La figlia di Shinichi Kudo

di _SbuffodiNuvola_
(/viewuser.php?uid=1166813)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 10: *** 9. ***
Capitolo 11: *** 10. ***
Capitolo 12: *** 11. ***
Capitolo 13: *** 12. ***
Capitolo 14: *** 13. ***
Capitolo 15: *** 14. ***
Capitolo 16: *** 15. ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17. ***
Capitolo 19: *** 18. ***
Capitolo 20: *** 19. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


-Ehi, Kudo!

-Guarda un po’ chi c’è...

-Chi non muore si rivede, eh?

Shinichi rispose ai compagni di classe con delle smorfie, ma poi rise. I suoi amici gli erano mancati... e anche le loro battutine idiote, doveva ammetterlo. 

Quella mattina aveva finalmente rimesso piede al liceo Teitan con il suo corpo da diciottenne. E stavolta per sempre... o almeno, se lo augurava. Considerando che, quando aveva trovato il nuovo antidoto, Ai lo aveva chiamato nel bel mezzo della notte e gli aveva spiegato come stavano le cose mentre lui ancora era mezzo addormentato, non era proprio sicuro della durata che avrebbe avuto quel prototipo. Anzi, non aveva capito esattamente. 

Il giorno seguente, il piccolo Conan aveva salutato Ran e lo zietto, dicendo che sarebbe andato in America dai suoi genitori. E invece, le valigie colme di vestiti da bambino, erano ancora chiuse nel suo armadio in attesa che il proprietario le aprisse.

L’antidoto aveva funzionato con successo. Il giovane detective lo aveva preso dopo un paio d’ore passate seduto sul letto della sua stanza per dire addio a quel corpo che lo aveva imprigionato per circa un anno.

Poi aveva inghiottito quella pastiglia bianca e il dolore lo aveva fatto urlare fino a perdere la voce. Non ricordava di essersi sentito così male, le altre volte. Non ricordava neppure quando fosse tornato nel suo corpo reale. Quando si era alzato da terra, completamente nudo, sudato e con i capelli spettinati, si era reso conto di aver perso i sensi per il dolore.

Ma la felicità era stata troppo grande per darci peso. Si era vestito e, dopo aver guardato per l’ultima volta il papillon e gli occhiali, era andato dal professor Agasa con un sorriso sulle labbra.

In seguito aveva avvertito Heiji e i suoi genitori, ma quando il nome di lei era passato sul display del cellulare, aveva fermato il dito a pochi millimetri dal tasto della chiamata. No, doveva farle una sorpresa. 

La sua prima idea era stata quella di aspettarla sotto casa per andare a scuola insieme, ma era stato costretto a cambiare i suoi piani quando si era alzato dal letto: si era riaddormentato dopo aver spento la sveglia e aveva rischiato di arrivare in ritardo. Perciò, mentre correva per strada, la sua mente razionale aveva ideato quel piccolo piano di riserva.

Così, aveva deciso di entrare normalmente in classe e sedersi al suo banco per fare una sorpresa a Ran. Era sicuro che la ragazza sarebbe arrivata dopo di lui: durante il periodo in cui era vissuto a casa sua, si era abituato ai ritmi e agli orari di Ran. Si svegliavano alle sette, la ragazza preparava la colazione che poi mangiavano insieme allo zietto e, dopo essersi lavati e vestiti, s’incamminavano verso le rispettive scuole. Le speranze del detective erano però sfumate quando, prima di arrivare in classe, il professore di giapponese lo aveva mandato dritto dal preside per parlare di quei mesi di assenza (giustificati da Yusaku,Yukiko e James Black in persona) e creare un programma di recupero per quelle lezioni a cui non aveva partecipato. Lo avevano trattenuto nello studio fino all’ora di pranzo, quando Shinichi aveva iniziato a credere che sarebbe rimasto lì fino alla fine dei suoi giorni. 

Ecco perché era entrato in classe mentre tutti i suoi compagni mangiavano e chiacchieravano insieme. Ovviamente questi ultimi non sapevano cosa significasse “effetto sorpresa”, perciò rinunciò all’idea che aveva per incontrare Ran e si limitò a fare come se niente fosse, entrando in classe in modo perfettamente normale.

Ma Ran non c’era.

Il banco della ragazza era vuoto, ma la cartella era appoggiata a terra lì vicino e la giacca della divisa si trovava sullo schienale della sedia, perciò era venuta a scuola. Il detective si voltò verso Sonoko e sperò che la ragazza non gli rispondesse con frasi come “Sei un detective, dovresti saperlo”.

-Dov’è Ran? -chiese. La Suzuki, che parlava con delle compagne di classe, fece un sorrisetto: -La tua mogliettina ha detto che avrebbe fatto un giro per prendere un po’ d’aria. Non so dove sia andata.

Dopo aver ringraziato la ragazza (e ignorato il solito nomignolo), Shinichi uscì dalla classe e, grazie alle indicazioni di alcuni studenti, arrivò nell’auditorium del liceo. Secondo quanto gli avevano detto, Ran si era diretta lì.

E infatti la trovò seduta sul palco, mentre leggeva dei fogli che aveva in mano. Sorrideva e ad un certo punto la vide sfiorarsi le labbra con le dita, mentre le guance si coloravano di rosso. Era bellissima.

Il ragazzo fece un sorriso, poi si mise a camminare con le mani in tasca per raggiungerla.

-Non ho l’elmo che indossavo quel giorno, ma credo che così vada bene lo stesso, non credi? -disse.

Ran sobbalzò e alzò lo sguardo dai fogli. Appena lo vide, il colore delle sue guance sembrò aumentare.

-Sh... Shinichi... -mormorò sorpresa. Il detective, che si trovava proprio di fronte a lei, fece no con il dito. 

-Ricordati che io sono Spade, il principe del Regno di Carte. -la corresse.

-M-Ma...

-Com’era la scena? -continuò il ragazzo salendo sul palco sotto gli occhi spalancati di Ran. -La principessa viene salvata dal Cavaliere Nero, giusto?

La karateka annuì, confusa. Comprensibile: il ragazzo che non vedi da tanto spunta fuori all’improvviso e si mette a ricordare la recita di cui tu stavi leggendo il copione senza nemmeno darti il tempo di digerire la cosa... 

Shinichi si mise al centro del palco: -Tu eri qui, no?

Ran sbattè le palpebre un paio di volte: -Ehm... sì.

-Vieni. -le disse porgendole la mano. La ragazza si alzò in piedi, lasciandosi guidare dal detective. Quando lei si trovò dove poco prima c’era lui, Shinichi le diede le spalle:

-I briganti hanno appena preso la principessa, quando dal nulla compaiono delle piume nere... e poi arrivo io, il Cavaliere Nero. E i briganti scappano. -raccontò. Poi si voltò verso di lei: -A questo punto tocca a te.

-Io ehm... -balbettò Ran. Non sembrava essersi accorta dei loro compagni di classe affacciati alla porta che, come aveva notato Shinichi, li stavano spiando da un pezzo.

-Coraggio. -fece il detective sorridendole.

Ran guardò il copione e si mise a leggere: -Non... non solo una volta, ma adesso di nuovo... chi sei tu, che accorri quando ho bisogno di aiuto? Aah... Cavaliere Nero senza nome... Ascolta la mia supplica! Se puoi...

E poi Shinichi, che sorprese anche se stesso, l’abbracciò, lasciandola senza fiato. 

-Proprio come quel giorno... -le sussurrò. Sentì Ran irrigidirsi per la sorpresa, poi iniziare a singhiozzare. Quando udì un tonfo capì che aveva lasciato cadere a terra il copione per stringerlo a sé.

Il detective le accarezzò la schiena e inspirò il suo profumo di orchidea, mentre lei affondava il viso nel suo petto e gli bagnava la camicia della divisa scolastica di lacrime.

-Stai tranquilla, non me ne andrò più. -le sussurrò lui per calmarla. Ran lo strinse più forte e singhiozzò ancora. 

Quando sembrò calmarsi, alzò gli occhi lilla su di lui e chiese: -D-Davvero? 

Shinichi le sorrise, dolce: -Davvero.

La karateka sorrise a sua volta e, separandosi da lui, cercò di asciugarsi gli occhi con mani tremanti. Nonostante odiasse vederla piangere, in quel momento doveva ammettere che era veramente bella, con gli occhi lucidi, le guance arrossate e...

Lo sguardo del ragazzo si posò su quelle labbra che in quegli ultimi mesi aveva sognato un po’ troppe volte. Deglutì.

-E io e te abbiamo un conto in sospeso. -aggiunse. -Ricordi?

-Un conto in sospeso? -fece Ran, dubbiosa. Lui annuì.

Poi, senza curarsi dei loro compagni di classe che li osservavano ancora dalla porta, Shinichi le prese il viso con una mano e la baciò.

 

***

 

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli...

-Salve! Questa è la segreteria telefonica di Shinichi Kudo. Ora non posso risp...

Ran spense la chiamata, lasciò il cellulare sul pavimento e appoggiò la fronte sulle ginocchia strette al petto. Una lacrima calda cadde sulla sua maglietta, lasciando una piccola macchia rotonda sulla stoffa gialla. 

-Perché? -sussurrò la ragazza mentre un’altra gocciolina salata finiva sulla maglietta. -Perché, Shinichi?

Si strinse di più le ginocchia al petto e singhiozzò: Shinichi era andato via di nuovo. L’aveva lasciata sola quando aveva promesso di non farlo più e Ran non capiva perché. Erano così felici insieme... avevano il loro appartamento, avevano appena finito l’università, Shinichi aveva intenzione di aprire la sua agenzia investigativa e lei era la campionessa nazionale di karate. Forse Shinichi ci aveva ripensato? Non voleva più stare con lei? 

“In effetti era strano in questi giorni...” pensò appoggiando la testa al muro dietro di sé. “Che cosa ti ho fatto, Shinichi?”.

Fece un sospiro, poi si portò davanti agli occhi quel piccolo bastoncino che teneva nella mano sinistra: due lineette rosa

Ormai aveva ben impresse quelle lineette nella mente... Eppure aveva fatto il secondo test nemmeno dieci minuti prima.

Si mise una mano sul ventre: -Non provare ad essere come tuo padre, siamo intesi? -disse. Accarezzò quella parte del suo corpo coperta dalla maglietta e sorrise. 

Il telefono squillò, facendola sobbalzare.

-Pronto? -chiese alzandosi in piedi. 

-Ciao, Ran! -esclamò Heiji. -Ho visto il messaggio. Tutto bene?

-In realtà io... volevo sapere se tu sai dove si è cacciato Shinichi...

Silenzio.

-Heiji?

-Sì, scusa ehm... no, non so niente. Cos’è successo? Tu stai bene? -domandò il detective dell’Ovest con tono preoccupato.

-Io sto bene, ma quando mi sono svegliata, lui non c’era. Ho pensato che fosse uscito prima per andare a vedere un ufficio per l’agenzia, ma poi ho trovato un biglietto scritto a mano... -spiegò la ragazza andando in cucina. Lì, sul tavolo, c’era ancora il biglietto firmato da Shinichi, in cui il detective dell’Est spiegava come mai era dovuto partire così improvvisamente.

-D’accordo, facciamo così. -disse Heiji. -Io e Kazuha siamo quasi arrivati alla stazione di Tokyo, ci vediamo al bar lì vicino per le cinque, va bene?

-Ok. A più tardi. -e Ran riattaccò. Mise il telefono sul tavolo accanto al biglietto, poi sospirò, trattenendo le lacrime.

No. Non doveva piangere. Doveva smettere di mostrarsi debole per Shinichi, a maggior ragione in quel momento. 

Lanciò un’occhiata al test di gravidanza che teneva ancora in mano, tanto per accertarsi che avesse visto bene, e corse di nuovo in bagno per aprirne un altro. Chissà, magari era sbagliato...

 

 

Positivo.

L’unico pensiero che vagava nella mente di Ran era quella parola. Positivo.

Di lì a nove mesi avrebbe avuto un bambino. Dopo aver fatto una decina di test, era ufficiale.

Sospirò ed entrò nel bar dove aveva appuntamento con Heiji e Kazuha, ben decisa a tenere segreta la gravidanza almeno per quel giorno. Poi avrebbe detto tutto, lo giurò a sé stessa, ma le serviva del tempo per metabolizzare la cosa. Anche se negli ultimi giorni quell’idea le era passata per la testa, non avrebbe mai creduto di aver avuto ragione. Insomma, lei e Shinichi erano appena usciti dall’Università e un bambino era una responsabilità molto grande. Però ne avevano parlato, spesso scherzando... e la cosa non le aveva dato fastidio.

Scacciò il pensiero dei pannolini che avrebbe dovuto cambiare e cercò i due ragazzi di Osaka con lo sguardo. Li vide seduti ad un tavolo poco lontano: stavano battibeccando come loro solito. 

Ran sorrise, constatando quanto quei due fossero cambiati nell’aspetto, ma non nel carattere. 

Lui sembrava più muscoloso di quando lo aveva conosciuto, al liceo, e forse anche più alto. Lei era diventata una donna molto bella e per questo il suo ragazzo era spesso geloso. 

Erano ancora testardi e litigavano molto, ma Ran sapeva che, nel profondo, si amavano alla follia. 

La karateka si avvicinò al tavolo con il sorriso sulle labbra. Appena la videro, Heiji e Kazuha smisero di litigare.

-Ran! -esclamò la ragazza scattando in piedi per abbracciarla. -È da un sacco che non ci vediamo!

-Dalla fine di agosto. -specificò Ran per poi abbracciare anche Heiji.

-Come va? -domandò il detective risedendosi. 

-Come vuoi che vada? -rispose lei con un sospiro. -Shinichi è scomparso di nuovo e non ho idea di dove sia. Mi ha lasciato solo il biglietto di cui ti ho parlato con scritto...

-Lo hai portato? -chiese Heiji interrompendola. Ran annuì, poi frugò nella borsa. Sapeva per esperienza che il suo amico avrebbe voluto leggere di persona le parole di Shinichi, così aveva portato con sé quel foglietto di carta.

Mentre Heiji esaminava il biglietto, si avvicinò una cameriera per le ordinazioni. 

-Per me acqua naturale, grazie. -fece Ran. Ora doveva stare attenta con quello che mangiava e beveva: non era esperta in quel campo, ma non voleva causare danni al bambino che portava in grembo.

-Un cappuccino. -disse Kazuha. -Heiji?

-Eh? -il ragazzo alzò gli occhi dal biglietto. -Ah. Un caffè.

E si rimise a osservare il foglio.

-Arrivano subito. -disse la cameriera tornando dietro al bancone.

-Hai trovato qualche indizio? -chiese Ran a Heiji dopo qualche secondo di silenzio. Lui le restituì il biglietto e rispose: -Credo di sì. 

-E? -lo incalzò Kazuha, mentre Ran si passava una mano sul ventre, nervosa.

-E non posso dire molto. Dai tratti degli ideogrammi poco precisi, ho capito che era di fretta, quindi non aveva premeditato di scomparire così. Si vede poco, ma la mano gli tremava, quindi era nervoso, forse arrabbiato. -spiegò il ragazzo. -Credo di sapere dov’è andato, ma non so il motivo. 

-Dove? -domandarono Kazuha e Ran in coro.

-Negli Stati Uniti. -rispose Heiji. -Ma non a trovare i suoi genitori. Te lo avrebbe detto, no?

Ran annuì.

-Beh, allora non ci resta che andare in America e cercarlo. -disse Kazuha. -Forse...

-Hai idea di quanto siano grandi gli Stati Uniti? -la interruppe il detective dell’Ovest. 

-E se chiamassi i suoi genitori? Loro forse... -propose Ran. Era disposta a tentare di tutto pur di ritrovarlo, anche a costo di mettersi in pericolo. Da come aveva parlato Heiji, aveva capito che c’era sotto qualcosa che il detective non poteva rivelarle... e forse quel qualcosa era pericoloso.

I suoi pensieri furono interrotti dalla cameriera che portava le loro ordinazioni. 

-Andrò io. -disse Heiji quando la ragazza si fu allontanata con il vassoio vuoto.-Credo che Shinichi abbia lasciato poche informazioni proprio per non mettere Ran in pericolo.

-Ma Heiji... -protestò Kazuha contrariata.

-E inoltre... -continuò lui come se la sua ragazza non avesse parlato. -Io sono d’accordo con lui, Ran. Non puoi rischiare nelle tue condizioni.

-Nelle sue condizioni? -ripeté Kazuha confusa. Si voltò verso Ran: -Che intende?

-Tu sei incinta. -disse Heiji rivolto a Ran. Fece un sorriso: -Ho indovinato?

La karateka rimase a bocca aperta per qualche secondo, poi sorrise a sua volta: -Odio voi detective. Non vi si può nascondere niente. Come l’hai capito?

-Prima di tutto l’acqua che hai ordinato. Le donne incinte devono stare attente a quello che bevono. -spiegò il detective indicando il bicchiere. -Secondo: è da quando sei entrata che ti accarezzi la pancia, quasi con fare protettivo. Terzo: il tono di voce sconvolto che avevi quando ti ho chiamato. Lo avevi appena scoperto, vero? 

Ran annuì: -Colpevole. -ammise.

-Ma, Ran, è fantastico! -esclamò Kazuha. -Dobbiamo dirlo a Shinichi!

-No. -disse la karateka. -Non voglio che lui lo sappia. Se deve occuparsi di un caso, lo distrarrei e basta. Promettetemi di non dirgli nulla.

I due ragazzi di Osaka si guardarono, poi lanciarono un’occhiata a Ran e annuirono.

-Lo terrai? -domandò Heiji subito dopo. 

La karateka si portò una mano sul ventre e sorrise: -Perché non dovrei?



*angolo autrice*
Salve a tutti, detective! Finalmente ho iniziato a pubblicare questa storia. Sto attualmente lavorando al capitolo 6, quindi ho pensato che ormai fosse giusto pubblicare il prologo! 
Spero che la mia storia vi piaccia! ❤️

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. ***


Il parco di Beika era sempre stato uno dei suoi luoghi preferiti lì a Tokyo: da piccolo ci andava per giocare a calcio oppure con i suoi genitori per fare la classica passeggiata della domenica pomeriggio; quando era alle medie ci passava ogni tanto quando tornava a casa da scuola insieme a Ran o anche da solo. Il tutto per osservare quei fiori di un rosa così delicato da sembrare bianco che facevano nevicare in primavera.

Al liceo, però, non ci era mai andato molto. Forse perché, essendo imprigionato nel corpo di un bambino, era sempre stato costretto a seguire i suoi amichetti per le strade della città senza passare da lì... o forse perché vedere i fiori di ciliegio gli riportava alla mente il primo giorno d’asilo, quando, per la prima volta, aveva fatto una deduzione errata per via dei suoi sentimenti.

Shinichi Kudo sorrise al pensiero. Erano passati poco più di vent’anni da quel giorno, eppure se lo ricordava per filo e per segno: sua madre che parlava con il suo nuovo maestro, il corridoio dell’asilo completamente deserto, il rumore dei suoi passi sul legno del pavimento, i bambini che dormivano beati nella penombra della stanzetta dedicata al riposino del pomeriggio... e poi lei. La bambina che piangeva mentre piegava un foglio per farne una targhetta a forma di fiore di ciliegio per sostituire quella che le avevano rubato, la bambina che lo aveva guardato con stupore appena le aveva rivolto la parola, la bambina che si era arrabbiata quando l’aveva chiamata “piagnucolona”. Ran.

Mentre sorrideva, Shinichi si guardava intorno con i suoi occhi blu che fino a poche ore prima erano incorniciati dagli occhiali che nascondevano la sua vera identità al mondo intero. Gli sembrava incredibile che Conan Edogawa se ne fosse andato per sempre: quando Ai (che aveva deciso di rimanere in quel corpo più giovane) gli aveva dato la provetta contenente l’antidoto definitivo all’APTX4869 non gli era sembrato neppure vero. Aveva bevuto quella sostanza dal gusto orribile e aveva preso il primo volo per Tokyo che aveva trovato.

Nove anni prima, Conan era “dovuto tornare in America dai suoi genitori” dopo addii strappalacrime con i Detective Boys... ma Shinichi non aveva detto a nessuno la verità. Nemmeno a... Ran.

Si era ripromesso di rivelarle ogni cosa non appena l’Organizzazione fosse stata sconfitta, ecco perché, quando si era presentato nell’auditorium del liceo Teitan, dove Ran era andata durante la pausa pranzo, aveva detto alla ragazza che le avrebbe spiegato tutto a tempo debito. Lei doveva solo avere pazienza ancora per un po’. Ricordava bene l’espressione stupita di Ran quando se l’era ritrovato davanti, il suo sorriso appena aveva detto che non sarebbe più andato via, gli occhi lilla che lo guardavano mentre cercava di scusarsi per quei mesi di sofferenze che le aveva fatto passare... e il sapore dolce delle sue labbra, bramate per anni e finalmente conquistate. 

Shinichi era riuscito a finire il liceo con ottimi voti e lui e Ran si erano iscritti all’università. Erano anche andati a vivere insieme in un appartamento tutto loro lì a Beika. 

Per cinque anni avevano fatto coppia fissa, recuperando il tempo perso. Viaggi, vacanze al mare con Heiji, Kazuha, Sonoko e Makoto, cene a lume di candela (a casa loro visto che ogni volta che avevano provato ad uscire a cena per un appuntamento c’era scappato il morto) e, finalmente, la loro tanto attesa e desiderata prima volta. Shinichi ricordava ancora quando il giorno seguente si era svegliato con Ran tra le sue braccia, un lenzuolo che li copriva e il sole primaverile che entrava dalla finestra. 

Dopo quella notte ce n’erano state altre... l’ultima era stata quasi quattro anni prima, quando la sua vita era di nuovo andata a rotoli.

Tutto sembrava andare per il verso giusto e Shinichi stava pensando di chiedere a Ran di sposarlo, aveva preparato ogni cosa nei minimi particolari e si sentiva pronto per quel passo così importante... ma prima che potesse mettere in atto il suo piano, era arrivata una chiamata dall’agente Jodie e lui era stato costretto a prepararsi per partire. Prima che potesse dire qualcosa a Ran, un dolore tremendo che conosceva bene lo aveva fatto stare in piedi una notte intera finché non era ringiovanito di dieci anni. Mentre Ran dormiva si era cambiato e, dopo averle lasciato un biglietto in cui diceva che il caso di qualche anno prima “non era ancora chiuso”, era andato in aeroporto per raggiungere la sede dell’FBI negli Stati Uniti. Si sentiva un verme per questo: aveva lasciato la ragazza che amava quando aveva promesso che non lo avrebbe più fatto e per giunta con un bigliettino di carta che spiegava, mentendo, il perché. Però, nonostante si fosse spremuto le meningi per giorni interi, la sua mente così incredibilmente razionale non aveva trovato spiegazioni migliori e lui non aveva potuto farci niente: per qualche strana ragione, quelli dell’Organizzazione erano spariti nel nulla per circa cinque anni e si erano rifatti vivi quando tutti, esclusa Ai, credevano che ormai non avevano più di che preoccuparsi. Shinichi avrebbe dovuto capirlo prima: perché diamine aveva abbassato la guardia?

Erano passati quattro lunghi anni, mancava pochissimo ad arrestare il boss e finalmente Ai aveva trovato l’antidoto giusto per farlo tornare definitivamente come prima. Il detective non credeva che sarebbero arrivati fino a quel punto.

Ecco perché quel giorno si trovava a Tokyo: doveva trovare Ran e dirle tutta la verità. Sperava che in quegli anni non si fosse dimenticata di loro due e... si detestava per questo. Lei era libera di odiarlo e di stare con un altro, se la rendeva felice... ma lo Sherlock Holmes del nuovo millennio non avrebbe sopportato di vedere la ragazza della sua vita tra le braccia di un ragazzo che non fosse lui.

-Aika-chan, guarda che bella questa margherita. 

Shinichi si fermò di colpo. Quella voce...

-Ti insegno a fare una coroncina di fiori, ti va?

Il detective si guardò attorno, con il cuore a mille: Ran era lì. Quella voce era sua, non aveva dubbi. L’avrebbe riconosciuta tra mille.

-Guarda, Aika-chan! Questi sono perfetti! -esclamò la voce della ragazza. 

Finalmente Shinichi la vide e... beh, rimase senza fiato: quella che aveva davanti era una donna stupenda, con lunghi capelli castani che le ricadevano sulle spalle, gli occhi azzurro-lilla risaltati da un filo di ombretto e il corpo magro fasciato da un paio di jeans e una maglietta bianca come la neve.

Ran. 

Era inginocchiata sull’erba con tra le mani delle margherite. Seduta accanto a lei c’era una bambina con addosso un grembiule dell’asilo su cui spiccava la targhetta a forma di fiore di ciliegio. Dimostrava circa quattro anni e...

“È identica a Ran da piccola...” pensò Shinichi. “No, non dirmi che...”

-Ecco qua, Aika-chan! -disse Ran sorridendo alla bambina. Le mostrò la corona che aveva fatto con delle margherite.

-Che bella! -fece la piccola con gli occhi che le brillavano. Ran le mise la coroncina sui capelli. 

-Sai, Aika, sembri una fatina. -commentò la donna mentre la bambina si alzava in piedi per cercare altri fiori canticchiando contenta. Shinichi sorrise. Era davvero una bimba bellissima. 

-Okaasan! Guarda che belli! -esclamò Aika tornando da Ran con un piccolo bouquet di fiori azzurri tra le manine. 

Il detective si sentì impallidire: allora aveva ragione. Quella bambina era figlia di Ran. 

Ciò voleva dire che lei era fidanzata... e forse sposata. 

“No... non indossa la fede” si disse Shinichi osservando la mano sinistra di Ran, che si era messa a guardare Aika mentre giocava con i fiori raccolti.

Lo sguardo del detective si posò sul viso della donna: aveva un sorriso... malinconico.

Ma... perché? 

Shinichi conosceva bene quello sguardo: era lo stesso che vedeva negli occhi di lei tutte le volte in cui pensava a lui nove anni prima. Uno sguardo che lui si era ripromesso di non farle più avere.

Mentre si scervellava su una possibile spiegazione, vide Ran alzarsi in piedi e prendere la piccola Aika per mano. 

-Dobbiamo andare dai nonni, tesoro. -disse la donna mentre con la bimba s’incamminava sulla stradina che attraversava il parco. Shinichi riuscì a non farsi beccare e osservò le due allontanarsi verso il cancello della recinzione che circondava il prato. 

Non seppe per quanto tempo rimase lì a fissare l’uscita del parco con occhi spenti. In quei quattro anni aveva fatto spesso incubi del genere, ma non ci aveva mai voluto credere. Eppure Ran, la sua Ran, era diventata mamma. 

E lui, al contrario di quello che aveva sognato fin dal liceo, non era accanto a lei.

 

***

 

-Okaasan?

Ran guardò la bambina che teneva per mano e le sorrise: -Dimmi, Aika-chan.

La giovane amava quella bambina alla follia. La scelta più corretta che avesse mai fatto era stata quattro anni prima, quando Heiji le aveva chiesto se avesse intenzione di tenere il bambino che aveva scoperto di aspettare nemmeno due ore prima e aveva risposto affermativamente. 

Quel giorno, nonostante la scomparsa di Shinichi, era stato il migliore della sua vita. 

Aika fece una pausa, come per riordinare le parole da dire nella sua mente, poi chiese: -Sarà al matrimonio di zio Heiji e zia Kazuha? Lo vedremo?

Non c’era bisogno che specificasse la persona oggetto della sua domanda.

Da quando aveva iniziato a parlare, Aika chiedeva in continuazione di vedere suo padre e Ran... non aveva idea di cosa fare. Per circa tre anni aveva detto a sua figlia che il suo papà era un detective dei servizi segreti e non poteva stare con loro per evitare di metterle in pericolo, ma Aika continuava a fare domande sempre più spesso e Ran non poteva fare a meno di notare quanto fosse simile a lui. La stessa curiosità, la stessa cocciutaggine e gli stessi occhi blu come il mare che la osservavano in quel modo da detective tremendamente irritante.

-Non lo so, tesoro. -rispose la donna. 

-Ah... -Aika abbassò la testa.

Sentendo il tono triste della bambina, Ran si fermò e si abbassò al suo capo, le mise le mani sulle spalle e disse: -Aika, guardami.

La piccola alzò gli occhioni blu, lucidi per il pianto, sulla madre. “È così piccola” pensò quest’ultima. Trovava ingiusto che una bambina di appena quattro anni dovesse sopportare quello che aveva passato lei a diciassette.

-Papà ti vuole bene ed è per questo che non si fa mai vedere. -spiegò. -Se i cattivi dovessero trovarti, ti farebbero del male. E lui questo non lo vuole. Mi capisci?

Aika annuì e tirò su col naso. 

-Ma tornerà a casa, vero? -domandò poi.

Ran fece un sorriso triste: era la stessa cosa che si chiedeva lei. Shinichi era sparito da quattro anni e non sapeva niente di Aika. Non aveva idea di come e, soprattutto, se contattarlo, non era a conoscenza del motivo per cui era sparito nel nulla e del perché non avesse più dato sue notizie.

Heiji era partito per cercare l’amico pochi giorni dopo che Ran aveva scoperto che sarebbe diventata madre, ma il detective dell’Ovest era tornato a Tokyo quasi un mese dopo senza risposte. 

O almeno, così credeva Ran. L’uomo, infatti, aveva visto Shinichi (questo aveva potuto rivelarlo) e quest’ultimo lo aveva implorato in ginocchio di non dire niente a Ran riguardo l’Organizzazione. 

Come se non fosse bastato, Heiji non aveva potuto rivelare all’amico che la sua ragazza aspettava un bambino da lui sotto richiesta della suddetta. 

Miracolo che non fosse impazzito. 

Vedendo che la madre non rispondeva, Aika, quasi per paura di aver offeso la donna, aggiunse: -Però se non torna tu rimani vero? 

Ran sorrise, dolce: -Certo, tesoro.

La bambina fece un sorriso a sua volta, poi lei e Ran s’incamminarono di nuovo verso l’ex agenzia investigativa Mori. 

La karateka inspirò a pieni polmoni. Le piaceva fare quelle piccole passeggiate per la strada, come una madre normale, senza che i giornalisti delle riviste sportive la tormentassero, come succedeva spesso da quando aveva vinto i mondiali di karate. 

Esatto, i mondiali.

Uno dei suoi tanti sogni di quando era adolescente si era realizzato. E poco prima che Shinichi scomparisse di nuovo, quindi aveva passato con lui quel momento di felicità. 

Senza farsi vedere da Aika, si asciugò gli occhi.


*angolo autrice*
Buongiorno detective! Ecco qua il capitolo 1!
Spero che non sia troppo confusionario 😅

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. ***


-Guarda che ti prendo, piccola peste! 

-No! -rise Aika mentre scappava dal suo nonno preferito per tutta la casa. 

Ran sorrise alla scena: Kogoro amava la sua nipotina alla follia, nonostante avesse voluto ammazzare Shinichi all’inizio. In qualche modo, Ran era riuscita a farlo ragionare e così lo zietto non era partito per gli Stati Uniti insieme ad Heiji per trovare il quasi-genero e ucciderlo.

-Tanto non mi prendi! -esclamò Aika nascondendosi dietro Ran.

-Ehi, nascondersi dietro la mamma non è valido! -protestò quest’ultima cercando di rimanere seria. -Non si infrangono le regole, Aika-chan. 

-Per questo arriverà... -disse Kogoro facendo una voce cavernosa per far divertire Aika. -... il mostro del solletico!

-No, il solletico no! -strillò Aika mentre l’ex-detective in trance la prendeva in braccio e iniziava a farle il solletico sui fianchi. La piccola iniziò a ridere, seguita a ruota da Ran.

In quel momento Eri entrò in casa con le borse della spesa. Ran non riusciva a credere che i suoi genitori fossero tornati a vivere insieme... le sembrava un sogno. 

Com’era successo? 

Quando Ran aveva rivelato di essere incinta, Eri aveva guardato Kogoro e aveva detto che forse era il caso di vivere sotto lo stesso tetto per quando il piccolo sarebbe nato, sarebbe stato meglio anche per Ran, che avrebbe avuto bisogno di aiuto soprattutto nei primi mesi di vita del futuro bebè. Kogoro aveva alzato le spalle: -Se per te va bene... -aveva detto.

Due mesi dopo sembrava che non si fossero mai separati.

-Qualcuno ha infranto le regole? -chiese Eri mentre lasciava la spesa sul ripiano della cucina.

-Eh sì. -rispose Ran mentre Aika e Kogoro ridevano ancora. Poi la donna si alzò e raggiunse la madre che stava mettendo la carne nel frigo.

-Oggi Aika mi ha chiesto di Shinichi, mamma. -disse a voce bassa per evitare che Aika sentisse. A quelle parole, Eri si bloccò.

La karateka continuò, tenendo lo sguardo sul sacchetto della spesa davanti a lei: -Io non ho idea di cosa fare. Non so più come... 

-Dovresti provare a contattarlo. -propose Eri guardando la figlia, che aveva iniziato a svuotare il sacchetto di plastica. 

-Ma...

L’avvocato si avvicinò a Ran e le mise una mano sulla spalla: -Aika compirà quattro anni tra tre mesi. Non puoi tenere nascosto a Shinichi che ha una figlia per sempre. Hai idea delle conseguenze?

Ran si morse il labbro e annuì. Certo che sapeva delle conseguenze. Aveva accompagnato suo padre e Shinichi su tantissime scene del crimine ed era venuta a conoscenza di storie legate a figli illegittimi e non riconosciuti che erano finite in disgrazie. Non voleva che succedesse così anche a lei.

-E poi sono curiosa di sapere la reazione di Yukiko appena scoprirà di essere diventata nonna. -aggiunse Eri con un sorriso. Conosceva bene l’ex-attrice fin dal liceo e negli anni il loro rapporto non era cambiato. Soprattutto quando i loro figli avevano iniziato ad uscire insieme.

Ran si morse il labbro: -In realtà...

 

Quattro anni prima...

Ran si era appena seduta al tavolo del bar quando la porta del locale si aprì facendo tintinnare la campanella. Guardò in quella direzione e vide i suoi ospiti: sebbene Yukiko Kudo avesse superato i quarantacinque anni da un pezzo, era bellissima ed era identica a come Ran l’aveva vista fin dall’infanzia, con i lunghi capelli castani raccolti in una coda e gli splendidi occhi azzurri che suo figlio aveva ereditato. Con lei c’era suo marito, Yusaku Kudo, il celebre scrittore di gialli che aveva aiutato la polizia giapponese in casi difficili proprio come suo figlio aveva fatto anni dopo. Neanche lui sembrava cambiato: aveva gli stessi capelli corvini (anche se avevano qualche filo grigio che risaltava), gli stessi baffi scuri e gli stessi occhi blu incorniciati da un paio di occhiali rettangolari. 

Ran sorrise, anche se dentro di sé era più nervosa di quando aveva affrontato il campionato di karate mondiale. La bambina che portava in grembo scalciò, come se avesse percepito la sua ansia. 

-Ran-chan! -esclamò Yukiko appena la vide. Mentre lei e Yusaku si avvicinavano, Ran prese un bel respiro. Doveva alzarsi e abbracciare i genitori del padre di sua figlia. Dov’era la difficoltà? 

Ah già. Era all’ottavo mese di gravidanza e sembrava una balena ambulante, perciò alzarsi dal semplice divanetto di un bar era più complicato di quanto in realtà fosse.

Per sua fortuna, in qualche modo, la karateka riuscì a mettersi in piedi e aspettò che i due coniugi fossero vicini a lei.

-Buongiorno. -li salutò timidamente. 

Come previsto, appena la vide con il pancione, la madre di Shinichi scoppiò letteralmente dalla gioia.

-Oh dio! -esclamò correndole incontro per abbracciarla. Ran ricambiò la stretta della donna e guardò l’uomo dietro di lei, che sorrideva. Aveva capito tutto. Aveva capito che di lì a un mese sarebbe diventato nonno.

-Tesoro, è... è fantastico! -disse Yukiko scostandosi per guardare la karateka da cima a fondo. -Sai se sarà maschio o femmina? Hai scelto il nome? Hai preso tutto il necessario? E come ti senti?

-Yukiko, lasciala almeno respirare. -fece Yusaku avvicinandosi a quella ragazza che considerava come una figlia. L’abbracciò dolcemente, poi, mettendole le mani sulle spalle, le sorrise: -Penso che sarai una madre perfetta, Ran.

Ran arrossì, ma gli fece un sorriso a sua volta. Poi si sedettero al tavolo. 

-Sarà una bambina. -rivelò la karateka accarezzando il pancione. -E si chiamerà Aika.

-È un nome bellissimo! -commentò Yukiko con occhi sognanti. 

-Shinichi mi disse che gli sarebbe piaciuto dare questo nome a sua figlia, un giorno. -disse Ran senza alzare gli occhi dalle mani che teneva intrecciate sulla pancia. Si sentiva una stupida: erano i genitori dell’uomo che amava e che sarebbe diventato inconsapevolmente padre di lì a un mese. Non guardarli in faccia la faceva vergognare nel profondo. Li aveva chiamati lei apposta per dare loro quella notizia, no?

Notando che i due non rispondevano trovò il coraggio di guardarli.

-È di Shinichi? -chiese Yukiko con un sorriso triste. La ragazza annuì, piano: -Ma lui non lo sa. Ho pregato Heiji di non dirgli niente quando è andato in America per cercarlo. Lui ha solo mantenuto la promessa.

-E perché non vuoi che lo sappia? -domandò Yusaku. Aveva negli occhi un’espressione curiosa identica a quella del figlio.

-Perché non voglio che si distragga dal caso a cui sta lavorando. -ammise Ran. -Però ho pensato che fosse giusto dirlo almeno a voi...

I due coniugi si scambiarono un’occhiata: di sicuro loro sapevano che cosa stesse combinando Shinichi e perché non dava sue notizie alla ragazza che amava da ormai otto mesi, ma Ran non osò chiedere niente.

-Noi non diremo niente a Shinichi. -promise Yukiko sorridendole. -Ma devi promettermi che mi manderai foto della mia nipotina ogni settimana!

Ran non avrebbe mai immaginato che si sarebbe ritrovata a fare videochiamate con i genitori di Shinichi almeno una volta a settimana. Yukiko era come una seconda madre per lei e Yusaku riusciva a darle consigli su ogni cosa. Si considerava fortunata ad avere quel rapporto con loro. 

 

 

-Okaasan! -la chiamò la vocina di Aika. Ran si voltò e vide la piccola sulla porta della cucina. 

-Che c’è, Aika-chan? -chiese la donna facendo un sorriso.

-Ho sete. -rispose la bambina con le mani dietro la schiena. -Posso bere un po’ d’acqua?

-Ci pensa la nonna. -disse Eri prendendo un bicchiere dal mobile. Lo riempì d’acqua e lo porse alla nipotina, che ringraziò e bevve. Poi lasciò il bicchiere tra le mani della madre e corse di nuovo a giocare con il nonno.

-Sai, Ran, è sempre più simile a te. -commentò l’avvocato con un sorriso dolce. 

-Davvero? Eppure io rivedo tanto Shinichi in lei. -fece Ran guardando la porta da dove la bambina era uscita. Non mentiva: quella bambina, come le avevano detto le maestre dell’asilo, era un po’ più matura della sua età e spesso se ne usciva con osservazioni anche troppo intelligenti.

-Perciò Yukiko e Yusaku stanno mantenendo il segreto con il loro stesso figlio? -domandò Eri finendo di sistemare le ultime cose della spesa.

Ran annuì, poi vide l’orario: -Oh cavolo! È ora di andare! -uscì dalla cucina e raggiunse suo padre e sua figlia in salotto. -Aika, saluta i nonni. Dobbiamo andare a casa.

-Di già? -brontolò la bambina facendo gli occhi dolci dal divano su cui era seduta con Kogoro, che le stava leggendo una fiaba. Senza fare i capricci, si alzò e raggiunse la madre.

-Di già. -disse quest’ultima mettendole la giacchetta azzurra dell’asilo. -Dobbiamo mangiare e andare a letto presto. Domani andiamo dallo zio Heiji con il treno e bisogna alzarsi presto.

Aika sorrise: -Zio Heiji! -esclamò alzando le braccia, felice. 

Ran prese la borsa e si diresse nell’ingresso per mettere le scarpe.

-Ci vediamo a Osaka allora. -disse Eri. -Mi sembra incredibile che quei due finalmente si sposeranno.

-Già, anche a me. -fece Ran. -Ciao.

-Ciao ciao! -la imitò Aika salutando i nonni con la manina.

 

 

Ran chiuse delicatamente la porta della cameretta di Aika e si allontanò in punta di piedi per non fare rumore. Spense la luce nel corridoio e andò in cucina per finire di sistemare le stoviglie. Mentre asciugava un bicchiere, il suo sguardo si posò su una fotografia appesa accanto all’orologio: raffigurava lei e Shinichi il giorno in cui avevano finito il trasloco in quell’appartamento. 

Heiji, che era sempre stato d’aiuto nel portare su e giù gli scatoloni dalle scale, l’aveva scattata mentre erano davanti alla porta e Shinichi, con il suo solito sorriso che faceva battere il cuore a Ran, mostrava la chiave con una mano e teneva Ran per la vita con l’altra. La karateka ricordava bene quel giorno... forse era stato uno dei più belli della sua vita. Subito dopo aver scattato la foto, erano corsi tutti insieme al supermercato prima che chiudesse per comprare almeno qualcosa da mettere sotto i denti la mattina seguente. Heiji non era rimasto a cena, così avevano avuto la prima cena a lume di candela nella loro nuova casa.

Ran sospirò. Chissà se Shinichi pensava a quei piccoli momenti di felicità che avevano passato insieme come faceva lei. Ogni tanto pensava a loro due, alla felicità che avevano avuto in quei cinque anni di pace e a quella che avrebbero potuto avere se lui non fosse scomparso di nuovo. Avrebbero scoperto che Ran era incinta, dato la notizia a tutti, comprato tutto il necessario e affrontato quei nove mesi e quasi quattro anni insieme. 

Terminò di asciugare le stoviglie, spense la luce e si diresse verso il bagno per rilassarsi un po’. Una volta, Shinichi le aveva preparato un bagno caldo con un sacco di schiuma e candele profumate come piccolo premio per aver vinto la gara di karate della loro università. Le aveva fatto pure un massaggio mentre era immersa in acqua. 

Riempì la vasca con acqua e bagnoschiuma alle rose e si immerse fino alle spalle. Da quando viveva la vita da mamma single, tra il lavoro in palestra, le gare di karate e la piccola Aika aveva pochissimo tempo da dedicare a sé stessa. Non che essere madre le pesasse, anzi! Con Shinichi, l’argomento “bambini” era saltato fuori abbastanza spesso nei due anni prima che scomparisse nel nulla. Dal momento in cui erano andati a casa di Sato e Takagi per conoscere il loro bambino, Mamoru, ne avevano parlato sempre di più... senza decidere se e quando averne uno tutto loro. In una di quelle occasioni Shinichi aveva detto che il nome Aika gli piaceva particolarmente e Ran si era trovata d’accordo con lui. Ecco perché aveva chiamato la loro figlia così.

Inspirò il profumo del bagnoschiuma e chiuse gli occhi, cercando di svuotare la mente almeno per qualche minuto. Ne aveva bisogno: i giorni successivi sarebbero stati veramente intensi.

Quando uscì dalla vasca, una decina di minuti dopo, si avvolse nell’accappatoio per asciugarsi, poi andò nella sua stanza per mettersi il pigiama. Dopodiché si stese in quel letto troppo grande per una persona sola e accese la tv. Stavano trasmettendo il telegiornale e, appena Ran vide il titolo dell’ultima ora, si sentì raggelare il sangue nelle vene: Shinichi Kudo ritorna a Tokyo dopo quattro anni.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. ***


-Sei uno stupido!

-Non posso farci niente! 

-Potevi stare più attento!

Shinichi alzò gli occhi al cielo: -Non è colpa mia. Ho raccomandato all’ispettore di non nominarmi. Quel giornalista mi ha scattato la foto per caso!

Ai sbuffò e incrociò le braccia: -Ti rendi conto che l’organizzazione potrebbe vedere la notizia?

Il detective si passò una mano sul viso. Lo sapeva benissimo... ma non era mica colpa sua se un giornalista gli aveva scattato quella foto senza che lui se ne accorgesse. E non poteva certo telefonare all’ispettore Megure per dirgli di far togliere la notizia dai telegiornali: già nove anni prima, durante la gita scolastica a Kyoto, una fan della famiglia Kudo lo aveva visto e aveva postato una sua foto sul suo blog, scatenando il pandemonio. Solo grazie ai suoi genitori il caos si era calmato, dato che avevano pregato la donna di togliere la notizia del suo apparente ritorno.

Fare di nuovo una cosa del genere avrebbe suscitato sospetti... e poi, quattro anni prima, era su tutti i giornali come se nella sua vita non fosse mai cambiato niente. L’organizzazione sapeva che non era morto, perciò non avrebbe avuto senso dire a tutti che quel suo ritorno era una bufala.

-Ormai manca pochissimo a mettere la parola fine a questa storia, non preoccuparti. Non cambierà nulla. -disse Shinichi. -E ora scusa, ma devo andare a preparare la valigia per i prossimi giorni.

Si diresse verso la porta, salutando il professor Agasa, che aveva assistito alla conversazione tra Shinichi e Ai in silenzio. 

Il detective si mise le scarpe, riponendo poi le pantofole sull’apposito scaffale. 

-Allora buonanotte. -disse voltandosi per guardare il professore, che lo aveva accompagnato alla porta.

-La rivedrai al matrimonio. -fece Ai, che non aveva cambiato posizione ed era ancora seduta sulla sedia della cucina.

Shinichi si bloccò con la mano sulla maniglia della porta, capendo all’istante a chi si stesse riferendo la scienziata. 

Si mise sulla difensiva. Non capiva perché, ma quando lei tirava in ballo il discorso “Ran” si sentiva strano, quasi irritato. Non perché fosse un argomento di cui non voleva parlare, ma perché, da quando gli aveva rivelato i suoi sentimenti e lui l’aveva respinta, Ai sembrava cambiata. Con lui era sempre fredda, cosa che negli anni che avevano passato non era stata (non così tanto almeno)... e il detective era sicuro che il motivo fosse il suo primo e unico amore.

-Shiho... -iniziò il professor Agasa con tono di rimprovero. Aveva iniziato a chiamarla con il suo vero nome, nonostante la ragazza avesse deciso di non prendere l’antidoto all’APTX 4869 e continuasse a farsi chiamare Ai Haibara, vivendo come una normale adolescente di prima liceo. Come aveva detto a tutta l’FBI, voleva “ricominciare da zero”, ma Shinichi sapeva che non era per questo. Non tutta la motivazione almeno.

-E con questo? Sono tornato a Tokyo per lei e sono sicuro che le parlerò a Osaka. È amica di Heiji e Kazuha come me. È normale che sia invitata al loro matrimonio. -ribatté l’uomo, poi augurò la buonanotte di nuovo e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Mentre l’aria fresca della sera gli scompigliava i capelli corvini, udì il professore rimproverare Ai di essere stata troppo diretta con lui. 

Il detective alzò la testa e guardò le stelle: era una bella serata di metà aprile. Cercò di ignorare le voci dietro di sè e sospirò.

Uscì dal cancello e si diresse verso casa sua con le mani in tasca. Quello che aveva scoperto quel pomeriggio lo tormentava, ma non poteva biasimare Ran per essersi fatta una vita senza di lui. Sicuramente al matrimonio di Heiji ci sarebbe stato anche il misterioso nuovo fidanzato della karateka... chissà che tipo era. Chissà se Ran era felice. Chissà se quell’uomo era in grado di trattarla come il più prezioso dei tesori.

Mentre entrava in casa e toglieva le scarpe, Shinichi iniziò a pensare a cos’avrebbe detto a Ran riguardo l’organizzazione... anzi, come si ricordò poi, sarebbe stato meglio capire cosa dire alla donna appena si fossero incontrati. Un semplice “come va?” non sarebbe certo bastato... ma la sua mente infallibile non riusciva a mettere insieme un discorso che lo soddisfacesse almeno un po’.

Salì le scale, prese il pigiama e andò in bagno per farsi una doccia. Gli serviva per riordinare le idee. 

 

***

 

Quando lo Shinkansen si fermò alla stazione di Osaka, Aika, con il nasino incollato al finestrino, indicò qualcosa fuori dal treno:

-C’è zio Heiji! -esclamò. Ran le sorrise: -Ha promesso che sarebbe venuto a prenderci, Aika-chan. Ora dammi la mano e non lasciarla andare, va bene?

La bambina annuì e mise la piccola mano in quella più grande della madre. Scesero dal vagone e subito si allontanarono dal binario per raggiungere Heiji, che le aspettava poco distante.

Heiji sembrava sempre lo stesso. Quel giorno indossava una camicia bianca con cravatta e un paio di pantaloni neri. Probabilmente era appena uscito dall’agenzia investigativa di sua proprietà.

-Zio Heiji! -esclamò Aika correndogli incontro. Il detective dell’Ovest si inginocchiò e allargò le braccia. La bambina gli si aggrappò al collo e lui la alzò da terra.

-Ciao Aika-chan! -la salutò ridendo mentre Ran si avvicinava. 

Poco prima che Aika nascesse, Ran aveva chiesto a Heiji di essere il padrino della piccola. Lui aveva accettato senza esitazioni (forse perché farla arrabbiare ulteriormente proprio mentre malediceva “quel detective da strapazzo padre di sua figlia” non era certo una buona cosa se teneva alla vita) ed era rimasto al suo fianco insieme a Kazuha per tutto il tempo passato in sala parto. Ran sapeva di avergli quasi rotto la mano, ma spesso ci ridevano sopra.

-Come stai, futuro sposino? -chiese la karateka quando raggiunse il detective.

-Alla grande. -rispose lui rimettendo Aika a terra. -Avete fatto buon viaggio?

Ran annuì.

-Usciamo dalla stazione, vi accompagno in hotel. -disse Heiji indicando il cartello “uscita” con la testa. -E poi da Kazuha. Non è venuta con me perché doveva andare a controllare dei dettagli per la cerimonia, ma non vede l’ora di vedervi.

Ran sorrise: -Anche Aika non vedeva l’ora di vedere voi. Ha passato tutto il viaggio a parlare dei giochi che vuole fare con gli altri bambini invitati al matrimonio. 

La bambina arrossì.

-Ma davvero? -chiese Heiji guardando la piccola, che annuì timidamente.

-Ci saranno anche Hikaru e Mamoru, non sei contenta? -le domandò Ran. Hikaru e Mamoru erano i figli di Sato e Takagi: la prima aveva la stessa età di Aika e frequentava l’asilo insieme a lei; il secondo era invece più grande di due anni e faceva la prima elementare. Ran sospettava che Aika avesse una piccola cotta per lui, ma sua figlia a volte era difficile da capire.

I tre arrivarono alla macchina di Heiji, che mise le valigie nel baule.

-Come si chiama l’hotel? -chiese poi mentre legava le cinture di Aika. Dato che Ran e la piccola andavano spesso a Osaka, Heiji aveva comprato un seggiolino per la macchina apposta per la sua figlioccia, così da non aver problemi con la sezione stradale della polizia. 

Ran gli porse un biglietto: -È questo.

 

***

 

Appena lesse il nome dell’albergo, Heiji deglutì: era lo stesso hotel dove avrebbe alloggiato anche Shinichi... ma non poteva certo dirlo a Ran. Non ancora. 

-Sai dov’è o...? -fece la karateka data la mancata risposta dell’amico.

-Sì, stavo solo pensando alla strada migliore da prendere. -si affrettò a dire lui. -Sali.

Circa quaranta minuti dopo, Heiji stava lasciando Ran e Aika davanti a casa sua e di Kazuha. Avevano portato le valigie in hotel e poi erano risalite in macchina per andare dalla futura sposa. Il detective dell’Ovest, però, non sarebbe rimasto con loro: doveva tornare in stazione per prendere Shinichi, il suo testimone e migliore amico, che sarebbe arrivato di lì a poco... e poi, come disse Ran, era da “tradizione” che i due sposi stessero lontani almeno per le ventiquattro ore precedenti alla cerimonia.

-Grazie. -disse Ran mentre chiudeva la portiera. -Ci vediamo domani allora.

Heiji annuì: -A domani. 

Poi rimise in moto e partì alla volta della stazione di Osaka. 

L’ultima volta che lui e Shinichi si erano visti era stato circa cinque mesi prima. Heiji era andato in America con la scusa di dover risolvere un caso importante... beh, non si era rivelata del tutto una bugia: avrebbe aiutato Shinichi con la faccenda dell’organizzazione. 

In quel periodo il suo amico era ancora più piccolo di dieci anni a causa dell’APTX. Heiji aveva chiesto ad un Conan Edogawa sedicenne di fargli da testimone e lo aveva minacciato di morte in caso fosse beh... morto prima della cerimonia. Era stata una battuta infantile, ma era riuscito a far ridere l’amico in quel periodo cupo.

Rispetto a poco prima, la stazione sembrava più vuota. I turisti e i pendolari erano diminuiti ed Heiji riuscì ad avvicinarsi ai binari dello Shinkansen da cui, poco dopo, scese il suo migliore amico.

Shinichi era vestito con un paio di jeans e un maglione bianco, teneva un trolley nero con la mano destra e uno zaino sulla spalla sinistra. Scrutava la folla con gli occhi blu nascosti dagli occhiali scuri, cercando Heiji. A quanto pare, aveva pensato di mascherarsi dai giornalisti con quegli occhiali. Da quando era tornato adulto nove anni prima e aveva ripreso ad aiutare la polizia, le telecamere gli erano state subito addosso e il suo amico, a causa di questo, cercava di farsi notare il meno possibile quando era in pubblico.

-Oi Kudo! -lo chiamò Heiji sventolando la mano per farsi vedere dall’altro (per fortuna, Kudo era un cognome abbastanza comune). Il detective dell’Est lo individuò e si diresse verso di lui, sorridendo.

-Ehi. -lo salutò. -Ti stai godendo l’ultimo giorno di libertà?

Heiji rise: -In realtà non molto. Mi hanno chiamato per un caso che ho risolto un’ora fa circa. Vuoi i dettagli?

Shinichi scosse le spalle: -Se mi offri un caffè. -rispose fingendo noncuranza.

 



*angolo autrice*
Ehilà! Spero che la storia vi stia piacendo!
Grazie per le letture che aumentano man mano! Sono felice che ci sia qualcuno a cui Detective Conan piace ancora! 
Il bello inizia tra poco, ci vediamo nei prossimi capitoli! ☺️

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4. ***


-... e Otaki ha portato via l’assassino. -concluse Heiji mentre Shinichi mescolava il caffè. -È stato un caso semplice, non credi?

Il detective dell’Est fece spallucce: -Il classico caso di tradimento. -commentò portandosi la tazzina alla bocca.

-Qui non succede niente di interessante. Tu che mi racconti?

Shinichi si bloccò con la tazzina in mano. Heiji lo vide impallidire e irrigidirsi sulla sedia del bar.

-Va tutto bene? -domandò il detective dell’Ovest preoccupato per la reazione dell’amico, che rimise la tazzina sul piattino e osservò il liquido scuro per qualche secondo di silenzio.

-Ran ha una bambina. -disse con tono piatto. -Lo sapevi?

Heiji trattenne il respiro. “Cazzo” pensò iniziando a sudare.

Aveva promesso a Ran di non dire niente a Shinichi della piccola Aika ancora prima che la bambina nascesse... e aveva mantenuto il silenzio per quasi quattro anni ormai. Ma che cosa doveva fare in quel momento?

Non sapendo che pesci pigliare, ammise: -Sì. 

Tra i due detective scese il silenzio.

-E... Ran è... felice? -domandò Shinichi.

Tutto qui. Non una domanda sul fatto che Heiji non gli avesse detto niente. Forse aveva capito che per qualche motivo Heiji era stato “costretto” al silenzio.

Il detective dell’Ovest abbassò lo sguardo sulla tazzina davanti a sé, come se avesse potuto trovare una risposta decente nel caffè macchiato che aveva ordinato. Alla fine decise di dire la verità... almeno in parte:

-Il padre di Aika non è mai a casa. La piccola non lo ha neppure mai conosciuto e Ran non ha idea di cosa rispondere alle sue domande sempre più frequenti. 

Vide Shinichi stringere il pugno con cui non teneva la tazzina. Era terribile non poter dire la verità al proprio migliore amico, ma Heiji sapeva che prima o poi Ran e Shinichi avrebbero parlato e le cose si sarebbero sistemate. Si schiarì la voce e continuò, cauto: -Nonostante questo è felice. Aika è una bambina veramente dolce e non le dà problemi.

Shinichi fece un piccolo sorriso.

-Le ho viste al parco di Beika. Aika è la copia di Ran quando era piccola.

-Dovresti vedere lo zietto quando gioca con lei. Diventa una persona completamente diversa rispetto al Kogoro Mori che ti ha quasi ammazzato appena ha saputo che tu e Ran vi eravate messi insieme. 

Il detective dell’Est rise: -Impossibile.

-Lo vedrai con i tuoi occhi al matrimonio, se non mi credi. -fece Heiji con finto tono offeso.

L’altro alzò le mani: -Va bene, va bene. Mi fido. -disse. -Ma a proposito, sei pronto?

Subito nella mente del detective dell’Ovest comparve l’immagine di Kazuha la sera in cui le aveva chiesto di sposarlo. Se lo ricordava come se fosse passato un giorno solo: il viaggio al mare, la cena a lume di candela in uno dei più famosi ristoranti della città, la passeggiata tra le vie illuminate e la proposta, inginocchiato sul lungomare. Kazuha era stupenda quella sera (anche se per lui lo era sempre), con indosso un vestito di un verde molto simile a quello dei suoi occhi, i capelli legati nella sua solita coda e il trucco che la rendeva ancora più bella.

Lui invece indossava dei pantaloncini scuri e una camicia a maniche corte bianca, che a fine serata avevano assorbito un po’ del profumo che la sua fidanzata aveva messo per l’occasione.

Heiji aveva organizzato quel momento nei minimi particolari e tutto era andato come previsto... anche se il discorso che aveva fatto a Kazuha era risultato un po’ meno articolato di quello che si era ripetuto in testa per tutta la cena. Gli sembrava incredibile essere arrivato alla vigilia delle sue nozze in così poco tempo.

-Assolutamente sì. -rispose.

-Non te la stai facendo sotto, vero?

-Ma per chi mi prendi!

 

***

 

-Kazuha, sei bellissima! -esclamò Ran battendo le mani, emozionata.

L’amica fece una giravolta, leggermente ostacolata dall’abito bianco che avevano appena ritirato dal negozio: aveva una gonna ampia, un piccolo strascico, una sola spallina in pizzo che riprendeva il motivo sul corpetto e la scollatura a cuore. 

-Pensi che gli piacerà? -chiese Kazuha guardandosi allo specchio. La karateka le mise le mani sulle spalle e si specchiò con lei.

-Amica mia, sono sicura che il tuo principe azzurro finirà lungo disteso sull’altare appena ti vedrà camminare lungo la navata. -disse, provocando una risata da parte della ragazza di Osaka.

-E chissà cosa dirà appena vedrà la sua sorpresa. -commentò poi sedendosi sul letto.

-È tutto pronto?

-Sì, però mi dovrai aiutare. 

-Nessun problema. -Ran si sedette accanto all’amica.

Kazuha stette un attimo in silenzio, poi parlò, lentamente: -Ran. Ho sentito il telegiornale ieri... 

-Shinichi è a Tokyo. Sì, lo so. -concluse la karateka con un sospiro. Non aveva ancora digerito la cosa, ma doveva comunque ricordarsi che il suo detective era di origini giapponesi proprio come lei e che quindi era naturale che tornasse a casa ogni tanto.

Ma il problema non era quello...

-Lo avete invitato al matrimonio? -chiese Ran senza guardare l’altra negli occhi.

Kazuha sussultò.

-Era... beh, Heiji ha provato a cercarlo in America. Non so se...

-È il suo migliore amico. È naturale che lo inviti.

Kazuha si voltò verso Ran e le prese le mani: -Se ci sarà, sei sicura che a te non darà fastidio?

Ran sorrise: -Stai tranquilla. Non ci sono problemi. Non voglio tormentarti nel giorno più bello della tua vita.

-Sicura?

-Sicurissima. 

A quel punto la ragazza di Osaka fece un respiro e sorrise: -Ti spiego cos’ho in mente per la sorpresa per Heiji, va bene?

-Perfetto!

 

***

 

La mattina seguente andò tutto come programmato: colazione, parrucchiere e unghie, viaggio in auto fino al luogo dove si sarebbe tenuta la cerimonia, cambio d’abito e trucco in una stanza della villa che si trovava di fianco alla cappella.

Ran indossò il vestito verde che lei e Kazuha avevano scelto insieme qualche mese prima: la gonna in tulle le arrivava ai piedi, coprendo le scarpe argentate, la fascia attorno alla vita le risaltava il corpo magro e le spalle pallide erano nascoste dalle spalline. A parere di Kazuha, se Shinichi fosse stato al matrimonio, non le avrebbe staccato gli occhi di dosso.

Poi si truccò e sistemò i lunghi capelli castani in una semplice acconciatura, coprendo in parte la schiena lasciata nuda dal vestito. 

Mentre si guardava allo specchio, sospirò per calmare il battito del cuore. Probabilmente quel giorno avrebbe rivisto Shinichi dopo quattro anni. Cosa gli avrebbe detto? Se lo chiedeva anche lei.

-Okaasan! -la vocina di Aika la fece voltare. Vide la piccola fare una giravolta nella sua vestina verde scelta apposta per l’occasione e sorrise.

-Sei bellissima, Aika-chan. -disse la karateka abbassandosi al suo capo. 

-Zia Kazuha mi ha dato questo! -esclamò la bambina mostrando tutta fiera il cuscino con le fedi nuziali.

-Caspita! Fai attenzione a non farlo cadere. -si raccomandò la donna. Aika fece sì con la testa.

A quel punto il padre di Kazuha entrò nella stanza. Il segnale era chiaro: era ora.

Ran sorrise alla sposa, abbracciandola: -Ci vediamo là.

Kazuha annuì, poi Ran prese Aika per mano e si avviò con la piccola verso la cappella.

Mentre camminava, la karateka cercò di trovare delle possibili risposte da dare a Shinichi, che sicuramente avrebbe chiesto chi fosse il padre di Aika e perché non si trovasse lì con loro. Poi pensò che non era lei che doveva dare delle spiegazioni, ma piuttosto quel detective stacanovista. 

Infine sospirò: come aveva detto sua madre, non poteva tenere nascosta la verità a Shinichi per sempre. Anzi, magari lui avrebbe capito tutto da solo, come spesso succedeva. Diamine, certe volte era proprio irritante!

Scosse la testa per scacciare il pensiero proprio mentre lei e Aika raggiungevano la cappella. 

Davanti ad essa si era radunata la folla di invitati che parlavano tra loro. Heiji, che indossava uno smoking grigio con rifiniture e papillon neri, era sulla porta e teneva in mano il bouquet per Kazuha. Sembrava tranquillo... anche se Ran dovette cambiare idea quando lo vide fare dei respiri profondi sotto consiglio di uno dei suoi testimoni...

Il cuore di Ran saltò un battito. 

I capelli castani erano in ordine, tranne per il ciuffo sulla fronte. Gli occhi blu come il cielo osservavano lo sposo con aria critica. Lo smoking grigio e la cravatta del medesimo colore gli conferivano un’aria sensuale e allo stesso tempo elegante. 

E infine, le labbra, che Ran aveva baciato tante di quelle volte, si muovevano, chiaro segno che l’uomo stava parlando al suo migliore amico.

Shinichi era bello come lo ricordava. Dannazione.

-Okaasan! Lo zio Heiji! -esclamò Aika distogliendola di nuovo dai suoi pensieri. Ran si ritrovò costretta a spostare lo sguardo da Shinichi per guardare sua figlia, che saltellava indicando Heiji con il cuscino delle fedi.

-S-Sì, tesoro. -disse cercando di sorridere e di nascondere l’agitazione che l’aveva assalita.

Per fortuna, in quel momento la sposa arrivò a braccetto con il signor Toyama e Ran ebbe una scusa per distrarsi. 

“Sarà una lunga giornata” pensò mentre gli invitati iniziavano ad applaudire ed Heiji si avvicinava a Kazuha.

 

***

 

Ran non seppe come, ma riuscì a evitare di incrociare lo sguardo di Shinichi per tutta la cerimonia. Forse era stata troppo impegnata a fornire fazzoletti al padre di Kazuha, seduto accanto a lei, o forse si era distratta guardando Heiji che si era commosso allo scambio degli anelli... era stata una scena comica e dolce allo stesso tempo, con il celebrante che gli dava delle pacche sulle spalle per incoraggiarlo.

Durante il buffet, poi, tutti gli invitati continuavano a ribadire la cosa e lo sposo non aveva fatto altro che gonfiare le guance e cambiare argomento tutto rosso in faccia.

Ran era con Aika a prendere qualcosa da mangiare, quando si sentì chiamare da qualcuno dietro di lei: -Ciao Ran.

La karateka trattenne il respiro. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. L’aveva chiamata i quel modo dolce tante di quelle volte che le veniva naturale sorridere... ma questa volta si trattenne. Prese coraggio e si voltò.

Shinichi la guardava con le mani in tasca e il suo solito sorriso appena accennato. 

-Sh-Shinichi... -riuscì a dire lei.

Per qualche secondo le sembrò che i suoni attorno a loro due si fossero attutiti, come se fosse stata sott’acqua. C’erano solo lei e il detective, che si guardavano negli occhi. Il mondo esterno non esisteva più, proprio come quando lui l’aveva baciata per la prima volta sul palco dove avevano ripetuto le battute della recita scolastica.

Poi Aika attirò l’attenzione della madre, che spostò gli occhi su di lei, mentre i suoni tornavano chiari e limpidi alle sue orecchie.

-Okaasan, chi è? -chiese la piccola con la classica curiosità infantile negli occhi.

-E-Ecco, lui... -cercò di dire Ran. Si sentiva un blocco alla gola, come se qualcuno la stesse per strozzare. Conosceva bene quella sensazione: l’aveva provata molte volte quando, al liceo, Shinichi ricompariva dal nulla e le parlava, chiedendole di aspettarlo ancora perché le avrebbe spiegato ogni cosa.

Il detective fece un sorriso e si abbassò per guardare Aika negli occhi.

-Mi chiamo Shinichi. Piacere di conoscerti. -disse allungando una mano. La bambina la strinse con la sua, molto più piccola.

-Io mi chiamo Aika! -disse sorridendo a sua volta. 

L’uomo ridacchiò: -Quanta energia! -osservò. -Somigli molto alla tua mamma quando l’ho conosciuta, sai?

Ran si sentì arrossire.

-Oi Kudo! -esclamò la voce di Heiji, che arrivò proprio in quel momento con in mano un bicchiere di champagne. -Quella a cui stai stringendo la mano è la mia figlioccia. Vedi di non farle male o te la vedrai col sottoscritto.

Shinichi lasciò la manina di Aika, si rialzò in piedi e guardò Ran: -Sul serio? Questa mammoletta come padrino per tua figlia?

-Beh... -tentò di dire Ran, mentre Aika andava a giocare con gli altri bambini invitati al matrimonio.

-“Mammoletta” a chi, Kudo? -fece Heiji assottigliando gli occhi.

-A te, piagnucolone. -rispose Kazuha, che si era appena avvicinata. -Eri tu quello che piangeva come un bambino mentre cercava di dire “lo voglio”, o sbaglio?

-Questa me la paghi.

-Tsk, vedremo.

-Aw, il primo litigio da sposati! Che carini! -fece Ran. I due si voltarono di scatto verso di lei.

-Scusa? -chiesero in coro e facendo ridere Shinichi. 

Ran credeva che non avrebbe mai più sentito quella risata. Amava quel suono e non si sorprese quando si rese conto che era rimasta imbambolata a fissare il detective davanti a lei.

Fortunatamente, Kazuha la tirò in disparte prima che Shinichi se ne accorgesse.

-Ran, attenta alla saliva. -scherzò la neosposa guadagnandosi un’occhiataccia da Ran.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5. ***


Forse per la prima volta nella sua vita, Shinichi Kudo aveva improvvisato sul momento. Quel saluto era veramente la prima cosa che gli era venuta in mente di dire e, da parte di Ran, non si era aspettato di certo una risposta come quella... non dopo la sua scomparsa senza spiegazioni.

Kazuha l’aveva portata con sé mentre Heiji gli parlava, perciò non era riuscito a continuare il discorso. Forse da un lato era meglio così: meglio non creare tensione nel giorno più bello del suo migliore amico. Se qualcosa fosse andata male per colpa sua, il detective dell’Ovest avrebbe avuto successo dove quelli dell’organizzazione avevano (per quel momento) fallito senza troppi complimenti.

D’altra parte, Shinichi era stanco di tenersi dentro il segreto che per anni lo aveva tormentato. Voleva parlare a Ran di Conan Edogawa e dell’APTX 4869 al più presto. Per questo, nonostante avesse passato il resto dell’aperitivo a parlare con gli invitati, non aveva smesso di cercare Ran con lo sguardo per portarla lontano dagli altri con una scusa e dirle tutta la verità. 

Il problema: Ran era sempre con qualcuno e non gli piaceva disturbare le sue conversazioni.

Gli sembrava che lo stesse evitando... e con grande probabilità era così. 

-Kudo-kun, va tutto bene? -chiese Takagi ad un certo punto. Shinichi spostò la sua attenzione sul poliziotto, che era proprio davanti a lui e lo fissava con un sopracciglio alzato. In mano aveva il bicchiere che fino a poco prima conteneva dello champagne.

-Eh? Ah... sì... sì, tutto bene. -balbettò il detective in risposta. 

-Signori e signore, siamo pronti per servire il pranzo. -annunciò un cameriere proprio in quel momento. -Da questa parte.

L’uomo guidò gli invitati nella sala accanto, dove si trovavano i tavoli rotondi. Tutti erano coperti da una tovaglia bianca e apparecchiati con cura. Al centro di ognuno c’era il numero del tavolo, contrassegnato da un simbolo legato a un ricordo speciale degli sposi.

Shinichi era stato assegnato ad un tavolo che si trovava vicino a quello di Heiji e Kazuha insieme ai testimoni di entrambi gli sposi. Si avvicinò e cercò il segnaposto con il suo nome, che trovò subito.

-I testimoni tutti insieme immagino. -disse il cugino di Heiji, secondo testimone dello sposo, mentre si sedeva al suo posto.

Shinichi gli sorrise, mentre dentro di sé cresceva un’ansia tremenda: accanto a lui c’era il segnaposto di Ran, che vide arrivare proprio in quel momento.

“Hattori, io ti uccido” pensò il detective dell’Est.

Ran non era in compagnia di Aika. Probabilmente la piccola si sarebbe seduta insieme agli altri bambini ad un tavolo a parte. Guardò la karateka avvicinarsi e alzare lo sguardo su di lui. Dall’espressione che fece, doveva aver maledetto Kazuha tra sé e sé.

Prima che potesse parlarle, gli sposi fecero il loro ingresso nella sala e tutti gli invitati applaudirono. Quando Heiji e Kazuha si furono seduti al tavolo che aveva come segno una coppia di sposini di sapone, i camerieri iniziarono a portare il primo piatto. 

Shinichi lanciò di nascosto un’occhiata a Ran, che tormentava il tovagliolo con le mani. Sembrava ancora più bella di qualche anno prima... o forse era il fatto di non averla vista per tutto quel tempo.

Non dissero una parola fino a quando il cameriere mise davanti a loro un piatto fumante. Ran ringraziò e prese le bacchette.

“Coraggio Kudo. Dì qualcosa...” si disse Shinichi. 

Ma cosa?

Forse un commento sulla pasta che aveva davanti sarebbe bastato... tipo “buona, vero?”.

Shinichi non era mai stato una cima in cose come quella, ma decise che avrebbe funzionato, così fece per parlare.

-Kudo-san, sei silenzioso. -osservò il cugino di Heiji in quel preciso istante. Il detective deglutì: -È che non ho nulla da dire. -balbettò.

Si sentiva gli occhi di Ran addosso. Era sicuro che la karateka lo stesse osservando con un’espressione sorpresa. 

-È la prima volta che te lo sento dire. -disse infatti.

-Ooooh! Vi conoscete allora? -chiese l’amica di Kazuha che faceva a sua volta da testimone alla sposa.

-Siamo amici d’infanzia. -rispose Shinichi sentendosi arrossire. Improvvisamente la pasta davanti a lui gli sembrava alquanto interessante.

-E le nostre madri sono amiche dal liceo. -aggiunse Ran.

-Perdonate la domanda, ma voi state insieme per caso? -domandò il cugino di Heiji. 

-No. -dissero in coro. Shinichi si voltò verso Ran talmente velocemente che sentì un dolore al collo.

-O meglio, siamo stati insieme per cinque anni. -spiegò la karateka cercando di non guardare il detective che aveva di fianco.

-Oh, peccato! Sembrate una bella coppia! -commentò l’amica della sposa.

Per poco Shinichi non si strozzò con il vino che stava bevendo.

 

 

Quando fu il suo turno per il discorso da testimone, Shinichi cercò di sfoderare un sorriso decente. Non si era mai sentito così a disagio con Ran. Nemmeno quando, ai tempi del piccolo Conan, lei lo aveva costretto a fare il bagno insieme.

Prese il microfono che il cugino di Heiji gli porgeva, si schiarì la voce e attirò l’attenzione degli invitati.

-Spero che tutti stiate passando una bella giornata, perciò cercherò di essere breve per prolungare i festeggiamenti il più possibile! -tutti risero. -La prima cosa che voglio dire è che mi sembra incredibile il fatto di essere qui a fare il testimone dello sposo. Chi conosce bene questi due, sa quanto siano stati lenti a dichiararsi l’un l’altro. Quando è successo avevo perso la speranza! Spero che i nipotini per il capo questore di Osaka arrivino presto!

-Ehi! -protestò Heiji.

-La seconda cosa è un po’ sentimentale. Quando ho conosciuto Heiji, al liceo, ci detestavamo. Col tempo invece abbiamo iniziato a sopportarci e a definirci “migliori amici”. Mi ha aiutato molto in questi anni, perciò... -si voltò verso gli sposi e alzò il bicchiere con lo champagne che aveva nell’altra mano. -Auguro tutto il meglio a Heiji e Kazuha. Congratulazioni!

Mentre i presenti applaudivano, Heiji si alzò e strinse l’amico in un abbraccio.

-Grazie Kudo. -gli disse. Shinichi gli diede delle pacche sulle spalle.

-Se volete che vi lasciamo soli basta chiedere. -fece Ran, che aveva appena preso il microfono dalle mani di Shinichi.

Gli invitati risero, mentre i due amici si risedevano, rossi in viso. Shinichi non era mai stato bravo a esprimere i suoi sentimenti. Aveva fatto un enorme sforzo!

-Cercherò anche io di essere breve. -disse Ran al microfono. -Il mio non è un discorso vero e proprio, bensì una piccola introduzione alla sorpresa per lo sposo ideata dalla sposa. 

Mentre Heiji osservava Kazuha con espressione interrogativa, quest’ultima si alzò e prese il pacchetto regalo che sua madre le porgeva.

-Shinichi, il testimone dello sposo, ha indovinato di cosa si tratta. -continuò Ran. -Ma non spetta a me dire che cos’è.

Tutti, incluso Shinichi, avevano un’espressione più che incuriosita. Chissà cosa si era inventata Kazuha...

-Aprilo. -disse quest’ultima al suo neomarito, che l’osservava dubbioso. -Giuro che non salterà fuori niente di strano!

A quest’ultima affermazione, Shinichi ridacchiò: ricordava bene quando Kazuha aveva dato a Heiji una scatola da cui erano esplosi dei coriandoli appena lui aveva tolto il coperchio. Il suo amico si era spaventato a morte.

Quel giorno, però, non ci furono coriandoli colorati sparsi per la sala. Heiji aprì la scatola e rimase un attimo sorpreso. Guardò Kazuha.

-Stai scherzando?

-No. -rispose lei con un sorriso.

-No, tu non sei...

-Quelli dicono il contrario. 

-Hattori, siamo curiosi! -esclamò la voce di un uomo. -Che cos’è?

Heiji lasciò la scatola sul tavolo e ne estrasse il contenuto come se fosse stato un’arma nucleare. Shinichi si era aspettato di tutto, ma quello che il detective dell’Ovest teneva in mano lo lasciò veramente senza parole.

-Accettiamo scommesse sul sesso del nascituro! -annunciò Ran al microfono, mentre Heiji stringeva Kazuha in un abbraccio e tutta la sala esplodeva di applausi.

-Questa non me l’aspettavo proprio. -commentò il cugino dello sposo osservando il detective dell’Ovest rimettere il test di gravidanza nella scatola.

-Nemmeno io, ad essere sinceri. -fece Shinichi, poi, quando Ran si sedette accanto a lui, le chiese: -Da quanto?

-Circa un mese. -rispose lei. -Kazuha ha deciso di fare questa sorpresa a Heiji proprio oggi. Secondo me sarà maschio comunque.

-Naaah, secondo me femmina. -disse il detective dell’Est.

-Beh, lo scopriremo fra qualche mese. -Ran gli regalò un piccolo sorriso imbarazzato che lo fece arrossire. Per fortuna lei distolse lo sguardo per guardare gli sposi e lui poté lasciare andare il respiro che non si era accorto di trattenere. Diamine, si sentiva come un ragazzino alle prese con la prima cotta... forse perché era da quattro anni che non stava così vicino a Ran o forse perché quel giorno lei indossava un abito che metteva in risalto il corpo magro... Shinichi non capiva.

 

 

Heiji e Kazuha ballavano al centro della sala sulle note di di una canzone che Ran ricordava di aver sentito alcuni anni prima, quando i suoi amici si erano messi insieme poco dopo la fine del liceo. Quella era poi diventata la loro canzone e spesso Kazuha le raccontava che durante i loro anniversari si ritrovavano ad ascoltarla. 

Piano piano, anche tutti gli invitati iniziarono a ballare in coppia sotto le luci colorate, mentre Ran si perdeva nei suoi pensieri. Nonostante si fosse sentita terribilmente in imbarazzo con Shinichi, per lei quella giornata era stata bellissima. Aika stava ancora giocando con i bambini invitati perciò aveva avuto una sottospecie di giorno di ferie dal lavoro di mamma a tempo pieno.

-Mi concedi questo ballo? -le chiese qualcuno. Ran si voltò e si ritrovò Shinichi vicino, la mano con il palmo rivolto verso l’alto e un sorriso timido che gli incurvava le labbra.

Il pensiero del corpo di lui contro il proprio le fece sentire caldo. Per fortuna le luci nascondevano il rossore delle guance!

Però, si disse, perché rifiutare?

Mise la mano in quella di Shinichi e si alzò dalla sedia su cui era seduta, poi si lasciò guidare dal detective verso il centro della sala.

Quando lui le mise l’altra mano sul fianco per avvicinarla a sé, sentì il suo profumo dolce alle narici. Era così familiare che per un attimo le sembrò che quei quattro anni non fossero mai esistiti.

 

 

Ran non era mai stata una grande ballerina. Certo, quando era piccola suo padre la prendeva per mano e la faceva ballare facendole poggiare i piedini sopra i suoi coperti dalle tradizionali pantofole... ma era una situazione completamente diversa. Non era un lento vero e proprio.

Per questo, quando Shinichi le propose di ballare con lui fu tentata di dire di no. 

-Io... ehm... non so ballare i lenti... -balbettò guardando i suoi calzini di Natale, con un pom pom rosso che fungeva da naso per il disegno delle renne che le adornavano i piedi. Un regalo di Kazuha.

-Non fa niente. Neanche io sono bravo. -le disse lui sorridendole. Si alzò dalla sedia della cucina e tese entrambe le mani per invitarla a fare lo stesso.

Lei si lasciò mettere in piedi, esitante: -Shinichi...

-Dai, siamo solo io e te. Non ci vedrà nessuno. 

La guidò in salotto, dove le luci dell’albero di Natale nuovo di zecca si riflettevano sul vetro della grande finestra. Da lì, si poteva avere una vista mozzafiato della città di Tokyo, in quei giorni imbiancata dalla neve che scendeva anche quella sera.

Shinichi la lasciò in mezzo alla stanza, raggiunse lo stereo e vi inserì un CD. Appena la canzone iniziò, Ran riconobbe la voce di Mariah Carey.

Il suo ragazzo le si avvicinò nuovamente e le prese le mani.

-Segui me. -le disse dolcemente. Poi si mise a muovere le braccia avanti e indietro senza smettere di guardarla negli occhi. 

Verso la fine della canzone, Ran teneva la testa appoggiata al petto di Shinichi, che la stringeva a sé tenendole una mano sul fianco. Le dita dell’altra erano intrecciate con quelle di lei.

-Come si chiama la canzone? -chiese Ran sottovoce, come per paura che l’atmosfera carica di magia si dissolvesse.

-“Hero”. -rispose semplicemente Shinichi. 

Rimasero in silenzio ancora per un po’, continuando a muoversi dolcemente.

-Buon Natale. -sussurrò lui dandole un bacio sulla testa.

-Buon Natale. -fece lei chiudendo gli occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6. ***


-Sei migliorata o sbaglio? -le chiese Shinichi ad un certo punto.

-N-Non credo. -rispose lei mentre le faceva fare una giravolta. 

Lui sembrava a disagio quanto lei. Era rigido e sulle spine, come se avesse avuto paura che Ran fosse una bomba e che gli stesse per scoppiare in mano.

-Ran, senti... -balbettò quando gli fu di nuovo vicina. -Io devo...

La karateka lo zittì, scuotendo la testa. 

-Non stasera. -disse.

-Ma...

-Questo è il gran giorno di Heiji e Kazuha, non voglio ricordarlo per altro. -lo interruppe facendo cenno agli sposi con la testa.

Shinichi annuì e sospirò, poi, timido, sorrise: -Va bene.

Continuarono a ballare finché la musica cambiò da un lento ai balli più vivaci. Shinichi si era tolto la giacca ed era rimasto in maniche di camicia. Ran cercò di non fissarlo troppo: vederlo in camicia le aveva sempre fatto risvegliare le farfalle nello stomaco. Era così bello...

La karateka si morse il labbro. No, non si sarebbe innamorata di nuovo. 

O forse non aveva mai smesso di amarlo?

 

***

 

Quando chiuse l’acqua della doccia, Ran sospirò. Per tutta la notte non aveva fatto altro che ritrovarsi il viso di Shinichi nei sogni e aveva dormito malissimo, cosa strana per lei, un ghiro sin dalla nascita.

Si avvolse nell’asciugamano dell’hotel e si guardò per un attimo allo specchio: i capelli bagnati le coprivano le spalle pallide, le goccioline d’acqua che cadevano dalle punte venivano assorbite dalla stoffa morbida in cui si era avvolta e il corpo magro, che era cambiato tantissimo da quando aveva avuto Aika, sembrava tornato come lo aveva sempre visto. Tutto merito del karate.

Già, il karate. Quell’arte marziale che l’aveva fatta diventare famosa a livello mondiale.

Sospirò, poi si vestì e si asciugò i capelli, infine uscì dal bagno. Non voleva pensare a Shinichi e a come avevano ballato insieme il giorno prima, al sorriso impacciato che le aveva rivolto così spesso, alle sue mani che la stringevano...

Scosse la testa, mentre ricordi degli anni che avevano passato insieme le tornavano in mente. Il primo bacio su quel palco dove durante la recita non erano andati oltre ad un semplice abbraccio (c’era mancato così poco, dannazione!), il trasloco nel loro appartamento con vista mozzafiato, la loro prima volta... il tocco caldo e delicato delle mani di lui su di lei...

Ran si diede dei piccoli schiaffi sulle guance. Non era il caso di pensare a quello. Non quando c’era Aika lì con lei. Curiosa com’era, le avrebbe sicuramente chiesto come mai fosse diventata rossa così all’improvviso e Ran non poteva certo risponderle con quei pensieri poco adatti a una bambina di quasi quattro anni.

Per sua fortuna, Aika stava ancora dormendo. Erano tornate in hotel molto tardi, la sera prima, e la piccola era crollata subito dopo aver messo il pigiama. Di solito, Ran le leggeva una storia o le raccontava qualcosa riguardante suo padre, tralasciando che non l’aveva mai conosciuta... fino al giorno prima.

Ecco. C’era anche quel problema.

Oltre al sentirsi una ragazzina alle prese con la prima cotta, doveva anche trovare il momento giusto per far sapere a Shinichi che aveva una figlia di quasi quattro anni. Come? Non ne aveva idea.

E poi anche Shinichi doveva dirle qualcosa. Le era sembrato particolarmente impaziente di parlarle, mentre ballavano. Chissà cos’era di così importante...

Un leggero toc toc alla porta la distolse dai suoi pensieri. Guardò l’orologio, che segnava le 8 del mattino. Chi poteva mai essere a quell’ora?

Si strinse nella felpa che aveva indossato poco prima e andò ad aprire. Davanti a lei, con sua grande sorpresa, c’era colui che le aveva disturbato il sonno per tutta la notte. 

Shinichi la guardava con quei bellissimi occhi blu. Indossava una semplice maglietta nera, le cui maniche corte mettevano in risalto le braccia muscolose, oltre ad un paio di jeans e le scarpe da ginnastica. 

-Ehm... buongiorno. -disse grattandosi la nuca, gesto che lo rendeva dannatamente adorabile.

-Buo-Buongiorno... -rispose Ran senza riuscire a staccare gli occhi dai bicipiti allenati di lui. Sapeva bene quale fosse la sensazione di trovarsi tra quelle braccia...

-Hattori mi ha detto che alloggiavo nel vostro stesso hotel e... ecco... -balbettò Shinichi. Si guardò attorno prima di chiedere: -Posso entrare?

Le fece quella domanda come se avesse avuto paura di essere osservato da qualcuno. Data la mancata risposta di lei, sospirò.

-Io ho bisogno di parlarti, Ran. -spiegò poi. -Sento che se non lo faccio ora, non lo farò mai più. Poi ti starò lontano, non ti parlerò più e potrai far finta di non conoscermi. Ma ti prego, fammi almeno spiegare perché me ne sono andato così all’improvviso, quattro anni fa.

Sentire il suo nome pronunciato in quel modo così dolce le fece tremare le gambe. Aveva sempre amato quando Shinichi la chiamava: faceva sembrare quelle tre lettere la cosa più preziosa al mondo... e spesso lei si era sentita così, grazie a lui.

Ran guardò il viso del detective. Era sincero e lei lo sapeva. Si vedeva che moriva dalla voglia di darle una spiegazione.

-Vieni. -disse scostandosi quel poco che bastava per farlo entrare nella stanza. -Ma facciamo piano. Aika dorme.

Shinichi annuì, poi mise finalmente piede nella camera. Mentre toglieva le scarpe, Ran chiuse la porta e poi lo guidò verso il kotatsu posto al centro della stanza. Aika dormiva poco distante da esso, nel suo futon. 

Si sedettero a terra uno di fronte all’altra e Ran guardò il detective per incoraggiarlo a parlare. 

Shinichi deglutì e strinse le mani, appoggiate sul legno chiaro del kotatsu.

-Prima che inizi a raccontare, è bene che tu sappia che non ti ho mai detto nulla perché saresti stata in pericolo. Se ti fosse successo qualcosa a causa mia, non me lo sarei mai potuto perdonare. -disse alzando lo sguardo su di lei. -Tu sei sempre stata importante per me, te l’ho detto tante volte, e avrei voluto dirti tutto in più di un’occasione. Non sopportavo di doverti mentire. 

Ran annuì una volta. Il cuore le batteva forte, come se da un momento all’altro avesse potuto uscirle dal petto. Aveva aspettato quel momento per anni e finalmente era arrivato. Avrebbe avuto le risposte che voleva.

Shinichi la guardò negli occhi, inspirò e iniziò a raccontare: -Tutto ha avuto inizio ormai dieci anni fa. Ricordi la nostra uscita al Tropical Land?

-Sì. È da quel momento che sei... -disse Ran non riuscendo a completare la frase. Quella giornata aveva dato inizio a un periodo di pianti e sofferenza per lei.

-Sparito. Esatto. -fece lui per lei. -Se potessi, tornerei indietro a quella sera per impedirmi di lasciarti lì da sola e correre a spiare quegli uomini vestiti di nero. Perché ho fatto questo. Ho spiato uno di quei due tizi che erano con noi sulle montagne russe e l’ho visto ottenere una somma di denaro molto alta da un altro uomo. Ero così attento a ciò che stava succedendo, che non mi sono accorto del suo collega alle mie spalle. Mi ha colpito con un tubo di ferro e mi ha fatto prendere una pastiglia, mentre ero semisvenuto.

Ran trattenne il fiato. Sapeva che Shinichi non stava scherzando. Aveva imparato a riconoscere i momenti divertenti da quelli più seri, le espressioni che si dipingevano sul viso del detective quando cercava di trattenere le risate. In quell’istante, non la stava prendendo in giro.

-Pensavo che sarei morto. -continuò a raccontare. -Avevo il cuore che mi esplodeva, le ossa che sembravano sciogliersi. E poi avevo paura. Paura di finire all’altro mondo. Quando il dolore è cessato, la polizia mi ha trovato. Non puoi immaginare quanto fossi felice: ero vivo, avrei potuto dire di quei due tizi e di quello che avevo sentito dire loro. E l’ho fatto... ma nessuno mi ha creduto. 

-P-Perché? -si azzardò a chiedere lei. 

Shinichi deglutì di nuovo. Si tormentò le mani fino a far sbiancare le nocche.

-Ora rispondimi sinceramente. -disse dopo qualche secondo di silenzio. -Se Aika, una bambina, ti venisse a raccontare di essere una ragazza di sedici anni e che è stata rimpicciolita da un farmaco... tu le crederesti?

Ran sentì di aver trovato il pezzo mancante di un puzzle, ma per qualche ragione la cosa non la rese felice.

-No. -rispose, piano, mentre nella sua mente scattava qualcosa.

-Esatto. Nessuno mi ha creduto perché ero tornato bambino. Un bambino di sei anni con una brutta ferita alla testa, che indossava vestiti troppo grandi per la sua età e che raccontava una storia così assurda. -Shinichi si fermò. Era pallido in viso. 

La karateka non resistette e allungò le mani per avvolgere quelle di lui. 

-E poi? -lo incoraggiò cercando i suoi occhi.

-Io... sono scappato. -rispose il detective, con lo sguardo basso. Non sembrava molto fiero di ciò che stava raccontando. -Sono corso a casa e lì ho incontrato il professore, che aveva fatto esplodere per l’ennesima volta il muro di cinta. Sono riuscito a convincerlo perché ho fatto una deduzione che un bambino di prima elementare non saprebbe fare così di punto in bianco. Mi ha aiutato a entrare in casa, mi sono messo i vestiti di quando ero piccolo, gli ho raccontato tutto e poi... poi sei arrivata tu.

Nella mente di Ran si susseguirono varie immagini: il viso di un bambino occhialuto nascosto dietro la scrivania, quel piccolo che balbettava di avere sei anni e di chiamarsi...

-Conan. -disse lei. La voce ridotta a un sussurro.

 

***

 

Quando Heiji aprì gli occhi vide un timido raggio di sole entrare dalla finestra. Le ante erano socchiuse, come le aveva lasciate Kazuha la notte prima, e una brezza leggera faceva muovere le tende.

Kazuha dormiva ancora, abbracciata a lui. Il detective sorrise, mentre passava una mano nei capelli di lei, lasciati sciolti solo quando dormiva. Non riusciva ancora a credere a quello che gli aveva rivelato il giorno prima. Gli sembrava incredibile il pensiero di un bambino tutto loro che camminava per la casa con quei piedini adorabili...

-Heiji... -mugugnò Kazuha, assonnata.

Heiji le baciò la testa: -Buongiorno. Già sveglia?

-Potrei farti la stessa domanda. -si sistemò meglio tra le sue braccia. -Siamo tornati alle tre stanotte! 

Heiji guardò la sveglia, che segnava le 8:30. Lui era un tipo abbastanza mattiniero, era Kazuha quella che dormiva fino a tardi, di solito.

-Abbiamo tempo di salutare Aika e Ran. -osservò il detective. -E poi possiamo andare all’aeroporto con un bel po’ di anticipo.

Kazuha si mise seduta, guardandolo in viso.

-Sto già pregustando la spiaggia bianchissima e il mare. -disse con un sorriso. 

-Però non potremo fare tutte le escursioni che avevamo in mente. -le fece notare Heiji.

-Perché? -domandò Kazuha, confusa.

-Perché adesso siamo in tre. -rispose allungandosi per lasciare un bacio sulla pancia di lei, che gonfiò le guance e mise il broncio. 

-Non sono ancora una balena. Sono in grado di partecipare alle gite in barca e a qualsiasi cosa volevamo prenotare. -protestò. Heiji rise.

-Va bene. -disse mettendosi seduto a sua volta. -Ma se poi avrai la nausea non venire da me a lamentarti. Capito?

Kazuha incrociò le braccia e girò la testa dall’altra parte, come i bambini quando si arrabbiano. Il detective rise di nuovo e si alzò in piedi.

-Preparo la colazione. -disse uscendo dalla stanza senza nemmeno mettersi le pantofole. 

Vivevano insieme dal primo anno di università. All’inizio era stato difficile, litigavano ogni volta che c’era qualcosa fuori posto o se uno dei due non rispettava gli orari dell’altro. Heiji lavorava ai casi con la polizia e spesso tornava a casa a notte inoltrata, trovando la cena fredda e un biglietto di Kazuha che gli diceva di fare piano o l’avrebbe svegliata.

Kazuha aveva invece continuato con l’aikido. Aiutava coloro che facevano parte del club del liceo, ottenendo in cambio una bella somma di denaro. 

Dopo l’università Heiji aveva aperto la sua agenzia investigativa, perciò lei aveva deciso di fargli da segretaria. Al contrario di quello che avevano pensato, grazie a quella collaborazione non litigavano praticamente più.

Heiji sorrise mentre prendeva le ciotole per il riso e le bacchette. La fede d’oro che aveva da meno di un giorno brillò.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7. ***


-Tu... eri Conan... 

Shinichi annuì. Aveva un’espressione strana in viso, come se avesse ingoiato a forza qualcosa di sgradevole. Inoltre era pallido. Ran temette di vederlo morire proprio lì, seduto davanti a lei.

-E io lo avevo capito... più di una volta. -continuò cauta.

-Sì. E non puoi immaginare quanto fosse frustrante dirti che non avevi ragione. 

Ran tolse le mani da quelle di lui. Abbassò lo sguardo sulle sue gambe, senza avere il coraggio di dire nulla. Allora non era impazzita. Shinichi e Conan erano la stessa persona per davvero. Quel pensiero l’aveva tenuta sveglia per molte notti, come quando, nell’ufficio di suo padre, aveva cercato di trovare il codice di quattro cifre per sbloccare il cellulare di Conan. Non avrebbe mai pensato di aver avuto ragione. Si era data della stupida ogni volta.

-Io... voglio che tu sappia che non ho mai pensato che fosse divertente prenderti in giro. Lo facevo per non mettere te e tuo padre nei guai. -disse Shinichi risvegliandola dai suoi ricordi. -Quei due uomini fanno parte di un’organizzazione criminale i cui membri vestono solo di nero, come i corvi. Se qualcosa li intralcia, non si fanno scrupoli a eliminare quell’ostacolo anche con la forza. Non volevo che vi succedesse qualcosa e...

-Ma allora... se tu eri Conan... come... -balbettò Ran con voce rotta. -Londra... la recita... lo Shiragami...

-Quello ero proprio io, Ran. -la rassicurò. 

-C-Come? -chiese lei alzando lo sguardo. Sentiva gli occhi colmi di lacrime, ma non voleva piangere davanti a lui. Si era ripromessa di essere forte quattro anni prima e non doveva mollare proprio in quel momento. 

-Un antidoto che durava ventiquattro ore. -rispose il detective. -Lo ha fatto Ai. Anche lei era nell’organizzazione e ha assunto il mio stesso farmaco per scappare. Avrebbe la nostra età, ma non ha voluto tornare adulta.

Shinichi continuò a raccontare di come avesse preso l’antidoto che era durato cinque anni, delle indagini che aveva svolto con l’FBI da quando era andato in America senza dire nulla, di quanto fosse vicino ad arrestare una volta per tutte il boss dell’organizzazione.

Alla fine rimase in silenzio. Ran non aveva il coraggio di parlare. Non si sentiva presa in giro, lui aveva avuto una ragione precisa per dirle tutte quelle bugie. Eppure, c’era qualcosa che la spinse a chiedere: -Perché non me lo hai detto subito? Avrei potuto aiutarti! 

Anche se lui le aveva già detto che sarebbe stata in pericolo, non le importava. Se davvero l’aveva sempre amata, come sosteneva negli anni in cui erano stati felici, perché non si era fidato di lei?

-Per questo, Ran. Tu sei così gentile che avresti cercato di aiutare. Ma non potevo permetterlo. -rispose Shinichi indicandola con la mano. -Non volevo coinvolgerti in qualcosa di così pericoloso. So che sei una donna forte e che non sarebbe stato un problema per te: avresti usato il karate per difenderti, non sei stupida e hai un cuore grande. Io... io invece sono un codardo. 

Rimase zitto, fissando le mani che poi mise sul petto: -Io sono un codardo. -ripeté. -Non volevo che tu mi rimproverassi di non essere stato attento come mi avevi detto più volte, non avrei avuto il coraggio di guardarti in faccia. Per questo ti ho detto quelle bugie.

Vedendolo in quello stato, con il viso abbassato, gli occhi lucidi e le mani che ormai erano viola da quanto le tormentava, Ran non riuscì ad arrabbiarsi. 

-Io ti capisco se non vuoi perdonarmi. -continuò lui. -Però io avevo il bisogno di dirti tutto. Mi ero ripromesso di farlo. 

Si alzò dal tatami e strinse i pugni lungo i fianchi. Ran, che era rimasta immobile quando l’aveva sentito autodefinirsi un codardo, sussultò. Shinichi era cambiato molto in quegli anni e non solo fisicamente. Era cresciuto, era diventato un uomo adulto.

-Uscirò dalla tua vita, se lo desideri. -continuò lui. -Voglio solo che tu sia felice con tua figlia... 

-Ti perdono. -lo interruppe Ran. Alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise, dolce.

-Co-Cosa? -fece Shinichi, sorpreso. 

-Ti perdono. -ripeté lei. -Lo hai fatto a fin di bene, Shinichi. Questo mi basta. 

-D-Davvero? -domandò il detective con un’espressione speranzosa. 

“Già, Ran, lo perdoni davvero?” si chiese. “Dopo tutte le bugie che ti ha detto tu lo stai perdonando? Sicura di quello che fai?”

No, non lo era. Aveva semplicemente detto quelle parole perché non ne poteva più di quella storia. Certo, lui le aveva mentito a fin di bene, però...

La karateka annuì, poi si alzò a sua volta e si avvicinò a lui. Era più alto di lei, ma in quel momento sembrava un bambino bisognoso di affetto.

-E Aika ti adora. Se vorrai, vieni a trovarci ogni tanto. -fece poi indicando la bambina con la testa.

“E poi anche io ti sto nascondendo un segreto, ma non so come dirtelo” disse mentalmente. “Mi dispiace, Shinichi. Mi dispiace tanto.”

Finalmente, Shinichi le sorrise.

-Lo farò. -disse annuendo. Perché aveva quel potere su di lei? Perché non riusciva mai ad essere arrabbiata con lui?

Rimasero in silenzio per qualche secondo, il tempo che impiegò Ran a rendersi conto di quanto fossero vicini. Si allontanò, andando verso Aika per svegliarla.

Non perché fosse in imbarazzo (o forse sì?) e nemmeno perché non volesse far capire a Shinichi ciò che provava ancora per lui (o forse sì?). Solo per svegliare sua figlia per scendere a fare colazione.

-Shinichi. -disse. 

-Sì? 

-Io... credo di avere bisogno di tempo per... per metabolizzare la cosa. -non trovò il coraggio di guardarlo in faccia. -Ti perdono, ma tu devi dimostrarmi che te lo sei meritato e che non ti ho dato un’altra possibilità invano.

-Ran, guardami. -ordinò Shinichi. Lei si voltò in tempo per vederlo rimettersi in ginocchio e inchinarsi. 

-Ah, aspe... -balbettò più che stupita.

-Io ti giuro che da questo momento in avanti ti dirò ogni cosa e che farò di tutto per meritarmi la tua fiducia. -scandì lui. Ran era rimasta senza parole. Vederlo inchinarsi per chiedere il suo perdono era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata da lui.

-Non c’è bisogno che ti inchini. -lo rimproverò. Lui alzò gli occhi su di lei, poi, lentamente, si rimise dritto.

-Posso chiederti un’ultima cosa? 

-Sì.

-Quello che ti ho raccontato... non dirlo a nessuno, capito? 

Ran annuì: -Puoi fidarti di me.

 

***

 

Shinichi si sentiva come se un enorme peso gli fosse stato tolto dalle spalle. Aveva detto tutto a Ran, lei lo aveva perdonato e gli aveva pure dato il permesso di andarla a trovare quando voleva. Era al settimo cielo.

Mentre sceglieva cosa mangiare al buffet della colazione, sorrideva come un ebete. Probabilmente era il giorno più bello della sua vita, dopo il suo primo bacio con Ran, chiaro. Non riusciva a crederci... forse in quei dieci anni si era fatto così tante paranoie che avevano finito per influenzare i suoi pensieri e non aveva più sperato in un perdono da parte di lei... e gli aveva pure dato un’altra occasione! 

-Shinichi? -lo chiamò Ran. Era proprio accanto a lui.

-Eh? Ah, sì... dicevi? -balbettò il detective tornando coi piedi per terra.

-Va tutto bene? -chiese lei. -Stai fissando il pesce con uno strano sguardo da...

-Sì, sì. Stavo solo pensando a una cosa... -rispose vagamente. Poi afferrò una ciotola di riso e si avviò verso un tavolo vuoto. 

Bene, ora c’era un altro problema da risolvere. Placare quei dannati ormoni che nonostante avesse quasi trent’anni gli facevano ancora brutti scherzi.

Da quando aveva capito che per la sua amica d’infanzia provava vero e proprio amore, ogni volta che era stato in compagnia di lei si era sentito... strano. Non sapeva come definire quello che sentiva, ma per i cinque anni che avevano passato insieme quella sensazione si era affievolita. Non aveva smesso di amare Ran, no no... però si sentiva più a suo “agio”. Come se lei fosse stata in grado di tenere a bada il toro imbizzarrito che si era creato dentro di lui.

Quel giorno invece gli sembrava di essere tornato al punto di partenza.

Sospirò e alzò lo sguardo dal piatto che aveva davanti. Vide Ran poco distante, con Aika che le indicava qualcosa che evidentemente voleva come colazione. 

Osservando la bambina sorrise, mentre l’immagine di una Ran di quattro anni si sovrapponeva a lei. Le somigliava così tanto... e per qualche ragione questa cosa gli provocava una certa malinconia. 

“Il padre di Aika non è mai a casa. La piccola non lo ha neppure mai conosciuto e Ran non ha idea di cosa rispondere alle sue domande sempre più frequenti.”

Quando Heiji gli aveva detto quelle frasi, Shinichi aveva sentito la rabbia crescere dentro di sé. Ran non si meritava questo. Il padre di Aika, chiunque fosse, non aveva capito che grossa opportunità si era perso. Come si era permesso di lasciare Ran da sola con una bambina da crescere? Che idiota...

-Shinichi, possiamo sederci qui? -chiese la voce della karateka distogliendolo dai suoi pensieri. Davanti a lui c’era Ran, che teneva due vassoi in mano. Aika era con lei e si nascondeva timidamente dietro le sue gambe.

Shinichi sorrise e annuì, così Ran lasciò i vassoi sul tavolo e sospirò di sollievo.

-Aika, non fare la timida. Hai già incontrato Shinichi. -disse alla bambina nascosta dietro di lei. Il detective sorrise: Aika somigliava davvero tanto a Ran. Gliela ricordava per filo e per segno.

-Sai, sei davvero uguale alla tua mamma, Aika. -disse per rompere il ghiaccio. Vide Ran arrossire leggermente, ma fece finta di non essersene accorto e continuò a rivolgersi alla bambina: -Quando aveva paura si nascondeva dietro di me. 

-Davvero? -domandò la piccola sporgendosi un pochino.

-Sì e lo faceva anche quando eravamo alle superiori. 

Aika rise e Shinichi la trovò adorabile. Ran, che sorrideva a sua volta, si sedette e aiutò la piccola a fare lo stesso. 

-Però Aika è più coraggiosa di me. -disse la karateka mentre sua figlia iniziava a mangiare. 

-Tu sei sempre stata una fifona. -osservò Shinichi. -Pure all’università eri terrorizzata dai fantasmi. Ricordi la casa infestata al luna park di Kyoto?

Il colore sulle guance di Ran divenne di un rosso molto simile al carminio.

-Beh, tutti hanno paura di qualcosa! -protestò. 

-Oh, come quella volta che sono dovuto tornare a casa correndo perché era andata via la luce e tu mi hai chiamato nel bel mezzo di un caso perché avevi paura? 

-Era la prima volta che succedeva in una casa nuova! Poi me la sono sempre cavata da sola. Vero, Aika? -fece Ran guardando la bambina. -Quando va via la luce riaccendo sempre l’interruttore io, no?

Aika annuì una volta: -La mamma è coraggiosissima! -esclamò e Ran si voltò verso Shinichi con la faccia che diceva “te l’avevo detto”.

Il detective rise: -E va bene, se lo dice Aika è vero.

Poi al tavolo calò il silenzio. L’imbarazzo del giorno prima era tornato.

-Ieri è stata una bella giornata. -commentò Ran. 

-Già. Tutto grazie a te che hai aiutato quel tonno a dichiararsi, l’ultimo anno di liceo.

Ran rise. Gli aveva raccontato di come un giorno Heiji l’avesse chiamata chiedendole una mano per dichiararsi a Kazuha. Doveva tenerla occupata per qualche ora, mentre lui faceva preparare il tavolo per la cena a lume di candela sulla torre Tsutengaku di Osaka. Heiji si era superato.

-Non pensavo che si mettesse a piangere sull’altare. -disse Ran stupita.

-Effettivamente neppure io. -Shinichi deglutì il riso che aveva appena mangiato, poi arrossì quando si accorse che lei lo stava guardando. -Che c’è? Ho qualcosa in faccia?

-Ehm no, ma... perché porti gli occhiali da sole qua dentro? -chiese dubbiosa. -È da prima che ci penso.

Il detective si sentiva un po’ stupido: indossare gli occhiali da sole al chiuso e per giunta quando fuori non c’era neanche un raggio di sole non era una cosa intelligentissima, ma lo faceva per nascondersi dai paparazzi e da... beh, dall’organizzazione.

Disse a Ran solo dei giornalisti, ma si rese conto che lei aveva capito che c’era sotto dell’altro.

Shinichi stava anche per aggiungere qualcosa, ma un urlo fece voltare tutti verso il centro della sala: un uomo si era appena accasciato a terra, con le mani attorno alla propria gola.








*angolo autrice*
Scusate il ritardo, ma sono in un blocco dello scrittore ENORME... 🥺 e la scuola mi tiene occupata purtroppo!
Spero che la mia storia non vi stia annoiando! Alla prossima! ❤️ 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8. ***


Shinichi si mosse d’istinto: si alzò dalla sedia e corse a controllare le condizioni dell’uomo a terra. Non respirava, così gli mise due dita sul collo. Poi avvertì un odore di mandorle amare e capì.

-Avvelenamento da cianuro. -appurò. Poi, guardando le persone attorno a lui, aggiunse: -Purtroppo non c’è più niente da fare. 

Tutta la gente presente si mise a mormorare parole incomprensibili, anche se Shinichi le poteva immaginare tranquillamente. Succedeva ogni volta che si ritrovava a risolvere un caso davanti a tante persone.

-Chiamate la polizia. -ordinò il detective ai camerieri. Poi alzò la voce per farsi sentire da tutti: -E che nessuno tocchi nulla, potrebbe esserci del veleno su qualsiasi cosa presente in questa sala. 

Si guardò attorno in cerca di dettagli. La tazza di caffè che la vittima stava bevendo era rovesciata sul tavolo e la macchia scura si stava allargando lentamente sulla tovaglia bianca. Le bacchette usate fino a poco prima giacevano a terra, poco lontane dalle mani dell’uomo. La sedia era rovesciata sul pavimento.

-E tu chi saresti? -domandò una voce. Shinichi si rialzò in piedi e tolse gli occhiali da sole: -Mi chiamo Shinichi Kudo e sono un detective privato.

I mormorii divennero esclamazioni di sorpresa, ma ormai il detective ci era abituato, considerando che andava così tutte le volte.

-Siamo alle solite, eh? -fece Ran, che si trovava ancora al loro tavolo poco distante. Il detective la guardò e le sorrise a mo’ di scuse.

 

 

La polizia di Osaka arrivò dopo pochi minuti e Shinichi spiegò i dettagli che aveva già scoperto all’ispettore Otaki. I sospettati erano principalmente tre: la moglie della vittima, Saeko Nakamoto, e i due colleghi, il signor Yoshikawa e il signor Miya, che avevano accompagnato il povero malcapitato in viaggio di lavoro.

-Informazioni sulla vittima, agente? -chiese l’ispettore a un poliziotto.

-Si chiamava Hisashi Nakamoto e aveva 55 anni. Come ci hanno spiegato i signori, erano tutti in viaggio di lavoro. -rispose il giovane.

-Causa della morte?

-Avvelenamento da cianuro, sembra. Stiamo facendo analizzare le bacchette e tutto ciò che era sul tavolo.

Shinichi ascoltò l’essenziale, mentre la sua mente razionale cercava e immagazzinava dettagli ed elaborava una possibile soluzione al caso. 

Dove poteva trovarsi il veleno? Come ci era venuta a contatto la vittima? Come lo aveva ingerito?

In base alle prime indagini, il cianuro era presente solo sulle bacchette e sulla tazza che si trovavano a portata di mano del signor Nakamoto. Ma non si trattava di un suicidio. Era un omicidio premeditato, su questo non c’erano dubbi.

La dinamica, se le prime analisi erano corrette, era semplice: Hisashi Nakamoto aveva ingerito il veleno perché aveva mangiato un biscotto con le mani, sporche di cianuro a causa del contatto con le bacchette. Ma perché la vittima aveva proprio quel paio di bacchette? Le aveva prese a caso al buffet... forse l’assassino le aveva sostituite con quelle avvelenate mentre nessuno guardava. Allora bisognava solo trovare le bacchette inutilizzate. Dove poteva averle buttate l’assassino?

-Vi siete alzati tutti? E per andare dove? -domandò l’ispettore Otaki in quel momento.

-Io avevo dimenticato il cellulare in camera e sono salita a prenderlo. -spiegò la signora Nakamoto.

-Noi siamo andati entrambi alla toilette. -rispose il signor Miya indicando sé stesso e il collega.

-E siete andati nello stesso momento lasciando la vittima da sola? -chiese Shinichi.

-Sì, mentre la signora era via ci siamo alzati anche noi. -disse il signor Yoshikawa.

-E ci sono testimoni che ci possano dire cos’ha fatto la vittima in quel lasso di tempo? -fece il detective dell’Est rivolto agli altri ospiti dell’hotel. Nessuno rispose con certezza, non ci avevano fatto caso.

-Io ho visto quel signore che andava a prendere qualcosa da mangiare. -disse una vocina timida. Shinichi si voltò e fu sorpreso di vedere Aika fare un passo avanti. 

-Sicura Aika? -le domandò abbassandosi al suo capo. La piccola annuì: -Mentre tu e la mamma parlavate, ho visto che si alzava e parlava con la cameriera gentile. -indicò la signorina. -E poi è tornato al suo posto con la tazza.

Shinichi guardò Ran, proprio accanto alla bambina: -Tu hai visto qualcosa?

-Ho solo visto che si alzava, ma stavo parlando con te e non ci ho fatto tanto caso. -rispose la karateka.

Il detective riportò la sua attenzione su Aika: -Aika, ti ricordi cosa ha fatto di preciso quel signore? 

-Sì. -e la bambina iniziò a raccontare, facendo venire uno spunto a Shinichi per risolvere il caso.

-Grazie, Aika. Sei stata bravissima. -le disse.

-Hai capito tutto, vero? -chiese Ran quando lo vide rialzarsi da terra con un sorriso sulle labbra.

-Ne dubitavi? -fece lui. Si rivolse al resto dei presenti: -Il caso è risolto, signori. Ho scoperto chi ha ucciso il signor Nakamoto e il trucco che ha usato.

 

***

 

-Allora è proprio vero che porti sfortuna ovunque vai! 

Heiji si guadagnò un’occhiataccia da parte di Shinichi, anche se con gli occhiali da sole i suoi occhi non si vedevano benissimo.

-È stato semplice però. -commentò il detective dell’Est. -Soprattutto dopo che Aika mi ha detto quello che aveva visto.

Heiji guardò la bambina, poco lontana da loro con Kazuha e Ran: -Aika è perspicace. Spesso sembra più intelligente della sua età.

-Davvero? -chiese Shinichi, stupito. L’altro annuì, poi si guardò attorno e si avvicinò per sussurrare: -Piuttosto, tu e Ran avete parlato?

-Sì. Le ho detto tutto. -rispose l’amico con lo stesso tono.

-E come l’ha presa? -fece con preoccupazione.

Shinichi guardò Ran, che rideva per qualcosa che aveva detto Kazuha. 

-Mi ha dato un’altra possibilità. -rispose sorridendo. -E non ho intenzione di sprecarla.

Non se ne rese nemmeno conto, ma rimase a guardare la karateka per qualche secondo. Heiji fu costretto a schioccargli le dita davanti agli occhi per riportarlo coi piedi per terra.

-Kudo. -lo chiamò, serio. -Vedi di non fare cazzate.

Shinichi lo guardò per un attimo, sorpreso. Non lo aveva mai visto con quello sguardo. Heiji gli aveva parlato in quel modo una o due volte, entrambe quando era ancora intrappolato nel corpo di un bambino di sei anni. Il detective dell’Ovest lo aveva aiutato molto, indagando quando lui non ne aveva la possibilità e spesso travestendosi per non far scoprire il suo rimpicciolimento... ma anche mediante consigli che gli avevano aperto gli occhi. 

In quel momento lo stava facendo ragionare. Era stata colpa della sua disattenzione se era stato rimpicciolito e tutta quella storia aveva avuto inizio.

-Non ti preoccupare. Sono cambiato. -lo rassicurò con un leggero sorriso. 

Heiji annuì una volta, mentre l’altoparlante annunciava l’arrivo dello Shinkansen che da Osaka avrebbe riportato Shinichi, Ran e Aika a Tokyo. 

-Allora ci vediamo. Buon viaggio di nozze, Hattori. -fece Shinichi dando una pacca sulla spalla all’amico, che sorrise. -E ricordati di portarmi un souvenir. 

Prima che l’altro potesse ribattere, il detective dell’Est si avvicinò a Kazuha per salutarla. 

-Congratulazioni ancora. -le disse abbracciandola. -E fai attenzione che quel tonno non finisca coinvolto in casi da risolvere.

Kazuha rise: -Stai tranquillo. Ci penso io!

-Ha parlato il menagramo... -commentò Ran.

-Ehi! -protestò il detective dell’Est. Heiji ridacchiò.

Infine, dopo aver guardato male il detective dell’Ovest per la seconda volta in meno di cinque minuti, Shinichi salì a bordo del treno, mettendosi subito a cercare il suo posto. 

 

***

 

-Avete solo parlato? Mi prendi in giro?! -esclamò Sonoko.

-Sonoko, ci guarda tutto il locale, abbassa la voce! -le sibilò Ran guardandosi attorno. Si trovavano nel Caffè Poirot, sotto l’ex agenzia investigativa di Kogoro. Sonoko non era potuta andare al matrimonio di Heiji e Kazuha perché aveva accompagnato Makoto all’estero per una gara, così aveva chiesto a Ran di raccontarle come fosse andata. Inutile dire che appena aveva nominato Shinichi la sua migliore amica era esplosa.

Sonoko sospirò, ma le obbedì: -Hai rivisto l’uomo con cui sei stata per cinque anni dopo un’eternità e avete solo parlato

Ran abbassò lo sguardo sulla cioccolata che aveva davanti e annuì: -Però non abbiamo parlato di cose poco importanti. Mi ha dato delle spiegazioni sul perché è scomparso così all’improvviso quando eravamo al liceo e quattro anni fa. 

Sonoko alzò le sopracciglia, sorpresa.

-E poi? Tu che hai fatto?

La karateka deglutì: -Ho deciso di dargli un’altra possibilità. -ammise. L’altra si passò una mano sul viso, esasperata.

-Perché? Non ti ha già fatta soffrire abbastanza? 

Quella domanda la sbalordì. La sua migliore amica di una vita, che l’aveva sempre incoraggiata a dichiararsi a Shinichi, a baciarlo e a stare con lui, le stava dicendo che aveva fatto male a concedergli un’altra occasione?

-Perché gli nascondo anche io un segreto, Sonoko. -rispose Ran in un sussurro. -Lui ha avuto delle buone ragioni per sparire in quel modo, ma ho promesso di non raccontarle a nessuno... scusa. Se potessi dirtele, sono sicura che capiresti.

Sonoko rimase in silenzio e bevve un sorso del suo cappuccino, poi, dopo aver riappoggiato la tazza sul piattino, guardò Ran, preoccupata.

-Quindi non gli hai detto niente, eh?

-No... -la karateka si morse il labbro. -Devo trovare il momento adatto.

-E lui non ti ha chiesto nulla di Aika? Nessuna spiegazione? Nessuna domanda sul padre?

L’altra fece no con la testa, poi le disse che Heiji le aveva raccontato di aver parlato con Shinichi il giorno prima delle nozze e che quest’ultimo gli aveva chiesto se sapesse niente di Aika. Le aveva detto di aver spiegato solo in parte la verità.

-Capisco. -disse Sonoko alla fine. -Com’è con Aika?

Ran sorrise: -Non l’ho mai visto comportarsi così. Credo che gli piacciano i bambini, ma non me l’ha mai detto quando stavamo insieme. E al liceo... 

Si bloccò. Al liceo Shinichi era tornato bambino. Forse in quel periodo si era affezionato ai bambini che lo seguivano ovunque e rivedeva loro in Aika? Poteva essere una spiegazione per il comportamento così dolce che assumeva con sua figlia. 

-Al liceo? -domandò Sonoko dubbiosa per l’improvvisa pausa dell’amica.

-No, scusa. Volevo dire all’università. -rispose Ran ridacchiando nervosamente. -All’università o anche dopo, non l’ho mai visto avere a che fare con dei bambini. Solo tenere in braccio Mamoru.

-Pensi che lo abbia cambiato il figlio dell’ispettore Takagi? -fece l’ereditiera, sbalordita.

-Chi può dirlo... 

Successivamente Azusa portò loro il conto e lasciarono cadere l’argomento.

Quando uscirono dal locale e aprirono gli ombrelli per ripararsi dalla pioggia che scendeva da ore sulle strade di Tokyo, Sonoko propose di camminare un po’ insieme.

-Pensi che abbia fatto bene a non dirgli ancora niente di Aika? -chiese Ran mentre si dirigevano al semaforo poco distante.

Sonoko rimase un attimo in silenzio, poi rispose: -Sì. Hai fatto la cosa giusta. D’altronde è successo tutto all’improvviso. È tornato in Giappone senza avvertire e tu hai avuto delle buone ragioni per non dire niente quattro anni fa e ora. Sono sicura che capirà.

Ran sorrise, sollevata.

-E poi ti perdonerà all’istante. È ancora cotto di te, tesoro! -aggiunse la sua amica, furba. La karateka scosse la testa, ma il sorriso non abbandonò il suo volto: Sonoko non sarebbe mai cambiata.

-Avete scelto dove andare in viaggio di nozze? -domandò poi.

L’altra sospirò sconsolata: -Makoto continua a dire che devo scegliere io, ma non voglio. Dovremmo farlo insieme!

La karateka rise. Makoto era un uomo veramente dolce e si adattava perfettamente a qualsiasi situazione. Per questo Sonoko si esasperava spesso.

-Prova a scrivere su dei bigliettini i posti dove vorresti andare, poi mettili in una scatola e fanne estrarre uno a Makoto. Così non avrai scelto tu, ma neanche lui. -suggerì.

-Oh dio! Hai ragione! Come farei senza di te? -fece Sonoko al settimo cielo.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9. ***


-Grazie, Kudo-kun. -disse il neo-sovrintendente Megure. -Ci hai aiutati molto anche stavolta.

-Si figuri. -rispose Shinichi osservando gli agenti scortare l’assassino di un importante uomo d’affari verso la volante. Aveva appena risolto il caso di omicidio, in una villa nella periferia di Tokyo, ed era riuscito a distrarsi dal pensiero di andare a trovare Ran nel loro appartamento.

Ci aveva pensato per tutto il tempo da quando era tornato a Tokyo dopo il matrimonio di Heiji... ed erano passati solo due giorni!

Però continuava a ripetersi che era troppo presto o che doveva essere Ran a chiederglielo. Non se la sentiva di andare senza un invito esplicito. Certo, la karateka gli aveva detto di andare a casa loro quando voleva... e poi era anche il suo appartamento (e aveva ancora le chiavi). 

Ma non era il momento di pensarci. Doveva andare alla centrale per sapere se gli agenti dell’FBI che lo avevano accompagnato dall’America per indagare sull’organizzazione lì in Giappone avevano scoperto qualcosa di nuovo.

Ignorò i giornalisti che come sempre assalivano la scena del delitto, salì velocemente sulla sua macchina per cercare di non arrivare alla centrale bagnato fradicio, mise in moto e in pochi minuti guidava per le strade della capitale.

Ogni volta che guardava il sedile del passeggero accanto a sé gli tornava in mente quando aveva aiutato Ran a imparare a guidare, lei alla guida e lui sul sedile vicino. All’inizio era stato difficile: Ran era rigida come un pezzo di legno, stringeva il volante con forza e continuava a ripetersi cose come “Hai guidato un aereo, ce la puoi fare”. Poi si era lasciata andare e pian piano aveva imparato senza problemi. Shinichi aveva tirato un sospiro di sollievo e aveva lasciato andare il sedile che aveva stretto fino a lasciare il segno delle unghie, considerando che fino a quel momento la sua ragazza non era stata esattamente affidabile al volante. 

Nonostante avesse rischiato la vita, quello era uno dei momenti più belli che aveva passato con Ran. Fece un sorriso malinconico, mentre svoltava a sinistra e raggiungeva la sua destinazione.

La centrale di polizia non era cambiata rispetto a qualche anno prima, anche se molti agenti erano andati in pensione e altri erano stati promossi, come Takagi, che era diventato ispettore. Altri ancora erano sposati e avevano figli, come l’ispettore Shiratori e l’agente Chiba. 

Shinichi lasciò la macchina nel parcheggio sotterraneo e salì ai piani superiori usando l’ascensore. L’FBI aveva istituito una specie di “base” dove gli agenti potevano trovarsi insieme per discutere delle indagini sull’organizzazione anche con la polizia giapponese, informata proprio perché potesse aiutare a chiudere il caso al più presto. 

Quando Shinichi varcò la soglia della sala riservata all’FBI, notò Jodie Starling e James Black che parlottavano tra loro davanti alla lavagna dove avevano appeso i vari indizi raccolti in quegli anni.

-Buon pomeriggio. -salutò il detective chiudendosi la porta alle spalle. I due agenti smisero di parlare immediatamente e si voltarono per salutarlo.

-Buon pomeriggio a te, Shinichi-kun. -disse Jodie sorridendogli. -Com’è andato il matrimonio?

-Hattori ha pianto durante lo scambio degli anelli. Una scena esilarante. -rispose Shinichi. 

-Ah! Avrei voluto vederlo! -commentò la donna. Il detective dell’Est sorrise.

-Avete scoperto qualcosa di nuovo? -domandò poi, avvicinandosi alla lavagna con le mani in tasca. Sulla superficie bianca, collegate da un filo di lana, erano appese fotografie che Shinichi stesso e alcuni agenti avevano scattato durante le indagini in America. 

-Forse. -rispose James. -Camel e la sua squadra stamattina hanno intercettato una telefonata tra Gin e Vermouth. Parlavano di un certo scambio che avverrà a breve, ma non hanno specificato dove e quando. 

-E il signor Akai è riuscito a trovare il luogo dov’è nascosto Karasuma?

-Non ancora purtroppo. -disse Jodie. -Sapevamo che non sarebbe stato facile, quindi non siamo per niente sorpresi.

-È giusto fare le cose con attenzione piuttosto che ideare piani che poi finiscono male. -continuò James. -Dobbiamo mantenere la calma, anche se ormai manca poco alla fine di tutta la storia.

Shinichi, che stava ancora osservando la lavagna, fece un sorriso: era davvero arrivato fino a quel momento. Era questione di poco e finalmente avrebbe potuto vivere senza preoccuparsi di quella maledetta organizzazione. Anche se, si disse, si era rovinato da solo. Tutte le volte che sognava una vita normale si rimproverava per aver seguito Vodka, quella sera al Tropical Land.

-Appena Karasuma sarà in prigione ci prenderemo tutti una bella vacanza al mare, che ne dite? -propose Jodie.

-Sono assolutamente d’accordo. -rispose James ridendo. Subito dopo qualcuno bussò alla porta.

Fece capolino un agente dell’FBI: -Abbiamo intercettato una nuova chiamata. Lo scambio avverrà domani notte al porto di Tokyo.

-Si è scoperto l’oggetto? -chiese James, che aveva cambiato totalmente espressione rispetto a poco prima.

-Pare siano dei soldi. -disse l’agente. -Ma hanno intenzione di eliminare chiunque glieli darà.

-È il caso di mandare una squadra? -chiese Jodie.

-Verrò anch’io. -disse subito Shinichi, ma James gli mise una mano sulla spalla e gli sorrise: -Ci pensiamo noi, Kudo-kun. Tu riposati qualche giorno. Se ci saranno sviluppi importanti sarai il primo ad essere informato.

 

 

Era stato inutile protestare, quindi Shinichi era uscito dalla centrale e aveva preso la macchina lasciata nel parcheggio.

Era la prima volta da chissà quanto tempo che aveva un pomeriggio libero, perciò decise di fare semplicemente ritorno a casa e mettersi a leggere per la centesima volta un bel libro di Conan Doyle che sapeva perfettamente a memoria. Sherlock Holmes non lo avrebbe mai stancato.

Ma i suoi piani cambiarono quando vide Ran e Sonoko camminare sul marciapiede. Ran rideva per qualcosa che le aveva detto Sonoko. 

Diamine, era bellissima quando sorrideva.

Il detective accostò e abbassò il finestrino, attirando l’attenzione delle due donne.

-Guarda un po’ chi c’è! Mister Porto-sfortuna-ovunque-vado! -esclamò Sonoko mettendosi la mano che non reggeva l’ombrello sul fianco. 

-Che sorpresa! La signorina Non-mi-faccio-mai-gli-affari-miei! -rispose Shinichi. Ran rise, coprendosi la bocca con la mano per non farsi vedere da Sonoko. 

Era dai tempi dell’università che non veniva ripetuta una scena come quella e Shinichi dovette ammettere che gli fece provare un po’ di malinconia.

-Come mai da queste parti con questa pioggia? -chiese il detective.

-Abbiamo passato un pomeriggio insieme. -rispose Ran. -Ora stavamo andando a prendere Aika all’asilo. 

-Volete un passaggio? -propose lui. La karateka arrossì un pochino, ma sorrise: -Se per te non è un problema... -disse.

-Ah no, io non farò da terzo incomodo tra voi piccioncini come al solito! -fece Sonoko. Non si sforzò nemmeno di nascondere il sorriso.

-Ma... -protestò Ran.

-Tranquilla, ci sentiamo domani. -disse l’altra. -Grazie della chiacchierata. Ciao, Kudo-kun.

Shinichi ricambiò il saluto, poi lui e Ran osservarono la giovane ereditiera allontanarsi canticchiando. Infine il detective spostò lo sguardo sulla karateka e le sorrise.

-Sali. -disse solo. Lei ricambiò il sorriso e ubbidì.

Lui la guardò allacciarsi la cintura e sistemarsi meglio sul sedile del passeggero. Era davvero carina con quel maglione color crema...

-L’asilo di Beika? -chiese Shinichi rimettendo in moto per immettersi nella corsia.

-Sì. -rispose Ran. -Tu che ci facevi in giro?

-Ho risolto un caso di omicidio e sono andato alla centrale per parlare con l’FBI. -il detective non stava guardando la donna accanto a sé, ma era sicuro che avesse capito a cosa si stava riferendo.

-Ci sono... sviluppi? -domandò infatti. Lui la guardò con la coda dell’occhio e disse: -Non sappiamo con certezza, ma è probabile. Hanno intercettato delle chiamate e hanno scoperto di un incontro che avverrà domani.

Ran rimase in silenzio, poi, quasi con cautela, chiese: -E... ci andrai?

Shinichi scosse la testa e sbuffò: -Mi hanno impedito di andarci dicendo di rilassarmi e che mi chiameranno se ci saranno scoperte importanti. 

Ran fece una piccola risata e lui alzò un sopracciglio, dubbioso. Cosa c’era di così divertente?

-Mi sembra di sentir parlare Conan. -disse lei senza smettere di ridere. -Quando si arrabbiava perché nessuno gli faceva vedere la scena del crimine.

Lui si sentì arrossire e cercò di concentrarsi sulla strada, mentre Ran faceva qualche respiro per calmarsi. 

-Non è divertente. -protestò Shinichi, anche se gli faceva piacere che lei ridesse in quel modo parlando di Conan.

-Dovresti vedere la tua faccia in questo momento, caro il mio detective. -rispose lei. Lui si spostò il ciuffo ribelle che aveva sulla fronte con un gesto melodrammatico: -Sì, lo so che sono magnifico. 

Ran rise di nuovo, tenendosi la pancia. Shinichi sorrise, mentre gli tornavano in mente ricordi di qualche anno prima, quando avevano fatto un viaggio insieme per andare alla villa dei suoi nonni in montagna per riposarsi dalla sessione di esami dell’università. Era estate e avrebbero avuto la villa tutta per loro, perciò ci erano stati per tutto il mese di agosto...

 

 

-Non c’è niente da ridere!

-E tu hai risposto veramente in quel modo? 

-E che avrei dovuto dire?

Ran non smetteva di ridere e Shinichi non ricordava quando fosse stata l’ultima volta in cui l’aveva vista in quel modo. Forse mai.

-Quel tizio non si spostava e io avevo un bisogno urgente! -protestò il detective. Forse era stato un errore parlare alla sua ragazza di quello che era successo nel bagno della zona di servizio dove si erano fermati poco prima.

Cercò di non guardare la karateka e di concentrarsi sulla strada, tutto rosso in viso. Il problema: avere la sua ragazza che rideva in quel modo proprio lì vicino non era la cosa migliore se voleva evitare incidenti.

Dopo qualche secondo Ran gli accarezzò la testa, dolce.

-Dai, non fare l’offeso. -disse. Shinichi fece un sorrisetto: -Per farti perdonare...

-Prova a finire la frase e vedrai. 

Il detective sbuffò: -E va bene...

-Bravo. -lei gli scompigliò i capelli. Lui controllò la strada sul navigatore e, per cambiare discorso, disse: -Mancano pochi chilometri.

-Di già? -fece lei, stupita.

-Di già. -ripeté Shinichi divertito. -So che vorrai andare subito al lago, ma prima dobbiamo sistemare le valigie.

-E immagino che dovremo pulire. 

-Già. Però poi avremo tutto il tempo per rilassarci.

Ran appoggiò la testa al sedile e gli sorrise, stanca. Comprensibile, quella mattina si erano svegliati presto ed era da ore che viaggiavano in macchina. Si erano concessi qualche pausa, ma non erano servite molto.

-Sai, è da quando ero piccolo che non vado in quella villa. -disse Shinichi. -Prima i miei mi ci portavano spesso.

-E immagino che baby Shinichi non si divertisse molto senza i suoi amati libri di Sherlock Holmes.

-Era quello che pensavo. E invece mi divertivo lo stesso... -e iniziò a raccontare vari aneddoti di quando era piccolo e giocava insieme ai suoi cugini... ovviamente giocavano al detective che risolveva casi.




*angolo autrice*
Vi chiedo umilmente perdono per il mostruoso ritardo 🥺. Per colpa della scuola e di tutto il resto sono stati due mesi di caos assoluto. Di solito cerco sempre di trovare un pochino di tempo per scrivere e le idee le ho, ma, come avete potuto notare, stavolta è stato difficile scrivere un po'.... 
Devo solo riordinare le idee che mi sono venute. Non preoccupatevi!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10. ***


Shinichi fermò l’auto poco distante dall’asilo di Beika. 

Quando Ran fece per scendere, lui la prese per il polso. Quel gesto le riportò alla mente il momento in cui il detective le si era dichiarato, davanti al Big Ben. Sentì il cuore saltare un battito.

-Ti riaccompagno a casa? -le chiese Shinichi riportandola coi piedi per terra. -Con questa pioggia tu e Aika rischiate di prendervi un raffreddore.

Nonostante fuori facesse freddo, Ran avvertì un improvviso calore. Ma perché Shinichi le faceva sempre quell’effetto? Le sembrava di essere tornata al liceo, quando ancora non si erano messi insieme, o alle medie, quando si era resa conto dei sentimenti che provava per lui e per ogni piccola cosa arrossiva. Odiava quando succedeva.

-Ehm... se non è un problema... -disse la karateka. 

Shinichi le sorrise: -Nessun problema. Ti aspetto qui.

-D’accordo. 

Ran uscì dalla macchina e aprì l’ombrello. Poi richiuse la portiera e s’incamminò verso il cancello dell’asilo. Ne approfittò per calmare il battito del cuore e tornare a un colorito normale. Ciò che il detective le aveva detto a Londra le era tornato nella mente come niente.

Tentò di scacciare il pensiero mettendosi a cercare qualcosa (qualsiasi cosa) nella borsa, ma l’unica cosa che le venne in mente fu quella di ricordarsi di svuotarla per darle una bella pulita. Era anche un po’ rovinata, ora che ci faceva caso.

-Ciao Ran. -la salutò una voce femminile. Ran alzò lo sguardo dalla borsa e sorrise: -Buon pomeriggio, ispettrice Sato.

La donna sembrava rimasta la stessa di quasi dieci anni prima, con capelli corti e scuri, occhi chiari e il corpo magro. L’unica differenza era la fede d’oro che portava all’anulare sinistro e la bambina che teneva per mano. Hikaru, copia spuntata della madre, sorrideva a Ran.

-Ti ho già detto che puoi darmi del tu e di chiamarmi Miwako. -disse Sato. -Ormai ci conosciamo da anni.

-È l’abitudine. -rispose la karateka per poi rivolgersi alla bambina. -Ciao Hikaru. 

-Ciao. -salutò la piccola, timida. Quando faceva così somigliava per filo e per segno a Takagi.

-E Mamoru? -chiese Ran. 

-Lo stiamo andando a prendere. -rispose Sato. 

-Com’è la prima elementare? Si sta abituando? 

-Penso proprio che adori la scuola. -la poliziotta rise. -È identico a suo padre. 

-Salutatemeli entrambi. -si raccomandò la karateka. -Ora meglio che vada a prendere Aika. 

-Certo. Ci vediamo.

-A presto. -poi Ran entrò all’interno dell’asilo, lasciò l’ombrello all’ingresso, tolse le scarpe e si diresse verso la classe di Aika. Come sempre, il corridoio era un via vai di mamme e papà venuti a prendere i bambini e, osservando una famiglia passarle accanto, la giovane si chiese se prima o poi anche lei e Shinichi avrebbero varcato la porta dell’asilo insieme per uscirne con Aika, come una famiglia. Per rendere quel desiderio reale, però, doveva dire la verità a Shinichi e sperare che lui non la odiasse. 

Con questo ultimo pensiero, Ran arrivò alla classe di Aika, dove la maestra aspettava i genitori dei bambini sulla porta. I piccoli, intanto, si divertivano a giocare con le bambole, le macchinine e le costruzioni presenti nella classe.

-Buon pomeriggio. -salutò la maestra con un sorriso.

-Buon pomeriggio. -ricambiò Ran, poi l’altra donna si voltò verso i bambini e richiamò l’attenzione di Aika, che stava giocando poco distante.

-Anche oggi nessun problema. -disse la maestra a Ran. 

-Sono contenta. -rispose la karateka. 

-Okaachan! Piove tantissimo! -esclamò Aika appena si fu avvicinata. -Giochiamo nelle pozzanghere?

-Se non pioverà così forte sì. -disse Ran prendendo la bambina per mano. Dopodiché salutarono la maestra e si avviarono verso l’ingresso, dove misero le scarpe.

 

***

 

-Aika, ti piace l’asilo? -domandò Shinichi dopo un po’ che Ran e la bambina furono salite in macchina e lui ebbe rimesso in moto.

-Sì! Però non c’è la biblioteca... -rispose la piccola, guardando fuori dal finestrino. Ran ridacchiò senza farsi vedere dai due: quella peste era spiccicata a suo padre. Le piaceva leggere, anche se prima di dormire era Ran che le raccontava qualche storia per farle prendere sonno.

-La biblioteca? -fece Shinichi stupito. 

-Aika ama leggere. -spiegò la karateka guardando Aika sul sedile posteriore. 

-Ah, capisco. Anche io speravo ci fosse la biblioteca all’asilo, ricordi? -disse il detective. Ran rise: -Sì, è così che sei finito nella stanza sbagliata.

-Sbagliata?

-Gli altri stavano dormendo.

-Ma tu no, mia cara piagnucolona. -l’uomo fece un sorrisetto.

-Ehi! Avevi promesso di non chiamarmi più così! -protestò lei facendolo ridere.

-Seh seh, bella scusa.

-Perché piagnucolona? -domandò Aika, che a quanto pare trovava interessante l’argomento e aveva distolto lo sguardo dal paesaggio fuori dal finestrino.

Shinichi le sorrise dallo specchietto retrovisore: -Perché quando io e la tua mamma ci siamo incontrati la prima volta, lei stava piangendo al posto di fare il riposino pomeridiano come tutti gli altri bimbi.

-Davvero? -chiese ancora la piccola. 

-Sì, Aika-chan. Piangevo perché dei bambini mi avevano rovinato la targhetta a forma di fiore di ciliegio che mi aveva fatto la nonna. -rispose Ran. -E ne stavo facendo una nuova quando Shinichi è arrivato e mi ha chiesto di farne una anche per lui.

-Ohhh! -esclamò la bambina muovendo le gambe che, data la sua statura, non arrivavano alla base del sedile. Si tolse la sua targhetta e allungò il braccio verso la madre: -Era così?

Ran annuì: -Classe ciliegio, proprio come te.

-E c’era anche la zia Sonoko? 

-Sì. E credeva che Shinichi fosse dotato di qualche potere strano. Invece è saltato fuori che lui usava solo la logica.

Aika aprì la bocca in una “o”, facendo ridere il detective.

 

 

-Sicuro di non voler salire a bere qualcosa di caldo? -chiese Ran quando Shinichi accostò sotto il palazzo dove c’era il loro appartamento. -È ancora casa tua.

Il detective, anche se a malincuore, annuì: -Ho promesso al professore che sarei andato a cena da lui. Magari un’altra volta.

Ran sorrise: -Va bene. Salutami il professore. -disse, poi aprì la portiera e uscì dalla macchina, per poi aiutare Aika a fare lo stesso.

Per fortuna non pioveva più tanto forte e, dopo averle salutate, Shinichi poté guardare madre e figlia arrivare al portone d’ingresso senza infradiciarsi dalla testa ai piedi. Una strana malinconia si fece largo nella mente e nel cuore dell’uomo, che non seppe dare una spiegazione al perché si sentisse in quel modo.

Cercando di non pensarci, tornò a casa e, rabbrividendo per l’aria fresca di quel giorno di aprile, decise di farsi una doccia calda. Salì al piano di sopra, aprì l’acqua, così che iniziasse a scaldarsi, e nel frattempo si tolse i vestiti. 

Tutte le volte che si guardava allo specchio quando non indossava una maglietta, i suoi occhi andavano inevitabilmente alle cicatrici che si era procurato in quegli ultimi dieci anni: la prima, appena sopra lo stomaco, era rimasta da quando, nel corpo di Conan, gli avevano sparato; le altre erano più recenti, dovute alla lotta contro l’organizzazione in America.

Aveva sempre detto a Ran che quella minuscola cicatrice rotonda proveniva da una ferita che si era fatto durante un caso a cui stava lavorando nei mesi in cui era sparito, ma ormai la karateka doveva aver capito che quella era stata l’ennesima bugia. 

Shinichi entrò nella doccia e lasciò che i muscoli si rilassassero sotto il getto caldo. Decisamente, la doccia dopo il lavoro era la sua parte preferita della giornata. 

Quando viveva insieme a Ran, avevano una specie di tradizione: quando uno dei due sentiva l’altro per telefono dopo il lavoro e capiva che era stata una giornata lunga e faticosa, appena tornato a casa preparava un bel bagno caldo per il partner. Si era rivelata una bella idea... anche se a volte finivano per fare il bagno insieme e, come dei bambini, si schizzavano a vicenda. Il risultato? Il bagno di quel piccolo appartamento finiva allagato.

Ripensando a quei momenti, Shinichi sorrise dolcemente senza nemmeno rendersene conto. 

Spense il getto d’acqua, poi afferrò un asciugamano e lo usò per asciugarsi, per poi avvolgersi nel suo accappatoio blu. Asciugandosi i capelli con il cappuccio, si diresse in camera per prendere i vestiti. Fu in quel momento che il cellulare si mise a squillare. Il detective lasciò la maglietta che aveva preso sul letto e, dopo aver visto che era una chiamata da parte di Ran, rispose.

-Pronto? 

-Ciao, scusa il disturbo...

-Nessun disturbo, va tutto bene? Ci siamo visti un’ora fa. -Shinichi quasi si aspettò che Ran gli dicesse di essere per caso sulla scena di un crimine, com’era successo molte volte.

-Sì, tutto bene. -rispose la karateka e lui si impose di tornare a respirare normalmente. -È che Aika non trova più la sua targhetta dell’asilo. Non è che è rimasta nella tua macchina?

-Provo a controllare. -disse il detective. Uscì dalla sua stanza e scese le scale, prese le chiavi della macchina e si diresse in garage. Accese la luce e si mise a cercare sui sedili posteriori.

Vista da fuori, la scena era quasi comica: un uomo di quasi ventisette anni con addosso un accappatoio e le pantofole se ne stava a quattro zampe sui sedili della sua macchina con il cellulare premuto sull’orecchio. 

Shinichi sperò che non entrasse nessuno.

Dopo un attimo, il detective trovò la targhetta.

-L’ho trovata. -disse uscendo dalla macchina.

-Per fortuna! -fece Ran dall’altra parte della linea. -Grazie.

-Mi cambio e te la porto.

-Oh, non ti preoccupare. Ha ripreso a diluviare. Portamela pure domani. 

-Ok. Allora passo da voi domattina. A che ora porti Aika all’asilo?

-Per le 8:30. 

-Per le 8:15 può andare?

-Perfetto. Ci vediamo qui?

-Sì. A domani.

-A domani. E grazie ancora.

Shinichi spense la chiamata, ancora con il sorriso sulle labbra. Esattamente come ventitré anni prima, tutto stava ricominciando da una targhetta dell’asilo a forma di fiore di ciliegio.

Spense la luce in garage e tornò in casa. Mentre camminava lungo il corridoio, si mise a leggere distrattamente ciò che c’era scritto sulla targhetta di Aika... forse non era distratto, anzi... così forse avrebbe scoperto il cognome della bambina... e quello poteva essere un modo per risalire al padre della piccola.

Ok, si sentì un po’ uno stalker. Non gli piaceva violare la privacy di Ran così. Però...

La curiosità fu più forte. Dannato istinto da detective!

Shinichi lesse e rimase senza parole...

 

Aika Kudo

Asilo di Beika

Classe ciliegio

 

*angolo autrice*
Buonasera detective!
Scusate il mese di ritardo, ma tra la fine della scuola, la patente (ho l'esame di teoria venerdì aiuto), una settimana via da casa e il resto è stato difficile trovare un momento tranquillo per scrivere. 
Comunque. Vi aspettavate Kudo come cognome? Ammetto di essere stata un po' sul classico, ma mi serviva una cosa del genere per i prossimi capitoli! 
Grazie per aver letto fino a qui! Ci vediamo nel prossimo capitolo🥰

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11. ***


Shinichi non aveva dormito. 

Ciò che aveva scoperto appena poche ore prima di andare a letto non aveva smesso di tornargli in mente, nemmeno mentre leggeva “Il segno dei quattro” per cercare di prendere sonno. 

Quando però si era reso conto di non aver capito niente di quello che aveva appena letto, si arrese e rimase sdraiato al buio con gli occhi spalancati, chiedendosi se fosse solo una coincidenza.

Ma sì, in fondo il suo cognome non era così raro. Era perfettamente possibile che Ran si fosse innamorata di un uomo proveniente da una famiglia Kudo. Certo, la cosa sembrava un po’ una presa in giro, però...

Alle sei del mattino, quando il primo, timido raggio di sole fece capolino dalle tende, Shinichi decise di alzarsi. Si trascinò in bagno per sciacquarsi la faccia (e ne aveva proprio bisogno) poi scese in cucina per mangiare qualcosa. 

Il tempo sembrava essersi rallentato. Doveva essere da Ran per le 8:15, ma erano solo le 6:30 quando terminò la colazione. Controllò la posta il più lentamente possibile e, nella cassetta, trovò il giornale fresco di stampa. 

Si sedette sul divano del salotto, ancora in pigiama, e si mise a leggere le notizie del giorno. La cronaca era sempre uguale (furti, il caso di omicidio che aveva risolto il giorno prima, un caso di presunto rapimento...) e il detective si ritrovò a sbuffare. Non che preferisse leggere di tragedie e omicidi di massa, ma almeno una piccola novità sul caso dell’organizzazione lo avrebbe reso felice...

Quando chiuse il giornale e controllò l’ora, sospirò di nuovo: le 7:15. 

E che diamine, aveva persino letto ogni singolo segno di punteggiatura per fare ancora più lentamente!

Shinichi ricordò che solo una volta nella sua vita si era sentito così impaziente (senza contare quando da piccolo i suoi lo portavano a comprare libri o era il giorno della gita a scuola): la prima volta che era uscito con Ran, prima che si mettessero insieme.

Erano ancora al liceo e certo, avevano fatto il tragitto scuola-casa insieme ed erano andati in biblioteca per studiare da soli tantissime volte... ma quella era la loro prima uscita per passare un pomeriggio insieme senza occuparsi di qualcosa che riguardasse la scuola.

Il detective lasciò il giornale sul tavolino da caffè davanti al divano e salì in bagno a cambiarsi e a lavarsi i denti. 

 

 

Finalmente, alle 8:05, Shinichi salì in macchina. Non sentiva sonno, nonostante la notte in bianco, anzi, era sveglissimo. Aveva deciso di chiedere a Ran qualche informazione sul padre di Aika, giusto per chiarire i suoi dubbi.

In quelle ore gli era balenata in testa l’idea di essere proprio lui il misterioso papà, ma poi si era subito messo a ridere: impossibile. Insomma, lui e Ran erano sempre stati attenti...

Ci volevano dieci minuti di auto per arrivare all’appartamento. Per fortuna Shinichi non trovò traffico e dopo poco tempo stava già parcheggiando poco distante dall’edificio.

Uscì dalla macchina e, dopo averla chiusa a chiave, si avviò verso l’ingresso con le mani nelle tasche della giacca. 

Suonò il secondo campanello dall’alto e noto che il suo nome era ancora lì. Ran non lo aveva tolto.

-Chi è? -chiese la voce della karateka dal citofono. 

-Shinichi. -rispose lui. L’enorme portone d’ingresso si aprì.

Il detective decise di prendere l’ascensore, giusto perché erano le 8:15 del mattino e l’idea di farsi tutte quelle scale di prima mattina non lo rallegrava troppo.

Non incontrò nessuno dei suoi ex vicini. Meglio, non aveva molta voglia di sentire la signora Matsukawa parlare dei suoi gatti (aveva fatto l’errore di dirle “buongiorno” una mattina mentre facevano il trasloco e aveva passato le successive tre ore a sistemare l’appartamento con le chiacchiere della settantenne a tenergli compagnia) o il signor Katsuki raccontargli dell’ultima corsa di cavalli a cui aveva assistito (aveva sentito lo zietto fino alla nausea).

Quando finalmente suonò alla porta dell’appartamento, fu Aika, in punta di piedi per arrivare alla maniglia, ad aprirgli. 

-Ciao! -lo salutò la bambina con un sorriso.

-Buongiorno signorina. Ho una consegna per lei. -rispose Shinichi abbassandosi al suo capo per mostrarle la targhetta dell’asilo che fino a quel momento aveva tenuto in tasca.

Sentendo quelle parole, Aika rise. 

-Vuoi che te la metta io? -chiese il detective. La piccola annuì e osservò le mani dell’uomo attaccarle sulla mantella azzurra la targhetta con il suo nome.

Guardandola così da vicino, Shinichi pensò, ancora una volta, che quella bambina era tutta sua madre. Anche se gli occhi erano di un blu molto particolare.

In quel momento arrivò Ran, che si stava mettendo la borsa in spalla. Cavoli, era bellissima: indossava una camicetta bianca e una gonna e una giacca nere. Al collo portava una collana con l’iniziale del suo nome (regalo di Shinichi al loro primo anniversario. Non la toglieva mai) e al polso aveva un bracciale che il detective non aveva mai visto.

-Buongiorno. -disse con un sorriso che fece risvegliare le farfalle nello stomaco dell’uomo. 

-Buongiorno. -ricambiò lui alzandosi in piedi.

La donna mise il cappellino giallo tipico dell’asilo ad Aika, poi s’infilò le scarpe e chiuse la porta a chiave.

-Grazie ancora per la targhetta. -fece Ran sistemando la giacchetta alla bambina.

-Di nulla. Volete un passaggio?

-In realtà, visto che è ancora presto e non piove, pensavo di andare a piedi. -rispose lei.

-Okaasan, Shinichi può venire con noi? -domandò Aika. Ran guardò il detective, che sorrise: -Io sono libero, ricordi? Mi hanno detto di prendermi una vacanza fino a nuova comunicazione.

Lei rise: -Va bene. Andiamo allora. 

Per scendere usarono l’ascensore e, parlando del più e del meno, s’incamminarono verso l’asilo di Beika. 

 

 

-Ran, posso farti una domanda? -chiese Shinichi quando, dopo che ebbero lasciato Aika all’asilo, decise di riaccompagnare Ran a casa.

-Certo. -rispose lei.

Camminava al suo fianco e fu difficile per lui resistere alla tentazione di prenderle la mano come avrebbe fatto quattro anni prima. Per l’ennesima volta maledisse il sé stesso di sedici anni che aveva seguito Vodka in quel vicolo: non sarebbe dovuto andarsene da Tokyo, non avrebbe lasciato Ran e soprattutto non l’avrebbe vista piangere per lui quando era nel corpo di Conan. 

Si odiava. Troppo.

-Ecco... quando ieri ho trovato la targhetta di Aika per sbaglio ho letto il suo cognome... -iniziò. -Io mi chiedevo se... tutto ok?

Aveva notato che Ran era impallidita improvvisamente. Lo invitò a continuare con un gesto della mano, facendogli capire che era tutto a posto.

-Ecco, so che è una cosa privata, ma... il padre di Aika ha il mio stesso cognome? -domandò il detective, esitante.

Ran deglutì e sospirò profondamente, poi disse: -Sì. Fa un po’ ridere, eh?

-Ehm... sì. In effetti sì.

La karateka fece un altro respiro, poi, visto che erano arrivati a casa, lo invitò a salire.

-Se vuoi posso parlarti di lui. Non è così difficile per me.

Shinichi la guardò per un attimo, poi decise di accettare la sua proposta. La seguì.

 

***

 

“Brava Ran. Come hai intenzione di uscirne adesso?” Si chiese la donna mentre cercava la chiave per aprire la porta dell’appartamento. 

Doveva inventarsi qualcosa che avesse un senso con quello che aveva sempre detto ad Aika e che Heiji aveva raccontato a Shinichi. Sì, ma cosa?

Non voleva mentirgli troppo, ma nemmeno dirgli tutta la verità. Non era ancora pronta. Come fare, allora? 

-Ran? Sicura di stare bene? -la voce di Shinichi la risvegliò dai suoi pensieri. Si accorse di essere ancora lì a cercare di inserire la chiave nella serratura della porta.

-Sì, scusa, stavo solo pensando a una cosa. -si affrettò ad aprire e lo fece entrare, poi chiuse la porta. 

Shinichi si guardò attorno. Erano quattro anni che non entrava in quella casa e Ran pensò che gli servisse qualche minuto per riabituarsi. Chissà a cosa stava pensando...

La karateka lo guidò nel salotto.

-Non è cambiato niente. -osservò lui.

-No, niente. -fece lei sorridendo. -Solo i giochi di Aika e alcune fotografie.

Shinichi rise: -È logico. 

Si accomodarono in cucina. Ran preparò il caffè, mentre lui si guardava ancora attorno.

-Hai tenuto quella foto... -disse ad un certo punto. Si stava riferendo alla fotografia che Heiji aveva scattato il giorno in cui avevano finito il trasloco.

-Sì. Mi piace molto. -rispose lei sorridendo. Gli mise davanti una tazzina di caffè caldo, poi appoggiò anche la sua e lo zucchero, infine si sedette.

Osservò il detective mischiare il caffè con il cucchiaino e si schiarì la voce: -Vedi... Quello che ti ha detto Heiji è vero, ma non è che il padre di Aika non è mai qui per lavoro... è che... -Ran sospirò. Alla fine gli stava mentendo... anche se solo in parte.

-È che lui non sa nemmeno che Aika è sua figlia. -continuò. Beh, questo era vero.

-Non lo sa? -ripeté Shinichi, stupito.

-No. -rispose la karateka. Bevve un sorso di caffè per inumidirsi la gola, che sentiva terribilmente secca, e riprese a spiegare: -Abbiamo avuto una discussione e ci siamo lasciati. Il giorno dopo ho scoperto di essere incinta, ma lui mi aveva detto che non voleva avere figli e quindi non l’ho contattato. Credo che abbia anche cambiato il numero di telefono. So che è sbagliato, ma... se dovessi dirgli la verità... ho paura di come potrebbe reagire.

Ran si morse il labbro, mentre Shinichi beveva a sua volta un po’ di caffè.

“Chissà se ha capito che sto mentendo e che Aika è sua” si chiese lei. Le sembrava assurdo che non ci fosse ancora arrivato. Eppure era così semplice... e lui non era di certo stupido.

-Pensi che reagirebbe così male? -le domandò.

La donna ci pensò un attimo. Se gli avesse rivelato che il padre di Aika era proprio lui, come l’avrebbe presa? Stando a quello che le aveva detto quando erano appena usciti dall’Università, Shinichi sognava, un giorno, di avere dei figli. Quindi ne sarebbe stato felice? O si sarebbe arrabbiato perché Ran gli aveva mentito?

-È questo il punto. Non lo so. -rispose lei abbassando gli occhi sulla tazzina. -Si prenderà le sue responsabilità? Chi può dirlo. E poi c’è Aika, che aspetta solo di conoscerlo. Lei pensa che suo padre sia un agente della pubblica sicurezza e che non torna mai a casa per non mettere lei e me in pericolo. Però ormai non so quanto possa...

-E se ti aiutassi a trovarlo? -propose Shinichi interrompendola. -Sono un detective. Potrei riuscirci facilmente.

-Apprezzo l’offerta ma...

-Non devi preoccuparti. -continuò alzandosi in piedi. -Ci metterò poco. Basta che mi dai alcune informazioni e...

-No. Shinichi, io non voglio trovare quell’uomo. -dichiarò Ran senza lasciarlo finire. -Non per il momento almeno.

-Ma perché? -chiese lui, senza capire. -Aika ne sarebbe contenta e tu...

-È che... da quando ti conosce, Aika non mi ha mai chiesto di suo padre. -confessò la karateka. -È come se non si ricordasse di lui. 

“O forse Aika sente, in qualche modo, che il suo papà sei proprio tu” aggiunse mentalmente.

-Co-Cosa?

Ran finì il suo caffè, mandando giù il groppo alla gola che le rendeva difficile parlare.

-Aika si è affezionata a te. Mi chiede se tu ed io siamo mai stati innamorati, come ti sei dichiarato e come hai conosciuto Heiji. -raccontò. -E non mi ha più detto la parola “papà” dal giorno del matrimonio di Heiji e Kazuha. Non pensa più a lui. Quindi finché non sarà lei a chiedermi qualcosa, io non farò nulla.

Shinichi si risedette, come se le gambe non fossero state più in grado di reggerlo. Era pallido.

-Shinichi? -lo chiamò lei.

-D’accordo. Io non farò niente, se è questo che vuoi. -disse come risposta. -Però ricordati che puoi chiedermi di trovare quel tizio in qualunque momento. Anche se avrò già un caso a cui pensare, va bene?

Ran annuì: -Me ne ricorderò. 








*angolo autrice*
Yahoo~
Rieccomi qui!
Rileggendo il capitolo prima di pubblicare ho pensato che potrei anche cominciare una scena importante già nel prossimo capitolo... scena che ho in testa fin da prima di iniziare la storia, in effetti 😂
Beh, ci penserò!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12. ***


Da quel giorno, chissà come, per qualche misteriosa ragione Shinichi e Ran s’incontravano tutti i giorni: per strada mentre lui andava su una scena del crimine e lei in palestra per allenarsi con il karate; fuori dalla casa del professor Agasa, lui usciva di casa e lei andava a trovare il dottore... oppure era lei a invitare lui a casa e lui ad invitare lei per un caffè in un bar. Sempre più spesso, poi, Aika chiedeva se Shinichi poteva fermarsi da loro a cena.

Ogni scusa era buona per fermarsi e parlare. Ran voleva scambiare qualche parola con lui, ne sentiva il bisogno come se fosse stato l’acqua nel deserto. Si stava lentamente innamorando di nuovo? Sonoko diceva di sì e Kazuha le rispose la stessa cosa quando le chiese un consiglio durante la videochiamata che si fecero quando l’amica tornò a Osaka dal suo viaggio di nozze con Heiji. 

La cosa non le dava fastidio, forse perché in realtà non aveva mai smesso di pensare al suo detective in quegli anni? Perché non c’era mai stato nessun altro oltre allo Sherlock Holmes del nuovo millennio?

Così, senza che Ran se ne accorgesse, aprile finì e maggio passò altrettanto velocemente, lasciando spazio a giugno. Il caldo estivo arrivò presto, non serviva che fosse la signorina del meteo a dirlo. Tutti a Tokyo andavano in giro con magliette a maniche corte, pantaloncini e abiti leggeri già a inizio mese.

Un giorno, uscendo dalla casa del professore con Aika, Ran incontrò tre liceali che conosceva benissimo.

-Ran-neechan! -esclamò Ayumi appena la vide. Era insieme a Mitsuhiko e Genta e tutti e tre indossavano la divisa del liceo Teitan. Erano cresciuti tantissimo, ma Ran rivedeva sempre le tre pesti che si cacciavano nei guai facendo impazzire Conan e Ai.

Ayumi era sempre stata carina (Ran aveva pensato che Conan avesse una cotta per lei e non si era sorpresa quando Mitsuhiko le aveva detto che la sua amichetta gli piaceva) ma adesso era diventata una ragazza veramente bella, dolce, intelligente e coraggiosa. Forse quest’ultimo aspetto era dovuto a ciò che i Detective Boys avevano sperimentato da piccoli, con Conan che, come da adulto, portava sfortuna ovunque andava e puntualmente si ritrovava in situazioni che di solito dei bambini non dovevano affrontare.

La ragazza aveva dei bei voti a scuola e spesso i ragazzi si giravano a guardarla quando passava in corridoio o per strada, suscitando la gelosia dei suoi amici d’infanzia.

Questi ultimi erano cambiati ancora più di Ayumi. Genta non aveva più la tendenza a buttarsi a capofitto nelle cose senza prima ragionarci un attimo e Mitsuhiko, timido fin dalla tenera età, si era ritrovato a dover rifiutare tante dichiarazioni d’amore. Lui pensava solo ad Ai, ormai. 

-Ciao ragazzi. -li salutò Ran sorridendo. -Andate dal professore?

-Sì. Oggi i Detective Boys si prendono una vacanza. -rispose Mitsuhiko. Com’era prevedibile, quei tre (anzi, quattro, visto che c’era anche Ai) avevano mantenuto il nome del gruppo anche dopo che Conan era “partito per l’America”, creando il club alle medie e persino al liceo. Crescendo, avevano imparato a risolvere i casi anche più difficili rispetto alle classiche sparizioni di animali domestici, facendosi conoscere anche nelle altre scuole.

-Ai è in casa? Oggi non c’era a scuola... -disse Ayumi. -Le abbiamo portato gli appunti.

-Io non l’ho vista. Magari è uscita. -fece Ran. Le faceva ancora strano sapere che Ai, la ragazza che era diventata come una figlia per il professor Agasa, fosse proprio colei che aveva creato la sostanza che aveva rimpicciolito Shinichi. E che avesse un anno in più di lei!

Da quando sapeva la verità non l’aveva mai incontrata, ma non perché non volesse. Solo perché quando lei andava dal professore, Ai era a scuola o fuori con i Detective Boys.

La karateka rimase a parlare con i ragazzi per qualche minuto, mentre Genta faceva divertire Aika. Poi, dopo averli salutati, la donna s’incamminò verso casa con la piccola. 

-Okaasan, stasera mangiamo gli onigiri? -domandò Aika ad un certo punto.

-Va bene, però dobbiamo andare a comprare gli ingredienti per prepararli. 

-A Shinichi piacciono gli onigiri?

Ran sorrise, mentre l’immagine di uno Shinichi poco più che diciottenne che divorava un piatto di onigiri le si parava davanti agli occhi. Come dimenticare quella volta in cui, volendo passare una serata insieme, avevano deciso di cucinarsi qualcosa da mangiare mentre guardavano un film... e Shinichi aveva ripulito letteralmente il piatto in poco più di cinque minuti.

-Sì... e tantissimo. 

 

 

Ironia della sorte, proprio come alcuni anni prima, Ran si ritrovò a preparare gli onigiri insieme a Shinichi, casualmente incontrato appena fuori dal supermercato. Avevano in programma di vedersi più tardi, per cena, ma alla fine si trovarono molto prima.

Aika disegnava, seduta al kotatsu del salotto, e Ran poteva tenerla d’occhio dalla cucina, mentre lei e Shinichi si occupavano di preparare gli onigiri. Per fare più in fretta si erano divisi i compiti.

-Il riso è pronto. -annunciò la karateka.

-Il pesce è pronto. -disse il detective praticamente nello stesso momento, causando una risata da parte di entrambi.

Mentre li assemblavano, Ran non poté fare a meno di notare quanto fossero vicini. Le loro braccia, visto che erano fianco a fianco, si sfioravano, provocandole dei brividi lungo la schiena. Però... non provava quella sensazione da quattro anni ormai e la cosa le piacque non poco.

Scene del genere capitavano spesso quando erano all’università. Cucinavano insieme, più perché Shinichi diceva che, da quando i genitori di Ran si erano separati, era sempre stata lei a cucinare per lei e suo padre. Stessa cosa quando dovevano pulire l’appartamento: se lui era presente si occupava di pulire i pavimenti e lei si dedicava alle mensole e ai soprammobili. Le aveva fatto giurare che, quando doveva usare il detersivo, avrebbe messo i guanti.

“Se continui così” diceva, “ti rovinerai le mani, sai?”.

Ran aveva riso a quelle parole, ma in seguito ci pensava di nuovo e arrossiva. Shinichi teneva tanto a lei, le avevano detto Yusaku, Yukiko e Heiji e quei piccoli gesti glielo dimostravano implicitamente. Anche se il rovinarsi le mani non le sembrava una cosa poi tanto grave.

Ripensando a quelle scene, la karateka si guardò le mani, su cui erano rimasti appiccicati dei chicchi di riso. 

-Tutto ok? -le chiese Shinichi, che stava appoggiando sul tagliere l’onigiri che aveva appena finito di preparare. 

-Sì, stavo solo pensando a una cosa. -rispose Ran affrettandosi a prendere dell’altro riso.

Con gli ingredienti che avevano, gli onigiri che riuscirono a preparare furono nove. Una volta terminato, Ran mise ciò che poteva in lavastoviglie e il resto nel lavandino per lavare a mano. 

Shinichi l’affiancò: lei lavava e lui asciugava e metteva tutto al proprio posto. Tutto questo ridendo e scherzando, senza accorgersi che Aika li osservava, incantata. Le sembrava di stare guardando uno di quei film che tanto piacevano alla sua mamma, quelli dove i protagonisti si innamorano poco alla volta e alla fine si danno un bacio. 

La piccola prese un foglio pulito e si rimise a disegnare, cercando di far somigliare le due persone sul foglio ai due che vedeva in cucina. 

Tutto ciò avvenne mentre Ran e Shinichi finivano di pulire. 

-Okaasan! -esclamò Aika, che teneva il foglio su cui aveva disegnato tra le manine e se ne stava in piedi accanto alla penisola della cucina.

-Che c’è, Aika-chan? -chiese Ran con un sorriso.

-Ho finito il mio disegno! Guarda! -la bambina mostrò il suo lavoro. Ran, anche se era un disegno fatto da una bambina di quasi quattro anni, riconobbe sé stessa, di schiena accanto a un altra persona. E quella persona altri non era che Shinichi.

-Che bello, Aika! -fece il detective, abbassandosi al suo capo. -Siamo io e la tua mamma?

La piccola annuì, fiera. 

-Bravissima. -disse invece Ran asciugandosi le mani. -Vuoi che lo appendo insieme alle fotografie?

-Sì! -Aika le porse il foglio, saltellando impaziente. La karateka si diresse verso la lastra dove c’erano appese delle fotografie, dei fogli con appuntamenti e un calendario con le calamite. Prese una di queste e unì il disegno di Aika al resto.

-Ecco qua. Va bene? 

Aika annuì, tutta contenta. Poi tornò in salotto a disegnare.

Shinichi si rialzò in piedi e sorrise, divertito: -Disegna abbastanza bene per la sua età. Ha buone possibilità di diventare pittrice. 

-Secondo me sarà più un suo hobby. -disse Ran. Conosceva bene sua figlia e, sapendo quanto fosse già molto intelligente e quanto fosse simile a suo padre, era convinta che avrebbe scelto di lavorare per la polizia, o qualcosa legato ad essa.

-Se continua così e i suoi disegni diventano più dettagliati e precisi potrebbe anche iniziare a venderli. -suggerì Shinichi.

La karateka rise: -Vedremo. Mai dire mai, no? -rimise a posto l’asciugamano che lui aveva usato per asciugare le stoviglie e le pentole, poi controllò l’ora. Mancava ancora molto all’ora di cena e lei indossava ancora la tuta che aveva messo dopo gli allenamenti di karate. Si stava allenando di più del solito, dato che le Olimpiadi (esatto, proprio le Olimpiadi di Tokyo 2020) erano sempre più vicine e non voleva deludere l’intero Giappone.

-Shinichi, non è che potresti tenere d’occhio Aika per qualche minuto? Devo cambiarmi i vestiti...

-Nessun problema. Se ti serve fai pure una doccia. -rispose lui. Si avvicinò al kotatsu del salotto e si sedette a gambe incrociate con Aika. 

-Grazie. -disse Ran avviandosi verso la camera da letto per prendere un cambio di vestiti.

-Di nulla! -fece Shinichi. -Allora, Aika, ti va di disegnare qualcosa con me?

 

 

Quando Ran uscì dal bagno dopo essersi fatta una doccia veloce ed essersi cambiata i vestiti, Shinichi e Aika erano chini su un foglio, insieme. Quella visione le strinse il cuore: era una normale scena tra un papà e la sua bambina, di quelle che la karateka sognava di vedere da quando la piccola era venuta al mondo. Chissà cosa sarebbe successo se, quattro anni prima, Ran avesse detto tutto a Shinichi. Lui sarebbe tornato subito dall’America o sarebbe stata lei a raggiungerlo là? Le avrebbe detto tutto sull’organizzazione o avrebbe preso antidoti temporanei per tenere sia lei sia la bambina al sicuro?

Ma era inutile pensarci in quel momento, dopo quattro anni.

Ran rimase qualche minuto in disparte a osservare sua figlia e l’uomo che amava, inconsapevoli del legame che li univa, mentre si conoscevano senza aver bisogno di parlare. Aika, come un architetto alle prese con un progetto importante, dava indicazioni a Shinichi sui colori da usare per colorare il disegno che proprio lui (era piuttosto bravo a disegnare) aveva fatto poco prima. Una scena tenerissima che la donna voleva imprimere nella sua memoria.

Poi Ran si diresse in cucina: -Eccomi qua. -disse come se fosse arrivata in quel momento. -Avete fame?

Shinichi e Aika, che avevano sollevato la testa nello stesso istante, si guardarono per un attimo, poi entrambi scattarono in piedi per andare a sedersi a tavola.

-Le mani. -ricordò loro la karateka.

-Ah giusto. -fece il detective, accorgendosi di quanto fossero sporche le sue mani, macchiate di pennarello. -Vieni, Aika. Andiamo a lavare le mani.

-Sì! -esclamò la bambina. Si diressero verso il bagno, insieme, sotto lo sguardo malinconico di Ran, che sentì di nuovo una stretta al cuore. 

Malinconia. Ecco cosa provava in quel momento. 




*angolo autrice*
Yahooo~ 
Scusate se pubblico sempre tardi, ma ho l'ispirazione sempre la sera 😂
Oggi ho letto delle storie su Shinichi e Ran e su Kageyama e Hinata di Haikyū, pucciosità a livelli estremi e di conseguenza ho avuto ispirazione per scrivere l'ultimo pezzo del capitolo eheh 😌❤️.
Visto che venerdì sono iniziate ufficialmente le Olimpiadi di Tokyo 2020 ho pensato di farvi partecipare la nostra Ran. Vi piace come idea? 
E niente, ora vado. Al prossimo capitolo, detective! ❤️

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 13. ***


-Buoni? -chiese Ran ad Aika. 

La bambina, che aveva la bocca piena di riso, annuì energicamente e Shinichi rise, intenerito. 

-Vuol dire che siamo stati bravi. -disse allungando un pugno, così che Ran lo facesse scontrare con il proprio. Lo facevano spesso, quando stavano insieme e facevano lavoro di squadra per qualsiasi motivo.

La karateka gli sorrise, battendogli il pugno: -Sono usciti meglio dell’ultima volta, non credi?

-In effetti sì. Sarà che, a forza di prepararli, siamo migliorati. -rispose lui ridendo.

-No, è che l’altra volta il riso era scotto e il pesce bruciato. -lo corresse lei, facendo ridere Aika.

Finirono gli onigiri e Ran prese la torta che lei e Aika avevano acquistato quel pomeriggio. Era una crostata al limone, come piaceva a Shinichi. 

-L’ha scelta Aika. -lo informò Ran mentre tagliava una fetta. 

-Ottima scelta, piccola detective. -disse l’uomo alla bambina, che arrossì leggermente.

-Mi piace tanto la torta al limone! -esclamò poi.

-Davvero? Anche a me, sai? 

Shinichi vide gli occhi della piccola iniziare a brillare e per un attimo rivide Ran quando, sul tetto del municipio ai tempi della prima elementare, l’aveva chiamata per nome invece che per cognome. Venne di nuovo assalito da quel senso di profonda nostalgia che non riusciva a spiegare, ma, d’altronde, ultimamente faceva fatica a spiegarsi tante cose. Tipo quei stramaledetti sogni che faceva di notte, con lui e Ran insieme, per mano, in spiaggia insieme alla piccola Aika che giocava con l’acqua. Oppure gli succedeva di sognare cose che dette ad alta voce gli sarebbero costate un bel calcio dove non batte il sole da parte di Ran e un pugno (se gli andava bene) da parte dello zietto.

Chissà se anche Ran provava lo stesso nei suoi confronti… lui l’amava ancora ed era ormai palese che non avrebbe mai più cambiato idea, ma lei? 

Shinichi Kudo si reputava intelligente, ma, a distanza di anni, ancora faticava a capire proprio colei che amava da una vita. Non su ogni cosa, ovviamente. Si conoscevano dall’asilo!

Però c’era sempre quella piccola percentuale di lei che rimaneva avvolta nel mistero per lui.

Forse però lei non lo considerava più in quel senso. Insomma, aveva Aika e non poteva di certo prendere decisioni che l’avrebbero fatta stare male. Aveva appena tre anni e di lì a un mese ne avrebbe compiuti quattro. Troppo piccola per soffrire così tanto. Non aveva mai visto il suo papà, poi!

Per lui non sarebbe stato un problema aiutare Ran con la bambina. Gli piacevano i bambini e Aika gli ricordava molto Ayumi. Piccola e carina, ma allo stesso tempo con un cuore grande e coraggioso.

Si diede uno schiaffo mentalmente. Ma che diamine stava pensando? Non era mica il padre, lui. Aika non lo avrebbe mai considerato tale, nonostante Ran gli avesse detto che si era affezionata a lui.

-Shinichi? Tutto bene? -chiese Ran distogliendolo dai suoi pensieri. -Sei tutto pallido…

-Eh? Ah, sì… stavo solo pensando a una cosa. -rispose lui, vago. Prese la sua fetta di torta e iniziò a mangiarla, gustandosi il sapore di limone.

Quando, una volta terminata la torta, fu il momento del caffè. il telefono di Shinichi prese a squillare. Sul display c’era il nome di Jodie Starling.

Il detective guardò Ran, che lasciò la tazzina sul tavolo.

-Rispondi. Dev’essere qualcosa di importante, no? -disse. Poi si rivolse ad Aika: -Aika-chan, vieni. È ora del bagno.

-Perché? -domandò la bambina inclinando la testa di lato, curiosa.

-È tardi e domani la mamma ha un allenamento di karate importante. -rispose la karateka alzandosi dalla sedia. Sebbene controvoglia, la piccola la seguì, tenendole una mano con la propria.

Shinichi le guardò allontanarsi, poi rispose al cellulare.

-Agente Jodie? Ci sono novità?

 

 

Quando Ran tornò, tenendo Aika in braccio, Shinichi aveva appena chiuso la chiamata e osservava il cellulare, incredulo. 

-Che succede? -domandò la karateka. Lui si voltò a guardarla e balbettò, emozionato: -Hanno preso due di loro. Li stanno interrogando adesso, ma sono già emerse cose importanti che… -le sorrise. -Manca veramente poco, Ran. È questione di giorni e tutta questa storia finirà.

Lei ricambiò il sorriso e si avvicinò per prendergli una mano. 

-È il caso più grande della tua carriera da detective, Shinichi. Sono fiera di te. 

Shinichi si alzò dalla sedia e, senza nemmeno pensarci, strinse sia Ran che Aika in un abbraccio. 

Ran ricambiò la stretta con il braccio libero, poi, quando si separarono, disse: -So che vorresti festeggiare, ma domani ho un allenamento importante ed è tardi anche per Aika. Se devi andare alla centrale, vai pure.

Invece, Shinichi prese Aika dalle braccia della karateka.

-Non vado. Non senza aiutarti a sistemare. E poi mi hai detto che questa peste vuole sempre sentire una storia prima di dormire, no? Se le va bene, la posso leggere io. -guardò la piccola, che ora indossava il suo pigiamino, e le sorrise. -Posso leggerti una storia, Aika?

La bimba annuì, poi salutò Ran, che le diede un bacio sulla guancia e le augurò la buonanotte.

-Notte notte. -rispose Aika, poi Shinichi la portò nella sua cameretta.

 

 

Prima che diventasse la camera da letto di Aika, quella stanza era stata scelta come studio. Lì, Shinichi e Ran avevano messo una scrivania con un computer, delle librerie con libri e soprammobili e un divanetto.

Adesso le pareti erano state dipinte di rosa pastello e i mobili erano stati cambiati del tutto. Era diventata la classica cameretta di una bambina.

Shinichi lasciò Aika sul lettino.

-Allora, piccola detective. Cosa vuoi che ti legga stasera? -chiese.

La bambina gli fece segno di avvicinarsi e poi gli parlò all’orecchio, sussurrando: -Mi racconti di come hai detto alla mia mamma che era la tua innamorata?

Il detective si ritrovò ad arrossire. Che tipetta.

Nonostante l’avesse preso totalmente alla sprovvista, però, l’uomo sorrise: -Va bene. 

-Evviva! -Aika si sdraiò, appoggiando la testa al cuscino e osservando Shinichi con quei suoi occhioni blu, curiosa. Lui la coprì con il lenzuolo e si sedette sul materasso.

Non era molto bravo a raccontare storie che non contenessero omicidi, ma si sarebbe impegnato, per una volta. Quindi… Come rendere la storia della sua dichiarazione adatta ad una bambina di quasi quattro anni?

Mica poteva raccontarle che era stato trasformato in un bambino poco più grande di lei da un’organizzazione criminale. Non doveva spaventarla. 

Quindi decise di partire dal momento in cui era uscito dalla cabina telefonica dopo aver preso il secondo antidoto che gli aveva dato Ai, quello che avrebbe dovuto usare per tornare in Giappone.

-È successo in una città che si trova molto lontana da qui. È in un altro continente, addirittura! -iniziò a spiegare. -Ti piace Peter Pan?

Aika annuì: -Sull’Isola che non c’è? -domandò, gli occhi spalancati.

Shinichi ridacchiò: -No, piccola. È la città dove abitano Wendy e i suoi fratellini. Londra. 

-Oooooh!

-La tua mamma era lì con il suo papà e il professor Agasa. -continuò a raccontare. -Io invece ero lì per caso, sai, per il mio lavoro… 

-E hai catturato un cattivo?

-Sì. E grazie alla tua mamma anche.

-Woooow!

Il detective rise di nuovo.

-Comunque, la tua mamma era arrabbiata con me perché non le avevo detto che ero a Londra anche io. Ci siamo incontrati vicino a una cabina telefonica e lì abbiamo parlato. Lei piangeva, sai? E io mi sono sentito in colpa, perché era a causa mia. -disse, ricordando quanto si fosse sentito uno schifo nel vedere Ran piangere proprio davanti a sé. -Allora ho cercato di consolarla, ma lei era così arrabbiata con me che è corsa via. 

-E poi? -chiese Aika, totalmente incantata.

-Io l’ho seguita e proprio sotto al Big Ben, l’orologio altissimo più famoso di Londra, le ho detto che era lei la ragazza che mi piaceva. -concluse l’uomo.

-E la mamma non ti ha risposto? 

-Beh, no. Non subito. Lei mi ha risposto durante una gita che abbiamo fatto con la nostra classe, alle superiori. -Shinichi si alzò dal materasso e le rimboccò le coperte. -Ma te lo racconto per bene un’altra volta, ok? Adesso è tardi, piccola detective. Buonanotte.

-Buonanotte! -Aika gli sorrise.

Il detective spense la luce del comodino e aprì la porta per uscire.

-Shinichi? 

Si voltò: -Dimmi, Aika.

-Sei ancora innamorato della mia mamma? 

Shinichi rimase senza parole. Quella bambina era veramente troppo intelligente per la sua età. E sicuramente non era una ragazza di diciassette anni rimpicciolita a causa di un farmaco!

-È una domanda a cui non so come risponderti, Aika. Te lo dirò più avanti, ok? Adesso dormi.

E il detective si richiuse la porta alle spalle.

La verità? 

Non aveva mai smesso di amare Ran. E lo sapeva benissimo. Ma non poteva dirlo ad Aika, che non aveva mai visto i suoi genitori insieme. Non voleva che il suo sogno di vedere il suo papà accanto a Ran svanisse nel nulla. Era pur sempre una bambina e aveva visto Ran soffrire per la separazione dei suoi genitori quando era poco più grande di lei.

Mentre questo pensieri gli vorticavano in testa, tornò in cucina.

-Aika è veramente una tipetta sveglia. -commentò nel varcare la soglia della stanza. -Sai cos’ha voluto sentire come storia della buonanotte? Come mi sono dichiarato, a Londra.

Ma appena finì la frase, capì che Ran non lo stava ascoltando. La karateka era in piedi davanti al lavandino, riempito di acqua e schiuma, e si guardava le mani senza vederle per davvero. O almeno, quella era l’impressione che ebbe Shinichi nel guardarla in faccia.

-Ran? -la chiamò avvicinandosi. -Tutto bene? Oh, ti sei tagliata con un coltello?

Aveva infatti notato che un dito le sanguinava. Ma lei ancora non reagiva.

-Dai, vieni. Ti metto un cerotto. -la prese per la mano non ferita e la condusse in bagno, prese la cassetta del pronto soccorso, cercò il disinfettante e i cerotti e le curò la ferita. 

-Ecco qua. Ti ho fatto male? -chiese. Ran non rispose né sembrò averlo sentito. Lui decise di non farci caso, la riprese per mano e la riportò in cucina. 

-Siediti. Ci penso io qui.

 

 

Shinichi aveva finito di lavare le stoviglie e le stava asciugando quando finalmente Ran parlò.

-Shinichi, secondo te sono una cattiva madre? -gli chiese con un filo di voce.

Il detective si bloccò sul posto e si voltò verso di lei, seduta al tavolo con lo sguardo sulle sue mani.

-Perché? -fece lui, stupefatto. Non si aspettava una domanda del genere.

-Io… ho paura di dire al padre di Aika che ha una figlia. Lei non può avere una famiglia normale per colpa mia…

Shinichi lasciò lo strofinaccio e il piatto sul tavolo e si inginocchiò di fronte a Ran per cercare i suoi occhi. Le prese le mani, che tremavano, con le sue.

-Ran. Guardami. -le disse appena notò le lacrime che le rigavano le guance. -Aika ti vuole bene e tu non sei una cattiva madre per lei. 

-Però… -balbettò lei tra i singhiozzi.

Lui si morse il labbro e le asciugò le lacrime con una mano, non sapendo che pesci pigliare. Lo aveva colto totalmente alla sprovvista con quella domanda. O forse doveva aspettarsi una cosa del genere? Conosceva Ran da una vita ormai e sapeva che, nonostante cercasse di essere perfetta, aveva troppe insicurezze.

-Ran… -la chiamò di nuovo. Lei non smetteva di singhiozzare e non osava guardarlo in faccia.

E così fece la cosa che gli sembrò più facile.

Le prese il viso e la baciò sulle labbra.







*angolo autrice*
Ehilà! Quanto sono stata brava a pubblicare ad un orario decente? 😌 E soprattutto, felici per il bacio?
Adesso inizia la parte più leggera per me che scrivo😂 non mettere scene romantiche fra Shinichi e Ran mi viene difficileeeee!
E niente, ci vediamo nel prossimo capitolo, detective!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 14. ***


Prima che Ran potesse anche solo reagire, Shinichi si separò da lei. Si rialzò in piedi in fretta, come se avesse appena commesso il crimine più grande del mondo, e evitò lo sguardo di lei.

-Scusa. Non volevo farlo. -disse guardando in basso. -Io… è meglio che vada.

Sotto lo sguardo sorpreso di Ran, il detective recuperò la giacca dal divano (l’aveva appoggiata lì quando era arrivato, quel pomeriggio) e si diresse verso l’ingresso per mettersi le scarpe.

Proprio in quel momento la karateka riuscì a riprendersi dalla sorpresa, si alzò dalla sedia e lo raggiunse.

-Shinichi! -lo chiamò.

-No. Io… io ho fatto una cazzata, Ran. Fai finta che non sia successo niente. -disse lui mentre legava le stringhe di una scarpa.

-Ma...

Shinichi si mise l’altra scarpa e si alzò in piedi: -Non è successo niente. Non… 

-Invece è successo! -esclamò Ran, a voce alta. -Perché vuoi negarlo? Mi hai baciato sulle labbra. E quindi? Non ti uccido mica!

Il detective si voltò finalmente a guardarla. Sembrava arrabbiato, molto arrabbiato. Lei lo aveva visto poche volte così.

-Possibile che non ci arrivi? Che mi dici del padre di tua figlia? Non è così improbabile che reagisca bene al fatto che abbia una bambina, sai? 

-Ma adesso lui sarà sicuramente con un’altra! -Ran sentiva di nuovo le lacrime agli occhi. Odiava litigare con Shinichi e quella discussione la stava facendo soffrire come non mai. Eppure… perché non riusciva a dirgli tutto? Perché, ogniqualvolta che provava a rivelargli la verità, la gola le si chiudeva?

-Come fai ad esserne così sicura? Lo hai visto?

-N-No, però…

Calò il silenzio e Ran abbassò gli occhi, che le bruciavano. Shinichi sospirò: -Io vado. Ne parliamo domani.

E uscì dall’appartamento chiudendo la porta alle sue spalle. Ran rimase lì a fissare il legno chiaro per alcuni minuti, poi prese le chiavi, infilò velocemente le scarpe e uscì a sua volta.

Non aveva mai sceso le scale così in fretta, neppure quando era in ritardo per la scuola o il lavoro. Per fortuna però aveva il passo veloce, perché riuscì a raggiungere Shinichi, che era appena uscito dal condominio e cercava inutilmente di proteggersi dalla pioggia che aveva iniziato a scendere qualche attimo prima. 

-Shinichi, aspetta!

Lui non la ascoltò e continuò a camminare. 

-Shinichi! -tentò di nuovo lei. Non ottenendo risposta per la seconda volta si mise a correre e si fermò davanti a lui. 

-È meglio finirla qui, Ran. -disse il detective.

-Vuoi scappare un’altra volta? -fece lei. -Te ne vai per non affrontare i tuoi problemi?

Con quelle ultime domande riuscì a catturare la sua attenzione. Ricordava bene l’espressione che aveva mentre le raccontava di quanto si fosse sentito un codardo quando aveva deciso di non dirle niente dell’organizzazione.

-Io non…

-E allora baciami. Fregatene di quello che potrebbe succedere e baciami. -Ran ormai era partita in quarta. Non riusciva più a trattenersi, non dopo che Shinichi le aveva fatto capire di ricambiare inconsapevolmente i suoi sentimenti.

-Perché io non ho mai smesso di pensarti, in questi anni. Nonostante abbia Aika, nonostante tu fossi scomparso e non sapessi niente di te. Avresti anche potuto essere morto, ma io non avrei smesso di pensarti. -Ran si avvicinò a lui fino ad essere a pochi centimetri dal suo petto. -Io ti amo, Shinichi Kudo. 

Shinichi spalancò gli occhi, ma poi fece come gli era stato ordinato. Le prese il viso e la baciò sulle labbra, stavolta però fu diverso. Ran avvertì quella scossa elettrica che aveva sentito per anni, tutte le volte che Shinichi le dava un bacio. Riuscì a sentire il sapore amaro del caffè bevuto neanche un’ora prima, il respiro di lui che si mischiava al suo e poi le sue labbra. Dio, le erano mancate così tanto!

Fu lei ad approfondire il bacio. Diede un piccolo morso al labbro inferiore del detective, che l’assecondò senza pensarci due volte, mentre le mani andavano a posarsi sui suoi fianchi per attirarla più vicino al suo corpo. Ran si mise a giocare con i suoi capelli, tirandoli appena. Sapeva bene che effetto gli faceva quel gesto.

La pioggia intanto cadeva fitta su di loro, ormai bagnati fradici dalla testa ai piedi. Un volta, durante l’ultimo anno di liceo, erano stati sorpresi da un’acquazzone proprio mentre tornavano a casa. Avevano corso, risate permettendo, per cercare di bagnarsi il meno possibile. Ovviamente non c’erano riusciti e il giorno seguente erano entrambi a casa, bloccati a letto con una febbre da cavallo.

Fu proprio ricordando quella volta che Ran si separò da lui.

-Ti amo anch’io. -disse Shinichi appoggiando la fronte alla sua. Lei gli sorrise.

-Siamo proprio senza speranza io e te, eh? -domandò. Lui annuì, divertito.

-Non ci posso fare niente però. 

Un tuono li fece sobbalzare e solo a quel punto Ran si rese conto che la camicia di lui era diventata praticamente trasparente a causa della pioggia. La sua maglietta, invece, era appiccicata alla pelle, fradicia.

-Forse dovremmo rientrare. -disse, arrossendo. 

-Sì, forse è meglio. 

E così rientrarono nel condominio, salirono al piano giusto usando l’ascensore e tornarono all’appartamento di Ran, anzi al loro appartamento, senza separare le loro mani. 

Ran aveva la sensazione di essere praticamente sulle nuvole. Le sembrava di essere tornata ai tempi dell’università, quando lei e Shinichi si erano appena trasferiti lì ed ogni occasione era buona per darsi un bacio.

Cavoli, ripensandoci erano stati proprio sdolcinati a quei tempi. Pure Sonoko le aveva detto così, più di una volta. 

Però poi c’era stata la prima volta in cui avevano fatto l’amore e… tutto era cambiato. Come se fosse stato un rito di passaggio per arrivare ad una relazione più matura, diversa rispetto a quella di due ragazzi del liceo alle prese con la loro cotta di una vita.

Ran arrossì, ricordando quello che avevano fatto. Certe volte si erano spinti oltre un limite che quando era al liceo non pensava di poter sorpassare. E si era persino sorpresa di quanto, i giorni seguenti, riuscissero a comportarsi in modo assolutamente normale, come se non fosse accaduto niente di così tanto erotico.

-Ehm… vuoi cambiarti? Ho ancora i tuoi vestiti di quando vivevi qui. -disse la karateka, evitando di guardare il detective in faccia. Sapeva che, se lo avesse fatto, sarebbe morta di vergogna o, se non di vergogna, per quello spettacolo che era il corpo di lui sotto la camicia fradicia di pioggia.

-Sì, grazie. -rispose Shinichi. La seguì lungo il corridoio che portava alle camere da letto e poi dentro la stanza matrimoniale. Da quando se n’era andato, quasi quattro anni prima, Ran non aveva cambiato niente lì. 

La karateka aprì l’armadio e si mise a cercare…

Finché non avvertì le braccia di lui stringerla da dietro e le sue labbra sfiorarle la mandibola, appena sotto l’orecchio. Le lasciò una scia di baci umidi e lei rabbrividì.

-A-Aspetta. -riuscì a dire. Ma Shinichi non le diede retta e, dopo aver torturato quel suo punto sensibile, passò al collo, scostandole i capelli. Ran lasciò i vestiti che aveva tra le mani, mentre sentiva quelle di lui cercare l’orlo della sua maglia.

-Dovresti cambiarti anche tu. -le sussurrò. -Potresti prenderti un raffreddore.

-S-Sì… -balbettò lei, che non riusciva più a pensare lucidamente. Shinichi adesso le stava baciando la nuca, mentre le mani erano riuscite a sollevarle la maglia quel tanto che bastava per sfiorarle i fianchi.

-Mi sei mancata. -disse, tornando poi a tormentarle il lobo dell’orecchio.

Ran era immobile, totalmente impotente. Ormai Shinichi la conosceva, sapeva bene i suoi punti deboli e come torturare i suddetti punti fino ad annebbiarle la mente.

E infatti fu lui a farla voltare, catturando le sue labbra con le proprie. A quel punto lei riuscì a trovare un briciolo di lucidità e lo fece indietreggiare fino a farlo sedere sul letto, senza interrompere il gioco che le loro lingue avevano iniziato. 

La karateka si sedette sulle gambe del detective e iniziò a sbottonargli la camicia. Lui riuscì a toglierle la maglietta e riprese a tormentarle il collo, poi passò al petto. 

Quando le sue labbra le sfiorarono la stoffa del reggiseno, Ran trattenne il respiro. Shinichi approfittò di quel suo momento di debolezza per invertire le posizioni e farla sdraiare sul materasso.

-Sh-Shinichi. -riuscì a chiamarlo.

-Cosa c’è? -chiese lasciandole un’altra scia di baci umidi sul petto.

-Sei sicuro? 

Lui alzò lo sguardo sul suo viso e le sorrise: -Aika non ci sentirà, vero?

Ran scosse la testa e il detective lo prese come un segnale per continuare da dove si era interrotto. Si levò la camicia, poi si abbassò per sfiorarle la pancia con il naso fino all’orlo dei pantaloni della tuta. 

-Posso? -chiese. Lei annuì.

Da quel momento in poi la mente della karateka non capì più nulla. Non ricordava bene come e quando si fossero tolti gli indumenti che li coprivano o quando, beh… quando fossero diventati una cosa sola. O ancora, non ricordava bene quando lui si fosse separato da lei e fossero entrambi crollati sul materasso, stanchi ma felici, per poi addormentarsi.

 

 

Il mattino seguente, fu Ran a svegliarsi per prima. La prima cosa che vide fu il viso addormentato di Shinichi, che dormiva supino accanto a lei. Si guardò attorno, nella penombra della stanza: la sveglia sul suo comodino segnava le 6:30, quindi aveva tutto il tempo per preparare la colazione, portare Aika all’asilo e, soprattutto, sistemare quel macello di vestiti che c’era sul pavimento. 

Ran arrossì, realizzando la situazione. Era nel suo letto, senza niente addosso a parte un lenzuolo che teneva stretto al petto e con colui che aveva contribuito a creare quel disastro che dormiva beato proprio accanto a lei.

Oh santo cielo.

Per fortuna, Aika, che dormiva nella stanza di fronte, aveva il sonno pesante. Non era certa di essere stata così silenziosa, poche ore prima…

Il suo sguardo tornò sul profilo di Shinichi e rimase ad osservarlo. Lo aveva sempre considerato bello e le era capitato tante volte di svegliarsi prima di lui e osservare il suo viso addormentato, ma… forse doveva rifarci l’abitudine perché cavolo, era stupendo.

Quando dormiva, poi, Shinichi aveva un modo di respirare che Ran trovava adorabile: inspirava dal naso ed espirava dalla bocca con un piccolo sbuffo. Per questo dormiva con la bocca semiaperta e spesso sbavava nel sonno. Ma lei lo trovava così adorabile che non ci faceva caso.

Quella volta però non aveva nessun rivolo di saliva che gli usciva dalla bocca. Ran guardò il profilo di quel viso assolutamente perfetto e i capelli scuri spettinati che non stonavano per niente, poi passò al collo, dove lo sguardo si soffermò sul pomo d’Adamo che lei gli aveva baciato tante di quelle volte, e poi le clavicole sporgenti e il petto che aveva delle cicatrici nuove rispetto a qualche anno prima, quando ne aveva solo una più o meno all’altezza dello stomaco. Shinichi le aveva detto che se l’era procurata durante un caso e che la ferita non era stata così grave, ma adesso che sapeva la verità la karateka aveva dedotto che era segno di quella volta in cui Conan si era beccato un proiettile in pancia nel tentativo di proteggere i Detective Boys in una caverna e lei gli aveva donato il sangue per salvarlo. 

C’erano nuove cicatrici, quindi Ran capì che in quei quattro anni fossero successe tante cose.

Come se avesse percepito lo sguardo di lei su di sé, Shinichi si mosse. Storse il naso e si portò un braccio sugli occhi. Quando lo tolse Ran vide che aveva aperto quei due bellissimi zaffiri.

Si voltò verso di lei e sorrise, ancora mezzo addormentato: -Buongiorno. -biascicò.

-Buongiorno. -ricambiò sorridendo a sua volta.

-Già sveglia?

-Devo preparare la colazione per mia figlia, che si sveglierà fra mezz’ora, e poi portarla all’asilo e andare agli allenamenti di karate. -rispose Ran divertita. -E tu? Già sveglio?

-Mi sentivo osservato. -fece lui, vago.

Si guardarono per un attimo negli occhi, poi si sorrisero.

-Quindi adesso cosa siamo? -domandò Ran mettendosi seduta. Teneva ancora il lenzuolo stretto al petto.

-Stiamo insieme? -chiese ancora.

Shinichi si sedette a sua volta e lei cercò di non guardare il lenzuolo, che lo copriva quel tanto che bastava per farsi fantasie poco pulite.

Il detective la baciò sulle labbra.

-Tu che ne dici? -fece per tutta risposta.







*angolo autrice*
EEEEEEEE FINALMENTE CE L'HO FATTA!
Aspettavo di scrivere questo capitolo da prima ancora di iniziare la storia. Giuro!
Ho apportato alcune piccole modifiche all'idea originale, infatti all'inizio non volevo farli uscire dalla casa, ma così mi piace di più eheh 😜
E ho pure pubblicato prima! Quanto sono happy!
Ci vediamo al prossimo capitolo detective! ❤️

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 15. ***


Cercare di comportarsi come se non fosse successo niente davanti ad Aika, come Ran capì da subito, si sarebbe rivelato piuttosto complicato. Quel dannato detective stacanovista, poi, non aiutava per niente: era entrato in cucina senza maglietta addosso, come quattro anni prima, come se fosse stata la cosa più naturale del pianeta. 

-Shinichi. -lo chiamò Ran con una mano sulla fronte. -Vorrei ricordarti che non siamo solo io e te in questa casa. 

-Sì. Lo so.

-E vorrei anche farti notare che nessuno oltre a noi due sa che stiamo di nuovo insieme. 

-So anche questo. Cosa vuoi per colazione?

La karateka richiuse l’anta della credenza che il detective aveva aperto.

-Aika non è abituata a vederti mezzo nudo in casa. -gli fece notare.

-Ohhh, giusto. Torno subito. -le diede un bacio sulle labbra e uscì dalla cucina, lasciandola lì, su due piedi, a cercare di ricordarsi il suo nome.

Quando riuscì nell’intento, pochi secondi dopo, Ran sorrise. Cavoli, quel tipo di buongiorno le era proprio mancato… svegliarsi con Shinichi accanto, preparare la colazione per entrambi… e poi il bacio del buongiorno, che si davano tutte le mattine.

Sì, beh, erano un tantino mielosi. Però, si disse Ran, a lei andava bene così.

-Eccomi! -fece Shinichi rientrando in cucina allacciandosi i polsini della camicia. -Scusa, non ci avevo proprio pensato…

Ran gli sorrise, poi si mise a cucinare il riso. 

-Pensi che dovremmo dirlo ad Aika? -chiese il detective unendosi a lei. -Insomma, che ora stiamo insieme…

-Prima o poi dovrà saperlo. -rispose la karateka. 

-E con la questione del padre? Non rimarrà male? 

Ran scosse la testa: -Te l’ho detto. Da quando ci sei tu, Aika non mi chiede più di suo padre. Fossi in te però mi preoccuperei di più del mio, di padre. Non l’ha presa molto bene quando sei sparito…

Il viso di lui divenne più bianco del riso che avevano appena messo a cuocere.

-E-Eh?

Ran rise: -Non preoccuparti. Se non ti ha ucciso al matrimonio di Heiji e Kazuha allora possiamo stare tranquilli.

Il detective riacquistò un po’ di colore, mentre il suo cellulare vibrò.

-Ah, è l’ispettore Takagi. -disse poco prima di rispondere. Ran intuì praticamente subito il motivo della telefonata e perciò le venne naturale sorridere: sarebbero potuti passare anche cent’anni, ma quella routine che viveva dai tempi del liceo non l’avrebbe mai abbandonata.

Continuò a preparare la colazione finché Shinichi non terminò la chiamata. 

-So che ormai saprai a memoria la frase che ti sto per dire, ma… devo andare. -disse, sospirando. -Omicidio. Scusa.

-Ormai ci sono abituata, mio caro detective. -gli sistemò la camicia. -Risolvi il caso e poi fammi sapere, va bene?

Shinichi sorrise: -Mi perdoni?

-Vai prima che cambi idea.

-Ho un déjà-vu. 

-Stavolta non tornerai piccolo, no?

-Lo spero. -la baciò sulle labbra. -Ti chiamo.

-Ok. 

Il detective andò a mettersi le scarpe e lei lo seguì, osservando i suoi movimenti. Lo guardò allacciarsi le stringhe e prendere la giacca, poi, prima di uscire, lui si voltò verso di lei.

-A dopo.

-A dopo.

Appena la porta si chiuse dietro Shinichi, Ran fece un sorriso che andava da un orecchio all’altro e per poco non si mise a saltellare come una ragazzina. Lei e Shinichi erano tornati insieme, da quanto aspettava quel momento? 

 

***

 

-La vittima è Mineko Saito, di cinquant’anni. È stata trovata dalla domestica, che era venuta come tutte le mattine a pulire l’appartamento. -disse uno degli agenti mentre Shinichi osservava ogni singolo particolare della scena del crimine. Il cadavere, le prove e poi… perché gli schizzi di sangue erano così strani? 

-Causa del decesso? -chiese l’ispettore Takagi.

-Dunque…

-Ha incontrato Shinichi Kudo ieri e visto che il mio amico porta sfortuna ovunque va… -rispose una voce con un forte accento del Kansai. 

Shinichi non ebbe neppure il tempo di voltarsi che si ritrovò il braccio di Heiji Hattori attorno alle spalle. 

-Oi Kudo! -esclamò il detective dell’Ovest tutto contento. -È da un po’ che non ci vediamo!

Il detective dell’Est, piccato per la battuta dell’altro, sbuffò: -Sì, sì, mi sei mancato anche tu. Stavamo dicendo?

-Pare che la vittima…

-No, no, no. Aspetta. Non vedi il tuo migliore amico da aprile ed è questa l’unica cosa che hai da dire?

-Hattori, ci siamo sentiti per telefono.

-La signora Saito è stata…

-Ma non è la stessa cosa!

-Possiamo non parlarne adesso?

-La causa della morte…

-Ma Kudo!

-Ci sarà tempo per i convenevoli più tardi, Hattori.

-E INSOMMA! COSA SIETE? ADOLESCENTI? -li interruppe l’ispettrice Sato, che era sul luogo del delitto insieme al marito. -Ascoltate questo povero agente!

-Scusi… -balbettarono i due detective abbassando la testa come due bambini sgridati dalla maestra.

-Santa pazienza… -fece Sato sospirando. -Nemmeno Mamoru e Hikaru sono così infantili. 

Takagi, che tratteneva il sorriso, si rivolse all’agente della scientifica: -Prego, dicci i dettagli.

-La causa della morte, ad un primo esame, è un colpo da arma da fuoco al petto. L’arma del delitto, come potete notare, è proprio qui. -disse l’agente indicando una pistola lasciata accanto al cadavere.

-E ci sono testimoni? I vicini non hanno sentito niente? -domandò Sato.

-Li stiamo interrogando in questo momento. -rispose il giovane. 

Nel frattempo Shinichi ed Heiji si erano chinati sul cadavere della povera signora Saito per cercare eventuali indizi sfuggiti alla scientifica. 

-Oi Kudo. Cos’è quel sorrisetto? -fece Heiji ad un certo punto.

-Eh? Che sorrisetto?

-Quello che hai stampato in faccia da mezz’ora. È successo qualcosa che io non so? 

-P-Perché?

-Perché tu non ridi mai alle mie battute, quindi è successo qualcos’altro che ti fa sorridere così. Vediamo se indovino… c’entra Ran?

Shinichi arrossì.

-Ah-Ah! Ho indovinato! -esclamò Heiji tutto contento.

-Shhhh! Almeno non urlarlo ai quattro venti! -il detective dell’Est si sentiva orecchie e guance in fiamme. A quanto pare nemmeno quella parte di lui era cambiata, nel tempo.

-E dimmi, cos’è successo? Vi siete baciati? -chiese il detective dell’Ovest esaminando la mano della vittima, come se fosse normale chiacchierare in quel modo mentre si aveva davanti un morto.

-Ehm… -Shinichi si bloccò prima di fare una mossa falsa: doveva dire al suo migliore amico quello che era successo quella notte e rischiare di avere esplosioni sulla scena del crimine, poteva fidarsi e fare affidamento sulla capacità di mantenere la calma del detective dell’Ovest o rimandare l’argomento e salvare la pelle?

Decise di salvarsi.

-Ti dico dopo. Ora risolviamo il caso. -rispose.

-Mh, d’accordo. -acconsentì Heiji. -Allora, hai visto anche tu la forma strana degli schizzi di sangue?

-Sì. L’assassino deve aver avuto qualcosa per evitare di sporcarsi… tipo un ombrello. -disse Shinichi. -Vedi? Le macchie seguono una linea curva.

-Anche secondo me. E per riuscire a sparare bastava fare un buco nella stoffa per farci passare la pistola. -Hattori si guardò attorno. -Dev’essere stato qualcuno che conosceva. La porta non mostra segni di scassinamento. Ha aperto lei al suo assassino.

-E secondo la domestica non è stato rubato niente. Quindi possiamo escludere che sia stato un ladro. -Shinichi si alzò in piedi con le mani nelle tasche. -E infine, è un omicidio premeditato. Nessuno fa un buco in un ombrello a caso, giusto?

Poco dopo i due detective ascoltarono le testimonianze dei vicini, anche se soltanto uno di loro raccontò di aver visto qualcuno uscire di corsa dall’appartamento della vittima. La persona in questione era vestita di nero e aveva il viso nascosto da un berretto con la visiera e una mascherina chirurgica. Meglio di niente, ma non sarebbe stato facile lo stesso.

Però Shinichi aveva risolto casi ben più difficili. 

Ascoltò le versioni dei sospettati, tutti ospiti che la signora Saito doveva vedere la sera prima, e giunse alla conclusione che il colpevole era la seconda persona che aveva interrogato, un collega di lavoro della donna.

La sera prima, inoltre, pioveva e le telecamere di sorveglianza avevano ripreso l’uomo vestito di nero togliersi la mascherina chirurgica e il berretto e nel frattempo tenere un ombrello chiuso in mano. E con la pioggia torrenziale che cadeva poche ore prima non era una cosa molto intelligente da fare se non volevi beccarti un raffreddore coi fiocchi… esattamente la malattia che aveva il sospettato proprio quel giorno.

 

 

-Certo che poteva pensarci prima di togliersi il travestimento appena uscito dal condominio. -commentò Heiji mentre osservavano la polizia portare via l’assassino. 

-Già. Non è stato molto furbo, anche se aveva premeditato l’omicidio. -disse Shinichi. Guardò fuori, dove le strade di Tokyo erano illuminate dal sole di giugno. Era una bella giornata, nonostante lui si trovasse sul luogo di un delitto e non fosse il modo migliore per iniziare al meglio un nuovo giorno.

-Allora, Kudo… ti va un caffè? -fece Heiji conducendolo fuori dall’appartamento. 

-Se offri tu…

-In cambio mi racconti cosa è successo con Ran. 

Shinichi alzò gli occhi al cielo. Certe volte il suo migliore amico era peggio di Sonoko. E ce ne voleva!

-Va bene, comara pettegola che non sei altro.

-Ehi!




*angolo autrice*
Ehilà detective!
Chiedo scusa per il mostruoso ritardo, ma tra fiere, studio e altri impegni non ho avuto praticamente tempo per scrivere. Ed è pure un capitolo più corto del solito 🥺
Spero che non vi siate annoiati, ci vediamo al prossimo!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 16 ***


La notizia del loro ritorno insieme per poco non divenne di dominio pubblico. 

Shinichi lo disse a Heiji e Ran lo disse a Sonoko, Kazuha e Masumi. Poi dovettero dirlo ai loro genitori (e per poco Kogoro non ci rimaneva secco), al professor Agasa e… beh, poi Ran non capì esattamente come, ma, in poco più di una settimana, tutti i loro amici più cari sapevano già tutto.

Dovettero tenerlo segreto alle telecamere, essendo entrambi conosciuti a livello nazionale, ma considerando il fatto che Ran si stava preparando alle Olimpiadi e appena usciva dalla palestra era circondata dai giornalisti e che Shinichi risolveva casi un giorno sì e l’altro pure… fu più difficile di quello che pensavano.

Una sera Ran decise di dirlo ad Aika, dato che mancava solo lei. 

Shinichi non c’era, visto che stava aiutando l’FBI con le ultime novità sul caso dell’organizzazione, quindi erano solo loro due in casa. Ran mise Aika sul divano e si sedette per terra davanti a lei. 

-Aika. La mamma deve dirti una cosa. -iniziò. -Come ti ho già detto, prima che tu arrivassi io e Shinichi eravamo innamorati. Poi però lui è dovuto partire e non l’ho più visto. Poi, al matrimonio di zio Heiji e zia Kazuha l’ho incontrato di nuovo… e ho capito che in realtà sono ancora innamorata di lui.

-Ooooh! -fece la bambina, con gli occhi che brillavano. Quando faceva così le ricordava Shinichi davanti a un codice da decifrare.

-Perciò lo vedrai qui da noi spesso, ok? Siamo tornati a stare insieme. -terminò cautamente. Non voleva che Aika reagisse male o che, nonostante fosse un po’ più matura dei bambini della sua età, non capisse subito cosa significassero le sue parole.

-Quindi Shinichi viene ad abitare con noi? -chiese la piccola. Ran sbattè le palpebre, sorpresa, ma fece un sorriso.

-Non abbiamo ancora deciso, tesoro. -rispose. 

Però, dopo qualche giorno in cui Ran si rese conto che in realtà era come se Shinichi vivesse già con loro, decise di proporre al detective quello che lui le aveva chiesto al primo anno di università. E così, il giorno del compleanno di Aika, Shinichi si trasferì (di nuovo) nel loro appartamento.

 

***

 

Quel giorno Aika avrebbe compiuto quattro anni e, come i precedenti tre compleanni, Ran si ritrovò a pensare che il tempo passava troppo in fretta. Le sembrava passata solo una settimana da quando le avevano messo la piccolina appena nata fra le braccia e invece adesso Aika camminava sulle sue gambe e andava all’asilo. 

-Ehi! Dov’è la festeggiata? -esclamò Heiji appena lui e Kazuha varcarono la soglia dell’appartamento. 

-Zio Heiji! -fece Aika correndogli incontro. Il detective dell’Ovest la prese in braccio.

-Auguri, piccola peste! -disse facendole il solletico. 

-Il solito casinista. -commentò Shinichi mettendo le bibite sul tavolo.

Kazuha rise alla scena, poi salutò i presenti. C’erano Kogoro ed Eri naturalmente, poi il professor Agasa, Sonoko, Makoto e Masumi. 

-E Takagi e Sato? -chiese Kazuha.

-Sono qui. -rispose Ran, che aveva appena rimesso la cornetta del citofono al suo posto. 

Mentre anche gli ultimi arrivati si sistemavano, Ran prese la torta, ovviamente al limone, e la sistemò al centro del tavolo. 

-Aika, è il momento di spegnere le candeline. -disse la donna. La bambina si allontanò da Mamoru e Hikaru per avvicinarsi. Shinichi la prese in braccio e la mise in piedi sulla sedia, davanti alla torta su cui Ran stava mettendo una candela a forma di 4.

-Aika, guarda qui! -esclamò Eri, che aveva tra le mani una macchina fotografica. 

-Coraggio, esprimi un desiderio e spegni la candelina. -disse Kazuha. Aika ci pensò su qualche secondo, poi soffiò sulla candela, mentre i presenti cantavano la famosa canzoncina.

Ran osservava la scena, ridendo. Aika era cresciuta così tanto in quegli ultimi mesi, eppure la karateka non se n’era resa conto. Era proprio vero che il tempo passava in fretta…

Poco dopo, come a dimostrare quanto sua figlia stesse crescendo velocemente, fu il momento di aprire i regali e il primo a porgere il suo regalo fu Mamoru, tutto rosso.

-T-Tanti auguri. -balbettò il bambino, imbarazzato.

-Grazie! -esclamò Aika, tutta contenta. Anche se Ran notò subito il rossore sulle sue guance.

Notò come Shinichi, Heiji e Kogoro assottigliarono gli occhi, palesemente gelosi. Ok, Kogoro ed Heiji, il nonno e il padrino, poteva benissimo capirli… ma Shinichi la colse totalmente alla sprovvista. 

-Ehi, sono solo bambini. -gli sussurrò, divertita.

-Se iniziano così, chissà da grandi! -commentò il detective di rimando. 

-Quando mio padre diceva così di te sembrava non importarti…

-Adesso m’importa.

Ran ridacchiò, poi prese un’altra fetta di torta e si sedette accanto a Kazuha e Sonoko, che parlavano.

-Sei al quarto mese, giusto? -stava chiedendo la Suzuki.

-Esatto. Il mese prossimo scopriremo se sarà maschio o femmina. -rispose l’altra. -Pensavamo di fare un baby shower, come fanno molte coppie ultimamente.

-Oh! Mi sembra un’ottima idea. -commentò Ran. -Ti ricordi come ho fatto con Aika?

-Già, l’avevo organizzato io! -fece Sonoko, fiera. 

Come scordarlo? Ran aveva dovuto far scoppiare un sacco di palloncini colmi di coriandoli bianchi finché non aveva trovato quello pieno di coriandoli rosa. Si era trovata coriandoli nei capelli per giorni!

-Pensavamo di farlo organizzare a delle mie amiche di Osaka, così sarà più facile. -disse Kazuha. -Hanno detto di avere già qualche idea, ma non hanno voluto rivelarmi cos’hanno in mente…

 

***

 

-Tocca a noi fra poco! Non vedo l’ora!

-Boke, ma quanti anni hai? Due? 

-Kageyama, andiamo! Lasciati andare!

-Ehi ehi ehi! Finalmente!

-Chissà se Langa ha già completato il giro dello Stadio…

-Ho voglia di fare una nuotata…

-Nanase, sei appena uscito dalla piscina!

-Haiji-san mi sta guardando…

-La Generazione dei Miracoli alle Olimpiadi, chi l’avrebbe mai detto…

-Aominecchi, sappiamo che ne sei contento.

Ran rise, osservando gli altri atleti giapponesi che erano con lei. Sembravano tutti all’incirca sui venti-venticinque anni, tranne alcuni ragazzi della ginnastica ritmica, dello skateboard e del surf.

-Oh, giusto! Devo chiamare Agaashee per fargli vedere l’ingresso! Spero che Hotaru non stia già dormendo… -esclamò un uomo della nazionale di pallavolo maschile.

-Anche io stavo per chiamare il mio ragazzo e mia figlia. -commentò Ran, dolce. -Hai una bambina?

-Già. Ha quasi tre anni ormai. -rispose lui, orgoglioso.

-Quasi la stessa età di Aika. -fece la karateka.

-Il fatto che ci siano ragazzi che non hanno neppure finito il liceo mentre noi siamo qui a parlare dei bambini mi fa sentire vecchio… -disse un altro pallavolista.

-Yaku-san! Non essere triste! -esclamò un suo compagno di squadra, che aveva una zazzera di capelli rossi.

Ran rise, mentre prendeva il cellulare e cercava il numero di Shinichi. Intanto fu annunciato il loro ingresso nello Stadio Nazionale…

 

***

 

Shinichi si sdraiò nella sua parte di letto, sospirando.

-Grazie per la sorpresa. -disse Ran accoccolandosi al suo petto. -Mi sei mancato.

Il detective la baciò sulla fronte: -Mi sei mancata anche tu. -rispose. -E anche ad Aika, sai?

-È stata una bella festa. 

Lui fece spallucce: -Personalmente credo che anche il finale non sia stato male…

Lei gli diede un piccolo schiaffo: -Pervertito.

-Non mi sei sembrata così riluttante prima…

Ran rise e alzò gli occhi al cielo.

 

***

 

(Settembre)

-Stai meglio? 

-Meglio di stanotte di sicuro.

Shinichi le accarezzò i capelli: -Allora stai qui a riposare. Porto io Aika all’asilo. Torno subito.

Ran annuì: -D’accordo.

In quel momento Aika entrò nella stanza e si avvicinò al letto: -Okaachan, non stai bene?

-No, tesoro. Però non ti preoccupare, ho solo un po’ di nausea. Fai la brava all’asilo, ok?

La bambina fece sì con la testa, poi lei e Shinichi salutarono la karateka e uscirono, chiudendo la porta. Ran aspettò qualche minuto dopo aver sentito anche la porta d’ingresso chiudersi, poi si alzò dal letto, barcollante, prese il sacchetto della farmacia dalla borsa e si diresse in bagno. Si sedette sul bordo della vasca e prese una delle scatole che aveva acquistato il giorno prima.

-D’accordo, Ran. Rieccoci qua. -si disse prendendo il bastoncino blu e bianco dalla scatola. -È possibile che sia successo di nuovo, niente di grave…

 

 

Shinichi camminava per la strada tenendo Aika per mano. Era la prima volta che portava la bambina all’asilo senza Ran o Eri e doveva ammettere che gli faceva uno strano effetto, come se Aika fosse stata effettivamente sua figlia e quella fosse una normale giornata di sole. 

-Aika, non preoccuparti per la mamma. Succede. -disse il detective notando lo stato d’animo della piccola, che annuì. -Appena torno a casa mi occuperò io di lei, ok? 

-Sì. -fece lei, proprio mentre arrivavano al cancello dell’asilo, dove c’erano le maestre ad aspettare i bambini.

-Buongiorno. -disse la maestra della classe di Aika con un sorriso.

-Buongiorno. -ricambiarono Shinichi e Aika.

-Stamattina tocca al papà accompagnarti, Aika? Non ci eravamo mai incontrati…

Shinichi si sentì arrossire: -No, no. Sono il compagno della madre di Aika, ma non sono il padre…

-Davvero? Eppure vi somigliate molto! -commentò la signorina.

-Ah sì? Non sembra… -rispose il detective, poi si rivolse ad Aika. -Sentito, Aika? A quanto pare mi somigli.

Aika rise.

-Va bene, io devo andare adesso. -Shinichi si abbassò al capo di Aika. -Fai la brava, ok? Verremo a prenderti io o la nonna oggi. 

La bimba annuì e gli diede un bacio sulla guancia: -Ciao ciao!

-Ciao, piccola. Buona giornata. -rispose guardandola correre a giocare con Hikaru.

Salutò anche la maestra, poi si diresse alla macchina, ancora stupito da quel piccolo segno di affetto della bambina.

 

 

Quando sentì la porta aprirsi, Ran era ancora in bagno e fissava quella piccola scritta con le lacrime agli occhi. 

-Sono a casa. -annunciò la voce di Shinichi, ma non ottenne risposta. -Ran? 

La karateka uscì dal bagno, lentamente e sempre tenendo in mano il test.

-Oh, stai meglio? -chiese il detective avvicinandosi. Poi notò il bastoncino di plastica e spalancò gli occhi: -Ran, è quello che penso?

Lei sorrise e annuì: -Sono incinta.



*angolo autrice*
Salve a tutti! 
Prima di tutto mi scuso per questi mesi di attesa, ma purtroppo fra altre storie da scrivere, la scuola ( ho gli esami quest'anno) e altri impegni mi sono ritrovata con un blocco assurdo.
Secondo: ho deciso di fare un capitolo così perché avevo in mente queste scene ma non sapevo come collegarle tra loro o come svilupparle meglio.
Terzo: avete riconosciuto i personaggi di altri anime? 😏
Se no, ecco la lista: 
- Hinata, Kageyama, Bokuto (Haikyuu)
- Reki (Sk8 the Infinity)
- Haruka (Free) 
- Kakeru (Run with the Wind)
- Aomine e Kise (Kuroko no Basket)
E infine ho nominato alcune discipline di altri anime sportivi che alle Olimpiadi di Tokyo 2020 c'erano, come la ginnastica ritmica e il surf.
Al prossimo capitolo!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 17. ***


-Ne sei sicura?

-Certo. L’ho visto con i miei occhi. -Vermouth si tolse la maschera che aveva messo per travestirsi e passare accanto a Shinichi Kudo senza farsi notare da lui. -Teneva per mano la bambina.

-Allora torna qui e organizziamo il tutto.

La donna alzò gli occhi al cielo e fece una leggera risata: -Il lavoro duro sempre a me, eh, Gin?

-Non è con me che ti devi lamentare. 

E l’uomo dall’altra parte della cornetta chiuse la chiamata. Vermouth spense lo schermo del telefono e sospirò. Non avrebbe voluto farlo, non per quel detective che le aveva salvato la vita insieme ad Angel… ma purtroppo non poteva rifiutarsi, se teneva alla vita.

Salì sulla motocicletta, l’accese e si allontanò dall’asilo per andare a prendere l’occorrente per quel nuovo incarico voluto dal boss in persona. Nel frattempo si mise a pensare: infiltrarsi in quel posto non sarebbe stato difficile per lei, il problema sarebbe stato uscire. Come fare a evitare eventuali testimoni oculari? Erano presenti delle telecamere di sicurezza? Dannazione, odiava lavori come quello. Troppe incognite e troppe cose a cui pensare. Perché non fare qualcosa di più semplice? O tentare ciò che avevano in mente da un’altra parte?

Sbuffò e si ripeté di portare pazienza. Presto tutta quella storia sarebbe finita. 

O almeno, se lo augurava.

 

***

 

-Shinichi. Sono incinta, non sto per morire. -disse Ran quando il suo detective la fece sedere a forza sul divano. -E poi, il bambino non nascerà prima di nove mesi. Lo sai. Diamine, sei pure intelligente!

Shinichi arrossì e balbettò qualcosa di simile a: -Non voglio che ti stanchi troppo.

La karateka rise: -Ci sono già passata. Quando aspettavo Aika ho fatto di tutto e… -non riuscì a terminare la frase, perché un conato di vomito la fece correre in bagno.

Pochi minuti dopo era seduta con la schiena appoggiata al muro, proprio come quattro anni prima… l’unica differenza era che stavolta c’era Shinichi con lei, che le teneva un panno bagnato sulla fronte per asciugarle il sudore. Ran amava quando la coccolava e la riempiva di attenzioni così.

-Quindi ora che si fa? Lo diciamo a tutti? -chiese lui e Ran sorrise: -Beh, prima o poi lo dovranno sapere, ma aspettiamo qualche giorno. Comunque, quando ho scoperto di aspettare Aika, Heiji lo ha capito senza che dicessi niente. 

-Aika sarà contenta?

Lei annuì: -È da quando aveva due anni che mi chiede un fratellino o una sorellina.

Stavolta fu Shinichi a ridere: -Che tipetta.

“Già. Uguale al padre” avrebbe voluto aggiungere Ran.

Un attimo. Poteva essere il momento giusto per dirgli la verità? 

La karateka osservò l’uomo alzarsi in piedi per bagnare di nuovo la pezza bianca da rimetterle in fronte. Ora che aspettava un altro bambino da lui, magari non si sarebbe arrabbiato…

E poi, c’era un dubbio atroce che la tormentava: se Shinichi si reputava tanto razionale e attento (cosa che era veramente), perché non aveva ancora capito la verità? Aika gli somigliava così tanto! Gli stessi occhi, la stessa intelligenza sopra la media, la stessa curiosità… persino lo stesso cognome! Perché il detective non capiva? Cosa c’era di così complicato?

Mentre questo pensiero le invadeva di nuovo la mente, Ran diede di stomaco un’altra volta.

-Sei stata così male anche per Aika? -domandò Shinichi, che le teneva i capelli per evitare che si sporcassero.

-No, il contrario. Con lei niente, nessun malessere. -rispose lei, poi tossì e il detective le bagnò ancora la fronte.

Dopo una mezz’ora circa, Ran riuscì a rialzarsi in piedi. La nausea le era passata un po’, ma Shinichi si era comunque offerto di preparare il pranzo e di occuparsi delle altre faccende domestiche mentre lei riposava un pochino.

La karateka, seduta sul divano, lo osservò di nascosto mentre le cucinava il riso in bianco e, più tardi, mentre sistemava la casa. Quando lui le ordinava di non fare niente, non doveva fare niente per davvero. Ormai lo aveva imparato, visto che era successa la stessa cosa anni prima, quando erano all’università e Ran si era presa l’influenza. 

-Sai, prima la maestra di Aika ha detto che mi somiglia. -disse il detective ad un certo punto. 

Ran lasciò cadere il cellulare sulle gambe, le mani avevano iniziato a tremarle.

-C-Cosa?

-Incredibile, vero? Io le ho spiegato come stavano le cose, così da evitare altri dubbi. -continuò lui, senza accorgersi del panico che aveva assalito la giovane donna alle sue spalle. -Divertente, vero?

Ran fece una risatina forzata: -Già. 

Shinichi si mise a riordinare i giochi che Aika aveva lasciato sul tappeto la sera prima, sempre sotto lo sguardo di lei. Adesso i suoi pensieri erano più confusi di prima! Avrebbe fatto bene a dire a Shinichi la verità proprio adesso?

Poteva approfittare di quello che le aveva appena raccontato per cercare di alleggerire la notizia, perché no?

-Ehm, Shinichi? -lo chiamò, decisa.

Ma, quando lui alzò gli occhi su di lei, quei bellissimi occhi blu che la incantavano tutte le volte, non riuscì a dire altro che: -Vado a fare un bagno. 

Il detective le sorrise: -Va bene. 

Così, dandosi della stupida, Ran si alzò dal divano e andò a lavarsi.

 

***

 

Shinichi chiuse la portiera e si appoggiò al volante, sospirando. Era distrutto dalla stanchezza: era stato un caso difficile ed era rimasto in quella casa dalle tre del pomeriggio fino alle ventitré passate. Per fortuna aveva notato quel piccolissimo particolare (quel maledetto orecchino mancante!) e aveva scoperto che l’assassino altri non era che l’amante della vittima.

Controllò le tasche per assicurarsi di aver preso tutto (non dimenticava mai niente sulla scena del crimine, ma meglio non rischiare): cellulare (che però era quasi scarico), chiavi di casa… e quella scatolina rossa che ormai conosceva nei minimi particolari.

Quattro anni. Aveva preso quell’anello quattro anni prima e ancora doveva darlo alla donna per cui lo aveva acquistato. Però, era stato proprio quel piccolo cerchietto di metallo a dargli la forza di resistere in quegli anni che aveva passato lontano da lei. Quando sentiva che si stava lasciando andare, prendeva quella scatola dalla tasca e la apriva. Il diamante brillava alla luce della lampada della stanza e Shinichi sorrideva, ripromettendosi che ce l’avrebbe fatta e che sarebbe tornato a Tokyo per lei. 

Anche in quel momento sorrise. Era arrivato il momento di darlo a Ran, senza ombra di dubbio. 

Mise in moto la macchina e, mentre pensava al modo migliore per fare la proposta alla karateka, arrivò a casa. Ci pensò molto, visto che il luogo del delitto non si trovava molto vicino a Beika e dovette guidare per mezz’ora.

Parcheggiò la macchina nel garage e salì con l’ascensore. L’unica cosa che gli era venuta in mente era quella di portare Ran a Londra e farle la proposta sotto il Big Ben, per ricordare la sua fatidica dichiarazione. Decise che ci avrebbe pensato meglio l’indomani, dopo una bella nottata di sonno.

Entrò nell’appartamento cercando di fare poco rumore. Sicuramente Ran e Aika stavano dormendo e non voleva svegliarle.

La prima cosa che notò entrando, però, fu che il suo appartamento era stranamente affollato.

C’erano Jodie, James, il sovrintendente Megure, gli ispettori Takagi e Sato, Heiji, Kazuha, il professor Agasa, i genitori di Ran e persino i suoi, di genitori. Colei che lo fece preoccupare di più, però, fu Ran, seduta sul divano, in mezzo a Kazuha ed Eri, con le lacrime agli occhi e un fazzoletto tra le mani. 

-Buo-Buonasera. -balbettò Shinichi dubbioso e preoccupato allo stesso tempo. Si tolse le scarpe senza nemmeno preoccuparsi di sistemarle per bene all’ingresso e si diresse nel salotto.

-Che cosa succede? -chiese. Anche se aveva paura della risposta. Le facce dei presenti non promettevano niente di buono. Che c’entrasse l’organizzazione? Se c’erano gli agenti dell’FBI era molto probabile, ma cosa poteva…

Prima che potesse terminare quel pensiero, Heiji, che era in piedi poco distante da lui, gli si avvicinò.

-Shinichi, forse è meglio se ti siedi. -disse. Il detective guardò l’amico aggrottando le sopracciglia, ma si sedette su una sedia del tavolo presente nella stanza. 

-È successo qualcosa di grave? -chiese ancora. Shinichi detestava quelle situazioni, soprattutto se lo riguardavano in qualche modo. Guardò tutti i presenti uno per uno, in attesa di una risposta.

Heiji sospirò.

-Si tratta di Aika. -disse, cauto. -L’organizzazione l’ha rapita.

 

***

 

Heiji temette di vedere Shinichi svenire seduta stante. Dopo le sue parole, il detective dell’Est era impallidito di colpo e aveva lasciato cadere la giacca che teneva ancora fra le mani. 

-Co-Cosa? -balbettò spostando di nuovo gli occhi su coloro che si trovavano lì, come per cercare una conferma a quello che aveva appena sentito.

-Vermouth si è presentata all’asilo travestita da te e… -spiegò l’ispettore Takagi, senza però riuscire a concludere la frase. 

Sato si avvicinò con tra le mani una busta di plastica, di quelle che usava la scientifica per contenere le prove di un delitto: -Ran ha trovato questa nella cassetta della posta.

E porse la busta a Shinichi. Heiji ormai conosceva il contenuto praticamente a memoria: si trattava di una lettera e una fotografia di Aika addormentata sul sedile di una macchina. La lettera, che consisteva di poche, semplici frasi scritte a computer, diceva semplicemente di farsi trovare al porto di Tokyo due giorni dopo con tutta la documentazione riguardante l’organizzazione. Erano disposti a uno scambio, i documenti per la bambina, a patto che l’FBI smettesse di indagare sulla questione.

Shinichi lesse tutto così tante volte volte che Heiji pensò di vedere la carta iniziare a disintegrarsi sotto lo sguardo del suo amico. 

-Riassumendo, le maestre hanno detto di aver lasciato Aika a quella donna travestita da Shinichi senza notare che non era quello vero. -disse Megure. -Quando Eri è andata a prendere la bambina questo pomeriggio, le hanno detto quel che era successo e lei ha chiamato Ran, dico bene?

Eri, seduta accanto alla figlia sul divano, annuì: -Ran mi ha detto che Shinichi era andato via e non poteva essere passato all’asilo. Poi ha trovato la lettera. -e tornò ad accarezzare la schiena a Ran, che singhiozzava. 

-Avete già avvertito l’FBI? -chiese Yusaku a Jodie.

-Sì, appena ci avete chiamati. -rispose la donna. -Shuichi ha già iniziato a pensare a un piano per salvare la bambina e allo stesso tempo mettere fine a questa storia.

Ma Heiji non badò a cosa stessero dicendo. Guardava Shinichi, ancora concentrato sulla lettera. Sembrava avere in mano un’arma nucleare.

-Shinichi? -lo chiamò, preoccupato. 

-Io non capisco. -disse Shinichi alzandosi in piedi per restituire la busta di plastica a Sato. -Perché rapire proprio Aika? Se dovevano colpire me, allora perché non prendere Ran o voi?

Si era rivolto ai suoi genitori. 

Heiji non rispose. Sapeva benissimo il motivo, legato solo in parte al fatto che Aika era una bambina e che quindi sarebbe stata più facile da usare come ostaggio.

Stava per proporre quest’ultima ipotesi, quando Ran si alzò dal divano, zittendo tutti all’istante. La karateka si avvicinò a Shinichi ed Heiji poté giurare di non averla mai vista con uno sguardo così carico di rabbia. Mai.

-Non capisci niente, perché non osservi bene, Sherlock. -disse, fredda. 

-C-Cosa? -domandò il detective dell’Est, stupito.

-Possibile che non l’hai capito? Eppure sei il grande detective dell’Est e lo Sherlock Holmes del nuovo millennio! -fece Ran. -O sbaglio?

-I-Io… -balbettò lui. Heiji lanciò un’occhiata a Kazuha, che gli restituì lo stesso sguardo.

-Prova a fare un po’ mente locale. -suggerì la karateka con un tono molto sarcastico. -Quanti anni ha Aika?

-Quattro. Ma perché…

-Di che colore ha gli occhi?

-Ehm… azzurri?

-Che cosa ti ha detto la sua maestra stamattina?

-Che mi somigliava…?

Heiji aveva ormai capito dove volesse andare a parare Ran. I presenti guardavano la scena, allibiti quasi quanto il povero detective dell’Est, mentre il detective dell’Ovest si passò una mano sul viso, pronto al momento in cui Ran avrebbe sganciato la bomba. 

-E infine… -continuò lei. -Qual è il suo cognome?

-Ku… Kudo…

Appena Shinichi disse quell’ultima parola, Heiji notò che nei suoi occhi era cambiato qualcosa. Era lo stesso sguardo che aveva quando risolveva un caso. Aveva capito. 

-Quei tizi l’hanno rapita per un semplice motivo. -concluse Ran. -Aika è tua figlia.


 

*angolo autrice*

Ehilà!

Perdonatemi, ma ho avuto gli esami di maturità a cui pensare, quindi sono riuscita a scrivere qualcosa solo dopo il mio esame orale.

Questo capitolo è stato un parto, soprattutto l’ultima parte! Avrei voluto mettere questa cosa molto più tardi, ma non sapevo se ci sarebbe stato bene, quindi ho scelto di fare così.

La frase che dice Ran, quel “Non capisci niente, perché non osservi bene”, la dice Sherlock Holmes in “Uno scandalo in Bohemia” e nel London Arc Shinichi la ripeté. Ho pensato di metterla ancora prima di iniziare a scrivere questa fanfiction!

Nel prossimo capitolo ci sarà una scena che personalmente mi piacerà scrivere (e l’ho pensata l’altro giorno!). Penso che capirete quale sarà!

Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, perché andrò via qualche giorno e non porterò il tablet su cui scrivo. Quindi, portate pazienza, il capitolo arriverà!

Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 18. ***


Shinichi sentì le gambe cedergli. Per fortuna Heiji era accanto a lui e lo sostenne, perché altrimenti sarebbe finito malamente a terra. 

-Ma… -balbettò, mentre nella sua mente tutto iniziava a collegarsi: lui era andato in America quattro anni prima, Aika non aveva mai conosciuto suo padre, Ran non voleva che lui ritrovasse il fantomatico papà della bambina, non aveva paura che la piccola si affezionasse a lui… tante cose ora avevano una spiegazione. 

-Scusatemi, ho bisogno di stare da sola per un attimo. -disse Ran prima di andare in camera da letto. 

Shinichi fece per seguirla. Doveva parlarle, doveva chiederle spiegazioni, doveva dirle che gli dispiaceva, che…

Yusaku gli mise una mano sulla spalla: -Lascia che vada io. 

Poi lo scrittore lanciò un’occhiata ai genitori di Ran e a Yukiko, che annuirono, e si diresse verso la camera matrimoniale.

James sospirò: -Meglio che andiamo. Abbiamo già raccolto prove a sufficienza. -disse. -Vi informeremo a ogni minimo dettaglio che potrebbe esserci utile. I nostri agenti lavorano giorno e notte.

Tutti annuirono. Shinichi lasciò che fosse Eri a fare gli onori di casa e uscì sul terrazzo per prendere un po’ d’aria. 

Quanto era stato stupido! Come aveva fatto a non capirlo prima? E l’idea gli era pure balenata in testa una volta!

Gli sembrò che la sua reputazione da detective stesse ridendo di lui. Come darle torto? In fondo non aveva capito una cosa così semplice, nonostante gli indizi che a poco a poco aveva raccolto e che Ran stessa gli aveva fornito. Ora poteva anche fare una spiegazione a quella sensazione di nostalgia e malinconia che gli dava il vedere la piccola Aika comportarsi esattamente come sua madre e l’osservare quanto fosse simile a lei. 

-Non te lo aspettavi proprio, vero, Conan? -chiese una voce maschile.

-Già, per niente… eh? -Shinichi si accorse troppo tardi di aver risposto al nome che si era dato da solo ormai dieci anni prima. Si voltò velocemente verso destra, dove Kogoro, uscito pochi secondi prima sul terrazzo come lui, si stava accendendo una sigaretta.

L’ex detective in trance si appoggiò alla ringhiera e si mise a osservare la Tokyo notturna che si stagliava davanti ai loro occhi. Prese la sigaretta tra le dita.

-Co-Come hai…? -balbettò Shinichi, più che incredulo.

-Ho avuto qualche sospetto quando il moccioso ha lasciato casa nostra dicendo che sarebbe tornato in America con i suoi genitori. Aveva promesso di chiamarci ogni tanto, ma non l’ha mai fatto. -rispose lo zietto. -In quello stesso periodo, poi, sei ricomparso tu. Mi sono detto che forse stavo impazzendo. Era impossibile che fossi tornato piccolo. Però, quando sei scomparso di nuovo, non ho potuto fare altro che pensarci. 

Fece una pausa durante la quale Shinichi non seppe cosa dire. Osservò l’uomo fumare, in silenzio.

-In realtà avevo avuto dei sospetti anche prima di tutto questo, quando ancora vivevi con noi. -continuò Kogoro. -Però non credevo che avrei avuto ragione. Mi hanno confermato tutto gli agenti dell’FBI stasera.

Shinichi abbassò lo sguardo sulle sue mani, che tormentava tenendo i gomiti appoggiati alla ringhiera. Non seppe cosa dire se non: -Mi dispiace di averti usato a tua insaputa.

Kogoro fece spallucce ed espirò del fumo dalla bocca: -Ho avuto il mio momento di gloria senza fare fatica. -tolse un po’ di cenere dalla sigaretta e sorrise amaramente. -Che situazione. Era da quando è nata Aika che non fumavo, pensa un po’.

Il detective più giovane sospirò: -È colpa mia. Sono stato incauto. -disse. -Ho abbassato la guardia e…

E poi l’ex detective in trance gli mise una mano sulla spalla, facendogli voltare la testa verso di lui. Lo stava fissando, serio.

-So che non ti aspetterai questa cosa da me, ma non devi sentirti in colpa. -disse. -E poi, Ran non è arrabbiata con te. È solo scossa per quello che è successo. 

-Ne sei sicuro?

-Conosco mia figlia. -rispose semplicemente. Gli fece un piccolo sorriso e strinse un pochino la presa sulla sua spalla. Poi finì la sigaretta e la spense nel posacenere sul tavolino del terrazzo. 

-Prova a parlarle, appena sarete soli. -consigliò come ultima cosa. -Quando si sarà calmata un pochino, sarà più facile.

Shinichi annuì: -Grazie, zietto.

Kogoro gli fece un cenno con la mano e rientrò nel salotto, lasciandolo solo.

 

***

 

Yusaku bussò un paio di volte alla porta della stanza dove Ran si era rinchiusa. Aspettò che la voce della karateka, bassa e tremante, gli desse il permesso di entrare e così fece.

Richiuse la porta alle sue spalle, poi si voltò verso la giovane, che gli dava la schiena, seduta sul bordo del letto. 

Le si avvicinò, in silenzio, poi le si sedette accanto. Non disse nulla, voleva che fosse lei a parlare, se se la sentiva.

Erano anni che la conosceva. L’aveva vista crescere insieme a Shinichi, fin dall’asilo. Certo, non poteva dire di sapere tutto di lei, non era sua figlia. Però la considerava tale.

-Mi dispiace se sono corsa via così. -mormorò Ran, poi si asciugò la guancia con la manica della felpa. -È che… ero stanca di questa situazione, con Shinichi che non capiva e…

Yusaku sorrise dolcemente: -Non devi scusarti. Abbiamo capito tutti come stavi. Non è una situazione facile.

Lei alzò lo sguardo sul viso dell’uomo: -I-Io… sono incinta. Di nuovo.

Lo scrittore le circondò le spalle con un braccio: -Ah, ecco. Colpa di questo futuro inquilino di questa casa.

Ran fece una piccola risata.

-Shinichi lo sa?

Lei annuì: -Gliel’ho detto stamattina… e lui… lui è stato così dolce con me…

Yusaku le accarezzò il braccio: -Ran, non devi sentirti in colpa. Anche lui ti ha nascosto un segreto molto importante. -disse. -Appena sarete soli ne potrete parlare con calma, ma sono sicuro che non è arrabbiato con te. È solo sorpreso, come lo eravamo Yukiko ed io quando ci dissi che la piccola era di nostro figlio. Creare una famiglia con te è una cosa che Shinichi ha sempre sognato.

-D-Davvero? -domandò Ran, asciugandosi gli occhi. 

-Davvero. -rispose l’uomo, poi le fece un sorriso. -E adesso non preoccuparti, riporteremo Aika a casa.

La karateka annuì e fece un sospiro tremante, mentre lo scrittore si alzò dal letto: -Ora è meglio che vada, meglio se ti riposi. È stata una giornata intensa. -concluse. -Buonanotte.

-Buonanotte. -disse Ran sorridendogli. -E… grazie.

Yusaku le fece un altro sorriso, poi uscì dalla stanza, lasciandola sola. 

 

***

 

Quando Shinichi rientrò nel salotto, dopo qualche minuto, notò che i suoi genitori erano ancora lì, insieme a Kogoro ed Eri. Si stavano mettendo le scarpe nell’ingresso, ma, quando lo videro, Yusaku e Yukiko gli fecero un sorriso, inviando un messaggio muto con lo sguardo: “Risolverai anche questo caso. Lo sappiamo.”

Shinichi ricambiò con un piccolo sorriso, poi salutò e aspettò che uscissero tutti dall’appartamento. Chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò con la schiena, sospirando. Si lasciò cadere a terra, seduto con la testa fra le mani. Era esausto dopo il caso che aveva risolto quel giorno, ma non sarebbe riuscito a dormire così facilmente sapendo che Aika, sua figlia, era in pericolo per colpa sua. 

Quando si accorse di averla pensata come sua figlia si lasciò scappare un sorriso triste. Ora capiva come si sentiva Kogoro quando si riferiva a Ran come “la sua bambina” e come impallidiva quando lei era in qualche modo in pericolo. 

Quando era dovuto andarsene in America, quattro anni prima, pensava che non avrebbe mai provato nulla del genere. Di amore da parte dei suoi genitori ne aveva avuto molto, essendo figlio unico, e adesso toccava a lui dare lo stesso affetto a sua figlia. Anzi, ai suoi figli, considerando che Ran aspettava nuovamente un bambino da lui.

Come se avesse sentito che stava pensando a lei, Ran lo raggiunse nell’ingresso. Aveva gli occhi rossi, ma aveva smesso di piangere. Indossava ancora gli abiti di poco prima, i pantaloni della tuta neri, la maglia bianca con la felpa, anch’essa nera. 

Shinichi si alzò piano da terra, in silenzio. Ran lo osservò, nervosa e stanca allo stesso tempo. Il detective poteva benissimo capire perché: oltre a quello che era successo ad Aika, che doveva averla spaventata e agitata fino a farle perdere le forze, era anche in una situazione particolare. Era in dolce attesa e Shinichi sapeva che in gravidanza una donna poteva affaticarsi più facilmente. Inoltre, lo avevano scoperto proprio quel giorno. Troppe emozioni tutte insieme.

L’uomo si avvicinò, lentamente, contento che lei non gli stesse urlando contro. Non era arrabbiata, come gli aveva detto Kogoro. Era un buon punto di partenza.

-Ran… -cominciò a dire, ma Ran lo interruppe: -Devo farti vedere una cosa.

Gli fece segno di seguirla e così fece. La karateka lo condusse nella cameretta di Aika, dove accese la luce per poi avvicinarsi a una cassettiera da cui estrasse un enorme libro con la copertina rosa e bianca.

No, non era un libro. Era un album di fotografie. E sulla copertina c’era scritto il nome della loro piccola.

Ran si sedette sul lettino e aspettò che Shinichi si mettesse al suo fianco.

-Questo me lo regalarono i miei genitori quando gli dissi che ero incinta. -disse la donna. -In questi anni, ma soprattutto per il primo anno di vita di Aika, l’ho riempito con delle sue fotografie. 

Glielo porse. Shinichi lo appoggiò sulle ginocchia e osservò la copertina. Il nome di Aika era stato scritto a mano con una calligrafia ordinata, sicuramente di Ran, e c’era disegnato un orsetto di peluche. 

Il detective guardò la donna al suo fianco, che gli fece segno di aprirlo. 

Così iniziò a sfogliarlo. Sulla prima pagina c’era scritto: “Mi chiamo Aika Kudo. Sono nata il 7 luglio xxxx alle 4:12 del mattino.” Poi c’era scritto quanto pesava e quanto misurava la bambina alla nascita. Infine, una foto di Aika appena nata, nella culla dell’ospedale. Shinichi pensò di non aver mai visto una neonata così bella.

Girò pagina e vi trovò due foto di Ran: una con il pancione ben evidente, probabilmente scattata da un fotografo professionista, perché indossava solo l’intimo nero e accarezzava il pancione in piedi accanto a una finestra, seminascosta da una tenda. La didascalia che l’accompagnava era: “Ecco la mia mamma quando aspettava me!”.

La seconda fotografia mostrava Ran nel letto d’ospedale con la piccola Aika fra le braccia. La stava guardando mentre anche la neonata la fissava con gli occhioni blu spalancati. Sotto c’era scritto: “Questa è la prima foto che ho con la mia mamma”.

A quel punto, Ran si appoggiò a lui, con la testa su una sua spalla. Non disse nulla, mentre Shinichi continuò a sfogliare l’album. C’erano foto con Kogoro ed Eri, oltre che con Heiji, Kazuha, Sonoko e Yusaku e Yukiko. Il che lo lasciò sorpreso.

-I tuoi genitori lo sapevano. Gliel’ho detto quando ero all’ottavo mese. Sono venuti a trovarci ogni tanto. -spiegò Ran intuendo il suo dubbio. Lui annuì. 

Nelle pagine successive c’erano varie tappe importanti della vita di Aika: quando aveva imparato a gattonare e successivamente a camminare, quando le era spuntato il primo dentino, quando aveva compiuto il suo primo anno e il primo giorno di asilo. Una foto che a Shinichi piacque particolarmente fu quella che mostrava Aika con addosso un karate-gi della sua taglia in braccio a Ran, anche lei con il karate-gi. Doveva essere stata scattata dopo una gara a cui Ran aveva partecipato.

Quando il detective richiuse l’album, si voltò verso Ran e le prese una mano.

-Grazie per avermelo mostrato. -disse solo. 

-Ho pensato che fosse la cosa giusta da fare. Ora che sai la verità. -rispose lei. Shinichi le diede un bacio sulle labbra, dolce.

-Perché non me lo hai mai detto? -chiese poi.

Ran sospirò, stanca: -Io… Non volevo disturbarti mentre lavoravi a quel “caso complicato”.

-Non mi avresti disturbato, Ran. Era una cosa importante.

La donna abbassò lo sguardo. 

-Mi dispiace… di non esserci stato. -disse Shinichi. -Ti ho lasciata da sola e…

Ran scosse la testa: -Lo hai fatto per proteggermi. E non potevi sapere che…

-Lo so, ma io… mi sento un idiota lo stesso. -Shinichi lasciò l’album sul letto e si alzò in piedi. -Ho ricevuto quelle tue chiamate, quattro anni fa. Ma non ti ho richiamato perché non avrei saputo cosa dirti. Non volevo mentire di nuovo. 

Ran si alzò in piedi e lo raggiunse al centro della cameretta. 

-Non succederà di nuovo, Shinichi. Sei qui con me e ti aiuterò a mettere fine a questa storia, per quanto mi sarà possibile. -disse, per poi prendergli la mano e mettersela sul ventre. -E poi abbiamo anche lui o lei adesso. Non voglio che tu sia lontano da tuo figlio o tua figlia un’altra volta. 

Shinichi rimase in silenzio e le accarezzò il ventre, dolce. Sorrise, poi le prese le mani: -Ran. Ti prometto che ritroverò nostra figlia e la riporterò a casa sana e salva. Te lo giuro. Potremo essere finalmente una famiglia.

La karateka strinse le mani di lui con le proprie: -Non vedo l’ora.



*angolo autrice*

Ho una voglia matta di vedere una scena fra Shinichi e Kogoro tipo quella che ho scritto. 

Cioè, dai! Ci starebbe troppo!

E la scena fra Ran e Yusaku l’ho pensata perché non li vediamo mai interagire. Perciò eccola qua!

Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 19. ***


Kazuha finì di legare il laccio della vestaglia, poi uscì dal bagno e spense la luce. Appoggiò i vestiti che aveva indossato fino a quel momento sulla poltrona e accarezzò il pancione nel punto in cui il bambino aveva scalciato. 

-Heiji? -chiamò, non vedendo suo marito nella camera dell’albergo dove avevano (miracolosamente) pernottato per qualche giorno. Vide che i fusuma che conducevano sul piccolo balcone erano semiaperti, così fece scorrere una delle ante e trovò Heiji in piedi, appoggiato alla ringhiera. Indossava solo i pantaloni del pigiama e le pantofole offerte dall’albergo e Kazuha poté vedere chiaramente i muscoli ben definiti della schiena. 

La donna capì che il detective dell’Ovest non l’aveva sentita, poco prima, e sapeva benissimo perché. Era preoccupato da morire per Aika. Era il suo padrino, dopotutto.

-Ehi. -disse dolcemente, mentre lo abbracciava da dietro (per quanto il pancione le consentiva) e gli lasciava un piccolo bacio sulla pelle nuda della spalla destra. Heiji la guardò da sopra la spalla e le fece un sorriso: -Ehi, piccola. Sarai stanca… 

Doveva riferirsi al fatto che erano letteralmente saltati sul primo treno disponibile per Tokyo appena Ran li aveva chiamati per metterli al corrente di quello che era successo. Inoltre, era stata una giornata movimentata per entrambi, per lei perché doveva fare qualche acquisto per il bambino e per lui perché aveva risolto un caso difficile.

Kazuha scosse la testa: -Sto bene. E anche Haru.

Il detective dell’Ovest si voltò e si inginocchiò per lasciarle un bacio sul pancione. Di lì a tre mesi, Haruiko sarebbe venuto al mondo e Kazuha sapeva che Heiji non vedeva l’ora, anche se non lo dava a vedere. 

L’uomo si rialzò in piedi e prese Kazuha per mano: -Mi dispiace di non averti detto niente su… quegli uomini

Lei scosse la testa: -Non fa niente. Lo hai fatto a fin di bene. -gli strinse la mano. -Non oso immaginare quanto sia stato difficile per Shinichi. Rimpicciolito così…

-Già. Si sfogava con me, ogni tanto. -Heiji sospirò. -Spero che vada tutto bene. Quei tizi… 

-Ehi. -Kazuha gli accarezzò il viso. -Heiji, ritroveremo Aika e questa storia finirà. Non preoccuparti.

Lui prese la sua mano e la baciò. Kazuha poté giurare di non averlo mai visto così indifeso. Si alzò sulle punte e lo baciò sulle labbra. 

-Hai bisogno di dormire. -disse. -Domani starai meglio.

Il detective annuì, stanco, poi si lasciò guidare da sua moglie dentro la stanza. Sistemarono i futon e, dopo aver spento la luce, vi si sdraiarono. Heiji allungò in braccio per invitarla ad abbracciarlo e Kazuha obbedì, un po’ goffa per il pancione. Rimasero in silenzio per qualche minuto, con lui che le accarezzava quel rigonfiamento sotto la maglietta del pigiama. 

-Domani posso venire in centrale? -domandò Kazuha ad un certo punto.

-Non vuoi stare con Ran? -chiese Heiji, dubbioso. Lei si tirò su quel tanto che bastava per guardarlo in viso, nella penombra della stanza: -Penso che starà con Shinichi. È sua figlia, Heiji. Non se ne rimarrà con le mani in mano ad aspettare.

La donna sentì il detective dell’Ovest sospirare: -Hai ragione. -disse poi. -Però promettimi che non farai pazzie e starai al sicuro, quando sarà il momento di agire.

-Solo se tu mi prometti che farai attenzione.

La baciò sulle labbra: -Affare fatto.

Kazuha sorrise e si risistemò come poco prima, mentre Heiji riprendeva ad accarezzarle il pancione.

-Kazuha?

-Sì?

Le diede un bacio sui capelli: -Ti amo.

La donna si accoccolò di più a lui: -Ti amo anch’io.

 

***

 

Ran si svegliò a causa dell’ennesimo incubo legato ad Aika e all’organizzazione di quella notte. Era riuscita ad addormentarsi per miracolo, ma aveva dormito poco. Tutta colpa di quei dannati incubi generati dalla preoccupazione per la sua piccola. Sospirò, rigirandosi tra le coperte inutilmente. Così aprì gli occhi lilla e vide che, a parte lei, il letto matrimoniale era vuoto. 

Si mise a sedere, guardandosi attorno per cercare Shinichi nella stanza. Strano, la sera prima si erano messi a letto e ricordava che si erano addormentati insieme… o forse lei sì e lui no?

Si alzò in piedi e mise le ciabatte, poi andò in cucina. 

-Shinichi? -chiamò, con voce tremante. Poi lo vide seduto al tavolo della cucina con una tazza di caffè fra le mani e dei fogli davanti. Non sembrava averla sentita.

-Shinichi? -lo chiamò di nuovo. A quel punto, il detective alzò lo sguardo su di lei: -Ehi. Già sveglia?

Ran guardò l’orologio e notò che era effettivamente presto: segnava le 5 del mattino.

-Non riuscivo più a dormire. -rispose, piano. Capendo all’istante il motivo del suo stato d’animo, lui lasciò i fogli e la tazza sul tavolo e si alzò dalla sedia per andare da lei e stringerla a sé. La karateka chiuse gli occhi, rilassandosi tra le sue braccia.

-La riporterò qui. -le sussurrò il detective all’orecchio. Lei annuì e cercò di trattenere le lacrime, facendo dei respiri tremanti. Shinichi le accarezzò i capelli e la schiena, dolce, senza dire una parola. Poi si mise a darle dei piccoli baci sulla testa, cercando di calmarla.

Quando si fu rilassata un pochino, Ran preparò qualcosa per colazione, poi si sedette al tavolo con lui.

-E tu perché sei già sveglio? -chiese, incuriosita.

-Non mi sono nemmeno addormentato. Ci ho provato, ma… -rispose Shinichi sospirando. Le mostrò i documenti che aveva in mano: -Questi li hanno lasciati qui ieri sera gli agenti dell’FBI. Li ho letti e riletti, ma l’unica cosa che ho capito è che hanno studiato a fondo me, te e Aika, in questi mesi. Hanno scelto di agire adesso, anche se non sono sicuro del perché.

-Forse perché volevano essere sicuri che tu fossi tranquillo, senza pensieri legati a loro per la testa. -ipotizzò Ran guardando i documenti. 

-Può essere. -fece lui. Poi le indicò delle frasi: -Vedi? Queste avrebbero una spiegazione, in questo caso.

Ran annuì. In effetti, quelle poche, semplici frasi mettevano in risalto il comportamento di Shinichi, che sembrava aver abbassato la guardia su quegli uomini. Cosa che in realtà era vera, Ran lo aveva notato.

-Pensavo di andare in centrale per ideare un piano o qualcosa per portare via Aika da quei bastardi ed essere pronti ad ogni evenienza. Vuoi venire?

A quelle parole, Ran alzò gli occhi dai documenti dell’FBI, senza parole.

-C-Cosa?

-Vuoi venire in centrale con me? -ripeté Shinichi guardandola intensamente. -So che sei preoccupata per Aika, quindi non ti obbligherò a stare qui, tutta sola, ad aspettare notizie. Potrai dare una mano nelle indagini, se ti vengono in mente dei dettagli. E poi, ho già pensato ad un possibile piano e vorrei dirlo il prima possibile agli agenti.

La karateka non seppe cosa dire. Shinichi la stava seriamente invitando a seguirlo in una sua indagine? Anche se era pericoloso?

-Sei sicuro? -domandò, stupita.

Lui le fece un sorriso: -So che sai badare a te stessa. Per questo te lo chiedo. 

Ran ricambiò con un sorriso debole: -Allora dammi solo un attimo per cambiarmi e possiamo andare.

 

 

La centrale non distava molto dall’appartamento (uno dei motivi per cui Shinichi aveva proposto proprio quel condominio, quando avevano deciso di vivere insieme). Inoltre, essendo le 5:30 del mattino, non trovarono neppure un po’ di traffico. 

Lasciarono la macchina nel parcheggio sotterraneo e si avviarono verso l’ascensore.

-Shinichi, posso farti una domanda? -domandò Ran, dubbiosa.

-Certo. Che c’è? -rispose lui mentre schiacciava il pulsante giusto.

-Ieri sera, la professoressa Jodie diceva che tu hai rivelato del farmaco che ti ha fatto diventare Conan solo poco prima che andassi in America. Perché non l’hai detto subito?

Shinichi aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito, cosa che non passò inosservata da lei.

-In realtà… non c’è un vero motivo. -ammise, leggermente rosso in faccia. -Senza farci troppo caso, ho iniziato a indagare con loro e… diciamo che è passato in secondo piano.

Nonostante l’ansia la stesse divorando, la karateka ridacchiò: -Sei incorreggibile.

Shinichi rise con lei, ma non disse altro perché le porte dell’ascensore si aprirono. 

Ran si guardò attorno, mentre il detective, tenendole una mano, la conduceva alla stanza dove l’FBI si era sistemata per svolgere le proprie indagini. Certo, lei era stata più volte alla centrale di Tokyo, ma ogni volta che ci entrava rimaneva stupita dalla quantità di agenti presenti. Aveva visto poche volte così tanti poliziotti insieme e nonostante l’orario anche quella mattina gli uffici brulicavano di uomini in divisa.

Ran riconobbe Yumi e Naeko, che dovevano aver appena smontato dal turno di notte; l’ispettore Shiratori che, sbadigliando, si trascinava verso la sua scrivania (suo figlio doveva averlo tenuto sveglio); Megure che dava ordini a un paio di agenti.

E poi Shinichi si fermò davanti alla porta, a cui era affisso un foglio di carta con scritto “FBI”, e bussò. Dall’interno arrivò la voce di James Black, che Ran aveva conosciuto la sera prima e che li invitava ad entrare. 

Shinichi aprì la porta e guardò Ran, facendole segno di andare per prima. 

 

***

 

Quando si fu chiuso la porta alle spalle, Shinichi notò che Ran si era fermata praticamente davanti all’entrata e per lui fu un miracolo non andarle addosso. La karateka fissava una persona, poco lontana da loro insieme ad Andre Camel.

-Che succede, Ran? -le chiese sottovoce.

-Niente, è che… io conosco quell’uomo… -mormorò lei. Il detective, dubbioso, seguì il suo sguardo, che era puntato su Shuichi Akai. Allora capì.

-Sì. È Shuichi Akai. -disse. -L’hai visto quella volta per strada, quando ero ancora Conan e stavamo tornando dopo aver fatto la spesa, no? 

-Anche prima. -fece Ran. -Quando andammo a New York.

Shinichi alzò un sopracciglio. Non gliel’aveva mai detto.

Stava per chiederle quando l’avesse incontrato, quando James fece loro segno di raggiungere lui e Akai, proprio vicino alla lavagna con gli indizi.

-Ci sono novità? -domandò Shinichi quando furono al loro fianco.

-No, ma ci stiamo preparando a un possibile scontro. -rispose James.

-E da Vermouth? Niente? 

-Niente. -fece Akai. -Ma contiamo sul fatto che protegga la bambina. 

-Ma è stata lei a rapirla. -disse Ran. L’uomo le fece un sorriso furbo: -Sì, ma vi deve un favore. A te e Shinichi.

La donna si voltò verso il detective, che annuì: -Ran, a New York le hai salvato la vita. Ricordi quell’assassino che stava per cadere dalle scale di emergenza del palazzo dove sono entrato per cercare il fazzoletto?

Dopo qualche secondo, lei fece sì con la testa: -Era lei con un travestimento?

-Esatto. -rispose James. -È per questo che diciamo che vi deve un favore.

Ran fece segno di aver capito, mentre guardava i vari indizi davanti a lei con occhi spalancati. Shinichi le aveva spiegato a grandi linee ciò che avevano scoperto negli anni, ma per la karateka era comunque tutto nuovo. Il detective era contento che finalmente anche lei sapesse tutto, nonostante il rischio. Aveva mantenuto quel segreto per troppi anni ormai. 

-Comunque. -iniziò Ran, voltandosi verso di lui. -Cosa ti è venuto in mente?

Shinichi si riscosse dai suoi pensieri: -Giusto. -si voltò verso James e Shuichi. -Poco fa ho pensato a una persona che potrebbe fare da tramite, per tenerci aggiornati su come sta Aika…

 

 

La porta si aprì, accompagnata dal rumore della campanella. Il cameriere si voltò e sorrise al nuovo cliente.

-Buongiorno e benvenuti al caffè Poirot. -disse. Poi però riconobbe l’uomo che era appena entrato e il sorriso gentile si trasformò in un sorriso furbo.

-Come posso aiutarti? -chiese solo.

Shinichi rispose con la stessa espressione: -Vorrei un bicchiere di bourbon, se non ti dispiace.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3953918