Shattered

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuovi arrivi ***
Capitolo 2: *** Al pub ***
Capitolo 3: *** Routine ***
Capitolo 4: *** Cappuccini e Film ***
Capitolo 5: *** Incidenti ***
Capitolo 6: *** Biblioteca ***
Capitolo 7: *** Cambiamenti ***



Capitolo 1
*** Nuovi arrivi ***


Playlist a cui mi sono ispirata per scrivere:
Shattered-Trading Yesterday; Lovely-Billie Eilish e Khalid.


Mr. Driscoll quella mattina uscì di casa come faceva ogni giorno per andare a lavorare. Si strinse nella giacca per il freddo e sospirò, una nuvoletta di condensa uscì dalla bocca semi aperta. Si voltò per chiudere a chiave la casa e poi si diresse vero la macchina, si mise al volante e si diresse verso l’ufficio. Aveva preso l’abitudine di fermarsi a comprare un cappuccino al bar che si trovava vicino al luogo di lavoro, entrò e un dolce tepore lo investì permettendogli di rilassare, solo momentaneamente le spalle che teneva perennemente contratte. Lui si giustificava che era per il freddo, ma in fondo sapeva che non era la vera ragione. Raggiunse il bancone e ordinò il solito cappuccino medio con una goccia di caramello. Quando la bevanda fu pronta la prese e si diresse in ufficio. Era un normale mercoledì mattina per mr. Driscoll.

La sveglia iniziò a squillare, il calduccio sotto le coperte era così accogliente che l’idea di uscire da lì sotto e passare in mezzo alla neve dell’Alaska non mi piaceva affatto, ma dovevo. Mi ero trasferita per l’ennesima volta, trovare lavoro era diventata routine ed ancora di più accettare la prima offerta decente. In quella città dispersa nei ghiacci dell’Alaska avevo avuto fortuna, un bar, una nota catena, cercava una cameriera ed io ero capitata giusto a pennello. Erano le 5.30 di mattina, mi vestii con jeans maglietta e felpa, presi il cappotto e la sciarpa e mi diressi alla macchina. Il volante era ghiacciato, ‘avrei dovuto comprare dei guanti’ pensai e misi in moto l’auto. In pochi minuti arrivai a destinazione e parcheggiai, il sole stava già illuminando il cielo, entrai nel locale dove il titolare stava già sistemando le sedie e i tavolini. “Buongiorno Elizabeth! Ben arrivata. Oggi mi aiuti a tenere gli ordini e pulire, va bene?” io annuii, non che mi aspettassi molto di più, ero sicura che non avrei avuto difficoltà nello scrivere le comande e pulire un paio di tavoli. Andai nel retro e misi il grembiule, attaccai l’etichetta con il mio nome e mi misi a riordinare con il proprietario. All’orario di apertura mi fece girare il cartellino sulla porta con la scritta ‘Open’ e mi misi in postazione dietro al bancone in attesa di clienti, immaginavo che ne sarebbero arrivati perché il locare era vicino alla zona industriale della città. La prima ad entrare fu una donna, ben vestita ed evidentemente una cliente abituale perché salutò il titolare e chiese ‘il solito’. Dopo di lei altri clienti, uomini e donne d’affari si alternarono senza sosta dalle 6.40 alle 9.00 di mattina, tutti molto simili ai miei occhi. Vestiti eleganti con la punta del naso rossa dal freddo e molta fretta di andare al lavoro, tutti tranne uno. Un ragazzo circa della mia età, vestito con un maglione a collo alto sotto la giacca. Aveva evidentemente freddo, tutti gli altri non sembravano toccati dal rigido clima dell’Alaska, abituati ad anni di neve e ghiaccio, ma lui no. “ehm… il nome, metti Driscoll” mi disse mentre segnavo il cappuccino al caramello e passavo l’ordine al titolare.

All’ora di pranzo le stesse persone si ripresentarono per comprare bagels o panini mentre altri ancora caffè. Sembravano conoscersi tutti, del resto si vedevano ogni giorno da anni e probabilmente anche fuori dal lavoro. Nel poco tempo passato ad Haines avevo capito che le cose da fare di svago erano davvero poche, a parte l’infinita possibilità di pupazzi di neve e ghiaccioli i punti di ritrovo erano pochi e non molto accoglienti. Poi entrò di nuovo Mr. Driscoll, ordinò un panino e si sedette lontano da tutti, notai che in volto aveva delle cicatrici, ormai perfettamente guarite, ma che lo rendevano molto diverso da tutti gli altri. Qualcosa di lui, ancora non avevo idea di cosa, mi attirava. Sembrava il classico ragazzo di buona famiglia, un figlio modello, eppure nessuno gli parlava, appariva spaventato dal contatto con le altre persone. Si tolse la giacca e si sedette in disparte a pranzare, non parlava con nessuno e non guardava il telefono come facevano tutti gli altri. “Driscoll è relativamente nuovo qui” mi disse il titolare in un momento di pausa mentre il locale era vuoto, “sì, è arrivato qualche mese fa, forse un anno adesso, ma nessuno sa molto su di lui. Ci auguriamo tutti che tu sia più amichevole!” disse dandomi una pacca sulla spalla mentre mi passava a fianco andando a fumare all’esterno.
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Fatemi sapere cosa ne pensate, è la prima Fanfiction che scrivo su Jesse e sono davvero interessata a sapere cosa ne pensate! Ogni commento costruttivo è super-ben-accetto ^*^

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Capitolo 2
*** Al pub ***


Jesse, ‘Mr. Driscoll’ si ripeté nella mente prima di entrare nell’ufficio. Tutti lo salutavano al suo passaggio e lui ricambiava imbarazzato mentre con il suo cappuccino si dirigeva alla scrivania. Passava ogni secondo della propria vita a temere di essere riconosciuto, che qualcuno vedesse un telegiornale e riconoscesse la sua faccia. Era passato più di un anno ormai da quella storia. Mr. White, Todd… un brivido gli corse lungo la spina dorsale, solo il pensiero del nome gli riportava alla mente fatti che avrebbe preferito dimenticare, ma le cicatrici in volto erano la sua firma e non sarebbe mai riuscito ad eliminarle. Le ore scivolarono lentamente, ma nessuno gli si avvicinò e questo rese il lavoro più semplice. Tutto quello che aveva passato lo aveva segnato e non solo sul viso, anche dentro, sentiva che qualcosa si era spezzato, ma sperava che presto o tardi tutto sarebbe tornato come prima. Aveva paura dei contatti diretti con le persone, temeva di essere anche solo sfiorato da qualcuno, ma cercava di andare avanti. A pranzo andò a mangiare come facevano tutti, ma preferì rimanere lontano, vedere la nuova ragazza al bancone lo agitò particolarmente, ‘Non può essere qui per me, non sono più Jesse Pinkman. Sono Aaron Driscoll, un normale cittadino americano che si è trasferito in cerca di lavoro.’ Notò che lei non sembrava particolarmente interessata ad avvicinarlo e si tranquillizzò. Tornato in ufficio fece passare le ore che mancavano per tornare a casa inserendo dati incomprensibili in tabelle ancora meno leggibili. Appena scoccarono le 17.00 prese la giacca, la infilò e uscì andando verso la macchina quando sentì qualcuno chiamarlo. Il terrore gli invase il cuore, era stato scoperto? Lo avevano riconosciuto?

“Mr. Driscoll, Mr. Driscoll, mi scusi!” cercai di chiamare, lui si fermò immobile e si voltò molto lentamente, aveva uno sguardo terrorizzato e gli occhi, che solo in quel momento notai essere azzurri, sbarrati e rivolti verso il basso. “Mi dispiace importunarla, ma la macchina non parte, lei è il primo che vedo uscire, può darmi una mano?” gli chiesi indicando la mia auto in mezzo al parcheggio. Lui annuì e si chiuse ancora di più nel cappotto quasi fosse uno scudo. Osservò un attimo il motore dopo aver aperto il cofano “Sarà l’antigelo, ne ho uno di scorta, glielo prendo se vuole”, lo ringraziai e lo osservai mentre si allontanava per prendere il liquido. Non era molto alto, ma sembrava tenersi in forma, anche se il maglione e la giacca sicuramente lo facevano apparire più grosso, quando tornò mi porse la bottiglia di antigelo ed io colsi l’occasione “Mr. Driscoll, questa sera verrà anche lei al Oak tree? Mi hanno detto che danno una festa”. Lui scosse la testa, non era tipo da feste, era evidente, ma speravo di poterlo conoscere meglio. Lo ringraziai per l’aiuto e gli promisi di ricomprargli l’antigelo il prima possibile. Se ne andò in fretta, stringendosi nella giacca e mi parve di vederlo tremare per un attimo. Io salii in auto e mi diressi verso il negozio vicino casa per fare la spesa e ricomprare il liquido per lo strano sconosciuto. Cenai abbastanza presto, il turno di lavoro iniziava la mattina e finiva nel tardo pomeriggio permettendomi di rilassarmi la sera e la paga era abbastanza buona così non avrei dovuto trovare un secondo lavoro serale. Ero stata invitata dal titolare, Mr. Foster ad una serata in un locale del centro cittadino, dove erano soliti riunirsi i lavoratori a fine giornata, speravo che mr. Driscoll venisse, ma ero ormai certa che non mi avrebbe mai parlato se non per ordinare il caffè. Dopo la doccia bollente non mi vestii troppo elegante, sostituii i jeans con dei pantaloni neri e indossai un maglione, mi misi in strada per arrivare all’orario concordato al locale che mi era stato indicato. Quando vi arrivai notai molti dei clienti della mattina appostati sul marciapiede con alcolici in mano a chiacchierare, mr. Foster mi venne incontro ed iniziò a presentarmi ad alcuni di loro che mi riconobbero, poi entrai e chiesi al barista una birra scura, avevo bisogno di alcol per scaldarmi in una serata simile, quando me la servì il mio datore di lavoro mi presentò anche a lui “La ragazza lavora da me, trattala bene mi raccomando!” e poi scherzando si rivolse a me “Stai attenta, ha spezzato più cuori che bicchieri da quando fa il barista!” ridemmo tutti insieme e io cercai di ambientarmi, ma erano tutti di diversi anni più grandi di me e non era facile trovare qualcosa di cui parlare, soprattutto perché tutti si conoscevano già. Mi guardai intorno alla ricerca di mr. Driscoll ma non lo vidi e non ci pensai più fino al mattino seguente.

Jesse era rincasato, si era chiuso la porta alle spalle, facendo bene attenzione che tutte le serrature fossero messe correttamente e si stese a letto prima di entrare in doccia. Doveva tranquillizzarsi, dopo un anno e mezzo nessuno si ricordava più di Jesse Pinkman, nessuno sarebbe mai venuto in Alaska a cercarlo. Le uniche persone che sapevano dell’Alaska erano morte. I pensieri iniziarono a vagare da Walt a Mike riportandogli alla mente ciò che cercava di dimenticare da mesi ormai… si mise sotto il getto d’acqua calda, aveva difficoltà a sopportarlo diretto così aveva trovato il modo di avere una sorta di pioggerella gentile, ma perfetta per non avere gli incubi. Infilò il pigiama e dopo una cena semplice si mise a leggere, aveva trovato conforto nei libri, leggere di paesi lontani, immaginare di essere una persona normale… no lui ora era normale. Faceva ancora fatica a dimenticare certe cose. Si addormentò pensando alla città di Petra in Giordania, di cui aveva appena letto.

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Capitolo 3
*** Routine ***


Tornai a casa dopo la serata al pub, facevo ancora fatica ad assegnare un nome ad ogni volto, ma mi ripromisi di riuscirci entro un paio di settimane. Mi misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte sapendo che la sveglia avrebbe iniziato a suonare troppo presto e in poche ore sarei dovuta andare ad aprire il cafè. Cercai di addormentarmi, la tensione per il primo giorno di lavoro e l’alcol mi aiutarono a cadere in un sonno profondo, ma non ristoratore. Mi risvegliai con un forte mal di testa e nessuna voglia di uscire di casa, mi costrinsi ad alzarmi anche se pareva che le temperature esterne volessero invogliarmi a non farlo, misi la prima felpa che trovai e i pantaloni scuri della sera precedente. Mentre indossavo la giacca vidi sul mobile della cucina la bottiglia di antigelo da riportare a Mr… ‘come si chiamava?’. La presi ed uscii. Il ghiaccio aveva ricoperto la macchina ed io non avevo ancora comprato dei guanti, mi misi a grattarla mentre le dita diventavano sempre più rosse dal freddo e dallo sforzo. Quando parcheggiai davanti al cafè vidi il ragazzo che mi aveva aiutato già davanti al locale in attesa dell’aperture, guardai l’orologio: 6.20. Era in largo anticipo, uscii e lo raggiunsi tenendo in una mano l’antigelo e nell’altra le chiavi per aprire.

Jesse si svegliò sudato, l’ennesima notte difficile, ormai era abituato a non dormire, rivedeva scene del proprio passato, della buca, Todd, Gus e lui… mr. White. Si alzò velocemente e si mise sotto la doccia, mentre l’acqua calda gli scivolava addosso passò il rasoio sistemando la lieve ricrescita dei capelli. Aveva capito che cercare di resistere a quegli incubi peggiorava solo la situazione, chiuse il rubinetto e si asciugò, fare piccole azioni ripetitive gli dava un senso di sicurezza, per questo aveva accettato quel noioso lavoro di inserimento dati. Ogni giorno doveva avere la stessa ritualità. Prese la macchina e si diresse in ufficio, solo quando arrivò davanti al cafè notò che qualcosa non andava, osservò l’orologio digitale dallo schermo del telefono e vide che era troppo presto. Non poteva tornare a casa, avrebbe fatto tardi e i pensieri avrebbero preso il sopravvento, decise di aspettare mr. Foster per il cappuccino e berlo tranquillamente in attesa dell’orario di lavoro, ma quando vide arrivare la ragazza sentì il cuore saltare un battito. Sperava di non essere ancora ricercato, che Ed avesse parlato? Avesse rivelato dove si trovava? Lei lo salutò e lo ringraziò per l’aiuto del giorno precedente poi aprì le porte e lo invitò ad entrare.

“Prego, devo ancora sistemare i tavolini, ma potete sedervi dove preferite!” gli dissi, pareva agitato. Mi diressi nel retro per mettere il grembiule e quando tornai lo vidi seduto esattamente dove si era messo il giorno precedente “Se riesce ad aspettare qualche minuto, metto a posto qui e le preparo qualcosa”, non rispose, ma annuì. Si stava sfregando le mani non come qualcuno che ha freddo, ma come se avesse avuto fretta di andarsene, quasi tormentandosi le dita. Organizzai le sedute come avevo visto fare la mattina precedente e poi misi il cartello ‘aperto’, lui era già pronto a pagare “Un cappuccino medio con caramello” disse e mise i soldi contati sul bancone. Li presi e mi misi a preparare l’ordine, poi glielo porsi “Ecco Mr. Driscoll”, lui lo prese senza nemmeno guardarmi e se ne andò di fretta. Intanto che altri avventori, alcuni dei quali avevo conosciuto la sera precedente, facevano il loro ingresso salutandomi.

Aaron Driscoll uscì dal bar mentre una delle sue colleghe di lavoro salutava Elizabeth. Si diresse verso l’ufficio sorseggiando il cappuccino e notò che sulla tazza di plastica a fianco del suo cognome c’era segnata una faccina sorridente con un due punti e una parentesi tonda. Gli venne da sorridere guardando il disegnino, era da tanto che non riusciva a sorridere eppure una cosa così banale gli sollevò il morale per qualche istante. Subito dopo iniziò a temere nuovamente. Solo alcune ore dopo, mentre inseriva i dati sentì parlare altri dell’ufficio del disegno a fianco al nome, qualcuno aveva un fiorellino, altri una stellina, iniziò a tranquillizzarsi e all’ora di pranzo si diresse a comprare un bagel con meno angoscia nel cuore. Mentre Elizabeth gli scaldava il pasto nel tostapane la osservò, stava chiacchierando con un paio di colleghi dell’ufficio, capì che si erano conosciuti la sera precedente perché parlavano di drink e facevano battute che non capì. “Se vuoi noi ci andiamo anche questa sera” disse uno di loro, “Vengo solo se viene anche Mr. Driscoll” rispose lei porgendogli il piatto e cercando di guardarlo in viso con un lieve sorriso. Jesse iniziò a tremare, come poteva rispondere senza sembrare sospetto? Il cuore era a mille, sentiva che tutti aspettavano una risposta “Yeah…” rispose quasi senza rendersene conto con una voce così sottile che quando se ne accorse sperò di non essere stato udito. “Perfetto allora a questa sera, ma niente Manhattan on the rocks questa volta per me” disse ridendo lei e tornando a scaldare i panini di quelli in coda dietro di lui. Passò il resto della giornata concentrato sull’inserire i numeri nel database per non pensare che aveva appena accettato un invito ad uscire con quelle persone.

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Fatemi sapere se vi piace :)

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Capitolo 4
*** Cappuccini e Film ***


Ero riuscita a gestire la giornata alla perfezione anche senza il titolare, quando questi arrivò mi trovò intenta a pulire il pavimento dopo la chiusura del locale. Controllò gli ingredienti, la cassa e gli ordini, tutto era perfettamente segnato come mi aveva detto di fare. “Mi hanno detto che vai anche questa sera!” io feci un lieve movimento di testa e sorrisi “Sei anche riuscita a invitare Driscoll?”, io risi e lui con me. “Arrivi tu e riesci a convincerlo ad uscire, complimenti, ti avremo come sindaco in men che non si dica?” disse scherzoso, poi mi diede le informazioni sul mio turno per il giorno successivo e se ne andò con l’incasso. Erano tutti così sorpresi che il loro collega avesse accettato di venire, ma non capivo ancora perché. Sembrava molto timido, di certo qualcuno che non amava socializzare, ma era davvero così impossibile da avvicinare?

Aaron Driscoll si diresse alla macchina il più velocemente possibile, sentiva gli occhi di tutti addosso e le attenzioni non gli piacevano. Si chiuse nella giacca ed affrontò il freddo tenendo la testa bassa e le mani nelle tasche, arrivato alla macchina vi entrò con un movimento fluido e accese il riscaldamento. Mentre si sfregava le mani prima di metterle sul volante, che già sapeva essere freddo si ritrovò ad osservare il bar poco distante. Le luci erano ancora accese e dentro la ragazza impilava i tavolini e le sedie tutte da un lato, aveva qualcosa di familiare, ma temendo l’insorgere del passato distolse lo sguardo e partì. Tornato a casa controllò le serrature, le finestre e si mise sul divano del salotto, prese uno dei libri che aveva preso dalla biblioteca e iniziò a leggere. Paesi lontani, luoghi pieni di persone sconosciute che mai avrebbero potuto scoprire la sua identità, il suo passato. Se non avesse avuto le cicatrici sul viso forse anche lui avrebbe potuto fingere, fingere che non fosse mai successo nulla, fingere di stare bene, ma non era possibile. Guardò l’ora, appena capì che il momento di prendere una decisione era vicino una mano iniziò a tremargli, poi anche l’altra. Chiuse gli occhi, ma tutto peggiorò, rivide Gale, Jane e Andrea. I loro volti che lo fissavano, era colpa sua, se solo fosse stato capace di prendere la scelta giusta non avrebbe causato così tanto dolore. Dagli occhi chiusi iniziarono a uscire lacrime calde, sottili, che gli segnarono il volto. Una di queste gli finì sulle labbra e sentendo il sapore salato cercò di riprendersi. Ora aveva davanti un’altra scelta.

Chiusi la saracinesca e controllai di aver spento tutte le luci, quando ne fui certa controllai di aver dato sufficienti mandate alla serratura e me ne andai. Era ancora abbastanza presto, feci una deviazione verso la città e andai alla biblioteca, mi avevano detto che era ben fornita. Con i continui trasferimenti in cerca di lavoro mi ero abituata a viaggiare leggera e i libri erano troppo complicati da spostare. Mi trovai davanti ad un edificio in stile vittoriano, entrai e il calore del riscaldamento mi diede il benvenuto, la bibliotecaria mi venne incontro e dopo avermi aiutata con l’iscrizione per la tessera mi accompagnò nel reparto di saggistica che le avevo richiesto: Cinema. Presi alcuni volumi e li osservai, erano in buono stato e le firme di chi li aveva presi in prestito erano poche. Ne scelsi due, uno sulla storia del cinema ed uno sul genere hard-boiled, segnai i titoli sulla scheda che porsi alla signora dietro il bancone e tornai a casa. Mi era venuta voglia di non andare al pub quella sera, stare al caldo e leggere, ma avendo invitato io stessa Mr. Driscoll non potevo non presentarmi, sempre che fosse venuto. Non nutrivo molta speranza nonostante avesse detto di si non sembrava così convinto e sentendo parlare gli altri di come non si fosse mai andato non avevo molte speranze. Cenai, mi vestii ed andai, solo a metà del tragitto mi resi conto che stavo pensando a lui e che gli abiti scelti non li avevo presi dall’armadio per un mio gusto, ma ragionando che avrebbe potuto esserci lui.

Jesse si cambiò, si tolse gli abiti che aveva indossato al lavoro, per un attimo l’idea di accettare davvero la proposta lo aveva sfiorato, ma aveva cambiato idea, feriva chiunque gli si avvicinasse e non voleva che accadesse di nuovo. Afferrò il pigiama che aveva lasciato in bagno prima della doccia e cenò tenendo la televisione accesa, le notizie scorrevano sullo schermo, ma non riusciva a prestare attenzione a nulla. Mise il piatto sporco nel lavandino e lo lavò velocemente, si asciugò le mani e si infilò sotto le coperte. Iniziò a fissare il soffitto, un flash della gabbia gli apparve davanti, chiuse gli occhi e la visione della gabbia si intensificò, vide il telo, il vento che lo muoveva. Todd. Si alzò ed iniziò a camminare avanti e indietro a fianco del letto, si sedette sul materasso e prese il libro su Petra, iniziò a rileggere la storia della città intagliata nella pietra che era riuscita a rimanere nascosta per cinque secoli. Si addormentò con il dito a tenere il segno e la luce accesa.

Mr. Driscoll non si presentò quella sera, non ne rimasi particolarmente sorpresa anche se in fondo speravo passasse, ma era evidente che non gli piaceva socializzare. La serata fu simile a quella precedente, ma tornai a casa prima, volevo leggere uno dei nuovi libri presi in prestito. Mi misi al tavolo di legno nel centro della stanza da pranzo ed iniziai a leggere tenendo a fianco una tazza di tisana calda, il libro sul genere crime nel cinema era interessante, lessi la prefazione e poi notai che c’era un inserto di immagini così mi misi a sfogliarle, molti film in bianco e nero non li avevo mai visti, ma una foto colpì la mia attenzione: Leonardo DiCaprio in The Departed. Sul braccio dell’attore c’era un tatuaggio, un segno che ero certa di aver visto proprio il giorno precedente, uno scorpione nero stilizzato. Finii di sorseggiare la tisana e chiusi il libro, non riuscivo a smettere di pensare ‘Dove? Dove posso averlo visto?’ e con queste domande mi addormentai. Quando la sveglia suonò la voglia di andare al bar era estremamente bassa, mi alzai contro voglia e dopo una veloce doccia mi preparai ad uscire, ma decisi di portarmi il libro sui film polizieschi, magari in qualche pausa o memento libero avrei potuto continuarlo. Preparai il locale, sistemai le sedie e mi misi dietro il bancone ad attendere i primi avventori. Mr. Driscoll fu il primo, prese il solito cappuccino con caramello e quando mi porse i soldi lo vidi. Ecco dove! Lo stesso tatuaggio del film era in bella vista sul suo polso, lo vidi e sorrisi ripensando a quello che avevo letto poche ore prima. Disegnai la faccina a fianco del suo nome sul contenitore e glielo consegnai.

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Capitolo 5
*** Incidenti ***


“Mi piacerebbe che venissi anche tu”, un lieve tremolio si insinuò nella proposta, ma finsi di non accorgermene mentre mi avvicinavo e tornavo a guardare il libro di cui stavamo parlando. Il cuore a mille, mi faceva paura, ma allo stesso tempo mi sembrava così spaventato a sua volta. Ero riuscita ad incrociare il suo sguardo solo un attimo prima che lo riabbassasse. “Sono Aaron, Mr. Driscoll è mio… mio padre, comunque” mi disse passandomi il libro ed alzandosi per tornare al lavoro “Elizabeth, piacere.” Risposi sorridendo. La giornata continuò come sempre, tornai a casa, cenai e mi addormentai.

La notte fu piena di incubi, sangue, meth, Jane. Jesse fece fatica a dormire, più del solito. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva qualcuno che aveva sofferto a causa sua, aveva giurato che tutto quello sarebbe finito, ma ogni ora tornava a tormentarlo. Aveva ucciso, aveva spacciato, era stato la causa della morte di tutti quelli a cui teneva davvero. Il giorno successivo passò, notò che Elizabeth gli aveva disegnato nuovamente la faccina sorridente a fianco del nome Aaron. Sentiva un’emozione nuova nascergli in petto, una sorta di calore in mezzo al ghiaccio dell’Alaska, qualcosa che era convinto di non poter più provare. Doveva però dare una risposta e questa gli sarebbe costata molto: andare o meno al pub quella sera? Elizabeth sembrava a proprio agio mentre parlava con gli avventori del bar, si era trovato ad osservarla già diverse volte in pochi minuti, non voleva avvicinarsi, il timore che il passato potesse tornare lo frenava, iniziò a tremare, si sfregava le mani guardando verso il basso e cercando di prendere una decisione. Aveva paura di scoprirsi il mostro che aveva a lungo cercato di soffocare, che non fosse stata colpa della situazione in cui era finito seguendo Mr. White, ma di essere davvero l’assassino spietato che si era rivelato. Un viso nuovo si fece strada nei suoi pensieri, era tanto che non pensava a lui, rivide le lunghe ore in macchina, l’ultima conversazione. Mike, era stato uno dei pochi a credere davvero in lui, a sperare che si rifacesse una vita, era lì in Alaska sotto suo consiglio, eppure aveva quasi dimenticato che c’era stato anche lui in mezzo a tutto quello che aveva vissuto. Per una volta non pensò a quanto dolore aveva causato e ripensò a cosa Mike gli avrebbe detto in quella situazione e si ripromise di aderirvi.

Stavo sistemando la saracinesca quando sentii dei passi dietro di me “Senti… per questa sera… non so dove o a che ora.” Mi girai e vidi Aaron davanti a me, stretto per il freddo dentro la giacca, che fissava il marciapiede. Gli ripetei ciò che era stato detto a me il primo giorno per arrivare al pub e ci salutammo. Non mi aspettavo che venisse davvero, ero stupita e sentii un lieve sorriso sul mio viso, avrei avuto modo di conoscerlo meglio forse e capire cosa fosse successo l’altro giorno. Arrivata a casa feci una doccia bollente, mi lavai i capelli e li asciugai e li resi ricci con il ferro caldo, si erano allungati parecchio dall’ultima volta erano ben oltre le spalle ora. Cenai e mi vestii cercando di essere adatta al pub, ma anche elegante, mi truccai leggermente più del solito, normalmente bastava una semplice linea di eyeliner, ma decisi di mettere anche l’ombretto. Uscii di casa e mi diressi al pub. Trovai alcuni già fuori con delle bevande in mano, entrai e tolsi la giacca e mi sedetti ad un tavolino con un’altra ragazza che avevo conosciuto, Annie. “Ti piace lavorare al bar? Hai dei turni pesanti?” mi chiese e in quel momento Mr. Emerson, il barista, arrivò portandomi una birra “Offre la casa!” risi e lo ringraziai e ripresi a parlare con Annie quando lei si bloccò, sul viso aveva l’espressione di chi ha appena visto un fantasma e in tutto il locale il chiacchiericcio si trasformò in un sottile mormorio. Mi voltai e vidi Aaron sulla porta, per una volta lo sguardo non era rivolto a terra, ma si guardava attorno e fu quando incrociò il mio che si mosse e ci raggiunse. Era chiaramente a disagio.

Jesse entrò nel pub superando alcuni colleghi che lo salutarono prima di iniziare a bisbigliare, entrò e sentì lo sguardo di tutti addosso, non gli piaceva quella situazione. Iniziò a cercarla in mezzo a tutta quella gente e la trovò seduta ad un tavolo leggermente defilato con una collega, aveva qualcosa di diverso. Faceva quasi fatica a riconoscerla, i capelli mossi e il trucca la facevano spiccare in mezzo al grigio che sentiva attorno. Sospirò e le si avvicinò, lei si alzò e lo aiutò a trovare una sedia così che potessero sedersi vicini. “Sai Annie, anche ad Aaron piacciono i polizieschi, ne parlavamo giusto l’altro giorno”, disse cercando di intavolare una conversazione, ma lui non si sentiva in vena di parlare, era già troppo essere riuscito ad arrivare lì e non tornare indietro a metà del tragitto. Annie venne chiamata poco dopo ad un altro tavolo e se ne andò. Sia Jesse che Elizabeth sentivano gli sguardi di tutti puntati, ma cercarono di non farci caso. “Sai… sto leggendo… un libro anche… anche io” disse lui provando a suonare sicuro senza riuscirci, era come se la voce volesse tradirlo davanti a lei. Elizabeth lo stava guardando come a chiedere di continuare a parlare, ma Jesse temeva di essere fastidioso, la mano destra iniziò a tremare, gli incubi erano tornati. Andrea, Jane, Brock.

Lo stavo guardando e notai che qualcosa non andava. Gli proposi di uscire, toglierci dalle pressioni sociali dei colleghi di lavoro, finii la birra e presi la giacca. Lui si alzò e mi seguì fuori dal locale, ci allontanammo camminando distanziati, come a sottolineare l’indipendenza l’uno dall’altra. “Mi dispiace, non credo di potercela fare” mi disse dopo qualche metro e se ne andò senza dire altro, salì in macchina e partì. Io tornai sola al locale, salutai un paio di persone e mi diressi verso la mia auto. Non era molto tardi, ma il freddo aveva ghiacciato le strade, non ero abituata a guidare in quelle condizioni. Quando svoltai sulla via principale per arrivare alla mia abitazione il veicolo sbandò, non riuscii a tenere il volante e dall’altro lato della strada un altro mezzo mi colpì lievemente facendomi andare fuori strada. La testa mi girava, le luci dei fari erano puntati nei miei occhi e facevo fatica a tenerli aperti. Qualcuno aprì la portiera del passeggero, sentii in lontananza parlare ed in fine il buio.

Jesse sentiva la paura crescere, il terrore di sbagliare, di rovinare tutto di nuovo. Aveva trovato qualcuno gentile con cui sapeva si sarebbe potuto aprire, parlare. Stavano camminando quando l’istinto gli disse di scappare, andare lontano per salvarla, almeno lei. Non voleva sporcarsi le mani di altro sangue. La salutò e partì in macchina, non voleva tornare a casa, sentiva di essere in una città sconosciuta, piena di gente sconosciuta. Iniziò a vagare senza meta cercando di tranquillizzarsi e riscaldarsi, stava imboccando una curva quando la vide in macchina. Forse era di ritorno dal pub, forse andandosene così di fretta le aveva comunque rovinato la serata ‘Meglio una serata che la vita’ si disse e decise di proseguire e seguirla, magari si sarebbe presentato a casa per scusarsi… non era la cosa giusta da fare, più le stava lontano meglio era. Stava giusto pensando si cambiare strada quando vide l’incidente. Accostò e senza ragionare corse ad aiutarla, aveva gli occhi aperti quando aprì la portiera e la vide perdere i sensi lentamente, non sembrava essersi accorta di lui, la tirò fuori dalla vettura e la osservò. Aveva una lieve ferita sulla fronte, forse aveva sbattuto contro il volante, le tenne la testa sollevata e cercò di tamponare lievemente il taglio mentre qualcun altro allarmato dall’incidente si era avvicinato cercando di aiutare. “La conosco, non preoccupatevi, la aiuto io.” Disse Jesse caricandola sui sedili posteriori della sua macchina. Si assicurò che il veicolo di lei fosse fuori dalla strada così da non intralciare il traffico, prese la borsetta e si diresse all’ospedale, sentiva gli occhi riempirsi di lacrime, ma cercò di trattenersi senza grande successo. ‘A chiunque mi avvicino succede il peggio’ continuava a ripetersi mentre controllava se la ragazza riprendeva i sensi lungo la strada, parcheggiò vicino all’ingresso del pronto soccorso, la prese tra le braccia e la portò dentro. Non entrava in un ospedale da tanto, aveva solo terribili ricordi lungo quei corridoi, ma si fece forza, doveva rimediare al suo ennesimo errore. Lo aiutarono e portarono Elizabeth a fare accertamenti mentre lui diede il proprio numero come contatto e si allontanò dalla struttura.

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Capitolo 6
*** Biblioteca ***


Mi svegliai in una stanza illuminata, sentii un lieve prurito al braccio e quando osservai l’origine del fastidio vidi un ago infilato nella pelle, la paura mi pervase e cercai di alzarmi. In quel momento entrò un’infermiera “Ah sei sveglia, bene!” non capivo, mi sentivo confusa. “Hai avuto un lieve incidente, nulla di cui preoccuparsi però. Il tuo ragazzo ti ha portata subito qui, tranquilla non hai niente da temere” disse sorridendo. Ero ancora più confusa, ricordavo di aver sbattuto la testa però non ricordavo nessun fidanzato. Lei aprì leggermente la porta della stanza e indicando una figura accovacciata su una poltrona d’attesa disse “sono un paio di ore che aspetta qui ed è crollato dal sonno, lo sveglio?”, cercai di guardare meglio e riconobbi Aaron chiuso nella sua giacca addormentato. Le dissi di lasciarlo dormire così lei annuì e mi si avvicinò per fare dei semplici controlli di routine. Terminata la visita si allontanò ed io iniziai a guardarmi attorno, ero in una camera singola con le luci accese, attorno a me tutto sembrava freddo, forse un effetto del neon. Il mio sguardo si posò distrattamente sul comodino, vidi la mia borsetta, era aperta e a fianco quello che sembrava un libro, tesi la mano per prenderlo. Capii che non era quello che inizialmente mi era parso, ma un dvd, osservai meglio ‘The Departed. Un film di Martin Scorsese’. Era ancora incartato, ma non ricordavo di averlo comprato, che la botta in testa avesse effettivamente avuto delle ripercussioni? Avevo ancora in mano la custodia quando vidi Aaron muoversi e svegliarsi, non doveva essere comodo dormire su una sedia di un ospedale. Notò che la mia porta era aperta e mi guardò, cercai di abbozzare un sorriso e lui rispose con un lieve movimento delle labbra tornando serio subito dopo.

Jesse era uscito di corsa dall’ospedale, salito in macchina notò che stava ancora tremando, appoggiò i gomiti sul volante e si coprì la nuca con le mani mentre sentiva paura e tristezza prendere il sopravvento. Si impose di non piangere e così fece, accese il veicolo e tornò all’auto di Elizabeth, aveva preso le chiavi quando l’aveva soccorsa e decise di parcheggiarla vicino a casa sua in modo che non dovesse camminare a lungo per recuperarla. Mentre sedeva al posto di guida i sensi di colpa continuarono ad aumentare finchè non prese una decisione, le avrebbe regalato qualcosa, qualcosa che fosse il suo biglietto d’addio. Posteggiò e torno a recuperare la propria auto e guidò fino ad un negozio 24/7, entrò, non sapeva cosa comprare. Stava girando le corsie con il cellulare in mano temendo di ricevere una chiamata dall’ospedale, stava guardando lo schermo quando si fermò davanti ad un piccolo espositore e alzò lo sguardo, davanti a lui ‘The Departed’, il dvd. Sorrise leggermente ripensando alla mattina in cui ne avevano parlato e decise, sarebbe stato il suo modo per dirle addio. Rimase in ospedale in attesa di sapere come stava, se sarebbe sopravvissuta, i medici gli dissero che era una semplice ferita superficiale e che Elizabeth non era in pericolo di vita, ma non riusciva a crederci. Quando la vide sveglia si sentì sollevato, lei gli stava sorridendo, il suo primo istinto fu quello di ricambiare, ma cambiò idea, ora stava bene, doveva sparire dalla sua vita per sempre. Si alzò e se ne andò sperando di renderle la vita più facile.

Lo guardai voltarmi le spalle a andarsene, non capii il perché, ma la stanchezza si fece sentire molto presto e mi addormentai tenendo in mano il dvd. Quando mi svegliai l’infermiera della notte precedente era in stanza con dei fogli in mano “Sei pronta a tornare a casa, ti serve una mano a vestirti?” feci di no con la testa e mi preparai, firmai ed uscii dall’ospedale. Mi guardai attorno, non ricordavo come ci fossi arrivata, sicuramente non avevo guidato. Cercai comunque la macchina, le chiavi erano nella borsetta, ma non la trovai, provai a chiamare Annie, ma aveva il telefono spento, era sabato mattina e probabilmente stava ancora dormendo. Mi diressi a piedi verso casa, ricordavo che era abbastanza vicina al pronto soccorso, impiegai quasi un’ora ad arrivare, ma fu una passeggiata piacevole nonostante il ghiaccio. Trovai la mia macchina davanti a casa, non ricordavo di averla parcheggiata lì, ma entrai convinta di avere qualche vuoto di memoria a causa della botta. Feci una doccia, mi misi il pigiama e mi misi a letto, volevo dimenticare lo sguardo che avevo visto sul viso di Aaron quando si era accorto che ero sveglia. Non riuscii a dormire così mi misi a leggere, finii il primo libro, pranzai con gli avanzi della cena della sera precedente. A metà pomeriggio decisi di tornare in biblioteca, controllai l’orario sulla tessera, mi vestii ed andai a restituire il volume e prenderne in prestito un terzo, entrai nel palazzo vittoriano e salutai la bibliotecaria. Lei si accorse della ferita così rimasi a parlare qualche minuto dell’accaduto, nel frattempo altre persone erano entrate in biblioteca senza salutare, non ci prestammo molta attenzione. Mi diressi nella sezione cinema come la prima volta, girai attorno ad uno scaffale e mi trovai davanti ad Aaron, aveva il viso stravolto, sembrava terrorizzato.

Jesse non aveva dormito tutta notte, sentiva il senso di colpa addosso, era come avere una pistola puntata alla testa e lui sapeva benissimo cosa si provasse. Aveva tentato di distrarsi, aveva camminato, aveva letto i libri sui paesi lontani che fino a quel momento erano riusciti a calmarlo, ma non aveva funzionato. Si dimenticò di mangiare e andò fino alla biblioteca. Quando si ritrovò davanti a Elizabeth sentì il cuore perdere un battito, non sapeva cosa fare, era immobilizzato, voleva parlare, ma non voleva rovinare tutto di nuovo, si girò fece per andarsene, ma si fermò. “S… Stai bene adesso?” le chiese abbassando la testa e stingendo gli occhi per un secondo prima di voltarsi verso di lei, la osservò evitando di incrociare lo sguardo. C’era qualcosa nel volto di lei che pareva diverso, notò che la ferita si stava già chiudendo, ma non era un dolore fisico quello che le velava il viso. ‘Bravo… hai rovinato tutto di nuovo…’ si disse mentre lei rispondeva e tornava a sorridergli, ‘No… forse no…’ pensò. Era la prima volta che un pensiero simile si insinuava nel monologo interiore che gli ricordava costantemente che cosa avesse fatto passare a chi gli voleva bene. “Hai già visto il film?”

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Capitolo 7
*** Cambiamenti ***


Stavo cercando un titolo interessante tra i libri davanti a me quando sentii la sua domanda, un lieve brivido mi percorse la schiena. Non sapevo cosa rispondere, volevo dire la verità, ma allo stesso tempo ero ancora spaventata da quella figura. Lo osservai con la coda dell’occhio prima di rispondere, aveva infilato le mani nelle tasche della giacca, la postura era cambiata. Ero abituata a vederlo con la schiena perfettamente dritta, mentre ora era leggermente incurvato, come se si fosse chiuso su sé stesso, sembrava un riccio che cerca di proteggersi. Afferrai un libro e mi voltai, “No, non ancora…” gli risposi, non riuscendo minimamente ad immaginare quale sarebbe stata la reazione. Finsi di sfogliare il volume che avevo tra le mani mentre lui era ancora lì, davanti a me, fermo senza parlare o cercare qualcosa da leggere.

“Non ero mai venuto in questa sezione” le disse Jesse, cercando di non sembrare ancora più imbarazzato di quanto già non lo fosse. “Si… di solito leggo… leggo altri libri” cercò di continuare e la osservò, lei annuiva, lo stava ascoltando, ma non lo guardava. Che avesse paura di lui? In effetti avrebbe dovuto, ma non poteva saperlo. Sarebbe stata la sua ennesima vittima? Tentò di superare quel pensiero e tornò a guardarla, gli occhi ambrati di lei si fissarono in quelli di ghiaccio di lui. Jesse sorrise e prese coraggio “Vuoi vederlo da me il film? Sai potremmo… potremmo prendere delle pizze e …” si fermò. Il cuore in gola. Ripensò ad Andrea, a Jane a come entrambe avevano sofferto a causa sua e tutto era iniziato così. Era sul punto di ritirare la proposta con una scusa stupida quando lei accettò, non aveva davvero vagliato la possibilità che lei dicesse di si e ne rimase sorpreso, un lieve sorriso si fece strada sulle sue labbra, ma lo soppresse presto tornando a fissare il pavimento. “Quali libri stavi dicendo che leggi di solito?” gli chiese lei, dimostrando che aveva ascoltato tutto ciò che aveva detto. “Si… ecco… ehm… libri… libri di viaggi” le rispose, incerto se fosse una cosa di cui vantarsi o di cui vergognarsi, e le indicò la sezione non molto lontana da dove si trovavano.

Scelsi il nuovo libro da leggere e mi diressi dalla bibliotecaria per segnare il prestito e lo vidi seguirmi, ero felice della proposta, di vedere il film, magari avrei davvero conosciuto qualcuno in quella fredda città dell’Alaska. Mi voltai e chiesi per che ore avrei potuto raggiungerlo per il film e dove si trovava la casa. Stavo firmando sul foglietto della biblioteca mentre lui prese un post-it dalla scrivania e mi segnò le informazioni per raggiungere l’abitazione e se ne andò come se avesse avuto paura di salutare. Lo osservai scomparire dietro le porte del palazzo, presi il biglietto ed ero sul punto di andarmene quando la bibliotecaria mi avvicinò. “Sai, non ha mai parlato con nessuno da quando è arrivato, credo siano quasi due anni da quando è qui. Conoscerlo sembrava un’impresa impossibile, non si faceva avvicinare, era peggio di un animale selvatico” disse ed aggiunse “Stai attenta” prima di allontanarsi sistemandosi gli occhiali sul naso. Se Aaron aveva deciso di aprirsi con me non lo avevo certo scelto io, avevo solo provato ad essere gentile con tutti, forse nessuno lo era stato abbastanza con lui. Trasferirsi in Alaska non era una scelta facile, cambiare completamente abitudine, rifarsi una vita in una terra fredda e ghiacciata, io c’ero capitata quasi per caso, ero alla ricerca di un lavoro e Mr. Foster mi aveva fatto un’ottima proposta ed ecco che mi ero trovata nel mezzo della neve, per poter avere un salario decente. Tornata a casa iniziai a prepararmi per la serata, sarebbe stata una cena informale con pizza e film, optai per dei jeans comodi ed un maglione viola, legai i capelli e misi un velo leggero di trucco. Pronta per partire, afferrai il dvd e mi misi in macchina cercando di seguire le indicazioni sul post-it.

Aaron osservò l’orologio, doveva essere veloce e preciso. Doveva ripulire da cima a fondo quella casa, cosa avrebbe pensato Elizabeth se l’avesse vista in quello stato? Era stato fin troppo attento alla facciata da ragazzo perfetto per avere le forze di tenere in ordine le stanze della piccola villetta a schiera in cui viveva. Partì dal salotto raccogliendo tutte le carte di snack e mozziconi di sigaretta ed azionando il robot aspirapolvere, cercò anche di lavare il pavimento, ma il successo fu scarso e decise di far passare più volte il piccolo robot, passò al bagno cercando di nascondere le pomate per le cicatrici, a volete era costretto ad usarle, gli tornava il dolore di tanto in tanto e non sapeva come poterlo contrastare. In fine fu il turno della camera da letto, era già stanco di fare le cose con cura così optò per nascondere vestiti e spazzatura sotto il letto, nessuno avrebbe guardato lì e si ripromise di sistemare il giorno successivo. Il cuore andava a mille, non sapeva cosa aspettarsi, la ragazza era stata fin troppo gentile con lui, era un mostro in fin dei conti, un omicida, eppure lei, non sapendo del suo passato gli si era avvicinata. Non cercava un’amicizia, era chiaro che il suo modo di essere gentile, le faccine sul caffè, l’interesse verso tutto ciò che le veniva detto, non erano rivolti solo a lui, ma Jesse si sentiva così vicino ad Elizabeth che perfino la sua mente, mentre sistemava la casa aveva smesso di parlare, seppure per poco. La voce nella sua testa era rimasta in silenzio, senza accusarlo di omicidi e violenze per un’ora. Era la prima volta, si accorse, che finalmente c’era il silenzio.

Parcheggiai davanti alla casa corrispondente all’indirizzo datomi, feci un respiro profondo e cercai di calmare il cuore che batteva forte in petto. Scesi stando attenta a non scivolare sul ghiaccio e arrivai davanti alla porta, da dentro sentii provenire della musica elettronica, non pensavo fosse il suo genere, ma il campanello riportava il nome Driscoll così mi rassicurai. Non avevo sbagliato strada. Suonai e la musica smise subito, dei passi si avvicinarono alla porta e quando si aprii trovai Aaron Driscoll vestito con un maglione dal collo alto, bianco e di ottima fattura che mi guardava con lieve sorriso. Mi fece accomodare nel salotto, il profumo di lavapavimenti era ancora nell’aria, aveva pulito casa per accogliermi, questo pensiero mi fece ridere, ma mi trattenni anche se lui si era allontanato per prendere due birre dal frigorifero. Mise due sottobicchieri sul tavolino da caffè in vetro davanti al divano in pelle su cui ero seduta e si mise al mio fianco mettendo sopra i due pezzi di sughero decorato le bottiglie. “Sarà meglio che ordini le pizze, come la vuoi?” mi chiese cercando di guardarmi negli occhi, ma senza riuscirci. Non capivo se avesse paura di me o si vergognasse di qualcosa, ma cercai di non darci troppo peso, alla fine ci conoscevamo solo da una settimana, una settimana molto movimentata. Aspettammo le pizze parlando di libri e film e poi facemmo partire The Departed, il silenzio che cadde nella stanza durante la visione, fu diverso, mentre chiacchieravamo era evidente una leggera tensione da parte di entrambi, la sottile paura di sbagliare qualcosa. Quel silenzio invece.

Il silenzio dentro e fuori Jesse fu per la prima volta per lui la dimostrazione che la sua testa gli mentiva, gli mentiva da due anni ormai. Grazie a delle parole gentili e un supporto inconsapevole Elizabeth era riuscita a portare un cambiamento nella sua mente, mentre vedevano il film tra una fetta di pizza ed un sorso di birra tutto sembrava nuovamente così normale. Così tranquillo che per poco più di un’ora Jesse si dimenticò di controllare la serratura della porta, di pensare a tutti i volti di chi aveva ferito. Finalmente era presente lì in quel momento e voleva dimostrarglielo, voleva far sapere ad Elizabeth che stava bene. Lei non sapeva niente di lui, eppure ci teneva davvero a farle capire di esserle riconoscente. Erano seduti vicini e Jesse con lento movimento della mano pose la propria, con il tatuaggio dello scorpione sopra quella della ragazza, lei di riflesso sorrise e lui senza accorgersene la imitò e si sentì bene. Si sentì davvero bene per la prima volta dopo tempo, senza droga, senza mr. White, in un mondo che finalmente iniziava ad apparirgli meno complesso e vide sé stesso, si vide in grado di superare tutto quello che aveva subito, fatto e con cui conviveva da troppo tempo. Non sarebbe stato facile, ma ora era certo di potercela fare, di poter migliorare.

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