We made these memories for ourselves.

di lapacechenonho
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Things you said when we were old (Le cose che hai detto quando eravamo anziani). ***
Capitolo 2: *** 2. Things you said when we first met (Le cose che hai detto la prima volta che ci incontrammo). ***
Capitolo 3: *** 3. Things you said when we were young (Le cose che hai detto quando eravamo giovani). ***
Capitolo 4: *** 4. Things you said with too many miles between us (Le cose che hai detto quando c'erano troppi chilometri di distanza tra noi due). ***
Capitolo 5: *** 5. Things you didn't say at all (Le cose che non hai detto affatto). ***
Capitolo 6: *** 6. Things you said that made me felt like shit (Le cose che hai detto che mi hanno fatto sentire uno schifo). ***
Capitolo 7: *** 7. Things you said after I told you who was my favorite group (Le cose che hai detto dopo che ti dissi chi era il mio gruppo preferito). ***
Capitolo 8: *** 8. Things you were afraid to say (Le cose che avevi paura di dire). ***
Capitolo 9: *** 9. Things you said after you fell in love (Le cose che hai detto dopo esserti innamorato). ***
Capitolo 10: *** 10. Things you said while holding my hand (Le cose che hai detto tenendomi per mano). ***
Capitolo 11: *** 11. Things you said after it was over (Le cose che hai detto dopo che era finita). ***
Capitolo 12: *** 12. Things you said when you were scared (Le cose che hai detto quando avevi paura). ***
Capitolo 13: *** 13. Things you said when I was crying (Le cose che hai detto mentre piangevo). ***
Capitolo 14: *** 14. Things you said I wouldn’t understand (Le cose che hai detto e che non avrei capito). ***
Capitolo 15: *** 15. Things you said in the spur of the moment (Le cose che hai detto nell’impeto del momento). ***
Capitolo 16: *** 16. Things you said when you were crying (Le cose che hai detto mentre stavi piangendo). ***
Capitolo 17: *** 17. Things you said under the stars and in the grass (Le cose che hai detto sotto le stelle, disteso sull’erba). ***
Capitolo 18: *** 18. Things you said before you kissed me (Le cose che hai detto prima che mi baciassi). ***
Capitolo 19: *** 19. Things you said in your sleep (Le cose che hai detto nel sonno). ***
Capitolo 20: *** 20. Things you said over the phone (Le cose che hai detto al telefono). ***
Capitolo 21: *** 21. Things you said after you kissed me (Le cose che hai detto dopo che mi hai baciato). ***
Capitolo 22: *** 22. Things you said at the back of the theatre (Le cose che hai detto sul retro del cinema). ***
Capitolo 23: *** 23. Things you said when you gave me my first present (Le cose che hai detto quando mi hai dato il primo regalo). ***
Capitolo 24: *** 24. Things youd said during our first Christmas together (Le cose che hai detto durante il nostro primo Natale passato insieme). ***
Capitolo 25: *** 25. Things you said while we were driving (Le cose che hai detto mentre stavi guidando). ***
Capitolo 26: *** 26.Things you said that I wish you hadn't (Le cose che hai detto e che vorrei non lo avessi fatto). ***
Capitolo 27: *** 27. Things you said with my lips on your neck (Le cose che hai detto con le mie labbra poggiate sul tuo collo). ***
Capitolo 28: *** 28. Things you said under your breath (Le cose che hai detto trattenendo il fiato). ***
Capitolo 29: *** 29. Things you said when you thought I was asleep (Le cose che hai detto quando pensavi che io stessi dormendo). ​ ***
Capitolo 30: *** 30. Things you said too quietly (Le cose che hai detto troppo a bassa voce). ***
Capitolo 31: *** 31. Things you said when you met my parents (Le cose che hai detto quando incontrasti i miei genitori). ***
Capitolo 32: *** 32. Things you said when you asked me to marry you (Le cose che hai detto quando mi chiedesti di sposarti). ***
Capitolo 33: *** 33. Things you said when se were the happiest we ever were (Le cose che hai detto quando eravamo più felici di quanto non fossimo mai stati). ***
Capitolo 34: *** 34. Things you said when you were drunk (Le cose che hai detto quando eri ubriaco). ***
Capitolo 35: *** 35. Things you said you loved about me (Le cose che hai detto di amare di me). ***
Capitolo 36: *** 36. Things you said you hated about me (Le cose che hai detto di odiare di me). ***
Capitolo 37: *** 37. Things you said as we danced in our socks (Le cose che hai detto mentre danzavamo). ***
Capitolo 38: *** 38. Things you said in a hotel room (Le cose che hai detto in una stanza d’hotel). ***
Capitolo 39: *** 39. Things you said on our honeymoon (Le cose che hai detto durante la nostra luna di miele). ***
Capitolo 40: *** 40. Things you said when we watched our first horror movie (Le cose che hai detto quando guardammo il nostro primo film horror). ***
Capitolo 41: *** 41. Things you said in the dark (Le cose che hai detto al buio). ***
Capitolo 42: *** 42. Things you said that I wasn’t meant to hear (Le cose che hai detto e che non avrei dovuto sentire). ***
Capitolo 43: *** 43. Things you said on New Year’s Eve (Le cose che hai detto a Capodanno). ***
Capitolo 44: *** 44. Things you said through teeth (Le cose che hai detto tra i denti). ***
Capitolo 45: *** 45. Things you said when you kissed me goodnight (Le cose che hai detto durante il bacio della buonanotte). ***
Capitolo 46: *** 46. Things you said at 1 am (Le cose che hai detto all’una di notte). ***
Capitolo 47: *** 47. Things you said you’ll never forget (Le cose che hai detto e che non dimenticherai mai). ***
Capitolo 48: *** 48. Things you said when no one else was around (Le cose che hai detto quando non c’era nessuno intorno a te). ***
Capitolo 49: *** 49. Things you said with no space between us (Le cose che hai detto quando non c’era spazio fra di noi). ***
Capitolo 50: *** 50. Things you said when we were on the top of the world (Le cose che hai detto quando eravamo sulla cima del mondo). ***
Capitolo 51: *** 51. Things you always meant to say but never got the chance (Le cose che avresti voluto dire ma non hai mai avuto l’occasione). ***



Capitolo 1
*** 1.Things you said when we were old (Le cose che hai detto quando eravamo anziani). ***


1- 038: Things you said when we were old (Le cose che hai detto quando eravamo anziani).
 
L’anziana coppia che abitava ormai quella casa da moltissimi anni, era seduta nella veranda che molto tempo addietro era stato uno degli elementi fondamentali per la scelta dell’abitazione. Per volere di lei, ovviamente, lui si sarebbe accontentato di vivere sotto un ponte purché al suo fianco ci fosse lei. Si godevano la brezza fresca di quel primo settembre, una data che nel tempo era stata un momento importante, e adesso riguardavano a tutti quei momenti con un pizzico di malinconia tipico degli anziani quando ripensano alla loro vita.
Sebbene l’età avanzata, la donna aveva ancora un portamento elegante, i capelli argentei che un tempo erano stati rosso fuoco, circondavano il suo viso che nonostante le rughe era ancora giovanile. Anche il marito stava piuttosto bene, anche lui aveva i capelli bianchi, ma gli occhi verdi attraverso le lenti degli occhiali tradivano ancora quella passione per la vita che l’aveva sempre contraddistinto. Adesso lui sonnecchiava sul dondolo mentre lei guardava la strada piena di giovani Babbani che rincasavano da scuola o passeggiavano prendendosi una pausa dallo studio universitario.
La mente tornò indietro a quando anche lei era così giovane e bella, non doveva preoccuparsi delle rughe, poteva correre in sella ad una scopa, cosa avrebbe dato per risentire almeno ancora una volta il vento sulla faccia, o che le scompigliava i capelli senza preoccuparsi degli acciacchi che avrebbe avuto entro qualche ora.
«Sei sempre bellissima». Il marito si era ridestato e stava guardando la moglie. Si erano detti quasi tutto nella vita, ormai riuscivano a capire i loro pensieri senza troppi giri di parole.
«Come fai a sapere cosa stavo pensando?» domandò lei girandosi verso di lui.
«Ti conosco da quando hai dieci anni, conosco il tuo cervello ormai» rispose lui alzando le spalle.
«Siamo presuntuosi, Potter». Erano passati tanti anni da quando si erano fidanzati e poi sposati ma quel dolce stuzzicarsi rimaneva ancora il loro modo di comunicare.
«Che ci vuoi fare, la fama mi ha cambiato» rispose divertito.
Anche lui si perse a guardare i passanti che trascorrevano quei pomeriggi d’estate ancora tiepidi, anche lui aveva un velo di nostalgia che gli copriva entrambi gli occhi. «Io sarò ancora bellissima – e non lo sono – ma tu sei ancora l’uomo che vorrei sposare» s’intromise lei nei suoi pensieri accarezzandolo dolcemente.
«Più invecchi più sei romantica, Ginny» osservò con un sorriso. Anche lei rise.
«Magari lo sono più del giorno del nostro matrimonio» commentò facendo sorridere Harry accanto a lei.
Aveva messo una mano su quella rugosa della moglie e continuava a guardarla con un sorriso allegro.
«Ne abbiamo passate tante, eh?» sospirò tornando a guardare la strada di fronte.
«Giusto un po’» acconsentì lui.
Rimasero in silenzio ognuno a contemplare ognuno un ricordo diverso, una sfaccettatura della loro storia, un momento particolare del loro percorso o della loro vita, la sofferenza, la guerra, l’attesa di lui, e la felicità quando si erano finalmente ritrovati. Ogni singolo parto, i primi bagnetti, i primi passi, le prime poppate, le nottate passate a calmare le coliche di James, o la magia involontaria di Lily che una volta aveva distrutto la teca con l’Ordine di Merlino, o quando Albus aveva messo una pozione dei Tiri Vispi Weasley trasformando il volto di James in quello di un maiale. E poi quando avevano iniziato a crescere, la primissima volta di nuovo al binario 9 e ¾ per James, fino a quando poi non era toccato al Albus e infine a Lily, poi – piano piano – avevano terminato gli studi, si erano creati una loro famiglia e la casa si era svuotata, lasciando Harry e Ginny a rimuginare su quella che era stata la loro vita.
«Il primo settembre» mormorò Harry guardando il cielo limpido. «Che data!» Ginny rise piano.
«Ti ricordi quando partivamo con la mia famiglia ed eravamo sempre in ritardo?» ridacchiò.
«Come potrei dimenticarlo!» esclamò. «Una volta sono pure arrivato ad Hogwarts con una macchina volante!» le ricordò.
«Che paura quella volta!» rispose di rimando. «La prima vera volta in cui ho avuto paura per Ron…» disse. «…e per te» aggiunse poco dopo.
«Ah, avevi paura per me?» chiese alzando un sopracciglio.
«Pronto? Ero Ginny Weasley, l’eterna ragazzina innamorata di Harry Potter!» lo fece riflettere. «Ti ricordi cos’altro è successo il primo settembre?»
«Sono successe tante cose il primo settembre…» rispose aggrottando le sopracciglia però con lo sguardo malandrino.
«E dai, smettila!» protestò lei fintamente offesa. Si appoggiò alla spalla di Harry che le cinse le spalle con il braccio, stringendola leggermente.
«Me lo ricordo che è stato il giorno in cui ci siamo incontrati» rispose lui serio, con la voce morbida ed un sorriso innamorato sul volto. «Posso chiederti una cosa?» domandò. Ginny annuì. «Come è stato il tuo ritorno a casa? Dopo che ci siamo incontrati, cosa hai detto, cosa hai fatto?»
L’anziana donna sorrise scostando una ciocca grigia dietro l’orecchio mentre i suoi occhi color cioccolato lentamente ritornavano a quel giorno di così tanti anni prima, dove lei aveva solo dieci anni ed il mondo sembrava ancora un posto bellissimo. 



 

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Capitolo 2
*** 2. Things you said when we first met (Le cose che hai detto la prima volta che ci incontrammo). ***


2- 027: Things you said when we first met (Le cose che hai detto la prima volta che ci incontrammo).
 
«Oh ti prego mamma, posso salire sul treno a vederlo?» aveva piagnucolato Ginny dopo aver scoperto a chi avevano appena dato una mano. Era quasi ossessionata da quel ragazzo con i capelli neri, gli occhi verdi e la cicatrice a forma di saetta. Quello che gli era successo era straordinario e Ginny era sempre stata attratta da tutto quello che non era perfettamente ordinario, il perfetto contrario di suo fratello Percy.
Quando poi i suoi fratelli erano andati via, si era messa a piangere, un po’ perché voleva andare ad Hogwarts, un po’ perché era così tanto abituata ad averli in giro per casa che sapeva che ne avrebbe sentito la mancanza. Anche una volta a casa era rimasta in silenzio.
«Vuoi che ti preparo una crostata alla melassa?» aveva chiesto la madre premurosa, non troppo contenta di vedere la figlia così giù.
«Io voglio andare ad Hogwarts!» aveva risposto lei decisa incrociando le braccia al petto con un labbro in fuori.
«Ma ci andrai l’anno prossimo» le rispose dolcemente. «Ogni cosa a suo tempo. Quest’anno tocca a Ron, l’anno prossimo a te».
Alla bambina però quelle parole non sembravano convincerla, per quanto fossero vere, le sembravano parole vuote e prive di senso. Molly sospirò vedendo che l’umore della bambina non cambiava.
«Perché non mi hai fatto vedere Harry?» domandò imbronciata.
«Tesoro, te l’ho già detto! È una persona non è un animale allo zoo!»
«Ma io voglio conoscerlo!» esclamò battendo i piedi per terra. I capelli rossi che prima erano perfettamente in ordine ora erano scompigliati e rendevano ancora più furente quella piccola bambina di dieci anni.
«Lo conoscerai! Ha la stessa età di Ron, l’anno prossimo andrete a scuola insieme» le fece osservare la madre che stava iniziando a spazientirsi.
Quando la madre pronunciò quella frase, però, Ginny smise di sentirsi arrabbiata e iniziò a vergognarsi. Insomma, lui era il grande Harry Potter e lei sono Ginny Weasley, l’ultima di sei fratelli. Non era poi così speciale.
Molly Weasley notò il repentino cambiamento nell’umore della figlia e allora lentamente la prese per mano e la condusse in cucina. Con la magia fece levitare le uova, il burro, la farina, la melassa e tutti gli altri ingredienti necessari fino al tavolo e guardò la bambina sorridendo. «Adesso facciamo una bella crostata alla melassa per quando torna a casa papà, che ne dici?» sebbene non fosse ancora del tutto dell’umore adatto, i suoi occhi si illuminarono. Lei adorava la crostata alla melassa di sua madre Molly, chissà se un giorno sarebbe stata capace di farla pure lei.
Ben presto la cucina divenne un vero e proprio campo di battaglia: avevano iniziato a lanciarsi un po’ di farina, all’inizio per sbaglio, poi si era trasformata in una vera e propria guerra. C’era melassa sparsa ovunque, Ginny ne aveva fin sopra ai capelli ma aveva riso così tanto che le faceva male la pancia.
Dopo aver fatto la torta, Molly l’aveva obbligata a fare una bella doccia e poi erano uscite a raccogliere un po’ di fiori nel giardino per metterli dentro casa riempendo così l’abitazione di quell’odore delicato che Ginny amava tanto.
All’ora di cena era esausta, le lacrime e la tristezza del mattino sembravano appartenere ad un’altra giornata e la soddisfazione per quelle ore appena trascorse riempivano il cuore di Ginny. Avrebbe voluto accomodarsi sul divano e chiudere gli occhi, tanto era stanca, ma voleva accogliere suo padre, e fargli assaggiare la crostata alla melassa che aveva preparato con tanta passione.
«Ciao famiglia!» esclamò il padre rientrando. Ginny saltò giù dalla sedia su cui era seduta e corse dal papà.
«Papà!» esclamò abbracciandolo. Il padre ricambiò l’abbraccio piegandosi per guardarla negli occhi.
«Che buon odorino che c’è, mamma ha fatto la crostata alla melassa?» domandò ispirando l’odore della Tana.
«Io e mamma l’abbiamo fatta. Vieni in cucina ad assaggiarla!» puntualizzò per poi prendere la mano del padre e trascinarlo in cucina dove c’era Molly indaffarata ai fornelli.
«Ciao Arthur caro» lo salutò avvicinandosi al marito abbracciandolo velocemente.
«Tutto bene con i ragazzi?» la mamma annuì, mentre Ginny spazientita dai discorsi degli adulti, staccava un pezzo di crostata alla melassa senza tanta grazia porgendola al padre. Arthur sorrise divertito e prese il primo piccolo morso del dolce che la figlia gli stava offrendo.
«Allora?» chiese impaziente. «Secondo te ad Harry piacerà?»
 
«Confermo che ad Harry è sempre piaciuta quella crostata» disse accarezzandole piano piano il braccio.
«Pensa quanti anni ci ho messo a fartela assaggiare!» lo pungolò Ginny ridendo.
Erano ancora sotto il portico della loro casa a Godric’s Hollow a guardare la gente condurre le loro vite ignari di due anziani che ripercorrevano quello che avevano vissuto. 
«Mentre raccontavi potrei aver provato invidia per tuo padre» ammise Harry divertito.
«Invidiavi una bambina petulante che ti chiede se la torta può piacere alla sua cotta?»
«Be’ quella bambina petulante è diventata mia moglie. Non era una bimba petulante, piuttosto lungimirante» concesse Harry facendo ridere di gusto Ginny.  «Ti ricordi cosa mi hai detto quella volta al mio secondo anno?» domandò la moglie ancora appoggiata alla spalla del marito.
«Eravamo troppo giovani perché io possa ricordare» rispose Ginny.«Però ricordamelo tu» gli disse.
Harry aggottò le sopracciglia tornando a quel momento avvenuto così tanti anni prima da non contarli più.

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Capitolo 3
*** 3. Things you said when we were young (Le cose che hai detto quando eravamo giovani). ***


3- 037: Things you said when we were young (Le cose che hai detto quando eravamo giovani).
 
Ginny Weasley era stata mandata in infermeria da Silente: riteneva che avesse bisogno di riposo. Anche Harry era d’accordo con lui, aveva vissuto un anno piuttosto pesante, per essere solo il suo primo anno. Poco più tardi, anche Harry venne mandato da Madama Chips per accertarsi che fosse davvero tutto intero e soprattutto per lasciarsi alle spalle quella notte così faticosa.
Tuttavia, una volta in infermeria non riuscì a prendere sonno.
La sua mente proiettava le immagini di ciò che aveva appena vissuto, gli sembrava tutto così strano, così oscuro. Chissà cosa aveva provato Ginny ad essere posseduta da Voldemort, se era stata perseguitata dagli incubi o se li avrebbe avuti dopo. Di sicuro lo avrebbe ricordato come il peggior anno della sua vita, Harry era pronto a scommetterci tutti galeoni che aveva alla Gringott.
La sorella di Ron dormiva tranquilla, di tanto in tanto si rigirava tra le lenzuola alla ricerca di una posizione più comoda, ma tornava a rilassarsi immediatamente sotto le carezze di Molly Weasley che non accennava a volersene andare.
Nel frattempo, anche i ragazzi pietrificati iniziarono a svegliarsi piano piano, prima Colin, poi Justin, Penelope e infine anche Hermione, che, dopo un primo momento di smarrimento, corse verso di lui.
«Harry! Tutto bene che ci fai in infermeria? Lo avete scoperto? Era un Basilisco…» cominciò senza manco prendere fiato un attimo.
«Hermione stai calma abbiamo risolto tutto» tagliò corto. Poi, lentamente, iniziò a spiegare anche a le tutta la storia, come aveva fatto poco prima nell’ufficio del Preside.
«Ginny ha aperto la Camera?» domandò incredula.
«Be’ non Ginny, Tom Riddle» specificò. Si sentiva in qualche modo responsabile di ciò che era accaduto a Ginny, forse era anche per questo che, mentre usciva dalla Camera dei Segreti, aveva evitato di dire a Ron chi fosse il reale artefice degli attentati.
«Poverina» mormorò guardando il letto dal lato opposto dove la più piccola dei Weasley ancora dormiva. Si accorse che i signori Weasley erano andati via, probabilmente a cercare Percy, Fred e George o semplicemente a fare un’abbondante colazione in Sala Grande. Ad essere onesti, anche Harry sentiva un po’ di fame, ma non ci badò più di tanto.
«Signorina Granger, vedo che si è ripresa piuttosto bene!» squittì con fare ammonitorio Madama Chips passando tra i letti.  Hermione sorrise leggermente imbarazzata. «Il signor Potter deve riposare. Ha già subito un interrogatorio dal Preside, non deve subirlo anche da lei. Deve recuperare energie!»
«Ma non mi sta facendo un interrogatorio!» protestò Harry in difesa dell’amica. Hermione però si era già alzata dal letto di Harry diretta al suo, che era dal lato opposto dell’Infermeria.
«Quando potremo uscire?» chiese con tono lamentoso.
«Non appena lo deciderò io, signor Potter» rispose lapidaria l’infermiera.
Deciso a non intraprendere più discussioni con nessuno, scivolo sotto le lenzuola del letto dell’Infermeria, tolse gli occhiali e chiuse gli occhi, provando ad allontanarsi dalla realtà, almeno per un paio di ore.
Stava giusto per cadere tra le braccia di Morfeo quando un leggero rumore di passi richiamò la sua attenzione. Avrebbe voluto aprire gli occhi per vedere chi fosse, ma decise che non ne valeva la pena: chiunque fosse la persona che si stava avvicinando avrebbe avuto l’accortezza di non svegliarlo. All’improvviso i passi si fermarono ed Harry continuò a fare finta di dormire. Poi una vocina piccolissima sussurrò: «Grazie Harry».
La voce era così bassa e così flebile che per un attimo gli parve di averlo sognato. Aprì gli occhi di scatto e vide la figura sfocata di Ginny Weasley tornare al suo letto di fronte. Sorrise e chiuse di nuovo gli occhi contento che non fosse un sogno.
 
«Per Merlino, tu hai sentito?!» domandò Ginny indignata spostando la testa dalla spalla di Harry per guardarlo dritto negli occhi. «Tu hai sentito e non mi hai detto niente per tutto questo tempo?» ripeté.
Harry sorrise divertito. «Non l’ho fatto a posta, l’ho dimenticato fino ad oggi» si giustificò alzando le spalle.
«L’hai dimenticato fino ad oggi» lo copiò riducendo gli occhi a due fessure. Harry continuava a ridere della situazione, era vero che non ci aveva fatto caso fino a quel giorno.
«Sai, stavo pensando una cosa» Ginny lo invitò a continuare. «È stata la prima volta che mi hai parlato senza che in mezzo ci fosse in mezzo qualcuno» rifletté a voce alta.
«L’ho fatto solo perché credevo che tu dormissi e invece non era vero. Ti sei preso gioco di me per tutti questi anni!» rincarò la dose. Questo però fece ancora più ridere Harry, ben presto raggiunto da Ginny. «Adesso tocca a te farmi una domanda» disse poi tornando seria.
Harry ci pensò un po’ su per poi guardarla dritta in quelle iridi nocciola che rimanevano il suo paesaggio preferito: «Quali sono le cose che hai detto quando c’erano troppi chilometri fra noi due, quando eravamo lontani?»
Ginny si portò l’indice ed il pollice a tenere il mento, fino a quando i suoi occhi non si illuminarono: «Ci sono!» esclamò.  
 
 

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Capitolo 4
*** 4. Things you said with too many miles between us (Le cose che hai detto quando c'erano troppi chilometri di distanza tra noi due). ***


4- 008: Things you said with too many miles between us (Le cose che hai detto quando c'erano troppi chilometri di distanza tra noi due).
 
Ginny si era ripresa in fretta dalla vicenda di Tom Riddle. Certo, qualcuno la guardava ancora come fosse un’aliena capace di pietrificare tutti, e talvolta di notte aveva ancora qualche incubo, ma in fondo se la cavava abbastanza bene. Così i suoi fratelli l’avevano lasciata in pace e nessuno le faceva più domande circa la sua salute o il suo sonno, insomma, era la stessa ragazzina di sempre che non si preoccupava più di tanto di quello che dicevano di lei. E proprio perché la ragazzina di sempre era tornata, il suo unico pensiero fisso era stato solo uno: Harry Potter.
Agli incubi di Tom Riddle, si alternavano sogni bellissimi in cui un Harry tredicenne chiedeva ad una Ginny dodicenne di sposarla, poi loro all’altare, e infine in una casa con tanti figli. Salvo poi svegliarsi e rendersi conto che niente di tutto ciò era successo, lei era sempre Ginny Weasley, Grifondoro del secondo anno e lui era sempre Harry Potter che aveva fatto molte più cose di lei (come fronteggiare Tu-Sai-Chi al primo anno o salvarle la vita al secondo anno), Grifondoro del terzo anno, che si trovava dal lato opposto della torre rispetto al suo.
Sospirò con fare melodrammatico sulla sua pergamena di Pozioni che Piton aveva ordinato di consegnare entro lunedì. Non aveva voglia di studiare Pozioni, voleva solo immaginare scenari che mai si sarebbero avverati che avevano come protagonisti lei ed Harry.
«Disturbo?» la voce di Hermione Granger interruppe i viaggi mentali che Ginny aveva appena iniziato.
«Veramente sì» disse infastidita. Ad essere onesti, si sentiva leggermente in colpa con Hermione e tutte le persone che il Basilisco aveva pietrificato. In fondo, se lei non avesse continuato a scrivere su un diario che risponde, la Camera dei Segreti sarebbe rimasta chiusa, il Basilisco non sarebbe stato liberato, nessuno sarebbe stato pietrificato e infine tutti avrebbero avuto un anno tranquillo, Ginny compresa.
Hermione ignorò totalmente il commento e si sedette di fronte a lei. «Pozioni» osservò guardando la pergamena di fronte a Ginny.
«Già, una noia mortale» rispose pensierosa.
«Ho visto che non parli con molta gente quest’anno…» cominciò la riccia e Ginny si incupì. Era vero che alcuni la guardavano spaventati, ma era anche vero che molti – la maggior parte – evitava addirittura di parlarle. Abbassò la testa, d’un tratto il saggio di Pozioni era diventato interessante. «Non badarci, non è stata colpa tua e anche se loro lo sanno, sono stupidi a non capirlo» cercò di consolarla.
«Non ci bado, infatti» rispose dura.
«Ma…?» la invitò a proseguire Hermione.
«Ma ogni tanto mi farebbe piacere avere qualcuno con cui parlare» ammise. «Un’amica, un amico, qualcuno che non sia un mio fratello» aggiunse.
Hermione sorrise, si guardò intorno e poi tornò con lo sguardo fisso sulla minore dei Weasley. «Bene, adesso io e te siamo amiche» dichiarò facendo strabuzzare gli occhi di Ginny.
«Amiche? Hermione, io ti ho…»
«Pietrificata? Non sei stata tu. È stato il Basilisco, e non hai aperto tu la Camera dei Segreti, tu sei stata solo il mezzo attraverso il quale Tom Riddle ha agito ma non è colpa tua» le fece notare.
«Be’ ma se io non avessi scritto per tutto quel tempo al diario tutto ciò non sarebbe successo».
«Se non fossi stata tu, sarebbe stato qualcun altro, Malfoy e Riddle cercavano solo un’esca, non gli importava chi» chiarì. Poi posò una mano sulla sua. «Va tutto bene adesso» la rassicurò.
Ginny, istintivamente tirò un sospiro di sollievo, come non era mai successo fino a quel momento. Aveva sempre trattenuto il fiato davanti ai compagni, avendo troppa paura di quello che loro potevano pensare di lei.
Le sorrise grata e dopo aver superato quel momento di debolezza, guardò Hermione dritta negli occhi.
«Hermione tu sei tanto amica di Harry, giusto?» chiese cauta. La ragazza annuì. «Ehm…ecco…sai se gli piace qualcuna?» continuò.
Hermione sorrise sorniona. «Ah, così Ron aveva ragione» Ginny sentì le orecchie andare in fiamme. Un po’ per la rabbia, un po’ per l’imbarazzo. Come osava quel lurido pezzo di sterco raccontare i fatti suoi a gente che lei a malapena conosceva? Gliel’avrebbe fatta pagare, in un modo o nell’altro.
«Non ti preoccupare, non credo gli piaccia qualcuna» disse rispondendo alla sua domanda. «Però non mi pare il caso di farsi avanti. Credo che il ricordo del san Valentino dell’anno scorso sia ehm…come dire…fresco» aggiunse titubante. A quel punto Ginny, presa dallo sconforto più totale, gettò la testa sulla pergamena ancora bianca e si coprì la faccia con le mani. Voleva scomparire da Hogwarts, cancellare il suo primo anno e ricominciarlo tutto da capo.
«Non si innamorerà mai di me» disse sconsolata contro il suo avambraccio.
«Be’ magari prova ad essere più te stessa, prova ad uscire con altra gente, magari si accorgerà di te, prima o poi» rispose Hermione.
«Mi stai dicendo di uscire con altri ragazzi per conquistare Harry?» domandò scettica alzando la testa a guardare la sua nuova amica.
«Ma non subito!» esclamò mettendo le mani avanti. «Fra un po’ di tempo, quando sarai più grande magari».
«E nel frattempo?»
«Nel frattempo evitalo e inizia ad essere la Ginny Weasley che lo farà innamorare» Hermione sorrise e lo fece anche Ginny di rimando. Le sembrava proprio un’ottima idea.
 
«Così eri convinta che non mi sarei mai innamorato di te?» chiese Harry prendendola in giro.
«Ti dirò di più: ne ero certa» rispose lei sorridendo. «Credo che quello sia stato l’anno in cui ci siamo parlati di meno» aggiunse pensierosa.
«Sì, lo penso anche io» convenne il marito. «Anche durante il torneo non è che ti ho calcolato più di tanto» osservò.
«Già. Eri tutto preso da una certa ragazza asiatica…» iniziò lei con fare sarcastico ed Harry la strinse un po’ più forte a sé ridendo.
«Rompo la tradizione e ti faccio un’altra domanda» disse dopo un po’. «Durante il Torneo, cosa hai pensato che poi non hai detto?»
Ginny sorrise, questa era una domanda abbastanza facile per lei.

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Capitolo 5
*** 5. Things you didn't say at all (Le cose che non hai detto affatto). ***


5- 009: Things you didn’t say at all (Le cose che non hai detto affatto).
 
Il secondo anno di Ginny Weasley si era concluso abbastanza bene, col tempo la gente aveva smesso di guardarla come l’erede di Serpeverde, e aveva iniziato a guardarla come Ginny, una normale ragazza di Hogwarts della casa di Godric Grifondoro.
Così il secondo anno aveva aperto la strada al terzo che Ginny salutò con una strana allegria, forse era dovuto alla Coppa del Mondo a cui era appena stata, nonostante il Marchio Nero che aveva preoccupato tutti, lei si era divertita tantissimo, come poche volte nella vita. Quella serenità era durata molto poco però. Quell’anno ad Hogwarts si teneva il Torneo Tremaghi, anzi Quattromaghi visto che eccezionalmente quell’anno era stato selezionato Harry Potter, un mago minorenne a cui era assolutissimamente vietato di partecipare. Ma qualcuno al posto suo aveva inserito il nome nel Calice di Fuoco, Ginny ne era fermamente convinta, solo uno stupido poteva credere il contrario. Uno stupido come suo fratello, per l’appunto.
Ron arrivò in Sala Comune sbattendo la borsa sul tavolo dove Ginny stava studiando. Guardò il fratello con un’aria omicida. «Starei studiando» disse stizzita spostando la cartella del fratello dal libro di Trasfigurazione.
«Harry, quello stupido…» borbottò lui senza manco ascoltare Ginny.
«Ancora con Harry? Ma ti pare che metterebbe mai il suo nome nel Calice?» gli chiese leggermente infastidita.
«Lo dici solo perché sei cotta di lui!» esclamò il fratello con l’espressione dura.
«Sono finiti i tempi in cui gli andavo dietro» mentì con fare superiore. «E sai anche tu che ho ragione io. Lo crede anche Hermione, solo tu sei così deficiente da non credergli!» le orecchie di Ron divennero dello stesso colore dei capelli di Ginny: rosso fuoco.
«Sta’ zitta» rispose Ron senza rispondere veramente alla sua affermazione. Ginny lo prese come un buon segno e gongolò per poco prima di tornare al suo paragrafo di Trasfigurazione.
«Secondo te davvero non c’entra niente Harry? Secondo te è stato incastrato?» chiese ad un certo punto Ron, Ginny alzò gli occhi dal suo libro per guardare il fratello.
«Certo» rispose lei convinta.
«Quindi secondo te dovrei chiedergli scusa?» Ginny alzò le spalle.
«Mi sembra abbastanza ovvio» ammise.
«E come dovrei fare?» chiese. Ginny sospirò e gettò la testa all’indietro esasperata.
«Be’ suppongo che andare da lui e dirgli ‘scusa Harry, sono stato un cretino totale’ dovrebbe funzionare» rispose con nonchalance. Ron si rabbuiò.
«Sei inutile» sbottò chiudendo con forza la copertina del manuale di Incantesimi e alzandosi. Ginny alzò gli occhi al cielo.
«Dico solo che probabilmente anche lui sarà spaventato, è stato selezionato per un Torneo potenzialmente mortale e le uniche persone su cui può contare siete tu ed Hermione e tu hai deciso di fare l’amico geloso» spiegò.
«E secondo te cosa dovrei fare?» domandò in piedi al suo posto.
«Chiedigli scusa, prova a dargli qualche suggerimento. Abbiamo saputo che Charlie è qui, dopotutto» suggerì alzando un sopracciglio. «Potresti offrire questa informazione in segno di pace» continuò.
Gli occhi di Ron si illuminarono e corse verso i dormitori maschili. Ginny invece rimase seduta in quella poltrona scarlatta a contemplare il mosaico della finestra su cui cadevano pesanti gocce di pioggia. Ron non sapeva la fortuna che aveva ad essere amico di Harry e gettava la spugna così, per un po’ di gelosia.
Non aveva idea di cosa avrebbe dato lei per passare anche solo un’ora del suo tempo per essere Ron e poter passare del tempo con Harry. Ci volle un po’ prima che si rendesse conto che non pensava più Harry come quel ragazzo che fino all’anno prima sognava di sposare. Voleva conoscere Harry, voleva sapere quali erano i suoi pensieri e le sue paure, voleva essere quella persona che gli diceva “va tutto bene” mentre tutto va male. Non voleva Harry Potter, voleva Harry il giocatore di Quidditch, il ragazzo al quarto anno di Grifondoro. Guardò Harry seduto qualche tavolo più in là; era arrivato da poco anticipato da Hermione, Ginny quasi senza pensarci sorrise, ricordando la conversazione dell’anno prima con Hermione. Harry aveva l’aria stanca, chissà se la notte dormiva o i pensieri troppo ingombranti occupavano la sua mente anche nelle ore notturne.
Continuando a guardarlo, cercava di trovare una risposta ad ogni suo dubbio. Ma, si disse, la Legilimanzia e l’intuizione non erano suoi amici.
Sospirò e sprofondò la testa dentro il libro. Poi la rialzò e appoggiò il mento tra la piega delle pagine. «Buona fortuna, Harry» disse così piano che solo quei fogli scritti poterono udire ciò che aveva detto.
 
«Se ti può consolare, Ron non ha carpito molto bene il tuo consiglio» disse Harry con un sorriso sghembo.
«Sì, mi ricordo molto bene, purtroppo» rispose lei con gli occhi chiusi, annusando l’odore del marito.
«Però poi alla fine mi ha chiesto scusa».
«E meno male! Quella volta è stato una totale zucca vuota!» esclamò Ginny come faceva quando parlava di qualche danno compiuto a scuola dai suoi figli. Harry rise e poi la guardò mentre lei continuava a guardare la strada. Il pomeriggio pian piano trascorreva e il sole calava su Godric’s Hollow ma a nessuno dei due importava più di tanto. Avevano iniziato quel momento tutto loro e nessuno li avrebbe distratti.
«Perché non mi hai mai augurato buona fortuna? Sarebbe stata una cosa carina» chiese Harry incuriosito.
«Oh andiamo! La sorella tredicenne del tuo migliore amico che ha una cotta per te che viene a dirti buona fortuna! Mi avresti scambiato per un’idiota e io in quel momento ero troppo impegnata a recuperare la mia dignità» rispose tra il piccato e il divertito. Harry alzò le mani in segno di resa.
«Adesso ti tocca una punizione, quindi faccio di nuovo io la domanda» dichiarò con un tono che non ammetteva regole. Ginny sbuffò spazientita. «Durante i tuoi anni ad Hogwarts sono stato davvero una brutta persona con te, insomma, potevo anche usare più tatto» iniziò. «Qual è stata la cosa peggiore che ho detto? Quella che ti ha proprio fatto sentire uno schifo?»
Ginny alzò la testa e lo guardò nelle iridi verdi, con la testa, invece, tornava a quel Natale 1995.

 

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Capitolo 6
*** 6. Things you said that made me felt like shit (Le cose che hai detto che mi hanno fatto sentire uno schifo). ***


6- 016: Things you said that made me felt like shit (Le cose che hai detto che mi hanno fatto sentire uno schifo).
 
«Non volevo parlare con nessuno» […]
«Be’ sei stato uno stupido visto che io
sono l’unica persona che conosci che è stata
                                                             posseduta da Tu-Sai-Chi e posso dirti cosa
si prova». […]
«L’avevo dimenticato».
(Harry Potter e l’Ordine della Fenice)
 
Per Ginny ricordare quanto era successo con Tom Riddle non era mai gradevole, era come avere la gastrite, quando hai quel fastidio alla bocca dello stomaco e vorresti gettarlo fuori e vomitarlo, ma puntualmente rimaneva fermo lì. All’interno del suo organismo.
Aveva lasciato Harry, Ron ed Hermione nella stanza di Harry a confabulare, per la prima volta era contenta di non sapere di cosa stessero parlando. Non voleva buttarsi sul letto a pensare a quanto Tom Riddle avesse segnato la sua vita, così si rifugiò in soffitta da Fierobecco. Era sempre stata simpatica a quella specie di cavallo alato e le coccole di un animale era ciò che le serviva.
Mentre accarezzava quell’animale la porta della soffitta si aprì, lasciando entrare la figura Sirius che la guardò sottecchi. «Tutto bene?» domandò sedendosi su una sedia lì vicino. Ginny rimase a terra a gambe incrociate, continuando ad accarezzare Fierobecco.
«Sì. Dovrebbe andare male qualcosa?» chiese di rimando.
«Me lo devi dire tu, se ti ho fatto la domanda significa che non lo so» rispose lui semplice.
Ginny si ammutolì non sapendo cosa rispondere, continuando a guardare l’animale che ora dormiva placidamente russando un po’. «Ho visto che eri in stanza con Harry, Ron ed Hermione» iniziò l’’uomo senza arrendersi.
Ginny sbuffò impercettibilmente facendo muovere qualche capello. «Ah-ah, è questo il problema!» esclamò vittorioso. La ragazza lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure.
«Non è vero» disse tra i denti.
«La tua espressione dice il contrario» notò. «Andiamo, lo so che non puoi resistere al mio fascino. Racconta tutto allo zio Sirius» la incoraggiò.
Ginny però non se la sentiva di condividere con un ex fuggitivo quello che accadeva dentro di sé. Voleva parlarne con Hermione ma lei era impegnata a parlare con Harry e aspettare la sera sarebbe stato troppo per lei. «Com’erano i genitori di Harry?» chiese a bruciapelo senza guardarlo. Era una domanda che si era sempre fatta, l’aveva anche chiesto ai suoi genitori ma loro non li conoscevano abbastanza per dare una risposta certa.
«Erano le persone migliori che potessi desiderare nella mia vita. Erano gentili, leali e be’ pronti a morire per gli altri. Lily era piuttosto seria e ragionava molto sulle cose da fare e James la faceva ridere tantissimo ma era impulsivo e spesso non pensava troppo alle sue azioni. Erano la coppia perfetta, si compensavano. Sono stato il loro testimone di nozze.
Non dimenticherò mai quando mi hanno detto che aspettavano Harry. Eravamo tutti quanti a casa di James e Lily e abbiamo brindato con l'Idromele mentre Lily ha bevuto del succo di zucca. Sono stati una famiglia per me».
Girando la testa verso Sirius, Ginny si accorse che aveva gli occhi lucidi. «Scusa, non volevo» rispose con la voce debole sentendosi in colpa.
«Non scusarti. È sempre un piacere ricordare James e Lily» disse guardando la piccola finestra da cui passava uno spiraglio di luce. «Non mi hai ancora detto perché sei quassù da sola a Natale e non a far festa con i tuoi fratelli. Non avrebbero niente da invidiare ai Malandrini…»
«A chi?» domandò certa di aver sentito male. O meglio, per cercare di evitare l’argomento.
«Non cambiare discorso, signorinella. Guarda che sono abbastanza giovane da ricordarmi quello che ti ho chiesto» l’ammonì.
Ginny sbuffò, questa volta sonoramente, e si staccò da Fierobecco che grugnì infastidito. «È colpa di Harry» ammise. Sirius ghignò soddisfatto.
«Lo sapevo che c’entrava lui! Che ha fatto?»
«Non so se sai cosa è successo durante il mio primo anno» cominciò guardandosi i lacci delle scarpe. Alzò la testa solo per vedere Sirius scuotere la sua in segno di diniego. «Be’, per farla breve, sono stata posseduta da Tu-Sai-Chi. Sono viva solo perché mi ha salvato Harry. E lui l’ha dimenticato» spiegò accentuando l’ultima parola. «Si è dimenticato di avermi salvata, si è dimenticato che avrebbe potuto chiedermi una mano. Si è dimenticato che io avrei saputo dare una risposta ai suoi sentimenti di paura. Si è dimenticato di me. Esiste solo Cho Chang per lui adesso. E io mi sento inutile, uno schifo!» concluse con tono leggermente piccato.
Sirius era rimasto fermo al suo posto e la fissava. «Ma tu non stai con un Corvonero?» domandò. Ginny strabuzzò gli occhi.
«Che ne sai tu?»
«Fred e George» rispose solamente. La ragazza buttò gli occhi al cielo spazientita dal comportamento dei fratelli.
«Ma cosa c’entra ora Michael?» chiese ancora più curiosa.
«Scusa se te lo dico ma sembravi un tantino gelosa» ridacchiò Sirius. Ginny sentì il volto andare in fiamme e tornò a giocare con i lacci delle scarpe da tennis incapace di sostenere lo sguardo dell’uomo di fronte a lei.
«Forse un po’ mi piace Harry» ammise a voce bassissima. Non poteva vederlo ma Sirius stava sogghignando.
«Harry ha solo quindici anni» cominciò. Ginny ascoltava ma non aveva il coraggio di alzare la testa. «In quella fase noi ragazzi siamo un po’…imbecilli»
«Non è una giustificazione e non voglio che ti inventi scuse per giustificarlo. Non gli piaccio e non gli piacerò mai. Devo solo farmene una ragione» rispose dura senza alzare lo sguardo dal pavimento.
«Potrebbe succedere, è vero. Ma potrebbe anche succedere che un giorno lui non ti vedrà più come la bambina del primo anno che ha dovuto salvare».
«Hermione mi ha detto qualche cosa di simile qualche anno fa» commentò. «E non è successo niente da allora».
«Non sono la Cooman che prevede il futuro e non so se starete mai insieme. Ma se dovesse succedere, promettimi che sarò il tuo testimone» disse sorridendo e cercando di far sorridere Ginny con successo.
«Solo se prometti di arrivare a bordo di Fierobecco» rispose lei ridendo. Sirius valutò l’offerta sollevando le sopracciglia e la guardò.
«Sai, si può fare» rispose.
 
«Sarebbe stato bello se ci fosse stato anche Sirius, soprattutto se fosse arrivato in sella a Fierobecco» commentò Harry con una nota di amarezza.
«È vero, ma credo sarebbe anche stato abbastanza orgoglioso del fatto che abbiamo dato il suo nome a nostro figlio. Figlio che paradossalmente sembra assomigliargli» rispose Ginny facendo sorridere il marito.
«Non ho avuto molto tatto da ragazzino, eh!» cambiò discorso l’anziano uomo. Ormai il sole scendeva sempre di più ma nessuno dei due aveva voglia di rientrare in casa.
«Per niente. Ed il fatto che io li ricordi dopo tanto tempo dovrebbe farti capire quanto io ci sia rimasta male ai tempi» convenne.
«Non sarò mai in grado di farmi perdonare» disse sconsolato il Salvatore del Mondo Magico.
«Ti sei fatto perdonare ogni singola volta da quando ci siamo messi insieme» rispose la moglie accarezzandogli la guancia. Harry si appoggiò e poi sorrise ricordando un aneddoto particolare avvenuto nell’estate che precedeva la morte di Silente.
«Ti ricordi cosa ti ho detto quando ho scoperto chi era il tuo gruppo preferito dell’epoca?» chiese Harry cambiando improvvisamente argomento. Non gli andava di perdersi nei momenti che aveva vissuto con il suo padrino. Erano attimi che ancora era doloroso ricordare, per quanto pochi fossero stati, erano ugualmente significativi.
«E come dimenticarlo» rispose Ginny tuffandosi nuovamente nei ricordi.

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Capitolo 7
*** 7. Things you said after I told you who was my favorite group (Le cose che hai detto dopo che ti dissi chi era il mio gruppo preferito). ***


7- 046: Things you said after I told you who was my favorite group (Le cose che hai detto dopo che ti dissi chi era il mio gruppo preferito).
 
Ginny camminava per la casa con in mano una lettera da spedire a Dean e nell’altra la locandina di un concerto. Il suo ragazzo l’aveva invitata ad andare al concerto delle Sorelle Stravagarie, sarebbe stato a Diagon Alley quel sabato. Lei avrebbe voluto andarci ma sapeva benissimo che i suoi genitori non glielo avrebbero permesso.
Dopo aver dato la lettera a Leotordo, sprofondò nel divano del salone osservando la locandina dai colori scuri, incerta se dire direttamente di no a Dean o se almeno tentare di chiederlo ai suoi.
Bill entrò nel salone e si sedette accanto a lei. «Cos’è?» le chiese curioso sorseggiando dell’Acquaviola.
Ginny lo guardò come per verificare che non fosse diventato improvvisamente scemo. «La locandina di un concerto, non lo vedi?» chiese retorica.
«E da quando tu vai ai concerti?» domandò lui stupito.
«Be’ non è che ci vado, ma mi hanno invitata e avevo pensato di andarci» disse con la voce leggermente bassa ma decisa.
«Ad un concerto? Con quello che sta succedendo?» saltò su il fratello maggiore. Ginny si spazientì e si alzò dal divano, come se questo fosse diventato rovente all’improvviso.
«Tranquillo, so già che mamma e papà mi diranno di no» rispose leggermente delusa. «Non glielo chiederò davvero, ma volevo fare qualcosa da ragazza normale ogni tanto».
Bill fece per alzarsi, ma venne interrotto da Ron seguito da Harry ed Hermione. «Di che concerto parlavate?» domandò curioso, allungando il collo per leggere la locandina che Ginny ritrasse velocemente.
«Non ti interessa» rispose lei facendo la linguaccia. Vide Harry ridere sommessamente e la parte ancora ragazzina in lei se ne compiacque.
«Delle Sorelle Stravagarie» rispose Bill al posto suo. Ginny si sedette in una poltrona distante dal divano in cui era seduta prima. Adesso il suo posto era stato preso da Ron ed Harry, Hermione invece era seduta sul bracciolo.
«Ah, già, sono la sua band preferita» rispose Ron con noncuranza.
«Le Sorelle Stravagarie, Ginny, sul serio?» chiese Harry ridendo. Ginny sentì qualcosa muoversi nelle viscere: sapeva benissimo cos’era. Solo la risata di Harry era capace di emozionarla a tal punto.
«E sentiamo, cosa ci sarebbe di male?» domandò incrociando le braccia.
«Be’, è banale farsi piacere le Sorelle Stravagarie» nonostante la frase appena detta, Harry manteneva un tono scherzoso.
«Essere banali non è così male come sembra» rispose Ginny alzando le spalle e sorridendo.
«Chi ti ha dato la locandina?» chiese Hermione, anch’essa divertita dallo scambio fra Harry e Ginny.
«Dean».
«Dean? Chi è Dean?» si intromise Bill che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
«Il suo ragazzo» rispose Ron con un tono poco entusiasta.
«Ron, potresti pure farti gli affari tuoi!» lo rimbeccò la sorella minore.
«Ginny ha un ragazzo?» domandò ancora più confuso il maggiore dei Weasley.
«Bill, ho quindici anni!» protestò Ginny.
«Mi hai frainteso! Io sono felicissimo tu esca con qualcuno, potevi presentarcelo, che so, al tuo compleanno» spiegò Bill. Ginny lanciò una fugace occhiata ad Hermione che tossicchiò.
Sapevano entrambi che sia Dean che Michael erano stati solo un modo per raggiungere Harry che però non dava segno di percepire nulla.
«Be’, mi sembra esagerato portarlo a casa» disse sinceramente.
«Però lo voglio conoscere!» esclamò Bill entusiasta.
Nel salone cadde un silenzio imbarazzante, Ginny aveva meditato di alzarsi per andare a scrivere a Dean che non sarebbe andata al concerto delle Sorelle Stravagarie e che sarebbe potuto andare con Seamus, ma al tempo stesso c’era qualcosa che la tratteneva in quel salotto carico di aria pesante. Alzò lo sguardo e per una frazione di secondo le era parso che Harry avesse gli occhi puntati su di lei. Le capitava spesso, soprattutto da quando Harry era tornato a casa sua quell’estate. Sapeva benissimo che era frutto della sua immaginazione, ma a volte desiderava fosse vero.
«Quindi le Sorelle Stravagarie dove fanno questo concerto?» chiese Harry alleggerendo l’aria della Tana.
«A Diagon Alley, questo sabato» rispose fissando la locandina.
I cinque ragazzi tornarono a parlare del più e del meno ritornando alla leggerezza che almeno per un poco era riuscita a tenere Voldemort lontano dalle loro vite.
 
«Credi ancora che io sia banale?» domandò Ginny fissando le prime stelle che iniziavano a spuntare nel cielo.
«Certo» la prese in giro stringendola dolcemente. «E credo di aver sposato la miglior persona banale del mondo» aggiunse. Anche Ginny rise.
«È il momento di dire la verità: durante quell’estate mi guardavi di tanto in tanto o ero solo innamorata di te a tal punto di inventarmi le cose?»
«Credo che ti guardassi senza rendermene conto» ammise Harry arricciando il naso. «Mi è servita l’Amortentia per capire che ero innamorato di te».
Ginny rise ricordando quella vecchia storia. «Perché hai aspettato la fine dell’anno per baciarmi?»
«Be’, tu stavi con Dean…» le ricordò con le sopracciglia leggermente aggrottate. «E poi avevo paura».
«Paura?» domandò scioccata Ginny. «Il grande Harry Potter aveva paura?» lo scimmiottò.
«Be’ Sirius aveva ragione che su certi argomenti ero un po’ tonto» ammise con un pizzico di imbarazzo. Ginny sorrise dolcemente.
«Raccontami un po’ questa storia» lo invitò la moglie mentre il marito si perdeva nei ricordi di molte primavere prima.

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Capitolo 8
*** 8. Things you were afraid to say (Le cose che avevi paura di dire). ***


8- 050: Things you were afraid to say (Le cose che avevi paura di dire).
 
«Harry, hai un verme nei capelli» fece Ginny allegra,
sporgendosi sopra il tavolo per prenderlo;
Harry sentì sul collo una pelle d’oca
che non aveva niente a che fare col verme.
(Harry Potter e il Principe Mezzosangue).
 
Quella notte Harry non aveva fatto altro che pensare a quel brivido che Ginny gli aveva provocato. Non era più certo che i suoi sentimenti per Ginny fossero solo fraterni, lo aveva capito dai sogni che spesso faceva. Dopotutto chi è che sognerebbe di pomiciare con la propria sorella nei corridoi della scuola?
Fissò ancora per un po’ l’oscurità, poi decise di alzarsi. Il russare di Ron non conciliava il sonno e stare a fissare il nulla era estenuante. Cercando di non fare rumore, scese al piano di sotto in punta di piedi. Suo malgrado, vide che la luce del salone era ancora accesa, valutò se ritornare nella sua stanza o continuare a scendere al piano inferiore. Alla fine, si disse, poteva semplicemente scendere a prendere un bicchiere d’acqua e poi risalire in stanza.
Sceso l’ultimo gradino, andò in cucina a prendere davvero un po’ d’acqua e poi cercò di sbirciare per vedere chi fosse in salone. Ebbe un tuffo al cuore quando vide Ginny accovacciata sulla poltrona che giocava con la sua Puffola Pigmea. Non se l’aspettava di trovare l’oggetto dei suoi pensieri davanti ai suoi occhi.
Ad essere onesto, ad Hogwarts spesso si era perso ad ammirarla, ad osservare i suoi capelli rossi, così simili al fuoco che riscalda, che rende più piacevole una serata invernale. E immaginava anche che Ron non si mettesse ad ammirare di nascosto sua sorella come faceva Harry, no?
Ginny era talmente assorta da Arnold che non si accorse di Harry dietro lo stipite della porta del salone ed Harry ringraziò tutti e quattro i fondatori di Hogwarts, compreso Salazar Serpeverde. Una parte di lui avrebbe voluto avvicinarsi a lei, parlarle, farla ridere o sentire qualche battuta ironica e sottile che faceva di solito Ginny. Ma cosa avrebbe potuto dirle?
“Ehi ciao, ultimamente ti ho fissato parecchio e ti trovo molto carina”. Harry era certo non avrebbe funzionato. Avrebbe potuto dirle che c’erano troppi ragazzi che le facevano la corte, ma probabilmente lei non l’avrebbe presa molto bene, l’avrebbe scambiata per una delle prediche di suo fratello Ron. Stessa cosa se avesse provato a dirle che anche Zabini era attratto da lei, l’avrebbe mandato sicuro a quel paese e gli avrebbe ricordato che la sua vita sentimentale non era affare di Harry.
Oppure avrebbe potuto intavolare una conversazione sul libro del Principe, ma Harry non ne sapeva praticamente niente. Si dedicò per qualche secondo alle decorazioni che Ginny aveva preparato per Natale, erano davvero buffe e carine; lo gnomo in cima all’albero ogni tanto grugniva ma lei non ci faceva manco caso. Si disse che aveva buon gusto, chissà come avrebbe decorato casa loro in futuro.
Quel suo stesso pensiero lo fece vacillare, tanto che dovette appoggiarsi al muro.
I tuoi sono solo pensieri fraterni si ripeté mentre la certezza che si trattasse davvero di pensieri fraterni iniziava a svanire.
«Harry?» la voce di Ginny lo scosse dai suoi pensieri, era girata e lo guardava divertita. «Cosa fai, mi spii?» continuo ancora più scherzosa.
Cercando di evitare di auto-insultarsi, uscì dall’ombra ed entrò nel salone luminoso. «Ero sceso a prendere un bicchiere d’acqua, ho visto la luce accesa in salone ed ero curioso di vedere chi ci fosse dentro» rispose alzando il bicchiere e bevendo.
«Sarai stato deluso di non trovarci dentro Fleur» commentò tornando alla sua Puffola Pigmea. Harry rise cercando di trovare una risposta intelligente da dare a Ginny. «Sono ancora convinta che ti piaccia come ti chiama Arrì» sogghignò.
«Lo trovo piuttosto irritante a dire la verità» ammise con un sorriso. Il suo sguardo vagava dalla Puffola a Ginny.
«Il primo uomo capace di resistere a Flebo» scherzò mentre faceva il solletico ad Arnold.
«Cos’ha di speciale?» chiese Harry sovrappensiero.
«Chi, Fleur? Be’, credo che essere una Veela sia un fattore non indifferente».
«Intendo la Puffola. Perché ci giochi sempre e te la porti appresso?» chiarì sorridendo del fraintendimento.
«Ah» rispose. «Be’ è simpatica. E poi meglio Arnold che una compagna di stanza come Fleur» continuò con un’alzata di spalle.
Nel salone scese il silenzio in cui Harry si perse nuovamente a guardare Ginny cercando di non farsi notare. Chissà come sarebbe stato affondare il viso nei suoi capelli, sentire quell’odore di fiori a piene narici, poterli accarezzare e tastarne la morbidezza. D’improvviso si rese conto quanto fosse fortunato Dean a poterne beneficiare ogni qualvolta volesse, lui poteva accarezzarle i capelli, giocarci, poteva guardare quegli occhi scuri e affogare in quelle iridi castane. Poteva fissarla senza avere paura di passare per un pazzo.
Ginny si alzò stiracchiandosi, mentre Arnold sulla sua spalla si rintanava tra i capelli di lei pronto per un sonno ristoratore.
«Dovresti andare a dormire, Harry» disse. «Stare troppo a pensare non porta mai a nulla di buono».
Harry sorrise. «Hai proprio ragione» convenne alzandosi anche lui. Le diede la precedenza mentre salivano al piano superiore, entrambi in punta di piedi per evitare che qualche gradino scricchiolasse.
«Buonanotte, Harry» disse Ginny a bassa voce mentre continuava a salire.
«Buonanotte Ginny» rispose Harry.
Tornò a letto ma questa volta non si mise a pensare ad ipotetici scenari idilliaci. Sorrise compiaciuto di quello che era appena successo.
 
«Che romantico» commentò Ginny alzandosi dal dondolo su cui erano seduti da ore. «È ora di andare a mangiare, che ne dici?» chiese poi porgendogli la mano rugosa.
«Mi sembra un’ottima idea» convenne Harry prendendo la mano della moglie.
Entrarono nella casa, la stessa da quando si erano sposati molti anni prima. La stessa che aveva visto nascere i loro figli, i loro primi giorni di scuola, la loro prima volta ad Hogwarts. Rimasero fermi sull’uscio, sentendo nuovamente la nostalgia invaderli. Si diressero in cucina dove Ginny con dei colpi di bacchetta estrasse delle pentole dalla credenza ed Harry iniziava ad apparecchiare.
«E così tu avevi paura di dirmi che ti piacevo?» continuò l’anziana donna.
«Sei la sorella di Ron ed eri la fidanzata di un mio compagno di classe, non potevo tradire così tante persone contemporaneamente!» si giustificò facendo sorridere la moglie intenta a tagliare delle carote con la magia.
«Quando hai capito che ti eri innamorato di me?»
«Credo di averlo capito in quel momento ma ero troppo vigliacco per ammetterlo». Ginny staccò gli occhi fissando intensamente Harry, che sentendo gli occhi della consorte su di sé, si girò. «Immagino tu voglia sapere cosa ho detto quando mi sono reso conto di essermi innamorato di te» cercò di indovinare.
Ginny sorrise sorniona. «Vedo che la perspicacia non ti ha ancora abbandonato» rispose sardonica.
Harry fece un ghigno divertito, la sua mente, intanto delineava chiaramente i confini della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

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Capitolo 9
*** 9. Things you said after you fell in love (Le cose che hai detto dopo esserti innamorato). ***


9- 051: Things you said after you fell in love (Le cose che hai detto dopo esserti innamorato).
 
 
 
«Bene, è stata una brutta notte per
gli innamorati, qua in giro.
Anche Ginny e Dean si sono lasciati, Harry.»
Harry pensò di notare un’aria furba negli occhi
mentre glielo diceva, ma Hermione non poteva
sapere che le sue interiora avevano cominciato
improvvisamente a ballare la conga.
(Harry Potter e il Principe Mezzosangue).
 
 
 
Da un po’ di tempo ormai Harry era abituato a rimanere sveglio e a fissare il tetto del baldacchino. Una parte del cervello rimuginava sui ricordi di Riddle e su Silente, l’altra parte di cervello su Ginny.
Sapere che adesso non aveva più nessuno accanto, dava il via libera ad una successione infinita di immagini e di ipotetici scenari in cui lui era sempre al fianco di Ginny. Certo, di tanto in tanto capitava che comparisse anche Ron e di solito non era mai troppo accondiscendente, anzi, spesso lo inseguiva brandendo un bastone, però ad Harry bastava essere insieme a Ginny per stare bene. Anche solo nell’immaginazione.
Da quella notte alla Tana, più volte si era perso a guardarla, rideva di più alle sue battute, voleva farla sentire il centro del mondo e finalmente aveva il campo libero. Se solo non si sentisse un vero e proprio traditore verso Ron, che adesso ronfava nel baldacchino accanto al suo.
Si girò e lo guardò, forse per chiedergli inconsciamente scusa per sentirsi attratto da Ginny. Tirò un paio di pugni al cuscino per renderlo più comodo ma ben presto si rese conto che non aveva senso prendersela con quell’oggetto, i pugni non l’avrebbero reso più comodo o avrebbero diminuito la rabbia che provava verso sé stesso in quel momento. Avrebbe parlato con Ginny, decise, e l’avrebbe fatto dopo gli allenamenti di Quidditch.
 
 
Tutto sommato l’allenamento non era stato niente male, migliore di quelli degli ultimi periodi, almeno. Nonostante la rottura fresca, Ginny sembrava in gran forma e questo fece sentire impercettibilmente meglio Harry. Se non era così tanto dispiaciuta per la rottura significava che non doveva tenerci poi così tanto, no?
In realtà non si era soffermato troppo a pensare agli altri, i suoi occhi si erano soffermati solo su Ginny (e talvolta su Ron, per evitare che ne combinasse una delle sue).
«Sei stata brava oggi» disse raggiungendola per la strada per tornare al Castello. Fortunatamente erano solo loro due, Ron era andato via da solo leggermente depresso.
«Merito del capitano» rispose lei facendogli l’occhiolino.
«No, sono un pessimo capitano, fidati».
«Non sei male, Harry, è solo un anno difficile» obiettò.
Harry sorrise grato mentre il silenzio scendeva tra di loro. Il sole di aprile, intanto, calava dietro le montagne alle loro spalle dando a quel momento un’aria quasi magica. «Ho saputo di te e Dean…» cominciò. Non sapeva se fosse giusto ma aveva un bisogno profondo di assicurarsi che lei stesse bene.
«Te l’ha detto lui?» chiese.
«No, Hermione».
«Be’, le cose non andavano molto bene tra di noi ultimamente» rispose secca, guardando dritta verso la strada che stavano percorrendo.
«Mi dispiace comunque…»
«Non devi. Come è finita con Michel è finita pure con Dean, sono cose che capitano» rispose scrollando le spalle. Harry non poté fare a meno di sorridere, sembrava così diversa dalla ragazzina timida che non spiaccicava parola davanti a lui.
Si perse per l’ennesima volta a guardarla, per la prima volta alla luce del tramonto. Il rosso della sera era intonato al rosso dei capelli e illuminava ancor di più il marrone dei suoi occhi. Era bellissima.
«Sei…» le parole stavano uscendo dalla bocca prima ancora che Harry potesse rendersene conto, in un attimo di lucidità si accorse dell’errore che stava per compiere e si fermò.
«Sono…?» domandò lei curiosa con lo sguardo dubbioso.
«Sei forte» rimediò cercando di non passare per deficiente. «E sono contento tu stia bene dopo la rottura» aggiunse. Ginny sorrise e la conversazione si fermò lì.
Arrivati davanti alle scale dei dormitori, Harry esitò un po’ prima di salutarla, la voglia di dirle quel “sei bellissima” intrappolato tra le labbra era troppa. Ma sapeva che non poteva farlo.
«Ci vediamo a cena, allora» disse invece.
«A più tardi, Harry» rispose Ginny salutandolo con una mano e salendo per le scale che avrebbero condotto ai dormitori femminili.
Rimase a fissare il punto in cui lei era sparita per un altro paio di minuti, per poi dirigersi a sua volta nei dormitori per una bella doccia calda. Doveva dire a Ginny quello che provava.
 
 
 
Ginny guardò il marito con gli occhi leggermente umidi. Il minestrone era quasi pronto e la tavola era apparecchiata. «Che c’è?» domandò Harry stranito dalla moglie che non rispondeva.
«Non me l’aspettavo» ammise sincera dando una mescolata al cibo nella pentola.
«Per una volta ti ho lasciato senza parole» osservo compiaciuto avvicinandosi alla moglie per abbracciarla.
«Non ne sarei tanto contenta, fossi al posto tuo, ti ci è voluto un sacco di tempo» lo zittì lei.
«Chi la dura la vince» rispose lui alzando le spalle baciando giocosamente la spalla di Ginny che stava iniziando a tirare fuori la cena.
«Siamo arrivati al momento in cui ti sei reso conto di amarmi, e poi?» chiese.
«E poi ti ho baciata» rispose semplicemente. «Te lo ricordi oppure l’età inizia a fare brutti scherzi?» la prese in giro.
«Me lo ricordo benissimo» disse Ginny con gli occhi ridotti a due fessure. «E tu ricordi cosa mi hai detto mentre passeggiavamo mano nella mano».
«Certo che sì» si affrettò a rispondere. «Però sarei curioso di saperlo dal tuo punto di vista».
Ginny portò i piatti ormai pieni di minestrone in tavola, si accomodò e aspettò che suo marito facesse lo stesso. Una volta che Harry fu accanto a lei, cominciò ad immergersi di nuovo in quei giardini di maggio, così pieni di vita, come lo erano loro in quel momento esatto.
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** 10. Things you said while holding my hand (Le cose che hai detto tenendomi per mano). ***


10- 026: Things you said while holding my hand (Le cose che hai detto tenendomi per mano).
 
Ginny non sapeva per quanto tempo lei ed Harry erano rimasti appiccicati bocca su bocca, nella Sala Comune Grifondoro, davanti a tutti. Davanti a Ron. Davanti a Dean.
Sapeva solo che adesso, come se fossero stati teletrasportati, erano nei giardini di Hogwarts che camminavano mano nella mano. A pensarci bene, non si erano mai separati da quando avevano lasciato la Sala Comune. Le sembrava un sogno, non credeva possibile che quello che aveva sognato fin da quando aveva dieci anni si stava avverando. Aveva un sorriso da orecchio a orecchio, ma non riusciva a vedere il volto di Harry che invece procedeva spedito oltrepassando la gente che si girava incuriosita. Si fermarono all’ombra di un albero, trovando ristoro dal caldo di maggio.
«Scusami, non dovevo agire in quel modo…» iniziò lui. Ginny per la prima volta dopo il bacio lo guardò negli occhi. Ultimamente li aveva visti spesso in tempesta ma adesso erano calmi. Sembrava che avessero trovato finalmente la pace.
«Non mi devi chiedere scusa» chiarì. «A me è piaciuto» specificò facendo sorridere Harry che si perse a guardare il Lago Nero che avevano di fronte. Rimase in silenzio, seduto all’ombra, senza lasciarle la mano. «Posso farti una domanda?» chiese cauta. Harry annuì. «Da quanto tempo volevi farlo?»
«Oh» disse. «Credo dall’inizio di quest’anno».
«Credi?» chiese alzando un sopracciglio.
«Be’ è stato difficile, all’inizio credevo di provare per te dei sentimenti fraterni» spiegò Harry girandosi verso di lei.
«Capisco» rispose sorridendo.
Rimasero ancora un po’ in silenzio semplicemente godendo l’uno della presenza dell’altro. Non badavano alla gente che li guardava come fossero animali da circo o del mondo circostante, c’erano solo loro e i loro baci che si scambiavano a momenti. E per Ginny quei baci valevano il doppio perché li aveva attesi, li aveva desiderati, alcune volte era quasi stata sul punto di piangere per quei baci che in quel momento non le erano concessi. Eppure adesso era lì, tra le braccia di Harry, con le sue labbra su di sé.
«Quindi Hermione aveva ragione» osservò quando dovettero staccarsi – a malincuore – per riprendere ossigeno.
«Su cosa?» si accigliò Harry.
«Be’ diceva che ogni tanto ti perdevi a guardarmi, ma io le rispondevo sempre di non prendermi in giro» ammise ridendo. «L’unica volta che era vero e io non c’ho creduto» disse più a sé stessa che ad Harry. Lui, in risposta la strinse dolcemente.
«Avevi tutto il diritto di non crederle» concesse.
Ginny era troppo felice per pensare a quello che aveva dovuto passare per raggiungere quel momento. Non le era passato per la testa come potesse stare Dean o cosa potesse pensare suo fratello o cosa sarebbe successo una volta tornati al Dormitorio. Voleva godersi quel momento di serenità. Lo strinse impercettibilmente più forte ispirandone a pieni polmoni l’odore e poi baciandolo. Ginny scoprì che baciare Harry era molto più bello che baciare Michael o Dean. Baciare Harry era come toccare la felicità con mano.
«Ti ho baciato davanti al tuo ex!» rifletté il ragazzo in una pausa tra un bacio e l’altro. Quelle parole riportarono Ginny alla realtà: non si sentiva più sopra una nuvola come fino a poco prima, era ritornata con i piedi per terra e c’erano delle conseguenze da affrontare.
«E anche davanti a mio fratello» gli ricordò, suo malgrado.
«Non credo che per Ron sia un problema che tu stia con me, a patto che non ci baciamo davanti a lui» specificò.
«Ron è così ottuso!» si innervosì.
«Stai calma. Troveremo il modo di farcela…» la tranquillizzò, ma la realtà era scesa in maniera prepotente nel cuore di Ginny e c’era solo una domanda che le ronzava. Quanto sarebbe durata quella felicità? Quanto avrebbe impiegato la guerra ad arrivare e allontanarli? Ginny lo sentiva nelle ossa che tra loro non sarebbe durata tanto, sentiva che ci sarebbe stata sempre una ragione più grande di quello che Harry provava per lei.
«Lo so a cosa stai pensando» esordì Harry rompendo il silenzio che si era creato.
«Ah sì?» lo sfidò lei tornando al solito tono allegro di sempre.
«Ti stai chiedendo quanto durerà. Me lo sono chiesto anche io» ammise. «E la verità è che non lo so. Voldemort potrebbe anche arrivare adesso e ucciderci tutti, per quello che posso sapere. Ma ti prometto che qualsiasi cosa accada, non fornirò mai a Ron un motivo per spezzarmi l’osso del collo».
Ginny sorrise a quelle parole, non era una promessa chissà quanto romantica, ma era l’unica cosa che potevano fare. Appoggiò la testa sulla spalla di Harry trovandola estremamente comoda, fermandosi a fissare il Lago insieme a lui. Forse, pensò, l’amore non era altro che guardare nella stessa direzione insieme.
 
«Motivi per spezzarti il collo a Ron gliene hai forniti, però» osservò Ginny mentre prendeva un boccone del suo minestrone.
«Che ci vuoi fare, noi Potter tentiamo di stare fuori dai guai…»
«…ma poi sono loro che vengono a cercare voi. Lascia stare, conosco già la battuta» tagliò corto la moglie. Harry rise di gusto addentando un pezzo di pane.
Si perse a guardare la donna della sua vita, era strano che fosse passato così tanto tempo e ancora ricordasse chiaramente cosa si erano promessi dopo il primo bacio, eppure era quasi un processo naturale. Qualcuno di più grande di loro aveva deciso che doveva essere così e loro avevano accettato passivamente, ben contenti di quello che il futuro aveva offerto. Accarezzò il suo volto rugoso, un po’ più magro rispetto a quello che accarezzava quando erano giovani. Lo accarezzò come se dovesse memorizzarne ogni singolo centimetro, tracciò il confine degli occhi castani che l’avevano fatto innamorare, il naso piccolo ed elegante, ritornò su, sulle sopracciglia, per poi scendere alle labbra, tracciarne il margine col polpastrello e infine baciarle. Harry sapeva che quelle carezze erano in grado di rilassare Ginny, di farla sentire più leggera, di farla sentire amata.
«Ti ricordi cosa è successo dopo poco tempo?» chiese retorica, tenendo gli occhi chiusi.
«Intendi uno degli errori più grandi della mia vita?» Ginny sorrise leggermente compiaciuta.
«Proprio quello».
«Anche stavolta mi piacerebbe sapere cosa hai fatto dopo che io ti ho lasciato al funerale di Silente».
Ginny aprì gli occhi e appoggiò gli avanbracci al tavolo sporgendosi verso di lui. Il ricordo della profonda tristezza di quell’estate era ancora vivido in lei, buttò i pochi capelli a caschetto all’indietro e cominciò quel suo ennesimo racconto.

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Capitolo 11
*** 11. Things you said after it was over (Le cose che hai detto dopo che era finita). ***


11- 021: Things you said after it was over (Le cose che hai detto dopo che era finita).
 

Da quando Harry l’aveva lasciata, Ginny non aveva avuto il tempo di essere arrabbiata. Aveva capito che c’era qualcosa di più grande da fare, lo capiva ogni volta dai discorsi di Ron ed Hermione, e da quelle poche volte che era riuscita a sentire qualche parola mentre parlottavano tra loro, aveva capito che non sarebbero tornati ad Hogwarts a settembre.
E a Ginny questo faceva rabbia. C’era sempre qualcosa di più importante di lei, qualcuno da salvare, una missione da compiere, qualcuno da proteggere. Lo capiva, ma era lo stesso arrabbiata. Non sapeva cosa fare, voleva urlare, voleva andare a casa di Harry e dirgli che a lei non importava essere salvata, non le importava di morire se accanto a lei c’era lui. In un impeto di rabbia, prese il portapenne che le aveva regalato Bill tanti anni prima e lo lanciò contro il muro. Non sapeva bene perché lo aveva fatto, ma l’aveva fatta sentire bene.
Poi prese quella piccola statuetta a forma di drago che le aveva portato Charlie dalla Romania e lanciò anche quella. Era stranamene liberatorio. Continuò fino a quando Hermione non entrò nella stanza.
«Ginny, che succede? Ho sentito dei rumori mentre and…oh» disse guardando gli oggetti per terra rimanendo sulla soglia della porta. La guardò intensamente e poi entrò chiudendosi la porta alle spalle. «Mi dispiace» aggiunse piano, mentre con la bacchetta aggiustava quello che Ginny aveva rotto.
«Ti dispiace» ripeté con tono leggermente sprezzante. «Ti dispiace ma intanto tu saprai cosa starà facendo, mentre io sarò ad Hogwarts e non saprò manco se è vivo o morto!» esclamò furente di rabbia.
«Come lo sai?» chiese titubante.
«Ho sentito te e Ron parlarne» rispose secca.
«Ginny, io…» tentennò l’amica.
«Non provarci, Hermione» la bloccò. «Non provare a darmi giustificazioni che non sono sue, non provare a cercare di spiegarmi cose che poi non puoi dirmi. Non provarci, sarebbe tutto inutile».
«L’ha fatto per proteggerti» insistette ancora Hermione.
«E se io non volessi essere protetta? Se io volessi venire insieme a voi, dare il mio contributo? Non ha pensato manco per un attimo a quello che avrei potuto fare io!» esclamò furente.
«Lo conosci, ci avrà pensato sicuramente. E sai anche che ha la fissazione di dover fare tutto da solo! Con tutto il rispetto, Ginny, non voleva che neanche io e Ron andassimo, figurati se avesse voluto te!»
Ginny non sapeva cosa rispondere alle parole di Hermione, sapeva che aveva ragione, che il problema era quello, ma in quel momento non riusciva a capirlo. Fissò la luce del sole che entrava dalla finestra, era una bella giornata, erano tornati a casa da un paio di giorni e il caldo che li aveva accompagnati durante gli ultimi giorni di scuola, li aveva seguiti anche alla Tana. Era in netto contrasto con il suo umore, perché se lei era triste, al cielo era concesso splendere luminoso?
«Non mi importa di essere salvata» ribadì fissando il giardino della Tana dove George stava litigando con qualche gnomo. «Non mi importa essere salvata perché se per caso lui non dovesse tornare, io non sarei più la stessa».
Hermione si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla per confortarla.  «Ginny, ti assicuro che se nel caso tu non dovessi farcela, per lui sarebbe mille volte peggio perché si sentirebbe responsabile» la fece riflettere.
«Si sentirebbe responsabile anche se succedesse qualcosa a qualcuno di voi» specificò Ginny.
«Ma con te è diverso, credimi. Tu non occupi il posto che occupiamo noi nel cuore di Harry. Sei importante per lui, non credere mai il contrario».
Ginny sospirò continuando a guardare il giardino di casa sua sotto il sole di luglio. La rabbia di qualche attimo prima era scomparsa, adesso c’era solo una profonda tristezza e un pizzico di paura. «Lui è diverso dagli altri» disse girandosi verso Hermione dopo tanto tempo.
«Lo so, Ginny. Si vede quando vi guardate» rispose Hermione con un sorriso scintillante che fece sorridere leggermente anche Ginny. «Cercherò di riportartelo a casa sano e salvo» promise.
Ginny non era una persona fisica, preferiva mantenere le distanze e aveva quasi una repulsione per il contatto fisico, però dopo aver urlato contro Hermione, non conosceva altro modo per chiedere scusa che abbracciarla forte. I mesi che avevano davanti si prospettavano incerti, non sapevano se e quando si sarebbero riviste, se sarebbero state ancora in grado di compiere quel gesto così naturale, non sapevano niente.
«Scusa per quello che ho detto prima e grazie» disse sciogliendosi dall’abbraccio, Hermione aveva ancora un’espressione confusa in volto ma sorrideva. La lasciò da sola nella stanza e Ginny tornò a fissare l’esterno della casa. Non c’era più George in giardino e c’erano delle nuvole all’orizzonte, forse nel pomeriggio avrebbe piovuto. Appoggiò la fronte alla finestra e permise ad una sola ed unica lacrima di cadere e raggiungere le labbra, poi l’asciugò, tirò su col naso e uscì dalla stanza. Quello non era ancora il momento di essere debole.
 
«Credo che tu non abbia mai lanciato oggetti di fronte a me» rifletté Harry a voce alta. Ginny sogghignò.
«Col tempo mi sono calmata» concesse. «Ma in quel momento ero davvero arrabbiata, mi sentivo esclusa, messa da parte, come se avessi di nuovo dodici anni…»
«Sì, ricordo che me lo hai fatto capire molto bene in una delle litigate del periodo successivo» sogghignò Harry con ancora il ricordo vivido di ogni attimo vissuto con la moglie. Ginny intanto si era alzata e aveva portato il cesto della frutta in tavola. «Mentre ero via quando è stata la volta che hai avuto più paura?» le chiese quando fu di nuovo accanto a lui.
«Te lo racconto solo se me lo dici anche tu» cercò di patteggiare lei.
Harry annuì e Ginny ricominciò a ricordare l’anno più brutto della sua vita.

 

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Capitolo 12
*** 12. Things you said when you were scared (Le cose che hai detto quando avevi paura). ***


12: 001: Things you said when you were scared (Le cose che hai detto quando avevi paura).
 

Ginny si affrettava per i corridoi della scuola con fare furtivo. Indugiare troppo fuori dalle aule non era più sicuro. Hogwarts era cambiata, non era più quel luogo accogliente e caldo che era stato fino all’anno prima; Silente era morto, Piton era il Preside e i Mangiamorte avevano preso il controllo del Ministero e della scuola. La luce era stata sostituita dalle tenebre, il caldo accogliente dal freddo pungente. Era un freddo che dall’esterno passava all’interno, piano piano, anche gli studenti avevano sentito la spensieratezza lasciare posto alla tristezza, alla paura.
Arrivò all’aula di Pozioni, dove il professor Lumacorno aveva appena iniziato la sua lezione. «Signorina Weasley!» esclamò gioviale. «Iniziavo a temere non sarebbe venuta!»
Ginny sorrise debolmente e si andò a sedere vicino alla sua compagna di dormitorio, l’unica che era tornata quell’anno. Aveva un livido sullo zigomo sinistro, evidentemente la “lezione di recupero” con Alecto Carrow non era andata troppo bene. Le appoggiò una mano sulla spalla per darle conforto ma lei si ritrasse con un’espressione dolorante che fece preoccupare Ginny ancora di più.
«Devi andare da Madama Chips» disse in un sussurro mentre l’amica continuava a guardare Horace Lumacorno che spiegava qualcosa di poco interesse.
Improvvisamente sentì un odore conosciuto, un odore così buono, capace di farla stare bene, di farle dimenticare quello che succedeva fuori da quell’aula di Pozioni. Era l’odore dello stadio di Quidditch, l’odore dei prati di Hogwarts in fiore durante la primavera e infine l’odore del bagnoschiuma al muschio bianco che lei amava e che riconduceva ad una sola persona: Harry. Non si era mai resa conto di quanto le mancasse, di quanto avesse paura per lui fino a quel momento.
Bastò che il professor Lumacorno ricoprisse il calderone che la sensazione di pace provata poco prima scomparve, sostituita dall’angoscia di non sapere se avrebbe mai risentito quell’odore che tanto amava.
Inspiegabilmente, per la prima volta dopo quella volta durante estate, i suoi occhi divennero lucidi. Fissò il calderone chiuso e poi alzò la mano: «Mi scusi professore, posso andare in bagno?» chiese. Lumacorno acconsentì e lei lasciò l’aula in fretta, respirando a pieni polmoni l’aria fredda del sotterraneo.
Senza sapere dove andare iniziò a correre per la scuola, sentendo l’aria invadere i polmoni che iniziavano a bruciare. Voleva provare un dolore fisico, un dolore talmente forte che potesse sostituire quello lancinante che provava dentro e che sembrava poterle strappare l’anima. Si fermò di botto quando incrociò Amycus Carrow che teneva per il colletto della divisa un ragazzino del primo anno.
«Che sta facendo?» quasi urlò vedendo la scena. «Lo metta giù, non vede che è un bambino ed è pure spaventato?» continuò.
Era consapevole che non era opportuno mettersi contro i Carrow, ma non poteva manco permettere che un bambino venisse traumatizzato così. «Guarda chi c’è» mormorò mellifluo il professore lasciando il ragazzino che scappò prima di essere fermato nuovamente. «La Weasley. Non dovresti essere a lezione con quello zotico di Lumacorno?» chiese avvicinandosi piano piano alla ragazza.
Ginny rimase ferma al suo posto, sapeva di non avere via di scampo. «Dovevo andare in bagno» rispose senza mostrare la paura che la stava divorando dall’interno.
«Non mi risulta che i bagni dei sotterranei siano al secondo piano». Ginny non rispose, si limitò a guardarlo in quegli occhi così malvagi da far venire i brividi anche alla persona più temeraria. «Seguimi nel mio ufficio, ti rinfrescherò la memoria» aggiunse lapidario. La ragazza dai capelli rossi deglutì, le lacrime che prima aveva messo a tacere ricomparvero appannandole la vista per qualche secondo. Poi le ricacciò indietro, non era il momento della debolezza.
 
«Crucio!» esclamò il professore. Un dolore lancinante iniziò a trapassarle il corpo da tutte le parti, era come se le ossa volessero uscire fuori dal corpo, come se gli organi improvvisamente fossero stretti e volessero scoppiare per espandersi, la testa sembrava volesse spaccarsi tanto doleva e lei si contorceva e gridava di smetterla. Ma nessuno sentiva le sue urla. Era da sola con un Mangiamorte pazzo.
Improvvisamente il dolore cessò e si ritrovò contro il marmo gelido dell’ufficio del professore di Difesa Contro le Arti Oscure. Sapeva che gli stava dando solo un attimo di tregua prima di ricominciare a torturarla, Ginny sapeva che Amycus Carrow si divertiva a sentire le urla di dolore delle persone di fronte a lui.
Per uno strano gioco della mente, ripensò ai pomeriggi passati sulla sponda del Lago Nero abbracciata ad Harry o all’Amortentia di poco prima, al bacio che si erano scambiati il giorno del suo compleanno o quello nella Sala Comune. Una nuova ondata di dolore la fece contorcere, la risata del professore era solo un rumore lontano, sembrava tutto superfluo ormai, tranne la vita di Harry. Anche mentre soffriva l’unico suo pensiero era che Harry tornasse sano e salvo a casa. Il corpo le faceva così tanto male che le sembrava di essere in punto di morte. Era sdraiata sul pavimento, l’unica visione che aveva erano i piedi del professore, che si muovevano verso la porta su cui qualcuno aveva bussato. Solo adesso che nessuno la vedeva concesse a quella lacrima di scendere, nella testa solo l’immagine di Harry chissà dove. «Ti amo» mormorò debolmente, non sapeva se la voce era uscita o se era rimasta intrappolata in fondo alla gola, ma era tutto ciò che aveva bisogno di dire.
 
Quella stessa sera Harry aprì la Mappa del Malandrino e la fissò più del dovuto, voleva sapere cosa faceva Piton ma i suoi occhi finirono per cercare un’altra persona con i capelli rossi e gli occhi castani. La trovò nella Sala Comune, si disse che era tardi e che doveva essere al dormitorio. Eppure stava lì chissà a far che. Si era chiesto più volte se Ginny era preoccupata per lui almeno quanto lui lo era per lei. Chissà se stava bene, com’era andare a scuola con Piton come Preside e i Carrow come insegnanti. Rimase a fissare quel punto sulla pergamena per un tempo illimitato. La ricerca degli Horcrux era diventato un pensiero secondario, adesso avrebbe voluto essere tra le braccia di Ginny, essere stretto a lei e stringerla a sua volta per rassicurarla, per incoraggiarla a resistere perché lui non sarebbe più stato Harry senza di lei.
Rabbrividì sotto il freddo pungente di quella notte più scura delle altre. Richiuse la Mappa e sospirò producendo una nuvoletta di fiato, si appoggiò lentamente contro la tenda; non gli importava della sua missione o della guerra: voleva solo che Ginny stesse bene.
Si svegliò non molto tempo dopo, faceva freddo e il fuoco che aveva creato con la magia serviva a poco, riaprì la Mappa che aveva già osservato per tutta la serata. Ginny era sempre in Sala Comune ma accanto a lei c’era Neville ed Harry si sentì impercettibilmente meglio. Non poteva sapere se stava bene o meno, ma il pensiero che fosse con qualcuno, che non fosse da sola, fu come un palliativo per lui. «Prenditi cura di lei, Neville» mormorò contro la carta, mentre l’inquietudine che aveva provato verso di lei non accennava a sparire.
 
I due anziani rimasero a fissarsi per un bel po’ prima di parlare. Il silenzio della cucina era rotto solo dal ticchettio dell’orologio che segnava il tempo che inesorabilmente sfuggiva alle loro mani. Entrambi sapevano cosa era successo durante quell’anno in cui erano stati costretti a stare lontani, ma ricordarlo provocava sempre un po’ di angoscia. Pensare che entrambi avevano sofferto così tanto prima di ritrovarsi finalmente insieme li faceva sempre tentennare.
«Non mi avevi mai raccontato questo momento specifico» disse Harry schiarendosi la voce, Ginny alzò le spalle.
«Mi hai chiesto tu cosa ho detto quando avevo paura, e io te l’ho raccontato» osservò con tono semplice.
«La prima volta che mi hai detto “ti amo” io non c’ero» insistette Harry. Ginny a quel punto gli prese dolcemente una mano tra le sue e la strinse debolmente.
«Ci sei stato tutte le altre volte, ed è questo l’importante» chiarì. La sua voce aveva un tono duro e morbido allo stesso tempo. Rimasero in quel modo per un paio di minuti prima che Harry prendesse nuovamente parola. «Siamo arrivati a dopo la guerra…»
«Già, un altro periodo tutt’altro che semplice» commentò Ginny prendendo una mela dal cesto.
«Ricordo ancora cosa ti ho detto quando ti ho vista crollare tra le mie braccia».
«Lo ricordo molto bene anche io, signor Potter».  
 

 

 

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Capitolo 13
*** 13. Things you said when I was crying (Le cose che hai detto mentre piangevo). ***


13- 006: Things you said when I was crying (Le cose che hai detto mentre piangevo).
 
La guerra era finita, le macerie della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts erano ancora un ricordo vivido in chi aveva partecipato alla Battaglia. Erano passati solo pochi giorni da quel fatidico due maggio, il giorno in cui il Mondo Magico era stato reso libero dalla minaccia di Voldemort, ma al tempo stesso moltissime famiglie avevano perso qualcuno di caro. Compresa la famiglia Weasley.
Il Ministero aveva insistito per fare una cerimonia comune per tutti i defunti della Battaglia, poco prima che la cerimonia iniziasse, Ginny si fermò a guardare le lapidi di Fred, di Tonks, di Lupin, di Colin e di Lavanda. Le sembrava impossibile che fino ad una settimana prima quelle persone fossero accanto a lei e adesso non ci fossero più. Era uno strano scherzo della vita, metterti accanto le persone migliori e poi strappartele come se nulla fosse. Si concentrò sulla foto di suo fratello Fred, la persona che l’aveva fatta ridere più di tutti, il fratello che era sempre pronto a tirarti su di morale, a farti una battuta per farti sorridere, a richiamarti se studiavi troppo, proprio lui non c’era più. Tra tutte le persone che la guerra avrebbe potuto prendersi, aveva scelto lui e la sua risata.
Il ricordo del suo corpo steso nella Sala Grande era ancora vivo, ricordava George che chiamava Fred dall’ingresso della Sala per raccontargli chissà cosa e ricordava anche la sua espressione nel vedere l’esatta copia di sé stesso riversa a terra. Un corpo senza vita, senza più scopo, freddo, come il marmo del pavimento su cui era appoggiato.
Gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime, quelle che aveva cercato di nascondere in tutto quel tempo, d’improvviso sentì il mondo farsi più piccolo intorno a lei e l’aria iniziò a mancare. Lasciò la lapide di suo fratello e iniziò a correre, cercando un posto isolato da tutti. Superò un campanello di persone nell’entrata principale, corse attraverso corridoi deserti, sentì qualcuno chiamarla, probabilmente era sua madre, ma non se ne curò, doveva avere un momento solo per lei. Non seppe come ma finì nel cortile di Trasfigurazione, era deserto, si sentiva solo un brusio composto in lontananza ed il cinguettio degli uccellini che continuavano la loro vita ignari della tragedia che si stava consumando nelle mura circostanti. Finalmente iniziò a piangere come non aveva mai pianto da quando ne aveva memoria. Piangeva per Fred, per Tonks, per Colin, per Remus, per tutte quelle persone che aveva perso e che irrimediabilmente non avrebbe potuto riavere indietro.
La sua mente proiettò ricordi di quando era bambina, a volte capitava che Fred la prendesse in braccio e la facesse girare velocemente. Era una cosa che Ginny aveva sempre adorato. Forse da questo era nata la sua passione per il volo. Un altro flash improvviso: circa due anni prima a Grimmauld Place, i gemelli erano appena maggiorenni e si divertivano a smaterializzarsi anche quando non ce n’era bisogno. Le avevano dato fastidio, ma cosa avrebbe dato per riavere un solo attimo di quella serenità di nuovo.
«Ginny» la voce affaticata di Harry la raggiunse da dietro le spalle. Si girò per guardarlo, aveva il fiatone. Forse non era stata sua madre a chiamarla, forse era stato lui. «Stanno per iniziare» disse solamente.
Ginny era seduta sul gradino di marmo, un raggio di sole la colpiva ma non scaldava, tanto era il freddo che sentiva dentro di sé. Non ripose immediatamente ad Harry, si affrettò ad asciugarsi le lacrime e a guardare il cielo primaverile.
«Ginny» la richiamò. Senza chiedere il permesso si sedette accanto a lei e vedendo in quale stato fosse appoggiò una mano sul ginocchio. Non si erano parlati da dopo la Battaglia, erano state ore così frenetiche e strane che nessuno dei due aveva pensato all’altro. Erano entrambi persi nel loro dolore. Fu Ginny che si lanciò sul petto di Harry e diede libero sfogo ad un pianto che per troppo tempo aveva taciuto.
I ricordi con Fred si erano fatti più prepotenti, le partite di Quidditch, l’inaugurazione dei Tiri Vispi, gli scherzi architettati insieme contro Percy. Si aggiunsero quelli di Tonks, il suo essere goffa, il suo saper far sorridere anche semplicemente cambiando la forma delle proprie labbra o il colore dei capelli. Harry la strinse forte accarezzandole i capelli dolcemente di tanto in tanto le sembrava che li baciasse, ma Ginny non era più sicura di niente.
«Mi dispiace» cominciò. «Di solito per confortare si dice che andrà meglio, ma quando perdi una persona così vicina a te non è vero. Per un periodo andrà male, perché la ferita è ancora fresca, poi andrà peggio perché penserai di averla superata ma ci sarà quell’oggetto, quell’insulso oggettino dimenticato sul fondo del baule che ti ricorderà di Fred. E i ricordi ritorneranno a galla, sentirai chiaramente le sensazioni che stai provando adesso e cercherai di relegarle in un angolo in fondo al cuore perché devi andare avanti con la tua vita. Lo so che vuoi sapere che passerà, ma non passerà mai del tutto. Sarà con un dolore che va e viene, alcuni giorni sarà più forte, altri meno. Mi devi promettere una cosa però: quando il dolore sarà più forte, permettiti di piangere».
A quelle parole Ginny iniziò a singhiozzare sul maglione leggero di Harry, bagnandolo di lacrime e impregnandolo del suo dolore. Non le importava che non era sola e che Harry poteva vederla, non le importava che la funzione sarebbe iniziata da lì a pochi momenti e lei non sarebbe stata presente, voleva solo piangere e urlare, liberarsi di quel macigno che portava sul cuore.
«Come fai a saperlo?» chiese quando si fu calmata.
«Con Sirius è andata così» rispose lui atono. Ginny sollevò la testa e vide che anche lui aveva gli occhi lucidi, posò una mano sulla guancia dove c’era della barba ispida e poi, lentamente, si avvicinò a quelle labbra che le erano tanto mancate. Fu un bacio piccolo, leggero, come se volesse ringraziarlo. Poi si alzò, tolse la polvere dai pantaloni e insieme ad Harry tornò nel grande giardino di Hogwarts, dove ormai si era radunata una grande folla. Scorse le teste rosse della sua famiglia, uno più sconvolto dell’altro, il groppo in gola ritornò prepotentemente ma questa volta non lo fermò. Lo aveva promesso ad Harry.
 
«Avevi ragione» disse Ginny una volta che ebbe finito il suo racconto. «È un dolore che ti accompagna per tutta la vita. Pensa a quanto sarebbe stato orgoglioso di avere un nipote come James o Lily».
«O quanto avrebbe fatto i chiodi ad Al» si affrettò ad aggiungere Harry sogghignando.
«Sicuramente gli avrebbe fatto pesare il fatto di essere stato smistato a Serpeverde» convenne la moglie.
«E poi sarebbe rimasto deluso da Lily quando avrebbe scoperto che si sarebbe sposata con Scorpius Malfoy» completò Harry.
Gli occhi di Ginny erano velati da dolci lacrime malinconiche, era da tempo che non le capitava di pensare a Fred così intensamente e riprendersi dopo aver ricordato un momento così doloroso era sempre più difficile, nonostante gli anni passati.
«Dopo la guerra non è stato tutto rose e fiori» ricordò Harry mentre prendeva dell’uva dal cesto della frutta.
«Per niente. È stato il periodo in cui ho dubitato più di te» ammise senza troppe cerimonie Ginny. Col tempo aveva smesso di avere l’ansia di rivelare qualcosa al marito. «Durante quel periodo c’è stata almeno una volta in cui sapevi che non avrei capito le tue ragioni?» chiese osservando le mani orma vecchie del Salvatore del Mondo Magico.
«Ma certo, e posso raccontartelo anche subito, se vuoi» rispose l’uomo.
«Sono tutta orecchi».

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Capitolo 14
*** 14. Things you said I wouldn’t understand (Le cose che hai detto e che non avrei capito). ***


14- 022: Things you said I wouldn’t understand (Le cose che hai detto e che non avrei capito).
 
Per l’ennesima volta nel giro di pochi mesi, Harry si ritrovò a fare uno zaino pronto per partire. Era rimasto alla Tana per qualche settimana, ma non se la sentiva di fermarsi oltre, si respirava un’aria pesante e tetra ed Harry aveva bisogno di un tempo solo per sé per elaborare quanto successo. Alle persone che combattono la guerra non dicono mai cosa succede dopo che questa è terminata, il senso di vuoto, di non saper come andare avanti nella vita, non sapere come riprenderla in mano.
Mise una felpa dentro lo zaino che aveva portato con sé per tutto il tempo in cui era andato alla ricerca degli Horcrux mentre nel suo petto cresceva un costante senso di ansia ricordando quello che era accaduto. La posò con violenza, scaricando tutta la frustrazione sull’indumento. Si sedette sul letto fermandosi a pensare agli avvenimenti degli ultimi tempi, cercando di trovare un senso alla morte di Fred, di Tonks, di Lupin, di Colin…Colin era ancora minorenne e aveva scelto di combattere per lui, aveva strappato ad una famiglia un ragazzo di appena sedici anni che aveva combattuto per una causa più grande, un qualcosa che probabilmente non aveva capito a pieno. I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che bussava alla porta.
«Avanti» disse alzandosi e cercando di riprendere quello che stava facendo. Dalla porta entrò Ginny, aveva lo sguardo scuro, i suoi occhi castani non erano più luminosi come li ricordava, erano un infinito pozzo di tristezza.
«Così mamma ha ragione» commentò indicando con la testa lo zaino sul suo letto.
«Non posso restare qua, Ginny» rispose atono. «Ho già dato ai tuoi genitori troppi problemi».
«Per loro non sarai mai un problema» specificò lei. «Non lo sarai mai per nessuno di noi».
Dal giorno del funerale si erano a malapena incrociati durante i pasti, quel bacio era stato un salvagente da usare per salvarsi, ma adesso che il salvagente li aveva aiutati ad arrivare sulla terraferma, quasi si vergognavano di guardarsi in faccia. Harry non si sentiva pronto a cominciare una relazione con una persona a cui aveva ucciso il fratello, a malapena riusciva a stare con Ron senza sentirsi troppo in colpa.
«Tornerai ad Hogwarts a settembre?» chiese. Harry scosse la testa.
«No. Non sarei a mio agio».
«Non volevi diventare Auror? Per fare l’Auror servono i M.A.G.O.» osservò Ginny. Si era seduta sul letto di Ron e guardava la schiena di Harry intento a sistemare quello zaino maledettamente sgualcito.
«Ho ucciso Voldemort, credo che vada oltre i M.A.G.O.» rispose secco. Voleva essere una battuta, ma il tono duro con cui la disse non fece ridere Ginny, né tantomeno Harry stesso.
«Dove andrai a stare?» chiese ancora cambiando argomento.
«Grimmauld Place. Ma non ci starò molto…»
«Che vuoi dire?» domandò ansiosa.
«Vado in Australia con Hermione, a cercare i suoi genitori…» rispose senza guardarla. Il suo sguardo era fisso sulla Mappa del Malandrino che aveva usato talmente tante volte durante la ricerca degli Horcrux da consumarla.
«Certo, dovevo immaginarlo» commentò senza una particolare inflessione nella voce.
«Cosa intendi?» chiese girandosi per guardarla, il tono era leggermente irritato.
«Dovevo ricordarmi che c’è sempre qualcosa che viene prima di me. Prima Tu-Sai-Chi, poi quello che avete fatto mentre eravate via, e adesso i genitori di Hermione. Chi se ne frega se c’è la povera Ginny che aspetta una risposta da te. A chi importa! È solo una ragazzina innamorata persa di te che sarebbe disposta ad aspettarti tutta la vita se tu glielo chiedessi ma sei troppo cieco per accorgertene!»
Le parole di Ginny lo colpirono come uno schiaffo. Aveva davvero detto che era innamorata di lui e che l’avrebbe aspettato per tutta la vita? Aveva capito di essere importante per lei ma non così tanto. Mentre Harry si perdeva nei suoi pensieri, Ginny si era alzata e si era avvicinata alla porta, aveva un’espressione astiosa in volto. «Buon viaggio, Harry» disse con tono scontroso. Avrebbe voluto inseguirla, dirle che ancora non era il tempo giusto per lui, ma l’unica cosa che fece fu sedersi sul letto e prendere a calci il tappeto. Sapeva di averle chiesto già tanto quando l’aveva lasciata la prima volta, sapeva che non avrebbe capito quello sforzo che le stava chiedendo, eppure lo aveva fatto. Guardò la porta da dove era uscita Ginny poco prima, sapeva di doverle delle scuse ma era ancora troppo presto. Anche lei aveva bisogno del suo tempo per riflettere su quello che era successo, Harry ne era convinto, solo che lei era impulsiva almeno quanto lui ed era difficile farla ragionare.
«Io dovrei ucciderti!» esclamò Ron entrando nella stanza. Harry si ritrasse sul letto in un riflesso involontario.
«Come lo sai?» chiese ormai contro il muro.
«Ginny ha chiesto ad Hermione di parlare subito. È uno degli ultimi momenti che passiamo insieme e la tua fidanzata di mette in mezzo!» continuò indignato.
«Ginny non è la mia fidanzata» chiarì a scanso di equivoci. «Ma non capisco se ce l’hai con me perché ho rotto con Ginny o perché ho indirettamente interrotto la tue smancerie con Hermione» proseguì con un sorriso furbo.
«Facciamo per entrambe e ci cacciamo il pensiero» rispose lui ridendo. Per quanto Ron ed Hermione fossero straniti dai sentimenti che provavano l’uno per l’altra, avevano iniziato a cercare il loro equilibrio, e ci stavano riuscendo molto bene, secondo Harry. Li trovava molto carini insieme, anche se questo significava essere escluso di tanto in tanto. «Comunque è solo un periodo, tornerete insieme» lo rassicurò interrompendo i suoi pensieri. «Dovete farlo perché l’unico fidanzato di Ginny che accetterei saresti tu» completò facendo sorridere Harry che si sentì impercettibilmente meglio.
 
«Hai capito, sei riuscito a far abdicare Ron dalla sua posizione di fratello geloso!» esclamò Ginny ridendo insieme al marito.
«Mi sembra di averti detto che come ex-Prescelto ho un certo fascino» la stuzzicò e Ginny alzò gli occhi al cielo.
«Quando è successo che sei diventato così pieno di te?» chiese con un tono leggero e scherzoso.
«Me l’ha insegnato James nel tempo» rispose lui divertito.
Marito e moglie si alzarono e iniziarono a sparecchiare la tavola dove avevano consumato la cena fino a poco tempo prima, poi Ginny con un colpo di bacchetta incantò i piatti che iniziarono a lavarsi in maniera autonoma. In una serata normale sarebbero andati a letto, stanchi della giornata appena trascorsa, ma non ne avevano voglia, volevano entrambi ritornare a quel periodo della loro vita in cui erano giovani e innamorati, in cui avevano paura, sì, ma il mondo sembrava un posto un po’ più accogliente. «Sai, non credo sia stata quella la litigata peggiore» osservò Ginny mentre guardava la spugnetta lavare il bicchiere in cui aveva bevuto durante la cena.
«Hai ragione. Forse è stata quella dopo…» convenne il marito.
E d’un tratto si ritrovarono a casa di Harry, nella serata estiva che precedeva l’inizio dell’ultimo anno di scuola di Ginny.     

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Capitolo 15
*** 15. Things you said in the spur of the moment (Le cose che hai detto nell’impeto del momento). ***


15- 048: Things you said in the spur of the moment (Le cose che hai detto nell’impeto del momento).
 
Il viaggio in Australia era durato meno di quanto Harry aveva creduto. Si era aspettato di dover cercare i signori Granger in lungo e in largo per il continente, di dover dormire nelle tende, di doversi cercare cibo, invece aveva dormito in una stanza di un hotel babbano per circa un mese, una stanza calda e tutti i pasti garantiti. L’unico difetto era che aveva lasciato la calda estate inglese, per farsi investire dal freddo inverno australiano. A ripensarci, non sapeva perché aveva immaginato la ricerca dei genitori di Hermione come se fosse la ricerca degli Horcrux. Alla fine li avevano trovati in una zona residenziale di Sydney, Hermione aveva sistemato loro la memoria e poi erano ritornati tutti e quattro in Inghilterra. Adesso Hermione si era presa del tempo da passare insieme ai suoi genitori, ed Harry era in quella che con fatica definiva casa sua, Grimmauld Place.
Era il 31 agosto, era una serata torrida, tuttavia la pioggia che scendeva non accennava a smettere aumentandone l'umidità. Hermione aveva chiesto sia a lui che a Ron di accompagnarla alla stazione l’indomani, aveva voluto completare la sua istruzione magica ed Harry non si aspettava nient’altro di diverso da Hermione, perciò aveva accettato, anche se questo significava rivedere Ginny. Da quella volta in cui avevano litigato alla Tana non si erano più visti. Era capitato che lui andasse a pranzo o a cena dai Weasley ma puntualmente evitava di farsi trovare o consumava pasti molto veloci, ma c’era troppo dolore che aleggiava in quella casa perché i genitori se ne accorgessero.
Sobbalzò quando sentì qualcuno bussare alla porta, istintivamente prese la bacchetta e si diresse verso l’uscio, pronto a colpire nel caso fosse stato qualche nemico. Quando aprì la porta, vi trovò una Ginny bagnata dalla testa ai piedi, rimase immobile, come se il mondo avesse smesso di girare. Si soffermò a guardare i suoi capelli lunghi incollati al volto, gli occhi castani che lentamente stavano riacquistando quella luminosità che avevano prima della morte di Fred, le lentiggini che le ricoprivano il volto erano sempre lì. Sembrava un po’ più abbronzata dall’ultima volta che l’aveva vista. «Lasciare le persone sotto la pioggia non è educato» disse entrando senza manco aspettare che Harry le desse il permesso. La lasciò attraversare l’ingresso e nel frattempo chiuse la porta. Quando arrivarono in salotto, lei era già asciutta.
«Che ci fai qui?» domandò sentendo la gola secca. Si stava abituando all’idea che probabilmente avrebbe rivisto Ginny a Natale o peggio, alla fine dell’anno scolastico, vedersela davanti l’aveva scombussolato.
«Sono venuta a trovarti» rispose semplicemente. Era in piedi al centro del salone, le braccia scendevano lungo il busto, l’espressione sul volto era combattiva.
«Cosa hai detto ai tuoi?» chiese sospettoso.
«Non sanno che sono qui, ho messo dei cuscini nel letto».
«Non lo sa manco Ron?»
«No». Harry sospirò sedendosi sul divano e passandosi le mani sulla faccia come a volerla lavare.
«Ginny, non mi puoi mettere nei guai con Ron…» sospirò lui.
«Nessuno scoprirà niente, stai tranquillo» lo rassicurò. Non si sedette, rimase in piedi ad osservare Harry seduto sul divano con i gomiti appoggiati alle ginocchia.
«Come hai fatto ad arrivare qui?» continuò a chiedere. L’ultima cosa che voleva era che Ginny si mettesse nei guai per venire a trovarlo.
«Sono maggiorenne, ho preso la patente per la smaterializzazione» spiegò. Harry si buttò contro o schienale del divano e guardò il soffitto. Si era dimenticato del compleanno di Ginny, si era dimenticato che lei l’undici agosto sarebbe diventata maggiorenne. L’amava ma continuava impercettibilmente a farle male.
«Scusami io…» cercò di rimediare ma l’aria morì nei polmoni incapace di formulare una scusa in grado di giustificare un errore simile.
«Non c’è bisogno che dici che te lo sei dimenticato, te lo dimentichi sempre…» osservò lei. Nella sua voce non c’era tristezza o voglia di essere compatita, aveva un tono determinato, era venuta lì con l’intento di dirgli qualcosa ed Harry non sapeva se era pronto a sentire quello che Ginny aveva da dirgli. Quella visita non presagiva nulla di buono.
«Non è vero! Io so quand’è il tuo compleanno. Mi è solo caduto di mente!» scattò su Harry, leggermente irritato dalla supposizione di Ginny.
«Ah sì? E per caso ricordi quand’è stata l’ultima volta che ne abbiamo festeggiato uno insieme?» lo provocò. Era sempre ferma al centro del salotto, aveva le braccia incrociate, e la testa piegata verso sinistra. Gli mise paura quasi quanto Molly Weasley quando metteva le mani sui fianchi pronta a rimproverare uno dei suoi figli. Tuttavia non riuscì a trovare una risposta alla domanda di Ginny, quindi si limitò ad abbassare lo sguardo e fissare i suoi jeans. «Ecco, appunto» commentò.
«Volevi dirmi qualcosa?» chiese ormai su tutte le furie. La rabbia che lo pervadeva era così imponente, che non riuscì più a stare seduto sul divano che sembrava essere diventato rovente.
«Sì. Volevo parlarti di noi» disse lei calma. Una calma solo in apparenza, Harry riusciva a vedere l’ira dardeggiare nei suoi occhi.
«Coraggio, dimmi tutto quello che hai da dire» la invitò. La dolcezza con cui si erano abituati a parlare nel periodo che erano stati insieme ad Hogwarts, era solo un lontano ricordo relegato in chissà quale parte del cervello. Harry dovette lottare molto con sé stesso per evitare che le immagini di quei giorni tornassero prepotentemente davanti ai suoi occhi.
«È finita» disse con un tono incolore. «Non ho più intenzione di stare dietro a te, dietro al grande Harry Potter che ci ha salvato tutti, dietro alle tue manie di fare l’eroe senza considerare che le persone accanto a te hanno dei sentimenti! Ti sei mai chiesto cosa abbia potuto provare io quando mi hai lasciata? O quando sono rimasta ad Hogwarts con Piton ed i Carrow? O cosa ha significato per me essere lasciata per l’ennesima volta in disparte? Hai mai provato a metterti nei miei panni almeno per una volta?» sciorinò furente. Le guance erano diventate rosse e respirava affannosamente. Harry si chiese quanto tempo aveva aspettato a dirgli quelle cose. C’erano stati tanti momenti di tenerezza tra di loro ma adesso sembravano ad appartenere ad un’altra vita.
«E tu credi che io non sia stato male mentre ero là fuori alla ricerca degli Horcrux? Credi che sia andato in villeggiatura o volessi trovare un modo alternativo per lasciarti?» quasi urlò Harry. Camminava avanti e indietro nel salone, le assi del pavimento sotto i suoi piedi scricchiolavano producendo un rumore sinistro coperto però dalle grida dei due ragazzi.
«Non lo so, Harry! Non so niente di te perché per te sono e resterò sempre solo la sorellina piccola del tuo migliore amico!» esclamò. Harry percepì quelle parole come un pugno nello stomaco che lo costrinsero a fermarsi e guardarla attentamente. Gli occhi adesso erano leggermente lucidi ma non piangeva.
«Pensi questo di me?» chiese. Ginny rimase in silenzio senza abbassare lo sguardo. «Rispondi!» disse spazientito.
«Sì, Harry. Oppure provami che è il contrario». Harry rimase fermo al suo posto. Tutti gli scenari in cui Ginny era sua moglie, la madre dei suoi figli, scenari in cui si era visto accoccolato a lei dopo una giornata pesante, si ruppero davanti ai suoi occhi. Come un castello di carte appena c’è un alito di vento leggerissimo.
«Vai via, Ginny. Non voglio più vederti» disse lapidario.
Ginny non rispose, uscì di casa sbattendo la porta mentre Harry rimaneva da solo. Il rumore della pioggia battente era la sua unica compagnia. 
 
«Sono stata davvero perfida quella volta» rifletté Ginny mentre guardava le iridi verdi del marito. Erano ancora l’unica cosa capace di calmarla dalla velocità della vita quotidiana. Erano un po’ il suo piccolo angolo di paradiso.
«Io non sono stato migliore» confessò il marito.
«Siamo stati entrambi molto cattivi. Ci siamo detti delle cose brutte solo perché eravamo entrambi arrabbiati» cercò di mediare Ginny.
«Però ti amavo già» specificò Harry e Ginny sorrise.
«Ti amavo anche io. Avevamo bisogno del nostro tempo, dei nostri spazi, di stare lontano l’uno dall’altra per capire cosa significasse davvero stare insieme» spiegò Ginny.
La verità era che ancora adesso si rammaricava di aver perso quei mesi preziosi per stare insieme ad Harry, quei mesi che sarebbero potuti essere l’inizio del loro amore che poi avevano rimandato per circa un anno, ma che erano diventati i mesi in cui Harry e Ginny si erano quasi odiati. E se ne rammaricavano ogni giorno, anche se poi si erano impegnati per tutto il resto della loro vita a rimediare a quei giorni in cui erano distanti.
«Ho impresso nella mente quel ricordo sotto la neve…» disse pensieroso Harry.
«Quando ci siamo riavvicinati?» chiese conferma Ginny. Era chiaro si riferisse a quello ma ultimamente aveva poca fiducia nelle sue capacità cognitive.
«Sì» confermò.
Improvvisamente non c’era più la loro casa di Godric’s Hollow, erano in una fredda sera invernale davanti ad una lapide ed Harry, finalmente, crollava tra le sue braccia.

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Capitolo 16
*** 16. Things you said when you were crying (Le cose che hai detto mentre stavi piangendo). ***


16: 005- Things you said when you were crying (Le cose che hai detto mentre stavi piangendo).
 
Ginny era tornata a casa da Hogwarts per Natale, non aveva voglia di passare il primo Natale senza Fred a scuola da sola. Neville, Luna ed Hermione avevano scelto di non restare, di conseguenza anche lei aveva scelto di fare lo stesso. Hermione era tutta presa da questa nuova relazione con Ron e ogni volta che anche solo si accennava al rientro a casa, diventava così sdolcinata che a Ginny quasi non veniva il mal di denti. Erano carini insieme, ma Ginny non poteva fare a meno di rinfacciare al fratello quanto fosse ipocrita nei suoi confronti.
Quel Natale alla Tana sembrava freddo però. Nonostante sua madre avesse abbellito il salone come faceva ogni anno, cibo a volontà, nonostante l’ambiente circostante sembrava allegro e gioioso, in Ginny rimaneva costante la sensazione che mancasse qualcosa, o meglio, qualcuno. E non faceva riferimento ad Harry, che aveva scelto di festeggiare il Natale con Andromeda ed il piccolo Teddy. Faceva riferimento a suo fratello che adesso non era nient’altro che una lapide in giardino e una foto sorridente di lui. Improvvisamente le tornarono in mente le parole che le aveva detto Harry il giorno del funerale, il giorno in cui si erano baciati per l’ultima volta, e per la prima volta in otto mesi realizzò quanto fossero vere. Erano in giorni come quelli che la mancanza faceva più male, che l’assenza si faceva sentire. Sarebbero mancati i suoi scherzi, le sue battute, il suo alzare gli occhi al cielo ogni qualvolta sua madre metteva le canzoni di Celestina Warbeck. Ancora ricordava quando due anni prima avevano preso lo gnomo e lo avevano messo sulla cima dell’albero. Non se n’era accorto nessuno fino al giorno in cui avevano dovuto smontarlo. Sospirò pesantemente mentre scendeva le scale per andare a prendere il suo mantello per andare alla lapide di Fred, c’erano dei pacchi in più sotto l’albero ma non se ne curò più di tanto. Uscì ed il vento gelido di dicembre la investì, costringendola a stringersi nell’indumento, stava cominciando a nevicare ma non le importava; continuò dritta per la sua strada.  
La lapide di Fred era in un angolo remoto del giardino, non perché volevano dimenticarlo, ma perché il dolore per la sua perdita era ancora troppo forte e trovarselo lì davanti ogni mattina non avrebbe migliorato la situazione in cui ogni membro della famiglia Weasley riversava. Lupin, Tonks e gli altri caduti della Battaglia erano sepolti ad Hogwarts ma sua madre aveva insistito per riportare il corpo di Fred a casa, per poterlo avere più vicino. Per Ginny aveva poco senso ma era ben contenta di non girare per i giardini di Hogwarts e trovarsi davanti la tomba di tuo fratello, era già difficile farlo con le altre.
Arrivata nell’angolo di giardino in cui era sepolto Fred, vide una figura inginocchiata dinanzi, le spalle erano scosse da violenti singhiozzi. Nel buio della sera era difficile identificarla; era una figura maschile. Dapprima pensò fosse George, ma era troppo mingherlino per essere lui, erano da escludere anche Charlie e Bill. Ron l’aveva salutata poco fa dicendo di dover andare da Hermione e suo padre stava facendo qualcosa nello sgabuzzino. Rimaneva solo una persona.
«Harry» mormorò avvicinandosi lentamente. Avevano giurato di non parlarsi e vedersi più ma non poteva lasciarlo solo in quel momento. Arrivò dietro di lui e gli poggiò una mano sulla spalla.
«È colpa mia» disse solamente fissando il marmo della lapide. «È tutta colpa mia se voi avete perso un fratello, se Teddy crescerà senza genitori» singhiozzava come non lo aveva mai visto prima di quel momento e Ginny si sentiva inutile di fronte a quel dolore.
«Non è colpa tua, Harry» cercò di consolarlo. «È colpa della guerra…»
«E adesso mi dirai che non sono stato io ad iniziare la guerra ma è stato Voldemort!» esclamò tra le lacrime. Si era voltato con uno scatto e Ginny aveva indietreggiato di riflesso. Non l’aveva mai visto così. L’aveva visto piangere, sì, ma era la prima volta che lo vedeva affrontare i suoi demoni.
«Be’ ma è così…» disse piano. Di solito non aveva paura di fronteggiare le persone; dopo aver affrontato i Carrow sentiva di poter avere a che fare con chiunque, ma con Harry era come camminare in campo pieno di mine antiuomo. Harry era come una bomba ad orologeria pronto ad esplodere e ad incenerire tutto, tanto era il suo dolore. Ginny non l’aveva capito fino a quel momento.
«E Voldemort per chi ha iniziato la guerra?» la fronteggiò. Le lacrime non accennavano a fermarsi e il respiro era irregolare. «Se io mi fossi consegnato fin da subito non sarebbe successo niente di tutto questo!» esclamò adirato.
«Harry, loro hanno scelto di combattere. Lo ha scelto Colin, che era minorenne come me, e lo ha scelto Fred. Lo hanno scelto pure Remus e Tonks o Lavanda. Lo hanno fatto anche per te, ma lo hanno fatto per tutta la gente che li aspettava a casa. Remus e Tonks hanno combattuto per Teddy e Andromeda, Colin ha combattuto per suo fratello che era ancora troppo piccolo per farlo, Lavanda avrà combattuto per la sua famiglia» cercò di farlo ragionare.
«E Fred?» domandò tirando su col naso.
«Fred avrà combattuto perché quella risata con cui è morto sul volto ritorni ad abbellire le nostre giornate» la voce le si incrinò leggermente. Spesso si era chiesta perché il fato si era preso proprio Fred, perché quell’esplosione aveva colpito proprio suo fratello e non uno studente a caso che lei non conosceva, ma non aveva trovato risposte. Adesso sembrava quasi avere un senso logico.  «Se ti avesse visto piangere e ti avesse sentito, avrebbe detto che non gira tutto intorno a te» commentò poi con un mezzo sorriso che nel buio Harry non avrebbe visto. Poi successe una cosa strana: Harry si lanciò letteralmente tra le sue braccia, come un bambino che ha bisogno di essere consolato e iniziò a piangere a dirotto. I singhiozzi divennero più forti e più frequenti e sembrava quasi impossibile placarli. Quasi come non aspettasse altro, Ginny strinse Harry a sé, nonostante lui fosse più alto e la posizione risultasse scomoda per entrambi. Gli accarezzò la nuca cercando di regolarizzare il respiro che ormai aveva vita propria. «Va tutto bene, Harry» sussurrava nel suo orecchio. «Non è colpa tua» continuava. «Lo so che fa male, ma passerà».
Molto lentamente il respiro di Harry tornò quello di sempre e i singhiozzi sparirono. Rimasero in quella posizione per un po’, un tempo che ad entrambi sembrò interminabile, un tempo che servì a tutti e due per capire che potevano anche insultarsi e dirsi che non volevano vedersi e parlarsi mai più, ma il loro cuore avrebbe sempre indicato una strada diversa da quella della ragione.
 
«Davvero ti ho fatto paura quella sera?» chiese Harry alzando le sopracciglia. Era alquanto stupito da ciò che la moglie gli aveva appena raccontato.
«Be’ era la prima volta che ti vedevo in quello stato» osservò lei leggermente sulla difensiva.
Ginny si alzò invitando il marito a seguirla e si accomodarono sul divano sedendosi l’uno accanto all’altra, tenendosi per mano. Era una posizione che quando erano fidanzati adoravano, poi da quando erano nati i bambini era stato sempre più difficile fare la giovane coppia innamorata e avevano ripreso proprio quando i loro pargoli avevano lasciato il nido. Non erano più giovani ma erano ancora innamorati come quella volta nella Sala Comune Grifondoro.
«Però eravamo due testoni e non ci siamo più chiariti dopo quel momento» ricordò Harry ridendo leggermene.
«È vero. A volte mi chiedo come due teste come noi siano riuscite a stare insieme per così tanto tempo» ammise dando ragione al marito.
«Amor vincit omnia, dicevano i latini» rispose Harry alzando le spalle.
«Potter, parli anche latino? Non smetti mai di stupirmi!» esclamò dandogli un leggero pizzicotto sul fianco che fece sobbalzare Harry.
«Come quella sera sul prato?» domandò Harry cambiando discorso.
E fu di nuovo quell’estate del 1999, quando il dolore sembrava quasi sconfitto e la gente cercava di riprendere in mano la propria vita dopo la guerra.

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Capitolo 17
*** 17. Things you said under the stars and in the grass (Le cose che hai detto sotto le stelle, disteso sull’erba). ***


17- 004: Things you said under the stars and in the grass (Le cose che hai detto sotto le stelle, disteso sull’erba).
 
Da quel momento di avvicinamento tra Harry e Ginny, il tempo era passato. La neve si era sciolta al sole, il prato non era più imbiancato ma verde e rigoglioso, il freddo pungente aveva lasciato il posto al caldo estivo e l’inverno era diventato finalmente estate. Ginny aveva concluso la scuola con ottimi voti (ovviamente inferiori a quelli di Hermione) e quel tempo di transizione aveva permesso ad Harry e Ginny di avvicinarsi, seppur in modo cauto. Adesso parlavano e scherzavano tra di loro, riuscivano a stare nella stessa stanza contemporaneamente; una volta Harry aveva portato addirittura Teddy alla Tana!
Ginny sospirò e si sdraiò sull’erba del giardino di casa sua. Erano i primi giorni di luglio e l’arsura del giorno era insopportabile, trovava ristoro solo dopo il tramonto, quando l’aria diventava più fresca. Nel cielo spuntavano le prime stelle e quasi senza volerlo, Ginny si chiese se tra quelle stelle c’era anche suo fratello Fred. Era già passato un anno da quando non c’era più. Era stato un anno terribile per la sua famiglia: sua madre aveva spesso attacchi di pianto che nessuno riusciva a fermare, suo padre era diventato intrattabile, Percy era sempre cupo e andava costantemente in giro con la faccia da funerale, George per un periodo di tempo lunghissimo si era rifiutato di uscire dalla sua stanza. Non rideva, non mangiava, le poche volte che lo si vedeva era pallido e aveva gli occhi rossi e gonfi. Era come se condividesse la stanza con un Dissennatore che gli succhiava la felicità e lui, incurante, glielo lasciava fare.
La svolta era cominciata piano piano. Prima aveva iniziato a scendere a cena la sera di Natale, poi aveva ricominciato ad andare in negozio accettando l’aiuto di Ron e Verity, e infine aveva ripreso in mano la sua vita. Era un po’ più spento, ma era sempre George. Anche Ron aveva sofferto, anche se aveva cercato di non darlo a vedere, una volta lo aveva sentito piangere nella sua stanza, Ginny sarebbe voluta entrare ma era un dolore ancora troppo fresco anche per lei e probabilmente avrebbe pianto anche lei senza veramente essere d’aiuto al fratello. L’ago della bilancia era stato Bill. Aveva accusato il colpo perché si sentiva il fratello più grande che aveva mancato al compito di proteggere il fratello più piccolo ma aveva cercato di rimediare al suo errore cercando di bilanciare il dolore della sua famiglia. Cercava sempre di parlare con ognuno di loro e confortarli un po’. Era anche un po’ merito suo se Ginny non era crollata definitivamente.
«Non sapevo ti piacesse stare sdraiata sull’erba» commentò una voce divertita alle sue spalle. Non ebbe bisogno di girarsi, non era la voce di qualche suo fratello, era la voce di Harry. E come poteva non riconoscerla? Sorrise al cielo, senza guardarlo, ultimamente stare insieme ad Harry era diventato quasi terapeutico per la sua pace interiore, spesso era lei a cercare di stare con lui il più possibile.
«Di solito non lo faccio, infatti» commentò fissando il firmamento. «Oggi faceva troppo caldo in casa e mi sono sdraiata sull’erba alla ricerca di un po’ di fresco». Harry nel frattempo si era avvicinato e la sovrastava. Notò che aveva una cicatrice fresca sulla faccia, trattenne da chiedersi come se la fosse procurata. Poi Harry si sdraiò accanto a lei; il frinire dei grilli intanto iniziava a riempire l’aria intorno a loro.
«E così hai finito Hogwarts…» iniziò. Ginny aveva ancora gli occhi puntati verso il cielo, ma sentiva lo sguardo di Harry su di lei. Era penetrante. Era brucente.
«Già…» sospirò Ginny.
«Sai già cosa fare adesso che hai finito la scuola?» chiese. Era sinceramente interessato e Ginny non poté che rispondere sinceramente, come non aveva fatto con nessuno della sua famiglia fino a quel momento.
«Pensavo di fare qualche provino per il Quidditch» rispose mentre osservava la stella più luminosa del cielo. Era una notte senza luna ma ugualmente bella.
«Cavolo! Giocatrice professionista di Quidditch?!» esclamò Harry.
«Non c’è niente di male, no? Sono brava e mi piace volare, credo di essere abbastanza sportiva da accettare una sconfitta, ho tutte le carte in regola per diventarlo…» rispose facendo spallucce. Non aveva capito se Harry fosse più entusiasta o sconcertato.
«E hai ragione!» le diede man forte. «Nel mio breve periodo da capitano, posso dire che eri la giocatrice migliore che avesse la squadra Grifondoro». Ginny non riuscì a nascondere un sorrisetto compiaciuto. I complimenti sul Quidditch la lusingavano molto più che i complimenti sul suo aspetto fisico.
«Ti ringrazio» disse guardandolo per la prima volta. Dopo tanto tempo, i loro occhi finalmente si incontrarono ed il cuore di Ginny accelerò impercettibilmente la sua corsa, come se volesse andare nella cassa toracica di Harry e prendere il suo cuore per abbracciarlo. Ignorò quel breve riflesso fisiologico e tornò a concentrarsi sulla conversazione.
«So che quest’anno è toccato a te fare il capitano» le parole di Harry la riportarono alla realtà. «Com’è stato?» chiese. Ginny sospirò.
«Piuttosto strano» ammise. «Non è stato un anno sereno, almeno all’inizio. Dopo Natale è migliorata un po’ la situazione ma ci vorrà del tempo finché Hogwarts ritorni quella di sempre, quella che abbiamo conosciuto noi».
«Intendi quella dove al primo anno tu sei stata posseduta da un diario, c’era un professore con Voldemort sulla nuca, è entrato un ipotetico assassino, sono stato scelto per un Torneo in cui sarei potuto morire e tutte le altre cose che sono successe?» domandò con tono ilare. Ginny rise di gusto pensando a tutto ciò che era davvero accaduto in quegli anni.
«Però eravamo felici, non ci rendevamo conto di quello che accadeva per la maggior parte del tempo. È questo che è mancato quest’anno: la serenità. Perfino i ragazzini del primo anno erano terrorizzati» spiegò una volta tornata seria.
Tra loro scese il silenzio, ognuno era perso a contemplare le stelle, Ginny ancora a chiedersi se tra di esse ci fosse Fred, Harry chissà a cosa pensava. Ginny avrebbe voluto chiederglielo ma le sembrava una domanda troppo intima.
«Ginny» iniziò lui schiarendosi la voce. «Ti va di ricominciare?» domandò senza manco prendere fiato. Ginny si girò verso di lui con gli occhi sbarrati ma lui continuava a guardare il cielo.
«Ricominciare cosa?» chiese leggermente nel panico. Si era aspettata di tutto ma questa domanda l’aveva lasciata di stucco.
«A vederci, a stare insieme…Ricominciare seriamente, senza avvicinarci per poi allontanarci. Baciarci poi litigare, poi ricongiungerci. Stare insieme per davvero» rispose. «Sempre se vuoi, eh!» si affrettò ad aggiungere.
Ginny sospirò tirandosi su e sedendosi a gambe incrociate, si girò verso Harry ed anche Harry fece lo stesso. Lei sapeva di amare Harry, lo amava con ogni fibra del suo corpo. Ogni volta che lo vedeva le pupille si dilatavano ed il cuore andava più veloce. Ma non era ancora pronta. Aveva appena finito la scuola non sapeva se sarebbe riuscita ad entrare davvero in una squadra di Quidditch o se avrebbe dovuto trovare un ripiego, Harry aveva appena concluso il primo anno all’accademia di Auror. Le sembrava troppo presto…
«Harry…io…» balbettò. Si guardò intorno cercando le parole giuste da usare.
«Lascia stare. Fai come se non ti avessi detto niente» tagliò corto lui iniziando ad alzarsi. Ginny lo bloccò per il polso.
«Aspetta!» esclamò. «Non ho finito!» Harry si risedette, percepiva un po’ di astio da parte sua, ma non gliene fece una colpa. Probabilmente al posto suo, lei avrebbe reagito esattamente allo stesso modo. «Io voglio stare insieme a te» chiarì. «Ma ho bisogno di un altro po’ di tempo. Tempo per capire cosa fare dopo Hogwarts, per capire chi sono oltre Ginny Weasley di Grifondoro. E ho bisogno di farlo da sola» spiegò.
«E quindi?» domandò leggermente impaziente.
«Ti chiedo solo di aspettare per un po’» rispose lei quasi in un lamento. Come se fosse una supplica. Harry parve rilassarsi un po’, Ginny lo prese come un buon segno e si conseguenza si rilassò anche lei. Avvicinandosi, lui le lasciò una morbida carezza sulla guancia e un leggero bacio in fronte.
«Ci vediamo presto, Ginny» mormorò.
 
«Devo ammettere che quando sono tornato a casa ero piuttosto depresso» disse Harry ridendo una volta che ebbe sentito il racconto della moglie.
«Scusami, avevo davvero bisogno di un po’ di tempo…» rispose Ginny ridacchiando e pensando a quel periodo della sua vita.
«È stato un anno strano quello» commentò pensieroso, aveva la testa appoggiata alla spalla della moglie e fissava il loro salotto.
«Puoi dirlo forte!» convenne lei. «Però negli anni successivi mi sono fatta perdonare» si premurò di ricordare.
«Certo che sì!» affermò con una certa foga. «A partire da quando ci siamo messi ufficialmente insieme».
Questa volta non ci fu bisogno di una domanda o di un pretesto, le loro menti avevano iniziato a viaggiare ed avevano di nuovo diciotto e diciannove anni e un futuro da costruire.
 

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Capitolo 18
*** 18. Things you said before you kissed me (Le cose che hai detto prima che mi baciassi). ***


18- 032: Things you said before you kissed me (Le cose che hai detto prima che mi baciassi).
 
Da quella volta sul prato della Tana, Harry non aveva fatto altro che arrovellarsi il cervello chiedendosi quanto tempo avrebbe dovuto aspettare. Erano passati solo due mesi, era vero, ma a lui sembrava un’eternità. Gli sembrava di essere tornato al sesto anno, quando la guardava nella speranza che lasciasse Dean il prima possibile. Solo che stavolta non c’era nessun Dean da detestare, gli aveva solo chiesto di attenderla. Si era confidato con Hermione, che l’aveva rassicurato dicendo che era sicuramente un buon segno: «Per quanto ha dovuto faticare per averti non credo che ti lascerebbe scappare così facilmente» aveva detto. «Ha solo bisogno di tempo. Tu ne hai avuto bisogno prima, lei ne ha bisogno adesso».
Harry aveva sospirato e aveva accettato, suo malgrado, che si trattava solo di far passare un po’ di tempo. C’era una parte nascosta di lui che temeva che Ginny non sarebbe tornata indietro; che avrebbe trovato una persona più tranquilla, con meno traumi dal passato da smaltire, una persona più tranquilla che la facesse ridere e stare spensierata, non qualcuno come lui che la notte aveva ancora gli incubi della guerra.
Le parole del suo insegnante dell’Accademia degli Auror erano solo un sottofondo ai suoi pensieri, non stava realmente ascoltando ciò che diceva. Ultimamente gli capitava spesso e sapeva che non era un punto a suo favore, soprattutto perché l’insegnante in questione ce l’aveva a morte con lui per essere entrato senza possedere i M.A.G.O. e solo per aver ucciso Voldemort. Vide i suoi compagni alzarsi, segno che la pausa stava per iniziare, e li seguì. Solitamente durante la pausa uscivano tutti nel cortile a prendere una boccata d’aria prima di tornare nelle grandi aule, quelli che uscivano dalla lezione di Duello si riconoscevano subito: avevano sempre un livido nuovo, qualche graffio ancora fresco, o qualche vestito strappato. Stava osservando un ragazzo all’ultimo anno che aveva una grande bruciatura sulla manica della maglietta ma lui sembrava stare bene. Stava giusto raccontando come avesse evocato un Incanto Scudo proprio mentre la palla di fuoco dell’avversario stava per sfiorarlo. D’un tratto si bloccò e guardò l’ingresso del cortile, anche Harry guardò nella stessa direzione e per poco non si soffocò con la sua stessa saliva.
Ferma sul cancello c’era Ginny, aveva un’aria serena come non l’aveva mai avuta negli ultimi tempi. Sorrideva tranquilla nel suo giubbotto di jeans per coprirsi da quel leggero venticello di settembre che non consentiva più di girare solamente con una magliettina di cotone a maniche corte. Sorrise anche Harry vedendola e avvicinandosi a lei.
«Non sapevo che sapessi dove fosse l’Accademia» la canzonò senza manco salutarla. Appena l’aveva vista, era come se quella creatura dentro il petto che gli aveva fatto compagnia durante il sesto anno, fosse ritornata in vita e avesse deciso di improvvisarsi ballerina facendo avanzare il suo cuore di molti battiti.
«Non lo sapevo infatti» convenne lei sorridendo. «Me l’ha detto Ron». Rimasero un po’ in silenzio, Ginny stava guardando l’ambiente circostante per lei sconosciuto. Harry, invece, guardava con occhi minacciosi qualsiasi ragazzo che la sfiorava con lo sguardo per più di tre secondi. Sapeva che per il momento non erano altro che buoni amici, però la sua parte irrazionale era gelosa marcia di lei.
«Ti va se ti faccio fare un giro? Nel retro c’è un giardino niente male…» la invitò. La verità era che voleva passare più tempo possibile da solo con lei. Se era addirittura venuta a cercarlo all’Accademia aveva qualcosa di importante da dirgli, no?
«Sicuro!» rispose entusiasta.
La prese istintivamente per mano, non se ne accorse fin quando non arrivarono in quell’area verde dell’Accademia che era più una serra che un giardino. Fissò le loro mani intrecciate e si sentì bene, si sentì finalmente completo per la prima volta dopo tanto tempo. «Scusa, io non…»
«Non ti preoccupare, Harry, va bene così» lo tranquillizzò. Aveva una voce calma, Harry non sapeva dire se avesse mai utilizzato quel tono con qualcun altro, aveva passato troppo poco tempo con lei per saperlo. «Sembra più una serra che un giardino» osservò guardandosi intorno e cambiando discorso. «Dovresti portarci Neville, ne uscirebbe pazzo» aggiunse.  
La serra – o giardino – in cui erano entrati era la scorta dell’Accademia per gli ingredienti delle pozioni, c’erano le Mandragole, in alcuni vasi in terracotta di forma rettangolare vicino alla vetrata c’era dell’Erba Fondente utile per la Pozione Polisucco, sulla destra, isolata da tutti, c’era l’Aconito, la Belladonna, e una vasta scorta di Dittamo che in Accademia non poteva mai mancare.
«Sì, be’, qui lo chiamiamo giardino, anche se è una serra» spiegò. «Più vai avanti, più la stanza si ingrandisce. È un bel problema ritrovarsi qua dentro» commentò con un sorriso ricordando a quando era stato mandato a prendere del Formicaleone e si era perso. Ginny camminava guardando attentamente le piante senza avvicinarsi troppo, non sapendo quali fossero velenose e quali no. Aveva lasciato la mano di Harry e camminava senza troppi pensieri.
«Ci sediamo qua?» propose indicando una panchina tra due tavoli. Harry la raggiunse e si sedette accanto a lei. L’ansia che fosse venuto a dargli una brutta notizia non riusciva ad abbandonarlo, la tachicardia non accennava a smettere e sentiva che le mani stavano iniziando a sudare. Le passò sopra i jeans cercando di asciugarle e di darsi un po’ di conforto ma quel gesto non diede gli effetti desiderati, anzi ad Harry sembrava di stare addirittura peggio. «Ho pensato molto a quello che mi hai detto a luglio, quella volta che eravamo sdraiati sul prato…» stava prendendo tempo ed Harry si sentiva sempre più teso.
«Sì, ricordo benissimo il momento» tagliò corto lui.
«Non ho fatto altro che pensarci, veramente» continuò. «E ho una cosa da dirti».
“Perfetto, la fine è vicina. Ti dirà che sei solo una persona lagnosa e che non vuole perdere tempo con te. Ti dirà che ha già trovato un giocatore di Quidditch capace di soddisfare tutti i suoi bisogni” pensò mentre scenari catastrofici si materializzavano davanti ai suoi occhi 
«Voglio stare con te, Harry» disse. Il Ragazzo-Che- È-Sopravvissuto rimase a sbigottito per qualche secondo, non si aspettava una così bella notizia. Nella sua vita era stato così sfortunato che non credeva a quello che aveva appena sentito. «Scusa se ti ho allontanato, se ti ho detto delle cose orrende, sono stata una persona terribile e questo non era manco il discorso che mi ero preparata! Dovevo dirti altre cose, dirti quanto è stato difficile starti lontano per tutto questo tempo, dirti come avrei voluto baciarti nel bel mezzo del salone di casa mia quando hai portato Teddy…» si bloccò e prese una boccata d’aria. Aveva parlato tutto d’un fiato tenendo lo sguardo basso, parole sconnesse e confuse che però per le orecchie di Harry erano come musica. Alzò la testa e lo guardò. Harry sentiva come se il sangue avesse accelerato la sua corsa, non aveva idea di quello che stava succedendo, era una sensazione nuova, bellissima e pericolosa allo stesso tempo. «Oh, al diavolo!» sospirò.
Harry non ebbe manco tempo di capire cosa stesse succedendo che si ritrovò le labbra di Ginny appiccicate sulle sue, la baciava con foga, come quella volta in Sala Comune. E fu come respirare dopo tanto tempo, come la brezza fresca della sera dopo l’arsura del giorno delle giornate estive. Harry aveva paura di aver dimenticato come fossero i baci di Ginny, ma sorrise pensando a quanto fossero meglio del Whisky Incendiario, meglio della crostata alla melassa di Molly Weasley, le sensazioni che provava Harry erano addirittura più belle di quelle che aveva provato ogni volta che aveva catturato un boccino durante le partite di Quidditch.
«Chiedo scusa!» una voce che Harry conosceva benissimo li costrinse a staccarsi di scatto imbarazzati. Era il suo insegnate, probabilmente la pausa era finita ed Harry non se n’era reso conto. «Signor Potter la lezione sta ricominciando» disse con tono gelido ma con una punta di divertimento.  
«Arrivo subito, signore» lo avvisò. Aveva le labbra gonfie e leggermente arrossate, come lo era il volto, un po’ perché era accaldato, un po’ perché era imbarazzato. Una volta che il professore aveva lasciato la serra guardò Ginny e insieme scoppiarono a ridere fino alle lacrime.
«Ci vediamo stasera» lo rassicurò Ginny facendogli l’occhiolino.
Si lasciarono con un bacio veloce mentre Harry iniziava a fare mentalmente il conto alla rovescia delle ore che mancavano alla sera.
 
«Meno male che sei una che mantiene la calma!» esclamò con tono canzonatorio Harry. «Non solo non sei riuscita a fare un discorso di senso compiuto, mi sei anche saltata addosso!» completò ridendo. Ginny si unì alla risata.
«Non mi sembrava fossi particolarmente dispiaciuto di quel gesto» rispose ammiccante.
«Stai scherzando? Non aspettavo altro da due mesi!» disse stringendola piano a sé.
«Sembrano cose accadute una vita fa» mormorò Ginny sovrappensiero.
«È vero ma non pensarci» le consigliò Harry. Erano seduti sul divano e non avevano intenzione di alzarsi, avevano perso la cognizione del tempo ma non erano interessati a guardare l’ora sull’orologio. Ultimamente Ginny pensava che guardare l’orologio era come togliere del tempo prezioso alla loro storia. «Piuttosto, pensa a quanto è stato bello il primo periodo che ci siamo rimessi insieme!» suggerì.
E Ginny si rituffò in quel groviglio di pensieri e di ricordi che costruivano, uno dopo l’altro, la loro storia d’amore.


 

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Capitolo 19
*** 19. Things you said in your sleep (Le cose che hai detto nel sonno). ***


19- 024: Things you said in your sleep (Le cose che hai detto nel sonno).
 

La relazione tra Harry e Ginny procedeva a gonfie vele. Ginny non lo aveva ancora detto ai suoi genitori, gli unici ad essere informati erano stati Ron ed Hermione perché con Harry era un po’ difficile mantenere un segreto così importante. La prima persona a rendersi conto che qualcosa era cambiato tra loro due era stata Hermione, all’inizio faceva battute allusive, con cui più volte Harry e Ginny avevano rischiato la morte, poi aveva iniziato a fare domande e infine avevano preso in dispare Hermione e Ron e avevano raccontato loro cosa era successo. Hermione era saltata dalla sedia tanto era contenta, Ron ormai era rassegnato al fatto che il suo migliore amico sarebbe uscito con sua sorella per un tempo che sembrava destinato a durare. Aveva dato una pacca sulla spalla ad Harry e un sorriso a Ginny e poi aveva mormorato un «Buona fortuna» rivolto al ragazzo. Ginny non l’aveva presa fin troppo bene, ma quella era un’altra storia.
La ragazza dai capelli rossi sospirò guardando Harry profondamente addormentato con la testa appoggiata sulla sua coscia e la bocca leggermente aperta. Aveva cenato con lui – anche se i suoi genitori sapevano che era a cena con Luna – ma Harry, troppo stanco dell’allenamento intensivo all’Accademia, era crollato non appena aveva toccato il divano. Non era esattamente il tipo di appuntamento romantico che si era sempre immaginata, ma sapeva bene quanto l’Accademia lo sfiancasse. Iniziò ad agitarsi nel sonno, Ginny cominciò ad accarezzargli dolcemente i capelli ma serviva a poco.
«La Mappa» mormorò. Ginny drizzò le orecchie pensando si fosse svegliato.
«Quale Mappa?» chiese titubante.
«Neville» continuò il ragazzo. Ben presto Ginny si accorse che stava ancora dormendo e stava parlando nel sonno. Provò a chiamarlo più volte per svegliarlo ma sembrava immerso in quel sogno che lo stava agitando.
«Neville…nella Mappa…Sala Comune…» erano frasi sconnesse e prive di senso. Improvvisamente Ginny capì a cosa si riferisse. Una delle ultime conversazioni che aveva avuto con Fred riguardavano proprio una mappa: la Mappa del Malandrino. Era una Mappa disegnata su una pergamena speciale in cui vi era disegnato il Castello di Hogwarts e tutte le persone al suo interno. Era capace di individuare gli spostamenti di chi si trovava all’interno della Scuola. Ginny aveva una mezza idea che c’entrasse Sirius; ricordava ancora quella conversazione avvenuta in soffitta circa quattro anni prima, aveva nominato i Malandrini ma lei non aveva idea a cosa o chi si riferisse. La domanda adesso era una: perché Harry sognava di guardare Neville sulla Mappa del Malandrino?
«Ginny…la spada…»
A quel punto Ginny si allarmò. Harry le aveva raccontato di sognare spesso quello che era successo durante la ricerca degli Horcrux o la Battaglia di Hogwarts e Ginny aveva sempre sofferto un po’ al pensiero di non poter essere accanto a lui quando accadeva. Ma adesso che era lì, non sapeva come comportarsi. Svegliarlo o lasciarlo dormire? Accarezzarlo dolcemente o scuoterlo con violenza?
«Ginny e Neville…Sala Comune». Ginny sentì il gelo calare dentro di sé. Scosse violentemente Harry chiamandolo a gran voce, finché il suo ragazzo non si svegliò. Quando la vide accanto a sé l’abbracciò forte, come non aveva mai fatto fino a quel momento da quando stavano insieme. «Sei qui» mormorò. «Sei qui e non stiamo cercando gli Horcrux» continuò a ripetere. Anche Ginny lo strinse forte.
«Stavi parlando nel sonno» disse con voce piatta una volta che si furono staccati. Harry si irrigidì leggermente.
«Cosa ho detto?» domandò all’erta.
«Farfugliavi di me, Neville, della Mappa e della Sala Comune» rispose atona. C’era un particolare “rito” che avevano iniziato a fare con Neville e Luna durante quell’anno ad Hogwarts. Ogni volta che uno di loro era costretto ad una punizione con i Carrow, dopo dovevano vedersi e parlarne, dire cosa avevano provato, sentito, quanto era stata brutta o se era andata meglio dell’ultima volta. Dopo Natale però Luna non era tornata, quindi erano rimasti solo lei e Neville.
«Oh…» disse con fare distratto. «C’è una cosa che non ti ho detto» esordì guardandola dritta negli occhi. Lo sguardo deciso di Harry la fece sentire ancora più in colpa per aver taciuto cosa era successo ad Hogwarts mentre lui era chissà dove. «Mentre ero alla ricerca degli Horcrux la sera aprivo la Mappa del Malandrino e vedevo dove fossi, cosa stessi facendo. Era l’unico modo per sapere come stavi, se eri ancora viva, se non eri ferita o in infermeria…una sera ho visto te e Neville in Sala Comune e gli ho chiesto di prendersi cura di te». Ginny si rilassò a sentire le motivazioni che aveva appena dato Harry. Al tempo stesso, però, il suo senso di colpa si acuì; prima che si mettessero insieme gli aveva rinfacciato di non avere un briciolo di considerazione di lei e adesso scopriva che per tutto il tempo che era stato via non aveva fatto altro che cercarla tramite un pezzo di carta.
«Mi dispiace» disse senza guardarlo negli occhi. Sentiva la colpa pesarle come un macigno sulle spalle. «Tutte quelle cose che ho detto prima che ci mettessimo insieme…io non lo sapevo…» cercò di giustificarsi. Si sentiva una persona orribile. Perché era così impulsiva? Perché non rifletteva un attimo prima di dire qualcosa?
«Non ci pensare, Ginny» la rassicurò prendendole una mano dolcemente. «Eravamo entrambi troppo arrabbiati per essere razionali…» ricordò con un sorriso leggero. Voleva solo farla stare meglio e Ginny si chiese cosa aveva fatto di così tanto bella per meritarlo nella sua vita.
«Anche io devo dirti una cosa» confessò guardandolo negli occhi. Sapeva che non avrebbe retto a lungo il suo sguardo, quello che era successo ad Hogwarts non l’aveva mai raccontato a nessuno. «C’è un motivo per cui io e Neville eravamo nella Sala Comune» si interruppe cercando le parole adatte mentre il volto di Harry di deformava in un’espressione incredula.
«Non sarete stati insieme?» si allarmò. Ginny scoppiò a ridere per la preoccupazione del suo ragazzo. Rise quasi fino alle lacrime ma si trattenne perché Harry sembrava piuttosto irritato dalla sua reazione.
«No, Harry» lo rassicurò. «Credimi, uscire con qualcuno era l’ultimo dei miei problemi l’anno scorso» rammentò. Harry parve tornare alla serenità iniziale.
«Quindi cos’è successo?» chiese invitandola a continuare. Ginny sospirò torturandosi le mani.
«Le punizioni dei Carrow non erano facili» spiegò. «Ci punivano per qualsiasi cosa, se ci rifiutavamo di torturare uno studente, se ci opponevamo al loro metodo di insegnamento, anche solo perché rispondevamo male…» fece una pausa e alzò la testa fissando il tetto del salotto di Grimmauld Place. Forse era una mossa per impedire alle lacrime di scendere, ma non sapeva manco lei cosa provava. Harry si avvicinò a lei stringendola piano, con fare protettivo.
«Non devi, se non vuoi» sussurrò accarezzandole teneramente una guancia.
«A loro piacevano le punizioni corporali» continuò incurante della richiesta del ragazzo. Doveva dirglielo, tanto valeva farlo subito, anche se le ferite erano ancora fresche. «Molto dipendeva da come si svegliavano la mattina, alcune volte ci picchiavano, altre volte ci torturavano…» sentì Harry irrigidirsi, le sue carezze non erano più dolci, erano scattose, quasi meccaniche. Ginny alzò la testa verso di lui e vide che aveva la mascella contratta. Lo accarezzò cercando di farlo rilassare ma si rivelò inutile, così decise di continuare il racconto «Con Neville e Luna ci eravamo promessi di vederci dopo le loro punizioni e di parlarci di quello che era successo…sai per non impazzire. Poi a Natale Luna è stata rapita e siamo rimasti io e Neville, quindi ci vedevamo solo io e lui. Dopo Pasqua io non sono più tornato ad Hogwarts, ma so che ha iniziato a fare la stessa cosa con l’ES. È stato molto coraggioso ad affrontare tutto da solo…» concluse.
«Perché non me l’hai mai raccontato?» domandò ancora rigido.
«Quando avrei dovuto farlo? Mentre litigavamo o mentre ti baciavo?» rispose retorica con un pizzico di ironia nella voce. Sentendo che era tornata la ragazza di sempre, Harry di rilassò un po’. «Mi dispiace per quello che hai dovuto subire…»
«È tutto passato, Harry. Ci siamo noi due e siamo al sicuro. È questo l’importante» gli ricordò. Alzò la testa verso il suo ragazzo e lo baciò profondamente e in quel bacio sentì Harry sciogliersi definitivamente circondato dall’amore che solo loro due sapevano darsi.
 
«Chissà come siamo arrivati da un sogno a parlare del mio anno ad Hogwarts» rifletté Ginny ad alta voce. Erano ancora seduti sul divano, abbracciati come lo erano stati per tutto il pomeriggio.
«Abbiamo sempre avuto questa capacità di passare da un discorso ad un altro in un attimo…» aggiunse Harry sovrappensiero. Si era preso un bicchiere di Whisky Incendiario mentre Ginny parlava e adesso lo sorseggiava piano. «Questo è niente in confronto ai tuoi baci» affermò muovendo il bicchiere davanti gli occhi della moglie che rise leggermente lusingata di ricevere ancora quei complimenti dal marito.
«Sei tu che sei troppo buono» rispose ridendo. I pensieri di Ginny ormai viaggiavano a ruota libera nella sua mente, immagini sconnesse di momenti passati passavano davanti ai suoi occhi facendola sorridere malinconica. «Ti ricordi quando ti ho detto che mi avevano preso nelle Holyhead Harpies?» chiese divertita. Harry per poco non si affogò con la bevanda, preso dalle convulsioni delle risate.
«Come dimenticarlo!» esclamò.
Ricordava ogni singolo attimo di quel giorno quasi autunnale quando Ginny lo aveva chiamato per dargli la bella notizia. C’erano aneddoti divertenti in quella chiamata che non avrebbe mai dimenticato. Così i contorni di casa Potter iniziarono a sfumare per diventare le pareti del numero 12 di Grimmauld Place.


 

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Capitolo 20
*** 20. Things you said over the phone (Le cose che hai detto al telefono). ***


20- 015: Things you said over the phone (Le cose che hai detto al telefono).
 
Harry camminava nervoso in quella casa che ormai poteva definire a tutti gli effetti casa sua. Erano circa le undici del mattino e non avrebbe avuto lezione fino al pomeriggio, Ginny aveva un provino per le Holyhead Harpies e l’aveva rassicurato che gli avrebbe fatto sapere qualcosa non appena avrebbe scoperto l’esito della prova. Aveva insistito perché lui non l’accompagnasse, sostenendo che poi l’attenzione sarebbe ricaduta su di lui e non sulle sue abilità. E poi c’era quel piccolo problemino che ancora non lo avevano detto ai signori Weasley. Ad essere onesto, Harry era terrorizzato all’idea di doverlo dire alla famiglia di lei: i Weasley erano quanto di più simile ad una famiglia che avesse mai avuto, gli sembrava in qualche modo di tradire la loro fiducia. Riusciva ad immaginare chiaramente gli sguardi omicidi di Bill e lo capiva, ci era già passato con Ron.
Cercando di non pensare a quando sarebbe morto per mano dei fratelli Weasley, iniziò a rassettare la cucina, lo fece senza magia in modo tale da impiegare più tempo possibile.
Aspettava un Patronus a forma di cavallo da un momento all’altro ma tutto in quella casa a più piani taceva, anche il ritratto della madre di Sirius. Il silenzio venne squarciato dallo squillo del telefono. Era strano che squillasse, Harry aveva scelto di comprarlo solo per quando era in giro per la Londra Babbana,  sapeva che c’era Ginny ad aspettarlo a Grimmauld Place e non poteva evocare un Patronus.
Sospettoso si avvicinò alla cornetta e la sollevò: «Pronto?»
«Signorina ha messo la cornetta al contrario, ma non ha mai usato un telefono?» rispose una voce maschile dall’altro lato del telefono. Harry stava giusto per riattaccare convinto che l’altra persona avesse sbagliato numero.
«Harry!» la voce familiare di Ginny attivò tutti i suoi sensi.
«Ginny…come…cosa…» farfugliò confuso. Da quello che sapeva, Ginny non sapeva usare manco il telefono da cui adesso stava parlando, figuriamoci un telefono pubblico.
«Sono nella Londra Babbana» chiarì. «Un signore mi ha aiutato a capire come funziona questo fetelono». Harry dovette reprimere una risata perché sapeva che Ginny non l’avrebbe presa troppo a ridere, anzi, gli avrebbe attaccato il telefono in faccia e lui non avrebbe mai saputo com’erano andati i provini.
«Si chiama telefono» rispose Harry ridacchiando. Ginny non rispose, probabilmente aveva messo su un’espressione imbronciata. «Come mai sei nella Londra Babbana?» chiese cambiando discorso.
«Oh…ho finito i provini e ho pensato di fare un giro. Non potevo mandarti un Patronus, per questo ti ho chiamato» spiegò.
«Un Pratronus? Ma di che cosa sta parlando?» domandò la voce di prima.
«Si faccia gli affari suoi!» esclamò Ginny piccata. Harry trattenne un’altra risata.
«Ginny, tesoro, forse dovresti chiudere la porta della cabina telefonica così le persone fuori non ti sentano» suggerì sorridendo. Gli mancava poco e sarebbe scoppiato a ridere senza alcuna dignità.
«Ah…» mormorò piano Ginny. Un tonfo in lontananza e un «Ficcanaso!» esclamato dalla sua ragazza, fecero capire ad Harry che finalmente la porta della cabina era stata chiusa.
«Quindi come sono andati i provini?» domandò arrivando al punto. Improvvisamente era serio e l’aria divertita era svanita dal suo volto, si sentiva teso come se quella risposta determinasse il suo futuro e non quello di Ginny.
«Mi hanno presa Harry! Faccio parte delle Holyhead Harpies!» Harry spalancò gli occhi emozionato. Sapeva che Ginny aveva tutte le carte in regola per diventare una giocatrice di Quidditch professionista, ma avere la certezza che a breve lo sarebbe stato davvero faceva scoppiare il cuore di Harry dalla felicità.
«È una notizia bellissima, Ginny!» esclamò. Avrebbe voluto baciarla e abbracciarla, stringerla forte e festeggiare insieme a lei quel nuovo inizio.
«Quando Gwenog Jones ha detto di avermi presa non ci credevo, ero al settimo cielo!» commentò. Era elettrizzata, Harry lo percepiva dalla voce, sorrise quasi senza rendersene conto. D’improvviso non gli importava più se a lui andava tutto male, voleva solo che lei fosse felice; gli bastava quello per sorridere.
«Te lo meriti. Come tuo ex-capitano te l’avevo detto che avevi tutte le carte in regola per farcela» le ricordò. Ginny fece una risata leggera, appena udibile attraverso il telefono, poi cambiò argomento: «Sai che c’era anche Angelina?»
«Angelina Johnson?» si accertò.
«Conosci altre Angelina?» chiese retorica con un pizzico di gelosia nella voce.
«No, chiedevo solo conferma!» si difese prima che la conversazione degenerasse. Un sospiro divertito raggiunse l’orecchio di Harry.
«E non era da sola! C’era anche George!» continuò incurante del piccolo scambio di battute appena avvenuto.
«Be’, sarà andato lì a sostenere la sua amica, erano grandi amici quando andavano a scuola, no?» cercò di ricordarsi mentre giocava col filo attorcigliato del telefono.
«Be’, se la metti così, anche noi siamo grandi amici…» c’era un che di maliziosamente sfacciato nella sua voce che fecero capire ad Harry che forse George ed Angelina non erano poi così tanto grandi amici. «Devo andare Harry, il tizio fuori mi sta indicando l’or-» ma cadde la linea. Harry rise pensando che probabilmente aveva finito di gettoni e che un’altra chiamata sarebbe arrivata solo quando il malcapitato avrebbe finito di spiegare per la seconda volta come funziona una cabina telefonica.
Guardò quell’aggeggio Babbano posto su una mensola vicino alla cucina e scoppiò a ridere. Rise perché Ginny era maledettamente imbranata con tutto ciò che aveva a che fare con il mondo Babbano e rise perché la donna della sua vita stava finalmente realizzando i suoi sogni.
 
«Mi ricordo ancora la faccia di quel signore!» esclamò Ginny. Aveva le lacrime agli occhi per le troppe risate, probabilmente la scena era stata molto più divertente vissuta da lei, che quanto aveva percepito lui dalla cornetta del telefono. «Mi avrà preso per una matta scappata dall’ospedale, parlavo di Patronus e non sapevo come si usava un telefono!»
«Meno male che non mi hai richiamato più ma ti sei limitata a cercare un vicolo nascosto per smaterializzarti!» rispose Harry, ricordando altri momenti legati a quella vicenda; anche lui rideva di gusto.
Si sistemarono un po’ più comodi sul divano, le gambe stavano cominciando ad anchilosarsi tanto era il tempo che avevano passato in quella posizione. Il movimento fece smuovere l’odore di Harry, l’odore che Ginny sentiva ogni volta che si trovava vicino all’Amortentia.
«È cambiato tutto da quel momento» disse tornando alla realtà e concentrandosi sui ricordi della loro storia d’amore.
«E per la prima volta in meglio!» esclamò Harry che ancora faticava a credere quanto fosse migliorata la sua vita dopo la morte di Voldemort. «Abbiamo deciso di dire ai tuoi che stavamo insieme…» rammentò sovrappensiero.
«Io mi ricordo meglio ciò che hai detto alla fine della cena» mormorò Ginny fissando lo sguardo nelle iridi verdi e luminose di Harry. Non si soffermò troppo: un’altra storia aveva iniziato a prendere forma nella sua mente.


 

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Capitolo 21
*** 21. Things you said after you kissed me (Le cose che hai detto dopo che mi hai baciato). ***


21 – 002: Things you said after you kissed me (Le cose che hai detto dopo che mi hai baciato).
 
Dopo aver detto alla sua famiglia che era stata presa in una delle più importanti squadre di Quidditch femminili dell’Inghilterra, rimaneva solo una cosa da dire: con chi stava uscendo.
Molly aveva smesso di credere da molto tempo che tutte quelle serate che passava fuori le passasse davvero con Hermione, Luna e Neville. Aveva capito che c’era qualcuno di molto più importane di un amico nella vita della figlia, solo non aveva ben capito chi fosse. La tampinava di domande dalla mattina alla sera, talvolta anche imbarazzanti, solo per capire con chi stesse uscendo Ginny.
«Mamma stasera viene a cena la mia ragazza» annunciò George tranquillo durante il pranzo. Aveva fatto un salto alla Tana e Ginny sospettava fosse solo per avvisare la madre che Angelina sarebbe venuta a cena da loro.
«Anche il mio ragazzo!» si affrettò ad aggiungere Ginny cogliendo la palla al balzo. Non sapeva perché lo aveva fatto, non ne aveva manco parlato con Harry, ma non doveva essere così difficile poi, no? Insomma aveva passato la maggior parte della sua vita alla Tana, i suoi genitori lo adoravano, non sarebbe potuta andare male.
«Oh be’, a questo punto presumo che lo debba dire anche a Percy, Bill e Fleur di venire. E dire a Ron di dirlo ad Hermione. È bene che ci sia tutta la famiglia quando ci sono belle notizie da dare» rispose in un brodo di giuggiole guardando i figli emozionata. Ron intanto faceva di tutto per consumare il suo pasto senza scoppiare a ridere sputacchiando cibo.
Come aveva previsto Ginny, Harry non la prese piuttosto bene. Iniziò a farsi mille paranoie su come dovesse venire vestito, se dovesse portare qualcosa, un dolce o una pianta o un mazzo di rose, se dovesse chiedere ufficialmente a suo padre se poteva uscire con lei, se i suoi fratelli l’avrebbero obbligato a superare una prova potenzialmente mortale e altre assurdità. La ragazza impiegò un bel po’ di tempo a tranquillizzarlo e rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene.
La sera giunse più in fretta del previsto alla Tana: Molly Weasley aveva assoldato Ginny come aiutante e non si era allontanata dalla cucina neanche per riposarsi un attimo. Aveva cucinato quasi quanto gli elfi delle cucine di Hogwarts, c’era ogni tipo di pietanza che si potesse immaginare. Le portate entravano a malapena sui ripiani della cucina. «Non ti sembra di aver esagerato?» domandò cauta con un pentolone in mano, cercando un posto su cui appoggiarlo.
«La famiglia si allarga e non so cosa piaccia al tuo ragazzo o alla ragazza di George» rispose sbrigativa. Stava giusto per risponderle che sapeva benissimo cosa piaceva ad Harry, visto che l’aveva praticamente cresciuto, e che probabilmente sarebbe andata bene anche una crostata alla melassa come antipasto, primo, secondo, contorno, frutta e dolce, ma furono interrotti da George che entrava in casa.
«Ciao a tutti!» esclamò. Molly Weasley si affrettò all’ingresso per accogliere il figlio con la fidanzata.
«George…Angelina!» esclamò quasi commossa. «Quanto è bello vedervi felici insieme!» esclamò. Strinse prima Angelina e poi George in uno di quegli abbracci stritolatori che ti facevano rischiare il soffocamento. Angelina era visibilmente imbarazzata e aveva con sé un vassoio di dolci che Molly passò velocemente a Ginny che da dentro la cucina sospirò. Non c’era più posto manco per appoggiare un dito in quella stanza. Trovò un angolo e lo sistemò in bilico cercando di non farlo cadere.
«Harry caro!» Ginny sentì la voce della madre salutare Harry e per poco il lavoro di equilibrismo che aveva creato non rischiò di cadere rovinosamente a terra. «Ron non mi aveva detto che aveva invitato pure te, ma è giusto, anche tu fai parte della famiglia!» esclamò. Ginny uscì dalla cucina affrettandosi per chiarire il malinteso.
«Mamma!» cercò di chiamarla. Harry intanto le lanciava sguardi nervosi chiedendole aiuto.
«Ginny, tesoro, non è il momento. Aggiungi un posto in più che c’è anche Harry. Ron non ci aveva avvisate» rispose senza manco degnarla di uno sguardo mentre accompagnava gli ospiti in salotto dove c’erano già Bill, Fleur e Arthur. Harry intanto era il volto del panico. Aveva gli occhi sgranati e ad essere sincera Ginny lo vedeva anche leggermente pallido.
«Mamma!» la richiamò a voce più alta.
«Ginny, dopo!» tagliò corto. «Piuttosto, quando arriva Neville?» le chiese.
«Neville?!?» chiese Harry con una voce leggermente stridula. La domanda doveva averlo scioccato a tal punto che riprese un po’ di colore. «Le hai detto che stai uscendo con Neville?» l’accusò. Ginny sgranò gli occhi.
«No!» esclamò. «Ma sei scemo?» lo insultò.
«Ma se non stai uscendo con Neville, con chi stai uscendo?» chiese domandò la madre leggermente imbarazzata. Nel frattempo in soggiorno si erano riuniti tutti sentendo che i toni della conversazione non erano quelli di un normale scambio di convenevoli.
«Con me!» esclamò Harry con una punta di rabbia nella voce. Ogni forma di imbarazzo era svanita sia in Harry che in Ginny, che si malediceva mentalmente per non aver detto prima alla madre di chi si trattasse, almeno avrebbero evitato quella sceneggiata. Nel silenzio che era calato si sentiva solo il grugnire di Ron che non riusciva più a trattenere le risate e i soffocati «Ron, smettila!» di Hermione.
«Oh» rispose Molly Weasley senza sapere cosa aggiungere.
«Cara, se è pronto possiamo andare a mangiare» propose Arthur per sciogliere quella situazione prima che peggiorasse.
La cena andò meglio del previsto, Molly era ancora imbarazzata ma nessuno fece più cenno all’avvenimento e ben presto l’imbarazzo svanì definitivamente e divenne una cena di famiglia come tante altre.
«È andata meglio del previsto» disse Harry mentre erano fuori a salutarsi prima che lui andasse a casa.
«Di sicuro lo ricorderemo per sempre» convenne Ginny ridendo ancora per quanto era successo qualche ora prima. Harry su unì alla risata e poi la baciò dolcemente. Ginny aveva le mani allacciate sul suo collo e lui aveva le mani sui fianchi di lei. Erano due pezzi di puzzle che combaciavano alla perfezione. Quando si staccarono, Harry poggiò la fronte su quella di Ginny guardandola dritta negli occhi.
«Quando i nostri figli dovranno presentarci i loro fidanzati vorrei che avvenisse esattamente in questo modo» confessò. Ginny era certa che non si fosse reso conto di ciò che aveva appena detto. Perché quando lei per la seconda volta in quella serata sgranò gli occhi allarmata, vide il un’espressione di panico distorcere quella beata che aveva fino a pochi minuti prima. «Cioè…se li vuoi…o li vorrai…se mai li avremo…se mai succederà…potremmo anche prenderci un gatto o un Puffola Pigmea, va bene lo stesso» cercò di rimediare.
«Un passo alla volta» suggerì Ginny cercando di calmare il battito furioso del suo petto.
«Un passo alla volta» ripeté Harry abbracciando la ragazza. Non poteva sapere, però, che Ginny quelle parole le avrebbe ricordate per molto tempo perché era esattamente quello che desiderava anche lei.
 
Marito e moglie ridevano ancora ricordando gli avvenimenti di quella sera. Era probabilmente la cosa più comica e allo stesso tempo imbarazzante che avessero vissuto nella loro storia. Avevano entrambi le lacrime agli occhi e gli addominali facevano male per quanto avevano riso. «Che serata quella!» esclamò Harry una volta ripresosi.
«Indimenticabile! Secondo me mia madre lassù sta ancora cercando un posto dove nascondersi» rispose Ginny con lo strascico di un’ultima risata. «Però le cose che mi hai detto a fine serata sono state più belle» rimarcò.
«Una volta tornato a casa volevo sotterrarmi insieme a tua madre, te l’assicuro» disse stringendola leggermente.
«Internamente ero al settimo cielo. In pratica mi avevi detto che avresti voluto passare il resto della tua vita con me, hai idea di cosa potesse significare per me?»
«Be’, immagino che era esattamente ciò che volevo dire» rispose tranquillo. Si persero in qualche secondo di silenzio, ognuno perso nel respiro dell’altra, ricordando momenti che avevano condiviso e che – a malincuore – sapevano non sarebbero più tornati indietro. Questa volta Harry non attese che Ginny facesse una domanda o gli desse l’input per un nuovo racconto. Iniziò a raccontare del loro primo appuntamento. Quello ufficiale, quello in cui non dovevano più nascondersi. 

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Capitolo 22
*** 22. Things you said at the back of the theatre (Le cose che hai detto sul retro del cinema). ***


22- 023: Things you said at the back of the theatre (Le cose che hai detto sul retro del cinema).
 
Dopo averlo detto alla famiglia, Ginny si sentiva più tranquilla. Non dover nascondere con chi fosse o dove andasse era un sollievo. Nonostante ciò, quella sera si sentiva piuttosto nervosa, era il primo vero appuntamento con Harry. Nei mesi precedenti, per essere sicuri che nessuno li vedesse, si erano incontrati a Grimmauld Place; per una cena, per un tè, per stare insieme. Ormai Ginny considerava segretamente quel posto casa loro, non solo casa di Harry.
Sbuffando passò in rassegna tutti i vestiti che aveva nell’armadio, di solito non era una persona che impiegava troppo tempo a scegliere cosa indossare, ma non voleva manco fare la figura della barbona accanto ad Harry! Lo maledì mentalmente per non averle dato manco uno straccio di indizio. Si gettò a braccia spalancate sul letto esclamando esausta: «Non ho niente da mettere!»
Rimase in quella posizione per un po’ di tempo, ma poi visto che nessun vestito adatto le si materializzò davanti, ricominciò a cercare. Alla fine optò per un jeans e una camicetta bianca, non era troppo ma neanche troppo poco.
Con Harry erano rimasti che lei sarebbe andata a Grimmauld Place, per evitare di dare a Molly Weasley altre occasioni di chiedere ripetutamente scusa per l’inconveniente di qualche tempo prima per poi nascondersi nello sgabuzzino a sistemare il bucato. Quando arrivò a casa di Harry lui era comodamente seduto sul divano, aveva una camicia azzurro chiaro abbinata ad un pantalone nero. Profumava di dopobarba. Ginny poteva scommettere di non averlo mai visto così elegante. Sorrise raggiante appena la vide.
«Ci siamo messi in tiro stasera, Weasley» la canzonò, Ginny fece un mezzo sorriso.
«Sì, neanche tu stai male» rispose con tono fintamente vago. Sapeva che era un modo diverso per farle un complimento.
Una volta preso il cappotto, uscirono dal numero 12 di Grimmauld Place e si smaterializzarono in un vicolo buio e deserto.
«Dove siamo?» domandò. Il vicolo era piuttosto sudicio e puzzava leggermente di pipì. «Certo che potevi scegliere un posto migliore» commentò storcendo il naso.
«Scusa, di mattina sembrava migliore» rispose prendendola per mano e conducendola fuori da quella strada puzzolente. Una volta arrivati sulla strada principale, Ginny venne investita da una forte luce rossa, istintivamente pensò che fosse il lampo di una maledizione Cruciatus, ma – soprattutto grazie ad Harry, Ron ed Hermione – la maggior parte dei Mangiamorte ormai era ad Azkaban, Carrow compresi. Sbattendo le palpebre si rese conto che non era la luce di un incantesimo, era la luce di un’insegna a grandi lettere che riportava la parola “CINEMA”.
«Cinema?» lesse un po’ incuriosita. «Cos’è?»
«Cinema» disse con un cenno affermativo. «È un posto dove i Babbani vanno a vedere i film» spiegò. Ginny si sentì ancora più stupida, ma per quanto il mondo Babbano la incuriosisse, faceva fatica a comprenderlo.
«Ehm, Harry…» iniziò titubante. «Cos’è un film?»
Harry sgranò gli occhi, probabilmente non aveva tenuto conto che quelle cose non esistevano nel mondo magico e che lei non avrebbe potuto saperlo. Per un paio di volte aprì e richiuse la bocca alla ricerca di una spiegazione ma l’unica cosa che fece fu inglobare l’aria fredda della strada. «Lo vedrai» disse infine prendendola per mano e conducendola all’interno di quello strano posto.
Alla fine della proiezione, Ginny aveva finalmente capito cosa fosse un film: tante foto come quelle magiche che si muovevano una dopo l’altra. Rimaneva il dubbio di come riuscissero anche a parlare ma decise di non scervellarsi troppo per quella serata. Quando aveva raccontato ad Harry della sua deduzione, lui era scoppiato a ridere di gusto e Ginny si era leggermente imbronciata: «Be’ è colpa tua che non sai spiegare le cose, se sono arrivata a questa deduzione!»
Quell’esclamazione però aveva fatto ridere Harry ancora più forte, così Ginny si era seccata di guardare il fidanzato ridere di lei, ed aveva iniziato ad avvicinarsi al vicolo da cui erano venuti. Harry la seguì, aveva ancora le lacrime agli angoli degli occhi che gli regalarono uno sguardo omicida da parte di Ginny. «E va bene, scusa!» si arrese parandosi davanti a lei. Ma Ginny vedeva ancora l’ombra del divertimento di prima sul volto del ragazzo. «Mi ha solo fatto ridere, è stata una definizione simpatica» si giustificò ridendo. «Anche io ero imbranato con la magia i primi tempi, ricordi?»
«Mi stai dicendo che sono imbranata?» rispose con un sopracciglio alzato. Doveva suonare come una minaccia ma c’era una nota di divertimento nella sua voce. Harry sorrise e le diede un lungo bacio in segno di pace che Ginny non poté fare altro che assecondare.
Staccandosi, decisero che forse era ora di tornare a casa ma una volta arrivati al vicolo sentirono rumori di dubbio gusto provenire da quell’antro buio della strada. «Che schifo» commentò Ginny. «C’è anche puzza di pipì!»
Harry la prese per mano allontanandola. «Vieni, cerchiamo un altro angolo buio. Possibilmente che non puzzi» le disse.
Camminarono mano nella mano per un po’, parlarono del più e del meno, di come fosse il film, Ginny chiese ad Harry quali altri film aveva visto prima di scoprire di essere un mago, ma Harry le rispose che a casa Dursley non aveva accesso alla TV né tantomeno aveva qualcuno con cui andare al cinema. Solo dopo un bel po’ di tempo si accorsero che avevano smesso di cercare un vicolo per tornare a casa ma stavano semplicemente passeggiando. Non si sa come erano arrivati nel retro del cinema, una zona piuttosto deserta.
«Andiamo a casa?» propose Harry. Ginny annuì.
Stavano giusto per smaterializzarsi quando: «Harry?»
Una voce che Ginny non aveva mai sentito in vita sua, chiamò il ragazzo di fronte a lei. Harry sgranò gli occhi dallo stupore e a quel punto Ginny si girò. Un ragazzo alto e piuttosto massiccio li guardava senza proferire parola. Lo sguardo di Ginny correva dalla faccia di Harry a quella del ragazzo misterioso. Nessuno dei due parlava e lei cominciava a sentirsi leggermente a disagio. Diede una leggera gomitata ad Harry per ridestarlo da qualsiasi cosa stesse pensando. «Duddley!» esclamò senza troppo entusiasmo nella voce. «Che ci fai da queste parti?»
«Be’ ci vivo» rispose lui alzando le spalle. Ginny all’improvviso capì il motivo di quel gelo iniziale: Duddley era il cugino di Harry, la stessa persona che lo aveva sottoposto ad ogni tipo di angheria durante la sua infanzia. Prese la mano di Harry stringendola un po’ più forte.
«Oh, non stai più dai tuoi?» chiese cercando di essere il più gentile possibile.
«No. Lavoro in un negozio di elettronica da queste parti» rispose Duddley. «Sei vivo» disse dopo un po’. La risposta lasciò sbigottiti sia Harry che Ginny, Duddley dovette accorgersene perché si affrettò ad aggiungere: «Be’, dopo che sei andato via non abbiamo avuto più tue notizie. Pensavamo che fossi morto…cioè io lo pensavo, i miei no, hanno detto che è successo come l’ultima volta, ma non so che significhi».
«I maghi nel mondo Babbano» spiegò Ginny. Aveva ricordi confusi dei giorni immediatamente dopo la Battaglia, ma un giorno un collega di suo padre era passato a casa loro per le condoglianze e aveva raccontato di come i maghi si fossero dati alla pazza gioia anche nel mondo Babbano. Proprio come era successo quando erano morti i genitori di Harry. «Un collega di mio padre ha detto che erano talmente felici che non gliene è fregato niente dello Statuto di Segretezza e hanno festeggiato anche nel mondo Babbano. Hanno dovuto mandare una squadra di Obliviatori a cancellare la memoria ad un centinaio di persone». Fece una piccola pausa in cui si sentì solo il vento fischiare. «Ha detto che era successo anche quando i tuoi…» aggiunse rivolta ad Harry, incapace di concludere la frase.
«Be’ sono contento di vederti vivo, per quel che vale» disse a testa bassa.
«Oh…grazie» rispose Harry leggermente imbarazzato. Poi, come se avesse ricevuto una scossa, si girò verso Ginny. «Lei è Ginny, la mia fidanzata» la presentò. Mentre stringeva la mano paffuta di Duddley, il suono della voce di Harry divenne ovattato. Il suo cervello era capace di riprodurre solo l’ultima frase: “La mia fidanzata”.
«Stammi bene Duddley!» esclamò Harry dopo un po’, dandogli una pacca sulla spalla.
«Sì, anche tu Harry…» rispose lui. «Anche voi» si corresse immediatamente includendo Ginny. Lei sorrise ancora leggermente frastornata. Guardò Harry dritto negli occhi.
«La tua fidanzata…» mormorò. Harry la guardò confuso. «Hai detto a tuo cugino che sono la tua fidanzata» specificò con un sorriso a trentadue denti.
«Oh…» rispose Harry serio. «Be’, è quello che sei, no? La fidanzata di Harry Potter» aggiunse sorridendo.
«Suona molto bene» convenne Ginny.
Si scambiarono un altro bacio e poi con un sonoro pop tornarono a Grimmauld Place. 
 
«Ah, quando ancora ti emozionavi perché eri la mia fidanzata» commentò leggermente laconico Harry. Ginny sospirò con gli occhi al cielo. Sarebbero passati altri cento anni ma lui avrebbe sempre fatto il melodrammatico. 
«Scusa se era da quando avevo undici anni che sognavo quel momento!» esclamò stizzita. Si era separata dal marito e adesso aveva le braccia incrociate. Harry la avvicinò a sé abbracciandola e ridendo.
«Lo sai che mi dispiace non aver capito prima cosa provavo per te» le disse baciandole i capelli argentati.
«L’importante è che tu te ne sia accorto prima o poi» lo giustificò. «Se attendere tutto quel tempo ha portato a quello che abbiamo avuto, be’ meglio così» concluse.
«Ricordi il primo regalo che mi hai fatto?» chiese Harry con un sorriso malandrino identico a suo figlio James.
«Certo che lo ricordo» esclamò Ginny piccata.
L’aria intorno a loro si riempì delle note di Celestina Warbeck e dell’odore del pollo arrosto di Molly Weasley.

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Capitolo 23
*** 23. Things you said when you gave me my first present (Le cose che hai detto quando mi hai dato il primo regalo). ***


23- 044: Things you said when you gave me my first present (Le cose che hai detto quando mi hai dato il primo regalo).
 
Harry era stato accolto alla Tana come ogni volta in cui arrivava in quella casa che sapeva di famiglia e biscotti: un abbraccio di quelli soffocanti di Molly Weasley – che nel frattempo aveva superato l’imbarazzo per quello che era successo qualche tempo prima – un cenno di saluto da parte di Arthur Weasley, un paio di pacche sulla spalla dai vari fratelli Weasley (o cognati), un bacio a fior di labbra da Ginny e dei baci sulle guance alle varie fidanzate dei fratelli Weasley (o cognate). Era abituato a quel giro di saluti che durava più della cena stessa, era un tacito rituale che ormai si era instaurato tra loro.
Ginny cercava sempre di prenderselo in disparte per passare un po’ di tempo insieme, ma ad Harry non dispiaceva salutare tutta quella gente, forse lo faceva anche per attenuare il senso di colpa che provava verso i Weasley per essersi fidanzato con Ginny. Stava parlando con Bill, Fleur e Charlie quando Ginny lo chiamò con una certa urgenza.
«Che succede?» chiese leggermente preoccupato. L’espressione sul volto della ragazza era tesa e si torturava le mani come faceva di solito quando c’era qualcosa che la innervosiva e aveva bisogno di rilassarsi.
«Devo parlarti di una cosa» disse solamente. L’atmosfera calda della Tana in festa divenne improvvisamente gelida e cupa. Era come se un Dissennatore fosse entrato nella casa e avesse portato via tutta la felicità. Agli occhi di Harry, anche l’albero di Natale nell’angolo del salotto aveva smesso di essere luminoso. Ma non c’era nessun Dissennatore o altra creatura magica he si poteva sconfiggere con un incantesimo, era solo l’ansia che attanagliava lo stomaco di Harry. Con le gambe pesanti, seguì la sua ragazza su per le scale che conducevano alla piccola stanza dove dormiva Ginny. Entrando vide che aveva ancora il poster delle Holyhead Harpies. Ginny si chiuse la porta alle spalle e ispirò profondamente.
«Ginny, cosa succede?» chiese cercando di non far sentire la sua voce stridula e tremante.
«Io non sono ricca» cominciò. Si sedette sulla sedia posta davanti la scrivania. Harry la imitò e si sedette sul letto. «Non posso comprarti grandi cose o oggetti, o chissà che. Sono appena entrata nelle Holyhead Harpies, non mi hanno dato ancora un grande stipendio» continuò. Harry la guardava confuso. Cosa c’entrava quel discorso sui soldi con loro? «Non ho potuto farti un grande regalo, ecco» disse imbarazzata. Le orecchie erano diventate leggermente rosse e teneva lo sguardo basso. Harry si rilassò e sorrise intenerito. Fin dal primo momento aveva pensato che ciò che doveva dirgli avesse a che fare con loro, era certo che prima della fine della cena di Natale si sarebbe trovato single, leggermente depresso e abbracciato ad una bottiglia di Whisky Incendiario.
«Ginny» la chiamò cercando di farle alzare lo sguardo per guardarla negli occhi. Lei sollevò un poco la testa, più per dar segno di aver capito, che per guardarlo realmente. «Non mi importa di avere grandi regali» disse. «Ho passato i primi undici anni della mia vita con i miei zii e sai cosa mi “regalavano” a Natale? I vestiti smessi di Duddley e i calzini bucati di mio zio. Non ci può essere niente peggio di questo» la rassicurò. Ginny fece un piccolo sorriso, aveva un che di triste ed Harry si morse la lingua pensando che forse non era il caso di raccontarglielo, però ormai il danno era fatto.
«Quindi forse non ti dispiacerà questo regalo» disse aprendo il cassetto della scrivania e prendendo un pacchetto rettangolare. All’inizio ad Harry era sembrato un libro, ma una volta che l’oggetto fu del tutto in mano a Ginny, si accorse che era troppo sottile per esserlo. La ragazza si alzò e glielo passò, sedendosi poi accanto a lui. «Puoi dirmelo se non ti piace» lo rassicurò.
«Sono sicuro che mi piacerà» dichiarò senza esitazione, guardandola con un sorriso che sembrò scioglierla un po’. Adesso non c’era più l’espressione tesa di poco prima ma un timido sorriso che ad Harry ricordava tanto la bambina sul binario della stazione di King’s Cross. Iniziò a strappare la carta con dei Babbo Natale su una slitta e quello che c’era al suo interno gli fece pizzicare gli occhi. Era una foto di qualche tempo prima – forse prima che Harry iniziasse il sesto anno. C’era lui al centro circondato da quasi tutti i Weasley ed Hermione; ridevano e salutavano allegri l’obiettivo della macchina fotografica; i gemelli dietro facevano delle smorfie con la bocca. Aveva dimenticato quella foto fino a quel giorno. Lupin aveva deciso di scattarla totalmente a caso, senza un motivo specifico.
«Ginny è bellissimo» cercò di dire nonostante il groppo in gola. Ormai era certo che gli occhi fossero diventati lucidi, iniziava a non distinguere bene le sagome nella foto.
«Davvero ti piace?» chiese titubante. Harry annuì. Non aveva mai avuto una famiglia vera e propria. A Grimmauld Place aveva solo un paio di foto con Ron ed Hermione ma era piuttosto spoglia. I Weasley erano le uniche persone che nella sua vita gli avevano fatto conoscere l’amore di una famiglia. Lo avevano accolto e non perché era Harry Potter, Il-Bambino-Che-È-Sopravvissuto, ma perché si erano accorti di ciò che lui aveva più bisogno: l’amore. Con ancora la cornice in mano, abbracciò Ginny di slancio, senza preoccuparsi di qualche lacrima che era sfuggita dagli occhi. Ginny lo strinse forte, nonostante fosse colta alla sprovvista da quel gesto così improvviso. «Sei la cosa migliore che la vita potesse riservarmi» disse ancora con la faccia appoggiata alla sua spalla.
E per la prima volta nella vita si trovò a desiderare di poter invecchiare con Ginny accanto a sé. Non avrebbe voluto altri se non lei.
 
I coniugi Potter guardarono la foto che era stata regalata ad Harry tanto tempo prima. L’avevano messa sopra il camino del salotto, sotto gli occhi di tutti. Nonostante alla famiglia Weasley mancassero Percy e Charlie, che non perdevano occasione di farglielo notare, Harry amava definire quella foto come la sua prima foto di famiglia. Grazie ai Fondatori, la prima di una lunga serie.
Strinse istintivamente Ginny, anche lei ricambiò la stretta, aveva gli occhi chiusi persa ancora in quel ricordo tanto simpatico quanto intenso. «Ti avrei sposata anche se non avessi avuto un Galeone alla Gringott» mormorò Harry accarezzandole dolcemente i capelli. Ginny sospirò.
«Chissà cosa ho fatto per meritarti nella mia vita» disse quasi sovrappensiero.
«È la stessa domanda che mi faccio dal giorno in cui ci siamo messi insieme» commentò.
L’orologio segnava quasi le undici di sera, di norma era l’ora in cui iniziavano ad andare a dormire, ormai troppo vecchi per andare oltre. Ma quella sera era speciale, non sentivano più la stanchezza fisica, era come se quel vortice di ricordi avesse reso entrambi insensibili allo scorrere del tempo. Perciò quando Ginny cominciò a raccontare del loro primo Natale insieme, Harry fu lieto di poter ascoltare ancora un altro racconto.

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Capitolo 24
*** 24. Things youd said during our first Christmas together (Le cose che hai detto durante il nostro primo Natale passato insieme). ***


24- 045: Things youd said during our first Christmas together (Le cose che hai detto durante il nostro primo Natale passato insieme).
 
Dopo quella piccola parentesi in camera di Ginny, il suo umore era decisamente migliorato. Rideva e scherzava con tutti; ogni tanto lanciava sguardi furtivi ad Harry senza motivo. Solo per guardarlo a suo agio con i suoi fratelli e le loro fidanzate, solo per guardare quanto era bello quando aveva la felicità negli occhi e solo per realizzare quanto fosse stata fortunata ad avere una persona come lui accanto a sé. Avrebbe davvero voluto passare il resto della sua vita con lui.
La cena trascorse come ogni anno: tanto cibo e tante risate, era il secondo anno senza Fred, ma era come se lui fosse lì, nei loro discorsi leggeri e divertiti, in quella famiglia che stava diventando sempre più grande, negli sguardi innamorati che si scambiavano Bill e Fleur o Ron ed Hermione, nello scambio dei regali. Era nell’aria della Tana. Sentirono ancora di più la presenza di Fred quando Bill si alzò in piedi e annunciò a tutta la tavolata che Fleur era incinta. Si levarono grida di gioia e le congratulazioni volavano da un capo all’altro del lungo tavolo che ospitava la famiglia Weasley. «Un nipote…» farfugliava Molly Weasley mentre abbracciava Fleur, anche lei era emozionata anche se cercava di nasconderlo.
«Diventeremo zii…» rifletté Harry mentre erano seduti sul divano. Ormai tutti i fratelli Weasley che non abitavano alla Tana erano andati via, erano rimasti solo Harry ed Hermione. Ginny sapeva che a breve anche Harry sarebbe andato via per raggiungere Teddy ed Andromeda a casa loro. Era una tradizione solo loro e anche se Ginny si sentiva un po’ esclusa, capiva che era ancora presto per entrare in certe cose di famiglia.
«Ad Hogwarts eri stato assegnato a Corvonero mi sembra…» lo prese in giro facendo ridere Ron ed Hermione di gusto. Harry si limitò a darle un pizzicotto sul fianco facendola sobbalzare e ridere allo stesso tempo.
«È quasi ora» annunciò poco più tardi guardando l’orologio che anni prima gli aveva regalato Molly. Poi la guardò intensamente, come se stesse valutando se dirle o meno qualcosa. «Ti va di venire con me?» chiese tutto d’un fiato, frizionando le mani sui jeans. Ginny non sapeva se per infondersi coraggio e se per asciugare le mani lievemente sudate. Sgranò gli occhi incerta se quello che aveva appena sentito non fosse frutto della cena troppo pesante della signora Weasley.
«Harry, sei sicuro?» chiese incerta. Harry annuì. Ron ed Hermione sul divano si stavano baciando ignorando totalmente la giovane coppia davanti a loro. Stupita ma ancora titubante, Ginny salutò suo fratello, Hermione ed i suoi genitori, prese il mantello e si smaterializzò con Harry davanti alla casa di Andromeda Black.
La signora Black in Tonks viveva in una villetta a schiera in un villaggio poco fuori Londra, c’era una ghirlanda appesa alla porta da cui pendeva la scritta “Happy Christmas” in perfetto stile Babbano, forse lo aveva fatto per confondersi tra la folla di Babbani, o forse per un tacito ricordo del marito. Harry bussò alla porta di legno colorata di un bianco candido e una signora identica a Bellatrix Lestrange aprì la porta. A primo impatto Ginny indietreggiò. Aveva sentito spesso parlare di Andromeda e di Teddy, ma non l’aveva mai vista di persona, né in foto, visto che Grimmauld Place era stato cancellato tutto ciò che riguardava lei e i traditori della famiglia.
La signora con i capelli castano chiaro, sorrise materna. «Ciao Harry» lo salutò gentile. «Teddy non ha fatto altro che chiedere di te oggi» continuò guardando il ragazzo. Poi il suo sguardo si diresse verso Ginny, era tanto simile a Bellatrix ma c’era qualcosa di diverso: gli occhi. Non trasmettevano paura o terrore o l’idea di una morte tra atroci sofferenze, trasmettevano calma e tranquillità. «La piccola Weasley!» esclamò con un sorriso. «Harry mi ha tanto parlato di te» aggiunse. Harry si schiarì la voce in imbarazzo.
«Ciao Andromeda, possiamo entrare?» chiese cambiando argomento.
«Ma certo, miei cari» rispose. Ginny era ancora leggermente intimorita dall’austerità della donna.
L’interno della casa era caldo e luminoso, nel salotto c’era un albero di Natale decorato con tante palline rosse e sulla punta una stella in cui si succedevano le foto di Tonks, del marito di Andromeda e di Lupin. Ginny provò una stretta al cuore: era anche per lei il secondo Natale senza la famiglia, sapeva benissimo cosa si provava. Ai piedi dell’albero, un bambino con i capelli blu fissava quella costruzione che era enorme ai suoi occhi. Sentendoli entrare si girò verso di loro e non appena vide Harry si alzò goffamente cercando di raggiungere il suo padrino.
«Ciao Teddy!» esclamò Harry prendendolo in braccio.
Ginny aveva già visto Harry interagire con Teddy, e le si era sciolto il cuore. Come in quel momento. Per un attimo si sentì un’estranea e stava per chiedere ad Harry se non fosse il caso che andasse via lasciando solo loro due a giocare insieme.
«Non pensarlo neanche per scherzo» le disse Andromeda vicinissima al suo orecchio. Aveva interpretato i suoi pensieri o era solo una brava legilimens? Deglutì rumorosamente guardando Harry dare un pacchetto voluminoso e rettangolare al piccolo Teddy. «Questo è da parte mia e di Ginny» disse al bambino. Si erano seduti sul divano e Ginny si rese conto di non essersene manco accorta. Si accomodò anche lei sulla poltrona di lato al divano. Sorrise cercando di seguire il consiglio di Andromeda.
«Chi è lei?» chiese Teddy che adesso aveva i capelli tra il blu ed il verde. La stava indicando con il piccolo dito paffuto ma guardava Harry negli occhi.
«Lei è la fidanzata di zio Harry» rispose gentilmente al bambino. Andromeda intanto aveva portato a tutti una tazza di cioccolata calda che però bevve solo il piccolo Teddy, visto che Harry e Ginny erano ancora pieni dalla cena.
«Ah, i pasti di Molly Weasley» sospirò Andromeda comprensiva. «Sono leggenda nel mondo magico, farebbero concorrenza ai banchetti di Hogwarts!» continuò facendo ridere di gusto sia Harry che Ginny e sciogliendo un po’ la tensione.
Il piccolo nel frattempo stava scartando il regalo e quando lo vide per poco non urlò dalla gioia. «Una ccopa!» esclamò elettrizzato. Aveva solo due anni e faceva fatica a pronunciare ancora alcune parole. «Posso giocare a uiddich con te!» continuò ancora più emozionato. Tutti i presenti nella stanza risero, Andromeda un po’ meno entusiasta dei due giovani, forse pensava a che danno avrebbe rappresentato un per la casa.
«Puoi giocare con me o con la zia Ginny, sai, lei di lavoro gioca a Quidditch» gli disse. Se possibile, Teddy sgranò così tanto gli occhi che Ginny non si sarebbe stupita se fossero usciti fuori dalle orbite. I capelli adesso erano di un rosso acceso. La fissava con la bocca spalancata.
«Tu giochi a uiddich?» strillò il bambino incapace di contenere la felicità. Batteva le mani paffute una contro l’altra ed era sceso dalle gambe di Harry per avvicinarsi a Ginny che lo guardava sorridendo.
«Hai catturato la sua attenzione» rise Harry.
«Be’ sì» rispose Ginny con un sorriso dolce sul viso. «Gioco in una squadra che si chiama Holyhead Harpies» continuò.
Il bambino spalancò di nuovo la bocca. «Nonna, gioca in una qquadra!» esclamò girandosi verso Andromeda. La donna rideva e aveva la serenità negli occhi, Ginny la guardò solo per un istante. Chissà quanto dolore c’era voluto per raggiungere quel livello di felicità.
«Lo so Teddy, l’ho letto sul giornale» rispose gentile.
«Ehm…» il bambino di portò indice e pollice al mento e strinse gli occhi come se si stesse sforzando di ricordare qualcosa. Poi si girò verso Harry e mormorò: «Com’è che si chiama?»
Harry sogghignò. «Ginny» rispose guardandola orgoglioso.
«Ginny, mi impari a salire sulla ccopa?» chiese ritornando a guardarla.
«Certo» annuì Ginny entusiasta. «Però si dice “mi insegni”» lo corresse. Il bambino alzò gli occhi al cielo.
«Sei come la nonna» sbuffò. Ma la gioia di aver ricevuto una scopa e di aver conosciuto una giocatrice di Quidditch era troppo forte per permettergli di rattristarsi.
Ridendo aprirono la confezione della scopa giocattolo e aiutarono il piccolo Teddy a salire in sella, quella si sollevò di circa cinquanta centimetri da terra e iniziò a volare piano, aumentando di velocità non appena il bambino prese confidenza col gioco. Andromeda con un gesto elegante di bacchetta aveva fatto sparire tutti gli oggetti che si sarebbero potuti rompere, e aveva coperto gli spigoli dei mobili con del gommapiuma. Il bambino rideva felice, emettendo strilletti emozionati. Volò per tutta la casa per circa un’ora, poi la stanchezza prese il sopravvento e scese con un sonoro sbadiglio.
 «È ora di andare a letto» osservò la nonna. Teddy annuì sfregandosi un occhio. Harry fece per prenderlo in braccio ma il bambino lo guardò torvo.
«Non voglio te!» esclamò facendo rimanere di stucco tutti.
«Teddy, che ti prende?!» lo rimproverò Andromeda, leggermente preoccupata da quel cambio di umore del bambino.
«Io voglio lei!» disse indicando Ginny. L’espressione corrucciata di Harry si rilassò mentre Ginny sentiva il panico crescere in lei: non aveva mai messo un bambino a letto. Doveva cambiarlo? Mettergli il pannolino? Cantargli la buonanotte? Doveva prenderlo in braccio o riusciva a fare le scale da solo?
«Ok» sospirò la nonna. «Però prima vai a lavarti i denti e poi a nanna» disse perentoria.
Cercando di non abbandonarsi ad una crisi di nervi, Ginny lo prese per mano e si fece condurre verso il bagno. Teddy le indicò lo spazzolino con un boccino animato che volava dalla testina al manico. Grazie ai Fondatori di Hogwarts, il bambino era piuttosto autonomo e sapeva bene cosa fare.
«Finito» disse con la bocca ancora piena di dentifricio. Ginny trattenne un risolino.
«No, piccolo. Devi togliere il dentifricio, la bocca deve essere pulita pulita» rispose con voce gentile. Il bambino alzò di nuovo gli occhi al cielo, probabilmente pensando che era davvero come nonna Andromeda. Quando ebbe davvero finito, si fece portare dal bambino nella sua stanzetta. C’erano dei giocattoli sparsi qua e là ed era più calda rispetto al resto della casa. Il bambino si infilò sotto il piumone. Aveva gli occhi gonfi di sonno.
«Torni domani?» chiese con una voce leggermente assonnata. Ginny sentì di nuovo quella morsa al petto che aveva sentito quando aveva visto la stella di Natale.
«Non lo so se proprio domani, però nei prossimi giorni tornerò» rispose sincera. «Se vuoi, quando viene lo zio Harry, posso venire pure io».
Il bambino sembrò pensarci su e poi si aprì in un sorriso dolce. «Va bene» rispose. Poi per un attimo si rabbuiò. «Ma mamma e papà se mi vedono contento si arrabbiano?»
Ginny ebbe un breve attimo in cui le tornarono in mente tutti i momenti che aveva vissuto con Remus e Tonks, la prima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure al secondo anno, le cene al numero 12 di Grimmauld Place, le chiacchierate e le risate con Tonks, la Battaglia ad Hogwarts, quando aveva viso Tonks morire davanti ai suoi occhi per mano di Bellatrix. Sentì gli occhi pizzicare ma cercò di non farci caso. Diede una carezza leggera a quel bambino che tanto somigliava ai genitori. «No, Teddy. Loro vorrebbero vederti felice. Non vorrebbero che tu fossi triste» cominciò. «Sai, tua mamma faceva molto ridere, era davvero simpatica, proprio come te! E tuo papà era buono e tanto saggio, e forse è questo che l’ha fatto innamorare di lei. Si amavano tanto e se fossero ancora vivi, sarebbero dei genitori perfetti».  Il bambino aveva le palpebre pesanti, Ginny non sapeva se avesse capito qualcosa di quello che aveva detto.
Lasciò cadere solo una piccola lacrima mentre il respiro del bambino si faceva pesante. Una mano sulla spalla la fece girare quasi spaventata. Era Harry che la guardava commosso. «Hai sentito?» bisbigliò per non svegliare il bambino. Harry annuì e Ginny si sollevò abbracciandolo.
«Sei stata fantastica» la rassicurò. Ginny tacque. «E per di più ti adora» aggiunse. Uscirono dalla stanza pronti a salutare Andromeda e tornare a casa dopo quella serata piuttosto intensa.
Trovarono la donna ad osservare quella stella con i volti della sua famiglia. «L’ha voluta Teddy» disse senza guardarli; gli occhi ancora fissi sulla decorazione. «Ha detto che così loro sono sempre con noi».
Un brivido percorse Ginny lungo la schiena. Non sapeva se dirle che era stata sua sorella ad uccidere sua figlia fosse proprio una buona idea.
«Mi dispiace» fu l’unica cosa che disse. La stretta della mano di Harry si fece un po’ più forte. «Nei giorni di festa mancano sempre un po’ di più…» Andromeda la guardò. C’era solo un velo di commozione nei suoi occhi.
«Dispiace anche a me per tuo fratello» rispose con la voce leggermente incrinata.
Lasciarono la casa ognuno perso nei propri pensieri. Si presero del tempo per passeggiare prima di tornare a casa, così da liberare la mente dalle ultime conversazioni che erano avvenute. Poi Harry si fermò e la guardò dritta negli occhi. Era uno sguardo diverso dagli altri, più intenso. Stava per dire qualcosa ma si trattenne. Le diede un bacio profondo che Ginny ricambiò, avevano solo bisogno di scomparire l’uno nelle braccia dell’altra.
 
Una volta che Ginny ebbe finito di raccontare, Harry si mise ad osservare un’altra foto, questa volta però era appesa ad una parete stanza in cu si trovavano: era una foto che avevano Harry e Ginny con tutti i loro figli più Teddy.
«Credi che io sia stato un buon padrino?» domandò alzando un sopracciglio.
«Be’, ha smesso di venire a cena da noi quattro volte alla settimana solo perché si è fidanzato con Victoire, credo proprio di sì» rispose sincera.
«Veniva a cena quattro volte alla settimana solo per stare con te. Stravede per te!» le fece notare il marito.
«Se stai cercando di rinfacciarmi il fatto che quella sera ti ha ignorato perché voleva me, ti ricordo che dal giorno dopo ha iniziato a dire in giro che per Natale lo zio Harry gli aveva regalato una scopa ed una giocatrice di Quidditch» rammentò leggermente piccata. Il Salvatore del Mondo Magico rise reclinando la testa all’indietro. Ginny si vendicò dandogli un pizzicotto sul fianco, come aveva fatto lui anni prima.
«Che scemo che sei» commentò imbronciata, aveva l’ombra di un sorriso sul volto.
«Ti ricordi quando ti ho portato in giro in motocicletta?» chiese poi cambiando discorso.
Ginny annuì, si ricordava di quel momento, eppure sentirselo raccontare ancora una volta non le dispiaceva affatto.

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Capitolo 25
*** 25. Things you said while we were driving (Le cose che hai detto mentre stavi guidando). ***


25- 003: Things you said while we were driving (Le cose che hai detto mentre stavi guidando).
 
«Ho una sorpresa per te!» esclamò Harry eccitato dopo aver accolto calorosamente Ginny. Era appena tornata da un allenamento piuttosto intenso, si avvicinava la sua prima partita e Gwenog Jones stava facendo allenare tutte le nuove reclute il doppio di quanto si allenavano gli altri.
«Spero sia una vasca con l’acqua bollente e un massaggio alle spalle» rispose gettandosi a peso morto sul divano. Harry parve quasi deluso da quella risposta.
«Oh, non fa niente, te lo faccio vedere un’altra volta» mormorò con voce bassa. A Ginny ricordava particolarmente Teddy quando faceva finta che qualcosa non gli importasse. Forse frequentare assiduamente un bambino di quasi tre anni non era proprio il massimo per il suo fidanzato. Harry si sedette accanto a lei cercando di apparire il più sereno possibile ma la ragazza riusciva a scorgere un filo di delusione nei suoi occhi.
«No, fammelo vedere adesso» esclamò alzandosi dal divano con fare energico. Le dolevano tutti i muscoli, anche quelli che Ginny non sapeva di avere, non era stato facile fare quello scatto repentino. Cercò di nascondere una smorfia di dolore mentre vedeva la felicità riaccendersi negli occhi di lui.
«Oh, bene!» esclamò, senza curarsi che probabilmente Ginny lo aveva fatto solo per lui e che avrebbe preferito di gran lunga riposarsi con il suo ragazzo, magari con un bel plaid, senza fare niente di speciale, solo riposarsi. Il ragazzo la prese per mano, Ginny sospirò stringendola, leggermente esausta.
«Ti conviene prendere il cappotto» l’avvertì. Ginny seguì le istruzioni di Harry e indossò il cappotto, lui era dietro di lei, anche lui alle prese col giubbotto. Si stava sistemando la sciarpa quando le mani fredde di Harry le coprirono gli occhi.
«Harry, che stai facendo?» domandò inquisitoria.
«Te l’ho detto, è una sorpresa» insistette lui. Ginny decise di assecondarlo e di seguire il fidanzato. Continuarono a camminare dritti per il corridoio di Grimmauld Place, la mamma di Sirius – ormai abituata alla loro presenza – emise qualche borbottio di disapprovazione, ma non urlò contro i due ragazzi. Ginny sentì l’aria fredda di febbraio colpirla in pieno: erano appena usciti fuori. Rischiò di inciampare sui gradini ma Harry la sostenne ridacchiando, anche se Ginny gli avrebbe detto volentieri tutti gli insulti che la signora Black aveva taciuto. Continuarono dritti per un paio di metri, adesso Ginny non aveva idea dove fossero diretti, se dentro casa riusciva ad orientarsi bene, fuori era un mistero per lei. Sentiva solo il rumore delle macchine dei Babbani che sfrecciavano a più non posso. Ad un certo punto si fermarono, dedusse che erano fermi su un marciapiede, perché Harry poco prima le aveva dato l’indicazione di sollevare leggermente il piede destro, come per fare un gradino. «Arrivati!» disse nel suo orecchio Harry togliendole le mani dagli occhi. Il contatto con la flebile luce del sole di febbraio, le fece strizzare gli occhi un paio di volte.
Davanti a lei comparve una motocicletta. La conosceva: era la moto che Harry ed Hagrid avevano usato per arrivare a casa di Andromeda quando erano andati a prenderlo a casa dei suoi zii. Aveva visto suo padre trafficarci per tutta l’estate quell’anno. La moto aveva cambiato carrozzeria, continuava ad essere sul marroncino ma era più lucente e non c’era manco un piccolo graffio, non dava segno di essere reduce da un attacco di Mangiamorte o di Voldemort in persona. Dall’ultima volta che l’aveva vista, non aveva più il sidecar, era semplicemente una moto molto simile a qualsiasi altra di un Babbano comune. Il suo ragazzo aveva un sorriso splendido, Ginny dubitava di averlo visto così sorridente quando era con lei, la felicità che provava era così incontenibile, che probabilmente avrebbe voluto fermare i passanti e far ammirare loro la moto. Fece un sorriso tirato cercando di non mostrare la sua perplessità.
«Dove l’hai presa?» fu la prima cosa che chiese. Dopo essere stato da Andromeda era partito alla ricerca degli Horcrux, Ginny dubitava si fosse messo a cercare anche la motocicletta distrutta da un bel po’ di maledizioni. Harry non rispose tanto era emozionato; le stava già passando un casco pronto a farle fare un giro. «Tu sai guidare?» ritentò sperando che almeno questa volta la calcolasse.
«Be’ no» rispose Harry rendendosene conto forse per la prima volta. «Ma manco Ron a dodici anni sapeva guidare, eppure siamo arrivati lo stesso ad Hogwarts a bordo di un’auto volante».
Ginny sospirò consapevole che non avrebbe potuto fare niente per distruggere la bolla di felicità in cui era Harry e che le era impenetrabile. Montò in sella subito dopo di lui, stringendosi forte alla sua vita, pregando Merlino, Morgana, i quattro Fondatori e tutti i suoi parenti ed amici morti, che riuscissero a tornare vivi da quel giro in moto.
Harry mise in moto, il mezzo rombò per tutta la via, Ginny non poteva vederlo ma sentì il riverbero della risata nel petto del fidanzato. Cercava di non darlo a vedere ma era agitata. Una volta partiti la situazione migliorò un po’. Scoprì che Harry era in grado di portare una moto e mantenere l’equilibrio. Non rischiarono manco una volta né un incidente, né di investire qualche pedone. Harry rispettò anche quelle luci rosse per strada che servono per far stare ferme le persone. «Sei pronta per la vera sorpresa?» urlò. Ginny si sentì sbiancare.
«Ah, non era già questa la sorpresa?» domandò.
Harry schiacciò un pulsante blu, a Ginny bastò un’occhiata veloce per capire cosa fosse, ne avevano uno tale e quale nella Ford Anglia. Era il pulsante per farla diventare invisibile. Harry schiacciò un altro pulsante e la motocicletta iniziò a librarsi in aria. In quel momento Ginny si rilassò completamente, non le facevano più male i muscoli se lei poteva volare in cielo e godersi il vento – per quanto gelido – sulla faccia. Era una sensazione che adorava e di cui non avrebbe potuto farne a meno.
«Harry, ma come hai fatto ad aggiustare la moto?» chiese a voce alta. Sebbene fossero letteralmente sulle nuvole, il rombo della moto era ugualmente forte.  
«Non l’ho aggiustata io» rispose urlando. «È stato tuo padre. Tuo padre me l’ha aggiustata e me l’ha ridata». A Ginny era parso che a casa sua avessero preso tutti di buon grado la relazione tra lei ed Harry, eppure le sfuggivano alcuni pezzi, ad esempio: perché suo padre aggiustava e modificava oggetti Babbani che avrebbero potuto uccidere il suo fidanzato? «Ha fatto un incantesimo permanente per non farmi andare fuori strada, il tasto dell’invisibilità e quello per volare» spiegò, sempre urlando.
Forse non lo voleva così morto, però, pensò Ginny scrutando la Londra Babbana dal cielo.
Atterrarono circa mezz’oretta dopo in un posto che portava la scritta “benzinaio”, era quasi ora di chiusura e non c’era nessuno. Il resto del viaggio lo affrontarono per le strade Babbane senza farsi notare più di tanto.
«Forte, non è vero?» chiese Harry scendendo dalla motocicletta e posando il casco nel bauletto alla fine del sedile.
«Be’ sì, continuo a preferire la scopa ma non è male» ammise.
«Tuo padre è stato un genio! Devo trovare un modo per sdebitarmi» rifletté. La prese per mano e rientrarono a casa di Harry. Dopo aver volato per quasi tutta la mattinata e anche tutto il pomeriggio, ciò che più desiderava Ginny era un divano, possibilmente con i piedi ben fissati a terra. Appena lo vide vi si gettò sopra in maniera scomposta. Harry la guardò sorridente, aveva gli occhi luccicanti probabilmente per il vento che avevano preso pomeriggio. «Grazie» fu l’unica cosa che disse.
 
 
«Me n’ero accorto che eri stravolta» disse alla fine del racconto. «E poi volevo farti rilassare…»
«Facile dirlo dopo così tanti anni» commentò Ginny, la bocca curva in un leggero sorriso.
«Be’ è stato comunque bello, no?» si premurò di chiedere.
«Forse…» valutò Ginny senza dare soddisfazione al marito.
«Nel nostro racconto non siamo manco arrivati alla proposta» osservò Harry facendola sospirare.
«Dobbiamo ricordare proprio tutto?» chiese. Non si seccava, si chiedeva solo perché suo marito volesse passare la notte a ricordare i tempi andati. Sentì un brivido percorrerle la schiena quando Harry la guardò intensamente come se avesse letto nella sua mente.
«Non so quanto tempo ci resta da vivere insieme, oggi ci siamo magari domani mattina non più. Perciò sì, mi piacerebbe rivivere proprio tutta la storia» rispose facendo spallucce.
Ginny sentì gli occhi inumidirsi a quelle parole, cominciò a ricordare un altro avvenimento nella loro storia, un avvenimento doloroso che però era stato anche un punto di svolta. 

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Capitolo 26
*** 26.Things you said that I wish you hadn't (Le cose che hai detto e che vorrei non lo avessi fatto). ***


26- 019: Things you said that I wish you hadn't (Le cose che hai detto e che vorrei non lo avessi fatto).
 
Era un periodo un poco strano per Harry e Ginny: lei era alle prese con gli allenamenti intensivi con le Holyhead Harpies, lui, invece, aveva iniziato a testimoniare contro i Mangiamorte al Winzegamot. Per di più stava quasi giungendo alla conclusione del suo secondo anno all'Accademia degli Auror ed era piuttosto preoccupato di non riuscire a studiare abbastanza a causa dei processi. Se non era all'Accademia era nello studio di qualche Magiavvocato a studiare l'accusa. A pensarci bene, era raro che si vedessero ultimamente, tanto erano presi dalla loro vita.
Quella sera Ginny decise di fare una sorpresa al suo ragazzo, sperando che non fosse troppo stanco per un pasto veloce o per fare quattro chiacchere, solo per rilassarsi. Le sembrava un'idea geniale. Harry le aveva dato il permesso di materializzarsi direttamente dentro Grimmauld Place, e così aveva fatto Ginny anche quella volta. Aveva un sorriso contento sul volto, era felice di rivederlo dopo circa dieci giorni che non riuscivano a far combaciare i loro impegni. Peccato che quello che vide dalla fessura della porta della cucina lo spense immediatamente.
Harry era seduto al tavolo della cucina di Grimmauld Place tutto in tiro, aveva la camicia che lei gli aveva comprato senza nessun motivo specifico, solo perché quando l'aveva vista aveva pensato immediatamente a lui. Non riusciva a vedere per bene, ma giurava che si fosse anche pettinato i capelli, per quanto possibile. Di fronte a lui una ragazza forse di uno o due anni più grande di Harry, aveva un tailleur bordeaux e il busto verso avanti che ascoltava attentamente quello che diceva Harry, gli stava raccontando qualcosa di divertente perché rideva educatamente. Vide Kreacher arrivare dall'angolo cottura della cucina e portare loro qualcosa che Ginny identificò come una seconda portata. Era indecisa se entrare e fare una scenata, oppure andarsene e mantenere il silenzio fin quando Harry non se ne fosse accorto. Scelse la seconda. Si smaterializzò e ricomparve di nuovo alla Tana. 
«Già di ritorno?» chiese sua madre quando la vide camminare verso le scale. Ginny si girò distratta cercando di non fare trasparire quanto si sentisse ferita e tradita. 
«Oh, ehm...» balbettò. «Stava già dormendo» inventò con un sorriso tirato che di vero non aveva nulla. Grazie a Merlino, Molly Weasley non percepì niente di strano nella figlia e continuò a piegare il bucato. 
Arrivata nella sua stanza, Ginny guardò il suo letto, si sentiva prosciugata da tutte le energie. Senza manco cambiarsi vi si gettò di sopra, cadendo in un sonno ricco di incubi.
 
Per un paio di giorni, Ginny evitò di sentire il suo ragazzo o ex-ragazzo. Lui le inviava spesso dei Patroni ma lei li ignorava. Aveva deciso che si sarebbe concentrata solo ed esclusivamente sul Quidditch, niente ragazzi, niente distrazioni. Gwenog Jones sembrò apprezzare inconsapevolmente questa scelta perché ogni giorno le diceva quanto i suoi miglioramenti nell'ultima settimana fossero evidenti. Nonostante sul fronte lavorativo le cose andassero bene, il suo umore rimaneva comunque sotto i piedi, a casa era sempre scontrosa, passava sempre più tempo nella sua stanza a pensare alla scena che aveva visto a Grimmauld Place (con lei non aveva mai chiesto a Kreacher di servire a cena), era costantemente arrabbiata con Ron ed Hermione, non avendo Harry davanti a cui dirne quattro. Da quando Harry aveva capito che lei stava ignorando i suoi Patroni, era passato alle lettere via gufo, ce n'era una pila sulla scrivania ma non ne aveva aperta manco una. 
Non si sentiva solo tradita, era stata ferita nell'orgoglio, era come se Harry le avesse detto indirettamente "Ehi Ginny, mi dispiace, ma non puoi reggere il confronto con una bionda dagli occhi azzurri, così fine ed elegante". Era come se le avesse detto che lei non valeva niente, che c'erano miliardi di altre persone migliori di lei e più adatte a lui, perfetta per la sua "vita pubblica", quella del Settimanale delle Streghe. 
Bussarono alla porta, Ginny, spazientita andò ad aprire. Sapevano che non dovevano disturbarla. Appena vide Harry, fece per chiudere la porta ma lui fu più veloce e mise un piede per bloccarla. 
«Che vuoi?» chiese gelida. Il tono dovette colpire particolarmente Harry perché per un attimo le parve di vederlo sgranare gli occhi.
«Mi dici che succede?» la ignorò. Sembrava piuttosto seccato anche lui. Ginny aveva le braccia incrociate, era a debita distanza da lui, come se stare troppo vicino ad Harry le costasse la vita. 
«Dimmelo tu» lo provocò lei. La guardò esterrefatto, se gli avesse detto che aveva iniziato a credere ai Nargilli probabilmente avrebbe reagito meglio. Ginny sentì la rabbia invaderla come un'onda. «Fai pure il finto tonto» sibilò.
«Ginny, parla! Io non ti capisco!» sbottò. «Siamo passati dal vederci quasi tutti i giorni a non vederci per settimane. Spiegami cosa è successo!» 
Aveva la voce incrinata dalla rabbia, non urlava, probabilmente per non farsi sentire fuori da quella stanza. Quella calma apparente fece innervosire Ginny ancora di più.
«Chiedilo a quella tizia bionda» disse sprezzante. Aveva le braccia incrociate al petto e un'aria sostenuta di chi non l'avrebbe data vinta tanto facilmente. «A proposito, come si chiama? Aveva la faccia da Jennifer, o forse Wendy...» aggiunse con gli occhi assottigliati. 
Harry era fermo immobile, come un ladro che era stato sorpreso durante un furto. Fino a quel momento aveva creduto che di base ci fosse stato un malinteso, si era già preparata a tutti i "non è come pensi", era pronto a perdonarlo e a darsi della stupida e insicura. L'avrebbe fatto davvero. Ma Harry le stava tacitamente dicendo che qualche cosa era successo tra la tizia bionda con un tailleur bordeaux e lui. 
«Come hai fatto...» mormorò. Non riuscì a finire la frase, tanto era il senso di colpa. 
«Vi ho visto a cena da te. Forse avresti dovuto mettere un incantesimo di protezione per non farmi smaterializzare direttamente dentro casa». Manteneva un tono di voce duro e distaccato, ma dentro di sé stava lottando per non cedere alle lacrime. Era forte, ma sapere di essere stata tradita da Harry era qualcosa che non poteva sopportare. Le aveva detto che l'avrebbe voluta vedere madre dei suoi figli, le aveva presentato Teddy, l'aveva inclusa nelle tradizioni col suo figlioccio, e poi? Era tutto sfumato all'improvviso. Erano bastati degli occhi azzurri, dei capelli biondi ed un completo elegante, e lei non esisteva più.
«Era una cena di lavoro» si giustificò. Aveva la faccia contrita, come se cercasse di scusarsi. 
«Il tuo sguardo dice altro» disse con voce fredda.
«Fammi parlare!» esclamò alzando per la prima volta la voce. 
«Era una cena di lavoro, lei è un Magiavvocato dello studio a cui mi sono rivolto. Stavamo preparando la testimonianza. Solo che poi ci siamo lasciati trascinare, deve aver frainteso le mie intenzioni e a fine serata mi ha baciato».
Quelle parole furono peggio di cento coltellate alla schiena. Non riuscì più a reprimere quelle lacrime che minacciavano di uscire. La vista le si offuscò e la figura di Harry divenne indistinta. «Ma io l'ho staccata subito da me!» aggiunse in fretta.
Per Ginny quello era troppo. Si asciugò le lacrime con la manica della maglietta e lo guardò con disprezzo. 
«Va' via» disse. «Non voglio mai più vederti».
 
Marito e moglie erano seduti ancora sul divano, fissavano quella TV Babbana che avevano comprato quando si erano sposati ma che adesso di rado usavano. Davanti ad uno schermo gli occhi si stancavano più facilmente, preferivano di gran lunga la carta stampata. «Che scemo che sono stato quella volta» rifletté Harry ad alta voce. Guardava Ginny negli occhi come se volesse chiederle ancora una volta scusa per quella piccola défaillance, ben consapevole che Ginny l'aveva perdonato già da diversi anni.
«É acqua passata» lo rassicurò. Era al sicuro nella sua casa a Godric's Hollow, con suo marito accanto, l'ombra di Wendy o Jennifer o di biondine con altri scopi erano solo un lontano ricordo, fastidioso ma lontano. «Credo che il modo in cui abbiamo fatto pace sia stato di gran lunga il modo migliore per ritrovarci» aggiunse con un sorriso malizioso ricordando gli eventi che avevano succeduto quel momento.
Gli occhi di Harry si illuminarono e iniziò a raccontare di quella notte in cui aveva davvero capito di amarla. 

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Capitolo 27
*** 27. Things you said with my lips on your neck (Le cose che hai detto con le mie labbra poggiate sul tuo collo). ***


27- 040: Things you said with my lips on your neck (Le cose che hai detto con le mie labbra poggiate sul tuo collo).
 
Due mesi. 
Erano passati due mesi da quando Harry e Ginny avevano discusso l'ultima volta. 
Due mesi in cui Harry non aveva fatto altro che dannarsi per essere stato così stupido, come aveva fatto a non capire le intenzioni di Claire? All'inizio aveva pensato si trattasse solo di gentilezza, ma ripensandoci a mente fredda, era sotto gli occhi di tutti che ci stesse provando, e pensare che Hermione e Ron glielo avevano fatto pure notare! Ma lui era stato testardo e cieco e aveva liquidato la faccenda con una mano dicendo che erano esagerati. 
Sebbene gli fossero stati accanto in quei sessantuno giorni che avevano diviso la coppia, era palese che fossero dalla parte di Ginny e non poteva biasimarli. 
Negli ultimi due mesi aveva evitato anche la Tana, spesso Ron ed Hermione venivano a casa sua per non farlo stare da solo per troppo tempo. Non sapeva come, ma anche Kreacher era venuto a conoscenza dei fatti e spesso lasciava Hogwarts per preparargli la cena, sebbene Harry gli avesse detto più volte di non preoccuparsi. Poteva farcela a preparare una zuppa di cipolla buona come quella di Kreacher, no?
Assaggiandola, si rese conto che no, non era capace di preparare una zuppa buona come quella di Kreacher.
L'unico contatto che aveva avuto con la famiglia Weasley, erano stati Bill e Fleur. Era andato a trovarli circa una settimana prima perché Fleur stava per finire il tempo. L'aveva lasciata con una pancia tonda ma non troppo grande e l'aveva ritrovata con una pancia enorme pronta ad esplodere. Era bello vederla così, erano al settimo cielo e si vedeva.
L'avevano rassicurato che lui sarebbe stato sempre lo zio del bambino che stava arrivando, anche se tra lui e Ginny sarebbe andata a finire male. Quelle parole lo rassicurarono, perché significava che gli volevano ancora bene e non volevano torcergli il collo per aver ferito Ginny, ma allo stesso tempo lo spaventavano. L'idea che con Ginny fosse finita definitivamente lo spaventò forse più dell'idea di andare davanti a Voldemort. 
Due mesi in cui non aveva visto più entrare un Patronus a forma di cavallo per dirgli qualche cosa di stupido. Due mesi che non la vedeva camminare per casa con quel suo codino scomposto dopo un allenamento di Quidditch, due mesi in cui aveva anche cambiato studio di Magiavvocati, costringendo anche Ron ed Hermione a farlo. Non voleva più né vedere, né sentir parlare di Claire.
Fece evanescere quella cosa che avrebbe dovuto essere una zuppa e optò per un toast al prosciutto. Era una di quelle sere in cui aveva solo voglia di pensare a quanto fosse stato stupido a farsi sfuggire una ragazza come Ginny e solo perché era stato tonto a non accorgersi delle intenzioni di Claire. Per Merlino, aveva ucciso Voldemort, aveva salvato il Mondo Magico e non riusciva ad accorgersi quando una ragazza ci provava con lui! 
Morse con rabbia quel toast scarno che si era preparato e bevve un po' di Vino Elfico che di recente aveva cominciato a gradire.
Aveva le labbra appoggiate al bordo del bicchiere quando il campanello suonò. Sospirò, sicuramente erano Ron ed Hermione in uno dei giri di perlustrazione per controllare che non diventasse un alcolizzato. Superando una Walburga Black piuttosto seccata dalla sua presenza in casa, aprì la porta.
Rimase fermo lì davanti per qualche minuto. Il volto assunse un'espressione esterrefatta, e la gola si fece secca. Davanti ai suoi occhi c'era Ginny. Era esattamente come l'aveva lasciata. Non seppe perché lo notò, ma era vestita esattamente come quella sera in cui erano andati al cinema e avevano incontrato Dudley. La sera in cui l'aveva presentata come la sua ragazza. Non era passato manco un anno ma ad Harry sembravano cose che appartenevano a decenni prima.
«Ciao» cominciò lei. Lo guardava dritto negli occhi, Harry la conosceva abbastanza bene da sapere che stesse ostentando sicurezza dentro si sentiva esattamente come lui: sconquassata. «Questa volta ho preferito suonare, sai dopo l'ultima volta non mi sembrava il caso...» aggiunse.
Era tipico di Ginny fare queste battute sottili, a volte quasi cattive, quando non riguardavano lui lo facevano ridere, ma adesso erano come lame sottili e ghiacciate. Fece un sorriso tirato mentre si spostava di lato per farla entrare in casa. «Prego, entra» disse riprendendosi. 
La signora Black continuava a ripetere insulti del tipo: «La progenie di Cedrella...che schifo...che vergogna per la nobile casata dei Black!» 
Nessuno dei due fece troppo caso a quelle parole e continuarono dritti per il corridoio che avrebbe portato alla cucina e al salone.
«Tutto bene?» chiese una volta che si furono seduti sul divano. Erano lontani, seduti ai capi opposti. Ginny annuì.
«Fleur è in travaglio» disse. Teneva lo sguardo fisso sul Vino che Harry le aveva offerto e lei aveva accettato. 
«Oh bene, ci siamo allora!» rispose. Era veramente contento per Fleur e Bill e non vedeva l'ora di poter diventare zio, anche solo adottivo, visto che lui e Ginny non erano più una coppia.
«Avevi promesso che saremmo stati zii insieme». Ginny distolse lo sguardo dal liquido rosso e guardò Harry. Aveva uno sguardo ferito, lo stesso che aveva due mesi fa in quella sera alla Tana. Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Ingoiò a vuoto temporeggiando per trovare la risposta. 
«Mi dispiace, sono stato un cretino» si scusò. Ginny fece un leggero sorriso ma lo ignorò.
«Il fatto è che io posso stare senza di te, ci sono riuscita fino a quindici anni, e poi fino all'anno scorso». Harry sentì il cuore farsi pesante. Ciò che più aveva temuto si stava avverando: aveva capito che c'erano altri migliori di lui, altri più intelligenti di lui che non si sarebbero fatti abbindolare dalla prima Claire di passaggio. «É che non voglio» continuò. 
Le parole stupirono così tanto Harry, che si trovò a pensare di aver sentito male. Gli stava davvero dando una seconda possibilità? Un modo per rimediare a quello che aveva fatto?
«Voglio che ci sia tu accanto a me. Voglio tornare sfinita dagli allenamenti e trovare le tue braccia pronte ad accogliermi. Voglio che tu sia il primo a cui raccontare una bella notizia, e l'unico a consolarmi quando c'è qualcosa che non va. Voglio...» ma Harry non le permise di continuare. 
Si avventò sulle sue labbra e si accorse con immenso piacere che Ginny ricambiava. Harry era troppo impulsivo e con le parole se la cavava piuttosto male, per questo aveva scelto di agire. 
Il bacio divenne molto più intenso e caldo di quelli che si erano dati fino a quel momento, c'era l'urgenza di avere qualcosa in più da parte di entrambi. Harry si staccò dalle labbra di lei e iniziò a tracciare il profilo della mascella, arrivando fino al collo dove lasciò dei baci più lunghi e lascivi.
«Ginny?» chiese solamente senza staccarsi dalla pelle candida della ragazza. Aveva il respiro leggermente affannato e gli occhi socchiusi. 
«Sì» rispose in un sussurro. 
Ben presto i vestiti giunsero sul pavimento con poca grazia, unici testimoni di quell'unione.
Nella notte che ricordava la Battaglia di Hogwarts e in quella che celebrava la nascita di una nuova Weasley, Harry e Ginny non unirono solo i loro corpi. Era come se fosse l'unione delle loro anime, l'impegno concreto che avrebbero fatto di tutto per stare insieme, la sicurezza che non avrebbero impedito a nessuno di separarli. Per la prima volta da quando si erano conosciuti e da quando stavano insieme, erano finalmente cuore a cuore
Poco più tardi erano sdraiati sul divano, Ginny sopra di lui, ancora nudi dopo l'amplesso consumato, coperti solo da un tappeto trasformato in un lenzuolo. Aveva il mento appoggiato al petto di Harry e sorrideva. Non l'aveva mai vista sorridere così tanto, Harry credette che le si sarebbe staccata la mascella a breve. 
«Perché sorridi?» le chiese lasciandole leggere carezze sulla guancia. Ogni tanto le scostava qualche ciocca di capelli rossi, erano piuttosto arruffati. Lo faceva sorridere vederla così.
«Perché sono contenta» rispose alzando le spalle. Harry sorrise stringendola a sé per non lasciarla più andare. Questa volta, sul serio, non ci sarebbero state altre interferenze o incomprensioni fatali per il loro rapporto. Ci avrebbe messo tutta l'anima. Se lo erano promessi in quei baci infuocati e quei gemiti compiaciuti. 
C'era una cosa che Harry era certo di non averle mai detto, in realtà non ci aveva pensato fino a quel momento. «La notte della Battaglia, due anni fa» iniziò, «mi sono consegnato a Voldemort». Harry sentì un brivido di paura scuotere il corpo di Ginny. Non sapeva esattamente se fosse dovuto al freddo, al ricordo della guerra o l'aver sentito nominare Voldemort. «Quando lui aveva la bacchetta puntata contro di me nella Foresta, quando stava per scagliarmi la maledizione, io ho visto te. Stavo per morire e io ho visto te». La guardò negli occhi e la vide sorridere dolcemente, l'espressione del viso più rilassata di qualche attimo prima. Rimasero abbracciati in quella posizione per un lungo lasso di tempo, non facevano niente di che, a volte ridevano, a volte si amavano, a volte sonnecchiavano. Erano circa le cinque del mattino quando arrivarono due Patroni, uno di un Jack Russel e l'altro di un gufo. Le voci di Ron e di Percy si sovrapposero creando una gran confusione. Però quando capirono che era nata la piccola Victoire sorrisero emozionati. 
«Siamo zii» sospirò Ginny con un sorriso carico di entusiasmo che Harry ricambiò.
«Insieme» aggiunse baciandola.
 
«Ricorderò quella serata per tutta la vita!» dichiarò soddisfatto Harry Potter.
«Che porco che sei. Pensavo fossi più romantico, che ricordassi almeno il nostro matrimonio...» lo stuzzicò la moglie. Erano sempre stati così: si amavano alla follia e si prendevano in giro fino a che non si stancavano. Non avrebbero mai potuto rinunciare a quello, lo avrebbero fatto finché sarebbero stati in vita.
«Sei tremenda» disse ridendo e stringendola.
«Sono una Weasley, è nel mio DNA essere tremenda» rispose alzando le spalle. 
L'orologio del salone batté la mezzanotte ma alla coppia di due anziani seduta sul divano importava poco. Rivivere la loro storia passo dopo passo, attimo dopo attimo, era di gran lunga più importante che qualche ora di sonno. Questo era uno degli aspetti positivi della pensione: non avere troppi impegni e poter dormire fino a tardi. 
«A pensarci bene non ci siamo mai detti le paroline magiche» rifletté Harry tornando alla realtà. Ginny si imbarazzò ricordando cosa era successo in quel momento. 
«Be' ma ho rimediato subito» si giustificò forse con troppa velocità.
«Oh sì, me lo ricordo» ridacchiò.
Cominciò a ricordare quel momento avvenuto in un assolato pomeriggio di luglio, quando Harry e Ginny avevano scoperto da poco quanto bello e difficile fosse stare insieme per davvero.

Angolo autrice:
Di solito non uso questo spazio in questa raccolta ma stavolta è doveroso. Comincio subito col ringraziarvi dell'affetto che dimostrate ad ogni capitolo, spero che a lungo andare la storia non diventi pesante. Vi ringrazio davvero dal profondo del cuore, scrivo per me - è vero - ma avere persone pronte a ricevere ciò che scrivo è qualcosa che non ha prezzo. 
Secondo punto: la frase di Ginny "Il fatto è che io posso stare senza di te (...) ma non voglio" è liberamente presa da Grey's Anatomy. 
Ultimissimo punto: vi auguro una buona vigilia di Natale, ma ci rivediamo a Natale. Quest'anno siamo letteralmente da soli e la compagnia di una buona storia non può che fare bene.
A presto,
Chiara.
 

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Capitolo 28
*** 28. Things you said under your breath (Le cose che hai detto trattenendo il fiato). ***


28- 047: Things you said under your breath (Le cose che hai detto trattenendo il fiato).

Harry e Ginny avevano passato quella domenica in maniera separata. Non perché le cose andassero male tra loro due, ma perché avevano impegni diversi che non potevano congiungersi. Harry era da Teddy, che era cresciuto ancora di più, aveva iniziato a voler cambiare il colore dei capelli di sua spontanea volontà, il che era davvero sorprendente per in bambino di soli tre anni, Ginny invece era da suo fratello Bill. Gli aveva promesso di tenere Victoire mentre Bill e Fleur si prendevano una pausa dalla vita frenetica di neo genitori. In realtà glielo aveva proposto proprio Ginny quando aveva notato che entrambi erano stanchi e stremati, una parte di Harry si chiese se in fondo la sua fidanzata non fosse un po' masochista, ma non lo disse mai apertamente.
Ad ogni modo, erano rimasti che il primo che avrebbe finito col rispettivo bambino, sarebbe andato a casa dell'altro. Così dopo aver salutato Teddy ed Andromeda, si smaterializzò verso Villa Conchiglia. Bussò alla porta e quando Ginny aprì la porta per poco non scoppiò a ridere. Aveva i capelli arruffati, la maglietta macchiata di vomito e gli occhi fuori dalle orbite. Teneva la nipote in braccio, sopra un asciugamano per evitare di sporcare ulteriormente la maglietta.
«Tutto bene?» chiese cercando di non ridere.  Non aveva mai avuto a che fare con un neonato ma insomma, mangiavano e dormivano, potevano essere così tremendi?
«Ti sembra che vada tutto bene?» rispose di rimando con la voce bassa ed entrambe le sopracciglia alzate.
Harry entrò chiudendosi la porta alle spalle senza fare troppo rumore per non svegliare Victoire. La fidanzata camminava per il salone cullando la bambina che di tanto in tanto emetteva qualche mugolio compiaciuto. Quando ormai la neonata sembrava profondamente addormentata, Ginny la adagiò lentamente nella culla, eccezionalmente trasportata in salone.
Si gettò sul divano stravolta raggiungendo Harry. Puzzava un po' di vomito, latte e pasta per bambini, Harry storse il naso senza dare troppo nell'occhio ma lei lo notò perché gli lanciò un'occhiataccia. Nonostante l'aria devastata, agli occhi di Harry continuava ad essere bellissima. Tacque anche questo, pensando che probabilmente lo avrebbe definito un adulatore.
«Com'è andata con Teddy?» domandò sempre a voce bassa. A giudicare dal suo aspetto aveva impiegato un po' per farla addormentare.
«Oh, molto bene, sta iniziando a cambiare il colore dei capelli come vuole lui» rispose. Anche lui sussurrava. Era una situazione così intima che Harry si chiese quando sarebbe toccato a loro essere al posto di Bill e Fleur.
«Di già?» osservò sbalordita.
Harry alzò le spalle con aria innocente: «Stare a contatto col Salvatore del Mondo Magico deve averlo istruito senza saperlo». Ginny rise lanciandogli un cuscino del divano. Harry lo parò ridendo anche lui, poi si avvicinò a Ginny, incurante dell'odore della ragazza, e le diede un lungo e profondo bacio. Stava già iniziando a sfilarle quella maglietta a maniche corte, quando le mani di Ginny lo fermarono. Harry si staccò contrariato.
«C'è la bambina» disse solamente.
«Ma ha due mesi! Non vedrà e non capirà niente!» ribatté corrucciato.
«Ma sentirà e potremmo svegliarla! Hai idea di quanto abbia tempo impiegato a farla addormentare? E per di più Fleur e Bill potrebbero tornare da un momento all'altro» gli fece notare. Erano ancora in una posizione piuttosto strana per essere in una conversazione normale.
«Ad esse sincero, Ginny, credo che Bill e Fleur stiano facendo esattamente quello che credo dovremmo fare noi due» commentò.
Si rendeva conto che forse non era il caso, ma per la prima volta da quando stavano insieme si era resa conto di amarla. Non sapeva se era il fatto di vederla in quella situazione così familiare o se aveva finalmente capito la natura dei suoi sentimenti, ma sentiva l'urgenza di doverle comunicare quello che provava.
Ginny ignorò il suo commento e lo scansò con un braccio, Harry ricadde sul divano e tornò al suo posto con l'espressione da cane bastonato.
«Smettila di fare il bambino, Harry, abbiamo tutto il tempo quando torneranno mio fratello e mia cognata» sospirò stancamente. Era letteralmente distrutta da quella giornata con Victoire così Harry cercò di portare la conversazione su un territorio più tranquillo come la partita del giorno prima che le Holyhead Harpies avevano vinto.
«Vado a vedere se Bill e Fleur hanno qualcosa di forte per brindare» osservò Ginny.
Non fece manco in tempo ad alzarsi che Victoire scoppiò in un pianto disperato, come se le avessero strappato il suo giocattolo preferito. Ginny sospirò, pronta per quel nuovo round di passeggiate per il salone per calmare la bimba. Tuttavia Harry le prese per il polso e la bloccò. «Ci penso io» disse.
Ginny lo guardò confusa ma allo stesso tempo grata. Prese l'asciugamano e lo mise sulla spalla come lo aveva Ginny quando lui era arrivato. Si avvicinò alla culla dove la nipote strepitava e scalciava alla richiesta di attenzioni e all'improvviso venne colto dal panico: non sapeva come fare. Si passò entrambe le mani sulle cosce cercando di rassicurarsi, aveva preso in braccio Teddy, prendere in braccio Victoire non sarebbe stato così difficile, no?
Sospirò piano, poi mise una mano leggermente sudata sotto la testolina della piccola e l'altra sotto la schiena e la sollevò. La appoggiò piano all'asciugamano che aveva sulla spalla destra e tirò un sospiro di sollievo: ce l'aveva fatta.
Victoire continuava a piangere, l'odore che arrivava da pannolino gli fece anche intuire il perché.
«Ehm…Ginny» chiamò la ragazza leggermente imbarazzato. «Credo debba essere cambiata».
Ginny alzò gli occhi al cielo e si alzò dal divano.
Cambiare un pannolino non era esattamente così semplice come Harry aveva immaginato, oltre alla puzza che comportava, era veramente impossibile capire il verso in cui quegli oggetti infernali andavano messi addosso ai bambini. Alzando lo sguardo per implorare Ginny di dargli una mano, la vide seria come poche volte lo era stata nella sua vita, stava trattenendo il fiato, ed Harry non faceva fatica a comprendere il perché.
«Se ti dà fastidio l'odore puoi andare fuori, me la caverò in qualche modo» le disse mettendo da parte la sua disperazione. Scosse la testa mantenendo quell'espressione di chi stava per vomitare. Mugugnò qualcosa di incomprensibile che Harry non capì. «Potresti parlare un po' più chiaramente?» chiese cauto non capendo cosa stesse succedendo alla fidanzata.
Ginny gettò fuori un po' d'aria e guardò prima ogni angolo del bagno e poi finalmente lui. Si schiarì la gola e lo guardò ancora un po'. Quando Harry si era rassegnato all'idea che non gli avrebbe detto niente, tornò a girare il pannolino in tutti i versi alla ricerca del senso giusto.
«Ti amo» disse Ginny. Harry si bloccò col pannolino a mezz'aria. Mano a mano che le parole di Ginny acquistavano un senso compiuto nel suo cervello, iniziò ad abbassarlo per appoggiarlo di nuovo sul fasciatoio. Si avvicinò a Ginny, riusciva a sentire il suo cuore galoppare anche a quella distanza. Poggiò la fronte contro la sua e la guardò dritta in quegli occhi color cioccolato che, era certo, l'avrebbero fatto innamorare ogni giorno fino alla fine dei suoi giorni.
«Ti amo anche io» disse prima di baciarla. Ginny sospirò sollevata sulle sue labbra. Dovette ringraziare l'autocontrollo di lei quando si staccò ricordandogli che dovevano ancora cambiare Victoire. D'improvviso anche il pannolino aveva trovato il verso. Sorrise contento mentre rimetteva la tutina alla nipote.
Lei lo amava.
 
«Che storia!» esclamò Harry ancora ridendo. Ginny era imbarazzata per come era avvenuto il fatto. Dopo tanti anni si chiedeva com'era possibile che il primo "ti amo" al suo ragazzo lo avesse detto davanti ad un pannolino pulito ed un bagno che puzzolente. Si passò una mano sul volto rugoso, come se volesse cancellare quel ricordo.
«Che vergogna» mormorò.
«Dai, è stato molto romantico» la rassicurò cercando di nascondere una risata.
«E il San Valentino, poi il biglietto di auguri canterino, e infine il ti amo mentre cambiavamo Victoire...» riepilogò brevemente. Si sentiva un disastro nonostante l'età avanzata e nonostante Harry l'avesse scelta come compagna di vita ormai molti anni prima. Poi le si illuminarono gli occhi.
C'era una cosa che non aveva mai raccontato al marito e che probabilmente l'avrebbe fatto imbarazzare. Lo guardò col suo miglior sorriso furbo alla Weasley e si perse nel racconto di una notte di qualche tempo prima.


Angolo autrice:
Nonostante il periodo che stiamo vivendo, auguro a tutti voi un sereno Natale dal più profondo del cuore.
A presto,
Chiara.

 

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Capitolo 29
*** 29. Things you said when you thought I was asleep (Le cose che hai detto quando pensavi che io stessi dormendo). ​ ***


29- 018: Things you said when you thought I was asleep (Le cose che hai detto quando pensavi che io stessi dormendo).

Ginny aveva preso l'abitudine di andare a casa di Harry dopo gli allenamenti, soprattutto quelli che richiedevano una particolare fatica fisica. Andava da lui e rimanevano abbracciati per ore intere semplicemente a godere l'uno della compagnia dell'altro. A volte le coccole si facevano più approfondite, altre volte ridevano e si prendevano in giro o prendevano in giro Walburga Black che li definiva incestuosi, come se lei non avesse sposato un suo cugino di primo grado, poi.
C'era quella sorta di quotidianità in quei gesti rituali che avevano iniziato ad avere, che faceva sentire a Ginny che le cose non sarebbero andate male tra di loro. Avrebbero avuto qualche altro litigio, sì, ma niente che non si potesse risolvere con una chiacchierata ragionevole.
Ormai passava così tanto tempo a casa di Harry, che Percy era rimasto stupito quando, in una conversazione ad un pranzo di famiglia, aveva scoperto che Ginny viveva ancora con i genitori. Lei aveva risposto con una linguaccia tutt'altro che matura ma lo aveva fatto più che altro per non far imbarazzare troppo Harry che stava diventando rosso come un peperone.
Anche quel pomeriggio Ginny era a casa di Harry, non l'aveva avvertito perché era in Accademia e sarebbe stato imbarazzante ricevere un Patronus dalla propria ragazza proprio nel bel mezzo della lezione.
Non sapendo cosa fare, iniziò a preparare una cenetta romantica per loro due.
A differenza di Harry, però, non avrebbe chiamato Kreacher, avrebbe fatto tutto lei.
L'aveva perdonato, sì, ma ogni tanto le piaceva stuzzicarlo in quel modo del tutto innocente.
Trasfigurò il tavolo lungo e rettangolare in uno tondo, apparecchiato con una tovaglia bianca, al centro accese una candela fluttuante in memoria dei bei vecchi tempi di Hogwarts, e poi posizionò i calici di vino, i piatti e le posate. Poi si accomodò su una sedia in attesa di qualche notizia da parte di Harry. Si stava facendo tardi anche per l'Accademia e Ginny si sentiva inquieta. L'altra parte di lei sapeva di poter stare tranquilla: Harry Potter aveva sconfitto Lord Voldemort, se la sarebbe cavata anche con un paio di Mangiamorte. Ma se l'avessero colto alle spalle? Come avrebbe potuto affrontarli? Una maledizione mortale è difficile da evitare quando non la vedi.
I suoi processi mentali vennero interrotti dall'ingresso di un cervo argentato che iniziò a parlare con la voce di Harry. «Abbiamo avuto qualche problema all'Accademia, poi ti spiego. Se sei a casa mia, vai a casa. Se sei alla Tana... be' buonanotte». A Ginny sembrò che il messaggio fosse concluso, ma il cervo stava lì e la guardava. «E...oh...ehm...Ginny...Ti amo». La ragazza sorrise intenerita.
Doveva essere piuttosto strano dover dire ad un cervo d'argento "ti amo", soprattutto se era ancora in Accademia e doveva evitare i colleghi per mandare un messaggio comprensibile.
Sconsolata per quella cena finita male, si prese un pezzo di polpettone e consumò la sua cena in solitaria. Era piuttosto deprimente mangiare da sola a lume di candela in un tavolo apparecchiato per due. La prospettiva di invitare Kreacher la allettava solo per avere qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.
Dopo aver finito, si sedette sul divano, voleva aspettarlo anche se lui le aveva chiaramente detto che avrebbe fatto tardi, ma non si erano visti per tutto il giorno e necessitava almeno di un bacio in quella giornata che era stata pesante. Ma non appena toccò la superficie morbida del divano, la stanchezza e la pesantezza della cena la sopraffecero e si addormentò.
Sentì dei passi percorrere la stanza, dopo un primo momento all'erta, si rilassò riconoscendo la camminata di Harry. Rimase con gli occhi chiusi godendosi quel momento che sapeva così tanto di quotidianità condivisa e cercò di capire cosa stava facendo Harry.
Doveva essere andato in cucina, perché ad un certo punto non aveva sentito più i suoi passi e non era salito al piano superiore. Poi tornò in salotto e lo sentì avvicinarsi piano. Le accarezzò il volto e scostò una ciocca che le ricadeva scomposta sul viso. Aveva un profumo intenso di bagnoschiuma e le dita erano fresche, probabilmente era appena uscito dalla doccia.
Continuava ad accarezzarla e Ginny stava quasi per ricadere nel mondo dei sogni, quando Harry mormorò: «Giuro che prima o poi ti sposo, Ginny».
Non poteva sapere che Ginny aveva sentito tutto, e adesso nel suo petto il cuore aveva preso a battere furiosamente e lo stomaco aveva cominciato ad attorcigliarsi.
 
«Colpito e affondato!» esclamò alla fine del racconto Ginny. Era soddisfatta della reazione sbigottita sul volto del marito. Non sapeva di preciso perché non gliene avesse mai parlato fino a quel momento, all'inizio perché era una cosa che le aveva fatto un po' paura, aveva solo vent'anni e una carriera appena iniziata, le era concesso essere un po' spaventata. E poi perché era diventato un ricordo che aveva custodito con una punta di gelosia per tutto il tempo.
«Perchè non me lo hai mai detto?» chiese il marito ancora sotto shock da quel racconto. Aveva quasi dimenticato di averle giurato di sposarla mentre era addormentata, o almeno secondo lui. Però era vero: quando aveva visto la tavola ancora apparecchiata, la candela che fluttuava ormai spenta, i piatti nel lavello, aveva capito che era quello che voleva nella vita. Non voleva essere il Prescelto o il Salvatore del Mondo Magico, o Il-Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto o chissà quale altro nome gli avevano dato nella vita. Voleva essere solo Harry. Harry innamorato di Ginny. Harry il fidanzato di Ginny. E, perché no, Harry il marito di Ginny.
Erano state emozioni così forti che quando poi l'aveva vista dormire sul suo divano, non aveva esitato un momento a giurarglielo.
«L'ho conservato con gelosia per tutto questo tempo» rispose. «È stata una cosa molto romantica» aggiunse stringendogli la mano. Harry ricambiò la stretta sentendo l'imbarazzo svanire quasi del tutto.
«Però ho quasi subito mantenuto la promessa» la incalzò cercando di non darle l'opportunità di raccontare altri racconti imbarazzanti.
«Sì, te lo riconosco» ammise.
Ci fu qualche momento in cui si guardarono incerti su chi dovesse continuare il racconto, vedendo che il marito temporeggiava, fu Ginny a prendere parola.

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Capitolo 30
*** 30. Things you said too quietly (Le cose che hai detto troppo a bassa voce). ***


30- 014: Things you said too quietly (Le cose che hai detto troppo a bassa voce).
 
La Tana era un miscuglio di voci quel giorno, erano tutti piuttosto eccitati perché Percy aveva comunicato a tutti che si sarebbe sposato con Audrey, seppur felici, erano tutti un po’ sbigottiti dalla velocità della scelta. L’aveva presentata a casa appena un anno prima, anche se Ginny sospettava stessero insieme da molto più tempo. Molly singhiozzava abbracciando i due fidanzati, Percy aveva una macchia delle lacrime della madre sulla camicia, Audrey cercava di consolarla leggermente in imbarazzo. Fratelli e cognati, invece, erano seduti in salotto a parlottare sull’organizzazione di quel nuovo evento.
«Caspita, un altro matrimonio!» esclamò Ron.
«Speriamo vada meglio del primo» commentò George con un po’ di amarezza nella voce. Salvo qualche pazzo ancora in giro, i Mangiamorte erano quasi tutti ad Azkaban, quindi un attacco da parte loro per il momento era escluso. Le persone nella sala si scambiarono occhiate veloci leggermente tese.
«Quando è successo che siamo cresciuti così tanto?» domandò retorico Bill con la figlia in braccio. Stava giocando con Hermione che le faceva le smorfie facendola ridere e strillare divertita. Harry era seduto accanto a lei, piuttosto silenzioso. Era strano, di solito parlava tranquillamente con la sua famiglia. Aveva superato l’imbarazzo iniziale in cui si sentiva in colpa con ogni singolo membro della sua famiglia.
«Non lo so» ammise Ginny, che nonostante i suoi vent’anni si sentiva ancora piccola.
La foto appesa al muro di lei a cinque anni, le ricordava che erano già passati quindici anni da quando era stata scattata, ma lei ricordava il momento come se fosse accaduto ieri. Ricordava che stava giocando con Ron a rincorrersi in giardino, poi quando erano rientrati, Charlie li aveva fermati e aveva scattato quella foto. Quando era stata sviluppata era piaciuta sia alla mamma che al papà e avevano deciso di metterla in salone. Ginny a stento credeva di essere la stessa persona in foto.
«Almeno Harry non dovrà bere la Pozione Polisucco per partecipare al matrimonio» scherzò Hermione tra una smorfia e l’altra alla nipote. Risero tutti, anche Harry che però sembrava ancora assorto in chissà quali ragionamenti mentali. Probabilmente qualcosa di lavoro. Gli mancava poco alla fine dell’Accademia e aveva sempre la testa focalizzata sullo studio. In certi momenti sembrava Hermione.
«Adesso posso fare davvero lo zio ubriaco!» esclamò George d’un tratto battendo le mani, come se avesse avuto un’idea geniale. Ricevette due occhiate piuttosto eloquenti da parte di Angelina ed Audrey ma le ignorò. «Potrei essere il degno erede di zio Bilius!» continuò incurante. Stavano ridendo tutti, compresa Fleur, che ormai era ben integrata nella famiglia.
«Per fortuna non l’hai fatto al mio» aggiunse ancora divertita dal cognato.
«Grazie per avermi reso zio e avermi permesso di diventare lo zio ubriaco ai matrimoni, ma chére» rispose George con un leggero inchino.
Il pomeriggio proseguì così tra ipotesi e complimenti, battute e uno strato di serenità che avvolgeva la Tana ogni volta che c’era qualcosa da festeggiare.
C’era qualcosa che non tornava a Ginny però e cioè il suo fidanzato ed il suo mutismo selettivo. Non aveva spiaccicato una parola quando erano tutti insieme e quando erano solo loro due le aveva dato l’impressione di essere sull’attenti, come se avesse paura di sbilanciarsi, o di dire qualcosa. Sospirò leggermente delusa: era convinta che la loro relazione fosse molto più avanti, ma evidentemente non era così.
«Andiamo da me?» le chiese. Aveva guardato velocemente Hermione che aveva ricambiato lo sguardo decisa. Non sapeva cosa significasse ma Ginny sentì l’ansia morderle lo stomaco.
«Ok» rispose alzandosi dal divano che li aveva accolti per tutto il pomeriggio.
Comparvero sulla soglia del numero 12 di Grimmauld Place, il fatto che la casa fosse ancora nascosta agli occhi dei Babbani era una benedizione per loro, perché potevano smaterializzarsi come volevano senza il terrore di dover cancellare la memoria a qualcuno.
Ad esclusione del quadro della signora Black all’inizio del corridoio d’ingresso, la casa era quella di sempre, accogliente e calda. Ginny aveva insegnato ad Harry un incantesimo riscaldante e da quel momento Harry lo lanciava in casa prima di uscire, così da trovarla calda quando tornava a casa. Impercettibilmente fu una cosa che rilassò Ginny. La morsa allo stomaco ora era meno potente.
Fecero quello che fecero di solito: appesero i mantelli all’entrata, Harry posò le chiavi, e poi si diressero verso la cucina per una cena veloce; erano ancora pieni dal pranzo.
«Cosa vuoi per cena?» borbottò lei iniziando a cercare negli armadietti qualcosa che le desse un’idea per la cena. Harry era seduto al tavolo ma era irrequieto.
«Ho bisogno di dirti una cosa, altrimenti diventerò pazzo» disse. Ginny si girò, la morsa allo stomaco ritornò a stringere ancora più forte di prima. Camminare fino alla sedia fu un’impresa, tanto si sentiva le gambe pesanti dall’ansia. Spinse indietro la sedia e si sedette di fronte ad Harry. Aveva il volto pallido. Sentì qualcosa uscire dalle sue labbra, ma l’unica cosa che capì fu “insieme”.
«Tu e Teddy avete fatto una torta insieme?» ipotizzò, ma le sembrava piuttosto improbabile che fosse quello che volesse dirle.
Harry sospirò e si schiarì la voce. «I discorsi dei tuoi fratelli, oggi…è da un po’ che ci penso…» Ginny sgranò gli occhi pensando a quello che le aveva detto Harry qualche tempo prima mentre pensava che lei stesse ancora dormendo. Sentì il cuore balzarle in gola e la paura pervaderla. Aveva solo vent’anni, non poteva sposarsi. «…be’…ecco…mi chiedevo se volessi venire a vivere con me» concluse.
Il peso sul petto di Ginny si fece più leggero. Sorrise sollevata e d’impulso di avvicinò a lui sedendoglisi a cavalcioni in braccio. Iniziò a baciarlo con foga ed Harry ricambiò subito. «È un sì?» chiese ansante e con gli occhiali appannati. Ginny ridacchiò e annuì.
«Ed è anche un grazie per non avermi chiesto di sposarti» aggiunse.
«Tu non vuoi sposarti?» domandò leggermente allarmato. Ginny giocherellò con i suoi capelli neri perennemente scompigliati.
«Non ora. Non subito. Siamo ancora troppo giovani e non c’è nessuna guerra a metterci fretta» gli disse. Harry sembrò ancora titubante ma Ginny lo baciò prima che continuasse. «Al momento mi piacerebbe fare altro» sussurrò al suo orecchio scoccandogli un’occhiata malandrina e facendo evanescere la sua maglietta.
 
«Lo ricorderò sempre il terrore quando hai detto che non volevi sposarti» disse Harry facendo finta di rabbrividire. «Per un nano secondo ho pensato che forse stare insieme non fosse la nostra strada, che desideravamo cose diverse…»
«Be’ l’attimo dopo hai dimostrato tutt’altro» ricordò con sguardo furbo.
«Una volta eri più pudica» commentò il marito sottecchi. Ginny alzò le spalle con aria innocente.
«Forse è stato il momento più bello della nostra vita» disse cambiando argomento. Per quanto avere dei figli e una famiglia con Harry, ricordava con un po’ di difficoltà altri momenti in cui era stata così felice insieme a lui. In parte era dovuto al fatto che la guerra era finita da poco e ad entrambi sembrava piuttosto strano avere un futuro senza minacce davanti a loro. L’altra parte era dovuto al fatto che stava vivendo il suo sogno ricorrente di quando aveva dodici anni. Non sapeva quasi niente sull’amore, eppure non pensava che molta altra gente fosse riuscita a mettersi con l’uomo che aveva desiderato di più nella vita.
«È vero. Anche il seguito della nostra vita è stato molto bello» convenne e Ginny non poté che annuire trovandosi d’accordo con le parole di Harry. D’istinto si girò guardando il marito negli occhi verdi che, per la cronaca, erano ancora gli occhi verdi e lucenti come quelli di un rospo in salamoia.
«Grazie di avermi baciata in Sala Comune dopo la partita di Quidditch» disse seria. Harry la guardò innamorato.
«Grazie a te per non esserti arresa» rispose.
Insieme cominciarono a perdersi in un altro nuovo ricordo della loro vita insieme.

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Capitolo 31
*** 31. Things you said when you met my parents (Le cose che hai detto quando incontrasti i miei genitori). ***


31- 028: Things you said when you met my parents (Le cose che hai detto quando incontrasti i miei genitori).
 
Da quando avevano deciso di andare a vivere insieme erano passati un bel po’ di mesi. Per un primo periodo Ginny si era trasferita a Grimmauld Place, poi avevano deciso che non avrebbero voluto vivere per sempre in una casa con un quadro che strilla o dormire in una stanza con i poster di ragazze in costume. Era piuttosto imbarazzante, soprattutto per Harry. Tra l’altro era una casa decisamente troppo grande per viverci in due.
Avevano iniziato a cercare delle case in giro, avevano visto nella Londra Babbana ma, oltre ad avere monolocali di dubbio gusto, non offriva niente per loro due. Hogsmeade al momento non offriva niente di buono e per di più nessuno dei due aveva intenzione di vivere così vicino alla scuola.
«Costruiamoci una casa e andiamo a vivere isolati come Bill e Fleur» propose Harry sull’orlo della disperazione. Ginny gli lanciò un’occhiata torva e tanto bastò ad Harry per cancellare dalla testa quell’idea folle.
Sembrava tutto perduto e che loro due fossero destinati a vivere nella vecchia dimora dei Black, quando Ginny una mattina tornò tutta entusiasta da un allenamento di Quidditch. «Ho una bella notizia!» esclamò poggiando il borsone da Quidditch sul pavimento. In lontananza si sentivano gli strepiti della signora Black ed Harry alzò gli occhi al cielo esasperato.
«Hai trovato il modo per farla stare zitta?» chiese sorseggiando il suo tè caldo.
«Meglio!» continuò. Gli occhi le brillavano dalla felicità. «Ho trovato una casa!»
Harry sollevò la testa dalle scartoffie che stava analizzando. Nel frattempo aveva finito l’Accademia ed era entrato ufficialmente a far parte della squadra degli Auror del Ministero. Era ancora un novellino ed i più esperti avevano la tendenza ad affidare il lavoro più sporco e faticoso ai nuovi arrivati.
«Giuralo!» rispose lui entusiasta. Il lavoro aveva perso tutto il suo fascino.
«Lo giuro su Godric Grifondoro!» rispose lei altrettanto entusiasta. «Me l’ha detto Beth, la mia compagna di squadra» spiegò. Si fermò un attimo titubante ed Harry era pronto a trovare la fregatura. «C’è solo un problema…»
«Cos’è, stavolta vogliono che firmiamo il contratto con il sangue?» domandò leggermente depresso. Erano mesi che trovavano case perfette ma puntualmente c’era qualcosa che non andava bene per loro. Erano cose piccole che in un primo tempo avrebbero potuto ignorare, ma successivamente sarebbero diventate un vero e proprio problema. Com’era stato per Grimmauld Place, avevano pensato di poter condividere la casa con dei quadri attaccati con un incantesimo di Adesione Permanente, ma ben presto si erano accorti che era impossibile.
«No. È a Godric’s Hollow» rispose incerta. Harry si rabbuiò. L’idea di andare a vivere nel posto in cui erano morti i suoi genitori, dove aveva quasi rischiato la vita, dove Voldemort lo aveva quasi catturato per ben due volte, non era per niente allettante. Ma era anche il luogo dove era nato e aveva vissuto per il suo primo anno di vita, era l’unico luogo che aveva in comune con i suoi genitori, l’unico luogo dove era stato tra le braccia di sua madre e suo padre, anche se non lo ricordava. Era una scelta difficile, ma sembrava anche l’unica possibile.
«Facciamo un tentativo, ok?» propose. «Andiamo, vediamo la casa e se ci piace ci pensiamo un po’ prima di prenderla» Ginny annuì comprensiva.
«Lo sai che non sei obbligato se non vuoi, vero?» domandò con voce soffice.
«Lo so» rispose. «Ma voglio provarci comunque».
 
Era settembre inoltrato e l’aria si era fatta un po’ più frizzantina. I due giovani maghi erano stretti nei loro giacchettini Babbani. Godric’s Hollow era un villaggio misto, fatto sia da Babbani che da maghi, perciò si erano vestiti cercando di dare nell’occhio il meno possibile. La strada di quel piccolo villaggio inglese era invasa dai raggi solari che mandavano un po’ di calore compensando l’aria fresca in anticipo di qualche giorno.
«Ci siamo» commentò Harry prendendo la mano della fidanzata. Ginny la strinse un po’ più forte del solito ed Harry sorrise per ringraziarla. Nessuno dei due era molto bravo con le parole, bastavano quei pochi gesti a far intuire quanto fosse grande l’amore che provavano l’uno verso l’altro.
Ginny gli aveva dato l’indirizzo della casa, non erano neanche troppo lontani rispetto a dove si erano smaterializzati, ma Harry quella mattina si era svegliato con un’idea folle. Anziché fermarsi davanti alla casa che avevano scelto, proseguì dritto, trascinando anche Ginny.
«Harry, stai sbagliando strada. L’indirizzo che ci hanno dato era di quella casa che abbiamo appena superato» notò Ginny. Aveva un’espressione confusa. Harry si fermò e la guardò negli occhi.
«Ti fidi di me?» domandò solamente. Ora, se Ginny fosse stata una persona razionale almeno quanto Hermione, avrebbe risposto di no, che dovevano prima vedere la casa e poi fare ciò che aveva in mente lui. Ma, grazie a Godric, lei non era Hermione ed era impulsiva almeno quanto lui, perciò annuì ed Harry riprese a camminare spedito con la mano intrecciata a quella di Ginny. Giunsero e superarono il Monumento ai Caduti che si trasformava in una statua di sua madre che lo teneva in braccio e arrivarono davanti ad un cancello di metallo pitturato di nero. Dietro al cancello, il cimitero.
«Harry…» mormorò Ginny.
Un signore con una lunga tunica nera li saluto con un gesto reverenziale ma Harry non ci badò più di tanto cercando di trovare le parole adatte. «Ascolta» iniziò prima che la fidanzata potesse dire altro. «Stiamo insieme da un bel po’, abbiamo fatto un passo importante andando a vivere insieme, ne stiamo facendo uno ancora più grande acquistando una casa non si sa dove. Non mi ricordo i miei genitori dal vivo e l’unico modo in cui posso parlare con loro è attraverso una foto attaccata sulla lapide di un cimitero. Non posso presentarteli di persona, ma posso farti vedere almeno due foto».
Detto questo aprì il cancelletto e fece entrare Ginny, lo aspettò qualche passo più avanti e poi, mano nella mano, Harry la condusse verso la tomba dei genitori. Ricordava ancora la prima volta che era stato lì con Hermione, era Natale del ’97 ed erano nel bel mezzo di una guerra. Sembravano ricordi appartenenti ad una vita precedente, una vita fatta di dolore e paura.
Quando arrivarono davanti alla lapide, i suoi genitori sorridevano tranquilli sotto un raggio di sole che li colpiva in pieno. Non avevano l’aria di chi era stato ucciso all’improvviso da un mago oscuro solo per la smania del potere. Sembravano eternamente giovani ed eternamente vivi.
«Sono molto belli» commentò Ginny. Si era inginocchiata davanti alla foto e la guardava attentamente, come se si aspettasse che da un momento all’altro avrebbero parlato. L’avrebbe voluto anche Harry, ma sapeva che non sarebbe stato possibile. Quel pensiero fugace lo ferì come un coltello, ma cercò di relegare il dolore in un angolo lontano. Dopotutto era come se stesse presentando Ginny ai suoi. «Salve signori Potter». La voce di Ginny riscosse Harry e per un attimo gli sembrò che la voce della ragazza avesse avuto lo stesso effetto anche sulla foto dei suoi genitori.
Tutte le volte che era andato a trovarli, si erano limitati a sorridere come avevano fatto quando era stata scattata la foto, adesso sembrava stessero interagendo con Ginny. Non ci pensò, dando la colpa al troppo lavoro che gli Auror anziani gli avevano affidato. «Sono Ginny Weasley, sapete l’ultima Weasley, non so se conoscevate i miei ma non fa niente. Sono la ragazza di Harry, da un bel po’» continuò. Harry sorrise dalla naturalità di quella scena. La osservava in disparte, come se avesse paura di essere di troppo. «Non si preoccupi signora Potter, suo figlio è un bravo ragazzo, anche se ogni tanto devo rimetterlo in riga. Credo abbia ereditato una certa passione per i guai da suo marito».
«Ehi! Guarda che sono qua, sento tutto!» esclamò stizzito ma anche un po’ commosso da quella scena.
«Scusa» si giustificò guardandolo velocemente per poi ritornare ad osservare le due foto. «E signor Potter suo figlio è veramente un ottimo Cercatore, anche se sono io la giocatrice professionista di Quidditch» disse con una punta di orgoglio. Harry sospirò divertito.
«Da quello che mi hanno detto negli anni passati, secondo me tu saresti andata davvero d’accordo con mio padre» commentò con un sospiro. Ginny rise. Ormai era seduta davanti alla lapide dei suoi suoceri, improvvisamente più seria.
«Grazie per averci dato Harry. Senza di voi nessuno di noi sarebbe qui» disse. Si fermò qualche minuto giocherellando con un filo d’erba. «Come vi dicevo prima, stiamo insieme ormai da un po’ di tempo e volevamo andare a vivere insieme, per voi va bene?» chiese. Poi fissò le foto come se aspettasse una risposta all’improvviso che, ovviamente, non arrivò.
«Sarebbero entusiasti» rispose Harry compensando la risposta che non sarebbe mai arrivata dai suoi genitori.
«Dici?» domandò incerta alzandosi da terra. Harry si avvicinò prendendo il viso di lei tra le mani.
«Ne sono certo» rispose sicuro. «Sei una giocatrice di Quidditch, mio padre sarebbe andato pazzo per te. Probabilmente avrei dovuto essere geloso. E sai fare la tota alla melassa, quindi mia madre sarebbe stata tranquilla perché sarebbe stata certa che sarei stato in ottime mani. Per ultimo, hai fegato e sei sicura di quello che fai e sono sicuro che questo avrebbe messo d’accordo entrambi» la rassicurò. Ginny sospirò e ridusse la distanza tra i loro volti dandogli un bacio profondo.
«Scusate» disse poi rivolta ai signori Potter che continuavano a sorridere. Con un colpo di bacchetta fece comparire dei fiori, Harry si stupì quando vide che erano quelli della Tana, quelli che aveva sentito nell’Amortentia ormai anni prima. «Andiamo a vedere la casa?» chiese poi tendendo la mano verso di lui. Harry annuì e le prese la mano, diede un’occhiata fugace alla lapide e per un istante gli sembrò che James Potter gli stesse facendo l’occhiolino e il sorriso di Lily Evans fosse ancora più ampio. Strabuzzò gli occhi ma quando li riaprì i due Potter erano nelle loro posizioni usuali. Forse aveva davvero bisogno di una bella dormita. Venne distratto da Ginny che si era girata di scatto e sembrava turbata.
«Tutto bene?» chiese premuroso.
«Sì, mi è sembrato…» si guardò ancora in giro. «Niente, lascia perdere…» tagliò corto.
 
La casa davanti a loro era una villetta a due piani, le pareti esterne erano di un giallo tenue, c’erano tre finestre nel piano superiore, una vetrata nel piano inferiore destro (dove Harry si immaginava ci fosse il salotto), e una finestra normale a sinistra, in corrispondenza di quella che doveva essere la sala da pranzo. C’era una tettoia davanti la porta, dove c’era una panchina a dondolo coperta dalla plastica per non farla riempire di polvere, la casa aveva un giardino sia davanti che dietro. Harry faceva fatica a chiudere la bocca per quanto era bella. Sembrava la casa dei sogni ed era solo l’esterno. Diede un’occhiata fugace a Ginny che aveva uno sguardo così innamorato che Harry sospettò che amava più la casa che lui.
Beth, la compagna di squadra di Ginny, li aspettava nel giardino, stava sistemando alcune vecchie cianfrusaglie. «Ciao Beth!» esclamò Ginny solare.
«Ginny! Harry!» rispose lei di rimando.
Li guidò all’interno della casa. La cucina era ampia, aveva il piano cottura sulla sinistra e sulla destra c’era un tavolo rettangolare in legno. Il salone era altrettanto grande, c’era un divano al centro, antistante ad un tavolino e in corrispondenza dei lati più corti del tavolino c’erano due poltrone dall’aria piuttosto comoda. Mostrò loro lo studio, situato sempre al piano di sotto, c’era uno scrittoio ma niente di che. Il piano di sopra era leggermente più piccolo. Il corridoio era più stretto ed era pitturato di rosso. «Non dovrebbe essere un problema per voi, siete abituati alla sala comune Grifondoro, no?» scherzò Beth. Harry e Ginny risero anche se lui continuava ad essere incantato da quella casa. C’erano quattro stanze da letto e un bagno in fondo al corridoio. Erano ampie e luminose, ma erano vuote.
Una volta finito il giro della casa, Harry e Ginny passeggiarono un po’ per il giardino, Beth aveva un Patronus urgente da inviare a suo marito perciò era rimasta dentro. Stavano camminando nel giardino posteriore, Harry aveva un braccio attorno al collo di Ginny. «Che te ne pare?» gli chiese lei.
«Mi piace» rispose Harry. «E anche tanto» completò. «E poi ha il dondolo che volevi tu» aggiunse facendo ridere sommessamente Ginny.
«Tu te la sentiresti di vivere a Godric’s Hollow?» domandò cauta. Harry sospirò.
«Stamattina è stata utile» cominciò «mi ha fatto capire che non importa dove siamo, l’importante è che tu sia accanto a me».
Ginny si girò e lo baciò di slancio. Harry immerse la mano nei suoi capelli profumati godendosi ogni attimo di quel contatto di labbra. Sorridevano l’uno sulle labbra dell’altra. «Quindi è casa nostra?» chiese conferma quando si furono staccati. Harry annuì e si girò verso la casa.
«È casa nostra» confermò sorridendo.
 
Un bel po’ di anni dopo, la coppia era ancora seduta su quel divano che avevano visto in quella mattina di settembre di molti anni prima, solo che adesso erano vecchi, si muovevano lentamente ma si amavano ancora come quel giorno in cui avevano scelto la casa. Era un ricordo vivido, presente.
«Harry, tu hai detto che ti sembrava di aver visto tuo padre ammiccare, giusto?» chiese Ginny allarmata. Harry aggrottò le sopracciglia.
«Be’, sì, ma ho anche detto che i primi tempi come Auror sono stati tutt’altro che facili. Non ricordi che lavoravo fino a notte fonda?» Ginny annuì.
«Sì ma io non ero stanca e quando mi sono girata di scatto è perché ho sentito qualcuno parlare» disse. Era leggermente impallidita. Harry cercò di calmarla.
«Ginny, sarà stato qualcuno in lontananza. Non è mai successo che qualcuno tornasse dall’oltretomba per congratularsi con la propria nuora» rifletté Harry.
Ginny fece finta di crederci, ma in cuor suo sapeva di aver sentito chiaramente una voce maschile dire “va tutto bene” e una voce femminile “prenditi cura di lui, adesso”. Ma aveva ragione Harry: nessuno era mai tornato dall’aldilà per complimentarsi con la nuora.
«Hai ragione» disse cercando di essere convincente. Probabilmente più verso sé stessa che verso Harry.
Il discorso finì lì e, cercando di tornare al relax iniziale, Ginny iniziò a raccontare una nuova storia.

Angolo autrice:
Tantissimi auguri di un buon 2021, nella speranza che sia diverso da questo 2020 e ci riservi così tante belle sorprese da dimenticare gli ultimi dodici mesi che abbiamo vissuto.
A presto,
Chiara.

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Capitolo 32
*** 32. Things you said when you asked me to marry you (Le cose che hai detto quando mi chiedesti di sposarti). ***


32- 031: Things you said when you asked me to marry you (Le cose che hai detto quando mi chiedesti di sposarti). 
 
Dopo aver scelto la casa e aver dato la caparra, rimaneva una cosa da fare: il trasloco. Sebbene la magia avesse aiutato molto a posizionare i vari oggetti all’interno della casa, Harry e Ginny sentivano di essere ancora in alto mare. Harry non aveva ancora ben deciso cosa farne della casa a Grimmauld Place, ne avevano parlato insieme ma non erano arrivati ad una conclusione. Era invendibile e inabitabile. Al momento ospitava Ron, che aveva deciso di andare a vivere da solo, dato che lo stipendio da commesso di George non gli avrebbe permesso di pagare l’affitto di una casa, Harry gli aveva ceduto la sua.
La villetta a due piani a Godric’s Hollow era ancora piena di scatoloni, al momento le uniche cose che avevano acquistato erano stati un letto e un camino da mettere nel salotto per poter usare la Metropolvere. Il tavolo in cucina aveva riservato ai nuovi abitanti della casa una piccola sorpresa: non appena avevano appoggiato uno scatolone piuttosto pesante, si era spezzata una gamba. Beth aveva omesso che c’era questo piccolo rischio in quanto era piuttosto vecchio. Avevano provato a ripararlo con un Reparo ma appena provavano ad appoggiare qualcosa sopra questo si rompeva di nuovo. Perciò adesso si trovavano anche senza tavolo. Avevano impilato due scatoloni uno sopra l’altro creando un tavolo di fortuna in attesa che arrivasse quello nuovo. «Be’, almeno abbiamo le sedie» aveva commentato Ginny con tono esasperato.
Il trasloco ed il Campionato di Quidditch la stavano sfiancando, per non parlare del fatto che Hermione ultimamente era così allegra che voleva portarla per forza in giro a fare shopping nella Londra Babbana. Spesso l’aveva visto fermarsi a delle vetrine di abiti da sposa e si era convinta che lei e Ron fossero sul punto di fare il grande passo.
Anche Harry sembrava piuttosto provato dal periodo intenso. Erano contenti di fare quel pezzo di strada in più, ma dovevano ammettere che era piuttosto faticoso. «Gli Auror anziani vi mettono ancora sotto col lavoro?» chiese una sera mentre cenavano sul solito tavolo improvvisato. Non era la soluzione più comoda ma era qualcosa su cui appoggiare i piatti. E solo quelli visto che non c’era spazio per altro. Le brocche di acqua e succo di zucca erano poggiate a terra, le posate e i bicchieri entravano per miracolo in quel quadrato minuscolo. Harry annuì guardandola distrattamente, concentrandosi sul suo pasticcio di carne.
«I tuoi allenamenti?» s’interessò lui prima di prendere una forchettata abbondante di cena. Ginny odiava quando era nervoso e iniziava ad impersonare Ron mangiando pure le posate.
«Pesanti. Gwenog non ne fa passare una» ammise. Vedendo che il fidanzato non dava segno di volersi calmare e rilassare, Ginny decise di affrontarlo con le cattive. «Harry James Potter» cominciò. Era appoggiata allo schienale della sedia, mani e gambe incrociate, gli occhi quasi ridotti a due fessure, la cena ormai abbandonata nel piatto. Lo vide deglutire a vuoto. «Dimmi cosa ti succede».
«Niente, tesoro, perché?» blaterò. Dal tono di intuiva che manco lui ci credeva.
«Non chiamarmi tesoro, ti prego!» esclamò alzando gli occhi al cielo. Andavano bene tutti i nomignoli ma tesoro non lo sopportava e mai lo avrebbe fatto. Le dava l’impressione di una caramella troppo zuccherata, di quelle che mordi e senti subito male ai denti tanto sono dolci.
«Non ho niente Ginny, sul serio» ripeté riprendendosi. A Ginny ancora non dava l’idea di essersi rilassato, decise di non arrendersi e di continuare a cercare di avere una risposta. Sciolse la posizione rigida che aveva assunto e cercò di mettere in campo tutta la bontà che c’era in lei.
«Harry, ti conosco. Tra un po’ dov’è che mangi anche il piatto per quanto sei nervoso» tentò. Harry sospirò abbandonandosi anche lui sullo schienale della sedia.
«Oggi ho fatto una cosa…» cominciò. Come un flash, nella testa di Ginny comparirono le immagini di lui seduto di fronte alla Magiavvocatessa bionda con Keacher che li serviva la cena. Un brivido di paura salì lungo la schiena ma rimase lucida e lasciare che il suo fidanzato finisse il racconto. «…una cosa bella!» si affrettò ad aggiungere. Ginny lo incoraggiò a continuare ma lui sembrava aver perso le parole. Come se si fosse preparato un discorso e all’improvviso lo avesse dimenticato.
«Quindi?» lo incalzò Ginny con fare impaziente.
«Sono andato in gioielleria» rispose solamente.
Gli occhi di Ginny brillarono. Sapeva di averci visto giusto su Ron ed Hermione! «Lo sapevo!» esclamò battendo un pugno sulla mano (non poteva batterla sugli scatoli, altrimenti anche il loro tavolo di fortuna sarebbe crollato).
«Cosa?» domandò con voce stridula Harry. Sembrava sconvolto da quell’affermazione.
«Che Hemione e Ron si vogliono sposare» rispose con una scrollata di spalle «Ultimamente Hermione si ferma a guardare le vetrine di abiti da sposa». Guardando Harry, Ginny aveva l’impressione che Harry stesse combattendo una guerra interiore. Non sapeva esattamente cosa, ma c’era qualcosa che lo turbava ed era qualcosa di molto più grande dei suoi amici che si sposavano. Buttò fuori l’aria e la guardò con fare risoluto. «È vero» iniziò. «Ron ed Hermione stanno iniziando a parlare di matrimonio ma c’è altro». Ginny lo guardò interessata. «Stiamo insieme da tre anni, viviamo insieme da un po’, abbiamo un lavoro stabile, ci amiamo…» si interruppe guardando ovunque tranne il volto di Ginny che sorrideva furba avendo capito le intenzioni del fidanzato.
«Harry Potter, per caso mi stai chiedendo di sposarti?» chiese con un tono canzonatorio ma allo stesso tempo emozionato.
Non troppo tempo prima gli avrebbe risposto che era ancora troppo giovane per diventare una moglie e forse una madre, ma c’era qualcosa in lei adesso, qualcosa che la spingeva a dire di sì. Qualcosa che l’aveva convinta a fare il passo successivo, non le bastava più vivere insieme a lui e starci insieme, voleva giurare davanti a tutti di volerlo accanto a lui per il resto della sua vita. Harry annuì. «Ma se non sei pronta possiamo aspettare, voglio dire, possiamo sposarci anche fra dieci anni o mai…» aggiunse frettolosamente. Ginny aveva un sorriso enorme sul viso, lo guardò innamorata.
«Lo voglio, Harry. Voglio sposarti e stare con te per il resto della mia vita» rispose. Ora anche Harry sorrideva. Si guardavano negli occhi contenti ed emozionati, Harry ad un certo punto si adombrò.
«Non ho l’anello» mormorò. Si alzò e si avvicinò al ragazzo carezzandogli la guancia dolcemente.
«Non mi importa, Harry» gli disse dolcemente. «Ci sei tu e abbiamo deciso di sposarci. Non mi importa di un anello. È già abbastanza romantico così» aggiunse baciandolo.
«Davanti ad un pasticcio di carne appoggiati su degli scatoloni» commentò Harry ridendo sulle sue labbra.
In quel momento Ginny ebbe la consapevolezza che a lei bastava stare con lui, sentire le sue braccia attorno al suo corpo, udire la sua risata, per toccare il cielo con un dito.
 
Ginny fissò l’anulare sinistro dove c’era la fede e l’anello di fidanzamento. Harry glielo aveva regalato qualche giorno dopo, con tanto di cena servita da Kreacher. Ma Ginny preferiva ricordare di gran lunga quel momento passato a cenare su una scatola, con un piatto preparato di fretta per i troppi impegni di lavoro e una casa ancora da arredare. «Onestamente credevo avessi preferito l’altra proposta, quella ufficiale…» disse Harry sovrappensiero.
«Quella dove eri vestito come un pinguino e io con quei tacchi scomodissimi? No, grazie. Meglio la proposta in pigiama» rispose sicura. «È stata più intima e particolare» ammise. Anche Harry si trovò a dare ragione alla moglie da cui ancora adesso non riusciva a staccare gli occhi di dosso.
Era notte inoltrata e la casa era silenziosa, dall’esterno si sentiva solo il verso di qualche gufo o civetta di qualche mago loro vicino. Si scrutavano, riportando alla mente ricordi del passato che avevano segnato il loro percorso, fatta spesso di cadute ma tutte le volte si erano rialzati insieme. Era questo che, dopo tanti anni, permetteva alla coppia di vivere ogni giorno come se fosse il primo.
Il contorno della casa iniziò a sbiadirsi, a diventare più labile, e piano piano – senza fretta alcuna – si immersero in un nuovo ricordo.

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Capitolo 33
*** 33. Things you said when se were the happiest we ever were (Le cose che hai detto quando eravamo più felici di quanto non fossimo mai stati). ***


33- 020: Things you said when se were the happiest we ever were (Le cose che hai detto quando eravamo più felici di quanto non fossimo mai stati).
 
Se tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 avessero chiesto ad Harry Potter di parlare del momento più bello della sua vita, avrebbe parlato certamente di quel periodo. Lui e Ginny avevano deciso di sposarsi senza fretta, le nozze erano programmate per ottobre del 2002, Ron ed Hermione si sarebbero sposati in estate e sembrava che tutto fosse al suo posto. Era innamorato e felice, non poteva chiedere di meglio dalla vita.
Anche Ginny sembrava piuttosto contenta del periodo che stavano vivendo, improvvisamente anche il trasloco era diventato più leggero, il lavoro era meno pesante e più gestibile: in poche parole, Harry si sentiva in una fiaba di quelle Babbane dove tutto andava alla perfezione. Una parte di lui lo invitava a fare attenzione perchè la sua vita gli aveva insegnato che c'era sempre una fregatura, ma Harry era così felice che decise di non dare adito alla parte pessimista.
Tornando a casa dopo il turno al Ministero, trovò Ginny seduta dietro al tavolo della cucina (uno vero, fortunatamente) intenta a scrivere qualcosa su delle pergamene.
«Abbiamo deciso di farli a mano?» chiese facendola sussultare. Era così assorta a scrivere che non si era accorta del suo arrivo. Le mise le mani sulle spalle lasciandole brevi carezze e le baciò la testa. Dall'alto aveva notato che erano gli inviti delle nozze. «Credevo che avessimo deciso di farli fare ad una stamperia» aggiunse confuso.
«È vero» confermò «ma ho pensato fosse più romantico scritto da noi».
«Romantico?» ripeté cercando di capire se quello che aveva sentito era davvero giusto o se si fosse immaginato tutto.
«Be', sì» rispose lei.
«Ginny, ma noi non siamo romantici» appuntò Harry ricordando la prima volta che si erano detti "ti amo" o la loro proposta non molto tempo prima. Tuttavia Ginny non sembrò gradire quella risposta, perché impilò i fogli di pergamena e si alzò di scatto facendo indietreggiare Harry. Uscì dalla cucina brontolando un «Devo andare agli allenamenti, ci vediamo più tardi» lasciandolo da solo a rimuginare sul danno che aveva appena fatto.
Eccola qui la fregatura che Harry aveva tanto atteso, solo che in questo caso si era auto-sabotato. Sapeva di avere ragione, la loro storia fino a quel momento era stata tutto fuorché romantica, lui non ci trovava niente di male, preferiva di gran lunga una relazione come la loro che una fatta di cuoricini e Madama Piediburro. E fino a quel momento aveva creduto che anche a Ginny andasse bene, solo che apparentemente non aveva capito nulla della futura moglie.
Sospirò, era affossato sul divano leggermente disperato cercando di capire cosa fare per rimediare al suo errore. Doveva fare un gesto di eccessivamente romantico, tipo una serenata alla finestra? Oppure un qualcosa più nelle sue corde, come una sfida di Quidditch in giardino? Di norma avrebbe scelto la seconda opzione ma adesso non sapeva più dove mettere le mani. E per di più si stava facendo buio, quindi la partita di Quidditch era esclusa a priori.
La porta di casa si aprì rivelando la figura di Ginny, aveva i capelli raccolti in una coda disordinata forse dal vento. «Tutto bene?» chiese cauto. Non sapeva se fosse ancora arrabbiata o se tirare una Pluffa fosse stato abbastanza terapeutico da farla sbollire. Annuì.
«Vado a fare una doccia» disse con un sospiro dopo aver poggiato il borsone all'entrata.
Una lampadina si accese nella testa di Harry, sorrise malandrino sapendo cosa doveva fare per farsi perdonare.
 
Poco più tardi erano sdraiati nel letto matrimoniale della loro stanza, avevano entrambi il respiro affannato dagli amplessi appena consumati. Harry si girò verso di lei accarezzandole i capelli. «Passata la rabbia?» chiese. Ginny sorrise.
«Non ero arrabbiata, ero...confusa» rispose. Un principio di panico nacque in Harry. Non troppo tempo prima Ginny aveva detto che si sentiva troppo giovane per sposarsi, poi poco dopo aveva accettato la proposta e ora era confusa.
«Ginny, possiamo aspettare se non vuoi sposarti ad ottobre. Possiamo sposarci l'estate prossima o quella dopo ancora...» contrattò ma Ginny scuoteva la testa.
«Non è per quello» rispose sicura. «Voglio sposarti e fosse per me ti sposerei anche adesso su questo letto e senza vestiti» aggiunse. Harry si sentì lusingato da quella risposta ma cercò di non darlo a vedere. «Ero confusa sulla nostra lista degli invitati». Ora anche Harry si sentiva turbato.
«Gli invitati?» domandò con le sopracciglia aggrottate. Lei annuì e lo guardò negli occhi.
«Io ho tutti quei parenti, zia Muriel, tutti quei cugini, i miei fratelli, i nipoti e dal tuo lato non c'è nessuno» osservò. Lo disse quasi a bassa voce, come se avesse paura di ferirlo in qualche modo. Ma aveva ragione, quasi tutte le persone a cui lui teneva erano morte, non c'erano dei genitori o un padrino da invitare, non c'erano gli amici di suo padre o sua madre, non c'era manco un parente lontano.
«Be' ci sono i miei compagni di dormitorio e Hagrid e la McGranitt e un po' di professori di Hogwarts che sono stati come la mia famiglia» rispose. Ginny si morse un labbro come se volesse reprimere un pensiero.
«Quello che volevo dirti, Harry, è che forse dovresti invitare i tuoi zii o tuo cugino» disse. La voce aveva un tocco delicato ma fu l'equivalente di uno schiaffo in pieno viso. I suoi parenti più prossimi erano i Dursley, ma come poteva anche solo pensare di invitare, in un momento così bello della sua vita, chi per anni lo aveva chiuso in un sottoscala nutrendolo di pane e formaggio?  Harry si sollevò sedendosi sul letto a gambe incrociate. Il freddo gli fece venire la pelle d'oca ma decise di non farci troppo caso. Anche Ginny si sollevò ma si appoggiò con la schiena alla testiera del letto.
«Mi hanno chiuso in un sottoscala per undici anni, Ginny» cominciò. «Mi lasciavano a digiuno, mi hanno odiato per la maggior parte del tempo, Dudley a scuola mi picchiava e non mi ricordo quanto altro ho dovuto subire» la voce era alterata dalla rabbia nel ricordare tutto ciò che aveva vissuto finché non era arrivato ad Hogwarts.   «E per di più i miei zii odiano la magia!»
Ginny lo guardava con un velo di tristezza negli occhi, non sapeva se per la sua storia o per la reazione che aveva avuto.
«Tua zia ha perso una sorella» commentò con la voce leggermente strozzata. «Sei l'unica cosa che le rimane di lei».
D'improvviso Harry si sentì orribile, capì perché aveva avanzato quella proposta. Lei era riuscita a capire il dolore di Petunia, sapeva cosa aveva passato sia zia, lo sapeva forse meglio di lui.
«Mia zia odiava mia madre» rispose lapidario. «E quando hanno deciso di trattarmi come mi hanno trattato, hanno perso anche un nipote». Ginny annuì.
Harry la guardò mentre nessuno dei due osava proferire parola. Era il periodo più felice della loro vita, ne erano certi entrambi, non sapeva perché le cose erano andate in quel verso, perché una lista degli invitati era capace di fare nascere una lite simile.
«Ginny» la richiamò. Lei alzò la testa. Sorrideva ma si intravedeva un filo di tristezza. «Io non sono mai stato più felice di così. Sento di poter toccare il cielo con un dito accanto a te, non permettere ai miei zii di rovinare anche questo momento» disse.
Ginny annuì.
«Scusami se te l'ho chiesto» mormorò ancora provata da quella conversazione. «Anche io sono contentissima di quello che stiamo vivendo. Fai finta che io non ti abbia chiesto niente, ti prego» disse in un sussurro.
Harry si avvicinò a lei e prendendole il viso fra le mani la baciò lentamente per imprimersi le sue labbra nella memoria. «Non è successo niente» rispose a voce bassa quando finì di baciarla. Si guardarono negli occhi e poi Harry chiese: «Quindi gli inviti li facciamo a mano?»
Ginny gli tirò una cuscinata ed Harry per vendicarsi iniziò a farle il solletico facendola ridere e implorare pietà. La discussione di poco prima era soltanto una nuvola di passaggio in una giornata calda e soleggiata e ad Harry andava bene così. Sentiva ancora di toccare il cielo con un dito, lo sentiva ogni volta che aveva lei al suo fianco.
 
«Ho avuto così poco tatto quella volta» commentò disgustata da sé stessa Ginny.
Harry alzò le spalle lasciandole una carezza gentile sulla schiena. «Avevi empatizzato con mia zia, può succedere. L'importante è riprendersi» rispose facendole l'occhiolino. Poi prese un profondo respiro. «Alla fine glieli ho spedito gli inviti» rivelò. Aveva sempre omesso quel piccolo dettaglio. Lo aveva custodito fino a quel momento.
«Cosa? Ma non c'erano!» rifletté Ginny confusa.

«Non sono venuti. Cioè Dudley sì, mi ha detto George di averlo visto in lontananza ma poi non si è avvicinato e non si è fermato manco al rinfresco» spiegò mentre ancora faceva fatica a comprendere perché suo cugino non si fosse avvicinato anche solo per fargli gli auguri di sfuggita.
«Almeno è venuto» sospirò lei. Stavolta era disgustata dalla famiglia Dursley.
«Miss Scriviamo-Gli-Inviti-A-Mano-Perchè-È-Romantico» la canzonò «ti ricordi i tuoi voti matrimoniali?» Ginny soffocò una risata.
«Certo, ma forse è meglio se prima ti rinfresco la memoria con un piccolo dettaglio».
Si tuffarono in un’altra notte di settembre di molto tempo prima, quando ancora non erano sposati e mancavano solo pochi giorni e Ginny scoprì che Harry Potter da ubriaco proponeva idee piuttosto bizzarre per il loro matrimonio.

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Capitolo 34
*** 34. Things you said when you were drunk (Le cose che hai detto quando eri ubriaco). ***


34- 017: Things you said when you were drunk (Le cose che hai detto quando eri ubriaco).
 
Ginny girava per la casa ormai sgombra da scatoloni che occupavano spazio. Nonostante i preparativi per le nozze ed i loro impegni lavorativi, erano riusciti a sistemare la casa prima del previsto. Sebbene fossero un mago ed una strega abbastanza potenti, c'erano cose in cui la magia non poteva arrivare: il trasloco era una di queste.
Meditava di prendere un tè prima di andare a dormire, suo marito era fuori per l'addio al celibato e dubitava che sarebbe tornato tanto presto. Ma si sbagliava. Mentre si dirigeva in cucina, il campanello di casa suonò insistentemente. Quando aprì la porta si trovò davanti un Harry sfatto che a malapena riusciva a stare in piedi e Ron e Neville ai suoi lati che lo reggevano. Non doveva essere stato facile arrivare fino a lì, visto le espressioni di entrambi.
«Che avete combinato?» chiese innervosita mentre i tre entravano in casa e facevano sedere Harry sul divano.
«Ginny, amore» farfugliò.
Ginny era troppo scioccata per salutarlo e per di più puzzava di alcol. Nessuno dei due aveva ancora risposto alla sua domanda. «Quindi?» li incalzò chiudendo la porta. I due guardavano Harry leggermente imbarazzati.
«Forse abbiamo leggermente esagerato» rispose Neville. Anche lui aveva la voce impastata dall'alcol ma non era nelle condizioni di Harry.
«Ma voi non siete conciati come lui» appuntò inviperita.
«Be' forse Harry ha alzato un po' il gomito» rispose Ron facendo spallucce.
«Merlino, avete vent'anni a testa e vi comportate come dei dodicenni!» esclamò.
Harry nel frattempo era sdraiato sul divano con la faccia sprofondata nel cuscino, Ginny dubitava stesse respirando ma era troppo arrabbiata con tutti e tre. «Dai Ginny, è solo un po' di alcol, domani sarà come nuovo» disse Ron cercando di farla calmare.
«Come siete arrivati fino a qui? Dov'è la moto di Sirius?» domandò. Aveva capito che farla troppo lunga non avrebbe portato a niente, perciò andò sul pratico.
«Fuori dal pub Babbano dove siamo stati stasera» rispose Neville passandole un foglietto di carta plastificato in cui c'era scritto il nome e l'indirizzo.
«Bene, domani andremo a recuperarla» commentò guardando quell'indirizzo a lei sconosciuto. «Adesso andate a casa a farvi una doccia perché puzzate di fumo e di alcol e non credo che tua moglie ti farà entrare a letto combinato così» aggiunse rivolta a Ron.
Lui ed Hermione erano sposati da pochi mesi e anche loro stavano cercando una casa diversa da Grimmauld Place, a quanto dicevano, Walburga Black con loro era ancora più perfida che con Harry e Ginny. Una volta che Neville e Ron furono usciti, Ginny sospirò e guardò il suo quasi marito.
«Harry» lo chiamò. Lui in tutta risposta grugnì. Lo scosse per le spalle e lui finalmente si girò a guardarla.
«Ginny» disse accarezzandola. Non capiva perché continuasse a dire il suo nome.
«Sono io» rispose non sapendo bene cosa dire. «Ti va se andiamo di sopra, indossi il pigiama e ti metti a dormire?» propose. Harry scosse la testa.
«Questa vestaglia è molto carina ma a me piaci di più nuda» biascicò. Ginny rise ma ignorò il commento.
Con non poca fatica lo sollevò da divano e iniziarono a fare le scale, Harry continuava a biascicare cose incomprensibili come viaggi in sella agli Ippogrifi e unicorni come addobbo per la cerimonia del matrimonio.
«Potremmo mettere uno striscione con scritto “Voldemort fa schifo”» propose ad un certo punto quando erano quasi in cima alle scale.
«Non mi sembra uno striscione adatto per un matrimonio» rispose. Aveva il fiatone e si chiese perché negli allenamenti di Gwenog Jones non ci fosse un esercizio che implicasse trasportare un fidanzato ubriaco - poco collaborativo - per le scale. Lo lasciò a farfugliare cose senza senso fino a quando non arrivarono nella stanza e finalmente poté farlo sedere sul letto matrimoniale. Sospirò cercando di regolarizzare il respiro e maledicendo tutti i suoi fratelli e i compagni di stanza di Harry.
Prese il pigiama di Harry che era appeso dietro la porta, lui, sdraiato sul letto, sembrava essere caduto in un sonno profondo. Quando però iniziò a sollevargli il maglione per mettergli la maglietta del pigiama, sussultò, forse per il contatto inaspettato. Aveva gli occhi socchiusi e Ginny si focalizzò sui suoi capelli più sbarazzini del solito e sulle sue iridi verdi che a malapena si intravedevano.
Sorrise. Era bello anche così.
«Ginny» la chiamò. Ginny era un po' esasperata dal fatto che la chiamasse in continuazione ma cercò di non permettere all'irritazione di averla vinta.
«Sì?» chiese col tono più dolce che riuscisse ad avere.
«Tu non te ne andrai, vero? Non morirai o mi lascerai per qualche motivo, vero?»
Ginny sentì una stretta al petto. Con Harry avevano parlato più volte del fatto che quello fosse il periodo più bello della loro vita, ma Ginny non aveva mai tenuto conto della profonda tristezza che Harry portava dentro di sé da quando era nato. Non aveva mai tenuto conto di quante persone aveva perso e di quante lo avessero abbandonato. Soprattutto non aveva mai tenuto conto di quanto questi singoli eventi avessero influito sulla vita del suo fidanzato. Non gliene aveva mai parlato apertamente, forse per non farglielo pesare e solo adesso che aveva abbandonato le barriere della razionalità, si era lasciato andare a quella paura che era radicata in lui.
Gli sorrise dolcemente, Harry ricambiò anche se probabilmente non se ne rese manco conto. Finì di sistemarlo e poi lo mise al letto alzandogli le coperte fino al mento. Non era più il grande mago che aveva fatto cose incredibili, che aveva salvato il Mondo Magico, sembrava un bambino indifeso che aveva bisogno di essere curato con la medicina più potente: l'amore.
Gli carezzò la fronte scoprendo la cicatrice dove appoggiò le labbra per un bacio lungo e umido. «Non me ne andrò, Harry, sarò sempre accanto a te».
E mentre sentiva il respiro di Harry farsi più pesante, sorrise sapendo di avere trovato veramente la persona della sua vita.
 
«Davvero ti ho chiesto di appendere uno striscione con scritto "Voldemort fa schifo"?» chiese sbigottito Harry. Era leggermente imbarazzato ma Ginny annuì divertito. «Non me lo ricordo» mormorò.
«Be' eri ubriaco» rispose con fare ovvio alzando le spalle.
Harry guardò il bicchiere vuoto dove tempo prima c'era del Whisky. «Da ubriaco sono pessimo, perché non mi hai vietato di bere per il resto della vita?» chiese con un velo di vergogna nella voce.
«Harry, era solo una sbronza, il giorno dopo eri un fiore splendente col mal di testa» sdrammatizzò ridendo. «Però non avevo mai riflettuto sul fatto che nella tua vita fossi stato così solo, perché non me lo avevi mai detto?»
Harry non seppe cosa rispondere. Si sentiva un bambino colto con le mani nel sacco. «Non lo so» ammise. «Immagino che non me ne fossi reso realmente conto finché non ti ho avuta accanto» rispose stringendole forte la mano. Ginny ricambiò la stressa come se non volesse lasciarlo mai andare via.

«Adesso puoi raccontare le promesse matrimoniali» gli concesse.
«Raccontamele dal tuo punto di vista» propose Harry. «E poi io ti racconto le tue dal mio punto di vista» concluse.
Sentirono l'aria fresca di ottobre lambire la loro pelle, le foglie degli alberi della Tana iniziavano a cadere costellando il giardino di colori autunnali. Il luogo era affollato di gente che veniva da ogni angolo dell'Inghilterra, gli ingressi erano protetti da alcuni Auror per non permettere l’accesso a persone estranee. Un battito di ciglia e finalmente erano lì: il giorno del matrimonio era arrivato.

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Capitolo 35
*** 35. Things you said you loved about me (Le cose che hai detto di amare di me). ***


35- 029: Things you said you loved about me (Le cose che hai detto di amare di me).
 
Ginny era ferma davanti allo specchio da un po'. Sentiva qualcosa contorcerle le budella e pensava che di lì a breve avrebbe vomitato sul suo vestito da sposa bianco candido, sentiva quell'impulso proprio alla bocca dello stomaco. Con lo sguardo cercò un cestino nella sua stanza ma non lo trovò, avrebbe potuto trasfigurare lo specchio o far scomparire quel vestito così ampio e pesante e sposarsi in tuta. Ginny odiava i vestiti, odiava le gonne e odiava essere al centro dell'attenzione. Perché quando aveva accettato la proposta di Harry non aveva tenuto conto di tutti quelli effetti collaterali?
Sospirò sedendosi sul letto e cercando di regolarizzare il respiro che ormai aveva vita propria. Aveva chiesto ad Hermione e Fleur di lasciarla da sola per un attimo, Hermione le aveva scoccato uno sguardo preoccupato, ma lei l'aveva rassicurata che andava tutto bene.
Ma non andava bene niente. Ginny Weasley, abile strega, Grifondoro, giocatrice di Quidditch, fidanzata di Harry Potter, una dei combattenti della Battaglia di Hogwarts, se la stava facendo sotto dalla paura di sposarsi.
D'un tratto i suoi occhi pieni di paura e di angoscia intercettarono un manico di scopa posto in un angolo della stanza. Era una di quelle vecchie scope che usava quando giocava a Quidditch con la sua famiglia, non aveva idea di quanto tempo fosse lì. In un impeto di follia prese il manico di scopa sentendo l'aria regolarizzarsi nei polmoni, aprì la finestra per assicurarsi che nessuno la vedesse, salì sulla scopa attenta a non rovinare il vestito e partì.
Il contatto con l'aria fresca di ottobre la fece rabbrividire, un abito nuziale non era certo la cosa più comoda per farsi un giro sulla scopa. Arrivò davanti alla finestra di Harry, con sollievo notò che era da solo. Bussò sul vetro e per poco non lo vide svenire davanti ai suoi occhi.
Aprì la finestra e la lasciò entrare. Ginny scese dal suo mezzo di trasporto e sorrise.
«Che ci fai qua, io non dovrei vederti prima del matrimonio! Porta sfortuna!» esclamò Harry con un filo di voce. Fu rassicurata percependo il panico del fidanzato. Almeno non era la sola ad avere paura.
«Siamo stati abbastanza sfortunati fino ad ora, no? Cos'altro potrebbe succedere?» rispose lei facendo spallucce.
«Io non sfiderei così il fato» gemette. Ginny sorrise camminando per la stanza. Guardandosi allo specchio, vide che la crocchia elegante che aveva preparato Audrey ormai era spettinata, già si immaginava le urla di Hermione.
«Ho distrutto l'acconciatura» osservò. Harry era alle sue spalle ma vedeva il suo riflesso sorridente.
«Sei bellissima lo stesso, anche se io non dovrei vederti e non ho ancora capito perché tu sia venuta qui in sella ad una scopa malandata» si era avvicinato a lei e le cingeva i fianchi con le mani.
Ginny non lo aveva mai ammesso fino a quel momento, ma formavano una bella coppia.
«Sono terrorizzata, Harry» confessò con un filo di voce. Guardava le mani giocherellando con l'anello di fidanzamento, la signora dell'atelier le aveva detto di toglierlo per il giorno del matrimonio, ma Ginny non se l'era sentita.
«Guardami» era un ordine ma la sua voce era morbida. Ginny alzò la testa guardando il riflesso del ragazzo in smoking dietro di lei. Sentiva il suo cuore battere sulla schiena. «Anche io ho paura. Sto morendo di paura. Preferirei affrontare un drago al momento ma voglio farlo perché so che non vorrei passare la vita con nessun altro se non con te» disse. Prese una boccata d'aria, titubante, poi le baciò il collo facendole venire i brividi. «Ti amo in ogni tua singola parte. Amo quando la mattina appoggi la testa sulla mia spalla perché non riesci a tenere gli occhi aperti, amo quando torni dagli allenamenti esausta e mi chiedi di farti un massaggio alla schiena. Amo quando facciamo l'amore, amo quando metti troppo sale nella pasta e amo perfino quando ti arrabbi e decidi di non parlarmi per tutta la giornata.
«Amo quando mi proponi le tue idee strane come invitare i miei zii al nostro matrimonio, amo come mi supporti anche quando sbaglio e hai la cura di farmelo notare in privato. Amo come riesci ad assecondare il mio lavoro senza farmi pesare che io sia assente da casa. Amo come mi fai sentire, come mi fai ridere.
«Ti amo perché ogni cosa accanto a te sembra meno pesante. Amo i tuoi capelli rossi e i tuoi complessi sui colori da indossare. Amo che tu preferisca la proposta di matrimonio in pigiama che quella ufficiale al ristorante. Amo la passione che ci metti per fare ogni cosa. Amo svegliarmi la mattina e trovarti con una maglietta che ti sta troppo lunga intenta a cucinare uova e bacon e amo quando ti svegli insieme a me la mattina anche se non hai allenamenti per non farmi stare da solo.
«Amo i tuoi baci, soprattutto al mattino quando hai l'alito da troll, amo sentirti respirare di notte, amo trovarti sempre accanto a me anche quando non siamo vicini, amo la nostra storia con tutte le sue complicazioni e le sue curve, amo la tua voce al mattino quando è impastata dal sonno. Amo come mi accarezzi e come mi guardi con quegli occhi castani innamorati. Amo il tuo non sopportare i tacchi o i vestiti lunghi.
«Ti amo perché sei stata la prima che mi ha accettato per come sono e non hai cercato di cambiarmi in nessun modo. Ti amo perché sei Ginny Weasley e hai conquistato il mio cuore senza che me ne rendessi conto.
«Amo come hai arredato la stanza da letto, perché quel foglio di pergamena sopra al nostro letto con la tua poesia di San Valentino mi ricorda ogni giorno perché ti ho scelta...perché ci siamo scelti».
Ginny aveva gli occhi ricolmi di lacrime di gioia, lacrime d'amore per quell'uomo che aveva scelto di amare per tutta la vita. Si girò e lo baciò profondamente, incurante del rossetto che si sarebbe rovinato.
«Erano i miei voti nuziali» mugugnò baciandola, c’era una nota di pentimento, probabilmente perché all’altare avrebbe dovuto improvvisare.
Ginny sorrise staccandosi. «Bene, adesso tocca a me».
 
 
Nota finale: in questo capitolo non ci sono le considerazioni di Harry e Ginny al presente perché questo capitolo e il prossimo sono collegati.

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Capitolo 36
*** 36. Things you said you hated about me (Le cose che hai detto di odiare di me). ***


36- 030: Things you said you hated about me (Le cose che hai detto di odiare di me).
 
Harry era ancora stupito dal fatto di aver condiviso con Ginny le sue promesse matrimoniali, all'altare avrebbe dovuto improvvisare e lui non era bravo ad improvvisare. Era bravo a schiantare e disarmare la gente, ma l'improvvisazione non era proprio uno dei suoi talenti. Tuttavia, trovarsi con le labbra di Ginny sulle sue, in una situazione del tutto inusuale lo faceva sentire tranquillo e rilassato. Come se fuggire su una scopa dalla propria stanza, vestita da sposa, per raggiungere lo sposo dall'altro lato della casa, fosse una cosa del tutto normale. «Bene, adesso tocca a me» sospirò Ginny.
Harry si sentiva ancora stordito dal peso delle parole che aveva detto a Ginny poco prima ma cercò di non badarci più di tanto cercando di prestare attenzione a ciò che aveva da dirgli la sua futura moglie.
«Mi hai detto delle parole bellissime» cominciò. Aveva preso il viso di Harry tra le mani e inspiegabilmente il cuore dello sposo aveva iniziato a battere così forte che lo sentiva pulsare nelle orecchie. Deglutì a vuoto cercando di calmarsi, inutilmente. «E vorrei essere altrettanto romantica, e mi dispiace per te ma non lo sono».
Harry rise ripensando alla conversazione sui biglietti scritti a mano di qualche tempo prima. «Tranne per gli inviti scritti a mano» la punzecchiò. Ginny rise.
«Però alla fine sono usciti bene, sono piaciuti a tutti» sottolineò sorridente.
Aveva un sorriso così ampio che era impossibile non sorridere di rimando. Avrebbe voluto vederlo ogni giorno della sua vita, voleva renderla felice ogni giorno della loro vita in comune. Le baciò la fronte continuando a ridere.
«Dai, dici le tue promesse o a breve daranno per dispersa la sposa» la incalzò.
Lei si schiarì la voce e iniziò a parlare: «Come ti dicevo, non sono una persona romantica. Potrei dirti che ti amo ma lo sai già. Perciò, nel giorno del nostro matrimonio, dico che ti odio» fece una pausa ma Harry continuava a sorridere. Era incredibile come accanto a Ginny ogni preoccupazione gli scivolasse via. «Ti odio perché hai impiegato cinque anni per renderti conto che ti piacevo e un anno intero prima di baciarmi. Ti odio perché hai fatto uscire il lato sentimentale che c'è in me e adesso è diventato incontenibile. Ti odio perché mi dici che ho l'alito da troll al mattino, e sai che non è vero. Ti odio perché mi hai assecondato quando ho detto che volevo una casa con un dondolo e l'abbiamo comprata. Ti odio perché mi rubi sempre la scopa di Quidditch della squadra e poi non la rimetti al suo posto e arrivo sempre in ritardo per colpa tua.
«Ti odio perché avresti voluto dire che ami fare l'amore con me davanti a tutti i nostri invitati e probabilmente avresti causato la morte per soffocamento di un paio di membri della mia famiglia - soprattutto di Ron.  Ti odio perché sei stato il primo a farmi provare quelle emozioni sulla mia pelle e adesso non riesco più a farne a meno. Ti odio perché quando torno a casa sfatta tu mi dici sempre che sono bellissima e sappiamo entrambi che non è vero perché sono stanca e puzzolente. Ti odio perché hai detto che metto troppo sale nella pasta ed è una bugia perché io sono una cuoca eccezionale e sei tu che mangi insipido.
«Ti odio perché ogni fibra del mio corpo da un paio di anni a questa parte non riesce a fare a meno della tua presenza e ti odio perché adesso ogni volta che parti per qualche missione sento la tua mancanza. Ti odio perché mentre cercavi di capire in che verso andava messo il pannolino a Victoire, eri così adorabile che mi hai costretto a dirti "Ti amo". Non credo che mi riprenderò mai dall'imbarazzo. E a proposito di imbarazzo, ti odio perché mi hai costretto a scriverti una filastrocca di dubbio gusto che adesso è appesa sopra il nostro letto.
«Ti odio perché quando sto con te mi sento bene come non sono mai stata con nessuno e perché il mio cuore ha questa brutta abitudine di battere più velocemente quando ti vedo. Ti odio perché hai troppe camicie ed è vero che le stiro con la magia, ma sono davvero tante. Ti odio perché ridi alle mie battute, anche le più stupide e mi incentivi a farne sempre di più. Ti odio perché amo i tuoi occhi verdi e lucenti di rospo in salamoia. Ti odio perché amo quando mi incoraggi e sei sempre accanto a me, pronto a sostenermi durante le partite di Quidditch e perché urli "fallo" ogni volta che mi vengono addosso, anche se non è vero. Ti odio perché mi hai fatto conoscere Teddy e adesso ci sono affezionata forse più di quanto io sia affezionata a te.
«E infine, ti odio perché mi hai comprato un anello bellissimo anche se non dovevi. Ti odio perché mi hai fatto scoprire cosa significa amare veramente una persona con ogni piccola parte del corpo. Ti odio perché grazie a te ho capito cosa significhi camminare insieme, cadere e rialzarsi ma sempre affianco. Ti odio perché mi hai fatto arrivare ad acquistare un vestito bianco di non so quale tessuto, mi sono truccata e pettinata per te. Potter, mi hai fatto indossare una gonna! Ti devo odiare per principio.
«Ti odio perché mi hai portata...perché ci siamo portati fino all'altare nonostante le mille difficoltà che abbiamo incontrato nel nostro percorso. Ti odio perché mi hai fatto innamorare di te e non avevo mai provato niente di così forte e così bello».
Rimase in silenzio per qualche istante guardandolo negli occhi. Harry aveva la lista offuscata da lacrime che non avevano niente a che fare con la tristezza che aveva caratterizzato gran parte della sua vita. Erano per una felicità che non riusciva più a contenere tanto era forte. Guardò attentamente la sua sposa e vide che aveva il rossetto leggermente sbavato dal bacio di prima. Sorrise rovinando ancora un po' il trucco con un altro bacio.
«Non è vero, tu mi ami» disse quando ebbe finito di baciarla. Lei sorrise appoggiando la fronte alla sua.
«Non è vero, io ti amo» confermò.
Rimasero in quella posizione per qualche secondo. Poi qualcuno bussò prepotentemente alla porta ridestandoli dall'atmosfera che si era creata in quella stanza.
«Harry...ehm...ti devo parlare urgentemente» urlò la voce di Ron oltre la porta. Si guardarono e scoppiarono entrambi a ridere.
«Forse ho combinato un guaio» commentò Ginny con un sorriso divertito. Poi si avvicinò alla finestra e prese la scopa. Si scambiarono un altro bacio fugace prima che Ginny uscisse dalla stanza.
«Ehm Ginny…» la bloccò «come facciamo per i voti all'altare?»
Lei alzò le spalle con noncuranza. «Promettiamoci solo che staremo insieme per sempre. Basta questo. E poi lo sai che per me sarà questo il nostro matrimonio» rispose facendo un occhiolino sull'ultima frase. Poi la vide sfrecciare verso la sua stanza, prima che il danno diventasse irreparabile.
Osservò il punto in cui era scomparsa. Quella era - quasi a tutti gli effetti - sua moglie, ed Harry non poteva essere più fiero di così.
 
 
 
 
 
Nota finale: in questo capitolo non ci sono le considerazioni di Harry e Ginny al presente perché questo capitolo e il prossimo sono collegati.

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Capitolo 37
*** 37. Things you said as we danced in our socks (Le cose che hai detto mentre danzavamo). ***


37- 039: Things you said as we danced in our socks (Le cose che hai detto mentre danzavamo).

Una folla acclamante di amici e parenti urlava al ballo. Ginny guardò Harry sconsolata: non aveva toccato cibo da quando era finita la cerimonia. L'aria si era rinfrescata e in quel vestito senza maniche stava morendo di freddo, per non parlare dei tacchi che le stavano lentamente distruggendo i piedi. La notte insonne che aveva passato iniziava a farsi sentire e sentiva la stanchezza della giornata pesarle addosso. «Dobbiamo proprio?» mugugnò con l'aria di chi avrebbe preferito di gran lunga duellare con Voldemort.
«Non pensavo che il nostro matrimonio sarebbe stato una tortura» commentò il marito leggermente offeso porgendole una mano che Ginny prese.
«Non è il matrimonio ad essere una tortura, sono i tacchi ad esserlo» specificò. Si stavano dirigendo verso il centro del tendone sotto gli occhi di tutte le persone che avevano invitato. Lanciò un'occhiata truce a George, colpevole di aver iniziato ogni singolo coro che si era levato in quel pomeriggio. In tutta risposta lui sorrise smagliante, suo malgrado Ginny non poté che intenerirsi notando che era da molto tempo che non sorrideva in quel modo. E poi non era ancora diventato lo zio ubriaco del matrimonio, quindi non poteva odiarlo.
Ginny allacciò le braccia dietro il collo di Harry, mentre lui le metteva le mani sui fianchi e iniziarono a ballare mentre la musica del quartetto d'archi che avevano noleggiato cominciava a riempire l'aria.
«Quando ci andremo a sedere potrai toglierli, nessuno vedrà i tuoi piedi sotto il vestito» le disse continuando il discorso precedente.
La coppia si muoveva piano, erano entrambi piuttosto impacciati ma la gente non sembrava notarlo. «Mia madre mi ha già detto che dobbiamo fare un secondo giro di tavoli per le foto» sospirò.
Ginny sapeva che anche Harry si stava sforzando per non dare di matto, odiavano entrambi stare al centro dell'attenzione ma lui era il Salvatore del Mondo Magico e lei una ormai affermata giocatrice di Quidditch, stare fuori dai riflettori era praticamente impossibile per loro. Lo vide sospirare piano. «Se vuoi dico a mia madre di farlo più tardi, non abbiamo toccato cibo da quando abbiamo iniziato» propose mentre volteggiavano sulla pista da ballo.
«Ah, ma quindi rubare cibo dal piatto di Ron mentre si passa da un tavolo all'altro non conta come pasto?» domandò Harry sollevando un sopracciglio. Ginny soffocò una risata.
«Almeno tu l'hai rubato a Ron, io ad Audrey» rispose amareggiata.
«Ginny, è pure incinta! Hai rubato cibo a tuo nipote che non è neanche nato!» la rimproverò con fare canzonatorio. Lei alzò le spalle.
«Ha detto che le polpette di salmone le facevano venire la nausea» si giustificò.
Rimasero in silenzio sorridendosi tra il divertito e l'innamorato. Stavano insieme ormai da tre anni, si erano sposati e chissà quante altre cose sarebbero successe in futuro, eppure Ginny ancora stentava a credere che tutto quello fosse accaduto proprio a loro. Se ripensava a come tutto era iniziato quel primo settembre al binario 9 e ¾ le sembrava strano credere di essere riuscita davvero a conquistare il cuore di Harry. E la cosa che non smetteva di stupirla, era che non si era messa manco d'impegno più di tanto. Era successo tutto nella maniera più naturale. Forse era per questo che Ginny si sentiva di vivere in sogno ad occhi aperti. Fissò la vera nuziale nel suo anulare sinistro, oltre la spalla di Harry, e non poté che sorridere compiaciuta e iniziare a credere che quel sogno non era altro che la sua realtà.  Guardò gli occhi di Harry che brillavano di luce propria. «Che c'è, mi devi dire di nuovo che mi odi?» la prese in giro.
Ginny scosse la testa, continuando a sorridere e non sapendo bene cosa rispondere. Aver realizzato che quello che stava vivendo era concreto e poteva toccarlo con mano l'aveva resa un po' più sentimentale del solito e adesso non sapeva chiù cosa dire per esprimere tutto l'amore che aveva dentro. Sorrideva, forse con un sorriso ebete, eppure non riusciva a fare altro. «Voglio vederti sempre così» proruppe Harry interrompendo i suoi pensieri.
«Vestita da sposa?» chiese accigliata. Harry scosse la testa sorridendo.
«Voglio vederti sempre con questo sorriso sulle labbra perché è il sorriso più bello che io abbia mai visto in vita mia».
Ginny si addolcì e prima ancora che George potesse iniziare un coro a suon di "Bacio, bacio!", baciò Harry mentre la folla di invitati scoppiava in un applauso.
Ma quelle mani che battevano era solo un rumore lontano, l'unico battito che sentivano era quello dei loro cuori all'unisono.

Molti anni dopo Harry e Ginny erano seduti sul divano innamorati come quel giorno di ottobre. Non riuscivano a fare a meno di guardarsi e di specchiarsi l'uno negli occhi dell'altra. Nella casa c'era un silenzio che nei primi anni del loro matrimonio sarebbe stato innaturale con tutto quel trambusto di figli, nipoti e figliocci, successivamente era diventato normale ma non si erano mai abituati alla calma piatta che caratterizzava l'abitazione. «È stato un bel matrimonio» commentò la signora Potter riprendendosi dopo i racconti di quel giorno.
«Lo sai che non mi ricordo le promesse che ci siamo fatti all'altare?» chiese Harry. Negli occhi gli di leggeva la paura che la consorte gli potesse scagliare una fattura Orcovolante.

«Manco io» rispose lei stupendo Harry. «Te l'ho detto, il nostro matrimonio è stato in camera tua senza nessuno intorno» ripeté ricordando ciò che lui aveva raccontato poco prima. Harry sorrise come per rammentare a sé stesso che avrebbe dovuto ricordarlo.
«Siamo arrivati al viaggio di nozze, giusto?»
L'orologio rintoccò le tre di notte, rimasero stupiti entrambi vedendo quanto tempo era passato, ma non avevano voglia di interrompere quel racconto che racchiudeva la loro vita. Ginny annuì e cominciò a raccontare un'altra storia.

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Capitolo 38
*** 38. Things you said in a hotel room (Le cose che hai detto in una stanza d’hotel). ***


38- 035: Things you said in a hotel room (Le cose che hai detto in una stanza d’hotel).
 
Harry e Ginny sprofondarono nel morbido materasso matrimoniale non appena entrarono nella stanza.
La camera che avevano prenotato era ampia e luminosa, aveva una terrazzina che affacciava sul mare, ma le rigide temperature di ottobre non permettevano di consumare pasti all’aperto. Almeno non in quel giorno, la signorina alla reception aveva garantito che nei giorni successivi il tempo sarebbe migliorato e le temperature si sarebbero rialzate, ma osservando il cielo plumbeo, il vento che increspava la superficie del mare e la pioggia che cadeva a momenti alternati, Ginny pensava che avevano scelto il periodo peggiore per il viaggio di nozze.
Avevano deciso di avventurarsi nel mondo Babbano staccando la spina dalla frenesia del Mondo Magico e dall’Inghilterra. Avventurarsi nel mondo Babbano implicava anche viaggiare in modo Babbano e nonostante Ginny amasse volare, quella strana scatola di metallo che avevano preso per arrivare a destinazione le era sembrata particolarmente instabile per trasportare così tanta gente. Harry aveva provveduto a tranquillizzarla e l’aveva invitata ad evitare di lanciare incantesimi rinforzanti a destra e a manca, ma era servito a poco. Aveva rinunciato agli incantesimi, ma quella cosa volante le metteva ansia.
Erano piuttosto provati dal viaggio, avevano incontrato un po’ di turbolenze, che Ginny avrebbe potuto attenuare se solo Harry non l’avesse guardata torvo ogni volta che avvicinava la mano alla bacchetta.
«Che giornata» mormorò il marito passandosi una mano sul viso. Sorrise pensando ad Harry come suo marito. Insomma, erano solo Harry e Ginny, era strano pensare a loro come marito e moglie. Tentò di non darlo a vedere, ma Harry intercettò il suo sguardo e vide le sue labbra incurvate. «Che c’è?» domandò.
Ginny notò che era leggermente pallido, forse manco lui aveva gradito troppo le turbolenze dell’aereo che viaggiava nel temporale.
«Niente» rispose alzando le spalle. Non riusciva a smettere di sorridere, si erano sposati appena due giorni prima e in quelle quarantotto ore si era soffermata più volte quel cerchio d’oro che portava all’anulare della mano sinistra.
«Non è vero, stai pensando a qualcosa» affermò convinto baciandole il naso dolcemente. Era un gesto che non aveva mai fatto ma ebbe la capacità di far sciogliere il cuore di Ginny. Sbuffò senza che il sorriso abbandonasse il suo volto.
«Stavo pensando a noi due» ammise.
«A quanto mi odi?» la punzecchiò. Ginny rise di cuore ricordando le promesse che si erano scambiati con Harry prima del matrimonio vero e proprio.
«Esattamente, signor Potter» concesse dandogli un pizzicotto sul fianco. Harry era ancora pallido ma Ginny non si preoccupò molto, probabilmente era solo un po’ di stanchezza dovuta al viaggio.
«E sentiamo, per cosa mi odi stavolta?» continuò pendendola in giro. Si era girato verso di lei e sosteneva il peso della testa con una mano. Ginny si mise nella sua stessa identica posizione e lo guardò negli occhi. Gli scompigliò i capelli neri e lucidi come di corvo in volo, perennemente disordinati. «Non riesco a pettinarli, non è colpa mia» si giustificò, forse temendo che le lo odiasse per questo.
«Non c’entrano i tuoi capelli» rispose mentre continuava a giocare con qualche ciocca disordinata.
«Ah no?» si stupì. «E allora perché mi odi?» Ginny sospirò.
«Sei mio marito!» esclamò enfatizzando l’ultima parola. Vide il un ampio sorriso espandersi sul volto di Harry.
«Be’ ti ci sono voluti due giorni per arrivarci?» chiese sogghignando.
«Mi sembra strano…» ammise. Insomma quanto era passato da quando era la sorellina piccola di Ron, poi la ragazza con cui era uscito per un mese al sesto anno, poi una ex, poi la sua ragazza e infine la sua fidanzata? A Ginny sembrava fosse avvenuto tutto in un battito di ciglia ma lì in mezzo c’erano almeno dieci anni della loro storia che all’inizio sembrava una strada parallela, ma poi era diventata un intrigo di incroci.
«Ti sei già pentita di avermi sposato?» domandò. Cercava di nasconderlo, ma Ginny lo conosceva abbastanza bene da intravedere la preoccupazione nel profondo dei suoi occhi.
«Assolutamente no, Harry! Non pensarlo neanche!» si affrettò a rispondere per tranquillizzarlo. La sua mano scese ad accarezzargli la guancia dove c’era un po’ di barba ispida. Il ragazzo sembrò rilassarsi. «Mi sembra strano da dire, tutto qui. Sembra ieri che ci siamo conosciuti e poi messi insieme che devo ancora capacitarmi di essere tua moglie» spiegò.
«Ci credi che nel frangente c’è stata pure una guerra?» domandò. In seguito alle riflessioni di Ginny, anche lui sembrava perso a pensare al tempo che avevano trascorso insieme.
«È successo tutto così velocemente che non ce ne siamo manco resi conto» rispose lei senza smettere di lasciargli dolci carezze sul viso. Harry scosse la testa interrompendo il gesto di Ginny, come se volesse scacciare via quei pensieri così tristi.
«Siamo in un stanza d’hotel da soli» iniziò. La sua espressione tranquilla si trasformò in una pura espressione maliziosa. «Siamo sposati» continuò. Mettendole una mano sul fianco la avvicinò a sé, Ginny nel frattempo sorrideva consapevole di ciò che stava per succedere e curiosa di sapere come avrebbe concluso il discorso. «Ho un’idea molto precisa di ciò che dovremmo fare, signora Potter» concluse iniziando a baciarla. Ginny ricambiò il gesto e mentre Harry si metteva a cavalcioni su di lei e con la bocca iniziava a scendere lasciandole baci roventi su tutto il corpo. Sentiva il suo cuore pronto ad esplodere e non solo per le sensazioni che Harry le stava facendo provare, ma perché in quel momento si rese conto di essere davvero la signora Potter.
Dopo tanta sofferenza e tanto cercarsi erano riusciti finalmente a coronare la loro storia e Ginny era curiosa di sapere cosa il futuro avesse in serbo per loro.
 
 
 
Nota finale: in questo capitolo non ci sono le considerazioni di Harry e Ginny al presente perché questo capitolo e il prossimo sono collegati.

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Capitolo 39
*** 39. Things you said on our honeymoon (Le cose che hai detto durante la nostra luna di miele). ***


39- 036 Things you said on our honeymoon (Le cose che hai detto durante la nostra luna di miele).
 
Quando la signorina alla reception aveva detto loro che il tempo sarebbe migliorato già dal giorno successivo, Harry non ci aveva creduto. Era abituato all’Inghilterra dove se iniziava a piovere era capace di continuare per una settimana intera senza mai smettere. Oppure la giornata iniziava con un sole splendente ma entro poche ore ti ritrovavi sotto un acquazzone e bagnato fradicio. Rimase quasi stupito quando una giornata di ottobre mantenne il suo sole splendete dall’alba al tramonto. Con Ginny si erano dedicati a qualche escursione, l’hotel forniva un servizio di accompagnamento fino all’inizio di alcuni sentieri di montagna, così avevano deciso di incamminarsi tra i boschi seguendo il sentiero contrassegnato dalle bandierine disegnate sugli alberi.
Quel pomeriggio però avevano deciso di concedersi una passeggiata in spiaggia al tramonto. Nonostante il sole e le temperature non troppo rigide, il vento soffiava increspando di tanto in tanto le onde del mare. Ginny si teneva le scarpe in una mano mentre l’altra era intrecciata a quella di Harry. Alle volte gli sembrava impossibile che Ginny fosse realmente la signora Potter. Gli sembrava impossibile che dopo tanto dolore la vita gli avesse riservato una gioia così grande come quella di avere Ginny al suo fianco. La guardò alla luce del tramonto e per un attimo ritornò a quel pomeriggio ad Hogwarts dopo gli allenamenti di Quidditch, quando aveva già capito quanto erano vasti i suoi sentimenti e quanto sarebbero diventati incontenibili. Ginny si fermò sedendosi sulla sabbia fredda; Harry non smise di guardarla neanche in quel momento.
«Perché mi guardi, ho qualcosa fra i denti?» chiese Ginny passandosi la lingua fra i denti, alludendo alla piccola merenda prima di scendere al mare. Harry rise.
«No, non hai niente fra i denti» la tranquillizzò. «Non posso ammirare mia moglie?» chiese con una punta di divertimento.
«Ci fosse qualcosa da ammirare…» mormorò. La risposta fece titubare Harry per un attimo. Come poteva essere che Ginny non si sentisse bella? Perché non glielo aveva mai detto – o glielo aveva detto poco? E soprattutto, gliene faceva una colpa? Le domande si affollarono nella mente del neo-sposo facendogli corrugare la fronte.
«Sei bellissima, non devi preoccuparti di questo» le disse stringendo un po’ più forte la sua mano. Non sapeva da quanto tempo Ginny nutrisse dubbi sul suo aspetto fisico, però sapeva che non voleva vederla dubbiosa o vederla, anche solo lontanamente, stare male. Soprattutto se lui poteva porre rimedio a quella sofferenza.
«Staremo insieme per tutta la vita…» rispose sovrappensiero; i dubbi sulla bellezza sembravano un discorso ormai lontano ed Harry si chiese se Ginny non lo avesse fatto a posta. «Ci credi? Noi due, sempre insieme nella casa a Godric’s Hollow».
Harry sorrise perché dopo un lungo periodo a non immaginare il suo futuro per paura di illudersi, per paura che ciò che aveva sempre desiderato – un po’ di amore ed una famiglia – fosse qualcosa di inarrivabile, qualcosa che lui non era destinato ad avere. E adesso aveva Ginny, aveva l’amore e non sapeva se avrebbero avuto dei figli, ma anche loro due da soli sarebbero stati una famiglia perfetta. Si sentiva molto più ricco del suo conto ala Gringott.
«Credo di non aver desiderato altro per tutto il resto della vita» ammise. Si voltò a fissare il mare mentre Ginny si accoccolava sul suo petto e lui le circondava le spalle con un braccio. Il vento scompigliava i capelli di entrambi e sentì Ginny rabbrividire sotto la sua maglietta bordeaux di cotone. Rimasero a guardare il sole tramontare nel mare, Harry si soffermò a guardare il riflesso rosso del sole dentro l’acqua salata e incredibilmente si sentì per la prima volta completo.
«Sposarti, scegliere di stare con te, iniziare una vita al tuo fianco credo…anzi no…è stata la scelta migliore che potessi fare. Migliore che scegliere di fare il provino per le Holyhead Harpies» disse interrompendo il silenzio che si era creato tra di loro. Aveva alzato la testa per guardarlo negli occhi. Harry dovette ricacciare le lacrime indietro, abbassò leggermente la testa per raggiungere le sue labbra e baciarle dolcemente. Ginny non aveva idea di come quelle parole fossero state un balsamo per il suo cuore che aveva visto fin troppa sofferenza.
Il cielo si era tinto di un colore violetto e prendendosi per mano tornarono di nuovo in albergo.
 
Nel salotto di casa Potter c’era silenzio. Ad accompagnare i due sposi non più novelli, c’era solo il rumore dell’orologio che scandiva i secondi. Come quel pomeriggio sulla spiaggia, si guardarono negli occhi, ancora troppo innamorati l’un l’altro per smettere di compiere quel gesto. In quello sguardo reciproco c’era tanto, c’era la sofferenza che aveva caratterizzato l’inizio della loro storia, c’era la serenità di quando erano stati insieme e c’era la gioia della consapevolezza di essersi scelti e di aver scelto di costruire una famiglia insieme. «Grazie per aver scelto me, per non esserti fatta spaventare dal mio lato peggiore, dai miei incubi, dalla mia testardaggine, dai miei difetti…» disse un Harry Potter piuttosto anziano.
«Potrei dirti la stessa cosa» affermò Ginny decisa.
«Ma quello che mi hai detto quel pomeriggio, sulla spiaggia…» tentennò. Erano passati molti anni ma in certe cose si sentiva ancora un sedicenne innamorato di nascosto della sorella del suo migliore amico. «È stato importante, ecco. Non credo di avertelo mai detto».
Ginny si avvicino e gli diede un lungo e tenero bacio. Quando si staccarono gli sorrise ed Harry fu grato di poter vedere ancora quelle labbra incurvarsi. «Proseguiamo con la storia, Harry. I sentimentalismi lasciamoli a dopo» propose.
Harry annuì. Ginny cominciò con un altro racconto, questa volta un po’ più leggero. Nel suo racconto erano sempre lì, sullo stesso divano, sempre abbracciati, cambiava solo il loro aspetto che adesso era segnato dal tempo e dalla vita.

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Capitolo 40
*** 40. Things you said when we watched our first horror movie (Le cose che hai detto quando guardammo il nostro primo film horror). ***


40- 043: Things you said when we watched our first horror movie (Le cose che hai detto quando guardammo il nostro primo film horror).
 
Ginny era inginocchiata nel prato di casa sua, aveva le braccia spalancate e sorrideva allegra. Il sole le riscaldava la pelle, faceva leggermente caldo e aveva le maniche della camicia arrotolate. «Dai, dove sei? Vieni che voglio abbracciarti!» cantilenò Ginny contenta. Dal giardino sul retro arrivò Teddy che correva battendo le mani paffute l’una contro l’altra, come aveva fatto quella volta a Natale quando Harry l’aveva portata per la prima volta da Teddy. Concentrandosi meglio sul bambino che correva, si disse che era troppo piccolo per essere Teddy ma era troppo felice per lasciarsi condizionare dal dubbio. Quando il bambino arrivò tra le sue braccia, Ginny lo strinse forte e si rotolarono per terra, Teddy strepitava contento mentre lei cominciava a fargli il solletico. Poco dopo dal retro della casa spuntò Harry, aveva una scopa giocattolo in una mano e quella che sembrava una coperta per neonati nell’altra. Ancora una volta Ginny si chiese cosa ci facesse Harry con una cosa del genere in mano ma non ci diede tanto peso. Se da un lato tutti quei dettagli la incuriosivano, dall’altro era assolutamente normale che Harry avesse una copertina in mano e Teddy non fosse proprio Teddy. Harry raggiunse Ginny e il bambino sul prato, baciò prima la moglie e poi Teddy. «Quanto vi amo» disse a bassa voce. Il sorriso di Ginny si fece ancora più ampio poi si girò alla sua sinistra dove era certa ci fosse qualcosa di importante da prendere ma non fece in tempo a vedere cosa.
 
Ginny sussultò sentendo la porta di casa chiudersi. Aprì gli occhi e si rese conto di essere nella cucina di casa sua. Non era nel giardino, non c’era Teddy a correrle incontro, non c’era Harry con una copertina e una scopa giocattolo a dirle quanto amava sia lei che il bambino. Si era addormentata sul tavolo con la testa appoggiata alle braccia. Si passò una mano sul volto: le due settimane di viaggio di nozze più la stagione di Quidditch ormai prossima all’inizio avevano fatto sì che gli allenamenti, già duri per principio, diventassero molto più difficili. Senza contare che nonostante fosse ancora il 2003 e avessero giocato il Mondiale appena l’estate precedente, Gwenog Jones e gli altri capitani delle altre squadre si stavano già iniziando a confrontare sui Mondiali del 2006. Non era raro che alla fine degli allenamenti tutte le compagne di squadra si lamentassero di qualche dolore o qualcuna di loro si addormentasse contro i muri dello spogliatoio. Alla fine lei si era addormentata a casa, le era andata bene. Mentre il sogno piuttosto strano che aveva fatto veniva relegato nell’angolo “cose inutili” del suo cervello, Harry fece il suo ingresso in cucina.
Era appena tornato dal Ministero, aveva i pantaloni neri e una camicia bianca. Ginny non poté evitare di mordersi un labbro pensando a quanto fosse bello suo marito. Era bello e lui non se ne rendeva conto. Oltre agli allenamenti pesanti, il fatto di essere neo-sposini, aveva fatto nascere in Ginny una forte voglia di fare balli orizzontali con suo marito sotto le coperte. A volte cercava di reprimere quelle sensazioni per paura di passare per ninfomane – come stava facendo in quel momento – ma altre volte la voglia era così forte da non riuscire a trattenerla.
«Disturbo?» chiese Harry vedendo la sua faccia assonnata. Ginny fece un sorriso che sembrava più una smorfia non sapendo bene cosa rispondere. «Allenamenti pesanti?» continuò dopo averla baciata. Le stava accarezzando la schiena dolcemente e Ginny sentì la tensione andarsene sotto tocco calmo di suo marito.
«Abbastanza» ammise. «Oggi hanno iniziato a parlarci dei Mondiali 2006. Ti rendi conto? Manco so se ci arrivo al 2006!» esclamò.
«Be’, mi auguro di sì o potrei essere il vedovo più giovane della via» ridacchiò senza smettere di accarezzarla. Ginny notò una busta di plastica con il nome di un negozio Babbano.
«Cosa c’è lì dentro?» domandò indicando l’involucro col mento. Gli occhi di Harry si illuminarono, come se non avesse fatto altro che aspettare che Ginny glielo chiedesse. Harry estrasse un oggetto rettangolare, era spesso, all’interno si muoveva qualcosa ogni volta che Harry lo muoveva, Ginny non aveva idea di che cosa fosse. Harry lo girò verso di lei, nella scatola rettangolare c’era una ragazza seduta su una sedia con i capelli bagnati davanti che le coprivano la faccia. Sopra di lei c’era un cerchio in cui c’era scritto “The Ring”. Il fatto che Harry continuasse a sorridere come un ebete di fronte a quella foto che solo Voldemort ed i Mangiamorte non avrebbero trovato inquietante, preoccupò Ginny.
«C-che cos’è?» chiese cercando di apparire normale.
«Questa, amore mio, è ciò che i Babbani chiamano videocassetta. Ti ricordi quando siamo andati al cinema?» Ginny annuì. Erano andati altre poche volte dopo quella volta ma ricordava bene la sensazione di smarrimento che provava ogni volta che vedeva le immagini sullo schermo. Harry e Ginny avevano deciso di comprare una TV dopo le nozze, Ginny aveva detto che non c’era bisogno ma Harry sosteneva che sarebbe stata di compagnia quando lui sarebbe stato in missione o lei in trasferta. «Bene. Dopo un po’ di tempo le mettono all’interno di questa cassetta così che la gente possa noleggiarla e vedere i film a casa quando vuole» concluse soddisfatto. Ciò che a Ginny sfuggiva era perché avesse scelto un film dove c’era una tizia evidentemente rapita in camicia da notte a cui non avevano manco asciugato i capelli.
«Ehm Harry» iniziò. «Perché hai scelto proprio questo film?» chiese cercando di non apparire scortese e di non smorzare il suo entusiasmo. Ginny lo vide farsi serio per un momento.
«Be’, mi è sembrato preferissi questo a…che so…un film intitolato I passi dell’amore» rispose. Effettivamente il solo titolo fece venire il mal di denti a Ginny. «Possiamo vederlo dopo che Ted e Andromeda vanno via».
Ginny sgranò gli occhi. Si era totalmente dimenticata che li avevano invitati a casa loro per cena. Ecco perché aveva sognato Teddy, il suo cervello stava cercando di ricordarle l’impegno della sera. Si batté una mano sulla fronte come per punirsi ed Harry sorrise. «Riposati» la rassicurò il marito. «Qui ci penso io. Chiamo Kreacher a darmi una mano, ovviamente gli darò una mancia più che generosa altrimenti chi la sente Hermione» stavolta fu Ginny a sorridere lo baciò – forse troppo a lungo – e poi si dedicò ad altri piccoli lavori domestici mentre Harry e Kreacher si davano alla cucina.
 
Nonostante Ginny si fosse dimenticata degli ospiti, la serata risultò piacevolmente gradevole. Più volte si era soffermata a guardare Teddy notando quanto fosse cresciuto e chiedendosi perché aveva sognato lui da bambino poi, dopo aver visto Andromeda guardarla con uno strano sguardo, aveva smesso e si era concentrata sulla cena e sulle portate. Erano entrambi alla porta a salutare il bambino piagnucolante per dover lasciare la casa degli zii, quando Andromeda fece una cosa strana: le accarezzò una guancia e le disse: «Prenditi cura di te». Lì per lì non ci fece fin troppo caso era una cosa che faceva anche sua madre di tanto in tanto, ma c’era un qualcosa di diverso in Andromeda che non le impediva di smettere di pensare. Scuotendo la testa per scacciare via quelle sensazioni, cercò di concentrarsi sulla tizia bionda del film e sulla bambina con i capelli bagnati davanti alla faccia.
«Forse avrei preferito I passi dell’amore» commentò Harry mentre il film proponeva una scena piuttosto disgustosa. Ginny sogghignò.
«Che c’è, hai paura?» lo sbeffeggiò. A Ginny risultava incredibile come il mago che aveva sconfitto Voldemort avesse paura di un film che, come aveva avuto occasione di capire nel tempo, era tutto finzione.
«Non ho paura e che pensavo non fosse così…» si fermò cercando di trovare le parole adatte.
«Così horror?» suggerì Ginny ridendo sotto i baffi. Suo malgrado Harry dovette annuire. Ginny prese il telecomando e stoppò la videocassetta. Lei non lo aveva trovato così horror come pensava Harry ma forse era dovuto al fatto che la sua testa era presa da ben altri pensieri. Harry le lanciò uno sguardo di gratitudine mentre si alzava dal divano per riporre la cassetta all’interno della sua custodia rigida. Anche Ginny si alzò stirando i muscoli intorpiditi per essere rimasta troppo nella stessa posizione. Guardò Harry con un sorriso furbo.
«Hey, Salvatore del Mondo Magico» lo apostrofò. «Stanotte staccherei la presa del telefono» concluse facendogli un occhiolino malandrino e salendo in camera da letto.
 
«Non mi aveva fatto paura!» esclamò Harry qualche decennio più tardi. Nonostante gli anni passati si sentiva ancora indignato per l’accusa mossa dalla moglie.
«Certo, come no» lo assecondò. «Però vorrei ricordarti che il telefono era davvero staccato la mattina dopo» gli fece notare. Forse Harry non pensava che lei se ne fosse mai accorta, perché avvampò e la sua faccia divenne dello stesso colore dei capelli di Ginny quando era giovane. Non riuscì a trattenere una risata. Le sembrava ancora troppo strano.
«È vero che ho sconfitto Voldemort e blablabla ma spesso quando ti trovi in mezzo alle situazioni non hai tempo di avere paura, quando le guardi, be’ sei lucido e avere paura è normale» spiegò. Effettivamente Ginny non l’aveva mai considerato sotto quel punto di vista. In seguito a quella serata di relax, la loro vita aveva iniziato a prendere una piega piuttosto strana e frenetica per concedersi nuovamente serate come quelle. Harry parve leggerle nel pensiero perché senza che lei dicesse niente, iniziò a raccontare quel periodo della loro vita dal suo punto di vista.  

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Capitolo 41
*** 41. Things you said in the dark (Le cose che hai detto al buio). ***


41- 041: Things you said in the dark (Le cose che hai detto al buio).
 
Harry aveva fatto schifosamente tardi quella sera. Non sapeva perché ma il Capo degli Auror lo stava tenendo sotto torchio da un po’. Insisteva perché rimanesse con lui a controllare i rapporti, gli chiedeva tecniche e strategie e ogni qualvolta Harry provasse a chiedere spiegazioni rispondeva con un vago: «Sono vecchio, Potter». Frase che non dava alcuna spiegazione e gli ricordava vagamente le risposte enigmatiche che il professor Silente gli aveva dato nel corso dei suoi sei anni ad Hogwarts. In parte era convinto che lo facesse solo perché era l’unico ad essere entrato all’Ufficio Auror senza i M.A.G.O. e quindi volesse punirlo, però nessuno delle nuove leve, neanche Ron che era entrato da poco e neanche lui aveva i M.A.G.O., era costretto a quel supplizio fino ad orari indecenti.
Diede uno sguardo veloce all’orologio che Molly Weasley gli aveva regalato per i suoi diciassette anni, segnava l’una meno dieci di notte. Strabuzzò gli occhi sperando che Ginny non lo avesse aspettato sveglia, l’aveva avvisata che non tornava per cena e di andare a dormire – visto quanto era stanca ultimamente – ma con lei non si poteva mai dire.
Quando entrò in casa si rincuorò vedendo le luci delle varie stanze spente, significava che Ginny era davvero andata a dormire. Sentì qualcosa picchiettare sulla grande finestra del salone e sorrise vedendo che era Lotus il loro gufo di ritorno dalla caccia notturna. «Se non ci fossi stato io saresti rimasto fuori?» gli chiese. L’animale in tutta risposta gli mozzicò in dito come per dire che probabilmente avrebbe iniziato a beccare alla finestra della loro stanza finché qualcuno – solitamente Ginny – non la avesse aperta.
Harry si mise il dito ferito in bocca per asciugare la goccia di sangue che Lotus gli aveva provocato e si limitò a guardarlo torvo mentre chiudeva la finestra. Lui e quel gufo non andavano molto d’accordo fin dal giorno lo avevano acquistato al Serraglio Stregato. Sembrava avesse molto più feeling con sua moglie.
Entrando in cucina, vide che Ginny gli aveva lasciato un piatto coperto, lo aprì e vide che c’era una porzione di roastbeef ma all’una di notte ormai la fame era passata. Lo mise dentro al forno e si diresse al piano di sopra pronto per un sonno ristoratore.
L’unica cosa a cui aveva pensato mentre controllava per l’ennesima volta i verbali di un processo, era stato il letto. Per una frazione di secondo non esisteva più sua moglie o la sua casa o qualsiasi altra preoccupazione che non comprendessero una camera, il letto e il sonno. Da quando Voldemort non era più nella sua testa e gli incubi post-guerra erano iniziati a scemare, aveva scoperto la bellezza di dormire. Quando indossò il suo pigiama di flanella, fece un sospiro soddisfatto per quanto era comodo rispetto a quella camicia e quel pantalone. Quando entrò nel letto caldo, si sentì al settimo cielo. Accanto a lui, Ginny dormiva beatamente; aveva lo stesso profumo floreale che aveva sempre e si chiese come facesse a mantenere il profumo di fiori della Tana quando ormai non ci abitava più da un po’. Beandosi dell’odore di sua moglie, dal caldo del letto e dalla stanchezza della giornata, si stava lentamente addormentando. C’era solo una cosa che glielo impediva: Ginny che si rigirava in continuazione nel letto.
Aprì un occhio per vedere se stesse facendo un incubo o qualcosa non andasse. Vide i suoi occhi da cerbiatto fissarlo profondamente. «Non dovevi aspettarmi sveglia» disse aprendo anche l’altro occhio.
«Non volevo farlo, infatti» ammise. Harry aggrottò le sopracciglia, confuso. «Non riesco a dormire».
Harry cominciò ad accarezzarle il viso dolcemente come faceva quando voleva farla calmare quando ea agitata. Non proferì parola, in parte perché era troppo stanco per articolare un pensiero contorto, un po’ perché alla luce del lampione che filtrava dalla finestra era bellissima, anche se aveva i capelli scompigliati. «Sei tornato tardi…» osservò. Sembrava leggermente più tranquilla, quantomeno adesso non si agitava nel letto rubandogli le coperte.
«Sì. Il capo, mi ha fatto leggere non so quanti relazioni su arresti e processi. Non voglio sentir parlare di prigioni e Winzegamot per il resto della vita» rispose guardandola ancora negli occhi. Ginny ridacchiò.
«Strano che tu lo dica, considerando che tu lavori solo con queste cose» gli fece notare. Suo malgrado, anche Harry rise.
Rimasero a guardarsi ancora un po’ alla poca luce che illuminava la stanza. Improvvisamente la stanchezza che aveva provato fino a poco prima era scomparsa, il Ministero era solo un luogo lontano, non esistevano più processi e carceri. Gli bastava passare un po’ del suo tempo con lei per sentirsi nuovamente pieno di forza. «Come mai non riesci a dormire?» chiese ricordandosi del motivo per cui avevano iniziato quella coccola notturna.
«Stavo pensando» rispose Ginny. Harry odiava quando Ginny era pensierosa, amava la passione che metteva nel Quidditch, le sue partite erano fenomenali, ma spesso era quello stesso sport ad impensierirla fino al punto di non riuscire a dormire la notte.
«Che ti ha detto Gwenog?» indovinò. Ginny però scosse la testa.
«Non c’entra il Quidditch questa volta» lo disse piano, come se il reale motivo che la teneva sveglia fosse di gran lunga peggiore del suo lavoro.
«E allora che c’è?» domandò.
«Oggi Angelina mi ha detto una cosa alla squadra che non dovei dirti…» cominciò mordendosi il labbro, come per tentare di trattenersi. Per un singolo attimo gli ricordò Hagrid quando parlava un po’ troppo. «Con George hanno iniziato a parlare di avere dei figli…» lasciò il discorso a metà ed Harry capì cos’era che agitava tanto la moglie.
Stavano insieme da un po’ ed erano sposati a malapena da un mese e mezzo, ad Harry non sarebbe mai venuto in mente di affrontare quel discorso a così poco tempo la matrimonio – anche perché si era lasciato sfuggire qualcosa di simile qualche tempo prima e aveva scorto il panico nel volto di Ginny – ma adesso che era lei che si era azzardata ad aprire quel discorso, forse significava che era pronta. Harry non faceva alcuna fatica ad immaginarsi con un bambino con i capelli rossi e gli occhi del colore di quelli di Ginny. Magari fare delle partite di Quidditch in giardino, loro due contro Ginny, Harry si sentiva elettrizzato al pensiero.
«Sì che voglio dei figli, se è quello che mi stai chiedendo» rispose con un sorriso. Vide Ginny rimanere interdetta e per una frazione di secondo si chiese se per caso non gli stesse dicendo che lei non aveva intenzione di avere dei figli, che era più importante la sua carriera sportiva che la famiglia. Poi si sbloccò come se fosse stata pietrificata e qualcuno avesse interrotto l’incanto.
«Bene» rispose con un sorriso. «Anche a me piacerebbe avere dei bambini» ammise. Poi tornò a torturarsi le labbra. «E, ragionando per ipotesi, fra quanto tempo li vorresti?» chiese. La domanda lasciò Harry abbastanza sbigottito. Avevano appena deciso di avere dei bambini e lei era già al quando? Nonostante volesse una famiglia insieme a lei, non poté impedire ad un pizzico di panico di invaderlo.
«Quando capiterà saremo pronti» cercò di mediare tra il panico e la razionalità. Tuttavia la risposta non sembrò soddisfare Ginny che fece una smorfia non proprio convinta. Harry sospirò, era un discorso troppo grande per lui dopo una giornata troppo pesante di lavoro. Le spostò una ciocca ramata dietro l’orecchio e le accarezzò la pelle liscia e morbida. «Che ne dici se adesso dormiamo?» propose reprimendo uno sbadiglio.
«Sì, hai ragione» convenne la moglie dandogli le spalle.
In tempi normali Harry si sarebbe chiesto cosa avesse detto di sbagliato, ma era stanco e assonnato. Chiuse gli occhi e si abbandonò ad un sonno rigeneratore.
 
«Quella notte non ho chiuso occhio» ammise Ginny dopo tanto tempo. Harry si accigliò ma non parlò capendo che la moglie avrebbe continuato a parlare. «Volevi dei figli ma non subito, ero più confusa di prima».
«Considerando dopo quanto è nato James…» convenne sentendosi improvvisamente stupido. «Ecco di cosa parlavate tu ed Hermione!» esclamò battendo le mani. Finalmente dopo tanto tempo trovava una risposta alla sua domanda. Non l’aveva mai chiesto a sua moglie perché be’, tecnicamente lui non doveva essere dietro quella porta ad origliare. Ma era Harry Potter, faceva parte del suo carattere ficcare il naso negli affari altrui, anche a costo di sentirsi in colpa.
«A che ti riferisci?» mormorò dubbiosa la moglie. Harry capì che ormai era arrivata l’ora della verità, ma erano passati quasi cinquant’anni da quel giorno, avrebbe potuto perdonare un errore di un neo-ventenne, no?
Ingoiando un po’ di saliva cominciò a raccontare cosa aveva sentito quel pomeriggio di molto tempo prima, un pomeriggio che aveva dato ad Harry modo di arrovellarsi per tutte le ore seguenti.
    

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Capitolo 42
*** 42. Things you said that I wasn’t meant to hear (Le cose che hai detto e che non avrei dovuto sentire). ***


42: 012- Things you said that I wasn’t meant to hear (Le cose che hai detto e che non avrei dovuto sentire).
 
Nonostante la mole di lavoro che si accumulava sulla scrivania, quel giorno Harry decise che non voleva fare le ore piccole come era successo circa una settimana prima. Da quando era tornato dal viaggio di nozze era più il tempo che aveva passato col suo capo che con sua moglie; piuttosto deprimente a pensarci. Si prese qualche ora di permesso per pranzare con sua moglie e poi sarebbe tornato in ufficio a completare il suo lavoro.
«Dove va così di fretta, Potter?» gli chiese il Capo mente Harry raggiungeva l’ascensore. Immaginava che dirgli che si stava prendendo un paio di ore di permesso solo per vedere Ginny non fosse il massimo, quindi decise di rimanere sul vago.
«Ho avuto un’emergenza familiare, signore» inventò su due piedi. L’uomo piuttosto anziano sorrise sotto i baffi, come se sapesse della sua bugia.
«Mi saluti sua moglie, signor Potter, e le chieda scusa da parte mia per tenerla così lontano da casa ma mi creda, presto capirete il perché» rispose. Harry annuì riflettendo sulle parole del suo superiore. Erano emblematiche, come sempre e sebbene le rotelle nel cervello di Harry avevano già iniziato a muoversi, lui decise di non farci troppo caso concentrandosi sull’immagine di Ginny a casa loro. Il signor Cowley stava per ritornare nel suo ufficio quando tornò sui suoi passi e si mise di nuovo di fronte ad Harry. «Dopo Natale l’aspetta una missione, ma definiremo i dettagli al suo rientro». Di certo non era il tipo di notizia che si aspettava il 20 dicembre, ma sospirò rassegnato e anche un po’ elettrizzato: era vero che voleva stare con Ginny ma gli mancava l’adrenalina del combattimento. Era da un po’ che il capo lo lasciava in panchina preferendo mandare altri Auror in missione e trascinando Harry nel suo ufficio a leggere i verbali di queste ultime.
Lasciandosi il lavoro alle spalle, prese l’ascensore e si diresse verso casa sua.
Com’erano soliti fare per non farsi vedere dai vicini, Harry comparì nel magazzino delle scope che avevano in giardino. Stava per entrare dalla porta sul retro che dava in cucina quando sentì le voci di Hermione e Ginny parlottare tra di loro. Normalmente sarebbe entrato e avrebbe salutato entrambe ma era tutto troppo strano: prima di tutto, Hermione non doveva essere lì, doveva essere al Ministero – esattamente come lui – e secondo, stavano parlando con fare troppo concitato per essere una conversazione normale.
Dal tono leggermente acuto di Ginny e dal volto accigliato di Hermione, aveva intuito che non si trattava di certo di un tè fra amiche. Harry sapeva che quello che stava per fare era scorretto, che quelle persone là dentro erano sua moglie e la sua migliore amica (e cognata) ma c’era qualcosa che non tornava. Ultimamente Ginny era distratta ed Harry aveva dato la colpa agli allenamenti e al fatto che si vedessero troppo poco a causa di Crowley, ma sapere che Hermione era a casa loro e stava parlando con Ginny di qualcosa di serio, gli fece venire il dubbio che la sua distrazione fosse causata da qualcosa di più importante del Quidditch. Si acquattò sulle ginocchia e si avvicinò alla porta di servizio appoggiando l’orecchio al legno. Grazie a Godric era sottile e la parte superiore era in vetro, perciò riusciva a vedere oltre che sentire. Avrebbe voluto prendere il Mantello di suo padre ma quello era esagerato pure per lui.
Diede una rapida occhiata all’interno della casa, Hermione aveva le mani in quelle di Ginny che sembrava stravolta, il suo cuore fece un sonoro crack quando notò che gli occhi della moglie erano lucidi e arrossati, come se avesse pianto per un bel po’ prima di calmarsi. «Va tutto bene» sentì dire Hermione.
Ginny sembrava ancora scossa da qualcosa che era successo ma Harry non sapeva esattamente cosa e dovette reprimere l’impulso di entrare dentro e chiedere spiegazioni ad entrambi. «Devi parlagliene, Ginny. Merita di saperlo» continuò Hermione. La voce era un po’ più dura rispetto al tono che aveva usato precedentemente per rassicurarla.
«Come faccio, Hermione? Mi ha palesemente detto che non vuole!» esclamò sua moglie. Harry aveva la strana sensazione che parlassero di lui ma non si capacitava di cosa avesse potuto fare di male. Non si era mai rifiutato di fare niente o di comprare qualcosa. Aveva escluso a priori i cognati perché si sarebbe limitati a lanciare una fattura Orcovolante e risolvere la questione. Il cervello di Harry si arrovellava per capire cosa stesse succedendo a Ginny e soprattutto perché avesse scelto di parlarne con Hermione e non con lui, insomma era convinto che potessero parlare di tutto.
«Sei sicura? Non è che hai capito male?» tentò la più grande. La ragazza con i capelli rossi scosse la testa affranta. «Da quanto tempo?» chiese sospirando, ormai senza più speranze di consolare l’amica affranta.
«Credo metà novembre…» mormorò. Vide le sopracciglia di Hermione arcuarsi così tanto da confondersi con l’attaccatura dei capelli, sospirò qualcosa ma lo disse a voce così bassa che Harry non sentì niente e si diede dello stupido mentalmente per non avere un paio di orecchie oblunghe.
Nel cercare di cogliere più dettagli possibili, vide una cartellina appoggiata sul tavolo, in un primo momento pensò che fosse una di quelle del Ministero che usavano per conservare i fascicoli ma ben presto si rese conto che era una cartellina bianca familiare, si sforzò di ricordare dove l’avesse vista ma non gli veniva in mente niente. C’era l’intestazione in alto a sinistra ma il tavolo era troppo lontano dalla porta ed Harry non riusciva a leggere.
Le due donne erano ancora lì a parlare, Harry avrebbe voluto fermarsi ancora un po’ ma l’orologio di Fabian Prewett segnava che era arrivato il momento di tornare in ufficio. Diede ancora un’ultima occhiata all’interno della cucina dove c’erano Hermione e Ginny intente a parlare, era in piedi e ormai era troppo lontano per sentire cosa si stessero dicendo. Si diresse verso lo sgabuzzino delle scope e fece ritorno al Ministero.
 
Quando entrò nel suo ufficio, vide Ron che aveva ancora delle briciole di pane sul mento. D’improvviso gli venne un’illuminazione. «Ron, hai idea di dove sia Hermione?» chiese con aria disinteressata per non dare troppo nell’occhio. L’amico alzò le spalle.
«Sono andato nel suo ufficio per pranzare insieme, come ogni giorno, ma non c’era. Probabilmente sarà giù agli archivi. Se non è alla scrivania è giù a controllare qualche legge magica del 1600» rispose ormai rassegnato alla solerzia della moglie. Harry annuì affondando nella sedia girevole dietro la sua scrivania. «Che hai?» chiese. «Sembra che tu abbia…» s’interruppe. Harry ridacchiò.
Visto un fantasma? Li vedeva da quando aveva undici anni. Sconfitto un centinaio di Dissennatori? Lo aveva fatto a tredici anni. Affrontato Voldemort? Lo aveva già fatto alla tenera età di un anno e poi a diciassette anni. Lo guardò con aria di sfida invitandolo a continuare. «…fatto da baby-sitter ai nostri nipoti!» terminò.
Effettivamente si sentiva uno straccio esattamente come quando Teddy e Victoire giocavano insieme per tutto il pomeriggio e lui doveva stare dietro a loro. Ringraziò i quattro fondatori di Hogwarts che Molly – la figlia di Audrey e Percy – avesse solo due mesi e non fosse ancora in grado di giocare.
«Credo di aver fatto un danno con Ginny» ammise. L’amico e cognato di portò istintivamente le mani alle orecchie tappandole.
«Non voglio sapere cosa combini con mia sorella» protestò come faceva sempre quando usciva fuori l’argomento “Ginny”.  Harry alzò gli occhi al cielo.
«Il problema è che non so cosa ho combinato» confessò. «L’ho sentita parlare con…» tentennò incerto se dire che Hermione non era veramente in ufficio ma a Godric’s Hollow con sua sorella «…con una sua amica e so che parlava di me. Le ho fatto qualcosa ma non so cosa!» concluse con tono lamentoso. Ron lo fissò.
«Anche Hermione fa sempre così con me. Torno a casa, lei è nervosa e dà la colpa a me per tutto» convenne l’amico di una vita. Harry si sentì rincuorato dal fatto che non fosse il solo ad avere problemi di comunicazione con la consorte. Solo che la faccia sconvolta di Ginny, gli occhi gonfi di lacrime, quel foglio che si erano passate tra le mani, mettevano Harry in allerta. «Passerà. Magari stasera quando torni te lo rinfaccerà e sarà una cosa stupida tipo non aver messo fuori la spazzatura» aggiunse.
Harry sospirò ma in cuor suo sapeva che non era così.
 
I dubbi su sua moglie non si erano fermati neanche mentre leggeva per l’ennesima volta la stessa riga di un verbale. I dettagli della missione che gli aveva spiegato Crowley erano giunti ovattati alle orecchie di Harry. Quando arrivò a casa la sera, Ginny era già a letto, sebbene non fosse così tanto tardi. Non c’era niente sul tavolo e istintivamente si chiese se lei avesse mangiato o se avesse deciso di non lasciargli niente per cena. Sul tavolo c’era solo un foglio di pergamena. Una parte di Harry avrebbe voluto che fosse il foglio che avevano letto lei ed Hermione la mattina, un’altra parte di Harry si sentì il cuore esplodere di gioia quando lesse un “Ti amo” scritto con la calligrafia ordinata di Ginny.
Salì al piano superiore e dopo essersi messo il pigiama entrò nel letto riscaldato con la magia. Ginny era rivolta verso la finestra e dava le spalle ad Harry. Lui si avvicinò e l’abbracciò più forte che poté. «Ti amo anche io» sussurrò al suo orecchio. Ebbe l’impressione di sentirla sorridere e finalmente tutti i pezzi sparsi di puzzle composero un’immagine perfetta.
 
«Hai origliato una mia conversazione?» domandò Ginny. Era indecisa se ridere perché aveva impiegato circa cinquant’anni a venire a capo di quella conversazione, o arrabbiarsi perché da Harry non se lo sarebbe mai aspettato. Lui si strinse nelle spalle.
«Non volevo, solo che vi ho sentito così agitate, tu eri stravolta, cosa avrei dovuto fare?» si giustificò.
«Andartene, per esempio? Oppure entrare e chiedere cosa stesse succedendo?» suggerì. Harry aprì la bocca e la richiuse come se in tanti anni non avesse mai considerato delle opzioni così semplici.
«Sono Harry Potter, non sono fatto per complicarmi la vita» rispose. «E poi anche se fossi entrato non mi avresti detto il reale motivo» le fece notare e Ginny non poté che essere d’accordo. In quel momento lì era in preda ad una crisi di panico e l’ultima persona che avrebbe voluto vedere era proprio Harry, quindi forse era meglio che fosse rimasto fuori.
«Non hai dovuto attendere molto per avere la risposta, anche se ci sei arrivato solo adesso» disse Ginny sorridendo sorniona.
«Già» convenne Harry.
«Ti ricordi il momento esatto?» domandò.
«Capodanno 2004» rispose puntuale.
E mentre Harry cominciava a raccontare, le pareti del salotto di Godic’s Hollow diventavano quelle della Tana.

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Capitolo 43
*** 43. Things you said on New Year’s Eve (Le cose che hai detto a Capodanno). ***


43- 033: Things you said on New Year’s Eve (Le cose che hai detto a Capodanno).
 
Dopo quell’abbraccio notturno, il mondo di Harry si era ricomposto. Aveva combinato qualche danno, ma sapeva anche che in qualche modo Ginny lo aveva perdonato. Non si era azzardato a chiedere cosa avesse fatto di male perchè l’ultima cosa che voleva, era vedere il volto affranto di sua moglie e per di più a causa sua. Si era dato abbastanza da fare durante il periodo in cui erano stati insieme.
Dopo quella tacita richiesta di perdono, Ginny era diventata più energica. Aveva sempre un’aria più stanca del solito, ma non sembrava pesarle più di tanto. Spesso la ritrovava a canticchiare mentre cucinava o stendeva il bucato, oppure a fissare incantata la loro filastrocca di San Valentino attaccata sopra il letto, cercava di stare il più possibile con lui e spesso la trovava già sveglia prima di lui. Le aveva detto che non valeva la pena, visto quanto Gwenog Jones stava sfiancando la squadra, ma lei aveva ridacchiato e alzato le spalle, come se Harry fosse uno stupido qualsiasi. Nonostante questa parvenza di normalità che era tornata fra di loro, aveva notato che Hermione era spesso a casa loro quando non c’era Harry. Ad essere onesti aveva cecato di origliare ancora altre conversazioni ma non era riuscito ad ottenere ulteriori informazioni. A Natale, quando erano andati da Teddy a portargli il regalo, Andromeda e Ginny si erano chiuse per così tanto tempo in cucina per affettare una torta, che Harry aveva creduto che la stessero rifacendo daccapo.
«Cosa vi siete dette tu ed Andromeda?» le aveva chiesto una volta a casa. Ginny aveva alzato le sopracciglia confusa.
«Niente, perché?» aveva domandato con aria innocente. Conosceva abbastanza bene la moglie da sapere che gli stava nascondendo qualcosa, ma se sul campo aveva un intuito eccezionale, quando si trattava di faccende familiari tornava ad avere undici anni e ad essere convinto che Piton lo volesse uccidere. Aveva deciso di far cadere la conversazione e di tenersi il dubbio. Lo avrebbe scoperto prima o poi.
 
«Ginny! Non ti vedo dal matrimonio ma sei più bella che mai!» l’esclamazione di suo cognato Charlie lo riportò bruscamente alla realtà. Erano sulla soglia della Tana per la cena di Capodanno, la neve cadeva fitta e Ginny si strinse nel mantello.
«Sei troppo buono, Charlie» aveva risposto lei con voce morbida.
Entrarono nell’abitazione che per Harry aveva rappresentato il ritorno a casa dopo le vacanze. Il calore della casa, il vociare dei cognati, un pianto stridulo di Molly e Victoire (che ormai aveva quattro anni) che correva per le stanze riempirono il cuore di Harry. Era come se il calore della Tana fosse entrato dentro di lui. Appesero i mantelli all’appendiabiti poi si diressero in salone dove si stavano radunando tutti quanti. Mentre parlava con Arthur, però, le parole di Charlie furono come un tarlo nella testa: «Non ti vedo dal matrimonio ma sei più bella che mai!»
Era vero. Mentre la osservava parlare con Angelina e George – probabilmente della cosa inconfessabile che però Ginny gli aveva confessato – tenendo in braccio la piccola Molly, la trovava bellissima. Ma non bellissima come quella volta sulla spiaggia o come tutte le altre volte che le aveva detto che era bellissima. Era molto più bella. Era raggiante, nonostante le occhiaie che aveva tentato di nascondere col trucco ma che Harry riusciva ad intravedere. Era come se fosse perennemente sotto l’effetto della Felix Felicis. Era sempre Ginny, ma allo stesso tempo era diversa.
«I primi mesi di matrimonio sono così…» osservò compiaciuto il signor Weasely. Harry lo guardò confuso. «Anche io mi incantavo a guardare Molly» continuò. Harry si sentì avvampare preferendo di gran lunga parlare dell’Armadio Svanitore a Villa Malfoy che di lui che osservava sua figlia. Una sensazione poco piacevole di calore lo avvolse, sorrise imbarazzato e mise più distanza possibile tra lui e Arthur Weasley, congedandosi con la scusa di raggiungere Ginny.
Si avvicinò a Bill e Charlie che parlottavano di draghi con un bicchiere di Vino Elfico in mano, ne prese un bicchiere pure lui e si unì alla conversazione che era di gran lunga più piacevole di quella appena avvenuta col suocero. Continuava a lanciare sguardi furtivi alla moglie che con una bambina in braccio sembrava sorprendentemente completa. Bill gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise furbo ed Harry non poté che chiedersi quando era successo che i Weasley fossero diventati così enigmatici.
«Avete fatto in modo che i draghi alla Gringott smettano di essere torturati e accecati?» domandò prima che la sua famiglia pensasse che fosse diventato completamente scemo. Era una domanda tipica di Hermione ma spesso si chiedeva che fine avesse fatto quel drago che aveva aiutato lui, Ron ed Hemione nella loro ultima fuga prima della battaglia finale.
«Be’ con Hermione nel Dipartimento di Regolazione delle Creature Magiche c’è poco da scherzare» rispose Bill con fare ovvio.
«Però ha fatto bene ad insistere, Bill. I draghi sono creature fragili» disse Charlie. Detto da uno che aveva un paio di ustioni sparse sul corpo causate dalle fiammate dei draghi si faceva fatica a credere, ma Harry aveva passato sei anni della sua vita accanto ad Hagrid da potersi limitare a sorridere a quel commento.
Sul divano Molly Weasley senior giocava con Victoire che però non faceva altro che chiedere di Teddy. «Zio Harry, dov’è Teddy?» gli chiese tirandolo per i pantaloni. Bill guardò intenerito la figlia, Harry lo trovò uno sguardo piuttosto tenero e in cuor suo, si augurò di poterlo regalare anche lui ad un piccolo Potter o ad una piccola Potter.
«È dalla nonna» rispose prendendo in braccio la nipotina. Sarebbe stato per sempre grato a quella bambina, dopotutto era grazie a lei se Ginny gli aveva detto “ti amo” per la prima volta da quando stavano insieme. «Domani forse ci andiamo con zia Ginny, vuoi venire pure tu?» domandò. Victoire si girò con uno sguardo implorante verso il padre.
Harry era cosciente che Bill avrebbe detto immediatamente di sì alla figlia ma si stupì quando invece disse: «Vediamo cosa ne pensa la mamma». 
«Caspita! Fleur deve averti messo alle strette con la tua mania di viziare Vic» commentò Charlie mentre Harry metteva giù la bambina che zampettò fino ad arrivare da Ginny per guardare la cuginetta neonata.
«Sì, be’ ultimamente è piuttosto nervosa…» rispose. Per un attimo Harry ebbe la sensazione che Bill gli avesse lanciato uno sguardo complice, ma si convinse che probabilmente bere prima di cenare non era stata una buona idea visto che aveva cominciato ad immaginare cose.
 
Seduti a tavola, al momento del dolce, i componenti scoppiarono in urla di giubilo quando Fleur e Bill annunciarono di aspettare il secondo bambino. Victoire saltellava contenta convinta di avere già una sorellina ed Harry non osò immaginare cosa sarebbe successo se per caso fosse stato un maschietto. Probabilmente avrebbero dovuto tenersi una figlia insoddisfatta per il resto della vita. Era quasi la mezzanotte di un anno che si annunciava perfetto. Harry si fermò a guardare i suoi parenti.
Bill e Fleur erano più innamorati che mai e stavano per ampliare la famiglia.
Charlie era più che soddisfatto del suo lavoro di domatore di draghi.
Percy ed Audrey sembravano toccare il cielo con un dito, nel vero senso della parola. Ogni volta che avevano in braccio la loro piccola Molly il loro sorriso sembrava essere più grande della loro faccia.
George ed Angelina si tenevano per mano sotto il tavolo, chi stava di fronte non poteva vederli, ma Harry era accanto a loro e lo aveva notato. Erano teneri e sapere che stavano cercando di dare un senso più profondo alla loro unione lo faceva sentire contento.
Ron ed Hermione al momento sembravano entusiasti della loro vita matrimoniale senza figli. Da quello che sapeva Harry non ne avevano manco mai parlato e a loro andava bene così.
Ginny sorrideva come se fosse pronta a fare una scommessa con quel 2004, giurando che sarebbe stato l’anno migliore della sua vita.
Arthur e Molly guardavano i figli ed i nipoti con una punta di emozione e soddisfazione. Non avevano desiderato altro se non la felicità per i loro figli.
Lo sguardo vagò anche su una foto di Fred incorniciata e attaccata al muro. Doveva avere circa diciassette anni e ammiccava. Harry non sapeva se l’aveva sempre fatto o se era una di quelle foto che improvvisamente sembravano avere una coscienza e iniziavano ad interagire con gli esseri viventi, ma ebbe l’impressione che stesse ammiccando proprio a lui.
«3…2…1…BUON ANNO!»
Baci, abbracci e auguri riempirono la cucina della Tana. Harry si girò a baciare Ginny per augurarle buon anno, ma quando si staccò, lei trattenne il viso di lui con le mani.
«Buon anno, papà» gli sussurrò all’orecchio.
Harry dovette stringere più forte la flûte di spumante che gli aveva passato Ron, che altrimenti avrebbe rischiato di cadere a terra rovinosamente. Guardò Ginny intensamente e lei ricambiò lo sguardo, i suoi occhi erano scintillanti e sorrideva emozionata. Se non l’avesse conosciuta così bene avrebbe pensato che da un momento all’altro si sarebbe messa a piangere, ma sapeva che stava facendo di tutto per controllare la felicità. La baciò con un po’ troppa foga perché sentì George fischiare seguito da Charlie, ma non se ne curò più di tanto. C’era solo Ginny e quel 2004 che sembrava l’alba di una nuova vita.
Qualche ora più tardi, Harry aveva la testa appoggiata al grembo di Ginny, ancora non riusciva a credere che entro nove mesi sarebbe diventato padre.
«Davvero sei contento, Harry?» gli chiese mentre giocava con i suoi capelli. Harry avrebbe voluto alzare la testa e guardarla negli occhi, ma sentiva il bisogno viscerale di stare accanto a suo figlio o sua figlia.
 «Stai scherzando? Sto già iniziando a fare il conto alla rovescia per i giorni che mancano alla nascita!» esclamò facendola ridere. Harry sentì il riverbero della risata nel suo grembo e si auguro che suo figlio o figlia potesse sentire la felicità che invadeva i genitori.
Ginny continuò ad accarezzargli i capelli, a mano a mano le carezze si fecero più lente ed il suo respiro più pesante. Si era addormentata ed ora che sapeva che aspettava un bambino era ancora più bella di prima. C’era lui, c’era Ginny e c’era quello che era nato da loro amore. Non se lo aspettavano così presto ma come poteva anche solo sentirsi spaventato di fronte a quella felicità? Era molto di più di ciò che si aspettava.
Baciò la pancia della moglie con la speranza di non svegliarla e di far sentire il suo tocco al bambino.
C’era lui, c’era Ginny, e c’era quello che avevano generato con l’amore. Non poteva che sentirsi più felice.
Papà Harry, pensò mentre cadeva nel sonno, suona bene.
E con le mani appoggiate sul ventre ancora piatto di Ginny, come a voler abbracciare il figlio, si addormentò.
 
«Tu pensavi che non lo volessi?» domandò Harry, ancora scettico dopo tanto tempo.
«Be’, avevi detto quando capiterà…» si giustificò. «Pensavo fosse troppo presto…»
Harry la strinse a sé, intenerito dalla premura che sua moglie aveva sempre dimostrato verso di lui. «Sarei stato contento anche se me l’avessi detto il giorno dopo» le disse. Ginny si morse il labbro ed Harry strabuzzò gli occhi. «Lo sapevi già?» chiese calcando il tono sull’ultima parola. La moglie sospirò.
«Ho iniziato a sospettarlo dopo che abbiamo visto quel film horror orrendo, dopo che Andromeda mi ha detto di prendermi cura di noi. Onestamente non so da cosa lo abbia capito, probabilmente era una Legilimens abile almeno quanto sua sorella. Quando ti ho chiesto se volevi dei figli era perché ero andata al San Mungo quella mattina stessa, ormai ero certa di aspettare James…»
«Ed ecco spiegati i fogli che vi passavate tu ed Hermione» dedusse Harry. L’espressione attenta da vecchio Auror in pensione non l’aveva abbandonato.
«Esatto. Poi be’, ad un certo punto non potevo più tenertelo nascosto…» concluse. Harry sorrise. Un po’ si pentiva di averle detto di non volere dei figli subito e di averle dato tante preoccupazioni all’incirca per un mese e mezzo. Ma aveva rimediato ai suoi errori nel tempo e forse inconsapevolmente, visto che non aveva manco capito di aver sbagliato.
«Raccontami un po’ la nascita di James dal tuo punto di vista» aggiunse mordendosi un labbro.
Harry assottigliò gli occhi ricordando quel giorno come se fosse avvenuto il giorno precedente. Ma non poteva privare la moglie di un racconto esilarante. E mentre l’orologio batteva le quattro di notte, Harry cominciò un altro momento della loro storia insieme.  

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Capitolo 44
*** 44. Things you said through teeth (Le cose che hai detto tra i denti). ***


44- 013: Things you said through teeth (Le cose che hai detto tra i denti).
 
I mesi della gravidanza erano andati meglio di come Harry avesse pensato. Aveva scoperto che Ginny non si alzava prima per fargli trovare la colazione pronta, ma per le nausee mattutine tipiche del primo trimestre. Dopo i primi tre mesi le cose avevano iniziato ad andare meglio, fino a che la situazione non si era stabilizzata del tutto. Dal quinto mese in poi avevano iniziato ad avvertire i primi calcetti del bambino. Sebbene ad Harry piacesse sentire suo figlio muoversi, gli faceva piuttosto impressione vedere la pancia di Ginny deformarsi ogni volta che il bambino si muoveva. Rispetto a quanto aveva visto dalla gravidanza di Fleur, Ginny non aveva le voglie e la parte più apprensiva di lui aveva pensato che fosse un segno negativo e che ci fosse qualcosa che non andava nella gestazione della moglie. Ci era voluto quasi un pomeriggio intero e una buona dose di pazienza da parte di Hermione per spiegargli che non tutte le donne vivono la gravidanza allo stesso modo o con gli stessi sintomi. Alla fine si era arreso sia perché non ci fosse cosa che Hermione non conoscesse, sia perché be’ era una donna e ne sapeva di gran lunga più di lui.
Era un pomeriggio di metà agosto, Ginny aveva una pancia enorme perché si stava avviando alla conclusione della gravidanza. Non riusciva a fare quasi più niente, viste le dimensioni del pancione, ma si vedeva che era contenta, anche se le mancava terribilmente il Quidditch. In quella domenica pomeriggio particolarmente calda, stava finendo di leggere un articolo della Gazzetta del Profeta quando Ginny lo interruppe. Aveva la faccia un po’ scossa e si teneva il pancione.
«Harry» lo chiamò. Si morse le labbra come se fosse trafitta da un dolore lancinante. «Mi si sono rotte le acque» continuò a denti stretti. Harry pensò che fosse uno strano modo per dire che si era rotto qualche tubo, ma sorrise tranquillamente. Si alzò e con tutta la calma del mondo si stiracchiò.
«Non ti preoccupare, ora vado a controllare di sopra» rispose.
«Harry» ripeté con una smorfia sofferente «si sono rotte le mie di acque, nostro figlio sta per nascere» sibilò.
D’improvviso Harry non sentì più niente. C’era Ginny appoggiata allo schienale della poltrona, sofferente, ma Harry sentiva solo un ronzio nelle orecchie realizzando solo in quel momento che lui non aveva idea di cosa fare.
Dovevano chiamare la Guaritrice a cui si erano affidati in quei nove mesi? Doveva chiamare Molly? Doveva chiamare Hermione?
«HARRY!» urlò Ginny in preda ad una contrazione. Respirava profondamente cercando di calmare il dolore e stava iniziando a sudare. Anche Harry sudava, ma per il caldo e l’agitazione. L’urlo della moglie, però, servì a svegliarlo dallo stato di trance in cui era caduto.
«Ehm…sì…devo chiamare la Guaritrice…asciugamani e acqua calda…chiamare Molly…» parlava in maniera sconnessa perché la sua testa non riusciva a formulare un pensiero coerente.
«Harry!» esclamò. Gli strinse la mano così forte che per poco non fu Harry ad urlare. «Prima di chiamare qualsiasi altra persona, che ne dici se mi aiuti a salire nella stanza che abbiamo deciso essere il posto in cui nascerà il bambino?» domandò con una strana calma. A dir la verità il fatto che parlasse a denti stretti non era molto rassicurante, ma Harry sapeva che aveva usato tutta la forza di volontà per cercare di calmarlo.
Mentre Ginny faceva respiri profondi, Harry la accompagnò per le scale e la condusse in una delle tre stanze libere. Nei mesi precedenti al parto avevano scelto che la prima porta sulla sinistra sarebbe stata adibita a “sala parto” come la chiamavano i Babbani, era stata un’idea di Ginny perché era la più vicina alle scale. Harry la ringraziò mentalmente per la sua lungimiranza. Dopo averla adagiata a letto mandò i Patroni a Molly, Hermione e alla Guaritrice e rimase con Ginny finché la Guaritrice non bussò con fare insistente alla porta di casa. Abbandonare Ginny in quello stato gli era costato molto, ma o apriva la porta o sarebbe toccato a lui far nascere il figlio e non aveva idea di come si facesse, perciò scese al piano inferiore.
Poco dopo arrivò anche Molly – che si precipitò dalla figlia – seguita da Arthur e poi Ron ed Hermione. Il piano di sopra era off-limts, la Guaritrice e Molly facevano avanti e indietro con asciugamani e pentole con acqua bollente, mentre al piano di sotto Harry voleva morire. Quando suonarono di nuovo alla porta, si stupì di trovare Andromeda. Si era dimenticato che aveva inviato un Patronus anche a lei per avvisarla che Ginny era in travaglio.
«Non hai la faccia di uno che sta per diventare papà» osservò divertita la donna. Harry fece un sorriso tirato e la fece accomodare all’interno della casa che stava diventando decisamente troppo piena.
«Dov’è Teddy?» chiese schiarendosi la voce e passandosi le mani sudate sui jeans.
«Da Bill e Fleur, era lì già prima che mi mandassi il Patronus» rispose.
Salutò Ron, Hermione ed Arthur e poi si sedette nella poltrona di fronte a quella di Arthur. Nonostante stesse sorridendo, Harry riusciva a scorgere in Andromeda una profonda tristezza e solitudine. Probabilmente quei momenti la facevano pensare a Tonks, di quando c’era lei al posto di Arthur, di quando aveva sentito il primo pianto del bambino e probabilmente pensava a quando aveva perso prima il marito, poi la figlia e infine anche il genero. La guerra aveva lasciato ferite su tutti, ma forse su Andromeda erano un po’ più profonde.
Harry, dal canto suo, non riusciva a stare fermo. Andò in cucina cercando qualcosa di fresco da servire agli ospiti. Ogni tanto doveva trattenere l’impulso di salire al piano di sopra per tenere la mano di Ginny o vedere cosa stava succedendo.
«Il primo parto è sempre più lungo» disse la voce di Andromeda. «O così dicono. Io ho avuto una sola figlia e mia figlia…» le si incrinò la voce. «Be’ mia figlia non ha fatto in tempo a darmi altri nipotini oltre Teddy».
Harry annuì. Ginny glielo aveva ripetuto più volte in quei mesi. «Non aspettarti che nasca subito, possono passare anche ore intere prima che il travaglio finisca! Mamma dice che il travaglio di Bill è durato dodici ore».
Ogni volta che Ginny ripeteva quella cosa, Harry sentiva di non invidiare per niente il signor Weasley in quella situazione e si augurava di non dover attendere lui dodici ore. Anche se erano lì dentro da un’ora e mezza e ancora non davano notizie.
«Sì, Ginny mi aveva avvisato» rispose prendendo dei bicchieri di vetro e il succo di zucca dal frigo. Avrebbe potuto chiamarli con un incantesimo di Appello, ma aveva bisogno di muoversi.
«C’è altro, vero?» domandò gentilmente. Harry si chiese se fosse una Legilimens. Se fosse stato più piccolo probabilmente avrebbe detto di no. Ma era un adulto e stava per diventare padre.
«Sono terrorizzato» ammise. «Ho paura e non ho idea di cose si faccia ad essere un padre» continuò. «Non vorrei viziarlo, ma vorrei che non gli mancasse niente. Sono cresciuto avendo praticamente niente, né una famiglia, né l’amore dei mei genitori, non ho avuto manco dei giocattoli. Io vorrei che avesse tutto quello che non ho avuto io…» disse. Andromeda lo guardò con gli occhi leggermente lucidi.
«Non c’è un manuale di istruzioni. Tu e Ginny sbaglierete così tante volte senza rendervene conto e non potrete evitare di farlo. Forse non lo capirete manco subito ma è proprio sbagliando che capirete come si fa» rispose Andromeda. Era una risposta un po’ ovvia e soprattutto non era quella che si aspettava, ma non poteva farci niente. «Hai fatto ragionare Remus e l’hai fatto tornare a casa. Sarai un buon padre, Harry» aggiunse.
Harry alzò lo sguardo e la guardò negli occhi ringraziandola tacitamente. Sentiva una strana serenità che stava spazzando via il terrore di quello che sarebbe potuto succedere. Sorrise grato e poi portò il succo di zucca agli ospiti.
Ci vollero un altro paio di ore prima che la Guaritrice scendesse, era sudata e lo stretto chignon che teneva stetti i suoi capelli era leggermente allentato. Harry la guardò in un misto di apprensione e gioia e lei sorrise. «Può salire» disse semplicemente rivolto ad Harry. Ron gli diede una pacca sorridente mentre Harry si fiondava per le scale.
Quando entrò nella stanza – sia benedetta Ginny che aveva scelto la stanza più vicina alle scale – Molly era ancora accanto a Ginny. Le accarezzava il volto mentre Ginny era assorta a guardare il figlio. Entrambe si girarono quando sentirono Harry entrare.
«Vi lascio da soli» mormorò sua suocera. Harry si avvicinò a Ginny e le baciò la fronte ancora umida. Quando vide il bambino il suo cuore fece una capriola. Dormiva tra le braccia della madre, aveva i capelli tra il castano ed il rosso. Per la prima volta Harry si trovò a sperare che avesse gli occhi di Ginny, anche se non sarebbe stato facile resistergli.
«È un maschietto» disse Ginny baciando il nasino del bimbo. Harry si sentiva abbastanza provato dalla situazione, avrebbe voluto dire qualcosa ma sentiva la bocca asciuttissima. Le parole di Andromeda di poco prima riecheggiavano nella sua testa.
«È bellissimo, proprio come te» fu l’unica cosa che riuscì a dire. Lo guardava dormire e sentiva che il male nel mondo aveva cessato di esistere, i ricordi della guerra erano solo un brutto incubo, la sua infanzia il ricordo di una vita vissuta da qualcun altro. Più volte in quei mesi gli avevano detto che un figlio cambia la vita, ma Harry non pensava nell’immediato. Sentì Ginny ridacchiare. «Dobbiamo dargli un nome» osservò senza staccare gli occhi dal neonato.
«Oh, ma sai già qual è il suo nome. L’hai sempre saputo…» rispose la moglie. Incredibile come dopo ore di travaglio riuscisse ad essere più lucida ed enigmatica di lui. La guardò confusa per un attimo.
«James» mormorò. Sul volto di Ginny si aprì un sorriso luminoso.
«Avrei una proposta per il secondo nome». Harry aveva pensato più volte che, giustamente, Ginny avrebbe voluto mettere il nome di suo fratello ad un ipotetico figlio maschio, e a lui andava bene. Perciò era pronto a sentire il nome di Fred uscire dalle sue labbra. La invitò a proseguire con lo sguardo. «Sirius» disse invece.
Harry strabuzzò gli occhi. «Sirius?» chiese confuso e Ginny annuì.
«Tu non lo sai, ma…» sospirò cercando le parole. Vide gli occhi di lei riempirsi di lacrime e si chiese il perchè di quella reazione. «Ha creduto in noi prima ancora che esistesse un noi» completò. Harry non sapeva a cosa si riferisse ma doveva essere qualcosa di importante se Ginny desiderava chiamare il loro bambino col suo nome.
«James Sirius» ripeté. «Non suona male insieme» decise alla fine. Ginny gli passò il figlio tra le braccia, Harry lo prese con un po’ di fatica ma quando sentì il suo calore per poco non gli esplose il cuore dalla gioia. Stava tenendo in braccio suo figlio. Gli diede un piccolo ma lungo bacio. «Benvenuto James Sirius Potter, ti stavamo aspettando» sussurrò al suo orecchio.
 
«Poi hai capito quale tubo perdeva?» chiese Ginny facendosi beffe del marito. Harry rispose con un sorriso finto.
«E dai» si lamentò. «Era il primo figlio, è concesso sbagliare!» esclamò indispettito.
Nonostante ormai avessero entrambi i capelli grigi, il volto segnato dal tempo, le rughe incorniciavano la loro pelle, ai loro occhi rimanevano sempre giovani e innamorati come il primo momento.
«Hai ragione» convenne la moglie alzando le mani in segno di resa.
«Sono l’ex prescelto, certo che ho ragione!» esclamò quasi indignato Harry. Ginny alzò gli occhi al cielo consapevole che facesse in quel modo solo per riprendersi dall’imbarazzo della storia. Dopo tanti anni si stupiva ancora che Harry potesse intenerirla.
«Vorrei sentire il tuo parere anche sulle altre gravidanze» gli propose.
«Ma non sono state così ridicole come quella di James» le ricordò.
«Intendo quando ti ho detto di aspettare Albus e Lily» specificò la moglie. Harry fece un gesto di assenso come segno di aver capito e iniziò a raccontare quelle storie che Ginny conosceva solo dal suo punto di vista.

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Capitolo 45
*** 45. Things you said when you kissed me goodnight (Le cose che hai detto durante il bacio della buonanotte). ***


45- 034: Things you said when you kissed me goodnight (Le cose che hai detto durante il bacio della buonanotte).
 
Da quando era nato James, Harry sentiva che ricercare gli Horcrux per mesi interi in giro per l’Inghilterra, era stato di gran lunga meno sfiancante. Il suo pargoletto, oltre ad avere un eccesso di energia che Harry si chiedeva dove potesse prenderla, aveva anche l’abitudine di tenere svegli i genitori di notte o di impiegare ore intere ad addormentarsi. Harry sospettava che Ginny gli mettesse qualche pozione energizzante nella pappa perché quel bambino sfiorava l’iperattività. E non aveva manco un anno.
Aveva iniziato a muovere i primi passi e la situazione era peggiorata ulteriormente, di positivo c’era che camminare richiedeva un po’ più di energia, quindi si stancava di più. Con Ginny avevano deciso di mettere a letto il bambino a turno: un giorno toccava ad Harry, un giorno toccava a Ginny. Era un compromesso adatto per evitare che solo uno dei due raggiungesse la pazzia totale.
Harry si buttò stancamente sul letto dopo un’intensa sessione di “Acchiappa il Boccino” con James. Il gioco consisteva nel prendere un boccino giocattolo, farlo volare vicino alla faccia di James che si sbracciava con le sue piccole braccia per raggiungerlo. Spesso ci riusciva ed Harry aveva intuito, con una punta di orgoglio, che la sua abilità da cercatore era stata tramandata al figlio. Con Ginny avevano appurato James aveva bisogno di quello per cadere nel mondo dei sogni.
Vedendolo stravolto, Ginny gli passò una mano sulla spalla per confortarlo, aveva un sorriso debole e quasi colpevole sul volto. Harry avrebbe voluto sapere perché ma la parte troppo stanca di lui suggerì che il giorno dopo sarebbe stato il giorno perfetto per sapere ciò che Ginny aveva da dirgli.
«Pesto avrà un cuginetto o una cuginetta come vicino di casa per sfogare la sua energia» lo rassicurò. Ginny si riferiva ad Hermione e Ron ai quali mancavano pochi mesi per la nascita del loro primo figlio o figlia.
«E se è tutto cervello come Hermione? Non andranno mai d’accordo con James» le fece notare. Ginny, suo malgrado, si trovò ad annuire.
«Detesto darti ragione» ammise. «Ma c’è un 50% di possibilità che prenda da Ron e a quel punto sarebbero pappa e ciccia con James» si riprese. Harry assunse un’espressione pensierosa.
«T’immagini la versione femminile di James?» domandò sovrappensiero. Ginny si accigliò. Poi si rese conto di come potesse suonare la domanda. «Non ti sto chiedendo un altro bambino!» esclamò ma suonava ancora peggio della prima espressione. «Cioè non subito» chiarì. Improvvisamente si ricordò del disguido avvenuto quando Ginny era rimasta incinta di James e si mise seduto sul letto guardando la moglie, agitato. «Ma se dovesse capitare subito andrebbe bene comunque» concluse. Ginny ridacchiò, probabilmente non aveva intuito il panico che aveva provato Harry o se l’aveva fatto, l’aveva divertita.
«Ho afferrato il concetto» chiarì. «Ma lo sai che potremmo non avere mai una femmina?» gli fece notare.
In realtà Harry non si era mai posto quel problema, voleva una famiglia, indipendentemente dal sesso del nascituro. Non aveva mai avuto fratelli o sorelle e neanche dei genitori ma al momento era tutto ciò che desiderava per suo figlio. Desiderava che si realizzasse nella vita, ma ora voleva solo che fosse pieno di amore, di giocattoli, di zii e di cugini. Harry alzò le spalle guardando la moglie. La luce dell’abatjour sul comodino rendeva la sua figura in controluce ma lui riusciva a scorgerne ugualmente la bellezza.
Non seppe bene perché lo fece, ma sentì lo stimolo di abbracciarla, di farle appoggiare la sua testa al suo petto e di accarezzarle i capelli piano, per rilassarla e scivolare nel sonno insieme a lei. Era da tanto che non si concedevano a tenerezze come quelle. Da circa un mese, Harry era diventato Capo dell’Ufficio degli Auror e finalmente aveva compreso perché il vecchio capo Crawley aveva insistito per fargli analizzare ogni singolo processo degli ultimi dieci anni. Era stata una svolta importante per la sua carriera che Harry stesso non si aspettava. Ginny gli aveva detto che era sicura che prima o poi sarebbe arrivato in alto perché, secondo lei, «Nessuno resiste agli occhi verdi del Prescelto».
Mentre accarezzava i capelli rossi della moglie, alzò gli occhi verdi per guardare la pergamena che riportava la filastrocca di San Valentino scritta da Ginny durante il suo secondo anno. «Credo dovremmo insegnarla a James» disse convinto. Ginny rise.
«Così che possa vergognarsi meglio di sua madre?» domandò divertita. Anche Harry rise.
«Apprezzerà la tua vena poetica, te l’assicuro» rispose. «Credimi, mi hanno scritte tante – troppe – lettere di ammirazione ma nessuna batte “Occhi verdi e lucenti di rospo in salamoia”». Ginny rise di cuore ed Harry la seguì a ruota.
«Mi dispiace che James non abbia i tuoi occhi» ammise con un po’ di rammarico nella voce.
«Io no» disse sinceramente. «Amo i tuoi occhi e amo poterli vedere ogni giorno negli occhi di nostro figlio». Ginny lo strinse un po’ più forte.
Col fatto che James era piuttosto irrequieto, era raro che riuscissero a trovare dei momenti solo per loro. Harry sarebbe voluto rimanere sveglio tutto la notte pur di rimanere abbracciato alla moglie ad accarezzarle i capelli. Ginny sospirò e poi si sollevò per baciarlo. Gli diede un bacio lungo e lento, un bacio che non gli dava da troppo tempo, secondo Harry, e di cui si beò ricambiando. Cercò di approfondire il bacio e sentì Ginny sorridere. «Sono incinta» disse sulle sue labbra.
Harry sgranò gli occhi e si staccò. Non si aspettava un altro bambino così presto ma dopo essersi ripreso da shock iniziale tornò a baciare la moglie approfondendo quel bacio che avevano interrotto. Poi scese a baciarle il collo ed il corpo attraverso il tessuto del pigiama. Poi arrivò al ventre dove depositò un bacio più lungo degli altri.
«Ciao piccolo o piccola, non vedo l’ora di vederti» sussurrò.   
 
«Quella volta mi sono quasi commossa» disse Ginny una volta che si fu ripresa dal racconto. Harry alzò le braccia al cielo in segno di vittoria.
«Sono riuscito a far commuovere Ginny Weasley!» esclamò come se avesse catturato il Boccino della partita di Quidditch più importante della sua vita.
«Erano gli ormoni, non eri tu» sibilò divertita dai gesti del marito.
«Non importa, me ne prenderò il merito per il resto della vita che mi rimane» rispose con noncuranza alzando le spalle.
La notte fuori dalla finestra continuava ad avanzare ma nessuno dei due se ne curava. Proprio come tanti anni prima, avevano voglia di rimanere lì tutta la notte a godere della presenza reciproca, senza preoccuparsi del giorno dopo. Harry baciò la moglie con lo stesso trasporto di sempre, poi appoggiò la fronte della moglie e iniziò a raccontare dell’ultima volta che aveva ricevuto una notizia così tanto bella.

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Capitolo 46
*** 46. Things you said at 1 am (Le cose che hai detto all’una di notte). ***


46- 010: Things you said at 1 am (Le cose che hai detto all’una di notte).
 
Harry si svegliò sentendo uno dei suoi due figli piangere, si stava alzando ma Ginny fu più veloce. «Vado io» disse «Hai già messo a letto i bambini, ci penso io a calmarlo». Harry rimase nel suo letto caldo in attesa che la moglie tornasse. Sentendo le strilla del bambino, capì che si trattava di Albus. Erano finiti i tempi in cui aveva le coliche o si svegliava affamato nel cuore della notte e voleva essere allattato, perciò doveva trattarsi di qualche incubo o James si era svegliato e gli aveva tirato qualche oggetto addosso.
Avevano due bambini e non potevano essere così diversi fra loro, James era iperattivo, giocava molto e scherzava. Aveva già adocchiato il neonato cugino Fred, secondo figlio di George e Angelina, che in soli quindici giorni dalla nascita aveva rischiato la vita più di quanto avesse fatto Harry nei suoi anni ad Hogwarts.
Albus, invece, era molto calmo. Spesso anziché iniziare a giocare con il gioco che gli veniva regalato, cercava di capire com’era fatto. Aveva solo due anni ma ogni volta che suo fratello gli lanciava qualche cosa addosso, lui non provava l’impulso di tirargli i capelli come avrebbe fatto un bambino qualsiasi, ma meditava una vendetta da infliggere al maggiore nel momento in cui meno se lo aspettavano.
L’unica cosa che sembravano avere in comune era il Quidditch, anche se Albus sembrava molto meno incline, rispetto a James, ad afferrare il boccino.
Il pianto del bambino sembrava essersi placato o semplicemente si era fatto meno forti, Harry aprì gli occhi per vedere l’ora. L’orologio segnava l’una di notte. In fin dei conti, avevano appena iniziato a dormire delle notti intere di fila senza che qualche figlio interrompesse il loro sonno, non potevano aspettarsi che durasse per sempre.
Ginny tornò nella stanza con passo leggero, forse convinta che Harry stesse dormendo, si sdraiò nel suo lato di letto ed Harry si girò per stringerla da dietro. Inspirò un po’ del suo odore, sentendo quel lieve profumo floreale misto all’odore di pasta per bambini. «Che aveva?» domandò con la testa appoggiata sulla sua spalla. Ginny si accoccolò meglio in quell’abbraccio.
«Niente» rispose. «Un incubo» rispose. Aveva ancora la voce impastata dal sonno ed Harry amava sentire la voce di Ginny in quel modo. Non sapeva perché gli dava l’idea di un qualcosa di quotidiano. «Ha sognato che io, te e James venivano mangiati da un leone, lui urlava di smetterla e voleva correre dal leone, ma il leone non lo sentiva e aveva le gambe troppo corte per correre più veloce» spiegò. Harry soffocò una risata perché non era bello ridere degli incubi di suo figlio, ma in parte capiva da cosa era causato quel sogno.
«Io so perché ha fatto un sogno del genere» ammise, sempre abbracciato alla moglie.
«Fammi indovinare, è colpa di James?» ipotizzò ghignando.
«Esatto» ammise. «Gli ha raccontato che o cresce o con quelle gambe non riuscirà mai a correre decentemente» raccontò. «La storia del leone non so come sia venuta fuori».
«Forse qualche favola che gli hanno raccontato all’asilo Babbano» rispose poco convinta la moglie. Infatti, per permettere ad entrambi di ricominciare a lavorare, avevano deciso di iscrivere sia James che Albus all’asilo Babbano di Godric’s Hollow, sperando che con qualche magia involontaria non lo distruggessero prima del tempo.
«Perché James ha preso la parte peggiore di me e di te?» domandò sconsolata. «Dove abbiamo sbagliato?»
Harry rise lascandole un bacio sulla spalla. Effettivamente era strano che in James si concentrassero entrambe le personalità esplosive di Harry e Ginny, cercavano di mitigarle ogni tanto, ma aveva solo tre anni – quasi quattro – ed era piuttosto difficile. Ginny sosteneva che avere avuto un fratellino così presto aveva accentuato il lato esplosivo del suo carattere, perché aveva avuto davvero poco tempo per stare solo lui con i suoi genitori.  «Harry, devo dirti una cosa» disse Ginny con voce ferma. Si sciolse dall’abbraccio per girarsi verso di lui e guardarlo negli occhi.
«Dimmi» la incalzò. Il terrore che potesse dirgli qualcosa di grave o di brutto, come aveva spesso temuto quando erano fidanzati o i primi tempi del matrimonio, ormai era un lontano ricordo. Erano una coppia solida e sapeva che Ginny non gli avrebbe mai fatto del male. Non intenzionalmente, almeno.
«Ho intenzione di lasciare la squadra» sebbene fossero al buio, Harry sapeva che lo stava guardando negli occhi.
Doveva ammettere che non si aspettava una cosa del genere, Ginny amava il Quidditch almeno quanto amava James ed Albus (Harry era convinto amasse più i figli che lui a loro faceva sempre la torta alla melassa quando la chiedevano, lui doveva sempre implorare tutti i Fondatori di Hogwarts, Merlino e Morgana per averla).
«Perché? Tu ami il tuo lavoro» chiese sedendosi e appoggiando la schiena alla testiera del letto. Uscire dalle lenzuola gli provocò dei brividi che però ignorò preso dalla conversazione con la moglie.
«Non riesco a stare dietro ai bambini, deve sempre andare mia madre a prenderli all’asilo, ma non ha solo i nostri nipoti, ne ha altri…» si bloccò pensando a quanti altri nipoti avesse Molly Weasley, poi scosse la testa. «Non importa quanti, ne ha altri. Non può dedicarsi a fare la nonna a tempo pieno solo per noi!» esclamò.
«Ma ve la siete cavata bene fino ad ora, no?» chiese quasi speranzoso. Harry nel frattempo aveva cominciato a valutare, in cuor suo, se fosse il caso di lasciare il Quidditch per la famiglia, era il suo sogno più grande, ricordava ancora quando glielo aveva comunicato via telefono, anni prima. Sarebbe stato troppo chiederle di rinunciare al suo sogno.
«È stato molto difficile, Harry» ammise. «Un giorno io sono a giocare in trasferta, un altro giorno tu sei in missione. Ti sei reso conto che questa settimana è la prima volta che dormiamo a casa?» chiese. Anche lei era seduta con la schiena appoggiata alla testiera. Harry si rese conto che sabato e domenica, Ginny era stata a giocare a Glasgow, mentre invece dal lunedì al giovedì Harry stato in missione ad Edimburgo. Era tornato appena poche ore prima. Tentennò. Avrebbe voluto rinunciare lui a qualcosa purché sua moglie continuasse a giocare. «E poi c’è un’altra cosa» aggiunse torturando il lenzuolo. Harry l’incoraggiò a continuare. «Aspetto un bambino».
Un’espressione stupita si formò sul suo volto, incapace di comprendere come, per la terza volta, non fosse stato in grado di comprendere la gravidanza della moglie. Ripresosi dallo shock, sorrise e baciò piano prima le labbra di Ginny, e poi la fronte. Come di consuetudine si avvicinò al ventre e sussurrò: «Mi dispiace per te, ma avrai due fratelli insopportabili». Ginny rise di gusto e ben presto anche Harry si aggiunse alla risata.
Per le parole dolci ci sarebbero stati nove lunghi mesi disponibili.
 
«Perché mi hai detto di essere incinta sempre di notte?» domandò. Non si era mai fermato a riflettere su quel particolare ma era vero. Gli aveva detto di James la notte di Capodanno, di Albus mentre gli dava il bacio della buonanotte e di Lily dopo che aveva calmato un incubo di Al.
«La prima volta è stata una casualità. Poi le altre volte c’era sempre confusione durante il giorno per dirtelo…» rispose alzando le spalle. Harry annuì ricordando quanto fossero frenetiche con tre figli come James, Albus e Lily che non conoscevano riposo.
«Stiamo giungendo quasi alla fine» osservò Harry mesto. Aveva la voce incrinata perché non voleva che quel momento di dolcezza con sua moglie finisse. «Siamo stati svegli tutta la notte…» aggiunse osservando il cielo che cominciava a schiarirsi. Anche Ginny sembrava sorpresa di notare quanto tempo fosse passato da quando avevano iniziato a raccontare. Poi scosse la testa, come se quel pensiero triste potesse andare via con quel movimento.
«Ci rimangono ancora un po’ di storie» disse decisa. «Hai parlato troppo, adesso tocca a me raccontare qualcosa» affermò facendo girare la testa del marito verso di lei. Non le importava del sole che sorgeva o della notte che giungeva al termine, doveva concentrarsi sulla storia e sul racconto che aveva scelto di narrare.

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Capitolo 47
*** 47. Things you said you’ll never forget (Le cose che hai detto e che non dimenticherai mai). ***


47- 025: Things you said you’ll never forget (Le cose che hai detto e che non dimenticherai mai).
 
Dopo la nascita dell’ultima dei Potter, Lily Luna, Ginny aveva definitivamente mollato il Quidditch. Il suo sogno da quando aveva iniziato a giocare nella squadra, era quello di prendere parte almeno ad un campionato nazionale, e ce l’aveva fatta, aveva partecipato a quello del 2006. Da quel momento in poi aveva iniziato a valutare l’opzione di ritirarsi dallo sport. Sua madre stava iniziando ad invecchiare e non aveva solo i suoi figli a cui badare, né tantomeno voleva essere la zia in carriera che toglie la nonna agli altri nipoti. Quando aveva scoperto di essere incinta di Lily, poi, aveva praticamente deciso. Ne aveva parlato con Harry che per i primi giorni si era mostrato reticente alla sua scelta, e poi con Gwenog che nonostante fosse rammaricata di perdere una delle migliori giocatrici, era felice che lo avesse fatto per la famiglia e non per un compenso maggiore.
Era rimasta sempre nell’ambito dello sport, ad ogni modo. Dopo la comunicazione ufficiale di aver abbandonato la squadra, Seamus, compagno di dormitorio di Harry ai tempi della scuola e ora direttore della Gazzetta del Profeta, le aveva offerto un posto nella redazione del giornale nella rubrica sportiva.
Considerando la gravidanza di Ginny, per i primi tempi aveva lavorato semplicemente in redazione e lavorava part-time, poi dopo la nascita di Lily e dopo aver esaurito i mesi della maternità aveva iniziato a lavorare anche come telecronista delle partite di Quidditch. Non le era parso strano quando aveva scoperto che uno dei suoi colleghi era proprio Lee Jordan, telecronista delle partite ad Hogwarts.
In quella fresca serata estiva aveva proposto ad Harry e ai suoi figli di fare un picnic in giardino. James, Albus e Lily si erano dimostrati del tutto entusiasti. Lily, che ormai aveva due anni, aveva iniziato a saltellare e i due adulti avevano iniziato a temere per i soprammobili che avevano in casa, James era corso in giardino seguito da Albus erano andati d’accordo per circa due secondi, poi avevano iniziato a litigare.
«Se non la smettete subito non facciamo nessun picnic!» li ammonì Ginny con la piccola di casa in braccio, prima che attentasse davvero alla loro casa.
«Ttupidi!» borbottò Lily incrociando le braccia e mettendo il labbro in fuori in una posa che ricordava molto Ginny.
«Vostra sorella è più piccola di voi ma è più saggia» intervenne Harry. «Io e la mamma abbiamo deciso di fare qualcosa di diverso, non fatecene pentire».
Ginny alzò gli occhi al cielo, detestava quando suo marito faceva l’Auror caritatevole davanti ai loro figli che facevano qualche cosa di sbagliato. A volte ci voleva mano ferma per far capire a quei due che picchiarsi o buttarsi sull’erba e urlarsi addosso, non era la soluzione dei loro litigi da bambini. Quattro anni prima, quando era nato Albus, Ginny aveva sperato che James prima o poi si sarebbe calmato. Adesso pensava che probabilmente si sarebbe calmato solo sotto un Pietrificus Totalus. Sospirò guardando torva il marito. C’era un solo modo per tenere separati i bambini: dividere i compiti.
«Papà ha ragione» cominciò spalleggiando Harry che la guardò grato. «Se vogliamo fare il picnic stasera dobbiamo iniziare a preparare, quindi James, tu vieni in cucina a preparare i panini con me e Lily e Albus e papà apparecchiano il giardino, ok?» non stava realmente chiedendo loro cosa ne pensassero della suddivisione, l’aveva posta sottoforma di domanda solo per apparire più gentile. I figli parvero intuirlo perché annuirono.
James si accostò a Ginny e Albus invece andò vicino al padre.
La preparazione del picnic andò meglio di quanto Ginny aveva creduto, dividere i figli si era rivelata – come sempre – la strategia migliore. Si chiedeva spesso dove lei ed Harry avessero sbagliato con i primi due figli. Un po’ aveva dato la colpa alla vicinanza di età, poi alla gelosia tipica dei fratelli. Fleur – che adesso era incinta del terzo figlio – e sua madre avevano rassicurato che presto avrebbero smesso di litigare, ma Ginny non ne era così sicura. Cercò di allontanare quei pensieri dalla testa e si godette il tempo con James e Lily che si impiastricciavano le mani con la maionese. Per fortuna erano dei maghi e bastava un colpo di bacchetta per far sparire le macchie. Si erano divertiti a sporcarsi a vicenda, e lo avevano fatto senza scatenare crisi di pianto isteriche, cosa che stupì Ginny. Dopo aver terminato la preparazione della cena, erano riusciti a giocare pure una piccola partita di Quidditch a due metri da terra. Lily, ovviamente, era in sella alla scopa di Harry. 
«Arrenditi, papà, mamma è più forte di te!» esclamò James una volta che fu sceso dalla sua scopa giocattolo.
«Avrei da ridire» sentenziò Harry Potter divertito.
«Taci, Potter. I bambini sono la voce della verità» lo pungolò. Harry arricciò il labbro in una risata.
«Papà, però James ha ragione. Insomma, mamma ha giocato alla Coppa del Mondo! Tu al massimo alla Coppa delle Case!» esclamò il piccolo Albus. La risposta stupì tanto Ginny quanto Harry.
Non solo aveva dato ragione a James, ma aveva anche messo KO nientedimeno che Harry Potter in persona che adesso lo guardava con tanto d’occhi.
«Che ci vuoi fare, Harry, sono tutti dalla mia parte» sospirò Ginny facendo l’occhiolino e baciando il marito.
«Che cchifo» disse Lily. «Voio ccendere così puoi baciare papà lontano da me» borbottò. I genitori scoppiarono a ridere e Ginny mise giù la più piccola di casa.
«Il cinismo l’ha ereditato tutto da te» le sussurrò Harry all’orecchio, forse per ricomporre l’orgoglio ferito dai figli. Ginny ridacchiò, poi avvisò i figli di andare a lavarsi le mani così da iniziare a portare il cibo sulla tovaglia che Harry ed Al avevano allestito per la sera.
«Siete stati bravi» disse osservando la tovaglia a quadri stesa sul prato. C’erano cinque posti, i fazzoletti e succo di zucca al centro e i bicchieri in corrispondenza dei cinque posti.
«Non saprò giocare a Quidditch, ma so ancora apparecchiare per un picnic» appuntò tra l’offeso e il divertito. Sentiva i bambini correre per casa, segno che erano ancora vivi e James ed Albus non si erano scagliati un Avada Kedravra accidentale.
«Dai, lo dicono solo perché sono la loro mamma!» esclamò dandogli un leggero pizzicotto sul braccio. Con uno scatto repentino, degno dei migliori riflessi di un Cercatore, Harry la avvicinò a sé per la vita e le diede un bacio profondo.
«Se sapessero cosa vorrei fare alla loro mamma stasera» rispose malizioso.
«Harry!» esclamò di scatto dandogli un colpetto sul petto. I bambini arrivarono correndo e i due coniugi si staccarono. Ginny mise il bavaglio a Lily mentre i due grandi si sedettero vicini. Harry la guardò allarmato e Ginny ricambiò lo sguardo con altrettanta preoccupazione.
«Mi posso mettere fra di voi?» propose Harry. Ma i due scossero la testa.
«Hanno fatto un patto!» esclamò con voce stridula Lily, indicandoli con l’indice piccolino.
«Lily!» esclamò James.
«Era un segreto!» si accodò Albus.
«E tu l’hai appena detto!» concluse James con aria melodrammatica.
«Ops!» rispose la bambina tappandosi la bocca ma Ginny notò che rideva.
La conversazione cadde così Harry e Ginny decisero di non indagare oltre sul patto, si erano solo accertati che il patto con includesse l’omicidio o il ferimento di uno dei due e poi iniziarono a mangiare i panini che avevano preparato nel pomeriggio.
Era tutto perfetto: l’aria non era troppo calda, i panini erano ottimi, James ed Albus sembravano essere diventati grandi nel tragitto dal giardino al bagno e loro erano contenti. Quasi sentì gli occhi pungerle notando quanto era felice. Si rese conto in quell’attimo che lei dalla vita non aveva desiderato altro che quello e proprio con Harry al suo fianco. Non le importava del Quidditch, della squadra, della gloria o di chissà quali altre cose, l’amore per la sua famiglia era tanto grande da non avere altro spazio nel cuore. Accarezzò i capelli della piccola Lily che sembrava appesantita dalla cena e stava lentamente scivolando nel sonno e guardò James ed Albus confabulare qualcosa stesi sulla coperta che prima era stata la tovaglia. Lei era appoggiata alla spalla di Harry che la stringeva piano, accarezzandole il braccio. Ginny gli lasciò un leggero bacio sulla linea della mascella e lui ricambiò baciandole la testa.
«Non avrei potuto chiedere di meglio dalla vita» disse quasi in un sussurro. Harry la strinse un po’ più forte per confermare che anche lui pensava la stessa cosa. Rimasero sotto le stelle estive ancora per un po’ di tempo, poi video Al girarsi di lato, segno che si era addormentato e cominciarono a sistemare e portare i bambini a letto. Diede un bacio a ciascuno di loro e ad ogni bacio ringraziava Harry per aver reso possibile quelle tre piccole pesti.
 
«Sono sempre stato convinto che ami più i nostri figli che me!» esclamò offeso. Vedere un uomo anziano offeso perché la moglie ama più i figli che lui era un’idea che faceva ridere Ginny in partenza, se poi l’uomo in questione era Harry, non poteva trattenere le risate. «Hai mai scoperto qual era il patto di James ed Al?» domandò poi cambiando discorso.
«Certo» confermò. Il marito la guardò con interesse. «I nostri tre piccoli bambini si erano alleati per collaborare e creare disastri» iniziò. «Cioè, hanno smesso di picchiarsi a vicenda e di litigare perché sono diventati un’associazione a delinquere per farci uscire pazzi» spiegò poi in maniera più diretta.
«Meno male che ne abbiamo avuti solo tre» sospirò Harry e Ginny rise. Poi si fece seria.
«Devo confessarti una cosa» ammise guardandolo.
«Cioè?» chiese alzando il sopracciglio.
«Non sei stato l’unico ad origliare una conversazione» confessò. Vide molteplici espressioni passare sul volto del Salvatore del Mondo Magico. Quella finale era quasi soddisfatta.
«Bene, non sono l’unico peccatore della famiglia!» esclamò sodisfatto. «Ti prego, raccontami tutta la storia» aggiunse.
Ginny lo guardò con aria di sfida, sapeva che la sua confessione non era tanto grave quanto quella di Harry di qualche ora prima, ma sapeva anche che probabilmente si sarebbe vergognato da morire. Sospirando ritornò a quella sera invernale, quando ormai i maggiori erano a letto e solo la piccola Lily opponeva resistenza. 

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Capitolo 48
*** 48. Things you said when no one else was around (Le cose che hai detto quando non c’era nessuno intorno a te). ***


48- 049: Things you said when no one else was around (Le cose che hai detto quando non c’era nessuno intorno a te).
 
Ginny stava mettendo a dormire James ed Albus quando la neve aveva iniziato a cadere. I bambini erano abituati alla neve nel periodo che precedeva Natale, ma ogni volta era come se la vedessero per la prima volta. Avevano attaccato i loro nasi alla finestra e avevano implorato la mamma di uscire a giocare ma Ginny era stata irremovibile e aveva detto loro che era ora di andare a letto. Non era ancora Natale, James avrebbe avuto la scuola Babbana il giorno dopo e lo stesso Albus e Lily che dovevano andare all’asilo. Si erano rintanati sotto i loro piumoni scaldati da un incantesimo di Ginny e poi, sotto le carezze della madre erano caduti nel mondo dei sogni.
Prima di lasciare la stanza, Ginny si perse a fissare le teste arruffate dei suoi bambini e, spegnendo la luce, sentì il cuore ricolmo di gioia. Lasciò la stanza dei due figli maggiori e si diresse verso la stanza di Lily, dove Harry la stava sistemando per andare a dormire. Stava per entrare ma dalla fessura della porta, vide Harry tenere in braccio la piccolina di appena tre anni e dondolare insieme a lei. Erano così teneri che a Ginny sarebbe dispiaciuto interrompere quella scena. Rimase ferma dietro l’uscio sentendosi una ladra in casa propria. La figlia stava quasi per addormentarsi sulla spalla del padre e a Ginny davano l’impressione che stessero danzando insieme. Lily disse qualcosa al padre che Ginny non sentì. Poi improvvisamente sentì Harry iniziare a cantare. Intonava una melodia che lei non conosceva, dovette sforzarsi un po’ per sentire le parole, tanto cantava piano.
«…corvo in volo, vorrei che fosse mio – quale divina gioia – l’eroe che ha sgominato del Mago Oscuro il dolo» Ginny dovette mordersi un labbro per non scoppiare a ridere. Harry stava cantando il san Valentino che Ginny aveva regalato ad Harry nel lontano 1992, a loro figlia che sembrava sorridere soddisfatta. Era una scena tenera e Ginny si stava facendo quasi una volenza fisica a rimanere fuori dalla porta. Quando vide Harry mettere Lily dentro il letto si accostò al muro con le mani dietro la schiena. Non voleva fargli capire che aveva origliato la sua performance canterina, conosceva abbastanza bene Harry da sapere che certe cose le avrebbe fatte solo per sua figlia.
«Dorme?» gli chiese solamente quando furono solo loro due nel corridoio di colore rosso. Harry annuì.
«C’ha messo un po’ ma alla fine è crollata» ammise.
«Già, anche con James ed Albus non è stato semplice, poi quando ha iniziato a nevicare volevano scendere per forza sotto a giocare» convenne Ginny.
Harry la prese per mano e insieme scesero in salotto. Si sedettero davanti alla grande vetrata che dava sul giardino per guardare la prima neve dell’anno. Con tre figli piccoli era piuttosto difficile ritagliarsi dei momenti solo per loro. Era bello stare seduta per terra con Harry e guardare la neve cadere, forse era la prima volta che lo facevano da quando stavano insieme.
«Domani sarà un problema farli alzare per andare a scuola e all’asilo» osservò Harry, ritornando al discorso che avevano interrotto prima di scendere.
«James domani mattina strillerà» si accodò Ginny con un tono disperato. Farli andare a dormire, così come svegliarli per andare a scuola, era un compito difficile come quelli che assegnava Piton ai suoi studenti durante Hogwarts.
«Albus insterà che fa freddo e devono stare in casa…» continuò Harry. Si tenevano ancora per mano e guardavano l’esterno, autocommiserandosi al pensiero della sveglia del giorno dopo.
«E Lily mi pregherà di scendere sotto a fare un pupazzo» concluse Ginny.
Era il solito copione ogni volta che iniziava a nevicare. Ormai erano abituati. Harry la guardò incerto, come se volesse chiedergli qualcosa ma non avesse il coraggio di farlo.
«Che c’è?» chiese. Era consapevole che se non lo avesse chiesto, Harry avrebbe taciuto e non le avrebbe detto niente.
«Pensavo che domani potremmo prenderci un giorno di ferie e fare davvero un pupazzo di neve con i bambini» propose. La voce non era proprio convinta, probabilmente temeva un rifiuto da parte della moglie, che si riempì i polmoni d’aria per dare una risposta negativa. Era lì lì per rispondere, quando la sua mente riprodusse le immagini di Harry con in braccio Lily che cantava la filastrocca di San Valentino, e poi il momento in cui si era fermata a guardare James ed Albus dormire. Fissò la neve cadere e appoggiarsi candida al bordo della finestra.
«Tra un po’ iniziano le vacanze di Natale…» gli fece notare. Harry sospirò come se si aspettasse quella risposta. Lo vide aprire la bocca per parlare ma lo precedette. «Però credo che un’eccezione si possa fare per un giorno».
Harry sgranò gli occhi incredulo. «Sei sicura di stare bene?» le chiese. Ginny rise di cuore.
«Sì, Harry. Domani possiamo stare a casa, giocare con la neve bere cioccolata calda» rispose. Evitò di dirgli che in parte era colpa sua e della sua filastrocca cantata che le aveva sciolto il cuore.
«Adoro quando sei cosi permissiva» disse baciandola. Ginny rise sulle sue labbra, mentre si dirigevano in camera ed i baci divenivano sempre più approfonditi.
 
Alla fine della storia, Harry aveva le guance tinte di un colore rosato. «Non c’è bisogno di vergognarsi dopo tanto tempo» cercò di rassicurarlo Ginny. «E poi è grazie a te e alla tua canzone che quella volta siamo rimasti a casa per una mattina in famiglia» aggiunse.
«Mi aveva chiesto di cantarle la nostra canzone» confessò Harry dopo tanto tempo. «Noi non abbiamo avuto una nostra canzone, come tutte le coppie normali, perciò ho improvvisato» spiegò.
«Non siamo mai stati una coppia normale…» commentò Ginny. Non c’era tristezza o invidia in quel commento. Erra orgogliosa di non essere una di quelle coppie mortalmente noiose e banali. «Però è carino che tu abbia pensato a quella filastrocca».
«Quella canzone è la nostra storia, non poteva essere che quella la nostra canzone» disse Harry. Sembrava stesse parlando più con sé stesso che con Ginny, ma lei non poté che annuire. Era totalmente d’accordo col marito.
Il cielo si andava schiarendo, segno che il sole stava per sorgere. I primi uccellini cominciavano a cinguettare dando inizio alla loro giornata. Era a tanto così dal chiedere ad Harry di andare a dormire, anche se non si sentiva per niente stanca.
«Non ancora» disse l’anziano uomo passandole una mano nodosa sulla guancia in una carezza lunga ed approfondita. «Raccontami le ultime due cose e poi andiamo a letto» cercò di patteggiare e Ginny si trovò ad annuire.
Insieme a loro due, adesso, c’erano tre piccole pesti. Non avevano più sei, cinque e tre anni, era passato qualche anno e stavano passando un po’ di tempo insieme. Sembravano ricordi di una vita appartenente ad un’altra vita e Ginny dovette sforzarsi di trattenere le lacrime.

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Capitolo 49
*** 49. Things you said with no space between us (Le cose che hai detto quando non c’era spazio fra di noi). ***


49- 007: Things you said with no space between us (Le cose che hai detto quando non c’era spazio fra di noi).
 
Organizzare il compleanno della piccola Lily si era rivelato piuttosto semplice per Ginny, ne aveva già organizzati altri prima del suo, peccato che la bambina avesse un po’ troppe manie di protagonismo e voleva che tutto fosse perfetto. Aveva letteralmente torturato i genitori per gli addobbi, Ginny era uscita pazza per trovare il vestito per la festa e per farle quella treccia laterale che teneva a stento. Compleanno di diciassette anni? No, sei. Faceva solo sei anni e voleva essere protagonista della sua festa e del suo mondo.
«Io non ero così alla sua età» bofonchiò Ginny ad Harry durante la festa in giardino. Dall’inizio della festicciola si erano persi di vista tra tutti quegli invitati e quei parenti, si erano incontrati per caso mentre Ginny passava con delle tartine ed Harry con del succo di zucca.
«Manco io» convenne Harry. Poco più in là la loro ultimogenita saltellava giocando con alcuni cugini, anche se più che cugini sembravano fratelli tanto erano uguali. Cambiava solo il colore degli occhi; i discendenti di Bill, Percy e Ron avevano quasi tutti gli occhi azzurri.
«Forse li abbiamo un po’ viziati…» commentò offrendo una tartina ad Audrey intenta a conversare con Molly Weasley. Harry alzò le sopracciglia sbigottito.
«Dici?» Ginny lo guardò in tralice.
«Be’, tu hai mai avuto una festa così grande quando avevi sei anni?» gli chiese con tono retorico.
«No, ma io vivevo dai Dursley» rispose lui versando del succo al loro nipote Louis che aveva tre anni.
«Manco io, perché non avevamo molti soldi e per di più non avevo manco tanti amici e parenti» rispose come se ci avesse pensato per la prima volta dopo tanto tempo.
Era la prima volta che mettevano in discussione l’educazione che avevano impartito ai figli. Paradossalmente, più i bambini crescevano, più avevano bisogno di attenzioni. Un po’ la scuola, un po’ i compiti, un po’ le uscite con i loro compagni, un po’ quelle con i cugini, un po’ Teddy che cercava di portarli sulla cattiva strada insegnando loro incantesimi che avrebbero potuto fare quando avrebbero avuto la loro bacchetta, era difficile stare realmente dietro.
Il fatto che sia Ginny che Harry non avessero avuto un’infanzia molto bella e fossero stati costretti a vivere di restrizioni, aveva inevitabilmente portato i due ad esaudire qualsiasi desiderio avessero i figli. Non era per far vedere agli altri quanti soldi avessero alla Gringott, lo facevano per vedere quel sorriso gioioso spuntare ogni volta che riuscivano ad ottenere qualcosa che desideravano, quel sorriso che loro avevano represso per molto tempo. Ginny ricordava chiaramente quanti giocattoli aveva desiderato da piccola e non aveva avuto. Ricordava in maniera limpida quando voleva a tutti i costi una scopa giocattolo e sapeva che non potevano permettersela. Per questo motivo a sei anni aveva iniziato a volare sulle scope vere quando i genitori e i fratelli non vedevano. Usciva di soppiatto di notte e, adesso che era madre, si rendeva conto di quanto folle e pericoloso fosse il gesto. Ma all’epoca era solo una bambina con tanta voglia di volare e di giocare.
Parlare con Harry di quelle considerazioni che stava facendo, poi, era diventato molto difficile. Era un momento così transitorio della famiglia, che negli ultimi tempi era raro che Harry e Ginny avessero un momento solo per loro. Se da un lato non avevano più bisogno di aspettare che i bambini si addormentassero, dall’altro avevano l’istinto di aspettare che il respiro di James, Al e Lily diventasse più pesante prima di andare finalmente a letto. Quando poi i bambini dormivano, loro erano troppo stanchi. Si ragguagliavano sulla giornata appena trascorsa, a volte si accoccolavano, ma erano attimi fugaci che non duravano troppo a lungo. Il pensiero di dover svegliare presto i bambini il giorno dopo ricordava ad entrambi che necessitavano delle giuste ore di sonno.
Ginny vide Harry tornare con la brocca di succo e istintivamente sorrise. «Perché sorridi?» le chiese. Istintivamente si guardò la maglietta di cotone bianco per vedere se ci fosse qualche macchia arancione.
«Perché credo che non siamo stati più vicini di così» rispose sincera. Harry aggrottò la fronte in un’espressione confusa, poi Ginny fu costretta ad allontanarsi per offrire una tartina a suo nipote Hugo. Quando tornò verso il marito, anche lui sorrideva.
«È vero» convenne. Ginny alzò un sopracciglio in tono di sfida, invitandolo a continuare. Sebbene stessero parlando continuavano entrambi ad osservare la festa prima che qualche bambino finisse sopra al tavolo dei regali causando una crisi di pianto isterico da parte di Lily. «Siamo alla festa di compleanno di nostra figlia, stiamo servendo pasti e bevande e vorrei tanto baciarti davanti a tutti ma non posso perché finirei per rubare la scena a Lily» cominciò. «Abbiamo passato troppo tempo a stare lontani, fisicamente e mentalmente, che avere una famiglia con te, poterti definire mia moglie, sentire la gente chiamarti signora Potter, avere dei figli che hanno i tuoi stessi occhi o il tuo stesso colore dei capelli, mi fa sentire molto più vicino a te di quando ci sfioriamo» affermò concludendo il suo discorso.
«Oh, Harry» mormorò, portandosi pollice e indice sul setto nasale e chiudendo gli occhi. «Non puoi dirmi queste cose quando sai benissimo che non posso saltarti addosso». Harry rise poi la guardò con uno sguardo simile a quello che aveva suo figlio James quando stava per fare un guaio consapevolmente.
«Be’ se ci assentassimo per una mezz’oretta non se ne accorgerebbe nessuno» le fece notare. Ginny alzò gli occhi al celo divertita.
«Sentiremmo tua figlia Lily urlare non appena metteremmo un piede dentro casa» gli fece notare ed Harry si trovò a sorridere conscio del fatto che sarebbe andata proprio nel modo che aveva descritto la moglie.
«Mi ripeti quella cosa che mi hai detto mentre cambiavamo Victoire?» la pungolò con un sorriso strafottente. Ginny ricambiò quel sorriso provocatorio.
«Cosa? Ti amo?» ripeté ricordando la scena. Harry sorrise soddisfatto.
«Anche io, Ginny» rispose mentre tornava a servire il succo di zucca ad Angelina e Bill che parlavano dell’ultimo campionato di Quidditch.
 
«Ti amo ancora adesso» disse Harry accarezzandole la guancia segnata dalle rughe del tempo.
«Oh, ma lo so. E sai anche tu che è reciproco» rispose Ginny calma. Rimasero un po’ in silenzio ad ascoltare il cinguettio degli uccellini che si faceva via via più inteso.
«Non so ancora bene chi devo ringraziare per aver vissuto una vita così piena e aver avuto te con cui condividerla» aggiunse. La mano ora era ferma sulla guancia e si guardavano negli occhi. Ginny stava per dire che forse era arrivato davvero il momento di andare a dormire, riusciva a leggere la stanchezza sul volto di Harry. Gli occhi limpidi e verdi erano leggermente arrossati dalla notte insonne e, in maniera inspiegabile, Ginny sentì il cuore farsi piccolo alla vista del marito così stanco. Nella loro storia c’erano state volte in cui l’aveva visto molto più distrutto di com’era in quel momento, forse era colpa dei capelli ormai grigi e delle rughe che riempivano il volto.
«Solo un’ultima storia, ti prego» la supplicò come un bambino. Effettivamente a Ginny ricordava molto James quando cercava di allungare il più possibile il momento di andare a dormire, soprattutto quando Teddy veniva a casa loro. Harry sapeva che non poteva resistergli, perciò appoggiando una mano sulla sua, cominciò l’ultimo racconto della storia di Harry e Ginny.

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Capitolo 50
*** 50. Things you said when we were on the top of the world (Le cose che hai detto quando eravamo sulla cima del mondo). ***


50- 011: Things you said when we were on the top of the world (Le cose che hai detto quando eravamo sulla cima del mondo).
 
L’aria di quel primo settembre era più frizzantina del solito, nonostante il cielo splendesse alto nel cielo, occorreva coprirsi con una giacca leggera per ripararsi dal vento leggero che faceva increspare la pelle e far venire la pelle d’oca. Ginny Weasley correva veloce per la casa, ora a rammentare a James la cravatta, ora ad assicurarsi che Lily avesse il baule pronto per essere portato giù. Aveva incrociato Albus nel corridoio che si lamentava della lentezza di Harry in bagno, gli aveva chiesto se avesse preso tutto ed il secondo dei Potter aveva annuito. Ginny lo conosceva troppo bene da sapere che qualcosa l’avrebbe irrimediabilmente dimenticata. Nonostante le disavventure del mattino, riuscirono ad arrivare a King’s Cross appena venti minuti prima che il treno partisse.
Mentre James ed Albus erano corsi a salutare i loro amici, Lily era rimasta ferma accanto a lei ed Harry, poco più in là c’era suo cugino Hugo, che iniziava anche lui Hogwarts quell’anno. Di fronte a loro, il treno scarlatto fumava e fischiava, come se fosse pronto a partire da un momento all’altro. Mentre Harry saliva a sistemare il baule di Lily, Ginny si voltò a guardare la figlia. Nelle iridi castane della piccola Potter, così identiche alle sue, vide un turbinio di emozioni e sorrise pensando alla sua prima volta al binario 9 ¾ per prendere il treno e iniziare Hogwarts. Il suo primo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria non poteva di certo definirsi esemplare, ma era col tempo aveva comunque imparato a pensarlo come un’esperienza.
«Andrà tutto bene» la rassicurò guardandola dritta negli occhi.
«E se non riuscirò a farmi degli amici?» chiese con la voce piccola, quella che usava da bambina quando desiderava qualche giocattolo e i suoi opponevano resistenza.
«Oh, ci riuscirai, stai tranquilla» la rassicurò. Nel suo primo anno, Ginny non aveva avuto molti amici, per via del diario, ma – come di consuetudine – aveva setacciato tutti i libri dei figli e non c’era nessun diario, taccuino o libro sospetto, perciò era abbastanza certa che la figlia sarebbe riuscita a trovare altri amici durante i suoi anni ad Hogwarts. «Senti Lily, tu sei simpatica, furba e anche molto bella» cominciò. La ragazzina arricciò le labbra in un sorriso timido, tipico di quando le facevano i complimenti. «Sono certa che diventerai amica di moltissima gente» la rassicurò. «E poi» si interruppe guardandosi in giro. Nonostante non ci fosse nessuno intorno a loro, abbassò il tono della voce «puoi sempre accollarti agli amici dei tuoi fratelli» suggerì facendole l’occhiolino.  Lily rise e scosse la testa, vide il buon umore tornare sul volto della figlia e Ginny rise di rimando.
Il capotreno fischiò e vide James correre verso di lei per darle un ultimo abbraccio per poi passare dal padre che gli diede una sonora pacca sulla spalla. Albus diede un bacio sia a Ginny che ad Harry, salutarono anche il figlio di Malfoy, Scorpius, che era diventato uno dei migliori amici di Al e che ricambiò con un sorriso timido.
Lily invece strinse in un abbraccio fortissimo sia la madre che il padre.
«Mi raccomando» le sussurrò Harry. «Per qualsiasi cosa, sai che puoi contare su di noi». La piccola Lily annuì e poi corse verso il treno. Non appena l’ultima porta si chiuse, l’Espresso partì per Hogwarts.
Harry e Ginny rimasero fermi al binario, finché il treno non scomparve dalla loro vista. Anche quando la locomotiva era ormai dietro la curva, Ginny rimase lì, ad osservare quel punto indefinito, sospirando. Poi prese la mano di Harry e lo guardò dritto in negli occhi. «Anche l’ultima è ad Hogwarts» soffiò tra le labbra. Era ancora incredula pensando al tempo che era passato dal suo primo anno. Anche Harry sembrava immerso in chissà quali ricordi.
«È iniziato tutto da qui…» osservò il marito guardandosi intorno. Ginny lo guardò con espressione dubbiosa, chiedendosi a cosa si riferisse. «La nostra storia, noi, Harry e Ginny sono iniziati qui» chiarì. Un sorriso dolce illuminava il suo volto e, come ogni giorno da quando stavano insieme, Ginny si sentì fortunata ad avere un uomo come Harry al suo fianco.
«Hai ragione» osservò mentre prendeva la sua mano.
La folla di accompagnatori intorno a loro si stava diradando. Ginny intravide qualche fratello, Ron ed Hermione stavano parlando di qualcosa, probabilmente in attesa che Harry e Ginny si avvicinassero. I Malfoy si stavano dirigendo verso il muro per tornare a King’s Cross, c’era anche Luna da sola, probabilmente Rolf era impegnato in chissà quale viaggio di lavoro per scoprire chissà quali piante.
«Grazie per non esserti arresa» disse Harry con voce tremante stringendo la sua mano. Ginny giurò di vedere gli occhi di lui inumidirsi; in una situazione normale lo avrebbe preso in giro, ma riusciva a capire bene cosa aveva significato per lui vedere una bambina identica alla Ginny di undici anni prendere il treno, era come vedere una scena che Harry non aveva mai visto. A lei era capitato appena due anni prima.
«Harry, non c’è bisogno…» cominciò ma suo marito scosse la testa.
«Se tu ti fossi arresa, se quella volta in Sala Comune avessi rifiutato il mio bacio, niente di tutto questo sarebbe successo. Quindi grazie, perché mi hai dato una vita che va oltre tutto quello che mi immaginavo prima che ci sposassimo». Ginny lo accarezzò e lo baciò lentamente.
Scambiarsi un bacio al binario, nel luogo che aveva segnato l’inizio di tutto, mentre la loro ultima figlia si stava dirigendo verso il Castello, aveva un qualcosa di magico. E non si riferivano agli incantesimi che facevano ogni giorno, si riferivano all’amore di cui era permeata la loro vita. Non c’era magia che Harry e Ginny non conoscessero, la guerra aveva insegnato loro che anche gli incantesimi più semplici possono salvarti la vita, eppure l’amore rimaneva l’unica magia che ancora non erano in grado di comprendere.
«Ehi piccioncini» li interruppe Ron.
«Sempre il solito» borbottò Ginny sulle labbra di Harry che sorrise. Sembrava di essere tornati durante l’adolescenza quando cercava in tutti i modi di staccare sua sorella dalla bocca dei fidanzati.
«Andiamo o chiuderanno il passaggio» continuò. «E questa volta non ci può salvare nessuna macchina volante».
Tutti e quattro scoppiarono a ridere, Ginny prese per mano Harry mentre con l’altro braccio di allacciò al collo di Ron, che a sua volta teneva la mano di Hermione.
Si lasciarono il poco vapore del treno alle spalle e poi, tutti e quattro, tornarono alla solita vita di sempre.
 
«Adesso dobbiamo proprio andare a dormire» commentò Ginny dopo aver terminato la storia. Gli occhi di Harry si erano fatti pericolosamente pesanti e lei non era più la ragazzina che riusciva a trascinarlo per casa quando era stanco o tornava intontito da qualche missione.
«Hai ragione» farfugliò. Ginny aveva l’impressione che stesse solo parlando nel sonno, era in piedi, aveva le braccia incrociate e lo guardava con un’espressione accigliata.
«Harry, non ho più la forza per portarti di sopra, alzati!» lo ammonì. Manco con i suoi figli era successo di doverli rimproverare alle cinque del mattino.
«Dormo sul divano» rispose. Ginny alzò gli occhi al cielo, esasperata.
«Vieni a letto, se dormi sul divano ti verrà il torcicollo!» gli fece notare. Quel testone di suo marito scosse la testa e sorrise beffardo.
«Sono un mago, conosco l’incantesimo per rendere più comodo un divano» protestò.
«Come vuoi» si arrese alla fine. Prese una coperta e l’appoggiò sul corpo del marito. Forse a causa della stanchezza e dei suoi problemi di vista che avanzavano, ma a Ginny dava l’impressione che fosse un po’ più pallido del solito, come se stesse svanendo. Gli diede un bacio a fior di labbra, quando stava per andarsene, però, Harry la trattenne per un polso.
«Quali sono le cose che non hai mai avuto l’occasione di dirmi?» sussurrò. Nonostante la stranezza della domanda, Ginny ci pensò, senza trovare risposta.
«Ci penserò» promise, mentre si dirigeva al piano di sopra con un grande sbadiglio.
Quando si mise a letto guardò quella pergamena ormai ingiallita dal tempo e pensò a quanta strada avessero fatto dai tempi di “Occhi verdi e lucenti di rospo in salamoia”. Le vennero gli occhi lucidi e dopo aver spento l’abat-jour sul comodino e aver appoggiato la testa sul cuscino, mormorò: «Ti amo, Harry» e in un alito di vento che proveniva dalla finestra, Ginny capì che anche Harry amava lei.
 
 
Note finali: è la fine ma non è la fine! Oltre a questo capitolo che conclude i flashback della vita di Harry e Ginny, ce ne sarà uno che concluderà la storia al presente. Vorrei ringraziarvi ad uno ad uno già da ora, ma mi sa che terrò i ringraziamenti per martedì.
In ogni caso, grazie, come sempre.
A presto,
Chiara.

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Capitolo 51
*** 51. Things you always meant to say but never got the chance (Le cose che avresti voluto dire ma non hai mai avuto l’occasione). ***


51- 042: Things you always meant to say but never got the chance (Le cose che avresti voluto dire ma non hai mai avuto l’occasione).
Ginny Weasley in Potter aprì gli occhi quella mattina, come tutte le altre precedenti. Il sole stava iniziando a sorgere e la stanza era in penombra. Socchiuse gli occhi, sorrideva come non faceva da tempo. Aveva appena fatto un sogno bellissimo, si sentiva di nuovo giovane e bella, finalmente energica come lo era stata in passato. Nonostante gli acciacchi dell’età, si sollevò lentamente dal letto matrimoniale e percorse piano le scale di casa sua, ormai consumate dal tempo. Sua figlia Lily insisteva per ristrutturare la casa, «Se non vuoi persone estranee in casa ci mettiamo io, James ed Al» diceva sempre, ma sia Harry che Ginny si erano sempre opposti.
La loro casa era così e così sarebbe rimasta.
Scese in cucina, mise sul fuoco delle uova per due con un velo di malinconia negli occhi, e poi iniziò a strapazzarle, al punto giusto, poi, aggiunse il bacon. Uova strapazzate e bacon erano da sempre la sua colazione preferita. Col tempo aveva scoperto che quella colazione era diventata un momento solo con Harry in cui godersi la calma della casa prima che i ragazzi si svegliassero e iniziassero a combinare pasticci. Persa nei ricordi, quasi stava per bruciare le uova. Con un colpo di bacchetta spense il gas e divise la colazione mettendone metà su un piatto e metà lasciandola nella pentola.
Il sole, nel frattempo, era sorto in quella giornata autunnale. Il giorno in cui ad Hogwarts tutto cominciava, le lezioni, il primo giorno di volo per i ragazzini del primo anno, l’ennesimo discorso di Neville – che adesso era preside da una manciata di anni. Harry e Ginny si chiedevano spesso quando sarebbe andato in pensione, ma Neville rispondeva che sarebbe morto dando il meglio che poteva alla Scuola, con grande disapprovazione di Hannah che voleva un po’ di pace almeno durante la vecchiaia.
«Mamma!» la voce squillante di James interruppe i pensieri dell’anziana donna.
«Ciao tesoro» rispose lei calma mente la figura del figlio avanzava verso di lei. Una volta vicino le lasciò un bacio tra i capelli. Ginny dovette ricacciare le lacrime indietro. Aveva decisamente ragione Harry: con l’età si era ammorbidita.
Guardò il figlio, ormai era un uomo. Non si era mai sposato ma le aveva dato ugualmente un nipotino, che ormai aveva finito Hogwarts da una decina d’anni. James aveva intorno ai cinquant’anni, quasi con dolore si accorse di un riflesso argentato tra i suoi capelli.
«Cominci ad avere i capelli bianchi, come me e papà» disse condividendo ad alta voce la sua osservazione.
«Ma rimango sempre il figlio più bello e più amato» rispose facendo sorridere Ginny. La donna ringraziò Merlino e i quattro fondatori che nonostante i capelli bianchi, James sarebbe rimasto sempre James proprio per quelle sue battute vispe e allegre che facevano ridere tutti.
«Queste le mangio io mentre vai a prepararti» disse prendendosi le uova rimaste nel pentolino. Rubare la colazione ai genitori era ciò in cui erano più specializzati i suoi figli. Ancora ricordava le lettere piene di indignazione da parte di Harry per aver concepito dei figli così famelici, quando capitava che lei era in giro per qualche trasferta e lui doveva rimanere a badare ai piccoli. Non lo sapeva nessuno ma erano ancora tutte conservate e spesso la sera le capitava di rileggerle qualche volta, mentre si sentiva invadere le narici dall’odore della gioventù che quella stessa carta emanava.
Ginny si preparò, non mise il rossetto, come facevano tutte le donne della sua età, riteneva che la facesse apparire più vecchia di quanto già fosse. Diede un bacio ad Harry e poi scese da suo figlio che nel frattempo aveva finito le uova e sparecchiato la tavola. L’anziana donna non aveva più l’età per smaterializzarsi, per questo ogni qualvolta avesse bisogno di qualcosa, chiedeva aiuto ai figli. Una volta fuori dalla casa, prese il braccio del figlio e si smaterializzarono.
Apparirono esattamente dove apparivano quasi ogni mattina, davanti a quel Monumento ai Caduti che, per i maghi che vivevano lì, ricordava il sacrificio di James e Lily. La statua si trasformò sotto i loro occhi e Ginny per qualche momento ebbe l’irrefrenabile desiderio di tornare a quella sera del 1981, quel momento in cui il destino aveva deciso che loro due si dovevano incontrare, quando ancora non sapeva cosa sarebbe successo. Desiderava tanto tornare a quell’istante in cui tutto doveva ancora iniziare, non come adesso in cui tutto era destinato a finire.
«Sai, stanotte io e tuo padre abbiamo parlato molto» raccontò Ginny mente entravano nel piccolo cimitero di Godric’s Hollow.
«Mamma…» sospirò il figlio.
«Abbiamo rivissuto tutta la nostra storia d’amore dal giorno in cui ci siamo incontrati fino al giorno in cui abbiamo visto l’ultimo di voi salire sul treno» continuò senza badare alle parole di James.
«Mamma…» tentò di nuovo.
«Abbiamo fatto tanta strada io ed Harry, sai? Prima che entrassi nella squadra di Quidditch manco si era accorto di me!» esclamò divertita.
«Mamma» disse con tono fermo James. «Non hai parlato con papà tutta la notte».
Stava per chiedere spiegazioni ma la loro camminata all’interno del cimitero era finita. Erano fermi davanti a due lapidi.
«Ho sognato tutto» capì al volo. «Ho sognato tutta la nostra storia d’amore. Di nuovo» continuò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime rendendo i nomi di Lily, James ed Harry sfocati.
«Non ti preoccupare» la rassicurò James abbracciandola.
C’era una domanda che non aveva lasciato in pace Ginny per tutta la mattinata. Dapprima non l’aveva capita, ma ora aveva senso. Prima che Ginny aprisse gli occhi, Harry le aveva chiesto: «Quali sono le cose che non hai mai avuto l’occasione di dirmi?»
Ginny guardò il nome inciso sulla lapide, le lacrime ormai erano tornate indietro. «A tuo padre ho detto sempre tutto quando era in vita. Tutto. Quando andava male e quando andava bene. Solo una cosa non sa e mi rammarico di aver impiegato troppo tempo a capirla e a dirgliela» cominciò.
«Cosa stai dicendo?» chiese confuso James.
«Lui mi ha salvato la vita, James. E non solo quella notte nella Camera del Segreti o il 2 Maggio quando ha battuto Voldemort. Lui mi ha salvato la vita perché mi ha scelto. Mi ha salvato la vita il giorno del nostro matrimonio, mi ha salvato la vita quando siete nati voi, mi ha salvato la vita ogni volta che mi ha abbracciato quando sentivo di non farcela, mi ha salvato la vita ogni volta che mi ha sostenuto durante una partita di Quidditch. E io l’ho capito solo adesso, mentre sono vecchia e lui è morto e io non posso più dirglielo» spiegò con un velo di rammarico nella voce.
«Credo che tu glielo abbia dimostrato ogni giorno in cui vi siete stati accanto. Nei miei ricordi non esiste un momento in cui siete stati distanti o non vi siete aiutati l’un l’altro. Siete l’esempio di amore perfetto, e forse è per questo che non ho mai trovato una donna capace di stare al mio fianco. Perché il mio esempio di amore siete voi e io non posso accettare un briciolo in meno di quello che avevate voi.
«Avete costruito la nostra famiglia da zero, ci avete sempre raccontato di averci messo anni a rimettervi insieme dopo la guerra. Non ci avete mai fatto pesare il fatto di essere delle pesti, che io fossi pessimo a scuola, che mi vantassi di essere il figlio di Harry Potter. Non ci avete mai fatto pesare i nostri errori, anzi, ci avete aiutato a comprenderli e sinceramente, mamma, il vostro esservi scelti ogni giorno è quanto di più bello potesse capitare a me, Albus e Lily» Ginny non riuscì a trattenere un singhiozzo mentre si tuffava tra le braccia del figlio per farsi consolare da quel dolore troppo grande. «Papà lo sa» continuava a ripetere. «Lo ha sempre saputo».
Tra le braccia di James, Ginny chiuse gli occhi, l’odore della primavera invase le sue narici, Harry era seduto sotto l’albero in giardino che guardava i loro tre piccoli giocare, gli occhi verdi scintillavano da dietro le lenti tonde degli occhiali, i capelli sbarazzini si muovevano spinti dalla leggera brezza. La stava guardando, come faceva di solito prima di dirle che era bellissima.
«Ragazzi, guardate chi è tornata!» esclamò richiamando l’attenzione dei tre figli. I bambini corsero ad abbracciarla, Lily si appiccicò alle sue gambe, perché la bassa statura non le permetteva di andare oltre.
«Sei a casa, finalmente» sospirò Harry una volta che i bambini furono tornati a giocare. «Non so come farei senza di te» aggiunse abbracciandola e baciandola.
Ginny sorrise ricambiando il bacio.
C’era Harry che la teneva per mano e c’erano i bambini che si divertivano. Sorrise contenta di ciò che aveva, e si rese conto che anche in quell’insulso pomeriggio primaverile, Harry le aveva salvato di nuovo la vita.
 
 
Amare veramente un’altra persona
vuol dire accettare che lo sforzo di amarla
valga il dolore di perderla.
(The Haunting of Bly Manor).
 
Note finali: non so come dirvi che sono in lacrime. Non solo perché siamo arrivati alla vera conclusione di questa storia, ma per il capitolo stesso. Vi confesso che è stato uno dei primi capitoli a nascere e ho un chiaro ricordo di me seduta sulla poltrona a piangere mentre scrivevo. Ho pianto anche oggi mentre lo correggevo, quindi se ci sono errori, non è colpa mia, è colpa delle lacrime che mi annebbiavano la vista!
Finito il delirio per superare il trauma, ci tengo a ringraziare tutte le persone che hanno recensito, dalle più fedeli che recensiscono dal primo capitolo, a chi si è aggiunto in corso d’opera, a chi è arrivato negli ultimi tempi. Grazie a chi l’ha inserita tra le seguite, preferite e ricordate, siete in tanti e davvero vorrei ringraziarvi ad uno ad uno. È vero che le storie le scrivo un po’ per me, però credetemi, sapere di avere gente a cui piacciono è un piccolo, grande incentivo.
Grazie a Juriaka, per aver indetto la challenge sul forum, grazie alla zona rossa di novembre che in qualche modo mi ha convinta a dare speranza a questa raccolta che avevo abbandonato a fine estate. Grazie a chi ha letto ed ha apprezzato e anche grazie a chi ha letto e poi ha abbandonato perché non è piaciuta.
Spero di ritornare presto con delle nuove storie e spero di tornare con Harry e Ginny, che sono sempre una sorta di faro in mezzo al mare.
Grazie a tutti.
A presto,
Chiara.

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