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di lady lina 77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Dwight Enys, a cavallo, galoppava a ridosso della scogliera in quel tratto di mare e terra dove mancava da quasi cinque mesi. Da quando era partito per la Francia con Ross Poldark era stato animato da due sentimenti contrastanti e difficilmente conciliabli: il desiderio di accrescere la sua conoscenza medica sulle malattie mentali e la voglia di tornare a casa da sua moglie.
Aveva appreso molto dal dottor Pinel durante il suo soggiorno parigino e allo stesso tempo assieme a Ross aveva svolto lavori di spionaggio per la corona e ora, entrambi, stavano tornando a casa con un lungo resoconto sul riarmamento delle truppe di Bonaparte da portare a Wichman. Ma per non dare nell'occhio, era stato stabilito che partissero in due tempi diversi e così lui si era portato avanti, lasciando Ross a Roscoff per altre tre settimane a redarre il resoconto che poi un uomo di fiducia avrebbe portato a Londra.
Prima di partire Ross aveva chiesto all'amico di andare a Nampara, per prima cosa, per accertarsi che Demelza stesse bene e per darle un supporto medico circa la gravidanza ormai avanzata e Dwight, ridendo, aveva chiesto se questo dovesse essere fatto prima di andare a far visita a sua moglie e l'amico, serio come non mai, aveva detto 'ovviamente'.
Non che lo avesse preso sul serio ma giunto a casa sua, dopo aver galoppato come un forsennato dal porto, aveva scoperto che quel pomeriggio Caroline era uscita ed era andata proprio a Nampara a far visita a Demelza. In effetti non era atteso e il giorno del suo ritorno era stato annunciato in modo vago nelle sue lettere e quindi era fattibile e normale che Caroline non rimanesse in casa tutto il giorno in sua attesa.
E così, volente o nolente, sarebbe stata proprio Nampara la prima tappa del suo ritorno in patria.
Quando giunse a Nampara, una piacevole brezza e un tiepido cielo azzurro quasi primaverile lo accolsero. L'inverno stava finendo e la primavera stava fiorendo in tutto il suo splendore e anche quelle coste fredde e spesso sferzate dal vento sembravano gridare con gioia alla bella stagione.
Dwight scese da cavallo e fu Prudie, nell'aia a dar da mangiare alle galline seguita da Garrick, che lo vide per prima.
La serva spalancò gli occhi, lo guardò come si guarda un fantasma e poi con lo sguardo si mise alla ricerca di qualcun altro. "Giuda... Siete tornati?! Adesso? E il signor Ross?" - chiese in sequenza, allarmata.
Dwight smontò da cavallo, sorridendole. "Sono tornato solo io per ora, Ross, per non destare sospetti sulla nostra collaborazione, tornerà fra tre settimane. Sono stato a casa e mi hanno detto che mia moglie è quì, sono venuto a riprenderla e a porgere i miei saluti a Demelza, insieme a un messaggio di suo marito".
Prudie balbettò qualcosa e poi corse dentro casa. "Signora, signoraaaaa!!!".
Dalla porta sbucò la testolina bionda di Clowance e appena lo riconobbe, la bambina gli corse incontro urlando. "Zio Dwight, zio Dwight!!! Mammaaaaa, c'è zio Dwight!".
Gli volò in braccio e il medico si accorse che era cresciuta di qualche centimetro e di peso e che scoppiava di salute. Era una bellissima bambolina Clowance, forse la bimba più bella della zona e Ross sarebbe stato estasiato dal rivedere la sua principessina... "Hei Clowance, sono davvero contento di vederti".
La bimba lo abbracciò. "C'è il mio papà?".
Spiaciuto di doverla deludere, Dwight le accarezzò i boccoli biondi. "No, ma tornerà fra pochi giorni. Per ragioni complicate che ci inventiamo noi grandi, non potevamo viaggiare insieme".
La piccola sembrò triste ma Dwight le fece il solletico sulla pancia facendola ridere e poi la rimise a terra.
E in quel momento Caroline, vestita con un elegante abito blu all'ultima moda, i capelli raccolti e il fido Horace in braccio, comparve con Demelza alla porta di Nampara.
Gli occhi di sua moglie brillarono e per un attimo Dwight si immaginò che forse per una volta avrebbe dato vita a un momento romantico e per nulla cinico. Insomma, mancava da mesi, si meritava un pò di romanticismo e anche Caroline sicuramente...
La donna gli si avvicinò di alcuni passi con una espressione indecifrabile e infine, dopo avergli dato un leggero pugno sulla pancia, lo abbracciò. "Dottor Enys, stai per caso sperimentando come curare gli infarti facendomene venire uno?".
Dwight rise, era Caroline, sarebbe SEMPRE stata Caroline, cosa si aspettava di diverso? "Un 'Mi sei mancato' sarebbe stato più romantico".
"Ohhh, romantico un corno! Mi hai lasciata sola per mesi, mi sono dovuta consolare facendo compere come se non ci fosse un domani e ora vuoi pure romanticismo?".
"Certo".
"E magari un abbraccio?".
"Certo".
"E magari un bacio?".
"Ovviamente".
"Cinque mesi, dottore...".
"Perdonami" - le disse baciandole prima la mano e poi le labbra quando lei lo raggiunse e poté sentire il suo profumo inebriante nelle narici. Le era mancata come l'aria... "Mi farò perdonare".
Caroline lo abbracciò di nuovo. "Ti conviene, dottore".
Demelza li lasciò soli per alcuni istanti prima di avvicinarsi con Clowance e Prudie. La sua gravidanza era avanzata, era ormai al settimo mese e il piccolo che portava in grembo non sembrava tanto piccolo, viste le dimensioni del suo ventre. "Dwight..." - sussurrò emozionata, contenta di averlo lì anche se inaspettatamente. Era tornato e forse anche Ross...
Il medico la abbracciò e poi la fissò con sguardo clinico. "Sei radiosa, ti trovo davvero in forma".
Demelza si accarezzò il ventre. "Molto in forma, sembro una sfera".
"Significa che va tutto bene, Ross era davvero molto in ansia per la tua gravidanza".
A quelle parole, Demelza divenne seria. "Lui non c'è? Nelle sue lettere era molto evasivo e anche se so che non poteva dire troppo, non sapere come sta realmente e quando tornerà mi ha messa davvero a dura prova".
Dwight le accarezzò il viso. "Purtroppo come puoi immaginare, non potevamo farci vedere a partire insieme, al momento è a Roscoff a compilare scartoffie da inviare a Londra, ma sarà a casa fra al massimo tre settimane".
"Sta bene?" - chiese Demelza.
Dwight le strizzò l'occhio. "Benissimo, in salute e tutto intero. E' quasi diventato accorto e saggio, ci crederesti?".
Caroline rise. "Neanche un ossicino rotto? Santo cielo Horace, Ross Poldark sta diventando vecchio".
"Si dice saggio, mia cara" - la corresse il marito prima di riabbracciarla.
Demelza lo invitò ad entrare per prendere un té e Dwight, stanco per la cavalcata, acconsentì con piacere anche se non vedeva l'ora di andare a casa per stare con sua moglie.
Si sedettero accanto al camino acceso e nell'ora successiva Dwight raccontò del viaggio, dei pericoli corsi e di quelli evitati, di Ross, del cibo francese, del suo lavoro, del clima e della qualità dei loro alloggi. Era incantevole sentirlo parlare con quell'entusiasmo e tutti risero quando parlò dell'ansia di Ross circa la gravidanza di sua moglie.
Demelza sospirò, divertita ed intenerita. "Ross non ha mai avuto un buon rapporto con le mie gravidanze. E' sempre così ansioso".
Dwight, sorseggiando il té, le sorrise. "Temo sia un difetto di tutti gli uomini innamorati".
Caroline lo bloccò. "Oh quante smancerie dottore! Vuoi o no raccontarci anche delle donnine francesi? Non mi dire che non hai mai allungato l'occhio o io stessa ti darei del folle. O del prete bacchettone!".
Dwight la baciò. "E allora sono folle!". Poi le lanciò uno sguardo malizioso... "Ma non un prete...".
Demelza sorrise ancora guardandoli, guardando l'amore, sentendo forte la nostalgia di Ross e la tristezza che non fosse lì anche lui. Ma mancava poco...
Prudie e Clowance portarono dei biscotti e guardandosi attorno, Dwight si accorse che mancava qualcuno. "E Jeremy? Dov'è?".
Clowance sbuffò. "Fuori, coi suoi amici, a pescare in spiaggia. E non mi vuole, non vuole nemmeno Mary Lennex".
Demelza guardò verso la finestra. "Adora pescare e con gli altri bambini della sua età si diverte a farlo, la considera la sua missione per contribuire all'economia domestica ora che Ross non c'è. E ovviamente quando è coi suoi amici, non vuole la sorella fra i piedi".
Dwight accarezzò la testolina di Clowance. "Sono certo che resti la sua preferita".
"E poi" - intervenne Caroline - "Non ti perdi niente, gli uomini quando sono in gruppo tendono a diventare stupidi".
Dwight occhieggiò la moglie, gustandosi quell'aria di casa e famiglia che tanto gli era mancata. "Chi è Mary Lennex?".
Demelza rise. "Oh, la piccola innamorata di Jeremy! Ha dieci anni, è figlia di un sarto di Sawle e adora mio figlio. Dovresti vedere come lo guarda quando si incontrano e a lezione da Rosina... Fanno così tenerezza".
Dwight rise, il tempo scorreva e i bambini crescevano. "E non sei preoccupata?".
Demelza scosse il capo. "No, ha solo undici anni, credo che a parte qualche sguardo sognante, non ci sia nulla di preoccupante da temere. Per almeno qualche anno...".
Dwight ridacchiò.
"Che c'è? Perché ridi?" - chiese Demelza.
"E' il figlio di Ross, un Poldark. Fossi in te non sarei così tranquillo...".
Caroline gli diede un'altra pacca. "Santo cielo, ti sembrano cose da dire a una donna incinta?".
Dwight si alzò dalla sedia, toccando la pancia di Demelza. "Mi sembra che tutto proceda bene e che Ross abbia ottimi motivi per stare tranquillo. Per quanto riguarda Jeremy e la sua spasimante, sicuramente suo padre quando lo saprà, sarà orgoglioso. Tu invece Demelza, tieni gli occhi aperti...".
"Giuda...".
Clowance, stanca di quei discorsi tutti su suo fratello, sbuffò. "Papà mi porterà un regalo?".
Dwight annuì. "Ovviamente".
"E a Jeremy?".
"Ovviamente".
"E a mamma?".
"Ovviamente".
La bimba toccò il pancione col ditino della mano. "E a questo quì?".
"Ovviamente" - rispose ancora Dwight, eruppendo in una ennesima risata.
Demelza strinse a se la sua bambina, sperando di vivere a breve le stesse emozioni col ritorno di Ross. Gli mancava così tanto e anche se aveva cercato di essere forte, sentiva il bisogno di averlo vicino, di appoggiarsi a lui, di stringerlo, di sentire l'odore della sua pelle e il sapore dei suoi baci. "Sta davvero bene? Sta davvero tornando?".
Dwight le accarezzò la mano. "Sta bene e non ha avuto pensieri che per te. Tornerà presto, tornerà anche prima di quel che pensi".
Con gli occhi lucidi, Demelza lo abbracciò. "Grazie".
Dwight le accarezzò la schiena. "E ora su, al piano di sopra. Devo tenere fede a una promessa prima di andare a casa".
"Non vorrai davvero visitarmi?".
"Certo che sì".
Caroline, dal divanetto, sbuffò. "Fallo Demelza o mi darà il tormento da medico represso tutta la sera e io avrei altri piani...".
"Quali piani?" - chiese Clowance, curiosa.
Demelza e Dwight avvamparono ma Caroline non si scompose minimamente. "Lo scoprirai fra qualche anno...".
Dwight sospirò, eccola la sua cinica, amata, esplosiva Caroline. Era a casa, era finalmente a casa...

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


"E allora mia cara, che è successo durante la mia assenza?" - chiese Dwight appena, finalmente, furono soli in camera loro dopo una lauta cena cucinata in fretta e furia dalla cameriera più fidata di Caroline. Era stato tutto delizioso e non era certo che il merito fosse solo dell'ottima cucina della cuoca scelta da sua moglie raffrontata al cibo di quart'ordine mangiato spesso in Francia, era proprio essere a casa, lì, a sentire il profumo di famiglia che rendeva tutto buono e dolce come il miele.
Caroline rise, slacciandosi un bottone del vestito. "Oh dunque... Due mesi fa Demelza, incinta, ha aiutato Bessie Smith a partorire. E l'ascesso della signora Tinghell è guarito e il suo dente è salvo. I bambini dei Tiggs hanno avuto lo scorbuto e io e Demelza abbiamo riempito la loro casa di arance per tutto l'inverno e poi...".
Dwight rise, si avvicinò e la bloccò baciandola. "Intendevo cosa è successo a te! Ai miei pazienti ci penserò domani".
Caroline lo fissò, maliziosa. "Oh, quindi l'ascesso della signora Tinghell non è stato il tuo primo pensiero in terra francese?".
"Il secondo... Il primo eri tu".
Soddisfatta, Caroline si sbottonò un altro bottone del vestito. "Oh beh, io mi sono... divertita a volte. Ho giocato a dadi con alcune amiche e a volte ho vinto e a volte ho sfiorato la povertà, poi ho aiutato Demelza in tutte le attività in cui vuole sentirsi coinvolta, ho giocato ovviamente con Horace, mi sono annoiata e ho ovviato alla cosa facendo compere e... E poi basta, dopo tutto sono una donna frivola!".
Dwight la baciò ancora era frivola e assolutamente irresistibile. "Molto frivola...".
Lei si avvinghiò a lui, cingendogli le spalle con le braccia. "E tu, dottore? Che hai combinato?".
Dwight si allentò la camicia, facendole notare un grosso livido sotto la spalla. "Mi sono quasi rotto una costola".
Caroline per un attimo sembrò entrare in allarme. "Ti sei cacciato in qualche guaio pericoloso, spinto da Ross Poldark?".
Dwight rise, pensando a quanto stupido fosse stato il suo infortunio. "In realtà sono scivolato dalle scale dell'osteria che mi ospitava a Parigi. Erano piccole, malmesse, era mattino presto e c'era poca luce e sono caduto a terra come un cencio vecchio".
Caroline scoppiò a ridere, di cuore. Poi tornò a indossare uno sguardo malizioso e con un gesto sensuale avvicinò le sue labbra al livido, baciandolo sulla pelle in un modo che fece sentire Dwight sull'orlo dell'estasi. "Che cosa poco virile, dottor Enys! Avrei preferito ti fossi ferito durante un combattimento corpo a corpo con un gendarme napoleonico" - sussurrò, con la bocca contro il suo petto.
Dwight, col fiato corto, affondò le mani fra i suoi capelli biondi. "La prossima volta" - sussurrò, baciandole prima il capo e poi il collo.
Caroline si stiracchiò come una gatta, coinvolta da quelle attenzioni che le erano mancate come l'aria. "Sono contenta che tu sia quì".
Dwight la strinse a se. "Anche io. Mi sei mancata! Sarebbe tutto perfetto se anche Ross fosse quì con la sua famiglia. Demelza sta bene ma sembra stanca e sta affrontando tutta la gravidanza da sola. Ross era molto in ansia per questo...".
Caroline si fece seria. "Demelza è forte, lei c'è sempre per tutti. Sarebbe ora che QUALCUNO venga ad esserci anche per lei".
"Ross sarà quì presto" - la rassicurò Dwight.
"Sarà meglio per lui...". Poi Caroline avvicinò le labbra a quelle del marito, finché i loro fiati si mischiarono. "Ma ora, dobbiamo per forza parlare dei Poldark?".
Dwight catturò le sue labbra. "No, decisamente no".
Erano stati lontani a lungo, tanto dolore li aveva divisi prima della partenza, c'era una culla vuota che Dwight voleva assolutamente riempire ed era certo che lo volesse anche Caroline. Ma prima di questo, voleva di nuovo respirare, vivere, immergersi in sua moglie.
Con frenesia si spogliarono e crollarono sul letto che a Caroline troppo a lungo era sembrato freddo e vuoto.
E il resto del mondo smise di esistere.

...

Nel letto, in una stanza illuminata dalle candele, circondata dai figli e con ai piedi Garrick, Demelza ripose il libro che aveva appena letto ai bambini. Anche se stavano crescendo, amava quel genere di passatempo serale con loro, soprattutto quando Ross non c'era e all'imbrunire la nostalgia diventava difficile da combattere.
"Mamma, papà torna davvero fra pochi giorni?" - chiese Jeremy che al ritorno dalla pesca era stato felicissimo di rivedere Dwight.
Demelza annuì. "Poche settimane, amore mio". Era consapevole che a Jeremy suo padre fosse mancato tantissimo e spesso si era trovata preoccupata per il rapporto fra i due ora che suo figlio non era più così piccolo da non fare domande.
"E ci porterà i regali!" - esclamò Clowance, stretta alla sua bambolina dai capelli rossi.
Demelza annuì, accarezzandosi il pancione dove il figlio minore, come ogni sera, aveva preso ad agitarsi dandole infiniti calci.
Clowance rise, appoggiando la manina sul suo ventre. "Anche lui o lei aspettano i regali di papà!".
"Può darsi!" - rispose Demelza. "Però la cosa più bella è averlo a casa, anche senza regali".
Clowance non sembrò molto convinta. "Ma coi regali, è meglio!".
"Mamma?" - la chiamò Jeremy.
"Dimmi".
"Perché papà sta sempre lontano da casa? Non gli piace stare con noi?".
Quella domanda in un certo senso la ferì perché in passato era successo tanto, c'erano state ferite profonde inferte fra loro e la lontananza era stata la cura necessaria a guarirle... Ma questo non poteva raccontarlo ai bambini, non avrebbero capito e ormai quelle ferite erano scomparse e il motivo che portava Ross lontano era tutt'altro. "Jeremy, tuo padre ci ama più di qualsiasi altra cosa e quando è via, non pensa ad altro che al momento in cui potrà riabbracciarci tutti".
"E allora perché?".
Gli accarezzò i capelli, quei boccoli tanto simili a quelli di suo padre. "Perché tuo padre è un uomo eccezionale, unico, un eroe... E ad uomini così spettano compiti importanti, che solo in pochi possono portare a termine. E ci manca quando non c'è, ma dobbiamo solo essere orgogliosi di lui e di quello che fa".
Clowance la fissò, curiosa. "E che fa?".
Demelza strinse a se i bambini. "Quello che aveva promesso per i suoi figli quando è nata vostra sorella Julia, rende il mondo un posto migliore per voi, per quando sarete grandi".
Jeremy rimase un attimo in silenzio, pensieroso. "Io sono bravo quando lui non c'è? Sono bravo come lui?".
"Certo! Anzi, spesso sai anche essere più galante".
Jeremy rise. "Glielo dirai a papà quando torna? Che sono stato bravo?".
Demelza lo strinse a se, comprendendo il desiderio di Jeremy di essere apprezzato da Ross. Quando era nato, suo marito era stato emotivamente lontano da suo figlio ed ora era come se il bambino lo percepisse e tentasse di ottenere, con la sua approvazione, la ricucitura definitiva di quello strappo. "Certo! E lui sarà fiero di te".
"E di me?" - intervenne Clowance.
"Anche di te".
"Da grande sarò anche io un eroe?" - domandò ancora Jeremy.
"Sono sicura di sì!".
"Come papà?".
Demelza sorrise dolcemente. "Se c'è una cosa che mi auguro per te, è che tu diventi come lui. E so che lo farai, che sarai un grande uomo, gentile, buono, che lotterà per le cose giuste e saprà amare la donna fortunata che avrà la fortuna di averti". Era davvero il più grande augurio che potesse fare a suo figlio perché Ross era un uomo a volte complicato, a volte sfuggente, spesso fumantino, ma era buono, aveva un animo a suo modo candido e sì, aveva sbagliato e le aveva spezzato il cuore il passato e lei aveva fatto altrettanto con lui, ma era stato proprio tramite questi errori che avevano capito di appartenersi e avevano scelto di lottare per loro e per stare insieme, invece che separarsi. Nessuno sarebbe stato ai suoi occhi come Ross, mai, nessun poeta, nessun aristocratico, nessuno. E sapeva che per Ross era la stessa cosa e che nessuna ai suoi occhi sarebbe mai stata come lei.
Incurante di quei pensieri, Jeremy ragionò sulle parole della madre. "Io sposerò Mary Lennex?".
"Non lo so Jeremy. Lei... O un'altra! Sei ancora piccolo, chissà cosa ti riserverà il futuro".
"Ma io voglio sposare Mary sul serio!".
Gli diede un pizzicotto sulla guancia, dolcemente. "D'accordo! E allora perché oggi hai preferito uscire a pesca coi tuoi amici invece che stare con lei?".
Jeremy rise, come se sua madre avesse appena chiesto una cosa ovvia. "Ma dai, è una cosa da maschi!".
"Io so pescare!" - lo corresse sua madre.
"Ma tu sei la mamma! Sai fare tutto".
"Anche Mary! Esci a pesca con lei e lo scoprirai!".
Jeremy sbuffò. "Va bene, qualche giorno la porterò con la nostra barca".
Clowance si mise seduta, ritta come un fusto. "Vengo anche io!".
Demelza la spinse scherzosamente sul letto. "No, non si va coi fidanzatini". Insomma, anche se erano bambini Jeremy e Mary meritavano la loro privacy e per ora era meglio non pensare ai discorsi sull'amore fatti da Dwight poco prima e sul fatto che dovesse stare all'erta. Anche se aveva deciso di chiedere a Ross di fare un discorso sull'amore al figlio, appena fosse tornato a casa.
Clowance si imbronciò. "E allora io vado con papà, quando torna".
"Ottima idea" - la tranquillizzò Demelza. Poi spense le candele, si stava facendo tardi... "E ora, a nanna!".
"Ma il fratellino in pancia, scalcia ancora" - fece notare Clowance.
Demelza sospirò. "Smetterà e dormirà anche lui".
Jeremy rise. "A papà farà ridere sentire i calci che da!".
Il cuore di Demelza si strinse al pensiero di Ross. Era così lontano e aveva perso tanto dei suoi figli ed era certa che ne stava soffrendo... Eppure, erano due cuori e un battito, come si erano detti alla partenza... Ed era certa che in cuor suo poteva sentire tutte le emozioni che lei viveva sulla sua pelle attraverso i loro figli. Mancava poco, era stanca e aveva bisogno di lui ma sarebbe stata forte finché non lo avesse riabbracciato.
"Buona notte, mamma" - sussurrarono i bambini.
E lei si sentì in pace col mondo, nonostante tutto, quando Jeremy iniziò a canticchiare la ninna nanna che lo tranquillizzava da piccolo e che anche il bimbo in arrivo sembrava apprezzare...
Il silenzio calò poi e lei, prima di addormentarsi, si sentì la donna più fortunata del mondo.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Alla fine non ce l'aveva fatta ad aspettare tre settimane e dieci giorni dopo Dwight, dopo aver finito di compilare le scartoffie da affidare al suo messo per essere portate a Londra, Ross si era imbarcato e da Roscoff aveva raggiunto finalmente l'Inghilterra.
Giunto a terra, dopo aver dato le ultime istruzioni al suo uomo di fiducia, aveva noleggiato un cavallo ed era partito a spron battuto verso la sua terra, verso casa, verso la sua famiglia...
Ross era sempre stato, negli anni, un uomo amante del rischio, poco avvezzo alle regole, parecchio attratto dai pericoli e sempre desideroso di vivere nuove emozioni ma stavolta quei cinque mesi lontani da casa gli erano pesati. Forse era l'età, forse stava finalmente maturando o forse semplicemente avrebbe voluto stare a casa con sua moglie e i suoi figli a godersi l'attesa del nuovo bambino in arrivo, dopo i tumultuosi avvenimenti che l'avevano visto coinvolto prima della sua partenza coi francesi, con Tess e con tutto il macello che ne era conseguito. Tante volte aveva messo in ansia i suoi cari e forse in passato se n'era curato poco ma ora era diverso e quei cinque mesi erano stati così carichi di ansia e preoccupazione per chi aveva lasciato a casa... Era stato attento, non aveva cercato i pericoli e quando erano stati inevitabili, si era mosso ponderando ogni sua parola o mossa, guidato dalla saggezza e dalla pacatezza di Dwight. Si era guadagnato fiducia ad alti livelli dell'esercito napoleonico, aveva raccolto, senza correre eccessivi rischi, notizie sul riarmamento di Bonaparte e anche tante piccole informazioni minori che però di certo avrebbero fatto gola ai vertici politici londinesi.
Ma non era soddisfatto, non del tutto... Ormai l'avventura e il gusto per essa avevano lasciato il posto a un uomo più maturo che a casa aveva lasciato anima e cuore e non vedeva l'ora di tornarvi.
Avrebbe voluto stare accanto a sua moglie, lei gli era mancata più di tutti. Spesso non era stato un marito eccellente, spesso l'aveva fatta soffrire e lasciata sola e di certo aveva commesso nei suoi confronti errori imperdonabili che difficilmente un amore non autentico sarebbe stato capace di superare. Ma ci erano riusciti e attraverso mille tempeste, tanti errori da parte di entrambi, molto dolore ma sorretti da un rapporto vero, unico e raro, avevano raggiunto la vetta del loro rapporto e la piena consapevolezza che nel mondo, loro, erano stati capaci di trovare la propria anima gemella, l'unica persona in grado di completarli. Demelza aveva ragione, due cuori, un battito... Non era un uomo romantico ma quella definizione di loro due gli appariva così perfetta da riuscire a commuoverlo, quando in quei mesi di lontananza pensava a lei. Chissà com'era diventato il suo pancione? E Clowance, Jeremy? Erano cresciuti? E Garrick, il caro vecchio Garrick stava bene? E la fattoria, la miniera? Santo cielo, amava l'avventura ma sempre avrebbe amato di più il momento di tornare a casa nel suo mondo.
Inspirando a pieni polmoni la profumata aria di primavera, galoppando sotto un cielo azzurrissimo e un clima insolitamente caldo, Ross superò diversi borghi e dopo aver oltrepassato Truro, costeggiò la scogliera in una strada che percorreva da sempre e conosceva a memoria.
Si fermò un attimo, rallentando, a osservare il mare, spesso tumultuoso, a volte avaro di pesci, talvolta in tempesta ma suo, nel suo essere selvaggio e meraviglioso insieme.
Costeggiando la scogliera lentamente, riappropriandosi di quei posti che erano suoi, Ross giunse finalmente alla sua spiaggia, a Hendrawna, dove spesso aveva banchettato coi suoi amici e la sua famiglia, dove a volte nelle sere estive passeggiava con Demelza e dove portavano i bambini a giocare.
Fu allora che si accorse che qualcuno stava venendo a riva con la sua barca. Ross strabuzzò gli occhi e pregò Dio che non fosse ancora una volta Demelza, incinta, ad essere uscita a pescare da sola. Santo cielo, se fosse stata lei, le avrebbe sbraitato contro anche se non la vedeva da cinque mesi! Non gli aveva forse permesso di riposare e stare attenta? Gli avrebbe fatto venire i capelli bianchi molto presto, sua moglie...
Eppure, guardando meglio, si accorse che non era Demelza la provetta pescatrice ma due figure piuttosto basse, dall'aspetto infantile e... E uno dei due lo conosceva!
Incuriosito, anche divertito ma in fondo orgoglioso, Ross scese da cavallo e a piedi si avviò lungo il sentiero che portava alla spiaggia, raggiungendo i due a passo spedito. "Hei, mi auguro che ti sia preso cura della mia barca con attenzione in questi mesi!" - disse, alzando le mani in segno di saluto. Santo cielo, Jeremy, finalmente rivedeva suo figlio... Che lo sapeva, amava pescare, ma chi l'avrebbe detto che aveva già imparato ad uscire in barca da solo?
Jeremy si bloccò, restò a guardarlo inebetito come se avesse visto un fantasma, coi pantaloni rigirati fino alle ginocchia e le maniche di camicia tirate su fino al gomito. Era cresciuto di due o tre centimetri ad occhio, il suo viso era ancora infantile ma a Ross sembrava diventato così grande...
"Papà?!" - esclamò il ragazzino, quasi non credendo ai suoi occhi. "PAPAAAAA'!!!". Incurante della compagnia femminile vicino a lui, gli corse incontro, travolgendolo con un abbraccio.
Beh, era cresciuto ma riusciva ancora a prenderlo in braccio. "Jeremy!".
"Papà, sei quì! Dovevi tornare fra dieci giorni!!! Sei quì, sei davvero quì!!!" - urlò, stringendolo con tutta la forza che aveva.
Ross rispose all'abbraccio, quanto gli era mancato quel bambino arrivato in un momento tumultuoso e che aveva faticato molto ad accettare, all'inizio. E che tante battaglie aveva visto, pur non comprenendole, per fortuna... "Non ce la facevo più a mangiare cibo francese, mi mancavano i manicaretti di tua madre!".
Jeremy rise.
Ross lo rimise a terra. "Fatti guardare!".
"Sono cresciuto?".
"Un bel pò! Hai pescato qualcosa?" - gli chiese Ross, osservando il mare.
Il bambino scosse la testa. "No, sono solo uscito a fare un giretto in barca con lei!" - disse, indicandogli una bambina dai capelli biondi che, timidamente, se ne era rimasta in disparte. "Lui è mio padre" - precisò poi, alla ragazzina.
Ross la osservò incuriosito, chiedendosi chi fosse quella bimbetta, perché Jeremy fosse in giro in barca con lei e quanto fosse cresciuto suo figlio in quei cinque mesi. Aveva lasciato un bimbetto e trovava un ragazzino in dolce compagnia. La bambina aveva circa dieci, undici anni come Jeremy, indossava un abitino rosso e aveva i lunghi capelli biondo cenere chiusi in una treccia da cui sbucavano ribelli boccoli che non volevano essere domati. Non sembrava la figlia di un minatore e non gli sembrava di averla mai vista in giro. Non indossava abiti particolarmente eleganti ma nemmeno poveri stracci come molte delle bambine del posto. "Chi è questa signorina, Jeremy?".
Lui arrossì. "E' la mia... ehm... una mia amica".
Ross lo occhieggiò divertito, notando che era arrossito. Si sentì un pò un intruso a dire il vero, ma anche decisamente orgoglioso che il fascino Poldark, generazione dopo generazione, continuasse nella sua infallibile scalata al successo. "Oh, amica è? Molto piacere, come ti chiami?" - chiese alla bambina.
Lei, timidamente, si avvicinò. "Mary Lennex, signore".
"Vivi quì?".
"Vivo a Bodmin, in inverno. D'estate vengo quì nella villa dei nonni per respirare aria di mare".
Ross ci pensò su e si ricordò di aver già sentito il nome dei Lennex... "Sei la nipote di Reginald Lennex, il banchiere di Bodmin?".
"Sì".
"Ho disturbato la vostra passeggiata?".
Mary e Jeremy arrossirono. "NOOOO!".
La piccola precisò subito. "In realtà devo tornare a casa, sono quasi in ritardo, alle quattro la nonna vuole che sia con lei per fare merenda e bere il tè".
Ross le sorrise. "Capisco".
Jeremy lo abbracciò, cingendogli la vita. "Papà, sei tornato per restare?".
Ross gli accarezzò i capelli. "Oh, sarete stufi di avermi per casa, te lo assicuro. La mamma? Clowance?".
"Sono a casa, Prudie sta arando l'aia e Clowance la voleva aiutare. Ma lei fa disastri e getta fieno dappertutto mentre gioca con Garrick".
Ross rise, Clowance era una piccola peste e il suo aspetto da bambolina bionda strideva decisamente con la sua natura vivace e a volte impertinente. Accarezzò i capelli di Jeremy, poi gli strizzò l'occhio. "Comincio ad avviarmi verso casa, ci vedremo lì quando torni".
"Ma io voglio tornare adesso, con te!" - si lamentò il bambino.
E Ross, anche se desiderava stare con lui, si sentì di impartirgli la prima lezione da galantuomo della sua vita. In fondo Jeremy era ancora decisamente piccolo per capire come si trattano le donne... "Credo sarebbe scortese se lasciassi tornare a casa Mary da sola".
"Ma la volevo accompagnare!" - sbottò lui - "Ma adesso che sei quì...".
"Beh, adesso che sono quì non cambia nulla. Sarebbe una cosa carina accompagnare a casa la tua amica".
Mary, arrossendo, intervenne nel loro discorso. "Non importa signore, so tornare da sola. Sono grande, avrò undici anni il mese prossimo".
"Oh, sicuramente. Ma Jeremy è e sarà comunque il tuo cavaliere, giusto?" - chiese al figlio, strizzandogli l'occhio di nascosto.
Jeremy sospirò. "Giusto".
Insieme, tutti e tre, dopo aver sistemato la barca nella grotta percorsero a ritroso il sentiero che portava alla strada e Ross montò a cavallo, salutando i due. "Mary, è stato un piacere conoscerti. Jeremy, non tardare troppo".
Jeremy rise un pò impacciato e poi, a sorpresa, prese Mary per mano. Un gesto galante, si augurò Ross. Ma...
"Dai sbrigati a correre, così facciamo in fretta!".
Ross li vide sparire nella vegetazione a velocità sostenuta e quando furono abbastanza lontani, scoppiò a ridere contento. Di essere a casa, di aver visto suo figlio e di aver appreso che forse iniziava a guardare le ragazze, ma doveva decisamente affinare la tecnica e i suoi modi gentili se non voleva andare incontro a profondi e sentiti rifiuti dal gentil sesso. Era quasi ora di quei discorsi da uomini che un padre deve fare al figlio, pensò, anche se questo lo faceva sentire vecchio... Ne avrebbe parlato con Demelza che di certo era più informata di lui circa la situazione...
E al pensiero di Demelza, decise che era tardi, che aveva fretta e che tutto quel che voleva era andare a casa a riabbracciarla. E così spronò il cavallo e velocemente percorse la distanza che ancora lo separava da Nampara.


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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Quando la sagoma di Nampara, illuminata dal sole del pomeriggio, si stagliò davanti a lui, Ross si sentì finalmente a casa. Solo un altro passo, un abbraccio alla sua bambina bionda, un bacio a sua moglie e una carezza al suo cane e lui sarebbe stato in pace col mondo.
Spesso era stato lontano dalla sua terra e dalla sua casa negli ultimi anni, come fece suo padre un tempo, dopo che sua madre era morta. Ross non lo aveva mai capito del tutto e di certo spesso si era trovato in disaccordo con lui e il suo modo di vivere, ma da qualche anno a quella parte aveva preso a pensarla in maniera diversa, soprattutto ad ogni suo ritorno a casa. Quanto poteva essere stata duro per Joshua varcare quella porta e non trovare Grace ad attenderlo? Aveva amato intensamente sua madre, viveva per lei e perderla gli aveva fatto perdere se stesso e ora Ross, adulto, marito e padre a sua volta, non poteva e non voleva nemmeno provare ad immaginare cosa avrebbe provato se tornando, Demelza non fosse stata lì ad aspettarlo. Era la sua più grande paura e di certo lo era stata per suo padre che si era trovato a viverla giorno dopo giorno per lunghi anni e adesso, da adulto, poteva comprendere meglio quel genitore tanto assente e fuori dalle righe che non c'era mai e se c'era, sembrava perso in un mondo solo suo che era inaccessibile a tutti. Il dolore aiuta a crescere e a comprendere quello degli altri, aveva imparato in quegli anni... Si era sentito solo e sperso quando era tornato dalla guerra e Nampara era in rovina, suo padre morto ed Elizabeth era fidanzata con Francis ma quello sarebbe stato nulla rispetto al vuoto incolmabile che sarebbe stato perdere Demelza. E così ora guardava a suo padre con meno intransigenza, provando pena nei suoi eccessi di vivere degli ultimi anni perché in realtà tutto ciò che lui aveva cercato di fare era colmare un vuoto incolmabile e ora Ross lo aveva capito... Forse tardi, perché non aveva avuto tempo di dirglielo.
La prima voce che udì in lontananza fu quella di Prudie che urlava dietro a una gallina che sfuggiva alla sua presa, seguita dalla risata infantile di Clowance che doveva trovare tutto questo molto divertente.
Appena giunse al cancello, la domestica si bloccò. Rossa in viso, trafelata, spalancò gli occhi come se avesse appena visto un fantasma. "Giuda!".
Ross smontò da cavallo, tirando giù la sua sacca da viaggio. "Hai la stessa aria di quando Jud tornava dopo giorni di baldoria nelle taverne di Truro!" - scherzò.
"Ma non dovevate essere ancora...".
"In Francia? Sì, ma mi annoiavo e tu sai che odio annoiarmi. Ho semplicemente preso la prima nave che mi è capitata a tiro". Poi Ross si guardò attorno e da una balla di fieno sbucò la testolina bionda di sua figlia. Clowance saltò giù, piena di spighe fra i capelli, poi gli corse incontro saltandogli al collo. "Papààààà!!!".
La abbracciò. Era ancora più bella, paffuta, con le guance rosse di chi scoppia di salute e gli occhi trasparenti e chiari come quelli di sua madre. Ah, forse aveva un debole per lei e il suo giudizio non era obbiettivo, ma avrebbe potuto giurare che era la bambina più bella del mondo. "Clowance" - sussurrò, baciandole la fronte e rimettendola a terra. Era cresciuta anche lei di qualche centrimetro e con quell'abitino azzurro primaverile che indossava e che doveva averle cucito sua madre, era una principessina in miniatura. "Hai fatto la brava?".
"Sì! E tu sei tornato presto!" - gli fece notare la piccola. "Mi hai portato un regalo?".
Ross le indicò la sacca. "Sbircia lì dentro, ti ho portato una bambola francese coi capelli biondi come i tuoi".
Emozionata e contenta, la bimba non se lo fece ripetere e si gettò sul sacco. Ross sorrise guardandola, poi si guardò attorno, osservando una assenza assordante. "Demelza dov'è?" - chiese a Prudie.
La domestica gli indicò la casa. "In camera, sta riposando".
"Oh". D'accordo, poteva anche ritenersi commosso che sua moglie per una volta avesse ascoltato i suoi consigli rimandendo tranquilla e calma in quei mesi di gravidanza, però... Però non era commosso affatto perché Demelza raramente lo ascoltava, non amava poltrire e quindi questo lo metteva in allarme. Accidenti a lei, in un verso o nell'altro, incinta, quella donna era sempre fonte di preoccupazioni per lui! "Sta male?".
"Ha solo un pò di mal di schiena" - rispose Clowance al posto di Prudie, tirando fuori la bambola dal sacco, eccitata. Abbracciò il padre, contenta, affondò il visino contro il suo ventre e Ross le accarezzò i capelli. "Mal di schiena?" - chiese a Prudie.
La donna alzò le spalle. "Cose normali da donna incinta, sta benissimo ma oggi ha voluto riposare. Andate in camera, sarà felice di vedervi".
Ross gli posò gentilmente una mano sulla spalla. "Vado subito. Sbircia pure tu nella sacca, ti ho portato uno scialle di lana".
"E per mamma?" - chiese Clowance.
Ross si inginocchiò, prendendo dalla sacca due pacchetti. "E' una sorpresa".
"E per Jeremy?".
Ross sorrise, pensando a suo figlio in dolce compagnia. "C'è dentro un set da pesca e una nuova canna. E ora, vado a salutare la mamma".
"Vengo anche io!!!" - sentenziò Clowance, prima che Prudie la bloccasse. "Tu resti quì, monella, ad aiutare Prudie".
La bimba si imbronciò. "Ma...".
Ross le accarezzò la testolina. "Tesoro, ci vedremo più tardi ma ora mi lasci per un pò da solo a salutare la mamma?".
"Va bene" - mormorò Clowance, decisamente poco entusiasta.
Ross lasciò allora l'aia, entrando in casa e salendo le scale, attento a non fare rumore.
Quando entrò nella stanza, un tranquillo silenzio lo avvolse, un silenzio che sapeva di casa, di pace, di famiglia... Era la sua stanza e avvertiva il profumo dei fiori che riposavano nei vasi e che tanto amava sua moglie, ogni cosa era in ordine, sul comodino c'erano alcuni libri, alla toeletta era appoggiato uno scialle e sul letto, comodamente addormentata, di lato, col braccio sotto la testa, c'era lei...
Bellissima come la ricordava, coi lunghi capelli rossi sparsi sul cuscino, l'espressione serena, le guance rosee e la mano che teneva libera appoggiata delicamente sul pancione. Sentì stringersi la gola nel vederla, rendendosi conto di quanto le era mancata e di come gli fosse costato partire, lasciandola sola su quella scogliera, coi fuochi che si accendevano in segno di sfida ai francesi. Lei, finalmente lei, la sua compagna, la sua migliore amica, sua moglie, la sua amante, la madre dei suoi figli... Santo cielo, quel pancione che quando era partito ancora non c'era era il segno evidente che era stato via troppo e che ora non voleva perdersi più niente di lei e di quel nuovo figlio in arrivo. Demelza era stata forte e aveva sopportato la gravidanza da sola, come purtroppo, anche se per motivi diversi, aveva fatto anche in passato. Ed era orgoglioso di lei e meno di se stesso che ancora una volta era rimasto distante quando avrebbe dovuto rimanere lì, accanto a sua moglie, soprattutto dopo le vicende concitate che avevano preceduto la sua partenza. Tess, i francesi, gli intrighi, i segreti, il dolore sul volto di Demelza quando aveva dovuto mentirle per proteggerla, i Despard, tutto era ancora piutosto bruciante nei ricordi di Ross.
Ma ora era lì e sarebbe stato il più premuroso dai mariti. Lei lo meritava e lui aveva bisogno di starle vicino per annullare la distanza di mesi fra loro.
Garrick, che dormiva fedelmente sul letto, al fianco della sua padrona come a volerla proteggere, si svegliò. Scodinzolando contento gli si avvicinò saltando giù dal letto e dopo aver ricevuto una carezza, gli si accodò tornando vicino a Demelza.
Dormiva profondamente, tanto da non accorgersi di nulla. Ma stava bene, la conosceva e sapeva leggere dal suo viso ogni traccia di malessere, se fosse stato presente. Ma non c'era, dormiva serena e come gli aveva raccomandato, riposava...
Restò a guardarla senza muoversi per lunghi istanti, ma poi non ce la fece più e le accarezzò dolcemente i capelli e lei, vestita della sola sottoveste, sotto una leggera copertina color crema, si mosse lievemente e poi aprì gli occhi.
E lo fissò come aveva fatto Prudie poco prima, come se fosse stato un fantasma! La cosa lo fece scoppiare a ridere. "Santo cielo, devo essere diventato davvero brutto in questi mesi, visto il modo in cui mi guardate tutti!".
Demelza, a bocca aperta, si mise a sedere di scatto. Ogni traccia di sonno era sparita dal sul viso ed ora era semplicemente confusa. Lui non avrebbe dovuto essere lì ancora per almeno dieci giorni... "Ross?... Ross, Ross!!!". Lo abbracciò talmente forte che lui sentì il fiato mancargli. Le braccia esili di sua moglie gli cinsero le spalle, il suo viso affondò contro il suo collo e lui la strinse a se, accarezzandogli la schiena. "Demelza..." - sussurrò semplicemente, fra i suoi capelli, gustandosi finalmente la sensazione di averla fra le braccia.
La sentì tremare e la abbracciò ancora più forte. "Sono quì, sono quì amore mio...". La baciò, prima sulla fronte e poi, dopo averle preso il viso fra le mani, sulle labbra. Un bacio dolce, gentile ma anche pieno di passione. Le era mancata così tanto... Per un attimo, solo un attimo ripensò alla freddezza fra loro al suo primo ritorno da Londra dopo sette mesi di lontananza, ma ormai quei tempi erano passati, le ombre si erano dissipate ed entrambi erano cresciuti come coppia e persone, avevano imparato a capirsi, ascoltarsi, parlarsi e soprattutto perdonarsi.
E quindi si gustò solo quel bacio, a lungo desiderato ed agognato.
Quando si lasciarono, Demelza scoppiò finalmente a ridere, il turbamento passato ed ora solo felice. "Ma non dovevi essere ancora in Francia? Che ci fai quì? Sei scappato? Hai combinato qualche guaio? Sei ricercato?".
Ross si sentì tutto sommato orgoglioso del fatto che lo ritenesse tanto temerario. "In realtà, nulla di tutto questo! Ho semplicemente preso una nave qualche giorno prima del previsto. Non avevo promesso di tornare a casa prima della mietitura?".
"E tutto intero..." - sussurrò Demelza, col sorriso sulle labbra.
"Tutto intero!".
"Lo sei?".
"Sì, decisamente! Vuoi controllare?".
Demelza rise ancora. "Mi fiderò!".
"E quindi ho mantenuto la mia promessa... E tu, a quanto vedo, la tua".
Demelza si accigliò. "Quale?".
"Stai riposando!" - le fece notare Ross, divertito - "Non lo avrei mai ritenuto possibile". Si sedette accanto a lei e poi la osservò con sguardo clinico. "Fatti vedere!".
Demelza si sfiorò il ventre, dolcemente, prima di prendere una mano di suo marito per appoggiarsela dove cresceva il loro bambino. "Credo di assomigliare a Prudie ormai".
Ross rise, prima di spingerla scherzosamente sul letto per poi raggiungerla e baciarla ancora. "Ah, non pensarci, Prudie non mi fa venire in mente certi pensieri" - le sussurrò con malizia nell'orecchio.
Si baciarono, a lungo, mentre le mani di Ross non lasciavano il ventre dove cresceva suo figlio. Era stato lontano così tanto che forse per quel bambino, la sua voce doveva apparire decisamente sconosciuta. Si rannicchiò contro sua moglie, la strinse a se gustandone il profumo e la vicinanza e si sentì a casa. "Nostro figlio penserà che un estraneo sia entrato in casa" - sussurrò, con una nota di rammarico nella voce.
"Che vuoi dire, Ross?".
"Non conosce la mia voce e non sa nulla di me".
Demelza sorrise dolcemente. "Non è vero, sa tutto. Gli ho parlato io di te".
Le accarezzò il viso, lei era la cosa migliore che la vita gli avesse donato ed era felice di essere stato tanto intelligente da sposarla e di aver donato ai suoi figli una madre del genere. "Stai bene?" - disse solo.
"Sì. E tu? E' andato tutto bene?".
Ross annuì, poi si accomodò nel letto accanto a lei, stringendola a se ed accarezzandola sulla schiena. "Sì, sai, credo di essere diventato saggio e attento. Non ho corso particolari rischi, mi sono mosso con prudenza e alla fine più che una romantica e coraggiosa spia, mi sentivo un borghese di mezza età in viaggio di piacere".
Demelza sembrò divertita dalla cosa. "Nemmeno un graffio?".
"Nemmeno uno! E nessuno che abbia desiderato uccidermi, ci crederesti?".
"Faccio un pò fatica ad essere onesta, soprattutto visti i rischi che hai corso quì prima di partire, coi francesi! Poco più di cinque mesi fa ti sei battuto a duello con quel generale nel nostro fienile".
Ross si rabbuiò alcuni istanti, ricordando anche il carico di dolore su sua moglie di quei giorni e deciso a non commettere mai più quell'errore. "Come dicevo, sono diventato saggio da allora. Quì invece è andato tutto bene? Tess ha creato problemi? Jacka? George Warleggan?".
Demelza sospirò. "Tess credo che abbia lasciato il villaggio, non si è più vista. Jacka è... Jacka, borbotta, sbraita nelle locande ma si è calmato. George Warleggan non si è più visto e da quando ci ha annunciato la partenza per Londra, è sparito da Trenwith".
Ross annuì. "Ottimo! Allora ti sei annoiata?".
Demelza si stiracchiò. "Oh, non molto. Avevo la casa a cui badare, i bambini, ho fatto la zia di Loveday e io e Caroline abbiamo organizzato molte cene nel nostro salotto, coi miei fratelli e le loro mogli. Hai visto i bambini?".
Ross annuì. "Sì, ho lasciato Clowance nell'aia con Prudie mentre Jeremy...". Si bloccò, poi si mise seduto sul letto, deciso a chiedere spiegazioni. "Da quando il nostro piccolo bambino ha una fidanzata o qualcosa di simile?".
Demelza scoppiò a ridere. "Hai conosciuto Mary?".
"Li ho visti in spiaggia mentre tornavo! Santo cielo, mi sono sentito vecchio".
"In effetti sei un quasi-suocero" - gli fece notare lei, scherzosamente.
"Non lo dire!".
Demelza si sedette. "In realtà credo che sia più un'amica del cuore, sono ancora due bambini. Si trovano bene insieme ma penso che per una vera fidanzata ci sarà da aspettare qualche anno. Anche se Dwight dice che dovremmo iniziare a fare uno di quei discorsi sull'amore, con lui... E visto che sei quì, credo che sarà compito tuo!".
Ross spalancò gli occhi. Ok, aveva senso, era un discorso fra uomini e non poteva lasciare tutto sulle spalle di Demelza, ma questo comunque faceva paura. Non era troppo presto? Ne sarebbe stato capace? O avrebbe farfugliato frasi senza senso facendo credere a Jeremy di avere un idiota come padre? Era facile essere una spia o un minatore o un politico, ma parlare a un figlio delle 'faccende della vita'? Santo cielo, era solo ieri che era un neonato ed ora era un ragazzino che guardava le ragazze! "Che dovrei dirgli?".
"Saprai trovare le parole".
"Dammi un consiglio".
"Sei un uomo, ci sarai passato prima di lui da questa fase".
"Non a undici anni".
"Jeremy è allora più precoce di te".
Ross sprofondò di nuovo fra i cuscini, pregando che suo figlio non diventasse come suo padre. "Non voglio essere un suocero".
"E io una suocera! Non così presto!".
Lui sorrise. "Sei ancora una bambina".
"Una bambina che aspetta un bambino, interessante...".
Ross si stiracchiò, prima di alzarsi dal letto e recuperare i due pacchetti che aveva portato di sopra. Era decisamente ora di cambiare argomento, almeno per ora. "Ho portato un dono per ognuno e questi sono per voi".
"Oh Ross". Demelza lo abbracciò di nuovo, commossa. "Non dovevi, a me basta che tu sia quì".
Le accarezzò il viso. "Sapevi che sarei tornato per tempo, l'ho promesso e non avrei mancato per nulla al mondo alla parola data".
Lo sguardo di Demelza si addolcì. "Due pacchetti?".
Le accarezzò ancora il pancione. "Per te e lui... o lei".
Demelza prese un profondo respiro, si emozionava ancora come una bambina quando Ross le faceva dei regali. Non succedeva spesso ma quando accadeva, erano gesti fatti col cuore e legati a momenti importanti che non aveva mai dimenticato. Si sentì felice che fosse lì, finalmente a casa, finalmente con loro. "Mi sei mancato così tanto..." - sussurrò, mentre apriva i pacchetti.
Ross le prese la mano, intrecciando le dita con le sue. "Anche tu, più di tutti".
I pacchetti furono aperti e Demelza, emozionata, rimase a bocca aperta. Uno conteneva una meravigliosa e morbida copertina di lana bianca, perfetta per tenere al caldo nella culla il loro piccolo, l'altro un bellissimo bracciale d'oro, abbellito da una fila di piccoli smeraldi rossi incastonati in esso. "Ross..." - mormorò, senza fiato.
La baciò ancora sulle labbra, felice di perdersi in esse. "Sono stato via a lungo, troppo, lasciando sulle spalle ancora tutto a te. Ma ti ho promesso devozione per il resto della mia vita e di cercare di essere un buon marito e questo regalo è il minimo che potessi darti per quello che fai e continui a fare per me e tutti noi".
Demelza si strinse a lui, commossa, nascondendo il viso nella sua camicia per evitare che vedesse i suoi occhi lucidi. "Grazie..." - disse solo. "E io, io non ho nulla da darti".
Ross scosse la testa. "Cresci i miei figli, me ne stai per dare un'altro e ci sei. E sei mia. Non potrei chiedere altro, non voglio altro. Anzi...".
"Cosa?".
Ross rise, stavolta meno serio di quanto non fosse stato fino a poco prima. "Vorrei fare un bagno, vorrei che mia moglie mi strofinasse la schiena e poi vorrei cenare con i miei figli. E dopo cena, usare questa stanza da letto in modo meno colloquiale di adesso!".
Anche Demelza rise. "Giuda Ross, sono quasi all'ottavo mese di gravidanza!".
"Beh, manca un mese e passa al parto, direi che è perfetto" - commentò lui, prima di baciarla ancora e ancora, perdendosi in lei.
Era a casa, finalmente era tornato dove aveva sognato di essere per cinque lunghi mesi. E sarebbe stata una notte interessante e decisamente lunga...

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Fu una cena rumorosa dove Prudie, per una volta, si superò. In onore del signor Ross, con l'aiuto dei bambini, in poco tempo cucinò della carne con patate e carote e riuscì anche a mettere nel forno una torta in modo che in quella serata tanto attesa, Nampara si trasformasse quasi in una festa di Natale.
Demelza rimase quasi in silenzio, in disparte, lasciando che fossero i bambini a godersi il padre mentre mangiavano, sapendo che poi avrebbe avuto suo marito tutto per se appena giunti in camera.
Jeremy raccontò a Ross di quanto fosse diventato bravo a pescare ottenendo la promessa di uscire a breve in barca con lui, dei giochi coi suoi amici, di come si fosse reso utile a casa e dei progressi fatti a scuola con Rosina mentre Clowance, da sempre incuriosita dai cunicoli della Wheal Grace, ottenne di accompagnare suo padre in miniera quanto prima dopo avergli giurato di essere sempre stata obbediente e bravissima e di aver aiutato la mamma.
Demelza osservò Ross e nei suoi occhi vide l'orgoglio per i suoi figli. Lui non parlò molto, lasciò ai bambini l'onore di intrattenere la serata e finita la cena, per un pò si misero tutti e quattro davanti al camino a godersi il calore delle fiamme che, anche se era ormai primavera, risultavano gradevoli la sera, quando imbruniva.
I bimbi chiesero al padre della Francia, se fosse diventato un eroe della nazione e se gli avrebbero dato una medaglia ma alle risposte non troppo esaltanti del padre circa le sue avventure oltre-Manica, cambiarono argomento ricominciando a raccontare la loro vita in quegli ultimi mesi.
Alle nove Prudie venne a chiamare i bambini per andare a letto e Clowance protestò all'idea di dover tornare a dormire nella cameratta.
Ross le diede un leggero pizzicotto sulla punta del nasino all'insù. "Ognuno deve dormire nella sua stanza e la mia è con la mamma. La tua in fondo al corridoio...".
"Ma io e Jeremy abbiamo dormito con mamma in questi mesi, le abbiamo tenuto compagnia" - protestò la bimba.
"E io ringrazio tutti e due, ma ora ci penso io a tenere compagnia alla mamma come è giusto che sia".
Demelza ridacchiò, Ross sembrava decisamente divertito ma anche deciso a riappropriarsi dei suoi spazi. Le sarebbero mancati i suoi bambini ma era anche decisamente contenta di tornare ad essere una donna e una moglie e non solo una mamma. "Coraggio bambini, salutate vostro padre e correte a dormire".
"Sentito marmocchi!" - tuonò Prudie - "Si va a letto senza storie! Voi e io!".
Prudie strizzò un occhio ai due ma prima di riuscire a portare i bambini di sopra, Clowance si fermò e tornò indietro, correndo ad abbracciare Garrick che sonnecchiava davanti al fuoco. "Posso portarlo a dormire con me e Jeremy?".
Garrick sbuffò ma Demelza, annuendo, lo spinse a seguire i figli. "Certo, sarà contento di stare con voi".
In realtà Garrick non pareva molto felice di allontanarsi dal calore del camino ma, sonnecchioso, fece quanto richiesto e sparì con i bambini e Prudie su per le scale.
Ross si stiracchiò sul divano, attirando Demelza a se. "Dovremmo andare a letto anche noi".
"Hai sonno?".
"No" - le rispose, con sguardo malizioso. "Amo i nostri figli ma non vedevo l'ora che andassero a dormire!".
Demelza rise, si alzò dal divano e poi gli porse la mano, facendosela stringere da lui. "Sbrigati allora, prima che i bambini cambino idea".
Ross si alzò a sua volta. "Chiuderemo la porta a chiave!".
"Buono a sapersi".
E per mano, salirono al piano di sopra.
La camera era illuminata da uno scoppiettante camino che Prudie aveva acceso poco prima e sei candele poggiate sulla toeletta e sul davanzale davano all'ambiente un'atmosfera ancora più ovattata e riposante.
Ross entrando, si sentì definitivamente a casa. "Finalmente una notte in una vera camera da letto!".
Demelza, sedutasi alla toeletta a legarsi i capelli in una lunga treccia, rise. "In Francia dove dormivi?".
Ross si sedette sul materasso, togliendosi gli stivali. "In camere d'albergo. Che forse saranno eleganti e raffinate ma mai potranno essere come la propria stanza e il proprio letto".
Lei si alzò e lo raggiunse, sedendosi sulle sue gambe. "E' bello averti a casa" - disse solo, baciandolo sulle labbra.
"E' bello ESSERE a casa!" - ribadì lui, di rimando.
Lo abbracciò, godendo di quegli attimi di pace col viso affondato sulla spalla di suo marito. "I bambini sono così contenti, non li vedevo così eccitati a tavola da tanto".
"Sono cresciuti in questi pochi mesi. Mi sembra di essere stato via un secolo, quando li guardo".
"Sono ancora piccoli" - li rassicurò lei. "E nel caso ti sembrassero grandi, a breve ci sarà un piccolo essere umano tutto nuovo a ricordarti cosa significhi avere figli piccoli".
Ross le accarezzò il pancione. "Andrà tutto bene, vero?".
"Giuda Ross, certo! Sìì ottimista".
"Non è una cosa che mi riesce bene, soprattutto quando sono coinvolte le persone che amo".
Gli sorrise, prima di baciarlo. "La Francia ti ha reso più romantico".
Le mani di Ross le accarezzarono i fianchi in modo lento e sensuale. "Sono un uomo che è rimasto lontano dalla sua donna per cinque lunghi mesi e ora non desidero altro che averti e riconquistarti".
"Non mi devi riconquistare" - gli rispose, baciandogli il collo.
"Ma preferisco andare cauto, essere galante e non rischiare di farti arrabbiare".
Demelza parve divertita. "Giuda, stai diventando decisamente saggio! Apprezzo i tuoi sforzi!"
"Buono a sapersi" - sussurrò lui, baciandola a sua volta sulla spalla.
"Eccetto che...".
Demelza alzò il viso di scatto e Ross si bloccò. "Cosa?".
"Avevi detto che avresti parlato con Jeremy di Mary e dell'amore e a tavola non ne hai fatto parola!".
Ross sospirò, accarezzandole il viso. "Parlarne a tavola, davanti a tutti, lo avrebbe solo imbarazzato. Io alla sua età, e anche quando era più grande, mi vergognavo da morire quando mio padre si metteva a parlare di donne e quindi credo che affronterò il discorso con lui quando usciremo in barca, da soli".
Lei rimase davvero stupita da quelle parole. Ross era sempre stato un uomo che agiva d'istinto ancor prima di pensare eppure sembrava cambiato, improvvisamente cresciuto e sicuramente più consapevole delle proprie responsabilità. "Non diventare troppo assennato o rischierai di perdere il tuo fascino" - lo ammonì.
Ross scoppiò a ridere. "Oh, non crucciarti! Credo che potrei ancora fare a pugni con George al Red Lion se mi punzecchiasse a dovere".
Demelza scosse la testa, divertita. "Bene, allora tutto è a posto! E trovo sia una buona idea quella di uscire in barca con Jeremy! Manca solo una cosa...".
"Cosa?".
"Le donne francesi? Come le hai trovate?".
La domanda di Demelza era scherzosa ma detta con un tono malizioso che lo lasciò momentanemente a corto di parole. Era così affascinante e seducente quando ci si metteva... "Le donnine francesi erano piuttosto belle ma...".
"Ma?".
"Ma io e Dwight abbiamo standard troppo elevati e quelle poverine hanno dovuto ammettere la loro sconfitta davanti al fascino femminile inglese".
"Giuda, sei diventato romantico davvero!".
"E se senza giri di parole ti dicessi che voglio fare l'amore con te, mi troveresti ancora romantico?".
Demelza finse di pensarci su. "Non è molto galante ma ti perdono a una sola condizione! Spegni tutte le candele".
"Perché?".
"Perché per quanto le donne inglesi siano più seducenti di quelle francesi, io con questa pancia non mi sento affatto tale. E preferirei il buio".
Ross rise. "Sai vero, che questa è una cosa davvero sciocca?".
Demelza si alzò e indietreggiò fino alla scrivania dove c'erano alcune candele, guardandolo con aria di sfida. "Sarà anche una cosa sciocca ma io le spegnerò lo stess...".
Con un balzo Ross si alzò, prendendola per la vita e sollevandola con la stessa facilità con cui si solleverebbe una piuma. Era incinta eppure era leggera come una libellula e la maternità l'aveva resa ancora più affascinante e seducente. "Il giorno in cui sembrerai una matrona, prometto, te lo farò sapere. Ma quel giorno non è ancora arrivato".
Fingendosi dispiaciuta, Demelza tentò di divincolarsi per sfuggire alla sua presa e raggiungere nuovamente la scrivania. "Questo è un gioco sporco!".
"Sono una spia del governo inglese, che ti aspettavi?".
"Lasciami!".
"Neanche morto!".
"E se urlassi ai bambini di correre quì?".
Lui ricambiò lo sguardo di sfida. "Ho chiuso la porta a chiave, mia cara, ci andrebbero a sbattere contro..." - sussurrò, baciandola sul collo e facendola rabbrividire.
Demelza sospirò, arresa al fatto che lui l'aveva in pugno e che la cosa non le dispiaceva affatto. Quelle labbra sulla sua pelle erano come lingue di fuoco e improvvisamente non sentì più nulla se non la presenza fisica di suo marito finalmente accanto a lei. "L'ultima volta che mi hai portata a letto in braccio, sono rimasta incinta, ricordi?" - sussurrò, raggiungendo le sue labbra.
Ross ricambiò il bacio. "Beh, questa volta decisamente, non corriamo alcun rischio".
La baciò ancora, portandola a letto. La poggiò delicatamente sul materasso, in un gesto veloce si sfilò la maglia e poi la raggiunse, facendo scivolare le mani sotto la sua camicia da notte. Santo cielo, non aveva fatto altro che desiderare tutto questo per mesi...
Attento a non farle male o a farla sentire scomoda, la racchiuse fra le sue braccia baciandola con foga, abbandonandosi all'amore carnale che per troppo tempo non aveva potuto vivere con lei.
E nessuna candela fu spenta...

...

Le braci del camino erano quasi spente ma né Ross né Demelza parevano sentire il freddo.
Nudi, stretti fra le braccia l’uno dell’altro e ancora perfettamente svegli, semplicemente si godevano la vicinanza reciproca e il piacere di essere ancora insieme.
Le mani di Ross, dolcemente, le accarezzavano i capelli e la schiena e lei di rimando gli sfiorava il petto con le dita, perfettamente serena ed appagata da quanto appena vissuto. Per quei cinque mesi era stata solo una madre e la signora di Nampara e ora con Ross era tornata ad essere anche donna e moglie. “Alla fine abbiamo fatto ancora come volevi tu” – sussurrò mollemente, sospirando.
Cosa?” – chiese Ross, appagato quanto lei e desideroso di averla ancora e ancora dopo quei mesi di lontananza, ma timoroso di nuocerle per via della gravidanza.
Demelza sorrise. “Le candele… Alla fine non ne abbiamo spenta nessuna”.
Ross rise, di rimando. “Oh, PER UNA VOLTA l’ho avuta vinta”.
Tu l’hai sempre vinta!”.
In realtà l’ultima parola spetta a te da sempre!” – borbottò lui. “Ma stavolta ho vinto io e non me ne rammarico, amo guardare il corpo di mia moglie mentre faccio l’amore con lei e il fatto che tu sia incinta di certo non ha intaccato la mia attrazione per te, nel caso non te ne fossi accorta”. Era strano, non capiva questo lato del carattere di Demelza… Era una amante appassionata ma in un certo senso timida nel farsi vedere nuda da lui, come se non avesse mai superato qualche strano senso di inferiorità che la attanagliava da sempre.
Una donna incinta non è molto bella da vedere!”.
Non sono d’accordo!” – ribadì lui. “E poi non è naturale? Aspetti il mio bambino, non credi che ne sia felice?”.
Demelza alzò il viso a guardarlo negli occhi. “Non hai più paura? Come una volta, come successe per Jeremy…?”.
Ross divenne serio. “Oh, io ho sempre paura, quale stolto non ne avrebbe? Le incognite sono molte, il destino rimane incerto ma alla fine tu e i nostri figli mi avete insegnato che il risultato finale e la meta valgono ogni attimo di terrore che potrò mai vivere”.
Un movimento del bimbo nel suo ventre fu colto da Demelza come un segno che lui o lei volessero farsi conoscere dal suo papà. Prese la mano di Ross e dolcemente la poggiò nel punto dove il bambino scalciava. “Lo senti? E’ così scatenato, è il più vivace dei nostri figli”.
Il cuore di Ross prese a battere più forte. Suo figlio, che aveva immaginato, pensato, desiderato conoscere per tutti quei lunghi mesi di lontananza era finalmente lì, reale e vicino. Il suo erede nel mondo, come Jeremy, Clowance e come avrebbe potuto essere la sua Julia, il bambino concepito dopo un periodo concitato, pericoloso, difficile, in una notte d’amore e passione totali come lui e Demelza forse non avevano mai vissuto. Senza ombre, senza recriminazioni, senza segreti, senza dolori a dividerli. Il figlio dell’amore maturo, quello vero che non teme confronti… Accarezzò il ventre di sua moglie, rapito dal movimento vivace del piccolo. “Questi sono i calci di una bambina dispettosa e piena di grinta” – sentenziò infine, non immaginando altro che una femminuccia.
Demelza lo guardò divertita. “Bambina? Come lo sai?”. “Oh, io sono molto sensibile al fascino delle donne della mia vita e lei è una bambina! Ne sono certo come sono certo che ci sia una vena di rame ricchissima nei cunicoli inesplorati della Wheal Grace”.
Stai paragonando nostra figlia a una miniera?” – chiese Demelza, scoppiando a ridere.
Anche Ross rise, stringendo a se sua moglie e baciandola sulla spalla. “Lo trovo un complimento per Isabella-Rose”.
Allora ti ricordi il suo nome?”.
Come potrei scordare il nome della nostra bambina?”.
Lei gli prese entrambe le mani nelle sue, intrecciando le loro dita. Il lenzuolo le scivolò dalla schiena lasciandole scoperto il seno e il ventre ma non si sentì imbarazzata. “Le piace la musica, quando è troppo agitata si calma se canto o se suono la spinetta”.
Sarà una cantante, quindi? Niente futuro da minatore, per la mia piccola erede?”.
Demelza rise ancora. “Temo di no!”.
Ross finse di rammaricarsi, ma poi attirò sua moglie a se per baciarla sulle labbra. “Mi sei mancata”.
Demelza si strinse a lui. “Anche tu… Come l’aria…”.
Rimasero stretti abbracciati a lungo, in uno strano silenzio carico di parole non dette che fu Ross a rompere. “Lo avresti mai detto?”.
Cosa?”.
Che ci saremmo amati così, quando ci siamo sposati?”.
Demelza sospirò. “No… In realtà non ci credevo per niente”.
Questo un po’, pur capendolo, lo ferì. “Davvero?”.
Lei alzò le spalle, sentendosi un po’ a disagio a raccontare dei suoi sentimenti in quei primi mesi di matrimonio. Era un argomento in un certo senso difficile e non lo avevano mai affrontato prima. “Eri gentile, buono con me. E questo mi bastava, non potevo aspirare ad altro. Sapevo che non mi amavi quando mi hai sposata e sapevo anche di non poter competere con la donna che allora era nei tuoi sogni”.
Ross si irrigidì, ricordando quanto avesse sbagliato e quanto, pur senza volerlo, avesse fatto soffrire sua moglie. Era un ragazzino in un certo senso, più immaturo della giovane moglie che aveva sposato, un ragazzino che seguiva un sogno adolescenziale perfetto e utopistico non rendendosi conto che era la realtà che aveva accanto la realizzazione di quell’utopia. “Eppure ti sbagliavi perché io mi sono innamorato ben presto di te”.
Demelza scosse la testa. “Forse. O forse no…”.
Che vuoi dire?” – chiese Ross allarmato. “Hai ancora dubbi su di me?”.
Demelza gli sorrise, tornando ad abbracciarlo. “No. Voglio solo dire che per com’era allora, non sbagliavo a pensarla così. Ma il tempo e le cose che sono successe ci hanno fatto crescere e scoprire lati di noi che non conoscevamo. Ci siamo plasmati Ross, a vicenda. Ed è stato bello ma in alcuni momenti anche doloroso, eppure non rimpiango nulla. Nemmeno gli errori, soprattutto gli errori. Miei e tuoi… Perché ci hanno portati qui, adesso, in questo letto, felici e con una bambina in arrivo”.
Ross rimase in silenzio per lunghi istanti, pensando al significato della parola ‘errori’. Demelza aveva parlato al plurale, degli errori di entrambi e sia lui che lei erano consapevoli che c’erano nel loro rapporto zone d’ombra su cui era meglio non far luce. Ma in fondo, era così importante sapere tutto? Ross sapeva quanto bastava di Demelza, che era la donna giusta per lui, il suo amore, non il primo della sua vita ma quello di tutta la vita, che era una madre amorevole e che era una donna buona, gentile e dall’animo puro. E che la amava e sapeva che lei lo amava con altrettanta passione. C’era davvero bisogno di sapere altro? No, perché quell’altro erano le manchevolezze umane che ogni persona possiede, che ci rendono forse fallibili ma terreni, capaci di cadere e rialzarsi. E lui amava Demelza come lei amava lui ed entrambi avevano fatto loro i pregi e i difetti di ognuno, accettandoli e sì, anche custodendoli come facenti parte di se stessi. Forse lui avrebbe sbagliato ancora, forse lo avrebbe fatto lei ma la cosa certa era che tutti e due, in quel momento, non avrebbero voluto andare avanti da soli ma fermarsi, tendere la mano a chi era caduto per poi proseguire insieme. “Sai una cosa, amore mio? Hai ragione, in fondo che importa di cosa è stato? Ci ha portati qui, a questo momento. E Demelza, questo momento è tutto quello che voglio”.
Lei lo baciò, con dolcezza ma anche passione. “Anche io Ross, anche io…”.


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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


Ross aveva passato i primi giorni a sistemare faccende burocratiche e a dare un occhio a conti e libri contabili con Pascoe e ai documenti della Wheal Grace assieme a Zachy. La sua miniera prosperava, i furti che l’avevano vista coinvolta prima della sua partenza erano cessati, Tess era sparita dalla faccia della Cornovaglia e Jacka sembrava aver trovato il luogo adatto alle polemiche nelle osterie più a buon mercato della zona dove per pochi penny poteva ottenere Gin e un luogo dove sproloquiare senza che nessuno facesse caso a lui.
Nel frattempo si era anche riappropriato delle abitudini famigliari a lui più care: svegliarsi al mattino col chiasso fatto da Prudie e dai bambini, il saluto sonnecchioso a sua moglie sempre più incinta, la colazione, i lavori della fattoria, osservare i bambini che andavano a scuola da Rosina, l’andirivieni dalla sua miniera, il profumo della cena sul fuoco e la serata o a chiacchierare davanti al camino o in camera, desideroso solo di stare con Demelza. Avevano organizzato anche delle allegre cene con i suoi cognati e le loro famiglie, si era divertito a conoscere meglio la sua nipotina Loveday pregustando quando avrebbe avuto in braccio Isabella-Rose, avevano cenato con Dwight e Caroline e ogni cosa era tornata al suo posto tranquillo e sereno.
Dopo dieci giorni dal suo ritorno, finalmente era riuscito a ottenere una giornata totalmente libera da impegni e aveva organizzato di uscire in barca al mattino con Jeremy per quella famosa chiacchierata sulle ragazze che gli aveva chiesto di fare Demelza. E al pomeriggio avrebbe portato Clowance in miniera. La bambina sembrava davvero attratta da quel luogo che gli appariva misterioso e voleva esplorare con lui i cunicoli. Aveva promesso a Demelza che l’avrebbe accompagnata semplicemente la primo livello, il più semplice e sicuro e che non l’avrebbe persa di vista nemmeno un secondo. In realtà lo divertiva il temperamento vivace e assolutamente anticonvenzionale di sua figlia che aveva l’aspetto di una bambolina ma la forza di volontà e la sfacciataggine tipica di un Poldark che sa cosa vuole, lo chiede e se non lo ottiene, lo pretende. A volte, osservando i suoi figli, si chiedeva come sarebbe stata Julia. Era una bambina placida e tranquilla, diversa da Clowance, ma chissà che temperamento avrebbe avuto, crescendo… Ora avrebbe avuto quattordici anni, l’età in cui lui aveva conosciuto Demelza, sarebbe stata una ragazzina e forse avrebbe vissuto il periodo dei primi amori in modo più consapevole di Jeremy e lui si sarebbe fatto il fegato amaro vedendola crescere ed allontanarsi.
Ma tutto questo non lo avrebbe mai saputo e Julia sarebbe rimasta sempre la dolce bambina paffuta che la sera amava giocare sulle sue ginocchia.
Ma ora c’erano altri figli che crescevano e in ricordo di quella bambina persa, doveva essere un buon padre per i suoi fratelli.
Era ancora l’alba e il cielo era rosato quando con Jeremy, felice come una Pasqua, spinse la barca in acqua assieme a lui. “Avresti preferito andare a pescare coi tuoi amici? O… con Mary? – gli chiese a bruciapelo, mentre prendevano il largo.
Allegramente, non cogliendo il senso di quell’allusione, Jeremy saltellò sulla barca sedendosi davanti a lui che remava. Indossava dei semplici pantaloncini lunghi fino al ginocchio e una camicia bianca e Ross, osservandolo, si rese conto che man mano stava perdendo le fattezze da bambino assumendo quelle di un ragazzino. “No, io volevo venire con te! Non ci andiamo mai insieme, sei sempre lontano”.
Jeremy aveva fatto quelle affermazioni con leggerezza, ma Ross si sentì terribilmente in colpa perché era vero. Londra e il Parlamento prima e adesso anche il suo impiego come spia per il Governo lo tenevano lontano da casa a lungo, troppo a lungo… E Jeremy non era poi così piccolo per non accorgersene. “Mi dispiace” – disse solo, chiedendosi se un giorno, crescendo, Jeremy glielo avrebbe rinfacciato con più veemenza.
Il bambino lo fissò per un attimo, dubbioso su cosa dire. “Mamma dice che lo fai per noi, per rendere il mondo un posto più bello per me e Clowance”.
Ross sorrise, Demelza a volte era fin troppo comprensiva verso le sue mancanze e lui era consapevole di averne avute molte nei confronti della sua famiglia nel corso degli anni. Soprattutto verso Jeremy, che aveva accolto a fatica nel suo cuore e che era nato in un momento burrascoso del suo matrimonio dove aveva gettato via quasi tutto inseguendo un sogno che lo aveva portato quasi a non vedere più la sua famiglia e quanto avessero voglia di averlo vicino. Jeremy era il figlio che lo aveva avuto meno di tutti, quello che si era trovato a vivere sulla sua pelle grossi momenti di crisi fra lui e Demelza, quello che più di tutti lo aveva visto galoppare via lontano da Nampara. Ma Ross sapeva di amarlo, sapeva di volere il meglio per lui e anche se a volte era il suo desiderio di avventura a portarlo lontano, ora era anche consapevole di quanto quello che faceva avrebbe reso il futuro dei suoi figli un po’ migliore. “Lo pensi anche tu, vero?”.
Jeremy si fece serio. “A volte…”.
Cosa?”.
A volte pensavo che non mi volevi molto bene”.
Jeremy lo disse arrossendo, quasi fosse in imbarazzo lui stesso nel dire quelle parole. E Ross si sentì di nuovo in colpa e decisamente più consapevole del suo ruolo di padre molte volte, troppe volte assente. E si maledìì per non essere riuscito a fare di più con lui. “Non è così e spero che tu lo capisca”.
Lui annuì. “Sei un eroe?”.
Vorrei esserlo ma in fondo sono solo una persona normale”.
Io dico ai miei amici che lo sei”.
Ross allungò una mano a prenderlo sulle sue ginocchia. “Lo pensi sul serio?”.
Sì. E adesso ho capito che gli eroi devono anche fare cose grandissime e quindi non possono sempre stare comodi a casa. Lo so che mi vuoi bene, anche a mamma e a Clowance. E a Garrick e a Prudie un pochino”.
In quell'istante Ross fu molto grato che ci fosse Demelza accanto ai bambini. Sopperiva a tante sue assenze, cresceva i bambini al meglio, felici e facendoli sentire amati ed era capace di renderlo migliore sia come persona che agli occhi dei suoi figli. In realtà non era un eroe, non si sentiva tale e aveva compreso di essere assolutamente imperfetto in tante cose ma sentire quelle parole da suo figlio gli riempì d'orgoglio il cuore perché era vero, amava la sua famiglia più di qualsiasi altra cosa e questo non sarebbe mai stato messo in discussione. "Sai che faremo? Insomma, a volte c'è poco tempo per stare insieme ma se lo passiamo al meglio, recupereremo i momenti in cui siamo stati lontani".
Jeremy sembrò convincersi di quella proposta. "Come una squadra?".
"Cosa?".
"Lo dice sempre la mamma. Siamo una squadra noi Poldark di Nampara".
Quel riferimento diede a Ross la scusante per agganciarsi al discorso che intendeva fare a suo figlio. "Esatto! Tu, io, Clowance e il fratellino o sorellina in arrivo. O come te e Mary quando siete insieme".
Jeremy spalancò gli occhi. "Io e Mary?".
Sembrava imbarazzato e Ross si accorse che doveva proseguire con prudenza per evitare che suo figlio si chiudesse in se stesso. Non erano molte le occasioni in cui aveva parlato con lui da uomo a... quasi uomo e quindi gli veniva complicato capire quale fosse il modo giusto per raggiungere la coscienza di suo figlio ed ottenere la sua attenzione. Spesso aveva fatto discorsi e paternali a Geoffrey Charles ma con Jeremy era un campo ancora inesplorato e questo lo rendeva dubbioso e timoroso. Il tempo era passato troppo in fretta dannazione, dalla nascita di suo figlio! "Tu e Mary, quando giocate insieme o uscite in barca, non siete una squadra?".
"No, lei fa remare solo me!".
Ross scoppiò a ridere. "D'accordo, forse è giusto così, è una questione di buona educazione con una donna! Ma intendevo che dividi il tuo tempo con lei e quindi insieme, siete una squadra".
Jeremy sembrò dubbioso. "Porta sempre il pane e la marmellata quando la vedo, il pomeriggio. E facciamo a metà! Significa essere una squadra?".
Ross si grattò la guancia pensando che in fondo Jeremy era davvero, ancora, solo un bambino e forse si stava preoccupando per niente. "Ehm... sì! E ti piace?".
"La marmellata?".
"No, Mary!". Santo cielo, quanto era complicato...
Il bambino sospirò, poi con la mano smosse un pò d'acqua facendola dondolare dalla barca. "Sì, quasi sempre. A volte meno, a volte tanto. Ma mi fa sentire strano certe volte quando lei c'è".
"Strano in che senso?".
Jeremy ci pensò su, come a cercare le parole. "Fisicamente strano".
Ross per poco, a quelle parole, non si cappottò dalla barca. Che intendeva per FISICAMENTE? Jeremy aveva solo undici anni, non era ancora il tempo per certe... pulsioni... Giusto? Vero? E nemmeno lui era pronto per affrontare certi argomenti e Giuda, appena giunto a casa avrebbe fatto giurare a Demelza che avrebbe affrontato lei certi discorsi con Clowance anche perché lui non ne sarebbe uscito vivo da quella gita in barca. Avrebbe voluto essere ovunque, in Francia in arresto o a Hyde Park a sfidare Monk, sarebbe stato tutto più semplice che quello... "Fisicamente... In che senso?" - chiese, con terrore.
Jeremy si toccò lo stomaco. "Mi fa un pò male quì quando la guardo".
Ross tirò un sospiro di sollievo. "Solo lì?".
"Sì, che altro dovrei sentire?".
"NIENTE, NIENTE!!! E'' tutto normale, sta tranquillo". Ross guardò il cielo ringraziando tutti gli dei della volta celeste per aver allontanato da lui almeno per un pò un discorso fra uomini un pò più intimo.
Ma la sua gioia durò poco.
"Papà".
"Sì".
"Posso chiederti una cosa?".
"Certo".
Jeremy arrossì. "Il mio amico Jimmy Been dice che suo fratello grande gli ha raccontato che i maschi e le femmine grandi fanno cose strane quando sono da soli. Dice che si mettono tutti nudi e... Papà, dice cose che mi sembrano davvero disgustose e brutte da fare".
Ecco, ora forse era il momento di cappottarsi in mare sul serio. E ora come diavolo ne usciva? Era normale, certo, molti ragazzini all'età di Jeremy iniziavano a scambiarsi in modo fantasioso informazioni sull'intimità. Era un passaggio dovuto e una curiosità sana e di certo era normalissimo che le conclusioni a cui arrivavano a una età così acerba fossero ancora distorte, ma al diavolo, cosa doveva dire??? Perché non se n'era rimasto in Francia ancora un pò, dannazione a lui? Dov'era Dwight quando serviva? E come doveva rispondere? Mentire? No, avrebbe reso Jeremy ancora più curioso di quel mondo sconosciuto e l'avrebbe forse potuto percepire come qualcosa di morboso e sbagliato. Essere onesto? Beh, sì, ma considerando che aveva davanti un bambino ancora undicenne che da quel discorso avrebbe iniziato la sua vera crescita per diventare un uomo. Aveva una grossa responsabilità davanti e per la prima volta forse si rese conto di quanto difficile fosse essere padre. "Credo che il tuo amico abbia detto una mezza verità".
Jeremy spalancò gli occhi. "Qual'è la mezza verità vera?".
Ross prese un profondissimo respiro, cercando di essere ciò che suo padre non era stato per lui. Joshua era stato fin troppo esplicito con certe spiegazioni e ai tempi aveva ottenuto solo di farlo imbarazzare. Ma non voleva che succedesse anche fra lui e Jeremy e pur omettendo qualcosa, voleva essere sincero. "Gli uomini e le donne grandi hanno una loro vita intima e di coppia che rende ancora più profonda la loro unione. Questa è la parte vera. Quella falsa è che non è vero affatto che è una cosa disgustosa".
Jeremy sbiancò, deglutendo. "Anche tu e mamma...?".
Ross gli prese la mano, invitandolo ad avvicinarsi. "Beh, sei grande abbastanza per capire che io e la mamma non siamo solo la tua mamma e il tuo papà. Prima di voi figli, noi siamo stati e ancora siamo soprattutto una coppia. Siamo un uomo e una donna che si amano, due sposi, la mamma è mia moglie, la mia migliore amica, la mia compagna e io sono altrettanto per lei. Esiste un mondo oltre a quello che tu e Clowance vedete e quel mondo, intimo e che appartiene solo a due persone che si amano, rende ancora più profondo un legame. Donarsi l'uno all'altra non è una cosa sporca o brutta ma al contrario, una delle più belle che la vita ti regalerà. Ora sei piccolo, questo mondo non ti appartiene ancora e non ti apparterrà per anni, non devi vivere nulla finché non sarai grande abbastanza per renderti conto di quanto amare una donna sia speciale ma capirai, col tempo, che ho ragione".
Jeremy, imbarazzato, annuì. Rimase in silenzio alcuni istanti ma poi alla fine alzò il viso, sorridendo. "Posso non pensarci, adesso? Mi fa impressione".
"Assolutamente non devi pensarci!".
"Posso solo giocare con Mary e andare in barca con lei e fare merenda con il suo pane e marmellata?".
"DEVI fare solo questo".
Jeremy sospirò, rinfrancato. "Per fortuna. E posso anche pensare che tu e la mamma siete solo il mio papà e la mia mamma senza altro?".
Ross gli accarezzò i capelli. "Non devi farti domande, per te io e la mamma siamo noi, quelli che siamo sempre stati. Il resto è qualcosa che non ti appartiene e che ti apparterrà da grande, quando amerai qualcuno come io amo la mamma".
Jeremy annuì e poi, ridendo, prese la canna da pesca. Era decisamente stanco dei discorsi seri e si sentiva un pò strano dopo quel discorso, come se per la prima volta vedesse sotto una luce nuova i suoi genitori. Ma anche decisamente più sereno. "Papà, se non peschiamo, mamma ci sgrida! Che si mangia a pranzo se torniamo senza niente?".
"Oh, hai perfettamente ragione! E non posso certo portare tua sorella alla Wheal Grace a stomaco vuoto".
Jeremy rise. "Clowance se non mangia, diventa più brontolona di Prudie".
"Tua sorella ama il cibo!".
"Come tu ami la mamma?".
Ross rise di nuovo. Era un bambino sveglio ma dai modi simpatici e gentili, schietto ma educato, furbo ma ancora piccolo per tanti aspetti del suo carattere. "Sì, più o meno".
Jeremy lo fissò incuriosito, facendo alla fine un'ultima domanda. "Papà, quelle cose che fanno gli uomini e le donne grandi, da soli, poi fanno nascere i bambini?".
Ross sorrise. "Sì" - rispose, semplicemente. Perché mentire?
Jeremy si rasserenò del tutto. "E allora ti credo, se siamo nati noi allora è una cosa bella davvero".
Ross si sentì orgoglioso di se stesso e forse lo sarebbe stata anche Demelza quando glielo avrebbe raccontato. "Esatto. Hai altre domande?".
Jeremy scosse la testa e Ross comprese che forse, per qualche anno, poteva stare tranquillo. Per altri discorsi complicati c'era decisamente tempo...
E rasserenato, raggiunse una caletta che pullulava di pesci, godendosi finalmente del tempo con quel figlio troppo a lungo tenuto lontano, ricordando la sua nascita e come si era annunciato al mondo, proprio su quella barca dove Demelza era entrata in travaglio. Un cerchio si chiudeva, in un certo senso. La storia che era iniziata su quella barca dando la vita al suo bambino, ora lo vedeva fare i primi timidi passi nel mondo dei grandi segnando un altro passaggio della sua esistenza. E Ross era fiero di esserci, stavolta.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


La gravidanza di Demelza era ormai agli sgoccioli e il parto avrebbe potuto avvenire da un giorno all'altro.
Ross aveva passato le settimane dividendosi fra la Wheal Grace al mattino e il lavoro nei suoi campi il pomeriggio dove, con Prudie e i bambini, aveva raccolto il grano e preparato i terreni per le successive culture.
Demelza si era occupata, impossibilitata a lavorare fuori a causa del suo pancione, a preparare pranzi e cene per tutti e a fare conserve da consumare in inverno quando, con un neonato in casa, avrebbe avuto meno tempo per fare questo genere di cose.
Quella mattina, dopo l'alba, con la piccola Clowance Ross si era recato a Truro per degli acquisti richiesti da Demelza per il bimbo in arrivo e per il parto. Jeremy si era rifiutato di venire, aveva detto che erano cose da femmine e che avrebbe preferito stare a casa a finire di sistemare il grano e così, con un lista scritta di proprio pugno dalla moglie, padre e figlia si erano recati al mercato in cerca di lenzuola nuove, spugne, stoffe per cucire pannolini e abitini e sapone per il bucato e per lavare il piccolino appena fosse nato. Dwight gli aveva consigliato un sapone molto delicato e particolare e Ross sapeva bene che i consigli del suo amico erano legge e andavano seguiti, soprattutto quando si trattava di salute.
Con Clowance che gli teneva la mano e saltellava contenta non smettendo di chiacchierare, Ross riuscì a trovare tutto l'occorrente nel giro di un paio d'ore e poi, pieno di borse e pacchetti, aveva portato la figlia a fare uno spuntino in una locanda che vendeva dolciumi.
Così come gli era piaciuto stare in compagnia di Jeremy in barca, allo stesso modo si godeva il tempo con Clowance che era vivacissima, era dotata di una lingua tagliente ed era curiosa e poco incline alle regole come era sempre stato lui. Quando ce l'aveva portata, alla Wheal Grace si era intrufolata in ogni cunicolo che le era capitato a tiro, sporca di polvere aveva esultato con Zachy per un filone di rame trovato mentre lei era lì e quella mattina non era stata zitta un attimo nel tentativo di convincerlo di quanto la sua bambola avesse bisogno di vestitini nuovi.
"Papà, ci vogliono vestiti estivi! La mia bambola ne ha solo di lana e ora sarà estate!".
Ross rise mentre, con la piccola per mano, si avvicinavano alla locanda dove fare lo spuntino. "Dicono che le bambole siano freddolose, lasciamola vestita così o le verrà il raffreddore".
"Dicono sbagliato, sono voci falsissime!".
"Diremo allora a mamma, con la stoffa che le avanza, di fare qualche abitino anche alla tua bambola".
Clowance annuì. "Giura!".
"Giuro!".
La bambina sorrise e riprese a saltellare contenta quando, davanti alla porta della locanda per poco non si scontrarono con un uomo e un bambino che vi uscivano. Due figure che non vedevano da tanto e che Ross di certo conosceva benissimo, tanto da fargli pensare a quanto il destino fosse capriccioso e dispettoso. "George? Valentine?" - esclamò, spalancando gli occhi e sentendo un nodo in gola nel rivedere quel bambino a cui si era imposto di non pensare e che sperava di non rivedere più, come aveva promesso prima di partire per la Francia.
Anche Clowance lo riconobbe. "Papà, lo ricordi? Lui è Valentine, è venuto a casa nostra!".
Anche George si irrigidì, colto totalmente di sorpresa. Guardò Ross e nonostante i loro rapporti fossero migliorati dopo l'affare coi francesi e l'inaspettata collaborazione che li aveva uniti, decise che era meglio mantenere le distanze. Per lui, per Ross, per tutto... "Ross Poldark!" - disse, a mento alto - "I francesi non ti sopportavano più e ti hanno rispedito quì?".
Ross mascherò un sorriso, in fondo così George rendeva tutto più semplice. Non si erano più rivisti dalla sua partenza e Demelza gli aveva detto che effettivamente, dopo aver lasciato Trenwith, né lui né nessun altro Warleggan si era più fatto vedere e tutti si erano trasferiti a Londra oppure, appunto, lì a Truro quando c'erano da seguire gli affari locali. "I francesi sono noiosi e come sai, amo la vita movimentata. Quì posso mantenermi in forma! Tutto a posto? Hai occupato come si deve il tuo seggio a Westminster?".
"Ovviamente! E tu? Hai salvato la nazione da qualche altro tentativo di invasione?".
Ross ridacchiò. "In realtà devo ammettere che il mio incarico è stato di una noia mortale!".
George addocchiò i mille pacchetti che teneva in mano. "E' per questo che hai cambiato mestiere e ti sei messo a fare il facchino?".
Ross alzò le spalle. "Potrebbe essere un'idea o un buon modo per arrotondare le entrate ma in realtà sto solo facendo delle commissioni per conto di mia moglie".
George alzò un sopracciglio, piuttosto divertito dal vedere il suo eterno rivale nei panni di domestico agli ordini della moglie che un tempo era stata la sua domestica. "Capisco!" - commentò, in tono sarcastico.
Clowance, stanca di quel chiacchierare, si rivolse a Valentine. "Non sei più venuto a giocare a casa mia".
Valentine osservò Ross in modo apparentemente ostile. Era cresciuto di qualche centimetro dall'ultima volta che lo aveva visto e il suo viso sembrava serio e decisamente poco contento e gioioso. Sembrava annoiato da quella passeggiata col padre e in effetti una mattinata con George Warleggan non doveva essere l'apoteosi del divertimento per nessuno, tanto meno per un bambino di otto anni...
George rispose alla bambina per conto del figlio. "Perché non c'è motivo per cui Valentine venga a casa tua, bambinetta! E' tua figlia?" - chiese a Ross.
"Miss Clowance Poldark in carne ed ossa".
George sospirò. "I Poldark son sempre troppi e stanno zitti troppo poco. Ma devo ammettere che è graziosa".
Ross osservò Clowance strizzandole l'occhio. "Prendilo come un grandissimo complimento, cosa di cui George è avaro".
"Cavaliere George Warleggan!" - lo corresse il suo rivale, tronfio del titolo acquisito.
"Cavaliere..." - ripeté Ross, sospirando.
Clowance lo osservò in cagnesco, non convinta da quell'affermazione. "Cavaliere? E dov'è la vostra spada, signore? I cavalieri VERI ne hanno una! E un cavallo bianco e un'armatura!".
Stizzito, George alzò ancora di più il mento. "Non mi serve niente di tutto questo! E tu non hai modi garbati e sei insolente! Ma d'altronde con una famiglia così...".
Ross rise ancora, in fondo si stava divertendo e, poteva scommetterci, pure George. "E la famiglia a breve sarà ancora più grande. Sarete circondato da Poldark ovunque vi muoviate!".
George ci mise un attimo a capire a cosa Ross alludesse ma poi, dopo qualche istante di sorpresa, riprese il suo solito e sprezzante cipiglio. "Prospettiva terrificante. Ma sono un gentiluomo e quindi mi sento in dovere di farti gli auguri".
"Auguri accettati" - rispose Ross apprezzando lo sforzo, soprattutto perché George con le sue chiacchiere gli stava rendendo più semplice cercare di evitare di concentrarsi sulla presenza del piccolo Valentine che, coi suoi ricci neri e i suoi occhi scuri era forse la rappresentazione vivente più evidente del più grande errore della sua vita. Ogni notte pregava che non fosse così, che semplicemente il bambino avesse preso i colori di Elizabeth ma in cuor suo sapeva che quel sospetto che in troppi covavano, era fin troppo vicino alla realtà.
George, incurante o forse volutamente indifferente ai suoi pensieri, riprese la parola. "Quindi la... domestica... è di nuovo incinta. In fondo per le donne del popolo è una condizione naturale che non desta preoccupazione, a differenza di quanto accade per le delicate donne di buona famiglia".
Improvvisamente il fantasma di Elizabeth e la sua morte si materializzò fra loro e Ross impallidì, ricordando quel giorno terribile, quel corpo giovane ormai senza vita steso su quel letto e quanto ne era conseguito per i suoi figli. Forse George voleva, a modo suo, infondergli tranquillità, ma in realtà le paure che Ross provava per Demelza erano reali e decisamente collegate anche a quel giorno. "Mi auguro che sia così, anche se lo sai anche tu che il parto è una incognita che fa paura".
George abbassò il viso. "Immagino di sì. Ma nel tuo caso, suppongo che andrà tutto bene".
"Come fai a dirlo?".
George fece un ghigno di scherno. "Ti va SEMPRE tutto bene, in un modo o nell'altro".
Stanco di quel discorso e di rimanere ai margini senza che nessuno gli prestasse attenzione, dopo aver scalciato un sasso lontano, Valentine strattonò il cappotto di Ross e lo fronteggiò a viso duro. "Avevate detto che potevo venire a trovarvi a casa vostra e alla vostra miniera! E invece io sono andato via e anche voi!".
Gli occhi di Clowance scrutarono il padre con curiosità e anche George si irrigidì, attento a valutare la risposta che avrebbe dato al bambino.
Ross deglutì e poi osservò quel piccolo essere umano che portava il cognome Warleggan ed era meglio che fosse così. Per tutti e per sempre! Per Valentine in primis e poi per George, per Ursula, per Geoffrey Charles. Quella notte doveva rimanere un segreto che nessuno doveva rivelare anche per rispetto al ricordo di Elizabeth... E poi, soprattutto, per il bene della sua famiglia, di Demelza che aveva sofferto senza meritarsi quel torto, per i suoi bambini. Quella notte era passata e tutto ciò che ne era conseguito aveva trovato una sua collocazione nel mondo che non doveva essere sovvertita. Si sforzò di sorridere e poi, con un gesto gentile, accarezzò i ricci neri di Valentine. "Beh, io lavoro molto spesso lontano e anche tu ora vivi in bellissime case lontane da Nampara. E per quanto riguarda la miniera... E' a tuo padre che dovresti chiedere consigli ed è con lui che dovresti andare ad esplorarle. Lui ha le miniere più grandi e funzionanti di tutta la Cornovaglia e la Wheal Grace è un granellino di sabbia al loro confronto. Ed è un maestro a farle funzionare al meglio, se chiederai a lui avrai il migliore fra i maestri. Io sono solo un dilettante".
George rimase spiazzato da quelle parole ma con uno sguardo gli comunicò un muto ringraziamento. Quell'aiuto inaspettato da Ross, quelle parole che una volta lo avrebbero gonfiato come un pavone e fatto gongolare fino allo sfinimento, ora erano un balsamo per il suo animo tormentato e per il suo ruolo di padre che molto aveva sbagliato e che troppi dubbi e paure nutriva nei confronti di quel figlio che non gli somigliava per niente. Ma fu grato a Ross soprattutto per il senso di quelle parole e per l'effetto che avrebbero avuto su Valentine nel giudicarlo da lì in futuro. Ross era autorevole agli occhi del bambino e quanto detto avrebbe agevolato il rapporto fra loro più di qualsiasi azione lui avrebbe potuto intraprendere. Lui lo aveva aiutato con Hanson e i francesi e con quelle parole Ross risanava il suo debito nei suoi confronti. "Bene Ross, ammetti la mia superiorità!".
"Ovviamente...".
George picchiettò sulla schiena di Valentine. "Sentito! Hai a disposizione il maestro migliore, non accontentarti dei dilettanti".
Ross sospirò, sentendosi in pace con se stesso per aver fatto la cosa giusta anche se lo sguardo di Valentine non sembrava convinto. Lo ignorò, come era giusto che fosse. "Ora devo andare, mia moglie mi aspetta per pranzo".
George annuì. "Io anche...". Poi osservò Clowance. "E tu, impara a tenere a freno la lingua se non vuoi diventare impertinente come tuo padre".
Clowance sbuffò, senza remora di essere notata. "Mamma dice che bisogna dire sempre cosa si pensa".
George la guardò storto. "Oh, immagino. Tua madre non è campionessa di buone maniere".
"Mamma è la migliore! E anche la Wheal Grace e il mio papà".
Prima che la situazione degenerasse, Ross prese per mano la piccola, trascinandola via. "Ci vediamo a Westminster".
George si allontanò con Valentine. "Tornerai a breve?".
"Non a breve" - ammise Ross - "Sono stato lontano troppo a lungo e ora voglio rimanere a casa e godermi la mia famiglia e i miei figli".
"Capisco..." - rispose George, trascinando via Valentine. "Buona giornata".
"A te" - rispose Ross, riprendendo la strada per casa a ritroso.
Clowance, imbronciata, picchiò a terra il piedino. "Papà, il papà di Valentine è antipatico! E Valentine è cattivo".
Ross sorrise, sua figlia era così combattiva e irriverente... "E' QUASI meglio di quel che sembra. E Valentine non è cattivo".
"Sì he lo è! Quando è venuto a scuola da zia Morwenna, ha fatto piangere Bessie Been".
Ross sospirò. "Sono sicuro che non l'ha fatto apposta".
"Invece sì" - ribadì la bambina, sicura.
Ross non le rispose, deciso a non dire più nulla di Valentine. Era un Warleggan ed era responsabilità di George crescerlo. Nel bene e nel male...
E quasi leggendogli nel pensiero, Clowance proseguì nella sua invettiva. "Suo papà dovrebbe insegnargli a fare il bravo!".
Suo papà... Già, suo papà... E Ross sentì stringersi il cuore.

...

Tornarono a casa prima di pranzo, trovando Demelza che piegava alcuni vestiti dei bambini.
Clowance le corse incontro e Demelza la abbracciò, prima di mandarla a lavarsi le mani e prepararsi per pranzare.
Ross poggiò sul tavolo pacchi e pacchetti. "Credo di essermi superato e di essere ormai pronto a fare la massaia e la spesa per tutta casa!".
"Hai trovato tutto?" - chiese Demelza, avvicinandosi al tavolo con la curiosità di sbirciare nei pacchetti.
"Tutto!".
"Clowance ha fatto la brava?".
"Sì, ma ho dovuto prometterle che cucirai come se non ci fosse un domani degli abiti nuovi per le sue bambole".
Demelza sospirò, poi lo baciò sulle labbra. "Oh, fantastico! Fra una poppata e l'altra non mi annoierò".
Ross sorrise, ma di un sorriso forzato. L'incontro con George e Valentine e il ricordo della morte di Elizabeth riportavano in vita antichi fantasmi e vecchie paure e Demelza era così vicina a partorire che... E se fosse successo qualcosa di brutto? Se qualcosa fosse andato storto? Se l'avesse persa?
A quei pensieri, d'istinto la abbracciò, baciandola sulla nuca. E Demelza reagì ricambiando l'abbraccio ma fissandolo con aria interrogativa. "Ross, va tutto bene?".
"Sì, perché?".
"Sei strano...".
"Semplicemente, esprimo affetto per mia moglie...".
"Ross!". No, Demelza non era affatto persuasa da quella spiegazione...
Lui sospirò, poi si sedette sulla sedia. "Sai, a Truro abbiamo incontrato per caso George e Valentine e...".
Lo sguardo di Demelza si fece serio ed impallidì impercettibilmente come succedeva ogni volta che sentiva quei nomi. Che era successo? "Avete litigato?".
Ross scosse la testa. "No, in realtà è stata anche una conversazione piacevole. Strana... ma divertente".
"Ottimo".
"Però...".
Demelza deglutì. "Però cosa?".
Ross le prese le mani, stringendole forte. "Mi è venuta in mente Elizabeth e la sua morte e questo mi ha ricordato che ho paura. Per te e per quello che sta per succedere".
Demelza sorrise dolcemente, rendendosi conto che le paure di Ross erano tutte per lei e che il ricordo di Elizabeth non era più una minaccia per loro da molto. Gli accarezzò la guancia, lo baciò e poi gli stropicciò scherzosamente i capelli. "Giuda Ross, mi sento un leone! Andrà tutto bene e io mantengo sempre la parola data. Non avere pensieri brutti, non è il caso".
Ross rispose al sorriso, appoggiando il capo contro la fronte di sua moglie. "Sono uno sciocco?".
Lei rise. "Sì... Ma sei uno sciocco dolce e che amo". Avrebbe voluto chiedergli di Valentine ma sapeva che Ross non amava affrontare quell'argomento e in fondo, insieme e in un tacito accordo, avevano scelto di non farlo più. Per Ross era doloroso quanto per lei e non c'era motivo di scoperchiare coperchi che tenevano celate verità pericolose.
E poi...
E poi in quel momento non poté dire nulla. Sentì un dolore sordo al ventre e alla schiena, schizzò in piedi e sotto di lei comparve una pozza d'acqua che scendeva dalle sue gambe. "Giuda!".
Anche Ross scattò in piedi. "Che c'è?" - chiese, nel panico.
"Ho rotto le acque, corri a chiamare Prudie!".
"Sei sicura?".
"Giuda, sto per allagare il nostro salotto! Ross, sbrigati!!!" - gli urlò.
Lui, in panico, guardò verso la porta. "E' colpa mia? Ti ho agitato?".
Demelza sbuffò, in fondo era pure una situazione buffa a modo suo. Si appoggiò al tavolo, prese un profondo respiro e poi rispose. "Sì, nove mesi fa è stata colpa tua ma non ho voglia di parlarne adesso. Corri a chiamare Prudie! O Dwight!!!".
"Ora?".
"Ora!" - urlò lei - "Tua figlia sta per nascere!".

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


E con questo capitolo, auguro a tutti una serena Pasqua e Pasquetta.

"Torno subito".
Con un bacio, portando con se i bambini perché non rimanessero soli in salotto, Ross era corso a Killawarren a chiamare Dwight e Demelza si era fatta aiutare da Prudie a salire in camera, a cambiarsi d'abito indossando una comoda camicia da notte e a mettersi a letto.
A differenza dei parti precedenti, molto veloci, questa volta le contrazioni erano violente ma più prolungate l'una dall'altra e Demelza poteva riprendere così fiato anche se temeva che questo significasse un parto più lungo.
Con dei gesti gentili, Prudie le asciugava il sudore dal viso e cercava di tranquillizzarla. "Ho preparato lo stufato per stasera. Sarebbe carino riuscire a cenare tutti insieme ragazza, dopo tutta la fatica che ho fatto. Vedi di sfrattare in fretta questo signorino o signorina o Prudie si sentirà offesa".
Demelza, nonostante tutto, rise. "Ross dice che sarà una bambina".
Prudie le strinse la mano. "Una piccola peste come Clowance...?".
"Magari sarà più tranquilla".
"O magari ancor più rumorosa" - sbottò la domestica, fingendosi disperata anche se Demelza lo sapeva, adorava i piccoli di Nampara.
Una nuova contrazione la colse lasciandola senza fiato. "Giuda Prudie, ho partorito otto anni fa e non ricordavo fosse così complicato e doloroso. O forse, sto diventando vecchia e non sopporto più come prima il male" - mormorò, rannicchiandosi fra le coperte.
Prudie le accarezzò i capelli, percependo a pelle il dolore della sua padrona. "Sciocchezze, il signor Ross dice che siete ancora una ragazzina e in effetti è così. E' che i bambini Poldark sono dispettosi e complicati e questi sono i risultati".
In quel momento, trafelato, entrò Dwight. Vestito solo con la camicia, coi capelli spettinati, corse da lei seguito da Ross che era pallido come un cencio. "Demelza, sono quì. Ci siamo, è?" - esclamò il medico, appoggiando la sua borsa sul comodino.
Demelza annuì, mettendosi composta sul cuscino. "Già, pare di sì". Poi guardò Ross. "Lui che ci fa quì? Ross, sparisci!".
Il marito le si avvicinò. "Demelza...".
Giuda, non voleva che lui la vedesse in quelle condizioni. "Ross, vattene!".
"Voglio... voglio solo essere... voglio..." - balbettò, spaventato come uno scolaretto al primo giorno di scuola. La comprendeva, sapeva che aveva un pessimo rapporto col suo corpo quando si trattava di gravidanza e parto ma lui la vedeva come sempre, come sua moglie, la sua amante, la sua compagna e la madre dei suoi figli e non poteva esserci differenza in questo, in un momento del genere. "Ti prego".
La sua voce tremava e lei capì che aveva paura più di tutti e che avrebbe voluto rimanere. Ma non se la sentiva, non voleva, lui doveva essere utile altrove. Allungò una mano e gliela strinse, cercando di dargli coraggio. "Va di sotto, sono con Dwight, al sicuro. E c'è anche Prudie. Va dai bambini, hanno bisogno di te, non possiamo lasciarli da soli così a lungo, ci vorranno ore".
Ross spalancò gli occhi. "Ore?".
Dwight gli posò la mano sulla spalla. "Ross, i bambini si concepiscono in pochi istanti ma per farli nascere ci vuole un pò più di tempo e fatica. Lei ha ragione, va di sotto e fa quello che fanno tutti i padri! Fa avanti e indietro in salotto, scava un solco e bevi del rum, noi qua sopra faremo la nostra parte senza averti in mezzo ai piedi".
Ross strinse i pugni, capendo che non poteva fare altrimenti. Si inginocchiò, la baciò sulla fronte e le sfiorò il viso in una carezza. "Posso fidarmi di te? Posso lasciarti con la certezza che ti troverò tutta intera quando tutto sarà finito?".
Demelza gli sorrise. "Direi che puoi...".
Si baciarono ancora, un bacio nervoso, poi lui andò a malincuore di sotto. "Dwight, te l'affido".
"Sta tranquillo".
Quando il marito se ne fu andato, Demelza sprofondò esausta sul materasso. "Dwight, cerchiamo di fare presto! O Ross impazzirà e io anche".
Dwight sorrise, sedendosi accanto a lei nel letto. "Ci prenderemo il nostro tempo, che al tuo scalpitante marito piaccia o no. A volte mi chiedo quanti figli ci vorranno a Ross prima di arrivare al momento del parto con meno terrore...".
Demelza rise, nonostante tutto. "Credo non succederà mai, è nella sua natura trovare qualcosa di cui essere preoccupato".
Dwight le accarezzò la fronte. "Direi che è un buon sintomo di amore per te, dopo tutto... Frustrante certo, ma non possiamo pretendere la perfezione".
Demelza gli fu grata per quelle parole che alleggerivano la situazione e rinfrancavano il suo spirito, per la sua vicinanza e per la sua presenza di amico, oltre che medico. "Grazie".
"Dovere" - rispose l'amico, prima di diventare un efficente medico e guidarla in quel travaglio che si preannunciava lungo e in un parto forse meno veloce degli altri.

...

Le ore passarono in fretta e il pomeriggio lasciò il passo alla sera. I lamenti di Demelza giungevano di sotto e Ross era stato costretto a portare fuori i bambini nella stalla per distrarli.
Jeremy e Clowance erano preoccupati e non erano più così piccoli per non capire la sofferenza della madre e l'enormità di quanto stava succedendo. Ross tentava di apparire normale ma la sua faccia terrea esprimeva appieno la paura e l'angoscia per sua moglie, che i figli percepivano chiaramente.
Diedero da mangiare ai vitellini, ritirarono il bucato e lo piegarono e all'ora di cena Ross scaldò il cibo e mangiarono in silenzio, con Clowance rannicchiata sulle sue ginocchia come faceva quando era più piccola e faceva un brutto sogno. L'assenza di Demelza, anche se ovviamente giustificata, pesava su tutti come un macigno, era l'anima della casa, della famiglia, della tavolata e senza di lei loro potevano ben poco. "Papà" - disse la bimba, sgranocchiando del pane controvoglia - "Io non lo voglio questo fratellino se mamma sta male così".
Ross le accarezzò i capelli biondi, stringendo a se anche Jeremy. "Credo che vostra madre non la pensi allo stesso modo, è un tipo di sofferenza che poi le porta gioia. Ama essere la vostra mamma e avere dei figli e il dolore che prova ora, è quello che ha provato quando siete nati voi... Anche io vorrei che non soffrisse ma ho imparato che amare una donna significa anche avere poi dei figli. Starà bene e noi le staremo vicini e saremo contenti quando abbracceremo il nuovo fratellino o sorellina".
"Toccherà le mie bambole?" - chiese Clowance.
"E le mie costruzioni di legno?" - aggiunse Jeremy - "Non le faccio toccare mai a nessuno, nemmeno a Clowance".
Ross rise. "Beh, forse lo farà. Glielo permetterete?".
"NOOO!" - risposero i bambini, in coro.
Ross si grattò la guancia perplesso. Iniziavano bene... "Jeremy, hai undici anni..." - gli fece notare. "E una amichetta del cuore...".
"Ma le costruzioni sono mie lo stesso!" - ribadì il ragazzino, imbronciato.
Finirono di cenare e poi Ross portò fuori a fare due passi Garrick, coi bambini, attraversando i terreni attorno a casa. Al ritorno, ancora nulla era successo e coi suoi figli si mise davanti al camino, lo accese, li fece mettere comodi e quando li vide assonnati, li spronò ad andare a letto.
"Non voglio!" - disse Jeremy, deciso. "Non finché non vedo mamma!".
"Nemmeno io!" - ribadì Clowance.
Ross, arreso davanti a quella testardaggine tipicamente Poldark, andò a prender loro due cuscini e delle coperte e dopo averli fatti stendere sui divani, promise che li avrebbe svegliati appena il piccolo fosse nato.
Clowance appoggiò la testa contro le sue gambe, Jeremy si addormentò nell'altro divano e sul salotto calarono il silenzio e il buio della tarda sera.
Solo il fuoco illuminava l'ambiente e donava un certo tepore a quella sera sì estiva, ma decisamente fresca.
Osservò le fiamme e pensò che quella era l'ora della giornata che preferiva, quella dove lui e Demelza si trovavano lì a parlare di tutto e niente, godendo della compagnia reciproca. A volte discutevano di politica, della miniera, a volte lui si incaponiva su qualcosa e lei allora lo guardava con quel suo sorriso furbo che lo faceva vacillare e spesso, cambiare idea sulle sue convinzioni. Era dannatamente così brava a farlo e sembrava conoserlo meglio di quanto lui conoscesse se stesso.
Quanto gli mancava...
Pensò ad altre sere simili, come quando lei se n'era andata pensando che la tradisse con Tess. Ma ora non era solo, ora non c'erano tensioni e accanto a lui avvertiva il respiro placido dei suoi figli e tutto andava bene e sarebbe andato ancora meglio. Poi ripensò alla cena e gli venne in mente un'altra cena passata da solo, coi bambini. Quel giorno pensava che Demelza se ne fosse andata per sempre con Hugh Armitage e lui si era sentito smarrito e sperso, disperato, incapace anche di urlare il suo dolore per quanto questo fosse lancinante. E quella notte terribile aveva capito che lui dipendeva da lei, che sua moglie era il suo centro, il suo tutto e che senza Demelza non avrebbe saputo andare avanti.
Guardò alle scale, rendendosi conto che ora regnava uno strano silenzio. Ed ebbe paura...
Finché, in quelli che gli sembrarono interminabili minuti di immobilità, non udì un pianto. Vigoroso, squillante, potente. Nessuno dei suoi figli alla nascita aveva un pianto e una voce così.
Guardò l'orologio, mancavano dieci minuti a mezzanotte. Ed era di nuovo padre...
Clowance e Jeremy mormorarono nel sonno ma senza svegliarsi e lui, col cuore in gola e una gioia indescrivibile nel cuore, si alzò tentando di non turbare il riposo di sua figlia.
Prudie corse di sotto, trafelata e tutta rossa in viso. "Signore!".
Ross andò da lei, ansioso, incredulo, ancora indeciso se essere felice o spaventato. "E allora?" - chiese, strattonandola.
"E' nata! E' una bambina bella grassa, che urla come una pescivendola e piena di grinta! E scoppia di salute, anche se ci ha davvero fatti penare a lungo per venire al mondo".
A quelle parole, Ross sudò freddo. "Demelza?".
"Stanca, ma sta bene".
Anche Dwight comparve dalle scale, con un sorriso raggiante. "Pare che fra una quindicina di anni avrai in casa un altro pretendente per una delle tue figlie".
Ross sentì il suo corpo diventare molle, le braccia cedergli e il sollievo coglierlo come un'onda improvvisa che ti coglie sulla battigia. "State coi bambini, vado da lei...".
Prudie gli si parò davanti. "Aspettate, torno su a dare una mano alla signora a lavarsi e cambiarsi. E a sistemare la piccola". E poi corse su, ciabattando rumorosamente.
Dwight poggiò le mani sulle spalle di Ross. "E' andato tutto bene, ora Demelza dovrà solo riposare alcuni giorni e poi sarà quella di prima".
Ross sospirò, ma tutte le sue paure non si erano ancora placate. "Non le succederà nulla di male?".
Dwight rimase in silenzio e comprese che in quel momento l'amico stava pensando ad Elizabeth e alla sua morte dopo il parto di Ursula. Ma non era la stessa cosa, non sarebbe mai stata la stessa cosa per nessuna donna e Dwight lo sapeva purtroppo fin troppo bene. "Sta bene e starà ancor meglio domani. Non farti strane idee, sali di sopra e goditi tua figlia. E' una bambolina deliziosa, resterai estasiato".
Ross annuì e dopo aver affidato a Dwight il compito di svegliare i bambini, salì di corsa di sopra dove trovò Prudie che borbottava perché era arrivato prima che lei potesse portare via le lenzuola e gli stracci sporchi.
Ross praticamente la travolse e poi corse da sua moglie.
Il fuoco ardeva anche in camera e dal camino sprigionava il suo calore. Demelza era seduta su due cuscini, con indosso solo una sottoveste bianca smanicata, i suoi lunghi capelli le cadevano morbidamente sulle spalle e il viso era arrossato dalla fatica e dalla gioia. In mano stringeva un fagottino e Ross, avvicinandosi, vide prima di tutto un ciuffetto nero che spuntava dalle coperte.
Demelza gli sorrise. "Ho saltato la cena, scusaci...".
Le si sedette accanto, abbracciandola e stringendo a se entrambe. "Non farlo più".
Rimasero così, in silenzio, per lunghi istanti, respirando ognuno il profumo dell'altro e assaporando il calore dei rispettivi corpi di nuovi vicini, pronti a sostenersi.
E poi la piccola star della serata si lamentò, reclamando attenzione...
Entrambi abbassarono lo sguardo e Ross la vide. Eccola, era arrivata un'altra donna a rubargli il cuore. Era una bambolina davvero, con il visino tondo, gli occhi verdi come quelli della madre e i capelli neri come i suoi. Il perfetto connubio nato dall'unione dei suoi genitori che proprio in quella stanza, su quel letto, l'avevano concepita nove mesi prima in una serata memorabile dove erano stati spie, combattenti per la patria, abili doppiogiochisti ma soprattutto, sposi e amanti appassionati. Aveva delle guanciotte immense, un nasino all'insù e la bocca a forma di cuore e soprattutto, una espressione vivace e biricchina che lo conquistò subito. "E' meravigliosamente Poldark, dalla punta dei capelli a quella dei piedi" - disse, baciando con delicatezza la fronte di sua figlia. "Benvenuta piccola Isabella-Rose, ti sei fatta attendere ma ne è valsa decisamente la pena".
La piccola si agitò riconoscendo la sua voce e con la manina paffuta afferrò una delle sue dita, stringendola forte.
Ross rise. "Ha dei bei muscoli".
"E una voce potente!" - aggiunse Demelza.
Ross annuì. "Me ne sono accorto. Mi auguro che non sarà troppo rumorosa".
Demelza non rispose, limitandosi a rannicchiarsi contro di lui. Ross le baciò i capelli, ne respirò il profumo e godette di quel contatto come se la stesse rivedendo dopo anni. La cullò fra le sue braccia, pensando a quanto fossero state dure le ultime ore per lei. "Come stai?".
"Stanca... Ma felice".
"Sono morto di preoccupazione! Gli altri parti sono stati così veloci rispetto a questo...".
Demelza sorrise. "Forse sto un pò invecchiando".
Scherzando, anche se non voleva assolutamente riprovare i brividi di quella giornata, Ross le diede un buffetto sulla guancia. "Quando avremo Henry che farai allora? Due giorni di travaglio?".
Demelza alzò il capo di scatto, guardandolo con aria interrogativa. "Henry?".
"Non doveva chiamarsi così il nostro prossimo figlio?".
"In realtà era il nome destinato ad Isabella-Rose nel caso fosse stata un maschio".
"Oh, peccato..." - disse Ross, fingendosi rammaricato ma in realtà sollevato dalle parole di sua moglie. Avevano tre figli, bastavano ed avanzavano. E lui non sarebbe sopravvissuto a un altro parto...
Demelza si accorse che scherzava e anche se stanca, proseguì in quel gioco. "Dimmelo domani, magari. Ora dopo dieci ore di travaglio, non voglio sentir parlare di altri figli".
Ecco il momento trionfale! Ross prese la palla al balzo. "Vorrei ci fosse quì un notaio in questo momento, per prendere nota delle tue volontà e di quanto hai detto".
Demelza scoppiò a ridere. "Sei sleale!".
"E tu mi farai morire se resterai incinta di nuovo!".
"Non è mica solo colpa mia, se succederà... E l'alternativa e il come evitarlo, non sono fra i miei programmi, Ross".
Lui la strinse a se, ancora una volta affascinato dalla sua forza e dalla sua capacità di avere la risposta sempre pronta. Cosa sarebbe stata la sua vita senza di lei? Era il suo sole e l'anima di Nampara come un tempo lo era stata sua madre. Nessuna, nessun'altra donna avrebbe potuto essere per lui ciò che lei era diventata. Era sua moglie e lui era il padre dei figli che lei aveva messo al mondo. Il resto non contava, non contava più... "Ti amo" - sussurrò baciandola, mentre Isabella-Rose gorgogliava fra loro mordicchiandosi le manine.
Demelza le accarezzò la testolina, prima di abbassarsi la spallina della sottoveste e darle il seno. "Ha fame".
Ross si sedette accanto a loro, stringendole a se e facendo poggiare Demelza sul suo petto. "E' una bambina fortunata, è nata in una bella famiglia. E ha te come madre". Lo disse a lei, ma anche a se stesso. Se Demelza non fosse stata ciò che era, forte e capace di sostituirlo e sopperire alle sue assenze, lui non avrebbe potuto vivere il genere di vita che si era scelto e che spesso lo portava lontano.
In quel momento la porta si aprì e Clowance e Jeremy corsero dentro, seguiti da Prudie. "Giuda, mi sono scappati e sono corsi quì come delle furie appena hanno saputo...".
Demelza sorrise e i suoi occhi brillarono appena vide i figli più grandi. Allargò le braccia e accolse anche loro sul lettone.
Ross lanciò un'occhiataccia ai due. "Fate piano, vostra madre è stanca e vostra sorella piccola".
"Faremo pianissimo!" - disse Clowance, sbirciando la sorellina. "Hei! Ma non ha i capelli come i miei!".
Ross annuì. "Li ha come me!".
"Ma non è giusto!" - borbottò la piccola.
Demelza la strinse a se. "Beh, non sei contenta? Sarai l'unica bionda della famiglia".
Clowance ci pensò su. "Ohhh".
Jeremy abbracciò Demelza. "Mamma, stai bene?".
"Sì".
Il ragazzino osservò la sorellina, toccandole la manina. "Sembra un pò grassa! Come Clowance da piccola".
Clowance gli diede una manata. "Hei".
E Ross li divise. "Su, non vorrete presentarvi a vostra sorella così, litigando! Volete prenderla in braccio?".
Clowance e Jeremy si illuminarono. "Sì!".
Demelza staccò la piccola dal seno, si tirò su la spallina dell'abito e la consegnò alle braccia di Jeremy.
I due bambini osservarono la sorellina, la tennero stretta fra loro, la descrissero in modi anche buffi che forse a Isabella-Rose non avrebbero fatto piacere se avesse potuto comprenderli, ma a Ross e Demelza brillavano occhi e cuore, osservandoli.
Ross strinse a se sua moglie, rendendosi conto che stava vivendo un altro momento perfetto della sua vita, come pochi ce n'erano stati e tutti assieme a Demelza. "Santo cielo amore mio, guarda cosa abbiamo fatto" - disse, riferendosi ai tre piccoli davanti a loro, col cuore rivolto anche a Julia sempre amata, sempre presente nei suoi pensieri.
"Già, guarda cosa abbiamo fatto..." - ripeté lei, orgogliosa, stanca ma felice.
Prudie sospirò, avvicinandosi alla porta per lasciarli soli.
Ma Ross la richiamò. "Resta!".
"Signore?".
"Resta. Fai parte anche tu di questa famiglia, ormai".
Gli occhi di Prudie brillarono e si avvicinò per conoscere meglio la nuova arrivata. E quella fu per lei e per tutti una notte indimenticabile.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Isabella-Rose, che i suoi fratellini avevano ribattezzato Bella, si dimostrò da subito una bimba tosta, dal caratterino forte e con una voce potente.
Il trucco per salvare timpani e vetri era anticiparla prima che avesse i primi morsi della fame perché se no iniziava a strillare con una vocina talmente acuta da far scappare Garrick e Prudie in biblioteca, chiudendo al porta a doppia mandata per salvarsi da quel frastuono che aveva fatto comprendere a tutti che i tempi del silenzio e della tranquillità a Nampara, erano definitivamente finiti.
Ross rideva di questo aspetto di sua figlia, che dimostrava di essere esigente e cocciuta quanto lui... O meglio, ne rideva quando strillava di giorno, la notte ovviamente prendeva la faccenda con meno filosofia ed allora era Demelza a ridere, mentre si affaccendava ad allattarla prima che i suoi strilli arrivassero a svegliare tutti i poveri pescatori di Sawle.
Ma per il resto era una bambina adorabile che quando era in buona non lesinava sorrisi immensi a chi la teneva in braccio, soprattutto a suo padre che, nel giro di un nulla, aveva già compreso che quella marmocchia si era guadagnata la sua devozione e tutti i sì del mondo da lì all'eternità. Certe volte Ross, guardandola, si sentiva idiota e si rendeva conto di avere una faccia da ebete che divertiva Clowance che lo prendeva in giro, ma non poteva farci nulla, le sue figlie femmine lo avevano in pungo e Bella, coi capelli neri come i suoi e gli occhioni chiari come quelli della madre, era l'esserino più perfetto che quell'amore avesse prodotto, come i suoi fratelli prima di lei. E quella paternità arrivata a un'età più matura, era quella che stava vivendo più consapevolmente perché se era pur vero che la vita era piena di incognite, non avrebbe più permesso che le sue paure lo allontanassero spiritualmente da chi amava più di tutto. Aveva capito che non poteva modificare un destino a volte avverso ma che era suo dovere e diritto godere delle cose belle che la vita gli donava, senza dover pensare troppo ai se e ai ma che condizionano le esistenze di ogni uomo.
Demelza, dopo il parto, era rimasta a letto per tutto il periodo che le aveva prescritto Dwight e Ross le era rimasto accanto, stando lontano dalla miniera e da tutto il resto. Si era stupito dell'arrendevolezza della moglie ma poi Demelza gli aveva spiegato che voleva godersi tutto di quella maternità giunta quando pensava che non sarebbero arrivati altri bambini e forse l'ultima per loro e che quindi rimanere a letto a poltrire con Bella era per lei un piacere che voleva vivere attimo dopo attimo.
Quando la piccola compì un mese, fu battezzata nella piccola Chiesetta di Sawle. Gli ospiti erano pochi, solo gli amici più stretti e Geoffrey Charles, tornato dall'accademia per l'occasione.
E così, fra Prudie, i fratelli di Demelza con le loro famiglie, Zachy, gli Enys, Pascoe, Bassett, Falmouth, il cugino, i fratellini e i genitori, la piccola Bella si apprestava in una domenica ventosa, a fare il suo ingresso ufficale nella comunità.
Mentre Demelza si preparava e aiutava Clowance e Jeremy a fare altrettanto, Ross uscì a fare due passi con la piccola, già vestita di tutto punto con un vestitino bianco in pizzo e una cuffietta del medesimo colore sulla testolina.
Camminando nel silenzio della scogliera, con la bambina fra le braccia avvolta in quella copertina che le aveva portato da Parigi e che lei adorava e che riusciva a tranquillizzarla e a farla dormire, raggiunse il punto dove tanti anni prima aveva portato Julia per mostrarle il mondo. E come allora strinse a se sua figlia, la baciò sulla testolina e in silenzio le promise che avrebbe vissuto e agito per lei e i suoi fratelli, perché fossero persone libere e felici. E che la loro sarebbe sempre stata una casa felice dove avrebbero regnato risate e amore e che non avrebbe permesso più a nessuna ombra di offuscare il sorriso bellissimo di sua moglie che gli aveva ridato vita, speranza, un futuro e una famiglia.
Bella si stiracchiò fra le sue braccia davanti a quel suo lungo monologo. E in quel momento giunse Jeremy a chiamarlo. "Papà, mamma ha detto di sbrigarti a tornare che si deve andare in Chiesa".
Ross si voltò verso di lui e Jeremy lo raggiunse. Gli poggiò il braccio sulle spalle rendendosi conto che in altezza gli arrivava alle spalle ormai e che quando era nato non gli aveva prestato molte attenzioni e non se n'era mai preso particolarmente cura. E nemmeno di sua madre... Quante cose erano cambiate, da allora. "Le nostre donne hanno finito di prepararsi?".
"Più o meno. Perché ci mettono tanto?" - chiese il bambino. "Noi in due minuti ci vestiamo!".
Ross sbuffò, arruffandogli i capelli. "Questo è uno di quei misteri del mondo femminile che non ci è ancora dato l'onore di conoscere".
Jeremy annuì. "Le femmine sono strane, anche Mary è strana. Il mese scorso giocavamo a fare il bagno al mare, gliel'ho chiesto l'altro giorno e mi ha urlato contro di ripassare fra sei giorni. Non ho capito il perché... Ma era arrabbiatissima davvero, tutto d'un tratto! Mi ha un pò stufato, meglio tornare a giocare coi maschi".
Ross coppiò a ridere, intuendo la natura femminile del problema. "Ahh Jeremy, facci l'abitudine, le donne nascono strane e strane rimangono tutta la vita. A volte si arrabbiano per cose che non comprendiamo ma in fondo non saremmo niente senza di loro".
"Io sto benissimo!".
Ross rise di nuovo. "Fra qualche anno la penserai diversamente".
"Non lo so. Per ora ho cambiato idea e le ho detto che non la voglio al rinfresco per Bella!".
"Non l'hai invitata?".
Jeremy incrociò le spalle. "No, è isterica!".
E in quel momento, vestita con un abitino rosso confezionato da sua madre, anche Clowance apparve all'orizzonte. "VI SBRIGATEEEEE?".
Bella sussultò davanti a quella voce squillante, Jeremy e Ross si guardarono negli occhi e dovettero ammettere che in fondo davvero, erano strane le donne. "Figliolo?".
"Sì".
"Anche tua sorella fra qualche anno diventerà strana, rassegnati".
"Anche Bella?".
"Anche lei, sì" - gli rispose, osservando la testolina mora della neonata.
E poi, insieme, tornarono a Nampara per andare tutti insieme in Chiesa.

...

La neonata si comportò tutto sommato bene e per tutta la cerimonia dormicchiò fra le braccia di sua madre. Come madrina fu scelta Morwenna e come padrino Dwight, due scelte atte a suggellare che per i Poldark gli amici e i parenti facevano tutti parte della loro famiglia.
Morwenna fu felice del suo ruolo e sembrava rinata. Ora era donna, moglie e madre nel senso pieno e bello della parola e la piccola Loveday, che ormai aveva un anno, coi suoi gorgoglii e versetti aveva intrattenuto e strappato un sorriso a tutti i partecipanti alla cerimonia.
Isabella-Rose Poldark fu consacrata a Dio nel pieno del sonno e nemmeno la benedizione riuscì a svegliarla. Solo la spinetta che si mise a suonare a fine cerimonia le fece aprire gli occhi, facendola girare incuriosita verso la fonte di quel suono.
Ross rise e Dwight suggerì che forse la sua figlioccia sarebbe diventata una cantante un giorno. O una pianista... Cosa che a Ross sembrò assurda.
Il banchetto a Nampara durò tutto il giorno in un allegro chiasso condito da dolci e portate succulente, musica, chiacchiere e bambini rumorosi che correvano ovunque.
Solo verso sera, all'imbrunire, Nampara trovò un alone di pace quando tutti se ne furono tornati a casa loro con la pancia piena e l'animo contento.
Demelza aveva dovuto ritirarsi in camera con la bambina per allattarla e Caroline, che con Dwight era rimasta per dare una mano a Prudie a sistemare la tavola, l'aveva seguita.
Sedute sul letto, la bionda ereditiera si sporse ad osservare la bambina. "Sono inquietanti, vero?".
"Chi?".
"Questi cosini urlanti e pieni di rughe... Non so come facciano ma riescono a farci affezionare a loro e poi se le cose vanno male, rimaniamo fregate".
Demelza le poggiò una mano sulla sua, cercando di darle coraggio. Comprendeva le paure di Caroline che si nascondevano dietro al suo ostinato cinismo, le capiva ed erano state anche le sue paure anche se per carattere, le aveva affrontate a suo tempo in modo diverso. "Anche con gli uomini è così. Quando ci innamoriamo di loro vediamo tutto bello ma poi ci fanno arrabbiare, preoccupare, soffrire certe volte... Ma in fondo siamo tutti legati dall'amore ed è questo che conta, in mezzo alle tempeste della vita".
Caroline abbassò il capo. "Vorrei avere la tua stessa filosofia di vita e non avere paura come te".
Demelza la guardò negli occhi. "Chi ti dice che non abbia paura?".
"I tuoi gesti, la tua serenità, la tua gioia mentre guardi tua figlia".
Demelza spostò Bella perché si attaccasse all'altro seno. "La amo e mi godo la gioia di averla e di averla conosciuta. Ma questo non significa che non abbia paura, ne ho sempre. Però non le permetto di rovinare il bello che la vita mi ha dato".
"E come fai? Come hai fatto a raggiungere questo modo di pensare dopo aver perso Julia?".
Demelza sospirò. "E' la vita, la dobbiamo solo accettare e certe cose non si possono cambiare. E' stato difficile all'inizio, soprattutto per Ross. E questo ci aveva allontanati e non gli aveva permesso di sentirsi davvero vicino a Jeremy quando è nato. Per molto questo... e altro... ci hanno divisi. Riaprire il nostro cuore a nuovo amore dopo una perdita è un grande salto nel vuoto ma io sono contenta di averlo fatto. E ora anche Ross. E' stato un lungo percorso ma ora eccoci quì" - concluse, baciando la fronte di Bella. "Caroline, abbi fiducia nella vita e nel futuro. Non potrà andare sempre male e dobbiamo essere pronti ad abbracciare il bene. Nessuno cancellerà il ricordo di Julia e Sarah ma noi, anche per loro, abbiamo il dovere di vivere. Se c'è qualcosa che le nostre figlie ci hanno insegnato, è che la vita è un privilegio non concesso a tutti".
Caroline ricambiò le sua parole con uno sguardo pieno di comprensione e ringraziamento. Lei e Demelza potevano apparire diverse come il giorno e la notte ma sicuramente erano l'esempio vivente che in amicizia, come in amore, spesso sono gli opposti ad essere perfetti insieme. E Demelza con la sua dolcezza e la sua filosofia di vita forse semplice ma sicuramente autentica, era quanto di meglio potesse capitare a una donna viziata, materiale e spesso cinica come lei. "Quindi, dovrò accogliere con gioia qualsiasi moccioso grinzoso la natura mi mandi?".
"Suppongo di sì!" - rise Demelza - "Ma magari non avrà troppe rughe, tu e Dwight siete tanto belli che...".
Caroline alzò un sopracciglio, ironicamente. "Sarebbe auspicabile che dopo nove mesi di inferno, il parto, i dolori e il povero Horace messo di nuovo da parte, il pargolo o la pargola si degnino quanto meno di essere carini e presentabili".
Demelza rise di nuovo. "Faglielo sapere e detta le tue condizioni, quando accadrà!".
Caroline si morse il labbro, indugiando. In realtà erano alcune settimane che lei e Dwight volevano rendere partecipi Demelza e Ross della loro novità ma con la nascita di Bella non volevano offuscare quello che era a tutti gli effetti il momento dei Poldark. Ma ormai la festa di Battesimo era finita, gli ospiti se n'erano andati, i bambini dormivano, Prudie anche, completamente ubriaca, e in casa rimanevano solo loro due e al piano di sotto i loro mariti che confabulavano di chissà che. "Lo farò prima di andare a letto, allora...".
Demelza ci mise qualche istante a capire. "Cosa?".
"Questo discorsetto al marmocchio raggrinzito!".
La rossa la fissò, guardò il suo ventre e le mani che le tremavano e poi realizzò. "Caroline! Davvero? Da quando?".
L'amica, senza scomporsi, alzò le spalle. "Sono al secondo mese, l'intruso dovrebbe nascere a fine anno o al massimo a gennaio. Dwight, che vuoi che ti dica? E' tornato ispirato dalla Francia probabilmente e in quattro e quattrotto mi sono trovata incinta e senza possibilità di fuga!".
Gli occhi di Demelza si inumidirono dall'emozione e dalla gioia. Dwight e Caroline avevano sofferto così tanto e ora si meritavano tutto il bene e la fortuna del mondo. La abbracciò, commossa. "Oh amica mia...".
Caroline, imbarazzata, tossicchiò. "Ecco, ora potresti farmi il grande piacere di non piangere? Odio i momenti commoventi e ho dovuto ribadirlo pure a Dwight quando gli ho dato la notizia e si stava per mettere a fringare come una fontana francese. Gioiamo ma con cautela. In fondo potrebbe andar male. O potrebbe essere un marmocchio brutto e raggrinzito".
Demelza la abbracciò di nuovo, captando ancora una volta una difesa in quel cinismo ostinato. "Andrà bene. E sarà un bambino favoloso".
"Ne sei sicura?".
"Convintissima".
Caroline le sorrise. "Attenta a quello che dici! Se mi esce un mostriciattolo, te lo rifilo!".
Demelza scoppiò a ridere, contenta come se a essere incinta fosse stata lei. "Giuda Caroline, se sarà maschio lo faremo sposare con Bella. Se sarà femmina, saranno amiche come noi... Comunque vada, sarà una nascita che porterà gioia ad entrambe le famiglie".
Richiamati da quel frastuomo, Ross e Dwight salirono di sopra.
"Che succede? Fate più baccano di Bella quando strilla per la fame".
Caroline si avvicinò a Dwight, prendendolo sotto braccio. "Puoi smetterla di fare il finto tonto e l'indifferente e dare la notizia a Ross. Io ho già vuotato il sacco con Demelza".
"Car...Caroline?" - balbettò il medico.
Ross, che non ci capiva un accidente, guardò Demelza. "Amore mio...?".
La moglie sospirò, Caroline rise e Dwight si schiarì la voce. "Pare che a breve ci sarà un altro Battesimo".
Ross si grattò la cicatrice. "Di chi?".
Demelza scoppiò di nuovo a ridere, Ross per certe cose aveva l'intuito di un bradipo.
Caroline guardò Dwight, spronandolo a continuare. Ma anche lui sembrava aver smarrito il senso della ragione e quindi, come al solito, era la donna a dover fare tutto il lavoro. "D'accordo, a breve un nuovo, piccolo, rugoso e rumoroso Enys arriverà a detronizzare il povero Horace".
Ross si guardò attorno, poi osservò Dwight. "Quindi...?".
"Sì Ross" - si insinuò Caroline. "Certo che vista la tua persipacia, mi chiedo se non siano folli quelli del Governo ad averti scelto come spia".
Ross comprese, capì e la gioia superò tutto il resto come del resto era stato poco prima per Demelza. "Già, devono essere davvero folli! E io sono il più felice fra gli amici" - disse, abbracciando Dwight e Caroline. "Congratulazioni, amici miei".
La vita aveva trionfato, di nuovo. E stavolta - e tutti ne erano certi - non avrebbe tirato nessuno scherzo mancino.


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Capitolo 10
*** Capitolo dieci - Epilogo ***


La piccola Sophie Enys nacque il 28 dicembre 1802 e Caroline le fu grata di averle permesso di festeggiare il Natale e di averle reso possibile il party per il nuovo anno. Era una creatura perfetta che appena si mostrò al mondo, spense ogni timore dei suoi genitori che avevano vissuto in apnea quei nove mesi di attesa. Biondissima e dai lineamenti fini come quelli della madre, con gli occhi color ghiaccio, la carnagione rosa e delle guance paffute, era il ritratto della salute e della bellezza. Sarebbe diventata grande, affascinante e bellissima e sarebbe diventata il sogno di ogni uomo che avrebbe incrociato il suo cammino. Il Capodanno fu festeggiato in tranquillità a casa degli Enys, con la sola compagnia dei Poldark che avevano accettato con gioia quell’invito non mondano ma dal tono casalingo dove gli adulti avrebbero potuto chiacchierare tranquillamente e i bambini giocare in libertà.

La piccola Bella, di sette mesi, coi suoi ricciolini scuri e il visino impertinente come quello del padre, si dimostrò da subito gelosa della nuova arrivata e appena la madre la prese in braccio, tentò di graffiarla per ripristinare il suo primato.

Ross rise, ricordando alla piccolina di casa che un giorno forse Sophie sarebbe diventata la sua migliore amica e compagna di giochi e che quindi doveva essere gentile ma lo sguardo corrucciato della bimba era piuttosto eloquente sul fatto che non fosse d’accordo.

Bella si stava dimostrando la più vivace della cucciolata dei Poldark, la più rumorosa, la più precoce. A sei mesi già gattonava ovunque e se Garrick non stava attento, si aggrappava alla sua coda e iniziava a ridere. Aveva una voce acuta e se strillava perché contrariata da qualcosa, faceva tremare i vetri della casa.

Adorava i fratelli e la madre mentre col padre era addirittura ruffiana ed autoritaria quando reclamava le sue attenzioni.

L’inverno fra il 1802 e il 1803 si dimostrò freddo e nevoso oltre misura e il Battesimo di Sophie fu celebrato solo in primavera, ad aprile, quando il clima iniziò ad addolcirsi un po’.

La piccola si dimostrò tranquilla e fra le braccia dei genitori dormicchiò tutto il tempo senza protestare, durante la cerimonia. Come padrino e madrina furono scelti Ross e Demelza che accettarono con emozione quella nomina tanto importante e frutto di amicizia e fiducia.

Durante la cerimonia, Jeremy tenne fra le braccia una annoiata Bella che borbottava e piagnucolava per la noia mentre Clowance ridacchiava al loro fianco, incuriosita da quel rito tanto antico ma desiderosa anche di uscire presto all'aperto per correre e sfogare la sua vivacità.

Le bambine dei Poldark erano due bellezze totalmente opposte e mentre crescevano Clowance diventava sempre più bionda e Bella sempre più mora. Jeremy invece era ormai quasi alto come la madre. Adorava la natura, andare a pescare e tutti gli animali di Nampara che accudiva personalmente. Finita l’estate del 1802, Mary era tornata in città e lui ci era rimasto male per alcuni giorni ma poi se n’era dimenticato e tutto era ripreso come prima della loro conoscenza, segno che ancora non era maturo per sentimenti più articolati e profondi. Demelza ne era segretamente felice, in realtà pur orgogliosa di vedere suo figlio diventare uomo, voleva che fosse ancora per un po’ il suo bambino e questo Ross non smetteva, scherzosamente, di rinfacciarglielo… E per il momento era effettivamente così perché Jeremy le era molto legato, era protettivo nei suoi confronti ed era il leader delle sorelline minori che lo adoravano. E Ross era fiero di lui che si stava dimostrando un ragazzino assennato e migliore di quello che era stato lui e anche se si rendeva conto che avevano caratteri completamente diversi, era felice di come suo figlio stesse crescendo, orgoglioso della sua intelligenza vivace, della sua curiosità e dell’animo delicato e gentile che dimostrava e che aveva ereditato sicuramente da sua madre.

Dopo il Battesimo, a casa degli Enys si tenne un grande ricevimento con ospiti i più influenti personaggi della zona ma anche tante persone meno abbienti ma sicuramente amici sinceri dei neo-genitori. Drake e Morwenna, con la piccola e simpatica Loveday, Sam e Rosina, il fido Zachy, Pascoe e tanti altri allietarono la giornata e fecero di Sophie la reginetta incontrastata della festa.

La piccola, vestita con un elegante abitino in seta bianco e una cuffietta in testa, dimenava le gambette tutta contenta ogni volta che qualcuno le si avvicinava per farle i complimenti, dimostrandosi vanitosa quanto e più della madre.

Ma fu Caroline, al momento del brindisi, a lanciare la ‘bomba’ che fece ammutolire tutti.

Gentili ospiti, amici, parenti, persone care, io, mio marito Dwight, Sophie e ovviamente Horace vi ringraziamo per essere qui con noi in questo giorno per noi di gioia assoluta dopo anni che, come sapete, sono stati avari di eventi da festeggiare. E’ una bella giornata, mia figlia dopo tanta fatica è nata sana ed ha pure un musetto carino, Horace la tollera abbastanza e io di notte dormo quanto basta, quindi brindiamo alla festeggiata e a tutti noi perché il periodo favorevole prosegua per tutti per sempre. E’ una bella festa e spero di rivedervi tutti qui fra un anno circa per ripeterne una simile”.

Ross, Demelza e gli altri li guardarono smarriti e Dwight, dopo essersi schiarito la voce, diede maggiori spiegazioni. “Ehm… pare che a me e mia moglie piaccia festeggiare il Natale accogliendo nuovi figli. Non ci aspettavamo succedesse tanto presto ma se tutto va bene, a dicembre arriverà un mini-Enys bis”.

"UNA mini Enys" - lo corresse Caroline che, vedendo lo sbigottimento generale ed essendo di natura poco propensa alle sceneggiate di giubilo e alle smancerie, riprese la parola. “La Francia ha ispirato decisamente le doti amatorie di mio marito e a farne le spese saranno la mia linea e il mio povero cane che si troverà relegato in un angolo affinché noi possiamo occuparci di due marmocchie urlanti… E quindi, brindiamo a questo nuovo piccolo intruso sperando sia grazioso quanto la sorella. Qui nascono solo femmine e sono certa che anche questo nuovo nanerottolo lo sarà. Quindi, lunga vita anche a Melliora Enys” - concluse, alzando il calice e smorzando sul nascere ogni momento emotivamente commovente. Se c'era da festeggiare, si doveva ridere, occhi lucidi e frasi di circostanza erano banditi da casa sua e questo era ormai chiaro a tutti.

Ross osservò Demelza, senza fiato. “Melliora? Un’altra? Che nome strano!”.

Shhh Ross”.

"Sì, ma il nome...".

"ROSS!!!".

Lui capì che era meglio sorvolare, le sorrise e poi per primi, andarono a congratularsi con gli amici. “Che dire?” – esclamò Ross all’amico, allargando le braccia per abbracciarlo.

Dwight rise. “Solo questo: Viva la Francia e i suoi frutti”.

Demelza abbracciò Caroline mentre gli altri ospiti brindavano contenti alla novità. "Giuda Caroline, non mi hai detto niente".

"Dovevo assimilare la notizia e farla digerire ad Horace" - si scusò lei, con allegra impertinenza.

Demelza le sorrise. “Ora che c’è Sophie fa meno paura, vero?”.

Caroline annuì. “Un po’ meno…”.

Demelza la tenne forte, trattenendo la commozione perché sapeva che Caroline non la gradiva. “Saremo circondante da rumorosissime bambine il prossimo anno”.

Non me lo dire, non me lo ricordare…”.

Risero, tutti. Il futuro era radioso e anche Horace dopo tutto se ne sarebbe fatta una ragione.



Ross e Demelza tornarono a casa mano nella mano, al tramonto, in una giornata in cui il cielo era diventato rosso fuoco e anche il mare sembrava aver cambiato tonalità per diventare rosa confetto come i dolcetti preparati per il Battesimo di Sophie.

Mano nella mano osservarono i loro figli che, avanti di loro di alcuni passi, giocherellavano e scherzavano. Jeremy teneva sulle spalle la piccola Bella che rumorosa, si esibiva in risate e gridolini, Clowance trotterellava felice al loro fianco sgranocchiando un dolcetto che si era portata via dal rinfresco e loro… loro erano semplicemente felici per quanto avevano costruito.

Due figlie in un anno… Non ti sembra incredibile?” – commentò Ross.

Beh no, succede” – rispose Demelza, con un sorriso furbo.

Ross la guardò terrorizzato. “Non mi dirai che…”. Deglutì. “DEMELZA!!!”.

Lei scoppiò a ridere. “Tranquillo, non aspetto nessun bambino. Tu sei stato ispirato dai francesi quando erano qui, Dwight dalla Francia quando eravate la. Ma per quanto mi riguarda, gli effetti di tale ispirazione su di noi sono terminati! Quanto meno al momento...”.

Ross sospirò. “Dio sia lodato”.

Demelza annuì. “Sì Ross, sia lodato. Per tutto questo che abbiamo e ci ha dato. E per ciò che verrà”.

Ross si trovò d’accordo con lei. Avevano sofferto, pianto, erano caduti, si erano rialzati e avevano sempre proseguito insieme. Fianco a fianco, con chi amavano di più. “Sei felice, Demelza?”.

Sì”.

Ross la strinse a se. “Anche io”. E si rese conto che era tutto ciò che contava per lui, per loro, per il loro mondo. Che cresceva, assieme a una nuova generazione di bambini che si stavano affacciando alla vita e sarebbero stati la loro impronta per sempre indelebile su quella terra che tanto amavano. E nonostante fosse spesso pessimista di natura si, c'era da essere felici e su questo era d'accordo anche lui.


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