1100 passi all'alba

di ilbilbo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presentazione ***
Capitolo 2: *** I - FARO ***
Capitolo 3: *** II - VIAGGIO ***
Capitolo 4: *** III - CITTA' ***
Capitolo 5: *** IV - GALLERIE ***
Capitolo 6: *** V - DANZA ***
Capitolo 7: *** VI - MONTEMERU ***
Capitolo 8: *** VII - OROLOGIO ***
Capitolo 9: *** VIII - KATANA ***
Capitolo 10: *** IX - CORVO ***
Capitolo 11: *** X - LUCE ***
Capitolo 12: *** XI - NORD ***
Capitolo 13: *** XII - BABI ***



Capitolo 1
*** Presentazione ***


Presentazione


 
A un certo punto del libro il protagonista dirà, più o meno: "Tutte le grandi cose nascono per caso". E' una affermazione che ci ha sempre colpito parecchio perchè, se fosse vera, avrebbe delle implicazioni pesanti, tipo: è inutile programmare il nostro e altrui futuro, così facendo potremmo addirittura ostacolare il verificarsi degli eventi e delle scoperte migliori che, appunto, capitano per caso.

Senza entrare in complicate elucubrazioni filosofiche, un fatto comunque è certo: pure questo romanzetto è nato per caso. Ascoltavo Caterpillar A. M. ridacchiando alle battute fra il serio e il faceto di Filippo Solibello, mentre mi avvicinavo in macchina al posto di lavoro, quando è stato mandato in onda l'annuncio sul concorso letterario. Ed è così iniziata una corsa contro il tempo per cercare di rispettare la scadenza. È venuto fuori qualcosa di piuttosto originale; ideato e scritto a quattro mani, con scambi di idee e pensieri quasi sempre attraverso "pizzini" sgrammaticati spediti sulle ali di Telegram, un mix tra fantasia e realtà.

Una nota finale sul titolo. Cos'è l'alba? Può avere significati completamente diversi. Forse un ritorno alle origini, alla sicurezza di una vita precedente; forse una nuova felicità, tutta ancora da vivere. Abbiamo tirato fuori dodici capitoletti, o passi, per cercare di descrivere il processo; dodici come le dodici ore che impiega il sole per spostarsi dal tramonto, appunto, all'alba. Ma, a conti fatti, solo dodici passi ci sono sembrati un pò riduttivi: non è così facile, purtroppo, raggiungere l'alba! E così abbiamo chiesto un piccolo aiuto alla notazione in base binaria del numero 12.
Buona lettura a te che leggi, con l'augurio che tu possa divertirti come ci siamo divertiti e appassionati noi a inventare e a scrivere la storia.
 
Bilbo & Julchen


Julchen: https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=388482
Bilbo:    https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=1157133

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Capitolo 2
*** I - FARO ***


I ~ FARO

 

 

 

Vincent

Non è la prima volta che mi ritrovo in una situazione del genere. Il mio corpo prende il sopravvento, fa a modo suo, si rifiuta di obbedire. Ormai sono parecchi anni che ho imparato a convivere con la mia vecchiaia. Come si fa con una malattia inguaribile. Si accetta, e basta. Ma stavolta è peggio del solito. A parte il buio, inaspettato, fastidioso. Sono steso per terra, bagnato fradicio, invischiato in una specie di sabbia sporca. Il mio corpo si rifiuta d'alzarsi.
Non capisco dove mi trovo. Ricordo che stavo facendo il mio solito giretto quotidiano dell'isolato. I vecchi sono metodici, ripetitivi. Un giorno senza giro dell'isolato sarebbe stato un segno nefasto, non potevo rifiutarmi. Anche se oggi il tempo era particolarmente minaccioso. Poi ricordo un acquazzone improvviso. Era estate, a volte capita. Anzi, sempre più spesso capita, in questo mondo dal clima devastato, in questo mondo ormai troppo diverso da quello che conoscevo io quando non ero vecchio. Avevo attraversato la strada per ripararmi da Mario. Bar Mario, mi piaceva, si chiamava come quello di Ligabue, il suo Mario però era morto, lo avevo appreso di recente ascoltando il telegiornale.
Quel giorno però non ero riuscito ad entrare da Mario. Quello che sembrava un piccolo guado, perchè ormai la strada si era rapidamente trasformata in un fiume di modeste dimensioni, si era rivelato invece un abisso. Senza volerlo mi ci ero cacciato dentro, prima con i piedi, poi con le gambe, poi con tutto il corpo. Non riuscivo a venirne fuori perché non trovavo un fondo solido su cui poggiarmi.  Annaspavo, era come se qualcosa o qualcuno mi tirasse giú. Soffocavo. Il primo pensiero, però, vecchio stupido, fu per la camicia. Proprio oggi la moglie mi aveva fatto indossare la camicia buona, quella con le righine celesti. Chissà cosa avrebbe trovato da ridire, stavolta, la moglie inviperita. La moglie; sempre meno moglie, sempre più vipera.
E alla fine eccomi qui, disteso per terra, con i vestiti appiccicati addosso, senza le forze per alzarmi. Il Bar Mario è sparito. Persino la luce è sparita. Tutt'intorno un buio opprimente, solo qualche sinistro riflesso argenteo. E' la luna. Una luna piena diversa da quelle che ho imparato ad amare sin da quando ero piccolo. Sí, amo le lune piene che si prendono cura di te con la loro luce calda, che ti fanno capire che sei ancora vivo e vuoi continuare a vivere per sempre, che ti fanno venire voglia di pronunciare frasi tenere a tutti quelli che ti stanno vicino. No, questa è una luna diversa, distaccata, fredda. Scusami luna, se ti sto dando fastidio; il problema é che non riesco a muovermi da qui, e ho bisogno della tua luce per capire dove sono finito. E' bassa, malgrado sia notte inoltrata. Giá, che ora è? Un rapido sguardo all'orologio. I vecchi non possono fare a meno dell'orologio. E' l'una, l'una di notte. E la luna è come appoggiata su quella che sembra una torre, un qualche edificio stretto e alto che spunta da questa distesa desolata e deserta. Una luna che sembra la lanterna del faro su cui poggia. Carina l'idea del faro, che dovrebbe aiutare i naviganti dispersi ad orientarsi. Ma questo non può essere un faro, perchè non c'è mare. Solo sabbia nerastra da cui non riesco a staccarmi. Una sabbia che sembra tremare. Forse sono i battiti del mio cuore impazzito. Quella torre non mi aiuta ad orientarmi, anzi, sono sempre piú disorientato.
E adesso vedo qualcosa, anzi qualcuno, anzi qualcuna, che corre verso di me. E' tutto uno sventolio di braccia e capelli.

 

Kallen

Cavoli! Non è possibile! Devo essermi cacciata in qualcuno dei miei soliti guai. Da non crederci. Verrebbe quasi voglia di ridere, se non fosse che quella inguaiata sono proprio io. Come sempre.
Sto annaspando in una specie di sabbia nerastra da cui non riesco a staccarmi. Adoro il nero, un colore deciso, senza vie di mezzo, un colore che si abbraccia meravigliosamente col bianco; nero, bianco, vero falso; niente mezzi termini. Adoro la sabbia nera, la meravigliosa sabbia nera di Vulcano, che tutto il giorno ammicca calda e profumata col sole. Oppure la spiaggia nera di Reynisfjara, in Islanda, me la ricordo come fosse ieri malgrado il nome ostico: c'era una nebbiolina bassa quel giorno, e i faraglioni spuntavano fuori dal mare e dalla nebbia come giganti buoni. Mi sentivo immersa in quell'ambiente magico con tutte le cellule del mio corpo. Ma qui… piú che immersa sono inzuppata fino all'osso di umidità puzzolente. La sabbia, piú che nera, è di un grigio topo indefinito, appiccicoso. C'è un buio pesto. E di faraglioni… ne vedo uno solo, una torre bassina, mezzo diroccata, che non riesce neanche a sostenere quella specie di luna che cerca di poggiarsi sulla sua cima. Non si vede nient'altro e mi fa male la testa. Com'è possibile che tutto d'un tratto sia finita in questo scempio? Era una bella giornata d'estate, calda e felice. Camminavo senza meta e senza compagnia come spesso mi piace fare. Indossavo i miei stivaletti preferiti, neri come il nastro che legava i miei capelli, vistosi come i miei capelli, scomodi come i miei capelli. D'un tratto mi è venuta voglia di togliermeli, e di saltare a piedi nudi nella fontana. Quei pochi che mi guardavano evidentemente non avevano altro da fare. A volte mi piace essere guardata. Ma non gli sguardi ebeti e repressi dei maschi. Cretino, guarda quelle che te la danno. Non credo di essere particolarmente esibizionista. Mi piace sentirmi libera di esprimermi come voglio, con i vestiti e con il mio corpo, e non ammetto che qualcuno mi metta i bastoni fra le ruote. Ma stavolta qualcosa non ha funzionato. E' come se la fontana improvvisamente avesse perso il tappo e tutta l'acqua si fosse messa a ruotare in un grande mulinello, trascinandomi con sè dentro un enorme tubo di scarico. Sí, è vero, sono magra, ma non tanto da farmi risucchiare dentro un tubo. Forse ho preso un colpo di sole, i miei capelli rosso rubino si infiammano facilmente. Forse sono svenuta.
Ma questo deserto dove mi trovo adesso non è frutto di immaginazione. Dopo parecchi sforzi e tentativi riesco finalmente ad alzarmi. Ho la camicetta fradicia appiccicata addosso. Guardo in direzione opposta alla torre. C'è qualcuno per terra, capelli e barba bianchi, trascurati. Non si muove, sembra morto. Corro verso di lui su un terreno che trema come se ci fosse un terremoto. Voglio capire cosa sta succedendo.

 

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Capitolo 3
*** II - VIAGGIO ***


II ~ VIAGGIO

 

 


Kallen

Ho perso la cognizione del tempo. Troppi spaventi uno dopo l'altro. Ho raggiunto il tizio dai capelli bianchi. Sembra vecchio e incapace di difendersi. Rassegnato, non pericoloso. Ho fatto del mio meglio per convincerlo ad alzarsi. Chi si ferma è perduto, bisogna fare qualcosa, scappare via da questo deserto ostile, nascondersi. Bisogna unire le nostre forze per sopravvivere.
Il vecchio non mi dà retta, sembra ignorarmi.
Ho sperato piú volte di essere nel bel mezzo di un sogno, non è la prima volta che faccio sogni strani. Ma questa storia va avanti ormai da troppo tempo, non sembra finire mai. Con grande fatica ho trascinato il vecchio alla base di una piccola roccia che sporge dalla sabbia, e subito dopo ho visto uscire dalla torre una specie di pattuglia, uno squadrone composto da una ventina di individui piuttosto bassi. Tutti hanno qualcosa che manda sinistri riflessi sotto la luce spietata di questa luna. Lunghi fucili, spade? Sono incappucciati. Ho paura quando vedo che si dirigono compatti verso di noi. Paura, freddo e paura. Come se non bastasse, il vecchio si mette a ronfare. Ma i bassotti non ci vedono, passano oltre, spariscono rapidamente.
Poi inizia la battaglia. E' un continuo apparire di strani animali, uccellacci veloci e spietati come aquile, gonfi e pesanti come grossi tacchini. Volano alti. Hanno un collo e un becco lunghissimi, puntano dritto agli occhi. Le zampe hanno artigli minacciosi, pericolosamente vicini ai miei capelli. I miei lunghi capelli rossi, guai a chi me li tocca.
Cerco di spaventarli, con gesti scomposti e urla disumane. Anche quelli emettono suoni rauchi, ma piú bassi. L'altro continua a russare. Ogni tanto colpisco uno di quei mostriciattoli col tacco dei miei stivaletti. Qua e là si posano sulla sabbia  delle specie di insetti verdi, giganti, disgustosi, tipo mantidi o cavallette di dimensioni esagerate. Sono prontamente divorate dai polli assassini. La battaglia non finisce mai, mi sento distrutta.
Poi sento un rombo basso di motori, e compaiono due specie di moto, senza ruote, nell'aria, basse, quasi a contatto del terreno. Sono cavalcate da due ragazze dai lineamenti molto simili, occhi di taglio orientale, dolci, capelli neri lunghi, lucidi. Cercano di parlarmi per rassicurarmi, ma non le capisco. Parlano una lingua strana, fatta da una mescolanza di parole e pronunce diverse. Mi sembra di capire qualche parola giapponese, tipo "amicizia", "aiuto", ma non sono giapponesi. Sono esasperata, non capisco e non riesco a farmi capire. Tiro un calcio alla spalla sinistra del vecchio che dorme, con i nervi a fior di pelle, con le poche forze che mi rimangono.
Si sveglia.
 

Vincent

Vedo avvicinarsi la ragazza dai capelli rossi, scalza, gesticolante, quasi comica. Ha le unghie delle mani e dei piedi smaltate di colori assurdi. Sembra fare di tutto per essere appariscente, sia per la corporatura, alta e magrissima, sia per i capelli, rossi e lunghissimi, sia per il viso, dolce e bellissimo. I vestiti, ormai ridotti a stracci infangati, dovevano essere ricercati e stravaganti.
Cerca di convincermi ad alzarmi. Non le dó retta. Continua a parlare con fare convincente, con mosse aggraziate, mi fa subito capire di essere dalla mia parte.
Ha una strana capacità di scavalcare strati di convenzioni sociali e di arrivare direttamente al nocciolo della questione. Mi ispira simpatia, eppure continuo a non darle retta. Specialmente da dopo che mi sono sposato non riesco piú a fidarmi delle donne. Sono esseri affascinanti, sono il sale della terra; ma hanno un modo di ragionare assolutamente incompatibile con quello degli uomini. E sono pericolose, so che non riuscirei mai a difendermi da loro. Non devo e non voglio dare retta a questa ragazzina dai capelli rossi e dalle mossette accattivanti. Ognuno per la sua strada. Continua a ispirarmi fiducia. Tanta fiducia che alla fine mi viene sonno e capisco di potermi addormentare senza correre rischi. Che diamine, la notte è fatta per dormire!
Mi risveglio con un dolore intenso alla spalla sinistra. Uno sguardo al mio inseparabile orologio: sono le cinque, ed è ancora notte. Percepisco appena un albeggiare lontano, nascosto da nuvole scure. Sono passate solo quattro ore? O forse un giorno e quattro ore? Ho perso la cognizione del tempo. Mi guardo intorno. Qualcuno deve avermi trascinato verso la base di una roccia. Le ragazze adesso sono tre: la rossa, che è come se fosse reduce da combattimenti all'ultimo sangue, distrutta, e quelle che sembrano due gemelle dall'aspetto un po' orientale. Le gemelle mostrano una certa preoccupazione per me, mi guardano con apprensione, come se avessi qualcosa che non va. La rossa invece mi fa capire minacciosa che è finito il tempo di dormire.
Peccato.
 
 

 

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Capitolo 4
*** III - CITTA' ***


III ~ CITTA'

 

 

Vincent

Mi affaccio alla porta-finestra del mio monolocale super tecnologico ricavato all'interno del "camino di fata" dove abito. Sono ancora sorpreso di quello che mi sta capitando da un po' di giorni a questa parte, ma mi sento sereno, in pace con lo splendido ambiente che mi circonda. Avevo già cominciato a riconoscere da lontano le prime guglie durante il percorso sulle moto sollevate da terra, guidate dalle due sorelle, Selvaggia e Barbera. Ogni tanto vengono a trovarmi, sono tutt'e due molto gentili, abitano nella guglia accanto. Siamo in Cappadocia, nella zona di Göreme. La maggiore, Selvaggia, si è subito fatta in quattro per procurare a me e a Kallen uno smart a testa. Tutti hanno lo smart qui, è obbligatorio; è un anello piuttosto largo da portare al pollice sinistro, una specie di centro di controllo dotato di una quantità incredibile di aggeggi complementari, tablet, orologi, caschi, occhiali… Il piú utile in questo momento per me è il traduttore, una micro cuffia senza fili che traduce istantaneamente tutto quello che gli altri dicono intorno. L'aspetto geniale di quest'oggetto è che mantiene alla perfezione la voce di chi parla. E cosí Selvaggia, in questi giorni, con la sua parlantina fluente ed educata, ci ha raccontato parecchie cose su questa popolazione di cui fa parte. Ce l'ha fatta capire e apprezzare. Pendiamo dalle sue labbra. Barbera è più riservata, ma interviene ogni tanto con decisione per correggere la sorella. Ha una voce sensuale, quasi da bambina.

"Ciao Vincent, sei pronto?" Dalla stanza di sopra la mia segretaria interrompe le mie riflessioni. Già, Kallen, quella da un diavolo per capello, è perfetta come segretaria. Una donna che a volte parla prima di pensare, a volte pensa prima di parlare. Sorride, è accattivante.

Ci siamo messi d'accordo, e lei fingerà di essere da sempre la segretaria del famoso archeologo Vincent. In realtà nel mondo di prima mi interessavo davvero di archeologia. Avevo partecipato a due campagne di scavi proprio qui, nella città sotterranea di Derinkuyu, appena dopo la sua scoperta nel 1963. Avevamo esplorato 12 piani sotterranei scavati nel tufo, uno piú grande dell'altro, e mi riproponevo di trovarne ancora altri. Non avrei mai creduto che mi ci sarei ritrovato in questa specie di non-vita.

La sorpresa piú grande è stata per me quella di arrivare qui e di trovare tutti gli ingressi alla città spariti. Nessuno immagina che sta camminando sopra un gioiello di ingegneria civile.

Selvaggia ci ha presentato a Polimax, una specie di boss locale molto simpatico. Quando lui è presente, la conversazione non muore mai. E' sulla cinquantina, capelli grigi diradati. Parla sempre a voce molto alta, ride spesso e la sua risata è contagiosa.
Oggi pomeriggio, dice, ci porterà da una persona che ci farà avere i finanziamenti e gli operai per riportare alla luce la misteriosa città di Derinkuyu, di cui gli ho parlato con entusiasmo.

Kallen me lo sta ricordando, i capelli lunghi raccolti in una treccia, una specie di Lara Croft direttamente uscita dal videogame.

"Sono le undici passate", dice.

 

Kallen

I giorni scorrono veloci, in questa specie di residence per turisti danarosi dalle velleità archeologiche. Sono tutti molto gentili, alcuni anche troppo. Penso infatti alla strana figura di Polimax, sempre a ridere, sempre a deviare il discorso quando si inizia a parlare di cose un pó piú serie, e a riportarlo su argomenti frivoli.

Oggi siamo suoi ospiti a pranzo. Lui indossa una camicia aperta sul petto, come a voler ostentare meglio la grossa collana d'oro da cui non si separa mai. Sopra gli stivali porta una specie di ghette chiare e tutto sembra voler indicare che il capo è lui, che lui ha il controllo di ogni cosa.
Siamo in una specie di chiesa sconsacrata scavata nella roccia. Vincent, con aria da funerale, mi ha detto che quella era la chiesa di Santa Barbara, una delle tante sparse nella zona, e che non poteva concepire il fatto che l'avessero trasformata in ristorante. Vincent è pratico della zona, dice che ci è venuto piú volte nell'altra vita, ogni tanto corregge Polimax quando scivolano su argomenti di storia e di arte. I tavoli di legno senza tovaglia e la tipica confusione da osteria da quattro soldi distolgono l'attenzione dagli affreschi antichissimi che ricoprono tutte le pareti, le volte e la cupola.

Sono diventata amica di Barbera, la sorella piú piccola. Mi ha raccontato un pó come fare per essere considerati eleganti e alla moda in questo strano mondo. Con me parla molto, con la sua voce da bambina. Mi ascolta con attenzione mentre le descrivo il mondo che ho lasciato, e che mi manca parecchio.

Soprattutto il cibo non riesco ad accettarlo e da quando sono qui sono ulteriormente dimagrita. Non ho mai amato la carne, ma qui addirittura è sintetica, "in vitro" dice Vincent, ha un sapore indefinito sgradevole. E poi ci sono insetti dappertutto: nel pane, fatto di farina nera di formiche, nei dolci, nei fritti, nelle salse. Mi passa la fame prima ancora di assaggiare quelle porcherie.

Vincent aiuta me ed io aiuto lui. Potrebbe essere mio padre, forse addirittura mio nonno, ma gli voglio bene come a un caro amico. Ci hanno avvicinato le difficoltà del vivere quotidiano in questo ambiente ostile. Sono orgogliosa di essere considerata la sua segretaria, anche se non vedo l'ora che questa situazione finisca.

Mangio o almeno ci provo, sorrido alle cavolate di Polimax, e penso: finirà davvero mai, questa storia? Coraggio Kallen, non ti arrendere, tira fuori tutta la grinta di cui sei capace!

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Capitolo 5
*** IV - GALLERIE ***


IV ~ GALLERIE


 


Vincent

E' ancora mattina, una calda mattina di sole senza nuvole. Ma già subito una scoperta sensazionale renderà questa giornata indimenticabile.

I dieci operai che Polimax è riuscito a farci avete sono già al lavoro. Lavorano con movimenti lenti, competenti: puliscono, raccolgono i pochi coccetti che avevo trascurato nelle campagne fatte nel mio vecchio mondo, coccetti che erano rimasti nelle zone non ancora aperte ai turisti.
Sopra, da diversi giorni, parlano solo di questo: una grande città sotterranea è stata riportata alla luce da un grande scienziato venuto da un mondo sconosciuto. Vogliono organizzare delle conferenze, degli incontri con le più alte autorità di questo strano mondo. Vogliono fare una festa.

Io rimango calmo. Conosco già tutto, qua sotto. Almeno così credevo, fino a qualche minuto fa…

Le maggiori soddisfazioni finora non le ho avute dagli apprezzamenti chiassosi di questa gente, nè dalla pubblicità sfacciata che mi fanno i media. Me le ha date Kallen, sempre curiosa, attenta a tutto quello che le racconto. Meglio le spiego le cose e più la vedo appassionarsi a una scienza, l'archeologia, che non è la sua. Lei segue me, nel senso che mi sta a fianco tutte le volte che può, mi fa molte domande sulla mia vita di prima, sulle mie conoscenze. Io seguo lei, nel senso che il suo modo di ragionare mi interessa e mi incuriosisce. Non le nascondo niente di me, perchè so che anche lei non nasconde niente di sè.

Osservo che la maggior parte degli uomini, di fronte a una donna, si ferma all'aspetto fisico. Una volta che sono riusciti a conoscere un pò meglio - magari in senso biblico - gli elementi esteriori di una donna, si sentono appagati e si fermano. Non è così: si trovano ancora al primo livello di conoscenza. Il meccanismo è quello emozionante dei videogame: risolto un livello ce n'è subito un altro, più complesso. Così tutta la natura che ci circonda. Così Kallen: offre sempre nuovi livelli da scoprire, studiare, analizzare.

E' un pò come questa città, dove i livelli, invece di salire, si addentrano nelle viscere della terra. Dodici livelli, fino a stamattina. Poi, alle nove, la voce di Kallen.
Non c'è bisogno di altre parole. Mi sta praticamente consegnando l'ingresso al tredicesimo livello!

 

Kallen

Capisco sin dall'inizio che oggi è una giornata importante. Il sole splende in maniera diversa, dona ai miei capelli rossi riflessi che non conoscevo. La gente è più festosa del solito, è impossibile passare inosservata. Tutti mi fanno grandi inchini e gesti di amicizia. Sono di  buon umore e canticchio mentre raggiungo Vincent che è già ai cancelli della città sotterranea.

E' ormai una settimana che lavoro fianco a fianco con lui, qua sotto. Non siamo mai del tutto soli. A volte seguiamo il lavoro di qualche operaio, e io appunto sul mio quadernetto misure e descrizioni.
A volte viene a trovarci qualche autorità locale, invariabilmente accompagnata da Polimax. Si fa precedere dalle sue risate che rimbombano nei corridoi stretti.
A volte poi, inaspettatamente, mi ritrovo Polimax addosso, come se fosse arrivato in punta di piedi. Mi fa spaventare, sbircia da sopra la spalla fra le mie note. Vincent lo accoglie sempre calorosamente, lo porta in giro per i corridoi. Possibile che non si accorga che quell'uomo ha qualcosa di losco?

Siamo già scesi fino al dodicesimo livello. Percorriamo tutti i cunicoli. Mi spiega le funzioni dei più piccoli anfratti come se fosse stato lui l'architetto di tutto questo. La sua conoscenza della realtà supera l'immaginazione.

"Questo era un ripostiglio per il cibo, una dispensa. Vedi, qui ci sono ancora i segni dei chiodi che ancoravano al muro gli scaffali di legno".

Come sempre mi piace verificare quello che dice. Mi inginocchio e sfioro con le dita il muro, mentre lui è già avanti. Uno spiffero, un leggero soffio fresco sulle dita…
Tiro fuori lo scalpellino e dò qualche colpetto alla roccia. Non è roccia, sono blocchi di tufo uno sopra l'altro, nascosti da uno strato di intonaco marrone. Comincio a togliere il primo blocco.
Vincent capisce, torna indietro di corsa, mi guarda con occhi lucidi, commosso.

"Ti prego Vincent, io non c'entro niente…"

Capisce di nuovo, dice calmo:
"Diciamo allora che è stato il caso: tutte le grandi scoperte dell'umanità sono avvenute grazie al caso!"

"Ti prego Vincent, il caso non c'entra niente.
La scoperta è tua. Te la meriti."

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Capitolo 6
*** V - DANZA ***


V ~ DANZA

 

Vincent

La festa in nostro onore, alla fine, l'hanno voluta fare davvero. Siamo al centro dell'attenzione. Ci sono molti operatori con telecamere e attrezzi strani. Il pubblico vuole capire, ci dicono, vuole partecipare alle nostre scoperte.

Sono riuscito finora a tenere segreto il ritrovamento del tredicesimo livello.  E' una specie di gelosia, la mia. Non mi piace condividere con tutti quello che in realtà è un segreto fra noi due, fra me e Kallen. Una scoperta fatta da Kallen, che Kallen ha voluto donare a me. Sono un pò deluso, però. Il livello è completamente vuoto, come se fosse stato ripulito con cura e poi chiuso in tempi abbastanza recenti, prima ancora che io iniziassi le campagne di scavi nell'altro mondo.

Parlano vari personaggi, con le solite frasi retoriche che dicono tutto e niente. Discorsi come: la città sotterranea permette di consolidare le radici di tutta la popolazione; è un ponte gettato fra il presente e il passato, lanciato verso il futuro.
Sono costretto a prendere la parola anch'io. Ringrazio. Dico che ho trovato una grande accoglienza da parte loro, una grande disponibilità di mezzi per portare avanti il lavoro. Prometto. Dico che le scoperte non sono finite qui, che la collaborazione andrà avanti e porterà grandi frutti.

Posso finalmente tornare a sedermi, accanto a Kallen.
Bevo una specie di tè, dolce ma leggermente piccante, che mi viene offerto da una ragazza coperta di veli semitrasparenti.
Le luci iniziano a smorzarsi.
Nella penombra, alcuni riflettori sono puntati su una decina di uomini che nel frattempo sono saliti sul palco. Hanno dei copricapi a cilindro, molto alti, e delle ampie tuniche strette solo da una cintura a vita alta. Inizia una musica ripetitiva, fatta da solo due o tre note. E gli uomini iniziano a ruotare su sè stessi, senza mai fermarsi. Le tuniche si allargano sempre di più, come gonne, formano cerchi bianchi in continua rotazione. Le braccia si muovono con gesti sapienti dalla vita fino a levarsi verso l'alto. La rotazione, in senso antiorario, mi ricorda il movimento di lunghe viti, che da sole prendono a svitarsi, uscendo sempre di più dal legno che le tiene prigioniere.

È la danza dei dervisci rotanti, che avevo già visto un paio di volte proprio qui in Cappadocia nell'altra vita. Allora non mi avevano coinvolto più di tanto, mi erano più che altro tornate in mente le parole della canzone di Franco Battiato:

"Voglio vederti danzare
come i Dervisches Tourners
che girano sulle spine dorsali".

Sono stupito che una tradizione di là possa essere arrivata fino a questo nuovo mondo, apparentemente così diverso. Mi sento assorbito anch'io nella danza. Mi gira la testa, sono coperto di sudore. Sono solo le dieci, eppure un sonno profondo mi fa perdere il controllo. Continuo a girare. Cerco Kallen ma non riesco a vederla. Dormo.

Kallen entra nel mio sogno. Sta combattendo contro qualcuno o qualcosa che non riesco a vedere. È fasciata in una strana divisa da guerra, di provenienza penso giapponese. Indossa strani stivaletti con custodie per stiletti; fasce bianche intorno alle gambe, pantaloncini corti neri, aderenti, con nastri che formano strani disegni sulle cosce; mezze maniche nere, bordate di azzurro, e guanti azzurri che stringono una lunghissima spada luccicante. Un paio di corna oscillanti sopra la testa. I movimenti delle gambe e delle braccia sono velocissimi, sembrano rituali. Come molle, che rapidamente vengono compresse. Raggiunta la massima compressione si fermano un istante nell'aria densa della battaglia. L'istante dopo esplodono, rilasciando tutta la potenza accumulata. Tutt'intorno volano minacciose saette di lunghissimi capelli rossi.
Il mio corpo è invaso di terrore e spavento, ma non solo...

 

Kallen

Mi sento fuori posto in mezzo a tutta questa gente che non conosco. Mi danno fastidio questo genere di feste, in cui devi stare attenta a come ti comporti, perchè tutti ti guardano, e ti commentano addosso. Seguo Vincent passivamente, e prendo posto accanto a lui. Selvaggia e Barbera indovinano il mio imbarazzo perchè vengono a sedersi vicine, dall'altra parte. Ci troviamo in una grande sala a volta, dalle pareti irregolari, una specie di grotta ricavata all'interno di una guglia artificiale. L'ambiente è illuminato a giorno, ma non riesco a capire da dove provenga tutta questa luce.

Si mangia, purtroppo, una delle solite cene nelle quali io cerco garbatamente di mangiare il meno possibile. Poi iniziano i discorsi, le presentazioni, i saluti.

Quando le luci si abbassano, capisco che inizia una specie di ballo rituale. Sono i dervisci rotanti, mi spiega Selvaggia. Vengono da confraternite sparpagliate in monasteri scavati nella roccia. Cercano con la danza di liberarsi dalle ansie e dai dolori di tutti i giorni, e di raggiungere l'estasi. Fra gli uomini vestiti di bianco,  con lunghi copricapi color beige, vedo aggirarsi sul palco Polimax. Lui non ruota, è vestito di nero con un lungo copricapo bianco, e si fa strada in mezzo agli altri figuranti. Possibile che si sia intrufolato anche lì?

Mi viene offerta una bevanda che io rifiuto prontamente; vedo Vincent ringraziare e bere.
La vista di Polimax, oggi più falso che mai, mi fa venire il nervoso, e non vedo l'ora di riuscire a venir via. L'occasione me la dà poco dopo Vincent, che si accascia sulla sedia.
Probabilmente è solo addormentato. Selvaggia e Barbera mi aiutano a portarlo fuori e ci ritiriamo nelle nostre stanze. Mi viene il sospetto che qualcuno abbia cercato di avvelenarci.

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Capitolo 7
*** VI - MONTEMERU ***


VI ~ MONTEMERU

 

Kallen

La sabbia nera del deserto luccica al sole.
L'idea è stata mia. Tornare sul punto dove siamo arrivati.
Il mio ragionamento non è complicato. Se c'è stato un modo per arrivare in questa irreale realtà, deve sicuramente esserci un altro modo per uscirne, e con buona probabilità nello stesso posto da dove siamo entrati.
Non mi rassegno a vivere per sempre in un ambiente che non è il mio.

"Non ti lascio sola", mi dice Vincent, anche se ho faticato un pò per convincerlo a tornare in questo deserto.
Ammiro la capacità di Vincent di adattarsi a qualsiasi situazione.
Riesce a fidarsi di tutto e di tutti.
E' pienamente appagato dalle sue attività archeologiche.
Il suo entusiasmo è persino contagioso.
Mi dona entusiasmo e mi aiuta a tirare avanti: intuisce tutte le difficoltà che trovo quotidianamente, e mi aiuta a superarle.
Vincent è un compagno perfetto, ma io non mi arrendo.
Faccio di tutto per uscire da questo sogno senza fine.
Ho la guerra nel sangue.

Selvaggia e Barbera ci hanno prestato uno dei loro mezzi volanti, dopo averlo programmato per arrivare fin qui e fare ritorno in città.
I caschi repellenti ci difendono dagli animali che si aggirano nel deserto. Ce n'è di tutti i tipi, dai tacchini volanti agli struzzi striscianti, dalle aquile che si muovono a balzi a una specie di grossi gatti che ululano minacciosi come lupi.
Tutte specie mescolate, un pò come il linguaggio di questo mondo, fatto di parole mescolate.

Abbiamo delle piccole pistole di plastica, ma non si presenta l'occasione di usarle.
Un paio di volte incrociamo uno squadrone di uomini armati che marciano compatti in direzione opposta.
"Nessuna paura - ci spiegava Selvaggia - non siete voi il loro bersaglio."
Sono una specie di "operatori ecologici" pagati dal governo per limitare l'eccessiva proliferazione degli animali molesti.

Arriviamo senza intoppi alla torre che vedevamo all'arrivo.
Anche stavolta qualcosa luccica in cima, ma non è la luna.
E' una specie di calotta trasparente.
Sono piuttosto delusa, non trovo nessun indizio; nessun appiglio per farmi sperare in un possibile rientro, vicino o lontano, nel mondo dal quale veniamo.
Seguo Vincent che, curioso, entra subito dentro la torre.

 

Vincent

Ho fatto mettere delle guardie armate agli ingressi della città sotterranea.
Non voglio che nessuno si infili a curiosare in mia assenza.
Polimax mi ha assicurato che controllerà di persona che tutto rimanga come l'ho lasciato.
È sempre molto servizievole, Polimax, e a noi fa comodo.

Seguo Kallen sulla sabbia nera, senza convinzione.
Si sente prigioniera, lei, vuole fare il possibile per rientrare nel mondo di prima.
Sento che è inutile tornare in questo deserto, popolato solo da animali ributtanti e da squadre armate in continuo movimento.
Un noioso viaggio di tre ore sulla moto senza ruote, Kallen davanti, io dietro, la testa appesantita dal casco repellente.

Poi arriva la sorpresa che mi lascia senza parole.
La torre, che l'altra volta sembrava un faro sotto il riflesso della luna, è in realtà un osservatorio astronomico.
Riconosco il potente telescopio protetto da una calotta trasparente sulla cima.
Il guardiano ci accompagna su per le scale.
E sulla parete della grande sala all'ultimo piano, quella che ospita il telescopio, trovo un grande arazzo con la raffigurazione del Monte Meru, la grande montagna a forma di torre di Babele che sta al centro del mondo, la grande piramide a gradini intorno alla quale girano il sole e la luna.
E' strano che all'interno di un osservatorio astronomico venga esposto il compendio della cosmogonia geocentrica buddista.
Ma quello che mi sorprende ancora di più è che la raffigurazione non è quella classica induista o buddista, ma è la variante giapponese, quella che ha adottato il grande studioso e inventore Hisashige Tanaka per arrestare la diffusione della teoria copernicana proveniente dal mondo occidentale.
Il Monte Meru, nel Giappone dell'ottocento, prendeva il nome di Monte Shumisen.
Come è possibile che un arazzo giapponese sia arrivato in questo sperduto angolo della Cappadocia?
Un arazzo che fra l'altro appare malamente conservato: non si adatta diritto alla parete, ma è come sgualcito, o meglio presenta delle lunghe piegature diritte, come una carta da pacchi che è servita per avvolgere qualcosa.

Nelle tre ore impiegate per tornare, dietro a Kallen nervosa e delusa, continuo a pensare a Kanaka, uno dei geni che più ammiro per la sua versatilità  in tutte le scienze, una specie di  Nikola Tesla del mondo orientale, non solo studioso e inventore, ma al tempo stesso abile costruttore di un gran numero di bambole e automi semoventi, orologi e marchingegni vari.

Tanaka e il suo Monte Meru. Devono volermi dire qualcosa. Ma cosa?

 

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Capitolo 8
*** VII - OROLOGIO ***


VII ~ OROLOGIO

 



Kallen

Rifletto, mentre io e Vincent continuiamo a esplorare meticolosamente le viscere della terra. Quel Polimax continua a piacermi sempre di meno. Sono convinta che la sua gentilezza nasconda qualche losco interesse. Da quando abbiamo tentato la via del ritorno nel deserto ci ha messo alle calcagna un suo scagnozzo, un giovane abbastanza insignificante senza capelli, dagli occhi chiarissimi e glaciali, quasi sempre in silenzio.

"Vi metto a vostra completa disposizione il mio assistente, approfittatene per qualunque necessità".

Vincent ringrazia. Una volta mi ha detto, con tono paternalistico:

"Le idee che ci facciamo degli altri non sono mai oggettive, sono sempre distorte dal nostro modo di vedere e di giudicare. La stessa persona ad alcuni può sembrare simpatica e positiva, ad altri tutto l'opposto". Si riferiva a Polimax. Ma io non sto giudicando le apparenze, giudico i fatti.

Sfioro con le dita le pareti di tutti i corridoi di quel tredicesimo piano sotterraneo, per accertarmi che non nascondano qualche muratura, come l'altra volta. Sono convinta che deve per forza esserci qualche altro livello sottostante. Perchè progettare una città di 13 livelli? Capisco 12, ma 13 è sempre stato in tutte le più antiche culture un numero di cattivo auspicio, da evitare. E così continuo a cercare, ostinata, il quattordicesimo livello.

Vincent è più avanti, e a un tratto mi chiama con voce rotta dall'emozione: "Kallen, Kallen!". Gli occhi di gatto dell'assistente di Polimax, fosforescenti nel buio, che mi sentivo addosso, si allontanano rapidamente, si spostano verso la voce.

Trovo Vincent accanto a un mobiletto basso, con base esagonale, di raffinata fattura orientale. In tempo zero vedo arrivare di corsa Polimax, evidentemente avvertito dall'aiutante. Vincent comincia a raccontare.

 

Vincent

La giornata di oggi ci regala un'altra scoperta ancora più emozionante. Poggiato per terra proprio davanti a me, in una nicchia sulla destra di un corridoio, trovo un orologio giapponese, un wadokei, inventato e costruito personalmente da Hisashige Tanaka dal 1848 al 1851. Ha l'onore di avere un nome tutto suo:  man-nen jimeisho, che letteralmente significa l'orologio dei diecimila anni.

So che ne esistono due esemplari al mondo: una copia commissionata nel 2004 dal governo giapponese, alla quale lavorarono più di 100 ingegneri per più di 6 mesi, che non ha mai funzionato; e quello che viene ufficialmente considerato l'originale, esposto al Museo della Natura e della Scienza di Tokyo. Quando però andai a vederlo, nella mia precedente vita, mi ero accorto che neanche quello avrebbe mai potuto funzionare. Qualcuno doveva aver sostituito il vero capolavoro di Tanaka con una imitazione, esteriormente quasi perfetta. Ma non era riuscito a riprodurre la speciale molla, quella che avrebbe dovuto mettere in moto l'oggetto, e farlo suonare ad ogni ora, per un intero anno, senza bisogno di cariche ulteriori.

Quindi adesso mi trovavo davanti al terzo esemplare, quello vero. Era stato trasportato chissà quando e chissà da chi, avvolto nell'arazzo che avevo visto dentro l'osservatorio astronomico in cima alla torre, e nascosto nel tredicesimo livello della città sotterranea. Quella stessa persona, con tutta probabilità ancora vivente, aveva poi provveduto a nascondere e sigillare l'intero livello.

L'orologio è magnifico, con le sue decorazioni laccate, gli intarsi di madreperla e le rifiniture di ottone lavorato. Presenta sei facce, ognuna delle quali indica lo scorrere del tempo secondo un diverso metodo di misura. La più interessante è quella col quadrante tradizionale giapponese. Lì le 12 ore non sono fisse come da noi in occidente, ma si allungano e si accorciano con le stagioni, in modo che sia la parte di giornata illuminata, sia quella al buio, abbiano ciascuna esattamente sei ore, dette koku. Le altre cinque facce contengono poi un orologio occidentale, un quadrante con le fasi della luna, il tradizionale anno cinese/giapponese diviso in 24 periodi (sekki), lo zodiaco orientale con i suoi dodici segni (junishi) associati agli anni anzichè ai mesi, e infine i giorni della settimana (shichiyo). Sulla parte superiore c'è poi la visione geocentrica del globo celeste, come quella rappresentata sull'arazzo.

"Ho la sensazione che tutto questo nasconda un messaggio" suggerisce Kallen.

"Sì", rispondo convinto.
Guardo la lancetta che esce dal Monte Shumisen, sulla sfera celeste orizzontale in cima all'orologio: punta sul Nord del Giappone. È quello il messaggio? O parte del messaggio? Devo scoprirlo!

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Capitolo 9
*** VIII - KATANA ***




 

VIII ~ KATANA

 


Vincent

Una luce fredda, impersonale, da ufficio, illumina una serie di stanze una uguale all'altra, con grandi tavoli al centro. Tavoli da riunione, dove qualcuno riferisce di scoperte e osservazioni fatte nei laboratori adiacenti. Dove altri non capiscono, perchè si occupano di attività diverse o perchè non sono interessati. Eppure a questi tavoli continuano a riunirsi, giorno dopo giorno, c'è gente che muove denaro, decide se continuare a finanziare un progetto o farlo terminare.

Un emissario di Polimax ci ha scortato in questo posto inquietante. Siamo in quella che nel mio mondo chiamavano Romania.
Prima mi hanno fatto visitare i vari laboratori che sono stati riuniti all'interno della struttura, interamente allestita sottoterra. Sopra di noi c'è un denso bosco di conifere, c'è un lago a mille metri d'altezza, il lago Sant'Anna, che occupa il cratere di un antico vulcano. Pare che tutto il sito, in virtù di una particolare ionizzazione negativa, riesca a rilassare il sistema nervoso di chi lo frequenta. Ed è una fortuna, perchè si rischia di fare incontri poco gradevoli nei paraggi. Qui sotto infatti si fanno pure esperimenti di ingegneria genetica, ed ogni tanto qualcosa sfugge dai laboratori. Ho visto gabbie con esseri mostruosi immobilizzati per la mancanza di spazio. Mi hanno rassicurato che niente viene creato qua sotto, che gli scienziati si limitano a studiare specie provenienti da parti diverse del mondo, ma non ci ho creduto.

Siamo arrivati con una specie di drone a 4 eliche e una grande cabina in vetro, molto panoramica. Siamo stati accolti da curiosi personaggi agghindati con fasce e grandi stemmi. L'emissario di Polimax non ci ha mai lasciato neanche per un minuto. Prende spesso la parola al posto nostro, ma il suo capo non si fa vedere.

Riuniti ad uno dei tavoli dei sotterranei mi comunicano che la campagna di scavi ha dato ottimi risultati, ma che al momento è conclusa. Esistono progetti più importanti da finanziare. Rimango con un po' di amaro in bocca: dopo mesi di lavori portati avanti con impegno e dedizione, non mi aspettavo un finale così improvviso e deludente.

Poi l'orologio giapponese e noi veniamo  scortati in un laboratorio ottico che fa parte del gruppo di laboratori sotterranei. L'oggetto viene disassemblato pezzo per pezzo, mentre io resto a guardare impotente: riusciranno poi a rimontarlo come prima? Non viene scoperto niente di nuovo, se non che la lancetta del planisfero superiore è stata volutamente bloccata sul Nord del Giappone. Il quadrante su cui ruota la lancetta viene sottoposto a una particolare illuminazione di fotoni balistici e rivela alcuni ideogrammi giapponesi che sono stati scritti a matita e poi accuratamente cancellati. Gli ideogrammi vengono ricopiati e separati dalle decorazioni circostanti, e fatti circolare fra gli studiosi presenti nel laboratorio. Nessuno è esperto di cultura giapponese. Tengo una copia per me. Ma l'orologio non mi viene restituito. Forse era meglio che non avessi mai riscoperto il capolavoro di Tanaka.

Nel frattempo vedo Kallen alzarsi e sparire dietro una porta scorrevole su un lato del laboratorio. E' in continuo fermento, Kallen. Sta cercando. Forse se stessa. Forse quelle che sono le sue misteriose radici.


Kallen

Percepisco la delusione di Vincent. Ci tolgono in sostanza tutti i finanziamenti, con modi di fare falsi e ossequiosi. Ho la sensazione che ci considerino come due esseri anomali, e pericolosi per di più, da tenere sotto stretto controllo. E se non ci facessero più uscire da questi laboratori? Se ci ingabbiassero come quelle inquietanti specie mutanti che ci hanno mostrato?

E poi c'è quel Polimax, con quel suo comportamento viscido…

"Perchè continui a fidarti di Polimax, e lo metti a parte di tutte le nostre scoperte?"

Vincent risponde in modo vago, come se la sapesse lunga e io non potessi capire: "Ci sarà utile, vedrai…". Ci sono momenti in cui mi indispone anche Vincent.

La riunione davanti all'orologio fatto in mille pezzi mi diventa insopportabile. Mi alzo, ho bisogno di muovermi, di strapparmi di dosso questa sensazione di prigione che cresce in me. Mi avvicino alla porta più vicina, si apre da sola. Ancora un passo, e si richiude alle mie spalle.

Mi ritrovo in un vasto ambiente, tappezzato di teche alle pareti, contenenti armi. Un'armeria? Meglio, un esposizione di armi per lo più giapponesi usate da antichi samurai: katana, wakizashi, con splendide custodie decorate, corti pugnaletti tanto, lunghissimi nodachi che già a impugnarli ci vuole un'arte tutta speciale. Mi trovo davanti a una bellissima katana, di media curvatura (koshi-sori), dalla punta lunga e stretta (o-kissaki) e una dimensione che sembra fatta apposta per la mia statura. Mi mancano troppo i miei allenamenti di kendo, quando bastavano pochi movimenti col mio bokken di legno per cancellare tutto il negativo dell'intera giornata, quando riuscivo a dare tutto il meglio di me stessa. È più forte di me, e un attimo dopo la teca è aperta, la katana ben bilanciata sotto il mio completo controllo. Con l'altra mano, con gesto voluttuoso, sciolgo i capelli. Mi strappo via camicetta e pantaloni, rimango in una specie di tuta aderente, resistente ai tagli. Sono pronta, preparata. Dimentico il luogo dove mi trovo. Il pavimento diventa aria, il soffitto diventa cielo.

Davanti a me si apre un largo e lungo corridoio, mi ci spingo dentro e iniziano a comparire ai lati altre katana. Non sono esposte alle pareti, sono in rapido movimento, volteggiano nell'aria. Appena mi avvicino, si materializzano antichi guerrieri che impugnano le spade, aspettano il mio passaggio, pronti a mettere alla prova le mie capacità fisiche e psichiche. Il corridoio si popola di fantasmi, ologrammi sospesi che appaiono e scompaiono a intervalli. Comincio ad affrontarli uno per uno, il corridoio si riempie di grida; attimi di immobilità seguiti da fendenti spietati e fendenti schivati. Ho l'adrenalina alle stelle. "Vai avanti così, Kallen", mi ripeto spesso. Ma non ho bisogno di incoraggiamenti. Sono finalmente libera da ogni vincolo, e continuo a combattere, spossata ma vittoriosa. I guerrieri approfittano di ogni mia minima distrazione, ma rapidamente, uno a uno, li vedo accasciarsi e poi sparire, con la coda dell'occhio.

Non ho tempo di pensare, e non capisco se tutto questo sia frutto della mia fantasia o se si tratti di qualche nuovo tipo di arma, reale e irreale al tempo stesso. Ho come la sensazione che tutti i guerrieri vengano manovrati da un'unica mente. Una mente nella quale riesco sempre più a immedesimarmi, di cui riesco a prevedere sempre meglio materializzazioni e reazioni, man mano che avanzo nel corridoio. È un gioco perverso, una sfida sanguinaria in cui c'è posto solo per il migliore.

Il corridoio finisce in una grande sala. Distrutta, cado per terra, la schiena rovente contro il pavimento gelato. Mi sembra di vedere una figura nera, che agilmente mi scavalca e sparisce dietro una porta.

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Capitolo 10
*** IX - CORVO ***


IX ~ CORVO

 

 

Vincent

"Il mio nome è Lance". E' sempre di poche parole, il nuovo personaggio che si è presentato davanti a me e a Kallen nei giorni scorsi. Sempre ossequioso, ma con un che di altezzoso e prepotente in quei suoi occhi a mandorla, tenuto a freno da una discreta capacità di autocontrollo.
Svolge un ruolo piuttosto importante: è il responsabile della ricerca e sviluppo di nuove armi e sistemi di difesa adottati dal governo. Partecipa personalmente al progetto  di ogni nuovo prodotto, e lo fa con passione e intelligenza vivace. Peccato, perchè avrebbe potuto dedicarsi a qualcosa di meno distruttivo dell'offesa e della difesa.

Ho cominciato a diffidare di tutto e tutti, come Kallen, e non so come inquadrare il nuovo conoscente. Non segue le direttive governative, che ci hanno praticamente confinati in due appartamenti sotterranei annessi ai laboratori. Dice di non conoscere Polimax e neanche il suo emissario dalla testa lucida, che nel frattempo è scomparso. È come se avesse degli interessi e dei giri tutti suoi, ma non capisco quali possano essere. 

Viene a trovarci abbastanza spesso e mi parla dei suoi progetti, mi chiede il parere, cerca la mia approvazione. Io lo ascolto per educazione, senza essere particolarmente interessato all'argomento.

Un giorno dice che i suoi avi vengono da quello che un tempo era il Giappone, ma che hanno poi lasciato il paese per motivi di studio e di lavoro. Decido allora di mostrargli gli ideogrammi scoperti all'interno dell'orologio di Tanaka. Riesce a decifrarli, dicendo di essere rimasto uno degli ultimi a conoscere gli ideogrammi kanji.
Esprimono il nome della località più a nord del Giappone, la punta estrema dell'isola di Hokkaido: Capo Soya. C'è poi un numero, 12, e un secondo numero, 8.

Vedo la nostra condizione sempre più critica. Siamo come imprigionati all'interno di questi sotterranei, dimenticati ed evitati da tutti, a parte le attenzioni incomprensibili di Lance. Vedo Kallen sempre più inquieta e irrequieta. Sicchè decido di mettere fine a questa situazione.

"Ho la soluzione: vieni a prenderci", chiamo Polimax. "Dobbiamo fare in fretta, agosto sta per finire".

 

Kallen

"Il mio nome è Lance" dice il nuovo personaggio venuto a trovarci il giorno dopo il combattimento. Ha i capelli neri lucidi, corvini, con punte ribelli in tutte le direzioni, esaltate dal gel. Indossa un paio di pantaloni larghi, neri, e una giacchetta sahariana col collo coreano, sempre nera, grandi tasche a vista con copri-tasca. Sotto la giacca traspare una camicia grigia. Dimostra una trentina d'anni. Ha un modo affascinante di parlare, di gesticolare, ma al tempo stesso indisponente.
Guarda quasi sempre Vincent, tranne qualche rara occhiata che mi rivolge penetrante, tagliente, attraverso due gelide fessure a mandorla.
Non riesco a restare indifferente, e gli faccio delle domande, infilandomi nella conversazione fra i due. Non risponde, continua i suoi ragionamenti con Vincent, parla soprattutto di armi e di droni da guerra.
Vedo Vincent cominciare ad appassionarsi quando Lance inizia a descrivergli uno speciale linguaggio, inventato da lui stesso, per programmare in maniera guidata i suoi droni, senza pericolo di inserire errori.

Viene a trovarci spesso, facciamo colazione insieme, sembra che sia molto preso dai discorsi che porta avanti con Vincent.

Un giorno porta con sè la katana che avevo scelto per il combattimento.
"È tua". Rimango lì come una bambina a bocca aperta, vorrei fare un fiume di domande, mi sento sciogliere, le classiche farfalline nello stomaco.

Qualche giorno dopo: "Ricordati di ridarmi la katana appena hai finito gli allenamenti".
Mi sento uno straccio, vado a sedermi lontano sperando che mi raggiunga e si scusi dicendomi di aver capito che è stato troppo brusco.
Ma arriva solo Vincent con una tazza di tè caldo e un sorriso. Lance lo segue, saluta di fretta e ci lascia soli.

"Lance è un bravo ragazzo - dice Vincent - ma un pò distratto, e come tutti i giovani una cosa non capisce: quando esagera".
Io una cosa l'ho capita: Vincent è la persona più comprensiva che abbia mai conosciuto.

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Capitolo 11
*** X - LUCE ***


X ~ LUCE

 


Vincent

Polimax è arrivato lo stesso giorno che l'ho chiamato, molto allegro ed esuberante come sempre, con un grande drone rosso fiammante quadrielica. Ha avvertito prima ancora di arrivare i burocrati del laboratorio: si parte immediatamente per il Giappone. Usa le mie parole: "Agosto sta per finire, dobbiamo fare in fretta se vogliamo riuscire vittoriosi". Non penso che capiscano di cosa stia parlando.
Solo in tre conosciamo il segreto, io, Kallen, e Lance, che è stato determinante per aiutarci a capire i due numeri: 12, di mezzogiorno, e 8, di agosto. Non so ancora quanto e cosa sappia Polimax, cerco di tenerlo sulle spine e parlo il meno possibile. E lui mostra il suo tipico comportamento di quando è nervoso: è affabile, scherza con tutti, offre tè e caffè a chiunque, sempre seguito dal suo emissario senza capelli. "Presto, presto, si parte per il Giappone". Grandi pacche sulla spalla anche a chi non conosce.
 Ai burocrati e ai rappresentanti del governo presenti al laboratorio non interessa l'orologio, vogliono solo non perderci di vista. Ci obbligano ad essere accompagnati da un giovane armato di tutto punto. "Garantirà la vostra incolumità", dicono. Polimax cerca di convincerli che non ne abbiamo bisogno, che ha provveduto di persona all'equipaggiamento, ma non è ascoltato.

All'ultimo momento, pochi attimi prima di partire, arriva Lance su una moto senza ruote, circondato da una nuvola di polvere. Si dirige deciso verso la guardia che ci ha assegnato il governo, la strattona, parla fitto con lui e con quelli che si avvicinano per capire cosa sta succedendo. Poi lascia il gruppetto e viene da noi. "Possiamo partire. Non sono mai stato nella terra dei miei avi, voglio vederla, la terra dei maestri d'arti marziali".

Lance proprio non me l'aspettavo. Osservo d'istinto Kallen e la vedo cambiare di colore. È più bianca del solito.
Ho sempre odiato i gatti per quel loro modo perverso di giocare con i topolini che catturano.
 
 

Kallen


All'inizio sembrava un noioso viaggio di trasferimento, in presenza di persone come Polimax con le quali sei obbligata a relazionare solo per buona educazione, con le quali non potrai mai essere sincera.
Vincent ha grandi aspettative per questo viaggio. Dice che per noi è l'inizio del rientro nel nostro mondo.
Poi compare Lance, vestito di nero come sempre.
Mi sento improvvisamente posseduta da una grande felicità.
Parla poco, generalmente per rispondere a domande dirette che gli fa Vincent. È impresa eroica cercare di capirlo. Ma io ho la certezza che sia qui per un'altra ragione, magari per stare insieme, in fondo la sua versione ufficiale è un po' ambigua. Dalle fessure degli occhi escono raggi di sole. A volte scottano la pelle, fanno male, a volte la riscaldano, avvolgenti, benefici. Provo a immaginare come potrebbe cambiare la mia vita con lui al mio fianco, nel mio mondo.
Nell'elegante salottino ricavato nel drone di Polimax c'è imbarazzo, si parla a monosillabi, ci si muove come in un campo minato. Polimax rompe il ghiaccio.
"Tutti noi abbiamo studiato che nel lontano 1945 gli Stati Uniti hanno sganciato due bombe atomiche sul Giappone, 'little boy' il 6 agosto e 'fat man' il 9 agosto, per obbligarlo alla resa. In realtà il programma prevedeva un totale di 15 bombe, di potenza man mano crescente, ognuna su una destinazione predesignata, fino allo sterminio dell'intera popolazione giapponese. La terza bomba venne costruita a Tinian, nelle isole Marianne, ed era pronta per essere lanciata il 19 agosto, senonchè il Giappone firmò la resa quattro giorni prima. La bomba, ormai difficile da smantellare, con sadica e prepotente freddezza, venne lanciata lo stesso. Solo il bersaglio venne modificato. Scelsero il punto più a nord di competenza giapponese, lo spopolato isolotto di Bentenjima, a un chilometro da Capo Soya. La geografia della zona venne completamente modificata. Il mare si ritirò, Capo Soya sparì, l'isola venne trasformata in una fossa al di sotto del livello del mare. Quella, signori, è la destinazione del nostro viaggio."
Le parole di Polimax sembrano cadere nel vuoto. Mi sento confusa, ho sonno, forse per via della levataccia stamattina.
Mi addormento. E sogno… Una luce accecante davanti agli occhi… Ma finalmente sento la felicità in me!

 

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Capitolo 12
*** XI - NORD ***


XI ~ NORD

 


Vincent

Quattordici agosto. Domani sarà il giorno culminante del mese di agosto, quello che i Romani chiamavano feriae augusti, il ferragosto. Nel giorno culminante del mese indicato dall'orologio, 8, e nell'ora culminante di quel giorno, sempre indicata dall'orologio - le dodici - il transito mio e di Kallen in questo mondo incredibile avrà finalmente fine. Un fenomeno che trascende qualunque legge della fisica che conosciamo, un fenomeno unico e irripetibile.
Ci sarà posto soltanto per due, solo due persone potranno affrontare il trapasso in senso inverso. Solo due sono riuscite a entrare, al di là della loro volontà; solo due potranno uscire. Non necessariamente le stesse, però: questo per me è fonte di una certa preoccupazione.

Polimax probabilmente lo sa. Per questo non si separa mai dal suo aiutante, che immagino armato fino ai denti, e che vorrebbe portarsi nel trapasso. Polimax è tremendamente interessato all'esplorazione di un mondo che gli offre enormi opportunità per estendere la sua potenza e le sue ricchezze. Probabilmente ha un piano per sostituirsi a me e Kallen all'ultimo momento. Ho preso le mie contromisure, ma vivo in uno stato continuo di allarme, non chiudo più occhio da un paio di notti.

Kallen invece, poverina, non sa che non potrà portarsi dietro il suo misterioso Lance. Non ho avuto il coraggio di dirglielo. Ho avuto paura che il trauma che ne sarebbe derivato avrebbe potuto essere letale. Lance non mi preoccupa. Non credo che arriverebbe a farmi fuori per prendere il mio posto a fianco di Kallen, per arrivare in un mondo che non ha nessun interesse di conoscere. È sufficientemente egoista da mettere la sua vita al primo posto, e non intende sacrificarsi per seguire la donna che, a modo suo, ama. Ma se anche decidesse di uccidermi, non credo che Kallen glielo lascerebbe fare, per quanto possa essere accecata da una passione folle e infuocata com'è quella da cui pare essere posseduta. Se tutto andrà bene, domani questa avventura sarà finita. Io farò i conti con mia moglie, alla quale dovrò inventare qualche scusa per spiegarle come mai il mio vestito buono è sporco e strappato. Kallen è giovane e avrà tutto il tempo per trovarsi la sua vera metà.

Ho provato a raccontare a Lance che Kallen è già impegnata, nella speranza  che smetta di trattarla come un topolino con cui giocare. Lui ha subito fatto una smorfia di sdegno: è orgoglioso, non tollera che possa essere messo in ombra da qualcuno. È consapevole di avere un'intelligenza fuori dal comune, e la difende con ogni mezzo.
Adesso, grazie alla collaborazione di Lance e al drone di Polimax, siamo sul fondo della fossa che si apre a fianco di quello che era una volta Capo Soya.
Un enorme macigno, probabile resto deforme di qualche manufatto umano, segna il punto più basso della fossa. Tutto il resto, visto dall'alto, è desolazione, una sterile distesa di sabbia grossolana che non lascia spazio a nessuna forma di vita, animale o vegetale. Non è difficile, una volta scesi, individuare un cunicolo che si apre sulla destra del masso. Tutti guardiamo in silenzio l'apertura, senza osare entrarci. Tutti sappiamo che domani, ferragosto, alle dodici, saremo di nuovo qui, a pestarci i piedi, ognuno spinto da interessi diversi.
 

Kallen

Abbiamo passato la giornata sulle distese desertiche dove una volta l'Oceano Pacifico lambiva il panoramico promontorio di Capo Soya. Abbiamo esplorato la fossa dell'ex-isola di Bentenjima, prima dall'alto col drone di Polimax, poi a piedi, fino a scoprire il cunicolo che - dice Vincent - ci riporterà nel nostro mondo. Nostro, dice lui. Ma il mio punto di vista è rapidamente cambiato in questi ultimi giorni. Il mio mondo è qui, non voglio altro che restare qui, al fianco di Lance.
Dovrei dirlo a Vincent, che ho deciso di non scendere nel cunicolo con lui, ma ho paura di dargli un grande dolore. Non se lo merita, dopo tutto questo tempo che abbiamo vissuto fianco a fianco, da veri amici, condividendo gioie e dolori.
Gli preparo un messaggio, e glielo infilo nel taschino della camicia che indosserà domani, la stessa che indossava quando ci siamo conosciuti. Quando lo leggerà sarà troppo tardi per i ripensamenti. Io avrò perso per sempre la possibilità di tornare nel mondo precedente: il cunicolo, una volta percorso, crollerà su se stesso e non potrà più essere attraversato.

La sera mi tocca sentire una delle solite uscite di Polimax: "Siete tutti invitati a cena per festeggiare l'addio di domani". Falso come Giuda.  Non ci sarà nessun addio. Capisco che starà alle calcagna di Vincent e lo seguirà nel vecchio mondo; io finalmente non lo vedrò più. E non ci sarà nessun addio fra me e Lance: siamo fatti l'uno per l'altra, tutti e due siamo ostinati a portare avanti i nostri obiettivi, gli stessi obiettivi.
Durante la cena Lance quasi mi ignora. Ma mi fa lo stesso felice con le sue parole. Specialmente quando dice, misterioso come sempre: "Uno di noi non partirà". Frase stupida, inutile, se ci ripenso a freddo. Ma io immediatamente la interpreto come: "Kallen non partirà", dando finalmente voce ai miei pensieri di questi ultimi giorni. E invece probabilmente voleva semplicemente dire: "Io non partirò con te, non farti illusioni". Ma il discorso si sposta rapidamente su altri temi.

La cena dura troppo, finisce per diventare un supplizio. Finalmente fuori, siamo avvolti da una gradevole brezza profumata di conifere, che dà un pò di ristoro dopo il torrido caldo di agosto. Vincent è avanti, parla animatamente con Polimax e socio, i due non lo mollano. Io rimango qualche passo indietro, cercando Lance.
Che mi raggiunge.
E che mi blocca contro un muretto.
Distanza interpersonale violata.
Ancora le farfalline nello stomaco.
"Speravo che saresti rimasta qualche giorno di più… Avremmo potuto conoscerci meglio."
"Ma…"
Non mi lascia parlare. "Ho conosciuto, e dimenticato, molte donne nella mia vita…"
Adesso sono io che non lo lascio finire. "Perchè mi hai accompagnato in Giappone?" quasi grido, a bruciapelo.
"Ho in mente di provare sul campo la mia nuova creazione, un'arma da difesa di ultima generazione. Molto presto vedrai. Non puoi perderti lo spettacolo!".
Non riesco più a pronunciare frasi sensate, ma non sono ancora sicura di aver capito bene.
"... io e te… solo amici?".
"Non può esistere l'amicizia fra un uomo e una donna, fa parte della natura stessa dei due. Siamo stati programmati per procreare, non abbiamo molti argomenti comuni".
"... quindi non capisci cos'è un amore, grande, per sempre…" mi faccio ribrezzo, sto elemosinando amore da quest'uomo che non ha sentimenti.
"Non credo che riuscirei mai a buttarmi in una relazione duratura con una donna. Il mio cervello non ha bisogno di distrazioni. So bastare a me stesso."
"È la frase più egoista che abbia mai sentito. Dici di aver conosciuto un sacco di donne e non hai nemmeno una lontana idea di cosa sia l'amore. Quello che tu chiami il tuo cervello non è stato programmato - come dici tu - per andare avanti da solo. Ha bisogno di essere compenetrato, potenziato… Ma è inutile perdere tempo a parlare con uno come te".
Le fessure degli occhi gli si stringono ancora di più. Rimane per un pò con lo sguardo nel vuoto. Sembra scosso. Poi riprende il controllo: "Bene.".
E scappa via.

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Capitolo 13
*** XII - BABI ***


XII ~ BABI

 


Vincent

Dodicesimo e ultimo capitolo. Nell'antico Egitto, dodici erano le ore della notte che il Sole doveva attraversare per rinascere luminoso. Ogni ora era una prova, raffigurata da un babbuino. Sulla parete ovest della tomba del giovane faraone Tutankamon, 19 anni, erano raffigurati dodici babbuini, le dodici prove che avrebbero consentito al re di rinascere, per analogia col cammino del sole.
La dodicesima prova si preannuncia per noi la più difficile. Mancano pochi minuti alle dodici. Ci troviamo tutti davanti al cunicolo; io, Kallen, Polimax e il suo aiutante. Tutt'intorno lo squallore del deserto, dove manca qualunque essere animato, dove persino l'aria è immobile.

All'improvviso Polimax rompe il silenzio: "Signori, sono sinceramente addolorato di doverci salutare, e sono pieno di gratitudine nei vostri confronti. Senza di voi, chissà tra quanti anni si sarebbe scoperto questo straordinario passaggio. Offrirete le vostre vite per la mia causa personale. Grazie a voi potrò avviare l'esplorazione e lo sfruttamento del vostro mondo…". Continua a parlare ma non lo ascolto più; la situazione si fa disperata.
Estrae un'arma da fuoco ed in più vedo con la coda dell'occhio l'aiutante di Polimax che rapidamente, come se avesse ripetuto più volte la sua parte in ogni minimo dettaglio, si posiziona dietro a Kallen e me, sfoggiando un pugnale scintillante sotto i raggi del sole estivo. Vedo il tentativo della rossa di allungare le mani verso la sua preziosa katana, ma quasi contemporaneamente veniamo bloccati, in quanto ci troviamo ammanettati.
Fedeli ed efficienti li sceglie, Polimax, i suoi collaboratori. Ma ha un difetto da cui non riesce a correggersi: parla troppo, e mentre parla abbassa la guardia.
Il problema è che avrebbe già dovuto arrivare qui la squadra che ero riuscito a mettere insieme al laboratorio, ma all'orizzonte non vedo muoversi niente. E l'angoscia sale sempre più; ora che siamo al portale, non possiamo perdere tutto! Oltre al dovere di fermare questo criminale col suo socio.

"Non temete - termina Polimax -, verrete eliminati in maniera assolutamente indolore".
Ma con la coda degli occhi vedo che inizia a formarsi una linea scura all'orizzonte… Una scia scura in mezzo ad un angolo di terra completamente abbandonato? Strizzando gli occhi vedo che si tratta di piccoli insetti, e la loro capacità di proliferare durante il tragitto è sbalorditiva. Quando i primi arrivano a destinazione, la sottile linea è diventata un'enorme nuvola nera che si divide in due e avvolge completamente gli armati malcapitati. La scena è sgradevole: la nube continua a moltiplicarsi anche addosso ai due, sparisce ogni sembianza umana, non restano che due grosse sfere vibranti e ronzanti.

Lance scende da una moto di finiture nipponiche, e si avvicina a me e a Kallen con un sorriso, spruzza un gel sulle manette, che si dissolvono. "Se non fossi arrivato io al momento giusto - dice osservando Kallen molto soddisfatto - e quale occasione migliore per testare la mia nuova invenzione. Invisibile quanto letale… Magnifica". Estrae dalla tasca una scatoletta, preme un pulsante, e i due sciami iniziano ad assottigliarsi, gli insetti svolazzano via e si perdono nell'aria. Rimangono a terra Polimax e l'aiutante, immobili.
"Fra un paio d'ore torneranno in forma come prima, anzi, forse ancora più vivaci, perchè le punture soporifere potrebbero avere dei benefici effetti collaterali che non ho ancora finito di studiare".
Qualche secondo più tardi arriva il grande drone quadrielica con gli uomini che avevo messo insieme nel laboratorio. Dovrebbero addestrarli ad essere più puntuali!
Raccolgo le mie cose e dico a Kallen: "Entro prima io. Stammi vicina, mi raccomando."
 

Kallen

È assurdo, masochista: come provi a smettere di pensare a qualcuno, questo ti appare davanti agli occhi nei momenti più inaspettati; ecco il mio caso, dopo uno scampato assassinio, la materializzazione dell'uomo che la sera prima mi ha spezzato il cuore. Possibile che Lance, dopo tutto quello che mi ha detto, continui a monopolizzare i miei pensieri?
Eppure non mi stavo immaginando le cose. Dopo poco tempo aveva iniziato a venire a trovarci nei sotterranei, anche nei pomeriggi, dopo la chiusura del suo ufficio. Ed era il mio momento preferito della giornata: anche se mi parlava sempre esaltatissimo del suo lavoro, almeno potevamo passare del tempo insieme, mentre Vincent solitamente si ritirava nella sua stanza per pensare e ripensare a come farci tornare a casa. Ma, dopo la sua decisione qualche ora fa, mi chiedo se effettivamente non mi sia creata da sola un bel film romantico nella mia testa, di pura fantasia.
Appena Vincent inizia a sparire dentro il cunicolo, mi avvio dietro a lui, meccanicamente, senza convinzione, cercando per l'ultima volta Lance con la coda dell'occhio. Devo ricordarmi di togliere il biglietto dal taschino della camicia di Vincent non appena saremo tornati nel nostro tempo! Anche se mi chiedo… Chissà se ci ritroveremo nello stesso posto insieme, o ognuno da dove è precipitato. In ogni caso abbiamo scambiato i contatti, per non perderci dopo questa "avventura" decisamente insolita.

Provo a seguirlo, ma subito sento di non riuscire ad andare avanti, qualcosa mi tira indietro, con violenza. Mi ritrovo fuori, alla luce, afferrata per il polso da Lance.
"Ricordi cosa ti ho detto l'altro giorno? Prima che tu parta, gradirei riavere indietro la mia katana…"
Ecco, il fine per cui si è mobilitato, e riguardo cui non intende proprio cambiare idea.
"Pensavo che io potessi tenerla… Come ricordo…"
Silenzio. Tipico di lui.
Mi volto, per slegare la cintura del fodero, ed ecco il viso di Lance a contatto del mio viso, l'alito caldo, profumato, di Lance mescolato al mio, le labbra umide, delicate, di Lance sulla mia guancia.
È un attimo; fa per allontanarsi mentre mi perdo in quelle iridi color ossidiana. Non ragiono più, annebbiata da una esplosiva felicità. E questa volta lo tiro io verso di me afferrandolo per la cravatta, azzerando la distanza tra le mie labbra e le sue.
Dopo qualche secondo, rosso in volto, Lance esordisce sottovoce: "Pensavo fosse più semplice sfuggirti…"
"Non fraintendere.  Chi ti ha detto che io voglia rimanere per te? Sono molto incerta sul da farsi… E il portale è ancora aperto per qualche minuto… Vuoi provare a persuadermi con un secondo tentativo?"
Ferito nell'orgoglio, reazione istantanea! Sento il freddo della parete rocciosa attraverso la schiena, e davanti a me è tutto corvino. Lance ha iniziato a percorrere molto lentamente il mio collo riempiendolo di leggeri baci, immobilizzandomi. E poi, finalmente, fulmineo mi cattura con un bacio infuocato, come se volesse lasciarmi per sempre senza fiato.
Il tempo di allontanarci per riprendere ossigeno, e vedo il suo sguardo alquanto compiaciuto nel sentirmi sotto il suo tocco, il suo volere.

Non sarà la classica storia d'amore, ma dopotutto non potrebbe non essere speciale con un ragazzo così non ordinario, no?
E io non vorrei nessun altro differente da lui!
 

Vincent

Ricordo di aver detto a Kallen di starmi vicino, ma poi è successo tutto in un baleno. Non ho avuto neanche il tempo di voltarmi indietro. Sparita. Possibile che non ce l'abbia fatta? Sono invaso da sensi di colpa. Non ce l'ha fatta, è tutta colpa mia. Vorrei tornare nell'altro mondo, vedere cosa è successo. Non riesco più a sopportare il rumore dei motori a scoppio, i clacson delle automobili, la voce acida della moglie a cui dovrò spiegare cosa è successo. Kallen mi manca tremendamente, non può essere sparita così nel nulla.
Trovo un biglietto nel taschino della camicia. Poche righe scritte di suo pugno.
"Vincent, ho deciso di rimanere qui. Non ho avuto il coraggio di dirtelo a voce, forse per paura di essere convinta da te, dalla tua logica inoppugnabile, che sto sbagliando. Ma tu ormai mi conosci. Voglio sentirmi libera di sbagliare.
Sappi che ti rimarrò affezionata per tutta la vita. Con te ho vissuto le situazioni più sbalorditive che mi siano capitate. La tua guida mi ha maturato. Ma è arrivato il momento di separarci. Un giorno, forse, ci rivedremo."
Non le ho mai detto che stava sbagliando. Ma l'ho pensato.
E ora penso anche che chi si sbagliava nel giudicare Lance, forse, ero io.
Mi mancherai, Kallen, ma sono felice che tu sia felice.

 

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