Country Boy

di dracosapple
(/viewuser.php?uid=352406)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Simple Man ***
Capitolo 2: *** Thank God I'm A Country Boy ***
Capitolo 3: *** Helter Skelter ***
Capitolo 4: *** Knockin' On Heaven's Door ***
Capitolo 5: *** Welcome To The Jungle ***
Capitolo 6: *** Boys Don't Cry ***
Capitolo 7: *** Changes ***
Capitolo 8: *** See Me, Feel Me ***
Capitolo 9: *** Gimme Shelter ***
Capitolo 10: *** Happiness Is A Warm Gun ***



Capitolo 1
*** Simple Man ***


Premessa dell'autrice: salve a tutti! Premetto che sono anni che non pubblico qualcosa qui, ma qualche giorno fa ho sentito la canzone Thank God I'm A Country Boy di John Denver e ho avuto l'ispirazione per questa storia, non chidetemi come (che prende il titolo dalla canzone citata). E' la mia primissima Destiel ma visto che sono in pieno rewatch di Supernatural non potevo farne a meno, quindi siate clementi con me vi prego ahahaha. Spero di non andare troppo OOC e di non modificare il rating, nel dubbio vi avviserò prima di ogni capitolo! Spero vi piaccia e nulla, se vi va lasciate una recensione. 
Un bacio
Maggie


Capitolo 1: Simple Man1
Lawrence, Kansas, 26 agosto 1988

L’estate stava volgendo al termine, le giornate si erano fatte via via più corte e il sole, basso sulla collina, gettava una morbida luce dorata sulla distesa d’erba verde che si spianava davanti al ragazzo in blue jeans, seduto sul cofano della vecchia Chevrolet Impala. Dean rivolse gli occhi, verdi come quell’immenso prato che aveva di fronte, alla fattoria che si scorgeva in lontananza.
Dall’interno dell’auto venne un’imprecazione e poi la portiera del lato passeggero sbatté violentemente facendo uscire un altro ragazzo che si stava sistemando la cintura dei pantaloni.
-Credo che tu debba deciderti a cambiare auto, questi sedili sono scomodi da morire- disse il ragazzo appena uscito passandosi una mano tra i capelli ondulati e prendendo una bottiglia di birra da terra.
-Non osare parlare così davanti a Baby- replicò Dean puntando contro l’altro la sua birra.
-È un’auto Dean. Ed è vecchia. È vecchia quasi quanto te-
Dean sbuffò e guardò il giovane uomo che si era posizionato di fianco a lui sul cofano dell’auto. Aveva i capelli castani portati alle spalle e perennemente legati in un codino disordinato, grandi occhi chiari e si chiamava Chris Collins. Ah e lo facevano in macchina da un paio di mesi, ma quello era un altro paio di maniche.
Quando Dean Winchester, venticinque anni passati nelle campagne appena fuori Lawrence e capelli biondo sabbia si era reso conto alla tenera età di diciassette anni di provare attrazione per i ragazzi si era sentito morire. Per lui e per la maggior parte di quelli come lui, nati e cresciuti nelle campagne del Kansas, certe cose erano pura fantascienza, poi se i tuoi genitori organizzano la grigliata della domenica assieme al reverendo beh…se nella testa di Dean era passato anche per un solo secondo l’idea di dirlo a John e Mary Winchester quella stessa idea si era volatilizzata in altrettanto breve tempo, soprattutto dopo i delicatissimi commenti di suo padre dopo aver visto alla tv “quei finocchi” scesi nelle strade di New York a manifestare durante il Pride.
E così aveva cercato di reprimere la cosa, c’era riuscito (e anche bene) per un po’ di anni, poi all’inizio dell’estate aveva incontrato Chris e le cose avevano preso un’altra piega. Lui sapeva di stare sbagliando, era tutta la vita che si sentiva dire che quelli così sono sbagliati, malati, pervertiti, ma non riusciva più a trattenersi. Così aveva cercato di mettersi l’anima in pace e dicendo a sé stesso che finché fosse riuscito a tenere il tutto ben nascosto sarebbe andata bene così. A Dean andava bene la sua vita da ragazzo di campagna, gli piaceva più o meno e non aveva intenzione di buttarla all’aria per Chris Collins.
Non che fosse innamorato di lui, diciamo che gli era debitore. Chris aveva molta più esperienza di lui in quel campo, nonostante fosse più piccolo, e gli aveva insegnato un paio di trucchetti niente male. Dean non era molto navigato a parte qualche bacio rubato negli spogliatoi del liceo, seguiti da minacce se qualcuno lo fosse venuto a sapere, e rapporti fugaci in luoghi sempre appartati.
Tra loro due le cose non erano state graduali, si erano semplicemente incontrati in un vicolo dietro un bar di Lawrence (e solo dopo Dean aveva scoperto che quello era un bar gay) ed era successo. Fine.
Non stavano insieme, non si frequentavano né altro, lo facevano e basta nei ritagli di tempo in cui Dean riusciva a sfuggire ai massacranti compiti che gli affibbiava suo padre alla fattoria. Capiva benissimo perché il suo fratellino minore avesse colto la palla al balzo per andarsene non appena finito il liceo e aver vinto una borsa di studio per il college a New York. Ma Dean non era Sam, odiava stare ore sui libri cercando di ficcarsi in testa cose che non gli interessavano e che trovava totalmente inutili, e così era rimasto nella fattoria di famiglia ad aiutare i suoi a raccogliere il granturco e a mungere le mucche.
Non che gli dispiacesse la sua vita, anzi, trovava confortante avere una routine da seguire, alla fine non si sentiva ancora pronto per buttarsi nel caos della città, gli andava bene così: svegliarsi la mattina presto, aiutare suo padre nei campi, scendere ogni tanto in città con sua madre per vendere un po’ dei loro prodotti. Alla fine non era così male, gli mancava solo Sammy, ma era certo che prima o poi sarebbe riuscito ad andare a trovarlo senza dover aspettare l’estate, solo che un biglietto per New York era dannatamente caro. Gli era balenata l’idea di andarci in auto, lui e Baby “on the road”, ma di certo la benzina e i motel non erano gratis e, per quanto Dean si spaccasse la schiena, non riusciva mai a racimolare abbastanza e i pochi soldi che aveva venivano quasi tutti usati per Sam.
-Sei più pensieroso del solito, che succede?-
La voce di Chris lo distrasse dal fluire incontrollato dei suoi pensieri.
-Sammy è ripartito ieri mattina- rispose semplicemente. –Dai, ti accompagno a casa, sta diventando tardi e mio padre mi ucciderà se non torno per cena- aggiunse poi finendo l’ultimo sorso di birra e rimettendosi al volante.
Chris sbuffò, non poteva credere che quello a venticinque anni compiuti venisse ancora tenuto sotto controllo come se fosse un marmocchio del liceo. Ma Chris non poteva sapere di quanto John potesse essere opprimente con lui e Dean di certo non andava a spiattellargli la sua vita privata.
Spesso si domandava come avrebbe potuto reagire la sua famiglia se avessero scoperto quella cosa, probabilmente Dean si sarebbe ritrovato un occhio nero e qualche costola spaccata, se non peggio. Forse solo Sammy avrebbe continuato a volergli bene, ma non voleva rischiare, quindi si era tenuto tutto dentro e aveva tirato su una bella facciata da “sciupafemmine” come diceva sua madre Mary.
L’aveva fatto per troppi anni, reprimendo i suoi istinti. Aveva scelto ragazze a caso, forzandosi fino allo stremo, e le aveva sedotte e abbandonate, conquistandosi una discreta fama di stronzo. Poi quella stramaledettissima sera di giugno aveva incontrato Chris e qualcosa si era risvegliato in lui.
-Ma i tuoi lo sanno?- domandò all’improvviso, rompendo il silenzio che si era creato all’interno dell’abitacolo.
-Sanno cosa?- chiese Chris scrutando il profilo perfetto dell’altro. La luce morente del sole rendeva gli occhi di Dean ancora più verdi, i suoi capelli corti ancora più dorati e le lentiggini sul suo viso ancora più adorabili.
-Che ti candidi alle prossime presidenziali- rispose il biondo sarcastico mentre roteava gli occhi. –Che ti piacciono gli uomini, idiota- aggiunse.
-No- replicò seccamente Chris. –E i tuoi?-
-Non sono affari tuoi Chris-
-Immaginavo-
Chris sospirò mentre Dean accostava per farlo scendere dall’auto non appena arrivarono all’inizio della città.
-Uhm…allora ciao- bofonchiò il maggiore battendo nervosamente la mano contro il volante e guardandosi intorno.
-Rilassati tigre, non c’è nessuno. E poi sono semplicemente un tuo amico con cui sei andato a bere una birra, non c’è motivo di preoccuparsi. Comunque, domani sera sono a una festa a casa di Anna Milton ma per le undici dovrei riuscire a liberarmi se ti va-
-Uh…sì okay. È quella che abita sulla Westdale no?-
-Sì, sta al civico ventisei. Come fai a conoscerla?-
-Okay allora. Dirò a mio padre che esco con Benny e a Benny che esco con una ragazza- rispose glissando sul fatto che conosceva Anna Milton perché apparteneva a quelle ragazze che avevano fondato il club “Odio Dean Winchester” quando lui l’aveva scaricata dopo una settimana.
-Wow, mi sembra un piano geniale-
-Fottiti-
-Ci pensi tu a quello- concluse Chris, poi si allontanò dall’Impala facendo ciao con la mano.
Dean alzò gli occhi al cielo, poi accese l’autoradio e infilò una cassetta dei Led Zeppelin. La voce di Robert Plant si diffuse nell’abitacolo cantando Immigrant Song mentre Dean accelerava per arrivare a casa il prima possibile. Le case lasciarono presto il posto a campi di girasoli e lunghe distese verdi, il cielo continuava ad imbrunire e la luna stava facendo capolino dietro alle rade nuvole violette.
Finalmente il ragazzo imboccò la stradina sterrata che portava a casa Winchester e spense il motore dell’auto. Ormai il cielo stava diventando sempre più scuro e qualche stella iniziava a spuntare.
Dean aprì la portiera e percorse i pochi metri che lo separavano dalla porta della grande casa bianca dove viveva.
-Sono tornato- annunciò chiudendo l’uscio dietro di sé e sentendo nell’aria odore di roast beef.
-Era ora!- commentò la voce di John Winchester dalla sala da pranzo- Sbrigati, tua madre ha già messo in tavola la cena e non voglio mangiarla fredda-
-Ciao tesoro- lo salutò invece Mary avvolgendolo in un abbraccio e sorridendogli con quei suoi occhi buoni e così simili ai propri.
Da che Dean aveva memoria Mary profumava di crostata, forse perché la donna non mancava mai di cucinarne una, che veniva lasciata a raffreddare sulla finestra in attesa di essere mangiata per cena.
Si ricordava benissimo di quando lui e Sammy erano bambini e ogni volta cercavano di arrampicarsi sul davanzale per prenderne un pezzo, venendo puntualmente intercettati dalla loro mamma che li distraeva con un succo o un altro dolcetto. La crostata doveva aspettare la cena, perché così voleva John Winchester e in quella casa qualunque fosse la volontà di John Winchester andava rispettata.
John non era proprio un padre modello, non lo era mai stato. O meglio, a giorni alterni non era neppure male, faceva anche della battute che sfioravano il divertente, ma per il resto del tempo Dean cercava di stargli alla larga il più possibile, specialmente se suo padre ci aveva dato dentro con il whiskey, nonostante lavorassero spalla a spalla. Suo padre non approvava il fatto che a venticinque anni non fosse ancora sposato, che continuasse a passare da una ragazza all’altra e soprattutto, secondo John, Dean nascondeva qualcosa.
Non che il vecchio Winchester fosse completamenti in errore. Per questo gli stava sempre col fiato sul collo, cercando di coglierlo con le mani nel sacco. Dean non sapeva esattamente cosa suo padre sospettasse ma sapeva che quell’uomo cercava degli indizi ogni volta che lo scrutava.
Aveva provato anche lui ad andarsene di casa, trovarsi un lavoro a Lawrence, ma la verità è che non riusciva a distaccarsi, per quanto a volte credeva di essere arrivato allo stremo dava sempre una possibilità alla sua famiglia. Era stato sul punto di scappare quando Sam era andato a New York ma poi aveva guardato la fattoria, i campi di granturco, sua madre…e non ce l’aveva fatta.
Cenò in silenzio, assorto nei suoi pensieri, sotto lo sguardo vigile del padre che come sempre cercava qualcosa che non andasse nel suo figlio maggiore.
-Che ti succede tesoro? Stai bene?- chiese Mary dolcemente.
-Sì mamma, lo sai che quando Sam riparte mi sento sempre un po’ giù, non è niente- rispose giocherellando con le foglie d’insalata che aveva nel piatto.
-Domani sera siamo stati invitati dai Braeden per cena, ci saranno anche i Kline e il reverendo Jackson- s’intromise John.
Dean trattenne un gemito. Una delle poche cose che detestava della sua vita in campagna erano quelle dannate “riunioni”, la sua famiglia e altre due o tre di quelle famiglie che vivevano sparpagliate nelle campagne appena fuori Lawrence che si riunivano per cena finché gli uomini non crollavano per il troppo alcol e le mogli si guardavano imbarazzate e chiedevano scusa al reverendo.
E poi di solito gli unici sotto i cinquant’anni erano lui, Lisa Braeden e quel moccioso di Jack Kline che a dir la verità non era nemmeno troppo male, alla fine a Dean piacevano i bambini ed era bravo con loro, e soprattutto occuparsi di Jack Kline mentre suo padre si sbronzava era un ottimo modo per evitare le occhiate languide di Lisa.
Inizialmente non gli dava così fastidio che lei lo guardasse in quel modo, anche quando aveva capito che non avrebbe potuto esserci nulla tra loro due, ma poi John Winchester si era messo in testa che Lisa sarebbe stata perfetta per lui e ogni occasione era buona per cercare di farli interagire. A volte Dean si sentiva come quelle povere bambine indiane a cui combinavano i matrimoni.
-Papà domani sera avrei un altro impegno…-tentò di dire ma John lo fulminò con un’occhiata.
-Un impegno con un’altra ragazza? Una nuova? L’ennesima?-
-Beh io…-
-Cristo santo Dean, mi chiedo dove abbiamo sbagliato con te. Alla tua età io e tua madre eravamo già sposati da due anni e avevamo comprato questa casa perché Mary era già incinta-
-Papà sono passati secoli, le cose cambiano-
-Non parlarmi in questo modo. Tu domani sera verrai senza storie-
-Ho venticinque anni non puoi obbligarmi-
-Finché vivrai sotto questo tetto tu farai quello che dico io. Altrimenti puoi prendere la tua roba e andartene, sai dov’è la porta-
Il ragazzo strinse il bordo del tavolo finché le nocche non gli diventarono bianche e fece un profondo respiro guardando la faccia rassegnata di sua madre.
Quelle discussioni erano all’ordine del giorno e suo padre sapeva bene dove andare a parare per ferirlo. Dean non poteva andarsene, non voleva andarsene. In un qualche strano modo si sentiva perennemente in debito coi suoi genitori e credeva che aiutandoli alla fattoria li avrebbe in qualche modo ripagati. E John lo sapeva. D’altronde era stato lui a inculcargli in testa quanto fosse di vitale importanza la tradizione famigliare, infatti, non aveva mai perdonato del tutto a Sam il fatto di essersene andato. Aveva abbandonato la famiglia. I due non si parlavano quasi più, la telefonata settimanale di Sam era rivolta quasi esclusivamente a Dean e Mary e le sue visite durante le vacanze erano l’unico momento in cui i due avevano una vaga interazione.
Dean ricordava benissimo il giorno in cui Sam aveva ricevuto la lettera dalla Columbia. Ricordava ogni singolo particolare di quel giorno, Sam aveva appena finito il liceo, diplomandosi col massimo dei voti e quella mattina il sole illuminava la cucina di casa Winchester di una luce calda e accogliente.
Ricordava come il suo fratellino minore si era precipitato alla porta appena aveva sentito suonare il campanello, la gioia sul suo viso quando aveva letto la lettera di accettazione. Non solo l’avevano accettato ma aveva anche vinto una borsa di studio per merito.
E poi aveva visto la gioia di Sam diventare orrore quando John aveva ricevuto la notizia. Aveva visto piatti e bicchieri volare ovunque, le urla dei suoi genitori raggiungere decibel che non avrebbe mai creduto possibili, lui che cercava di proteggere Sam prendendosi gli schiaffi di suo padre.
Ma quella era stata anche l’unica volta in cui Mary Winchester si era impuntata. E l’aveva fatto dannatamente bene. Per giorni si era chiusa in un silenzio di tomba, rivolgendo al marito occhiate ostili, quando lui l’aveva colpita perché aveva smesso di cucinare lei non aveva emesso nemmeno un gemito. E così John Winchester aveva fatto le valigie di Sam e gli aveva messo in mano un biglietto di sola andata per New York e Dean ricordava benissimo la schiena di suo fratello che si allontanava.
Da quel momento le interazioni fra i due si erano ridotte all’osso, Sam non aveva telefonato a casa per giorni, non era tornato per il Ringraziamento e quando finalmente Dean aveva rivisto suo fratello per Natale le cose non erano cambiate molto.
Quando il minore dei Winchester era ritornato a dicembre aveva aperto bocca solo per informare il padre che non serviva più mandargli i soldi, aveva trovato un lavoro e poteva mantenersi, il resto del tempo l’aveva passato con Dean al quale aveva confessato che il suo stipendio bastava giusto per non farlo morire di fame. Per questo Dean non aveva mai un soldo, tutto ciò che riusciva a guadagnare veniva spedito a Sammy.
All’inizio Dean l’aveva pensata come suo padre, per la prima settimana almeno, ma poi aveva capito la scelta del fratello, era riuscito a rintracciare il numero di telefono del campus, aveva chiesto di lui e si erano riappacificati e adesso attendeva la sua telefonata settimanale come l’arrivo del Messia. E lo invidiava.
Sam se n’era andato a New York, lui non era mai uscito da Lawrence e per quanto cercasse di ignorare la cosa uno dei motivi per cui non se n’era mai andato era proprio John Winchester. Nonostante lo opprimesse e lo trattasse ancora come un ragazzino Dean non riusciva ad odiarlo e soprattutto non voleva deluderlo, perché checché suo padre ne dicesse la scelta di Sam l’aveva deluso e non era ancora riuscito a perdonarlo, vedeva bene come lo guardava quando Sammy tornava a casa per le vacanze, con quello sguardo colmo di disapprovazione e delusione. E Dean non voleva essere guardato così, fin da quando era bambino e suo padre era il suo eroe aveva cercato di renderlo fiero in ogni modo possibile e anche adesso che sapeva benissimo che le cose erano cambiate, l’idea di deluderlo non lo faceva stare affatto bene.
Si alzò facendo strusciare rumorosamente la sedia sul pavimento e salì al piano di sopra nella sua stanza, ignorando i richiami dei suoi genitori, richiami che sfociarono ben presto in una litigata.
Arrivato nella sua stanza gettò un’occhiata triste al letto vuoto di Sam e poi si diresse verso lo scaffale dove teneva i suoi vinili, pensando che avrebbe dovuto trovare un modo per avvisare Chris che domani sera non si sarebbero visti.
Non si telefonavano, quella era la regola. Non si poteva sapere chi avrebbe risposto al telefono e se uno dei due sarebbe stato in grado di inventarsi una scusa, quindi decidevano volta per volta gli appuntamenti. Fece scorrere il dito sulle copertine dei vinili, evitando accuratamente quella roba country che ogni tanto ascoltava suo fratello (-va bene che veniamo dalla campagna ma non dobbiamo essere dei cliché viventi- aveva detto a Sam più di una volta), finché non decise che i Lynyrd Skynyrd andavano bene.
Posizionò il vinile sul giradischi e lo fece partire. Gli piaceva un sacco ascoltare la musica su quel vecchio giradischi, era uno dei pochi regali belli che gli aveva fatto suo padre, che conosceva la sua passione per il rock classico e insieme a quello gli aveva anche regalato il suo primo disco dei Led Zeppelin.
Si stese sul letto e chiuse gli occhi mentre partiva la canzone.
 
“Mama told me when I was young
Come sit beside me my only son
And listen closely to what I say
And if you do this it’ll help you
Some sunny day oh yeah”2
 
Pensò all’estate che stava finendo, ai campi di girasoli, a lui da bambino e a Mary che gli raccontava una favola sotto la veranda della loro grande casa bianca mentre John tornava dai campi sorridendo.
Non ricordava esattamente quando le cose erano cambiate con suo padre, quando John aveva smesso di essere il suo eroe.
Probabilmente quando si era reso conto che tutte quelle bottiglie di whiskey in casa finivano un po’ troppo presto e sua madre a volte si metteva un po’ troppo fondotinta. O forse quando aveva sentito i suoi genitori gridare così forte per un qualcosa che Sam aveva fatto e lui adesso neppure ricordava, probabilmente una stupidaggine fatta da un ragazzino di quattordici anni, e John aveva cercato di fargli capire che quello che aveva fatto era sbagliato e Dean si era messo in mezzo. Era stata la prima volta che lui e suo padre avevano fatto a botte.
 
“Oh take your time, don’t live too fast
Troubles will come and they will pass”
 
Gli venne in mente il liceo, quando era entrato nella squadra di football per rendere fiero suo padre e aveva capito che in lui c’era qualcosa che non andava perché negli spogliatoi si soffermava sempre un po’ troppo sulla schiena di Lee Grayson. Quando aveva capito che cosa gli stava succedendo si era sentito impazzire, con chi avrebbe potuto parlarne?
Così aveva fatto quello che faceva sempre, si era arrangiato alla meno peggio per capire cos’era, cosa voleva. Finché lo stesso Lee Grayson l’aveva baciato nello spogliatoio dopo un allenamento. Dean l’aveva minacciato di spaccargli ogni osso del corpo se l’avesse detto in giro, ma non ce n’era bisogno, lo stesso Lee non voleva di certo che la cosa si sapesse.
E così era cominciato tutto, nascondersi, reprimersi, portarsi a letto più ragazze possibili per non dare nell’occhio e non rovinarsi la vita, quella vita a cui era affezionato e che ancora non era pronto a vedere cambiare.
 
“Go find a woman yeah and you’ll find love
And don’t forget son there is someone up above”
 
Si alzò dal letto e spense la canzone.


1Titolo preso dalla canzone Simple Man dei Lynyrd Skynyrd
2Simple Man, Lynyrd Skynyrd



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Thank God I'm A Country Boy ***


 
Spazio autrice: ehilà! Eccomi di nuovo con un nuovo capitolo. Innanzitutto voglio ringraziare tutt* quell* che hanno recensito il primo capitolo e\o messo questa storia tra le preferite, seguite…mi fa molto piacere che vi piaccia! Spero di continuare ad aggiornare con questa frequenza anche se tra poco ricominceranno le lezioni all’università, nel caso vi avviserò.
Se vi va, lasciatemi una recensione per farmi sapere che ne pensate. Un abbraccio e (spero) a presto!
 
 
Capitolo 2: Thank God I’m A Country Boy
 
Lawrence, Kansas, 27 agosto 1988

Il sole batteva spietato sulla schiena nuda di Dean facendogli scottare la pelle, erano ore che stava piegato in quella posizione a togliere quelle dannatissime erbacce dall’orto.
Si era alzato presto, come sempre, ma quella mattina aveva una voglia matta di tirare fuori la sua chitarra dall’armadio e suonare un po’ per distrarsi ma John Winchester, puntuale come solo lui sapeva essere, l’aveva intercettato per le scale e spedito nell’orto a estirpare le erbacce da dove voleva piantare la nuova lattuga.
Si asciugò il sudore dalla fronte con la maglietta che aveva tolto un’ora prima, quando il calore del sole di fine estate era diventato insopportabile, poi si chinò nuovamente tirando con forza un ciuffo d’erba che proprio non voleva saperne di staccarsi dal terreno.
-Che cazzo!- imprecò mentre cercava di strappare con quanta più forza gli fosse possibile usare.
-Ciao Dean!- disse una voce femminile.
Il ragazzo alzò la testa e vide Lisa Braeden che gli sorrideva. –Ho chiesto a tua madre dove fossi e lei mi ha detto che eri qui a sistemare l’orto- aggiunse poi guardandolo e soffermandosi sulla pelle dorata del suo petto nudo.
-Oh…uhm…ciao Lisa- rispose Dean impacciato mentre cercava di rimettersi la maglietta, sentendosi a disagio sotto lo sguardo civettuolo della ragazza.
-Ci sarai anche tu stasera a cena dai miei genitori?- cinguettò lei lanciandogli l’ennesima occhiata languida.
-Mmmmm sì- disse lui senza un briciolo di entusiasmo nella voce, ma lei non sembrò accorgersene e sfoderò un sorriso civettuolo.
Lisa Braeden e Dean si conoscevano da sempre. Lei aveva quattro anni meno di lui, la stessa età di Sam, e, da quel che il ragazzo poteva ricordare, aveva sempre avuto un debole per lui, ma Dean non aveva mai osato provarci con lei, né prima né dopo. Aveva sempre avuto la strana sensazione che lei avrebbe potuto capire tutto e scoprirlo in un batter d’occhio se si fosse comportato come faceva con le altre ragazze e quindi si era sempre impegnato a tenerla alla larga il più possibile, ma lei non sembrava notarlo.
Dean aveva come il sospetto che suo padre le avesse detto qualcosa del tipo “saresti perfetta per mio figlio” a mo’ di battuta e lei doveva aver interpretato la cosa come una sorta di interesse di Dean nei suoi confronti.
-Allora ci vediamo stasera?- domandò Lisa speranzosa.
-Suppongo di sì- replicò Dean con un alzata di spalle, sospirando per poi tornare alle sue erbacce mentre lei si allontanava.
Si assicurò che se ne fosse andata prima di togliersi di nuovo la t-shirt e sedersi sulla terra scaldata dal sole per riposarsi un po’ e bere un goccio d’acqua dalla bottiglia posata accanto a lui.
Non aveva la minima voglia di andare a quella maledetta cena, voleva solo starsene a casa e rilassarsi dopo aver passato una giornata a spaccarsi la schiena, non cercare di evitare gli sguardi di Lisa mentre teneva d’occhio il piccolo Jack. Si passò una mano tra i capelli biondo sabbia e poi riprese a lavorare finché sua madre non venne a chiamarlo per il pranzo.
-Mi faccio una doccia prima- disse approfittando del fatto che suo padre non era ancora rientrato.
-Va bene tesoro, ma cerca di fare in fretta-
Dean salì le scale per arrivare al bagno al piano superiore e aprì l’acqua della doccia. Si buttò sotto il getto ghiacciato sentendosi immediatamente rigenerato e pensò che Sam avrebbe chiamato quel pomeriggio, per fortuna, almeno avrebbe parlato con qualcuno.
Non aveva molti amici, solo Benny e Garth a dire la verità, ma non riusciva a confidarsi con loro come faceva con Sam, al suo fratellino era certo di poter dire tutto, beh quasi tutto.
Uscì dalla doccia e si avvolse un asciugamano attorno alla vita mentre si guardava allo specchio. Era bello Dean, glielo avevano sempre detto, sin da quando ne aveva memoria e soprattutto, da quando aveva iniziato a notare che le ragazze lo guardavano, le stesse ragazze che venivano puntualmente sedotte e poi scaricate dopo qualche giorno, ma lui di quella bellezza non aveva mai saputo cosa farsene, non gli interessavano né le ragazze né una carriera nel mondo dello spettacolo, come gli avevano suggerito una volta.
Una carriera nel mondo dello spettacolo… sorrise amaramente pensando alla faccia che avrebbe fatto suo padre se gli avesse detto una cosa del genere.
Lui era nato in quelle campagne e in quelle campagne avrebbe lavorato e vissuto fino alla fine dei suoi giorni, punto. Così gli era stato insegnato e così avrebbe fatto.
Si mise una maglietta e dei jeans puliti e scese di nuovo in cucina dove John era appena entrato e Mary stava finendo di apparecchiare la tavola.
-Hai visto Lisa stamani?- domandò sua madre sorridendo.
-Uh, sì lei è venuta nell’orto, mi ha detto che l’hai mandata tu- fece lui sedendosi.
-Lo sai che ha un debole per te, è una brava ragazza Dean- riprese Mary mettendo la pasta nei piatti.
-Lo so-
-È anche molto carina, non trovi figliolo?- chiese poi suo padre guardandolo di sottecchi.
-Credo di sì…- rispose Dean sperando che la conversazione finisse ora che sua madre aveva messo il cibo nei piatti, ma suo padre la pensava diversamente.
-Credi? Cos’è, sei diventato cieco? O frocio?-
-No papà è che…non è il mio tipo- rispose lui cercando di mantenere un tono civile per non esplodere.
-E com’è il tuo tipo? Sentiamo-
“Con un cazzo di venti centimetri” pensò Dean, ma poi si morse la lingua.
-Non lo sai neanche tu. Sei grande ormai, dovresti iniziare a pensare a qualcos’altro, cambiare mentalità, fare le cose sul serio- lo provocò John.
Dean chiuse gli occhi per un secondo massaggiandosi la base del naso, non doveva esplodere, non poteva, doveva cercare di mantenere la calma, per il suo bene e per quello di Mary.
Decise di ignorare il padre e prese a mangiare svogliatamente, mentre avvertiva una strana sensazione al petto, come se qualcosa ci gravasse sopra.
-Solo perché non mi piace una ragazza non vuol dire che non me ne piacciano altre- decise di ribattere.
Il padre non rispose, limitandosi a scoccargli un’occhiata obliqua mentre Mary mangiava a testa bassa.
Finito il pranzo si ritirò nella sua stanza, il pomeriggio faceva veramente troppo caldo per fare qualunque cosa, quindi abbassò le tapparelle della finestra e si stese sul letto guardando il soffitto. Rimase sdraiato per un po’ poi si alzò e aprì l’armadio, scostò i suoi abiti e afferrò il manico della sua vecchia chitarra acustica.
Gliel’aveva regalata sua madre quando aveva compiuto tredici anni e da quel momento non se n’era più separato. Non coltivava il sogno di fare il musicista, l’aveva accantonato tempo fa quando aveva capito che non aveva abbastanza fegato per andarsene e soprattutto perché fare il musicista non era quello che suo padre aveva in programma per lui, però gli piaceva suonare e sapeva anche di essere piuttosto bravo.
Lo squillo del telefono lo interruppe e si precipitò in soggiorno a rispondere.
-Sam!- esclamò alzando la cornetta.
-Hey Dean! Come te la passi?- rispose dall’altro capo la voce del fratello minore.
-Beh non è cambiato molto da due giorni fa- replicò ridendo. –Com’è andato il viaggio?- aggiunse poi.
-Tutto bene, anche se c’è stata un po’ di turbolenza. Dov’è la mamma?- domandò Sam.
-È uscita in giardino, se vuoi vado a chiamarla-
-Non importa, posso richiamarla tra un po’. Papà?-
-Da quando hai tutti questi soldi?[i]- disse ridendo. -Papà dorme, per fortuna. Stasera siamo a cena dai Braeden…- aggiunse Dean con un sospiro.
-Papà continua a volerti fare combinare il matrimonio con Lisa?- fece Sam con una risatina.
-Vaffanculo Sam-
-Dai scherzavo, anche se sareste una bella coppia, lei ti adora- continuò Sam, ma Dean sapeva che stava scherzando, era come se sentisse il suo sorriso dall’altra parte del telefono.
-Che fai adesso?- gli chiese ancora Sam.
-Uhm…volevo uscire un po’, suonare sai…- rispose vago. –Sam, sei a posto con i soldi?- aggiunse poi a bassa voce.
-Sì Dean, non preoccuparti, dovresti iniziare a risparmiare anche tu, così potresti venire a trovarmi-
-Vorrei risparmiare ma si dà il caso che mio fratello sia una maledetta sanguisuga! Pensa se non avessi la borsa di studio e dovessi pagarti anche l’affitto, non potrei nemmeno permettermi una birra!- lo rimproverò ridendo.
-Fesso-
-Puttana-
-Mmmm Dean io devo andare, c’è Jessica che mi sta aspettando-
-Jessica? Chi è Jessica? Non puoi lanciare il sasso e nascondere la mano Sam-
-Te lo spiego la settimana prossima, ciao ciao!- Sam chiuse la telefonata sghignazzando e Dean sospirò. Sam probabilmente aveva una ragazza e non si degnava nemmeno di dirlo a suo fratello maggiore che, all’apparenza, aveva un discreto successo con le signore.
Sbuffò e tornò nella sua stanza, aveva voglia di suonare dal mattino così prese la chitarra e uscì nella calura estiva, dopo aver controllato suo padre fosse a riposare nella frescura della loro stanza.
Camminò per il vialetto di casa evitando accuratamente Mary che leggeva sul dondolo, poi superò il prato e arrivò alla collina dove si era incontrato con Chris ieri. Gli piaceva quel posto, era sufficientemente lontano da casa perché nessuno lo vedesse ma nel frattempo lui poteva vedere casa sua, un puntino bianco in mezzo al verde. Appoggiò la schiena contro un albero e si sedette, liberando lo strumento dalla sua custodia.
Le sue dita indugiarono qualche istante sulle corde non sapendo quale melodia comporre poi sorrise mentre le parole fluirono dalla sua bocca.
 
“Well the life on the farm’s kinda laid back
Ain’t much an old country boy like me can’t hack
It’s early to rise, early in the sack
I thank God I’m a country boy!
Well a simple kind of life never did me no harm
Raisin’ me a family and workin’ on a farm
My days are all filled with an easy country charm
Thank God I’m a country boy!
Well I got me a fine wife I got me ole fiddle
When the sun’s comin’ up I got cakes on the griddle
Life ain’t nothin’ but a funny funny riddle
Thank God I’m a country boy!”[ii]
 
Scoppiò a ridere da solo, ma era una risata amara, senza allegria. Si ricordava bene quella canzone. Suo padre faceva suonare continuamente quel terribile disco country quando lui e Sam erano bambini e diceva che era la storia della sua vita e anche della loro, così era stato e sempre sarà.
In fondo era vero, almeno per quanto riguardava suo padre, che faceva una vita semplice, con una moglie e due figli, lavorava alla fattoria e sua madre metteva i dolci a raffreddare sul davanzale.
Per lui aveva funzionato solo la parte della vita semplice, almeno per ora. Strimpellò un altro paio di accordi facendo uscire una melodia dolce e pensò che avrebbe voluto scrivere una canzone.
Volse lo sguardo verso la sua casa che tremolava nella canicola di fine estate e sentì la stessa sensazione di oppressione al petto che lo aveva colpito durante il pranzo ma la scacciò quasi subito.
Era davvero stanco così si distese sotto la fresca ombra dell’albero e chiuse gli occhi.
“Solo cinque minuti” disse tra sé e sé.
Si svegliò con il cielo che imbruniva.
-Merda!- esclamò guardando l’ora sull’orologio. Si mise la chitarra in spalla e cominciò a correre come un forsennato verso casa imprecando a ogni metro, inciampò un paio di volte finendo a terra e sporcandosi di erba i jeans puliti.
Arrivò ansante sulla porta e si precipitò all’interno dell’abitazione proprio mentre sentiva suo padre gridare contro la moglie:-Dove cazzo è quell’imbecille di tuo figlio?-
-Sono qui- esalò appoggiandosi allo stipite della porta per fare rallentare il battito.
-Muoviti- gli disse seccamente il padre prendendo le chiavi dell’auto.
La famiglia salì sul pick-up blu metallizzato parcheggiato accanto all’Impala di Dean e John accese il motore. Dean sapeva che al rientro avrebbe dovuto guidare lui, perché il padre sarebbe stato sicuramente troppo sbronzo e lui non ci teneva a morire a venticinque anni, anzi ventisette come Jim Morrison o Jimi Hendrix.
I Braeden abitavano in una grande casa verniciata di rosso ma talmente sbiadita da sole che ormai virava verso un pallido rosa, nell’ampio giardino, sotto il pergolato, il padre di Lisa insieme al reverendo era impegnato ad attizzare la brace.
-Dean!- trillò Lisa non appena lo vide scendere dal pick-up.
-Ciao- rispose lui senza entusiasmo.
-Dean!- ripeté un’altra voce, stavolta però il ragazzo alzò lo sguardo e vide un bambino di circa otto anni uscire come un missile dalla porta di casa e corrergli incontro per poi saltargli addosso.
-Jack! Ciao piccola peste!- disse scompigliandogli i capelli biondi. –Come stai? Sei pronto per ricominciare la scuola?- domandò facendogli il solletico.
Il bambino iniziò a contorcersi dalle risate e Mary appoggiò una mano sulla spalla del figlio. –Comportati bene stasera Dean, ti prego- gli sussurrò all’orecchio prima di entrare in casa per aiutare la signora Breaden e la signora Kline ad apparecchiare.
Sotto il pergolato, oltre alla griglia con la brace, c’era un lungo tavolo di legno coperto da una tovaglia bianca, Dean osservò il padre stappare la birra che gli aveva porto il signor Braeden e mettersi a scherzare con lui come se nulla fosse.
-Com’è andata la giornata?- gli chiese Lisa distraendolo e guardandolo con i suoi occhi scuri.
-Bene- bofonchiò Dean lasciando andare la presa su Jack che iniziò a rincorrere il cane di Lisa, spuntato in quel momento da dietro la casa.
-Hai i jeans sporchi- gli fece notare lei.
-Già, sono caduto mentre correvo- le rispose storcendo le labbra in un sorriso sghembo prima che il padre della ragazza gli facesse cenno di avvicinarsi. Il ragazzo si diresse verso l’uomo mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni, felice di non dover continuare la conversazione con la ragazza.
-Allora Dean, mi ha detto tuo padre che lavori alla fattoria di famiglia! Come procede?- domandò il signor Braeden dandogli una pacca sulla spalla.
-Bene- ripeté Dean. –Me la cavo- aggiunse con un sorrisetto ricordandosi che la madre si era raccomandata con lui di fare il bravo.
Stava per dire qualcos’altro quando la madre di Lisa lo salutò.
-Dean Winchester! Ogni volta che ti vedo sei sempre più bello-
-Oh…salve signora Braeden, mmmm grazie- fece lui a disagio. I complimenti lo mettevano sempre in imbarazzo, specie sul suo aspetto. Tutti, da sempre, non facevano che dirgli quanto fosse bello, attraente, affascinante e lui ogni volta rispondeva con un’alzata di spalle. Non sapeva che farsene di quei complimenti.
-Sempre modesto il nostro Dean!- esclamò il padre di Lisa. –Dimmi ragazzo, tutto questo fascino ma nessuno con cui condividerlo, mi ha detto tuo padre che non hai una ragazza-
Dean scoccò al padre un’occhiata di fuoco, sapeva benissimo dove la conversazione sarebbe andata a parare e grazie ma no, grazie.
-Sì beh…non mi sento ancora pronto- rispose cercando di sviare l’argomento.
-Sicuramente avrai un sacco di ragazze che stravedono per te- disse l’uomo con un gran sorriso e lanciando uno sguardo fugace alla figlia che adesso stava aiutando la madre di Dean a portare fuori alcune teglie.
-Credo di sì- fece Dean distrattamente, giocherellando con lo spesso anello d’argento che portava all’anulare destro. Era un regalo di Sammy e non se lo toglieva mai.
-Dean! Vieni a prendere delle sedie da portare fuori!- lo chiamò da dentro casa la voce della signora Kline.
Sollevato, voltò le spalle ai Braeden e salì i tre gradini che lo condussero all’interno dell’abitazione.
C’era stato tante volte, era una grande casa di legno su due piani, come quasi tutte quelle delle famiglie che abitavano lì, con una enorme cucina, il soggiorno e la sala da pranzo al piano terra, camere e bagno al piano superiore e una soffitta.
-Puoi prendere queste due sedie per favore?-
La signora Kline era abbastanza giovane, non aveva neppure quarant’anni, con i capelli castano chiaro raccolti in una treccia e un sorriso gentile.
Non era molto apprezzata nella comunità perché secondo i loro standard aveva avuto Jack in età troppo avanzata e soprattutto non sapeva chi fosse il padre del bambino, ma il reverendo, sorprendentemente, aveva accolto la donna con gentilezza quando si era trasferita lì e così, anche le altre famiglie, avevano smesso di sparlare.
A Dean piaceva Kelly Kline, era una donna forte che stava crescendo da sola un figlio in quel posto e Jack sembrava diverso dagli altri bambini, gli ricordava lui da piccolo, irrequieto e pieno di domande.
Il ragazzo afferrò le sedie e uscì di nuovo in giardino, giusto in tempo per vedere suo padre e il padre di Lisa confabulare qualcosa. Roteò gli occhi e si ripromise di parlare con suo padre. Di certo non gli avrebbe confessato quella cosa, ma gli avrebbe detto di lasciarlo in pace e smetterla di cercare di organizzargli un matrimonio con Lisa Braeden.
Pensò che se avesse avuto più fegato avrebbe potuto evitarsi quella cena e incontrarsi con Chris, per rilassare i nervi tesi non c’era niente di meglio che una sana scopata ma pensò che avrebbe dovuto rinunciarci, almeno per quella sera.
-Mamma, che sta facendo papà con il padre di Lisa?- domandò nervosamente.
-Dean tesoro, tuo padre è così preoccupato per te. Alla tua età dovresti avere una ragazza, sposarti…- disse Mary a bassa voce.
-Preoccupato? Gesù, mamma! Non si fa gli affari suoi, non è preoccupato per me, vuole solo che io diventi come lui!- sussurrò rabbiosamente.
-Dean, ti prego, non fare niente di avventato- lo supplicò Mary.
Il ragazzo fece un profondo respiro guardando intensamente la madre negli occhi. A volte avrebbe voluto che lei facesse con lui quello che aveva fatto con Sam, che si impuntasse, che lo proteggesse.
Sospirò e andò a sedersi accanto a Jack, mentre il padre di Lisa toglieva la carne dalla brace.
Fu una cena stranamente tranquilla, John si regolò con l’alcool e il signor Braeden smise di fare domande troppo invadenti.
Alla fine della cena, mentre le donne sparecchiavano, andò a sedersi sul prato con Jack.
-Perché hai tutti quei puntini sulla faccia?- domandò il bambino alludendo alle lentiggini di Dean, che con l’abbronzatura risaltavano ancora di più.
-Ce li ho da sempre Jack, si chiamano lentiggini e non ce le ho solo sulla faccia, vedi, guarda qui sono anche sulle braccia, sulle mani…-
Jack osservò affascinato la pelle di Dean.
-Perché io non ce le ho?-
-Mmmmm forse ti verranno quando sarai più grande- rispose il maggiore con una risata.
-Si dice che lentiggini siano i baci degli angeli- intervenne una voce femminile. Dean alzò gli occhi e si ritrovò Lisa di fronte che gli sorrideva.
-Lo so, me lo diceva anche mia madre- replicò Dean. Non voleva essere scortese ma quella ragazza faceva in modo e maniera di capitargli sempre tra i piedi.
-Dean, mi suoni qualcosa?- chiese Jack salvandolo inconsapevolmente da una situazione altrimenti imbarazzante.
-Suoni?- domandò Lisa sgranando gli occhi.
-Sì, ma non ho la mia chitarra qui…-
-Puoi usare quella vecchia di mio padre, vado subito a prendertela!- esclamò lei.
-Uhm…okay grazie- mormorò mentre la guardava allontanarsi ed entrare in casa. Gettò un’occhiata fugace ai tre uomini, suo padre, il padre di Lisa e il reverendo, che se ne stavano seduti sotto il pergolato parlando di qualcosa che non riusciva a sentire.
-Che vuoi sentire?- si rivolse a Jack non appena Lisa gli mise in mano una chitarra classica un po’ rovinata.
-Quello che vuoi!- fece il bambino guardandolo adorante.
-Ah ragazzo! Tuo padre non mi aveva detto che hai anche velleità artistiche!-
La voce del reverendo si avvicinò assieme ai suoi passi, seguito dagli altri due uomini e dalla signora Kline.
-Ogni tanto suono sì- rispose lui alzando le spalle.
-Ed è anche molto bravo- disse dolcemente la voce di sua madre, che nel frattempo era ritornata in giardino assieme alla madre di Lisa.
Dean mosse nervosamente le mani, non gli piaceva stare così tanto al centro dell’attenzione, soprattutto mentre Lisa lo guardava in quel modo, aveva praticamente gli occhi a cuoricino e lui si sentiva in imbarazzo da morire.
-Su facci sentire qualcosa!- lo incitò John.
Dean nascose un sorriso sarcastico abbassando la testa. Com’era gentile con lui suo padre adesso, con di fianco il reverendo e il padre di Lisa. Quanto gli piaceva apparire un padre e un marito amorevole in quei momenti.
-Sì Dean, suona!- disse Jack con entusiasmo.
-Okay, okay. Che volete?-
-La prima cosa che ti viene in mente guardandoti attorno- rispose ridendo il signor Braeden.
Dean accordò la chitarra e si guardò attorno.
Il vasto giardino, il tavolo ormai sparecchiato, la brace morente, i campi in lontananza, la luna pallida e luminosa in cielo. Era bello lì, era familiare, in un qualche suo modo era accogliente.
Nonostante quello che Dean provava amava quel luogo, ci era cresciuto e gli aveva regalato anche dei bei ricordi, come quando lui, Benny e Garth, da adolescenti avevano preso l’auto di Dean ed erano andati a nascondersi proprio sulla collina per fumarsi un po’ d’erba per la prima volta, mentre bevevano birra e ascoltavano le cassette degli AC\DC sull’autoradio.
O quando John aveva portato a casa quel rottame di auto e aveva detto a Dean che se fosse riuscito ad aggiustarla sarebbe stata sua. Aveva solo quindici anni all’epoca e non aveva idea di come aggiustare una macchina ma la voleva dannatamente, soprattutto perché di lì a pochi mesi avrebbe compiuto sedici anni e un’auto tutta sua gli sarebbe tornata davvero utile.
Così si era ingegnato e Dio se gli era riuscito. Ci aveva impiegato mesi ma alla fine eccola lì, la sua Baby, dopo dieci anni ancora splendida come il primo giorno.
Oppure ancora quando all’inizio di giugno mietevano il granturco e Dean vedeva quella sconfinata distesa dorata sparire pian piano…
-Sei con noi Dean?- ridacchiò Lisa agitandogli una mano davanti agli occhi.
-Oh sì sì, stavo solo pensando a cosa suonare-
Ritornò con la mente a poche ore prima e sul suo viso spuntò di nuovo quel sorriso amaro e pieno di rimpianto.
 
“When the work’s all done and the sun’s slettin’low
I pull out my fiddle and I rosin up the bow
The kids are asleep so I keep it kinda low…”
 
-THANK GOD I’M A COUNTRY BOY!- cantarono tutti in coro. Mary lo guardò dolcemente, Dean ricambiò lo sguardo della madre mentre gli altri continuavano ad andare avanti con la strofa della canzone.
 
“Well I wouldn’t trade my life for diamonds and jewels
I never was one of that money hungry fools
I’d rather have my fiddle and my farming tools
Thank God I’m a country boy”
 
Dean negli ultimi tempi non era così sicuro di non voler scambiare la sua vita per un po’ di soldi. Si sentiva un maledetto codardo, anche ora mentre stava lì seduto a suonare sul prato di casa Braeden.
Se fosse stato sempre così, con John che non cercava di capire cosa ci fosse di strano in lui, sua madre che lo guardava con quella dolcezza e quella sensazione di spensieratezza che sa dare una canzone allegra suonata alla chitarra mentre tutti cantano stonando un po’…era una bella sensazione. Forse avrebbe dovuto smetterla di vedere Chris, di vedere i ragazzi in generale, avrebbe dovuto sposare Lisa, fare un bel marmocchio e continuare a mietere il granturco con suo padre e ogni tanto suonare in compagnia come stava facendo adesso.
Poteva farcela? Poteva farsi di nuovo amare da suo padre come quando era piccolo?
Non ne era così sicuro ma avrebbe potuto provarci, sforzarsi, ancora di più di come aveva fatto fino ad ora, seguire la tradizione di famiglia e basta.
Scacciò quelle idee mentre continuava a suonare, ci avrebbe pensato domani.
 
[i] Le chiamate interurbane erano a pagamento
[ii] Thank God I’m A Country Boy, John Denver

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Helter Skelter ***


Capitolo 3: Helter Skelter[i]
 
Lawrence, Kansas, 22 gennaio 1989

 
Da quella sera di fine Agosto erano cambiate molte cose. Aveva deciso di iniziare a guadagnare dei soldi che fossero veramente suoi e così aveva trovato lavoro come aiuto meccanico, mentre continuava ad aiutare i suoi genitori alla fattoria, in un’officina di Lawrence. Se era riuscito a ricostruire Baby daccapo a quindici anni si era detto che quello non sarebbe stato poi così tanto diverso. Suo padre aveva fatto in modo e maniera che lui e Lisa si incontrassero casualmente, le cene a casa dei Braeden erano diventate più frequenti e John invitava a sua volta i Braeden. E Dean aveva ceduto.
Lui e Chris avevano smesso di vedersi e lui si era messo con Lisa. La amava? No, non avrebbe mai potuto, ma si era abituato, era scivolato lentamente nella routine della coppia, l’aveva presentata a Garth e Benny e quando Sam era tornato per le vacanze di Natale erano usciti insieme.
Sam era sorpreso ma sembrava felice che il suo fratellone stesse mettendo la testa a posto, anche John e Mary erano contenti e in casa Winchester si respirava un’aria più rilassata.
Dean non era rilassato, era sempre sul chi vive, nell’ansia costante che Lisa potesse leggergli dentro quando facevano l’amore in macchina o sul suo vecchio letto cigolante. Ma la sua famiglia era felice e per Dean questo era importante, suo padre aveva smesso di fissarlo e trattarlo come un bambino, Mary sembrava in qualche modo più dolce anche se ogni tanto gli lanciava uno sguardo preoccupato.
Dean era diventato incredibilmente bravo a fingere, si era scoperto un bravo attore e aveva deciso che avrebbe portato avanti il tutto senza troppe cerimonie.
-Sei distratto tesoro, che hai?- domandò Lisa.
Dean continuò a guardare la strada bagnata rimanendo in silenzio, gli unici rumori nell’abitacolo dell’Impala erano il lento tamburellare della pioggia sul tetto, lo sfregare dei tergicristalli, il respiro di Dean e Girls, Girls, Girls dei Mötley Crüe che veniva trasmessa soffusamente dall’autoradio.
-Niente- rispose e poi si sentì subito in colpa. Non era colpa di Lisa, era tutta colpa sua, che era un maledetto codardo e aveva fatto quello che suo padre aveva sempre voluto per lui e lei c’era andata di mezzo.
Dean cercava sempre di fare apparire le cose il più naturali possibili, anche adesso che stava accompagnando Lisa a casa dopo che aveva cenato da lui, le aveva messo una mano sulla coscia mentre guidava.
-Okay- fece lei con rassegnazione. Si era abituata agli sbalzi d’umore di Dean anche se non capiva perché, era stato lui a chiederle di mettersi con lei quel pomeriggio di inizio ottobre. Lisa era al settimo cielo e credeva che la scontrosità di Dean fosse dovuta al fatto che non fosse molto bravo con i sentimenti e le emozioni, ma le cose non erano cambiate affatto con il passare dei mesi.
-Dopodomani è il tuo compleanno! Hai intenzione di fare qualcosa? Potrei dire ai miei genitori di andare a cena fuori, così tu puoi venire da me e potremmo cenare insieme, guardare un film o fare altro- sorrise maliziosa.
Il ragazzo sospirò sommessamente. –Non mi va di fare nulla in realtà. Sono solo un giorno più vicino alla mia morte-
-Guastafeste-
-Dai scendi, siamo arrivati-
Lisa si voltò per baciarlo e Dean glielo concesse con malcelata riluttanza. Poi però la guardò dispiaciuto mordendosi il labbro. –Se ho intenzione di fare qualcosa ti chiamo okay?-
-Sì!- rispose lei con ritrovato entusiasmo. –Buonanotte amore-
-Buonanotte Lisa-
Aspettò che la ragazza entrasse in casa e poi riaccese il motore dell’auto. Aveva appuntamento con Benny e Garth in un pub a Lawrence ed era già in ritardo, tutto questo perché i suoi genitori erano così contenti che Dean avesse finalmente una ragazza che non la smettevano più di fare domande. Quando sua madre aveva menzionato il matrimonio a Dean era quasi venuto un infarto, soprattutto nel vedere l’entusiasmo di Lisa.
Per un secondo si vide vestito con un completo mentre, accanto a Sam, aspettava che Lisa camminasse lungo la navata vestita con l’abito bianco.
Scacciò immediatamente quell’immagine e cercò di concentrarsi sul fatto che adesso i suoi genitori erano tranquilli, suo padre era di nuovo fiero di lui (gli aveva chiesto persino se aveva voglia di andare a pescare!) e andava tutto bene. Anche Dean era fiero di sé stesso, era riuscito a portare la sua idea fino in fondo e si disse che andava bene così, era giusto così, perché quello che era non andava bene, non era quello che sarebbe dovuto essere.
Ogni tanto capitava che gli cadesse l’occhio su qualche bel ragazzo al pub o al supermercato ma si mordeva immediatamente la lingua per tornare in sé.
Parcheggiò l’auto lungo la strada e scese, riparandosi la testa dalla pioggia battente con il giaccone ed entrò nel pub.
Era rumoroso e affollato come sempre e si scoppiava di caldo. Oltre al brusio di sottofondo si sentiva una canzone rock ma Dean non riusciva a riconoscerla per il troppo chiacchiericcio. Aguzzò la vista per cercare i suoi amici finché non vide quel secco di Garth che si sbracciava da un tavolo in fondo alla sala.
-Eccolo qui!- esclamò Benny facendogli spazio su una panca posizionata contro il muro. –Mi stavo per dimenticare la tua faccia amico. Solo perché adesso sei un uomo onesto non vuol dire che ti devi scordare dei tuoi vecchi amici- lo prese in giro ridendo.
Dean nascose un sorrisetto e si sedette pesantemente appoggiando la schiena. Benny e Garth erano i suoi migliori amici fin dalle elementari, erano cresciuti insieme e vivevano a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Era inevitabile che diventassero amici, si vedevano ogni mattina all’unica fermata dello scuolabus che li avrebbe portati a scuola nel centro di Lawrence e così in poco tempo formarono uno sgangherato e scombinato trio.
Garth, secco e con uno strano senso dell’umorismo, fissato coi supereroi e i videogiochi, adesso lavorava come programmatore in un’azienda di Lawrence.
Benny, che chiamavano affettuosamente “vampiro” per via dei suoi canini aguzzi, si era fidanzato con Andrea, la barista del Pit Stop, il suo stesso locale, e adesso progettavano di sposarsi.
E poi c’era Dean. I suoi due amici lo avevano sempre invidiato, bello, con la battuta pronta, che sapeva cavarsela in ogni situazione. Il ragazzo abbassò lo sguardo sulla birra che la cameriera gli aveva appena portato, lanciandogli un’occhiata lasciva.
-Non perdi tempo eh?- rise Garth dandogli un pugno sulla spalla.
-Questa la offre la casa- disse la cameriera strizzandogli un occhio mentre si allontanava per andare a servire altri tavoli.
-Alle ragazze piacciono sempre quelli impegnati- fece eco Benny sorridendo.
Dean alzò le spalle. –Sono off-limits signori, Dean Winchester è diventato un uomo onesto- rispose con una punta di amarezza nella voce.
La porta del pub si spalancò facendo entrare un gruppetto di ragazzi più giovani che ridevano e scherzavano tra loro, già visibilmente alticci.
Dean alzò lo sguardò su di loro e una morsa gli strinse lo stomaco quando vide un’ondulata chioma castana stretta in un codino dal quale sfuggivano alcune ciocche che ricadevano su un viso ancora imberbe.
Cazzo cazzo cazzo. Proprio adesso doveva capitare Chris Collins? Non si vedevano da mesi, Dean era semplicemente sparito dalla circolazione ed era sicuro che la voce di lui e Lisa gli fosse arrivata, probabilmente tramite quella pettegola di Anna Milton, ma lei e Lisa erano grandi amiche nonostante quella non sapesse tenere la bocca chiusa.
-Devo uscire- annunciò. Sentiva le guance paonazze e non sapeva nemmeno lui perché. Lui e Chris non erano mai stati insieme, non erano innamorati l’uno dell’altro e Dean non capiva perché si sentisse così. Forse per quella sensazione di desiderio che aveva provato al basso ventre quando l’aveva visto.
Non c’era nulla di sentimentale in quello, lo voleva e basta in quel modo animalesco e rude di quando lo facevano in macchina nascosti sulla collina. Ma non poteva. Mando giù il groppo che aveva in gola mentre si faceva spazio nella calca per uscire. Era sicuro al cento per cento che Chris l’avesse visto e voleva uscire prima che lo fermasse per chiedergli spiegazioni, così facendosi spazio raggiunse la porta e uscì nella pioggia.
Si riparò sotto la tettoia inspirando l’aria pungente di gennaio a grandi boccate.
“Porca troia porca troia, cazzo cazzo cazzooooooo” pensò. Sicuramente Benny e Garth si stavano domandando il motivo della sua uscita di scena così frettolosamente ma prima che potesse iniziare ad inventarsi una scusa vide Benny avvicinarsi.
-Ehi amico, tutto bene? Ti senti male?- domandò preoccupato.
-Sì sto bene, è che lì dentro fa troppo caldo, avevo bisogno di…un po’ d’aria-
Benny lo squadrò per qualche istante.
-Senti Dean…-
-Benny non cominciare, sto bene-
-No Dean. E non mi riferisco a questo-
-E a cosa ti riferisci?-
-Al fatto che non sei felice-
Dean rimase a bocca aperta per qualche istante, doveva avere un’espressione davvero buffa, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
-Sei il mio migliore amico da vent’anni, credevi che non lo avessi notato?- fece Benny alzando un sopracciglio. –Dean è da quando hai iniziato a uscire con Lisa che sei strano. C’è qualcosa che non va con lei?-
“È lei che non va” pensò Dean.
-Mmmmm no è che il lavoro mi sta stressando un po’, sono stanco…- disse invece ma l’altro lo interruppe. –Non dirmi cazzate, ti conosco da quando abbiamo sei anni, qual è il problema?-
Dean inspirò profondamente. Non poteva dirglielo, non avrebbe mai potuto.
-Se è Lisa il problema parlale, lasciala se necessario. Se è qualcos’altro…Dean lo sai che a me puoi dire tutto-
-Non è solo Lisa, lei è fantastica okay? Ma…non fa per me. E anche il lavoro, mi piace, lo sai quanto mi piace quello che faccio, però mi sento come se la mia vita stesse andando in una direzione che non le ho dato io. Però adesso con mio padre le cose vanno meglio…a volte penso solo di aver sbagliato tutto e che facendo così possa sistemare le cose, altre volte vorrei solo andarmene dove non mi conosce nessuno e non so, ricominciare, ma poi penso che deluderei mio padre e…- snocciolò Dean. Non sapeva nemmeno lui perché stava dicendo quelle cose ma improvvisamente fu come se una piccola parte del peso che gli gravava sul petto si fosse sbriciolata.
-Che si fotta John!- esclamò improvvisamente  Benny. –È la tua vita Dean, non la sua. Solo perché a lui piace Lisa non vuol dire che debba piacere anche a te, solo perché vorrebbe che ti sposassi non vuol dire che devi farlo. Hai solo ventisei anni Dean, puoi scegliere di fare quello che ti pare. Se vuoi andartene da Lawrence fallo, parti, ricomincia. Io e Garth saremo sempre qui quando vorrai tornare- aggiunse pacatamente.
-Non ne ho il coraggio Benny…- sussurrò Dean. L’aveva detto, l’aveva ammesso a sé stesso mettendolo nero su bianco. Era un vigliacco.
-Trovalo Dean, non puoi vivere la vita degli altri- rispose Benny guardandolo intensamente. –Ascolta va’ a casa, rilassati, metti ordine nella tua testa e poi fammi sapere okay?-
-Okay. Grazie Benny-
-Figurati, non saresti il mio migliore amico se non fossi così incasinato!-
Benny rientrò nel pub e Dean cominciò a cercare le chiavi dell’auto nel giaccone. Sì, avrebbe lasciato Lisa poi avrebbe preso i suoi risparmi e se ne sarebbe andato per un po’, magari a New York da Sam. Poteva trovare di nuovo lavoro come meccanico, c’era sempre bisogno di qualcuno che aggiustasse le auto alla fine. Magari avrebbe trovato anche qualcuno… no, no, no. Non avrebbe pensato a quello, non adesso.
Una morsa tornò a stringergli il cuore. Andarsene…perché era così maledettamente difficile? Lì aveva i suoi genitori che l’avevano cresciuto e avevano cercato di dargli tutto e Dean doveva ripagare quel debito rendendoli fieri di lui, ma voleva vivere la sua vita, quella vita di cui aveva fame da sempre, da quando aveva capito che era diverso.
Voleva davvero stare con Lisa magari per tutta la vita e rimanere lì nel Kansas?
-Dean Winchester!- esclamò una voce distraendolo dal suo joyceiano flusso di coscienza. –Iniziavo a credere che fossi morto-. Chris Collins si stava avvicinando col suo passo strascicato.
-Oh, ciao Chris-
-Non sapevo che giocassi anche per l’altra squadra- disse Chris sarcastico.
-Non…gioco per l’altra squadra- ribatté infastidito.
-Beh il mondo intero la pensa diversamente e anche la tua ragazza, com’è che si chiama? Mmmmmm…Lisa Braeden giusto?-
-Chris lascia stare, non sono affari tuoi-
-Sta’ calmo Elton John[ii], stavo solo scherzando. Però dovresti dirglielo non pensi?- replicò Chris. Stavolta il suo tono era stranamente dolce e Dean rimase sorpreso.
-Non posso, lo sai come andrebbe a finire-
-Già, non penso ti convenga in effetti. Volevo solo sapere perché eri sparito comunque, tolgo il disturbo adesso-
-No aspetta! Senti Chris è un po’ che…- iniziò Dean. Non sapeva nemmeno lui da dove gli fosse venuta fuori quella sfacciataggine. Cioè, in realtà lo sapeva benissimo, era quella che usava quando ci provava con le ragazze, solo che non l’aveva mai usata con un maschio. Di solito erano gli altri a cercarlo.
-Sapevo che me l’avresti chiesto, dai prendi le chiavi e muoviti-
I due, guardandosi attorno si diressero velocemente nell’auto di Dean, dove quest’ultimo accese il motore.
Chris lo scrutò per qualche istante prima di appoggiargli la mano sul cavallo dei pantaloni. Dean sussultò mentre guidava.
-Non è cambiato niente qui- mormorò Chris con voce roca iniziando a massaggiare lentamente.
-Gesù Chris, non mentre sto guidando, andremo a schiantarci da qualche parte!- lo ammonì il maggiore.
-Mi fa piacere di farti questo effetto- ribatté l’altro.
-Sì, finché non ci schiantiamo contro un palo-
-Accosta lì- disse Chris indicando un vicolo deserto e ben protetto.
Dean si guardò intorno con circospezione. Era eccitato ma anche spaventato, si chiese cosa stesse facendo, se spegnere il cervello per un po’ fosse la scelta giusta. Si disse che era solo per quella sera, per sfogarsi un po’, poi tutto sarebbe tornato alla normalità. O forse no. Non lo sapeva ancora. Le parole di Benny ormai avevano piantato il seme del dubbio nel suo cuore e l’idea di stare vivendo una vita che non gli apparteneva ormai ce l’aveva da un po’ anche se aveva sempre cercato di ignorarla per il suo bene e per quello di sua madre, o almeno, questo era quello che pensava.
“Fanculo” pensò mentre scivolava sopra Chris nel sedili posteriori dell’Impala e si slacciava la cintura.
I finestrini dell’auto si appannarono mentre iniziava a muoversi dolcemente. Era bello non pensare e lasciarsi trasportare dall’istinto, i nervi distesi, una piacevole sensazione al basso ventre.
Finalmente stava facendo del sesso vero. Senza alcun sentimento, senso di colpa e soprattutto era del sesso che gli piaceva, non come quello con Lisa, che era come costringersi a ingoiare un cucchiaio di una medicina dal sapore amaro.
 
 
 
 
Lawrence, Kansas, 23 gennaio 1989
 
Dean si svegliò nel suo letto con una strana sensazione di appagamento nonostante la sveglia presto. Si sentiva stranamente rilassato e tranquillo, merito del sesso, faceva miracoli.
Si stiracchiò e saltò fuori dalle coperte dirigendosi verso il bagno. Lanciò un’occhiata fugace al suo riflesso nello specchio, osservando i capelli scompigliati, gli occhi verdi brillanti anche se ancora un po’ appannati dal sonno, le spalle larghe e il fisico modellato da anni di lavoro nei campi.
Si sciacquò il viso con l’acqua fredda per svegliarsi definitivamente e poi scese giù in cucina dove trovò Mary intenta a preparare una crostata. L’odore del dolce si aggrappò alle narici di Dean mentre si versava una generosa dose di caffè nella tazza facendolo sorridere.
-Buongiorno tesoro- disse Mary sorridendo. –Ieri sera sei rientrato tardi-
-Sì, non vedevo Benny e Garth da un po’ e ci siamo fermati più del dovuto- rispose sbadigliando. –Dov’è papà?- domandò poi guardandosi attorno.
-Oh lui…sta ancora dormendo. Ieri sera dopo che tu e Lisa siete andati via ha un po’ esagerato con il whisky…sai com’è fatto-
-Mamma…ti ha fatto qualcosa?- chiese Dean con voce tremolante stringendo forte la tazza tra le mani. Queste erano quelle cose che gli facevano venire voglia di non andarsene, insieme alla sua codardia, si diceva sempre.
-Stai tranquillo tesoro, non riusciva nemmeno ad alzarsi dal divano- lo rassicurò la donna tristemente.
Dean sospirò mentre si alzava dalla sedia dopo aver finito la colazione. Doveva sbrigarsi o sarebbe arrivato in ritardo al lavoro e aveva promesso a Lisa che sarebbe passato a prenderla per darle un passaggio fino a Lawrence visto che doveva incontrarsi con un’amica dopo il lavoro.
Si vestì velocemente e uscendo dalla sua stanza gettò uno sguardo alla camera dei suoi genitori attraverso la porta socchiusa. John era gettato malamente sul letto e Dean poteva sentirlo russare.
-Ciao mamma, ci vediamo per cena- salutò infilando la porta e richiudendosela alle spalle con un tonfo.
Mise in moto l’auto facendo partire una cassetta dei Metallica e canticchiando a bassa voce si diresse verso casa di Lisa.
Avrebbe troncato con lei? Non adesso, forse tra un po’. Aveva bisogno di tempo per…elaborare.
Si chiese da quando fosse diventato così incasinato. La sua testa ultimamente era un intreccio di pensieri contorti e confusi, non riusciva a trovare un appiglio. Non riusciva più a capire che cosa volesse davvero.
-Ciao amore- lo salutò Lisa stampandogli un bacio sulla bocca. Sapeva di dentifricio alla menta.
-Ciao- rispose lui mettendole una mano sulla spalla con delicatezza. Non voleva davvero ferirla, non ancora almeno.
-Domani è il tuo compleanno! Hai deciso che cosa fare?- chiese lei mentre Dean guidava silenziosamente.
-Mmmmm pensavo che potrei andare al pub con Benny e Garth sai, una cosa semplice. Ovviamente vieni anche tu- si affrettò ad aggiungere.
Lisa gli fece un gran sorriso e appoggiò la mano su quella di Dean. Il ragazzo affondò ancora di più nel sedile dell’auto guardando la strada davanti a sé, erano quasi arrivati. Fece scendere Lisa di fronte alla caffetteria dove lavorava.
-Ci vediamo dopo- cinguettò lei salutandolo con la mano.
-Sì a dopo- rispose Dean al vuoto e poi riaccese il motore per dirigersi all’officina.
Appena arrivò il suo capo lo squadrò da capo a piedi.
-Sei in ritardo ragazzo-
Dean non rispose e si diresse all’auto a cui stava lavorando da ieri. Non riusciva proprio a capire quale fosse il problema di quella dannata automobile. Il proprietario gli aveva detto che forse era il carburatore e Dean l’aveva controllato, ma non era quello.
Si immerse dentro il cofano dell’auto ascoltando il sottofondo di musica rock (il suo capo aveva ottimi gusti) e il brusio della gente che andava e veniva finché la voce di Tom, uno dei suoi colleghi, lo chiamò.
-Winchester! Hai una visita!-
Dean smise di lavorare e si domandò chi lo stesse cercando proprio in quel momento. La sua domanda trovò risposta appena vide la figura magra Anna Milton entrare in officina.
-Ciao Dean-
Non vedeva Anna da secoli, cosa mai poteva volere da lui? Pensò che era un po’ tardi per arrabbiarsi con lui dopo che l’aveva scaricata al liceo. O magari aveva solo bisogno di riparare l’auto.
-Ciao Anna. Posso fare qualcosa per te?-
-Oh non saprei Dean. Per esempio potresti dirmi che facevi ieri sera con Chris Collins-
-Che intendi?-
-Beh ieri sera vi ho visti, mentre parlavate fuori dal pub e mi sembrava che vi conosceste molto bene. E poi mi è venuto in mente che alla mia festa di compleanno quest’estate lui ti stava cercando…-
-Siamo solo amici, era in classe con Sam al liceo, veniva sempre a studiare a casa nostra…-
Dean stava iniziando a sudare freddo. Il cuore gli martellava così forte che poteva sentirlo nelle sue orecchie.
-Sei un pessimo bugiardo- disse Anna con voce tagliente.
-Non sto mentendo!- esclamò Dean rabbiosamente. Non poteva essere così, non poteva stare succedendo a lui. Dopo mesi che non vedeva Chris si concedeva una scappatella e Anna Milton, che non vedeva da anni, veniva a dirgli quelle cose…non poteva essere vero.
-Dean mi dispiace ma Lisa è la mia migliore amica e deve sapere che il suo fidanzato è un traditore oltre che un bugiardo. Oh e omosessuale-
Disse l’ultima parola disgustata come se fosse una bestemmia. Dean la afferrò per un braccio e la strattonò nel retro dell’officina.
-Gliel’hai detto?- sibilò.
-Ringrazia che l’ho detto a lei e non a tuo padre- disse Anna sommessamente.
Come poteva essere così crudele? Dean sapeva di non essersi comportato da santo con lei, ma addirittura arrivare a quel punto…deglutì cercando di calmarsi.
-Che cazzo hai fatto Anna?- bisbigliò.
-Quello che avrebbe fatto qualunque amica. Ora capisco molte cose Dean Winchester, tutte quelle ragazze che duravano così poco…-
Dean la spinse via.
-Vattene!- fece quasi gridando.
-Non preoccuparti, non mi vedrai più- rispose lei con una risatina.
Appena se ne andò Dean si appoggiò al muro e si rese conto che stava tremando. Si guardò le mani sporche di olio per motori e cercò uno straccio per pulirsi. Sentiva la testa girargli fortissimo e si rese conto di avere la vista annebbiata.
-Tutto bene ragazzo?-
La voce di Tom lo riportò coi piedi per terra.
-Io…non credo di sentirmi molto bene- ansimò. –Devo andare a casa, no, non a casa mia io…devo andare, devo andare..-
-Gesù ragazzo, sei sconvolto. Va’ a casa, lo dirò io al capo-
-Grazie…-
Afferrò la sua giacca di pelle e barcollando uscì dall’officina. Non era vero, era solo un sogno, un orribile sogno. Doveva essere così.
Si sedette al volante dell’Impala cercando di concentrarsi. Doveva avvertire Chris? Doveva andare a casa sua e dirglielo? O così facendo avrebbe rischiato ancora di più, o avrebbe messo Chris ancora di più nei guai?
La testa gli girava più che mai, aveva la nausea. L’orologio al suo polso segnava le cinque del pomeriggio e pensò che aveva saltato il pranzo. Che stupido.
Le mani continuavano a tremargli quando le posò sul volante. Doveva andare a casa e stendersi e sarebbe andato tutto bene, Anna mentiva, non aveva visto niente, era solo uno scherzo crudele.
Quando arrivò a casa e aprì la porta capì che non era un incubo. Era peggio.
Al tavolo della cucina erano seduti suo padre, sua madre e Lisa. Lei alzò la testa quando lo vide entrare, gli occhi pieni di lacrime.
Dean rimase pietrificato sulla soglia mentre suo padre si alzava.
-È vero?- domandò. Non urlò, era semplicemente freddo, gelido, deluso, arrabbiato. Dean riusciva a percepire ogni sfumatura e gli si gelò il sangue nelle vene.
-È vero?- ripeté.
Dean sentiva la bocca impastata, la lingua incollata al palato. Non riusciva a spiaccicare parola. La mano di suo padre lo colpì dritto in faccia e sentì il sapore metallico del sangue in bocca.
-John no!- disse Mary debolmente. Ma Dean sapeva che non sarebbe servito a nulla.
-Sì- fece lui alzando la testa. Una strana sensazione si impossessò di lui. Aveva paura, anzi, un terrore folle gli stava stringendo le viscere, ma c’era anche una sorta di risolutezza in quello che sentiva.
-Nostro figlio è frocio- rise John allargando le braccia. Era una risata amara, vuota. Dean rabbrividì, era…orribile.
-Da quanto lo sai?- aggiunse poi, il suo tono di voce stava diventando sempre più aggressivo.
-Dal liceo- mormorò.
Un altro colpo, stavolta sullo zigomo sinistro, che lo fece indietreggiare.
-Papà io…- cercò di dire. Ma non riuscì a dire nulla perché d’improvviso un pugno gli arrivò dritto allo stomaco e gli mozzò il respiro.
Udì distintamente le grida di sua madre e di Lisa e John che intimava loro di andarsene. Poi un altro colpo e un altro ancora, che lo fecero cadere per terra. Cercò di rialzarsi per rispondere ma un calcio ben assestato e un rumore poco piacevole lo costrinsero di nuovo a terra.
Un dolore lancinante iniziò a diffondersi nel suo corpo mentre sentiva il rumore attutito dei pugni e dei calci che si abbattevano su di lui. Cercò di raggomitolarsi su sé stesso per proteggersi alla meno peggio, non riusciva ad alzarsi, non riusciva a muoversi, non riusciva a fare niente, nemmeno a piangere.
Non seppe quanto durò, sentiva solo il dolore che si propagava ogni volta un po’ di più finché suo padre non lo afferrò per un braccio e lo tirò su.
-Ora stammi bene a sentire. Sono stato anche troppo buono con te, ma adesso basta. Nessuno deve sapere di questa cosa, quindi tu domani andrai al lavoro e dirai a tutti che tu e Lisa vi sposerete, perché è questo che succederà. Tu la sposerai, il prima possibile-
-No- trovò la forza di ribattere.
Gli faceva male ogni singolo osso del corpo, era sicuro di avere qualche costola rotta e non voleva pensare al resto.
-Ascoltami bene frocetto del cazzo, se non fai quello che ti dico questo è niente in confronto a quello che ti farò, sono stato chiaro?-
Sentì dei passi dietro di lui e vide sua madre rientrare in cucina. Il suo sguardo era pieno di dolore e sentì il suo cuore spezzarsi.
-Sissignore- esalò Dean.
-Adesso va’ a darti una ripulita e domani andremo a casa di Lisa a dire a suo padre del matrimonio-
Il ragazzo si liberò dalla stretta del padre e salì faticosamente le scale dirigendosi verso il bagno. Mentre si sciacquava il volto, evitando accuratamente di guardarsi allo specchio, la porta si aprì ed entrò sua madre.
-Tesoro…mi dispiace- sussurrò la donna.
-Tu lo sapevi- disse Dean, la consapevolezza si abbatté su di lui come una doccia fredda. –Sapevi cos’avrebbe fatto e non mi hai nemmeno avvertito, non hai cercato di fermarlo, non hai fatto niente!- stava gridando adesso.
-Dean quello che tuo padre ha fatto…l’ha fatto per te, lui…-
-Per me?-
Era così arrabbiato che per un secondo il dolore scomparve per poi tornare a morderlo con forza.
-Vuole farmi sposare Lisa, vuole che faccia questo per me? A lui non è mai importato un cazzo, vuole solo che nessuno parli e che nessuno sappia che ha un figlio finocchio- sputò fuori.
-È…è per il tuo bene- disse Mary che aveva iniziato a piangere.
Era troppo, troppo. Afferrò i suoi abiti sporchi, uscì dal bagno sbattendo la porta e si chiuse nella sua stanza gettandosi sul letto, il corpo dolorante e la testa vorticante di pensieri.
Rimase sdraiato per un po’, non sapeva nemmeno lui quanto, ad ascoltare le grida dei suoi genitori. John urlava e urlava e urlava. Dean voleva solo scendere, prenderlo a pugni come aveva fatto lo stesso John fino a poco fa ma invece rimase fermo immobile mentre sentiva il suo corpo fargli sempre più male.
Sentì le urla e il pianto di Mary placarsi, i loro passi sulle scale. Aspettò ancora un po’ poi si alzò da letto, si infilò la giacca di pelle, afferrò dei vestiti a caso e li spinse in un borsone verde militare. Frugò nel cassetto del comodino finché non trovò quello che stava cercando, i suoi soldi, e li infilò in tasca dove c’erano le chiavi dell’auto.
Aprì la porta piano, cercando di non fare rumore, scese le scale con passo felpato e appena fu fuori si diresse di corsa alla sua auto.
Gli faceva male dappertutto ma non poteva aspettare. Si fiondò sul sedile del guidatore e accese il motore con un rombo, l’adrenalina alle stelle.
Lo stava facendo, lo stava facendo davvero. Strinse le mani sul volante mentre accelerava, il sangue gli rombava nelle orecchie, i finestrini abbassati nonostante l’aria gelida di gennaio.
Quando vide il cartello con scritto Kansas City, Missouri esalò un respiro di sollievo. Era successo tutto così velocemente che non aveva avuto neppure il tempo di pensare. Fino a poche ore prima era Dean Winchester, meccanico, fidanzato di Lisa e abitava a Lawrence. Adesso stava scappando e cazzo, si sentiva bene. Nonostante gli dolesse ogni fibra del suo corpo sentì la consapevolezza di essere…libero.
L’orologio del cruscotto passò da 23:59 a 00:00.
“Buon compleanno” pensò Dean.
 
 
 
Spazio autrice: ehilà! Eccomi di nuovo con un altro capitolo e grazie per essere arrivat* fino a qui, ho pensato di accelerare un po’ le cose per fare scorrere la storia, che ne dite? Spero vi piaccia. Ancora grazie a tutt* quell* che hanno recensito e messo la storia nelle ricordate\seguite\ preferite, siete prezios*.
Un abbraccio e a presto!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[i] Celeberrimo brano dei The Beatles del 1968. In inglese però “helter skelter” significa anche “caotico, confuso” proprio come il nostro Dean
[ii] Si riferisce al fatto che Elton John fu prima fidanzato con una donna e poi sposato con un’altra donna prima di dichiararsi omosessuale

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Knockin' On Heaven's Door ***


Capitolo 4: Knockin’ on Heaven’s Door
 
New York, New York, 26 gennaio 1989

 
Aveva guidato per sedici ore di fila, non sentendo né la fame né la stanchezza per via dell’adrenalina che ancora gli scorreva in corpo. Era arrivato a Columbus, nell’Ohio alle quattro del pomeriggio più o meno e si era fermato in uno schifosissimo motel per mangiare e dormire qualche ora.
Si era rigirato sul vecchio materasso per un po’, poi aveva deciso di alzarsi e guardarsi allo specchio. Aveva un occhio nero, un taglio sullo zigomo sinistro, il labbro inferiore spaccato e un altro taglio sulla parte destra della fronte, gli occhi erano arrossati dalla stanchezza e stava spuntando un po’ di barba incolta. Ora capiva perché il ragazzo alla reception l’aveva guardato in quel modo strano, sembrava un reduce.
Si era fatto una doccia e aveva visto i lividi sul resto del corpo, dopodiché era tornato su quel materasso ed era crollato fino alle tre del mattino. Non aveva pianto, mai, nemmeno una volta. Si sentiva strano, come se quello che gli era successo fosse una specie di sogno lontano, non sembrava la realtà.
Era arrivato a Pittsburgh, in Pennsylvania e aveva visto la neve, la città imbiancata lo aveva immerso in una strana pace, gli piaceva la neve, quando era piccolo e d’inverno nevicava si ricordava dei campi diventare bianchi e lui e Sam che giocavano a palle di neve e che si rifugiavano nel granaio quando non ce la facevano più per il freddo. Guardò i fiocchi posarsi lentamente sul parabrezza dell’auto e venire scacciati via immediatamente dai tergicristalli che grattavano sul vetro. Avrebbe voluto fermarsi di più ma non poteva, doveva arrivare a New York il prima possibile, da suo fratello.
Aveva frugato nel cruscotto e tirò fuori due vecchie polaroid un po’ consumate. In una c’erano lui e Sam da adolescenti, quando il suo fratellino era ancora più basso di lui, aveva la giacca di pelle di Dean che gli stava grande e sorrideva. Dean osservò la versione più giovane di sé stesso, con i capelli un po’ più lunghi e uno spesso maglione verde.
Nell’altra foto invece erano entrambi un più grandi, seduti sul cofano dell’Impala, Sam stava ridendo e lui sorrideva con una sigaretta che gli pendeva dalle labbra.
Un colpo di clacson lo riscosse.
Dean aveva alzato la mano per scusarsi con il guidatore dietro e ripreso a guardare la strada dritto davanti a sé, pensando che tra poco sarebbe arrivato da Sammy.
Sam avrebbe capito, non l’avrebbe mandato via. Sam era diverso, l’avrebbe accettato, doveva andare così per forza, altrimenti non avrebbe saputo che altro fare.
Si sentiva proprio come Dean Moriarty[i], guidava e guidava, mentre cercava di non farsi sopraffare dalle emozioni e macinava chilometri di strada.
Era arrivato ad Harrisburg verso sera e si era fermato in un altro motel. Ormai stava finendo i soldi e sperava di arrivare il prima possibile o non avrebbe saputo come fare altrimenti.
Aveva dormito per un po’, ma non era stato un sonno ristoratore, aveva paura ad addormentarsi perché avrebbe sognato, anzi, avrebbe avuto gli incubi e non voleva assolutamente rivedere suo padre che lo riempiva di calci.
Si era svegliato alle cinque del mattino e si era guardato nello specchio macchiato di dentifricio del bagno del motel. Il livido attorno all’occhio da blu stava virando sul violaceo, il labbro si era un po’ sgonfiato ma i tagli erano ancora evidenti e ogni tanto sanguinavano ancora.
Non aveva intenzione di rimettersi a dormire, quindi aveva preso le sue poche cose, era uscito dalla stanza del motel, aveva pagato alla reception e poi si era ritrovato di nuovo fuori.
Faceva freddissimo e c’era un po’ di neve ammucchiata agli angoli della strada e il parabrezza dell’auto era ricoperto di brina così aveva acceso il motore e aspettato che si sciogliesse per poter ripartire.
E adesso, alle dieci di mattina di quel ventisei gennaio, era parcheggiato fuori dal campus della Columbia da un’ora circa e stava iniziando a non sentire più le dita delle mani per il freddo.
Non riusciva a decidersi ad entrare. E se Sam fosse stato a lezione? L’avrebbe aspettato. Non sapeva nemmeno quale fosse la sua stanza.
Si prese il viso tra le mani e aspettò ancora qualche secondo, poi fece un profondo respiro e uscì. Il campus era immenso, pieno di edifici bianchi e con un immenso giardino con una fontana nel mezzo, si era sistemato bene Sammy.
C’erano alcuni ragazzi fuori a fumare una sigaretta e gli si avvicinò, sperando che non lo scambiassero per un vagabondo o qualcosa del genere.
-Scusate, conoscete Sam Winchester?- domandò. La voce gli uscì roca e si rese conto che era perché non parlava con nessuno da almeno due giorni se non per chiedere se c’era una stanza libera al motel.
-Sì perché?- gli chiese diffidente una ragazza dai capelli neri.
-Sono suo fratello maggiore, per favore è importante. Qual è la sua stanza?- si rese conto di aver usato un tono dannatamente supplichevole.
-Sta negli appartamenti nell’ala est. Il suo è il numero ventinove- rispose la ragazza impietosita. –Stai bene?- domandò poi.
Dean non rispose e si allontanò facendo un gesto con la mano. Doveva trovare Sam e non voleva che qualcuno si impicciasse negli affari suoi, anche se probabilmente veniva naturale chiedergli come stesse viste le sue condizioni.
Trovò l’appartamento ventinove e indugiò per qualche secondo sulla soglia prima di bussare un paio di volte. Stava per bussare una terza quando la porta si spalancò facendo apparire la figura di quasi due metri di Sam Winchester.
Il suo fratellino non era cambiato di una virgola, anche se in realtà si erano visti poco meno di un mese fa, aveva gli stessi capelli con quella specie di frangia, l’espressione da cucciolo e una delle sue innumerevoli camicie a quadri.
Sam studiava per entrare alla facoltà di legge e diventare un avvocato, Dean era sicuro che ci sarebbe riuscito, era così intelligente e soprattutto gli piaceva così tanto studiare. Era sempre stato bravo a scuola e anche adesso Dean sapeva che passava gli esami con il massimo dei voti ogni volta.
-Dean? Che ci fa qui? Gesù, che hai fatto alla faccia?- esclamò Sam. Sul suo viso si era dipinta un’espressione di puro stupore mista a preoccupazione.
-Ciao fratellino, mi fai entrare?-
Sam si scostò per farlo passare senza togliergli gli occhi di dosso. Che diavolo ci faceva Dean lì e soprattutto in quelle condizioni? Sembrava un vagabondo.
Dean entrò guardandosi intorno. L’appartamento di Sam non era molto grande, c’era una cucina con un tavolo di formica con due sedie, un liso divano arancione e una piccola tv posata sopra un tavolinetto rovinato componevano una specie di salotto le cui pareti erano rivestite di libri di ogni genere. C’erano poi due porte che Dean supponeva nascondessero le camere.
-Vuoi dirmi che ci fai qui e perché sembra che tu sia appena uscito da una rissa o devo tirare fuori la palla di vetro e indovinare?- fece Sam, una nota di preoccupazione nella voce.
Dean si lasciò cadere pesantemente sul divano. –Puoi farmi un caffè?-
-Dean per favore, mi sto preoccupando. Cosa ti è successo?-
Il maggiore si torse nervosamente le mani mordendosi un labbro. Aveva pensato così tanto all’arrivare a New York da Sam che non si era minimamente preoccupato di cosa raccontargli quando l’avrebbe rivisto.
Inspirò profondamente e aprì la bocca ma si rese conto che le parole non gli uscivano.
-Non dovresti essere a lezione?- domandò invece alla schiena del minore che si era diretto in cucina per preparare il caffè.
-Il giovedì ho lezione al pomeriggio e non cambiare discorso! Che hai combinato?-
Dean respirò un paio di volte, come se volesse farsi entrare più aria possibile nei polmoni, sbatté le palpebre un paio di volte e poi alzò lo sguardo su Sam.
-C’entra papà?- provò a indovinare Sam porgendogli la tazza fumante colma fino all’orlo e anche un pezzo di torta avanzata dalla sera prima, aveva l’impressione che suo fratello non avesse mangiato granché negli ultimi giorni.
Dean non rispose e il minore imprecò. –Che cazzo! È stato quel maledetto bastardo? Perché?-
Dean continuò a stare zitto e a guardare il pavimento come se volesse perforarlo con lo sguardo mentre Sam camminava avanti e indietro nella stanza. Il più piccolo era davvero preoccupato, non era la prima volta che suo padre e suo fratello venivano alle mani ma era la prima volta che Dean non riusciva a parlare. Di solito dopo ogni litigata si sfogava imprecando con tutte le parolacce che conosceva, a volte addirittura inventandole (ed era piuttosto creativo) e spaccando qualcosa, ma stavolta si limitava a fissare per terra impassibile.
-Dean non posso continuare a indovinare. Devi dirmi cosa è successo, adesso-
-Ti ricordi Anna Milton?- iniziò Dean.
-Sì una delle tue “ragazze” del liceo, ma che c’entra ora?- rispose Sam facendo il gesto delle virgolette con le dita quando pronunciò la parola “ragazza”.
-Sta’ zitto e fammi parlare cazzo. Lei…ha scoperto una cosa, e…l’ha detto a Lisa. E lei l’ha detto a papà…-
-Papà ti ha fatto questo perché hai tradito Lisa con un’altra?- tirò a indovinare Sam che aveva un’espressione davvero confusa sul viso.
-Sì- rispose e si sentì subito in colpa per avere mentito. Cioè, non aveva proprio mentito, aveva detto una parte di verità. Non riusciva a dirlo a Sam, non ancora.
-Credo che sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso- aggiunse stendendosi sul divano con un gemito, gli faceva ancora male dappertutto.
-Quello stronzo sta veramente andando fuori di testa, perché gli è venuto in mente di fare una cosa del genere?- commentò Sam scuotendo il capo. –Ti sei disinfettato quelle ferite?- chiese poi.
-Da quando sei tu il maggiore? E comunque no, sono scappato di casa come un adolescente ribelle e non ho avuto il tempo, ma non credo che morirò per queste sai. Se non mi ha ucciso papà…-fece con la voce strozzata sul finale.
-Sei un idiota- sentenziò Sam.
-Che cosa?-
-Sei scappato di casa, la mamma adesso starà morendo per l’angoscia, devi telefonarle e dirle che sei qui e che va tutto bene e che tornerai a casa…-
-No!-
Dean aveva quasi gridato mentre afferrava la mano di Sam che stava alzando la cornetta.
-Dean che ti succede? Perché ti comporti così?- fece Sam con sguardo indagatore.
-Niente-
-Sono tuo fratello non puoi mentirmi-
-Non sto mentendo. Te l’ho detto cos’è successo. Papà aveva bevuto e ha dato di matto più del solito okay? E io ho colto l’occasione per andarmene, se non mi vuoi qui me ne posso andare non ti preoccupare- ribatté piccato incrociando le braccia.
-Va bene- rispose il minore dei Winchester con poca convinzione, non poteva costringere suo fratello a parlare ma sentiva che sotto c’era dell’altro però non volle insistere. Non era da Dean scappare a quel modo, doveva essere successo qualcosa di più.
-Puoi stare qui per adesso, penseremo domani a una sistemazione- disse Sam.
-Grazie- rispose Dean, lo sguardo colmo di gratitudine. –Sam ascolta, era da un po’ che volevo andarmene okay? Questa è stata solo…l’occasione adatta. Sai com’è fatto papà, non gli è mai andato a genio come mi comportavo. Ho colto la palla al balzo, come hai fatto tu-
-Senti Dean, io non so cosa sia successo veramente, non ne vuoi parlare adesso e per me va bene, però non puoi piombare qui in quelle condizioni e pretendere che io non faccia domande. Non so perché tu non voglia dirmi la verità…-
-Sam è la verità- lo interruppe.
-No, non lo è ma non importa. Sei qui adesso, mi dirai le cose a tempo debito okay? Va’ a farti una doccia e dormi, sembri uno zombie-
Dean rivolse un sorriso sghembo al fratello e si diresse nella camera che gli aveva indicato Sam.
-Bagno privato, lusso!- fischiò guardando la stanza ricoperta di piastrelle bianche. Si infilò nella piccola doccia (ma come faceva quel gigante di Sam a starci?) e lasciò che l’acqua calda lavasse via i suoi pensieri. Ne aveva un disperato bisogno, aveva bisogno di credere che adesso sarebbe andato tutto bene e le cose si sarebbero sistemate da sole.
Quando uscì aveva la pelle arrossata dal calore. Si avvolse un asciugamano attorno alla vita e uscì dal bagno per tornare nella camera di Sam.
Le pareti erano piene di poster di Guerre Stellari, band e c’erano anche alcune fotografie.
Dean riconobbe alcune polaroid di loro da bambini.
La scrivania era posizionata sotto la finestra ed era sommersa di tomi e fogli scritti nella grafia stretta e ordinata di Sam. C’erano mensole ovunque sulle quali erano appoggiati altri libri e un paio di fotografie incorniciate di Sam e una ragazza bionda e carina, Jessica.
Si vestì in fretta prima che Sam potesse rientrare e vedere il resto dell’operato di John sul proprio corpo e tornò in soggiorno.
-Stai meglio?- domandò il più piccolo strofinandosi gli occhi con le mani.
-Sto bene Sam. Comunque ora che sono qui devi presentarmi Jessica, è carina-
Sam sbuffò guardando in tralice suo fratello maggiore. Avrebbe voluto spingerlo a parlare veramente di quello che era successo ma Dean sapeva essere testardo come un mulo, quindi decise di archiviare l’argomento, almeno per un po’.
-Stasera ho il turno alla Roadhouse, se ti va puoi venire con me e conoscere Ellen e Jo e Bobby. Mi hanno aiutato davvero tanto da quando sono qui, loro sono brave persone, aiutano i ragazzi in difficoltà- propose Sam.
Dean aveva sentito moltissimo parlare di Ellen e Jo, madre e figlia, le proprietarie di un locale chiamato Roadhouse, dove Sam aveva iniziato a lavorare dopo aver mollato il precedente lavoro che aveva trovato quando era arrivato a New York e anche di Bobby, che era una specie di meccanico o qualcosa del genere.
Sì, gli faceva piacere conoscerli, voleva vedere com’era la vita di Sam da quando se n’era andato.
-Ellen aiuta sempre chi ha bisogno nel quartiere. Lei ti troverà sicuramente un posto dove stare e un lavoro in men che non si dica, l’ha fatto un sacco di volte o almeno così mi hanno detto alla Roadhouse, conosce veramente un mucchio di persone e…-
-Frena Sam, sono appena arrivato- rispose Dean con uno sbadiglio.
Dio, era così stanco. Voleva solo gettarsi sul letto di Sam e dormire, però si rese conto di avere anche fame, non mangiava veramente da più di due giorni e sentiva lo stomaco brontolare.
-Mmmmm Sam non è che potrei farmi un sandwich?-
-Sì, guarda cosa c’è in frigo. Dean dovrò avvisare il mio nuovo coinquilino che sei qui comunque-
-Ah sì?- fece il più grande con la testa infilata nel vano del frigorifero. –Che tipo è il tuo coinquilino?-
Non fece in tempo a porre la domanda che la porta si spalancò facendo entrare un ragazzo basso e asiatico.
-Ciao Kevin- esordì Sam mentre l’altro entrava sbuffando con le braccia cariche di libri.
Kevin bofonchiò qualcosa e fece cadere pesantemente i libri sul tavolo della cucina.
-E lui chi è?- domandò poi sgranando gli occhi.
-Ah, Kevin, questo è mio fratello Dean. Dean, questo è Kevin, vive qui da due settimane-
-Oh Cristo ma che hai fatto alla faccia?- domandò Kevin.
Dean sospirò e non rispose dando le spalle al ragazzo asiatico per continuare a prepararsi il panino, poi si voltò e si squadrarono per qualche istante, poi Dean porse la mano all’altro ragazzo che la strinse con diffidenza.
-Senti Kevin, Dean rimarrà qui per qualche giorno, se per favore potessi evitare di dirlo in giro mi faresti un favore. Giuro che sarà al massimo per un paio di giorni-
-Okay, ma io devo studiare quindi digli di non fare confusione!-
-Non ti preoccupare Bruce Lee, mi basta il divano- s’intromise Dean ridendo.
Kevin gli scoccò un’occhiata di fuoco poi girò i tacchi e si chiuse nella sua stanza.
Sam alzò le mani in un gesto di scuse poi si alzò e si diresse verso Dean che aveva finito di preparare il suo sandwich.
-Avrei preferito vederti in altre circostanze ma…è bello che tu sia qui Dean, davvero-
-Beh almeno adesso siamo più vicini-
Si abbracciarono per qualche secondo poi Dean guardò suo fratello minore dritto negli occhi.
-Sam, io non posso tornare a casa lo capisci vero? Anche se…non dovessi trovare lavoro qui, o un posto dove stare, non posso tornare a Lawrence-
-Non preoccuparti, troveremo una soluzione- rispose Sam stringendolo un po’ più forte.
-Fa’ piano Sam, credo di avere un paio di costole rotte- rise Dean.
 
 
 
New York, New York, 28 gennaio 1989
 
Quella Ellen Harvelle conosceva davvero tutti, proprio come aveva detto Sam.
Non era andato alla Roadhouse la sera di quando era arrivato, era troppo provato e si era addormentato sul divano non appena Sam era andato a lezione lo stesso pomeriggio, ma c’erano andati insieme il giorno dopo. Faceva un freddo cane anche se non nevicava e le strade di New York erano piene di traffico, Dean aveva osservato affascinato gli alti palazzi e i grattacieli che si stagliavano contro il cielo plumbeo e le auto che scorrevano lungo la strada assieme ai taxi gialli.
Dean non era abituato a guidare in mezzo a tutto quel casino, si sentiva un po’ disorientato mentre dirigeva l’Impala secondo le indicazioni di Sam.
Gli faceva male la schiena perché aveva dormito sul divano la sera prima e si sentiva una sorta di cerchio alla testa. E si sentiva in colpa per avere mentito a Sam.
Si erano fermati davanti a un edificio un po’ vintage che portava una grossa insegna luminosa rossa che diceva Harvelle’s Roadhouse e scesero dall’auto.
Dean si era stretto ancora di più nella giacca di pelle maledicendosi per aver preso quella invece del suo giaccone di lana.
-Ciao Ellen, ti presento mio fratello Dean- aveva detto Sam entrando nel locale. Non era molto grande, c’era un bancone di legno sulla sinistra e un piccolo palco sul fondo della sala. Dietro al bancone c’era una porta che conduceva alle cucine, da dove uscì una ragazza bionda che si era presentata come Jo, la figlia di Ellen, e aveva lanciato subito un’occhiata ammiccante a Dean, il quale aveva elegantemente ignorato la cosa.
-Ah, quindi tu sei il famoso Dean! Abbiamo sentito parecchio parlare di te- aveva esclamato una donna più grande porgendogli la mano. –Sono Ellen. Ti serve qualcosa ragazzo?- aveva chiesto poi guardando Sam.
-Ellen so che ti sto chiedendo molto ma avrei bisogno che trovassi una sistemazione a Dean lui…-
-Sono scappato di casa. E non intendo ritornare, ma se è un problema posso cavarmela da solo- lo aveva interrotto Dean seccamente.
-Immaginavo- aveva risposto Ellen, notando il viso di Dean, dove il livido stava diventando verdognolo e i tagli non si erano ancora completamente rimarginati. –E comunque non serve che te la cavi da solo ragazzo, chi ha bisogno qui trova sempre un aiuto. Soprattutto uno che ha passato quello che hai passato tu- tagliò corto la donna.
Intuitiva quella Ellen, e non aveva fatto neppure troppe domande, a Dean era piaciuta subito.
-Come te la cavi con le auto?- aveva domandato poi a Dean.
-Bene, ero un meccanico prima-
-Jo!- aveva intimato allora Ellen alla figlia. –Passa da quella vecchia carogna di Bobby Singer e digli che gli ho trovato un aiutante. Voi due aspettatemi qui, torno subito- e sparì nel retrobottega.
I due rimasero impalati nel mezzo del locale vuoto guardandosi attorno mentre Jo usciva e la voce di Ellen diceva qualcosa che non riuscivano a capire.
-Sì sì, garantisco io!- fu l’unica cosa che riuscirono a captare.
La donna li raggiunse di nuovo dopo circa dieci minuti.
-Nel palazzo qui di fronte all’ottavo piano, all’appartamento 131 c’è bisogno di un coinquilino, l’affitto non è alto e per adesso ho garantito io per te con il padrone di casa, non farmene pentire ragazzo- aveva detto Ellen in tono spiccio.
-Grazie Ellen, se c’è qualcosa che possiamo fare per ricambiare…-aveva iniziato Sam.
Dean non era abituato a quella gentilezza. Era praticamente uno sconosciuto per quella donna e lei gli aveva trovato un posto dove stare e forse anche un lavoro.
-Sì, ehm…grazie signora Harvelle- disse Dean in chiaro imbarazzo. Non sapeva mai come comportarsi in quelle situazioni.
-Chiamami Ellen. Sei il fratello di Sam e questo mi basta, se sei come ti ha descritto posso fidarmi di te. E poi- aggiunse squadrandolo da capo a piedi –Non devi essere in una bella situazione se sei qui-
Dean sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come di sollievo.
Sì, era decisamente sollevato, avrebbe iniziato una nuova vita, era vicino a Sam, se n’era andato di casa…non era sicuro che fosse reale, forse era solo un bel sogno dal quale si sarebbe risvegliato al più presto, non era possibile che qualcosa nella sua vita stesse girando per il verso giusto.
Poi erano andati all’officina di Bobby Singer, dove li aspettava Jo Harvelle, assieme ad un uomo sulla sessantina con un cappello consunto calcato sulla testa.
C’era voluta tutta l’arte persuasiva di Sam per evitare che Bobby mettesse subito Dean a lavorare (-Bobby ma è appena arrivato!- aveva detto subito il minore dei Winchester.
-Beh allora se non vuole lavorare perché diavolo Ellen me l’ha mandato? Mi serve un assistente e mi serve subito!-
Era un tipo abbastanza scorbutico aveva intuito Dean ma a quanto pare doveva un favore ad Ellen quindi dopo avergli dato dell’idiota un paio di volte gli aveva intimato di presentarsi il lunedì dopo, puntuale), anche se a Dean non sarebbe dispiaciuto, aveva messo gli occhi su una Mustang niente male.
Il giorno successivo si svegliò sul divano di Sam col telefono che squillava. Sam era andato a lezione presto e il pomeriggio l’avrebbe accompagnato al suo nuovo appartamento.
Bofonchiò tirandosi faticosamente su dal vecchio divano arancione e si diresse con passo pesante verso la mensola sopra la televisione.
-Pronto?- borbottò con voce impastata.
-Dean…Dean sei tu? Sapevo che eri lì…-
La voce di Mary Winchester era più che un sussurro ma Dean si sentì gelare. Non era vero, non poteva essere vero.
-Dean tesoro, sono io, sono la mamma. Ti prego non riattaccare, dovevo chiamare perché tuo padre non è in casa adesso e sono preoccupata, io…-
Il ragazzo buttò giù la cornetta di scatto e si appoggiò al muro tremando.
Non era possibile. Era scappato, fuggito, andato via per mettere più distanza possibile tra sé stesso e quella vita che ora più che mai capiva di non aver mai voluto. Nonostante fossero passati pochi giorni le cose sembravano prendere la giusta direzione e lei lo chiamava.
“Cazzo!” imprecò mentalmente mentre sentiva le sue ginocchia diventare gelatina e la vista appannarsi.
Sperava solo che Mary non lo dicesse a suo padre, che se ne stesse zitta e facesse finta di niente come faceva sempre, se quell’uomo l’avesse scoperto…rabbrividì al solo pensiero.
Doveva buttare giù qualcosa per calmarsi così aprì il frigorifero di Sam e mandò giù una birra in tre sorsi, poi tornò nella stanza del fratello e spulciò tra i cd di Sam, non c’era nulla che gli interessasse così accese lo stereo che stava sulla scrivania sintonizzandolo su una stazione di rock classico.
 
“Mama take this badge off of me
I can’t use it anymore
It’s getting’ dark, too dark to see
I feel I’m knockin’ on Heaven’s door
Knock-knock-knockin’ on Heaven’s door
Knock-knock-knockin’ on Heaven’s door”[ii]
 
Non vedeva l’ora che Sam tornasse e lo portasse al suo nuovo appartamento. La sua famiglia era riuscito a raggiungerlo anche lì, ma doveva aspettarselo, era stato uno stupido a non averlo messo in conto.
In fondo sapevano benissimo quanto lui e Sam fossero legati e per Dean era stato quasi automatico pensare a Sam come meta della sua fuga, e di conseguenza anche i suoi genitori.
Sperò che Mary tenesse la bocca chiusa, aveva combinato abbastanza guai.
 
“Mama put my guns in the ground
I can’t shoot ‘em anymore
That long black cloud is coming down
I feel I’m knockin’ on Heaven’s door”
 
Chiuse gli occhi e si addormentò fino al ritorno di Sam dopo pranzo.
-Ha chiamato la mamma stamani- annunciò con tono incolore al fratello minore appena rientrato.
-Che cosa? Come faceva a sapere che eri qui?- sbottò Sam, sorpreso.
-Sam, era abbastanza scontato che venissi qui non credi?-
-Non hai tutti i torti…ehi non preoccuparti, adesso andiamo all’appartamento che ci ha suggerito Ellen e andrà tutto bene. Non sapranno mai dove sei e se mi chiederanno di te non risponderò. Però Dean se solo mi dicessi cosa è successo davvero…-
-No Sam, lascia perdere te l’ho già detto com’è andata ma tu non vuoi credermi- ribatté con tono perentorio. Era stufo di quella domanda e soprattutto non era ancora pronto a dirlo ad alta voce.
Gay? Omosessuale? Quale parola avrebbe dovuto usare? Non ne aveva idea e non voleva neppure starci a pensare, voleva solo andarsene, avere un po’ di respiro da tutte quelle domande e quei dubbi che lo torturavano.
-Spero solo non dica nulla a papà- disse invece.
-Dean, ma che cosa ti ha fatto quell’uomo? Litigate di continuo ma così…-
Davanti agli occhi di Sam c’era ancora la prima volta in cui aveva visto Dean e suo padre picchiarsi.
Ricordava distintamente che la lite era iniziata per colpa sua, aveva preso un brutto voto a scuola (il primo e l’ultimo), aveva solo quattordici anni e suo padre non l’aveva presa affatto bene.
Si ricordava di come gli stesse per saltare addosso sotto lo sguardo terrorizzato di Mary ma Dean si era messo in mezzo per proteggerlo, come un milione di altre volte, da sempre, anche quando non alzava le mani.
Dean l’aveva sempre protetto, dai bulli a scuola prima e dal loro stesso padre poi, c’era sempre stato e gli aveva permesso di aggrapparsi a lui quando le cose sembravano soffocarlo, e Sam pensò che adesso era il momento di ricambiare.
Il più piccolo sospirò riscuotendosi da quei ricordi. –Dai prendi l’auto e andiamo-
Non aveva voglia di insistere ancora quindi si limitò a scuotere la testa e a seguire il fratello maggiore, che nel frattempo aveva recuperato il borsone verde con cui era arrivato, e si diressero insieme verso l’Impala mentre iniziava a piovere.

 
 
 
-Okay, questo dovrebbe essere il palazzo. Ottavo piano giusto?-
Dean guardò il portone del palazzo, era marrone con la vernice un po’ scrostata, i muri dell’edificio erano ricoperti di graffiti.
I due fratelli entrarono nell’androne del palazzo mentre un ragazzo con un lungo impermeabile beige li superò e uscì nella pioggia.
L’ascensore si aprì cigolando sotto lo sguardo diffidente di Dean mentre Sam gli rivolse un sorriso d’incoraggiamento. –Speriamo non si fermi- disse allegramente.
-Grazie Sam, ora sono più tranquillo-
Sembrò metterci un’infinità ad arrivare al loro piano e quando si fermò i due ragazzi si ritrovarono in un lungo corridoio ricoperto di una polverosa moquette blu. Sul piano c’erano due porte e i due si avvicinarono a quella con appeso il numero 131 in caratteri dorati.
Dean notò che il numero tre non era attaccato bene e si stava per rigirare.
-Ci siamo- disse. Non sapeva cosa aspettarsi, non aveva mai vissuto da solo. Adesso gli sembrava tutto così folle e avventato, non avrebbe dovuto andarsene così senza un piano, ma a cosa stava pensando quand’era scappato? Che avrebbe potuto vivere nell’appartamento di Sam? Dio, che idiota che era.
La porta si aprì, era talmente immerso nei suoi pensieri che non si era neppure accorto che Sam aveva bussato, rivelando la figura alta e magra di un ragazzo, probabilmente più piccolo anche di Sam, con spettinati capelli biondi, jeans sdruciti e una maglietta sgualcita dei Rolling Stones.
-Sì?- domandò con aria circospetta.
-Ehm…ciao, sono Dean Winchester. Questo è mio fratello Sam, sono il nuovo coinquilino, mi ha mandato Ellen, della Roadhouse- disse tutto d’un fiato.
Il viso del ragazzo s’illuminò e rivolse ai due fratelli un ampio sorriso.
-Ah anche tu sei un ragazzo di Ellen? Ciao, io sono Adam Milligan!- esclamò stringendogli energicamente la mano.
I due Winchester si lanciarono un’occhiata interrogativa mentre Adam li invitava ad entrare. –Ellen non mi ha detto nulla ma scommetto che ha parlato con Rufus, il padrone di casa, altrimenti non saresti qui. Allora, hai detto Winchester? Come il fucile?- snocciolò Adam praticamente senza respirare tra una frase e l’altra.
-Uh…sì- rispose Dean un po’ stordito dall’irruenza del ragazzino.
-Fico! Ci serviva un nuovo coinquilino dopo che Krissy se n’è andata. Siamo sempre stati in quattro quindi quando lei se n’è andata ci serviva un altro quarto capisci? Ora sono da solo in casa perché gli altri sono fuori, io sono il più piccolo comunque. Charlie non sarà felice credo, sei un altro ragazzo quindi vuol dire che mmmm…siamo tre ragazzi e Charlie. È in svantaggio, perché lei è una ragazza!-
-Ma quanto parla?- bisbigliò Sam al fratello che stava osservando Adam con gli occhi sgranati. Quel ragazzino era davvero un vulcano.
-Allora questo è il soggiorno, è tipo lo spazio comune. La sera a volte guardiamo la tv insieme o beviamo, cose così- disse Adam facendo un gesto con la mano per indicare il soggiorno. Era un’ampia stanza con le pareti dipinte di rosso, sul lato destro c’era un’immensa libreria un po’ sbilenca e al centro, davanti a un grosso televisore c’era un divano componibile di uno stinto color ocra sul quale erano gettate malamente delle coperte.
Sul pavimento di legno consumato dall’usura c’era un vecchio tappeto che ne ricopriva la maggior parte, sulle pareti si notavano delle macchie di umidità e le tende della grande finestra erano un po’ impolverate.
-Questa invece è la cucina- continuò il ragazzo attraversando un arco che dal soggiorno portava a un’altra stanza.
La cucina era più piccola rispetto al salone, arredata con vecchi elettrodomestici, un tavolo un po’ traballante e delle sedie scompagnate.
-Il bagno è in comune e la lavanderia è nel seminterrato del condomino- aggiunse Adam uscendo dalla cucina e attraversando di nuovo il soggiorno.
Si ritrovarono in uno stretto corridoio con cinque porte.
-La prima è il bagno e le altre sono le camere. Quelle sulla destra sono la mia e di Charlie. Sulla sinistra ci sono le altre, questa qui è la tua- disse Adam aprendo l’ultima porta sulla destra.
I tre ragazzi si ritrovarono in una stanza con un letto matrimoniale, una scrivania spoglia con una sedia da cui usciva un po’ di imbottitura e un armadio che avrà avuto almeno trent’anni.
La finestra però era grande e dava sulla strada posteriore dove si vedevano le auto sfrecciare.
A Dean la casa piaceva, certo i mobili erano vecchi, c’erano macchie d’umidità un po’ dappertutto e Adam parlava veramente senza sosta, però pensò che avrebbe potuto abituarsi. E poi Ellen gli aveva trovato quel posto in un secondo, non poteva dire di no.
-Che te ne pare?- gli domandò Sam.
-È okay, ed è sicuramente meglio del tuo divano- rispose ridendo.
Adam li riportò in cucina dove tirò fuori tre birre dal frigorifero e le appoggiò sul tavolo.
-Beh benvenuto nel Team Free Will![iii]- esclamò stappando la sua bottiglia.
-Team…che?- domandò Sam.
-Team Free Will- ripeté Adam. –Ci chiamiamo così qui nell’appartamento perché siamo una famiglia. Ora vi spiego, qui dentro abbiamo tutti storie simili, io per esempio sono scappato di casa due anni fa perché mia madre è morta e non volevo stare con quello stronzo del mio patrigno che di sicuro mi avrebbe usato come una specie di schiavo, così sono scappato e sono venuto qui- disse velocemente. –Il primo  mese è stato una merda, dormivo letteralmente sotto i ponti, poi sono capitato alla Roadhouse e ho conosciuto Ellen e Jo, che mi hanno mandato qui e mi hanno trovato un lavoro. Qui c’erano già gli altri due ragazzi, poi è arrivata anche Krissy. E prima degli altri due ragazzi ce n’erano altri, insomma un ciclo continuo- spiegò prendendo un sorso di birra.
Dean notò che Adam non aveva quasi respirato per buona parte del suo discorso.
-In pratica sono anni che Ellen lo fa, ha creato una specie di rete di aiuto per ragazzi bisognosi, i ragazzi di Ellen. E Bobby la aiuta, anche se fa il vecchio stronzo. E anche Rufus, che è il padrone di casa e un amico di Bobby-
-E perché Team Free Will? Che c’entra il…libero arbitrio?- chiese Dean.
-Come ti ho detto abbiamo tutti delle storie famigliari un po’…turbolente, ma non sta a me dirtele. Comunque, abbiamo tutti scelto di andarcene o di essere qualcosa di diverso da quello che i nostri genitori volevano per noi e beh, eccoci qui- concluse Adam allegramente.
Fuori dalla finestra il cielo si stava facendo scuro e Sam si alzò dalla sedia.
-Beh Adam, grazie. Dean, se per te va bene io andrei, devo studiare e domani mattina ho lezione presto-
Adam accompagnò i due fratelli alla porta e poi li lasciò soli, dopo aver scritto su un biglietto il numero di telefono dell’appartamento e averlo consegnato a Sam.
-Sam, grazie per…avere fatto il fratello maggiore- disse Dean piano, l’accenno di un sorriso sul volto.
-Dean, l’hai fatto per tutta la vita e poi dopo stamattina sembrava che avessi bisogno di un supporto. Anche se non vuoi parlarmi…-
-Sam piantala okay?-
-Hai ragione, scusami-
Si guardarono imbarazzati per qualche secondo.
-Ti troverai benissimo e poi ora siamo nella stessa città!- aggiunse il minore.
-Chiamami per qualunque cosa Sam-
-Non vorrei essere petulante ma mi sembri tu quello in difficoltà adesso-
-Porta rispetto agli anziani puttana-
-Fesso-
Sam si voltò e Dean aspettò che entrasse nell’ascensore prima di chiudersi la porta della sua nuova casa alle spalle. E così era reale, aveva fatto quello che gli aveva suggerito Benny e per qualche strana ragione, a parte l’inconveniente di quella mattina, sembrava andare tutto bene.
Dean non ci era abituato, si aspettava che da un secondo all’altro il telefono squillasse e dall’altro capo sentisse la voce di Mary o di John, o peggio, che se li vedesse capitare davanti.
Inspirò profondamente e tornò nel soggiorno dove c’era Adam stravaccato sul divano con un libro aperto sulle ginocchia.
-È strano vero?- chiese sorridendogli. –Anch’io la prima volta ero spaventato-
-Non sono spaventato!- ribatté Dean, ma per chi lo aveva preso quel ragazzino?
La verità era che Dean si sentiva in colpa, non solo per avere mentito a Sam ma anche per essersene andato. Nel momento in cui l’aveva fatto si era sentito bene ma adesso?
Ripensava a tutto quello che i suoi genitori avevano fatto per lui, gli avevano dato una casa, cercato di non fargli mancare niente. Negli ultimi anni le divergenze si erano accentuate, le liti con suo padre erano diventate più violente però...ma perché la sua testa era così un fottuto casino?
John non lo voleva, gliel’aveva fatto capire chiaramente poche sere fa e Mary evidentemente non lo voleva abbastanza da proteggerlo. E adesso era lì, aveva di nuovo un tetto sopra la testa e non doveva rendere conto a nessuno di un bel niente, solo a sé stesso. Doveva solo mettere ordine in quel macello che era la sua testa.
 -Io vengo da Lawrence, in Kansas. Cioè da una fattoria fuori Lawrence, semplicemente non sono abituato a questo genere di posti- replicò fissando il suo nuovo coinquilino.
Adam annuì con comprensione e poi si rimise a leggere. Dean stava per andare nella sua nuova stanza e sistemarsi (come se avesse qualcosa da sistemare) quando sentì la serratura della porta scattare.
-Ah dev’essere Charlie! Rientra sempre a quest’ora- lo informò Adam.
La porta si aprì ma chi entrò non era una ragazza, bensì il tipo con l’impermeabile beige che Dean aveva intravisto per le scale.
Adesso che ce l’aveva davanti vide che era giovane, doveva avere la sua età se non meno, con spettinati capelli neri bagnati dalla pioggia, gli occhi di un incredibile blu e un’espressione stupita sul viso.
-Ciao Castiel! Credevo fosse Charlie, comunque lui è Dean, il nostro nuovo coinquilino. Anche lui è un ragazzo-di-Ellen-
La prima cosa che Dean pensò fu: “Che razza di nome è ‘Castiel?’” e stava quasi per dirglielo ma si morse la lingua.
-Sono Dean Winchester- disse invece porgendogli la mano.
L’altro la strinse, era una stretta forte e sicura.
-Castiel Novak-
 
 
 
 
 
Spazio autrice: ehilà! Innanzitutto vi ringrazio di essere arrivat* qui in fondo a questo nuovo capitolo, spero vi piaccia!
Avete visto chi è arrivato finalmente? Il nostro grumpy boy in trenchcoat, finalmenteeeeee!
Comunque, visto che è iniziata l’università non riesco più ad aggiornare a giorni alterni quindi pubblicherò ogni due\tre giorni, perdonatemi!
Grazie ancora a tutt* voi che recensite e mettete la mia storiella nelle preferite\seguite\ricordate, mi riempite il cuore di gioia!! Come al solito, se vi va, lasciatemi una recensione per farmi sapere che ne pensate
Un abbraccio e a presto!
 
 

 
 
[i] Personaggio del romanzo On The Road di Jack Kerouac, dal quale prende il nome il personaggio di Dean nella serie
[ii] Knockin’ On Heaven’s Door, Bob Dylan, 1973. Il titolo del capitolo è preso dalla canzone stessa, l’ho scelto perché mi sembrava calzante. Dopotutto Dean bussa a un sacco di porte qui per trovare il suo paradiso personale.
[iii] “free will” in inglese significa “libero arbitrio”

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Welcome To The Jungle ***


Capitolo 5: Welcome To The Jungle1
 
New York, New York, febbraio 1989

 
Erano passati dieci giorni da quando si era trasferito nell’appartamento di Brooklyn e poteva dire che si stava ambientando. Aveva imparato a conoscere i suoi nuovi coinquilini e in effetti “Team Free Will” era il nome adatto a loro.
Charlie, l’unica ragazza di quello scombinato quartetto, l’aveva adorato fin da subito. Studiava informatica ed era lesbica, infatti era per quello che se n’era andata di casa, i suoi genitori non la accettavano per la sua sessualità e ritenevano che avesse deciso di studiare cose “da maschi”.
Quindi lei aveva fatto armi e bagagli ed era scappata. Anche lei era capitata alla Roadhouse ed Ellen l’aveva presa sotto la sua ala protettiva. Charlie era incredibilmente dotata e lavorava già in un’azienda come esperto informatico, niente male per quella ragazzina dai capelli rossi.
Adam aveva solamente diciannove anni ed era il più piccolo. Faceva il cameriere al Glenn’s, un ristorante a Manhattan ed era il fratellino fastidioso che Dean non sentiva il bisogno di volere. Ma era stato il primo ad accoglierlo e alla fine ci si abituava al suo costante chiacchiericcio al suo disordine.
E poi c’era Castiel. Dean aveva pensato che da subito quel tizio fosse abbastanza strambo, perché chi va in giro con un trench e una cravatta a ventiquattro anni?
Studiava letteratura all’università e aveva una borsa di studio.
I suoi genitori avrebbero voluto che diventasse medico e infatti aveva studiato medicina per un paio d’anni a Miami, la sua città natale, ma poi aveva mollato e aveva fatto i lavori più disparati fino ad approdare all’appartamento di Brooklyn.
Adesso aveva una borsa di studio e si pagava l’affitto lavorando in una libreria sulla dodicesima.
E lui era quello con cui Dean aveva interagito meno. Non perché fosse antipatico o altro, era semplicemente molto schivo e riservato, mentre loro tre mangiavano spesso cibo d’asporto sul divano guardando Guerre Stellari o The A-Team2 lui si chiudeva nella sua stanza oppure rimaneva in un angolo a leggere.
Dean si sentiva in un qualche modo attratto da lui. Non sapeva se in quel modo o era semplicemente curioso di conoscerlo meglio, però quel ragazzo con i capelli neri perennemente spettinati e gli occhi blu era dannatamente interessante e Dean aveva capito da un po’ che erano i ragazzi che gli piacevano, lo sapeva fin troppo bene.
Dean aveva iniziato a lavorare da Bobby e nonostante l’uomo fosse tremendamente scorbutico aveva capito che si fidava di lui e apprezzava il suo lavoro, vista la quantità di roba da fare che gli affibbiava.
Si era ricomprato una chitarra, una acustica un po’ scadente ma non poteva permettersi di meglio, ed era uscito un paio di volte con Sam e Jessica, Lei era davvero forte, faceva la cameriera in una tavola calda ma il suo sogno era diventare un’attrice e recitava spesso in piccoli spettacoli indipendenti.
Dean non aveva ancora detto a nessuno di sé. Quando gli avevano chiesto che cosa ci facesse lì aveva semplicemente risposto che non andava più d’accordo coi suoi genitori e si era dato mentalmente dell’idiota perché, andiamo, Charlie era lesbica, cosa mai avrebbero potuto dire a lui?
Ma ogni volta che stava per dirlo sentiva il sapore metallico del suo stesso sangue in bocca e il dolore di quel pugno sulla faccia e allora taceva, era come bloccato in sé stesso, c’era una sorta di muro che gli impediva di parlare. Ogni volta che pensava di dire qualcosa era come se rivivesse quella terribile sera, e poi non voleva scaricare quel peso su nessuno, non era abituato a farlo.
Sin da quando era un ragazzino ogni volta che aveva un problema si era arrangiato pur di non dover chiedere aiuto o non pesare sugli altri.
Sam gli aveva detto una volta che non era lui quello intelligente, ma Dean, che avrebbe saputo cavarsela in ogni situazione.
Nonostante vivesse lì adesso ogni volta che il telefono squillava aveva il terrore di sentire la voce di suo padre o sua madre, ogni volta che era in giro si guardava attorno circospetto per la paura di vedere sbucare John.
Sentiva il senso di colpa che gli attanagliava le viscere ogni mattina quando si alzava e si rendeva conto di essere in un’altra città e non a casa sua, quello che era successo era colpa sua, solo colpa sua, se solo fosse stato più attento…questi pensieri lo tormentavano di continuo nonostante una piccola parte di sé gli diceva di smetterla e che era giusto così, ma Dean non riusciva a darsi pace.
Non aveva fatto parola di tutto questo con Sam, nonostante il fratellino avesse continuato a chiedergli che cosa non andasse, ma Dean aveva continuato a tenere ostinatamente la bocca chiusa e a ribadire la sua versione dei fatti.
Sentiva costantemente una sensazione d’angoscia alla bocca dello stomaco, che a volte si propagava per tutto il suo corpo impedendogli di ragionare o di fare qualsiasi altra cosa che non fosse fissare il vuoto per almeno dieci secondi mentre davanti ai suoi occhi scorrevano le immagini di quella maledetta sera di fine gennaio.
Quella mattina si svegliò alle prime luci dell’alba, fuori dalla finestra sentiva il rumore delle auto che sfrecciavano sulla strada.
Scivolò fuori dal letto con un gemito e pensò “freddo”.
Faceva un freddo fottuto in quella casa. Aveva scoperto che l’intero palazzo era una ex fabbrica di cemento, per questo aveva i soffitti così alti e gli appartamenti erano così ampi, ma dannazione non si scaldava mai.
Si infilò una felpa sopra la maglia dei Motorhead che usava per dormire e si diresse in cucina rabbrividendo.
Cercò una tazza nei pensili per versarci dentro il caffè ma ovviamente erano tutte sporche nel lavello.
“Adam, maledetto ragazzino!” pensò mentre apriva l’acqua per lavarle. Quel pivello non rispettava mai i suoi turni per le pulizie e lasciava i suoi vestiti sparsi dappertutto in giro per casa.
Sbuffò mentre l’acqua gelida lo faceva rabbrividire di nuovo, doveva esserci un problema alla caldaia perché non era possibile che facesse così freddo. Decise che l’avrebbe controllata dopo il lavoro e aggiustata.
Il padrone di casa, Rufus Turner, era un vecchio nero scorbutico e infatti era un buon amico di Bobby Singer, ma aveva preso Dean in simpatia, più o meno. Se per simpatia s’intendeva fargli aggiustare ogni oggetto di quella maledetta casa per risparmiare sui lavori.
Almeno gli aveva ridotto l’affitto.
-Credo che si sia rotta la caldaia- disse improvvisamente una voce dietro di lui.
-Ma va? Ottima deduzione Sherlock- rispose lui mentre asciugava le tazze con un panno, le mani intorpidite dal freddo.
Si voltò e vide Castiel con i capelli neri sparati da tutte le parti e un pigiama stropicciato.
“Merda” pensò recuperando al volo una tazza ribelle che gli stava sfuggendo dalle mani.
-Ciao Dean- lo salutò Castiel prendendo una tazza pulita da quelle appena lavate e versandoci dentro una generosa quantità di caffè.
-Mmmm ciao- fece Dean versandosi a sua volta un po’ del liquido caldo e scuro nella tazza rossa che aveva in mano.
Non si erano mai trovati completamente soli e ora il ragazzo sentiva l’imbarazzo crescere tra di loro.
-Come ti trovi qui?- domandò improvvisamente Castiel prendendo un sorso di caffè e guardandolo con quei suoi incredibili occhi blu zaffiro.
-Bene, caldaia a parte. Chiederò a Rufus se posso aggiustarla oggi dopo il lavoro- rispose lasciandosi cadere su una delle sedie scompagnate attorno al tavolo della cucina. La luce filtrava dolcemente dalle finestre, era una strana luce bianca, data dal cielo nuvoloso, e illuminava la stanza in modo un po’ asettico.
Il silenzio tornò a farsi spazio tra i due occupanti della cucina, non c’era altro rumore in tutta la casa se non i loro respiri.
-Ti ho sentito suonare ieri sera- disse poi Castiel. Quel ragazzo era davvero strano, con le sue domande buttate a caso.
Merda, si era dimenticato che dormivano in camere adiacenti.
-Mi dispiace se ti ho disturbato mentre stavi studiando- fece Dean di rimando e il tono della sua voce uscì più stizzito di quanto volesse.
-Non intendevo questo. Volevo solo dirti che sei bravo, hai talento-
Castiel finì il suo caffè e guardò intensamente Dean negli occhi. Il ragazzo deglutì, a disagio, sotto lo sguardo così penetrante del suo coinquilino, non gli piaceva essere guardato in quel modo, come se volesse leggergli dentro e scoprire quei segreti che non aveva ancora avuto il coraggio di rivelare a nessuno.
-Castiel, con l’ultima persona che mi ha guardato così ci ho fatto sesso3- disse allora sfoderando la sua faccia tosta e tornando il solito Dean che usava il suo senso dello humour per togliersi dall’imbarazzo.
Castiel sgranò gli occhi sorpreso e stava per rispondere quando fu interrotto da dei passi pesanti e un’altra voce. –Chi ha fatto sesso con chi?- seguito subito dopo da un’imprecazione e un gemito. –Si è rotta di nuovo la caldaia?-
-‘Giorno Adam- fece Dean.
Il più giovane dei tre entrò in cucina sbadigliando e stiracchiandosi, avvolto in una vecchia coperta a scacchi blu e grigi che strusciava sul pavimento, i capelli biondi più spettinati che mai e gli occhi chiari ancora semichiusi.
Castiel fece un cenno di saluto ad Adam e poi si voltò lanciando un’ultima occhiata a Dean, che avrebbe giurato che ci fosse di più oltre alla curiosità in quello sguardo.
I passi di Castiel si allontanarono finché non sentirono la porta del bagno chiudersi.
-Quel tipo è strano- sentenziò Adam frugando nella dispensa alla ricerca di qualcosa da mangiare. –Giuro che a volte è più socievole, ma non so che gli sta succedendo ultimamente- aggiunse poi mentre inzuppava un biscotto nel latte che si era versato. –Forse deve solo abituarsi a te. O forse non gli stai simpatico, non si capisce mai niente di quello che pensa Castiel, è qui da un anno ma è come se vivesse per conto suo- continuò alzando le spalle.
Avvolto in quella coperta sembrava un enorme burrito e a Dean venne da ridere, ripensando a quando Sam era piccolo e non voleva mai svegliarsi il mattino per andare a scuola, così lui lo afferrava per le caviglie e lo tirava giù dal letto ridendo, coperte e tutto, e così Sam scendeva a fare colazione tutto arrotolato in quell’ammasso di lenzuola.
Dio, da quando era diventato così sentimentale?
-Ma non la smetti mai di parlare tu?- chiese Charlie, apparsa in quel momento sulla soglia della cucina. –Sta’ un po’ zitto, sono solo le sette del mattino-
-Scusa se sono pieno di energia e voglia di vivere ma abito in una casa di vecchi- ribatté Adam alzandosi e dirigendosi verso il salotto.
-Non capisco perché tu ti sia alzato a quest’ora, sei l’unico che può dormire e svegliarsi a un orario decente visto che inizi il turno alle cinque di pomeriggio- continuò Charlie.
A Dean stava venendo mal di testa a stare dietro a quei due. Alzò le mani in segno di resa e si diresse verso la sua stanza per darsi una sistemata prima di andare a sporcarsi di nuovo di olio per motori e fare tutto quello che Bobby diceva di non poter fare perché era troppo vecchio.
Aprì l’armadio, c’erano ancora pochissimi vestiti, soprattutto non c’erano vestiti adatti a quella stagione gelida. Si maledisse mentalmente per non essere stato più attento a cosa aveva preso quando era scappato.
Afferrò una camicia di flanella a quadri (oh mio Dio, stava diventando Sam) e un paio di jeans ormai stinti e aspettò che il bagno fosse di nuovo libero.
Non sapeva bene perché ma non voleva imbattersi di nuovo in Castiel, soprattutto non dopo quella battuta che aveva fatto poco prima, anche se ammise a sé stesso che era stato divertente vedere la faccia stupita dell’altro.
Scivolò silenziosamente fuori dalla sua stanza dopo aver sentito dei passi allontanarsi ed entrò in bagno, aprì l’acqua della doccia e sobbalzò.
Maledetta caldaia.
 
Aveva lavorato come un mulo per tre giorni di fila a un paio di diverse auto, ognuna con un problema diverso, lamentandosi che Bobby lo stesse sfruttando al limite della schiavitù e guadagnandosi una buona dose di –Idiota!- ogni volta che osava aprire bocca.
Gli piaceva stare lì, all’inizio era stato strano perché non conosceva Bobby e aveva paura che lo guardasse con aria compassionevole perché era un ragazzo-di-Ellen ma Dean aveva capito subito che l’uomo non era tipo da sentimentalismi, ed era meglio così.
Preferiva mille volte quell’uomo burbero e scorbutico che lo riempiva di lavoro senza lasciargli un secondo libero, almeno non aveva tempo per fermarsi a pensare.
Però era soddisfacente tornare all’appartamento (no, non riusciva ancora a chiamarlo casa), con la schiena a pezzi per essere stato piegato tutto il giorno dentro al cofano di un’auto e trovare quello strano quadretto che lo aspettava.
Adam che schizzava fuori come un razzo perché era perennemente in ritardo per il turno a lavoro, Charlie immersa fino alle orecchie in fogli pieni di calcoli complicati e una tazza di caffè che riempiva sistematicamente, le lunghe telefonate con Sam che lo aggiornava sulla sua vita sentimentale (con Jessica procedeva a gonfie vele, il Winchester piccolo era cotto a puntino) e poi Castiel.
Dean nella sua testa l’aveva ribattezzato “Cas”, era più facile e più veloce, soprattutto per un nome inusuale come quello, ma non lo aveva ancora mai chiamato così.
Ogni volta che si trovava in sua presenza si sentiva un po’ in soggezione e si sentiva come se dovesse comportarsi bene, tipo raddrizzare la schiena o togliere i gomiti dal tavolo. Aveva come l’impressione che Cas venisse da una buona famiglia e avesse ricevuto un’educazione piuttosto rigida, visto come si comportava di solito.
In quei giorni però aveva notato che l’atteggiamento dell’altro si era leggermente modificato dalla loro conversazione in cucina, era sempre silenzioso e schivo ma quando tornava dall’università, dal lavoro o dalla biblioteca dove studiava non si chiudeva nella sua camera, se c’erano, si fermava a chiacchierare con loro.
Una sera era rimasto anche a cenare con loro, sul divano, mentre guardavano un episodio di The A-Team, e quando si era alzato dal tappeto dove stava seduto avevano creduto che se ne andasse ma in realtà si era semplicemente seduto sul bracciolo del divano, accanto a Dean.
Non era più capitato che rimanessero da soli, forse era un bene perché probabilmente nessuno dei due avrebbe saputo che cosa dire, appartenevano a due mondi diversi e Cas non era espansivo come Adam o Charlie, era difficile entrare in contatto con lui, Dean aveva a malapena capito cosa studiasse.
Una sera di febbraio Dean rientrò nell’appartamento imprecando. Si era rotta di nuovo la caldaia e aveva appena passato un’ora ad aggiustarla non appena tornato da lavoro.
Aveva anche suggerito al vecchio Rufus di cambiarla ma quello gli aveva dato elegantemente dell’idiota (non per niente lui e Bobby erano grandi amici) e gli aveva detto che se voleva una nuova caldaia poteva comprarsela.
E così l’aveva aggiustata, di nuovo.
“Almeno adesso non rischio l’ipotermia” pensò varcando la soglia. Aveva bisogno di una doccia, era sudato, sporco di olio per motore dalla testa ai piedi e la schiena gli faceva un male cane.
Nell’appartamento c’era solo Charlie, rientrata da poco, che stava trafficando in cucina.
-Eccoti!- esclamò non appena lo vide entrare.
-Ciao Charlie-
-Hai aggiustato di nuovo la caldaia vero? Rufus è veramente un taccagno maledetto a non volerla cambiare. Ah ha telefonato tuo fratello Sam, ma gli ho detto che non c’eri- lo informò la rossa versandosi una tazza di caffè. Probabilmente era la decima della giornata o qualcosa del genere.
-Mmmmm, vorrà chiedermi cosa regalare a Jessica per San Valentino. Come se lo sapessi- sbuffò aprendo il frigorifero in cerca di una birra. –Dovrebbe chiedere a te-
-E per quale motivo?- domandò Charlie alzando un sopracciglio
-Beh tu sei una ragazza a cui piacciono le ragazze, di sicuro ne sai più di me. E poi io non ho mai fatto un regalo a una ragazza-
-Ah capisco, sei uno di quelli che non riesce a tenerlo nei pantaloni e quindi la sua relazione massima dura una settimana-
-Qualcosa del genere- rispose Dean alzando le spalle.
-Wow, devi essere un vero duro- lo prese in giro la ragazza dai capelli rossi.
-Che palle Charlie! Mi diverto e basta- ribatté seccato. –Tu piuttosto? Non hai nessun altro a cui rompere con i sentimenti?-
Charlie gli fece la linguaccia e poi tornò a scrivere lunghe stringhe di numeri su un foglio a quadretti e smise di parlare.
Dean non era bravo con i sentimenti, non lo era mai stato. Qualunque tipo di manifestazione d’affetto troppo palese lo metteva in imbarazzo, si era sempre limitato a virili pacche sulle spalle e al massimo qualche abbraccio fugace con Sam, non era proprio il tipo da lunghe chiacchierate sui sentimenti. Gli veniva l’orticaria solo al pensiero e forse era per quello che non voleva dire a Sam cos’era successo realmente, perché poi l’avrebbe invischiato in una conversazione su come si sentiva e grazie, ma no grazie.
Decise di richiamare Sam sperando che il suo fratellino gli portasse qualche buona notizia e che non lo avesse chiamato perché Mary o John avevano telefonato un’altra volta.
Sam aveva fatto la sua settimanale telefonata a casa soppesando ogni parola che diceva alla madre, con Dean di fianco che lo guardava torvo per evitare che il suo fratellino minore si lasciasse sfuggire troppe informazioni.
I suoi genitori non lo avevano cercato quando era andato via gli aveva comunicato Sam dopo la conversazione con Mary, e a Dean andava bene così, non voleva di certo ritrovarseli davanti all’improvviso.
Ma Mary sapeva dov’era, però non l’aveva detto a suo padre. O forse gliel’aveva detto ma John era così disgustato dal suo stesso figlio che non aveva nemmeno voluto cercarlo, non che la cosa gli importasse davvero.
L’unica cosa che si chiedeva era se la voce di quello che era successo si fosse sparsa, ma era certo di no, John non avrebbe mai permesso una cosa del genere, non avrebbe mai voluto che il mondo sapesse che John Winchester, l’ex marine, aveva un figlio frocio.
Probabilmente si era inventato una storia per la sua fuga, tipo l’esercito o qualcosa di simile. Non voleva pensare alla sua famiglia adesso, si stava costruendo una nuova vita, un nuovo inizio, non poteva lasciare che la sua vecchia vita s’intromettesse di continuo. Era come se avesse lasciato una porta semiaperta e da quello spiraglio filtrassero i ricordi del passato.
Alzò la cornetta e compose il numero dell’appartamento di Sam.
-Sì pronto?-
-Ciao Sam, sono io, mi ha detto Charlie che hai telefonato-
-Ah sì, volevo dirti che ha chiamato la mamma e mi ha chiesto di te-
-Che le hai detto?-
-Che stai bene. Ti vorrebbe parlare Dean, è così preoccupata. Ha detto che papà sta facendo finta di nulla, ha detto a tutti che sei partito perché ti hanno offerto un lavoro in Ohio. Prima o poi dovrai parlarci-
-No-
Stava iniziando a sudare freddo mentre sentiva una morsa ferrea arpionargli le viscere.
-Dean è la mamma…-
-Non m’importa. Dopo quello che è successo io…-
Sam sospirò dall’altra parte della cornetta. Avrebbe tanto voluto chiedere a Dean cos’era successo veramente ma sapeva che quel testardo di suo fratello non aveva aperto bocca, così aveva finto di bersi la storia della povera Lisa tradita e aveva taciuto, ma lui sapeva che non era così. Lo sentiva. E Dean ultimamente era così confuso.
-Beh prima o poi dovrai parlarle. Non dico a papà, lui può crepare per quel che mi riguarda-
Dean si attorcigliò il filo del telefono attorno al dito. –Mmmm, forse. Non adesso Sam-
-Okay- sospirò il minore con rassegnazione. –Comunque ti ho telefonato per invitarti a uscire. Sei qui da quasi due settimane e non hai visto quasi nulla. E sabato sera c’è un concerto al The Ritz4-
-Quel The Ritz? Quello dove hanno suonato i Guns N’Roses un anno fa?-
-Sì, proprio quello. Io e Jessica ci andremo. Ovviamente non sarà al livello dei Guns N’Roses ma…-
-Cazzo, potevi dirlo subito. Contami fratello!-
-Sapevo che non avresti detto di no. E domani ho il giorno libero, voglio farti vedere un po’ la città. Ora sei newyorchese anche tu-
-Sì come no, ciao Sam-
-A domani Dean-
Il giorno dopo Sam lo venne a prendere praticamente di forza all’officina di Bobby e s’improvvisò guida turistica.
La Grande Mela si spalancava sotto gli occhi stupiti del maggiore dei Winchester, che non era mai uscito di Lawrence, Kansas. I grattacieli illuminati svettavano alti nel cielo di febbraio che cominciava leggermente ad imbrunire, le auto si rincorrevano per le larghe strade insieme alle macchie colorate dei tipici taxi gialli.
Le insegne dei negozi e delle multinazionali scintillavano invitanti insieme al brulichio costante di persone di ogni etnia e classe sociale.
Manager ingessati nei loro completi, senzatetto che chiedevano l’elemosina, ragazze in jeans attillati e coi capelli colorati, donne in eleganti tailleur e ragazzi che suonavano sui marciapiedi illuminati dai lampioni.
-Wow- si lasciò sfuggire Dean mentre Sam lo trascinava davanti all’Empire State Building dopo essere usciti dalla metropolitana.
-Sì beh, è un po’ diverso da casa nostra ma ci farai l’abitudine- rispose Sam stringendosi di più nel suo pesante giaccone beige. –La prossima volta ti porto in un museo. Potremmo andare in quello di storia naturale- aggiunse entusiasta.
Dean lo guardò storto per qualche istante prima di annuire, contagiato dall’entusiasmo del fratello minore.
Quella città era immensa, caotica, piena di rumore. Dean si sentiva stordito da tutto quel trambusto e si rese conto che era davvero solo un ragazzo di campagna catapultato in un mondo nuovo che non sapeva se gli apparteneva oppure no.
Dopo aver gironzolato un altro po’ e preso un paio di metropolitane per vedere più in fretta Central Park e la Statua della Libertà i due fratelli, usciti dall’ennesimo sottopassaggio, si ritrovarono nel quartiere di Dean e si ripararono dal freddo pungente alla Roadhouse di Ellen.
Ogni volta che usciva da lavoro, anche se era stanco e con la schiena a pezzi, Dean passava sempre da Ellen a chiederle se aveva bisogno di aiuto per la sera al locale, quella donna gli aveva letteralmente rimesso un tetto sulla testa e non gli aveva chiesto nulla in cambio, nemmeno una spiegazione, anche se sembrava aver intuito molto di più di quello che lasciava trasparire.
La donna li accolse calorosamente e li accompagnò a un tavolo sul lato destro della sala, era ancora quasi vuoto, c’erano solo altre quattro persone oltre i due fratelli e le proprietarie.
Jo si avvicinò a loro per prendere le ordinazioni lanciando a Dean un’occhiata che lasciava ben intendere le sue intenzioni.
-Credo che tu abbia colpito nel segno- fece Sam ridendo.
-Già, ogni volta che passo di qui Jo è sempre molto...chiara nei miei confronti- rispose Dean tracciando invisibili cerchi sul legno del tavolo.
-Come se ti dispiacesse. Non capirò mai cosa ci trovino in te-
-Sono bellissimo-
-Sì certo come no-
Jo posò le birre sul tavolo. –Ecco a voi ragazzi. Com’è andata l’esplorazione della città?-  fece col viso rivolto verso Dean.
-Mmmmm bene, mi piace. È molto diverso da casa mia ma mi abituerò- rispose alzando le spalle e sperando che la conversazione finisse lì.
-Perché non le chiedi di uscire?- chiese Sam al fratello non appena si fu voltata per andarsene.
-Perché non ti fai gli affari tuoi Samantha?- replicò Dean di rimando affondando il viso nel boccale.
-Sono sicuro che non ti direbbe mai di no- continuò Sam rigirandosi il boccale di birra tra le grandi mani. –Guarda, ti sta spogliando con gli occhi anche adesso-
-Magari non mi va di chiederle di uscire, ci hai pensato?- sbuffò Dean, sapeva benissimo l’effetto che faceva alle ragazze e la cosa non gli era mai dispiaciuta, finché aveva saputo usarla per tornaconto personale o per non pagare la birra al pub.
-Da quando rifiuti una bella ragazza?-
-Non la sto rifiutando, non ho tempo. E poi non è il mio tipo-
Sam sospirò roteando gli occhi. –Come vuoi. Comunque sabato ci sarà Jess, se non vuoi fare il terzo incomodo dovresti portare qualcuno-
-Lo chiederò a Charlie o ad Adam- rispose finendo la birra. Sam si stava iniziando a impicciare un po’ troppo.
Fuori era scesa del tutto la sera, Dean alzò lo sguardo verso il cielo senza stelle a cui non era abituato. A casa, in Kansas, d’estate spesso si stendeva sul prato col naso all’insù e guardava il cielo luminoso, aveva anche imparato il nome di qualche costellazione.
Di nuovo una morsa tornò a stringergli lo stomaco, perché non riusciva a lasciar andare quella vita?
-Allora io vado, ci vediamo sabato direttamente al The Ritz per le dieci va bene?- domandò Sam distraendolo dal filo sconnesso dei suoi pensieri.
-Eh? Ah…sì okay-
Si salutarono rapidamente e poi si divisero, Dean verso casa e Sam verso la fermata della metropolitana.
Guardò il suo riflesso nello specchio dell’ascensore. Dio, da quando aveva quelle occhiaie? Probabilmente da quando aveva smesso di dormire decentemente per paura di sognare suo padre che lo prendeva a calci.
Ma non era quello che gli faceva così male. Era vedere sua madre Mary impassibile dietro di lui. Quello era il dolore più grande che avesse mai provato, la consapevolezza di non essere amato abbastanza perché venisse protetto.
Le porte si aprirono con un “ding!” e il ragazzo uscì ritrovandosi davanti Castiel che cercava di aprire la porta borbottando qualcosa su quella vecchia serratura.
-Aggiusterò anche questa- disse Dean avvicinandosi.
L’altro sobbalzò. –Ah…ciao Dean. Non riesco a fare girare la chiave- fece con un leggero imbarazzo nella voce.
Dean prese le chiavi dalla mano dell’altro e le infilò nuovamente nella serratura, poi si appoggiò alla porta e girò la chiave mentre spingeva con forza.
La serratura scattò e la porta si aprì permettendo ai due di entrare in casa.
-Grazie- mormorò Castiel passandosi una mano tra i capelli scuri e spettinandoli ancora di più.
-Non c’è problema Cas- rispose senza pensare.
-Cas?-
-Sì scusami-
-No va bene. È…un’abbreviazione del mio nome, mi piace. Sempre meglio di come mi chiama mio fratello comunque- disse Castiel.
Erano entrati in casa e si stavano dirigendo verso la cucina. L’appartamento era vuoto, Charlie sarebbe rimasta a dormire da Dorothy, la sua ultima fiamma e Adam era di turno. Castiel sembrava più rilassato del solito, la cravatta blu intonata ai suoi occhi era leggermente allentata e i primi due bottoni della camicia bianca erano aperti.
-Hai un fratello?- domandò Dean prendendo due birre dal frigorifero. Potevano rimanere senza mangiare per giorni se lui non avesse fatto la spesa o telefonato al cinese per farsi portare del cibo da asporto ma la birra non mancava mai.
-Sì, mio fratello maggiore Gabriel, che mi chiama Cassie- rispose Castiel con la faccia un po’ schifata mentre si dirigevano verso il salotto.
-Cassie?-
-Già. Terribile. Ma io e Gabriel non ci vediamo da un po’ ormai, lui vive a Los Angeles, lavora nel cinema, produzione-
Era la conversazione più lunga che Dean avesse mai avuto con il suo coinquilino, solitamente quando c’erano anche Charlie e Adam Castiel si limitava ad annuire e il suo contributo alla conversazione era ridotto al minimo indispensabile, ma adesso sembrava che avesse davvero voglia di scambiare quattro chiacchiere.
-Anch’io ho un fratello, Sam, ma questo lo sai già. E vengo dal Kansas, ma sai anche questo-
-L’unica cosa che non so è perché sei qui-
-Perché non vado più d’accordo coi miei genitori. Avevano dei piani per me che non facevano al caso mio- tagliò corto Dean.
-Anche i miei genitori volevano qualcosa di diverso per me. Suppongo che per una famiglia di medici avere un figlio che studia letteratura sia la peggior sfortuna che potesse capitare- fece Cas prendendo un sorso di birra. –Ma alla fine siamo noi che decidiamo cosa fare. Faber est suae quisque fortunae-
-Eh?- domandò Dean.
-È latino. Significa “ognuno è artefice della propria sorte” e viste le nostre storie qui dentro mi sembra adatto- rispose Castiel con dolcezza.
-Conosci il latino?-
-Un po’. L’ho studiato all’università ma lo conoscevo già da prima. I miei genitori sono molto religiosi e da piccoli facevano recitare a me e Gabriel i salmi in latino. È assurdo ma è così che sono cresciuto- disse il ragazzo. Dean non l’aveva mai sentito parlare così tanto. –Ed è per questo che mi chiamo così, e anche mio fratello. Gabriel per l’arcangelo Gabriele ovviamente e Castiel è l’angelo del giovedì. So che è insolito ma a mia madre piaceva e così…- aggiunse.
-Anche i miei genitori sono religiosi. Cioè non facevano leggere a me e Sam in latino ovviamente, però ci portavano a messa tutte le domeniche e facevamo le cene con il reverendo. In realtà mia madre è davvero credente, mio padre lo fa solo per facciata- disse Dean con amarezza. – Però mia madre…quando ero piccolo diceva che gli angeli vegliavano su di me. L’ho sempre trovato un po’ inquietante, come se qualcuno ti fissasse mentre dormi- continuò con un lieve sorriso prendendo un altro sorso di birra.
Non sapeva perché stava dicendo tutte quelle cose a Castiel, forse perché era più facile aprirsi con uno sconosciuto, o così aveva sentito dire da qualche parte.
-Non penso sia una cosa inquietante, penso che sia bello sapere di avere qualcuno che ti protegge- replicò Cas.
Dean non rispose, non credeva che qualcuno l’avesse mai protetto davvero.
Castiel gli rivolse un’ultima occhiata, si alzò dicendo che doveva studiare e se ne andò lasciando Dean da solo. Era stata una giornata lunga, lunghissima. Si sentiva la testa vorticare e gli si chiudevano gli occhi dal sonno.
Vivere in una grande città era qualcosa che non gli era mai passato per la testa, pensava che sarebbe rimasto per sempre a Lawrence, intrappolato in un qualcosa che non gli apparteneva, ma era riuscito a farsi coraggio e andarsene e adesso era l’, mentre cercava di rimettere insieme i pezzi della sua vecchia vita per farli combaciare con quelli della sua nuova vita.
Si alzò dal divano con un gemito e si chiuse in camera, la sua nuova chitarra era posata sul letto e lui la prese per accordarla. Stava per rimetterla giù pensando che avrebbe dato fastidio a Cas, anche se era stato Cas a dirgli che era bravo a suonare…accennò un paio di note di Starman5 prima che la porta della sua stanza si aprisse rivelando la figura scomposta di Castiel.
-Scusa- disse subito Dean appoggiando lo strumento. E poi –Sabato sera c’è un concerto al The Ritz, vieni con me?-
 
 
Spazio autrice: buonasera! Eccomi qui! Innanzitutto grazie di essere arrivat* qui in fondo e grazie a tutt* quell* che hanno recensito o in qualche modo supportato questo mio delirio inserendolo nelle storie preferite\seguite…come vi ho detto per questioni universitarie mi trovo costretta a rallentare la pubblicazione, cercherò di aggiornare ogni tre giorni, più o meno. Spero che il capitolo vi piaccia e nulla, se vi va lasciatemi una recensione.
P.S. spero che stiate ascoltando tutte le canzoni che inserisco e che prendo come spunto ehehehehe, per farvi entrare un po' nel mood.
Un abbraccio e a presto!


1Brano dei Guns N'Roses del 1987. Nel videoclip si vede il cantante, Axl Rose, che dalla campagna si trasferisce in città e si "trasforma"
2Celebre telefilm andato in onda dal 1983 al 1987
3Battuta che dice Dean a Cas nella 5x18
4Locale fondato nel 1980 a New York come "ballroom" e rock club. Nel 1988 vi si esibirono i Guns N'Roses con un live storico
5Brano di David Bowie del 1972

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Boys Don't Cry ***


Capitolo 6: Boys Don’t Cry1
 
New York, New York, 11 febbraio 1989

 
Guardandosi allo specchio dell’armadio della sua stanza si chiese perché l’aveva fatto. Per quale maledettissimo motivo aveva invitato Cas al concerto?
E soprattutto, perché Cas aveva accettato?
Non gli sembrava proprio il tipo da musica rock, se avesse dovuto pensare a quale genere ascoltava Cas sicuramente l’avrebbe associato a della musica classica, Beethoven, Mozart…cose così.
Di certo non a potenti riff di chitarra e voci graffiate che cantavano quanto fosse bello bere e scopare ragazze nel backstage.
Si passò una mano tra i capelli, doveva tagliarli, erano diventati un po’ troppo lunghi e gli ricadevano di continuo sulla fronte. Aveva ancora quelle schifosissime occhiaie che nonostante tutto non riuscivano a mortificare la sua bellezza, le sue iridi verdi risaltavano ancora di più.
Sbuffò mentre si sistemava la maglia dei The Who e controllava l’orologio. Era ancora presto, se fossero partiti di lì a un’ora sarebbero arrivati in orario e non avrebbe dovuto sorbirsi le lamentele di Sam sul fatto che fosse sempre in ritardo.
Lui non era in ritardo, era il traffico che lo sabotava. Non era abituato a guidare Baby su quelle strade, a volte erano così trafficate che rimaneva bloccato per mezz’ore intere oppure doveva procedere a passo d’uomo, ma non aveva intenzione di prendere la metropolitana.
Uscì dalla sua stanza e si gettò sul divano in attesa di Castiel mentre Charlie mangiava cinese in cucina e Adam cercava di non bruciare un toast.
-Dove vai?- gli domandò il più giovane dell’appartamento raggiungendolo in soggiorno.
-Mio fratello mi ha chiesto di uscire, c’è un concerto al The Ritz-
-Fico! Posso venire?-
-No, sei troppo piccolo- replicò Dean pigramente.
-Ho diciannove anni- ribatté Adam.
-Non ventuno, non puoi comprare da bere, ergo sei piccolo. E poi vado con Cas-
Adam sgranò gli occhi. –Come hai fatto a convincerlo?-
-Gliel’ho chiesto e basta- rispose Dean alzando le spalle.
-Sì ma ha accettato-
-Magari Dean gli sta più simpatico di te- intervenne Charlie. –Sei peggio di una zanzara, è normale che ti odi. Anche io ti odio-
-Non mi odi. Mi adori- disse Adam con un sorriso ironico.
Charlie alzò gli occhi al cielo e poi spostò lo sguardo verso Dean sorridendo.
-Che c’è?- domandò lui.
-Niente- rispose la ragazza con un sorriso sornione. A volte Charlie lo guardava come se sapesse, anche se Dean era certo di non aver mai fatto trasparire nulla. Cercava sempre di essere il più vago possibile riguardo sé stesso.
Accese la tv in attesa di Castiel, sullo schermo iniziò a scorrere il notiziario. Una donna stava parlando del fatto che avevano ritrovato il corpo di un ragazzo nel Missouri, era stato gettato in un canale con la faccia quasi del tutto spaccata e le indagini avevano rivelato che era probabile che si trattasse di una aggressione a sfondo omofobo.
Dean osservò il viso di Charlie, illuminato dalla luce azzurrina del televisore, sul quale si era dipinta un’espressione di puro dolore.
-Chi fa queste cose…è disgustoso. Ognuno dovrebbe essere libero di stare con chi vuole senza rischiare di venire ammazzato- disse Adam a bassa voce.
Sullo schermo comparvero le immagini del ragazzo: doveva avere circa l’età di Dean e avevano scelto una foto in cui aveva un’espressione sorridente, con i capelli castani che gli ricadevano sul viso, e poi la foto del suo corpo martoriato.
Dean si alzò di scatto e corse verso il bagno, gli veniva da vomitare. Spalancò la porta e svuotò il contenuto del suo stomaco nel gabinetto, stava tremando.
-Dean…stai bene?- la voce di Charlie gli giunse come ovattata da fuori la porta. Lui non rispose, non ci riusciva, si sentiva di nuovo la lingua impastata.
Si alzò sulle gambe malferme e si sciacquò il viso con l’acqua gelida, appena alzò lo sguardo sul suo riflesso nello specchio sopra il lavandino si spaventò. Vide di nuovo l’occhio nero, il labbro spaccato, i tagli sanguinanti.
Strinse con forza le mani sul bordo del lavandino respirando profondamente, il suo petto si alzava e si abbassava velocemente mentre sentiva la testa che gli girava e la vista che iniziava ad appannarsi.
Aveva voglia di vomitare di nuovo mentre davanti agli occhi scorrevano di nuovo le immagini di quel ragazzo.
“Potevo essere io, quel ragazzo potevo essere io” pensò.
-Dean, che succede?- si unì la voce di Adam.
-Sto bene- disse finalmente con voce flebile. –Credo di non aver digerito bene il pranzo-
Uscì barcollando dal bagno sotto lo sguardo preoccupato di Adam e Charlie.
-Forse dovresti restare a casa stasera- suggerì il più giovane. –Non hai un bell’aspetto-
-Grazie Adam, ma ho bisogno di uscire, devo prendere aria- replicò debolmente. Si sentiva malissimo, sperava solo che Castiel si sbrigasse così sarebbero potuti uscire in fretta.
Come se avesse udito i suoi pensieri Castiel uscì dalla sua stanza e guardò i tre con aria stranita.
-Che sta succedendo? Dean, non ti senti bene?- domandò con una nota di preoccupazione nella voce e rivolgendo il suo sguardo su Dean.
-Sto benissimo- ripeté il ragazzo notando che Castiel lo stava guardando preoccupato. Aveva gli occhi davvero azzurri e un po’ all’ingiù. –Usciamo- disse poi prendendo un profondo respiro. Aveva bisogno di calmarsi, sentiva ancora il cuore che gli rimbombava nelle orecchie.
Afferrò le chiavi dell’auto e se le cacciò nella tasca della giacca di pelle dirigendosi verso la porta dell’appartamento e sentendo i passi di Castiel dietro di se insieme alle occhiate dei suoi coinquilini.
Forse era stata una reazione esagerata ma non era colpa sua, era stato così improvviso che non era riuscito a controllarlo.
-Cos’è successo?- chiese di nuovo Castiel mentre erano in ascensore.
-Non lo so. Credo di non avere digerito bene il pranzo sai…l’indiano fa questo effetto- rispose accennando un sorriso.
Castiel improvvisamente gli appoggiò una mano sulla spalla e il suo sguardo da indagatore si colmò di dolcezza e comprensione. Il corpo di Dean si rilassò improvvisamente sotto quella stretta. –Dean io non sono molto bravo coi rapporti umani ma se hai bisogno di parlare…-
-Grazie ma sto bene così- lo interruppe mentre le porte dell’ascensore si aprivano.
-C’è qualcosa che non dici a nessuno, che non vuoi dire a nessuno. Perché?-
-Sono affari miei-
-Non c’è niente di male a confidarsi ogni tanto-
-Non sono una ragazzina adolescente okay? Lascia perdere-
Ora ci si metteva anche Castiel a parlare di sentimenti? Non era una ragazza, non parlava di queste cose. Se aveva un problema se lo risolveva da solo e basta, non c’era bisogno di quelle inutili chiacchierate su come stai davvero e cose del genere.
Si sedettero in auto e Dean accese l’autoradio che iniziò a diffondere una canzone già iniziata.
 
“…been to unkind
I tried to laugh about it
Cover it all up with lies
I tried to laugh about it
Hiding the tears in my eyes
‘Cause boys don’t cry
Boys don’t cry”1
 
Mise in moto e guidò in silenzio mentre Robert Smith2 continuava a cantare.
 
“ I would break down at your feet
And beg forgiveness
Plead with you
But I know that it's too late
And now there's nothing I can do”
 
Continuò a guidare lasciando che la canzone finisse e che gliene succedessero altre. Ogni tanto lanciava un’occhiata fugace a Cas sul sedile del passeggero, sembrava rilassato e ogni tanto canticchiava a bassa voce o guardava fuori dal finestrino.
La strada si spalancava davanti a loro, illuminata dalle luci dei lampioni, le luci accese dietro le finestre dei palazzi sembravano tanti occhi che li guardavano.
Dean avrebbe voluto dire qualcosa, qualunque cosa, tranne che quello che gli altri volevano che dicesse, pur di rompere quello strano silenzio che era calato tra loro, ma non era un silenzio imbarazzante era in qualche modo confortevole, come se Castiel avesse capito che non era il momento di fare domande.
Dean lo ringraziò mentalmente.
-Cas mi…mi dispiace per essere stato sgarbato prima- ammise con grande sforzo.
-Dispiace a me di averti forzato, è evidente che non sei ancora pronto a parlare. Volevo solo aiutarti ma posso aspettare- rispose l’altro facendo spallucce.
“Winchester, sei un vero idiota” pensò Dean.
Arrivarono davanti al locale un po’ in ritardo per colpa del traffico e trovarono Sam già lì davanti che batteva nervosamente il piede sul suolo e Jessica che sorrise non appena scesero dall’auto.
-Eccoti!- esclamò Sam mentre lanciava un’occhiata interrogativa a Castiel. Si erano visti solo una volta quando Sam era venuto a cena nell’appartamento di Brooklyn e si erano scambiati sì e no dieci parole. –Ciao Castiel, lei è Jessica, la mia ragazza-
Jessica strinse la mano del ragazzo con energia. –Molto piacere! Tu vivi con Dean vero?-
-Sì, siamo coinquilini- rispose Cas con il suo tono pacato.
-Dai muovetevi hanno già iniziato- disse Sam strattonando il fratello maggiore per un braccio.
L’aria dentro il locale era densa e impregnata di odore di alcol e fumo di sigaretta, le persone tutte ammucchiate l’una contro l’altra urlavano e cantavano rivolte verso il palco dove i musicisti stavano suonando delle cover dei Metallica.
Quel posto era dannatamente fico, Dean lo adorava. Proprio in quel momento stava proteggendo il suo drink dai colpi della folla mentre, strizzato tra Sam e Castiel, osservava i poster sbiaditi dei vecchi concerti che si erano tenuti lì: U2, Frank Zappa, Run-DMC, Guns N’ Roses erano solo alcuni dei nomi che riusciva a leggere sulle varie immagini incollate ai muri.
Il viso di Ozzy Osbourne3 lo fissò di rimando dal poster consunto appiccicato su una parete mentre cercava di scorgere altri nomi.
Non era mai stato a un vero concerto, ma gli sarebbe tanto piaciuto, più o meno doveva essere come adesso, in mezzo alla folla di gente sudata, cantando a squarciagola.
-Devo andare al bagno- gli gridò Sam nell’orecchio.
-Sei abbastanza grande per andarci da solo mi pare- urlò Dean di rimando e buttando giù il quinto Jack e cola della serata. O forse era il sesto, non si ricordava molto bene.
Sam sbuffò e lo afferrò per un braccio trascinandolo verso le scale che conducevano al piano inferiore dove c’erano i bagni pubblici.
-Non credevo che tu e Castiel foste così amici- iniziò Sam non appena la musica si fu attutita abbastanza da parlare senza doversi urlare addosso.
-Non siamo così amici, però qualche giorno fa è stato gentile con me e volevo ricambiare il favore- replicò Dean. Stava iniziando a biascicare un po’ le parole, sperava di riuscire a guidare per tornare a casa. Forse aveva bevuto un po’ troppo ma non voleva pensare.
Le immagini di quel ragazzo con la faccia spaccata gli comparivano continuamente davanti agli occhi. Sapeva benissimo cosa rischiava ogni volta, l’aveva saputo dal primo momento.
Si ricordava all’inizio del 1981 quando era iniziata quella nuova malattia, in pazienti per la maggior parte giovani e omosessuali. Ricordava come suo padre aveva dichiarato che quei ragazzi “meritavano di morire, schifosi”. L’AIDS era qualcosa che lo terrorizzava nonostante usasse tutte le precauzioni possibili.
Sapeva di rischiare anche di essere aggredito ma non se n’era mai preoccupato più di tanto perché era consapevole che il suo atteggiamento e il suo aspetto lo rendevano insospettabile, ne aveva sentite di storie di ragazzi massacrati a quel modo, ma adesso, dopo quello che gli era successo, la consapevolezza che sarebbe potuto capitargli gli era caduta addosso come un macigno.
Sam uscì dal bagno riportandolo alla realtà.
-In che senso è stato gentile con te?- domandò al fratello maggiore lavandosi le mani.
-Parlare sai, senza fare troppe domande- biascicò Dean.
Sam gli lanciò un’occhiataccia e poi tornarono insieme nella sala superiore dove la musica li assordò nuovamente e ricevettero un paio di spintoni da un gruppo di ragazzini esaltati e palesemente ubriachi.
-Prendo un altro drink!- esclamò Jessica.
-No, hai bevuto abbastanza- disse Sam togliendole di mano il bicchiere. Dean afferrò il bicchiere dalla mano di Sam e ne mandò giù il contenuto in un sorso solo, poi si diresse verso il bancone. Aveva bisogno di bere, doveva sciogliersi un po’ e smetterla di rincorrere i suoi pensieri, lo faceva stare solo peggio.
-Che ti servo tesoro?- gli chiese la barista posando su di lui uno sguardo lascivo.
-Jack Daniel’s- rispose Dean con voce roca.
La ragazza gli verso il whisky nel bicchiere continuando a guardarlo ammiccante.
-Non sei il mio tipo- disse Dean, l’alcool gli aveva decisamente sciolto la lingua. La giovane barista aggrottò le sopracciglia e rimise il tappo alla bottiglia. –Non ti piacciono le bionde?- chiese scherzosamente.
-Preferisco le more- ribatté il ragazzo prendendo il suo bicchiere e allontanandosi dal bancone sorseggiando il liquido alcolico.
Tornò da Sam, Jessica e Cas. Quest’ultimo non sembrava propriamente a suo agio in mezzo a tutta quella confusione ma lui e Sam sembrava iniziassero ad andare d’accordo infatti Dean riuscì a cogliere uno sprazzo di conversazione su un libro russo o qualcosa del genere.
Tipico di Sam, mettersi a parlare di roba da secchioni mentre era ad un concerto rock. Roteò gli occhi e finì il Jack Daniel’s che era rimasto sul fondo del bicchiere di plastica trasparente.
-Credo- disse dolcemente la voce di Castiel al suo orecchio –che dovrò guidare io la tua macchina al ritorno. Non ci tengo a morire a ventiquattro anni-
Dean rabbrividì sentendo il fiato caldo dell’altro ragazzo sul suo orecchio. –Sì forse…è meglio- fece di rimando.
Sul palco il cantante, ormai ubriaco, stava cantando una versione un po’ stonata di Fade To Black4. La testa gli girava forte adesso, probabilmente era colpa di tutto quell’alcool, pensò mentre indietreggiava per fare spazio a una ragazza che stava correndo verso il bagno probabilmente per vomitare.
Gli bruciavano gli occhi per il troppo fumo nella stanza e stava iniziando a vedere un po’ sfocato.
-Dean! Noi ce ne andiamo!- disse Sam prendendo per mano Jessica. –Fa’ guidare Castiel mi raccomando e telefonami domani mattina!- gridò per sovrastare il potente pestare della batteria unito al riff di chitarra elettrica.
-Okay!- urlò Dean di rimando.
Erano rimasti solo lui e Cas. I corpi strizzati in mezzo ad altri corpi, si muovevano insieme agli altri, appiccicati l’un l’altro. Cas gli sorrideva in lieve imbarazzo, Dean sentiva il suo calore addosso, anche se erano separati dagli strati di stoffa dei vestiti. Deglutì a disagio.
Era da quando aveva visto Chris l’ultima volta che non si trovava così vicino ad un altro uomo, se prima si approcciava ai ragazzi con nonchalance e faccia tosta adesso riusciva a malapena a rivolgergli la parola.
-Dovremmo andare a casa- suggerì Cas mettendo le mani a coppa attorno all’orecchio di Dean per farsi sentire meglio.
Il biondo annuì e iniziarono a farsi spazio sgomitando tra orde di ragazzini ubriachi e ragazze che gli si strusciavano addosso senza alcun tipo di contegno. Gli piaceva quel posto, non c’erano distinzioni di sesso, età o etnia, era un’unica grande massa che si muoveva insieme al ritmo pulsante della musica.
Decise che ci sarebbe tornato quando avrebbe avuto meno pensieri, o forse aveva solo bevuto troppo poco e non era riuscito ad affogarli tutti.
Castiel gli sfilò delicatamente le chiavi dalla tasca e aspettò che si sedesse sul sedile del passeggero prima di accendere il motore.
-Non faccio guidare a nessuno la mia auto- mormorò Dean appoggiando la testa al finestrino e sentendo il vetro fresco contro la pelle del suo viso. Si sentiva andare a fuoco, forse aveva la febbre o forse era eccitato senza sapere il perché.
-Sta’ tranquillo non la rovinerò- rispose Castiel.
Erano le tre del mattino e la strada era più sgombra di quando erano partiti, c’erano molte meno auto e più taxi, ma il traffico era quasi inesistente e l’asfalto scorreva veloce sotto le ruote dell’Impala.
Dalla radio veniva una voce soffusa che cantava una canzone che Dean non riusciva a capire, voleva solo chiudere gli occhi e dormire ma non poteva, c’era qualcun altro, Cas, alla guida della sua auto e doveva stare all’erta, anche se sentiva tutto il suo corpo avvolto in un piacevole torpore.
Chiuse gli occhi per un istante e vide di nuovo suo padre che lo colpiva al volto e subito dopo il ragazzo del notiziario, quello con la faccia spaccata, solo che non era quel ragazzo, era lui.
Spalancò immediatamente le palpebre e si strofinò gli occhi con le mani cercando di restare sveglio, era abituato ormai, lo faceva tutte le notti per evitare di ritrovarsi quella scena davanti agli occhi, eppure ora era così dannatamente difficile…
Non seppe quanto tempo ci volle per tornare a casa, era troppo comodo rimanere sprofondato nel sedile avvolto da quello strano ma piacevole torpore dato dall’alcool.
Non che non avesse mai bevuto, più volte si era risvegliato senza sapere come e quando fosse tornato a casa dopo una serata con Benny e Garth, un paio di volte si era anche risvegliato nel letto di ragazze sconosciute, ma erano sempre sbronze senza memoria, non come adesso.
Era abbastanza consapevole di quello che stava accadendo, era in macchina con Cas che guidava tranquillo e lo stava riportando a casa e lui aveva bevuto quel tanto che bastava per essere in una sorta di dormiveglia ma non completamente incosciente, quello che bastava per ricordare quello che era successo nelle ore precedenti.
-Okay siamo arrivati- annunciò Castiel spegnendo il motore e scendendo dall’auto.
Dean sbadigliò e cercò di slacciarsi la cintura di sicurezza che non ricordava di avere messo, ma non ci riuscì.
-Cas uh…-
L’altro ragazzo aprì la portiera dal lato passeggero e liberò Dean dalla cintura di sicurezza. Quando si avvicinò a lui Dean inspirò profondamente il suo profumo, nonostante le ore passate in quel locale fumoso Cas sapeva ancora di dopobarba alla menta.
-Ce la fai?- domandò Castiel mentre Dean cercava di alzarsi dal sedile.
-Mmmmm penso di no- gemette il biondo appoggiandosi alla carrozzeria dell’auto per restare in equilibrio. –Odio questa via di mezzo. Di solito o non mi ricordo niente o sono sobrio- ridacchiò. Gesù, era veramente andato.
Questa via di mezzo era davvero peggio di qualunque ubriacatura epocale perché sapeva benissimo quello che stava succedendo attorno a lui ma allo stesso tempo si sentiva come un bambino, non era autosufficiente e non riusciva a smettere di ridere.
-Aspetta ti aiuto-
Castiel passò un braccio attorno alla vita di Dean e lo aiutò a sollevarsi mentre gli metteva l’altro braccio attorno alle spalle. Cas non indossava il suo solito completo con quell’orribile trench beige e la cravatta blu ma un semplice maglione nero e un paio di jeans e stava decisamente molto meglio.
Dean scoppiò a ridere all’improvviso e l’altro lo guardò sorpreso. –Beh effettivamente è una situazione divertente- concesse Castiel prima di iniziare a ridacchiare anche lui.
Entrarono nell’ascensore sempre ridendo, da fuori sembravano semplicemente due amici spensierati e un po’ ubriachi.
Cas aprì la porta con difficoltà perché era troppo impegnato a reggere Dean e a cercare di smettere di ridere. Per cosa ridessero in realtà nessuno dei due lo sapeva, ma era bello, era liberatorio.
-Okay, dovrei fare silenzio ora- bisbigliò Dean mentre continuava a sorridere. Iniziavano anche a fargli male le guance per tutto quel ridere ma non gli importava in quel momento. Era abbracciato a Cas, era ubriaco e per circa cinque minuti non aveva pensato a suo padre, stava facendo progressi.
-Sì, dovremmo stare zitti- rispose Castiel accendendo la luce del salotto. –E tu, adesso ti porto in camera tua!- disse rivolgendosi a Dean che nel frattempo era collassato sul divano.
Il ragazzo dai capelli neri si diresse in cucina dove prese un bicchier d’acqua che poi porse all’amico seduto su quel vecchio divano da quel colore indefinito tra l’ocra e il beige, tutto consunto e rovinato.
-Grazie Cas- gracchiò Dean passandosi una mano fra i capelli chiari.
-Non c’è problema. Anche mio fratello ogni tanto si sbronza- fece l’altro alzando le spalle.
-Non sono sbronzo- replicò Dean con la voce un po’impastata. –Sono ubriaco-
-È la stessa cosa- ribatté Cas ridendo.
-No, non lo è. Credo-
Castiel scosse la testa ridendo. –Dai vieni, ti porto in camera tua-
Riprese Dean per la vita e lo trascinò nella sua stanza barcollando, non era facile camminare con un ragazzo della sua stazza a peso morto addosso. Lo fece cadere malamente sul letto e Dean gemette.
-Scusa- si affrettò a dire Castiel.
Dean chiuse gli occhi per un istante, sentendo tutta la stanza roteare attorno a sé.
Aveva bevuto, aveva bevuto del whisky, in quel momento capì come doveva sentirsi suo padre quando finiva una bottiglia intera e poi crollava sul divano dopo aver sbraitato contro sua moglie e i suoi stessi figli.
Riaprì gli occhi e si tirò su a sedere faticosamente guardando Castiel che era ancora seduto sul suo letto e lo guardava con la testa leggermente inclinata di lato. La stanza stava girando parecchio adesso, anche Cas gli sembrava un po’ sfocato.
-Cas- biasciò allungando una mano verso l’amico davanti a lui. –Vieni più vicino, voglio dirti un segreto-
Castiel sorrise e si avvicinò a Dean. Non era la prima volta che assisteva un amico un po’ sbronzo e conosceva bene i vari "stadi" e sbalzi d'umore dati dall'ubricatura.
-Sai perché sono qui?- disse mentre la sua espressione da rilassata diventava improvvisamente più seria con le sopracciglia aggrottate.
-Mi hai detto che hai litigato con la tua famiglia- rispose pazientemente Castiel.
-No non è solo per quello. È un segreto Cas, non l’ho detto nemmeno a Sammy, però adesso lo dico a te. Perché mi posso fidare di te vero?-
Nonostante Dean cercasse di essere serio a Cas sfuggì lo stesso un sorriso, era buffo vederlo così.
-Certo Dean, te l’ho detto anche prima, puoi fidarti di me- fece Cas avvicinandosi ancora di più a Dean.
-Okay allora. Mio padre voleva farmi sposare con una ragazza- bisbigliò Dean all’orecchio di Castiel, appoggiandogli una mano sulla spalla come aveva fatto con lui in ascensore. –Ma l’ha fatto perché a me non piacciono le ragazze Cas. E mi ha scoperto- continuò con la voce ridotta a un sussurro. –Sono scappato dopo che mi ha pestato. Ti ricordi la mia faccia quando sono arrivato qui per la prima volta?-
Castiel sussultò leggermente e Dean si allontanò dal suo orecchio. L’espressione del ragazzo biondo era…triste, terribilmente triste e Castiel sapeva che non stava mentendo, in vino veritas5.
-Dean io…non so cosa dire, è orribile- mormorò Cas.
-Non dire niente- rispose Dean avvicinandosi a lui e passandogli le braccia attorno al collo. –Non riesco a dirlo a nessuno, l’ho detto solo a te, adesso. Non ho mai pianto perché non posso…-
Il calore dei loro corpi di nuovo così vicini fece rabbrividire leggermente entrambi, si guardarono negli occhi per qualche istante, il blu nel verde, l’oceano nella foresta. Erano così vicini che Castiel poteva contare ogni lentiggine sul viso dell’altro.
Dean si morse un labbro guardando il viso di Cas con quegli occhi un po’ all’ingiù che gli conferivano quell’espressione mista tra il serio e il triste.
Si sporse un po’ in avanti finché i nasi non si sfiorarono e i respiri non si confusero.
-Forse è vero che sono ubriaco però…-mormorò Dean con voce roca.
L’altro inclinò la testa di lato e le labbra dei due ragazzi si toccarono appena. Dean portò la mano sulla nuca del più giovane e lo attirò a sé premendo le proprie labbra contro le sue.
Castiel sobbalzò poi si separò immediatamente mettendo le mani calde sul petto di Dean.
-Ehi!- protestò Dean debolmente.
-Dean, per quanto mi piaccia, e ti giuro che mi piace un sacco, adesso non è il momento okay? Non sei in te-
-Lo so benissimo cosa sto facendo- biascicò Dean.
-Non lo metto in dubbio, ma forse sarebbe meglio aspettare- replicò Castiel pacatamente. –Forse sarebbe meglio che tu dormissi adesso-
-Non ho sonno- mentì Dean. Si sentiva stanchissimo ma non voleva che Cas se ne andasse, voleva che rimanesse lì a tenerlo sveglio per non farlo sprofondare in quegli incubi che lo tormentavano ogni volta che chiudeva gli occhi. –Non posso dormire Cas, io lo vedo…tutte le notti-
Castiel si massaggiò la base del naso. Di certo non si aspettava che la serata avrebbe preso quella piega, si aspettava semplicemente una serata divertente con Dean.
Aveva capito subito che c’era qualcosa in quell’uomo con gli occhi verdi, lo poteva scorgere dietro quell’espressione strafottente e le battute sarcastiche, e adesso eccolo lì, ubriaco e triste che si apriva con lui. D'altronde come sapeva bene "ci sono persone che ci colpiscono fin dal primo sguardo"6 e con Dean era stato esattamente così.
Non sapeva se potevano considerarsi amici, ma neppure estranei perché vivevano insieme.
Cas stesso si era reso conto che da quando c’era Dean aveva più voglia di stare con le altre persone con cui condivideva la casa, lui, che con i rapporti umani era sempre stato una frana, che non sapeva mai cosa dire e passava da un argomento all’altro come un bambino che salta nelle pozzanghere.
Da quando Dean aveva messo piede nell’appartamento di Brooklyn aveva avuto voglia di conoscerlo, di parlare con lui, di instaurare qualcosa…non sapeva bene se volesse quel genere di cosa, non era sicuro di quello che piacesse a Dean.
Beh, prima non ne era sicuro. Adesso ne aveva la prova.
-Quello che vedi non è reale Dean. È solamente un sogno-
-Lo so, ma non voglio vederlo- bisbigliò Dean. Stava lottando con sé stesso per non piangere, anche se sentiva che gli occhi gli bruciavano terribilmente. Era forse la prima volta in vita sua che si mostrava così a qualcuno.
Castiel gli mise di nuovo le mani sul petto e lo spinse delicatamente sulla schiena.
-Dean, adesso cerca di dormire okay? E se vedi tuo padre che ti fa del male, rispondigli. È solo nella tua testa, puoi decidere tu come vanno le cose lì dentro- disse piano Castiel, ma Dean si era già addormentato mentre parlava.
Cas si alzò dal letto dando un’ultima occhiata al giovane uomo che si stava muovendo scompostamente per trovare una posizione.
-Buonanotte Dean, anche se domani non te ne ricorderai- sussurrò chiudendo la porta.
 
 
Spazio autrice: salve a tutt*! Come state? Spero stiate tutti bene anche se questo periodo ci sta veramente mettendo a dura prova.
Alloooora, eccomi qui con un nuovo capitolo! Ci tenevo a ringraziarvi intanto per essere arrivat* fino a qui e poi ovviamente ringrazio chi recensisce o mette questa storia tra le preferite\seguite…insomma, come dico sempre, siete prezios*! E mi raccomando ascoltate le canzoni che inserisco come titoli o sparse qua e là per i capitoli!
Se vi va fatemi sapere che ne pensate! Come al solito, un abbraccio e a presto <3

1Brano dei The Cure del 1980
2Frontman e cantante dei The Cure
3Frontman e cantante dei Black Sabbath
4Brano dei Metallica del 1984
5Detto latino "la verità è nel vino"
6Citazione a Delitto e Castigo di Fedor Dostoevskij, romanzo del 1866. Non dimentichiamoci che il nostro Cas studia letteratura! 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Changes ***


Capitolo 7: Changes1
 
New York, New York, 12 febbraio 1989

 
Dean si svegliò con un mal di testa terribile, la sveglia sul comodino segnava le dieci del mattino e dalla cucina proveniva il chiacchiericcio attutito di Adam. La luce del sole filtrava attraverso la tenda della finestra e gli trafisse gli occhi ancora semichiusi. Gemette rigirandosi sul lato sinistro cercando di riaddormentarsi ma era impossibile, ormai era sveglio.
Non era stato un sonno realmente ristoratore, però non aveva avuto nessun tipo di incubo, probabilmente per merito di tutto quello che si era bevuto la sera prima.
Per qualche istante si chiese come avesse fatto a tornare a casa nello stato in cui era poi nella sua mente iniziarono ad apparire come dei flash le immagini della notte precedente: la folla che spingeva, il caldo, la musica pulsante, l’alcool che gli bruciava la gola, Cas che guidava la sua auto..
Cas…si tirò su a sedere di scatto. Cas l’aveva riportato a casa in braccio, letteralmente e poi?
Strizzò gli occhi cercando di ricordare. Erano seduti sul letto e lui aveva detto qualcosa a Cas, ma non riusciva a ricordare bene che cosa e poi Cas si era avvicinato a lui…no lui si era avvicinato a Cas.
Spalancò le palpebre portandosi le mani tra i capelli.
“Cazzo” pensò prendendosi la testa tra le mani. Per un secondo sentì di nuovo le labbra di Cas sulle sue, come si erano separati, qualcosa che gli aveva detto Castiel, probabilmente si era arrabbiato con lui.
Dean sospirò e si rigettò tra le coperte, non aveva intenzione di uscire dal letto, non dopo quello che aveva fatto. Per qualche strano motivo le cose con Castiel sembravano andare bene e lui si ubriacava e mandava tutto all’aria. Tipico.
Si ricordò che aveva ripromesso a Sam di telefonargli ma uscire dal letto in quel momento gli sembrava un’impresa troppo grossa. Aveva un martello pneumatico in testa, gli occhi che gli bruciavano e lo stomaco in subbuglio.
Ricordava quasi tutto della sera prima, tranne quei fondamentali particolari su cosa aveva detto a Cas e poi cosa Cas avesse detto a lui dopo il bacio.
Gliel’avrebbe chiesto? No, troppo rischioso. Se avesse ignorato la cosa magari anche Cas l’avrebbe fatto.
O forse anche Cas era ubriaco e si era dimenticato tutto. No, era troppo da sperare.
L’unica cosa positiva era che non aveva sognato niente quella notte, era sprofondato in un sonno senza incubi e senza sogni ed era stato fantastico.
Si stiracchiò cercando la forza di uscire dalla sua stanza, prima o poi avrebbe dovuto farlo, non poteva di certo rimanere in quel letto per sempre, anche se l’idea gli sembrò parecchio allettante al momento.
Inspirò profondamente e scese dal letto pensando che magari Cas non era in casa adesso.
Entrò in cucina dove trovò Adam e Charlie seduti al tavolo che chiacchieravano sottovoce.
-Ehi Dean, com’è andata la serata?- domandò subito Adam.
Il ragazzo si limitò ad alzare un pollice mentre si dirigeva verso i pensili per prendere una tazza e riempirla di caffè fino all’orlo, aveva un disperato bisogno di caffeina.
-Hai un aspetto orribile e questo vuol dire che ti sei divertito. Dai raccontami qualcosa!- lo incalzò il più piccolo sporgendosi verso di lui.
-Sta’ un po’ zitto Adam!- lo rimproverò Charlie. –Quanto hai bevuto Dean?-
-Il giusto- rispose lui con voce gracchiante. –Ma sto bene- si affrettò ad aggiungere.
-Avete visto Cas?- chiese poi finendo il caffè e versandosene subito un’altra tazza.
-Sì è uscito un’ora fa, non so dove sia andato però- rispose Adam. –Sei riuscito a farlo muovere un po’ o era impalato come al solito? Sembra un esattore delle tasse-
Dean non rispose, non voleva dirgli che Cas con il maglione nero aderente e i jeans che indossava ieri sera sembrava tutto tranne che un esattore delle tasse.
-C’è dell’ibuprofene nella mia borsa sul divano- disse Charlie indicando il salotto. –Mi sa che ne hai bisogno- aggiunse la ragazza.
Dean rovistò nella borsa di pelle blu di Charlie finché non trovò quello che stava cercando, poi ingoiò la piccola pastiglia bianca con un bicchiere d’acqua e si massaggiò le tempie sperando che il farmaco agisse il prima possibile.
Tornò in soggiorno per telefonare a Sam e aspettò che il fratello gli rispondesse dall’altro capo della cornetta mentre si attorcigliava nervosamente il filo tra le dita.
-Pronto?- domandò la voce assonnata di Sam Winchester.
-Sono vivo- fece il maggiore schiarendosi la voce.
-Mmmmm mi fa piacere saperlo- bofonchiò Sam. –Cas ti ha riportato a casa tutto intero?-
Dean sussultò non appena udì il nome di Castiel pronunciato dal fratello. Avrebbe voluto dire a Sam cos’era successo ma se l’avesse fatto avrebbe dovuto spiegargli anche tutta la storia precedente e non era pronto.
-Sì, più o meno. Ho un mal di testa terribile-
-Te l’avevo detto di smettere di bere-
Dean alzò gli occhi al cielo. –Sì come vuoi. Hai da fare questo pomeriggio?-
-No, Jessica è da un’amica e Kevin sta monopolizzando l’appartamento per prepararsi a una gara di matematica o qualcosa del genere. Che hai in mente?- spiegò Sam.
-Nulla, volevo solo chiederti di uscire. Non ce la faccio a stare a casa-
-Okay, ci vediamo davanti alla Roadhouse dopo pranzo. Dean, stai bene?-
-Sì sto benissimo, a dopo-
Chiuse il telefono in faccia a Sam e si prese il viso tra le mani. La testa gli faceva un male terribile e non voleva stare in casa perché non riusciva a sopportare gli sguardi di Adam e Charlie.
Nonostante ormai si conoscessero abbastanza continuavano a guardarlo con quello sguardo preoccupato di quando era arrivato il primo giorno, ancora coperto di lividi. Aveva solo detto di aver avuto una lite violenta col padre ma in cuor suo sapeva che i due avevano intuito che c’era di più. E adesso Cas sapeva, sapeva tutto.
Quello era un altro dei motivi per cui non voleva stare dentro casa, aveva paura di affrontare Cas e quello che era successo con lui poche ore prima.
Si chiuse di nuovo nella sua stanza mentre l’angoscia e il panico tornavano a stringergli le viscere ma non appena si sedette sul letto sentì bussare alla porta.
-Dean sappiamo che sei lì dentro. Vuoi dirci che hai?-
Era la voce di Adam. Quel maledetto ragazzino non riusciva proprio a farsi gli affari suoi.
-Sto smaltendo la mia sbronza- rispose in malo modo. Voleva solo essere lasciato in pace, non era così complicato da capire. Aveva combinato un casino con Cas ed era solo colpa sua, come al solito.
-Sì certo, come no. Apri la porta prima che la butti giù-
Stavolta era la voce di Charlie che parlava. Sospirò e si rigirò nel letto dando le spalle alla porta. No, non avrebbe aperto. Non aveva voglia di mettersi a parlare con quei due di quando fosse incasinata la sua testa.
Sapeva di comportarsi da idiota perché Charlie era lesbica e Adam aveva detto apertamente che ognuno avrebbe dovuto essere libero di stare con chi più gli piace e probabilmente anche Cas era dello stesso avviso, ma quello era un problema solo suo e non ne avrebbe fatto parola con nessuno, si sentiva bloccato, ingabbiato, intrappolato nella sua stessa testa.
Non riusciva ad aprirsi e a parlare con nessuno.
I due bussarono ancora alla porta. –Dean apri o giuro che butterò giù la porta a calci!- esclamò Charlie risoluta.
-Va’ via!- ribatté Dean infilando la testa sotto il cuscino e gemendo. Ma perché non capivano che voleva essere lasciato in pace.
Strizzò gli occhi e prese un profondo respiro mentre sentiva i passi dei suoi due coinquilini allontanarsi. Davanti ai suoi occhi iniziarono a scorrere a sprazzi le immagini della sera precedente, mescolate a quelle del ragazzo ritrovato nel canale e di suo padre.
Sentì di nuovo il cuore iniziare a battere velocemente e il respiro farsi affannoso, aprì di nuovo gli occhi e si passò una mano sul viso. Era così stanco di tutti quegli incubi e di quella sensazione spiacevole che provava ogni volta che cercava di addormentarsi.
Voleva solo chiudere gli occhi e non sognare, non trovarsi quelle immagini orribili davanti ogni notte.
-Guarda che per smaltire la sbronza devi mangiare qualcosa- la voce di Adam lo riscosse.
-Che cazzo Adam ma cosa non capisci della frase “lasciami in pace”?-
-Stai di merda Dean, non ti posso lasciare in pace- replicò il ragazzo fuori dalla porta. –È da ieri sera che sei strano, anche prima di uscire. Da quando sei arrivato in realtà, c’è qualcosa che non va ma non lo vuoi dire. Dean, sarò solo un ragazzino ma puoi fidarti di me-
Dean non rispose. Quella scena gli ricordava quando aveva baciato Lee per la prima volta a scuola e quando era tornato a casa era totalmente sconvolto e si era chiuso in camera per ore mentre Sam era rimasto fuori dalla porta per ore cercando di farlo parlare.
-Come vuoi- riprese Adam con un sospiro di rassegnazione mentre i suoi passi si allontanavano nel corridoio.
Dean affondò la faccia nel cuscino. Avrebbe solo voluto urlare e sfogarsi, anche piangere gli sarebbe andato bene, ma era come avvolto in un blocco di cemento.
Passò dal letto sfatto alla doccia del bagno, con gli occhi chiusi lasciò che l’acqua tiepida gli scorresse addosso, avrebbe voluto che oltre al sudore quell’acqua lavasse via anche tutti i suoi pensieri.
Uscì dal box doccia e si guardò allo specchio, doveva decisamente tagliarsi i capelli e levarsi quell’ombra di barba che gli stava crescendo incolta donandogli qualche anno in più.
Si strofinò il viso con le mani e poi iniziò a radersi, alla fine si rese conto di essersi fatto un piccolo taglio sulla mascella e rabbrividì.
Dopo essersi vestito uscì di casa senza neppure guardare Charlie e Adam che stavano chiacchierando nel salone, tirò semplicemente dritto fino alla porta, poi dentro l’ascensore e poi fino in strada, dove il sole di febbraio gettava la sua luce senza scaldare.
Gli faceva ancora un po’ male la testa e aveva fame, così decise di evitare accuratamente la Roadhouse e di infilarsi in uno scalcinato bar prendendo un caffè schifoso che non riuscì nemmeno a mandare giù e nulla da mangiare, se si fosse messo qualcosa di solido nello stomaco era sicuro di vomitare, e non per la sbronza.
Iniziò a girovagare per il quartiere con la testa fra le nuvole, ripensando a tutto quello che era successo il quel breve lasso di tempo.
La sua vecchia vita, quella a cui era abituato da sempre, era andata totalmente in pezzi in un secondo senza neppure dargli il tempo di realizzare che cosa fosse successo e lui aveva preso la decisione più folle di tutta la sua esistenza ma nonostante adesso stesse cercando di riaggiustarsi sapeva che c’era qualcosa di spezzato dentro di lui e soprattutto quei pensieri continuavano a tormentarlo.
Non era solo il ricordo di suo padre che lo prendeva a calci o di sua madre così terrorizzata da non tentare nemmeno di proteggerlo, ma tutto quello che aveva assorbito per anni.
La vita in quel posto di campagna dimenticato da Dio gli aveva inculcato in testa che un uomo poteva stare solo con una donna, che avrebbe dovuto sposarsi e mettere su famiglia, così suo padre sarebbe stato fiero di lui.
Ci aveva provato e aveva visto com’era finita, lui non era così non poteva esserlo ma allo stesso tempo essere davvero sé stesso gli sembrava qualcosa di impossibile e lontano anni luce.
Iniziava a sentirsi le mani congelate e guardò l’ora sull’orologio al polso, tra poco avrebbe visto Sam e le cose sarebbero andate meglio. O almeno così sperava.
Si mise ad aspettare fuori dalla Roadhouse cercando di non farsi vedere e aspettò Sam per qualche minuto.
Il minore lo raggiunse dopo poco, con il viso arrossato dal freddo e le mani affondate nelle tasche del pesante giaccone.
-Stai di merda- esordì Sam senza neppure salutarlo.
-Grazie- rispose Dean accennando un sorriso sarcastico. –Anche tu non sei male-
I due fratelli iniziarono a camminare senza una meta precisa rimanendo in silenzio per un po’.
-Allora- iniziò Sam. –Che cos’hai?-
-Io? Niente- rispose l’altro guardando davanti a sé.
Sam alzò un sopracciglio e guardò in tralice il fratello. Quello non era solo un post sbronza, c’era qualcosa in più, ma come al solito Dean non avrebbe aperto bocca.
-Vuoi finirla di fare così?- sbottò improvvisamente il più piccolo con un moto di rabbia.
-Finire di fare cosa esattamente?- replicò Dean stupito.
-Di comportarti così!-
-Così come?-
-Come se non potessi capire che cos’hai o non volessi dirmelo perché devi fare l’eroe e sbrigartela da solo per non disturbare gli altri o non caricarli di un peso perché è una questione solo tua- ribatté Sam con voce dura.
Dean sgranò gli occhi mentre Sam si piazzava davanti a lui incrociando le braccia. Erano finiti in una strada con poche persone che passavano velocemente senza degnarli di uno sguardo.
-Lo fai da quando siamo piccoli, pensi che non me ne sia accorto? Ogni volta che hai un problema non ne parli con nessuno perché non vuoi che gli altri si preoccupino per te. Sai che ho chiamato la mamma per chiederle se sapesse qualcosa? Non ha voluto dirmi nulla, perché io lo so che mi stai mentendo, ti conosco meglio di chiunque altro e non mi muoverò da qui finché non mi avrai detto la verità- esplose Sam tutto d’un fiato.
-Woah Sammy-boy, che hai mangiato stamani a colazione?- fece Dean alzando un sopracciglio, stupito dall’audacia del fratello minore.
Per cinque secondi immaginò di dirlo a Sam, tutta la verità, senza togliere nessun particolare, e finalmente di togliersi di dosso quel peso che lo schiacciava giorno e notte.
Ma poi il pensiero di quello che era lo colpì. Era sbagliato e lo sapeva da tutta la vita, ma non poteva farne a meno, aveva visto com’era andato il suo tentativo di uniformarsi a quello che i suoi genitori si aspettavano da lui e aveva fallito, mandando la sua vita in pezzi.
Si era rovinato con le sue stesse mani e gli rimaneva soltanto Sam, non avrebbe distrutto anche questo.
Però era Sam, forse avrebbe capito? Se non ci avesse provato non l’avrebbe mai saputo.
E se Sam l’avesse abbandonato come avevano fatto i suoi genitori? Sarebbe riuscito a ripartire di nuovo da capo? Già adesso era così difficile cercare di non lasciare troppe tracce di sé, se Sam l’avesse abbandonato…però non poteva vivere con i se.
La sua testa era un disastro completo, aveva bisogno di qualcuno. Probabilmente Cas era arrabbiato con lui ma era l’unico che sapeva.
Inspirò profondamente cercando di mettere ordine nel suo personale caos.
-Okay. Andiamo da qualche parte…un bar. Ho bisogno di bere qualcosa-
Afferrò il fratello minore per un braccio e lo trascinò dentro il primo bar aperto. Era un locale piccolo e angusto, ma dietro il bancone scintillavano le bottiglie degli alcolici e a Dean questo bastava.
Ordinò un Jack e cola alla cameriera che non fece domande ma si limitò a guardarlo compassionevole. Uno che prendeva un Jack e cola alle tre del pomeriggio non doveva essere proprio in forma.
-Che stai facendo?- domandò Sam non appena la donna appoggiò il drink sul tavolo.
-Vuoi parlare? Okay, ma come dico io- rispose il maggiore dando un lungo sorso.
-Sono le tre del pomeriggio Dean…- protestò debolmente Sam indicando il bicchiere di liquido ambrato tra le mani del fratello.
-Mi serve- replicò il più grande.
Sam alzò le mani in segno di resa e aspettò che Dean scolasse il suo Jack e cola e poi ne ordinasse un altro.
Appena ebbe finito il secondo drink Dean alzò lo sguardo sul fratello che gli stava davanti. Nonostante fosse pomeriggio il locale era in una costante penombra ed era quasi vuoto, la luce soffusa faceva risaltare la polvere sui tavoli e gettava una strana ombra sul viso di Sam.
-Okay- iniziò Dean prendendo un respiro profondo e iniziando a torcersi nervosamente le mani, giocherellando con l’anello d’argento all’indice destro. –Ti ricordi il giorno che sono arrivato uh?-
-Sì, come dimenticare- rispose Sam.
-Ti ricordi che ti ho detto?- chiese poi Dean. Il suo cuore stava iniziando a battere all’impazzata, non poteva credere a quello che stava per fare, sentiva le viscere contorcersi e una voce nella sua testa che gli gridava di non farlo.
-Che papà ti ha riempito di botte perché hai tradito Lisa con un’altra- disse Sam in tono monocorde.
Dean chiuse gli occhi e prese un altro respiro profondo, non bastavano due Jack e cola per quello, ne avrebbe dovuto prendere un altro. O altri dieci.
-Non è andata proprio così- aggiunse Dean con la voce tremante. Gli serviva un altro drink, così non poteva farcela. Alzò leggermente una mano per richiamare la cameriera e farsi portare ancora da bere.
-Dean forse dovresti smettere- suggerì Sam guardando il fratello preoccupato.
-Sono adulto e vaccinato- replicò l’altro mentre si rigirava il bicchiere di nuovo pieno tra le mani.
Stava iniziando a sentire un calore piacevole nella pancia e la testa un po’ più leggera, magari se avesse bevuto un altro po’ le parole sarebbero venute fuori da sé senza alcuno sforzo e avrebbe smesso di vedere suo padre di nuovo. La sera prima c’era riuscito, perché non farlo di nuovo?
-È stata Anna Milton- riprese poi Dean. –Lei mi ha visto e l’ha detto a Lisa perché sono amiche e Lisa l’ha detto a papà. In realtà quando sono tornato a casa lei era lì con loro…-
Sam stava guardando il fratello con crescente preoccupazione. –Ha esagerato, potevate risolvere la questione tra voi due, non serviva coinvolgere mamma e papà-
-Sam…-
Non poteva farlo, non poteva confessare al fratello di essere così. Sapeva di esserlo ma dirlo ad alta voce era terrificante, era come ammettere ufficialmente al mondo di essere sbagliato, diverso, strano.
Butto giù il resto del drink nel bicchiere e strizzò le palpebre. –Sam ho fatto un casino. A casa e ieri sera ed è tutta colpa mia se fossi stato più attento…-
-Dean, che è successo?- lo interruppe Sam in tono fermo. –Qualunque cosa tu abbia fatto dimmi che hai usato il preservativo-
-Non è quello è…Cas…io…Sam io ho baciato Cas- buttò fuori Dean a bassa voce.
-Che cosa?-
-Ieri sera…Cas e a casa…un altro ragazzo- mormorò abbassando lo sguardo.
-Hai tradito Lisa con un uomo?-
I due fratelli si guardarono negli occhi per qualche istante prima che Dean annuisse lentamente. L’alcol gli stava facendo effetto, si sentiva meglio e sul viso di Sam non c’era odio o disprezzo.
-Sei…gay?- domandò ancora Sam.
Dean annuì di nuovo.
-Quindi quello che ti ha fatto papà…è per questo- disse Sam. Stava iniziando a mettere insieme i pezzi con lentezza mentre scrutava con attenzione ogni cambiamento d’espressione sul viso del più grande.
Dean era teso come una corda di violino, anche se sentiva una leggera sensazione di torpore data dall’alcool, non forte come la sera prima, quel tanto che bastava a sciogliersi leggermente.
Sam inspirò profondamente. –Okay- disse semplicemente facendo spallucce. –E sei scappato qui dopo quello che è successo- continuò ricostruendo tutto. –Perché non me l’hai detto subito?- sbottò alla fine.
-Abbassa la voce!- lo rimproverò Dean. –Perché non sapevo come avresti reagito- confessò. Non era tutta la verità nemmeno lì, ma almeno stava facendo progressi, più o meno.
-Come pensavi che avrei reagito? Come papà?- domandò Sam indignato.
-No…non lo so…-
-Lui ti ha ridotto in quello stato- riprese Sam, stavolta la sua voce tremava di rabbia. –Che cosa ti ha fatto?-
-Quello che hai visto. E poi me ne sono andato di casa, non potevo rimanere lì- rispose il maggiore.
“Non potevo rimanere lì con la consapevolezza di essere uno sbaglio vivente e che i miei genitori non volevano più neppure guardarmi negli occhi” pensò.
-Ha detto che avrei dovuto sposare Lisa, perché quelli come me sono sbagliati Sam- aggiunse poi.
-Non è vero e io lo ucciderò- affermò Sam. –Metaforicamente parlando intendo-
-Grazie Sam- disse infine Dean sentendo una sorta di groppo alla gola. –Che dovrei fare adesso?- chiese poi.
-Devi andare alla polizia e dirgli quello che ti ha fatto! Una cosa del genere non può restare impunita, cercherò qualcosa nei miei libri dell’università Se solo fossi già un avvocato…- rispose il più piccolo.
-Non se ne parla nemmeno. Nessuno mi crederebbe, sono…quello che sono, non si prenderebbero neppure la briga di starmi a sentire-  tagliò corto Dean.
-Ma non puoi fargliela passare così! Poteva ucciderti!- sibilò Sam con rabbia.
-Sì ma non l’ha fatto e io me ne sono andato okay? Non tornerò mai più là e credimi che non gli mancherò- replicò Dean con amarezza.
-Ma la mamma…- tentò di dire Sam.
-Alla mamma non importa. Mentre papà mi riempiva di colpi è stata ferma a guardare-
La voce di Dean adesso era piena di freddezza e di distacco e a Sam fece quasi paura. –Okay- disse di nuovo. –Dean, so che non vuoi sentirmelo dire, ma forse dovresti parlare con loro. Non adesso okay? Fa’ passare del tempo e…-
-No- lo interruppe Dean. –Ho preso la mia decisione e non intendo ritirarla-
-Come vuoi, era solo un consiglio. E con Castiel…che è successo?- domandò tentando di cambiare discorso, sapeva bene quando era il momento di lasciare perdere nonostante fosse preoccupato a morte.
Adesso c’era lui dall’altra parte della barricata e capiva benissimo come doveva sentirsi Dean quando erano più piccoli ed era lui che andava dal suo fratellone a chiedere aiuto.
-Ho fatto un casino cazzo… ero…ero ubriaco ieri sera e quando siamo tornati a casa gli ho detto tutto e poi l’ho baciato e adesso mi odia-
Stavolta il tono di Dean era di nuovo concitato e stava iniziando ad agitarsi sulla sedia.
-Come fai a sapere che ti odia, gliel’hai chiesto? Ne avete parlato?-
Dean non rispose limitandosi a fissare il legno del tavolo, era pieno di graffi e rovinato dal tempo e dall’usura, con un coltellino qualcuno aveva inciso le sue iniziali sul lato destro.
-Vedi qual è il tuo problema Dean? Tu non parli e dai per scontato che le persone non ti capiscano o pensino di te cose che non sono vere- sbuffò Sam.
-Mi odia per forza. L’ho baciato e poi mi ha detto qualcosa che non ricordo e poi se n’è andato- fece Dean.
Iniziava a sentirsi un po’ meglio, merito del Jack che gli circolava nel sangue.
-Lo stai facendo di nuovo! Parlagli, chiedigli cos’è successo, chiaritevi!- disse Sam scuotendo la testa al limite dell’esasperazione. –Non puoi pretendere di sapere che cosa passa nella testa delle persone se non glielo chiedi- aggiunse in tono piccato.
-Cosa dovrei fare? Mettermi lì e parlare di quello che è successo e dei miei sentimenti?- chiese Dean sarcastico facendo le virgolette con le mani quando disse la parola “sentimenti”.
-Sì dannazione! È così che fanno le persone, parlano, si chiariscono, non annegano nel senso di colpa perché si vogliono autocommiserare-
Il tono di voce di Sam si stava alzando e le poche persone presenti nel locale si voltarono a guardarli.
-Io non mi autocommisero e non annego nel senso di colpa. So quando è colpa mia e in questo caso lo è-
-Senti Dean fa’ come vuoi, basta che risolvi questa situazione, e non parlo solo di Cas, perché, lasciatelo dire, stai uno schifo e io non ti posso vedere così-
L’ultima dichiarazione di Sam lasciò il maggiore dei Winchester sbigottito e senza parole. Ma d’altronde come aveva potuto essere così stupido?
Quello era Sam, era ovvio che si sarebbe comportato così.
-Torna a casa, parla con Castiel, per adesso può bastare- aggiunse il minore alzandosi e facendo cenno a Dean di seguirlo.
Quando si trovarono fuori dal locale il sole stava iniziando a calare illuminando quella squallida strada di una delicata luce dorata, il freddo pungente fece rabbrividire i due ragazzi che ormai si erano acclimatati al calore del bar.
-Dean, risolveremo questo casino okay? Comunque andrà io sarò qui-
-Sì- rispose Dean, ma non ci credeva nemmeno lui. Sì, Sam non aveva reagito male e adesso era più che mai sicuro che Adam e Charlie si sarebbero comportati allo stesso modo e forse anche Castiel, ma una voce nella sua testa, quella che prima gli diceva di tacere, gli suggeriva che comunque andassero le cose lui aveva deluso la sua famiglia ed era tutta colpa sua.
Scosse la testa zittendo mentalmente quella voce e, dopo aver salutato Sam, si voltò per tornare a casa.
 
 
 
 
Quando rientrò nell’appartamento era ormai buio. Aveva vagato di nuovo da solo coi suoi pensieri e non si era reso conto dell’ora. E poi almeno aveva smaltito un po’ i drink. Era rimasto un po’ davanti alla Roadhouse di Ellen, senza muoversi pensando se entrare o no.
Quella donna aveva capito più di quanto Dean avesse mai detto ed era tentato di chiederle un consiglio, ma non entrò. Si limitò a sbirciare da una delle finestre polverose le due donne, madre e figlia, che si affaccendavano qua e là servendo ai vari tavoli.
Dean si sentì un vero stronzo ingrato per come si stava comportando ma già dire la verità a Sam l’aveva prosciugato di tutte le sue forze, non poteva parlare anche con Ellen, non ancora, anche se una parte di lui gli diceva che quella donna avrebbe potuto aiutarlo ancora una volta.
Stava per aprire la porta ma quella si spalancò rivelando un trafelato Adam, con i capelli sparati da tutte le parti, che stava per uscire di casa.
-Adam…-iniziò Dean. Voleva scusarsi per quella mattina ma il ragazzo lo salutò distrattamente e gli gridò un –sono in ritardo ci vediamo domani mattina!- e poi scomparve, inghiottito dalle porte dell’ascensore.
Sul divano era gettato malamente un trench beige, segno che Castiel era in casa.
Cas. Il solo pensiero gli fece contrarre le viscere mentre un groppo gli si formava in gola.
Gettò uno sguardo in cucina ma non c’era traccia di Charlie, così si avvicinò al frigorifero e stappò una birra. Dio, si sentiva così confuso, era come se fosse diviso in tanti piccoli pezzi che non riuscivano ad incastrarsi tra loro, ed era frustrante, come se non riuscisse mai a completare quella specie di puzzle che era diventato.
Non si era nemmeno reso conto di aver finito la birra in tre sorsi, ma gli serviva un po’ di coraggio e quello era il miglior modo che conosceva.
E se Cas lo avesse davvero odiato? No, non poteva pensare a quello adesso, se fosse andato lì con quello spirito avrebbe fatto ancora peggio.
Contò mentalmente fino a dieci mentre con lo spirito del condannato a morte camminava nel corridoio fino alla porta della camera di Cas, accanto alla propria.
Dalla stanza di Cas proveniva un suono soffuso che Dean riconobbe, era Wild World di Cat Stevens, canticchiò un paio di parole della canzone prima di bussare alla porta.
-Avanti- fece la voce di Castiel.
Dean entrò nella stanza guardandosi attorno, non era mai stato lì. Era una camera grande quanto la sua ma sembrava molto più piccola per via di tutte le cose che erano sparpagliate in giro: libri, vestiti, fogli scritti in una grafia un po’ svolazzante affollavano l’ambiente.
Sulla scrivania Dean vide un libro di Shakespeare aperto e uno di uno scrittore russo di cui non riuscì a leggere il nome perché parzialmente coperto da un quaderno fitto di appunti.
Per terra c’era il giradischi da cui proveniva la musica che Dean aveva sentito fuori dalla porta e altri fogli ricoperti di scritte. C’era anche una libreria straripante e alle pareti erano appese alcune stampe.
-Ah ciao Dean- disse Castiel. Era seduto sul letto sfatto con un libro aperto tra le gambe e lui stesso aveva un aspetto un po’ stropicciato, con la camicia sgualcita, senza cravatta e dei vecchi jeans.
-Cas…io…ecco…- si sentiva la gola secca e le parole rimasero bloccate tra le sue corde vocali.
-Volevi parlarmi di ieri sera?- suggerì con tono pacato.
-Sì. Mi…mi dispiace- balbettò Dean. –Io non dovevo fare…quello che ho fatto. Baciarti dico-
Castiel lo guardò inclinando la testa di lato. –Te lo ricordi?-
-Sì, più o meno. Mi ricordo che ti ho raccontato di…di mio padre e tutto il resto-
-E poi?-
-E poi ti ho baciato e tu te ne sei andato-
Castiel sospirò massaggiandosi le tempie. –Sì, perché non eri in te e dovevi dormire. Ti ricordi che cosa ti ho detto?-
-No io…ricordo che te ne sei andato. Mi dispiace Cas, ero ubriaco, non volevo-
-In vino veritas Dean. Quello che diciamo e facciamo quando siamo ubriachi è mosso dalla verità-
Castiel adesso lo stava guardando con una specie di mezzo sorriso.
-Non ce l’hai con me?- domandò Dean abbastanza sorpreso.
-Non capisco perché dovrei essere arrabbiato con te in qualche modo. Pensi che abbia un problema con te perché sei gay?-
Quella domanda lo colpì come un pugno. Quella parola lo spaventava a morte, un conto era pensarlo ma dirlo così candidamente come aveva appena fatto Castiel…era un altro conto.
-Dean, a me non importa. E poi ti ho anche detto che mi è piaciuto quello che hai fatto, solo che eri ubriaco e non mi andava di farlo così-
-Aspetta, ti è piaciuto? Cioè sei…sei come me?-
Dean adesso sentiva un misto di sollievo e preoccupazione. A Cas non importava, anzi era perfino piaciuto quella specie di bacio che si erano scambiati, poteva stare tranquillo. Anche se quella voce adesso stava tornando prepotente urlandogli all’orecchio quanto quello che stava facendo era abominevole.
-Non lo so, forse sì forse no. Ha importanza?- domandò Castiel alzando le spalle. –Se mi piace una persona non m’importa cos’ha in mezzo alle gambe-
Dean lo guardò ammirato. Quello che aveva detto Cas era così…libero. Se suo padre avesse sentito una cosa del genere l’avrebbe definitivamente ucciso, non poteva esistere una cosa del genere.
Castiel si alzò e si mise in piedi di fronte a Dean guardandolo. Il biondo si sentì immediatamente a disagio sotto quegli occhi così blu e così profondi.
-No- riuscì a sussurrare poi –non ha importanza-
Dean fece un piccolo, minuscolo passo in avanti per trovarsi più vicino a Castiel, poteva sentire il suo respiro adesso.
Cas alzò una mano e gliela appoggiò sulla spalla, come aveva fatto la sera prima in ascensore e Dean sentì i muscoli del suo corpo involontariamente rilassarsi e si rese conto di essere stato in tensione tutto quel tempo.
In quel momento anche la voce nella sua testa si azzittì completamente, c’era solo il disco di Cat Stevens che continuava a girare pigramente.
Dean appoggiò una mano sul petto di Cas e sentì il cuore dell’altro battere sotto il suo palmo aperto, Castiel abbassò lo sguardo sulla mano di Dean e poi lo alzò di nuovo sul suo viso.
-Dean, non sei ubriaco adesso vero?-
-No- rispose con voce roca. Sì aveva bevuto ma non era ubriaco, ne era certo. E poi anche se lo fosse stato in quel momento era come se tutto l’alcool fosse evaporato dal suo corpo, si sentiva perfettamente lucido e cosciente.
-Bene- disse piano Castiel –perché vorrei che adesso tu ricordassi tutto-
Dean deglutì e prima che avesse il tempo di rispondere sentì la bocca dell’altro sulla sua. Sussultò prima di rilassarsi di nuovo, sentendo le braccia di Cas avvolgersi attorno alla vita e i loro corpi caldi uniti insieme, di nuovo.
Dean schiuse lentamente le labbra lasciando che la lingua uscisse e si facesse spazio nella bocca di Cas, era un bacio caldo, lento e bagnato.
Non si ricordava che fosse così bello. Non si era mai soffermato più di tanto sui baci con gli altri ragazzi, puntava a concludere e basta.
Sentì il bisogno di avere di più e spinse la sua lingua con più forza contro quella di Cas che ricambiò immediatamente, iniziarono a stringersi più forte mentre il bacio si faceva più intenso.
Dean voleva di più, giù nel suo basso ventre si stava irradiando una strana sensazione di piacere e ancora più giù sentiva il sangue affluire come non mai.
-Ragazzi! Ragazzi! Qualcuno mi apra! Ho dimenticato le chiavi!- gridò la voce di Charlie fuori dall’appartamento.
 
 
Spazio autrice: ehilà, buonasera a tutt*! Come state? Vi ringrazio di essere arrivat* fin qui e ringrazio anche chi mi lascia sempre una recensione o mi mette fra i preferiti, seguiti…insomma chi si mette a seguire i miei deliri! Mi fa molto piacere <3 con l’università che è ricominciata a pieno ritmo aggiornare spesso sta diventando complicato ma io non demordo!
Come al solito, ascoltate le canzoni e se vi va lasciatemi una recensione per sapere che ne pensate, un abbraccio e (spero) a presto!
 
P.S. nei generi della storia ho selezionato “angst” e state tranquill* che ne avrete. Non so fra quanto ma non vi preoccupate, arriverà. D’altronde è una Destiel quando mai abbiamo avuto delle gioie da questi due? *pensa al finale di serie* ç_ç

1Brano di David Bowie (<3) del 1971

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** See Me, Feel Me ***


Capitolo 8: See Me, Feel Me1
 
New York, New York, febbraio 1989

 
Non era successo davvero, non poteva essere successo veramente. Si stavano baciando e probabilmente sarebbero andati anche oltre e Charlie li aveva interrotti perché non aveva le chiavi di casa.
Questo cinque giorni fa. Non avevano avuto più occasione di rimanere completamente da soli, sembrava quasi che l’universo si fosse improvvisamente svegliato e avesse deciso di non concedere più a loro due un attimo di pace. Se Adam non era a casa c’era Charlie e viceversa, in più sia Adam che Charlie avevano preso l’abitudine di portare amici e conoscenti a casa ogni sera e così Dean aveva trascinato anche Sam e Jessica un paio di volte.
Castiel non portava mai nessuno, a quanto pare non aveva molti amici e nella libreria dove lavorava i suoi colleghi non erano esattamente tipi da festini, ma non sembrava importargli, rimaneva sempre con loro a quelle specie di festini che si protraevano per ore e ore e ogni occasione era buona per avvicinarsi a Dean e sfiorarlo.
Dean non sapeva se gli altri si fossero accorti che fra loro due era cambiato qualcosa. Sam lo sapeva ovviamente, ma il ragazzo non faceva che chiedersi se Adam o Charlie sospettassero qualcosa.
Forse Charlie sì, lei aveva il suo…come l’aveva chiamato una volta? Sesto senso gay. Ma non aveva detto nulla, forse non se n’era accorta.
In tutto questo Dean non sapeva come sentirsi. Da una parte era spaventato a morte, non aveva più messo piede alla Roadhouse per paura che Ellen lo guardasse e capisse al volo, come aveva fatto la prima volta che si erano incontrati.
Anche in officina era costantemente sul chi vive per paura di lasciarsi sfuggire un atteggiamento o uno sguardo che lo tradissero. Non era più nel Kansas ed era lontano chilometri da quella realtà, ma continuava a sentirsi oppresso e schiacciato e gli incubi continuavano a perseguitarlo impedendogli di dormire.
Nessuno sapeva di lui, a parte Sammy e Cas, e questo era già abbastanza. Gli era costato uno sforzo di dimensioni bibliche confessarlo a loro due, non aveva intenzione di sbandierarlo ai quattro venti.
Sapeva che New York non era il Kansas, ma le notizie di quei ragazzi e ragazze picchiati o peggio erano ovunque. Ma non era quello a bloccarlo e neppure lo spettro dell’AIDS che aleggiava sulla sua testa così come su quella di qualunque altro ragazzo come lui. Era la verità che lo terrorizzava.
Dire a troppe persone chi e che cosa fosse realmente era un’idea che non riusciva a sopportare perché, nel disastro completo che era la sua testa, dire quello era come costruire una casa.
Adesso c’erano solo due mattoni ma se avesse continuato a dirlo prima si sarebbe costruito un muro, poi un altro, fino a costruire una stanza e poi un’altra e poi tutta la casa. E se avesse costruito la casa intera tutti avrebbero potuto vederla.
Stava pensando proprio a quello durante l’ennesimo festino improvvisato nell’appartamento di Brooklyn quando Adam, visibilmente alticcio nella sua serata libera, gli piazzò in mano un bicchiere pieno di gin tonic. L’ennesimo.
Qualcuno aveva acceso il loro scalcinato impianto stereo nel soggiorno e la musica si diffondeva a livello assordante per tutta la casa dove in quel momento si trovavano almeno quindici persone compresa Jo Harvelle la quale si avvicinò a Dean con fare speranzoso e una birra in mano.
-Sembra che Adam si stia divertendo- gli disse indicando il più giovane che stava appoggiato al frigorifero mentre parlava con una ragazza.
-Già- rispose Dean. Cominciava anche lui a sentirsi un po’ brillo e Jo era pericolosamente vicino. Troppo vicino.
Iniziò a lanciare occhiate in giro per casa finché non individuò Cas nel corridoio, liquidò Jo con un cenno della mano e raggiunse l’altro ragazzo.
-Che ci fai qui? Non vorrai perderti la festa- fece allegramente Dean porgendogli il proprio bicchiere ancora mezzo pieno.
-Mmmm non mi fanno impazzire le feste- rispose Cas con un’alzata di spalle. Stava per aggiungere qualcos’altro quando Adam li raggiunse e afferrò Dean per un braccio.
-Hey Dean perché non ci suoni qualcosa?- domandò il ragazzo biondo a voce altissima.
-Adam non penso di essere nelle condizioni migliori adesso- rispose Dean sentendo le parole un po’ biascicate.
-Eddai ti prego!- lo implorò Adam che stava tenendo un braccio attorno alle spalle della ragazza dai capelli neri con cui stava parlando poco prima.
Era veramente come un fratellino fastidioso e insistente ma Dean non poteva dirgli di no, proprio come un bravo fratello maggiore.
-Okay, ma ricordati che è il chitarrista quello che fa colpo- rispose strizzandogli un occhio e alludendo alla ragazza aggrappata al braccio di Adam, poi si voltò ed entrò nella sua stanza dirigendosi verso l’armadio dove teneva la sua chitarra.
Sentì la porta chiudersi alla sue spalle e il rumore della musica e il vociare confuso si attenuarono mentre dei passi si avvicinavano a lui. Non ebbe bisogno di girarsi per riconoscerli e non si voltò neppure quando sentì le braccia di Cas avvolgersi attorno alla sua vita per stringerlo.
Dean si irrigidì per un istante per rilassarsi immediatamente dopo.
-Scusa- disse Castiel staccandosi.
-No…va bene. È solo che non sono abituato- rispose Dean portandosi una mano dietro la nuca e guardando per terra imbarazzato.
Il tocco di Cas gli piaceva ma non poteva fare a meno di pensare a quello che era successo con suo padre ogni volta che lo sfiorava, ed era tutta colpa sua.
Lui e Cas erano in piedi l’uno di fronte all’altro, guardandosi intensamente negli occhi e per la prima volta Dean non si sentiva troppo a disagio sotto lo sguardo dell’altro, era come se Cas capisse solo guardandolo e forse non era una brutta cosa.
-Okay…mmmm…credo che dovrei prendere la chitarra ora- balbettò Dean rompendo il silenzio fra loro.
-Sì, dovresti. Ti stanno aspettando- gli rispose l’altro con tono pacato. –Cosa gli suonerai? Loro non sanno quanto sei bravo-
Dean arrossì leggermente, si era dimenticato che Cas lo sentiva spesso suonare di notte perché dormivano in camere adiacenti e nessuno dei due era esattamente uno che dormiva molto. Dean per i suoi incubi e Cas perché scriveva.
Glielo aveva detto pochi giorni fa che scriveva, poesie, racconti, tutto quello che gli passava per la testa Cas lo metteva su un foglio.
Dean avrebbe voluto leggere qualcosa ma non aveva avuto il coraggio di chiederlo a Castiel, anche se era sicuro che se avesse potuto dare una scorsa a quelle scritture sarebbe riuscito a capire qualcosa di più del suo enigmatico…coinquilino? Amico?
-Qualcosa che conoscono tutti, non posso sfoderare le mie conoscenze altrimenti rimarrebbero spiazzati- replicò Dean con un sorriso.
La porta della stanza poi si spalancò d’improvviso facendo entrare la figura di quasi due metri di Sam Winchester, appena uscito dal suo turno alla Roadhouse.
-Hey Joe Satriani2, il pubblico ti reclama!- esclamò passandosi una mano tra i capelli che diventavano ogni giorno più lunghi.
-Sì Raperonzolo, arrivo- rispose il maggiore con un sorrisetto alludendo alla chioma folta di Sam, il quale stava osservando Dean e Castiel con un sorriso ebete stampato in faccia.
Dean lo fulminò con lo sguardo poi uscì dalla stanza imbracciando la chitarra seguito dai due e notò distrattamente che Sam aveva messo un braccio attorno alle spalle di Cas.
Sembravano andare d’accordo quei due, ogni volta che si incontravano lasciavano spesso Dean e Jessica a chiacchierare di quanto loro due fossero secchioni visto che si lanciavano in lunghissime conversazioni sulla letteratura o sull’arte.
I tre fecero ritorno nel salone mentre gli altri invitati alla festa ballavano sulle note di Cindy Lauper.
-Gesù- commentò Charlie avvicinandosi a loro. –Questa canzone è orribile-
-Naaaah, tu non vuoi solo divertirti?3- fece Dean ridendo e alludendo a Dorothy, l’ultima fiamma di Charlie, che si stava scatenando a ritmo della canzone. –E comunque adesso ci penso io-
-Un attimo di attenzioneeeee- gridò Adam, completamente andato.
Una ragazza si avvicinò allo stereo per spengerlo e tutti si voltarono verso Dean, il quale iniziò a sentirsi terribilmente in imbarazzo. Era di nuovo al centro dell’attenzione e non gli piaceva per niente.
-Non devi farlo se non vuoi- gli sussurrò con dolcezza Cas all’orecchio, ma prima che potesse rispondere qualcuno gli piazzò in mano un altro bicchiere, stavolta pieno di qualcosa che era probabilmente Jack Daniel’s.
-Posso farcela- rispose Dean buttando giù il whisky con un sorso solo sotto gli occhi sbalorditi di Sam.
Si sedette sul divano mentre gli altri invitati si radunavano attorno a lui, come se fossero a un falò sulla spiaggia.
Cas e Sam si sedettero sul divano mentre Adam iniziò a lanciare a Dean delle occhiate molto eloquenti, con la ragazza di prima totalmente abbandonata a lui.
-Bene- iniziò Dean con la testa più leggera per via dell’alcool. –Questa non è esattamente una canzone d’amore, ma mi auguro che la conosciate tutti, altrimenti potete anche prendere la porta e andarvene-
Qualche risatina femminile si sparse per la sala. Jo si alzò e si fece spazio per posizionarsi più vicino a Dean.
-E poi- aggiunse Dean –è ottima per fare sesso, funziona sempre- continuò strizzando l’occhio ad Adam.
Contrasse le dita e poi iniziò a suonare. Non appena pizzicò le corde per comporre l’arpeggio iniziale tutti quanti sorrisero pronti a cantare.
 
“There’s a lady who’s sure all the glitter is gold
And she’s buying a stairway to Heaven
When she gets there she knows
If the stores are all closed
With a word she can get what she came for.
Ooh, ooh, and she's buying a stairway to Heaven”4
 
Le voci degli altri gli arrivavano attutite, persino quella di Sam che era accanto a lui. L’unica voce che gli arrivava dritta all’orecchio era quella di Cas, roca e un po’ stonata.
Continuò a suonare e a cantare a bassa voce, le sue dita si muovevano sinuose sulle corde mentre le parole gli uscivano dolcemente dalla bocca.
 
 
“Ooh, it makes me wonder,
Ooh, it makes me wonder.
There's a feeling I get
When I look to the west,
And my spirit is crying for leaving.
In my thoughts I have seen
Rings of smoke through the trees,
And the voices of those who stand looking”
 
Si voltò a guardare Castiel mentre le sue dita continuavano a suonare, non aveva bisogno di guardare quello che stava facendo, conosceva ogni nota, ogni accordo e ogni parola, gli vibravano dentro da sempre e in quel momento mentre guardava di nuovo Cas dritto negli occhi gli sembrò che il mondo si fermasse.
C’erano solo loro due seduti su quel divano e la canzone di sottofondo, era come essere trasportati in un’altra dimensione, avrebbe voluto baciare Cas in quel momento, lasciare la chitarra a terra e gettarsi tra le braccia di Castiel senza alcun ritegno.
-Okay la festa è finita! Sgomberare!- gridò improvvisamente Sam spezzando l’incantesimo. –Hanno telefonato quelli del piano di sotto, hanno detto che sono stati fin troppo pazienti ma se non la smettiamo subito chiameranno la polizia- spiegò sbrigativamente Sam invitando le persone ad uscire indicandogli la porta.
Alcuni ragazzi si alzarono sbuffando trascinandosi stancamente verso l’uscita dell’appartamento.
-Tornate presto- disse Charlie sarcastica mentre prendeva Dorothy per mano e spariva nella sua stanza.
Adam cercò invano di trattenere la ragazza coi capelli neri che prima era così disponibile con lui ma che adesso stava seguendo le sue amiche fuori dalla porta. –Dai Tessa! Rimani qui a dormire-
La ragazza gli rispose ridendo e dandogli un bacio sulla guancia. –Buonanotte Adam- e poi uscì dall’appartamento insieme ad un gruppetto di ragazze in età da college.
-È fuori dalla tua portata- disse Dean mettendo un braccio attorno alle spalle del più giovane. –Punta più in basso, dai retta a me- aggiunse con aria esperta.
Adam lo guardò con aria interrogativa per qualche istante prima di scuotere la testa e andarsene non prima di aver lanciato a Dean un’occhiata furtiva seguita da un sorriso.
Nel salotto c’era la confusione più totale, bicchieri di plastica sparsi ovunque, piatti con rimasugli di cibo, bottiglie vuote e Sam un po’ ubriaco che cercava di rimettere tutto a posto in un sacco nero aiutato da Castiel.
Dean si avvicinò ai due, stando attento a non calpestare il cibo a terra e soprattutto gli alcolici che si erano rovesciati.
-Credo che rimarrò qui a dormire- annunciò Sam biascicando un po’ le parole.
-Sì, credo anche io che sia meglio così- rispose Dean infilando un paio di bicchieri nel sacco della spazzatura.
Ripulirono in silenzio alla bell’e meglio asciugando gli alcolici rovesciati e cercando di togliere quanti più piatti e bicchieri possibile, finché Cas non si accorse che erano le quattro del mattino e fra poche ore si sarebbe dovuto svegliare per il suo turno alla libreria.
-Non è vero che hanno chiamato quelli del piano di sotto- disse Sam buttandosi sul divano dopo che Dean gli ebbe lanciato una coperta.
-E allora perché hai mandato via tutti?- domandò il maggiore.
-Ero stanco e poi…-
-E poi cosa?-
-Dean se non vi avessi fermati tu e Cas avreste fatto sesso sul divano davanti a tutti. Vi stavate guardando in un modo…per fortuna erano tutti ubriachi- fece Sam sghignazzando.
Dean si massaggiò la base del naso con un sospiro.
-Scommetto che adesso farete sesso- bisbigliò il più piccolo. Era decisamente ubriaco.
-Noi non…non facciamo sesso- farfugliò Dean improvvisamente a disagio. Sì, Cas gli piaceva ma l’idea di fare sesso con un altro uomo dopo quello che gli era capitato…no era ancora troppo difficile elaborare.
-Sì e io sono una principessa- rispose Sam.
-Beh lo sei, Raperonzolo- lo prese in giro Dean.
-Fottiti- rispose il minore rigirandosi sul divano cercando di trovare una posizione, cosa alquanto difficile data la sua imponente stazza.
Dean scosse la testa con un sorriso e poi se ne andò, attraversando il corridoio per dirigersi verso la sua stanza. Si sentiva veramente a pezzi, la stanchezza iniziava a farsi sentire e l’alcool aveva smesso di circolargli nel sangue da un po’, aprì la porta della camera e si gettò malamente sul letto sentendo il materasso cigolare ed abbassarsi sotto il suo peso.
Non aveva nemmeno intenzione di spogliarsi da quanto era stanco, sperava di essere troppo stanco persino per sognare, non aveva bisogno di rivedere quella scena ancora e ancora.
Chiuse gli occhi e scivolò nel sonno.
Si svegliò di soprassalto col sudore che gli appiccicava la maglietta al corpo e le lenzuola completamente aggrovigliate attorno alle gambe, il battito accelerato e il respiro affannoso.
Era successo di nuovo. Non riusciva più a dormire senza che la sua mente producesse di nuovo il ricordo di quella sera, lo riviveva così vivido che gli sembrava quasi reale e gli impediva di dormire in modo sereno.
La sveglia sul comodino segnava le sei del mattino. Fantastico aveva dormito ben due ore, che era più o meno la sua media quotidiana di sonno da quando era arrivato a New York.
Ieri sera aveva bevuto troppo poco per riuscire a collassare senza avere sogni che lo perseguitassero.
Si strofinò gli occhi con il palmo delle mani e decise di alzarsi, non avrebbe sicuramente ripreso a dormire, era impossibile. Fuori dalla finestra il cielo plumbeo prometteva una giornata di pioggia e lasciava filtrare la luce bianca dalle tende.
Si alzò alzando le braccia per stirarsi la schiena e si rese conto che il collo gli faceva malissimo per aver dormito in quella posizione terribile.
“Gesù, ho ventisei anni e me ne sento duecento” pensò mentre si infilava una felpa per contrastare il gelo maledetto che avvolgeva l’appartamento di Brooklyn di prima mattina.
Uscì dalla sua stanza e, dopo aver attraversato il corridoio, lanciò un’occhiata in salotto dove sul divano vide Sam, placidamente addormentato in una posizione che sicuramente gli avrebbe procurato un tremendo torcicollo ma non lo svegliò, almeno il suo fratellino riusciva a dormire.
Entrò in cucina dove fu accolto da un forte odore di caffè e vide Castiel, di spalle, che si stava preparando la colazione.
-Ehi- lo salutò Dean con voce roca.
-Ciao Dean- rispose l’altro girandosi. –Come mai in piedi così presto?-
-Non riuscivo più a dormire, sai cosa succede quando dormo- rispose Dean piano.
Cas si avvicinò a Dean guardandolo come faceva sempre, con quegli occhi blu che sembravano aver visto il mondo intero e non sembravano affatto appartenere a un ragazzo così giovane.
-E tu perché sei già sveglio?- domandò Dean mordendosi un labbro. Erano di nuovo da soli e lui moriva dalla voglia di baciare Cas, ma si sentiva di nuovo come paralizzato. Era quella la sensazione che si prova quando si è attratti da qualcuno?
Dean non ne aveva la più pallida idea, non gli era mai successo prima ed era una sensazione nuova.
-Non avevo sonno- rispose semplicemente Castiel alzando le spalle. –Non sono uno che dorme molto-
Dean sbadigliò in risposta pensando che invece lui avrebbe voluto dormire parecchio ed evitare di avere un perenne cerchio alla testa dato dalla stanchezza.
-E poi penso ci siano modi più saggi di occupare la notte- aggiunse Cas guardandolo.
Dean sussultò impercettibilmente. Cas stava…flirtando?
Il composto, pacato Cas stava flirtando con lui alle sei del mattino?
-Effettivamente ci sono cose più produttive del dormire- fece Dean di rimando. Ecco, l’aveva fatto. Si morse immediatamente la lingua, ma come gli veniva in mente che non riusciva nemmeno ad avvicinarsi spontaneamente a un altro ragazzo senza che quella spiacevole sensazione gli attanagliasse le viscere.
Cas appoggiò la tazza di caffè sul tavolo e si avvicinò di più a Dean, proprio come qualche sera fa e come ieri sera mentre Dean suonava. Sapeva che quel momento aveva significato qualcosa, non sapeva esattamente cosa però.
-Non devi andare a lavorare?- chiese deglutendo.
-Inizio alle dieci- rispose Cas facendo un altro passo in avanti e alzando i suoi incredibili occhi blu verso il viso di Dean.
Dean sfiorò istintivamente le labbra dell’altro con le sue e Cas gli gettò le braccia al collo attirandolo più vicino e alzandosi leggermente sulle punte dei piedi per colmare la differenza di altezza che li separava.
Dean gli mise le braccia intorno alla vita per sentirlo più vicino, di nuovo il calore dei loro corpi stretti assieme, di nuovo vicini, in quella cucina deserta alle prime luci del mattino mentre il silenzio li avvolgeva e una debole luce filtrava dalle finestre.
Cas lo prese per mano e Dean si lasciò docilmente guidare verso la camera da letto, la testa leggera e il cuore a mille che gli batteva contro lo sterno e gli rimbombava nelle orecchie.
Ripresero a baciarsi ma stavolta c’era di più, una sorta di urgenza che li teneva insieme, stretti l’uno all’altro come se avessero paura di perdersi, finirono sul letto sfatto di Castiel in un groviglio di braccia, gambe e coperte.
Dean era sdraiato sulla schiena e sentiva su di sé il calore del corpo di Cas che quasi lo bruciava, la sua lingua calda nella bocca.
Il bacino di Cas sfiorò il suo e Dean sentì il basso ventre andargli totalmente in fiamme e i suoi fianchi scattarono istintivamente in avanti per cercare più contatto.
Dio, era bellissimo. Affondò le mani nei capelli spettinati di Cas e un gemito gli sfuggì dalle labbra non appena Cas gli fece scivolare la mano lungo il petto e la portò in mezzo alle gambe.
Gemette di nuovo quando la mano di Cas iniziò a muoversi sempre più rapidamente poi però sobbalzò mentre l’ansia risaliva dal basso ventre fino al petto. Prese la mano di Castiel e la scostò.
-Cas…- ansimò. –Cas fermati io…non ce la faccio-
L’altro si tirò su a sedere e guardò Dean con una strana espressione sul viso. –Che succede Dean?-
Dean non sapeva come spiegarsi. Come poteva dirgli quanto desiderasse tutto ciò ma non appena Cas l’aveva toccato aveva sentito di nuovo in bocca il sapore metallico del suo stesso sangue e si era visto di nuovo per terra pieno di lividi.
-Io non…non ce la faccio adesso. Mio padre…-balbettò gesticolando con le mani.
-Ehi, ehi, calmati- fece Cas appoggiandogli una mano sulla spalla e stringendo delicatamente. –Tuo padre non è qui Dean-
-Lo so- rispose lui –ma ogni volta continuo a vederlo. È…orribile-
Cas sospirò e poi si sedette accanto a Dean cingendogli le spalle con un braccio. Dean posò la testa sulla sua spalla.
-Scusami- mormorò.
-Non ti devi scusare di nulla, non è colpa tua-
Dean si strinse di più a Castiel.
-Non c’è nessuna fretta Dean. Possiamo prenderla con calma- disse con dolcezza.
-Okay- rispose Dean chiudendo gli occhi. Per il momento si disse che andava bene così, non sapeva bene cosa si stesse costruendo fra lui e Cas e non aveva intenzione di starci troppo a pensare, Cas sembrava essere così buono e paziente…
-Dovresti provare a dormire di nuovo- suggerì Cas –io andrò al lavoro e ci vedremo per pranzo okay?-
Dean annuì e poi si lasciò andare, sdraiandosi sul letto di Cas e stiracchiandosi cercando di trovare una posizione.
-Sei adorabile- commentò Castiel guardandolo.
-Mmmmf- bofonchiò Dean con la faccia parzialmente seppellita nel cuscino. Si sentiva le palpebre pesanti adesso, forse Cas aveva ragione, doveva provare a dormire.
-Ci vediamo dopo- disse Castiel prima che Dean chiudesse gli occhi e cadesse completamente tra le braccia di Morfeo.
Si svegliò per colpa di un tuono che fece tremare i vetri delle finestre e che spezzò il suo ennesimo incubo. Si tirò su a sedere e controllò l’ora sull’orologio. Era quasi mezzogiorno.
Da fuori la camera di Cas gli arrivava la voce attutita di Sam che stava discutendo animatamente con i suoi altri due coinquilini. Scivolò fuori dalle coperte e si rese conto di essere nella stanza di Cas.
Cas. Un sorriso spuntò sul suo viso nonostante la giornata uggiosa che si prospettava fuori dalla finestra.
Con uno sbadiglio si alzò e tornò in cucina dove trovò Sam, Adam e Charlie attorno ai fornelli.
-Ma come fai anche lontanamente a compararli!- stava dicendo Sam mentre gesticolava animatamente con le mani. –Non puoi mettere a confronto Luke Skywalker5 e il Capitano Kirk6-  continuò rivolgendosi a Charlie.
-Potete smetterla di fare i nerd e aiutarmi!- sbottò Adam.
-Buongiorno- li salutò Dean prendendo una sedia facendola strusciare rumorosamente contro il pavimento già rovinato.
-Ah ciao Dean. Cas mi ha detto di darti questo- disse Sam porgendogli un foglietto. Sopra, nella grafia elegante e precisa di Castiel, c’era scritto un indirizzo, probabilmente quello della libreria dove lavorava.
Dean prese il foglietto e lo ripiegò, poi fece per alzarsi e andarsi a cambiare per uscire quando Charlie lo fermò mettendogli una mano sul braccio.
-Tu e Cas sembrate andare molto d’accordo- disse la ragazza con un sorriso sincero.
-Sì lui è…è okay- rispose Dean impacciato.
-Beh se non altro adesso sappiamo almeno che è vivo- fece Adam mescolando qualcosa in una pentola sui fornelli che iniziava a emanare un preoccupante odore di bruciato. –Prima era un miracolo se ci rivolgeva la parola-
-Magari Dean gli piace di più- insinuò Sam con un sorrisino. Dean lo fulminò con lo sguardo e poi uscì dalla cucina seguito di passi pesanti del fratello minore.
-Loro non lo sanno- sibilò Dean chiudendosi la porta della stanza alle spalle.
-Sì come no- replicò Sam.
-No- disse Dean con una nota di durezza nella voce. –E vorrei che continuassero a non saperlo per ora-
-E perché?-
-Perché sono fatti miei- tagliò corto il maggiore ficcando la testa nell’armadio alla ricerca di una maglietta.
-Sì ma avete un appuntamento- continuò Sam.
-Non è un appuntamento e giuro che se non la smetti ti spacco il naso- rispose Dean riemergendo dal guardaroba con in mano una maglietta nera e una spessa camicia verde militare.
-Come vuoi tu-
Sam alzò le mani in segno di resa guardando di sottecchi il fratello.
-Prima o poi dovrai dirglielo Dean-
-Lo so- sospirò il più grande. –Ma ho troppi pensieri per la testa per poter badare anche a questo-
-Papà?-
Il corpo di Dean si irrigidì istintivamente. –Sam…-iniziò.
-Scusa. In ogni caso, credo che a Cas tu piaccia più di quanto voglia far vedere-
Dean sorrise e poi aspettò che Sam uscisse prima di vestirsi.
 
Pioveva davvero forte quando si mise al volante, i tergicristalli grattavano contro il vetro dell’Impala e la pioggia tamburellava costante sul tetto dell’automobile mentre dalla radio accesa proveniva un pezzo degli Aerosmith.
La libreria dove lavorava Cas era in fondo a una piccola strada in centro. Era un edificio di piccole dimensioni ma il suo colore rosso acceso contrastava col grigiore del cielo di febbraio.
Parcheggiò l’auto e si guardò intorno. Era in un quartiere che non si sarebbe mai aspettato di vedere a New York, non c’erano grattacieli ma piccoli edifici colorati e strade strette.
Gli piaceva, era diverso dalla New York che aveva visto lui, tutta cemento e grattacieli d’acciaio, quel posto era più simile a ciò che era abituato, a una sorta di piccolo paese in campagna.
Si portò la giacca di pelle sopra la testa per ripararsi dalla pioggia ed entrò nella libreria.
Era un locale davvero minuscolo, stracolmo di libri che sembravano per la maggior parte molto vecchi e un po’ sciupati, c’era odore di chiuso e i suoi passi rimbombarono quando s’incamminò verso il bancone di legno.
-Ciao Dean-
La voce di Cas lo fece voltare di scatto. –Ciao Cas- rispose un po’ impacciato.
-Se aspetti dieci minuti finisco il turno anche se…-
Fece un gesto con la mano indicando il locale vuoto. –Non viene quasi mai nessuno qui, i testi antichi non attirano granché. I nostri clienti sono per lo più studenti o collezionisti- spiegò Castiel passandosi una mano tra i capelli neri.
-Dove vuoi andare a pranzo- domandò Dean.
-Dove vuoi- rispose l’altro alzando le spalle e accennando un sorriso, poi si avvicinò e gli lasciò un bacio fugace sulle labbra. –Ci sono dei vantaggi a non avere clienti, oltre a riuscire a studiare-
Dean gli rivolse il suo sorriso un po’ sghembo e poi aspettò che Cas prendesse il suo malandato trench beige dall’attaccapanni vicino alla porta.
Il ragazzo chiuse a chiave la libreria e lasciò le chiavi sotto il vaso accanto all’entrata dove un’agonizzante pianta stava per esalare i suoi ultimi respiri.
I due salirono nell’Impala di Dean. –Okay, ho un’idea- disse il biondo accendendo il motore.
Guidò in silenzio mentre ascoltava Cas raccontargli della sua giornata e del suo capo, il signor Beckett, che ormai era talmente vecchio da non mettere nemmeno più piede in libreria e aveva accennato di volergliela lasciare.
-E tu la prenderai?- domandò Dean.
-Nah io vorrei fare lo scrittore, oppure l’insegnante. Non è che con una laurea in letteratura possa fare molto- rispose Castiel guardando le gocce di pioggia che si infrangevano contro il vetro del finestrino.
-I tuoi genitori dovrebbero essere orgogliosi di te- disse improvvisamente Dean.
Castiel lo guardò con aria interrogativa.
-Beh sei qui a New York da solo, hai trovato un lavoro e hai una borsa di studio all’università. Io non ne so molto ma so che la danno a quelli intelligenti perché anche Sam la ha. Solo perché non sei diventato un medico i tuoi genitori non dovrebbero disprezzarti-
-Non mi disprezzano. È solo che avrebbero preferito altro per me e me lo rimarcavano continuamente, è per quello che me ne sono andato. Ero stanco di sentire le loro lamentele ogni giorno della mia vita, e poi almeno ho visto un po’ di posti- fece Castiel con una scrollata di spalle.
Dean lo guardò affascinato, lui non aveva visto molto del mondo, anzi, non aveva visto niente. Era sempre stato a Lawrence, Kansas, e gli era sempre andato bene così.
-Dove sei stato?- chiese con curiosità.
-Io sono di Miami- iniziò Cas –quindi avevo bisogno di un luogo simile inizialmente, così sono andato a Los Angeles da mio fratello Gabriel-
-Tuo fratello sta a Los Angeles?-
-Sì lui lavora nel cinema e anche lui come me se n’è andato di casa. La famiglia Novak tiene alle tradizioni e né io né Gabriel le abbiamo rispettate-
“Beh” pensò Dean “nemmeno io le ho rispettate…”
-Sono stato un paio di mesi a Los Angeles poi mi sono spostato a Sacramento, sono andato a Seattle, poi a Portland, Baltimora e poi sono finito qui. Ho fatto veramente di tutto per mantenermi- gli raccontò.
-Wow, io mi chiamo come lui ma tu sei proprio come Dean Moriarty!7- esclamò Dean.
Castiel lo guardò stupito.
-Che c’è? Ogni tanto leggo anche io. Non sempre, ma qualche volta lo faccio- rise Dean voltandosi a guardare Castiel per qualche secondo.
-Beh allora un giorno potremmo fare come loro. Tu sarai Dean, per ovvie ragioni, e io Sal8. Gireremo l’America sulla tua Impala e vivremo alla giornata- disse Castiel.
Stava sorridendo davvero adesso, un sorriso aperto e sincero che colpì Dean direttamente al centro del petto.
-Sì- rispose. –Sì, mi piacerebbe-
 
 
Spazio autrice: ehilà! Eccomi qui con un nuovo capitolo, vorrei aggiornare più frequentemente ma con l’università e lo studio mi trovo sempre stracolma di cose da fare e non ho mai tempo L.
Comunque, spero che questo capitolo vi piaccia, se vi va fatemi sapere che ne pensate con una piccola recensione, mi farebbe molto piacere.
Un abbraccio!

1Brano dei The Who del 1969
2Chitarrista ed ex membro dei Deep Purple
3Si riferisce alla canzone Girls Just Wanna Have Fun di Cindy Lauper
4Serve davvero la nota? Va beh, brano dei Led Zeppelin del 1971
5Personaggio protagonista di Star Wars
6Personaggio di Star Trek

7Personaggi di On The Road di Jack Kerouac

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Gimme Shelter ***


Capitolo 9: Gimme Shelter1
 
New York, New York, marzo 1989

 
Febbraio si era tramutato in marzo senza che Dean se ne accorgesse, faceva ancora freddo e l’aria era sempre pungente ma timidi spiragli di sole iniziavano a farsi sempre più spazio nella coltre di nubi.
Le cose con Cas erano diventate così facili da quel giorno in cui avevano pranzato insieme nell’auto di Dean con un hamburger comprato a un chiosco, mentre fuori diluviava.
Quei loro incontri si erano fatti sempre più frequenti e sempre più spesso scivolavano l’uno in camera dell’altro quando gli altri non guardavano e stavano ore e ore a parlare, abbracciati, tra le lenzuola.
Dean non aveva ancora detto nulla agli altri e a Cas sembrava andare bene quella loro strana condizione. Non erano più coinquilini, non erano più amici se mai lo erano stati e non sapeva se fossero amanti.
Cas non lo pressava per il sesso, era semplicemente così gentile e paziente e sembrava non importargli di quanto Dean fosse incasinato, delle volte in cui si svegliava nel cuore della notte ansante e sudato per un incubo che aveva avuto e tutte le altre cose che Dean detestava di sé.
Avevano parlato di tutto, Dean aveva voluto sapere di tutti i luoghi che Cas aveva visto prima di arrivare a New York, voleva soprattutto però che Cas gli parlasse di Miami, la sua città natale, delle spiagge bianche e del mare che lui non aveva mai visto, almeno finché non era arrivato a NY, ma lui sognava quello della Florida adesso.
-Beh un giorno ti ci porterò- aveva detto Cas ridendo.
-È lunga arrivare fino in Florida- aveva risposto Dean stiracchiandosi sul letto e allungandosi per prendere la birra lasciata aperta sul comodino.
-No, sono circa quattro ore di volo-
-Io non volo- era rabbrividito Dean. Non era mai salito su un aereo in vita sua e non aveva intenzione di farlo, quegli affari volanti gli mettevano una paura fottuta al solo pensiero. –Non poggerò mai il mio culo su uno di quei cosi, scordatelo-
-Dean Winchester ha paura di volare- lo aveva preso in giro Castiel.
-Hai idea di quanto sia pericoloso? Potremmo schiantarci-
-Sai che è più probabile morire per un incidente d’auto che per un incidente aereo?-
-Non m’interessa, io su quei cosi non ci salgo-
Cas aveva riso e si erano baciati di nuovo rotolandosi nelle coperte. Per una volta le cose sembravano andare così bene che Dean aveva paura che fosse un sogno e ogni tanto si dava un pizzicotto sul braccio per accertarsi che fosse vero.
-Non ti mancano mai?- domandò Dean quella mattina. Avevano dormito assieme di nuovo e si erano svegliati presto, Dean sarebbe dovuto andare in officina da Bobby di lì a poco ma restare sdraiato con Cas al caldo delle coperte gli sembrava una prospettiva decisamente migliore.
-Chi?- chiese Castiel girandosi su un fianco per guardare meglio Dean. Il sole che filtrava dalla finestra rendeva i suoi capelli come oro e gli occhi verdi erano ancora più limpidi e chiari.
-La tua famiglia- rispose Dean arrotolandosi ancora di più nelle coperte.
-A volte, ma cerco di non pensarci. È anche per colpa loro se me ne sono andato. Più che altro mi manca la mia vecchia vita- disse Cas passandosi una mano tra i capelli. –E a te?-
Dean si morse un labbro. Certo che gli mancava il Kansas, gli mancava la collina verde quando il sole tramontava e lui era lassù in cima e guardava la sua casa da lontano, gli mancavano i prati verdi, i campi di girasoli e di granturco che d’estate diventava una distesa dorata, gli mancava il cielo pieno di stelle, la sua grande casa bianca con il granaio e la stalla, gli mancava quando d’inverno tutto si ricopriva di neve.
Gli mancavano le notti silenziose senza le macchine che correvano lungo la strada, gli mancava sedersi in veranda le sere d’estate, con Sammy e una birra, mentre aspettavano Benny e Garth.
Quella era la vita che aveva sempre conosciuto e che gli era stata brutalmente strappata via dalle mani. Anzi, lui stesso se l’era fatta strappare via dalle mani, aveva combinato un disastro, come sempre.
-No. Sam è qui e questo mi basta- tagliò corto Dean.
-Neppure i tuoi amici?- continuò Cas.
Sì, sì che sentiva la mancanza dei suoi amici, erano cresciuti insieme diamine, si conoscevano da quando avevano sei anni e adesso chissà cosa pensavano di lui. Era andato via e non li aveva neppure richiamati, perché poi, visto che loro, come tutti gli altri, sapevano che lavorava in Ohio.
Di cosa aveva paura? Che potessero scoprire la verità solo sentendolo parlare? O che lui stesso sarebbe crollato non appena avesse sentito la voce dei suoi amici?
In fondo era stato Benny a dirgli di prendere in mano la sua vita e farne ciò che voleva, alla fine aveva solo seguito il suo consiglio, alla lettera.
-Forse un po’- sospirò infine Dean avvicinandosi fino a sentire il calore del corpo di Cas sul suo.
-Dovresti telefonargli- suggerì Cas passando un braccio attorno alla vita di Dean portandoselo più vicino.
Il ragazzo si irrigidì tra le braccia dell’altro poi strofinò la guancia contro quella di Cas, sentendo l’accenno di barba ruvida che gli grattava la pelle.
-Possiamo lasciare la mia vita precedente fuori di qui e concentrarci su quella di adesso?- replicò Dean con una punta di durezza nella voce ancora arrochita dalla notte appena trascorsa.
Cas non rispose, limitandosi a gemere non appena sentì la voce di Adam provenire dalla cucina. –Gesù, ma non gli si scaricano mai le batterie?-
-A quanto pare no- sbuffò Dean alzandosi, doveva andare al lavoro e Cas a lezione, il loro momento mattutino stava finendo.
 
“No one know what is like
To be the bad man
To be the sad man
Behind blue eyes”2
 
Canticchiò Dean guardando Cas dritto negli occhi.
-Dovresti cantare più spesso- disse Castiel accarezzandogli i capelli –hai una bella voce-
Dean arrossì leggermente e poi si alzò per tornare nella sua stanza e cercare qualcosa da mettersi addosso prima di andare a imbrattarsi dalla testa ai piedi di olio per motore. Aprì la porta e sbirciò in corridoio.
-Prima o poi dovrai dirglielo, se non se ne sono già accorti, viviamo nella stessa casa- fece Cas tirandosi su a sedere e appoggiandosi contro la testiera del letto.
-Forse- rispose Dean prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle e scivolare silenziosamente nella sua stanza.
Gli costava ammetterlo ma Cas aveva ragione, non poteva continuare a tacere e sapeva benissimo quanto fosse da stupidi comportarsi a quel modo ma si era costruito il suo personale muro di sicurezza e non aveva intenzione di buttarlo giù.
Si vestì e poi si diresse in officina da Bobby, pensando alle parole di Cas. Forse aveva ragione, avrebbe dovuto telefonare a Benny o a Garth, erano suoi amici in fondo, i suoi migliori amici, avevano il diritto di sapere. O forse no.
-Ragazzo, sveglia!- lo rimproverò Bobby dandogli uno scappellotto sulla testa.
Dean si rese conto che stava fissando il motore dell’auto senza fare assolutamente nulla da almeno cinque minuti.
-A che pensi?- gli chiese l’uomo guardandolo un po’ storto.
-Eh? A niente…-rispose distrattamente Dean riprendendo a lavorare mentre Mick Jagger diceva di voler dipingere tutto di nero3.
-Mmmm ragazzo, non mentirmi- disse Bobby rivolgendogli uno sguardo paterno.
-No davvero, non sto pensando a nessu…a nulla- s’impappinò il ragazzo infilandosi nel cofano dell’auto sperando che Bobby non lo avesse visto arrossire.
-Ah!- esclamò l’uomo con un sorriso divertito. –Allora, chi è la fortunata?- domandò poi strizzandogli un occhio.
-Nessuna- rispose Dean continuando a rimanere con la testa infilata nel cofano dell’auto. Ma perché Bobby gli stava facendo tutte quelle domande? Stava iniziando a sudare freddo e voleva solo essere lasciato in pace.
-Yo Dean-o!- lo chiamò d’un tratto al voce di Cole, l’altro ragazzo che lavorava lì. –Ti stanno cercando-
Dean si pulì le mani con uno straccio logoro e uscì dal retro evitando accuratamente lo sguardo allegro di Bobby. Appena fu fuori nel freddo sole di marzo si trovò davanti la figura di Jo Harvelle che lo squadrò dalla testa ai piedi con aria critica.
-Ciao Jo- la salutò lui.
-Che fai stasera?- domandò invece lei.
-Ehm Jo, io non…-
-Non farti strane idee Winchester, sei sexy ma non sei l’unico uomo di New York e so riconoscere quando uno non è interessato- replicò seccamente la ragazza.
Dean rimase spiazzato qualche istante. –Allora che ci fai qui?-
-Il gruppo che doveva suonare stasera alla Roadhouse ci ha dato buca e mia madre non sa dove sbattere la testa quindi ho pensato che magari tu potevi sostituirli-
-Io?- fece Dean sgranando gli occhi e puntandosi l’indice al petto come a voler sottolineare il concetto.
-Sì tu. Ti ho sentito suonare e non sei male. In più non riuscirei mai a trovare un altro gruppo che venga con così poco preavviso- rispose lei incrociando le braccia al petto e fissando Dean con aria di sfida. –Ti paghiamo- aggiunse.
-No- fece lui subito. –Cioè sì lo farò ma non serve che mi paghiate. Io…uhm, credo di dovere un favore a tua madre-
-Credi bene. Allora stasera alle nove, non fare tardi-
La ragazza girò i tacchi e se ne andò lasciando Dean fermo nel piccolo piazzale davanti all’officina. Non aveva mai suonato per così tanta gente, il suo massimo era stato il mese prima a quel festino improvvisato all’appartamento di Brooklyn, certo la Roadhouse non era una sala da concerti ma non ci sarebbero state quindici persone.
-Jo Harvelle?-
La voce di Bobby lo fece sussultare. –No no! È solo venuta a chiedermi un favore, per Ellen- si giustificò il ragazzo.
-Tengo molto a quella ragazza, sta’ attento- lo ammonì Bobby.
-Bobby, ti giuro su Sam che non c’è niente tra me e Jo, né ora né mai. Non è proprio il mio tipo-
L’uomo gli lanciò un’occhiata di fuoco e poi si voltò intimandogli di tornare a lavorare.
-Beh è carina- disse Cole non appena Dean tornò dentro.
-Che cosa?-
-La ragazza fuori. È carina- ripeté Cole cambiando la stazione della radio.
-Mmmm- mugugnò Dean rimettendosi a trafficare dentro il cofano di quella vecchia Ford. Non capiva perché il proprietario fosse così ostinato a volerla tenere, era la quarta volta che gliela portava a riparare e ogni volta era sempre peggio.
Anche Baby aveva i suoi anni ma Dean si impegnava al massimo per tenerla sempre sulla cresta dell’onda, quella maledetta Ford invece era un rudere ambulante, si chiese se avesse ancora il permesso di circolare.
-Ehi Dean-o, non ci voglio provare con la tua ragazza, sta’ tranquillo- continuò Cole.
-Jo non è la mia ragazza! Non c’è niente tra noi okay?- esclamò Dean esasperato-
Cole alzò le mani in segno di resa e riprese a lavorare canticchiando un motivetto a caso.
-E togli questa merda dalla radio- sbottò Dean cambiando nuovamente stazione per risintonizzarla su quella di prima, dove adesso stavano trasmettendo un pezzo dei Creedence Clearwater Revival.
 
“Some folks are born made to wave the flag
They're red, white and blue
And when the band plays "Hail to the Chief"
They point the cannon at you, Lord”4
 
Dean cominciò a cantare la canzone muovendo la testa a ritmo mentre chiudeva il cofano dell’auto e si puliva le mani con lo stesso straccio logoro e sporco di prima.
 
“It ain't me, it ain't me
I ain't no senator's son, son
It ain't me, it ain't me
I ain't no fortunate one”
 
Concordava con John Fogerty5, non si sentiva affatto fortunato, o almeno fino ad adesso. Forse ultimamente c’era uno spiraglio di sole nella sua vita ma Dean aveva imparato a non adagiarsi troppo sugli allori, anche se Cas era decisamente uno spiraglio di sole.
 
 
Quando rientrò in casa fu accolto da una Charlie parecchio scocciata e un Adam disperato, stravaccato sul divano con un’aria da cane bastonato e gli occhi lucidi.
-Non ne posso più- bisbigliò Charlie quando Dean entrò in casa. -È da due ore che mi tormenta! Fa’ qualcosa!-
-Che succede?-
-Tessa mi ha scaricato- intervenne Adam tirando su col naso.
-Beh non mi sorprende visto che sei una piaga!- esclamò Charlie. Adam incrociò le braccia al petto e guardò Dean con occhi tristi e il suo istinto da fratello maggiore prevalse.
-Ehi ragazzino, non preoccuparti, raccontami tutto-
Charlie sbuffò borbottando qualcosa di incomprensibile, poi afferrò i suoi libri e se ne andò in camera sua.
-Sono cose che succedono- continuò Dean sedendosi accanto ad Adam sul divano. –Non sempre si può stare con chi vogliamo-
I suoi pensieri corsero immediatamente a Cas. New York di certo era meglio del Kansas e qualche volta gli era capitato di vedere coppie dello stesso sesso girare assieme per le strade della città, ma aveva visto anche la parte peggiore, perché gli insulti e le notizie al telegiornale erano sempre uguali, anche a New York.
-Sì ma io credevo di piacerle- replicò Adam.
-Dovrai fartene una ragione, succede a tutti di non venire ricambiati. È successo anche a me-
-E tu come lo superi?- chiese il più giovane.
-Whiskey! E un po’ di canzoni tristi- rispose Dean alzandosi e andando in cucina dove versò una generosa quantità di whiskey per sé e per Adam. –Stasera datti malato e vieni alla Roadhouse, suonerò un sacco di canzoni tristi e ci sarà anche un sacco di whiskey- continuò porgendo il bicchiere all’altro ragazzo. –Butta giù, tutto d’un fiato- gli consigliò poi Dean.
La porta dell’appartamento si spalancò e Dean vide Castiel entrare. Il ragazzo gli rivolse un sorriso mentre si toglieva l’impermeabile e si avvicinava.
-A che si brinda?- domandò con voce stanca.
-Adam è di nuovo un uomo libero- rispose Dean facendo l’occhiolino. –E stasera suono alla Roadhouse. Se ti va- concluse con un leggero imbarazzo nella voce.
Cas annuì sorridendo poi si avvicinò ad Adam. –Te ne farai una ragione- gli disse con semplicità.
Adam sbuffò. –Sì ma adesso fa schifo-
I due si guardarono, probabilmente vista da fuori quella scena era molto divertente, come se fossero due genitori alle prese con la prima delusione amorosa del figlio. Dean rabbrividì inconsciamente, stava dando dei consigli ad Adam, lui, che non sapeva nemmeno come consigliare sé stesso.
-Beh è normale, sei stato appena lasciato, ma hai solo diciannove anni, ne troverai un’altra- aggiunse Cas con tono filosofico. –Non preoccuparti troppo- disse infine, poi alzò le spalle e se ne andò.
Dean e Adam rimasero ancora qualche minuto a parlare e a bere whiskey, finché il più giovane non sembrò più sereno e rilassato, allora si alzò e, accertandosi che Adam non lo stesse guardando, entrò in camera di Cas.
-Ehi- disse piano osservando Castiel seduto sul letto e circondato da una miriade di fogli.
-Ah, sei qui. Come sta Adam?-
-Meglio, abbiamo bevuto un po’, l’alcool fa miracoli-
-Sì ma non esagerare-
-Okay mamma-
Cas sollevò gli occhi su di lui accennando un sorriso e Dean si sedette sul letto appoggiandogli la testa sulla spalla, chiuse gli occhi per qualche istante e strofinò la guancia contro la stoffa della camicia che ricopriva la spalla dell’altro.
-Devo farmi una doccia- mugugnò.
Cas non rispose, continuando a leggere i suoi appunti mentre Dean da sopra la sua spalla li sbirciava. –Bright Star di John Keats- lesse.
-È un sonetto d’amore- spiegò Cas. –Scritto dal poeta per la sua amata, Fanny Brawne- continuò.
-Sembra bella- commentò Dean continuando a leggere. –Comporresti un sonetto per me?- chiese poi ridendo.
-Vorrebbe dire dichiarare a tutti la verità, saresti pronto?-
Dean si irrigidì. Non era pronto né per dire la verità né per quella conversazione e non capiva perché Cas avesse lanciato quella frecciatina, Gesù era solo una cosa buttata lì tanto per dire.
-Cas io non sono come te- disse pentendosene immediatamente.
-E cioè? Come sarei io?- chiese l’altro voltandosi a guardarlo, il foglio con la poesia di Keats ancora stretto tra le mani.
-Tu sei…diverso. Non t’importa di quello che la gente pensa di te, vivi la tua vita così tranquillamente. Io…non ci riesco, dopo quello che mi è successo non…non ce la faccio- buttò fuori tutto d’un fiato.
-Dean io capisco quello che vuoi dire, quello che hai visto e che ti è stato fatto è orribile, ma non puoi continuare a nasconderti per sempre, da chi poi? I tuoi genitori non sono qui e le persone da cui sei circondato adesso non ti farebbero niente di male, fidati, lo so. È il coraggio che ti manca-
Dean non rispose, si limitò ad alzarsi e ad andarsene, chiudendosi in bagno mentre le parole di Cas iniziavano a girargli in testa. Non poteva dirgli così, lui non sapeva come si sentiva ogni giorno, era come essere costantemente sotto esame, però aveva ragione, adesso era al sicuro, quella casa, quelle persone…dovevano essere un rifugio, non qualcosa da cui scappare.
E poi dopo quella conversazione iniziò ad avere paura di perdere Cas, forse gli aveva detto così perché si era stancato del continuo sgattaiolare di Dean, le occhiate furtive, l’attenzione a non farsi scoprire.
Uscì dalla doccia con un sospiro e si avvolse l’asciugamano bianco attorno alla vita rabbrividendo leggermente mentre le gocce d’acqua iniziavano ad asciugarsi sul suo corpo.
Aveva ancora un paio d’ore prima di dover andare alla Roadhouse e decise che le avrebbe impiegate per decidere quali pezzi suonare, così si sedette alla scrivania malconcia che aveva in camera, prese un foglio e una penna mentre la sua mente iniziava a vagare tra i meandri del rock classico.
 
 
Il locale era pieno, o almeno così sembrava a Dean che in quel momento stava avendo il suo personalissimo momento di crisi nel retro del locale mentre malediceva mentalmente Jo per avergli fatto quella proposta e il proprio perenne sentirsi in debito per aver accettato.
-Dean, che ti succede?-
La voce di Ellen lo riportò sulla terra. –Ah…non ho mai suonato davanti a così tante persone…non sono abituato- borbottò vergognandosi un po’.
-Nessuno è qui per giudicarti Dean, tra un’ora saranno tutti ubriachi e non si accorgeranno neppure che sei lì sopra-
-Mmmmm grazie?- fece lui rivolgendo alla donna una specie di sorriso. In cuor suo sapeva che non era solo la sala piena di persone a turbarlo, ma non voleva darlo troppo a vedere.
-C’è qualcos’altro che ti tormenta ragazzo?- gli domandò Ellen squadrandolo da capo a piedi con le mani sui fianchi e un’aria materna.
-No- mentì Dean. Quello era uno dei motivi perché non aveva più messo piede da Jo ed Ellen, quella donna avrebbe capito subito e gli avrebbe fatto troppe domande a cui lui non sarebbe riuscito a rispondere.
-Dean, ascoltami ragazzo, c’è qualcosa che non vuoi dirmi, lo so. Io non so il motivo preciso per cui sei arrivato fin qui e non so neanche se lo voglio sapere, ho visto parecchi ragazzi soffrire di nascosto come fai tu e l’unica cosa che posso dirti è che non porta a niente di buono. Se c’è qualcosa che ti turba, che ti fa stare male, non puoi continuare a tenerlo dentro per sempre, trova qualcuno di cui ti fidi e parlaci. La conversazione è importante Dean-
Ma perché tutti si erano messi in testa di dargli dei consigli ultimamente? Perché volevano gestire la sua vita?
-Ellen, non è quello che pensi tu- disse infine. E questa era la cosa più vicina ad una confessione che si sentiva in grado di fare in quel momento. Poi afferrò la sua chitarra e uscì sul piccolo palchetto, il fatto che le persone in sala stessero chiacchierando tra di loro contribuì a farlo rilassare un po’, assieme ai tre gin tonic che aveva buttato giù prima di salire.
Sì avvicinò alla sedia e ci si lasciò cadere pesantemente, nessuno sembrava prestargli attenzione, tranne Jo che gli fece l’occhiolino da dietro il bancone e Sam, in mezzo alla folla, impegnato a servire ai tavoli, che alzò il pollice con un sorriso.
Se avessero continuato a ignorarlo e l’avessero semplicemente considerato come un sottofondo gli sarebbe andato benissimo, ma non appena iniziò a suonare qualche sguardo si alzò verso di lui e Dean pensò che aveva bisogno di un altro paio di drink. O venti magari.
Sentiva la chitarra scivolargli tra le dita mentre suonava e cantava cercando di non guardare il locale che si stava riempiendo sempre di più, intravide la testa rossa di Charlie assieme a quella bionda di Adam.
Non appena passò da Mr Tambourine Man6 a Refugee7 i suoi occhi intercettarono un trench beige e due occhi blu. Immediatamente sentì la gola seccarsi e la salivazione in bocca gli si azzerò completamente.
Cas si sedette vicino a Charlie ed Adam sempre con lo sguardo fisso verso di lui. Dean pensò che non era ancora abbastanza ubriaco per quello, così si avvicinò al microfono per scusarsi della piccola pausa che si stava per prendere e scese con le gambe che gli tremavano un po’.
-Jo, un Jack e Cola, con molto Jack e poca Cola-
-Dean- lo interruppe una voce dietro di lui. Cas si avvicinò mettendogli una mano sulla spalla. –Devo parlarti-
Dean lo seguì con un sospiro rassegnato sotto lo sguardo interrogativo di Jo.
-Pensavo che non venissi- disse Dean non appena furono fuori, sul retro del locale. Faceva freddo e Dean vide il suo respiro condensarsi in una nuvoletta davanti al suo naso.
-Ero tentato, però dovevo parlare con te-
Una sensazione spiacevole si aggrappò alle viscere di Dean. –Okay, spara-
-Dean, quello che c’è tra di noi…che cos’è?- domandò Castiel guardandolo. Aveva parlato in tono neutro ma Dean vide la preoccupazione farsi strada dietro i suoi occhi blu, che nel buio della notte sembravano quasi neri.
-Non lo so- rispose sinceramente lui. –Merda, Cas…tu mi piaci, però…-
Ma perché era così difficile?
-Anche tu mi piaci Dean, molto, ed è questo che mi preoccupa. Quello che sto vivendo con te in così poco tempo non l’ho mai vissuto con nessuno e mi preoccupa, perché io voglio vivere con tranquillità-
Dean sentì il respiro mozzarsi. Avrebbe voluto dirgli che anche lui si sentiva trascinato allo stesso modo, è vero era così poco che era iniziata quella loro strana relazione ma quello che sentiva era così forte.
-Dean, se non te la senti possiamo smettere anche adesso-
-No, non voglio questo. Io…-
Le parole continuavano a non uscire. –Cas io…io vorrei essere come te ma non ci riesco. Dirlo a Sam è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto in vita mia, e poi il pensiero di mio padre mi perseguita, ogni volta che siamo vicini io vedo la sua faccia, non riesco a dormire perché…ti prego non…- sentì la propria voce spezzarsi e in un attimo era tra le braccia di Cas in quel vicolo buio e freddo.
Dean si aggrappò all’altro come se ne valesse della sua vita, chiudendo gli occhi e sentendo il calore del corpo di Cas contro il suo. Perché non poteva rimanere così per sempre? Sarebbe stato tutto più semplice.
-Mi dispiace Cas- sussurrò. –Mi dispiace-.


1Brano dei Rolling Stones del 1969
2Brano dei The Who del 1971
3Fa riferimento al brano dei Rolling Stones, Paint It Black
4Brano dei Creedence Clearwater Revival del 1969
5Cantante dei Creedence Clearwater Revival
6Brano di Bob Dylan del 1964
7Brano di Tom Petty del 1979

Spazio autrice: ehilà, salve a tutt*! Come state? Scusate l'attesa ma l'università mi sta uccidendo. Questo capitolo non mi soddisfa appieno ma prometto che i prossimi saranno migliori, giurin giurello.
Come al solito, grazie a tutt* quell* che mi recensiscono e mi seguono, baci e a presto (si spera)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Happiness Is A Warm Gun ***


Capitolo 10: Happines Is A Warm Gun1
 
New York, New York, aprile 1989

 
Erano passate due settimane da quella serata che per Dean era stata disastrosa, sotto ogni punto di vista. Quando era tornato a casa con Cas ognuno si era ritirato nella propria stanza, senza dire nulla e Dean si era sentito un po’ morire e nei giorni successivi non c’era più stato lo scivolare l’uno in camera dell’altro, lo sfiorarsi ripetutamente e quasi per caso.
Dean lo capiva, Cas voleva vivere liberamente e aveva bisogno di qualcuno di diverso, non uno come lui, così incasinato e ingabbiato in sé stesso.
Quella mattina si svegliò con un mal di testa terribile, colpa della quantità spropositata di Jack Daniel’s che aveva ingurgitato la sera prima, nel tentativo di affogare un po’ quei pensieri che erano tornati a tormentarlo più di prima, e poi lo aiutava a dormire senza sognare.
La sveglia era suonata da un pezzo e lui era in ritardo per andare da Bobby. Di nuovo. Si passò una mano sul viso e chiuse gli occhi di nuovo per cercare di placare quel martello pneumatico che gli batteva contro le tempie. Aveva bisogno di un caffè.
Si alzò faticosamente dal letto pregando che il suo stomaco non gli giocasse un brutto scherzo come qualche mattina fa e si passò una mano tra i capelli tagliati di recente, adesso non poteva più arrotolarli attorno alle dita.
Entrò in cucina furtivamente sperando di non incontrare nessuno dei suoi coinquilini, si era di nuovo chiuso in sé stesso e cercava di evitarli il più possibile anche se era piuttosto difficile visto che vivevano nelle stesse quattro mura.
Sbuffò quando vide tutte le tazze sporche nel lavandino insieme ai piatti della sera prima.
Lavò una tazza rabbrividendo al contatto con l’acqua fredda e si versò il caffè, ormai era in ritardo e decise di prendersela comoda anche se il pensiero dell’ennesima sfuriata di Bobby lo infastidiva parecchio ma non poteva farci niente, d’altronde era colpa sua e basta.
Rimase qualche secondo a guardare il sole ormai sorto che faceva scintillare le finestre degli alti edifici.
-Stai di merda- disse la voce di Adam facendolo sobbalzare sulla sedia.
Dean non rispose, sperando che il ragazzo non iniziasse a parlare perché non aveva né la voglia né le facoltà di starlo ad ascoltare.
-Dico sul serio, stai da schifo- continuò il più giovane cercando i biscotti in uno dei pensili dalla vernice un po’ scrostata.
-Grazie Adam, anche tu non sei male-
Adam gli rivolse un sorriso sarcastico mentre apriva un pacco di biscotti al cioccolato.
-Che c’è che non va?- domandò poi.
-Adam, senza offesa, ma non sono affari tuoi- rispose Dean con un sospiro. -È tardi e devo andare al lavoro, sono già in ritardo-
-Come ti pare Dean, ma non puoi scappare per sempre-
-Ho già un fratello minore che mi fa la morale, non me ne serve un altro- disse seccamente Dean.
Adam incrociò le braccia sul petto, l’espressione dura sul viso ancora un po’ infantile.
-Senti, non so cosa ti sia successo, se c’entra Cas o no, ma vedi di risolverlo, con un aiuto oppure no-
“Ottimo” pensò Dean “mi serviva proprio un altro Sam nella mia vita”.
-Che c’entra Cas adesso?- domandò Dean infastidito. Stava facendo davvero tardi per andare in officina e la testa sembrava esplodergli.
-Non sarò un genio, ma non capire che è successo qualcosa tra voi sarebbe veramente da idioti- rispose Adam.
Dean rimase bloccato sulla sedia per qualche istante, poi si alzò meccanicamente senza degnare l’altro di uno sguardo e si diresse nella sua stanza.
Aveva già vissuto quella situazione, qualcuno che scopriva ciò che faceva. Certo Adam non era Anna ma stava comunque andando nel panico anche se sapeva benissimo che non c’era alcun motivo per farlo.
A volte si odiava per quelle sue reazioni così irrazionali ed esagerate, probabilmente se fosse andato da uno specialista gli avrebbe diagnosticato un trauma o qualcosa del genere. Ma non aveva intenzione di andare da uno strizzacervelli ovviamente, avrebbe affrontato la cosa da solo, di certo non si sarebbe messo davanti a uno sconosciuto a parlare dei suoi sentimenti.
Si alzò sentendosi instabile sulle sue stesse gambe. Doveva trovare un modo per liberare la testa e i suoi pensieri corsero immediatamente alla bottiglia nuova di Jack in cucina, poi però una fitta di nausea lo colpì prepotentemente.
Se fosse andato al lavoro probabilmente una bella sfuriata di Bobby l’avrebbe riportato coi piedi per terra. Sì, sarebbe andata così.
 
 
-Dove diavolo eri idiota?- lo accolse Bobby. –Hai un aspetto orribile-
Come sospettava, il vecchio Singer lo stava sgridando ricordandogli di quanto si stesse comportando da schifo arrivando in ritardo tutti i giorni e di come dovesse soltanto che essere grato per quel lavoro.
-Lo so Bobby, scusami- si limitò a farfugliare.
-Idiota- disse l’altro intimandogli poi di mettersi al lavoro prima di subito.
-Dean-o! Eccoti qui, pensavo fossi morto!- esclamò Cole vedendolo entrare. Stava per dirgli qualcos’altro ma poi richiuse la bocca all’occhiata truce che Dean gli lanciò.
Si mise al lavoro sul carburatore di una vecchia Mercedes e ne approfittò per guardarsi in uno degli specchietti.
Effettivamente avevano ragione a dirgli che aveva un aspetto di merda. Prendersi una sbronza quasi tutte le sere di certo non giovava al suo fisico. Aveva le occhiaie e sembrava non dormisse da settimane.
Cosa che più o meno era vera. Si diede uno schiaffetto sul viso cercando di riprendersi ma si lasciò una sbaffata di grasso sulla guancia sinistra.
-Fantastico- commentò. La radio accesa sul pavimento faceva risuonare una canzone di Billy Idol nella stanza e lui maledisse mentalmente Cole per i suoi gusti musicali.
-Cristo, togli questa roba!- esclamò con più rabbia del dovuto. Non sapeva perché si stesse comportando così, o meglio, lo sapeva ma ammetterlo a sé stesso gli costava parecchio.
Si dava continuamente dell’idiota perché lui e Cas di certo non stavano insieme e si sentiva così stupido per il suo atteggiamento ma in quelle poche settimane si era sentito così bene come non gli era mai capitato. E adesso aveva mandato tutto a puttane.
Non riusciva a darsi pace perché non poteva credere che in così poco tempo fosse riuscito a sviluppare un attaccamento a qualcuno ma alla fine era quello che una persona ti faceva sentire ad essere importante, non il tempo che ci avevi passato insieme no?
Scosse nervosamente la testa mentre Cole lo guardava un po’ stupito. –Dean-o, tutto bene?-
-Sì, cioè no, cazzo. Scusa Cole- borbottò. Si stava comportando di nuovo da stronzo e doveva parlare con Sam. Sì, Sam era sempre la soluzione ai suoi problemi. O forse no.
Era lui il fratello maggiore, non poteva caricare Sammy di tutte le sue paranoie quindi decise di cavarsela da solo, come sempre.
E poi Sam l’avrebbe fatto parlare di quello che era successo, gli venne la nausea solo all’idea. Raddrizzò la schiena e si rimise al lavoro mentre sentiva le rotelle del suo cervello che si mettevano all’opera.
La sua mente si aggrappò a un ricordo di tanti anni fa, una delle ennesime litigate con suo padre. Doveva avere diciannove anni o giù di lì e suo padre gli aveva fatto trovare casualmente le sue vecchie foto di quando era un marine poggiate in bella vista sul tavolo della cucina.
E Dean aveva capito subito.
-Sai che non lo farò mai- aveva detto con tono fermo e negli occhi verdi uno sguardo di sfida.
-Dovresti- aveva replicato suo padre. –Ti farebbe solo bene, diventeresti veramente un uomo-
Una risata strozzata era morta nella gola di Dean. Un “vero uomo”. Quelle due parole uscivano frequentemente dalla bocca di John.
“Comportati da uomo” “non fare la ragazzina” “non fare il frocio”. Se l’era sentito dire un milione di volte quando suo padre l’aveva sorpreso in qualche momento di debolezza.
-Sono già un uomo- aveva risposto allora Dean. Lo stava volontariamente provocando, sapeva quello che stava facendo, gli era già capitato. Vedeva suo padre bere e lui lo provocava, ricercava quella specie di adrenalina.
Non l’avrebbe mai ammesso a sé stesso ma quella rabbia e quell’odio che uscivano fuori ogni volta che litigava con John servivano a controbilanciare quel perenne senso di colpa e di dovere che sentiva nei confronti del padre, era come se per qualche minuto potesse sopprimere quel desiderio di rendere felice John, un desiderio che lo accompagnava da quando era bambino.
-Impareresti qualcosa- aveva continuato suo padre.
-Imparare cosa? A essere come te? O a svuotare prima la bottiglia?-
Da lì il ricordo diventava confuso, ricordava solo un forte odore di whiskey e un colpo dietro la testa a cui aveva risposto. Le grida di Mary e Sam che li separava, poi Dean era uscito come un fulmine ed era scappato sulla collina.
Litigavano spesso, per tutto, e ogni volta faceva sempre un po’ più male ma non riusciva a farne a meno. E poi era facile farlo, suo padre lo detestava, non glielo aveva mai detto ma il suo atteggiamento parlava chiaro.
-Dean-o, sei con noi?-
Il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre e si ritrovò di fronte Cole che gli sventolava una mano davanti agli occhi.
-Eh? Ah…sì, stavo solo pensando- mugugnò riscuotendosi.
-Sei sicuro di stare bene?-
Gesù, ma perché tutti si ostinavano a chiederglielo? Stava benissimo, mai stato meglio.
-Alla grande-
La radio trasmetteva un pezzo dei Jefferson Airplanes e a Dean girava di nuovo la testa. Non aveva mangiato niente a colazione e il suo stomaco reclamava qualcosa che non fosse alcolico o pieno di caffeina.
Sgattaiolò fuori dall’officina passando dal retro e decise di andare a prendersi qualcosa da mangiare una volta assicuratosi che Bobby e Cole fossero in pausa pranzo.
Non si sarebbe seduto a mangiare con loro nemmeno se l’avessero pregato, ne aveva abbastanza di domande. Se ci fosse stato suo padre probabilmente avrebbe cercato uo stupido pretesto per sfogare la sua rabbia…
Scacciò quel pensiero mettendosi al volante di Baby e inserendo una cassetta nell’autoradio.
L’odore familiare della sua auto lo rilassò, un misto di olio per motori, polvere e il suo stesso dopobarba.
 
Leaves are fallin' all around
Time I was on my way
Thanks to you, I'm much obliged
For such a pleasant stay
 
But now it's time for me to go
The autumn moon lights my way
For now I smell the rain, and with it, pain
And it's headed my way2
 
 
Quella sera quando tornò a casa si sentiva uno straccio e di certo non si aspettava di vedere Sam spaparanzato sul suo divano con Jessica che chiacchieravano allegramente con Castiel.
Per un secondo fu tentato di fare dietro front, uscire di nuovo e vagare per le strade finché non avesse trovato un bar abbastanza squallido dove poter affogare i pensieri in un bicchiere di scotch finché nel portafoglio non fosse rimasto nemmeno un dollaro.
-Ah eccoti!- esclamò Sam alzandosi.
Fratello minore ormai era solo un appellativo per Sam, ogni volta che Dean se lo trovava di fianco non riusciva a capacitarsi della massa del fratello. Quando era successo che fosse diventato più alto di lui?
Dean non se lo ricordava. Un attimo prima era nel cortile della scuola a proteggerlo dai bulli e un attimo dopo Sam non riusciva nemmeno a passare dalla porta e Dean gli chiedeva di prendergli le cose negli scaffali più alti.
-Ciao- rispose stancamente. Non aveva la forza di mettersi a parlare con loro e soprattutto non aveva la forza di guardare Cas che si sforzava di avere un atteggiamento normale nei suoi confronti.
-Dean siediti con noi!- lo incitò allegramente Jessica con un sorriso. Ancora non capiva come quel nerd di suo fratello fosse riuscito a trovarsi una ragazza carina e divertente come lei.
Lui sbuffò, ma non riuscì a rifiutare e sprofondò nel divano chiudendosi in un mutismo rassegnato mentre Jessica continuava a parlare con Castiel di qualcosa che riguardava Samuel Beckett3. Lei studiava teatro e lui letteratura, non potevano andare più d’accordo.
-Fossi in te sistemerei la situazione il prima possibile- bisbigliò Sam al suo orecchio e Dean si raggelò.
-Che intendi?- mormorò di rimando.
-Tu e Cas. C’è qualcosa che non va. Sistemalo- replicò Sam a bassa voce.
-Perché devi assumere che sia colpa mia?- domandò Dean sempre piano.
-Perché- iniziò Sam lanciando un’occhiata per vedere se Jessica e Cas fossero ancora distratti. –ti conosco e so quanto ti piace autosabotarti- concluse.
Dean sbuffò incrociando le braccia sul petto chiedendosi perché suo fratello non fosse andato a fare quel dannato spring break con i suoi compagni di college invece di piazzarsi a casa sua.
-Non mi autosaboto- sibilò lanciandogli un’occhiata di fuoco. – E fatti gli affari tuoi-
-Lo faccio per il tuo bene- bisbigliò Sam roteando gli occhi prima di alzarsi e spazzolarsi i jeans.
-Bene, chi vuole l’indiano per cena? Io e Jess abbiamo trovato un nuovo ristorante nella parallela a questa strada e stavamo pensando di provarlo. Va bene per tutti?-
Dean non fece in tempo a rispondere che Sam si era già alzato trascinando Jessica con sé.
Prima di uscire dalla porta la ragazza si voltò con un sorriso facendo l’occhiolino a Dean, il quale ci mise qualche secondo a realizzare.
Sam l’aveva fatto apposta, quel maledetto, piccolo bastardo l’aveva fatto apposta. Si stava levando di torno per un po’ lasciandolo da solo. Con Cas.
Si ripromise di uccidere Sam più tardi mentre si voltava in tempo per vedere Cas alzarsi dal divano e dirigersi verso la sua stanza.
Perfetto. Era chiaro come il giorno che Cas non voleva avere più niente a che fare con lui e per un secondo sentì la terra mancargli sotto i piedi. Si sedette sul divano con la testa fra le mani.
Forse, ma proprio forse Sam non aveva tutti i torti, ma lui davvero non sapeva come fare. Gli piaceva Cas, era venuto a patti con questo già da un po’, gli piaceva stare con lui, baciarlo, parlargli.
Ma l’idea di farlo sapere al mondo intero era qualcosa che lo mandava fuori di testa. Ogni volta che ci pensava riviveva quella sera, quando la verità era venuta a galla e lui ne aveva pagato tutte le conseguenze
Accese la tv sintonizzandola su MTV e abbassando il volume, aveva bisogno di un brusio di sottofondo adesso che era da solo e non poteva fare altro che seguire il flusso dei suoi pensieri.
Sentì dei passi dietro di lui e quando si girò vide Cas appoggiato al muro dell’arco che divideva la cucina e il grande salone.
Aveva un aspetto un po’ stropicciato, con la camicia coi due bottoni aperti e le maniche arrotolate, un paio di jeans stinti e senza cravatta.
-Ehi- disse piano. Improvvisamente una sensazione di calore si propagò nel suo stomaco. Odiava le reazioni inconsce del suo corpo, non aveva il controllo su di esse e la cosa lo irritava di continuo.
-Ciao Dean- rispose l’altro con un sorriso.
Dean avrebbe voluto alzarsi, spingerlo contro il muro e baciarlo, dirgli che gli dispiaceva per essere così incasinato e per non riuscire a dargli quello che voleva veramente, ma si limitò a stendere le labbra in un sorriso sghembo.
L’altro si avvicinò con fare cauto, come se Dean fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, e si sedette sul divano.
Dean sentì il divano abbassarsi e cigolare sotto il peso dell’altro, alle narici gli arrivò il profumo di Cas, era così familiare.
-Cas- iniziò, la voce roca e le parole bloccate in gola. “Mi dispiace, scusami, mi piaci, perdonami se sono un casino” pensò Dean.
Cas non lo fece continuare perché non appena Dean si leccò le labbra per riuscire a parlare di nuovo la sua bocca si scontrò con quella di Dean.
“Dio sì” pensò il biondo aggrappandosi alla schiena dell’altro. Era un bacio bagnato e bisognoso, Dean sentiva la lingua di Cas che si intrecciava con la sua e una scarica elettrica lo colpì direttamente in mezzo alle gambe, ma non aveva intenzione di fermarsi, nonostante la voce nella sua testa era tornata prepotente a gridargli di smetterla.
Cas si staccò e lo guardò con i suoi immensi occhi blu, pieni di speranza.
-Dean, non avrei dovuto metterti fretta- disse col suo tono pacato. –Mi dispiace- aggiunse.
Il ragazzo rimase senza parole per qualche istante. Cas non era…arrabbiato con lui? Una sensazione, come di sollievo, invase il petto di Dean.
-No. Dispiace a me- e si stupì del suo tono fermo mentre lo diceva. –Non…sei tu il problema. Ma quello che ho vissuto continua a perseguitarmi e non so come fare-
Ecco, l’aveva detto.
-Capisco- rispose semplicemente Castiel guardandolo fisso. Appoggiò una mano sulla spalla di Dean, sentendo i muscoli tesi, come se stessero per spezzarsi.
Dean si lasciò sfuggire un sospiro non appena avvertì il calore della mano dell’altro su di sé e immediatamente il suo corpo gli diede la risposta, facendogli rilassare i muscoli.
La stanza era avvolta nel più completo silenzio, tranne che per i loro respiri e il brusio della televisione. Le luci del salone illuminavano il viso di Cas ammorbidendo i suoi lineamenti. Si sentiva come un adolescente alla prima cotta ma d’altronde non aveva mai sperimentato che cosa volesse dire sentirsi attratti da qualcuno.
Si sporse in avanti avvicinandosi di più a Cas mentre captava le note di Blowin’ in the wind trasmessa dalla tv.
Adesso erano l’uno nelle braccia dell’altro, in un intreccio di corpi, passandosi il reciproco calore.
 
“How many years must can people exist
before they’re allowed to be free?”4
 
Così cantava Bob Dylan mentre diceva che la risposta soffiava nel vento.
-Dean, non devi preoccuparti. Perdonami se ti ho spinto troppo, possiamo continuare così se vuoi-
Dean non sapeva cosa voleva. Cioè, in realtà sì. Voleva stare con Cas, voleva che tutti quei ricordi orribili smettessero di perseguitarlo, voleva per una volta chiudere gli occhi senza incubi.
-No- rispose. “How many years must can people exist before they’re allowed to be free?” nella sua testa continuava a risuonare quello spezzone di canzone.
-Non posso più farmi influenzare da quello che è successo no? Vivere così…non me lo merito!- esclamò con risolutezza. Poi guardo Cas negli occhi e lo baciò di nuovo.
“Grazie Bob” pensò mentre l’altro gli prendeva il viso tra le mani approfondendo il bacio.
Dean si sdraiò sul divano e Cas scivolò sopra di lui con un movimento fluido. Giù in fondo sentì qualcosa muoversi e Cas si strusciò contro di lui. Dean chiuse gli occhi lasciandosi sfuggire un gemito sommesso credendo che di lì a poco sarebbe morto per autocombustione.
-Non…qui- riuscì ad ansimare Dean.
Si alzarono con difficoltà e poco dopo la porta della stanza di Castiel si richiuse con un tonfo mentre il materasso cigolava sotto il loro peso non appena ci caddero maldestramente sopra.
Dean armeggiò con la fibbia della cintura mentre Cas gli fece scivolare via la camicia di flanella dalle spalle.
Dean non si era mai sentito così esposto, non era la prima volta che faceva sesso ovviamente, ma mai così. Pelle contro pelle, i respiri che si mescolavano, quei baci bollenti e bagnati che dalla sua bocca si stavano dirigendo dalla sua bocca al punto sensibile dietro l’orecchio, poi sul collo, sul petto, sull’addome.
Si sentiva come se stesse per esplodere, le mani di Cas erano dappertutto, si aggrappavano alla pelle dei suoi fianchi lasciandogli segni rossi.
Le mani di Dean erano dappertutto, vagavano sulla schiena dell’altro, sul suo petto, sulle sue braccia, sentiva la pelle calda sotto i palmi mentre la bocca di Cas esplorava ogni centimetro del suo corpo.
Chiuse gli occhi lasciando che dalla sua bocca sfuggissero suoni che non aveva mai sentito prima.
“Gesù” pensò mentre la mano di Cas scivolava lentamente sulla sua schiena e poi più giù. “Che idiota sono stato”.
Sentì la porta d’ingresso aprirsi e le voci sommesse di Sam e Jessica insieme a quelle di Adam e Charlie e gli venne da ridere. Probabilmente Sam sapeva benissimo quello che stava accadendo in quel momento e Dean pensò che forse ucciderlo non era l’idea migliore visto quello che stava succedendo.
La stanza di Cas era buia, non avevano nemmeno acceso la luce per la foga, ma Dean riusciva benissimo a vedere gli occhi blu dell’altro che vagavano sul proprio corpo, le pupille dilatate lasciavano intravedere solo un sottile cerchio azzurro.
Cas si mosse provocando un tremito di piacere in Dean, che iniziava solo in quel momento a rendersi conto della situazione.
Stava per farlo. Con Cas. E Cas era sopra.
Dean non era mai stato sotto, nemmeno una volta. Gemette quando un ditò di Cas lo sfiorò.
Chiuse gli occhi per qualche istante, prendendo dei profondi respiri per poi lasciarsi andare completamente e l’unica cosa che riuscì a pensare quando il suo corpo accolse Cas fu “wow”.
 
 
 
 
Due settimane, Dean non credeva di essere stato così felice in tutta la sua vita così come lo era stato in quelle due settimane appena trascorse.
Quando erano usciti dalla stanza di Cas avevano trovato tutti gli altri in sala che ridevano e scherzavano davanti a un episodio di The Brady Bunch5. Non appena aveva sentito i loro passi avvicinarsi Sam si era voltato con un sorriso a trentadue denti e Charlie aveva fatto l’occhiolino in direzione di Dean.
-Beh quest’anno avremo un nuovo membro al Gay Pride eh?- aveva detto Adam ridendo e Dean gli aveva tirato un cuscino addosso, ma non era davvero arrabbiato.
Era stato tutto così facile da lì in poi. Di certo non era andato a sbandierarlo a Bobby o a Cole, nemmeno a Jo ed Ellen, ma era sicuro che la signora Harvelle avesse capito più di quanto lasciava trapelare.
Sam aveva smesso di tormentarlo, si limitava a guardarlo con i suoi occhi da cucciolo adorante che ogni volta che vedeva Dean e Cas assieme diventavano a forma di cuore. Cas e Sam andavano molto d’accordo e Dean non poteva chiedere di meglio.
Quando tornava a casa e trovava Cas sul divano poteva buttarsi di fianco a lui, poteva entrare e uscire dalla sua stanza senza più dover aspettare che gli altri non ci fossero.
Erano andati insieme alla Roadhouse un paio di volte e anche a cena con Sam e Jessica.
Dean non aveva ancora superato la fase del guardarsi attorno ad ogni angolo scrutando i visi delle persone per capire la loro reazione nel vederli assieme, ma ogni volta non vedeva mai disgusto o disprezzo.
Solo una volta aveva sentito un insulto rivolto a loro, mentre uscivano da un locale alle tre del mattino. Dei tizi erano passati di fianco a loro su un’auto, uno di loro si era sporto dal finestrino e aveva urlato –froci!- prima di sparire dietro la curva.
Dean avrebbe voluto inseguirli ma Cas l’aveva fermato in tempo.
Era strano avere di fianco una persona come Cas, così paziente, pacata e composta. Ogni volta che Dean lo guardava non si capacitava di come fossero finiti assieme, ma forse il detto aveva ragione, gli opposti si attraggono.
Quella mattina si svegliarono con la pioggia che batteva dolcemente sui vetri della finestra della stanza di Cas, fuori il cielo era plumbeo e carico di spesse nubi grigie.
Dean mugugnò rabbrividendo mentre si tirava più vicino il corpo di Cas avvolto nelle coperte.
La loro vecchia e stramaledetta caldaia aveva ricominciato a dare dei problemi ma come al solito quel taccagno di Rufus non aveva la minima intenzione di cambiarla e Dean era stufo di rattopparla ogni volta, solo che la primavera non era ancora sbocciata in tutta la sua potenza e se non volevano morire congelati forse era il caso che continuasse a cercare di aggiustarla.
-Perché fa così freddo?- mormorò Cas stringendosi di più a Dean.
-Caldaia- rispose lui con un sussurro.
Era bello poter stare lì, avvolti nel torpore e nella calma della domenica mattina, con il rumore attutito della pioggia contro la finestra e il calore dei loro corpi nudi, le coperte formavano un bozzolo caldo dal quale nessuno dei due aveva intenzione di uscire.
-Pensavo che potrei portarti a una mostra oggi- suggerì Cas stiracchiandosi. I capelli neri erano sparati in ogni direzione, stavolta erano davvero “capelli post-sesso” con inclusa la parte del sesso e Dean osservò compiaciuto il proprio lavoro.
-Mmmmmm- mugolò Dean. –Piove, non possiamo stare a casa a guardare Indiana Jones?- domandò.
-Me l’hai fatto vedere già tre volte- rise Cas.
-Non è mai abbastanza-
-Solo perché ti piace Harrison Ford-
Dean rise e poi sporse il viso in avanti per baciare Cas. Il nodo che gli stringeva il petto e le viscere ogni giorno della sua vita sembrava essersi leggermente allentato.
Nella stanza si respirava ancora l’odore della nottata appena trascorsa, un misto di sesso, dopobarba e qualcos’altro che apparteneva solo a loro.
-Okay, andiamo alla mostra- acconsentì Dean.
Cas stava per baciarlo di nuovo quando sentirono bussare furiosamente alla porta e visto che nessuno degli altri coinquilini sembrava intenzionato ad aprire Dean si alzò sbuffano, si rivestì al volo raccogliendo gli abiti da terra e si avviò all’ingresso.
Non appena aprì la porta si trovò davanti Sam, con dipinta sul viso un’espressione angosciata.
-Sammy!- esclamò il maggiore mentre si spostava per far entrare l’altro. –Che succede?- domandò Dean guardando il più piccolo torcersi nervosamente le mani.
-Dean…stamattina presto ha telefonato la mamma- disse Sam a bassa voce.
Il maggiore deglutì e strinse la mascella a disagio, la familiare morsa tornò a farsi sentire mentre sentiva i passi di Cas avvicinarsi.
-Cosa voleva?- chiese Dean.
Non aveva mai chiamato a casa da quando era scappato, aveva tagliato tutti i ponti con la sua vecchia vita, anche se quella sembrava non volerlo lasciare stare. Non si era degnato neppure di telefonare a Benny o Garth, ma poi cosa gli avrebbe detto? Così era semplicemente scomparso, cercando di vivere di nuovo daccapo.
Sam lanciò un’occhiata a Cas. Era evidente che non voleva parlarne davanti a lui ma Dean lo incoraggiò ad andare avanti.
-Le cose con papà…ha detto che stanno peggiorando. Era disperata Dean, non so che fare-
Dean strinse un paio di volte le mani e poi si diresse in cucina, dove prese un bicchiere dai pensili e si versò una generosa dose di whiskey.
-Dean, che stai facendo? Non sono nemmeno le dieci del mattino- intervenne Cas appoggiandogli gentilmente una mano sull’avambraccio.
Il ragazzo si scostò in malo modo e buttò giù il bicchiere tutto d’un fiato. –Va’ avanti- disse rivolto al fratello minore.
-Non so che fare Dean. La mamma sembrava davvero spaventata. Ha detto che da quando te ne sei andato papà è diventato sempre peggio. Stavo pensando che magari…potevamo tornare a casa, solo per un po’-
-No!- esclamò Dean. –Non possiamo tornare. Tu hai gli esami e io…io non posso tornare-
Stava iniziando ad andare nel panico. Come poteva Sam anche solo pensare di proporgli una cosa del genere?
-Ma Dean, è nostra madre…-provò a dire debolmente Sam.
-Non m’interessa- ansimò il più grande. –Tu…tu non c’eri quando è successo. Lei era lì, che guardava e non ha fatto nulla. Io non posso…- cercò di dire mentre la voce gli si spezzava.
-Vi lascio soli- fece allora Castiel con tono gentile.
Dean avrebbe voluto dirgli di restare e di fermarsi, aveva bisogno del supporto di qualcuno in quel momento ma Cas se ne era già andato.
-Sam no. Non tornerò a casa e nemmeno tu-
-Se succedesse qualcosa alla mamma?-
-Non succederà niente alla mamma, papà è uno stronzo ma non è un idiota- replicò Dean con una punta d’asprezza nella voce.
-Sì ma la situazione a quanto pare sta veramente diventando difficile, non so quanto la mamma possa reggere ancora…-
-Cosa vuoi che faccia Sam?- esplose Dean. –Che torni a casa in quel cazzo di Kansas a farmi sputare in faccia da papà perché mi piacciono gli uomini? Non puoi salvare sempre tutti Sam-
La voce di Dean era piena di rabbia e risentimento, Sam poteva capirlo e guardava la sua espressione dura quasi spaventato.
-È la nostra famiglia Dean- bisbigliò abbassando lo sguardo.
-Non m’importa. Fa’ quel che ti pare Sam ma lasciami in pace. Non è la mia famiglia. Quale famiglia fa questo a un figlio?- fece Dean. Stava quasi gridando ma poi si ricordò di Charlie e Adam che probabilmente stavano ancora dormendo e abbassò repentinamente la voce, il petto che si alzava e si abbassava velocemente.
Sam rimase in piedi davanti al fratello, guardandolo con un’espressione da cane bastonato.
-Hanno sbagliato anche con me- iniziò prima di venire interrotto.
-Non puoi dirmi questo, non puoi. Tu…- la voce adesso tremava per la rabbia e la frustrazione. Sam non poteva permettersi di dirgli così, se il suo fratello minore aveva potuto andarsene di casa con conseguenze minime era stato solo per merito suo.
-Va bene- fece Sam, gli occhi bassi. –Penserò a una soluzione-
-Fa’ quel che ti pare- ribatté Dean seccamente prima di voltarsi e andarsene lasciando Sam impalato in mezzo alla cucina.
Il cuore gli martellava di nuovo nel petto così forte che non riusciva nemmeno a sentire i suoi stessi pensieri. Voleva solo bere fino a stordirsi per dimenticarsi tutto.
Mary era sua madre, era vero, Sam aveva ragione in fondo, ma non poteva tornare là. Una parte di verità era che aveva paura, una paura fottuta di rivedere John dopo mesi. Ma se fosse davvero successo qualcosa a Mary?
Scacciò quel pensiero dicendosi che nemmeno a lei era importato quando era successo qualcosa a lui.
Dio, voleva solo stordirsi e non pensare più a niente, invece spalancò la porta della camera di Cas, che era seduto sul letto a gambe incrociate, un libro tra le mani.
Alzò lo sguardo su Dean, il quale si lasciò cadere pesantemente sul materasso mentre sentiva le lacrime bruciare agli angoli degli occhi.
Le ricacciò indietro e affondò tra le braccia dell’altro.
-Non farmi pensare, ti prego-
-Va tutto bene Dean, sono qui-
 
 
 
 
 
1Brano dei The Beatles del 1968. Il titolo significa "la felicità è una pistola calda" e secondo me vuol dire che anche quando si è felici c'è sempre da aspettarsi la fregatura.
2Led Zeppelin, Ramble On, 1969
3Drammaturgo, scrittore, poeta, traduttore e sceneggiatore irlandese. Il suo capolavoro è Waiting for Godot
4Bob Dylan, Blowin’ In The Wind, 1963
5Popolare sitcom americana
 
 
 
Spazio autrice: sono vivaaaaaaa! Questo periodo è davvero frenetico per me e sto facendo una fatica bestiale ad aggiornare, quindi purtroppo pubblico quando posso.
Comunque, come sempre ringrazio tutt* coloro che recensiscono, che mi mettono tra i preferiti e anche chi legge e basta.
P.S. mi raccomando, ascoltatevi le canzoni!
Vi abbraccio tutt* <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3963540