tecnicamente, è una domanda che rimane nel finale canonico, ma siccome il finale canonico è un capolavoro di metanarrazione - lol -, vi do la risposta per quanto riguarda questa storia. All'interno di questa storia ho immaginato che siccome secondo la mitologia di SPN nemmeno Dio può niente contro il Vuoto, per tirarlo fuori Jack sia dovuto scendere a compromessi e Cas abbia dovuto rinunciare alla sua natura angelica. Ecco perché la frase non è "E' in Paradiso", ma è "La sua anima è in Paradiso" e di conseguenza  si è potuto mettere in contatto solo tramite una sensitiva come Patience.
Credo non ci sia altro da aggiungere, ringrazio di cuore chiunque sia arrivato fino a qui. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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