WinterWidow_Incontri.

di kiku_san
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 Mosca. ***
Capitolo 2: *** 1.2 Mosca. ***
Capitolo 3: *** 1.3 Mosca. ***
Capitolo 4: *** 2. Odessa. ***
Capitolo 5: *** 3. Washington. ***
Capitolo 6: *** 4. Bucarest. ***
Capitolo 7: *** 5. Berlino. ***
Capitolo 8: *** 6. Wakanda. ***
Capitolo 9: *** 7. Birnin-Zana. ***
Capitolo 10: *** 8. New York. ***



Capitolo 1
*** 1.1 Mosca. ***




Note: Aspettando l’uscita eternamente rinviata di “Black Widow”, ma già sapendo che nel film il rapporto con il Soldato d’inverno non sarà preso in considerazione, mi è nata l’idea di scrivere questa serie di incontri possibili o impossibili su questo pairing che è tra quelli che amo di più nell’universo Marvel.
Visto che di fumetti so poco, la mia storia si basa in linea generale sul MovieVerse con l’unica incursione nei comics per quanto riguarda gli episodi ambientati a Mosca, dove ho ripreso la storia secondo cui Winter Soldier ha allenato Natasha Romanoff nella Red Room e i due sono stati amanti.
Per il resto seguo il canon dei film dando ampio margine a ciò che non è stato detto o mostrato.
POV di WinterSoldier e BlackWidow.


Winterwidow∞Incontri


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#1.1 Москва - 1998 -



(POV Black Widow.)

Lame di luce dorata entrano dalle grandi finestre, seduta sulla panca di legno sfilo lentamente le mezzepunte per il riscaldamento e mi massaggio le dita dei piedi, mentre osservo il pulviscolo che sembra danzare in controluce nei raggi del sole al tramonto, in una calda estate moscovita.
Madame B mi si avvicina con le labbra strette in quello che dovrebbe assomigliare ad un sorriso: “Natalia tocca a te, voglio che tu sia la migliore.”
Madame B dice voglio mai prova o cerca, l’unico modo per soddisfarla è adeguarsi perfettamente alla sua volontà, deluderla non è contemplato, anche se sei un’adolescente e devi ricacciare in gola la voglia di ribellarti tutte le volte che respiri.
Lascio per terra le scarpette che fin da bambina ho pensato fossero il mio destino e mi avvio a piedi nudi verso la “stanza”, quella da dove si esce vincitori o in barella.
Ivan Petrovitch Bezukhov mi osserva con aria di disapprovazione.
“Natalia Alianovna il tuo abbigliamento è inopportuno.”
Con i collant e gli scaldamuscoli, il body e lo scaldacuore, i capelli chiusi in uno chignon scomposto, appaio ciò che pensavo di essere fino a poco tempo fa.
“Non importa” l’uomo che esce dall’ombra ha un tono di voce ruvido e basso, “Sai perchè sei qui?” aggiunge sfiorandomi con occhi inespressivi.
Annuisco.
E’ alto, muscoloso, ha occhi chiari e spenti, capelli che gli sfiorano il collo, il viso contratto in un’espressione dura e un braccio di metallo.
Lui non mi lascia il tempo di gettargli una seconda occhiata che in due falcate mi è addosso, è rapido, forte, letale.
L’unica cosa che posso fare è sfuggire alle sue prese, di contrattaccare per ora non se ne parla.
Quando dopo qualche minuto mi getta a terra e mi blocca con il peso del suo ginocchio sullo sterno, capisco che da quella presa non riuscirò mai a liberarmi e spero che accetti la mia resa.
Ma lui mi si mette cavalcioni, con le ginocchia conficcate nelle mie costole e con la mano sinistra, quella di metallo, stringe il collo.
“Troppo facile stronzo” gli sibilo contro con l’ultimo respiro, disubbidendo ad ogni regola, disciplina e rispetto per i superiori.
Sono certa di aver visto passare un lampo d’incredultà nei suoi occhi chiari, che ora mi osservano e sembrano il cielo di Mosca prima della pioggia.
Lascia la mia gola, si alza, mi tende una mano per rimettermi in piedi.
Davanti a lui, diritta, impavida e piena di rabbia, nascondo il dolore che mi attraversa i muscoli e lo guardo aspettando da lui la mia sentenza.
“Niente più lezioni di ballo, da domani ti allenerai con me.”
Non credo alle mie orecchie, sono tra le prescelte per essere allenata dal miglior istruttore della Red Room, sono un’eletta, sono in lizza per diventare La Vedova Nera.
“A domani piccola ballerina” mi congeda lui con voce piatta e senza l’ombra d’un sorriso.
Io cerco il suo sguardo per potervi leggere una scintilla d’approvazione, ma quando non vi trovo che il vuoto, mi sembra che tutta la gioia per il successo ottenuto, dopo anni di fatiche e di sangue, si sia trasformata in un pugno di cenere e che d’ora in poi, il vero obiettivo a cui dedicare tutta me stessa, sarà quello di apparire meritevole ai suoi occhi.



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Capitolo 2
*** 1.2 Mosca. ***




Winterwidow∞Incontri


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#1.2 Москва - 1999 -



(POV Black Widow.)

E’ già buio anche se il pomeriggio non è ancora inoltrato, fuori c’è grigio, neve e un vento freddo che si sente sibilare anche attraverso i vetri; nella “stanza” però le luci non lasciano ombre e il mio corpo accaldato vibra nello sforzo di controbattere all’attacco del Soldato.
Lui non lascia niente al caso, le sue mosse efficaci e letali seguono sempre il principio -fai il maggior danno con la minore fatica- e io mi ritovo a scacciare le gocce di sudore che mi annebbiano la vista e a cercare di tenere sotto controllo il fiato e il battito del cuore, mentre lui appare impassibile e freddo come sempre.
Il Soldato parla poco e solo quando è strettamente necessario, ha l’aria decisa e distante, come se essere lì o da qualche altra parte per lui sia la stessa cosa, i suoi movimenti sono prestanti ed elastici, carichi di sicurezza e d’armonia, i suoi gesti non sono mai eclatanti ma sempre misurati e controllati, quando mi manda al tappeto aspetta in piedi con le braccia conserte che mi rialzi, senza farmi fretta, senza neppure guardarmi.
Sono passati sei mesi da quando lui ha cominciato ad allenare le ragazze più grandi, quelle con qualche possibilità di diventare la Vedova Nera, all’inizio siamo state selezionate in cinque, oggi io sono rimasta l’unica.
Qualcuno bussa alla porta, entra un militare che si avvicina a Bezukhov, sempre testimone oculare dei nostri allenamenti, gli parla a bassa voce, lui abbassa il capo, poi ci lancia un occhiata: “Continua Soldato, la sua perfezione è ancora lontana.”
Parla di me come se io non ci fossi, ma io sto solo pensando che finalmente io e il Soldato saremo soli.
E’ da mesi che aspetto con ansia che lui mi atterri, che mi blocchi con il suo peso, che mi tocchi anche se per farmi male.
E’ da mesi che cerco il suo sguardo, sperando di riuscire a comunicargli quello che provo per lui.
E’ da mesi che nel poligono di tiro, quando mi si avvicina per correggermi, inspiro a fondo il suo odore e cerco ogni scusa per appoggiarmi contro di lui.
E’ da mesi che tutte le notti faccio lo stesso sogno: lui che mi strappa i vestiti e mi penetra senza riguardo... Mi sveglio ansimante e con un desiderio così lancinante che non posso fare altro che soddisfarmi da sola con amarezza.
E’ da mesi che lo desidero più di ogni altra cosa, più di essere la migliore, più di diventare la Vedova Nera.
Ora mi metto in posizione d’attacco e attendo che mi si avvicini, poi arretro e lui con uno sguardo infastidito avanza, arrivo ad avere le spalle contro il muro, nell’unico angolo che riserva un po’ di privacy all’occhio indiscreto delle telecamere sempre in funzione.
Sorrido e abbasso le braccia, allargo le mani, lui mi guarda senza reagire, accosto le mie labbra alle sue e attendo, non so cosa aspettarmi… Una mano a stringere il collo, un colpo allo sterno che mi sbatta contro il muro.
Lui rimane un attimo immobile, le mie labbra sulle sue non hanno neppure la forza di premere.
Sento il suo respiro caldo, sento il suo odore, guardo in fondo ai suoi occhi come non ho mai fatto prima.
Lui alza le mani, le affonda nei miei capelli e schiude le labbra ed è la cosa più bella che mi sia successa, perché il suo bacio è qualcosa che non mi sarei mai aspettata… E' profondo e dolce, appassionato e disperato.
James” gli sussurro tra le labbra.
Lui socchiude gli occhi, come a correre dietro ad un'immagine che si sta perdendo, ma rimane allacciato a me, con le mani che mi stringono la nuca e le labbra calde contro le mie.
“67... E' il numero della mia camera, ala ovest, ti aspetterò” mormoro sulla sua bocca.
Lui si allontana impercettibilmente, le labbra si stacccano, le mani scendono sulle mie spalle, mi spinge con forza contro il muro e mi blocca con il suo peso, il braccio a premere sulla mia carotide; lo guardo sorpresa poi la voce di Bezukhov mi arriva dal fondo della sala, mentre rientrando sbatte la porta alle sue spalle.
“Natalia Alianovna pensi che verrà mai il momento in cui finalmente vedrò te riuscire a bloccare il Soldato?” mi apostrofa duramente.
Il Soldato si allontana di un passo, lasciandomi libera di tossire fuori il fiato.
“Diventerò migliore di lui, glielo giuro.”
La notte nel letto trattengo il fiato per percepire meglio ogni più piccolo rumore, ma nonostante ciò il suo sussurro mi coglie di sorpresa.
Mi alzo e lo raggiungo nell’angolo più buio della stanza, dove le luci fredde dei riflettori del cortile non arrivano.
“James” lo abbraccio sperando che lui ricambi.
“Chi è James?” invece lui mi chiede con aria confusa.
“E’ il tuo nome, non è così?”
“Il mio nome? Non ricordo… Forse in un'altra vita.”
“Ho origliato mentre Lukin e Bezukhov parlavano di te, ti hanno tenuto nel ghiaccio per molto tempo, finchè non ti hanno fatto diventare quello che sei.”
“Cosa sono?”
“Il Soldato perfetto, cosi dicono tutti.”
Chiude gli occhi, poi si passa una mano tra i capelli e quando li riapre il suo sguardo è diverso.
“Perché mi hai baciato?”
“Perché sei venuto?”
Scuote la testa incredulo.
“Non lo so... Davvero... E' la cosa più stupida che ho fatto da…” si blocca, “Non so più da quanto.”
Mi alzo in punta di piedi, mi avvicino alla sua bocca, lui si china su di me e mi bacia, poi mi solleva e mi adagia sul letto, mi sfila il maglione che ho indossato per sopportare il freddo della camerata, poi rapido si sveste.
Ci ficchiamo sotto le coperte per non gelare, il suo corpo è caldo e con le dita sfioro le sue cicatrici.
Lui mi bacia nella bocca e poi scompare sotto le coperte, percorrendo le tappe più sensibili del mio corpo.
Non è come nel sogno, lui non mi strappa i vestiti e non mi penetra con forza fino a farmi urlare.
Lui mi bacia dove non pensavo qualcuno potesse baciarmi e mi dà un piacere che mi sommerge e mi riempie tanto è dolce e caldo, poi riemerge e dai suoi occhi è sparito il furore e lo sconcerto di animale braccato e il suo sorriso è quello di qualcuno che non è il Soldato, come se finalmente si fosse tolto una maschera, come se avesse messo da parte il controllo: occhi chiari e impertinenti, un sorriso irriverente ma premuroso.
Mi bacia di nuovo sulla bocca e a mano a mano che approfondisce il bacio sento la sua erezione che si fa strada dentro di me. Non è la prima volta, altri hanno abusato di me spiegandomi che è importante saper usare il sesso come una qualsiasi altra arma: lezioni d’anatomia senza nessun sentimento ne eccitazione, ma nessuno mi ha mai fatto provare quello che sto provando ora.
Non sono preparata a sentirmi in questo modo: così al riparo, così protetta, come se con la sua sola presenza James avesse costruito attorno a noi un rifugio segreto, dove nessuno ci potrà scoprire e nulla ci potrà fare del male; non sono preparata a lasciarmi andare, a rinunciare al controllo, a fidarmi, per questo gli occhi mi si riempiono di lacrime silenziose che non riesco a trattenere.
Lui se ne accorge, si ferma e mi guarda negli occhi: “C’è qualcosa che non va?” mi chiede con sollecitudine.
Scuoto la testa: “Sono solo felice” sussurro, “Non lo sono mai stata.”
Ci stringiamo come se non fosse la prima volta ma l’ultima, come se fosse un addio, come se per noi non ci fosse un domani. Lui viene con un ansito tra i miei capelli, io lo tengo stretto e nel suo calore soffoco i brividi di piacere che mi agitano.
Quando ci stacchiamo sudati e ansanti lui mi guarda e sembra capire tutto quello che ho provato nella mia vita: il dolore, il vuoto, il freddo, la paura; sembra che possa leggermi dentro ma io non mi sento nè analizzata nè giudicata, perché non c’è freddezza ne intrusività in lui mentre scruta la mia anima, solo gentilezza.
“Vorrei tanto stare con te tutta la notte, ma devo andare Natalia.”
Il mio nome! Per la prima volta sento la sua voce bassa e morbida priva d'accento, pronunciare il mio nome ed è come nascere, esistere, diventare reale, essere quella che sono e non quella che gli altri vogliono farmi diventare.
“Ti aspetterò. Tutte le notti aspetterò che tu ritorni.”

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Capitolo 3
*** 1.3 Mosca. ***




Winterwidow∞Incontri



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#1.3 Москва - 1999 -



(POV Winter Soldier.)

Mi stacco dalla bocca di Natalia e mi appoggio sul cuscino, sento i suoi capelli solleticarmi il torace, le sue labbra fresche che lasciano piccole impronte sulla mia pelle e sospiro.
“Che c‘è?” la sua voce è roca e seducente.
“Niente piccola ballerina, non ti preoccupare.”
Sono passati alcuni mesi da quando io e Natalia abbiamo iniziato questa storia che nessuno dei due ha mai definito, forse per pudore, forse per scaramanzia o forse semplicemente perché ci mancano le parole per definire quello che è nato tra noi: due persone in trappola, asservite allo stesso padrone, dominate da una logica che non ci permette debolezze ne sentimenti, due persone trasformate in macchine mortali senza futuro, se non quello già prefissato per noi dai signori a cui dobbiamo obbedienza assoluta.
Siamo uno per l’altro il sostegno e la salvezza, la mano che ci afferra per non farci precipitare, rispecchiandoci reciprocamente negli occhi ci scopriamo ancora esseri umani, impariamo di nuovo a sorridere, a toccarci senza farci male, a dimenticare il gelo, a sentirci di nuovo vivi.
E’ amore quello che ci lega? Non me lo chiedo, non so neppure se gente come noi può sapere qualcosa sull’amore. Dei mostri possono amare, amarsi con le mani sporche di sangue, con negli occhi i corpi delle vittime, con nelle orecchie raffiche e urla, senza rimorsi o sensi di colpa a farli sentire più umani?
Sono mesi che di soppiatto tutte le volte che posso lascio la mia camera e mi rifugio da Natalia, ma ogni notte diventa sempre più pericoloso perché decine di occhi non ci perdono mai di vista: guardie, telecamere, inservienti, semplici comparse apparentemente innocue che annotano tutto: i nostri movimenti, le nostre espressioni, i gesti consueti e non. E le orecchie come gli occhi registrano le nostre parole e la tonalità con cui le pronunciamo, attente a scandagliare ogni dettaglio, affinchè tutto rimanga sotto controllo.
E’ sempre più difficile nella stanza degli allenamenti atterrare Natalia e farle male senza mostrare nessuna traccia di pietà, difficile sentire le sue ossa sotto le mani rischiare di spezzarsi, la sua pelle copririsi di lividi scuri da baciare la notte, come unico rimedio e scusa possibile.
Sono quasi sicuro che tra poco ci scopriranno perché, nonostante la nostra bravura nel nascondere i sentimenti e il nostro sforzo nel rendere la realtà come dovrebbe essere, non potremo durare ancora per molto: inevitabilmente ci sarà un momento in cui mi scapperà una carezza anziché un pugno, in cui stenderò la mano per aiutarla a rialzarsi, in cui mi farò vincere per non doverla di nuovo sconfiggere.
E’ da parecchio che ci penso e mi rendo conto che la soluzione più ragionevole sia quella di non vederci più, di concludere questi incontri prima che sia troppo tardi, ma ogni volta che mi infilo nella sua stanza e lei mi corre incontro abbracciandomi, mi dico che non è ancora arrivato il momento, che abbiamo ancora un po’ di tempo per noi.
“A cosa pensi James, avanti dimmelo.”
“Dobbiamo stare attenti, diventa sempre più pericoloso.”
“Noi stiamo attenti, nessuno ci scoprirà, nessuno sospetterà mai.”
“Non essere troppo sicura di te, è un errore, loro non sono degli stupidi.”
“Neppure noi, non ci pensare, non voglio vederti pensieroso, non rovinare questi momenti con le tue paure, sono gli unici momenti che abbiamo per poter vivere, viviamoli e basta.”
Ricaccio in gola una risposta che non le piacerebbe, nascondo in fondo alla testa i brutti presentimenti, forse Natalia ha ragione, cerchiamo di essere felici ora senza pensare al domani, perché questa felicità che non ci meritiamo, vada come vada, sarà nostra per sempre.
Faccio per alzarmi, devo ritornare alla mia stanza ma Natalia mi trattiene.
“Ti prego rimani qui ancora un po’, dormi con me.”
“Sai che è imprudente, non è possibile.”
“Solo per questa notte ti prego, rimani.”
Ha gli occhi lucidi e la voce è solo un sussurro, so che non dovrei ascoltarla, dovrei baciarla e andarmene come faccio ogni volta, ma questa notte nevica a grandi fiocchi ovattati lenti e pacifici e sembra veramente che tutto sia quieto, che niente ci possa minacciare.
“D’accordo solo per questa notte” mi arrendo alla sua insistenza.
Non so perché cedo così facilmente alla sua richiesta, forse perché non desidero altro che deporre ogni cautela, ogni paura ed essere per una manciata d’ore solo James.
Mi addormento, non era previsto ma succede, cullato dal suo respiro chiudo gli occhi, solo per un attimo mi dico e invece mi addormento abbracciato a lei, al caldo nelle sue braccia e con il suo profumo a farmi sentire da qualche altra parte, in un’altra vita.
E’ il vuoto improvviso e il freddo che mi fanno aprire gli occhi con un sobbalzo e con tutti i sensi all’erta.
Natalia è in piedi e con un dito sulla bocca mi fa segno di non fiatare.
“Ho sentito dei rumori” bisbiglia.
Mi rivesto rapidamente, fuori sta già schiarendo e la neve continua a cadere, ma ora i fiocchi duri e gelati fischiano rabbiosi, sbattuti dal vento contro i vetri.
Natalia si avvicina alla porta ma nessun rumore proviene da fuori, tutto sembra addormentato.
Apre uno spiraglio, il corridoio è vuoto, sembra tutto tranquillo ma io so che è solo apparenza, so che non c’è più tempo per nulla se non per darle un ultimo bacio.
Arrivo in fondo al corridoio e mi preparo a difendermi, non intendo consegnarmi senza combattere, non intendo farmi di nuovo sottomettere. Giro l’angolo e pistola alla mano sogghigno quando di fronte a me parecchi uomini mi puntano contro le armi, ma una voce alle mie spalle mi blocca, prima che possa aprire il fuoco.
“Butta l’arma Soldato e arrenditi.”
Prima di voltarmi so già cosa aspettarmi, ma vedere Natalia bloccata da una pistola alla tempia mi getta ugualmente nella disperazione.
Butto l’arma per terra, mi inginocchio con le mani dietro la nuca, occhi a terra per non guardarla, mentre urla il mio nome e viene portata via.
Poco dopo legato alla “sedia”con elettrodi che misurano ogni mio parametro vitale, osservo i miei padroni che hanno visi su cui è dipinta contarietà e disapprovazione, mentre esaminano sui monitor diagrammi di flusso.
“Qualcosa è andato storto” borbotta Lukin evidenziando i grafici del mio cervello.
“E’ necessario intervenire in modo diverso, ci serve uno strumento che ci permetta di controllarlo più da vicino, che lo attivi o lo disattivi a nostro piacimento” risponde Karpov pensieroso, poi mi getta un’occhiata e quando si accorge che ho gli occhi aperti si rivolge a me: “Sei stato uno stupido, hai disubbidito agli ordini, se avessi voluto una donna avresti potuto chiedere e ne avresti avute finchè volevi, ma la Vedova Nera è off limits Soldato, dovevi solo allenarla non scoparla.”
“Mi chiamo James.”
“Già è così che ti chiama lei, ha continuato a gridare il tuo nome finchè ha avuto la forza di farlo.”
Respingo il senso di nausea che mi assale, non devo pensare a Natalia, non devo pensare a quello che le stanno facendo e le faranno.
“Il problema non è il sesso Karpov, se l’avesse solo scopata non saremmo costretti a fare quello che faremo. Il problema è che tra voi c’è qualcosa di più, non è vero?” Lukin mi sorride rammaricato, come farebbe un padre che suo malgrado deve punire il figlio disubbidiente, “Non avrebbe dovuto accadere, non eri programmato perché accadesse e questo ci costringe a riformulare e rivedere la tua programmazione, sei difettoso Soldato, ti sei dimostrato avventato e debole e questo non è contemplato, hai mostrato di avere dei sentimenti e questo è male, hai contravvenuto premeditamente agli ordini e questo è ancora peggio, così non ci servi, dobbiamo ripararti, migliorarti, togliere questi gravi difetti, non sei ancora il Soldato perfetto che speravamo tu fossi.”
“E a lei cosa farete?” è l’unica cosa che veramente mi importi.
“E’ già stata punita e lo sarà ancora e ancora, finchè imparerà a non avere debolezze, finchè capirà che l’amore è solo per i bambini; dovrà decidere se essere eliminata o diventare chi ha sempre aspirato ad essere: la nuova Vedova Nera.”
“Tutto quello che farete non potrà cancellare quello che c’è stato tra noi.”
Lukin e Karpov ridono e sembrano veramente divertiti, come se avessi detto una battuta comica.
“Lo possiamo fare Soldato, è quello che abbiamo fatto con tutta la tua vita, l’abbiamo cancellata e lo faremo anche con questo siparietto romantico, quando avremo finito non ricorderai più nulla, neppure il suo nome.”
“Non è vero” ringhio, ma so che Lukin non minaccia mai invano, so che gli incubi che ogni notte mi fanno compagnia sono solo spezzoni sfocati di quello che dovevo essere io in un’altra vita che non mi appartiene più e che anche Natalia potrebbe diventare solo un fantasma smorto e confuso.
Dopo un paio di giorni mi vengono a prendere e dalla mia cella mi portano in un laboratorio, dove alcuni uomini con un camice bianco addosso trafficano con il mio corpo, sistemando elettrodi, collegandoli a cavi, accendendo monitor, verificando grafici.
Tengo gli occhi chiusi per far finta che tutto quello che sta succedendo non sia vero, finchè la voce di Lukin mi riscuote: “Guarda chi è venuto a salutarti Soldato” ma non è la voce dell’uomo a farmi aprire gli occhi ed alzare la testa, ma l’eco d’un singhiozzo trattenuto.
C’è Natalia, tra lui e Karpov, pallida, con un livido scuro che le deturpa il viso e il labbro spaccato, fatica a stare in piedi e trema, ma i suoi occhi sono asciutti e bellissimi.
“Ti faranno del male, ancora di più di quello che ti hanno fatto finora per colpa mia… Perdonami.” sussurro.
Lei non dice nulla, solo mi guarda e nonostante tutto riesce a sorridermi.
I medici controllano che le cinghie con cui sono legato siano ben strette, mi cacciano un morso tra i denti e prima che avviino la macchina sento la voce di Lukin: “Dì addio al Soldato Natalia Alianovna Romanova e diventa quello per cui sei destinata.”
Guardo per un ultima volta Natalia, poi la corrente spegne ogni suono e ogni immagine eccetto le mie urla.
Quando mi trascinano semi-incosciente in una capsula e chudono il coperchio di vetro, in mezzo alla neve che mi entra negli occhi, nelle orecchie e fin dentro alle ossa, vedo lei che si libera dalla stretta dei due uomini e corre verso di me, sogno di sentire il mio nome e intravedo la sua mano sul vetro, ma ormai c’è solo ghiaccio e tutto diventa bianco.

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Capitolo 4
*** 2. Odessa. ***




Note: Questa one-shot prende lo spunto da ciò che, in pochissime parole, Natasha racconta a Steve circa il suo scontro con il Soldato d’Inverno ad Odessa, nel film CAWS.



Winterwidow∞Incontri


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#2. ОДеса - 2009 -



(POV Winter Soldier.)

L’alba, nel distretto di Biljaïvka alla periferia di Odessa, è luce soffusa e gelo, nel silenzio rotto dal vento controllo per l’ultima volta l’arma di precisione regolando il mirino telescopico, poi aspetto immobile con pazienza.
In testa ordini chiari, come scolpiti su pietra, stabili e ineluttabili.

Bersaglio: ingegnere nucleare iraniano e scorta: due uomini e un donna.
Obiettivo: eliminare testimoni, recuperare documenti.

Il vento sta rinforzando e cambiando direzione, mi distraggo un attimo per mettere a punto una leggera compensazione ottica, il rumore lontano di un auto che procede a velocità sostenuta mi fa capire che l’attesa è finita.
Pancia a terra, occhio nel mirino, dito sul grilletto, spalle rilassate, analizzo la situazione: il target è seduto dietro insieme alla donna, davanti i due uomini. Nessun’altra scorta in vista, come sempre le informazioni ricevute sono corrette.
A 3200 metri di distanza il primo colpo centra il guidatore in mezzo alla fronte, ma non ho nè il tempo nè la voglia di andarne fiero, sono solo ordini a cui devo ubbidire nel migliore dei modi.
L’auto sbanda, ma prima ancora che si sia incuneata in un fossato a bordo del prato gelato, i supersititi sono già scesi e appostati dietro al mezzo.
Lascio la posizione mettendo a tracolla il fucile e inforco la moto con cui sono arrivato, apro al massimo il gas e mi lancio sulla strada finchè i proiettili cominciano a fischiarmi fin troppo vicino e solo allora, con una brusca frenata, inclino la moto mettendola di traverso; l’atterraggio non è morbido ma la corazza in fibra di carbonio e kevlar mi protegge, mi rialzo facendo fuoco e il secondo uomo giace tra i rottami dell’auto, mentre la donna e il target sembrano spariti.
L’attimo d’esitazione è un errore che rischio di pagare caro, sento il sibilo del proiettile un millisecondo troppo tardi, quando già mi ha lasciato una ferita superficiale sul collo.
Mi accovaccio al riparo per un controllo rapido della situazione e poi agisco senza ripensamenti e attese inutili, secondo il mio stile.
Con il braccio sinistro strappo la portiera dell’auto e mi infilo rapido, esco dalla parte opposta e me la trovo davanti: razza bianca, piccola di statura -sembra una ragazzina-, capelli ramati, pistola spianata, sorriso strafottente e occhi... Lei spara a più riprese senza incertezza ne paura, mentre io ho appena il tempo di uscire fuori dalla sua traettoria di tiro, con un ricordo o un’allucinazione che spinge nella mente per cercare una via d’uscita, togliendomi la concentrazione.
Arranco dentro ad un fossato a lato di questa strada diritta, che sembra tagliare in due boschi scuri di abeti e prati incolti e ghiacciati.
Ci sono occhi verdi nella mia testa e capelli rossi, pelle candida e morbida… Il ricordo è un trapano che mi trafora il cervello, vorrei urlare ma ho imparato che è solo uno spreco di energie, stringo i denti e decido che il dolore in questo momento è un optional che non mi posso permettere.
Esco dal fossato sparando all’ingegnere che se ne sta accovacciato, con sulla faccia la sua morte imminente.
La donna si getta davanti al bersaglio con perfetto tempismo, così perfetto che la cartuccia perforante entra ed esce dal suo addome, colpendo l’uomo tremante dietro di lei.
Cade in ginocchio senza perdere la coordinazione e spara per uccidermi. Con il braccio metallico mi faccio scudo, mi avvicino e le strappo l’arma, poi stringo la mano artificiale intorno al suo collo che mi sembra così esile da poterlo rompere senza neppure stringere troppo, lei mi guarda con uno sguardo che non riesco a decifrare, quasi sorpreso, so che mi basterebbe una piccola torsione del polso per farla diventare una bambola senza vita tra le mie mani; la alzo di peso, la sbatto contro la lamiera dell’auto, poi apro le dita lasciandola scivolare a terra senza sensi.
Il target sta cercando di allontanarsi penosamente accompagnato da una bava di sangue, prendo la mira senza fretta e lo osservo scivolare senza un grido nell’erba bassa.
Mi avvicino togliendomi la maschera che mi copre parte del viso, ormai non c’è più nessuno che abbia occhi per vedermi, respiro l’aria gelida ficcandola in gola come fosse un premio, controllo che sia morto, poi ritorno alla macchina e recupero i documenti.
Lei è stesa per terra, sembra dormire se non fosse per quel buco nella giacca nera e per quella macchia scura che si allarga, sporcando l’erba argentata di brina.
Mi chino scostandole i capelli scompigliati dal viso freddo, il ricordo di poco prima combatte per assumere consistenza.

Obiettivo della missione: non lasciare testimoni.

Mi alzo in piedi ed estraggo la pistola, un colpo per finirla e poi posso andarmene, lei spalanca i suoi occhi -verdi- mi guarda come se vedesse qualcun’altro al mio posto e sussurra qualcosa che non capisco.
Mi abbasso e avvicino l’orecchio.
"James" il sussurro flebile si perde nel rumore del vento.

La stanza è ampia con grandi finestre e il pavimento in legno, lei è per terra, ha i capelli lunghi legati in una coda, il viso da ragazzina pallido ma determinato, gli occhi risoluti, si alza lentamente, i movimenti insidiosi, si raddrizza senza incertezze e con un gesto della mano mi incita ad attaccarla… Di nuovo… Mi avvicino a passi decisi, lei ha già assunto la posizione di difesa, indietreggia e io avanzo finchè ha le spalle contro il muro, finchè si è cacciata in trappola da sola, senza vie di fuga… Mentre sorride abbassa le braccia... Mentre sorride mi porge le mani aperte… Mentre sorride aspetta che io sia ancora più vicino e poi mi bacia e nella bocca mi sussurra un nome: James.

“Natalia, mia piccola ballerina” mi trovo a sussurrare, prima di rendermi conto che negli ordini che ho ricevuto ricordare non è contemplato, ricordare è sbagliato, ricordare significa che useranno di nuovo la macchina e tutto è meglio della macchina, anche ricacciare in fondo alla testa un ricordo confuso ma potente.
Rinfodero l’arma e mi allontano.
Missione compiuta.

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Capitolo 5
*** 3. Washington. ***




Note: L’incontro/scontro è quello che si può vedere in CAWS, i pensieri e le emozioni di Natasha invece sono farina del mio sacco.



Winterwidow∞Incontri


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#3. Washington - 2014 -



(POV Black Widow.)

“Ma che diavolo…..” esclamo, poi Sitwell viene arpionato da qualcuno che si è lanciato sopra il tetto della nostra auto ed è poi scarventato giù dal ponte.
Faccio appena in tempo a saltare davanti, proprio in braccio a Steve, che una sventagliata di colpi trasforma il tetto del mezzo in un colabrodo.
Steve ha la prontezza di tirare il freno a mano e il tizio che si sta divertendo a buccherellarci dall’alto, capitombola sull’asfalto. Mi preparo a scendere per cercare di identificarne i pezzi spiaccicati sulla strada, quando l’uomo, dopo una mezza capriola, fa leva su di un braccio meccanico e si rialza.
Chiudo gli occhi mio malgrado e rabbividisco, nonostante l’adrenalina stia stimolando il cuore a pompare sangue a tutto spiano.

-Non tu, non di nuovo, non ora-

Conosco quel braccio di metallo che sembra argento sotto il sole, con quella stella rossa disegnata sulla spalla ad indicare il marchio di fabbrica.
Conosco la sua stretta intorno alla gola e so che è come una morsa che stritola ossa come se fossero bastoncini secchi.
Conosco quel braccio e l’uomo che ce l’ha innestato nei muscoli pettorali in una geografia di cicatrici, ognuna delle quali potrebbe raccontare uno strazio che nessuno ha mai consolato e curato.

-Non tu, non di nuovo, non qui-

Scuoto la testa per ritrovare la concentrazione, lui è in piedi di fronte a noi, immobile e impavido come una roccia; carico la pistola e prendo la mira ma un Suv ci tampona, facendomi cadere l’arma di mano.
Lui non si muove, sembra aspettare che la nostra auta lo metta sotto, ma proprio a pochi centimetri dall’urto, con una capriola salta sul tetto e con il braccio metallico sfonda il finestrino e strappa il volante dalle mani di Sam come se fosse un giocattolo.
L’ auto sbanda pericolosamente, Steve mi allaccia in un abbraccio e ci tuffiamo fuori protetti dallo scudo.
Il Soldato d’inverno questa volta non è solo, dietro di lui una squadra di supporto spara a tutto quello che ha davanti e io mi concedo il lusso d’un moto d’orgoglio: in fondo Captain America e la Vedova Nera non sono avversari da sottovalutare neppure per lui.
Mi lancio giù dal ponte giusto in tempo per evitare danni peggiori, corro al riparo, poi faccio fuoco.

-Ti ho colpito? Spero di sì... Spero di no-

Si è tratto rapidamente al riparo, ma dopo qualche secondo riappare senza il visore ed è forse solo quello che ho colpito, fuggo con il cuore in gola, perché so con chi ho a che fare.
Il Soldato d’inverno per alcuni è una leggenda, per altri un fantasma, per l’Intelligence è solo una storiella per spaventare le reclute, ma io lo conosco più di chiunque altro, ancora prima di essere quella che sono ed ora, come anni fa ad Odessa, di nuovo la storia si ripete: io e lui siamo uno contro l’altro, io con tutti i miei ricordi a farmi da intralcio e lui che invece sembra non ricordare più nulla ancora una volta.
Fuggo sperando di far perdere le mie tracce, ma voltandomi indietro vedo che, mentre i suoi uomini si dispongono a ventaglio per cercare di eliminare Steve, lui e solo lui si lancia dal ponte e si mette al mio inseguimento e quando incrocio i suoi occhi affamati in mezzo al caos che ci circonda, capisco che forse questa è l’ultima beffa che il destino ci vuole tirare.
E’ calmo, quasi paradossalmente tranquillo, cammina in mezzo alla gente terrorizzata, alle auto che scoppiano, alle urla e alle sirene come se non fosse lì, come se non gli importasse nulla della vita degli altri così come della sua, come se l’unica cosa essenziale fosse portare a termine la missione. Cammina con il suo passo elastico, caricando con nonchalance l’arma che ha nelle mani.
Si ferma tutt’ad un tratto quasi in attesa e sembra un felino che ha addocchiato la preda, i suoi occhi grigi diventano fessure, i passi vellutati, i movimenti lenti e precisi.
Il trucco del telefono ha ingannato anche lui come tanti altri prima, mi dà le spalle, mi dà l’occasione che aspettavo, gli salto sulla schiena con il filo d’acciaio già teso per uccidere, ma lui, anche se preso alla sprovvista, non perde il sangue freddo, blocca il filo e riesce a sbattermi a terra; mi rialzo, riprendo la fuga finchè una pallottola mi trapassa una spalla, il dolore mi blocca solo un attimo, trovo riparo dietro ad un auto mentre la folla terrorizzata sciama in disordine per cercare un rifugio, mentre io so che per me non ne esiste alcuno.
Si materializza quasi come richiamato dal mio pensiero, sono inerme di fronte a lui, sono ancora una volta la vittima, cerco in lui qualcuno di diverso ma c’è solo il Soldato duro e letale e a confermarlo ci sono i suoi gesti efficienti, precisi ed armoniosi, come se uccidere per lui fosse una performance artistica.
Mi sovrasta, alza l’arma con una ferocia repressa e quasi stanca, ha gli occhi spenti dei momenti peggiori, di quando non solo per me ma anche per se stesso era solo il Soldato e non ancora James.

-Mi riconosci?-

Mi dò da sola la risposta ad una domanda che non ha ragione di essere formulata e aspetto il colpo ma Steve viene in mio soccorso. (Odio essere salvata, non ne ho mai avuto bisogno, ma forse questa volta mi devo rassegnare a glissare sul mio orgoglio ferito).
Quando il Soldato perde la maschera e Steve rimane di sasso a guardarlo, incurante del fatto che se non ci fosse Sam, lui gli ficcherebbe un proiettile nel cervello, non posso far altro che ricambiargli la cortesia e nostante il dolore della ferita, recupero un lanciagranate e faccio partire il colpo.
Quando il fumo si dirada del Soldato non c’è traccia, forse veramente non esiste ma è solo un fantasma.
Sul mezzo di Rumlow Steve racconta una storia che sembra assurda: di come abbia riconosciuto nel Soldato il suo amico d’infanzia Bucky, morto in missione nella Seconda Guerra Mondiale. Io ascolto e sto zitta.
E’ assurdo pensare che il Soldato d’inverno, una macchina mortale, possa essere stato l’amico più caro di Steve e l’uomo che una volta ho amato a Mosca, assurdo pensare che qualcosa di loro possa essere ancora presente dentro di lui, assurdo pensare che il gelo non gli abbia bruciato e congelato ogni molecola d’umanità.
Steve, per il suo bene, dovrà imparare a dire addio al suo Bucky, come io oggi, una volta ancora dopo Odessa, ho detto addio a James.

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Capitolo 6
*** 4. Bucarest. ***




Note: La location di questa one-shot è l’appartamento di Bucky a Bucarest che si può vedere in CACW, l’incontro avviene circa un mese prima che in quell’appartamento arrivi Steve e succeda quello che tutti sappiamo.



Winterwidow∞Incontri



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#4. Bucureşti - 2016 - Poco prima dei fatti di Vienna -



(POV Winter Soldier.)

Appena entrato, mentre ancora sto chiudendo la porta, mi rendo conto che qualcosa non va.
Mi giro con già in mano l’arma carica che tengo sempre infilata nella cintura, ma lei parla ancor prima che mi sia girato del tutto.
“Voglio solo fare due chiacchere” sussurra e la sua voce sembra velluto.
E’ accanto alla finestra, con i capelli di fiamma e il viso di neve, la riconosco subito, ma proprio per questo non abbasso l’arma.
“Come mi hai trovato?” le chiedo con voce atona.
“Non è stato facile, neppure per me” mentre parla rimane ferma con le mani bene in mostra, “Puoi abbassare l’arma, non ho cattive intenzioni.”
“E secondo te dovrei fidarmi?”
Lei sorride cinica e beffarda, con un pizzico di tristezza in sottofondo.
“In realtà sono io che non dovrei fidarmi, se non ti è chiaro sto rischiando più io di te ad essere qui, non sapevo chi mi sarei trovata davanti, i nostri ultimi incontri non sono stati molto incoraggianti.”
Mi scappa una smorfia di disappunto.
“Ma forse non ricordi…” aggiunge lei.
“Ho avuto due anni per schiarirmi le idee... I ricordi di quello che ho fatto da quando mi hanno trasformato nel Soldato d’inverno sono arrivati anche fin troppo in fretta, anche fin troppo chiari; ricordo ogni persona che ho ucciso, ricordo ognuno di loro, ricordo il dolore ogni volta che mi sottoponevano alla stasi criogenica e la disperazione ogni volta che mi facevano tornare in vita; dopo ogni missione il lavaggio del cervello a cui mi costringevano, serviva per resettare non solo i ricordi delle missioni ma soprattutto ogni possibile contaminazione emotiva; le emozioni, quelle non servivono, quelle erano inutili, anzi dannose. E’ questo che ho fatto in questi due anni, collegare le emozioni ai ricordi, dare un senso a quello che ho fatto. Ho rivissuto i massacri compiuti sapendo di non poter far nulla per riparare, ho provato disgusto ed orrore per l’assassino sapendo che ero io; soprattutto ho cercato di non andare in pezzi.”
“So benissimo come ci si sente” mi dice, lanciandomi un’occhiata d’intesa dolorosa che dura solo un attimo, “Quindi mi riconosci…”
“Natalia Alianovna Romanova, tu eri una ragazzina quando ci siamo conosciuti a Mosca alla Red Room, facevi parte del programma d’addestramento Vedova Nera.”
“Sì e tu eri il nostro istruttore.”
“Già.”
“E il mio amante.”
“Sì, ricordo anche questo.”
“Quando ci hanno scoperto mi hanno costretta ad assistere alla tua -punizione-.”
“Mi hanno messo in criostasi per parecchio tempo... I contatti intimi non erano previsti dal regolamento.”
“Pensavo non fossi sopravissuto, pensavo fossi morto, poi ti ho rivisto ad Odessa.”
“Odessa…” stringo gli occhi per cercare di riacciuffare il ricordo.
“2009, io ero in missione... Un ingegnere nucleare iraniano… Ricordi anche questo?”
Esito un attimo poi il ricordo arriva portando con sè una fitta di dolore, stringo i denti e accenno un assenso con il capo.
“Mi hai sparato, sei stato l’unico a riuscirci.”
“Sei stata l’unica a poterlo raccontare.”
Lei mi guarda piegando leggermente la testa di lato, con dentro agli occhi una luce maliziosa.
“Eravamo molto vicini ed io ero sulla tua linea di tiro, mi sono chiesta molte volte come il Soldato d’inverno abbia potuto sbagliare mira, poi quando mi sono svegliata ero sola, nessun colpo di grazia… Ho sempre pensato di essere stata molto fortunata.”
“Lo sei stata” e mentre lo dico mi concedo un sorrisetto sbruffone, di quelli che mi riuscivano così bene quando ero solo il sergente Barnes.
“Ti ho cercato per anni senza nessun risultato, sembravi davvero quel fantasma che tutti dicevano che fossi. Poi sei apparso di nuovo su quel cavalcavia a Washington, mi hai inseguita e mi hai sparato addosso, di nuovo, volevi uccidermi te l’ho letto negli occhi.”
“Non mi ha fermato nessun ricordo allora” mi rivedo imbracciare l’arma e prendere la mira e rivedo lei a terra inerme e ferita, ha ragione non avrei avuto nessuna pietà e questa consapevolezza mi provoca un brivido d’orrore che scaccio per tornare al presente, “Ed ora che abbiamo ricordato il passato come due vecchi amici che non si incontrano da anni torniamo ad oggi… Visto che non sapevi chi ti saresti trovata davanti, perché sei venuta?”
“Dopo Washington pensavo che tu fossi irrecuperabile, poi hai salvato Steve, eravate solo tu e lui sull’helicarrier quindi puoi essere stato solo tu a ripescarlo dal Potomac, l’Hydra è stata smantellata prima che tu tornassi nelle loro mani e da due anni il Soldato sembra sparito e poi prima di presentarmi di persona ti ho tenuto d’occhio per qualche giorno: ti ho visto sorridere ad una vecchia al mercato, guardare dei bambini giocare al parco, il Soldato non avrebbe saputo farlo, così ho pensato che c’erano buone probabilità che prima di spararmi mi avresti almeno lasciato parlare. Volevo rivederti.”
“Scusa se faccio fatica a crederti” e sorrido di nuovo, ma questa volta solo per mascherare la disillusione.
Anche Natasha lo fa mentre si avvicina.
“Stai ferma dove sei, non voglio farti del male, fai come ti dico.”
“Come vuoi” e la sua voce diventa un soffio leggero, mentre le sue mani salgono all’allacciatura del vestito che scivola lentamente a terra, così come subito dopo, la sua biancheria intima.
“Che cosa significa?”
“Tu che dici? Pensi di poterti fidare di me se mi avvicino nuda senza un’arma o hai paura? O non ti piaccio più?”
Abbasso il braccio teso che tiene la pistola e rimango ad osservarla mentre si accosta, osservo la sua mano poggiarsi sul mio fianco e le sue labbra carezzare le mie.
Il primo bacio è uno sfiorarsi guardinghi, il secondo un modo per assaggiarsi e per ricordare il sapore uno dell’altro, quelli successivi solo tappe per arrancare fino al letto rimanendo stretti.
Fugacemente penso che nella mie braccia non stringo più la ragazza adolescente con cui ho avuto una storia clandestina tanti anni prima, ma una donna bellissima, sensuale e capace e che ora tocca a me sentirmi un ragazzo inesperto.
“Non so se ricordo ancora come si fa” scherzo con voce malferma.
Lei mi guarda con occhi di giada: “Da quanto tempo non lo fai?”
“Tu sei stata l’ultima” sussurro, accarezzandole il viso e leggendo nel suo sguardo un balenio d'incredulità, che si stempera in una tenerezza per lei desueta.
“Bene soldato, vediamo di recuperare il tempo perduto” mormora nella mia bocca.
E io, per tutto quello che resta del giorno e per tutta la notte, non penso più che lei sia la spia migliore sulla piazza, un’assassina senza pietà e che lavori per chi mi vuole morto. Non penso a nulla, se non al fatto che è da tantissimo che non l’ho tra le braccia e che per sentire il suo profumo e toccare la sua pelle morbida e far finta di credere che lei è qui per rivedermi, forse vale la pena rischiare la vita.
Quando apro gli occhi dalla finestra entra una luce grigia e il rumore della pioggia sui vetri segna il tempo, ci vuole un attimo prima che capisca cosa è successo e che il mio letto è vuoto, ma non faccio in tempo ad alzarmi che una voce dal cucinino mi blocca.
“Sto facendo il caffè, ne vuoi?” Natasha appare nuda e impudica, incorniciata nello stipite della porta e i suoi occhi sono luminosi anche se un po’ stanchi.
“Vorrei te, qui” e le lascio un po’ di spazio nella brandina.
Lei sorride indulgente: “Prima il caffè.”
Scompare in cucina e torna con una tazza sbeccata in mano, che emana un profumo intenso.
Si accuccia accanto a me che non posso fare a meno di circondarla con il braccio metallico, cercando di fare il più delicatamente possibile.
Lei rabbrividisce a quel contatto, si raggomitola ancora di più al mio fianco, appoggia il viso sulla mia spalla con un braccio ad accarezzarmi il petto, poi si gira e mi bacia e ha ancora in bocca il mio sapore.
“Allora soldato hai ancora paura di me?” scherza.
“Sei la Vedova Nera, sarei uno stupido se non ne avessi.”
“Siamo due persone letali è vero, è difficile per noi non fare del male agli altri, è il nostro destino, siamo stati cresciuti per questo.”
“Non era questo che avevo pensato di fare da grande, pensavo di diventare un bravo soldato, di fare il mio dovere e di andare a combattere i cattivi… Ora invece il cattivo sono io.”
Lei mi abbraccia e mi tiene stretto, senza parole, semplicemente sa che è quello che mi serve.
A volte la vita gioca degli scherzi strani, a volte non si tratta di tue decisioni sbagliate o di errori, ma tutto accade anche se tu non lo vuoi, a volte non puoi scegliere ma sei scelto e quello che ti resta da fare è cercare a tutti i costi di restare vivo, sperando di cambiare il tuo destino. Lei più di tanti altri può capirmi.
Gli sfioro il fianco, passo le dita in silenzio sulla sua cicatrice all’addome.
“Niente bikini per colpa tua, ma Steve dice che tanto mi sarebbe stato malissimo” sussurra lei.
“Steve? Ha visto la cicatrice?”
Ridacchia sbeffeggiante: “Ehi sei fuori strada, gliel’ho mostrata alzando la maglietta, niente di più.”
“Steve non ha mai capito niente delle donne, staresti da favola con il bikini… E questa?” mormoro poi sfiorandole la cicatrice sotto la clavicola, “Ancora io?”
“Sì, Washington, lì ho avuto davvero paura.”
“Tra tutte le cose che Steve ha fatto per me, quella di avermi fermato ed impedito di ucciderti è quella per cui gli sono più grato, non avrei sopportato di avere anche te sulla coscienza.”
“Fa tutto parte del passato, inutile stare a pensarci.”
“Perché sei venuta?” gli chiedo deponendo i sensi di colpa, “Adesso puoi dirmelo.”
“Mi hanno ordinato di trovarti.”
“E dopo avermi trovato cosa ti hanno ordinato di fare?”
“Di ucciderti” dice lei semplicemente.
“Non mi vogliono tra i piedi.”
“No, sei troppo pericoloso ed instabile, non sanno come maneggiarti, meglio eliminarti.”
“Bene e allora esegui gli ordini, in fondo la vedova nera divora sempre il suo compagno dopo essersi accoppiata.”
“Per te non sono la Vedova Nera soldato, per te rimarrò sempre Natalia” mormora, guardandomi negli occhi e cercandovi qualcosa di lontano.
“Ed io James, ricordi… Solo per te.”
“E allora James fai attenzione, rimani nascosto e non fare sciocchezze, in questo momento ci sono troppe questioni aperte, nessuno è disposto a farsi carico anche del Soldato d’inverno.”
“E’ quello che sto tentando di fare da due anni a questa parte, scomparire, ma tu? Cosa dirai ai tuoi superiori?"
“Io me la caverò, non sarà la prima volta che mentirò a qualcuno. Dirò che mi sono sbagliata, che ho seguito una falsa pista, che ne cercherò un’altra finchè ti scoverò e ti eliminerò.”
Si alza e si veste rapidamente, poi recupera una P-32 che aveva occultato dietro al mobile del cucinino prima che io entrassi.
La guardo senza parlare e lei mi ripaga con uno sguardo quasi offeso.
“Non dirmi che pensavi davvero che fossi venuta a mani nude.”
“Ammetto che non ho pensato molto da quando sei entrata qui dentro.”
“Te l’ho detto, non potevo sapere chi mi avrebbe fatto gli onori di casa e a dirti la verità ne avevo abbastanza di farmi strapazzare dal Soldato d’Inverno.”
“Mi avresti sparato?”
“Solo se fosse stato inevitabile.”
Si avvicina e mi bacia.
“Abbi cura di te James” mi sussurra.
“Anche tu” faccio in tempo a dirle, mentre lei è già fuori.

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Capitolo 7
*** 5. Berlino. ***




Note: Tutto ciò che avviene in questa one-shot lo si può vedere in CACW, eccetto quello che passa per la testa di Natasha.


Winterwidow∞Incontri



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#5. Berlin - 2016 - Dopo la cattura del Soldato d’inverno a Bucarest -


(POV Black Widow.)

Guardo dalla finestra la città di Berlino con i suoi viali imperiali e i palazzi grigi.
Mi fingo assorta nell’osservazione del paesaggio in modo da dare le spalle a tutti quanti, in modo da poter morsicarmi le labbra per sfogare la mia inquietudine senza destare sospetti.
Neppure un mese fa ero a Bucarest in incognito, neppure un mese fa ero nel letto del Soldato, che in quel momento non era più il Soldato ma solo James, che tra i baci mi diceva che non era più quello di prima, che ora, libero dalle macchinazioni dell’Hydra, stava cercando di ritrovare il vero se stesso, che per decenni era rimasto imprigionato dal ghiaccio e dalla macchina.
Ci avevo creduto, sembrava veramente di nuovo l’uomo che avevo amato a Mosca, sembrava che tutto l’orrore potesse essere finalmente non cancellato, ma almeno rimosso, almeno reso meno orribile.
Avevo deciso di contravvenire all’ordine di eliminarlo, l’avevo protetto da amici e nemici con il mio silenzio come lui voleva, ma poi contro ogni promessa, contro ogni esortazione lui era tornato a colpire: Vienna palazzo dell’ONU, congresso speciale delle Nazioni Unite per ratificare gli Accordi di Sokovia, più di settanta feriti, 12 vittime tra cui Re T’Chaka di Wakanda ed io di nuovo ad un pelo dalla morte per mano sua e di nuovo salva per miracolo.
La sua faccia che guardava in una telecamera mentre preparava l’esplosione, era apparsa su tutti i mass-media del mondo con titoloni a fare da cassa di risonanza: il Soldato d’Inverno aka James Buchanan Barnes spietato criminale, mano armata dell’Hydra, collegato alle più efferate azioni di terrorismo e di assassini politici degli ultimi decenni, sospetto autore della strage di Vienna.
Per il mio istinto c’era qualcosa di sbagliato: tutto troppo evidente, tutto contrario al modus operandi del Soldato che aveva sempre colpito rendendosi invisibile. Perché proprio ora sembrava quasi cercare a tutti i costi una visibilità pubblica che aveva sempre evitato come la peste?
La Task Force Antiterrorismo non ci aveva messo molto a scoprire il suo rifugio a Bucarest, si erano mossi con l’ordine di non fare prigionieri ma di sparare a vista, ma prima di loro si erano mossi Steve e Sam.
Mentre guardo dalla finestra non so cosa augurarmi: non posso sopportare di vederlo morto, non posso sopportare di pensare che di nuovo potrebbe fare del male a persone innocenti.
Finalmente dal fondo del viale appare una fila di mezzi pesanti che viaggiano tra sirene spiegate, protetti da un sistema di sicurezza di tutto rilievo.
Mi volto guardando Tony: “Che è successo?”
“Tutto quello che di peggio poteva succedere” sibila lui, cercando di trattenere inutilmente la frustrazione e la rabbia.
Quando entra scortato come un malvivente, Steve ha l’aria stanca e sconfitta e non può essere diversamente.
“Bravo, questo sì che vuol dire peggiorare le cose” gli ringhio contro affiancandomi.
Sono furibonda, senza sapere neppure con chi e neppure perché, ma Steve in questo momento è la persona giusta sulla quale rovesciare addosso tutta la mia rabbia.
-Perché non lo hai salvato? Perchè non lo hai protetto?- vorrei potergli urlare, invece di sbraitare di Accordi mandati a puttane, poi lo lascio nelle grinfie di Tony e me ne vado ad assistere sui monitor, alla perizia psichiatrica del Soldato d’Inverno.
“Il suo nome di battesimo è James?” gli chiede lo psichiatra con voce tranquilla, facendo perdere un colpo al mio cuore -Non osare pronunciare quel nome, quel nome è solo nostro- e scatenando il desiderio assurdo di precipitarmi in quella stanza e sbattere quell’uomo contro ad un muro.
Subito dopo guardandomi attorno mi accerto che nessuno si sia accorto del mio turbamento.
Steve ha ragione, lui è vivo e questa è la cosa più importante, con il tempo tutto si aggiusterà, sarà rinchiuso in un centro psichiatrico e lì lo guariranno.
E’ la favola a cui mi sforzo di credere, per riuscire a sopportare di vederlo incatenato e chiuso in gabbia come una bestia feroce.
Poi la luce si interrompe, tutto precipita e Bucky -mi chiamo Bucky- o James spariscono per l’ennesima volta e rimane solo il Soldato d’inverno spietato e letale come sempre.
Combattere, così come è già successo ad Odessa o a Washington, non è un opzione ma una questione di vita o di morte, ma combattere contro di lui è ancora una volta una partita persa, visto che già conosce tutte le mie mosse, semplicemente perché è stato lui ad insegnarmele.
Sono stanca, stanca di questo destino che sembra divertirsi a mescolare le carte dei nostri incontri e che ad un incontro d’amore ne fa seguire altri di morte, quasi per non farmi illudere che qualcosa dopotutto potrebbe non essere così terribile come me lo sono sempre immaginata.
No agente Romanoff, non pensare neppure di meritarti qualcosa di buono, l’amore è per i bambini e tu bambina non lo sei mai stata, quello che si merita la Vedova è uno come il Soldato.
Dopo una breve e violenta colluttazione lui mi getta su un tavolo, stringendo la mano di metallo sulla mia gola.
Lo guardo negli occhi trovandovi ancora una volta il vuoto.
“Potresti almeno riconoscermi” bocccheggio con l’utimo filo di sarcastica disperazione.
Re T’Challa interviene giusto in tempo per evitare a me una morte per soffocamento e a lui un ennesimo senso di colpa.
Steve poi si getta al suo inseguimento e spariscono entrambi.


Aeroporto di Lipsia-Halle.

Siamo qui schierati su opposti fronti, la catastrofe che Visione profetizzava si sta avverando proprio in questo momento.
Steve, Clint, James tutti e tre schierati di fronte a me come nemici.
Combattiamo come abbiamo sempre fatto, come se i nostri vecchi amici fossero veramente i peggiori criminali, gli avversari più efferati.
So cosa ha in mente di fare Steve e lo aspetto al varco.
Ed eccoli lì lui e il suo prezioso amico, il Sergente Barnes, Bucky, quello per cui si è scatenato l’inferno tra di noi.
“Avanti prendi il quinjet e sparisci, so che me ne pentirò” mi rivolgo a Steve con voce stanca.
Guardo negli occhi il Soldato d’inverno.

-Sai chi sono? Ora mi riconosci?-

Ha gli occhi desolati, insicuri e mortificati di quando a Mosca tornava dalle missioni, disorientato e in difficoltà a decodificare ciò che gli stava attorno.
Steve mi fa un cenno di gratitudine poi scatta in avanti e mentre io fermo Re T’Challa, il Soldato d’inverno mi passa accanto e mi getta un’occhiata che mi sfiora, per poi bloccarsi sui segni violacei che mi adornano il collo come una collana di ametiste. Stringe i denti, rallenta impercettibilmente, ma non c’è tempo neppure per una scusa, neppure per un sorriso, solo per ricambiare lo sguardo.

-Nasconditi, mettiti al sicuro-

Ma so già che per gente come noi non esiste al mondo un posto sicuro.

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Capitolo 8
*** 6. Wakanda. ***




Note: La location dell’incontro è quella che appare nella scena post-credit del film Black Panther, tutto il resto è solo immaginazione.


Winterwidow∞Incontri




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#6. WAKANDA - 2017 -


(POV Winter Soldier.)

Shuri se ne è andata da poco, dopo essere rimasta con me quasi tutto il giorno. Mi ha fatto parlare, soprattutto del passato: “E’un test” mi ha detto, “Per verificare se ho fatto un buon lavoro”, poi se n’è andata soddisfatta.
Mi è sempre piaciuto guardare il tramonto ma qui non è come a Brooklyn, qui in un attimo il cielo diventa rosso, poi blu, poi viola e poi è scuro, ma l’oscurità non è tenebra ma piuttosto una coperta che protegge.
Gli ultimi schiamazzi dei bambini si spengono, così come le voci delle madri che chiamano i più temerari, poi si accendono i fuochi e cala il silenzio, rotto solo dai rumori che escono dalla foresta che circonda il villaggio.
Rimango ancora un attimo accanto al lago a respirare piano, quando i miei sensi fiutano l’impressione di una presenza e il suo profumo.
“Natalia.”
“Non mi hai sentito arrivare? Stai invecchiando” mi scruta con aria divertita.
“Già.”
Ha la mano sul calcio della pistola, che sbuca da sotto la giacca.
Alzo il braccio in segno di resa: “Non sono armato, non lo sono più.”
Lei sorride come colta sul fatto, scosta la mano: “Scusa… Forza dell’abitudine. Quando ci incontriamo non so mai cosa devo aspettarmi da te.”
“Serve se dico che mi dispiace per tutte le volte che ti ho fatto del male?”
“Serve.”
“Come mai qui? Chi ti manda questa volta?”
“Non sono in Wakanda per te, non mi manda nessuno.”
Aspetto che continui e intanto la osservo, non è cambiata: i capelli rossi sciolti sulle spalle in onde morbide, il broncio cinico, i vestiti neri. Mi soprendo a pensare che non l’ho mai vista con un vestito leggero e colorato, penso che sarebbe incantevole e diversa. Forse potrebbe essere simile a quella ragazzina che non ha mai potuto essere.
“Sono in missione, qualcuno sta mettendo sul mercato del vibranio clandestinamente, ho seguito delle piste che ovviamente mi hanno portato in Wakanda, poi mentre ficcanasavo ho sentito parlare di un Lupo Bianco… Sai che sono curiosa di natura e non ho potuto resistere alla tentazione di scoprire chi fosse ed eccomi qui… Avrei dovuto sapere che eri tu.”
“I ragazzini mi chiamano così.”
“Non solo.”
“Vieni entriamo, non è prudente restare fuori quando cala la notte.”
Le faccio strada fino alla mia capanna, che è un po’ isolata dal resto del villaggio ed è vicino alla riva del lago.
Dentro accendo la lampada che spande una luce morbida.
“Ti è sempre piaciuto un arredamento minimal non è così?” scherza, gettando un’occhiata ad un tavolino basso, al giaciglio e a poco altro.
Ridacchio mio malgrado, poi l’occhiata tocca a me, mi scruta con attenzione.
“I capelli e la barba lunga t’invecchiano, lo sai?”
“In fondo ho più o meno cent’anni.”
“Li porti bene, ma potresti fare meglio.”
Lo sguardo le cade sul braccio sinistro o per meglio dire sulla sua mancanza.
“Tony?”
“Già… Non posso dargli torto, avrebbe dovuto uccidermi.”
“Lo avrebbe fatto se Steve non si fosse messo in mezzo.”
“Mi dispiace, non volevo che Steve dovesse scegliere tra me o lui… O voi.”
“Per questo hai deciso di farti mettere di nuovo in sospensione vitale criogenica? Non ne avevi abbastanza? Se ci fossi stata io al posto di Steve non te lo avrei permesso, non avrei potuto sopportarlo, non di nuovo” lo dice con un tono arrabbiato e addolorato.
“Questa volta è stato diverso, questa volta è stata una mia scelta ed era la cosa migliore da fare.”
“Ed ora?”
“Ed ora sto cercando di capire chi posso essere. Quello che so è che non voglio più combattere, voglio vivere in pace, voglio essere dimenticato. L’unico motivo per riprendere le armi è se a chiedermelo fosse Steve.”
Siamo ancora in piedi, quasi come due estranei, quasi che lei fosse passata solo per un saluto.
“Vuoi fermarti questa notte?” le chiedo.
Lei annuisce.
“Però non ho portato lo spazzolino e neanche il pigiama.”
Mi avvicino e le accarezzo i capelli, lei mi si appoggia addosso morbida come una gatta e io vorrei stringerla forte per non farla più andare via, ma invece chiudo gli occhi e cerco di non pensare a niente.
“Posso darmi una ripulita? Sono sudata e impolverata.”
“Sul retro c’è una specie di doccia, è un po’ rudimentale ma funziona.”
Sparisce, sento l’acqua scrosciare, sento i suoi respiri di piacere, per distrarmi recupero qualcosa che le donne del villaggio mi hanno portato per cena.
La vedo rientrare nuda, con i capelli bagnati e strizzati che le ricadono sul collo.
“Hai qualcosa per asciugarmi?”
Le passo un telo che si avvolge attorno al corpo lasciando le spalle scoperte, è verde come i suoi occhi e le dona incredibilmente, come fosse un abito da sera.
“Vieni, mangia qualcosa.”
Lei si accuccia su una stuoia e mangia come un ragazzino che ha giocato tutto il giorno e che ha bisogno di crescere. Quando ha finito, mi lancia un’occhiata eloquente.
“Ora manca solo una cosa per chiudere in bellezza” ha un tono sicuro e un po’ sbruffone e quel sorriso che le apre una fossetta all’angolo del labbro a cui non so resistere.
“Vieni qui” le sussurro e l’abbraccio con l’unico braccio che mi è rimasto.
Lei rimane in silenzio, appoggiata con la guancia morbida sul mio petto accarezzandomi la schiena, poi si abbassa e io e penso che è la prima volta che lo facciamo senza sentirci in pericolo, senza la paura che arrivi qualcuno a separarci.
E’ una sensazione strana: non c’è più la guerra, non c’è più il KGB, non c’è più l’Hydra, non c’è più nessun Karpov o Zemo che aprirà un libretto e pronunciando alcune parole mi trasformerà in un mostro.
La bocca calda di lei mi distoglie dai miei pensieri e mi strappa ansimi di godimento, poi alza il viso verso di me e io mi chino e le bacio le labbra, i seni pieni, i capezzoli eretti, il ventre piatto, le cosce toniche; lei mi circonda i fianchi con le gambe e spinge il bacino verso di me. Averla tra le braccia è come ritornare indietro di colpo a Mosca quando tutto era un incubo, tutto tranne lei, apro gli occhi e cerco il suo sguardo.
“Dimmi che è tutto finito, che siamo liberi” le sussurro.
“Siamo liberi James… Entrambi.”
Ribalta le posizioni, si mette cavalcioni sopra di me abbassandosi sulla mia bocca per baciarmi e solleticandomi il torace con i seni.
“Ed ora smettila di tormentarti, io sono qui adesso e ho voglia di te.” sbuffa maliziosa.
Dopo aver fatto l’amore la copro con una coperta e le prendo la mano.
“Vieni ti voglio mostrare una cosa.”
Apro la porta e in piedi le indico il cielo. Lei rimane in silenzio, con il viso all’insù e gli occhi pieni di meraviglia.
“Non avevo mai visto così tante stelle, è bellissimo.”
il silenzio cala su di noi che restiamo abbracciati ad assaporarlo.
“Hai mai pensato a noi due?” mi chiede poi con voce incerta, “Se fossimo state persone normali? Se fossimo stati solo James e Natalia?”
“No, avrebbe fatto troppo male.”
“Io sì, a Mosca a volte fantasticavo della nostra possibile vita, della nostra casa e dei bambini che avremmo avuto.”
“Io non sapevo più fantasticare.”
“-Fino alla fine del mondo- ricordi?….Era questo che ci dicevamo per illuderci che io e te saremmo rimasti sempre insieme nonostante tutto e alla fine avremmo vinto” poi dopo qualche istante di silenzio scuote la testa e sbuffa: “Perché tutte le volte che sto con te divento così?”
“Così come?”
“Patetica.”
“Non patetica, quello mai, solo sentimentale.”
“La Vedova Nera sentimentale? Se si venisse a sapere sarebbe un vero disastro per la mia carriera” fa una smorfia di riprovazione, “Mi fai un brutto effetto James, odio sentirmi così, l’alba è ancora lontana, che ne dici se rientriamo… Ho voglia di scoparti… Di nuovo.”
Tossisco imbarazzato.
Lei mi guarda e mette quel broncio sarcastico che usa quando pensa di stare diventando troppo tenera: “Ed ora che c’è?”
“Quello che faccio con te non è scopare.”
“Scusa, dimenticavo che sto parlando ad un gentiluomo degli anni 40.”
“Già, proprio così, non scordartelo.”
Ci addormentiamo uno accanto all’altro sulla brandina troppo stretta per due, il mio braccio sul suo fianco, la sua testa appoggiata nell’incavo della mia clavicola.
Apro gli occhi bruscamente svegliato dall’orribile sensazione di un vuoto improvviso, una sensazione che mi catapulta a Mosca, l’ultima notte che abbiamo trascorso insieme; per un attimo mi faccio prendere dal panico, poi la scorgo mentre scivola via dal letto silenziosamente.
“Ehi… Dove stai andando?” nella mia voce la disperazione di allora, la notte in cui siamo stati scoperti.
“Ti ho svegliato, non volevo.”
“Pensavi di andartene senza salutare?”
“Quella era l’idea, odio i saluti.”
Allungo il braccio e le allaccio la vita attirandola vicino, lei non oppone resistenza, accovacciata in ginocchio, con le braccia intorno alla mia nuca, mi bacia leggera sulle labbra.
“Che c’è James?”
“Niente, solo un brutto ricordo, adesso passa… Hai dormito bene?” le chiedo poi, per cancellare Mosca dalla mente e ritardare anche solo di poco il momento in cui si alzerà di nuovo.
“Non ho chiuso occhio, tu russi.”
“Mai russato.”
“Che ne sai?”
“Beh…” scuoto la testa arrendendomi alla sua logica, “In effetti non mi capita spesso di dormire abbracciato a qualcuno che me lo può rinfacciare.”
Si curva verso di me togliendomi i capelli dagli occhi.
“Dormivi profondamente, sono rimasta sveglia ad ascoltare il tuo respiro e non sono mai stata così bene come questa notte, ma ora sta per albeggiare.”
“Devi proprio andare? Non puoi fermarti?”
“Sarebbe troppo pericoloso, non voglio che qualcuno per colpa mia ti localizzi, avrei dovuto andarmene già stanotte.”
“Hai ragione, naturalmente… Ci sarà mai un giorno in cui potremo stare insieme senza guardarci alle spalle?”
“Forse no, forse non ce lo meritiamo, forse è la nostra punizione per tutto quello che abbiamo commesso, abbi cura di te James.”
“Anche tu.”

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Capitolo 9
*** 7. Birnin-Zana. ***




Note: L’incontro si rifà al film Avengers Infinity War. Con questa OS si concludono gli incontri più o meno "possibili", spero che chi li ha letti li abbia trovati piacevoli e coerenti. Il prossimo e ultimo incontro sarà assolutamente "impossibile" ma anche irrinunciabile.


Winterwidow∞Incontri



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#7. BIRNIN ZANA – 2017 -




(POV Black Widow.)

Mentre il Wakanda si presenta con tutta la bellezza di una terra ancora quasi completamente vergine, con catene montuose, lussureggianti valli fluviali, fiumi e laghi che si snodano sotto di noi, Steve imposta i comandi del quinjet per perdere gradualmente quota e velocità, preparandosi alla manovra di atterraggio.
Birnin Zana la capitale, “the Gold City” apre i suoi schermi prottetivi, come una madre aprirebbe le braccia al figlio di ritorno da un lungo viaggio.
Atterriamo e veniamo accolti da Re T’Challa in persona con al seguito Ayo, a cui mi lega una certa antipatia reciproca, ma la situazione è già abbastanza critica senza dover andare a recuperare vecchi battibecchi su chi si sposta o si fa spostare.
Tutti noi sappiamo che quello che ci manca è soprattutto il tempo e ognuno cerca di essere il più efficace possibile, per sperare di riuscire a distruggere la Gemma della Mente senza eliminare Visione, prima che Thanos riesca ad impadronirsene.
Re T’Challa enumera brevemente i nostri alleati: la Tribù del Confine, le Guardie reali, le Dora Milaje, M’Baku e i Jabari.
-Non siamo molti- penso, cercando di conservare solo per me il presentimento di un disastro imminente.
E poi arriva lui e Steve abbandona qualsiasi discorso per correre ad abbracciarlo, mentre io rimango in disparte senza rivolgergli neppure un’occhiata, solo assaporando la sua voce morbida e bassa.
Il dovere ci chiama, accompagniamo Visione nel laboratorio della principessa Shuri e poi cerchiamo di pianificare quello che potrebbe con molta facilità essere il nostro ultimo scontro: non c’è molto da dire, le truppe del Re sono sotto il suo comando e noi non abbiamo bisogno di grandi piani strategici, abbiamo combattuto molte battaglie come alleati e qualcuna come nemici, sappiamo bene il contributo che ognuno di noi può dare, i punti di forza e quelli di debolezza di ciascuno, sappiamo che nessuno verrà lasciato indietro, che possiamo contare uno sull’altro fino alla fine e questa è la cosa migliore che un guerriero può sperare prima della battaglia: la fiducia assoluta nei suoi compagni.
Mi allontano dal gruppo e lo cerco con gli occhi trovandolo poco discosto, intento a pulire le armi che ha in dotazione: le allinea su di un tavolo, conta le munizioni, sistema i caricatori e verifica lo stato della canna. Lo osservo cercando di imprimermi nella memoria i suoi gesti precisi, la sua postura prestante e sciolta, la sua espressione che conserva ancora qualcosa di selvatico del Soldato, in bilico tra l’istinto di fuga e quello d’attacco, stemperato però dalla coscienza che anche se il passato è sempre lì e indietro non si torna, si può combatterlo, sperando di essere degni di essere salvati.
Mi avvicino cercando di imprimermi sulla faccia, per i possibili impiccioni, solo innocua curiosità; lui alza gli occhi accorgendosi della mia presenza prima che io possa solo aprire bocca e mi sorride, provocandomi una ferita nel cuore e un groppo di commozione in gola: è un sorriso tenero e triste il suo, pieno di rimpianto, pieno della consapevolezza che le cose non stanno andando come avevamo sperato, perché le cose per noi non seguono mai i desideri, perché anche la speranza è un lusso che non ci siamo mai concessi e non c’è nessuna ragione al mondo perché proprio adesso dovremmo concedercela.
Ricaccio in gola il groppo che mi si è formato e ricambio il sorriso, accennando con il capo al suo nuovo braccio.
“Bello, molto elegante.”
“Grazie, anche se non è il suo requisito principale.”
“Funziona bene come l’altro?”
“Anche meglio…” poi accenna ai miei capelli, “E tu? Bionda?”
Mi tocco i capelli con un pizzico d’imbarazzo, è assurdo come di fronte ai suoi complimenti mi senta sempre la piccola Natalia della Red Room.
“A noi donne piace cambiare ogni tanto” e mi trattengo a forza dal chiedergli -Come sto?- perché a tutto c’è un limite.
“Sei diversa, ma sempre molto bella“ risponde lui come se mi avesse letto nella mente.
Il silenzio cala su di noi come una coperta bagnata, vorrei dirgli cose che non ho mai potuto dirgli, cose che non ho mai pensato di dirgli: di come lui sia stato il mio primo amore e la mia prima vera perdita, di come a Mosca io abbia amato sia il Soldato che James e solo ad Odessa mi sia resa conto di come il Soldato fosse il nemico, quello che aveva schiacciato James fino a distruggerlo, cancellando tutto quello che c’era stato tra di noi. Era stata Odessa e poi ancora di più Washington a convincermi che James fosse perduto per sempre, perché gli occhi del Soldato erano quelli che conoscevo ma il suo sguardo era quello d’un estraneo, perché il viso era quello dell’uomo che avevo amato, ma senza il suo sorriso era solo una maschera impersonale. Ora vorrei chiedergli di perdonarmi per non avere avuto fede, come invece ha dimostrato di averla Steve, di aver perso la speranza, di essermi arresa. Se James Buchanan Barnes è qui davanti a me, non è per merito mio.
“Hai gli occhi stanchi, hai un’espressione triste” rompe il silenzio lui, con quella capacità di dare voce ai suoi sentimenti senza una protezione per nessuno dei due.
“Lo sono, stavo pensando a ritirarmi a vita privata prima che questo megalomane, egocentrico decidesse di cambiare l’Universo per i suoi sofismi filosofici, mandando al diavolo i miei piani.”
“La pensione non ti si addice.”
“Ho un amico che ci è andato: ha una bella casa, circondata da un lotto di terra fertile, una moglie, tre figli che mi chiamano zia, perché no?”
Perché siamo ciò che siamo e siamo dove dobbiamo essere, che ci piaccia o no.”
“E’ solo questo il nostro destino? Quello di combattere per salvare il mondo? E noi? Qualcuno salverà mai noi?”
Mi regala un sorriso triste e gli occhi chiari gli si riempiono d’ombre.
“Non avrei voluto combattere di nuovo, ma quello che vogliamo noi è ininfluente, dovrei ormai averlo imparato” ridacchia, “Però avrebbe potuto andarmi molto peggio, fra poco ci sarà battaglia e io sono qui con Steve e con te per mia libera scelta, è molto più di quello che avrei potuto chiedere.”
Allungo la mano, gli accarezzo le dita, è tutto quello che possiamo fare in questi pochi minuti che ci separano dalla guerra.
“Vorrei almeno baciarti, avere ancora una notte per noi nella tua capanna accanto al lago” gli mormoro.
“L’avremo… La prossima volta.”
“Tu pensi ci sarà?”
“C’è sempre.”
“Non bluffare con me.”
“Non sto bluffando… Dobbiamo credere che ci sarà sempre una prossima volta Natalia, anche se tutti i fatti ci dicono di no” e c’è un sentore di tenerezza nella sua voce che sembra rassegnazione.
Vedo con la coda dell’occhio che Steve si sta avvicinando con lo sguardo un po’ perplesso, le nostre dita si sciolgono rapidamente, i nostri corpi si allontanano impercettibilmente e assumono una postura più rigida. James aspetta che Steve sia abbastanza vicino da poter sentire, poi piega la testa di lato socchiudendo gli occhi come un gatto e alza le labbra in un sorrisetto sornione: “Agente Romanoff” mi saluta portando due dita alla fronte, poi torna a dedicare tutta la sua attenzione all’arma che sta rimontando.
“Sergente Barnes” ricambio la cortesia e mi allontano.
“Ti ho visto parlare con Bucky” mi chiede Steve quando lo affianco, guardandomi stupito.
“Con chi?”
“Con il Sergente Barnes.”
“Sì, stavo ammirando il suo nuovo braccio.”
Steve mi guarda di nuovo in procinto di dire qualcosa, ma la sua attenzione è attirata dai due scagnozzi di Thanos al di là della parete protettiva.
Quando torniamo dopo l’inutile teatrino di parlamentare e gli Outriders vengono scaricati a frotte, mi volto a guardarmi attorno prima di partire alla carica e accanto a me c’è James.
Io e la speranza non siamo mai andate d’accordo, penso sia solo il tentativo di esorcizzare il futuro che ci preoccupa, quindi non spero in un avvenire migliore, ma qui ed ora mi sento viva come non lo sono mai stata, senza più colpe, senza più dolore, senza più paura di restare delusa o sconfitta.
I nostri sguardi si incrociano, non c’è più tempo per nulla.
“Oggi siamo insieme.” mormoro.
“Fino alla fine del mondo” risponde.

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Capitolo 10
*** 8. New York. ***




Note: [What if] Facciamo finta che Natasha non è morta a Vormir mentre tutto il resto è rimasto inalterato, compresa la morte di Tony Stark e la decisione di Steve Rogers di fermarsi nel passato. La ragione fondamentale che mi ha “obbligata” a scrivere questa ultima one-shot non preventivata, è stata la soddisfazione di descrivere i due protagonisti finalmente felici, anche se a modo loro.


Winterwidow∞Incontri



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8. New York -2023- l’anno che non c’è.



Bucky alza gli occhi dal computer, se li sfrega massaggiandosi poi le tempie, intreccia le dita delle mani e si stiracchia le braccia, si alza e scosta le tende della finestra, fuori è scuro già da un pezzo e cade una pioggia scrosciante che ha cancellato quasi del tutto la nevicata della mattina; rimane assorto a guardare i fari delle auto incolonnate, la gente per strada nascosta dagli ombrelli, le luci dei negozi che si liquefano sull’asfalto bagnato.
Un fruscio lo fa trasalire, abbassa lo sguardo e incrocia gli occhi ambrati di Liho che lo fissa e poi con un balzo elastico raggiunge il davanzale e si siede susseguioso attratto dalle luci esterne.
“Sei preoccupato anche tu?” mormora Bucky e soprapensiero allunga la mano per una carezza, ricevendone in cambio una rapida zampata con le unghie sguainate, che gli lascia un segno rosso sulla mano.
“Liho sei un bastardo, fosse per me ti avrei già spedito fuori sotto la pioggia” impreca.
Liho lo guarda socchiudendo gli occhi, tranquillo come se non fosse successo nulla, poi si acciambella sul davanzale e lo ignora.
E’ in bagno a cercare un disinfettante, quando avverte rumore di chiavi nella serratuta dell’ingresso.
Non fa in tempo a precipitarsi fuori che sente la voce di lei e automaticamente si lascia sfuggire un sospiro di sollievo.
“Vieni qui piccolo mio, fatti coccolare un po’.”
Liho è saltato con un solo balzo giù dal davanzale e si sta sfregando contro le gambe della donna, ronfando sonoramente per essere preso in braccio, cosa che avviene prontamente.
“Pensavo stessi dicendo a me” bofonchia Bucky, gustandosi lo spettacolo appoggiato allo stipite.
Natasha alza il naso dal pelo del gatto che tiene tra le braccia, scalciando le scarpe bagnate sul pavimento.
“Scemo.”
Dà un’ultima grattatina dietro le orecchie al felino che sembra il ritratto della beatitudine e poi lo depone delicatamente a terra.
“Ora tocca a te.”
Bucky si avvicina e la stringe tra le braccia.
“Come mai così tardi, mi hai fatto preoccupare.”
Natasha si sottrae all’abbraccio, fa un passo indietro e lo fronteggia con un sorriso indulgente a sfiorarle le labbra: “Sono solo le nove tesoro, non mi sembra il caso di preoccuparsi.”
“Sei uscita stamattina dicendo che saresti tornata presto, ti ho telefonato senza ricevere risposta, cazzo Nat che ci voleva a mandarmi almeno un messaggio.”
“Sai che non mi piace essere controllata.”
“Non ti sto controllando.”
“Ho bisogno di sentirmi libera, se sono in missione non posso pensare anche a te.”
“Eri in missione?”
“No, sono stata tutto il giorno alla New Avengers Facility.”
“Allora avresti potuto rispondermi.”
“Infatti, ma non l’ho fatto di proposito. Stiamo cercando di ricostruire gli Avengers, ci sono nuove reclute da allenare, ci sono nuovi nemici da combattere, questo è il nostro lavoro, il mio e forse anche il tuo, Sam mi ha detto che ci terrebbe a collaborare con te.”
“Sam? Ma se non mi può soffrire.”
Natasha ride di gusto: “Può anche essere, ma entrambi avete combattuto a fianco di Captain America e entrambi avevate la sua fiducia incondizionata e poi è lui ora ad avere lo scudo e tu hai giurato di combattere per quello che rappresenta. Steve sarebbe molto felice se sapesse che gli dai una mano.”
“Non ho mai combattuto per lo scudo.”
“Ah no? E per cosa allora?”
“Per Steve, per lui, per quel ragazzino che si alzava anche dopo averle prese di brutto e non si arrendeva mai. Gli ho promesso che gli avrei sempre guardato le spalle ed è quello che ho fatto, fino a quando mi è stato possibile.”
“Lo so e lo ha sempre saputo anche Steve, ma poi lui ha deciso in un altro modo e ora anche Sam ha bisogno di qualcuno che gli guardi le spalle, non credi?”
“Ci penserò, ma non era Sam il motivo per cui stavamo discutendo.”
“James tesoro, è proprio necessario che ti ricordi che ne io ne tu facciamo un lavoro normale, che non l’abbiamo mai fatto e non lo sapremmo neppure fare? Sono la Vedova Nera non solo Natalia, so cavarmela da sola, l’ho sempre fatto e non intendo smettere ora, solo perché tu ti preoccupi se non rispondo alle tue chiamate ogni momento; ti giuro che se mi troverò in pericolo sarai il primo che chiamerò.”
“Ok” Bucky abbozza un sorrisetto, “Scusa hai ragione, ma quando si tratta di te divento appensivo.”
“Lo so, lo stesso succede a me.”
Natasha con un passo azzera lo spazio che ha posto tra loro e lo bacia, mentre Liho si intrufola tra le loro gambe per cercare di staccare la sua Padrona da quel terzo incomodo, che si ostina a vivere con loro.
“Vado a fare una doccia, che ordiniamo per cena?”
“Pizza?”
“Ok, hai dato da mangiare a Liho?”
“Ha la ciotola piena di crocchette ma non ha mangiato nulla, stava aspettando te… Anche lui.”
Natasha sbuffa, si china, prende in braccio il gatto di razza siberiana e lo trasporta in cucina.
“Ti prego Liho non farmi sentire in colpa anche tu, c’è nè già uno che mi sta addosso.”
“Non ti sto addosso… Ti ho sentita” brontola Bucky dal divano.

I cartoni delle pizze sono ancora sul tavolo insieme alle bottiglie di birra, quando il telefonino di Natasha segnala l’arrivo d’un messaggio.
“E’ Clint” dice la donna dando una rapida occhiata, “Ci invita a passare qualche giorno da loro dopo Natale, che ne dici?”
“Per me va bene, ma sei tu la persona impegnata… Forse hai in programma qualche missione.”
Natasha gli lancia un’occhiata che non promette niente di buono: “Stai diventando insopportabile lo sai vero? Lo stai facendo apposta per rovinarmi la serata?”
“Ti ricordi cosa mi hai detto in Wakanda, prima della battaglia contro Thanos?”
“Più o meno, a cosa ti riferisci?”
“Al fatto che avresti voluto ritirarti a vita privata come Clint.”
“Era un momento particolare e poi tu mi hai risposto che non ero il tipo di andare in pensione o ricordo male?”
“Naturalmente ricordi benissimo, ma a volte penso che non sarebbe male comprare una casa in mezzo al nulla come ha fatto Barton e vivere in pace io e te.”
“Tu sei nato e cresciuto a Brooklyn James, non dureresti una settimana in mezzo al nulla e poi io e te non siamo come Clint e Laura.”
“E cosa ci manca?”
Natasha lo guarda fisso e il suo sguardo è freddo e vuoto come se in un attimo non fosse più lì ma di nuovo a Mosca, avvolta dalla neve gelata.
“Te lo devo proprio dire?” e la sua voce è tradita e fredda come lo sguardo, “A volte sei proprio un idiota.”
Bucky sbatte la mano di vibranio sul tavolo facendo vacillare pericolosamente le bottiglie di birra, poi chiude gli occhi e fa un respiro profondo imponendosi di mantenere la calma.
“Ok, se proprio ci tieni sono un idiota e ora mi spieghi qual è la differenza tra noi e i Barton?”
“La differenza è che loro hanno tre figli!” sbotta piena di rabbia e frustrazione, “Clint ha la responsabilità di una famiglia, ha tre ragazzi da crescere mentre noi ne ne avremo mai” prende un respiro alzandosi in piedi e ribaltando la sedia, “Vaffanculo James, ti devo ricordare cosa mi hanno fatto a Mosca per la mia festa di laurea?”*
A passi veloci va verso la finestra, scosta la tenda e finge di guardare fuori dando le spalle alla stanza.
Bucky si morsica il labbro, poi si avvicina lentamente, posa una mano sulla spalla di lei che con un gesto se la scrolla di dosso.
“Scusami, non ci ho pensato” silenzio, “Dai Nat non fare così.”
Natasha si volta e lo guarda quasi a sfidarlo: “Noi non potremo mai essere una famiglia, questo lo sai vero? Forse ne vorresti una, forse vorresti dei bambini.”
“Non ci ho mai pensato in realtà… Quando ero giovane l’unico problema che avevo era mettere insieme il pranzo con la cena e divertirmi il più possibile, poi c’è stata la guerra, poi sono morto… E per il Soldato direi che avere una famiglia era l’ultimo dei pensieri.”
“Ed ora?”
“Ed ora l’unica cosa che conta, dopo tutto quello che abbiamo passato, è che siamo insieme.”
“L’unica cosa che conta? Sei sicuro?”
Bucky annuisce: “Sì e hai ragione tu, sono un idiota.”
“Non lo sei, solo qualche volta ti comporti come se lo fossi.”
“Sono perdonato?”
“Solo se mi prometti che domani parlerai con Sam.”
“Questo si chiama ricatto, lo sai vero?”
“No nient’affatto, piuttosto un’opportunità di scelta che ti offro: o Sam o niente perdono.”
“Che vuol dire…”
“Che questa notte così come molte altre a venire tu dormirai sul divano.”
Bucky solleva gli occhi che teneva bassi e alza gli angoli delle labbra in quello che è l’inzio di un sorriso e Natasha si sente in pericolo perché sa che se lui la guarda e sorride in quel modo, lei non riuscirà mai a mantenere quello che ha appena minacciato di fare.
“Ok prometto di parlare con Sam e adesso vieni qui dai.”
Bucky lascia che il sorriso appena accennato si apra illuminandogli gli occhi, si avvicina e allarga le braccia e Natasha entra in quell’abbraccio che il più delle volte è la conclusione alle loro litigate.
Si spostano sul divano rinviando all’indomani di sistemare i resti della cena, fuori continua a piovere a giudicare dal rumore sui vetri, dentro “Moonlight Serenade” di Glenn Miller riempie la stanza, Natasha è seduta con “La spia che venne dal freddo” tra le mani.
“Com’è?” chiede Bucky alzandosi per cercare il pacchetto delle sigarette.
“Non male, sono solo all’inizio” alza gli occhi dal libro, “Mi hai promesso che avresti smesso…”
“Non è vero” Bucky si accende una sigaretta tornando a sedersi e distendendo le gambe sul tavolino.
“E allora fammi fare un tiro” Natasha allunga la mano e Bucky gliela cede, “Ehi non dirmi che ti sei fatto graffiare ancora da Liho?” esclama la donna con riprovazione, osservando il graffio che sta quasi scomparendo.
“Lo dici come se fosse colpa mia, guarda che non mi fa piacere essere graffiato da quello sporco traditore, volevo solo dargli una carezza, dalla prossima volta lo toccherò solo con il braccio sinistro, si spunterà gli artigli finalmente.”
Liho accoccolato sulla spalliera del divano, socchiude gli occhi e lancia un’occhiata sdegnosa a Bucky, poi emette un miagolio roco che sta a significare che accetta la sfida.
Bucky si sdraia con la testa sulle ginocchia della donna, la sigaretta tra le dita e il portacenere sul tappeto, mentre Natasha riapre il libro e si immerge nella lettura tenendolo con una mano, mentre con l’altra accarezza i capelli di Bucky.
“Se fai così fra dieci minuti mi addormento e…”
“E…”
“E avevo in mente di finire la serata in un altro modo.”
“Se ti addormenti ti sveglio io.”
“Ok… Io, te e Glenn Miller chi lo avrebbe mai detto” Bucky sospira soddisfatto.
“E Liho.”
“Già, Liho… Sarebbe stato tutto troppo perfetto.”
Natasha ridacchia, chiude il libro tenendo un dito come segnalibro e si abbassa a baciarlo.
“Sembra tutto un sogno anche a te Natalia?” bisbiglia a voce bassa Bucky, quasi per paura che tutto svanisca all’improvviso.
“Sì, anche a me James” risponde la donna allungandosi a prendere un plaid e tirandolo sulle gambe di Bucky.

FINE.

* Nel Programma Vedova nera, ogni ragazza deve rinunciare ad essere una persona per diventare un’arma. La famiglia e la maternità sono considerate delle mere distrazione, cose alle quali le reclute dovranno rinunciare, per questo la sterilizzazione fa parte della cerimonia del diploma di laurea della Red Room.

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