Forse, un giorno, chissà

di NightshadeS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivi e partenze ***
Capitolo 2: *** Un giorno di ordinaria follia ***
Capitolo 3: *** Benvenuti entusiasti, benvenuti gelidi ***
Capitolo 4: *** Accordi vantaggiosi ***
Capitolo 5: *** Uno scontro epico...ehm, etico ***
Capitolo 6: *** Gita alle terme ***
Capitolo 7: *** Una pace fragile ***
Capitolo 8: *** Tra boxer e cimiteri ***
Capitolo 9: *** Elettricità nell'aria ***
Capitolo 10: *** Senza fiato ***
Capitolo 11: *** Una contro tutte, tutte contro una ***
Capitolo 12: *** La resa dei conti ***
Capitolo 13: *** Tuniche cinesi, pigiami e divise bianche ***
Capitolo 14: *** Non c'è limite al cam-peggio ***
Capitolo 15: *** La tecnica moxa dei Vasi Comunicanti ***
Capitolo 16: *** Double date ***
Capitolo 17: *** Tanabata ***
Capitolo 18: *** Buon compleanno, Kasumi! ***
Capitolo 19: *** Effetti collaterali ***
Capitolo 20: *** Monte Kotaro parte prima: Anni ruggenti ***
Capitolo 21: *** Monte Kotaro parte seconda: Nel pallone ***
Capitolo 22: *** Giochi di ruolo ***
Capitolo 23: *** Halloween ***
Capitolo 24: *** Park luna al appuntamento ***
Capitolo 25: *** Accadde una notte tra Ranma e Kijo ***
Capitolo 26: *** Let it snow ***
Capitolo 27: *** Natale a casa Tendo ***
Capitolo 28: *** Forse, un giorno, chissà ***



Capitolo 1
*** Arrivi e partenze ***


30 Marzo
 
Era il tardo pomeriggio di una limpida giornata primaverile quando un taxi si fermò davanti allo studio del Dr Tofu Ono. Ne scese una ragazza dai capelli lunghi, con gli occhiali da sole nonostante il tramonto fosse ormai cominciato. Si sgranchì le gambe e le braccia e si avvicinò al cancello, confrontando il numero civico con il foglietto che teneva in mano.
“Sembra che ce l’abbiamo fatta ad arrivare, alla fine! Sareste così gentile da iniziare a scaricare i miei bagagli mentre avverto della mia presenza?”

“Naturalmente, signorina…” rispose cortesemente il tassista, guardando con occhio preoccupato la mole di bauli e valigie accatastate sul suo povero mezzo.
La ragazza attraversò il giardino e bussò alla porta dello studio. Le aprì un panda gigante recante una scopa in una mano e un cartello con su scritto «Avete un appuntamento? »  nell’altra. Un refolo di vento le scompigliò i capelli mentre rimase pietrificata con la mano alzata cercando di dare un senso alla situazione. Dopo pochi secondi si riebbe, si lasciò andare ad una risata, prese un pennarello dalla borsa e scrisse in fondo al cartello «No, ma possiamo uscire quando vuoi: adoro i panda giganti!» . Il panda ridacchiò e le fece cenno di accomodarsi.

“Ehi, ma tutte queste valigie in mezzo alla strada? Se non le togliete non riuscirà a passare nessuno!” le gridò dietro il tassista

“Oh Kijo, siete già arrivata? Vedo che avete già conosciuto il mio tuttofare Genma Saotome” la salutò il Dr Tofu ammiccando al panda “Non temere, ti daremo una mano noi coi baga…” il dottore si bloccò di colpo vedendo la quantità di casse, valigie e zaini davanti al suo cancello. Anche il panda bofonchiò un “Bb-bb!” di sconcerto.

Grattandosi lentamente la nuca Ono Tofu commentò
“Per la miseria, fanciulla! Capisco che dovete rimanere per un anno, ma qui c’è roba per almeno due o tre persone…”

“Lo so Dottore…è che una ragazza ha molte necessità, capite…e poi un sacco di spazio è preso dai miei kit per le preparazioni: tra libri, ingredienti, cristalleria, serve un mucchio di posto!” replicò Kijo, unendo ritmicamente gli indici assieme

“Bene, bene! Sono certo che questo scambio di conoscenze ci farà benissimo!” si rallegrò Tofu, portando sottobraccio due valigie pesantissime

“Bb-Bb!” mormorò il panda che si era caricato un baule sulla schiena e camminava a quattro zampe.

“È usanza comune avere dei panda come aiutanti, qui in Giappone?” domandò curiosa Kijo

“Beh, non proprio…diciamo che il Signor Saotome è un aiutante d’eccezione! Comunque adesso è il momento che vada a casa, l’orario di lavoro è finito” spiegò Tofu mentre accompagnava Kijo in una stanza al primo piano

“Arrivederci Signor Saotome! Spero di vedervi presto!” lo salutò con la mano Kijo

«Domani non sono di turno. Buona serata!» rispose il panda col solito cartello di legno, poi prese a trotterellare verso l’uscita.

“Chi lo ha addestrato a scrivere quei cartelli? È davvero incredibile!” sorrise Kijo

“L’ho conosciuto già così” rispose Tofu, poi continuò, improvvisamente in imbarazzo “Bene, vi lascio iniziare a organizzare le vostre cose, poi se vorrete raggiungermi per cena, tra un’oretta pensavo di riscaldare un piatto che mi ha ppportato la sssisignorina Ka-Kasumi Tendo”

Kijo non ci dette molto peso, lì per lì “Grazie infinite. Se siete d’accordo vorrei fare un bagno prima di cena”

“Ma certo, la stanza da bagno è in fondo al corridoio”.

Poco dopo, mentre Tofu in cucina imbastiva la cena, dal piano di sopra udì un urlo veramente poco femminile e aggraziato. “Forse dovevo avvertirla che ci vuole un po’ prima che arrivi l’acqua calda…” pensò tra sé distrattamente, facendo spallucce.
 
 
 
“Buonasera signor Genma, vi porto la solita teiera d’acqua calda?” lo accolse Kasumi sorridendo

«Grazie!»  estrasse il cartello il panda.

“Io non capisco perché Ranma e Genma debbano continuare a vivere da noi a scrocco, adesso che Akane sarà via per un anno” argomentò Nabiki, scendendo le scale, mentre Kasumi in equilibrio su un panchetto versava la teiera sulla testa del panda. “Mantenerli ci costa migliaia di Yen, dato che nessuno di loro produce reddito, e neppure la scusa di far rafforzare il rapporto tra i due fidanzati funziona più in questo caso, vi pare? Inoltre le spese per mantenere Akane dall’altra parte del mondo hanno un peso notevole sul nostro bilancio” continuò la sorella di mezzo, calcolatrice alla mano

“Soun, caro amico, mica vorrai dar retta alle farneticazioni di tua figlia, vero?” ribatté preoccupato Genma passando un braccio dietro le spalle del padrone di casa “E poi il povero Ranma è così triste adesso che la sua fidanzata è lontana, non vorrai negargli il conforto di una famiglia e di un tetto sopra la testa…”

Soun si portò l’avambraccio davanti agli occhi e cominciò a piangere copiosamente, gridando “La mia bambinaaaaa, così lontanaaa! Come farò?”

“Su papà! Non fare così! Ricorda che è un grande onore che abbiano scelto Akane per far parte di quel progetto di scambio…e poi sono sicura che sa badare a se stessa e si divertirà un mondo, in Italia!” cercò di rassicurarlo Kasumi, dandogli pacche affettuose sulla spalla “E tu, Nabiki, non fare questi discorsi…ormai sono di famiglia! Dove dovrebbero andare? Preparatevi per la cena piuttosto, a momenti metto in tavola!”

“Yu-uuuuuh, si mangia!” esclamò Ranma correndo dalla palestra alla sala da pranzo, con entusiasmo

“Il ritratto dell’afflizione…” mormorò tra sé Nabiki, inginocchiandosi al suo posto e prendendo la ciotola di riso porta dalla sorella

“Parlando d’altro…è arrivata la nuova assistente del Dottor Tofu, oggi allo studio. È molto carina anche se, beh, un po’ particolare” raccontò Genma

“Cosa intendi per particolare? Ci manca solo di conoscere un’altra pazza scatenata, in questo circo?” s’informò Nabiki
Per tutta risposta Genma tirò fuori il cartello con la risposta di Kijo

“Ahahah ma è molto simpatica!” sorrise Kasumi

“Solo a te possono far ridere queste battute, sorella…”

“Beh, un’allusione un filo sconveniente per una ragazza che ha appena conosciuto un uomo, vi pare?” obiettò Soun grattandosi un sopracciglio

“Ad essere sincero ero sotto forma di panda…tuttavia un’altra cosa strana è che aveva un sacco di bagagli”

“Tutte le femmine si portano dietro un sacco di valigie, quando viaggiano. Sei tu che sei abituato a trasportare una tenda e una pentola!” obiettò Ranma, continuando a mangiare

“Figlio degenere! Osi dir male del tuo povero padre che ti ha insegnato il valore dell’essenzialità?” si alzò Genma

“Altro che essenzialità! Viaggiando al tuo seguito ho dovuto fare a meno anche dell’indispensabile!” si alzò Ranma

“Suvvia, adesso non litigate per un motivo così stupi-” cominciò a dire Tendo, ma i due erano già a fare a botte nel laghetto della carpa

“Sarebbe carino invitarli a cena, domani sera, non trovate? La ragazza nuova e il dottor Tofu” propose Kasumi “Chissà come sarà spaesata, poverina…”

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Capitolo 2
*** Un giorno di ordinaria follia ***


31 marzo
 
Il mattino seguente Ranma venne buttato giù dal letto molto bruscamente dal padre

“Uffa, che rottura! Oggi è il mio ultimo giorno di vacanza e voglio dormire!” brontolò tirandosi su la coperta

“Devi allenarti, figlio scansafatiche! La lotta indiscriminata Saotome non aspetta nessuno!” replicò Genma con un microfono in mano.

Il sole splendeva nel cielo e gli uccellini cantavano allegri. Dalla cucina al piano di sotto proveniva il profumo del tè caldo e dei panini dolci appena sfornati.

“Dannazione! Mi farai morire prima di arrivare alla tua età!” sbadigliò Ranma lanciando rabbiosamente la coperta sul pavimento e alzandosi

“Se proprio non ti va di allenarti ricordati che c’è sempre quella falla sul tetto da chiudere…” incrociò le braccia Genma

“E perché non puoi farlo tu?” lo guardò di traverso il figlio

SPLASH. Per tutta risposta Genma si gettò un secchio di acqua fredda in testa e si mise a giocare con una ruota di gomma.

“Ranmaaaaa! Perché non diventi una ragazza e indossi questi zuccherini freschi freschi di stanotte per me?” gridò Happosai irrompendo nella stanza, un completino intimo alla mano

“Ma non c’è verso di avere pace in questa casa? Sai che c’è, me ne vado a correre!” sbottò Ranma dopo aver calciato il vecchio in cielo

“Scusa Kasumi, prendo solo un nikuman al volo!” disse Ranma di corsa, tuta indosso e asciugamano sulle spalle

“Buon allenamento!” gli augurò lei, salutandolo allegramente con la mano
 
“Certo è che a volte faceva comodo avere Akane qui…almeno le corse si trasformavano in una sfida” pensava Ranma assorto, quando la solita vecchia lo inzuppò con l’acqua che spargeva per la strada “Che diamine! Ci mancava anche quest…”
SBAM. Non riuscì neppure a finire di sbraitare che andò a sbattere contro un altro runner, un ragazzo biondo

“Ehi dolcezza, ti sei fatta male?” le chiese lo sconosciuto fermandosi, preoccupato

“Dolcezza a chi? Insolente!” lo guardò Ranma toccandosi la testa dolorante. Poi si guardò il petto, quindi mise su un sorriso da copertina e minimizzò

“Ma no, no figurati…sono così sbadata ahahah! Beh, buona corsa!”

Il ragazzo biondo la guardò correre via, fece spallucce e riprese a sua volta la propria corsa.
 
Arrivata davanti allo studio del Dottor Tofu, Ranma pensò di cogliere l’occasione per riportare l’invito di casa Tendo per la cena. Bussò alla porta e Ono la accolse con un sorriso

“Ranma cara! Vieni, ho appena fatto il tè, ne vuoi?”

“Grazie, in effetti quel panino mandato giù asciutto mi è rimasto un po’ sullo stomaco”

“Sei venuta a conoscere la tua nuova compagna di classe? Non è in casa al momento, ha lasciato un biglietto dicendo che doveva comprare alcuni oggetti per l’igiene femminile” spiegò Ono, arrossendo leggermente

“Quanta specificità…”guardò in basso Ranma “Ma quindi sarà in 2F anche lei?”

“Certo, prenderà il posto di Akane. Anzi se tu potessi aiutarla ad integrarsi sono certo che le faresti un gran favore. Deve sentirsi piuttosto scombussolata” esclamò Tofu meditabondo

“Non c’è problema! Domani l’accompagnerò a scuola e poi la presenterò agli altri.”

“Magari potreste farle avere anche la lista dei libri…” suggerì il dottore mentre aggiungeva una tazza sul tavolo della cucina

“I libri…giusto! Chissà che Nabiki non possa prestarle i suoi dello scorso anno. Sempre che non pretenda un canone di affitto!”

“Sarebbe da lei!” sogghignò Tofu, versando il tè

“Invece sarebbe molto da Kasumi invitare voi due a cena per dare il benvenuto alla nuova ospite, infatti mi ha chiesto di riportare il messaggio”

“Ka-ka-Kasumi ha de-detto questo?” gli occhiali di Tofu brillarono e iniziò a versare il tè sulla testa di Ranma, che gridò

“Ahio!! Ma è bollente!!” ritrasformandosi in ragazzo

“Eh, Ka-Kasumi sa essere molto sensuale” bisbigliò Tofu trasognato

“Io mi riferivo al tè!!” sbraitò Ranma riportando il braccio del dottore sopra la tazza

“Giusto! Stasera devo portare il tè!” disse Tofu per poi dirigersi meccanicamente come in trance alla credenza, da cui iniziò a estrarre tutti i tipi di tè che aveva

“Ehm, vi lascio alla vostra scelta, dottore…ci vediamo verso le otto” lo salutò Ranma.
 
Ono Tofu e Kijo si presentarono puntuali alla dimora dei Tendo. Il sole volgeva al tramonto e il cielo sfumava dal blu oltremare al rosso infuocato. Ono vestiva un kimono blu e recava in mano una busta ricolma di tanti sacchetti, mentre Kijo si era messa un abitino verde con un giubbotto di pelle. Portava un grande vassoio da cui si espandeva un aroma dolce. Kasumi aprì la porta e fu solo per la prontezza di riflessi di Kijo che la busta in mano a Tofu non rovesciò tutto il suo contenuto.

“Prego, entrate pure! Dottor Tofu, è sempre una gioia vedervi! Kijo, sono molto lieta di fare la tua conoscenza” sorrise Kasumi con un inchino

“Dovete essere la signorina Kasumi! Ho avuto il piacere di assaggiare un vostro manicaretto ieri sera e permettetemi di dirvi che siete una cuoca fantastica!” Kijo tentò di inchinarsi a sua volta ma il movimento non fu molto fluido a causa del vassoio. Decise di porgerlo, assieme alla busta coi sacchetti, alla padrona di casa

“Qui ci sono delle miscele di tè e spezie per fare degli ottimi infusi: il Dottor Tofu ed io le abbiamo preparate per degustarle. C’è una piccola etichetta che indica la composizione e le principali proprietà. E qui…beh…ho fatto dei biscotti con le gocce di cioccolato, per accompagnarle” proseguì Kijo, un poco emozionata. Non faceva spesso i biscotti, pregava pertanto che fossero venuti decentemente.

“Oh, ma che ospiti graditi! Sarà un ottimo modo di finire la cena, cara. Io sono Soun Tendo e spero che saprai sentirti a casa” esclamò il capofamiglia sorridendo accogliente

“Finalmente qualcuno che porta qualcosa. Mi piaci, ragazzina! Io sono Nabiki Tendo, terzo anno al liceo Furinkan” tese la mano Nabiki

“Kijo Rinekami, siete veramente gentilissimi” esclamò stringendo le loro mani con forza

“Dolce fiore di lotooooo” balzò nella stanza Happosai, correndo verso la nuova arrivata

“Ti devi subito far riconoscere?” lo sgridò Ranma, spedendolo in orbita con un pugno.

Kijo sbatté le palpebre svariate volte, perplessa.

“Comunque io sono Ranma e ti consiglio di stare attenta a quel vecchiaccio: non è altro che un maniaco” le porse la mano

“Lo terrò presente, grazie! Sono Kijo, in ogni caso” rispose stringendogliela

“E io invece sono Genma, il padre di Ranma. Piacere di rive…ehm, di vederti, cara!”

In quel momento il telefono squillò e Kasumi andò a rispondere

“Akane! Che bello sentirti! Il viaggio è andato bene? Oh…davvero hai perso un bagaglio? Dai, non preoccuparti che sei nella patria della moda, troverai tante cose carine da comprare! In bocca al lupo per il tuo nuovo anno nella scuola italiana, sono certa che ti integrerai benissimo se tutti sono carini come la ragazza che ti ha dato il cambio…sì, l’abbiamo appena conosciuta…d’accordo, attacco, ti salutiamo tutti!” Kasumi si voltò verso la famiglia e riportò il contenuto della telefonata. Soun si mise a piangere a dirotto. Kijo, leggermente in imbarazzo, gli pose una mano sulla spalla ed esordì

“Anche mio padre era molto triste quando sono partita, ma visitare il Giappone era il mio sogno più grande da tempo. La lontananza e l’ignoto spaventano, ma è così che si forgia il carattere e si migliora. Sono certa che l’Akane che tornerà sarà molto più brillante di quella che è partita e un padre non può non apprezzare questo.”

Tutti fissarono Kijo in silenzio, poi Soun prese la parola

“Grazie per il tuo discorso, cara. Tuttavia sono certo che se Genma si spostasse dal mio piede potrei smetterla di piangere”.

La ragazza rise nervosamente, provando un lieve disagio per la gaffe.

“Bene, che ne dite se ci sediamo a tavola? Altrimenti si raffredda la tempura. Dunque cara, tu puoi sederti tra Ranma e il dottore, se ti va bene. Dottore, voi potreste prendere posto accanto a me” dispose Kasumi.
Un bagliore luminoso attraversò le lenti di Tofu, il quale si sistemò sul cuscino a testa in giù. Kijo lo guardò spaesata e poi volse lo sguardo verso gli altri commensali: nessuno sembrava badare alla scena. Ranma venne folgorato da un pensiero: e se anche Kijo, come Akane, fosse vittima del fascino del Dottore? Sicuramente in questo momento si sentirebbe parecchio confusa, non conoscendo la proverbiale cotta di Tofu per Kasumi. Forse, se le avesse spiegato la situazione al più presto, il sentimento di Kijo avrebbe evitato di affondare troppo le radici e non avrebbe sofferto poi troppo…

“Ehi Ranma! Sei imbambolato da dieci minuti! Vuoi prendere la ciotola di riso o no?” gli diede una gomitata Nabiki

“Oh, sì sì, certo! Solo che…ehm…credo che prima di cena sarebbe opportuno che Kijo…vedesse la sua uniforme scolastica!” esclamò Ranma, con tutti gli occhi puntati addosso

“Uniforme scolastica?! Credevo che me l’avrebbero consegnata domattina” replicò Kijo, masticando un boccone di riso

“Oh, no, no! Il preside è un uomo severissimo e non ti farà entrare se non hai già un’uniforme! Perché non le facciamo provare quella di Akane, in attesa che sia pronta la sua, eh? Vieni Kijo, la stanza di Akane è su!” obiettò Ranma prendendole il braccio e trascinandola al piano superiore.
Una volta giunti in camera di Akane, Ranma chiuse la porta alle loro spalle ed esordì

“Abbiamo poco tempo e non so come dirtelo….ecco, so che quando due persone si conoscono può scattare una scintilla da una delle due parti, una sorta di attrazione…solo che prima di assecondare queste sensazioni sarebbe opportuno sondare un po’ il terreno e capire se la cosa può andare avanti o magari c’è qualche ostacolo preesistente…”.

Kijo lo fissava enigmatica, arrotolandosi una ciocca dei suoi capelli violacei attorno al dito medio

“È un modo contorto per chiedermi di uscire?” gli domandò infine, con un sorrisetto appena accennato. Ranma avvampò immediatamente e iniziò a balbettare

“Cos-? No no no no no no no! Io veramente mi riferivo a…”

“Allora? Che state facendo voi due? L’uniforme se l’è provata?” gridò Nabiki da fuori la porta. La famiglia al completo attendeva nel corridoio

“Devo davvero provarmi l’uniforme?” bisbigliò Kijo a Ranma

“Come fa a provarsela se Ranma è sempre là dentro, Nabiki? Sarebbe sconveniente ti pare? Cara, se non ti entra non preoccuparti, posso sistemartela con ago e filo!” continuò Kasumi

“No! Cioè sì, ormai sì…” rispose Ranma avvicinandosi alla porta

“Ranma, vuoi uscire una buona volta!” lo rimbrottò Genma

“Eccomi, eccomi! Non riusciva a trovare l’uniforme, ecco tutto!”.

Dopo un paio di minuti Kijo uscì dalla stanza.

“Ehi, da quando le uniformi femminili sono così corte?” commentò Soun

“Ehm…temo di essere qualche centimetro più alta di Akane. Forse è opportuno rischiare l’ira del preside e attendere l’uniforme della taglia giusta” cercò di sdrammatizzare Kijo

“Sono certa che i nostri compagni sarebbero contenti, vero Ranma? Immagino già la faccia di Kuno…” scoppiò a ridere Nabiki

“Quell’idiota correrebbe appresso anche ad un palo della luce!” commentò sbuffando.

Quando furono tornati a cena, l’imbarazzo era tangibile. Ogni volta che Kijo sfiorava il braccio di Ranma, sembrava che entrambi avessero preso la scossa, mentre ogni volta che Kasumi si rivolgeva al Dottor Tofu egli se ne usciva con una nuova bislaccheria.

“Raccontaci un po’ di te Kijo! Come mai hai un nome giapponese se vieni dall’Italia?” chiese Nabiki sbocconcellando una zucchina fritta

“Mio padre è giapponese e si trasferì in Italia per lavoro dopo la laurea. Là conobbe mia madre e si stabilirono in Toscana. Io sono nata e cresciuta lì, ma ho sempre desiderato approfondire la conoscenza delle mie radici nipponiche. Finora è come se fosse vissuta solo una parte di me e vorrei provare l’esperienza dell’altra”

“Oh, sono certa che troverai un sacco di metà con cui fare esperienza!” rise allusiva Nabiki, beccandosi un’occhiata fulminante da Ranma e Genma

“Ma quindi hai dei parenti qui in Giappone?” sorrise Kasumi, porgendole dei gamberetti e la salsa di soia

“Immagino di sì, tuttavia non fremo certo per conoscerli…diciamo che tra loro e mio padre non corre molto buon sangue”

“Oh, mi dispiace…non volevo intristirti” si scusò Kasumi

“Figurati, non potevi saperlo…voi invece siete una famiglia numerosa vedo! Giusto?” cercò di deviare il discorso Kijo; il Dottor Tofu nel frattempo si era messo le bacchette nel naso ed imitava un tricheco, facendo ridere Kasumi

“In realtà siamo una famiglia allargata, per così dire: io sono il padre di Kasumi, Nabiki ed Akane mentre Genma è il padre di Ranma…” iniziò Soun

“Oh, come siete evoluti! In Italia ancora non si vedono tante famiglie così! Immagino vi ci sia voluto molto coraggio per farvi accettare…” sorrise Kijo con gli occhi brillanti “…ma del resto quando c’è l’amore che cos’altro conta? Vi faccio i miei complimenti e i miei auguri più cari per la vostra vita insieme!” continuò posando lo sguardo prima su Soun, poi su Genma.

Ranma e Nabiki scoppiarono a ridere, mentre Tofu, riprendendo un contegno, spiegò che Soun e Genma erano solo buoni amici e nulla di più.

“Ah…scusate…vado a sotterrarmi!” abbassò lo sguardo Kijo grattandosi nervosamente la nuca

“Ehm, quello che intendevo dire è che mia figlia Akane è fidanzata con Ranma, quindi è un po’ come se fossimo una grande famiglia!” riprese Soun

“Ah, una bella coincidenza che i figli di due grandi amici si siano innamorati, no?” disse Kijo sempre imbarazzata per la figuraccia precedente. In realtà la sua mente stava galoppando alle parole nebulose che Ranma le aveva rivolto poc’anzi: che fosse quello, l’ostacolo di cui blaterava?

“Hanno deciso tutto questi due, è un matrimonio combinato! Io nemmeno la volevo Akane come fidanzata!” si scaldò Ranma

“Un matrimonio combinato? Si usano sempre da queste parti?” aggrottò la fronte Kijo, cercando di capire meglio

“Non sono frequentissimi ma sì, talvolta i genitori cercano di pilotare le scelte dei figli per motivi di convenienza o prestigio; in questo caso la questione dell’eredità della palestra ha giocato un ruolo fondamentale…fosse stato per me avrei venduto tutto e buonanotte, ma questi vecchi sentimentali hanno preferito giocare a shogi con le vite degli altri” spiegò Nabiki

“Soun e Genma sono gli ultimi discendenti che praticano le arti marziali indiscriminate, quindi la loro attività può mantenersi viva solo se viene rilevata da un uomo che la insegna a sua volta, cioè Ranma” aggiunse Ono

“Credevo aveste detto che Akane pratica le arti marziali…ho capito male anche questo?” gli rispose Kijo

“Sì, le pratica. Ma è una donna, non può ereditare da sola la palestra.”

“Ah.” si limitò a esclamare Kijo, evitando ulteriori commenti.
 
Arrivò il momento del tè e Kijo spiegò che le miscele erano composte da erbe occidentali e orientali: ogni tipologia aveva un’indicazione specifica, quindi chiese ai commensali che tipo di infuso desiderassero. Dato che la maggioranza volle provare quello digestivo, Kasumi mise a bollire una grossa teiera e ci tuffò sette bustine. Scartò il vassoio coi biscotti e sistemò tutto in tavola.

“Che aroma delizioso! Ti intendi di erbe medicali Kijo?” le chiese Nabiki

“Oh, sì…mia madre è un’erborista e mi ha insegnato un sacco di nozioni: ho sempre adorato questo tipo di studi. Confesso che durante il mio soggiorno in Giappone conto, con l’aiuto del Dottor Tofu, di ampliare la mia conoscenza alla medicina orientale.”

“Sono certo che sarà uno scambio proficuo per entrambi” sorrise Tofu

“L’infuso dovrebbe essere pronto…prendete anche un biscotto se vi va!” porse il vassoio Kijo

“Non me lo faccio ripetere due volte!” allungò il braccio Ranma, per poi commentare “Ehi, ma sono davvero buoni! Per fortuna che non assomigli ad Akane in cucina…”

“Beh, più che altro mi piace cucinare i dolci, col resto non sono un granché…”

“Un’italiana che non sa cucinare…non ci credo nemmeno se lo vedo! Comunque se vuoi portare dolci qui sono sempre i benvenuti!” la stuzzicò Nabiki  

“Bene, credo che sia ora di ritirarci, Kijo. Ringrazio tutti voi per la piacevolissima serata che abbiamo condiviso. Vi auguro la buonanotte e...Ranma, posso contare su di te per aiutare Kijo ad ambientarsi?” si congedò Tofu

“Certo Dottore! Passerò domattina dallo studio per accompagnarla a scuola” accennò un inchino Ranma

“Grazie davvero a tutti voi! Siete stati gentilissimi con me e mi avete fatta sentire a casa. Vi auguro una notte serena!” li salutò Kijo, poi aggiunse “A domani Ranma!”

Quella notte era serena davvero: la luna splendeva piena in cielo in tutta la sua bianca maestosità, avviluppata in un manto blu trapunto da stelle scintillanti. Ono e Kijo camminavano lentamente verso lo studio, commentando i momenti clou della serata. D’un tratto Kijo sembrò meditabonda, poi chiese
“Ma Genma è un nome parecchio diffuso qui in Giappone?”

Tofu, sovrappensiero, rispose “Non mi pare, non particolarmente. Perché?”

“Beh, sono qui da un giorno e ne ho conosciuti già due: il vostro assistente panda e il padre di Ranma. Mi è sembrata una bella coincidenza!” sorrise la ragazza

“Eh…eh…già, una coincidenza divertente in effetti!” rise Tofu grattandosi la nuca nervosamente

“Per distinguerli chiamerò il panda Signor Saotome, se ricordo bene. Giusto?”

Tofu annuì mentre sudava freddo. Sarebbe stato praticamente impossibile nascondere le maledizioni delle sorgenti di Jusenkyo ancora a lungo. D’altro canto non voleva essere lui a rivelare certi dettagli personali. Kijo comprese che l’argomento metteva stranamente a disagio il Dottore, quindi lasciò cadere la conversazione e continuò il tragitto in silenzio.

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Capitolo 3
*** Benvenuti entusiasti, benvenuti gelidi ***


1 aprile

Il giorno seguente il sole scaldava la mattinata primaverile mentre gli uccellini cantavano melodiosi ed un profumo di fiori aleggiava nell’aria. Ranma si presentò alle 8 presso lo studio e Kijo uscì di fretta salutando il Dottor Tofu, cartella alla mano.

“Grazie per aver accettato di accompagnarmi. Sono un po’ nervosa adesso che sono al dunque” gli rivelò la ragazza inforcando un paio di occhiali da sole, la voce che tradiva un leggero turbamento

“Figurati, tanto a scuola dovevo andare comunque” fece spallucce Ranma “Belli i tuoi occhiali da sole! Vuoi atteggiarti a tipa tosta?” ridacchiò poi

“Ehm…in realtà sono molto sensibile alla luce solare…senza occhiali mi viene da starnutire e da piangere. A casa mi prendono tutti in giro dicendo che sono allergica al sole” confessò Kijo

“Oh, sono certo che andrai d’accordissimo con Gosunkugi: anche lui ha un rapporto preferenziale con le tenebre” la canzonò un po’ Ranma, calcando l’ultima parola affinché suonasse spaventosa

“Di notte do sicuramente il meglio di me” affermò Kijo, poi notando che Ranma la guardava con tanto d’occhi, si affrettò a correggersi “Intendo dire che non sono per niente mattiniera, quando mi sveglio sono uno straccio…la sera invece ho più concentrazione, infatti spesso uso la notte per studiare”

“Credo che ti troverai bene qui: le persone normali sono molto rare!” scherzò il ragazzo

“Meglio così, sai che noia altriment- ehi accidenti!” gridò Kijo balzando in collo a Ranma.
La signora che era solita gettare l’acqua per la strada quel giorno non si era smentita. Ranma, che a sua volta si era scansato, si trovò con la ragazza tra le braccia e arrossì visibilmente. Anche Kijo era palesemente in imbarazzo e si ritrovò a balbettare delle scuse poco convincenti

“Scusami tanto Ranma ma…non me l’aspettavo! È che…ho impiegato talmente tanto tempo a sistemarmi i capelli stamani che non volevo che si bagnassero! Sai, l’umidità è deleteria per la messa in piega!”

“F-figurati, non ti preoccupare. Lo so quanto voi ragazze teniate a queste cose, soprattutto il primo giorno” il codinato era andato talmente in tilt da rimanere bloccato come una statua di sale; odiava fare la figura dell’idiota imbranato, ma non riusciva a muovere un muscolo

“Adesso posso scendere, grazie ancora…” sussurrò lei fissandolo direttamente negli occhi e a quel punto riuscì a sbloccarsi.

Proprio mentre Ranma la poggiava a terra, un piatto di ramen bello grosso si andò a schiantare a pochi centimetri da loro. Si udì il rumore di una bicicletta che frenava e una voce familiare iniziò a gridare

“Lanmaaaaaa! Cosa stai facendo?”
Una giovane donna cinese dai capelli viola e gli occhi bordeaux li scrutava piena di rabbia

“Sha-Shampoo!” esclamò Ranma sgomento

“È una tua amica? Strano modo di salutarsi…” commentò Kijo

“Senti un po’ sciacquetta! Lascia stale il mio Lanma o te la vedlai con me! Lui è il mio futulo malito” si avvicinò Shampoo di gran carriera, gettando a terra la bicicletta

“Futuro marito? Ma non eri fidanzato con Akane?” si grattò il mento Kijo, perplessa

“Akane è paltita, quindi lontano dagli occhi, lontano dal cuole. Comunque tu non c’entli nulla, quindi spostati o combatti con me!”

“Ehi ma dove siamo? Un torneo con un uomo in palio? Stai scherzando vero?”

Per tutta risposta Shampoo le si avvicinò, le prese il viso tra le mani e le diede il letale bacio della morte. Kijo tuttavia, fraintendendo completamente la situazione, le strinse un braccio in vita e le passò una mano tra i capelli, ricambiando il bacio con trasporto. Ranma distolse subito lo sguardo, arrossendo violentemente, mentre Shampoo dopo un attimo di smarrimento si ritrasse, scioccata e ansimante.

“Posso anche essere aperta all’idea di frequentare una donna, ma temo che tra noi due non ci sia chimica, dolcezza. Forse è il caso che tu tenti con qualcun’altra…” la gelò Kijo

“Nessuna mi aveva mai insultata tanto! Pel me tu sei molta!” urlò Shampoo, poi corse via con le lacrime agli occhi

“Addirittura! Eppure non credevo di baciare così male…” cercò di sdrammatizzare Kijo appoggiando entrambe le mani sui suoi fianchi

“Ehm…a parte tutto…quello che è successo” intervenne Ranma, fissando il manto stradale “Non sottovalutare Shampoo: quando si fissa su una cosa sa essere molto testarda, soprattutto per ciò che riguarda le tradizioni del suo villaggio di origine…quella è una dichiarazione di morte e non lascerà correre facilmente”

“Andiamo bene, neanche ho iniziato la scuola che ho già una nemica mortale. Vorrà dire che dovrò imparare a difendermi…” si morse il labbro nervosamente la ragazza.

Ranma saltò sulla ringhiera, continuando a camminare là sopra. Stette in silenzio per un po’, poi esordì con tono di domanda
“Senti, ma davvero…ah, lascia perdere!” per poi tornare in silenzio.
Kijo dal canto suo non riusciva a non pensare al disastro che aveva appena combinato. Quando giunsero in vista dei cancelli del Furinkan, Kijo azzardò una domanda a bassa voce

“Davvero è considerato così indecente?”

Ranma si fermò di colpo, lo sguardo basso e il tono solenne che tradiva una sfumatura dolente

“Per un uomo è considerato deplorevole essere effeminato…tuttavia certe tendenze possono essere, come dire, tollerate se praticate nell’intimità della propria casa. In futuro ti consiglio di non manifestare così apertamente questo tuo aspetto”

“Oh, ma io in realtà…beh ecco, è complicato e tremendamente imbarazzante parlarne con un ragazzo appena conosciuto…Diciamo che non escludo del tutto la possibilità, non è che ho solo quell’interesse. Comunque capisco fin troppo bene: dopo tutto vivo nella patria madre del bigottismo e neanche in Italia hanno vita facile le persone che manifestano un’indole diversa dalla maggioranza” sospirò Kijo, poi proseguì, mettendo su un sorriso “Shampoo comunque non è il mio tipo, ma non ho capito se è il tuo!”

Ranma cominciò a correre verso il cancello per evitare la domanda, borbottando “Arriveremo tardi, forza!”.


Il liceo Furinkan si ergeva in tutta la sua massiccia importanza, il grande orologio che segnava le 8.25, baciato dal sole. D’un tratto la scena epica venne interrotta da un rumore di grande folla in avvicinamento veloce: da un’enorme nuvola di polvere emergeva una frotta di studenti urlanti che correvano verso Ranma. Egli, senza troppe cerimonie, saltò sul muretto del cancello. Si rese ben presto conto che la folla circondò Kijo e la inglobò nell’ammasso di persone, quindi volò lì in mezzo e cercò di aprirle un varco.

“Che razza di pagliacciata è mai questa?” gridò Ranma menando pugni e calci in ogni direzione
“Scommetto che c’è lo zampino di Kuno con una delle sue idee strampalate!”

“Alt! Fermi tutti!” urlò una voce dalla folla, che si zittì immediatamente e si bloccò
“Ti sbagli Ranma Saotome e non perdi occasione di infangare l’onorevole nome di Tatewaki Aristocrat Kuno detto ‘il Tuono Blu’ con le tue elucubrazioni prive di senno! Pagherai con la vita per questo, combatti da uomo!” così dicendo, Kuno si lanciò verso Ranma imbracciando la sua spada da kendo.

Kijo, ricoperta da una miriade di bigliettini, guardava con occhi spalancati la scena, incredula. Dopo il terzo affondo di spada, Kuno le si rivolse sorridendo
“Stai tranquilla, ragazza nuova, dopo che avrò sconfitto Ranma potremo uscire insieme!”
In quel momento Ranma gli arrivò dall’alto, con un calcio diretto che lo spedì immediatamente k.o. Dopo qualche secondo di silenzio, la folla riprese a rumoreggiare

“Allora sabato al parco alle tre?”
“Giovedì prendiamo un gelato?”
“Chiamami, sono Hiroshi!”
“Telefonami!”
“Ci vediamo a ricreazione!”

“Oh, andiamo, che buffonata!” Ranma la prese per un braccio e corse via verso l’entrata, mentre Kijo cercava di riporre tutti i bigliettini nella cartella, seminandone però una scia per tutto il cortile.

“Mi domando come mai siano tutto così amichevoli con me…di solito non ottengo tante attenzioni. Forse è l’effetto ragazza nuova” meditava Kijo tra sé, cercando di chiudere la cartella che scoppiava

“Vedi, ti avevo detto che non avresti avuto problemi a integrarti” le rispose Ranma, facendole una linguaccia

“Credi che mi basteranno i prossimi due mesi per uscire con tutti?” domandò Kijo accennando a tutti i foglietti

“Eh? Vuoi davvero uscire con tutti?” spalancò la bocca Ranma

“Beh, devo crearmi un gruppo di amici, no?

“Sì, ma…ecco, di solito le ragazze non accettano tutti gli appuntamenti…sai, per non dare false speranze ai ragazzi…” si grattò la nuca Ranma, fissando il soffitto

“Ah…quindi un’uscita al bar, o al cinema o anche solo per fare una passeggiata è già considerata appuntamento romantico?” sbatté gli occhi Kijo, molto confusa

“Beh, non necessariamente…però ecco…”

“Saotome! You are late! Bel modo di cominciare l’anno!” un buffo individuo vestito con una camicia hawaiana e con una palma in testa si mise a rimproverare Ranma

“Oh no! Il Preside Kuno!”

Kuno? Saotome? Qui ci sono troppi nomi ricorrenti” rifletteva Kijo tra sé, poi prese la parola

“Mi scusi Preside Kuno. Temo che Ranma si sia attardato per colpa mia: sono la nuova studentessa, Rinekami Kijo, e lui mi stava mostrando la strada per la presidenza, per…ritirare la mia uniforme!”

“Oh, my dear! Tu sei la studentessa italiana! Vieni cara, andiamo a prendere la tua roba! Where are you from?” la prese sotto braccio il preside, per poi allontanarsi. Kijo fece appena in tempo a voltarsi per fare un rapido occhiolino a Ranma, per poi continuare la conversazione in giappo-inglese.
 
La prima lezione fu quella della professoressa Hinako Ninomiya, che salutò i ragazzi chiedendo come fossero andate le vacanze. Mentre parlava un paio di studenti, Daisuke e Hiroshi, cercavano maldestramente di trattenere le loro grasse risate provocate dalla cartella con gli unicorni della professoressa. Ella se ne accorse e non perse tempo ad estrarre la sua moneta da cinque yen, rivolgendola verso di loro.

“Vi vedo fin troppo vivaci stamani. Cattivi, cattivi bambini! Vediamo se riesco a farvi dare una calmata!” così dicendo applicò la sua letale tecnica e assorbì l’energia dei ragazzi, trasformandosi nella donna formosa di sempre.

“Se non ci sono altre punizioni da infliggere, darei il benvenuto nella classe seconda F a Kijo Rinekami. Kijo viene dall’Italia e passerà un anno con noi. Cara, spero che ti troverai bene, non esitare a contattarmi se a qualcuno venisse la malsana idea di bullizzarti, ok?”

“Grazie professoressa…lo terrò presente” disse la ragazza inchinandosi di fronte alla classe con un sorriso imbarazzato stampato in faccia

“Bene, adesso siedi pure accanto a Sayuri e presta attenzione. Se hai problemi con la lingua fermami pure che ripeterò”

Se ha problemi con la lingua mi offro volontario per rimediare” sogghignò Ataru dando di gomito al compagno di banco, Kotaro.

Quest’ultimo alzò gli occhi al cielo, scocciato per il disturbo, e replicò sottovoce
Ci mancava questa ragazzetta qui che rallenterà il passo delle lezioni a tutti! Ho sentito che le scuole in Italia sono estremamente scadenti e gli standard bassissimi. Sicuramente sarà una ritardata!”.

Ataru gli rispose “Beh, almeno è carina, no? Cosa importa se è stupida? Tanto nessuno è più intelligente di te, Kotaro

Kotaro concluse “Sarà meglio che pensi a concentrarti più sullo studio e meno sulle ragazze” con un tono che non ammetteva repliche.

A ricreazione si creò un piccolo capannello attorno a Kijo, in cui i compagni si presentavano e le stringevano la mano. Un tipo alto e allampanato, con due profonde occhiaie, si parò a un certo punto di fronte a lei e con un maldestro inchino esclamò, mostrando una delle sue bamboline

“Sono Hikaru Gosunkugi, studente liceale e fotografo di giorno e apprendista delle arti oscure nel tempo libero. Chiamami se devi fare qualche fattura”
“Ah, ti intendi anche di contabilità?” scherzò Kijo, stringendogli la mano

“Oh…come sei fredda…e pallida…e spiritosa!” commentò Gosunkugi arrossendo

“Ranma mi ha detto che saremmo andati d’accordo! Sai, ho una sorta di allergia al sole che mi fa starnutire se non porto gli occhiali scuri…a volte anche con quelli! E poi anch’io in un certo senso mi diletto a preparare filtri e pozioni. Pensa che…” Kijo continuava a parlare, ma Hikaru già non l’ascoltava più, perso nelle sue fantasticherie romantiche. Quasi non si accorsero di Ranma, che stava tornando dal chiosco dei panini con un ricco bottino in compagnia di Hiroshi e Daisuke. Hikaru gli andò proprio a sbattere contro, mentre Kijo sorrise a tutti e tre.

“Bene…vedo che hai fatto la conoscenza di Gosunkugi! Sembra che te la stia cavando benissimo da sola nell’espandere il tuo giro di amicizie” esclamò Ranma

“Temo che già da domani la mia ondata di popolarità scemerà inesorabilmente…non tutti riescono a tollerare le mie…stravaganze” Kijo si sentì quasi in dovere di giustificarsi

“Ma cosa dici, Ki-chan, le tue peculiarità sono adorabili…” aggiunse Gosunkugi

“Hai sentito Ki-chan? Sei adorabile!” ribatté Ranma facendo il verso a Hikaru “Su, Daisuke, andiamo, ho una fame tremenda e questi panini non si mangeranno da soli”

“Se ti va ho sempre dei biscotti di ieri sera…” gli disse Kijo, un po’ imbarazzata

“Per chi mi hai preso? Io non mangio dolcetti, è roba da ragazze!” si voltò Ranma, offeso. Hiroshi gli diede una gran pacca sulla spalla.

“Ah…scusa…” mormorò Kijo, quasi tra sé.
Un po’ di malumore, Kijo rientrò in classe e si mise a seguire la lezione di matematica. Per fortuna che molte cose le aveva già trattate, quindi non ebbe difficoltà a rispondere alle domande che il professor Watanabe le poneva; anzi, talvolta alzò pure la mano per rispondere alle domande poste alla classe in generale. Le piaceva la matematica, era sempre stata così chiara, imparziale, logica e coerente. Al termine della lezione il professor Watanabe le si avvicinò e le chiese se le andasse di partecipare ai giochi matematici in programma il mese seguente: a quanto pare stava selezionando una rosa di studenti delle seconde classi del Furinkan, che avrebbero sfidato i candidati delle altre scuole. Anche in Italia aveva partecipato a competizioni del genere, di matematica, chimica e perfino latino. Tuttavia ogni volta che aveva a che fare con questo tipo di esperienza, si rendeva conto di quanto mediocre fosse: poteva brillare forse nella classe, ma quando la concorrenza si allargava un po’ le sue potenzialità venivano immancabilmente ridimensionate. Era sempre come se fosse troppo intelligente per essere capita dalle persone ‘normali’ e troppo stupida per suscitare l’interesse dei ‘geni’.

“Sarei onorata” rispose Kijo rivolgendosi al professore.

“Ma, scusate professor Watanabe! Ho sempre rappresentato io la nostra classe in questi eventi! È per via del programma di scambio che c’è questa novità?” insorse Kotaro in tono lievemente alterato

“Nulla vieta, Kotaro, che se ci sono due ragazzi meritevoli in una classe possano partecipare entrambi: può bilanciare le sezioni più ehm…ordinarie. Comunque sia devo ancora scegliere i nominativi per la mia materia. Ho chiesto alla signorina solo se fosse interessata”

Che la guerra abbia inizio allora!” pensò tra sé Kotaro, lanciando uno sguardo di fuoco verso Kijo.
 
Dopo l’ultima lezione Sayuri, Yuka e Kijo si trattennero un po’ in classe per riordinare e pulire la stanza. Come Yuka prese la cimosa per cancellare la lavagna, Sayuri la bloccò e chiese timidamente a Kijo, fissando il pavimento “Quell’esercizio…di matematica…tu lo hai capito?”

“Sì…c’è qualche problema?” rispose la ragazza, con tono pacato ma leggermente sulla difensiva

“No, è che…abbiamo sentito il professore quando ti ha detto che ti avrebbe tenuta presente per i giochi di matematica e ci chiedevamo se tu fossi ferrata in questa materia” disse Yuka

“Diciamo che nella mia scuola me la cavavo abbastanza bene, ma non so se sarò all’altezza dei migliori qui…Adesso è arrivato il momento in cui mi prendete in giro perché sono una secchiona?” chiese Kijo col fiato sospeso

“Prenderti in giro perché sei brava? Ma come ti viene in mente? No, ecco…io volevo solo chiederti se potevi…insomma, rispiegarmi l’ultima parte. Ho profonda ammirazione per gli studenti più capaci e mi vergogno tanto ad ammettere che invece io ci capisco poco o nulla” ammise Sayuri con tono triste

“Oh…scusate se sono partita prevenuta, ma non avete idea di quante volte sono stata schernita per i miei successi scolatici: non risulto molto simpatica agli altri alunni. Comunque se davvero vi serve il mio aiuto sarò felicissima di darvelo!” spiegò Kijo, poi prese il gessetto in mano “Vedi questa parabola e l’equazione che la descrive? Se cambio il coefficiente di x cambia anche la pendenza della retta tangente in quel punto…”
Una mezz’ora dopo le ragazze uscirono dai cancelli del liceo e si salutarono. Kijo era ancora incredula all’idea di essere riuscita a farsi accettare da un paio di ragazze: chissà che non riuscissero a diventare vere e proprie amiche. Tuttavia dovette ben presto fare i conti col fatto che non ricordava molto bene la strada per arrivare allo studio del Dr Tofu. Dopotutto la mattina l’aveva accompagnata Ranma e il tragitto era stato così movimentato che non era riuscita a memorizzare perfettamente il percorso. In lontananza scorse un ragazzo bruno con una maglia giallo senape e pensò di chiedere indicazioni.

“Scusa, sai dirmi qual è la strada per lo studio del Dr Tofu, se lo conosci?”
“Scusa, sai dirmi quanto è distante il liceo Furinkan?” chiese all’unisono quello

“È proprio qui di fronte!”
“Mi sembra di averlo visto da quella parte, mentre venivo qui” risposero di nuovo simultaneamente. A quel punto Kijo scoppiò in una risata e gli tese la mano

“Ciao, sono Rinekami Kijo ed ho appena finito il mio primo giorno al Furinkan. Anche tu studi lì?”

“Sono Hibiki Ryoga e no, sono qui solo per salutare una…amica che sta per partire” si presentò il ragazzo

“Vedo che oggi hai la fortuna di conoscere proprio tutti eh? Fossi in te non mi fiderei delle indicazioni di quello lì, Ki-chan. Non sa  trovare nemmeno il bagno in casa propria!” Ranma scese con un salto dall’albero su cui era stato appollaiato per tutto il tempo

“Ranma?!? Credevo che tu fossi tornato a casa ore fa!” lo guardò Kijo sorpresa, tralasciando il soprannome detto in tono dispregiativo

“In realtà temevo che non ricordassi la strada e a quanto pare avevo ragione. Dopotutto ho promesso al Dottor Tofu che ti avrei aiutata questi primi giorni. Quanto a te Ryoga, sei in ritardo come al solito: se volevi salutare Akane sappi che è partita da tre giorni!”.

Se avessero dato uno schiaffo a Ryoga avrebbe sentito meno dolore. Si prese la testa tra le mani e cadde in ginocchio, urlando “Noooooooooo!”

“Dovevi tenerci proprio tanto a salutare la tua amica…mi dispiace che tu non abbia fatto in tempo” cercò di consolarlo Kijo dandogli lievi pacche sulle spalle

“Mia adorata Akane, a costo di attraversare tutto il pianeta io tornerò da te per dirti quanto mi manchi!” gridò Ryoga

“È senza speranze…coraggio Kijo, andiamo a casa” sbuffò Ranma, spazientito

“A me sembra molto romantico…no? Poi scusa, il tuo amico è palesemente sconvolto, non possiamo lasciarlo qui da solo!” rispose a Ranma e poi si voltò verso l’altro ragazzo per invitarlo
“Perché non andiamo a prendere qualcosa da mangiare, vi va?”

“Beh, ecco…non ho molti soldi con me adesso…” balbettò Ryoga fissando la strada e unendo ritmicamente gli indici tra loro

“Non fa nulla, offro io stavolta! Solo che dovreste indicarmi un posto per fare merenda, dato che non sono molto pratica della zona” sorrise Kijo, poi continuò sarcastica “Magari un posto dove fanno roba salata, visto che da stamattina inspiegabilmente Ranma odia i dolci…”


Ranma si sentì punto sul vivo immediatamente e fece una boccaccia, ma preferì cambiare argomento “Potremmo prendere un okonomiyaki da Ukyo, che ne dite? Così ti presento anche lei”

“Oh, sì, le sue crepes sono le migliori della città! Grazie Kijo, a buon rendere!” rispose Ryoga

“Bene, allora direzione Ukyo!” esclamò Kijo prendendo a braccetto a destra Ryoga e a sinistra Ranma. I due ragazzi avvamparono vistosamente ma poi si lasciarono trascinare.
Il pomeriggio era soleggiato e limpido, tanto che Kijo dovette inforcare gli occhiali da sole. Una brezza leggera spandeva profumi floreali nell’aria e la fanciulla, dopo un profondo respiro, ruppe il silenzio

“Dimmi Ranma, com’è che sia tuo padre che il panda del Dottor Tofu si chiamano Genma Saotome?”

“Ggggh! Cosa? Ah…ehm…il Dottor Tofu desiderava un panda come assistente allo studio, è sempre stato un tipo fuori dal comune. Quindi mio padre…gliene ha procurato uno! A quel punto il Dottore ha deciso di chiamarlo come lui, che mattacchione eh?” blaterò Ranma in preda al panico, le pupille degli occhi ridotte a due punte di spillo. Ryoga alzò gli occhi al cielo.

“Oh, davvero? Ed era già addestrato o lo ha addestrato lui?” scavò Kijo

“Era…era già addestrato. Faceva parte di un circo o qualcosa di simile! Ehi! Ma guarda, siamo arrivati da Ukyo, entriamo! Dopo di te…” disse Ranma.
Kijo varcò la soglia del locale e appena prima di entrare a loro volta, Ryoga sussurrò a Ranma

“È la storia più assurda che abbia mai sentito! Non se la berrà mai, basta che chieda qualcosa a Tofu!”

“Ah, sì? Più assurda di quello che ci è successo alle sorgenti maledette? Non credo proprio! Comunque stasera cercherò di parlare con Tofu per chiedergli di…usare discrezione” bisbigliò Ranma. Ryoga si passò una mano sulla faccia, scuotendo la testa.

“Salve, benvenuti nel locale di Ukyo…uh, Ranma caro! Sei tu? E c’è anche Ryoga! Come state?” li salutò la proprietaria, girando una crepe sulla piastra incandescente

“Saremmo venuti a fare merenda Ucchan! Kijo non ha ancora avuto il piacere di assaggiare i tuoi okonomiyaki ed è un vero peccato!” disse spavaldo Ranma

“Chi è Kijo? Un’amichetta di Ryoga?” sorrise maliziosamente Ukyo, curiosa

“In realtà sarei io…da quanto ho capito dovremmo essere compagne di classe, per le ore che frequenti: piacere, Rinekami Kijo!” le tese la mano

“Oh, sei la ragazza nuova che ha fatto infuriare Kotaro e innamorare Gosunkugi? Quella italiana, no?”

“Eeeeh?” chiesero i tre all’unisono, al che Ukyo continuò

“I pettegolezzi viaggiano ad una velocità sorprendente…sono passati prima Ataru e Kotaro: quest’ultimo era furibondo perché a quanto pare potresti essere una minaccia al suo trono di migliore della classe. Pare che il professor Watanabe sia rimasto piacevolmente colpito dalla tua bravura…oddio, mai quanto Gosunkugi che ha già un rullino pieno di foto tue e ti ha scritto almeno una poesia sulla tua bellezza comparata alla morte…ora che ti guardo bene un po’ di aria spettrale ce l’hai, con quell’incarnato pallido e i capelli neri…no, viola scuri!” si avvicinò un po’ la ragazza.

“Ok, ammetto di non essere la tipica italiana perennemente con la tintarella e di avere un debole per lo stile dark-gotico, ma questi pettegolezzi mi sembrano un’esagerazione! I tizi che hai menzionato prima non si sono neanche presentati, mentre con Gosunkugi avrò scambiato sì e no quattro parole…” si giustificò Kijo

“Certo, ed una di queste era Ki-chan…” sottolineò Ranma, guardando il soffitto

“Oh, andiamo! Che c’è di male? Mi ha dato un soprannome, e allora? Non credo che sia come dite voi, ma a scanso di equivoci domani gli parlerò e chiarirò la questione” sbuffò Kijo

“Preparati ad avere il tuo nome su una delle sue bamboline” sogghignò Ranma

“Almeno farà compagnia alle tue…” ribatté la ragazza. Per tutta risposta Ranma le fece una linguaccia, poi ordinò un okonomiyaki alle seppie. Ryoga ne ordinò uno ai totani e Kijo ai gamberetti. Quando quest’ultimo fu pronto, Ukyo lo porse a Kijo, la quale notò che gli ingredienti formavano una scritta
«Non mi interessa con chi esci, basta che stai lontana da Ranma, perché io sono la sua fidanzata carina»

“Wow, certo che non lesini sul condimento tu! Spero solo che non mi rimarrà indigesto…” cercò di sdrammatizzare Kijo, mostrando la sua crepe “Toglimi una curiosità però: sei la terza ragazza che conosco, più o meno direttamente, che sostiene di essere la fidanzata di Ranma: cos’è, un gioco che si usa da queste parti?” riprese poi, tagliente

“Io e Ranma ci conosciamo fin da bambini, molto tempo prima che entrasse in gioco Akane Tendo. Ranma è il mio promesso sposo da quando avevamo cinque anni! Quanto a quella pazza furiosa di Shampoo, lei vuole sposarlo solo perché l’ha battuta in combattimento: è una stupida regola del suo villaggio” si infervorò Ukyo

“Ah, beh…perché i matrimoni combinati sono una tradizione intelligente invece…” commentò Kijo, spiazzandoli

“Che c’entra…io e Ranma ci amiamo a prescindere, non è vero?” vacillò Ukyo

“Ecco, io…”iniziò a biascicare Ranma, terribilmente a disagio. Fortunatamente fu salvato dall’arrivo di un gruppetto di clienti, a cui Ucchan dovette dedicarsi.

“Filiamocela prima che si liberi di nuovo!” bisbigliò Ranma ai suoi amici

“Ehi, ma dobbiamo pagare prima…” rispose Kijo, con aria sorniona

“Ucchan non mi fa mai pagare la crepe! Lasciale i soldi sul tavolo ma ti prego, andiamocene!” ripeté Ranma, già in piedi diretto verso la porta

“Ok, ok…quanta fretta! Ryoga, tu hai finito?” gli chiese la ragazza, fissando il suo piatto vuoto

“Oh, sì, certo…grazie!”

A quel punto Kijo lasciò delle monete vicino alla piastra di cottura e fece un cenno di saluto ad Ukyo solo quando aveva già un piede fuori dalla porta.


“Quali sono i tuoi programmi per la serata, Ryoga?” chiese Kijo

“Oh, dovrei riuscire ad arrivare a casa prima che faccia del tutto buio, spero…in alternativa mi accamperò nel parco cittadino”

“Abiti così lontano?” sbatté le palpebre Kijo

“No, è che ha un senso dell’orientamento inesistente!” commentò Ranma

“Se è per quello, orientarmi nello spazio non è neppure il mio forte” ridacchiò Kijo, una mano sulla nuca “Ma forse Ranma ti può aiutare! Perché non lo accompagniamo a casa, eh?”
Ranma e Ryoga si guardarono in modo strano, poi Ranma annuì e fece strada. Impiegarono meno di cinque minuti per arrivare a casa Hibiki. Un cane bianco e nero comparve al cancello, scodinzolando.

“Uh, che carino! Come si chiama?” si avvicinò Kijo per fargli le feste. Il cane l’annusò e poi decise di lasciarsi accarezzare.

“Black and White. Il nome lo ha scelto Kasumi.”

“Se non altro è calzante!” commentò la ragazza, continuando a lisciarlo, poi si congedò “Beh, buona serata Ryoga! Mi ha fatto piacere conoscerti, spero di rivederti presto!”

“Oh, anche a me…davvero! E grazie per la crepe!”.

Ranma roteò gli occhi al cielo, poi si incamminò di nuovo, seguito da Kijo.
“Non che mi interessi, ma devi sempre flirtare con tutti?” le chiese improvvisamente. Kijo si bloccò

“Solo con chi apprezza il cibo che gli offro” rispose con finta nonchalance

“Non mi perdonerai mai per quella storia dei biscotti, vero?”

“Forse se tu mi dessi una spiegazione per il tuo comportamento così sgarbato, potrei darti una possibilità”

“Ecco…vedi Kijo…da come ti comporti è palese che ancora tu sia molto inesperta degli usi e costumi giapponesi” una vena sulla tempia della ragazza cominciò a pulsare “Infatti non sai, ad esempio, che mangiare pubblicamente dolciumi per un uomo è considerato disdicevole, poco virile”
Kijo cominciò a capire dove voleva andare a parare, ma lo lasciò continuare
“Quindi, sebbene io ami i dolci, inclusi i tuoi biscotti di ieri sera, non posso farmi vedere mentre li mangio, capisci? L’unica circostanza in cui è tollerato frequentare le pasticcerie per gli uomini è quando sono assieme ad una ragazza”

“È una delle cose più assurde che abbia mai sentito…però dopotutto da dove vengo è disdicevole che una ragazza mangi, a prescindere. Dovremmo dimenticare di avere uno stomaco in pubblico e anche in privato dovremmo moderarci perché guai ad accennare un fisico un po’ più formoso…”

“E io che credevo che voi italiani mangiaste ventiquattr’ore al giorno!”

“Certo, gli italiani maschi!” sorrise Kijo con solo metà delle labbra “Comunque grazie del chiarimento, adesso che lo so se vorrò offrirti un dolce te lo porterò direttamente a casa in una custodia di violino e tirerò le tende prima di aprirla!”

“Hai proprio uno strano senso dell’umorismo, però sì, il senso è quello. Bene, siamo arrivati allo studio del Dottore. Ci vediamo domattina per andare a scuola?”

“Ci conto! Buona serata Ranma” lo salutò Kijo, entrando nel cancello.
Il Dottor Tofu l’accolse con un sorriso e la informò che di lì a poco sarebbe arrivato un paziente; prese dunque una Polaroid a sviluppo istantaneo e le si avvicinò

“Credo sarebbe opportuno che ti facessi un tesserino di riconoscimento in quanto mia assistente, che ne pensi?”

“Certo, almeno anche i vostri pazienti non mi scambieranno per…il panda delle pulizie!”

“Ok, allora stai un secondo ferma che scatto…ecco fatto, adesso compilo il tesserino! Non rende molta giustizia alla lieve sfumatura verde dei tuoi occhi, ma mi sa che dovrai accontentarti”

Kijo fece spallucce “Solo un occhio attento nota quella sfumatura, la maggior parte delle persone li reputa castano-chiari. Comunque adesso, se siete d’accordo, farei partire l’estrazione dell’olio essenziale di Cinnamomum zeylanicum . Ha una gradevole profumazione e attività antimicrobica, per cui potremmo utilizzarlo assieme all’etanolo nella disinfezione dello studio.”

“Ottima idea. Ti chiamerò quando arriva il paziente, così mi assisterai nell’anamnesi”.

Kijo salì le scale e indossò il suo camice da lavoro. Radunò gli attrezzi che le sarebbero serviti in una piccola borsa, mentre con delicatezza prese l’apparecchio Clevenger e il termomanto. Trasferì tutto in cucina, attaccò il termomanto alla corrente dopo aver applicato l’adattatore e lasciò che si scaldasse a bassa intensità. Nel mentre riempì il pallone da un litro con l’acqua del rubinetto e si mise a triturare la corteccia di cannella su un tagliere. Successivamente, facendo attenzione a evitare un eccessivo riscaldamento da attrito, versò i frammenti nel mortaio e si mise a macinarli col pestello. La polvere grossolana così ottenuta venne messa nel pallone ed esso sul termomanto. L’apparecchio Clevenger vi venne posto sopra, dopo aver collegato il tubo di entrata al rubinetto e quello di uscita nello scolo del lavandino. Kijo guardò il suo piccolo laboratorio improvvisato soddisfatta: adesso avrebbe dovuto solo monitorare di tanto in tanto la temperatura e la distillazione avrebbe fatto il suo corso.
La prima cosa che il paziente di Tofu chiese appena entrato fu se qualcuno avesse preparato dei biscotti. Poi brontolò col dottore sul perché la ragazza alla pari dovesse assistere alla sua visita, ma per fortuna si tranquillizzò quando, dopo la sessione di agopuntura, ebbe giovamento dai dolori. Kijo annotò su un taccuino la procedura e i punti di applicazione degli aghi, poi, dopo aver chiesto al dottore, offrì al paziente una miscela di erbe antinfiammatorie con cui poter preparare un infuso.

“La vostra colf vorrà mica avvelenarmi dottore?” chiese spaesato il vecchietto

“Non è una colf, è la mia assistente. Non vede che ha anche il tesserino?”

“Sarà, ma non sono abituato a seguire i consigli di una pasticcera” continuò piccato


“Ma io non sono una pas…” cominciò a brontolare Kijo, ma il dottore la fermò

“Tanto vale che la prossima volta mi faccia consigliare dal panda, no?”
Vedendo che era un caso perso, Kijo ritrasse la mano col sacchettino e salutò il paziente.

“Tosto questo!” commentò quando se ne fu andato

“Sì, Onoko è molto…particolare. Ci vorrà un po’ perché tu acquisti fiducia ai loro occhi, ma non temere, prima o poi ci riuscirai. I cambiamenti sono difficili da digerire, ma non c’è bisogno che lo dica a te” cercò di rassicurarla Ono

“Già…un passo per volta!”.
 
Nabiki stava sbocconcellando un biscotto mentre Kasumi preparava la cena. Soun e Genma discutevano sulla validità della partita a shogi e Happosai catalogava il suo ultimo bottino di reggiseni cromaticamente. Ranma accennò appena un saluto passando tra loro e si diresse senza deviazioni in palestra. Era stata una giornata insolita e la sua testa era piena di pensieri che voleva scacciare a suon di calci e pugni. Un po’ di allenamento gli avrebbe senz’altro giovato. Anche se non amava ammetterlo, aveva una leggera nostalgia di Akane: se da un lato il continuo discutere con lei era sfiancante e fine a se stesso dall’altro gli mancavano i momenti, seppur rari, di complicità. Inoltre Akane era una delle poche persone al corrente della sua maledizione, quindi poteva rilassarsi in sua presenza: quanti altri sarebbero stati a proprio agio con un ibrido uomo-donna? Scosse la testa, cercando di allontanare quell’idea, ma a tradimento l’immagine di Kijo che baciava Shampoo balenò nella sua mente…Dopo essere arrossito per bene, si buttò a terra a fare delle flessioni su una sola mano. Certo era che quella ragazza aveva una moralità piuttosto dubbia, quantomeno per la mentalità giapponese…possibile che proprio lei avrebbe potuto comprendere la sua situazione? No, certo che no, scosse la testa. La sua maledizione sarebbe stata troppo anche per la smaliziata Kijo.

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Capitolo 4
*** Accordi vantaggiosi ***


5 aprile
 
I giorni successivi scorsero piuttosto tranquilli: Kijo riuscì a chiarire con Hikaru senza che lui le scagliasse contro maledizioni di sorta a patto che lei lo aiutasse a realizzare delle foto per un progetto a cui teneva; riuscì inoltre a farsi esonerare dalle lezioni di ginnastica in cui si praticava il nuoto, dato che a quanto pareva non ne era capace, tuttavia si impegnò a far parte della squadra di pallavolo nel torneo interscolastico; constatò amaramente che nel disegno tecnico continuava ad essere una frana, con somma gioia di Kotaro, il quale tuttavia si mangiava le mani durante le lezioni di chimica e scienze, in cui il talento di Kijo emergeva visibilmente. Fu proprio a motivo di questo fatto che Ranma, durante il tragitto di rientro a casa del venerdì pomeriggio, le avanzò una proposta.

“Senti Kijo…è ormai chiaro che riesci a eccellere in quasi tutte le materie, mentre io talvolta trovo difficoltà. Non è che ti andrebbe di darmi qualche ripetizione ogni tanto?” sorrise leggermente a disagio il ragazzo, pensando agli ultimi compiti non proprio brillanti


“Certo, non ci sono problemi. Quando vuoi” gli rispose lei stringendosi nelle spalle, come se fosse la cosa più normale del mondo


“Solo che…sai com’è, non ho molto contante per pagarti…” allargò le braccia Ranma, mostrando il contenuto assente delle sue tasche


“Oh, ma non preoccuparti, figurati se…” Kijo non riuscì a terminare la frase che una bicicletta a tutta birra si scaraventò su di lei. Grazie a un rapido salto laterale e ad una provvidenziale spinta di Ranma riuscì a evitarla. Shampoo si fermò e le gridò contro, inferocita


“Vedo che nonostante il mio avveltimento continui a flequentale il mio Lanma! Dobbiamo fissale un combattimento d’onole per polle telmine a questa stolia una volta pel tutte!”


“Ehi, ma sei pazza? Potevi uccidermi!” strepitò con veemenza Kijo, avvicinandosi pericolosamente alla ristoratrice cinese


“L’intenzione è quella” la sbeffeggiò Shampoo, incrociando le proprie braccia sotto il seno e ponendo sul proprio volto un sorrisetto irritante


“Ah sì? Bene, io non mi tirerò indietro! Decidi tu il posto e l’ora e io ci sarò. Se vincerò però devi promettermi che mi lascerai in pace!” proruppe Kijo risoluta


“Andata! Allola ci vediamo veneldì plossimo dopo le lezioni al palco cittadino.”
Così dicendo risalì in sella e se ne andò pedalando velocemente. Kijo si voltò verso Ranma, sciolse la tensione in un grosso sospiro e suggerì


“Forse ci sarebbe un modo in cui potresti sdebitarti delle ripetizioni…”


“Ah sì? E quale?” domandò il codinato che ancora era incredulo per la scena appena vista


“Vorrei che mi insegnassi qualche tecnica di autodifesa…ho sempre voluto apprendere qualche trucco che aumentasse la mia sicurezza personale in situazioni di pericolo e forse questa sfida è il pungolo di cui avevo bisogno per cominciare” la ragazza gli lanciò uno sguardo carico di determinazione e Ranma la squadrò con diffidenza e perplessità


“Ehi, guarda che non esistono tecniche magiche per fare quello che dici: ci sono delle discipline marziali che vanno portate avanti gradualmente con impegno e allenamento. Le tecniche di pronto uso lasciano spesso il tempo che trovano. E poi tu non mi sembri una ragazza adatta al combattimento”


“Se io muoio venerdì prossimo nessuno ti farà le ripetizioni gratuitamente. Sei disposto ad aiutarmi adesso?” gli scagliò un’occhiata di traverso Kijo. Ranma mugolò a denti stretti, consapevole di non poter obiettare


“Poi nulla toglie che terminata l’urgenza del duello possiamo continuare un percorso più completo…onestamente per ora mi importa solo di arrivare viva a sabato prossimo” gli sorrise lei


“Va bene…in questo caso mi vedo costretto ad aiutarti. Sappi che Shampoo è una combattente addestrata quindi non sarà per nulla facile batterla. Anzi, praticamente impossibile” cedette Ranma, accertandosi tuttavia che comprendesse l’entità del guaio in cui si era cacciata


“Si dice in giro che tu non abbia mai perso una sfida. Non vorrai cominciare adesso, giusto?” suggerì Kijo, melliflua


“Ok, d’accordo! Ma non c’è un momento da perdere: dovremo cominciare subito e a parte gli impegni scolastici dovrai mettere tutto il resto da parte. Adesso ti accompagno a casa, ti metti una tuta e poi corriamo letteralmente al dojo Tendo per la prima lezione” si organizzò il ragazzo, risoluto


“Mi sembra un ottimo piano!” sorrise Kijo.
 
 
 
Pochi minuti più tardi arrivarono a casa Tendo e Kasumi li accolse sorridente

“Ranma, non mi avevi detto che avresti portato un’ospite! Metto su un po’ di tè?”


“Non ora, Kasumi, abbiamo un sacco da fare! Saremo in palestra per qualche ora, non interrompeteci!” disse sbrigativo Ranma trascinando Kijo, che nel mentre salutava con la mano, verso la palestra


“È una nuova allieva del dojo?” chiese curiosa Nabiki assistendo alla scena


“Io non ho nessun modulo di iscrizione” scartabellò inutilmente nel registro Soun


“Utilizzerà la palestra gratuitamente, quindi?” rimarcò Nabiki con disappunto


“Sono certo che c’è una spiegazione al comportamento di mio figlio…” ridacchiò nervosamente Genma ponendo una mano dietro la nuca


“Andiamo, in fondo a quest’ora non sarebbe comunque venuto nessuno. Chissà se vuole fermarsi per cena però…” meditava intanto Kasumi ripassando mentalmente le scorte di cibo che aveva a disposizione in dispensa.
 
“Bene, prima di cominciare devo rendermi conto del tuo livello di partenza. Simulerò alcuni colpi molto a rilento e tu devi cercare, per come ti suggerisce l’istinto, di evitarli” le illustrò Ranma assumendo una posizione pronta all’attacco


“Va bene, sono pronta!” rispose decisa Kijo.
Per prima cosa Ranma simulò un gancio destro e la ragazza lo intercettò con la mano sinistra posta all’altezza del suo viso, dopodiché abbassò la testa e passò sotto al colpo. Successivamente le arrivò un uppercut verso il mento, lei lo intercettò all’altezza del torace e si spostò lateralmente per evitarlo. Fu la volta di un calcio alto che l’avrebbe colpita in pieno volto se lei non avesse avanzato verso il busto di Ranma spingendolo al petto per minare il suo equilibrio.


“Uhm…ti piacciono le soluzioni creative eh? Beh, da quello che ho potuto vedere hai molto a cuore la tua linea centrale e questo è un bene; prediligi schivare gli attacchi anziché contrastarli, e visto che sei una femmina ci sta; non hai paura ad avvicinarti al bersaglio e questo può essere un’ottima risorsa o una condanna a morte” detto questo le si avvicinò e le prese le braccia, portandole in una posizione di difesa.
“Vedi, se invece che a quest’altezza tieni le braccia leggermente più in basso puoi controllare meglio i colpi dal basso. Tu non sai da dove ti colpirà il tuo nemico, ma ci sono dei segnali che puoi imparare per fare delle stime. Le tue braccia poi devono essere sciolte, non così tese. Tutto deve partire dalle spalle, le tue braccia devono essere come fruste pronte all’azione” al tocco di Ranma sulle spalle Kijo arrossì lievemente e contrasse ancora di più il muscolo, tuttavia cercò di seguire le indicazioni.
“Adesso prova a colpirmi” la incitò Ranma


Kijo sospirò e sembrò concentrarsi intensamente. Quando arrivò vicina a Ranma mancò il volto in modo clamoroso.


“No, aspetta…tu devi cercare di colpirmi sul serio. Non ti trattenere, sicuramente riuscirò a schivarti o a bloccarti, non hai speranze di colpirmi, quindi non ti devi limitare come ho fatto io prima”
La ragazza strinse i denti e cercò di nuovo la concentrazione. Si avvicinò rapidamente a Ranma ma mirò così male il calcio che rimase con una gamba a mezz’aria.


“Non ci credo che tu sia così scarsa! Ti ho visto che alla fine hai modificato l’angolatura: tu non vuoi colpirmi. Ma non andremo da nessuna parte se ti rifiuti di farlo” la incitò lui.
Kijo era scissa tra due forze opposte: da un lato avrebbe voluto colpire Ranma, mentre dall’altro le tornarono in mente tutti gli insulti e le canzonature subite negli anni quando si dedicava a passatempi poco femminili; si lasciò bloccare dalla vergogna


“Forse è meglio se ti trovi qualcuno che combatta Shampoo al tuo posto!”


In quel momento non ci vide più e attaccò il ragazzo con un destro diretto sullo sterno. L’umiliazione non poteva proprio tollerarla. Ranma mancò un respiro e poi la superò con un balzo. Riprendendo fiato, le si rivolse
“Quindi è questa la motivazione di cui hai bisogno. Bene, cercherò di ricordarlo”


“Ti ho fatto male?” gli chiese Kijo, a occhi bassi


“Ma no, figurati! Hai la forza di una medusa” scherzò Ranma; quando provò a ridere però non riuscì a trattenere un paio di colpi di tosse


“Non sottovalutare le meduse: rimarresti di sasso!” ridacchiò Kijo notando l’espressione confusa di Ranma, poi ripartì all’attacco: le sue braccia incrociarono quelle di Ranma, che iniziò a capire dalla pressione che riceveva dove aveva intenzione di spostarsi la ragazza. Ogni movimento veniva studiato e bloccato, finché la situazione era giunta ad uno stallo.

“Mi stai dando troppe informazioni: finché saprò dove vuoi colpire bloccherò i tuoi attacchi”

“Come si esce da questa situazione?” chiese Kijo esercitando una pressione esagerata


“Con un imprevisto!” rispose Ranma, stringendo gli avambracci della ragazza per farvisi leva e balzare oltre. Nel tempo che lei si girò lui la colpì in fronte col dito indice, sorridendo.

“Dubito che riuscirò a fare qualcosa del genere” commentò Kijo, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Ranma

“Nessuno ha detto che tu debba fare questo, né che sarà facile. Però, come qualcuno ha detto, io non perdo mai una sfida!” le fece l’occhiolino, passandosi una mano tra i capelli.
In quel mentre Nabiki bussò e aprì la porta.

“Kasumi vorrebbe sapere se la tua ospite si ferma a cena…mentre io invece vorrei sapere che state combinando”

“Sì, Kijo si ferma a cena perché dobbiamo continuare il nostro allenamento anche dopo. Quanto alla seconda domanda non credo che siano affari che ti riguardano” rispose Ranma

“In realtà tutti gli affari o mancati tali mi riguardano…sembra che vi stiate allenando ma lei non è un’allieva iscritta alla palestra, sbaglio?” gli fece una linguaccia Nabiki

“Abbiamo un altro tipo di accordo, mi offre un pagamento alternativo!” esclamò Ranma, poi si rese conto solo all’occhiata dubbiosa con tanto di sopracciglia alzate di Nabiki di quanto equivoca potesse sembrare la sua frase. A quel punto cominciò a balbettare parole incomprensibili, rosso come un peperone. Kijo sospirò scuotendo la testa e prese la parola

“Ranma ha accettato di farmi un corso accelerato di autodifesa, in cambio io lo aiuto con i compiti”

“In tal caso sembrerebbe un buon affare…ma come la mettiamo coi clienti paganti della palestra?” riportò il discorso su ciò che aveva veramente a cuore Nabiki

“Naturalmente ci alleneremo quando la palestra non sarà occupata da nessuno, ci mancherebbe…” mise le mani avanti Kijo

“Ottimo! E tu ti occuperai di lui dopo le tue ripetizioni retribuite, immagino” sondò il terreno la ragazza materiale

“Ehm…certo, l’idea è proprio quella!” mentì spudoratamente Kijo con una grande goccia che le invadeva interamente la nuca

“Mi piace quando gli accordi sono vantaggiosi per tutti…soprattutto quando lo sono per me…Senti cara, mi hanno detto che hai acconsentito a farti fotografare da Gosunkugi per un suo progetto e mi chiedevo se saresti disposta ad aiutare anche me con un progetto che ho lì da tempo” quel discorso fatto con apparente noncuranza mise in allerta Kijo, che colse lo sguardo avido di Nabiki. Tuttavia cercò di dimostrare entusiasmo

“Davvero anche tu sei una fotografa? Che bello! Se posso ti aiuterò volentieri”

“Fantastico, allora ci mettiamo poi d’accordo per i dettagli. Intanto vado a dire a Kasumi di apparecchiare per una persona in più” si congedò Nabiki con un rapido inchino

“Non so cosa abbia in mente Hikaru, ma sta’ attenta a lei…ama fotografare le ragazze per poi vendere le foto ai loro spasimanti” la avvertì il giovane Saotome

“Sul serio? Allora perché lo ha chiesto a me? Non credo che nessuno richiederà mai le mie foto!” sorrise in imbarazzo Kijo

“Forse Kotaro per giocarci a freccette!” scherzò Ranma

“Già…anche se ancora non ho capito che gli ho fatto” si oscurò un attimo la ragazza

“Diciamo che non ama essere messo in discussione…lui è il classico ragazzo super-intelligente, ammirato da tutti ma da lontano. Non lascia avvicinare nessuno e detesta tutti quelli con cui entra in competizione” spiegò il codinato alla bell’e meglio

“Immagino che lui non ti avrebbe aiutato coi compiti, no?” domandò Kijo

“Figurati! È estremamente geloso delle sue capacità.”
 
Poco dopo Kasumi venne ad avvisarli che era pronta la cena.

“Vi chiedo scusa del disturbo che vi ho arrecato, non credevo che il nostro allenamento sarebbe perdurato tanto” esclamò Kijo inginocchiandosi al tavolo

“Ma cosa dici? Per noi è una gioia la tua visita! Mi sono premurata di avvertire il Dottor Tofu che avresti tardato, ma il telefono faceva degli strani versi, spero che abbia capito…” raccontò pensierosa Kasumi

“Certo, se lo hai chiamato tu…” commentò Nabiki con una stilettata

“Insomma figliolo, così ti sei fatto una nuova allieva?” esordì Genma mentre agguantava un pezzo di pesce marinato con le bacchette

“Kijo ha bisogno di imparare a difendersi: è una ragazza sola, in una terra straniera di cui ancora non conosce bene le usanze. Ho giurato al Dottor Tofu che l’avrei aiutata, quindi è mio sacro dovere darle i mezzi di sopravvivenza necessari” rispose Ranma in tono eccessivamente solenne. Kijo lo fissava perplessa sbattendo le palpebre

“Che nobile gesto del tutto disinteressato, vero Ranma? Sei proprio un esempio adamantino da seguire” disse sarcastica Nabiki

“Che tipo di interesse ci nascondi, Raaaaaanmaaa? Ti ricordo che è sempre valido il fidanzamento con mia figlia!” lo minacciò velatamente Soun, assomigliando ad un grande spirito di drago dalla lingua biforcuta

“Oh, signor Soun! Non temete, le motivazioni di Ranma sono pure e limpide! In un momento di sconforto gli ho confidato il mio dramma e i miei timori con le lacrime agli occhi. Egli, sapendomi così fragile e indifesa non ha potuto rimanere sordo alla mia supplica e si è offerto di insegnarmi quel tanto che basta da permettere ad una ragazza di rincasare la sera senza tremare come una foglia per tutto il tragitto. Non ha voluto niente in cambio, ma io mi sono sentita così meschina ad approfittare della sua sconfinata gentilezza da implorarlo di accettare il mio aiuto se desiderasse approfondire le materie scolastiche in cui riesco un po’ meglio. Non tolleravo un debito d’onore così grande, comprendete?” declamò Kijo tutto d’un fiato, con gli occhi lucidi di lacrime tremule e un tono teatrale e tragico. Ranma la fissava incredulo, mentre Genma e Soun stavano per mettersi a piangere a loro volta. Nabiki sbuffò lievemente e Kasumi sorrise con empatia, commentando

“Sei proprio un bravo ragazzo, Ranma!”

Kijo sorseggiò un po’ di tè e dal bordo del bicchiere fece un occhiolino rapido in direzione di Ranma, che era ancora sconvolto.

“Sai Kijo, il prossimo fine settimana pensavamo di fare una piccola gita fuori porta in una località termale a Kyoto, Kurama Onsen. Sarebbe divertente se anche tu e il Dottor Tofu vi aggregaste, vi pare? Naturalmente se ciò non interferisce coi compiti o col tuo allenamento” propose Kasumi

“Una località termale eh? Non ci sono mai stata, sembra carino! Come funziona? Ci sono vasche di acqua calda…tiepida…fredda?” sorrise Kijo, leggermente in imbarazzo

“Prevalentemente sono piccole polle naturali di acqua calda o molto calda, ma ci sono anche piscine per rinfrescarsi. Ci si immerge senza vestiti, ma non temere, sono separate quelle delle donne da quelle degli uomini”

“Ah, fantastica esperienza! Bene, lo proporrò a Ono e se riuscirò a sopravvivere alla…prossima settimana verrò molto volentieri!” rispose Kijo, molto meno baldanzosa rispetto a prima.

“Bene, noi dobbiamo tornare ad allenarci. Ciao!” tagliò corto Ranma, dirigendosi nuovamente in palestra.
 
Quando furono soli, Ranma si prese qualche secondo per formulare la frase, poi esordì

“Che razza di discorso era quello di prima? Fai anche parte del gruppo di teatro o cosa? Non ho mai visto un’interpretazione del genere!”

“Oh, Ranma-kun, ancora non hai visto niente…” sorrise Kijo beffarda, poi continuò, con sguardo tremulo e affranto “Cosa ti fa pensare comunque che io non sia davvero una timida fanciulla impaurita bisognosa di protezione e nostalgica di casa?”   

“Cosa? Beh ecco, diciamo che non mi avevi dato quella impressione finora…” si affrettò a rispondere Ranma, visibilmente in imbarazzo. Kijo non riuscì più a trattenere una risata, al che il ragazzo si stizzì “Mi stai di nuovo prendendo in giro? Sei terribile!!”

“Oddio, scusami, ma non ce la facevo più a mantenere un tono serio! Avresti dovuto vedere la faccia che hai fatto!” continuava a ridere Kijo, mentre a Ranma pulsava sempre più vistosamente la vena sulla tempia “Se c’è un corso di teatro a scuola comunque lo seguirò volentieri, compatibilmente con gli altri impegni. Grazie, mi hai dato una buona idea!”

“Adesso basta con le chiacchiere, dobbiamo allenarci. Gradirei che durante queste lezioni ti rivolgessi a me con l’appellativo di Maestro, se non ti dispiace” disse Ranma, scocciato

“Ahi…te la sei presa proprio tanto, eh?” Kijo lo guardò con l’aria furba di chi sapeva di averla combinata grossa

“Tsk. Non è assolutamente per questo. Chiamarmi Maestro ti aiuterà a focalizzare la tua attenzione e a impegnarti, stabilisce una gerarchia; altrimenti continuerai a considerarci come due amici a fare una scampagnata” ribatté Ranma col mento sollevato e le braccia incrociate

“Siamo due amici a fare una scampagnata?” ridacchiò Kijo

“Basta, sei impossibile! Ora combatti!” Ranma le si lanciò contro a tutta velocità e l’esitazione iniziale della ragazza le fu fatale: lui riuscì a sbilanciarla e a farla cadere a terra senza che potesse opporre resistenza.

“Ecco, se fossi stato un malintenzionato, o peggio Shampoo, adesso saresti stata in guai seri. Quando ci alleniamo devi sgombrare la mente da tutte le altre sciocchezze. Alzati e riprendiamo.”
Kijo si sentiva punta nel vivo, ma in fondo sapeva che Ranma aveva ragione. Se solo avesse potuto…no, non c’era nemmeno da pensarlo. Si alzò in piedi in posizione di difesa, rispondendo
“Sì, Maestro!”
Si allenarono almeno per altre tre ore, dopodiché Ranma decise che era sufficiente per la giornata. Kijo era madida di sudore, coi capelli appiccicati al volto dato che la coda che si era fatta in precedenza era ormai quasi completamente disgregata. Era tanto che non si sottoponeva ad uno sforzo fisico così intenso.
Fece per accennare un saluto e andarsene, quando Ranma la fermò
“Aspetta, ti accompagno. Non vorrei davvero che una fragile e indifesa fanciulla come te si trovasse in difficoltà sulla strada di casa…”

“Oh, grazie…Maestro” gli sorrise facendogli una linguaccia


“Sei stata una sorpresa, sai? Sicura di non aver praticato mai arti marziali prima d’ora?” le chiese Ranma, mentre passeggiavano. La luna era alta in cielo e le stelle baluginavano luminose.

“No, mai…” rispose Kijo evitando lo sguardo indagatore di Ranma

“Mmmh…è che sei riuscita ad afferrare molto rapidamente i concetti e le indicazioni che ho provato ad impartirti…mi sarei aspettato un po’ più di difficoltà da una novellina” la scrutò più attentamente

“Eh eh…forse perché sei un ottimo insegnante, ti pare?” cercò di blandirlo la ragazza

“Mah…vedremo come ti comporterai nei prossimi giorni. Ci vediamo domattina per correre?” le chiese Ranma, fermandosi davanti allo studio di Tofu

“Certo! Verso le dieci?” propose Kijo

“Macché dieci, dormigliona! Sarò qui alle sette e mezzo!” le diede un buffetto in fronte

“Cosa? Ma è tra meno di sette ore!!” pigolò Kijo sgomenta

“Non perdere altro tempo allora, fila a dormire. A domani!” la salutò Ranma, voltandosi per tornare a casa.

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Capitolo 5
*** Uno scontro epico...ehm, etico ***


6 aprile
 
Il mattino seguente Kijo aveva la vitalità di uno zombie. Dormiva praticamente in piedi quando Ranma passò davanti allo studio, correndo pimpante
“Ehi, buongiorno! Non siamo molto mattinieri a quanto vedo, eh?”

“No, per niente” rispose sbadigliando la ragazza mentre si stiracchiava

“Animo, devo fortificare il tuo corpo se vuoi avere una chance con Shampoo! Non ti ho sentito salutarmi comunque…”

“’giorno” disse Kijo di malavoglia, gli occhi ridotti a due fessure cariche di sonno

“Come come?” insisté Ranma

“Senti, se ci sono due cose che odio al mondo sono alzarmi all’alba e parlare di prima mattina. Capisco che in questo caso sia necessario ma non sarò il massimo della compagnia a quest’ora” rispose Kijo, un po’ scocciata, sistemandosi gli occhiali da sole

Buongiorno Maestro. Finché non lo dirai non partiremo, su!”

“Per tutte le distillazioni in corrente di vapore! Ci sei fissato con questa storia! Uffa, d’accordo: Buongiorno Maestro! Sei contento adesso?”

“Per tutte le cosa?” rivelò il suo dubbio Ranma, aggrottando le sopracciglia

“Te lo spiegherò più tardi, magari ti faccio assistere ad una dimostrazione, purché tu mi chiami Professoressa

“Non esiste proprio!” esclamò Ranma iniziando a correre. Kijo roteò gli occhi al cielo e poi lo seguì.

Dopo una ventina di minuti Ranma si bloccò tanto bruscamente che la ragazza gli sbatté addosso. Avevano corso ininterrottamente per strade deserte, senza incrociare anima viva, dato che a nessun essere sano di mente sarebbe venuto in mente di scomodarsi tanto presto al mattino per correre. Eppure Ranma era stato inesorabile ad imporre un ritmo serrato di allenamento ed era rimasto sordo anche a tutte le proteste della ragazza a cui si erano sciolti i capelli e voleva fermarsi un minuto per risistemarsi.

“Che succede adesso?” Kijo approfittò della pausa per rifarsi la coda

“C-c’è un g-g-g-gatto lì” Ranma, improvvisamente col fiatone, indicò un cassonetto della spazzatura in cui un micetto nero raspava allegramente con la zampina

“Oh, hai ragione! È carinissimo! Vieni qui micio micio micio!” Kijo si diresse verso il gatto e cominciò a grattargli dietro le orecchie “Vuoi che lo prenda, Ranma? Secondo me viene in braccio…”

“S-s-s-stai lontana da quella bestia, tienila lontana da me!” Ranma era nel panico, tremava come una foglia ma non riusciva a scappare

“Come? Maestro, non dirmi che temi questo piccolo felino?!” esclamò Kijo con tono fintamente scandalizzato “E io che ti credevo senza macchia e senza paura, ahi me misera: affidare la mia incolumità ad un Maestro che trema di fronte a un gatto…”

“S-s-smettila per f-f-favore…scaccialo!” la implorò Ranma

“Non esiste. Sta cercando la sua colazione, non lo farò morire di fame. Adesso chiudi gli occhi e prendi la mia mano” disse Kijo avvicinandosi

Ranma avvampò e rimase a tremare ripetendo “Odio i gatti, li odio, li odio!”

“Chiudi gli occhi, Maestro!” gli sussurrò Kijo nell’orecchio, con tono deciso. Ranma ubbidì deglutendo e lei lo prese per mano, trascinandolo ben oltre il cassonetto col gatto. Quando furono a distanza di sicurezza lei si fermò e gli disse “Adesso puoi riaprirli, è passato”. Ranma sbatté le palpebre tre o quattro volte, temendo di veder di nuovo spuntare il gatto nelle vicinanze, ma il pericolo era lontano.

“Immagino di doverti una spiegazione…” cominciò con imbarazzo Ranma, fissando il manto stradale

“Solo se vuoi. Non giudico le persone dalle loro paure, se è questo che temi. Sapessi quante cose stupide mi terrorizzano! Anzi, scusa se ci ho scherzato su: non avevo realizzato quanto ti spaventasse” la schiettezza dello sguardo di Kijo lo trafisse come una spada. Rimase a fissarla, senza parole.
 

I giorni seguenti scorsero molto veloci tra gli allenamenti intensi, gli impegni scolastici e il tirocinio in ambulatorio. Kijo fu sollevata di vedere all’opera il Dottor Tofu alle prese con un ragazzo che aveva avuto un brutto incidente: Ono non si scoraggiò, deterse le ferite, ricucì i tagli e ingessò le fratture tanto che pochi giorni dopo il ragazzo mostrava già evidenti segni di miglioramento. Per tenere sotto controllo il dolore e la febbre avevano studiato assieme una miscela di farmaci e estratti fluidi che aveva avuto un riscontro positivo. Quanto meno se Shampoo l’avesse ridotta male sapeva che poteva contare su di un medico veramente in gamba.
 

12 aprile
 

Il giorno della sfida arrivò e Kijo, sebbene apparisse impassibile, aveva i nervi a fior di pelle tanto che fece un balzo incredibile quando Ranma le mise una mano sulla spalla per augurarle buona fortuna.

“Siamo un po’ nervosetti?” sorrise furbescamente il Maestro

“Ehm…direi di sì. Senti, vado a togliermi la divisa per indossare la tuta, ti va di aspettarmi?” rispose cercando di controllare le palpitazioni che le erano andate a mille

“Dove credi che vada oggi pomeriggio? Non posso permettere che la mia prima allieva passi a miglior vita, sarebbe una pessima pubblicità. Se il combattimento si mettesse male interverrò” la rassicurò Ranma, prendendo la cartella che lei gli aveva porto.
I due si diressero al parco, rielaborando qualche strategia dell’ultimo minuto. Già in lontananza si resero conto che c’era un afflusso di gente anormale per un venerdì pomeriggio, dato che un ring gigante campeggiava vicino al laghetto circondato da una folla numerosa ed estremamente variegata: erano state disposte varie file di sedie per permettere alle persone di godersi più comodamente lo spettacolo ed erano già state occupate praticamente tutte da ragazzetti che si erano presi una pausa dal gioco del pallone, giovani madri coi passeggini, uomini nerboruti in tenuta da lottatori, vecchi signori col bastone e qualunque altra tipologia di passanti gravitasse normalmente in quella zona della città. Nell’aria sfrigolava l’odore di cibo cinese, infatti un banchetto del ristorante Neko Hanten proponeva ramen e involtini primavera. A servire gli avventori c’erano una vecchia che pareva avesse trecento anni e un giovane vestito di bianco con spessi occhiali e lunghi capelli neri. Assieme ad ogni pietanza ordinata, veniva distribuito pure un volantino. Ranma si avvicinò a salutare e chiedere informazioni 

“Obaba, Mousse…cos’è questa storia?”

“Futuro marito! Sei venuto a tifare per la tua amata, giusto? Prendi un po’ di maiale in agrodolce!” disse la vecchia schiaffandogli in mano un piatto ricolmo

“Ma, veramente…cos’è questa pagliacciata? E perché c’è tutta questa gente? Doveva essere uno scontro privato!”

“Questo non era stato stabilito da nessuna parte…gli incontri pubblici sono in genere un toccasana per gli affari, in più questa sfida particolare ha un sapore più ampio, di eticità” sogghignò Cologne. A Ranma cadde l’occhio su un volantino che rappresentava una caricatura di Kijo come un demone pervertito contro una caricatura di Shampoo vestita come la paladina della purezza. Si voltò verso Kijo per notare che ne aveva uno in mano e lo stava studiando. Inizialmente fece un sospiro affranto, poi il suo volto mutò espressione e si rivolse al baracchino, sbraitando

“Ehi, cosa dovrebbe significare questo? Non crederete davvero che questo sgorbio mi somigli? Io ho le tette molto più grosse!”
Un vento gelido spirò lasciando tutti gli astanti increduli, poi Kijo aggiunse, sfrontata

“Bene Maestro, è il momento di salire sul ring!” e si diresse verso la piattaforma.

 Ranma si scosse e la seguì, mentre Mousse si lasciò sfuggire una risata

“Però, che bel caratterino!” commentò a bassa voce.

Prima di salire sul ring, notò che sulla destra era presente la famiglia Tendo al completo: Kasumi si era portata il kit da cucito e sferruzzava allegramente una sciarpa, Nabiki stava raccogliendo soldi per le scommesse su chi avrebbe vinto, Soun e Genma stavano parlottando tra loro, ridendo.
Certo che ci sono proprio tutti” pensò Kijo sgomenta. Era certa di aver scorto anche qualche suo compagno di scuola.
Shampoo l’attendeva sul ring, il vento che le scompigliava i capelli: aveva un vestito aderente di foggia cinese blu, ben sopra il ginocchio e con uno scollo a goccia molto profondo, degli stivaletti bassi e due enormi chui in mano. Che si fosse erta a emblema della purezza suonava decisamente ossimorico, vedendola.

“Alla buon’ola!” la salutò appena Kijo salì sul ring

“Scusa, ho tardato cercando di ricordarmi quando questa sfida personale è diventata una battaglia morale, ma poi ci ho rinunciato” replicò l’altra, con evidente sarcasmo

“Non avlesti dovuto offendelmi baciandomi, pelveltita!”
Un mormorio diffuso si sollevò dalla folla e le giovani madri si portarono la mano alla bocca, scandalizzate, lanciando verso Kijo un’occhiataccia e scuotendo lentamente la testa

“Ho sempre disprezzato chi risolve pubblicamente i propri problemi, ma se questa è la modalità che ti si confà, ben venga” Kijo assunse la posizione di difesa della linea centrale che aveva studiato con Ranma, prese un respiro profondo e cercò di scacciare ogni altro pensiero dalla testa per concentrarsi al massimo

“Meno palole e più combattimento!” gridò l’amazzone lanciando uno dei chui verso Kijo

Non ha senso che mi trattenga, quindi che vinca la migliore” pensò mentre schivava l’arma.

I movimenti di Kijo erano in apparenza semplici, fluidi, precisi e studiati. Era come se interpretasse dei frammenti di una danza ad ogni colpo: non colpiva spesso, ma quando cominciava l’avversaria non riusciva a fermarla. Di pari passo era difficile colpirla, si rese conto Shampoo: quella danza cervellotica le faceva evitare la maggior parte dei suoi affondi.
I chui erano andati persi già da un po’ quando Shampoo si lanciò verso Kijo per colpirla con un calcio alla testa; Kijo si abbassò all’ultimo momento ma l’amazzone riuscì a versarle un liquido sui capelli e fece per cominciare a massaggiarla.

“Nooooo! Kijo, reagisci! Ti toglierà la memoria se la lasci continuare!” le gridò Ranma in apprensione stringendo le corde del ring tra le mani

“L’amazzone cinese è data 10 a 1 contro l’italiana discinta! Piazzate la vostra scommessa!!” urlava intanto Nabiki, prendendosi uno sguardo di rimprovero dalla sorella maggiore.
Genma invece si era armato di una grande gomma dell’acqua e si teneva pronto a sparare un idrogetto per facilitare Kijo: Shampoo sarebbe diventata una gatta, inoltre avrebbe rimosso lo shampoo cancella-memoria.
Kijo si rese conto di quello che voleva fare troppo tardi: provò a gridare “Ranma, fermalo!!” ma il padre aveva già aperto l’acqua. Con un balzo all’indietro che Ranma non le aveva mai visto fare, Kijo si rifugiò sul pilastro nord-ovest del ring, mentre Shampoo si prese il sud-est.

“Spero che il tuo ristorante vada sempre bene, perché come parrucchiera fai pena!” la schernì Kijo

“Non è giusto, mio suocelo si è intlomesso pel favolilti!” rispose la ragazza, rabbiosa

“Ah, per favorirmi? Ma se manca po’ spazza via tutte e due con quella pompa gigante!”

“Basta, poniamo fine a questo scontlo!” urlò l’amazzone cinese saltando sul pavimento bagnato del ring e correndo nella direzione dell’altra

“Bene, come vuoi!” Kijo chiuse gli occhi un istante e focalizzò mentalmente la sua avversaria: poco prima che giungesse sotto il suo pilastro la superò con un balzo e le colpì con l’indice un punto alla base della nuca. Shampoo si bloccò immediatamente, quasi fosse stata tramutata in pietra, e cadde verso il pilastro, urlando improperi

“Cosa mi hai fatto maledetta! Obaba aiutami pel favole! Lanma!!”

Dal canto suo Kijo fece un inchino verso il pubblico e poi si avvicinò alla sua avversaria, sussurrandole sorniona
“Per me può bastare così, ma tu volevi un duello all’ultimo sangue…hai per caso cambiato idea?”

Shampoo era un vulcano d’ira e digrignava i denti, rossa in volto; tuttavia non riusciva a muovere un muscolo, se non la lingua, quindi si arrese.

“Saggia scelta! Ricorda che hai promesso di lasciarmi in pace d’ora in avanti. Adesso lascia che ti faccia riacquistare la mobilità...” così dicendo Kijo premette di nuovo il punto alla base della nuca e anche altri punti della schiena, del viso e del ventre. Shampoo si rese conto che erano le zone in cui l’aveva colpita durante i suoi attacchi, in ordine inverso. Le tese la mano per aiutarla ad alzarsi e poi le lasciò delle bustine in mano, dicendole
“Per qualche giorno sentirai un po’ di indolenzimento, ma se berrai questo infuso migliorerai più in fretta: non preoccuparti, non è un veleno, puoi analizzarlo”

Shampoo restò senza parole, con le buste in mano, fissandola. Numerose lacrime si erano già poste in fila sul ciglio dei suoi occhi per cominciare a scendere, ma non voleva dare la soddisfazione a quella ragazza di vederla piangere.

“Beh, ci vediamo!” la salutò Kijo scendendo dal ring e dirigendosi verso la famiglia Tendo.
 
“Ehi, ma…sei stata fantastica!” esclamò Ranma stupito, non riuscendo ancora a credere all’esito dello scontro

“Oh, e la cosa ti sconvolge così tanto?” sorrise lei, poi continuò
“In fondo mi ha allenata il migliore…”

Ranma non ebbe il tempo di replicare che Soun e Genma arrivarono per congratularsi: stringevano ciascuno una mano a Kijo con veemenza blaterando qualcosa sull’ottima pubblicità che la palestra ne avrebbe avuto. Soun aveva le lacrime agli occhi e ringraziò il cielo per quella opportunità parlando al microfono in modo da farsi sentire da tutto il parco, mentre Genma già si fregava le mani pensando a come sfruttare quella situazione a proprio vantaggio.

Giunse poi Nabiki, saltellando felice come una bambina mentre contava una paccata di soldi
“Ehi, grazie a te ho fatto affari d’oro! Hanno tutti scommesso contro di te quindi io mi son potuta tenere tutto il malloppo!” le disse facendole frusciare a un palmo dal naso un cospicuo mazzetto di banconote, poi aggiunse con un occhiolino “Ma non pensare che ti lascerò una percentuale!”

Infine Kasumi le fece i complimenti per lo scontro, porgendole un asciugamano e una bibita fresca.
“Ci vediamo domani per la gita fuori porta, allora! Buona serata!” la salutò la maggiore delle Tendo con tono gentile.

Non sapeva se fosse per la soddisfazione o per l’adrenalina ancora in circolo, ma Kijo in quel momento era felice. Ranma si era congedato dai Tendo promettendo di rincasare per l’ora di cena ed era tornato da lei.

“Senti ma…mi toglieresti una curiosità? Quella tecnica che hai usato…non l’hai imparata da me…”

“Diciamo che aver studiato l’anatomia con l’aiuto del dottor Tofu ha i suoi vantaggi. Come sai anche lui pratica le arti marziali e nei libri che tiene allo studio ci sono un sacco di spunti interessanti sui cosiddetti punti vitali” spiegò Kijo unendo tra loro gli indici delle due mani ritmicamente

“Te lo concedo, tuttavia mi è sembrato un combattimento molto anomalo per una principiante. Scusa se te lo dico, ma ero pronto a salire a raccattarti col cucchiaino, invece hai eseguito delle mosse molto complesse con estrema naturalezza”

“Non ti si può nascondere nulla, eh, Maestro…” si decise a confessare Kijo “La verità è che sono svariati anni che pratico le arti marziali. In Italia è uno sport piuttosto inusuale, soprattutto per una ragazza, ma forse qui la situazione è un po’ diversa, no? Non le pratica anche la terza sorella Tendo?”

Il riferimento ad Akane lo fece riflettere: quante volte lui stesso l’aveva definita violenta o maschiaccio principalmente perché amava combattere? Se perduravano nella mentalità giapponese, in cui le arti marziali erano considerate una disciplina sportiva come un’altra, determinati pregiudizi sulle donne, figuriamoci in una società in cui tali sport erano strani di per sé. Forse non era così assurdo che Kijo glielo avesse taciuto.

“Capisco…ma allora perché avevi bisogno del mio aiuto nell’allenamento?”

“In realtà è più divertente allenarsi in due, non trovi? E poi ho pensato di poter imparare da te qualcosa che ancora non so” rispose Kijo fissandolo negli occhi, poi aggiunse ridendo “Infine vorrai pur fare qualcosa per me per contraccambiare le ripetizioni, o no?”

Ranma sorrise furbamente e replicò “Finora io ho elargito un sacco di lezioni di arti marziali mentre non ho avuto in cambio una sola ripetizione: come la mettiamo?”

“Se ti va bene dopo la gita alle terme cominciamo un bel ciclo di sessioni di ripasso, dimmi tu da che materie vuoi partire”

“Disegno!” la prese in giro Ranma

“Scemo!” ribatté Kijo alzando gli occhi al cielo.

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Capitolo 6
*** Gita alle terme ***


13 aprile

La mattina seguente, di buon’ora, il Dottor Tofu e Kijo si presentarono presso il dojo Tendo, zaini in spalla. La giornata si preannunciava soleggiata, senza l’ombra di una nuvola all’orizzonte. La famiglia Tendo era già raggruppata nel cortile: Nabiki stava inserendo un nuovo rullino nella sua macchina fotografica mentre Kasumi inseriva gli ultimi involti in una borsa-frigo. Soun accorse dagli ospiti per salutarli e pregarli di non badare alla discussione animata che stava imperversando tra Genma e suo figlio.
“Quella polpetta spettava a me, tu ne avevi già mangiate cinque!”

“Maledetto figlio indegno! Lo sai che il mio stomaco da panda non si riempie così facilmente! Tu invece avresti potuto tras- ouch! Nabiki che ti prende?” si voltò Genma verso la ragazza che gli aveva dato una patta in testa

“Non so se lo avete notato, ma sono arrivati i nostri ospiti. Non credo sia educato che ve ne stiate qua a litigare per la colazione!” rispose la ragazza a denti stretti, ammiccando; poi sussurrò “Sono cinquecento yen, prego!”

Nel frattempo Kijo si era avvicinata ai due per salutarli “Buongiorno! Vedo che il buonumore regna sovrano di prima mattina!”.

Padre e figlio iniziarono a grattarsi freneticamente la nuca, in imbarazzo
“Eh, già! Noi manifestiamo il nostro affetto così, non è vero figlio?” rise a denti stretti Genma

“Certo, se non litighiamo un po’ non siamo contenti! Eh eh…”

“È un modo di dire giapponese? Avere lo stomaco da panda, intendo” chiese Kijo, sorridendo.
Il gelo si diffuse su tutti i volti, tranne quello di Tofu che era completamente imbambolato a guardare Kasumi.

“No, in realtà è una presa di giro che utilizziamo solo per il signor Genma, che come sai ha degli agganci nel commercio dei panda. So che non fa molto ridere, ma a loro piace…” spiegò Nabiki con noncuranza. Genma e Ranma annuirono affettatamente.

“Capisco. Non è male in effetti!” commentò Kijo ridacchiando.

“E con questa fanno altri mille yen!” sussurrò Nabiki nell’orecchio di Genma, che impallidì.
 
Il treno per Kyoto giunse puntuale in stazione e Tofu per poco non salì su quello per Nagano, da tanto era distratto. Passò tutto il viaggio a fare gaffe e facce buffe, divertendo Kasumi. Giunti a Kyoto presero la coincidenza per Kurama: man mano che si avvicinavano alla meta il panorama cittadino lasciava sempre più spazio ad un avvolgente paesaggio naturale, talmente incantevole da far dubitare del proprio sguardo.
 
La prima cosa che Nabiki volle fare una volta scesi dal treno fu una foto di gruppo: tutti si misero in posa sorridendo e mimando con le dita il classico segno di vittoria, ma poco prima dello scatto si alzò uno sbuffo di vento e Kasumi si allungò per prendere al volo il suo cappello, quindi il risultato fu molto meno impostato. Fuori dalla stazione il nutrito gruppo si incamminò sulla via del sentiero per le terme. A Ranma toccò l’incombenza di trasportare i viveri, dopo aver perso a morra cinese col padre. Kijo si offrì di dargli una mano, dato che conversare con gli altri era impossibile: Ono Tofu, al fianco di Kasumi, aveva deciso di affrontare il sentiero camminando sulle mani; Nabiki era impegnata a immortalare gli scorci boschivi con la sua Nikon, peccato solo che una pellicola non potesse catturare il senso di pace e di sacralità che aleggiava in quella foresta; Genma e Soun stavano ricordando i vecchi tempi in cui avevano visitato le terme sul monte Kurama.

“Grazie, ma ce la faccio! Che razza di uomo sarei se facessi trasportare a te questo pesante fardello?” le rispose Ranma, ansimando

“Ehm…un uomo stanco?” azzardò una risposta Kijo

“Ah-ah-ah. Molto divertente. Ma lo sai che hai un senso dell’umorismo davvero strano?”

Kijo preferì omettere che la sua non era affatto una battuta e ripiegò su un sorriso, cambiando discorso
“Secondo te perché Ono-san si comporta in modo così…peculiare?”

“Ah, ecco…ho cercato di dirtelo dal momento in cui ci siamo conosciuti, nella stanza di Akane…” cominciò Ranma

“Quando volevi chiedermi di uscire?”

“Io non volevo chiederti di uscire!!!” si affrettò a rispondere Ranma, alzando la voce, arrossendo.

Nabiki e i padri si voltarono verso i due ragazzi con sguardo interrogativo, al che Ranma capì che forse aveva alzato troppo la voce

“È che ho la tendenza a stare veramente troppo tempo in bagno, quindi a volte Ranma deve chiedermi di uscire, ma non ieri, per fortuna!” spiegò Kijo ai curiosi che si erano avvicinati; dato il carattere personale dell’argomento, si riallontanarono facendo finta di nulla. Kasumi e Tofu sembrarono non essersi accorti di nulla, persi com’erano nella loro bolla di felice assurdità

“Prego, non c’è di che. Ti ho evitato un terzo grado” gli fece l’occhiolino Kijo con aria furba. Ranma era rimasto basito, si era già lasciato prendere dal panico e se ne sarebbe uscito con una delle sue negazioni nervose che non avrebbero fatto altro che peggiorare la situazione se non fosse intervenuta Kijo, col suo sangue freddo e la risposta pronta. In questo gli ricordava un po’ Nabiki.

“Ehm…comunque volevo dirti che Tofu è perdutamente innamorato di Kasumi e quando c’è lei nei paraggi inizia a fare le cose più bizzarre, perde completamente la testa! Una volta ho avuto la sfortuna che lei arrivasse mentre mi stava visitando e non ti dico che razza di movimenti ha fatto fare al mio collo…Risultato? Non ho potuto più tenere dritta la testa per tre o quattro giorni! Ho voluto dirtelo fin da subito perché sai, voi abitate nello stesso posto e passate un sacco di tempo insieme a fare i vostri esperimenti e…” in quel momento Ranma si portò il braccio libero dietro la testa, esitando

“Ho capito, volevi mettermi in guardia perché non mi capitasse qualcosa di pericoloso! Se davvero questo è il suo modo di manifestare i suoi sentimenti non oso immaginare cosa succederebbe se Kasumi si presentasse mentre lavoriamo in laboratorio!” concluse per lui Kijo, con semplicità.

No, non era quello che intendeva. Non era quella la prima cosa a cui aveva pensato, sebbene fosse la più logica. Come faceva Kijo ad essere così logica eppure a spiazzarlo ogni volta? Ripensò alla cotta bruciante che aveva avuto Akane per Tofu e improvvisamente si sentì uno stupido per aver pensato che anche Kijo si sarebbe invaghita del Dottore solo perché abitavano insieme. Stupido o…preoccupato? Era la prima cosa che aveva pensato quando l’aveva appena conosciuta, a metterla in guardia da un sentimento che l’avrebbe fatta soffrire, invece che temere per la sua incolumità quando l’uragano Tofu si fosse scatenato in un ambiente rischioso. Comunque ormai sapeva, avrebbe tratto le sue conclusioni. E lui ne sarebbe uscito in modo elegante

“Esatto! Proprio così!” ridacchiò Ranma, gonfiando il petto

“Peccato…e io che quasi ci stavo facendo un pensierino…” sbattendo le ciglia in direzione di Ono.

Ranma si raggelò, una scossa lo attraversò da capo a piedi. Trattenne un secondo il fiato quando Kijo gli assestò una forte pacca sulla spalla, ridendo
“Oddio, dovevi vedere la tua faccia! Non mi abituerò mai!”

Una vena cominciò a pulsare sulla tempia di Ranma, furioso per essere stato preso in giro. Scosse la testa affinché il codino tornasse dietro le spalle e mise su un’espressione offesa.

“Ehi, guardate! Ci sono dei templi in questo bosco!” urlò Nabiki, immortalandoli su pellicola

“Oh, che belli! Io vorrei fermarmi a dire una preghiera, Nabiki, ti unisci a me?” si espresse Kasumi.

La sorella annuì e la prese a braccetto, così si diressero verso una struttura del Kurama Dera. Il Dottor Tofu sembrò riguadagnare un po’ di sanità mentale con l’allontanamento di Kasumi e si avvicinò a Kijo
“Ho letto un interessante articolo sulla preparazione di uno sciroppo calmante della tosse a base di Cetraria islandica e Althaea officinalis: hai familiarità con questi estratti?”

“Se non sbaglio bisogna utilizzare nel primo caso il tallo come droga, nel secondo la radice…” rifletté Kijo, prendendosi il mento tra le dita

“Droga?  Ma che razza di esperimenti fate nel vostro laboratorio?” esclamò Ranma con gli occhi spalancati. Tofu e Kijo risero sommessamente, a labbra chiuse, poi Kijo spiegò

“Per droga si intende, in questo contesto, la parte di una pianta, albero o fungo da utilizzare per estrarre i principi attivi. Non siamo narcotrafficanti, almeno non ancora…” Kijo lanciò a Tofu uno sguardo complice

“Faremmo dei bei soldoni in effetti…” scherzò il dottore

“Ehi, chi è che pensa di guadagnare senza coinvolgermi?” sbucò Nabiki da un cespuglio, seguita da Kasumi

“Bene, immagino che il tempo per i discorsi sensati sia scaduto” commentò Kijo notando il bagliore che scintillava sugli occhiali di Ono e la comparsa di un sorriso ebete sulle sue labbra.

L’albergo delle terme era in stile classico e rustico: la struttura in legno si armonizzava con la foresta di cui faceva parte mentre il tetto a pagoda da cui sbuffava un comignolo regalava immediatamente una sensazione di ospitalità domestica e intimo comfort. Giunti alla reception vennero accolti da una graziosa donna in kimono beige, che sfogliò il registro delle prenotazioni.
“Dunque onorevoli ospiti, qui risultano prenotate a nome Tendo tre camere doppie, è corretto?” chiese sorridendo

“Ehm, in realtà sarebbero due doppie e una tripla, per le ragazze…” puntualizzò Soun

“Qui è scritto diversamente. Fatemi chiamare chi ha preso la vostra prenotazione…Goemon, vieni qua, presto!”

“Arimi-san, comandate!” giunse in fretta un ragazzetto non più che quindicenne che si prostrò in un profondo inchino nei confronti della receptionist

“Come mai sono state prenotate a nome di questi gentili signori tre camere doppie anziché due doppie e una tripla?”

“Nell’appunto io avevo scritto due doppie e una tripla, ricordo bene la telefonata. Ho sempre il foglietto sul taccuino” disse il ragazzo mostrando il proprio notes degli appunti

“E questo secondo te dovrebbe essere un 3? È uguale agli altri 2 che hai segnato prima!” lo brontolò Arimi “Bene, non mi resta che risolvere questo pasticcio…uhm, pare che non ci siano camere triple a disposizione, purtroppo. Tuttavia potrebbe andarvi bene se vi aggiungessi una singola? Per lo stesso prezzo, s’intende…”

“Oh, non so se una delle ragazze se la sentirà di dormire da sola…” rifletteva ad alta voce Soun

“Per il disturbo vi offriremo il menu completo della cena anche se avete riservato il menu base…” socchiuse gli occhi la receptionist

“Perfetto, no? Noi siamo gente che sa adattarsi! Ah, la camera più grande è mia!” esclamò Genma afferrando le chiavi.

Le sorelle Tendo giunsero alla loro stanza che non era grandissima ma molto confortevole. I futon appoggiati a terra erano morbidi e profumavano di pulito: Kasumi non resistette a sprimacciare il cuscino per constatarne la consistenza. Nabiki invece adocchiò subito i dolcetti che erano stati poggiati sulla scrivania, vicino alla teiera con le tazze, come omaggio per gli ospiti: senza troppi complimenti ne scartò uno e lo infilò interamente in bocca.

“Sai Nabiki, ho sempre invidiato il tuo metabolismo: sebbene tu non ami l’attività fisica e tu spilucchi da mangiare in continuazione, hai un fisico notevole!” sorrise Kasumi

“Cara sorella, io consumo un sacco di energia per far funzionare a pieno regime il mio cervello!” rispose Nabiki indicandosi la testa. Kasumi rise di cuore, poi cominciò a disfare la sua valigia e a riporre i suoi indumenti nell’armadio di ciliegio.

“Ti lascio la parte sinistra per la tua roba, Nabiki?” le chiese

“Oh, non importa! Non mi disturberò di certo a sfare la valigia per una sola notte!” rispose pigramente. Poi continuò, con aria maliziosa “Piuttosto pensavo…Potrebbe essere un’occasione per passare un po’ di tempo col Dottore, ti pare? Per la modica cifra di quattrocento yen ti lascerò la camera libera se vuoi…”

“Nabiki! Che vai farneticando? Sarebbe assai sconveniente!” si scandalizzò Kasumi, arrossendo violentemente

“Uffa, va bene…trecento yen ma non scenderò di più…” sbuffò Nabiki

“Non se ne parla proprio! E tu poi dove dormiresti? In camera con Ranma?”

“Beh, che problema c’è? Alla fine è quasi mio fratello, no? E comunque se questo è il grande scoglio può sempre andare Ranma a dormire nella singola mentre io dormo con Kijo…anche se a giudicare dal volantino che girava ieri all’incontro non so in quale situazione potrei stare più tranquilla” proseguì la ragazza, allusiva, facendo una linguaccia

“Non bisogna ascoltare le malelingue, Nabiki. Ad ogni modo se anche fosse…così, rimane ugualmente una brava ragazza” si impuntò Kasumi

“Non ti dà nemmeno un po’ noia che soggiorni da Tofu?” continuò Nabiki, ammiccante

“Ma che ti prende oggi? Forza, cambiamoci e andiamo a fare un bel bagno!”

Quando le sorelle Tendo giunsero alla vasca femminile trovarono Kijo già immersa fino alle spalle: aveva trovato una roccia sporgente sott’acqua e ci si era adagiata sopra. Vedendo arrivare le due ragazze fece loro un cenno con la mano e poi tornò a farsi coccolare dall’acqua calda.

“Mmmmh che bellezza!” mugolò Nabiki entrando nella vasca termale, in direzione di Kijo.

“Mi sento già molto più rilassata” sorrise Kasumi, raggiungendole “Senti Kijo, dovrei farti una domanda ma vorrei che tu fossi sincera con me…”

La ragazza si sollevò a sedere sulla roccia, incuriosita e un filo preoccupata
“Dimmi Kasumi, di cosa si tratta?”

“Te la sei presa a male che ti abbiamo lasciato in camera da sola?” chiese la più grande sorella Tendo portandosi le mani strette a pugno alla bocca

“Oh, no, no. Certo che no! Non vi preoccupate! Staremo insieme tutto il resto del tempo e tutto sommato sono un po’ gelosa della mia privacy, quindi va bene così!” si affrettò a rassicurarla

“Sai, in caso contrario mi sarei offerta volentieri di farti compagnia, così Kasumi avrebbe potuto passare la notte con…ehi accidenti com’è fredda!!!” Nabiki non riuscì a terminare il discorso che le arrivò una secchiata di acqua gelida sulla testa, lanciata dalla sorella, che commentò

“Oh, che carino, leggi qui! Dice che stimola la circolazione!”

Kijo, che si era presa gli schizzi gelidi della secchiata, si era immersa completamente sott’acqua e solo adesso stava risalendo. Sputando uno zampillo d’acqua, replicò
“Non so cosa tu stia macchinando, Nabiki, ma non mi sembra che tua sorella apprezzi particolarmente. Forse sarebbe meglio lasciar perdere, no?”

“Quanto sei ingenua, Kijo! Devi sapere che io sono il catalizzatore delle liaison amorose di questa famiglia: una volta mi sono finta interessata a Ranma per far emergere la gelosia di Akane e farle ammettere che le piaceva. In fondo alla fine con loro due ci sono riuscita, adesso devo solo dare una spintarella all’altra mia sorella e al suo bizzarro pretendente: se lasciassi fare a loro sono certa che perderebbero anni a lanciarsi sguardi languidi senza concludere niente!”

“Capisco le tue buone intenzioni, Nabiki, ma tua sorella sembra a disagio…forse sarebbe opportuno non intromettersi se non te lo chiede lei, ti pare?”

Kasumi era rossa di vergogna e con lo sguardo malinconico. Improvvisamente un urlo colpì l’attenzione delle tre ragazze: veniva dalla vasca degli uomini e fu seguito da un trambusto notevole.
“Maledetto genitore sadico!” bofonchiava Ranma tra sé uscendo dalla piscina “Prova proprio un piacere viscerale a umiliarmi! Oh, ma se gli ho reso pan per focaccia…”
Ripensava alla secchiata d’acqua che si era preso da suo padre solo per il gusto di imbarazzarlo, unica ragazza nella zona degli uomini. Lei aveva risposto sparandogli un getto di acqua fredda poco più tardi: la vista di un panda gigante aveva turbato non poco gli avventori, che si erano affrettati ad uscire per chiamare i custodi a rotta di collo. Non ne poteva più di quei continui scherzi senza senso, solo per ricordargli che doveva essere vigile sempre! Sebbene fosse grato a suo padre perché grazie al duro allenamento a cui lo aveva da sempre sottoposto era diventato molto forte, si rese conto che era diventato per colpa sua un malfidato incapace di lasciarsi andare completamente. Passò davanti alla zona femminile sperando di incrociare Kasumi o Nabiki: cominciava ad avere un certo languorino e sperava che le ragazze potessero dargli le chiavi della loro camera per sgraffignare uno spuntino dalla borsa frigo. Sbirciò nella vasca delle donne, quel tanto che si intravedeva dall’ingresso, ma si vergognava a sostare lì temendo di essere preso per un maniaco. La soluzione sarebbe stata semplice, qualora non ci fosse stata anche Kijo: sarebbe bastato stare attento agli spruzzi di acqua calda ed avrebbe potuto accedere tranquillamente per farsi consegnare le chiavi. Tuttavia Kijo avrebbe sicuramente chiesto spiegazioni della manovra: perché Kasumi e Nabiki avrebbero dovuto far entrare una sconosciuta in camera loro? E se anche si fosse spacciato per una loro amica sarebbe stato inusuale comunque, tanto più che poi non l’avrebbe più rivista. Forse poteva farsi passare per la cameriera, solo che si sarebbe dovuto procurare una divisa…Il brontolio del suo stomaco lo convinse e si diresse verso il retro dell’albergo nella zona riservata al personale di servizio.
Entrare nella lavanderia non fu difficile, in quel momento era deserta. Anche trovare una divisa da cameriera fu piuttosto semplice. Con passo felpato Ranma sgattaiolò verso il bagno comune del piano terra e si infilò dentro. Entrò nel reparto riservato agli uomini, che fortunatamente era vuoto, e aprì l’acqua fredda di un lavandino; dopo un’ulteriore occhiata furtiva a destra e sinistra ficcò la testa sotto l’acqua e si trasformò in ragazza. Indossò poi la divisa da cameriera e uscì trionfante, senza destare alcuna perplessità negli uomini che la videro uscire dal bagno. Si diresse quindi verso la vasca termale femminile, fissandosi i piedi e alzando lo sguardo di tanto in tanto solo per individuare le sorelle Tendo. Non appena le scorse si avvicinò piano piano: loro non si accorsero subito della sua presenza, prese com’erano a ridacchiare e chiacchierare con Kijo

 

“…e lei mi rispose: A pagare la multa!” Kijo terminò quella che sembrava una storiella divertente imitando una vocetta buffa, poi scoppiò a ridere. Nabiki e Kasumi la seguirono a ruota. Ranma le fissò per un istante e poi si schiarì la gola per attirare la loro attenzione

“Scusate signorine, mi mandano dalla reception per provvedere a consegnarvi i cuscini che avete richiesto. Avrei bisogno della chiave della vostra camera, però…”

Kasumi e Nabiki si voltarono e sbatterono le palpebre tre o quattro volte, per dissimulare lo smarrimento. Poi la mezzana delle Tendo prese la parola
“Oh, grazie! Ecco la nostra chiave, potete lasciarla in reception quando avrete portato tutto, se non volete stare a tornare!”

Ranma si profuse in un inchino e fece per andarsene quando la voce di Kijo la bloccò
“Mi scusi, signorina…” Kijo si alzò in piedi rimanendo col seno nudo al vento, l’acqua della vasca che le lambiva i fianchi. Il cuore di Ranma mancò un battito e rimase pietrificata come se l’intero suo corpo fosse fatto di roccia. Un’espressione di imbarazzo sbocciò violenta sul suo volto, ma non riusciva a compiere il minimo movimento. Nel mentre Kijo si diresse verso il masso più alto su cui aveva appoggiato le chiavi della propria camera e le prese, per poi porgerle alla cameriera.
“…potreste gentilmente portare anche a me un altro cuscino, se non è di disturbo?” chiese sorridendo.
Ranma face uno sforzo sovrumano per tendere la mano verso Kijo e annuire con la testa; poi si voltò goffamente, quasi a scatti, e se ne andò come trascinandosi le gambe.
Quando Kijo si reimmerse nell’acqua notò che Nabiki a stento tratteneva una risata e Kasumi tentava di non incrociare il suo sguardo.
Ranma giunse davanti alla stanza 6 e infilò con difficoltà la chiave nella toppa. Non appena riuscì ad aprire la porta sgusciò dentro e la richiuse alle proprie spalle, scivolando a sedere sul pavimento. “Calma…calma…calma” si ripeteva tra sé come un mantra, cercando di modulare la propria respirazione e riprendere il controllo del proprio corpo. Perché doveva essere così imbranato in certe situazioni? Perché non riusciva a contrastare quel senso di imbarazzo paralizzante che lo invadeva anche quando, alla fine, non era accaduto nulla di che? Era certo che Kijo si sarebbe fatta una risata delle sue paranoie e se anche avesse saputo che lui l’aveva vista…in quel modo avrebbe fatto spallucce e minimizzato l’accaduto. Prima forse lo avrebbe preso un po’ in giro, questo sì, ma di sicuro non ci avrebbe dato peso. Allora perché lui doveva sentirsi così in colpa per un’occhiata fugace? Perché doveva portare marchiato a fuoco il ricordo dei sottili rivoli d’acqua che le scendevano tra i seni verso i fianchi come un disonore imperdonabile?
La ragazza scosse la testa più e più volte come per scacciare quel pensiero. Si sbottonò la camicetta della divisa e si fissò il petto. Si era guardata una marea di volte allo specchio, in forma femminile, perché doveva essere così turbata adesso? E poi come avrebbe fatto a rivolgersi a Kijo come se niente fosse? Non era granché come attore, lei avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava…
Tutti questi pensieri le avevano quasi fatto passare l’appetito ma l’idea di veder vanificati i suoi sforzi per giungere agli spuntini la convinse a sgraffignare comunque qualcosa dalla borsa frigo.

Dopo un’oretta in cui era riuscito a calmarsi e a rilassarsi un po’ in camera sua, Ranma sentì bussare alla porta. Si alzò dal futon su cui era sdraiato ed aprì, stropicciandosi gli occhi: Kijo era davanti a lui, vestita – per fortuna! – con una maglietta e i pantaloni della tuta, i capelli sciolti sempre bagnati. Per poco non gli prese un colpo e non poté fare a meno di esibire un’espressione tra l’imbarazzato e lo spaventato.

“Ehi, che c’è? Ti ho svegliato dal riposino? Senti, devi assolutamente venire con me in un posto! Ho trovato una radura nel bosco che è perfetta per meditare e allenarsi, potremmo fare un po’ di kata prima di cena, che ne dici?”

“Sì…ehm…certo…”

“Dai, su! Non farti pregare! Infilati le scarpe e vieni!” si impose Kijo, afferrandogli il braccio sinistro e cominciando a tirarlo. Il suo tono non ammetteva repliche, per cui Ranma non oppose resistenza e la seguì in silenzio.
 
La radura che Kijo aveva trovato era molto graziosa: circondata dagli alberi dalle chiome fruscianti quel tanto che bastava affinché fosse riparata dal sole diretto ma abbastanza spaziosa per muoversi senza problemi.

“Ti va se cominciamo con la Siu Lim Tao? La conosci?” chiese Kijo

“Credo di averla vista una volta o due…ma non è tra gli esercizi che faccio più spesso” ammise Ranma fissando il prato

“Va bene Maestro, segui me allora, per stavolta”
Partirono entrambi con un Tan Sao all’unisono, poi Ranma si concentrava sulle braccia di Kijo per ricordare la sequenza della forma. Aveva capito lo spirito che c’era dietro a quei movimenti e adesso gli era più chiaro da dove Kijo avesse estrapolato la tendenza alla difesa della linea centrale. Come Kijo tornò nella posizione iniziale, con le mani strette a pugno laterali e parallele al terreno, gli domandò

“Te la senti di proseguire con la Chum Kiu oppure preferisci guidare tu un nuovo esercizio?”

La verità era che provava molta curiosità: anche se non lo avrebbe mai ammesso lui, l’erede della Scuola di Lotta Indiscriminata Saotome avrebbe davvero potuto imparare qualcosa di nuovo. Pensò anche ai suoi combattimenti in forma di ragazza: sicuramente quello stile che privilegiava l’agilità e la flessibilità alla forza poteva essergli utile in certi casi. Annuì quindi e cominciarono ad eseguire la seconda forma del Wing Tsun.
Dopo essersi focalizzati sullo studio delle posizioni corrette, simularono un breve combattimento: breve perché Ranma ebbe ragione di Kijo quasi subito, facendola finire a terra supina. Si avvicinò al fine di porgerle una mano per aiutarla a rialzarsi, ma lei riuscì a sbilanciarlo e a far cadere a terra anche lui
“Ehi, non è leale così!” brontolò Ranma tirandole una piccola pigna che aveva vicino al braccio

“La lealtà è quasi un concetto astratto: difficile farne esperienza nella vita reale” sentenziò Kijo, scansando la pigna, poi proseguì “Bene, forse è l’ora di una doccia prima di cena, che ne dici?”
Ranma si imbarazzò di colpo: fino a quel momento era riuscito a dimenticare la scena del pomeriggio concentrandosi sulle forme del Wing Tsun, ma adesso le forme di Kijo erano riapparse nitide nella sua mente. Decise di voltarsi e di correre verso i bagni comuni, nel mentre gridò a Kijo “Ci vediamo a cena!”.
Il pasto che era offerto nella sala da pranzo dell’albergo era abbondante e meraviglioso nell’aspetto: venne servito a ciascuno un grande vassoio contenente numerose piccole ciotole e scodelline coperte, ciascuna di un colore diverso. La maggior parte delle pietanze erano a base di verdure, poiché la specializzazione del ristorante era la cucina vegetariana buddista, ma in alcuni piattini si potevano aggiungere, a scelta, delle sottili strisce di manzo o maiale.

“Pancia mia fatti capanna!” esclamò Genma avventandosi sul suo vassoio

“Davvero deliziosa!” commentò Nabiki sorseggiando la zuppa di miso

“Mi piacerebbe fare un brindisi a questa bella vacanza in compagnia!” propose Kasumi: tutti la seguirono alzando i bicchieri col tè, solo che Tofu, invece di berlo, alla fine se lo rovesciò in testa.
Quando ebbero terminato il cameriere di sala venne a informarsi che tutto andasse bene e offrì alle ragazze di portare una fetta di dolce alla frutta. Kijo stava per rifiutare, dal momento che non le piaceva quel tipo di torta, tuttavia pensò che comunque qualcuno lo avrebbe mangiato volentieri, quindi accettò di buon grado. Una volta che ebbe la sua porzione spinse il piatto verso Ranma, che la guardò interrogativo; le gli fece un occhiolino e poi si imbarcò in una conversazione con Soun e Genma sulle differenze tra gli shogi e gli scacchi occidentali, per distrarli. Il ragazzo ebbe così il tempo di spolverare rapidamente il dolce e spostare nuovamente il piatto vuoto davanti a Kijo.
Dopo cena il Dottor Tofu dichiarò di essere molto stanco e di voler andare a riposare, al che Nabiki lanciò uno sguardo malizioso alla sorella che però fece finta di nulla.
Soun e Genma decisero di andare a fare una passeggiata per favorire la digestione: in realtà avevano esagerato un poco col sake e sicuramente l’aria fresca della notte li avrebbe aiutati a riprendersi.
Le ragazze si diressero alle proprie camere mentre Ranma fece un salto a prendere lo spazzolino ed entrò nel bagno comune per lavarsi i denti.
Poco dopo, mentre stava tornando in camera, incrociò Kijo nel corridoio
“C’è qualche problema?” le domandò

“Nulla di grave…è che oggi avevo richiesto alla cameriera un altro cuscino, ma si è dimenticata di portarmelo. Sto andando alla reception a risolvere la questione”

Ranma rimase di sale. Si era totalmente dimenticato di procurarsi quel maledetto cuscino!
“Ehi, n-non preoccuparti! Vado io a chiedere spiegazioni. Torna pure in camera, te lo porto subito”

“Grazie, sei molto gentile!” gli sorrise, poi si voltò e tornò in camera.
Ranma si precipitò prima alla reception, ma non c’era nessuno e c’era solo un biglietto con il numero da chiamare per le urgenze. Decisamente quella non era un’urgenza, quanto meno in senso stretto. Per sbrogliare la situazione pensò che la cosa più semplice da fare fosse rinunciare al proprio guanciale, quindi tornò alla sua camera, aprì la porta con le chiavi e si bloccò prima di accendere la luce: Ono stava ronfando della grossa, quindi decise di lasciare un piccolo spiraglio della porta aperta in modo tale da poter avere quel tanto di luce che bastava a trovare ciò che cercava. Con passo felino si diresse al proprio futon e cercò a tentoni il cuscino; una volta che lo ebbe recuperato, riuscì dalla porta chiudendosela piano alle spalle.


TOC! TOC! TOC!
Kijo sentì bussare alla porta e andò ad aprire.
“Wow, che celerità! Grazie mille!” disse a Ranma che le si parava innanzi con un nuovo guanciale

“Prego. Dalla reception hanno detto che si scusano per il disguido” mentì distogliendo lo sguardo

“Male di poco, direi” fece spallucce Kijo

“Ok, buonanotte allora!” Ranma la salutò agitando la mano

“Buonanotte!” Kijo richiuse la porta dietro di sé
Quando giunse davanti alla sua stanza, Ranma notò con angoscia che non si era portato dietro le chiavi dopo essere uscito con il cuscino. Provò a bussare normalmente, ma il russare di Tofu si sentiva da fuori. Pensò per un attimo di andare a dormire su una delle amache appese all’esterno, tuttavia fuori era troppo fresco, si sarebbe svegliato la mattina completamente raffreddato. Col cuore in gola decise di disturbare nuovamente Kijo per farsi ridare il cuscino e magari una coperta se l’aveva in più.
TOC! TOC! TOC!
Kijo si infilò la vestaglia e aprì nuovamente la porta. Fu molto sorpresa di trovarsi ancora Ranma davanti
“È successo qualcosa? Tofu sta bene?” chiese la ragazza

“No, ecco…cioè sì…Tofu sta bene ma mi ha chiuso fuori di camera!” disse Ranma tutto d’un fiato fissando il pavimento.
SHHH!
Qualche ospite spazientito di una delle stanze accanto richiese silenzio

“Entra…” bisbigliò Kijo, trascinandolo all’interno, poi richiuse la porta.

“Quindi Tofu ti ha chiuso fuori?” chiese Kijo alzando un sopracciglio

“Sì, cioè…in realtà sono andato in bagno credendo di trovarlo ancora sveglio al mio ritorno, quindi non ho preso le chiavi…solo che poi ho fatto quella deviazione alla reception e lui nel frattempo deve essersi addormentato. Ho provato a bussare ma non risponde” raccontò Ranma

“Mmmm…beh, se c’è la signora alla reception puoi chiederle se ti apre la porta col passe-partout” suggerì Kijo

“Eh, ma alla reception non c’è nessuno…” rispose di getto Ranma, sconsolato

“Ma se solo cinque minuti fa ti hanno consegnato il mio cuscino!”

“Ehm, sì…però…aveva finito il turno, quindi dopo che mi ha consegnato il cuscino se n’è andata” inventò Ranma

“Ah…che sfiga! Comunque non ci sono problemi, puoi dormire qui. In fondo ho un cuscino in più e ho visto che nell’armadio ci sono un paio di coperte pesanti: non sarà difficile ricavare un giaciglio” propose Kijo. Ranma avvampò istantaneamente, ma per fortuna in penombra com’erano non era così evidente

“In realtà speravo potessi prestarmi cuscino e coperte, così attendo che ritornino mio padre e Soun e vado a dormire con loro…”

“Tsk, l’hai vista la loro camera? È più piccola della mia: alla fine la camera più grande se l’è accaparrata Nabiki…vuoi davvero dormire strippato in mezzo a quei due?” ridacchiò Kijo.

“È che non vorrei disturbarti…” Ranma cominciò ad arrampicarsi sugli specchi

“Adesso ho capito! Ti vergogni a dormire qui!” lo canzonò Kijo

“Non è vero! Non mi importa…solo che…ecco…potrebbe sembrare disdicevole” Ranma alzò lo sguardo verso Kijo, che aveva un’aria sarcastica in volto, e lo riabbassò subito, disegnando cerchi col dito sul pavimento

“Andiamo Ranma! Potrebbe essere disdicevole, come dici tu, se succedesse qualcosa tra noi, al limite…ma ti assicuro che non accadrà niente di niente! Non sono una delle tue spasimanti dagli ormoni impazziti pronte a gettartisi addosso” detto questo Kijo si alzò dal pavimento e andò a prendere le coperte nell’armadio, per sdraiarle a terra. Ci pose uno dei cuscini sopra e guardò il lavoro soddisfatta

“Dai, non dovrebbe essere troppo scomodo!” commentò

“Ehm, come mai hai preparato il mio giaciglio così vicino al tuo?” chiese Ranma, fissando il soffitto.
Kijo scosse la testa e rispose
“Dolcezza, abbiamo un solo lenzuolo e una sola coperta residui: se non stiamo attigui non ci coprirà entrambi. E adesso piantala di fare l’imbarazzato, sennò voglio proprio vedere che farai quando scoprirai che non porto il pigiama” lo canzonò Kijo

“Cooooosa? Non esiste, io me ne vado, non poss- mi stai ancora prendendo in giro???” si inalberò Ranma, vedendo Kijo che rideva senza pietà

“In realtà è vero che solitamente preferisco dormire senza pigiama, ma dato che stasera ci sono ospiti mi adeguerò indossando una maglietta pulita e i calzoncini da corsa che ancora non ho usato, contento?” spiegò Kijo andando a vestirsi dietro un paravento “Ecco, sono abbastanza casta così?” fece una piroetta prima di sedersi sul letto

“Sei incredibile…”rispose con un filo di voce Ranma lasciando volutamente il dubbio se si trattasse di un complimento o di un dispregiativo. Certo era che casta non era proprio il primo aggettivo che gli veniva in mente guardandola.

“Bene, possiamo dormire adesso, che ne dici?” propose Kijo, infilandosi nel futon.
Ranma annuì e le augurò la buonanotte, Kijo ricambiò e spense la luce.
Qualche ora dopo Ranma continuava a rigirarsi nel letto, nervoso. Aveva a malapena chiuso occhio e vedere Kijo che dormiva serena come se niente fosse lo infastidiva ancora di più. Possibile che non provasse un briciolo di vergogna? La sua nonchalance lo faceva sentire ancor più un ragazzetto imbranato e paranoico e questo non riusciva a sopportarlo. Un tarlo fastidioso rosicchiava lentamente poi un angolo recondito del suo cervello…Era la prassi, per lei, invitare ragazzi a dormire? O quantomeno doveva essere già capitato, altrimenti come poteva starsene lì a ronfare beata? Deglutì e allungò una mano per spostare una ciocca di capelli che le era finita sul viso: eccola lì, l’espressione della tranquillità assoluta! Che razza di abitudini avevano, in Italia? In quel momento pensò ad Akane, a come si sarebbe adattata agli usi di quella terra, e un altro aspetto del suo nervosismo si manifestò. Erano giorni che non pensava ad Akane, non soffermandocisi particolarmente almeno, e questo lo faceva sentire un po’ in colpa. Questa situazione lo faceva sentire un po’ in colpa: già se la immaginava, se lo fosse venuta a sapere, a rincorrerlo con la scopa per tutto il dojo. Solo che era dall’altra parte del mondo, in una nazione apparentemente molto libertina, a vivere nuove esperienze: era stata questa l’espressione che aveva usato quando aveva comunicato alla famiglia di aver vinto il concorso studentesco. Fino a quel momento però non aveva mai riflettuto a fondo sul significato più ampio di quelle parole. In preda al turbamento emotivo, Ranma decise di alzarsi e fare un bagno rilassante nella sorgente termale: in fondo lo scorso giorno ci si era rilassato ben poco, grazie agli scherzi stupidi di suo padre. Con la massima attenzione a non fare rumore, sgattaiolò fuori dalla stanza e chiuse la porta alle proprie spalle.
Appoggiò i vestiti e l’asciugamano su di una roccia e si immerse nell’acqua calda. Il contrasto tra l’aria fresca e il tepore della vasca era un toccasana e il panorama notturno che godeva era veramente meraviglioso: la luna era alta nel cielo e illuminava gli alberi che si perdevano a vista d’occhio in ogni direzione; poteva percepire ogni piccolo movimento dei rami, ogni fruscio del venticello che di tanto in tanto muoveva le foglie, ogni bubolare dei gufi. Intanto l’acqua calda che lo avvolgeva aveva già iniziato a svolgere la sua azione benefica sulla muscolatura: il ragazzo sentì sciogliersi i muscoli delle gambe, della schiena e persino quelli delle spalle, che da contratte e rigide sembravano diventate morbide e distese. Appoggiò la testa ad un sasso e chiuse gli occhi: le sue narici erano solleticate dall’umidità del vapore e dai profumi che emanava la foresta, quindi decise di rimanere così per un po’, in totale relax.
Non seppe calcolare esattamente quanto tempo fosse passato quando sentì un rumore provenire da una delle altre vasche; probabilmente qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea di un bagno notturno, in fondo l’accesso non era proibito. Rimase un altro po’ immobile, poi cominciò a sentire una sensazione di caldo eccessivo, quindi si alzò per dirigersi verso la vasca fresca femminile. Prima di entrare sbirciò che l’altra persona non fosse proprio lì ma la piscina pareva completamente vuota, per cui si immerse rapidamente. Pochi minuti più tardi si rese conto che cominciava ad albeggiare: un tenue chiarore rischiarava ad oriente, tingendo il cielo di rosa e oro. Decise di trasformarsi nuovamente in uomo e poi attendere gli altri per la colazione, quindi si avvolse nell’asciugamano ed uscì dalla zona femminile. Proprio quando stava tornando verso le piscine calde incrociò un ragazzo biondo che usciva dalla vasca maschile fredda: ecco chi era il misterioso avventore.
“’ngiorno!” lo salutò con occhi bassi, cercando di superarlo senza attirare troppo l’attenzione

“Buongiorno signora cameriera!” le rispose lui.

Ranma si immobilizzò come fulminato e alzò gli occhi, studiandogli il volto. Quel volto…aveva qualcosa di familiare…dove lo aveva già visto?
Bah, probabilmente è solo un ospite dell’albergo che mi ha vista girare oggi vestita da cameriera…” pensava intanto la ragazza, che fece un inchino automatico e poi si spicciò a tornare verso i bagni comuni. Sì, sarebbe stato più prudente fare una doccia all’interno piuttosto che rischiare nuovamente di entrare nelle vasche sbagliate.

14 aprile


Furono tutti piuttosto mattinieri nel presentarsi al tavolo della colazione, tranne Kijo che tardava.

“Ah, che bel sonno che mi sono fatto stanotte! Ho dormito come un sasso, a diritto! Pensate che non mi ha neppure svegliato Ranma quando è venuto a dormire, o quando si è rialzato, stamani” commentò il Dottor Tofu, dall’aria visibilmente riposata

“Eh eh eh…ho il passo felpato, Dottore! Mi sono reso conto che dormiva e ho fatto piano piano per non svegliarla” fece un sorriso esagerato Ranma, con una mano dietro alla testa

“Anch’io ho riposato molto bene…come se avessi dormito tra due guanciali!” esclamò Nabiki lanciando una frecciatina a Ranma

“Noi forse avevamo esagerato un po’ troppo con il sake: nonostante la passeggiata, appena toccato il letto siamo caduti in un sonno profondo” disse Soun e Genma annuì

“Non credete che sarebbe opportuno andare a vedere come sta Kijo? È da ieri sera che è da sola, poveretta…Magari guardo come mai sta tardando…” chiese Kasumi, un filo preoccupata

“Non preoccuparti Kasumi, Kijo è una dormigliona, non ce la fa proprio ad alzarsi presto la mattina a cose normali, figuriamoci in vacanza!” le rispose Ranma

“Confermo: nei giorni in cui non c’è scuola è capace di rimanere a letto fino a mezzogiorno, anche perché quando può lo sento che rimane sveglia fino a tardi…” replicò Ono, mentre si sforzava di mangiare la colazione senza posare lo sguardo su Kasumi

“D’accordo, allora lasciamola riposare…verrà quando ne avrà voglia”

“Brava sorella…non stressarti inutilmente, altrimenti il tuo mal di stomaco non migliorerà mai!” buttò lì Nabiki

“Mal di stomaco? Kasumi, ti senti bene?” si alzò di scatto da tavola Soun Tendo, preoccupato

“Nabiki, ma che cosa dici? Io sto benissimo?” ribatté Kasumi con l’aria smarrita

“Papà, si è lamentata ultimamente del suo mal di stomaco in modo costante, giorno dopo giorno; le avevo suggerito di non trascurare la cosa e di farsi vedere da un medico, ma lei è caparbia e minimizza tutto…” raccontò Nabiki con aria sorniona

“Oh santi numi! La mia povera bambina!! Dottore, la prego, la visiti al più presto se può!”

“Giusto! Che splendida idea! Dottor Tofu, sarebbe così gentile da dare un’occhiata a mia sorella? Potete andare nella nostra stanza: si prenda tutto il tempo necessario per la diagnosi…” suggerì Nabiki, un sorriso malizioso sul volto

“Nabiki sei incredibile!” la brontolò bonariamente la sorella, aggrottando le sopracciglia, mentre il Dottor Tofu ormai era preda della sua sindrome da vicinanza di Kasumi: si era alzato da tavola ed aveva preso in braccio un’ospite corpulenta che stava mangiando al tavolo accanto, rivolgendosi a lei come se fosse la signorina Tendo e la stava portando verso le camere. Kasumi gli corse dietro urlando “Dottore! Ehi Dottore dove va? Io sono qui…lasci la signora!”

“Bene…quei due ne avranno per un po’, spero…non c’è motivo che li aspettiamo qui…partita a carte in veranda?” propose Nabiki

“Ehm…figlia cara, non intenderai giocare a soldi, vero?” le chiese Soun, tremando

“E come sennò? Non è divertente altrimenti…” rispose la ragazza con un sorriso smagliante

“Comprendo…bene Saotome, metti la mano al portafogli e andiamo…e non provare a trasformarti in un panda!” Soun si rivolse al suo amico, che stava furtivamente agguantando una brocca d’acqua fresca

“Mentre voi giocate vado a fare una passeggiata” disse Ranma dirigendosi verso il sentiero che entrava nel bosco. Gli altri lo salutarono con la mano.
Camminò per una buona mezz’ora lungo il sentiero, avvolto solo dallo stormire delle fronde degli alberi e dal canto di alcuni uccelli. Poco più tardi notò una tenda campeggiata in una piccola radura e stava quasi per passare oltre quando udì dei suoni provenire dall’interno

“Ahahah smettila di leccarmi, mi fai il solletico…ihihih da brava, togliti di dosso! Lo so cosa vuoi adesso…”

Ry-Ryoga?!” sussultò Ranma riconoscendo la voce…ma a giudicare dalle risatine che venivano dalla tenda non era solo

“Ryoga, non avevo idea che fosse così grande! Come fai a portarti dietro tutto il giorno il peso di questa roba?” ridacchiava una voce. Femminile. Conosciuta. Kijo.

“Non è da tutti, lo so…ma considera che è la mia salvezza quando le cose si mettono male…” rispose il suo amico. Non poteva tollerare questi discorsi un attimo di più, balzò a grandi passi davanti alla tenda e tirò su la zip per aprirla.

“Che diavolo sta succedendo qua dentro?” gridò visibilmente alterato. I due ragazzi sobbalzarono all’indietro per l’interruzione improvvisa, esclamando all’unisono “Ranma!?””
“Che vuoi che succeda?” cominciò Kijo, ma Ranma la zittì e richiese

“Voglio sentirlo da Ryoga…scusami Kijo, ma non ho voglia di scervellarmi per capire se quello che mi diresti è una manipolazione o la verità”

Kijo sbuffò palesemente offesa e Ryoga prese la parola
“Niente Ranma, mi sono accampato qui perché volevo andare a Okinawa e naturalmente mi sono perso. Stamani quando stavo facendo i miei esercizi ho visto Kijo che faceva una passeggiata, così si è fermata a salutarmi e le ho offerto una tazza di tè, poi le ho mostrato la tenda dove vivo”

“E che bisogno c’era di portarla nella tenda? E fare tutti quei versetti e quelle allusioni?” domandò Ranma, stringendo i pugni

“Ehi, ma cosa ti prende, Ranma?” si intromise Kijo

“Ti ho chiesto per favore di stare zitta! Avanti Ryoga, rispondi!”

“Mi ha chiesto lei di entrare nella tenda…per fare un po’ di coccole a Black and White! Stava dormendo, ma le carezze di Kijo l’hanno svegliata e si è messa a giocare e a leccarmi” spiegò Ryoga
Ranma si irrigidì. Dalla tenda fece capolino la cagnolina di Ryoga, che si stiracchiò le zampe. Un senso di umiliazione salì dallo stomaco fino alle orecchie di Ranma

“Ma si può sapere come mai questa reazione? Che ti succede Ranma?” domandò Kijo, preoccupata

“Mi succede che sono un idiota a preoccuparmi per te, va bene? Quando non ti ho vista stamani a colazione ho pensato che dormissi sempre, invece ti trovo qui in una situazione compromettente! Tu ci sguazzi nelle situazioni compromettenti, non puoi farne a meno!” le urlò contro Ranma, poi fuggì via. Kijo fece un cenno di ringraziamento a Ryoga, che fissava la scena perplesso, e corse all’inseguimento di Ranma

“Ranma Saotome fermati e parliamo!” gli urlò dietro, ma lui continuava a correre
“Dannazione Ranma, ti ho detto di fermarti! Affrontami se sei un uomo!” fu un po’ subdola, ne era al corrente, ma funzionò; Ranma smise di correre e lei lo raggiunse, solo che non aveva alcuna intenzione di parlare

“Dovevi lasciarmi in pace Kijo, ora devo sbollire!” le gridò Ranma attaccandola con una serie di pugni a catena

“Va bene, ok, sfogati! Testone che non sei altro!” tentò di fargli perdere l’equilibrio con un calcio basso, ma lui lo saltò agilmente. Anche se era palese che stava modulando la forza, il ragazzo non risparmiava l’accuratezza dei colpi, che finivano a segno uno dopo l’altro. Kijo non riusciva a schivarne la maggior parte e più ci provava più perdeva occasioni di attacco favorevoli: era intenzionato a non lascarle alcuno spazio. Accettando di prendere un uppercut nello stomaco, Kijo riuscì a dirigere le dita della mano destra attorno all’ombelico del suo avversario, mentre con quelle della mano sinistra premette due punti sulle scapole. Il movimento di Ranma rallentò e cominciò a tossire, ma con le ultime forze riuscì a scaraventarla a terra e bloccarla, sempre continuando a tossire.

“Maledetti i libri -coff coff- di Tofu! Ma ho vinto comunque nonostante -coff coff- i tuoi trucchetti!” Ranma la sovrastava tenendo il ginocchio sulla sua gola, ma era sempre più colto dagli spasmi della tosse

“Hai vinto solo perché hai deciso che lo scontro doveva finire in quel momento. Già adesso non riusciresti a trattenermi qui a terra ancora a lungo e men che meno a combattermi!” gli rispose la ragazza

“Ah, davvero? -coff coff- E allora come mai continui -coff coff- a stare lì sdraiata a terra?”

“Perché aspettavo che tu cogliessi l’occasione per baciarmi, stupido!”

Ranma avvampò visibilmente a quelle parole e rimase a bocca aperta, continuando a tossire e allentando la pressione del ginocchio. In quel momento Kijo si rigirò e lo mise al tappeto.

“Ehi! Non vale così! -coff coff- mi hai distratto!”

“Non è colpa mia se il pensiero di baciare una ragazza ti manda in un panico tale da perdere totalmente la concentrazione” gli fece un occhiolino Kijo, poi continuò “Comunque se dichiari che questo scontro è finito alla pari procedo a rimuoverti l’induzione della tosse”

“Perché devi sempre -coff coff-  farla franca! Ci tieni a umiliarmi -coff coff- come prima?”

“Ranma! Sei piombato nella tenda urlando a Ryoga che ti doveva chissà quali spiegazioni perché avevi completamente frainteso una situazione tranquillissima di cui ti eri già fatto un’idea e inoltre mi hai zittita e sei scappato a gambe levate! In quale momento IO ti avrei umiliato?” gli rinfacciò Kijo. Ranma non rispose e continuava a emettere ritmici colpi di tosse che si facevano sempre più frequenti. Kijo alzò gli occhi al cielo e sospirò, poi premette di nuovo i punti attorno all’ombelico e sulle scapole e Ranma riprese a respirare normalmente.

“Mi dispiace quando…insinui che io abbia una moralità dubbia, sai? Ci sta che possa vergognarmi un po’ meno di alcune cose, o che mi vergogni di cose diverse dalle tue ma…ecco, non sono una ragazza frivola. Figurati che dalle mie parti faccio sempre la figura di quella timida!” confessò Kijo, guardando verso l’orizzonte

“Timida tu? Buon cielo, chissà che razza di pervertiti sono gli altri allora!” la schernì Ranma; lei gli scoccò uno sguardo fulminante e lui proseguì “Comunque non…non credo che tu sia una ragazza frivola. Certo, ti cacci in un sacco di situazioni ambigue e scherzi su argomenti imbarazzanti, ma non credo che tu sia una donnaccia”
Kijo gli fece una linguaccia, ma poi gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi. Si diressero poi insieme verso l’albergo.
 
Quando arrivarono sulla terrazza, furono salutati da Nabiki che sventolava un frusciante mazzetto di banconote “Yu-huuu! Volete venire anche voi a giocare a carte?”

Soun e Genma scossero rapidamente la testa e quest’ultimo replicò
“Nabiki cara, non credi che sia il momento di andare a preparare le valigie? Dopotutto tra non molto dobbiamo andare…e poi abbiamo giocato abbastanza, non ho più uno yen!”

“Quello non è cambiato molto da prima, visto che mio padre le ha fatto credito, signor Saotome! Comunque volevo aspettare che mia sorella finisse la sua visita…ehi, guardate, sta arrivando!”

Kasumi e Ono si avvicinarono al tavolo dei giocatori e la ragazza chiese “Papà, non dovremmo andare a fare i bagagli? A che ora c’è il treno?”

“Piccola mia, cos’ha detto il dottore? Cos’ha il tuo stomaco?”

“Non ha mai avuto niente di strano il mio stomaco. Comunque il dottore non è riuscito a visitarmi: è stato tutto il tempo a spostare i mobili nella stanza, chissà come mai…”

Nabiki si dette una manata sulla faccia e sospirò, scoraggiata “Non ce la faranno mai…Bene, allora direi che possiamo andare a fare le valigie! Magari voi due andate prima a farvi una doccia, che siete zuppi di sudore”

“Già…abbiamo approfittato per allenarci un po’. Ci vediamo tra poco allora!” disse Kijo dirigendosi verso la sua camera.
 
Il viaggio di ritorno fu tranquillo: Ryoga fece con loro il pezzo di strada fino alla stazione e lì si assicurarono che prendesse il treno giusto per Okinawa; con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a scendere al capolinea e ad andare dove doveva. Nonostante avesse provato un paio di volte a chiedere timidamente spiegazioni riguardo alla scanagliata di Ranma, Kijo smorzò sempre il discorso facendogli cenno di tacere.

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Capitolo 7
*** Una pace fragile ***


15 aprile

“Test di matematica a sorpresa!” esclamò l’indomani mattina il professor Watanabe entrando in aula. In mano aveva un plico di fotocopie e di fogli protocollo, che appoggiò sulla cattedra mentre la classe bubbolava il proprio malcontento

“Forza, separate i banchi: più tempo ci mettete e meno ne avrete per il compito!”
 
Yuka e Sayuri rivolsero a Kijo uno sguardo affranto e separarono i banchi.
Kotaro si era già posizionato davanti alla cattedra, in modo da non essere disturbato dagli altri studenti in cerca di suggerimenti.
Kijo invece cercò di piazzarsi nelle ultime file, ma il professore la spostò subito a destra della cattedra. Il test era composto da dieci esercizi, in ordine crescente di difficoltà.
Ranma risolse senza troppi problemi i primi sei esercizi, si picchiò un po’ con il settimo ed ebbe appena il tempo di leggere l’ottavo che suonò la campanella.
Moroboshi aveva attuato un sistema alquanto singolare per tentare la copiatura: il professor Watanabe lo ammonì dal momento che continuava a sbirciare sotto il proprio banco, ma quando gli fu chiesto di consegnare quello che nascondeva tirò fuori l’ultimo numero di Playboy recante un’ammiccante Julie Clarke col cappellino a rovescio in copertina. Il docente avvampò all’istante, lasciando cadere la rivista come se scottasse, mentre Ataru, un sorriso tutt’altro che innocente stampato sul volto, gongolava fiero del suo diversivo: Watanabe non avrebbe mai aperto quel giornaletto, pertanto non avrebbe mai scoperto che al suo interno c’erano appiccicati gli svolgimenti di numerosi esercizi fatti in classe, da cui aveva attinto copiosamente.
Sayuri era andata nel pallone. Non ce la poteva fare, la matematica era troppo ostica per lei, era una stupida, non riusciva a capire. Avrebbe avuto un brutto voto, sarebbe stata bocciata in quella materia e non avrebbe mai potuto frequentare la facoltà di design di una buona università. Si sentiva spacciata, come se il suo intero futuro dipendesse da ciò che avrebbe scritto su quel foglio. Sentiva il cuore palpitare violentemente contro la cassa toracica e il respiro che non riusciva a soddisfare il suo bisogno d’aria; stava per gettare la spugna col quinto esercizio, ma quando ebbe disegnato il grafico si rese conto che altro non chiedeva che la pendenza della tangente alla parabola. Come un flash si ricordò del pomeriggio in cui si era attardata con Yuka e Kijo per sistemare la classe e riprese un po’ di coraggio: forse non tutto era perduto, forse avrebbe ancora potuto diventare una designer!
Kotaro consegnò il compito prima del tempo, chiedendo di poter uscire a sgranchirsi le gambe per il quarto d’ora restante.
Sebbene Kijo avesse terminato con qualche minuto di anticipo, riguardò attentamente il compito e poi valutò se ci fosse una possibilità oggettiva di far arrivare un suggerimento a qualcuno. Purtroppo il professore osservava ogni suo movimento, quindi decise di consegnare e uscire anche lei.

“Finalmente! Ce ne hai messo di tempo!” le disse Kotaro appena chiuse la porta dietro di sé

“Sì, volevo ricontrollare tutti i calcoli…” rispose la ragazza senza raccogliere la provocazione del tono

“Senti, siamo sinceri…tu non sei degna di rappresentare la scuola nelle Olimpiadi di Matematica. L’ho già fatto io, lo scorso anno, e ci siamo posizionati bene. Forse dovresti semplicemente dire al professor Watanabe che non te la senti, usa qualche scusa da femmina…” continuò a pungolarla Kotaro, che per risultare più minaccioso si era anche avvicinato di un passo e le si rivolgeva dall’alto in basso

“Ascoltami Ikeda, non credo che la decisione spetti a me ma al professore. Io non mi opporrò se mi sceglierà perché non sputo sopra ad un’opportunità. Mentre se sceglierà te non ti porterò rancore. Quindi piantala di essere così ostile nei miei confronti e giocala pulita” replicò con noncuranza Kijo, non indietreggiando di un millimetro e trafiggendolo con lo sguardo.
In quel momento Watanabe aprì la porta e richiamò i ragazzi in classe.  

“Bene, domani avrete i risultati del test e il nominativo del nostro rappresentante alle Olimpiadi di Matematica. Una buona giornata!”
Il professore si allontanò fischiettando e dondolando la cartellina da cui sbucavano i loro sudati compiti.
 
Dopo l’ora di matematica la classe si spostò nel laboratorio di arte, dove furono accolti dal saluto gentile e mansueto della professoressa Kazama. Quella donna non era per niente eccentrica, nonostante la materia che insegnava, ma era dotata di una bellezza fresca e timida che rendeva impossibile attribuirle un’età: quel giorno indossava un semplice abitino bianco (colore che adorava!) lungo fino al polpaccio e una fascia dello stesso colore le manteneva in ordine il caschetto ormai un po’ troppo cresciuto di capelli setosi e scuri. I suoi occhi neri tradivano una spiccata sensibilità che le consentiva di afferrare facilmente gli stati d’animo delle persone che aveva attorno; di contro, lei era molto riservata e ben poche informazioni circolavano sul suo conto, perfino tra i colleghi.

“Buongiorno ragazzi. Oggi vorrei trattare con voi il tema della luce: ogni oggetto visibile è definito dal contrasto tra luci e ombre così come la personalità di ogni individuo. Sondare e analizzare l’animo umano tuttavia va forse un po’ troppo oltre gli scopi di questo corso, per cui mi accontenterei per adesso che rappresentaste, con qualunque tecnica a vostra scelta, come da luce e ombra scaturisce la forma di un oggetto”

Nonostante il tema fosse decisamente interessante, Kijo non poté far a meno di andare in paranoia: vedeva i propri compagni girare decisi per l’aula al fine di procurarsi le attrezzature di cui avevano bisogno per elaborare il compito, mentre lei era rimasta bloccata al proprio posto senza uno straccio d’idea in testa. O meglio, di idee ne avrebbe anche avute, ma di idee alla portata di chi era totalmente negato in ambito artistico neppure l’ombra. Giusto per dare l’impressione di far qualcosa, andò a prendere un foglio e varie matite di durezza differente, poi si acciambellò sullo sgabello accanto a Sayuri, assai sgomenta. L’amica aveva già iniziato a delineare i contorni di un paesaggio che si rifletteva in uno specchio d’acqua: notò la precisione con cui riusciva a disegnare i dettagli delle case, degli alberi, della montagna sullo sfondo e a ricavare un’immagine tremula ma perfettamente simmetrica degli stessi nelle acque del lago; era indubbio che sarebbe venuta un’opera bellissima, in cui luci ed ombre l’avrebbero fatta da padrone.

“Kijo, c’è qualche problema?” le sussurrò Sayuri notando con dispiacere che il suo foglio era ancora bianco

“Ecco, in effetti sì…io non so disegnare…” ammise con una punta di vergogna la ragazza

“E allora? Puoi usare la tecnica che vuoi! Guarda, Yuka per esempio sta modellando della creta e…” cercò di rincuorarla Sayuri

“Ehm, credo che il problema sia più ampio di così…io sono un disastro nelle materie artistiche, sono veramente terribile! L’ultima volta che ho usato l’argilla al posto di un riccio mi è venuto fuori una specie di mostro degli abissi…e pure con carta e matita sono un caso perso…” abbassò lo sguardo Kijo, unendo ritmicamente gli indici delle proprie mani

“Dai, vediamo se posso farti una traccia io…avevi in mente qualcosa?” le sorrise Sayuri, mossa a compassione, scambiando i fogli e prendendo quello bianco davanti a sé

“Pensavo a un licantropo, un uomo che si trasforma in lupo nelle notti di luna piena. Mi piaceva questo soggetto perché oltre a valorizzare le luci e le ombre ha anche una valenza psicologica, come ci faceva prima riflettere la professoressa” spiegò Kijo a bassa voce

“Certo che sogni in grande, tu! Vediamo se riesco a buttare giù qualcosa di abbastanza horror…” sghignazzò Sayuri cominciando a disegnare.

In quel momento si avvicinò al loro banco la professoressa Kazama, per constatare come stavano procedendo i lavori
“Mi sembra molto promettente questo paesaggio, Rinekami: perché ti sei fermata?”
“In realtà questo è di Sayuri, professoressa. Mi stava aiutando a rendere più decente il mio elaborato, dato che purtroppo sono capace di fare solo schifezze…”
A Kijo costò molto rivelare quella mancanza, infatti non ebbe il coraggio di guardare negli occhi la docente, tuttavia non avrebbe permesso che la propria amica ci rimettesse per aiutarla.

Sayuri si sentì chiamata in causa e si affrettò ad aggiungere
“Stavo solo aggiustando un po’ i contorni, Kijo non ha la mano molto ferma ma ha avuto una buona idea”

Jun Kazama sospirò e le redarguì, seppure non in tono severo, posandosi le mani sui fianchi, un po’ come fa una madre in risposta ad una marachella del proprio pargolo
“Ragazze, io ho il dovere di valutare i vostri compiti individualmente, non importa se uno verrà meraviglioso e l’altro poco curato: l’importante è che voi esprimiate le vostre idee con le vostre capacità. Rinekami, non pretendo un talento fuori dal comune, ma voglio un impegno concreto da parte tua”
Le due ragazze annuirono imbarazzate, mentre Ikeda gongolava di soddisfazione per quella ramanzina alla sua rivale.

Al termine della lezione Kijo portò il proprio compito dinanzi alla professoressa, che per poco non ebbe un mancamento alla vista di quell’obbrobrio. Con un’enorme goccia che le spuntava sulla nuca chiamò a sé Kijo e Sayuri e disse con un sorriso tirato
“Lasciate perdere quello che ho detto prima! Per stavolta facciamo un’eccezione: Sayuri, hai il permesso di aiutare Kijo ogni volta che vorrai, d’accordo?”
Le due ragazze rimasero un po’ spiazzate da quel repentino cambiamento, ma asserirono con rispetto, prima di lasciare l’aula.
Una volta rimasta sola la professoressa Kazama prese un accendino e bruciò il disegno di Rinekami, sperando di non avere un incubo in proposito quella notte.


Successivamente gli alunni si diressero verso il laboratorio di scienze, dove il professor Namura aveva allestito l’apparecchiatura per dare una dimostrazione pratica delle reazioni di esterificazione di Fischer.

“Oggi impareremo come tramite una semplice reazione chimica sia possibile trasformare un odoraccio in un buon profumo! Sui banconi troverete delle provette tappate contenenti il reagente 1, l’alcol isoamilico. Chi mi sa dire la formula bruta e la nomenclatura IUPAC?”
Diversi studenti alzarono la mano ma il professore dette a Kotaro la parola

“C5H12O e 2-metil-4-butanolo” rispose il ragazzo

“Sbagliato. Rinekami, sai dirmi perché?”

“La formula bruta è corretta ma il nome IUPAC è 3-metil-1-butanolo perché l’atomo di carbonio ossidrilato diventa il primo della numerazione”

Il professor Namura annuì e Kotaro strinse i pugni e lanciò uno sguardo di pura rabbia a Kijo.

“Benissimo, adesso potete aprire la vostra provetta ed annusarne con cautela il contenuto” indicò il professore. Gli studenti seguirono le istruzioni e delle smorfie di disgusto comparvero sui loro volti. I commenti non si fecero attendere.

“Bleah, che puzza!”

“Che schifo! Sembrano i calzini sudati di mio fratello!”

“Pare una cimice schiacciata”

“Odora di…formaggio andato a male!”

“Tutte descrizioni molto calzanti…adesso aprite la seconda provetta della fila, su cui c’è scritto reagente 2, e annusate, sempre con cautela” continuò il professore

Le facce furono meno disgustate di prima, ma le narici furono comunque colpite da un odore molto penetrante.

“Che odore pungente! Mi viene da starnutire!”

“Sembra l’aceto che usiamo per condire”

“Esatto! Quello che avete in mano adesso è l’acido etanoico, meglio conosciuto come acido acetico. Adesso vedrete come con la magia della chimica posso mescolare queste due molecole dagli odori spiacevoli in una molecola assai più profumata. Chi si ricorda come funzionano le reazioni di esterificazione?”

Questa volta fu concessa la parola ad Ataru
“È quando mescoliamo un acido organico con un alcol e otteniamo un estere e una molecola d’acqua” rispose il ragazzo leggendo di nascosto degli appunti che di era trascritto sulla mano: fu molto abile, dato che nessuno se ne accorse

“Sì, sulla carta funziona proprio così…ma vuoi provare a mescolare i tuoi reagenti nella beuta che hai davanti?”

Ataru versò il contenuto delle sue provette nella beuta e agitò per un po’, ma non sentì nessun nuovo odore.

“Certe molecole hanno bisogno di…una piccola spinta per interagire, non basta buttarle insieme nello stesso posto. Funzionano un po’ come i ragazzi timidi”

A questa considerazione del docente si liberarono diverse risatine nell’aria.

“Per questo Hermann Emil Fischer, chimico tedesco vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, sviluppò un metodo che portasse a interagire queste tipologie di molecole: la catalisi acida. In fondo questo signore era molto dolce: oltre a vivere nel bel mezzo del Romanticismo europeo, passò gran parte della sua vita a studiare gli zuccheri.”

Altre risatine risuonarono dopo la sua battuta, poi il professore continuò

“Siccome questa reazione ha bisogno di circa un’ora, per avvenire, ho già preparato un campione precedente che adesso è in ebollizione sul termomanto, ma ora voi, muniti di guanti e occhiali protettivi, potete aggiungere il catalizzatore goccia a goccia ai vostri reagenti: si tratta di acido solforico concentrato, quindi fate molta attenzione”

A Yuka tremavano talmente le mani che a stento riusciva a infilare la pipetta nella beuta per aggiungere le gocce di acido. Questa manovra non sfuggì a Kotaro che, spavaldo, si avvicinò a Yuka strappandole la beuta dalle mani

“Guarda e impara Yuka-chan, come si porta a termine una reazione!” così dicendo le prese anche la pipetta, solo che alcune gocce di acido caddero sulla sua divisa

“Signor Ikeda, devo chiederle di tornare al suo bancone. La signorina Yoshimitsu è perfettamente in grado di svolgere il compito che vi ho assegnato”

“Ma professore, abbiamo già finito tutti, manca solo lei!”

Gli occhi di Yuka si riempirono di lacrime e chiese con la voce rotta il permesso di andare al bagno, che le venne concesso.

“Come gestisco i tempi della mia lezione non è affar suo, signor Ikeda. E adesso torni al suo posto e segua le istruzioni” tuonò l’insegnante visibilmente irritato.



Al termine della lezione tutti ottennero l’essenza di banana come previsto, tranne Kotaro che aveva accidentalmente sbagliato la dose di idrossido di sodio ottenendo una saponificazione dell’estere appena prodotto. Yuka, come tutta la classe, lo fissò mentre impallidiva di fronte al fallimento ma Kijo alle spalle del ragazzo le fece un occhiolino di complicità.
 
“Era tanto che non mi divertivo così ad una lezione di chimica!” commentò Ranma uscendo dal laboratorio.
 
Kijo annuì e sorrise “Davvero spassosa in effetti!”

“Scusa Ranma…posso rubarti Kijo solo per un attimo?” Yuka giunse alle loro spalle

“Sì, certo!” il ragazzo allungò il passo per raggiungere Hiroshi, che stava combattendo col laccio della cartella per chiuderla.

“Ecco…io non so cosa tu abbia fatto ma volevo ringraziarti. Anche se nessuno ha visto nulla so che c’è il tuo zampino dietro il fallimento di Kotaro” Yuka le fece un accenno di inchino con la testa, al che Kijo ricambiò con un sorriso enigmatico

“Forse Kotaro non è così bravo come pensa…ad ogni modo è stato molto scortese prima nei tuoi confronti, quindi credo che un piccolo bagno di umiltà non possa nuocere al suo ego”

“Oh, sarà furioso adesso…fai attenzione, mi raccomando. Sa essere molto competitivo”

“Grazie dell’avvertimento. Farò del mio meglio per non soccombere alla sua ira” Kijo posò una mano sulla spalla di Yuka, in segno di gratitudine, poi la prese a braccetto e corsero insieme ridendo alla lezione successiva.
 
 
 
“Che ne diresti di cominciare con un ripasso di chimica? Così magari potrò capire come hai fatto a sabotare l’esperimento di Kotaro” propose Ranma, con un sorriso impostato a trentadue denti, mentre camminava con Kijo per tornare a casa

“Com’è che vi siete tutti convinti che io c’entri qualcosa?” esclamò Kijo con aria fintamente sorpresa

“Andiamo, Kijo! Kotaro non ha mai sbagliato…niente da quello che io ricordi! E oggi magicamente dovrei credere che ha fatto un errore piuttosto grossolano, quando tutto il resto della classe ha svolto senza problemi l’esperimento? Perfino io sono riuscito ad avere una buona resa, nonostante non sia stato precisissimo…”

“Beh, a lui piace spiccare, no? Sicuramente si è differenziato dagli altri” commentò Kijo, con occhi chiusi e mento sollevato

“E naturalmente è stato un puro caso che sia successo dopo che ha trattato male la tua amica…”

“Yuka c’è rimasta davvero molto male. Non aveva nessun diritto di svilirla a quel modo. Comunque, posso dirti che va bene ripassare chimica e posso provare a spiegarti quello che credo sia successo a Kotaro per fargli sbagliare la reazione…” stette sul vago la ragazza.
Ranma ridacchiò tra sé e continuarono a camminare.
 
Arrivati a casa Tendo furono accolti da Kasumi, che si offrì di preparare loro il tè
“Kijo, abbiamo sempre delle bustine di quello che ci avete portato tu e il dottor Tofu, hai qualche preferenza?”

“Direi che sarebbe indicato quello con l’etichetta Studio e concentrazione. Grazie mille Kasumi!”

“Nessun problema…e poi veder studiare Ranma è un evento!” sorrise la ragazza dirigendosi verso la cucina. Ranma fece spallucce e cominciò a spargere il libro e gli appunti di chimica per tutto il tavolo.
 
Pochi minuti dopo scese Nabiki, manifestando l’intenzione di sgranocchiare qualcosa per merenda
“Oh, studiate chimica? Se scoprite la formula per trasformare i metalli in oro fatemi sapere!” commentò sbirciando i vari appunti

“Ne ho trovata una che funziona sul platino, ma non credo sarebbe molto redditizia” scherzò Kijo

“Quella puoi tenertela!” sorrise Nabiki aprendo un sacchetto di patatine e cominciando a masticare rumorosamente. In quel mentre Kasumi servì il tè e Soun e Genma uscirono dalla palestra. Si appollaiarono poi in veranda davanti alla scacchiera degli shogi e iniziarono a giocare

“Figliolo, cosa sono tutte quelle formule? Stai cercando di carpire i segreti della Happo Daikarin?” commentò Genma arraffando un foglio a caso

“No! Sto cercando di capire come abbiamo fatto oggi a trasformare un odoraccio di piedi sudati in profumo di banana! Forse se fate un po’ di silenzio possiamo riuscirci” si riprese il foglio Ranma, scocciato dall’interruzione del padre

“Oh, che grazioso! Potrebbe essermi utile quando faccio il bucato!” commentò Kasumi

“Eh eh…non credo che i vestiti sopravvivrebbero a questo trattamento” ridacchiò Kijo

“Già…e poi chi è che vorrebbe andare in giro puzzando di banana?” fece una smorfia Nabiki

“Ranmaaaaaa! Inviti giovani ospiti a casa e non mi avverti neppure? Fatti dare un assaggio dell’accoglienza di Happosai, zuccherino!” il vetusto maestro stava zompando addosso a Kijo, ma Ranma riuscì a schiacciarlo a terra con un pugno

“Non è giusto! Io non ho mai avuto compagne così carine! Perché non insegni qualcosa anche a me, eh, tesoruccio?” piagnucolò Happosai da terra.

Improvvisamente un sonoro trambusto all’ingresso catturò l’attenzione di tutti gli astanti. Senza neppure preoccuparsi di suonare il campanello, Shampoo irruppe nella stanza seguita da una vecchia signora aggrappata ad un bastone e da una papera starnazzante che sembrava quasi portare due fondi di bottiglia a mo’ di occhiali. Restò di gelo per qualche secondo nel vedere che era presente anche Kijo e la sua espressione mutò, da determinata a furibonda.

“Che cosa ci fai tu qui, sgualdlina?” tuonò la ragazza indicando con fare accusatorio Kijo, circondata dai libri e con una matita in mano

“Buon pomeriggio anche a te Shampoo…Ero venuta per imparare la danza del ventre, ma mi sa che ho sbagliato indirizzo” replicò Kijo non risparmiando la dose di sarcasmo. Nabiki apprezzò quella risposta e trattenne a stento una risatina, mentre Ranma si passava una mano sulla faccia, esasperato dall’ennesimo commento spudorato dell’amica. Soun, Genma e Kasumi restarono immobili, presagendo il peggio da quella situazione: le riparazioni che seguivano immancabili dopo gli scontri che si reiteravano in quella casa stavano diventando un costo sempre più insostenibile, sia dal punto di vista economico sia da quello della fatica per ripristinare il tutto.

“Puoi fale quello che vuoi, basta che stai lontana dal mio Lanma!” la cinese digrignò i denti e la fulminò con lo sguardo; per tutta risposta Kijo si allontanò di un paio di centimetri da dove era seduta in precedenza e si inginocchiò nuovamente sul cuscino

“Sono abbastanza lontana adesso?” la prese in giro, incrociando le braccia sul petto

“Sei velamente illitante Linekami, ma non la passelai liscia ancola a lungo!” Shampoo prese una rincorsa e si lanciò in aria, atterrando con un calcio sul tavolino su cui erano sparsi gli appunti, rompendolo nel mezzo

“Oh no! È il quinto tavolino che bisogna cambiare dall’inizio dell’anno…” sospirò sgomenta Kasumi.

“Che bello, uno scontro tra donne!!” esclamava Happosai, pieno di entusiasmo, tirando fuori due ventagli dalle maniche e agitandoli a festa.
Kijo nel frattempo era rotolata all’indietro e si era messa in posizione di difesa, mentre Shampoo si preparava ad affondare un altro attacco

“Uffa, ma non avevi detto che mi avresti finalmente lasciata in pace?” si lamentò la ragazza dai capelli corvini, evitando una serie di pugni dell’amazzone

“Io non peldono chi si mette sulla mia stlada: Shampoo distlugge!” gridò quest’ultima frantumando la parete di legno davanti a cui si stagliava Kijo solo un momento prima

“Shampoo distlu…ehm, distrugge ma Tendo paga! Se dovete fare a botte, signorine, sarà almeno il caso che ve ne andiate fuori da questa stanza?” si alzò in piedi Soun, furente e preoccupato

“Il padrone di casa ha ragione. Nipote, non è questo il motivo per cui sei venuta fin qui, quindi datti una calmata e fai la tua proposta” si intromise la vecchia, bloccando l’attacco successivo dell’amazzone col proprio bastone. La ragazza si fermò, ansimando dallo sforzo, poi prese un respiro più profondo del solito e si rivolse a Ranma, che nel frattempo stava provando a defilarsi

“Lanma, wo ai nii…” esordì Shampoo bloccandogli il passaggio mentre lo stringeva in un abbraccio. La strana papera occhialuta riprese a starnazzare nervosamente, ma questo non fece desistere la giovane cinese

“Sono qui pel chiedelti ufficialmente di sposalmi: Akane Tendo ha abbandonato il tetto coniugale, pel cui non può più vantale dei dilitti su di te. Mi sono infolmata, è sclitto nel codice civile!” così dicendo tirò fuori un gigantesco libro di cui aveva sottolineato un paio di paragrafi e lo sbatté sul pavimento

“Che dici futuro marito? La legge è dalla nostra parte…non ci sono più ostacoli per coronare la storia d’amore con mia nipote” rincarò la dose Cologne.
Ranma era sbiancato completamente e deglutiva nervoso cercando una scappatoia a cui appigliarsi. Soun e Genma si precipitarono sul libro, cominciando a sfogliarlo forsennatamente per sincerarsi che non ci fosse qualche trucco di mezzo.
Kasumi era in apprensione, con le mani poste davanti alla bocca mormorava “La mia povera sorella…” più e più volte
Nabiki non si scompose più di tanto, si voltò solamente per chiedere un po’ di silenzio dato che non riusciva a seguire il giallo che passava in tv.
La vecchia signora si avvicinò poi a Genma, porgendogli la mano come a suggellare un’intesa

“Non c’è alcun inganno, ve l’assicuro. Adesso signor Saotome, vogliamo stringere l’accordo per il fidanzamento ufficiale dei nostri ragazzi? Vi ricordo che in quanto parte della famiglia potrete godere della nostra ospitalità e ovviamente del vitto illimitato direttamente dalle cucine del Neko Hanten vita natural durante…” gli occhi dell’anziana si restrinsero a due fessure, sapendo che aveva toccato un punto debole dell’avversario. Genma infatti non si smentì e lasciò subito le pagine del codice che stava sfogliando, per prendere la mano di Cologne tra le sue

“Sai, caro figlio…in fondo non ci si può opporre alla legge. Credo sia ora che tu ti assuma le tue responsabilità nei confronti di questa dolce signorina e faccia sì che onori il decreto del suo villaggio di origine che la vuole sposa dell’uomo che l’ha sconfitta!”

“Saotome, non dirai sul serio? E tutti i nostri progetti…?” si voltò Soun con le lacrime agli occhi, affranto

“Discepolo degenere, vuoi davvero che la nobile arte marziale indiscriminata venga ibridata con la lotta delle amazzoni cinesi?” saltò su il maestro Happosai, con una bomba in mano pronta ad essere accesa

“Non mi sembrava che tu fossi così contrario all’ibridazione, anni fa, caro Happi…” gli si rivolse Cologne inarcando ripetutamente le sopracciglia e zittendolo

“Io…non posso farlo” disse semplicemente Ranma, tutti gli occhi degli astanti puntati addosso; dopo una breve pausa continuò

“Non posso farlo perché tra le leggi della Scuola di arti marziali indiscriminate a cui appartengo ce n’è una che vieta ad un Maestro di sposare chiunque sia stato battuto da un suo discepolo…”

A quelle parole Kijo, che fino a quel momento se ne era stata tranquilla a guardare la scena con attenzione, saltò in piedi come morsa da una tarantola ed iniziò a sudare freddo, cercando lo sguardo di Ranma e sussurrandogli a denti stretti
Non oserai! Lo sai che non mi darà mai pace se lo dici!

Ranma per tutta risposta sorrise baldanzoso, certo di aver trovato il bandolo della matassa, e concluse
“Poiché sei stata battuta da Kijo, che è mia discepola, io non posso sposarti”

“Ranma, ma io non ho mai sentito niente del genere…” obiettò il padre, dubbioso

“È perché sei uno zuccone, Genma! Il ragazzo ha ragione, non può sposare la cinese: viola il quinto articolo della terza sottosezione barra bis sulla settima pergamena!” cavalcò l’onda Happosai, sghignazzando di soddisfazione

“Shampoo ola distlugge Kijo!” gridò l’amazzone lanciandosi alla carica con fare belligerante

“Ma porc-! Dannazione Ranma, lo sapevo che sarebbe finita così!” esclamò l’ospite italiana scansando all’ultimo momento una lampada che la furia dai capelli color lavanda le aveva lanciato e cominciando a correre

“Basta! Shampoo, ti ho educato meglio di così: ti ho educato a rispettare le tradizioni e le leggi, pertanto devi accettare l’impedimento che si è presentato, almeno al momento. Troveremo il modo per contrastarlo, te lo prometto. Signori, è stato un piacere!” così dicendo Obaba saltellò via col suo bastone, seguita dalla papera occhialuta e da una Shampoo assai perplessa, che le gridava dietro

“Bisnonna! Che vuoi dile? Ma posso ancola sposale Lanma?”

Dopo un attimo di smarrimento generale, Genma si avvicinò a Soun e gli allungò una sonora pacca sulla spalla

“Beh, tutto bene quel che finisce bene no? Hai visto come Ranma ha difeso la sua scelta di sposare Akane? Confesso che mi ha stupito un po’…”

“Ma se eri pronto a servirlo su un piatto d’argento a Shampoo in cambio di una fornitura di ramen a vita!” diede inizio ad un lungo battibecco il signor Tendo.
Nel frattempo Kijo si avvicinò a Ranma per avere chiarimenti

“Non c’era modo di evitare di coinvolgermi? Adesso non avrà pace finché non mi avrà distrutta”

“Non essere esagerata: dopotutto l’hai già battuta una volta, puoi farlo ancora, no? Io invece ho dovuto giocarmi il tutto per tutto…” ribatté Ranma

“Ma non potevi semplicemente dirle che non ti piace? C’era bisogno di inventarsi un’assurda legge che lo impedisce?” Kijo stava cominciando a perdere la pazienza: non le piaceva essere usata come scusa, soprattutto se questo significava attirarsi ancor più l’odio di una persona così pericolosa come Shampoo.

In quel momento suonò il telefono e Kasumi andò a rispondere. Tornò poco dopo, riferendo che era Akane e che voleva parlare con Ranma. Il ragazzo si alzò e si lisciò i pantaloni, borbottò delle scuse e si avviò al telefono. Era nervoso perché era già passato del tempo dall’ultima volta che Akane aveva parlato con lui. Chissà cosa le era capitato, se anche lei aveva dormito assieme ad altri ragazzi…scacciò quel pensiero dalla testa, scuotendola. Passò più di mezz’ora a raccontargli delle città che aveva visitato, le foto che aveva fatto, la scuola, lo studio più duro di quanto si aspettasse, i compagni di classe, le uscite, le cene, il caldo, il cibo. Mentre parlava c’era qualcosa di nuovo nella sua voce, qualcosa di diverso…come una maggiore consapevolezza, una rinnovata spigliatezza e una punta di maturità in più. I suoi racconti facevano sembrare la solita vita di sempre come un vicolo cieco, un luogo cristallizzato in cui non era possibile un’evoluzione. Dopo non molto fu costretta a riattaccare, abbastanza bruscamente, sostenendo di aver finito i gettoni del telefono. Quella telefonata lo turbò non poco: stette almeno due minuti buoni a fissare la cornetta dopo che Akane aveva riappeso. Tornò quindi in salotto, con l’aria confusa, e tutti i familiari si avventarono su di lui per avere notizie. Nel caos generale, Kijo millantò di avere un impegno, per cui fece un breve inchino e se ne andò.

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Capitolo 8
*** Tra boxer e cimiteri ***


16 aprile

“Sei andata via in fretta ieri sera, tutto bene?” chiese Ranma a Kijo mentre andavano a scuola

“Sì, tutto ok. È solo che forse casa tua è troppo affollata per studiare e ripassare. Dovresti venire allo studio di Tofu, almeno staremmo più tranquilli e ci sarebbe anche il laboratorio a disposizione”.

L’obiezione era perfettamente logica, eppure Ranma ebbe come la sensazione che non gli avesse detto tutto: Kijo sembrava strana quel giorno, più strana del solito; non riusciva a intercettare il suo sguardo perché era nascosto dagli occhiali da sole, come di consueto, ma emanava un’aura sottotono.

“D’accordo, allora semmai oggi dopo scuola ci fermiamo lì” annuì il ragazzo affrettando il passo
Sempre che Shampoo non mi faccia fuori prima” pensava sgomenta Kijo lasciandosi invadere nuovamente dall’ansia. Aveva avuto una brutta percezione fin dal momento in cui l’amazzone era apparsa il giorno precedente, si era volutamente illusa di aver sistemato le cose con lei durante lo scontro al parco e l’incontro del giorno prima l’aveva bruscamente riportata alla realtà dei fatti: quella ragazza la odiava e non si sarebbe data pace finché avesse respirato. Come ciliegina sulla torta Ranma sembrava non curarsi minimamente della situazione; in fondo aveva fomentato lui un’altra volta il risentimento di Shampoo nei suoi confronti ma pareva totalmente tranquillo in merito, quindi i casi erano due: o era estremamente sicuro che lei avrebbe potuto sconfiggere Shampoo ogni volta, cosa assai poco probabile vista la forza della cinese, o non gliene importava niente della sua sorte, sollevato com’era d’aver trovato una scappatoia e preso com’era da altri pensieri, tipo la fidanzata che aveva risentito.

“Saotoooome! Rinekamiiiiiii!” gridò una voce conosciuta dietro di loro

“Gosunkugi, buongiorno!” lo salutò Kijo sobbalzando, mentre Ranma alzò lo sguardo al cielo

“Ehi ragazzi! Come va? Sentite, avrei bisogno del vostro aiuto…ti ricordi di Kogame, Ranma?” Hikaru li raggiunse di corsa e cominciò a respirare affannosamente. Decisamente non era molto portato per l’attività sportiva

“La ragazza fantasma che in particolari circostanze ritorna sulla terra?” si grattò il mento il ragazzo, pensieroso

“Che cosa? Voi conoscete un fantasma?” si sbalordì Kijo spalancando gli occhi

“Eh eh…esatto, proprio lei. Diciamo che io e lei siamo amici molto stretti” arrossì Gosunkugi unendo ritmicamente gli indici delle mani, poi continuò “In un vecchio libro ho trovato un modo per riuscire a evocarla quando voglio! Capite cosa significa! Che non dovrò più aspettare improbabili e rare coincidenze astrali per poterla rivedere!” il ragazzo era in preda all’euforia e saltellava sul posto

“E come si dovrebbe svolgere questo rito di evocazione?” chiese Ranma, scettico, portandosi una mano alla testa

“Oh, in realtà è piuttosto semplice: tutto quello che mi serve è la mia cara macchina fotografica e una ragazza dotata di predisposizione attoriale disposta a farsi fotografare in un cimitero…” il suo sguardo si posò su Kijo e inarcò allusivo le sopracciglia

“Beh, sicuramente un’esperienza fuori dal comune…ma se è per aiutare un amico perché no? Basta che ti accerti che questo spirito poi non si arrabbi con me e decida di perseguitarmi in eterno!” rispose la ragazza, pensando tra sé “Mi ci manca solo di attirare altra avversione nei miei confronti!

“Non succederà mai, tranquilla! Perfetto allora! Durante la ricreazione vi spiegherò tutto! Ciaooo!” corse via Gosunkugi.

Kijo rivolse un’occhiata a Ranma e poi fece spallucce, mentre quest’ultimo scuoteva la testa rassegnato. Inizialmente fece un blando tentativo di trattenersi, ma la sua schiettezza ebbe il sopravvento, quindi si rivolse a Kijo
“Sei consapevole che è solo uno stratagemma per farti delle foto, no?”

Lei lo guardò come se le avesse detto che la terra in realtà era piatta, dapprima sgranò gli occhi, poi prese ad agitare una mano davanti a sé e infine gli diede un simbolico colpo sulla spalla per respingerlo, commentando
“Ah ah ah! Ma che vai dicendo! E perché mai Gosunkugi dovrebbe volere delle MIE foto? Quel ragazzo sta con un fantasma, Ranma!”
In quel momento il rumore di un aereo che stava planando verso l’aeroporto sovrastò completamente ogni rumore, per cui Kijo dovette accontentarsi di leggere il labiale e l’espressione facciale di Ranma che significavano qualcosa come «Sei proprio un’ingenua»

Quel giorno c’era anche Ukyo a scuola, quindi Ranma fu completamente monopolizzato dalla sua fidanzata carina. Nell’ora di matematica il professor Watanabe, come promesso, riportò i test del giorno prima corretti e svelò la sua decisione in merito alla gara studentesca

“Ehi, Kotaro! Quanto hai preso?” domandò Ataru al compagno di banco

“98/100…direi che quella ragazza è spacciata!” rispose l’altro, con un sorriso trasudante autostima ma con un buco assai visibile sull’uniforme di cui evidentemente non si era accorto

“I compiti sono andati discretamente, le insufficienze sono state poche. La media della classe è stata 68/100…” commentava il professore

“Ehi, Ucchan, guarda qui! Un compito sopra la media, incredibile!” esclamò a bassa voce Ranma sventolando il suo foglio valutato 70/100 orgogliosamente

“Sei un ragazzo dalle mille risorse…” sospirò lei, sbattendo le ciglia

“…le due migliori prove sono state quelle di Rinekami e Ikeda, pertanto ho deciso che entrambi rappresenteranno il Furinkan nelle Olimpiadi di Matematica tra istituti superiori”

Ci fu un momento di gelo, poi gli alunni presero a congratularsi coi due prescelti. Kotaro stentava a crederci, gli pareva inammissibile dover dividere gli oneri e gli onori con quella ragazzetta. Quando lei si avvicinò per dargli la mano, lui non la mosse di un millimetro. Il suo sguardo era traboccante d’odio e Kijo ne rimase impressionata. Senza dire una parola tornò al suo posto, circondata dagli altri che le davano pacche sulle spalle. Quando mise il suo compito nella cartella, a Kotaro cascò l’occhio sul voto rosso che campeggiava sul foglio: 100/100, aveva fatto anche meglio di lui, dannazione! 
 
Quando suonò la campanella della ricreazione Hikaru si catapultò con fare losco da Ranma e Kijo.
“Allora ragazzi, siete pronti a mettere a punto il rituale? Ho un libro da mostrarvi ma preferirei farlo in un posto più appartato…”

“Cos’è questa storia del rituale?” domandò Ukyo, ombra di Ranma

“Possiamo parlare davanti alla tua fidanzata carina?” chiese Hikaru, con sguardo sospettoso. Kijo ridacchiò: quella situazione era assurda sotto così tanti aspetti!

“Senti Hikaru, dimmi dove possiamo parlare e ti raggiungerò dopo essere andato a comprarmi un panino: non posso ragionare a stomaco vuoto! Quanto a Ucchan possiamo parlarle senza problemi, deciderà lei se vuole essere coinvolta in questa storia”

“Ranma-san, non permetterò che tu mangi quegli agglomerati di polistirolo che spacciano per panini. Per fortuna ho sempre dietro la mia piastra portatile, ti cucino un okonomiyaki espresso!” si impuntò Ukyo

“Ehm, bene, allora andiamo tutti sul tetto della scuola” disse Gosunkugi, prendendo dallo zaino un tomo dall’aria molto antica.
 
Una volta sul tetto, al riparo da occhi indiscreti, Ukyo azionò la sua piastra portatile e iniziò a spargervi la pastella. Nel mentre Hikaru aprì il volume ad una pagina che aveva contrassegnato con una delle sue bamboline di paglia: sulla carta, ingiallita dal tempo, spiccavano dei caratteri di giapponese antico dipinti con inchiostro nero intervallati da alcuni disegni stilizzati e da strani simboli arcani.

“Con buona approssimazione c’è scritto che ricreando le condizioni della morte della persona sia possibile rievocarla nel mondo dei viventi. Qui parla di imprimere su carta i momenti prima del decesso; immagino intendesse disegnarli ma fotografarli adesso che la tecnologia lo consente credo che vada bene ugualmente”

“Anche perché se devo contribuire ai disegni stiamo freschi!” ridacchiò Kijo con una mano dietro la nuca

“Confermo. È veramente terribile! Rischieresti che Kogame si offenda e non voglia più vederti” la prese in giro Ranma

“Quindi il piano è fotografare Kijo mentre finge di morire come questo spirito che vuoi contattare?” riassunse Ukyo, portando l’okonomiyaki fumante a Ranma

“L’ho chiesto a Kijo perché…beh, speravo di avere più possibilità che dicesse di sì! Ma se vuoi prestarti tu, Ukyo, va altrettanto bene!” spiegò Gosunkugi

“Ehi!” esclamò Kijo, fingendosi offesa e incrociando le braccia

“Ma nemmeno morta! Lascia che tenti l’impresa la nostra regina delle tenebre, costì. Se non altro parte già avvantaggiata col colorito della pelle…” le fece una linguaccia Ukyo. Kijo si mise a ridere: in un certo qual perverso modo le sembrava di aver ricevuto un complimento.

“Ma tu sai come è morta Kogame? Quale scena dovremmo ricreare?” si informò Ranma

“Sì, lei mi ha detto che era la guardiana del cimitero Zoshigaya e che è morta scivolando dal tetto di una cappella di famiglia su cui era salita per espletare operazioni di pulizia e manutenzione”

“Se non altro avranno risparmiato per il trasporto…” commentò Ukyo, rabbrividendo. Kijo non riuscì a trattenere una risata, che poi camuffò da colpo di tosse per non offendere Hikaru

“Fammi capire, noi dovremmo andare in questo cimitero e tu vorresti fotografare Kijo mentre pulisce una tomba? Cosa dirà la gente?” replicò Ranma

“Niente, perché andremo di notte” spiegò Gosunkugi con l’aria di chi la sa lunga.
Dopo questa rivelazione suonò la campanella che decretava l’obbligo di rientro in classe e Hikaru ebbe solo il tempo di implorare “Vi prego ragazzi, è estremamente importante per me!”.

Poco prima della fine delle lezioni il Preside Kuno fece un annuncio straordinario all’altoparlante della scuola “Well my dear students! Abbiamo un paio di rockstar della maths a quanto pare! Mi aspetto che tutti voi rendiate onore ai nostri Knights of Numbers, Rinekami Kijo e Ikeda Kotaro, a big applause for them! Sono sure che farete grandi cose e terrete alto l’onore del nostro beloved liceo Furinkan: mi raccomando, siete i nostri portabandiera e pretendo un comportamento irreprensibile da voi! Good luck!”

“Secondo voi il vostro piano rientra nella definizione di comportamento irreprensibile?” bisbigliò Ukyo a Ranma e Gosunkugi, indicando Kijo

“Basterà che non lo sappia nessuno” ribatté Hikaru con fare cospiratorio.
 
Al termine della giornata di scuola i quattro si salutarono dandosi appuntamento verso le undici presso il cimitero di Zoshigaya, poi Ranma e Kijo accompagnarono Ukyo al locale e proseguirono per lo studio di Tofu. Per fortuna nessuna amazzone cinese irruppe sulla loro strada.
Il dottore era impegnato in una visita, quindi salirono in camera di Kijo e Ranma rimase sconvolto

“Ehi, ma c’è scoppiata una bomba qua dentro?”

“Quante storie per un po’ di disordine…guarda, basta spostare questi vestiti e abbiamo tutto lo spazio necessario per studiare!” sbuffò Kijo appallottolando degli abiti che aveva lasciato sulle sedie e buttandoli sul letto

“Credevo che voi ragazze aveste la fissazione per l’ordine maniacale: a casa non faccio in tempo a lasciare gli abiti incustoditi che Kasumi passa e me li ripiega e Nabiki ha una camera ordinata come quella di un militare!” disse Ranma. Dovette ammettere che perfino Akane, che era un maschiaccio in tutto e per tutto, sotto quell’aspetto era irreprensibile

“Beh, non siamo tutte uguali, ok? E poi non siamo qui a studiare come fare le faccende domestiche, dovremmo cominciare da chimica e dovresti ricordare la seconda legge della termodinamica…” cercò di giustificarsi Kijo mentre si sedeva alla scrivania e apriva il quaderno degli appunti

“Cosa? Non cercare di cambiare discorso!”

“Allora, prima di tutto avevamo stabilito che mi avresti chiamato Professoressa…altrimenti continuerai a considerarci come due amici a fare una scampagnata…” sorrise maliziosamente Kijo

“Io non ho mai acconsentito a una cosa simile e non osare rigirare le mie frasi contro di me!” si indispettì leggermente Ranma e prese a pungolarla con l’indice su un braccio

“Bene, allora la lezione è finita. Signor Saotome, si può accomodare all’uscita” Kijo indicò la porta chiusa

“Uffa, d’accordo Professoressa…va bene così?” sbuffò Ranma

“Andrebbe persino meglio se ti ricordassi la seconda legge della termodinamica, ma ci arriveremo…” sghignazzò furbamente Kijo
 
Dopo un paio d’ore di studio intenso Ranma richiese una pausa, allora Kijo andò in cucina e portò una teiera fumante e dei biscotti.
“Tranquillo, nessuno saprà che li hai mangiati” scherzò Kijo e Ranma le fece una linguaccia, prendendone una manciata

“Li hai fatti tu?” chiese con la bocca piena

“In realtà no, questi sono comprati”

“I tuoi…erano più buoni” confessò il ragazzo, fissando la sua tazza di tè

“Grazie…” Kijo rimase molto sorpresa da quel complimento inaspettato; riabboccò la sua tazza di tè, anche se era appena arrivata a metà, giusto per aver qualcosa da fare, poi continuò

“Senti, tu che hai visto Kogame, hai qualche suggerimento da darmi per l’outfit di stasera? Che vestito dovrei portare?”

“Mmmh, ricordo che portava un kimono bianco e grigio mi sembra…” rispose Ranma massaggiandosi il mento

“Ne ho solo uno nero, immagino che dovrà adattarsi” commentò la ragazza rovistando in un armadio

“Chissà perché non mi sorprende…come mai vai sempre a rifinire su quel colore?”

“Tu come mai porti sempre i capelli intrecciati?”

“Li trovo comodi e poi ormai è un mio segno distintivo” rispose Ranma

“Diciamo che una cosa del genere vale anche per me, mi trovo a mio agio col nero ed è diventato un mio tratto caratteristico”

Ranma comprese che non avrebbe ottenuto ulteriori approfondimenti, per cui si ributtò con la testa tra i libri. Nel farlo però un dettaglio attirò la sua attenzione; si avvicinò al letto di Kijo e raccolse dal pavimento sottostante un paio di boxer

“E questi che ci fanno qui?” li sollevò affinché la ragazza li vedesse

“Oh merda, ecco dov’erano finiti!” Kijo si voltò di scatto e non poté trattenere quell’esclamazione, che concluse portandosi poi le mani alla bocca. Era palesemente in difficoltà, rimasta come congelata senza sapere che cosa dire, quindi Ranma infierì sghignazzando

“Deve essere andato via molto di fretta il tuo visitatore per dimenticare una cosa così importante”

“In realtà non è come sembra…”

“Ah no? E com’è allora?” Ranma le diede di gomito, con aria furba

“È complicato…” si mordicchiò un labbro Kijo

“Non preoccuparti, non dirò nulla a nessuno, non vorrei che questo comportamento sconveniente potesse costarti le Olimpiadi di Matematica…ma credevo fossimo amici, quindi pensavo mi avresti raccontato se c’era un ragazzo…”
Kijo sospirò sonoramente a quelle parole del codinato
“Hai ragione…è che la situazione è talmente tanto assurda che non sono ancora riuscita a parlarne a nessuno. Credo di aver bisogno di ancora un po’ di tempo per metabolizzare la cosa”

“Naturalmente non mi devi nessuna spiegazione, se non vuoi…la mia era solo curiosità” le disse Ranma con noncuranza. Kijo annuì in silenzio.

“Lo conosco?” tornò di nuovo alla carica. Non avrebbe voluto insistere, ma quel ritrovamento lo aveva del tutto spiazzato e non poteva trattenersi: doveva sapere di più!

“No, direi proprio di no” rispose lei tremando leggermente: cavolo, quell’argomento doveva metterla parecchio a disagio! Dov’era finita tutta la sua spregiudicatezza?
“Sarà mica Gosunkugi?!” saltò Ranma sulla sedia, come folgorato da un’illuminazione

“Che diamine, no! E poi se quello che dice riguardo ai fantasmi è vero credo di avere un po’ troppa carne attaccata al corpo per piacergli, ti pare?” cercò di sdrammatizzare Kijo. Che strano, in quel momento sembrava davvero interessato a lei, ma con tutta probabilità era solo pettegolo: già se lo figurava a redarguirla sul fatto che fosse una ragazzaccia senza pudore, senza morale ecc. In fondo come poteva importargli qualcosa se l’aveva gettata in pasto a Shampoo senza pensarci due volte solo la sera prima?
 

Dopo una buona decina di minuti in cui Ranma mordicchiava una matita e Kijo tamburellava nervosamente con la penna sulla scrivania, quest’ultima prese la parola e propose

“Vuoi ripassare un po’ di matematica prima della nostra escursione al cimitero?”

“Va bene, Professoressa” accettò lui.
 
“…e quindi quando ti trovi di fronte un’equazione o disequazione con un logaritmo di logaritmo devi cominciare la risoluzione da quello più esterno: come quando mangi ad una cena di gala con le posate!” spiegò Kijo

“Caspita…ma chi è che si è inventato questa roba?” commentò Ranma mentre prendeva appunti; il suo pensiero andò per qualche secondo alle cene a casa di Picolet Chardin

TOC-TOC!

“Avanti!” rispose Kijo

“Kijo senti, tra poco pensavo di cenare e mi chiedevo…oh, ciao Ranma, anche tu qui?” domandò Tofu

“Buonasera Dottore! Sì, stavo dando una mano a Kijo con i compiti”
Kijo gli lanciò un’occhiataccia e commentò
“Certo, proprio…”
Tofu sorrise
“Vuoi cenare con noi? Ho giusto una quantità imbarazzante di ramen che mi ha lasciato una mia paziente…”

“La signora Matsamura? Quella donna cucina da dio!” esclamò Kijo giungendo le mani speranzosa

“Bene, allora mi vedo costretto ad accettare: adoro il ramen ed è bene che Kijo non esageri con la sua porzione, altrimenti verrà gonfia nelle foto” scherzò il ragazzo. Kijo lo picchiò col libro di matematica

“Vado ad apparecchiare, ci vediamo tra pochi minuti” sorrise Ono, richiudendo la porta

“Ahio!” emise un gridolino Ranma, toccandosi la nuca dove gli era arrivata la botta

“Così impari a fare battute cretine!” gli fece una linguaccia Kijo, poi scoppiò a ridere.
 
 
“Sicura di aver bisogno di tutta quella roba?” domandò Ranma a Kijo che si trascinava dietro un grande trolley pieno di vestiti, trucchi e accessori

“Certo! Se vogliamo che il rituale funzioni devo farmi spiegare bene da Gosunkugi come devo truccarmi, pettinarmi e vestirmi per assomigliare a Kogame. Pertanto ho bisogno di avere delle scelte”

“Ma ti ho già detto io com’era…” replicò Ranma

“Tu mi hai detto solo che forse portava un kimono bianco e grigio…non mi hai saputo dire altro!”

“Beh, è già una buona approssimazione” Ranma portò entrambe le braccia dietro la testa, con aria vaga

“Comunque lo scopriremo presto: guarda, lì al cancello ci sono Hikaru e Ukyo” Kijo salutò con la mano i due ragazzi: Ukyo portava una tuta nera con un passamontagna, mentre Hikaru indossava il suo kimono bianco con le candele in testa da cerimoniale

“Ehi, come hai fatto a riconoscermi? Pensavo di essermi camuffata bene!” chiese Ukyo

“Credo ti abbia tradita la spatola gigante a tracolla: non ci sono molte persone che la portano” ridacchiò Kijo

“Bene, siete pronti a scavalcare il cancello?” domandò Hikaru

“Come scavalcare? Vuoi dire che ci stiamo introducendo illecitamente?” si agitò Ukyo

“Dai, non è poi così alto! Se vuoi ti do una mano Ucchan, tanto poi con un balzo posso saltare agilmente dall’altra parte” affermò Ranma

“Ehm, ragazzi…” cercò di attirare l’attenzione Kijo

“Non ora Kijo…non preoccuparti, aiuterò anche te se non ce la fai! Coraggio Ucchan, metti il piede sulle mie mani che ti darò una spinta: uno, due e tre!” Ranma scaraventò Kuonji dall’altra parte.

Gosunkugi nel frattempo si era arrampicato appoggiandosi sulle decorazioni in ferro battuto del cancello e stava giusto scavalcando dall’altra parte.

“Coraggio, vuoi una mano?” Ranma si rivolse a Kijo

“Credo di farcela…dato che il cancello è aperto!” Kijo spinse la metà destra di ferro, che si aprì con un cigolio. Ukyo Ranma e Hikaru rimasero per qualche secondo interdetti, ma poi proseguirono dopo aver riaccostato il cancello.

“Ecco, ho fatto una piccola perlustrazione in questi giorni e l’angolo più scenografico dove scattare le foto è quello là in fondo. Fortunatamente la luce della luna è abbastanza intensa stasera, comunque ho portato tutto l’occorrente per fotografare anche in carenza di luminosità” spiegò Gosunkugi. Ukyo si era tolta il passamontagna e stava tremando abbarbicata al braccio di Ranma

“Ranma caro, tu mi proteggerai se ci attaccheranno gli spiriti, vero? O gli jikininki? O i goryo? O gli hakanoi?”

“E che diamine Ukyo! È solo un normale cimitero, non siamo sulla bocca dell’inferno” le rispose Hikaru

“In effetti faremmo meglio a sbrigarci, non sia mai che passi qualche guardiano notturno” sentenziò Kijo, poi continuò “Hikaru, puoi darmi qualche dritta su come rassomigliare a Kogame? Ti faccio vedere cosa ho portato”

“Certo, sistemerò la macchina dopo” Gosunkugi lasciò per terra l’apparecchiatura e si mise a rovistare nel trolley di Kijo

Una decina di minuti dopo Kijo fu pronta: si era truccata con moltissima cipria per schiarire ancora di più il volto, tanto che sembrava quasi eterea; aveva calcato un rigo nero sugli occhi e abbondato col mascara mentre il kimono era indossato in modo sbilenco in modo da lasciare scoperta una spalla.

“Ehm, mi sa che non l’hai allacciato bene…” commentò Ranma a bassa voce indicando la spalla

“Oh, no, è stata un’idea di Gosunkugi: ha detto che la povera Kogame non poteva certo avere un aspetto perfettamente ordinato dopo la caduta, quindi per risultare realistica ho dovuto scombinarmi un po’” sorrise Kijo. Ranma era piuttosto dubbioso ma non disse nulla

“Bene, sei per-fet-ta! Adesso fammi il favore, Kijo, sdraiati su quella lapide bianca: sarà un contrasto bellissimo col tuo kimono” la guidò Gosunkugi. Kijo si sdraiò e rabbrividì per un secondo, dato che il marmo sulla sua schiena era molto freddo.

“Ecciù!” le scappò uno starnuto e Ukyo, coi nervi a fior di pelle, balzò in collo a Ranma immediatamente

“Eh eh eh eh…scusatemi…” cercò di giustificarsi scendendo di nuovo a terra

“Ti faccio un po’ di scatti così Kijo…poi potresti prendere questi papaveri e tenerli in mano? Magari socchiudi un po’ gli occhi…benissimo!” la istruiva Gosunkugi

“Sembra un catalogo promozionale per le pompe funebri” commentò Ukyo

“Ecco, adesso se tu potessi aprire un po’ di più il kimono e…” continuò il fotografo

“Eh no, Gosunkugi! Ora non ti approfittare dello scarso senso del pudore di Kijo! Mi sembra che tu l’abbia scomposta già abbastanza!” intervenne Ranma. Hikaru cambiò immediatamente rotta e Kijo ridacchiò divertita. A un certo punto prese un papavero e se lo posò sulle labbra: quel rosso intenso spiccava particolarmente sul pallore del suo volto e fu un buono spunto per svariate foto.
La parte più complicata dello shooting fu quando dovette simulare la caduta: non aveva certo intenzione di rompersi l’osso del collo, quindi acconsentì a salire su di uno scaleo con uno spolverino in mano e fare ad un certo punto un’espressione terrorizzata.

“Gosunkugi, non ti sembra di esagerare con la prospettiva dal basso…” disse Ranma a denti stretti, una vena che pulsava sulla sua tempia “…le sei praticamente sotto la gonna! Spostati!” così dicendo lo strattonò e Hikaru urtò col piede lo scaleo, che traballò e fece perdere l’equilibrio a Kijo, che gridò e cadde. Per fortuna Ranma fu molto rapido e la prese al volo prima che si schiantasse a terra; anche Hikaru fu molto rapido a scattare una serie di foto, così avrebbe avuto anche il momento clou per il rituale.
Sempre un po’ frastornata tra le braccia di Ranma, Kijo si espresse
“Direi che abbiamo scattato abbastanza foto, non vi pare?”

“Ehi, ti senti bene? Ti vedo pallida” le chiese Ranma, sorridendo

“È tutto il trucco che ho addosso, scemo…” gli diede un buffetto ridendo, poi scese coi piedi per terra e continuò “Grazie mille! Se non fosse stato per te adesso le foto di Gosunkugi sarebbero state ancora più realistiche”

“Ma ti pare…comunque, ehm, forse è il caso che ti chiuda un po’ di più il kimono” le disse Ranma arrossendo

“Oh…ops! Direi che posso andare a cambiarmi” si aggiustò Kijo

“Meravigliose, sono certo che le foto saranno bellissime! Ve le farò vedere appena le sviluppo” gongolava Gosunkugi rimettendo a posto l’attrezzatura

“Brr, io non vedo l’ora di andarmene di qui. Per favore, la prossima volta non mi coinvolgete nelle vostre stramberie” borbottò Ukyo “…e anche tu, Ran-chan, sei troppo gentile ad assecondare questi folli!”

“Non mi sembra che ti abbia obbligata nessuno, Ukyo. Non è colpa nostra se pur di passare del tempo con Ranma ti abbassi anche a svolgere delle attività che non ritieni alla tua altezza” la zittì Hikaru.

In quel mentre comparve anche Kijo che si guardò un attimo intorno con aria interrogativa e poi propose “Che c’è? Andiamo?”
 


17 aprile


Il giorno seguente Ukyo tornò a scuola, ma era visibilmente di cattivo umore. Passò la maggior parte del tempo ad interagire con Ranma e nonostante fosse passata loro davanti, evitò di salutare Hikaru e Kijo quando entrò in classe.
Durante la lezione di economia domestica si aggiudicò il premio per i pancake più buoni preparati, dopo aver accidentalmente colpito la ciotola in cui Kijo stava mescolando l’impasto, versandolo a terra. Kijo commentò sorridendo
“Per fortuna che non siamo a lezione di chimica, avresti potuto far esplodere tutto!” e Ukyo per tutta risposta sbuffò.

A lezione di disegno Ukyo versò accidentalmente mezza boccetta di china rossa sul foglio A3 di Kijo: quest’ultima lo sollevò, guardandolo controluce ed esclamò
“Perbacco! Mi sembra che adesso abbia molto più senso!”



A ricreazione Ukyo si avvicinò per qualche minuto a Kotaro e borbottarono qualcosa, finché la ragazza non si rivolse a Kijo con tono di sfida dicendo
“Sei simpatica quanto la derivata di una costante”

“Adoro le manifestazioni d’affetto, Ukyo, grazie…lasciami ricambiare ricordandoti che la tua relazione con Ranma è come la radice quadrata di meno uno” replicò sarcastica Kijo.
Ukyo rimase un attimo interdetta e poi si rivolse nuovamente a Kotaro, che le spiegò cosa intendeva. Ukyo divenne paonazza e stava per tirare fuori la sua mega paletta d’acciaio quando la professoressa Hinako entrò in classe.

Al termine della giornata scolastica il preside Kuno convocò Gosunkugi e Rinekami nel suo ufficio, tra lo stupore generale.

“Che abbia saputo di ieri sera?” domandò dubbioso Ranma

“Mmm difficile, bisognerebbe che qualcuno glielo avesse detto…e poi credo che in quel caso avrebbe convocato anche te e Ukyo” ragionava Kijo

“L’unica è andare a sentire cosa vuole” mormorò afflitto Gosunkugi

“Vuoi che ti aspetti fuori?” chiese Ranma

“Ranma, tesoro, perché non aspetti al mio locale? Così intanto ti preparo uno spuntino: ho giusto messo a punto una nuova salsa che è la fine del mondo!” propose Ukyo

“Tranquillo, vai pure da Ukyo: quando avrò finito passerò da lì per aggiornarti” lo salutò la ragazza alzandosi dal banco e dirigendosi in presidenza.
Il preside Kuno stava strimpellando il suo ukulele quando i due ragazzi bussarono alla porta

“Come in!” li invitò e loro non si fecero attendere “Well, vi ho chiamato qui perché è emersa una questione dubbia su cui dobbiamo fare chiarezza quanto prima. Ko-, ehm, un informatore anonimo mi ha portato in tarda mattinata un rullino fotografico su cui sostiene ci siano foto compromettenti della signorina Rinekami scattate da lei, signor Gosunkugi. Ora, sappiamo bene che la signorina ha prestato solenne giuramento…” a quelle parole Kijo inarcò in modo inverosimile entrambe le sopracciglia “…di essere un esempio di etica adamantina in quanto rappresentante del Furinkan alle Olimpiadi di Matematica, quindi se ciò fosse vero sarebbe tutto messo nuovamente in discussione”

“Mi scusi signor preside, se ciò fosse vero vorrebbe dire che qualcuno mi ha sottratto indebitamente un rullino personale. Non le pare discutibile questo?” obiettò Gosunkugi

“Beh, in effetti…però ormai ero curioso e ho mandato a sviluppare le foto. Dovrebbero essere qui a momenti” confessò il preside. Due minuti più tardi, infatti, bussarono alla porta

“Padre, ho sviluppato le foto che mi avevi chiesto millantando fossero procaci scatti di ragazza, ma qui c’è solo questo buffone che fa…l’idiota!” Tatewaki Kuno entrò in presidenza recando una busta piena di foto. Il preside le sfogliò una ad una e constatò amaramente che erano solo autoscatti di Gosunkugi

“Well, immagino che la signorina Rinekami non sia coinvolta in questa storia e che si sia trattato di uno spiacevole malinteso. Continui a studiare e a comportarsi sobriamente e vedrà che farà strada!”

“Ehi ragazza nuova che ha preso il posto di Akane Tendo, usciamo insieme qualche volta?” le disse Tatewaki mentre stava uscendo, seguita da Hikaru

“Mi spiace, Kuno, ma al momento la mia priorità è studiare e comportarmi sobriamente e non posso farlo se sono distratta da un avvenente ragazzone come te” gli fece un occhiolino Kijo. 

Quando arrivarono in classe per prendere i loro effetti personali, i ragazzi rimasero stupiti di vedere Ranma seduto su un banco
“Ehi, credevo tu fossi a mangiare da Ukyo…” esclamò sorpresa Kijo

“Ehm, ecco…in realtà Ucchan mi ha ricordato che il suo locale è chiuso oggi e quindi era più che altro una scusa per passare del tempo da soli…” confessò Ranma, un po’ in imbarazzo

“E quindi che ci fai qui Saotome?” chiese Hikaru, ancora più incredulo che avesse rifiutato un’offerta del genere

“Vo-volevo sapere che cosa vi era successo…che aveva da ridire il preside, questa volta?”

“Pare che qualcuno abbia sottratto un rullino a Gosunkugi pensando che contenesse delle mie foto compromettenti per farle vedere al preside e denigrare la mia immagine, probabilmente in vista delle Olimpiadi di Matematica…” riassunse Kijo

“Kotaro? Sospetti di lui?” domandò Ranma

“Senza dubbio è quello che avrebbe il movente più evidente: non gli è mai andato giù che io partecipassi con lui. Solo che c’è un piccolo dettaglio…come faceva a sapere delle foto di ieri sera?”

“Io non gliel’ho certo raccontato” ammise Ranma

“Io non gli parlo mai a prescindere” riconobbe Gosunkugi

“Ma quindi il preside ti ha messa in punizione per quelle foto?” domandò Ranma, un sospetto che si faceva strada alla bocca dello stomaco

“Fortunatamente stamani in classe avevo portato un’altra macchina fotografica, quindi chi ha preso il rullino non sapeva che contenesse solo foto mie” spiegò Hikaru

“Ranma…devo confessarti che oggi Ukyo è stata piuttosto sgradevole con me, per tutto il giorno. Inizialmente pensavo che ce l’avesse con me perché era stata coinvolta nella serata di ieri, ma temo ci sia dell’altro…ritieni possibile che possa essere stata lei a parlare delle foto a Kotaro?” chiese Kijo

“Conosco Ucchan da una vita…mi sembra impossibile che abbia fatto qualcosa del genere” rispose Ranma, meditabondo

“Certo…come quando si fece in quattro per far uscire Akane con Ryoga? O quando si alleò con Shampoo per toglierla di mezzo? O la convinse a partecipare alla gara di nuoto senza che sapesse nuotare?” replicò Gosunkugi, costringendo Ranma ad abbassare la testa sotto il peso della verità

“Pare che Kuonji sia piuttosto determinata quando si tratta di togliere di mezzo un avversario” concluse Kijo

“Ok, ok ma che c’entra? Ce l’ha con Akane perché è la mia fidanzata ufficiale ma tu…?” ribatté Ranma agitando le mani

“Forse nella mente di Kuonji Kijo è percepita come una nemica a causa del tempo che passa con te” propose Hikaru

“Ci sta che tu non le abbia specificato che siamo solo due amici che vanno occasionalmente a fare una scampagnata e abbia tratto delle conclusioni sbagliate…” sorrise maliziosamente Kijo

“Non mi pentirò mai abbastanza per aver usato quell’espressione, quel giorno!” si stizzì Ranma dandosi una pacca sul viso

“In effetti è un’espressione alquanto strana, Saotome” commentò Gosunkugi e Kijo ridacchiò

“Va bene, d’accordo…tornando a noi, non ci resta che affrontare Ucchan e chiederle spiegazioni” sentenziò Ranma

“Temo che non ci direbbe spontaneamente la verità, però se siete d’accordo potremmo escogitare un sistema per spingerla a tradirsi” propose Kijo

“Uh, adoro i sotterfugi! Cos’hai in mente?” chiese avido Hikaru

“Pensavo di mandare in scena un piccolo dramma, però voi due dovreste reggermi il gioco…” bisbigliò Kijo facendo cenno ai ragazzi di avvicinarsi.
 
Una mezz’ora dopo furono davanti al locale di Ukyo, che era aperto al pubblico. Ranma entrò per primo e salutò la proprietaria
“Ciao Ucchan! ma non doveva essere il giorno di riposo oggi?”

“Oh, Ranma-kun! In realtà sì, però visto che non avevo niente di meglio da fare mi son detta che tanto valeva raggranellare qualche soldo”

Solo in quel momento entrarono Kijo e Hikaru. Kijo aveva l’aria affranta e gli occhi rossi, mentre Hikaru le dava ritmiche pacche sulla spalla cercando di consolarla, mentre si profondeva in milioni di scuse
“Mi dispiace Kijo, se non ti avessi coinvolta nel mio progetto…è tutta colpa mia! Sono stato un egoista!” la supplicava Gosunkugi

“No, sono stata io una stupida ad accettare: sapevo qual era la posta in palio e adesso ho perso la mia occasione…oh Hikaru, quanto sono infelice…” piagnucolava Kijo, stropicciandosi gli occhi

“Ehi, che è successo?” domandò Ukyo a Ranma

“Hai presente quando il preside li ha convocati nel suo ufficio, oggi? Pare che sia venuto in possesso di alcune delle foto che abbiamo scattato ieri e quindi abbia deciso di escludere Kijo dalle Olimpiadi di Matematica per comportamento indecoroso” spiegò Ranma

“Beh, in fondo glielo avevamo detto tutti che rischiava, quindi non è poi così sorprendente” commentò Ukyo

“Già…pare che oggi stesso telefoneranno a Kotaro per informarlo che rimarrà l’unico esponente della nostra scuola”

“Ma guarda tu…” commentò Ukyo senza troppa empatia

“Ranma, perdonami ma ho lo stomaco chiuso…è meglio se ritorno a casa. Ci vediamo domani” lo salutò mestamente Kijo

“Sì, non preoccuparti, tu rimani pure da Ukyo, l’accompagno io” gli dette una pacca sulla spalla Gosunkugi

“Ok, statemi bene” li salutò con disinvoltura Ranma e si appollaiò meglio su uno sgabello.

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Capitolo 9
*** Elettricità nell'aria ***


18 aprile
 
Il giorno seguente Kotaro aspettò Kijo fuori dall’aula e non appena la vide arrivare le andò incontro gonfiando il petto, tronfio di successo
“Finalmente si sono resi conto di che razza di persona sei! Spero che non ti verrà mai più voglia di sfidarmi: con questa siamo pari per l’esperimento di chimica!”

Kijo lo guardò sbarrando gli occhi. Ranma era poco lontano ed aveva sentito tutto e anche sul suo volto si dipinse un’espressione di sconcertante sorpresa
“Dunque sei tu che hai rubato il mio rullino!” lo accusò Hikaru, che era sempre stato lì ma a cui nessuno aveva fatto caso

“Dico solo che il karma è potente: adesso non parteciperai più alle Olimpiadi di Matematica né, spero bene, alle altre competizioni interscolastiche”

“Sono davvero affranta, Kotaro. Pensavo…tu fossi più intelligente” gli scoccò un’occhiata sarcastica Kijo, poi continuò “Bene ragazzi, direi che la situazione è chiara”

Ranma annuì lentamente “Da Ucchan non me lo sarei mai aspettato…”

“Spero che tu lo surclassi, Kijo! Stai pur certa che farò il tifo per te! Ah, Kotaro: aspettati una bambola con le tue sembianze, a breve!” intervenne Hikaru.

Kotaro si guardò intorno come stordito, cercando una spiegazione che gli sfuggiva. La ebbe quando durante l’ora di matematica il professor Watanabe lesse la lista degli studenti scelti da tutte le scuole per le Olimpiadi e furono confermati sia lui che Kijo per il Furinkan. Si voltò a guardarla con sguardo fiammeggiante, lei per tutta risposta gli fece un cenno di saluto con la mano.
 
Ukyo Kuonji entrò alla terza ora, giusto in tempo per cambiarsi nello spogliatoio femminile ed iniziare la lezione di educazione fisica. Solitamente non amava in particolar modo correre per il cortile o giocare a pallavolo, ma quel giorno era felice e non vedeva l’ora di poter stare un po’ con Ranma; il pomeriggio precedente le aveva tenuto compagnia al locale fino al momento della chiusura dimostrando un’affezione notevole. Gli aveva anche proposto di restare per cena da lei ed era certa che se non fosse stato il compleanno di Kasumi avrebbe accettato. Il suo cuore mancò un colpo quando, uscita dallo spogliatoio, trovò Ranma appoggiato all’albero ad aspettarla: era talmente bello da mozzare il fiato, col sole che riluceva sui suoi capelli neri e quel sorrisetto appena beffardo che lo caratterizzava.

“Ucchan! Aspettavo giusto te…hai cinque minuti?” le si rivolse, avvicinandosi

“Ranma-kun! Che bella sorpresa! Dimmi pure” gli corse incontro carica di aspettativa

“Sei un’infame Ukyo. Un comportamento del genere da te non lo avrei mai immaginato. So che ti sei alleata con Kotaro per screditare Kijo: come hai potuto? Non ci hai neanche mai parlato finora e adesso è tuo complice per spargere pettegolezzi? Ti credevo migliore di così” la voce del codinato non tradiva alcuna inflessione, era gelida come il ghiaccio

Ukyo rimase impietrita e cominciò a tremare. Se Ranma le avesse dato un calcio nello stomaco era sicura che avrebbe sentito meno male: c’era disgusto nei suoi occhi ed era rivolto interamente a lei. Aprì un paio di volte la bocca e la richiuse, annaspando. Non riusciva a emettere alcun suono ordinato e le mancava l’aria. Il cocktail di emozioni che la stavano divorando dall’interno trovò il modo di esondare sotto forma di lacrime: pianse a lungo, singhiozzando, coprendosi il volto con le mani e sbirciando di tanto in tanto quell’immagine annacquata di Ranma che restava là fermo, in silenzio, col piglio deciso, aspettando una risposta. Infine trovò un briciolo di compostezza per articolare, seppur con difficoltà, la frase “M-mi dispiace. Io la odio”

Ranma annuì in silenzio e senza dire niente si voltò e fece per andarsene, quindi la rabbia di Ukyo prese il sopravvento e gli gridò dietro
“Non sei più lo stesso da quando c’è lei! Le stai sempre appresso trascurando tutto il resto…tutti gli altri! Nemmeno con Akane eri così insopportabile!”

Lui si voltò e la squadrò da capo a piedi: nonostante il moto di rabbia stava ancora tremando come una foglia.
“Per fortuna non dovrai più sopportarmi allora, Ukyo. Buona giornata!” disse freddamente

“No, Ranma, aspetta, ti prego…” gridò Ukyo in preda ai singhiozzi mentre cadeva in ginocchio e cercava di bloccare le lacrime. Inutilmente.
 
Quel giorno Ranma se ne andò qualche ora prima della fine delle lezioni, adducendo un malessere come scusa. Anche Ukyo, dopo la litigata, decise di tornarsene a casa, millantando un appuntamento urgente con un fornitore: dover gestire un’attività aveva pure i suoi vantaggi.
Durante l’ora di letteratura a Kijo arrivò un bigliettino da parte di Hiroshi, con su scritto
«Sabato 20 sera festeggio il compleanno a casa mia, ti va di venire?»
La ragazza alzò gli occhi verso Hiroshi e gli sorrise facendo il segno del pollice in su, lui ricambiò col segno della vittoria e poi scribacchiò qualcosa su un altro foglio.
Al termine della lezione Shinobu si avvicinò a Kijo
“Sono così contenta che verrai anche tu sabato! Le feste di Hiroshi sono sempre molto divertenti!” le bisbigliò

“Che bello, non vedo l’ora!” sorrise Kijo, poi continuò “Tuttavia dovremo pensare a un regalo…voi che lo conoscete meglio di me avete qualche dritta?”

“Non ti preoccupare, faremo una colletta e ci penserà Daisuke a prendergli un bel regalo”

“Fantastico! Ci saranno anche Yuka e Sayuri?”

“Sì, sono entrambe state invitate…potremmo prepararci insieme prima della festa, che ne dici?”

“Sarebbe molto divertente! Accetto volentieri!” gongolava Kijo

“Dai, allora ti aspetto sabato pomeriggio a casa mia per un po’ di tempo tra ragazze, sono certa che anche le altre ne saranno entusiaste”

“Perfetto! Definiamo i dettagli in questi giorni”
 

Dopo la scuola, Kijo passò da casa Tendo per informarsi sullo stato di salute di Ranma; le aprì Kasumi, cordiale, spiegandole che Ranma era partito in fretta e furia per una sessione di allenamento tra le montagne.
“Oh…caspita, credevo si sentisse male…” ammise Kijo in tono preoccupato, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio

“Beh, forse molto bene non stava dato che ha saltato anche il pranzo, dalla premura che aveva…credo di non averlo mai visto saltare un pasto da quando è qui. Ma che maleducata che sono, non ti ho nemmeno invitata ad entrare: mettiti comoda che preparo una tazza di tè” la invitò Kasumi

“Grazie, ma non vorrei disturbarti…hai sempre così tanto da fare per mandare avanti la casa…” si peritò un attimo Kijo

“Quindi un attimo di pausa mi farà bene, giusto? Siediti pure al tavolino, siamo da sole oggi: Nabiki è uscita con delle amiche mentre il signor Genma e papà sono stati incastrati da Happosai in una delle sue bravate”

Kijo si sistemò al tavolino e poco dopo la maggiore delle sorelle Tendo arrivò con un vassoio contenente una teiera fumante, due tazze e un piattino ricolmo di biscotti di riso
“Spero che ti piacciano: in questa famiglia ne consumiamo una quantità industriale” sorrise Kasumi

“Certo, grazie mille!” rispose Kijo prendendone uno “Sai, spesso da noi è usanza intingere i biscotti nella bevanda calda…si usa anche qui?”

“Uh che usanza buffa! Voglio provare subito” si entusiasmò Kasumi e tuffò il biscotto nel tè: ce lo tenne troppo e si frantumò completamente nella tazza

“Beh, non si può dire che non sia ben inzuppato!” commentò Kijo

“Uhm, è particolare così: non è più croccante ma adesso sembra di mangiare un biscotto al tè verde” commentò Kasumi

“Sentissi come sono buoni intinti nel cappuccino! Una volta dovete permettermi di prepararvelo” sorrise Kijo

“Volentieri, io sono sempre curiosa di assaggiare dei nuovi gusti in cucina! Anche perché così posso ampliare le mie ricette”

“Sei già bravissima, Kasumi, una cuoca sopraffina! Non so come tu faccia a pensare sempre ai bisogni di tutti, gestire da sola la casa, preparare dei piatti squisiti…e tutto sempre col sorriso sulle labbra! Io non avrei la metà della tua pazienza” le confidò Kijo allungando la mano su un altro biscotto

“Oh, ma è semplice: io ho la fortuna di poter fare quello che mi piace, quindi non mi pesa per niente occuparmi degli altri o fare le faccende domestiche. Mi diverto ad andare a fare la spesa, conosco tutti i negozianti ed è come visitare ogni giorno cari amici. Mi distraggo nel riordinare la casa e anche se è a volte un po’ faticoso a livello fisico, mi aiuta a non sovraccaricare il cervello. Sono contenta di potermi prendere cura della mia famiglia in questo modo, ma so bene che se dovessero farlo Nabiki o Akane per loro sarebbe un grande sacrificio…perché non siamo tutti uguali, Kijo. Nabiki è felice quando riesce a guadagnare, Akane quando può praticare le arti marziali: io non so fare nulla di queste cose e se ci provassi non mi darebbero la stessa soddisfazione. Per cui non ti affliggere se hai altre vocazioni: sono certa che mentre prepari le tue pozioni a te brillano gli occhi come quando io preparo da mangiare” la rincuorò Kasumi

“Grazie, Kasumi…credo che tu sia appena riuscita a farmi commuovere” le confessò Kijo asciugandosi rapidamente col dorso della mano una lacrima che le era sfuggita

“Oh, per così poco, cara…lo sapevo che eri una ragazza sensibile” sorrise la padrona di casa.

Poco dopo la porta d’ingresso fu aperta e dei passi veloci riecheggiarono nell’ingresso
“Sorella! Non puoi capire che cosa ho scoperto! Ho chiamato Akane dal telefono pubblico per sentire come stava e per consumare tutti quei gettoni che ho vinto…dopo averla torchiata per una buona mezz’ora mi ha confessato che ha conosciuto un ragazzo per cui ha perso un po’ la te-” Nabiki si fermò di colpo non appena arrivò nel soggiorno e vide che avevano ospiti.

“Ciao Nabiki, tutto bene?” la salutò Kijo

“Oh, ciao Kijo! Tutto ok…siete sole?”

“Kasumi mi ha invitato gentilmente a prendere un tè, ma adesso è davvero l’ora che tolga il disturbo…avevo promesso a Tofu di cominciare dei test di oli essenziali oggi. Grazie infinite per la vostra ospitalità, a presto!” Kijo si inchinò e poi si diresse verso la porta.
 


20 aprile


Quel sabato pomeriggio Kijo si stava dirigendo verso la casa di Shinobu trascinandosi dietro il suo fidato trolley delle emergenze, ricolmo di vestiti, accessori e trucchi. Non aveva idea di quale fosse il dress-code per le feste in casa e non voleva certo rischiare di sembrare fuori luogo.
Arrivata davanti a quella che sembrava casa Miyake, controllò un’ultima volta il numero sul bigliettino con le indicazioni e poi suonò il campanello. Una signora dall’aria molto giovane aprì la porta e la invitò ad entrare
“Vieni, cara! Tu devi essere l’amica di Shinobu, giusto?” indossava un abito corto zebrato e sui capelli biondi faceva capolino un accenno di ricrescita scura

“Oh, non sapevo che Shinobu avesse una sorella” sorrise Kijo inchinandosi

“Ih ih ih…che adulatrice…mi stai già simpatica! Del resto, sangue italiano…” pronunciando queste parole sbatté qualche volta le ciglia guardando in alto, come se le riaffiorassero dei ricordi, poi continuò  “Shinobuuuuu!! C’è qui la tua amichetta!”

“Ciao Kijo, vieni, ti mostro la mia camera”

“Aspetto che arrivi Yuka per preparare la merenda, d’accordo?” chiese la madre

“Certo, tanto dovrebbe essere qui a momenti”

Casa Miyake era veramente grande e la camera di Shinobu si trovava al piano di sopra. Era un trionfo di colori, di cui il rosa aveva il primato, e di peluche, che sembravano spuntare da ogni angolo e occupare tutte le superfici. Sayuri era già arrivata e sedeva a gambe incrociate su un grande cuscino per terra
“Non sai quanto sia contenta che tu abbia accettato il mio invito! Con le ragazze abbiamo deciso che in tuo onore stasera ci presenteremo vestite alla moda italiana!” Shinobu era sovraeccitata e batteva ritmicamente le mani mentre saltellava sul posto lanciando gridolini

“Esatto Kijo! Sarà una sorpresa per tutti!” esclamò Sayuri

“Uh, ma guarda! Ed io che pensavo di adeguarmi al vostro stile…”sorrise Kijo, un po’ in imbarazzo da tutto quell’entusiasmo.

Il campanello suonò nuovamente e Yuka si catapultò in camera
“Guarda, ho trovato le riviste da cui prendere spunto!” sorrise trionfante, alzando vari giornaletti di moda

“Evvai! Iniziamo subito a sfogliarle…ma prima ci mangiamo dei bei dolcetti per merenda!”

La signora Miyake aveva fatto davvero le cose in grande. Il tavolo della cucina era stato completamente riempito di ogni genere di biscotto, pasticcino o dolcetto, mentre una selezione di miscele per tè era stata posta in alcuni piattini affinché potessero essere annusati e scelti.
“Santo cielo! Ma c’è stato un ricevimento qui in precedenza?” esclamo Kijo, sorpresa da tanta abbondanza

“Oh, cara, hai sempre voglia di scherzare! È che non sapevo che cosa mangiate voi italiani, quindi ho preparato un po’ di tutto…non so come sia venuto il caffè espresso, dato che la domestica dopo averlo assaggiato è partita a razzo, ma nel caso puoi scegliere una varietà di tè che ti aggrada”

“Signora, questo è il paradiso delle papille gustative! La ringrazio infinitamente anche se non era affatto necessario!” Kijo prese tra le mani le mani della donna, con gli occhi che le brillavano; la signora arrossì lievemente, in brodo di giuggiole.

Dopo essersi rifocillate le ragazze tornarono in camera di Shinobu e cominciarono a tirare fuori dei vestiti dall’armadio, provandoseli a turno.

“Ehi, ma com’è che riuscite ad entrare dentro questi abitini minuscoli? A me non si agganciano neppure i bottoni…” sospirò Kijo al terzo tentativo di mettere un vestito di Shinobu

“Anche quel tuo bel vestito rosso non mi cade bene: mi fa sembrare un paralume! Invece addosso a te rende molto meglio, con tutte le curve che ti ritrovi…” arrossì lievemente Yuka

“Oh, Yuka…ma guardati! Hai un fisico asciutto e longilineo, delle gambe slanciate e nemmeno un filo di pancia! Sono certa che questo vestitino color salvia ti starebbe da dio!” le lanciò un abito Kijo

“Ma non ho nemmeno un filo di tette! E qui c’è uno scollo abbastanza pronunciato…” si guardava Yuka allo specchio, appoggiandosi il vestito davanti

“Per le tette un po’ possiamo rimediare…con questi!” Kijo sventolò davanti a sé dei modelli di reggiseni imbottiti “E se non basta possiamo aggiungere un po’ di cotone” ridacchiò alla fine. Le ragazze si guardarono un attimo smarrite e poi si lanciarono per accaparrarsene uno

“Adoro questa soluzione! Akane avrebbe blaterato qualche frase noiosa per cui bisogna comunque accettare i nostri difetti…che poi facile parlare per lei!” commentò Sayuri. Mentre si riprovavano dei vestiti portando quei reggiseni, le ragazze gongolavano entusiaste

“Hai mica qualche consiglio per accentuare un po’ il punto vita, Kijo? È un mio cruccio da sempre” chiese Shinobu stringendosi l’abito poco più su dei fianchi

“Questa cintura dovrebbe fare al caso tuo!” le tirò una cintura Kijo.

Yuka appena la vide applaudì senza ritegno e commentò ridacchiando
“Ad Ataru prenderà un colpo se ti vede così” 

“Ma che dici? Eppure l’hai vista la figa spaziale con cui si frequenta…non credo che guarderebbe me con accanto lei!” arrossì Shinobu

“Ataru guarda ben volentieri tutte le donne che può, fidati…se anche stesse con quella tipa là ricordati che tu gli piacevi ben prima che arrivasse” commentò Sayuri mentre passava in rassegna vari lucidalabbra

“Ma non me l’ha mai detto! O meglio, lo ha detto una marea di volte sia a me che a mille altre ragazze, quindi non conta…” sospirò Shinobu

“Ci sono anche Ataru e Kotaro stasera?” domandò Kijo

“Ataru non si perde una festa, mentre Kotaro non ha mai partecipato ad una, quindi abbiamo smesso di invitarlo dato che sembra arrecargli disturbo” spiegò Yuka

“Che strano…sono così amici eppure così diversi” rifletté a voce alta Kijo

“Fa comodo a entrambi quella simbiosi: Ataru tiene Kotaro coi piedi per terra e in cambio ottiene un sacco di aiuto scolastico”

“E tu cosa ci trovi in Ataru, se posso chiedere?” domandò Kijo a Shinobu, con sguardo malizioso

“Su, Shinobu, rispondi…è un dubbio che assilla anche me da una vita!” sogghignò Yuka.

La ragazza arrossì leggermente e strinse nervosamente con le mani la gonna che portava, con gli occhi che brillavano
“Io…lo conosco da sempre. Abbiamo fatto tutte le scuole insieme ed è il mio punto di riferimento. So che dietro a quella facciata da ragazzo dongiovanni incallito e scanzonato c’è un ragazzo capace di sentimenti profondi. E poi mi fa sempre ridere, è divertente, appassionato, tenace, tenero…”

“Mah…a me sembra solo un perdigiorno che pensa solo alle donne e al cibo” commentò Yuka, facendo una linguaccia all’amica

“Wow, qualcuna qui è innamorata persa! Ma lui è a conoscenza di quello che provi?” si intromise Kijo nella schermaglia

“No…cioè, sì, ne avevamo parlato qualche volta…ma da quando è arrivata quella svitata che vuole sposarselo in tutti i modi la situazione si è complicata notevolmente” rispose piano Shinobu

“Sì, però è anche vero che quando Miss Universo non c’è lui torna sempre alla carica con te” precisò Sayuri

“Quanto mai potrà resistere con una creatura del genere al suo fianco? Io finirò presto nel dimenticatoio, me lo sento” si rattristò Shinobu

“Dai, intanto pensiamo a stasera! Magari lei non c’è e potreste aver modo di passare un po’ di tempo insieme” cercò di essere ottimista Kijo

“Oppure potresti finalmente incontrare un altro bel giovane di cui invaghirti, uno non così problematico” suggerì Yuka

“Senti chi parla…” la criticò Shinobu

“Uh, sento odore di gossip!” si incuriosì Kijo

“Non potremmo soprassedere?” suggerì Yuka allentandosi improvvisamente il colletto della camicetta a fiori che portava

“Andiamo! Mica devo espormi solo io! Devi sapere che la nostra amica qui presente ha una cotta gigantesca per un ragazzo fidanzato…” continuò Shinobu

“E dai smettila! Che figura mi fai fare?” cercò di zittirla Yuka, in imbarazzo

“Subisce il fascino di Saotome! Sapessi le cose che ho letto sul suo diario in merito al ragazzo col codino…” sghignazzava Shinobu

“Però voglio precisare che non ho mai fatto niente a riguardo, a parte fantasticare un po’…Akane è sempre stata mia amica e non mi sognerei mai di mancarle di rispetto. Poi, diciamoci la verità, il suo fan club è così nutrito che davvero non avrei mai speranze” confessò Yuka a denti stretti

“No, ma…fatemi capire…voi davvero vi scambiate i diari segreti?” chiese Kijo sconvolta.

Le ragazze la guardarono spaesate per un momento, poi scoppiarono a ridere
“Ah ah ah! Davvero è questa la cosa che ti ha scioccato di più, Rinekami?”
“Sei incredibile!”
 
Dopo aver passato un altro paio d’ore a scherzare e a prepararsi, le ragazze si diressero verso casa di Hiroshi. Il padrone di casa le accolse con un bicchiere di plastica rosso in mano e le abbracciò tutte e quattro assieme. Kijo e Sayuri si misero a ridere della goffaggine del ragazzo, che sembrava un poco alticcio, mentre Yuka e Shinobu bofonchiarono un “Buon compleanno” un po’ in imbarazzo.

“Grascie mille di essere venute a festesgiare con me! Entrate e divertitevi, i miei non ci sono!” le accompagnò dentro. Prima di salire i gradini che portavano alla sala, le ragazze si tolsero le scarpe e indossarono delle ciabattine di spugna monouso che erano state messe a disposizione.
Il salotto era gremito di persone: Hiroshi aveva fatto proprio le cose in grande e pareva avesse invitato tutti quelli che conosceva. Fortunatamente erano ancora tutti piuttosto sobri, anche perché, ad una prima occhiata, sembrava che l’alcool scarseggiasse, quindi chiacchieravano e scherzavano educatamente. Su di un tavolino era disposto uno stereo con accanto un’alta pila di cd che a turno i ragazzi sceglievano per mettere i loro brani preferiti; si trattava prevalentemente di musica locale ma Kijo non mancò di riconoscere qualche canzone occidentale di Madonna o Michael Jackson. Qualcuno aveva improvvisato un torneo di videogiochi alla Nintendo attaccata alla tv della sala da pranzo e si erano create due fazioni che facevano il tifo per uno degli sfidanti di turno.

“Ehi, guarda! C’è Ataru là nell’angolo che si prende da bere ed è solo…perché non ci vai a parlare?” suggerì Kijo a Shinobu dandole di gomito con aria complice

“Ehm, dici che io dovrei…” si fissava le punte dei piedi la ragazza

“Ma certo! Vai e mostragli quanto sei bella!” Yuka fu molto meno delicata e la spinse letteralmente nella direzione di Ataru, il quale non perse l’occasione per farle una mitragliata di complimenti e per avvinghiarsi un po’. Yuka e Kijo si guardarono e risero all’unisono, quando improvvisamente Kijo si sentì abbracciare da dietro

“Ragazza straniera! Ma allora ci sono momenti in cui sollevi la testa dai libri e cerchi un po’ di svago! Vieni tra le mie braccia!”

“Ta-Tatewaki, sei tu?” chiese incerta Kijo, cercando di voltarsi e sfuggire alla morsa

“Ahahahahah! Hai trovato una sostituta per Akane Tendo, fratellone? Devo forse aspettarmi l’apparizione di un nuovo poster in camera tua?” una ragazza mora con una coda laterale emise una risata folle mentre prendeva in giro il fratello

“Non dire eresie, Kodachi! Il mio amore per la dolce Akane Tendo è eterno e imperituro. Solo che adesso è così lontana…ma fortunatamente il destino mi ha fornito questa splendida distrazione!” declamò Kuno continuando a tenere un braccio attorno a Kijo, mentre con l’altro mimava il gesto della vittoria

“Oh, ma distrazione a chi! Guarda che io sono una ragazza seria!” si infastidì Kijo e per tutta risposta lo scaraventò per terra liberandosi finalmente della stretta. Yuka la guardò con tanto d’occhi sbarrati mentre Kodachi scoppiò di nuovo in una delle sue risate da pazza

“Ragazza straniera! Anche tu pratichi le nobili arti marziali come la mia onorata Akane Tendo? Io ho una bellissima palestra personale nella mia villa, puoi venire ad allenarti quando vuoi!” Kuno si rialzò in un baleno e fece per riabbracciare Kijo

“Ehi, ma quel tipo è più sfacciato di me!” commentò Ataru osservando la scena, frase che gli costò uno scappellotto sulla nuca da parte di Shinobu

“Andiamo, smettila! E comunque essere chiamata continuamente ‘ragazza straniera’ non è che mi aiuti tanto a sentirmi ben accolta e integrata, se proprio vogliamo dirla tutta” sottolineò Kijo

“Kuno, la fanciulla si è espressa chiaramente: non c’è storia! Quindi sei pregato di lasciarla stare” commentò un tipo, dall’ombra

“Ranma!” esclamò Kijo, sorpresa di trovarlo lì

“Ranma, mio adorato!” strillò Kodachi correndo nella sua direzione

“Saotome, questi non sono affari che ti riguardano! Non è che siccome Kijo Rinekami sostituisce Akane Tendo tu puoi trattarla come la tua fidanzata!” sbottò Kuno.

Ranma in quell’istante accusò e la vergogna ebbe il sopravvento, facendolo arrossire
“Che cosa c’entra questo! Volevo solo dire che anche se Kijo sembra libertina non hai il diritto di scocciarla se non vuole uscire con te”

“Cosa?!” esclamò Kijo, contrariata

“Cosa?!” strepitò Ataru, cercando di avvicinarsi con aria marpiona

“Cosa?!” sporse la testa dalla finestra il vicino di casa, che si era affacciato alla sala incuriosito dalla musica

“Andiamo ragasci, non litigate! Fate piuttosto un brindisi alla mia salute!” barcollò il festeggiato in direzione del gruppetto, poi continuò “Sciete pregati di raggiungermi tutti al centro della stanza, così possiamo giocare a Sette minuti in Paradiso, corasgio!”

“Che roba è?” domandò Kijo a Yuka, che per tutta risposta sollevò i palmi delle mani e scosse la testa

“Daisuuuuuke! Fai il bravo e shpiega tu le regole che io ho la mente un tantino annebbiata” urlò Hiroshi. Daisuke arrivò al volo sfregandosi le mani e si mise al centro della stanza

“Benissimo cari! Allora, per prima cosa dovete mettervi tutti a sedere in cerchio attorno a me. Il gioco è molto semplice: io farò girare questo puntatore laser finché non si fermerà ed indicherà una persona, la quale sarà accompagnata nel ripostiglio del sottoscala; poi farò girare un’altra volta il puntatore che indicherà la seconda persona da accompagnare nel ripostiglio. Quando entrambi saranno nello stanzino verranno chiusi dentro per sette minuti, in cui possono scegliere di fare ciò che vogliono, e poi liberati”

“Ma è uguale al gioco della bottiglia!” osservò Kijo

“No, è totalmente diverso!” obiettò Daisuke

“Ma le regole sono identiche!” continuò la ragazza

“Non c’è nessuna bottiglia, quindi non può essere uguale al gioco della bottiglia, no?” si incaponì Daisuke.

Kuno asseriva con aria seria. Kijo ruotò gli occhi al cielo e Ranma intervenne
“Io non voglio partecipare a questo gioco!”

“Saotome, non rompere, che se non giochi tu più della metà delle ragazze non vorrà più partecipare” brontolò Ataru, facendo risedere Ranma che provava ad alzarsi

“Tesoruccio, cosa credi di fare?” disse una voce in lontananza, fuori dalla finestra. Una ragazza incredibilmente bella vestita solo di un bikini tigrato entrò nel salotto e salutò gli astanti sorridendo
“Ciao a tutti amici del mio tesoruccio! Spero che si sia comportato bene in mia assenza!”
A tutti i ragazzi mancò un battito il cuore appena la videro, tranne che a Kuno, che sembrava quasi assorto in meditazione e a Ranma che stava pensando a quanto lui in forma da ragazza non avesse nulla da invidiarle.

“Oddio Lamù, ma proprio stasera dovevi tornare? Non vedi che sono ad una festa?” bubbolò Ataru mettendo su il broncio

“Una festa? Io adoro le feste, magari mi trattengo un po’ e ti faccio compagnia!” sorrise Lamù, che venne subito attorniata da una schiera di ragazzi adoranti che la invitavano a sedersi. Shinobu era talmente scocciata che sembrava che del fumo le uscisse dalle orecchie.

“Hai visto, quella è la fidanzata di Ataru!” sussurrò Yuka nell’orecchio a Kijo, che rispose

“Caspita, è talmente bella che non sembra nemmeno umana!”

“Bene, sto per girare la prima volta! Il primo ostaggio da chiudere nello stanzino è…Kodachi Kuno!” proclamò Daisuke mentre si levò un applauso dal cerchio

“Ranma, mio adorato, ti aspetto là dentro…so che il destino non avrà l’ardire di separarci…” disse ammiccante la Rosa Nera, mentre Ranma impallidiva

“Il fortunato secondo ostaggio è…Hikaru Gosunkugi!”

“Ehi, ma quando è arrivato?” bisbigliò Yuka a Kijo

“Boh? Appena in tempo, pare” le rispose maliziosamente, mentre il ragazzo si dirigeva nello stanzino. Un urlo di disgusto provenne da Kodachi quando li chiusero dentro, poi più nulla. Per ingannare l’attesa Yuka e Kijo si servirono di un bicchiere di cedrata, ma non appena buttarono giù un sorso, si resero conto che c’era qualcosa di strano

“Secondo me l’hanno corretta con qualcosa di alcolico…azzarderei vodka” suggerì Kijo

“Dici? Oh, ma allora dovremmo posarlo…” la guardò preoccupata Yuka

“E perché? Non è un cattivo abbinamento in fondo” replicò Kijo mandando giù un’altra sorsata

“Sarà, ma io non reggo molto bene l’alcool” mormorò piano Yuka, bagnandosi appena le labbra.

Un minuto prima dello scadere del tempo, Daisuke sorteggiò la nuova coppia che sarebbe stata rinchiusa nel ripostiglio: il fato volle che fossero il festeggiato e Yuka. Quando Hikaru e Kodachi uscirono dallo stanzino sembravano molto tranquilli e continuarono perfino un discorso che dovevano aver intrapreso all’interno riguardo ai veleni come supporto dei rituali di maledizione.
Hiroshi ebbe difficoltà a centrare la porta, infatti sbatté nello stipite prima di entrare, ma con una spintarella di Daisuke quest’ultimo riuscì a chiudere la porta.

“Ehi Hikaru, hai poi sviluppato quelle foto?” domandò Kijo all’amico che le si era seduto accanto

“Non tutte ancora, ma ce ne sono di molto belle. Entro lunedì ti porto le tue copie a scuola in un pacchetto top secret”

“Già, dio ce ne scampi e liberi se dovessero finire in mano a Ukyo o Kotaro!” enfatizzò sarcasticamente la ragazza

“Sarebbe meglio evitarlo, sì…comunque chi se lo sarebbe mai aspettato da lei, io non ce l’avrei fatta. Deve odiarti proprio tanto”

“Pazienza, non si può piacere a tutti, no? Ma piuttosto…che mi dici della sorella di Kuno?”
Quando Gosunkugi stava per rispondere, si resero conto che tutti li stavano guardando: Kijo aveva il fascio laser puntato addosso. Fece per alzarsi mentre Daisuke dette un altro spin al puntatore che stava per fermarsi su Kuno, se non fosse che Ranma ci stava bisticciando e gli diede una gomitata, facendolo spostare quel tanto che bastava perché il puntatore indicasse invece lui. Kijo per poco non ricadde a sedere, Kodachi si avvinghiò al braccio di Ranma urlando che non doveva andare e Kuno gridò all’imbroglio in quanto sosteneva sarebbe dovuto toccare a lui.

“Su Daisuke, rigira il tuo laser! Io non volevo nemmeno partecipare a questo gioco!” lo implorò Ranma, ma Daisuke fu imperterrito

“Non si discute! Il puntatore ha scelto, non si accettano lamentele”

Come uscirono Hiroshi e Yuka, quest’ultima fece tanto d’occhi nel vedere con chi stava entrando Kijo, la quale le mimò delle scuse col labiale.

Daisuke chiuse la porta e cadde il silenzio, rotto poco dopo da Ranma, visibilmente agitato
“Ehm, si sta strettini qua dentro, non trovi? Mi sembrava più grande”

“Forse non ti sarebbe sembrato così stretto se tu non temessi una libertina come me…” lo punzecchiò Kijo

“Lo sapevo che te la saresti presa! Ma io in realtà volevo dire l’esatto contrario!” si inalberò Ranma

“Ah, davvero? E come mai quella parola o i suoi sinonimi continuano a uscire dalla tua bocca quando parli di me?”
Ranma accennò una parola, ma morì sulle sue labbra prima che l’avesse pronunciata. Deglutì ogni scusa che gli veniva in mente, restando in silenzio.
Da fuori sentirono qualcuno che faceva “Shh! Non sento cosa dicono!” e si resero conto che probabilmente erano tutti a cercare di ascoltarli.

“Come mai hai evitato che qui con me ci fosse Kuno?” gli chiese Kijo bisbigliando appena

“Avresti preferito lui?” saltò subito su Ranma, ma riuscì a non alzare la voce. La guardò negli occhi, per qualche secondo, poi dovette distogliere lo sguardo perché si rese conto che il proprio corpo iniziava a tremare.

“No, ovviamente. Volevo ringraziarti.”

“Prego.”
Cadde il silenzio di nuovo.

“Hai la lingua gialla” commentò Ranma

“Come, prego?” Kijo si riscosse da quella specie di torpore ovattato in cui era caduta

“La tua lingua. È gialla. Dev’essere qualcosa che hai mangiato” sentenziò Ranma

“Diamine, non me n’ero accorta! Dimmi, si vede tanto…?” si preoccupò Kijo rovistando disperatamente nella sua borsetta alla ricerca di una gomma da masticare, come se potesse cancellare per magia l’effetto del colorante

“Fai un po’ tu…siamo in uno sgabuzzino in penombra ed è praticamente fosforescente” si espresse Ranma

“Accidenti alla cedrata! Non potevano correggere qualcosa di meno…ehi, ma che sta succedendo fuori?” Kijo drizzò le antenne all’improvviso sentendo delle grida provenire dal salotto

“…no tesoruccio, te lo puoi scordare di rinchiuderti nell’armadio con quella!”

“Lamù, piantala di rincorrermi, il laser ha deciso! Non ci si mette contro la volontà del laser! Sai cosa è successo a chi lo ha fatto?” Ataru pronunciò queste parole col fiatone

“E poi non è un armadio, è uno sgabuzzino!” gridò Shinobu

“Stai zitta tu! Non pensare che non sappia che vuoi rubarmi il mio amoruccio! Ma io so come fermarlo”

Dal ripostiglio videro solo filtrare un lampo di luce e sentirono una specie di ZOT seguito dalle urla di dolore di Ataru.

“Bene, direi che possiamo dichiarare conclusa la sessione di questo gioco. Che ne dite se facciamo un po’ di Karaoke?” propose Daisuke

“Credo che si siano scordati di noi” ammise Kijo

“Temo anch’io…”sussurrò Ranma

“Come è andato il ritiro in montagna?”

Ranma rimase un po’ interdetto di fronte a quella domanda. Non sapeva quanto era disposto a rivelare
“Bene. Avevo bisogno di allontanarmi un po’ da tutto e trovare la concentrazione per l’allenamento”

Kijo annuì senza troppa convinzione e commentò
“A volte allontanarsi un po’ aiuta a vedere le cose più chiaramente”

“Già”. Ci fu un minuto buono di silenzio, poi esordirono insieme

“Mi dispiace che tu abbia litigato con la tua amica d’infanzia a causa mia”
“Mi dispiace per come ti ha trattata Ukyo”

Di nuovo silenzio. Poi Ranma schiuse le labbra, come se volesse dire qualcosa
«È un periodo strano per me…beh, non il più strano in assoluto della mia vita, che a pensarci bene è stata sempre piuttosto strana, ma uno strano diverso. Qualche volta temo di non essere abbastanza forte, di non riuscire a dare la direzione che voglio alla mia vita, di essere in balia di eventi su cui non ho potere e che scombussolano ripetutamente quello che cerco di costruire. I miei punti fermi cadono e mi ritrovo sempre spiazzato. Poi alzo lo sguardo da me stesso e vedo persone come te, come Akane, che hanno deciso di dare una svolta radicale alle loro vite, che hanno cambiato tutto davvero: a quel punto mi sento un idiota a preoccuparmi»
Ma invece le parole che pronunciò furono
“Non so quanto sarebbe potuta durare ancora, un’amicizia del genere. Era sempre più palese che l’affetto che provo per lei non le bastava più”

“Se non altro ne sei uscito pulito…stai sicuro che mi sono calamitata tutto il suo odio!” provò a sdrammatizzare Kijo, mentre si mordicchiava un labbro nervosamente

“Ti riesce bene quello!” Ranma le fece una linguaccia

“Come sarebbe a dire?” Kijo tentò di dargli un buffetto sul naso, ma Ranma la schivò nonostante lo spazio ristretto e le pizzicò i fianchi, facendole il solletico

“Appena arrivata hai subito litigato con Shampoo e poi anche Ukyo ha preso a detestarti”

“Saotome, stai giocando sporco adesso, fermati!” gli intimò Kijo in preda agli spasmi del solletico. Come ebbe modo di riprendere fiato continuò
“Non è colpa mia se le tue spasimanti sono gelose di me!” concluse la frase con un occhiolino

“C-che assurdità, perché dovrebbero?” replicò impacciato Ranma

Subito dopo Hiroshi aprì la porta dello stanzino esclamando
“Ehi, ma da quanto tempo sciete chiusi qui?” e poi si sdraiò sulla soglia, cominciando a russare sonoramente.

I due si guardarono un attimo in giro: nella stanza non c’era nessuno, erano tutti accalcati nel vano attiguo per la sfida di karaoke. Scavalcarono il festeggiato e si diressero verso la sala da pranzo, in cui Ataru e Lamù stavano duettando la sigla di un cartone animato. Gli animi erano parecchio caldi, infatti praticamente tutti si erano messi a cantare con loro e a battere il tempo con le mani. Solo Kuno era immobile e continuava impassibile a fissare Lamù, la quale aveva improvvisato un leggero balletto scatenando gli ormoni maschili. In questo contesto goliardico Shinobu se ne stava in disparte, offesa, sorseggiando da un bicchiere rosso e lanciando occhiate piene di sdegno verso Ataru.

Quando la loro performance fu terminata, Daisuke prese la parola come un perfetto presentatore
“Ottima esibizione ragazzi! La nostra coppia di innamorati si merita un grande applauso, non credete?”

Dal gruppetto partì un caloroso applauso, che fece felice Lamù la quale si strinse al braccio di Ataru.
“Accipicchia quanto è appiccicosa quella…” commentò Ranma tra sé e sé, ma Kijo lo sentì e ridacchiò

“Chi vuole cantare adesso?” chiese Daisuke

“Io avrei una richiesta! Se è d’accordo vorrei duettare anch’io con Lamù” si fece avanti Kijo. L’inusuale richiesta lasciò il pubblico un attimo perplesso, poi Daisuke continuò

“Ok, credo non ci sia nulla di male…cosa vorresti cantare Kijo?”

“Mi piacerebbe cantare la sigla di Kimagure Orange Road, visto che siamo in tema”

“Effettivamente c’è una certa somiglianza tra te e Madoka, bellezza! Va bene, ti cedo Lamù per un duetto ma magari puoi ripagare la mia gentilezza più tardi” si avvicinò Ataru col solito sorriso da marpione

“In realtà l’ho chiesto a lei, quindi deve sentirsi libera di accettare o rifiutare senza coinvolgerti” replicò Kijo, guardando in direzione di Lamù, la quale cascò come dalle nuvole e poi rispose

“Oh! Ok, va bene! Fammi solo sentire un attimo di che canzone si tratta…” tirò fuori una specie di cuffia che si posò sulle orecchie e dopo una decina di secondi la mise via e disse sorridendo

“Perfetto, l’ho imparata! Possiamo cantare!”

“Fantastico!” esclamò Kijo, poi si voltò verso Ataru e gli sussurrò prima di andare a prendere il microfono “Credo che tu debba delle scuse a Shinobu!”

Ataru non se lo fece ripetere due volte e abbordò subito Shinobu, convincendola tra uno sbuffo e l’altro ad andare nell’altra stanza; nel frattempo Lamù era concentrata a cantare la prima strofa della canzone
“Quando a Johnny va, che strane cose fa,
Lui può spostare tutto col pensiero!
È timido e sincero, di tutti tutto sa
Poiché legge nel pensiero…”

L’intesa tra Kijo e Lamù fu subito evidente: nonostante non si fossero mai parlate prima misero su su quel palcoscenico improvvisato uno spettacolino divertente e spontaneo, in cui si spartirono istintivamente le strofe, sovrapponendosi quando c’era da fare la seconda voce, e accennarono anche una semplice coreografia. Alla fine della performance le due ragazze ridevano di gusto e gli altri invitati applaudivano coinvolti. Solo in quel momento Lamù si rese conto che il suo fidanzato non si trovava in sala, quindi fuggì a razzo per cercarlo. Yuka invece era riuscita a situarsi vicino a Ranma e, anche se non era riuscita a spiccicare parola con lui, ogni tanto gli lanciava un’occhiata languida di sottecchi; naturalmente l’idillio durò poco, giacché Kodachi si insinuò tra loro e si avvinghiò al ragazzo
“Ranma, tesoro, perché non ci appartiamo in un posto un po’ più…privato per parlare del nostro futuro insieme?”

Ranma era visibilmente a disagio e cercava di sfuggire agli abbracci tentacolari di Kodachi senza attirare troppo l’attenzione
“Andiamo Kodachi, ne abbiamo parlato cento volte! Non c’è nessun futuro tra noi…io ho già una fidanzata, nonostante sia un maschiaccio e priva di sex appeal e che non me la sia scelta in prima persona!”

“Ma è lontana migliaia di chilometri! Chissà cosa starà facendo adesso mentre tu ti crei degli scrupoli inutili per stare con la ragazza che ami davvero!”

“E chi sarebbe questa ragazza?” le chiese Ranma, con aria di sfida

“Ma io, sciocchino! So che piano piano ti stai liberando di tutte le altre per stare con me, è così ovvio! Ah ah ah!” culminò con una risata da pazza Kodachi

“Ma quali altre, ma quando mai…”si divincolava Ranma

“Intanto Akane è stata spedita dall’altra parte del mondo e non può disturbarci…inoltre Sasuke mi ha detto che hai litigato con Kuonji, quindi anche lei è fuori dai giochi, e che Shampoo ti ha fatto una proposta di matrimonio che hai rifiutato, quindi fuori tre! È chiaro come il sole che rimango solo io, la tua preferita e prescelta!” gongolava la Rosa Nera.

Kijo intanto si stava godendo la scena di Ranma in difficoltà mangiando dei popcorn e sogghignando di tanto in tanto: non c’erano versi, poteva essere il più abile e forte tra i praticanti di arti marziali ma con le ragazze era un disastro. Non fosse stato per lo sguardo da cane bastonato di Yuka, avrebbe continuato a guardare per un altro po’, ma la sua amica le fece una pena tale che decise di intervenire: riempì di gazzosa un bicchiere rosso fino all’orlo e poi si diresse verso Ranma e Kodachi; quando era a pochi passi di distanza finse di inciampare e rovesciò il contenuto del bicchiere addosso a Kodachi. Ranma ebbe una reazione spropositata, in quanto balzò all’indietro come se avesse visto un gatto appena scorse il liquido volare nella sua direzione. Kodachi invece fu più lenta e se lo beccò tutto in faccia.

“Ops, mi dispiace…che sbadata che sono! Lascia che ti porga dei fazzoletti” si scusava in maniera affettata Kijo. Questo stratagemma dette modo a Ranma di dileguarsi, dopo lo smarrimento iniziale. Kodachi invece era furibonda

“Razza di stupida, non vedi che mi hai macchiato la gonna? Questa costa più di te!”

“Sono veramente un’imbranata signorina Kuno, ti prego di perdonarmi!” Kijo si profuse in un profondo inchino, enfatizzando in modo melodrammatico le scuse

“Levati dai piedi, non vale nemmeno la pena perdere tempo con una ragazzetta insignificante come te! Sasuke, Sasukeeeee! Portami subito lo smacchiatore per la seta!!”

“Ehi terrestre con la coda! Mi sembri molto maleducata! Chiedi immediatamente scusa alla mia nuova amica per come la stai trattando!” una figura femminile fasciata da un bikini tigrato si intromise nella discussione

“E tu chi saresti, alienata che non sei altro? Ma scansati proprio se non vuoi farti del male!” la aggredì Kodachi estraendo il suo nastro da combattimento e lanciando via il suo abito per restare in body da ginnastica

“Come mi hai chiamata? Dovresti imparare un po’ di gentilezza, carina! Da dove vengo io c’è un modo semplice ed efficace per insegnarla!” così dicendo Lamù strinse i pugni e chiuse gli occhi, emanando un fulmine che stordì Kodachi e la fece stramazzare a terra. Kijo aveva gli occhi completamente spalancati ed era in preda all’incredulità più totale

“Ehm…ma tu…”cominciò a chiedere, ma fu subito interrotta da Tatewaki che si era avvicinato in tono formale

“Buonasera, Ragazza-col-bikini-tigrato! È da quando ti ho vista arrivare che mi arrovello: come hai fatto ad entrare dalla finestra se qui siamo al primo piano?”

“Oh, è semplice, io riesco a volare con facilità!” sorrise Lamù e per avvalorare le sue parole si sollevò in aria

“Ma quindi hai dei super-poteri, ora mi torna! E nonostante tutto frequenti Moroboshi?” proseguì Kuno, ignorando totalmente la sorella svenuta a terra

“Sì, esatto! Non vedo cosa ci sia di strano. A proposito, devo andare a trovare il mio tesoruccio: per quanto lo abbia cercato prima, ancora non sono riuscita a scovarlo”

“Certo! Comunque, mie care signorine, qualora voleste duettare al karaoke, sappiate che villa Kuno ha un intero salone adibito a studio di registrazione, quindi potremmo divertirci a cantare insieme quando volete!” Kuno abbracciò Kijo e Lamù insieme

“Naturalmente! Ora però devo andare a fare compagnia alle tende da sole, che mi sembrano tristi!” svicolò Kijo, sciogliendosi dall’abbraccio

“E io devo trovare il mio amoruccio! Ataruuu, dove sei?” si sollevò in aria Lamù, scrutando le varie stanze.
 
Kijo si servì di un’altra dose di cedrata alcolica e poi si affacciò sul terrazzo. Il clima era mite quella sera e la luna giocava a nascondino dietro le nuvole, svelando poco a poco la sua luminescenza. Quando dal cielo il suo sguardo tornò a posarsi sulla terra, notò che Ranma si era seduto sulla panchina vicino allo stagno e vi tirava dentro dei sassolini, quindi decise di raggiungerlo. Sulla soglia di casa prese il giacchetto di pelle, perché c’era un venticello fresco che sporadicamente poteva risultare piacevole ma rischiava di divenire fastidioso se prolungato.
“Ehi, spaventerai i pesci!” si rivolse a Ranma sorridendo. Lui si voltò nella sua direzione e accennò a malapena un sorriso che non riuscì neppure a sopravvivere al tragitto fino a gli occhi, poi tirò un altro sassolino in acqua. Lei nel frattempo gli si sedette accanto.

“Pensi che potrei piacerti se fossi una ragazza? Intendo piacerti davvero per avere una relazione stabile” le chiese a bruciapelo

“Eeeh? Come sei ardimentoso stasera Saotome! Che ti è successo?” si sbalordì Kijo

“No, è che…insomma, non è che intendevo proprio a te, intendevo a una ragazza in generale…” si imbarazzò subito Ranma 

“Mi stai chiedendo se una ragazza può innamorarsi di un’altra ragazza? Cavolo, ma in che anno vivi?”

“No, seriamente…se io fossi una ragazza e tu fossi una ragazza a cui normalmente piacciono i ragazzi, riusciresti ad amarmi nonostante questo?”

“Beh, dipende se sono una ragazza a cui piacciono esclusivamente i ragazzi o se sono aperta all’idea di frequentare anche delle ragazze, immagino” Kijo non riusciva a capire dove Ranma volesse andare a parare e la cosa la metteva a disagio. Si regalò una generosa sorsata di cedrata alcolica e poi porse il bicchiere a Ranma “Tieni, mi sa che ti ci vuole”

“Che roba è?” chiese Ranma annusandolo, poi fece per declinare “Non bevo alcool di solito”

“Non mi sembra una conversazione solita, o una giornata solita. In realtà è qualche giorno che ti comporti in modo insolito, quindi credo che un sorso di alcool non sia un problema, stavolta” insisté Kijo

“Da’ qua!” lo afferrò Ranma e lo scolò d’un fiato, poi iniziò a tossire

“Cristo santo, non ci morire, su!” Kijo gli dava dei colpetti sulla schiena

“Ho un brutto presentimento con Akane” rivelò Ranma. La mente di Kijo non poté non andare alla conversazione che aveva sentito a casa Tendo un paio di giorni prima, quando Nabiki si era interrotta bruscamente.

“Credi che sia innamorata di una donna?” domandò Kijo un po’ spiazzata

“Credo che non sia più innamorata di me” fu lapidario Ranma. In quel momento si alzò un refolo di vento fresco e il ragazzo tremò nella sua camicia senza maniche. Kijo si sfilò il giacchetto e glielo pose sulle spalle, insistendo contro i suoi tentativi di rifiutare quel gesto.

“Ne abbiamo passate tante, troppe forse, in un periodo così ristretto! Nel giro di un anno da sconosciuti siamo arrivati a tentare di sposarci, poi beh, è successo un macello come sempre quando si ha a che fare con quel matto circo che è la mia vita. Pochi giorni dopo il matrimonio fallito è giunta la notizia dello scambio all’estero, quindi Akane ha avuto l’opportunità di un nuovo inizio mentre io mi sento intrappolato a dare un senso ai cocci…”
Kijo ascoltava interessata, senza interrompere, aveva idea di aver scalfito la corazza di Ranma e creato uno spiraglio da cui poter sbirciare le emozioni che tanto si affannava a reprimere

“…e poi diciamocelo, in quel paese di libertini chissà quante avances le saranno state fatte!” sogghignò Ranma

“Guarda che non siamo tutti dei libertini senza pudore!”

“Ah, quindi tu sei un’eccezione?”

“Idiota che non sei altro! E io che mi stavo preoccupando per te!” gli dette una spinta Kijo

“Comunque grazie. Anche per il giacchetto. Ehi ma lo sai che hai delle spalle larghe come un uomo?” se lo infilò Ranma

“Grrrazie Ranma!” sospirò Kijo, buttando gli occhi al cielo. Poi però si mise ad imitare il classico macho gonfiando i muscoli delle braccia. A Ranma sfuggì una risata.

Decisero di rientrare alla festa, ma nel tragitto dal laghetto alla porta non poterono far a meno di sentire dei gridolini e delle risatine soffocate provenire dal capanno degli attrezzi: Ranma si imbarazzò all’istante mentre Kijo ridacchiava maliziosa

“Ehm, credi che dovremmo…” Ranma mimò con la mano il gesto del bussare

“Ma sei pazzo? Lascia a quei…immagino due ma in realtà non possiamo dirlo con certezza, la loro privacy!” Kijo lo trascinò per un braccio, cercando di allontanarlo

“Credi davvero che potrebbero esserci più di due persone là dentro?”

“Dai, stavo scherzando! Date le dimensioni di quel ripostiglio è molto poco probabile!”

“Giusto…proprio per quello in effetti!”
Quando si riaffacciarono nel salone notarono che le luci erano state abbassate ed era partito il momento del ballo lento. Hiroshi a quanto pare aveva beneficiato del pisolino schiacciato in precedenza, perché in quell’istante pareva piuttosto arzillo abbracciato a Yuka; non che a lei dispiacesse particolarmente, a quanto sembrava, dato che si teneva stretta contro di lui e lasciava ondeggiare lentamente il suo corpo a ritmo di musica.

“Ehm, i-io vado a cercare uno spuntino!” balbettò leggermente Ranma, dileguandosi verso la cucina.

Kijo restò a guardare i suoi compagni di classe come rapita: erano bellissimi, sui loro volti si scorgeva un’espressione di gioia profonda e beatitudine, come se per quei tre-quattro minuti di durata della canzone non avessero un problema al mondo e fossero appagati da quel momento di tenerezza. Le loro guance si sfioravano appena, le loro mani talvolta si stringevano timidamente e talvolta si poggiavano leggere sulle spalle o sulla vita del compagno di ballo. Alcuni tenevano gli occhi socchiusi, mentre altri si perdevano nel mare di sguardi reciproci.
In un angolo della sala, in netto contrasto col mood che vi aleggiava, sedeva una figura col capo chino che si abbracciava le ginocchia. Kijo si avvicinò per vederla meglio e si rese conto che si trattava di Lamù: stava piangendo.

“Ehi, che succede? Posso aiutarti?” le si sedette accanto

“È che non sono più riuscita a trovare il mio tesoruccio, temo che sia andato via dalla festa lasciandomi qui” dagli occhi azzurri della ragazza continuavano a sgorgare lacrime. Kijo le porse un fazzoletto e Lamù lo infilò nel reggiseno

“Ehm, in realtà era per asciugarti gli occhi…” specificò Kijo

“Uh, grazie, scusa…è che vedo sempre le ragazze della Terra fare questo gesto e credevo che fosse consuetudine” si giustificò Lamù

“Della Terra? Ma scusa, tu da dove vieni? Comunque credimi, tu non hai certo bisogno di imbottirti il reggiseno!”

“Io vengo da Oniboshi, un altro pianeta. Ah, quindi è per questo che le ragazze terrestri lo fanno? Per far sembrare più grande il seno?” rimuginava Lamù

“Sì…siamo idiote, vero?” ridacchiò Kijo

“Mai quanto i maschi che ci cascano!” replicò Lamù

“Ah ah ah…in effetti!”

“Beh, grazie Kijo, mi hai risollevato un po’ il morale. Andrò a casa a vedere se il mio amoruccio è già lì. Ci vediamo!” la salutò Lamù e svolazzò fuori dalla sala. Kijo si sentiva un po’ in colpa per averla distratta mentre Ataru andava da Shinobu, solo che in quel momento stava cercando di aiutare l’altra sua amica…Ma cosa ci trovavano in Ataru? Lamù le faceva pure un po’ di pena sempre alla ricerca di quel farfallone che la trattava malissimo, peraltro. Shinobu sembrava averci un legame speciale e sosteneva che la storia con Lamù era il frutto di un malinteso, ma quanto c’era di vero in tutto ciò? E poi, che fine avevano fatto? Un brivido le corse lungo la schiena e le si insinuò in testa come dubbio: che fossero loro i due rinchiusi nel capanno degli attrezzi?  

“Benissimo cari ospiti, scambiatevi i partner o mantenete gli stessi: sta per partire l’ultimo lento!”
Daisuke si era avvicinato allo stereo e stava per inserire un nuovo cd, quando Ranma venne letteralmente tirato in mezzo alla pista da Kodachi che si era evidentemente ripresa.

“Adesso mio caro non mi negherai questo ballo!” gli intimò la ragazza

“Ma io veramente…” Ranma non sapeva come togliersi da quella situazione spinosa: non voleva usare la forza su una ragazza ma le sue proteste pacifiche non avevano sortito alcun effetto contro la cocciutaggine della Rosa Nera. Kijo, per quanto si stesse divertendo a veder annaspare Ranma, decise di intervenire; si alzò in piedi e si lisciò il vestito, poi arrivò alle spalle di Kodachi e le picchiettò sulla spalla destra con un dito, costringendola a girarsi

“Ehi, principessa, mi dispiace ma Ranma aveva già promesso a me l’ultimo ballo, quindi sarebbe opportuno che ti facessi da parte”

“Nei tuoi sogni, svampita! Non esiste proprio!”

“Sai, per quanto elettrizzante non credo che tu voglia ripetere l’esperienza che ti ha fatto vivere la mia amica poco fa, quindi ti consiglio di lasciarci in pace: lui non vuole ballare con te!”

Kodachi si portò una mano alla bocca per l’affronto subito e poi cominciò a tremare dalla rabbia. Tuttavia fece prima un passo indietro, poi corse via dalla stanza gridando alla vendetta.
Dallo stereo si levarono le prime note di Crazy for you di Madonna e Kijo porse una mano ad un Ranma attonito

“Balliamo, Saotome?”

“Io non so ballare…”

“Andiamo, bisogna solo ondeggiare, così guarda!” Kijo allacciò le sue braccia attorno al collo di Ranma e iniziò a dondolare lentamente, mentre lui, totalmente timoroso, provava a imitarla

“Credo che dovresti poggiare le mani sui miei fianchi” gli sussurrò Kijo e lui avvampò

“Ehm, s-sul serio? C-così va bene?” Ranma eseguì le indicazioni impacciato

“Perfetto! Lo vedi che vai alla grande!” gli sorrise Kijo e poi gli appoggiò la testa sulla spalla. Poteva sentire il suo cuore martellare a ritmo innaturale, ma decise di non fare battutine a riguardo e di godersi il profumo fresco e pulito che emanava.
Ranma era un fascio di nervi, sentiva ogni suo singolo muscolo contratto e pronto a scattare. Raramente si era sentito così agitato in vita sua e la cosa lo infastidiva ancora di più dato che la sua compagna di ballo sembrava essere naturalmente rilassata e in pace col mondo. La faceva facile lei… Non che non fosse gradevole quel contatto, non poteva negarlo, ma forse proprio per quello si sentiva ancora più consumato da tutte quelle emozioni galoppanti. Cercò di tranquillizzarsi pensando al fatto che almeno aveva scampato un ballo con Kodachi, di questo era indubbiamente riconoscente a Kijo…solo che non aveva previsto questo sviluppo! In fondo era una cosa senza importanza, giusto? Kijo sapeva che lui aveva un impegno nei confronti di Akane, nonostante i timori che le aveva confidato prima, e pure lei aveva una relazione di qualche tipo con lo sconosciuto dei boxer! Sì, si stava facendo degli scrupoli inutili, come al solito. Sollevato da questa conclusione, riuscì a rilassare leggermente la muscolatura e i suoi movimenti risultarono più fluidi.
Al termine della canzone istintivamente strinse leggermente di più Kijo a sé prima di sciogliere l’abbraccio e lei fece altrettanto, commentando con un sorriso appena accennato

“Bene, adesso non puoi più dire che non sai ballare un lento!”

“Non si finisce mai di imparare…senti, io andrei a casa, che l’allenamento di oggi mi ha stancato particolarmente. Ti accompagno se vuoi” propose Ranma

“D’accordo, avviso le ragazze che vado” così dicendo Kijo cercò tra i compagni Yuka, la quale si era seduta sul divano accanto a Hiroshi con cui aveva ballato fino a poco prima. Cercò di attirare la sua attenzione e le mimò che voleva andar via, per tutta risposta la ragazza le fece un occhiolino e il gesto dell’ok, poi tornò a pendere dalle labbra di Hiroshi.
Con Shinobu e Ataru si scontrarono praticamente sulla soglia di casa: Shinobu aveva i capelli scompigliati e il rossetto sbavato mentre Ataru aveva lo sguardo tronfio e un’espressione soddisfatta. Visibilmente a disagio Shinobu cercò di evitare lo sguardo di Kijo ed accolse con enorme sollievo la notizia che quest’ultima sarebbe tornata a casa in quel momento.
 
“Ti è piaciuta la festa?” domandò Ranma mentre camminavano verso lo studio del Dottor Tofu. Le strade di Nerima erano deserte e silenziose, eccetto che per qualche occasionale miagolio o bubolare di un gufo.

“Sì, mi sono divertita! Devo ammettere che rispetto alle feste italiane siete molto più educati e questo è un enorme punto a vostro favore”

“Caspita, che succede di solito alle feste italiane?” si incuriosì Ranma

“Beh, nulla di che, è che le persone sono un po’ più…come dire, invadenti e scalmanate, quindi a volte mi capita di sentirmi a disagio” ammise Kijo

 “Wow, per far sentire a disagio te devono essere dei veri teppisti, altrimenti non si spiega!” esclamò il ragazzo

“Mi fa piacere che tu mi consideri una super-donna, anche se in qualche modo subdolo di solito implica che io sia una dissoluta, ma devo ammettere che per gli standard italiani io sono considerata timida!” confessò Kijo

“Figuriamoci le altre! Mi spaventi già abbastanza tu, laggiù non farei vita!” si lasciò sfuggire Ranma

“Ti spavento? Un campione di arti marziali indiscriminate mi temerebbe? Non ci crederò mai!” enfatizzò ogni frase Kijo

“Mi sono espresso male, è ovvio che non mi fai paura! È che, ehm, a volte mi spiazzi, fai cose che non mi aspetterei”

“Ok, questa l’ho già sentita. Sono strana, the story of my life!” ridacchiò la ragazza alzando le spalle

“Non fraintendermi, va bene così! Ho capito già da tempo che nella mia vita non c’è spazio per niente di normale, io stesso sono più strano di quanto sembri…” cercava di spiegare Ranma

“In effetti il tuo imbarazzo quando sei con le ragazze è al limite del patologico” gli fece una linguaccia Kijo

“Cosa? Ma non è vero! Ho un sacco di ammiratrici, io!” si indispettì Ranma e cercò di passarsi una mano tra i capelli con fare affascinante

“Certo, non ne dubito. Ma non sai gestirne nemmeno mezza” rincarò la dose Kijo e poi iniziò a scappare, ridendo

“Ma come ti permetti! Vieni qui e rimangiati quello che hai detto!” le corse dietro Ranma.
La raggiunse quasi subito e lei tentò il tutto per tutto saltando sulla ringhiera lungo il fiume. Ranma vi saltò a sua volta e questo movimento sbilanciò Kijo, che rischiò di cadere in acqua. Per fortuna i riflessi di Ranma furono fulminei e riuscì a tirarla verso di sé prima che precipitasse, tuttavia però caddero entrambi sulla strada

“Ahio, che botta!” brontolò Kijo guardandosi le ginocchia sbucciate

“Preferivi farti un bagno nel fiume? Fa freschetto stasera” commentò Ranma, mentre si massaggiava una spalla indolenzita

“No, naturalmente. Anzi, grazie perché probabilmente sarei…ehm, affogata!” si girò verso di lui Kijo

“Già, tu non sai nuotare…me lo dimentico sempre, non so perché. A maggior ragione, dato che ti ho salvato, devi rimangiarti tutto quello che hai detto nei miei confronti!” Ranma le picchiettò un paio di volte con l’indice sulla fronte

“Ok…non ti ringrazio, allora, non sei un forte campione di arti marziali indiscriminate, non sai ballare i lenti, non sei ardimentoso…”

“Dai, ma queste erano cose positive!” protestò Ranma

“Me lo hai chiesto tu di rimangiarmi tutto e sono partita dalle cose buone…tu davanti a un buffet su cosa ti butti per primo?” ridacchiò Kijo

“Sei impossibile!” le diede un buffetto sul naso Ranma e la aiutò ad alzarsi.
 
 

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Capitolo 10
*** Senza fiato ***


21 aprile
 
Il giorno seguente Ranma dormì fino a mezzogiorno. Casa Tendo era stranamente quieta, dato che suo padre e Soun erano andati al torneo di shogi del quartiere, Kasumi era a trovare un’amica e Nabiki era via per il fine settimana per frequentare un corso introduttivo alla Business School di Tokyo. Si stiracchiò per bene prima di alzarsi in piedi e dirigersi verso la finestra per aprirla ed inspirare a pieni polmoni un po’ d’aria fresca e pulita: splendeva il sole e la temperatura era davvero gradevole. Si infilò rapidamente una tuta e scese quindi in cucina per prendersi un succo di frutta, quando notò che sul tavolo era appoggiato un involto con un bigliettino

«Buona domenica Ranma! Ti ho lasciato il pranzo pronto, devi solo scaldarlo. Ci vediamo stasera, Kasumi»

Cara, dolce Kasumi! Se non esistesse andrebbe inventata…
Decise di approfittare di quell’insperato colpo di fortuna e mangiò subito tutto di gusto, benedicendo le abili mani della maggiore delle sorelle Tendo: se il Dottor Tofu fosse riuscito a sposarla avrebbe avuto un gran colpo di fortuna! Kijo lo avrebbe sicuramente definito un maschilista retrogrado, ma non poteva fare a meno di apprezzare il saper cucinare come qualità in una donna. Con Akane purtroppo era cascato malissimo, quindi avrebbe fatto meglio a rassegnarsi al più presto, tuttavia una parte di sé continuava a gradire quella caratteristica.
Dopo il pranzo si recò in palestra e si dedicò agli esercizi per migliorare i riflessi; era diventato rapidissimo e la versione modificata della tecnica delle castagne non gli era mai riuscita così bene, quindi decise di impegnarsi per perfezionare la tecnica dell’ubriaco, la quale gli offriva innumerevoli possibilità per schivare gli attacchi avversari. Era già da un po’ che non la rispolverava, per cui dapprima rilesse la dettagliata descrizione della sequenza su una delle antiche pergamene del maestro Happosai, poi provò a liberare la mente per trovare la coscienza nell’incoscienza, la lucidità nell’ottenebramento, la stabilità nella perdita di equilibrio; per chi non era avvezzo agli stili di lotta indiscriminata quegli accostamenti ossimorici non avrebbero avuto alcun senso, tuttavia lo scopo di quella tecnica era proprio quello di spiazzare totalmente il proprio avversario rendendo i propri attacchi imprevedibili e rendendosi impossibile da colpire. Come nota a piè di pagina sulla pergamena c’era una nutrita lista dei locali che vendevano il miglior sakè del Giappone, ma col vecchio non si poteva mai sapere se la intendesse come suggerimento per padroneggiare al meglio la tecnica o come appunto personale per le sue dubbie serate di svago.
Quando ebbe trovato la propria concentrazione, Ranma cominciò a eseguire movimenti fluidi e continui in direzioni casuali, alzandosi e abbassandosi in un gioco di gambe che pareva sempre sul punto di inciampare su se stesso ma che ritrovava sempre un perfetto equilibrio all’ultimo momento.
Dopo un’oretta di simulazione di combattimento, sentì bussare alla porta del dojo e apparve Ryoga sulla soglia

“Ciao Ryoga! Sei venuto ad allenarti un po’? Andiamo, combatti!” esordì Ranma ancora carico di adrenalina

“Non rifiuto mai uno scontro, Ranma, ma questa volta il motivo che mi spinge qui è diverso…sono tre giorni che cerco di arrivare a casa tua per dirti che ho intenzione di partire e andare a trovare Akane in Italia” confessò seriamente Ryoga, una luce di vibrante determinazione negli occhi

“Ah ah ah ah! E come pensi di arrivarci? Ti perdi anche nella tua stessa casa, semmai riuscirai a giungere in Italia Akane sarà tornata in Giappone da un pezzo!” Ranma si piegò in due dalle risate

“La forza del mio amore per lei mi guiderà…comunque non sono venuto a chiederti il permesso per partire, ma solo ad informarti” replicò Ryoga estremamente convinto, stringendo le mani a formare due pugni

“Bene Ryoga, così se non ti vedrò mai più saprò il perché…” rispose Ranma strafottente

“Ti punirò per la tua insolenza, Ranma!” Ryoga gli si scagliò addosso con l’indice puntato per disintegrarlo

“Non mi fai paura! Ti ho sconfitto mille volte e questa non farà differenza!” balzò via Ranma, atterrandogli alle spalle. Provò a ricordarsi la sequenza dei colpi che Kijo aveva utilizzato per bloccare Shampoo e sparò una sveltissima raffica di colpi tentando di mirare ai giusti tsubo, ma qualcosa andò storto e Ryoga risultò come velocizzato: iniziò a scagliare un pugno dopo l’altro con una rapidità sovrumana, i suoi calci invisibili raggiungevano Ranma prima che potesse scorgerli. Ogni colpo andava a segno, implacabile, e Ranma faticava a mantenere una posizione di difesa adeguata.

“Grazie Ranma, a quanto pare la tua temibile tecnica non ha fatto altro che facilitarmi la vittoria!” lo scherniva Ryoga, mentre continuava a vibrare colpi indefesso

“Smettila Ryoga, non è un combattimento leale così!” cercava di proteggersi il volto Ranma, con scarsi risultati

“Ah, davvero? E se invece ti fosse riuscita la manovra e tu mi avessi danneggiato sarebbe stato leale?” Ryoga gridava e picchiava preda di una furia incontrollabile; il suo volto diveniva sempre più paonazzo man mano che passava il tempo e i suoi abiti erano madidi di sudore. Il respiro si faceva sempre più accelerato e bramoso d’ossigeno, finché il ragazzo non crollò su se stesso e divenne preda di tremiti e convulsioni

“Ryoga! Ryoga, maledizione! Che succede?” si precipitò a soccorrerlo Ranma

“Ra-umpf…Ran-ma…” Ryoga annaspava, prendendo avide boccate d’aria che non placavano la sua ipossia, mentre continuava a tremare e a muoversi spasmodicamente

“Dannazione Ryoga, resisti!” Ranma prese un secchio di acqua dal laghetto e lo tirò addosso al suo amico, facendolo trasformare in maialino. Lo prese in braccio e corse in cucina, dove Kasumi aveva lasciato il thermos col tè caldo e lo svitò rapidamente: fumava ancora. Prese anche quello e uscì a rotta di collo da casa Tendo, correndo come se avesse le ali ai piedi. In quel mentre il telefono di casa Tendo squillò e squillò, ma nessuno rispose.
 
Arrivato davanti allo studio del Dottor Tofu, Ranma entrò nel giardino e si nascose tra la quercia e il muro per gettare il tè caldo addosso a P-chan, il quale si ritrasformò in Ryoga, nudo come un verme e sempre tremante

“Accidenti, i vestiti! Ho dimenticato di portarli!” si dette uno schiaffo sulla fronte Ranma, in preda al panico. Svoltò sul retro del giardino e notò con sommo sollievo che c’erano degli indumenti di Tofu stesi ad asciugare, quindi arraffò una maglia e un paio di pantaloni e corse nuovamente verso l’amico.

“Prendi questo!!” d’un tratto si vide una mazza da baseball passare a pochi millimetri dal volto e fu solo grazie ai propri riflessi che riuscì ad evitarla

“Ma che diamine!” gridò Ranma balzando via

“Oh, Ranma, sei tu? Che spavento che mi hai fatto prendere! Ho sentito dei rumori strani in giardino e poi ho visto che dal filo dei panni avevano portato via qualcosa…non è la prima volta che mi rubano la biancheria, quindi credevo che fosse il solito ladro!” Kijo fece un passo avanti uscendo dall’ombra in cui si era appostata: aveva i capelli umidi e indossava solamente una camicia un po’ troppo grande per lei abbottonata parzialmente

“Eeeeeeh! Ma cos’è oggi? La festa della nudità?” saltò indietro Ranma arrossendo e coprendosi gli occhi

“Ma cosa vai blaterando?” replicò Kijo guardandosi e non trovando nulla di strano

“Ok, ok non importa! Per favore, corri a chiamare Tofu che Ryoga ha bisogno di lui” disse Ranma agitato, mentre prendeva un respiro profondo per calmarsi

“Ono non è in casa, tornerà domattina. Cosa è successo a Ryoga?” domandò Kijo, preoccupata

“Cavolo, non ne va bene una oggi! Durante un combattimento con Ryoga devo aver premuto per sbaglio qualche tsubo sbagliato e adesso sta soffocando!” gridò Ranma in preda all’esasperazione

“Calma, aiutami a portarlo dentro che provo a dargli un’occhiata” deglutì Kijo, spaventata anche lei in realtà

“È da questa parte, però aspetta, non puoi ancora guardarlo perché…” mentre Ranma stava spiegando Kijo era già partita verso la zona che gli aveva indicato “…è nudo” terminò da solo Ranma

“Andiamo, non c’è tempo per questi imbarazzi! Dobbiamo provare a salvarlo” gridò Kijo e Ranma si avvicinò. Fecero passare le sue braccia attorno alle loro spalle e lo issarono in mezzo a loro. Con un po’ di fatica riuscirono a portarlo sul lettino da anamnesi e lo spettacolo era agghiacciante: il volto di Ryoga era una maschera deformata dal dolore spasmodico di un colore blu cianotico.

“Cerca di tenermelo fermo che per prima cosa devo riattivare il centro del respiro” disse Kijo cercando di mantenere la calma. Ranma fece appello a tutte le sue forze per provare a bloccarlo mentre Kijo premette con decisione due punti sotto la mandibola e uno in mezzo ai polmoni.
Ryoga prese a respirare più velocemente e fortunatamente il suo colorito migliorò. Tuttavia il tremore continuava ed era sempre più difficile tenerlo ancorato al letto, perché provava l’impulso irrefrenabile di alzarsi e muoversi.

“Per la miseria, scotta! Credo che abbia una febbre altissima…puoi dirmi esattamente cosa gli hai fatto?” domandò Kijo, in apprensione toccandogli la fronte

“Io…io ho provato a imitare la tecnica che hai usato nel combattimento contro Shampoo…volevo bloccarlo…” disse Ranma con un filo di voce, parecchio agitato e dispiaciuto

“Ranma, dannazione, dammi qualcosa per coprirmi!” chiese Ryoga, dimenandosi come un ossesso

“Tieni Ryoga, copriti con questo lenzuolo e cerca di stare calmo. Vedrai che troveremo una soluzione” cercò di rassicurarlo Kijo, sperando di non mentire

“Non ce la faccio, non ce la faccio! Il mio corpo si muove contro la mia volontà!” continuava ad agitarsi il ragazzo

“Ryoga, sei un ragazzo forte, ma se non riesci a calmarti sarò costretta a sedarti: ho bisogno di capire cosa ti è successo per contrastare i tuoi sintomi; sai descrivermi come ti senti?” cercò di tenere i nervi saldi Kijo

“Io provo l’impulso irrefrenabile di muovermi, ho come un fuoco dentro che mi spinge contro la mia volontà: se non lo assecondo è come se mi logorasse dall’interno”

“Ok, grazie. Adesso è meglio che tu prenda un calmante e un antipiretico. Sei in grado di deglutire?”

“Credo di sì…” le parole uscirono nonostante i denti serrati del ragazzo, con Ranma che provava a tenerlo come poteva. Kijo aprì l’armadietto del Dottor Tofu e prese una boccettina di vetro scuro: contò venti gocce del contenuto in un bicchierino che poi riempì d’acqua. Da un blister estrasse una compressa e la porse a Ryoga, insieme al bicchierino

“Manda giù questi, dovrebbero bastare per ora”
Ryoga obbedì e deglutì le medicine, non senza difficoltà poiché in preda agli spasmi rischiò più volte di versare tutto il contenuto del bicchiere.

“Ci vorrà qualche minuto prima che inizi l’effetto. Cerca di tenerlo il più fermo possibile, Ranma: io ho bisogno di consultare dei libri di Tofu per capire come aiutarlo” disse Kijo uscendo dalla stanza e lui annuì. Erano rimasti soli, a pochi centimetri l’uno dall’altro, l’uno in preda ad un’agonia incontrollabile e l’altro a cercare di salvargli la vita. Quante volte era capitato! Nonostante solessero definirsi avversari la verità era che erano collegati da un’amicizia profonda, cementata dalle prove più disparate a cui la vita li aveva sottoposti; non ultima quella di amare la stessa ragazza. Si sentiva profondamente in colpa, anche se non lo aveva mai ammesso: era cosciente che gran parte dei guai che erano capitati a Ryoga più o meno direttamente erano a causa sua e questo pensiero, adesso che il suo amico era in fin di vita, si faceva ogni secondo più opprimente. Nonostante tutto, Ryoga c’era sempre stato per lui, lo aveva aiutato a sconfiggere mostri, spiriti, uomini malvagi e perfino le divinità della fortuna e, anche se giustificava le sue azioni col sentimento che provava per Akane, Ranma era consapevole che nel profondo del suo animo teneva a lui e lo avrebbe aiutato ugualmente. Vederlo su quel lettino a lottare per sopravvivere ad un trauma che lui stesso gli aveva procurato era quasi insostenibile; non riusciva a guardarlo negli occhi e dovette far appello a tutto il suo autocontrollo per continuare a stringerlo affinché stesse fermo. Il colpo di grazia gli giunse quando l’amico gli sussurrò a denti stretti, tremando violentemente

“Ranma, comunque vada io ti perdono”

Fu troppo. Ranma fu obbligato a lasciarlo per portarsi le mani al volto, che non si stava ancora bagnando di lacrime solo perché la forza della disperazione le ricacciava dentro, costringendole sulla rima ciliare in una devastante lotta contro la gravità. In quel momento Ryoga perse i sensi e i suoi tremiti, seppur persistenti, diminuirono di intensità.

Kijo rientrò poco dopo, con un grosso tomo in mano dalla copertina usurata che appoggiò sulla scrivania

“Come sta?” chiese a Ranma prendendo un termometro per misurare la temperatura a Ryoga. Lo sguardo perso del ragazzo le confermò i peggiori sospetti e non fece altre domande.

“Hai trovato…qualcosa?” domandò Ranma afflitto, con un filo di voce

“Forse…nel libro c’è una procedura da seguire per eliminare l’effetto della pressione sui quegli tsubo specifici. Ho bisogno però che tu mi confermi, con la massima precisione possibile, la zona in cui lo hai toccato. Prima però serve del ghiaccio e se non basta dobbiamo immergerlo nell’acqua fredda: ha la febbre altissima!”
Ranma corse in cucina a prendere il ghiaccio, sperando che bastasse: come avrebbe potuto Kijo operare la digitopressione su un maiale? Senza contare tutte le spiegazioni da dare…No, non voleva nemmeno pensarci.

“Ok. Riempi per favore la borsa del ghiaccio, gliela metteremo sulla testa” gli disse Kijo mentre leggeva il vecchio libro, poi chiese, facendo un respiro profondo

“Potresti indicarmi i punti che credi di aver colpito, per favore?”
Ranma sollevò parte del lenzuolo e indicò alcuni punti sul ventre di Ryoga e uno alla base della nuca

“D’accordo. Credo che tu gli abbia involontariamente accelerato tutte le funzioni vitali, infatti il cuore sta battendo con una frequenza altissima, la temperatura è elevata e sente il bisogno di sfogare questa energia rilasciata col movimento, anche incontrollato. Sta consumando le sue energie vitali rapidamente, quindi adesso ho bisogno di chiederti se te la senti di aiutarmi, perché non credo che ce la faccia ad aspettare il rientro di Tofu o ad arrivare all’ospedale” Kijo sbiancava sempre di più ogni secondo, man mano che prendeva coscienza della gravità della situazione.
Ranma annuì con decisione, cercando di fare appello a tutto il suo coraggio.

“Ok. La procedura che devo fare non deve subire interruzioni, pertanto ti chiederò di aiutarmi a spostarlo di tanto in tanto. Purtroppo per quasi tutto il processo il centro del dolore sarà attivato, quindi ho bisogno che a intervalli di due minuti tu somministri due gocce di questo analgesico in bocca a Ryoga. Coraggio, Ranma, possiamo farcela!” esclamò Kijo rivolta forse più a se stessa che al ragazzo.

Furono trenta minuti di massima tensione ma per fortuna il loro grande impegno fu premiato con un esito positivo. Stremata dall’effetto del calo di adrenalina che fino a quel momento l’aveva sostenuta, Kijo si lasciò scivolare sul pavimento, ai piedi del letto dove riposava Ryoga. Aveva il respiro regolare adesso e anche la sua temperatura era scesa notevolmente. Ranma le si sedette accanto e fece un’inspirazione profonda per riacquistare completamente l’autocontrollo; vedendo Kijo ancora provata, tentò di alleggerire l’atmosfera dicendo la prima cosa che gli passava in mente

“Certo che adesso potresti anche metterti qualcosa addosso…”

Kijo lo guardò esterrefatta e si tirò la camicia, replicando “E questa cosa ti sembra? Non sono di certo nuda!”

“Beh, insomma…solo una camicia di almeno tre taglie più grande della tua, mezza sbottonata, non mi pare che sia una gran copertura” insinuò Ranma provando un colpevole piacere nell’infastidirla

“Sarò libera di stare in casa mia come mi pare e piace? E poi se tu non mi avessi spaventata costringendomi a precipitarmi in giardino a rotta di collo appena uscita dalla doccia forse avrei potuto curare meglio il mio aspetto”

“Com’è che la prima cosa che hai afferrato appena uscita dalla doccia è una camicia di foggia maschile?” Ranma non la guardava direttamente, aveva gli occhi rivolti al soffitto, con fare allusivo. Kijo rimase un attimo spiazzata da quella domanda un pelo impertinente. Si alzò lentamente, senza dire una parola, e andò a prendere il suo camice da laboratorio dall’attaccapanni; lo indossò senza agganciare i bottoni, con fare provocatorio

“Va meglio così?” si rivolse a Ranma

“Sei senza speranza!” le fece una linguaccia lui, che lei ricambiò incrociando le braccia

“Piuttosto potresti darmi tu qualche spiegazione su cosa è successo a questo povero cristo! Perché combatteva contro di te nudo?” rigirò la frittata Kijo. Ranma fu preso alla sprovvista: non aveva avuto il tempo di inventarsi una storia credibile.

“Facciamo così: io lascio cadere la storia della camicia e tu dimentichi di aver visto Ryoga in questo stato…” propose Ranma. Kijo comprese di aver appena segnato un punto metaforico e non si lasciò sfuggire l’occasione per disorientare ancora di più Ranma

“Oh, ci proverò ma non sarà certo facile dimenticarlo…il tuo amico è parecchio ben messo!”
Ranma arrossì a quelle parole e non ne trovava altre per ribattere, quindi si limitava ad aprire e chiudere la bocca come un pesce fuor d’acqua mentre Kijo ridacchiava di gusto.

In quel momento Ryoga aprì gli occhi, prendendosi qualche secondo per inquadrare la situazione; Ranma si alzò di scatto e gli fu subito accanto, contento anche di avere l’opportunità di sfuggire a quel momento imbarazzante
“Ehi, come ti senti? Ci hai fatto prendere un bello spavento!”

“Tu e le tue dannate tecniche segrete! Per poco non mi mandavi all’altro mondo” commentò Ryoga, però in realtà non mostrava cenni di rabbia ma solo spossatezza. Fece per sedersi sul letto ma un forte capogiro lo costrinse a rimettersi sdraiato

“Piano campione! Per quanto tu sia forte e allenato non dimenticare che nel giro di un paio d’ore hai consumato la tua energia vitale di una settimana almeno…dovresti concederti assoluto riposo per un po’” intervenne Kijo, sistemandogli il cuscino sotto la testa

“Ma io non posso…devo andare…”parlava a fatica il ragazzo

“Uhm…spero che tu non abbia un appuntamento galante proprio stasera: devo avvertirti che alcune delle tue funzioni vitali potrebbero risultare accelerate ancora per qualche ora” gli spiegò Kijo. Lì per lì Ryoga annuì debolmente, ma quando capì ciò a cui si stava riferendo la ragazza avvampò in un istante e prese a balbettare

“Come…ehm, i-io non ho quel t-tipo di…insomma, problema”

“Naturalmente! Io dicevo solo per stasera come conseguenza di quello che hai avuto, infatti” gli fece un occhiolino, toccandogli la fronte col palmo della mano per sentire la temperatura

“N-nel s-senso che nemmeno ce l’ho, una ragazza” Ryoga fissava imperterrito il soffitto

“Perfetto, allora non ti dispiacerà rimanere in osservazione stanotte. Dopotutto è stato il mio primo salvataggio e vorrei assicurarmi che tutto sia andato bene” propose Kijo

“Ehi, la volete piantare di flirtare voi due?” commentò acido Ranma

“Non stiamo flirtando! Sono solo scrupolosa affinché si rimetta completamente!”

“Bene, allora posso anche andarmene. Non temere, Ryoga, ti lascio in mani molto scrupolose” calcando volutamente l’ultima parola Ranma girò i tacchi e se ne andò. Non appena chiuse il cancello alle sue spalle si rese conto di aver avuto una reazione esagerata, ma il suo orgoglio gli impedì di tornare sui propri passi. Sì, chi se ne importava! Se c’era qualcuno a cui forse sarebbe potuto interessare era il misterioso ragazzo della camicia di Kijo, sempre che avessero un rapporto di esclusività, cosa non assolutamente scontata visto il soggetto. Si pentì subito di quel pensiero dettato dallo stato alterato del momento: in fondo non lo credeva davvero. Era stata l’ennesima giornata strana e difficile, il suo amico aveva rischiato la vita per colpa sua e Kijo non aveva fatto altro che aiutarlo. Eppure c’era come una sorta di leggera arrabbiatura di fondo, qualcosa che non sapeva ben identificare, che gli imponeva di avercela un pochino con loro. Quando arrivò a casa salutò a malapena Kasumi e si fiondò subito a farsi un bagno caldo. La carezza decisa dell’acqua quasi bollente sulla pelle ebbe un effetto calmante su di lui: ogni volta che inspirava una zaffata di vapore profumato riusciva a espirare un soffio di rabbia, di ansia e di stanchezza, finché rimase completamente solo, a mollo, senza pensieri. Poggiò la testa sul bordo della vasca e lasciò che l’acqua schiumosa gli lambisse la base del collo: credette di crollare addormentato da un momento all’altro, per questo si decise ad uscire per dirigersi verso il suo futon. Scivolò in un sonno profondo, ma durò a malapena quattro ore; risvegliatosi inizialmente a causa della voragine che si sentiva al posto dello stomaco (ebbene sì, si era scordato di cenare!), fu poi invaso nuovamente dai ricordi della giornata precedente. Inizialmente cercò di scacciarli, girandosi sul cuscino, ma essi sembravano determinati a non farlo riposare. Rassegnato a non ritrovare subito il sonno decise di scendere in cucina per sgraffignare qualcosa dal frigo, ma una volta scese le scale si rese conto che la luce di quella stanza era già accesa; con fare circospetto si avvicinò alla soglia e scorse Nabiki intenta a inzuppare dei biscotti in una tazza di tè.

“Ciao Ranma! Notte agitata?” gli chiese la ragazza

“No, no, è solo che…beh, ho un po’ fame”

“Ci credo, non hai nemmeno cenato! Credevamo tutti che ti sentissi male quando abbiamo visto che eri andato a letto digiuno. Comunque non preoccuparti, Kasumi ti ha tenuto da parte delle polpette di riso” disse indicandogli il frigo

“Ah, grazie!” si servì Ranma

“Uhm, devo ammettere che intingere i biscotti nel tè ha il suo perché…Sai, me lo ha insegnato Kasumi dopo averlo visto fare a Kijo” masticava intanto Nabiki “A proposito, come sta? È un po’ che non la vedo”

“Bene, direi che sta bene” si mantenne sul vago Ranma ingollando una polpetta intera e poi battendosi sul petto per farla scendere del tutto. Nabiki annuì analizzando le sue espressioni, con aria poco convinta

“E tu come stai invece, Ranma? Sei ancora depresso per la partenza di Akane?”

“Io non sono mai stato depresso per la sua partenza. Anzi, a dirla tutta non mi mancano per niente le sue botte e le sue offese” rispose tutto d’un fiato il ragazzo, sulla difensiva

“Oh, capisco. In effetti probabilmente è meglio così” commentò Nabiki

“In che senso?”

“Un anno all’estero può cambiare molto una persona e non è detto che torni la stessa Akane che è partita. Quindi, se non ti manca particolarmente, tanto meglio” la ragazza si alzò e mise la tazza nel lavello, poi fece un cenno di saluto e tornò in camera sua. Dopo aver finito di mangiare, sempre con le parole di Nabiki che continuavano a ronzargli per la testa, Ranma prese atto che non sarebbe riuscito a riaddormentarsi prima di aver fatto una capatina allo studio del Dottor Tofu per controllare la situazione.

Pochi minuti dopo fu lì e saltò agilmente il cancello atterrando silenzioso come un gatto nel giardino. La finestra dell’infermeria era chiusa ma con la tenda aperta e avvicinandosi non riuscì a sentire alcun rumore proveniente dall’interno. Si affacciò per guardare nella stanza e gli sembrò di vedere tutti i letti vuoti: dove diamine era Ryoga?
La camera di Kijo dava invece sull’altro lato del giardino, davanti alla quercia: Ranma decise di sfruttarla per sbirciare nella stanza, ma gli andò male, poiché la finestra era socchiusa ma la tenda era tirata. Per un attimo pensò di mollare tutto e tornarsene a casa, ma la curiosità ebbe il sopravvento e quindi con un balzo arrivò sul tetto e si calò a testa in giù reggendosi con le gambe. Tendendo gli addominali e le braccia riuscì a creare uno spiraglio nella cortina di stoffa e si rese conto che, in mezzo al solito casino, Kijo dormiva tranquillamente nel suo letto. Da sola. Soddisfatto della sua spedizione, chiuse nuovamente le tende e si flesse per tornare sul tetto, solo che la caviglia che faceva presa gli scivolò e fu costretto a precipitare. Tentò di aggrapparsi a un ramo della quercia, però era troppo giovane e si spezzò, quindi non poté far altro che cercare di atterrare in modo da farsi meno male possibile. Sfortunatamente non fu una manovra esattamente silenziosa e vide la luce della camera di Kijo accendersi. Corse pertanto via a rotta di collo, cercando di rimanere nell’ombra per non essere riconosciuto. Da un tetto vicino però sentì gridare il suo nome e voltandosi notò che era il vecchio Happosai che lo salutava, mentre a sua volta scappava con la refurtiva fresca fresca di stendino.
Il codinato si mise a rincorrerlo, saltando da un tetto all’altro e intimandogli di stare zitto

“Perché, Ranma Saotome, non vuoi far sapere che sei in giro a quest’ora? Dov’eri, con una ragazza?”

“Maledetto vecchiaccio, stai zitto! E non urlare il mio nome in piena notte o mi prenderanno per il ladro di biancheria!” il ragazzo cercava di colpirlo ma Happosai era più veloce

“Ranma Ranma Ranma smetti di rubare i reggiseni, non è onorevole” strillava l’anziano maestro ridendo sadicamente. Le luci in alcune case cominciarono ad accendersi e qualcuno si era pure affacciato al balcone.

“Dannato maniaco! Ora vediamo se non ti zittisco io!” fu costretto ad usare l’unico elemento che era sicuro potesse dargli un vantaggio nei confronti di quel pervertito: le tette. Odiava farlo, ma non voleva nemmeno che il suo nome fosse gridato dai tetti in piena notte nel bel mezzo delle scorrerie del vecchiaccio. Balzò nello stagno di un giardino adiacente e assunse le fattezze di ragazza, poi spiccò un salto su un muretto e lanciò un gridolino sbottonandosi la camicia
“Yu-uuuuuuh! Happosai! Guarda qui!”

“Oh, angeli del cielo! Sono morto e sono in paradiso!” esclamò il vecchio fiondandosi su di lei. Tanta fu la foga che lasciò cadere il sacco con il maltolto, il quale finì proprio addosso ad Ataru che furtivamente era uscito di casa senza che Lamù se ne accorgesse.

“Eh? Piovono reggiseni dal cielo?” si sbalordì aprendo il sacco

“Tesoruccio? Dove pensi di andare a quest’ora di notte?” arrivò volando la ragazza dello spazio. Ebbe un moto di perplessità vedendo il suo promesso marito sommerso dalla biancheria.

“Ehm, posso spiegare! Mi è caduta addosso!” cercò di giustificarsi Ataru

“Ah, davvero?” si alterò Lamù e lasciò partire una scossa elettrica.
Nel mentre Ranma era riuscita a suonarle ad Happosai, ma il vecchio non demordeva e le si era avvinghiato come un polpo. Si staccò solo quando, nel mezzo della lotta, scorse poco più avanti un ragazzo che rovistava nella sua refurtiva, quindi lo attaccò senza pietà.

“Disgraziato, ridammi i miei tesorini!” urlò mentre con un calcio lo costrinse a cadere in ginocchio piegato in due dal dolore

“Disgraziato, lascia in pace il mio Tesoruccio!” gridò Lamù facendo partire un’altra scarica elettrica contro il vecchio.

Godendosi la scena da lontano, Ranma decise che per la serata ne aveva avute abbastanza e finalmente tornò a dormire.    

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Capitolo 11
*** Una contro tutte, tutte contro una ***


3 maggio
 
Passarono quasi due settimane prima delle tanto attese Olimpiadi di Matematica e le strambe dinamiche del quartiere Nerima non si erano mai smentite.

Ryoga dopo quella famosa domenica si ristabilì completamente e ripartì con gli allenamenti e l’organizzazione del suo viaggio per andare a trovare Akane.

Gosunkugi riuscì a completare il rituale per evocare Kogame, quindi partecipava alle lezioni scolastiche con aria sempre distratta e svogliata, approfittando di ogni minuto libero per passare del tempo col suo spirito preferito.

Ataru e Shinobu continuavano a trovare gli stratagemmi più disparati per potersi incontrare di nascosto da Lamù, ma novantanove su cento finiva con una bella scarica elettrica lanciata da quest’ultima.

Yuka aveva iniziato a frequentarsi con Hiroshi e la domenica precedente avevano avuto il loro primo appuntamento: Kijo passò almeno due ore al telefono per sentire tutti i dettagli dell’ora in cui si erano visti.

Sayuri era felice per l’amica da una parte, ma dall’altra era spaventata di perderla: Kijo passò almeno altre due ore al telefono per sentire tutte le sfumature delle emozioni della ragazza.

La compagnia telefonica giapponese NTT registrò degli incrementi di fatturato notevoli in quei giorni, che furono probabilmente propedeutici all’imminente istituzione della propria linea mobile.

Ukyo non si era più vista a scuola; chi era passato dal suo locale sosteneva che ci fosse solo un cartello appeso sulla porta in cui si leggeva «Chiuso per ferie»

A casa Tendo giunse una lettera di Akane in cui rassicurava la famiglia di stare bene, di essersi ormai quasi completamente ambientata e di trovarsi al passo con le lezioni. Lamentava talvolta la scarsa organizzazione dei mezzi pubblici, ma a parte questo la lettera trasudava entusiasmo e gioia. Aveva perfino allegato una foto che la ritraeva insieme a due compagne di classe, tali Georgia e Sabrina, durante una gita a Firenze. Il sorriso sui volti delle tre ragazze non lasciava spazio a dubbi che stessero vivendo una bella esperienza. Fu una lettera colma di emozioni e di pensieri per tutti, ma Ranma non mancò di notare di non essere mai stato menzionato e la cosa lo ferì. Non che si aspettasse chissà quale manifestazione di affetto da parte di Akane, dopotutto era una lettera che avrebbero visto tutti, tuttavia il fatto di non aver neppure un pensiero dedicato gli lasciò l’amaro in bocca: in fondo era sempre il fidanzato, o no?
 
Kotaro entrò con fare trionfale dal cancello del Furinkan quella mattina. Tutti i ragazzi che incontrava si complimentavano con lui e gli facevano gli auguri per una buona performance alle Olimpiadi, come se fosse una sorta di celebrità. Quando raggiunse il corridoio che era stato allestito per ospitare la prova, si stupì nel vedere le due lunghissime file di banchi sfalsati che culminavano con la cattedra centrale, appoggiata al muro. Poco più avanti cominciava la coda ordinata degli studenti che attendevano il proprio turno per registrarsi alla cattedra. Man mano che venivano censiti, erano accompagnati da un insegnante al posto destinato, avendo cura che gli studenti appartenenti allo stesso istituto non fossero vicini per scoraggiare suggerimenti. Il professor Watanabe giocava in casa ed era il responsabile dell’assegnazione dei posti: stava giusto accompagnando Kijo al proprio, con somma gioia di Kotaro che scorse segni di un’evidente preoccupazione sul volto della ragazza, particolare che gli provocò un gran sorriso beffardo. Lei di rimando lo ignorò totalmente quando si incrociarono e andò a sedersi, prendendo un respiro profondo. Il ragazzo notò che gran parte dei suoi avversari avevano partecipato anche l’anno prima; era presente tra loro anche Nami Takigawa, la campionessa in carica giunta a difendere il suo primato.
«Tre esploratori vengono catturati e condannati a morte avendo però una possibilità di salvarsi. Vengono messi in circolo e a ciascuno viene messo in testa un cappello scelto tra cinque: tre bianchi e due neri. In questo modo ciascuno può vedere il cappello degli altri due ma non il proprio. A questo punto il capo tribù dice: "Farò rullare i tamburi e, al termine, chi sarà certo del colore del proprio cappello potrà dirlo e aver salva la vita". Rullarono i tamburi, ma al termine nessuno parlò. Il capo tribù fece allora rullare i tamburi una seconda volta ma anche questa volta nessuno degli esploratori, magari prudenti ma certo intelligenti, disse nulla. Allora il capo tribù ordinò ai tamburi di rullare ancora, ma stavolta al termine, il più lesto dei tre gridò a gran voce il colore del proprio cappello e si salvò. Di che colore era il cappello?»

I testi degli esercizi erano impegnativi, ma Kotaro non si aspettava nulla di meno: si era preparato accuratamente già dall’anno precedente cercando in svariate biblioteche dei libri che contenessero quesiti similari ed era sempre riuscito a risolverli. Fu con malcelata sicurezza quindi che consegnò il proprio elaborato venti minuti prima dello scadere del tempo, primo in assoluto. La Takigawa si indispettì molto per questa mossa e lui gongolò soddisfatto non appena vide la sua espressione.
Allo scadere del tempo i professori passarono tra i banchi a ritirare i fogli con gli svolgimenti e li raggrupparono tutti in una grande busta gialla.
“I vostri esercizi saranno corretti al più presto, nel giro di pochi giorni saprete qual è lo studente che ha ottenuto il risultato più alto. Nel frattempo grazie a tutti per la partecipazione e vi invitiamo a tornare alle vostre consuete lezioni” annunciò il professor Watanabe.
Kotaro e Kijo si beccarono un discreto applauso non appena misero piede in classe: la professoressa Hinako Ninomiya teneva tantissimo alle manifestazioni di stima tra gli studenti e quindi aveva esortato i ragazzi a tale comportamento.

“Allora? C’erano delle ragazze carine?” bisbigliò Ataru al compagno di banco non appena si sedette

“Che c’entra? Era una gara di matematica!” replicò lui

“E allora? Le ragazze carine non possono anche essere brave in matematica? Guarda Kijo per esempio! O Shinobu, che pure se la cava, o la Takigawa che ha vinto l’anno scorso! O Ai Kisugi in Occhi di gatto…”

“Moroboshi e Ikeda! Piantatela di parlottare! Volete un assaggio della Tecnica dei Cinque Yen?” si alterò la professoressa, agitando le sue braccia da bambina.
 
Ranma in quei giorni era stato particolarmente pensieroso e schivo, pertanto Kijo non si sorprese più di tanto quando non lo trovò ad aspettarla al cancello della scuola dopo il corso di economia domestica. Prese la solita strada di sempre ma ben presto si rese conto che quella volta c’avrebbe messo molto più tempo a rincasare rispetto al solito. Una bicicletta di traverso le sbarrava la strada e l’amazzone che la cavalcava aveva un’aria battagliera.

“Shampoo! Quanto tempo! Che piacere vederti” la salutò Kijo con ostentata cordialità

“Il piacele è tutto tuo, Linekami. E lo salà ancola pel poco” ribatté la ragazza digrignando i denti

“Ancora con queste minacce? Ma non ci eravamo chiarite?” sbuffò Kijo

“No. Tu mi hai umiliata e a causa tua non posso convolale a giuste nozze con Lanma. Le lagazze che mi sconfiggono non possono soplavvivele”

“Avevamo fatto un patto però, che se ti avessi battuta tu mi avresti lasciata in pace. Vale così poco la tua parola?” constatò Kijo cercando di mantenere la calma, mentre si premeva con due dita all’attaccatura del naso

“Conosci la favola della lana e lo scolpione?” replicò beffardamente la cinese

“Come no? Tutti gli scorpioni la indossano in inverno, visto quanto sono freddolosi” se ne uscì infelicemente l’italiana  

“Salebbe una battuta questa?”

“Una freddura, visto l’argomento”

Shampoo si stava spazientendo visibilmente e Kijo poteva quasi sentire fisicamente l’odio che provava. Cavolo, quella ragazzina minuta emanava un’aura omicida che metteva i brividi, i grandi occhi ridotti a due feritoie pronte a sparare disprezzo e seminare distruzione.
“Plepalati a passale dei guai!”

“Dei guai molto grossi?” suggerì Kijo accarezzandosi il mento. L’amazzone brandì uno dei suoi grossi chui e lo scagliò in direzione di Kijo, che lo schivò agilmente; la profonda crepa che si formò sull’asfalto era alquanto indicativa della potenza che quella giovane fanciulla riusciva a sprigionare. La sua preda non poté evitare di deglutire impressionata.

Dall’ombra emerse un’altra figura, con una coda laterale e un body da ginnastica
“Rinekami! Ricordi quella bella gonna che avevo alla festa? Ho dovuto buttarla!”

“Oh! Kodachi Kuno! Oggi deve proprio essere la mia giornata fortunata!” le si rivolse la ragazza

“Puoi dirlo forte microbo! Anche perché sarà l’ultima!” la attaccò con il nastro la Rosa Nera

“Dai, tutto questo per una gonna? Dovresti ringraziarmi, ti stava pure di merda!” la sfotté Kijo mentre lasciava che il nastro si avvolgesse attorno al suo braccio per poi tentare uno sbilanciamento

“Stupida impertinente!” gridò Kodachi tentando di atterrarla, ma Kijo rimase saldamente piantata a terra, facendole quasi perdere l’equilibrio

“A Rinekami la lingua lunga non manca! È così che manipola le persone” da un vicolo laterale spuntò Ukyo, spatola gigante alla mano e sguardo minaccioso

“Che bello, c’è una festa e non sapevo di essere invitata! Potevate dirmelo, almeno mi sarei tolta l’uniforme scolastica!”

“Stai zitta stupida e assaggia questo impasto fatto apposta per te!” Ukyo le sparò addosso una melma marroncina, ma Kijo riuscì ad evitarla e per il contraccolpo del nastro ci fece finire dentro Kodachi, che si infuriò

“Brutta cretina, ma non dovevamo essere alleate?” abbaiò a Kuonji

“Sì imbecille! Non lo vedi che avevo mirato a lei?” constatò Ukyo

“Non mi stupisce che il tuo fidanzato non voglia aver più niente a che fare con te, Kuonji: delle tre sei sicuramente la più scarsa!” le disse Kijo cercando di colpire quello che le sembrava l’anello debole di quella triplice catena in accordo per strangolarla

“Non è il suo fidanzato! È il mio futulo malito!” precisò Shampoo

“Che illuse che siete! Il mio Ranma ama solo me! Ahahahahah!” rise da matta Kodachi

“Non è velo!” si arrabbiò Shampoo e tirò un chui a Kodachi

“Nei tuoi sogni, pazza isterica!” prese la rincorsa Ukyo, in direzione della rampolla dei Kuno.

Kijo fece per allontanarsi in silenzio, lasciando quelle tre a litigare, ma d’un tratto si rinvennero e le lanciarono uno sguardo omicida
“Ehi, ma che stiamo facendo? Avevamo plepalato questa imboscata pel lei! È lei che dovlemmo menale!” esclamò Shampoo, mentre le altre annuivano

“Per me non ci sono problemi se avete cambiato idea eh! Fate pure con calma, semmai vi aspetto” si bloccò Kijo, mentre con lo sguardo cercava una scappatoia, purtroppo inesistente

“Non cercare di manipolarci come hai fatto con Ranma!”

“Ancora con questa storia? Ma sei un disco rotto, Kuonji! Guardate che se Ranma non vi sopporta non è certo colpa mia”

“Basta così! Pagherai il tentativo che hai compiuto per portarci via Ranma!” strillò Mademoiselle Kuno lanciando una clavetta piena di spunzoni in direzione di Kijo

“Ma che dia-” la ragazza fu costretta ad un balzo complicato all’indietro per evitarla, ma Ukyo era già lì a darle una poderosa spatolata in testa

“Questa è per avermi fatto litigare con lui!” enfatizzò piena di rabbia

“Che cavolo! Potreste almeno attaccarmi educatamente una alla volta come in tutti i classici film di arti marziali però! Le basi proprio…” le prese in giro Kijo, massaggiandosi però la nuca dolorante. Dannazione, quella botta l’aveva sentita tutta, constatò guardandosi la mano umida di sangue. Tentò di colpire Ukyo ma Kodachi le aveva attorcigliato attorno alle gambe un nastro che sembrava di cartavetra: ogni movimento che tentava di fare sentiva un’abrasione sempre più profonda insinuarsi nella sua pelle e questo la faceva soffrire terribilmente, ma non avrebbe dato loro la soddisfazione di gridare dal dolore. Si morse con forza il labbro inferiore, arrivando quasi al punto di far sanguinare anche quello, poi mise le braccia in posizione di difesa e si preparò a fronteggiare i nuovi attacchi che era sicura le sarebbero piovuti addosso. Intanto Shampoo prese a tirarle dei petardi esplosivi pieni di gas soporifero o qualche intruglio similare, poiché nonostante Kijo cercasse di non respirare sentiva i sensi ottenebrati. Ukyo nel frattempo si accaniva su di lei lanciandole delle spatole di dimensione regolare a mo’ di shuriken: riuscì a pararne la maggior parte ma si sentiva piuttosto rallentata e poco lucida, quindi qualche ferita all’addome fu inevitabile. Era pervasa da fitte lancinanti, che si susseguivano impietose e sempre più potenti, il proprio autocontrollo stava andando in malora, si sentiva madida di sudore e aveva difficoltà a mantenere il normale ritmo della respirazione; nonostante questo riuscì ad arrivare alla gola di Ukyo con un movimento a gambe giunte improvviso e ad attuare una digitopressione immobilizzante. Sfogò la rabbia che le saliva da dentro riempiendo di pugni e schiaffi la faccia di Kodachi, provocandole un vistoso ematoma sull’occhio destro, ma nel mentre il nastro si stringeva attorno alle sue gambe conficcandosi sempre più. Gridò, manifestò quel dolore che era diventato intollerabile, stava quasi per cadere a terra ma Shampoo ce la fece a prenderla da dietro e la fece volare in aria, per poi colpirla col suo chui come se fosse una mazza da baseball. La ragazza atterrò malamente e fece per rialzarsi, ma le braccia la reggevano a stento: nonostante l’adrenalina sentiva male ovunque, le girava la testa e sputava sangue, che sgorgava copioso anche dalle ferite aperte

“Tutto qui?” si avvicinò Kodachi calciandola nelle costole, costringendola a tossire e a rannicchiarsi su se stessa

“Ehi! Che vi prende, razza di galline che non siete altro?” gridò una voce correndo verso Kijo

“Galline a chi, stupido maiale? Stanne fuoli Lyoga” si infuriò Shampoo

“La ucciderete così! E poi vi sembra leale? Tre contro una? Siete fuori di testa!” gridò il ragazzo, controllando preoccupato le lesioni di Kijo

“È un regolamento di conti tra noi, tu non c’entri Hibiki!” le diede man forte la Rosa Nera. Ukyo invece era rimasta a terra, k.o.

“Non vi azzardate a toccarla un’altra volta o ve la dovrete vedere con me! E non ci andrò piano solo perché siete ragazze!” minacciò Ryoga mettendosi in posizione da combattimento

“Ma tu non dovevi essele a tlovale Akane Tendo? Che c’è, hai cambiato lagazza?” insinuò Shampoo, beffarda

“Brutta serpe cinese, non mi lascerò incantare dai tuoi discorsi. Vattene o affrontami!”

“Ti avevo detto di non immischialti, maiale in aglodolce!” gli si gettò contro l’amazzone. Quando gli fu a una distanza di un paio di metri estrasse da dietro la schiena un secchio d’acqua e fece per tirarglielo, ma Ryoga schivò abilmente il getto parandosi con l’ombrello; passò dunque al contrattacco sferrando una combo di ganci e montanti intervallati da calci a varie altezze, concentrandosi per trovare dentro di sé l’energia sufficiente a sferrare il colpo del leone. Fu impossibilitato tuttavia a portare a termine il colpo dall’attacco di Kodachi, che gli aveva scagliato contro una serie di clavette piene di spunzoni metallici: una di esse gli si conficcò nel polpaccio e fu costretto a cedere in parte sotto al proprio peso, mossa che diede l’occasione a Shampoo di scaraventargli un chui tra capo e collo. La massa muscolare di Ryoga però era molto ben sviluppata, temprata da mille durissimi allenamenti, quindi resistette al colpo e fu subito pronto per contrattaccare: polverizzò il terreno su cui stava Shampoo con la tecnica dell’esplosione, la cui onda d’urto la scaraventò nel fiume sottostante. Ben presto emerse una gattina rosa e fradicia che fu trasportata via dalla corrente. Vedendo la malaparata Miss Kuno si volatilizzò in un vortice di petali neri, lasciando il ragazzo solo con due fanciulle malmesse.
Si avvicinò dapprima a Kijo, la quale era attorcigliata sul manto stradale con le braccia avvolte attorno a se stessa, la divisa scolastica lacera e molto sporca di sangue. Le spostò i capelli che le coprivano il volto, rigato di lacrime e col labbro tumefatto, e i suoi occhi supplichevoli si piantarono in quelli di lui mentre con grande sforzo sussurrò

“Ryoga…ti prego…aiutami” e poi svenne. Il ragazzo dedicò giusto un minuto per spostare Ukyo dal centro della strada a lato e poi prese in braccio Kijo, pregando di riuscire a trovare la strada per lo studio del dottore in tempo.
 
Le braccia e le gambe di Kijo penzolavano inerti, sebbene lui cercasse di tenerla stretta al proprio petto, ma non troppo per non causarle dolore. Non era abituato a vederla così inerme e provò profonda rabbia per il suo dannatissimo senso dell’orientamento che gli impediva di procurarle delle rapide cure e pure per quelle maledette vipere che l’avevano ridotta così. Che razza di deprecabili vigliacche stringevano un’alleanza del genere? Un brivido gli corse lungo tutta la schiena al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se non si fosse trovato lì per caso, ma cercò di mantenere il controllo e con un respiro profondo scelse di svoltare a sinistra, zoppicando, al bivio che aveva di fronte.
 
Dopo circa una mezz’ora di giri a vuoto il fato volle che il percorso di Ryoga incrociasse quello di Gosunkugi con Kogame al seguito
“Per tutti gli spiriti, Ryoga, che è successo?” esclamò il ragazzo con le occhiaie portandosi una mano a coprirsi la bocca, sconvolto. Lo spettacolo che si profilava davanti ai suoi occhi era scioccante: la sua amica priva di sensi portava addosso i segni di una lotta spietata, la divisa lacerata e strappata era talmente intrisa di sangue che gocciolava da alcuni lembi. Il ragazzo che la sosteneva aveva uno sguardo vacuo in cui si potevano leggere solo enorme sofferenza e preoccupazione.

“Hikaru, ho bisogno che tu mi indichi…anzi, che mi porti allo studio del Dottor Tofu! Il tempo stringe, Kijo sta male e ne ho già perso abbastanza”

“Non preoccuparti, è molto vicino. Seguimi!” Gosunkugi fece rapidamente strada e svoltò nella seconda stradina a destra: cento metri più avanti c’era lo studio medico.

“Grazie, non so come ringraziarti!” gli si rivolse Ryoga, entrando in fretta

“Permettimi di aspettare notizie di Kijo: vorrei tanto dire una preghiera per la sua guarigione” lo seguì il ragazzo, con lo spirito subito dietro

“Dottore! Siete in casa? Abbiamo un’emergenza!” gridò Ryoga

“Per tutti gli scheletri di nome Betty, Ryoga! Che succede per sbraitare così? Sto visi-…” Ono si bloccò non appena vide Kijo in quello stato. Anche Ryoga ad una prima occhiata non se la passava benissimo, ma la ragazza sembrava più grave. Si domandò cosa ci facesse l’altro ragazzo accompagnato dallo spirito, visto che ormai era troppo tardi per un parere medico, ma tenne per sé questa perplessità. Fece stendere Kijo sul lettino dell’infermeria, mentre mandò Gosunkugi a scusarsi col paziente che aveva in terapia, pregandolo di pazientare. Il tipo in questione era un ometto di una settantina d’anni, sdraiato bocconi sul lettino, coperto da nient’altro che un asciugamano legato in vita. Il dottore gli stava praticando una sessione di agopuntura, poiché sottilissimi aghi erano infilzati in alcuni punti strategici della schiena. Gosunkugi notò un libro sulla scrivania che raffigurava uno schema per il posizionamento degli aghi e non riuscì a resistere. Pensò che in fondo non sarebbe stato molto diverso rispetto a quando infilava gli spilloni nelle sue bamboline e preso dal desiderio di provare applicò due o tre aghi sulla schiena del signore, che rimase impassibile.

“La sua aura è parecchio debole, comincio a veder delinearsi il suo spirito al di fuori del corpo” disse con tono piatto Kogame, che fino a quel momento era restata in silenzio: gli occhi le erano diventati rossi per qualche istante e dalla sua figura emanava una luminosità azzurrina più intensa. Ryoga non riuscì a trattenersi e dette un pugno sul bracciolo del divano su cui si era seduto, facendo fuoriuscire uno sbuffo di piume. Gosunkugi finalmente li raggiunse nella sala di attesa e si sedette su una sedia di legno.

“Spero che il vostro dottore riesca a salvarla, ho simpatia per quella ragazza che mi ha aiutata a poter tornare sulla terra quando voglio” parlò ancora Kogame, sempre monocorde

“Credi che dovremmo avvertire Ranma?” suggerì Hikaru, rivolto a Ryoga.

Lo sguardo del ragazzo si infiammò e non riuscì a fermare due lacrime di afflizione e collera
“Ranma? Dove diavolo era Ranma mentre le sue spasimanti mentecatte pestavano a sangue Kijo? Perché non l’ha accompagnata a casa come al solito? Ogni volta che c’è di mezzo lui finisce male per chi gli sta dintorno!” Ryoga era talmente irato che ringhiò quest’ultima frase, respirando affannosamente e tremando fuori controllo.
Gosunkugi si preparò ad obiettare sollevando un dito, ma lo riabbassò e richiuse la bocca dopo un attimo vedendo lo stato in cui versava Ryoga: si teneva la testa tra le mani, coi gomiti appoggiati sulle cosce, gli occhi chiusi e i denti digrignati. A ragione pensò che le sue parole non avrebbero sortito alcun effetto.

Dopo una ventina di minuti il Dottor Tofu riemerse dall’infermeria e comunicò ai ragazzi
“I suoi parametri adesso sono leggermente più stabili, ma ancora non ha ripreso conoscenza. Ha perso parecchio sangue. Molto dipenderà da come passerà la notte, quindi vi consiglio di tornare alle vostre case e ripassare semmai domattina: immagino sia stata una giornata difficile per tutti”

Gosunkugi annuì con aria seria e si alzò dalla sedia, seguito da Kogame
“Bene, Dottore. Grazie per adesso, so che la mia amica è in ottime mani. Adesso andrò a casa ad allestire un piccolo altare in modo da elevare una preghiera per la sua pronta guarigione. Tornerò domani ad informarmi sulle sue condizioni”

“Certo, abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile” disse Tofu stringendo la mano a Hikaru, che si congedò. Ryoga invece rimase fermo sul divano, il labbro che tremava e la gamba destra che si agitava nervosamente su e giù.

“Ryoga, mi piacerebbe darti un’occhiata se sei d’accordo: il tuo polpaccio non ha un bell’aspetto e sembri aver subito tagli e contusioni”
Il ragazzo fece cenno di sì col capo stancamente e si diresse nell’infermeria zoppicando leggermente. Fece a malapena in tempo a vedere Kijo sdraiata nell’ultimo letto della fila che Ono tirò una tendina separatrice e gli chiese di spogliarsi. Mentre si sfilava i pantaloni, che si erano rovinati irrimediabilmente, Tofu si rivolse di nuovo a Ryoga, chiedendo
“Tu sei al corrente di cosa le sia successo?”

“Sì. Beh, in realtà non completamente. So solo che per qualche motivo è stata attaccata contemporaneamente da Shampoo, Ukyo e Kodachi e che non si sono risparmiate nella lotta” spiegò il ragazzo appoggiando la maglia sulla sedia vicina al lettino.

Tofu annuì meditabondo e afferrò lo stetoscopio per cominciare ad auscultare Ryoga.
“Ti è andata bene: quelle tre sanno essere alquanto pericolose, soprattutto se stringono alleanze tra loro. Ti consiglio di farti una doccia, così poi potrò medicarti le ferite e potrai tornare a casa”

“Potrei…rimanere per la notte?” chiese Ryoga guardando il pavimento

“Se ti senti più tranquillo rimani pure, come vedi qualche letto a disposizione ce l’ho” gli sorrise Tofu.
 
Il ragazzo prese l’asciugamano che il dottore gli porse e si avviò verso il bagno. Come si mise sotto il getto di acqua calda iniziò a sentire tutte le ferite e le contusioni che frizzavano e pulsavano. Il tono dell’adrenalina lo stava abbandonando e una pesante stanchezza con annesso un fastidioso mal di testa si stavano impadronendo di lui. Non appena riscese in infermeria ne parlò col medico, che gli dette un paio di compresse da deglutire con un bicchiere d’acqua. Fece un respiro profondo e si lasciò disinfettare, medicare e fasciare le ferite, finché piano piano non scivolò tra le braccia di Morfeo.

Quando riaprì gli occhi doveva già essere notte fonda: si era svegliato perché aveva sentito Tofu entrare in infermeria a lume di torcia per controllare le condizioni di Kijo. Con un po’ di fatica si tirò a sedere sul letto e attirò la sua attenzione con la mano, poi bisbigliò
“Come sta?”

Tofu si avvicinò a lui e sussurrò
“I suoi parametri sono stabili e il respiro è regolare. Penso che domani riuscirà a svegliarsi. Tu piuttosto come ti senti? Vuoi mangiare qualcosa?”

Lo stomaco di Ryoga brontolò involontariamente a quella domanda e lui se ne vergognò. Ono sorrise e gli fece cenno di seguirlo in cucina.
“Guarda, qui c’è della zuppa di miso con soba, te la scaldo un pochino” parlò a bassa voce Tofu mettendone un paio di ramaiolate in un pentolino sul fuoco
“Da bere invece ho del tè, dell’acqua o una scorta industriale di Coca-cola, dato che Kijo non può farne a meno” ridacchiò il dottore con una mano dietro la nuca.
Il pensiero di una Kijo spensierata che sorseggiava una bibita ghiacciata scacciò per qualche momento la preoccupazione di saperla incosciente nella stanza accanto, quindi anche Ryoga si lasciò sfuggire un sorriso.

“Berrò un po’ di Coca-cola, allora. Alla salute della nostra amica”

“Ti faccio compagnia, almeno potremo fare un brindisi. E poi a dirla tutta spero che mi aiuti a digerire: stasera ho esagerato un po’ con le porzioni” commentò Tofu

“Alla salute di Kijo, allora” alzò il bicchiere pieno di bollicine marroni Ryoga

“Alla salute di Kijo!” rispose il dottore  
 
Prima di infilarsi sotto le coperte, il ragazzo sbirciò in direzione di Kijo e notò che stava tremando. Le si avvicinò e scorse il suo volto teso con gli occhi che si muovevano rapidi sotto le palpebre abbassate; anche il respiro era affannoso, quindi probabilmente era preda di un incubo. Istintivamente le prese una mano e la carezzò appena percettibilmente, con movimenti lenti e delicati, poi le spostò una ciocca di capelli dalla fronte, che sotto il suo tocco leggero sembrò rilassarsi. Quando il respiro tornò regolare Ryoga si permise di tornare a riposare.

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Capitolo 12
*** La resa dei conti ***


4 maggio
 
Ryoga si alzò presto quella mattina e poté constatare che il riposo gli aveva giovato non poco. Sentiva che gli erano ritornate le forze e diminuito il dolore derivante dalle ferite. Del mal di testa della sera precedente nessuna traccia. Gli cadde l’occhio sulla sedia su cui aveva appoggiato i suoi vestiti la sera prima e notò che non c’erano più: al loro posto stavano ripiegati un paio di boxer, dei pantaloni da ginnastica, dei calzini e una maglietta puliti. Indossò gli indumenti e scostò la tendina che lo separava da Kijo, scorgendola ancora addormentata, poi uscì in giardino per eseguire i kata quotidiani: non era il solo ad aver avuto quell’idea, poiché Tofu era già nel bel mezzo dei suoi esercizi.
“Buongiorno Ryoga! Dormito bene?” si informò il dottore

“Sì, grazie. Stamani sto molto meglio”

“Lo vedo da come appoggi la gamba. Se permetti un consiglio però, vedi di non strafare con gli allenamenti in questi giorni. Un po’ di pratica va bene ma con moderazione” lo redarguì il medico

“Seguirò il vostro consiglio. Grazie ancora per avermi assistito”

“Dovere. E poi è un piacere curare pazienti come te che nell’arco di dodici ore si rimettono in piedi: solitamente per vedere il minimo cenno di miglioramento devo aspettare delle settimane” il medico si toccò la nuca compiendo questa constatazione

“Immagino sia dovuto al fatto che i vostri pazienti sono prevalentemente anziani” arguì Ryoga

“Sì, non posso negarlo. Ma anche tra i più giovani è raro trovare chi possiede una forma fisica eccellente come te e Ranma”

Ryoga non commentò perché temeva di sapere dove il dottore volesse andare a parare, ma non fu così diretto
“Tu come conosci Kijo? Non sapevo che aveste fatto amicizia…beh, in realtà non che mi racconti molto delle persone che frequenta, però, ecco, non ti ci facevo”

Ryoga sospirò e rispose, sferrando un calcio all’aria
“Me l’ha presentata Ranma…anzi, in effetti ci siamo incontrati per caso davanti al Furinkan e Ranma che la stava spiando dall’albero è poi sceso a presentarci. Devo molto a Kijo, posso dire che mi ha salvato la vita” rimase sul vago non sapendo se il dottore sapesse cosa era successo in sua assenza

“Oh, immagino che tu le abbia ricambiato il favore allora. È una ragazza un po’ particolare, ma sembra una che non si risparmia quando ha a cuore qualcuno”
Ryoga scelse la via del silenzio ancora una volta, concentrandosi sugli esercizi.

Stavolta la domanda del dottor Tofu non si fece attendere
“Credi che dovremmo avvertire Ranma di cosa è successo?”
 
Ranma arrivò a scuola in orario una volta tanto. Era sabato e le lezioni non erano obbligatorie, ma dato che si tenevano delle ore di recupero pensò di approfittarne per ripassare. A casa quella mattina si erano svegliati tutti sul piede di guerra: suo padre e Soun avevano bisticciato perché uno dei due aveva, secondo l’altro, barato a shangai, Nabiki aveva preteso il saldo di un vecchio debito e perfino Kasumi sembrava nervosa perché aveva lasciato una pentola per troppo tempo sul fuoco. Tutto faceva presagire una giornata funesta e se per qualche ora avesse potuto evitare l’ambiente domestico tanto di guadagnato.
Kotaro si presentò con la spilletta delle Olimpiadi di Matematica  orgogliosamente attaccata al petto, neanche fosse una medaglia al valore. Questo gli ricordò che non aveva neppure chiesto a Kijo come fosse andata la prova. Si guardò intorno ma non la vide a sedere al solito banco.

Che sia in ritardo? Strano però, non è da lei anche se è una dormigliona” rimuginava tra sé.

Anche Ukyo mancava all’appello, ma quello era piuttosto normale, invece Gosunkugi arrivò proprio sul suonare della campanella, di rincorsa, e prese posto.
Quando Ranma si rese conto che, almeno alla prima ora, Kijo non sarebbe entrata, un leggero senso di apprensione cominciò a serpeggiargli nello stomaco.
 
Al termine della prima lezione Hikaru si avvicinò a Ranma con sguardo colpevole
“Ehi, Saotome…posso parlarti un secondo?”

“Dimmi Gosunkugi, che succede?”

“Ehm, forse è meglio se usciamo un attimo dall’aula…” replicò il ragazzo con le occhiaie e senza attendere la risposta di Ranma si diresse verso la porta. Ranma lo seguì, incuriosito ma sempre pervaso da quella sensazione fastidiosa di cattivo presagio.
 
Quando furono lontano da orecchie indiscrete, Gosunkugi chinò il capo e confessò
“Ci ho riflettuto a lungo ma alla fine ho ritenuto opportuno che fosse meglio dirtelo” fece un respiro profondo e continuò
“Kijo sta male, sicuramente hai notato la sua assenza stamattina. Ieri, a quanto ho capito, è stata aggredita da Ukyo, Kodachi e Shampoo che l’hanno aspettata per strada per picchiarla a sangue. Non so bene in che momento della lotta è intervenuto Ryoga che è riuscito a trarla in salvo dal Dottor Tofu. Adesso è ancora lì, priva di conoscenza, sempre che non sia migliorata nella notte. Non ho sue notizie di stamani, pensavo di andare a trovarla dopo la scuola”

Per tutto il tempo Hikaru evitò accuratamente di guardare Ranma negli occhi; ogni frase che diceva era come se togliesse un peso dalla sua coscienza, tuttavia colpì Ranma come una raffica di macigni. Il ragazzo col codino non credeva alle proprie orecchie. Non poteva essere vero, Gosunkugi si era sicuramente inventato una delle sue storie strambe per chissà quale ragione. Era paralizzato. Kijo era priva di conoscenza. Le sue spasimanti l’avevano percossa tanto violentemente da farle perdere conoscenza e chissà quando (e se) si sarebbero fermate se non fosse intervenuto Ryoga. Ryoga l’aveva salvata, l’aveva raccolta da terra svenuta e l’aveva portata da Ono…come diamine c’era riuscito con quel suo dannato senso dell’orientamento? E Gosunkugi che c’entrava? Come faceva a saperlo? Perché nessuno lo aveva avvertito prima? Tutte quelle assurde informazioni vorticavano nella sua testa come sassolini in un tornado, creando cerchi caotici che razionalmente non riusciva a comprendere né accettare.
La paralisi dei suoi muscoli si tramutò a poco a poco in una vibrazione incontrollata, che sfociò infine in un dritto destro contro la parete del corridoio. Si volse verso Hikaru, con gli occhi azzurri ridotti a due fessure fiammeggianti

“Perché diavolo non me lo hai detto subito?” sibilò digrignando i denti e prendendo Gosunkugi per il colletto

“I-io v-volevo dirtelo! Davvero! M-ma Ryoga non era d’accordo. Dai discorsi che ha fatto penso ti ritenga responsabile di quello che è accaduto alla nostra amica, in un certo senso, e non ha voluto che tu fossi avvisato” balbettò Hikaru senza opporre alcuna resistenza

“E allora perché me lo stai dicendo adesso?” gli gridò in faccia Ranma

“Perché ci ho riflettuto tutta la notte…sono arrivato alla conclusione che era sbagliato tenerti all’oscuro” rispose Gosunkugi con un filo di voce.
Ranma mollò la presa dal colletto di Hikaru e corse fuori dalla scuola.
 
Corse come il vento, corse come un forsennato, non sapendo nemmeno bene perché; dopotutto la sua presenza non avrebbe aiutato Kijo a rimettersi più in fretta. Tuttavia il fatto di ignorare quello che le era accaduto gli sembrava quasi un torto a cui dover cercare di rimediare il prima possibile. In pochi minuti fu allo studio di Tofu e, scavalcato il cancello, si mise a bussare alla porta d’ingresso con insistenza.

“Dottore? Siete qui? Dottore!” gridava mentre continuava a bussare, maledicendosi poi perché solo in quel momento si era reso conto che tutto quel baccano avrebbe potuto disturbare i pazienti di Tofu. A volte aveva ragione Akane a chiamarlo stupido.

Pochi secondi dopo Tofu comparve sulla soglia e aprì la porta
“Ranma! Non mi aspettavo una tua visita così repentina. Ti avrei chiamato dopo la scuola”

“Ho aspettato anche troppo. Ditemi, come sta Kijo?”

“È fuori pericolo, però ha incassato parecchi colpi violenti, quindi prima di guarire del tutto ci vorrà del tempo. Ancora non ha ripreso conoscenza” gli spiegò Ono
Ranma strinse forte i pugni fino a farsi sbiancare completamente le nocche. Non aveva mai sentito così forte il desiderio di vendetta e giurò che le responsabili non l’avrebbero passata liscia.
Ryoga apparve alle spalle del dottore: anche lui pareva messo male, soprattutto perché ad un occhio esperto come quello di Ranma appariva evidente che si sforzava di non caricare troppo il peso sulla gamba destra.

“Io…vorrei vederla se è possibile” disse Ranma chiudendo gli occhi

“Beh, se ti può tranquillizzare non vedo perché no…si trova in infermeria” acconsentì il medico e si scansò per farlo passare

“Perché diamine non mi hai detto niente?” si rivolse a Ryoga, parlando a denti stretti, coi pugni sempre chiusi

“Perché non potevo tollerare di vederti, ok? Quando l’ho raccolta dall’asfalto, così malconcia e debole e indifesa non ho potuto fare a meno di odiarti per quello che le era capitato. Sono state le tue spasimanti a ridurla in fin di vita e averti di fronte mi avrebbe fatto salire ancor più la rabbia che provavo”

Ranma annuì lentamente, metabolizzando quelle parole come se fossero schiaffi. Ryoga aveva ragione: tutte le persone a cui voleva bene venivano sempre prese di mira da qualcuno che aveva conti, veri o presunti, in sospeso con lui.
“Grazie Ryoga. Se tu non fossi intervenuto sarebbe potuta finire molto male. Grazie per aver sopperito alla mia assenza ed evitato una tragedia” disse a bassa voce, sospirando pieno di rassegnazione

“Sono capitato laggiù per caso, Ranma, non ho alcun merito. Ti prego solo di cercare di risolvere i tuoi casini una volta per tutte, prima che sia troppo tardi” rimarcò Ryoga.

Il ragazzo col codino si diresse verso l’infermeria ed aprì piano la porta. Kijo era nell’ultimo letto, vicino alla finestra, con una tendina divisoria che la separava da un altro letto sfatto. Probabilmente anche Ryoga aveva avuto bisogno di essere curato ed era rimasto per la notte. Spostò la tendina e lo spettacolo che gli si parò davanti agli occhi gli fece gelare il sangue: Kijo era immobile nel letto bendata quasi completamente, con una flebo che le usciva dal braccio. Le sue labbra erano completamente tumefatte, aveva dei grandi ematomi sul volto e un sopracciglio spaccato. I suoi lineamenti erano irriconoscibili e la pelle era tesa e lucida a causa del gonfiore. Respirava autonomamente, ma talmente piano che Ranma non riusciva a scorgere neppure la cassa toracica che si alzava e si abbassava. Il ragazzo le prese la mano sinistra e notò le unghie spezzate e rovinate; la racchiuse tra le proprie mani e vi poggiò sopra la fronte: stava cercando di non piangere perché non era un comportamento che si addiceva ad un ragazzo, ma la sua rabbia e frustrazione erano tali che non gli rendevano il compito facile.
Dopo qualche minuto di immobilità le posò dolcemente la mano sul materasso e se ne staccò, animato da una nuova determinazione. Andò a cercare Ryoga, che era seduto sul portico, e gli intimò
“Adesso mi racconti tutto quello che sai, e non tralasciare dettagli”.
 
Le porte del Neko Hanten erano già aperte, ma i tavoli erano ancora vuoti. Era un po’ presto per il pranzo in effetti ma a breve qualche vecchietto abitudinario amico di Obaba sarebbe senz’altro entrato per consumare il pasto. Fu per quello che nessuno si scompose quando tintinnarono gli scacciaspiriti a contrasto con la porta ed essa fu spalancata. La vera sorpresa fu vedere Ranma Saotome in piedi sulla soglia.

“Lanma, mio adolato! Sei venuto a tlovalmi?” lo accolse con un gridolino Shampoo correndo nella sua direzione. Il ragazzo potè notare che, per quanto camuffati dal trucco e dalla sua camicia cinese a collo alto, portava ancora i segni della lotta del giorno prima.

“Vieni futuro marito, accomodati” lo invitò Obaba spostandogli una sedia al tavolo vicino alle cucine. Mousse roteò gli occhi al cielo ed emise un grugnito di insofferenza.

“Shampoo, se sei d’accordo volevo invitarti a fare una passeggiata con me” propose Ranma

“Oh, amole, come sono felice! Celto che vengo, tanto il planzo è quasi plonto, giusto bisnonna?”

“Vai tranquilla e divertiti, bambina mia. Se arriveranno dei clienti ci penserà Mousse a servirli, almeno si guadagna lo stipendio!”

“Ehi! Ma se non mi avete mai sganciato uno yen!” si lamentò il ragazzo occhialuto

“Taci, anatroccolo! Ti abbiamo sopportato solo per rispetto della tua famiglia, ma quando Ranma si deciderà a sposare Shampoo e torneremo tutti in Cina, finalmente non saremo più costrette a frequentarti!” gli urlò Obaba

“Allora sapete che vi dico? Che sono stufo di questa storia. D’ora in avanti gestitevelo da sole il ristorante!” così gridando Mousse si strappò il grembiule di dosso e lo gettò rabbiosamente per terra, poi uscì a lunghe falcate dalla porta

“Non ti preoccupare, gioia mia: quel cretino tra un paio d’ore al massimo sarà di nuovo qui. Vai pure a fare una passeggiata col futuro marito”. La ragazza non se lo fece ripetere due volte e si avvinghiò al braccio di Ranma, quindi si allontanarono insieme.
 
“Che cos’hai amole, pelché sei così silenzioso” gli domandò l’amazzone con aria preoccupata. Ranma ancora non gli aveva detto una parola e ormai erano arrivati quasi al parco; adocchiò la panchina più lontana dal sentiero e vi si diresse, trascinandosi sempre Shampoo sotto braccio.
“Vuoi limanele un po’ da solo con me? Lontano da sgualdi indiscleti?” ridacchiò la ragazza, con fare sornione

“Ho bisogno di parlarti, Shampoo” il ragazzo si fermò all’improvviso e si liberò dalla sua stretta

“Wo-ai-nii” gli si avvicinò nuovamente lei, socchiudendo gli occhi.

Lui irrigidì un braccio e lo pose davanti a sé per mantenere la distanza, lei quindi si fermò e lo guardò smarrita
“Sai Shampoo, io ritengo che tu sia davvero una bella ragazza, forse la più carina tra tutte le spasimanti che mi corteggiano…” il volto della fanciulla si illuminò, quel complimento detto dal suo Ranma le fece toccare il cielo con un dito “…eppure quando ti guardo, adesso, provo solo disgusto e repulsione.”

Quelle parole arrivarono come una secchiata d’acqua gelida alla ragazza: si sentì come trafitta da mille spilli e indietreggiò di un passo. Ma non finì lì.
“Hai provato in ogni modo consueto, soprannaturale, magico e illegale a sedurmi per legarmi a te e ti è sempre andata male. Ho anche creduto per un momento che fosse merito del sentimento che mi legav- ehm, lega ad Akane se tutti i tuoi dannati trucchi, tutti i tuoi sotterfugi e tutti i tuoi giochetti di prestigio non hanno mai funzionato, ma la realtà è un’altra, ogni giorno più chiara che mai: tu mi fai schifo. Non sopporto nemmeno di guardarti o averti vicino: tu mi sei intollerabile, mi fai venire il vomito, ti odio! Prima almeno potevo portarti rispetto, cercare di comprenderti in qualche strano modo o trovarti una parvenza di giustificazione poiché alla fine provavo stima per te, quel tipo di stima che si instaura tra due combattenti di arti marziali quando l’uno riconosce la forza e l’abilità dell’altro. Adesso mi hai portato via pure questo e mi è rimasto solo disprezzo da provare nei tuoi confronti. In tre contro una, ma a cosa pensavi?”

Shampoo si era portata una mano alla bocca spalancata e faticava a respirare regolarmente. Le spalle tremavano visibilmente e gli occhi erano colmi di lacrime.

“Sono venuto a dirti che mi fai ribrezzo e non voglio più vederti. Mi fai più schifo in forma umana di quando diventi un dannato gatto! Tornatene in Cina, cambia città, rimani a Tokyo, fai quello che ti pare: ma non osare più incrociare la mia strada o quella di Kijo perché giuro che ti farò fuori o morirò provandoci. Addio”
Detto questo Ranma girò i tacchi e se ne andò, lasciando la giovane cinese a singhiozzare disperata sul prato.
 
Quando Ranma arrivò di fronte al locale di Ukyo, fu sorpreso di trovare la saracinesca abbassata: dopotutto era già ora di pranzo e la ragazza non era andata neppure a scuola quella mattina, dove si era cacciata? Fece allora il giro dell’edificio e notò che da una finestra al primo piano filtrava la luce artificiale, quindi si decise a suonare il campanello. Passò qualche minuto prima che Ukyo si presentasse all’uscio dell’appartamentino adiacente al proprio locale e accolse Ranma sbarrando gli occhi e abbassando subito dopo lo sguardo. Non aveva per niente una bella cera: i capelli erano scompigliati e due profonde occhiaie solcavano il suo volto; al collo portava un collare ortopedico mentre il suo intero peso era appoggiato ad una stampella, quasi non riuscisse a reggersi ritta da sola.

“Ranma! Sei venuto a vedere come sto? Sono un po’ acciaccata in effetti: quel demente di Ryoga mi ha lasciata praticamente svenuta sul marciapiede e se non fosse stato per Tsubasa che era venuto a cercarmi non so che cosa sarebbe succes-”

“Non mi interessa, risparmia il fiato” disse laconico Ranma

“Come, prego?” sbatté le palpebre Ukyo, incredula

“Non me ne frega più niente di te, Kuonji, sono venuto per dirtelo a chiare lettere. Non sei più la ragazzina che ho conosciuto nella mia infanzia, non sei più neppure la ragazza che è tornata di fronte a me spacciandosi per la mia fidanzata anni dopo. Non so cosa ti sia successo, ma hai perso completamente la bussola e non ti riconosco più”

“Come sarebbe a dire? Io che ho fatto di tutto per te, che ho lasciato tutto per te, che ho lottato per te, che sono in questo stato per te, adesso vengo liquidata così?” si infuriò Ukyo, mostrando le proprie ammaccature

“Oh, ma tu non lo hai fatto certo per me, lo hai fatto per ottenere il giocattolino che ti era stato promesso a sei anni dai nostri deficienti di padri! Tu in realtà non mi ami, non mi hai mai amato, è solo che non sopporti di perdere. L’unica cosa che ami è preparare quelle tue stupide frittelle rinseccolite. Io non voglio più vederti, la mia amica d’infanzia per me è morta”

Ukyo fece un respiro profondo e il suo corpo vibrò dal dolore: non aveva ancora riacquistato la corretta mobilità, quindi ad ogni movimento sembrava procurarsi uno strappo muscolare.
“Di’ quello che vuoi, ma se l’è meritate tutte le botte che ha preso quella puttana! E tu ti sei invischiato nella sua rete con le scarpe e tutto: non ci saremo sempre noi a salvarti, Ranma”

Il ragazzo fu tentato di tirarle uno schiaffo, però riuscì a sopprimere il movimento in tempo
“Da quando stringi alleanze con le tue rivali storiche? Lo vedi che sei inaffidabile, Kuonji, e anche poco furba: se anche aveste tolto di mezzo Kijo, credi che la vostra tregua avrebbe potuto durare? Non pensi che il passo successivo sarebbe stato essere avvelenata da Kodachi o fatta misteriosamente sparire da Shampoo? Da quando poi ti comporti come un malavitoso? La ragazza che conoscevo era matura ed aveva un codice morale, tu sembri una psicopatica viziata! Sono certo che persino tuo padre sarebbe deluso da te”

“Non osare parlarmi in questo modo, Ranma!” gridò Ukyo scoppiando in lacrime “Tu sei stato la rovina della mia vita! Per correrti appresso e cercare di farti tener fede alla promessa che ci facemmo ho trascurato la scuola, ho trascurato gli amici e lasciato quello che mi restava della famiglia! Ho vissuto in funzione di te, ci sono sempre stata per te, per aiutarti, per consolarti, per sostenerti e per amarti in silenzio stando sempre un passo indietro. Ho elemosinato il tuo amore e mi sono accontentata delle briciole che ti sei degnato di elargirmi pensando che non mi ero impegnata abbastanza, che potessi fare di più per te, che avessi bisogno di nuove dimostrazioni da parte mia. Mi hai portato via tutto, Ranma, mi sei rimasto solo tu e le focacce rinsecchite che mi sfamano. Ma tu non ti sei mai sforzato di vedere la situazione dal mio punto di vista: prima hai accettato il fidanzamento con Akane senza battere ciglio ed io ho pazientato, sperando che saresti rinsavito e ti saresti reso conto che non si può costruire una relazione solo sui litigi; non mi hai neppure ringraziato quando ho contribuito a mandare all’aria il matrimonio, impedendoti di fare un errore madornale! Quando poi è arrivata quella darkettona italiana e tu ti sei avvicinato a lei spontaneamente e hai preso a trascorrere tutto il tuo tempo con lei noi, abituate a lottare per ogni minuto passato con te non abbiamo potuto accettarlo. Non è possibile, deve averti stregato o qualcosa del genere, secondo Shampoo. La mia teoria invece è che ti rincretinisca tramite prestazioni sessuali. Kodachi teme invece che ti stia drogando con qualche impiastro che prepara in quel suo dannato laboratorio”

Ranma rimase sconvolto da tutte le parole che Ukyo gli vomitò addosso: era come se avesse rotto una diga e il fiume liberato bramasse di travolgerlo. Mentre piangeva e urlava i suoi occhi emanavano una luce che non poteva essere ricondotta alla sola rabbia. Le sue frasi, sebbene nella sua testa dovessero essere ancorate saldamente le une alle altre da un filo logico, apparivano sconnesse e buttate fuori alla rinfusa, come se fossero state pescate alla cieca da un baule. Il ragazzo si rese conto che aveva bisogno d’aiuto, serio e professionale: allo stato in cui era arrivata non poteva sopravvivere indenne al risentimento che provava nei suoi confronti, rischiava di trasformarsi definitivamente in un pericolo per se stessa e per gli altri. Non era più padrona nemmeno del suo sguardo, che schizzava come impazzito da lui a un posto lontano non ben identificato, al pavimento, alle proprie mani tremolanti. Quando la scarica di adrenalina l’ebbe attraversata, crollò su se stessa come un castello di carte e si lasciò andare alle convulsioni, quindi con una notevole prontezza di riflessi Ranma balzò all’interno della casa e digitò il 119 sulla tastiera del telefono posto sul mobile d’ingresso.
 
Mentre aspettava l’arrivo dell’ambulanza, Ranma si accorse che Tsubasa si era fatto vivo al cancello di Ukyo; stranamente non indossava alcun travestimento stravagante, sembrava solo un semplice ragazzo in maglietta bianca e jeans slavati. Aveva in mano un mazzo di fiori gialli, il colore preferito da Ukyo, e quando alzò gli occhi e lo vide a terra con la testa di Ukyo sulle gambe per poco non gli prese un coccolone

“Ranma Saotome!? Che diavolo ci fai qui?”

“Tsubasa Kurenai. Ukyo si è sentita male e ho chiamato un’ambulanza, sto aspettando che arrivi. Credo abbia avuto una specie di crollo nervoso”

Il ragazzo aprì il cancello e si avvicinò alla soglia della porta
“Ieri sera quando l’ho trovata lasciata ai margini della strada come un sacco di immondizia mi sono sentito morire. Ho chiamato un dottore che conosco per farla visitare a casa, le ha medicato le ferite e le ha prescritto delle pillole e delle sedute di fisioterapia. Però non è solo il suo corpo ad aver bisogno di cure: già da tempo avevo notato che un disagio la stava lentamente ma inesorabilmente logorando, ma purtroppo non ci ho dato troppo peso. Se tu me lo permetterai, Ranma, vorrei starle vicino in questo percorso. So che lei ama te, anzi, è ossessionata da te, ma temo che la tua vicinanza almeno in questa primissima fase non la aiuti”

“Ti ringrazio, Tsubasa, credo anch’io che tu sia la persona migliore che possa avere al suo fianco per affrontare questa…ehm, riabilitazione”


La sirena dell’ambulanza squarciò violentemente il silenzio del quartiere e l’improvviso stridio dei freni indicò che erano giunti all’indirizzo richiesto. Scesero due paramedici con una barella e vi caricarono rapidamente Ukyo. Tsubasa salì con loro, mentre Ranma chiuse la porta alle sue spalle e si allontanò.  
 
Due ragazzini plebei si stavano rincorrendo giocando a spararsi coi super-liquidator davanti alla villa dei Kuno. Ranma sostava lì davanti dopo aver suonato il campanello e il suo pensiero era rimasto ancorato alla situazione di Ukyo.
Non per questo ci andrò più leggero con quella matta di Kodachi” rifletteva tra sé mentre si lisciava la camicia tentando di avere un aspetto più ordinato.

“Prendi questo, mostro dello spazio!”

“Muori terrestre! Il mio raggio laser ti finirà!” la lotta dei ragazzini si era fatta più intensa e, proprio un momento prima che si aprisse il cancello, Ranma rimase in mezzo al fuoco incrociato

“Dannati bimbetti! E adesso come…” si strizzò la parte inferiore della camicia

“Ragazza col codino! Ho pregato tutti i Kami affinché mi riunissero a te e sono stato ascoltato!” Tatewaki l’aveva scorta e si era messo a correre verso di lei

“Ma porc-” esclamò Ranma prima di essere travolta dall’abbraccio soffocante di Kuno, che la scortò all’interno della sua villa

“Vieni, mia adorata, lascia che ti offra un tè…hai già pranzato?” le chiese premuroso

“Beh, in effetti, no” ammise la fanciulla guardandolo con gli occhioni azzurri

“Non dire altro, mio amore…lo sai che non devi digiunare per perdere peso: mi piaci così come sei!”

“Ehi, mi stai dando della cicciona?” si alterò Ranma schioccando una forte gomitata tra le costole del rampollo

“No, mia diletta…anf..tu sei perfetta” la rassicurò Tatewaki con una certa difficoltà dovuta al colpo subito. Si schiarì la voce ed urlò dal giardino

“Sasukeeee! Sasukeee! Di’ al cuoco di preparare un pasto per due!”

“Ma signore, non avete appena pranzato? Poi non vi lamentate se le divise da kendo vi vanno strette…” il ninja emerse da dietro un cespuglio, appena in tempo per prendersi una spadata di legno in testa

“Non osare contestare i miei ordini: non vorrai che lasci la mia magnifica ragazza col codino mangiare da sola?”

“Obbedisco signore…” il ninja sparì toccandosi un vistoso bernoccolo

“Cosa ti porta a visitare la mia umile dimora, dolce ragazza col codino? Sentivi la mia mancanza?”

“Ehm, sai Kuno, speravo che potessimo parlare seriamente…”

“Di matrimonio?” gioì il ragazzo, estraendo dei ventagli dalle maniche della sua divisa

“No, di tua sorella” lo placò Ranma
 
La sala da pranzo dei Kuno era enorme e sontuosa, arredata in stile tradizionale giapponese. Arazzi e vasellame ne impreziosivano i contorni, mentre armature da antichi samurai sorvegliavano il tavolo centrale in una muta e secolare guardia. Fu imbandito in onore dell’ospite un banchetto luculliano che spaziava dal sashimi freschissimo alla zuppa di tartaruga, passando per anguille arrostite, spiedini di polpo e spezzatini speziati di carne, il tutto condito con abbondanti ciotole di riso. Gli occhi di Ranma brillavano di fronte a tale abbondanza e per un attimo sentì l’impulso di gettarsi voracemente su quel ben di dio senza ritegno; tuttavia ricordò che per il buon esito della propria missione improvvisata avrebbe dovuto far leva sulla sua grazia femminile, la quale non poteva di certo abbassarsi ad un comportamento così gretto.
Prese posto quindi di fronte a Tatewaki e si lasciò servire dal cameriere una talmente misera porzione di onigiri che non poté reprimere una smorfia di disappunto. Il padrone di casa, dal canto suo, era imbambolato a fissarla con devozione.

“Ehm, dunque mio caro Kuno. Sono qui perché ti ritengo un uomo maturo e onorevole, portavoce di valori troppo spesso perduti in questa nostra civiltà moderna”

“Mi piace questo incipit, ragazza col codino. Sono proprio così in effetti, continua…” cercò di darsi un tono da ammaliatore Kuno, passandosi lentamente una mano nel ciuffo di capelli

“Ecco, ho pensato che dovessi sapere che sulla vostra nobile casata rischia di essere gettata l’onta della vergogna e del disonore a causa del comportamento vile e meschino di tua sorella Kodachi” Ranma fece una pausa ad effetto e ne approfittò per assaporare quello che aveva nel piatto. Fece poi un gesto eloquente al cameriere, mostrandogli il piatto vuoto, e prontamente le venne servita un’altra pietanza.

“L’accusa che muovi a mia sorella è molto grave, mia diletta. Che cosa avrebbe fatto di così terribile?”

“Io…spero che tu possa comprendere la difficoltà che ho nel parlarne. Sono argomenti cruenti per una ragazza sensibile come me, ma sono certa che tu potrai capire il mio turbamento” sbatté le ciglia Ranma

“Oh, mia cara! Se solo potessi cancellare dalla faccia della terra ogni cosa che getta un’ombra sul tuo incantevole volto!” Tatewaki le prese le mani tra le sue, esclamando le parole in tono solenne

“Ehm, ecco, appunto. Sapevo di poter contare su di te!” la ragazza si liberò con gentilezza dalla stretta e svuotò nuovamente il piatto, poi continuò
“Immagina come io sia rimasta scioccata nel venire a sapere che tua sorella, di nobili origini, si sia alleata con due teppiste al fine di tendere una spregevole imboscata ad una fanciulla che non le aveva arrecato alcuna offesa. L’hanno aspettata in mezzo alla strada e…” la ragazza col codino dovette fermarsi per bere un sorso d’acqua: era palese che l’argomento le provocasse un’indicibile sofferenza
“…l’hanno picchiata a sangue, tre contro una, hanno sfogato la loro rabbia bestiale contro quella creatura che non riusciva a opporre resistenza con violenza sempre maggiore e sono certa che l’avrebbero finita se un giovane non si fosse intromesso per difenderla”

“Che cosa mi stai dicendo, luce dei miei occhi…perché mai mia sorella dovrebbe aver compiuto un gesto così empio?” replicò Kuno, palesemente scioccato e incredulo

“Nobile e puro Tatewaki, temevo che il tuo cuore adamantino non sarebbe riuscito a comprendere la motivazione di tale folle gesto. Kodachi, così come Shampoo e Ukyo, hanno agito spinte da gelosia nei confronti di Ranma Saotome, a cui questa povera ragazza ha avuto la sfortuna di avvicinarsi, senza alcun secondo fine, negli ultimi tempi”

“No…non dirmi che la vittima è…la ragazza che viene dall’occidente!” si sbalordì il padrone di casa

“Esattamente. Tua sorella ha mostrato un comportamento meschino sotto talmente tanti aspetti che non mi stupirei che tu volessi ripudiarla…ha mancato nell’offrire ospitalità ad una straniera; si è alleata con persone di rango inferiore che ha sempre disprezzato, denotando assoluta incoerenza; ha evitato un confronto leale con la ragazza preferendo ricorrere a mezzi ignobili; infine, ma forse più importante, ha rischiato seriamente di trasformarsi in un’assassina”

Tatewaki era totalmente sconvolto. Si teneva la testa tra le mani non credendo alle proprie orecchie. Non si era mai interessato particolarmente all’educazione della sua piccola sorella e, sebbene fosse al corrente che aveva sviluppato un morboso interesse per i veleni, non aveva mai dato troppo peso alla sua inclinazione. Mai avrebbe creduto che sarebbe arrivata a tanto. Chi era davvero Kodachi? Come aveva potuto lui, capo famiglia da quando il padre se n’era andato, permettere che si riducesse a questo?

“Ehm, un’ultima cosa. Mi è giunta voce che Ranma Saotome sia furioso con lei quindi, se posso permettermi, fossi in te le consiglierei di stargli ben lontana mentre cerchi di darle una raddrizzata”

“Certo, mia angelica ragazza col codino. Farò tutto quello che è in mio potere per riportarla sulla giusta strada. Ne va del buon nome della nostra famiglia. Per quanto riguarda Saotome, meno ce l’ho intorno e meglio sto, quindi cercherò di porre fine anche a questa malata infatuazione” annuì Kuno con aria seria

“Un’ultimissima cosa: le mangi quelle polpettine?” sorrise sfacciatamente la ragazza mentre Tatewaki le porgeva il piatto.
 
Era ormai tardo pomeriggio quando Ranma riuscì a dileguarsi da casa dei Kuno. Tutto sommato aveva ottenuto una solenne promessa da Tatewaki ed era certo che avrebbe fatto di tutto per punire Kodachi. Probabilmente se le avesse parlato direttamente non sarebbe riuscito a ottenere lo stesso risultato: la sua mente schizofrenica avrebbe trovato il modo di interpretare le sue parole in maniera positiva per lei e quindi sarebbe stato tutto inutile.
Giunse a casa e trovò Kasumi che stava ritirando i panni rimasti stesi al sole tutto il giorno
“’sera” la salutò

“Oh, ciao Ranma! Ero molto preoccupata! Il dottor Tofu ha chiamato e ci ha, ehm, ha raccontato a Nabiki quello che è successo a Kijo. Sono andati a trovarla, pare che si sia sveg- ehi! Dove corri?” la Tendo maggiore rimase col cesto dei panni in mano a fissare la sagoma di Ranma rimpicciolirsi rapidamente.
 
Quando arrivò allo studio di Tofu notò che c’era una fila di vecchietti che attendevano fin nel giardino. Ranma non si fece troppi scrupoli e superò la coda agilmente, saltando tra un anziano e l’altro, ma scatenò la loro ira

“Ehi, non sembri star male tu!”

“Chi credi di sorpassare?”

“Questi giovani d’oggi…”

“Fai la fila come tutti!”

Si lasciò il gruppetto bubbolante alle spalle e corse in infermeria, dove senza troppe cerimonie spalancò la porta. La famiglia Tendo e Ryoga si voltarono simultaneamente verso di lui e sgranarono gli occhi: erano in formazione simil-calcistica e creavano una barriera tra Ranma e Kijo, in modo tale che non poteva vederla. Ryoga diede di matto e afferrò un lenzuolo dal letto di fianco, gettandolo addosso a Ranma e spingendo fuori dalla stanza quell’involto informe.

“Idiota di un Ryoga, ma sei impazzito?” prese a sbraitare divincolandosi e emergendo dal lenzuolo

“Io? Forse sei tu che ti sei bevuto il cervello! Cosa credevi di fare a entrare là dentro in questo modo?” urlò di rimando Ryoga

“In che senso? Ero preoccupato per Kijo e volevo avere sue notizie…” si grattò la nuca Ranma

“Ah, davvero? E ti sei reso conto che sei una ragazza?” incrociò le braccia davanti a sé Ryoga, una vena che pulsava sulla tempia. Ranma rimase di sasso, poi si tastò il petto sentendo le familiari forme morbide del suo seno. Dannazione, da dopo il colloquio con Kuno non si era più ritrasformato

“Ehm…grazie, te ne devo una” disse distrattamente a Ryoga mentre correva nel bagno di Tofu. L’eterno disperso si diede una manata sul volto, buttando gli occhi al cielo.
 
“Chi era?” domandò Kijo incuriosita a Ryoga quando tornò nella stanza

“Era…ehm, una paziente di Tofu che aveva sbagliato stanza” mentì spudoratamente Ryoga, risultando per nulla convincente

“Ah, ecco. Non sembrava affatto paziente da come ha aperto la porta” ridacchiò tra sé Kijo e si provocò un attacco di tosse dato il dolore che aveva stimolato al torace

“Beh, direi che sta senz’altro meglio: ha ripreso a fare le sue solite battute” commentò Nabiki con una punta di sarcasmo, tuttavia con evidente sollievo

“Povera bambina! Da oggi in poi io e Genma ti scorteremo personalmente a scuola e a casa ogni giorno per proteggerti. Non è vero amico mio?” dichiarò il signor Tendo con una nuova determinazione negli occhi

“Certo Soun ci puoi contare!” gli fece eco il signor Saotome, assumendo una posa da supereroe

“Ehm, vi ringrazio ma non è neces-” provò a intromettersi Kijo, ma nessuno la ascoltava dato che Nabiki aveva preso la parola

“Ehi, ma non doveva essere compito di Ranma quello?”

“Quel disadattato di mio figlio non è in grado di svolgere neppure i compiti più semplici! Ed è qui che entra in gioco il padre onorevole che cerca di farsi carico dei suoi errori e di porvi rimedio” sentenziò Genma con tono solenne, a occhi chiusi

“Chi sarebbero il figlio disadattato e il padre onorevole?” Ranma comparve in volo nella stanza, pronto a scagliare un calcio al genitore

“Maledetto! Guarda che cosa è accaduto per la tua noncuranza! Tu e le tue tresche con mille ragazze…” Saotome senior schivò agilmente il calcio e si preparò a contrattaccare con un montante

“Ma quali tresche con le ragazze, non è colpa mia se sono circondato da psicopatiche!” Ranma utilizzò il braccio del padre come perno per saltargli alle spalle e tentò di colpirlo con la tecnica delle castagne

“Ognuno richiama a sé quello che si merita, figlio debosciato. Ahi, che disonore per la nostra famiglia…” calcò la mano Genma, schivando gli attacchi

“Ehi, ma che sta succedendo qui? Cos’è questa baraonda?” Tofu irruppe in infermeria visibilmente alterato “Che vi è saltato in testa? Kijo ha bisogno di riposo per riprendersi! Uscite immediatamente dalla stanza!”

“Ma io sono appena arrivato!” protestò Ranma guardando in direzione di Kijo

“E adesso te ne rivai! Così impari a comportarti!” fu inflessibile Tofu. Uno dopo l’altro sfilarono davanti al Dottore e la ragazza li salutò agitando la mano.
 
“Posso almeno sapere come sta?” chiese Ranma scocciato agli altri, nel giardino di Tofu

“Secondo me sta bene adesso. Appena sono arrivata si era svegliata da poco ed era tutta presa ad abbracciare Ryoga…” buttò lì maliziosamente Nabiki. Il ragazzo con la bandana avvampò e iniziò ad agitare le mani di fronte a sé

“Non è vero! Cioè, sì, in un certo senso ma…che diamine! Mi stava solo ringraziando, Nabiki!”

“Sarà…ma io ho visto quello che ho visto. Se volete ho anche delle foto che lo provano!” disse estraendo una piccola fotocamera dalla borsetta. Ryoga provò ad afferrarla ma lei fu più svelta e la nascose nella sua camicetta, certa che nessuno avrebbe osato prenderla da lì

“Sei diabolica Nabiki! Piantala di inventare storie dove non ci sono!”

“Oh, ma io non invento nulla. Mi limito ad esporre i fatti, Hibiki!”

“Ricordi Genma, com’erano travolgenti le emozioni quando eravamo giovani?” sospirò nostalgico Soun

“Lo ricordo bene…quell’ardore che ti pervade è qualcosa di introvabile, alla nostra età”
I due amici si allontanarono prendendo la via di casa e Nabiki fu subito dietro di loro, non prima di aver lanciato a Ryoga un ultimo occhiolino.  

“Ryoga! Smetti di fare l’idiota e rispondimi! Come sta Kijo?” tornò alla carica Ranma, sbuffando

“Perché non lo chiedi direttamente a lei, visto che è affacciata alla finestra dell’infermeria che ci sta fissando?”

Ranma si voltò in quella direzione e vide Kijo che ridacchiava e rivolgeva ai due un cenno di saluto.
Dopo lo smarrimento iniziale, si avvicinò alla finestra
“Ehm, ciao…come ti senti?”

“Mi sembra di essere una mummia, tutta fasciata in questo modo, però diciamo che almeno sono cosciente” la ragazza provò a sorridere ma desistette perché i cerotti sul labbro iniziarono a tirarle

“Non hanno voluto nemmeno darmi uno specchio: devo essere orribile!”

“Non preoccuparti, hai talmente tante bende che non ti si riconosce nemmeno! E poi stamattina eri messa molto peggio…”

“Ah, grazie! Tu sì che sai come consolare una ragazza, Ranma!” Kijo si finse offesa, ma in realtà era divertita

“Ch-che c’entra? Era per dire che pian piano ti stai riprendendo…” iniziò a giustificarsi il ragazzo, a disagio. Kijo gli fece una piccola linguaccia, dimostrandogli che stava scherzando

“Umpf! Sempre in vena di scherzare, tu! Perché non ti fai consolare da Ryoga, visto che è tanto bravo?” Ranma incrociò le braccia e torse la testa di lato serrando gli occhi

“È tanto bravo davvero e io gli devo molto. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se non mi avesse aiutata…” lo sguardo di Kijo si era fatto profondo e Ranma sciolse la posizione su cui si era impuntato e le si avvicinò

“Mi dispiace immensamente. Non avrei mai voluto che ti capitasse una cosa del genere per colpa mia”

“Non è colpa tua, Ranma. Non posso mica rimanere simpatica a tutti!”

“Sì, lo so…solo che, insomma, loro ti hanno attaccata perché pensavano che tu…noi…” Ranma era in forte imbarazzo e fissava il manto erboso del giardino

“L’ho capito benissimo, sai? Sono gelose perché sei il mio maestro di arti marziali e volevano dimostrarmi quanto non fossi degna di seguire i tuoi insegnamenti. In effetti un po’ di colpa ce l’hai, dovremmo programmare gli allenamenti con più frequenza!”

Ranma fu talmente spiazzato da quella bislacca teoria che cadde a terra. Kijo sembrava davvero convinta di quell’affermazione, ma chi poteva dire se non fosse un altro dei suoi trucchetti mentali? Fatto sta che l’imbarazzo di prima era scomparso, quindi tutto sommato non valeva la pena indagare più a fondo  
“Se tu non fossi così pigra potremmo farlo” ribatté Ranma, baldanzoso

“Ehi! Non sono pigra Maestro caro! È solo che le arti marziali non sono la mia unica ragione di vita come per te”

L’obiezione della ragazza effettivamente non forniva spazio a repliche: a volte si domandava come facesse a conciliare gli ottimi voti a scuola con le attività extrascolastiche, i pazienti di Tofu, il laboratorio e le arti marziali.

“Comunque volevo parlare con te di una cosa…”

I sensi di Ranma si misero immediatamente in allarme: per quanto non fosse un grande esperto in psicologia femminile, sapeva che se una donna chiedeva di parlare qualcosa sarebbe andato a finir male

“D-dimmi pure” cercò di apparire tranquillo il ragazzo, ma la sua voce vacillò leggermente

“Ecco, come sai Ryoga è accorso in mio aiuto e si può dire che io gli debba la vita…” cominciò Kijo, mentre un gigantesco groppo si formava pian piano nello stomaco di Ranma, il quale annuì senza proferire parola

“…quindi per sdebitarmi gli ho chiesto che cosa avrei potuto fare per lui…” il groppo nello stomaco del ragazzo crebbe e la gola cominciò a seccarglisi

“…gli ho detto che avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa e a quel punto…beh, è un po’ imbarazzante…” continuò Kijo, ma Ranma in quel momento non la stava più ascoltando.
 
Kijo entrò in una camera illuminata unicamente dalla luce della luna piena che filtrava dalla grande porta scorrevole prospiciente il giardino curato. Indossava un kimono nero di seta, che si armonizzava coi suoi capelli scuri e faceva da contraltare al pallore della sua pelle. Appoggiato con un braccio allo stipite della porta stava Ryoga, col torso nudo baciato dai raggi lunari che creavano giochi di luci ed ombre evidenziando la sua muscolatura guizzante. Si voltò verso Kijo, che teneva basso lo sguardo mentre si avvicinava a lui.

“Sei venuta dunque” constatò Ryoga con voce profonda

“Certo. Una promessa è una promessa” sollevò gli occhi verde scuro e brillanti la ragazza, verso quelli di Ryoga, vibranti di desiderio. In un attimo lui la strinse a sé e la baciò avidamente, nonostante le ciglia di Kijo fossero imperlate di piccole lacrime argentate. Poi strattonò la cintura del kimono facendolo scivolare alle sue spalle: Kijo rimase di fronte a lui indossando solo un babydoll di pizzo nero trasparente, che seguiva le forme del suo corpo esaltandole in maniera intrigante. Con un gesto fluido, Ryoga la prese in braccio e la adagiò sul futon preparato sul pavimento, quindi la sovrastò con tutta la sua imponente fisicità.

“Oh, Kijo, quanto sei bella…”

“Oh, Ryoga, quanto sei virile…”

Da un cespuglio di camelie scarlatte un fiore si staccò e cadde a terra.

 
“Oh, Ranma, ma mi stai ascoltando?” gli dette un pizzicotto sul braccio Kijo, guardandolo perplessa. Il ragazzo tornò immediatamente in sé e sussultò trovandosela davanti, poi il fastidio ebbe il sopravvento

“Allora, insomma! Cosa ti ha chiesto quel maiale?” Kijo lo scrutò ancora più perplessa, poi continuò

“Come ti stavo dicendo prima che tu perdessi il contatto con la realtà, mi ha chiesto se posso accompagnarlo all’aeroporto per andare a trovare Akane Tendo…ci tiene molto e vuol essere sicuro di arrivarci”

“Ah, tutto qui? E io chissà che mi credevo…” incrociò le braccia il codinato, con aria di superiorità

“Già, si può sapere a che pensavi?” indagò Kijo, ma non ebbe alcuna risposta se non un lieve rossore che si fece strada imperterrito sulle guance del ragazzo

“Comunque volevo dirtelo, perché so che tra te e Akane c’è…beh, insomma, quello che c’è, quindi volevo essere sicura che non ti desse fastidio che ce l’accompagnassi”

In effetti non l’aveva considerata da quel punto di vista e ne era sorpreso: era stato talmente forte il sollievo che la richiesta di Ryoga fosse totalmente diversa da ciò che si era immaginato che non aveva pensato che il suo amico, innamorato perso, sarebbe riuscito ad andare dalla sua fidanzata. Una lieve punta di orgoglio si risvegliò, ma la mise subito a tacere
“Tanto ci sarebbe andato comunque, con o senza il tuo aiuto, e me lo ha detto esplicitamente. Quindi non preoccuparti, salda pure così il tuo debito d’onore” sentenziò Ranma

“O-ok. Bene, mi sono tolta un peso!” sospirò Kijo

“Sapessi io…” si limitò a pensare il ragazzo, sorridendo.
 
Poco dopo il dottor Tofu entrò nella stanza per visitarla, quindi Ranma fuggì di soppiatto per evitare l’ennesima ramanzina. Kijo si sedette sul letto, mentre il medico le svolgeva le bende per controllare la situazione
“C’è bisogno di una nuova medicazione, vado a prendere la bacinella per pulirti le ferite” disse Tofu, alzandosi

“Pensate che potrei fare una doccia, prima? Prometto di stare attenta alle zone danneggiate, ma mi sento veramente sporca” chiese timidamente la ragazza

“Va bene, fai pure. Quando avrai finito provvederò al resto” le diede il permesso il medico, aiutandola ad alzarsi.

Kijo si sentiva parecchio indolenzita, ma volle incamminarsi da sola piano piano verso la sala da bagno. Aprì il rubinetto dell’acqua calda e aspettò un po’ finché non vide il vapore fuoriuscire dal box e posizionarsi sullo specchio, appannandolo. Meglio così, tanto non aveva ancora il coraggio di guardarsi, sarebbe stata solo peggio. Appoggiò il grande asciugamano che la copriva sul lavabo e lentamente entrò sotto la doccia. L’acqua calduccia che di primo impatto percepì come piacevole prese a bruciarle sconsideratamente a contatto con le lesioni, tanto che costrinse la ragazza a interrompere il getto. Si fece coraggio, pensando che comunque doveva lavarsi, e aprì solamente il rubinetto dell’acqua fredda: mentre scivolava copiosa sul suo corpo, sentì la familiare sensazione dei muscoli che si contraevano, la pelle perdere la consueta sensibilità e soprattutto i dolori anestetizzarsi leggermente. Riuscì a lavarsi con delicatezza, senza spugna e senza bagnoschiuma, solo ai capelli riservò una detersione con tanto di shampoo e balsamo, sempre con acqua fredda. Fece un ultimo risciacquo generale con un fiotto più caldo e poi si riavvolse nell’asciugamano.

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Capitolo 13
*** Tuniche cinesi, pigiami e divise bianche ***


 
14 maggio
 
Per almeno una decina di giorni Kijo fu costretta a rimanere a riposo. Per fortuna poté contare sull’affetto dei suoi compagni di classe che vennero in processione a trovarla per aggiornarla sui compiti, le lezioni e le novità in generale. Aveva proprio bisogno di sorrisi e distrazione, visto che a stare ferma a letto si sentiva inutile, tuttavia non poteva negare che le visite le procurassero un lieve stato d’ansia: non avrebbe mai voluto farsi vedere in quello stato, però fece buon viso a cattivo gioco e cercò di apprezzare la compagnia di tutti. Tranne che di Kotaro Ikeda, il quale non si fece vivo una sola volta.
Anche la famiglia Tendo prese a cuore la situazione di Kijo e furono molto presenti durante la degenza. Kasumi cercava di limitare le visite, consapevole che il dottore sarebbe potuto riuscire laddove le tre spasimanti di Ranma avevano fallito qualora avesse avuto la ragazza tra le mani in sua presenza, ma non mancava mai di mandarle qualche manicaretto o di preoccuparsi se avesse abbastanza biancheria pulita. Soun e Genma passavano dall’infermeria almeno a giorni alterni, per distrarla coi loro buffi racconti e informarsi sui suoi miglioramenti. Nabiki era la sua spacciatrice di gossip e allietava le sue visite con foto fresche di giornata su cui si divertiva a ricamare teorie di tresche e sotterfugi, che poi si rivelavano quasi sempre vere; avrebbe potuto essere un’ottima detective, se vi si fosse dedicata. Cercò addirittura di estorcerle informazioni in merito al suo rapporto con Ryoga, ma Kijo non cedette e amabilmente restò sul vago ad ogni domanda: non voleva che in qualche modo la signorina Tendo finisse per ostacolare la sua missione di accompagnare Ryoga all’aeroporto, quindi meno avesse saputo meglio sarebbe stato.
Perfino il panda inserviente dello studio si sforzava di tirarle su il morale, esibendosi nei ritagli di tempo in alcuni numeri con una palla o una ruota.
Ranma e Ryoga poi, erano stati due veri tesori: passavano a trovarla quotidianamente portando sempre un regalino, qualche golosità e tanta allegria, soprattutto quando capitavano assieme e si mettevano a bisticciare per i più futili motivi.
 
Quando Kijo riuscì a tornare a scuola, trovò una festosa accoglienza ad aspettarla. Sul suo banco era stata lasciata una coppa con una targa di metallo, che enunciava “Olimpiadi di Matematica 1991, 1° classificato, Rinekami Kijo”. Vederla le provocò un tuffo al cuore e l’affetto che tutti i suoi compagni (tranne Kotaro) e i professori le riservarono applaudendola per quel risultato la fece commuovere.
 
Il rientro di Kijo a scuola non fu l’unico evento della giornata: poco prima che la campanella decretasse l’inizio della pausa pranzo, la segretaria annunciò direttamente negli altoparlanti che era appena giunta notizia di un disastroso incidente ferroviario a Shigaraki, pertanto si invitavano gli studenti che avessero avuto parenti o conoscenti che abitualmente usufruivano di quella linea di sincerarsi dello stato di salute degli stessi. Tale notizia generò profondo shock nel corpo studentesco, tanto che molti iniziarono a uscire dalle aule per andare a telefonare ai propri cari potenzialmente coinvolti.
 
All’inizio della prima lezione pomeridiana, il preside Kuno si presentò con la consueta mise hawaiana nella seconda F per formalizzare un altro annuncio.
“Buon pomeriggio my dear students! È con vero piacere che vi presento un nuovo studente del liceo Furinkan, il quale from now on sarà vostro compagno di classe. Proviene dall’istituto Tomobiki, è uno studente modello e rampollo di una famiglia che si distingue per ricchez- ehm, rispettabilità. Ecco a voi Mendo Shutaro!”  

Dalla porta entrò un ragazzo moro, coi capelli tirati indietro dalla gelatina, di bell’aspetto. Indossava una divisa bianca nonostante la canonica maschile del Furinkan fosse blu scura e, dopo aver fatto un inchino appena accennato al resto della classe, schioccò le dita e un nugolo di servitori entrò rapidamente nell’aula distribuendo ad ogni alunno un cestino di vimini contenente dei prodotti alimentari inscatolati marchiati Mendo Industries. Il ragazzo sorrise confidando nel suo fascino e commentò
“Sviluppiamo anche armamenti per l’esercito, ma diventava più complicato omaggiarvi di un piccolo presente”

Uno stuolo di ragazze già lo guardava con gli occhi a cuoricino, tra cui Shinobu, cosa che indispettì fortemente Ataru Moroboshi. Dal canto suo Mendo fu subito colpito dalla bellezza sovrumana di Lamù e fece di tutto per sederle accanto.
 
Fu noto fin dal primo istante che Mendo teneva moltissimo a sottolineare la propria presunta supremazia sugli altri alunni: non lasciava passare un discorso senza menzionare la ricchezza della propria famiglia, la sua avvenenza, le conoscenze importanti che aveva, le proprietà di cui disponeva, la sua bravura negli studi e nello sport. Aveva poi la peculiarità di girare persino a scuola con una katana appartenuta a qualche suo avo, che non mancava di sfoderare quando qualcuno esprimeva una considerazione che secondo lui gli mancava di rispetto. Con le ragazze invece si comportava da Casanova gentiluomo, giocando col suo fascino e regalando a tutte complimenti e versi di poesie non appena se le trovava davanti. Se per la maggior parte delle signorine questo atteggiamento era vincente per fare colpo, Kijo ne rimase un po’ interdetta: innanzitutto mal sopportava le persone che si vantavano sempre, poi il fatto che con le donne facesse tutto il melenso le dava l’impressione che non le ritenesse degne di confrontarsi seriamente con lui, come teneva a fare con gli altri ragazzi; questo a suo avviso mascherava ma neppure tanto un maschilismo radicato. Naturalmente quando espresse questa opinione a Ranma le rispose che era la solita esagerata e rimuginava eccessivamente sulle parole delle persone, ma non si aspettava una risposta molto diversa da lui, quindi si limitò a ruotare gli occhi al cielo e lasciò cadere il discorso.
Anche Lamù, a dispetto dell’evidente intenzione di Mendo di impressionarla, rimase piuttosto insensibile alla sua ruota da pavone, soprattutto perché il suo tesoruccio vi era invece entrato in contrasto aperto ed ovviamente lei lo supportava.
 
Quando la campanella dell’ultima ora suonò la fine della lezione, Kijo si apprestò a uscire dall’aula tenendo orgogliosamente in mano la coppa delle Olimpiadi di Matematica e notò che Nabiki la stava aspettando subito fuori dalla porta con un foglio in mano
“Ehi, ciao Nabiki! Tutto bene?” la salutò allegramente

“Complimenti, piccola Kijo, sei proprio un geniaccio! Watanabe è in brodo di giuggiole da quando hanno annunciato i vincitori…” replicò la ragazza col caschetto con la consueta aria furba

“Ah, grazie…in realtà non ci speravo nemmeno più di tanto” ammise Kijo toccandosi i capelli dietro la nuca e sorridendo, sorriso che venne subito raggelato dallo sguardo di puro odio che le lanciò Kotaro uscendo, dopo aver sentito quelle parole

“No, decisamente non l’ha presa bene…nei giorni scorsi era anche peggio se questo ti può consolare” rivelò Nabiki, poi continuò “Comunque non è per questo che sono qui! Il prossimo fine settimana si tiene una gita scolastica a Nikko, una zona montuosa qua vicino. L’ha organizzata l’insegnante di ginnastica per fare trekking e immergerci nella natura e bla bla bla. Prima non te l’ho detto perché non sapevo in che condizioni di salute saresti stata, ma mi sembra che ti sia ripresa bene, quindi se ti va di partecipare questo è il modulo di adesione che scade oggi”

“Oh, grazie…tu ci sarai?” si informò Kijo

“Non credo, sgobbare e sfacchinare non mi è proprio congeniale” commentò la ragazza sbuffando anche solo all’idea

“Ok…allora vado a portare il modulo in segreteria, vieni con me?”

“Certo! Chi ti lascia da sola adesso dopo tutto quello che ti è successo?” le fece un occhiolino Nabiki, a cui Kijo rispose con una linguaccia.
 
In segreteria, davanti a loro, sostava Mendo Shutaro che chiedeva informazioni sulla gita. Nabiki lo adocchiò subito e chiese a Kijo, senza farsi sentire
“Ehi, ma quello chi è? Non l’ho mai visto! La divisa che indossa è cucita a mano con un tessuto pregiatissimo!”

“Quello è Mendo Shutaro, il nostro nuovo compagno di classe”
rispose Kijo senza troppo entusiasmo

“Che cosaaa? Avete in classe il rampollo delle Mendo Industries? Kijo, quel ragazzo vale miliardi!”
commentò a voce bassa Nabiki, senza poter frenare troppo la sua esaltazione

“Lo so, non fa che ripeterlo…è un disco rotto! Una persona davvero arrogante e…Nabiki, che diavolo stai facendo!”  Kijo si stupì vedendo Nabiki che si stava truccando e sistemando i capelli

“Dove ci sono i soldi ci sono io. Giuro che sposerò quel ragazzo e gestirò il suo impero economico, o non mi chiamerò più Nabiki Tendo!”  la ragazza col caschetto era salita sulla sedia per evidenziare la sua determinazione mentre Kijo la fissava dal basso perplessa, poi se ne uscì con una delle sue solite battute sceme

“Beh, alla faccia dell’amore a prima vista! Se non altro non ti cambierà molto il nome, da Nabiki Tendo a Nabiki Mendo…”

“Kijo, ho bisogno che tu me lo presenti”

“Certo, adesso andiamo…ti avverto che è già un boccone ambito tra le mie compagne di classe, ma se c’è una che può farcela quando si prefissa un obiettivo, quella sei tu! Intanto ti consiglierei di rivalutare la tua passione per le passeggiate in montagna, dato che si è appena iscritto alla gita…”
suggerì la ragazza con aria sorniona

“Uff, cosa non si fa per amore…” sbuffò Nabiki entrando in segreteria e andando casualmente a sbattere contro il ragazzo
“Ops, come sono sbadata…potrai mai perdonarmi?” si scusò Nabiki sbattendo le ciglia e rivolgendo a Shutaro un sorriso ammaliante.

Mendo dal canto suo le rivolse un piccolo inchino e replicò
“Non temere soave fanciulla, sei talmente leggiadra e graziosa che non avrei potuto distinguere il tuo lieve colpo da quello procurato da una farfalla”

“Ehm, ciao Nabiki, anche tu qui? Mendo, buonasera…” entrò in segreteria anche Kijo, fingendo nonchalance

“Rinekami Kijo, la ragazza la cui intelligenza è pari solamente alla gradevolezza del suo aspetto…che fardello coltivare entrambi, vero?” esclamò Mendo passandosi una mano nei capelli; il sangue di Kijo cominciò a ribollire ma cercò di trovare un contegno per Nabiki

“Eh eh eh…sono qui per iscrivermi alla gita a Nikko, sarai anche tu dei nostri?”

“Certo, è un’ottima occasione per legare coi nuovi compagni e temprare lo spirito in un territorio impervio e ostile” si gasò Shutaro

“Oh, davvero? Io non so se sarò forte abbastanza da sopravvivere a questa prova di resistenza…Mendo, giusto?” gli si rivolse Nabiki facendo ancora gli occhi da cerbiatta

“Non temere mia piccola farfalla, Mendo Shutaro farà di tutto per aiutarti a superare le avversità! E poi posso contare su una flotta che in ogni momento può consegnarmi tutti i generi di conforto che desidero” si vantò il ragazzo. Nabiki a quelle parole lanciò letteralmente il foglio compilato alla segretaria e si avvinghiò al braccio di Mendo lodandolo ed elogiandolo con urletti e frasi di stupore, che gonfiavano il suo ego come una mongolfiera. Se ne uscirono quindi insieme, dimenticandosi totalmente di Kijo che rimase lì inebetita con la segretaria che la sollecitava a terminare il modulo per concludere la pratica.
 
Una volta arrivata al cancello del Furinkan per tornare a casa, da sola a dispetto della promessa di Nabiki, Kijo si rese conto che Ranma la stava aspettando appoggiato al muretto, con la cartella ciondolante dietro le spalle
“Ehi, ce ne hai messo di tempo! Eri a fare gli agguati a Mendo?” le si rivolse sarcastico

“Ero in segreteria, ma non certo per quel pallone gonfiato che, a quanto pare, piace un sacco a Nabiki…” buttò lì Kijo

“Seriamente? Non ha mai manifestato alcun interesse per un ragazzo prima d’ora!” sbarrò gli occhi Ranma

“Credo che sia interessata ad altro, ma chi sono io per giudicare?” rispose la ragazza mimando il gesto dei soldi e allargando le braccia in segno di impotenza. Ranma dal canto suo sembrò afferrare solo in quel momento il concetto e annuì finalmente pago di quella spiegazione convincente.
 
“Quindi verrai anche tu in gita a Nikko? Non è un po’ presto considerando…tutto?” chiese Ranma mentre camminavano verso casa

“Preferiresti avermi fuori dai piedi?” scherzò Kijo, ridendo

“No, no, non è questo…mi chiedevo solo se fossi in grado dopo il recupero e tutto il resto” si affrettò a precisare Ranma

“Ah, sei preoccupato per me, forse?” affondò la ragazza sospettando già la risposta, ma soprattutto quanta fatica sarebbe costata a Ranma ammetterla

“Cosa? Io? No, no, figurati…in fondo tu non hai bisogno che qualcuno si preoccupi per te, giusto donna emancipata?” replicò il ragazzo dissimulando l’imbarazzo mentre guardava altrove. Kijo ridacchiò infastidendolo ancora di più

“Mi è di grande conforto sapere che posso contare su di te…grazie!” si limitò a dirgli, mettendogli una mano sulla spalla, facendolo arrossire e bofonchiare qualcosa di incomprensibile



“Mi raccomando, non portarti dietro cose inutili come al solito…bisogna viaggiare leggeri” aggiunse lui poco dopo per rompere il silenzio

“Io? Quando mai mi porto roba inutile?”

“Beh, quando siamo andati a Kurama avevi un bauletto pieno solo di trucchi e di creme” rifletté il ragazzo

“Oh, certo, ma quello è necessario! C’erano anche le medicine là dentro e poi, credimi, non vuoi vedermi senza trucco!” si giustificò lei

“Adesso sei senza trucco…che male c’è?” ribatté Ranma non comprendendo dove fosse il problema

Sembra che sia senza trucco, in realtà ho un make-up naturale”

“E a cosa dovrebbe servire?” domandò dubbioso il ragazzo

“A migliorare un pochino il mio aspetto facendo credere agli ingenui come te di essere così normalmente” spiegò Kijo

“Bah, secondo me ti fai troppe paranoie…quanto potrai mai essere diversa con o senza trucco?”
Kijo tirò fuori una fotografia dalla cartella e la porse a Ranma, il quale rabbrividì

“Cosa? E quindi saresti c-così senza trucco?” le chiese sbigottito, indicando la foto che ritraeva una donna bionda sui settant’anni, coi pantaloni leopardati e una sigaretta in bocca

“Ah, no scusa! Mi sono sbagliata! Quella è mia zia Assunta…” la ragazza riprese rapidamente la foto e scartabellò per un po’ nella cartella, senza ottenere risultato “Niente, devo aver lasciato quella foto in cassaforte, oppure per sicurezza l’ho bruciata”

“Bah, esagerata…vedi di ricordarti di portare un pigiama piuttosto” le suggerì Ranma

“Mi sa che hai ragione…la sensazione del sacco a pelo sulla pelle non è granché”

“Ma…ma…scusa, non pensi a chi deve condividere la tenda con te? E se un orso ci attaccasse e tu fossi costretta a scappare di rincorsa dalla tenda?”

“Nel caso dell’orso credo che la mia ultima preoccupazione sarebbe quello che indosso, mentre per quanto riguarda la mia compagna di tenda immagino che tra ragazze non dovrebbero esserci grossi disagi, no?” spiegò Kijo

“Insomma, fai come credi, io ti ho solo dato un consiglio…”

“Infatti lo apprezzo…Ranma?”

“Eh?”

“Mi accompagneresti a scegliere un pigiama?” gli domandò Kijo in tono sdolcinato

“Cosa? Perché devo portartici io?” cercò di togliersi l’incombenza il codinato

“Perché in fondo è stata un’idea tua…e poi sei il più grande esperto di pigiami che conosca!” esagerò la ragazza

“Uffa! Va bene, ma facciamo presto…” cedette lui e Kijo gli regalò un sorriso.
 
Il centro di Nerima era piuttosto trafficato quel pomeriggio e nell’aria si respirava ancora la tensione che la notizia dell’incidente ferroviario aveva sparso sulla popolazione. Gli strilloni facevano a gara per accaparrarsi clienti che acquistassero le ultime copie dei giornali, con gli aggiornamenti: pareva che almeno una quarantina di persone avessero perso la vita, mentre i feriti risultavano più di seicento.
“Povera Sayuri…pare che un cugino di suo padre sia stato coinvolto nell’incidente” disse Kijo in tono triste

“Che brutta esperienza, non oso immaginare” rispose Ranma, con aria grave.
La ragazza fu tentata di chiedergli se lui si fosse assicurato del benessere delle persone a lui care ma si morse la lingua: non amava parlare di quegli argomenti e non aveva mai menzionato alcun parente a parte il padre o nessun amico a parte i compagni di scuola e i Tendo. Sospettava che prima di trasferirsi a Nerima fosse stato molto solo e che non avesse legato davvero con nessuno, ma temeva che si sarebbe infastidito se avesse indagato, per cui non lo fece.

“Ehi, che aria pensierosa! Cosa stai architettando?” le diede un buffetto sul naso il codinato, riportandola alla realtà

“Oh, niente…stavo solo pensando a che colore mi piacerebbe per il pigiama” buttò lì

“Uhm, davvero? Non vorrai prendere nero anche quello spero!”

“Beh, perché no?” si strinse nelle spalle la giovane. Ranma si passò una mano stancamente sul viso e alzò gli occhi al cielo

“I pigiami devono essere colorati e allegri. Verdi, blu, rosa, gialli…ma non neri!”

“Ok, ok…l’esperto sei tu! Adesso entriamo in questo negozio e sentiamo cosa mi propongono” spalancò una porta Kijo, ma Ranma la bloccò trattenendola per il braccio ed esclamò

“Kami del cielo, questo è un negozio di abbigliamento, a te ne serve uno di biancheria e intimo! Ce n’è uno poco più avanti”

“Ah, ecco…forse cercare nel posto giusto renderà il compito più facile” sorrise nervosamente Kijo con una mano dietro la nuca, seguendo il ragazzo.
 
Non appena entrarono nel negozio di biancheria i due addetti alle vendite rivolsero loro un inchino gentile. La bottega non era molto ampia, ma era ordinata, luminosa e accogliente
“Come posso aiutarvi?” chiese la signora

“Ehm, ecco…io sto cercando qualcosa da indossare la notte, per dormire…” domandò Kijo. I due commessi si lanciarono l’un l’altro uno sguardo di complicità e poi la donna si rivolse nuovamente a loro

“Prego, potete accomodarvi vicino ai camerini. A te porto qualcosa da provare, mentre tu puoi sederti su quel divanetto, se vuoi”

I due ragazzi si collocarono dove aveva indicato la commessa, in un angolo reso appartato da pesanti tende blu, ma Ranma restò in piedi, sperando di sbrigare presto la commissione. La dipendente del negozio arrivò rapida con un paio di scatole in mano, che consegnò a Kijo, e poi le aprì la tendina del camerino sorridendo
“Se hai bisogno di aiuto con i laccetti chiedi pure. La misura dovrebbe essere giusta per te, fammi sapere se ti piace come stile”

Kijo prese le scatole con deferenza e le appoggiò su di un piccolo sgabello sito nel camerino. Aprì la prima e spalancò gli occhi per la quantità di pizzo che quel pigiama conteneva; tirando su l’indumento si rese conto che la commessa le aveva portato un bustino nero con inserti di pizzo abbinato a delle brasiliane svolazzanti. Si infilò alla bell’e meglio dentro quel completino, dubbiosa che Ranma avrebbe approvato tale scelta…dopotutto era nero!
“Posso aiutarti a sistemarti cara?” le chiese la commessa da fuori la tendina

“Sì, grazie…” rispose lei in tono quasi supplichevole

“Mi sembra che ti stia molto bene, no? Guarda, giusto una tiratina qui e puoi farti vedere dal tuo ragazzo. Ne sarà entusiasta” sorrise la lavorante mentre accorciava leggermente i laccetti che le passavano sulle spalle

“È molto carino” commentò Kijo guardandosi allo specchio e soprassedendo sull’enorme cantonata che aveva preso quella donna

“Oh, sì. Te lo sei scelto proprio bene!” le fece un occhiolino la signora, uscendo dal camerino e tirando la tendina, per far vedere il risultato al ragazzo che aspettava. Quando il suo sguardo, in un primo momento ballerino tra gli scaffali del negozio, si posò su Kijo, rimase totalmente impietrito e il tempo sembrò decelerare fino a scorrere a rallentatore. Improvvisamente la gola gli fu secca e trovò volentieri a tentoni il divanetto dietro di sé per sedersi.
Lo sguardo della giovane si rabbuiò leggermente, quando si rese conto che non aveva intenzione di proferire alcun giudizio: probabilmente le stava malissimo e non sapeva come dirglielo per non offenderla.

“K-kijo…n-non credo che sia questo il genere che d-dovresti cercare…” si espresse finalmente Ranma guardando verso il soffitto

“Non ti piace perché è nero, giusto?” domandò lei, sperando che fosse solo un problema di colore

“No, è che…è p-proprio s-sbagliato!” commentò il ragazzo allargandosi un po’ il colletto della casacca che portava, sempre evitando di guardarla direttamente. Notando però che le due donne lo stavano fissando in attesa di una spiegazione, si decise a continuare, rivolto alla commessa
“Per l’amor del cielo, signora, non avete qualcosa di più coprente da darle?”

Dopo quella richiesta la donna si dileguò verso uno scaffale lontano, ma si rese conto benissimo dell’espressione ferita che la ragazza cercava disperatamente di dissimulare. Quando tornò al camerino, con altre due scatole in mano, notò che lei si stava ancora guardando nello specchio, come per capire cosa ci fosse di così sbagliato in quel riflesso. Le lasciò quindi le nuove scelte e sussurrò, prima di tirare la tendina per permetterle di cambiarsi
“Per quanto mi riguarda ti sta molto bene. Se lui non lo apprezza è proprio uno stupido”.
 
La sfida fu vinta da un pigiama di cotone viola con stampati la luna, il sole e le stelle ma a dispetto dei consigli di Ranma, Kijo decise di acquistare anche il primo completino che si era provata. A fronte della spesa sostenuta, la ragazza ebbe in omaggio una canottiera maschile per il suo “fidanzato” che recitava Sopravvissuto ad una giornata di shopping con lei. Molto divertente. Soprattutto quando Ranma cercò di negare in tutti i modi la loro presunta relazione. Ma che problemi aveva? Cosa gli importava se un paio di sconosciuti che lavoravano in un negozio li scambiavano per fidanzati e così ci rimediava pure una canottiera gratis? Era così repellente l’idea di averla come ragazza? Era così repellente lei, come quando indossava il completino? Su quello si era impuntata, che gli piacesse o no, che fosse adatto o no, a lei piaceva e lo avrebbe preso.
 
Dopo un po’ che camminavano in silenzio, Ranma si decise a commentare con noncuranza
“Bene, mi serviva giusto una nuova canottiera per dormire…”

“Ah, davvero? E perché non l’hai comprata allora?” replicò lei, ruotando il busto nella sua direzione per fissarlo dritto negli occhi

“Dato che me l’hanno regalata, non vedo perché avrei dovuto prenderne un’altra” rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo

“Non l’hanno regalata a te, ma a me” precisò Kijo

“Sì, ma è una canottiera maschile. Si capiva che era per me che ti avevo accompagnato, anche dalla frase stampata sopra” continuò lui

“La canottiera è stata regalata al mio fidanzato, cosa che tu hai ampiamente dichiarato di non essere, quindi me la tengo” tenne il punto lei

“Ma infatti non lo sono!” si risentì lui

“Esatto, quindi niente canotta” terminò lei. Almeno per il momento. Di nuovo silenzio.
 
“Non ho ancora capito perché hai voluto acquistare anche il primo completo che ti ha proposto la commessa” ammise Ranma poco dopo, avvicinandosi nuovamente a Kijo

“Perché mi piaceva, anche se secondo te non mi stava bene” rispose lei, stupita che tirasse ancora fuori quel discorso

“Non ho detto questo, ho detto che non era adatto” esclamò lui, incrociando le braccia

“Ho capito, non era adatto a me, ergo mi stava male” sospirò lei

“Non intendevo quello…non era adatto alla situazione, al campeggio in tenda!” si scaldò il codinato, poi continuò “In più non capisco cosa ci faccia tu, visto che non usi certi indumenti per dormire”

“Ok, ma ogni tanto mi può piacere indossare delle belle cose” si giustificò lei, anche se in fondo non immaginava ancora dove volesse andare a parare

“Ogni tanto tipo quando viene a trovarti il tizio dei boxer?” buttò lì con noncuranza Ranma

“Il tizio dei box- oddio, ancora con quella storia?” cambiò espressione Kijo, diventando palesemente nervosa

“Magari vuoi regalarla a lui la canottiera che sarebbe spettata a me…” proseguì il ragazzo allusivo

“Uffa, che lagna che sei! Tieniti questa dannata maglietta!” Kijo aprì la borsa di carta, estrasse la canottiera, ne fece una palla e la lanciò a Ranma con veemenza

“Ehi, ma che modi! Non ti basterà quel completo per essere femminile se ti comporti così” sogghignò lui

“Caro, per essere inappropriato, pensi un po’ troppo a quel completo per i miei gusti…non preoccuparti, non dovrai vederlo più” gli sorrise maliziosamente Kijo, mettendolo a tacere.
 
Poco prima del loro arrivo allo studio del dottor Tofu, la loro attenzione venne catturata da un ragazzo dai lunghi capelli neri con una tunica bianca di foggia cinese che stava inveendo contro una vecchietta. L’anziana signora dapprima aveva tentato di ignorarlo e andarsene ma successivamente si era spazientita al protrarsi delle esclamazioni di lui
“Ranma Saotome, non fingere di ignorarmi! Esigo una spiegazione!” si dimenava il ragazzo, mentre la vecchietta, persa completamente la calma, aveva tirato fuori dalla borsetta uno spray al peperoncino e si era messa a spruzzarlo, costringendo lo strano tipo a correre in tondo cercando dell’acqua per pulirsi gli occhi.

“Credo che cerchi te, deve averti confuso con quella anziana signora” commentò Kijo piuttosto basita dalla singolare scena 

“Idiota di un Mousse! Sono quaggiù! Cosa vuoi da me?” urlò Ranma facendo cenno con la mano al tipo. Sentendo la voce familiare, quello tirò fuori da un’ampia manica del vestito uno spesso paio di occhiali, ma nonostante tutto non poteva metter bene a fuoco dato che gli occhi gli stavano andando a fuoco.

“Se è un tuo amico posso portarlo allo studio e aiutarlo. Però se è un maniaco o un altro potenziale assassino preferirei evitare” sussurrò Kijo a Ranma

“Ranma Saotome…ahio, dannazione! Tu mi devi delle spiegazioni!” gridava al vento Mousse, le mani premute sugli occhi

“Va bene. Sembra piuttosto innocuo al momento, proviamo a curarlo e sentiamo cosa vuole” rispose il codinato. Kijo annuì e si avvicinò allo strano soggetto

“Ciao Mousse…ti chiami così giusto? Ho assistito alla tua disavventura con lo spray al peperoncino e posso aiutarti. Seguimi e ti porterò allo studio medico per curarti” gli si rivolse la ragazza cercando di prenderlo sotto braccio

“Tranquillo, talpa, sei in buone mani. Lascia che ti sistemi e poi risponderò alla tua domanda” aggiunse Ranma

“Ehi, tu devi essere la ragazza che ha sfidato Shampoo! Quella che si lamentava che il volantino non rendeva giustizia alle sue…” Mousse si fermò rendendosi conto che nell’appoggiarsi stava toccando il seno di Kijo e per questo si era sentito arrivare un forte pattone sulla nuca

“Tieni le mani a posto, razza di marpione!” lo redarguì Ranma infastidito

“Ah, quindi è vero? Tu hai lasciato Shampoo per stare con lei?” gracchiò Mousse, sempre alla cieca

“Mi sa che il tuo amico è un po’ confuso…perché non gli spieghi tutto per bene come hai fatto col commesso?” scherzò con una punta di sarcasmo Kijo, rivolta al ragazzo col codino

“Quanto me la menerai con questa storia?” sbuffò Ranma, mentre apriva la porta d’ingresso dello studio di Tofu

“Per di qua, vieni a sederti sul lettino” Kijo trascinò Mousse in infermeria, lo fece sedere e poi sparì in cucina

“Siamo sicuri che può aiutarmi?” domandò preoccupato il ragazzo cinese

“Oh, sì…adesso tornerà con qualche intruglio e vedrai subito meglio” lo rassicurò Ranma

“Ranma, parlami! Io devo sapere! Hai rotto definitivamente con Shampoo?” Mousse allungò la mano fino a intercettare il petto del ragazzo, quindi si aggrappò alla camicia e lo tirò a sé

“Ma cosa vai farneticando, idiota! Io non sono mai stato con Shampoo, non c’era niente da rompere!” così dicendo si liberò della stretta del cinese accecato con un colpo secco dato con gli avambracci

“Lo so che hai sempre sostenuto questo, ma non puoi negare che tu non ti sia mai opposto a lei con fermezza. Vi siete baciati, che diamine, e lei ti chiamava futuro marito! Hai accettato ogni suo abbraccio, ogni suo gesto di affetto, ogni pietanza che ha cucinato per te. L’hai perfino invitata ad uscire un paio di settimane fa! Tutto lascia pensare che non ti dispiacesse poi così tanto…” s’infervorò Mousse, accanendosi verbalmente a occhi chiusi contro il suo avversario storico

“Mi dispiace, Mousse, dovrai attendere qualche minuto per la replica di Ranma. Adesso ho bisogno che ti sdrai sul letto e ti lasci medicare”
A queste parole Ranma sussultò e poi si girò lentamente: alle sue spalle sostava Kijo, giunta con passo felpatissimo, che recava in mano un vassoio con due tazze e delle garze. Aveva sentito tutto, ovviamente, e in quel momento il suo cervello stava sicuramente elaborando le informazioni ricevute nel peggiore dei modi. La sua espressione, apparentemente calma, tradiva una punta di delusione, che si affrettò a nascondere dietro a un sorriso.

“Kijo, senti…” cominciò il ragazzo col codino, ma lei lo zittì subito invitandolo a farsi da parte

“Non ora, Ranma. Prima lasciami sistemare il tuo amico” commentò appoggiando il vassoio sul comodino accanto al letto su cui Mousse, obbediente, si era disteso. Ranma le fece spazio e si mise ad osservarla in silenzio. Dapprima strappò l’involucro di carta che conteneva una garza sterile e la tuffò nella tazza contenente un liquido bianco. Riprese poi la garza e, dopo averla strizzata leggermente, la passò con delicatezza sugli occhi di Mousse, che a quel tocco rabbrividì

“Bello freschetto, questo impacco!” commentò il paziente

“Ho pensato che ti avrebbe dato più sollievo” rispose Kijo ripetendo l’operazione più e più volte. Quando reputò di aver pulito abbastanza, imbibì due piccole garze nel latte e le pose sopra agli occhi del ragazzo cinese
“Adesso riposa per cinque minuti, mentre vado a filtrare il decotto” gli disse, ma non ottenne alcuna risposta. Il suo petto sia alzava e abbassava regolarmente ed il respiro si era fatto più profondo; un lieve ronfare tolse ai due ancora svegli ogni dubbio: si era addormentato.
 
Kijo si diresse verso la cucina e Ranma le fu subito dietro; mentre prendeva il colino per filtrare l’infuso che aveva preparato in precedenza, il ragazzo provò nuovamente a riprendere il discorso
“Mousse è sempre stato innamorato perso di Shampoo e non ha mai accettato la sua fissazione per me. Qualunque cosa tu abbia sentito, sappi che sono le impressioni di un ragazzo con una fortissima delusione d’amore, che mi reputa la causa di ogni suo male”

Kijo filtrò il liquido dorato in silenzio; era ancora un po’ troppo caldo, come indicavano le volute di vapore che si sollevavano dalla tazza
“Immaginavo una cosa del genere, ma fino a che punto tu sia interessato a lei mi sfugge. In fondo se quello che dice il tuo amico è vero e non è sintomo di un’allucinazione, ci sono stati baci, appuntamenti ecc” rispose Kijo, sempre concentrata sul suo estratto

“Tutto ciò che ha fatto è partito da lei, io non sono riuscito a bloccarla perché è molto furba e testarda e imprevedibile. Le avrò detto milioni di volte che non mi interessava, ma lei è convinta che dobbiamo sposarci perché l’ho battuta in un combattimento: è una stupida legge del suo stupido villaggio di Joketsuzoku” iniziò ad accalorarsi Ranma. In quel momento le proprie parole sembravano incredibili persino a lui, eppure non aveva detto altro che la verità!

Kijo annuì con poca convinzione, poi domandò
“Quindi non le hai chiesto di uscire un paio di settimane fa?”

Ranma si sentì in trappola in quel momento: non avrebbe avuto senso negarlo, ma se non avesse specificato il motivo per cui le aveva chiesto di uscire avrebbe avvalorato l’ipotesi di un suo interesse; d’altro canto, se avesse rivelato a Kijo che c’era uscito per vendicarla, lei stessa avrebbe potuto farsi un’idea…sbagliata? Era il termine giusto?

“E va bene, mantieni pure i tuoi segreti…del resto non è sempre così facile comprendere i propri sentimenti, no? Però credo che almeno a quel poveraccio del tuo amico tu debba una spiegazione, quindi non appena avrò finito di flirta- ehm, filtrare, torneremo in infermeria e chiarirete la questione…ok?” propose la ragazza tenendo la tazza in mano. Dimostrava un’espressione serena, ma Ranma non era del tutto convinto che fosse al cento percento autentica.

In quel momento il Dottor Tofu entrò nella cucina
“Oh, ciao Kijo, ciao Ranma! È per caso un vostro amico quello che sta russando sonoramente in infermeria?” chiese con una mano dietro la nuca

“Buonasera dottore! Sì, è un amico di Ranma che necessitava di cure mediche. Per questo ho pensato di farlo accomodare”

“Soffre di narcolessia?” ipotizzò Ono

“No, ma ha avuto un incontro ravvicinato con dello spray al peperoncino. Ho attuato la detersione con latte intero e poi ne ho applicato un impacco. Adesso ho qui pronto un decotto di amamelide, camomilla e eufrasia, per un successivo bagno oculare. Sto aspettando che si freddi” spiegò Kijo, con Ranma che annuiva fingendo di capire

“Bene, direi che sei sulla strada giusta. Finisci pure il trattamento e poi dimettilo. Io vado ad allenarmi un po’” Tofu li salutò con la mano, sorridendo compiaciuto, ed uscì dalla stanza.
 
Dopo che Mousse fu sistemato, Kijo si congedò per lasciare ai due ragazzi un po’ di intimità per parlare. Stavolta fu Ranma a prendere le redini del discorso
“Ascoltami Mousse, a me Shampoo non è mai interessata. Se le ho chiesto di uscire due settimane fa è stato per darle una strigliata: si è comportata molto male e non sono riuscito a perdonarglielo. C’era bisogno che qualcuno la mettesse al proprio posto, dato che per prima non si fa scrupoli a giocare con le vite degli altri”

Il ragazzo cinese apparve piuttosto colpito da quella spiegazione, si spostò col dito indice gli occhiali più vicino al volto e replicò
“Ha preso molto seriamente le tue parole sai? È tornata in Cina, a Joketsuzoku, e ha affrontato tutte le punizioni che il consiglio del villaggio ha ritenuto opportuno infliggerle per aver contravvenuto alle nostre leggi. Ha persino giurato che non si sarebbe mai più legata a nessun altro uomo! Io c’ero Ranma, ho visto lo sguardo vacuo dei suoi begli occhi porpora ormai spenti di rassegnazione. Solo l’influenza di Cologne è riuscita a risparmiarle la pena capitale, ma ormai lei è l’ombra di se stessa. Le hanno sequestrato tutte le armi e d’ora innanzi non potrà far altro che coltivare la terra o pascolare bestiame. Rin-Rin e Ran-Ran adesso sputano sul sentiero da cui passa e ha perso la stima di tutti” raccontò Mousse con aria seria, la voce che tremava leggermente al ricordo della fanciulla a cui aveva dedicato la vita 

“Ma-ma…scusa e tu come hai fatto a vedere tutto questo? E se lei sapeva che il suo destino sarebbe stato quello, perché è tornata nel suo villaggio?” domandò perplesso il ragazzo col codino

“Il giorno che tu sei venuto ad invitare Shampoo ad uscire sono stato come al solito deriso e schernito sia da lei che da Obaba. Per amore di Shampoo mi sono fatto trattare peggio di una pezza da piedi per anni, ma quel giorno in me è scattato qualcosa. Ho lanciato il mio grembiule da sguattero su pavimento del Neko Hanten e ho giurato che non sarebbe successo mai più, che non sarei più stato lo schiavo di nessuno. Sono quindi partito per la Cina, tornando al mio villaggio per cominciare una nuova vita, ma mai avrei immaginato di veder ricomparire Shampoo e la sua bisnonna solo qualche giorno dopo. Naturalmente si sono isolate da tutti ed è stato impossibile parlarci, per questo sono venuto fin qua a cercare spiegazioni” dopo questo lungo resoconto il ragazzo afferrò avidamente un bicchiere e lo riempì con la brocca d’acqua che Kijo aveva lasciato sul comodino
“Beh, mi dispiace per lei ma non posso perdonarla per quello che ha fatto. Kijo ci ha quasi rimesso la pelle, è andata troppo oltre” incrociò le braccia Ranma, con tono sprezzante

“Ah, ecco…quindi c’entra quella ragazza! E come mai non ce l’ha fatta a tirarsene fuori da sola? Dopotutto era già riuscita a sconfiggere Shampoo una volta, giusto?”

“Sì, peccato che si sia alleata con Ukyo e Kodachi e le abbiano teso un’imboscata. Contro quelle tre insieme avresti avuto difficoltà anche tu” spiegò Ranma

“Cavolo, doveva odiarla proprio tanto per abbassarsi a chiedere aiuto alle sue rivali storiche” si stupì Mousse

“Fatto sta che l’hanno ridotta in fin di vita e credo non si sarebbero fermate se non fossero state interrotte da Ryoga. Questo non mi va proprio giù!” si scaldò Ranma

“Ma quindi a te interessa quella ragazza?” Mousse avvicinò il proprio viso a quello di Ranma, come a squadrarlo meglio

“Che razza di domanda idiota fai, uomo-papera? Ti ha dato di volta il cervello? Già devo sopportare quella stupida fidanzata che mi è stata imposta, figurati se vado a cercarmi altre seccature!” si adirò Ranma

“Sai, uomo-donna, non è che dimostrare affetto o attaccamento per una persona ti renda automaticamente meno forte eh…rischi di allontanare le persone che ti vogliono bene con questo atteggiamento” gli rispose per le rime il ragazzo cinese

“Che si allontanino allora, chi se ne importa! Non mi metterò certo a piagnucolare per questo” sbuffò Ranma, con aria supponente. Mousse fece un sonoro sospiro, roteando gli occhi al cielo, poi continuò

“Bene, meglio così, perché ho appena visto un ragazzo calarsi giù dalla stanza di…com’è che si chiama?”

“Kijo, imbecille! Dov’è che l’avresti visto?” Ranma si precipitò alla finestra ed effettivamente scorse una figura maschile che correva in fondo alla strada, poi svoltò a destra

“Si è calato dal primo piano…immagino avesse qualcosa da nascondere se non ha usato l’uscita principale, ti pare? Comunque ci sta che abbia visto male, no? Dopotutto anche tu dici sempre che sono cieco come una talpa” asserì sarcasticamente il ragazzo cinese

“Posso sempre andare a chiederlo direttamente a Kijo” esclamò il codinato e fece per uscire dalla stanza, ma il commento di Mousse lo raggelò sul colpo

“E perché mai? In fondo che te ne importa? Inoltre credo che la ragazza potrebbe aver bisogno di…privacy in questo momento, ti pare?” sogghignò allusivo

“Umpf, sì, ok…sono affaracci suoi! Ma tu piuttosto, hai intenzione di tornartene in Cina?” cambiò discorso Ranma, ritornando a sedere sul letto di fronte a quello di Mousse

“In realtà non ho tutta questa fretta. Credo che mi farebbe bene un periodo lontano da Shampoo, per dimenticarla definitivamente. O per provarci, almeno. Sai se qualcuno offre lavoro, in zona?”

“Non saprei, però sospetto che a Ukyo Kuonji potrebbe far comodo un aiuto cuoco: per quanto Tsubasa le sia devoto, in cucina è una totale frana. Se dovesse andar male lì, fossi in te proverei in una coltelleria, dopotutto sei un esperto nel campo” sorrise ironicamente il ragazzo col codino

“O altrimenti posso trovarmi una fidanzata e vivere a scrocco della sua famiglia, giusto?” buttò lì il cinese; Ranma non gliela lasciò passare e cominciò un ennesimo combattimento tra i due che durò ben poco, in quanto Tofu accorse rapidamente a separarli

“Che diamine succede adesso? Fuori tutti e due se dovete distruggermi l’ambulatorio!”

“Avete ragione Dottore, scusatemi tanto. Grazie di aver permesso alla ragazza dal seno prosperoso di curar-ouch! Ranma, dannazione! Ok, me ne vado!” con un inchino Mousse si congedò, accarezzandosi la zona della nuca appena colpita da Ranma con un pugno, sulla quale, era sicuro, avrebbe presto sviluppato un bernoccolo.

“Che tipo strano, il tuo amico” commentò Tofu mentre prendeva Betty, lo scheletro su cui aveva imparato l’anatomia, e la faceva volteggiare in aria

“Sentite, Dottor Tofu, vi è mai capitato di far caso ai movimenti di estranei in giardino? Tipo da e per le stanze al piano superiore…”

“Oh, Ranma, sono così sollevato che tu abbia tirato fuori l’argomento! Non voglio sembrare pettegolo né all’antica, ma sarei estremamente più tranquillo se tu mi dessi qualche informazione sul ragazzo che frequenta Kijo! Abita in zona? È di buona famiglia? Ha la vostra età? Perché effettivamente visto di spalle sembra un po’ più grande…” iniziò a fare domande a raffica il medico

“Ehm…in realtà io non sapevo nemmeno che esistesse…cioè, lo sospettavo ma non ho idea di chi sia. L’ho solo visto uscire dal vostro giardino una ventina di minuti fa” ammise Ranma, con la testa che gli girava per tutte quelle informazioni

“Ah, davvero? Peccato, speravo di scoprire qualcosa di più…quello che so è che viene a trovarla almeno due o tre volte a settimana, che me ne accorga io per lo meno; mi sembra che sia biondo, a volte escono ma poi lei ritorna sempre da sola, altre volte svolgono la loro…frequentazione in camera sua e poi lui sparisce come un ladro nella notte. Non so Ranma, il fatto che sia tutto così misterioso e segreto da una parte mi fa preoccupare, ma d’altro canto so che Kijo è una ragazza assennata e non voglio entrare nella sua sfera privata se lei non desidera condividerla” Tofu era palesemente in pieno dilemma morale, aveva portato le mani sui fianchi mentre camminava su e giù per la stanza.

Ranma dal canto suo era incredulo, avere conferma di quei sospetti reconditi lo aveva destabilizzato: un conto era avere un’ipotesi che viveva solo nella sua mente, un conto era vederla concretizzata in carne ed ossa! A che gioco stava giocando Kijo? Perché una tipa smaliziata come lei avrebbe dovuto celare così alacremente ciò che stava accadendo? E perché a lui importava tanto?
“Magari provo a sentire a scuola se qualcuno sa qualcosa…Voi potreste invece domandare a Kasumi: è possibile che si sia confidata con un’altra femmina per parlare di certe faccende” concluse il ragazzo col codino prima di congedarsi

“Ah, Ka-ka-ka-kasumi! Certo! Come ho fatto a non pensarci prima?” esclamò Tofu rivolto a Betty.


 
 

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Capitolo 14
*** Non c'è limite al cam-peggio ***


24 Maggio
 
“…Gosunkugi Hikaru?”
“Presente”
“Ikeda Kotaro?”
“Presente”
“Kuno Tatewaki?”
“Presente”
“Lamù?”
“Presente”
“Mendo Shutaro?”
“Presente”
“Miyake Shinobu?”
“Presente”
“Moroboshi Ataru?”
“Presente!”
“Rinekami Kijo?”
“Presente”
“Saotome Ranma?”
“Presente”
“Tendo Nabiki?”
“Presente”
 
Dopo aver terminato l’appello degli studenti assegnati al proprio gruppo, il professor Torajiro Higuma diede il cinque all’autista del pullman, lasciandolo alquanto perplesso, e gli fece cenno di partire. Aveva già spiegato ai ragazzi le regole di comportamento per la gita, a suo avviso troppo restrittive: come potevano pretendere di avere una generazione soddisfatta e felice se gli adulti non facevano altro che imporre costrizioni all’energia dei giovani? Comunque, dal momento che faceva le veci di controllore , il professor Higuma si ripromise di non essere troppo fiscale e di non sottilizzare troppo se i ragazzi avessero provato a infrangere qualche piccola regola.
 
L’entusiasmo per la gita era palpabile: una volta seduti ai posti loro assegnati i ragazzi si scambiarono più volte facendo avanti e indietro sul pullman per assecondare le proprie esigenze.
Lamù abbandonò ben presto la sua compagna di fila, Kijo, per andare a sedersi in braccio ad un Ataru fin troppo voglioso di intrattenere una Shinobu che, a dirla tutta, sembrava molto più interessata ai movimenti di Shutaro. Il posto accanto al rampollo dei Mendo fu abilmente braccato da Nabiki, la quale ormai si era guadagnata una certa confidenza dopo aver stalkerato il ragazzo per tutta la settimana: tramite la sua rete di informatori, faceva sempre in modo di trovarsi nei luoghi bazzicati dal ricco erede e fino a quel momento era riuscita a strappargli un gelato, una passeggiata nel parco e un invito al cinema. Naturalmente si era procurata l’odio di quasi tutta la seconda F, ma tanto non le era mai interessata particolarmente la popolarità, se non proficua.
Quella confidenza non era sfuggita neppure a Kuno, il quale nutriva per Mendo una diffidenza atavica: andava in giro proclamandosi un novello samurai, ma la sua famiglia non poteva certo vantare la nobile tradizione dei Kuno! Erano solo degli arricchiti, a suo avviso, e di samurai nell’albero genealogico potevano contarne ben pochi; dopotutto bastava vedere l’atteggiamento lascivo e borioso a cui quel damerino impomatato si lasciava andare continuamente per capire quanto fosse lontano dagli onorevoli valori dei guerrieri per eccellenza. Inoltre, come corollario all’astio per Mendo, provava anche una sorta di lieve gelosia per Nabiki: il suo cuore era ovviamente diviso in parti uguali tra Akane Tendo e la ragazza col codino, tuttavia ogni tanto un tarlo continuava a tormentarlo…e se fosse stata davvero la cinica Nabiki la donna del suo destino? In fondo una previsione c’era stata in tal senso e non era del tutto convinto che fosse errata. 
Gosunkugi si era seduto da solo e stava provando a completare il rituale per evocare Kogame al suo fianco.
Kotaro e Kijo erano gli unici immersi nella risoluzione di strani giochi su carta, notò Ranma. Mentre Kotaro stava terminando un classico sudoku, lo schema di Kijo era diverso e lei non vi inseriva numeri, ma strani simboli che si ripetevano a cadenze irregolari. Il ragazzo col codino non poté far a meno di notare quanto si somigliassero quei due: entrambi bravissimi a scuola, davano molta importanza alla cultura e amavano le attività solitarie. Tra loro poi si era instaurata quella sorta di competizione arcinota a tutti ma…se fosse stata solo una montatura? Se fosse stato Kotaro il ragazzo di Kijo?
Forse sentendosi ostinatamente osservata, Kijo alzò gli occhi da quello strano gioco che faceva e voltò la testa, incrociando per un secondo lo sguardo di Ranma, che si affrettò a distoglierlo.
Pochi attimi dopo, quasi si fosse teletrasportato, il professor Higuma apparve sul sedile accanto a Ranma e quest’ultimo balzò per lo spavento
“Sai, caro ragazzo, la consumerai se continui a fissarla così…” gli lanciò uno sguardo complice e il ragazzo col codino deglutì dall’imbarazzo

“Glom! Andiamo p-professore, cosa dite? Io non stavo…non ero…”

“Vuoi una dimostrazione pratica?” esclamò Torajiro estraendo un metro rigido pieghevole da carpentiere e iniziando ad aprirlo “Ecco, tu sei qui e la direzione del tuo sguardo arrivava esattamente…” l’estremità del metro toccò la spalla di Kijo, che si voltò nuovamente “…a lei!”
Ranma diventò paonazzo e tutti si girarono a guardare quello strano aggeggio che percorreva tutto il pullman. Come se non fosse abbastanza imbarazzante, il metro prese a illuminarsi a intermittenza, creando una linea luminosa tra Ranma e Kijo

“Vi prego, mettete via quel coso! Io non stavo affatto guardando lei” si scaldò il ragazzo incrociando le braccia

“Ah, no? Allora c’è un’altra opzione che non avevo considerato…” il professore allungò ancora di più il metro luminoso nella stessa direzione fino a colpire la nuca di Kotaro, che bofonchiò per il fastidio “…è lui che fa battere il tuo cuore, non è vero?” annunciò il professore con un microfono, cosicché tutti tornarono a fissare la peculiare scenetta.

Ranma in quel momento si sentì come pietrificato, poi iniziò a ribollirgli il sangue e gridò
“Ma che diamine andate blaterando! Non sono gay, mi piacciono le ragazze!!”

A quel grido rispose con trasporto Moroboshi, che, rischiando la scossa da Lamù, esclamò a sua volta con un sorriso a trentadue denti

“Ben detto fratello! Anche a me!” per poi far scivolare distrattamente la mano sulla schiena di Shinobu

“Guarda che non c’è niente di male ad essere un po’ confusi riguardo alla sfera della sessualità…non devi vergognarti, sentiti libero di esprimere le tue preferenze” cercò di calmarlo il professore, con tono comprensivo

“Per favore, potreste andare a…consolare qualcun altro? Io non ho bisogno di ascoltare questi discorsi!” si stava spazientendo Ranma, un vena pulsante sulla tempia

“Ma tu sei lo stesso ragazzo che l’anno scorso aveva tentato la fuga d’amore con la sua compagna di classe? Dov’è lei adesso? Mi sembrava che le famiglie avessero infine dato il consenso al matrimonio…” rifletté il professore

“Se vi riferite a quella rozza e priva di sex appeal di Akane, sappiate che adesso se ne sta in Italia a fare lo scambio culturale” chiuse gli occhi Ranma, poi incrociò le gambe, con aria di sufficienza

“Ah, ecco! E quindi tu, che senti terribilmente la sua mancanza, stai rivolgendo il tuo interesse alla ragazza che l’ha sostituita! Tipico meccanismo di transfert…” meditava tra sé Higuma 

“Ranma Saotome, come osi ledere l’onore di Akane Tendo in contumacia! Pagherai per questo!” Kuno si avventò con la fedele spada di legno sul sedile del codinato, il quale con un salto evitò il colpo

“Ma sei impazzito Kuno? E chi sarebbe questa Tumacia?” rispose Ranma sprezzante, in posizione di difesa

“Idiota di un Saotome, se tu aprissi ogni tanto i libri sapresti che in contumacia significa in sua assenza, senza che sia presente” replicò scocciato Kotaro, senza alzare gli occhi dallo schema difficile del sudoku

“Benvenuti ad una nuova puntata di Oh, quanto sono bravo, adoratemi!, un one-man show assolutamente non richiesto a cura di Kotaro Ikeda!” disse Kijo con tono da presentatrice televisiva. Qualche risata soffocata si sollevò dalle retrovie.

“Ehi ragazzetta! Chi ti ha interpellato? Tornatene in silenzio a fare i disegnini nelle griglie!” le abbaiò Kotaro

“Ragazzetta? Ha parlato il grande uomo…e comunque queste sono parole crociate!” alzò la rivista che teneva in mano

“Ok, vediamo se ho capito bene…Ranma ancora non è sicuro se gli piace più Kijo o Kotaro, mentre Kuno ce l’ha con Ranma perché ha abbandonato Akane Tendo, la quale è partita dalla disperazione per la rottura…cavoli ragazzi, c’è un sacco di tensione repressa!” fece il punto il professor Higuma

“Non vi sfugge niente prof!” commentò sarcasticamente Nabiki prima di continuare il giro di poker che aveva organizzato: aveva già tirato su millecinquecento yen!

“Ma che dite! Io non c’entro niente, sono Kijo e Kotaro che forse stanno insieme!” disse Ranma, a voce un po’ troppo alta. Seguì un sospiro di sorpresa generale seguito a sua volta da un insistente chiacchiericcio. I due diretti interessati si voltarono all’unisono con aria totalmente smarrita e incredula.

“Sì, in effetti durante la settimana ho sentito qualche voce in merito” bisbigliava Shinobu a Gosunkugi, il quale confermò, coinvolgendo anche l’eterea Kogame

“Ho sentito che qualcuno faceva domande su un misterioso ragazzo di Kijo, ma non immaginavo che fosse proprio lui”

“Ebbene, dato che nessuno ha indovinato nel toto-scommesse riguardo al fidanzato di Kijo, mi terrò tutti i soldi delle puntate” annunciò Nabiki intascandosi un fascio di banconote

“Ma pensa te, quello si definisce il mio migliore amico e mi tiene nascosta una conquista del genere…sei un verme Kotaro!” sbuffò Moroboshi

“Vi siete per caso bevuti tutti il cervello? Come vi viene in mente un’assurdità del genere?” ruppe il silenzio Kijo, visibilmente infastidita. Non era una tipa che perdeva le staffe con facilità, per cui quell’exploit lasciò basito l’intero pullman
“E poi, scommettere sulla mia vita privata, far circolare voci che non stanno né in cielo né in terra, come vi permettete? Quello che faccio fuori da scuola è solo affar mio!” non voleva essere così teatrale, ma non era proprio riuscita a contenersi: la rabbia, la delusione e l’angoscia che le ribollivano dentro come in un calderone fuori controllo trasparivano dai pugni chiusi che vibravano lungo i suoi fianchi, dalla voce che tentava in ogni modo di non far tremare e dagli occhi fiammeggianti. Diavolo, non avrebbe proprio dovuto prendersela così tanto per una stupidaggine del genere! Che razza di imbecille era? Adesso sì che si sarebbero alimentate le voci sul suo conto e tutti avrebbero continuato ad indagare…a starle addosso…e se qualcuno l’avesse scoperto? Era una stupida, non ci era stata abbastanza attenta, adesso tutti sapevano di quell’uomo che faceva parte della sua vita…immaginò le occhiate se fosse venuto fuori, lo scandalo…Si morse il labbro inferiore con forza, quasi a farselo sanguinare, poi ritrovò un barlume di lucidità e cercò di mitigare la sua reazione sconsiderata
“Coooomunque…perdonate il mio sfogo ma sono ancora nervosa per la rottura…ebbene sì, ci siamo lasciati, quindi vi chiedo, per pietà, un po’ di privacy per elaborare la cos-” non fece in tempo a terminare la frase che Ataru le era già saltato al collo, mentre Kuno e Mendo si erano offerti volontari per vendicare il suo onore e dimostrarle che non tutti gli uomini erano dei viscidi bastardi. Nabiki sbuffò scuotendo la testa mentre Ranma si passò una mano sul viso roteando gli occhi.
Solo Kotaro restò totalmente impassibile a tutto quel teatrino e girò pagina per cominciare un nuovo schema.

“Ragazzi, se c’è un problema che tutta questa faccenda ha evidenziato è che avete estremo bisogno di un corso di educazione sessuale; inutile nascondere la testa sotto la sabbia. Pertanto cominceremo con la visione della videocassetta approvata dal nostro Ministero dell’Educazione” proclamò Torajiro parlando nel microfono. L’autista dell’autobus inserì la cassetta e venne proiettata in ogni piccolo schermo posto sopra tutte le file di sedili. Il video consisteva nel monologo di un piccolo ometto giapponese che spiegava ai ragazzi l’importanza dell’astinenza fino al matrimonio, per poi enunciare, rosso come un pomodoro, una sciorinata di metafore su cavoli, cicogne, api e fiori.

“Ehi, e questa sarebbe educazione sessuale?” strillò Moroboshi decisamente deluso. Al suo grido fecero eco numerose manifestazioni di insofferenza

“In effetti non c’è nulla di scientifico in questa lezione…” commentò Kijo, rivolta direttamente al Professor Higuma, che annuiva con comprensione

“Ottimo! Kijo si è offerta volontaria per preparare un’esposizione scientifica sull’educazione sessuale!” comunicò direttamente nel microfono Torajiro e da tutto l’autobus si sollevarono fischi, applausi e grida di incoraggiamento

“Kijo, io voglio assisterti nella dimostrazione pratica!” urlò Ataru, beccandosi una scossa dalla sua fidanzata aliena. Dal canto suo Kijo era rimasta di sasso: l’ultima cosa che voleva era tenere una lezione del genere davanti a tutta la classe, soprattutto con tutte le voci che giravano allegramente sul suo conto

“Ehm, professore…non credete che forse sarebbe più opportuno che a parlare di questo fosse qualcuno di più, come dire, esperto?” provò a tirarsene fuori

“Giusto! Ma tu se non sbaglio abiti con un dottore, vero? Non ti sarà difficile convincerlo a tenere la lezione insieme a te, no?” le lanciò un sorriso smagliante Torajiro

“Eh…vedremo, posso provare a chiederglielo…” sussurrò a malapena la malcapitata

“Perfetto! E ricorda che la salute sessuale dei tuoi compagni dipende da te!” annunciò come uno slogan il professore, facendole l’occhiolino. Inutile dire che la frase fu oggetto di fraintendimenti e battutacce di ogni genere.
 
Arrivati ai piedi del monte Nantai, gli autobus scaricarono gli studenti coi loro bagagli per poi allontanarsi con l’accordo di ritornare la domenica pomeriggio. Gli alunni capitati sull’altro pullman, sotto lo stretto controllo di Hinako Ninomiya, presentavano facce estremamente sconvolte; qualcuno baciò perfino la terra al momento di scendere.
“Signor Kawasaki, non credere che non ti abbia visto! Cosa vuoi dimostrare con questo gesto? Insubordinazione? Mancanza di rispetto?” la professoressa bambina stava già agitando le braccia e le mani nel modo tipico dei suoi frequenti scatti d’ira, quando Torajiro le si avvicinò per cercare di calmarla

“Andiamo Hinako, è solo una ragazzata…per ridere!” le sorrise cortesemente

“Ragazzata? Questi sono dei teppisti Torajiro e vorrei vedere se saresti tanto tranquillo qualora minassero continuamente la tua autorità! Ehi, Mishima, cosa pensi di fare con quel cappio attorno al collo…?”

“È stato un viaggio terribile!” confidò Daisuke, avvicinandosi a Ranma

“Davvero! Ogni tre per due tirava fuori quella dannata moneta per risucchiarci l’energia…eravamo talmente spossati che non volava una mosca” confermò Hiroshi

“Invece il nostro viaggio è stato la sagra del pettegolezzo…una noia mortale” commentò scocciato Ranma

“Già, caro Saotome…della quale grazie a te io sono stata la portata principale! È tutta la settimana che te ne vai in giro a chiedere a destra e a manca notizie o ad alimentare voci sul mio conto e oggi per toglierti di dosso le premure del professore mi hai gettata in pasto ai leoni. Ma che cosa ti dice il cervello? Potevi semplicemente chiedermelo se volevi sapere qualcosa, senza tutti questi sotterfugi…” Kijo arrivò con aria di sfida e Daisuke e Hiroshi si defilarono all’istante. Aveva fatto in modo di rimanere in coda al gruppo, aspettando il momento giusto per affrontarlo direttamente senza che gli altri, che camminavano di buon ritmo un pezzo più avanti, dessero troppo peso ai loro discorsi. Lei sapeva. Era fottuto.

“Senti Kijo, io l’ho fatto solo per il Dottor Tofu: era preoccupato per te, che misteriosamente frequentavi questo tizio sconosciuto facendolo entrare e uscire dalla sua casa negli orari più improbabili! Si domandava perché non potesse entrare dalla porta come tutti, il motivo di tanta segretezza…a me non importa niente, puoi intrattenerti con chi ti pare!” il volto di Ranma si deformò in una smorfia di superiorità e leggero disprezzo

“Guarda che l’ho capito che non te ne importa nulla, non è necessario che tu lo ripeta in continuazione! Mi fa strano che Ono non me ne abbia mai parlato” rifletté Kijo fulminando Ranma con lo sguardo

“Non voleva essere invadente! Io gliel’ho detto che erano affari tuoi, che doveva lasciarti stare, ma lui non ha potuto fare a meno di preoccuparsi e mi ha pregato di scoprire qualcosa a proposito di Mister X. Credo che qualche spiegazione sui tipi che frequentano casa sua se la meriti, dopotutto, anche se sostano solo in camera tua. Ma questa è solo una mia opinione”

“Ranma, mi stai facendo innervosire. Smettila di insinuar-”

“Cosa? Quello che tutti sappiamo benissimo? Gli è almeno piaciuto il completino nero o non hai fatto in tempo a sfoggiarlo?”

SCIAFF

Senza attendere ulteriori illazioni, Kijo aveva fatto partire un sonoro schiaffo sul viso di Ranma, che adesso la guardava sconvolto.
“Vedo che provare la strada della comunicazione è totalmente inutile, a volte” disse gelida Kijo e accelerò il passo. Dopo poco si voltò nuovamente e, con lo stesso tono, aggiunse
“Scusa se ti ho fatto male” e corse via per raggiungere gli altri.
 
“Quella è tutta matta!” pensava Ranma mentre Mendo si stava nuovamente vantando davanti a tutto il gruppo del fatto che alcuni servitori avessero portato i bagagli e stessero montando la tenda al suo posto: i poveracci si erano caricati addosso anche quelli di Nabiki e di Shinobu, che si guardavano in cagnesco ormai da un pezzo.
“Cosa vuole dimostrare a comportarsi in questo modo? Prima fa l’amica, poi tiene segreta la sua doppia vita…fa tutta la razionale e si comporta in modo sconsiderato…quando uno glielo fa notare poi dà in escandescenze!” gli ingranaggi della mente di Ranma giravano così vorticosamente che quasi si potevano sentire ed era talmente assorto che non si rese conto fino all’ultimo che aveva montato la propria tenda al contrario.


L’entourage della tenda di Mendo era stato arricchito da ogni comfort, dalla piscina gonfiabile alla griglia per fare il barbecue, e sui tavolini di legno pieghevoli era stato già allestito un vasto buffet rifocillante verso cui quasi tutti si stavano riversando, più o meno rapidamente. Ataru si avventò sopra ad un vassoio contenente degli spiedini di polpo, svuotandolo in pochi bocconi: Mendo si arrabbiò tantissimo che non avesse reso il giusto rispetto a quel piatto che rappresentava il simbolo della sua casata e quindi prese a inseguirlo con la katana, mentre Moroboshi scappava afferrando casualmente altre leccornie dal banchetto. Kuno guardava quel decadente spettacolo pieno di disprezzo e si impose di non avvicinarsi nonostante i morsi della fame; obbligò pertanto Sasuke, che aveva fatto appostare in zona già da giorni, ad arrostirgli dei pesci sul fuoco.

Lamù non ebbe difficoltà a sistemare il proprio giaciglio, dato che altro non era che uno spazio extra-dimensionale mascherato da tenda: all’interno, sebbene sembrasse una normale canadese, avrebbe potuto ospitare l’intera classe. Venne attirata dalle urla del suo tesoruccio, quindi accorse al buffet per controllare che cosa avesse combinato quella volta.

Kijo stava provando una notevole difficoltà col montaggio della propria tenda: non era mai stata in campeggio prima e sebbene il rivenditore di articoli sportivi le avesse garantito che si sarebbe montata praticamente da sola, testuali parole, ciò non stava accadendo. Che rabbia! Quasi tutti avevano già finito da un pezzo quel compito e molte sue compagne in difficoltà si stavano facendo aiutare dai ragazzi più bravi, ma lei era troppo orgogliosa per chiedere aiuto. Doveva farcela da sola, se solo quel picchetto si fosse piantato un po’ più in profondit-ARGH! Si era appena schiacciata un dito, ma stoicamente represse l’urlo che le premeva prepotentemente in gola e guardò sconsolata la lenta e inesorabile formazione dell’ematoma.

“Uh, che botta! Ti serve una mano? La tua sembra messa maluccio adesso” in quel momento Ranma apparve da dietro un albero, vicino alla tenda di Kijo. Naturalmente.

Kijo sospirò e lanciò il martello per terra, dirigendosi verso il suo zaino, da cui estrasse un tubetto di crema che strizzò abbondantemente sulla mano; poi, massaggiandosela per farla assorbire, ribatté
“Beh, se proprio ci tieni…ma sappi che non posso prometterti di farti sgattaiolare nella mia tenda questa notte, ho già una lunghissima lista di prenotazioni, quindi non potrei dedicarti molto tempo…forse giusto dalle tre alle tre e mezzo…” finse di consultare un foglio

“Ok, questa me la sono cercata per come ti ho parlato…ma se tu non fossi così…priva di pudore, ecco, certe insinuazioni non verrebbero spontanee. Del resto se non fossi così non potresti insegnarci educazione sessuale” la schernì lui e raccolse il martello da terra, iniziando a fissare i picchetti

“Sono stata incastrata! Solo perché abito con Tofu non è che ho automaticamente tutte le conoscenze mediche sul campo!” confessò la ragazza, arraffando una busta di ghiaccio istantaneo e premendola sulla mano

“Magari hai conoscenze sul campo anche se non sono mediche” continuò a prenderla in giro Ranma

“Ehi, ma seriamente! Continui con questa storia? Guarda che ho sempre una mano buona per un altro schiaffo eh?” si offese leggermente lei, ma poi ritrattò quasi subito “A proposito, scusa ancora se me ne sono lasciata sfuggire uno…”

“È stato strano, in effetti. Di solito non sei così manesca. Non che tu mi abbia fatto male, ovviamente: hai la forza di un passerotto” Ranma le lanciò uno sguardo diretto e sincero: nei suoi profondi occhi blu tempesta non albergava la benché minima ombra di rancore “Comunque se l’argomento ti dà particolarmente fastidio, cercherò di non calcare troppo la mano…” aggiunse il ragazzo col codino mentre tendeva le corde per innalzare la tenda

“Non mi dà fastidio in generale…solo quando è eccessivo. A volte mi parli come se fossi molto più libertina di quello che in realtà sono. Non che ci sia nulla di male, in assoluto, è solo che non mi ci ritrovo” cercò di giustificarsi lei

“Di solito è questo il principio base del prendersi in giro: se dicessi le cose come stanno non funzionerebbe. Comunque questa tenda adesso è a prova di bomba, quindi puoi ospitare tutti quelli che vuoi, stanotte!” esclamò Ranma guardando soddisfatto il proprio lavoro, mentre Kijo gli rifilava un bonario buffetto sulla nuca.  
 
Shinobu si era seduta alla sinistra di Shutaro e, tenendo una ciotola di spezzatino di manzo in una mano, lo imboccava munita di bacchette con l’altra cercando di distogliere la sua attenzione da Nabiki, seduta alla destra del ragazzo. La Tendo aveva intavolato un discorso sulle strategie di marketing e pendeva dalle labbra del rampollo Mendo, che aveva colto l’occasione per spiegare i metodi innovativi che venivano utilizzati nelle sue aziende
“Mia piccola farfalla, non ti annoia sentir sempre parlare di questi argomenti?” le chiese il ragazzo con finta apprensione

“Oh, Mendo, credimi: potrei parlarne per ore! Non conosco argomenti più interessanti” sbatté le ciglia Nabiki, mentre Shinobu per poco non troncava le bacchette dalla rabbia. In quel momento Lamù dichiarò di voler andare a fare il bagno nel ruscello, quindi Shutaro, con un altro nutrito gruppo, si volatilizzò sperando di ottenere un buon punto di osservazione. Shinobu e Nabiki restarono un attimo interdette dalla rapidità della fuga e poi tornarono a guardarsi con astio.

“Bene ragazzi! Adesso che ci siamo accampati e rifocillati è l’ora di legare per bene gli scarponi ai piedi e cominciare il nostro percorso: saremo di nuovo al campo base tra quattro ore. La professoressa Ninomiya rimarrà qui a sorvegliare le vostre cose. Vi aspetto al punto di raccolta tra cinque minuti” esclamò Torajiro con l’entusiasmo che lo contraddistingueva. Nabiki sbadigliò annoiata, totalmente non intenzionata a partecipare a quella faticaccia: c’era un limite a tutto, anche agli sforzi per conquistare un ragazzo ricco! Si sollevò con difficoltà e poi zoppicò vistosamente fino al professor Higuma, attirando la sua attenzione con degli urletti di dolore

“Accidenti professore, temo che io non potrò partecipare all’escursione: credo di essermi slogata una caviglia. Ritengo sia più prudente che rimanga al campo base, a riposare la gamba…” cercò di blandirlo Nabiki, con un’interpretazione da Oscar

“Ma certo, signorina Tendo. Non preoccuparti e vai pure a distenderti. Per qualunque cosa chiedi pure alla professoressa Ninomiya” le rispose Higuma, indicando la donna con fattezze di bambina che lanciava gridolini rincorrendo una farfalla

“Ehm, certo, ho ben presente chi sia l’adulto responsabile in carica…grazie!” commentò la ragazza con una vistosa goccia di esasperazione in testa

“Dolce e fragile farfallina, sappi che se vuoi rilassarti con un bagno caldo ristoratore i miei servitori saranno a tua disposizione per esaudirti” le fece un occhiolino di complicità Mendo

“Oh, grazie infinite! Non osavo chiederlo ma sono certa che un buon bagno mi aiuterà a rimettermi in sesto” gli sorrise ammiccante Nabiki

“Bene ragazzi, non perdiamo altro tempo, in marcia!” li richiamò il professore, facendo da apripista.
 
Nonostante Lamù avesse perso del tempo a sollazzarsi nell’acqua di un ruscello, adesso era nuovamente in cima alla fila, subito dopo Higuma: la sua costituzione extraterrestre le aveva consentito di resistere alla bassa temperatura dell’acqua senza prendersi una polmonite mentre la sua capacità di volare le aveva fatto recuperare agilmente il ritardo. In quel momento camminava mano nella mano con Ataru, il quale, sebbene imbarazzato dalla confidenza che si era presa, l’aveva accettata di buon grado poiché la ragazza lo trascinava risparmiandogli una discreta dose di fatica. Naturalmente tutti gli altri ragazzi avevano notato il gesto e stavano sghignazzando e facendo battutine sui due.

“Ehi, mi spieghi perché stanno ridacchiando tutti di Lamù ed Ataru?” domandò Kijo a Ranma, che camminava senza sforzo alcuno

“Hai notato che si tengono per mano, sì?” rispose lui

“Sì, l’ho notato. E allora?” non era per niente più chiara la situazione a Kijo, che guardò nuovamente i due non trovando nulla di strano, per i loro standard almeno

“Beh, diciamo che tenersi per mano è considerato un gesto molto intimo, quindi non sta bene farlo in pubblico anche se loro si definiscono sposati…” cercò di spiegare il ragazzo col codino ad una Kijo esterrefatta

“Wow! Non immaginavo che il vostro senso del pudore arrivasse a tanto…”sgranò gli occhi la ragazza. In Italia le cose erano ben diverse e comportamenti assai più intimi tra partner venivano mostrati in pubblico, anzi, spesso lei era stata considerata troppo fredda e rigida perché non amava sbandierare il proprio affetto

“Non faccio fatica a crederlo, visto che ne sei totalmente priva!” alluse Ranma, guardando verso il cielo. Sebbene quando erano arrivati splendesse il sole, dei grossi nuvoloni grigi si stavano rapidamente ammassando all’orizzonte, promettendo una pioggia imminente. Nonostante queste premesse il professor Higuma non sembrava minimamente intenzionato a sospendere la camminata, anzi, incitava i ragazzi a mantenere un buon ritmo di marcia.

“Ma guarda te se devo rischiare di buscarmi un raffreddore!” piagnucolava Yuka mentre indossava il k-way impermeabile

“Dai, cosa vuoi che siano due gocce di pioggia!” commentò Shinobu mentre seguiva con lo sguardo ogni movimento di Mendo: il ragazzo aveva un’aria concentratissima e di tanto in tanto si voltava a chiedere ai compagni se avessero bisogno di bere, dato che i suoi servitori stavano portando svariate casse d’acqua su per il sentiero al suo seguito.

“Parli bene tu! Hai una salute di ferro!” replicò Sayuri mentre si bardava per l’arrivo della pioggia

“Già, bisogna tenere in considerazione anche chi è più gracile!” si sentì chiamato in causa Gosunkugi

“C-comunque n-non temere, Yuka…se vuoi ho un grande ombrello e posso dividerlo con te…” le propose Hiroshi, col volto paonazzo. La ragazza lo guardò riconoscente e arrossì a sua volta, quindi le sue amiche accelerarono un po’ il passo per lasciarli camminare fianco a fianco.
 
Nonostante la notevole fatica dovuta al fatto che la pendenza del sentiero era diventata assai più ripida, il panorama era decisamente mozzafiato: immersi totalmente nel bosco si poteva scorgere la distesa a perdita d’occhio di verdi alberi secolari che, come un soffitto naturale, proteggevano i viandanti dalla violenza della pioggia che aveva preso a cadere fitta, permettendo loro di camminare senza inzupparsi completamente. Delle volute di vapore nuvoloso si sollevavano poi dal terreno, tra gli alberi, rendendo quell’atmosfera mistica e leggermente spettrale. Kijo si godeva quello spettacolo all’asciutto dentro il suo impermeabile parapioggia talmente grande per lei che sembrava ci si fosse persa dentro: era stato un ottimo acquisto, doveva rendere gli onori ai negozianti che le avevano venduto anche la tenda. C’era qualcosa in quel luogo, in quell’aria umida e ricca di magia, che vibrava all’unisono con la sua anima, infondendole vigore e senso di appartenenza. Era talmente persa nei propri pensieri, immaginando di essere all’interno di una fiaba, che non sentì Ataru arrivarle alle spalle

“Ehi, dolcezza! Che ci fai tutta sola dentro quell’impermeabile gigante? Scommetto che posso entrarci anch’io per farti compagnia!” il ragazzo le rivolse un sorriso marpione e già le sue mani armeggiavano con la chiusura dell’incerata per aprirla

“Mi dispiace, Ataru…ma proprio perché ho un debole per le cose extra-large non posso accettare la tua compagnia” gli rispose gentilmente Kijo sbattendo le ciglia e sorridendo lievemente, mentre allontanava le sue mani dall’impermeabile “Inoltre, se posso permettermi, fossi in te starei attento ai fulmini che, con questo temporale, possono essere più frequenti…” dopo quest’ultima frase gli fece un occhiolino e continuò a camminare, lasciando Moroboshi come una statua di sale, Mendo e Shinobu che ridevano a crepapelle sotto il medesimo ombrello e Ranma, intabarrato nel suo impermeabile giallo, che incredulo si reggeva la fronte con la mano destra scuotendo la testa.
 
Nabiki nel frattempo aveva seguito il consiglio di Shutaro, cioè si era infilata il suo costume nero dallo scollo vistoso e si stava dirigendo verso il padiglione che era stato allestito a sala da bagno. Quella grande tenda si stagliava contro il cielo nuvoloso che scuriva ogni minuto di più e in mezzo a quella radura circondata dalla maestosità selvaggia del bosco sembrava proprio un porto sicuro a cui rivolgersi in un momento di smarrimento. Nabiki in fondo non era mai stata una grande amante della vita all’aria aperta ed alle esplorazioni naturalistiche aveva sempre prediletto i comfort di una vita agiata. Se il piano che aveva in mente fosse riuscito a prendere forma, nel giro di qualche anno i lussi e gli agi che aveva sempre bramato si sarebbero tramutati in una realtà quotidiana…Per quanto potesse apparire arrivista, non era mossa esclusivamente da fini egoistici: in fondo a lei della sfera amorosa non era mai importato particolarmente, per tutti gli anni che aveva vissuto non era mai capitato che qualche ragazzo le facesse venire il batticuore, come dicevano tutte le sue compagne dalla cotta facile. Non si era mai interrogata più di tanto se questo suo disinteresse negli affetti potesse essere una forma di risposta al trauma che lei e le proprie sorelle avevano subito da piccole, ovvero la perdita della madre: ormai lei era così e la motivazione per cui ci fosse diventata non aveva troppa importanza. Quello che però aveva sempre interiorizzato, fin da bambina, era la sensazione di impotenza che provava ogni qual volta il padre aveva problemi di soldi. Vederlo seduto al tavolinetto basso della sala da pranzo con le mani nei capelli, disperato per tutti quei fogli sparsi di debiti che non aveva idea di come saldare era un’immagine ricorrente della sua infanzia. Nella sua ingenuità talvolta gli si avvicinava, chiedendogli cos’aveva, perché era triste e lo costringeva così a metter su una faccia buffa per non farla preoccupare. Suo padre era un uomo orgoglioso, ma naturalmente la prematura perdita della moglie aveva incupito il suo spirito e il pensiero delle tre figlie da crescere e mantenere lo consumava incessantemente. La gestione del dojo purtroppo non era un’attività sufficiente per mandare avanti la famiglia, per cui si era dato da fare nel corso degli anni svolgendo altri lavoretti che gli permettessero di arrotondare, sempre per fornire alle figlie tutto ciò di cui avevano bisogno.
Profondamente diversa dalle sorelle più emotive, Nabiki sentiva forte in sé il desiderio di ripagare tutti i sacrifici che suo padre aveva compiuto con la moneta sonante: nulla l’avrebbe resa più felice del regalare al suo genitore una vecchiaia serena senza che dovesse più preoccuparsi delle spese, alla sorella maggiore la tranquillità di non dover più contare gli spiccioli per decidere se si potesse permettere anche qualcosina per sé e alla sorella più piccola la piena consapevolezza di poter seguire il suo cuore nella costruzione del proprio futuro. Per una volta avrebbe provveduto lei alla famiglia. Col patrimonio dei Mendo a disposizione.
 
“Che dite ragazzi? Proseguiamo un altro po’ oltre quella statua?” domandò energicamente il professor Higuma, guidando la fila. La statua in questione era quella del Gatto addormentato, simbolo di uno spirito che vegliava sui luoghi e sul riposo eterno di Ieyasu Tokugawa.
Kijo e Gosunkugi si avvicinarono al gatto, percependo il senso di pace che emanava da quella rappresentazione in pietra (o forse solo lasciandosi suggestionare dalle leggende che intanto il professore raccontava). Ranma invece balzò indietro rabbrividendo dopo che ebbe gettato lo sguardo sulla statua: sembrava che lo scrutasse negli occhi e la cosa lo inquietava non poco. La maggior parte dei ragazzi si stavano lamentando di essere stanchi e di voler tornare al campo e sebbene Ranma non provasse alcun affaticamento si trovò d’accordo con l’idea di non addentrarsi in quei luoghi sorvegliati dal guardiano felino di pietra.
Lamù si mise in posa vicino alla statua e andò a finire che Shutaro le fece un book fotografico: potendo contare sull’abilità di volo era facile per lei cambiare posizione e soddisfare la voglia di ricordi impressi su pellicola di Mendo. Mentre era seduta sulla schiena del gatto, scorse con la coda dell’occhio Ataru che faceva nuovamente il cascamorto con Shinobu e decise di punirlo con una scossa elettrica ad hoc; tuttavia si rese conto che, in seguito all’emanazione di energia, sembrava quasi che la statua si fosse mossa. Fece dunque una mezza capriola e si ritrovò a fissare a testa in giù gli occhi pietrificati del sacro felino; non notando niente di diverso scese infine dalla statua interrompendo lo shooting agguerrito di Mendo.

“Forza ragazzi! Se non proseguiamo torniamo almeno al campo base!” gridò il professor Higuma facendo adunata

“Brrrr, hai qualcosa contro il raffreddore, Kijo? Mi sento strano…mi sa che con tutta l’acqua che ho preso mi sono buscato qualche malanno!” le si avvicinò il ragazzo col codino, stringendosi nel suo impermeabile giallo mentre rabbrividiva dal freddo

“Ranma, ma tu scotti!” Kijo sussultò posando il palmo della mano sulla fronte bollente del giovane. I suoi occhi blu tempesta, di solito luminosi e sprizzanti energia, erano adesso spenti, quasi appannati. Improvvisamente Ranma non fu più sicuro sui propri piedi ed ebbe come un mancamento, ma invece di toccare terra fu come se si fosse messo a gattoni

“Ranma, che succede? Mi senti?” gli si rivolgeva Kijo, che preoccupata si era inginocchiata accanto a lui. Il ragazzo non rispose, se non con un sordo mugolio che si dipanava dal profondo del suo petto. D’un tratto alzò il viso verso di lei, che rimase allibita dalla visione: i suoi occhi erano ridotti a due fessure e le pupille si allungavano come squarci verticali nelle iridi azzurre. Dalla bocca di Ranma uscì un vero e proprio miagolio, poi lui balzò oltre Kijo e si mise a correre a quattro zampe verso il folto della foresta.

“Fermatelo, non è in sé!” gridò Kijo agli altri studenti che ancora non si erano resi conto di ciò che stava accadendo

“Dannato Saotome, di nuovo il Neko Ken dovevi tirare fuori!” urlò Kuno lanciandosi contro Ranma con la propria spada da kendo. Il codinato sviò agilmente la traiettoria della spada e si mise a graffiarla con le mani, riducendola a brandelli di legno

“Lascia spazio ai veri samurai, Kuno! Vedrai che la mia fedele lama non farà quella patetica fine!” si intromise Mendo, sfoderando la sua katana. Ranma però, rapidissimo, schivò ogni attacco e con un’artigliata recise di netto la cintura di Shutaro, il quale si trovò in mutande davanti a tutti. Il ragazzo-gatto saltò poi su un albero e di lì da uno all’altro fino a sparire nel fitto della boscaglia.
Kijo arrivò correndo dinanzi a Kuno, l’unico che sembrava avere qualche spiegazione a ciò che aveva appena visto

“Per tutti i Kami, Kuno, sai dirmi cosa gli è successo?”

“Mia piccola Kijo, Ranma Saotome ha molti difetti, ma come se ciò non bastasse è anche piuttosto instabile mentalmente” il Tuono Blu le rivolse un sorriso smagliante, gettando con nonchalance il mozzicone di spada che ancora gli ingombrava le mani per tentare un abbraccio alla ragazza che stava visibilmente perdendo la pazienza

“Eccheccavolo Kuno, fai il serio per una volta! Hai già visto Ranma comportarsi così? Ti rendi conto che è fuori di sé che corre per una foresta sconosciuta? Dimmi subito quello che sai!” gli gridò in faccia, minacciosa, sollevando un pugno all’altezza del suo viso. Tatewaki la guardò con fare stupito, non le aveva mai visto perdere il consueto aplomb a quella maniera.

“Non è la prima volta che Ranma si trasforma in quel modo…” disse Daisuke intervenendo nella conversazione

“Infatti, è successo anche una volta a scuola, in cortile. Quella volta che ha baciato Akane davanti a tutti” continuò Hiroshi.

“Quello sfrontato!” commentò acidamente Kuno. Yuka e Sayuri annuirono, poi quest’ultima proseguì

“Pare che gli succeda quando sta a contatto con i gatti per troppo tempo, a causa di un trauma che ha subito da piccolo. Solo Akane riuscì a calmarlo, accarezzandolo come se fosse un vero gatto”

“E poi è ritornato in sé senza fare altro? Però non mi torna tanto…qui di gatti c’è solo la statua ma di certo non è viva…” si rivolse al gruppetto Kijo, mentre rifletteva tra sé

“Su questo non ci giurerei del tutto” si intromise Gosunkugi “Sento chiaramente delle vibrazioni provenire da quella statua, addirittura amplificate da quando Lamù vi ha lanciato la scossa elettrica”

Il cervello di Kijo macinava informazioni, ipotesi e strategie ad una velocità impressionante, tanto da rischiare continuamente di mandarla in tilt. La priorità era trovare Ranma e impedire che si facesse male, o si perdesse. 
“Dunque, avrei bisogno di Gosukugi e Lamù, se voleste aiutarmi. Gosunkugi, tu dovresti cercare di capire se qualche spirito felino si è distaccato dalla statua ed eventualmente provare a farlo rientrare. Se smette di tormentare Ranma è probabile che possa tornare normale. Sei tu l’esperto, ma forse un aiuto da parte di Kogame può essere utile” Hikaru annuì rapidamente e si precipitò vicino alla statua, iniziando a disfare il proprio zaino per indossare la tenuta da esorcista e prendere il materiale necessario. Di lì a poco iniziò a salmodiare strane formule agitando una bacchetta di legno da cui pendevano delle cordicelle di carta.

“Invece Lamù, avrei bisogno di te per pattugliare il bosco dall’alto e non rischiare di perdermi. Dobbiamo trovare Ranma e metterlo in salvo” la bella extraterrestre simulò un saluto militare e le si affiancò, galleggiando in aria

“Signorina Rinekami, non posso permettere che due ragazze se ne vadano da sole nel bosco a cercare uno studente che si è perso, peraltro in stato di instabilità mentale!” intervenne categorico il professore, totalmente in disaccordo col piano espresso

“Professor Higuma, credo di avere il rimedio adatto a guarire Ranma e con Lamù non correrò alcun pericolo dato che è più forte di un esercito. Riportate i miei compagni al campo base, spero che ci vedremo lì il prima possibile” replicò la ragazza uscendo dal sentiero e iniziando a correre verso il cuore della foresta, sorda a tutte le obiezioni dei compagni e del docente; l’aliena dall’impermeabile tigrato la seguiva scrutando la selva ad altezza albero.
 
Se non altro aveva smesso di piovere. L’odore del sottobosco bagnato aleggiava fragrante nell’aria che Kijo respirava bramosamente: la corsa su quel terreno scivoloso con lo zaino a spalle la stava stancando rapidamente, tuttavia l’adrenalina che aveva in corpo le forniva la forza per continuare la ricerca dell’amico perduto. Lamù dall’alto la guidava nel seguire il percorso che probabilmente aveva compiuto Ranma, intimandole di svoltare ora a destra, ora a sinistra; la ragazza dello spazio riusciva con facilità a scorgere se qualche ramo era stato spezzato di recente mentre Kijo cercava di notare se nella fanghiglia del terreno era rimasta qualche impronta riconducibile ad un umano che correva a quattro zampe. Data la straordinaria agilità di Ranma, in questo caso amplificata dalla particolare condizione, non c’era da stupirsi che avesse alternato il cammino a terra col salto tra gli alberi.

“Quaggiù ho perso le tracce. Vedi qualcosa da lassù?” chiese Kijo fermandosi a riprendere fiato

“No, faccio un giro di ricognizione ma non mi sembra di vedere niente” rispose sconsolata l’extraterrestre, volando tra le chiome frondose in cerca di indizi.

Non sapendo che pesci prendere, Kijo si mise a gridare a gran voce
“Ranma!! Ranma dove sei? Ranmaaaaa” ma solo il fischio del vento rispose al suo richiamo e qualche uccello scocciato si levò dai rami limitrofi per volarsene via. Pochi secondi dopo però la ragazza sentì un fruscio provenire da un cespuglio non molto distante, quindi appoggiò lo zaino a terra per essere più libera nei movimenti e rimase in attesa
“Lamù? Hai per caso dietro la lana che usi per fare le sciarpe a tesor-, ehm, Ataru?”
 
“Certo, così in ogni momento libero posso continuarla…ti serve adesso?”

“Sì, grazie…voglio provare una cosa”

La ragazza dello spazio si sedette su un ramo e cominciò a rovistare nel proprio zaino: tirò fuori ogni sorta di marchingegno dal nome impronunciabile e dalla funzione incomprensibile prima di trovare un gomitolo di lana arancione con due ferri da maglia piantati dentro; lanciò quindi il gomitolo di sotto a Kijo, la quale iniziò a giocherellarci passandolo da una mano all’altra. Ad ogni passaggio cresceva in lei il presentimento di essere osservata, quindi dopo qualche minuto lasciò rotolare il gomitolo per terra, in direzione del cespuglio; come fu arrivato a un metro di distanza, dalle fronde balzò fuori repentinamente Ranma e ci si avventò su. Prese poi a trastullarcisi colpendolo con la mano per farlo rotolare e riacchiapparlo un po’ più in là con l’altra.

“Brava Kijo! Ottima idea! Adesso dagli la medicina!” la incitava Lamù

“Ehm…in realtà non c’è nessuna medicina. Ho mentito per avere la scusa di cercarlo” ammise la ragazza con una punta di imbarazzo, poi si rivolse al gatto ad honorem
“Vieni qui, bel micio…qui, micio micio…”

Ranma si voltò a guardarla e poi riguardò il gomitolo, spostando la testa due o tre volte tra lei e il gioco, il gioco e lei; infine decise di avvicinarsi guardingo. Quando le arrivò abbastanza vicino, lei allungò piano una mano e la fece annusare; una volta ottenuta la sua approvazione, iniziò ad accarezzarlo sulla testa, mentre lui si strusciava contro le sue gambe.

“Se devo dirla tutta non ho mai visto uno spettacolo del genere!” commentò Lamù sbirciando la scena dall’alto, munita di popcorn

“Ecco, bravo micione…” continuava ad accarezzarlo dietro la nuca Kijo; Ranma dovette apprezzare particolarmente quella coccola, perché si appoggiò di peso sulle gambe di lei, facendola scivolare per terra. Lamù scoppiò a ridere e inizialmente anche Kijo si lasciò sfuggire qualche risata, che le morì rapidamente in gola quando notò che il ragazzo si stava arrampicando sul suo corpo per appollaiarsi sulla sua pancia. Perfetto! Adesso era bloccata per terra con quel poveraccio posseduto dallo spirito di un gatto che le dava colpetti sulla mano per ottenere ulteriori carezze ed aveva persino cominciato a fare le fusa…
Decisamente a disagio, Kijo iniziò a praticare dei grattini sotto il mento a Ranma, il quale per tutta risposta si allungò su di lei e prese a leccarle il viso e il collo.

“Ehi, volete un po’ di privacy?” domandò Lamù, voltandosi verso il tronco dell’albero su cui era seduta. Kijo era talmente in imbarazzo che non si prese neppure la briga di risponderle, tanto era occupata a evitare che il cuore che aveva preso a batterle all’impazzata saltasse improvvisamente fuori dal proprio petto. Che diamine le prendeva? Eppure lo sapeva che Ranma non era in sé…cosa si vergognava a fare? Per le effusioni di un gatto? Alla faccia del gatto però…Ad avercene felini così attraenti, con la muscolatura tonica in rilievo e gli occhioni languidi su un viso perfetto…Chiuse gli occhi, deglutì e si prese a schiaffi mentalmente e fu allora che le arrivò una sorta di bacio stampato sulle labbra serrate. Spalancò di scatto gli occhi per vedere la faccia soddisfatta di Ranma a pochi centimetri dal suo naso. Una frazione di secondo dopo, il ragazzo sussultò, come se fosse stato strattonato e quando tornò a guardarla poté scorgere il rossore salirgli rapidamente dalla base del collo alla punta dei capelli, mentre la pupilla era nuovamente tonda come una piccola isola in mezzo ad un lago.

“Ehm…ch-che stiamo f-facendo, Kijo?” balbettò lui, come pietrificato

“Stavamo giocando a carte, solo che poi ho perso e ho dovuto pagare penitenza” gli sorrise ironica, sperando di rompere il disagio.

In un certo senso ci riuscì, perché Ranma ce la fece a spostarsi per mettersi seduto sul terreno, a gambe e braccia incrociate
“Cretina! Sempre a scherzare…”

“Ehi! È questo il ringraziamento per essere venuta a cercarti nonostante fossi diventato un gatto selvatico?”

“Un gatto selvatico?”

“Sì, Kuno ha detto che hai involontariamente attivato la tecnica del Neko Ken o qualcosa del genere…mi hanno detto che ti è già risuccesso” spiegò Kijo mettendosi a propria volta a sedere e spolverandosi le maniche

“Ehm, allora ero completamente fuori di me…spero di non aver fatto niente di…d-discutibile” distolse lo sguardo Ranma, unendosi ritmicamente gli indici

“Quante storie! Le hai solo leccato un po’ la faccia! Io mi ero messa comoda sperando di vedere qualcosa di meglio, ma niente!” apparve Lamù dall’alto, calandosi accanto a loro

“T-tu eri qui per tutto il tempo?” sobbalzò stupito Ranma

“Certo! Ho accompagnato questa ragazza per proteggerla dai pericoli della foresta, nella quale non ha esitato a buttarsi per venirti a cercare quando sei impazzito” spiegò l’Oni con un sorriso, poi continuò “Ha fatto credere a tutti di avere una medicina miracolosa ma a quanto pare l’unico rimedio davvero miracoloso sono state le sue labb-”

“Grazie per la telecronaca, Lamù. Che ne dite se adesso torniamo al campo base? Comincia a scarseggiare la luce…” Kijo le diede una gomitata accidentale e si alzò repentinamente, poi si scosse la terra dai pantaloni e fece per mettersi in marcia

“Kijo?” la chiamò Lamù

“Eh?”

“Il campo è da quell’altra parte…”
 
Tornarono piuttosto facilmente al campo base, dato che la vista aerea di Lamù semplificò notevolmente il compito di ritrovare la strada. Tuttavia, appena giunti al limitare dell’accampamento, si resero conto che nessuno li aspettava: i ragazzi che incrociarono, man mano che camminavano tra le tende, a malapena rivolsero loro un cenno di saluto, quasi non fosse mai accaduto che un loro compagno si fosse perso nel bosco e lo avessero ritrovato e riportato incolume. Nel cuore dell’accampamento, attorno ad un falò allestito con gran cura, sembrava svolgersi una super festa, con tutti che danzavano, mangiavano, cantavano e suonavano, dandosi alla pazza gioia. Ranma si diresse verso il ciocco di legno sul quale stava seduto il professor Higuma, gli fece un cenno davanti al viso con la mano per catturare la sua attenzione e disse con tono lievemente stizzito

“Ehi! Guardate che noi siamo tornati! Tutto bene comunque, siamo sani e salvi”

“Oh, Saotome…bene, bene, ma non avevamo dubbi. In fondo dal momento in cui Gosunkugi ha richiamato lo spirito del gatto nella statua abbiamo capito che non potevate fallire; avreste dovuto vederlo, com’era eroico, mistico, padrone delle energie cosmiche…ha eseguito un rituale perfetto e abbiamo deciso di fare questa festa in suo onore. Credo che tu in particolare dovresti correre a ringraziarlo!” gli raccontò l’uomo estasiato, indicando loro la figura di Gosunkugi.
Il sakè stava scorrendo a fiumi e Hikaru si godeva quel raro momento di celebrità in cui veniva tirato in aria da un gruppo di amici, poi ripreso e tirato in aria nuovamente, più e più volte. Anche tutti quelli che se ne tenevano alla larga per la sua stramberia adesso pendevano dalle sue labbra, chiedendogli di raccontare ancora una volta lo svolgimento del rituale. Hikaru sembrava non essere mai stato tanto felice prima: Sayuri gli aveva intrecciato una coroncina di fiori e Daisuke lo stava simbolicamente incoronando Re della serata. Kijo non aveva mai visto quel ragazzo ridere così tanto di gusto, dal profondo; era uno spettacolo che faceva bene al cuore. Assieme a Ranma e Lamù si stava dirigendo verso di lui, solo che verso metà strada quest’ultima scorse tesoruccio fare il cretino con Kaori, quindi deviò repentinamente preparando una bella scossa elettrica.

“Ehi, siete tornati, finalmente!” si gettò loro al collo Gosunkugi, abbracciandoli con trasporto; Ranma si scostò elegantemente, mentre Kijo rimase intrappolata in quella morsa di entusiasmo, riuscendo solo a dare delle lievi pacche sulle sue spalle scheletriche

“Wow, abbiamo la superstar della serata a quanto pare” commentò la ragazza, una volta sciolta dall’abbraccio

“È stato fenomenale! Non mi sono mai sentito così importante! Ma tu, piuttosto, dimmi come stai! Ti ha infastidito parecchio lo spirito” si rivolse a Ranma con sincero interesse

“Beh, sai, alla fine ho un fisico robusto e una spiccata forza di volontà, quindi non mi ha arrecato grossi disturbi” si vantò Ranma. Il pensiero di Kijo non poté far a meno di vagare a ciò che aveva fatto un paio d’ore prima, pertanto un sopracciglio le si inarcò spontaneamente con aria sarcastica

“Certo, Kijo, sicuramente sarà stato merito anche della tua medicina. Qualunque cosa tu gli abbia dato, gli ha fatto un gran bene” la fraintese Gosunkugi, dandole un buffetto sulla guancia

“Infatti è quello che stavo dicendo anch’io prima di essere bruscamente interrotta…” sopraggiunse Lamù e le fece l’occhiolino: Kijo capì l’allusione e mise su un’espressione divertita, anche se sperava che la ragazza dello spazio non approfondisse l’argomento; Ranma non capì interamente ciò a cui si riferiva, ma inconsciamente sentì un lieve senso di imbarazzo pervaderlo fino ad affiorare in superficie

“Bene, direi che adesso possiamo mangiare qualcosa…ho una fame!” cambiò decisamente argomento Kijo, rivolgendosi verso quello che restava del buffet.
 
Un paio d’ore dopo dalla tenda di Kijo si emanava una luce che proiettava l’ombra della ragazza sulle pareti; attratti come falene da quello spettacolo inconsapevole, Moroboshi, Mendo, Kuno, Daisuke e Gosunkugi si erano zittiti completamente e osservavano i movimenti che la ragazza compiva all’interno. Dapprima srotolò il sacco a pelo, poi iniziò a spogliarsi partendo dalle scarpe. Si alzò dunque in piedi e lasciò scivolare i pantaloni lungo le gambe, per poi calciarli in un angolo, successivamente si mise in ginocchio sul giaciglio e si sfilò dapprima la felpa, poi la maglietta. I ragazzi all’esterno della tenda erano in silenzio tombale e trattenevano il fiato nell’attesa del seguito, mentre lievi accenni di bava si formavano ai lati della loro bocca.

“Ehi, ecco dov’eravate tutti! Che state facendo?” giunse Ranma con nonchalance, guardandoli perplesso per le strane posizioni che avevano assunto

“Shhhh! Stai zitto Saotome! Vuoi farci scoprire!” sussurrò Moroboshi, intimidatorio

“Ma che diamine guardate con tanto interesse? E cos’è tutta questa furtivi-” le parole gli morirono in gola quando seguì con lo sguardo quello di tutti gli altri e notò quello che stava succedendo: l’ombra di Kijo si era appena slacciata il reggiseno e l’aveva lasciato cadere per terra. Deglutì rumorosamente, arrossendo e voltandosi nuovamente verso gli altri che spalancavano gli occhi più che potevano per non perdere un briciolo di quell’inaspettata fortuna. Kuno e Mendo si stavano asciugando con dei fazzoletti il naso, da cui era sgorgato un rivolo di sangue, mentre Ataru si teneva le mani premute sul petto temendo che scoppiasse. Daisuke si rivolse a lui

“Scommetto che a lei non diresti mai che è priva di sex appeal, vero?” gli diede di gomito, ma a quelle parole Ranma si scosse e si riebbe

“Branco di pervertiti che non siete altro! Filate subito via!” si frappose tra loro e la tenda tappando loro la visuale

“Uffa, che palle! Per una volta che c’era da godere di un bello spettacolo!” brontolò Moroboshi

“Eddai Ranma! Non fare il guastafeste!” lo supplicò Daisuke. Kuno nel frattempo aveva estratto uno stereo portatile e aveva azionato l’esecuzione di You can leave your hat on. Quel trambusto però aveva messo Kijo in allerta e improvvisamente videro aprirsi la tenda rivelando la sua figura avvolta in un asciugamano.

“Chi è che sta ascoltando la colonna sonora di Nove settimane e mezzo? Ranma? Che ci fai qui fuori?” sbatté le palpebre stupita

“Ehm, niente! Ecco, forse è meglio se…spegni la luce quando…sì, insomma…ho beccato questi qui a guardarti mentre…” entrò nel panico il ragazzo col codino, mentre cercava di spegnere lo stereo prendendolo a manate

“Cosa? Io non vedo nessuno a parte te…” Kijo si sporse dalla tenda per vedere meglio, ma effettivamente non c’era nessuno

“Maledetti…fino a un secondo fa erano tutti qui a spiarti…la luce proiettava un’ombra che…” il ragazzo non la guardava, sperando di scacciare il rossore che aveva preso possesso delle sue guance

“Come, come? Avvicinati un po’, per favore…anzi, vuoi entrare a spiegarmi?” lo invitò Kijo incuriosita. Al ragazzo il cuore mancò un battito, poi riuscì a dire

“Kijo, hai solo un…asciugamano…addosso” la ragazza si guardò ricordandosi solo in quel momento l’entità del suo vestiario, quindi si lasciò sfuggire una risatina e chiuse la tenda, dicendo

“Ops, hai ragione! Aspetta solo un secondo che…” dalla tenda si poteva vedere benissimo l’ombra tirar fuori qualcosa dallo zaino ed indossarlo “…ecco! Sono pronta! Adesso puoi entrare” riaprì la tenda, rinnovando l’invito. Adesso indossava il pigiama con le stelle, quello che avevano scelto insieme.

“Sicura che vuoi…che io entri?” le domandò il ragazzo fissando il terreno, cercando di controllare la respirazione

“Certo! Devi raccontarmi cosa stava succedendo qui davanti e non voglio svegliare tutti!” Kijo si spostò sulla sinistra per lasciare libero il passaggio e Ranma, dopo un respiro profondo, varcò la soglia.
 
La tenda di Kijo lasciava emergere la sua propensione al disordine: i vestiti erano buttati a casaccio per terra e lo zaino semiaperto faceva fuoriuscire una serie di flaconcini, bottigline e piccole ampolle. Ranma ebbe difficoltà a trovare uno spazio vuoto per sedersi, ma la ragazza non fece troppe storie, spingendo col braccio fuori da un materassino tutta la roba che lo ingombrava

“Ecco, siediti!” lo invitò sorridendo

“Grazie…ma quanta roba ti sei portata?” si sedette a gambe incrociate il ragazzo col codino, guardandosi attorno

“È tutta roba di prima necessità! Non hai idea di quante persone hanno bussato alla mia tenda finora…”

“Chissà perché non ne dubitavo” incrociò anche le braccia Ranma

“Ovviamente! Perché sanno che ho una cospicua riserva di medicine e vari rimedi!” terminò Kijo

“Certo, ovviamente…” ripeté sarcasticamente lui, poi continuò “Anche Mendo, Kuno, Daisuke, Ataru e Gosunkugi si sentivano male?”

“Mmm…sì, ora che ci penso sono passati alla spicciolata perché avevano dei piccoli disturbi…” rifletté Kijo tenendosi il mento

“Quando li ho visti prima stavano decisamente meglio allora” inarcò entrambe le sopracciglia il ragazzo, chiudendo gli occhi

“Vuoi un nikuman al cioccolato? Dovrebbero essere sempre morbidi…” Kijo aprì un contenitore di plastica con dentro due panini dolci e il loro aroma pervase rapidamente la tenda

“Non ci hai messo roba strana dentro, giusto?” volle accertarsi Ranma, che nel dubbio ne aveva comunque già afferrato uno

“No, ho solo sostituito le bacche di vaniglia con la vanillina, perché erano troppo costose…ma il risultato non mi è sembrato male” confessò Kijo. Ranma intanto aveva già ingurgitato il panino

“Adoro questi dolcetti, anche se non lo ammetterò mai neppure sotto tortura” pensava il ragazzo, che si limitò ad alzare il pollice destro e commentare “Beh, a un primo assaggio sembrano decenti…”

“Non avrai anche il mio nikuman, Ranma” glielo allontanò Kijo, sorridendo con aria di sfida negli occhi

“Ah, no? Attenta che è tutta la vita che mi alleno ad avere la meglio sugli altri per il cibo. Mio padre è stato un insegnante spietato” ricambiò lo sguardo di sfida Ranma, allungando il braccio, ma la ragazza spostò il panino un’altra volta. Cominciò quindi una sorta di danza di attacchi e difese in cui l’unico scopo era impossessarsi dell’ultimo nikuman: ad ogni tentativo di affondo Ranma si galvanizzava sempre più, rendendo i suoi colpi sempre più precisi e veloci, al contrario Kijo si era lasciata prendere dal lato comico della situazione, per cui faceva sempre più fatica a concentrarsi e a trattenere le risate. Il codinato approfittò della crescente distrazione di Kijo per sferrare il colpo decisivo: lanciò in avanti il proprio braccio che, come una frusta, arrivò puntualmente sul panino arpionandolo e trascinandolo verso di sé; peccato che Kijo non avesse la minima intenzione di lasciarlo andare, per cui seguì la traiettoria della refurtiva cadendo quasi a peso morto sopra Ranma. I loro volti si trovarono a pochi centimetri di distanza e per gli occhi fu impossibile evitarsi. Quelli di Kijo traboccavano ancora delle risate inespresse, anche se pian piano vi si insinuava un aleggiante velo di stupore; quelli di Ranma emanavano ancora la soddisfazione per aver ottenuto il premio, ma presto mutarono come il cielo in tempesta con nubi di sorpresa, smarrimento e inconsapevole desiderio. Sfruttando quel momento di confusione, Kijo lanciò a Ranma un sorriso disarmante e discatenò i loro sguardi, riprendendosi il panino e addentandolo di gusto.

“Ehi, non vale! Mi hai…distratto!” si ricompose il ragazzo, rialzandosi a sedere e scuotendosi della polvere immaginaria dalle maniche della casacca

“Ne volevo solo un morsino…tieni, se vuoi puoi mangiarlo…” glielo offerse nuovamente e lui tentennò un po’, quasi aspettandosi qualche altro trucco, ma poi lo prese e lo terminò in due grossi bocconi, che scivolarono nella sua gola ancora leggermente ristretta dall’emozione con un poco più di difficoltà rispetto ai precedenti.

“Comunque ti consiglio di non tenere la luce accesa nella tenda quando ti…prepari per dormire. Da fuori si vede tutto” buttò lì Ranma

“Ah, quindi è questo che stavi facendo là fuori? E io che ti credevo un ragazzo di sani principi…” lo prese un po’ in giro Kijo, ridacchiando

“Io non…erano gli altri che guardavano! Io gliel’ho impedito e li ho fatti smettere!” si agitò subito il ragazzo

“Ehi, ehi, ehi…tranquillo! Non è successo niente di che! Magari non stavano neppure guardando me, ma in ogni caso grazie per aver difeso la mia privacy”

“Qualcuno deve pur farlo, visto che non ci pensi da sola…” le tirò una frecciatina Ranma, mentre lei si strinse nelle spalle con aria innocente e furba al tempo stesso “…Inoltre volevo tranquillizzarti, dopo quello che può o non può essere successo oggi…tu non mi piaci Kijo. Se quella specie di…contatto c’è stato, mentre ero un gatto, non è perché ho qualche mira nei tuoi confronti”

Kijo lì per lì rimase perplessa, trovava quella situazione quasi divertente da quanto era assurda: lui era così pieno di vergogna che si era rivolto ai suoi calzini per tutto il tempo

“D’accordo, non mi aspettavo nulla di diverso” gli sorrise

“Infatti, solo ci tenevo a precisare. Oltretutto ho una fidanzata, anche se non l’ho scelta io…e poi tu sei troppo spudorata per i miei gusti…” continuò Ranma

“Ah-aaaah…” sorrise maliziosa Kijo, curiosa di vedere dove sarebbe andato a parare

“…e poi non capisco il tuo senso dell’umorismo…”

“Ah-aaaah…”

“…sei troppo pigra e…”

“Ok, Ranma, ho capito! Non c’è bisogno che adesso elenchi tutti i miei difetti! Non ti piaccio, eri fuori di te, non è successo niente. Punto” riassunse la ragazza cercando di trattenere la vena pulsante sulla propria tempia, ma poi non resistette e aggiunse

“Caspita, meno male che non vuoi conquistarmi perché saresti un disastro!”

“Cosa? Ma se ci sono fior fiore di ragazze che uscirebbero con me ad un mio cenno!”

“Shhhh, abbassa il tono, Casanova! Vuoi che ti sentano da Nerima? Lo sappiamo tutti, oltre al codino hai anche il codazzo…” gli fece una linguaccia Kijo, mentre lui si passava una mano sulla faccia

“Ragazziiiiiii! Tutti a letto! Spegnete le luci!!” gridava la professoressa Ninomiya aggirandosi per le tende. Kijo abbassò immediatamente la luce della lampada fino a spegnerla del tutto

“Ehi, che diamine fai?” sussurrò Ranma sconcertato dalla mossa

“Se quello che dici è vero e da fuori si vedono le sagome vuoi che ti scorga nella mia tenda?” gli bisbigliò Kijo di rimando, poi proseguì “Non dirmi che hai paura del buio…”

“Scema…non dire idiozie. Io non ho paura di niente!”
 asserì Ranma

“Miao…” mormorò la ragazza direttamente nel suo orecchio e sentì un brivido provenire dal suo corpo

“Ok, quasi di niente” ammise di malavoglia, aprendo leggermente la tenda per guardare fuori se aveva via libera. Stava piovendo nuovamente a dirotto. Ciò significava trasformarsi inevitabilmente in ragazza e rischiare di non trovare acqua calda prima che qualcuno la vedesse…il fornello da campo era nella sua tenda ma non avrebbe potuto rischiare di accenderlo e far prendere fuoco a tutto e ovviamente non poteva accenderlo all’aperto. Il bagno che Mendo aveva allestito, ammesso che vi fosse rimasta acqua calda, era sicuramente presidiato dai suoi scagnozzi e…

“Ranma?” lo richiamò alla realtà Kijo

“Sì?”

“Sento le tue meningi spremersi da qui. C’è qualcosa che ti turba?”

“No. Solo che sta piovendo e…”

“Cavolo! Ho lasciato il mio impermeabile steso fuori ad asciugare…bella mossa!”
sbuffò Kijo, ma poi si sistemò più comodamente nel suo sacco a pelo ed esclamò “Pensare che adoro ascoltare il suono della pioggia che cade…lo trovo molto rilassante”

Rilassante…per lui il suono della pioggia da un paio d’anni a quella parte aveva preso a significare solo guai! Eppure c’era qualcosa nel ritmico bussare delle gocce sulla stoffa di quella tenda che riusciva a rasserenarlo, una sensazione di protezione da tutte le preoccupazioni che si trovavano all’esterno.

“Ranma…?”

“Sì?”

“Ho un paio di coperte in più se vuoi restare”

“Non se ne parla, sarebbe sconvenien-”

“Sdraiati. Non essere sciocco, ti prenderai un malanno se arrivi nella tua tenda zuppo e ti metti a dormire. E poi…non ho mai dormito da sola in una tenda e non mi sento tranquilla…”
  nel dire questo si mise a tastare attorno a sé fino a trovare le due coperte di cui parlava e le porse al ragazzo, che era combattuto più che mai sull’accettare l’invito. Uno scroscio più forte ruppe i suoi indugi e lo convinse a liberarsi della casacca e dei pantaloni e a sdraiarsi su quel giaciglio improvvisato. Un lampo inatteso regalò a Kijo la visione fugace delle sue spalle lambite dalla canottiera aderente prima che si adagiasse tra una coperta e l’altra

“Beh, buonanotte fifona!” le disse lui prima di trovare una posizione più o meno comoda per addormentarsi. Kijo allungò titubante una mano, fino a trovare la sua: quel semplice tocco bastò per irrigidirlo, ma rimase fermo nella sua posizione. Una volta avvolta la mano di lui nella sua, gli diede una leggera stretta, che durò qualche secondo; poi lasciò delicatamente la presa e fece scivolare la mano nuovamente sotto il proprio cuscino, bisbigliando al ragazzo

“Buonanotte e…grazie”
 
Aveva smesso di piovere e la coltre di nubi aveva lasciato il posto ad un brillante manto stellato. Ranma si sentì sicuro ad uscire dalla tenda dato che da un bel pezzo non sentiva alcun rumore tuttavia, invece di rientrare nella sua, lasciò che i piedi lo portassero nel fitto della foresta; aveva scorto durante la passeggiata che non distante dall’accampamento si trovava un piccolo laghetto immerso nella vegetazione, circondato da massi abbastanza agevoli per attraversarlo da una parte all’altra. Dato che il sonno lo aveva abbandonato, decise di fare una seduta di allenamento solitario, in equilibrio sui massi, come ai bei vecchi tempi.
Raggiunse rapidamente lo specchio d’acqua e per prima cosa balzò agilmente su una pietra centrale per fare ricognizione delle distanze e dei possibili punti di appoggio da usare come base di slancio per i suoi famosi colpi aerei. Individuato un sasso dalla superficie abbastanza piatta si sollevò in volo e dopo aver tirato una serie di calci e pugni ad un avversario immaginario, vi atterrò sopra con leggerezza; da lì tese i muscoli delle caviglie, quasi a rimanere sulle punte dei piedi e lasciò partire un calcio rotante ricadendo esattamente nello stesso punto. Galvanizzato dalla propria abilità, si lanciò in esercizi sempre più spericolati e audaci, atterrando su una mano, appendendosi all’ultimo momento ai rami prominenti degli alberi e tentando un paio di volte un salto mortale. Tutta la natura che lo circondava sembrava trattenere emozionata il respiro dinnanzi a quello spettacolo, perfino i gufi parevano aver smesso di bubolare e i pipistrelli di sbattere le ali. Tutto era immobile, in trepidante attesa della sua prova successiva; la superficie del lago era perfettamente liscia, dato che neppure il vento si azzardava a soffiare né i pesci ad emergere.
Da dietro una roccia, un paio di occhi profondi lo scrutavano meravigliati e pieni di ammirazione; ogni scatto repentino, ogni cambio di direzione, la disinvoltura con cui eseguiva manovre acrobatiche e la perfetta padronanza del proprio corpo avevano incantato la giovane che non riusciva in alcun modo a distogliere lo sguardo. Neppure quando lui la notò. E le sorrise. 
Con tre balzi precisi al millimetro si ritrovò esattamente davanti a lei, dall’altro lato della roccia che si affacciava sulla sponda del lago e vi appoggiò sopra i gomiti, sporgendosi in avanti

“Che c’è dolcezza, non riuscivi a starmi lontana?” le si rivolse con aria sicura, spavaldo come non era mai stato, costringendola ad abbassare lo sguardo di fronte a quell’insinuazione. La luce della luna accarezzava i suoi capelli corvini e la pelle candida, riflettendosi sulla leggera camicia da notte perlacea che indossava e conferendole un’aria eterea

“Mi ero spaventata…mi sono svegliata e non eri più al mio fianco, quindi sono venuta a cercarti” bisbigliò timidamente Kijo, sempre fissando il terreno

“Vuoi allenarti un po’ con me?” le propose lui, mettendosi in posizione di difesa

“Oh, no…intanto non sono vestita in modo adeguato, poi temo di cadere nell’acqua, che non so nuotare…” ammise la ragazza facendo scorrere le mani sulla breve lunghezza della sua camicia

“Sai Kijo…credo che tu pensi troppo…” sogghignò Ranma mentre si toglieva le scarpe e le appoggiava ordinatamente sulla riva
“…tu ipotizzi costantemente tutte le cose che potrebbero andar male se ti lasci andare…” slacciò i bottoni della sua camicia rossa e ne uscì, flettendo il suo torace granitico con disinvoltura
“…e reprimi i tuoi desideri. Questo non va bene, perché così facendo ti dimentichi di vivere…” si sfilò i pantaloni e li piegò assieme al resto, quindi le scoccò uno sguardo talmente intenso che quasi la costrinse a indietreggiare e le afferrò un polso al volo temendo che potesse cadere all’indietro. L’attirò verso di sé, facendola dapprima sedere sulla roccia dietro la quale lo stava spiando; saldo sulla propria pietra emersa, allungò quindi le braccia per aiutarla a scendervi, ma il suo volto tradiva palesemente il fatto che fosse spaventata come una colomba: la sua schiena aderiva completamente alla roccia retrostante e le sue gambe tremolavano, il suo petto si alzava e abbassava velocemente e le sue labbra non osavano proferire parola. Ranma chiuse la poca distanza che li separava e le sollevò il mento con la mano, obbligandola a guardarlo; un lampo di stupore passò negli occhi di Kijo, che sentì il battito accelerare ulteriormente, totalmente ipnotizzata da quelle iridi blu cobalto. Quando vide il suo volto avvicinarsi al proprio, socchiuse gli occhi e rimase ferma, le labbra leggermente dischiuse…ma Ranma aveva altri programmi.

Le sussurrò all’orecchio
“Non così in fretta, bambolina” e poi saltò in acqua, riemergendo un attimo dopo col busto per tentare di tirar dentro anche lei

“No, dai Ranma, smetti…ho paura, non so nuotare! E poi ci verrà la polmonite a fare il bagno in quest’acqua gelida!” si lamentava Kijo, cercando di contrastare la forza di Ranma che le si era aggrappato ad una gamba

“Vedi…cosa ti dicevo? Lasciati andare, per favore. Se entri in acqua con me prometto che non ti lascerò affogare e di certo non ho intenzione di farti congelare…Coraggio, Kijo, smettila di pensare e goditi un po’ di libertà!” la esortava il ragazzo. Lei non era particolarmente convinta, però sporse dal masso la punta del piede fino a toccare il pelo dell’acqua per constatare che, per la miseria, era davvero fredda! Questo gesto bastò a Ranma per farle perdere l’equilibrio e tirarla in acqua tra le sue braccia, che furono subito pronte ad avvolgersi attorno alla sua vita.
Il volto di Kijo esprimeva smarrimento mentre il suo corpo tremava; provò a convincersi che fosse colpa dell’acqua gelida che le aveva mozzato il respiro all’altezza del diaframma, ma la verità era che non stava capendo più nulla, il suo cervello aveva dichiarato sciopero con effetto immediato, pertanto non aveva alcuna guida per affrontare quella nuova situazione. Se lasciarsi andare implicava starsene imbambolati senza far nulla, proprio non ne comprendeva il fascino…finché Ranma non le fece passare la propria mano umida e fredda dall’attaccatura dei capelli al retro l’orecchio e poi giù fino alla base del collo, per spostarle una ciocca ribelle dal viso: in quel momento fu come se i brividi nati dalla zona sfiorata si propagassero in tutto il suo corpo, appagandola e al tempo stesso facendole desiderare un contatto più esteso

“Brava…lo vedi che non c’è nulla di male a perdere il controllo?” le sussurrò Ranma all’orecchio, notando con desiderio crescente la silhouette del seno di Kijo, su cui si delineavano adesso i capezzoli inturgiditi. La spinse contro la roccia con delicatezza, facendo aderire i loro due corpi come per paura che potesse sfuggirgli all’improvviso, permettendo alle proprie mani di esplorare la sua schiena liscia sotto la camicia.
Dal canto suo Kijo era totalmente in sua balìa…tentò di avvicinare le labbra a quelle del ragazzo ma lui si scostò all’ultimo con aria furba, invitandola implicitamente a riprovarci, per poi scansarsi di nuovo. Le posò quindi un dito indice sulle labbra, muovendolo come a rimproverarla che non era il momento di farlo…quel gesto di sfida però non poté essere ignorato e Kijo socchiuse leggermente le labbra per farvi sparire il dito all’interno, accarezzandolo lievemente con la lingua prima di farlo riemergere. L’espressione di Ranma mutò repentinamente, sorpreso da quel gesto inaspettato, il suo battito accelerò e si lasciò sfuggire un gemito, assieme alle due sillabe

“Kijo…”

“Sì…Ranma?”

“Tu vuoi che…”

“Sì, Ranma” mormorò languidamente.

In quel momento fu come se il tempo scorresse a rallentatore: lui allungò le braccia per attirarla nuovamente a sé, ma qualcosa nella sua voce, che adesso sentiva lontanissima, lo costrinse a fermarsi

“Ranma…stai bene?”

“Sì, ti prego, fammi continuare…”

“Sicuro? Sei tutto accaldato e prima ti ho sentito mugolare…”
La voce di Kijo, sebbene ridotta a un sussurro, fu come un lampo che lo costrinse a spalancare gli occhi: la ragazza si era sporta sopra di lui e gli teneva una mano sulla fronte; lui l’aveva bloccata in un abbraccio, che sciolse immediatamente quando si rese conto della situazione. Era nella tenda di Kijo. Non c’era mai stato nessun lago. Lei lo fissava perplessa.

“Scusami se ti ho svegliato, ma mi sembrava che ti stessi sentendo male…ad un certo punto mi è parso anche che mi chiamassi” spiegò mordicchiandosi un labbro

“Ehm…forse sono ancora un po’ scombussolato per lo spirito del gatto e tutto il resto…è quasi giorno, comunque, quindi è bene che torni nella mia tenda, ciao!” Ranma si congedò alla velocità della luce, pregando di non aver parlato troppo nel sonno; arraffò i propri vestiti, se li buttò addosso e uscì dalla tenda. Kijo osservò la scena senza commentare, poi si strinse nelle spalle e si rimise a dormire.


 
25 Maggio
 
Aspettando la sveglia ufficiale (la prof. Ninomiya aveva promesso che avrebbe personalmente suonato la tromba in stile militare per tutto l’accampamento) Ranma giaceva pensieroso sul suo sacco a pelo. Che diamine gli era preso, era forse impazzito? Non ricordava di aver mai fatto un sogno del genere, così vivido e dettagliato, per di più con una ragazza a fianco! Almeno la volta precedente che aveva “dormito” di fianco a Kijo in realtà non aveva chiuso occhio, quindi era riuscito a mantenere il controllo di se stesso…ma il fatto di averlo perso, seppure solo nelle sue fantasie, gli creava un forte turbamento. È vero, doveva ammettere che a volte aveva immaginato come sarebbe stato condividere un momento intimo con una ragazza, soprattutto in seguito ad alcuni discorsi fatti dai propri amici che sembrava non bramassero altro; tuttavia aveva sempre dato per scontato che, quando fosse arrivato il giorno, ci sarebbe stata Akane al suo fianco, nella migliore delle ipotesi che qualche sua folle spasimante non fosse riuscita a concupirlo con l’inganno. Questo episodio inaspettato lo spinse a domandarsi se in realtà non si fosse rassegnato che ci fosse Akane al suo fianco: per quanto lei potesse risultare carina, agli occhi dei più, non gli aveva mai suscitato desideri così profondi. Sicuramente esagerava quando le rinfacciava di avere il sex appeal di un cetriolo sottaceto, però non era escluso che l’affetto che provava nei suoi confronti nascesse più dal rispetto che le riservava in quanto sua fidanzata, seppure imposta, che da un sentimento nato spontaneamente recante anche una componente di attrazione. Insomma, a volte aveva l’impressione di stare con Akane per onorare un patto sancito da altri, di cui aveva imparato ad apprezzare gli aspetti positivi e a tollerare quelli negativi ma…era tutto molto insipido da quel punto di vista. Akane aveva acquistato un’importanza sempre maggiore nella sua vita, avevano abitato per un anno nella stessa casa, avevano condiviso esperienze inverosimili, avevano imparato a conoscersi e sopportarsi, sebbene quei continui litigi avessero un che di snervante alla lunga…Era indubbio che ci tenesse a lei, però si faceva strada in lui il sospetto che sentisse il dovere morale di prendersene cura e volerle bene poiché le era stata affidata. Per tutte le sorgenti maledette, era stato a un passo dallo sposarla! Akane per lui significava la strada sicura, il benessere di una famiglia che gli era sempre mancata, l’approvazione paterna che aveva inconsciamente ricercato nel corso degli anni, la soddisfazione di far fede ad un impegno preso…ma si era mai davvero innamorato? Certo, era stato geloso di lei, ma ogni volta era come se subisse un affronto, come se il ragazzo di turno osasse sfidarlo tentando di sottrargli qualcosa che gli apparteneva di diritto. Non poteva far a meno di chiedersi se avrebbe provato gelosia vedendo Akane con un altro, se fosse stata una semplice compagna di scuola.
Gli era venuto mal di testa, tutti quei pensieri a cui cercava di dare forma lo stavano soverchiando, perciò cercò rifugio nell’unica attività capace di restituirgli calma e lucidità: la pratica delle arti marziali. Uscì dalla tenda in tuta e si allontanò sul limitare dell’accampamento per eseguire i suoi kata; nonostante fossero movimenti più che interiorizzati, la concentrazione che vi metteva era totale, poteva quasi sentire la sequenza delle flessioni e contrazioni di ogni singolo muscolo. L’aria frizzante del mattino carica di fresco odore di bosco era poi un toccasana sul suo viso stanco e ancora accigliato.
 
Circa una mezz’ora dopo, mentre si stava cimentando nell’ennesima serie di pugni a catena, la sua attenzione venne catturata da un lieve movimento di una tenda lì vicino: era la più grande e costosa dell’accampamento (aveva perfino un tappeto rosso all’entrata!) e con fare furtivo ne vide uscire Nabiki. Si chinò per mettersi le scarpe e dietro di lei emerse Mendo Shutaro, offrendole il braccio per migliorare il suo equilibrio in quell’operazione così delicata. Lei vi si appoggiò con atteggiamento complice e gli sorrise, poi fece un passo indietro e sussurrò
“Ti ringrazio Mendo…serata…mai stata così…”

Ranma era troppo distante per udire con precisione le parole che si stavano scambiando, ma la sua curiosità vinse e tentò di avvicinarsi quanto poteva senza dare nell’occhio.

“Mia piccola farfalla…ringraziare…dono…quando vuoi…” rispose il rampollo inchinandosi a propria volta verso Nabiki, che corse via verso la sua tenda.
Sebbene Ranma si fosse spalmato dietro una tenda vicina e avesse perfino trattenuto il respiro per tutto il tempo, non era riuscito a sentire di più; quella posizione nascosta tuttavia gli consentì la visione di altre scenette curiose che si susseguirono a distanza di pochi minuti l’una dall’altra.
Dapprima Hiroshi si affacciò dalla tenda di Yuka, guardandosi attorno con fare circospetto; quando fu convinto di non essere visto da nessuno, sgattaiolò fuori camminando con fare innocente verso la propria tenda.
Successivamente Gosunkugi emerse dal suo giaciglio stiracchiandosi con soddisfazione: indossava già il suo completo da rituale con le candele in testa e di fianco a lui fluttuava Kogame in tutta la sua spettralità. Si inchinarono assieme nella direzione del sole nascente, poi Hikaru iniziò a bruciare delle erbe secche che aveva estratto dalla tasca sulle ceneri del falò della sera precedente. Danzò vorticosamente attorno a quella piccola pira da cui esalava una flebile spira di fumo, scacciandola e scuotendola con lo stesso bastone dalle estremità pendenti che aveva utilizzato il giorno prima.
Infine Kuno, disdegnando di utilizzare la sala da bagno da campo messa a disposizione da Mendo, obbligò Sasuke ad aiutarlo a lavarsi: si dispose seduto su di un panchetto, coperto solo dalle sue fedeli mutandone tradizionali, con posa pensierosa, ovvero col mento sorretto dal braccio appoggiato perpendicolarmente alla coscia. Sasuke reperì con fatica un secchio pieno d’acqua e prese a versarglielo sulla testa, mentre Kuno si passava addosso una saponetta, indugiando vanitosamente sugli addominali e i pettorali ben definiti. Tre secchiate dopo e a seguito del lavaggio meticoloso della schiena da parte di Sasuke, il suo padroncino poté definirsi mediocremente soddisfatto, pertanto si alzò e si diresse verso il suo alloggio per la vestizione.

“Bleah, ma a che schifo di spettacolo mi è toccato assistere! Sarà meglio che mi tolga rapidamente di qui prima che mi venga propinata qualche altra oscenità!”  
Mentre Ranma si stropicciava gli occhi per cercare di cancellare le immagini appena viste, la professoressa Hinako giunse dal limitare dell’accampamento brandendo una tromba quasi più grossa di lei. Rendendosi conto della notevole difficoltà nel manovrarla, decise di risucchiare un po’ di energie dall’ignaro Tatewaki tramite la sua famosa Tecnica dei cinque yen. Il povero Kuno, appena lavato, crollò a terra ai piedi di quella donna formosa che adesso maneggiava con sapienza e senza alcuna difficoltà lo strumento a fiato. Iniziò a suonare la sveglia in stile militare con potenza e vigore, finché esaurì le energie rubate e ritornò la bambina di sempre.
Il primo ad arrivare scattante al punto di ritrovo fu, manco a dirlo, il professor Higuma: indossava la solita polo verde a strisce viola abbinata ai pantaloncini corti e sorrideva smagliante come se non avesse un problema al mondo.
Nel frattempo, dalle tende cominciavano pian piano ad emergere ragazzi dai visi assonnati che si salutavano a malapena con uno sbadiglio. Ataru si presentò col pigiama a prova di elettricità, che indossava ogniqualvolta si trovava a condividere il giaciglio con Lamù, e due occhiaie che non avevano nulla da invidiare a quelle di Gosunkugi. Questi dettagli non sfuggirono a Mendo e agli altri membri del fan-club della bella extraterrestre, i quali circondarono Moroboshi con fare minaccioso pretendendo delle spiegazioni

“Ataru Moroboshi, pagherai questo affronto al candido onore della dolce Lamù!” esclamò Shutaro estraendo la propria fedele katana con studiata lentezza

“Ma siete impazziti? Non abbiamo fatto niente e per quanto mi riguarda ve la potete anche tenere! Ma piuttosto…quando si mangia?” chiarì la situazione il ragazzo, incrociando le braccia per il fastidio. Come se fosse stata evocata, Lamù planò sulle spalle di Ataru rilasciandogli una scossetta leggera, visibilmente seccata

“Tesoruccio! Come puoi svilirmi a questo modo? E voi, che lo attaccate, non avete ancora capito che sono sua moglie e siamo legati da un vincolo indissolubile? Non lascerò mai il mio amoruccio!”
A seguito di questa dichiarazione tutti chinarono il capo dalla mestizia, compreso Ataru.

“Ragazzi cari, per quest’oggi c’è in programma una prova di sopravvivenza! Per quanto generosi e ottimi i pasti offerti dalla famiglia Mendo, nella giornata odierna impareremo a procacciarci il cibo che mangeremo, mentre le nostre amabili ragazze si ingegneranno per trovare un modo di cucinarlo!” proclamò Torajiro Higuma

“Sul serio? E perché non possono andare le ragazze a cercare il cibo e i ragazzi cucinarlo?” domandò Kijo dopo aver alzato la mano per chiedere parola. Era passata totalmente inosservata fino a quel momento, standosene in disparte ai margini del gruppo avvolta nella sua vestaglia nera, coi fidi occhiali da sole calati sugli occhi, maledicendo l’universo per quella sveglia così mattiniera

“Rinekami, tu sai come si usa una canna da pesca?” le chiese il professore

“Beh, no…ma posso provare a imparare…perché, tutti i ragazzi sono forse abili pescatori?” ribatté la ragazza rivolgendosi al gruppo. Molti maschi abbassarono lo sguardo, trovando estremamente interessante fissare le proprie scarpe

“Ci sono delle fanciulle che vogliono infangarsi nel fiume o dei baldi giovani che preferiscono giocare alle brave massaie?” Higuma scrutò attentamente il gruppo degli studenti dopo aver posto quell’insidioso quesito. Nessuno osò fiatare.

“Bene, quindi direi che volontariamente, le ragazze si occuperanno della cucina e i ragazzi della pesca, com’è giusto che sia…” sorrise trionfalmente il professore alzando un braccio al cielo in segno di vittoria. Il sangue di Kijo le ribollì nelle vene, ma fece appello a tutto il proprio autocontrollo e riuscì a calmarsi, poi dichiarò

“Chiedo di poter venire a pesca con voi, professor Higuma”

Sulle facce dei ragazzi si dipinsero espressioni di stupore e dei gridolini di sorpresa si levarono dalla zona delle ragazze.
Sayuri si avvicinò a Kijo, mettendole una mano sulla spalla e bisbigliandole sommessamente
“Dai, Kijo…adesso basta…non vale la pena tirare così la corda. Vieni con noi, ci divertiremo!”
Proprio nell’istante in cui Kijo stava per replicare all’amica, Gosunkugi prese la parola

“Anch’io vorrei fare a cambio…mi trovo più a mio agio a cucinare piuttosto che a impugnare una canna da pesca”

Nuovamente si sollevarono dei brusii da entrambe le parti, mentre Kijo fissava il ragazzo con uno sguardo traboccante di riconoscenza: non aveva esitato a mettere a repentaglio la dose di popolarità che si era faticosamente guadagnato con l’exploit del giorno precedente per supportarla nella sua sfida agli stereotipi di genere. Hikaru dal canto suo si ergeva fiero e composto in attesa di una risposta del professore, che non tardò ad arrivare
“Qualcun altro ha deciso che oggi si sente non convenzionale? Santi numi, non posso nemmeno biasimarvi fino in fondo perché so che questo desiderio di ribellione deriva dalla carica dei vostri giovani ormoni…” scosse la testa Torajiro, rassegnato

“Hai capito Gosunkugi! Con la scusa della cucina passerà tutta la giornata in compagnia delle ragazze…chiamalo scemo!” commentò Ataru ai suoi compagni di scuola, indicando il ragazzo col pollice

“Tesoruccio, se vuoi io vengo con te!” propose Lamù, avvicinandosi al gruppetto dei maschi

“Ehm…no cara, vai pure a cucinare con le altre, che come cucini tu non riesce nessuno…” la spinse via il ragazzo, pensando maliziosamente mentre sghignazzava
“Io mi occuperò di insegnare a Kijo come si tiene una canna in mano!” 
 
L’armata dei giovani pescatori partì dopo circa dieci minuti con gran baldanza, fiera e onorata di compiere una missione tanto importante.
Kuno Tatewaki aveva indossato la sua tenuta da pesca comprensiva di stivali di gomma, pantaloni larghi a tre quarti e cappello di paglia, mentre il fedele Sasuke portava le canne da pesca e le ceste di vimini per contenere le prede. Durante il cammino aveva già iniziato a lanciare frecciatine a Mendo sostenendo di aver ricevuto numerosi riconoscimenti nelle varie discipline della pesca, di aver osato sfidare perfino il maestro Sampei ed avergli soffiato dalla canna il salmone più gigante del Canada.
Mendo, dal canto suo, con un abbigliamento che sembrava più adatto ad una riunione in ufficio  che alle rive di un fiume, aveva abboccato alle provocazioni del Tuono Blu e controbatteva narrando le sue imprese di caccia al polpo che sovente includevano piovre giganti o calamari assassini.
Kijo si era avvolta nuovamente nel proprio impermeabile XL e, anche se dietro le lenti scure non si notava più di tanto, ascoltava con un sopracciglio ironicamente sollevato le smargiassate di quei due orgogliosi testoni.

“Occhio che tra poco ti fa il giro della testa…” le si rivolse Ranma, arrivandole a fianco con noncuranza

“Cosa?” domandò Kijo, non avendo capito l’allusione

“Il sopracciglio…se continui a sollevarlo te lo ritroverai sulla nuca” il ragazzo tracciò una linea immaginaria con l’indice dall’arcata sopracciliare alla base del collo e Kijo si mise a ridere

“È così evidente quello che penso? Ed io che credevo di essere una persona misteriosa…”

Il ragazzo col codino lasciò passare qualche secondo, come indeciso se continuare sulla scia di quella affermazione o meno, poi si decise ad aprire bocca
“Un dubbio potresti togliermelo in effetti…che diamine ti è preso prima? Non sai cucinare il pesce e volevi evitare una figuraccia?”

Lei lo guardò dritto negli occhi, con fare rassegnato, quindi emise un piccolo sospiro
“Non è questo…in realtà non so pescare per niente, quindi farò una figuraccia ancora peggiore rispetto a se avessi cucinato…è che quando il professore ha detto quella frase io non ce l’ho fatta a sopportarlo…com’è giusto che sia…ma dove siamo, nel medioevo?” strinse il pugno destro Kijo, la voce che tremava leggermente

“No, cioè, fammi capire…a te è capitato il compito più facile, che ti viene più facile, ovvero cucinare, e nonostante tutto sei andata a complicarti la vita perché volevi portare avanti una battaglia pseudo-femminista?” sintetizzò Ranma.

Kijo annuì, senza proferire parola per qualche passo, poi si decise a replicare
“Lo so che sembra stupido e forse lo è, perché questa mia sceneggiata non cambierà niente e anzi, probabilmente da oggi sarò considerata ancora più stramba del solito…ma mi sono trovata in una situazione in cui non potevo non agire, dovevo per forza fare qualcosa, anche di stupido…” la ragazza si rannicchiò nelle spalle, fissando il sentiero davanti a sé, poi continuò
“Ti è mai capitato di fare qualcosa di stupido per difendere qualcosa che ritenevi importante?”

Ranma rallentò l’andatura, colpito da quella domanda. Ripensò a tutto quello che aveva fatto per difendere la sua nomea di colui che non perde mai una sfida: quello era stato il mantra per tutta la sua vita e per quello aveva preso anche delle decisioni, come dire, bizzarre!
Come quella volta che per sconfiggere Mariko si era imposto di provare ad amare Kuno…brrr, a ripensarci gli venivano i brividi! Oppure quell’altra volta in cui Shampoo aveva smesso di dimostrargli il suo amore a causa della spilla della discordia e lui, invece di gioire per essersela levata di torno, aveva fatto di tutto per riconquistarla. E chissà quante altre situazioni adesso non gli venivano in mente…Sì, in effetti poteva capire cosa era scattato nella testa di Kijo, tuttavia non era pronto a rivelarle certi dettagli della sua vita privata, quindi rimase sul vago e rispose, piegando entrambe le braccia come a sorreggere la base della nuca
“Beh, sicuramente non così tanto stupido! Però forse talvolta posso aver commesso qualche piccolo errore di valutazione…”

“Immagino…ti do un consiglio spassionato: stai lontano da me quando proverò a pescare perché sarò un disastro!” concluse Kijo, col morale a terra.
 
La prima difficoltà del procacciamento di cibo emerse dovendo raggiungere la riva del fiume, poiché bisognava passare per una scesa tutt’altro che agevole. Il terreno era stato reso melmoso e scivoloso dalla pioggia caduta fino a qualche ora prima e il pietrisco del sentiero, già di per sé instabile, era invaso dalle erbacce e dagli infidi rametti degli arbusti che vi crescevano attorno.
Se per Ranma scendere fino al greto del fiume fu questione di due o tre semplici balzi, gli altri incontrarono notevoli problematicità.
Kuno, coi suoi stivali dalla suola liscia, fu il primo che arrivò sulla riva rotolando dopo uno scivolone rovinoso, scatenando l’ilarità dei compagni.
Successivamente fu il turno di Mendo, a cui non andò molto meglio perché le proprie scarpe eleganti mal si conciliavano con quel terreno accidentato: ogniqualvolta tentava un passo immancabilmente sdrucciolava, lordando di fango non solo le scarpe, ma anche i costosi pantaloni su misura e questo gli provocava l’emissione spontanea di gridolini e mezze bestemmie trattenute a fatica. Alla fine surfò sullo strato di melma fino a raggiungere la riva, dato che i suoi abiti erano ormai irrimediabilmente compromessi.
Kijo osservava la scena perplessa: se per naturale gravità in un modo o nell’altro sarebbero tutti riusciti a raggiungere il greto del fiume, come avrebbero fatto poi a risalire, oltretutto carichi di pesci? Possibile che non esistesse nessun altro accesso? Grattandosi leggermente una tempia si mise a camminare in su e in giù, riflettendo e scrutando nei dintorni in cerca di una soluzione

“Ci hai ripensato Rinekami? Non avevamo dubbi al riguardo…sei ancora in tempo a tornare al campo a cucinare con tutte le altre ragazze, prima di sporcarti i piedini” la prese in giro Kotaro, con aria di sfida

“Ti prego, Ikeda, mostrami come fare, tu che sei un uomo e pertanto coraggioso e abile!” enfatizzò melodrammaticamente la ragazza, spronandolo a scendere.

Kotaro rimase un po’ interdetto, dato che si rendeva ben conto che non avrebbe brillato nell’esecuzione di quel compito, quindi mosse un passo incerto verso il basso, trovando un punto d’appoggio. Si voltò verso Kijo, schernendola
“Vedi, non è così difficile. Basta usare la test-” in quel momento il sasso su cui stava facendo forza franò sotto i suoi piedi e una sensazione di vuoto si impadronì del suo ventre. Mentre stava cadendo all’indietro cercò di afferrare il braccio di Kijo e vi riuscì, sospendendo il proprio crollo.
“Tirami su, tirami su, tirami su!!” gridava concitatamente alla ragazza, la quale sbarrò gli occhi e poi simulò uno sforzo immane, non smuovendolo di un millimetro

“Accipicchia Kotaro…sono solo una debole donna che non vuole sporcarsi i piedini, non ce la faccio proprio…” così dicendo fece scivolare pian piano la propria mano dal suo braccio, liberando la presa e facendolo rotolare a valle. Quando riemerse dal fango e gettò uno sguardo in alto verso Kijo, lei si strinse nelle spalle mimando con le labbra la parola “Perdonami” e poi ricominciò a camminare in su e in giù.
Il professor Higuma nel frattempo aveva dato ordine di creare una catena umana per facilitare la discesa: stringeva saldamente il ramo di un albero con una mano, mentre con l’altra teneva quella di Daisuke, che a sua volta teneva quella di Hiroshi, che a sua volta teneva quella di Ataru. I ragazzi che dovevano scendere, in quel modo, si aggrappavano quando all’uno quando all’altro diminuendo le probabilità di perdere l’equilibrio.

“Scusatemi professore, io avrei trovato un passaggio alternativo” sopraggiunse Kijo

“Rinekami, non vedi che sono impegnato adesso? Se non te la senti di scendere con questa scaletta, non importa, puoi tornare al campo base…”

“Non è questo, è che ci sono dei gradini scavati nel terreno laggiù, è molto più agevole scend-”

Il professore, ansante per lo sforzo e tutto rosso in volto, nemmeno l’ascoltava, per cui la bloccò ed esortò
“Andiamo, Kijo, stai bloccando la fila! Avanti il prossimo che deve scendere!”

Kijo si fece da parte e osservò in silenzio le peripezie dei suoi compagni, poi sospirò scuotendo lievemente la testa e scese in tutta tranquillità dal passaggio poco distante. Una volta che tutti furono scesi, i primi anelli della catena furono costretti a gettarsi nel vuoto: Daisuke prese una lieve storta e il professore inciampò in una radice sporgente, battendo il posteriore e insozzando i suoi pantaloncini bianchi. Quando si riebbe e notò Kijo sulla riva, spalancò gli occhi come se avesse visto un fantasma
“E tu da dove saresti passata Rinekami?” domandò incredulo

“C’è un passaggio proprio laggiù, professore, ero venuta a dirvelo ma non eravate in condizione di ascoltarmi…”
Lo sguardo di tutti vagò nella direzione indicata dalla ragazza, finché non trovarono l’agevole discesa a gradini. Tante grandi gocce si manifestarono sulle loro teste.
 
Passarono la prima mezz’ora a costruirsi una rudimentale canna da pesca utilizzando delle vere e proprie canne di bambù su cui cercarono di impiantare alla meno peggio la lenza che Torajiro aveva portato con sé. Una volta legati gli ami alle estremità, si resero conto però che non avevano esche, quindi iniziarono a smuovere i sassi circostanti in cerca di vermi.
“Io non ho bisogno di esche…tutta la tecnica della pesca si basa sul sapiente movimento impresso all’amo!” si vantava Mendo, volteggiando in complicate piroette prima di lanciare la lenza. Un applauso partì spontaneamente dal gruppo, tranne che da Kuno, che stava già imbrogliando attaccando all’amo uno dei pesci pescati il giorno prima da Sasuke per fingere di averlo appena preso.

“Ehi, guardate là! C’è un orso!” dirottò l’attenzione di tutti verso il bosco mentre lanciava la canna col pesce in acqua. Peccato che non fosse fissato granché bene, poiché si staccò e venne portato via dalla corrente.

Moroboshi si avvicinò con la sua solita andatura a ginocchia larghe a Kijo, che aveva appena infilzato un verme sull’amo. Camminava impettito nel suo maglioncino giallo senape, con aria saputa, e non appena la distanza glielo consentì passò un braccio attorno alle spalle di Kijo e le disse, ammiccante
“Non temere bambolina, se vuoi ti spiego io come lanciare! Dopo tutte le vacanze in campeggio con i miei, sono diventato un esperto!” 

Kijo soffocò una risata: Ataru era talmente esagerato che non valeva la pena neppure arrabbiarsi per il suo atteggiamento; si scostò leggermente e gli disse
“Ok, allora…fammi vedere!”

Ataru prese quindi la propria canna e spostò il peso dapprima avanti, poi di colpo indietro e poi tutto in avanti, facendo immergere l’amo con un pluf quasi impercettibile. Se non altro sul fatto di saper pescare non aveva millantato più di tanto.
Quando fu la volta di Kijo fu subito chiaro che non sarebbe finita bene. Dapprima non tenne il polso abbastanza rigido, tanto che rischiò seriamente di lanciare la canna e tutto se non avesse avuto buoni riflessi di acchiapparla all’ultimo istante. La volta successiva tenne il braccio troppo rigido, quindi praticamente la lenza entrò a due millimetri dalla riva. La terza volta cercò di imitare la sequenza avanti, indietro, avanti di Ataru, ma dovette inavvertitamente dare un po' di giro alla lenza, dato che al momento del lancio cominciò a girare vorticosamente attorno a lei e Moroboshi, avviluppandoli in una sorta di bozzolo.

“Dolcezza, se volevi abbracciarmi stretto stretto non c’era bisogno di arrivare a tanto!” colse l’occasione Ataru lasciando scorrere le mani quel tanto che gli era consentito dalla lenza. Ridevano tutti. Beh, almeno quelli che poteva vedere. Un senso di profonda umiliazione si impadronì di Kijo, non tanto per la situazione in sé che era talmente assurda da risultare quasi comica, quanto perché aveva appena fornito loro su un piatto d’argento la conferma di ciò che intimamente già pensavano, ovvero che le ragazze (sfortunatamente rappresentate da lei) non erano in grado di svolgere quel compito. Prendersela, strillare o urlare non sarebbe servito a nulla in quel momento, perciò fece un respiro profondo e tentò di buttarla sullo scherzo, esibendo un sorriso smagliante

“Ehi, qualcuno mi aiuta o devo portarmi appresso Moroboshi tutto il giorno?”
Ranma assistendo alla scena avvicinò la propria mano al volto fino a coprirlo per poi scuotere la testa con fare rassegnato mentre Mendo, cavallerescamente, aveva estratto la propria katana e si accingeva a liberare i due legati come salami.

“Tesoruccio! Che diavolo fai?” un grido improvviso costrinse tutti gli astanti a guardare verso l’alto per vedere Lamù planare in picchiata e schiaffeggiare sonoramente Ataru

“Ehi…Lamù, cara…non è come sembra…” cercava invano di giustificarsi il ragazzo, incapace di difendersi

“Ha ragione, per una volta…è colpa mia e della mia imbranataggine” provava a spiegare Kijo, ma non veniva neppure calcolata

“Forse una bella scossa ti schiarirà le idee!” tuonò l’extraterrestre e poi lanciò una scarica elettrica potente in direzione di Ataru e Kijo. Sebbene Moroboshi avesse assorbito la maggior parte del colpo, anche Kijo ne uscì piuttosto stordita. Se non altro adesso erano liberi, poiché quel fulmine aveva distrutto la lenza, come parte dei loro vestiti del resto.

“Ehi, guardate quanti pesci ci sono a galla!” esclamò Kuno indicando il fiume

“Kuno, oggi hai le visioni per caso? Prima l’orso inesistente, adesso…porca miseria, è vero!” confermò Hiroshi avvicinandosi al bordo della riva

“Ops, forse ho esagerato con la portata della scarica…” fece una linguaccia innocente Lamù, responsabile della moria dei pesci

“Oh, cara, ma non devi dispiacerti! Ranma, tu avevi un retino, no? Perché non vai in mezzo al fiume a raccattare il nostro pranzo?” suggerì Mendo

“Ehm…retino? Mai avuto un retino” fece lo gnorri il ragazzo col codino, che voleva evitare a tutti costi il contatto con l’acqua fredda

“Ce l’ho io un retino, cretino!” Kuno sfoderò l’attrezzo dal suo set da pesca e trovando un’utilità al suo outfit si piazzò nel mezzo del fiume a rastrellare i cadaveri ittici

“Ehi, cretino a chi?” si adirò Ranma, non osando però entrare in acqua “Ridimmelo appena esci se hai il coraggio!”

“Ragazzi, basta litigare! In un modo o nell’altro abbiamo raggranellato qualcosa da mangiare…Kijo, ti va di andare a cercare qualche erba aromatica o bacca per insaporire i pesci? Ho l’impressione che sia meglio che tu stia lontana dalle canne per un po’…” suggerì il professore. La ragazza annuì e poi si allontanò nel bosco.
 
Tornò al campo base recando con sé un discreto quantitativo di condimento proprio qualche minuto prima che i ragazzi giungessero con le ceste di pesce. Sebbene l’unica vera artefice di tutta quell’abbondanza fosse stata Lamù, Kijo non poté far a meno di sentirsi un’inetta: prese posto accanto a Sayuri che le porse un grembiule e cominciò a triturare le erbe. I lavori per l’allestimento del pranzo sembravano già a buon punto, dato che vari fuochi erano stati accesi per arrostire le prede e che un enorme pentolone di riso bolliva gorgogliando, mentre un’annoiata Nabiki lo rimestava svogliatamente di tanto in tanto.

“Va un po’ meglio la caviglia, piccola farfalla?” le si rivolse Mendo dopo aver consegnato a Shinobu una cesta zeppa di pesci

“Per tutti i numi! Ma che ti è successo? I tuoi pantaloni italiani…ridotti così?” Nabiki si portò una mano alla bocca che spalancò per lo stupore, vedendo l’impietoso stato in cui versava il ragazzo, ricoperto di fango fino a mezza gamba

“Non preoccuparti, dolcezza: le mie lavandaie sapranno farli tornare come nuovi e se così non fosse, pazienza! Ne ho a decine di pantaloni così!” le lanciò un sorriso smagliante, quasi da pubblicità, e lei si tranquillizzò all’istante: ogni conferma dell’ottimo stato in cui versava il patrimonio dei Mendo le sollevava l’umore.

“Grandioso…Comunque sto meglio, anche se ritengo sia opportuno evitare gli sforzi anche oggi” sorrise furbamente lei intrecciando le dita delle mani e stirandosi i muscoli delle braccia

“Peccato, eri così entusiasta quando ti sei iscritta alla gita e non puoi partecipare neppure ad un’escursione…ma non temere, sono certo che ci saranno altre occasioni per campeggiare all’aperto!” tentò di consolarla Mendo, inconsapevole dell’avversione della ragazza per ambienti così spartani

“Certo…non vedo l’ora! Senti, perché adesso non assaggi un po’ di riso e mi dici a che punto è la cottura?” gli chiese cambiando rapidamente argomento mentre con un ramaiolo poneva un po' di riso in un piattino da degustazione.

Shutaro lo prese e lo portò alla bocca, masticando con concentrazione; alla fine, quasi si fosse risvegliato da una meditazione profonda, elaborò il proprio commento
“È davvero ottimo, Nabiki Tendo: credo che sarai una moglie superba, un giorno”

“Oh, mio caro Mendo, non hai idea di quanto…” gli sussurrò inarcando a malapena le labbra con malizia.
Furono interrotti da Moroboshi, che senza fare troppi complimenti arraffò il ramaiolo e si servì di una gigantesca porzione di riso in una ciotola; come se nulla fosse, poi, agguantò un paio di bacchette e si allontanò con la sua solita andatura a gambe larghe, ingurgitando il proprio bottino

“Certo Ataru che sei proprio una bestia! Non ti hanno insegnato l’educazione i tuoi genitori?” non riuscì a trattenersi Mendo, per il quale il non rispetto dell’etichetta era un difetto inammissibile

“Non rompere Mendo! Io ho fame e lì c’è del cibo: dove sta il problema? Hai idea di quante calorie io consumi ogni volta che vengo elettrizzato da Lamù?” biascicò continuando a mangiare a piena bocca il ragazzo.

Improvvisamente una tromba da stadio risuonò nelle loro orecchie, premuta con veemenza dalla professoressa Ninomiya
“Ragazzi, ordine! Non sono ammesse risse, ricordatevelo bene! Adesso tutti in fila ordinata per prendere il cibo: ognuno prepari il proprio piatto, avanti, MARSH!”

Mendo a quelle parole scattò sull’attenti e rispose con un saluto militare, mentre Nabiki roteava gli occhi al cielo e cominciava a distribuire il riso ai primi avventori, rassegnata; dopo la fila per il riso, che sfacciatamente Ataru ripeté, c’era da fare quella per il pesce arrostito, che veniva consegnato infilzato nello stecco di legno che era servito per la cottura.
Yuka, che era di stazione ad uno dei falò per cuocere il pesce, notò che Kijo sedette da sola su di un tronco dopo aver ritirato esclusivamente la razione di riso. Una volta ultimato il suo compito, andò a sederle vicino e le domandò se qualcosa non andava

“Non sono molto amante del pesce, sai…e poi la brutta figura che ho fatto giù al lago mi ha anche tolto un po’ l’appetito” confessò lei mordendosi il labbro inferiore, squadrando l’amica con occhi limpidi e sinceri

“Credo che tu sia un po’ troppo severa con te stessa: dopotutto non avevi mai pescato prima!” le sorrise l’altra, stringendosi nelle spalle e allargando leggermente le braccia

“Senza dubbio vero, però non posso farci niente, mi brucia un pochino. Comunque ripeto, se ci fossero state le lasagne forse non avrei fatto tutte queste storie!” cercò di sdrammatizzare Kijo

“Le lasagne? Che roba sono?” domandò sconcertata Yuka

“Non le hai mai assaggiate? Dobbiamo rimediare al più presto! Appena torniamo alla civiltà aspettati un invito a pranzo dalla sottoscritta” decretò Kijo in tono categorico

“Volentieri! Posso guardarti mentre le prepari? Così nel caso mi piacciano provo a farle anche per Hiroshi…” arrossì Yuka, abbassando lo sguardo. Era proprio una ragazza buona e Kijo si sentì molto fortunata ad averla come amica.
Stanotte io e Hiroshi l’abbiamo fatto…” sussurrò pochi secondi dopo, paonazza in volto, fissandosi le scarpe

“Wow, ma è meraviglioso! Come è andata?” il volto di Kijo si illuminò a quella notizia: era da un po’ che Yuka sospettava che dietro i timidi approcci del ragazzo ci fossero delle intenzioni più consistenti e sebbene fosse un tantino spaventata aveva valutato che le sarebbe piaciuto vivere quell’esperienza con lui

“Non dirlo a nessuno però, per favore…non voglio fare la figura…di quella facile” la implorò quasi tremante.

Kijo le prese una mano tra le proprie e gliela strinse con gentilezza, rispondendo
“Non ti preoccupare, la mia bocca sarà cucita e se qualcuno osa darti della facile dimmelo che lo faccio ragionare a suon di ceffoni!”

Quel commento stemperò la tensione e strappò una risata a Yuka, che si decise a continuare il racconto
“È stato…strano! Era la prima volta per entrambi, così almeno mi ha detto lui. È venuto a trovarmi in tenda nel cuore della notte ed abbiamo cominciato ad abbracciarci, a baciarci e poi…è successo! Il sacco a pelo non era proprio comodissimo e avevo una radice di un albero che mi premeva proprio su un fianco, ma tutto sommato ce l’abbiamo fatta!”
Kijo dovette impegnarsi ad ascoltare quelle parole, pronunciate ad un volume talmente basso da perdersi facilmente nel vento

“Ma ti è piaciuto quindi? Avete…fatto attenzione?” chiese incuriosita appoggiando il mento sul palmo della mano

“Oh, sì sì…entrambe le cose…poi credo che con la pratica migliorerà…anzi ecco…siccome ho un po’ di fastidio in quella zona…non è che avresti una pomata o qualcosa da consigliarmi?” per il nervosismo aveva preso a mordicchiarsi un’unghia

“Nessun problema: sono certa che nella mia borsa troveremo qualcosa di adatto” le fece un occhiolino Kijo

“Grazie…ero certa che parlare con la responsabile di educazione sessuale mi avrebbe aiutato” la prese in giro Yuka facendole una linguaccia, mentre Kijo roteava un indice davanti alla propria tempia accennando al professor Higuma, come a mettere in dubbio la sua sanità mentale.
 
Per allietare la digestione, Kuno si mise a declamare una pièce teatrale di Zeami Motokiyo che parlava di un condottiero sanguinario, evidenziando i passaggi più importanti pizzicando le corde di un liuto apparso da chissà dove. Mendo non tentava neppure di mascherare la propria noia sbadigliando vistosamente mentre Moroboshi, satollo, si era addormentato sulle ginocchia di Lamù e russava sonoramente. Gosunkugi provava seriamente a seguire la recita, ma veniva puntualmente distratto da Kogame che sottolineava ogni licenza poetica che l’autore si era preso discostandosi dalla storia originale, quasi fosse stata presente in prima persona. Ranma, che se ne stava sdraiato su un tronco caduto giocherellando con un sassolino che si divertiva a lasciare e riprendere, non ne poteva più di quella lagna per cui decise di fare qualcosa affinché quel borioso d’un Tatewaki la piantasse; gli lanciò il sassolino tra capo e collo, distraendolo e facendogli sbagliare l’accordo di liuto, cosa che lo mandò in bestia.

“Chi ha osato disturbare l’espressione della mia sublime arte drammatica? Si faccia avanti se non è un codardo!” gridò Kuno furente, scandagliando con lo sguardo tutti i propri compagni di scuola che gli sedevano attorno.

Con un rapido movimento Ranma balzò in piedi sul terreno, alzando il braccio con fare canzonatorio già pregustando lo scontro che ci sarebbe stato di lì a poco: ci voleva un po’ di azione per contrastare quel mortorio che si era creato!
“Sono stato io, Kuno, ma a giudicare dalle facce insofferenti di tutti ho solo fatto un favore a interromperti!”

Ranma stava sogghignando con quel sorrisetto sbruffoncello che lo caratterizzava, ma aveva i sensi all’erta ed era pronto a cominciare il combattimento da un secondo all’altro; Kuno, punto nell’onore, non si lasciò attendere e partì alla carica brandendo il liuto a mo’ di spada da kendo con tutta l’intenzione di colpire l’irrispettoso rivale. Ogni affondo di liuto veniva agilmente evitato da Ranma solo all’ultimo momento, per prendersi ancora più gioco di Kuno illudendolo fino in fondo di poterlo colpire, ma quest’ultimo non si abbatteva mai e continuava imperterrito la raffica dei suoi colpi mancati. Gli spettatori si erano un po’ rianimati dall’effetto soporifero precedente ed avevano cominciato a fare il tifo, chi per Kuno chi per Ranma, mentre Nabiki raccoglieva le puntate delle scommesse passando tra i compagni con un secchiello.
Quando la professoressa Ninomiya, che si era allontanata per soddisfare un’esigenza fisiologica, si rese conto della bagarre che era in atto, soffiò con tutta la propria forza nella tromba che si portava sempre appresso, reclamando ordine. Dato che i due litiganti sembravano del tutto intenzionati ad ignorarla, ricorse alla vecchia ma pur sempre efficace tecnica dei cinque yen, risucchiando le loro energie vitali e obbligandoli a darsi una calmata. In qualità di donna formosa e provocante si avvicinò a loro e li prese entrambi per un orecchio, condannandoli per punizione a lavare i piatti e le pentole che erano state usate per cucinare.

“Voglio vedere stoviglie brillanti, quindi olio di gomito e MARSCH!” sentenziò appena ebbero raggiunto la cucina del campo

“Ma professoressa, noi…” esclamarono entrambi all’unisono, con le poche forze rimaste per protestare: non avevano una gran bella cera, sui loro volti si erano già manifestate delle occhiaie marcate ed avevano il fiatone come se avessero sopportato un allenamento massacrante

“Niente ma: filate a prendere l’acqua in questi secchi e pulite tutto! Tornerò tra un’ora a verificare che tutto sia a posto” così dicendo Hinako se ne andò sculettando nella sua forma più sensuale, lasciando i due ragazzi a fissarsi stancamente in cagnesco.

Dopo neanche un minuto Tatewaki si raddrizzò e poggiò un piede su uno sgabello, alzando teatralmente le braccia verso l’alto e con tono enfatico si mise a declamare
“Dannato Saotome, sei l’origine di tutte le disgrazie che si abbattono sulla mia onorevole esistenza: se la mia vita fosse un campo di girasoli tu saresti il fetido corvo che lo deturpa, se fosse una sacra foresta saresti un’infida ruspa che distrugge gli alberi, se fosse una preziosa biblioteca tu saresti la muffa che erode le pagine dei tomi, se fosse…”

“Kuno, che palle! Ho capito il concetto, non mi sopporti e la cosa è reciproca” esclamò Ranma incrociando le braccia; dovette trattenersi non poco per non assestargli un colpo ben mirato tra capo e collo, ma vuoi l’affaticamento, vuoi le minacce della professoressa, si decise a fare il bravo. Senza dire altro, arraffò uno dei grossi secchi di legno e si diresse al laghetto lì vicino per prendere l’acqua; in quel momento, quasi senza motivo, gli tornò in mente di tutte le volte che era stato messo in punizione nel corridoio, costretto a tenere due secchi d’acqua, per i motivi più assurdi. Ok, a volte forse se l’era quasi meritato, tipo quando arrivava trafelato in ritardo oltre il suono della campanella, quasi sempre per colpa di Akane che gli aveva fatto perdere tempo per qualche stupida ragione: paradossalmente, in punizione finiva poi da solo, lei riusciva quasi sempre a scamparsela. La maggior parte delle volte, tuttavia, veniva schiaffato in punizione solo perché osava ribellarsi a qualche regola assurda, come il taglio di capelli osceno imposto dal preside Kuno. Ora che ci ripensava, tutta quella famiglia, nella sua interezza, gli aveva portato solo guai. Alla fin fine Tatewaki risultava forse il pezzo meglio, quantomeno era leggermente meno pazzo del padre e della sorella.
Perso in queste elucubrazioni, Ranma si era un po’ estraniato dal mondo circostante e, mettendo il pilota automatico, era giunto alla cascatella da cui si ritrovò ad attingere l’acqua, in equilibrio molto precario su di una roccia potenzialmente scivolosa. Un rumore improvviso lo fece voltare di scatto e purtroppo perdere l’equilibrio, tanto da farlo finire dritto in acqua, con l’immediata conseguente trasformazione; mentre si massaggiava la testa dolorante e bagnata alla ricerca di bernoccoli, una voce gioiosa e squillante la raggiunse, così come il suo proprietario nell’arco di pochi secondi

“Ragazza col codino! Ma che lieta sorpresa trovarti da queste parti! Hai saputo che ero in viaggio di istruzione qui e non hai saputo resistere eh? Dì la verità…”
Kuno si precipitò verso di lei con gli occhi a cuoricino, afferrandola in braccio per trarla fuori dall’acqua e beccandosi un pugno dritto nello stomaco da una Ranma decisamente innervosita, con la vena pulsante sulla tempia

“Maledetto idiota, ma non ti rassegni mai!” gli urlò in faccia, riguadagnando la stabilità della terraferma

“Mio dolce e candido giglio, perdonami se sono stato troppo irruento: l’inaspettata gioia di vederti mi ha fatto dimenticare le buone maniere” così dicendo le prese la mano destra tra le sue e le fece un baciamano.

Ranma stava per mollargli uno di quei calci famosi per spedire in orbita gli avversari, quando improvvisamente le balenò un’idea…
“Mio caro Tatewaki, hai ragione, sono venuta apposta per vederti, ma so che hai un compito da svolgere e non vorrei mai che tu ti trovassi nei guai per aver perso del tempo prezioso con me: che ne dici, prima porti a termine il tuo compito e poi torni qui da me…magari potremmo farci il bagno insieme!” gli fece un occhiolino ammiccante e il cervello di Kuno andò completamente in tilt: abbrancò entrambi i secchi colmi d’acqua e corse a rotta di collo verso la zona cucine per lavare le stoviglie alla velocità della luce. Ranma emise un sospiro di sollievo e si avvicinò furtiva alla piscina calda di Mendo, lasciata in quel momento quasi incustodita. Quasi, appunto.



Nabiki Tendo, che in quella sorta di spa portatile aveva passato praticamente tutta la gita, si stava crogiolando tra i vapori che salivano dall’acqua, ma il totale relax non l’aveva certo rammollita. Non appena vide Ranma affacciarsi alla vasca, decise di trarre un vantaggio economico da quella situazione di emergenza.

“Bene bene bene! Sembra che qualcuno abbia bisogno di un po’ d’acqua calda, vero cognatina?”

“Taci, Nabiki! Vuoi farmi scoprire? È stato un incidente e ce l’ho fatta ad arrivare fin qui senza attirare attenzioni, quindi per favore dammi un po’ di spazio che sistemo questo pasticcio il prima possibile” le intimò Ranma-chan.

Quella vasca in realtà era ampiamente grande abbastanza da contenerle entrambe, tuttavia Ranma si peritava a bagnarsi nella stessa acqua di una ragazza, per colpa del suo dannato senso del pudore ipersviluppato, come avrebbe rimarcato Kijo.

“Oh, non ho intenzione di muovermi da qui…a meno che non riceva un incentivo!” sorrise serafica Nabiki aprendo il palmo della mano in un gesto eloquente

“E dai! Mi serve solo per pochi secondi!” obiettò Ranma, cominciando a perdere la pazienza. Volute di vapore si sollevavano tra di loro come a smorzare le occhiate fulminanti che si lanciavano, ognuna decisa a non indietreggiare nella propria posizione.

“Farfallina! Dove sei?” la voce di Mendo ruppe il silenzio che si era creato tra loro: in un attimo il terrore passò sul volto di Ranma e la soddisfazione di una vittoria imminente su quello di Nabiki, che aprì la bocca pronta ad attirare l’attenzione del ragazzo all’esterno. Ranma, presa dal panico, si tuffò istantaneamente nella piscina, sollevando una discreta ondata che travolse un’attonita Nabiki, e poi si dileguò rapido come un ninja.

“Wow, credevo che non ce l’avrebbe mai fatta…” commentò tra sé e sé a voce alta la ragazza col caschetto, completamente esterrefatta.


Rientrò nella zona cucine appena in tempo per vedere Kuno finire di lavare stoviglie e pentolame a velocità supersonica per poi fiondarsi correndo fuori a perdifiato. Si sedette su di uno sgabello, prendendo un canovaccio pulito per asciugarsi almeno un po’ i capelli che continuavano a gocciolare e poco dopo sulla soglia apparve la professoressa Ninomiya, nuovamente in forma infantile.

“Saotome, vedo che hai svolto un ottimo lavoro! Dove è finito quel lavativo di Kuno? Non crederà di potersi scampare le mie punizioni correttive solo perché è il figlio del preside?” si infuriò la docente cercando il ragazzo mancante ovunque, anche all’interno delle pentole

“Professoressa, in realtà non l’ho proprio visto, non so dove sia” mentì spudoratamente Ranma con faccia angelica

“Immagino. Benissimo, stasera lo obbligherò a pulire tutto dopo la cena. E stavolta lo sorveglierò personalmente! Tu puoi andare, Saotome, hai saldato il tuo debito con la società” gli si rivolse infine Hinako solennemente, poggiandogli una mano sulla spalla dopo che era salita su uno sgabello, manco parlasse ad un ex galeotto.
 
Il cielo di maggio aveva sfoggiato la sua più bella tonalità di rosso infuocato per un tramonto che stava annunciando una fresca serata. Le nuvole aranciate disegnavano veri e propri capolavori per chiunque avesse voglia di sollevare lo sguardo dalle preoccupazioni terrestri e perdersi in quello spettacolo tanto coinvolgente quanto effimero. L’odore inebriante del sottobosco solleticava le narici di Kijo, la quale si era fatta convincere chissà come a partecipare ad una partita di Pictionary che coinvolgeva due ben nutrite squadre. In quel momento era proprio lei alla lavagna con il pennarello in mano, che si ostinava a indicare la serie di cerchi senza senso che aveva provato a disegnare

“Ehm…è un orso?” azzardò Gosunkugi, totalmente a caso dato che non aveva proprio idea. Kijo scosse la testa, esasperata, e continuò a ricalcare i cerchi già disegnati, come se questo potesse fornire ulteriori indizi

“Ho capito! Sono i cerchi olimpionici!” tentò Sayuri, mentre di nuovo Kijo scuoteva la testa

“Un vaso di fiori?”

“Un elefante?”

“Un millepiedi?”

“Mannaggia è finito il tempo! Che peccato Kijo…adesso però devi proprio toglierci la curiosità su cos’era…” la schernì Kotaro cercando di imbarazzarla ulteriormente, strappandole quasi la carta con il soggetto da disegnare dalle mani
“Oh, ma guarda! Era l’omino Michelin! Ah ah ah…non ci sarei mai arrivato…ah ah ah” continuò a sghignazzare da solo come se fosse la cosa più divertente del mondo

“Kijo, tesoro, ti voglio bene ma era davvero impossibile da indovinare da quel disegno…” commentò Lamù abbracciando più forte Ataru

“Ok, ok…va bene! Lascio il pennarello a chi è in grado di disegnare meglio di me” sospirò Kijo, porgendo l’oggetto a Daisuke e tornando a sedersi con la propria squadra.
Il ragazzo alla lavagna pescò dal mazzo dei soggetti una carta, la studiò attentamente e poi, non appena venne girata la clessidra, iniziò la propria opera: aveva appena marcato due righe oblique che Kijo si prenotò per rispondere alzando la mano

“La tour Eiffel!” esclamò quando le venne data la parola

“Corretto!” confermò Daisuke, un po’ sconcertato, passando il testimone a Shinobu, la quale iniziò a delineare una linea seghettata e Kijo interruppe il disegno

“La statua della libertà!” rispose, mentre tutti restavano basiti e Shinobu ammetteva la correttezza della risposta.

Hiroshi prese la carta successiva ed iniziò a sudare freddo: riuscì a malapena a disegnare una specie di colonna quando Kijo di nuovo alzò la mano per dichiarare

“La basilica di San Giovanni in Laterano!” e incredibilmente la risposta era corretta. La squadra di Kijo si lasciò andare ad un grosso abbraccio di gruppo, giacché erano partiti molto male e si ritrovavano in quel momento vincitori.

“Non è giusto, è impossibile! Lei sta sicuramente barando!” insinuò subito il dubbio Ikeda

“Non è vero! È la prima volta che gioco a questa edizione, non conosco neppure le carte!” provò a difendersi Kijo

“Ma dai, sei un’imbrogliona! Nessuno poteva capire la risposta da un paio di segni sulla lavagna! Chiedo che queste risposte siano considerate nulle!” continuò imperterrito Kotaro appellandosi all’arbitro, ovvero il professor Higuma, il quale pareva perplesso. Stava tuttavia per alzare la bandierina rossa, se non altro per mettere a tacere le lamentele lagnose di Ikeda, quando intervenne in favore della ragazza nientepopodimeno che Nabiki Tendo, alzandosi in piedi

“Professor Higuma, prima di prendere decisioni affrettate in merito alla penalità per la mia squadra, ci terrei ad evidenziare che non è affatto strano che Kijo riesca a riconoscere soggetti complessi da pochi tratti; rifletteteci bene: una con un talento totalmente inesistente per il disegno, e questo ce lo ha ampiamente dimostrato numerose volte, deve per forza sviluppare una capacità di astrazione eccezionale. In fondo lei rappresenterebbe la Tour Eiffel con un paio di linee oblique, o la Statua della Libertà con delle linee seghettate: basta vedere come ha disegnato l’omino Michelin! Non possiamo penalizzarla perché non sa disegnare, a questo ci pensa già il gioco stesso, né possiamo penalizzarla perché ha sviluppato una strategia di sopravvivenza nel mondo artistico…”
Tutti ascoltarono Nabiki in religioso silenzio, Kotaro con una smorfia sulla faccia che lasciava intravedere tutto il proprio disappunto, mentre Kijo si ritrovò sorpresa da quell’analisi della sorella Tendo: in effetti non aveva mai pensato alla sua totale negazione per il mondo delle arti da quel punto di vista. Fatto sta che l’arringa di Nabiki convinse Torajiro, che dichiarò le risposte di Kijo valide a tutti gli effetti, strappando una mezza imprecazione a Ikeda.
Quando la ragazza si rivolse a Nabiki per ringraziarla, quella fece spallucce, sostenendo che lo aveva fatto solo per non perdere nel gioco; tuttavia Kijo non poté far a meno di sospettare che forse, in fondo in fondo, un pochino a lei ci tenesse, anche se si limitò a sorriderle senza esternare nulla in merito.

Dato che la prova di sopravvivenza era già stata espletata per il pranzo, i professori consentirono ai servitori di Mendo di allestire nuovamente il ricco buffet a cui avevano lavorato tutto il giorno. L’unica condizione posta dalla Ninomiya fu quella per cui Tatewaki Kuno avrebbe dovuto sparecchiare e pulire le loro stoviglie, molto più numerose di quelle usate per il pranzo, per scontare la sua punizione. Inutile dire che Kuno si oppose con tutte le proprie forze a quell’ingiusta decisione, sostenendo di aver già lavato il pentolame del pasto precedente, col solo effetto di far infuriare ancora di più Hinako.

“Ahi, me misero, me tapino…colpito da una malasorte senza eguali…prima abbandonato dalla mia adorata ragazza col codino, troppo timida per mantenere la promessa che in preda all’emozione di avermi visto mi fece solo poche ore fa! Mio candido giglio, verrà il giorno in cui saremo liberi di amarci legittimamente!... Infine discriminato da quella ottusa professoressa che chissà come si è convinta che abbia mancato la mia punizione…la sfortuna mi reclama proprio come suo diletto, oggi…non mi abbasserò a chiedere a quell’infame di Saotome di confermare alla docente la mia rettitudine nell’aver svolto quell’ingrato compito, ma sia chiaro che la pagherà per non aver dichiarato il vero!” a conclusione del monologo di Kuno uno scenografico quanto improbabile tuono blu squarciò per un istante il cielo, come a conferire una nota epica al suo discorso, ma dopo quell’attimo il cielo tornò subito sereno e stellato.
 
La cena era da poco finita e i falò utilizzati per far luce e calore crepitavano allegramente. Ranma se ne stava seduto a gambe incrociate tra Daisuke e Hiroshi, ridendo mentre il riflesso delle lingue di fuoco danzava sul suo volto spensierato. Kuno era stato spedito a rassettare le cucine Mendo- che terribile onta!- mentre Hikaru osservava estasiato l’eterea Kogame che fluttuava tra le fiamme. Al centro dell’accampamento comparvero a passo spedito Lamù e la professoressa Ninomiya, recando ciascuna una grossa scatola di cartone in braccio: mentre la ragazza dello spazio sembrava non essere per nulla affaticata dal trasporto, l’insegnante annaspava sotto il peso di quella scatola quasi più grande di lei. Come le poggiarono a terra, dopo aver ripreso un attimo fiato, Hinako esordì

“Ebbene, la signorina Lamù vorrebbe condividere con voi i festeggiamenti di una ricorrenza assai importante sul proprio pianeta d’origine, la Festa degli Antenati! Quando le costellazioni si trovano in una determinata posizione…o erano i pianeti? Gli asteroidi? Che palle, di tutta questa roba spaziale non capisco un tubo! Comunque, il succo è che stasera è una serata speciale e per ricordarla degnamente ci appropinqueremo al fiume ad accendere queste lanterne galleggianti” Hinako aveva perso la pazienza cercando di ricordare i dettagli della tradizione extraterrestre: in fondo era un’occasione di festa, che bisognava specificare di più? Il suo entusiasmo da bambina la rese impaziente di godere dello spettacolo che di lì a poco si sarebbe profilato, quindi incitò gli studenti a sbrigarsi e seguirle. Non mancò di schiaffare la pesante scatola in braccio a Saotome, sostenendo che per una volta tutti quei muscoli sarebbero serviti a qualcosa.
 
“Su Oniboshi questo giorno dell’anno è molto speciale. È nostra tradizione accendere lanterne galleggianti da lasciar scorrere nei fiumi o nei corsi d’acqua più vicini per ricordare che i nostri antenati, sebbene non siano più al nostro fianco, possono ancora illuminarci la via da seguire per il nostro futuro coi loro ricordi, i loro insegnamenti, i valori che ci hanno trasmesso in vita” spiegò l’avvenente aliena mentre sfregava un fiammifero su una roccia per accendere la propria lanterna
“Se vorrete, potrete partecipare a questo rituale, magari dedicando un pensiero ai vostri antenati, conosciuti e non” concluse sorridendo e appoggiandola sulla superficie dell’acqua. Quel piccolo lumino brillava nell’oscurità sfumandone i contorni, allontanato da una leggera corrente che lo spingeva sempre più a valle.
Gli studenti risposero entusiasti a quella proposta, affrettandosi ad accendere le proprie lanterne per lasciarle scivolare nel fiume. Mendo fu sollecitato a sbrigarsi, giacché aveva estratto dalla tasca un’interminabile pergamena recante i nominativi di tutti i propri antenati fino alla decima generazione antecedente e pretendeva di declamarli tutti prima di posare la lanterna.

Fortuna che almeno Kuno non è presente, altrimenti chi ci avrebbe salvati da una declamazione anche da parte sua?” sospirò di sollievo Nabiki, assistendo alla scena.

Lo spettacolo di tutte quelle fiaccole che illuminavano la notte, riflettendosi sulla superficie dell’acqua era semplicemente magico e ammaliante; Kogame, affascinata da quella scia luminosa, l’accompagnò galleggiandovi sopra finché riuscì a scorgere a malapena le candele accese sulla testa di Hikaru, quindi decise di ritornare. Seguire le luci nell’oscurità era diventato un istinto primario per lei, da quando era diventata un fantasma: dapprima quando aveva per anni disperatamente provato a passare oltre per raggiungere il mondo dei più, nutrendo la propria frustrazione ad ogni tentativo fallito, successivamente ogni volta che Gosunkugi la evocava per passare del tempo in sua compagnia. Tutto dipendeva dalle luci, poiché un’essenza incorporea come lei, paragonabile ad un’ombra, solo grazie alla luce poteva emergere ed essere definita: essa non doveva essere troppo forte o violenta, giacché avrebbe avuto l’effetto nocivo di farla scomparire, come quando un faro viene puntato sulle ombre di un muro, tuttavia con l’intensità giusta (e un rituale opportuno) era possibile attraversare il passaggio. 
Fu un momento molto toccante, ma mai quanto Moroboshi che allungava le mani a tutto spiano con ogni ragazza che gli capitava a tiro col favore dell’oscurità: non solo si prese dei sonori ceffoni, ma anche una scarica a pieno voltaggio dalla fidanzata, che illuminò a giorno l’ambiente per qualche secondo.
 
Mentre tornavano al campo base Ranma, che stava chiacchierando con Daisuke, scorse con la coda dell’occhio che Kijo volontariamente stava rallentando il passo per farsi superare e rimanere in coda al gruppo; quando furono circa a metà strada si voltò e non c’era più. Il primo istinto fu quello di attirare l’attenzione della professoressa su questo fatto, tuttavia si trovò combattuto poiché non voleva fare la spia, pertanto continuò a camminare imperterrito sebbene i suoi sensi fossero all’erta e la sua respirazione si fosse fatta meno regolare.

“…e a quel punto non avevo scelta! È un’amica di mia sorella e ci avrei fatto una pessima figura se mi fossi rifiutato di accompagnarla, ti pare? Ehi, Ranma, ma mi stai ascoltando?” Daisuke aveva l’aria di chi aveva raccontato una storia molto dettagliata e adesso chiedeva un consiglio all’interlocutore, peccato che Ranma non aveva assolutamente idea di ciò che avesse detto. Provò a cavarsi dall’impaccio con una frase generica che sperava andasse bene

“Certo, certo…secondo me dovresti lasciar perdere”

“Sei serio? Guarda che mica tutti si trovano fidanzati con una delle ragazze più carine della scuola senza muovere un dito, sai? Alcuni di noi devono sudarsela…” ribatté l’amico, un po’ confuso

“Ancora con questa storia assurda…Kijo? Mica è la mia fidanzata! Mi ci manca solo questa…” si affrettò a replicare Ranma, forse un po’ troppo, vedendo il totale sconcerto sul volto di Daisuke che continuò, con tono incerto

“Kijo? Cosa c’entra? Io sto parlando di Akane Tendo, la tua fidanzata”

Oh, merda! Che tremenda gaffe aveva appena fatto? Pensa Ranma, pensa, dannazione, a qualcosa da dire per rimediare a questo lapsus colossale! Un sudorino freddo iniziò a formarglisi alla base del collo, costringendolo ad allentarsi il colletto della casacca, mentre sul viso gli si dipingeva involontariamente un’espressione colpevole.
Non appena riuscì a far fare contatto ad un paio di neuroni, deglutì rumorosamente e se ne uscì con

“Ehm, mi sa che hai capito male! Non ho detto Kijo, ho detto Chi, io? Mi riferivo al fatto che non mi sono scelto io Akane come fidanzata, come è ormai arcinoto a tutti”.
Il ragazzo col codino agitava le mani davanti a sé, come a cancellare quell’assurda ipotesi, un sorriso forzato sul volto ed una goccia che si faceva sempre più grande a lato della testa.
Daisuke sollevò le sopracciglia non troppo convinto, tuttavia non obiettò più nulla.

Quando c’era passata un’oretta prima l’aveva notato: un piccolo baluginio intermittente, che si andava a nascondere tra i cespugli di uno stretto sentiero che, a detta degli altri, portava ad un laghetto. Adesso, prima di tornare al campo base, voleva verificare che gli occhi non l’avessero tradita, che non si fosse solo immaginata tutto. Percorse furtivamente, attenta a non fare rumore, quel breve tratto che si addentrava nella boscaglia e una volta giunta nei pressi del laghetto si trovò davanti allo spettacolo più emozionante che avesse visto in vita sua: centinaia di piccole lucciole danzavano a mezz’aria attorno e sopra allo specchio d’acqua, conferendo un’aura magica a quel luogo già di per sé assai ameno. Lievi brividi dovuti all’aria fresca scossero il suo corpo, che pian piano si avvicinò ad una roccia che si affacciava sul lago, quasi mosso da una volontà esterna. Guardò il proprio riflesso, Kijo, circondato da quei puntini di tremula luce, poi chiuse gli occhi un attimo e respirò profondamente. Si sentiva parte del tutto, completamente serena, a casa…felice come quando da bambina scorrazzava in giardino nelle serate quasi estive con un barattolo in mano e cercava di acchiappare quante più lucciole potesse, giacché ciascuna le avrebbe regalato un soldino. Uno di quei piccoli insetti le si posò sul naso, rendendolo intermittente e questo la fece sorridere. Era sicura che non avrebbe mai dimenticato quel momento, una delle rare volte che si sentiva al posto giusto nel momento giusto.
Qualche minuto più tardi, la sua contemplazione venne interrotta da un fruscio alle proprie spalle; si voltò repentinamente, tanto che per poco non volò in acqua, ma per fortuna riuscì a mantenere l’equilibrio per scoprire che Ranma sostava proprio dietro di lei.

“Che ci fai qui?” gli domandò la ragazza, quasi ridestandosi da un sogno

“Che ci fai tu qui? Dovresti essere al campo, tra poco c’è il coprifuoco e faranno l’appello” replicò lui incrociando le braccia “Inoltre non è sicuro che tu stia qui da sola in mezzo alla foresta…”

“Guarda che spettacolo, Ranma…non vedi com’è bello? Non vorrei essere in nessun altro posto, adesso” sussurrò lei. Non poteva darle torto, quel panorama era davvero mozzafiato e…accidenti, era lo stesso posto del sogno che aveva fatto la notte precedente! Quel pensiero gli recò un subdolo imbarazzo che si faceva strada verso le sue guance: possibile che fosse solo una coincidenza? Oltretutto quel luogo aveva un’aria che si poteva definire romantica, se avesse avuto inclinazioni per tali scemenze…Fatto sta che era a disagio, pertanto intimò a Kijo di andarsene una buona volta.

“E dai…ancora qualche minuto…perché non ti siedi qui e ti lasci travolgere dal senso di pace che questo posto emana?” la ragazza aveva accarezzato con la mano una roccia accanto alla sua, suggerendogli implicitamente di sistemarsi lì. Con movimenti tutt’altro che fluidi lui assecondò la sua velata richiesta e si mise a sedere; doveva ammettere che lasciarsi coinvolgere da quell’atmosfera eterea non era affatto male: sembrava di essere sospesi fuori dallo spazio e dal tempo, in una bolla fatata di bellezza senza preoccupazioni. Per sbaglio sfiorò con il mignolo la mano di Kijo, appoggiata sulla roccia vicino alla sua e immediatamente si irrigidì e pose fine all’involontario contatto. Kijo non se ne accorse neppure, o almeno non lo diede a vedere, tuttavia pochi attimi dopo se ne uscì con un quesito piuttosto singolare

“Mi è stato detto, una volta, che ogni persona ha almeno un bel ricordo nella sua vita legato alle lucciole. Qual è il tuo?” solo sull’ultima parola si era decisa a voltarsi verso di lui, quasi le dispiacesse distogliere gli occhi da quello spettacolo. Ranma rimase piuttosto sorpreso e lì per lì ebbe difficoltà a rispondere; il primo ricordo, il più recente che gli era venuto in mente era quello in cui Akane aveva comprato delle lucciole ad una fiera e lui l’aveva presa in giro fino allo sfinimento sostenendo che le avessero rifilato una scatola vuota. Non lo avrebbe definito un ricordo propriamente felice, tuttavia, giacché gira e rigira poi erano finiti di nuovo a litigare, come sempre. Poco dopo il suo volto pensieroso venne rischiarato da un sorriso di vittoria e cominciò a raccontare

“Beh ecco…cinque o sei anni fa ero accampato con mio padre sul monte Hotaka, per uno dei nostri consueti viaggi di allenamento. A causa di una sua disattenzione un tizzone del fuoco che avevamo acceso finì per bruciare gran parte della nostra tenda, per cui si prospettava una notte all’addiaccio. Mentre mi rannicchiavo il più vicino possibile al fuoco col sacco a pelo, sentii delle risate avvicinarsi nella nostra direzione: era una giovane coppia che abitava poco distante ed erano usciti per passeggiare tra le lucciole. Si impietosirono della nostra situazione e ci offrirono ospitalità per la notte. Ricordo che non avevo dormito così tanto bene da parecchio tempo!”
Kijo sorrise, immaginando la vicenda narrata dal ragazzo e stava per dire qualcosa a riguardo quando lui la prese in contropiede e le chiese

“Invece il tuo qual è?”

“Oh…beh, ecco…Tre anni fa ero alla festa di compleanno di una mia carissima amica e la serata stava andando a scatafascio: il ragazzo che mi piaceva da una vita stava flirtando con tutte tranne che con me, ovviamente, ed avevo il morale sotto i piedi. La festa si svolgeva nella casa di campagna della nonna, quindi oltre il grande giardino si profilavano campi e perfino un boschetto di betulle nel quale il suddetto tipo si divertiva a portare ora questa ora quella ragazza. Ad un certo punto alla mia amica venne in mente di proclamare una gara a chi avesse catturato più lucciole: ricordo che saccheggiammo la cucina della nonna per prendere ciascuno un barattolo di quelli che usava per le conserve…quanto si arrabbiò il giorno dopo!” Kijo di lasciò sfuggire una risata, persa nei ricordi, poi continuò, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio “Insomma, correre per i campi, per il bosco e nel giardino a perdifiato, l’aria fresca sulla pelle, con le risate di tutti i miei amici che mi risuonavano nelle orecchie, per cercare le lucciole mi regalò un’emozione tale che mi sembra di riviverla con la stessa intensità ogni volta che ci penso…e fu un’ottima distrazione per non pensare al tizio!”

“Mi pareva impossibile che tu non raccontassi qualcosa legato a un ragazzo…Ma almeno vincesti tu la gara?” chiese Ranma a quel punto incrociando le braccia al petto

“Eeeh…sai che non me lo ricordo! Non mi sembrava importante al momento, però è uno dei miei ricordi più cari in assoluto” rispose Kijo socchiudendo leggermente gli occhi, poi fece un sospiro profondo e continuò “Tuttavia se da domani dovessero domandarmi nuovamente del mio aneddoto preferito sulle lucciole, racconterei senza dubbio di stanotte”.
Con questa esclamazione, decise di alzarsi in piedi e sorridendo si incamminò lentamente verso l’accampamento. Ranma, dopo lo smarrimento iniziale dovuto a quell’ultima inaspettata frase, si affrettò a seguirla.
 
 
 

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Capitolo 15
*** La tecnica moxa dei Vasi Comunicanti ***


16 Giugno


Era una pigra mattina domenicale e la vita in casa Tendo si stava svolgendo tranquillamente, una volta tanto. L’aria calda dell’estate alle porte scoraggiava le attività fisiche, ciononostante Ranma già di buon’ora si era recato nel dojo per sottoporsi ad un allenamento assai intenso col pupazzo di legno. Non era solito usare quella sorta di totem tra i suoi esercizi quotidiani, ma qualche giorno prima Kijo lo aveva portato durante una loro sessione e lo aveva fatto riflettere sull’utilità di quell’aggeggio per migliorare la precisione dei colpi sferrati; nel corso degli anni lei lo aveva adoperato parecchie volte e sebbene Ranma fosse avvezzo ad altri tipi di insegnamenti, pensò che non avrebbe potuto nuocergli tentare di allargare la propria conoscenza ad altri metodi. Finì dunque che Kijo lasciò il pupazzo di legno al dojo Tendo e Ranma passava tutta la fase preliminare del proprio addestramento a giocarci. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, poiché lui era l’esperto del settore, ma qualche volta l’allenamento con quella ragazza gli offriva dei nuovi spunti di miglioramento. Solo un dettaglio dei loro incontri aveva trovato strano: Kijo aveva insistito per concentrarsi sui kata e lo studio individuale delle corrette posizioni e movimenti, ma aveva accuratamente evitato qualsiasi scontro fisico vero e proprio. Magari non significava niente, non voleva neppure forzarla più di tanto, tuttavia la misurazione diretta tramite il combattimento finale era diventata una costante nei loro precedenti allenamenti, mentre adesso era completamente sparita.

“Buongiorno Ranma! Volevo avvisarti che tra poco la zuppa sarà pronta, se vuoi farti un bagno prima di venire a pranzo” disse Kasumi sulla soglia del dojo; anche lei era in piedi dall’alba e a giudicare dalla mole del cesto che portava tra le braccia aveva già cucinato, fatto il bucato e si preparava a stenderlo.

“V-vuoi una mano? Cioè, sembra pesante quel cesto…” si trovò a chiedere il ragazzo. Dannata Kijo! Da quando gli aveva fatto notare quanto Kasumi si prodigasse sempre per tutti e che non era affatto tenuta a farlo solo perché era una donna non poteva più dare tutte le faccende per scontate senza sentirsi un briciolo in colpa. Lei e le sue manie femministe del cavolo!

“Oh, davvero? Grazie Ranma! Faremo prestissimo a stendere in due” gli sorrise Kasumi, traboccante di gratitudine.
Giunti ai fili tesi, Kasumi staccò dal bastone il cestello con tutte le mollette e lo mise tra lei e Ranma; iniziò subito a stendere un grande lenzuolo e a percuoterlo con un battipanni perché non rimanesse grinzoso. L’artista marziale dal canto suo prese degli asciugamani e li appese sull’altro filo.
“Posso chiederti perché ti allenavi con quella specie di attaccapanni? Non l’ho mai visto usare a nessuno prima…” domandò Kasumi cercando di fare conversazione

“Beh, ecco…non è un attaccapanni, si chiama pupazzo di legno. In realtà il nostro stile di lotta non lo prevede, però è un attrezzo con cui di solito si allena Kijo e lo sto studiando per capire se può essermi utile” farfugliò il ragazzo. Caspita che caldo che faceva! I panni si sarebbero asciugati in un attimo.

“Ah, capisco…come sta quella cara ragazza? È un po’ che non la vedo…” continuò Kasumi in tono affabile, mentre sistemava sul filo degli accappatoi

“Sta bene. Non capita qui molto spesso perché studiamo con più -ehm- tranquillità alla clinica di Tofu. A volte viene al dojo per allenarsi, ma non sempre ci sei e questo fine settimana è andata con il dottore ad una specie di convegno sull’agopuntura, la moxa, la medicina naturale…quella roba lì” Ranma prese un respiro profondo, inalando con piacere il profumo di pulito che emanava dai panni che teneva in mano

“Ah, che caro il dottore, mi aveva accennato di questo simposio quando è passato a trovarci, qualche giorno fa… Deve tenere Kijo in grande considerazione se le ha permesso di andare con lui!”
Kasumi appese sapientemente una sua gonna ampia e azzurra; notò un piccolo strappo sull’orlo inferiore, per cui prese nota mentalmente di preparare ago e filo per sistemarla, poi continuò

“Tuttavia mi è parso di capire che fosse preoccupato che lei si vedesse con qualcuno di poco raccomandabile. Oddio, non sempre è immediato interpretare il Dottor Tofu quando parla, ma tra un gridolino e l’altro ho avuto l’impressione che il succo fosse quello. Mi ha perfino domandato se sapessi qualcosa però lei non mi ha mai confidato niente in merito” spiegò la giovane donna mentre raddrizzava gli shorts di Nabiki, un’ombra di apprensione sul suo viso

“Magari in questi giorni sarà riuscito a farla confessare” commentò Ranma ostentando noncuranza, le braccia incrociate dietro la testa

“Oh, Ranma, non si sarà messa in qualche guaio, vero? Ti prego, promettimi che se scoprirete qualcosa verrete a riferirmelo…” l’attitudine materna di Kasumi non poté più essere contenuta e la ragazza supplicò il promesso cognato giungendo le mani dinanzi a sé

“Ehm, ma certo…faremo il possibile per aiutarla…”

“Figliolo, che mi tocca vedere! Ti sei messo a fare pure i lavori da donna adesso? Devo aspettarmi che cucinerai tu d’ora in avanti?” lo aggredì il padre, arrivandogli dall’alto con un calcio che prontamente Ranma schivò

“Signor Genma, veramente suo figlio è stato molto gentile ad aiutarmi ad alleggerire il mio carico di lavoro. Visto che è una grande famiglia da mandare avanti, qualsiasi collaborazione è assai apprezzata” gli rispose Kasumi, con molta educazione, eppure lasciando entrambi di stucco. Genma non poté fare a meno di raccogliere la frecciatina e sentirsi un poco un verme per non aver mai neppure pensato di aiutare quella santa ragazza…tuttavia temendo che in futuro gli fosse affibbiato qualche ingrato compito di cucina o pulizia si affrettò a replicare

“Mia dolce Kasumi, hai perfettamente ragione! Sono stato uno stolto e ti assicuro che Ranma sarà ben felice di svolgere tutti i compiti domestici che ti sentirai di propinargli! Siamo nel ventesimo secolo, per tutti i kami, bisogna ammodernarsi!”

“Ehi, e tu continuerai a non far nulla? Non credo proprio!” si risentì Saotome junior, cercando di colpire con un pugno Genma, il quale per tutta risposta si lanciò nello stagno ed emerse con un cartello con su scritto «I panda non sanno svolgere le faccende»

“Ah, ma davvero? E allora che cosa ci vai a fare allo studio di Tofu tutti i giorni!” urlò il codinato esasperato, lanciando il padre in orbita con un calcio.
 

“Avete sentito? Ospiteremo i diciottesimi Giochi Olimpici Invernali a Nagano tra qualche anno…” buttò lì Nabiki per rompere quel fastidioso silenzio che si era creato attorno alla tavola.
Ranma e il padre erano ancora corrucciati per la litigata precedente mentre Soun era perso nei suoi ricordi dei tempi andati: quel giorno aveva un significato particolare per lui, in quanto era l’anniversario di quando conobbe sua moglie. Gli pareva ancora, dopo tanti anni, di sentire la sua dolce voce che lo chiamava, il suo buon profumo che la avvolgeva senza essere troppo invasivo. Il giorno in cui l’aveva conosciuta aveva subito capito che la sua vita non sarebbe stata più la stessa, che non sarebbe più riuscito a far a meno di quella giovane donna dai modi garbati e gli occhi brillanti…diamine, quegli occhi…a volte guardando Kasumi, Nabiki o Akane gli sembrava che lei lo osservasse tramite loro, tanto li avevano simili. A distanza di molti anni ancora non aveva capito per quale ragione il destino avesse deciso di punirlo in un modo tanto atroce portandogliela via così presto, ma aveva dovuto reagire in fretta per il bene delle figlie, che dipendevano interamente da lui. Era in fondo stato un buon padre? Questa domanda lo attanagliava durante tutte le ricorrenze, poiché era la solenne promessa che aveva fatto a sua moglie in punto di morte. Il groppo che gli stava crescendo in gola si fece sempre più evidente, finché non provò a mandarlo giù bevendoci un generoso sorso di sakè.

“Oh, sul serio? Voi sapete sciare signor Genma?” raccolse lo spunto Kasumi, versando un’ulteriore mestolata di zuppa nella ciotola del signor Saotome, che prese a suggerla rumorosamente

“Non ho mai provato, ma quando uno è un artista marziale non c’è sport che non possa fare! Piuttosto mi stupisce l’interesse di Nabiki per un argomento sportivo…” rispose con convinzione Genma, rivolgendosi poi alla ragazza col caschetto

“Beh, io in realtà sono molto più interessata a tutto l’indotto economico che verrà dietro a questo evento! La sezione sportiva delle Mendo Industries dovrà correre per produrre articoli all’avanguardia, per non parlare del marketing e del settore alberghiero nei dintorni che…” era partita in quarta Nabiki, cercando di instillare un po’ di nozioni economiche nei membri della propria famiglia. Inutilmente.

“Mendo? Non è quel ragazzo con cui ogni tanto ti trovi ad uscire? Ci farebbe piacere conoscerlo prima o poi, non è vero papà?” intervenne Kasumi a bloccare lo sproloquio finanziario della sorella

“Uhm, sì…quando lo riterranno opportuno…non c’è alcuna fretta…” commentò distrattamente Tendo

“Ah, davvero? E come mai allora a me ed Akane state perennemente col fiato sul collo?” rispose polemico Ranma

“Andiamo figliolo, ne abbiamo discusso cento volte! Dovevamo risolvere il problema della successione della palestra, una volta assicurato questo le sorelle di Akane possono fare quello che vogliono, no?” riassunse Genma con noncuranza

“Per far questo bastava diventare soci, no? Che bisogno c’era di spingerci al matrimonio?” ribatté ancora Ranma, infastidito

“Ma se resta tutto in famiglia è tutto più semplice, no?” ridacchiò Genma, bevendo nervosamente. Quando si sarebbe rassegnato quello sciagurato di suo figlio? Non si era ancora stancato di brontolare?

“Forse più semplice per te” concluse Ranma a denti serrati

“Buongiorno famiglia Tendo!” una voce familiare squarciò l’aria della sala da pranzo quando la figura imponente di Kuno Tatewaki apparve sulla soglia e si inchinò in segno di rispetto. Era vestito di tutto punto con un hakama blu scuro sul quale scendeva un haori di tono leggermente più chiaro, tant’è vero che Kasumi si sentì lievemente in difetto ad accoglierlo col grembiule della cucina ancora indosso

“Perdonatemi se vi disturbo durante il vostro pranzo della domenica, tuttavia abbiamo ricevuto una missiva da mia sorella Kodachi per Saotome e ci teneva che fosse recapitata il prima possibile. Come sai adesso studia in un collegio…più adatto alle sue esigenze e pare che abbia fatto dei grandi progressi” spiegò il Tuono Blu tendendo un braccio recante una busta verso Ranma.
Al solo vedere quella grafia spigolosa al codinato venne la pelle d’oca, tuttavia si decise ad aprire la lettera e leggerne il contenuto

«Mio adorato Ranma,
ti scrivo per comunicarti che sebbene tu sia un ragazzo dalle innumerevoli qualità, io non sono più ossessionata da te: non passo tutti i 1440 minuti che ci sono in capo ad un giorno a pensare a quanto sei meraviglioso e non mi sveglio più volte nel cuore della notte perché ho una voglia matta di rivederti e ammirare i tuoi lineamenti…Ammetto che prima la mia fissazione aveva un che di patologico, ma adesso sono praticamente guarita: so di mancarti molto, ma il percorso che devo affrontare è ancora lungo, pertanto non posso ancora tornare in Giappone. Spero che quando sarà possibile, vorrai darmi l’opportunità di dimostrarti quanto sono cambiata.
Con tutto il mio smisurato amore
Con morigerato affetto,
Kodachi
»
Il fondo della busta era ricoperto da petali di una rosa nera, che sprigionarono una sorta di gas violetto una volta che la lettera fu riposta di nuovo dentro, costringendo Ranma ad addormentarsi seduta stante.
“Beh, doveva essere proprio soporifera quella lettera, non trovi?” commentò sarcastica Nabiki accennando nella direzione di Ranma che russava sonoramente

“Ehm, credo che per quanto mia sorella ce la stia mettendo tutta, abbia ancora bisogno di tempo…certo se questo servirà a porre fine alla sua ridicola ossessione per Saotome ben venga!” rispose Kuno ostentando dignità e strappando un’involontaria risata a Nabiki dato che lui stesso coltivava inconsapevolmente un’ossessione per lo stesso soggetto.

“Ma parlando di sorelle, come sta la dolce Akane Tendo? E, cosa più importante, ha chiesto di me?” tornò alla carica Tatewaki, estraendo un pettine dalla manica e passandolo tra i capelli

“Signor Kuno, perché non vi sedete a tavola con noi? Posso aggiungere un piatto se desiderate mangiare qualcosa. Quanto ad Akane in realtà l’abbiamo sentita proprio qualche giorno fa e sembra che se la stia cavando alla grande: ci racconta sempre e solo cose positive, il che se da un lato mi rallegra, dall’altro mi porta a sospettare che ci tenga nascosto qualcosa per non farci preoccupare…” confessò Kasumi con un velo di apprensione

“Andiamo sorella, lo so io cosa ci nasconde e non è certo il caso di preoccuparsene…del resto là più di altrove hanno il sangue caliente, no?” si espresse Nabiki rimarcando la sua teoria con un occhiolino e l’aria saputa

“Nabiki, ti prego…un po’ di rispetto per…insomma, non ha senso fare strane supposizioni, no?” Kasumi si voltò a guardare Ranma che ancora non si era ripreso, un po’ in imbarazzo

“Temo di non afferrare questo scambio di battute” disse Tatewaki con la faccia pensierosa

“Già, figliola…c’è qualcosa riguardo ad Akane che vorresti condividere con noi poveri ignari?” si unì alla conversazione il capofamiglia, mentre si accarezzava la nuca in segno di smarrimento

“No, niente affatto. Sono solo mie ipotesi, come dice Kasumi. Oh, quanto è tardi, devo proprio uscire adesso! Ciao a tutti!” così dicendo, mentre guardava un inesistente orologio da polso, Nabiki si dileguò dalla stanza.

“Si vede con quel Mendo di nuovo?” non poté far a meno di domandare Kuno, mentre Kasumi annuiva cautamente; in quel mentre Ranma riprese conoscenza e per prima cosa lanciò la lettera il più lontano possibile nella stanza

“Quella matta di tua sorella non è cambiata di una virgola!” si scaldò contro Tatewaki

“Per quanto muoia dalla voglia di darti una lezione per il tuo comportamento irrispettoso, devo presenziare al pranzo annuale della scuola di Kendo e non posso tardare. Sarò pronto quando vuoi per battermi nuovamente con te, Saotome!” così dicendo Kuno si alzò e accennò un inchino verso Soun per poi voltarsi e dirigersi verso la porta. Prima di uscire dalla stanza si fermò e si voltò nuovamente
“Ah, quasi dimenticavo. Mio padre ha bocciato su tutti i fronti l’idea del Professor Higuma in merito alle lezioni integrative…che la ragazza straniera avrebbe dovuto impartirci. Dimostrando un inaspettato buonsenso ha ritenuto che fosse disdicevole e inopportuno parlare di certi argomenti a scuola. Quindi se hai modo di vederla puoi riferirglielo e farle tirare un sospiro di sollievo” con queste parole si congedò del tutto il rampollo dei Kuno

“Si riferiva a Kijo, vero Ranma? Mi domando che cosa avrebbe potuto insegnare quella ragazza…sono in programma dei nuovi corsi di italiano?” chiese sorridendo Kasumi, sollevata che il pomposo ospite si fosse ritirato

“Ehm, sì…una cosa del genere…ma non è andata a buon fine” commentò il ragazzo sul vago, sopportando un’enorme goccia dietro la testa.
 

Ben presto anche i Saotome si dileguarono, lasciando Kasumi da sola col padre nella stanza da pranzo. Vedere il genitore così assente per tutta la giornata era stato un duro colpo per la sensibilità della figlia maggiore, che si sentiva impotente dinnanzi ad un così ostinato mutismo. Decise quindi di tentare il tutto per tutto, appoggiò nuovamente sul tavolinetto i bicchieri che stava per sparecchiare e si sedette di fronte a lui, prendendogli le mani tra le proprie
“Caro papà, da stamattina ti avrò sentito dire al massimo due frasi…posso sapere se c’è qualcosa che ti preoccupa?”

Eccoli lì, quegli occhi castani, dolci e luminosi, proprio come quelli di lei
“Oh, bambina mia! Lo sai che tu e le tue sorelle siete la cosa più preziosa che ho al mondo e sono grato ogni giorno di poter dividere la mia vita con voi…solo, a volte, mi domando come sarebbe stato se tua madre fosse rimasta al nostro fianco…” per quanto tenacemente stesse cercando di ricacciarle indietro, grosse e calde lacrime si affacciarono agli angoli degli occhi di Soun Tendo e sgorgarono imperterrite rigando il suo viso. Strinse le mani di Kasumi, che si era fatta ancora più triste e preoccupata e poi continuò
“Ci sono giornate difficili, ricorrenze per lo più, in cui il suo ricordo è talmente vivido che non riesco ad ignorarlo. Mi dispiace se ho reso l’atmosfera pesante per tutti quanti”

“Papà, non dirlo neppure! La mamma manca molto a tutte noi ed è la cosa più naturale del mondo! Sentiti libero di vivere questi momenti come preferisci, ma senza nasconderti o cercare di sembrare forte o sereno per forza…Non sai quante volte io mi ritiri nella stanzina del bucato quando la tristezza è troppo dilagante, oppure Akane si nasconda sul tetto; Nabiki invece preferisce chiudersi in camera propria: credo che se potessimo accettare di manifestare anche la nostra sofferenza, di tanto in tanto, farebbe un gran bene a tutti”

Quanti anni passati a far finta che tutto andava bene, a sorridere forzatamente, a sembrare più forti nei momenti di disperazione…Soun riteneva di doverlo alle figlie, le figlie ritenevano di doverlo a lui…e intanto la voragine interna cresceva e li consumava lentamente. Si decise ad abbracciare la figlia, piangendo sulla sua spalla, e dopo un buon quarto d’ora ritrovò il sorriso tra le ultime lacrime che stava asciugando e disse
“Grazie mia piccola Kasumi. I tuoi consigli sono stati assai preziosi e spero che d’ora in avanti saremo più liberi di parlare del nostro malessere. Stasera però avrei voglia di distrarmi un po’…perché non senti se Tofu e la sua assistente hanno voglia di venire a cena?”
 
 
Puntuali come un orologio svizzero, Ono e Kijo si presentarono a casa Tendo all’ora concordata. Kasumi, che li accolse alla porta, notò con piacere che sebbene avessero un’aria un po’ stanca, sembravano decisamente soddisfatti. Il dottore aveva deciso di vestirsi all’occidentale con una camicia grigio perla e dei pantaloni scuri che mettevano in risalto il suo fisico curato. Alla padrona di casa scappò una piccola risata notando che uno dei bottoni finali era stato abbottonato male, così come quelli sottostanti, ma Tofu per certe cose era distratto, non ci si poteva far nulla.
Kijo invece si era raccolta i capelli in una treccia, lasciando due ciocche che le cadevano lungo il volto e si era perfino truccata un pochino: aveva un’aria più adulta quella sera e pensò che fosse proprio carina. La sua borsetta emise uno strano suono, ma lei si limitò a guardarla per un attimo facendo finta di nulla.
“Grazie mille per il vostro invito, Kasumi. Quando ci hai chiamato eravamo appena rientrati da Togane e il nostro frigorifero piangeva miseria. Ci avete salvato da una probabile serata di digiuno! Ci dispiace solo essere venuti a mani vuote…” esclamò Kijo, inchinandosi davanti alla ragazza

“Non c’è problema, fortunatamente avevo un po’ di scorte ed è sempre bello avervi a cena” rispose educatamente Kasumi.

Ono, con gli occhiali già illuminati da una luce ben nota, si stava rivolgendo al portaombrelli
“Signor Tendo, grazie per la vostra gentilezza. Noto qualcosa di diverso in voi, avete cambiato taglio di capelli?”

Kijo sospirò mentre Kasumi ridacchiava divertita, prese Tofu sotto braccio e lo condusse verso la sala da pranzo. In quel momento incrociarono Ranma nel corridoio, di ritorno dall’allenamento in palestra
“Kijo? Dottore? Siete dei nostri stasera?” esclamò stupito pensando che come al solito nessuno si preoccupava mai di avvertirlo dei piani in quella casa. Si asciugò la faccia dal sudore con un asciugamano che teneva sulle spalle e poi si congedò promettendo di scendere a cena nell’arco di pochi minuti. Mentre saliva le scale la sua attenzione fu catturata da una sorta di bip che veniva dal piano sottostante, ma non ci diede troppo peso e, facendo spallucce, si precipitò a fare la doccia.
 
Quando fu pronto la tavola era già imbandita e gli ospiti seduti: prese dunque posto di fianco a Kijo, come di consueto, e non appena si fu inginocchiato sul cuscino Kasumi cominciò a servire il riso al curry. Ono, che era situato accanto a Kasumi, stava già dando di matto, infatti aveva iniziato a rosicchiare le bacchette di legno sostenendo che fossero dei grissini gustosissimi. Sebbene il comportamento del dottore risollevasse l’ilarità generale, Kijo non poteva far a meno di sentirsi mortificata per lui: era consapevole che la famiglia Tendo lo conosceva da una vita ed era avvezza alle sue stranezze in presenza della signorina Kasumi, ciononostante le sarebbe piaciuto dargli l’opportunità di dimostrarsi padrone di sé, per una volta.
A tal proposito accarezzò la propria borsetta e, con un sospiro di rassegnazione, si preparò ad attuare il piano d’emergenza che si era figurata. Estrasse un bastoncino di artemisia essiccata e un accendino viola e si alzò in piedi, attirando tutti gli sguardi su di sé

“Dottore, che ne dite di fare una piccola dimostrazione di qualche tecnica che abbiamo appreso al congresso di Togane? Sono certa che la moxibustione riscuota sempre un certo fascino, non trovate?”

“T-ti sembra opportuno farlo adesso, Kijo? Potremmo dare una dimostrazione dopo che abbiamo assaggiato questi splendidi stuzzichini, non credi?” replicò Tofu mentre piluccava i petali dei fiori ornamentali del centrotavola.

Portandosi una mano alla fronte e buttando gli occhi al cielo, Kijo continuò imperterrita, rivolgendosi verso Kasumi con fare allusivo
“Ah, peccato, perché Kasumi mi aveva confidato di essere molto curiosa in merito, non è vero?”

“Davvero? Non mi pare di-” cominciò la sorella maggiore, ma venne subito interrotta da Nabiki che, assai lesta di comprendonio, intervenne

“Sorellona, non fare la timida…lo hai detto anche a me che in questi giorni non hai fatto altro che pensare a cosa avessero imparato a quel simposio…lascia che ce lo mostrino adesso, gli stuzzichini non si fredderanno di certo!”  concluse lanciando un’occhiata con tanto di sopracciglio alzato al centrotavola

“Benissimo! Allora dottore, ho bisogno che venga accanto a me mentre mi esercito con la fumigazione” così dicendo Kijo avvicinò la fiamma dell’accendino ad un’estremità del bastoncino di artemisia e ne ricavò una spira di fumo persistente.
L’allontanamento da Kasumi e la concentrazione su uno strumento professionale consentirono a Tofu di ritornare precariamente in sé, tant’è che domandò
“Vuoi simulare la tecnica che ti ha insegnato il dottor Seitan?”

“Esattamente…voglio effettuare la tecnica dei vasi comunicanti” rispose determinata Kijo

“Seitan è un giovane e stimato collega e avete passato molto tempo insieme a parlarne, ma sei sicura di aver capito bene come funziona?” chiese un po’ preoccupato il medico

“State tranquillo dottore! Toshio- ehm- il dottor Seitan è stato molto esaustivo nelle spiegazioni e mi ha assicurato che nel caso peggiore non succederebbe niente” mise su un sorriso smagliante la ragazza.
Ranma aveva aggrottato le sopracciglia di fronte a quel teatrino, mentre gli altri astanti erano ormai incuriositi e si erano lasciati andare ad un piccolo applauso di incoraggiamento.
Kijo prese un respiro profondo e iniziò a passare il bastoncino fumante sul primo tsubo che la tecnica richiedeva, ovvero l’ombelico: disegnò alcuni cerchi con il fumo vicino al proprio, per poi passare a ripetere l’operazione vicino a quello di Tofu, poi passò alla fronte, allo sterno, al palmo della mano sinistra e all’orecchio destro, sempre ripetendo le stesse movenze che attuava su di sé specularmente al dottore. Alla fine dell’operazione sembrava come se Ono e Kijo fossero collegati da numerosi fili di fumo, i quali si illuminarono non appena la ragazza spense il bastoncino di artemisia in un posacenere. In quel momento Ono si sentì stordito e la stanza prese a vorticargli intorno, ma stoicamente non si mosse; Kijo, dal canto suo, si sentì per un attimo come se tutte le energie le fossero state risucchiate e le tremarono le gambe, ma per fortuna ritrovò assai rapidamente la propria stabilità.

“Beh? A parte il gioco di prestigio con le luci non mi sembra che sia cambiato granché…a quanto pare questo Seitan è poco più di un ciarlatano…” arrivò alla propria conclusione Ranma, reggendosi la nuca con entrambe le mani e trasudando disistima

“Ma non è vero! Il dottor Seitan…” esordì Kijo ma si bloccò di colpo come se la voce le fosse morta in gola; diventò rossa come un peperone, sbarrò gli occhi e quatta quatta si sedette nuovamente al tavolo

“Il dottor Seitan è uno dei nuovi astri nascenti della medicina giapponese Ranma: dovresti parlare con un poco più di rispetto di chi non conosci. Comunque, magari ci vuole ancora qualche minuto prima che gli effetti si manifestino” parlò Tofu e mentre prendeva nuovamente posto al tavolo lanciò un’occhiata ammiccante a Kasumi e le carezzò una guancia, perfettamente padrone di sé. Soun per poco non si strozzò col boccone di riso, mentre Nabiki gli sputò addosso il contenuto del bicchiere che stava bevendo dalla sorpresa.
Kasumi si limitò a sorridere gentilmente e distolse pudicamente lo sguardo, per poi domandare
“Avete conosciuto molti luminari, dottore?”

“Oh, sì, tanti colleghi preparati e simpaticissimi! Ho avuto modo di confrontarmi e apprendere nuove nozioni per migliorare…e poi tutti mi invidiavano Kijo! Quasi nessuno aveva con sé un’assistente, men che meno una giovane e appassionata come lei. Avreste dovuto vederli, qualcuno le ha perfino offerto un posto di lavoro al proprio studio” sghignazzava Ono, mentre Kijo, per contro, era diventata color porpora e lottava per non essere schiacciata dal peso di una gigantesca goccia che le incombeva sopra la testa

“Andiamo, dottore…non esagerate adesso…” riuscì a malapena a sussurrare la diretta interessata

“Da quando in qua tu arrossisci in questo modo? Non è da te” la guardò di sottecchi Ranma, meditabondo

“Da quando è iniziato l’effetto della tecnica moxa dei vasi comunicanti, idio-” non riuscì nemmeno a completare l’insulto che si morse la lingua e le prese una leggera tremarella per l’imbarazzo.
Bip-bip. Contenta di avere una distrazione su cui posare il cervello, Kijo estrasse un piccolo apparecchietto elettronico dalla borsa, premette un paio di bottoni e poi, dopo averlo fissato per circa un minuto, lo rigettò velocemente nella borsa più rossa di prima.

“Che roba era quello?” domandò Nabiki a cui quella manovra non era sfuggita

“Oh, come omaggio del congresso hanno regalato a tutti i partecipanti un cercapersone: è un dispositivo che permette di scambiarsi piccoli messaggi, molto utile negli ospedali o nei posti di lavoro ampi” spiegò Ono mostrando il proprio, poi con fare allusivo continuò “Temo però che mi abbiano dato un modello difettoso, perché a differenza di quello di Kijo, il mio non suona in continuazione…”

“Ch-che dite dottore! Sono certa che vi contatteranno al più presto! Anzi, forse contattano me per non recare disturbo a voi…” provò a togliersi d’impiccio Kijo, fallendo miseramente

“Andiamo, Kijo! non c’è nulla di male ad accalappiarsi qualche bel medico, soprattutto se guadagna un sacco di soldi…non trovi anche tu sorella?” Nabiki volse lo sguardo da Kijo a Kasumi, scoccando a quest’ultima un’occhiata sagace

“Sarei davvero felice se Kasumi prendesse in considerazione l’idea!” esclamò Tofu baldanzoso, cogliendo la palla al balzo e passandole un braccio attorno alle spalle. La giovane donna lo guardò stupita, ma quel contatto era così gradevole che lo lasciò fare

“Non sono mai stata contraria ad un’opportunità del genere, Dottore…” lasciò che le proprie labbra pronunciassero queste parole, sperando di non risultare troppo ardita. Nel frattempo Genma e Soun pescavano avidamente manate di popcorn da una ciotola, godendosi la scena col fiato sospeso.

Ranma invece era visibilmente infastidito: non avrebbe saputo spiegarsi il perché, ma ogni dettaglio che emergeva di quel congresso lo indispettiva sempre di più; si era sempre immaginato che i meeting tra medici fossero delle occasioni di scambio di conoscenze e aggiornamenti tra persone rispettabili e interessati esclusivamente alla loro materia, ma da come glielo descrivevano sembrava quasi più una grande festa per promuovere la socializzazione…Che cavolo ce l’aveva portata a fare Kijo? Quasi nessuno aveva dietro il proprio assistente! Ovviamente non era passata inosservata col suo atteggiamento spudorato…Aveva profonda stima di Tofu e doveva essere per il dispiacere nei suoi confronti, per la brutta figura che doveva avergli fatto fare che adesso sentiva una punta di risentimento verso Kijo. Sì, doveva essere così. Decise di sfruttare la sua temporanea presenza di pudore (a tratti eccessivo, ma tanto meglio) per vendicarsi un pochino…
“Kijo, mi ha detto Kuno di avvisarti che suo padre ha deciso di non far partire il corso di educazione sessuale. So quanto ci tenessi a darci lezioni, mi dispiace…” buttò lì dal nulla il ragazzo col codino, calamitando gli sguardi perplessi di tutti sulla poveretta

“Ehm-Ranma…t-ti pare il momento…comunque meno male, m-mi sarei vergognata terribilmente” balbettò Kijo con le guance in fiamme

“Un corso di educazione sessuale? Certo che sarebbe stato utile, ai tempi di oggi…perché non me ne hai parlato, Kijo? Avrei potuto darti una mano con la preparazione!” proruppe Tofu totalmente a proprio agio, mentre la ragazza visibilmente avrebbe voluto sotterrarsi

“Non dovrebbe eventualmente essere tenuto da personale qualificato? Che c’entri tu, cara?” le chiese il signor Tendo, che si stava divertendo un mondo. Quella serata ricca di colpi di scena ci voleva proprio per scacciare il malumore.

“N-niente, infatti…Oddio, perdonatemi ma devo allontanarmi un attimo!” Kijo si alzò di scatto e corse verso il giardino in preda al turbamento emotivo: aveva il cuore che batteva all’impazzata e non ricordava di essere mai stata così a disagio come in quel momento. Che diavolo era preso a Ranma, per affrontare un discorso del genere a tavola davanti a tutti? Se razionalmente era consapevole che il suo atteggiamento era una conseguenza della moxa, emotivamente si sentiva a pezzi. Sperò che almeno Tofu traesse vantaggio dalla spigliatezza che gli aveva riversato, altrimenti questo suo malessere sarebbe stato del tutto inutile.

“Mia cara Kasumi, mi stavo domandando se saresti disposta ad accompagnarmi a passeggiare lungo il lago Sagami, domenica prossima. Potremmo fermarci poi a pranzare al ristorante o fare un picnic sulle sponde, se preferisci” propose Tofu sorseggiando allegramente del tè verde, alla fine del pasto. Un silenzio di tomba cadde nella stanza e tutti i componenti della famiglia trattennero il respiro sporgendosi involontariamente verso la ragazza, che con la massima serenità e grazia accettò l’invito, provocando la commozione di Soun e un sospiro di sollievo di Nabiki

“Posso sempre lasciare qualcosa di pronto dalla sera prima per il vostro pranzo, non credi papà?” gli si rivolse la figlia maggiore, gli occhi illuminati dalla contentezza

“Oh, piccola mia, non preoccuparti per noi! Va’ pure e passa una giornata felice!”
Per qualche motivo a lui sconosciuto, come se quell’invito avesse sancito una sorta di promessa o accordo, Ranma si trovò a guardare Soun Tendo abbracciare la figlia e poi stringere la mano al medico. Piuttosto cinicamente non poté far a meno di domandarsi cosa ne sarebbe stato del loro rapporto una volta che l’effetto della tecnica dei vasi comunicanti fosse svanito. A tal proposito realizzò che non aveva idea di quanto sarebbe effettivamente durato…Giorni? Ore? Anni? E soprattutto questo significava che Kijo sarebbe rimasta nello stato attuale fino a quel momento. Sarebbe stato così terribile? Una volta tanto avrebbe avuto un po’ di buona coscienza a fermarla prima di cacciarsi sempre in situazioni discutibili, sviluppare amicizie equivoche e flirtare inconsapevolmente con persone ambosessi! Sì, in fondo un po’ di pudore non avrebbe potuto nuocerle…Quasi come se avesse potuto captare i suoi pensieri, Nabiki gli si rivolse

“Non credi che sarebbe meglio andare a dare un’occhiata a dove si è cacciata Kijo, Ranma? Ormai manca da tavola da un bel po’, perché non controlli se sta bene?”

Gli altri astanti annuirono silenziosamente, per cui il ragazzo col codino non ebbe molta scelta. Si alzò da tavola e si diresse sul retro del giardino: non faticò molto a trovarla, dato che si era seduta sui gradini davanti all’entrata del dojo, le mani in grembo, lo sguardo mesto e fisso per terra. Lo spicchio di luna appesa in cielo era troppo sottile per fornire un’illuminazione adeguata, per cui le lampade del giardino costituivano l’unica fonte di luce. Un lieve profumo di gelsomino aleggiava nell’aria, provenendo dalla pianta rampicante dei vicini.

“Ehi, che ti prende? Vuoi smaltire quello che non hai mangiato con un bel combattimento?” cercò di scherzare Saotome. Lei si riscosse dal torpore in cui versava, lo fissò e subitaneamente arrossì, quindi dalla frustrazione lanciò entrambi i pugni sulle sue gambe, distogliendo lo sguardo

“Guarda come sono ridotta…non riesco nemmeno a fissarti senza avvampare! È terribile!”

“Lo so, tendo a fare quest’effetto alle ragazze…ma non direi che è terribile, è piuttosto…dolce” le disse passandosi una mano tra i capelli come per darsi un tono, cercando a suo modo di consolarla

“Oh, andiamo Ranma! Io non sono così, non voglio essere così, non mi ci sento…non vedo l’ora che questa stupida tecnica perda l’efficacia” piagnucolava Kijo faticando a tenere a bada la respirazione

“Forse ti farà piacere sapere che Tofu ha chiesto a Kasumi di uscire” le disse senza mezzi termini

“D-davvero?” cercò una conferma lei, ancora dubbiosa. BIP-BIP. La borsa di Kijo suonò nuovamente e Ranma la guardò male, per un istante. Poi prese un respiro profondo, mise su un sorriso ammaliatore da furbo e si avvicinò alla ragazza. Le si sedette accanto e non appena le sfiorò le mani lei si ritrovò a tendere un braccio per allontanarlo, piena di vergogna. La situazione tuttavia lo stava divertendo talmente tanto che decise di concludere quella piccola vendetta ancora dopo un pochino, quindi le piegò delicatamente il braccio tenendola per il polso e le sussurrò catturandola nel suo sguardo

“Sì…come vedi questa tecnica ha avuto anche dei risvolti positivi…”
Non riuscendo più a contenere l’agitazione, a Kijo sembrò che il proprio cuore le scoppiasse nel petto circa tremila volte al minuto e il suo cervello si fosse tramutato in pappa, per cui l’unica cosa che riuscì a fare fu chiudere gli occhi per ripararsi dallo spettacolo di ragazzo che si trovava così maledettamente vicino. Quando pensava che sarebbe esplosa, in realtà ebbe una sorta di mancamento, come se l’avessero portata sulle montagne russe e in quel momento il suo stomaco facesse i conti con la sensazione del vuoto sotto di sé, poi una calma innaturale l’avvolse. Pensò di essere morta, per un momento, ma poi riuscì ad aprire gli occhi e Ranma se ne stava sempre nella stessa posizione, a fissarla con quel sorrisetto furbo, la mano salda a tenere il suo polso. Non riuscì bene a capire che stesse succedendo o come erano arrivati a quel punto, tuttavia in uno slancio inaspettato, chiuse la distanza che li separava e stampò un lieve bacio sulle labbra del ragazzo. Nei secondi a seguire l’espressione di Ranma variò con una velocità impressionante dalla furba alla stupita, all’imbarazzata all’impaurita. Sobbalzò come se avesse preso la scossa e prese a balbettare prima frasi incomprensibili, poi vagamente sensate, paonazzo
“Co-co-come…? Co-co-cosa?”

“Perdonami Ranma se ti ho turbato! Forse ho frainteso la situazione, non ero perfettamente in me!” prese a giustificarsi Kijo agitando le braccia davanti a sé in segno di diniego

“T-ti ha dato di volta il cervello?” esclamò nella sua direzione, agitato

“Scusami, davvero…è che ti ho visto a pochi centimetri dal mio volto, mi tenevi per mano, uno sguardo particolare sul viso…non credevo stessimo discutendo della vastità dell’universo, ecco…” provò a spiegare le proprie ragioni Kijo, che fortunatamente nonostante la situazione non era più arrossita

“Che razza di discorsi fai? Quando non sai cosa fare ti metti a baciare il primo che capita?! Eri molto più carina e divertente con un briciolo di pudore addosso!” le sbraitò lui contro, non riuscendo a calmarsi

“Oh, ascolta! Ti ho chiesto scusa, mi sembra esagerata la tua reazione! Ho frainteso, ok? Non avevo realizzato che ti stessi solo divertendo a mettermi in imbarazzo finché potevi…bel modo di intrattenersi, poi, complimenti! Non preoccuparti, il giochino è finito e non ci cascherò più!” ferita nell’orgoglio più di quanto avrebbe voluto, Kijo agguantò la propria borsa, che continuava periodicamente a bippare, e si allontanò a grandi falcate verso la sala da pranzo dei Tendo, lasciandosi alle spalle un Ranma sconcertato e imbronciato.
 
Rientrando nella stanza, Kijo poté appurare che anche per Tofu l’effetto era decisamente terminato: si era seduto a testa in giù, lamentandosi di non riuscire a sorseggiare in modo appropriato il tè, che altro non era che l’acqua dei fiori del centrotavola. Per distogliere l’attenzione da quel patetico spettacolo, Nabiki si era messa a raccontare dello splendido pomeriggio che aveva passato con Shutaro

“Siamo stati al centro commerciale, dove gli ho esposto le mie idee in merito agli articoli che avrebbe dovuto sviluppare nelle sue industrie in vista delle prossime olimpiadi invernali: per avvalorare la mia ricerca sul campo mi sono fatta regalare, a scopo puramente esplicativo, s’intende, una tuta da sci, delle magliette in microfibra, dei fuseaux termici, scarpe imbottite di pelliccia per l’inverno, sciarpe, guanti e cappelli all’avanguardia e un giaccone da neve; non vi dico la fatica che è stata provarsi tutta questa roba pesante con questo caldo, ma almeno adesso il mio guardaroba invernale ha subito un notevole miglioramento!”

“Nabiki! Ma non sta bene uscire con un ragazzo per farsi comprare tutte queste cose!” la rimproverò bonariamente la sorella

“Non temere Kasumi, anche lui ha avuto il proprio tornaconto…” a queste parole Soun per poco si strozzò nuovamente, ma per fortuna la ragazza proseguì
“Gli articoli che mi ha regalato fanno tutti parte di linee che producono le sue aziende, in questo modo potrà avere un resoconto dettagliato dei pregi, difetti e margini di miglioramento della sua merce. Poca spesa, molta resa! L’unica cosa che di fatto mi ha offerto è stata una coppa di gelato…e poi anche il biglietto del cinema: abbiamo visto Il silenzio degli innocenti

“Dicono che sia un film un po’ spaventoso, è vero?” domandò Kijo unendosi alla conversazione

“Beh, in effetti qualche salto sulla sedia lo ha fatto Shutaro…a me ha spaventato di più quanto sono aumentati di prezzo i popcorn! Roba da matti…” confessò Nabiki tamburellandosi l’indice sul labbro inferiore.

In quel momento anche Ranma rientrò nella stanza e fece nuovamente per sedersi.
Kijo si alzò contemporaneamente e, accennando al dottore che stava costruendo una piramide con tutti i bicchieri presenti sul tavolo, si rivolse agli altri

“Bene, credo che abbiamo imposto la nostra presenza a sufficienza stasera. Vi ringrazio nuovamente per la vostra squisita ospitalità ma adesso è veramente il caso che togliamo il disturbo”

“Siete i benvenuti ogni volta che vorrete! Grazie per la vostra compagnia e…per tutto il resto” Kasumi sussurrò queste ultime parole accennando appena un inchino a Kijo, la quale le sorrise di rimando. Prese sotto braccio il dottore e lo aiutò ad arrivare nell’ingresso; appena Kasumi si allontanò fu in grado di calzare da solo le scarpe e uscire dalla porta senza ulteriori incidenti.


 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Double date ***


23 giugno
 
Erano circa le dieci del mattino quando il campanello dello studio di Tofu trillò inaspettatamente. La casa era in fermento dalle prime luci dell’alba per allestire tutti i preparativi dell’evento storico che si sarebbe compiuto quel giorno, ovvero l’appuntamento tra il dottore e Kasumi: Ono non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte dall’emozione quindi accolse con sollievo il riverbero dei raggi di sole sulla finestra che ponevano fine alle sue torsioni sul futon; dal canto suo, Kijo maledisse ogni pantheon esistente sul pianeta quando sentì l’infame suono della sveglia così presto la domenica, tuttavia l’affetto che provava per il dottore e la volontà di aiutarlo furono più forti della profonda voragine che la schiacciava a letto per cui, con titanico sforzo, si decise a rotolare giù dal materasso, buttarsi addosso una tuta e scendere le scale a mo’ di zombie verso la cucina.
Fu proprio quando il dottore e la propria assistente stavano ricontrollando per la centesima volta di aver impacchettato tutto l’occorrente per il picnic che vennero sorpresi dal suono del campanello.
Tofu si precipitò alla porta con apprensione, temendo che qualche grave calamità impedisse il verificarsi dell’appuntamento. Una volta aperta la porta il suo volto timoroso si trasformò in sconcertato, ma decisamente sollevato, scorgendo l’aitante figura del proprio collega stazionare sul suo patio

“Ehi, Seitan! Buongiorno! Che ci fai qui?” domandò affabile porgendogli la mano per stringerla.

A Kijo, che era rimasta in cucina, per poco non prese un colpo sentendo quel nome e successivamente quella voce rispondere a Tofu. Quella voce…era a dir poco inconfondibile, così profonda e vellutata…ogni volta che parlava sembrava che lanciasse un incantesimo. Quanto tempo era che non la sentiva? Dall’ultimo giorno di convegno, probabilmente, dato che poi non si erano più telefonati ma solamente scambiati messaggi sul cercapersone. Nonostante non la udisse da un po’ non poteva sbagliarsi e in effetti anche il fatto che si fosse presentato come Seitan lasciava pochi dubbi sulla sua identità: Toshio era lì, in quel momento. Kijo fu colpita come da una folgorazione ed istintivamente si voltò verso il portellone del frigo di metallo, che le restituì un’immagine a dir poco orrenda di lei imbambolata in mezzo alla cucina coi capelli arruffati ed una tuta di mille anni prima! Corse a rotta di collo su per le scale in camera sua, cercando di dare un senso a quello che stava succedendo. Ok, quell’uomo fantastico e super-carismatico con cui aveva flirta- ehm, interagito alla convention e che miracolosamente non le aveva riso in faccia ma l’aveva quasi presa in simpatia, con cui nei giorni successivi aveva intrattenuto una fitta corrispondenza di messaggi brevi talvolta fino a notte fonda (a tale pensiero non poté fare a meno di sbadigliare dato che la notte passata era stata una di quelle) era al piano di sotto. Panico! Che diamine era venuto a fare? Kijo si girò rapidamente da una parte all’altra della propria stanza, come se potesse trovare una risposta tra le pile di vestiti accatastate a caso. Fece un respiro profondo e cercò di calmarsi per ritrovare un barlume di lucidità: punto numero uno, qualunque fosse il motivo della visita, che durasse due secondi o cinque ore, non avrebbe assolutamente dovuto vederla in quello stato pietoso! Decise di mettere in atto il suo piano per le emergenze estetiche «Come ti cambio i connotati in centoventi secondi» e fece mentalmente partire un timer. Sgusciò fuori dai pantaloni della tuta calciandoli sul pavimento mentre, afferrata la spazzola, cominciò a strigliare i capelli così velocemente che pensò di aver accumulato una quantità di energia elettrostatica tale da far invidia a Lamù. Li raccolse poi in una coda alta, mentre coi denti cercava di stappare il deodorante, che si passò abbondantemente addosso. Picchiettò poi quasi con violenza il correttore su quelle dannate occhiaie che, oltre ad essere un suo cruccio fisso, quel giorno erano perfino più marcate del solito a causa dello scarso sonno goduto. Non aveva assolutamente la possibilità di spalmare il fondotinta, poiché non si sarebbe mai asciugato in tempo, per cui si armò di pennello da cipria e cercò come poté di uniformare l’incarnato, poi arraffò la matita nera, che dannazione era pure spuntata, e cercò di delineare i contorno degli occhi, sfumando un po’ con il pennellino ai lati esterni. Cavolo, per fare una cosa per bene avrebbe dovuto usare gli ombretti tono su tono, ma cercò si accontentarsi del miglior risultato possibile ottenuto il più rapidamente possibile. Per la stessa ragione, se non voleva rischiare di accecarsi, non avrebbe potuto usare il piegaciglia, per cui si limitò a passare una montagna di mascara Volumizzante-Sguardo ipnotico su entrambe le arcate ciliari. Beh, se avesse avuto uno sguardo ipnotico non avrebbe saputo dirlo, ma almeno in quel momento era sicuramente più decente di quando era piombata nel suo disastro di camera due minuti prima. Oddio! La sua camera era un disastro! Come sempre del resto, ma cosa avrebbe pensato Seitan se ci fosse dovuto entrare? E perché avrebbe dovuto entrarci? Lei voleva che lui ci entrasse? Accidenti, non era il momento di pensare a queste idiozie ed impanicarsi! Metterla in ordine era una missione impossibile, se Tofu avesse voluto far fare al collega il giro della casa avrebbe dovuto saltare la sua camera…forse poteva convincerlo che era il ripostiglio, chi avrebbe voluto visitare un ripostiglio? Un secondo dopo sentì la voce del dottore che la chiamava

“Kijo! Abbiamo ospiti! Puoi scendere un attimo?”

“Arrivo subito dottore!” cinguettò facendo un respiro profondo e preparandosi a uscire dalla stanza.
Prima fortunatamente si riguardò allo specchio e sbiancò nel notare che aveva dimenticato un piccolo dettaglio: non si era mai rivestita! Vagando con lo sguardo per la camera alla ricerca di qualcosa di decente e preferibilmente pulito da mettere, urlò intanto al piano di sotto
“Un momento solo! Devo finire di…” Di? Di che cosa? Pensa, Kijo, trova una scusa plausibile!
“…lavarmi i piedi!” terminò la frase, per poi prendersi a pugni mentalmente per essere riuscita a trovare un pretesto tanto patetico e idiota! Accidenti, era una cerebrolesa o cosa?

“Ah, ok, fai con comodo…” replicò Tofu, con un tono un po’ spiazzato.

Finalmente Kijo inquadrò la maglietta e i jeans coi brillantini che aveva usato la sera precedente per uscire con le ragazze e li infilò in tutta fretta: ok, la maglietta era un po’ scollata…piuttosto scollata…parecchio scollata, ma che problema c’era? Nessuno ci avrebbe fatto caso e comunque era ormai troppo tardi per pensare a qualcos’altro: quanto poteva durare un lavaggio dei piedi?
Si decise alla fine a scendere le scale, ostentando un autocontrollo che era ben lontana dall’avere. Non appena la vide Tofu si sistemò meglio gli occhiali generando una goccia piuttosto evidente sulla sua nuca, mentre Seitan le lanciò un sorriso disarmante che fece venir voglia a Kijo di liquefarsi sui gradini, poi commentò, rivolgendole un occhiolino quasi impercettibile
“Wow, la ragazza coi piedi più puliti del Giappone! Come va Kijo?”

Che figura di merda! Era certa che non gliel’avrebbe lasciata passare e in quel momento avrebbe voluto sotterrarsi. Però non poteva negare che quell’atteggiamento un pelo impertinente fosse carismatico. A volte le ricordava…ma no, era stupido anche solo pensarlo e ipotizzare un confronto. 
 
Una mezz’ora dopo, il Dottor Tofu stava camminando dal suo studio al dojo Tendo. Il giorno prima era riuscito a confermare l’appuntamento con Kasumi e si sentiva decisamente nervoso e al settimo cielo allo stesso tempo. Fece una breve sosta dalla fiorista di fiducia e si fece comporre un bouquet per la ragazza dei suoi sogni…ancora non riusciva a crederci! Tutti i segnali dell’universo erano positivi riguardo a quella giornata: il tempo era bellissimo, con un sole splendente ma una temperatura sopportabile, Kijo una volta tanto si era svegliata ad un’ora decente e lo aveva aiutato a preparare l’occorrente per il picnic, infine aveva perfino ricevuto una visita inaspettata e quanto mai opportuna dal dottor Seitan. A quanto pareva si trovava da quelle parti ed aveva deciso di fargli visita, tuttavia non era sembrato troppo rammaricato quando gli aveva confidato di avere già preso un impegno. Lo aveva anzi aiutato a vincere l’agitazione che lo stava divorando mediante un’altra procedura di sua invenzione, la tecnica della tigre al guinzaglio; Kijo aveva annotato scrupolosamente le varie manovre per provare a reiterarla all’occorrenza e Seitan fu ben felice di offrirsi di rispiegargliela. Doveva ammettere che il nervosismo residuo che lo permeava era incomparabile alla devastazione interiore che provava prima dell’opera del collega, quindi decisamente anche questo era un segno di quanto benevole fossero le divinità nei suoi confronti quel giorno; qualora la situazione fosse sfuggita di mano, tuttavia, Kijo si era premurata di formulargli una miscela di estratti calmanti, quindi nulla sarebbe potuto andare storto!
Chissà se un giorno sarebbe riuscito a rapportarsi con Kasumi senza essere drogato o sotto sedazione…Il bel dottore scacciò quel pensiero dalla propria testa convincendosi che sì, un poco alla volta ce l’avrebbe fatta.
 
Suonò il campanello di casa Tendo e per una volta accorse Nabiki ad aprire la porta, invitandolo ad entrare e ad accomodarsi, dato che la sorella stava finendo di prepararsi. Ranma passò dalla sala per andare in cucina e si fermò a salutare l’ospite
“Buongiorno dottore! Vi fermate a pranzo qui, oggi?” ponendogli quella domanda allungò impercettibilmente il collo guardandosi attorno, come se non trovasse qualcosa che sarebbe dovuto essere presente

“N-no, in realtà io e Kasumi andiamo a fare un picnic al lago…” rispose il medico, accarezzandosi la nuca in lieve imbarazzo

“Giusto, era oggi! Bene, sarà contenta Kijo di avere a disposizione tutta la casa per barricarsi a studiare come una matta…è da una settimana che non fa altro, a quanto pare” commentò Ranma con una punta di acidità, che non sfuggì ad Ono

“Beh, mi ha raccontato qualcosa riguardo agli esami prima delle vacanze estive ed effettivamente era un po’ preoccupata. Dubito però che oggi studierà molto: è venuto a trovarmi un collega da Kobe e sembrava interessata ad approfondire alcune delle sue tecniche” spiegò Tofu con tono volutamente noncurante

“Cosa?! Avete lasciato quella ragazza col suo collega IN CASA DA SOLI?” non riuscì a trattenersi Ranma, che gridò l’ultima parte portandosi entrambe le mani alla testa

“Andiamo Ranma! Non siamo mica nell’Ottocento! Credi che abbiano bisogno di uno chaperon?” si intromise Nabiki, che adorava stuzzicare il ragazzo

“Infatti…poi il dottor Seitan è un uomo di specchiata onestà, non farebbe mai niente di discutibile. Senza contare che da prima del convegno non ho più avuto notizie del misterioso visitatore di Kijo, né lei ha accennato a voler contattare nessuno, quindi credo che siamo sulla buona strada per cessare le nostre preoccupazioni riguardo ad una frequentazione inopportuna” tirò un sospiro di sollievo Tofu, sorridendo soddisfatto. Quel sorriso gli si cristallizzò sul viso non appena Kasumi entrò nella stanza: portava un grazioso abitino verde menta perfetto per una gita al lago, rifinito da un ampio cappello di paglia con la fascia dello stesso colore. In braccio aveva un grande cestino da pranzo da cui emanava un profumino delizioso

“Buongiorno Dottore. Sono pronta, quando volete andare!” il suo volto luminoso e felice lo colpì allo stomaco come un pugno: improvvisamente nella stanza c’erano solo loro due

“G-grazie signorina Kasumi! Non vi dovevate disturbare però: anch’io ho portato un po’ di vettovaglie per la nostra merenda sull’erba” rispose Tofu porgendole i fiori che le aveva comprato; poi, sentendosi uno stupido, ci tenne a specificare “Ehm, non sono queste le vettovaglie che ho portato: sono in questo cestino…I fiori sono per voi, signorina Kasumi”

“Oh, allora non moriremo certo di fame! Speriamo che la passeggiata ci metta buon appetito. Grazie mille per i fiori, li metto subito in un vaso” ridacchiò divertita.

Anche se Ono ostentava uno sguardo da pesce lesso, almeno non era in preda al delirio da occhiali brillanti, notò Nabiki. Forse questa sarebbe stata la volta buona.
Salutarono Ranma e Nabiki e uscirono dalla porta, con Tofu che da perfetto gentiluomo si offrì di portare entrambi i cestini.

“Beh, mi sa che toccherà a me cucinare oggi…hai qualche preferenza Ranma? Scatoletta di tonno o ramen istantaneo?” domandò svogliatamente Nabiki reggendosi la nuca con entrambe le braccia

“Oggi? Uhm, oggi non ci sono a pranzo: ho dimenticato di avere un impegno urgente” rispose il ragazzo, pensieroso, uscendo di fretta dalla stanza. La seconda sorella Tendo si strinse nelle spalle, dirigendosi in cucina per servirsi di qualche biscotto al cioccolato.  
 
Ranma corse su per le scale fino in camera sua, estrasse un grosso baule dall’armadio e cominciò a gettarne il contenuto sul pavimento con foga.
Dannazione, eppure era qui da qualche parte…” pensava pieno di frustrazione, finché uno scintillio negli occhi svelò che aveva trovato ciò che cercava. Tirò fuori un pezzo informe di stoffa rosa a stampa floreale, un cappellino di paglia pieno di fiocchi e un paio di grandi occhiali tondi. Vederli lì disposti sul pavimento gli provocò un leggero moto di disgusto, che emerse dall’arricciamento involontario del labbro, tuttavia ritrovò subito la concentrazione e, stringendo un pugno davanti a sé, dichiarò con determinazione
“Speravo che non avrei mai più dovuto indossare questi abiti, ma circostanze disperate richiedono azioni disperate!”
Detto questo ributtò alla rinfusa l’altra roba nel baule, mise quello che gli serviva dentro uno zaino e si diresse ai bagni pubblici.
 
Le sponde del lago Sagami non erano eccessivamente affollate, pur essendo domenica: principalmente si potevano incrociare coppie di tutte le età che passeggiavano fianco a fianco (le più audaci si tenevano addirittura per mano!), famigliole venute a godersi una giornata all’aria aperta e gruppetti di ragazzi in cerca di distrazione dagli esami imminenti.
Giacché era ancora presto per il pranzo, dato che il treno era stato impeccabilmente in orario, Ono e Kasumi decisero di noleggiare una barca per fare il giro del lago.

“Benissimo signori, ho giusto qui una barchetta pronta a salpare. Desiderate noleggiare anche l’attrezzatura da pesca?” domandò loro l’addetto alla darsena, che era vestito come un vecchio lupo di mare

“Perché no? Potrebbe essere divertente, che ne pensate?” sorrise Kasumi

“M-ma certo! Prendiamo anche due canne da pesca!” non se lo fece ripetere due volte il dottore, allungando le banconote al noleggiatore

“Ottima scelta signori! Buona giornata e buona pesca!” li fece passare l’uomo, aiutandoli a salire sulla barca.

Tofu si mise a remare, mentre Kasumi si agguantava il cappellino per evitare che volasse via; quando furono nel bel mezzo dello specchio d’acqua, il dottore si fermò e riprese fiato

“Vogliamo provare a pescare qualcosa? Ad essere sinceri non ho mai provato, ma non sarà poi così difficile, no?” così dicendo prese la canna dalla parte sbagliata e cominciò ad agitarla aggrottando le sopracciglia, facendo divertire la ragazza

“Neppure io sono una grande esperta, ma credo che vada tenuta in questo modo” sorrise Kasumi prendendo l’altra canna, scegliendo accuratamente l’esca, fissandola all’amo e lanciando la lenza con una manovra impeccabile. Tofu strabuzzò gli occhi, fissandola ammirato, mentre lei, arrossendo leggermente, sentì il bisogno di spiegarsi
“Da bambina ho accompagnato spesso mio padre a pescare e cercavo di prendere i pesci migliori da cucinare poi con la mamma: se avremo fortuna con l’esca che ho scelto prenderemo una bella spigola!”

“Siete un’inesauribile fonte di sorprese, signorina Kasumi” esclamò Tofu, arrendendosi all’evidenza.
 
 
DLIN DLON
Ma guarda cosa mi tocca fare per impedire a quella stupida di fare qualche idiozia!” pensava Ranma con una vena pulsante sulla tempia mentre suonava il campanello dello studio di Tofu. Qualche attimo dopo Kijo si affacciò alla porta indossando il camice da laboratorio, gli occhiali protettivi e coi capelli raccolti

“Chi è?” domandò alla sconosciuta che le si parava davanti: aveva dei lunghi capelli rossi ondulati che portava sciolti, tenuti fermi da un eccessivamente fiocchettoso cappellino, un abito che avrebbe fatto impallidire Candy Candy e dei grossi occhiali rotondi dietro cui spiccavano dei luminosi occhioni blu. Tutto sommato non sembrava una faccia totalmente nuova…che fosse una paziente di Tofu?

“Oh, per fortuna che c’è qualcuno! Sono la signorina Hitomi e sto cercando il dottor Tofu” mentì spudoratamente Ranma, facendo gli occhioni dolci e rendendo il tono della voce tremulo e indifeso

“Sono spiacente, signorina, ma il Dottor Tofu è fuori città e non rientrerà prima di stasera. Se avete bisogno urgente di un medico vi consiglio di contattare il pronto soccorso” le spiegò Kijo

“Oh, no, no no! Il Dottor Tofu mi conosce da anni e sa tutto della mia patologia, non voglio che mi visiti nessun altro! Vi dispiace se lo aspetto qui?” disse la ragazza spostando malamente Kijo e sedendosi su una sedia della sala d’attesa

“Ehm…certo che no, ci mancherebbe…” la squadrò perplessa l’assistente, pensando che c’era ben poco che avrebbe potuto fare. Richiamato dallo scambio di battute, il dottor Toshio Seitan emerse dal laboratorio e si rivolse a Kijo

“Ehi, Kijo, tutto bene? Il termomanto ha raggiunto la temperatura impostata e…Oh, buonasera signorina, possiamo aiutarla?”

“La ragazza è una paziente del Dottor Tofu che…” cominciò a spiegare Kijo, ma si bloccò di colpo in quanto quella si era alzata dalla sedia per saltare in collo a Seitan, il quale del tutto spiazzato se la ritrovò in braccio

“Oh, Dottor Seitan! Mi riconoscete? Ci siamo conosciuti l’estate scorsa a Kobe, io ero in villeggiatura con la mia famiglia!” Ranma sbatté le ciglia in modo voluttuoso, facendo arrossire il medico che non ci stava palesemente capendo una mazza

“In villeggiatura…a Kobe?” ripeté assai perplesso, cercando delicatamente di far scendere quella ragazzina che non ne voleva proprio sapere

“Sì dottore! Vi prego, non ditemi che vi siete dimenticato…dopo tutto quello che c’è stato tra di noi…il mio fragile cuore di fanciulla non riuscirebbe a sopportarlo!” gli occhioni di Ranma si riempirono di lacrime mentre Seitan, decisamente interdetto, avvampava ancora di più farfugliando parole incomprensibili e Kijo osservava la scena con un sopracciglio alzato

“K-Kijo…vi giuro che io non ho idea d-di” balbettava Toshio avvinghiato suo malgrado a quella tipa

“Uhm…comincio a immaginare di quali terapie possa necessitare questa ragazza” commentò Kijo quasi tra sé, accarezzandosi il mento con aria scettica

“Tu piuttosto! Non vorrai portarmelo via?” la fanciulla dai capelli rossi balzò sul pavimento, proprio di fronte a Kijo, indicandola con fare accusatorio

“Io? Io non c’entro niente, davvero…stavamo solamente portando avanti un esperimento e-” non le diede nemmeno il tempo di terminare la frase che la sovrastò con tono cinguettante ed esclamò, a mani giunte 

“Oh, perfetto! Allora non sarà un problema se passo l’intero pomeriggio con voi!”
Seitan e Kijo caddero a terra facendo il segno delle corna con le mani, due grosse gocce d’acqua incombenti sulle loro teste.
 
 
“S-signorina Kasumi, non credete che possa bastare adesso?” sussurrò Ono temendo di offendere la propria compagna che, con un ennesimo gioco di polso, aveva tirato su un altro pesce: ormai i due secchi in dotazione alla barca strabuzzavano e non era neppure tanto sicuro di quanto ulteriore peso potesse sopportare la barca stessa

“Uh, scusatemi dottore! Mi sono lasciata trasportare…” si giustificò la ragazza rendendosi conto solo in quel momento di quanto aveva pescato. Un timido rossore colorò le sue guance, quindi si sedette nuovamente e tenne fermo il cappellino mentre Ono riprendeva a remare verso la riva.
Al vecchio lupo di mare prese un colpo quando vide la mole del pescato e insistette per fare una foto ai due giovani mentre mostravano i secchi ricolmi.
Decisero di regalare il loro bottino agli addetti ai barbecue affinché lo grigliassero per gli avventori, dato che dal canto loro erano già più che forniti di cibo.
Presero posto ad un tavolino di legno e cominciarono ad apparecchiarlo: Tofu tirò fuori una teglia contenente una specie di pasta a strati alternata con della salsa, mentre Kasumi pose sulla tavola delle polpette di riso, spiedini di carne e panini dolci. Era così tanta quell’intima felicità che Kasumi pensò non sarebbe riuscita a contenerla: erano anni che aveva sviluppato un affetto particolare nei confronti del dottore e finalmente era riuscito ad invitarla ad uscire; se non fosse stata sicura di essere sveglia avrebbe pensato di star sognando quell’appuntamento, come tante altre volte aveva fatto in passato. Quell’uomo era dolce, gentile, bello e buffo, che cosa avrebbe potuto desiderare di più? Mentre le versava l’acqua in un bicchiere di plastica e poi glielo porgeva sorridente si sentì finalmente in pace col mondo, come se tutto il suo percorso di vita si fosse sviluppato per portarla a quel preciso istante.

“Che cos’è questo…sformato?” domandò curiosa mentre Tofu toglieva l’alluminio da sopra la teglia, liberando nell’aria un profumino decisamente appetitoso di salsa di pomodoro e carne

“Oh, queste sono lasagne, le ha preparate Kijo…ci teneva tantissimo che le assaggiaste, quindi si è armata di mestoli e padelle e si è data da fare in cucina. Mi ha detto di chiedervi se, sinceramente, vi piacciono. Credo sia un piatto con cui gli italiani misurano le loro abilità culinarie” spiegò Ono tagliando un quadratino dalla teglia e servendolo nel piatto di Kasumi

“Che cara…mi domando come possa non avere ancora un fidanzato” sorrise la ragazza provando ad afferrare la porzione con le bacchette

“Giusto! Mi ha detto che per mangiarle servono queste strane posate: con questa specie di tridente si tiene fermo il boccone e col coltello si taglia della dimensione voluta” si rinvenne Tofu porgendole forchetta e coltello

“Mi fa strano infilzare il cibo, ma devo ammettere che è molto pratico…” Kasumi masticò lentamente il boccone e il volto le si illuminò “…ed è anche decisamente gustoso! Portate pure i miei complimenti a Kijo, in attesa che possa farglieli di persona” decretò infine; Tofu annuì, poi posò la paletta nella teglia e si sedette di fronte a lei, con aria improvvisamente seria

“K-kasumi…io vorrei dirvi che non sono mai stato tanto bene in vita mia. So di essere un uomo bizzarro, ma vi assicuro che il mio comportamento è solo un balzano riflesso dei sentimenti che provo per voi ormai da molto tempo e per inciso sto cercando disperatamente un modo per mantenere un atteggiamento dignitoso in vostra presenza” con uno sguardo traboccante di determinazione, il medico si fece coraggio e le prese una mano tra le sue; Kasumi sussultò stupita, arrossendo lievemente, ma lo incoraggiò con un sorriso e lui proseguì “Il giorno che portaste Akane al mio studio perché si era sbucciata il ginocchio capii subito che la mia vita non avrebbe più potuto essere la stessa; inizialmente provai a contrastare questa mia sensazione, se non altro per la differenza d’età che sussiste tra noi: voi eravate una studentessa al primo anno delle superiori ed io un medico appena laureato, sarebbe stato molto sconveniente. Solo che nel corso degli anni questa differenza è diventata sempre meno importante ai miei occhi, tanto da non riuscire più a soffocare l’affetto per voi che da parte mia cresceva invece inesorabilmente. Signorina Kasumi Tendo, io sono assolutamente, totalmente e disperatamente innamorato di voi e vorrei il vostro permesso di corteggiarvi adeguatamente, se siete interessata, se non vi spaventano i dieci anni che ci separano o le mie stravaganze…Non dovete darmi una risposta subito, vi chiedo solo di pensarci; d’altro canto io dovevo approfittare dell’insolito controllo che ho di me stesso in vostra presenza per esprimermi appropriatamente” detto questo Tofu fece un enorme respiro e tirò fuori la boccettina di calmante, svuotandone una buona metà nel proprio bicchiere e bevendo avidamente.
 
 
Osservarli era uno strazio: si passavano gli oggetti di vetreria sfiorandosi continuamente le mani, ridacchiando poi di battute stupide a sfondo scientifico che probabilmente capivano solo loro due sulla faccia della Terra. Non avrebbe saputo stabilire se quel cavolo di dottore si stava davvero divertendo oppure simulava solo per compiacere Kijo, la quale sembrava entusiasta come non mai. Poco ma sicuro, gli interessi di lui andavano ben al di là del confronto accademico, lo avrebbero notato tutti, anche un cieco. Tutti tranne Kijo, ovviamente, che stava cascando come una povera scema nella sua trappola. Sembravano essersi totalmente dimenticati che lei era lì, in un angolo, seduta su uno sgabello a fissarli con sguardo truce.
“Ehi, ma non si usa mangiare in questa casa?” si decise infine a borbottare, dando finalmente ascolto al brontolio del proprio stomaco.

Seitan e Kijo la guardarono per un istante, poi si fissarono a vicenda e infine guardarono l’orologio
“Per tutti i soxhlet! Mica mi ero resa conto che fosse così tardi! Sarà bene che vada a preparare qualcosa!” esclamò Kijo correndo verso la cucina

“Neppure io! Queste ore mi sono proprio volate…” commentò il medico rivolto più a se stesso che alla sagoma di Kijo che ormai stava uscendo dalla porta.

“A che gioco state giocando, dottore?” gli si rivolse Ranma, alzandosi finalmente dallo sgabello e camminando lentamente nella sua direzione

“Gioco? Gentile signorina, per quanto assomigli vagamente al Piccolo Chimico, vi assicuro che i nostri esperimenti odierni sono ispirati ad un articolo di ricerca assai affermato nella comunità scientifica…” cercò di spiegare Seitan, indietreggiando leggermente mentre liberava i suoi luminosi occhi grigi dagli occhiali protettivi, poggiandoli sul bancone.

“Cosa volete che mi importi di quello stupido esperimento!  Voglio sapere come mai siete venuto qui in primo luogo!” la ragazza stava nuovamente cominciando a perdere la pazienza, ma il dottore non si scompose più di tanto

“Ascoltate, signorina Hitomi…non so cosa voi crediate che sia successo tra noi l’estate scorsa a Kobe, ma in realtà non è accaduto nulla di nulla…io non vi conosco neppure, non sono il tipo che passa da una fidanzata all’altra dimenticandosele per il gran numero. Ora, se il vostro delirio è di natura patolog-” il discorso di Seitan venne interrotto bruscamente da Ranma, la quale quasi stesse affrontando la schermaglia verbale come uno scontro fisico di arti marziali, aveva appena individuato un punto debole dell’avversario e non temeva di sferrare un affondo

“Ah, quindi non avete la stessa leggerezza negli intrallazzi di Kijo? Ouch, temo che qualcuno resterà molto deluso qui…” disse incrociando le braccia, con aria vittoriosa. Il dottore rimase piuttosto perplesso da quelle parole e ripeté, confuso

Leggerezza negli intrallazzi? Ma di cosa state parlando? Conoscete almeno la ragazza su cui state facendo allusioni?”

“È pronto in tavola!” la voce di Kijo squillò dalla sala da pranzo, interrompendo inconsapevolmente la conversazione su di lei

“Io la conosco molto bene, al contrario di voi. In effetti una volta ha anche provato a baciarmi” Ranma gettò quella bomba a effetto, certa di avere la vittoria in pugno

“Baciarvi? Ah, capisco…un po’ come la nostra storia a Kobe…Signorina, credetemi, avete bisogno di uno specialista oltre al buon Dottor Tofu…” gli sorrise Seitan e poi le cedette il passo per andare a mangiare, atteggiamento che la infastidì ancora di più.
 
“Spero che vi piaccia, ma con così poco preavviso mi sono limitata a condire degli spaghetti con la salsa avanzata dalle lasagne che ho fatto per Tofu…” cercò di giustificarsi Kijo servendo una scodella ricolma prima al dottore e poi alla stramba paziente, già seduti al tavolo. Hitomi parve decisamente infastidita dalla maglia di Kijo, dato che continuava a spostare il proprio sguardo da quella al suo volto, lanciandole occhiatacce di fuoco. Toshio stava esaminando le posate con cui la ragazza aveva apparecchiato con grande interesse, al che quella si sentì in dovere di fornire una spiegazione
“Gli spaghetti andrebbero arrotolati con la forchetta per mangiarli, tuttavia ho notato che Tofu preferisce usare le bacchette quando li preparo, quindi vi ho messo a disposizione entrambe le opzioni: usate quello che vi torna meglio”
Detto ciò, si sedette davanti al proprio piatto e cominciò ad avvitare la pasta in quello strano aggeggio. Hitomi non provò nemmeno a seguire il suo consiglio: inforcò le bacchette e iniziò a strafogarsi di spaghetti in modo assai vorace.

Il dottore Seitan, invece, tentò di imitare la tecnica di Kijo con mediocri risultati, che lo portarono tuttavia a esclamare con entusiasmo
“È veramente delizioso, Kijo…beato il dottor Tofu che può godere spesso della vostra cucina…e beato ancora di più l’uomo che riuscirà a sposarvi, un giorno!”

Hitomi per poco non si strozzò con un sorso d’acqua che stava bevendo, mentre Kijo prese a ridacchiare come un’idiota senza dare una vera risposta
“Che cosa vorreste insinuare? E se Kijo volesse sposare una donna? Cioè, non so se è possibile…ma se non volesse sposarsi affatto?” replicò invece Hitomi saltando sulla sedia, una volta scongiurato l’affogamento

“Oh, di nuovo con il delirio del bacio tra voi due…” alzò gli occhi al cielo il medico, sospirando di fronte a quell’insieme di sciocchezze

“E poi cosa vuol dire? Che il valore di una donna si basa solo sulla sua capacità di cucinare per il proprio uomo? Ma in che secolo vivete?! Voi non la conoscete affatto!” continuò a gridare la fanciulla dai capelli rossi.

Kijo era rimasta basita, a bocca spalancata davanti a quell’exploit. Cavolo, non l’avrebbe mai esplicitato in tono così sgarbato, ma quella sconosciuta folle la comprendeva appieno! Non aveva mai trovato da che abitava a Tokyo una ragazza che condividesse i suoi ideali, così apertamente per di più! Tuttavia non voleva essere sgarbata nei confronti del dottor Seitan, che in fondo, era certa, non intendeva mancarle di rispetto ma solo farle un maldestro complimento, quindi si trovò a rispondere
“Sembrate conoscermi molto bene, Hitomi, vi ha raccontato Tofu questi aneddoti? Tuttavia non mi pare opportuno discutere così animatamente col nostro ospite, alla fine voleva solo essere gentile”

“Ah-ah! Visto, la conosco meglio di voi, maschilista del cavolo!” rincarò la dose Hitomi facendo comparire una grande goccia sulla testa degli altri due

“Ehm, quindi è vero che voi due avete dei…trascorsi?” domandò quindi il medico, leggermente in imbarazzo

“Sì!” rispose fermamente Hitomi

“No! Non l’ho mai vista prima d’ora! Il suo discorso su di me era…generico, non specifico!” si affrettò a tamponare Kijo

“Quindi non vi scoccia se vi chiedo di uscire, qualche volta…quando posso allontanarmi da Kobe…” disse allora Seitan schiarendosi la voce

“Sì! Certo che mi scoccia!” ringhiò quasi Hitomi, ormai incapace di tenere a freno la lingua, che si morse con violenza un istante dopo essersi resa conto della sua uscita

“S-sono confusa…a chi lo avete chiesto, dottore?” domandò Kijo passando con lo sguardo interrogativo dal medico alla paziente.
 
 
“Se le cose stanno così, accetto molto volentieri la vostra proposta, dottore! Non vedo l’ora di passare più tempo con voi” sorrise luminosa Kasumi, mentre un refolo di vento scosse i rami del viburno sotto cui sedevano, cospargendola di petali bianchi. Per tutte le divinità celesti, come poteva essere ancora più bella? Ono si rese conto solo qualche minuto dopo che probabilmente la stava fissando come uno stupido in adorazione, quindi diede un colpetto di tosse per riprendersi e azzardò

“D-davvero? Signorina Kasumi, grazie infinite per avermi concesso quest’opportunità! Vedrete, ci divertiremo un sacco insieme…cioè, non che pensi solo al divertimento, intendiamoci. So essere anche una persona seria…cioè, sono una persona seria a cui ogni tanto piace divertirsi…insomma, ci saranno momenti seri e momenti divertenti, ma spero che starete bene con me”
Come ebbe finito di farfugliare, il dottore notò che Kasumi stava ridacchiando compostamente, ma di gusto e sospirò quasi si fosse tolto un peso di dosso.

La ragazza poi lo guardò dritto negli occhi e gli propose
“Perché intanto non cominciamo col darci del tu? Magari potresti chiamarmi solo Kasumi e io potrei azzardarmi a chiamarti Ono, se non è un problema”

“Ono, sì, mi piace…in effetti è proprio il mio nome…Va bene, mi sembra perfetto!” confermava il medico toccandosi nervosamente la nuca

“Che ne dici di fare una passeggiata attorno al lago? Ormai abbiamo mangiato praticamente tutto” suggerì lei e lui annuì convinto, cominciando a sparecchiare la tavola a velocità supersonica. Una manciata di secondi dopo tutte le stoviglie erano state riposte accuratamente nei cestini che Tofu teneva con la mano sinistra, mentre offriva audacemente il braccio destro a Kasumi affinché lo prendesse a braccetto, cosa che non tardò a fare.
La superficie del lago scintillava quieta, mentre l’atmosfera era resa vivace dal vociare, mai troppo invadente, dei ragazzi che facevano il bagno e scherzavano tra loro. Se esisteva da qualche parte il paradiso terrestre, sicuramente sarebbe stato sulle sponde del lago Sagami e in paradiso, si sa, il tempo scorre in maniera differente…

“Per tutti i Kami, Kasumi, sai dirmi che ore sono?” Tofu si riscosse come da un incantesimo e si rese conto che il sole era ben vicino a tramontare

“Sono…le sei e mezzo” rispose la ragazza ruotando leggermente il polso sinistro, su cui portava un piccolo orologio dal cinturino beige

“Avremo fatto il giro del lago cinquanta volte, probabilmente!” esagerò il dottore, calcolando mentalmente le coincidenze dei mezzi che avrebbero dovuto prendere per tornare a casa.
 
 
La domanda di Kijo rimase sospesa a mezz’aria, poiché subito dopo suonò il campanello; come aprì la porta, si trovò davanti il panda gigante che soleva fare le pulizie allo studio, recante un cartello con su scritto «Disturbo? Posso entrare?»

“Oh…signor Panda Saotome, buonasera! Prego, cosa posso fare per voi? Se non sbaglio oggi non è giorno di pulizie…” cercò di fare mente locale Kijo, tenendosi il mento con aria pensosa.

Il panda prese un altro cartello e cominciò a scribacchiare con un pennarello; fece un paio di correzioni, ma alla fine lo girò all’assistente
«Devo solo prendere la mia scorta di bambù: non c’è niente di commestibile da mangiare alla pale allo zoo, per colpa di quella disgraziata di Nab della nuova guardiana»

“Cavolo, che storia triste…prego, andate pure a prenderlo” non fece neppure in tempo a finire la frase che la stramba paziente, affacciatasi nell’ingresso per vedere chi era, aveva esclamato

“Papà?! Che diamine ci fai qui?” e poi si era portata le mani alla bocca un secondo di troppo più tardi

“Papà?!” ripeterono in coro stupefatti Kijo e Seitan, che nel frattempo si era affacciato anche lui

“Ehm, no…avete sentito male…ho detto pa-panda, non papà!” farfugliò quella, annaspando con le braccia come se le mancasse l’aria

«No, no…hai detto proprio PAPÀ. Che diamine ci fai con quegli abiti addosso, figlio degenere?!» confermò il panda per scritto. Se non fosse stato impossibile Kijo avrebbe giurato che uno strano ghigno era apparso sul muso dell’animale. Tuttavia concordava sul fatto che quegli abiti non si potessero vedere. Chissà come mai aveva scritto figlio e non figlia…Beh, dopotutto non si poteva pretendere che un panda conoscesse la grammatica alla perfezione, no?

Fortunatamente l’estrema accuratezza di Seitan nel formulare le diagnosi venne incontro a Ranma
“Ho capito! Anche se la psichiatria non è il mio campo di specializzazione, il panda le sta dando corda perché questa signorina è completamente pazza e i pazzi non vanno mai contraddetti!” esplicitò il medico in tono accademico, con gli occhi chiusi e un indice alzato.
Ranma crollò a terra facendo il segno delle corna, mentre Kijo invece sembrava essersela bevuta
“Ah…quindi lei crede davvero che il panda sia suo padre?”

“Certo, come credeva che avessimo avuto una relazione l’estate scorsa a Kobe…o credeva di avervi baciata…una serie di follie una dietro l’altra!” confermò Toshio

“Santo cielo come siamo messi male…forse è il caso che vi porti in infermeria per farvi sdraiare un po', eh? Che ne dite Hitomi?” Kijo si avvicinò a Ranma, ancora a terra, e fece per aiutarla ad alzarsi, per poi prenderla sotto braccio e trasportarla su un letto in infermeria.

Wow…non ci aveva più messo piede da quando Kijo era stata ferita quasi a morte dalle sue tre folli spasimanti, quindi ritornare lì fu un bel colpo emotivo. Ricordava tutto fin troppo bene: l’odore di disinfettante, le copertine azzurre, le tende bianche che separavano le varie postazioni…il dilagante e terribile senso di colpa…Dopotutto lui non aveva fatto altro che metterla in pericolo, era mai riuscito a fare qualcosa per migliorarle l’esistenza? Almeno per non peggiorarla? Anche in quel momento si trovava lì per sabotare quella specie di appuntamento scientifico con quel medico da strapazzo, ma stava davvero agendo per il suo bene? Per proteggerla? Da cosa poi? Lui sembrava una persona a modo in fondo…Molto in fondo…Ok, dannazione, era a posto! E soprattutto non era affar suo intromettersi. Ma che cavolo, lei lo aveva baciato appena una settimana prima! Avrebbe dovuto significare pur qualcosa! Anche se…quella maledetta tecnica…non è che fosse propriamente in sé quando l’aveva fatto. Era un po’ come lui da gattizzato, non particolarmente capace di intendere quello che faceva.

“Vi sentite bene? Avete il respiro affannoso, volete una tisana calmante?” Kijo ruppe il silenzio, preoccupata, così come il flusso dei suoi pensieri

“Per favore, non ve ne andate” disse la ragazza, sedendosi sul letto

“Non temete, non vado da nessuna parte…voi sdraiatevi, se volete” le sorrise Kijo, accomodandosi sulla sedia lì accanto.

Passarono una quarantina di minuti in totale silenzio, tantoché Kijo credette che la paziente si fosse addormentata; Seitan giunse quindi nella stanza col passo affrettato
“Com’è la situazione? Sono reduce da una partita a shogi con quello strano panda…ha tanto insistito per giocare ed ha pure vinto lui! Ah, ha appena telefonato Tofu, lui e Kasumi hanno perso l’ultimo pullman che li avrebbe riportati a Nerima…se per voi non è un problema andrei a prenderli in macchina alla stazione”

“Tranquillo…qui è tutto sotto controllo! Andate pure a prendere Tofu. Il panda se n’è andato?” rispose lei sorridendo al pensiero del dottore che aveva perso la cognizione del tempo: sapeva quanto ci tenesse a quell’incontro e sospettava che qualcosa del genere sarebbe potuto accadere

“Sì, con un ghigno di pura soddisfazione sul muso…Ok, io vado allora! A presto!” Seitan fissò lo sguardo per qualche attimo di troppo nel vuoto, rabbrividendo al ricordo dell’espressione dell’urside, poi afferrò il giacchetto dall’attaccapanni e uscì dallo studio.

Subito dopo Ranma fece finta di risvegliarsi, stiracchiandosi teatralmente e sbadigliando sonoramente
“Uh, che magnifica dormita che ho fatto! Mi sento proprio meglio adesso! Grazie della cura, Rinekami, posso filare dritta a casa ora”

“Ehm…come? Ma il dottor Tofu sta proprio per arrivare…non volete farvi visitare dopo aver atteso tutto il pomeriggio?” la ragazza rimase stupita da quell’uscita di Hitomi e pose il palmo della mano sulla sua fronte per verificare che non fosse febbricitante. Sentì la fanciulla rabbrividire a quel contatto, quindi si affrettò a scusarsi
“Vi chiedo perdono, mi rendo conto di avere le mani molto fredde; non volevo infastidirvi, ma solo accertarmi che steste bene”

Star bene? Come poteva sapere se stava bene quando lei stessa era più confusa di Ryoga davanti ad un incrocio? Quel semplice tocco gentile gli aveva provocato un fremito incontrollabile dalla fronte fino alla base della schiena, per non parlare del respiro affannoso che emetteva, suo malgrado, neanche avesse corso per decine di chilometri. Con quelle premesse avrebbe dovuto senza dubbio rispondere di star male…e invece? Non era per niente quello che provava. Voleva solo star lì e rimanere a fissare Kijo nella penombra a tempo indeterminato, che la sua mano le congelasse pure il cervello, chi se ne importava! Un altro brivido, stavolta molto meno piacevole del precedente, le prese tuttavia lo stomaco: doveva andarsene da lì, Tofu non doveva vederla…non voleva dargli spiegazioni…non ne aveva neppure di spiegazioni, cosa gli avrebbe raccontato? Esalando un respiro profondo, si fece forza e prese delicatamente il polso di Kijo, per rimuovere la mano dalla sua fronte, poi le disse, sistemandosi gli occhiali sul naso
“Non ho la febbre, sto bene adesso. Devo andare, altrimenti la mia famiglia si preoccuperà”

“Certo, vi credo…magari riferisco al dottor Tofu che siete passata, così valuterà lui se è il caso di ricontattarvi…ha i vostri recapiti, giusto?” Kijo si sforzava di essere il più professionale possibile, ma Ranma riusciva a percepire che qualcosa non quadrava…sembrava quasi che stesse combattendo per non dire qualcosa. La vide mordersi un labbro, schioccare nervosamente le dita delle mani, poi buttò fuori quella domanda che evidentemente le premeva sul petto già da un po’
“Sentite, quello che avete detto prima al dottor Seitan, sul fatto che mi conoscete davvero…è stato sorprendentemente accurato! E adesso mi avete chiamato per cognome anche se sono sicura di non avervelo mai detto oggi…come mai sapete tutte queste cose di me?”

Idiota, perché ti conosco da tre mesi ormai e ti vedo praticamente tutti i giorni. E mi hai martellato talmente tanto con le tue idee progressiste che qualcuna addirittura mi è entrata in testa. E quest’ultima settimana in cui mi hai evitato mi ha fatto ma-
Non volle concedersi neppure di indugiare su quel pensiero, sarebbe stato tremendo se lei avesse scoperto della sua assurda maledizione. Abbozzò un goffo inchino e corse alla porta alla velocità che le ingombranti trine della gonna le consentivano, urlando mentre scappava
“Grazie di tutto, devo proprio andare!”

Quando chiuse la porta dietro di sé, Kijo si riscosse come da un incantesimo: cosa le era saltato in mente di fare domande del genere ad una ragazza instabile mentalmente? Caspita, eppure prima aveva quasi sentito una connessione speciale con lei…si era forse immaginata tutto? Ultimamente le capitava spesso e non poteva permetterselo: avrebbe dovuto lavorare maggiormente sul proprio autocontrollo.



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N.d.A.
Ciao a tutti!
Non sono solita introdurre direttamente la mia voce, ma ci tenevo a celebrare l’anniversario dalla pubblicazione del primo capitolo. Sembra incredibile che sia già passato un anno! Onestamente non credevo che sarei riuscita a condividere con qualcuno questa mia storiella senza pretese quando ho cominciato a scriverla, ma il timore di uscire dalla mia comfort-zone è stato ampiamente ripagato dai consigli che mi avete dato e le opinioni che mi avete lasciato. Mi sono imbarcata per questo viaggio da sola, per la prima volta, in un periodo alquanto burrascoso e adesso ho una piccola ciurma che solca con me il mare della mia fantasia. Non me lo aspettavo.
Ecco, per evitare di scivolare verso Stucchevolandia, mi limito a concludere con dei brevi ringraziamenti:
  • A tutti coloro che sono capitati per caso, hanno aperto un capitolo e si sono fatti una risata
  • A tutti i lettori seriali, che in qualche modo sono stati coinvolti dalla trama
  • A tutti i lettori più affezionati, che coi loro feedback mi hanno sostenuta e aiutata a migliorare la storia
Wow. Meno male che non vinco mai niente, perché coi discorsi faccio proprio schifo! XD  

-N-

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Capitolo 17
*** Tanabata ***


7 Luglio
 
 
“Ragazze, non mi sembra vero che abbiamo finito i terribili esami del primo trimestre e adesso ci aspettano ben SEI settimane di vacanza! Dobbiamo organizzarci per fare un sacco di cose fighe!” saltellava Sayuri sul parquet della propria camera, mentre Shinobu tentava inutilmente di sistemarle il fiocco dello yukata

“Ti vuoi calmare una buona volta? Dobbiamo ancora finire di vestirci e acconciarci i capelli e siamo qui già da due ore!” la rimbrottò la ragazza, dando sfoggio della propria forza sovrumana tirando così forte la fusciacca che Sayuri perse la facoltà di respirare

“Però la prova trucco è andata benissimo! Peccato che Hiroshi non sarà presente stasera…” sorrise amaramente Yuka sfoggiando i suoi occhi bistrati e il suo nuovo gloss color pesca

“Non preoccuparti, faremo un sacco di foto! Madame Gotique ha fatto un miracolo a togliermi queste occhiaie!” scherzò Sayuri non appena riprese fiato, accennando a Kijo che recava un trucco sfumato nero con le labbra rosse a cui proprio non sapeva rinunciare

“Ehi, mi piace questo soprannome! Mi sa che me lo tengo!” commentò quest’ultima mentre si sistemava il kimono. Da quella volta delle foto al cimitero non aveva più avuto occasione di indossarlo: il ricordo di quella sera le fece sfuggire un accenno di sorriso malinconico e si ritrovò a soffermarsi con la memoria qualche attimo più del necessario. Erano passati già più di tre mesi da quando era arrivata in Giappone, quindi significava che aveva già vissuto più di un quarto della sua esperienza all’estero. Erano successe un sacco di cose, non poteva negarlo, tuttavia ebbe come la sensazione che il tempo stesse scorrendo troppo in fretta, quasi si potesse già vedere all’aeroporto con le valigie pronta per tornare a casa. Questo pensiero le provocò una subitanea ansia, un timore che il tempo rimanente lo avrebbe passato come le ultime tre settimane, in rotta con Ranma…perché tanto era inutile negarlo, quel ragazzo con tutte le stravaganze che si portava appresso le mancava terribilmente e se fino a quel momento era riuscita a “distrarsi” con l’intensa preparazione agli esami, le settimane venture di vacanza avrebbero senz’altro aggravato il problema.

“Kijo? Sei sempre tra noi? Ti ho chiesto se puoi aiutarmi a passare la piastra” le ripeté Shinobu per la terza volta, al che lei scattò come una molla, mimò il gesto di obbedienza dell’esercito e attaccò la piastra alla corrente per farla scaldare.
 
 
«Le foglie di bambù frusciano
vicino le gronde ondeggiando
Le stelle luccicano
granelli d'oro e argento
Le strisce di carta dai cinque colori
ho già scritto
Le stelle luccicano
e ci guardano dal cielo.»

 
Una vecchia radio posta su una bancarella trasmetteva le note di una romantica canzone dedicata alla festività di Tanabata. Kasumi camminava per il mercatino che avevano organizzato a Nerima a braccetto con Ono: da quando la loro frequentazione era diventata ufficiale aveva pensato di potersi concedere qualche libertà in più. Il resto della famiglia li seguiva a breve distanza, coi padri che commentavano quanto le edizioni precedenti fossero più curate, Nabiki che sbirciava nervosamente l’orologio da polso e Ranma che sbuffava come una pentola a pressione.
Le decorazioni che il comitato del quartiere aveva allestito non erano affatto male: una moltitudine di lanterne di carta illuminavano tenuamente l’atmosfera, mentre colorati kusudama appesi a perdita d’occhio sventolavano ad ogni accenno di brezza; i numerosi rami di bambù che si alternavano tra una bancarella e l’altra cominciavano pian piano a riempirsi delle strisce su cui gli avventori più propensi a sognare trascrivevano i propri desideri.
 
“Akane Tendo o la ragazza col codino? Akane Tendo o la ragazza col codino?” Kuno Tatewaki sollevava ritmicamente prima la mano destra, poi la sinistra, lambiccandosi il cervello al fine di prendere una decisione sul tanzaku da appendere al bambù; la lunghissima fila di persone che si era creata dietro di lui cominciava a mormorare spazientita, al che si rivolse loro con fare agitato
“La volete piantare di mettermi fretta? È la decisione più importante della mia vita questa!”
Incuriosita dalla lunghezza della coda, pensando che stessero regalando qualcosa, Nabiki si separò dalla famiglia e si avvicinò all’origine di quel trambusto; una gigantesca goccia sovrastò la sua testa quando si rese conto di ciò che stava succedendo. Con un sospiro rassegnato, pensando a quanto altruista era in realtà alla faccia di chi la definiva un’avida sfruttatrice, si avvicinò al compagno di classe e provò a farlo ragionare
“Ehi Kuno! Anche tu qui?”

Il ragazzo si voltò e riconobbe la sagoma della sua amica, fasciata in un delizioso yukata rosso a stampe floreali, che gli sorrideva gentile
“Soave Nabiki Tendo, sono nel bel mezzo di un dilemma esistenziale, ti prego, non ti ci mettere pure tu a confondermi le idee!”

“Ma no, Senpai Kuno…io sono qui solo per aiutarti a fare chiarezza: la soluzione al tuo dilemma è semplice, ce l’hai davanti agli occhi! Basterà che tu appenda entrambi i biglietti alla pianta, così i tuoi sogni si realizzeranno entrambi!” suggerì tirando su le spalle e facendogli un occhiolino di complicità. Kuno fu come folgorato da quella quanto mai ovvia e brillante risposta: come aveva fatto a non pensarci? In fondo quello che desiderava davvero era averle entrambe…alle formalità ci avrebbe pensato più avanti, ma intanto i desideri che albergavano nel suo cuore erano chiari! Mentre si era perso nella fantasia galoppante della ragazza col codino che gli lavava la schiena mentre Akane lo imboccava di acini d’uva, sogno che gli aveva conferito un’espressione ancora più idiota del solito, Nabiki decise di appendere entrambe le strisce per suo conto e di trascinarlo finalmente via, tra il giubilo della folla applaudente.

Come ristabilì un contatto con la realtà, Tatewaki si rivolse alla compagna di classe che lo fissava con un sopracciglio alzato e le confidò
“Tu mi hai aperto un mondo, Nabiki Tendo! Mi hai ricordato che non bisogna mai dubitare dei propri sogni e che solo il vil codardo si rassegna a lasciarli da parte. Permettimi di ringraziarti offrendoti una leccornia a scelta dalla bancarella che preferisci”

Nabiki rimase stupita da quella proposta ma non se lo fece ripetere due volte e trainò Kuno presso un banchetto in cui si era imbattuta precedentemente. Un profumino dolce e delicato emanava da quello stand, in cui un’anziana signora coi capelli raccolti in una crocchia bianca era impegnata a comporre delizie ghiacciate secondo i gusti dei clienti
“Ho proprio voglia di un kakigori rinfrescante! Io lo prendo al caramello, ne vuoi uno anche tu?” domandò Nabiki mentre aspettava educatamente il proprio turno, in fila

“Uhm…solo se prometti che resterai nei paraggi finché non l’ho finito…non voglio fare la figura del debosciato mangia-dolci” replicò Kuno, mentre intanto apriva il portafogli per consegnare le monete da cento yen necessarie alla ragazza.

Nabiki controllò nuovamente l’orologio da polso, poi annuì
“Ho ancora una decina di minuti prima dell’appuntamento con Mendo: se non sei troppo lento a mangiare direi che ce la possiamo fare!”

“Ehm, bene. Allora uno al Mendo per me, ehm…al mango!” rispose Kuno, pregustando già la prelibatezza scevra da preoccupazioni di natura sociale.
 
 
Come svoltarono in una stradina laterale, Ono e Kasumi si fermarono a salutare una ben nota conoscenza, che contribuì ulteriormente a peggiorare l’umore di Ranma. La sua figura si stagliava davanti ad una bancarella che vendeva nikuman, alto e imponente, con un sorriso fastidiosamente smagliante nel proprio elegante kimono blu scuro. Si stava rivolgendo a Ono in particolare, ma il suo sguardo aveva rapidamente squadrato tutti loro
“Oh, buonasera Tofu! Che insperato piacere trovarti per le strade di questa magnifica festa!”

“Seitan! Davvero non immaginavo che fossi qui a Nerima…è da tanto che sei arrivato in città?” lo salutò Tofu, sorpreso, mentre gli stringeva la mano

“No, sono arrivato nel tardo pomeriggio. Mi è stato raccontato da molti miei pazienti che i festeggiamenti per Tanabata di Nerima sono tra i più…incantevoli di tutto il Giappone, quindi ho voluto appurare di persona” sorrise il dottore accarezzandosi la nuca, mentre Ranma roteava gli occhi al cielo con una smorfia

“Che maleducato, non ti ho presentato a Kasumi, la mia splendida…ehm, f-fidanzata” su quest’ultimo termine Tofu incespicò leggermente poiché ancora non si era abituato a definirla tale; tuttavia il dolce sorriso di Kasumi spazzò via tutte le sue incertezze

“Veramente una meravigliosa fanciulla…sono contento che il vostro appuntamento di qualche settimana fa sia andato bene!” le disse Toshio con un inchino, mentre Kasumi ne accennava uno a propria volta

“Eh, giusto…eri passato a trovarmi proprio quel giorno…comunque questi signori qua dietro sono, rispettivamente, il padre di Kasumi, Soun Tendo, e due cari amici di famiglia, Genma e Ranma Saotome” continuò Tofu introducendo il resto del gruppo

“Piacere di conoscervi…ma dimmi, Ono, sei venuto da solo alla festa?” domandò Seitan guardandosi attorno con maggiore attenzione

“In realtà siamo un bel gruppetto, non ti pare?” ridacchiò Tofu, non capendo il reale significato di quella domanda

“Oh, andiamo! È qui solo per Kijo, volete un disegnino esplicativo?” sbuffò Ranma incrociando le braccia al petto e lanciandogli un’occhiataccia

“Figlio maleducato che non sei altro, che razza di risposta impudente è? Vieni qui che ti insegno un po’ di buone maniere!” Genma cercò di allungargli un forte scappellotto, ma il ragazzo lo evitò agilmente e poi lo sfidò

“Fatti sotto, vecchio!”

A quel punto Soun, visibilmente irritato, li prese entrambi per il bavero, li avvicinò a sé e sussurrò a denti stretti
Datevi un contegno, per la miseria! Non vi permetterò di mettere in imbarazzo con un collega l’unico genero sano di mente che ho!

I due si placarono all’istante e tornarono ai propri posti, ignorandosi ostentatamente e scuotendosi di dosso della polvere immaginaria con la mano.

“Ono mi stava giusto raccontando poco fa che Kijo è venuta con delle amiche a questa fiera, quindi se fate un giro potrete sicuramente incrociarla” prese la parola Kasumi, riprendendo serenamente il filo del discorso

“Bene, allora continuo il mio tour del quartiere! Buona serata a tutti!” così dicendo Seitan si voltò facendo un cenno con la mano e si rimise in marcia.

“Soun, caro amico mio, forse Tofu sarà il più intelligente dei tuoi generi, ma Ranma è senza dubbio un gran pezzo di ragazzo…pensa a quanto saranno belli e forti i nostri eredi, nonché abili nelle arti marziali…” Genma si avvicinò a Soun, lisciandolo con le parole e massaggiandogli le spalle

“Sì certo…è più probabile che gli eredi di Soun mangino spaghetti e suonino il mandolino!” e con questa sparata che lasciò i due vecchi amici spaesati, Ranma si allontanò a grandi falcate dalla famiglia: aveva un disperato bisogno d’aria.
 
Quando ebbe messo una sufficiente distanza tra sé e i Tendo, Ranma riprese a camminare con un’andatura normale. Era mai possibile che tutti si ostinassero a decidere per lui infischiandosene di quello che voleva o non voleva? E anche di quello che voleva Akane, che magari nel frattempo era cambiato…Ed era mai possibile che quel dottorino da strapazzo continuasse a tampinare Kijo con così tanta sollecitudine? Ma era legale oltretutto? In effetti non sapeva quanti anni avesse Seitan, ma se era già dottore almeno venticinque avrebbe dovuto averli…che cavolo, doveva andarsi a interessare proprio ad una minorenne? Certo, era vero che anche Tofu e Kasumi…Sì, ok, ma tra vent’anni e trenta la differenza si dovrebbe sentire meno che tra diciassette e venticinque (sempre che la sua stima fosse giusta). E poi Kijo ancora non aveva finito il liceo, avrebbe sicuramente voluto fare l’università…i prossimi anni della sua vita sarebbero stati cruciali, non poteva sprecarli con Seitan!
Un pensiero che non avrebbe voluto si affacciasse alla sua mente emerse prepotente: pochi mesi prima non era stato lui stesso sul punto di sposarsi?
Dannazione, ma la situazione era completamente diversa!...lo era davvero? E comunque era andato tutto a rotoli, segno evidente che non era stata una buona idea in partenza…
D’un tratto un profumo familiare e appetitoso gli colpì le narici e lo costrinse a fermarsi; dinanzi a lui stava un grazioso banchetto di okonomiyaki, assediato da una ressa di avventori che, denaro alla mano, reclamavano la propria squisitezza. Dietro alla piastra ardente c’era lei, la sua amica d’infanzia che da quel giorno a casa sua non aveva più rivisto: aveva un aspetto stanco ma felice, mentre con la fronte imperlata di sudore agitava sapientemente le proprie mani munite di spatole per accontentare quanti più clienti possibile. Accanto a lei notò due figure: Mousse, che si dava da fare a preparare gli impasti seguendo le sue precise istruzioni e Tsubasa, che faceva pagare e serviva i clienti che si erano accomodati ai tre tavolini allestiti.
Rimase per qualche minuto imbambolato a guardarli, chiedendosi se fosse il caso di farle un saluto o meno: dopotutto Ukyo non era più tornata a scuola né aveva provato a contattarlo in alcun modo…forse per il percorso di riabilitazione che stava seguendo era sempre troppo prematura un’interazione diretta con lui. Si rasserenò vedendola comunque in buone mani e in fase di ripresa, quindi decise di proseguire la propria camminata.
 
Yuka, Sayuri, Shinobu e Kijo stavano passeggiando tra le bancarelle recando in mano dei grossi coni gelato appena acquistati: stava diventando una gara contro il tempo riuscire a finirli prima che si squagliassero, poiché il vento caldo della serata non aiutava assolutamente il loro compito. Shinobu, oltretutto, a malapena lo aveva assaggiato e lo stava tenendo con una forza tale che per poco la cialda non si era frantumata in mille pezzi: l’essersi imbattuta poco prima nella coppia Ataru-Lamù e solo qualche metro dopo in quella Nabiki-Shutaro di certo non aveva contribuito al suo buonumore.
“Ragazze, voglio del sakè!” disse di punto in bianco

“Cosa? M-ma Shinobu, tu non hai mai bevuto alcolici in vita tua! Anche alle feste li eviti sempre...” sbatté le palpebre Sayuri, incredula. Per poco non le cadde il gelato per terra.

“E allora? Stasera mi va di bere e se non venite con me vorrà dire che andrò da sola!” sbottò lei prendendo la direzione di una bancarella che vendeva il trasparente liquore.

Le altre tre ragazze si guardarono l’un l’altra, poi Kijo le urlò dietro mentre cercavano di raggiungerla
“Sai, in fondo è una buona idea! Ti accompagniamo!”


 
Vicino al banchetto del sakè sostava Gosunkugi, affiancato dall’evanescente Kogame: studiavano con somma attenzione il cartellone con le varie specialità di liquore che lo stand offriva e non appena videro le ragazze avvicinarsi le salutarono con grande trasporto
“Oh! Ecco le mie compagne di classe preferite! Anche voi a festeggiare la memoria dello sventurato amore tra Orihime e Hikoboshi?”

“Ciao Gosunkugi. Io sono qui per bere, prendete qualcosa anche voi?” replicò Shinobu in modo assai spiccio

“Uhm, stavamo giusto riflettendo su quale sia il miglior spirito a giudizio di uno spirito! Quanto siamo spiritosi eh?” Hikaru ridacchiava all’unisono con Kogame a quella battuta che trovava esilarante

“Beh, quando lo avete scoperto fate un fischio…Barista, dieci sakè da questa parte!” ordinò Shinobu scavalcando altre persone vicine al banchetto

“Ehi, ma che le prende?” si rivolse alle altre Hikaru, mentre Kogame commentava con la solita voce monocorde
“Percepisco un’aura di profondo turbamento emanare da quella ragazza”

“Dev’essere per qualche incontro spiacevole che abbiamo fatto, diciamo che Shinobu non è molto fortunata in amore ultimamente” sospirò Yuka, mentre Kijo cercava di obiettare che forse dieci sakè erano troppi per una che non aveva mai bevuto

“Beh? C’era l’offerta…e poi non dovete berli voi se non volete!” trillò Shinobu tornando con un vassoio pieno di bicchierini; si fece spazio su un muretto e vi appoggiò sopra il vassoio, quindi cominciò l’esecuzione degli shottini afferrando un bicchiere e vuotandolo in un sol sorso, per poi riappoggiarlo rovesciato sul vassoio. Inizialmente credette di sputare fuoco da un momento all’altro, gli occhi le si riempirono di lacrime e il naso sembrava dilatato come se avesse due tunnel al posto delle narici, ma quando il liquore arrivò nello stomaco e si concesse un sospiro si sentì subito meglio: più forte, più audace, più tosta.
“Wo-wooooo!” si lasciò sfuggire dando un pugno all’aria circostante “Andiamo, è una figata pazzesca, bevete anche voi!”

Yuka e Sayuri presero un bicchiere a testa, ma il solo avvicinarlo al naso provocò loro un moto di disgusto, per cui finsero di sorseggiarlo con un sorrisetto tirato stampato sul volto; Gosunkugi prese il suo bicchiere e cominciò a degustarlo piano piano, come un sommelier, decantando le proprietà e le note aromatiche del liquore. Kijo finì il suo bicchiere in un paio di sorsi, pensando che effettivamente era proprio buono
“Ehi, posso averne un altro?” domandò a Shinobu, alla quale si illuminarono gli occhi

“Sìììììì! Questo è lo spirito giusto! Capito Hikaru? Dai, facciamo una gara a chi ne beve di più!” propose Shinobu elettrizzata, utilizzando un tono di voce oggettivamente alto

“Ehm, ok, ma non so se sarebbe corretto…io sono abituata all’alcool e tu non hai mai bevuto prima quindi…” provava a spiegarle Kijo, inutilmente

“Co-dar-da!! È che non vuoi perdere!” urlò Shinobu ridendo senza controllo, poi prese un altro bicchiere e lo vuotò alla goccia “Sei indietro di uno Rinekami!”

A quel punto Kijo decise di accettare la sfida: in fondo qual era la cosa peggiore che poteva succedere? Agguantò due bicchieri e li tracannò uno dietro l’altro in pochi secondi

“Che roba ragazzi! Tre a due per Kijo, ma Shinobu sta prendendo un altro bicchiere e…raggiunge il risultato di tre pari!” Gosunkugi si era messo a fare la telecronaca e un piccolo capannello di persone si erano fermate dintorno incuriosite da quella confusione. Kijo bevve senza difficoltà l’ultimo bicchiere rimasto sul vassoio, al che Shinobu si lanciò su Yuka per prendere il suo e lo trangugiò, mentre Kijo a quel punto aveva chiesto a Sayuri di bere da quello che teneva in mano. Proprio mentre si accingeva a finire l’ultimo sorso, con la coda dell’occhio scorse un volto noto che la stava guardando con le braccia incrociate e un’espressione di finto rimprovero; per la sorpresa per poco non le andò di traverso e nebulizzò un discreto quantitativo di liquore davanti a sé, prima di salutarlo con aria colpevole.

“Ehi, non vale! Quell’ultimo bicchiere non va-” si accanì Shinobu, costretta poi a voltarsi dato che un conato di vomito le saliva prepotente

“C’è bisogno di un dottore?” si avvicinò Toshio Seitan al gruppetto, forte del suo disarmante sorriso che fece mancare un battito ai cuori delle ragazze

“Buonasera Dottor Seitan! Che sorpresa! Shinobu ha solo bevuto un po’ troppo, non credo sia nulla di grave” gli rispose Kijo, facendogli spazio per avvicinarsi alla sua amica

“Signorina, sapete dirmi il vostro nome?”

Shinobu si sentì quasi mancare appena le tastò la fronte col palmo della mano, gli occhi che assumevano prepotenti la forma di due cuoricini rosa
“Shi-shinobu…” un rossore profuso si impadronì del suo volto, non avrebbe saputo dire se la causa fosse l’alcool che aveva in corpo o la vicinanza di quell’avvenente sconosciuto.

Neppure Sayuri e Yuka rimasero insensibili al fascino del bel dottorino, infatti si affrettarono a sostenere Shinobu da entrambi i lati, profondendosi in domande esagerate ed eccessive manifestazioni di preoccupazione
“Qual è il vostro responso, dottore? Sopravvivrà?” domandò Sayuri sbattendo le ciglia e accarezzando ostentatamente il braccio dell’amica

“Cosa possiamo fare per farla sentire meglio? Vi prego, aiutateci dottore…” replicò Yuka portandosi una mano alla fronte con fare teatrale. Due enormi gocce si erano manifestate intanto sopra le teste di Kijo e Hikaru, che stavano assistendo alla scena esilarante senza osare interromperla.

“Credo che alla vostra amica farebbe bene un po’ di riposo…e bere tanta acqua. Magari domattina un’aspirina se le venisse mal di testa, ma nulla di più” emise la sua diagnosi il medico, non dimenticandosi di accompagnarla con un sorriso seducente che fece tremare le ginocchia alle tre ragazze già in equilibrio precario

“Perfetto…allora forse noi dovremmo accompagnare a casa Shinobu…” esordì Yuka lanciando un’occhiata esplicita a Kijo

“Già…non ci metteremo molto, non abita tanto distante…” continuò Sayuri alzando e abbassando ripetutamente le sopracciglia

“Che c-coscia…no, io non vuoglio tornare a casa, io vuoglio restare a divertirmui” biascicava intanto Shinobu, che a stento aveva percezione dell’ambiente che la circondava, mentre le amiche la trasportavano verso gli altri.

Appena giunsero vicino a Kijo, Sayuri la prese per l’obi e la trascinò a sé per sussurrarle nell’orecchio
Kijo, accidenti a te! Come hai potuto tenerci nascosto questo gran pezzo di manzo? La prossima volta che vai ad un convegno medico voglio venirci anch’io!

Poi fu la volta di Yuka, che le bisbigliò a sua volta
Che razza di strafigo! Cioè, ma lo hai visto? Ovvio che lo hai visto…Insomma, noi vi lasciamo da soli, non fare niente che io non farei!

Infine Shinobu, che non si prese nemmeno la briga di abbassare il volume della voce
“Mi sh-scusi signorina…il pullman numero settantaquattro passa di qui?”

“Ehm, dobbiamo proprio andare adesso…ti raggiungiamo più tardi, Kijo, molto più tardi…” la salutò Yuka facendole un occhiolino di complicità

“Sì, ci vediamo dopo, con calma…Hikaru, perché non ci dai una mano ad accompagnare Shinobu? Un ragazzo insieme a noi ci farebbe sentire più al sicuro…” concluse Sayuri dandole di gomito. Una folata di vento più forte del normale per poco non fece volar via l’esile figura di Gosunkugi, il quale tuttavia si accodò alle ragazze senza fiatare, sempre seguito dalla fedele Kogame.

“Avete delle amiche davvero simpatiche, Kijo…forse con delle abitudini non proprio salutari ma, beh, nessuno è perfetto!” Seitan si avvicinò a Kijo, trafiggendola col proprio sguardo dritto negli occhi; lei mise su un sorriso furbo, poi esclamò con noncuranza

“Siamo tornati al voi, Dottor Seitan? Mi pareva avessimo concordato di darci del tu…”

“Oh…ma certo, Kijo, solo che prima sei stata piuttosto formale e quindi credevo…” rimase un attimo turbato il medico, poi cercò di ritrovare un contegno “Comunque dicevo sul serio, signorina…ubriacarsi non è proprio un bel modo di passare il tempo, soprattutto per delle ragazze”

Kijo gli scoppiò dapprima a ridere in faccia, poi, scuotendo leggermente la testa, controbatté
“Nessuno si stava ubriacando, Toshio. O meglio, Shinobu ha voluto farlo coscientemente perché ha avuto una brutta giornata, le altre ragazze non hanno toccato neppure un goccio di liquore mentre io sono ben lungi dall’essere ubriaca. So riconoscere i miei limiti e ne sono ancora mooooooolto lontana. Quindi adesso basta coi moralismi perché ti fanno diventare noioso”

“Ok, ok, va bene…quindi se ti chiedo la formula dell’acido acetico te la ricordi?” sorrise Seitan reggendosi il mento con aria meditabonda

“Saprei dirtela anche in coma etilico…CH3COOH” rispose Kijo, divertita da quello strano metodo di verifica

“Il numero di Avogadro?”

“6,022x1023

“Il volume della sfera?”

“4/3 π r3

“Il mio compleanno?”

“18 novembre”

“Il giorno in cui ti ho detto per la prima volta che mi piacevi?”

“…C-come?” questa domanda spiazzò totalmente Kijo. Che cosa andava blaterando? Non era mai successa una cosa del genere! Forse era uno scherzo per prenderla in giro, pensando che fosse alticcia…ma come mai allora d’un tratto il suo sguardo si era fatto più serio e intenso, mentre con una mano le spostava delicatamente dietro l’orecchio una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso?

“Uh, a quanto pare non hai tutte le risposte allora…Ti rinfresco la memoria: era il 7 luglio alle ore…” Toshio sbirciò il proprio orologio da polso, poi avvicinò il suo viso a quello di Kijo per intrappolarla nei suoi occhi grigi come l’acciaio ed aggiunse “…undici circa”


 
Every whisper, of every waking hour
I'm choosing my confessions
Trying to keep an eye on you
Like a hurt, lost and blinded fool, fool
Oh no I've said too much
I set it up…

 
 
Un piccolo stereo trasmetteva le note di una delle canzoni più popolari di quell’anno, canzone la cui melodia a tratti malinconica ben si sposava con l’animo di Ranma, soprattutto quando, come attraversato da un fulmine, si era pietrificato in un angolo a ben poca distanza da dove si trovavano Kijo e Seitan, indeciso se uscire dall’ombra e affrontarli o tornare indietro sui propri passi e allontanarsi. Diamine se erano vicini! Lui le stava sussurrando parole che non riusciva a capire mentre lei se ne stava lì ipnotizzata come un topolino di fronte a un cobra. Perché cavolo non reagiva? Perché non se ne usciva con qualche frase sarcastica o qualche battuta idiota come al suo solito? Perché gli dava corda?
 
 
I thought that I heard you laughing
I thought that I heard you sing
I think I thought I saw you try
But that was just a dream
Try, cry, fly, try
That was just a dream
Just a dream
Just a dream, dream…

 
 
“…e quindi ho pensato che fosse carino appendere i nostri desideri: puoi scrivere qualunque cosa, senza pressioni, da la pace nel mondo a un motore più competitivo per la Ferrari, visto che ne sta buscando da Senna alla grande…prometto che non sbircerò!” ridacchiava Seitan dopo aver estratto due strisce di carta lilla e una penna nera

“Dai! Ma se Prost oggi l’ha sorpassato sul podio e Alesi è arrivato subito dopo! Non siamo messi così male, la stagione è ancora lunga…anche se oggettivamente Ayrton è un fuoriclasse, devo ammetterlo” si infervorò Kijo, mentre gesticolava con le braccia

“Nota per me: mai toccare la Ferrari ad un italiano…Ehi, ma ti andrebbe di venire con me a vedere il Gran Premio di Suzuka? Dovrebbe essere a Ottobre, se non sbaglio, quindi saresti sempre in zona…” propose Seitan, come trapassato da un’illuminazione

“Dici sul serio? Certo che mi piacerebbe!” esclamò Kijo con gli occhi che brillavano a forma di stella

“Oh, finalmente! È sempre difficile trovare qualcuno appassionato di Formula Uno, anche tra i miei colleghi! Una noia pazzesca…” concluse Seitan, poi appoggiò la striscia lilla al muretto e scribacchiò qualche carattere sopra, quindi porse la penna e quella intonsa a Kijo, la quale confessò, prendendole

“Toshio…scrivo tra un po', se non ti dispiace”

“Tranquilla…nessuna pressione, ricordi? A parte quella arteriosa e venosa che sono indispensabili” replicò lui facendola ridere

“O quella atmosferica che…” le parole le morirono in gola quando, alzando lo sguardo, si accorse di Ranma che stava camminando nella loro direzione. Era la prima volta che lo vedeva in abiti tradizionali e non poté far a meno di notare quanto quel kimono verde scuro gli cadesse alla perfezione…Diamine, se gli era mancato! Gli ultimi giorni di scuola erano stati frenetici per via degli esami e a causa dell’imbarazzo instauratosi dopo quel piccolo bacio innocente (c’era davvero bisogno di prendersela tanto?!) le loro interazioni si erano ridotte al minimo: niente più allenamenti, niente più sessioni di studio, niente più uscite extra-scolastiche. Altro che pressione arteriosa! Se si fosse misurata i battiti al minuto era sicura che avrebbero superato centosessanta…

“Buonasera Kijo! Dottore…vedo che alla fine è riuscito a trovare quello che cercava, no? Beh, buon proseguimento!” disse a macchinetta Ranma fermandosi a malapena per poi accennare nuovamente a dileguarsi.

Kijo osservò in silenzio ogni suo movimento innaturalmente condizionato e stava per dirgli qualcosa quando Seitan prese la parola e gli si rivolse

“Ranma, giusto? Grazie ma io stavo giusto per andarmene: mi aspettano più di cinquecento chilometri per tornare a casa e domani nel primo pomeriggio sono di turno, quindi non posso proprio trattenermi oltre. Saresti così gentile da accompagnare Kijo dalle sue amiche, o da Ono, o a casa…non so dove voglia andare, purché non rimanga da sola? Mi faresti un grande favore…”

“Toshio, non ce n’è bisogno…Ranma ha evidentemente una gran fretta e non voglio dist-” provò a obiettare Kijo, ma Seitan le pose un indice sopra le labbra, zittendo le sue rimostranze

“Lo farei in prima persona, ma le navette per il parcheggio cominciano a scarseggiare e…”

“D’accordo. La accompagno io.” rispose asciutto Ranma, ponendo fine al discorso. Poi aggiunse, un sorriso tirato appena accennato sul volto “Buona serata, guidate con prudenza!”

Seitan si rallegrò per come aveva risolto quella questione che gli stava a cuore, prese entrambe le mani di Kijo tra le sue e vi posò sopra un leggero bacio, poi si decise a salutarla
“Ci sentiamo presto, te lo prometto…e questo mi fermo ad appenderlo mentre vado, mi raccomando, appendi anche il tuo!” disse sventolando la propria striscia di carta lilla; poi si voltò e sparì rapidamente nella folla mentre Kijo lo seguiva con lo sguardo.

“Kami quanto siete stucchevoli, mi è appena venuto un attacco di diabete solo a guardarvi…” commentò Ranma tenendosi la nuca con entrambe le mani e alzando lo sguardo al cielo

“Come? Guarda che hai frainteso, noi non…” cominciò a spiegare Kijo, colpita da quell’osservazione

“Ah, davvero? Ma per favore, si vede lontano un miglio che gli piaci…hai il coraggio di negare anche questo?” le si ritorse contro Ranma con una veemenza che raramente gli aveva visto

“N-no, in realtà proprio stasera mi ha confidato una cosa del genere, ma da lì a definirci coppia stucchevole ce ne corre” ribatté Kijo, sperando che la questione finisse lì

“Ecco, lo sapevo! E quindi gli hai detto che a te non interessa?” infierì il ragazzo, bramoso di conoscere quella risposta

“Smettila di aggredirmi così, non gli ho detto niente, gli ho detto che ci avrei pensato” sbottò infine Kijo, perdendo la pazienza

“E poi da quando in qua ti comporti come una donnina dell’Ottocento che ha bisogno della guardia del corpo per passeggiare? Non gli hai detto che sei perfettamente in grado di difenderti da sola?” continuò su quella falsa riga Ranma

“Su questo avrei qualche dubbio, purtroppo” sussurrò Kijo fissando il pavimento. Non appena alzò nuovamente lo sguardo Ranma vide che aveva gli occhi lucidi e teneva le labbra serrate, quasi stesse cercando con tutte le proprie forze di non scoppiare in lacrime. Fece un respiro profondo, poi deglutì un paio di volte e quando ritenne di essere sufficientemente padrona della propria voce gli si rivolse
“D-da quando ho avuto quell’…incidente con Ukyo, Shampoo e Kodachi io non riesco più a combattere…o meglio, finché si tratta di un allenamento in palestra, al sicuro, preferibilmente senza contatto riesco a eseguire le varie tecniche, ma quando subentra l’adrenalina dello scontro mi congelo sul posto e non riesco più a reagire. Per questo mi sono trasformata in una donnina dell’Ottocento, se mi aggredissero io sarei totalmente inerme e incapace di difendermi”
Confessò quella verità che le bruciava dentro con molta difficoltà, poteva quasi vedere il suo orgoglio di ragazza emancipata frantumato in miliardi di pezzettini. Non riusciva a sostenere il suo sguardo, quindi era intenta a fissarsi le mani mentre si martoriava le unghie dal nervosismo.
Ecco perché tutti quegli allenamenti sulle forme, sul pupazzo di legno…ora che ci pensava erano secoli che non si confrontavano in un combattimento simulato…e lui non se ne era accorto. Che razza di Maestro era, per non aver capito un disagio così enorme della sua allieva? D’un tratto la fastidiosa rabbia che provava fino a poco prima svanì del tutto, lasciando spazio ad una nuova sensazione di speranza

“Andiamo Kijo, non è nulla di troppo grave. Tutti gli insegnamenti che hai imparato negli anni, tutti gli allenamenti, tutte le nostre sessioni sono ancora qui dentro” le disse cercando di consolarla, indicando il centro della sua fronte “…e soprattutto qui…” passò a indicarle il centro del petto “…non esiste che tutto questo sia andato perso! Infatti vuoi vedere che…” con un rapidissimo dritto le sfiorò lo zigomo sinistro, tanto che il solo spostamento d’aria la costrinse a chiudere gli occhi: era rimasta immobile e non aveva provato in alcun modo a bloccare il suo attacco. Non appena riaprì gli occhi gli rivolse uno sguardo spaurito come quello di una colomba, mentre una lacrima inevitabile le andò a rigare la guancia destra

“Vedi, sono bloccata…è tutto inutile, non combatterò mai più…ogni volta che ricevo un attacco la mia mente si congela e tutto quello che ricordo sono i colpi di quelle pazze e il relativo dolore che mi hanno inflitto. Sono condannata a rivivere quella scena perennemente”
Il suo attacco lo aveva portato molto vicino a lei: era insostenibile vederla così afflitta e per un attimo provò l’irrefrenabile desiderio di stringerla in un abbraccio, solo che le sue braccia si fecero di cemento a presa rapida e gli fu impossibile anche solo spostarle di un millimetro. Si maledisse silenziosamente per la sua scarsa intraprendenza, poi tentò un nuovo approccio

“Kijo…sono sicuro che puoi superare questo blocco. Lascia che ti aiuti, in fondo sono il miglior Maestro di arti marziali del mondo: se non ci riuscirai con me allora ti sarà permesso gettare la spugna” le disse con un sorrisetto compiaciuto e il mento lievemente alzato, garbatamente superbo

“Oh, ma sentilo! Com’è possibile che un ego così gigantesco sia contenuto in un solo ragazzo?” a Kijo sfuggì una risatina, mentre con la mano destra spintonava Ranma sul petto, facendogli fare un passo indietro

“Vedi? Non puoi far a meno di combattere! Mi hai già colpito una volta…” sottolineò lui con un’alzata di spalle, al che lei scoppiò proprio a ridere.
Rimasero così per due minuti buoni, quando uno scoppio nel cielo, seguito da una cascata colorata scintillante, li fece voltare verso l’alto.

“Uh, i fuochi d’artificio! Li adoro…” commentò Kijo sedendosi sul muretto con il naso all’insù; Ranma prese posto agilmente accanto a lei, ma probabilmente calcolò male le distanze perché le si ritrovò praticamente appiccicato: non che lei sembrasse esserne turbata, dato che non aveva fatto una piega, persa com’era nell’osservare quei luminosi lapilli che rischiaravano di vari colori il cielo notturno. Si scoprì, colpevolmente, assai più interessato a scrutare con la coda dell’occhio il suo volto illuminato ora da una luce rossa, ora verde, ora blu che a godersi lo spettacolo pirotecnico vero e proprio: kami se era carina! Pensò che gli sarebbe venuto un infarto quando, spostandosi leggermente per trovare una posizione più comoda, la sua mano sfiorò la propria e decise di mantenere quel contatto…Brr, certo che era fredda! Doveva essere per quello che un brivido gli partì dall’estremità delle dita e lo percorse interamente. Chissà se aveva freddo? Avrebbe dovuto offrirle una giacca o qualcosa del genere, che non aveva? Avrebbe dovuto…abbracciarla? La sola prospettiva lo fece arrossire fin sulla punta dei capelli, tanto che dovette ricorrere a un respiro profondo per dissipare la tensione

“Oh…ti stai annoiando forse?” gli domandò lei, fraintendendo il suo gesto

“Io? Ehm, no, è…bello, proprio un bello spettacolo!” sobbalzò lui, accarezzandosi la nuca e concentrandosi ostentatamente sui fuochi

“Beh, tanto tra poco sarà finito…” sorrise malinconica lei e si soffermò ad osservarlo: aveva un profilo irresistibile, soprattutto quelle labbra…diavolo quanto avrebbe voluto baciarlo!
Stupida, è l’alcool che ragiona per te…anche se non sei ubriaca ti senti più disinibita…ma sappiamo bene cosa è successo l’ultima volta che hai provato a baciarlo, quindi non è il caso, abort mission!” una fastidiosa voce interiore la redarguiva severamente, pertanto si concesse solamente di sbirciare il riflesso degli ultimi fuochi nello splendido cielo dei suoi occhi.

Come lo spettacolo terminò, Ranma si voltò verso di lei e la scoprì a fissarlo
“Ehi, tutto a posto? Mi sembri un po’ distratta stasera” se ne uscì scendendo dal muretto e porgendole una mano per fare altrettanto

“Sì, ti assicuro che sono molto, molto presente…è solo che…” con una lieve spinta saltò dal muretto, tenendo la mano di Ranma; atterrò molto vicina a lui e suo malgrado si trovò incatenata nel suo sguardo. Uffa, perché non glielo poteva dire e basta?
Fai te, poi però non venire a lamentarti quando ti rifiuterà un’altra volta” emerse nuovamente prepotente la voce interiore. Se ne uscì quindi con altre parole improvvisate, rispetto a quelle che avrebbe voluto dire
“Ecco, qualche giorno fa ho mantenuto la mia promessa a Ryoga e l’ho accompagnato all’aeroporto. Non te l’ho detto subito perché siamo stati…molto impegnati ultimamente e non ho avuto più modo di parlarti con calma”
Certo, impegnati a evitarvi a causa del tuo stupido tentativo

“Capito. Beh, tanto lo sapevo che sarebbe andato, prima o poi” fece spallucce lui, minimizzando

“Bene, direi che è tutto allora. Ti dispiace se mi fermo un secondo ad appendere questa striscia di carta prima di tornare a casa?” gli chiese Kijo, prendendo il foglietto lilla ormai mezzo stropicciato e la penna

“A patto che tu mi faccia leggere cosa c’è scritto” la sfidò Ranma

“Ma non funziona così! In questo modo non si avvererà!” brontolò lei

“Ultima offerta, prendere o lasciare” tenne il punto lui

“D’accordo…però voglio vedere cosa scrivi tu!” rilanciò Kijo, un lampo furbo che le attraversava gli occhi

“Non se ne parla proprio!” cominciò a incamminarsi Ranma.
 
 
La festa era ormai agli sgoccioli e tutti i proprietari dei banchetti stavano iniziando a riporre le loro carabattole; c’era meno gente in giro e i bambù erano ormai sommersi di tanzaku svolazzanti. Appena ne trovarono uno che aveva ancora qualche ramo libero, decisero di fermarsi ad appendere le loro strisce: Ranma ne aveva presa una azzurrina e dopo che Kijo ebbe finito di scrivere sulla sua, gli porse la penna. In quel momento fu sommerso dai ricordi dell’anno precedente…c’era Akane al suo fianco e tutti avevano insistito che scrivessero i propri nomi come rito propiziatorio per il futuro matrimonio…avrebbe rinnovato la tradizione anche quell’anno? Per una volta aveva la possibilità di scrivere ciò che davvero desiderava: anche se era solo una sciocca superstizione, non aveva senso continuare a mentire a se stesso. Dopotutto nessuno lo avrebbe visto, quindi chi se ne importava!
Scribacchiò velocemente dei caratteri sulla striscia e poi la coprì subito con la mano.

“Pronto ad appenderle?” gli domandò Kijo

“Prima devo leggere la tua, me lo hai promesso” Ranma le sfilò la striscia lilla di mano con estrema facilità, fin troppa, e quando la voltò per leggere ciò che c’era scritto rimase totalmente di sasso
“Ma…ma che diamine hai scritto qui?”

“Ho scritto il mio desiderio…in italiano. L’accordo era che tu potessi leggerlo, non comprenderlo, se non sai la mia lingua è un problema tuo” sghignazzava Kijo facendogli una linguaccia.
Ranma si vendicò subito sfruttando il suo punto debole, ovvero il solletico, cosa che portò Kijo ad implorarlo di smettere o sarebbe morta soffocata dalle risate

“Oddio, oddio, oddio…appendiamoli, va’, prima che si rovinino definitivamente” cercava di riprendere fiato la ragazza, ancora in preda agli spasmi del solletico; legò la propria striscia con una piccola cordicella al ramo, poi poco dopo Ranma fece altrettanto, assicurandosi che lei non sbirciasse.
 

Quella sera Kijo, poggiando la testa sul proprio cuscino, si addormentò con un pronunciato sorriso sulle labbra.
Quella sera, Ranma, srotolando il proprio futon accanto al padre, si addormentò con un malcelato sorriso sul volto.
Quella notte, a Nerima, tra migliaia di strisce di carta che sventolavano prima di essere bruciate e poter ascendere in cielo, almeno due recavano scritti aneliti compatibili. Chissà se i garanti celesti dei desideri giapponesi sarebbero riusciti a decifrarli…

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Capitolo 18
*** Buon compleanno, Kasumi! ***


20 Luglio
 
 
Ehi, fate piano! Non spingete o mi farete rovesciare tutto!” sussurrava scocciata Nabiki sostando davanti alla porta della camera di Kasumi con in mano una grande kasutera quadrata ricoperta di tremolanti candeline accese

Siamo sicuri che non è sveglia?” si informò il padre, aprendo uno spiraglio della porta che rivelò la stanza ancora completamente al buio

Il piano ha funzionato perfettamente” commentò a bassa voce Ranma con fare cospiratorio. L’elaborato piano consisteva semplicemente nel disattivarle la sveglia, in modo tale che almeno nel giorno del suo compleanno, la festeggiata non si alzasse per prima per preparare la colazione a tutti ma ricevesse invece una bella sorpresa come una torta a letto.
In realtà Kasumi era ben cosciente già da un po’: ormai rimetteva la sveglia solo per consuetudine, ma il suo bioritmo forte di un’abitudine consolidata l’aveva obbligata ad aprire gli occhi alla solita ora. Tuttavia si aspettava che la sua famiglia stesse escogitando qualcosa per il suo compleanno, dato che nei giorni precedenti avevano assunto un comportamento assai sospettoso ogni qual volta entrava in una stanza; decise quindi di far finta di nulla e aspettare, per non rovinare i loro piani.
Qualche secondo dopo Nabiki, Ranma, Soun e Genma fecero irruzione in camera sua, accendendo la luce e gridando all’unisono
“Sorpresa! Buon compleanno Kasumi!”

La ragazza simulò uno sbadiglio e si voltò verso di loro con un sincero sorriso ad illuminarle il volto: davanti a lei si stagliava la famiglia che adorava con una splendida torta sovrastata da venti candeline rosa…cosa avrebbe potuto desiderare di più?

“Oh, accipicchia! Grazie mille, è un pensiero davvero gentile” li ringraziò commossa, mentre Nabiki le si avvicinava e le intimava

“Auguri sorellina! Esprimi un desiderio e soffia!”

Qualche istante dopo Kasumi spense le candeline e ricevette un applauso dagli uomini che erano rimasti un passo indietro. L’atmosfera gioiosa non durò molto, dato che Soun si fece assalire da una delle sue solite crisi di pianto, prorompendo con
“La mia bellissima bambina è maggiorenne ormai! Ricordo ancora il giorno in cui sei nata, eri così piccola…la mia prima dolce figlia…e adesso non avrai mai più bisogno di me!”

Kasumi si alzò dal letto e si avvicinò per abbracciarlo, accarezzandogli dolcemente i lunghi capelli neri, mentre nell’orecchio gli sussurrava piano
Io avrò sempre bisogno di te papà…sei il pilastro della mia vita, non dimenticarlo mai”.
 
Qualche minuto più tardi tutti erano riuniti in sala da pranzo a bere il tè e gustare la kasutera, quando suonò il campanello. La festeggiata andò ad aprire e si trovò davanti Tofu e Kijo in tenuta piuttosto insolita: avevano due capienti zaini a tracolla e la ragazza pure una borsa di paglia; l’abbigliamento era molto casual, canottiera e shorts per Kijo (con ovviamente gli immancabili occhiali da sole) e camicia floreale con bermuda al ginocchio per Ono.

“Buongiorno…andate da qualche parte?” li salutò Kasumi incuriosita

“Beh, sì…in effetti siamo diretti alle spiagge di Shirahama” si sforzò di fare il vago Tofu. Kijo accennò appena un saluto con la mano: probabilmente stava ancora dormendo in piedi a causa della levataccia.

“Oh…bene allora, passate una buona giornata!” sorrise loro Kasumi. Non appena si voltò vide che anche il resto della sua famiglia si era vestito da spiaggia e cominciò a capire

“Non andiamo da nessuna parte senza di te!” le rivelò infine Tofu, arrossendo per l’abbraccio in cui Kasumi lo aveva stretto.
 
Dopo circa quattro ore di viaggio arrivarono alla spiaggia e si misero alla ricerca di un fazzoletto di sabbia che potesse contenerli tutti: non fu un’impresa semplice, dato che era alta stagione e i bagnanti in cerca di ristoro erano un numero considerevole, tuttavia alla fine riuscirono a formare un piccolo accampamento stendendo gli asciugamani e piantando gli ombrelloni. Kijo si piazzò immediatamente all’ombra, si spogliò della canotta e dei pantaloncini e rimase con un bikini nero a vita alta coi bottoncini bianchi laterali e un fiocco rosso al centro del reggiseno, molto stile pin-up. Tirò fuori dalla borsa un flacone di crema solare protezione altissima e cominciò a ungersi scrupolosamente, per poi fermarsi notando che diverse persone la stavano fissando.

“Che c’è? Mi scotto con facilità purtroppo!” cercò di spiegare, ma quelli distolsero lo sguardo con aria colpevole e finsero di non sentirla. Tornando al suo compito dopo aver fatto spallucce, si rese conto che non sarebbe riuscita a distribuire per bene la crema sulla schiena e si rivolse a Nabiki che era lì vicino: lei indossava un costume intero color porpora con uno scollo a v profondissimo, che le stava d’incanto.
“Scusa Nabiki, potresti darmi un po’ di crema sulla schiena per favore?”
Immediatamente i tizi di prima si misero in fila di fronte alle due ragazze e Nabiki non si lasciò sfuggire l’occasione

“Dunque, se subappaltassi questo compito a uno di voi, quanto sareste disposti a pagarmi?”

“Mille yen!” offrì il primo

“Milleduecento yen!” rilanciò il secondo

“Millecinquecento yen!” alzò la mano il terzo

“Milleottocento yen!” aumentò l’offerta il secondo

Nel frattempo a Kijo era comparsa una gigantesca goccia sulla nuca, Ranma si teneva il volto con la mano mentre scuoteva la testa e gli altri cercavano di soffocare delle risatine.

Fu Kasumi ad alzarsi e prendere in mano la situazione: si avvicinò a Kijo nel suo bikini verde a fascia, che esaltava le sue forme armoniose e, prendendo il flacone di crema, si offrì volontaria
“Posso aiutarti io se vuoi…ti dispiacerebbe poi prestarmene un po’? Quest’anno ancora non ho comprato un solare e temo che quello dell’anno scorso non sia più efficace…”

“Certo, figurati! Anzi, grazie mille!” Kijo si tirò su i capelli con una pinza per agevolare il compito alla sua salvatrice, quando Nabiki le bloccò repentinamente, facendole circondare dai tre tipi dell’ombrellone accanto

“Ehi, ma che diamine…?” brontolò Kijo, ma Nabiki le fece cenno di tacere, spiegandosi

“Sono disposti a pagare ottocento yen a testa per guardarvi mentre vi spalmate la crema…più tardi vi offro un gelato!”

Kijo e Kasumi caddero a terra facendo il segno delle corna: un’altra assurda giornata era a malapena cominciata.
 
Genma e Soun avevano appena finito di apparecchiare una grossa tovaglia da pic-nic distesa direttamente sopra la sabbia e stavano già pregustando di azzannare le prelibatezze che avevano acquistato presso i vari chioschetti sulla spiaggia; di certo non si erano dati un freno, giustificando la spesa sostenuta con la volontà di festeggiare degnamente la prima in famiglia che raggiungeva la maggiore età. Come fecero per radunare gli altri, un devastante polverone accompagnato da un rumore assordante di pale metalliche rotanti si sollevò su gran parte della spiaggia, spazzando via teli, ombrelloni, piatti e bicchieri di plastica. La gente cominciò a fuggire come se fosse il giorno dell’apocalisse dal luogo dove quel ritrovato della tecnologia militare sembrava voler atterrare, mentre di contro altri più lontani, incuriositi, si avvicinavano col naso all’insù generando ulteriore caos. Appeso ad una scaletta penzolante da quell’elicottero, Shutaro Mendo in smoking e occhiali da sole agitava la mano verso Nabiki, la quale lo salutava a propria volta; quando giunse a poche decine di centimetri da terra tentò un atletico balzo acrobatico, peccato che il piede gli rimase impigliato nella scaletta di corda e atterrò di faccia, provocandosi un vistoso bernoccolo. Si rialzò istantaneamente, facendo apparire come un esperto prestigiatore un gigantesco mazzo di fiori tra le sue braccia, che offrì alla festeggiata

“Splendente Kasumi, permettimi di omaggiarti con questi fiori anche se non recano sufficiente giustizia alla tua beltà. Tua sorella mi ha detto che compi vent’anni oggi, ma consentimi di confidarti che per me ne dimostri appena tredici!”

Kasumi restò leggermente spiazzata da quell’affermazione che voleva essere una specie di complimento e si limitò ad inchinarsi leggermente e ringraziare

“Ma che cavolo dici? Ti sembra forse una ragazzina delle medie?” bofonchiò Ranma, scocciatissimo perché gran parte del cibo era da buttare. Suo padre e Soun erano a piangere in un angolo per quello stesso motivo: solo una grossa e succosa anguria si era salvata e l’avrebbero protetta a costo della vita.

“No, era per dire…Saotome, bisogna sempre dire alle donne che dimostrano un’età inferiore alla loro…le basi della cortesia proprio!” replicò Mendo spostandosi di lato un ciuffetto ribelle di capelli, come chi la sa lunga.
Nel frattempo i suoi uomini stavano allestendo un tavolo lunghissimo affiancando tanti tavolini pieghevoli: salivano e scendevano dall’elicottero come un esercito di formiche ordinate in fila, ognuno con il proprio compito e le proprie vettovaglie da portare; apparecchiarono il tutto con una sontuosa tovaglia bianca, posate d’argento e bicchieri di cristallo, per non parlare dei pesanti candelabri cesellati a mano.

“Mi sono preso la libertà di offrire il pranzo, spero che sarà di vostro gradimento…perché non ci sediamo a tavola?” sorrise Shutaro soddisfatto del risultato.

“Oh, grazie infinite signor Mendo! Ma non saremo vestiti troppo spartanamente per un banchetto di tale sfarzo?” domandò preoccupata la festeggiata

“Non vi preoccupate! Dopotutto siamo in spiaggia, è un evento informale, lo capisco” così dicendo il rampollo dei Mendo tirò giù una zip che lo liberò dallo smoking e rimase in bermuda da spiaggia, scatenando gridolini da alcune ragazze che passeggiavano casualmente in quella zona. Nabiki le fulminò con lo sguardo e le poverette arretrarono con la coda tra le gambe.
 
Fu un pasto luculliano, con pietanze abbondanti e di prima qualità: perfino il capiente stomaco di Genma trovò soddisfazione, costringendolo ad arrendersi alla seconda porzione di dessert.

“Credo di non aver mai visto mio padre sazio prima d’ora” commentò Ranma osservando il genitore che si accarezzava amorevolmente la pancia mentre teneva in bocca uno stuzzicadenti

“È un evento da segnare sul calendario! Il banchetto di Mendo ha vinto perfino il suo appetito da orso famelico” gli fece eco Kijo, seduta accanto a lui, ridacchiando. Partirono entrambi col braccio per prendere la stessa bottiglia d’acqua e le loro mani si sfiorarono: quella di Kijo era inspiegabilmente fredda nonostante la giornata caldissima mentre quella di Ranma era calda e tenace nella presa; non appena avvenne il contatto entrambi ritrassero istantaneamente la mano come se avessero preso la scossa, ma la bottiglia, disturbata da quel movimento, roteò su se stessa e versò il proprio contenuto nella loro direzione, costringendoli ad un balzo all’indietro esagerato per evitare gli schizzi. Mendo li guardava assai sconcertato, probabilmente nutrendo dubbi sulla loro buona educazione, al che Kijo si sentì costretta a giustificarsi

“Ups…che sbadata! Con tutto quello che ho mangiato mi verrà una congestione se mi bagno adesso!”

“Eh…sì, infatti, come lei…ho pensato la stessa cosa…” si affrettò ad aggiungere Ranma, mettendo su un sorriso di circostanza e toccandosi la nuca. Nabiki, cercando di distogliere l’attenzione dallo strano comportamento di Ranma, si rivolse a Shutaro, che era al suo fianco, ricordandogli

“Non pensi sia giunto il momento per mia sorella di aprire i suoi regali?”
Accompagnò quella domanda con un sollevamento di sopracciglia allusivo, di fronte al quale Mendo si sciolse in un sorriso di puro autocompiacimento; chiamò quindi uno dei suoi galoppini per ordinargli di portare il proprio dono.
Servirono quattro persone per trasportare quella scatola più alta di loro dall’elicottero fino ai piedi di Kasumi: la ragazza li osservava con sommo stupore, non riuscendo proprio a immaginare che cosa potesse contenere di così voluminoso e pesante.

“Oh, andiamo! Di fronte a questo enorme presente tutti gli altri sfigureranno!” si alzò in piedi Genma, brontolando e agitando il braccio nella direzione del mega-pacchetto

“Ma che cavolo dici? Perché, tu hai preso un altro regalo a Kasumi oltre la quota per la torta di stamani?” lo rimbeccò Ranma, prendendosi un’occhiata furente dal padre

“Figlio ingrato, come osi sottolineare…” cominciò a imbestialirsi Genma, ma Soun gli pose una mano sulla spalla, come per intimargli di calmarsi, quindi cambiò subito registro “…intendo che in fondo basta il pensiero, no?” terminò in modo mellifluo rivolto alla festeggiata, sbattendo le ciglia con aria innocente e incrociando le mani a mo’ di preghiera.

“Mendo, grazie davvero! Non dovevi disturbarti, sul serio…” Kasumi era visibilmente emozionata: non amava affatto stare al centro dell’attenzione e non si poteva certo dire che quel dono passasse inosservato; non solo tutta la tavolata moriva di curiosità per scoprire cosa c’era dentro, ma anche altri bagnanti si erano avvicinati per sbirciare

“Sciocchezze! Farei di tutto per la sorella della mia piccola farfalla” rivolse uno sguardo teatralmente languido a Nabiki, la quale sorrise compiaciuta e gli strinse una mano tra le sue.
Finalmente Kasumi si decise a tirare il grosso fiocco rosso che sovrastava la scatola, poi con pazienza strappò la carta argentata rivelando una lavatrice quasi professionale ultimo modello

“Direttamente dalle Mendo Industries: ancora non è stata lanciata sul mercato, quindi tu l’avrai in anteprima!” Shutaro sorrideva orgoglioso del proprio prodotto, fiore all’occhiello del settore elettrodomestici

“Per fortuna non è stata lanciata sul mercato! Vi immagin-” Kijo se ne stava uscendo con una delle sue battute idiote, ma lo sguardo severo di Nabiki la fece desistere dal completarla.

Kasumi, dal canto suo era rimasta senza parole. Certo, quell’aggeggio, ultimo ritrovato della tecnologia moderna, le avrebbe risparmiato una gran mole di lavoro…ma allora perché non riusciva ad esserne solo felice? Lei era la ragazza a cui regalare una lavatrice…Era vero, lei si occupava della casa, delle faccende domestiche, ma era solo questo? Era questa l’immagine che passava al mondo esterno? Adorava ogni tipo di regalo, soprattutto quelli utili e sicuramente quella lo era eccome…solo che, ecco, adesso si sentiva la domestica di casa Tendo e non più la festeggiata. Non per questo, naturalmente, sarebbe stata scortese, infatti fece un profondo inchino e ringraziò Shutaro del regalo.

Tofu l’aveva capito. Aveva passato anni a studiare ogni più piccola espressione di Kasumi e per questo se ne accorse: dietro il suo squisito e gentile ringraziamento sostava un lieve, quasi impercettibile turbamento. Nessun altro sembrava averlo notato, sempre in preda allo stupore per quel regalo faraonico; a volte tuttavia, si trovò a riflettere, non necessariamente i regali faraonici sono i più graditi. Estrasse dalla tasca dei bermuda una piccola scatolina avvolta in una carta azzurra e l’appoggiò sul tavolino, proprio davanti a lei.
Il suo volto si illuminò e cercò subito lo sguardo nascosto dagli occhiali di Tofu: le sorrideva gentile, incoraggiandola ad aprirlo.
Soun aveva cominciato già a piangere preventivamente, sospettando che quel dono potesse trasformarsi ben presto nel mezzo con cui formulare una proposta di matrimonio; l’amico Genma, covando i suoi stessi dubbi, gli stava dando lievi pacche sulle spalle per consolarlo.
Nabiki stava già ripassando mentalmente la correlazione tra millimetri di diametro dei diamanti e carati, per stimare immediatamente il valore dell’oggetto nascosto.
Ranma onestamente non riusciva a interpretare tutto quel senso di aspettativa che sembrava provenire dagli altri: si erano inconsciamente tutti avvicinati a Kasumi, lasciandole pochissimo spazio di manovra per aprire il regalo; diamine, neanche per lo scatolone gigante di prima erano così apprensivi…
Kijo invece se la stava ridendo sotto i baffi: sperò che nessuno facesse caso a lei ma riusciva a stento a trattenersi, dato che era a conoscenza del presente di Tofu per Kasumi.

“Che aspetti sorellina? Non vedi che siamo tutti curiosi qui?” esclamò Nabiki, mentre gli altri annuivano lentamente.
Kasumi scartò allora il dono, aprì la scatolina e…un enorme sorriso le si fece strada sul volto. Erano due orecchini di perle, tondi, eleganti e lucenti. Le ricordavano la collana di perle che la madre soleva indossare e questo gliela fece sentire ancora più vicina in quella ricorrenza. Mostrò il contenuto della scatola a tutti gli altri, che sembrarono sinceramente sorpresi e poi lasciarono partire un applauso per Tofu. Lei si girò verso di lui e lo abbracciò forte, sussurrandogli un “Grazie infinite, sono bellissimi” nell’orecchio.
Raramente Ono era stato più felice di quel momento: era come se rendere felice Kasumi in qualche modo gli rendesse indietro, moltiplicata per di più, un’enorme felicità per sé. La abbracciò stretta, col cuore che batteva forte, e per una volta non gli importò che li stessero osservando.
Dopo che ebbero sciolto l’abbraccio, Kijo tirò fuori dalla borsa di paglia un pacchetto soffice e un po’ stropicciato e glielo porse con un grande sorriso

“Ecco, questo è un pensiero da parte mia”

“Grazie Kijo, non dovevi, davvero…” disse la festeggiata scartandolo piano piano. Rivelò una maglietta nera con una scritta glitterata «La più sexy maggiorenne del Giappone» sul davanti, mentre il retro alternava strisce di pizzo nero a strisce di tessuto normale.
Per un attimo tutti trattennero il fiato, in attesa della reazione di Kasumi ad un regalo così stravagante, ma lei sembrò prenderla bene e si lasciò sfuggire una risatina

“Grazie Kijo! Al mercato farò faville quando la indosserò! Significa molto per me, soprattutto detto da te”

“Puoi dirlo forte sorella!” le fece un occhiolino eloquente Kijo aprendo la mano per darle il cinque.

Genma intanto si risedette al suo posto, bevve un generoso bicchiere di vino e poi esclamò
“Uh, tutto questo coinvolgimento emotivo mi ha fatto digerire ben bene…In effetti non mi dispiacerebbe affatto prendere un’altra porzione di…”

“…Seitan! Sei proprio tu! Ce l’hai fatta finalmente!” gridò Tofu agitando le braccia verso una figura in lontananza che si stava avvicinando rapidamente.

A Kijo per poco non andò di traverso la bibita che stava sorseggiando mentre Ranma si girò di scatto verso di lei per chiederle
“L’hai invitato tu?”

Non appena fu nuovamente padrona del proprio respiro, la ragazza strabuzzò gli occhi e rispose, asciugandosi con un tovagliolo
“Assolutamente no! Non ne sapevo niente…dev’essere un’idea di Tofu!”.

Toshio Seitan raggiunse la tavolata in meno di un minuto, abbagliando gli astanti col suo sorriso smagliante e togliendosi teatralmente i Ray-Ban ultimo modello per schioccare un occhiolino a Kijo e salutare per bene Kasumi e Tofu. Abbracciò la festeggiata e poi le porse la busta di carta arancione che aveva in mano
“Tanti cari auguri per il tuo compleanno, dolce Kasumi e grazie per avermi permesso di festeggiare con voi!”

“Grazie a voi per esservi liberato, Dottor Seitan, io e Tofu ci tenevamo particolarmente che foste presente” replicò cordialmente Kasumi, aprendo il suo regalo: la busta conteneva un grembiule da cucina rosa con un pulcino disegnato al centro e l’onomatopeica scritta Piyo Piyo ai lati. Eccoci di nuovo, un altro regalo da casalinga disperata…

Giacché il silenzio di Kasumi stava perdurando da qualche secondo di troppo, intervenne Tofu a stemperare la tensione
“Wow, che bel grembiule! Non è certo un crossover ma è sicuramente uno splendido regalo!”

“Un crossover? Kasumi desiderava una macchina per il compleanno?” domandò Toshio con aria perplessa

“Già! Non è buffo? Giusto ieri mi raccontava di quanto avrebbe desiderato un crossover, però ammetterai che è un regalo assai dispendioso…Piuttosto, dove l’hai trovato un grembiule così carino?” cominciò ad arrampicarsi sugli specchi Tofu, grattandosi nervosamente la nuca

“Ehi, se avessi saputo che desiderava un crossover glielo avrei potuto regalare io! In fondo tra tutti i presenti credo di essere l’unico in grado…” entrò nel discorso Mendo

“Grazie mille, Dottor Seitan! Adoro il vostro dono” si inchinò leggermente Kasumi, nuovamente padrona di sé

“Se non altro saremo in una botte di ferro, con due dottori al tavolo!” scherzò Soun e Genma gli diede di gomito come ad appoggiarlo, poi scoppiarono a ridere entrambi per quella battuta.

Naturalmente pochi secondi dopo un urlo pervase il lido
“Aiuto! La mia amica sta male! C’è un dottore in spiaggia?” gridò una ragazza bionda poco distante dalla tavolata: sorreggeva la testa di un’altra ragazza dai capelli castani e il volto arrossato, che non sembrava rispondere ai suoi scuotimenti per rianimarla.
A quel disperato appello di aiuto, Tofu si alzò celermente dalla sedia e corse a prestare soccorso, mentre Seitan dapprima si sbottonò con foga la camicia azzurra che portava e la gettò sulla sabbia, rivelando degli addominali scolpitissimi, poi corse dalla fanciulla svenuta prendendo il posto della sua amica.

“Ah però! Hai capito il dottorino?” commentò melliflua Nabiki, attirandosi un’occhiataccia sia da Mendo che da Ranma, il quale commentò acidamente

“Che bisogno c’era di inscenare lo spogliarello prima di soccorrere quella tipa? E per mostrare cosa, poi? Non mi sembra che abbia un fisico così straordinario…”

“Esatto Saotome! Tu ed io siamo molto più atletici di quello sbruffone!” esclamò Mendo mentre con nonchalance contraeva gli addominali e fletteva i bicipiti.

Intanto un folto capannello a marcata predominanza femminile si era formato attorno alla ragazza svenuta, la quale aveva ripreso conoscenza tra le braccia di Seitan che si era limitato a porle sulla fronte un fazzoletto bagnato. Non appena aprì gli occhi e scorse il volto del bel dottore, arrossì ancora di più di quanto non fosse prima e pensò di stare sognando: vedeva solamente quell’uomo circondato da uno sfondo di fiori profumati, mentre le sussurrava con voce profonda parole che non comprendeva, a cui si limitava ad annuire. Non avrebbe mai voluto sciogliere quella sorta di abbraccio, mai in tutta la vita.
“…quindi si tratta di una lieve insolazione. Mi raccomando, bevi molta acqua, rinfrescati un po’ all’ombra, usa un buon doposole e se ti sale la febbre prendi un’aspirina” stava spiegando il medico alla ragazza, che scuoteva il capo su e giù estasiata, immaginando scene del loro ipotetico matrimonio, tra tintinnii di campane e voli di colombe. Per precauzione Tofu ripeté le stesse cose all’amica bionda, poi si congedarono.

“Scusatemi dottore, ho un forte capogiro, potreste darmi un’occhiata?” un’avvenente ragazza coi capelli a caschetto e gli occhi verdi si era parata davanti a Seitan, tenendosi la fronte

“Ehi, c’ero prima io! Dottore, vi prego, ho difficoltà a respirare!” esclamò un’altra con le trecce color miele, strattonando un braccio a Toshio

“Oddio, che mal di pancia! Dottore aiutatemi per favore!” millantò una terza, stringendosi forte l’addome.

Di fronte a quella scena una goccia gigantesca comparve sulle teste di Ranma e Shutaro, mentre Kijo mal celava un attacco di ridarella e Kasumi commentava candidamente
“Certo che quel Dottore deve essere molto competente!”

“Calmatevi signorine, formate una fila ordinata e prometto di visitarvi tutte! Accidenti, questa spiaggia oggi sembra un lazzaretto!” Toshio cercava di tenere a bada la folla di donne che lo aveva accerchiato e che diventava sempre più grande; alle fanciulle scalpitanti si erano aggiunte anche un gruppo di anziane in gita col club del lavoro a maglia, che con sguardo bramoso non si facevano scrupoli a pungere coi loro ferri del mestiere le ragazze davanti per saltare la fila.
 
“Qualcuno vuol fare una partita a Uno?” propose Kijo estraendo dalla borsa un mazzo di carte colorate

“Uh, sì! Però dovremmo giocare a soldi!” replicò subito Nabiki, risvegliandosi dal torpore che l’aveva costretta a stendersi sull’asciugamano a sonnecchiare

“Per me non è certo un problema” constatò Mendo, lisciandosi i capelli all’indietro

“Non esiste! Non posso permettermi di accumulare altri debiti con Nabiki, quindi piuttosto me ne tiro fuori” incrociò le braccia Ranma, scocciato

“Andiamo…giochiamo normalmente! In fondo siamo qui per divertirci, no?” disse Kasumi serafica, placando le resistenze della sorella

“Ok, ok…mamma mia quanto siete noiosi!” concluse Nabiki afferrando il mazzo dalle mani di Kijo e cominciando a mescolare.

Seitan era sempre impegnato nell’ambulatorio all’aperto e Nabiki, ancora indispettita perché avevano bocciato la sua proposta, cercò altrove un modo per fomentare il proprio divertimento
“Ah-ha! Non puoi rispondere a un +4 con un +2! Beccati tutte le carte, Ranma!”

“Ma uffa! Guarda che razza di mazzo ho in mano! Secondo me te le stai inventando queste regole!” sbuffò il codinato

“Niente affatto! Ora cambio giro e…Kijo! Senti, ma non ti dà fastidio che il dottorino sia così assediato dalle donne?” insinuò con noncuranza Nabiki

“Perché mai dovrebbe darmi fastidio? È un medico, sta svolgendo il proprio dovere” rispose la ragazza, misurando le parole per non dare appigli alla sorella Tendo

“Anche Tofu è un medico, ma è qui a passare del tempo con mia sorella invece di fare le radiografie a letteralmente tutte le donne della spiaggia…” affondò Nabiki, un sorrisetto furbo dipinto sulle labbra. Ranma intanto stava involontariamente stritolando le carte che aveva in mano, spiegazzandole tutte.

“Sono certa che se fosse servito l’aiuto di Tofu Kasumi non avrebbe avuto niente da ridire…e comunque credo che tu stia fraintendendo la natura del mio rapporto con Seitan” ribatté Kijo, facendo spallucce. Si stava muovendo su di un terreno scivolosissimo e ne era consapevole.

“Ah, dici? Beh, l’importante in fondo è che non la fraintenda lui, no?” scoccò l’ultima frecciatina Nabiki. Proprio in quel momento Toshio si voltò verso Kijo, una lunga fila di pazienti ancora davanti a sé, e agitò una mano in segno di saluto, stringendosi nelle spalle con l’aria di chi non può farci niente.
 
Quella spiaggia era decisamente una delle più vitali di tutto il Giappone: il mare si era man mano riempito di surfisti, amatori e professionisti, che sfrecciavano tra le onde coi capelli scompigliati dal vento salmastro e veraci sorrisi di soddisfazione dipinti sulle facce abbronzate; sulla terraferma invece, i chioschetti avevano allestito dei piccoli tornei di freccette, ping-pong e beach volley, garantendo una consumazione gratuita al vincitore. Uno addirittura aveva organizzato uno spazio per i balli di gruppo con tanto di animatore, spargendo note spensierate di musiche latineggianti e reggae per gran parte del litorale.

“Uff! Che caldo che fa…perché non andiamo tutti a farci un bel bagno?” propose Mendo, tergendosi la fronte madida di sudore

“Ottima idea! Chi si tuffa per ultimo paga pegno!” gridò Nabiki correndo verso il bagnasciuga

“Ehm, io passo…non mi va un bagno fresco adesso…” restò sul vago Kijo, vistosamente accaldata, sventolandosi rapidamente con un ventaglio

“Non ne ho voglia, intanto andate voi” bubbolò Ranma, sedendosi all’ombra su di un asciugamano

“Noi veniamo invece!” rispose Tofu mentre con Kasumi saltellava verso l’oceano 

“Ti va di provare i balli di gruppo? La gente laggiù sembra divertirsi…” chiese Kijo a Ranma mentre cercava di legarsi i capelli in una coda alta

“Non sono un gran ballerino, non ho praticamente mai ballato in vita mia a parte…” Ranma si interruppe di colpo, con le parole che gli morirono in gola non appena venne investito dal ricordo della festa di Hiroshi.

Quel silenzio improvviso diede modo a Kijo di far riaffiorare nella sua memoria l’evento a cui si riferiva Ranma e non riuscì a trattenere un sorrisetto sornione, quindi si sollevò dall’asciugamano, si avvicinò al ragazzo e porgendogli la mano lo invitò ad alzarsi
“Andiamo, come ballerino non sei niente male e poi cosa credi, che quelle persone sappiano cosa stanno facendo? Si divertono e basta ed è quello che dovremmo fare anche noi! Pensalo come un allenamento per anticipare le mosse degli avversari, se proprio devi”

“Questa è bella! D’accordo, purché tu mi prometta che dalla prossima settimana intensificheremo i nostri veri allenamenti: ancora non mi va giù che tu ti senta ancora così bloccata come le ultime sessioni che abbiamo simulato…” Ranma le prese la mano, si tirò su e poi le diede un buffetto sul naso

“Ok, ok! Ora però pensiamo a divertirci: fortunatamente per oggi posso stare tranquilla che non mi accadrà niente, visto che ho a disposizione uno squadrone di esperti di arti marziali più l’avanguardia della tecnologia militare dei Mendo!” ridacchiò Kijo, trascinando Ranma verso la zona dei balli di gruppo.

L’atmosfera era allegra e coinvolgente, con un nutrito gruppo di giovani che seguivano e imitavano l’animatore coi rasta in tutte le sue movenze. All’inizio prendere il ritmo di una canzone già cominciata non fu così scontato, ma Kijo si fece forte delle varie vacanze passate coi genitori nel villaggio turistico di Rena Majore e pian piano si sciolse: dopotutto le mosse erano sempre più o meno le stesse! Certo che quella assomigliava davvero tanto alle spiagge italiane nel periodo estivo…Vibrava nell’aria la stessa energia carica di aspettative, voglia di evasione e spensieratezza che negli anni l’aveva accompagnata nei mesi più assolati dell’anno: era proprio vero che il divertimento era un linguaggio universale! Per un attimo si trovò a pensare a casa, agli amici di una vita che organizzavano feste e uscite che si sarebbe persa, ai genitori che avrebbero prenotato le prime vacanze senza di lei da quando era arrivata… Scacciò subito quella punta di malinconia, che troppo stonava con quell’ambiente gioioso, scuotendo la testa: in fondo se la stava passando alla grande, stava vivendo un’esperienza irripetibile e non l’avrebbe barattata con niente al mondo. Riaprendo gli occhi dopo i suoi voli pindarici, notò che Ranma era stato accalappiato da una ragazzetta coi riccioli rossi e una spruzzata di efelidi sul volto: era visibilmente in imbarazzo giacché quest’ultima ancheggiava spudoratamente nella sua direzione, sfruttando ogni spunto offerto dalla Lambada per creare un contatto e strusciarglisi addosso. Non c’era niente da fare, quel ragazzo era magnetico come una calamita! Beh, non che potesse biasimare le ragazze per cadere ai suoi piedi, in fondo era inverosimilmente bello; inoltre, avendo poi la fortuna di conoscerlo, si poteva scoprire quanto fosse ambizioso, determinato, leale e, anche se teneva particolarmente a nasconderlo, sensibile: un vero cocktail micidiale.

Quella tipa stava diventando davvero insopportabile: era già più di un quarto d’ora che gli ballava intorno e approfittava dei passaggi musicali per mettersi in mostra e cercare un contatto con lui. Aveva provato a ignorarla, a guardare altrove, a tendere le mani davanti a sé sulla difensiva, ma quella non demordeva; quando si era girato dandole la schiena si era addirittura permessa di abbracciarlo da dietro! Avrebbe voluto gridarle di andarsene, ma c’era qualcosa dentro di lui che proprio gli impediva di essere scortese e brusco con le donne che gli facevano avances: per trovare la forza di scrollarsi di dosso le sue tre spasimanti storiche c’era voluto un evento traumatico e pure in quel caso la vista delle lacrime femminili lo aveva devastato. Sperò che Kijo potesse trarlo d’impaccio, tuttavia sembrava persa nel suo mondo, danzava con gli occhi chiusi come se volasse verso il cielo trasportata dalle note musicali. Quando si decise a riaprirli provò ad attirare la sua attenzione e lei lo vide sicuramente, però si limitò a far affiorare un sorrisetto furbo sulle labbra e continuò come se niente fosse. Maledetta, questa gliel’avrebbe pagata!
Proprio quando stava per soccombere dinanzi agli attacchi sempre più espliciti della sconosciuta, come il pezzo precedente virò nell’incipit de La isla bonita, Kijo si avvicinò, scansò con noncuranza la stalker di Ranma e si frappose tra i due, dicendole

“Spiacente sorella, hai avuto la tua chance. Adesso è il mio turno”

“Oh, ma come ti permetti, bambolina! Questo è mezz’ora che me lo lavoro, vai a beccare da un’altra parte!” si risentì la tipa gesticolando spazientita

“Se dopo mezz’ora ancora non ti ha stretta tra le sue braccia direi che non è stato un gran bel risultato…forse avrai più fortuna altrove” si strinse nelle spalle Kijo

“Ma io…” tentò di replicare l’altra

“Smamma!” esclamò Kijo, un tono imperativo che non ammetteva repliche. Infatti quella la guardò malissimo ma si decise a togliere il disturbo. A quel punto Kijo si voltò verso Ranma, che ridacchiava impunito
“Allora Saotome, balliamo o no?” gli disse appoggiando le mani sulle sue spalle

“Certo che sei terribile! L’hai trattata malissimo…” rispose lui, cingendole delicatamente i fianchi

“Se vuoi te la richiamo” lo sfidò lei inarcando un sopracciglio

“Per tutte le divinità celesti, no! Se ritorna non basterà fingere una scenata di gelosia per mandarla via di nuovo!” si preoccupò il codinato, guardandosi attorno come se temesse un agguato.

Il cuore di Kijo ebbe un fremito in quell’istante: dalla bocca stava per sfuggirle una risposta di cui era certa che si sarebbe pentita, una risposta quanto mai inappropriata ma dannatamente e totalmente sincera… Si concesse qualche secondo per rimirare il bel volto di Ranma e sistemargli dietro l’orecchio una ciocca ribelle sfuggita all’immancabile codino, poi prese una grossa boccata d’aria, incrociò il suo sguardo e lasciò che la frase che aveva tanto spontaneamente pensato emergesse dalle sue labbra
“In effetti…non credo di aver finto affatto in questa occasione”

Ranma spalancò gli occhi e la bocca dallo stupore, come se la vedesse per la prima volta: aveva davvero sentito quelle parole? Intendeva davvero che era gelosa di lui o si sarebbe risolto tutto nell’ennesimo scherzo o fraintendimento? Il suo sguardo era limpido e sembrava sincero…Ma come lo faceva sentire piuttosto questa rivelazione? No…prima di lasciarsi andare a facili entusiasmi o elucubrazioni doveva accertarsi che dicesse sul serio
“D-davvero? Sei gelosa di me?”

Il cuore di Kijo fece stavolta una piroetta nel petto: calma, lui pensava che stesse scherzando, per cui se avesse confermato questa teoria con un sorriso tutto sarebbe tornato come prima…e che cavolo, non era vero però! Aveva una paura matta di essere rifiutata un’altra volta, il cuore le batteva così forte che dovette accelerare la respirazione per non svenire…ma doveva dirlo, doveva confermare quello che si era impegnata alacremente a negare nei mesi precedenti. Solo così si sarebbe liberata dal tarlo del dubbio che le stava diventando sempre più insopportabile. O bene bene o male male.
“Sì, è così”

Lo aveva detto. Lo aveva ammesso e l’apocalisse non era sopraggiunta. Stava già andando meglio delle sue più fosche previsioni. Vide Ranma arrossire, sempre l’espressione stupita sul volto, ma non si allontanò né interruppe la loro danza.

Dopo alcuni interminabili secondi, riuscì ad articolare un suono e disse
“Kijo, io…”

“Oh, finalmente vi ho trovati! Grazie al cielo non ci sono più persone che stanno male in tutta la spiaggia” esclamò Seitan, apparendo accanto ai due ragazzi che si lasciarono immediatamente, come se avessero ricevuto una doccia fredda

“Che tempismo! Stavamo giusto per andare al chioschetto a prenderci da bere…vuoi qualcosa Toshio?” dissimulò Kijo dando al dottore una pacca sulla spalla

“Beh, un’aranciata fresca non la disdegnerei, dopo tutte le visite che ho fatto sotto il sole…ma andiamo insieme, offro io!” propose Seitan abbracciandoli entrambi e spingendoli verso il bar.
 
“Allora, come vi sono andati gli esami? Erano così terribili come temeva Kijo?” cercò uno spunto di conversazione il medico, dopo che si fu seduto su un asciugamano vicino ai ragazzi, sorseggiando la sua bibita

“Bene, alla fine sono andati bene” rimase sul vago Kijo, torturando coi denti la cannuccia che si tuffava nel suo tè freddo

“Bene? Io posso dire che sono andati bene, tu sei andata alla grande, secchiona che non sei altro!” la pungolò Ranma, beccandosi una linguaccia di rimando

“Davvero? E sì che le settimane prima era preoccupatissima: non posso uscire, devo studiare…vado a letto presto, devo studiare…non posso, devo studiare, gli esami sono un casino…” le faceva il verso Seitan, che si beccò un sonoro scappellotto dalla ragazza

“È inutile che mi prendiate in giro: io ero davvero preoccupata per gli esami e ai prossimi sarò preoccupata esattamente alla stessa maniera! È così dalla prima elementare, quindi ormai mi conosco…non posso farci nulla!” cercò di spiegare Kijo, imbronciata e con le braccia conserte. Ecco di nuovo ripetersi la stessa storia italiana: dal momento che otteneva buoni voti non le era consentito farsi divorare dall’ansia prima delle prove…E sì che aveva sperato che in Giappone la mentalità fosse diversa! A dirla tutta un pochino lo era, almeno qui non l’avevano mai scansata a prescindere per i propri risultati e non era bersaglio perenne di scherzi e rappresaglie: se queste battutine erano il massimo che avrebbe dovuto sopportare, ben venissero.

“E noi ti adoriamo lo stesso nonostante questo…non è vero Ranma? Non è adorabile?” replicò Seitan sfoggiando uno dei suoi più smaglianti sorrisi

“Ehm…beh, c-certo…” borbottò il ragazzo col codino, gettando una fugace occhiata a Kijo.

All’improvviso una voce assai alterata emerse dal brusio di sottofondo della spiaggia: sembrava proprio quella di Nabiki. Infatti poco dopo la videro dirigersi a grandi falcate verso il loro accampamento, appena uscita dall’acqua, con Mendo che le correva dietro cercando di farla ragionare
“Ma capisci che non posso oppormi! È la mia famiglia che vuole che la conosca almeno! Poi sono certo non arriveranno a forzare un matrimonio, ma devo comunque fare un tentativo! La sua dinastia…”

“Non me ne frega niente della sua dinastia, della tua dinastia e di quei retrogradi dei tuoi genitori! Se non lo sapessero i matrimoni combinati sono illegali dal dopoguerra, quindi la loro richiesta non sta in piedi! Accidenti a queste tradizioni del ca…volo!” si riprese appena in tempo Nabiki, gridandogli contro tutta la propria frustrazione

“Lo so, lo sanno anche loro…però per onorare il buon nome di entrambe le famiglie devo fare lo sforzo di conoscere Mizunokouji Asuka…” provava a spiegarsi Mendo

“Nabiki, che diamine succede? Calmati, ci stanno guardando tutti!” si intromise Soun rivolto alla figlia

“Succede che il qui presente Mendo Shutaro mi ha taciuto fino ad oggi che la sua famiglia lo vuole far fidanzare con tale Mizunokouji Asuka. A giorni dovranno incontrarsi per la prima volta” si espresse Nabiki, cercando di mantenere un tono neutro, tuttavia palesemente infastidita

“Per me lei non significa nulla, non la conosco neanche! Ma conosco te e a te ci tengo…solo che non posso rifiutare l’incontro, sarebbe disonorevole per la mia famiglia!” la supplicava intanto Mendo

“Figlia mia, devi rispettare la scelta della famiglia di Shutaro e l’impegno che hanno sancito con l’altra famiglia: lui ha sbagliato a non parlartene ma…”

“Ti pareva che non avreste risposto così? Del resto cosa mi aspettavo, voi siete i primi a perpetuare questa abominevole tradizione! Ma io non mi arrendo! Io non mi farò da parte così facilmente e vedrete se la mia determinazione non spezzerà questo stupido legame di facciata!” esplose Nabiki, facendo zittire tutti i presenti. Nessuno l’aveva mai vista così alterata, la questione doveva starle proprio a cuore

“Nabiki Tendo, io non voglio che tu ti arrenda. Parlerò con la mia famiglia, affronterò qualsiasi conseguenza, persino il ripudio se ciò servirà a garantirmi un futuro con te, che hai dimostrato sentimenti così profondi nei miei confronti!” affermò Mendo in tono serio, afferrando Nabiki per le mani

“…ripudio? Mendo, qui nessuno vuole che tu sia diseredato…perché non ne parliamo tranquillamente e pianifichiamo una strategia per evitare disastri familiari?” si affrettò a suggerire Nabiki, il cui amore per il denaro aveva ancora una volta avuto il sopravvento. I due si allontanarono come se nulla fosse, lasciando il resto della famiglia in compagnia di grosse gocce sulla testa.  
 
Per tutto il resto del pomeriggio Seitan non aveva mollato Kijo un attimo: prima l’aveva coinvolta in una gara di racchettoni, poi l’aveva sfidata a flipper e infine ad una partita a beach volley; la ragazza aveva cercato di coinvolgere anche gli altri membri del gruppo in queste attività, tuttavia Ono e Kasumi erano convinti di farle un piacere lasciandola da sola con Toshio, Genma e Soun stavano conducendo una loro gara parallela su chi ronfava più a lungo sotto il sole, Nabiki e Shutaro sembravano impegnati a pianificare lo sbarco in Normandia mentre Ranma si ostinava ogni volta a rifiutare per poi rimanersene imbronciato a guardarli di soppiatto da lontano. Diamine, per poco non l’aveva accompagnata perfino al gabinetto quello stalker!
Venne l’ora del tramonto e Kijo si stava godendo il rapido cambiamento delle sfumature del cielo dall’azzurro alle striature d’arancio; la brezza oceanica che si stava facendo sempre più fresca le faceva ondeggiare i capelli, mentre infiniti granelli di sabbia le solleticavano i piedi regalandole la sensazione di un lieve massaggio ad ogni movimento. Non era mai stata una fanatica dell’ambiente marino e il suo cuore si sarebbe schierato sempre a favore dei paesaggi montani, tuttavia dovette ammettere che anche quel panorama, soprattutto dopo che l’ostinato sole estivo si era finalmente arreso all’incedere della serena notte, traboccava di una bellezza malinconica che in fondo non le dispiaceva. Era totalmente immersa nei suoi pensieri quando Seitan le si avvicinò con una nuova proposta

“Ehi, scommetto che se saliamo su quella terrazza ci godremo ancor più questo divino spettacolo!”

“Ehm…vai pure, se ti fa piacere. Io sono esausta dopo tutte le attività che abbiamo svolto oggi e bramo solo una doccia per darmi una ripulita prima di cena” ridacchiò nervosamente lei, radunando le sue cose nella borsa per dirigersi verso la pensioncina in cui avrebbero passato la notte

“Beh, in questo caso lascia che ti accompagni, visto che andiamo nella stessa direzione” si offrì il dottore. Nabiki prese la palla al balzo e comunicò a gran voce

“Oh che cavaliere! Grazie che ti sei offerto di aiutarci, del resto le ragazze hanno pesanti bagagli per prepararsi alla serata!” così dicendo schiaffò in braccio a Toshio il proprio zaino, quello di Kijo e quello della sorella mentre ancheggiando soddisfatta prese la strada per la pensione tra le altre due ragazze, sconcertate.
 
I servitori di Mendo si stavano alacremente adoperando per allestire un gigantesco falò sulla spiaggia, attorno al quale avevano posto un ampio tappeto di stoini sormontato da asciugamani e comodi cuscini per sedersi. Per scongiurare la presenza di insetti fastidiosi avevano disseminato piccole candele alla citronella tra un posto e l’altro, inoltre bacinelle con degli ingredienti freschissimi erano state poste dinanzi ogni cuscino, cosicché ciascuno avrebbe potuto comporre il proprio spiedino e cuocerlo al fuoco.
Nabiki fu la prima a ritornare sulla spiaggia, indossando un vestitino aderente color bronzo che esaltava la sua maliziosa sensualità. Per poco a Mendo non prese un colpo vedendola avanzare sicura, l’espressione lievemente beffarda di chi sapeva benissimo di essere uno schianto; deglutì rumorosamente, cercando di buttar giù quell’improvviso nodo in gola svuotando d’un fiato il calice di champagne che teneva in mano.
Fu quindi la volta di Kasumi, splendida e luminosa come una sirena nel suo abito lungo e svolazzante sui toni dall’azzurro al verde acqua: aveva raccolto i capelli in una treccia morbida laterale, su cui aveva appuntato delle piccole mollettine a forma di margherita.
Kijo apparve praticamente dal nulla quasi già a sedere, con addosso un vestitino rosso dalla gonna ampia appena sopra il ginocchio.

“Ehi, che fine avevi fatto? Ti ho aspettata un sacco di tempo per accompagnarti ma non ti ho vista neppure uscire…” le chiese Seitan, che con quella camicia grigia come i suoi occhi e i jeans scuri sembrava in tutto e per tutto un modello

“Uh, che strano che non ci siamo incrociati…non so proprio spiegarmelo!” Kijo spalancò ostentatamente gli occhi e mise su un’espressione talmente sorpresa da risultare quasi svampita: quella tattica l’aveva sempre tirata fuori da situazioni ben più spinose, quindi nonostante non amasse fare la figura dell’idiota se ne servì senza remore; in fondo era colpa degli uomini che tendevano ad accettare come assodata la leggerezza femminile!

“Non preoccuparti, magari mi sono distratto un attimo! Ora che ci penso c’è stato un tipo che mi ha chiesto dove fosse il bagno degli uomini, quindi è possibile che tu sia passata proprio in quel momento” si dette una spiegazione Toshio.

Kijo soppresse con difficoltà un risolino pensando a quell’episodio, limitandosi ad annuire e commentare
“Sì, sono certa che sia andata così!”

“L’importante è che tu sia qui, adesso. Permettimi di dirti che sei davvero stupenda stasera” dichiarò il medico davanti a tutti.

Perfetto, ecco mandato totalmente a rotoli il tentativo di mantenere un bassissimo profilo. I complimenti già la mettevano in imbarazzo a cose normali, figuriamoci se fatti davanti ad una folla di persone che conosceva e che rappresentavano la sua famiglia del posto. Come se non bastasse la pressione di tutti quegli occhi puntati su di loro a toglierle le parole per replicare, dovette anche compiere un notevole sforzo per non scoppiare a ridere in faccia al medico, giacché Ranma, da buon burlone qual era, si era messo a simulare un conato di vomito come reazione a quei termini che evidentemente trovava esageratamente sdolcinati.
Decise di cogliere la palla al balzo e liberare un po’ di quell’ilarità repressa, ridacchiando mentre lasciava scivolare la mano lungo il braccio di Seitan
“Ah, ma allora anche tu a volte hai bisogno dell’aiuto di un medico! C’è un oculista in spiaggia?”

Nabiki intanto si era avvicinata all’orecchio del futuro cognato e vi aveva sussurrato
Forse se ogni tanto le facessi un complimento anche tu invece di spregiare quelli che le fanno gli altri otterresti più soddisfazione…

Ranma sobbalzò come se lo avessero punto con uno spillone e poi si affrettò ad agitare le mani davanti a sé negando strenuamente
“M-ma che dici? F-figurati cosa me ne importa…è solo che certe scenette in pubblico sono davvero patetiche!”

Nabiki sollevò gli occhi al cielo e tornò con un sorrisetto scaltro a sedersi vicino a Mendo, commentando
“Certo, certo…”
 
Per allietare la serata Ono si era messo a strimpellare con la propria chitarra un nutrito repertorio dei Beatles, su cui era ferratissimo: Kasumi adorava quelle canzoni e ben volentieri le canticchiava, seguita pian piano e inesorabilmente da tutto il resto della combriccola riunita attorno al fuoco. L’allegria si espandeva da quel gruppetto elevandosi verso l’alto come le lingue delle calde fiamme del falò, come le note delle liriche che tutti improvvisavano, come il profumo squisito degli spiedini che si arrostivano a rotazione. Forse era una considerazione stupida, ma la felicità in fondo era fatta da piccole cose, come sguardi fugaci scambiati incuranti del muro di fiamme che attraversavano.
Gli occhi cobalto di Ranma risultavano estremamente magnetici rischiarati da quella luce calda: a dir la verità Kijo si era ipnotizzata nel seguire quel gioco di ombre tremolanti che danzavano sul suo viso, tant’è che aveva totalmente ignorato i discorsi che da un bel pezzo a quella parte Seitan le stava rivolgendo. Si era limitata ad annuire, a sorridere e a dispensare ogni tanto qualche commento generico che si sarebbe potuto adattare quasi ad ogni argomento. Fu quindi presa alla sprovvista quando, dopo l’ultima nota di Yellow submarine, Toshio si alzò in piedi e le tese il braccio per aiutarla ad alzarsi a sua volta. Che diavolo stava succedendo? Lei assecondò quel gesto e si alzò, per evitare la figuraccia di ammettere la sua completa ignoranza di ciò che evidentemente avrebbe dovuto sapere.

“Bene, allora andiamo, Kijo?” le si rivolse Seitan, sorridendo dolcemente

“Andiamo…dove?” domandò la ragazza con una vistosa goccia sulla nuca ostentando un’espressione allegra e rilassata

“Da quella parte! Ohama è il lato della spiaggia in cui dovremmo trovare più conchiglie, per la mia collezione…Ricordi? Te ne ho parlato finora” rispiegò il giovane dottore, poi continuò “Ti senti bene? Mi sembri piuttosto distratta stasera…”

In quel momento intervenne Nabiki con la sua solita delicatezza
“Per tutti i Kami del cielo, Kijo! Ci ha raccontato tutto della sua interessantissima collezione di conchiglie, stasera conta di trovare qualche Cosus torrefactus, qualche Cypraea luculliana e qualche Distorsione rettificata, ma per farlo ha bisogno dei tuoi bastoncini super sviluppati che ti fanno vedere al buio come se fosse giorno! Non farlo ripartire da capo, ti prego!”

Seitan rabbrividì sentendo le storpiature di Nabiki, ma decise di soprassedere per spronare nuovamente Kijo a seguirlo
“Coraggio! Senza i tuoi super bastoncelli non riuscirò a trovare nemmeno un esemplare e sarebbe un vero peccato perché su questa spiaggia la marea deposita un sacco di belle conchiglie a quest’ora…”

Lo sapevo che questa cosa della vista notturna mi si sarebbe ritorta contro! Così imparo a vantarmene per fare la splendida! Conchiglie poi? Ma chi gli ha mai sentito parlare di conchiglie?” pensava intanto Kijo tra sé e sé, mentre cercava qualche obiezione da fare
“Ma…dove metteremo gli esemplari che troviamo? Servirebbe un secchiello, ma ne siamo sprovvisti…”

“Oh, non preoccuparti! Prendi pure questo!” Mendo, ben felice di levarsi dai piedi quel mediconzolo che aveva monopolizzato la conversazione fino a quel momento, tolse la bottiglia di champagne ormai finita da un secchiello in argento, che svuotò del ghiaccio contenuto

“Ma Mendo, sei sicuro? È un secchiello d’argento, pesa due quintali…non è l’ideale da trasportare per riempirlo di conchiglie…” provò a obiettare nuovamente Kijo

“Non temere, se è pesante lo porto io!” sorrise Seitan afferrandolo e partendo in quarta per la passeggiata

“Beh…ok…allora se è tutto andiamo! Ci vediamo tra poco!” salutò gli altri la ragazza, non molto convinta di quella spedizione, seguendo Toshio che si era già incamminato

“Fate i bravi!” gridò loro dietro Nabiki, con un sorrisetto malizioso stampato in volto.
 
“Che strani i giovani d’oggi…ai miei tempi si collezionavano farfalle per attirare le ragazze, adesso conchiglie?” commentò Soun rivolto verso Genma non appena i due si furono allontanati. I vecchi amici erano piuttosto paonazzi in volto, segno evidente che avevano ben gradito lo champagne ed il successivo sakè che Mendo aveva gentilmente offerto. Si lasciarono andare ad una risata sguaiata, dandosi rispettive pacche sulle spalle.

“Siete sicuri che stia bene che vadano a passeggiare da soli?” domandò perplessa Kasumi, mentre allungava la mano verso un dolcetto di riso

“I tuoi scrupoli morali sono fondati, sorella…forse sarebbe opportuno che qualcuno li seguisse, magari da lontano, giusto per scongiurare il peggio; in fondo una passeggiata al chiaro di luna in riva al mare è per antonomasia una delle situazioni più romantiche possibili, giusto? Perché non vai tu, Ranma? Magari se sei fortunato riesci a trovare qualche conchiglia anche tu…” Nabiki era intervenuta con nonchalance, inarcando visibilmente le sopracciglia verso il ragazzo col codino come a spronarlo ad alzarsi, ma lui rimase ostinato a sedere con le braccia incrociate.
Che rottura! Ma cosa si aspettavano da lui, che facesse la balia a colei che per l’intera giornata l’aveva ignorato? Beh, non proprio l’intera giornata, diciamo da quando era arrivato quel medico da strapazzo. Anzi, a onor del vero da quando lui li aveva interrotti mentre ballavano. Accidenti, era stato così morboso nel ricercare la compagnia di Kijo che non le aveva più lasciato un attimo libero, neppure un attimo per poter terminare il discorso che avevano lasciato in sospeso! Un’improvvisa consapevolezza si impadronì di lui…Oh cavolo, non le aveva mai risposto! Se da un lato questa scappatoia era stata provvidenziale per evitargli imbarazzo, dall’altro chissà come poteva averla interpretata lei…Che dannato macello!
Perso com’era in questi pensieri, non si rese conto che Nabiki gli si era seduta accanto e adesso reclamava la sua attenzione schioccando le dita davanti ai suoi occhi. Parlò a bassa voce, facendo attenzione che gli altri, già distratti dalla nuova canzone che Tofu si era messo a suonare, non potessero sentirli

“Ascoltami Ranma, è palese anche ad un occhio meno clinico del mio quanto tu sia infastidito da questa storia di Kijo e Seitan. Dopo anni passati ad osservare le relazioni che mi circondavano sono arrivata alla conclusione che spesso i sentimenti che le persone provano le une per le altre risultano più ovvi a chi le guarda dall’esterno rispetto a chi li prova in prima persona; soprattutto se chi li vive in prima persona fa di tutto per negarli a se stesso come hai sempre fatto tu, prima con mia sorella e adesso con questa ragazza. Abbi il coraggio di rompere le convenzioni e fai quello che vuoi davvero, per una volta! Non devi sentirti in colpa per Akane, se è quello che ti frena, perché quest’anno lontani deve servirvi per comprendervi meglio come individui e credimi, giustamente anche lei ne è ben consapevole. Sono certa che se ti lasci scappare l’opportunità che hai con Kijo, perché è chiaro che ce l’hai, lo rimpiangerai: quindi cosa aspetti? Corri da lei e vai a interrompere qualunque cosa il dottorino abbia in mente!”

“N-nabiki, proprio da te questo discorso non me lo sarei mai aspettato…” farfugliò Ranma, col volto talmente rosso da far concorrenza al falò

“Che vuoi che ti dica? Forse l’amore mi ha rammollita…ma adesso vai, stupido, prima che ti metta in conto duemila yen per la consulenza!” la ragazza gli diede una spinta sulla spalla, quel minimo di energia di attivazione che servì a Ranma per alzarsi e affrettarsi verso Ohama, poi tornò a sedersi vicino a Shutaro, che le chiese aggrottando la fronte

“Cosa gli hai detto per farlo partire così a razzo?”

“Niente che non sapesse già” gli rispose enigmatica Nabiki, accarezzandogli la mano.
 
 
“Questa sembra proprio una Distorsio reticularis, ti può interessare?” chiese Kijo raccogliendo dal bagnasciuga una conchiglia bianca e vagamente romboidale: era un bell’esemplare, non presentava scheggiature e si sviluppava per almeno otto centimetri. Toshio le porse il secchiello alzando il pollice in alto, come a darle l’ok per la raccolta. Fecero poi qualche altro passo, quando improvvisamente l’uomo si fermò, sollevando lo sguardo dalla rena verso Kijo, la quale titubante si fermò a propria volta. Non avrebbe saputo spiegarselo, ma quel semplice gesto la mise inconsciamente in allarme, provocandole una sensazione di vuoto a livello dello stomaco

“Hai mai fatto un bagno notturno in mare?” le domandò Seitan sollevando appena l’angolo esterno delle proprie labbra

“N-no. Io non so nuotare. Non faccio il bagno di giorno, figuriamoci di notte!” cercò di sdrammatizzare la ragazza. In quel momento una folata di vento si levò potente, facendola rabbrividire e spostare dal bagnasciuga verso l’interno della spiaggia di qualche passo. Seitan la seguì, lasciando cadere il secchiello con le conchiglie.

“Sai, è una sensazione bellissima! L’acqua è molto più calda che durante il giorno e ti senti un tutt’uno col mare, come sospeso in una bolla…Non posso credere che tu non abbia mai provato”

Kijo scosse la testa, cercando di formulare una risposta cordiale ma ferma
“Beh, se ti va un bagno non preoccuparti! Io mi rincammino verso l’accampamento e ci vediamo più tardi”

“Ma no, dai, resta! Sarà divertente vedrai! Non hai nulla da temere, possiamo immergerci fin dove si tocca e mi assicurerò personalmente che tu non affoghi” propose Toshio, cominciando a sbottonarsi la camicia mentre le si avvicinava

“No, Toshio. Non lo metto in dubbio, ma non voglio farlo. Ci vediamo dopo” si espresse molto chiaramente Kijo, scandendo bene le parole e voltandosi per andarsene. Pochi secondi e pochi passi dopo si sentì sollevare da terra e caricare in spalla dall’uomo, che stava sghignazzando divertito

“Vedrai che poi mi ringrazierai per aver insistito! Sarà una bellissima esperienza…”

“Toshio per l’amor del cielo mettimi giù! Lasciami, lasciami andare!” Kijo era totalmente nel panico. Oddio, stava succedendo di nuovo: quello era un attacco in tutto e per tutto e lei non riusciva a reagire. I suoi arti le sembravano congelati, avrebbe voluto scalciare o battere i pugni sulla schiena di quel disgraziato ma ogni impulso che il suo cervello mandava veniva come dissipato. Ebbe paura. Paura di quello che sarebbe successo una volta entrati nell’acqua. Terribili pensieri catastrofici le vorticarono nella mente, rendendole difficile anche solo articolare delle parole con l’unico muscolo che sembrava ancora risponderle: la lingua.
“Basta adesso! Smetti di scherzare, ti ho detto che non voglio, no, no! Lo capisci cosa vuol dire no? Mettimi giù!”
Per tutta risposta lui si lasciò andare ad un’ondata di ridarella, aumentando l’andatura verso il bagnasciuga: per far sì che non cadesse a quel ritmo spedito le assicurò una presa d’acciaio con le proprie mani su un fianco e una gamba e fu come avere degli artigli piantati nella carne.

“Sei proprio una bambina, Kijo! Sei così ostinata a non volerti divertire da risultare patetica…vedrai che cambierai idea: ormai è una questione di principio”

“Maledetto stronzo, levami le mani di dosso!” gli urlò nell’orecchio, facendogli istintivamente portare una mano a coprirselo. Ormai la corsa verso il mare era giunta alla fine, poteva sentire vicinissimo lo scrosciare delle onde, mentre qualche spruzzo addirittura arrivò a lambirle i piedi sollevati a mezz’aria. Non c’era più tempo. Dentro di sé era un guscio vuoto e inerme. Le venne da piangere ma si morse il labbro inferiore così profondamente per mantenere il contatto con la realtà da farselo quasi sanguinare. Nella sua testa si riproponevano a velocità supersonica tutti i momenti salienti della devastante battaglia contro le folli spasimanti di Ranma, gli spunzoni delle clavette, le spatolate in testa, il nastro abrasivo, i calci, le gomitate, i pugni, i muscoli che cedevano, il dolore lancinante, la caduta a terra, il buio…Non stava nemmeno più respirando. Sebbene fosse sul punto di soccombere alla rassegnazione, si fece strada in lei un fuoco che credeva perduto per sempre, che l’attraversò dalla punta dei piedi fino all’estremità della testa, per poi farsi suono ed uscire prepotente dalle sue labbra
“HO DETTO DI NOOOOO!”
Il cuore le batteva a tremila ma riuscì a contrarre di scatto le ginocchia contro il petto di Seitan, togliendogli per un inesorabile istante il fiato; a quel punto gli rifilò una gomitata nel collo e si dette lo slancio per buttarsi dietro le sue spalle, rovinando per terra. Subito si rialzò e scappò, ma lui prese a inseguirla, urlandole contro parole rabbiose che non si permetteva neppure di ascoltare. Quando l’ebbe quasi raggiunta allungò un bracciò e ghermì con forza il suo, tirandola verso di sé e premendole una mano sulla bocca per impedirle di gridare ancora. Con la forza della disperazione lei sollevò con l’altro il secchiello pieno di conchiglie, roteandolo con slancio fino alla tempia di Seitan, che cadde a terra tramortito, lasciandola. Il pesante secchiello continuò il suo volo, atterrando poco distante con un rumore stridente di conchiglie andate in frantumi. A quel punto Kijo se la diede a gambe verso l’interno della spiaggia, incurante degli insulti che le sfioravano le orecchie come dardi, pensando solo a mettere quanta più distanza possibile tra lei e quell’uomo che, si rese conto amaramente, non conosceva affatto.
 
Rimasto seduto e ansimante sulla spiaggia, Toshio Seitan grugnì di frustrazione, mentre stringeva un pugno di sabbia che lanciò subito dopo davanti a sé, stizzosamente. Come si permetteva quella ragazzina di trattarlo in quel modo? Lui era un medico, per tutti i Kami! Lui era bello, simpatico, affascinante, facoltoso…era tutto quello che qualsiasi donna avrebbe potuto desiderare!

Nel buio della notte vibrò un calcio volante che lo colpì dritto sulla nuca, costringendolo a lasciarsi cadere a terra per evitare la rottura della cervicale
“Maledetto! Cosa le hai fatto? Dov’è Kijo? Rispondimi dannato, ho sentito che gridava!” Ranma gli portò immediatamente il braccio destro dietro la schiena, minacciando di spezzarglielo, mentre con un ginocchio gli controllava il collo, per evitare che facesse movimenti inconsulti. Non si sarebbe mai perdonato per essere arrivato così tardi, era divorato da una rabbia tale che si alimentava del suo senso di colpa e della visione di quell’uomo a torso nudo che manteneva un ghigno beffardo nonostante tutto

“Ci mancava il ragazzetto sfigato…coff coff…guardatemi, sono un nerd delle arti marziali! Non ti preoccupare, non te l’ho sciupata la tua algida principessina, volevo solo fare un bagno di mezzanotte, amico” lo scherniva Seitan, la testa appoggiata alla sabbia che era costretto suo malgrado a respirare

“Io non sono tuo amico! E qualunque cosa tu volessi fare lei ti ha detto chiaramente di no più volte, quindi dammi una sola ragione per cui non dovrei ammazzarti adesso, lurido vigliacco!” gli gridò Ranma fuori di sé, torcendogli ancora di più il braccio e premendo la gamba sul suo collo

“Sei solo un imbranato! Kijo non potrà mai trovarti attraente, perdente, perché ha bisogno di un vero uomo che non abbia paura di dimostrarle quello che prova!”

“Lei è gelosa di me! E anch’io!” così urlando Ranma completò la torsione, lussando la spalla del medico che ululò dal dolore; con un calcio lo ribaltò in posizione supina e gli intimò

“Vattene e non farti più vedere o sentire, perché giuro che la prossima volta ti uccido, codardo!”
Seitan si alzò in piedi barcollando, mentre col braccio sano si abbracciava il braccio fuori posto. Si allontanò caracollando incerto nella direzione opposta da quella in cui erano venuti, mentre stringeva i denti per non soccombere al dolore che provava.
 
Dall’oscurità del fondo spiaggia, passo dopo passo, emerse lentamente Kijo: non aveva una gran bella cera, era ricoperta di sabbia, tremava cercando di scaldarsi strofinandosi le braccia e sulla sua pelle chiara già erano affiorati i lividi scuri e i graffi causati dalla lotta precedente; i capelli erano arruffati mentre il suo volto era striato dalle scie delle lacrime che non aveva saputo trattenere. Si avvicinò a Ranma, lo sguardo traboccante di profonda riconoscenza e di afflizione, poi fu sopraffatta dalle emozioni e si rifugiò sul suo petto, stringendogli la casacca tra le mani e abbandonandosi ad un pianto liberatorio.
Il ragazzo si trovò in difficoltà su cosa fare: avrebbe sopportato il contatto di un abbraccio o data la situazione era meglio evitare anche solo di sfiorarla? Giunse al compromesso di avvolgerla con un braccio delicatamente, senza stringerla, mentre con l’altro prese a carezzarle lentamente i capelli, cercando di spazzare via i terribili momenti che aveva appena vissuto.
 
Rimasero avvinti in quello strano abbraccio per un tempo che non avrebbero saputo calcolare, poi le gambe di Kijo vacillarono e Ranma la accompagnò delicatamente a sedersi sulla sabbia, senza staccare mai il contatto

“Sono una stupida, Ranma, sono la più cretina del mondo” singhiozzò scossa dai tremiti Kijo; pianse tutte le lacrime che aveva a disposizione, pianse tutte le lacrime di orgoglio, pianse tutte le lacrime di vergogna e pianse tutte le lacrime di tristezza. Infine pianse anche delle lacrime che non sapeva di avere.

“Non è vero, Kijo. non è colpa tua, è lui che non merita di stare al mondo” le sussurrò seguitando a lisciarle i capelli. Strinse inconsciamente una mano a pugno al pensiero di quell’essere immondo, ma riprese subito il controllo di sé e la riposò delicatamente sul braccio dell’amica.
Il ragazzo provava una fitta al cuore ogni qual volta il suo sguardo si posava sulla sua pelle martoriata; una parte di lui avrebbe voluto eliminare definitivamente quel bastardo, ma l’altra, fortunatamente più forte, gli ricordò che non era un assassino. Non riusciva a far altro che continuare a farle scudo col suo corpo, avvolgendola in quell’abbraccio timoroso, incerto se offrirle la propria casacca ormai umida da mettersi sulle spalle o meno. Non trovava il coraggio di farle quell’unica domanda di cui gli importava, perché non era sicuro di riuscire a sopportare la risposta. Provò intanto a dire qualcosa, pregando di non rompere quel precario equilibrio che si era creato e di non urtare gli scossi sentimenti della ragazza

“S-stai tremando di freddo, Kijo…vuoi che ti accompagni vicino al falò?”

Lei sollevò appena il capo dal suo petto e scosse piano la testa, lo guardò spaventata con gli occhi ancora umidi e bisbigliò, con la voce resa roca dal pianto
“N-no, ti prego. Non ce la posso fare a vedere gli altri adesso, mi vergogno troppo. Per favore, cerca di comprendermi”

Certo, era ovvio. Seppur in buona fede sarebbero fioccate le domande sull’accaduto e lei non era ancora pronta ad affrontarle. Come poteva essere stato tanto stolto da credere che sarebbe stata una buona idea?
“Ok…ma ti prenderai un malanno se restiamo qui. Lascia almeno che ti scorti fino alla tua camera. Poi ti lascerò in pace, promesso!”

“In realtà sei un’ottima fonte di calore, sai?” confessò Kijo appoggiando nuovamente la testa sul suo petto, facendolo arrossire, poi continuò “Credo di poter guarire senza troppa difficoltà da un eventuale raffreddore, mentre invece metabolizzare quello che è successo non sarà altrettanto semplice, temo…”

“Cosa…è successo, se posso chiedere?” domandò con un filo di voce Ranma

“È successo quello che temevo, ovvero che non sono riuscita a reagire in una situazione di pericolo. Ero totalmente bloccata, Ranma, totalmente alla sua mercé. Anni e anni di arti marziali volatilizzati come se non fossero mai esistiti. Il panico ha avuto il sopravvento. Se non fossi arrivato tu, non so come sarebbe andata a finire…” sussurrò Kijo fissando i bottoni della sua casacca.

Che risposta arguta per evitare di rivelare quello che sempre più urgentemente gli premeva sapere; era forse meglio assecondarla e parlare del suo trauma con le arti marziali? Sarebbe stata la strada semplice, ovvia, più sicura…Ma lui non poteva rimanere col dubbio che lo attanagliava un secondo di più per cui, non senza difficoltà, si ritrovò a chiedere
“Ti ha usato violenza?”

“Non di tipo sessuale, se è quello che intendi. Non so nemmeno se c’è stato effettivamente mai il rischio, grazie a te rimarrà solamente un dubbio ciò che sarebbe potuto accadere…però io mi sento come se…come se avessi subito una sorta di violenza ecco. E mi odio per quanto sono stupida a paragonarmi a chi ha subito violenze vere” dovette fermarsi un attimo per prendere un respiro profondo: non era facile spiegare tutto quello che le stava passando per la testa, come si sentiva, la sua versione della storia, senza passare per una ragazzina piagnucolosa che faceva molto rumore per nulla e che in fondo se l’era anche un po’ cercata. Si rese tristemente conto che, ancora una volta, il giudice più spietato per le proprie azioni e i propri errori era proprio lei stessa: se non era capace di perdonarsi in prima persona, come poteva pretendere che lo facessero gli altri? Cercò di continuare esponendo il più razionalmente possibile i fatti, in modo che Ranma potesse formarsi un’opinione scevra dal suo filtro e la potesse condannare o assolvere con imparzialità in quel tribunale psicologico di cui si sentiva imputata più che vittima
“Dunque, partiamo dall’inizio…Mentre Seitan blaterava delle sue conchiglie attorno al fuoco io mi sono distratta e non mi sono accorta di aver inconsapevolmente accettato una passeggiata con lui. Per non ammettere che non lo stavo ascoltando sono andata ugualmente, poiché non pensavo sarebbe stato pericoloso. Dopo un po’ di tempo in cui abbiamo effettivamente cercato conchiglie lui si è fermato e mi ha proposto di fare il bagno in mare, io gli ho chiaramente risposto che non volevo. Ha perseverato e ho fatto per andarmene e tornare al falò, ma lui non l’ha presa bene e mi ha caricata in spalla, dirigendosi nonostante le mie urla e le mie proteste verso il mare. Ho avuto molta difficoltà a reagire, ero spaventata, paralizzata, quasi rassegnata; poi non so bene cosa mi sia successo, ma sono riuscita a divincolarmi e scappare. Lui mi ha rincorso e ripreso, a quel punto l’ho colpito col secchiello di metallo e sono fuggita di nuovo. Credo che sia a questo punto che sei arrivato tu”
Per tutto il tempo aveva evitato il suo sguardo, fissando un punto lontano dell’orizzonte e mantenendo un tono neutrale e distaccato, come se stesse raccontando di un episodio visto in televisione. Maledizione, doveva proprio costarle una sofferenza sovrumana parlarne, quindi era l’ora di smetterla di insistere.

Provò ad alleggerire la tensione, pregando che fosse la strada giusta
“Beh, avrei potuto prendermela anche con più calma, visto che ormai ti eri già salvata da sola…”

Kijo si voltò verso di lui, esitando sorpresa per quell’inaspettato commento
“N-non dire così, Ranma, non è vero! Mi rifiuto di affibbiarti il ruolo della nottola di Minerva della situazione, perché senza il tuo intervento definitivo non sappiamo come sarebbe andata a finire…Avrebbe potuto inseguirmi di nuov-”

La ragazza fu costretta a fermarsi perché il codinato la stava guardando con un cipiglio interrogativo
e la interruppe esclamando
“La cosa di cosa?”

“Ehm…la nottola di Minerva…è un modo di dire quando qualcuno arriva e tutto è già compiuto. Lo so, sono una dannata secchiona che studia la filosofia di Hegel!” squittì sempre più a bassa voce Kijo, facendosi piccola piccola mentre si stringeva nelle spalle e incrociava le braccia al petto. Era incredibile, persino in un momento come quello la sua mente snocciolava citazioni erudite come se niente fosse; o forse, proprio come con un salvagente, si aggrappava a quei ricordi rassicuranti, maturati nella sua zona di comfort.

Ranma si lasciò andare ad una risatina, poi continuò più seriamente, poggiandole una mano sulla spalla e guardandola dritta negli occhi
“Quello che volevo dire, Prof., è che sono molto fiero di te. Nonostante la tua difficoltà sei riuscita a trovare un modo, sebbene grezzo, per salvarti la pelle. Non hai ancora superato il tuo trauma ma in te batte ancora il cuore di una guerriera e stasera ne hai avuto la dimostrazione: abbiamo molto lavoro da fare, ma fortunatamente la base è più solida di quanto credessi”

Kijo sentì qualcosa sciogliersi dentro di sé: ancora non aveva avuto l’opportunità di considerare quell’aspetto e il fatto che Ranma l’avesse esposto la lasciò basita.
“Io…non so cosa dire” sussurrò sbattendo le ciglia degli occhi spalancati

“Hai terminato le citazioni dei tuoi libri?” le sorrise un pelo impertinente

“No ma…nessuna mi sembra adatta a questo momento”

“Allora puoi anche non dire niente, per una volta” si strinse nelle spalle il ragazzo, come per sottolineare l’ovvietà del concetto. Un pensiero attraversò improvviso la sua testa, come un fulmine in miniatura, per cui arrossì di botto e cercò di calmarsi inspirando profondamente. Quando fu sufficientemente padrone di sé, riprese la parola e constatò
“K-kijo, noi…abbiamo un discorso in sospeso”

“Davvero? Oh, quello…” fece mente locale Kijo “Sono d’accordo con te: è assurdo che la gente non si accorga che Superman e Clark Kent sono la stessa persona solo perché uno indossa un paio di occhiali e l’altro no; è un po’ come se tu mettessi una parrucca di un altro colore e ti scambiassero per una ragazza, fuori di testa! Non so come mai abbiano usato un così povero escamotage ma-”

Avrebbe potuto farla chiacchierare per ore di quegli argomenti ed evitarsi un bel po’ di vergogna, tuttavia sentiva che era giunto il momento di esprimere quello che provava. Beh, magari non tutto, però almeno uno spiraglio
“Non intendevo quello! Kijo, oggi, ecco, mi hai, insomma, detto che sei g-g-gelosa di me e io…cioè, io-provo-lo-stesso” disse queste ultime parole d’un fiato, come se fossero una sola, temendo che se non le avesse fatte uscire in quell’istante non ci sarebbe più riuscito.
Caspita. Era riuscito a sorprenderla ancora una volta e ancora una volta si trovò a corto di vocaboli.

“Ranma…allora tu ci tieni a me…?” disse come la più idiota delle protagoniste di una soap opera di terz’ordine. Il ragazzo col codino annuì e istintivamente le si avvicinò, seppur paonazzo. Kijo allungò una mano per andare a ricercare il suo volto accaldato e lo accarezzò lentamente, dalla tempia al mento, seguendo i suoi lineamenti. Si sporse verso di lui socchiudendo gli occhi e lui la imitò, il cuore in subbuglio, passandole in braccio attorno alla vita. Improvvisamente, accadde: la luce accecante di una torcia li abbagliò costringendoli a pararsi gli occhi con le mani, mentre il viso squadrato di un uomo in impermeabile beige si delineava dietro l’aura luminosa

“Mani in alto, gettate le armi! Che sta succedendo qui? Vi dichiaro in arresto!”
Due gigantesche gocce apparvero sopra le loro teste e, colti dall’imbarazzo, si separarono repentinamente.

“Ispettore, puff…non starete esagerando? Sono solo due ragazzetti…pant!” giunse trafelato di corsa un altro uomo, paffutello, che indossava un’uniforme della polizia

“Ah sì, agente? E chi mi dice che non indossino una maschera?” esclamò tronfio l’ispettore, provando a tastare la guancia di Ranma che schivava i suoi tentativi profondamente offeso. Una vena pulsante si stava manifestando sempre più sulla sua tempia.

“La vogliamo finire con queste assurdità?” sbottò infine il ragazzo col codino

“Senti giovanotto, io sono un rappresentante della legge, per cui esigo rispetto! Mostrami i tuoi documenti, patente e libretto!”

“Ehm, ispettore…non siamo della stradale, ricordate? Vi hanno promosso molti anni fa, incredibilmente. Perché non lasciate stare questi poveracci che volevano solo un posto appartato per dimostrarsi il proprio affetto e torniamo a cercare il ladro che ci è scappato?” si intromise l’agente

“Ok, d’accordo! Dunque mi assicurate che qui non si è compiuto alcun crimine?” tornò a torchiarli l’ispettore. Ranma esitò per un secondo e stava per aprire bocca, ma Kijo gli diede una gomitata nelle costole e parlò al suo posto

“Oh, certo che no, ispettore…siamo spiacenti se abbiamo infranto qualche legge, ma vi assicuro che siamo solo due romanticoni che volevano guardare la luna sul mare insieme…”

“Capisco, capisco…Bene, per questa volta passi, in fondo sono stato giovane anch’io…Un’ultima cosa, avete mica visto un tipo losco, alto e dinoccolato, scappare sulla spiaggia? Aveva con sé un sacco di juta pieno di refurtiva preziosa”

“No, non abbiamo visto nessuno, mi dispiace” continuò con la pantomima Kijo

“Bene, qualunque informazione vi venga in mente chiamatemi. Vi lascio il mio biglietto da visita” l’ispettore tese il braccio verso Kijo, dandole un cartoncino, poi fece il saluto militare e ripartì a corsa sulla spiaggia, seguito dal suo secondo.

“Credo che a questo punto possiamo anche tornare alla pensione” commentò Kijo, tenendo ancora in mano il biglietto dello strambo tutore dell’ordine. Ranma sospirò e annuì, quindi si misero in marcia.
 
Raggiunsero la reception per prendere le rispettive chiavi senza incrociare nessun altro, poi si diressero verso la camera di Kijo e fu proprio la ragazza a prendere la parola

“Ranma…ti ringrazio infinitamente per tutto quello che hai fatto per me. Vorrei tanto invitarti ad entrare, ma, a parte il fatto che mi riempiresti di battute su quanto sono lasciva, non ho proprio più spazio per altre emozioni stanotte. Non mi sembra giusto, ecco…”

“Ehi, mica tutti fremono dalla voglia di saltarti addosso come quel mediconzolo da strapazzo!” si trovò a esclamare Ranma, ma un secondo dopo si morse la lingua: era forse troppo presto per scherzarci su così? Kijo non sembrava essersela presa, anzi, le parve di scorgere perfino una lieve incurvatura delle sue labbra verso l’alto. Forte di questa reazione, si decise a continuare
“È che non vorrei lasciarti da sola, dopo tutto quello che è successo. Permettimi di dormire in un angolo della tua stanza, così se dovessi star male nel cuore della notte posso aiutarti”

Kijo fu quasi commossa da quella proposta così dolce e decise di accettarla con gratitudine. Aprì la porta della sua stanza e fece cenno a Ranma di entrare, poi srotolarono i futon sul pavimento, uno accanto all’altro. Prima che il ragazzo potesse obiettare qualcosa, si affrettò a dire
“Così il pronto intervento sarà ancora più rapido…tanto ormai mica ti vergogni a dormire al mio fianco no?”

“Sappi che non cederò alle tue provocazioni: sarò una statua di ghiaccio” replicò Ranma incrociando le braccia

“Perfetto, vado a farmi la doccia, a dopo” lo salutò Kijo addentrandosi nella piccola stanza da bagno; esitò un attimo sulla soglia e si voltò nuovamente verso di lui, facendosi seria
“Posso chiederti di promettermi una cosa, Ranma?”

Il ragazzo si alzò a sedere sul giaciglio, guardandola con preoccupazione e timore
“Dimmi, Kijo…”

“Promettimi che non racconterai a nessuno quello che è successo stasera e che non ne parleremo mai più nemmeno tra noi” fu la richiesta della ragazza, formulata con un tono che tradiva una viscerale sofferenza

“Io…se è questo che vuoi, rispetterò la tua decisione. Sarò comunque pronto ad ascoltarti ancora se ne avessi bisogno in futuro, ma non tirerò fuori l’argomento” gli costava molto fare quella promessa, temeva che la gravità di quanto successo venisse sminuita in questo modo mentre lui avrebbe voluto quantomeno denunciare l’accaduto; tuttavia si rese conto che non era una scelta che spettava a lui e voleva supportare con lealtà Kijo in ogni caso

“Grazie, ora come ora voglio solo dimenticarmene…Bene, adesso è giunto davvero il momento della doccia” concluse la ragazza chiudendo la porta dietro di sé.

Aprì l’acqua per farla scaldare, si spogliò e si osservò allo specchio del mobiletto sul lavandino: era un disastro! Davvero era rimasta in giro con quella faccia fino a quel momento? Tra i capelli spettinati, il mascara colato e i lividi addosso non c’era una cosa che fosse in ordine…tantomeno dentro di lei. Aprì l’acqua fredda del lavandino e ficcò rapidamente la testa sotto il getto, poi si guardò nuovamente allo specchio e constatò amaramente
Scommetto che a te non sarebbe successo…che schifo di mondo!
Infine entrò nella doccia e cercò di lavare via tutti i residui delle ultime ore, almeno quelli visibili.
 
 

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Capitolo 19
*** Effetti collaterali ***


8 agosto
 
Era un afoso pomeriggio di agosto e una volta tanto Ranma e Kijo si erano accordati per praticare le arti marziali nel giardino sul retro dell’ambulatorio anziché al dojo Tendo dato che la ragazza, sfruttando la pausa dalla scuola e il minor numero di pazienti che assediavano il presidio, si era dedicata anima e corpo alle preparazioni medicamentose e non poteva abbandonare gli allestimenti in corso.
Avevano ripreso un buon ritmo di allenamento in quelle ultime settimane e sebbene il trauma di Kijo rendesse ancora difficili e frustranti le simulazioni di combattimento, pian piano qualche automatismo acquisito negli anni passati a studiare la disciplina stava riemergendo nelle sue risposte agli attacchi diretti. Il Maestro ebbe come l’impressione che, per qualche strano meccanismo psicologico, la disavventura sulla spiaggia avesse contribuito a sbloccare Kijo in qualche modo, o forse che lo spavento subito alimentasse la forza di volontà e determinazione della ragazza; non si azzardò mai a parlarle della sua teoria, vincolato com’era dal voto del silenzio sulla faccenda.
Ranma era arrivato leggermente in anticipo e quando Kijo gli aprì la porta indossava ancora il camice da laboratorio
“Ciao! Sei venuto presto, spero che non ti dispiaccia aspettarmi qualche minuto mentre termino la preparazione”

“No, tranquilla…è che a casa oggi la situazione era più caotica del solito e ho preferito dileguarmi” il codinato fece una smorfia di insofferenza e roteò gli occhi al cielo, ripensando alla confusione che si era lasciato alle spalle

“Ti capisco. Entra pure e prenditi una sedia, ti faccio vedere l’ultima pozione a cui sto lavorando con Tofu”

Ranma la seguì con entrambe le braccia piegate a sorreggergli la nuca: non che lo trovasse poco interessante, ma era difficile condividere l’entusiasmo che provava Kijo parlando di queste cose; sbirciandola in volto notò che le brillavano gli occhi.

Il laboratorio era avvolto da quello che Kijo soleva definire “ordine creativo”, espressione che per le persone normali si traduceva in “casino totale”. Ranma non si capacitava di come riuscisse a destreggiarsi tra tutte quelle bottigliette, pipette, provette, cilindri e spatoline, eppure la ragazza sembrava aver sempre ben presente dove cercare gli ingredienti e le attrezzature che le servivano, come se fossero disposti secondo un rigore logico che si adattava a lei. Prese posto su uno sgabello al bancone che in precedenza doveva essere stato usato come tavolo da pranzo da Kijo, dato che ancora vi erano ammassati dei piatti vuoti, uno contenente una fetta di pane tostato morsicata, una bottiglietta d’acqua, una lattina accartocciata, un bicchiere sempre pieno di succo e quelle buffe posate che utilizzava di solito per mangiare. Lei gli dava le spalle e stava aggiungendo col contagocce un liquido giallino dentro un pallone già contenente una soluzione densa, la quale venne poi agitata dapprima a mano e successivamente tramite ancoretta magnetica sulla piastra.
“A cosa dovrebbe servire?” domandò Ranma asciugandosi il sudore sulla fronte: quel giorno faceva parecchio caldo perfino per essere piena estate.

“È uno sciroppo spasmolitico, serve se si hanno delle lievi coliche o un fastidioso ciclo mestruale, ad esempio. Lo sto preparando per un paziente di Tofu” spiegò Kijo aggiungendo altre gocce al preparato

“E contro il caldo invece hai qualcosa?” ridacchiò Ranma, facendosi vento con la mano per rafforzare il concetto

“Certo! C’è una bottiglietta d’acqua fresca che puoi bere, lì sul bancone. L’importante è stare idratati” rispose la ragazza, continuando a seguire la ricetta galenica.

Ranma svitò il tappo della bottiglietta, ma decise di bere prima il succo di frutta, così avrebbe avuto il bicchiere a disposizione. Lo sorseggiò e constatò che era dolciastro e agrumato, ma non riuscì a capire a quale frutto appartenesse: doveva essere uno di quei mix tropicali che tanto spopolavano negli ultimi anni.
“Non te la prendi se ti ho bevuto il succo, vero?” le chiese il ragazzo mentre versava l’acqua nel bicchiere

“Il succo? No, no, lo beve solo Ono in questa casa, a me non piace” rispose Kijo aggrottando le sopracciglia. Poi si voltò verso Ranma e vide il bicchiere pieno d’acqua. Sbiancò.
“Ehm…Ranma…quello non era succo di frutta. Era un preparato di Tofu da usare come repellente per insetti”

“Che cosa?! E come mai l’hai lasciato in un bicchiere vicino a dove hai mangiato tu? È velenoso?” si preoccupò Ranma balzando in piedi e portandosi le mani alla gola

“Avevo terminato i palloni di vetro e dato che quel prodotto era pronto lo avevo travasato nel bicchiere momentaneamente…comunque a vedere le note di Tofu sulla composizione non sembrerebbe tossico per l’uomo, anche se ovviamente nessuno ha mai provato a berlo prima” cercò di tranquillizzarlo Kijo, mentre scorreva rapidamente gli appunti del medico

“Oddio come sento caldo…mi sembra di avere la febbre a cinquanta!” si lamentò Ranma e si diresse velocemente verso il bagno per sciacquarsi la faccia
“Mi dispiace…!” gli urlò dietro Kijo finendo per mordicchiarsi il labbro inferiore.
Qualche minuto dopo Ranma riemerse dal bagno e tornò in laboratorio
“Come ti senti?” gli si rivolse preoccupata la ragazza, tastandogli la fronte

“Direi bene, mi è anche passata l’ondata di calura. Ci vuole ben altro per abbattermi” minimizzò Ranma con fare superbo

“Fantastico. Puoi stare sicuro che nessun insetto ti si avvicinerà a breve” cercò di scherzare Kijo, mentre tornava a travasare il contenuto del pallone in un flacone scuro.
Ranma le si accostò e le posò una mano sulla spalla destra. Quando Kijo di voltò verso di lui, sempre tenendo i contenitori in mano, notò che la sua espressione si era fatta estremamente seria e fu subito avvinta in un abbraccio appassionato. Rimase talmente spiazzata da quella manifestazione di affetto che per poco non lasciò cadere la vetreria e, incapace di parlare, restò lì a boccheggiare come un pesce. Ranma dal canto suo non sembrava intenzionato a fermarsi: aveva inchiodato gli occhi blu nei suoi, emanando una tensione tale che Kijo ne risultò quasi ipnotizzata; fece scivolare le mani lungo le sue braccia e le afferrò i flaconi, appoggiandoli sul banco retrostante, poi le prese la mano destra e se la portò alla bocca, sfiorandola con le labbra. Quando arrivarono a solleticarle il polso Kijo fu attraversata da un lieve fremito elettrico che la riscosse quel tanto che bastava per articolare qualche parola
“Ehm, Ranma…posso chiederti che stai facendo?” disse faticando a respirare regolarmente

“Dolcezza, sei una ragazza intelligente…credo che tu riesca a capire cosa sto facendo” così dicendo le passò un braccio sotto il camice all’altezza della vita, attirandola a sé.

Kijo sentì il cuore esploderle contro il petto come se un cannone ce lo avesse sparato. Che diamine stava accadendo? E da quando la chiamava dolcezza?
“Sì, credo di averlo…uh! intuito…solo che mi sembra molto strano: non hai mai mostrato questo tipo di- ehm- interesse nei miei confronti. Sei sicuro di sentirti bene?” Kijo cercò di mantenere un contegno, ma sentiva il volto in fiamme e delle perle di sudore le si erano già formate alla base del collo: perché faceva così caldo, dannazione!

“Non è vero: io sono stato attratto da te dal primo momento in cui ti ho guardata e ti ho desiderata irrimediabilmente da quando ti ho vista alle terme. Sei così sensuale che mi stupisco di come abbia fatto a resistere così tanto senza farmi avanti”

Cheeeeeeeeee? Gli occhi di Kijo erano spalancati dallo stupore e le sue orecchie dovevano senz’altro essere vittima di qualche sortilegio: non era assolutamente possibile che avesse sentito quello che credeva! Eppure lo sguardo di Ranma traboccava di passione e le sue mani erano scese sui suoi fianchi. Si sentì un’idiota totale, perché non sapeva come replicare: il suo cervello in quel momento non era per nulla collaborativo. La prossima volta che Ranma le avesse detto quanto fosse spudorata e spavalda lo avrebbe…BACIATO!
Ranma le aveva rivolto un sorriso disarmante e poi era andato alla ricerca delle sue labbra con le proprie. Le aveva trovate morbide e leggermente dischiuse e dopo esservisi soffermato brevemente insinuò lentamente la lingua nella fessura che aveva percepito. Kijo non poté più resistere e ricambiò quel bacio voluttuosamente: con la mano che accarezzava la nuca di Ranma prese a mordicchiare il suo labbro inferiore con lievi e piccoli morsi, per poi delinearne il contorno con la lingua. Sentì la muscolatura del ragazzo contrarsi sotto quel tocco e le sue mani si fecero più audaci, mentre le sue labbra presero ad esplorarle il collo. Quando giunsero in prossimità del suo orecchio vi si posarono piano e lui sussurrò
“Kijo, ti prego, concediti a me”

Le gambe di Kijo divennero molli come gelatina e sarebbe senz’altro caduta a terra se non fosse stata stretta tra il corpo di Ranma e il bancone.
Ommioddio ommioddio ommioddio! E adesso che faccio?” questa domanda era l’unico pensiero pseudo-razionale che trovava spazio nella sua testa come un’eco lontana. Il resto delle sue facoltà mentali era impegnato a elaborare gli stimoli che giungevano a ondate impietose dalle terminazioni nervose: Ranma infatti si stava rivelando molto convincente dato che si era insinuato sotto la sua camicetta ed aveva cominciato ad accarezzarle la schiena nuda.
Per quanto ormai non fosse più padrona del proprio respiro, che si manifestava come un ansimare leggero e lo fosse a fatica del proprio corpo, che anelava un contatto più profondo, Kijo si costrinse ad aprire gli occhi per riprendere il contatto con la realtà e sperabilmente un briciolo di self-control.
Ok, era nel laboratorio in cui lavorava e questo ragazzo fantastico gli si stava offrendo su un piatto d’argento perché la desiderava da impazzire. Poteva sentirlo. Poteva sentire il battito del cuore accelerato nel suo petto, poteva sentire il suo profumo farsi più intenso sulla pelle accaldata, poteva sentire il suo respiro sfiorarle il collo e le sue mani indugiare sui bottoni della sua camicetta per sganciarli uno dopo l’altro. Per la miseria, in questo modo non avrebbe mai recuperato un briciolo di chiarezza mentale! Riuscì a posare una mano poco convinta sulle sue, distogliendole dal compito che stavano perseguendo con tanto scrupolo e lui si fermò e la guardò negli occhi, bisbigliandole con voce roca
“Che c’è, non ti va?”

Per tutte le tentazioni dell’universo! Certo che le andava! Non voleva altro che sentirlo stretto a sé, continuare quella reciproca ricerca, lasciarsi andare! Ma c’era un barlume di razionalità, fuggevole come una farfalla in un campo di papaveri, che le provocava la sgradevole sensazione di star commettendo qualcosa di sbagliato. Istintivamente avrebbe tanto voluto schiacciare quella stupida farfalla e cedere, ma si costrinse a indagare più a fondo per capirne la motivazione
“N-no, non è questo…è che…” iniziò a parlare con difficoltà ed ebbe l’opportunità di dire solo poche sillabe poiché Ranma la guardò struggente e le regalò un sorriso furbo

“Ho capito, non devi dire altro” le sussurrò e cominciò a sganciare i bottoni della propria camicia rossa, finché non la tolse e la gettò per terra
“Adesso ti vergogni un po’ meno?” le chiese sorridendo.

Kijo per fortuna non vedeva la propria faccia ma pensò che probabilmente non aveva mai avuto in vita sua un’espressione più ebete. Il suo sguardo percorreva bramoso ogni centimetro del corpo che le si era svelato con tanta noncuranza: immaginava come sarebbe stato toccare quei pettorali, mordere quelle spalle, baciare quegli addominali…
Maledizione, certo che non gli rendeva le cose facili proprio per niente! Sbatté le palpebre più e più volte, come per rompere l’incantesimo di cui era preda, e cercò di concentrarsi su qualcos’altro. Lo sguardo gli cadde sui residui del proprio pranzo: i piatti, il toast, il bicchiere vuoto…Il bicchiere che Ranma aveva svuotato…Per tutte le reazioni avverse, possibile che un repellente per insetti potesse avere simili effetti collaterali? Il barlume latente di razionalità si accese con prepotenza nella sua testa a mo’ di lampadina, quasi a rimproverarla di averci messo tanto a capirlo. Stupida lampadina, prova tu a concentrarti con quello spettacolo di ragazzo davanti! Prese dunque un respiro profondo cercando di calmarsi e disse, quasi tra sé e sé
“Ho bisogno di una doccia fredda”

Ranma le rivolse un sorriso sornione e le accarezzò il viso, replicando
“Non vado molto d’accordo con le docce fredde, ma se è sufficientemente calda per me va bene”

Non ce la poteva fare. Kijo era consapevole che non avrebbe resistito ancora a lungo, quindi doveva trovare il modo di bloccare le avances di Ranma. Non era in lui e, conoscendolo, sapeva bene l’importanza che aveva per lui un atto del genere. Non se lo sarebbe mai perdonata se fosse successo a causa di una pozione mal riuscita e probabilmente nemmeno lui. Era perfino quasi sposato con un’altra! Anche se…insomma, quello non era il momento. L’unica cosa certa era che lei non era in grado di gestire quella situazione, quindi avrebbe dovuto affidarsi a chi sapeva avrebbe potuto toglierla dagli impicci.
“Mi sembra un’idea fantastica…perché non ci dirigiamo in bagno allora?” gli propose tendendogli la mano. Lui gliela prese sorridente e la seguì su per le scale.
 
Una volta in bagno lei si avvicinò alla porta per estrarre furtivamente la chiave, mentre lui aprì il rubinetto della doccia e chiuse lo scorrevole aspettando che il getto si scaldasse. La raggiunse poi alla porta, bloccandola contro di essa e mettendo ancora più a dura prova il suo autocontrollo
“Che c’è? Hai tolto la chiave perché temi che possa scappare? Non esiste al mondo, Kijo: io voglio stare con te.”

Tutte le certezze vere o presunte della ragazza si sgretolarono in quell’istante: il suo piano, la sua fermezza, il suo senso dell’onore. Per un attimo credette a quelle parole, si accorse che voleva disperatamente crederci, tuttavia poi si ricordò che erano solo il frutto di un artificio e con estrema delusione andò avanti nei suoi propositi.
“Ranma...” che fatica pronunciare anche solo il suo nome, quante cose avrebbe voluto dirgli se solo fosse stato in sé, se solo ciò che gli aveva confidato fosse stato veritiero… “Dobbiamo essere prudenti, per questo ho bisogno di uscire un attimo a prendere una cosa che ho in camera. Torno subito!”

Ranma le lanciò un’occhiata di complicità e riuscì a rubarle un altro bacio prima che uscisse, sussurrandole dietro “Fai presto, mia stella”.

Kijo si chiuse la porta del bagno alle spalle e girò due mandate di chiave. La situazione era peggiore di quello che credeva: quel dannatissimo insetticida si era rivelato essere una pozione d’amore! Chissà quanto sarebbe durato l’effetto…
Ancora in subbuglio si diresse in camera sua, barcollando sulle proprie gambe molli e provando ad imporre un ritmo normale al proprio respiro, decisa a lasciare che il suo amico più caro si occupasse di quel casino al suo posto.
 
Circa una ventina di minuti dopo un ragazzo biondo si presentò alla porta d’ingresso dello studio del medico e aprì la porta con la chiave nascosta sotto il tappetino. Doveva aver ricevuto istruzioni molto precise, poiché per prima cosa si diresse nel laboratorio e raccattò da terra la camicia rossa di Ranma, poi salì al piano superiore e recuperò la chiave del bagno che Kijo aveva lasciato in bella mostra sul comodino della propria camera e bussò alla porta del bagno.

“Kijo? Sei tu?” rispose Ranma dall’interno, tirando su e giù la maniglia: la porta però era sempre chiusa

“Signor Saotome, vi prego di rendervi presentabile e di uscire. Ho qui la vostra camicia” disse l’estraneo girando la chiave nella serratura.

Il ragazzo sentì il rumore della doccia che veniva chiusa e dopo un minuto Ranma spalancò la porta
“Chi diavolo saresti tu? E che fine ha fatto Kijo? Se le hai torto un solo capello io…” si agitò subito gridandogli addosso

“Calma, calma…adesso vi spiegherò tutto, ma intanto vestitevi, ecco” gli tese la camicia che Ranma indossò, sempre fissandolo con diffidenza

“Ecco, ora sono in ordine, contento? Quindi?” lo incalzò. Il ragazzo biondo accennò un inchino verso Ranma e si presentò

“Piacere, Ranma Saotome. Io sono Hokano Azuki e sono un amico di Kijo”.

Era di poco più alto di lui e dava l’impressione di tenere parecchio alla propria immagine. I suoi occhi scuri e molto espressivi si incastonavano nel bel volto perfettamente rasato, emanando sguardi carismatici
“Impossibile, biondino. Io non t’ho mai visto. Anche se in effetti una faccia familiare ce l’hai” lo squadrò meglio Ranma accarezzandosi il mento

“Immagino di poterti dare del tu a questo punto. Ti assicuro che non ci siamo mai conosciuti prima, Ranma. Credo che mi ricorderei di uno come te” replicò lo sconosciuto garbatamente

“Sì, va bene. A parte questi stupidi convenevoli, vuoi dirmi che ci fai qui e soprattutto dov’è la nostra comune amica?” si spazientì Ranma

“È dovuta uscire. Mi ha chiamato perché temeva di non riuscire a spiegarti in prima persona la situazione senza…ehm, cedere alle tue avances” per la prima volta la sua voce impostata ebbe un mezzo cedimento e abbassò per un istante lo sguardo
“Cosa? Vuoi dire che ti ha raccontato di…” rimase scioccato Ranma, tuttavia provò meno imbarazzo del previsto

“No, no. Insomma, non nei dettagli. Solo quel tanto che bastava perché potessi capire. Ascoltami Ranma, non ho mai sentito Kijo così…”

“Ehi, ma tu sei quello dei boxer!” ebbe un’illuminazione Ranma, indicandolo teatralmente come a sottolineare il colpo di scena

“I boxer?” lo guardò con sospetto Hokano, corrugando la fronte

“Sì! Una volta ero a studiare in camera di Kijo e ho notato, nel casino generale, dei boxer sotto al letto: erano tuoi, vero? O è così o Kijo a questo punto conduce una doppia vita di cui sono totalmente all’oscuro”

“Ok, va bene. Erano i miei boxer. Ma non è questo il p-” sbuffò l’altro

“Quindi sei venuto qui per rivendicare un diritto di precedenza su Kijo? Guarda che non ti conviene combattere contro di me” lo guardò con aria di sfida il ragazzo col codino

“No, che cavolo! Mica siamo nel medioevo!” inorridì a quelle parole il giovane

“Ecco, questo sembra molto un discorso alla Kijo. Ora capisco perché ve la intendete. Mi dispiace però: nonostante possa andar bene a te un rapporto aperto io voglio stare con lei in esclusiva. Kapish?”

Hokano sbarrò gli occhi, sorpreso dalla piega che stava prendendo la situazione. Si schiarì poi la voce con un colpetto di tosse e provò a ricominciare
“Vedi Ranma, tu credi di essere attratto da lei ma in realtà non è così: è tutto frutto di una pozione che hai inavvertitamente bevuto”

“Cosa? Ti riferisci a quella specie di insetticida naturale? Da quando in qua gli insetticidi hanno questo effetto?” obiettò il ragazzo col codino, incrociando le braccia e guardando l’altro con sospetto

“Kijo mi ha spiegato che si tratta, o trattava visto che ormai te la sei assorbita, di una miscela mai testata in precedenza. Non possiamo escludere quindi che possa avere questo effetto” cercò di spiegare l’ovvio Hokano

“Ma che discorso è? Non vuol dire che sia stato quello, quindi” rigirò il discorso Ranma

“No, certo. Ma rifletti un secondo: da quand’è che hai iniziato a provare attrazione per Kijo?” domandò Hokano sicuro di essere arrivato al punto cruciale di quel gigantesco malinteso

“Dal giorno in cui l’ho conosciuta. Gliel’ho anche detto, oggi” ammise con estrema tranquillità il ragazzo, lisciandosi la casacca rossa.

No, decisamente non era quella la risposta che si aspettava.
“Sì, ma lo vedi che è la pozione che parla! Prima non ti saresti mai sognato di dirle una cosa del genere!” cominciò a spazientirsi Hokano, gesticolando mentre dava fondo a tutte le obiezioni possibili che gli venivano in mente

“D’accordo, ma ciò non significa che non fosse vero” fece spallucce Ranma. Hokano rimase di sasso a quelle parole. Kijo ovviamente non aveva neppure preso in considerazione quell’opzione. E se la pozione fosse stata solo un catalizzatore di desideri già presenti…? Beh, comunque non c’era modo di saperlo ed era certo che Ranma non fosse in grado di prendere consapevolmente alcuna decisione importante in quel momento.

“Scommetto che Kijo non ti ha nemmeno accennato questa possibilità, eh? Il giorno in cui capirò come fornire un po’ di autostima a quella ragazza mi si aprirà un mondo nuovo” commentò Ranma a voce alta.

Hokano incrociò le braccia davanti a sé e annuì in silenzio, poi rispose
“Ad ogni modo Kijo non voleva approfittare di una situazione in cui non eri pienamente padrone delle tue azioni, quindi ha preferito allontanarsi per scongiurare qualsiasi pentimento a posteriori”

“Crede che mi sarei pentito di aver condiviso quell’esperienza con lei una volta passato l’effetto della bevanda?” incalzò il ragazzo col codino, lasciandosi sfuggire un tono incredulo.

Hokano era piuttosto stupito della naturalezza con cui Ranma parlava di certi argomenti: gli risultava che fosse un ragazzo timido e impacciato, quindi, pozione o no, non era preparato a quell’approccio diretto
“Immagino che si sia posta il problema. In fondo a quanto mi ha detto sei un ragazzo impegnato ufficialmente con un’altra, per di più con un senso dell’onore e del rispetto degli obblighi molto sviluppato. Non avresti accettato un matrimonio combinato altrimenti, giusto?”
Per la prima volta in quel pomeriggio Ranma sembrò essere a disagio. Il suo silenzio spinse Hokano a continuare su quella strada
“Non avercela con lei né con te stesso. Non è successo niente, hai ancora la facoltà di fare la scelta che ritieni più opportuna quando sarai pronto. Possibilmente senza filtri magici nelle vicinanze” gli diede una pacca sulla spalla

“Sai, non posso fare a meno di pensare a tutte le volte che delle ragazze hanno tentato di privarmi della libertà di scelta per avermi con l’inganno. Non è la prima volta che vengo a contatto con sostanze che alterano la personalità o i sentimenti, ma è la prima volta che qualcuno non tenta di trarne un profitto personale” rivelò Ranma con un filo di voce, meditabondo, accarezzandosi il mento

“Apprezza il suo sforzo, probabilmente le sarà costata una gran fatica resistere” fece fiorire sul suo volto un sorriso tirato il ragazzo biondo

“Senza dubbio. Del resto, possiamo biasimarla?” si vantò Ranma evidenziando la propria silhouette

“Scemo, ora non esagerare!” gli diede un pugno sulla spalla Hokano, lanciandogli un’occhiataccia coi suoi occhi scuri.
 
“Come hai conosciuto Kijo?” domandò Ranma a Hokano mentre mangiavano dei panini dolci in cucina

“Abbiamo partecipato alla stessa gita organizzata in Cina. Non so se ti ha raccontato che prima di venire in Giappone si è fermata a visitare alcune località dell’Asia: è stata in India, in Tailandia, in Cina e nelle Filippine. Il caso ha voluto che anch’io fossi in vacanza in Cina e parlando con lei è venuto fuori che abitavo a Tokyo, quindi ci siamo tenuti in contatto per quando è arrivata qui”

“La Cina…anch’io vorrei tornarci un giorno. Diciamo che ho dei conti in sospeso laggiù” commentò Ranma masticando un grosso boccone

“Eh, una terra affascinante. Non c’ero mai stato prima, sai?”

“Sì, sì, certo…e adesso qual è il tuo rapporto con Kijo?” indagò Ranma squadrandolo attentamente

“Siamo amici. Ti confesso che non ci siamo rimasti immediatamente simpatici ma poi abbiamo cominciato ad apprezzarci” Hokano sembrava fare un discreto sforzo per trovare le parole giuste formulando le proprie risposte

“Quanto apprezzarvi?” lo guardò curioso Ranma inarcando un sopracciglio

“Non è successo niente di quello che pensi con Kijo. Non ci siamo mai neppure sfiorati, se ti può tranquillizzare”

“Oh, io sono tranquillissimo, solo che non capisco allora cosa ci facessero i tuoi boxer sotto al suo letto!” Ranma gli puntò un dito contro come fosse un investigatore che ha appena risolto un caso in un film giallo

“Santo cielo, ancora con questa storia? E va bene…glieli avevo dati perché me li cucisse: erano i miei boxer fortunati e quando mi accorsi che c’era un piccolo buco chiesi a Kijo se poteva sistemarmeli”

“E l’ha fatto?”

“No, li ha rovinati del tutto. È un disastro con ago e filo” Ranma scoppiò a ridere e Hokano lo seguì, sospirando segretamente di sollievo

“Bene, credo che tra poco andrò a casa, tanto non credo che Kijo ritornerà a breve” esclamò Ranma alzandosi e accennando a muoversi verso la porta

“D’accordo. Mi raccomando, fai attenzione a chi incontri: non vorrai rischiare di innamorarti della prima persona che passa!” lo mise in guardia Hokano

“Spero che questo stupido effetto finisca presto. Credi che ricorderò tutto quello che ho fatto?” domandò il codinato sentendo la vergogna crescere dentro di sé

“Credo proprio di sì” annuì il ragazzo biondo

“In tal caso temo che non riuscirò più a…più a…” Ranma si sentì arrossire in viso, pensando a quando avrebbe rivisto Kijo la volta successiva

“Penso che tu stia guarendo” commentò Hokano, ridacchiando dell’imbarazzo del suo interlocutore, mentre Ranma si dileguava rapidamente.
 
Giunse a casa in un soffio, dato che usò il tragitto come scusa per smaltire un po’ del turbamento che si stava man mano impadronendo di lui e corse come un forsennato, cercando inutilmente di lasciare indietro i pensieri di quello che era appena successo. Maledizione! Per colpa di quello stupido intruglio si era comportato come un vero e proprio maniaco tant’è che lei se l’era filata a gambe levate e aveva fatto intervenire l’amico dei boxer…come diamine avrebbe potuto rapportarsi con lei quando l’avesse incontrata di nuovo? Ovviamente avrebbe potuto argomentare che non era in lui, che la colpa era interamente da addossarsi a quella bevanda stregata, ma sarebbe stato sincero? Sicuramente non avrebbe voluto approcciarsi a lei in quel modo così diretto, tuttavia una parte di sé che cercava disperatamente di ignorare suggeriva che tutto sommato aveva solamente rilasciato i potenti freni inibitori di cui solitamente abusava. Gli strambi discorsi di Hokano, poi…possibile che Kijo non lo avesse solo assecondato mentre cercava una via di fuga, ma che in realtà non le sarebbe dispiaciuto approfondire la questione?
Pensieri, ipotesi e supposizioni gli turbinavano in testa come impazziti e fu costretto a fermarsi e fare un respiro molto profondo per riprendere il controllo di sé. Ormai era arrivato davanti all’entrata di casa, per cui si tolse le scarpe e si addentrò nell’ingresso. Sul mobile vicino al telefono scorse una busta azzurra indirizzata alla famiglia e si avvicinò per esaminarla: la spigolosa grafia di Akane gli saltò subito agli occhi, tuttavia in quel momento non poteva farcela a sopportare un ulteriore carico emotivo e decise di ignorarla.

“Oh, Ranma! Bentornato!” cinguettò Kasumi incrociandolo nel corridoio “Sai, stavamo proprio aspettando te per aprire la lettera che ci ha spedito Akane! Perché non vai a sederti in salotto, così la leggiamo tutti assieme?”

Perfetto! Il suo piano di dileguarsi e fingere di non esistere era appena andato a farsi benedire. Sospirò di rassegnazione e poi andò a sedersi vicino a Nabiki, la quale lo scrutava con curiosità, cercando di carpire qualche indizio sulla motivazione di tanta insofferenza. Non le arrivò niente, se non una zaffata di un odore agrumato piuttosto penetrante, al che non poté esimersi dal commentare
“Accipicchia Ranma, hai fatto forse il bagno nella citronella?”

“Una…cosa del genere, avevo bisogno di tenere lontano degli insetti molesti” spiegò con noncuranza

“Hai provato il nuovo repellente a cui sta lavorando Ono?” sorrise Kasumi, mentre per il solo fatto di aver nominato il dottore appariva raggiante

“Sì, una specie…ma perché non stiamo ancora leggendo la lettera di Akane?” bofonchiò Ranma, cercando di cambiare argomento

“Ben detto, figliolo! Starai morendo dalla curiosità di conoscere cosa sta combinando la tua fidanzata, giusto?” gli diede di gomito Genma, mentre l’amico Soun ridacchiava complice e si apprestava ad aprire la missiva con un tagliacarte
 
«Cara famiglia,
sono passati ormai più di quattro mesi da quando mi sono trasferita in Italia ma confesso che mi sembrano molti di più. Mi sono adeguata ai ritmi, ai modi di fare, allo stile, alla spontaneità e a tutte le peculiarità che rendono questo Paese unico al mondo e comincio a temere che il mio rientro in Giappone non sarà affatto indolore, sebbene reso più sopportabile dalla prospettiva di rivedervi. Non mi fraintendete, mi mancate molto, ma qui sono riuscita a sviluppare una mia nuova dimensione tanto che stentereste a riconoscermi! Non litigo praticamente mai con nessuno, sono sempre serena e sorridente, sono circondata da persone colorite nei modi ma stupende d’animo e finalmente posso essere quello che voglio senza il fardello dei miei precedenti trascorsi. Ho scoperto che mi piace guidare la Vespa, adoro visitare le bellissime chiese e i musei che sembrano esserci ad ogni angolo e ho sviluppato una vera e propria devozione per i pizzaioli che come moderni giocolieri assemblano gli ingredienti per regalarci ogni volta una pietanza che non ha eguali. Posso solo ringraziarvi per la grande opportunità che mi state dando, non passa giorno che non pensi a voi e a tutte le stramberie che ci rendono una famiglia. Io sono felice, vi prego di cercare di esserlo anche voi che indubbiamente lo meritate anche più di me…
Cosa mi raccontate? Qualcosa è cambiato nel nostro pazzo quartiere?
Aspetto vostre notizie!
A presto!

Akane»                                                                    
 
Eccetto Kasumi, che era genuinamente contenta dello stato d’animo espresso nella lettera dalla sorella, e Nabiki, che sembrava non aver scoperto nulla di nuovo, gli altri si soffermarono a meditare sulle implicazioni tra le righe che una missiva del genere avrebbe potuto nascondere.
Soun in primis non poté far a meno di amareggiarsi per la leggerezza con cui la sua bambina ammetteva di cavarsela benissimo senza di loro, anzi, di stare addirittura meglio! Che quel messaggio fosse il primo passo che sanciva la decisione di non rientrare più a casa? Come avrebbe potuto lui ritrovare un briciolo di serenità nella vita sapendola lontana per sempre? Essere genitore lo sottoponeva a continue nuove sfide che mai avrebbe immaginato di dover affrontare: aveva sempre ipotizzato, pur aborrendo il pensiero, che se una delle sue figlie avesse dovuto allontanarsi da Tokyo sarebbe stata Nabiki, non certo quella su cui aveva scommesso il futuro della propria scuola! Un dubbio atroce lo colse: e se tutte e tre le figlie, per ragioni diverse, lo avessero lasciato solo? Come avrebbe potuto sopravvivere in una situazione del genere? Lo stile di lotta indiscriminata sarebbe morto con lui? Sentì un pesante affanno opprimergli il petto e iniziò ad iperventilare; era consapevole che avrebbe dovuto cercare di calmarsi, altrimenti non sarebbe riuscito a confrontarsi con tutte quelle supposizioni senza uscirne sconfitto.



Sebbene con motivazioni più egoistiche, anche Genma era ammutolito dopo la lettura delle parole di Akane: era forse a rischio il fidanzamento col figlio? Dannazione, in quel caso avrebbero dovuto sloggiare dalle comodità di casa Tendo! Cosa gli avrebbe riservato il futuro? Tornare da sua moglie non era una possibilità, almeno finché non fossero riusciti ad eliminare le maledizioni che li affliggevano: non era certo pronto per il suicidio d’onore, tantomeno Ranma. Rischiava seriamente di doversi rimettere in gioco, cercando un lavoro e un alloggio, lui che aveva sempre fatto di tutto per tentare di coprirsi le spalle per la vecchiaia…di certo non potevano vivere del solo stipendio che gli dava Tofu per le pulizie allo studio! Avrebbe dovuto escogitare qualche altra strategia, anche se al momento tutte le strade gli apparivano sbarrate: far fidanzare Ranma con Kasumi o Nabiki sembrava impossibile, dato che le due ragazze parevano essere già state accalappiate; rispolverare la vecchia promessa fatta al padre di Ukyo sembrava altrettanto difficile, dopo che quell’imbecille del figlio si era deciso a tagliare i ponti in modo così drastico da spedirla all’ospedale psichiatrico; discorso analogo per Shampoo e Kodachi. Possibile che quel perdigiorno del figlio fosse così idiota quando si trattava di donne?



Il primo dubbio che balenò in mente a Ranma fu se Ryoga avesse qualcosa a che fare con quella felicità tanto decantata: in fondo, a meno che non si fosse perso, possibilità non da escludersi, avrebbe dovuto trovarsi con lei in quel periodo. Sicuramente non si era più fatto vedere in zona, ma effettivamente ciò non implicava che fosse sempre in Italia. Chissà se erano riusciti a incontrarsi, alla fine…Come sempre Akane era stata molto avara di dettagli e di menzioni nei suoi confronti e se da una parte poteva comprendere il desiderio di privacy dalla famiglia, dall’altra il non sapere come stavano realmente le cose lo infastidiva. Ormai non chiedeva di parlare con lui neppure quando telefonava, il che poteva essere considerato alquanto indicativo, tuttavia il non aver avuto una chiusura definita lo confondeva e lo rendeva insicuro su come comportarsi. Ecco, meraviglioso! Dopo tutta la confusione della giornata ci voleva giustamente un’altra dose di paranoie. Accidenti alle femmine che portavano solo guai! Chissà se Hokano sarebbe stato d’accordo con lui…
 
“Bene, dopo le sorprendenti novità contenute nella lettera della mia sorellina, anch’io vorrei condividere con voi una piccola notizia: il tentato fidanzamento di Shutaro e Asuka è andato definitivamente a monte. Ci tenevo che lo sapeste da me perché sono consapevole di quanto ci teneste che certe tradizioni venissero onorate; pertanto ora che Shutaro è libero da ogni obbligo spero che vi asterrete dall’ostacolare la mia frequentazione con lui”
Nabiki parlò risoluta con tono soddisfatto, come un giocatore che sa di avere la mano vincente a poker e non vede l’ora di mostrarla.

Fu Genma, che vide in qualche modo le sue più pressanti paure farsi più concrete, a risponderle per primo
“Rompere un fidanzamento? Dove andremo a finire…cos’è successo di così grave da convincere le famiglie a cedere?”

“Oh, beh…è molto difficile fidanzarsi per una ragazza che ha terrore di tutti gli esponenti di sesso maschile ad eccezione del proprio fratello” lanciò la bomba Nabiki, certa di gettare scompiglio

“Cosa? Vuoi dire che questa Asuka è una…” si portò le mani alla bocca Soun, sbarrando gli occhi scandalizzato

“Omosessuale? Guarda che puoi dirlo, non è una parolaccia. Comunque non saprei se le piacciono le donne, quel che è certo è che non le piacciono gli uomini e tanto mi basta” si strinse nelle spalle Nabiki, un sorrisetto sornione dipinto sul proprio volto

“Incredibile! Potrebbe esistere una persona al mondo a cui mio figlio non piacerebbe in nessuna delle sue forme! Ah, ah, ah! Non è vero Ranma? Ehi, Ranma? Ranma?” si mise a sghignazzare sguaiatamente Genma, mentre con lo sguardo cercava il figlio che, si rese poi conto, si era allontanato da tavola già da un bel pezzo.

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Capitolo 20
*** Monte Kotaro parte prima: Anni ruggenti ***


16 agosto
 
Era consuetudine da parte di Sayuri organizzare ogni anno una piccola gita nel paesino di montagna dove abitavano i nonni, prima del rientro a scuola dalle vacanze estive: i simpatici vecchietti solevano recarsi nella capitale tre o quattro volte l’anno per procurarsi delle provviste che reperivano con difficoltà sul monte Kotaro ed una di queste cascava proprio verso la fine dell’estate; i nipoti approfittavano di quell’assenza per invitare i propri amici a godersi dei bei panorami e l’aria fresca e pura.
Kijo accolse estremamente di buon grado quella proposta fatta dalla sua amica, sia perché adorava la montagna in sé, sia perché avrebbe avuto una tregua dal caldo micidiale che proprio non voleva saperne di abbandonare Tokyo in quella torrida estate. Inoltre sperava, forse ingenuamente, che avrebbe potuto avere l’occasione per chiarire la situazione con Ranma, dato che negli ultimi giorni era stato assai sfuggente. Poteva comprendere che dopo l’incidente del repellente per insetti si sarebbe creato un certo imbarazzo, ma lei ce l’aveva messa tutta per non fargli pesare alcunché, arrivando perfino a fingere che non fosse successo niente. Evidentemente però quella tattica non aveva funzionato, poiché salvo il tempo strettamente necessario per gli allenamenti, il ragazzo a stento riusciva a guardarla negli occhi o a sostenere la più banale conversazione senza millantare impegni improvvisi o altre scuse per andarsene. A dire il vero era terrorizzata dall’ipotesi che Ranma la rifiutasse definitivamente, che cogliesse la palla al balzo dell’incidente per annullare del tutto l’avvicinamento che avevano conquistato negli ultimi mesi; tuttavia non poteva certo continuare a vederlo totalmente impacciato a causa della sua sola presenza, quindi constatò con un sospiro che nel bene o nel male una delucidazione era d’obbligo.
La prima sorpresa che ebbe Kijo arrivando alla stazione fu la presenza inaspettata di Ataru Moroboshi e Kotaro Ikeda: se era abbastanza scontato che ci fossero Yuka, Hiroshi, Daisuke, Ranma e Shinobu altrettanto non poteva dire per gli altri due; come mai a Sayuri era preso il vezzo di invitarli, dato che non erano parte del suo solito giro? Naturalmente Kotaro sbuffò spazientito non appena la vide, mentre Ataru si precipitò ad accoglierla stritolandola in un abbraccio soffocante, mentre lei cercava di tenerlo a bada dandogli delle lievi pacche sulla testa tipo cagnolino. Ci pensò Shinobu a risolvere la situazione, estraendo dal nulla un gigantesco martello di legno che finì proprio sulla testa del malcapitato, facendolo crollare a terra con un bernoccolo.

“Ehm…ciao a tutti!” salutò Kijo sovrastata da una goccia discretamente grande, poi continuò “Com’è che Lamù ti ha lasciato a piede libero, Ataru?”

“Io sono un uomo padrone del proprio destino, non ho certo bisogno del permesso di Lamù per godere di una gita assieme ai miei amici più cari. Quindi non temere, piccola Kijo, nessuno potrà metterci i bastoni tra le ruote” Moroboshi aveva gonfiato il petto e assunto un’espressione seria e profonda, resa tuttavia comica dalla sua solita postura a gambe divaricate che strideva tantissimo con la solennità del tono.

Kijo lo guardò perplessa inarcando un sopracciglio mentre Yuka, pazientemente, si accingeva a spiegare
“Lamù è tornata per qualche giorno sul suo pianeta per una sorta di ricorrenza che festeggiano, ecco perché non è qui con noi” alla ragazza sembrò di sentire un commento a labbra serrate venire dalla direzione di Shinobu, però non avrebbe saputo decifrare ciò che aveva detto, quindi si limitò a continuare
“Bene, forse è l’ora di avviarci a prendere il treno, dovrebbe partire tra poco dal binario quindici!”.
 

Ranma sembrava estremamente assorto in una conversazione con Daisuke sui migliori ristoranti per mangiare il ramen, tanto che a malapena l’aveva salutata. Sarebbe stata un’impresa titanica provare a chiarire con lui, se lo sentiva già…se quelle erano le premesse, poi!

Yuka si avvicinò a Kijo e la prese sottobraccio, distanziando leggermente il resto del gruppo, poi le scostò una ciocca di capelli e le sussurrò nell’orecchio
Va tutto bene? Tra te e Ranma intendo…lo guardi come se stessi cercando di decifrare un engima!

“Cosa?!” scattò Kijo sull’attenti, non riuscendo a dissimulare un’espressione colpevole, che non sfuggì all’amica

“Guarda che a me puoi dirlo…sono l’ultima persona che ti può giudicare se ti sei presa una cotta per lui! Mi dispiace solo vedervi così distanti, solitamente siete così uniti…c’entra qualcosa il medico strafigo?”

A Kijo corse un brivido freddo lungo la schiena e lo stomaco le si chiuse come in una morsa
“N-no, non c’entra niente…è che abbiamo avuto una, come dire, situazione equivoca e mentre io vorrei chiarire che è tutto a posto per quanto mi riguarda, lui continua ad essere sfuggente come un’anguilla ingigantendo di fatto la questione che è piuttosto insignificante” cercò di fornire uno straccio di spiegazione senza scendere troppo nei dettagli, ma Yuka era di tutt’altro avviso

“Cosa-cosa-cosa? Adesso mi racconti tutto per filo e per segno!”

Sebbene Kijo fosse notoriamente molto riservata riguardo alla sua sfera privata, quella volta sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno e Yuka appariva come la candidata ideale. Fece una notevole scrematura di particolari, quelli non sarebbe riuscita a condividerli nemmeno sotto tortura, ma riassunse abbastanza fedelmente il succo della questione all’amica, vedendola sbiancare e spalancare gli occhi incredula mentre ascoltava quella versione censurata. Come ebbe finito il proprio racconto, Kijo osservò Yuka sbattere le palpebre due o tre volte di fila, per poi esclamare, sempre a bassa voce
“Allora…tu vorresti dirmi che hai creato un filtro d’amore che ha spinto Ranma a provare a baciarti dopo averlo bevuto inavvertitamente?”

“Ehm, sì…una cosa del genere” si strinse nelle spalle Kijo, cercando di minimizzare

“E tu quando ti sei accorta delle sue intenzioni lo hai respinto?”

“Certo, ovviamente…non era in sé!” sottolineò Kijo

“Cavolo…non so proprio come hai fatto…io non so se ci sarei riuscita!” le confidò Yuka facendo una piccola linguaccia birichina. Ripensando a quei momenti a Kijo uscì solamente una risatina idiota, che usò come scudo per spostare l’attenzione dal rossore che era sicura le stesse salendo sulle guance.

Quando ritrovò la padronanza di sé, concluse il discorso
“Vedi, quindi in realtà non è successo niente: lui non ha alcun motivo di vergognarsi perché oltretutto non era in sé; è un caso analogo a quello in cui si comportava come un gatto in seguito al trauma subito”

“Certo…e anche in quel caso ti era saltato addosso o quasi, almeno a quanto ha poi raccontato Lamù” assunse un’aria furba Yuka.

Accidenti alla lingua lunga di quell’Oni!
“Sì, ma non significa niente…non lo ha fatto consciamente” provò a trarsi d’impaccio Kijo

“Sarà, ma ogni volta che è inconsapevole ha un comportamento abbastanza costante, pare” sogghignò l’altra con sguardo allusivo, incrociando le braccia davanti a sé

“S-sarebbe potuto succedere con chiunque! Ero solo nel posto giusto al momento giusto” tentò di arrampicarsi sugli specchi Kijo

“Beh, a me non capita mai di studiare con Saotome, a differenza tua…e nemmeno mi sono precipitata come un razzo ad inseguirlo per la foresta quando era gattizzato…che stupida che sono stata finora! Non avevo mica capito niente!” liberò una risata Yuka, dandole un colpo di gomito complice

“Capito…cosa? Non c’è niente da capire!” obiettò Kijo un po’ troppo velocemente per dare un’impressione noncurante come avrebbe voluto

“Ok, ok…forse non c’è…ma ti piacerebbe!” sorrise a trentadue denti Yuka. Quella era la stoccata finale e ne era consapevole.
 
Durante le tre ore e mezzo di viaggio, prima in treno e poi in pullman, Kijo apprese da Yuka, dopo che finalmente si era decisa a cambiare discorso, che Sayuri e Kotaro erano cugini, pertanto condividevano gli stessi nonni. Lo stesso nome Kotaro era stato scelto per ricordare indelebilmente le origini montane della famiglia. Naturalmente era stata opera sua la decisione di estendere l’invito a Moroboshi, in quanto suo amico più caro, tuttavia Shinobu era risultata particolarmente felice per quel risvolto. Poteva scorgerla ascoltare rapita le smargiassate che raccontava Ataru e ridere genuinamente alle sue battute. Espresse un velo di preoccupazione in merito a Kotaro, dato che il loro rapporto non era certo dei migliori e non era mai capitata prima un’occasione di convivenza al di fuori del contesto scolastico, ma Yuka si dimostrò ottimista che tutto sarebbe andato per il meglio. In fondo erano tutte persone civili, o no?
Non appena scesero alla fermata del pullman, al centro della piazza di Jikan-sa, si resero subito conto che regnava un’atmosfera assai particolare: i passanti rallentarono la loro andatura per squadrarli attentamente con fare sospettoso, poi la riaccelerarono per allontanarsi quanto più rapidamente possibile; le signore affacciate alla finestra si ritrassero istantaneamente, chiudendo sonoramente le persiane; un gruppo di bambini, vestiti con pantaloni alla zuava retti da bretelle che circondavano camicie troppo larghe per loro, smisero di giocare a campana e corsero verso le proprie case dando con un bastone dei colpi ad un cerchio di metallo per farlo rotolare; un uomo che sostava con le mani in tasca appoggiato al muro di un edificio lanciò loro un’occhiata in cagnesco, per poi sputare un pezzo di tabacco che stava masticando nella loro direzione e sparire in un vicoletto laterale.

“Wow, proprio un’accoglienza calorosa!” commentò Shinobu leggermente infastidita

“Che strano…vengo qui da anni e non mi è mai capitato di assistere ad una scena del genere!” esclamò Sayuri con aria alquanto incredula

“È vero! Ogni volta che ti ho accompagnato ho percepito un clima ben diverso” confermò Yuka perplessa

“Che accidenti è successo negli ultimi sei mesi? Forse è il caso di contattare i nonni?” si allarmò Kotaro rivolto alla cugina, la quale replicò

“Beh, prima di farli preoccupare proviamo a vedere un po’ come si evolve la situazione…in fondo siamo appena arrivati, andiamo a sistemarci!”
Il gruppetto annuì convinto da quella proposta e, zaini in spalla, si diresse verso l’abitazione.

 
 
La casa era l’ultima di un piccolo isolato di quattro che dava direttamente sul limitare del bosco: costruite tutte in pietra e legno, queste casettine a due piani dal tetto molto spiovente parevano gemelle; erano disposte attorno ad un pozzo comune di roccia ed ognuna era ornata da grossi vasi fioriti che scendevano dai terrazzi e da un bassorilievo centrale scolpito che ricordò a Kijo i quattro semi delle carte da gioco. La residenza Ikeda corrispondeva alla casa delle picche.
Dalla casa accanto, quella recante il segno dei cuori, emerse una donna gioviale, dai lunghi capelli castani ondulati, che corse ad abbracciare Sayuri e Kotaro, salutandoli con trasporto
“Miei cari nipoti! Che bella sorpresa! Come state? Guarda là che bel gruppo di amici!” sorrise loro entusiasta

“Ciao zia Meiko! Che piacere rivederti!” l’abbracciò forte Sayuri; Kotaro invece si limitò a farle un cenno con la mano, mentre gli altri si inchinavano rispettosamente

“Vi prego, non siate così formali! Mi fate sentire vecchia!” si mise a ridere la zia, che non doveva avere più di una quarantina d’anni ed appariva estrememente giovanile nei suoi jeans e la sua t-shirt sbiadita delle Bangles

“Ti tratterrai molto alla base?” domandò nuovamente Sayuri

“Una ventina di giorni, poi Rei ha già organizzato un nuovo tour promozionale del mio ultimo libro, quindi ripartirò” esclamò radiosa

“Bene! Sono contenta per te! Adesso faccio accomodare gli ospiti, ci vediamo semmai in questi giorni” la salutò Sayuri, tornando dagli amici.

Non appena si furono allontanati un poco lei e il cugino si scambiarono uno sguardo complice pieno di rammarico e sospirarono tristemente, poi lui commentò
“Beh…tutto sommato sembra che non se la cavi malissimo…”

“In effetti…considerate le sue condizioni…” replicò la ragazza allargando le braccia in segno di rassegnazione

“Scusatemi per l’intrusione, ve lo chiedo solo per evitare di fare gaffe come al mio solito…ma cos’ha vostra zia? È forse malata?” domandò Kijo giacché non riusciva a comprendere la motivazione di tutti quei bisbigli sommessi

“Peggio…è zitella!” rispose Kotaro e Sayuri annuì gravemente come se avesse confessato che era una cannibale.

Kijo mal riuscì a dissimulare lo sconcerto per quella risposta e se ne rimase a bocca spalancata, mentre Ataru subentrò a gamba tesa, un’espressione famelica sul volto
“Davvero? Un bel bocconcino come quello? Non le dispiacerà quindi se mi offro di farle compagnia…”

“Andiamo, fai il serio per una volta…è già abbastanza difficile così” lo redarguì Kotaro, al che Kijo non riuscì a trattenersi e commentò rivolta a Moroboshi

“Infatti! Pensa a quante avances non volute dovrà respingere ogni giorno, una donna così in gamba e impegnata a realizzarsi…non ti ci mettere pure tu!”

“Giusto Kijo poteva invidiare una disgraziata senza uno straccio di marito…ma non temere, sei sulla buona strada per fare la stessa fine!” la schernì Kotaro, mentre Sayuri lo colpiva con uno schiaffo sulla spalla per zittirlo, dandogli del maleducato.

Kijo incurvò solo il lato destro della bocca portando le braccia dietro la schiena con noncuranza e ribatté
“Lo spero proprio, Kotaro, dato che l’impressione che ho avuto è stata quella di una persona felice. Mi auguro che riuscirò ad esserlo anch’io, un giorno”
Yuka le posò con leggerezza una mano sulla spalla, quasi a invitarla a non proseguire oltre con quella schermaglia, mentre Kotaro questionava con un gesto eloquente la sua sanità mentale, Ranma la fissò con un’espressione indecifrabile per un secondo di troppo per evitare che se ne accorgesse, ma non si pronunciò in alcun modo.
 
Già dall’ingresso della casa di picche si respirava un’atmosfera ricca di calore e serenità: tutti gli ospiti vennero invitati a togliersi le scarpe e ad indossare le pattine messe a disposizione prima di salire i tre gradini che conducevano nella grande stanza che fungeva da salotto e sala da pranzo. I grandi e robusti mobili addossati alle pareti erano sormontati da svariati centrini cuciti a mano sui quali poggiavano simpatiche statuette di legno colorato mentre sul tavolo centrale spiccava un vassoio con il servito da tè accanto al quale era stato posto un piatto coperto dalla pellicola trasparente, contenente quelli che sembravano dei biscottini; lì vicino era stato lasciato un biglietto su cui era scritto «Per la vostra merenda, Zia Meiko».

“Se non altro si ricorda come si cucina” commentò aspramente Kotaro leggendo il foglietto e poi ributtandolo sul tavolo.
La parete opposta all’ingresso era completamente occupata da un enorme divano dall’aria estremamente comoda, accanto al quale si apriva un bel caminetto affiancato da un paio di gerle piene di legna da ardere.

“Cavolo, non c’è nemmeno una televisione!” esclamò Moroboshi

“Eh, i nonni non sono esattamente dei tipi all’avanguardia” ridacchiò Kotaro guardandosi intorno

“Ma almeno l’elettricità e l’acqua corrente ci sono?” chiese preoccupata Shinobu

“Certo! Mica siamo nell’anteguerra!” replicò Kotaro premendo un interruttore per accendere la luce

“Le camere sono al piano superiore, seguitemi per appoggiare i bagagli” spiegò Sayuri, prendendo un corridoio sulla destra, che terminava con una scalinata

“Yuka e Hiroshi, potete dormire tranquillamente insieme, tanto non ha senso che sgattaioliate furtivamente nel cuore della notte da stanze separate per ritrovarvi comunque” fece loro un occhiolino la padrona di casa, facendoli avvampare, poi continuò “Anche perché rischierebbe di esserci troppo traffico…” fece una pausa ad effetto in cui Ranma si irrigidì, ritrovando la scioltezza solo quando lo sguardo di Sayuri passò allusivamente da Ataru a Shinobu.

“Ciò può essere facilmente risolto assegnando anche a me e Shinobu una camera privata!” suggerì baldanzoso Ataru mettendo un braccio attorno alle spalle della ragazza, la quale arrossì subitaneamente e gli allungò un pugno che lo rispedì in fondo alle scale

“Bel tentativo, Ataru, ma devi sapere che qui supportiamo solamente le coppie ufficiali e a quanto ci risulta tu sei già fidanzato e promesso sposo di Lamù…Sguscia fuori dalla tua camera quanto vuoi, ma che non si dica che noi ti abbiamo incoraggiato!” commentò Sayuri e Kotaro annuì con convinzione, poi confermò

“Già, non abbiamo alcuna intenzione di prenderci una scossa punitiva!”
 
Ranma appoggiò la sua sacca da viaggio sul pavimento della stanza che avrebbe diviso con Daisuke, Ataru e Kotaro: quattro futon erano arrotolati a ridosso del muro, ciascuno sovrastato da un set di asciugamani puliti ricamati a mano.

“Scommetto che questi sono opera di tua nonna!” esclamò Ataru prendendo un asciugamano: ne annusò dapprima il dolce profumo che emanava, per poi passarselo più volte sulla guancia per crogiolarsi in quella morbidezza

“Sì, è una sarta eccezionale: ha personalizzato tutta la biancheria della casa e ai suoi tempi era il punto di riferimento di tutto il paese quando si trattava di rammendare e confezionare nuovi abiti” rispose orgogliosamente il nipote.
Un pensiero fugace attraversò la mente di Ranma: da che avesse memoria lui non aveva mai incontrato i propri nonni. Chissà che tipi erano, se erano sempre in vita…il padre non parlava mai dei suoi genitori e la madre…beh, non era certo una domanda che potesse farle nei panni di Ranko.

Fu riscosso dalle sue riflessioni dalla voce trillante di Sayuri, che irruppe come un tornado nella camera dei ragazzi proponendo
“Ehi, noi pensavamo di andare al bar del paese a comprare un gelato…volete venire anche voi?”

Ataru non se lo fece ripetere due volte e in un secondo era già in mezzo al gruppetto delle ragazze che aspettavano fuori dalla porta, un braccio attorno alle spalle di Shinobu e l’altro attorno alle spalle di Kijo; quest’ultima si liberò senza sforzo dalla presa, sotto lo sguardo attento di Ranma che si rasserenò nel vedere che pian piano stava riuscendo a recuperare degli automatismi di difesa personale.

“Andiamo! Mi ci vuole proprio qualcosa di fresco!” esclamò Daisuke uscendo dalla stanza e anche gli altri lo seguirono.
 
Il cielo quel giorno era grigio e nuvoloso ma più che una promessa di pioggia sembrava come se qualche entità onnipotente avesse applicato un filtro a quello scorcio ambientale, che si rifletteva anche sulla cittadina di Jikan-sa, donandole un’atmosfera fuori dal tempo e colma di un’inquietudine latente. Dall’altro lato della strada che portava all’unico bar del paese, una madre stava brontolando una bambina di cinque o sei anni, che si era sbucciata il ginocchio e piangeva copiosamente
“Perdindirindina Kurumi! Quante volte devo rammentarti che il giuoco del calciopallone non si confà alle fanciulle! Ti ho financo acquistato una nuova bambola, fila in casa a trastullartici!”
Quella scena spiazzò non poco il gruppetto di ragazzi, che non poterono far a meno di notare il gergo inusuale con cui si era espressa la signora.

“Certo che qui sembra davvero che il tempo si sia fermato, eh?” commentò agli amici Kijo, a cui erano rimaste un po’ di traverso le rimostranze della donna

“Mah, forse si starà preparando per una rievocazione? Non ho mai sentito nessuno parlare in quel modo da quando vengo qui!” replicò Sayuri e Kotaro assentì

“Se c’è una rievocazione storica dobbiamo assolutamente partecipare! Sarà super-divertente!” disse Yuka, trovando supporto immediato in Shinobu e Kijo.

Un losco figuro che indossava un lungo impermeabile nero, occhiali da sole e un borsalino dello stesso colore, si avvicinò di soppiatto a Daisuke, gli mise in mano un foglietto e gli sussurrò nell’orecchio
Dopo le ventitré, nel retro del bar, troverete quello che state cercando” per poi dileguarsi rapidamente.

Il ragazzo, sconcertato, lesse il messaggio che gli aveva lasciato, ma diceva solamente
«08/16 Clara Bow»

Lo mostrò agli amici, riferendo le parole dell’uomo e il gruppo si spaccò in due fazioni: Ranma, Kotaro, Sayuri, Hiroshi e Daisuke erano convinti che ci fosse qualcosa di strano e inquietante dietro a quell’invito, mentre Shinobu, Yuka, Ataru e Kijo ritenevano che fosse solo un modo eccentrico per pubblicizzare un evento a cui sarebbe stato un peccato mancare.

“Andiamo ragazzi! Cosa volete che succeda? Secondo me si tratta di una festa in costume e vale la pena farci una capatina!” disse Shinobu tutta galvanizzata

“Anche se fosse, non abbiamo i costumi adatti…a meno che…” Sayuri rivolse uno sguardo molto esplicito a Kotaro, che dapprima trasalì e poi iniziò a scuotere la testa ripetutamente

“Non esiste cugina! Lo sa che non pratico più…quell’arte da tempo!”

“Coraggio, che c’è di male? In fondo hai ereditato tu tutto il talento di nonna per la sartoria…scommetto che non ti ci vorrebbe nulla a ricavarci qualche costume! Senza contare che in soffitta potremmo trovare dell’ottimo materiale di partenza!” cercò di convincerlo Sayuri, ma il cugino sembrava molto risoluto

“Non se ne parla! Ho detto che non voglio! Non è un’attività che si addice a un ragazzo e…”

“Non preoccuparti Sayuri, evidentemente Kotaro non è in grado di farcela con così poco preavviso…troveremo un’altra soluzione!” buttò lì Kijo con nonchalance, al che Kotaro non riuscì a esimersi

“Che io sia dannato se per stasera non avrete tutti un costume! Saranno sicuramente i migliori costumi che abbiate mai indossato! Adesso mangiamoci questo maledetto gelato e poi torniamo a casa, che ho dei capolavori da creare!”
 
Ranma non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione strana che provava da quando aveva messo piede in quel paese: i suoi sensi da artista marziale lo tenevano costantemente in allarme, suggerendogli che quella situazione celava qualcosa di poco chiaro. Trovava veramente incosciente come tutti gli altri fossero stati disposti a mettere da parte le loro perplessità solo per pregustare una serata di festa. O magari era lui ad essere troppo rigido al riguardo…? No, non poteva mettersi a questionare il suo istinto, che tante volte lo aveva salvato in passato, proprio in quel momento: doveva tenere gli occhi aperti anche per quegli sconsiderati dei suoi amici.
Come entrarono nel bar, facendo tintinnare lo scacciaspiriti appeso alla porta, tutti i presenti si girarono verso di loro e rivolsero un’occhiataccia sospetta nella loro direzione. Il barista, con fare mellifluo, li accolse domandando
“Buonasera gentili avventori, che cosa posso mescervi?”

“Vorremmo dei gelati…possiamo sceglierli dal frigo?” chiese titubante Sayuri guardandosi attorno

“Dei gelati espressi? Questa è bella! Se volete posso prepararvi dei kakigori, ma devo vedere se mi è rimasto abbastanza ghiaccio…” così dicendo estrasse da sotto il bancone un blocco di ghiaccio e lo appoggiò sulla superficie da lavoro, iniziando a limarlo con una specie di grattugia per raccoglierne le scaglie in un bicchiere.
“Potete scegliere tra mango, menta, ciliegia o caramello per il gusto” dichiarò il barista, continuando a grattare il ghiaccio. Nel frattempo tutti i clienti li osservavano con rapide occhiate furtive.

“Si svolgerà qui la festa a tema questa sera?” domandò cordialmente Yuka, sorridendo

“Festa a tema? Pfui…non ho mai adibito il mio locale per certe buffonate! Spiacente di deludervi signorina, ma probabilmente avete frainteso.” rispose l’uomo, porgendo i bicchieri di ghiaccio sormontati dagli sciroppi ai ragazzi.

Yuka assunse un’espressione perplessa, ma il commento a bassa voce di Ataru servì in qualche modo a tranquillizzarla
Ehi, se è una festa esclusiva non può mica ammetterlo esplicitamente…noi siamo stati invitati dal tizio con l’impermeabile, ma probabilmente la maggior parte della gente qui non ne sa nulla

“Una deduzione invero brillante, Ataru: te ne sono grata giacché me ne hai posto a conoscenza” rispose la ragazza, turbata in prima persona dalle parole che le erano appena uscite di bocca

“Mi sono assai stupito, allorquando ti ho udita far uso di un linguaggio sì vetusto…ma mi ritrovo ancor più basito imperocché io stesso vi sto indulgendo!” proruppe Hiroshi, non comprendendo l’origine di quello strano fenomeno

“Caspiterina sodali! Che fattucchieria è mai codesta? Giammai io usai interiezioni quali caspiterina!” esclamò di rimando Kijo, sorpresa dalla piega inaspettata della conversazione

“Ho premura di recarmi alla magione acciocché possa dedicarmi alla cucitura…terminate immantinente i vostri sorbetti e non date peso a codeste stravaganze linguistiche: servirà a calarci meglio nell’atmosfera degli anni che furono, nevvero?” li sollecitò Kotaro trangugiando in un sol sorso ciò che rimaneva del proprio kakigori e lasciando delle monete sul bancone.

Ranma era rimasto zitto ad assistere a quello scambio di battute, temendo di essere nuovamente vittima di qualche intruglio dalle strane proprietà; tuttavia c’era qualcosa che non tornava poiché anche gli altri clienti, per non parlare della signora per strada, si esprimevano con termini antiquati: che senso avrebbe avuto poi una pozione del genere? No, c’era sicuramente qualcos’altro sotto e l’unica speranza di fare un po’ di luce su quel mistero era partecipare alla festa segreta. Si rese conto che avrebbe voluto condividere i suoi dubbi e le sue ipotesi con Kijo, che solitamente dimostrava buon senso e perspicacia nel risolvere i rompicapi, ma il ricordo degli avvenimenti di qualche giorno prima era sempre troppo vivido nella sua mente e nel suo corpo e ciò lo cementava al pavimento ogniqualvolta provava l’impulso di avvicinarlesi. A dirla tutta non sembrava che ella se la fosse presa più di tanto, ma considerando quanto fosse spudorata non c’era da sorprendersi: il vero miracolo sarebbe stato trovare il coraggio per affrontare tutta quella situazione e i sentimenti che tentavano di emergerne, ma per fortuna al momento non c’era né la possibilità né il tempo di soffermarcisi troppo a pensare. 

Appena usciti dal bar, Daisuke si rivolse a Hiroshi ponendogli una mano sulla spalla
“Mio caro contubernale, è da codesta mattina che ho proponimento di chiederti se puoi recarmi in prestito quel…non ricordo il lemma corretto…hai presente quel giuoco d’intrattenimento che appare su uno schermo a guisa del cinematografo? Ne acquistasti uno di recente, mi risulta”

“Rimembro ciò che intendi, ma non mi sovviene il vocabolo adeguato che lo descrive…Acciderbolina, poni attenzione! Quel velocipede stava per travolgerti!” sussultò Hiroshi spostando rapidamente l’amico per evitare che venisse investito da un ciclista che neppure si voltò a guardarli.

Dopo qualche passo Ranma non ce la fece più a trattenersi e prese impetuosamente la parola
“Ragazzi, ma vi rendete conto che sta accadendo qualcosa di strano o siete fuori di testa? Perché ve ne state fregando?”

“Andiamo, Ranma! Solo perché abbiamo snocciolato un paio di termini vecchi? Che sarà mai? Si vede ci siamo lasciati influenzare dallo spirito della festa” replicò Moroboshi, procedendo con la sua tipica andatura a gambe larghe e braccia alla base del collo

“E come puoi sentire la magia sembra già essersi dissolta” commentò Shinobu, facendo spallucce per minimizzare l’accaduto

“Videogioco! Ecco la parola che non mi veniva! Volevo chiederti se mi potevi prestare Shadow of the Ninja!” ripartì alla carica Daisuke e Hiroshi acconsentì, ridendo per come erano stati sciocchi a non ricordare una cosa tanto ovvia

Sai Saotome, credo anch’io che ci sia qualcosa di strano in tutta questa storia” gli sussurrò Kijo inaspettatamente all’orecchio, prendendolo a braccetto per mantenerlo nelle retrovie del gruppo

D-davvero?” chiese conferma lui, a disagio per quel contatto che lo aveva colto impreparato

Sì…però se gli effetti sono solo quelli di riportare in auge un lessico desueto per qualche ora, che male c’è? Basterà tenere gli occhi aperti, ma non mi sembra una ragione valida per boicottare una festa divertente” l’infrangersi del suo respiro contro il proprio orecchio aveva sviluppato in lui una rete di piccoli fremiti che gli resero annebbiato il cervello per qualche istante. Chiuse un attimo gli occhi e cercò di fare un profondo respiro per non soccombere al rossore che gli stava salendo imperterrito dal collo, poi li riaprì e se la ritrovò davanti che lo fissava, con un’espressione giocosa e serena come poche volte le aveva visto. Stava mantenendo ancora il contatto. Non riuscì ad obiettare più nulla.
 
“Sayuri, giuro che se non stai ferma ti uso come puntaspilli!” brontolò ad alta voce Kotaro mentre cercava di prendere l’orlo alla cugina. L’intera casa si era trasformata in pochi minuti in un atelier d’alta moda di cui Kotaro era il sovrano indiscusso. Come un singolare supereroe, faceva la spola dall’uno all’altro dei suoi amici, munito di metro attorno al collo, puntaspilli da braccio, ago, filo e ditale. Dalle maniche, neanche fosse un prestigiatore, estraeva scampoli di stoffa per confrontarla coi vari incarnati e decidere in pochi secondi il colore più adatto a ciascuno. Aveva fatto svuotare mezza soffitta per avere a disposizione i bauli pieni dei modelli confezionati dalla nonna, a cui molto probabilmente avrebbe potuto apportare le giuste modifiche per rendere eleganti e vintage i suoi amici. Con una rapidità sovrumana, Kotaro aveva pescato due o tre capi per ciascuno e li aveva letteralmente lanciati addosso ai destinatari, dando un inderogabile ordine di provarseli uno dopo l’altro.

“Ehm, scusa signor stilista…non trovi che quest’abito sia un po’ troppo corto?” cercò di attirare la sua attenzione Shinobu, avvolta da un vestitino color champagne a balze che arrivava a malapena a metà coscia

“Bazzecole, cara…con le gambe che ti ritrovi sarebbe un peccato mettere qualcosa di più lungo! Toh, prova questa fascetta con la piuma in testa, secondo me ti sta una favola…dopo passo a darti un punto dietro alle spalle” bofonchiò il ragazzo mentre, tre o quattro spilli tra le labbra, fissava con sveltezza una fusciacca attorno alla camicia di Hiroshi, il quale lanciò un’occhiata piena di perplessità a Kijo, in piedi accanto a lui e incredula a propria volta di quell’aspetto inaspettato di Kotaro

“Ikeda, non per disturbare il tuo genio all’opera, ma questi vestiti non mi entrano nemmeno se piango in turco…” prese la parola Kijo tenendosi con le mani dietro la schiena i due lembi del vestito scelto per lei che proprio non volevano saperne di avvicinarsi

“Non c’è bisogno di tirare in ballo gli ottomani, ora provo io a risolvere questo dramma…” sospirò Kotaro insofferente

“Toh, guarda! C’è Kijo mezza nuda! Se servono otto mani lascia che intanto due siano le mie!” planò nella stanza Ataru con fare famelico, ma inciampò sulla gamba che Ranma aveva casualmente teso proprio in quel momento e finì puntualmente addosso al martello di legno che Shinobu era riuscita a tirar fuori dalla sua minuscola pochette di perline

“Ecco, mi ci mancava la modella cicciona! Kijo, con questa…cassa toracica così larga mi stupisce che tu non faccia la cantante lirica! Per non parlare di queste spalle da uomo…” confabulava a voce alta Kotaro, spostando freneticamente il metro per prenderle le misure

“Ok, ho capito…sono un tenore mancato! Ma questo non mi aiuterà ad entrare alla festa. Devo forse mettermi lo smoking?” gli rispose Kijo, leggermente indispettita.

Lo stilista si fermò un attimo e fu come se la vedesse per la prima volta: con indici e pollici a formare una cornice la squadrò per qualche secondo, poi scosse la testa e commentò
“Per un attimo non mi è sembrata un’idea così assurda vestirti da uomo, non so perché ma credo che quel tipo di look ti donerebbe. Tuttavia prima proverò a fare un ulteriore tentativo per creare un abito decente da donna corpulenta”
Kotaro rovistò ancora un po’ nei bauli e poi prese un enorme abito color salmone che le lanciò. Anche solo tenerlo in mano risultava decisamente pesante.
“Questo è stato fatto per una lottatrice di sumo, forse riesci a entrarci…in alternativa c’è sempre lo smoking” ghignava Ikeda, mentre Kijo stava con difficoltà cercando di calmare la vena che pulsava sempre più accelerata sulla sua tempia. Sayuri rivolse al cugino uno sguardo ammonitore, mentre Yuka mise una mano sulla spalla di Kijo, come a darle conforto.

“Beh, grazie di averci provato, almeno…certe sfide sono troppo grosse anche per uno stilista dotato come te!” replicò Kijo in tono calmo, indicando la propria silhouette e prendendo uno dei frac messi a disposizione per provarselo “In fondo sarà divertente vestire i panni di un uomo, per una volta!” commentò infine, uscendo dalla stanza

“Kotaro, sei un maleducato! Che ti dice quel cervello di cui ti vanti tanto?” sbottò Sayuri al cugino

“In effetti sei stato proprio antipatico…” confermò Yuka

“C’era bisogno di ferirla così tanto? Ti senti appagato adesso?” concluse Shinobu e assieme alle altre due ragazze si recò nella stanza di Kijo, senza attendere una risposta. 
 
Dopo una frugale cena, i ragazzi corsero a prepararsi per la seconda parte della serata: nonostante avessero cominciato per tempo, si trovarono pronti solo pochi minuti prima delle undici. La zia, venuta a controllarli, insistette per far loro una foto da tanto che erano belli a suo avviso. Estrasse una polaroid dalla borsetta e scattò un paio di volte, soddisfatta del risultato: tutti sfoggiavano con autocompiacimento i propri eleganti abiti che cadevano loro a pennello, tranne la ragazza italiana che aveva insistito per rimanere intabarrata nel suo cappotto nero lungo fino ai piedi; chissà, forse era talmente pudica da vergognarsi ad indossare una gonna un po’ più corta…
 
Una volta arrivati nei pressi del bar si resero conto che gli organizzatori della festa avevano davvero ricreato un ambiente realistico: numerose comparse sostavano per la strada come ambulanti truffaldini che proponevano ai passanti giochi a scommessa come quello della moneta sotto i tre bicchieri o della carta da gioco indovinata; poco distante un uomo dagli abiti sdruciti girava la manovella di un grammofono e come la musica iniziò a fuoriuscire dall’imbuto di ottone una piccola scimmietta cominciò a ballare a tempo, indicando periodicamente il cappello rovesciato per le offerte; in un vicolo laterale un camioncino assai malmesso era scaricato da un paio di tipi loschi che si guardavano attorno con aria circospetta prima di scaricare le casse di legno che conteneva; una giovane donna che fumava una sigaretta col bocchino e che aveva esagerato col belletto sulle guance si avvicinò ancheggiando a Ranma offrendo la sua compagnia per un modesto prezzo.
Il ragazzo rimase alquanto interdetto da tutto quell’ardimento e cominciò a farfugliare scuse incomprensibili, aumentando l’audacia della signorina che gli si era abbarbicata al braccio. All’orecchio gli arrivavano le risate neppure troppo velate di Daisuke e Hiroshi, gli incitamenti di Ataru e le minacce di Sayuri di raccontare ad Akane il suo comportamento depravato e ciò contribuiva a innervosirlo ancora di più. Finché non posò gli occhi su Kijo. Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato non stava facendo battute cretine sulla situazione e non manifestava alcun segno di quella fantomatica gelosia che una volta gli aveva confessato di provare…certo che era passato quasi un mese da allora e di cose ne erano successe, senza che riuscissero mai a tornare sull’argomento; anzi, addirittura si erano aggiunte incomprensioni su incomprensioni. Ma in quel momento lo stava guardando e basta: non sembrava arrabbiata, né delusa, né amareggiata ma solo…curiosa, in attesa di sapere come avrebbe gestito la situazione. Quella sorta di fiducia inespressa gli rese chiaro il comportamento che voleva tenere e lo spronò ad essere all’altezza delle sue aspettative.
“Sono spiacente, signorina, ho già sufficiente compagnia per codesta serata” le si rivolse Ranma sciogliendosi gentilmente ma con fermezza da quella stretta. Dopo averle accennato un inchino, tornò dal gruppo di amici e si diressero verso l’entrata.
 
“Sayuri, avrei invero molto piacere se potessi farmi avere un esemplare personale del dagherrotipo creato da tua zia, acciocché possa conservarlo a guisa di ricordo” disse Kijo all’amica mentre le teneva aperta la porta per farla entrare nel bar. Il proprietario mal celò un sospiro scocciato vedendoli ricomparire e chiese loro sgarbatamente cosa volessero.

Non rilevo alcuna atmosfera festosa, concordate?” sussurrò Ataru agli altri, facendo cenno di guardarsi intorno: in effetti vi erano pochi avventori, di cui tre riversi sui tavolini dopo aver svuotato le rispettive bottiglie di liquore. Non c’erano accenni di musica, né di decorazioni, né altro che facesse presagire alcun tipo di divertimento in atto.

Ho letto che gli speakeasy spesso erano situati nelle cantine o in locali nascosti adiacenti a quello principale, per mantenerne la segretezza e rendere la fuga più agevole in caso di intervento delle forze dell’ordine; inoltre il misterioso figuro che ci ha reso edotti della questione ha parlato di retro del bar!” spiegò Shinobu, mentre cercava di cogliere qualsiasi indizio potesse indirizzarli alla festa. L’unica particolarità che notò fu una signora con una vistosa stola di visone, assai coraggiosa data la stagione, che spariva dietro una tenda. Pensò che si fosse recata alla toilette, ma per tutto il tempo che se ne stettero a rimuginare davanti al bancone non la vide più uscire.
“Perdonatemi, la toilette è da quella parte?” domandò quindi al barista, il quale sbuffò

“Sì, ma avete fatto tutta questa strada per usare la latrina? Vedete di spicciarvi, che tra non molto è orario di chiusura!”

Non mi stupefà affatto che non abbia molti clienti, se li tratta a codesta maniera” commentò Hiroshi, accompagnando Shinobu che aveva fatto loro cenno di seguirla.
Dietro la tenda vi erano solo due porte, una di fianco all’altra: dalla prima emanava un odore nauseabondo e l’etichetta mezza cancellata lasciava intendere che fosse il bagno tanto decantato; sulla seconda una targhetta di metallo recava la scritta «STORAGE», pertanto doveva essere il magazzino.

“Beh, che s’ha da far? Bussiamo?” propose Ataru, impaziente, cominciando a colpire la porta senza attendere una risposta degli altri.

La porta si socchiuse e una ventata di profumo e di note musicali ritmate arrivò ai ragazzi che aspettavano dall’altra parte; un uomo sulla quarantina, con sottili baffetti curatissimi e capelli scuri riccioluti si affacciò appena, domandando
“Desiderate?”

Ataru, che era il frontman della situazione, ammise genuinamente di voler entrare alla festa e quello gli chiuse la porta in faccia.
“Che vile fellone! Un’usanza assai maleducata, vi pare?” si lamentava il ragazzo tenendosi il naso che era appena stato schiacciato

“Forse è quel tipo di evento in cui si privilegia la presenza donnesca…mi accingo a bussare io, magari stavolta ci faranno accomodare” ipotizzò Sayuri e si buttò i capelli all’indietro, quel tanto che la fascia con la piuma le consentiva, per rimarcare il suo fascino femminile.

Colpì delicatamente la porta con la mano guantata ed il solito uomo fece nuovamente capolino
“Desiderate?” chiese con un sorrisetto furbo stampato in volto

“Ehm, le mie giovani amiche ed io vorremmo partecipare a questa celebrazione sì rinomata ed elegant-” cercò di circuirlo la ragazza, giocherellando con una ciocca di capelli, ma quello le richiuse la porta in faccia, sebbene con meno veemenza rispetto a prima

“Appare chiaro che maschio o femmina non costituisca differenza alcuna, dev’esservi una diversa modalità di accesso” constatò Kijo, accarezzandosi il mento meditabonda

“Daisuke, hai con te il biglietto che ti dette l’uomo per strada? Forse è richiesto mostrarlo a mo’ d’invito” propose Ranma lisciandosi la manica dello smoking

“Geniale! Serve una parola d’ordine per entrare al fine di evitare infiltrati!” fu pervasa dall’entusiasmo Kijo, certa che il ragazzo avesse trovato il bandolo della matassa

“In realtà non l’ho con me, ma rimembro che vi era scritto «08/16 Clara Bow», se può essere utile” confessò Daisuke stringendosi nelle spalle.

Kotaro, che era stato in silenzio per tutto il tempo, ruppe gli indugi e bussò nuovamente alla porta, facendo affacciare ancora una volta l’uomo coi baffetti
“08/16 Clara Bow” scandì con lentezza e l’addetto alla selezione sorrise a trentadue denti

“Benvenuti alla soirée del sedici agosto dell’unico inimitabile Storage Cafè! Cominciavo a temere di dover lasciar fuori queste meravigliose signorine…sarebbe stato un vero peccato!” commentò l’uomo spostandosi per farli entrare, poi continuò “Ricordate, festeggiate questa sera come se fosse l’ultima!”

Un giovane valletto si avvicinò subito a loro per prendere i soprabiti e per poco a Ranma non prese un colpo apoplettico; del frac dismesso che Kijo aveva accettato di indossare era rimasto ben poco: i pantaloni erano stati ridotti a due pantaloncini ben sopra il ginocchio in cui la giovane aveva infilato la camicia bianca, privata delle maniche, strettita in vita e portata alquanto sbottonata! Il papillon circondava il collo nudo mentre la giacca con le due punte posteriori era portata con un solo bottone chiuso, per evidenziare ulteriormente il punto-vita. Quella ragazza lo avrebbe fatto morire un giorno o l’altro! Ovunque si girasse sembrava che tutti stessero guardando lei e il suo abbigliamento procace ma lei pareva totalmente incurante di ciò!

Venne riscosso dai suoi pensieri dal commento risentito di Kotaro, il quale sindacava
“Ehi! Ma non è giusto! Non è questo l’abito che ti imprestai!”

“Ti assicuro che è proprio questo, abilmente confezionato dalle sapienti mani di Yuka su bozzetto di Sayuri…sono veramente brave, dovresti farti insegnare qualche trucchetto, Ikeda!” replicò Kijo facendogli un occhiolino, gesto che lo mandò ancor più in bestia

“Direi che possiamo ritenerci paghe del risultato, nevvero Zee?” le diede di gomito Yuka, mentre sui volti dei ragazzi si delineavano dei grossi punti interrogativi

“Hai un nuovo epiteto, Kijuccia?” le chiese Ataru circondandole le spalle col braccio, atto che gli costò un violento scappellotto da parte di Shinobu

“La prendiamo bonariamente in giro perché presi ispirazione dalla prestigiatrice Zatanna per ideare codesto capo” ridacchiò Sayuri.

Tutt’a un tratto un ometto gracilino di mezz’età apparve dal nulla, schiaffò una cassetta piena di sigari e sigarette tra le braccia di Kijo e gliela fissò con una fascia rossa attorno al collo
“Tesoro, dov’eri finita? È più di mezz’ora che ti aspettiamo, non vorrai far infuriare il direttore, no? Coraggio, datti da fare a girare tra i tavoli che se ti daranno buone mance potremo chiudere un occhio sul ritardo!”

“Scusate, credo che ci sia un malint-” provò a spiegarsi Kijo, ma quello era sordo ad ogni sua rimostranza e l’aveva già spinta in mezzo alla folla

“Vai, vai! Zatanna, giusto? Piazza qualche colpo fortunato e ricordati di sorridere sempre! Ci vediamo a fine serata per il compenso!” così dicendo il tipo le allungò una pacca sul sedere e sparì magicamente tra la folla.

A Kijo servì qualche secondo per elaborare il tutto ed evidentemente fu qualche secondo di troppo, giacché come si decise a fare un passo nella direzione in cui si era dileguato l’uomo per dirgliene quattro venne subito accerchiata da una folla di avventori che attingevano a piene mani dalla cassetta che aveva addosso, lasciandole monetine o banconote sul fondo della stessa

“Io voglio una stecca!”

“Per me due, signorina”

“Cinque sigari, grazie!”

Da non fumatrice qual era trovava difficile distinguere tra i vari tipi di tabacchi che aveva: per fortuna i clienti sembravano così abituati da scegliere in autonomia il loro prodotto preferito…ehi, ma in fondo a lei cosa importava? Mica lavorava davvero lì! Tutta quella situazione inaspettata l’aveva colta alla sprovvista, ma non appena avesse avuto uno spiraglio dove passare sarebbe andata dritta in direzione a spiegare l’equivoco e a portare quei dollari…DOLLARI? La stavano pagando in dollari americani? All’anima della cura dei dettagli!
Come la folla scemò, controllando ancora una volta i soldi che aveva racimolato, cercò con lo sguardo dapprima i suoi amici, che non riuscì a scorgere, e poi un’indicazione che la portasse in direzione. Mentre vagava rapidamente con lo sguardo da una parte all’altra del locale, che era strapieno di gente, chiassoso e assai allegro, non si accorse di andare a sbattere contro un ragazzo che doveva avere all’incirca la sua età, ma era impomatato e ingessato in un completo gessato per cui sembrava volutamente più adulto
“Ehi pupa, è una nuova tecnica di vendita buttarsi addosso ai clienti? Mi sa che mi hai convinto, ti prendo mezza stecca!” gli sorrise il tipo, appoggiandosi al bancone del bar

“Scusate, sapreste dirmi dove è situata la direzione?”

“E così vorresti sapere la direzione della direzione eh?” ridacchiò quello e Kijo non potè far a meno di ridere a sua volta dato che quella battuta era perfettamente nel suo stile

“Esatto, mattacchione! Puoi venirmi in aiuto?”

“Ti piacciono i giochi di parole eh? Bene bene…Beh, non so se posso aiutarti, ma tu sicuramente puoi aiutare me…vuoi una sigaretta?” le offrì una di quelle che le aveva appena comprato e lei scosse la testa, ridendo

“Che fai, adesso mi rubi le battute?” disse Kijo con un sopracciglio alzato, guardando eloquentemente la cassetta che teneva ancora a tracolla, poi continuò “Comunque non ho l’usanza di fumare, grazie!”

“Giustamente, è molto più sicuro avere una venditrice di sigarette che non fuma. Lascia almeno che ti offra da bere…Qual è il tuo nome? Ops, perdona le mie povere maniere, non mi sono presentato per primo: io sono Gardner! E non dirmi che non bevi neppure perché non esistono più ragazze tanto morigerate agli albori degli anni Trenta!” le tese la mano il ragazzo

“Piacere Gardner, io sono…Zatanna! Vorrei tanto intrattenermi con te ma, vedi, devo rifornire il mio repertorio e per questo devo trovare la direzione…per il drink, come se avessi accettato, ma non posso bere sul lavoro!” gli fece un occhiolino Kijo e fece per andarsene

“Zatanna eh…lo terrò a mente! Ehi, ti lascio il mio numero, se vuoi chiamarmi a fine turno non fare complimenti!” così dicendo il ragazzo scribacchiò qualcosa su di un sottobicchiere e lo infilò nella tasca della giacca di Kijo, le fece un baciamano e tornò a cercare di attirare l’attenzione del barista per avere la propria bevuta.

Agli albori degli anni Trenta. Certo che tutti gli invitati si erano calati assai profondamente nel contesto! Mentre camminava alla ricerca della direzione il suo sguardo cadde su un giornale abbandonato su un panchetto: la data recitava 16 Agosto 1929. Caspiterina! Sembrava stampato quel giorno stesso…chissà come avevano fatto a trovare delle copie così antiche per ristamparle, a più di sessant’anni di distanza! Si fermò un attimo per assaporare quell’atmosfera ricreata: ovunque posava gli occhi era un baluginio di sorrisi, uno scintillio di luci e una profusione di musica vibrante di allegria; una band sul palco stava intrattenendo con uno swing i ballerini che si scatenavano in pista e l’enfasi che mettevano nel suonare la tromba, la tuba, i tromboni, il piano, il banjo, i tamburi era veramente contagiosa, tanto che Kijo si ritrovò involontariamente a muovere le spalle e i piedi a ritmo. Era tutto così glamour, così elegante…perfino il tintinnio dei bicchieri di champagne che scorreva senza limiti, alleggerendo ancor più quello spirito generale bramoso di frivolezza.

Dove diamine era finita? Da quando quell’ometto l’aveva data in pasto alla folla smaniosa di accaparrarsi il materiale da fumo non era più riuscito a rintracciarla. Era dannatamente difficile muoversi in tutto quel casino di gente che ballettava, parlottava e ridacchiava come se non avesse un problema al mondo e nonostante il suo abbigliamento assai…particolare, non era affatto facile scorgerla. Possibile che quella benedetta ragazza si cacciasse sempre in situazioni equivoche? Perché per una volta il fato non metteva sulla sua strada una di quelle ragazze pacate e morigerate tipo Yuka, Sayuri o le sue compagne di scuo-… Non riuscì neppure a terminare quel pensiero senza che si rendesse conto di quanto fosse assurdo: l’unico da biasimare era egli stesso, non certo il fato!
Come se non bastasse, doveva far attenzione ad ogni passo a respingere delicatamente le avances di uno stuolo di signore discinte che, senza pudicizia alcuna, tentavano di abbrancarlo come polpi per convincerlo a ballare. Ma in che razza di manicomio si trovava?

La strenua ricerca della direzione l’aveva portata, decisamente fuori strada, dietro le quinte del palcoscenico: era tutto tranquillo e silenzioso, giacché spettacoli in programma al momento non ce n’erano, così Kijo si mise a controllare le targhette di quelli che dovevano essere i camerini degli artisti sperando che qualcuno celasse la direzione. La sua attenzione fu però ben presto catturata da uno stand appendiabiti lunghissimo, su cui erano stati posti dei modelli retrò veramente favolosi! Come posò gli occhi su un abitino rosso e nero tempestato di perline che disegnavano motivi geometrici non resistette alla tentazione di indossarlo. Oltretutto se si fosse messa un altro vestito avrebbe evitato tutti quei fraintendimenti che il modello creato da Yuka e Sayuri le aveva procurato. Agganciò l’ultimo bottone sul retro, non senza difficoltà e sentendosi una contorsionista e poi si rimirò nello specchio: beh, senza dubbio era piuttosto corto, dopotutto usava così, ma almeno la taglia era decente!

“Ehi Kijo, ove ti eri smarrita? Errammo incessantemente per l’intero locale al fine di rinvenirti!” la sorprese Yuka da dietro le spalle e vedendola commentò “Oh, che bel capo di vestiario che porti! Non è affatto dissimile dal mio, eccettuate le perline!”

“Concordo in pieno! Mancai di far caso alla somiglianza quando lo misi, ma adesso che mi ci fai porre attenzione non posso che confermare la tua constatazione” sorrise Kijo confrontando i due costumi.

Mentre se ne stavano lì a ridacchiare del niente, arrivò all’improvviso, come una mandria di rinoceronti, un gruppo di donne con gli abiti coordinati e le travolse costringendole a spostarsi nella loro direzione
“Che fate ancora lì imbambolate! Tra trenta secondi siamo in scena! Prendete il vostro posto!” intimò loro quella che sembrava la leader del gruppo, che infatti si posizionò in prima fila sul palco

“Ehm, signorina, noi non saremm-” provò nuovamente a spiegare l’ennesimo equivoco Kijo, naturalmente inascoltata. I secondi seguenti furono piuttosto frenetici: il sipario si sollevò e vennero investite da delle luci talmente forti da impedire quasi di vedere alcunché; una voce maschile gridò “CHARLESTON!” e l’orchestra cominciò a suonare; tutto il corpo di ballo cominciò a muoversi con coordinazione, tranne Yuka e Kijo che rimasero sul fondo interdette.

“Per la miseria, muovete quelle gambe!” le minacciò la donna di prima: sebbene sorridesse la sua espressione era terrificante, per cui le due ragazze provarono ad accennare qualche passo

“Vediamo se una volta nella vita le lezioni che appresi di tip-tap mi saranno utili” commentò Yuka in preda ad una ridarella nervosa: tutto sommato aveva trovato una buona cadenza ed in mezzo a tutto quello sgambettare non si notava troppo che stava ballando un’altra cosa. Kijo invece aveva provato a imitare i passi delle ballerine, ma ovviamente si ritrovava sempre in ritardo rispetto a loro: decise dunque di improvvisare seguendo il ritmo, sempre ben attenta a rimanere sullo sfondo.
Non fu però abbastanza per evitare che Ranma la scorgesse. E si mettesse a fissarla. Con una goccia talmente grande sulla testa che avrebbe potuto dissetare l’intero locale.
Beh, ormai era in ballo, letteralmente, e doveva ballare. Tutto sommato si stava pure divertendo, le piaceva la musica, le piaceva l’atmosfera e non le importava minimamente se di fronte ad una folla di sconosciuti stava azzardando qualche passo fuori sincrono: chi li avrebbe più rivisti, in fondo!
Yuka, dal canto suo, si era esaltata ancora di più, tanto da irrompere prepotentemente in prima fila, tra lo sconcerto e le occhiatacce delle altre ballerine, ed eseguire un pezzo di tip-tap da solista. Fu davvero molto brava, osservò Kijo dalle retrovie, orgogliosa di come la sua amica fosse riuscita a sciogliersi e a trarre il massimo da quell’esperienza: nessuno l’avrebbe riconosciuta come la ragazzina timida e riservata che era di solito vedendola in quell’occasione e il sorriso che brillava sul suo volto era coinvolgente e bellissimo. Fu ripagata da un applauso scrosciante al termine dell’esibizione, al quale si inchinò grata, sudata e profondamente felice.

“Perdindirindina Yuka, hai creato faville su quel palcoscenico! I miei più sinceri complimenti, sei stata sensazionale!” la abbracciò Kijo mentre saltellavano dietro le quinte per smaltire l’adrenalina che ancora non aveva abbandonato i loro corpi

“Acciderbolina, dici davvero? Per tutte le scarpette da tip-tap, non so proprio cosa mi sia preso ma è stato fenomenale! Erano secoli che non mi divertivo così tanto!” esclamò Yuka ridendo senza riuscire a fermarsi.

Lo sguardo gelido della ballerina di punta l’aiutò in quel difficile compito.
“Che cosa credete di aver fatto, bamboline? Badate che a Nucky non piacerà affatto questo cambio di programma: è il suo numero preferito e voi glielo avete rovinato! Vado subito a parlare con Mister Darmody affinché vi licenzi e vi dia una lezione!”

Caspita! Era già la seconda volta che qualcuno minacciava di licenziarla quella sera…pensare che non lavorava nemmeno lì!
Concordarono con un cenno del capo che darsela a gambe sarebbe stata la soluzione migliore, per cui Kijo arraffò con una mano il suo frac modificato, con l’altra il braccio di Yuka e fuggirono leste mimetizzandosi tra la folla. Prodigandosi in innumerevoli scuse e richieste di perdono per le persone che investivano continuando la loro corsa a rotta di collo, finirono poi addosso a Ranma, che interruppe la loro fuga pretendendo delle spiegazioni: aleggiava un’espressione perplessa sul suo volto, la stessa che manifestava solitamente di fronte ad un test molto difficile.
“Invero ti fornirò tutte le delucidazioni che mi richiedi, ma adesso dobbiamo allontanarci dal palcoscenico acciocché la nostra bravata non abbia spiacevoli risvolti” disse Kijo e, seppur con uno sbuffo, lui le condusse al tavolo che avevano occupato gli altri.

Kotaro rideva sguaiatamente cercando di versare in un bicchiere l’esiguo contenuto di una bottiglia ormai svuotata mentre Hiroshi, che notoriamente non reggeva l’alcool, si era addormentato con la testa riversa sulla pregiata tovaglia bianca che ricopriva il tavolo. Sayuri e Shinobu stavano facendo tintinnare un calice di champagne con Daisuke e accolsero gli altri con gridolini di benvenuto, mentre Ataru svolazzava da una signora all’altra per ottenere un po’ di confidenza.

“Ce l’avete fatta finalmente! Dobbiamo brindare per festeggiare!” esclamò Shinobu biascicando un po’ le parole. In quel momento si avvicinò loro un uomo elegante munito di una macchina fotografica vecchio stile; domandò loro di posare il tempo necessario a scattare l’istantanea, tempo che si rivelò molto più lungo del previsto: dapprima sistemò l’arnese sul cavalletto, poi cosparse di polvere una specie di torcia e si nascose sotto una tendina scura, posizionando l’obiettivo; successivamente diede fuoco alla polvere di magnesio col risultato che tutti rimasero abbagliati e storditi dal flash, quindi ringraziò e se ne andò, così come era venuto.

“Sodali, ma quanto alcool avete trangugiato?” domandò Kijo dopo che aveva smesso di vedere brillantini davanti agli occhi, ponendo attenzione allo stato in cui versavano. E ai bicchieri che si versavano. Per tutta risposta ottenne una risata generale e un nuovo invito a bere, di fronte a cui non si tirò indietro: in fondo se si fosse seduta al tavolo sarebbe passata più inosservata. Le mescerono un bicchiere di liquido ambrato, mentre Yuka rifiutava il proprio per verificare le condizioni di Hiroshi; non appena bevve il primo sorso la subitanea reazione fu quella di sputare tutto, ma riuscì in qualche modo a trattenersi.
“Questo whisky, se così possiamo definirlo, è terribile! E soprattutto è decisamente annacquato!” commentò facendo delle boccacce per il disgusto

“Che cosa pretendi, pupa? Con la proibizione nella vendita di alcolici i gentiluomini si arrangiano come possono…vedi di essere grata per un goccetto ogni tanto invece!” replicò Kotaro, evidentemente molto assorbito da quel contesto

“Il tuo ragionamento fila liscio, contrariamente a questo liquore…sono rammaricata, ma non riesco a berlo! Piuttosto, Saotome, perché non discutiamo in pista delle nostre questioni, sulle note del Lindy Hop che hanno appena cominciato a suonare?” Kijo si voltò verso il codinato con sguardo ammiccante, accennando alla fiumana di gente che si stava riversando al centro della sala

“Seriamente? Non hai forse ballato a sufficienza per questa serata?” provò a instillarle un po’ di giudizio, inutilmente

“Giammai! Quando mi ricapiterà un’occasione sì speciale di vivere un evento del genere? Io vado comunque, se preferisci puoi rimanere a sedere al tavolo…” replicò Kijo, restando ferma nel proprio intento

“Suvvia Ranma, che cosa ti costa? Dimostra un po’ di buona creanza e asseconda il desiderio della signorina di ballare!” Yuka, facendo un rapido occhiolino a Kijo, s’intromise a suo favore e mise il ragazzo in una posizione ancora più scomoda per poter esplicitare un rifiuto

“E sia! Però dopo questo pezzo strumentale torniamo con calm-” Ranma non fece in tempo a concludere le sue condizioni che la ragazza, al settimo cielo per averla spuntata, lo aveva già preso per il braccio e trascinato in pista. Era davvero molto difficile non lasciarsi coinvolgere da quel ritmo cadenzato che aleggiava nell’aria: sembrava quasi di respirare la musica, come se fosse un fluido magico che spandendosi nel corpo provocava il movimento involontario della muscolatura.

We're all alone, no chaperone
Can get our number
The world's in slumber
Let's misbehave!!!

There's something wild about you child
That's so contagious
Let's be outrageous
Let's misbehave!!!


Dopo aver inavvertitamente sollevato la gonna di una signora durante un passo all’indietro che richiedeva un ampio movimento di braccio, Ranma si prodigò in una lunga serie di scuse tanto ricolme di vergogna quanto inutili: la donna in questione sembrava quasi non essersene accorta e lo liquidò con una grassa risata, senza smettere di ballare.
“Perdincibacco, quaggiù le donne sono quasi peggio di te!” commentò Ranma rivolto a Kijo che se la rideva di gusto per la scenetta

“Tsk, così apprenderai la lezione e ti renderai conto di quanto siano ridicoli tutti gli appellativi che mi riservi!” la ragazza arricciò le labbra e incrociò le braccia, mostrandosi ostentatamente offesa, tuttavia continuava a sgambettare a ritmo

It's getting late and while I wait
My poor heart aches on
Why keep the brakes on?
Let's misbehave!!!

I feel quite sure un peu d'amour
Would be attractive
While we're still active,
Let's misbehave!

You know my heart is true
And you say you for me care...
Somebody's sure to tell,
But what the hell do we care?


Ranma non cadde nella sua trappola, sapeva bene che stava solo fingendo, per cui non le volle dare soddisfazione e anzi incalzò una domanda
“Non mi hai ancora spiegato la ragione della tua ostinata sfuggevolezza di stasera…che c’è, i tuoi soliti amici non erano un intrattenimento sufficiente rispetto agli altri avventori del locale?”

Lei sciolse l’auto-abbraccio dietro cui si era trincerata ed assunse un’espressione furba e allusiva, mal celando volutamente un sorrisetto. Benissimo, se quelle erano le premesse sarebbe stata pronta a seguirle!
“Oh, davvero? E perché allora non dibattiamo della tua sfuggevolezza degli scorsi giorni? Credevo che ignorare l’elefante nella stanza ti avrebbe aiutato a superare l’accaduto, ma evidentemente non è così, per cui reputo opportuno un confronto in merito”

Non era vero! Non poteva averlo detto! Non con quella noncuranza dal retrogusto di sfida! Come poteva anche solo pensare di parlare apertamente di…insomma, quello! Possibile che quel disgraziato del suo amico non l’avesse saputa consigliare meno sconsideratamente? Oppure era lei che lo aveva ignorato? Oh Kami, temeva quel momento da quando era tornato in sé…ma non era neppure riuscito a scongiurarlo in alcun modo dimenticando l’accaduto e tornando ad un rapporto normale con Kijo. Normale. Con Kijo. Certo. Che diamine doveva fare? Lei era lì che lo fissava con quegli occhi da volpe travestita da cerbiatta e non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Per la miseria, si era addirittura avvicinata e lo stava abbracciando! Che caspita stava succedendo? Ah, la musica…era cambiato ritmo!

“Perdonami Saotome se mi stringo a te al fine di non essere riconoscibile, ma non vorrei incorrere nella penitenza degli scagnozzi che mi stanno cercando, giacché ne ho appena scorto uno correre in questa direzione…Comunque prego, esprimiti pure con parole tue…” si giustificò, così ostentatamente falsa da risultare impossibile da contraddire

“Ehm, beh, g-giusto, la prudenza prima di tutto” balbettò lui cercando di non badare alla sensazione delle sue braccia che lo stringevano, della sua testa sulla propria spalla, del suo respiro che gli solleticava il collo, del suo profumo che gli irretiva le narici. Maledizione, era la prima volta che sussisteva un contatto così ravvicinato tra loro due da quando…
Le immagini che tanto alacremente aveva cercato di dimenticare si ripresentarono alla sua mente come un fiume che prorompe dagli argini. Accidenti, non era quello il momento era…del tutto sconveniente…era inappropriato…
La sua mano si mosse sulla schiena di Kijo per attirarla ulteriormente a sé e lei sollevò la testa per guardarlo dritto negli occhi.
Era troppo vicina…era…cosa avrebbe pensato di lui? Non voleva passare nuovamente per maniaco, non aveva neppure una pozione da incolpare in quel momento! Eppure…Non riusciva a rompere quel contatto, a distogliersi da quello sguardo così magnetico che sembrava una…
“SIRENA! Ranma, dobbiamo scappare, ci sarà una retata!” urlò Kijo frantumando tutte le sue fantasie come un castello di cristallo. Nel locale impazzava una sirena d’allarme e tutti gli avventori si stavano dileguando a corsa verso le uscite al grido di “Accorruomo!”, mentre dei tizi in tenuta vintage da poliziotti agitavano manganelli intimando l’alt. Dei signori che avevano improvvisato una bisca di poker si affrettavano a radunare le proprie fiches nelle tasche, nelle gonne e nelle borse, per non invalidare la fortuna che avevano accumulato quella sera.
Recuperarono al volo le loro cose e i loro amici, tutti assai ebbri e galvanizzati da quella trovata così divertente: proprio una ciliegina sulla torta per una festa del genere!

Passare nuovamente dalla porta del magazzino da cui erano entrati in precedenza fu come ritornare bruscamente alla realtà: li aspettava il solito locale dalla dubbia igiene, scarsamente illuminato e gestito dal barista scorbutico che avevano lasciato. Non mancò di rivolgere loro un’ulteriore frecciatina prima di invitarli definitivamente ad andarsene
“Ehi, ce ne avete messo di tempo a usare il bagno! Forza, dieci minuti sono passati, smammate che devo chiudere!”
Quelli tra loro che riuscivano ancora ad attribuire un senso alle parole, ovvero Ranma, Yuka e Kijo, si lanciarono uno sguardo interrogativo: com’era possibile che fossero passati solo dieci minuti? Eppure anche il grande orologio dietro il bancone non sembrava smentire il proprietario, dato che segnava appena le undici e mezza.
Uscirono per strada per evitare ulteriori improperi da parte del barista e si trovarono di fronte alla desolazione più estrema: non c’era anima viva, erano scomparsi tutti coloro che fino a, quanto pareva, pochi minuti prima stazionavano nei pressi del locale. Furono investiti da quell’inquietudine che si attanaglia serpeggiando alle viscere di fronte a fenomeni inesplicabili e fu allora che scorsero un’ombra in un vicolo che li osservava. Sebbene si celasse nell’oscurità, aveva un’aria conosciuta e prima di sparire del tutto sembrò loro che sorridesse. Ranma si lanciò al suo inseguimento, incurante delle richieste di restare delle due ragazze ancora coscienti: Yuka e Kijo cercavano per quanto possibile di tener a bada i loro compagni totalmente ubriachi che schiamazzavano e ridevano sguaiati in mezzo alla strada in precario equilibrio sulle proprie gambe.
La fulminea corsa di Ranma lo portò a scorgere e raggiungere l’uomo che tentava di sfuggirgli: altri non era che il tizio in impermeabile che li aveva informati della festa in prima battuta. Con un balzo felino gli fu addosso e lo atterrò, costringendolo ad affrontarlo
“Allora, si può sapere cosa sta succedendo?” gli domandò il codinato senza tante cerimonie, tenendolo per il bavero

“Amico calmati…i dettagli sfuggono anche a me! So solo che poco più di un mese fa mi trovavo al bar a bere con degli amici e dopo essere stato al gabinetto mi è venuto fatto di aprire la porta del magazzino perché mi sembrava di sentire della musica provenire da lì dentro…quello che ho visto lo sapete anche tu e i tuoi amici! Non so come sia possibile, ma è così!” cercò di spiegarsi l’uomo, visibilmente agitato. Il suo sguardo correva da una parte all’altra cercando di evitare quello di Ranma

“E per quale motivo ti dai da fare per spedire la gente in quel posto?” chiese poi il ragazzo, mantenendo salda la presa

“La prima volta che sono entrato ho incontrato Mister Darmody, il proprietario. È sembrato molto divertito dalla mia spiegazione sulla modalità in cui mi ero ritrovato in quel locale e mi ha offerto una provvigione se fossi riuscito a garantirgli un tot di ospiti ogni sera. Finora è sempre stato di parola e mi ha pagato dei bei dollaroni per il mio servizio” rispose quell’uomo, improvvisamente acquietato. Evidentemente si era reso conto che era inutile tentare di sfuggirgli.

“Era successo qualcosa di particolare quel giorno? Com’è possibile che il barista non si sia mai reso conto di quello strano passaggio?” lo incalzò Ranma

“Non saprei…ricordo solo che c’era stata un’eclissi solare, infatti ci fermammo al bar dopo averla vista, ma non credo abbia alcuna attinenza. Quanto al barista…” l’uomo si girò su se stesso con uno scatto, gettando della polvere in faccia a Ranma che fu costretto ad allentare la presa, poi sgusciò via come un’anguilla. Quando Ranma riuscì a riaprire gli occhi, che bruciavano terribilmente, si ritrovò completamente solo.
 
17 agosto
 
Ce la fece a raggiungere casa Ikeda in pochi minuti, maledicendo in cuor suo quel disgraziato che aveva tentato di accecarlo. L’indomani avrebbe setacciato il paese per lungo e per largo se fosse stato necessario, ma l’avrebbe ritrovato!
Una volta entrato nella sala gli si parò davanti agli occhi uno spettacolo a dir poco sconclusionato: sulle note di un successo dei Survivor, di cui non rammentava il nome, Kotaro stava tentando di emulare un Rocky Balboa decisamente fuori forma provando a saltare il metro da sarta come se fosse una corda da allenamento mentre dichiarava ripetutamente di non essere affatto ubriaco. Ciò di cui non pareva essersi accorto, tuttavia, era che il metro si era già bell’e rotto da quel dì, quindi in realtà stava solo agitando con le braccia le due estremità saltando scoordinatamente a casaccio. Nella parte opposta della stanza Ataru stava invece ballando in mutande, sventolando due ventagli su cui era disegnata la bandiera giapponese, sorprendentemente a tempo. Di Sayuri e Shinobu non c’era traccia, mentre Kijo stava preparando uno dei suoi intrugli ad Hiroshi che, semisvenuto sul divano accanto a Yuka, lamentava mal di pancia.
Per poco non lasciò cadere il bollitore quando lo vide: era tutto impolverato da capo a piedi e sbatteva convulsamente gli occhi, talmente rossi e irritati da essere quasi fosforescenti.

“Ranma, Dio mio! Che ti è successo?” gli corse incontro Kijo, spostandogli delicatamente il ciuffo di capelli per appurare lo stato degli occhi. Era necessario un intervento tempestivo.
“Yuka, lascia il preparato in infusione per dieci minuti, poi filtralo con un colino e fallo bere a Hiroshi a piccoli sorsi. Io cerco di aiutare Ranma!” così dicendo Kijo afferrò il braccio di Ranma e lo trascinò in bagno, mentre Yuka annuiva meditabonda, osservando le volute di vapore che si sollevavano dalla tazza.

Decise di prendere in mano la situazione e tirò fuori tutta la grinta di cui disponeva: dapprima spense lo stereo portatile, attirandosi le occhiatacce di Moroboshi e Ikeda, che in qualche modo riuscì a inciampare nella corda invisibile sostenendo che gli aveva rotto il ritmo.
“Adesso basta! Filate a letto, tutti e due, a smaltire questa ridicola sbronza che avete preso!”

“Ma dai, Yuka…ancora cinque minuti, ci stavamo divert-” brontolò Ataru, a cui la stanza aveva cominciato a girare attorno

“Filate ho detto!” ribadì Yuka, pervasa da un’aura autoritaria che le dava grande soddisfazione
“Ok, ok…non ti arrabbiare…buonanotte!” biascicò Kotaro, prendendo la via delle scale seguito dall’amico.
 
“Ehi, vuoi darti una calmata? Ma che modi sono?” si innervosì Ranma per come era stato trasportato, quasi di peso, in bagno.

Kijo si stava dimostrando del tutto sorda alle sue rimostranze: era entrata in modalità emergenza, per cui l’unica voce a cui prestava ascolto era quella che aveva memorizzato di Tofu mentre le spiegava come eseguire un lavaggio oculare. Aprì l’acqua fredda del rubinetto e ordinò al ragazzo
“Ok, Ranma. Ora metti la testa nel lavandino”

La testa. Nel lavandino. Con l’acqua fredda che scorreva. Certo, come no!
“Ma sei sempre così brutale coi tuoi pazienti? Kami, e meno male che dovrei essere trattato con riguardo come malato…” Ranma incrociò le braccia, opponendosi ostinatamente alla disposizione di Kijo. Riusciva a tenere gli occhi a malapena socchiusi, poiché appena provava ad aprirli sentiva un bruciore tremendo, ma non poteva certo rischiare di trasformarsi in ragazza.

“Caro Ranma, vorresti gentilmente porre il tuo bel capo sotto il getto d’acqua? Va bene così?” Kijo si stava spazientendo: nella sua testa continuavano a susseguirsi le istruzioni su ciò che doveva fare e quel testardo si rifiutava di eseguire il primo punto senza motivazione alcuna!

“Io…non posso mettere la testa lì sotto! La mia religione mi impedisce di…bagnarmi i capelli di venerdì!” si inventò di sana pianta il ragazzo, non sapendo più su quale specchio arrampicarsi

“Religione? Da quando tu…etciù!” Kijo starnutì dopo che fu investita da uno sbuffo di polvere che Ranma, ricopertone da capo a piedi, aveva rilasciato involontariamente solo facendo spallucce. Questo non fu abbastanza per fermarla tuttavia, quindi continuò, più decisa di prima
“…da quando tu pratichi una religione? Comunque puoi stare tranquillo: mezzanotte è passata da un bel po', quindi ormai è sabato”

“Sì…p-però tecnicamente non ho ancora dormito quindi è come se fosse sempre venerdì! Ehi, non guardarmi così, non le faccio io le regole!” il ragazzo vedeva ben poco, con gli occhi semichiusi e impastati dalla polvere, ma percepì chiaramente l’aura intorno a Kijo diventare incandescente.

Dopo qualche secondo e qualche respiro profondo, la ragazza sembrò rassegnarsi a trovare un piano alternativo
“Ok, sia mai che ti costi la dannazione eterna della tua anima…vado a cercare delle tazzine per vedere se riesco a bagnarti solo gli occhi”.
Tornò un paio di minuti dopo, due bicchierini da liquore alla mano commentando
“Beh, meglio di niente…almeno saranno stati disinfettati con l’alcool”

Ranma si era seduto sul bordo della vasca, cercando in tutti i modi di nascondere il fatto che i suoi occhi avevano cominciato a lacrimare. Dannazione, sembrava che piangesse come una donnicciola! Il suo tentativo di asciugarsi rapidamente con le mani polverose prima che Kijo ritornasse aveva avuto come unico risultato quello di irritarlo ancora di più e stimolare ulteriormente la produzione di lacrime.
“Guarda che non sto piangendo…è solo che mi bruciano talmente gli occhi che…va contro la mia volontà” ci tenne a precisare Ranma, non appena Kijo gli si avvicinò

“Tranquillo Saotome! È un riflesso del tutto normale, nessuno pensa che tu sia niente meno che un uomo virile…” replicò Kijo, roteando gli occhi per tutte quelle stupide paranoie; prese poi un asciugamano, lo bagnò con l’acqua fresca e dopo averlo strizzato si sedette accanto al ragazzo e cominciò a passarlo delicatamente sulle sue guance
“Adesso stai fermo, che rimuovo questo mascherone di polvere impastata che ti ricopre il viso.”

Per fortuna che l’acqua dell’asciugamano era fresca, perché il volto di Ranma si fece subito molto accaldato; forse per una volta poteva dare la colpa dell’arrossamento allo strofinamento dell’asciugamano, anche se Kijo era così delicata che quella detersione sembrava una carezza…Oh Kami! Cosa andava a pensare in quel momento? Strinse le mani sul bordo della vasca, come ad aggrapparsi meglio, mentre lei continuava a passare quel morbido panno sulla fronte, poi sulle tempie, poi giù a delineare i contorni del suo mento e perfino da una parte all’altra del collo, come un umido serpente che puntava verso il suo petto. Durante tutta questa operazione si era imposto di restare in apnea, quasi temesse che la velocità del proprio respiro avrebbe potuto tradirlo. Proprio un attimo prima che esaurisse le riserve di ossigeno, Kijo si alzò ed andò a prendere due batuffoli di cotone, così poté riprendere fiato. Richiuse per bene gli occhi, sussultando quando lei posò il primo batuffolo fresco su quello sinistro: aveva come l’impressione che le sue palpebre fossero diventate vastissime, dato che poteva sentire ogni millimetro che percorreva il cotone con una sensibilità disarmante; il movimento era ripetitivo, dall’interno all’esterno, prima lungo l’arcata sopracciliare, poi al centro, poi lungo le ciglia, che sembravano fremere a quel contatto.

“Etciù!” starnutì nuovamente Kijo, strizzandosi il naso per provare a fermare lo stimolo di starnutire ancora, poi commentò “Spero che la tua religione non ti vieti di farti una doccia di sabato, perché con tutta la polvere che hai addosso sto facendo davvero fatica a starti accanto…si può sapere come ti sei ridotto così?”

“Ho rincorso quel tizio losco per carpirgli informazioni e ho dovuto placcarlo a terra. Per liberarsi dalla mia morsa di ferro ha dovuto ricorrere ad un trucchetto da quattro soldi come buttarmi la terra negli occhi” raccontò in modo spiccio Ranma, preparandosi nuovamente a trattenere il fiato per la pulizia dell’occhio destro

“Wow, sembra la scena di un film d’altri tempi! Beh, in effetti una degna conclusione per una serata dal sapore così retrò…Hai scoperto qualcosa a suon di pugni?” Kijo stava cercando di farlo parlare per distrarlo: le appariva molto teso ed aveva come l’impressione che stesse trattenendo il respiro, mentre lo nettava dalla polvere, forse perché gli stava facendo male! Eppure aveva cercato di essere il più delicata possibile…ma se c’era qualcosa dentro l’occhio, per quanto lo toccasse con leggerezza, doveva soffrire terribilmente! E l’occhio destro sembrava messo pure peggio dell’altro, era più gonfio e continuava ad emettere secrezioni. Pregò di non aver offeso gli strani dei anti-igienisti tanto cari a Ranma con il suo scetticismo e pregò pure di essere all’altezza della situazione, poi prese il batuffolo di cotone e lo posò sull’occhio destro.
Come fece per muoverlo, Ranma si lasciò sfuggire un gridolino di dolore, quindi la ragazza si fermò subito
“Allora è vero…ti faccio così tanto male?” gli chiese con apprensione

“Ehm, finora no, ma adesso ho proprio sentito come qualcosa che mi graffiava l’occhio” ammise il codinato

“Accidenti…è probabile che tu abbia un corpuscolo all’interno, quindi dobbiamo rimuoverlo. Cerchiamo di fare un lavaggio oculare, se riesci ad aprire l’occhio poi provo a vedere se c’è qualcosa. Altrimenti bisogna andare al pronto soccorso, o guardia medica, o qualunque altra cosa ci sia in questo posto sperduto!” Kijo stava provando a mantenere la calma, ma l’ansia la stava sopraffacendo. La sua mente galoppava già presentandole tutte le peggiori opzioni che potessero accadere ed in tutti gli scenari ovviamente la colpa delle varie disgrazie ricadeva interamente su di lei, sulla sua incapacità, sulla sua inesperienza, sul suo scarso tempismo, sulla sua indecisione. Riempì entrambi i bicchierini con l’acqua fresca, respirando profondamente per cercare di calmarsi, poi spiegò a Ranma come comportarsi durante quell’operazione
“Ascolta: adesso tieni la palpebra destra chiusa, che cerco di togliere un po’ di polvere esterna”
Non fu una manovra difficile: appoggiando il bordo del bicchierino contro il contorno dell’occhio e portando la testa di Ranma all’indietro riuscì a sciogliere lo strato di polvere. Peccato che quel movimento ne sollevò una discreta quantità, che andò a solleticare le narici già sensibilizzate di Kijo, provocandole un ulteriore starnuto proprio mentre allontanava il piccolo recipiente, col risultato che il contenuto venne sparato in faccia a Ranma.

Forse il quantitativo d’acqua era troppo esiguo o forse non era abbastanza fredda, fatto sta che a quello spruzzo improvviso non seguì la trasformazione del codinato, il quale tuttavia rimase per un minuto buono con gli occhi serrati ed un’espressione colpevole sul viso, temendo che fosse accaduto il peggio, prima di tastarsi e appurare che era rimasto ragazzo.
“S-sai, forse è il caso che continui da solo, tanto ho capito come si fa…” commentò sperando che in questo modo avrebbe evitato qualsiasi incidente con l’acqua

“Ok, allora prova a fare lo stesso a palpebra aperta” replicò Kijo sciacquando e riempendo nuovamente il primo bicchierino.

Con l’occhio sinistro tutto si risolse per il meglio, mentre quando arrivò ad aprire l’occhio destro, Ranma sussultò per il fastidio
“Ahio! Mi sa che c’è rimasto qualcosa”

“Accidenti! Fammi vedere…” si avvicinò Kijo, tentando di sollevare la palpebra sotto la luce del mobiletto del bagno, emettendo l’ennesimo starnuto
“Adesso basta, mi sono scocciata! Ranma, togliti immediatamente quei vestiti polverosi di dosso!” proruppe la ragazza esasperata, soffiandosi il naso.

Il suo tono era categorico e non ammetteva repliche, ma lui non aveva alcuna intenzione di cedere ad una richiesta del genere. Era forse ammattita? Secondo lei doveva spogliarsi così, come se nulla fosse? Iniziò a balbettare qualche scusa strampalata, sperando di cavarsela in extremis ancora una volta
“C-cosa? Ma sei impazzita? Non esiste: la mia religione mi proibisce d-di…denudarmi di fronte al sesso opposto” esclamò incrociando le braccia al petto

“Cheee? Ma che razza di religione è?” strabuzzò gli occhi Kijo, visibilmente alterata. Avrebbe voluto gridargli in faccia che non era il momento per quelle stupide pudicizie, che rischiava danni gravi all’occhio, che neanche un mese prima lo aveva visto al mare in costume, quindi dove caspita sarebbe stata la differenza? Che poi appena dieci giorni prima era stato più che lieto di denudarsi, anche se non era in sé…cavolo quel repellente per insetti gli aveva fatto dimenticare perfino i suoi dogmi!
Strinse forte i pugni e inspirò profondamente: era notte fonda e la situazione richiedeva sangue freddo, non era certo il momento più adatto per cedere alla collera. Come fu certa di aver ripreso il controllo, gli intimò nuovamente, inflessibile
“Ranma Saotome! Levati subito quegli abiti o ti giuro che te li strappo con le mie mani!” sentì distintamente il ragazzo deglutire e lo vide indietreggiare, lo smarrimento totale nell’unico occhio che riusciva a tenere aperto, quindi continuò
“Ascoltami, devo lavorare con una pinzetta attorno al tuo occhio, vuoi davvero che rischi di cavartelo perché mi viene da starnutire? È una situazione di emergenza, vedi di vincere il tuo imbarazzo! Adesso vado a prendere la pinzetta e la disinfetto, quando torno ti voglio trovare in mutande, chiaro?”

Con queste parole lasciò la stanza da bagno e Ranma basito. Cosa avrebbe potuto obiettare? Razionalmente, niente: era un’emergenza. Emotivamente, niente: per quanto odiasse ammetterlo quell’aria autoritaria era piuttosto accattivante, quindi istintivamente l’avrebbe accontentata molto volentieri…Ma cosa andava a pensare? Per tutte le religioni bislacche, ci mancava soltanto che se ne uscisse un’altra volta con una mossa da maniaco! Certo che però lei non gli rendeva il compito per niente facile! Calma, c’era bisogno di calmarsi…tutto sarebbe andato per il meglio, avrebbe salvato l’occhio e l’onore. Si spogliò lentamente, quasi tremando ad ogni bottone che sganciava, ma fermo nel suo intento; gettò tutti i suoi abiti nel cesto dei panni sporchi e si sedette sullo sgabello accanto al mobiletto del bagno, impassibile e finalmente pervaso da una quiete atarassica. Finché non rientrò lei.

Ok, forse aveva leggermente sottovalutato l’impatto emotivo che avrebbe avuto trovandosi davanti il fisico statuario di Ranma in bella mostra: per quanto cercasse di dissimularlo ad ogni costo e di mantenere un’attitudine professionale, il suo sguardo veniva calamitato di continuo ben oltre l’occhio di cui si doveva occupare. Alla faccia della necessità di concentrarsi! Beh, almeno alla fine l’aveva spuntata, era riuscita a convincere quel testone a collaborare; quel pensiero e il lieve moto d’orgoglio che ne susseguì l’aiutarono a ricomporsi, per cui si avvicinò al ragazzo, pinzette alla mano, determinata ad esaminare la sclera. Sollevò nuovamente la palpebra e Ranma fremette; non c’era da meravigliarsi che soffrisse, dato che attorno all’iride blu si dipanava un fitto reticolo di capillari rigonfi e arrossati, di cui qualcuno doveva anche essersi rotto.
“Ascolta Saotome, ho bisogno che ti sforzi di muovere l’occhio, lentamente. Prova a guardare a destra, a sinistra, in alto e in basso…piano piano…così…ecco! Fermo, adesso, con lo sguardo in basso! L’ho visto il maledetto!” esclamò la ragazza riuscendo finalmente a scorgere il frammento che aveva creato tutto quel disagio.

In realtà il disagio non era quasi paragonabile a quello che Ranma stava provando in quel momento, dato che Kijo, per armeggiare meglio col suo occhio, gli aveva praticamente ordinato di fissarle stabilmente l’interno della scollatura. Meno male che era seduto, altrimenti non avrebbe garantito per la stabilità delle proprie gambe o peggio ancora avrebbe rischiato di sobbalzare mettendo a repentaglio la propria vista per sempre. Vista che, per il momento, funzionava fin troppo bene. Ogni respiro che Kijo emanava implicava un innalzamento e abbassamento del suo petto, con un ritmo così regolare da risultare quasi ipnotico. In quel momento non sentiva neppure più il fastidio all’occhio, tanto era preso dal cercare di scorgere il bordo del reggiseno che, a seconda di come muoveva le braccia, faceva capolino ammiccandogli segretamente. Aveva la gola totalmente arida, pensò che avrebbe voluto bere un’intera bottiglia d’acqua.

Improvvisamente Kijo si sollevò, gioendo
“Evviva, ce l’ho fatta!! Adesso un po’ di collirio e il tuo occhio tornerà come nuovo! Complimenti per la freddezza, sei stato perfettamente immobile” gli sorrise, sollevata che tutto fosse andato per il meglio

“Ovvio, avevi qualche dubbio? Non mi lascio certo prendere dal panico, io…” si affrettò a rispondere Ranma, finalmente libero di distogliere lo sguardo. D’un tratto fu sommerso dal ricordo dell’ultima volta in cui si erano trovati in bagno, da soli: fu così vivido e intenso che perse tutta la sua baldanza come se fosse risucchiata nel gorgo di uno scarico per lasciare spazio alla vergogna bruciante per il comportamento di allora. Non le aveva lasciato alcuna scelta se non rinchiuderlo con l’inganno per sfuggirgli! Che razza di depravato era? Tutto quel tempo a cercare di sbolognare la colpa del suo comportamento a destra e a manca quando invece la responsabilità era sua soltanto…perché in quell’angolo buio della sua coscienza che sfuggiva a qualunque ammissione era ben consapevole di ciò che avrebbe voluto fare, ciò che la dannata pozione aveva solamente portato alla luce…
Sollevò il suo sguardo per incontrare quello ancora soddisfatto di Kijo e cominciò ad articolare, con notevole difficoltà
“S-senti Kijo, i-io c-credo di doverti delle sc-”

SBAM SBAM SBAM
“Ehi! Chiunque occupi il bagno sappia che devo cambiare urgentemente l’acqua all’anguilla, per cui esca di volata!”
La voce di Ataru risuonò improvvisa nel cuore della notte, così come i suoi colpi privi di grazia alla porta, provocando la comparsa di due enormi gocce sulle nuche dei due.

Beh, non ci resta che uscire” sussurrò Kijo a Ranma dirigendosi verso la porta, ma lui l’agguantò per un braccio per bloccarla

Sei forse impazzita? Cosa dovrebbe pensare trovandoci in queste…condizioni?” inveì il ragazzo, seppure a bassa voce, indicandosi da capo a piedi.

Bella mossa, in effetti un ripasso di quel fisico non faceva mai male…
Ma davvero dobbiamo giustificarci con Moroboshi? Gli diremo che ti ho medicato l’occhio…

Certo. In mutande. Ci crederà di sicuro.

“Ehi, vuoi venire fuori? Chi sei, Hiroshi? Sei abbracciato alla tazza?” bussava intanto Ataru oltre la porta

Ok, allora facciamo così: io esco e lo distraggo, così tu puoi sgattaiolare fuori: ci troviamo in salotto tra qualche minuto, che devo sempre metterti il collirio!” propose Kijo

E come avresti intenzione di distrarlo?” ci tenne a informarsi Ranma, guardandola di sottecchi

Boh? Gli farò gli occhi dolci, così non baderà più a nulla” si strinse nelle spalle lei

“Ataru, sono io! Un attimo che esco!” gridò Ranma verso la porta e Kijo sobbalzò dallo stupore, mimando le parole con la bocca senza emettere suono

Ma che diavolo…il piano…

Era un piano stupido” commentò acido Ranma, distogliendo lo sguardo e incrociando le braccia

Ok, allora adesso devi uscire tu. Infilati questo accappatoio e distrai Ataru, io mi muoverò furtivamente verso il salotto” rielaborò Kijo, non comprendendo cosa non andasse nel piano precedente

Non me lo metto, è rosa! È chiaramente da donna!” brontolò il codinato mentre si rigirava l’indumento tra le mani

“Ranma! Hai finito? Guarda che ho urgenza!” intimò Moroboshi, cominciando a saltellare sul posto. Rassegnato, il ragazzo indossò quel maledetto accappatoio e aprì la porta, dietro cui si era nascosta Kijo
“Ce ne hai messo di tempo eh? Stavi facendo la doccia?” domandò retoricamente Ataru e senza attendere una risposta si fiondò verso il water, lasciando un Ranma sconvolto fuori dalla porta.

Kijo ebbe appena il tempo di tirarsi la tendina attorno prima che Ataru sollevasse la tavoletta ed iniziasse a urinare. Si era schiacciata sul fondo della vasca e mentre cercava di respirare il più lentamente possibile, per non fare alcun rumore, pregò di non essere scoperta poiché la situazione era già abbastanza imbarazzante. Inutilmente.
Dopo che Moroboshi ebbe espletato l’impellente bisogno, lo sentì sedersi sulla tazza ed iniziare a mugugnare dopo qualche secondo.
Dio! Non starà facendo quello!” si trovò a pensare mentre la gamba cominciava a informicolirsi per la posizione scomoda e il cervello vorticava a mille per trovare una soluzione che la portasse fuori di lì; istintivamente serrò gli occhi, anche se da dov’era non avrebbe comunque potuto vedere grazie al cielo, ma purtroppo non riuscì a serrare le orecchie

“Eccole qui, le pupe del mio harem…mmm…vieni Shinobu, avvicinati…e poi Benten…sì, così…”

Opporcapaletta, ma quanta gente c’è nel suo harem?” si chiese mentalmente Kijo, quasi soffocandosi perché non osava deglutire

“Sì, signora del ballo, puoi strusciarmi con la stola di visone…mmm, come dici Sayuri? Certo, partecipa anche tu…”

Ok, era una cosa perfettamente normale. La facevano tutti. Forse se riusciva a visualizzarla razionalmente non era poi questo granché. Quanto sarebbe durato? Due minuti scarsi? Poi sarebbe stata libera di uscire…Iniziò a fare il conto alla rovescia per tenersi occupata: centoventi, centodiciannove, centodiciotto…

“Oh, ma chi vedo qui…la piccola Yuka…danza per me, così…e tu che ci fai così lontana, Kijo? per punizione ti do una bella sculac-” a causa di uno spasmo incontenibile, Ataru si aggrappò con la mano libera al bordo della vasca, tirando malamente la tendina che si staccò e cadde giù. Di fronte a lui, sdraiata nella vasca, giaceva Kijo, con un’espressione forzatamente impassibile come una statua di cera.
“Non ci credo! Ho il pene magico! Basta toccarlo e nominare una ragazza e questa appare!” sussultò Moroboshi, passando più volte lo sguardo dalle sue parti basse alla compagna di classe e viceversa

Lamù mi ammazzerà” pensava Kijo, mentre cercava di architettare disperatamente un modo per salvare la situazione. Purtroppo era a corto di idee, per cui si decise a giocare il tutto per tutto.
“Un pene magico, Ataru? Noi del tuo harem non ne abbiamo mai dubitato…” gli disse in tono seducente, uscendo dalla vasca e posizionandosi in piedi davanti a lui, che quasi sbavava
“Peccato che questo è solo un sogno, tesoruccio…ti sei addormentato sulla tazza…in fondo lo sai che è impossibile evocare le persone e che io mi rivolga a te in questo modo…” continuò lei con voce suadente, avvicinandosi al ragazzo e posandogli una mano sulla nuca mentre lo osservava boccheggiare come un pesce. Posò l’altra mano alla base del collo e con una certa rapidità lo fece addormentare effettuando le digitopressioni adeguate. Come Moroboshi principiò a russare, la ragazza emise un sospiro di sollievo e finalmente uscì da quel dannato bagno.

Per poco non le prese un infarto quando Ranma le arrivò alle spalle chiedendole perché ci avesse messo così tanto tempo. Non appena si voltò e lo vide sempre avvolto nell’accappatoio rosa decisamente troppo piccolo per lui, non poté fare a meno di sfogare tutto lo stress che aveva accumulato fino a quel momento con una ridarella incontrollabile; Ranma la trafisse con un’occhiataccia offesa e serrò le braccia attorno al petto, sollevando il mento, mentre lei continuò a ridere a crepapelle per un minuto buono, facendosi venire le lacrime agli occhi.
“Oddio…mmmmf!” soffocò un’ulteriore attacco di risa e, non appena ebbe ripreso il controllo, rispose al codinato
“Credimi, è meglio che tu non lo sappia…piuttosto, perché non sei andato a cambiarti nel frattempo?”

“Te l’avevo detto che sarei stato ridicolo con questo coso da donna addosso! E io che ti do anche retta! Non mi sono cambiato perché sarei dovuto entrare in camera e poi non avrei saputo che scusa usare per uscire di nuovo se mi avessero visto Daisuke o Kotaro o Ataru di ritorno dal bagno” spiegò il ragazzo, sempre impermalito

“Oh, Ataru è k.o. sulla tazza e non credo che si riprenderà molto presto, comunque hai fatto bene a non rischiare”

A questa affermazione il cipiglio di Ranma si fece ancora più profondo, ma si serrò dietro un ostinato silenzio, che ruppe nuovamente Kijo
“Bene, aspettami in salotto che torno subito col collirio” gli si rivolse, sgusciando furtiva nella camera delle ragazze.
 
Una volta scesa a piano terra, notò che il bollitore che aveva preparato in precedenza per Hiroshi era sempre caldo. In effetti un buon tè poteva avere un’azione calmante sui suoi nervi scossi, quasi quanto una generosa dose di liquore ma, dato che non voleva passare sempre per l’alcolizzata di turno, prese dalla dispensa una bustina e la infilò in una tazza, versandoci l’acqua calda sopra. Non mancò di offrirne anche a Ranma, il quale, sebbene a denti stretti, accettò la bevanda
“Siamo sicuri che è del semplice tè? Non è che se la bevo mi spuntano le antenne o, chessò, mi trasformo in una ragazza?” ostentò dell’ironia pungente lui, a cui Kijo non fece mancare la replica

“Se continui a portare quell’accappatoio un altro po’ mi sa che sei già sulla buona strada anche senza tè”

Lui le fece una smorfia e prese la tazza tra le mani, girando vorticosamente il liquido col cucchiaino e facendo turbinare la bustina. Dopo un paio di minuti, fece per spremere la bustina e buttarla, quando Kijo lo fermò di colpo
“Ehi, piano! Non bisogna strizzare la bustina di tè, si rilasciano i tannini…”

“I cosa? Sono velenosi?” domandò Ranma aggrottando la fronte

“I tannini…sono quelle molecole che ti danno la sensazione di lingua allappata, perché sono astringenti e…beh, che c’è?” la ragazza si fermò bruscamente dato che lui le aveva lanciato un’occhiata allusiva e aveva preso a tamburellare con le dita sul bracciolo del divano

“C’è che sono tipo le due di notte e mi pare un po’ tardi per una lezione di chimica”

Lei sbuffò, poi sorseggiò un paio di volte dalla sua tazza e infine prese la boccetta di collirio e gli si avvicinò
“Spalanca bene l’occhio, rompiscatole!” gli intimò, mentre lasciava cadere quattro o cinque gocce nell’occhio più malmesso. Poi ne mise due nel destro e ritappò la bottiglietta.
“Perfetto, adesso sei ufficialmente dimesso. Ridaccelo un paio di volte anche domani e se tutto andrà bene potrai considerarti guarito”
Con un tovagliolino Kijo tamponò leggermente l’eccesso di soluzione che era colato dalla rima ciliare, lasciando lungo tutta la guancia del ragazzo una piccola scia umida.

Kami, di nuovo quel tocco delicato…perché doveva andargli ogni volta il cervello in pappa quando si prendeva cura di lui? O quando si avvicinava troppo? O quando lo sfiorava distrattamente…? La odiava per questo, per come lo facesse sentire inadeguato, per come vivesse quei contatti con leggerezza, per come lo abbracciasse o perfino lo accarezzasse talvolta con assoluta noncuranza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E il guaio era che cominciava a crederci anche lui, gettando di fatto alle ortiche quella fantastica reputazione che si era creato di essere troppo figo per interessarsi alle ragazze. A lei…alle ragazze in generale, uffa! Sì, ma nello specifico…Che diamine! Cosa gli saltava in testa? Cosa sarebbe successo quando fosse nuovamente ripartita? No, no, no, no, no, no, no, non ce la poteva fare.

“Saotome? Tutto bene? Mi stai fissando come se fossi diventata un fantasma…” Kijo esitò un attimo, poi prese a tastarsi addosso, rivolgendoglisi preoccupata “Non mi sono trasformata in un…fantasma, vero? Perché stasera ne succedono di tutti i colori…”

Ranma deglutì e con estrema difficoltà, come se pesasse due tonnellate, le posò una mano sulla spalla per poi dissimulare il gesto con una pacca amichevole, commentando
“Eh eh, no! Mi sembra che tu sia sempre in corpo, cioè, in forma! Volevo dire, corporea…”

Kijo lo fissò perplessa inarcando un sopracciglio, notando come alla fine di quel teatrino la sua mano fosse rimasta sulla propria spalla, ma soprassedette e cambiò discorso
“Prima che Moroboshi ci interrompesse stavi per dirmi qualcosa, vero?”

Sì, esatto. Quanto fossi dispiaciuto di essermi comportato da maniaco. Cosa che puntualmente mi ritrovo a voler fare. Belle scuse sentite, eh?” elaborò il ragazzo mentalmente. Forse avrebbe potuto salvare la prima parte.
“Sì, ecco…volevo d-dirti che m-mi dispiace per il mio comportamento quando ho bevuto quella specie di insetticida. Posso solo immaginare quanto è stato difficile per te, visto anche il recente episodio…insomma, quello di cui non possiamo parlare…” Ranma teneva lo sguardo basso e cercava di controllare la respirazione, rivivere tutto ciò non era affatto semplice e si aspettava una risposta tagliente dalla ragazza. Che non arrivò.

“Ehi, guardami bene!” Kijo gli prese il volto tra le mani e lo portò vicinissimo al proprio, tanto che rischiò di smarrirsi nel sottobosco delle sue iridi
“Non ti azzardare a paragonare le due cose. Tu hai agito inconsapevolmente mentre…l’altra faccenda era ben più che dolosa! Vuoi sapere qual è stata la cosa che mi ha ferita di più? Che dopo quell’episodio mi hai evitata come la peste, non mi hai dato modo di confidarti che per me non c’era alcun problema, che so perfettamente che non ti sarebbe mai balenato in testa di fare quel che hai fatto, a cose normali, che è stata tutta colpa di quel preparato…” si sfogò tutto d’un fiato

“Ecco, a d-dirla tutta…” Ranma era quasi in iperventilazione, poteva sentire i loro nasi sfiorarsi e le sue mani, freddissime sulla pelle delle guance infuocate, che gli davano sollievo. Fece scendere la propria mano dalla spalla fino a poco sopra il suo fianco, dove si andò a congiungere con l’altra, formando una sorta di basso abbraccio. Non poteva rischiare che fuggisse in quel momento, non quando aveva deciso di rivelarle l’irrivelabile, non ora che la verità bruciante che custodiva in gola scalpitava per venir fuori. Pensò poi che di solito era lui quello che fuggiva, ma aveva una tale confusione in testa che pensò anche avrebbe fatto meglio a sbrigarsi, prima di perdere il filo.
“A volte a-avrei v-voluto, anche s-senza pozione…”

“KIJO! RANMA! Che sta succedendo qui?” esclamò Sayuri con gli occhi fuori dalle orbite.

Kijo balzò come un gatto all’indietro e per poco non fece cadere un soprammobile che stazionava sul bordo del caminetto, che acchiappò al volo
“Sayuri! Niente, stavamo giusto ammirando questo…piccione impagliato!” inventò di sana pianta la ragazza, esibendo un sorriso a trentadue denti e girandosi l’animale morto tra le mani

“Piccione impagliato? Ma quella è una civetta…” blaterò Sayuri, con aria incredula e stordita, stropicciandosi gli occhi

“Ecco, vedi Ranma, abbiamo sbagliato uccello! Lui credeva che fosse un…gufo reale e io un piccione…che stupidi eh? Ma tu, piuttosto, che ci fai qui a quest’ora?”

“Io…io volevo l’acqua…” rispose la ragazza soffocando uno sbadiglio, mentre fissava sconvolta Ranma che era rimasto come pietrificato sul posto

“Bene, allora bevi…e torna a dormire! Noi dobbiamo iniziare a…lanciarci le statuine di legno come saltimbanchi!” ostentò sicurezza Kijo, arraffando quei piccoli soprammobili e lanciandoli a Ranma, che la prese per matta

“Ok…sappiate che dovrò dire ad Akane quello che ho visto, sono una sua amica fedele io…” borbottò Sayuri, la voce ancora impastata dal sonno

“Oh, ma cosa c’è da raccontare? Tu stai chiaramente sognando! Domattina ti sveglierai e capirai che era solo uno stupido sogno insensato!” rimarcò Kijo continuando a giocolare con le statuine, poi le si avvicinò, le diede un bacio sulla fronte e la fece addormentare a guisa di Moroboshi.
Rimise infine a posto tutti i soprammobili, compreso il piccione impagliato, e sussurrò a Ranma
Forse adesso è meglio andare a dormire, prima che si svegli qualcun altro…semmai proviamo a riparlarne domani
Il ragazzo annuì con scarsa convinzione, concordando però sul mettere un punto a quella giornata.
 
A volte avrei voluto, anche senza pozione…a volte avrei voluto anche senza pozione…avrei voluto cosa? Che cavolo, perché Sayuri ci ha interrotto proprio in quel momento?” si stava arrovellando Kijo, ripetendo nella sua testa in loop le ultime parole di Ranma nel vano tentativo di dar loro un senso. Sdraiata sul suo futon ad occhi spalancati che fissavano il soffitto, non riusciva a darsi pace per prendere sonno, nonostante l’ora molto tarda. Accanto a lei, Shinobu e Sayuri, rientrata in camera da una ventina di minuti, dormivano beatamente emettendo respiri profondi e regolari.
Possibile che intendesse…quello che ha confidato a Hokano? No, non scherziamo: è assurdo anche solo pensarci! Uno come lui…una come me…” continuava a lambiccarsi il cervello la ragazza, incredula della piega che stavano prendendo i propri pensieri. Diede un calcio alla coperta, poiché cominciava a sentire troppo caldo; tuttavia dopo cinque ulteriori minuti di immobilità si decise a riprenderla, che si stava infreddolendo. Non c’era verso: si rassegnò a passare la notte in bianco.

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Capitolo 21
*** Monte Kotaro parte seconda: Nel pallone ***


17 agosto


Il mattino seguente scesero tutti a fare colazione col sole già alto: tutti tranne Kijo. Attorno al tavolo c’era una buona maggioranza che si reggeva la testa lamentandosi del dopo-sbronza, chi mugolava perché aveva ancora sonno, chi malediceva le occhiaie che le erano spuntate sotto gli occhi mentre Hiroshi e Yuka, appagati e felici, si tenevano per mano aspettando del buon cibo per placare il proprio appetito.
“Che fine ha fatto Kijo? Perché non è ancora scesa?” cinguettò quest’ultima guardandosi intorno

“Quando siamo uscite dalla stanza stava ancora dormendo…ho provato a scuoterla ma ha emesso una specie di ringhio, quindi ho desistito” spiegò Sayuri mentre a occhi chiusi si teneva la testa tra le mani; Shinobu, che con uno specchietto stava esaminando la propria zona perioculare meditando su quanto correttore le sarebbe servito per camuffare quello scempio, annuì distrattamente.

Kami! Quella ragazza è terribile! Quando dice di dormire non la svegliano nemmeno le cannonate” pensava nel frattempo Ranma, ma ostentò indifferenza, come se non avesse sentito, e sbadigliò sguaiatamente. In effetti qualche ora di sonno in più non avrebbe nociuto neppure a lui…

“Qualche coraggioso dovrebbe andare a svegliarla: devo chiederle assolutamente se ha qualcosa contro questo dolore che mi fa scoppiare la testa!” brontolò Daisuke cercando intanto di alleviare il fastidio con una pezzuola imbevuta di acqua fresca

“Mi offro volontario!” saltò in piedi Moroboshi, continuando “In fondo le farà piacere rivedermi dopo che stanotte mi si è spontaneamente concessa, con fare seducente…” iniziò a ghignare il ragazzo, ripensando a quello che aveva immaginato.
Ranma per poco non soffocò con un sorso di tè, mentre Shinobu improvvisamente ritrovò l’interesse per ciò che le accadeva intorno

“Seh, buonanotte! Nei tuoi sogni, forse…” ridacchiò Yuka, pensando all’assurdità della scena

“Forse sì…ma forse è successo davvero! Solo Kijo può togliermi il dubbio, per cui vado a svegliarla!” scattò su per le scale Ataru, mentre Ranma obiettava

“Ehi, vi pare opportuno che vada lui? Avete idea di quanto svestita dorma Kijo, vero?”

“E tu che ne sai? Hai fatto un sogno a luci rosse su di lei pure tu?” indagò Sayuri concentrandosi come a richiamare alla mente qualcosa

“Eh? Ma cosa vai a pensare?” si irrigidì Ranma, simulando noncuranza.

Dal piano superiore si sentì chiaramente un gran trambusto, poi Ataru scese mogio con un vistoso bernoccolo in testa
“Uffa…era solo un sogno…non è stata per niente affettuosa stamani con me!” piagnucolava maledicendo l’universo

“Ora che ci penso! Io ho visto te e Kijo in atteggiamenti equivoci stanotte! Proprio qui in salotto! Tu indossavi una specie di accappatoio rosa e a un certo punto vi siete messi a lanciarvi le statuine di legno, blaterando di piccioni impagliati o qualcosa del genere” proruppe Sayuri, calamitando l’attenzione di tutti gli astanti.

Ataru le diede subito man forte
“È vero! Anch’io ho visto Ranma uscire dal bagno con indosso un accappatoio rosa!”

“Ma siete impazziti? Perché diamine dovrei indossare un accappatoio rosa? Io? Mi sembra evidente che ve lo siete sognato, anche perché pure il resto non ha molto senso, Sayuri…” mantenne il sangue freddo Ranma, cavalcando la scappatoia che aveva elaborato Kijo la sera prima

“Giusta obiezione…è solo strano che ci siamo sognati tutti e due Kijo in versione osé e tu abbigliato in modo così particolare…” commentò Sayuri

“Davvero mi avete sognata in versione osé? Che cari, mi avete allungato la vita!” esclamò Kijo entrando nella stanza, avvolta in una vestaglia viola e coi fedeli occhiali da sole inforcati. Decisamente era stata svegliata troppo presto.

“Sul serio? Ma non succedeva se uno ti sogna morire?” argomentò Hiroshi

“Morire? Ragazzi, che depressione! In Italia funziona diversamente…” mentì spudoratamente la ragazza, un sorriso da copertina stampato sul volto

“Caspita Kijo, allora ti assicuro che avrai una vita lunghissima!” replicò Ataru nella sua direzione, alzando e abbassando le sopracciglia, eloquente. La furia del martello di Shinobu si abbatté ancora una volta su di lui

Già, praticamente un’immortale” si trovò a pensare Ranma, sbarrando improvvisamente gli occhi come per cancellare quello che gli era appena venuto in mente

“…in entrambi i casi” concluse acidamente Kotaro, riservandole una smorfia.

“Accidenti che mal di testa! Kijo, hai qualcosa per farmelo passare? Mi sembra di essermi scolato un’autobotte!” mugolò Daisuke, la testa appoggiata sul tavolo con le braccia ad avvolgerla

“Proviamo se questo funziona, altrimenti salgo a prenderti una compressa…” mormorò la ragazza, sistemandosi alle spalle del compagno e iniziando a massaggiargli la testa, insistendo con più decisione su alcuni tsubo particolari.

Dopo una decina di minuti il ragazzo si sollevò, ammettendo di stare meglio, al che Ataru prese la palla al balzo e le domandò, ammiccandole con aria fintamente sofferente
“Ehi, Kijo…ho un dolore terribile al basso ventre, non è che faresti un massaggio anche a me?”

Lei si abbassò perfino gli occhiali sulla punta del naso per trafiggerlo con un’occhiataccia, mentre Shinobu gli stampò una cinquina così forte in viso da fornirgli una motivazione più che valida per il suo simulato malessere.


“Insomma, vogliamo davvero ignorare tutto quello che è successo ieri sera? Sono accaduti un bel po’ di fatti peculiari e non mi riferisco alle vostre allucinazioni oniriche esalate dai fumi dell’alcool!” prese la parola Yuka. Hiroshi la guardò dolcemente, prendendole di nuovo la mano e accennando un timido sorriso, che gli morì rapidamente sulle labbra come lei continuò
“Oh, tesoro, neppure a quello mi riferisco…”

Ranma si offrì di riassumere le informazioni che aveva carpito dall’uomo con l’impermeabile e tutti lo ascoltarono attentamente quasi fosse l’investigatore che al termine del romanzo giallo spiega ai vari indiziati chi è l’assassino e come lo ha capito. Solo che in quel caso la soluzione era ben lontana dall’essere rivelata.

“Allora dunque…abbiamo un night club a tema Proibizionismo Americano di cui il proprietario del bar sembra non essere a conoscenza; il tempo scorreva diversamente là dentro; la gente pagava in dollari; c’è di mezzo una strana eclissi o forse no; l’atmosfera di questo paese è decisamente diversa, molto più cupa e retrò rispetto alle altre volte che ci sono capitata…quindi questo vuol dire che…” stava elaborando Yuka a voce alta. Per la miseria, aver seguito fedelmente negli ultimi tre anni la serie tv Jeshika obasan no jikenbo avrebbe dovuto conferirle un po’ di spigliatezza nel risolvere i misteri, no? Cos’aveva la signora Fletcher più di lei?

Kijo si sollevò dalla sedia su cui era seduta e si diresse verso la giacca che aveva indossato la sera precedente, abbandonata sull’appendiabiti dell’ingresso, commentando
“Forse potrei avere una pista! Possiamo chiamare uno degli avventori presenti ieri sera per sapere se sa qualcosa in più!”
Rovistando nelle tasche, tirò fuori il sottobicchiere che le aveva lasciato Gardner.

“Come mai non mi sorprende affatto che ti abbiano lasciato un numero di telefono? Dì la verità, è una scusa per risentirlo eh?” sbuffò Ranma, lanciandole uno sguardo infastidito per un paio di secondi che si affrettò a distogliere prima che attirasse troppo l’attenzione

“Perché Kijo è una sgualdrina” rispose a quella domanda retorica Kotaro, assaporando con maggior gusto il proprio tè dopo quell’uscita

“Esatto! E Kotaro è simpatico e popolare! Adesso, se abbiamo finito di giocare al Mondo alla rovescia, c’è un testimone da interrogare!” si lasciò andare Kijo, cercando un apparecchio telefonico

“I nonni non hanno il telefono in casa, quindi se vuoi chiamare dobbiamo vestirci e recarci alla cabina in cima alla strada” precisò Sayuri

“Speriamo di avere abbastanza monetine, perché a occhio e croce questo non sembra neppure un numero giapponese” considerò Yuka esaminando il sottobicchiere.
 
Una mezz’ora più tardi le ragazze sostavano davanti alla cabina telefonica con un bicchiere pieno di tutte le monetine che erano riuscite a racimolare. Per strada non c’era nessuno e uscendo avevano incrociato e salutato solo la zia Meiko che annaffiava delle piantine in tenuta da giardiniera.

“Sicure che non vuole chiamare qualcun’altra? Guardate che non me la prendo eh?” tergiversava Kijo, temendo di fare una figuraccia perché a malapena ricordava che cosa si fossero detti la sera prima

“Ma che vai blaterando! Noi non lo abbiamo neppure visto! O forse lo abbiamo visto ma eravamo così ubriache da non ricordarcelo…” partì in quarta Shinobu per poi tornare dubbiosamente sui propri passi

“A proposito, Kijo…sono veramente felice di essermi solo sognata quello che ho descritto tra te e Ranma! Niente di personale, ma mi avresti messa in una posizione molto scomoda e sarei stata costretta a chiamare Akane per raccontarle tutto” le si rivolse Sayuri, con aria tanto sollevata quanto lievemente minacciosa

“Davvero lo avresti fatto?” subentrò Yuka stupefatta “In fondo siamo amiche anche di Kijo e non sarebbero affari nostri…mica le siamo andate a fare la telecronaca di tutte le fidanzate vere o presunte che gli si sono avvinghiate nel tempo!”

“Sono sorpresa che tu la pensi così, ma in questo caso la situazione sarebbe diversa: delle varie fidanzate lei era a conoscenza, se Kijo si unisse al gruppetto di fan di Ranma Akane meriterebbe di essere informata dalle sue leali amiche, quale io mi ritengo” esclamò Sayuri, un accenno di superbia nella voce

“Ah, davvero? Da quando essere leali significa essere impiccione? E poi scusa, tu non le sei mai andata a dire della mia passata cotta per Ranma, quindi di cosa stiamo parlando?” replicò Yuka, a cui non piaceva per nulla come stava degenerando quella conversazione

“Yuka, tesoro…lì ho mantenuto un tuo segreto, dato che sono un’amica fidata anche per te…e poi, parliamoci seriamente…tu con Saotome non avresti mai avuto speranze, quindi che bisogno ci sarebbe stato di allarmare Akane?” concluse Sayuri con un’alzata di spalle, un atteggiamento che virava leggermente verso lo sbruffone.

Il colpo arrivò. E Yuka se lo prese tutto. Per un attimo le mancò il respiro, ma quella bruciante ferita nell’orgoglio le fece venir voglia di gridare. Ecco quello che pensava la sua amica di lei, una povera scema, una povera fallita…una dai sogni irrealizzabili. La sua autostima si sgretolò in un attimo, richiamando alla mente tutte le pretendenti di Ranma: come aveva anche solo osato immaginare di poter competere con loro? E pensare che aveva condiviso il proprio diario con Sayuri in quel periodo, dove aveva annotato minuziosamente tutte le sensazioni che il ragazzo col codino le suscitava ogni giorno…chissà che grasse risate si era fatta lei alle sue spalle, leggendolo! Si sentì mortificata, vergognandosi peggio che se fosse nuda, ma non riuscì a emettere un suono.

Kijo cercò di sdrammatizzare la tensione che si era creata commentando
“Eh, per fortuna che non è successo niente di tutto questo! Che ne dici Yuka, mi aiuti con le monetine mentre telefono?”
Così dicendo prese per un braccio la ragazza che era rimasta ancora immobile e la trascinò dentro la cabina; come si furono chiuse lo sportello alle spalle, Kijo le sussurrò
Non darle retta, non sussiste alcuna ragione per cui tu non possa piacere a Ranma, se non il fatto che tu sei una ragazza assennata e lui sembra particolarmente attratto dalle psicopatiche

Kijo, lo sai che è attratto da te, vero?” ribatté Yuka che stava ridacchiando sotto i baffi. Grazie al cielo!

Ehi! Bel modo di darmi della psicopatica! Ma tu guarda che razza di amica…” si finse offesa la ragazza, poi però scoppiò a ridere, abbracciò forte Yuka e continuò “Anche se non è vero ti voglio bene lo stesso
La ragazza rimase un attimo spiazzata da quella manifestazione di affetto così plateale, ma decise di ricambiare l’abbraccio. Circa due secondi dopo, Sayuri e Shinobu si misero a sbattere potenti manate sul vetro invitandole a smetterla di lesbicheggiare e a darsi una mossa con la telefonata.
 
“…due…cinque…tre! Adesso vediamo se risponde!” Kijo digitò l’ultima cifra del numero, attendendo in linea. Squillava. Dopo qualche trillo una voce maschile rispose all’altro capo del filo

“Pronto? Casa Fox”

“Ehm, buonasera! Gardner, sei tu? Sono…Zatanna! Ricordi, ci siamo conosciuti ieri sera al locale e mi hai detto di chiamarti” dichiarò Kijo, evitando di scendere nei dettagli

“Ancora con questi scherzi stupidi! Non facevano ridere quando mio zio era vivo e ancora meno adesso che è morto da quasi cinque anni! Chi le ha dato il numero?”

“Come? Suo zio? Ma…ma…io l’ho visto ieri sera e non avrà avuto più di vent’anni!” si sconvolse Kijo al telefono

“Oh, ma davvero? E chi lo avrebbe riportato in vita e ringiovanito, il suo amico Flash? O la sua amica Batgirl? Per favore Zatanna, la pianti di prenderci in giro e lasci riposare mio zio in pace!” l’uomo gridò queste ultime parole, evidentemente scocciato, e riagganciò la cornetta.
Kijo rimase assai perplessa dopo quella conversazione, restando a fissare la cornetta per un paio di minuti buoni. Quando si decise a uscire dalla cabina, raccontò alle ragazze l’assurda conversazione che aveva appena terminato; tutte e quattro giunsero alla conclusione che per quanto strano, quello era un ulteriore binario morto.
 

Un’oretta più tardi anche i ragazzi giunsero nuovamente a casa, le facce meditabonde e seriose.
“Abbiamo rivoltato questo paese come un calzino, ma di quel disgraziato che ha provato ad accecarmi nessuna traccia, sembra sparito nel nulla!” brontolò Ranma, al che Sayuri replicò

“Ad accecarti? Ma mi sembra che tu stia benissimo, quando sarebbe successo?”

“Ehm…infatti ho detto che ci ha provato, non che c’è riuscito!” si salvò in corner il ragazzo. Volgendo lo sguardo verso Kijo, notò che lei aveva sollevato discretamente il pollice a quella risposta e poi gli aveva mimato il gesto di rimettersi il collirio.

“E come se non bastasse siamo stati di nuovo al bar, abbiamo aperto la porta del magazzino e…abbiamo trovato solo scatolame e stoviglie! Pure il locale è sparito nel nulla!” continuò il racconto Kotaro

“Già…e tutta la gente che abbiamo incrociato parlava normalmente, senza termini vetusti e senza atteggiamenti sospetti” aggiunse Hiroshi

“Perfino noi abbiamo chiacchierato tranquillamente anche di cose moderne” concluse Daisuke

“E con sommo rammarico si sono volatilizzate le signorine che sostavano davanti al locale ieri sera” sospirò Ataru, quasi tra sé e sé.

“Bah, non so voi ma io mi sono stufata di stare qui a lambiccarmi il cervello…siamo in vacanza, per tutti i Kami, non sul set di un film noir! Perché non andiamo a fare una passeggiata e respiriamo un po’ d’aria buona?” propose Sayuri, mentre annoiata si osservava le unghie delle mani, sbadigliando.
Uno dopo l’altro cominciarono tutti a capitolare, abbracciando quell’idea con entusiasmo. Il fronte maggiore di resistenza era costituito da Yuka, Ranma e Kijo, che tuttavia concordarono di lasciare in sospeso la questione in modo che non monopolizzasse la vacanza.
 
 
“Notate…nulla di…diverso, ragazzi?” domandò Kotaro col fiatone sollevando ostentatamente il mento, rompendo il silenzio che si era creato durante la camminata. Avevano scelto di percorrere un sentiero boschivo che sulle guide era segnalato come Facile e che Sayuri sosteneva di conoscere alla perfezione, col risultato che stavano quasi tutti annaspando dalla fatica per la salita mentre Sayuri sembrava non rinvenirsi affatto

“Non capisco…non mi sembrava così fitto l’ultima volta che ci sono passata…” parlottava tra sé ignorando il cugino, il quale per reclamare la sua attenzione le schioccò due dita davanti e si indicò il volto

“Sto provando a farmi crescere la barba! È incredibile che nessuno di voi lo abbia notato!” gridò stizzito, fermandosi a riprendere fiato. Una folata di vento passò tra il gruppo che fissava basito quel lieve accenno di peluria che a stento era visibile controluce e delle grosse gocce imperlarono le fronti dei ragazzi.

“Sii serio, Kotaro! È assolutamente impossibile che…” si azzardò a commentare Daisuke, che venne subito trafitto da un’occhiata infuocata dell’interessato

“Mah, io non trovo nulla di strano…tu ce l’hai sempre avuta la barba, Kotaro, no?” si intromise Kijo, con noncuranza

“Cosa diamine vai blaterando Rinekami? Sto provando adesso a farla crescere per la prima volta in vita mia!” si alterò ulteriormente il ragazzo

“No…ci stai prendendo in giro! Io ricordo perfettamente di aver pensato, da quando ti conosco, «Che barba quell’Ikeda!». Quindi direi che l’hai sempre avuta!” scoccò la sua frecciatina Kijo, mentre gli altri dissimulavano le risate

“Kotaro, sei esattamente uguale al solito…la barba è un tuo tratto caratteristico evidentemente!” aggiunse Yuka, subito spalleggiata da Hiroshi

“È vero, amico! Io ti ho incontrato all’asilo e già lì avevi un inizio…”

“Oh, andiamo! Veramente? Ma qualcuno di voi mi conosce un briciolo? Ataru! Tu sei sempre stato seduto accanto a me! Per favore, esprimiti!” richiese Kotaro furibondo, rivolgendosi verso l’amico

“Ehm, in realtà mi sa che hanno ragione loro…siamo otto contro uno. Hai sempre avuto la barba, così come hai sempre amato il colore rosa” puntualizzò Moroboshi

“Che coooosa? Ma chi siete voi? Che ne avete fatto dei miei amici e di Rinekami?” bubbolò tra sé il ragazzo esasperato, per poi riprendere a camminare. Il resto del gruppo si strinse nelle spalle e lo seguì.
 
La boscaglia li accoglieva ombrosa e fresca, regalando loro la propria verde essenza fatta di brezze gentili, profumi d’umido sottobosco, fruscii improvvisi e cinguettii melodiosi. Il sentiero che seguivano si dipanava pianeggiante già da tempo, offrendo sollievo alle giovani gambe che cominciavano a stancarsi. Perfino Sayuri si era rinvenuta, ritrovando man mano gli elementi visivi che si erano smarriti nei meandri della sua memoria.
Il morale del gruppo si stava risollevando, Kotaro sembrava aver perdonato il loro comportamento di poco prima. Si fermarono per respirare a pieni polmoni quell’aria purissima, per godersi fino in fondo quella sensazione di pacifica solitudine derivante dall’immersione totale nella natura, quando…dei rumori…schiamazzi forse…in moderata lontananza. Non erano più soli e gli sguardi che si lanciarono lentamente tra loro non lasciavano dubbi sulla loro consapevolezza di ciò.

Ragazzi, che si fa, torniamo indietro?” sussurrò Daisuke sconcertato

Sì, dai…e se fossero dei predoni?” tremò Shinobu, impensierita dall’ipotesi

Predoni? Ci sono predoni in questa zona?” domandò scettico Ranma, inarcando un sopracciglio

“N-no…almeno non in tempi recenti…suvvia, saranno degli escursionisti come noi, perché dovete pensare sempre al peggio?” cominciò a innervosirsi Sayuri grattandosi la testa con forza

Perché di solito è il peggio che capita…” commentò Hiroshi

“Io propongo di mandare Rinekami in avanscoperta: se non torna entro dieci minuti noi ci metteremo in salvo senza aver sulla coscienza vittime rilevanti” si espresse Kotaro

“Io invece propongo che tu vada a farti fo-” cominciò a inveire Kijo, ma la sua bocca venne tappata da Yuka che, dopo aver intimato il silenzio, sussurrò

Si stanno avvicinando…sembra che corrano o qualcosa del genere

Non appena tolse la mano dalla bocca di Kijo, questa bisbigliò rapidamente la conclusione della propria frase precedente
“…ma-non-troveresti-nessuno-disposto-a-sacrificarsi-per-tale-compito! Ok, nascondiamoci nei cespugli!”.

Si acquattarono alla meno peggio dietro a degli arbusti e poco dopo sopraggiunse a corsa un uomo in tuta col fischietto, seguito da una ventina di ragazzi in maglietta e pantaloncini rossi e neri, recanti lo stemma degli Urawa Red Diamonds. Chiudeva la fila una ragazza, anch’essa con gli stessi indumenti, che armeggiava durante la corsa con un cronometro e appuntava delle note su un taccuino.

Come la vide, Moroboshi non poté trattenersi e si mise a inseguirla, gridando
“Signorinaaaa! Perché non mi lascia il suo indirizzo e numero di telefono?”

La ragazza, voltatasi verso la minaccia incombente, decise di aumentare l’andatura, spronando così tutta la squadra ad accrescere la velocità. Nel frattempo, Shinobu si era messa a correre alle calcagna di Ataru martello alla mano, costringendo anche quest’ultimo ad accelerare il ritmo e gli altri di conseguenza. Mai negli annali della storia degli Urawa Reds venne registrato un allenamento più duro di quegli ultimi dieci minuti.
Quando la folle corsa giunse al termine, l’allenatore si dispose minacciosamente di fronte al gruppetto con le braccia ripiegate sui fianchi
“Chi diavolo siete voi? Vi mandano gli Shimizu per boicottare il nostro ritiro sportivo?” urlò con un timbro potente di voce, tanto che alle ragazze più vicine a lui si scompigliarono i capelli; a quel punto Ataru si fece avanti, cercando di tranquillizzarlo

“Ma no, signore, è tutto un malinteso! Io volevo solo invitare a uscire la bellissima signorina qui presente, per conoscerci meglio: sono un tifoso sfegatato di calcio e so che avremmo un sacco di cose in comune!”

La spiegazione non calmò affatto l’uomo alto e robusto che fronteggiava, il quale cominciò a vibrare incontrollabilmente per poi esplodere, paonazzo in volto
“Quindi era tutta una scusa per mettere le mani su mia figlia Masami? Ma che razza di depravato sei?”

La ragazza in questione accennò un saluto sollevando la mano e muovendo rapidamente le dita, mentre Shinobu sollevava gli occhi al cielo esasperata.
D’un tratto un ragazzo della squadra, quello che portava la maglietta numero 15, si staccò dai compagni per avvicinarsi agli altri giovani; li squadrò per qualche secondo e poi esclamò, con un sorrisone che gli occupava tutto il volto
“Sayuri! Non posso credere che riusciamo a incontrarci anche quest’anno!”.

Tutti gli astanti si voltarono quindi verso la ragazza che, arrossendo visibilmente, ricambiò il saluto del giocatore balbettando
“Ehm, sì Takeshi! È pro-proprio una fo-fortunata coincidenza!”.
 
Messa alle strette dal cugino e dalle amiche, Sayuri si trovò a confessare che ogni anno la squadra per cui giocava Takeshi effettuava un ritiro di qualche giorno alla fine dell’estate proprio in quelle zone, per prepararsi al meglio all’inizio del campionato juniores. Qualche anno prima si erano conosciuti, durante uno dei suoi soggiorni a casa dei nonni, e da quel momento era diventata una specie di tradizione quella di ritrovarsi in quell’occasione sul monte Kotaro. Purtroppo la lontananza delle loro dimore e gli impegni calcistici di lui non avevano consentito ai ragazzini una frequentazione al di là di quei brevi giorni, almeno fino a quel momento. Tuttavia Sayuri teneva particolarmente a quell’amicizia e aveva fatto in modo di riuscire a salutarlo anche quell’estate.
Certo, doveva ammettere che l’ultimo anno aveva proprio fatto bene all’amico calciatore! Si era ritrovata più volte a fissarlo di nascosto e non poteva non notare che la sua muscolatura era divenuta più definita, le spalle più larghe, i lineamenti più adulti…perfino il suo atteggiamento le sembrava più intraprendente e sbarazzino rispetto alle scorse volte che lo aveva incontrato! Una volta che l’aveva sorpresa a guardarlo, non si era perso d’animo e le aveva lanciato un occhiolino sorridendo completamente a proprio agio. Anche il taglio di capelli che aveva scelto, molto corto, quasi rasato, aveva il potere di valorizzargli il viso e la dolcezza vellutata che i suoi luminosi occhi castani emanavano naturalmente. Chissà cosa stava pensando di lei…
Sayuri si interrogò se verosimilmente si sentisse diversa, più matura o sofisticata rispetto all’estate prima: come lo sguardo le cadde sulla t-shirt di Pochacco che indossava e poi sui pantaloni della tuta rosa, sospettò che probabilmente il suo cambiamento non era stato così evidente.
La squadra juniores degli Urawa Reds, o come erano soprannominati, i Diamantini, alloggiava presso un rifugio che si trovava poco distante dal luogo dell’incontro col gruppo di Sayuri, sulla sponda di un ampio torrente. Il presagio di un autunno imminente si manifestava timidamente nella vegetazione che lo circondava, non più totalmente verde e lussureggiante ma puntinata qua e là da pennellate di giallo, rosso o marrone; il corso d’acqua, che grazie ai primi acquazzoni dei giorni precedenti aveva riacquistato volume e vigore, spazzava via le foglie ormai morte che si ostinavano a cadervi, come a voler negare con tutte le sue forze che ben presto l’estate sarebbe giunta al termine e con essa la spensieratezza che recava.
L’allenatore richiamò col fischietto i giovani calciatori per porli di fronte all’ultimo esercizio della giornata: aveva allestito una fila di ostacoli a intervalli regolari e i ragazzi avrebbero dovuto saltarli. Tutti gli esponenti della squadra, eccetto uno, si misero in coda uno dietro l’altro per svolgere il compito assegnato, mentre il gruppo di Sayuri si sedette su una panchina a guardarli.
Sebbene l’attenzione della ragazza fosse calamitata da Takeshi, si spostò per qualche minuto su di un altro Diamantino dopo aver sentito i commenti delle amiche

“Non sembra anche a voi che il tipo col numero 18 abbia un modo di saltare strano? Sembra un incrocio tra la rana Keroppi e…Tom Cruise!” esclamò Shinobu aggrottando le sopracciglia dallo sforzo di trovare un paragone calzante

“Wow, certo che ne hai di fantasia…in realtà, sebbene ne sia stata letteralmente ossessionata qualche anno fa, devo confessarti di non riuscire a vederci la somiglianza…” replicò Kijo facendo una linguaccia

“Sul serio? E io che credevo di essere l’unica a esserne ossessionata! Pensa che avevo il diario, le magliette, i poster in camera, tutto di lui!” si esaltò Sayuri, sinceramente galvanizzata di aver trovato una fan sfegatata al suo pari

“Davvero? In Italia era una cotta abbastanza diffusa…Pensa che tutte le sere, prima di andare a dormire, davo un bacio al suo poster immaginando che fosse lui” sorrise malinconicamente Kijo, ripensando a quei momenti

“Non ci credo! Lo facevo anch’io e le mie compagne mi prendevano per pazza! Finalmente una che mi capisce…sognavo che baciandolo si sarebbe trasformato nel mio principe azzurro, mentre le mie amiche rimanevano disgustate dal fatto che avessi l’abitudine di baciare una rana…” sospirò Sayuri, persa nei ricordi

“…una rana?” chiese implicitamente maggiori delucidazioni Kijo, temendo di essersi persa un passaggio

“Certo, Keroppi è una rana stilizzata…dovresti saperlo visto che sei una così grande ammiratrice!” puntualizzò Sayuri come se avesse detto una cosa ovvia

“Ah. Io parlavo di Tom Cruise…” si strinse nelle spalle Kijo, una goccia che si ingrossava man mano sulla sua fronte

“Ah.” concluse Sayuri diventando paonazza e cadendo a terra scomposta.
 
Mentre gli ultimi giocatori terminavano la decima serie di ostacoli, la figlia dell’allenatore si avvicinò agli osservatori in panchina. Si fermò proprio davanti a Ranma e, rivolgendosi ai ragazzi, si presentò
“Ciao! Mi chiamo Masami…spero che non siate rimasti male per prima, mio padre è un po’ burbero ma in realtà è un gran tenerone…” così dicendo si tolse il cappellino degli Urawa e scosse i suoi biondi capelli a caschetto per ravvivarli. Era proprio una ragazza carina, una bellezza fresca acqua e sapone priva di fronzoli e orpelli. Gli sguardi dei ragazzi corsero veloci da lei al padre, che stava ricoprendo di urlacci il numero 9 per aver inciampato durante un salto e le sorrisero timidamente, poco convinti.

Moroboshi non perse tuttavia l’occasione di fare lo spavaldo, per cui saltò in piedi e le tese la mano
“Piacere, sono Ataru Moroboshi! Non preoccuparti, non siamo gente che se la prende per così poco”

“Bene, perché volevo invitarvi a restare con noi: dato che domani torniamo in sede a Saitama, stasera pensavamo di fare come ogni anno una piccola festicciola per la fine del ritiro. Se non avete altri programmi ci farebbe piacere che ci faceste compagnia” mentre elaborava l’invito Masami trattenne più a lungo lo sguardo su Ranma che sugli altri, dettaglio che non sfuggì a Hiroshi, Daisuke e neppure a Sayuri, che sospirando replicò con una punta di acidità

“Per caso l’invito è esteso anche a noi ragazze o ti lasciamo solo i nostri amici, biondina?”

“Oh…ma certo che siete invitate! Scusate, credevo fosse scontato…abbiate pazienza, ma sono talmente abituata a relazionarmi solo coi ragazzi che quando ho di fronte delle potenziali amiche vado in palla!” scoppiò a ridere nervosamente Masami, per poi voltarsi nuovamente verso Ranma, continuando “Allora, faccio preparare la brace anche per voi?”

Come dette loro le spalle, Shinobu le fece il verso, aprendo e muovendo la mano come se fosse il becco di un’oca, mentre Sayuri sussurrò alle altre quanto fosse sfacciata.
Kijo rimase un po’ interdetta, osservandola: di certo si trattava di una tipa non convenzionale, però, soprattutto dopo che si era levata il cappellino, ciò che l’aveva colpita maggiormente era l’importante somiglianza con lei…no, non poteva cedere ai ricordi in quel momento, si era impegnata davvero duramente per rimuoverla dalla memoria, eppure eccone una sosia a pochi metri di distanza…cavolo, era proprio carina, con quegli occhi grandi e viola e le labbra piccole e carnose…cielo basta! Doveva trovare un modo per distaccarsi da quei pensieri! Ecco, forse avrebbe potuto odiarla perché aveva un palese interesse per Ranma, come la maggior parte delle ragazze che conosceva del resto: avrebbe dovuto odiarle tutte dunque? Di solito si divertiva a scorgere Saotome annaspare di fronte a delle attenzioni femminili non richieste, ma quella volta era alla disperata ricerca di un pretesto per non prendere in simpatia Masami e impedire ai ricordi sopiti di riaffiorare e ferirla nuovamente.

“Ci servirà una stanza per la notte se ci dobbiamo trattenere: non è prudente affrontare il sentiero che abbiamo percorso col buio…” obiettò Kotaro, sistemandosi gli occhiali sul naso. Kijo venne riscossa dai suoi pensieri grazie a quell’appunto

“Giusto…ci sono abbastanza posti in quel piccolo rifugio o lo avete occupato tutto?” si espresse preoccupato Ranma, che proprio non aveva voglia di passare una nottata all’addiaccio dopo quella insonne

“Oh, non vi preoccupate per quello! Le ragazze possono dormire nella mia stanza, che è davvero gigantesca…la divido volentieri, anche perché ad essere sincera non so quanto dormiremo stanotte! Ihihihih!” Masami concluse quella velata affermazione con una risatina al limite dell’isterico, puntando lo sguardo su Ranma e mordicchiandosi una ciocca di capelli, mentre quest’ultimo sobbalzò sulla panchina e deglutì. Kijo represse un risolino nervoso e si massaggiò le tempie: forse non sarebbe stato così difficile avercela con lei, dopotutto.
Dato che nessuno le aveva risposto, la ragazza continuò
“Quanto ai ragazzi, sono certa che i miei ragazzi vi ospiteranno volentieri nelle loro stanze: sono tipi alla mano, fanno amicizia in fretta!”
Fu la volta di Sayuri di avere un moto di gelosia incontrollato: i suoi ragazzi? Ma chi si credeva di essere? Quel suoi comprendeva anche Takeshi?

Ikeda, che era rimasto assai perplesso da quel soliloquio, decise di prendere in mano la situazione
“Immagino, immagino…tuttavia sarei più tranquillo se riuscissi a parlare col direttore del rifugio. Sai dove posso trovarlo?” chiese a Masami

“Oh, certo…la sua stanza è quella al secondo piano, subito a destra delle scale” sorrise furbamente lei

“Benissimo, vado a informarmi e torno” dichiarò Kotaro mentre si alzava e si dirigeva allo stabile.
Qualche istante dopo Moroboshi, osservando la ragazza bionda che se la rideva sotto i baffi, si azzardò a chiederle
“Scusa, ma cosa c’è di così divertente?”

“Mmm, nulla di che…” commentò lei, esibendo una linguaccia.
 
Dietro inappellabile insistenza di Masami, il gruppetto si avvicinò ai Diamantini per fare conoscenza. I ragazzi, nonostante l’impegnativo allenamento, parevano ciarlieri e di buon umore mentre si tergevano il sudore con degli asciugamani di spugna. Il sole che fino a poco prima aveva brillato come protagonista indiscusso della volta celeste, pian piano cominciava a ritirarsi dietro le cime montuose, lasciando spazio a un’atmosfera più fresca e dalle tinte di nubi aranciate che presagiva l’imminente arrivo della notte.

“Ehi Mas, ci hai procurato una nuova legione di tifosi?” ridacchiò il ragazzo col numero 6 sulla maglia, appallottolando l’asciugamano e gettandolo nel borsone da ginnastica rosso e nero

“Sicuro Jin! Nessuno tiferebbe spontaneamente per voi bietoloni se non ci mettessi il mio zampino! Guardate un po’ che bel gruppo! C’è perfino un’italiana!” la ragazza pronunciò quel termine in tono allusivo, come se dovesse celare un qualche significato sotteso, mentre indicava Kijo.

La schiera di giocatori si avvicinò guardinga, come se fossero in presenza di un’extraterrestre di una specie sconosciuta; uno dei più baldanzosi, un tipo dai capelli rossi col numero 11, azzardò una domanda
“Ehi, ma è vero che voi italiani avete il calcio nel sangue? Persino le femmine?”

Kijo rimase piuttosto perplessa da quella domanda stereotipata, cercò di limitare lo sguardo al cielo che le era già partito al minimo e poi rispose, meno sarcasticamente che poté
“Più che nel sangue lo abbiamo nelle ossa, come voi presumo; riguardo alle femmine in genere il livello cala un po’ dopo la menopausa, ma con integratori opportuni…”

Fu interrotta da una risata che arrivò dalle retrovie: il ragazzo che non aveva partecipato agli allenamenti si stava alzando in quel momento dalla panchina e con studiata lentezza si avvicinò poi al resto della squadra; era alto e dinoccolato, piuttosto snello e decisamente meno muscoloso dei suoi compagni, un ciuffo di capelli biondo-platino gli ricadeva sbarazzino sugli occhi neri, talmente scuri che non si riusciva a distinguere l’iride dalla pupilla. Si fermò pochi centimetri di fronte a Kijo, le diede un buffetto sulla guancia mentre esclamava
“Sei divertente, corvina! Passa da me più tardi, così potremo parlare di Calcio, Magnesio, Berillio…tutti gli elementi che vuoi!” poi si buttò la giacchetta della tuta dietro una spalla e proseguì il suo incedere verso il rifugio, con gli occhi di tutti calamitati addosso.

Dopo qualche secondo di smarrimento generale di fronte a quell’exploit, Kijo si riebbe e replicò alle spalle del tipo
“Sicuro! Ma dal vivo o tramite Radio?”

Il ragazzo col numero 4 lasciò che sgorgasse una nuova sonora risata dalla sua gola, che cadde cristallina come una pietra in uno stagno di perplessità comune, e senza voltarsi imitò il gesto di una pistola che spara con la mano destra.

Masami ruppe nuovamente il silenzio gridando
“Uuuuuuuuh! Nerd alert!” mentre scoppiava in una risata fragorosa, che pian piano contagiò quasi tutti. Eccetto Ranma.
 
Kotaro salì le scale e si trovò di fronte alla porta che gli era stata indicata; non poté non notare la grande cura con cui quel semplice rifugio era stato arredato: sembrava di essere avvolti in un guscio di noce, dato che il legno la faceva da padrone ovunque, tra mobili artigianali, piccole finestre con le persiane, un caldo parquet e le travi a vista. Un lieve odore di vaniglia aleggiava poi per tutta la struttura, conferendole un’atmosfera familiare in cui sembrava a che qualcuno sfornasse continuamente dei dolcetti. Bussò quindi all’uscio ma non ottenne risposta. Bussò nuovamente, più forte e più a lungo di prima, ma ancora niente. Dato che le chiavi penzolavano all’esterno della porta, si decise ad entrare annunciando la sua presenza a voce. Proprio in quel momento, un uomo parecchio robusto uscì dal bagno, portandosi dietro una nuvola di vapore, coperto solo da un asciugamano legato in vita
“Chi ti ha detto di venire qui? Fuori dalla mia stanza, maleducato!” ringhiò l’allenatore rubicondo verso Ikeda, il quale profondendosi in inchini consecutivi di scuse scivolò su di un pallone lasciato sul pavimento, cadde, si rialzò in un nanosecondo e fuggì dalla camera.

Affrettandosi a tornare dai propri amici, si imbatté in Masami in fondo alle scale, la quale gli domandò, con aria innocente
“Hai trovato l’uomo che cercavi?”

“No, affatto!” rispose Kotaro, cercando di minimizzare il fiatone che aveva a seguito della rocambolesca corsa “Sono finito in camera di tuo padre! Che tremenda vergogna…” ammise nascondendosi il volto tra le mani e scuotendo la testa

“Oh, quella era a destra delle scale…io ti avevo detto primo piano a sinistra” puntualizzò lei facendo spallucce e osservando furtivamente il movimento di alcuni ospiti oltre le spalle del ragazzo

“No, no! Sono sicuro che mi hai detto a destra!” si impuntò Kotaro, infastidito

“Sì, a destra se guardi le scale mentre scendi, ma se sali devi svoltare a sinistra” incrociò le braccia al petto la ragazza, certa di avere la vittoria di quella schermaglia verbale in pugno

“Ma che diamine di indicazioni sono! È ovvio che guardo le scale salendo, mica mi sono calato dal soffitto! Sei veramente un’id-…lasciamo stare, va’!” sbuffò Ikeda spazientito, risalendo nuovamente la rampa. Masami agitò voluttuosamente le dita della mano destra, quasi stesse suonando un pianoforte invisibile, e ghignò con aria furba.
 
Kotaro bussò timidamente alla nuova porta e appena al secondo colpo una voce maschile gli rispose di venire avanti. Aprì pian piano spingendo la maniglia e si ritrovò in una stanza in penombra, illuminata a stento da alcune candele profumate qua e là. In mezzo alla camera c’era un lettino da ambulatorio medico, su cui era riverso un signore che aveva il volto avvolto da un foro presente nella testata. Il suo unico indumento era un asciugamano che a malapena copriva il suo ampio fondoschiena.

“Scusatemi signore…io…” cominciò a parlare Kotaro, talmente a disagio che gli venne fuori una vocetta stridula e roca

“Oh, non preoccuparti! Senti, non badare a quello che ti ho detto poco fa: se non ti dispiace vorrei che mi massaggiassi ben profondamente la zona delle spalle e quella lombare, è lì che accumulo tutto lo stress!” ordinò l’uomo, con tono così risoluto che Kotaro si sentì spinto automaticamente a esaudire la richiesta.

Pensò che fosse ben strano che un gestore di rifugio facesse certe richieste a uno sconosciuto, ma evidentemente doveva soffrire per qualche dolore ed era disperato. In fondo che ci voleva a fare un massaggio? Se ci riusciva quella stupida di Kijo non sarebbe dovuto essere così complicato, giusto?
Su di un tavolinetto lì accanto erano disposti alcuni flaconi, contenenti oli e creme: quante menate, in fondo uno valeva l’altro, no?
Strizzò una quantità esagerata di un olio dall’odore assai pungente su tutta la vasta schiena dell’uomo e iniziò a spalmarlo con vigore con movimenti concentrici, quasi stesse cercando di strusciar via una macchia ostinata dal pavimento.

“Mmm…una nuova tecnica vedo…e cos’è questo aroma così penetrante? Spero che non sia canfora perché sono allergico, come ti ho già detto ieri” mugolò il bestione, che tutto sommato sembrava gradire il massaggio e si stava rilassando.

Kotaro intanto stava assecondando sempre di più la sensazione di malessere strisciante che gli serpeggiava nello stomaco…Ieri? Quando diamine si erano parlati il giorno prima? Possibile che il tizio lo avesse confuso con qualcun altro? E soprattutto…che diavolo era la canfora?
Staccò un attimo le mani da quella pelle bisunta e arraffò la boccetta ormai semivuota che gli aveva spremuto ben bene addosso. «Ocimum kilimandscharicum oleum» riportava l’etichetta semisbiadita. A posto, si era preoccupato per nulla! Mentre rimetteva via l’ampolla, tuttavia gli cadde l’occhio su una piccola scritta tra parentesi, che faticava a leggere; si aggiustò gli occhiali sul naso e per poco non gli prese un colpo: il nome comune riportato era olio canforato!
Con le mani tremanti si volse nuovamente verso la schiena del disgraziato che gli stava di fronte e in preda al panico osservò come sulla pelle arrossata iniziassero a comparire delle vescicole tonde e rialzate

“Ehi, è normale che senta un po’ di pizzicore? È l’effetto caldo?” domandò l’uomo, che aveva preso a scuotersi leggermente. Quando il fastidio divenne intollerabile, il signore si alzò, si mise a sedere sul lettino e cominciò a grattarsi la schiena: come posero l’attenzione l’un l’altro, i due presenti nella stanza esclamarono stupefatti all’unisono

“Tu?!”
L’allenatore venne rapidamente invaso da un moto di rabbia tale che a Ikeda parve iniziasse a uscirgli del fumo dalle orecchie, per cui, assai spaventato, se la diede a gambe prima di essere acciuffato per il bavero.
 
Di fumo, invece, ce n’era abbastanza all’esterno da creare una coltre fitta che avvolgeva principalmente la zona in cui erano stati messi ad ardere i bracieri, ricoperti da gratelle ricolme di carni che cuocevano senza sosta.
Ispirata da quell’odorino delizioso di carne abbrustolita, Kijo procedeva a tentoni in quella densa nebbia al fine di aggiudicarsi qualche buon bocconcino per placare il suo stomaco brontolante. Come giunse vicino a un braciere, scorse la sagoma di Ranma di fronte a quello accanto, che si impegnava per tenere in equilibrio quattro piatti ricolmi di ciccia: le accennò rapidamente un sorriso, poi prese con i denti un paio di bacchette e si avviò a cercare un posto attorno al falò per gustare, di sicuro assai voracemente, quelle prelibatezze. Che buffo che era! Di fronte al cibo perdeva ogni ferrea inibizione che in molti altri contesti manteneva disperatamente: forse il cibo era una sorta di porticina d’accesso di quella fortezza inespugnabile che si era costruito attorno.
Mentre indulgeva con la mente in questi voli pindarici, si sentì travolgere da dietro da un ignoto che le aveva sbattuto contro: per poco non lanciò il piatto che teneva in mano tipo frisbee, rischiando di colpire qualcuno alla cieca, e come ebbe ripreso l’equilibrio si voltò e si trovò di fronte due occhi senza fondo che la scrutavano nella foschia

“Ciao ragazza italiana che odia il calcio! Scusami, ma non ti avevo vista” si giustificò, senza davvero sembrare dispiaciuto, il ragazzo col numero 4 stampato sulla tuta rosso-nera; mise su un sorriso sghembo indecifrabile, mentre con la mano destra le dava leggere pacche sulle spalle come per rimuovere della polvere invisibile. Lei inarcò le sopracciglia, ancora incerta su come interagire con quel tipo particolare

“Mi chiamo Kijo, se vuoi risparmiarti la fatica di trovarmi ogni volta un nuovo epiteto…”

“Uh, pungente! Vuol dire che ci saranno altre interazioni tra noi?” le si rivolse allusivo

“Non saprei…credevo avessimo un discorso sui metalli alcalino terrosi da affrontare, ma se ci hai ripensato tranquillo, non ti riterrò uno Stronzio per questo” si strinse nelle spalle la ragazza, mentre lui si lasciava gorgogliare in gola una risata che poi esplose dirompente. Possibile che questo tizio apprezzasse davvero il suo umorismo demenziale? In genere la reazione degli altri alle sue battute era più una mezza risata a denti stretti, ma questo tipo sembrava divertirsi davvero!

“Sei forte, ragazzina!” replicò lui passandole un braccio sulle spalle, per sospingerla più vicino al braciere

“Ehm…a te hanno dato anche un nome assieme a tutta questa esuberanza? Oppure no e per questo eviti esplicitamente di usare quello degli altri quando ti rivolgi a loro?” chiese Kijo mentre con le pinze di metallo sceglieva un pezzo di rosticciana da mettere nel proprio piatto: sfortunatamente era lo stesso che aveva agguantato, dall’altro lato, quello strano ragazzo, per cui si ritrovarono con la porzione contesa sospesa a mezz’aria

“I nomi, che banalità…li usano tutti! I soprannomi invece…sono immediati, sono speciali…sono intimi” proclamò solennemente il tipo, lo sguardo perso oltre l’orizzonte che pochi studiati attimi dopo ritrovò la strada per gli occhi di Kijo. Pervasa da una perplessità crescente, la ragazza inarcò appena verso l’altro il labbro inferiore, mentre con le pinze forzava il pezzo prescelto di carne verso il suo piatto e poi si apprestava a sceglierne un altro
“…comunque, se non puoi farne a meno, sappi che rispondo al nome di Hinto. E che non ho intenzione di rinunciare a questo bocconcino succulento!”
Così dicendo il ragazzo le rivolse un occhiolino, riprese il pezzo di rosticciana dal piatto di Kijo, si servì di un paio di salsicce e sparì nell’aria fumosa.
 
Dopo essere finalmente riuscita a riempirsi il piatto, Kijo emerse dalla zona dei bracieri e riacquistò un po’ di visibilità. Quasi tutti i ragazzi erano seduti su dei grossi tronchi d’albero sistemati attorno a un grande fuoco da campo. Le sue speranze di sedere accanto a Ranma furono immediatamente infrante dalla constatazione che era già stato circondato da Daisuke e Hiroshi: i tre conversavano garruli con alcuni Diamantini e sembravano totalmente coinvolti nella rievocazione di una partita recente. Accanto a Hiroshi, Yuka degustava il suo cibo compostamente, totalmente avulsa dai discorsi che le gravitavano intorno. Sayuri e Takeshi si erano sistemati su un lato tranquillo e parlottavano fitti fitti, ridacchiando di quando in quando: la sua amica gli lanciava certi sguardi languidi, ricambiati da lui…no, decisamente non poteva sedersi nei paraggi e disturbarli!
Ataru, che da un lato era sito accanto a Shinobu, non esitò a buttare in terra con un colpo di fianco il poveraccio che gli era vicino, pur di fare posto a Kijo, ma quest’ultimo, comprensibilmente infastidito, si mise a litigare animatamente con Moroboshi, convincendo la ragazza che nemmeno lì era aria. Giunse quindi quasi alla fine del cerchio, quando notò Hinto, le gambe sguaiatamente accavallate, che batteva con la mano destra sul legno del tronco subito accanto a lui, mentre con la sinistra sosteneva il pezzo di carne che stava rosicchiando. Dato che non si avvicinò subito, la chiamò con la bocca piena
“Ehi, Miss-sf Italia, vieni qui! Ti ho sf-serbato il posf-sto!”
E niente, non ce la poteva fare a chiamarla col suo nome… 


 
Quell’urlo a bocca piena, assai cafone perfino per i suoi gusti ben lontani da una rigida etichetta, riscosse Ranma dalla sua conversazione con Ando e Hiro. Perché, per tutti i fulmini che gli saettavano dagli occhi, quella benedetta ragazza si era andata a sedere laggiù, in disparte, accanto a quel bellimbusto? Non c’erano altri posti liberi? Ma poi cos’era tutta quella confidenza? Lei gli aveva preso un pezzo di carne dal piatto e lui si era vendicato rubandole un boccone a sua volta e poi strizzandole il naso con le bacchette! A causa di una strana connessione mentale, gli tornò in mente di quando in gita erano finiti a litigarsi un nikuman al cioccolato e nell’enfasi della lotta erano finiti sdraiati…avevano perfino passato la notte insieme dopo! Possibile che fosse tutta una tattica di seduzione di Kijo, quella di partire giocando col cibo per poi arrivare…no, diamine! Ma che stava pensando! Non era successo nulla poi tra loro quella notte, se non nel multisala situato nel suo cervello! Ma chi gli garantiva che con quello stramboide l’innocuo esito sarebbe stato lo stesso?
Nulla, così non poteva continuare, doveva vederci chiaro. Ingollò tutta la carne che aveva nei quattro piatti con una rapidità tale che gli sarebbe sicuramente valsa la vittoria in una sfida a villa Chardin e con la scusa di fare quattro passi per digerire si diresse verso i due giovani.  
 
“Lo sai cosa esclama un chimico quando si accorge di aver finito tutto il magnesio in laboratorio? O-Mg!” Kijo raccontò l’ennesima barzelletta e Hinto continuò a scompisciarsi come se fosse la prima, tant’è che fu costretto a richiedere affannosamente una tregua

“Oddio, basta! Mi vuoi far morire! Mi manca il respiro…”

La ragazza aveva momentaneamente messo da parte la diffidenza che l’atteggiamento del calciatore le suscitava, in fondo i casi erano due: o quel tipo era il miglior attore al mondo quando si trattava di fingere delle risate oppure si stava divertendo davvero. Per una volta fu propensa a dare una chance alla seconda opzione, per quanto incredibile le risultasse, quindi assecondò il suo desiderio di cambiare argomento
“Ok! Ma hai insistito tu a voler sentire il mio repertorio di battute a sfondo scientifico finora…Piuttosto, come mai non hai partecipato agli allenamenti oggi?”

Hinto inspirò profondamente per sedare del tutto la ridarella residua, poi mise su un sorrisetto furbo e asimmetrico e rispose
“Io non partecipo mai agli allenamenti”

“Come? Ma non fai parte della squadra?” sobbalzò perplessa Kijo

“Certo…sono la riserva ufficiale!” ammise con orgoglio, dandosi un tono. Di fronte alle sopracciglia sempre più aggrottate della ragazza, si decise a fornire una spiegazione più estesa

“Non sono mai stato un patito del calcio, però agli Urawa serviva un numero minimo di appartenenti per poter competere nei tornei, quindi siamo giunti a questo accordo: faccio parte della squadra, ne seguo tutti gli spostamenti e partecipo a tutte le partite…dalla panchina! Mi pagano bene per il tempo che passo con loro e inoltre essere un giocatore è una potentissima calamita per le ragazze…almeno per quelle che amano il calcio”

“Caspita, mi sembra un accordo vantaggioso per entrambi!” cercò di tergiversare Kijo, che era stata costretta ad abbassare lo sguardo per evitare gli occhi senza fondo di Hinto, divenuti di colpo troppo intensi

“…e tu non ami proprio per niente il gioco del pallone?” le domandò lapidario spostando la testa lateralmente

“N-no, io proprio non lo seguo. Giusto ai mondiali ho guardato qualche partita ma non fa per me! Tutte quelle regole poi…il fuorigioco: chi l’ha mai capito? Il fallo laterale? Tutte le volte mi viene in mente un povero giocatore che per sbaglio si è comprato delle mutande troppo strette…”
Kijo aveva preso a parlare a raffica, ma l’onda prorompente del suo discorso sconnesso le morì in gola non appena vide avvicinarsi Ranma: sembrava sul piede di guerra, mentre camminava marciando nella loro direzione.

“Beh, che si dice di bello qui? Sembra che vi stiate divertendo un mondo, mentre laggiù la cena è un mortorio…” esordì quest’ultimo indicando alle sue spalle il gruppetto che aveva appena lasciato, il quale stava ora ridendo a crepapelle.

“Ciao Codino! E tu chi saresti, un fan di Baggio?” Hinto scandì bene le parole affinché Kijo cogliesse il riferimento al giocatore italiano, il quale ovviamente venne mancato da Ranma, che lo prese per un’offesa.

“Ehi, Baggio a chi? Bada a come parli perché anch’io sono un esperto del calcio, soprattutto se è ben assestato per spedirti in orbita!”

Sia Hinto che Kijo scoppiarono a ridergli in faccia, innervosendolo ancora di più: una vena pulsava visibile sulla sua tempia destra, mentre una mano si stringeva automaticamente a pugno minacciosa.
Come riprese un briciolo di autocontrollo, Hinto si affrettò a replicare
“Ehi, amico! Tu e la tua ragazza siete veramente spassosi, non avevo mai incontrato due tipi come voi!”

Confuso da quella risposta e dall’atteggiamento di quel ragazzo, Ranma si trovò a rilassare la muscolatura e abbandonare la postura di attacco in cui si era messo. Non lo stava prendendo in giro, quindi? Credeva che scherzasse? Ma soprattutto…aveva appena fatto un gioco di parole alla Kijo? Ehi, fermi tutti! Tu e la tua ragazza…?
“Ehm, guarda, veramente lei non è…insomma, non siamo…” si affrettò a precisare, incespicando su ogni termine che risultava troppo grosso per poter uscire dalla sua gola.

Kijo roteò ampiamente gli occhi al cielo, pensando “Ci risiamo…”, mentre un rapido lampo passò negli occhi di Hinto, il quale replicò con un sorrisetto criptico

“Oh, davvero? Questa sì che è una svolta inaspettata”

Le conseguenze di quelle parole furono congelate dall’arrivo a corsa di Masami, la quale senza tante cerimonie si rivolse a Kijo
“Ehi, tu! Mi hanno detto che sei una specie di spacciatrice…”

“Come prego?!” si alzò in piedi Kijo, fissandola ardentemente

“Sì, insomma, che ti porti sempre appresso una farmacia ambulante! Mio padre è venuto a contatto con una roba a cui è allergico e adesso ha un sacco di bolle sulla schiena. Hai qualcosa da dargli?”

Kijo sospirò per i modi discutibili con cui quella ragazza le si era rivolta, ma decise di soprassedere. Aprì il suo zainetto e cominciò a frugarci dentro, estraendo man mano una quantità di barattolini, tubetti, boccette, garze e cerotti che andavano a formare via via una montagnetta accanto a lei
“Caspita, se solo mi fossi portata dietro la valigia…per la passeggiata ho selezionato solo un kit di pronto soccorso estremamente ridotto! Dunque, questo è un collirio…questo no, è un antibiotico…questo è il disinfettante…eppure mi sembrava che ci fosse…”
Gli altri tre ragazzi la stavano osservando con una gigantesca goccia sulla testa, mentre scorgevano la pila di medicine farsi sempre più alta. Poco dopo, la ragazza gridò soddisfatta
“Evviva! Una pomata al cortisone! Sapevo di avercela messa!”
Fu presa letteralmente per un braccio e trascinata verso il rifugio da Masami, che con l’altro braccio agguantò Ranma e trascinò pure lui, giustificandosi dicendo di aver bisogno di supporto morale.
 
La corsa a spron battuto fu interrotta di fronte a una porta di legno, che fu rapidamente aperta da Masami per spingere frettolosamente Kijo oltre la soglia e subito richiuderla.
La ragazza si ritrovò in una stanza che sembrava un piccolo centro estetico, sul cui lettino era seduto il corpulento allenatore degli Urawa Reds a torso nudo.
“Mi dispiace disturbarvi, signorina, ma a quanto pare siete l’unica che può aiutarmi a trovare un po’ di sollievo in questo posto sperduto nel nulla” le si rivolse l’uomo. Possedeva un ferreo autocontrollo, che manifestava nell’espressione del viso imperturbabile e nel tono deciso della voce, tuttavia degli impercettibili spasmi muscolari involontari fecero sospettare a Kijo quanto dovesse soffrire in realtà.

“Non vi preoccupate, se potrò esservi d’aiuto sarò ben lieta di farlo” gli rispose pacata, spostandosi dietro di lui per osservargli la schiena. Santo cielo! Era un tripudio di vescicole rialzate e arrossate che alteravano completamente la normale conformazione liscia del dorso! La ragazza si lavò dapprima le mani nel lavandino, poi strizzò il contenuto di mezzo tubetto di crema sulla schiena del malcapitato e iniziò a spanderla il più delicatamente possibile. La pelle sotto le sue dita bruciava per l’infiammazione e istintivamente provava a ritrarsi dal suo tocco.
“Posso sapere cosa vi ha causato tutto questo?” domandò all’uomo per distrarlo dal fastidio

“Un massaggiatore improvvisato e incompetente…Ha usato l’olio di canfora a cui sono allergico. Ho provato a lavarmelo subito via con una doccia, ma l’irritazione è rimasta” rispose l’allenatore, sopportando stoicamente ogni manovra.
 
Nel frattempo, fuori dalla porta, Masami si era abbarbicata al braccio di Ranma, mettendo in scena una tragedia greca degna di Euripide con tanto di voce tremula e lacrime in procinto di sgorgare dagli occhi da cucciolo bastonato
“Oh, il mio povero padre…che disgrazia! Dici che ce la farà a sopravvivere, Ranma? Ce la farà?”
Il ragazzo col codino era assai in imbarazzo per la piega che aveva preso la situazione e non aveva idea di come uscirne. Si limitò a dare un paio di pacche sulla schiena a Masami, mentre deglutiva senza saper bene cosa dirle.
“Ti prego, Ranma, portami via di qui…quest’attesa incerta e ricolma di pathos mi sta uccidendo…ho bisogno di prendere un po’ d’aria fresca!” così dicendo la ragazza lo trascinò quasi di peso nuovamente fuori, nel buio della notte, senza che i suoi flebili tentativi di resistenza fossero assolutamente presi in considerazione.
 
Dopo essersi congedata da quell’inaspettato paziente, Kijo uscì nuovamente dalla stanza e si ritrovò sola nel corridoio. Decise di scendere le scale per cercare Masami: per quanto era sembrata preoccupata dalle condizioni di salute del padre le sembrò singolare che non fosse rimasta nei paraggi ad attendere sue notizie. Eppure di lei non c’era traccia. E nemmeno di Ranma.
Attraversò l’ingresso del rifugio e a passo spedito raggiunse la zona dei bracieri, non più fumosa, in cui gli ultimi tizzoni quasi spenti emanavano rossi bagliori nell’aria notturna prima di sopirsi definitivamente. Ben poche persone erano rimaste a sedere sui tronchi, complici la fredda umidità che era calata e il cielo che si era ammantato di una coltre nebulosa, ma le due che cercava non erano tra queste. Setacciò il perimetro del rifugio un paio di volte, inutilmente, sfregandosi le braccia per provare a contrastare quella sensazione di freddo che non sapeva distinguere se provenisse dall’esterno o dall’interno; gironzolò anche nelle immediate vicinanze del falò ormai incenerito, scorgendo accidentalmente solo momenti privati tra ragazzi appartati per nascondersi a occhiate indiscrete.
Che diamine ci faceva lì? Non era stanca di vagare a vuoto? Era pure stanca in generale e lo sbadiglio che le salì prepotente sulle labbra glielo ricordò senza complimenti. Del resto, se non importava a quella tizia informarsi sulle condizioni del padre, perché doveva darsene pena lei? Ci mancava solo che si mettesse a piovere, poi…Sì, avrebbe fatto meglio ad affrettarsi a rientrare nel rifugio, era puro buon senso. Ma i suoi piedi erano di tutt’altro avviso e la condussero ancora più distante dalla struttura verso percorsi inesplorati, quasi fossero guidati da un canto ammaliatore di qualche creatura sovrannaturale. Ranma. Quelle due sillabe emersero prepotenti nel mare della sua coscienza, come il fine ultimo verso cui tendeva. Doveva scoprire dove era finito e soprattutto schiacciare quel serpeggiante presentimento che suggeriva che ciò che avrebbe visto non le sarebbe piaciuto per niente.

“Che ci fai tutta sola nel bosco, Cappuccetto Rosso? Stai attenta perché belve feroci possono annidarsi nell’oscurità…”
Una voce dall’inflessione canzonatoria si materializzò nel buio, seguita dopo un paio di secondi dalla sagoma di Hinto, appoggiato a un albero con le labbra increspate da un cenno beffardo. Il cielo brontolò rumoroso e un lampo illuminò per un istante la foresta a giorno.

Kijo si fermò di colpo e lo squadrò da capo a piedi: per tutte le leggi stocastiche, quante dannate probabilità c’erano che si trovasse lì in quel momento?
“Sembra…una serata perfetta per una bella passeggiata! Mi aiuta a conciliare il sonno” rispose lei, mentre tra sé rifletteva che quello era l’ultimo dei suoi problemi. Prese un respiro profondo e, armandosi di baldanza, spostò il discorso su di lui riprendendo il suo parallelismo
“Mentre tu invece, che ci fai qui? Sei lupo o cacciatore?”

“Cambia ben poco, ragazzina spiritosa…in fondo entrambi ricercano una preda” replicò tagliente, facendo un passo verso di lei, che si irrigidì istantaneamente. Cominciò, dissimulando noncuranza, a spostare il peso del corpo sulla gamba posteriore, in modo da scattare rapidamente se ci fosse stato bisogno di scappare o attaccare. Perché si doveva sempre trovare in queste situazioni infelici? Stava per dirgli qualcosa, mentre fingendo di sistemarsi i capelli si era portata la mano sinistra a protezione del volto, quando lui parlò nuovamente
“Credo che anche tu stia ricercando qualcuno e quel qualcuno è andato da quella parte, con qualcun’altra. Se vuoi ti ci accompagno”

Cavolo, quello cambiava tutto! A meno che…non fosse tutta una scusa per farla addentrare ancora di più nella folta boscaglia. Cosa doveva fare? Essere paranoica o eccessivamente ingenua? Cosa le consigliavano i suoi piedi? I suoi irresponsabili piedi ovviamente erano lì lì per partire in quarta nella direzione indicata, ma il briciolo di razionalità che riuscì a imporsi le fece dichiarare
“D’accordo, fammi strada che ti seguo” mentre manteneva la soglia di attenzione alta su un qualunque movimento delle spalle di lui.
 
“Dai, siamo appena arrivati…perché vuoi già andartene? Guarda che angolino panoramico che ho scovato. È perfetto per…far trovare conforto nella bellezza della natura al mio animo tormentato dall’apprensione!”
Masami lo aveva condotto in una piccola radura sul ciglio del torrente, laddove con un salto di due o tre metri si gettava in verticale a formare una cascatella, che poi proseguiva serpeggiando a valle. Lo scrosciare dell’acqua era assai potente in quel tratto, per cui per sentirsi dovevano quasi urlare le parole.

“Appunto! Se sei tanto preoccupata dovremmo tornare al rifugio per sentire come sta tuo padre! Tanto più che sta per piovere!” gridò Ranma alla ragazza che proprio non voleva saperne di staccarsi dal suo braccio. Chissà che faccia avrebbe fatto se si fosse ritrovata improvvisamente abbracciata a una ragazza, a causa della pioggia…Sebbene fosse convinto che non fosse cosa da provare, una parte di lui sorrise intimamente divertita a quella possibilità: sarebbe finalmente riuscito a scrollarsela di dosso in quel modo!

“Come? Non ti sento…Aspetta che mi avvicino un po’…” rispose Masami, appropinquando il suo viso a quello del ragazzo

“Scusate il disturbo” proferì Kijo alle loro spalle. Non aveva parlato a voce particolarmente alta, ma quelle parole risuonarono in testa a Ranma come lo schiocco di una stilettata, tanto erano state scandite in tono fermo e autorevole. Il ragazzo sobbalzò di scatto, voltandosi verso la ragazza che le aveva pronunciate. Non era sola. Che cavolo ci faceva quell’allampanato con lei? Ritornò con lo sguardo verso Kijo e quasi tremò non appena venne trafitto dai suoi occhi gelidi e al contempo fiammeggianti. La sua voce divenne priva di qualsiasi inflessione e gli ricordò quasi lo spirito di Kogame quando disse, mescolandosi al ruggito del torrente
“Tuo padre sta meglio, volevo accertarmi che lo sapessi”
Girò poi su se stessa di centottanta gradi e cominciò a ricalcare i passi da cui era venuta, seguita da quel maledetto bietolone.

“Kijo, aspetta!” le urlò Ranma, provando a muoversi nella sua direzione nonostante la strenua resistenza di Masami che, puntellandosi coi piedi nel terreno, cercava di trattenerlo sul posto.
Lei non lo sentì. O peggio ancora lo ignorò deliberatamente, sparendo dalla sua vista nel buio della boscaglia. Le nubi che si scontrarono in cielo rumoreggiarono minacciose. La situazione era disperata, per cui Ranma decise di ricorrere a una delle più temibili tecniche segrete della scuola Saotome, l’Attacco dal dietro della zanna del lupo: inspirò profondamente varie volte, finché non sentì il controllo totale pervadere il suo corpo, poi incurvò le dita delle mani a guisa di zanne di un lupo feroce; la tensione che sentiva scorrergli nelle vene era pura adrenalina, quindi seppe che era giunto il momento di sferrare la manovra finale di quella complicata tecnica. Ranma volse ostentatamente lo sguardo oltre le spalle di Masami e, indicando con le mani in quella direzione, le rivolse la domanda
“Ehi, cos’è questo?!”

Come la ragazza si girò per guardare, lui sfruttò la sua distrazione per liberarsi con una torsione di polso, facendola finire a sedere a terra, dato che era sempre sbilanciata per tirarlo a sé. Corse poi verso il punto in cui si era dileguata Kijo, scorgendola non molto lontano camminare affiancata al tipo strambo, sorda ai suoi richiami. Dall’alto, facendosi strada tra le foglie che stormivano agitate dalla burrasca, caddero le prime gocce di pioggia sul terreno. PLIC. PLIC. PLIC. Alle sue spalle, Masami gli strillava di ritornare indietro, lanciata in una folle corsa per riacciuffarlo. Accadde tutto in una frazione di secondo: Ranma raggiunse Kijo, che ebbe appena il tempo di volgere il viso per vedere le sue braccia che la afferravano e la stringevano a sé, facendole sollevare i piedi dal terreno in una corsa che sfidava la gravità.
Immobile contro il petto di Ranma, le pupille dilatate al massimo per cercare di carpire qualche indizio di quello che stava succedendo, Kijo si ritrovò a volare: quel ragazzo correva come se fosse fatto di vento, saltando gli ostacoli che gli si paravano davanti a velocità incredibile per qualunque atleta quasi fossero entrambi senza peso. Non aveva mai provato niente del genere prima, sebbene fronde e rami gli si manifestassero in ogni direzione, lui trovava sempre il modo di evitarli: era una corsa contro la morte in cui però si sentiva assolutamente tranquilla che la morte non li avrebbe mai raggiunti…chissà se era così che si sentivano i piloti di Formula Uno che tanto ammirava…
D’un tratto, oltre alla brezza che le scompigliava i capelli, Kijo percepì sulla fronte un tocco umido che le fece accapponare la pelle: stava cominciando a piovere. Quella consapevolezza le avvolse lo stomaco in una morsa, ritrovandosi totalmente impreparata a fronteggiare un imprevisto del genere; tutti i suoi sensi furono rivolti a captare i percorsi che quei rivoli d’acqua compievano scendendo su di loro, ma quasi magicamente sembrava che Ranma riuscisse a evitarli come fossero granate nemiche lanciate con l’intento di colpirli. Il suono dei goccioloni sempre più grossi che toccavano il terreno si faceva sempre più concertato.

Maledizione, sarebbe stato davvero umiliante dover ammettere l’assurda condanna di cui era vittima ogni volta che si bagnava con l’acqua fredda…
Ranma correva al massimo della sua velocità, aggiustando continuamente la traiettoria per evitare quelle gocce che, fino a quel momento almeno, erano parzialmente trattenute dalle frasche che li sovrastavano. Ma quanto sarebbe potuto durare? Il temporale stava aumentando d’intensità e ben presto sarebbe diventato impossibile passare tra uno schizzo e l’altro. Forse avrebbe dovuto rassegnarsi a dirglielo, magari avrebbe capito…Ma non così, Kami! Molte volte era stato sul punto di rivelarle il suo scabroso segreto, forte della apparente apertura mentale di Kijo su certi argomenti...Ma di fronte a uno scherzo della natura qual era lui, avrebbe mantenuto quell’atteggiamento? Era un discreto boccone da digerire, in fondo, e in ogni caso avrebbe voluto metterla al corrente spontaneamente, non perché costretto da un dannato acquazzone estivo che l’aveva sorpreso all’aperto! In quell’istante, poi, chissà cosa stava pensando lei dopo averlo scovato in mezzo al bosco con quell’isterica…No, non era affatto il momento giusto!

Cercando di comporre mentalmente uno straccio di discorso che riuscisse a spiegare l’inspiegabile il più semplicemente possibile, Kijo si era alienata per qualche secondo da quello che le gravitava attorno. Un barlume di lucidità la riscosse assai rapidamente quando notò una strana rientranza nella roccia che pareva fornire una chance di riparo
“Ranma, a sinistra!” gridò sollevando lo sguardo verso il suo mento e lui cambiò bruscamente direzione.

Come misero piede nella grotta un fulmine squarciò il cielo notturno a metà e cominciò a piovere a cateratte. Un brivido di tensione corse sulle loro schiene mentre osservavano la mole d’acqua che si riversava sul terreno, formando dei piccoli rigagnoli che come serpentelli tentavano di entrare in quel rifugio improvvisato a lambire i piedi di Ranma; prima di far scendere Kijo dalla salda presa delle sue braccia, il ragazzo si addentrò ulteriormente in quell’anfratto, per evitare che un colpo improvviso di pioggia a vento vanificasse tutti gli sforzi della corsa a perdifiato appena terminata.
“Brr…ce la siamo vista brutta…” commentò Kijo stringendosi in un auto-abbraccio come fu di nuovo coi piedi a terra. La temperatura dell’aria era precipitata notevolmente a causa dell’umidità, o forse la risposta del proprio corpo al calo dell’adrenalina si risolveva nella maggiore percezione del freddo; credendo di star fuori solo pochi minuti, aveva lasciato tutto al rifugio e in quel momento rimpiangeva di non aver preso almeno il giacchetto della tuta. Fece qualche passo per esplorare quella modesta quanto provvidenziale cavità nella roccia e poi si rivolse di nuovo a Ranma, dicendo asciutta
“Ho scoperto il tuo segreto”

Il ragazzo venne colto dal panico e istintivamente si toccò il torace e si guardò i piedi: le scarpe non gli stavano troppo grandi, mentre il suo petto era muscoloso e definito come di consueto; non si era dunque trasformato in una ragazza, come aveva fatto a scoprirlo? Decise di non sbilanciarsi, rimanendo sul generico
“Ah, sì? E quale sarebbe?”

“Devi essere un supereroe…sei stato morso da un ghepardo radiattivo da piccolo? Oppure forse sei il figlio segreto di una divinità…in effetti non c’è molta somiglianza tra te e Genma! Insomma, come caspita fai a correre così veloce?” si sbottonò Kijo, porgendogli quelle domande con aria veramente incredula.

Ranma tirò un sospiro di sollievo e si lasciò andare a una risposta trionfale
“Sono senza dubbio un ragazzo fuori dal comune, ma quello a cui hai assistito è puramente il frutto di un allenamento molto intenso, quasi spietato”

“Anche il tuo travolgente successo con le donne è il frutto di un allenamento molto intenso, quasi spietato?” gli rigirò contro le sue stesse parole Kijo

“Ah no…quello è un talento naturale!” socchiuse gli occhi lui, borioso.

Le labbra di Kijo si incresparono in una smorfia indecifrabile, poi prese a strofinarsi le braccia con vigore nel tentativo di generare un po’ di calore; infine si sedette raggomitolata a terra, abbracciando le proprie ginocchia e stringendosi quanto più poteva per esporre al gelo incombente la minor superficie corporea possibile. Altro che rientro a scuola lunedì! Se fosse rimasta ancora molto tempo in quella caverna umida e ghiaccia si sarebbe presa una discreta polmonite!

Silenzioso e agile come uno di quei gatti che tanto odiava, Ranma scivolò subito dietro di lei, allargando le gambe per ospitarla e abbracciandola a sua volta per far aderire il proprio torace alla sua schiena. La sentì rabbrividire al contatto e prima che potesse obiettare qualcosa decise di zittirla in anticipo
“Anche se non lo ammetteresti mai perché sei testarda e orgogliosa, è palese che stai morendo di freddo! Hai tutta la pelle d’oca sulle braccia e sei congelata come…uno stoccafisso! Quindi stai tranquilla e non preoccuparti, perché ti assicuro che quello che faccio è solo per evitare che tu vada in…come si dice? Ehm…ipotermia?!” così dicendo il ragazzo prese a sbottonarsi la camicia rossa, invitando Kijo a far scivolare le proprie braccia nelle ampie maniche assieme alle sue, in modo che offrisse un parziale riparo dal freddo a entrambi.

Una sensazione di tepore piacevole cominciò a spandersi sulla pelle di Kijo, la quale non si era minimamente opposta alla strategia di Ranma, tantoché si sentì autorizzata a rispondergli
“Bel discorso, Saotome…ma stai cercando di convincere me o te stesso…?”
Nessuna replica verbale arrivò alla sua frecciatina, ma la ragazza ebbe come l’impressione che il calore emanato dal suo termosifone umano fosse leggermente aumentato, soprattutto nella zona del volto che poggiava nell’incavo del suo collo.
 
Rimasero così per un tempo indefinito, a guardare le volute di vapore dei propri respiri manifestarsi nell’aria fredda, circondati dal rumore della pioggia scrosciante e dei tuoni, illuminati occasionalmente da lampi e saette che per pochi istanti delineavano i loro visi che non osavano guardarsi, rivolti nella stessa direzione. Durante uno di quegli ultimi flash scattati dal cielo, Kijo si decise a rompere il silenzio che era certa stesse causando un disagio sempre più tangibile a Ranma: lo aveva sentito negli ultimi minuti muoversi sempre meno impercettibilmente per cambiare di qualche millimetro la propria postura ora in un senso, ora nell’altro, segno evidente che si stava innervosendo per quella stasi. Lo spettacolo di due lumache che strisciavano sul terreno una dietro l’altra, lasciandosi alle spalle una scia traslucida, le offrì lo spunto per affrontare un argomento che le stava parecchio a cuore, prendendolo molto alla larga…Sentì che il momento non potesse essere migliore, in fondo erano i soli prigionieri in quella grotta sperduta nel bel mezzo del bosco, inoltre la vicinanza fisica conferiva all’atmosfera una punta d’intimità, privata tuttavia dell’imbarazzo di doversi guardare negli occhi.

“Animali affascinanti le lumache, non trovi?” esordì a bassa voce la ragazza, indicando con entrambe le braccia che occupavano la manica destra la sfilata degli animaletti

“Eh?” Ranma si riscosse come da un torpore, credendo di aver sentito male. Cosa mai potevano avere di affascinante quei lombrichi bavosi?

“Le lumache…sono animali speciali sotto tanti aspetti, sai? La loro secrezione ha notevoli proprietà curative, serve per cicatrizzare le ferite, lenire la tosse e perfino ringiovanire la pelle! Ma la cosa più straordinaria che la natura ha regalato loro è l’essere ermafroditi…ci pensi? Ogni singolo individuo è sia maschio che femmina, sviluppa entrambi i tratti, è completo nella sua unità…e non c’è niente di sbagliato, di depravato, di innaturale in questo: loro semplicemente sono, libere da ogni condizionamento…”

Sentì Ranma irrigidirsi a quelle parole: dove voleva andare a parare con quei discorsi? Sospettava forse qualcosa? Quando in precedenza, scherzando o almeno credeva, gli aveva rivelato di conoscere il suo segreto era quasi morto…che questa prosopopea non fosse tutta una messa in scena per portarlo ad ammettere quello che celava con tanta cura? Fino a che punto Kijo sapeva? No, non era possibile, non poteva ancora ammetterlo…sicuramente non aveva prove certe, altrimenti non avrebbe avuto troppi riguardi a sbatterglielo in faccia, a giocare a carte scoperte…Probabilmente aveva intuito qualcosa e stava tessendo una trappola in cerca di conferme, ma lui non ci sarebbe caduto! Come poteva paragonarlo a una lumaca? Si immaginò a confessarle la sua maledizione…lo avrebbe schernito come facevano tutti? Magari proprio affibbiandogli il nomignolo di lumaca? Oppure, ancora peggio, avrebbe scorto i suoi occhi tingersi di disgusto e repulsione al pensiero di avere a che fare con uno scherzo della natura? Sebbene non avesse mai manifestato alcun atteggiamento bigotto nei confronti di inclinazioni…non convenzionali, come poteva paragonarlo alla sua situazione? Lui era un caso unico al mondo, non c’era modo di capire cosa pensasse della sua maledizione senza rivelargliela…e lui non era pronto. Meglio sarebbe stato prendere immediatamente le distanze da tutto quel discorso metaforico
“Io non trovo affatto che siano affascinanti…anzi, a dire la verità mi fanno anche un po’ schifo, proprio per questa incertezza che grava su di loro: non sono maschi, non sono femmine…l’unica cosa che sono è bavose!”

A Kijo quelle parole piombarono pesanti come macigni sul proprio stomaco: se aveva qualche sospetto, qualche speranza che Ranma avrebbe potuto comprendere, capire, tollerare….quella speranza era stata ridotta in frantumi. Per la prima volta da quando aveva subito la trasformazione, dopo lo sconcerto immediato, si ritrovava a pensarla come una maledizione: certo, a volte le aveva causato qualche problema, qualche inconveniente e l’idea di non poterla sempre controllare alimentava quell’ansia basale di cui normalmente soffriva, tuttavia era sempre stata convinta di non aver ricevuto una condanna. Fino a quel momento. Deglutì la sua delusione e respirò profondamente, poi concluse quello strambo discorso
“Capisco. Sarebbe molto più facile se si uniformassero al modus operandi di tutte le altre specie. Anche a costo di perdere la loro unicità”
Rimasero poi avvinti in silenzio, finché la stanchezza non ebbe la meglio su di loro e li fece addormentare.


18 agosto


Il brillio di un singolo raggio di sole si posò dapprima sulle palpebre di Ranma, solleticandole e costringendolo a stringerle. Provò a spostare il braccio per coprirsi gli occhi, ma sentiva entrambi gli arti superiori molto pesanti, quasi fossero bloccati in una sorta di camicia di forza che lo vincolava ad abbracciare se stesso…non se stesso, qualcosa…non qualcosa, qualcuno! Per poco non gli prese un colpo quando, spalancando gli occhi si rese conto di essere adagiato su un fianco con tutto il proprio corpo aderente alla silhouette di quello di Kijo, che manco a dirlo continuava a ronfare beatamente. Quella ragazza avrebbe dormito anche durante la fine del mondo! Cominciò ad agitarsi, cercando di emulare la bravura di Houdini nello sfuggire alla propria camicia, ma questo movimentò disturbò il comfort di Kijo, la quale con un mugolio strinse ancora di più le proprie braccia (e conseguentemente anche quelle di Ranma) sul suo petto, ripristinando lo stato di incollamento precedente. Perfetto, adesso aveva le mani proprio premute sul suo seno! Già in paranoia per quel contatto così esplicito, il ragazzo col codino cominciò a iperventilare, cosa che probabilmente piaceva a Kijo, dato che tornò ad avvicinarsi anche col sedere alla sua rinnovata fonte di maggior calore, strusciandosi proprio a quell’altezza…Numi del cielo, era troppo! Il suo basso ventre che fino a quel momento era riuscito a far rimanere stordito si risvegliò prepotente e sebbene Kijo sembrasse lontana anni luce dall’essersi accorta di alcunché, lui decise che quel contatto doveva terminare subito! Immediatamente! Istantaneamente! Magari ancora qualche attimo…No! Contorcendosi come un circense riuscì a sfilare Kijo dalla propria camicia, per poi rotolare lontano da lei e rindossarla rapidamente; la ragazza finalmente tornò allo stato di veglia, brontolando con la voce impastata per essere stata strattonata senza tante cerimonie.

“Scusami, ma mi sono…spaventato, sì! C’era un gigantesco…gatto tra noi e non sono riuscito a controllar…mi!” inventò di sana pianta Ranma, mentre Kijo si guardava attorno ancora confusa e per niente ricettiva

“Un gatto? Ma qui non vedo nessun…aaaawn gatto…” biascicò sbadigliando

“Credimi, c’era…era enorme! Meno male che non lo hai visto, perché avrebbe spaventato anche te!” continuò a farfugliare Ranma, in tono concitato.

Kijo si guardò ancora una volta dintorno, poi si stinse nelle spalle e commentò
“Alla faccia del gatto…”
 
Il ritorno al rifugio fu più lungo del previsto: non solo avevano fatto una notevole quantità di strada a velocità supersonica la notte precedente, ma era anche piuttosto difficile ricordare qualche elemento che indicasse loro a ritroso il percorso svolto. Fortunatamente però Ranma non era Ryoga e forte del suo senso dell’orientamento sviluppato da mille trasferte di allenamento in luoghi improbabili, riuscì passo dopo passo a raccapezzarsi.
Quando giunsero di fronte alla struttura, notarono tutti i loro amici sulla soglia ad aspettarli, schierati in una formazione che ricordava quella calcistica. Della vera e propria squadra di calcio invece non c’era traccia, che fossero già partiti?

“Come sono andati gli allenamenti ragazzi? È stata temprante la fresca aria mattutina dell’alba?” chiese loro Yuka, cercando complice lo sguardo di Kijo e sollevando impercettibilmente le sopracciglia come ad avvalorare la propria domanda

“Allen-” iniziò ad esclamare dubbioso Ranma, notoriamente perspicace, quando Kijo gli affondò il gomito nel torace parlandogli sopra

“All’inizio era un po’ freddino, però dopo la corsa e la simulazione di combattimento è andata meglio. Ora capisco perché Ranma viene spesso a esercitarsi in montagna! Il panorama è impagabile e la concentrazione è di gran lunga…”

“Sì, sì, ok…non ci interessano le descrizioni dei vostri wa-tah-waaaa! Sarà bene tornare a valle perché c’è da rimettere a posto la casa prima di andarcene” tagliò corto Kotaro, scimmiottando i versi emessi dagli artisti marziali per caricarsi prima di colpire.

Sayuri aveva un’aria afflitta e malinconica: persa nei suoi pensieri sospirava ogni tre per due, stringendo al petto accoratamente la busta di una lettera che probabilmente le aveva scritto Takeshi; camminò in silenzio fino alla casa dei nonni, totalmente avulsa dalla realtà, tant’è vero che Shinobu dovette strattonarla per domandarle dove fosse la scopa e iniziare a spazzare il pavimento.
Come la casa fu pulita e sistemata, i ragazzi salutarono rapidamente zia Meiko e si diressero alla fermata del bus.
Non appena furono saliti sul mezzo e si chiusero le porte, da una stradina laterale emerse un uomo con un impermeabile scuro, il cappello e gli occhiali da sole, che con un ghigno sul volto entrò poi nel bar sulla piazza

“Sono andati. Stasera alla solita ora?” chiese all’uomo dietro al banco, arcigno come sempre

“Finché dura…certo” rispose lui non alzando neppure lo sguardo dal bicchiere che stava asciugando con lo straccio lurido.

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Capitolo 22
*** Giochi di ruolo ***


26 Settembre
 

La scuola era ricominciata a pieno ritmo dopo le vacanze estive e i professori facevano a gara nel soverchiare gli studenti con tonnellate di compiti e interrogazioni quotidiane, spingendo i ragazzi a cercare di evadere ad ogni costo da quella routine snervante. 
Quella mattina, appena entrata in aula, l’italiana in trasferta venne incuriosita da una mole di libri, fogli e appunti che torreggiava sul banco del primo della classe. Dintorno al banco stavano Mendo, Ataru, Tatewaki e Daisuke, ognuno con un foglio in mano su cui appuntavano numeri e strane formule prese dai vari tomi.

“Ciao ragazzi! Che state facendo? Un gruppo di studio?” chiese Kijo avvicinandosi quatta quatta

“Ehm, ciao Kijo…” arrossì Daisuke nascondendo il proprio foglio dietro la schiena

“Ciao! S-sì, una specie…” fece il vago Mendo, con noncuranza

“Uffa, di nuovo lei…” sbuffò Kotaro lanciandole un’occhiata insofferente

“Adorabile Kijo, non te ne curare…è solo un semplice passatempo maschile che annoierebbe a morte la tua muliebre mente” dichiarò ampolloso Tatewaki passandosi lentamente una mano tra i capelli

“Non sembra poi così semplice a vedersi” replicò dubbiosa Kijo indicando la confusione sul banco e continuò “E poi…passatempo maschile? Adesso sì che sono curiosa!”

“Non preoccuparti Kijo, sarò lieto di soddisfare ogni tua curiosità…diciamo oggi dopo la scuola?” le mise un braccio attorno alle spalle Ataru, con aria maliziosa

“Tesoruccio! Cosa credi di fare? A me non hai mai voluto spiegare niente di quel gioco che fate e adesso lo spiegheresti a lei? Senza offesa, Kijo” Lamù si alzò dal banco irritata, con piccole scintille che emanavano dalla sua figura. Kijo alzò le mani davanti a sé e scosse lievemente la testa, come a dire che non si riteneva assolutamente offesa.

Ataru le si allontanò e andò a rifugiarsi dietro la cattedra, ma in quel momento la professoressa Ninomiya entrò in aula e il gruppetto di testa si affrettò a sbaraccare
“Kuno Tatewaki, cosa ci fai in questa classe?” gli rivolse un’occhiataccia ammonitrice che risultava quasi comica visto che sembrava lanciata da una ragazzina dodicenne

“Ero venuto a discutere di cose da uomini, professoressa, ma adesso mi appresto a presenziare alla mia lezione. Buona giornata!” disse uscendo dalla porta

Ranma alzò gli occhi al cielo alla sparata di Kuno, mentre Kijo era più incuriosita che mai: avrebbe scoperto in cosa consisteva quel gioco, costasse quello che costasse.
                                                   
                                                                                     -§-

A ricreazione i ragazzi si raggrupparono nuovamente attorno al tavolo di Kotaro e iniziarono a bisbigliare come contrattando
“Ma se metto un punto in più all’intelligenza perché devo diminuire il carisma? Esistono persone belle e intelligenti, tipo me!” brontolò Mendo

“Io ho tirato tutti i punteggi”

“Ci ho provato anch’io ma i dadi non mi sono stati favorevoli”

“Non so quali abilità potenziare!” 

“Mi raccomando, lasciatevi i soldi per le armature!”

Quindi Kijo si avvicinò con fare cospiratorio a Lamù e la prese da parte
“Cosa sai di questa loro attività?”

“Beh, non molto in realtà. Ataru mi ha detto solo che si trovano circa una volta a settimana a casa di uno o dell’altro per fare dei giochi di ruolo. In cosa consistano non me l’ha mai specificato, però so che effettivamente si rinchiudono in qualche stanza per farlo, non è una scusa per uscire con le altre ragazze” rispose Lamù, riflettendo sui pochi indizi che aveva messo insieme nel tempo

“Mmm…da quello che ho captato ci sono un sacco di regole da seguire per farsi dei personaggi…quindi dovrebbe essere un gioco di interpretazione” ipotizzò Kijo accarezzandosi il mento con fare meditabondo

“Sì, una sorta di corrispondente al facciamo che io ero dei bambini. Poi so che usano anche dei dadi, per decidere cosa fare” rivelò l’Oni aggrottando la fronte nello sforzo di richiamare alla mente quel dettaglio

“Non ti incuriosisce la questione? Perché non cerchiamo di scoprire insieme di cosa si tratta? Magari è divertente!” le propose Kijo

“D’accordo! Alla fine so che al mio tesoruccio farà piacere se mi interesso a lui. Faccio qualche ricerca sul mio computer spaziale, mentre tu magari informati coi mezzi tradizionali terrestri”

“Andata! Sono certa che ne verremo a capo!” Kijo fece per dare il cinque a Lamù, che però rimase imbambolata non avendo familiarità con quel gesto.
 
                                                                                             -§-

Mentre tornavano a casa dopo le lezioni, Ranma e Kijo passeggiavano in silenzio. La ragazza era talmente presa nei suoi pensieri che si potevano quasi sentire i suoi ingranaggi mentali girare, mentre il ragazzo col codino camminava noncurante sulla ringhiera che costeggiava il fiume Shirako Gawa, con la cartella che gli penzolava dietro le spalle. Ogni tanto le lanciava un’occhiata di sottecchi, ma lei sembrava persa in un altro mondo.

“Ehm-ehm, Terra chiama Kijo!” le si rivolse tossicchiando

“Uh? Come?” la ragazza si girò verso di lui come risvegliandosi da una trance

“Niente…è solo che oggi mi sei sembrata parecchio distratta. Non hai neppure alzato la mano una volta per rispondere alle domande dei prof…e sì che qualcuna era davvero semplice, la sapevo pure io!” insinuò Ranma guardando verso il cielo

“Hai ragione…oggi ho altro per la testa” gli sorrise Kijo

“Che c’è, adesso che frequenti Lamù tieni sempre la testa tra le nuvole?” scherzò l’artista marziale, balzando con una piroetta accanto a lei

“Eh eh eh…no, con Lamù stiamo cercando di scoprire cosa sono i giochi di ruolo. Tu ne sai qualcosa?” ammise la ragazza, lasciando baluginare la speranza di trovare una pista nei suoi occhi

“E perché vi siete interessate a questa roba da nerdacci? Io non ne so molto, solo che Daisuke e altri della classe si trovano spesso a giocarci. Mi avevano chiesto se volessi provare anch’io ma tra gli allenamenti e il resto non ho mai molto tempo a disposizione” rispose Ranma con manifesto disinteresse

“Ecco, vedi? Tu che sei un ragazzo sei stato invitato tranquillamente, io che ero interessata a capire di cosa si trattasse sono stata snobbata in quanto ragazza! Non è giusto!” sbuffò Kijo

“È a questo che stai pensando tutto il giorno? Come vendicare un’ingiustizia?” si mise a ridere Ranma. Kijo lo guardò malissimo.

“Non solo. Magari non mi piacerebbe ma avrei gradito che mi avessero dato qualche spiegazione invece di liquidarmi subito. Credevo di essere riuscita a costruire un rapporto decente coi nostri compagni di classe, a parte Ikeda ovviamente, invece a quanto pare…”

“A quanto pare qualcuno vorrebbe costruire un rapporto più indecente con te!” sghignazzò Ranma, puntandole l’indice sulla fronte

“Ma che diamine vai blaterando? Figurati se qualcuno pensa a me in quel modo!” sbarrò gli occhi lei, non riuscendo a contemplare l’ipotesi

“Magari si vergognano a farsi vedere da te mentre giocano ancora come dei bambini!” rincarò la dose

“Ah ah ah. È la cosa più stupida che abbia mai sentito. No, probabilmente non mi reputano degna, ma io dimostrerò loro che si sbagliano!” Kijo strinse il pugno della mano destra e il suo sguardo si accese fiammeggiante di determinazione.

“Bah, contenta tu…mi raccomando però, non trascurare gli allenamenti. Ultimamente ti sei impigrita” la pungolò

“Che cosa? Vieni qui e combatti allora!” si mise in posizione di difesa la ragazza

“Non ci penso nemmeno! Faresti solo una misera figura e ti risparmio l’umiliazione. Però ti aspetto dopo cena per una sessione di allenamento, così vediamo quanto sei peggiorata” con un sorriso beffardo lui fece per voltarsi e andarsene quando la cartella di Kijo gli arrivò diretta tra capo e collo, buttandolo a terra

“Ehi, non sei per niente carina quando fai la violenta, lo sai?” mentre pronunciava quelle parole accarezzandosi il punto che era stato colpito, Ranma fu percorso come da una saetta. Di solito riservava frasi del genere ad Akane e il fatto che spontaneamente si fosse rivolto a Kijo in quel modo lo turbò nel profondo. Dal canto suo la ragazza, visibilmente stizzita, lo affiancò per riprendersi la cartella e lo superò, commentando

“Tanto non sono mai carina. Ci vediamo verso le nove” e corse verso casa lasciandolo seduto e dubbioso nella polvere.
 
                                                                                                          -§-
 
Quella sera la ragazza si presentò in tuta e maglietta al dojo Tendo e venne accolta da Nabiki; nell’aria aleggiava ancora il profumo della cena da poco consumata e dalla porta aperta della cucina Kijo poté scorgere Kasumi che lavava i piatti

“Ciao cara! Come va?”

“Ciao Nabiki, abbastanza bene. Tu?”

“Bando ai convenevoli, ho sentito che ti stai interessando al gioco di ruolo” un lampo malizioso attraversò gli occhi della più opportunista tra le sorelle Tendo, che si lisciava una ciocca del caschetto castano mentre attendeva una conferma delle voci che giravano

“Cavolo, non ti sfugge niente! Hai qualche informazione da darmi? Io ho fatto delle ricerche ma ho trovato notizie un po’ contrastanti…forse ho sbagliato qualcosa con la traduzione dal giapponese”

“Certo…se c’è da guadagnare qualcosa non mi sfugge niente” sorrise furbamente Nabiki

“Dai, vuoi farti pagare per le informazioni?” esclamò infastidita Kijo: possibile che la ragazza arrivasse a tanto?

“No, no…ho in mente qualcosa di più lucroso…a quanto pare il giro dei giochi di ruolo rende un sacco di soldi e se sei disposta a partecipare vorrei una percentuale sui guadagni”

Kijo si grattò la guancia guardando Nabiki con aria interrogativa: non riusciva proprio a immaginare come un passatempo del genere potesse fruttare denaro, ma la ragazza che aveva di fronte era un vero squalo per gli affari e non osò mettere in dubbio il suo fiuto
“Va bene! Ti darò parte di quello che ehm…eventualmente guadagnerò”

“Brava ragazza, così mi piaci! Presentati domani dopo la scuola in questo negozio di vestiti, giù in centro. Chiedi di Madame Masuku e di’ che ti manda Nabiki Tendo. Lei ti spiegherà tutto quello che c’è da sapere sul gioco di ruolo!” le fece un occhiolino di complicità, porgendole un bigliettino da visita fucsia che recava la scritta Fantasy Shop. Kijo sorrise e infilò il bigliettino nella tasca della tuta, contenta di essere finalmente sulla strada giusta: dopotutto le pareva di aver capito che avesse a che fare col genere fantasy, quindi finalmente il puzzle cominciava a prendere forma.
 
                                                                                                      -§-
 
L’allenamento con Ranma le diede una sferzata di energia. Il ragazzo aveva deciso di non risparmiarsi e costrinse Kijo a lasciare da parte ogni altro suo pensiero per concentrarsi sul combattimento, pena svariate rovinose cadute a terra che subiva quando si distraeva.

“Andiamo Kijo! Cos’era quello? Un calcio o un passo di danza?” la prendeva in giro Ranma quando schivava i suoi attacchi. La osservava attentamente quella sera e sembrava un po’ più presente rispetto a come era stata durante il giorno, tuttavia ancora non riusciva a focalizzarsi totalmente. Limitava anche le battute sarcastiche che solitamente elargiva a profusione, optando per un combattimento più silenzioso.
L’unico momento di gloria che ebbe la ragazza dopo le tante batoste prese fu quando riuscì a catturare il braccio di Ranma e a sbatterlo a terra facendolo volare sopra la sua spalla, usando la schiena come perno. Una volta che fu a terra lei gli fu sopra e iniziò a premere rabbiosamente e rapidamente una serie di punti sul suo addome, il torace e il retro dell’orecchio.

Dapprima il ragazzo si mise a ridere per il solletico, poi alla quarta contrazione del diaframma per la risata si sentì bloccato come uno stoccafisso.
“Che diamine Kijo! Che cosa sei, una vespa impazzita con quelle dita a pungiglione?”

La ragazza gli regalò un sorriso sghembo, compiaciuto e un pelo strafottente, poi incrociò le braccia al petto e gli si rivolse
“Che ti succede, Saotome? Sei rimasto di ghiaccio?”

“Sempre con questi trucchetti da quattro soldi…sistemami e vedrai se non finisci un’altra volta a terra!”

“Oh, a terra ci sono stata fin troppo stasera, ora è bene che ci stia un po’ tu!” prese dalla sua borsa una bevanda energetica al limone e se ne strizzò un copioso getto in bocca, poi deglutì.
Deglutì anche Ranma trovandosi imbambolato a guardare quella scena, vagamente sensuale, seguendo i movimenti di un paio di goccioline che, sfuggite alla precisione dello spruzzo, si rincorrevano sul collo di Kijo lasciando due piccole scie umide che puntavano al suo petto. Accorgendosi di essersi soffermato a osservare quei dettagli, Ranma arrossì immediatamente e scosse la testa, cercando di dissimulare uno sforzo per riacquistare mobilità.

“E va bene, non guardarmi così! Ti libero adesso…però prima devi ammettere che ho vinto il combattimento” sghignazzò Kijo, posando la bottiglietta e avvicinandosi al ragazzo

“Ti piacerebbe!” si risentì Ranma cercando di flettere i muscoli, senza risultato

“Va bene, allora rimani pure così. Dirò a Kasumi di portarti una coperta per dormire qui. Buonanotte Ranma” disse la ragazza alzandosi e dirigendosi verso la borsa, che si mise a spalle

“Andiamo Kijo! Non fare la stupida! Non vorrai lasciarmi così?”

“Insoddisfatto? E quale soddisfazione vorreste avere stanotte?” lo prese in giro

“Eh?” esclamò Ranma con aria interrogativa

“È Shakespeare. Pensavo che ti fosse familiare visto che hai recitato in Romeo e Giulietta…sì, Nabiki mi ha fatto vedere il filmato!” Kijo si coprì la bocca con una mano, cercando di soffocare una risata al ricordo

“Quella recita idiota! Mi hanno costretto solo perché c’era in palio un viaggio in Cina e volevo…” Ranma si fermò appena in tempo. Kijo non sapeva nulla della storia delle sorgenti maledette e stava per tradirsi!

“Sì, sì, va bene…Buonanotte!”

“Per tutti i kami Kijo! Sistemami immediatamente!” il ragazzo stava perdendo decisamente la pazienza, come osava trattarlo così?

“Uff, che lagna che sei! Dimmi che ho vinto il combattimento e lo farò” sbuffò l’italiana, con l’aria ostentatamente annoiata

“Che ho vinto il combattimento” rispose il ragazzo e Kijo non riuscì a mantenere l’espressione seria

“Sai, credo che tu mi frequenti troppo, stai iniziando a fare battute cretine anche tu” la ragazza si avvicinò e iniziò a toccare a ritroso i punti che prima aveva premuto per bloccarlo

“Non è vero…” si lasciò sfuggire l’artista marziale mentre pian piano riacquistava la mobilità agli arti

“Non sono battute cretine? O non mi frequenti troppo?” lo incalzò lei, indugiando leggermente sugli ultimi contatti; non c’era niente da fare, quella vicinanza le risultava inebriante e l’avrebbe voluta protrarre il più a lungo possibile

“Ehm, niente, dicevo così per dire…” si mise una mano sulla nuca il ragazzo

“Ah, ok. Bene, ci vediamo domani allora! Buonanotte!” un’ombra velata passò rapida sugli occhi di Kijo, ma Ranma riuscì a scorgerla

Mille volte buonanotte” mormorò poi, quasi tra sé, vedendola uscire dalla palestra.
 
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27 Settembre
 

Il mattino seguente Kijo ebbe modo di confrontarsi con Lamù per condividere le scoperte fatte.  
Entrata in classe ignorò totalmente il solito assembramento attorno al banco di Kotaro e si diresse subito verso la ragazza dello spazio, che quel giorno era ancora più carina del solito dato che si era acconciata i capelli in due treccioline che poi aveva avvolto attorno alle piccole corna coniche.

“Buongiorno splendore! Come va? Hai scoperto qualcosa?”

“Ciao cara! Se devo essere sincera non tanto, perché il mio computer non contiene molti dati sui passatempi terrestri che non sono diffusi anche sul nostro pianeta. Comunque mi ha confermato che non c’è una discriminante di sesso in merito a questo gioco. In poche parole possono giocare anche gli esemplari femminili e anzi, l’esperienza risulta più divertente. Pare poi che spesso, ma non sempre, le figure principali interpretate prendano spunto dagli archetipi del vostro medioevo europeo, ossia il guaritore, il paladino della legge, il ladro, il mago eccetera, figure che possono essere riviste o rivisitate in chiave più moderna. Sembra che l’importante sia mantenere sempre un linguaggio adeguato e per tutto il tempo del gioco non si può uscire dal personaggio che si sta interpretando: qualora ci fosse una motivazione valida per farlo bisogna dire una specie di parola d’ordine e tutto ritorna normale”

“Sembra contorto ma divertente…per quanto riguarda tutte le formule e i calcoli da fare invece?” chiese Kijo mentre assorbiva quelle informazioni tamburellando con le dita sul banco

“Su questo non c’era veramente nulla, ma credo sia un modo per bilanciare il divertimento fra tutti in modo che non ci sia chi spicca particolarmente per bravura fra gli altri.” Lamù si avvicinò un indice alle labbra e rispose meditabonda

“Ok! Comunque ho un aggancio che ci spiegherà finalmente tutto quello che dobbiamo sapere in merito: se non hai da fare dopo scuola possiamo andarci assieme” propose Kijo entusiasta

“Perfetto! Anche perché a quanto ho capito dovrebbero trovarsi stasera per giocare: Ataru stamani ha urlato a sua madre che non ci sarebbe stato per cena”

“Fantastico! Allora appena terminano le lezioni andiamo da questo Master, mi sembra si dica così; una volta che avremo avuto delucidazioni ci prepareremo e raggiungeremo a sorpresa i ragazzi. Tu dovresti scoprire a casa di chi giocano però…”

“Nessun problema, metterò un segnalatore addosso a Tesoruccio senza che se ne accorga” Lamù e Kijo si guardarono con aria complice e tornarono ciascuna al proprio banco.
 
                                                                                                             -§-
 
Il pomeriggio soffiava un forte vento da nord, che rendeva l’aria fredda e pungente, costringendo le ragazze a stringersi nelle proprie giacche per trattenere un po’ di calore
“Accidenti a quando mi sono scordata la sciarpa! Se prendo freddo alla gola è matematico che mi viene l’influenza!” brontolava Kijo

“Effettivamente stamani non sembrava così fresco…vuoi che faccia un salto nell’astronave a prendertene una?” si offrì la giovane Oni con un sorriso

“No, non preoccuparti, starò bene! Poi in città ci sarà senz’altro più caldo” provò ad autoconvincersi l’altra, mentre si sfregava le mani tra loro nel vano tentativo di scaldarle

“E dai! Prendi almeno la mia! Tanto io non sono sensibile alle temperature terrestri!” affermò Lamù togliendosi la sua sciarpa tigrata e porgendola all’amica

“In questo caso…grazie allora!” la ragazza italiana accettò l’offerta di buon grado, sebbene quella sciarpa fosse lunghissima! Avrebbe dovuto fare vari giri e vari nodi affinché diventasse di una dimensione portabile, tuttavia era innegabilmente calda. Chissà se era fatta di pelliccia di qualche animale extraterrestre, tipo il bikini di Lamù…quella ragazza era affascinante sotto un sacco di punti di vista, ma per qualche strana ragione legata alla timidezza Kijo si vergognava a farle domande sul suo pianeta d’origine, quasi temesse di rimarcare una differenza tra loro che in realtà non sentiva.

“A che pensi?” la voce dell’aliena interruppe il flusso dei suoi pensieri

“Uhm? Nulla di che…” restò sul vago Kijo “Sono contenta di avere un’amica premurosa come te”

Lamù a quelle parole replicò tutta contenta, congiungendo le mani di fianco al volto
“Oooh, ma grazie tesorina! Anch’io sai? Sappi che dopo il mio tesoruccio, Megane, Chibi, Perma, Kakugari, i genitori di Ataru, Ryūnosuke, Shutaro, Sakura, Shinobu…”
(…)

“…il postino, il lattaio, il gestore del negozio di alimentari e l’anziana signora Kyoko sei tu la mia terrestre preferita!”

Nell’arco di tempo in cui Lamù aveva elencato praticamente gli interi quartieri di Nerima e Tomobiki, erano arrivate alla stazione per prendere la metro verso il centro di Tokyo. Nonostante la maggior parte delle persone fosse ancora bloccata a lavoro, le banchine erano assai gremite dei personaggi più disparati: manager con la ventiquattrore che si spostavano per lavoro, ragazzi come loro in cerca di un po’ di vita e di svago dopo lo studio, signore che si regalavano qualche ora di shopping dopo una dura giornata per togliersi qualche sfizio, anziani incuriositi dalle facce delle persone che passavano su e giù, quando camminando, quando correndo.
Il treno rallentò e si fermò puntuale davanti a loro, che salirono eccitate per la curiosità. I mezzi pubblici giapponesi erano impeccabili, lindi e velocissimi, caratteristiche che stupivano Kijo ogni qual volta se ne serviva. Nonostante fosse ben salda, retta al palo centrale, quando il treno si mise in movimento per poco non andò a urtare il signore con l’impermeabile chiaro che le stava accanto. Nello stesso vagone sedeva, mezza nascosta dietro a un giornale, una ragazza che aveva un’aria familiare, anche se non avrebbe saputo in quel momento collocare dove l’aveva già rivista: portava i lunghi capelli rossi acconciati in una treccia e vestiva in modo molto sportivo, con una tuta oversize e delle scarpe da ginnastica; il contorno superiore dei grandi occhi azzurri era delineato da un tratto di matita viola, mentre le lunghe e folte ciglia non avevano bisogno di mascara. A un certo punto le salì uno sbadiglio di noia e lei non si contenne minimamente per trattenerlo, regalando un discreto contrasto tra la sua figura delicata e i suoi modi genuini.

“Ehi, Kijo, è la nostra fermata!” la riscosse Lamù, trascinandola per il braccio verso la porta scorrevole. Nel sentire quel nome la sconosciuta sembrò emergere dalle pagine di giornale e guardarsi attorno, ma le due ragazze erano già uscite.
 
Il centro città era turbinante di luci e suoni, che sembravano ancora più intensi al calare dell’illuminazione solare. La frenesia che si respirava era contagiosa e le due ragazze loro malgrado si trovarono a camminare più rapidamente di quanto avrebbero voluto.

“Dunque, secondo questa mappa che mi ha disegnato Nabiki dovremmo girare in quella strada là…” mormorava Kijo cercando di interpretare le indicazioni della Tendo

Al prossimo incrocio svoltare a sinistra

Kijo alzò gli occhi dalla mappa con sguardo interrogativo e vide che Lamù aveva in mano una specie di sestante dorato parlante
“Che roba è?” le chiese incuriosita

“Semplice, è un navigatore interstellare. Non ne avete anche qui sulla Terra?” spiegò l’extraterrestre come se fosse la cosa più comune del mondo

“Chi se lo può permettere ha una specie di navigatore satellitare, ma ha una forma molto diversa, di certo non a sestante”

“Ah, quindi è attaccato a qualcos’altro?” domandò Lamù ingenuamente e Kijo scoppiò a ridere per quella involontaria battuta

Siete giunte a destinazione. Grazie per aver viaggiato con Interstellar Ranger 56.0
 
Dall’esterno il Fantasy Shop sembrava un normalissimo negozio di abbigliamento, con tanto di manichini che indossavano abiti maschili e femminili di foggia moderna. Seppure un po’ sconcertate, le ragazze decisero di entrare e l’interno del negozio rifletteva le aspettative che qualunque passante si sarebbe creato guardando la vetrina: abiti casual, da tutti i giorni, stavano impilati in ordine cromatico sugli scaffali e sui tavoli sparsi per il negozio, mentre alle pareti erano appesi degli accessori per completare il look desiderato, come cinture, bigiotteria, cappellini e ornamenti per capelli. Un commesso molto cordiale si avvicinò alle ragazze e fece loro un timido inchino, salutandole
“Buonasera gentili signorine, come posso esservi utile?” il cartellino identificativo azzurro riportava il nome Dorei

“Buonasera signor Dorei, vorremmo parlare con Madame Masuku se è possibile. Ci manda Nabiki Tendo” replicò Kijo accennando un inchino a propria volta

“In realtà il mio nome è Sentaro, ma potete chiamarmi come volete. Vi annuncio subito a Madame, mie signore” il ragazzo si inchinò più profondamente e sparì nel retrobottega

“Mah…lo hai letto anche tu il badge col nome, no? Che abbia preso la giacca di un collega?” domandò Kijo sospettosa

“Boh…forse è un soprannome” si strinse nelle spalle Lamù.
 
Un paio di minuti dopo Sentaro riemerse dal retro e fece cenno alle ragazze di avvicinarsi, con aria sommessa
“Madame Masuku è pronta a ricevervi, prego seguitemi”

Le ragazze vennero condotte per un breve corridoio in penombra, impreziosito da tende alle pareti e candelabri che emanavano una calda luce fioca
Si vede che vogliono ricreare l’ambiente medievale!” sussurrò Kijo a Lamù, la quale annuì convinta.

Le fece fermare di fronte a un pesante portone sul quale spiccava un grande batacchio, che il commesso picchiò tre volte. Una voce suadente le invitò a entrare
“Venite, mie dolci fanciulle, fatevi avanti…”

Sentaro aprì loro il portone e lo spettacolo che si profilò davanti ai loro occhi fu alquanto inaspettato: su di un trono d’ebano rivestito di sete preziose sedeva una donna dall’età indefinibile, dai lunghi capelli neri acconciati in una treccia alta e strettissima e dalla pelle bianca come il latte. Indossava un corpetto nero del tipo rigido con le stecche e una vaporosa gonna che si faceva più ampia man mano che scendeva: dietro era lunga fino al pavimento, come una sinuosa coda di seta, mentre davanti arrivava poco sopra il ginocchio, lasciando intravedere delle calze a rete sottile e due stivaletti dai tacchi vertiginosi. Il viso, truccato in modo impeccabile, era nascosto per metà da una mascherina di pizzo che le contornava gli occhi.
Kijo, che aveva notoriamente un debole per lo stile gotico, rimase senza fiato con gli occhi a cuoricino ma anche Lamù sembrò apprezzare quella tipologia di abbigliamento

“Non siate timide, miei cari freschi boccioli di rosa, non avete nulla di cui vergognarvi! Mi aspettavo la visita di una sola ragazza, ma devo ammettere che ciò che vedo va oltre le mie previsioni! Nabiki Tendo ha ottimo gusto, è una socia impagabile!” si complimentò Madame

“Impagabile, lo è di certo, in un modo o nell’altro tutti finiscono per aver debiti con lei!” sorrise Kijo, sperando di smorzare la tensione con una battuta

“Eh eh eh…giustamente. È una ragazza di mondo, che ha capito quali sono le cose che contano, i valori…” commentò la signora.

La stanza in cui si trovavano era piena di vestiti e accessori particolari, sembrava quasi uno di quei negozi specializzati in costumi di Carnevale.

“Io mi chiamo Lamù e lei è Kijo. Vorremmo avvicinarci al mondo del gioco di ruolo” interruppe i convenevoli l’ospite spaziale

“Bene, bene…” annuì soddisfatta Madame, unendo tra loro le punte delle dita

“Nabiki ci ha detto che voi avreste potuto darci una mano, spiegarci in cosa consiste…Voi siete quello che in gergo si definisce Master?” domandò Kijo

Mistress, in realtà, dato che sono una donna…ma comunque apprezzo il fatto che abbiate fatto i compiti” la signora si alzò dal trono e si avvicinò mollemente alle ragazze, facendo loro un occhiolino. Il suo sguardo fu catturato dalla sciarpa al collo di Kijo
“Uhm…hai fatto tu questi nodi tesoro?”

“Ehm…sì, la sciarpa era molto lunga e…”

“Brava brava…hai un’ottima abilità” la interruppe Madame, per poi passare a scrutare Lamù

“Tu invece hai un’aria da succube, non è vero cara?”

“Veramente io sarei un’Oni, non una succube” le rispose l’aliena leggermente risentita

“Eh eh eh…non dicevo in senso letterale, naturalmente”

“Ah, ecco! Tesoruccio effettivamente a volte ha nominato di aver affrontato delle succubi, al rientro dalle sessioni di gioco, quindi può darsi che possa interpretarla anch’io!” rifletté Lamù.

Madame sorrise come chi la sa lunga, certa di aver azzeccato ancora una volta una predisposizione.
“Bene ragazze, che ne dite se io vi aiuto a creare il vostro personaggio, voi fate una prova pratica sul campo e poi decidete se fa per voi? Se volete posso consigliarvi dei locali qui in centro in cui sarebbero felicissimi di giocare con voi”

“Ah, ecco…in realtà noi preferiremmo qualcosa di più privato, tipo andare a giocare a casa di amici…ancora non vorremmo confrontarci con sconosciuti” spiegò Lamù e Kijo annuì

“Sicuramente un ottimo modo per prendere confidenza. Saranno fortunati i vostri amici…è da tanto che giocano?” si informò Madame

“Mah, un annetto circa…solo che giocano solo tra ragazzi e credo che sia arrivato il momento che si aprano anche alle ragazze!” esclamò Lamù meditabonda

“Beh, bisogna rispettare le inclinazioni di ognuno, tuttavia provare questo tipo di esperienza con delle amiche non credo possa nuocere a nessuno” sorrise Lady Masuku e le due ragazze sorrisero di conseguenza

“È quello che ho detto anch’io! Perché vi ostinate a giocare solo fra voi? Magari scoprite che giocare anche con le ragazze è più divertente…oppure no, ma almeno provate!” si espresse Kijo

“Fantastico! Allora tu, cara succube, direi che puoi interpretare l’infermiera: è un costume che suscita senso di protezione, di coccola, il prendersi cura dell’altro…” esclamò Madame estraendo un costume che ricordava la divisa delle infermiere dei conflitti mondiali, rivisitato in chiave moderna e sexy. Naturalmente per una ragazza che girava quasi perennemente in bikini non fu affatto scandaloso provarselo.
Quando uscì dal camerino le due donne rimasero a bocca aperta: Lamù irradiava un’aura di dolcezza e ingenuità che la rendeva irresistibile in quell’abitino bianco attillato, con le autoreggenti bianche, il cappellino con la croce rossa e lo stetoscopio in mano.

“Wow, sarai una guaritrice fantastica!” commentò Kijo, mentre Madame Masuku enfatizzava un applauso

“Ho sempre voluto provare l’ebbrezza del cosplay!” gongolava Lamù rimirandosi nello specchio

“Sentite Madame, ma è vero che ci sono delle regole molto complicate per interpretare correttamente il personaggio? Ho sentito parlare di punti carisma, di tiri di dado…” domandò Kijo

“Il carisma è un requisito indispensabile per questo tipo di svago, quindi più è alto, meglio è. Quanto ai tiri di dado possono essere un buon metodo se vogliamo lasciare qualche dettaglio casuale o avere qualche suggerimento su cosa poter fare, ma l’importante è agire consapevolmente e rispettando il diritto al divertimento di tutti i partecipanti” spiegò Madame

“Quindi molto spesso è il Master, o Mistress, che fa rigare dritto gli altri giocatori” chiese ancora Kijo

“Esattamente. In più si occupa di punire chi non è stato alle regole” scoccò un’occhiata eloquente Madame

“Oh. E ci sono delle regole fisse?”

“Solitamente vengono concordate all’inizio della sessione. Comunque non preoccuparti dei formalismi tesoro, deve essere divertente! È un gioco, dopotutto” Madame le accarezzò una guancia, poi tirò fuori da un appendiabiti una divisa da poliziotta “Ecco cara! Questo personaggio credo che ti calzerà a pennello!”

“Sarei quindi la paladina della legge?” rimarcò Kijo prendendo il costume in mano con deferenza, come se fosse una sacra reliquia

“Esatto! Ed è dotato di un bel paio di manette e una fantastica cintura, quindi potrai sfruttare la tua abilità per bloccare i cattivoni”

“Non avranno scampo!” commentò Kijo, esaltata, correndo a provarsi il travestimento. Quando uscì dal camerino Lamù fischiò di approvazione e Madame le regalò un applauso analogo al precedente

“Vedi come ti sta bene, cara? Con quelle che ti ritrovi non hai neppure bisogno del giubbotto antiproiettile!” sorrise maliziosamente

“In effetti sono parecchio in evidenza…forse la taglia è troppo stretta?” si guardò allo specchio Kijo: un’agente in shorts, stivali e calze a rete le restituiva lo sguardo da sotto il cappello con lo stemma della polizia di Tokyo. Il distintivo le brillava sul petto su cui si apriva uno scollo più o meno generoso a seconda dei bottoni agganciati, mentre alla cintura che la stringeva in vita erano appese una fondina con una pistola finta e un paio di manette.

“Ma no tesoro…non senti che il tessuto è molto elastico? Stai sicura che accompagnerà tutti i tuoi movimenti senza intralciarti” la rassicurò Madame.
 


                                                                                                          -§-

Quella sera, prima di trovarsi con Lamù per irrompere a sorpresa nella casa che avrebbe ospitato la sessione, Kijo decise di passare da casa Tendo per ringraziare Nabiki e consegnarle un pacchetto che Madame le mandava. Suonò il campanello, ma non le rispose nessuno, allora decise di avvicinarsi alla porta e bussare, ma ancora non ottenne risposta. Le sembrò molto strano che nessuno fosse in casa, dato che oltretutto la porta non era neppure stata chiusa a chiave.
Al diavolo!” pensò “Sono o non sono la paladina della legge?”. Fece scorrere la porta stando attenta a non fare alcun rumore, si tolse gli stivali e il cappotto nell’ingresso e iniziò con passo felpato una perlustrazione del piano inferiore, facendo attenzione a nascondersi dietro le porte prima di entrare con la pistola spianata. La stanza da pranzo risultò essere vuota, ma giunta in cucina notò il codino di Ranma spuntare dalla testa quasi completamente immersa nel frigorifero.
“Mani in alto! In nome della legge ti dichiaro in arresto!” udì Ranma alle sue spalle mentre sentiva qualcosa di piccolo e metallico premergli contro la schiena.
Dallo spavento fece un sobbalzo tale che picchiò una testata nel frigo, poi si voltò rapidamente.

Tu-tump

Restò di sasso e a bocca aperta. Anzi, i barattoli che aveva scelto con tanta cura caddero rovinosamente per terra, ai piedi retati di Kijo, la quale sorrideva soddisfatta con la pistola in una mano e le manette nell’altra

“K-K-Kijo?! Ch-che diamine ci fai conciata così?” balbettò Ranma, togliendosi la cuffia del walkman dalle orecchie, quando riuscì ad articolare nuovamente frasi di senso compiuto. Rimase lì, con l’aria fredda del frigo alle spalle e una sensazione di calore indomabile sul viso.

“Stasera c’è la serata gioco di ruolo a casa di uno dei ragazzi e io e Lamù vogliamo imbucarci” spiegò lei galvanizzata

“Che? E ti sei vestita in questo modo? Sei impazzita forse?” la sgridò malamente Ranma, preda di un disagio che non riusciva a contenere. Cosa le era saltato in mente? Perché avrebbe dovuto farsi vedere da una sola persona al mondo con quegli abiti? Dai suoi compagni di classe peraltro…avrebbe dovuto accecarli tutti, dal primo all’ultimo! Perché era tanto turbato, poi?

“Certo! Mi sono vestita con abiti adatti al gioco di ruolo! Perché, non mi sta bene?” perse un po’ di baldanza Kijo

“No, cioè, sì! Cioè…ma ti pare il modo di uscire di casa? Ci sono un sacco di…pervertiti in giro!” cercava di dare una risposta sensata il ragazzo, che stava sudando freddo. Si vergognava anche solo a guardarla, a indugiare sui dettagli strategici del costume che inevitabilmente attiravano l’attenzione, per questo si sforzava di fissare il soffitto. Possibile che questa ragazza non avesse il minimo senso del pudore?

“Beh, per quello non preoccuparti! Ho messo il cappotto lungo, che toglierò solo arrivata a casa dei ragazzi!”

“Ehm…io credo che se ti presenti così ai nostri compagni possa prendere un colpo” obiettò lui, parlando al lampadario

“Oh, per quello non c’è problema! Per fortuna avremo a disposizione un’infermiera!” ridacchiò Kijo

“Lamù è vestita da infermiera?”

“Sì” a quella risposta Ranma si diede una manata sulla faccia

“Ma almeno hai…scoperto in cosa consiste questo gioco?” le domandò sempre guardando verso l’alto

“Il contatto di Nabiki mi ha dato qualche dritta, ma mi ha tranquillizzata dicendomi di non preoccuparmi troppo delle regole, l’importante è che tutti si divertano” 

“E il tuo amico Hokano cosa pensa di questa storia?” domandò Ranma facendo un respiro profondo, a braccia conserte

“Che c’entra lui?” Kijo si stupì che l’avesse tirato in ballo

“C’entra perché mi sembra che sia un tipo con del sale in zucca! Gli hai raccontato cosa vuoi fare?”

“Sì, beh…gliel’ho accennato e mi è sembrato d’accordo” mentì Kijo, mentre Ranma la scrutava negli occhi

“Mmm…sarei più tranquillo se vi accompagnasse” decretò

“Perché, sei preoccupato per noi?” volle approfondire la ragazza

“No, certo che no…” serrò ancor più le braccia il codinato simulando disinteresse

“Comunque non può accompagnarci, in questo momento è fuori città. Io e Lamù sapremo cavarcela: lei lancia letteralmente scariche elettriche e io me la cavo nel combattimento…”

“Su questo ho dei seri dubbi…” replicò allusivo Ranma, inarcando le sopracciglia

“Come sarebbe a dire?” si sentì punta nell’orgoglio la ragazza

“Non sei poi così brava e se le cose si mettessero male saresti in inferiorità numerica. Devo ricordarti cosa è successo quando hai combattuto contro Shampoo, Ukyo e Kodachi?” non avrebbe voluto tirare fuori quella carta, ma la situazione gli stava sfuggendo di mano e non sapeva più cosa inventarsi per impedire a Kijo di…gettarsi in quella stupidaggine, ecco!

“Le cose si mettessero male? Ma vado a giocare dai nostri compagni di classe, non ad affrontare una banda di malavitosi! E nessuno di loro è un esperto di arti marziali, a parte Kuno e Mendo che si divertono ad agitare le loro spade!” si infervorò Kijo

“Sì, ma…potrebbero farsi strane idee. Ci sono anche Kuno e Moroboshi dopotutto” si accigliò ancora di più Ranma, perdendo la pazienza “Tu non ti rendi conto dell’effetto che hai sugli uomini, Kijo, sei di un’ingenuità disarmante! Non ti accorgeresti che uno ci prova con te nemmeno se si mettesse un’insegna al neon sopra la testa! E Lamù figuriamoci…”

“Cosa vuoi che importi a loro di me in quel senso! Sono tutti stracotti di altre ragazze o di Lamù, che sa decisamente badare a se stessa. Inoltre, qualora dovessero impazzire improvvisamente, credo di essere in grado di tenere a bada tre liceali che…” Kijo si fermò di colpo perché Ranma le aveva tolto l’equilibrio: le teneva puntato l’indice sulla fronte, spingendola indietro, mentre con un colpetto dietro le ginocchia l’aveva costretta a rompere la posizione di stabilità. Adesso era completamente in bilico, un movimento sbagliato e sarebbe crollata a terra.

“Non sei invincibile Kijo. A volte il modo migliore per vincere uno scontro è proprio cercare di evitarlo” scandì bene i termini Ranma, certo di avere la vittoria in pugno

“Senti chi parla! Quello che si fa carico anche di battaglie non sue pur di dimostrare di essere il migliore!” ribatté Kijo, infastidita da quell’exploit

“Questo posso farlo io perché sono il migliore. Tu devi ragionare in un altro modo…” sorrise furbamente Ranma, pavoneggiandosi ma sempre mantenendo il controllo su Kijo

“Giustamente…io devo giocare d’astuzia!” Kijo si lasciò cadere a terra preparando una capriola indietro e quando Ranma provò a bloccarla si rese conto che il proprio braccio era ammanettato allo sportello del frigo

“Ma come diamine…” esclamò incredulo provando a flettere l’avambraccio nonostante la resistenza del braccialetto di metallo

“Mi è stato detto che ho un talento nel legare le cose…forse è ora che lo sfrutti!” gli fece una linguaccia la ragazza, agitando le chiavi che avrebbero aperto le manette

“Ehi, che succede qui? Perché la mia cucina è a soqquadro?” varcò la soglia Kasumi, con pesanti buste della spesa in mano

“Oh, Kijo! Ti stai esercitando con Ranma? Secondo me puoi trovare una cavia migliore e soprattutto pagante…non ti ha indicato dei locali Madame?” Nabiki sopraggiunse alle sue spalle

“In realtà non ho ancora cominciato…Adesso vado che tra poco inizia la sessione. Madame mi ha lasciato un pacchettino per te, Nabiki, è nell’ingresso. Kasumi, scusa per il disordine in cucina!”

“Vai e divertiti! Sei un talento naturale!” la salutò Nabiki

“Da quando Kijo si è arruolata in polizia?” commentò Kasumi rivolta alla sorella, che le dava comprensive pacche sulla spalla

“Ehi, mi vuoi liberare?” urlò Ranma rosso come un peperone

“Ops, hai ragione…” tornò indietro la ragazza e dopo aver armeggiato con la piccola chiave fece scattare le manette “Anche perché potrebbero servirmi!”. Il codinato alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, esasperato.
 
                                                                                                          -§-
 
“Ehi, Lamù! Eccomi! Hai scoperto a casa di chi giocano?” corse trafelata Kijo al luogo dell’appuntamento

“Sì! Il mio tesoruccio si trova attualmente alla tenuta dei Kuno. Da questa parte!” la prese per mano la ragazza dello spazio e la trascinò nella giusta direzione. Lamù indossava una lunga pelliccia tigrata che le arrivava alle caviglie, molto in contrasto col cappotto retrò nero anni ’40 di Kijo: entrambi avevano il vantaggio che non avrebbero mai lasciato immaginare gli abiti che nascondevano al di sotto, inoltre ciascuno a suo modo poteva definirsi caldo e avvolgente.
Dopo qualche minuto che camminavano, le due ragazze furono fermate da un’avvenente fanciulla coi capelli rossi, avviluppata in un grande giubbotto, che attirò la loro attenzione agitando una mano

“Ehi, carine! Anche voi andate a giocare di ruolo da Kuno?” chiese loro la sconosciuta…che pure aveva un’aria familiare…ma certo! Era la stessa ragazza che leggeva il giornale in metropolitana il giorno precedente! Non solo…per tutti i fulmini del cielo! Era la paziente di Tofu che millantava una relazione con Seitan!

“Ciao! Io sono Lamù e sì, stiamo proprio andando lì, ma non se lo aspettano…anche tu vuoi far loro una sorpresa?” sorrise l’aliena

“Io sono Ranko e sono convinta che ci divertiremo un sacco!” esclamò la rossa

“Ehm, ciao! Mi chiamo Kijo. Mi sa che ci siamo già conosciute nello studio del dottor Tofu, ricordi? Quella volta se non sbaglio ti eri presentata come Hitomi…non avevo capito che fosse il tuo cognome, scusa! Che coincidenza che proprio stasera tu abbia deciso di intrufolarti a villa Kuno” Ranko trattenne il respiro un momento “…ma più siamo più ci divertiamo!” concluse Kijo e Ranko tirò un sospiro di sollievo

“Esatto, come dice sempre Madame Masuku!” concluse Lamù

“Come facciamo a entrare nella villa senza che se ne accorgano?” domandò Kijo dubbiosa

“Non vi preoccupate, se suoniamo il campanello verrà sicuramente ad aprirci Sasuke, che io conosco. Basterà che gli dica che voglio fare una sorpresa al suo padrone e ci stenderà il tappeto rosso” spiegò Ranko

“Ah sì? Tu conosci così tanto bene i Kuno?” chiese l’extraterrestre

“Molto più di quanto vorrei…ma in questo caso ci torna utile!” sorrise la rossa, poi suonò il campanello della dimora dei Kuno, giacché nel frattempo erano arrivate a destinazione.

“Qui villa Kuno. Chi è?” una voce gracchiante rispose dal citofono

“Sasuke! Sono la ragazza col codino! Sono qui per fare una sorpresa al mio dolce Tatewaki! Puoi aprirmi la porta?” le parole di Ranko sembravano zucchero e miele filante

“Oh, signorina! Il padroncino ha intimato di non essere disturbato da nessuno, ma sono certo che per voi farà senz’altro un’eccezione. Vi apro!” la voce gracchiante chiuse la comunicazione mentre i cancelli si spalancavano.

“Alla faccia! La famiglia di Kuno è molto benestante!” commentò Kijo restando sorpresa dalla vastità del giardino e dall’imponenza dell’edificio

“Sì, ha una nobile discendenza da antichi samurai” commentò Ranko con noncuranza

“Strano che Nabiki non abbia mai provato a metterci le zampe sopra…evidentemente ritiene Mendo più attraente” sghignazzò la poliziotta in incognito

“C’è stato qualche episodio in passato in cui lei e Kuno si erano avvicinati, ma poi è sfumato tutto in una bolla di sapone. Nabiki in fondo era solo attratta dal patrimonio, mentre Tatewaki a suo modo è un idealista…” spiegò brevemente la ragazza col codino

“Ah, anche tu conosci Nabiki Tendo, quindi?” chiese curiosa Kijo

“Ehm, sì, anche io ci ho avuto a che fare…” stette sul vago Ranko, temendo di tradirsi

“Sei sulla sua lista di debitori?” incalzò Lamù

“Eh eh…chi non ci è finito almeno una volta?” rise nervosamente la rossa, sperando che non indagassero oltre.



Sasuke le aveva accolte con un inchino e poi condotte davanti a quella che sembrava una sala riunioni sotterranea. Dalle porte scorrevoli rivestite in carta di riso si vedevano le sagome dei ragazzi seduti attorno a un tavolo, che gridavano frasi tipo “Critico!” o “Uno naturale!”, talvolta con esaltazione e talvolta con profonda delusione. A un certo punto sembrò che Ataru si fosse spazientito tanto da lanciare una serie di oggetti contro Kotaro, imprecando che non era il risultato che sperava, mentre le ombre di Mendo e Kuno avevano improvvisato una battaglia con le katane dopo essere stati charmati.
Le ragazze, credendo di aver sentito abbastanza, decisero che era giunto per loro il momento di entrare in scena. Sommersero Sasuke coi loro cappotti (tant’è che, vuoi per il peso, vuoi per lo spettacolo inaspettato, non riuscì a reggersi sulle gambe e cadde all’indietro) e si guardarono per infondersi coraggio. Anche Ranko aveva adottato un abbigliamento molto procace, rivelando un vestito da coniglietta a cui aggiunse le orecchie che conservava in una tasca del giubbotto.

“Che personaggio dovresti essere tu?” le sussurrò Kijo

“Sono una coniglietta, non si vede?” le rispose sottovoce, ammiccante; quel costume le ricordò quando se l’era messo l’ultima volta per cercare di vendere più okonomiyaki di Tsubasa…

“Sì ma intendevo-”

“Allora entriamo o no?”
si intromise Lamù, cominciando a fremere “Il mio tesoruccio è arrabbiato e io devo calmarlo!”

Dopo essersi lanciate uno sguardo d’intesa, Kijo spalancò la porta scorrevole gridando
“Fermi tutti, in nome della legge! C’è troppa confusione qui, che sta succedendo?”

Lamù, subito dietro, domandò in tono suadente
“C’è qualche ferito bisognoso di cure?”

Mentre Ranko si parò davanti alle due cercando di attirare l’attenzione
“Ehi, guardatemi! Sono una coniglietta!”

Per un attimo vi fu il gelo totale e gli avventori al tavolo rimasero impietriti; quando iniziarono a registrare ciò che stava accadendo ad alcuni sgorgò un piccolo fiotto di sangue dal naso e svennero sul posto, Kuno si gettò ai piedi di Ranko abbracciandole le gambe e giurandole amore eterno, Ataru saltò addosso a Kijo pregandola di arrestarlo e Daisuke strinse un braccio attorno alle spalle di Lamù sostenendo di necessitare di cure per il proprio cuore infranto

“Ragazza col codino vestita da coniglietta io ti amo!!” urlava Kuno saldamente ancorato alle gambe di Ranko

“Piantala Kuno, datti una regolata!” Ranko era furibonda sia perché non riusciva a staccarsi da quell’idiota sia perché si era resa conto di cosa le stava accadendo intorno

“La tua sensualità non ha limiti, l’ardore che scorgo nei tuoi occhi accende la mia anima…” continuava Kuno imperterrito

“Smettila scemo!” cercava di zittirlo Ranko a suon di pugni sulla testa, la quale era così dura che sembrava non accorgersene neppure

“So che mi ami anche tu, altrimenti non saresti venuta a trovarmi offrendomi questa visione paradisiaca”

“In paradiso ci finirai presto se non ti decidi a lasciarmi!” con un uppercut particolarmente violento Ranko riuscì a far volare in aria il padrone di casa e tornò a rivolgere la sua attenzione a…

“Agente Rinekami, sono stato un ladro molto cattivo, merito la punizione di una paladina della legge…” sghignazzava Ataru mentre, con la scusa di porgere le mani per le manette, le allungava su Kijo

“Ehm…tu saresti il ladro, quindi? Fellone, ti assicurerò alla giustizia!” provò a dire Kijo, un po’ perplessa

“Tesoruccio, cosa credi di fare? Vieni immediatamente da me!” iniziò ad alterarsi Lamù e quindi a generare piccole scariche elettriche che rendevano impossibile per chiunque avvicinarsi

“Agente, proteggetemi, vi prego!” mugolò Ataru nascondendosi dietro Kijo e abbracciandola in vita nel frattempo, sperando di scongiurare la scossa della compagna. Non aveva però considerato il colpo che, con precisione millimetrica, gli arrivò alla base del collo da Ranko, a seguito del quale non poté far altro che accasciarsi al suolo e subire il fulmine dell’Oni.
Quando Kotaro, facente parte del gruppo che era svenuto, si riprese, richiamò i giocatori all’ordine
“Insomma! Tornate ai vostri posti! C’è una campagna da portare avanti!” poi si rivolse alle ragazze, piuttosto imbarazzato ma visibilmente stizzito “Quanto a voi…ehm…fanciulle, posso sapere a cosa è dovuta questa… interruzione?”

Kijo prese la parola “Volevamo provare anche noi i giochi di ruolo e dal momento che a scuola ci avete liquidato e snobbato, abbiamo deciso di attuare un’irruzione a sorpresa durante una sessione”

“Ok…ma il vostro abbigliamento pare un po’, come dire, equivoco…” continuò Kotaro, cercando di mantenere un tono calmo quando in realtà avrebbe voluto urlarle beceramente contro

“Ecco, gliel’avevo detto io!” si lasciò sfuggire Ranko, beccandosi per questo un’occhiata interrogativa da parte delle altre due ragazze

“Ci siamo informate da altri esperti di gioco di ruolo e ci hanno consigliate loro…non sono adatti per la vostra ambientazione?” domandò Lamù sbattendo le palpebre

“Io…credo che abbiate fatto un po’ di confusione…forse le persone a cui vi siete rivolte praticano un altro tipo di gioco di ruolo” cercò di spiegare il Master senza guardarle direttamente, stringendo le mani a pugno per evitare di soccombere alla rabbia

“Ah, ci sono vari tipi? Ecco perché tutte quelle informazioni contrastanti” mise finalmente in moto il cervello Kijo

“Eh sì…” stava per scoppiare Ikeda: accidenti a quelle stupide ragazzine, come osavano venire a disturbarlo nel proprio tempio, sacro luogo di cui era il padrone acclamato e indiscusso?

“Io comunque sono favorevole a cambiare tipologia e includere le ragazze!” propose Ataru sorridendo a trentadue denti

“Anch’io non sono contrario!” dissero all’unisono Daisuke e Kuno, cercando di darsi un tono

“Ma non possiamo semplicemente giocare a quello che avete cominciato?” propose Kijo

“Certo, purché ogni volta vi presentiate vestite così!” sghignazzò Ataru, beccandosi un’occhiata in tralice da Ranko

“Io ritengo che siano un elemento di disturbo del nostro solido equilibrio…non sono sicuro che dovrebbero giocare con noi” ammise infine Kotaro, controllandosi con uno sforzo rimarchevole

“Se non le includi io non verrò più a giocare! E sono certo che gli altri giocatori concorderanno!” gli si rivoltò Ataru; per Kotaro fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso: quel gruppo costruito con tanta cura era stato sbriciolato in due secondi netti da quelle galline! Non osò obiettare altro, tuttavia, dato che ormai la campagna era ben delineata e doverla sopprimere gli procurava ancora più fastidio che dover sopportare quelle ragazzette.

“Ragazze, quello che nessuno ha il coraggio di dirvi è che il gioco di ruolo che hanno spiegato a voi è una sorta di preliminare con accezione erotica, mentre invece noi invece passiamo le serate a scartabellare plichi di appunti e a tirare dei dadi” parlò per la prima volta Mendo.

Dannazione, quanto potevano essere state stupide da uno a dieci? Avevano frainteso completamente la faccenda…ecco perché Nabiki e Madame erano così convinte di poterci guadagnare soldoni! Anche se non avrebbe mai voluto ammetterlo (chissà se c’era un sistema per nasconderglielo?), Ranma aveva avuto ragione riguardo al suo abbigliamento inappropriato: cosa le era saltato in mente?

Mentre Kijo era persa nelle proprie elucubrazioni e Ranko si era data una manata sulla faccia, Lamù si era seduta al tavolo abbracciata ad Ataru e aveva iniziato a compilare un foglio con l’aiuto di Kotaro
“Andiamo ragazze, ormai che siamo qui giochiamo un pochino, no?” le invitò a sedersi la ragazza dello spazio, per nulla turbata dalla situazione

“Ok, però magari mettiamoci qualcosa addoss-” tentò di proporre la ragazza col codino, che fu subito bloccata da un unanime coro maschile di “NO!” 
 
                                                                                                        -§-
 
“Lady Darkmoon, Principessa delle Tenebre, improvvisamente dalla palude emerge un mostro ricoperto di fango: ha le zampe palmate, è alto circa due metri e mezzo e ha un corpo ricoperto da scaglie; ai lati della testa spuntano due piccole pinne, che ti accorgi proteggono delle aperture simili a branchie. Cosa fai?” si rivolse Kotaro a Kijo. Tutti gli astanti erano completamente rapiti dalla narrazione, eccetto Ranko che sbadigliava appoggiata a un braccio

“Lo sistemo io in due colpi, lascialo stare” esclamò trasudando confidenza nel proprio monaco combattente senz’armi

“Lee Chaolain, non aspetterò che qualcun altro mi tolga le castagne dal fuoco, posso cavarmela da sola!” le rispose Kijo

“Davvero Ranko! Il fatto di aver scelto un uomo come personaggio non ti obbliga a comportarti da maschilista” rincarò la dose Lamù

“Uffa, va bene! Allora fatevi ammazzare e non muoverò un dito!” sbuffò la rossa

“Lancio Avvizzire!” ruppe gli indugi Lady Darkmoon, preparandosi a tirare due dadi

“Critico! Massimo danno! Il mostro è prosciugato di ogni suo liquido e si squaglia al suolo!” esclamò Kotaro e un applauso si levò dagli altri

“Ehm, ma com’è che ogni volta che tiriamo noi ragazze facciamo fuori un mostro mentre a voi servono mille round?” espresse perplessità Ranko

“Sennò col cavolo che venite a giocare un’altra volta!” concluse spicciamente Ataru, annuendo nella direzione di un Kotaro esasperato

“Ehi, ma io è dall’inizio che dico che mi piacerebbe giocare! Siete voi che avete tentato di escluderci in prima battuta” protestò con garbo Kijo

“Mia soave Lady Darkmoon, perdona la nostra scarsa lungimiranza…non immaginavamo che giocare con voi dolci fanciulle sarebbe stato così stimolante. Tu, l’adorabile Star Lighting Bolt e la mia beneamata Lee Chaolain sarete giocatrici di ruolo di ruolo, nel nostro gruppo, vi aspetteremo a ogni sessione, o non è vero che mi chiamo Blue Thunder il nobile samurai” si lanciò in una prosopopea Kuno

“In effetti ci avete offerto spunti interessanti…” commentò Daisuke rimettendosi a posto il mantello

“…nuove prospettive…” sorrise malizioso Ataru

“…una ventata di freschezza!” ammise Mendo sistemandosi la bandana bianca che portava in testa

“Beh, sicuramente ci siamo divertiti più così che se avessimo provato l’altro tipo di gioco” sorrise Kijo che ancora non riusciva a mandar giù la gaffe fatta in precedenza, mentre Lamù annuiva soddisfatta e i ragazzi trattenevano a stento le lacrime dagli occhi e, stringendo un pugno di fronte al proprio volto, mentivano spudoratamente all’unisono

“Hai proprio ragione…” 

“Sai, Kijo, a volte Kasumi ti fa un baffo in quanto a ingenuità” commentò Ranko sospirando esasperata

“Caspita, conosci anche Kasumi?” domandò meditabonda Kijo, facendo trattenere il respiro alla ragazza.

Accidenti, quella volta aveva proprio esagerato! Pensa, Ranma! Per quale ragione Ranko avrebbe potuto conoscere Kasumi?

Come attraversata da un’ovvia considerazione, Kijo batté il pugno sull’altra mano aperta, per poi indicare Ranko e fornirsi autonomamente una spiegazione
“Ma certo! Devi averla conosciuta allo studio di Tofu! Dopotutto è il tuo medico, no?”
La ragazza col codino mise su un ostentato sorriso e annuì con vigore: quella sera avrebbe dovuto rivolgere una preghiera di ringraziamento speciale per tutti i kami che la stavano aiutando a nascondere il proprio segreto.

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Capitolo 23
*** Halloween ***


31 Ottobre
 
Il manto aranciato di Ottobre stava per cedere definitivamente il passo all’atmosfera più cupa e nebbiosa di Novembre, ma non prima di aver regalato un altro evento agli studenti del liceo Furinkan.
Nei giorni precedenti il preside Kuno aveva istituito l’obbligo di partecipare a un ciclo di lezioni, tenute da lui in persona, al fine di approfondire vari aspetti e tradizioni della cultura americana che tanto venerava; sebbene la stragrande maggioranza degli studenti si fosse recata a questi seminari con spirito rassegnato e disinteressato, alcune delle nozioni presentate in modo assai spettacolare dallo strambo direttore Kocho colpirono qualche giovane mente che vi si appassionò.

Hikaru Gosunkugi era sempre vissuto nell’ombra del proprio lato oscuro: fin da bambino era stato bollato al primo sguardo come “strano” e “inquietante” dai suoi compagni, quelli più gentili s’intende; altri ancor più privi di tatto non avevano esitato ad appioppargli appellativi come “spettrale”, “demoniaco” e “spaventoso”. Con buona pace di ogni sua possibilità di fare qualche amicizia, che per un gioco crudele di parole era sempre andata a farsi benedire. Certo, il suo pallore cadaverico contrastato dalle scure occhiaie attorno agli occhi non aiutava a fornirgli un’aria amichevole, così come l’aspetto allampanato, il fisico gracile che pareva sempre sul punto di esalare l’ultimo respiro e la sua passione per argomenti arcani che respingeva i suoi coetanei, ogniqualvolta trovava abbastanza coraggio per uscire dal suo guscio e provare a condividerla. Pareva destinato a rimanere per sempre racchiuso dentro una grande bolla invisibile, che non permetteva a nessuno di avvicinarsi troppo a lui, anzi, facilitava al mondo attorno a sé il dimenticare della sua presenza, rendendolo invisibile a sua volta. Le foto, che lui tanto amava scattare, erano l’unico modo che aveva per toccare con mano la rappresentazione di alcune emozioni, di alcune relazioni interpersonali che a lui erano precluse; parallelamente, dato che questo mondo sembrava non dargli grande soddisfazione, divenne sempre più incuriosito dai fenomeni relativi all’altro mondo, quello occulto degli spiriti e dei defunti, tanto più affini a lui in quanto privati di quasi ogni connessione con gli altri e impercettibili ai più. A volte si domandava se la professione che svolgevano i suoi genitori avesse in qualche modo contribuito a renderlo quello che era, ma ad ogni modo non poteva farne loro una colpa, dato che parevano aver trovato comunque un loro equilibrio e una loro dimensione, contrariamente a lui.
Fu quindi con innominabile gioia che Hikaru apprese che negli Stati Uniti avevano trovato il modo di celebrare e spettacolarizzare una festività dalle radici antichissime e pagane, basata proprio sul mistero aleggiante attorno al velo sottile che divide il mondo terreno da quello ultraterreno, che esaltava il lato oscuro, la stranezza e la paura…
“Quest’anno voglio dare una festa per Halloween!” decise travolto dall’entusiasmo, che lo accompagnò fino a quel momento in cui, seduto sulla poltrona del salotto accompagnato dalla fluttuante Kogame, aspettava che i suoi ospiti si presentassero a villa Gosunkugi.
                                                    
                                                                -§-
 
“Mamma mia, questo posto mette i brividi…” commentò Kijo mentre spingeva il pesante cancello cigolante in ferro battuto che dava sul vasto giardino della villa; al suo fianco Yuka e Sayuri si guardavano attorno circospette, indecise se entrare o meno, mentre Ranma le rispose, piccato

“Certo, se tu ti fossi messa qualcosa di più coprente addosso forse ora non rabbrivid- rabbrid- rabbrevid- insomma, non staresti qui a tremare come una foglia!”

Per tutta risposta Kijo gli fece una linguaccia stringendosi nelle spalle, sollevando involontariamente ancora di più il seno già ampiamente strizzato da un bustino nero e costringendo il ragazzo a distogliere lo sguardo. Il mantello nero che portava allacciato alla gola era di stoffa assai sottile e di sicuro non poteva ripararla dal freddo né dagli occhi altrui che era certo si sarebbero calamitati sulla sua generosa scollatura.
“Che razza di interpretazione di una strega è questa…” si ritrovò a pensare infastidito ripercorrendo rapidamente la silhouette di Kijo da capo a piedi: a parte il buffo cappello a punta tutto il resto sembrava studiato appositamente per esaltare le sue forme, come la lunga gonna nera che risultava aderente proprio nei punti giusti. Possibile che ci fosse lo zampino dell’amica di Nabiki che già le aveva propinato il travestimento da poliziotta? Lo stile sembrava proprio quello…significava che stava ancora frequentando quella donna e le sue discutibili compagnie? Perché non poteva essersi vestita da Cappuccetto Rosso, come Yuka, o da zucca, come Sayuri? O magari un bel costumone peloso da licantropo, tipo quello di Hiroshi o da fantasma, come quello di Daisuke?
Con una smorfia di disappunto si morse il labbro inferiore, dimentico dei lunghi canini che Kasumi gli aveva apposto per renderlo più verosimile come vampiro: perfetto, ci mancava solo che andasse a ricoprire con un rivolo di sangue autentico quello finto che gli colava da un lato della bocca!
 
La maestosa casa si stagliava al culmine di un terrapieno che la sollevava dall’ampio giardino. Per accedervi era necessario transitare da una sorta di labirinto di piccoli sentieri che si contorcevano serpeggiando tra i fitti alberi di ginkgo che in quel periodo dell’anno esibivano la propria scintillante chioma dorata, puntellata qua e là da svolazzanti fantasmini appesi. Mentre percorrevano il dedalico terrazzamento, i ragazzi notarono come delle grosse zucche intagliate illuminate da candele interne fossero state poste a ogni bivio, a guisa di pietre miliari; di tanto in tanto il terreno era interrotto da alcune vasche d’acqua presumibilmente calda, dato che delle volute di vapore ascendevano pigre nell’aria assai frizzante.
Quando giunsero infine davanti all’imponente abitazione, si trovarono di fronte a una grande porta di legno chiusa da un chiavistello, mentre uno scheletro fosforescente recava un cartello con una doppia freccia verso destra o verso sinistra, invitando implicitamente gli ospiti a salire da una delle due simmetriche scalinate laterali.

“Mamma mia, non lo so mica se abbiamo fatto bene a venire…io sono già terrorizzata!” piagnucolò Sayuri stringendosi al braccio avvolto dal lenzuolo di Daisuke, mentre osservava con disgusto dei calabroni moribondi che si contorcevano intontiti sui gradini finché non scivolavano nella quiete eterna. Nell’aria aleggiava un profumo d’incenso, a tratti pungente che, per qualche ragione che non avrebbero saputo spiegare, sembrava estremamente indicato per l’ambiente.

“Beh, ormai siamo qui, diamo una chance a questo party!” replicò Yuka, per nulla impressionata, sollevando l’anello metallico del battiporta a forma di demone cornuto che si stagliava sull’uscio e bussando tre volte.

Un uomo alto e magro vestito con un completo gessato e assai somigliante ad un Hikaru che si fosse fatto crescere dei baffetti aprì la porta scricchiolante, invitandoli a entrare
“Buonasera cari! Io e la mia splendida moglie vi diamo il benvenuto a villa Gosunkugi. Spero che passerete una serata divertente.”

I modi dell’uomo erano affabili e compiti, in netto contrasto con l’esuberanza della splendida moglie, una donna bassina e piuttosto rotondetta che indossava un abito nero lungo e aderente, con una parrucca di capelli neri liscissimi che le sfioravano il sedere. Non appena li vide si precipitò ad abbracciarli uno ad uno, salutandoli col nome del loro costume
“Oh, buonasera Signorina Zucca! E buonasera anche a voi, Signorina Strega e Signorina Cappuccetto Rosso! Che magnifico costume Signor Licantropo! Per non parlare dei vostri Signor Vampiro e Signor Fantasma! Vi prego, entrate! Io sono la Signora Morticia Addams e questo è mio marito Gomez. Troverete nostro figlio nel salone di sopra”

Una volta sfuggiti alle grinfie di quella calorosa signora, i ragazzi proseguirono per il corridoio che conduceva alle scale per il piano superiore, gremito di quadri e soprammobili assai angustianti, rappresentanti demoni e scene di morte.
 
Come varcarono la soglia del salone, vennero accolti da uno sbuffo di fumo che li avvolse dall’alto e da una risata assai inquietante, di quelle che ai luna park fanno sobbalzare gli avventori dei tunnel dell’orrore. Sayuri perse il briciolo di compostezza che le era rimasto e saltò all’indietro nel suo ingombrante costume arancione, lanciando un gridolino spaventato, mentre Hiroshi cominciò a tossire per il fumo. Non appena cominciò a diradarsi, ne emersero un paio di occhi rossastri che li scrutavano con apatia: Kogame, fluttuando a mezz’aria, si lanciò in un poco convinto “Buh”, prima di tornare lentamente al fianco di Hikaru, che rideva divertito seduto su una poltrona.
La stanza, completamente in penombra, illuminata esclusivamente dalla luce di alcune candele sparse e candelabri posti in zone strategiche, era un vero trionfo del macabro e del grottesco: in un angolo, sapientemente rischiarata dall’alto, si stagliava la riproduzione fedelissima di un’imponente ghigliottina del Settecento, con tanto di lama insanguinata e prigioniero impagliato dalla testa mozzata rotolata a terra; poco distante, uno scheletro con una tuba in mano sembrava rendere i propri omaggi dinanzi a una bara aperta; un’intera parete era occupata da un’enorme libreria dall’aria molto antica, riempita di tomi vecchi e polverosi ricoperti da spessi strati di ragnatele; dal soffitto penzolavano a varie altezze le amate bamboline di Hikaru, alternate a qualche fantasmino e qualche ragnetto di plastica.

“Benvenuti nella mia umile dimora, che nelle prossime ore ospiterà la festa più terrificante dell’anno! Siete pronti a divertirvi da morire?” esclamò Gosunkugi ridacchiando a quell’uscita che aveva enunciato con tanto pathos ma che solo Kijo sembrò apprezzare con una risata.

“Ehm, da cosa saresti travestito tu, Hikaru?” domandò Yuka cercando di spezzare quell’imbarazzante gelo che era calato dopo l’infelice battuta: effettivamente non era immediato afferrarlo, dato che il suo costume consisteva in una specie di tuta su cui erano state incollate alcune confezioni di cornflakes, riso soffiato e muesli con dei coltelli conficcati dentro; dalle lacerazioni delle scatole fuoriusciva del sangue finto, lo stesso che ricopriva un machete di plastica che Hikaru teneva in mano

“Oh, non si capisce? Sono un Cereal Killer!” rispose quest’ultimo sottolineando idealmente le due parole con indice e pollice che si muovevano avanti e indietro.

“Hikaru, tu sei un fottuto genio!” commentò entusiasta Kijo, mentre gli altri venivano sommersi da gocce gigantesche alla spiegazione di quel travestimento basato su un gioco di parole.

Ancora una volta calò un silenzio ricolmo di disagio tra gli astanti, che Hiroshi provò a mitigare
“Certo che vi siete impegnati un sacco per rendere l’atmosfera inquietante e spaventosa!” commentò guardandosi attorno, provocando un’espressione perplessa sul volto di Gosunkugi

“Mah…io non saprei…in realtà ci siamo limitati a mettere qualche zucca in giardino e qualche fantasmino o ragnatela in giro, per il resto abbiamo lasciato tutto come sempre!” ridacchiò in imbarazzo strusciandosi la nuca con una mano, mentre Kogame al suo fianco annuiva priva di emozioni; gli ospiti si lanciarono occhiate incredule e Sayuri fece quasi per svenire, ma fortunatamente fu presa al volo da Ranma prima di accasciarsi a terra.

“Perché non beviamo qualcosa? Mi sembra il momento giusto…” propose Kijo sperando di sciogliere quell’atmosfera che stentava a decollare con un po’ di buon vecchio e sano alcool.
Hikaru fece allora strada al tavolo apparecchiato con cibi e bevande: ogni liquido era stato travasato in antiche bottiglie di vetro scuro con delle etichette assai evocative quali Veleno di vipera, Spirito del Demonio, Estratto di Aucuba o Sangue di Drago, mentre ciascuna vivanda rassomigliava impietosamente a qualche organo umano, qualche insetto o qualche mostriciattolo. Sayuri si portò rapidamente una mano alla bocca trattenendo un conato di vomito quando il suo sguardo si posò su una specie di gelatina che in tutto e per tutto sembrava un cervello sanguinolento, mentre Yuka prese con curiosità una sorta di spiedino che pareva un dito mozzato per assaggiarlo.
 
Qualche minuto dopo arrivarono anche altri invitati, desiderosi di gustarsi la particolare esperienza e al tempo stesso intimiditi dalla novità.
Nabiki e Mendo entrarono a braccetto: sul volto della ragazza seminascosto da una mascherina nera dalle fattezze feline si poteva scorgere facilmente un’espressione di puro divertimento, certamente alimentato dal fatto che si trovava in un ambiente che, sebbene inconsueto, trasudava ricchezza e facoltà; il ragazzo, per contro, appariva piuttosto pallido e turbato nel proprio costume da mummia, dato che quell’atmosfera così buia rievocava le sue più recondite paure. Come si accorse della Vergine di ferro addossata a una parete che riluceva dei riflessi delle candele, per poco non ebbe un mancamento al pensiero di come sarebbe stato esservi chiusi dentro; fu necessario tutto il suo autocontrollo per mantenersi impassibile e darsi un contegno.

“Ancora non capisco che cosa vuoi cercare di dimostrare col tuo travestimento, tesoruccio” domandò Lamù ad Ataru entrando nel salone. La bella aliena si era mascherata da diavolessa ed indossava un vestitino rosso con tanto di mantellina, mentre con una mano brandiva un piccolo tridente e sulla testa si era apposta un cerchietto con un’ulteriore fila di corna. Al suo fianco Moroboshi si era messo degli abiti femminili e si era truccato pesantemente il viso, abbondando col rossetto e con l’ombretto blu che non si era neppure preso la briga di sfumare, per non parlare del fard che gli impataccava le guance di due tondi rosa.

“Cosa c’è da capire? È ovvio che la paura più grande per un virile playboy come me è quella di diventare una donna! Non oso immaginare un destino più beffardo e triste” disse Ataru in falsetto osservandosi le unghie laccate di rosso con la bocca arricciata: non si poteva certo obiettare che non cercasse di mantenersi nel personaggio.

A quelle parole Ranma ebbe un moto di fastidio e a stento trattenne un rabbioso grugnito che si affacciò sulle sue labbra, provocando un’occhiata divertita da parte di Nabiki
“Come dargli torto, vero Ranma? Anche se pensavo che fra tutti sarebbe stato il mio costume a risultarti più spaventoso…” con la mano guantata di nero su cui aveva apposto dei piccoli artigli, la ragazza simulò una zampata al quasi-cognato, mimando un miagolio con le labbra. Stava per dirgliene quattro spazientito, quando Kijo si intromise per congratularsi

“Caspita, Nabiki, questo costume è fan-ta-sti-co! Te lo ha noleggiato Madame, vero? Buon per te che riesci a entrare in una tutina nera così attillata…ti valorizza davvero tanto!” così dicendo allontanò da Ranma la ragazza continuando a ricoprirla di complimenti che Nabiki si godette assaporandoli come caldi sorsi di miele.
 
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A un evento del genere non poteva mancare Tatewaki Kuno, che si presentò accompagnato dalla sua squadra di kendo con un costume di gruppo liberamente ispirato a un blockbuster di qualche anno prima: tutti indossavano delle calzamaglie nere su cui risaltava, dipinto di bianco fosforescente, uno scheletro stilizzato. Per rendere la loro entrata ancor più spettacolare, si esibirono in un balletto coordinato sulle note di Ghostbusters, manifestando una flessuosità nei movimenti che raramente ci si aspetterebbe da chi pratica il loro sport.

Durante l’esibizione Yuka espresse la sua perplessità al gruppetto di amici
“Scusate…ma cosa c’entra la colonna sonora di Ghostbusters col loro costume di Karate Kid?” ma ricevette solo alzate di spalle o scuotimenti di testa del tutto spaesati; per fortuna il Tuono Blu non mancò di fornire una spiegazione chiarificatrice per le semplici menti dei propri compagni di scuola, che difficilmente avrebbero potuto afferrare i reconditi significati che si celavano dietro la propria minuziosa danza

“Cortesi compagni, affettuose fan…leggo nei vostri volti lo smarrimento che la nostra provocatoria performance ha sapientemente generato! Ebbene, abbiamo raggiunto il nostro scopo, ovvero far riflettere su quanto futile e superficiale sia la cultura americana tanto propagandata dai mezzi di comunicazione, dalla globalizzazione, financo dal mio stesso padre! Le opere che producono, scalatrici di vertici di fama mondiale, sono senz’anima, senza morale, votate al mero intrattenimento, tanto che si possono facilmente confondere l’una con l’altra: ecco la ragione per cui abbiamo contaminato, senza che quasi ve ne rendeste conto, due diversi omaggi alla cinematografia statunitense. Attenzione a cadere facili prede del fascino per ciò che è straniero…per scongiurare il rinnegamento delle nostre tradizioni, vogliamo portarne avanti una questa sera, ovvero la Hyakumonogatari kaidankai! Ci siederemo in cerchio rischiarati dalla luce di cento candele e verranno raccontate a turno delle storie del terrore, al termine di ognuna delle quali spegneremo una candela, finché non rimarremo totalmente al buio aspettando la manifestazione dello spirito Aoandon.”
L’imponente mole di corbellerie proferite tutte d’un fiato da Kuno, fece sì che la maggior parte degli ospiti si fosse addormentata dalla noia, quindi quando si voltò verso il suo pubblico si trovò di fronte una folla quasi totalmente dormiente; naturalmente questo non lo scompose più di tanto e, fermo nei suoi propositi, accese ad una ad una le cento candele necessarie per poi continuare imperterrito a narrare
“Gira voce che nei boschi selvaggi sul monte Haku, abbia dimora una fiera sanguinaria che appare a ogni plenilunio per placare la sua brama di carne umana…”
 
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Circa un’ora dopo, Tatewaki era sempre pervaso dall’eloquenza di cui Benzaiten lo aveva ampiamente dotato, per cui si avvicinò alla penultima candela rimasta accesa e ne schiacciò tra le dita bagnate la fiamma per spegnerla, poi prese nuovamente fiato e cominciò il racconto della centesima storia dell’orrore. In realtà, i pochi compagni di kendo rimasti vigili durante gli sproloqui del loro capitano, si erano adoperati per soffiare furtivamente sulle candele mentre Kuno non guardava, in modo da risparmiarsi ore ed ore di quel supplizio. Fortunatamente il Tuono Blu non brillava particolarmente per acume, quindi non ebbe l’accortezza di notare che nemmeno parlando in modo estremamente accelerato avrebbe mai potuto raccontare cento storie in appena un’ora, o forse neanche si era reso conto di quanto tempo era davvero passato.
Ranma e Ataru approfittarono del torpore generale per saccheggiare senza ritegno il buffet: in fondo, ingollate al buio senza che potessero concentrarsi sulla presentazione più di tanto, dovettero ammettere che quelle pietanze erano proprio buone!
 
Come Kuno pronunciò le ultime parole della storia e spense l’ultima candela, un urlo inumano di puro terrore si espanse nella stanza, facendo sobbalzare gli assopiti e gelare il sangue nelle vene ai desti. Tatewaki, raccogliendo tutto il proprio coraggio, pigolò flebilmente
“Spirito Aoandon, sei tu che sei giunta nel regno mortale dall’oltretomba…?”

“Argh! È finita la salsa teriyaki! E adesso con cosa condisco gli spiedini di polpo?” gli rispose disperata la voce di Moroboshi, mentre scuoteva al buio il contenitore ormai vuoto, rivelando agli attoniti astanti il responsabile del grido.

Mendo fece per alzarsi al fine di dare una lezione a suon di fendenti a quell’irriverente di Ataru, ma si bloccò congelato non appena scorse una tenue luce che si avvicinava verso la distesa di candele: la luce illuminava la zona inferiore di un abito bianco stracciato, sul quale si adagiavano alcune ciocche di lunghi capelli neri e liscissimi. L’entità avanzava lentamente, obbligando i presenti a trattenere il respiro dallo stupore, dall’attesa di una rivelazione, dallo sconcerto nel constatare che il bislacco rituale di Tatewaki aveva incredibilmente sortito un effetto. Proprio quest’ultimo, quando quell’essere si fermò a pochi metri di distanza da lui, cercò di arrestare il tremore incontrollabile di cui era caduto preda e gli si rivolse con tono deferente
“Spirito Aoandon, sei tu che sei giunta nel regno mortale dall’oltretomba…?”

La luce ebbe un tremolio e poi cominciò a salire lentamente, finché non si fermò poco prima di inondare il volto di quella presenza, che proferì in tono grave
“Tu mi chiami Aoandon, ma io sono invero una banshee…io sono…” la luce guizzò svelta sul suo viso, rivelando un incarnato spettrale sconvolto da occhiaie profonde ma piuttosto familiare
“Io sono…Shinobu! Non mi avete riconosciuta?” domandò la giovane con un sorrisetto compiaciuto mentre gli altri crollavano a terra esterrefatti

“Non si può dire che tu non sappia fare un’entrata a effetto, Ban-Shinobu…” commentò Kijo mentre regolarizzava la propria respirazione.

Ataru sopraggiunse quatto quatto alle sue spalle e, con voce ostentatamente cinguettante, le disse mentre le sollevava una cospicua quantità di brandelli di stoffa che fungevano da gonna
“Shinobu, tesoro! Lascia che ti aiuti a sistemare questo splendido costume! Ecco, vedi…secondo me andrebbe strappato un po’ di più qui e anche qui e…”

Non riuscì a terminare la frase che finì arrostito da una saetta di Lamù, la quale gli strillò indispettita
“Tesoruccio! Smettila di importunare Shinobu! Hai voluto fare la donna? Comportati come tale!”

Ataru si sentì punto nell’orgoglio, oltre che fiaccato nel fisico, quindi raccolse le sue ultime forze per controbattere alla diavolessa che si ritrovava per fidanzata
“Proprio per questo l’ho fatto…se non ci si aiuta tra donne…”

Lamù assunse il colore del proprio costume cercando di trattenere la rabbia che provava di fronte a quell’ennesima risposta strafottente. Possibile che non se ne rendesse conto? Possibile che non gli importasse nulla di ferirla, umiliarla e farla soffrire costantemente? Cosa aveva fatto di male per meritarsi quel continuo disprezzo? Aveva sempre cercato di essere una ragazza amorevole, ma sembrava che tutti i suoi tentativi di dimostrargli affetto rimbalzassero su quel muro di ghiaccio che lui aveva eretto tra di loro per tenerla a distanza, per tenerla lontana, per tenerla a cuccia nemmeno fosse uno stupido demone-cane. Ciò che rendeva colma la misura, poi, era che lui elemosinava disperatamente una parvenza di quell’affetto da letteralmente ogni altra donna presente sulla faccia della Terra! Aveva provato a stargli addosso, aveva provato a concedergli i suoi spazi ma nulla sembrava funzionare con quel testone. Una flebile voce interiore, maltrattata dai ripetuti tentativi di metterla a tacere, provò con fatica a emergere dal suo animo più profondo per reclamare ascolto. Per la prima volta, proprio nella notte in cui i terrestri cercavano di esorcizzare le loro più recondite paure, fu portata a prendere in considerazione quell’ipotesi che più di ogni altra la terrorizzava: avrebbe forse dovuto lasciare Ataru Moroboshi?


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La festa era ormai decollata e numerosi altri studenti del Furinkan erano sopraggiunti. Fu verso le undici di sera che il padrone di casa richiamò l’attenzione degli ospiti suonando un gigantesco gong che nessuno aveva notato prima. Agguantò un microfono che pendeva dal soffitto, di cui ovviamente nessuno si era accorto, e cominciò a rivolgersi ai presenti con fare drammatico e concitato
“Miei cari amici! Un negromante senza scrupoli chiamato Urakih ha approntato un terribile sortilegio che, se portato a compimento, esattamente a mezzanotte aprirà le porte dell’Oltretomba permettendo a tutte le creature che vi abitano di invadere il nostro mondo…”

“Oh no! Dobbiamo fermarlo!” gridò un ragazzo vestito da zombie portandosi le mani lungo il volto

“Eh, infatti quello che stavo dicend-” provò a continuare Gosunkugi, ma venne interrotto nuovamente dallo stesso buontempone, che gli provocò una vena pulsante sulla tempia

“Non posso rischiare di rincontrare mia nonna, era davvero tremenda!”

Delle risatine sommesse serpeggiarono tra la folla, distruggendo del tutto quel poco di tensione che Hikaru era riuscito a creare. Si armò di tutta la pazienza che gli restava e, prendendo mentalmente nota delle fattezze dell’inopportuno scocciatore per riproporle su una delle sue bamboline, proseguì imperterrito
“Ho approntato un rituale per fermare quel bieco individuo, ma per completarlo mi manca un ingrediente e qui entrate in gioco voi! Nascosto in questa proprietà si trova l’ultimo componente della formula che scongiurerà l’apocalisse e voi dovrete trovarlo seguendo i vari indizi disseminati in casa e in giardino: se ci riuscirete prima di mezzanotte, il mondo sarà salvo! Ehm, dimmi Kuno…”

Tatewaki aveva alzato la mano per porre una domanda, che non tardò ad arrivare
“Scusa, ma chi ha sparso gli indizi per trovare l’ingrediente finale?” domandò grattandosi il mento

“Ehm, io ho organizzato la caccia al tesoro…” rispose perplesso Gosunkugi

“Ah-ha! E quindi sai anche dove si trova l’ingrediente finale!” replicò Kuno come se avesse smascherato un lestofante

“B-beh, certo…sennò come avrei potuto…” balbettò spiazzato Hikaru

“Quindi basta che tu vada a prenderlo! Risparmieremo un sacco di tempo e sconfiggeremo il malvagio Urakih” concluse il Tuono Blu, come se esponesse un’ovvietà

“Idiota! Si tratta di una specie di gioco, non l’hai ancora capito? Una gara a chi trova per primo l’ingrediente” commentò Ranma sbuffando mentre osservava il senpai con aria di sufficienza

“Stupido e irrispettoso Saotome! Se fosse un gioco sarebbe stato presentato come tale invece di mettere in piedi tutta questa messinscena…” esplose Kuno, evidentemente irritato; tuttavia soffermò il suo sguardo su Hikaru, il quale scuoteva la testa lentamente e assai timorosamente, come a confutare la sua tesi, quindi riassestò il suo discorso
“…comunque non preoccuparti, gioco o no io troverò per primo quell’ingrediente, parola di Tatewaki Aristocrat Kuno detto il Tuono Blu!”

“È una sfida?” un lampo si accese negli occhi di Ranma: da quanto tempo non trovava il modo di umiliare Kuno battendolo?

“Assolutamente sì, Saotome! Che vinca il migliore, cioè io!” disse Kuno correndo a rotta di collo nella stanza adiacente, seguito da Ranma.

Tutti gli ospiti manifestarono il grado della propria perplessità sotto forma di gocce più o meno grandi, poi Kijo si rivolse a Gosunkugi
“Scusa, ma il primo indizio dove dobbiamo cercarlo?”

“Ve l’avrei fornito io stesso, se non fossi stato interrotto da tutta questa bagarre…” rispose sconsolato il ragazzo, mentre Kogame cercava di dargli delle incorporee pacche sulla spalla.
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Ranma e Kuno aprirono una lunga serie di porte a caso, senza prestare alcuna attenzione agli indizi, talvolta estremamente evidenti, che le stanze da cui transitavano contenevano; erano talmente concentrati l’uno a spiare le mosse dell’altro per scongiurarne il più lieve vantaggio che non si resero conto neppure delle frecce luminose che indicavano la via da perseguire, finendo decisamente fuori strada. Si trovarono dunque contemporaneamente di fronte a una porta blindata che sembrava aprirsi solo mediante combinazione numerica da digitare sul tastierino lì accanto. Di fronte alla porta giaceva sul pavimento uno zerbino con la scritta Welcome e uno smile sorridente. Tatewaki studiò con impegno i singoli dettagli della porta, la tastò dapprima con le mani, poi vi fece risuonare la spada da kendo in vari punti, quasi cercasse una falla nell’impenetrabile durezza dell’acciaio: passò quindi a spippolare sul tastierino, inserendo svariate combinazioni di numeri che immancabilmente si rivelavano errate.
Ranma invece si era fissato sulla targhetta appesa subito accanto alla porta, che recitava
 
«Dottoressa A. Boken-Gosunkugi, Portate pazienza, tanto ormai il peggio è passato»

“Questa frase è chiaramente un indizio” rifletteva Ranma scervellandosi su quelle curiose parole

“Povero illuso! Dobbiamo indovinare il codice d’accesso e dieci a uno che nella stanza troveremo l’ingrediente!” bubbolava intanto Kuno mentre continuava a premere tasti a caso senza risultato

“Una volta in uno sceneggiato l’investigatore ha dedotto la sequenza osservando l’usura dei tasti: ce ne sono alcuni che sembrano più consumati di altri?” si fece spazio Ranma per osservare meglio il congegno

“Non saprei, sono di metallo, non è così facile vederne la degradazione!” sbuffò Tatewaki frustrato. Dopo pochi attimi un sorriso mellifluo si impadronì del suo volto, mentre esprimeva a voce alta il lampo di genio che gli aveva appena inondato il cervello
“Ehi…la dottoressa Boken-Gosunkugi non può che essere la madre di Hikaru…capisci che significa?”

Ranma non colse affatto dove voleva andare a parare il senpai, che si ostinava a sollevare e abbassare le sopracciglia come se fosse il depositario della verità universale. Sospirando per trattenersi dal dare un pugno su quella faccia da schiaffi, il vampiro col codino domandò a mezza bocca
“E quindi…?”

“Quindi la combinazione sarà sicuramente il compleanno di Hikaru!” gongolò Kuno spostandosi indietro un ciuffo di capelli

“Bene, allora prova a inserire la data per verificarlo…” incrociò le braccia al petto Ranma

“Che ne so io di quando è nato quello stramboide? In fondo è compagno di classe tuo, dovresti saperlo tu!” rigirò la frittata il Tuono Blu

“Ehm…non ne ho la più pallida idea!” ammise Ranma stringendosi nelle spalle.

Erano punto e a capo.

Corsero quindi di nuovo nel salone da dove tutto era cominciato, travolgendo lungo il percorso gli altri ignari ospiti intenti a decifrare gli indizi: Gosunkugi era seduto sulla grande poltrona di pelle, con Kogame fluttuante al proprio fianco, che si reggeva il mento sbuffando con aria annoiata, mentre brontolava
“Grande idea aver organizzato una caccia al tesoro! Tutti a divertirsi e io qui ad aspettare senza far nulla!”

“Se ben ricordi ti avevo esposto questa possibilità…ma in fondo sono solo uno spirito, cosa vuoi che ne sappia di come si divertono oggi i mortali?” gli rispose Kogame, sempre priva di alcuna inflessione.

Quell’intimo momento fu rotto dall’arrivo dei due ragazzi che, compiendo un gran baccano, gli si pararono davanti e cominciarono a scuoterlo
“Quand’è il tuo compleanno, Gosunkugi?” gli urlò in faccia Kuno, preda della frenesia di ripartire all’istante per distanziare Ranma

“No! Dillo a me, dillo a me!” controbatté il ragazzo col codino, continuando a strattonarlo

“Ehm…ragazzi, calma…mi state facendo sentire male…” cercava di obiettare il padrone di casa, decisamente in subbuglio. I due ebbero pietà e lo lasciarono ricomporsi a sedere, schiarirsi la voce e dichiarare
“Il mio compleanno era il 15 agosto…è un po’ tardi per farmi gli auguri ma…”

Non lo lasciarono neppure finire che già erano ripartiti a perdifiato, lasciandosi alle spalle solo il commento provocatorio di Kuno che osservò
“Per forza il 15 agosto, quando altro poteva essere il suo compleanno?”


Gosunkugi si alzò piano dalla poltrona e, ancora un po’ stordito, camminò fino al tavolo delle bevande, versandosi un po’ di Sangue di Drago che altro non era che aranciata rossa. Mandò giù un paio di sorsi e poi constatò amaramente a bassa voce
“Che diamine ne sanno di quanto è frustrante essere nati d’agosto? Non c’è mai un cavolo di nessuno ai nostri compleanni! Si è sempre tremendamente soli…”
Rivolgendo lo sguardo attorno a sé, lo lasciò vagare su tutti i mobili della stanza, la tappezzeria, le decorazioni che con tanto impegno aveva allestito, il buffet. Non incrociò un’anima, neppure quella di Kogame che doveva essersi spostata altrove. Decise di riempirsi il bicchiere di un pregiato whisky che avevano regalato anni prima ai suoi genitori e di tornare a sedere sulla poltrona, mescendolo lentamente con un cubetto di ghiaccio. Già dopo i primi sorsi, un senso di rilassatezza si fece strada pian piano in lui e la solitudine che aveva provato a manifestarsi venne ricacciata in quell’angolo del suo cuore che stava venendo ottenebrato da quell’alcolico calore.
 
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Per quanto avessero provato a ostacolarsi a vicenda, Ranma e Kuno raggiunsero nuovamente la porta blindata nello stesso momento. Nel disperato tentativo di aggiudicarsi la priorità, Tatewaki balzò dritto verso il tastierino, colpendolo con la testa per occuparlo
“1-5-0-8” premette col naso, mentre Ranma osservava furibondo per il presunto svantaggio. Il ghigno scocciato sulla faccia di Saotome mutò ben presto in un beffardo sorriso quando si rese conto che la porta rimaneva comunque serrata.
“Ma-ma-ma come è possibile?” esclamò Kuno incredulo continuando a ripetere la stessa sequenza più e più volte “Quale madre usa un’altra combinazione che non sia la data di nascita del figlio? Ok, anch’io se avessi un figlio come Gosunkugi forse vorrei dimenticarmene, ma…”

“Abbiamo toppato, abbiamo sopravvalutato l’istinto materno…ma quindi quale diamine di codice va inserito per aprire questa stramaledetta porta?” Ranma sfogò la frustrazione calciando lo zerbino con lo smile, rivelando che sotto di esso stava annidato un foglietto. Come se ne rese conto lo raccolse con un guizzo, prima che il piede di Kuno vi atterrasse sopra per reclamarne la proprietà
“Ah-ha! Te l’ho fatta! Adesso ho la soluzione in mano!” gongolò Ranma, mentre Kuno prendeva a pugni l’aria circostante per il disappunto.
“Dunque…0…0…0…0? Sarebbe questa la password? Quella delle impostazioni di fabbrica?” rimase sconcertato il ragazzo mentre premeva i pulsanti di quell’insolita combinazione.
Il tastierino si illuminò di verde e la porta si sbloccò con uno schiocco metallico, provocando la comparsa di due grosse gocce sulle nuche dei contendenti.
Un fiotto di aria fredda li fece tremare non appena misero piede nella stanza e delle luci al neon si accesero automaticamente, rivelando una sorta di strano laboratorio, in cui l’odore penetrante di disinfettante aleggiava permeandolo completamente. Il perimetro della stanza era circondato su tre lati da un bancone da lavoro rivestito di mattonelle bianche, su cui erano appoggiati, oltre alla normale vetreria che ci si aspetta di trovare in un laboratorio, svariati strumenti chirurgici. Nell’angolo vicino al lavandino pieno di attrezzi sporchi, era situata una stadera dall’aria antica, sul cui piatto giaceva del materiale scuro e all’apparenza molliccio, mentre sull’altro lato una lampada UV era in funzione per sterilizzare degli utensili metallici. Una parete era interamente costituita da una grande cella frigorifera multi-scomparto, di cui le varie sezioni erano evidenziate dalle maniglie che sporgevano leggermente dalla struttura liscia dell’acciaio. Al centro della stanza un grande tavolo da lavoro ricoperto da uno spesso telo nero era illuminato da due grosse lampade scialitiche che si arpionavano al soffitto.

Come avanzarono di un paio di passi, la porta alle loro spalle si richiuse ermeticamente con un CLANG, facendoli sobbalzare.
“Uhm…dev’essere per la legge di quel Gay…la temperatura e la pressione di questa stanza sono controllate quindi…” rifletteva tra sé Kuno, cercando di non pensare a quanto quel posto fosse inquietante e lo stesse terrorizzando

“Che cavolo vai blaterando? Cosa c’entrano i gay adesso?” s’infiammò Ranma, mentre metteva con estrema attenzione in fila un passo dopo l’altro sul pavimento, guardandosi ossessivamente intorno

“Imbecille, ma cosa fai durante le lezioni di chimica? Lanci gli aeroplanini?” si scocciò Tatewaki, scansandosi appena in tempo da un montante che Ranma gli stava per far arrivare. Nello spostarsi, scivolò accidentalmente sul telo nero che ricopriva il banco centrale e, nel tentativo di riguadagnare l’equilibrio, vi si aggrappò lasciando scoperto ciò che vi era sotto. Le sue pupille si restrinsero fino a diventare capocchie di spillo e il respiro gli morì in gola, provocandogli per qualche istante un colorito cianotico. Le palpebre divennero preda di un tic incontrollabile che le costringeva a vibrare come se volessero scendere per porre fine a quello spettacolo orrifico ma contemporaneamente non volessero consentire allo sguardo di spostarsi altrove.

Anche Ranma era rimasto pietrificato di fronte a quel manichino estremamente realistico che voleva sembrare un cadavere. A Gosunkugi doveva essere costato una fortuna trovarne uno così perfetto nei dettagli: allungando la mano poté sentire la consistenza del materiale di cui era costituito, che imitava in tutto e per tutto la pelle umana, non solo decisamente fredda e contratta, ma addirittura provvista di peluria! Sul torso dell’uomo che giaceva supino si stagliava evidente una grossa wai dell’alfabeto inglese, che partiva dalle spalle e si protraeva fino all’inguine, come se fosse stata incisa con un bisturi. Perfino gli occhi di quel manichino erano stati resi con una verosimiglianza impressionante, con l’iride e la pupilla che si distinguevano nettamente.

“Ra-ra-ranma…che c-cosa f-fai?” sibilò Tatewaki scioccato dall’atteggiamento incurante e irrispettoso del ragazzo

“Beh, che c’è? È solo un manichino! Ripigliati, sembra che tu abbia visto uno zombie…” incrociò le braccia al petto Ranma, osservandolo con aria di superiorità

“S-solo un manichino d-dici? Che strano, in questa caccia al tesoro non si capisce più cosa sia reale e cosa sia artefatto…” fece un respiro profondo il senpai, rialzandosi in piedi e continuando a guardarsi attorno con circospezione

“Per esempio…questa roba molliccia sulla bilancia, non ti sa tanto di indizio?” Ranma si avvicinò alla stadera e indicò il contenuto del piatto, che Kuno un po’ schifato si costrinse a guardare

“Potrebbe essere il famoso ingrediente mancante, ma cos’è? Non è che possiamo incartarlo a mo’ di macellai e portarlo a Gosunkugi, fa anche un po’ ribrezzo…”

“È un chilo e due, che faccio, lascio?” scherzò Ranma per stemperare la tensione. Anche quello doveva essere una sorta di ricostruzione di un organo umano, probabilmente fatta di materiale commestibile come il cibo in sala.

Improvvisamente la porta si riaprì alle loro spalle, facendoli voltare di scatto.
Entrò la madre di Hikaru, che aveva messo un camice da laboratorio macchiato di sangue sopra il vestito da Morticia Addams: in una mano teneva un panino grondante di salsa, mentre nell’altra una sega oscillante circolare, che fece avviare per errore premendo il pulsante sbagliato per la sorpresa.
“Ehi, vedo che avete fatto conoscenza col mio povero paziente…avete visto in che stato è il suo fegato? Eh eh eh, qui avvelenamento ci cova…” li salutò la donna con nonchalance, spegnendo la sega e addentando di gusto il tramezzino. I ragazzi rimasero sconcertati da quella pantomima e non riuscirono a proferire parola, così la donna continuò, masticando
“Scusate, ero andata a farmi un panino perché mi viene sempre fame quando devo espletare le analisi tossicologiche degli organi interni…ma voi che ci fate qui? Siete aspiranti anatomopatologi? Come siete riusciti a entrare? Ah, già…non sono mai stata in grado di cambiare le credenziali d’accesso, quindi sarà stato un gioco da ragazzi, eh eh eh…Se volete potete assistermi nella sternotomia: faremo molto prima a estrarre cuore e polmoni se mi darete una mano!”

“Ho capito tutto! L’ingrediente è il fegato perché ci vuole fegato per sconfiggere il malvagio negromante! Hikaru ama i giochi di parole, non può essere che così!” emerse dal nulla Tatewaki, facendo aggrottare le sopracciglia alla dottoressa

Ehm, Kuno…mi sa che abbiamo preso un abbaglio…qui è tutto vero, non fa parte della caccia al tesoro” sussurrò Ranma, schiacciato dal peso di quella considerazione: dannazione, aveva toccato un cadavere! Un sudorino freddo gli fece capolino alla base del collo, mentre sentì lo stomaco contorcersi.

Quando realizzò cosa stava succedendo, Tatewaki assunse un colorito verdognolo, gli occhi si riempirono di lacrime spremute mentre un conato di vomito risaliva prepotente la sua gola. La signora aveva ripreso a chiacchierare amabilmente come se fossero davanti a un tè a metà pomeriggio, ma la sua mente già provata dal tentativo sovrumano di mantenere il controllo del proprio stomaco faticava a starle dietro
“…e quindi sembra che sia morto annegato, per questo devo verificare se c’è acqua nei polmoni. Tuttavia ho rilevato la presenza di tessuto epiteliale sotto le unghie, il che farebbe pensare a una lotta, e il fegato come avete visto presenta del tessuto parzialmente necrotizzato, che mi porterebbe a non escludere l’avvelenamento! Sto ancora aspettando i risultati dei test ematochimici, ma questa morte è davvero ricca di colpi di scena! Adesso, se permettete, devo proseguire col mio lavoro: dopo che l’avrò tagliuzzato per bene mio marito avrà un bel da fare per renderlo presentabile per il rito funebre, quindi è bene che mi sbrighi” concluse la spiegazione la donna lanciando ai ragazzi un occhiolino di complicità

“S-scusate…sapete dirci qualcosa di dove vostro figlio può aver nascosto…” azzardò Ranma, ancora scioccato dalla surrealtà della situazione, ma poi scosse la testa, lasciando la frase in sospeso e avviandosi verso l’uscita, con un Kuno in trance che lo seguiva con gli occhi fuori dalle orbite e tenendosi premuta la bocca con entrambe le mani

“Arrivederci! Se cambiate idea e volete assistermi ne avrò ancora per un paio d’ore…ah, ho visto mio figlio armeggiare in giardino, forse quello che cercate è lì!” li salutò con la mano la signora Boken-Gosunkugi, poi deglutì l’ultimo boccone del panino, si leccò l’angolo destro della bocca che era rimasto sporco di salsa, si mise i guanti di lattice e si ributtò a capofitto nell’autopsia.
 
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Ranma approfittò della necessaria sosta in bagno di Tatewaki per guadagnare terreno nella ricerca in giardino. Corse al piano inferiore e aprì la prima porta che trovò nella direzione agognata, ritrovandosi in una sorta di magazzino di stoccaggio: le due file di scaffali addossati alle pareti ospitavano delle specie di mobili in legno, suddivisi per colore, e qualche barattolo metallico. A terra erano riposti in un angolo alcuni fusti contrassegnati da etichette recanti pittogrammi di pericolo, proprio vicino alla porta di uscita; senza aprirla, rimase in ascolto per qualche istante dei rumori della stanza adiacente: durante gli anni di durissimo addestramento con suo padre aveva imparato a percepire la presenza di potenziali avversari ben prima che i suoi occhi potessero notarli, quindi non ebbe difficoltà ad avvertire l’aura di un uomo che si trovava oltre quella barriera. Sentiva anche qualcos’altro, come…una musichetta in lontananza e poi…quell’uomo che ci canticchiava sopra. D’un tratto le vibrazioni che riusciva a captare cambiarono repentinamente, facendosi più frenetiche, mentre dei passi svelti si avvicinavano alla porta, fino a spalancarla e diffondere nel magazzino le note di Jingle Bell Rock

“Buon cielo ragazzo! Che ci fai nel magazzino delle bare? Per un attimo ho creduto che ci fossero i fantasmi!” gli si rivolse il signor Gosunkugi, accarezzandosi la nuca lentamente con la mano e ridacchiando nervosamente mentre col piede continuava a tenere il ritmo della canzone natalizia

“Come…come hai fatto a percepirmi? Sei un esperto di arti marziali anche tu?” spalancò gli occhi Ranma, che si era messo in guardia

“No, no…ah ah ah, ma no! Io, guarda lì…” scoppiò a ridere il padre di Hikaru, indicando delle telecamere a circuito chiuso.

Una grossa goccia sovrastò la nuca di Ranma, che solo immediatamente dopo sembrò realizzare, volgendo lo sguardo intorno
“Magazzino delle bare?”

“Eh sì…alcuni modelli sono esposti nello showroom vicino all’entrata dell’attività, ma il grosso lo tengo qui! Ti interessa qualcosa in particolare? Sai, non è mai troppo presto per iniziare a pensare…” cominciò a promuovere la propria merce l’impresario, mentre Ranma nascondeva entrambi i pollici all’interno dei pugni chiusi, in segno scaramantico.

Lo stereo prese a riversare nella stanza l’arcinota melodia di Winter Wonderland, al che il signor Gosunkugi scivolò sul liscio pavimento come se pattinasse a tempo di musica fino a raggiungere l’apparecchio per alzare il volume, seguito da Ranma che lo osservava guardingo
“Non è un po’ presto per le canzonette di Natale?” gli domandò incuriosito da quello strano repertorio

“Oh, non per me, ragazzo! Quando lavoro adoro avere come colonna sonora le musiche natalizie, mi aiutano a mantenere l’allegria…” ammise l’uomo, accennando con la testa a un corpo ormai privo di vita sdraiato sul tavolo da lavoro.
Un pungente odore di formalina fece pizzicare le narici al ragazzo col codino che, decisamente a disagio, prese a guardarsi intorno cercando una via di fuga

“B-bene…si è fatta una certa…” balbettò dirigendosi verso una porta a vetri che finalmente dava sul giardino, lasciandosi alle spalle quell’uomo strambo che blaterava di tanatoprassi mentre dondolava coi fianchi manco fosse un ubriaco la sera della Vigilia.


 
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«Cerco la terra e mi tuffo in mare, ma poi vado a fondo perché non so nuotare.»
Kijo rilesse per l’ennesima volta quell’indizio e sospirò accartocciandolo e lanciandolo sul bordo piscina. Come gli era venuto in mente a quel matto di Hikaru di nascondere l’indizio successivo (o l’ingrediente segreto, per quanto ne sapeva) sul fondo della vasca, in giardino, attaccato a un’ancora? Doveva esserci un modo, che al momento le sfuggiva, per recuperarlo senza immergersi, perché quello era assolutamente fuori discussione! Si guardò attorno, circondata dall’estremo silenzio della notte autunnale assai rigida, per ovviare a quell’ostacolo. Nessuno sembrava ancora aver risolto l’enigma che portava a quel luogo, quindi aveva un margine di vantaggio e decisamente non voleva sprecarlo. Si soffermò per un istante a riflettere su quanto diventasse competitiva quando si trattava di giochi o quiz, ma scacciò immediatamente quella considerazione perché non era altro che una distrazione dal proprio obiettivo. Diavolo, non si poteva pretendere dai concorrenti che facessero un bagno gelido, sarebbe venuta una polmonite a tutti!
Forse i genitori di Hikaru volevano trarre un profitto personale da quella festa…
Idiota di un cervello, concentrati!
La ragazza cominciò a camminare lungo il perimetro della piscina, stringendosi le braccia attorno al petto e cercando di ottenere inutilmente un briciolo di calore dal leggero mantello che indossava. Fece un paio di giri, per poi fermarsi a sedere su una delle sdraio disposte in fila lungo il bordo; non appena si sedette, massaggiandosi le tempie affranta perché ancora non aveva la soluzione a quel rovello, sentì una specie di CRAAC, come di un qualcosa che si spezza
Com’è possibile, ho rotto la sdraio? Eppure non mi sembrava di essere ingrassata negli ultimi mesi…” si trovò a pensare rimettendosi subito in piedi. Si inginocchiò poi per controllare di non aver effettivamente arrecato qualche danno alla sedia e fu lì che lo vide: sotto le sdraio era nascosto un lungo borsone scuro e sottile, con una cerniera che lo attraversava da parte a parte. Kijo si affrettò ad aprirlo e un sorriso a trentadue denti si fece strada sul suo volto, man mano che estraeva dalla sacca una rudimentale canna da pesca.
 
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Mentre camminava a casaccio nel giardino, non sapendo nemmeno lui cosa cercare, Ranma fu incuriosito da un insolito rumore che si perpetuava a intervalli irregolari nella zona ovest. Non avendo opzioni migliori, decise di dare un’occhiata in quella direzione, ma ciò che vide quando si fece più prossimo lo lasciò decisamente di stucco: Kijo si trovava a bordo piscina brandendo una canna da pesca- a chi diamine era saltato in mente di dare una canna da pesca a quella ragazza? Era un’arma di distruzione di massa nelle sue mani!- con movimenti del tutto grotteschi e improvvisati. Non si sa bene come, a ogni lancio riusciva ad arpionare un oggetto tra quelli che ricadevano nel raggio della lenza e invece di pescare dalla piscina era riuscita a riempire la piscina di un mucchio di roba che galleggiava o ne ricopriva il fondo, tra cui una coppia di vasi di terracotta, il rastrello da giardino, uno stivale di gomma e perfino un paio di sdraio! Kami, avrebbe dovuto fermarla in tutti i modi, prima che potesse nuocere a se stessa o a qualcun altro…
 
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Dio, quanto poteva essere difficile usare una canna da pesca? Era mai possibile che non riuscisse neppure a tirar su quella stupida ancora, che aveva appigli dappertutto?
Kijo stronfiò per la frustrazione e si preparò a vibrare un altro lancio come una macchina impazzita, facendo vorticare la lenza in tutta la sua lunghezza sopra la sua testa per poi distendersi in avanti verso la piscina. Dannazione, anche quella volta aveva raccattato qualcosa per la via…e doveva essere qualcosa di molto pesante a giudicare dalla resistenza che le opponeva! Tuttavia ormai aveva definito la traiettoria e per poco non le prese un colpo mentre osservava Ranma avvolto come un salame che volava sopra alla sua testa facendo letteralmente i salti mortali per evitare di essere schiaffato in piscina. Fortunatamente, un po’ grazie all’aerodinamicità del ragazzo, un po’ grazie alla scarsità tecnica di Kijo che aveva effettuato un lancio troppo lungo, Ranma riuscì a planare sul bordo opposto della piscina, dal quale si lanciò in una colorita sinfonia di improperi rivolti alla compagna di classe

“Ma sei impazzita? Tu le canne da pesca non le devi toccare proprio! Non le devi neppure guardare! Ti rendi conto del disastro che stai combinando?”

“Ehm…ecco…in teoria hai ragione, però sono convinta che ci sia un indizio, se non l’ingrediente segreto, in fondo alla piscina e volevo recuperarlo a tutti i costi” si avvicinò Kijo al ragazzo, unendo ritmicamente gli indici delle mani per giustificarsi

“Sul serio? Allora questo cambia tutto! Dammi una mano a slegarmi, dobbiamo prenderlo prima degli altri!” lo sguardo di Ranma si accese di nuovo del fuoco dell’agonismo

“Certo…ma chi mi dice che se ti libero tu non prenderai il premio e scomparirai sulla via della vittoria senza di me?” rifletté Kijo accarezzandosi il mento con aria meditabonda

“Vuoi lasciarmi qui come un insaccato?” si infervorò Ranma, mentre Kijo soppesava mentalmente le varie opzioni, spostando il peso del corpo dapprima su una gamba e poi sull’altra.

D’un tratto videro emergere dai cespugli della siepe Moroboshi che, dimostrando una notevole agilità sui tacchi, correva nella loro direzione con un sacco di juta in mano. Si fermò vicino a Kijo e, continuando a correre sul posto, prese a darle una serie dei rapide pacche sulle spalle, facendo affiorare evidenti espressioni di perplessità sui volti dei ragazzi che aveva interrotto. Dopo poco ripartì a razzo, brontolando di frustrazione e mangiandosi metaforicamente le mani, abbandonando Ranma con un sopracciglio più inarcato dell’altro e Kijo che si lasciava andare alla propria italianità oscillando la mano a pigna davanti a sé.

“Che strano, non ha degnato neppure di uno sguardo la piscina…in quel sacco deve avere tutti gli indizi…che abbia trovato l’ingrediente definitivo?” provava a dare un senso alla situazione Kijo, mentre Ranma scuoteva la testa bofonchiando

“Scusa, allora perché si sarebbe dovuto fermare a palpeggiarti? Non mi torna…no, secondo me Moroboshi non c’ha capito una mazza di questa caccia al tesoro, mentre noi potremmo ancora vincere se solo tu ti degnassi di liberarmi da questo ridicolo attorcigliamento!”

“Uffa, va bene Saotome! Ma bada che se provi a scappare con l’indizio senza di me non la passerai affatto liscia!” la ragazza gli si era rivolta in tono minaccioso, avvicinandosi sempre più con l’indice teso, fino a conficcarglielo in mezzo al petto. Si mise a guardare se riusciva a reperire qualcosa di tagliente per recidere la lenza, ma l’unico oggetto che poteva servire allo scopo erano le cesoie da giardinaggio che nell’impeto della pesca aveva conficcato in una delle sdraio galleggianti. Provò a inginocchiarsi sul bordo della piscina, ma per pochi centimetri non riusciva ad agguantarle; come si sporse ulteriormente rischiò seriamente di cadere in acqua, per cui tornò veloce sui suoi passi
“Ascolta Ranma, ho bisogno che tu mi faccia da contrappeso: vieni sul bordo della piscina, io mi aggrapperò al tuo braccio e in questo modo dovrei riuscire a sporgermi abbastanza per arraffare le cesoie…pensi di potercela fare?”

Il ragazzo sbiancò di fronte a quel piano improvvisato che presentava tante, troppe variabili che potevano andare storte e portare all’esito fatale della caduta
“Non mi sembra per niente una buona strategia! Se perdessi l’equilibrio finiremmo entrambi in acqua e sarebbe un disastro…ovviamente perché tu non sai nuotare e io sono legato e non potrei aiutarti, ecco!”

“Andiamo! Sei la persona più forte e con un senso dell’equilibrio sviluppato che conosca! Se c’è qualcuno che può rendere un giochetto da ragazzi questa manovra sei proprio tu! Inoltre siamo nel bel mezzo di una corsa contro il tempo, non possiamo permetterci di perderne ancora per pensare ad altri stratagemmi! Vuoi che qualcuno ci soffi l’indizio da sotto il naso?” replicò Kijo, sperando di far cedere il ragazzo di fronte a quelle argomentazioni che, se aveva un minimo imparato a conoscerlo, sarebbero risultate assai convincenti.

Ranma inspirò profondamente, lasciò che la freschezza dell’ossigeno gli permeasse ogni cellula e poi espirò dalla bocca, emettendo una piccola nuvola di vapore. Fissò Kijo negli occhi e, animato da un rinnovato spirito battagliero, le intimò
“Coraggio, facciamolo!”

La manovra fu piuttosto semplice in realtà: Kijo si appese al braccio di Ranma e iniziò a sporgersi sempre più sulla superficie dell’acqua, mentre lui, ben piantati i piedi vicino al bordo, spostava il proprio peso verso la direzione opposta, per bilanciarla.
Proprio nell’attimo in cui Kijo cominciava a gioire dopo aver finalmente afferrato le cesoie, il silenzio carico di tensione venne squarciato da un urlo sovrumano: Shinobu emerse eterea dalla nebbia all’improvviso, correndo e gridando proprio come la creatura che aveva deciso di impersonare, seguita da un nutrito gruppetto degli scheletri della squadra di kendo, che reclamavano ciò che lei teneva in mano. Inutile dire che la mandria scatenata scelse proprio il lato della piscina in cui si stava svolgendo la prova di equilibrio più appassionante del secolo per la propria scorribanda, mettendo a dura prova la fiducia nelle proprie capacità di Kijo che, divorata dall’ansia di non riuscire a farcela, si mosse bruscamente per tornare verso la terraferma ma riuscì solamente a tirare in acqua anche Ranma. Nell’istante precedente l’impatto, che sembrò durare qualche minuto da tanto che il tempo pareva rarefatto, poterono scorgere l’uno negli occhi dell’altra la sintomatologia del più puro terrore. Poi uno splash e un silenzio di tomba.
 
La prima a emergere fu Ranma, notevolmente in preda al panico poiché non sapeva come spiegare a Kijo la situazione. Annaspò e sputacchiò dell’acqua che aveva involontariamente bevuto e quando riuscì a calmarsi scrutò la superficie tutt’intorno a lei, ma non c’era nessuno. Solo in quel momento ricordò che Kijo non sapeva nuotare, quindi fu stretta nuovamente nella morsa dell’angoscia e della preoccupazione
“Kijo!! Kijo dove sei?” gridava con tutto il fiato che aveva nei polmoni agitando disperatamente le gambe, l’unica parte del suo corpo ad avere ancora un po' di mobilità, alla ricerca di un contatto col corpo della ragazza. A un certo punto le sembrò di colpire qualcosa col piede e fece per tuffarsi sott’acqua, ma in quel mentre emerse una figura prendendo quanto più fiato possibile.
Era un ragazzo.
Biondo.
Vestito da strega.
Che la guardava con due occhi spalancati cerchiati dal nero del mascara che colava.
Era Hokano!

“K-Kijo? Sei tu?” gli domandò Ranma totalmente in confusione

“Ran…ko? Ma davvero…?” le rispose il ragazzo, che poi scosse la testa incredulo e le fece cenno di nuotare fino a bordo piscina, cesoie e un sacchetto di juta alla mano.

Ranma era rimasta congelata in mezzo alla vasca, gli occhi sbarrati e le labbra che non volevano saperne di rincontrarsi. Non era vero, non era possibile. Era sicuramente un brutto scherzo che quell’atmosfera di travestimenti e terrore aveva contribuito a creare. Vide Hokano, Kijo, quello che era, arrivare al bordo della piscina nuotando tranquillamente, per poi voltarsi a guardarla, smarrito. Lei non riusciva a muovere un muscolo, era solo capace di starsene lì a galleggiare come un tappo di sughero, le braccia ancora forzatamente adese al corpo, le gambe che non si sforzavano nemmeno più di tenerla in superficie. Era tutto un trucco, era totalmente privo di senso. Aveva sempre pensato alla propria maledizione come una strada a senso unico, aveva sempre agognato come l’elisir più prezioso esistente sulla faccia della terra l’acqua della Nan Nichuan, mai gli sarebbe venuto in mente che potesse costituire una condanna per qualcuno del sesso opposto…ecco, a dirla tutta un barlume lo aveva provato quando si era trovato a fronteggiare Toma sull’Isola delle Illusioni e vi era stato il rischio che Akane finisse dentro a una pozza analoga, ma poiché allora tutto si era risolto per il meglio mentre invece la propria condizione continuava a tormentarlo quotidianamente, l’ipotetica esistenza di donne maledette in tal senso non aveva mai davvero attecchito nel suo cervello. Era assurdo, era incredibile, era…ovvio.
 
Lo stato di shock si era manifestato in Hokano come un’assoluta incapacità di mettere insieme un pensiero con l’altro, cosa assolutamente e totalmente inaspettata per uno come lui. Riusciva a percepire gli stimoli sensoriali fin troppo bene, come il freddo che gli attanagliava le membra, il respiro che gli mancava a causa di quel cavolo di corpetto che, se prima era stretto, adesso era soffocante, l’odore e il sapore clorato dell’acqua e l’assoluta immobilità di Ran-quellochefosse. Non riusciva assolutamente a collegare ed elaborare razionalmente tutte quelle sensazioni che si accavallavano dentro di sé, per cui lasciò che i suoi muscoli lo guidassero verso la ragazza dai capelli rossi che lo guardava sbattendo meccanicamente le palpebre: la prese in braccio e la portò a bordo piscina, poi uscì per primo dall’acqua e trasse fuori anche lei; una volta agguantate le cesoie tanto faticosamente recuperate, la liberò dalla sua trappola di lenza ma lei sembrò quasi non accorgersene, continuando a guardarlo come se non lo vedesse davvero e mantenendo le braccia adese attorno al corpo, che ben presto cominciò ad essere scosso dai tremiti. Rassegnandosi a non riuscire a delineare alcun pensiero, come un uomo che prova a far scaturire una scintilla da due pietre ma la vede spegnersi prima di arrivare a incendiare la paglia secca, Hokano raccolse da terra il sacchetto che aveva recuperato dal fondo della piscina, passò un braccio attorno alle spalle della ragazza, coprendo entrambi i loro volti col lembo del mantello e sospingendola verso l’interno della casa.
 
Con fare furtivo, assicurandosi che in ogni corridoio che imboccavano non fosse presente nessuno, Hokano riuscì a raggiungere la stanza da bagno al piano terra e vi sgusciò dentro trascinandosi dietro la ragazza col codino. Come chiuse la porta alle loro spalle si lasciò andare a un sospiro di sollievo: almeno per il momento erano al sicuro. Sì, dal resto del mondo forse…ma da loro stessi?
Paradossalmente rincuorato dal riaffiorare di mille paranoie, segno evidente che il proprio cervello stava riprendendo a funzionare, Hokano si avvicinò lentamente alla vasca da bagno e aprì completamente il rubinetto dell’acqua calda

“E così lo hai scoperto, alla fine…beh, non sono molto bravo a mantenere i segreti a quanto pare” il ragazzo si rivolse a Ranma-lei, tastando con la mano il flusso per sentire se si scaldava, poi continuò “Ma non mi sarei mai aspettato di trovare qualcun altro con la mia stessa…peculiarità”

La ragazza sbatté le palpebre ancora una volta, impietrita. Squadrò il ragazzo da capo a piedi e poi nuovamente dai piedi al capo, riuscendo infine a sussurrare con flebile voce
“Cioè…v-vuoi d-dirmi che s-se ti bagni con l’acqua f-fredda diventi un uomo? Che hai la m-mia stessa m-maledizione, al c-contrario?” Ranma stentava a credere alle parole che pronunciava, anzi, stentava a credere a tutta quella assurda situazione: era uno shock troppo forte per riuscire a elaborarlo razionalmente. Kijo invece sembrava averla presa molto meglio: il suo volto maschile appariva sorpreso ma quasi divertito

“Anche tu ti sei fatto un tuffo per sbaglio nelle sorgenti cinesi di Jusenkyo?” domandò il ragazzo armeggiando nervosamente col fiocco del corpetto; se non si fosse tolto subito quello strumento di morte sarebbe soffocato, o peggio, lo avrebbe deformato definitivamente!

“E-esatto. E da quel giorno la mia vita non è stata più la stessa, come p-puoi vedere” rispose Ranma circondando il proprio seno con le mani. Non riusciva a spostarsi, né a pensare, poteva solo starsene lì come uno stoccafisso 

“Senti, ci buscheremo un raffreddore se rimaniamo con questi vestiti fradici addosso. Che ne dici di un bagno caldo? Poi potremo parlare di questa incredibile coincidenza se vuoi…” le sorrise Hokano ritirando la mano dall’acqua fumante.

Ranma annuì in silenzio. Si slacciò il panciotto, il mantello e la camicia bagnata e li gettò nel lavandino; nel mentre Hokano cercava di contorcersi per uscire dall’abito
“Ehi ehi, ma che fai? Ti spogli qui?” Ranma si mise una mano sugli occhi arrossendo, in imbarazzo

“Andiamo! Sono un uomo adesso! Cosa c’è di sconvolgente? Piuttosto, tu dovresti comportarti con un po’ più di pudore femminile, dato che ogni volta scassi le scatole a me!” replicò Hokano indicando il petto nudo di Ranma

“Ehm, ok, però io non sono davvero una ragazza…” ci tenne a precisare Ranma voltandosi e incrociando le braccia al petto. Una volta che lo ebbe fatto, si tolse i pantaloni e li lanciò all’indietro.

“Va bene, va bene…” esclamò Hokano roteando gli occhi al cielo “Piuttosto…chi va per primo?” domandò poi indicando la vasca che emanava volute di vapore.

Ranma si voltò lentamente mantenendo le mani sul proprio petto, lo sguardo fisso sul pavimento su cui giacevano ammucchiati tutti i vestiti di Kijo. Tutti. Biancheria inclusa. Almeno lei aveva avuto il buon senso di lasciarsi addosso gli amati boxer gialli e blu, che per quanto freddi e appiccicosi almeno le offrivano un minimo di copertura per quella cosa che si ritrovava tra le gambe. Ci avrebbe mai fatto l’abitudine? Da un paio d’anni ormai subiva quella trasformazione, ma la verità era che si sentiva sempre così bramoso di tornare quanto prima al suo corpo maschile che non si era mai soffermato a studiare il suo corpo femminile. Rigettava talmente tanto l’idea di essere imprigionato in quelle muliebri forme che l’unica cosa di cui si era accorto erano gli svantaggi che gli comportava in combattimento, neppur lontanamente compensati da una leggera agilità in più.

“Ok, visto che te ne stai lì imbambolata vado io!” esclamò Hokano liberandosi dell’asciugamano che si era legato in vita appena prima di immergersi nell’acqua calda. In fondo allora non era così impudico.

“No, fermo!” gridò la voce acuta di Ranma, folgorata improvvisamente dalla consapevolezza che seguendo quell’ordine avrebbe dovuto condividere quel minuscolo bagno con una Kijo in déshabillé…era una sua impressione o quella stanza stava diventando sempre più piccola e soffocante ogni secondo che passava?

Comunque era troppo tardi: una lunga chioma scura emerse un secondo dopo dall’acqua e un piede smaltato di rosso si appoggiò al bordo della vasca.
“Wow, ci voleva  proprio questa coccola calda dopo tutto il gelo che abbiamo patito! Secondo te qual è la temperatura esatta che ci fa cambiare sesso?”

E-eh? Possibile che se ne stesse lì, così disinvolta, a parlare della loro maledizione come se fosse un esperimento? Possibile che non ne soffrisse quanto lui, che non provasse quel senso di inadeguatezza quando mutava forma? Possibile che non si sentisse sbagliata nell’altra veste?
“N-non s-saprei” balbettò Ranma cercando un appiglio a cui fissare lo sguardo che si ostinava a rimbalzare per tutta la stanza

“Beh, allora possiamo scoprirlo insieme se ti va! Sono certa che in laboratorio…” gli occhi di Kijo si posarono sullo splendido volto di quella ragazza dai capelli di fuoco, che faceva di tutto per evitare di guardarla e tremava di quando in quando, forse per il nervosismo, forse per il freddo. Non poté far a meno di accarezzare con lo sguardo le sue braccia toniche strette attorno al seno generoso, il punto vita così perfetto che sembrava dipinto da un artista, il quale sfociava nei fianchi sinuosi da cui avevano origine due delle gambe più armoniose che avesse mai visto. Come Ranma intercettò la traiettoria della sua occhiata, Kijo la distolse immediatamente balbettando qualcosa sul fatto che era a mollo già da troppo tempo ed era il suo turno. Tuttavia quello sguardo nel quale poteva leggere meraviglia e incondizionata approvazione toccò delle corde che Ranma fino a quel momento non sospettava minimamente di avere: se Kijo aveva accettato di buon grado la propria doppia forma e persino la sua, giungendo ad ammirarla invece di esserne disgustata, possibile che fosse del tutto, al cento percento sbagliata?

Mentre Ranma era persa nei propri pensieri, Kijo invece stava tastando avidamente il pavimento sperando di recuperare, senza sollevarsi dal pelo dell’acqua, l’asciugamano che con tanta nonchalance aveva prima lasciato cadere: perché doveva essere così irrimediabilmente disordinata? Perché non poteva averlo piegato ammodino e messo in un posto facilmente raggiungibile?
Quando Ranma si decise a tornare sulla Terra si rese conto di quello che stava per fare la ragazza, ovvero che, esasperata, stava per alzarsi con lo scopo di avere una visuale migliore. Kami, era mai possibile che non le fosse passato per la testa che in quel modo anche lei avrebbe avuto una visuale migliore del suo corpo gocciolante e…dannazione, doveva darsi una mossa!
“Kijo, fermati subito!” gridò Ranma riavendosi mentre percorreva a velocità sovrumana la distanza che la separava dalla vasca. Non ebbe nemmeno il tempo di raccogliere l’asciugamano da terra quando si rese conto di essere inciampata in una delle stramaledettissime scarpe col tacco lasciate lì accanto: neppure la sua leggendaria agilità poté molto contro la fisica e se per qualche istante sembrò trovare un precario equilibrio in bilico con una gamba appoggiata sul bordo della vasca, una mano sul muro e il seno praticamente in faccia a Kijo, la scivolosità delle mattonelle rese umide dal vapore la costrinse a crollare a capofitto nell’acqua.

Appena Ranma emerse, un po’ stordito agguantandosi la tempia con la mano, si trovò di fronte Kijo che si stava abbracciando le ginocchia, per minimizzare lo spazio occupato. Dapprima lo guardò con una punta d’apprensione poi, appurato che stava bene, si lasciò andare a una ridarella sempre crescente, che fece rigonfiare di rabbia il ragazzo

“Che diamine c’è da ridere, si può sapere?” sbuffò incrociando le braccia e volgendo ostentatamente lo sguardo di lato

“Dio, Saotome!” cominciò lei ma fu costretta a interrompersi per sfogare un’altra serie di risate. Si schiarì la voce quando si ritenne calmata a sufficienza, poi proseguì “Se volevi che facessimo il bagno insieme bastava dirlo, non c’era bisogno di tutta questa pantomima!”

Lo aveva detto davvero? Seriamente se n’era uscita con un commento così inappropriato in un frangente come quello? Kami, esisteva al mondo una situazione equivoca che la mettesse anche solo leggermente a disagio? Con notevole sforzo riuscì a sollevare la testa, che sembrava pesasse duecento chili, e a minimizzare il tic che lo aveva colpito all’occhio destro per guardarla finalmente in faccia; a un osservatore poco attento sarebbe senz’altro sfuggito quel lieve accenno di sorrisetto beffardo e provocatorio che increspava impercettibilmente le labbra della ragazza ma, per sfortuna di Kijo, Ranma lo aveva notato talmente tante volte che aveva imparato a riconoscerlo. Maledetta…lo stava nuovamente prendendo in giro per la propria imbranatag-, ehm, goffagg-, uh, timid-…insomma, per non essere del tutto privo di verecondia (cavolo, ma da dove gli era uscito quel termine?) come lei! Ah, ma lui non avrebbe ceduto, nossignore! Figuriamoci se le avrebbe lasciato la soddisfazione di colpirlo in quello che riteneva fosse un suo punto debole, no davvero!
Ranma fece appello a tutto l’autocontrollo di cui disponeva, chiuse gli occhi e inspirò lentamente per concentrarsi sulla focalizzazione della propria energia vitale e quando visualizzò l’equilibrio della sua essenza li riaprì di scatto scoccando a Kijo un’occhiata scaltra e supponente. Con tutta la sbruffonaggine di cui era capace poi le domandò
“Ah, sì? Allora perché te ne stai rintanata in quell’angolo e non ti avvicini?”

Tutto si sarebbe aspettata Kijo tranne che una risposta del genere. Per una frazione di secondo lo sbigottimento affiorò prepotente sul suo volto, costringendola a spalancare gli occhi e socchiudere la bocca; cercò di dissimularlo il più possibile, passandosi una mano tra i capelli mentre utilizzava quel diversivo per riallineare i muscoli facciali in un’espressione meno esplicita. Nella sua mente cominciò rapidamente ad aprirsi un gigantesco ventaglio di possibilità, infinite diramazioni che portavano a spiegazioni per quell’uscita sempre più bislacche.
Aveva battuto la testa durante il tuffo nella vasca? Almeno visibilmente non sembrava riportare alcun trauma…
Aveva accidentalmente bevuto il balsamo per capelli che conteneva ingredienti simili al repellente per insetti? Si guardò intorno furtivamente ma non vide alcun flacone vuoto...
Stava forse parlando seriamente? No, quella era l’ipotesi più assurda di tutte, decisamente impossibile.
Allora cosa rimaneva? Pensa, Kijo, pensa…quale molla poteva spingere Ranma ad un comportamento del genere?
D’un tratto le sinapsi dei suoi neuroni delinearono un percorso che non si tuffava nel baratro dell’insensatezza totale. Ma certo, l’aveva presa come una sfida e Ranma non poteva permettersi di perderla! In qualche modo doveva aver intuito che lei lo stava provocando e non voleva fare la figura del fesso impacciato. Peggio ancora, voleva che lei facesse la figura della fessa impacciata! Ebbene, giammai avrebbe potuto batterla a quel gioco, al suo gioco.
Kijo si riscosse in fretta, sbatté un po' le ciglia e si lasciò scivolare più avanti, finché le proprie ginocchia non toccarono quelle di Ranma
“Così va bene? È sufficiente?” gli si rivolse con un velato accenno di malizia

“No, non è sufficiente…è ottimo!” le rispose lui suadente. Perfetto, era giunto il momento di procedere con la seconda parte del proprio piano, quella che gli avrebbe conferito la vittoria indiscussa in quella schermaglia e che soprattutto lo avrebbe reso libero dal millantare una spigliatezza che era ben lungi dall’avere. Volle prenderla alla sprovvista, dimostrandole che era lui ad avere le redini della situazione. Con un movimento fluido e rapido, il ragazzo raccolse l’asciugamano dal pavimento e lo lanciò in testa a Kijo, caracollando poi fuori dalla vasca il più velocemente possibile. Quando si ritenne a distanza di sicurezza, si erse in tutta la sua altezza gongolando soddisfatto sul posto, mentre alla fanciulla non restava altro che accettare con quanta più grazia e dignità possibile quell’inusuale e tacita sconfitta.

Kijo recuperò, dopo qualche secondo, l’asciugamano pendente dalla sua testa e se lo avvolse attorno, uscendo infine dalla vasca con studiata lentezza.
“Complimenti per lo scherzetto! Mi hai fregata ben bene…tutto mi sarei aspettata tranne che un esito simile” gli disse disinvolta la ragazza, mentre apriva l’anta del mobiletto del bagno per cominciare a rovistare all’interno

“In…in che senso?” Ranma non poté esimersi dall’esitare a causa dell’istantaneo groppo che gli si era formato in gola udendo quelle parole allusive.

“Beh, sai…sembravi così audace e sicuro di te là dentro…per un attimo ho creduto che avresti preso l’iniziativa di baciarmi” la ragazza fece una pausa tattica, estraendo dal mobiletto un asciugacapelli e collegandolo alla corrente, poi inarcò le sopracciglia e continuò, a un Ranma esterrefatto
“Poi però mi sono ricordata che sei tu, insomma, figurati se faresti mai qualcosa del genere…”

“C-cosa vuoi dire? Pensi che non ne sarei capace?” replicò lui, infervorato da un moto d’orgoglio che lo portò a stringere i pugni

“Non credo, no” fece spallucce Kijo, accendendo il fon e sparandosi il getto di aria calda a velocità minima contro i capelli, poi gli scoccò un’occhiata indecifrabile e poté appena udirla pronunciare “Inoltre quello che hai scoperto oggi mi ha probabilmente resa ancora meno desiderabile ai tuoi occhi: in fondo non ti sono mai piaciute le lumache


La sua mente lo riportò al ricordo della notte condivisa nella grotta sul monte Kotaro quando, appena scampati a un acquazzone che avrebbe anticipato l’ora delle spiegazioni, lei si era messa a blaterare di quei viscidi animaletti, esaltandone le peculiarità. Adesso capiva perché ci tenesse tanto! Non stava sospettando di lui, stava semplicemente cercando di tastare il terreno per sé…e lui ovviamente le aveva risposto nel modo più disgustato possibile, per fugare qualsiasi analogia tra lui e quegli esserini ermafroditi. Chissà, magari se fosse stato leggermente più conciliante lei si sarebbe sbottonata un po’ di più, invece l’aveva fatta vergognare di quello che era; quante volte lui per primo si era vergognato di quello che era e non solo per la maledizione delle sorgenti? Tutto quel disagio, quella negazione, quella condanna avevano mai portato a qualcosa di buono? Per un attimo immaginò il senso di liberazione che avrebbe potuto provare se solo fosse riuscito a lasciar andare tutti i fardelli emotivi che lo schiacciavano, il senso di profonda gratificazione derivato dall’accettarsi con tutte le proprie imperfezioni, vere o presunte. Sì, perché sembrava addirittura che per qualcuno non lo fossero, come la ragazza col fon davanti a sé che lo guardava con quegli occhi verdi colmi di curiosità e ammirazione.
La distanza che li separava era veramente poca e a Ranma bastò un passo per colmarla. Le cinse con un braccio la vita per attirarla a sé mentre con l’altra mano le sfiorava la guancia arrossata dal calore dell’asciugacapelli, che cadde rimanendo a penzolare attaccato al filo. Giusto un attimo per godersi lo stupore più puro pervaderle il volto e poi socchiuse gli occhi, cercando le sue labbra per un bacio, per due baci, per dieci lunghi baci e mezzo. Kijo intanto aveva lasciato le sue mani libere di scivolare lungo la schiena del ragazzo: non aveva mai sentito la propria pelle così bruciante, nemmeno quando aveva avuto la febbre in passato; per un attimo aprì un mezzo occhio per appurare che il fon, appeso a testa in giù, stava continuando a spararle addosso aria calda, ma si rifiutò di dare la colpa solo a quello del suo bollore divampante.
Adeso completamente al corpo di Kijo, Ranma cominciò a rendersi conto di quanto sempre più ingombrante e superfluo stava diventando l’asciugamano che l’avvolgeva ogni minuto che passava. All’interno dei suoi boxer si era svolto un breve tumulto tra le ultime forme di reticenza e il desiderio ardente, che aveva avuto come esito un alzabandiera-bianca della fazione cocentemente sconfitta. Si trovò ad anelare disperatamente un contatto più profondo e assecondò quella forza invisibile che lo stava spingendo pressando Kijo contro il mobiletto degli asciugamani: quel lieve urto fu sufficiente per far cadere una boccetta che vi era appoggiata per terra, mandando in frantumi il vetro e spandendo un odore floreale molto penetrante per la stanza. Qualche secondo dopo quell’odore stava cambiando, volgendo in qualcosa di più acre, per cui Kijo si decise, seppure a malincuore, a ridiscendere dal paradiso sensoriale in cui si trovava fino alla stanza da bagno dei Gosunkugi. Non appena aprì gli occhi fu percorsa da un brivido di ritrovata consapevolezza, fu come se si fosse sfracellata a cento all’ora sul pavimento della realtà; interruppe bruscamente quell’ultimo bacio di Ranma, avvertendolo, con voce tuttavia ancora ansimante
“Ranma…stiamo andando a fuoco…”

“Lo senti anche tu, Kijo? Io sono decisamente acceso…” replicò lui, sussurrandole quelle parole all’orecchio e cominciando a delinearle l’incavo del collo con le labbra.

Per quanto la prospettiva che si stava concretizzando fosse decisamente interessante, Kijo fu costretta ad imporsi
“Mmmh, no Ranma! Intendo letteralmente! Qui sta per bruciare tutto!” esclamò scostandolo e obbligandolo a guardare quel liquido che avevano versato infiammare spandendosi lentamente il pavimento. Dovevano fermarlo prima che raggiungesse il legno del mobiletto o i vestiti circostanti.
Fortunatamente erano circondati da acqua da tutte le parti e fu sufficiente che Ranma riempisse il cestino dei rifiuti dalla vasca e lo gettasse per terra per domare quel principio di incendio. Altrettanto fortunatamente Kijo aveva avuto il buon senso di staccare l’asciugacapelli e metterlo in salvo prima che venisse investito dalla secchiata d’acqua, altrimenti nella migliore delle ipotesi avrebbero causato un cortocircuito generale. Naturalmente così facendo il casino da ripulire aumentò esponenzialmente: si guardarono attorno sconvolti registrando quella scena post-apocalittica in cui il pavimento era diventato un ricettacolo di vestiti zuppi, rifiuti e vetri galleggianti, poi i loro sguardi si incrociarono e subito si dileguarono, tornando a fissarsi sul fon per quanto riguardava Kijo e sul cestino ormai vuoto che ancora teneva in mano per ciò che concerneva Ranma.

“Ehm, forse sarebbe opportuno che dessimo una sistemata…che ne dici, io asciugo i nostri vestiti fradici mentre tu dai una pulita al pavimento?” propose Kijo sollevando il fon e rivolgendolo come se fosse una pistola verso Ranma

“Ehi, perché devo fare io il lavoro più faticoso? Facciamo a cambio!” esclamò il ragazzo strappandole l’elettrodomestico di mano e attaccandolo alla presa

“Va bene, va bene…bada solo di far attenzione alle mie mutandine: sono di pizzo, quindi non avvicinarle troppo al getto d’aria calda o si rovineranno!” fece spallucce Kijo, trattenendo un sorrisetto soddisfatto nel recepire nuovamente l’asciugacapelli che Ranma, mutatosi improvvisamente in una statua di pietra col consueto tic agli occhi, aveva teso nella sua direzione.



                                                                    -§-
 
Una ventina di minuti più tardi, sia i ragazzi che il bagno erano di nuovo presentabili. Dopo essersi assicurati che il corridoio fosse deserto, sgusciarono fuori dalla porta e percorsero in silenzio tutto il tragitto fino alla sala. Kijo non poté evitare di notare quanto Ranma apparisse pensoso e taciturno mentre le camminava a fianco, ma distante centinaia di chilometri. Era ovvio che sarebbe andata così: adesso che stava rielaborando a mente fredda quello che era successo, sicuramente si stava pentendo amaramente, desiderando che non fosse mai accaduto. Doveva essere tremendamente a disagio, consapevole di non aver nessuna causa esterna da poter incolpare per il proprio comportamento, costretto ad ammettere il proprio errore, a deglutirlo nel silenzio senza trovare la forza di dirglielo. O forse non gli era piaciuto…magari ripensando al segreto che condividevano si era reso conto che non sarebbe riuscito a sopportarlo. Senza considerare poi la questione del fidanzamento, a cui non voleva neppure pensare, men che meno a quella del suo status precario di cittadina giapponese. Insomma, diecimila ragioni per cui il loro bacio era stato sbagliato le tendevano agguati a ogni passo, saltando fuori all’improvviso nella sua mente che tanto voleva decifrare cosa stesse pensando il suo…come definirlo? Amico? Compagno di classe? Ragazzo dei sogni? Dio, non era mica una di quelle ragazzette melense che scrivevano su Cioè! Fatto sta che nonostante quelle diecimila ragioni, in quel momento, in quel bagno, non si era mai sentita tanto a posto in vita sua.
 
Chissà se sono avanzati degli spiedini di dita mozzate…ho una fame che me ne sbaferei una cinquantina!” pensava intanto Ranma concedendo finalmente importanza al suo stomaco brontolante. Diamine, tutto quel groviglio di novità ed emozioni gli aveva messo addosso un appetito così potente che era riuscito a scacciare dalla sua testa qualsiasi altro pensiero: era certo che non appena avesse soddisfatto quel bisogno primario sarebbe stato travolto da una valanga di paranoie, ma per il momento si godeva beatamente quella consapevole inconsapevolezza, per nulla impaziente di venire a patti con le sue riflessioni che, come nere nubi appena visibili all’orizzonte, ancora non riuscivano a esercitare alcun potere su di lui.
 
                                                      -§-
 
Appena entrati nella stanza, una scenetta peculiare si profilò dinnanzi ai loro occhi: il Cereal-Killer, nonché padrone di casa, sedeva sulla poltrona dove lo avevano lasciato abbracciandosi le gambe, circondato da un’aura di profonda desolazione, incurante delle incorporee pacche che Kogame tentava di apporgli sulle spalle; Kuno e i suoi scheletri della squadra di kendo si erano addormentati senza ritegno per terra, attorniati da una cospicua mole di lattine di birra vuote. Prima di avventarsi sul buffet, Ranma pensò che forse quell’idiota s’era dato all’alcool per dimenticare il suo incontro ravvicinato col cadavere.
Shinobu, col vestito ancora più lacerato di quando era arrivata, si stava lamentando con Yuka e Hiroshi perché le era stato detto che l’ingrediente che aveva trovato non era quello giusto ma lei era convinta di aver risolto correttamente tutti gli indovinelli. A quel piagnisteo di sottofondo Nabiki fece eco con una roteazione così ampia degli occhi che Mendo, il quale la stava osservando rapito tenendole la mano, temette che le uscissero dalle orbite; con la scusa di dover andare al gabinetto, Nabiki si allontanò da quel cicaleccio rassicurando il ragazzo che sarebbe tornata presto.
Nel frattempo la signorina Moroboshi stava discutendo con Lamù in merito a un grande sacco che si portava appresso, di cui non voleva condividere il contenuto con lei nonostante le insistenze dell’aliena e le sue minacce di elettrificazione. Sayuri e Daisuke, non trovando niente di più interessante da fare, avevano ciondolato fino alla coppietta che litigava, incuriositi dal sacco di Ataru: possibile che proprio lui fosse il vincitore della caccia al tesoro?
Kijo si avvicinò a Hikaru, prendendo una sedia pieghevole e sedendosi accanto a lui. L’uomo più miserabile e derelitto sulla faccia della terra avrebbe emanato vibrazioni più ottimiste al suo confronto.

“Posso sapere cos’è successo di tanto terribile?” provò a domandargli, cercando di risultare il più comprensiva possibile.

Lui la guardò con occhi spiritati, come se non la vedesse veramente, tuttavia aprì la bocca e permise a un refolo dell’angoscia che lo pervadeva di migrare verso le orecchie della sua amica
“Kijo, ho sbagliato tutto! Volevo solo fare una bella festa, ma è stata un disastro! Nessuno si è divertito, la caccia al tesoro è stata un flop, la gente si nascondeva solo nelle stanze per pomiciare, hanno vandalizzato la piscina, qualcuno si è addirittura imbattuto nei miei mentre lavoravano e ha dato di matto…”

Di fronte alla confessione singhiozzante e sconvolta del ragazzo, Kijo dapprima subì impotente la comparsa di una goccia sulla nuca, in quanto colpevole per prima di un paio di quelle infrazioni, poi scosse con forza la testa per cercare all’interno del suo arsenale di termini ed espressioni qualche parola atta a consolarlo.
“Non posso parlare a nome di tutti, ma per me questa festa è stata fighissima! L’atmosfera, il cibo, la caccia al tesoro…mi sono divertita un mondo e non avrei potuto provare questa nuova, strana esperienza se non fosse stato per te!” la ragazza prese un attimo fiato, dando la possibilità a Gosunkugi di replicare, come in effetti fece

“Davvero? Allora non è stato un disastro totale almeno…” sospirò infinitesimamente più sollevato

“Sono certa che anche tanti altri si siano divertiti e quello che è successo…beh, succede spesso alle feste, quindi non significa che fosse noioso quello che avevi preparato, solo che…siamo anche adolescenti con l’ormone galoppante” Kijo pregò di essere convincente nella sua risatina tirata e il dissiparsi di alcune smorfie di rattristamento sul volto di Hikaru le fece ben sperare di essere sulla buona strada.

“Quindi alla fine hai trovato la reliquia che permetterà di sconfiggere il malvagio Urakih?” le si rivolse Gosunkugi in tono carico di aspettativa, come un cucciolo di golden che abbia subodorato la presenza di un imminente biscotto.

Kijo sbiancò mentre le sue pupille si restringevano fino a scomparire quasi del tutto.
Maledizione! Con tutto il casino che era successo lei e Ranma avevano lasciato quel dannato sacchetto in bagno! Dopo tutti i disastri che avevano combinato per recuperarlo, adesso si trovavano con in mano un pugno di mosche. Si alzò dalla sedia come se l’avesse morsa una tarantola, appena in tempo per sentire la risata cristallina di Nabiki che rientrava trionfante nella stanza facendo oscillare davanti a sé il sacco della vittoria. Istintivamente lanciò un’occhiata a Ranma, che fece lo stesso mentre cercava di non soffocare per uno spiedino che gli era andato di traverso.

“Dimmi Gosunkugi, è forse questo vecchio taccuino che ti serve per sconfiggere il tizio che vuole la fine del mondo?” domandò la seducente gatta nera estraendo il contenuto del sacco di juta

“Colpo di scena, abbiamo una vincitr-” si stupì Hikaru, ma fu subito zittito da Moroboshi che, gridando scandalizzato, proruppe

“Ehi, ma quella è la mia preziosissima rubrica dei numeri di telefono! Chi diavolo è stato a dartela?”

Lamù mise su la faccia più innocente che poteva e cercò di trattenere il fidanzato mentre, ansimando come un toro imbufalito, si avvicinava a pesanti passi verso Nabiki per riprendersela
“Tesoruccio, cosa te ne fai di quella rubrica, hai me…” provava ad obiettare la diavolessa senza alcun riscontro.

“Comunque Hikaru dovresti fare qualcosa per quel bagno…c’è un caldo asfissiante, almeno dieci gradi più che nel resto della casa! Inoltre se permetti un consiglio cambierei il profumatore d’ambiente: quello che avete è decisamente troppo forte” commentò Nabiki mentre, vagamente annoiata, lanciava a mo’ di osso la rubrica a Moroboshi furioso

“Se solo un numero è andato perduto io…” minacciava l’intero creato Ataru, scorrendo rapidamente le pagine per verificare che fossero sempre candidamente vuote come al solito

“Non preoccuparti, l’ho avvolto in una pellicola impermeabile prima di…” provava a giustificarsi Gosunkugi, mentre Ataru gli urlava contro improperi sostenendo che tutti i numeri si fossero cancellati.

Approfittando della distrazione del fidanzato, Lamù tornò quatta quatta a recuperare il grosso sacco che aveva lasciato incustodito e sbirciò all’interno. Un urlo inumano squarciò il brusio di sottofondo prodotto dagli invitati, costringendo tutti a voltarsi in direzione della Oni vestita da diavolessa che aveva assunto un aspetto terrificante: galleggiava a mezz’aria emettendo scintille di elettricità da ogni centimetro del suo corpo, il volto deformato dalla rabbia del grido che fuoriusciva da una bocca piena di zanne affilate, gli occhi una volta cerulei mutati in due profonde e rosse fosse infernali. Sembrava una bomba atomica pronta a esplodere e tutti gli astanti trattennero il fiato quando planò sopra Moroboshi, temendo che lo infilzasse col tridente che aveva in mano
“Tesoruccio, esigo una spiegazione! Cos’è questa roba?” domandò Lamù con una voce che sembrava provenire dall’oltretomba, mentre svuotava il contenuto del sacco addosso al ragazzo.

“Nooooo! Il frutto della mia personale caccia al tesoro buttato al vento!” si disperò Ataru, cercando di radunare ciò che era fuoriuscito e stringerlo al petto

“Ehi, ma quello sembra tanto il mio reggiseno!” commentò Yuka ridacchiando, per poi tastarsi con nonchalance una spalla e divenire cerea come una statua: il laccetto del proprio indumento intimo non si trovava al suo posto! E neppure il resto! Come poteva non essersi accorta di aver perso il reggiseno?
Una dopo l’altra, le ragazze iniziarono a toccare, a guardare, a tastare i propri décolleté per giungere tutte alla stessa conclusione: magicamente, i loro reggiseni erano spariti! Come cavolo aveva fatto quel depravato di Moroboshi a impossessarsene? Lo circondarono cariche di risentimento, brandendo armi improvvisate come scope, il mazzafrusto dell’armatura o l’ascia del boia, pronte a sfogare i loro istinti omicidi.

“Andiamo ragazze…calma…era solo un piccolo esperimento! Vi avrei restituito tutto, ve lo giuro! Volevo solo vedere se la tecnica che mi ha insegnato il Supremo Maestro funzionava…” cercò di giustificarsi Ataru, provando goffamente a indietreggiare con le braccia poste davanti a sé, a mo’ di protezione

Supremo Maestro? Quale uomo può essere così pervertito da voler trasmettere una conoscenza del genere?” gli urlò in faccia Lamù, lasciando partire la prima scossa elettrica. Quelle parole fecero risuonare in Ranma un campanello d’allarme, portandolo a seguire la vicenda con maggiore attenzione.

“Non-non conosco il suo nome! Davvero! Mi ha detto solo di essere il più potente artista marziale del mondo…” rispose con difficoltà Moroboshi, strinato ben bene dalla scossa. La risposta non soddisfece affatto Lamù, che per invitarlo a proseguire, lo minacciò di scagliargli contro una sorta di fulmine globulare che si era formato sul palmo della sua mano
“Ok, ok! Qualche settimana fa mi trovavo sul lungofiume, rattristato dall’ennesimo rifiuto di uno stuolo di ragazze a cui avevo chiesto il numero di telefono…Vedo apparire dal nulla questo vecchietto, alto a malapena un metro, che trasportava saltellando un sacco dieci volte più grosso di lui: si volta a guardarmi e, non saprei come dirlo, è come se le nostre anime si fossero riconosciute. Mi chiede come mai un giovanotto aitante come me-” Ataru interruppe bruscamente il proprio racconto notando che la fidanzata dava segni di non credere a una parola di quello che stava dicendo, tant’è che il globo elettrico si stava ingrandendo, quindi raddrizzò il tiro
“Insomma, per farla breve, per tirarmi su di morale dato che gli stavo simpatico, mi ha insegnato un’inedita tecnica di arti marziali sviluppata da lui in persona, la tecnica dell’aquila ghermitrice. Grazie a essa, diceva lui, sarei riuscito a slacciare qualsiasi reggiseno senza che la ragazza se ne accorgesse neppure; se gli avessi consegnato parte della refurtiva, mi avrebbe insegnato altre mirabolanti pratiche, ma a questo punto temo sia impossibile proseguire la mia formazione…” Ataru fece un sorriso da canaglia, osservando il globo di Lamù che era diventato leggermente meno scintillante. Cercando di darsi un tono e di autoconvincersi, terminò poi il racconto sussurrando
“In fondo non era nemmeno tutto questo granché quella tecnica: un reggiseno non sono riuscito a rubarlo…quello di Kijo!” innalzò improvvisamente la voce indicando la ragazza per calamitare l’attenzione su di lei, in modo da potersela svignare indisturbato.

 Cento occhi si rivolsero sconvolti e accompagnati da un coro di “Oooooooh” di stupore verso l’italiana, che mise su un sorrisetto di circostanza e replicò
“Sai Moroboshi, è un po’ difficile rubare quello che non c’è…” si strinse nelle spalle con noncuranza, godendosi la fine della tentata fuga di Ataru che, pur di continuare quella conversazione, si era deciso a rischiare la pelle

“Glom! Vuoi dire che tu…non lo porti?” le si avvicinò famelico Moroboshi, pregandola di farlo controllare e beccandosi la seconda, annunciata scossa

“Questo bustino è fatto di Imbracatex, mi fornisce tutto il supporto di cui ho bisogno…Madame Masuku utilizza solo i materiali migliori” spiegò poi agli amici increduli, con Nabiki che annuiva soddisfatta alzando un calice di champagne.

“Scusa Ataru, per caso il vecchietto che ti ha insegnato questa oscenità si chiamava Happosai?” gli si rivolse Ranma, cercando di rimuovere il pensiero del bustino di Kijo dalla propria testa


“Ora che ci penso mi sembra abbia detto un nome del genere” gli rispose Moroboshi dal pavimento, ormai annerito dalle bruciature


“E perché mai ti avrebbe insegnato una sua tecnica senza ricavarci nulla? Quell’uomo è incapace di compiere gesti gentili” constatò Ranma portando una mano a sorreggersi il mento


“Boh…mi ha detto che gli stavo simpatico perché gli ricordavo lui da giovane, ma probabilmente lui non aveva per fidanzata una rompiballe aliena irascibile!” volse lo sguardo carico di risentimento verso Lamù, la quale incredibilmente si sciolse a quelle parole e replicò, con gli occhi che brillavano di lucciconi di felicità


“M-mi hai…definita la tua fidanzata tesoruccio? Non era mai successo prima!”
Dopo questa esclamazione gli si gettò al collo e lo strinse in un abbraccio stritolante, da cui Moroboshi cercava di sgusciare in ogni modo. Inutilmente.
 
                                                            -§-
 
Quasi un’ora dopo Ranma e Kijo si accingevano a compiere gli ultimi passi prima di giungere davanti allo studio di Tofu, dopo un tragitto svolto nel più religioso dei silenzi. In realtà entrambi avevano affrontato delle contorte e spossanti conversazioni all’interno delle loro teste, solo che nessuna parola sembrava essere adatta a uno scambio di opinioni, per cui rimasero tutte tacite a galleggiare nell’aria circostante.

Quando arrivò il momento di accomiatarsi, Ranma ritenne opportuno, almeno per cortesia, emettere qualche suono di senso compiuto, per cui si avventurò in una banale constatazione simulando noncuranza
“Beh, abbiamo avuto la nostra serata spaventosa, no?”

“Sicuro! La parte più terrificante è stata mettersi a nudo con qualcuno, per quanto mi riguarda…” colse la palla al balzo Kijo per deviare il discorso sull’argomento che la stava divorando internamente. Sarebbe stato saggio affrontarlo subito o forse era meglio lasciar decantare la questione per qualche giorno?

“D-dici? Ah, ma allora anche tu provavi imbarazzo, mentre eravamo in bagno!” prese un po’ di coraggio Ranma, forte della convinzione che se perfino lei era stata a disagio, allora il proprio disagio era del tutto giustificato. Durò poco.

“In bagno? Ma no, intendevo quando hai scoperto il mio segreto…era un nudo metaforico” confessò lei, inarcando le labbra verso l’alto per l’equivoco che si era generato

“Ah. Quindi per l’altra questione tutto a posto, nessun risentimento…?” si incaponì Ranma, che ormai era andato in tilt, perdendosi tra le fila dei sottintesi, delle proprie elucubrazioni mentali e di quella conversazione atipica.

“No, nessuno. Per quanto mi riguarda potrei rifarlo seduta stante” calcò la mano Kijo, scoccandogli un’occhiata che lo trafisse da parte a parte. Ormai c’era vicina, non poteva pensare di ripassare notti insonni ad arrovellarsi nel dubbio in cui Saotome volutamente la lasciava e giornate in preda all’elaborazione di ogni tipo di ipotesi in attesa di un qualcosa che non aveva neppure una definizione! Inspirò profondamente, vedendolo sobbalzare: era così ovvio che si sarebbe spaventato alla richiesta di una presa di posizione, di un chiarimento! Ma quella volta si sentiva inflessibile per cui, come un cobra che circonda la sua preda per tagliarle ogni via di fuga prima di sferrare l’attacco fatale, proferì una nuova spirale di parole che l’avrebbe, con un po’ di astuzia, condotta al centro della tematica che tanto le stava a cuore.
“Ma non lo farò, tranquillo. Ancora non ho capito come ti senti riguardo a questa faccenda, se sei solo scioccato, anche disgustato, sconvolto…Io ho bisogno di sapere se puoi soprassedere, accettare, gioire o qualunque altra sensazione che non sia di repulsione totale oppure se non mi guarderai mai più con gli stessi occhi, perché in tal caso devo chiederti di allontanarti per tutelare la mia sanità mentale”

Aveva detto quelle parole tutte d’un fiato, ma sembravano così accurate che Ranma non poté far a meno di chiedersi da quanto le vorticassero in testa. E il problema era che lui una risposta non l’aveva.
“Io…non lo so come mi sento. Ci sono così tanti fattori in ballo che mi fanno scoppiare la testa, ma molti di essi non riguardano te, riguardano le mie questioni in sospeso, tutto quello che non ho fatto altro che evitare, scansare, ignorare per un sacco di tempo…e ora mi presentano il conto”
Il ragazzo col codino vestito da vampiro dovette contrarre tutti i muscoli che aveva a disposizione per evitare che l’ansia lo facesse tremare come una foglia. Kami, per forza voleva dimenticarsi di tutti quei pensieri, guarda in che stato lo stavano riducendo!
Lei abbassò lo sguardo dopo quelle parole, cercando maldestramente di celare la sua incapacità di replica. Cos’era? C’era forse un accenno di delusione sotto quelle ciglia scure? Non avrebbe potuto permetterlo, per cui, non seppe bene come, si trovò a continuare
“M-mi piacerebbe, sì insomma, a volte, se ti va, passare un po’ di tempo con te”

Lei risollevò lo sguardo in un battibaleno, sgranando gli occhi
“Sul serio? Non ne passiamo già abbastanza?” sussurrò stupita

“S-sì, ma intendo tipo fuori, a fare altro che non studiare o allenarci” proseguì Ranma con evidente difficoltà, alzando gli occhi verso il lampione e osservandolo per tutto il tempo.

Così facendo uno strano gioco di ombre emerse sul suo viso, rendendolo buffo agli occhi di Kijo, che si sciolse in una risatina
“Fare altro tipo…?” domandò allusiva inarcando le sopracciglia, sperando di scrollarsi di dosso tutta quella tensione

“N-no! N-niente di t-tutto ciò…che ha a che fare col bagno ecco…intendo tipo parlare o correre, o correre parlando” sparò a raffica Ranma le prime cose che gli vennero in mente

“Correre parlando? Sembra proprio un invito ad allenarmi più seriamente! È un esercizio per migliorare il fiato?” sogghignò Kijo, divertita dal ginepraio in cui si stava incartando il ragazzo dal viso imporporato di fronte a lei

“Ok, non correre: passeggiare! Passeggiare e parlare. Magari ci riuscirà sbrogliare questa matassa che ci invade la testa” rispose lui scocciato, incrociando le braccia al petto. Perché doveva essere tutto così difficile?

“Uhm, passeggiare…sì, mi piace passeggiare, posso anche vestirmi più carina rispetto a quando vado a correre!” esclamò Kijo mostrando il pollice rivolto in alto per rafforzare il proprio gradimento della proposta

“Ehm, non importa che ti vesta carina, è solo una cosa così, una passeggiata per respirare un po’ d’aria…per non essere sempre rinchiusi a studiare o nel dojo” si sentì dire Ranma, prima che potesse mordersi la lingua. Perché il suo pilota automatico aveva sempre impostata la retromarcia?

“Ah, quindi per stare un po’ da soli” replicò la ragazza punzecchiandolo: non gli avrebbe permesso quella volta di ridurre tutto a una bolla di sapone!

“N-no, nel senso, ci saranno altre persone” specificò Ranma, allargandosi il colletto della camicia

“Si tratta di un’uscita di gruppo allora?” mise su la più serafica delle facce Kijo, decisa a non mollare l’osso

“No, insomma dicevo in giro! Uffa quanto me la fai difficile!” sbottò alla fine il ragazzo, trovandosi in un vicolo cieco in cui ogni cosa avesse detto sarebbe stata volutamente fraintesa. Lo sguardo di Kijo si rasserenò e dopo essersi lasciata andare a una breve risata liberatoria, rispose al ragazzo che la guardava col broncio

“Ok, va bene. Accetto il tuo invito a passeggiare per parlare così, in giro, in mezzo ad altra gente, di come abbiamo elaborato le nostre maledizioni. L’importante è non menzionare mai quello che è successo in bagno e soprattutto non rifare mai quello che è successo in bagno, questo mi pare un punto che ti sta particolarmente a cuore” fece una pausa per emettere una linguaccia verso quel volto che, per quanto ostentasse indifferenza, sotto sotto bruciava dalla curiosità, poi terminò
“…ma non chiamarlo appuntamento, ti prego, sennò mi spaventi!”

Con quelle parole la strega terminò il proprio incantesimo, fece una mezza giravolta su se stessa e si ritirò sorridendo a fior di labbra nell’antro del guaritore, lasciando un vampiro svampito e assai pensieroso sotto i candidi raggi della luna piena a vederla scivolare nell’ombra e sparire.
 
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NdA
Ciao lettori! Mi è stato fatto notare che alcuni riferimenti presenti nei miei capitoli talvolta non si riescono a cogliere nell’immediato, precludendo delle sfumature nella lettura (e ponendo in discussione la mia sanità mentale, che tuttavia è sempre cosa buona e giusta xD)
Pertanto, con la massima umiltà possibile poiché sono certa che non ho proprio nulla da insegnarvi, ho ceduto alla richiesta di una brillante lettrice di inserire un mini-glossario per le mie citazioni.
Colgo l’occasione per ringraziarvi di cuore per accompagnarmi in questo viaggio…sì, anche tu che sei capitat* qui per caso! ^.^
 
Curiosità
  • Ogni anno, a metà agosto, in Giappone si celebra Obon (お盆), il Festival dei Morti, ovvero quando il morto torna a casa dai suoi antenati per diversi giorni e trascorre del tempo con i vivi. Di solito Obon si svolge il 15 di agosto. Ecco perché ho scelto questa data come il compleanno di Gosunkugi
  • Il gesto scaramantico che Ranma compie quando il padre di Gosunkugi insinua che non è mai troppo presto per pensare ai funerali deriva da questa usanza:
    [Reikyuusha wo mitara oyayubi wo kakusu] Se vedi passare un carro funebre, nascondi i pollici (cioè chiudi le mani a pugno mettendo i pollici all’interno). Questo perché in giapponese pollice si dice oyayubi, cioè oya= genitori, yubi= dito, in questo modo si proteggono i genitori dalla morte.
  • Lo Hyakumonogatari kaidankai (百物語怪談会 lett. insieme di cento racconti fantastici) è un gioco del Periodo Edo molto popolare in Giappone. In una stanza, in notte fonda, si accendono cento candele. I giocatori si mettono a raccontare dei kwaidan (怪談 lett. "storia di fantasmi"). Ad ogni kwaidan raccontato, si spegne una candela. La stanza diviene sempre più buia durante il gioco. I giocatori pensano che quando si spegne l'ultima candela, arrivi un essere soprannaturale, Aoandon.
  • La seconda legge di Gay-Lussac ci dice che, mantenendo il volume costante, la pressione varia linearmente con la temperatura. A questa fa riferimento Kuno quando entra nel laboratorio della madre di Gosunkugi.
  • Benzaiten (弁財天 talvolta indicata come Benten), originariamente personificazione del fiume indiano Sarasvati venne adottata nel pantheon buddhista come una dea che forniva benefici a coloro che cercavano saggezza, eloquenza e longevità e l'eliminazione della sofferenza. Attraverso la Cina nel VII secolo, si è diffusa in Giappone, divenendo una delle sette divinità della felicità.
Sicuramente mi sono dimenticata qualcosa: spero che saprete perdonarmi!  xD

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Capitolo 24
*** Park luna al appuntamento ***




17 Novembre
 
Ore 19.57
 
Non ti sembra leggermente sospetto se ci presentiamo esattamente nello stesso istante alla porta? Tu dove hai detto che saresti stato?” sussurrò Kijo a Ranma mentre zoppicava schiacciata dal peso di un orso gigante di peluche che abbracciava, una scarpa col tacco rotto in una mano e una bustina di plastica con un pesciolino nell’altra

È molto più sospetto se ritardiamo entrambi per cena, ti pare? E poi non è colpa solo mia se abbiamo perso tutte le coincidenze dei mezzi! Sei tu che ti sei voluta andare a rintanare nel tunnel dell’amore e…” ribatté Ranma con tono supponente, le mani in mano che ciondolavano pigramente dietro la nuca

“Coooooosa? L’unico motivo per cui siamo entrati in quel dannato tunnel è che tu avevi visto quel minuscolo gattino nero, per cui mi hai afferrato di peso, hai lanciato le monete al bigliettaio e sei zompato su quella sottospecie di cigno rosa galleggiante!” replicò lei infervorandosi, senza più preoccuparsi di mantenere il tono della voce basso

“Ah, davvero? E allora anche tutto quello che è successo lì dentro è stata solo colpa mia?” si risentì il ragazzo col codino, voltando leggermente il viso e chiudendo gli occhi, offeso, sperando che nella penombra del vicolo vicino alla via di casa Tendo lei non scorgesse il lieve rossore che aveva colorato le sue guance

Che-che c’entra!? Quello non è stato colpa di nessuno…è stato il momento…” provò a fornire una spiegazione Kijo, parlando nuovamente piano, sentendo i battiti accelerare al solo ricordo

“Il momento…bella scusa! Qualunque cosa accada d’ora in avanti basterà dare la colpa al momento e tutto sarà a post-?” stava protestando Ranma, quando improvvisamente si trovò la mano che reggeva la bustina col pesce sulla bocca mentre Kijo tentava di zittirlo

Guarda, Tofu è appena entrato in casa Tendo! Se mi sbrigo posso fare un salto allo studio e darmi una sistemata!” gli bisbigliò

“Certo, come no! Hai dimenticato la storta alla caviglia? Ci metterai vent’anni a fare il tragitto di andata e ritorno, se non ti accompagno io!” Ranma si passò una mano tra i capelli con fare di superiorità, aspettandosi che lei lo avrebbe pregato. Invano. Come vide che Kijo gli lanciava sguardi assassini, pur tenendo le labbra serrate per non chiedere aiuto, aggiunse
“Inoltre il film che sono andato a vedere oggi pomeriggio con Daisuke finiva un’ora fa, quindi non avrei davvero scuse per tardare tanto a cena”

“Uffa, va bene! Ma ti rendi conto che tutto questo è assai sospetto?” sospirò infine Kijo, indicandosi dalla testa alla caviglia malmessa, passando per la scarpa rotta e il vestito sgualcito

“Sì, ma sei l’unica per cui tutto questo è un problema. Io avrei agito diversamente, come ben sai” rispose lui asciutto, avviandosi verso il campanello. La ragazza roteò vistosamente gli occhi al cielo e poi lo seguì, zoppicando dolorante.
 
 
“Bentornato Ranma! Ciao Kijo, anche tu qui?” li salutò Kasumi sorridendo e invitandoli ad entrare, poi scrutò meglio la ragazza e le domandò, preoccupata “Ti senti bene, cara? Hai l’aria un po’ sconvolta”

“Sì, tranquilla…nulla di che! Ero al luna park con Yuka oggi e ho preso una storta alla caviglia. Eh, eh…che sbadata!” commentò lei con un sorriso di circostanza mentre posava entrambe le scarpe nell’ingresso per indossare le pattine. Già che c’era, lasciò lì anche l’orso gigante e il cappotto, poi continuò, mostrando il pesciolino
“Però sono riuscita a vincere questo! Ho pensato che sarebbe stato molto più felice nel laghetto delle carpe piuttosto che in una boccia di vetro, che ne pensi?”

“Uh, che carino! Andiamo a liberarlo subito allora! Così poi potrai far dare un’occhiata alla tua caviglia da Tofu” le fece cenno di entrare Kasumi, rallegrata dall’idea.

Prima di entrare in sala da pranzo incrociarono Nabiki, che stava scendendo gli ultimi gradini delle scale, un sorrisetto indecifrabile a fior di labbra
“Ciao Kijo! Mi fa piacere che ti sia ripresa dall’influenza! Anche tu di ritorno dal luna park? Strano che non ci siamo incontrate, anch’io ci sono stata per un paio d’ore con Mendo, oggi pomeriggio! Si vede che abbiamo preferito attrazioni diverse…” le si rivolse la ragazza sistemandosi i capelli dietro le orecchie. Kijo non riuscì a capire se le avesse rivolto un fulmineo occhiolino o se se lo fosse solo immaginato.
 
 
Ore 18.22
 
“Sbrigati dannazione! La navetta sta per partire e non ce ne sarà un’altra prima di mezz’ora!” sbraitò Ranma cercando di strattonare Kijo per un braccio, per farle aumentare l’andatura

“Puff, pant! Parli bene tu! Quest’orso di peluche peserà cinquanta chili e non- AHIO, accidenti!” gridò Kijo rovinando a terra dopo che un tacco le si era incastrato nel foro di un tombino, facendole perdere l’equilibrio. Per lo meno il pesce nella busta piena d’acqua si era salvato. A seguito di una lunga serie di colorite imprecazioni nella sua lingua natia, fortunatamente non comprensibili ai passanti, mentre osservava il tacco ormai spezzato e si massaggiava la caviglia dolorante, intimò al ragazzo
“Corri a fermare l’autobus, io intanto cerco di arrivare, in qualche modo”

Ranma soppesò per qualche istante l’idea di aiutarla, ma il suo tono autoritario e il leggero risentimento che ancora provava nei suoi confronti lo convinsero definitivamente a mettere il turbo per raggiungere la navetta.

Le portiere stavano proprio per chiudersi quando la mano di Ranma vi si frappose, facendole
riaprire e provocando il disappunto dell’autista
“Ehi giovanotto! Non hanno insegnato educazione a te? Che modi sono questi?” un uomo calvo e paffuto girò la testa sormontata da un berretto verde militare verso il ragazzo col codino e, come lo ebbe squadrato per bene, lo stupore si impadronì dei suoi piccoli occhi a mandorla facendoli spalancare per quanto possibile
“L-Lanma Saotome? Tu qui?” commentò l’uomo tentando di allargarsi il colletto della divisa, mentre una grossa goccia incombeva sulla sua testa

“La…guida di Jusenkyo? Che cavolo ci fai tu qui?” replicò Ranma mettendo a fuoco l’individuo

“Nemmeno mio nome licoldi…solo guida di solgenti…e io che pensavo di essele impoltante in vostle vite: io licoldo tutti i visitatoli di solgenti dal plimo giolno in cui ebbi incalico-” l’uomo fermò bruscamente il flusso di ricordi a cui si era abbandonato notando l’espressione perplessa e accigliata di Ranma
“Capito, capito…tu no intelessa. Io licenziato con disonole da saclo compito di gualdiano di solgenti dopo che qualche mese fa di nuovo due intlusi sgattaiolati dentlo pel fale bagno ploibito. Anzi, due intluse! Io implesso lolo facce in memolia con fuoco, giulato tlemenda vendetta contlo lagazze che mi hanno fatto peldele lavolo: un bionda, una mola, una cinese, altla stlaniela! Ah, mi sembla di avele lolo volti davanti occhi!” s’infervorò l’ex-custode, stringendo un pugno sopra il volante, lo sguardo perso nello specchietto retrovisore.

Con sommo sconcerto di Ranma, vide riflessa in quello stesso specchietto una caracollante Kijo che, zoppicando faticosamente a velocità lenta ma costante, si stava avvicinando con l’orso in braccio alla navetta
“Ehm…ti ho trattenuto fin troppo, forse è meglio che ripart-” provò a convincere l’autista ad andarsene, ma quello era di tutt’altro avviso

“Di già? Se non sbaglio mi avevi chiesto come mai sono qui a guidale bus…ecco, questa stolia buffa! Dopo che limasto senza lavolo io emiglato in Giappone pel licongiungelmi con mia figlia Plum; vado ufficio di collocamento pel tlovale impiego e nelle mansioni plecedenti sclivo che ho fatto guida, ma mio giapponese non pelfetto e impiegato quando chiama plopone lavolo da guida…dei bus! Ahahah, capito, lui pensa che io guida bus ma io guida delle solgenti!” un improvviso moto di ilarità si era impadronito dell’uomo, che dava in quel momento pacche sul volante come se avesse raccontato la storia più esilarante del mondo, scompisciandosi.

Nel frattempo dalle retrovie del pullman cominciavano a spandersi i primi segnali di insofferenza da parte dei passeggeri, quindi Ranma prese la palla al balzo e, temendo che Kijo riuscisse ad arrivare in tempo, sollecitò nuovamente l’autista
“Wow, che brontoloni eh…senti, credo proprio che dovresti partire, perché se ti facessero rapporto rischieresti di perdere anche questo lavoro! Mi ha fatto piacere rivederti…ehm, Guida, sono certo che avrai un futuro grandioso come pilota!” così dicendo scese dal bus e agitò la mano per salutarlo

“Eh? Non sali? Cledevo tu dovessi plendele bus…ma non plendele, ola è mio! Ahahah! Uh, secondo te lagazza con olso gigante deve salile?” si voltò poi l’uomo verso Kijo che arrancava gli ultimi metri

“No no no no no! Assolutamente! Probabilmente è una pazza, voglio dire, chi è che andrebbe in giro con una sola scarpa trasportandosi un aggeggio del genere? Vai vai! Addio!” Ranma dapprima mimò il gesto della follia disegnando con l’indice dei cerchi immaginari vicino alla sua tempia, poi estrasse un fazzoletto e prese a sventolarlo per enfatizzare il saluto.

L’autista, visibilmente commosso, finalmente partì, proprio mentre Kijo raggiungeva la pensilina
“Ehi -anf-, che cavolo! Perché non hai provato a fermarlo qualche altro secondo?” ansimò stremata la ragazza inveendo contro il bus in allontanamento

“Credimi, è meglio così…quell’autista guida veramente da cani! Avrest-, ehm, avremmo rischiato la vita a prendere quella navetta! Però per recuperare un po’ di tempo possiamo dirigerci intanto alla prossima fermata” propose il ragazzo

“In quale universo risparmieremmo del tempo? La prossima navetta raggiungerà la fermata alla stessa ora! È totalmente irrilevante se la prendiamo a questa qualche minuto prima o alla successiva qualche minuto dopo. Spostarci serve solo a sprecare energie e…” sbottò Kijo, prosciugata di ogni residuo di pazienza dalla sfiancante maratona appena percorsa sulla caviglia dolente

“Ok, ok! Ho capito, pigra che non sei altro. Sediamoci e aspettiamo allora!” esclamò Ranma ciondolando verso la panchina. Kijo dovette far appello a tutte le forze sovrannaturali che popolavano l’universo per non cedere all’istinto di piazzargli un manrovescio.
 
 
Ore 17.17
 
“Scusa, sai che ore sono?” domandò Kijo a Ranma mentre attendevano pazientemente che defluisse la lunghissima fila per entrare nella casa degli specchi

“Ma sei seria? Me l’hai chiesto tipo due minuti fa!” sbuffò Ranma emettendo una voluta di vapore. Sebbene quel giorno il sole avesse brillato splendente, l’aria si era fatta ancora più fredda da quando aveva cominciato a calare. Ostentando insofferenza come se dovesse compiere l’azione più noiosa del mondo, Ranma si spostò la manica del cappotto dal polso e lesse sul suo orologio
“Sono le 17.17, contenta? Kami, hai un appuntamento con qualcun altro per caso?”

Kijo si strinse all’enorme orso di peluche vinto poco prima che effettivamente era un’ottima fonte di calore. Strizzò con forza quegli arti morbidi per dissipare il desiderio di rispondere per le rime al ragazzo, conscia che erano entrambi ancora su di giri per il diverbio avuto in precedenza, per cui se avesse ceduto alle provocazioni e alimentato un nuovo litigio, probabilmente sarebbero finiti per urlarsi contro cose che non pensavano neppure. Però cavolo, c’era quella vocina sarcastica che le prorompeva impetuosa dal profondo, facendosi strada sibilante ed eludendo tutti i paletti che aveva piazzato per bloccarla, finché non giunse a farle vibrare le corde vocali
“Sì, con uno psichiatra! Perché mi farai diventare matta prima o poi!” si trovò a dire prima che potesse mordersi la lingua, subito deglutendo il proprio pentimento

“Ah, davvero? E allora-” s’infervorò il ragazzo col codino, ma poi di punto in bianco tacque. Il suo viso divenne pallido pallido e gli occhi si spalancarono come finestre prospicienti il giardino del più puro terrore.
Un piccolo gattino nero stava zampettando nella loro direzione, strusciandosi alle gambe delle persone che, intenerite, si fermavano qualche istante per accarezzarlo o nutrirlo con bocconcini del loro cibo da passeggio.
“G-g-g-g-g-gaaaa…ga…”cominciò a balbettare Ranma, che con scatto fulmineo sollevò una decisamente perplessa Kijo e l’orso per scappare a nascondersi agli antipodi della bestiola. I vari passanti si scostavano preoccupati al passaggio di quella stramba piramide umana e ursina, che rischiava di travolgerli a ogni metro giacché la base sembrava non avere alcuna visuale frontale di dove stesse correndo. Come Ranma notò un’attrazione del tutto priva di fila, senza preoccuparsi di cosa fosse, vi si diresse a tutta birra, lanciando alcune monete all’anziano bigliettaio dagli occhiali spessi e saltando sui seggiolini di quello che si rivelò essere un enorme cigno rosa. Il roseo anatide di plastica si mise in moto e si addentrò in una galleria dalle luci soffuse, dal cui soffitto pendevano cuoricini, camelie e piccoli origami di gru colorate.

Ok, tra tutti i posti possibili per terminare quella folle corsa aveva scelto il tunnel dell’amore, perfetto! Del resto perché scegliere una destinazione più neutrale quando ce n’era disponibile una che avrebbe potuto aumentare il loro imbarazzo e fomentare i risentimenti dovuti alla loro pregressa discussione? Dio, cos’era quell’odore penetrante? Sembrava un misto di rose e zucchero filato ed era talmente dolce da risultare nauseante, ma le ventole sul soffitto parevano totalmente insensibili al suo disagio e continuavano a sparar loro addosso quell’olezzo.
Dal canto suo Ranma non aveva fatto una piega. Mentre quella specie di navicella a forma di cigno veleggiava alla volta di ogni puccioso angolo di Romanticolandia, terra fantastica categoricamente tricroma dato che gli ideatori parevano conoscere solo il rosso, il rosa e il bianco, il ragazzo aveva mantenuto la stessa identica espressione alienata con cui era entrato, fissando un punto indefinito davanti a sé e tremando di quando in quando. Va bene, se proprio bisognava dirla tutta era molto probabile che non si rendesse conto neppure che era lì, né che vi era entrato scientemente; era quasi sicura che si fosse rifugiato in quel tripudio di melassa solo perché aveva intravisto una via di fuga da quella creaturina che lo terrorizzava tanto: questo ovviamente non significava che non lo avrebbe mai preso in giro per la sfortunata scelta, solo che avrebbe dimostrato un briciolo di pietà ed evitato di canzonarlo in quel momento. Anche perché scioccato com’era non le avrebbe dato alcuna soddisfazione.
Kijo decise di schioccare un paio di volte le dita davanti agli occhi del ragazzo col codino, dato che agitargli la mano a un palmo dal naso non aveva sortito alcun effetto.
Come se si fosse risvegliato da un’ipnosi, Ranma sbatté tre o quattro volte le ciglia e tornò perfettamente in sé, facendosi prendere totalmente dal panico non appena realizzò la situazione
“Che-che ci facciamo q-qui?” prese a balbettare, non capendo come mai la ragazza che gli sedeva accanto esibisse una gigantesca goccia sulla tempia. Sobbalzò bruscamente, mettendo a repentaglio il precario equilibrio di quella specie di patino aviforme che sicuramente non era omologato per due persone più un orso gigante.

“Ehi, ehi! Calma o ci farai ribaltare in acqua, cosa che credo nessuno voglia qui” lo redarguì Kijo, alzandosi in piedi per cercare di bilanciare quella stupida barchetta rosa. Lo sguardo le si posò sulla bustina di plastica che aveva appoggiato ai piedi dell’orso gigante, per cui si sentì in dovere di aggiungere “Beh, forse al pesce farebbe piacere, ma penso solo a lui…”

Ranma inspirò profondamente, poi prese a massaggiarsi la sella del naso per la frustrazione di non riuscire a ricordare come era finito lì e di non ricevere una risposta chiara ed esaustiva sull’argomento. Facendo appello alla sua proverbiale scarsa pazienza, domandò nuovamente scandendo eccessivamente le parole
“Come-accidenti-siamo-arrivati-qui? Mi ha drogato un’altra volta o forse-”

Intimamente indispettita da quell’ipotesi, Kijo non permise al ragazzo di continuare i suoi farneticamenti e, puntandogli contro l’indice, si sentì in diritto di sormontare la sua voce
“Wo-wo-wo! Frena un attimo Saotome! Com’è che questa è la prima cosa che ti viene in mente? Io non ti ho mai drogato in vita mia e anche quando accidentalmente ti sei auto-drogato in mia presenza mi sembra di essermi comportata come una gentildonna e di averti trattato in modo molt-, ehm, parecc-, volevo dire, piuttost-…insomma, in modo abbastanza rispettoso considerando tutta la situazione, ecco!” la sua arringa fu decisamente meno fluida di quello che si sarebbe aspettata a causa degli improvvisi e decisamente inopportuni ricordi che si erano affacciati alla sua memoria in quel mentre, tuttavia dopo un colpetto di tosse si decise a ripartire, se non altro per rimettere al proprio posto quel sopracciglio impertinente di Ranma che aveva osato alzarsi
“Per quale stramaledetta ragione avrei dovuto drogarti poi? Per farti salire su questo gigantesco uccello rosa a respirare estratto di miele e farmi venire il diabete…cosa-diavolo-c’è-da-ridere?” la ragazza si bloccò repentinamente con una tempia pulsante, notando che il compagno di crociera aveva preso a ridacchiare senza pudore

“Niente, niente…non fraintendermi, Kijo, apprezzo lo sforzo ma non fa proprio per me salire su un gigantesco uccello rosa…gigantesco, poi, non ti vantare troppo!”

Per tutte le esalazioni zuccherine! Aveva appena fatto una battuta a sfondo sessuale? Ranma Saotome!? Per qualche istante l’ipotesi che fosse drogato non le sembrò più così assurda e la sua estrema perplessità dovette affiorare piuttosto manifesta sul suo volto, giacché lui continuò canzonandola

“Oh, Kami! È successo finalmente! Sia messo agli atti che oggi, 17 Novembre, è il giorno in cui Ranma Saotome è riuscito a mettere a disagio Kijo Rinekami!”

Con un tempismo perfetto, due sparacoriandoli li sommersero, dopo un POP all’unisono, con una cascata di cuoricini rossi. Il ragazzo col codino si scosse tutti quei piccoli pezzetti di carta di dosso ridendo sguaiatamente mentre ostentava il segno della vittoria con entrambe le mani; lei invece si stava ancora passando le mani sulle spalle per eliminare quanti più cuoricini possibili, in modo lento e metodico per darsi il tempo di elaborare tutte le emozioni contrastanti che facevano a pugni dentro di sé. Da un lato un exploit del genere era stato piuttosto scioccante, soprattutto dopo la giornata che avevano vissuto fino a quel momento…Cavolo, avrebbe dovuto essere un’occasione leggera e divertente per chiarirsi e invece si stava trasformando sempre più in un garbuglio confusionario di drammi! D’altro canto però, sebbene quelle parole suonassero stonatissime in bocca al Ranma che aveva imparato a conoscere, non poté far a meno di essere orgogliosa per quella piccola scalfittura che brillava sul muro di tabù di cui si era sempre circondato. Una cosa banale come una battuta poteva apparire come un misero ma pur compiuto passo verso l’accettazione di quella sessualità che tanto si impegnava a negare di possedere. E anche se non era ancora chiaro come, lei sentiva di aver avuto un qualche ruolo in tutto ciò.
Decise di rafforzare il suo entusiasmo, temendo che se lo avesse contrastato avrebbe provocato una subitanea involuzione di quel faticoso progresso, quindi si portò le mani sulle guance ed esclamò, con tutta l’enfasi di cui era capace
“Accipicchia Ranma! Mi hai davvero sconvolta! Non avrei mai immaginato una risposta del genere…” provò a dire, ma le uscì decisamente più sarcastica di come avrebbe voluto.
Lo sguardo del ragazzo virò di espressione, poteva vedere il livello di baldanza che lo pervadeva diminuire precipitosamente, mentre le braccia pian piano si abbassavano e i segni delle V si accartocciavano su loro stessi. Porca paletta, non doveva succedere!
“Intendevo dire: che cavolo, Saotome! Cos’hai, undici anni? Battute sul mio cigno…cos’ha poi che non va?” si mise a gesticolare Kijo, come se il solo pronunciare quelle parole le risultasse insostenibile. Ranma la fissò per un momento e poi riprese a ridacchiare, per cui lei proseguì, esageratamente stizzita
“…e comunque siamo qui solo perché tu hai avuto un attacco di gatto, cioè, un gatto di panico, uffa! Un attacco di panico dovuto a un gatto! Mi hai sollevata di peso e sei corso alla cieca a rifugiarti in questo tunnel: come vedi, io non c’entro niente” concluse incrociando le braccia e sbirciando di sottecchi l’espressione di Ranma

“Uuuuh, qui qualcuno ha toccato proprio un nervo scoperto eh!” gongolò il ragazzo mentre infastidiva Kijo picchiettandola ripetutamente con l’indice. D’un tratto andò via la luce e contemporaneamente il percorso del placido fiume dell’amore virò verso destra, per cui la ragazza, destabilizzata, si ritrovò a sedersi alla cieca sulle gambe di Ranma.
                                                     
                                                                    -§-
 
“Scusa signore…mi aiuti a cercare la mia mamma?”

La vocina di un bimbo che non doveva avere più di cinque o sei anni destò l’anziano bigliettaio del tunnel dell’amore, che approfittando della fiacchezza della giornata si era permesso di schiacciare un pisolino nella guardiola. Inforcò per bene gli spessi occhiali che gli erano scivolati ormai quasi sulla punta del naso e notò alcune monete sul ripiano che si era dimenticato di mettere in cassa. Completata quella veloce operazione, tirò giù la leva che forniva la corrente alla propria attrazione, si infilò il giacchetto e uscì dalla guardiola esclamando
“Certo bambino, tanto oggi qui non viene nessuno…è proprio vero che il romanticismo è morto! Come ti chiami?”

“Mi chiamo Kentaro…” rispose il piccolo sistemandosi il cappellino rosso in testa e stringendosi nel giubbino giallo senape. Appena l’anziano signore gli tese la mano rugosa, lui l’afferrò con la propria, poi s’infilò un dito nel naso e a passo di lumaca s’incamminarono verso la biglietteria d’ingresso.
 
                                                               -§-
 
Là dentro, si era tutto fermato. Nessuna corrente artificiale sospingeva più la rosea barchetta dal collo allungato, nessuna musichetta romantica riempiva più il silenzio di quel tunnel, nessuna profumazione dolciastra emanava più dal soffitto. Tutto attorno a loro era sospeso, quieto e buio tanto che per qualche strana analogia avevano loro stessi quasi smesso di respirare, come se si fossero improvvisamente ritrovati nello stomaco di una gigantesca bestia che li aveva inghiottiti per poi addormentarsi e temessero di ridestarla. Erano rimasti così, l’una seduta sulle ginocchia dell’altro, rivolti l’uno verso l’altra, a guardarsi senza potersi vedere ma sempre più consapevoli delle rispettive presenze. Dicono che quando uno dei cinque sensi viene a mancare gli altri siano portati ad affinarsi e sebbene la situazione fosse fortunatamente temporanea, i ragazzi poterono sperimentare sulla propria pelle, letteralmente, che quella credenza corrispondeva al vero. Ogni centimetro dei loro corpi aveva incrementato la propria sensibilità tanto che ciascun lieve tocco, strusciamento casuale e perfino spostamento d’aria venivano recepiti come veri e propri stimoli forti. L’immobilità di quello stallo diveniva ogni secondo più difficile da mantenere man mano che l’emozione di quel contatto divampava struggendoli dall’interno.
Una sottile scia del profumo fresco di Ranma si insinuò nelle narici di Kijo, portandola istintivamente ad avvicinarsi a lui per respirarne ancora; a quell’inaspettata mossa, le mani del ragazzo ebbero uno spasmo e si trovarono a stringere le zone che prima sfioravano soltanto, ossia il fianco e la spalla di lei.

Un invito…certo non era chiaro, ma con Ranma non c’era mai nulla di chiaro. Sperando di non aver frainteso le sue intenzioni avvicinò ancora il proprio viso a quello del ragazzo, fermandosi quando sentì le loro fronti toccarsi. Rimase così, qualche attimo in attesa per capire, per sentire, per dare la possibilità a lui di reagire, mentre il soffio del suo respiro accalorato le accarezzava le labbra facendole dischiudere contro la sua guancia.

Una tentazione…una provocazione, ecco cos’era! E lui suo malgrado si era scoperto pronto a cedervi completamente, ancora una volta. Complimenti davvero per la coerenza, tutti quei bei discorsi altisonanti sull’onore e la rispettabilità non avevano resistito che un paio d’ore: erano serviti solo a farli litigare per poi essere spazzati via dalla passione che nonostante ogni tipo di resistenza si impossessava di lui quando l’aveva troppo vicina. Adesso se ne stava lì, con le labbra socchiuse e umide a pochi centimetri dalle sue, fingendo di implorare un permesso che sapeva benissimo non avrebbe saputo negarle; ogni suo gesto, perfino ogni suo non-gesto, ogni sua parola, ogni suo silenzio, facevano parte della ragnatela che aveva cominciato a tessere, per portarlo a capitolare, con una valentia tale che non si era nemmeno accorto di esserci finito nel mezzo se non quando era troppo tardi per trarsene fuori.
Le aveva dato l’opportunità di sistemare le cose, pensava mentre con una mano le accarezzava il collo fino a posarsi sulla nuca…
Le aveva offerto tutto se stesso, rimuginava mentre l’altra mano le scendeva lungo la coscia fino all’orlo della gonna per poi risalire piano accarezzando il tessuto liscio della calza…
Le aveva perfino promesso un futuro da donna onesta, ma lei aveva rifiutato tutto, ribattendo colpo su colpo, gli martellò in testa mentre le loro labbra si congiungevano, si mordevano, si torturavano.
Beh, se non importava a lei, che era la parte che sicuramente avrebbe avuto di più da perdere, perché doveva farsene un problema lui? Rimosse con ribrezzo quel pensiero appena concepito, rinnegandolo come se non gli appartenesse, ma non poté fermare le proprie mani, che cercavano avide i bottoni del suo cappotto per sganciarli a uno a uno.
Lei lo obbligava ad affrontare quel lato di se stesso che tanto cercava di combattere e non poteva sopportarlo: cercava di far vacillare le sue convinzioni morali armandosi della più fredda razionalità per poi irretirlo suscitandogli desideri proibiti a cui non riusciva a sottrarsi, come un vetro ghiacciato che non riesce a mantenere la propria integrità se gli viene versata sopra dell’acqua bollente.
Era tremendo- sebbene bellissimo- cimentarsi in quella del tutto particolare lotta corpo a corpo senza che nessuno gli avesse spiegato le regole, senza sapere quali colpi erano consentiti e quali no, senza avere la radicata certezza di essere il migliore, si trovò a pensare indugiando sul décolleté di Kijo indeciso se lasciare o meno che la propria mano scendesse verso il suo seno.
 
A tradimento, le luci si riaccesero impietose, costringendoli a imprimere nelle loro menti l’immagine di quel sogno che aveva appena guadagnato forma, colore e realtà, con tutto ciò che ne conseguiva.
Come storditi da quel repentino e brusco risveglio, i ragazzi rimasero a fissarsi per qualche istante in quella luce che sebbene avesse la pretesa di essere soffusa, in quel momento sembrò loro come un faro da mille watt puntato addosso; non appena giunsero alle loro orecchie dei gridolini colmi di entusiasmo che testimoniavano la presenza, qualche cigno più indietro, di nuovi avventori, le loro mani si affrettarono a tornare ai rispettivi proprietari, cercando di ricomporsi il meglio possibile. Kijo sedette nell’esiguo spazio che era rimasto tra Ranma e l’orso gigante, provando a lisciarsi la gonna che esibiva un tripudio di pieghe e abbottonandosi nuovamente il cappotto; estrasse poi dalla borsa uno specchietto che le permise di ripassare il rossetto ed eliminarne le sbavature, mentre contemporaneamente porgeva una salvietta umida al ragazzo.

“Che cosa dovrei farci con questa?” le domandò lui prendendola sospettosamente in mano ed esaminandola come se fosse un’alabarda spaziale. Per tutta risposta lei incurvò le labbra verso l’alto e voltò lo specchietto verso di lui: la sua immagine gli rimbalzò indietro coperta dei baci che Kijo gli aveva elargito fino a poco prima, ogni punto che aveva sfiorato con le sue labbra portava il marchio indecente del rossetto. Sebbene dapprima fosse arrossito così tanto da non lasciare alcuna differenza tra le zone macchiate e il resto, ben presto si riebbe e cominciò a strusciarsi freneticamente il viso e il collo per cancellare ogni traccia visibile dell’accaduto.

“Ehi, attento o ti scorticherai la pelle!” lo redarguì bonariamente lei provando a ostacolare con la propria mano il convulso movimento delle sue. Proprio in quell’istante il tunnel giunse al termine e i due vennero rischiarati dalla luce dei lampioni esterni.
 
 
Ore 17.15
 
“Che ore sono?” chiese Kijo annoiata mentre controllava che il pesciolino stesse bene nella busta di plastica. Quello sbatté le piccole pinne girando in tondo in quel modesto spazio, rassicurandola

“Le cinque e un quarto” rispose Ranma apatico, ponendosi in fila per entrare nella casa degli specchi.
 
Ore 16.04
 
“Vi prego, potete aiutarmi? Ho perso mio figlio…Lo aspettavo all’uscita di quella giostra, laggiù, ma non l’ho più visto…” chiese supplichevole una donna corpulenta agli addetti alla biglietteria d’ingresso. La voce sembrava molto triste, impastata e insicura e la donna era sicuramente in stato confusionale. Per ricacciare giù il groppo in gola che la stava strozzando, tracannò il contenuto di una lattina quasi piena di birra e poi l’accartocciò tra le sue mani. Il personale del luna park si scambiò un’occhiata perplessa, poi una giovane donna coi capelli raccolti in una coda di cavallo e una divisa colorata si rivolse a quella strana madre, offrendole il supporto che domandava

“Ma certo, signora, faremo un annuncio per ritrovarlo, così chiunque lo veda potrà portarlo qui! Potete dirci come si chiama il piccolo e qualche sua caratteristica, tipo il suo aspetto o com’è vestito?”

La donna si portò una mano alla fronte, premendosi le tempie come a cercare di ricordare qualcosa che le sfuggiva in mezzo a tutti i pensieri che le turbinavano in testa. I due peculiari individui a cui si accompagnava, una giovane rossa assai avvenente e uno spilungone dall’aria imperturbabile, le fecero qualche cenno d’incoraggiamento e quindi partì
“S-si chiama Kentaro, ha otto anni compiuti già da qualche mese, però io mi ero completamente dimenticata di festeggiarlo all’epoca, sicché l’ho portato oggi al luna park per regalargli una festa di compleanno posticipata…”

“Oh, tesoro, non abbatterti…non devi essere così dura con te stessa!” replicò l’amica mentre con una mano le accarezzava la spalla e con l’altra reggeva una sigaretta che aveva da poco acceso

“Infatti! Avrai pure il diritto di divertirti anche tu ogni tanto…e poi i bambini a quell’età sanno assai di quand’è il loro compleanno!” tentò di consolarla l’uomo allampanato, scoppiando in una fragorosa risata. Dalla tasca dell’impermeabile estrasse una nuova lattina di birra, che aprì con uno schiocco deciso e ne mandò giù una buona metà; la madre, nonostante le evidenti premure degli amici non sembrava affatto rincuorata, per cui continuò

“Sembra più piccolo della sua età, perché è di bassa statura: né io né mio marito siamo esattamente degli stangoni e Kami se questo gli dà fastidio! Mio marito…rientra domani da uno dei suoi viaggi d’affari e chi lo sente se gli ho perso il figlio? Vi prego, aiutatemi a trovarlo…indossa un giubbetto giallo e un cappellino rosso…o era il contrario?”
Nella confusione del ricordo era emersa di certo tutta la preoccupazione che quella singolare donna doveva provare: incuranti delle parole che faticosamente cercava di mettere insieme, delle profuse lacrime avevano cominciato a fuoriuscirle dagli occhi, quasi senza che se ne accorgesse impegnata com’era a dare un senso ai suoi pensieri. Fu solo quando l’amica le porse un fazzolettino ricamato che si rese conto di stare piangendo.

“Signora, state tranquilla, ci pensiamo noi: daremo l’annuncio così gli ospiti e gli addetti del parco divertimenti si guarderanno intorno per trovarlo!” provò a consolarla il ragazzo in biglietteria, mentre la collega afferrava il microfono delle comunicazioni e scandiva a chiare lettere

“Attenzione, è stato smarrito un bambino di otto anni di nome Kentaro. Indossa un giubbino giallo e un cappello rosso. Chiunque lo veda è pregato di accompagnarlo alla biglietteria d’entrata…”

In quel momento Nabiki Tendo fece il suo ingresso nel luna park, a braccetto con uno Shutaro Mendo vestito di tutto punto.
 
                                                                 -§-
 
“Dai, andiamo a quella bancarella dove si pescano le anatre: potremmo vincere un pesciolino rosso!” provò a proporre Kijo con entusiasmo, sperando di alleggerire l’atmosfera che si era creata

“Non se ne parla proprio! Tu con una canna da pesca in mano, anche se finta…ma neanche morto!” scosse vigorosamente il capo Ranma, trascinando via la ragazza dallo stand verso cui si stava avvicinando

“Uffa, va bene! Almeno possiamo sparare alle lattine della bancarella accanto?” incrociò le braccia al petto Kijo, accennando con la testa in quella direzione

“Dipende: sei più brava a sparare che a pescare? Non che ci voglia molto…” la schernì il ragazzo col codino e lei dovette controllarsi per non mandarlo a quel paese. La conversazione avuta in precedenza li aveva destabilizzati e innervositi, ma non per questo doveva andare tutto necessariamente a catafascio.

“Ho visto un sacco di film western, per quello che vale…comunque è un fucile a pallini di gomma, quanti danni potrò mai fare? Fanno sparare addirittura i bambini!” roteò gli occhi al cielo Kijo, dirigendosi spedita verso il robusto proprietario dello stand che, vestito alla Rambo con tanto di anfibi e tuta mimetica si sbracciava nella sua direzione per convincerla a giocare.

“Venite bella signorina, venite allo spara-lattine! Si vince sempre qualcosa! Scegliete la vostra arma: che ne dite di questa pistola rosa coi fiocchi? Molto carina eh? Mettiamo intanto cinque munizioni, che dite?” la sommerse di parole il millantato militare, affrettandosi a caricarle la suddetta colt

“Veramente vorrei il fucile più grosso che avete, sono venuta per sparare a quelle dannate lattine, non a far loro le trecce” replicò Kijo, scansando con la mano la ridicola pistola che le stava porgendo

“D-davvero? Ma una signorina graziosa come voi perché…” provò a controbattere l’uomo, decisamente sorpreso, ma uno sguardo fulminante della ragazza lo persuase definitivamente a non insistere. Scostò una tenda ed estrasse dal retro un grosso fucile nero, lucido come l’onice, poi si prese la briga di caricarlo con le munizioni di gomma e di porgerglielo, illustrandone le proprietà
“Questo è una perfetta imitazione di un Barrett M82, uno dei fucili semi-automatici a corto rinculo che garantisce la maggior precis-” 

“Guardate, potreste dirmi qualunque cosa, non ho la minima idea delle tipologie dei fucili, non ho neppure mai sparato in vita mia! Ma quanto sarà difficile? Ora se volete spostarvi…” imbracciò l’arma Kijo, non senza una certa difficoltà dato quanto era ingombrante. Al proprietario dello stand era comparsa una gigantesca goccia sulla testa e, guardandola con occhi spaventati, provò a darle un ultimo consiglio prima che facesse partire il colpo

“Signorina, mi raccomando, prendete bene la mira perché la potenza generata è devastan-”
Non riuscì nemmeno quella volta a terminare la frase, che Kijo aveva già sparato a casaccio, mancando tutte le lattine e forando il retro della tenda.
“Ehm, signorina, dovreste mirare alle lattine allineate sullo scaffale, se possibile…” disse l’uomo con un filo di voce, temendo di contraddirla

“Andiamo Kijo, non sai fare! Lascia perdere e restituisci al signore quell’arma impropria che ti sei fatta dare! Cerchiamo qualche altra attrazione un po’ meno pericolosa, ok?” Ranma le si era avvicinato alle spalle e come lei si voltò la collera che emanava la sua aura lo colpì quasi come uno schiaffo. Deglutì e si morse la lingua, temendo che avrebbe potuto sparargli, ma la ragazza si girò nuovamente verso i bersagli e puntò l’arma in quella direzione. Tutto accadde in una frazione di secondo. Kijo lasciò partire il colpo dopo aver provato a mirare, ma la munizione di gomma volò da tutt’altra parte; contemporaneamente Ranma si mise le mani davanti agli occhi lasciando aperto solo uno spiraglio per sbirciare timorosamente lo scempio imminente, mentre il proprietario dello stand si gettava a terra gridando impaurito per cercare protezione, la musica dell’apocalisse che risuonava crescente nella sua testa. Il proiettile, per un assurdo gioco di rimpalli più unico che raro, rimbalzò furiosamente tra l’asta metallica superiore dello stand e lo scaffale, facendo saltar via ad ogni urto una lattina, finché la mensola non fu del tutto sgombra ed esso poté trovare la via della libertà con un ultimo balzo verso il sole nel cielo.

“Beh, immagino che gli ultimi tre colpi non mi serviranno” commentò Kijo ancora incredula, sporgendosi per cercare di scorgere il signore in tuta mimetica trinceratosi sotto al tavolino

“Eh-eh…no signorina, avete vinto tutto, ecco!” esclamò quest’ultimo mentre usciva dal suo rifugio e osservava con occhi spiritati il cimitero di lattine sul pavimento. Temendo che la ragazza volesse giocare ancora, si affrettò verso un ripiano laterale e tirò giù il super-premio riservato alle grandi occasioni, un orso gigante di peluche a grandezza quasi naturale, quindi glielo porse supplicandola
“Ecco signorina, prendete il vostro premio…ma vi prego, adesso posate quel fucile!”
Come la ragazza, alquanto perplessa dal tono dell’uomo, disimbracciò l’arma e la pose sul bancone per recuperare l’orso, una serranda scattò veloce chiudendo al pubblico lo stand, mentre lateralmente lo strano proprietario fuggiva a gambe levate recando una valigia verso destinazioni ignote.

Fece appena in tempo a voltarsi, col titanico orso in braccio, verso un Ranma esterrefatto che la sua attenzione fu richiamata dal titolare dello stand accanto, quello della pesca delle anatre; il tale aveva lasciato la propria postazione per avvicinarsi a lei munito di un grosso secchio pieno di pesci. Prima che potesse dire una sola parola l’uomo si inchinò davanti a lei, chiudendo gli occhi e tendendole il secchio mentre proponeva timidamente
“Gentile signorina, vi regalo tutti i pesci che potreste vincere se evitate di giocare al mio stand…volete, sì?”

“Ma-ma…non c’è bisogno, non importa” si trovò a balbettare Kijo, presa alla sprovvista dall’offerta

“Io insisto…quanti pesci volete? Cinque? Venti? Tutti? Ecco qui, basta che risparmiate la mia attrazione…” il signore, piuttosto magrolino e con dei fini baffetti, le sventolava davanti nuovamente il secchio

“Ok, ok…uno è più che sufficiente…” cedette Kijo aggrottando le sopracciglia incredula; in un nanosecondo si ritrovò una bustina di plastica piena d’acqua nella mano meno impegnata a sostenere l’orso gigante, dentro cui un pesciolino guizzava ignaro di tutto.
“Non dire niente…” sibilò a denti stretti al ragazzo col codino che stentava a trattenere un’esplosione di risate.

Poco lontano, una giovane donna con lo sguardo furbo e i capelli a caschetto commentò con un sospiro, rivolta al ragazzo elegante che le stava accanto
“È tanto una brava ragazza ma con gli affari non ci sa proprio fare…”
 

Ore 14.28
 
“Ti dispiace se prima di cominciare il giro delle giostre ci fermiamo a prendere qualcosa da mangiare? Stamani ho perso la cognizione del tempo in laboratorio e mi sono dimenticata di pranzare” chiese Kijo a Ranma non appena varcarono la soglia del luna park. La musica gioiosa delle varie bancarelle saturava l’aria frizzante di quella domenica pomeriggio, sfumando da un motivetto all’altro man mano che camminando si oltrepassavano alcune attrazioni per avvicinarsi alle successive; anche i profumi provenienti dai vari stand gastronomici turbinavano in quell’ambiente ricco di luci, colori e risate, creando una miscellanea di note aromatiche dal dolce, al sapido, allo speziato che solleticavano le narici e gli stomaci degli avventori. Un odore fra tutti riuscì a insinuarsi e imporsi nei recettori olfattivi di Kijo, un misto di zucchero a velo, crema e pastella alla piastra.

“Certo, non c’è problema, cosa ti va di mangiare?” chiese il ragazzo sorridendo nella propria casacca verde che riservava alle grandi occasioni

“Quel chiosco…emana un profumino delizioso! Mi è venuta voglia di crêpes! Che ne dici, andiamo?” rispose Kijo inspirando avidamente quella scia che come se avesse due lunghe dita la stava attirando verso il piccolo banchetto trainandola per il naso. Un brivido freddo corse lungo la schiena di Ranma sentendo il nome di quell’alimento. Il sorriso gli si congelò in una smorfia sul volto non appena lesse l’insegna verso cui Kijo si stava tanto rapidamente dirigendo: «Joe delle crêpes» recitava la scritta sulla tenda rosa e verde del camioncino adibito a chiosco mobile.

Un uomo avvenente dai lunghi capelli neri e gli occhi profondi stava eseguendo acrobazie indicibili con spatole, impasti e ripieni per smaltire nel minor tempo possibile la lunga coda di clienti che si era formata davanti al suo chiosco. Osservare i rapidi movimenti di quelle mani sapienti aveva un che di ipnotico, al limite del magico, come un gioco di prestigio in cui l’illusionista trasforma sotto gli occhi attoniti del pubblico una serie di pappette appiccicose in una squisita prelibatezza senza neppure violare accidentalmente l’immacolato candore della propria divisa da chef.

“Ehm, sei sicura di voler mangiare questa roba? Ci sono un sacco di altri chioschi più avanti…” provò a proporre Ranma, ma Kijo sembrava ormai vittima di un incantesimo da cui non poteva essere dissuasa

“No, no…adesso che questo odorino si è insinuato nel mio naso non riesco a desiderare altro!” esclamò Kijo estatica, continuando ad avanzare verso il camioncino, finché non fu il suo turno

“Cosa ti preparo, bella signorina?” le si rivolse il famigerato Joe, sorridendo

“Una crêpe crema e Nutella!” rispose lei con l’acquolina in bocca, già pregustando il delizioso involtino

“E per il tuo…amico?” domandò nuovamente Joe, mentre approntava la preparazione della comanda di Kijo. La ragazza si rivolse verso Ranma, che si trovava praticamente incollato al grande menu cartonato che pendeva dalla tenda parasole, sperando di non essere riconosciuto. Inutilmente.
Con un rapido sguardo Joe si accorse di lui e, mentre consegnava a Kijo la propria crêpe fumante, lo apostrofò con sarcasmo
“Bene, bene! Chi non muore si rivede! Ranma Saotome…che ti è successo, hai cambiato fidanzata perché non ne potevi più di mangiare quegli insulsi okonomiyaki che ti propinava Kuonji?”

A Kijo per poco non cadde di mano il fragrante dolcetto quando sentì nominare Ukyo…quindi c’era un retroscena! I due si conoscevano e quel Joe era convinto che fosse la fidanzata di Ranma…cosa diamine era successo?

“Joe. Se dovessi dire che è un piacere rivederti mentirei, ma almeno apprezzo che tu sia stato ai patti e abbia spostato il tuo giro d’affari altrove” esclamò Ranma passandosi una mano tra i capelli, simulando tracotanza. Se la tecnica di passare inosservato non aveva funzionato sperò che almeno fosse vincente quella di apparire estremamente sicuro di sé. Andò bene.

“Certo, per chi mi hai preso? Sono un uomo d’onore io e so riconoscere una sconfitta, per quanto bruciante. Adesso scusate ma ho una lunga fila di clienti in attesa” confessò Joe, prima di accomiatarsi e continuare ad assemblare crêpes alla velocità della luce.

Kijo si guardò bene dal partecipare alla conversazione, rimanendo in silenzio e seguendo con lo sguardo lo scambio di battute che i due si erano rivolti, quasi fosse un incontro di tennis; dopo, però, avrebbe gradito una spiegazione, quindi si incamminò verso una panchina e vi si sedette, certa che Ranma l’avrebbe accompagnata.
“Allora, si può sapere cos’è successo tra voi due?” domandò curiosa Kijo, addentando poi la sua crêpe

“Nulla di che, una vecchia storia…praticamente quel tipo si piazzò col suo camioncino vicino al locale di Ukyo e lei risentiva della concorrenza, per cui si sfidarono, lui perse e smammò” riassunse il più brevemente che poté Ranma, grattandosi una tempia con l’indice

“Davvero? E tu cosa c’entravi allora? Joe ti ha riconosciuto come il fidanzato di Ukyo, se non sbaglio” continuò imperterrita Kijo, staccando un altro morso

“Ehm…no, è che in realtà l’idea della sfida fu mia…per aiutare Ukyo, che era partita per un viaggio di allenamento, proposi a Joe un patto: se avesse vinto un combattimento contro di me avrebbe potuto prendere il locale ma se avesse perso avrebbe dovuto levare le tende per sempre da quella zona. Alla fine Ukyo tornò e sostenne lei stessa il combattimento, vincendo”

“Hai corso un bel rischio! Dici che Kuonji ti avrebbe perdonato anche se le avessi perso il locale? Beh, forse sì, bastava che le promettessi di sposarla!” scoccò la frecciatina Kijo, sogghignando sotto i baffi mentre Ranma le rivolgeva una smorfia

“Con Ukyo avevo un rapporto speciale, prima che ammattisse del tutto…spero davvero che la terapia che sta seguendo l’aiuti a tornare la ragazza grintosa e altruista che ricordo” si espresse il ragazzo, perdendosi per un istante con lo sguardo nel vuoto

“Uh, siamo già arrivati alla parte delle confessioni? Che bello! Dunque, hai più avuto notizie o senti la mancanza delle tue spasimanti? O dei tuoi spasimanti…effettivamente non so se tu ne abbia anche come Ranko!” domandò Kijo guardandolo con aria allusiva

“Ehi, ma cos’è questa invasione della privacy? Io non ho acconsentito a niente di tutto questo…” bofonchiò Ranma incrociando le braccia e rivolgendo il volto nella direzione opposta a Kijo

“Ma come no! Non era un appuntamento per conoscerci meglio? Di cosa dovremmo parlare secondo te, del tempo?” obiettò la ragazza mentre finiva il suo spuntino e ne accartocciava l’involucro. Effettivamente proprio tutti i torti non li aveva.

“Ehm…ok, quindi…E va bene, però la prossima domanda la faccio io, intesi?” cercò di imporsi Ranma, la cui aria era tutt’altro che autorevole. Come Kijo ebbe manifestato il proprio consenso agitando su e giù la testa, il ragazzo continuò, sospirando
“In realtà sento solo ogni tanto la mancanza di Ukyo: non sono ancora riuscito a perdonarla del tutto per essersi lasciata trascinare nell’agguato contro di te, però in fondo era l’unica con cui avevo una specie di legame che andava al di là della sua ossessione nei miei confronti. Illudere lei per ottenere benefici…beh, ecco, era più fastidioso rispetto al farlo alle altre. Di Shampoo e Kodachi ho avuto poche notizie frammentate, oltretutto ormai datate: non mi sono mai interessato a cercarne altre. Invece lo spasimante di Ranko per eccellenza è sempre fin troppo presente nella mia vita…parlo di Kuno Tatewaki, se ti fosse sfuggita la sua reazione quando siamo andati a casa sua perché ti eri fissata coi giochi di ruolo!”

“Oh mio Dio è vero! Non avevo mica ancora collegato…Quindi fammi capire, entrambi i fratelli Kuno sono innamorati di te? In più Tatewaki ti odia mentre sei Ranma e ti ama alla follia quando ti trasformi in Ranko? Ahahahah, è troppo divertente, scusa!” la ragazza non riuscì a trattenere le risate e si beccò pure un buffetto punitivo, ma quando riuscì a ricomporsi continuò imperterrita
“Cioè…possibile che Kuno non si sia mai accorto che tu e Ranko siete la stessa persona? Veramente incredibile, come si può essere così fessi?”

“Coff-coff…non per sottolineare l’ovvio, ma neppure tu ti eri accorta di niente, Sherlock Holmes, e mi hai frequentato molto più di Kuno!” tossicchiò Ranma beffardo, zittendo finalmente Kijo che provò debolmente a controbattere

“Ehi, ma conosci lui da molto più tempo…”

“Basta con le scuse, è il momento della tua domanda: come hai contratto la maledizione?” domandò diretto il ragazzo col codino, aggiustandosi la tesa del cappello.
Kijo sussultò impercettibilmente e istintivamente cercò una seduta più comoda sulla panchina, appoggiando la schiena alla spalliera. Si schiarì la voce mentre sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio e poi rispose asciutta
“Ho fatto il bagno in una delle sorgenti di Jusenkyo”

“Grazie al piffero, questo lo sapevo già! Intendevo dire che cosa ti ha portato a quell’episodio?” specificò spazientito Ranma

“Uhm…quanto tempo hai?” replicò lei esibendo un sorriso tirato e ricevendo un’occhiataccia in cambio, quindi si decise a continuare

“Ok, ma questa vale come…dieci domande almeno! Perché per rispondere sono costretta a scendere in dettagli che non conosce assolutamente nessuno e che ho fatto una discreta fatica a lasciarmi alle spalle”
Il suo tono era divenuto improvvisamente serio e gli occhi che aveva socchiuso le conferivano un’aria quasi solenne.

Ranma deglutì silenziosamente, timoroso di ciò che avrebbe scoperto, evidentemente roba grossa se Kijo s’era data la pena di nasconderla con tanta cura…

I suoi occhi si riaprirono e lei cercò l’ultimo cenno di assenso di Ranma prima di sospirare e proseguire per una strada senza possibilità di ritorno
“Dunque, forse ricordi che nei panni di Hokano una volta ti accennai al mio viaggio prima di arrivare in Giappone, il mio primo viaggio così lungo…il mio primo viaggio da sola. Inutile dirti che se da un lato il mio entusiasmo era alle stelle per la nuova avventura che stava cominciando, dall’altro ero preoccupata di allontanarmi da tutto ciò che conoscevo per andarmene verso l’ignoto, potendo contare esclusivamente sulle mie forze. Avevo pianificato scrupolosamente ogni tappa, ogni visita, ogni giorno, prenotato alberghi e mezzi pur di darmi un senso di sicurezza che ben presto avrei distrutto, ricercandolo altrove…” Kijo fece una pausa, mise su un sorrisetto rassegnato e prese a mordicchiarsi un’unghia, mentre Ranma attendeva impazientemente che continuasse
“Neppure il tempo di salire sull’aeroplano che i miei progetti andarono in frantumi…sì, esatto, proprio della serie Uh, mi siedo al 21b e provo a distendere le gambe e zac, il danno era fatto: comparve lei, ridente e professionale in mezzo alla folla di passeggeri che ancora stavano cercando il proprio posto. Mi chiese se desiderassi un cuscino. Un cuscino. Ti rendo conto che ho stravolto la mia vita per uno stramaledetto cuscino? Fosse stato un posto in prima classe almeno, invece no! Un singolo, sprimacciato, soffice cuscino!” s’infervorò Kijo, gesticolando come non le aveva mai visto fare. Notando lo sguardo dubbioso e le sopracciglia aggrottate di chi faticava a seguire il filo della storia, si schiarì di nuovo la voce e riprese
“Inizialmente pensai che le assistenti di volo della Air China fossero selezionate in base a standard elevatissimi di gentilezza e pazienza: non mi ero mai sentita tanto coccolata in vita mia, le mie esigenze venivano anticipate ancor prima che le percepissi io stessa e tutto questo mi infuse un profondo senso di calma durante la trasvolata. Addirittura durante il primo scalo di due ore, questa gentilissima hostess si offrì di farmi compagnia, quindi andammo a mangiare insieme e chiacchierammo un sacco, grazie al suo inglese fluente. Si chiamava Xiu-Li e possedeva una personalità così frizzante che era impossibile rimanerne indifferenti. Aveva giusto qualche anno più di me, ma vantava un’esperienza vastissima: era stata in un sacco di posti, conosceva miliardi di cose e planava sulla vita con la sicurezza di una cittadina del mondo. E per qualche strana ragione si era interessata a me, una liceale che non era quasi mai uscita nemmeno dalla propria nazione, se non in compagnia dei genitori. Era veramente assurdo e fantastico al tempo stesso: questa bellissima ragazza spigliata mi ascoltava con coinvolgimento, rideva alle mie battute e mi portava in giro per l’aeroporto come se mi mostrasse le stanze di casa sua. Quando arrivammo in India, il caso volle che avesse un paio di giorni prima di ripartire e li passammo insieme. Inutile dire che nessuna delle mie tanto pianificate tappe fu visitata, tuttavia seguendo lei ebbi l’opportunità di scoprire una miriade di luoghi esotici, autentici, genuini che non si trovano sugli itinerari turistici; nel momento in cui afferrò la mia mano con la sua compresi che tutto ciò che volevo era lasciarmi condurre da lei: non so come spiegarlo, ma con quel tocco mi infuse una forza tale che pensavo avrei potuto arrivare con lei fino in capo al mondo”

Ranma pendeva dalle sue labbra, attendendo dove sarebbe andata a parare. Aveva involontariamente stretto un pugno per la tensione e lo aveva adagiato sul ginocchio destro, lasciando che si desensibilizzasse e poi si schiudesse con fastidiosi formicolii.

Kijo si scusò e velocemente fece un salto al chiosco lì vicino per prendersi una bibita fresca, che risucchiò avidamente con la cannuccia prima di proseguire
“Avevo trovato una compagna di avventure e abbandonarsi e seguirla per le strade che dimostrava di conoscere alla perfezione mi liberava dal costante senso di vigilanza che avrei dovuto mantenere viaggiando da sola in luoghi a me ignoti. Passammo assieme gran parte del mese successivo, io le comunicavo i miei recapiti durante il tour e lei trovava il modo di raggiungermi una volta finito il lavoro: erano giornate e serate folli, con lei non ci si annoiava mai. Una sera, riaccompagnandomi in albergo, si fermò davanti alla mia porta e semplicemente mi prese il viso tra le mani e mi baciò sulle labbra” Kijo scrutò l’espressione indecifrabile del ragazzo che aveva di fronte: leggeva un mare di interrogativi su quel volto, punti di domanda che culminavano nelle pupille di quegli occhi che in quell’istante non osavano guardarla, ma si sforzavano di non lasciar trapelare l’ondata di pensieri che premevano per emergere. Dato che non volle esternare nemmeno un accenno di replica, la fanciulla riprese la narrazione
“Per me fu totalmente nuovo e inaspettato, fino a quell’istante non avevo mai preso in considerazione che potessero piacermi anche le donne. Non mi ero mai interrogata in merito, paga della mia collaudata attitudine a innamorarmi dei ragazzi: perché avrei dovuto indagare più a fondo e complicarmi la vita? Tuttavia quel bacio strappò violentemente un sipario che avevo inconsapevolmente calato su di un significativo aspetto della mia personalità e sessualità e, una volta provato come mi faceva sentire, non fui più in grado di fingere che non esistesse” Kijo prese un altro sorso di Coca-cola e si rese conto che stava tremando. Quando aveva cominciato a farlo? Possibile che l’opinione di lei che si sarebbe formato Ranma in seguito a quel racconto le stesse tanto a cuore? Ma chi voleva prendere in giro, era terrorizzata e il suo corpo non mancava di farglielo notare rifiutando di calmarsi. Nemmeno mezza parola, neppure un cenno di comprensione: lui se ne stava lì come un blocco di ghiaccio totalmente impassibile e inespressivo; c’era quasi da chiedersi se la stesse ascoltando, ma nel profondo del suo cuore era indecisa sull’opzione che temeva di più, indifferenza o giudizio. Ormai però era in ballo e doveva terminare la confessione
“Quando arrivammo in Cina, lei insistette che voleva presentarmi alla sua famiglia e per quanto prematuro mi sembrasse, non volle sentire ragioni; tuttavia prima organizzò una gita notturna clandestina a queste sorgenti che a detta sua erano un luogo assai magico e romantico: l’avevo seguita ovunque fino a quel momento, quindi non mi posi più di tanti problemi, nemmeno quando fu palese che stavamo entrando senza autorizzazione, nemmeno quando i segnali sembravano indicare pericolo. In fondo io il cinese non lo conosco e lei sapeva bene come raggirarmi perché la compiacessi. Il guaio più grosso era che mi fidavo totalmente, avevo abbandonato qualsiasi buon senso a favore dell’entusiasmo che lei mi faceva perennemente provare: ero come un’ubriaca, una tossica, e lei era la mia droga. Per farla breve e rispondere finalmente alla tua domanda, mi chiese di immergermi in una di quelle pozze che a me parevano tutte uguali, dato che non sapevo interpretare i cartelli, promettendomi che mi avrebbe raggiunta. Non mi accorsi subito della trasformazione, ma iniziai a maturare dei dubbi quando mi resi conto che lei non si sarebbe calata in quell’acqua: se ne stava fuori, guardandomi con ammirazione e sorpresa, diversamente rispetto a come aveva fatto in precedenza; capii che c’era qualcosa di differente in me e presi a tastarmi febbrilmente. Nonostante fossi già avvinta nel panico più totale, lei con tutta calma mi porse uno specchietto sorridendo, pronunciando queste parole: Adesso sì che posso presentarti alla mia famiglia. I ricordi dei momenti seguenti sono un po’ confusi, ma quella che più mi è rimasta impressa fu la sensazione di ferita bruciante nel petto, come se mi avessero squarciato con una lama rovente. Non so bene cosa le dissi, cosa obiettai, ma lei rispose che era l’unico modo per cui avremmo potuto avere una relazione ufficiale. Ero il suo fottuto esperimento, il ragazzo da sfoggiare con amici e parenti e la ragazza con cui soddisfare la sua intimità, il pacchetto completo, la versatilità a portata di acqua fredda o calda. In tutto questo, ovviamente, la mia opinione non aveva avuto il minimo peso. Penso che se non mi avesse frenato avrei cercato di uccidermi, non tanto per essere diventata un mezzo uomo, quanto perché non riuscivo a convivere con la consapevolezza di essere stata così stupida da fidarmi di lei.” Kijo dovette fermarsi un attimo perché anche la voce aveva iniziato a vibrare con un tremito strano. Si rese conto di avere le guance arrossate e gli occhi lucidi, ma evitò di soffermarsi sul proprio interlocutore e, come un sub che aspira un’ultima boccata di ossigeno in superficie prima di rituffarsi in apnea, respirò profondamente e riprese
Nan Nichuan. Quel suono di cui ignoravo totalmente il significato rimbombava nella mia testa come l’eco di un mortaio mentre lei estraeva un thermos e mi mostrava la banale semplicità di quella trasformazione: ero di nuovo Kijo ma in realtà ero cambiata per sempre, profondamente, intimamente, al di là del pene o della vagina che si alternavano tra le mie gambe a seconda della temperatura dell’acqua. Poco dopo fummo costrette a scappare a rotta di collo perché, come se non bastasse, stavamo commettendo un qualche reato per permetterle di giocare con la mia vita, ma in quel momento non riuscivo a sentire niente, non avevo più la padronanza del mio corpo che si muoveva come se a comandarlo fosse una qualche entità esterna: non avevo freddo, non provavo fatica, ero totalmente alienata e mi lasciai condurre nella mia stanza d’albergo, senza dire una parola. Di tutto quello che Xiu-Li provò a dirmi non ricordo nulla, so solo che alla fine si decise a lasciarmi da sola per riposare, promettendomi probabilmente di tornare il giorno seguente. Come questo stato di shock passò, detti finalmente retta al mio poco buon senso residuo e fuggii di nascosto, contando sul fatto che fortunatamente non le avevo ancora rivelato dove sarei stata in Giappone.”

Silenzio. O meglio, totale predominanza dei rumori di sottofondo, come le musichette allegre delle giostre, le risate dei ragazzi, il vociare dei proprietari dei banchetti che richiamavano gli avventori, spari finti, scoppi di palloncini, gridolini e chiacchiere normali. Tra tutti. Tranne che tra loro due.
Caspita…avrebbe voluto decisamente dire qualcosa, qualsiasi cosa invece di starsene lì come uno stoccafisso. Lei aveva smesso di parlare già da un paio di minuti, ancora non era riuscita a voltarsi verso di lui e sicuramente si aspettava un qualche cenno di vita da parte sua, una reazione, un commento…Per tutti i Kami, si era aperta così tanto per dargli l’opportunità di conoscere la storia completa e lui non riusciva nemmeno a eseguire un cenno di assenso o a dirle due parole di comprensione. La verità era che lui era rimasto incredulo e sconvolto da quanto in profondità lo avesse lasciato entrare, solo a pensarci rabbrividiva: lui non sarebbe mai riuscito a essere altrettanto trasparente con chicchessia, ad ammettere cose tanto personali, a lasciare che qualcuno lo scorgesse senza l’impalcatura che negli anni si era creato. Cosa ne pensava poi della questione specifica? Non riusciva a capirlo…Se chiunque altro avesse dimostrato tendenze del genere avrebbe rapidamente archiviato il dato come non conforme alle proprie convinzioni morali e probabilmente l’avrebbe ignorato senza rifletterci un secondo di più, ma questa volta era diverso: intanto si trattava di lei, che aveva imparato a conoscere e ad ammirare senza essere condizionato da questa informazione, per cui gli risultava difficile stravolgere completamente la sua percezione alla luce di quella novità; inoltre quella minuziosa descrizione di tutto l’accaduto lo aveva in qualche modo obbligato a porre attenzione a come il tutto si era sviluppato, agli aspetti emotivi, ai problemi concreti…improvvisamente quella non era più una storia generica ipotetica tra due persone dello stesso sesso, ma era diventata vera, tangibile, a portata di mano e di cognizione. Calata nella realtà della persona che gli sedeva accanto non gli sembrava poi così fuori luogo o sbagliata, come credeva l’avrebbe ritenuta in generale basandosi sui principi tradizionali con cui era stato cresciuto e che aveva più o meno consapevolmente accettato negli anni. Di colpo fu attraversato dalla vastità di un pensiero di cui non aveva capito l’effettiva entità fino a quel momento: quanto era stato complicato per Kijo accettare quasi contemporaneamente la sua doppiamente duplice natura conscia che l’opinione dilagante della società le sarebbe stata avversa? Perfino quella delle persone a lei più vicine…amici, famiglia, lui…neppure lui era stato molto di supporto fino a quel momento! Chissà se era riuscita a confessarlo a qualcun altro. Doveva sentirsi terrorizzata al pensiero che qualcuno potesse scoprirla e non riuscisse ad accettarla o peggio la disprezzasse. Infine era forse possibile che dinanzi a una scoperta di sé così profonda il fatto di trasformarsi con l’acqua fredda fosse quasi una barzelletta al confronto?
Non riusciva a credere a tutte le implicazioni che quell’ammissione aveva…fra tutti aveva scelto lui per una confidenza così importante, nessuno si era mai spinto prima a renderlo partecipe di una questione così intima. Non aveva assolutamente idea di come comportarsi, per cui decise di emulare le parole di una vecchia donna di un villaggio in cui aveva vissuto per qualche giorno durante i viaggi di duro allenamento col padre; in fondo gli anziani erano spesso saggi, no?
“Ehm, credo di aver afferrato il problema…t-ti s-serve un m-matrimonio r-riparatore!” balbettò a bassa voce unendo ritmicamente gli indici delle mani ed evitando accuratamente di guardarla negli occhi

“Come prego? Perdonami, devo aver sentito male…” aggrottò le sopracciglia Kijo, voltandosi lentamente verso di lui mentre aguzzava l’udito per evitare di riprendere fischi per fiaschi

“U-un m-matrimonio r-riparatore…per quello che è successo con quella ragazza…ti proteggerebbe dalle dicerie della gente. È questo di cui hai paura, no? Non essere accettata…” fortunatamente per Ranma, pronunciò queste parole in modo così genuino e ingenuo che l’incredulità e la pietà presero il sopravvento sulla gamma di emozioni ben più esplosive che Kijo si trovò a provare in quegli attimi. Per questo, anziché aggredirlo, si limitò a rispondergli con una punta di sarcasmo, incrociando le braccia

“Oh, davvero? Ti stai forse proponendo, Saotome?”

“Beh, no, non proprio…cioè, nel senso, se ci pensi bene potremmo sfruttare questa cosa per rompere intanto il mio fidanzamento: salvare l’onore di una fanciulla è un’ottima motivazione e sono sicura che l’accetterebbero” iniziò a blaterare lui. Ma cosa stava dicendo? Ormai la lingua gli si era sciolta e per giustificarsi si stava addentrando in un ginepraio dal quale sapeva che non sarebbe riuscito a uscire incolume

“E in che modo, di grazia, avresti attentato al mio onore?” domandò Kijo esterrefatta ma tremendamente curiosa di capire come avrebbe continuato. Decise di ignorare quella sensazione che ribolliva di sottofondo nelle sue viscere e serrò ermeticamente le labbra per cercare di controllarla

“No, no-non l’ho f-fatto d-davvero! Però se gli altri credessero di sì si rassegnerebbero a troncare il fidanzamento. I-io s-sarei libero di u-uscire a passeggiare con te qualche volta senza sentirmi in colpa…e in fondo tu non dovresti più preoccuparti di ciò che hai fatto con quella donna, perché avresti un f…f…f-fidanzato maschio ufficiale. Nessuno sospetterà mai nemmeno il resto…Vinciamo tutti e due…” Ranma era paonazzo e si stava incartando cercando di spiegare il filo logico che nella sua testa era chiarissimo ma che tradotto in discorso risultava contorto e pretenzioso. Con la mano destra si accarezzava nervosamente la nuca, mentre con la sinistra mimava il gesto della vittoria.

Dal canto suo Kijo aveva sbattuto le palpebre un paio di volte a distanza di parecchi secondi l’una dall’altra, come a riprendersi da una specie di shock. Schioccò rumorosamente la lingua e poi esclamò
“Vediamo se ho capito bene…io ti ho confidato, con non poca fatica, lo ammetto, questo intimo dettaglio della mia vita e la tua reazione primaria è Ommioddio ormai sei merce rovinata, dobbiamo trovare una soluzione sennò cosa dirà la gente? Non solo, vuoi trarre vantaggio dalla situazione per sistemarne un’altra in cui ti senti scomodo, perché ehi, tanto ormai a cosa posso ambire se non a un fidanzamento di facciata visto che sono così compromessa e danneggiata su così tanti fronti? Un matrimonio riparatore…è veramente l’idea più antiquata che ti potesse venire, quindi mi dispiace ma rifiuto l’offerta!” riuscì a stento a mantenere il controllo della sua voce affinché risultasse chiara e omogenea, ma dentro di sé era un tumulto di emozioni. Orgoglio ferito, vergogna…ecco cosa si otteneva ad aprirsi così tanto; compatimento, pena…ecco quello che immaginava di leggere nei suoi occhi; sconforto, rassegnazione…come poteva essersi ridotta solo a questo per lui?

Quel rifiuto così netto gli arrivò addosso come uno schiaffo alla sua fierezza. Come osava liquidarlo così, tra l’altro travisando le sue parole, con tutto quello che gli era costato pronunciarle? In quale universo la sua proposta poteva essere ritenuta un affronto? In fondo, tra le righe, lui le aveva manifestato una grande apertura mentale, di quelle che a lei piacevano tanto: le aveva praticamente detto che a lui non importava della sua esperienza passata con quella donna, non gli importava del suo essere attratta anche da loro, non gli importava della trasformazione che l’affliggeva e che avrebbe rotto il suo attuale, ormai anacronistico, fidanzamento per essere libero di frequentarla! Cosa diamine voleva di più? Fermi un attimo, ma tutto ciò che aveva appena pensato era vero? Caspita…prendendosi qualche secondo per rifletterci si rese conto che effettivamente sembrava proprio così, finalmente aveva capito come si sentiva a riguardo. Un leggero e fugace dubbio si affacciò quindi alla sua mente: era proprio sicuro di essere riuscito a esprimere quei sentimenti così complessi e confusi nel suo balbettante discorso di poco prima? Era proprio sicuro di aver usato i termini giusti? Cavolo, però anche Kijo, che si vantava sempre della sua intelligenza, poteva anche fare uno sforzo per capire cosa intendeva! E invece eccolo lì, un rifiuto netto che innescava quasi causalmente la reazione che aveva perfezionato negli anni per mettersi al riparo dalle delusioni, il contrattacco.   
“Sai che c’è? Risolvitela da sola allora la tua situazione! Per me non è altro che un sollievo infischiarmene e lavarmene le mani…fai come ti pare, come fai sempre del resto!” sbottò lui incurante della gente che passeggiando si voltava a guardarli, imbarazzata

“Ma chi ti ha chiesto niente! Io ho solo risposto alla tua domanda, ti ho spiegato come stanno le cose, non ti ho domandato di gestire la situazione al posto mio!” si trovò a rispondere Kijo, totalmente incredula, con gli occhi spalancati

“No, infatti! Perché tu sai sempre gestire al meglio tutto da sola! Sia mai che qualcuno possa darti una mano…allora sai cosa? Stattene da sola! Non mi coinvolgere più nelle tue cose se non ti interessa la mia opinione! Tanto da marzo saremo di nuovo soli comunque, quindi tanto vale abituarsi fin da subito” pronunciò queste parole in un decrescendo di intensità, lasciando trasparire dall’ultima frase, quasi bisbigliata, tutta la profonda amarezza che lo pervadeva. Era stato duro, se ne rendeva conto, ma non era riuscito a trattenersi. Aveva esagerato, lo sapeva, si era lasciato trasportare da quell’impeto che sempre si impadroniva di lui quando aveva a che fare con qualcosa a cui tenesse. Scrutando il volto di lei, i suoi occhi lucidi, il labbro inferiore che stava quasi per lacerarsi stretto com’era nella morsa dei suoi denti, le sue mani che si aggrappavano alla stoffa del cappotto in cerca di una qualche stabilità, desiderò avere una spugna magica per cancellare i suoi ultimi, rabbiosi discorsi. Ma purtroppo, per quanto avesse potuto girare nei mercatini cinesi più malfamati, era consapevole che un oggetto del genere non esisteva e quindi l’unica sua possibilità era provare a rimettere insieme i cocci che aveva creato.

Meno di quattro mesi. Ecco la data di scadenza che aveva appena apposto sul loro rapporto, di qualunque natura fosse. Anzi, l’aveva addirittura anticipata al giorno stesso, tanto che senso avrebbe avuto vivere qualcosa di così effimero? O quello o il matrimonio di convenienza…ancora non riusciva a capacitarsi di quale delle ipotesi fosse più insensata. Possibile che l’unica opzione fosse legare a doppio filo due vite che non avevano ancora neppure avuto l’opportunità di formarsi completamente, né di mettersi alla prova come coppia? Due vite che avrebbero dovuto svilupparsi agli antipodi del mondo, ciascuna coi propri sogni, i propri progetti, le proprie ambizioni…Sarebbe davvero bastata la presenza dell’uno a ripagare l’altro per tutte le rinunce fatte, soprattutto a lungo termine? Perché l’entusiasmo dei primi tempi prima o poi finisce, o almeno così aveva letto nei libri, visto nei film e ascoltato dalle testimonianze dirette degli adulti che c’erano passati. Poteva davvero sopportare di essere l’ancora che impediva a Ranma di volare verso il suo luminoso futuro di realizzazione personale o altresì rassegnarsi a rinunciare a tutto per lui? Come si poteva pretendere che lo decidesse in quell’istante, a diciassette anni, su due piedi, lei che ci metteva secoli per fare una scelta di qualunque tipo, valutando accuratamente tutti gli aspetti? Già una volta aveva preso una discreta batosta abbandonando la ragione per l’entusiasmo, non poteva permettersi di commettere nuovamente il solito errore. Anche se significava rinunciare a Ranma. Anche se significava rimanere sola.
“Ranma, io…” si avventurò a bisbigliare, con un filo di voce, ma fu subito interrotta da un gesto che non si sarebbe mai aspettata: il ragazzo la prese per le spalle e la strinse a sé in un maldestro abbraccio, sussurrandole all’orecchio

“Scusami Kijo, dimentica quello che ti ho detto se puoi, e se non puoi…scusami, non volevo”

No, non poteva dimenticare, non era nemmeno giusto. Però poteva coltivare quel germoglio di speranza che si era prepotentemente insinuato nel suo cuore, dopo quel gesto.
 
 
Ore 11.58
 
Che bello! Di lì a poco sarebbe cominciata la giornata con Ranma che tanto avevano rimandato a causa della brutta influenza che li aveva colpiti dopo la notte di Halloween! Il meteo era perfetto, c’era un bel sole a rischiarare la città; l’abito che aveva scelto era perfetto, comodo ma comunque carino, sembrava addirittura che quel giorno le cadesse meglio del solito; il trucco era perfetto, l’eyeliner era venuto sorprendentemente simmetrico su entrambi gli occhi e non aveva traccia di occhiaie; i capelli erano perfetti, era riuscita a far sì che rimanessero delle morbide onde voluminose dopo appena una passata di ferro! Adesso non le rimaneva che dirigersi alla fermata del pullman e aspettare. Poco dopo una sedia glitterata a cui era attaccata una moltitudine di palloncini colorati planò lentamente davanti a lei, quindi vi si sedette e subito l’inusuale mezzo di trasporto si sollevò per recapitarla al luna park. Certo che poteva scegliere anche un mezzo più convenzionale, quello era privo perfino della cintura di sicurezza! Oddio, cosa sarebbe successo se fosse scivolata? Aveva raggiunto una bella quota quell’aggeggio, cosa le era saltato in mente di salirci? Improvvisamente fece il madornale errore di guardare di sotto e alla vista della minuscola città che si diramava molto, ma molto più in basso, ebbe un capogiro: per portarsi le mani alla testa lasciò il sedile che fino a quel momento teneva con tutte le sue forze e cadde giù, gridando disperata, la sensazione dello stomaco in gola con un vuoto incolmabile sottostante.

Fu così che cominciò la giornata di Kijo, rovinando dal letto, urlando per quanto fosse tardi e maledicendo la sveglia che non aveva suonato.
Naturalmente i preparativi all’appuntam-, ehm, all’incontro accordato con Ranma, stavano andando in modo totalmente diverso da quello che aveva previsto. Intanto non aveva preventivato di svegliarsi appena due ore prima del…meeting? (Insomma, quello che era…) e poi stava diventando estremamente difficile ignorare i segnali di insoddisfazione che il suo stomaco gorgogliante le stava inviando per non averlo ancora riempito di colazione: non aveva assolutamente tempo per quello, se doveva scegliere tra un aspetto decente e la sazietà non aveva nemmeno bisogno di soppesare i pro e i contro!
Mentre si lavava i denti con una mano cercando di spazzolarsi i capelli con l’altra, sentì suonare il campanello dello studio medico. Una volta. Due volte. Tre.
Scendendo di rincorsa le scale dopo aver arraffato al volo la propria vestaglia, si soffermò un paio di secondi a leggere il biglietto che Tofu aveva appiccicato alla porta con lo scotch
«Esco con Kasumi, buona giornata! J»

Aprì quindi la porta e si trovò di fronte un ometto non tanto alto con due lunghi baffi sottili e degli occhiali piuttosto spessi.
“Buongiorno! Voi siete la signora Tofu?” domandò lo sconosciuto esibendo un largo sorriso

“No, guardate, sono solo l’assistente del dott-” provò a spiegarsi Kijo, ma quello continuò imperterrito

“Piacere di conoscervi, signora Tofu! Non dev’essere facile essere sposata a un medico, giusto? Sempre a disposizione dei pazienti…chissà quanto tempo vi lascia da sola!”

“Ma verament-” provò a intromettersi Kijo nel fiume di parole in piena che quel tipo le aveva riversato addosso, inutilmente

“Non preoccupatevi signora…posso sapere il vostro nome?” domandò l’uomo dimostrando finalmente interesse ad ascoltarla

“Mi chiamo Kijo, ma non sono-”

“Kyoko, un bellissimo nome! Complimenti signora!”

“Kijo, non Kyoko…”

“Come dice? Kikyo? Scusatemi, avevo capito male…comunque, signora Kikyo, ho qui la soluzione alle vostre serate solitarie! Una bella enciclopedia! Questo lotto è stato aggiornato all’inizio di quest’anno ed è un’ottima fonte per ampliare le vostre conoscenze, quando vi trovate a dover conversare coi colleghi di vostro marito, inoltre per le ricerche scolastiche dei bambini…” sciorinò a velocità supersonica il venditore porta a porta, aprendo la grande valigia che si portava appresso e mostrando un tomo rilegato

“Non ci sono bambini in questa casa, non sono la moglie del dottore e non mi chiamo Kikyo!” disse tutto d’un fiato la ragazza, che guardava le lancette dell’orologio nell’ingresso scorrere inesorabilmente. Doveva trovare un modo per liberarsi da quello scocciatore e alla svelta

“Ops, scusatemi signora Keiko! Non preoccupatevi per i bambini, siete ancora giovane, arriveranno…magari ogni tanto potete invitare vostro marito a leggere l’enciclopedia con voi per sentire cosa ne pensa: sono certo che sarà entusiasta!”

Kijo stava stringendo un pugno con tutte le sue forze, segno evidente che la pazienza che possedeva stava per terminare. Sibilò a denti stretti solo poche parole, prima che il venditore riattaccasse a declamare le virtù del proprio prodotto
“Kijo…e non mi interessa!”

“Giusto! Signora Kochiyo, come può non interessarvi il mio articolo, guardate la rilegatura in pelle, le cuciture a mano, la doratura dei caratteri…Un vero gioiello di conoscenza a portata di mano!”

La ragazza sbuffò sfrontatamente, pronta a dare il benservito al tipo, che però era di tutt’altro avviso
“Sentite, ho molto da fare e sono in ritardo per un appuntamento…insomma, un ritrovo…”

“Signora Fujiko, capisco che la cura della casa richieda tanto tempo, ma non sottovalutate l’importanza di una buona cultura! Vostro marito non resterà con voi solo perché gli fate le pulizie, vorrà pure fare conversazione qualche volta: guardate come sono resistenti questi tomi!” così dicendo lasciò cadere a terra un volume e prese a saltarci sopra, per poi recuperarlo e soffiarci via la polvere
“Visto signora Mildred? Neppure un graffio…”

“Adesso basta, per cortesia, andatevene! Non voglio nessuna enciclopedia! E poi mi chiamo Kijo!” gridò esasperata la ragazza, provando a spingere la porta che lui teneva bloccata col piede

“Ginko? Avrei giurato che vi chiamaste Bernardette…decisamente avete la faccia da Bernardette. Comunque non è un problema, posso ripassare quando non avete il nikujaga sul fuoco! Arrivederci e salutate vostro marito!” il venditore ripose accuratamente il tomo nella valigia, si sistemò il cappello e si avviò verso il cancello lasciando Kijo sconcertata sulla porta.
Proprio simpatica, quella signora Mildred…” sorrise poi mentre imboccava la strada per dirigersi verso un’altra abitazione.


 
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Ciao a tutt*! Torno con l’angolo delle curiosità, anche se questo capitolo ne è indubbiamente più carente rispetto al precedente xD
Grazie per aver letto fin qui!!
 
Curiosità
  • Il nikujaga non è altro che uno stufato giapponese a base di carne, patate e cipolle, un piatto che ogni casalinga perfetta che si rispetti deve saper preparare con maestria
 
  • Uno dei simboli dell’amore eterno più profondi della cultura orientale è la camelia, fiore che rappresenta l’amore e l’attesa. Secondo una leggenda, sull’isola Honsu, viveva un crudele serpente che richiedeva annualmente il sacrificio di una fanciulla. Quando il Dio del vento mise fine a questa barbarie uccidendolo con un spada, le gocce di sangue della bestia tinsero di rosso il prato. Da lì nacquero le Rose del Giappone : una pianta dai fiori bianchi e con piccole macchioline rosse che non perdono petali, ma cadono intere diventando così il simbolo delle vite spezzate delle giovani donne.  Anche le gru, animali che ricorrono spesso nell’iconografia nipponica e simbolo di longevità e salute, sono accumunate all’amore eterno. Il senbazuru, una ghirlanda fatta da mille gru a origami, viene donata agli sposi novelli come augurio di buona vita e buona fortuna. Inoltre si dice che le gru siano monogame: scelgono un compagno e lo tengono per tutta la vita. Anche per questo vengono donate nei matrimoni come simbolo dell’amore eterno giapponese.
Sono stata ispirata da queste credenze nella descrizione del Tunnel dell’amore.
 
  • Avrete senz’altro notato il piccolo omaggio che ho voluto rendere a Maison Ikkoku, lasciando fare un breve cameo ad alcuni dei nostri inquilini preferiti :)

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Capitolo 25
*** Accadde una notte tra Ranma e Kijo ***


21 Dicembre


Ce l’avevano fatta! Erano arrivate finalmente le tanto attese vacanze invernali! Fin dal suono dell’ultima campanella gli studenti del liceo Furinkan erano stati pervasi dallo spirito elettrizzante, festoso e carico di aspettativa che il periodo natalizio portava con sé: pregustavano già le giornate libere dagli obblighi scolastici, piene di doni, di leccornie e di divertimenti con gli amici.
I più romantici sognavano quiete serate di fronte al caminetto acceso con l’oggetto dei propri desideri per vedere l’espressione sorpresa e sperabilmente soddisfatta durante lo scambio dei regali e, se i kami avessero voluto, anche di qualche bacio con la scusa del vischio appeso.
I più tradizionalisti non vedevano l’ora di riabbracciare parenti e cari costretti lontano la maggior parte dell’anno, per ravvivare il senso di unione e di famiglia.
La classe seconda F, con qualche estensione, faceva invece il conto alla rovescia per quello che si preannunciava come l’evento sociale dell’anno, ovvero il party di Natale organizzato da Mendo Shutaro. Deciso a dare un taglio più informale ai festeggiamenti, contrariamente agli anni precedenti, Mendo aveva riservato una sala intera nella discoteca più esclusiva del quartiere Shibuya, l’Hanabi. Il fatto che fosse di proprietà di suo zio gli facilitò notevolmente il compito, dato che quel tipo di locali di regola non accettavano minori di vent’anni, comunque aveva già distribuito gli inviti ai propri compagni e tutti fremevano per partecipare. Beh, quasi tutti.



Ranma ad esempio non era mai stato attratto da quel tipo di ambiente, anche perché non amava ballare, quindi che ci sarebbe andato a fare? Tuttavia non ci teneva neppure a fare l’asociale, dato che tutta la classe ci sarebbe stata; inoltre era previsto un buffet di tutto rispetto, motivo più che valido per fare uno sforzo di presenza. Anche se non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, c’era una sensazione che non riusciva a togliersi di dosso, quasi fosse un presentimento che quella serata sarebbe stata una di quei nodi portanti che la trama del destino aveva posto sulla sua strada; sebbene non fosse solito soccombere alle sciocche teorie sulla superstizione, preferì per quieto vivere non sfidare la sorte e scoprire cosa il fato avesse in serbo per lui.



Nemmeno Kotaro Ikeda aveva grande simpatia per le occasioni mondane, futili distrazioni dagli impegni scolastici, ma Ataru aveva insistito fino allo sfinimento e gli aveva assicurato che si sarebbe divertito così tanto che si era trovato nella condizione di accettare, per una volta.



Naturalmente anche Nabiki Tendo era stata invitata, dato il legame ormai stretto che intratteneva con Shutaro; benché la allietassero le serate in discoteca (ebbene sì, era riuscita in precedenza a intrufolarsi un paio di volte con delle amiche in quell’ambiente lussuoso e scintillante) era ancor più impaziente di sondare con mano l’esempio di un’attività del gruppo Mendo, apparentemente assai remunerativa. Non era un mistero che il settore dell’intrattenimento fosse in perenne crescita e raramente conoscesse crisi, pertanto era da sempre stato oggetto dell’interesse della ragazza, che vi aveva dedicato ricerche e approfondimenti.



Quando Kuno trovò nella cassetta postale l’invito per la serata, meditò tre giorni e tre notti ininterrottamente sul recondito significato di quella lettera: era forse un segno di pace, di stima che nonostante tutto Mendo provava nei suoi confronti oppure era l’ennesimo schiaffo volto a stabilire una supremazia di Shutaro? Decise di affrontare il dubbio dicotomico nel modo che gli appariva più congeniale, ovvero sedendosi a gambe e braccia incrociate in camera sua di fronte a due poster di Mendo, uno che lo ritraeva sorridente e ben disposto, l’altro in cui era iracondo e sprezzante. Dopo settantadue ore in cui non faceva altro che mormorare tra sé
“Guerra…o pace? Vado…o non vado?” rifiutando perfino il cibo che Sasuke gli portava, collassò al suolo e dormì per altre sedici. Al suo risveglio aveva ben chiara la risposta.


 
                                                                          -§-


Kasumi Tendo era stata chiamata dalla sorella in camera sua; lasciò le pentole sul fuoco e si asciugò le mani umide sul grembiule che portava allacciato in vita, quindi salì rapida le scale e bussò alla porta
“Nabiki? Mi volevi?” domandò timidamente aprendo uno spiraglio e affacciandosi

“Certo! Entra, entra! Vorrei sapere come mi sta secondo te questo vestito: ci tengo molto stasera a fare bella figura”
La ragazza era avvolta in un tubino bordeaux di taglio moderno, che poco lasciava all’immaginazione. Le lunghe gambe affusolate terminavano con delle decolté nere dai tacchi vertiginosi, mentre a coprire le spalle nude una stola di eco-pelliccia nera la rendeva elegante e sofisticata. Aveva scelto dei piccoli orecchini di perle per poterli abbinare al girocollo appartenuto alla loro madre.

“Caspita Nabiki, stai davvero molto bene! A papà prenderà un infarto quando ti vedrà uscire così, ma sei proprio bellissima…ho un fermaglio che potrebbe donarti tra i capelli, vuoi che te lo mostri?” esclamò Kasumi, sinceramente colpita dallo stile della sorella

“Sicuro! Solo che pensavo…perché non vieni anche tu stasera? Sarà una serata divertente!” propose Nabiki prendendo le mani di Kasumi tra le proprie.

La sorella maggiore la guardò con tanto d’occhi, poi fece per scuotere leggermente la testa
“Non so…non ho ricevuto neppure l’invito, non credo sarei la benvenuta…e poi non sono mai stata in certi posti e papà e il signor Genma devono cenare…”

“Andiamo sorella! Tu sei l’unica che potrebbe entrare senza problemi, dato che hai compiuto vent’anni! Sono sicura che non crollerà il mondo se per una sera ti prendi una pausa dalle faccende di casa, papà riesce a mangiare anche senza che tu lo imbocchi, sai? Ci tengo tanto ad averti vicina, visto che è la festa del ragazzo che mi piace…e per l’invito non è un problema perché il mio è per Nabiki Tendo +1, quindi posso portare chi voglio!”

“Ma sarò all’altezza di quel luogo così elegante? Non ho nessuna esperienza…” titubava Kasumi che tuttavia si mostrava molto incuriosita: aveva bisogno di un’altra piccola spinta

“Guarda che non è un colloquio di lavoro! Dobbiamo pensare solo a divertirci: tu sei bellissima e hai un ottimo senso del ritmo, quindi è fatta, non serve altro! O meglio, serve che ti troviamo un vestito adatto e iniziamo a prepararci…” obiettò Nabiki, facendo piroettare la sorella

“E va bene, per una sera non accadrà nulla di male, immagino…Vado ad avvertire papà!” esclamò Kasumi uscendo dalla stanza sorridente.
 
                                                          -§-
 

Quando furono entrambe pronte per uscire, si affacciarono alla sala da pranzo e percepirono un’atmosfera di depressione dilagante: al tavolino sedevano solamente Soun, che aveva davanti due fette di pane tostato bruciacchiato e Genma in versione panda, che sgranocchiava una canna di bambù sorseggiando ogni tanto del tè per buttarla giù meglio.

Non appena vide le figlie, il signor Tendo non riuscì a trattenersi e scoppiò in lacrime
“Le mie bambine! Mi abbandonano tutte come un ferrovecchio che non serve più a nulla! Bwaaaaah come sono infelice…un attimo sono piccole e sei il loro supereroe e un momento dopo sono giovani donne che frequentano i locali notturni…”

Genma per tutta risposta tirò su un cartello con scritto «Vi conviene andare o farete tardi. Buona serata» e poi cominciò a masticare un altro bambù

“Non aspettateci alzati, faremo tardi! Ciao!” salutò Nabiki trascinando la sorella che si era messa a consolare il padre accarezzandogli la testa.

In quel mentre Ranma apparve in cima alle scale vestito di tutto punto: indossava un paio di pantaloni neri di ottima foggia, fermati da una cintura di pelle dall’aria pregiata, con sopra una camicia bianca che evidenziava il suo fisico atletico e una giacca nera aperta che regalava un tocco disinvolto al suo outfit elegante. Attirò l’attenzione delle ragazze che stavano uscendo, esclamando
“Ehi! Siete dirette alla festa? Se volete andiamo insieme…non sapevo che ci fossi anche tu, Kasumi!” aggiunse poi sorpreso, vedendo che la ragazza era sistemata in modo molto diverso dalla solita tenuta casalinga

“Sì, Nabiki è stata così gentile da invitarmi. Ci fa piacere se ci accompagni, non è vero sorella?” gli sorrise Kasumi, adorabile come sempre

“Wow, Saotome! Sei un vero fusto stasera! Quasi non ti riconoscevo, abituata a vederti in tuta…Devo assolutamente farti delle foto per…ehm, immortalare il momento!” commentò Nabiki estraendo dalla pochette la macchinetta fotografica, ma il ragazzo si ribellò balzando giù dalle scale e togliendogliela dalle mani

“Suvvia, non litigate adesso…andiamo, piuttosto, altrimenti non arriveremo più!” si impose Kasumi con gentilezza e fermezza, bloccando subito il battibecco e finendo di abbottonarsi il cappotto

“E va bene, tregua! Però devi almeno dirmi dove hai comprato il tuo completo e soprattutto come hai fatto a permettertelo…non avrai mica chiesto un prestito a qualcun altro?” Nabiki guardò di sottecchi Ranma, che si stava annodando la sciarpa, cercando di indurlo a confessare

“Non l’ho pagato, un amico me lo ha prestato. Adesso, se l’interrogatorio è finito, possiamo andare” con fare caricaturalmente cavalleresco, Ranma aprì l’uscio per permettere alle due ragazze di transitare, poi le seguì chiudendolo alle proprie spalle.
 
                                                            -§-
 

Mendo aveva superato se stesso. O meglio, i sottoposti di Mendo che si erano occupati dell’organizzazione dell’evento avevano superato loro stessi. Comunque fosse andata, l’Hanabi era stato reso ancora più spettacolare e meraviglioso rispetto a com’era di solito. Già dall’esterno, l’intero palazzo che ospitava la discoteca al quinto piano era stato ricoperto da una pioggia di lucine scintillanti bianche che illuminavano tutta la facciata; dall’insegna intermittente rossa si dipartivano quattro file di lampadine disposte a croce, rosse anch’esse, che davano l’impressione che l’intera struttura fosse un enorme pacco regalo di cui la scritta Hanabi costituiva il fiocco.
Una volta che i tre ospiti provenienti da casa Tendo varcarono la soglia del palazzo le porte scorrevoli si richiusero con un lieve sbuffo alle loro spalle e vennero ricevuti da quattro addetti all’accoglienza con un inchino sincronizzato. Indossavano tutti completi o tailleur neri, ma per l’occasione portavano dei cappellini da babbo natale che alleggerivano quella sobria eleganza.
L’interno era decorato con estrema raffinatezza, tutto sui toni del bianco e dell’oro: le luci che scendevano dal soffitto, le decorazioni dei tre grandi alberi che si stagliavano nella sala d’attesa e dietro il bancone della reception, le calze di seta e le stelle di Natale glitterate che erano state appese all’ampio caminetto creavano un’atmosfera calda e luminosa.

“Buonasera. Posso avere i vostri soprabiti?” chiese loro l’addetta al guardaroba allungando le braccia nella loro direzione. I tre si tolsero i cappotti e glieli porsero, lei provvide ad appenderli dopo averli numerati. Fornì loro dei tagliandini per non dimenticare il numero relativo al proprio capo.

“Siete invitati al party di Mendo Shutaro?” domandò un signore molto alto e muscoloso che teneva una lista in mano. Doveva essere il buttafuori.

“Sì, siamo Nabiki e Kasumi Tendo e Ranma Saotome” rispose Nabiki, sbirciando quella lunga lista

“Ottimo, potete entrare signori. Da quella parte troverete l’ascensore: la festa si svolge al quinto piano. Se dopo la serata vorrete essere nostri ospiti sappiate che il signor Mendo ha riservato tutte le camere del quarto piano: appena fuori dall’ascensore troverete un distributore di chiavi a forma di polpo, che si attiva digitando sul tastierino il codice Merry Christmas. Tutto chiaro?”
Nabiki sogghignava vedendo la reazione della sorella e del quasi cognato a quell’informazione, piena di imbarazzo e disagio, quindi decise di prendere in mano la situazione e confermare per tutti e tre che avevano recepito il messaggio.

                                                           -§- 
 
Kijo era in ritardo quella sera. Il Dottor Tofu aveva avuto una miriade di visite nel pomeriggio e lei era rimasta ad assisterlo e a preparare le miscele medicamentose necessarie a ogni caso. Fortunatamente in confronto a qualche mese prima i pazienti avevano cominciato a rispettarla maggiormente e ad attribuirle fiducia: molti si erano perfino spinti a ringraziarla e a riferirle quanto erano stati meglio da quando avevano affiancato la loro normale terapia alla fitoterapia che lei proponeva. Ciò le riempiva il cuore di gioia e la rendeva immensamente fiera e orgogliosa del percorso che stava svolgendo; Ono Tofu, poi, era un uomo eccezionale e oltre a insegnarle nozioni ormai assodate si era rimesso con passione a studiare, ricercare e confrontare quella nuova materia per ampliare le proprie conoscenze e offrire quindi trattamenti sempre migliori ai propri assistiti. La parte sperimentale, infine, era stata la ciliegina sulla torta: entrambi vi si erano dedicati con scrupolo e avevano messo a punto una serie di rimedi piuttosto efficaci, partendo da ricette tradizionali della medicina orientale od occidentale e cercando di potenziarle. A dirla tutta avevano commesso anche qualche errore clamoroso, come nel caso del repellente per insetti, ma si trattava per fortuna di casi isolati.
Mentre ripercorreva mentalmente i progressi fatti negli ultimi mesi, Kijo si buttò sotto la doccia, cercando di sbrigarsi per non aggiungere ulteriore ritardo a quello che già aveva accumulato. Volle tuttavia truccarsi con cura, poiché ci teneva a essere al massimo in quella magica serata di divertimenti: applicò prima un velo di fondotinta sul viso, spargendolo omogeneamente con una spugnetta, poi prese dalla trousse il pennello più grande per uniformare il tutto con un po’ di cipria; cercò di esaltare i lineamenti con un poco di fard, quindi si dedicò alla parte che preferiva truccare di più in assoluto, gli occhi. Cominciò a delinearne il contorno con la matita nera, avendo cura di rimanere all’esterno della rima ciliare, per aumentarne illusoriamente la grandezza, poi spennellò un ombretto neutro su tutta la palpebra; provò dunque a ricalcare il trucco che aveva visto a una modella su una rivista, quindi sfumò lateralmente col pennellino un ombretto nero glitterato e poi cosparse di brillantini la zona più interna della palpebra. Nonostante avesse pure abbondato con il mascara, dato rigorosamente a bocca aperta, il risultato non fu troppo marcato né volgare, quindi si concesse un po’ di rosso sulle labbra e filò a vestirsi.
 
                                                                  -§-  
 
Appena Mendo si accorse dell’arrivo di Nabiki, scattò in piedi da un divanetto che fino a quel momento stava dividendo con Shinobu e si precipitò ad accoglierla. Una volta di fronte a lei, si profuse in un profondo inchino e poi si permise l’ardimento di farle un baciamano. Cielo se era bellissima! Anche volendo non riusciva a staccare lo sguardo dalla sua figura fiera, elegante e molto molto sexy…Trasudava sicurezza e potere e questo era un mix letale a cui Mendo scoprì di non saper resistere. Naturalmente si comportò da perfetto gentiluomo e organizzatore della festa, si presentò a Kasumi e si assicurò che fosse a proprio agio, salutò Ranma amichevolmente e anche tutti gli altri invitati che nel frattempo stavano giungendo…ma Nabiki…era come una calamita, il suo sguardo periodicamente tornava a posarsi su di lei, sulle sue spalle nude, sul suo caschetto sbarazzino…Si accorse di aver perso completamente il lume della ragione quando giunsero Lamù e Ataru: per quanto l’extraterrestre che un tempo aveva occupato i suoi pensieri fosse un vero schianto quella sera, i suoi occhi si sentivano appagati solamente quando tornavano a indugiare sulla giovane Tendo.
 
Quando arrivò Kuno Tatewaki l’attenzione di tutti si riversò, sorpresa, su di lui. Indossava uno smoking blu scuro, molto elegante, che cadeva perfettamente a evidenziare la muscolatura sviluppata del suo corpo, rifinito da una camicia bianca e una cravatta abbinata. Sorrideva, Tatewaki, con quella consapevolezza di chi sa perfettamente di essere bello. Quanto avrebbe voluto che la sua adorata Akane Tendo e la meravigliosa ragazza col codino fossero tra la folla che lo stava guardando colma di ammirazione! Quella sera lui si sentiva capace di ogni cosa e non ci sarebbe stato Saotome o Mendo capace di rovinargli l’umore festaiolo. Giunto in fondo alle scale, si diresse verso l’organizzatore della festa e si inchinò formalmente per ringraziarlo dell’invito, poi accettò volentieri  una tartina e un bicchiere di champagne che gli vennero porti dai camerieri; da ultimo, compiaciuto del fatto che la musica stava già riempendo la sala, si avvicinò a Nabiki Tendo e le chiese di ballare. Quest’ultima accettò di buon grado, se non altro per vedere la reazione di Shutaro, che non si fece attendere molto.
 
Kasumi rimase seduta sui divanetti dopo che la sorella era scesa in pista e Ranma focalizzò la sua attenzione su di lei: stava davvero bene con quell’abito dorato e corto, i capelli raccolti in una coda alta e gli orecchini pendenti! Non l’aveva mai vista sfoggiare un look così diverso dalla tenuta casalinga e si rese conto, come se la vedesse per la prima volta, di quante rinunce doveva aver fatto per sopperire alla mancanza della madre. Quante volte aveva rifiutato il divertimento, quanti aspetti di sé aveva sacrificato per adattarsi al ruolo della perfetta donna di casa a tempo pieno? Vedere quella ragazza appena ventenne emozionata per la serata in discoteca, mentre col piede sospeso dalle gambe accavallate teneva il ritmo della canzone che suonava gli rivelò che in fondo in fondo una Kasumi più leggera e spensierata continuava a sopravvivere e non vedeva l’ora di emergere. Non molto dopo, infatti, si rivolse al codinato con un sorriso, informandolo
“Vedo che alcune ragazze stanno ballando in gruppo, laggiù…vado a sentire se posso unirmi a loro!”



L’atmosfera della serata era pervasa da un senso di aspettativa generale che produceva una tensione palpabile. Le ragazze che avevano passato ore e ore a prepararsi adesso erano in preda all’eccitazione per la nuova esperienza e stavano perennemente all’erta cercando di scoprire se qualcuno le notava. Molti ragazzi erano inebriati da quell’ambiente in cui sembrava che i freni inibitori si potessero leggermente allentare, anche grazie ai forti cocktail che venivano serviti al bar. I più temerari bevevano e offrivano alla ragazza di turno un cocktail intero, mentre chi era conscio di non reggere granché ripiegava su qualche piccolo shottino, quel tanto che bastava per fornire una dose di coraggio liquido a chi voleva osare qualche proposta. L’ambiente fumoso, in cui il buio era trafitto da luci laser o psichedeliche, contribuiva ad alimentare la convinzione di trovarsi in una realtà parallela in cui le rigide regole sociali si facevano più morbide, in cui l’impossibile diventava possibile, in cui il presente era l’unico momento che contava.
 
Shinobu, abbandonata per l’ennesima volta da Shutaro, abbandonò a sua volta il divanetto su cui aveva passato la serata fino a quel momento per dirigersi verso le compagne di classe che ballavano assieme. Un tocco leggero sulla spalla destra la fece dapprima sussultare, poi voltare: Ataru Moroboshi si stagliava di fronte a lei con un gran sorriso dipinto sul volto. Non si poteva certo dire che non si fosse impegnato a rendersi presentabile, dato che si era messo un completo elegante grigio scuro, un papillon rosso e si era perfino pettinato i capelli! Doveva aver anche cambiato dopobarba, perché come le si avvicinò per chiederle di ballare le sue narici percepirono una nuova profumazione, più sofisticata e decisamente gradevole. Solo il suo portamento non cambiava mai, con quelle gambe divaricate che non si smentivano neppure durante la danza; questo particolare tuttavia non fece che intenerire la ragazza, a cui tornarono in mente tutti i flash dei momenti passati con Moroboshi, in cui aveva sempre la stessa postura, da quando giocavano insieme all’asilo fino a tempi più recenti. Ataru era sempre stato una costante nella sua vita e sebbene lui fosse sposato con quella specie di aliena e lei subisse il fascino di Mendo, rimaneva pur sempre la sua stella polare.
 
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Il passatempo di Ranma di ingozzarsi degli stuzzichini portati dai camerieri sui vassoi venne interrotto da Yuka, che gli si parò davanti con lo sguardo basso e le mani intrecciate tra loro. Aveva i capelli raccolti in una treccia elaborata, un abito di velluto color bronzo aderente e corto al ginocchio e una determinazione negli occhi, quando infine si decise a sollevarli dal pavimento, che Ranma non le aveva mai visto.
“Ranma Saotome, vuoi ballare con me?” gli chiese tutto d’un fiato. Alle sue spalle l’amica Sayuri esibiva un volto estremamente stupefatto, tanto da fare invidia all’Urlo di Munch, ma non fu lei che Ranma cercò immediatamente con lo sguardo: il ragazzo di Yuka, Hiroshi, gli fece un cenno di assenso e alzò un calice di champagne nella loro direzione, come a confermargli che era tutto a posto

“I-io Y-yuka non sono molto bravo a b-ballare…forse potresti domandarlo a Hiroshi, che ho visto vicino al bar…” le rispose il codinato, un po’ a disagio

“Tranquillo, Hiroshi sa che te lo avrei chiesto…non negarmi questo favore, Ranma, ti prego…ho bisogno di chiudere un cerchio della mia vita per lasciarmi il passato alle spalle definitivamente e per farlo mi serve la tua collaborazione: ti chiedo solo un ballo, puoi aiutarmi?” la ragazza rimase ferma nei suoi propositi, sebbene il tono di voce della sua richiesta fosse più basso del normale; lo guardò fisso negli occhi per tutta la durata del discorso ma non appena ebbe terminato tornò immediatamente a fissare il pavimento.

Non era mai stato bravo a dire di no alle ragazze e sebbene questo suo tratto gli avesse creato non pochi problemi in passato, non riusciva proprio a modificarlo; si alzò quindi in piedi, fece un inchino dinanzi a Yuka e l’accompagnò sulla pista da ballo, mentre il DJ operava un deciso cambio di ritmo dal frenetico Everybody’s free al più lento Paradise di Phoebe Kates.

La ragazza gli si avvicinò, intrecciando le proprie mani dietro il suo collo e inspirando quel buon profumo che emanava: stava ballando con Saotome Ranma! Kami, se solo la se stessa di un anno fa avesse potuto vederla…sarebbe morta d’infarto! Eppure adesso era lì, a danzare con quello che era stato il suo oggetto di desiderio – e ancor più di senso di colpa – per così tanto tempo che le faceva strano essere tutto sommato tranquilla in quella situazione. La verità era che il giovane Saotome l’aveva colpita subito, fin da quando aveva messo piede nella loro scuola: era rimasta affascinata dal suo bell’aspetto, dalla sua forza, dalla sicurezza che trasudava in ogni occasione e dal modo che aveva di prendere la vita come se niente davvero potesse scalfirlo…peccato che, giungendo già legato a doppio filo con Akane, una delle sue più care amiche, lei si fosse trovata suo malgrado a reprimere per quanto possibile ogni sentimento, ogni sensazione, ogni emozione che provava al suo cospetto.
Così aveva iniziato a scrivere e a sognare, relegando al mondo onirico e immaginario quelle fantasie che le erano proibite nella realtà; forte di questa valvola di sfogo, pian piano riuscì a gestire meglio il rapporto con Ranma e la sua amica e la spallata definitiva alla sua infatuazione venne data dall’inizio della sua relazione autentica con Hiroshi…Tuttavia nel suo inconscio aleggiava sempre lo spettro di quelle emozioni represse, come se vi avesse solo codardamente girato intorno senza mai trovare il modo di affrontarle sul piano reale: voleva dimostrare a se stessa che il Ranma Saotome che aveva tanto idealizzato, fantasticato, amato, messo su un piedistallo, non esisteva davvero e che lei era perfettamente in grado di affrontarlo. Mentre dondolava più o meno a tempo vicinissima a lui poté notare che i suoi innegabilmente bei lineamenti non gli facevano più tremare le ginocchia, il suo sorriso imbarazzato non le scaldava più il cuore, il suo sguardo gentile non le faceva più avvampare le guance e il suo tocco lieve non la faceva più sussultare: era realmente guarita dalla sua malattia immaginaria. Forte di questa consapevolezza decise comunque di aspettare la fine del pezzo per staccarsi da quel ragazzo che, inconsapevolmente, le aveva regalato così tanti turbamenti e aveva segnato la sua evoluzione da bambina ad adolescente.
Ranma dal canto suo non era per nulla disinvolto e faticava a comprendere come un ballo con lui avrebbe potuto aiutare Yuka, tuttavia si era assunto un incarico e non si sarebbe tirato indietro. Vagando con lo sguardo per la sala, per quello che riusciva a scorgere con tutto quel fumo, notò Kasumi che si stava divertendo un mondo a ballare con alcune ragazze che frequentavano la sua scuola; poco più in là una ragazza dai capelli mossi si era avvinghiata a Kuno e non ci volle molto a riconoscere Mariko, la temibile cheerleader combattente! Chissà come aveva fatto a entrare e soprattutto a scoprire che Tatewaki sarebbe stato lì quella sera; in effetti non aveva avuto più sue notizie da quando si sfidarono a chi faceva meglio il tifo per Kuno…caspita che razza di sfide assurde aveva accettato nel corso della sua vita…e le aveva pure vinte tutte!
In un angolo della pista Lamù era riuscita a riprendersi Ataru e adesso se lo teneva ben stretto mentre ballavano: doveva aver avuto una discussione con Shinobu, poiché ogni volta che incrociavano lo sguardo tra le due partivano delle scintille di ostilità.
Come si voltò verso la scalinata per poco non gli prese un colpo: Kijo- per la miseria, era davvero lei?- stava scendendo le scale con la disinvoltura che gli alti tacchi che indossava le concedevano; era fasciata in un abitino nero (manco a dirlo) lungo poco sopra il ginocchio, con lo scollo a cuore e delle punte più lunghe di tulle nero che si dipartivano dall’altezza della vita mentre attorno al collo risaltava un choker di pizzo nero con una pietra rossa centrale sulla sua pelle eburnea. I capelli le cadevano sulle spalle nude in morbidi boccoli e il suo arrivo ritardatario e silenzioso non passò affatto inosservato: fece un cenno di saluto in direzione di Ranma che ancora stava ballando con Yuka, ma egli, resosi conto che si era incantato a guardarla, distolse immediatamente lo sguardo pieno di vergogna; arrivò quindi al tavolo di Mendo, per fargli i propri complimenti per l’organizzazione della festa e gli auguri e subito due ragazzi che erano seduti con lui si alzarono per offrirle da bere. Lei sorrise e accettò con gentilezza, poi si diresse verso il bancone del bar con loro, salutando man mano i compagni che incrociava.
“Ehi splendore, cosa bevi?” le domandò il ragazzo biondo con gli occhi verdi

“Vorrei un Angelo Azzurro, grazie” sorrise lei scorrendo rapidamente il menu

“Wow, roba forte…sicura di reggerlo?” la guardò con tanto d’occhi lui, con un ghigno malizioso che pian piano affiorava sul suo bel viso

“Certo dolcezza…e tu? Saprai essere alla mia altezza?” Kijo gli rispose insinuando una sua possibile mancanza, al che lui non poté esimersi dal dimostrarle che si sbagliava

“Tranquilla, bambolina dark…ci vuole ben altro per mandarmi k.o.!” gongolò lui gonfiando il petto. L’altro ragazzo, castano con gli occhi color ambra, intervenne nel discorso

“Spero che ce la farai ad accettare anche un cocktail offerto da me, signorina…?”

“Kijo. Che maleducata, non mi sono neppure presentata! Comunque tranquilli, cari…come vi chiamate, sarò felice di degustare tutti i cocktail che vorrete offrirmi…a patto che voi beviate con me!” sorrise loro spavalda, incrociando le braccia al petto, divertita dalla sfida che le si profilava dinnanzi

“Kyosuke e Kazuhiro, al vostro servizio, signorina! Barista, tre angeli azzurri, per favore!” ordinò quello castano che si chiamava Kyosuke. Il barista annuì con la testa e afferrò lo shaker, cominciando a spruzzarci dentro i vari ingredienti e agitando con vigore. Quando fu pronto, servì ai tre ragazzi tre calici stracolmi di un liquido azzurro e ghiacciato. Kazuhiro gli allungò una banconota e il barista ringraziò e passò a servire il cliente successivo.

“È la prima volta che vieni qui all’Hanabi? Non ti ho mai vista prima…” indagò Kazuhiro, assaggiando un sorso del cocktail: diavolo se era forte! Dovette fare i salti mortali per non scoppiare a tossire come un fesso, ma non riuscì a dissimulare una boccaccia disgustata

“Oh, sì, non c’ero mai stata…voi invece siete degli habitué?” replicò lei mandando giù una generosa sorsata di quel drink: effettivamente il barista aveva calcato la mano con l’alcool, tuttavia il complesso risultava gradevole, quindi Kijo concluse la degustazione con uno schiocco della lingua sul palato e un sospiro di soddisfazione.

Kyosuke, che aveva assistito a entrambe le reazioni, osservava circospetto il proprio bicchiere, cercando di inventarsi un modo per berlo senza fare la figura dello scemo: provò con un sorso piccolo, sperando che gli anestetizzasse un po’ la gola, inutilmente; prese dunque un sorso più cospicuo e se ne pentì immediatamente, dato che gli sembrò di avere bocca ed esofago in fiamme. Ma di cosa era fatta quella dannata ragazza, di acciaio?

“Cosa fate nella vita? A parte venire qui a ballare?” domandò Kijo, ridacchiando tra sé e sé per le facce sconvolte dei due avventori

“Io- ehm- studio giurisprudenza, sono al secondo anno all’Università Imperiale di Tokyo” rispose Kyosuke avvicinando nuovamente il bicchiere alla bocca, timoroso

“E io odontoiatria…lasciami dire che hai un sorriso splendido, parere di esperto!” concluse Kazuhiro sorridendo a propria volta con fare ammiccante

“Non mi è mai parso un granché, ma se lo dice un quasi dentista mi fido!” fece spallucce Kijo

“Tu di cosa ti occupi invece?” incalzò Kyosuke

“Sono ancora al liceo in realtà, sto partecipando a uno scambio culturale dall’Italia” spiegò la ragazza avvolgendosi un boccolo tra le dita

“Sul serio? Ma è meraviglioso! Qui ci vuole una seconda bevuta! Barista, ci porti tre…” esclamò Kyosuke lasciando l’ordinazione a metà in modo che Kijo potesse scegliere il cocktail


“Long Island Ice Tea!” concluse lei, generando sgomento sulle facce dei due che ancora non avevano terminato la prima bevuta “Sempre che vi piaccia…non avete nemmeno finito l’altro…” sorrise con un pizzico di malizia. I due ragazzi si sentirono punti nel vivo e si sbrigarono a tracannare l’Angelo Azzurro; per poco non si misero a sputare lingue di fuoco, ma l’effetto, almeno su Kyosuke, fu rapido e devastante: dapprima biascicò qualche parola sconnessa, poi unì le mani sul bancone e vi poggiò sopra la guancia, a pochi centimetri dal nuovo drink ancora intatto, quindi prese a russare sonoramente

“Si sente bene?” domandò Kijo a Kazuhiro, indicando il ragazzo sdraiato

“Ma sì, sì…alla fine ha solo bisogno di smaltirla un po’” spiegò il biondino agitando la mano con aria di sufficienza. Il suo sguardo non era più vigile come prima, segno che, seppure in misura minore, l’alcool aveva colpito anche lui. Fu quando il DJ mise su Losing my religion che Kazuhiro decise che era arrivato il momento di scatenarsi in pista: balzò giù dallo sgabello su cui sedeva e trascinò Kijo per un braccio nella ressa danzante; la calca li costringeva vicini e sebbene non fosse esattamente un lento quel pezzo, Kazuhiro le passò le braccia dietro la schiena e cominciò ad oscillare a tempo. Kijo lo osservava incuriosita, scrutava in quegli occhi verdi che talvolta si accendevano di un bagliore fuggevole e poi ritornavano spenti, come se non stessero più registrando cosa accadeva intorno; scrutava i lineamenti del viso, regolari e delicati, in cui qualche volta sembrava fiorire spontaneamente un sorriso che però non aveva la forza di arrivare fino allo sguardo; scrutava quel ragazzo che non sembrava essere totalmente in sé, ma che sembrava trovare appoggio su di lei. Fece un maldestro tentativo di baciarla che lei respinse con fermezza e facilità, dopo il quale lo riaccompagnò al bancone accanto al suo amico: caracollò sullo sgabello goffamente, scoppiando a ridere alla vista di Kyosuke che se la dormiva della grossa.
 
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Quando il DJ propose Don’t let me be misunderstood l’intera discoteca si accese ancora di più: le luci furono sparate a illuminare la pista dove Nabiki Tendo e alcune altre ragazze stavano mimando dei passi spagnoleggianti stile flamenco, ma a quel punto qualcosa di inaspettato accadde e catturò l’attenzione di tutti. Mendo Shutaro si sistemò la giacca e scese in pista, quasi fosse un novello Tony Manero, la folla si divise al suo cospetto per facilitargli il passaggio; arrivò dritto davanti a dove stava ballando Nabiki e le porse una mano, come a invitarla. Sul volto della ragazza si dipinse un sorriso sghembo e trionfale e accettò l’implicito invito uscendo dal gruppetto con cui stava ballando e prendendo la mano di Shutaro; senza troppi complimenti, sempre al ritmo della canzone, il ragazzo l’attirò a sé e la lasciò sospesa in un casquè per qualche secondo, per poi risollevarla e guidarla in un vorticoso e passionale tango. Nabiki si riprese alla svelta dallo stupore iniziale e decise di mettere a frutto le lezioni base di tango che aveva ricevuto come pagamento di un debito: mai si sarebbe aspettata che avrebbero avuto la loro utilità così presto! Prese ad ancheggiare, esagerando i movimenti in modo da conferir loro una cospicua dose di teatralità, mentre veniva presa, lasciata, ripresa e allontanata nuovamente in quella danza turbinosa che quasi era diventata una gara tra loro due. Tutti si erano spostati al bordo della pista, anonime sagome nere che col fiato sospeso osservavano i protagonisti di quello spettacolo così accattivante: c’erano solo loro e la musica che li guidava. Come terminò il brano si trovarono a pochi centimetri di distanza, occhi negli occhi fiammeggianti e un sonoro applauso si levò tutto intorno a loro, facendoli ripiombare nella realtà. Si inchinarono quindi dinanzi alla folla, godendosi ogni secondo di popolarità, finché non scapparono insieme dalla pista, mescolandosi tra la gente. Nessuno li vide più per tutta la serata.

In quel momento apparve come per magia da uno sbuffo di fumo Ranma Saotome, che picchiettò sulla spalla sinistra di Kijo con fare stizzito per attirare la sua attenzione. La ragazza si voltò lentamente, rivolgendogli un sorriso disarmante, un bicchiere mezzo vuoto in mano. Ranma sentì tremare leggermente le ginocchia, ma rimase fermo nel suo proposito di sgridarla
“Ehi…non ti pare di aver bevuto abbastanza?” gli domandò incrociando le braccia, autosostenendosi

“Vuoi un drink anche tu? Guarda, Kyosuke non lo ha nemmeno toccato, è Long Island, spero ti piaccia” gli rispose lei afferrando il bicchiere davanti al bell’addormentato e porgendolo a Ranma

“Io…non bevo di solito” replicò lui, guardando con diffidenza quel calice

“Siamo a una festa in discoteca, direi che non è un’occasione solita” gli fece un occhiolino lei, tenendo teso il braccio finché non afferrò il bicchiere.

Guardò con disappunto il ragazzo biondo che non riuscendo a tenersi dritto sullo sgabello si era aggrappato a Kijo, poi assaggiò la bevuta: per tutte le fiamme dell’inferno, che accidenti c’era dentro? Com’era possibile che Kijo se ne stesse lì a sorseggiarlo come Coca-cola?
“Ma sei impazzita? Questa roba è fortissima e questi idioti stanno sicuramente provando a farti ubriacare!” gridò Ranma indicando prima il bicchiere, poi gli avventori

“Non mi pare che ci siano riusciti, o sbaglio? Direi che sono piuttosto innocui, dato che si sono entrambi addormentati” così dicendo scosse Kazuhiro e lo appoggiò al bancone, vicino all’amico “Poi a me non sembrano così forti questi cocktail, ma magari per te lo sono…”

Ranma fu pervaso da un mix di sensazioni che non riusciva a delineare chiaramente, tuttavia quell’affermazione suonava proprio come una sfida e lui non si sarebbe certo tirato indietro: portò il Long Island alla bocca e lo bevve tutto senza fermarsi, per poi esclamare, con le lacrime agli occhi ma il tono di superiorità
“Contenta adesso? In effetti non era nulla di che!”

“Wow Saotome, sei una continua sorpresa! Ancora un po’ di allenamento e ti potrò portare con me nei bar più malfamati a fare a gara a chi beve di più!” scoppiò a ridere Kijo.

Cavolo quel sorriso così spontaneo era davvero raro da vedere sul suo volto…forse era inebriato dall’alcool che cominciava a diffondersi nel suo corpo, ma gli sembrava che le proprie emozioni fossero come amplificate e un pelo distorte, come se si addentrasse in una realtà parallela. Lui stesso non se l’aspettava, ma si trovò ad avvicinarsi alla ragazza per sussurrarle, proprio nell’orecchio
“Sei la solita sfacciata, ma non farti illusioni: vincerei sicuramente io, sia da uomo che da donna”

Kijo sgranò gli occhi nel sentire quel commento totalmente inconsueto per uno impacciato come Ranma: se era vero che accettava ogni tipo di sfida, anche la più disparata, era altrettanto vero che non menzionava spesso e volentieri la sua duplice natura, né tantomeno con quella leggerezza. In effetti da quando avevano scoperto le loro peculiarità speculari riguardo al cambio di sesso a contatto con l’acqua avevano sempre cercato, prevalentemente per volontà di Ranma, di glissare sull’argomento o di affrontarlo in modo serio e con tatto. Non era un mistero che il codinato avesse difficoltà ad accettare il proprio alter-ego femminile e Kijo lo aveva sempre rispettato e non aveva mai tentato di forzarlo a confrontarsi, nonostante fosse curiosa da morire: dopotutto non capitava tutti i giorni di trovare un altro con la sua stessa…non se la sentiva di chiamarla maledizione, per cui preferiva il termine peculiarità. Sentirlo scherzare in quel modo sulla cosa le fece strano, ma in senso buono; che fosse finalmente stato disposto ad aprirsi un pochino sull’argomento? Tuttavia non erano né il luogo né la serata adatta per ragionamenti filosofici, quindi per tutta risposta replicò sorridendo con
“Ah ah ah! Ti piacerebbe, ma smettila di sognare: perderesti miseramente in entrambi i casi!”

Il DJ scelse proprio quel momento per mettere Reality di Richard Sanderson, un lento che era diventato un cult per tutti i fan de Il tempo delle mele, tra cui Kijo che, riconosciuto l’incipit, si galvanizzò e chiese subito a Ranma
“Ti ricordi come si balla un lento, vero?” per poi afferrargli il braccio e trascinarlo in pista. A lui non venne in mente neppure per un secondo di opporre resistenza e si lasciò persuadere da Kijo, dalla musica, dall’atmosfera…sembrava davvero tutto sospeso in un limbo tra sogno e realtà, ma non aveva alcuna intenzione di porvi fine. Si sentiva bene in quel momento, come non lo faceva da tempo: doveva ammettere che quella ragazza, quando non gli faceva prendere una sincope per il suo comportamento quasi sempre inappropriato, aveva il potere di infondergli benessere. Anche in quel momento, fuori dal tempo e dallo spazio, oscillando lentamente abbracciato a lei, provava…felicità? Appagamento? Non sapeva etichettarlo, ma non gli importava neppure. Respirò profondamente il profumo speziato che si lasciava appena percepire dalle sue narici e provò a chiudere gli occhi ma non ci riuscì, temendo che se lo avesse fatto sarebbe sparito tutto.

Una volta terminato il brano Kijo venne reclamata da Lamù e un altro paio di ragazze che avevano requisito alcuni cubi e volevano danzare tutte assieme là sopra; con un’espressione tra il divertito e lo spiacente la ragazza si congedò da Ranma per scatenarsi con le amiche, tuttavia lui continuò a seguirla con lo sguardo. Tra le volute di fumo e le luci psichedeliche la danza su quelle piattaforme rialzate aveva un che di surreale e alla base dei cubi si era già formato un assembramento principalmente maschile che incitava le ballerine, le applaudiva e prorompeva in fischi di apprezzamento. Ma loro non sembravano accorgersene neppure. Lei non sembrava vederli nemmeno: ballava rapita dalla musica, come se la posizione sopraelevata la relegasse in un’altra dimensione, senza curarsi di tutto ciò che accadeva in basso; danzava, con movenze sinuose che a Ranma ricordavano l’incedere felino di una pantera, e sorrideva spontaneamente, per se stessa, in libertà. Quando la musica cambiò nuovamente, un altro gruppetto di fanciulle vollero salire sui cubi, quindi Kijo e le altre lasciarono loro il posto. Uno degli amici di Mendo si prodigò per aiutarla a scendere, lasciando sostare la propria mano un po’ troppo a lungo sul suo fianco. Prese a mormorarle qualcosa all’orecchio e lei ovviamente ascoltava con interesse, come se non si fosse resa conto che si trattava di una scusa per starle così vicino. Beh, in quel momento fu troppo e prima che Ranma riuscisse a realizzarlo razionalmente, già si stava dirigendo verso i due per dare una svolta alla situazione. Le note attorno a loro si susseguivano frenetiche, con un ritmo incalzante che Ranma fece suo marciando verso l’obiettivo: schivò tutte le persone che si frapponevano sul suo percorso, addirittura ne superò un paio con un agile balzo; in men che non si dica fu davanti ai due, col ragazzo che lo guardava stranito e Kijo che sorrideva sotto i baffi.
“Mi dispiace amico, la signorina aveva preso un impegno col sottoscritto” gridò Ranma al tipo per far sì che le proprie parole superassero l’intensità della musica, mentre con entrambi i pollici indicava se stesso

“Ehi, ma che modi sono! Io e Kijo stavamo giusto facendo conoscenza, aspetta il tuo turno, bellimbusto!” il tipo scattò su, con le braccia aperte che agitava con aria infastidita. Se non altro gliele aveva tolte di dosso.

Notando che Ranma era già partito per sfruttare a suo vantaggio l’assenza della protezione della linea centrale dell’altro ragazzo, Kijo si frappose tra i due, costringendoli a fermarsi
“Ti ringrazio Akira per avermi tenuto compagnia, ma effettivamente ho un ballo con lui in sospeso. Piacere di averti conosciuto, ci vediamo più tardi!” a quelle parole il ragazzo perse tutta la baldanza, indietreggiò qualche passo e poi si dileguò stizzito, ma senza dire un’ulteriore parola
“Insomma? Vuoi rovinarmi tutta la piazza stasera?” sorrise Kijo in modo beffardo, ponendo le mani sui propri fianchi

“Se proprio vuoi raggiungere quel bietolone sei sempre in tempo: cammina alla velocità di una lumaca! In alternativa puoi tornare in pista con me…” le si avvicinò Ranma, con aria di sfida

“Saotome, non credo alle mie orecchie! Non eri tu quello che odiava ballare?” ridacchiò lei, fingendosi scandalizzata

“Oh, andiamo…me lo hai detto tu che questa è una serata fuori dal comune, no?” le mise un braccio attorno alla vita e la sospinse leggermente verso la pista; lei assecondò il gesto e si fermò in una zona dove la densità delle persone consentiva un minimo di movimento

“Osi controbattermi con le mie stesse parole? Astuto…” gli riservò un sorriso sghembo e piantò lo sguardo nei suoi occhi, poi con studiata lentezza intrecciò le proprie mani dietro il suo collo. In quell’istante partirono le note iniziali di Crazy for you e i due si rivolsero un’occhiata complice e piena di sottintesi, mentre Ranma aveva finalmente trovato il coraggio di stringere Kijo a sé. Rimasero così, persi nel loro mondo, ondeggiando abbracciati e sciogliendosi in un contatto che diventava sempre più esteso, sempre più audace, sempre più urgente.
Fu tramite un muto accordo che, una volta terminata la canzone, uscirono dalla pista, dalla sala da ballo, dalla festa, per trovare quell’intimità impossibile da ottenere in un luogo così affollato.

Si chiusero nell’ascensore, ridendo, e Ranma premette il tasto 4, facendoli scendere di un piano. Quando le porte si spalancarono, fu subito visibile la macchinetta a forma di polpo spara-chiavi, appoggiata su un tavolinetto lì accanto
“Cos’è che bisognava fare? Dire tre volte Mendo Shutaro davanti allo specchio?” scherzò Kijo, per cercare di smorzare la tensione che stava diventando sempre più palpabile ogni secondo che passava

“Eh? Che significa?” chiese Ranma con un’espressione interrogativa dipinta sul volto: vuoi per l’emozione, vuoi per l’alcool, non sembrava particolarmente attivo nel cogliere i riferimenti

“Saotome, la tua cultura horror fa pena…ma non preoccuparti, rimedieremo” Kijo arricciò le labbra mentre digitava sul tastierino la password con gli auguri di Natale; dalla bocca del polpo venne sputato fuori un mazzetto di chiavi con un’elegante targhetta rossa e nera recante la numerazione «48». Kijo afferrò le chiavi e le lasciò penzolare un momento tra loro; si guardarono per un lungo istante, quasi ad assicurarsi reciprocamente che non ci fossero ripensamenti, poi Ranma le prese la mano e si incamminò verso la porta indicata.
Il corridoio era deserto, rischiarato da una luce soffusa e calda; molte camere dovevano già essere occupate, dato che ne provenivano dei rumori ovattati o si riusciva a scorgere una fonte di illuminazione da sotto la porta.

Quando arrivarono davanti alla stanza 48, il codinato si allentò un po’ la cravatta e sbottonò il primo bottone della camicia, deglutendo. Era visibilmente nervoso, ma i suoi occhi ardevano di determinazione
“Kijo…vuoi…?” riuscì a dire, un groppo in gola che gli bloccava le parole.

Per tutta risposta la ragazza gli sorrise con una punta di malizia, infilò la chiave nella serratura e iniziò a girare le mandate…una… due…tre…clac! La porta si aprì e lei entrò subito, senza nemmeno accendere la luce, poi si voltò verso il ragazzo che era rimasto sulla soglia e gli bisbigliò con voce roca
“Sì, Ranma. Voglio.”

Ranma entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Per tutti i kami, come era bella! Era lì, a pochi passi, che lo guardava languidamente. Ma quei passi erano estremamente difficili da compiere, nonostante si sentisse divorare dal desiderio; cercò di tornare in sé, di affrontare quella nuova sfida come quando studiava un avversario in lotta, ma si trovò spiazzato perché lei non era affatto sulla difensiva, anzi, sembrava invitarlo ad avvicinarsi. Solo in quel momento realizzò che era lui quello che se ne stava sulla difensiva e comprendere il perché non gli fece per nulla piacere. Non poteva però negare delle sensazioni così evidenti, per cui scese a patti con se stesso e fece una cosa che raramente aveva avuto il coraggio di fare: si aprì totalmente, con sincerità
“Anch’io…non sai quanto” confessò col fiato corto, stringendo i pugni come se stesse compiendo una lotta immaginaria per darsi forza
“Solo che, sono un idiota, lo riconosco, non mi sento totalmente libero di compiere questo passo…”

“Ranma, io non voglio forzarti a fare niente…se non ti senti in te, se sei stordito o un po’ brillo io non insisterò di certo. Se…questo dovesse succedere, voglio che sia quando ne sei completamente consapevole” Kijo aveva fatto un passo nella sua direzione, e lo guardava conciliante, con lieve accenno di apprensione

“Non è questo…io sono nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, non è come quando ho bevuto quella specie di insetticida! È che…purtroppo io moralmente provo rimorso per essere ancora fidanzato con Akane. È stupido, lo so, non ci sentiamo da mesi, ma questo impegno che non ho mai sciolto va a ledere il mio senso dell’onore e questo non riesco a sopportarlo” Ranma parlò tutto d’un fiato, come se volesse togliersi un enorme e opprimente peso dal petto.

Kijo annuì, cercando di mostrarsi solidale, quindi si lisciò il vestito e fece per incamminarsi verso la porta. In silenzio. Di tutti gli scenari che si era immaginata per quella sera, quello non era stato affatto contemplato. Quando arrivò accanto a lui, le afferrò il braccio destro, trattenendola, quindi si voltò di scatto e lo guardò. Era titubante, si percepiva una sorta di conflitto interiore che lo animava mentre lui non riusciva a decidere a quale parte dar retta. Improvvisamente ruppe lo stallo di cui era preda e le mormorò, a bassa voce
“Puoi aspettare solo un secondo?”

Lei rispose con un cenno di assenso e lo guardò dirigersi verso il bagno: un tempismo impeccabile, non c’è che dire. Proprio mentre stava pensando a quanto fosse assurda tutta quella situazione, la porta del bagno si riaprì piano e ne uscì…LEI! Kijo spalancò gli occhi vedendo la versione femminile di Ranma, coi capelli rossi gocciolanti e gli abiti da uomo bagnati. Si era trasformato volutamente in ragazza, decisamente neppure questo rientrava tra gli scenari contemplati!

“Ecco…io ho pensato che tecnicamente è solo la mia parte maschile a essere impegnata, per ora…quindi se a te…andasse, potremmo vivere…la nostra esperienza in questo modo” sospirò più volte e non riuscì mai a guardarla negli occhi, ma la proposta di Ranma era sincera. La desiderava così tanto da essere disposta a scendere a compromessi con il proprio corpo pur di sentirsi libera di amarla. Era un filo sottile quello su cui si muoveva con incerto equilibrio, un territorio inesplorato che prima di quella sera non avrebbe mai ritenuto possibile. Come poteva, da eccellente artista marziale e padrone di sé qual era sempre stato, ricorrere a un escamotage come quello per sentirsi meno in colpa? E poi, tutto quel senso di colpa così inopportuno in un momento del genere, da dove veniva fuori? Le altre volte in cui aveva avvicinato Kijo non sembrava esserne stato così tanto preda…Era anche vero che mai prima di allora il coinvolgimento fisico ed emotivo era stato parimenti forte. Onore, desiderio, senso di colpa, uomo, donna…Kijo! Vorticava tutto in quella sua testa momentaneamente incapace di razionalizzare, mentre il suo corpo era divorato dalle fiamme e il suo stomaco attorcigliato per l’attesa di una riscontro a quella sua assurda proposta.

“Ranma, tu mi piaci in ogni tua forma e, credimi, ti trovo molto attraente anche da ragazza…ma non voglio che tu venga meno ai tuoi principi, al tuo codice morale o a quant-” Kijo rimase con la frase in gola, perché improvvisamente Ranma aveva chiuso la distanza tra loro e l’aveva baciata. Le sue labbra erano morbide e piene, calde e impazienti. Dovette alzarsi sulla punta dei piedi, per compiere quel gesto, dato che Kijo era già di base più alta e in più indossava quei tacchi vertiginosi.
Quando Kijo riuscì a riprendersi dalla sorpresa, le regalò un sorrisetto sghembo e per prima cosa si chinò per togliersi le scarpe: era sempre più alta, ma almeno la differenza si era ridotta notevolmente. Fu lei in quel momento a prendere l’iniziativa, stringendo un braccio attorno alla vita di Ranma e attirandola a sé. Diavolo se era perfetta! Quegli occhioni blu giganti la squadravano come se stessero cercando di prevedere la sua prossima mossa, indugiando ogni tanto sulla pelle nuda che il vestito lasciava vedere. Le passò una mano sulle ciocche ribelli di capelli rossi, accarezzandole dolcemente e poi le si avvicinò all’orecchio, sussurrandole
“Posso…spogliarti di questi abiti così ingombranti?”

Lei tremò impercettibilmente a quella richiesta e si lasciò sfuggire un sospiroso “Sì”, al che Kijo le spinse indietro la giacca, facendogliela scivolare giù dalla schiena, fino a terra. Fece per scioglierle il nodo della cravatta, ma poi le passò uno strano guizzo negli occhi e mentre sul suo volto si accennava appena un sorriso malizioso decise di abbandonare l’operazione e passare a sbottonarle la camicetta.
Intanto Ranma, da canto suo, cercava di prendere confidenza con le sensazioni che il corpo femminile le stava regalando: le sembrava che ogni contatto fosse amplificato, di avere una sensibilità maggiore su ogni centimetro della propria pelle. Bastava che Kijo la sfiorasse per avvertire distintamente una sorta di fremito dipartirsi da quella zona e ogni tocco le faceva intensificare il respiro e richiamava il sangue in superficie, rendendola accaldata.
Quando la camicia fu tolta, a Kijo bastò slacciare la cintura affinché i pantaloni le cadessero da soli giù dai fianchi. Fu sorpresa di non notare i soliti boxer gialli e blu a cui Ranma era tanto affezionato: al loro posto c’era un altro paio di boxer, neri, più aderenti e dalla fattura più raffinata. Quanto era bella! Intravedere le sue forme sinuose sotto la canotta e l’intimo le fece desiderare di stringerla a sé, sentire la morbidezza tonica del suo corpo a contrasto col proprio. Si avvicinò a Ranma per ghermirla, ma la ragazza la sorprese con una mossa che la costrinse a dargli la schiena e le posò entrambe le mani sui fianchi, come per controllarne i movimenti. Lentamente, poi, spostò i lunghi capelli di Kijo oltre la spalla sinistra e andò ad afferrare il gancetto della zip che chiudeva il vestito. Con molta delicatezza fece scendere la cerniera fino a fine corsa e poi lasciò che l’abito scivolasse ai piedi di Kijo. Cinse poi la sua vita in un abbraccio, lasciando che il proprio seno aderisse contro la schiena di Kijo e il suo ventre contro il fondoschiena. Con studiata lentezza Kijo si voltò e per un instante si fece contemplare: per tutti i demoni antichi e quelli moderni, era uno spettacolo illegale! Portava quel completino nero di pizzo che avevano acquistato assieme quando cercava un pigiama, quello che gli aveva eliminato di colpo la salivazione.
Poi si avvicinò a Ranma e l’attirò a sé, cercando le sue labbra. Quel bacio fu esplosivo, un frenetico gioco di lingue mai paghe di esplorarsi. Preso un respiro profondo per ricomporsi un briciolo, Kijo prese a baciare il collo della ragazza col codino, dalla cima fino alla base della clavicola, senza perdersene un millimetro

“Se…faccio qualcosa che non ti piace, o che ti imbarazza, fermami, ok?” le mormorò Kijo

“Credo che tu sappia cosa piace a una donna…no?” cercò di sdrammatizzare Ranma, a cui sembrava letteralmente di andare a fuoco

“Tra poco lo saprai anche tu…” le fece un occhiolino la ragazza corvina, ponendole una mano sul fianco per poi farla risalire lentamente da sotto la canottiera, accarezzandole il ventre, fino ad arrivare al seno sinistro. Dapprima lo sfiorò leggermente, assaporando la sensazione di quella pelle morbida e delicata sotto le proprie dita, poi si fece più audace e vi strinse, senza esagerare, la mano attorno, strappando un gemito a Ranma, che la spinse sul letto.
“Sei incredibile…ti voglio…” le sussurrava la ragazza col codino, dopo aver posto la mano sul suo gluteo e averne assodato la consistenza. Per qualche minuto stettero lì, sdraiate, una di fronte all’altra, a percorrere le linee dei propri corpi con le mani, per esplorarli e prenderci confidenza. Poi d’un tratto Kijo si sollevò con un colpo di reni e si portò sopra Ranma, bloccandola con le gambe sotto di sé. La sua mano corse veloce alla canottiera, che sollevò quel tanto che bastava per lasciarle il seno scoperto. Le cercò il capezzolo destro con la bocca e come l’ebbe trovato, vi disegnò una tortuosa spirale con la lingua e poi lo risucchiò appena. Ranma era totalmente fuori di sé, era come se il suo corpo stesse esplodendo dall’interno con quel vortice di emozioni che la sopraffacevano. Come diamine riuscivano le donne a gestire tutto questo?
Kijo gradì l’apprezzamento che la partner le aveva dimostrato e riservò lo stesso trattamento al seno sinistro, per poi scendere sulla pancia, verso l’ombelico. Arrivata a quel punto solleticò le gambe della ragazza fino ad arrivarle all’interno coscia. Come se fosse un riflesso incondizionato, Ranma aprì leggermente le gambe, permettendo alla mano di Kijo di avventurarsi lungo i bordi dei boxer. Dapprima lasciò che il contatto con la sua zona più intima venisse filtrato da quel velo sottile di cotone, poi, notando che il suo tocco risultava gradito, decise di far sparire anche quell’ultimo ostacolo. Il contatto diretto fu piacevolmente caldo e umido, segno che Ranma si stava davvero lasciando andare; quando le sembrò che le sue carezze avessero fatto il proprio tempo, Kijo si portò i capelli da una parte e scivolò col viso vicino a quella zona, iniziando a baciarle l’interno coscia. Ranma non riusciva più a controllarsi, era come se tutte le sensazioni che aveva provato fino a quel momento non fossero che un preludio a quello che stava per avvenire. Quando Kijo la toccò, nel suo punto più delicato, con la sua lingua calda e bagnata, non ce la fece più a trattenersi e si abbandonò a quegli spasmi che si irradiavano come ondate dal suo basso ventre. Nel farlo tuttavia cacciò un urlo che fece inarcare un sopracciglio a Kijo, la quale tuttavia si sentì lusingata per l’effetto sortito. Sollevando il volto per qualche secondo si rese conto che nell’impeto del momento Ranma aveva battuto una testata contro la testata del letto e in quel momento si stava massaggiando la nuca: questo la portò a interrogarsi con ilarità sulla vera natura dell’urletto lanciato poco prima.
 
Un altro mistero del corpo femminile era quanto rapidamente ricomparisse l’eccitazione dopo la soddisfazione dell’orgasmo: era dunque vero che potevano provarne svariati di fila? Scacciando quel pensiero dalla mente, Ranma rotolò sopra Kijo e la baciò intensamente. Le fece strano sentire il suo più intimo sapore sulle sue labbra, ma in fondo in quella situazione non c’era proprio niente di normale. Prese il coraggio a quattro mani e, fissandola dritta negli occhi, le confessò
“Kijo, è stato…wow! Ma mi sono accorta che non mi basta. Io ho bisogno di amarti come un uomo ama una donna e non c’è onore che tenga in questo momento…sempre che tu voglia…”

La ragazza era più confusa di quanto avrebbe voluto ammettere: il suo cuore stava facendo le capriole e le proprie sensazioni erano perennemente sulle montagne russe, quindi non si pose troppi quesiti a cui non avrebbe saputo rispondere e si limitò a sorridere ammiccante, confermando la sua disponibilità.

Ranma scese dal letto inciampando nel lenzuolo ma, prima che Kijo potesse accennare un gesto per aiutarla a rialzarsi, sparì nuovamente nel bagno e quando ne riemerse era coperto solo da un asciugamano legato in vita. Per tutte le statue greche e romane, se c’era un modello da prendere a ispirazione era proprio quello! Kijo non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, era uno spettacolo così perfetto che faticava a credere che fosse reale e soprattutto che fosse lì con lei!

Ranma la raggiunse sul talamo e si inginocchiò al suo fianco, quindi la trasse a sé e la baciò avidamente, poi le sussurrò all’orecchio
“Adesso vediamo se ho imparato qualcosa…” e cominciò a sfiorarle il collo con le labbra. Kijo fu accesa immediatamente da quel contatto e soffocò un gemito accennandogli un morso sul deltoide
“Dunque, se non sbaglio questo ti piaceva…” le disse prendendole entrambe le mani e iniziando a solleticarle i polsi con la bocca. Un brivido incontrollabile percorse Kijo dalla testa ai piedi, costringendola ad ansimare

“Uh…che memoria…a te invece se non ricordo male piaceva questo…” gli rispose baciandolo e mordicchiando il suo labbro inferiore, aspirandolo leggermente, poi lo spinse con la schiena sul materasso e lo seguì mantenendo il volto a pochi millimetri dal suo. Poteva sentire il respiro accelerato sulla propria pelle e le sue mani che vagavano per la sua schiena, stordendola ulteriormente: si fermarono vicino al gancetto del reggiseno, provando ad aprirlo con impazienza e senza risultato
“Non ti amareggiare, questo è un modello difficile…c’è un trucchetto che devi imparare” gli confidò Kijo, stringendo le due estremità della chiusura e sganciandole per lui.

Per poco non si sentì male quando il seno di Kijo rimase completamente scoperto, a pochi centimetri da lui: si sollevò verso di lei e lo accarezzò, dapprima timoroso, poi con più decisione. A lei doveva piacere, perché nonostante cercasse di controllarsi, si lasciava sfuggire dei gemiti di apprezzamento a seconda di come lui la toccava, che lui usava come guida per comprendere cosa le piaceva e continuarlo. Wow, era inebriante avere un tale potere su di lei e al tempo stesso esserne totalmente soggiogato, soprattutto adesso che lei si stava strusciando voluttuosamente contro il suo basso ventre. Niente da fare, se voleva il gioco duro lo avrebbe avuto! Facendo forza su un gomito la ribaltò completamente e, sebbene avesse dovuto rinunciare all’asciugamano, gli riuscì una presa perfetta
“Bene signorina, da questo momento il gioco lo dirigo io…” le disse con occhi fiammeggianti spostando le proprie labbra sul suo seno

“D’accordo Casanova…mi arrendo…hai vint-ooh!” c’era da dire che il ragazzo imparava in fretta, il suo seno era diventato un parco giochi per la sua lingua, che lo esplorava con frenesia.

Lui aveva vinto. Nonostante fosse probabilmente una frase fatta, ebbe comunque il potere in quel momento di renderlo più audace, tanto che afferrò gli elastici delle mutandine di Kijo e per poco non gliele strappò di dosso. Sentì che non avrebbe resistito ancora a lungo, la sua erezione era ormai piuttosto evidente e l’unico pensiero che gli pervadeva la mente era quello di farla sua completamente. Prima volle però sondare il terreno e avvicinò il proprio indice alla bocca di Kijo, disegnandone dapprima i contorni delle labbra e poi spingendolo con delicatezza all’interno per inumidirlo. Maledetta! Non appena lo ebbe in bocca fece quel dannato giochetto con la lingua a spirale, strappandogli un gemito e mettendo ancora più a dura prova il suo già precario autocontrollo: benissimo, si sarebbe vendicato immediatamente! Ritirò la mano e la fece scivolare tra le sue cosce, fino alla sua zona più intima. Prese ad accarezzarla con diverse intensità e vide il suo petto alzarsi e abbassarsi sempre più rapidamente. Decise allora di darle il colpo di grazia, simulando con la lingua ciò che lei aveva fatto al dito, mentre quest’ultimo s’insinuava internamente. Inarcò di colpo la schiena, lasciandosi andare alle ondate di piacere che le lambivano il corpo. In quel momento Ranma le si avvicinò con l’inguine, baciandola di nuovo, ma lei lo bloccò, ansimante

“Un…momento solo…fenomeno!” estrasse dalla pochette un quadratino di plastica rossa che lasciava intravedere una sagoma rotonda al suo interno. Ranma lo fissò, preoccupato, e ammise

“Io…non so…non l’ho mai messo”

“Ehi…guardami…non ti preoccupare, ti aiuto io: lavoro di squadra, no?” così dicendo Kijo gli fece un occhiolino sperando di sollevarlo dall’imbarazzo e lo aiutò a indossare il profilattico
“Dov’eravamo rimasti, dolcezza?” gli domandò Kijo con voce suadente, passandogli una mano nei capelli e accennando a sedersi

“Eravamo rimasti che tu eri al tappeto!” la ributtò giù Ranma e poi, senza ulteriori indugi, le fu dentro. Per tutti gli spiriti che governavano l’universo! Come era possibile essere così totalmente presenti e consapevoli e così totalmente persi e fuori controllo allo stesso tempo? Non era mai stato un tipo che si poneva troppe domande sulle cose, ma quel paradosso per un istante lo colpì. Lei era riuscita a tirar fuori quella parte di lui, a fargli far pace con la sua sessualità, che adesso era sbocciata prorompente e avida. Vederla gemere e ansimare mentre sussurrava il suo nome lo galvanizzava come non avrebbe creduto possibile, ogni suo sospiro lo riconfermava potente e vincitore di quella lotta in cui l’unico premio in palio era la bruciante soddisfazione di entrambi. E lui lo voleva. E lo ottenne. Dopo poco sentì le gambe di Kijo stringersi più serratamente attorno ai suoi fianchi, le sue mani accartocciare il lenzuolo a cui si erano aggrappate e il suo volto assumere un’espressione di puro compiacimento: il suo piacere fu libero di esplodere e fu tanto intenso da risultare quasi doloroso…quasi. Si sentì dunque privato da ogni energia, come se avesse affrontato un allenamento durissimo e dovette fare molta attenzione per non crollarle addosso: era sopraffatto, stordito e ammaliato dagli occhi penetranti e languidi della sua partner, che gli stava carezzando distrattamente la schiena; decise di baciarla ancora, mentre piano si staccava da lei e le rotolava a fianco.

Portandosi sotto le coperte, Kijo si prese un attimo per contemplarlo: era semplicemente perfetto e ancora non riusciva a credere a quello che era appena successo! Vedendo che lui la fissava senza sapere cosa dire, decise di rompere per prima quel silenzio che si era creato
“Allora, Saotome, era come ti aspettavi?” provò a simulare baldanza, anche se teneva moltissimo a quella risposta

“No…in realtà è stato totalmente inaspettato…” confessò lui, indeciso se continuare o meno. Alla fine si decise a porre quella domanda che lo incuriosiva tremendamente “Hai avuto molte esperienze prima?”

Kijo si mise a ridere, non una risata sguaiata, bensì una serie di risatine rilassate sotto i baffi mentre si fingeva meditabonda
“Non con un ragazzo, a dirla tutta…ma ha davvero importanza? Caspita, mi piacerebbe sapere come mai me lo chiedete sempre tutti!”

“Scema! Ti sembra il modo di scherzare?” si imbronciò Ranma tirandole il cuscino, lei ormai rideva più vistosamente

“Sì, mi sembra il momento giusto, per sdrammatizzare un po’…” bloccò il cuscino con le braccia e lo piazzò di nuovo accanto al suo, facendo cenno a Ranma di adagiarsi. Il ragazzo le si sdraiò vicino e per un po’ stettero a rimirarsi negli occhi, accarezzandosi leggermente il volto e le braccia. Poi Morfeo ebbe il sopravvento. 
 
                                                               -§-
 
22 Dicembre
 
Qualche ora dopo le palpebre di Kijo cominciarono a stringersi sempre più infastidite: era ormai sorto il sole e quegli antipatici raggi le davano un fastidio tremendo. Non riuscì a trattenere uno starnuto, che fece sobbalzare Ranma al suo fianco, tuttavia non aveva ancora voglia di svegliarsi completamente quindi si tirò la coperta fin sopra i capelli, girò la testa dalla parte opposta della finestra e si riadagiò sul cuscino. Compiendo questa operazione non poté fare a meno di notare che Ranma la stava fissando, un’espressione interrogativa e indecifrabile sul volto
“Ehm…buongiorno?” le disse piano, adesso che lo stava guardando.

Oddio, parlare di prima mattina proprio no! Che ore erano? Non aveva importanza, per i suoi bioritmi era praticamente l’alba…tuttavia non voleva passare da maleducata, non dopo tutto quello che era successo. Quello che era successo! Il ricordo della notte precedente la colpì come un gancio ben assestato, in un paio di secondi rivide tutte le scene come in un filmato in avanzamento veloce
“Buongiorno a te…tutto bene?” gli chiese notando che il suo volto tradiva sempre più un’aria nervosa

“Sì beh ecco…tu? Immagino che adesso dovremo sposarci…” le lanciò addosso quel dubbio tanto velocemente, come se avesse una patata bollente di cui liberarsi.

Cosa? COSA? Ti prego non ridere, ti prego non scoppiare a ridere!
Kijo lo fissò con occhi sbarrati, ancora intontita dal sonno. Sbatté lentamente le palpebre due o tre volte, poi capitolò e la ridarella prese il sopravvento
“Ah ah ah! Oddio ti prego scusami…non sto ridendo di te, te lo giuro…” gli disse cercando di controllare la respirazione, per provare a smettere.
Che figuraccia!

Ranma intanto si era seduto sul letto, incrociando le braccia in attesa di una spiegazione a tutta quella ilarità.

Quando riuscì a calmarsi, Kijo prese un respiro profondo e poi cominciò
“Ranma…quello che è successo stanotte è stato molto importante per me e molto bello e non nego che spero possa accadere ancora…”

“Ma…” proseguì lui, dato che lei aveva preso una pausa

“Ma abbiamo diciassette anni, non voglio che ti leghi a me solo perché ti senti in colpa o in dovere dato che abbiamo avuto un rapporto carnale. Non c’è nessun onore da reclamare qui. Se questa notte sarà il preludio a una storia d’amore di una vita ben venga, ma non voglio che sia la ragione su cui basare un legame, non so se mi spiego…”

“Wow, certo che non usi mezzi termini tu…comunque, non nego di essere in parte sollevato: non so se sarei stato davvero pronto ad affrontare il matrimonio con una donnaccia” sorrise da sbruffone su quell’ultimo termine, ma le sopracciglia che fino a poco prima erano aggrottate si erano rilassate e l’espressione generale sul suo viso si era fatta più serena.

Kijo finse di offendersi e iniziò dapprima a picchiarlo col cuscino, poi a fargli il solletico, fin quando lui non la bloccò e la baciò di nuovo. Caspita, perché la cassa toracica era così stretta? Le sembrò che il suo cuore non avesse abbastanza spazio per battere all’impazzata.

“Una cosa però devo farla: devo rompere il mio fidanzamento con Akane. Non è giusto per nessuno che si trascini questa storia, non quando voglio stare con un’altra…” Ranma le confidò queste parole a fior di labbra, talmente vicino che poteva perdersi nei suoi occhi.

Lo strinse forte a sé e stavolta fu lei a baciarlo appassionatamente. Socchiudendo gli occhi lo vide arrossire: probabilmente gran parte della sua spavalderia era stata aiutata dall’effetto dell’alcool, tuttavia non sembrava pentito del risultato, quindi si perdonò per averlo sfidato a bere.

“Credo che dovremo uscire da questa stanza prima o poi…sono già le dieci!” la punzecchiò lui riavvolgendosi l’asciugamano in vita e dirigendosi verso il bagno.

Dannazione, quanto era bello!
Kijo si riebbe e smise di fissarlo famelica, quindi riconnetté il cervello e rispose
“Uffa, è prestissimo! E poi non temi di incontrare qualcuno una volta fuori? Non è molto semplice spiegare…questo!” indicando più volte prima il ragazzo e poi se stessa

“Porca miseria, non ci avevo pensato…dobbiamo sgattaiolare via senza dare nell’occhio!” così dicendo Ranma si affacciò alla finestra del quarto piano, rimuginando su quanto fosse alta

“Ehi, non ho intenzione di calarmi da lì! Non mi va di morire oggi!” protestò Kijo seguendo i suoi movimenti. Sbadigliò, portandosi una mano davanti alla bocca, poi, come fulminata da un’illuminazione, si affrettò a parlare
“Nessuno conosce Hokano! Basta un po’ di acqua fredda e abbiamo risolto il problema!”

“Sì, certo! E io dovrei rischiare che mi vedano uscire da una camera con un uomo?” obiettò subito Ranma

“A meno che…conoscono in tanti la verità su Ranko?” domandò Kijo pensierosa, con la mano che le sorreggeva il mento e l’indice che tamburellava sulle sue labbra

“Di quelli presenti alla festa solo le sorelle Tendo, che tra l’altro non credo siano rimaste qui”

“…e allora dolcezza, mi sa che è giunto il momento di uno scambio di vestiti!” sorrise maliziosa Kijo.

                                                        -§-
 

Qualche minuto dopo i due uscirono dalla stanza 48. La ragazza col codino si aggrappava tenacemente al braccio di Hokano, mostrando una certa difficoltà a camminare sui tacchi
“Come diavolo fai a muoverti su questi affari? Vanto un equilibrio molto sviluppato ma questi sono strumenti di morte!” brontolava con veemenza

“Tranquilla tesoro, se cadi ti reggerò io!” le rispose il ragazzo biondo, facendole un occhiolino e mandandola ancor più su tutte le furie.
Erano ormai vicino all’ascensore e quasi stavano tirando un sospiro di sollievo per non aver incontrato nessuno quando dalla 43 videro uscire Kotaro con due ragazzone alte e bionde, l’aria di essersela spassata un mondo. Quando si accorse che il corridoio era popolato, si schiarì la voce e mise su una faccia seria per darsi un contegno, si aggiustò gli occhiali, poi si inchinò alle signorine e si diresse verso l’ascensore. Ovviamente non riconobbe i due che lo guardavano con tanto d’occhi ed entrò in ascensore con loro domandando a che piano andassero. Hokano si stava violentando per non scoppiare a ridere, ma mantenne un aplomb degno di un inglese e rispose
“Al piano terra, grazie”.

Dopo che ebbero ripreso i loro cappotti, uscirono nella pungente aria mattutina di Dicembre: tutta la città sembrava travestita a festa, illuminata, colorata e decorata per rendere gioioso l’arrivo del Natale. Fuori dagli empori strani personaggi che rappresentavano la fusione di molte culture invitavano i potenziali clienti a dare un’occhiata: fuori da un negozio di fumetti sostava una Babba Natale con vestitino corto e molto sexy, truccata per assomigliare a Hitomi delle Occhi di gatto, che distribuiva piccoli gadget promozionali a ogni avventore; poco più avanti un Babbo Natale Samurai invitava i passanti ad assaggiare delle leccornie a base di carne cruda, mentre accanto un elfo verde regalava alle ragazze e ai bambini dei bastoncini ricurvi di zucchero.
Ranko si avvicinò con un grosso sorriso per ottenere il dolcetto e l’elfo, vedendo che era in compagnia, gliene allungò due, augurandole buone feste.

“Vedi, non è poi così male essere una ragazza, no?” esclamò Hokano, iniziando a scartare il bastoncino che gli aveva porto

“No, in effetti in queste situazioni risulta piuttosto utile…ehi, ma che fai? Non vorrai mangiarlo in pubblico? Ricordati che sei un uomo adesso!” Ranko bloccò Hokano e lo redarguì a voce un po’ troppo alta, dato che un paio di persone che camminavano di fianco a loro si voltarono a guardarli con aria perplessa. Hokano ridacchiava silenziosamente, mentre Ranko si affrettò ad aggiungere, molto a disagio
“Insomma, non sei più un bambino, datti un contegno!”

I curiosi furono paghi di quella conclusione e tornarono alle loro conversazioni, mentre Hokano si stava sbellicando per la scena. Continuò a scartare il bastoncino e lo infilò in bocca, tenendolo per il manico. A Ranko che lo fissava tra lo sconcertato e l’arrabbiato rivolse un occhiolino e spiegò
“Non ti preoccupare per la mia reputazione virile, non vado molto in giro in questo modo quindi non mi interessa particolarmente cosa pensano di me…inoltre il mio metabolismo maschile è molto più veloce, quindi non devo preoccuparmi troppo della linea!”

“Sei…terribile! Ok, ascolta, se proprio lo devi mangiare, cerca di farlo in modo un po’ più…decente!” distolse lo sguardo Ranko dalla sua bocca che si avviluppava al bastoncino e lo risucchiava all’interno più e più volte

“Più decente? Perché, che sto facendo di strano? È così che mangio normalmente…” replicò Hokano totalmente spaesato

“Oh, ecco…adesso si spiegano tante cose…” insinuò Ranko

“Che cosa vorresti dire?”

“Niente…ecco, magari non ripeterlo quando sei Kijo in mezzo alla classe, altrimenti i nostri poveri compagni devono correre in infermeria a farsi medicare il naso o in bagno!” lo prese in giro

“Sei il solito esagerato!” sbottò in un primo momento lui, poi si schiarì la voce e un’espressione furba apparve sul suo volto “Magari posso conservarlo per quando siamo da soli, se davvero ha questo potente effetto…”

Oh benedetti kami! L’immagine di Kijo che leccava il bastoncino di zucchero si materializzò istantaneamente nella sua testa, facendola diventare paonazza e costringendola a deglutire. Per poco non cadde dai tacchi, fortuna che il biondino fu pronto a sorreggerla.
 
                                                              -§-
 
Una ventina di minuti dopo giunsero davanti al dojo Tendo: stranamente era tutto buio e silenzioso in casa, quasi come se fossero usciti tutti.
“Ok, allora ripassiamo il piano: entriamo adesso e aspettiamo che rientrino mio padre e il signor Tendo. A quel punto gli comunicherò la mia intenzione di rompere il fidanzamento. Prima forse è opportuno che torniamo al nostro aspetto usuale, ti pare?”

“Non credi che accetterebbero meglio la tua decisione se gli spiegassi che vuoi stare con un ragazzo?” la prese in giro Hokano, alzando e abbassando ritmicamente le sopracciglia mentre indicava la propria figura con le braccia

“Idiota! Per chi mi hai preso? Forza, entriamo e andiamo a farci un bag-”

“SORPRESA!”

La luce si accese improvvisamente non appena varcarono la soglia di casa, ma lo sconcerto si dipinse sui volti di entrambe le parti: da un lato Ranko e Hokano rimasero abbagliati quasi come se li avessero scoperti sulla scena di un crimine, dall’altro, la famiglia Tendo quasi al completo e Genma Saotome non si aspettavano di certo di trovarsi davanti Ranma in versione femminile accompagnata da un ragazzo sconosciuto. La famiglia Tendo quasi al completo…ci volle qualche secondo a Ranma per realizzare che l’unica che mancava era Nabiki perché…
Oh cazzo, era tornata Akane!
 
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N.d.A.


Incredibile ma vero, sono già passati due anni da quando ho intrapreso questo percorso. La verità, per quello che vale, è che non avevo idea che sarei durata così tanto, mi ero autodiagnosticata al massimo qualche mese di resistenza e costanza per poi farlo finire nel dimenticatoio assieme a tutti quegli hobby che ho abbandonato quando la piacevolezza della “novità” diventava stantia.
Sfortunatamente per voi.
Doverosi i ringraziamenti a tutti coloro che hanno reso possibile la scrittura della mia storia, tra cui ricordo
- Charles Babbage, inventore del computer
- La FoodNess SPA, che ha creato il ginseng compatibile con la mia macchinetta, senza cui più e più volte mi sarei addormentata sulla tastiera
- I miei vicini appassionati di bricolage e giardinaggio, senza i quali col cavolo che mi alzerei nel mio giorno libero prima di mezzogiorno
- La maestra Lucia, che mi ha insegnato a scrivere un sacco di tempo fa


…e naturalmente grazie di cuore a tutti voi! ^.^
-N-

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Capitolo 26
*** Let it snow ***


22 Dicembre

Il volto della piccola Tendo era congelato in una smorfia di sorpresa piena di disappunto, mentre aspettava una spiegazione; invece Hokano aveva messo su un sorriso di circostanza, anche se stava morendo dentro.
Fu Kasumi a rompere il silenzio, domandando gentilmente
“Perché non ci presenti il tuo amico, Ranma? Si ferma a pranzo con noi?”

“La vera domanda è: perché diamine sei vestito come una baldracca? Ti ha dato di volta il cervello in questi mesi?” scattò Akane, non più capace di controllarsi. Sua sorella le pose le mani sulle spalle, invitandola a calmarsi e a non usare termini offensivi.

Grandioso! Ancora non sapeva nulla ma non l’aveva presa per niente bene.

“Suvvia Akane, non aggredire in questo modo il tuo fidanzato…abbiamo ospiti. Lascia che ci raccontino davanti a una tazza di tè!” suggerì Kasumi accomodante, mostrando con il braccio la sala da pranzo

“Ahi dei del cielo! Ahi spiriti degli antenati! Cosa ho fatto di male per meritare un figlio del genere?” si stava lamentando Genma, con le braccia protese teatralmente verso il soffitto.

“Papà, vuoi smetterla di fare il deficiente melodrammatico? E tu? Sei tornata dall’Italia dopo mesi di silenzio solo per insultarmi senza sapere niente della situazione? Beh, per quanto mi riguarda potevi anche rimanerci!” incrociò le braccia al petto Ranko, sbuffando

“Ah sì? E io che credevo fosse una bella idea passare il Natale tutti insieme come una famiglia! A quanto pare mi sono sbagliata, visto che tu adesso hai altri gusti! Ero consapevole di stare con un pervertito, ma non credevo così tanto!” esplose Akane, ignorando totalmente i suggerimenti della sorella

“Signorina, se posso permettermi…” provò a intromettersi il ragazzo biondo, cercando di far placare la giovane Tendo

“Fai meglio a tacere tu! Con tutte le ragazze vere che c’erano proprio questo idiota ti dovevi trovare? Almeno ti ha raccontato che razza di scherzo della natura è?” Akane si rivolse furente anche al loro ospite.

Caspita, chissà se quel caratterino era stato forgiato dai mesi vissuti a contatto con le scenate italiane oppure se era sempre stata così.

“Akane, per favore! Adesso contieniti! Non si tratta così un ospite…chiedi immediatamente scusa” Kasumi le si pose davanti, autoritaria e risoluta come non l’aveva mai vista, obbligandola a fare un passo indietro e scusarsi

“Ti chiedo perdono, sono stata veramente maleducata” si inchinò davanti a lui stringendo tuttavia i pugni dalla frustrazione, cercando di controllare il tono della propria voce perché non risultasse troppo aggressivo “Spero vorrai accettare il nostro invito a pranzo: mia sorella fa degli yakitori buonissimi”

Hokano, del tutto spiazzato, cercò con lo sguardo Ranko, che annuì come a suggerirgli di accettare
“Ehm…d’accordo! Non vedo l’ora di provare per la prima volta in assoluto la cucina della signorina Kasumi!” esclamò fingendo entusiasmo

“Come conoscete il mio nome?” domandò la maggiore delle sorelle Tendo
Oh cavolo! Fregato! Hokano si guardò intorno per trovare l’ispirazione per una risposta sensata, quando inaspettatamente Ranko gli venne in aiuto

“Il tuo grembiule. Ha scritto il nome sopra” disse indicandola con il dito

“Oh, certo, che stupida! Avete visto che carino? Me lo ha portato Akane dall’Italia e ci ha ricamato personalmente il mio nome…” ridacchiò Kasumi lisciandoselo

“Ranma, per caso hai idea di dove possa essere Nabiki? Non è mai tornata a casa stanotte” parlò infine Soun Tendo, vistosamente preoccupato, mentre si rosicchiava le unghie sempre più a sangue

“Io non saprei…” rimase sul vago la ragazza col codino

“Sei un irresponsabile! Io ti ho affidato le mie figlie e tu che fai? Fai rincasare da sola una e perdi di vista l’altra? Per cosa poi? Per tornare la mattina dopo con un uomo?” scoppiò a piangere Soun, mentre Akane cercava di consolarlo dandogli pacche comprensive sulle spalle.

Rieccoci…
“Ehi, ma sono entrambe più grandi di me! Mica potevo far loro da babysitter? E poi…” si stava accalorando Ranma, ma venne interrotta dal ragazzo biondo

“…e poi Ranma si è preoccupato dell’incolumità della signorina Nabiki, chiedendo aiuto alla sicurezza del locale per rintracciarla: per motivi dovuti alla privacy non possiamo rivelare dove si trovi, ma state sicuri che non corre alcun pericolo e sicuramente sta bene” subentrò Hokano, improvvisando la parte della security

“Sarà meglio per voi! Se è accaduto qualcosa alla mia bambina sotto la vostra responsabilità state pure sicuri che…” Soun si bloccò di colpo sentendo il rumore della porta d’ingresso che si apriva.

Nabiki passò in mezzo a loro con aria trasognata, dando un bacio sulla guancia al padre, salutando distrattamente la sorella che non vedeva da mesi e ignorando completamente il tipo sconosciuto
“Buongiornissimo a tutti! Vado a darmi una sistemata e scendo per pranzo!” comunicò sorridendo. A Hokano sembrò pure che canticchiasse salendo le scale, ma non disse nulla.

“Beh, tutto bene quel che finisce bene, no?” concluse Kasumi con la consueta dose di ottimismo

“Forse sarebbe opportuno che ti rendessi presentabile anche tu, prima di pranzo…” commentò Akane a denti stretti, rivolta al fidanzato

“Sì, ho capito! Il mio corpo femminile ti disgusta! Vado a cambiarmi!” sbottò Ranma, furente, percorrendo a grandi falcate il tragitto dall’ingresso alla sua camera.

In un istante Hokano si trovò tutti gli sguardi puntati addosso e cercò di intuire le domande che avrebbero potuto fargli per cercare una risposta plausibile. Accidenti quanto era estenuante, però!
 
                                                                    -§-
 
Dopo aver preso la tuta con la casacca rossa e i suoi adorati boxer gialli e blu, non senza sbattere un paio di cassetti ben più del dovuto, Ranma si diresse nella stanza da bagno. Aprì il rubinetto alla massima potenza per riempire la vasca di acqua calda: a dirla tutta un po’ gli dispiaceva lavarsi, dato che ponendo la dovuta attenzione poteva ancora sentire l’odore speziato di Kijo sulla sua pelle; tuttavia non poteva fare altrimenti. Maledizione! Proprio adesso doveva tornare quella stupida? Chissà come si sentiva Kijo…come minimo spaesata, ma non si sarebbe stupito neppure se ce l’avesse avuta a morte con lui, dopotutto le aveva manifestato l’intenzione di rompere il suo precedente fidanzamento e invece eccoli lì a pranzare tutti insieme allegramente.
Mentre si toglieva il vestito di Kijo, avendo cura di non sgualcirlo, Ranma si sorprese a guardare il proprio riflesso nello specchio: cavolo, con quella biancheria di pizzo risultava proprio bella! Non poté far a meno di pensare a come l’avrebbe guardata Kijo, quanto l’avrebbe desiderata e trovata sensuale…Ehi, ma che era impazzito? Non gli era mai capitato prima di soffermarsi così a lungo sul risultato della sua maledizione e si prese a schiaffi mentalmente per aver indugiato tanto su quei pensieri.

“Di bene in meglio! Indossi anche biancheria femminile adesso? E pure di dubbio gusto se mi permetti!” esclamò Akane entrando nel bagno senza bussare, fermandosi di colpo davanti a quello spettacolo

“Ehi, cafona, potresti almeno bussare prima di piombare in un bagno occupato e insultarmi con la delicatezza di un uragano!” gridò Ranma, coprendosi con le braccia, istintivamente

“Sei solo un pervertito! E comunque ti ricordo che questa è casa mia ed entro dove mi pare!” uscì lei furiosa, sbattendo la porta. Ranma frenò l’impulso di tirare un pugno allo specchio per mandarlo in frantumi, si tolse rapidamente il completino e decise di buttarsi nella vasca.

Intanto al piano di sotto arrivavano forti e chiari i rumori del loro litigio, tantoché Genma prese a braccetto Soun, commentando
“Quanto ci mancavano questi battibecchi, eh? La lontananza non ha scalfito per niente i loro sentimenti…”

A quell’ultima affermazione per poco Hokano non soffocò con un sorso di tè. Dunque era quella la famosa Akane Tendo, la ragazza di cui tutti le avevano narrato meraviglie, bramata dagli uomini e invidiata dalle donne; colei che era stata capace di far compiere il giro di mezzo mondo a Ryoga solo per andare a trovarla, colei che racchiudeva in sé tutte le speranze e l’orgoglio della propria famiglia. Colei che pareva avere come unica pecca quella di non saper cucinare. Eppure…
Era consapevole che fosse l’ultima persona sulla faccia della Terra a poter esprimere un giudizio nei suoi confronti e che fra tutti i momenti in cui avesse potuto fare la sua conoscenza quella mattina era decisamente quello più sbagliato in assoluto, tuttavia non poteva far a meno di pensare
Ma davvero?
Intendiamoci, era una ragazza molto carina nell’aspetto ma non al pari di altre spasimanti di Ranma: Shampoo ad esempio era molto più bella a suo gusto. Quanto al carattere…beh, ci aveva ancora interagito poco quindi non sarebbe stato corretto sbilanciarsi, ma le era sembrata piuttosto fumantina al limite della maleducazione e decisamente col dente avvelenato nei confronti di Ranma. Il disgusto presente nel suo tono di voce quando aveva menzionato gli abiti femminili che indossava poi, l’aveva colpito come una stilettata. Sembrava che tollerasse la sua forma da donna ancor meno di quanto la sopportasse Ranma stesso: e sì che lo aveva conosciuto dopo la visita alle Sorgenti Maledette, addirittura aveva visto la sua versione femminile prima di quella maschile e nonostante tutto aveva acconsentito al fidanzamento. Da dove proveniva allora tutto quel rancore?
La verità era che in tutti quei mesi lei si era ricreata nella propria mente un’immagine della fidanzata di Ranma assurta a una semi-divinità, un’entità astratta e lontana che racchiudeva in sé la quintessenza di ogni pregio, quindi era comprensibile che trovandosela davanti in carne ed ossa non avesse retto il confronto…C’era solo da capire dove questa ragazza si collocasse nella via di mezzo che collegava la sua idealizzazione con la prima impressione leggermente deludente, ma era davvero sicura di volerlo scoprire?

Dovette sbattere un paio di volte le palpebre per tornare all’ambiente che lo circondava dopo essersi perso così profondamente nei suoi pensieri. Si trovò davanti il dolce volto di Kasumi che, con un vassoio in mano, gli stava chiedendo
“Quanti yakitori vi posso servire, signor Hokano?”

Oh cavolo! A quanto pare tutti si erano già disposti attorno al tavolo eccetto Ranma, che scese proprio in quel momento e si sedette sul cuscino accanto a lui. Profumava di fresco e di pulito ma aveva un’espressione scura sul volto.
“Ehm, due vanno bene grazie…” rispose il ragazzo a Kasumi, che lo servì prontamente

“Per la miseria ragazzo, mangi meno di mia sorella, il che è tutto dire! E mi riferisco a Kasumi, non ad Akane che ha un appetito fuori dal comune…come farai a mantener su quei muscoli da buttafuori se non ti nutri a sufficienza?” commentò Nabiki lanciandogli un’occhiata sagace. Se non altro era tornata in sé.

“Andiamo Nabiki, non sindacare…ce ne sarà di più per noi!” esclamò Genma sfregandosi le mani e dando una grossa pacca sulla spalla a Soun

“E così tu sei il buttafuori della discoteca in cui questa notte sono stati a spassarsela Ranma e le mie sorelle…dimmi, si sono comportati bene?” indagò Akane, rivolgendosi direttamente a lui

“Beh, non è che io sia stato esattamente lì a controllare…” rispose lui, un po’ spiazzato da quella domanda, accarezzandosi la nuca

“Ah no? Credevo fosse il tuo lavoro…” replicò Akane e Hokano percepì una punta di ostilità. Ma forse se l’era solo immaginata

“Intendo dire che dal momento che ho controllato le persone all’entrata, se non ci sono disordini come risse, malori e altri eventi imprevisti non mi occupo dell’intrattenimento degli avventori” il ragazzo biondo cercò di mantenere un tono calmo e neutro, ma in realtà era un pelo scocciato

“Ancora mi sfugge perché hai accompagnato a casa Ranma” tornò alla carica Akane, ma inaspettatamente fu Nabiki a prendere la parola con una certa fretta, che la costrinse a riposare nel piatto lo yakitori che stava per addentare

“Suvvia sorella, non essere così pesante! Lui e Ranma si sono assicurati che la serata per me non prendesse una brutta piega: un tizio deve aver messo qualcosa di poco lecito in un drink che mi ha offerto e io ho perso un po’ il controllo; Ranma se n’è accorto e con l’aiuto del buttafuori mi ha trovato una camera per riposare e riprendermi. So che non ve l’avrebbero mai detto per preservare la mia dignità, ma ho commesso un errore e grazie a loro non ho avuto conseguenze gravi” così dicendo la ragazza accennò un occhiolino fulmineo nei confronti di Hokano, talmente fulmineo che egli dubitò l’avesse fatto davvero.

Quando riportò gli occhi su Akane notò un piccolo dettaglio che prima non aveva scorto e a cui nessuno sembrava aver fatto caso, ovvero un piccolo plettro giallo che ciondolava dalla catenina di caucciù attorno al suo collo. Sebbene avesse avuto milioni di modi per procurarselo a Hokano ne balenò in mente subito uno: un suo compagno di classe, Francesco, era solito regalare uno dei plettri che usava per suonare il basso nella sua rock band alle proprie amiche…non seppe spiegarsi la ragione, ma gli parve la congettura più giusta; normalmente firmava anche il plettro con un pennarello poiché aveva l’instancabile convinzione che prima o poi sarebbe diventato famoso, quindi credeva di fare un favore alla ragazza di turno.

Mentre si soffermava su questo dettaglio, venne riportato bruscamente alla realtà da un abbraccio stritolante del signor Tendo, che si era avvicinato a lui e aveva preso a singhiozzare
“Per fortuna ci sono ancora uomini come voi a proteggere le nostre fanciulle…grazie, siete degli eroi! Non saprò mai sdebitarmi abbastanza per aver vegliato sulla mia diletta figlia!”
Anche Kasumi aveva effettuato un inchino verso Hokano, profondendosi in ringraziamenti per essere rimasto accanto alla sorella inconsapevole preda di quei cattivoni.

Nel frattempo Genma si era appropinquato a Ranma e gli aveva dato una pacca sulla schiena talmente forte da fargli sputare il tè che stava bevendo direttamente in faccia ad Akane, seduta di fronte a lui
“Bravo figliolo! Ogni tanto ne combini una giusta anche tu! Finalmente hai compreso l’importanza e la responsabilità che deriva dall’essere il capofamiglia in carica, compresi gli obblighi nei confronti delle cognate! Dopo stanotte il nostro legame con la famiglia Tendo è ancora più indissolubile e-”

“Maledetto idiota, ma lo fai apposta o cosa? E questo qui sarebbe un eroe? Guarda in che stato hai ridotto il mio maglione preferito, imbecille che non sei altro!” sbottò Akane osservandosi l’indumento bagnato. Una vena prese a pulsare ritmicamente minacciosa sulla sua tempia.

“Ah, pure questo sarebbe colpa mia adesso? Mi ha schiaffeggiato sulla schiena mentre bevevo, che dovevo fare? Soffocare forse?” replicò il codinato sbattendo la mano sul tavolo, esasperato. Sembrava davvero irritato da quella situazione, come una belva in gabbia.

“Perdonami, forse tamponando con un fazzoletto non rimarrà l’alone del tè…” si avvicinò Hokano col tovagliolo in mano, cominciando ad asciugare il collo del maglione. Con quel gesto ebbe modo di confermare i suoi dubbi: sul plettro che Akane portava come ciondolo erano scritte col pennarello indelebile le iniziali del suo amico, F.D.

Tuttavia un secondo dopo gli arrivò uno schiaffo dritto sulla guancia sinistra e la ragazza che stava credendo di aiutare gridò
“Adesso ti ci metti anche tu? Levami le mani di dosso!!”

Hokano rimase interdetto, col tovagliolo sospeso a mezz’aria e cercò di spiegare
“Scu-scusami, non volevo mancarti di rispetto, cercavo solo di darti una mano”

“La tua manaccia tienitela in tasca, razza di viscido!” gli urlò contro la minore delle Tendo

“Akane! Kami del cielo, datti un contegno! E piantala di aggredire questo poveraccio che voleva solo essere gentile!” si infervorò Ranma alzandosi in piedi e sbraitandole proprio in faccia.

Nabiki intanto osservava la scena con noncuranza, mentre rosicchiava uno degli spiedini presenti nel suo piatto mimando sarcasticamente con le labbra il termine indissolubile.

“Se ci tieni tanto al tuo amichetto vattene con lui una volta per tutte! Qui nessuno sentirà la tua mancanza” rincarò la dose la ragazza, soffermandosi sull’appellativo in tono dispregiativo

“Akane, adesso basta. Chiedi scusa al nostro ospite e al tuo fidanzato, avanti. Non so cosa ti prenda oggi ma hai superato il limite”
Rimasero tutti a bocca aperta nel fissare Kasumi che si era nuovamente imposta con tanta autorità. Cavolo, quella giovane donna pur non alzando neppure il tono di voce era riuscita a ottenere un religioso silenzio: da quando aveva questo potere?

Ancora una volta sembrò che avesse la capacità di far mutare l’umore della sorella, che si ammansì e si rivolse a Hokano, accennando un inchino
“Ti prego di accettare le mie scuse” sillabò a denti stretti, poi emise un profondo sospiro di rassegnazione: possibile che una disgraziata non avesse neppure il diritto di sfogarsi dopo aver scoperto che il proprio fidanzato aveva preso a frequentare gli uomini? Cavolo, il dover reprimere a tutti i costi i propri sentimenti era uno di quegli aspetti che decisamente non gli mancava della sua terra natìa, nulla a che vedere con la libertà di espressione al limite dell’eccesso tutta italiana. Se la sentiva decisamente più congeniale. 

Kasumi prese quindi la parola, cercando di far riconquistare alla propria famiglia un barlume di dignità agli occhi del loro ospite
“Significherebbe molto per noi se voleste partecipare alla festa di Natale che organizziamo come ogni anno la sera della Vigilia”

Hokano restò un attimo interdetto dalla proposta e dall’atteggiamento di Akane.
Chissà che effetto aveva avuto sui propri compagni di classe in Italia, una tipa del genere…beh, su Francesco riusciva a immaginarselo, ma gli altri? Pareva dalle lettere ricevute che avesse legato molto con le sue amiche più care, Georgia e Sabrina, ma del resto anche Kijo aveva legato con Yuka e Sayuri. Cavolo, adesso come usciva da quella situazione? Davvero Ranma si sarebbe aspettato che passassero il Natale tutti insieme?

“Io non ho alcuna intenzione di farmi rovinare le feste da questo maschiaccio privo di sex appeal che non fa altro che offendermi! Spiacente, io me ne vado, visto che non mancherò a nessuno!” ruppe il silenzio Ranma, dirigendosi di gran carriera verso la porta

“Figliolo, dai fermati! Sono certo che Akane non intendeva davvero quello che ha detto, eh? Ormai facciamo parte della famiglia, sicuramente gli mancherem- ehm, mancheresti!” si affrettò a rincorrerlo Genma, mosso da intenti puramente altruistici, come al solito

“Tu fai cosa vuoi, ma io non riesco a stare in compagnia di una che mi detesta e mi urla dalla mattina alla sera. Non più almeno. Per quanto mi riguarda il fidanzamento è rotto” così dicendo Ranma si infilò le scarpe e uscì dalla casa

“Ma sì, vattene! Tanto sei tu quello che ci perdi!” gli gridò dietro Akane, rossa di rabbia, sventolando un pugno nella sua direzione

“Uh, se avessi uno yen per ogni volta che ho assistito a una scena del genere…Tranquillo Hokano, non dicono sul serio, poi fanno sempre la pace!” spiegò Nabiki concludendo con una lieve alzata di spalle all’ospite che sembrava un pesce fuor d’acqua

“Ehm, scusate, mi sento molto inopportuno, forse è il caso che vada anch’io…” borbottò Hokano, boccheggiando ancora scioccato per la litigata a cui aveva assistito

“Bene, arrivederci! Ci vediamo il ventiquattro verso le sette di sera!” gli sorrise Kasumi salutandolo amichevolmente. Quella prospettiva accrebbe ulteriormente la sua inquietudine.  
 
 
Uscì dalla proprietà dei Tendo e istintivamente cercò di capire dove fosse fuggito Ranma, ma non riusciva a elaborare un piano d’azione: era così devastato da tutte le forti emozioni che aveva provato in così breve tempo da risultare in tilt. Già la situazione era complicata di per sé, l’arrivo inatteso di quella ragazza poi non aveva fatto altro che scombinare ancor più le carte in tavola.
Ranma. Chissà che cosa gli stava passando per la testa. Un vento gelido gli scompigliò i capelli biondi e lo fece stringere nelle spalle per alzare il bavero del cappotto: non c’era un’anima in quella strada, nessuno a cui poter domandare se lo avessero visto. Improvvisamente, una ragazzina sui pattini dai folti capelli castani e il cappotto verde fece capolino all’orizzonte: indossava una papalina verde col pompon bianco e man mano che si avvicinava Hokano poté vedere che sul suo soprabito erano disegnate delle grandi renne col naso rosso. Fece per sorpassarlo e passare oltre, ma lui cercò di attirare la sua attenzione per chiederle se avesse incrociato Ranma

“Ehi, scusami…per caso hai notat-” le parole morirono in bocca al ragazzo quando si rese conto che i grandi occhi color petrolio di lei si spalancavano per la sorpresa e un cupido desiderio si impadroniva del suo viso

“Georgette!” gridò a un volume che non sembrava quasi umano “Finalmente ti ho trovato Georgette!” proseguì gettandogli le braccia al collo e gettandolo nello sconforto

“Eh? Scusa ragazzina, ma mi sa che ti sei confusa…” provò a ragionarci mentre tentava di scansarla, inutilmente

“Brutto cattivone! Tu hai rapito la mia Georgette! Dammela! Dammela! La voglio!” iniziò a sbattere i pugni sul torace di Hokano, mentre pestava i piedi per terra stizzita di rabbia. Lui era esterrefatto: aveva ragione Ranma a sostenere che la normalità in quel quartiere fosse merce rara!

“Non ho idea di cosa tu stia parlando! Calmati per l’amor del cielo!” cercava di tenerla a freno il giovane, invano: quella matta gli aveva agguantato la sciarpa e la stava tirando talmente forte che rischiava di strozzarlo. Paonazzo per l’incipiente mancanza di ossigeno, Hokano si decise finalmente a difendersi piantando tre dita all’altezza dello stomaco e due vicino all’ascella sinistra, facendo sì che la ragazza si accasciasse a terra come se avesse avuto le gambe di gelatina
“Tranquilla, l’effetto durerà solo qualche minuto!” le gridò mentre fuggiva da quella folle. Per tutta risposta lei scoppiò in un pianto disperato urlando a squarciagola

“Georgeeeeeeette! Ti prego non lasciarmiiiiiii!”
 
                                                        -§-
 
Correndo a rotta di collo per le vie del quartiere, quanto gli consentivano le scarpe eleganti che stava indossando, Hokano si ritrovò infine al parco. Non c’era nessuno in giro, complice il clima rigido e il cielo nuvoloso che annunciava imminente pioggia. Percorse i viottoli ghiaiosi a grandi falcate, muovendo freneticamente il capo da una direzione all’altra, sperando di scorgerlo, ma fu tutto inutile. Si lasciò sfuggire un grido semi-strozzato di frustrazione, stringendo i pugni  e irrigidendo le braccia lungo il corpo, mentre volgeva lo sguardo verso il cielo. E fu lì che lo vide. Appollaiato su un ramo dell’albero più alto del parco, fissava immobile il vuoto; la sua staticità era rotta solamente dai brividi involontari di freddo che lo costringevano a tremare, ma lo sguardo era puntato verso una direzione indefinita. Cavolo, era anche uscito senza giacchetto, dalla fretta!

“Ranma! Scendi da lì, ti prenderai un malanno!” gli urlò il ragazzo, che ricevette per tutta risposta solo uno sguardo inespressivo
“Dannazione, non farmi salire lassù! Non sono capace a cose normali, con queste scarpe poi…” gli si rivolse nuovamente Hokano. Ancora nessuna reazione.
“Per tutti i kami dell’universo, sta per venire giù il mondo! Degnati di tornare a terra, troveremo una soluzione!” tentò ancora una volta l’alter-ego di Kijo, che non vedendosi minimamente considerato decise di provare in qualche modo a salire. Accidenti, quella dannata corteccia era ghiacciata e scivolava che era una bellezza! Le sue mani non riuscivano a trovare appiglio per proseguire l’ascesa, ma non demordeva: aggrappandosi al tronco come un koala con gambe e braccia riuscì a giungere vicino al ramo su cui se ne stava il codinato
“Allora, ti devo trascinare giù per i capelli? Andiamo, non ti gioverà a niente stare qui a…AAAH!” la maledetta abitudine di gesticolare gli aveva fatto perdere aderenza e quindi stava precipitando a ruota libera.
Si svolse tutto in una frazione di secondo, ma Hokano percepì la scena come se si fosse svolta a rallentatore: Ranma con un agile balzo si frappose tra lui e il terreno, ammortizzando la caduta con il proprio corpo pronto a prenderlo in braccio. Beh, quasi pronto. Hokano era ben più pesante di Kijo e sebbene il codinato fosse molto allenato non riuscì a trattenerlo del tutto, col risultato che crollarono entrambi a terra.
“Ahio…” si lamentò Hokano massaggiandosi il sedere, poi però si rivolse subito a Ranma
“Grazie, mi sarei rotto di tutto se non mi avessi aiutato”

“Io non…so dove andare, cosa fare. Ho deluso la mia famiglia, stroncato il mio futuro. Non ho più nulla, nemmeno un posto per dormire stanotte…” stava annaspando Ranma, aprendo una breccia nel tumulto dei propri pensieri. Continuava a tenere lo sguardo fisso su di un punto davanti a sé, non riuscendo a rivolgersi direttamente alla persona che gli stava accanto.

Non lo aveva mai visto così…perso! Che stupida che era stata ad andare a letto con lui, non vedeva come lo aveva ridotto? Per lui l’onore, il rispetto della famiglia, il mantenimento di una promessa erano aspetti totalmente vincolanti e lei se ne era assolutamente fregata. Lei lo aveva rovinato, aveva distrutto tutto il suo percorso di vita fino a quel momento. Gli salirono le lacrime agli occhi, ma piangere non avrebbe cancellato il senso di colpa che ormai si era sedimentato all’interno del suo cuore.
“Ranma…perdonami, ti prego…è stata tutta colpa mia, ho sottovalutato quanto ti sarebbe costato abbandonarti tra le mie braccia. Ho sbagliato, ho privilegiato la scelta che mi intrigava di più rispetto alla scelta più giusta…poi tu avevi bevuto, non eri nemmeno del tutto in te! Ranma, ascolta, è colpa mia e tu non devi rimetterci tutto ciò per cui hai lottato fino ad oggi, se è quello che vuoi. Io sparirò, tra pochi mesi tornerò in Italia e non sentirai più parlare di me e…” il ragazzo biondo si zittì di colpo perché Ranma gli aveva premuto un indice sulla bocca e aveva raccolto una lacrima che stava rigando la sua guancia sinistra

“Basta adesso. Non dire altro, ti prego. Sto già abbastanza male. Credi che Tofu avrebbe da ridire se passassi la notte in infermeria, in attesa di una sistemazione più definitiva?”  

Hokano sbarrò gli occhi, poi scosse lievemente il capo in segno di diniego

“Bene, allora intanto cominciamo da qui. Che dici, facciamo un salto ai bagni pubblici?” propose Ranma, bramando disperatamente un barlume di lucidità; l’amico annuì una volta, in silenzio, e insieme si diressero verso la loro meta.
 
                                                            -§-    
 
“Non abbiamo mai appurato qual è l’esatta temperatura dell’acqua che ci fa trasformare” esclamò Kijo mentre camminava al fianco di Ranma verso lo studio di Tofu. Indossava una tuta dall’aria usurata con tanto di stampa di Cip e Ciop sulla felpa, ma quantomeno si era tolta l’abito maschile, che teneva in una busta

“Solo a te poteva venire in mente un problema simile in un momento del genere” sollevò gli occhi al cielo Ranma

“Non è un quesito idiota, pensaci! È scienza, potresti aiutarmi a condurre gli esperimenti…” iniziò a elaborare Kijo

“Non sei molto convincente come scienziata con quella tuta addosso…la felpa dei cartoni animati? Ma quanti anni hai, cinque?” la prese in giro scoppiando a ridere. Beh, almeno aveva scacciato i cattivi pensieri per un attimo

“Che problema c’è se mi piacciono i fumetti e i cartoni animati? A te non piacciono?” incrociò le braccia al petto Kijo e sollevò leggermente il mento

“Non c’è niente di più lontano da me che la passione per manga e anime…però alla fine immagino che sia una passione innocua…” sospirò Ranma e un’ombra passò rapida sul suo volto

“E comunque questa tuta è di quattro anni fa…sai, non lascio la mia roba migliore nell’armadietto che ho noleggiato ai bagni pubblici per le emergenze” cercò di riportare la conversazione su quell’argomento la ragazza

“Ecco, spiegherebbe perché sembra ti vada stretta e corta…ora, io non volevo dirlo perché voi donne siete suscettibili su questi argomenti ma…ahio!” il ragazzo fu costretto a fermarsi perché Kijo gli aveva rifilato un sonoro scappellotto

“Suscettibili, noi? Quando mai?” lo prese poi in giro facendo una linguaccia e scappando rapidamente verso lo studio. Ranma non poté far altro che correrle dietro, ma un sorriso si era fatto strada inconsapevole sul suo volto.
 
                                                             -§-
 
Kijo aprì la porta di casa ma tutto era buio e silenzioso. Ranma la seguiva un passo indietro, temendo di riceve un nuovo agguato come dai Tendo…ma tutto tacque. Kijo accese la luce, si tolse le scarpe nell’ingresso ed esplorò le stanze adiacenti alla ricerca del dottore. Poco dopo si riaffacciò all’ingresso, dove Ranma l’aveva aspettata, tenendo in mano un foglietto
“L’ho trovato in cucina, Ono non c’è” esclamò porgendoglielo

«Sono a Osaka da mia madre, tornerò domani in mattinata. Mi raccomando, non poltrire tutto il pomeriggio. C’è del tofu nel frigo, puoi mangiarlo se vuoi, anche se c’è scritto il mio nome sopra! ^_^ Ono» lesse il ragazzo, increspando leggermente le labbra per quella pessima battuta, poi si rivolse a Kijo con aria sorniona
“Beh, quindi immagino di dover chiedere a te il permesso di passare qui la notte…”

“Non guardarmi così Saotome. Con quegli occhi che ti ritrovi dovrebbe essere illegale” rispose lei, divertita appoggiando le mani sui propri fianchi

“Per quale motivo? Sei forse caduta preda del mio innegabile fascino?” si pavoneggiò lui, mettendosi in mostra con una piroetta

“Credevo che questo punto fosse chiarito ormai, ma evidentemente non sono stata abbastanza esplicita finora” Kijo assunse un’aria furba e piazzò il proprio volto a pochi centimetri da quello di Ranma, il quale divenne paonazzo e istintivamente chiuse gli occhi, ma lei si lasciò sfuggire una risatina e si avviò su per le scale, lasciandolo lì mentre commentava
“Non temere, non ti mangio mica! Vado a prenderti qualcosa di comodo per passare la notte”.


Dopo che ebbero preparato un letto dell’infermeria Kijo decretò che per nessuna ragione al mondo avrebbero mangiato quella tristissima confezione di tofu quella sera, pertanto attinse alla sua scorta personale di cibo italiano e si mise a preparare il sugo all’amatriciana. Sebbene Ranma non avesse idea di quello che stava combinando la maggior parte del tempo, si divertiva un sacco a osservarla: non c’era molta differenza tra vederla in cucina e vederla lavorare in laboratorio; ogni azione che compieva era studiata e precisa, frutto di un’elaborazione di appunti dettagliatissimi che consultava a ogni passaggio. La sequenza, la temperatura della pentola, la grandezza degli ingredienti sminuzzati erano tutti parametri di un esperimento che sembrava eseguire e, come ogni volta che aveva a che fare con le preparazioni in laboratorio, la cucina esplodeva nel caos delle sue pentole, ciotoline e mestoli che acquistavano un senso solamente grazie a un filo logico che era l’unica a comprendere. Quando si fu assicurata che il procedimento era terminato e necessitava solamente di cuocere a fuoco lento, si voltò lentamente verso Ranma e gli propose
“Ti andrebbe di aiutarmi a decorare questo posto per Natale? Tofu mi ha detto che potevo cominciare oggi se ne avevo voglia e considerando che mancano appena tre giorni sarebbe anche l’ora di creare un po’ di atmosfera…”

Il ragazzo rimase sorpreso da quella richiesta: com’era possibile che con tutto quello che stava succedendo Kijo si preoccupasse di allestire l’albero? O forse era proprio a causa di tutto il caos che gravitava loro attorno che cercava di appigliarsi a qualcosa di normale, calmo e pratico. Dopo essere rimasto in silenzio qualche secondo di troppo, si affrettò a rispondere
“Deve piacerti proprio tanto il Natale, eh? Tranquilla, ti do una mano io a spostare l’albero e gli scatoloni”

“È la mia festa preferita e quest’anno sarà…beh, diversa dal solito. Ma questo non vuol dire che non possa godermela ugualmente” Kijo fece una piccola pausa e sul suo volto si dipinse un sorriso appena accennato dal sapore dolce-amaro, poi continuò, abbassando lo sguardo
“C’è solo una cosa del Natale che mi manda in paranoia, ovvero il dover scegliere i doni più adatti alle persone. Ho sempre paura di regalare qualcosa di non gradito o inappropriato”

“Ovvio! Conoscendoti è molto probabile che tu regali qualcosa di inappropriato…” la pungolò Ranma e lei gli lanciò un’occhiataccia

“Non in quel senso, scemo! Non sono una ninfomane” lei si scaldò, ponendo entrambi i dorsi delle mani su fianchi e aumentando il tono di voce

“Ah no? Perché finora ho avuto prove del contrario” ammiccò il ragazzo col codino, sogghignando e inarcando le sopracciglia.

Se quelle parole fossero state dette da chiunque altro o con qualunque altro tono, Kijo era quasi certa che le sarebbe scappato uno schiaffo, ma non c’era malizia nella presa in giro di Ranma, solo voglia di scherzare, per cui decise di rendergli pan per focaccia
“Davvero? Per fortuna che ho trovato un partner per sfogarmi allora, altrimenti sarebbe stato imbarazzante…” gli disse con voce suadente, avvicinandosi al suo viso. Lo sentì deglutire rumorosamente e arrossì fino alla punta dei capelli. Era fatta, aveva avuto la sua piccola vendetta. Lo lasciò boccheggiare come un pesce fuor d’acqua per un paio di minuti, poi cercò di smorzare la tensione
“Andiamo Saotome! Puoi stare tranquillo, non ho intenzione di saltarti addosso. Piuttosto, mi farebbe tanto piacere se tu mi aiutassi a scegliere dei regali per i Tendo, per Tofu, per Ryoga, sempre che sia tornato…e naturalmente per te! Ancora non ho comprato niente, quindi ho pochissimo tempo per rimediare! Tu li conosci più di me, hai qualche idea?”

In quel momento la testa di Ranma era completamente vuota, spiazzato com’era dal repentino cambio di conversazione. Si divertiva a provocarlo, questo era certo; tuttavia in un certo senso aveva cominciato lui, quindi non poteva lamentarsi più di tanto
“Ehm…non lo so, però l’anno scorso alla festa di Natale ognuno ha portato un dono che fosse adatto a una persona del suo sesso e lo ha messo in una cesta apposita. Kasumi poi ha numerato tutti i doni per maschi e per femmine e a un certo punto della serata c’è stata un’estrazione casuale, cosicché ognuno avesse un regalo…” spiegò Ranma, riscuotendosi

“Oh, che bella idea! Almeno ognuno deve pensare a un solo regalo…oddio, forse tu ed io dovremmo farlo doppio, che dici?” scherzò Kijo

“Immagino che alla festa parteciperà Hokano o Kijo, quindi un solo presente dovrebbe bastare…comunque, bando alle ciance, abbiamo un albero da decorare! Dove tiene la roba di Natale il dottore?” Ranma intrecciò le dita delle proprie mani e si sgranchì le braccia tendendole, mentre Kijo faceva strada verso il ripostiglio.
 
 
Non appena aprirono la porta rimasero basiti: quella stanza era piena zeppa delle cose più disparate, tutte cosparse abbondantemente da uno spesso strato di polvere e illuminate dall’alto da una misera lampadina penzolante dal soffitto. Trovarono scatoloni contenenti vecchi libri e appunti dell’università, uno slittino per la neve, una radio risalente ad almeno cinquant’anni prima, un antico grammofono e una collezione di dischi adiacente, una cassetta degli attrezzi malridotta, una scala senza un paio di pioli…sembrava che in quel vano fosse stato accatastato tutto alla rinfusa, pertanto ci misero un po’ prima di trovare l’albero e gli addobbi natalizi. Ranma perse il conto delle volte che starnutì, giacché spostando le scatole sollevava dei notevoli sbuffi di polvere. La cosa più complicata fu riuscire a sfilare tutte le scatole senza che quelle che vi erano appoggiate crollassero a loro volta: si impegnarono molto, elaborando una strategia invidiabile da qualsiasi giocatore di Jenga, finché non riuscirono ad accaparrarsi tutto il necessario senza far danni.
Una volta fuori dal ripostiglio si guardarono e scoppiarono a ridere, dato che tra tutti e due erano in uno stato pietoso, coperti di polvere e coi capelli totalmente scompigliati, inondati da cartoni e buste. Accatastarono tutto da una parte e scelsero il posto in cui posizionare l’albero: Kijo avrebbe voluto farlo in salotto, da tradizionalista qual era, ma Ranma la convinse che era meglio farlo nell’ingresso, così tutti i pazienti avrebbero potuto godere dello spettacolo mentre attendevano. Come aprirono l’albero si resero conto che era piuttosto malridotto e la base era pure traballante, quindi si ingegnarono a rafforzarla con stecche di fortuna affinché rimanesse in piedi più o meno stabilmente; fu la volta quindi delle luci, per le quali adoprarono una tecnica innovativa di Ranma, ovvero far girare l’albero attorno al filo. Il ragazzo si pose alla base dell’abete e cominciò a ruotarlo a velocità sempre crescente, tantoché Kijo riusciva a malapena a stargli dietro col filo da posizionare; non sapeva spiegarselo, ma in qualche strano modo la tecnica di Ranma funzionò e l’albero venne illuminato da una spirale di lucine colorate praticamente perfetta. Fu mentre lo rimiravano che Kijo iniziò ad annusare improvvisamente l’aria per poi fuggire a rotta di collo in cucina gridando
“Il sugoooooooooo!”, cosa che fece temere Ranma per la cena che già stava intimamente pregustando. Fortunatamente nulla era bruciato, scoprì il ragazzo quando lei tornò tirando un sospiro di sollievo, ma dato che il sugo era pronto e l’ora di cena prossima, aprirono appena le scatole in cui erano contenute le decorazioni e poi si diressero al tavolo per mangiare.



“Non ti pare che le palle del dottore siano un po’ malmesse?” domandò Kijo mentre riempiva generosamente un piatto fondo con i bucatini al dente.

A quella domanda Ranma la guardò stranito e poi scoppiò a ridere, mettendo prima al sicuro la scodella ricolma
“È più forte di te, se non dici qualcosa di equivoco non ce la fai! Che vuoi che ne sappia delle palle di Tofu?” 

Kijo restò immobile per un attimo, folgorata solo in quel momento dal doppio senso che aveva espresso involontariamente, poi piegò un braccio dietro la nuca e si mise a ridere anche lei
“Scemo, mi riferivo alle palle di Natale! Sono tutte rovinate, sbiadite, ammaccate…e poi sono un po’ pochine per riempire l’albero, non trovi? Mi sa che dovremo inventarci qualcos’altro da metterci su” rifletteva mentre con la forchetta arrotolava distrattamente la pasta e la portava alla bocca. Aveva insistito affinché anche Ranma provasse a usare la forchetta anziché le bacchette, ma i risultati erano disastrosi: nonostante il tutorial su come inforchettare quella pasta Ranma stava provando una difficoltà sovrumana, rischiando di far finire il contenuto del suo piatto sulla tovaglia a ogni tentato assaggio, quindi Kijo si arrese e gli porse le bacchette.

“Beh, ci penseremo…a stomaco pieno! Buon appetito, come dite voi in Italia!” così dicendo iniziò ad aspirare letteralmente la pasta ad una velocità incredibile, leccandosi di tanto in tanto gli angoli della bocca su cui si depositava un residuo di sugo. Quando circa un minuto dopo ebbe terminato, si complimentò con la cuoca, sorridendo
“Erano davvero buoni! Solo forse andavano cotti un po’ di più…comunque ce n’è ancora?”

“Sacrilegio! La pasta italiana va lasciata al dente, non esiste farla scuocere come nelle vostre ricette! Sei fortunato, però, perché ne è avanzata un pochino…” enfatizzò apposta Kijo, dopotutto raramente le capitava di dimostrare la propria italianità e quello le sembrò un momento buffo per farlo. Raschiò il fondo della pentola servendo a Ranma quanto rimaneva e rimase lì a fissarlo mentre mangiava di gusto. Cavolo se era bello…non le era mai capitato di incontrare qualcuno tanto eccezionale e con cui si sentiva così a proprio agio. Distolse lo sguardo appena un attimo prima che lui emergesse dalla scodella e la guardasse soddisfatto e per qualche stupida ragione le venne da arrossire, quindi si affrettò a dissimulare quella reazione cominciando a sparecchiare la tavola. Cercò di impiegare la mente su qualcosa, qualsiasi cosa che la distraesse dal fatto che sarebbe stata da sola con Ranma per tutta la notte, la notte seguente a quella in cui…MUSICA! Le servivano delle canzoni di Natale di sottofondo, almeno sarebbe stata occupata a canticchiarle e non avrebbe pensato ad altro. Corse in camera a prendere il suo stereo e una musicassetta recante la scritta «Xmas compilation vol. 1», la inserì nel mangianastri e premette play: le note di Last Christmas degli Wham! riempirono l’ingresso danzando attorno all’albero ancora spoglio

“Perché hai acceso la musica?” domandò Ranma osservando lo strano comportamento della ragazza

“Ehm, mi piaceva creare un po’ di atmosfera mentre addobbiamo! E poi la musica stimola la creatività, infatti mi è venuto in mente cosa possiamo usare per riempire l’albero!” rispose entusiasta la ragazza, col cuore che le batteva a mille

“E cosa dovremmo usare, secondo te? Quella pasta dalla forma strana che conservi in fondo alla dispensa?” suggerì Ranma inarcando le sopracciglia

“Assolutamente no! Quella pasta sarà usata come cibo, non come decorazione! Pensavo che in laboratorio abbiamo abbondanza di provette e piccoli palloni, basta legarci un filo colorato attorno, riempirli di una soluzione colorata e il gioco è fatto!” spiegò la propria idea Kijo

“Che tristezza…ma sei seria?” domandò lui perplesso, totalmente non convinto della trovata

“Aspetta a giudicare, fammi almeno fare un tentativo! Se intanto tu iniziassi ad appendere le decorazioni standard, io mi occuperei di preparare quelle da laboratorio…che l’operazione Chemis-tree abbia inizio!” sghignazzò Kijo facendo sospirare Ranma mentre scuoteva il capo con una mano appoggiata sulla fronte.

Il ragazzo si rassegnò pigramente a seguire il piano di Kijo, ma ben presto si rese conto che quel compito che gli era parso tanto ingrato, in fondo non era così noioso. Ogni decorazione che appendeva racchiudeva dentro di sé una storia degna di essere immaginata: la casa dal tetto bianco immersa nel bosco innevato...chissà chi l'abitava; lo slittino, mezzo per chissà quanti pomeriggi di lieto svago; la dolcezza inebriante dei bastoncini di zucchero; la bontà dello sguardo di Babbo Natale nello scorrere la lista dei regali richiesti, rubicondo mentre si sistemava gli occhiali e pregustava già il latte coi biscotti; la piccola scimmietta, esponente dell'anno che stava per arrivare, nonché le renne felici di trascinare la slitta nella notte stellata più magica dell'anno; la tavola imbandita accanto al caminetto acceso su cui erano appese calze colorate, emblema della quiete domestica e familiare che si rispecchiava anche nell’abete decorato ricolmo di regali sottostanti; infine i fiocchi di neve che cadevano leggiadri e i ramoscelli di vischio e agrifoglio, custodi dei desideri nascosti relativi a baci rubati sul far della sera, quando il pallido sole invernale concede una tregua agli amanti proteggendoli col suo addormentarsi dagli sguardi indiscreti.
Quando credeva di aver finito, scorse sul fondo della scatola un ultimo contenitore di cartoncino: aprendolo, il suo interno rivelò, protetta da uno spesso strato di gommapiuma, una pallina di cristallo trasparente, che come una bolla rifletteva tutti i colori e le immagini che aveva attorno. Caspita, Tofu doveva tenerci parecchio per averla imballata con tanta cura e fuor di dubbio era la decorazione più bella e preziosa di tutta la collezione!
Ranma si incantò a guardarla per qualche attimo poi, cercando una posizione degna per farla risaltare, intravide attraverso di essa la pallina con la casa innevata…


Un secondo dopo era sul limitare di un’abetaia innevata, un freddo vento che rapidamente stava volgendo in tormenta e solo una baita di legno da cui emanava una luminosità dorata a qualche decina di metri come baluardo di civiltà. Seppure totalmente spaesato, non avendo intenzione di congelare sul posto si avvicinò con lunghe e rapide falcate, tanto quanto la profondità della neve gli consentiva, verso la porta della casetta. Una volta entrato, si scosse di dosso i piccoli cumuli di neve che si erano ammonticchiati sulla sua testa e sulle spalle, col risultato che ai suoi piedi si formò velocemente una pozza d’acqua.

“Tesoro! Aspetta che ti porto subito un asciugamano!” saltò in piedi Kijo per corrergli incontro, allontanandosi dal pentolone che stava rimestando sul fuoco del caminetto. La ragazza, che indossava un semplice e usurato abito da casa coperto da un grosso grembiule, si avvicinò rapidamente e gli diede un veloce bacio sulle labbra; poi, sorridendo, prese a tamponargli il capelli e le spalle umide.
“Avvicinati al camino, almeno potrai asciugarti per bene” gli suggerì, spostando una sedia di legno proprio dinanzi al fuoco e facendogli cenno di sedervisi. Ranma si guardò intorno con attenzione per la prima volta: tutta la dimora si risolveva in un unico stanzone molto parcamente arredato, nel quale erano presenti solo un vecchio tavolo, qualche sedia di legno malconcia, un letto relegato in un angolo, una madia, una cassapanca e quella che doveva essere una specie di tinozza da bagno. L’aria era permeata da un profumo di zuppa che, si rese conto, gli fece brontolare lo stomaco.
“Caspita, sarai affamatissimo! Se c’è una cosa che non ti ha mai abbandonato nella vita è il tuo robusto appetito…” gli sorrise Kijo, poi pian piano quel sorriso divenne sempre più amaro quando aggiunse “Purtroppo non sono riuscita a far molto da mangiare…la solita zuppa di radici, funghi e carne essiccata. A proposito, è finita anche quella oltre agli spaghetti, quindi pensavo che nei prossimi giorni sarei potuta scendere in paese all’emporio per fare un po’ di rifornimento; tu quando devi portare il carico di legna a vendere? Così magari facciamo un viaggio solo dato che il mulo probabilmente non reggerebbe due viaggi nella stessa settimana…”

…eh? Mulo? Legna? Emporio? Che diamine stava succedendo? Riflettiamo…Kijo sembrava convinta che loro due vivessero lì, in quella catapecchia fatiscente, e che lui facesse il taglialegna? Ma come le era venuto in mente? Però, guardandosi intorno, tutto faceva presagire che fosse così…dietro alla porta scorse un paio di stivali di foggia robusta, sebbene un po’ logori, affiancati da un’ascia e una sega da lavoro. Attorcigliata in quell’angolo stava anche una corda assai spessa.
Sopra la madia, come unico ornamento di quella essenziale e scarna stanza, era appoggiata una fotografia che…per tutti i kami! R-rappresentava il l-loro m-matrimonio!? Cioè, in realtà c’erano solo loro due nella foto, fuori da un tempio vestiti con due semplici yukata, ma in qualche modo sentiva che l’evento ritratto era quello. E il cerchietto dorato al suo anulare sinistro glielo confermò.

Kijo gli si avvicinò e lo prese per mano, appoggiando la testa alla sua spalla
“Anch’io spesso mi soffermo a riguardarla…eravamo così giovani e spensierati…a volte mi domando se l’avermi conosciuta non ti abbia tarpato le ali, se quello che abbiamo sia abbastanza per te” sospirò malinconicamente

“C-come? A cosa ti riferisci?” le si rivolse Ranma, stringendole a propria volta la mano

“Beh, la vita che conduciamo è abbastanza umile…la decisione di sposarci così giovani ci ha rivolto tutti contro, abbiamo perso il supporto delle nostre famiglie, tagliato tutti i rapporti con loro…siamo stati costretti a fuggire e allontanarci in questo posto sperduto, contando solo sulle nostre forze: tu non hai potuto continuare i tuoi allenamenti, io non ho potuto studiare…ci eravamo ripromessi che la situazione sarebbe stata solo temporanea, ma in tutti questi anni a stento siamo riusciti a tirare avanti, figuriamoci a mettere i soldi da parte. Per questo, ecco, a volte mi domando se riesci a essere felice ugualmente…se non sarebbe stato meglio che tu mi avessi lasciata andare, invece di lasciare andare tutto per me…” sollevò lo sguardo tremolante per catturare la sua espressione: sbatté le ciglia imperlate di minuscole goccioline un paio di volte, per scongiurare la caduta di una lacrima dalla rima ciliare. Nonostante tutto, dopo tutti quegli anni, ancora non sopportava che la vedesse piangere.

Istintivamente lui le carezzò i capelli e senza scostare la mano delineò il contorno del suo volto, per una volta privo di trucco. Le sollevò il mento e la baciò con dolcezza per poi replicarle, a fior di labbra
“Non mi sarei mai perdonato se ti avessi lasciata andare”
 
Come riaprì gli occhi, era di nuovo nell’ingresso di Tofu, la pallina di cristallo che penzolava davanti a lui dalla sua mano destra. Che diamine era appena successo? Si era addormentato in piedi, forse? Buttò un occhio all’orologio a muro e si rese conto che non erano passati neanche cinque minuti da quando Kijo si era rintanata in laboratorio.
Sarà meglio che l’appenda prima di romperla…” pensò fra sé il ragazzo col codino, individuando un posto adatto su un ramo. Come allungò la mano, però, intravide oltre la pallina trasparente quella che recava impressa la tavola imbandita…
 
 
La sala da pranzo di casa Tendo era stata riccamente decorata per le festività natalizie e tra l’enorme abete che proteggeva una montagna di pacchetti, i festoni che calavano dal soffitto e le calze appese in ogni dove, sembrava che le pareti solitamente così lineari non avessero uno spazietto libero neppure per uno spillo. Il tavolo poi che occupava il centro della stanza era apparecchiato con una lunga tovaglia rossa e dorata e sormontato da ogni sorta di prelibatezza…ma era sempre stato così lungo? Fece rapidamente mente locale al numero spropositato di soffici cuscini che vi stavano intorno e si rese conto che non aveva mai visto un tavolo così imponente dai Tendo.

“Ranma, cosa ci fai lì imbambolato? Vieni subito a dare una mano a portare le bevande!” un’Akane più matura si affacciò nella sala minacciandolo con un mestolo e questo gesto gli fece presagire il peggio

“Ehm…non stai cucinando tu, vero?” si trovò a chiederle proteggendosi il volto in anticipo, timoroso della sua reazione. Che fortunatamente fu solo verbale.

“Idiota che non sei altro, non hai visto il catering che ha assoldato Mendo portare tutto mezz’ora fa? E poi ti ho promesso che non avrei più cucinato, per fortuna possiamo permetterci Yagami…ma dove hai vissuto negli ultimi anni, sulla luna?” sospirò la donna. Alle volte il marito sapeva essere così dannatamente distratto che faceva con facilità riemergere quella parte irascibile che, in nome della rispettabilità e della buona creanza, si era tanto impegnata a relegare nel profondo del suo animo.

Un attimo dopo un panda gigante con un bambino a cavalcioni sul dorso entrò flemmatico nella stanza: Soun sosteneva il piccolo che, da vero vulcano di energia, strillava ridendo verso il panda, esortandolo ad andare più veloce.
Dopo che si fu ripreso da quell’inusuale scenetta, Ranma squadrò con attenzione la piccola peste e si rese conto che assomigliava tantissimo ad Akane. Poi si pietrificò sul posto quando quel nanetto, avendolo scorto, si affrettò a fargli ciao con la manina chiamandolo papà.

In quel momento sua madre, impeccabile nel proprio kimono verde e blu, si rivolse al panda, redarguendolo
“Genma caro, smettila di viziare Jin…avrai tutto il tempo per farlo più tardi, adesso vatti a cambiare per il pranzo!” così dicendo prese in braccio il bambino, che si ammansì all’istante in grembo alla nonna “E tu, Ranma, riprenditi! Mi sembra che tua moglie ti cercasse per le bevande…da bravo, vai ad aiutare!”

Moglie…figlio…madre…che cavolo di realtà parallela era mai quella?

Una ragazza coi capelli a caschetto e la divisa da chef entrò per sistemare sul tavolo una piastra fumante e Nodoka le si rivolse “Grazie Yagami, credo che ora sia proprio tutto”

Questa fece un inchino e un rapido occhiolino a Ranma, sussurrandogli
Sarebbe davvero opportuno che portaste in tavola quelle bevande, Boss, altrimenti la Signora perderà la pazienza…” poi si ritirò alla svelta in cucina.

Come si decise a metter piede fuori dalla sala da pranzo, venne inondato da abbracci e pacche sulle spalle dalle cognate e cognati: Nabiki aveva appena posato il soprabito e se ne stava a conversare, elegantissima, nel suo completo nero con la sorella, decisamente più sobria ma estremamente radiosa nel suo semplice abito di lana che si era probabilmente cucita da sé. Mendo stava passando in rassegna il parentado stringendo con fermezza la mano a tutti, mentre Tofu si accertava che chiunque gli capitasse a tiro stesse bene.
Senza quasi rendersene conto si ritrovò un vassoio ricolmo di caraffe in mano, posatovi tanto gentilmente dalla sua consorte che per poco non rovinò tutto a terra: solo il suo sovrumano senso dell’equilibrio scongiurò un disastro.
Akane poi diede l’ordine a tutti i presenti di avvicinarsi alla tavola, dove finalmente avrebbero potuto iniziare a mangiare.
Certo che sono proprio del tutto rimbecilliti per nostro figlio! Anche se hanno sempre stressato con il discorso dell’erede della palestra non immaginavo si riducessero a tanto!” disse piano la padrona di casa al marito esibendo un fiero e luminoso sorriso e indicando Soun e Genma che spupazzavano il nipotino prodigandosi in facce buffe e boccacce per farlo ridere

Glom…non sembrano neppure loro…” commentò Ranma scioccato alla vista della ciotola di Genma sempre piena, in attesa di essere mangiata, mentre lui perdeva tempo a giocare.

C’era un chiassoso vociare a quel lungo tavolo, Mendo e Nabiki che ostentavano i loro affari, Kasumi e Tofu che raccontavano dell’ambulatorio, Nodoka che asseriva composta, Akane che si vantava di quanto i corsi in palestra fossero gremiti per merito suo e del marito.

“Sì, confesso che è stato un buon investimento!” mentì Mendo sorridendo ammaliatore mentre scambiava un cenno d’intesa con la moglie, la quale annuì impercettibilmente, per poi continuare
“Controllando i libri contabili si direbbe proprio che finanziare profusamente la vostra attività di famiglia mi abbia già ampiamente ripagato!”
Nabiki gli accarezzò di sfuggita la mano, in cenno di profonda gratitudine perché aveva accettato, anno dopo anno, di fingere che il vecchio dojo fosse un’impresa redditizia al fine di non scalfire l’orgoglio dei propri familiari. La verità era che, senza la continua e segreta insufflazione di denaro da parte dei Mendo, la palestra avrebbe chiuso da quel dì e i Tendo-Saotome se la sarebbero passata assai peggio. In fondo era riuscita a ottenere ciò che aveva sempre desiderato, ovvero sfruttare il patrimonio che si era a pieno diritto guadagnata per facilitare la vita ai propri cari…come quando Tofu riuscì a ottenere così facilmente quel prestito a tasso ridottissimo per ampliare e ristrutturare l’ambulatorio…

“Mi pare ovvio! Siamo stati così lungimiranti da caldeggiare l’unione dei nostri ragazzi e delle nostre scuole che non poteva che risolversi con un clamoroso successo, no?” alzò un calice di vino Genma, già abbondantemente paonazzo, dirigendolo verso Ranma e Akane

“Ben detto! Se non ci fossimo stati noi, chissà che disastro sarebbe successo…” gli fece eco Soun, ridendo sguaiatamente.

Disastro. Siamo sicuri che sarebbe successo un disastro? Siamo sicuri che quella chiassosa e stretta compagine familiare fosse il suo destino…o quanto meno il destino che si era scelto? Di certo sembravano tutti felici, sistemati e ordinati, conducevano tutti un’esistenza più che dignitosa, qualcuno di loro addirittura navigava nell’oro…ma allora cos’era quel senso di insoddisfazione, di inappagamento? Di cosa poteva mai lamentarsi? Aveva onorato le aspettative di tutti, viveva una vita agiata, aveva conquistato la stima e il rispetto dell’intero nucleo familiare, sua madre compresa…aveva una bella casa, un’attività da gestire, una moglie, un figlio…un’amante?! Oh kami, perché la cuoca lo stava letteralmente divorando con lo sguardo quando nessun altro faceva attenzione? Non poteva aver fatto una cosa così stupida, non era da lui! Forse si stava immaginando tutto, anche se negli anni aveva imparato a riconoscere gli elementi base delle avances femminili…No, doveva essere una sua fantasia, non poteva essere vero, non poteva…
 
 
Sulle note di Rockin’ around the Christmas tree, Kijo riapparve nell’ingresso recando un vassoio pieno di provette, piccole beute e palloni riempiti con varie soluzioni glitterate e colorate. Ogni contenitore era stato sigillato con un apposito tappo, attorno al quale la ragazza aveva fissato dei nastri o dei fiocchi e un elastico per appenderli ai rami. Accidenti, gli era successo di nuovo! Che razza di trip assurdi si stava facendo? Ebbe appena il tempo di scuotere la testa per cercare di riprendersi, prima che lei si avvicinasse abbastanza da capire che qualcosa non andava

“Sai, se sapessi disegnare sarebbe stato carino decorare la vetreria con dei motivi natalizi…ma riconosco i miei limiti e so che sarebbe venuto un disastro!” confessò appoggiando il vassoio su una delle sedie della sala d’aspetto

“Ecco, direi! Visto che sono venuti inspiegabilmente…carini, cerchiamo di non sfidare ulteriormente la sorte con altre idee strampalate” commentò Ranma, buttando letteralmente la pallina di cristallo sull’albero e procedendo con l’apposizione del puntale, mentre sogghignava affettatamente trafitto da un’occhiataccia di lei.
 
                                                            -§-
 
Il tempo che ci volle a sistemare quelle decorazioni improvvisate fu sufficiente a Ranma per scacciar via lo smarrimento precedente; non appena Frank finì di cantare che Babbo Natale stava arrivando in città Kijo stoppò la cassetta e riprese lo stereo con l’idea di riportarselo in camera. Si fermò qualche secondo ad ammirare l’opera che avevano compiuto e tutto sommato fu soddisfatta, certa che Tofu non avrebbe avuto da ridire sulla sua licenza poetica.

“Beh siamo stati bravi! Ci meritiamo un dolcetto, che dici?” propose Ranma squadrando l’albero

“Non so cosa sia rimasto in questa casa: sono giorni che non faccio la spesa e non credo che Ono abbia preso dolcetti” sospirò Kijo, posando lo stereo e dirigendosi in cucina per aprire le varie ante della dispensa

“Abbiamo sempre i bastoncini di zucchero, no?” suggerì lui, raggiungendola in cucina e tirandone fuori uno dalla sua tasca, un sorriso leggermente tirato sul volto

“Non eri tu che mi sconsigliavi caldamente di mangiarli in presenza di altri?” replicò Kijo in tono ironico, inarcando un sopracciglio e facendo per afferrare il bastoncino. Ranma fu più veloce però e glielo allontanò rapidamente

“Certo! Ma io ecco…io non sono altri. Puoi stare tranquilla, non penserò male” si affrettò a rispondere mentre un leggero rossore sorgeva sul suo volto

“Ah, davvero? Sarebbe la prima volta” gli sorrise Kijo e lui smise di pensare.

Cavolo, quella ragazzina aveva la capacità di attirarlo a sé come una calamita, senza nemmeno sforzarsi per farlo! Rimase lì fermo col bastoncino in mano e probabilmente con un sorriso ebete sul volto totalmente rapito. In quel momento non importava il suo futuro incerto, non importava che non avesse nemmeno una casa, non importava il litigio con la sua famiglia: era bastata una serata in sua compagnia per allontanare tutti i pensieri che fino a poche ore prima lo avevano portato a un passo dall’abisso…le si avvicinò e forzando il proprio pudore decise di abbracciarla. In un primo momento sentì che si irrigidiva, probabilmente colta di sorpresa da quel gesto, ma subito dopo si abbandonò all’abbraccio e lo contraccambiò. Non avrebbe saputo dire per quanto rimasero immobili, così, ma ad un tratto lui riaprì gli occhi e li spalancò colmi di stupore
“Ehi, guarda! Sta nevicando!” esclamò indicando la finestra, da cui si potevano scorgere benissimo i candidi fiocchi che avevano cominciato ad ammantare il terreno

“Che meraviglia…molto più di quanto si possa desiderare” commentò Kijo sognante, costringendosi a staccare lo sguardo da Ranma per godere del pittoresco spettacolo che l’atmosfera le stava offrendo. Restarono lì, tanto vicini da sfiorarsi a ogni respiro, a guardare le evoluzioni dei fiocchi sospinti dal vento, fino alla loro inevitabile caduta sul terreno. A Kijo venne da pensare (e si prese per pazza per questo) che, nonostante il percorso non lineare dalla nuvola al terreno e gli sbuffi di vento che ne scombussolavano continuamente la direzione, alla fine ogni fiocco raggiungesse l’esatto punto a cui era predestinato e si incastrasse perfettamente tra gli altri per dar luogo a quel panorama da fiaba. Sarebbe stato così anche per la sua vita? Era uscita di senno anche solo per fare quei paragoni? Di fatto vedeva all’orizzonte del proprio futuro solo una grande incertezza, per cui tentava disperatamente di aggrapparsi a qualsiasi pensiero positivo e consolatorio che suggerisse che alla fine si sarebbe tutto sistemato.

Ranma si accorse che il suo sguardo era mutato, che dall’iniziale stupore e gioia per la vista della neve era adesso divenuto preda di un’ombra profonda. Avrebbe tanto voluto esaminare la questione, ma per primo si sentiva molto vulnerabile quella sera, quindi si rese conto di non poterle essere di alcun aiuto.

“Bene…forse è il momento di andare a dormire? Che dici?” si decise a parlare Kijo, a un certo punto. Si era voltata lentamente verso Ranma e lo stava fissando con uno sguardo indecifrabile.

“Kijo…io non vorrei stare da solo stanotte…potresti dormire qui?” il ragazzo stava sudando freddo ed era preda di una leggera tremarella, tuttavia il pensiero di essere lasciato solo coi suoi pensieri era insostenibile, pertanto si violentò per farle una richiesta così sfacciata. Kijo inarcò entrambe le sopracciglia, decisamente spiazzata, al che lui si affrettò ad aggiungere, arrossendo e abbassando lo sguardo sul pavimento
“N-non intendo n-nello stesso letto, mi chiedevo solo se potevi restare qui in infermeria”

Un guizzo sagace passò nei suoi occhi, così veloce che Ranma poteva tranquillamente esserselo immaginato, tanto più che un istante dopo sfoderò uno dei sorrisi più dolci che mai le avesse visto e rispose
“Nessun problema. Vado a prendermi una coperta extra” e uscì dalla stanza.
 
Quando tornò, poco dopo, Ranma le stava dando le spalle, flettendo le braccia per liberarsi dalla casacca. L’immancabile canottiera bianca aderiva al torso del ragazzo, esaltandone la muscolatura ben delineata, e permise a Kijo di godere di un inaspettato spettacolo quando si soffermò sulla soglia dell’infermeria ad ammirarlo trattenendo il fiato. Sentendosi probabilmente osservato, lui si voltò lentamente e le rivolse un sorrisetto beffardo e malizioso, al quale lei sussultò, scoprendosi scoperta. Stringendo la coperta al proprio petto, quasi temesse che risultasse visibile l’accelerato battito del proprio cuore, mosse i pochi passi che la separavano dal letto attiguo a quello di Ranma, che lei reclamò come proprio; dispose quindi la coltre sopra al lenzuolo, avendo cura di lisciarla più e più volte per scongiurare le pieghe e di sembrare estremamente concentrata in quel compito.

La reazione del ragazzo non si fece attendere.
“Cos’hai da fissare con così tanta attenzione?” le domandò con una punta d’ironia, avvicinandosi a lei

“Uhm…voglio stendere per bene questa trapunta, così stanotte potrò dormire serenamente, senza il rischio di scoprirmi” ribatté Kijo, senza nemmeno guardarlo, impegnatissima a farla combaciare al millimetro coi lembi del lenzuolo

“Piuttosto curioso, detto da una che solitamente non si prende neppure la briga di rifarsi il letto la mattina…cos’ha questo di così speciale?” si appropinquò ancora lui, fingendo di studiare il mobile da vicino.

Adesso le era accanto e poteva sentire quasi come se fosse sulla sua pelle la carezza che lui posò sulla coperta. Per provare a mettere un po’di distanza tra loro si decise a fare un mezzo giro su se stessa per sedersi dal lato opposto del letto, ma calcolò male gli spazi e si ritrovò col sedere per terra. Per un secondo, dato che rimbalzò subito in piedi con un sorriso forzato quasi a negare che fosse successo qualcosa. Che razza di figuraccia!

“Tutto a posto? Mi sembri un po’ nervosa” commentò la scena Ranma, ridacchiando divertito.

Perfetto, adesso oltre a trattenersi dal fargli un’avance (dato che glielo aveva promesso per ben due volte durante la serata) doveva pure cercare di trasudare tranquillità: per quale assurda ragione Ranma, che di solito non collegava nemmeno le ovvietà, quella sera si stava rivelando tanto perspicace?
Sì, mi rendi nervosa tu”: se fossero stati in una di quelle telenovele di cui sua nonna era tanto appassionata, avrebbe dovuto senz’altro rispondere così, per poi abbandonarsi voluttuosamente tra le sue braccia, infrangendo tutti i buoni propositi e le promesse precedenti. Ma quella non era una telenovela, quindi evitò di pronunciare quella frase scontata.
Si lasciò incantare ancora una volta dal magnetismo di Ranma, che sembrava aver appreso fin troppo bene la lezione per cui, sebbene sia indubbiamente utile possedere dita veloci e agili, a volte serve un po’ di studiata lentezza.
Dicono che ciò che succede una volta può anche non accadere mai più, mentre quello che accade due volte succederà sicuramente anche una terza: Ranma e Kijo non si sottrassero a questo assunto.
 
 
23 Dicembre
 
Non era che metà mattina quando Ono Tofu tornò a casa. Per prima cosa notò il singolare e assai precario albero addobbato con la vetreria e una risata genuina si fece strada fino alle sue labbra; affacciandosi in laboratorio, salutò un’indaffarata Kijo alle prese con due distillazioni in parallelo: il suo piano, a quanto pareva, era quello di ricreare l’essenza del Natale, per cui si stava preparando gli oli essenziali di arancia, cardamomo, cannella e chiodi di garofano da miscelare poi a suo gusto con l’idea di produrre una profumazione per le festività.

“Sai che in garage avevo stoccato il nuovo albero di Natale con delle decorazioni…convenzionali? Colpa mia che non te l’ho detto, comunque mi piace come hai agghindato l’ingresso” le rivelò Tofu sorridendo della faccia che Kijo aveva messo su apprendendo di aver adornato la stanza con gli scarti delle vere decorazioni

“Scusa ma non l’ho proprio immaginato…mi sembrava roba un po’…antica, ma ho pensato che fossero cimeli di famiglia” si accarezzò la nuca Kijo, sovrastata da una grande goccia d’acqua. Doveva anche trovare il modo di spiegare al dottore la prolungata permanenza di Ranma allo studio: era certa che Ono non avrebbe abbandonato il ragazzo lasciandolo in mezzo a una strada (in fondo gli voleva un gran bene), tuttavia le varie motivazioni che stavano dietro alla scelta di uscire dalla casa dei Tendo sarebbero state più complicate da giustificare. Beh, una cosa alla volta. Intanto lo avrebbe informato del nuovo ospite e poi con la massima calma tutto il resto si sarebbe in qualche modo affrontato
“Ranma ha chiesto asilo temporaneo dopo…cioè, c’è stata una discussione, mi ha detto e, ecco, non me la sono sentita di sbattergli la porta in faccia…” iniziò a spiegare Kijo, molto meno fluidamente di quello che avrebbe voluto.

Fortunatamente Tofu le risparmiò grandi discorsi
“Oh, sì, certo…ho sentito Kasumi ieri sera e mi ha spiegato cos’è successo. Non ti preoccupare, con Akane litigano in continuazione ma poi trovano sempre il verso di riappacificarsi, quindi questa situazione non durerà a lungo” sorrise Ono certo di aver rassicurato la propria assistente.


Certo. Come no.
Kijo dovette sforzarsi con tutta la propria buona volontà per mettere su un sorrisetto di circostanza, che a qualsiasi occhio più attento sarebbe risultato quasi più simile a un ghigno, ma per fortuna Tofu aveva già rivolto la propria attenzione al ragazzo che si stava allenando in giardino. Congedandosi da Kijo, le manifestò le sue intenzione di andarci a fare una bella chiacchierata e poi uscì dal laboratorio.
 
                                                               -§-
 
Un’oretta più tardi il campanello dello studio suonò e toccò a Kijo andare ad aprire: dopo la chiacchierata che non aveva per niente cercato di origliare, Tofu e Ranma si erano messi ad allenarsi insieme e in quel momento apparivano concentratissimi, totalmente avulsi dal mondo che li circondava. Tenendo un pallone ricco di acqua aromatica in mano, la ragazza raggiunse finalmente la porta e l’aprì: una raggiante Kasumi la salutò con la consueta gioia che la contraddistingueva e Kijo si scansò di lato per farla entrare.

“Mi son messa a fare i ravioli oggi e ho pensato di portarvene un po’” sorrise accennando all’ingombrante involto che teneva tra le mani “Ho abbondato con le porzioni perché ho ormai familiarità con l’appetito di Ranma” aggiunse poi, seguendo Kijo in cucina per appoggiarlo sul tavolo.

Perfetto, quindi ormai tutti sapevano dove si era andato a rifugiare. Del resto era impensabile che Ono non li avesse avvertiti in qualche modo, se non altro per tranquillizzare Kasumi che, conoscendola, era probabilmente stata quella più in apprensione.
Kijo annuì debolmente e la ringraziò con educazione, poi depose il pallone vicino all’acquaio e cominciò a massaggiarsi le tempie: era decisamente a disagio in quella situazione e l’incertezza di non conoscerne l’esito le stava facendo montare un fastidiosissimo mal di testa. Ranma sarebbe davvero tornato dai Tendo come se nulla fosse? Sarebbe tornato da Akane? Come avrebbe dovuto comportarsi lei? Oddio, e se Yuka rivedendo Akane avesse deciso di spifferarle tutto ciò che le aveva confidato? Non che fosse molto, ma era comunque troppo rispetto a quello che era disposta a lasciar trapelare. Onestamente, fino a quel momento, non pensava che avrebbe mai dovuto affrontare Akane. Pensava che in qualunque modo fosse andata la sua relazione con Ranma sarebbe stata sua esclusiva incombenza fornire una spiegazione alla fidanzata, se ciò fosse stato necessario, o fingere che nulla fosse accaduto, nell’ipotesi opposta. In ogni quadro, vagliando tutte le possibili opzioni, lei si era costantemente immaginata come un’entità lontana, una comparsa che attende nell’ombra dietro le quinte prima di scoprire se può calcare la scena ed emergere sul palco oppure abbandonare definitivamente il teatro. Certo, se le cose fossero andate bene, per lei almeno, prima o poi avrebbe dovuto affrontare sia Akane che la delusione dei Tendo (e di Tofu…?), ma non immaginava assolutamente che quel momento sarebbe arrivato tanto presto…sarebbe mai arrivato? Non sapeva decidere quale opzione la turbasse di più.

“Stai bene cara? Mi sembri un po’ pallida…” le si avvicinò Kasumi, ponendole delicatamente un mano sulla spalla

“S-sì, ho solo un po’ di mal di testa” minimizzò Kijo, inspirando profondamente

“Caspita, spero che ti rimetterai in tempo per la festa di Natale, domani sera…sarei davvero dispiaciuta che tu mancassi” le carezzò il braccio Kasumi, genuinamente preoccupata

“Grazie mille, Kasumi. Farò tutto il possibile per esserci” accennò un inchino Kijo, realizzando che, come temeva, avrebbe dovuto presenziare in entrambe le sue forme per non offendere nessuno.

“Vuol dire molto per tutti noi. Ormai ti siamo molto affezionati. Ah, se hai la possibilità, proveresti a convincere anche Ranma a venire alla festa? Ho il timore che opporrà qualche resistenza all’invito…” le confidò la giovane donna, ma in quel momento Ono e Ranma piombarono in cucina per idratarsi.

“Ah, un bel bicchiere d’acqua fresca! Non c’è niente di meglio dopo questo allenamento così intenso! Oh, salve Kasumi, qual buon vento? Non mi aspettavo assolutamente una tua visita!” recitò palesemente Tofu entrando dal giardino

“Sono solo passata a portarvi dei ravioli…e a ricordarvi della festa di domani sera. Vi prego di non mancare, è un’occasione a cui tengo molto e…” cominciò Kasumi, quasi avesse avuto il cenno per attaccare con la propria parte

“Non mi contate, io non ci sarò” tagliò corto Ranma, versandosi un bicchiere d’acqua ricolmo e svuotandolo d’un fiato. In quel momento, squillò il telefono e Kijo andò a rispondere.

Tornò pochi secondi dopo, riportando senza particolare entusiasmo
“Ranma, c’è Nabiki al telefono che vuole parlarti. Dice che non ti devi azzardare a negarti”

“Oh, uffa! E adesso cosa vuole quella strozzina!” si allontanò nella stanza attigua il ragazzo col codino e prese la cornetta, esclamando “Pronto!”


“Ranma, prima di buttare giù sappi che questa è esclusivamente una telefonata di affari. A me non interessa altro, però il benessere economico della mia famiglia viene al primo posto. Adesso sturati le orecchie e stammi bene a sentire…”

Qualche minuto dopo, Ranma rientrò, un po’ frastornato, nella cucina di Tofu. Emise un sospiro rassegnato e comunicò a Kasumi, evitando accuratamente lo sguardo di Kijo
“Va bene, Kasumi, ci vediamo domani sera…”

“Oh, come sono felice! Vado subito ad allestire i preparativi…anzi, prima devo chiamare il falegname per il sopralluogo, ordinare il pesce, fare la spesa…” gongolò Kasumi, salutando i tre e uscendo dalla porta mentre già stilava mentalmente la lista di tutte le cose da fare.

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Capitolo 27
*** Natale a casa Tendo ***


Attenzione! Capitolo più lungo rispetto alla media degli altri…armatevi di pazienza!
Buona lettura,
 
-N-
 
 
24 Dicembre
 
 
Illuminati dal cadenzato chiarore emesso dai lampioni di Nerima in quel gelido e nuvoloso crepuscolo, Ranma e Kijo si stavano dirigendo verso la casa dei Tendo. La ragazza si trascinava dietro un grande trolley blu, in cui aveva stipato tutto il necessaire per la breve apparizione di Hokano che aveva in mente di fare, i trucchi per risistemarsi quando avrebbe rivestito i panni femminili e un cadeaux scelto praticamente a caso nei pochi minuti che aveva passato al centro commerciale il giorno prima. In più, in una taschina interna, aveva nascosto una boccetta dell’estratto calmante che usualmente preparava per Ono quando doveva interagire con Kasumi: aveva come la sensazione che prima o poi durante quella serata le sarebbe tornato utile e, dato che il dottore negli ultimi tempi ne aveva drasticamente ridotto l’utilizzo, pensò di non far torto a nessuno se lo avesse tenuto di scorta per le emergenze.

“Dunque, ricapitolando…” ruppe il silenzio Kijo, cercando in una conversazione improvvisata con Ranma una via di fuga dalla propria testa che si stava rapidamente affollando di troppi pensieri
“Nabiki è riuscita a procurare al dojo un finanziatore tramite Mendo, ma per convincerlo definitivamente a firmare serve che tu sia parte del pacchetto in cui investe…”
La ragazza lo scrutò in volto, mantenendo l’andatura; forse quello sarebbe stato il momento buono per approfondire un minimo la faccenda, dato che quando Ranma gliene aveva parlato la prima volta era stato estremamente parco di dettagli. Oddio, vista l’entità dei castelli in aria che era stata capace di costruirsi con le poche informazioni che aveva ricevuto, probabilmente sarebbe stato meglio rimanere il più all’oscuro possibile di tutta la questione, ma d’altro canto difficilmente la realtà avrebbe potuto eguagliare i più cupi scenari che aveva immaginato, quindi tanto valeva affrontarla. Con l’aplomb e l’autocontrollo che la contraddistinguevano, anche se in quel frangente era dannatamente complicato farci affidamento.

“Sì, esatto. Ormai la mia fama di miglior artista marziale al mondo si è sparsa talmente tanto che sono diventato l’elemento chiave per convincere il tizio a sganciare i soldi” ostentò un moto di boria Ranma, gonfiando il petto e sollevando il mento.

Dio quanto era irritante! Tuttavia doveva soprassedere se voleva carpire qualche altro particolare sulla questione. E in fondo doveva ammettere che ammirava, suo malgrado, quella sicurezza narcisistica che emanava…
“Quindi, dato che il contratto verrà comunque firmato coi Tendo, tu devi presentarti come il promesso sposo di Akane, che tecnicamente non è nemmeno una bugia…” continuò allusiva Kijo, soppesando ogni parola per scorgere delle reazioni sul volto del ragazzo. Ancora quella brutta sensazione…c’erano così tante cose che potevano andare storte!

“Ehi…” Ranma le prese il braccio facendola voltare verso di lui. Il trolley cadde a terra sbilanciato dal cambio repentino di direzione
“Questa è tutta una buffonata senza importanza, durerà cinque minuti al massimo, il tempo di dire a quel cavolo di finanziatore che sono fidanzato con Akane: lui se ne andrà felice con le sue carte in ordine e i Tendo riceveranno un bel po’ di grana. Mi dispiace che non ci sia un altro modo, se ci fosse lo avrei evitato volentieri…però glielo devo, Kijo, lo devo a tutti loro che mi hanno ospitato per quasi due anni, che mi hanno accolto in famiglia, a maggior ragione ora che ho deciso di rompere quello stupido vincolo che mio padre mi ha imposto. Forse non riuscirò a mantenere intatto il mio onore nei loro confronti, ma se posso almeno fare qualcosa per ripagarli della loro ospitalità è mio dovere farlo. Tra…noi non cambia nulla, credimi: possiamo anche andarcene dalla festa un secondo dopo che è terminata la farsa, se non ti va di restare”
Disse tutto d’un fiato, mantenendo la presa sul suo braccio e guardandola dritta negli occhi, che lei aveva spalancato dalla sorpresa di una risposta così diretta.

Stava indubbiamente facendo la cosa più giusta, razionalmente lo capiva ed era anche orgogliosa di lui; se solo fosse riuscita a mettere a tacere quel subdolo presentimento di malaugurio che le attorcigliava lo stomaco!
Cercò di tirare un mezzo sorriso sulle sue labbra provando a minimizzare il tutto: chissà, magari a forza di simulare ottimismo avrebbe finito per crederci!
“Tranquillo, capisco che sia per un bene superiore eccetera eccetera…non preoccuparti, col giusto apporto di alcool sono certa che riuscirò a mandar giù qualsiasi boccone amaro abbia in serbo la serata e, se conosco Soun e Genma, so che non avranno risparmiato sul sakè…ulteriore ragione per cui è fondamentale che ottengano quei soldi!”

“Eccola lì! Credi davvero che essere sempre così sarcastica ti porterà lontano nella vita?” le diede un buffetto sulla guancia lui, poi si chinò a raccogliere il manico del trolley

“Non saprei, però intanto mi ha portato alle Olimpiadi di Ironia & Sarcasmo a Seul nel 1988…” replicò lei, assumendo un’aria orgogliosa e incrociando le braccia al petto

“Davvero?” si trovò istintivamente a domandare lui, inarcando le sopracciglia spiazzato da quella rivelazione. Ebbe una muta risposta nella risata sempre più evidente di Kijo, a cui replicò con una vistosa linguaccia.


                                                           -§-
 
Il parco cittadino da cui si ritrovarono a passare per arrivare a casa Tendo aveva marcatamente risentito dell’influsso della nuova amministrazione locale: era stato costituito un cospicuo fondo per la valorizzazione del quartiere nel periodo festivo, quindi un’enorme pista di pattinaggio su ghiaccio era stata allestita nella zona vicino alla fontana, ogni singolo albero era stato decorato con spirali di lucine bianche e svariati venditori ambulanti avevano ottenuto speciali autorizzazioni per sostare in quella zona, al fine di incrementarne l’afflusso di gente.
Sebbene ci fossero passati solo due giorni prima, - caspita, erano davvero passati solo due giorni?- l’atmosfera nel vederlo tutto illuminato nel buio della sera rendeva il luogo completamente diverso, un angolo scintillante e magico al riparo dalle brutture del mondo circostante. Mentre Kijo camminava trascinandosi il trolley e inspirando grata l’aroma di cioccolata calda proveniente dal banchetto che stavano costeggiando, un pensiero si fece strada nella sua testa: come le lucine di Natale che brillano nel buio ma sono praticamente invisibili nella luce del giorno, le persone importanti della vita rischiarano i momenti difficili e si confondono nel mare di luce di quando tutto va bene. Quanto era lungo il suo filo di lucine? Sarebbe riuscita a mantenere accesa la lampadina di Ranma anche dopo…?
Istintivamente scosse la testa, cercando di scrollarsi quella riflessione di dosso, di tarparle le ali, di impedirle di insinuarsi ancora più profondamente dentro di lei. Era una serata di festa e non l’avrebbe certo affrontata col muso lungo.
 
Passando vicino alla fontana a Ranma tornò in mente che, solo qualche mese prima, al posto di quella mastodontica pista di pattinaggio era stato innalzato il ring che aveva visto Kijo raccogliere la sfida di Shampoo, nata a causa dell’ennesimo malinteso sulle sue vere o presunte relazioni. Non poté far a meno di pensare che quello che allora Shampoo aveva intravisto, in preda alla gelosia, nel suo rapporto con Kijo, si era alla fine concretizzato: quante volte nel corso della sua vita era stato pronto a voler negare l’evidenza con tutti, in primis con se stesso? Quanti presunti malintesi erano veramente tali e quanti invece erano l’obiezione di qualcuno che, a differenza sua, aveva inteso benissimo? Tutto quel tempo perso per affannarsi a negare sentimenti, lusinghe, orgoglio e gelosia quali benefici gli aveva portato? Sospirò amaramente realizzando che l’idea inculcatagli dal padre su come dovesse essere un vero uomo (praticamente un robot privo di emozioni e debolezze) si era insediata così tanto in lui che anche se l’avesse combattuta avrebbe comunque avuto l’impressione di fare qualcosa di sbagliato e disonorevole. Il sospiro si concretizzò in una nuvola di vapore che sfuggì dalle sue labbra per prendere la via del cielo.
 
Nonostante l’approssimarsi dell’ora di cena, qualche passante bazzicava sempre nei dintorni della pista: c’erano bambini che protestavano quando venivano richiamati dai genitori per tornare a casa, alcuni ragazzi che bighellonavano prima di rientrare dalle famiglie e qualche sparuto anziano, che evidentemente non aveva alcun programma per la serata.
In piedi su una cassetta di legno rovesciata e appoggiata alla balaustra che delimitava la pista, una piccola vecchietta arzilla gridava a perdifiato ogni tipo di complimento le passasse per la testa verso la giovane coppia che volteggiava pattinando sul ghiaccio.
“Certo che quella non ha un minimo di pudore” commentò Ranma rivolgendosi a Kijo mentre indicava l’attempata signora, poi il guizzo di un sorrisetto sardonico e continuò “…potresti tranquillamente essere tu da vecchia!”

“Oh, Saotome, non credi che la signora sia un po’ troppo accollata per il paragone?” replicò Kijo con una linguaccia, facendo spuntare una goccia congelata sulla nuca del ragazzo
“Tra l’altro” continuò avvicinandosi leggermente alla signora “Mi sembra che abbia una faccia familiare, a te no?”

Ranma squadrò l’ottuagenaria cercando di capire dove poteva averla già vista finché una virtuale lampadina gli si accese in testa
“Ma certo! È la signora che ogni volta mi lancia l’acqua quando vado a correre!”

Un urlo dalle frequenze così alte che difficilmente si sarebbe pensato appartenere a un essere umano si librò nell’aria, sovrastando di molti ordini di grandezza le musichette natalizie che suonavano di sottofondo e perfino il tifo sfegatato della signora dell’acqua
“Charlotte! Dove hai messo la mia Charlotte? Me l’hai rubata e la rivoglioooooo!” prorompente come uno tsunami, quella che aveva tutte le fattezze di una ragazzina dai lunghi capelli mossi si avvicinò attraversando la pista a tutta velocità: sembrava che ce l’avesse con Ranma.

Elegante come un cigno, invece, il suo compagno di pattinaggio volteggiò leggiadro seguendola, fino a fermarsi a un passo dai ragazzi assai stupiti
“Ranma Saotome…quanto tempo! Pare che i solchi lasciati sulla pista della nostra vita tornino a incrociarsi nuovamente” commentò mellifluo l’avvenente partner della pazza ululante, scrutando dapprima lui e poi Kijo

“Mikado Sanzenin…Azusa Shiratori…si è fatta una certa, noi stavamo giusto andando…” provò a defilarsi Ranma, ma la coppia d’oro del pattinaggio era di tutt’altro avviso.

Mentre frignava stridule imprecazioni riguardo una misteriosa Charlotte, la ragazza identificata come Azusa (che Kijo aveva avuto il piacere di conoscere nei panni di Hokano) pose il suo cupido sguardo sul trolley blu e fu subito amore a prima vista: ghermendolo per la maniglia con la forza e l’agilità di un puma di montagna, la minuta ragazzina prese ad abbracciarlo e accarezzarlo mentre piroettava sul ghiaccio, quasi fosse il suo cavaliere in quell’insolita danza
“Jean-Baptiste! Lo sapevo che prima o poi ti avrei rivisto Jean-Baptiste!” gridava felice Azusa sollevando il trolley per poi rotearlo e acchiapparlo appena prima che toccasse il pavimento di ghiaccio.

“Sai, sono veramente esterrefatto di vederti in compagnia di questa nuova incantevole ragazza quando solo poche ore fa ho incontrato la dolce Akane a pattinare con le sue amiche…che cosa vi è successo? Credevo che foste una coppia indissolubile…” insinuò allusivo Mikado, mimando con le dita delle immaginarie virgolette attorno all’ultimo temine

“Chi frequento o non frequento non sono affari tuoi, Sanzenin. Adesso per piacere di’ a quell’invasata della tua partner di restituire la valigia alla mia ragazza, così possiamo levare le tende!” ribatté bruscamente Ranma, così concentrato a inveire contro Mikado da non rendersi conto del sussulto che ebbe Kijo di fianco a lui.
La mia ragazza. Aveva sentito bene? Lo aveva davvero detto a voce alta?

Venne riscossa dalle sue incredule constatazioni dalla vecchietta che aveva preso a tirarle un lembo del cappotto: si abbassò come le aveva gesticolato di fare in modo da permetterle di sussurrarle all’orecchio, con le mani a cono
“Fai attenzione bambina, quello è in realtà una ragazza travestita! Quando lo vedo mi diverto a rovinare il suo trucco gettandogli un po’ d’acqua addosso” dopo averle parlato l’anziana donna annuì solennemente

“Cielo, per fortuna che anch’io amo travestirmi allora!” le sussurrò di rimando Kijo, sorridendo con sarcasmo malcelato.

La signora sbatté qualche volta le palpebre e poi, interdetta, si allontanò dalla pista bubbolando
“Questi giovani d’oggi…chi ci capisce più nulla…”

“…lascia almeno che mi presenti come si confà a una celebrità del mio rango!” esclamò Mikado terminando quello che doveva essere un precedente discorso con Ranma. Il ragazzo sui pattini si spostò quindi di fronte a Kijo e, accennando un inchino, dichiarò
“Piacere di conoscerti, bellezza. Io sono Sanzenin Mikado, astro fulgente del pattinaggio artistico-marziale su ghiaccio nonché ottimo baciatore. Sai, nella mia splendente carriera ho assaggiato il sapore di più di millecinquecento labbra di ragazze affascinanti, quindi non posso esimermi dall’assaporare anche le tue…”

“Viscido mollusco, come ti permetti di riv-” un gancio di Ranma stava per raggiungere la testa sapientemente impomatata di Mikado, quando sorprendentemente Kijo lo fermò, deviando il colpo

“Suvvia, Ranma, in fondo non ha chiesto nulla di eccessivo…” gli si rivolse la ragazza con un rapido occhiolino.

Il codinato spalancò la bocca in un cerchio perfetto e, come una carpa koi rimasta troppo a lungo in superficie, cominciò a boccheggiare incredulo
“K-kijo…ma che s-stai dicendo?!”

“Questo celebre pattinatore ha solo chiesto di provare il gusto che hanno le mie labbra e non ci vedo niente di male. Ho intenzione di accontentarlo purché mi prometta di recuperare il mio trolley dalle grinfie di quella cleptomane che si ritrova per amica e di riconsegnarmelo…che ne dici Sanzenin, affare fatto?” sbatté le ciglia Kijo, appoggiandosi coi gomiti sulla balaustra

“Certo principessa, consideralo fatto!” le lanciò un sorriso smagliante Mikado, che ben presto mutò in un’increspatura man mano che le sue labbra si facevano prominenti verso quelle di Kijo

“Magnifico! Solo…potresti chiudere gli occhi? Raramente mi capita di farlo in pubblico e un po’ mi vergogno…” sussurrò trasudando timidezza Kijo e gli occhi di Sanzenin si serrarono all’istante.

Anche Ranma avrebbe voluto serrare gli occhi, ma non ci riusciva: voleva disperatamente non assistere a quell’assurdo spettacolo, di fronte al quale non riusciva neppure a scatenare l’ira che ribolliva come magma nelle sue viscere, ma parallelamente non era in grado di distogliere lo sguardo. Sarebbe davvero arrivata a tanto? Perché poi? Che senso aveva gettarsi sulle labbra del primo sconosciuto, soprattutto dopo quello che avevano appena passato? Che diamine voleva dire quel fulmineo occhiolino che gli aveva lanciato, sempre che non se lo fosse immaginato?

Mentre se ne stava immobile preda di tic nervosi, vide Kijo armeggiare qualche secondo nella borsetta, estrarre un piccolo cilindro di metallo e iniziare a passarne il contenuto sulla bocca del pattinatore, più e più volte. Come lui, sconcertato, riaprì gli occhi, un piccolo specchietto gli restituì l’immagine della propria bocca tinta di un rosso acceso: la ragazza retrostante sorrideva serafica ed esclamò
Bastoncino di zucchero: è questo il sapore delle mie labbra. Adoro questi rossetti aromatizzati!”

Due persistenti gocce gemelle ma di natura opposta si manifestarono sulle nuche dei due ragazzi, tanto che rischiarono di congelarsi per aria.
Non osando proferire parola a causa della bruciante delusione, Sanzenin raggiunse Azusa in mezzo alla pista e cominciò una lotta senza esclusione di colpi per recuperare il beneamato Jean-Baptiste. Emerse qualche minuto dopo da quel turbinio coperto da graffi e morsi, con la partner urlante avvinghiata alla gamba destra per rallentare la sua andatura.
“È tutto. A mai più rivederci, Saotome.” si congedò lapidario Mikado dopo aver allungato il trolley a Kijo prima che Azusa lo riagguantasse.



Non avevano fatto che pochi passi che Ranma, braccia incrociate dietro la nuca e sguardo noncurante verso l’alto, le chiese
“C’era proprio bisogno di tutta questa sceneggiata?”

Kijo lo osservò divertita, preparando la propria risposta
“Beh, io non so pattinare e loro sono dei campioni: non sarei mai riuscita a riprendermi il trolley altrimenti!”

“Ma c’erano altre decine di modi! Avrei potuto combatterli per esempio!” obiettò il ragazzo col codino

“Wow, che ne è della tua remora nel combattere contro le ragazze? In questo modo nessuno si è fatto male, vediamola così” lo punzecchiò Kijo, divertendosi nel vederlo annaspare per trovare una valida risposta

“Umpf, vediamola così…io non mi sarei fatto male comunque, ma a loro è andata senz’altro meglio!” concluse, quindi Ranma, soddisfatto per aver salvato la faccia. Faccia che Kijo gli baciò all’improvviso pochi attimi dopo, facendolo arrossire.
 
                                                              -§-
 
Non riuscirono neppure a suonare alla porta che Nabiki, nervosa come Kijo non l’aveva mai vista, sequestrò Ranma inveendogli contro per il suo presunto ritardo. Mentre lasciava il cappotto e il trolley nell’ingresso, Kijo osservò da lontano il suo cavaliere protestare all’unisono con Akane di fronte alle istruzioni che un’inflessibile Nabiki continuava a impartire loro, evidentemente per migliorare l’esito della serata. Tanto sarebbe stata questione di cinque minuti, no?
“Maledizione Nabiki! Il patto era che dovessimo presentarci a questo fantomatico finanziatore come fidanzati, non che dovessimo trascorrere tutta la sera a dimostrargli quanto è solida la nostra unione!” sbraitò Ranma agitando le braccia

“Infatti! Sei completamente impazzita sorella? Come dovremmo riuscire a fingere di amarci per tutte queste ore, soprattutto dopo quello che è successo?” ululò Akane gesticolando teatralmente come una vera italiana d’adozione

“Shhh! Fate piano voi due! Il finanziatore sarà qui a momenti! Ascoltate, se vi avessi detto fin dall’inizio i termini del patto con precisione, vi sareste rifiutati categoricamente. Sono consapevole di quanta fatica vi costi ma, per favore, esibite un po’ di buon senso per una volta e pensate a quanto può fruttarci questa vostra piccola recita. Saremo sistemati a vita! Un briciolo di pazienza e poi potrete tornare a farvi gli affari vostri. Adesso stampatevi due bei sorrisi su quelle facce cupe e andate ad accogliere gli ospiti: appena riconosco il finanziatore vi faccio un cenno così potrete parlarci” spiegò brevemente la Tendo col caschetto, facendo tintinnare tra loro i vari braccialetti dorati che le adornavano il polso
Che i kami ce la mandino buona…” pensò sconsolato Ranma, sorridendo tiratamente a un’Akane con la stessa paresi sul volto.


                                                           -§-
 
Kasumi si era superata, anche quella volta. Per far fronte a un’orda sempre crescente di ospiti in arrivo, senza perdersi d’animo aveva decorato deliziosamente a tema natalizio non solo la sala da pranzo e il dojo, ma anche il sentiero in giardino che li collegava: dalla veranda partivano due file parallele di scatole incartate e infiocchettate su cui scendevano a pioggia dei filamenti di lucine che penzolavano dalle corde per stendere i panni, delineando inequivocabilmente la direzione da seguire per passare da un ambiente festoso all’altro.
Entrando nella sala da pranzo Kijo ebbe come l’impressione di essere nell’anticamera del party: lì venivano accolti gli ospiti, venivano scambiate le prime frasi di circostanza e venivano deposti i regali che ognuno aveva portato in una grande cesta posta vicino a un maestoso albero di Natale; quella sala, le sembrò di capire, fungeva anche da rifugio più intimo per coloro che volessero proferire due parole in tranquillità, allontanandosi dalla kermesse chiassosa e ben più allegra che scoppiettava nel dojo.
Dopo aver posto il proprio dono nella cesta, Kijo venne attratta dalla casetta formata col pan di zenzero e le caramelle appoggiata sul basso tavolino dalla tovaglia rossa: quel piccolo capolavoro era perfetto in ogni dettaglio, dalle finestrelle al comignolo! A circondare la graziosa opera d’arte, diversi vassoi d’argento ricolmi di cioccolatini attendevano solo che la mano di qualche goloso cominciasse a svuotarli e, sebbene non fosse certo il consueto ordine per la cena, la mano di Kijo non si fece pregare.
 
Non appena un giovane uomo mingherlino, con gli occhiali e i capelli rasati come tanto sarebbero piaciuti al preside Kuno, varcò la soglia della sala, Nabiki sussultò. Quel tipo si guardava intorno con occhio clinico e, quasi stesse stimando le misure e il valore dell’immobile, poi provvedeva ad annotare su un taccuino le sue considerazioni…Yatta! Aveva scovato il finanziatore!
Senza troppi complimenti strattonò la sorella e il quasi-cognato e indicò il tale in questione, al che loro, rassegnati, gli si avvicinarono per accoglierlo.
“Buonasera e benvenuto al party di Natale di casa Tendo! Io sono Tendo Akane e questo è il mio…” la ragazza ebbe una lieve esitazione prima di pronunciare quelle parole: ok che i mesi trascorsi in Italia l’avevano un po’ smaliziata su certi argomenti, tuttavia era mai possibile che dovesse sempre trovarsi a subire le decisioni altrui? Millantare una relazione con Ranma, in quel momento, le pesava proprio tanto…
“…fidanzato, Saotome Ranma. Anzi, promesso sposo se vogliamo dirla tutta! Speriamo sinceramente che vi divertirete questa sera” concluse deglutendo la propria insofferenza e cercando di apparire solare e sorridente.

Dal canto suo Ranma si limitò a fare un inchino di cortesia, mentre con la coda dell’occhio sbirciava Kijo chiacchierare amabilmente con Tofu e Kasumi mentre si gustava un cioccolatino. Quanto diamine era golosa quella ragazza?

“Grazie mille signorina Tendo e congratulazioni per le imminenti nozze, ma a dirla tutta io sarei qui per lavoro e non per festeggiare. Anzi, ci tengo a porgervi le scuse mie e del mio capo per non essere riuscito a passare prima, ma come potete immaginare ci sono tanti progetti in ballo, soprattutto in questo periodo…” l’uomo si inchinò rispettosamente di fronte a loro e poi si sistemò gli occhiali sul naso con la matita, sorridendo gioviale

“Oh, ma ci mancherebbe altro! Se volete possiamo aiutarvi a reperire tutte le informazioni necessarie, così finirete presto e potrete anche godervi un po’ la festa” propose Akane sperando di velocizzare quella tortura. C’era un limite alla sopportazione, sua e non solo…e per niente al mondo avrebbe voluto tirarla per le lunghe.

“Sarebbe fantastico, se non è troppo disturbo. Col vostro permesso, darei un’occhiata alla struttura generale della casa per poi passare a valutare il dojo, che dovrebbe essere il punto focale della questione. Già a fine serata posso farvi una stima realistica dell’importo e dei tempi necessari. Ovviamente vi tratterò con riguardo, il mio capo ha insistito molto su questo punto, considerata la vostra conoscenza e il rapporto con vostra sorella…”

Beh, finalmente il legame tra Nabiki e Mendo stava cominciando a portare qualche beneficio, almeno alla loro famiglia. Una volta che avesse aiutato a ripagare il debito d’onore di cui si sentiva investito, sicuramente si sarebbe sentito più leggero, pensava Ranma mentre seguiva il finanziatore rasato e Akane nella stanza attigua: l’uomo aveva tirato fuori un metro da carpentiere dal taschino e poneva al maschiaccio tutta una serie di domande sulla casa a cui susseguivano rapide misurazioni e annotazioni. Certo, voleva essere ben sicuro di fare un affare prima di scucire i soldi!
D’un tratto, una sbadata signora gli caracollò addosso, inciampando. Ranma la prese al volo e lei, indugiando qualche secondo più del necessario tra le sue braccia, riacquistò l’equilibrio e si sollevò con lenta teatralità, scuotendo all’indietro la folta chioma nera che le ricadde dietro le spalle.
Eretta in tutta la sua altezza, aumentata non poco dai vertiginosi tacchi che portava, la donna si aggiustò, lisciandoselo languidamente, lo stretto tubino viola scuro che indossava, per poi portarsi le mani al volto ed esclamare mortificata
“Oh, perdonatemi! Quanto sono disattenta, vi sono caduta addosso…che razza di figura!”



Quella donna era molto avvenente, doveva essere sulla trentina e si atteggiava con talmente tanta naturalezza da risultare totalmente convincente nella parte della povera maldestra, nonostante tutto del suo personale suggerisse il contrario: la scollatura del tubino, sapientemente scelta per valorizzare il suo notevole davanzale; il trucco, che enfatizzava gli occhi blu scuro da gatta e le labbra scarlatte; i capelli sistemati in morbide onde voluminose; un piccolo neo nella zona sinistra del mento che la rendeva se possibile ancora più sensuale. Sì, decisamente quella sapeva come fare un’entrata in scena con stile, concluse Kijo dopo averla squadrata e studiata da lontano, ma non troppo…



Ranma balbettò qualche frase sconnessa accarezzandosi la nuca, spiazzato da quella situazione imbarazzante e trafitto da un’occhiata furente di Akane che sembrava quasi intimargli
La smetti di fare il cretino?”, mentre la donna che gli stava di fronte aveva proteso la mano verso di lui per presentarsi
“Piacere, sono Sigiku Rui…posso farmi perdonare andando a prenderti da bere?” sbatté le ciglia la signora, evitando troppi convenevoli

“Ehm, piacere…io sono Saotome Ranma e, beh, tranquilla, non c’è bisogno di scusarsi…” cercò di cavarsi d’impaccio il ragazzo col codino, temendo per come la situazione potesse apparire ambigua agli occhi del finanziatore, o peggio di Kijo

“E io sono Tendo Akane, la padrona di casa e la sua fidanzata…” gli fornì un assist la fanciulla, che con una gomitata ben piazzata aveva scalzato Ranma e si era posta davanti alla tipa. Chi cavolo era poi quella? Un’amica di sua sorella? Certo, era mancata molti mesi da casa, quindi non poteva essere al corrente di tutte le frequentazioni più recenti dei suoi familiari…

“Uh, che carina! E dimmi, cara…è tanto tempo che state insieme?” le strinse calorosamente la mano quella femme fatale che, avrebbe giurato, scoccò un rapidissimo occhiolino in direzione di Ranma.

Il finanziatore tossicchiò per richiamare l’attenzione su di sé e momentaneamente l’ordine fu ristabilito. Solo per qualche istante però, dato che la misteriosa vamp non sembrava intenzionata ad andarsene.

“Beh, dunque, sono quasi due anni in effetti, quindi un sacco di tempo!” sottolineò Akane rispondendo alla donna ma implicitamente rivolgendosi al finanziatore, il quale annuì cortesemente.

La replica, rapida e tagliente di Rui, non si fece affatto attendere
“Quanta tenerezza questo giovane amore…considerare neanche due anni un sacco di tempo! Che i kami preservino il più a lungo possibile questa vostra candida innocenza, ragazzi!” esclamò lei sorridendo e cogliendo l’occasione per accarezzare il braccio di Ranma. Sentendolo irrigidirsi, sferrò un altro attacco verbale, scegliendolo con cura dall’arsenale che evidentemente moriva dalla voglia di utilizzare quella sera
“Anche tu, Ranma” – pronunciò il suo nome come un sussurro – “credi che due anni siano sufficienti a stabilire la rotta amorosa della tua vita?”
Accidenti, quella donna sì che sapeva metterlo a disagio! Come poteva essere così sfacciata? Era chiaro che aveva un debole per lui, non poteva certo biasimarla! In fondo era di gran lunga il ragazzo più avvenente della festa, tuttavia con le sue neppure troppo velate avances rischiava di mandare a monte il piano studiato da Nabiki e le sue speranze di riscatto…per non parlare di Kijo! Se la conosceva un minimo stava sicuramente osservando la scena a distanza di sicurezza e non le sarebbe certo piaciuta la piega che stava prendendo la situazione. A parti invertite lui probabilmente sarebbe già intervenuto…No, doveva trovare il modo di far calmare quella signora e man mano che ci rimuginava gli balzò in mente la replica perfetta, convincente perché…reale!
“Io credo, Rui, che basti molto meno tempo. Un anno al massimo, se proprio devo sbilanciarmi sul personale”

A queste parole Akane sbiancò fissandolo esterrefatta, mentre la signora raccolse la sfida con dignità, delineando un sorriso malizioso con le sue labbra e tamburellando le unghie laccate di rosso sul proprio fianco.

Decisa a svagarsi un po’ nell’attesa che finisse quello strazio di recita, Kijo si lasciò il gruppetto alle spalle dirigendosi verso il dojo. Sebbene fosse indiscutibilmente magnifico trovarsi sotto un cielo stellato dominato da una luminosa luna calante, camminando tra le decorazioni scintillanti di Kasumi, era premura della ragazza arrivare il prima possibile all’interno della palestra per minimizzare l’impatto del freddo pungente, a cui aveva deciso di tenere testa senza cappotto.

Giunta all’altezza del laghetto, tuttavia, una voce alta e paurosamente familiare la salutò, costringendola a voltarsi.
Una ragazza avvolta in una costosa stola di visone bianco pettinata con uno chignon laterale adornato da una coroncina stava ridendo di lei. C’era qualcosa di disturbante in quella risata acuta e penetrante, una risata che sconcertava per la sua intensità, che aveva il sapore della follia.
Kodachi Kuno si stagliava davanti a lei in tutta la sua ostentata e danarosa eleganza, una mano ripiegata sul fianco fasciato di verde e l’altra posta davanti alla bocca come a smorzare quel riso impetuoso.
“Incredibile che tu bazzichi ancora da queste parti dopo tutti questi mesi, ragazzina! Credevo avessi un po’ più di sale in zucca, invece proprio non vuoi vedere la realtà…e meno male che a detta degli altri sono io la matta!”

Quella risata…le offese…la sensazione delle clavette chiodate che penetrano nella carne…il nastro abrasivo…
Fu come essere investita da un treno di ricordi, che le mozzarono il fiato. Non sentiva più nemmeno la sensazione del freddo attorno a sé, tanto cercava disperatamente di estraniarsi da quello spiacevole incontro. Non era davvero lì, quello era un sogno, un’allucinazione che la propria mente le stava spacciando per reale. Non doveva temere Kodachi, era solo il frutto della sua immaginazione. E nella sua immaginazione lei avrebbe potuto risponderle a tono senza temerne le conseguenze.
“Sono stati mesi piacevoli, da quando te ne sei andata. Peccato che siano finiti così presto!” replicò Kijo, cercando di autoconvincersi che non stava correndo alcun reale pericolo

“Oh, ci credo! Chissà come te la sarai spassata col mio Ranma dopo avermi fatto rinchiudere in quel dannato istituto! Se non altro ho avuto un mucchio di tempo per pianificare la mia vendetta…” digrignò i denti la Rosa Nera, liberandosi della stola di visone che nascondeva uno dei suoi nastri speciali.

“Non mi sembra che abbiano fatto un gran lavoro in quell’istituto!” commentò Kijo assumendo per quanto possibile una posizione difensiva. Evitò la prima impietosa frustata della sua avversaria balzando di lato, cosa non semplice a causa dei tacchi, e poi provò a sfruttare l’istante in cui lei riavvolgeva il nastro per arrivarle a una distanza tale in cui avrebbe potuto colpirla e soprattutto quello strumento infernale sarebbe stato inutile.
Kodachi, accortasi della tattica di Kijo, lasciò rapidamente il nastro librarsi nell’aria per estrarre dalla lunga gonna una clavetta che le scagliò contro.
Era troppo tardi per cambiare di nuovo direzione, era troppo vicina…Kijo poté solo incrociare le braccia a protezione del volto, attendendo di incassare quel colpo perforante…che non arrivò mai. Socchiudendo timorosa gli occhi dopo alcuni secondi che parvero ore, la ragazza vide rosso dinanzi a sé: il rosso di un ombrello aperto che l’aveva protetta, sorretto da un braccio proteso di cui voltandosi, con estremo stupore, riconobbe il proprietario.
“Ryoga?!” si trovò a sussurrare incredula Kijo, mentre Kodachi inveiva come un’invasata

“Ancora tu! Stanne fuori Hibiki, non ti riguarda!”
La tensione nell’aria crebbe palpabile. Dopo una rapida occhiata a Kijo per assicurarsi che stesse bene, Ryoga tornò a concentrarsi sulla subdola mentecatta che gli stava di fronte, mentre la giovane Kuno gli rivolgeva saettanti sguardi assassini.

“Scusate, c’è qualche problema?”
Una voce ferma e determinata squarciò il silenzio che si era creato, catalizzando l’attenzione generale: Nabiki Tendo, impaziente nel suo abito lungo e dorato, batteva nervosamente il piede destro aspettando una risposta. Dietro di lei Kuno Tatewaki, palesemente brillo, era stato trascinato acciocché mettesse un freno alla sorella foriera di guai.

“Nessuno, è una cosa personale tra me e questa sciacquetta! Se non ci aveste interrotte l’avrei già sistemata da tempo!” sbottò Kodachi, stringendo la clavetta così forte che per poco non ne ruppe il manico

“Spiacente cocca, ma stasera non possiamo permetterci disastri! Deve filare tutto liscio” ribatté Nabiki, guardando poi con insistenza Kuno con un sopracciglio profondamente inarcato.
Come se si fosse rinvenuto solo in quel momento, Tatewaki estrasse con difficoltà un piccolo telecomando dalla tasca interna della propria giacca e premette un bottone: la coroncina della sorella cominciò a emettere una serie di scintille e lei a vibrare sempre con maggior intensità, finché non cadde a terra con due croci al posto degli occhi.
“Ottimo, problema risolto. Adesso Kuno, per cortesia, sposta tua sorella dal vialetto e appoggiala su qualche sedia dove non dia noia!” ordinò militaresca la ragazza, dirigendosi poi a controllare la situazione nel dojo seguita da un obbediente Tuono Blu recante tra le braccia la Rosa Nera.

“Stai bene Kijo?” domandò Ryoga richiudendo l’ombrello e riponendolo nel grosso zaino che si portava sempre dietro. Quello zaino stonava non poco addosso alla sua figura che, per una volta, invece di indossare i consueti e spartani abiti da viaggio era valorizzata da un paio di eleganti jeans neri e una camicia verde petrolio; le scarpe di pelle abbinate alla cintura completavano una mise addirittura priva della solita bandana tra i capelli: il taglio più ordinato e moderno l’avrebbe resa decisamente fuori luogo.

“Ryoga?! Da quanto tempo sei arrivato?” gli chiese Kijo senza neppure preoccuparsi di rispondergli prima. Lo stupore nel realizzare che era davvero lì lasciò rapidamente spazio al desiderio di riabbracciarlo, esplicitando quel senso di gratitudine e nostalgia da cui si sentiva intimamente pervasa.

Dal canto suo, lui rimase spiazzato da quel repentino gesto d’affetto e non poté far a meno di irrigidirsi per qualche istante, tuttavia il livello d’imbarazzo scese molto rapidamente quando si decise a contraccambiare quello spontaneo saluto; in fondo, in Italia, aveva imparato ad abbracciare un sacco di persone!
“Beh, sono rientrato in Giappone un paio di giorni fa, ho viaggiato con Akane…se intendevi invece alla festa, sono arrivato giusto qualche minuto fa dopo solo un giorno di viaggio! Pensa che sono riuscito a non uscire mai dai confini di Tokyo! Sto decisamente migliorando” le sorrise mentre si accarezzava la nuca.
Caro, genuino e provvidenziale Ryoga
“Appena in tempo direi! Grazie di cuore per avermi salvata…di nuovo!” Kijo fece giusto in tempo ad accennare un inchino quando lui la fermò per commentare

“Non dirlo neanche per scherzo…certe ossessioni sono evidentemente troppo marcate per poter essere ridimensionate”

“Già…sfortunatamente per Ranma!”

“E per chi gli sta attorno” concluse il ragazzo ritirando le labbra fino a lasciare solo una linea orizzontale sotto il suo naso.

“Dai, raccontami del tuo viaggio! Ti va?” gli diede una pacca sul braccio Kijo, intenzionata a cambiare discorso

“Oh…ecco io-” Ryoga cominciò a malapena a parlare quando un inusuale gruppetto uscì dalla sala da pranzo per dirigersi nel dojo.
Aprivano la pista Ranma e Akane, che camminavano affiancati mano nella mano. Akane stava spiegando la meravigliosa e antica storia della palestra che avrebbero visitato di lì a pochi secondi, tenendo Ranma per mano. Ranma buttava lì cenni e commenti volti a enfatizzare la gloriosa scuola di arti marziali di cui loro erano i più giovani esponenti, con la mano di Akane nella propria. Le loro mani erano incollate, appiccicate, saldate assieme. Akane inciampò in un sassetto e lui la sorresse, ponendole l’altra mano sulla spalla. Tutto questo seguiti dal tizio rasato che prendeva appunti sul taccuino e dalla donna estremamente sensuale che ancheggiava per tenere il passo, domandando delucidazioni sul matrimonio fallito di cui aveva sentito parlare mentre sorseggiava voluttuosamente una coppa di champagne. Minimizzarono, Ranma e Akane, sorridendo all’unisono a quel ricordo e accelerando l’andatura. Passarono davanti a loro senza neppure voltarsi, scivolando verso il dojo incuranti, come se fossero invisibili fantasmi. Un refolo di vento scompigliò i capelli di Kijo, la quale si riscosse dall’immobilità che l’aveva pietrificata per rivolgere nuovamente lo sguardo verso Ryoga. Il ragazzo si scusò rapidamente e, confessando di aver bisogno del bagno, si dileguò a passo svelto in casa.

Ancora intimamente turbata, Kijo riuscì a imporsi di mettere un piede davanti all’altro fino ad arrivare nella grande, rumorosa, allegra e calda palestra. Un discreto palco era stato allestito, con tanto di sipario, per gli ospiti che volevano dilettarsi col karaoke, tant’è che Kuno ne aveva approfittato per dilettarsi nell’interpretazione di “Baby, I love you!” dei Bee Hive. Complice l’abbondante alcool che aveva in circolo, non fece propriamente una bella figura, anzi dissuase svariati avventori dal cantare a loro volta.
Alcool: era quello che ci voleva. Del resto lo aveva messo nelle clausole quando aveva accettato di partecipare alla festa in cui avrebbe avuto luogo la recita del secolo. Recita. Tutto sembrava meno che quello. Avrebbero dovuto essere immediatamente candidati all’Oscar. Sguardi, tocchi, risatine…tutto credibile al cento percento, orchestrato con un tempismo impeccabile. Il finanziatore avrebbe elargito sicuramente un bonus da quanto erano stati convincenti. Vide Ranma destreggiarsi abilmente in quella situazione e paradossalmente si trovò a temere la ragazzina che gli stava accanto più della stupenda donna che non perdeva occasione per strusciarglisi contro, per sussurrargli all’orecchio, per evidenziare il proprio corpo perfetto con qualche chinamento tattico.
Preda di una smania sempre crescente, riuscì a insinuarsi fino al tavolo delle bevande, gremito di ospiti che facevano un breve rifornimento del principale carburante della serata. Ignorò le lamentele biascicate di un signore avvinazzato al quale quasi strappò di mano la bottiglia rossa e bianca di sakè, ignorò persino la perfetta maestria con cui Kasumi aveva decorato quello splendido tavolo (e il resto della stanza), disponendo i graziosi bicchierini a formare pupazzi di neve, fiocchi di neve, alberi di Natale e bastoncini di zucchero, alternandoli alle bottiglie per cui aveva cucito pazientemente dei grembiulini a tema. Afferrò quindi uno dei bicchierini e lo riempì una, due, tre, quattro volte, svuotandolo sempre d’un fiato. Dannazione, perché li facevano così piccoli quei cosi? Cinque, sei, sette, otto…ormai aveva preso un ritmo cadenzato a cui era difficile sottrarsi. Nove, dieci…maledizione, lo stomaco e la gola cominciavano a bruciare, gli occhi si erano riempiti di lacrime ma il cervello era sempre troppo attivo! Prese un respiro e terminò la terza serie…undici, dodici…wow, un leggero sollievo, vedeva i suoi pensieri allontanarsi come la banchina della stazione quando parti col treno…prima lentamente, poi sempre più veloce finché non rimanevano un innocuo puntino distante. Appoggiò la bottiglia sul tavolo col bicchiere vicino, poi si concesse di chiudere un secondo gli occhi per godere appieno di quella sensazione di distacco e alienazione. Quando li riaprì, i contorni sfocati di quella realtà non erano più tanto preoccupanti, come se il non vedere nitidamente le conferisse un senso di profonda calma ovattata. Perfino le sue gambe rispondevano solo a tratti ai suoi comandi, facendole a ogni incerto passo dubitare della consistenza del pavimento; tuttavia in qualche modo quella sensorialità distorta la divertiva, facendo emergere sulle sue labbra una spontanea ridarella che latitava da tutta la giornata. Urtò leggermente alcune persone senza volto, scusandosi profusamente, nel tentativo di avvicinarsi a una parete o a una sedia, giacché il suo equilibrio sui tacchi risultava ogni secondo più precario. Per poco non rischiò addirittura di pestare una specie di animaletto nero che correva all’impazzata tra i piedi delle persone…che cos’era? Un gatto? Un micro-cane? Una pantegana? Boh, nessuna delle ipotesi la convinceva più di tanto, ma in fondo chi se ne importava?
Proprio quando cominciava a vedere i contorni evanescenti di una sedia vuota stagliarsi dinnanzi a sé, si rese conto che i suoi piedi la stavano conducendo da un’altra parte; trovò strano quel cambio di direzione, che sembrava proiettarla verso il palco allestito per il karaoke, ma era troppo confusa per porsi molte domande. Una cosa però non tornava…c’era qualcosa che la sospingeva e non era sicura che provenisse dall’interno…un tocco, una mano…(sulla spalla forse?) la stava portando verso il palco, ma non ce la fece salire. Si protese in avanti a scansare quella rossa barriera costituita dal sipario quel tanto che bastava affinché lei potesse scivolarvi dietro e poi cercò esperta un punto alla base della sua gola e l’altro all’altezza dell’osso sacro che vennero premuti con forza. Kijo sentì il respiro mancarle e le gambe farsi talmente molli da non sorreggerla più, mentre l’oscurità del sipario che si richiudeva l’avvolgeva completamente. Crollò sul pavimento, alzando la testa verso quell’ombra che torreggiava davanti a lei. I suoi bastoncelli appena risvegliati colsero un bagliore d’acciaio in quegli occhi che la scrutavano e si facevano sempre più vicini al suo viso. Quando la consapevolezza la colpì come uno schiaffo, provò a urlare ma non riuscì a emettere alcun suono. 
 
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“…quindi immagino che subito dopo le vostre imminenti nozze abbiate intenzione di generare un figlio, per consolidare la vostra unione. Giusto? Beh, sempre che sappiate come si fa…” esclamò allusiva Rui, godendosi appieno il rapido viraggio verso il color porpora delle guance dei giovani e la risatina a stento trattenuta del signore col taccuino.

Akane strinse istintivamente al petto un P-chan sbucato da chissà dove, il quale prese ad agitarsi in braccio alla padroncina. Il perché o percome fosse lì in quel momento fu un aspetto che Ranma non ebbe modo di approfondire, decisamente stufo del comportamento del tutto inappropriato di quella signora. Sentì crescere dentro di sé il fastidio provocato da quella domanda inopportuna, l’ultima di una lunga serie che gli erano state rivolte nel corso della serata, e mutare ben presto nella familiare rabbia che tanto facilmente lo infiammava in certi contesti. Come cavolo si permetteva? Chi accidenti era quella donna per parlare loro in quel modo, per interessarsi così morbosamente degli affari loro calpestando la loro privacy? Basta, non avrebbe più tollerato un’invasione del genere e, a costo di risultare maleducato, assecondò la propria arrabbiatura e replicò con tutto quello che gli passava per la mente
“Che razza di domanda è? Saranno affaracci nostri? E se…Akane volesse andare all’università? Se volessi tentare io stesso? O perfezionarmi viaggiando? Solo perché gestiremo il dojo non significa che la nostra vita debba arenarsi qui! E poi, cara signora, io e lei non abbiamo bisogno di sbandierare ai quattro venti un bambino per dimostrare quanto sia solida la nostra unione! Anzi, a dirla tutta non dobbiamo dimostrare proprio un bel niente a nessuno!”

Di fronte a quella risposta così sfrontata Genma, che si trovava ad abbuffarsi poco distante, per poco non si strozzò con uno spiedino: era mai possibile che il figlio fosse un tale buono a nulla da mettere a repentaglio quell’assicurazione sul futuro che erano a tanto così da ottenere? Non poteva per una buona volta assecondare ciò che le persone volevano sentirsi dire e poi fare comunque di testa propria? In fondo lui stesso lo aveva fatto per una vita e ne era uscito piuttosto bene…Ancora una volta si sentì gravato dal proprio dovere di padre nel correre in soccorso al figlio per ributtarlo sulla strada che tanto faticosamente aveva delineato per loro, intervenendo nella conversazione forte del proprio carisma e sorriso irresistibile
“Buonasera, cari signori…lasciate che mi presenti: io sono Saotome Genma, il fortunato padre di questo promettente ragazzo” con un gesto rapido e un po’ maldestro fece un raffazzonato baciamano a Rui e poi dedicò tutta la sua attenzione al finanziatore, del quale prese una delle mani tra le sue per poi continuare col proprio monologo
“Dovete sapere che Ranma è stato educato con la più ferrea disciplina al fine di renderlo l’impareggiabile artista marziale che è già oggi, degno successore per lo storico dojo Tendo e meritevole garante di qualsivoglia investimento” l’uomo rimarcò le ultime parole guardando dritto negli occhi il poveraccio che tentava in ogni modo di riappropriarsi della sua mano tenuta in ostaggio. Per conferire ulteriore pathos alla confessione che stava per fare, Genma distolse poi lo sguardo, socchiuse gli occhi e, non si sa bene come, estrasse un microfono di quelli utilizzati per il karaoke sul palco lì accanto per dichiarare
“Tuttavia questo costante allenamento per potenziare la sua virilità lo ha reso totalmente imbranato quando si tratta di raffrontarsi col gentil sesso, tanto che neppure lui sa coscientemente cosa vuole! Ma vi posso assicurare che, nel buio della sua camera, quando la profondità del sonno rilascia ogni freno inibitore, più volte l’ho sentito ansimare per Akane ed esprimere il desiderio di avere un figlio da lei! Il ragazzo è solo un po’ timido, ma sono certo che, una volta sposati, l’erede arriverà eccome, e in men che non si dica!”
Il piccolo show di Genma aveva catturato l’attenzione di tutta la sala, dato che il microfono utilizzato era ancora collegato alle casse accese. Il volto di Akane si fece viola e P-chan le sfuggì di mano per andare a mordere e graffiare le gambe di Ranma, il quale era rimasto pietrificato, con tutti gli occhi puntati addosso e un tic nervoso che balzava dall’occhio sinistro all’angolo di labbro corrispondente.

Notando il finanziatore palesemente a disagio grattarsi col lapis dietro all’orecchio, Nabiki comprese che, per l’ennesima volta, avrebbe dovuto inventarsi qualcosa per salvare la situazione. Finalmente era giunto anche Mendo e assieme, tra un convenevole e l’altro con gli ospiti, si erano messi a osservare da lontano il gruppetto di punta della serata, appena in tempo per prevenire la catastrofe, a quanto pareva.
“Mendo, che ne diresti di andare a salutare il finanziatore? Dopotutto sei tu che lo conosci e se agiamo tempestivamente il tuo charme potrebbe distogliere il focus dalle patetiche parole di Genma!”

“Hai ragione, farfallina, però vorrei che tu venissi con me: ci tengo a presentarti come la mia ragazza…nel senso, è un contatto importante e può sempre far comodo se deciderai di scalare i vertici del mondo della finanza…”

Orgoglio. Ammirazione. Devozione. Nabiki si trovò travolta da tutte queste emozioni che emanavano da Shutaro come la luce di una lampadina nella notte. Poteva sentire nella sua proposta quanto questo ragazzo la rispettasse, la venerasse e la reputasse degna compagna del suo seppur smisurato ego. Stava vincendo. Si stava impadronendo dell’affetto di quel ragazzo che tanto pragmaticamente si era impegnata a conquistare per la prospettiva di una vita agiata (per se stessa e per la propria famiglia) che si portava appresso. Questo indubbiamente le procurava un marcato senso di autocompiacimento che istintivamente aveva riconosciuto…ma c’era dell’altro. Per quanto fosse restia ad ammetterlo, l’essere adorata da Shutaro non era la sola cosa che la rendeva…felice. Aveva scoperto in lui un ragazzo maturo, affascinante e intelligente, determinato a stare con lei nonostante le reticenze della famiglia e sicuro al punto di voler ammettere pubblicamente la loro relazione. Nei mesi appena trascorsi aveva avuto modo di rendersi conto che la ricchezza non era affatto la sua unica qualità e nemmeno la più importante, trovandosi pian piano avviluppata in una ragnatela di sentimenti da lei sempre repressi a cui provava con difficoltà sempre crescente a resistere. E quando vi si lasciava andare non finiva il mondo, anzi, si colorava di sfumature sempre più interessanti…
“D’accordo, purché questo non generi conflitto di interessi col finanziatore” gli sorrise lei

“Assolutamente no. Anzi, semmai potrebbe velocizzare le pratiche…” replicò fiero Shutaro, prendendole la mano e accompagnandola verso la scena madre della sala.


“Buonasera gentili ospiti, mi auguro che la nostra festa stia risultando di vostro gradimento” ruppe il ghiaccio Nabiki rivolgendosi a tutti ma con particolare concentrazione sull’uomo rasato col taccuino. Gli si era posta lateralmente, attendendo che Shutaro lo salutasse col savoir-faire che lo contraddistingueva, presentandola come la sua ragazza. Ma non lo fece. Stava invece perdendo un sacco di tempo prezioso a fare il cascamorto con quella femme fatale che nessuno ancora aveva capito cosa ci facesse lì, chi l’avesse invitata…

Proprio mentre dentro di sé cominciava a prendersi metaforicamente a schiaffi per essersi abbandonata al sentimentalismo, sentì Mendo pronunciare le seguenti parole
“Quanto tempo, cara Rui! Non abbiamo ancora avuto modo di ringraziarti adeguatamente per quella soffiata sulla flotta aerea…uno dei migliori investimenti di sempre per le Mendo Industries! Voglio sperare che stasera tu ti stia rendendo conto delle potenzialità di questo prestigioso dojo: merita indubbiamente una sovvenzione per riqualificarlo e non lo dico solo perché la qui presente Nabiki Tendo, esperta contabile e astro nascente della finanza, è la mia ragazza. Vedi, con una come lei all’interno…”
Shutaro continuò per diversi minuti a perorare la loro causa con la donna condendo la propria arringa di altisonanti termini di economia avanzata, ma per una volta Nabiki non riusciva a stargli dietro…come diamine aveva fatto a non capire chi era la donna? Proprio lei che rincorreva il sogno di ricoprire una posizione di potere e prestigio, come poteva aver ceduto al pregiudizio imperante che il famigerato finanziatore doveva essere per forza l’uomo? A guardarli bene era così ovvio: lei era sofisticata, diretta e portava abiti di haute couture, mentre lui se ne stava lì impacciato col metro da carpentiere e quello stupido taccuino in mano da cui non si era mai separato tutta la sera! Ehi, un momento! Quindi chi era lui?

Con la coda dell’occhio vide Tofu e Kasumi avvicinarsi al centro del set di quella commedia degli equivoci improvvisata. Dopo un inchino e un saluto di cortesia, la sorella si rivolse affabilmente all’uomo misterioso
“Salve Jinichi! Come sta il vostro maestro?”

“Buonasera signorina Kasumi. Mastro Fujita soffre ormai di tutti quegli spiacevoli acciacchi che la vecchiaia si porta con sé, ma non si dà per vinto. Ha detto che supervisionerà personalmente il vostro progetto, così si assicurerà che io faccia un buon lavoro…” l’uomo sorrise imbarazzato: la famiglia Tendo era uno dei maggiori clienti che davano lavoro alla Falegnameria Fujita, a causa delle numerose riparazioni di cui periodicamente necessitavano, soprattutto negli ultimi anni. La candida gentilezza di Kasumi aveva fatto il resto, suscitando la simpatia dell’anziano professionista (che non mancava mai di farle qualche sconto, quando possibile) e del giovane apprendista, il quale spesso si era segretamente dilettato in sogni romantici che riguardavano la bella casalinga.

Akane e Ranma li fissavano a bocca spalancata come se stessero mettendo insieme i pezzi di un puzzle solo in quel momento.
“Un momento…quindi la signora qui presente è il famoso finanziatore e questo tipo è l’apprendista del nostro falegname?” riassunse Akane, chiedendo conferma

“Sì, Akane cara…l’ho chiamato ieri perché venisse a farmi un preventivo per la ristrutturazione. Non sapevo che non lo conoscessi” ammise Kasumi stringendosi nelle spalle

“Ebbene sì, e devo dire che ciò che ho visto durante questa serata mi è molto piaciuto. Come hai resistito ad ogni mio tentativo di seduzione…e non sapevi neppure chi io fossi realmente, quindi un punto in più per la lealtà! Inoltre le tue risposte ragazzo, taglienti e determinate: si capisce proprio che sei innamorato perso di questa ragazza! E l’amore è un’ottima garanzia, in certi contesti. Definiamo gli ultimi dettagli, a carte scoperte, ma posso già prevedere una pioggia di contanti arrivare su questo dojo...” replicò spavalda Rui, accennando un brindisi con la coppa di champagne ormai vuota.
 
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La tenda del sipario, fino a quel momento appena scostata per lasciare uno spiraglio sulla stanza, venne di nuovo chiusa con veemenza, lasciando una Kijo senza parole faccia a faccia col proprio aguzzino nella più scura penombra.
“Ebbene, principessa, è per questo che mi hai allontanato? Un ragazzino-banderuola che è tornato scodinzolante dalla propria fidanzatina non appena ha rimesso piede in Giappone? Non mi è sembrata una scelta molto saggia, sai…” l’uomo si schiarì la voce ostentatamente, prima di rivolgerle la stoccata finale
“Inoltre mi è parso di capire che abbiano notevoli progetti in ballo, quei due, progetti che non ti includono affatto” il dottor Seitan sorrideva smagliante e soddisfatto trafiggendo col suo sguardo d’acciaio i grandi occhi di Kijo, nei quali poteva a malapena scorgere, nonostante l’estrema vicinanza, il verde dell’iride, spazzato via dal nero della pupilla che si era allargato a dismisura.

La verità era che, nonostante lui l’avesse bloccata fisicamente con una delle sue maledette tecniche, prima ancora l’aveva bloccata psicologicamente: l’impatto di trovarsi davanti quell’uomo, a cui non pensava (almeno coscientemente) da mesi, era stato troppo forte per la sua mente, oltretutto alterata dall’alcool. Prima ancora di riconoscere i suoi lineamenti, dal suo stomaco si era diffusa quella sensazione di pericolo imminente che aveva però trovato i suoi arti inerti e la sua ugola inattivata, rassegnandosi quindi a risuonare come un insistente e impietoso campanello d’allarme rimbombante nella sua testa. Il pensiero che potesse essere lì quella sera non l’aveva sfiorata mai neppure per sbaglio, provocandole in quell’istante una serie di stilettate di senso di colpa per quanto era stata stupida e poco lungimirante: perché non avrebbe dovuto essere lì? Era pur sempre un amico di Tofu e grazie alla sua decisione di mantenere il silenzio su ciò che era successo quella notte sulla spiaggia, nessuno si era fatto il minimo scrupolo a invitarlo.
Stupida e vigliacca, così impari.
L’unico che era a conoscenza della situazione era talmente tanto preso dalla propria missione personale da non essersi probabilmente neanche reso conto della presenza di Seitan; forse questo era pure un bene, dato come si erano lasciati la volta precedente…
Ma tanto ormai non c’è più pericolo, la missione era solo una scusa per tornare in grande stile con Akane, quindi sai cosa gliene frega del dottore. Ormai sei storia antica: ce li hai gli occhi o no? Hai visto come si guardano e si tengono per mano? Hai sentito quello che hanno detto? Come farebbe a tirarsi fuori da promesse simili?
La sua scarsa autostima era entrata in risonanza con le allusioni di Toshio e gli faceva eco dall’interno, amplificando le sue parole nella confusione della sua testa.
L’uomo sollevò una mano e carezzò lentamente il viso di Kijo, dalla tempia fino all’estremità del mento: per quanto delicato fosse il tocco di lui un moto di disgusto si propagò dalla sua gola, come se le avesse cosparso una sostanza viscida sulla guancia; solo dopo si rese conto con orrore che quella sensazione di bagnato e appiccicaticcio era dovuta allo spargimento delle proprie lacrime che, incuranti della sua volontà, avevano cominciato a tracimare dalla rima ciliare. Maledette disgraziate! Non doveva farsi vedere piangere…Congelatevi immediatamente!

“Sai Kijo, in questi mesi ho viaggiato tanto e ho avuto modo di riflettere parecchio. Una volta curata la spalla e il mio orgoglio mi sono reso conto che fra noi non doveva necessariamente essere finita…In fondo lo sai anche tu che non ho mai avuto alcuna intenzione di farti del male davvero, volevo solo spronarti un po’ quella sera”
 
Le urla. La negazione di un consenso. Il rumore di conchiglie infrante. 

“Ritengo ancora che noi potremmo essere una gran bella coppia, una coppia vincente: pensaci un po’, potremmo fare ricerca insieme, guadagnare un sacco di soldi…avremmo una vita lussuosa, bei viaggi, interessanti convegni, prestigio e stima dei colleghi, persino invidia! Non ci perderemmo più un Gran Premio, anzi, sai cosa? Li vedremmo dal vivo nei vari paddock! E qualora ti stancassi, potresti fare la bella vita da mantenuta, seguendo la crescita dei nostri figli mentre sorseggi un margarita, o qualcosa di più forte conoscendoti, a bordo piscina tra un bagno di sole e l’altro”

Era furibonda. O meglio, sarebbe stata furibonda se l’effetto anestetizzante dell’etanolo non le avesse impedito far affiorare le proprie emozioni. Allo stato attuale era solo consapevole del fastidio che le parole di Seitan le avevano provocato ma era come guardare le proprie sensazioni dall’esterno piuttosto che provarle in prima persona. Come si permetteva di delineare un qualsiasi futuro tra loro? Ma poi…bagni di sole? Lei? Siamo seri…Sarebbe stato poi estremamente divertente vedere la sua faccia quando, dopo un tuffo in piscina, fosse riemersa come Hokano. Forse avrebbe dovuto lasciare che la gettasse in acqua, quella sera: l’infatuazione gli sarebbe senz’altro passata.

Il dottore lasciò che la sua mano scivolasse giusto sotto il mento della ragazza, per poi continuare il monologo che si era preposto di declamare
“Io sono qui, di fronte a te, da uomo, per dirti che da parte mia sono ancora aperto a questa possibilità…Perché dovremmo sciuparla? Per uno che non ha esitato un secondo a tornare dalla ragazza che davvero ama? Per uno che non sarà mai in grado di stimolarti adeguatamente a livello intellettivo? Per uno che non sa nemmeno cosa vuole con chiarezza ed è sempre pronto a fare marcia indietro? Per quanto sia belloccio, glielo concedo, questo a lungo andare non ti basterà, Kijo…”

Quanto avrebbe voluto essere più impermeabile a quelle parole. Seitan sembrava avere la capacità di percepire esattamente i suoi punti deboli e sfruttarli a proprio vantaggio a colpi di retorica.
Tutto quello che avete condiviso era una parentesi. Non è servita a niente. È destinata a chiudersi.
Le ultime notti passate insieme, tutti i segreti che si erano nascosti e poi si erano svelati, le risate, le prese in giro, i fraintendimenti, gli allenamenti, i balli rubati e i complimenti sussurrati a mezza bocca…tutto destinato a svanire senza lasciare traccia.
D’improvviso una scossa che le attraversò il corpo la ridestò dai suoi pensieri, costringendola a tornare in quel pertugio buio: la mano di Seitan stava scendendo lentamente sul suo collo e ne aveva già percorso una buona metà…
Come un fulmine una folle idea le balenò in testa e, con l’ardore della disperazione, decise di attuarla: attese immobile che scendesse un altro paio di centimetri e poi buttò rapidamente giù la testa, schiacciando la mano dell’uomo in una morsa tra il mento e il petto. Seitan la ritrasse quanto prima, ma ormai era troppo tardi: lo tsubo che controllava la voce era stato premuto, quindi Kijo, assecondando il risentimento che già le risaliva a fior di labbra, poté rispondergli
“Neppure io so cosa voglio con chiarezza, Toshio. Se tu l’ha già scoperto, buon per te, ma non è detto che riuscirai a ottenerlo! E poi Ranma è molto di più di questo! Alla fine, quando conta davvero, lui è sempre presente senza secondi fini, per supportare e non per demolire. Può darsi che non sia l’uomo della mia vita, non posso saperlo, ma una cosa la so per certa: di sicuro non sei tu!”

“Risposta sbagliata bambolina…io ottengo sempre quello che voglio!” il dottore si sentì punto nell’orgoglio e si lasciò sfuggire questa frase, con tutta la rabbia che l’accompagnava. Un secondo no non era ammissibile, semplicemente. Con precisione chirurgica si avventò nuovamente verso il punto da premere sul collo della ragazza ma, prima che il suo dito raggiungesse il bersaglio o Kijo cacciasse l’urlo più potente di cui era capace, la tenda si spalancò inondando quello spazio isolato di luce.

La sagoma statuaria di un uomo con degli occhiali tondi e rilucenti e un codino appena accennato si stagliava all’altezza del sipario spostato
“Che succede qui? Kijo, va tutto bene?” chiese Tofu visibilmente perplesso dalla scena che gli si era posta davanti agli occhi.

La ragazza non fece in tempo ad articolare un suono che Seitan si sollevò e, con aria scanzonata, fornì la sua versione accarezzandosi la nuca
“Tutto a posto Ono! La ragazzina, qui, ha preso una discreta sbronza e non si reggeva in piedi: mi è caduta davanti come un sacco di patate e volevo controllare che non avesse escoriazioni”

“In uno spazio buio?” si grattò il mento Tofu, per nulla convinto. Ogni suo dubbio fu fugato quando posò lo sguardo sulla ragazza e incrociò i suoi occhi: terrore, rabbia, smarrimento, vergogna…tutte queste sensazioni lo colpirono in volto come uno schiaffo. Era sempre stato una persona empatica e sensibile, doti che aveva ampiamente sviluppato sia con la professione che con le arti marziali che praticava…ma quella volta fu come essere investito dal dolore del muto grido di Kijo.
“Kijo stai bene?” ripeté Ono, un groppo in gola troppo grosso per scandire perfettamente le parole. La ragazza lasciò scivolare due grossi lacrimoni sulle sue guance, mentre scuoteva la testa e abbassava lo sguardo per sottrarsi alla vergogna della sua indagine; il labbro tremante era serrato come in una morsa.
No, non poteva essere. Se davvero era accaduto ciò che temeva, l’intera responsabilità era sua. Lui li aveva presentati, lui li aveva quasi incoraggiati, lui, perso nella sua personale bolla di felicità con Kasumi, aveva ignorato i segnali: da quanto tempo non sentiva più nominare Seitan dalla sua giovane assistente? Da quanto tempo lei non gli chiedeva più di salutarglielo o ne domandava notizie? Da quanto tempo non sentiva più il cercapersone bippare in continuazione? Era davvero stato così cieco da pensare che fosse solo a causa dei viaggi del collega?
Tofu sentì un brivido corrergli lungo la schiena…cosa era successo davvero? Come aveva fatto a mancare di proteggere quella ragazzina a cui tanto si era affezionato?
“Toshio, non sei più il benvenuto a questa festa. Vattene” gli intimò implacabile; l’altro prese a ridergli in faccia, quasi sbeffeggiandolo

“Capirai! Questa festa è una noia mortale comunque”

Ono lo spostò di lato col braccio per farsi strada verso Kijo e appurarne le condizioni; le si avvicinò piano, preoccupato di turbarla ulteriormente e, poi su suo suggerimento, esercitò le digitopressioni necessarie a sbloccarle gli arti.
Per prima cosa lei lo abbracciò forte, sussurrandogli all’orecchio
“Grazie infinite Ono…prometto che ti racconterò tutto, ma non qui, non ora…”

Il dottore si voltò quindi nuovamente verso il collega, appena in tempo per vedere Kasumi che si stava avvicinando col falegname
“C’è qualche problema?” domandò candidamente la maggiore delle Tendo, mentre il falegname si affrettò a spiegare

“Devo solo prendere un paio di misure, ma se disturbo ritorno più tardi”

“Uh? Abbiamo forse interrotto qualcosa?” si affacciò quindi Akane con aria maliziosa, accarezzando il porcellino che teneva in braccio.

Subito dietro di lei Ranma. Il suo sguardò guizzò saettante dalla figura di Seitan a quella in disparte di Kijo, a cui Tofu sembrava dedicare molta apprensione. Non era possibile, non di nuovo. Vedere quel damerino provare a sgusciare via impunito nella sua faccia da schiaffi lo mandò fuori di sé: sentì il suo pugno stringersi e le sue braccia divenire fruste pronte a scattare al minimo stimolo; poco gli importava in quel momento della finanziatrice, del teatrino e di tutte le persone coinvolte, lui aveva invaso ogni suo pensiero, risvegliato il suo odio sopito, ridestato quel desiderio di giustizia sommaria che già una volta era riuscito a reprimere con immensa difficoltà. Il suo destro fece per partire verso il bersaglio, ma la corsa venne arrestata immediatamente da Nabiki, che trattenendolo con entrambe le braccia gli bisbigliava all’orecchio “Calmati Ranma! Pensa al finanziamento!”
Finanziamento un corno, lui era fuori di sé! Strattonò il braccio per liberarsi dalla presa di Nabiki e con un balzo fu di fronte a Seitan, bloccandogli la fuga. Tutte queste movenze avevano catturato l’attenzione di Rui, che osservava perplessa quel comportamento, con tanto di sopracciglia aggrottate.
“Io ti avevo avvertito: se ti fossi fatto rivedere ti avrei fatto fuori personalmente” esclamò Ranma a denti stretti da tanto li stava digrignando

“Toh, guarda chi si rivede! Fatti un piacere, Karate Kid costì, prendi una decisione una buona volta! Vuoi la dolce fidanzatina nostrana o l’affascinante straniera? Te lo dico perché mentre tu stai qui a tentennare chi ti sta intorno perde delle golose occasioni…Quanto alle tue vane minacce, prova a sfiorarmi un’altra volta e ti sommergo da così tante denunce che ti faccio prendere la residenza a Katsushika” così dicendo Seitan fece per scansarlo come si scansa un fastidioso verme in mezzo alla via che non si vuol calpestare per timore di sporcarsi le scarpe. Mise su il suo consueto sorriso tracotante di sicumera e si accinse a muovere il primo passo in direzione dell’uscita.

Accadde tutto in una frazione di secondo: Ranma stava già preparandosi a caricare uno dei suoi micidiali calci poderosi quando Kijo lo bloccò in un abbraccio stritolante da dietro consentendo a Tofu di raggiungere gli tsubo sui fianchi per dissipare istantaneamente le energie che lo animavano. Mentre rovinava a terra, sorretto solo dalle braccia di Kijo per attutire la caduta, la sentì sussurrare
“Ti prego, Ranma, ricorda la promessa che mi hai fatto”

Nel frattempo Ono, di fronte a lui, stava blaterando qualcosa col suo tono sempre pacato, sebbene apparisse visibilmente agitato, sul fatto che non si raddrizza un torto con la violenza, che esiste un percorso legale da affrontare, che lo avrebbe aiutato a non lasciarlo impunito e che non bisogna nuocere a se stessi.
Parole. Discorsi vuoti e inutili. Inutili come lui, disteso a terra privo di forze, mentre quel maledetto raggiungeva indisturbato, trionfante l’uscita. Troppi sguardi, poi lo inchiodavano al terreno: quello di Kijo, che pure non vedeva ma percepiva sulle proprie spalle, supplichevole e timoroso; quello di Tofu, determinato e scalfito da profonda preoccupazione; quello più distante di Akane, dubbioso e fuggevole mentre una fumosa idea prendeva forma nella sua mente; quello apprensivo di Kasumi, che empaticamente dimostrava di aver compreso oltre le spiegazioni; quello interrogativo e soppesante di Rui, alla quale non era sfuggita quell’incospicua scenetta ma il suo significato sì.
“Quella ragazza…” la donna formosa tamburellò lentamente la sua perfetta unghia laccata a lato della bocca scarlatta, rimuginando a bassa voce; Nabiki se ne accorse ed entrò in rapida scivolata nel flusso dei suoi pensieri, per tentare di raddrizzarlo a proprio vantaggio: ormai mancava pochissimo alla firma, non poteva permettere che i suoi sforzi fossero vanificati da un dubbio incipiente

“Quella? Oh, si tratta solo di una studentessa straniera che è venuta per assistere il Dottor Tofu e apprendere le sue tecniche! Come avete potuto vedere tutto quello studio ha dato ottimi frutti, no?”

“Sì, ma…in che rapporti si trova col promesso sposo? Sembrerebbe dimostrarsi assai protettivo nei suoi confronti” continuò la donna che aveva preso ad accarezzarsi il mento

“Oh, capisco che possa esser sembrato questo, ma in realtà…beh, è una questione un po’ imbarazzante, spero di poter contare sul vostro più assoluto riserbo…” proseguì a tessere la propria spiegazione l’arguta ragazza, aggiungendo pause ad hoc quasi seguisse un copione scritto; come la finanziatrice annuì, lasciando che un lampo di curiosità le si leggesse negli occhi, la giovane Tendo riprese
“Beh, ecco…l’uomo che avete visto è stato in passato un pretendente di Akane: a poco è valso fargli presente che era già stata promessa a Ranma, lui le riservava una corte spietata. Quando si rese conto che in nessun modo avrebbe potuto conquistare il cuore di mia sorella pareva essersi fatto da parte, non dopo aver avuto una forte discussione con Ranma, tuttavia. Purtroppo Ranma è così, un carattere ardito e focoso, il solo averlo visto alla festa gli ha fatto perdere le staffe e se non fossero intervenuti Tofu e la sua assistente a fermarlo credo che non sarebbe riuscito a trattenersi dal cacciarlo in malo modo. Quando si tratta della mia sorellina, quel testone viene pervaso da una gelosia incontrollabile…”

La donna valutò attentamente le parole della sua interlocutrice, ritenendole plausibili: in fondo per tutta la serata aveva avuto prove su riprove di quanto poco incline all’autocontrollo fosse quel ragazzo, quindi rilassò le spalle e si lasciò andare a un lieve sorriso e un cenno di assenso.
Nabiki comprese che, dopo quella serata, avrebbe potuto tranquillamente perseguire la carriera attoriale se solo ne avesse avuto il desiderio.
 
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Finalmente gli avevano restituito il dono della mobilità! Guardandosi attorno Ranma si rese conto che non riusciva a tollerare nessuna delle facce che vedeva: ancora una volta si erano intromessi per prendere una decisione al suo posto, non poteva sopportarlo! Inutile che gli mostrassero volti smarriti e preoccupati, li aveva resi ricettacolo di tutto l’odio che non era riuscito a far sfogare e poco importava che lo avessero probabilmente salvato dal compiere una scelleratezza. Aveva bisogno di aria, di stare da solo, di venire a patti con tutte le emozioni che dall’inizio di quella stupida sera non aveva fatto altro che reprimere, quindi fece una delle cose in cui era maestro: si dileguò. Mentre varcava la soglia del dojo a grandi falcate, un’idea cominciò a vorticargli in testa sempre più prepotente…non tutto era perduto!
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Quel momento che si trovava a vivere era semplicemente troppo per lei: aveva difficoltà a stare lì di fronte alle facce imbarazzate, preoccupate e curiose di tutto l’entourage Tendo, che pur con le migliori intenzioni le rendevano ancora più insopportabile il processare tutto ciò che le era accaduto. Come stai cara? …Ne vuoi parlare? …Posso portarti una tazza di tè?  Tutte domande che le venivano rivolte ovunque si girasse, si sentiva come circondata, in trappola…Forse era lo stato di shock oppure la scarsa lucidità dovuta all’alcool che ancora le scorreva dentro, ma in quell’istante provò una forte repulsione, un indicibile disgusto per quel corpo femminile che l’aveva cacciata in quel guaio e in quella situazione di profondo disagio. Non riusciva a tollerarsi in quelle vesti e per un solo attimo le sembrò perfino di comprendere ciò che provava Ranma ogni volta che era costretto a trasformarsi. In quel momento doveva evitare a tutti i costi il confronto con se stessa, ne sarebbe uscita spezzata e distrutta. In quel momento avrebbe avuto bisogno di spalle più larghe per sopportare le conseguenze delle proprie azioni, ossa più robuste e muscolatura più forte. In quel momento volle solo essere Hokano.
Fece un respiro profondo e, raccogliendo tutto l’autocontrollo che le restava, sussurrò di aver bisogno del bagno per darsi una sistemata. Ogni passo lontano da quelle care persone era un passo verso la sua scappatoia di negazione, che bramava più di ogni altra cosa al mondo. Raccolse la borsa con le gocce tranquillanti, certa che ne avrebbe fatto buon uso, e con i vestiti maschili di ricambio: era il momento che l’addetto alla sicurezza della discoteca facesse il proprio ingresso alla festa. Mentre si dirigeva verso il bagno, le sembrò di scorgere di sfuggita Ranma scappare verso l’ingresso…neanche per lui era stata una serata facile, probabilmente aveva bisogno di un po’ di tempo da solo.
 
Lo sapeva, non poteva essersi allontanato più di tanto, infatti correndo sui muretti e balzando sui tetti lo individuò subito, a un paio di isolati di distanza. Camminava piano, il bastardo, solcando tranquillamente l’asfalto come se non avesse un problema al mondo: con tutta calma si stava recando verso un sottopassaggio, probabilmente per arrivare a prendere uno di quei treni che lo avrebbe riportato a casa. Non così in fretta.
Ranma lasciò che una folata di vento scompigliasse i suoi capelli e assaporò la sensazione di supremazia che la posizione sopraelevata comportava; poi, come un falco che ha adocchiato la sua preda, balzò giù dal tetto fino a comparire alle spalle di Seitan il quale, colto di sorpresa, ebbe appena il tempo di voltarsi prima di farsi spingere nel sottopasso scarsamente illuminato e domandare con aria smarrita
“Tu?!”
Ranma non si prese neppure la briga di rispondere, impaziente com’era di sfogare tutta la rabbia repressa per ottenere uno straccio di giustizia: dapprima eseguì un perfetto teisho uchi per chiudergli quella boccaccia spalancata dallo stupore, poi con un mae geri da manuale lo spinse a terra, dove quel verme meritava di stare.

Un treno passò sopra di loro, col proprio roboante clangore, gettando luce a intermittenza sui loro volti, illuminando come se stesse guardando una moviola la figura di quella ragazza dai capelli rossi che inspiegabilmente ce l’aveva con lui e lo stava assaltando per dimostrarglielo.
Schivò per un pelo lo yoko tobi geri con cui gli stava arrivando addosso e deglutì vedendo che l’asfalto su cui era atterrata si era crepato. Quell’invasata, che se non ricordava male era la paziente mentalmente instabile di Tofu, si voltò verso di lui con sguardo assassino e non c’era molto che potesse fare se non tentare di bloccarla; provò a raggiungere alcuni dei suoi principali tsubo, ma non c’era verso neppure di sfiorarla: nel tempo in cui il suo braccio si muoveva, lei non era già più lì, sogghignando ogni volta dalla soddisfazione per l’essere così imprendibile.
Sfuggente come il vento, agile come il puma, veloce come il ghepardo
Queste erano i mantra che risuonavano nella testa di Ranma mentre si divertiva a schivare i patetici attacchi di quel patetico uomo. Dovette ammettere suo malgrado che la sua corporatura femminile era ancora più difficile da colpire, rendendo lo scontro ancora più divertente e privo di inibizioni: se come uomo avrebbe rischiato di essere perseguito dopo aver dato una lezione a quell’essere spregevole, come donna priva di un’identità registrata certo non sarebbe accaduto. I kami poi dovevano essere dalla sua parte, avendole procurato il set perfetto per compiere quel regolamento di conti: tutti occupati a festeggiare il Natale, non un’anima si aggirava per le vie del quartiere, tantomeno nella profondità del sottopasso. Dopo l’ennesimo colpo schivato, Ranma si lasciò andare a una risata beffarda, rivolgendosi a Seitan in tono quasi lamentoso
“Oh, che c’è? Sei abbattuto perché non riesci a mettere le mani addosso a una ragazza?”

“Che diavolo vuoi da me, pazza scatenata! Lasciami in pace, non ti ho fatto niente!” le ringhiò contro lui, respirando affannosamente per tutti i tentativi andati in fumo

“A me no, ma gira voce che tu sia un fottuto maniaco e questo non riesco a sopportarlo” lo derise Ranma, mentre con una capriola in aria si catapultò alle sue spalle per poi trafiggerlo con un ushiro empi uchi che lo fece crollare in ginocchio davanti a sé.

Seitan sollevò le mani abrase e sanguinanti da terra e le pose sulla nuca, in segno di resa, mugolando
“Per favore…basta…non ho fatto niente…”

Ranma gli si avvicinò alle spalle e, furente, gli sussurrò all’orecchio
“Non è piacevole quando preghi qualcuno di smetterla e quello non ti dà retta, vero? Adesso mi raccomando, vai a denunciare di essere stato ridotto in questo stato da una ragazzina, grand’uomo…”

“Maledetta…quale caspita era il tuo nome…” si spremeva le meningi intanto il dottore, sempre fermo in posizione di resa

“Colca…” sogghignò Ranma apparendogli di fronte

“Kolca…?” aggrottò le sopracciglia Toshio

“Sì, col cavolo che te lo dico!” concluse la ragazza assestandogli un ultimo fumikomi geri, che lo fece definitivamente stramazzare a terra con un rivolo di sangue che gli sgorgava dalla bocca.
Paga di aver scaricato la frustrazione accumulata in precedenza, la ragazza si spostò il codino nuovamente dietro le spalle, strusciò assieme le mani come se dovesse scuoterle da della polvere immaginaria, si voltò e sparì nella notte.
 
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Un ultimo sguardo allo specchio per definire il verso di quei folti capelli biondi che si ritrovava e fu pronto per uscire. Era strano, rifletté trovando finalmente lo spazio nel proprio cuore per un pensiero buffo, perfino la sua chioma sembrava più forte quando subiva la trasformazione in ragazzo. Come Kijo doveva perdere montagne di tempo a cercare di curare i propri capelli con shampoo, maschere, oli e balsami di ogni tipo, altrimenti quegli ingrati la ripagavano venendo via a ciuffi ogni volta che li lavava oppure spezzandosi quando li pettinava, qualora avesse avuto l’ardire di trattarli in modo più sbrigativo; invece quelli di Hokano avevano il fusto robusto come un tronco di quercia, il colore del grano maturo naturalmente brillante e poteva piastrarli a piacimento senza rischio di danneggiarli. Per quanto ne sapeva avrebbe potuto lavarli anche col detersivo per i piatti e se ne sarebbero tornati alla loro naturale piega perfetta, senza essere scalfiti di un micrometro.
Fece il suo ingresso nel salone addobbato a festa, quello stesso salone da cui era uscita poco prima e in cui adesso rientrava rinnovato nello spirito e nel corpo. Finalmente per qualche minuto poteva illudersi di essere un semplice invitato a una festa di conoscenti, libero da quella pressione che i sentimenti, i rapporti e le relazioni inevitabilmente caricano su ogni individuo; guardò con occhi nuovi lo scintillante sfavillio delle decorazioni luminose apposte con gusto alle pareti, perdendosi in quell’intermittenza ipnotica; gustò con un rinnovato appetito alcuni dei datemaki sopravvissuti alla golosità degli altri avventori e bevve del tè verde speziato che riconobbe essere uno degli infusi che aveva portato in dono ai Tendo molto tempo prima.
Come scorse Kasumi nella folla, decise di farsi avanti per salutarla e ringraziarla dell’invito: la sua espressione sempre serena e mansueta appariva turbata, probabilmente dai discorsi che erano emersi coi suoi familiari. Si sentì quasi un intruso a interrompere quell’acceso scambio di opinioni, ma con un po’ di fortuna se la sarebbe cavata con un inchino, un ringraziamento formale e qualche scambio di frasi di circostanza, per poi tornarsene a godersi la festa da estraneo ben educato.

In quel momento era Genma a parlare e sembrava nel bel mezzo di un’accorata arringa in favore del figlio, rivolta ad Akane
“…è del tutto comprensibile bambina, la lontananza non è facile per nessuno quindi capisco che tu possa avere dei dubbi! Ma mio figlio ti ama davvero e in fondo tra tre mesi tornerai in pianta stabile e avrete tutto il tempo del mondo per chiarirvi…non ti ha fatto nemmeno un pochino piacere rivedere il caro Ranma?”

“Sì, ma io…” tentò inutilmente di inserirsi nel flusso di parole Akane, ma venne nuovamente sommersa

“Ti chiedo solo di usare questi tre mesi per pensarci su…non prendere decisioni affrettate, in fondo c’è in ballo molto più della vostra storia! C’è in ballo l’onore di due famiglie che hanno preso un sacro impegno mediante un patto vincolante, c’è in ballo la vostra felicità, che potrete trovare molto più facilmente con qualcuno che condivida i nostri valori, la nostra mentalità; c’è in ballo il futuro di questo antico, imperituro e rispettabile dojo in cui ci troviamo…” quasi a smentire le ultime parole di Genma, una decorazione troppo pesante di Santa Claus cavalcante una renna cadde dal soffitto proprio vicino a loro, ma non gli impedì di continuare
“In fondo ogni volta trovate un modo per riappacificarvi e per quanto sia stato scioccante vedere quel debosciato di mio figlio in abiti femminili accompagnato da quell’addetto alla sicurezza sono certo che riuscirete a superarlo!”

“Ehm…buonasera…” giunse proprio in quel momento Hokano, quasi come evocato, alla volta della famiglia, che manifestò seduta stante una serie di gocce di sconcerto per la coincidenza
“Sono qui per ringraziarvi del vostro gentile invito a questa splendida festa, stavo giusto pensando a quanto siate stati carini e ospitali nei miei confronti” così dicendo il ragazzo fece un profondo inchino, mentre Nabiki soffocava una risatina e gli altri si lanciavano sguardi interdetti tra loro.

Fu Kasumi, come sempre, a rompere il silenzio
“Siamo noi che dobbiamo ringraziarvi per la vostra gradita presenza, spero che riuscirete a divertirvi. Buon Natale Signor…”

“Hokano!” completò lui rendendosi conto che la padrona di casa aveva difficoltà a ricordare il suo nome “E buon Natale anche a tutti voi, naturalmente! Non preoccupatevi per me, desidero solo passare una serata tranquilla in compagnia”

Rivolgendo il proprio sguardo a tuttti i membri della famiglia che gli stavano attorno, non poté fare a meno di notare che Tofu lo stava osservando meditabondo, come se stesse cercando di inquadrarlo. Poco dopo infatti si fece avanti tendendogli la mano e si presentò
“Piacere di conoscervi, Hokano. Io sono Tofu Ono, medico di famiglia e fidanzato della qui presente Kasumi” un lieve bagliore comparve per pochi istanti sui suoi occhiali tondi a quell’ammissione, ma si dissipò assai rapidamente. Hokano strinse la mano del dottore con fermezza, poi fece per ritirarla ma Tofu la trattenne.

Era da un po’ che ci rimuginava sopra ma quell’uomo aveva qualcosa di decisamente familiare, solo che non riusciva a capire cosa fosse. Non gli era mai stato presentato prima, di quello ne era sicuro, e quando i Tendo lo avevano conosciuto lui non era presente. Tuttavia c’era qualcosa nel suo modo di fare, qualcosa nel suo aspetto che gli dava l’impressione di averlo già rivisto.
D’un tratto, mentre osservava il suo volto, venne folgorato da un’intuizione: quei capelli biondi lui li aveva già scorti altre volte! Di sfuggita, certo, a distanza, sicuro…ma era pronto a giurare che fossero i suoi! Quello era l’uomo che aveva intravisto più volte uscire o entrare dalla camera di Kijo!
Con una banale scusa lo prese in disparte, allontanandolo dal capannello dei padroni di casa che già avevano ripreso la loro discussione, poi, non sapendo bene come porre la domanda per non risultare invadente, inopportuno o indelicato, cominciò a formulare con un filo di voce
“Kijo…”
 
Era finita. Naturalmente sarebbe finita così, cosa si aspettava? Come aveva potuto pensare di riuscire a mantenere un segreto del genere con un uomo così attento, sensibile e perspicace come Tofu? Era ovvio che lo avesse capito, conosceva bene la maledizione di Ranma e sicuramente non gli c’era voluto nulla per rilevare un’analogia con la sua assistente/coinquilina/amica: sul serio, abitavano insieme, come le era venuto in mente di poterla fare franca?
Percepiva in quel momento, quasi vibrare sulla propria pelle, i sensi che Tofu aveva liberato per scandagliarlo come se fosse un fondale oceanico misterioso: era convinto che potesse misurare i battiti del suo cuore, sentire il respiro che non riusciva più a procurargli l’apporto necessario di ossigeno, apprezzare la variazione energetica della sua aura.
Dannazione! Da quanto tempo l’aveva capito? Perché non le aveva detto nulla, fino a quel momento? Aveva forse aspettato che manifestasse il proprio alter ego spontaneamente? Oppure non gli andava a genio che si spacciasse per un’altra persona coi Tendo, dato che lui sapeva la verità? Dio, il cervello gli stava andando a fuoco, si sentiva il volto in fiamme e delle fastidiose gocce di sudore che dalla base del collo si rincorrevano lungo la sua schiena…


“…Kijo Rinekami, voi la conoscete, vero?” terminò il medico, turbato dalla mole di emozioni contrastanti che gli arrivavano da quello strano soggetto.

Lo vide sbarrare gli occhi e deglutire, prendere un respiro profondo sforzandosi fino allo stremo di rimanere il più impassibile che poteva. Gli riservò una risposta asciutta, quasi non volesse sbilanciarsi più di tanto
“Sì, la conosco piuttosto bene”

“Tanto bene da strisciare come un ninja in camera sua ogni volta dalla finestra?” si lasciò sfuggire Tofu perdendo per un istante il consueto aplomb. Lo scrutava con quelle iridi marroni e profonde, dietro le quali si nascondevano chissà quali pensieri.

“Non ero pronto ad ammetterlo, tanto meno con voi” replicò Hokano infine e, per quanto fosse assai improbabile che dicesse la verità, in quelle parole non riuscì a trovare cenno di menzogna

“Con me? Osate giustificare le vostre deprecabili azioni ostentando timore verso la mia persona? Che razza di individuo siete? Vi rendete conto di quanto mi abbiate mancato di rispetto omettendo di avvertirmi della vostra presenza?” ribatté il medico con tono fermo, la voce vibrante di delusione; non tanto per lo sconosciuto ovviamente, quanto per la consapevolezza che Kijo non aveva mai voluto condividere quell’aspetto della sua vita con lui.



Per quanto tempo avrebbe continuato a torturarla psicologicamente? E perché Tofu era passato nuovamente a darle del voi e a parlarle come se Hokano fosse una terza persona? Perché non le si rivolgeva direttamente e le chiedeva spiegazioni invece di esprimersi per allusioni scavando un baratro di distanza tra loro?
Uno sconosciuto…
Era bastato che la sua doppia identità saltasse fuori per trasformarla dalla sua assistente, confidente e amica in uno sconosciuto. Possibile che Ono fosse così sconvolto dalla sua maledizione? Non avrebbe dovuto essere preparato psicologicamente a certe assurdità, conoscendo Ranma?
Non ti ha accettato…
Non ci poteva credere, non era la persona con cui aveva vissuto tutti quei mesi. C’era qualcos’altro.
C’è rimasto male quando lo ha scoperto perché non glielo hai detto tu…
A quel pensiero una fitta di senso di colpa attorcigliò prepotente le sue viscere. Non poteva dargli torto, era stata una vigliacca. Tuttavia lei ignorava che quello che le era capitato fosse esperienza comune lì a Nerima: se avesse confessato a un qualsiasi individuo privo di familiarità con Jusenkyo la sua maledizione sarebbe diventata il fenomeno da baraccone di turno e con tutto ciò che aveva dovuto affrontare nei mesi precedenti temeva di non aver le spalle abbastanza larghe per sopportarlo. Poi c’era il rapporto con Ranma, la presa di coscienza della propria intimità…certe sfumature era bene che rimanessero private. E in fondo, proprio Ranma in primis le aveva tenuto nascosta la sua situazione speculare, perché lei avrebbe dovuto sventolare ai quattro venti che cambiava sesso a seconda della temperatura dell’acqua?
“Credetemi, Dottor Tofu, non volevo che lo scopriste così. Contavo che avendo familiarità con determinate cose avreste compreso il mio disagio…mi è bastato fidarmi della donna sbagliata per ritrovarmi in questo stato e non avevo idea in cosa mi stesse trascinando…”



Ono sobbalzò all’indietro pervaso da un disappunto crescente. Come si permetteva quel bellimbusto di dare tutta la colpa a Kijo di quel sordido intrallazzo? Prese un respiro profondo preparandosi a dirgliene quattro, ma invece che sentirsi più audace paradossalmente cominciò a sentire le palpebre pesanti e la testa leggera.
“Non…ti permettere più…Kijo” riuscì a borbottare con difficoltà facendo oscillare un indice accusatorio verso l’ospite, poi fu costretto a congedarsi per cercare di riprendersi da quella stanchezza improvvisa; come si voltò per andarsene, un paio di petali neri fluttuarono nell’aria cadendo dalle sue spalle fino a sistemarsi sul pavimento.
 
Hokano alzò gli occhi e lei era lì, la Rosa Nera che sghignazzava con una mano a fingere di coprirsi la bocca spalancata.
“Finalmente se n’è andato quello scocciatore, non ti mollava più! Piacere, io sono Kuno Kodachi e non vedevo l’ora di conoscere un ragazzo così affascinante” si rivolse a lui porgendogli la mano destra come se dovesse baciarla, mentre con la sinistra faceva sparire nella borsetta una specie di ampolla di vetro con nonchalance.
Hokano si limitò ad accennarle un inchino propinandole le sue false generalità e poi fece per allontanarsi, ma lei non volle saperne.
“Sai, mi stavo giusto chiedendo come fosse possibile che a questa noiosa festa non ci fosse nessuno di interessante, a parte il mio…ehm, Ranma, che si è dileguato chissà dove. Sono felice di essere stata smentita dalla tua presenza” perfetta esponente della scuola dei Kuno per un corteggiamento poco appariscente e moderato, la ragazza gli si gettò in collo provando con la macchina fotografica che aveva estratto a carpire una foto dei loro volti vicini in una posa il più equivoca possibile.
“Questo sarà il ricordo del momento in cui il nostro amore è sbocciato prorompente come l’impetuoso fiume che travolge la diga imposta dagli uomini per limitarlo! Ahi, kami del cielo! Come ho potuto dimenticare tanto presto il mio imperituro amore per Ranma?”

Ok, quella situazione era assurda perfino per lui! Lungi dal voler divenire la nuova ossessione di quella pazza, Hokano provò a scrollarsela di dosso, ma quella era artigliata peggio di una piccozza nella roccia da scalare. A dirla tutta, il ragazzo temeva anche di farla risentire, poiché aveva provato sulla propria pelle di cosa era capace Miss Kuno infuriata.
Dio, e sì che avrebbe voluto solo passare una serata tranquilla…come aveva detto Ranma? Solo cinque minuti e poi ce ne andiamo. Come no. Dove diavolo si era cacciato poi? Se c’era una cosa certa era che quella serata si era rivelata un disastro, ben lontana dalla «Notte di Luce, Notte di pace» con cui avevano provato a indottrinarla a Messa da bambina. Cos’altro poteva succedere?

In quel momento la sala venne pervasa da un cadenzato ritmo spagnoleggiante che proveniva dall’assolo di una chitarra sul palco. Le luci si spostarono per rivelare uno dopo l’altro gli altri componenti della band, che man mano si univano al trainante chitarrista per completare la loro melodia. Avevano attirato l’attenzione di tutti gli spettatori, che avevano preso a battere le mani per tenere il ritmo decisamente coinvolgente, al che Hokano approfittò di quell’allentamento della presa per sfuggire alle grinfie di Kodachi. Con scarsi risultati, dato che riuscì a malapena a farle posare i piedi a terra, ma poi gli si avvinghiò al braccio, urlandogli nell’orecchio mega-gasata
“Lo conosco questo pezzo! Sono gli Iceberg!” 

“Impossibile, si sono sciolti da anni ormai!” le urlò di rimando Hokano, soffocando un risolino a quella involontaria battuta
“Forse è una cover-band” concluse poi, mentre si dimenava a tempo di musica cercando di riguadagnare la proprietà del suo braccio per disinnescare quella matta.

D’un tratto un rapido spostamento d’aria che percepì sulla sua guancia gli fece istintivamente muovere la testa indietro: una mano piccola, affusolata e smaltata di blu aveva appena stampato una cinquina sul volto di Kodachi, provocando la sua istantanea arrabbiatura.
Afflitto da uno stratosferico groppo in gola, come uno sciatore che non osa alzare lo sguardo sulla montagna per vedere la valanga che lo travolgerà di lì a poco, Hokano percorse con gli occhi dalla mano al polso su cui tintinnava un grazioso braccialetto, poi il braccio da cui partiva la manica di un’elegante divisa rossa, il collo sottile a cui era annodato un piccolo foulard a strisce colorate e il volto contratto in una smorfia d’ira così pura che neppure il cappellino coordinato che lo sovrastava riusciva ad addolcire. Quegli occhi poi…ardevano come tizzoni pronti a incenerire qualunque cosa si fossero trovati davanti.
“Lei…è mio…malito!” gridò in un giapponese stentato verso la Rosa Nera, ancora basita per l’affronto subito.
Naturalmente tutta la sala degli ospiti si voltò nella loro direzione. Perfino i cantanti sul palco smisero di esibirsi per godersi meglio quell’inaspettata svolta.



Hokano temette di svenire per quell’ennesimo colpo basso del destino: sarebbe mai finita quella maledetta serata? Il cuore aveva preso a rimbombargli nel petto tanto forte che se lo sentiva dentro le orecchie, per la sola consapevolezza che Xiu-Li si trovava di fronte a lui.
La donna provò a sollevare nuovamente la mano con l’intenzione di mollargli un ceffone ma istintivamente lui evitò l’attacco e le bloccò il polso a mezz’aria, suscitando mormorii tra la folla.
Lei iniziò a inveire contro di lui in cinese, lasciandolo assai perplesso dato che non riusciva a capire esattamente cosa dicesse, anche se poteva ben immaginarselo.
Avrebbe solo voluto andarsene, lasciandola lì a sbraitare tutte quelle male parole che non comprendeva ma che suo malgrado lo trafiggevano come frecce avvelenate. Perché non riusciva a farlo? Perché non riusciva a fregarsene di quello che lei aveva da dirgli? Perché nonostante la disprezzasse con tutto se stesso provava ancora quella sorta di sudditanza emotiva nei suoi confronti?
Si sentì debole nel prendere coscienza che quella donna esercitava ancora così tanto potere su di lui, quasi si fosse di nuovo trasformato nella ragazzina sprovveduta e sognatrice che si era gettata a occhi chiusi nell’abisso di quella dipendenza affettiva…ma quella ragazzina doveva restare morta, non poteva permettersi di riesumarla dal lato ormai necrotizzato del suo cuore proprio in quel momento.

“Lui sarebbe tuo marito?” riuscì infine a domandare Kodachi dandole una spinta che la fece indietreggiare di qualche passo

! Lei è mio malito” replicò stizzita la bionda hostess, generando ancora più brusio in sala

Lui è un uomo, comprendi?” la Rosa Nera estrasse dalla borsa il suo nastro ripiegato e iniziò a volteggiarlo minacciosa.

Vedendo la mala parata, Tatewaki si avvicinò alla sorella, cercando di ricondurla sul sentiero della ragione mediante la sua notoria saggezza e perspicacia
“Forse per Lei intende il nome proprio maschile, piuttosto comune in Cina…quindi in pratica lui è Lei”

“Se lui è Lei allora non è Hokano! Questo vigliacco ha mentito per approfittarsi di me, soave e ingenua fanciulla, con chissà quali sordidi propositi!” portò teatralmente il dorso della mano alla fronte Kodachi, tirando in alto petali neri che le piovvero addosso come gocce di pura mestizia. L’addetto ai fari ormai aveva lasciato completamente al buio la band sul palco, che intanto si era seduta comodamente mangiando popcorn, per rivolgere il fascio di luce verso la giovane donna affranta.

“Ah! Quindi quel disgraziato è pure sposato! E non si chiama nemmeno Hokano! Ora capisco il motivo di tanta segretezza…” traeva intanto le proprie conclusioni il redivivo Tofu, battendo il pugno destro sul palmo sinistro della mano.

Kasumi lo raggiunse, dopo aver accompagnato alla porta l’assistente del falegname, assai confusa dalla nuova stramba situazione che si era appena creata
“Ono, per quale motivo tra i nostri ospiti c’è un’hostess dell’Air China?” gli si rivolse ottimista, certa che lui avrebbe saputo fornirle ogni logica spiegazione. Invano.
“Ma per piacere! Punto primo non sono il marito di nessuno, punto secondo ti sei letteralmente gettata addosso a me, Kodachi! Stai pur tranquilla che non ti avrei neppure degnata di uno sguardo altrimenti!” sbottò Hokano, guadagnandosi in sole due frasi il biasimo della maggior parte del pubblico che iniziò a mugolare serpeggianti invettive

“Tu mia cleatura…tu appaltiene me!” dichiarò Xiu-Li artigliando con la propria mano il colletto della sua camicia e tirandolo a sé.

“Uh, hai sentito? Ci sta pure una creatura di mezzo…che razza di scostumato!” diede di gomito una signora corpulenta e platinata alla vecchietta con la giacca di leopardo seduta accanto. Ormai era diventata una sorta di telenovela.

“Io appartengo?! Non sono il tuo dannato giocattolo, né la tua stupida cavia! Non puoi stravolgere le vite degli altri e pretendere che continuino a scodinzolarti! Se non fosse stato abbastanza chiaro da come sono scappato da te, non voglio vederti mai più. Vai a farti fottere!”
Quelle parole uscirono dalla bocca di Hokano come un rigurgito acido e velenoso che lascia un bruciore persistente mentre trova la via verso l’esterno. Il petto gli doleva, il fiato gli mancava, perfino le corde vocali stridevano per l’inconsueto sforzo. Tuttavia, seppure si sentisse a guisa di uno straccio, provava anche un senso di liberazione da quella tossica verità che aveva seppellito troppo a lungo nel profondo. Ormai era detta, era fuori da lui, non poteva più divorarlo dall’interno.
La donna a cui si era rivolto con tanta foga rimase immobile per un lunghissimo minuto, poi come di scatto afferrò la teiera dal tavolo vicino a sé e l’agitò per colpire Hokano con un getto d’acqua calda. Per fortuna non aveva abbassato la guardia e riuscì a evitarlo con un balzo, ma nei suoi occhi fece capolino un nuovo terrore: avrebbe dovuto subire la trasformazione davanti a tutti? Dopo essersi gettato di lato per schivare miracolosamente un nuovo spruzzo, prese a correre verso l’uscita del dojo, inseguito dall’hostess che brandiva la teiera come un’arma, saltando e cambiando direzione di quando in quando per non risultare un facile bersaglio.
 
                                                                  -§-
 
Corsero per le strade fino a giungere davanti ai cancelli chiusi del liceo Furinkan e fu lì che Hokano decise di fermarsi, tanto repentinamente che Xiu-Li gli sbatté contro.
La prima volta che aveva varcato quel cancello era in trepidazione per la nuova vita che le si sarebbe profilata davanti, desiderosa di lasciarsi alle spalle ogni turbamento del passato e lanciarsi a grandi passi verso un futuro migliore. Verso una lei migliore.
Mai come quella sera però si stava rendendo conto che non avrebbe potuto raggiungere quel futuro se non avesse chiuso i conti con le questioni in sospeso che continuavano a tormentarla.
Si rivolse all’hostess in inglese, la lingua con cui avevano sempre comunicato, e fissandola dritta in quei tempestosi occhi viola cominciò con un’ammissione di colpa
“Xiu-Li…avrei dovuto dirti esplicitamente che era finita invece di fuggire senza una parola, ma credevo fosse abbastanza scontato dopo che hai sbriciolato la mia fiducia nei tuoi confronti”

“Sbliciolato? Io ho tlovato il modo in cui salemmo potute stale insieme pel semple! L’ho fatto pel noi wo de ài…” replicò lei, colpendo con l’indice il petto di Hokano, offesa da quell’insinuazione

“Sì, ma non mi hai mai consultato se fossi d’accordo! Mi hai fatto sentire insignificante, la mia opinione non contava nulla per te e da un momento all’altro mi sono ritrovato così senza possibilità di appello!” con movimenti scattosi delle braccia, Hokano percorse più volte la lunghezza della sua figura maschile. Voleva che lei lo guardasse, che si rendesse conto dell’entità del casino che aveva combinato.

Ma lei replicò freddamente
“Io non volevo peldelti.”

“E invece l’hai fatto. Mi sono innamorata di un ragazzo.” ammise a fatica Hokano, pronunciando con cautela quelle parole temendo di lordarle nel contesto in cui erano emerse

“Oh, davvelo? E lui lo sa che sei così ambigua e pelvelsa? Liesce ad accettalti? Io…io posso capile tutto quello che sei, io ti ho amato pel quello, ma gli altli? Sei sicula di tlovale meglio di me?” Xiu-Li scoccò la sua stoccata finale, gustandosi trionfante lo sguardo dell’uomo che si abbassava.

Ma durò un breve istante, poi la trafisse risoluto
“Preferisco stare sola, piuttosto che con te. Ti voglio fuori dalla mia vita, non cercarmi più. Addio.”
Con quelle parole l’uomo si voltò e se ne andò, camminando a passo costante, un macigno al posto del cuore e una spossatezza che gli risucchiava l’anima. Sentì sulle proprie spalle il peso degli occhi viola che lo seguivano, finché non svoltò in un vicolo laterale e si diresse come un automa verso casa. Ne aveva abbastanza di tutti, bramava solo il silenzio, che tuttavia risultava assordante, e la solitudine, che suo malgrado era sovraffollata. Salì meccanicamente le scale e riprese le sembianze con cui era nata, ma mentre si osservava allo specchio venne scossa da un tremore incontrollabile. Tastò gli abiti che aveva buttato sul pavimento fino a trovare la piccola boccetta che vi aveva nascosto, l’aprì non senza difficoltà e ne trangugiò l’intero contenuto in un sol sorso, salvo qualche goccia sparsa qua e là dalle mani tremanti. Si sedette ai piedi del letto, poggiando la testa all’indietro sul materasso, mentre sentiva che piano piano quella bestia rabbiosa, che si agitava sbattendole all’impazzata sulla cassa toracica per saltarne fuori, si placava acquisendo un ritmo più normale, sempre più rallentato, sempre più rarefatto…divenne quasi impossibile pensare e fu molto grata per questo, tanto che immaginò di star sorridendo, anche se gli angoli delle proprie labbra erano così pesanti da far sollevare…
La boccetta di vetro le scivolò dalla mano ormai semiaperta e rotolò poco distante.
 
                                                       -§-
 
Quando Ranma rientrò nel dojo, decisamente più calmo di come ne era uscito ma col medesimo aspetto, notò che il party era definitivamente in fase calante. La maggior parte degli invitati avevano già preso la strada di casa e non fu difficile dedurre che Tofu e Kijo dovevano rientrare in quel novero, data la loro manifesta assenza.
Mentre ancora si guardava intorno, fu assalito senza alcun preavviso da Nabiki, la quale gli saltò al collo abbracciandolo e gridando di gioia
“Evviva! Ce l’abbiamo fatta! Grazie a te e alla mia convincente sorellina, Rui ci staccherà un assegno con un numero di zeri imbarazzante! È il miglior regalo di Natale di sempre!”

Come quel saltellante shaker col caschetto si decise a lasciarlo, Ranma poté vedere che pian piano si era avvicinata tutta la famiglia: Mendo sorrideva compiaciuto annuendo nella sua direzione, Akane mostrava un’aria soddisfatta seppure stanca, Kasumi a braccetto del padre risonava della sua più pura felicità mentre Genma, ponendosi tra Ranma e Akane, dapprima si sfregò le mani e poi assestò una contemporanea pacca vigorosa a entrambi che per poco non li spedì per terra
“Naturalmente abbiamo promesso a Rui che la inviteremo al matrimonio, quindi decidetevi: prima sarà, meglio sarà!”

Due furenti paia di occhi si volsero simultaneamente contro di lui dopo aver riguadagnato l’equilibrio, a guisa di quei pupazzi a molla che una volta completata l’estensione ritornano con un balzo verso il proprietario.
“COSA?!” gridarono all’unisono Ranma e Akane, recando lineamenti bestiali che sfiguravano temporaneamente i loro volti

“Ma sì…in fondo…era una formalità…no?” si fece piccolo piccolo il signor Saotome, la voce che diminuiva di intensità ad ogni parola prima di terminare con un sussurro. Le sagome del figlio e della futura nuora torreggiavano sopra di lui soverchiandolo come titanici mostri di fronte a un orsetto di peluche. Nella sua vita aveva conosciuto la spaventosa aura Oni del suo migliore amico, nonché la forma demoniaca gigante del maestro Happosai, ma nessuna di quelle era paragonabile all’ondata di forza rabbiosa che gli arrivava da quei due ragazzi.

“Mi avevate convinta che fosse solo una farsa per ottenere quel cavolo di prestito! Non ci penso proprio a tornare con questo pervertito!” gridò Akane liberando con veemenza quelle parole che le premevano contro il petto. Era incredibile come ogni volta riuscisse a rimanere delusa dalla propria famiglia. Ogni. Singola. Volta. Lei si prodigava, per quanto le era possibile, per il bene di tutti, per cercare di raggiungere quell’approvazione sempre più sfuggente che bramava da quando aveva memoria…ma non al prezzo del suo percorso di vita! Ancora una volta lei aveva fatto un passo nella loro direzione, aveva cercato di aiutarli dimostrandosi matura e ragionevole e cosa aveva ottenuto? Di nuovo un’imposizione. Di nuovo quell’imposizione. Tutto il fiato che aveva sprecato premettendo che si sarebbe prestata a quel gioco solo se poi non si fossero fatti strane idee sul suo fidanzamento concluso era stato inutile. Come sempre, lei aveva offerto una mano e loro erano pronti a pretenderle tutto il braccio. Kami come si sentiva inutile e frustrata in quelle situazioni! Improvvisamente non contava più niente, non era la più figlia adorata o tosta o la piccola di casa; tutt’a un tratto era di nuovo solo quella maledetta pedina nella partita a shogi più lunga che aveva mai visto giocare da suo padre con Genma. Diventava un oggetto privo di sentimenti che serviva esclusivamente a uno scopo e poco importava quanto quello scopo l’avesse fatta soffrire in passato, quanto fosse rimasta male per come erano andate le cose, quanto avesse cercato di dimenticare e riportare la propria vita su un nuovo binario: finché fosse stata lì era condannata a essere ritrascinata perennemente al punto di partenza.
“Ma chi ti rivuole, maschiaccio! Ehi, non facciamo scherzi, io su questo ero stato chiaro: non torno sui miei passi, il fidanzamento rimane rotto! Per una volta almeno io e lei siamo d’accordo su qualcosa” ribadì Ranma e fu come una stilettata.

Fu costretto a battere le palpebre con lentezza almeno un paio di volte per essere sicuro che quella fosse la realtà e non uno dei suoi peggiori incubi. Gli occhi non volevano vedere quello che gli accadeva attorno, le orecchie si rifiutavano di sentire e in men che non si dica si era ritrovato come ovattato, isolato e muto spettatore a cui arrivavano dei fotogrammi di presente mentre dal profondo di sé emergevano prepotenti ricordi del passato e terrificanti preoccupazioni per il futuro.
Ranma e Genma si stavano urlando contro…
Bella novità, dal primo giorno in cui li aveva visti assieme non avevano mai smesso.
Adesso erano passati alle mani…
Niente di che, anche quello era normale…caspita quanto era bravo quel ragazzo, era forte, era veloce, era tecnico ma ci metteva il cuore. Non avrebbe mai trovato un successore migliore per il proprio dojo. Ogni calcio, pugno, affondo o manovra perfetta di Ranma era come se lo colpisse intimamente, provocandogli un dolore che non se ne sarebbe andato con un po’ di ghiaccio e qualche unguento.
L’amico di una vita inveiva parole velenose contro il suo stesso figlio, Ranma sbraitava uscendo dal dojo…
Il dojo. La sua vita. La sua eredità. Il ricordo della sua scuola di arte marziale indiscriminata sarebbe affievolito e appassito nel giro di pochi anni. Ogni volta che si era sottoposto a strenui allenamenti, ogni volta che aveva trascurato la moglie…
Il cuore mancò un battito e fu costretto a respirare con la bocca per non cadere in ginocchio. Un inaspettato sapore salato sulla lingua lo rese edotto del fatto che aveva inconsapevolmente iniziato a lacrimare, ma come un masochista non ce la fece a lasciar andare quel pensiero e ci si gettò nuovamente a capofitto.
Ogni volta che aveva trascurato le bambine per i suoi viaggi d’addestramento, i suoi esercizi quotidiani, le sue pratiche fortificanti perché tanto era convinto che con loro avrebbe avuto tempo…Quanto era importante dimostrare di essere un artista marziale sempre più forte, sempre più in gamba, sempre più evoluto…
Che poi, con le proprie figlie, non era stato evoluto per niente, non le aveva capite, non le aveva sapute accontentare, non era riuscito a partecipare alla loro crescita abbastanza attivamente da rendersi conto di cosa le avrebbe rese felici…e Akane, la piccola Akane, ne aveva sofferto più di tutte.
Tutto questo poi per cosa? Una palestra che non aveva alcuna prospettiva. Non era stato capace di tramandare la propria eredità in alcun ambito. Era un uomo fallito. Non c’era dolore più forte di questo.

Akane e Nabiki si voltarono a guardarlo, leggeva il terrore nei loro occhi mentre stringeva un po’ di più il braccio di Kasumi, vedendo il suo volto allontanarsi verso l’alto.
Perché, bambine mie? Sistemeremo…tutto.
 
                                                                       -§-
 
Calma. Buio. Pace. Silenzio. Atarassia.
Non c’era assolutamente niente che potesse arrivare a scalfire quello stato di assoluta deprivazione sensoriale in cui galleggiava beatamente. Era come scendere sempre più nell’imo delle profondità oceaniche senza doversi preoccupare di respirare, lasciando che quel liquido nero avvolgesse e proteggesse il suo corpo da qualunque influenza, esterna o interna che fosse. In fondo, adorava il nero.
Fu quasi uno shock quindi percepire di nuovo, seppur in modo molto attenuato, un qualsiasi influsso dal mondo circostante. Non capiva di cosa si trattasse, ma ciò bastò a recarle un moto di fastidioso allarme. Maledizione! Non voleva niente e nessuno, perché la stavano disturbando? Si trovò a divincolarsi come un pesce preso all’amo, rifiutando quella forza che voleva privarla del suo angolo di pura calma per ritrascinarla in superficie. Le sembrò quasi di sentire il mortale fastidio di quell’uncino che le trapassava la gola e tirava, tirava, tirava con una tenacia tale a cui lei non fu in grado di opporsi.
D’un tratto spalancò gli occhi e si ritrovò accecata dall’intensità della luce accesa dopo tutto quel buio intenso, pertanto serrò le palpebre immediatamente, mentre tossendo espulse qualcosa che le graffiò la gola. Totalmente spaesata, si trovò a perseverare incontrollabilmente coi colpi di tosse, finché un rivolo nero colò copioso dal lato destro della sua bocca e un flusso d’aria riuscì a farsi strada nei suoi polmoni assetati d’ossigeno.
Due braccia forti la cinsero in un abbraccio e quasi timorosi i suoi occhi si schiusero sul codino dell’uomo che la stringeva in quel disperato gesto d’affetto.
“Kijo…come stai…cosa…?” le si rivolse affannoso il dottor Tofu, guardandola infine in faccia.

La stanza era un disastro. Ok, era sempre un disastro di disordine, ma in quel momento aveva sicuramente toccato il culmine: sul pavimento un beaker non completamente vuoto aveva riversato una sospensione nerastra, probabilmente della polvere contenuta nel barattolo lasciato aperto poco distante, con infilato un cucchiaio dentro; una strana sonda e una siringona, sporche anch’esse erano state buttate lì accanto, mentre il kit di pronto soccorso era stato svuotato per terra.
Dio che mal di testa…
“Ono…scusami tanto” riuscì a dire in una voce gracchiante, poi provò ad accennare un inchino ma un nuovo attacco di tosse la costrinse a tirarsi su.

“Non pensarci neppure…l’importante è che tu sia salva” decretò il dottore cercando di mantenere un tono posato e inflessibile, mentre le proprie parole tremolavano invece di commozione e sollievo.
Lei annuì lentamente ma si guardò bene dal commentare alcunché, pertanto dopo qualche secondo Tofu avanzò una richiesta
“Vorrei…visitarti Kijo, se sei d’accordo…vorrei essere sicuro che vada tutto bene”

La ragazza si bloccò di fronte a quella sollecitazione, consapevole del fatto che difficilmente sarebbe riuscita a nascondere a un uomo empatico come Ono i propri turbamenti se lui si fosse concentrato su di lei. Visto ciò a cui l’avevano portata la segretezza, la riservatezza e la dannata abitudine di reprimere i sentimenti a tutti i costi, tuttavia, si rese conto che aveva ormai poco da perdere.
Tese la mano per farsi aiutare a mettersi in piedi e acconsentì
“Grazie Ono, credo di averne bisogno. Lascia solo che mi dia una ripulita e poi scenderò in ambulatorio”.
 
Qualche minuto dopo Kijo varcò la porta dell’ambulatorio e notò che Tofu aveva apposto una striscia di carta a ricoprire il lettino; inoltre si era messo la casacca grigia che utilizzava normalmente per le visite.
Appena la vide si sistemò gli occhiali e poi le fece cenno di sdraiarsi.
“Avrei bisogno che togliessi la camicia e ti mettessi prona. Non temere, l’imbottitura è riscaldata, non sentirai freddo” le sorrise il medico.

La ragazza obbedì e si distese sul lettino. Wow, quel sistema di riscaldamento era una vera goduria! Sentì subito l’avvolgente tepore sprigionarsi lungo tutto il suo corpo e la muscolatura non poté far a meno di rilassarsi…adesso comprendeva come mai i pazienti di Tofu ci passassero così volentieri delle ore a farsi infilzare con centinaia di aghetti.
Sentì Ono sfregarsi le mani per riscaldarle, poi regolarizzò il suo respiro per favorire la concentrazione e pose le mani sulle sue spalle.
“Caspiterina, abbiamo un bell’accumulo di tensione in questa zona” esclamò cominciando dapprima a lisciarle la pelle, poi aumentando man mano la pressione nei punti in cui riteneva opportuno.

Ahio! Quello fu un procedimento doloroso, anche perché ogni volta che trovava un nodo di tensione da sciogliere, dapprima le spostava, tirava e piegava il braccio in pose assurde, quasi come fosse Betty, e poi affondava le dita direttamente al centro del dolore, che come un cubetto di ghiaccio si scioglieva e andava a infestare le zone circostanti. Qualche lacrima sfuggì furtiva dalle palpebre chiuse di Kijo, ma il desiderio di non passare per una piagnucolona che non sopportava neppure una semplice indagine medica contribuì a limitarle.
Le mani di Tofu passarono poi a esaminarle il dorso e dopo aver delineato le linee appartenenti alle costole presero a tamburellare in alcuni punti quasi si aspettassero una risonanza interna.
“Potresti fare dei respiri profondi, per favore? Più che puoi” le chiese il dottore.

La ragazza iniziò a inspirare, ma si rese conto che la sua cassa toracica non si espandeva più di tanto; era molto strano, ma anche quando espirava sembrava che i suoi polmoni non si svuotassero mai completamente. Qualche respiro dopo, Tofu la rassicurò che poteva smettere e le sue mani scivolarono poco più in basso.
Quasi fosse un rabdomante guidato dalle proprie dita, il dottore si fermò a lungo nel quadrante inferiore sinistro per applicare una forte pressione in alcuni tsubo della zona. Come ne toccò uno però, Kijo venne trapassata da una fitta che le ricordò quella volta che era stata accidentalmente fulminata da Lamù. Soddisfatto dalla propria manovra, Tofu prese ad analizzarle dapprima le mani, sulle quali andava cercando tasti immaginari come un pianista che teneva un concerto, infine i piedi, su cui indugiò un buon quarto d’ora alla ricerca delle varie terminazioni energetiche.
“Ti trovo fortemente squilibrata, Kijo” concluse il medico appena finita la visita, mentre si lavava le mani nel lavandino dell’ambulatorio.

“Ono, ci conosciamo da mesi ormai…te ne sei accorto solo adesso?” provò a buttarla sul ridere la ragazza, osservandolo sempre sdraiata. Lo vide accennare un sorriso gentile, poi si sedette vicino a lei

“Ti trovi in uno stato eccessivamente metallico…vuoi forse diventare un robot?” stemperò la tensione che percepiva arrivare dalla ragazza. Quest’ultima fece una risatina, non troppo convinta, sapendo che presto una ramanzina di Tofu sarebbe arrivata
“Voglio dire…il tuo elemento Metallo ha risucchiato tutta l’energia che poteva dalla Terra e l’ha stoccata nei polmoni, sovraccaricandoli…ora, se ti ricordi quel libro che abbiamo tante volte riguardato insieme questo disallineamento energetico porta a…” il dottore lasciò volutamente la frase in sospeso, perché lei la completasse

“Eccessiva ansietà e preoccupazione, rischio di soffocare nei propri pensieri, profonda tristezza.”
Rispose a quella domanda quanto più meccanicamente potesse, come se fosse a scuola durante un’interrogazione, ma dentro si sentiva morire. Ovviamente c’era da aspettarsi che avrebbe compreso come stava, era un ottimo medico…ma lei non si sentiva pronta a lasciarsi andare e cominciò a tremare, nonostante il calore proveniente dal lettino.

“Esattamente. Vedi, Kijo, io non voglio obbligarti a dirmi nulla, ma l’episodio di stasera merita una riflessione attenta…ho avuto veramente paura di non essere arrivato in tempo. Stordirsi fino all’oblio abusando di certe sostanze non è sano e sono convinto che tu lo sappia molto bene, data la tua preparazione in merito. Quindi non posso fa a meno di domandarmi: cosa ti ha portato a questo?”

Bastò che poggiasse la sua mano sulle spalle a farla crollare come un castello di carte: si sollevò a sedere sul lettino e cominciò a singhiozzare abbracciando Ono, mentre lui le lisciava i capelli con movimenti lenti e pazienti.
Venne fuori tutto: la maledizione, l’hostess, Seitan, il forte sentimento condito da un altrettanto forte senso di colpa per Ranma e la consapevolezza che di lì a pochi mesi- se non prima, dati i recenti sviluppi con Akane- sarebbe quasi sicuramente dovuto finire.
Tofu cercava disperatamente di essere il supporto emotivo di cui aveva bisogno, forte ma accogliente, compassionevole e non giudicante, ma si ritrovava a sussultare impercettibilmente ad ogni nuova rivelazione: com’era stato possibile che non si fosse mai reso conto di nulla? Perché Kijo aveva fatto di tutto per tenerlo all’oscuro? Non si era forse dimostrato adeguato a custodire la sua fiducia? Come poteva essere stato tanto distratto da non cogliere neppure un briciolo di quello che la persona che abitava sotto il suo stesso tetto stava vivendo?

“Non…c’è una soluzione per noi…semplicemente non c’è…adesso…” concluse lapidaria la ragazza espirando quella considerazione figlia di innumerevoli notti insonni e lambiccamenti inconcludenti che terminavano esclusivamente in mal di testa e mal di cuore. A volte avrebbe voluto davvero essere di metallo.

“Se mi avessero chiesto tre anni fa, o due, o anche solo lo scorso anno, quante speranze avrei avuto di fidanzarmi con Kasumi, avrei risposto senza esitazione: nessuna” dichiarò Tofu dopo un lungo silenzio. Non sapeva da dove cominciare a dipanare quella matassa di confidenze che le aveva riversato addosso, per cui decise di partire dalla fine, che forse era la problematica più accessibile.
“Eppure l’amavo già da molto tempo, ma le circostanze di quel periodo mi impedivano anche solo di avvicinarmi e parlare con lei con consapevolezza. Avevo dei dubbi sui miei sentimenti? No, ciò nonostante ho avuto bisogno di un aiuto dall’Italia per riuscire a realizzare il mio sogno.”
Il volto di Kijo emerse dal collo del dottore e lo guardò negli occhi: sorridevano ed erano colmi di gratitudine.
“Quello che voglio dirti, in base alla mia personale esperienza, è che l’amore ha i suoi tempi e le sue condizioni in cui si può sviluppare. Se due persone sono fatte per stare insieme, non è detto che siano fatte per stare insieme in questo momento. Magari tra un anno, tra quattro, tra dieci…Non è importante questo, perché quando un sentimento è autentico sa aspettare e se non riesce ad aspettare va bene comunque, vuol dire che devi continuare la tua ricerca.”

Ono concluse il proprio discorso e scompigliò leggermente i capelli a Kijo, la quale sospirò e annuì nella sua direzione
“Grazie…immagino di avere ancora molto da capire…” gli rispose con un sorrisetto tirato

“Se ti dai tempo, lo capirai. Però devi avere la pazienza di affrontare la vita, man mano che ti si presenta. Intanto suggerirei una buona notte di riposo: mi sembri molto provata e forse sarebbe meglio affrontare le altre questioni a mente fresca domattina. Posso fidarmi a lasciarti sola il tempo necessario affinché aiuti Kasumi a rassettare la confusione della festa?” Ono si alzò in piedi e Kijo a ruota riprese la camicia e la indossò

“Non ti preoccupare, vai pure. Sono davvero molto stanca, credo che andrò a letto. Solo…potresti promettermi che quello che ti ho raccontato rimarrà tra noi due?” lo rassicurò la ragazza, stiracchiandosi mentre lo implorava con gli occhi.

“Ci mancherebbe. È tutto vincolato dal segreto professionale, te lo assicuro.”
Ono quindi la salutò e si mise il cappotto, poi uscì nella notte alla volta di casa Tendo. Aveva bisogno di aria per riprendersi da quell’esperienza intensa e ci teneva a dare alla sua assistente l’impressione di essere perfettamente in grado di gestire la situazione per aiutarla. La fredda aria dicembrina si insinuò nelle sue narici e la inspirò avidamente, tanto che sentì subito seccarsi la gola. Con un colpo di tosse che si risolse in una nuvola di vapore, accelerò il passo fino a divenire una lunga ombra proiettata dai lampioni in fondo alla strada.



Kijo fece per salire le scale quando il trillo del telefono la bloccò sul primo gradino. Sconcertata su chi potesse chiamare ad un’ora così tarda, si avvicinò al mobiletto nell’ingresso e sollevò la cornetta.
“Pronto?” rispose con voce incerta

“Kijo…tesoro…” una voce flebile e rotta le parlò dall’altro capo del filo. Sembrava aver compiuto un immenso sforzo a pronunciare quelle poche sillabe

“Papà? Oddio, sei tu? Va tutto bene?” un’ondata di preoccupazione le inondò lo stomaco, facendole trattenere il respiro. C’era qualcosa che non andava, non era sua abitudine chiamarla così tardi, anche se in Italia era pomeriggio.

“Sì, io…volevo farti gli auguri di Buon Natale e…” si fermò improvvisamente, una pausa che congelò il cuore alla ragazza

“Papà, dimmi cos’è successo, ti prego!” sbraitò nel ricevitore, il tono più autoritario di come avrebbe voluto

“Kijo…tua madre se n’è andata…di casa. Ti chiedo perdono, ma ho bisogno di te. Non sono mai stato così solo in vita mia e non so cosa fare” concluse l’uomo prima di lasciarsi andare allo sconforto.

Passarono lunghi attimi di silenzio mentre la ragazza recepiva davvero la notizia. Sebbene le sue orecchie avessero chiaramente udito le parole del padre, queste stentavano a sedimentare in una presa di coscienza, preferendo volteggiare in un limbo di incredulità nel quale sussisteva ancora la speranza di aver capito male.
“Papà…io…tornerò col primo volo che trovo…resisti…” riuscì infine a rispondere, annaspando.
Con gli occhi sbarrati per quella nuova, impensabile notizia, Kijo stette qualche altro secondo a sentir mugolare il padre al telefono, finché lui non si decise a riattaccare.
Resisti? Che razza di risposta idiota gli aveva dato? Suo padre era l’uomo più forte, equilibrato e razionale che conoscesse, non era certo una stupida ragazzina come lei…come avrebbe potuto aiutarlo? Ne sarebbe stata in grado? Doveva telefonare all’aeroporto per informarsi sull’orario dei voli, poi avrebbe dovuto preparare la valigia…Cosa aveva portato sua madre ad andarsene di casa?
Mentre mille pensieri sovraffollavano la sua mente già provata, decise intanto di mettere giù la cornetta. Che imbecille, ancora non l’aveva fatto, se n’era rimasta lì tutto il tempo con quell’aggeggio in mano!
Come l’apparecchio fece clic, sollevò gli occhi e sussultò guardando di fronte a sé. Ranma era entrato senza che se ne accorgesse. 

“Pensavi almeno di salutarmi prima di partire?” sussurrò serrando i pugni, la delusione che stillava da ogni sillaba pronunciata.

La sua insinuazione la colpì come uno schiaffo. Si sentiva da schifo in quel momento e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un ulteriore carico di sensi di colpa.
“Non ho deciso io che la mia famiglia si sfasciasse proprio adesso! Cosa dovrei fare, far finta di nulla? Hanno bisogno di me e non posso ignorarli” c’era stanchezza nella sua voce e anche la rassegnazione che la propria decisione fosse l’unica possibile

“Io…ho rotto il fidanzamento” disse semplicemente Ranma e per lei fu un colpo al cuore. Come lo furono le parole che seguirono
“In un modo o nell’altro sono sempre costretto ad allontanarmi dalle persone a cui tengo per motivi che non hanno nulla a che fare con le mie scelte…forse è questa la mia vera maledizione” commentò quasi tra sé e sé esibendo una sorta di sorriso amaro sulle labbra. Abbassò lo sguardo, fissando senza davvero vedere i riflessi delle lucine intermittenti dell’albero di Natale sul pavimento. La lotta dentro di sé era improba, con la rabbia incipiente contro i kami e l’universo che tentava di prevalere su di una buia consapevolezza. Il suo stallo si interruppe quando prese un respiro profondo e la strinse tra le braccia.

D’istinto lo abbracciò a sua volta, lasciandosi cullare da quel profumo buono che associava alla sua pelle; provò con tutta se stessa a perdersi in quell’attimo come se fosse eterno, ma ormai era contaminato dalla cognizione che ben presto avrebbe dovuto far a meno di quel contatto. E senza quel contatto sarebbe potuto sopravvivere il loro legame?

“Forse…potrei partire con te” tentò un’ultima disperata ipotesi il ragazzo, che subito si affrettò a riformulare
“O meglio, ti raggiungerei appena riesco a mettere insieme abbastanza soldi per il viaggio dato che…ehm, ora come ora non ho molto contante”

Kijo fu commossa da quella proposta così genuina, ma in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto accettare la condanna del futuro di Ranma. Purtroppo aveva valutato anche quell’opzione durante quelle infinite notti insonni e non avrebbe portato a nulla di buono. Trovò il coraggio per scostarsi quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi e infrangere anche quella speranza
“Ne sarei davvero felicissima, Ranma, dico sul serio…ma c’è un problema oggettivo. Un artista marziale del tuo calibro non può davvero trovare spazio in Italia. Cosa potresti fare, tenere qualche corso in una palestra qualunque? Purtroppo non avresti l’opportunità per sviluppare le tue tecniche, la tua straordinaria capacità, l’arte che è stata per te il fine di tutti i sacrifici che hai compiuto fino ad oggi. Non posso chiederti di rinunciare a questo, non posso chiederti di rinunciare a te stesso. Forse non oggi, forse non tra qualche mese, ma poi giungeresti a odiarmi per aver soffocato questo tuo incredibile talento. Tu sei un artista marziale e devi essere fedele in primis a te stesso.”

Era vero…anzi, era indiscutibilmente Vero e questo gli fece ancora più male, perché non gli lasciava alcuno spazio di obiezione. Aveva combattuto contro tutto e contro tutti, nelle situazioni più terribili e disparate, ma come poteva combattere contro una verità?
Sapeva solo una cosa, in quel momento, ossia che ogni attimo trascorso con lei avrebbe solo acuito la sofferenza che avrebbe provato dopo. Vedeva approssimarsi il momento della resa dei conti col senso di abbandono, col vuoto che avrebbe lasciato una volta partita e quella che fino a poche ore prima era solo astratta teoria si era dolorosamente concretizzata. Su cosa poteva contare per andare avanti? I ricordi? Quei killer silenziosi gli avrebbero logorato l’anima giorno dopo giorno, permettendogli di rifuggire la realtà per rifugiarsi nel loro mendace e rassicurante abbraccio.
Provò l’impulso di piangere, ma gli uomini non piangevano e non era così che voleva lo ricordasse.
“Non…deve finire tutto per forza. Sebbene la mia parte cinica e razionale tenga a precisare che è molto improbabile riuscire a mantenere un rapporto a distanza, mi è stato fatto notare da uno scienziato che ha la mia massima stima che i casi improbabili capitano, quando i sentimenti sono autentici e ci sono le giuste condizioni. Solo…non dimenticarmi, per favore”

Le prese il viso tra le mani e la baciò sulle labbra, senza imbarazzi, con trasporto e decisione, poi incatenò il suo sguardo al proprio confessandole
“Non potrei mai”

Lei gli sorrise e gli strinse le mani tra le proprie, poi cercò un modo per abbattere quella cappa di mestizia che stava ripiombando rapidamente su di loro
“Dai, non essere Ranmaricato! Se la crisi coi miei non è troppo grave ci sta che a gennaio ci rivedremo su banchi di scuola!”

“Di’ la verità, pensi a come usare questo stupido gioco di parole dal momento in cui mi hai conosciuto, giusto?” replicò lui con un insperato sorriso

“Esattamente…solo che non trovavo mai l’occasione adatta!” fece spallucce lei, poi concluse con una punta di sarcasmo
“Che fortuna aver avuto questa opportunità, no?”

“Vedi di farti trovare in classe dopo le vacanze, Rinekami, altrimenti prima o poi dovrò venirti a prendere. E non dimenticarti di scrivermi, nel frattempo” Ranma si inchinò leggermente, non sapendo bene nemmeno lui perché, rendendo quel saluto più formale di quanto avrebbe voluto.
Kijo annuì cercando di mantenere tutta la compostezza di cui era capace, per non far degenerare quel momento. Detestava gli addii e quello ne aveva tutto il sapore amaro. Mentre alla porta osservava la figura di Ranma sparire nella notte, si rese conto che il sapore dell’addio recava anche una punta di salato, dovuta a una lacrima che era sfuggita al suo controllo.
 
                                                        -§-
 
Prima di decidere se rientrare a casa Tendo (poteva ancora definirla casa sua dopo tutto quello che era successo?) o cercare alloggio altrove (ma da chi? Sua madre, col rischio di far scoprire la sua maledizione? Ryoga, che aveva a malapena intravisto da quando era tornato?) Ranma girovagò a lungo per le strade di quel quartiere così familiare ma al contempo così stravolto dalla nefasta prospettiva con cui i suoi pensieri lo obbligavano a percepirlo. Ogni strada, ogni albero, ogni muretto e ogni lampione, sebbene li avesse visti centinaia di volte, parevano parte dell’arredo urbano di una città a lui sconosciuta, dove regnavano la tristezza e la rassegnazione.
Giunto nei pressi del dojo Tendo, fu colpito dalla presenza di un taxi che aspettava proprio lì davanti. Incuriosito da quella strana coincidenza, fece per avvicinarsi e si imbatté in una Kasumi trafelata, che portava con sé una grossa valigia e per poco non lo travolse correndo verso l’autovettura
“Oh, Ranma! Meno male sei qui! Papà ha avuto un infarto ed è stato portato in ospedale…Sali, andiamo da lui!” esclamò Kasumi visibilmente scossa. Tremava come una foglia, ma il suo senso pratico e la sua determinazione le avevano comunque consentito di portare a termine il proprio compito, ovvero quello di recuperare il necessario per Soun.
Di fronte alla gravità dell’evento, Ranma non ci pensò due volte e salì sul taxi, che sgassò rapidamente per le vie deserte di Nerima.
 
 
 
 
Glossario (vi mancava, vero? xD)
 
Gli Iceberg erano un gruppo catalano progressive rock e jazz fusion, attivi tra il 1975 e il 1979. Sono stati citati puramente per consentire la battuta, tuttavia sono davvero esistiti!
Il datemaki è un tipo di frittata originariamente fatta con uova e pasta di pesce bianco ed è anche usato nei piatti osechi di Capodanno.
Il centro di detenzione di Tokyo (東京拘置所 Tōkyō Kōchisho)è una struttura correzionale a Katsushika, Tokyo.
 
 
Termini tecnici di combattimento:
 
Fumikomi Geri: Calcio diretto dall’alto in basso.
Ushiro Empi Uchi: Colpo di gomito indietro.
Yoko Tobi Geri: Calcio volante laterale.
Mae Geri: Calcio frontale. Il ginocchio va sollevato molto in alto (verso il torace) con la pianta del piede parallela al terreno e la punta leggermente più in alto del tallone.
Teisho Uchi: Colpo con la base del palmo della mano. E’ usata per spazzare lateralmente o verso il basso il braccio dell’avversario. Tecnica molto valida per colpire l’avversario al mento.
 
 
Grazie per essere arrivati fino a qui! :)

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Capitolo 28
*** Forse, un giorno, chissà ***


19 Ottobre…1999 
 
Inquietudine. Quello era ciò che continuava a provare Ranma fin dall’inizio di quella giornata, una giornata che gli avrebbe definitivamente cambiato la vita. Nelle orecchie sembravano risuonare le voci di tutti gli amici che avevano già compiuto quel passo, con cui si era confrontato quando aveva dato l’annuncio del proprio matrimonio.
È del tutto normale essere nervosi, avere mille ripensamenti, sarebbe strano il contrario…pensa che io ho fatto questo e quest’altro…
Dapprima Ukyo, che giusto l’anno prima aveva sposato Tsubasa; poi Mousse, il quale si era finalmente affrancato dall’ombra di Shampoo e si era impegnato in una proficua e soddisfacente relazione alla pari con Xia; infine Tofu, che ormai aveva alle spalle ben cinque anni di felice matrimonio con l’amore della sua vita: tutti gli avevano ripetuto la stessa tiritera.
La verità era che, per quanto la sua relazione andasse avanti ufficialmente da anni, la decisione di convolare a nozze era stata alquanto repentina e aveva spiazzato familiari, amici e conoscenti, che si erano rassegnati da tempo al loro desiderio ripetutamente espresso di voler prendere le cose con calma.
Perfino la sua futura mogliettina (il solo pensiero ancora non gli pareva vero!) fino a poche settimane prima era totalmente immersa in un’impegnativa esperienza universitaria a Yamagata, lontana anni luce dal pensiero dei crisantemi e delle camelie, e improvvisamente era risultata agli occhi dei più desiderosa di sposarsi quanto prima.
Sebbene tutta quella situazione fosse stata frutto di uno sfortunato incidente, per un attimo, solo per un attimo, a Ranma venne da sorridere pensando a come a volte il destino si diverta a intrecciare le trame delle singole vite per ottenere il risultato che si era prefissato. Naturalmente, in questo grande disegno, alcuni pagavano un prezzo molto più alto di altri.
Si alzò dal bordo del letto su cui si era incupito, scuotendo rapidamente la testa: quella doveva essere una giornata di festa e a questo giro tutto sarebbe dovuto andare per il verso giusto. Ma era quello il verso giusto?

Si avvicinò lentamente allo specchio che ricopriva l’anta del suo armadio ed esclamò, rivolto al suo riflesso, puntandogli contro l’indice
“Ranma Saotome, tu sei un uomo onorevole. Hai preso la decisione giusta. Andrà tutto bene”

Il suo riflesso lo guardò un poco meno convinto di quanto avrebbe voluto, prima di essere messo da parte man mano che l’anta scorreva. Tirò fuori dall’armadio l’abito da sposo accuratamente appeso e lo sdraiò sul letto, poi aprì il cassetto per prendere la biancheria e sotto i boxer che aveva scelto intravide il lembo di una maglietta. Di quella maglietta. Estrasse quel reperto che era rimasto in fondo al cassetto per così tanti anni e lo rimirò tastandone la consistenza con le mani, annusandone l’odore.
«Sopravvissuto ad una giornata di shopping con lei», recitava la scritta e un sorriso nostalgico dei tempi che furono gli accarezzò le labbra. Ma in quel momento non c’era tempo di rivangare il passato, in quel momento bisognava solo prepararsi al futuro.
 
                                                                        §
 
Ansia. Ansia pura. Al suono della sveglia Kijo ne venne travolta non appena spalancò gli occhi iniettati di sangue per lo scarsissimo e agitato sonno che aveva provato a concedersi la notte precedente, invano. Dannazione, le sembrava di averci la sabbia da quanto bruciavano!
In un certo qual modo le coperte che si ostinava a non scostare erano state l’armatura che la proteggeva dal momento che tanto temeva sarebbe arrivato: fino a quando fosse rimasta sotto di esse non avrebbe dovuto affrontare il giorno più importante della sua vita e sebbene l’agitazione la logorasse comunque dall’interno come carta vetrata, finché non avesse abbandonato il letto sarebbe tutto rimasto nel regno delle possibilità, quindi gestibile. Ma non poteva rimandare più di tanto o avrebbe fatto tardi.
Come si tirò su a sedere sentì lo stomaco rovesciarsi, minacciandola tramite gorgoglii sinistri di dare un seguito alla nausea di cui si sentiva pervasa.
Dopo un respiro profondo, con le gambe tremolanti, si diresse verso il bagno e l’immagine che lo specchio le restituì dopo essersi lavata il viso la sconfortò ulteriormente: solo un miracolo avrebbe potuto dissimulare quelle occhiaie profonde e dubitava che perfino il più talentuoso dei truccatori avrebbe potuto donarle un aspetto radioso quella giornata; inoltre alcuni bigodini che le avevano appuntato la sera precedente erano saltati via, altri erano rimasti ancorati all’estremità della ciocca penzolando come poveri impiccati. Un disastro.

Ok, sei arrivata fin qui, hai superato notevoli ostacoli per giungere a questo traguardo e non ti lascerai abbattere da queste scemenze!

Una voce determinata che non ammetteva repliche risuonò nella sua testa e, prendendola mentalmente a schiaffi, riuscì a scuoterla dal suo pessimismo cosmico quel tanto che bastava a rimetterla in moto per i preparativi.
Quasi temesse che nella notte fosse sparito, aprì l’anta dell’armadio per controllare il proprio vestito e lo adagiò sul letto, assieme alle calze e alla biancheria.
Il tocco leggero di sua madre bussò alla porta di camera e Kijo la invitò a entrare.
 
                                                                        §
 
Nonostante avessero optato per un semplicissimo rito civile per il quale sarebbe stato sufficiente un testimone, lo stuolo di familiari e amici che si ritrovavano aveva insistito per essere presente nei dieci minuti che avrebbero cambiato il loro status sociale, col risultato che la sala comunale di Nerima risultava stracolma di gente.
Dopo aver salito la scalinata in pietra esterna, Ranma entrò nell’atrio completamente sgombro e si diresse verso l’aula in cui venivano officiati i matrimoni, poco più avanti. Si stupì del fatto che tutto stava filando apparentemente liscio e della sorprendente compostezza degli invitati, i quali non gli avevano teso alcun agguato con striscioni, schiamazzi o altri comportamenti imbarazzanti. Sostando un paio di minuti fuori dalla porta della sala per sbarazzarsi di ogni nervosismo residuo tramite una serie di respiri profondi, si compiacque del pacato brusio che veniva dall’interno: finalmente, almeno in quell’occasione, i suoi cari stavano dimostrando una maturità e un decoro degni di persone civili!
Si decise quindi ad aprire la porta ed entrare e subito decine di occhi si voltarono verso di lui, che baldanzoso cominciò a percorrere il passaggio lasciato libero dalle file di sedie laterali.

In effetti c’è molta meno gente di quanto pensavo!” considerò guardandosi attorno passo dopo passo. Volti sorridenti accompagnavano il suo cammino, talvolta condito da qualche bisbiglio tra persone attigue.

Volti sorridenti…ma anche sconosciuti…quanta gente c’era a quel matrimonio che non aveva idea di chi fosse? Erano tutti colleghi o lontani parenti di lei? I suoi amici erano tutti rannicchiati nelle prime file?
Man mano che avanzava la perplessità cresceva sul suo volto come su quello degli astanti, che se ne stavano educatamente in silenzio ma si lanciavano occhiate interrogative.
Finalmente riconobbe una faccia familiare, anche se avrebbe preferito di gran lunga sbagliarsi sulla sua identità: un gigantesco panda si era messo in un angolo della sala a sgranocchiare con la massima flemma le decorazioni in bambù fresco che erano state poste in grossi vasi.

Alle inutili suppliche di spostarsi da parte degli operatori comunali e di un ragazzo elegante, il panda si limitava a sollevare un cartello con scritto
«I panda sono di buon auspicio ai matrimoni, sciagura a chi li scaccia!»

Dopo aver manifestato una discreta goccia di fronte a quella scenetta, Ranma mise il turbo e si avvicinò a grandi falcate al padre, gridando
“Che diamine stai facendo? Nemmeno in un giorno come questo riesci a darti un contegno per evitare di imbarazzarmi?”

“Bb-bb?” esclamò il panda, prendendo poi con tutta calma un pennarello per scrivere su un nuovo cartello
«La colpa è tua. Stavi tardando troppo e mi è venuta fame. A questo matrimonio offrono anche il rinfresco, a differenza del tuo»

“C-cosa?” impallidì Ranma e si voltò di nuovo verso la folla sconosciuta, poi verso gli addetti del comune “Scusate, ma questo non è il matrimonio Saotom-”

“No, questo è il MIO matrimonio e se convinci questo sacco di pulci a smammare posso finalmente celebrarlo!” esplose il ragazzo elegante, al limite della sopportazione

“Questo è il matrimonio Yoshikawa-Kawashima, ragazzo. L’altro è stato spostato al piano superiore” gli diede una pacca sulla spalla il preposto, per poi tornare a sedersi a compilare scartoffie.

Ranma uscì a lenti passi dalla sala, chiudendosi la porta alle spalle.
Con fare guardingo salì la nuova rampa di scale che gli si profilava davanti e, appena giunto al piano di sopra, venne accolto da ogni genere di urla, gridolini e appellativi che i suoi sobri invitati gli riversarono addosso come una colata di lava. Che più o meno rappresentava anche il colore e il calore che sentiva di aver raggiunto dopo quella sguaiata manifestazione d’affetto generale. La madre Nodoka, elegantissima nel suo kimono color pavone, incitata dalla folla, estrasse con solenne lentezza la propria inseparabile katana e con un taglio netto recise una corda che guizzò verso il soffitto; contemporaneamente, un enorme striscione con la scritta «Congratulazioni!» calò sopra Ranma, mentre una pioggia di coriandoli brillantinosi lo investiva rendendolo catarifrangente da capo a piedi. Subito dopo, come se nulla fosse, la fiumana di gente affluì verso l’interno della sala, lasciandolo solo, ricoperto di lustrini, mentre l’eco degli schiamazzi e delle grasse risate rimbombava per le ultime volte nell’atrio.
Rassegnato a far parte per sempre di quel circo ambulante, Ranma si trovò a pensare a cosa comportava avere degli affetti tanto entranti, talmente tanto entranti che continuavano a entrare in quella saletta che probabilmente stava per scoppiare per esaurimento di capienza. Sorrise fra sé a quella stupida battuta che gli era balenata in testa, mentre con le mani cercava di scuotersi di dosso quanti più brillantini possibile. Una gelida occhiata del custode comunale, armato di spazzolone per pavimenti, lo fece pietrificare sul posto, una mano sempre a mezz’aria rea di aver sparpagliato ancora di più quei maledetti coriandoli. Schiarendosi la voce con indifferenza, coprì la distanza che lo separava dalla porta della sala e finalmente vi accedette.
Stavolta le facce che si voltavano verso di lui mentre passava tra le file di sedie erano decisamente conosciute: amici, colleghi, avversari sul tatami dei mille tornei a cui aveva partecipato, familiari, tutti gli regalavano un sorriso e un cenno di incoraggiamento a proseguire quella camminata. Una sedia vuota colpì la sua attenzione e il pensiero non poté non andare a quell’amico di una vita che non ce l’aveva fatta, il grande assente di quella cerimonia, Ryoga. L’idea che non ci fosse lo fece vacillare per un attimo, perché intimamente avrebbe dato tutto per festeggiare quel giorno con lui, con buona pace di tutti gli altri…ma passato quell’attimo ricordò il solenne impegno che si era preso e la sagoma immaginaria dell’amico scomparve dalla sedia, non prima di avergli sussurrato la sua benedizione.
Quando arrivò vicino al gruppo dei Tendo, alle facce sorridenti di Nabiki, Mendo e Kasumi faceva eco il volto indecifrabile di Soun, piazzato tra due sedie vuote. Anche lì fu impossibile non lasciarsi andare all’immaginazione su chi avrebbe dovuto occupare quelle sedie…
Il dottor Tofu probabilmente aveva avuto un’emergenza all’ambulatorio, tuttavia se non fosse stata troppo grave era certo che li avrebbe raggiunti almeno per i festeggiamenti.
L’altra sedia invece…temeva, anzi era certo che non si sarebbe riempita mai. In effetti perché avrebbe dovuto? La proprietaria era stata invitata in nome dell’affetto che li aveva legati, per una sorta di cortesia, ma non poteva certo biasimarla se non voleva assistere al suo matrimonio con un’altra. Sebbene fosse chiaro che per loro non sussisteva futuro.
Raggiunse la scrivania con gli addetti comunali che sistemavano dei documenti nell’ordine in cui avrebbero dovuto firmarli e si mise ad aspettare l’arrivo della sposa per un tempo che gli parve infinito. Decisamente non era a proprio agio lì in piedi davanti a tutti. Lo sguardo ricadde nuovamente verso la famiglia Tendo.

Akane, davvero hai deciso di non presentarti?

Quel pensiero dilagava sempre di più ogni minuto che passava e in cuor suo sperava di vederla arrivare trafelata all’ultimo momento. Così avrebbe saputo che tutto sarebbe andato per il meglio, mettendo una pietra sopra un passato doloroso per provare a costruire un futuro che sembrava perduto.
Il suono della maniglia cigolante lo distolse dai suoi pensieri e la porta in fondo alla sala si aprì.
 
                                                                        §
 
Diciassette, diciotto, diciannove e venti!

Accipicchia che supplizio era salire tutti quei gradini coi tacchi! Sembrava che non finissero più…per non parlare poi del vestito, che dall’ultima volta che lo aveva provato due settimane prima si era impietosamente strettito e le permetteva a malapena di respirare. Poteva biasimare solo se stessa per quello, ovviamente: se non avesse ceduto alla costante voglia di mangiare cibo spazzatura a causa dello stress, a quell’ora le sarebbe caduto perfettamente, come quando lo aveva acquistato. Se ripensava alle lotte e alle torsioni che solo un paio d’ore prima aveva sostenuto per entrarci, il nervosismo si impadroniva nuovamente di lei. Era consapevole di ciò che le avrebbe detto la nonna, vedendola, le sembrava quasi di sentire la sua voce giudicante nella testa:

Vedi cara, adesso ti resteranno per sempre le fotografie di questo giorno in cui sembri grassa; non potevi pensarci un po’ prima?

Certo, perché non aveva avuto proprio nulla a cui pensare in quel periodo. Nulla da preparare, da rifinire, da sistemare in quella corsa contro il tempo che sembrava non bastare mai.
Si prese un minuto per sé, fermandosi appena fuori da quella sala che avrebbe avuto il potere di trasformare la ragazza che era stata fino a quel momento nella donna che sarebbe stata per il resto della sua vita. Wow, roba forte!
Permise al suo cuore di placarsi respirando profondamente e deglutendo di nascosto due o tre goccioline che si portava dietro solo per le occasioni più importanti: per fortuna negli ultimi anni era sempre riuscita a gestirle con moderazione.
Quando si sentì, se non del tutto pronta, almeno un po’ meno impreparata, strinse la maniglia e spalancò la porta.
La stanza aveva ben poche decorazioni (era certa che sua nonna avesse commentato malamente in merito), ma l’emozione di passare tra le file di tutte le persone care che erano venute per sostenerla era impagabile e un sorriso si fece strada pian piano sul suo volto.

È stato un percorso difficile, ma sei stata tenace e costante ed è giusto che si realizzi il tuo sogno.

Certo, la voce nella sua testa aveva ragione, però non poté far a meno di pensare a cosa si era lasciata alle spalle per rincorrere quel sogno. Alcune sedie vuote che catturarono la sua attenzione sembravano essere state messe lì apposta per ricordarglielo, certe assenze pesavano indubbiamente più di altre. Oltre ai rimpianti per le persone “disperse” nel corso degli anni, un altro grande rammarico era sicuramente la mancanza del proprio mentore, colui che l’aveva aiutata a sviluppare il proprio amore per la medicina, ma che purtroppo proprio in quel momento era dietro a un’urgenza: del resto anche quell’aspetto faceva parte del mestiere.
I suoi genitori invece erano entrambi presenti, sebbene seduti a debita distanza: il tempo non era riuscito a farli riappacificare, ma tutto sommato erano stati capaci di trovare un equilibrio per mantenere almeno un distaccato rapporto civile.
Alzò lo sguardo di fronte a sé e lo vide, attenderla davanti a quella immensa scrivania sommersa da plichi e carte. Ancora qualche passo e l’avrebbe raggiunto, il suo futuro, tutto quello per cui aveva lottato negli anni…adesso era a portata di mano, cionondimeno stentava a crederci. Nel giro di un quarto d’ora al massimo, una nuova pietra miliare si sarebbe aggiunta sul suo percorso di vita. Naturalmente se non avesse rovinato tutto.
 
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Ranma la vide arrivare camminando piano, bellissima nel suo abito bianco col mazzolino di camelie scarlatte. Quell’accostamento risollevò appena un ricordo inconscio a cui non diede l’opportunità di emergere completamente, tanto era concentrato nel seguire ogni suo più piccolo passo. Viveva quella scena come a rallentatore e non voleva perdere alcuna sfumatura sul volto incorniciato dagli scuri capelli raccolti della sua sposa: era in palio una posta altissima e se lei avesse avuto il minimo ripensamento non avrebbe esitato a farsi da parte.
Fortunatamente fino a quel momento il suo viso aveva solo dispensato sorrisi agli invitati tra cui si trovava a passare, ma quando gli giunse a fianco e si accarezzò distrattamente il bustino, poté notare che aveva gli occhi lucidi dalla commozione.

“Sei sicuro, Ranma?” gli sussurrò guardandolo negli occhi, chiedendogli ancora una volta quella conferma

“S-sì, sono sicuro…e tu? Sei sicura di farlo…Akane?” mormorò il ragazzo, notando quell’impercettibile lacrima che era sfuggita dalle sue ciglia, subito rimpiazzata da un rassicurante sorriso

“Sì, sono pronta” bisbigliò prima di rivolgersi all’impiegato che già stava elencando gli articoli inerenti al matrimonio e all’educazione della prole.
 
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Anche se la stanza era piena di gente in quel momento era come se fosse sola. Finalmente era riuscita a estraniarsi da quel contesto così ansiogeno mentre spiegava alla commissione il suo lavoro di tesi. Finalmente tutte le nottate in laboratorio, in biblioteca, le statistiche, i trial clinici acquisivano un significato più ampio, portando la ricerca sperimentale un gradino più in alto nella comprensione di un fenomeno. La commissione di laurea la ascoltava incuriosita, col suo relatore che annuiva incoraggiante, finché Kijo terminò quel flusso di parole che si era prodigata a ripetere fino allo sfinimento
“Possiamo quindi dedurre che gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina possono giocare un ruolo chiave nel trattamento farmacologico del disturbo narcisistico di personalità. Grazie per l’attenzione”

Era fatta. Aveva terminato quella prova così importante che tanto l’aveva angustiata. Si sentì pervasa dal senso di benessere concomitante al calo dell’adrenalina ed ebbe la sensazione che nulla avrebbe potuto turbarla in quel momento.

Rispose con precisione a tutte le domande che le vennero poste, anche a quella leggermente tendenziosa del proprio relatore
“Rinekami, la tua tesi trasversale fra due dipartimenti, Farmacologia e Psichiatria, è lo specchio del percorso di studi che hai portato avanti fino ad oggi, svolgendo corsi a scelta essenzialmente nell’una o nell’altra disciplina. Adesso però è giunto il momento di decidere una specializzazione: possiamo annoverarti nelle nuove leve dei Farmacologi o dobbiamo rassegnarci a perderti per gli Strizzacervelli?”

Una risata le sorse spontanea, cosa impensabile se qualcuno glielo avesse detto prima.
“Avrete la mia candidatura domattina, sempre se riuscirò a ottenere il titolo necessario. Non posso garantirvi tuttavia che il mio interesse per la Psichiatria resti sopito per sempre: in fondo si può essere più di una cosa alla volta, no?” così dicendo rivolse uno sguardo alla referente degli specializzandi in tale materia che soffocò un risolino.

La sua frase volutamente ambigua le fece immaginare in un nanosecondo tutto quello che sarebbe potuto succedere se si fosse malauguratamente manifestata la propria maledizione, ma decise di non indulgere in quel pensiero se non per pochi istanti.
“Bene dunque, non perdiamo altro tempo. per i poteri conferitimi dal Magnifico Rettore io ti dichiaro Dottoressa in Medicina e Chirurgia con la valutazione di 110/110 e lode. Puoi stringere la mano alla commissione, Dottoressa Rinekami. Ci vediamo domattina nel mio ufficio”

Udendo quelle parole fu pervasa da un’emozione immensa, una gioia ineffabile che la faceva camminare come su di una nuvola mentre stringeva la mano a ogni membro della commissione; sulla scrivania la sua tesi rilegata in rosso e argento riluceva come un magico artefatto che l’aveva condotta a quel titolo tanto agognato.
Come uscì fuori dall’aula magna, venne accolta da un fragoroso applauso dei suoi amici e parenti, che la inondarono di abbracci, corone di alloro e mazzi di fiori che sbucavano da ogni dove. In tutto quel trambusto riuscì a raggiungere la scalinata esterna, dove venne travolta da una tempesta di coriandoli rossi sparati da alcuni suoi compagni di corso. E sì, tra loro si era palesato anche il proprio mentore, il dottor Alderone, che le sorrideva orgoglioso. In quel momento, sulla vetta di quella scalinata, si volse all’entrata della facoltà e si rese conto che era molto meno spaventosa e intimidatoria di quanto lo fosse stata negli anni passati.
Appena il tempo di imprimere quella sensazione nella sua mente che venne fagocitata dalla folla dei suoi cari per cominciare i festeggiamenti.

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Come i novelli sposi si affacciarono fuori dalla porta del comune, una pioggia di riso si abbatté su di loro, con somma gioia dell’inserviente che aveva appena finito di pulire i coriandoli al piano superiore; Soun e Genma piangevano dall’incontenibile gioia saltellando sul posto, mentre Nabiki, quasi per abitudine, era intenta a scattare quante più foto potesse. L’imperituro Happosai invece non si fece sfuggire l’occasione per giocare un discreto scherzetto agli sposi: a dispetto della bassa statura, riuscì a sgraffignare il secchio ricolmo d’acqua del custode e lo lanciò furtivamente a Ranma, costringendolo a mutare sembianze, per poi avvinghiarsi ai suoi seni.

“Maledetto pervertito, non ti ferma neppure il fatto che sia una persona sposata adesso?” ci si mise a litigare la ragazza col codino, tentando invano di colpirlo per spedirlo in orbita. Niente da fare, il vecchiaccio restava un osso troppo duro perfino per lei…

Un’amica di Akane, conosciuta all’università, si trovò a scivolare sui gradini a causa dell’acqua che li aveva resi sdrucciolevoli: per evitare che si rompesse l’osso del collo, la sposa la riacchiappò all’ultimo prima che perdesse l’equilibrio, tuttavia nella foga dell’azione strappò il proprio vestito.
Guardando ancora una volta i festeggiamenti degenerare ebbe come un déjà-vu del proprio tentato matrimonio precedente e si fece prendere dallo sconforto: com’era possibile che non gliene andasse bene una? Era forse un segno inequivocabile che quello che avevano fatto lei e Ranma era sbagliato? Forse l’universo la stava punendo per la scelta che aveva fatto, per le menzogne che aveva raccontato…in nome di cosa, poi?
Un bene maggiore…si raccontava la sera prima di andare a dormire. Ma da quella sera in poi avrebbe dormito con Ranma e quel dettaglio sembrò attraversarle la mente solo in quel momento in cui vedeva l’inizio dei suoi festeggiamenti per la vita matrimoniale andare a catafascio.
Sarebbe stato strano? Avrebbe provato rimorso? Avrebbero mai…beh, magari non subito dato lo stato delle cose, ma in seguito…?
Improvvisamente si sentì mancare l’aria, desiderava solo piangere e uscire da quel dannato corsetto rotto che la stava soffocando…anzi, no, c’era un’altra cosa che avrebbe desiderato in quell’istante: sua madre. Ah, se solo avesse potuto confidarsi con lei, da donna a donna, lei sì che avrebbe saputo consigliarla per il meglio!
La sua vista era ormai totalmente annebbiata dalle lacrime che formavano una cortina acquosa tra lei e il mondo circostante e quando qualcuna di esse si decise a scendere, si accorse di una figura proprio davanti a sé che le faceva scudo col proprio corpo riparandola dagli sguardi altrui mentre le porgeva gentilmente un fazzoletto, nemmeno a dirlo perfettamente stirato e profumato.
Kasumi. La sua dolce e amorevole sorella, che per lei era quasi stata come una madre, in quel momento non si era smentita ed era lì pronta a proteggerla, a rassicurarla e a confortarla una volta ancora. Anche se non sapeva tutto, non importava; poteva sentire la forza del suo amore incondizionato arrivarle come una carezza sulla pelle, rassicurandola che qualunque cosa avesse fatto lei ci sarebbe sempre stata.
 
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Il sole era già tramontato da un pezzo quando l’ultimo dei parenti si decise a lasciare il rinfresco per tornare alla propria abitazione: nonostante sua madre avesse cucinato per un esercito, gli ospiti avevano spazzolato praticamente tutto, facendole sorgere il dubbio di non aver preparato abbastanza pietanze.

“Vorrai scherzare, mamma?! Sono andati tutti via di qui rotolando e molti si sono portati pure il panierino a casa…stai pure tranquilla che nessuno è uscito con la fame!” replicò Kijo cercando di fugare le sue preoccupazioni

“Sì, ma tua nonna ha storto la bocca quando ha visto…” continuò imperterrita la madre, incurante delle sue parole

“Mia nonna è nata con la bocca storta! Avrebbe avuto da ridire anche se fossimo andati in un ristorante stellato! Hai cucinato una miriade di leccornie buonissime, quindi adesso godiamoci un po’ di meritato riposo” si impose Kijo, accompagnandola sulle scale verso le loro camere. Non le era sfuggito lo sguardo stanco che riempiva gli occhi della madre, che nonostante tutto seguitava nelle rimostranze

“Ma devo pulire per terra, buttare i piattini, lavare i bicchieri…”

“Domani. Per oggi hai fatto anche troppo” così dicendo Kijo abbracciò la madre e le stampò un bacio in fronte, assicurandosi che entrasse in camera sua, poi lei fece lo stesso.
Per lei quella giornata non poteva considerarsi finita finché non l’avesse raccontata a Ranma, quindi si armò di carta da lettere e penna e, seduta alla propria scrivania, cominciò a scrivere


«19/10/1999
Caro Ranma,
Innanzitutto congratulazioni per le tue nozze
»


Lo sguardo corse alla busta color avorio contenente la partecipazione che le era arrivata pochi giorni prima: era stata talmente in fermento per l’imminente laurea che dopo lo shock iniziale di quando l’aveva aperta con le mani tremanti aveva avuto molto poco tempo per pensarci e rimuginarci, ma adesso che la grande ansia era ormai alle spalle la consapevolezza che Ranma si era
sposato proprio quel giorno riprese a serpeggiare strisciante nelle sue viscere.

Che stupida, ormai dovresti averla superata, no? Sono passati otto anni…

Si divertì a infierire la sua coscienza, brutale come sempre. La penna tremolò sul foglio, lasciandoci uno scarabocchio che ben presto fu annacquato da una lacrima sfuggita. Meno male che non avrebbe mai inviato quella lettera, sennò avrebbe dovuto ricominciare a scriverla da capo!
Anni prima ci aveva rinunciato, giacché scriveva, spediva e non otteneva mai risposta. Tuttavia non smise mai di comporle. Ormai quello era diventato un rito settimanale irrinunciabile per parlargli della sua vita, dei suoi progetti, dei suoi sentimenti. In quelle lettere, cosciente che non le avrebbe lette mai nessuno, metteva tutta se stessa senza filtri, lasciandosi andare anche alla profonda malinconia che la sempre maggior consapevolezza di aver perso per sempre il ragazzo si portava con sé. Era quasi terapeutico. L’unico modo che aveva trovato per non soccombere alla più funesta depressione era mantenere vivo quel filo unilaterale di corrispondenza fittizia: le dava l’illusione di parlare ancora con lui, immaginava le sue risposte e le espressioni che avrebbe fatto se le avesse lette davvero.
Poi, si sa, la vita va avanti, impegni sempre maggiori pervadono le giornate che durano comunque sempre ventiquattr’ore, quindi piano piano si rese conto di iniziare a metabolizzare il distacco; ma lo scrivere puntualmente quelle lettere, indirizzarle e riporle con cura in una scatola dal coperchio rosso come la sua casacca preferita era un’abitudine troppo radicata per lasciarla andare, quindi quella sera non fece eccezione.
Lo stereo sintonizzato su Radio Tam Tam Network proponeva le note allegre dei Vengaboys, ma quella dance gioiosa e spensierata strideva con le corde del suo cuore, che dopo aver provato l’ebbrezza della soddisfazione più pura bramava in quel momento crogiolarsi nel familiare conforto della malinconia. Quel dittatore masochista tanto si impegnò nel generare disagio in Kijo che la costrinse a cambiare stazione, girando su Radio Nostalgia. Tiè, così imparava a metterlo sempre da parte sacrificandolo in nome delle scelte ragionevoli.
La melodia triste di Roxette prese a diffondersi nell’ambiente e nell’animo di Kijo, che si trovò a mugolarne il motivetto prima ancora di rendersi conto delle parole. Quando il loro significato arrivò a sfiorarle la coscienza, il labbro inferiore cominciò a tremarle e il respiro le si fece più affannoso.


Make-believing we're together
That I'm sheltered by your heart
But in and outside I turn to water
Like a teardrop in your palm


Dovette posare la penna per raggiungere un fazzoletto di carta, anzi per cercarlo: perché diamine ogni volta che aveva bisogno di un fazzoletto non lo trovava mai? Aprì il primo cassetto della scrivania, il secondo, il terzo, in un crescendo di mascara che colava e che rischiava di macchiarle la maglietta. Aprì il cassetto basso dell’armadio e mentre le sue mani raggiungevano vittoriose il pacchetto di fazzoletti, le sue iridi, nonostante stessero affogando, scorsero una busta ingiallita in un angolo che fu subito sua. Delle fotografie che la ritraevano con un kimono nero e un papavero rosso sulle labbra sbucarono fuori una dopo l’altra e composero un puzzle sul pavimento su cui anche Kijo si era lasciata cadere. Nello spostarle per rivederne le immagini, lo sguardo della ragazza venne incatenato a quella che la ritraeva tra le braccia di Ranma, pochi attimi dopo che l’aveva salvata da una rovinosa caduta.

It must have been love, but it's over now
It must have been good, but I lost it somehow
It must have been love, but it's over now
From the moment we touched, 'til the time had run out


Non riusciva nemmeno a toccarla, la guardava ossessivamente da lontano temendo che se solo avesse osato sfiorarla avrebbe preso una scossa mortale. Un istante di vita congelato sul pavimento e non poteva ignorarlo; si trovò capace solo di continuare a fissarlo fino a finire tutti i fazzoletti del pacchetto. Mentalmente prese l’appunto di modificare l’incipit della propria lettera, con qualcosa che suonava all’incirca come

«19/10/1999
Caro Ranma,
Innanzitutto congratulazioni per le tue nozze
Perdonami se non riesco ancora a congratularmi per le tue nozze, ma al momento i miei auguri per te non sarebbero sinceri, quindi preferisco non dire niente; lo sai, le frasi di circostanza non mi sono mai piaciute…
»


 
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8 Aprile 2003
 
Dalla finestra dell’aula magna entrava un piacevole tepore che accarezzava la guancia di Kijo, la quale era giunta in quel punto al termine della spiegazione e si stava godendo un flash di ricordi edulcorati dal tempo di quando era studentessa in quello stesso liceo. Il rumore delle macchine sulla strada trafficata, l’odore dell’enorme magnolia del giardino di fronte in quella stagione, la cattedra perennemente sporca di gesso…in dieci anni sembrava non essere cambiato niente, tutto contribuiva a renderle la fugace illusione di essere tornata adolescente tra quelle mura.
Voltandosi verso il suo pubblico di liceali ritornò bruscamente alla realtà, sommersa da sguardi di tutti i tipi: c’erano gruppetti di ragazzi che la guardavano perplessa, come se avesse raccontato chissà quali storie, altri che sogghignavano lanciandole occhiatine allusive e dandosi di gomito tra loro, altri che tenevano il volto basso e alcuni che proprio sembravano totalmente estraniati dall’ambiente che li circondava, probabilmente solo felici di aver “perso” un’ora di una materia che sentivano ostile.

Quello che si era presentato come il professore di latino stava finendo di scribacchiare freneticamente delle annotazioni su un taccuino, poi si rese conto che lei aveva terminato di parlare e lo chiuse di scatto, alzandosi in piedi e schiarendosi la voce
“Ehm-ehm, grazie alla dottoressa Rinekami per le sue ehm, delucidazioni sul tema della contraccezione. Avete domande ragazzi?”

Uno studente con la felpa blu e un cappello da baseball indossato a rovescio alzò la mano e, invitato a parlare, chiese
“Scusi dottoressa, dà anche delle ripetizioni private?”

Alcuni studenti scoppiarono a ridere, mentre altri cercarono almeno di darsi un contegno cercando di dissimulare l’ilarità salente con colpi di tosse e strane smorfie. Il professore si rivolse adirato al simpaticone di turno, inveendogli contro
“Martini! Devi sempre farti riconoscere! Chiedi subito scusa alla dottoressa o…”

Non ebbe il tempo di terminare la frase che Kijo, esibendo un pacifico sorriso sulle labbra, replicò al ragazzo
“Se necessario sì, ma non preoccuparti: come ho detto all’inizio quando forse eri distratto, praticare l’autoerotismo non ha nulla a che vedere con la perdita della vista. Ci sono altri dubbi?”

Martini deglutì e, mentre diveniva l’oggetto delle risate circostanti, si affrettò a scuotere la testa in segno di diniego.

“Benissimo, se non ci sono altre domande direi che ci vediamo la prossima settimana per la lezione sulle malattie sessualmente trasmissibili. Grazie per l’attenzione!” si congedò Kijo mentre gli studenti pian piano si alzavano per tornare nelle proprie aule.
Benissimo, qualche credito in ginecologia/ostetricia, psicologia della comunicazione e igiene generale l’aveva ottenuto! Certo, non era il solo motivo per cui aveva accettato di tenere quel breve corso agli studenti del liceo: quando il suo mentore le aveva parlato del progetto di educazione sessuale nelle scuole aperto agli specializzandi, aveva subito provato una sensazione positiva a riguardo, come quando capita di fare una buona azione. Dio solo sapeva quanto gli adolescenti fossero allo sbando sotto quel punto di vista e se nel suo piccolo avesse potuto far qualcosa per migliorare la situazione, perché no?

Un ragazzo più grande rispetto a quelli che erano usciti si alzò finalmente dalla sedia vicino alla cattedra e le mimò un applauso sorridendo
“Complimenti dottoressa Rinekami, ottima lezione. Peccato per lo scarso livello di attenzione, in generale, avrebbero potuto davvero imparare qualcosa, oltre al tuo indirizzo mail…”
Il ragazzo sogghignò e cominciò a staccare i cavi che collegavano il portatile al proiettore, per poi riporre il computer in una borsa apposita

“Dici che non sono state sufficienti le animazioni che hai messo nella presentazione? Eppure dovresti sapere come catturare l’interesse dei tuoi coetanei…” buttò lì con noncuranza Kijo, inarcando un sopracciglio in modo allusivo

“Ho solo quattro anni meno di te, tra qualche mese mi laureerò! Come fai a paragonarmi a quel branco di adolescenti assatanati?” si stizzì l’assistente, gettando di nuovo sulla cattedra dei libri che aveva preso in braccio.

Eccolo, quel temperamento…ogni volta che menzionava casualmente la loro differenza d’età lui si risentiva offeso, quasi come se essere giovane fosse un difetto. Fortunatamente col tempo avevano preso a scherzarci su, tuttavia la sua prima reazione quando usciva fuori quell’argomento era sempre la medesima. Da una parte poteva capirlo, un ragazzo ambizioso come lui, prossimo alla laurea doveva sentirsi quasi invincibile…era stato l’unico laureando scelto per partecipare al trial di ricerca su cui voleva basare la sua tesi di specializzazione, quindi doveva confrontarsi perennemente con soggetti più grandi ed era come se ogni volta dovesse dare conferma della propria competenza. D’un tratto ripensò a quanto fosse stata stressata lei a pochi mesi dalla laurea e si ripromise di ridurre le bonarie frecciatine che gli lanciava di tanto in tanto.
“A parte gli scherzi, Fabio…si fa quel che si può. Confido nel fatto che, anche se sembrano disinteressati, possano trovarsi nel buio della propria cameretta a consultare il materiale che abbiamo lasciato loro qualora avessero dei dubbi. Sarebbe anche l’ora che la scuola si aprisse su certi argomenti, ti pare?”

“Uhm-uhm” borbottò Fabio tormentandosi una ciocca di capelli biondi, come faceva sempre quando valutava idee di cui non era troppo convinto. Finì di radunare tutto il materiale e si caricò le borse a tracolla, seguendo Kijo mentre usciva dall’aula.
 
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Prima di varcare il portone d’ingresso verso l’esterno, Kijo inforcò gli immancabili occhiali da sole e cominciò a scendere i gradini, già pensando a tutte le faccende che doveva sbrigare in giornata. Come alzò lo sguardo lo vide e si congelò sul posto, il piede destro appena atterrato sullo scalino più basso mentre il sinistro ancora ancorato a quello sopra. La sorprese come un’improvvisa brezza fresca sulla pelle durante un’afosa e torrida giornata estiva. Fu come essere folgorati da quella figura appoggiata al muretto vicino al cancello con le braccia incrociate e la solita aria spavalda con cui aveva continuato a vivere nella sua memoria, tant’è che perse il controllo delle proprie braccia e caddero stecchite lungo i suoi fianchi, liberando la cartellina che stringeva al petto con gli appunti della lezione. I fogli volarono intorno a lei in un turbinio e l’espressione di Fabio si fece confusa per quello strano comportamento: non dovevano essere passati che pochi istanti ma tutto sembrava svolgersi a rallentatore.
Portava sempre i capelli acconciati con quel codino e vestiva molto casual con dei jeans e una maglietta verde che gli cadevano a pennello, esaltando la sua figura atletica che gli anni avevano solo migliorato.
Lei invece si sentì piccola e inadeguata, come se fosse rimasta la diciassettenne che aveva conosciuto mentre lui fosse cresciuto e maturato. Nel corso degli anni un po’ era stata dietro alle notizie inerenti le arti marziali e si rendeva conto delle straordinarie imprese che aveva compiuto; tuttavia dentro di sé, assieme al permeante stordimento, si agitava dirompente anche il desiderio di mantenere un contegno e non fare la figura dell’idiota totale.
Vide il suo sguardo sollevarsi e riconoscerla, il suo sorriso sbarazzino farsi più pronunciato; poi lo sguardo si posò sul suo assistente e il suo sopracciglio si inarcò dubbioso, ma solo per un istante.

“Ciao Rinekami…o dovrei chiamarti Professoressa a questo punto? Sai, non ci potevo credere che dopo tutti questi anni avessi finalmente trovato il modo di tenere delle lezioni di educazione sessuale…ti piacciono i piani a lungo termine, vedo!” le sorrise disarmante passandosi una mano tra i capelli.

Porca. Paletta. Come faceva a ricordarsi quell’assurda proposta del professor…come si chiamava? Ah, Higuma! Lei stessa quando aveva accettato l’incarico da medico leggermente più competente di un’adolescente allo sbando non aveva colto la sottile ironia delle situazioni che tendevano a ripresentarsi nella sua vita. Chissà se inconsciamente non avesse accettato anche per quello…Basta, stava divagando invece di pensare a cosa rispondere
“Saotome! Non dirmi che hai fatto tutta questa strada per seguire le mie lezioni! Avrei potuto spedirti le mie dispense per posta o per e-mail!”

Perfetto, se c’era una speranza su un milione che non ricordasse del suo pessimo umorismo l’aveva appena bruciata

“Uhm, non mi fido molto della posta, ho avuto delle brutte esperienze…a volte bisogna presentarsi in prima persona”
Ranma lasciò passare qualche secondo dopo quella considerazione, come se volesse che la suo eco si imprimesse per bene nella mente di Kijo, poi continuò, rilassato
“Senti, ti va di andare a bere qualcosa, così ci aggiorniamo?”
Mentre glielo chiedeva si fissava le dita delle mani, quasi fosse più preoccupato di avere un residuo di sporcizia sotto le unghie che della sua risposta.

“Oh?! Ok, d’accordo” acconsentì Kijo controllando il tono di voce per non sembrare troppo entusiasta. Raccolse rapidamente i fogli sparsi per terra e si rivolse all’assistente
“Fabio, ti dispiace riportare il materiale in facoltà? Ci vediamo più tardi in laboratorio”

Il ragazzo scrutò quel misterioso sconosciuto orientale con disappunto: non aveva capito un’acca di quello che si erano detti, dato che si erano parlati in un’altra lingua, probabilmente giapponese. Odiava quando veniva estromesso dalle situazioni e per di più quell’uomo non prometteva nulla di buono: quando mai la dottoressa Rinekami era apparsa così maldestra? Aveva avuto modo di viverla in facoltà ma anche nell’informalità dell’ambiente domestico e non aveva mai perso quella dose di aplomb che ammirava tanto in lei, quella costante ricerca di essere sempre la versione migliore di se stessa. Si voltò verso di lei e le pose una mano sulla spalla, con fare conciliante
“Va bene, tanto eventualmente ci troviamo a casa. Ordino la pizza anche per te?”

“Sì, vai. Nel caso ti mando un messaggino più tardi” replicò Kijo leggermente stupita: da quando Fabio era diventato così servizievole? E da quando in qua si scambiavano pacche sulle spalle? Si allontanò ignorando completamente Ranma e solo allora si rese conto che aveva mancato di fare le presentazioni. Bella maleducata.

“Insomma, sono passato dalla tua facoltà per cercarti e ho visto in che razza di laboratorio lavori! Complimenti, mi sembra di aver capito che segui diversi progetti di ricerca e che ti stai per laureare ancora o qualcosa del genere” ruppe il ghiaccio Ranma mettendosi in cammino. Come se fosse un fantasma sbucato fuori dalle pieghe della sua memoria, flesse le braccia dietro la nuca nella perfetta riproduzione della sua andatura dissimulante nonchalance.

“Davvero lo hai visto? In effetti è proprio un bel laboratorio, in più siamo un team molto affiatato e-” era una sua impressione o il sopracciglio di Ranma aveva avuto uno spasmo involontario? Il tempo di porci l’attenzione però la fece bugiarda, giacché lui l’ascoltava serenamente come se non avesse un problema al mondo “…abbiamo avuto dei fondi per acquistare nuovi equipaggiamenti. In realtà mi sto specializzando e tra qualche mese discuterò la mia tesi, forse è a quello che si riferivano le persone con cui hai parlato. Dalla mia laurea ormai sono passati tre anni e mezzo, ma credo tu lo sappia dato che è stata lo stesso gio-…”

Che cavolo stava dicendo? Voleva davvero tirare in ballo il suo matrimonio? Ehi, a proposito! Dove diavolo era Akane?

Kijo si morse la lingua, cercando un modo elegante per cambiare discorso senza lasciar trapelare la gaffe che stava facendo, quando l’insegna di un bar le venne in soccorso
“UH! Dobbiamo assolutamente fermarci a bere un cappuccino qui! Conosco il barista e lo fa buonissimo!” trillò come se avesse visto un’astronave prendere posto in un parcheggio per auto.

Trascinò Ranma dall’altro lato della strada per un braccio ed entrò nel locale, seguita da lui. Era una mattinata tranquilla e non c’erano molti clienti: nella grande sala dall’arredamento in stile liberty si respirava un’atmosfera rilassata e familiare.
Si sedettero a un tavolino vicino al bancone e Kijo fece un cenno al ragazzo dietro di esso, alle prese con una macchinetta del caffè dall’apparenza vintage
“Ciao Manuel! Ci porteresti due cappuccini per favore?”
Il ragazzo dagli occhi azzurri e un accenno di barba fintamente trasandata le rispose col gesto della doppia pistola e si mise a scaldare il latte.

Quando prestò nuovamente attenzione al suo interlocutore si accorse che si stava schiarendo la voce, poi con un sorriso leggermente beffardo riprese il discorso che avevano lasciato in sospeso
“Sì, ricordo la buffa coincidenza per cui ti sei laureata il giorno stesso in cui mi sono sposato…a proposito, non credo di averti mai ringraziato per il regalo di matrimonio che mi hai mandato! Perdonami ma non è durato molto…”

“Oh no! Lo sapevo che quel deficiente del negozio non avrebbe fatto granché con l’imballaggio del vassoio per i dolci…Ti è arrivato rotto, vero? Ora, dopo tutto questo tempo credo che la garanzia sia scaduta, però se vuoi posso tornare in negozio a dirgliene quattro!” si dispiacque Kijo, temendo di aver fatto, all’epoca, una misera figura. Diamine, lo aveva pure pagato diversi soldini quel vassoio!

Ranma la squadrò e poi scoppiò a ridere; solo dopo qualche decina di secondi si decise a contenere l’ilarità per accontentare l’espressione di muta richiesta di una spiegazione che era comparsa sul volto di Kijo
“Il vassoio…oh, Kami! Il vassoio sta benissimo…almeno credo. Insomma, l’ultima volta che l’ho visto era sempre intero, poi sai, Akane è piuttosto goffa e maldestra, quindi non si può mai sapere”

Kijo continuò a fissarlo come un letterato fisserebbe una lavagna piena di formule a un corso di fisica avanzata. Tutta una fissione, insomma.

“Volevo dire che quello che è durato poco è il mio matrimonio con Akane…ma in fondo è stato meglio così”
Pronunciò quelle parole con leggerezza, ma esse si depositarono come macigni nel primo strato della coscienza di Kijo.

Man mano che vi affondavano e sedimentavano, tutta una serie di domande e considerazioni ne veniva sbalzata fuori, come un bicchiere d’acqua ricolmo in cui si faccia cadere un cubetto gigante di ghiaccio: come mai non sembra turbato? Cosa è successo con Akane? Perché è qui proprio adesso? Quanto ci vuole per due cappuccini? C’è un’altra donna nella sua vita?
“Oh…mi dispiace, davvero…” riuscì solamente a dire, abbassando lo sguardo; avrebbe poi voluto chiedere delucidazioni in merito, rischiando di passare per sfrontata, ma Ranma la precedette

“Tu invece che hai combinato in tutti questi anni? Oltre alla tua brillante carriera intendo” sistemò le mani sotto il mento, preparandosi ad ascoltarla con attenzione

“Non molto in realtà…ho scelto un percorso piuttosto impegnativo e non mi ha lasciato granché spazio per altro” confessò Kijo provando a stamparsi un sorriso plausibile sulla faccia al termine della sua risposta, per alleggerire la tensione

“No? Nessun marito, fidanzato, compagno…compagna?”
Kijo deglutì sorpresa dalla sua schiettezza
“Nemmeno una tresca col biondino che ti porta le borse e che ti aspetta a casa stasera?” Ranma terminò la lista enfatizzando l’escalation con un’allusiva alzata di sopracciglio, condita con un noncurante increspamento di labbra

“Come hai fatto a capire che mi aspettava a casa stasera? Tu non parli italiano…” aggrottò le sopracciglia Kijo, facendo spazio a Manuel che finalmente si era deciso a portare i fantomatici cappuccini.

L’aroma che emanavano era semplicemente delizioso e la consistenza appariva perfetta e cremosa
“Ecco qua, due bei cappuccini…Kijo, questo è per te, per la mia cliente più affezionata…sai, avevo iniziato a distribuire delle tesserine dove ogni dieci bevande ne risultava una omaggio, ma mi è toccato smettere perché questa qui mi mandava in bancarotta!” commentò il barista rivolto a Ranma, indicando Kijo alle sue spalle col pollice

“Ehi! Bel modo di ringraziare chi apprezza i tuoi caffè! E poi non è colpa mia se crei i cappuccini più buoni di tutta la città!” brontolò fintamente Kijo, mentre Manuel finiva di servire Ranma e se ne andava lanciandole un occhiolino.

Ranma osservò la tazza di Kijo, su cui il barista aveva disegnato un cuoricino con la schiuma, e poi la propria, su cui sembrava ci fosse un teschio con le ossa di traverso. Sospirò vedendola scherzare con quel tipo, col quale evidentemente doveva avere molta confidenza…Come aveva potuto pensare che la sua vita sentimentale non fosse andata avanti in tutti quegli anni? Il fatto che nelle sue lettere non gli avesse mai menzionato niente non significava automaticamente che niente fosse successo. Ecco, forse se avesse calcolato quell’ipotesi un po’ prima invece di saltare sul primo aereo pochi giorni dopo aver ricevuto tutte quelle lettere, si sarebbe risparmiato un viaggio verso la delusione…Maledizione, perché doveva sempre essere così impulsivo? No, non era quello il momento di fare dietrofront, ormai aveva scelto di sfidare la sorte e non si sarebbe certo tirato indietro dinanzi a una sfida…
La vide sciogliere due bustine di zucchero di canna in quella specie di caffellatte schiumoso e miscelare il composto col cucchiaino lentamente in piccoli cerchi, per non dissipare il calore. Kami, aveva dimenticato quanto le piacessero le bevande calde e super dolci, ma quel piccolo gesto bastò a rievocargli una piacevole ondata di ricordi. Assaporò poi pensierosa il cucchiaino e, ritenendo l’assaggio di suo gusto, lo posò sul piattino per sorbire una lunga sorsata; socchiuse quindi gli occhi e schioccò la lingua sul palato soddisfatta, tornando a guardarlo. Diamine, si era distratto! A che punto erano?

“Ehm…Akane nel corso degli anni mi ha insegnato qualche parola, per qualche strana ragione quando si arrabbiava amava sbraitare in italiano. Credo la ritenesse la lingua più congeniale per esprimere le sue emozioni o qualcosa del genere…A parte questo, le ho chiesto di farmi un corso intensivo per affrontare meglio questo viaggio, per cui riesco a riconoscere qualche parola qua e là” Ranma si accarezzò la nuca come a sminuire l’impegno che aveva messo nell’imparare alcune frase di sopravvivenza, quindi si schiarì la voce e cercò di riportare la conversazione sui binari che più lo incuriosivano
“Ma tornando a te…Flavio, giusto? Si chiama così il ragazzo biondo che era con te prima?” la incalzò Ranma

“No, quello è Fabio. Da quando la frequenta è diventato un caffeinomane, poveraccio. Non fanno altro che venire qui a ingurgitare tonnellate di caffeina nelle pause che hanno…penso che a quel ragazzo prenderà un colpo, prima o poi, per cercare di star dietro alle abitudini di Kijo” il barista apparve in piedi accanto a loro come se si fosse materializzato dal nulla, partecipando attivamente alla conversazione.

Due gocce gigantesche comparvero sulle nuche dei ragazzi e Kijo gli lanciò un’occhiataccia
“Manuel, non hai un locale da mandare avanti invece che star qui a prendere in giro i tuoi clienti storici e ascoltare i loro discorsi?”

“Uffa, che dovrei fare? Stare a origliare le due vecchiette di quel tavolo in fondo? Saranno due ore che parlano dei loro acciacchi e io mi annoio…è molto più divertente partecipare al tuo appuntamento…E poi scusa, quando mi ricapita l’occasione per rispolverare un po’ di giapponese?” Manuel fece per scostare la sedia e sedersi con loro ma Kijo la bloccò col piede

“Se non ci lasci in pace da domani vado a prendere il caffè da Enrico” disse in tono minaccioso, al che il barista sussultò portandosi una mano davanti alla bocca spalancata e poi si allontanò offeso, bofonchiando

“Non reggeresti due giorni a bere quella risciacquatura di piatti che spaccia per cappuccino!”

Kijo assunse un’espressione compiaciuta e poi rivolse di nuovo la sua attenzione a Ranma
“Quindi hai ripristinato il fidanzamento con Akane dopo che sono partita…” le sue parole risuonavano accuratamente prive di inflessione, quasi avesse commentato il tempo che vedeva fuori dalla finestra, tra un sorso e l’altro. D’improvviso poi il suo sguardo si accese, palesando un avido interesse che non riuscì a dissimulare; fu allora che aggiunse
“Come mai sei qui Ranma?”

Lui non seppe rispondere a una domanda così diretta. Per quanto fosse diventato innegabilmente più smaliziato nei rapporti con le donne, provava ancora un disagio atavico in certe situazioni, pertanto Kijo ebbe modo di continuare
“Non fraintendermi, mi fa molto piacere rivederti ma…sono passati tutti questi anni…anni di totale silenzio, un matrimonio, nessun cenno di voler mantenere i contatti. Perché adesso?”

Ranma sospirò, non sapendo da che parte cominciare. Forse avrebbe dovuto sbrigliare quella gigantesca matassa che si portava dentro cominciando da un fatto, un evento puro e semplice, anche se sapeva già che avrebbe portato a tutta una serie di ammissioni emozionali che si annidavano nel profondo. Cercò di non pensarci, convincendosi che era all’altro capo del mondo proprio per quello.
“Pochi giorni fa ho ricevuto tutte le lettere che mi hai scritto nel corso degli anni: le ho ricevute in blocco, da quelle di pochi mesi dopo la tua partenza fino a quelle di giugno 2002. Dieci anni della tua vita raccolta in quelle pagine, nero su bianco, un regalo inaspettato che colmava un gap che pensavo irrecuperabile. È stata una lettura davvero intensa, sai, e mi sono detto che se provavi davvero ciò che esprimevi su quei fogli di carta valeva la pena approfondire…essendo le ultime lettere abbastanza recenti, ho pensato che tutti quei sentimenti così forti non potevano essersi volatilizzati in così poco tempo…”

Kijo spalancò gli occhi, sbiancando al contempo. Le sue mani presero a tremare e fu costretta ad appoggiare la tazza sul piattino per evitare di versarne il contenuto residuo. Con un filo di voce prese a balbettare, incredula
“M-ma è i-impossibile, io n-non ho mai spedito q-quelle lettere…”

Ranma la guardò perplesso: che senso avrebbe avuto scrivere delle lettere per non spedirle? E se non era stata lei a farlo, chi era stato?
“Allora si vede che qualcuno lo ha fatto per te, perché a me sono arrivate una settimanetta fa…” provò a confermare la propria storia con un sorrisetto che trasudava imbarazzo.

Kijo intanto sembrava una statua di sale, con l’io pensante che aveva abbandonato il suo corpo partendo a razzo verso le più tortuose elucubrazioni.

Impossibile, le lettere erano sempre a casa di sua madre, nella cassetta rossa…le aveva lasciate lì quando si era trasferita nel nuovo appartamento l’anno prima…le sarebbe bastato andare a trovarla per recuperarle…ehi, ma la casa era stata venduta da un mese…sua madre non aveva portato via anche quella cassetta? Oddio, che il nuovo inquilino si fosse preso la briga di spedire tutte quelle lettere? Beh, dalla prima impressione che aveva avuto sembrava un tipo un po’ hippie e svagato, ma seriamente avrebbe fatto un gesto del genere? No, non era vero, doveva esserci un’altra spiegazione…quelle lettere non potevano essere uscite dal buio della cassetta in cui le aveva rinchiuse…non poteva nemmeno immaginare che Ranma avesse letto…

Scosse la testa, come percorsa da un brivido. Il ricettacolo di tutte le sue paranoie, le sue emozioni, le sue fragilità era stato dato in pasto all’ultima persona che avrebbe dovuto leggerlo. Si sentiva nuda, peggio, violata, esposta come sul tavolo di un’autopsia che aveva rivelato quanto di più segreto aveva cercato di celare al mondo. Potevano scriverci un trattato di psichiatria, basandosi su quelle lettere, lei stessa ci aveva scherzato su tra sé e sé innumerevoli volte, autodiagnosticandosi tutta una serie di disturbi da manuale…
In questo quadro di devastazione e folle desiderio di scomparire per evitare il confronto sussisteva però un dettaglio che stonava con la tragicità della situazione; non saltava subito agli occhi della coscienza, oscurato com’era dal caos che gli gravitava attorno, tuttavia una volta che si manifestò fu così prepotente da acquietare per pochi istanti tutto il resto: Ranma era lì. Sebbene fosse una considerazione ovvia e banale aveva delle implicazioni enormi. Ranma era lì nonostante tutto
Si era sorbito ore ed ore di una lettura pallosissima e delirante, l’aveva elaborata e aveva deciso di prendere un aereo per ritrovarla dall’altra parte del mondo. Aveva ancora una volta visto la parte più strana e privata di lei e non aveva voltato lo sguardo, anzi, le era corso incontro.

Kijo Rinekami, qualora ti lasciassi sfuggire questo ragazzo per la seconda volta potresti anche prendere centoventi lauree nella tua vita ma saresti una grandissima idiota.

Ok, prima però c’erano un paio di punti da chiarire…
“Ma…ma…io inizialmente ti ho scritto e spedito delle lettere ma tu non mi hai mai risposto…” cercò di ripercorrere la sequenza degli eventi la ragazza, con evidenti difficoltà nell’articolazione delle parole

“Penso che per quello possiamo incolpare mio padre…a quanto pare il vigliacco si è assicurato che non mi arrivassero mai le tue lettere facendole sparire prima che potessi vederle, come ha fatto sparire quelle che io ti avevo scritto sostenendo che Kasumi le avesse imbucate. Me lo ha confessato il giorno del matrimonio, fiero del suo piano per spingere me ed Akane a quella decisione. Neppure io ho ricevuto mai una risposta e ad un certo punto ho semplicemente pensato che non volessi più aver a che fare con me” il volto di Ranma si adombrò ripensando all’ennesima, inutile lite col padre. Ogni volta si lasciava ingenuamente andare all’idea che se si fosse imposto con parole forti Genma finalmente lo avrebbe inteso, ma negli anni si era dovuto poi rassegnare al fatto che il padre neppure provava ad ascoltare gli altri, fermo com’era nel suo perseguimento degli obiettivi personali.

“Non sono mai stata una gran fan di tuo padre, perdonami la schiettezza…ma se tu e Akane siete tornati insieme subito dopo il suo rientro in Giappone non mi sembra che abbia dovuto spingere più di tanto…” commentò Kijo, una punta più acida di quanto avrebbe voluto. Non ce l’aveva fatta a trattenersi, c’erano ancora troppe emozioni che vagavano a briglia sciolta dentro di lei e qualcuna riusciva a sfuggire al suo controllo.

“In realtà non è andata proprio così” replicò bruscamente Ranma, poi, pentendosi, decise di provare a calmarsi sorseggiando lentamente il proprio cappuccino ancora intonso. Doveva ammettere che non era affatto male!
Dunque, da dove cominciare con le spiegazioni? Calma, lui partiva con un incommensurabile vantaggio, come sempre cercava di fare in ogni confronto…lui sapeva per filo e per segno cosa era successo a Kijo negli ultimi anni (sempre che non gli avesse nascosto delle relazioni, tema su cui si ostinava a essere tremendamente sfuggente!), quindi le doveva almeno un riassunto di quello che aveva combinato nel frattempo. Kami, perché era così difficile confidarsi? Respirò profondamente e poi cominciò a raccontare
“Quella famosa notte di Natale in cui decidesti di partire, Soun ebbe un infarto e fu ricoverato d’urgenza in ospedale. Accadde tutto così in fretta e non ci pensai due volte a seguire Kasumi per accertarmi delle condizioni del padre…Fortunatamente il signor Tendo si riprese, tuttavia ogni medico con cui ebbe a che fare ribadì che avrebbe dovuto evitare lo stress sopra a ogni cosa, oltre che cominciare a prendere alcune medicine. Naturalmente, come sempre accade con le nostre famiglie, il mio gesto di presentarmi al capezzale di Soun fu letto come la volontà di rinnegare quello che avevo ampiamente chiarito poche ore prima, ovvero che per me il fidanzamento era definitivamente rotto; quindi, per fartela breve, con la scusa della salute cagionevole di Soun ricominciarono sempre più forti le pressioni per sistemare il futuro del dojo. Fu allora che Akane mi prese da parte e, con mia somma sorpresa, mi propose un patto che non mi sarei mai immaginato ideato da lei: evidentemente il periodo trascorso in questo Paese le aveva affinato la scaltrezza”

Kijo lo osservava rapita, cercando di immaginare dove volesse andare a parare, avida di conoscere il seguito di quella storia che aveva soltanto potuto immaginare per tutti quegli anni.

D’un tratto una mano con l’indice alzato entrò rapidamente nel suo campo visivo, come a fare una domanda: risalendo con lo sguardo il braccio fino al proprietario, si rese conto che Manuel se ne stava lì, in piedi, fino a quel momento immobile come uno stoccafisso
“Scusate, mi sono perso un passaggio…chi è Akane?” chiese in un giapponese un po’ stentato

Ranma e Kijo furono inondati da gocce gigantesche, poi la ragazza lo fulminò con un’occhiata categorica e lo ammonì a denti stretti
“Manuel…mi sembrava di averti detto di piantarla di origliare!”

“Ma-ma…è la cosa più entusiasmante che possa capitarmi oggi, ti rendi conto? E poi ero solo venuto per sentire se volevate qualcos’altro…” il ragazzo imitò alla perfezione l’espressione di un cucciolo bastonato, indicando le tazze ormai vuote sul tavolino. Kijo sospirò e ordinò qualche biscotto, mentre il barista prese nota mentalmente e si allontanò verso il banco, promettendo
“Torno in un baleno! Mi raccomando, non andate tanto avanti con la storia!”

Ranma la guardò sorpreso, poi si permise di commentare
“Ti devi essere intenerita con gli anni, una volta gli avresti dato una risposta piena di sarcasmo e te ne saresti sbarazzata…ma non c’è un posto dove poter parlare un po’ più privatamente?”

“Tranquillo, se riparti subito col racconto, prima che Manuel si accorga che i biscotti sono finiti e che deve chiedere di riprepararli al pasticciere nel retro, avremo un sacco di tempo” la ragazza mise su un sorrisetto compiaciuto e gli balenò un occhiolino.

Niente da fare, certe cose non cambiavano mai. Ranma riprese il filo del discorso forte di questa convinzione
“Dunque, innanzitutto Akane mi confessò che da mesi aveva intrapreso una relazione romantica con Ryoga e che stava aspettando il momento giusto per parlarne alla sua famiglia…solo che a causa della fragilità del padre, il momento giusto rischiava di non arrivare mai. Era indubbiamente molto preoccupata per Soun e non avrebbe mai voluto fare qualcosa che potesse nuocergli in quel momento così delicato, quindi se ne venne fuori con la proposta di fingere di tornare insieme. Sosteneva che in fondo, passato l’ultimo anno di liceo, ci saremmo trasferiti all’università e saremmo stati meno controllabili; poi se la sua storia con Ryoga fosse andata in porto lo avrebbe confessato alla famiglia più avanti, quando sperabilmente il padre sarebbe stato meno soggetto ad altri infarti. Dal canto mio a tutto pensavo in quel momento meno che a una nuova storia, quindi avere l’alibi della fidanzata non mi sembrava così male come prospettiva. Fummo ovviamente intransigenti con le nostre famiglie sul fatto che ci saremmo sposati solamente dopo l’università.
Furono anni tutto sommato divertenti, ci trasferimmo vicino al campus di Tohoku a Yamagata, in un appartamentino che Akane condivideva ufficialmente con me, ma di fatto con Ryoga. Alla fine io ero quasi sempre in giro per tornei e per allenamenti volti ad affinare le mie abilità marziali, quindi raggiungemmo uno stato di tranquillità per tutti”

“Sì, però poi Akane l’hai sposata davvero! È forse finita male con Ryoga?” intervenne Kijo, incrociando le braccia al petto per cercare di trattenere la curiosità che la stava divorando viva.

Ranma gongolò per quella risposta leggermente infastidita e la redarguì bonariamente, dandole un buffetto sul naso
“Ehi, non fare l’impaziente, non ti si addice…lasciami finire il racconto prima di saltare alle tue conclusioni!”

Colta in fallo, la ragazza cercò di ricomporsi e di assumere una posa rilassata e moderatamente distratta, esortando il codinato a continuare con un cenno della mano

“Diciamo che mi sono trovato a sposarla perché in tutto questo nostro bel piano è accaduto un imprevisto…anzi due! Ecco, per farla breve Akane è rimasta incinta prima di laurearsi e Ryoga, che era al settimo cielo, si è subito offerto di sposarla; tuttavia per rispettare una tradizione della sua famiglia, avrebbe voluto farle la proposta usando l’anello di una sua bisnonna o qualcosa del genere, per cui partì il mattino seguente per recuperarlo. Ora, conosciamo tutti Ryoga e il suo dannato senso dell’orientamento…a posteriori abbiamo saputo che si era andato a sperdere nei pressi del monte Kotaro, dove, come ben sai, accadono cose strane: quel poveraccio oltre a perdersi nello spazio si era perso anche nel tempo, andando a finire negli anni ’30 senza sapere come tornare indietro. Akane ed io purtroppo non avevamo modo di immaginarlo e lo cercammo per lungo e per largo, finché una guardia forestale ci fece crollare il mondo addosso riconoscendo il ragazzo della foto che gli mostrammo come un campeggiatore che non aveva più fatto ritorno, di cui avevano trovato brandelli di vestiti e la sua inconfondibile bandana sulla riva di un torrente. Non potrò mai dimenticare l’espressione di Akane quando la guardia estrasse la bandana da una scatola di cartone buttata in un angolo…lanciò l’urlo più potente che avessi mai sentito uscire da una persona, come se dolore puro venisse sputato fuori dal suo corpo che contorcendosi si scioglieva in lacrime”

Ranma rabbrividì al ricordo, innegabilmente doloroso anche per lui in prima persona, della putativa perdita dell’amico di una vita, poi fece un respiro profondo e continuò
“Eravamo entrambi devastati, come puoi immaginare, e Akane delirava sul fatto di volersi togliere la vita, così passai i giorni seguenti a casa sua, per assicurarmi che non commettesse sciocchezze. Ebbi come l’impressione che se mi fossi allontanato avrei perso definitivamente anche lei, com’era successo col mio amico più caro, e non potevo assolutamente permetterlo. Fu così che le chiesi di sposarmi: la rassicurai che non volevo in alcun modo sostituirmi all’amore della sua vita, solo volevo aiutarla a superare quel momento così difficile che l’arrivo di un figlio non avrebbe certo semplificato; le promisi che mi sarei preso cura di lei e del bambino di Ryoga come se fosse mio e che in fondo in quel modo non avrebbe dovuto affrontare la famiglia confessando la menzogna che durava da anni. Lo so che sembrano parole stupide e un’offerta altrettanto stupida, solo che in quel momento mi sembrava l’unica via d’uscita per una situazione talmente disperata che altrimenti ci avrebbe schiacciato con la sua portata”

L’incredulità che aveva cristallizzato il volto di Kijo in una maschera dalla bocca socchiusa e gli occhi sbarrati si frantumò nel momento in cui il campanellino posto sopra alla porta del bar la riportò al momento presente. Vide entrare una donna trafelata, interamente vestita di nero, con una lunga gonna e un corpetto dalle maniche di pizzo. Fece un breve cenno a Manuel, che si era riaffacciato al bancone, e poi sparì in bagno. Fuori dal locale un gruppetto di persone dall’aria inferocita si guardò attorno per un attimo e poi proseguì nella corsa che stavano attuando.

Istintivamente Kijo rivolse lo sguardo a Manuel e lui non si fece pregare nel fornire spiegazioni
“Non ci fate caso, quella è una scribacchina senza né arte né parte a cui un giornaletto locale ha concesso un trafiletto mensile tra le ultime pagine, chissà per quale ragione…si vede avanzava un po’ di spazio tra gli annunci mortuari e l’oroscopo di Madame Zazzà!”

“Ma…perché è corsa in bagno?” domandò Ranma aggrottando le sopracciglia

“Credo si nasconda perché la manciata di lettori che si era fatta hanno letto l’ultimo capitolo della sua storia: una storia veramente assurda, che ha sconvolto totalmente ogni regola di buon senso della narrazione…pensa che questa qui ha avuto l’ardire di continuare un racconto che veniva pubblicato in precedenza osando separare la coppia principale che il precedente autore- lui sì che era un Maestro- aveva ideato! Cioè, è come se in Romeo e Giulietta alla fine Giulietta si mettesse con Mercuzio e Romeo con una tizia sconosciuta: roba da pazzi! Non mi meraviglia che vogliano linciarla!”

Mentre Kijo annuiva distrattamente, l’oggetto delle loro chiacchiere emerse dal bagno, indossando stavolta un paio di occhiali con il naso e i baffi finti. Con somma baldanza salutò Manuel dirigendosi verso l’uscita, ma il barista non poté frenarsi dal commentare
“Guarda, Belladonna, ti si riconosce lo stesso con quell’affare in faccia…”

“Solo perché mi hai vista prima…non ti capita mai di leggere i fumetti? Basta un paio d’occhiali e tutti diventano irriconoscibili! Pensa a Superman…” sorrise l’autrice

“Ma non ti sei nemmeno cambiata i vestiti…vabbè, fai come ti pare…ricordati che io però ti avevo avvertita” bubbolò il barista, andando finalmente a prendere i biscotti che il pasticciere aveva ultimato

“Tranquillo…ci vediamo presto!” cinguettò la donna e uscì fischiettando. Dopo neanche due secondi uno dei suoi inseguitori la riconobbe e radunò rapidamente il gruppo, costringendola a una nuova, precipitosa fuga.

Ranma scosse la testa per liberarsi da quell’ennesima assurdità conclamata, poi si schiarì la voce e, notando che Manuel stava discutendo col pasticciere, proseguì il suo racconto
“A tutto questo però è seguito un lieto fine: un paio di settimane prima che Akane partorisse, Ryoga riuscì a fare ritorno, quindi a quel punto abbiamo svelato tutto alle nostre famiglie e abbiamo divorziato, in modo che loro potessero finalmente sposarsi. La gioia di avere finalmente un erede e un nipote fu un ottimo diversivo dall’arrabbiatura per la menzogna raccontata, quindi alla fine Soun perdonò istantaneamente Akane e acconsentì a passare a Ryoga la gestione del dojo. Ogni tanto anch’io mi diverto a fare qualche lezione speciale: in fondo combattere con Hibiki resta uno dei passatempi che più preferisco”

“Caspita…immagino quanto l’abbia presa male tuo padre…” si trovò a commentare Kijo, senza quasi riflettere

“Quel panda ciccione ha avuto quello che si meritava, cioè niente. I nostri rapporti sono limitati al minimo, ora come ora: se solo avesse messo metà dell’impegno che ha messo nel cercare di plagiarmi per costruire il proprio futuro, penso potrebbe essere miliardario” l’ombra di un trauma irrisolto passò rapida negli occhi di Ranma, il quale istintivamente strinse i pugni per qualche istante.

Kijo lo guardò in silenzio, dispiaciuta di aver toccato un tasto dolente della sua esistenza. Il silenzio che si formò tra loro venne presto riempito dalle note di una canzone che non passava molto di frequente in radio, ma che in quel momento parve una colonna sonora stranamente adatta

In my search for freedom
And peace of mind
I've left the memories behind
Wanna start a new life
But it seems to be rather absurd
When I know the truth
Is that I always think of you

Someday, someway
Together we will be, baby
I'll take and you'll take your time
We'll wait for our fate
'Cause nobody owns us baby
We can shake, we can shake the rock…


Per spezzare l’immobilità che la attanagliava, decise di prendere un biscotto dal piattino che aveva davanti: lo portò alla bocca, prese a mordicchiarlo e Ranma fece altrettanto.
Cosa avrebbe dovuto dire adesso? Il suo racconto era terminato, quindi non poteva più semplicemente starsene lì ad ascoltare…d’altro canto lui sapeva già tutto quello che le era successo in quegli anni…beh, ecco, forse non tutto! Gli mancava l’ultimissimo periodo.
“Caspita che storia…io, come già sai, non ho avuto così tanti sconvolgimenti nella mia vita, a parte il divorzio dei miei e gli impegni universitari, di cui ho scritto ampiamente nelle lettere…Nell’ultimo anno mi sono trasferita in un appartamento per conto mio, che però è sempre pieno di laureandi, dottorandi, colleghi del gruppo di ricerca: ci troviamo spesso lì dopo l’orario di lavoro e mentre mangiamo, ci rilassiamo e distraiamo la mente spesso capita di avere qualche intuizione interessante per il nostro progetto, che provvediamo poi a verificare il prima possibile. Anche se a volte mi sembra di vivere in una comune, la verità è che siamo un gruppo molto unito e nessuno di noi ha molte amicizie extra né il tempo per farsele”

“Parlando di amicizie extra…nelle tue lettere non hai mai menzionato una persona speciale al tuo fianco” si inserì nel discorso il codinato, con fare allusivo. Finalmente era riuscito a trovare un modo per porre quella domanda che lo logorava dall’inizio.

Kijo ridacchiò, con quell’espressione sorniona che il passare degli anni non aveva modificato
“Non ce n’è stato il tempo, Saotome. Le varie frequentazioni che ho avuto non si sono mai trasformate in nulla di importante”

“Varie…tipo?” insistette Ranma lasciando trapelare la curiosità che si nascondeva dietro a quella domanda

“Uhm, fammi pensare…” Kijo assunse un’aria meditabonda e iniziò a contare vistosamente sulle dita della mano destra, poi passò alla sinistra e si godette il sempre più evidente strabuzzamento di occhi che Ranma invano cercava di dissimulare, poi si sciolse in una risata cristallina
“Tre o quattro esperimenti che si sono ben presto rivelati tentativi fallimentari” confessò infine, poi gli ripassò la palla “Tu invece?”

“Beh, ecco…una decina di…” affermò dapprima con sicumera, che si affievolì nel momento stesso in cui tentava di pronunciare quelle parole…era venuto per mettere le cose in chiaro o no?
“Un paio di avventure, durante i tornei internazionali. Sapevamo però entrambi che non avrebbero portato a nulla” ammise una volta per tutte abbassando lo sguardo.

“Non è facile, vero? Soprattutto quando ci si trova a provare a confessare la nostra…peculiarità. Io non ci sono mai riuscita, tu ce l’hai fatta a liberartene?” domandò la ragazza

“No e tendo a non parlarne a nessuno. Però diciamo che la vivo con più serenità” rispose guardingo Ranma. Gli occhi di Kijo presero a brillare, come se lui le avesse portato un regalo fantastico

“Wow, temevo che non avrei più rivisto il bel viso di Ranko…” rivelò poi con un sorriso

“Ehi, ti mancava più lei di me?” ribatté apparentemente scocciato il ragazzo col codino

“Impossibile, mi mancavi nella tua interezza”

Queste parole scivolate dalle labbra di Kijo rimasero lì sospese tra loro per dei lunghissimi istanti prima che Ranma si lasciasse permeare dal loro significato e le sentisse nel profondo. 
 
                                                                        §
 
Quella sera, dopo una di quelle giornate lavorative in cui più si spera le cose vadano lisce per tornare a casa a un’ora decente più invece si aggiungono intoppi su intoppi, Kijo riuscì finalmente a raggiungere la tanto agognata quiete domestica accompagnata da Ranma, che con una mano reggeva il proprio bagaglio e con l’altra del cibo da asporto che si erano fermati a comprare per la strada.

“…quindi ho chiesto in facoltà e il bando indetto dal Professor Tsunoda è ancora aperto. Se fossi selezionata avrei la possibilità di raggiungere il suo team di ricerca a Tokyo tra qualche mese per perpetrare la collaborazione italo-nipponica che da anni contraddistingue le nostre facoltà” raccontava Kijo mentre con la mano priva della valigetta e della borsa girava rapidamente nella toppa la chiave di casa
“Sarebbe un ottimo percorso post-specializzazione che-” le parole le morirono in gola come spalancò la porta e venne travolta dal casino che colmava il suo appartamento.

Sabrina e Giovanni gridavano contro lo schermo della televisione pestando come ossessi le dita sui controller della Playstation, augurandosi morte reciproca mentre si menavano virtualmente a sangue nel nuovo Tekken. A malapena si resero conto che due persone, di cui una totalmente sconosciuta, avevano varcato la soglia di casa, finché Sabrina non assestò il colpo mortale e Giovanni imprecò, consolandosi con una manciata di patatine arpionata dal sacchetto che sostava in mezzo a loro, sul divano.
“Oh, Kijo! Ci stavamo riscaldando per il torneo di Tekken di stasera! Sei pronta a tirare calci e pugni come se non ci fosse un domani?” la salutò Giovanni, galvanizzato dall’idea

“Già, il torneo…ma avete sistemato le conclusioni nell’articolo che dobbiamo spedire?” fece mente locale la ragazza

“Sistemato, ricavato l’abstract, stampato e messo sulla tua scrivania. Dacci pure un’occhiata ma credo che sia proprio a posto stavolta!” rispose Sabrina mimando il segno di vittoria, per poi riaversi
“Chi è il tuo amico? Lo hai chiamato per partecipare al torneo?”

“Beh, veramente…” accennò un inizio di spiegazione Kijo, che fu subito interrotta dalla foga della dottoranda

“Ehi, ti sfido io per prima! Sai combattere decentemente?” si rivolse verso Ranma porgendogli il controller; a quella domanda lui non poté far a meno di sorridere: se solo quella ragazzina avesse saputo con chi aveva a che fare…

Raccolse teatralmente la sfida prendendo il controller e con baldanza si sedette sul divano, chiedendo a Kijo di tradurre letteralmente la sua risposta
“Ragazza, hai sfidato il grande Saotome Ranma in un combattimento…non hai speranze!”

Neanche trenta secondi dopo era k.o., col suo avatar che colpiva la terra battuta sotto ai suoi piedi per la stizza di aver miseramente perso. Il codinato fissava incredulo lo schermo, dovendo pure sorbirsi i gridolini di trionfo di Sabrina
“Yuhuuu! Ho fatto quasi perfect! Mi spiace dirtelo ma sei proprio una pippa con le arti marziali” lo canzonò, col risultato che Ranma pretese la rivincita. Ovvero la riperdita. E la riperdita. E la riperdita della riperdita.

Dalla cucina uscirono altri due ragazzi, che portarono sul tavolo due cartoni giganti di pizza fumante. Quello più alto e robusto inforcò meglio gli occhiali sul naso ed esclamò soddisfatto
“Dopo innumerevoli esperimenti siamo giunti alla conclusione che queste pizze erano troppo carenti di mozzarella di bufala: adesso abbiamo scoperto la perfetta proporzione pizza/mozzarella, quindi venite a tavola e valutate voi stessi se non diciamo il vero!”

L’altro, che indossava un grembiule da cucina, annuì con orgoglio per poi notare l’ospite inatteso
“Kijo, potevi dirmi che avevi invitato qualcun altro! Non abbiamo ordinato abbastanza pizza per una persona in più! Resterà a fame! Chi doveva fare la spesa in questi giorni, che in questa casa non c’è mai nulla?” venne colto dal panico il ragazzo più magrolino, che rispondeva al nome di Marco

“Scusatemi, in realtà mi ero dimenticata che stasera avevamo la combo pizza-Tekken…è che il mio ospite ha fatto un lungo viaggio e speravo potesse riposare un po’ in tranquillità…” cercò di spiegarsi Kijo, alludendo a una muta richiesta che non voleva risultare maleducata

“Oh…oh! Certo! Ma in fondo noi non volevamo andare a…sentire quei tizi che…suonano ai giardini pubblici? Dai, ne parlavamo prima di quanto dev’essere figo quel concerto!” esordì Sabrina che, percettiva come sempre, aveva saputo leggere tra le righe

“Che cavolo stai blater- umpf!” provò a obiettare Giovanni, ma la ragazza gli schioccò una gomitata tra le costole e lo guardò inarcando allusivamente le sopracciglia, al che si riprese, dando seguito al proprio stomaco brontolante
“Giusto, però ci portiamo via la pizza! Abbiamo una tesi da confermare!”

“Eh, infatti…ti stavamo solo aspettando per salutarti…” fece il vago Marco mentre si toglieva il grembiule e prendeva il suo giacchetto dalla sedia lì vicino.

“È già l’ora di cena?”

A quelle parole tutti si voltarono verso il corridoio in penombra dal quale provenivano. Calò un silenzio carico di tensione, durante il quale ognuno dei ragazzi manifestava a proprio modo evidenti segni di nervosismo: Sabrina prese a mordicchiarsi un’unghia, Marco si torturava le sopracciglia, Giovanni ingurgitò un pezzo di pizza bollente senza battere ciglio e Damiano tornò a nascondersi in cucina con la scusa di cercare la felpa.

Dalla penombra emerse Fabio, coperto solo da un asciugamano legato in vita, mentre con un altro si asciugava distrattamente i capelli. Si bloccò non appena vide Ranma accanto a Kijo, ma riprese ben presto un atteggiamento noncurante.
“Ah, Kijo. Sei tornata. Sai, credo di aver capito come mai la deviazione standard non rientrava nei parametri dell’ultimo esperimento-” si zittì notando che Giovanni gli stava ripetutamente facendo il gesto di smetterla di parlare, agitando a scatti la mano tesa sotto il mento.

Subentrò Sabrina a quel punto
“Perfetto, ora che anche Fabio è pronto, il tempo che si metta qualcosa addosso e possiamo andare al concerto”

“Concerto? Ma non dovevamo giocare a Tekken? Io non ho voglia di uscire stasera…” le sopracciglia aggrottate dalla perplessità di Fabio ebbero un tremito. Non seppe stabilire se era una reazione che normalmente susseguiva al calore della doccia, ma si sentì come pervaso sempre più profondamente da un senso di freddo e di vuoto. Appoggiò l’asciugamano che teneva in mano sulle spalle, ma la situazione non migliorò molto.

“Satomi, l’amico di Kijo, è stanco, Fabio…e poi andiamo, ci farà bene uscire un po’” Damiano emerse dalla cucina parlando lentamente, col tono più conciliante possibile. Mise una mano sulla spalla di Fabio e lo riaccompagnò verso il bagno, per cambiarsi. Il ragazzo si lasciò sospingere senza opporre alcuna resistenza.

“Veramente sarebbe Saotome…” sussurrò Ranma, senza troppa convinzione. Qualcosa di indefinito dentro di lui gli suggeriva che per qualche strana ragione sarebbe stato meglio se fosse stato il più silenzioso possibile. La stessa cosa indefinita gli provocava tuttavia un fastidioso formicolio che non riusciva a inquadrare. 


                                                                        §
 
Qualche minuto dopo, la casa aveva ritrovato una parvenza di tranquillità, ospitando solo due inquilini che mangiavano cibo cinese da asporto mentre sorridevano dei vecchi tempi. Come diedero fondo a una bottiglia di birra, Kijo si alzò per prenderne un’altra ma Ranma le bloccò il polso
“Vuoi farmi ubriacare Rinekami? È possibile bere in questa casa qualcosa che non sia alcolico?” si mise a scherzare

“Dunque, fammi pensare…in effetti dovrebbe esserci un po’ d’acqua, da qualche parte…oppure del succo di frutta…” assunse un’aria meditabonda Kijo, tamburellandosi il mento con l’indice libero

“Siamo sicuri che sia vero succo di frutta e non uno dei tuoi strani intrugli dall’effetto imprevedibile?” la attirò a sé Ranma, facendola sedere sulle sue ginocchia e fermandosi ad assaporare il suo profumo che la vicinanza aveva fatto aumentare d’intensità

“Non saprei Saotome, c’è un solo modo per scoprirlo…sei pronto a correre il rischio?” gli sorrise lei facendogli dondolare davanti il cartone del succo. Che subito dopo cadde, rovesciandosi parzialmente sul pavimento. E lì rimase, fino al mattino.  
 
                                                                        §
 
Intanto, in una dimensione celeste paradisiaca…
 
Seduto su uno sgabello attiguo a un’enorme scrivania, quello che aveva tutta la parvenza di un ometto grassottello e gioviale chiuse uno spesso tomo e poi si mise a battere le mani assieme dalla contentezza.
“È proprio divertente l’italiano, Fukurokuju! Davvero una bella lingua! Grazie di avermi prestato alcuni dei tuoi vocabolari…”
Così dicendo balzò poco agilmente dallo sgabello, rischiando di inciampare nel grande sacco di lino che stava accasciato ai suoi piedi.

L’anziano signore dalla testa grottescamente allungata sollevò lo sguardo dalla pergamena che stava studiando: un cervo che sostava accanto a lui diede un colpetto con la testa alla sua mano che, distratta, non lo stava più accarezzando.
“Bah, per così poco, Hotei. Vorrei solo che avessi chiesto il mio aiuto anni fa, sono certo che avremmo risolto l’enigma che ti ha turbato per tutto questo tempo in un battibaleno!”

Un’avvenente signora adorna di abiti eleganti smise di strimpellare le corde del biwa che teneva in mano per commentare, sbuffando
“Andiamo, è storia passata e trapassata! Cosa state ancora a rimuginare su fatti accaduti quando? Quindici anni fa?”

“Dodici, se non vado errato, cara Benzaiten…era la notte di Tanabata del 1991, nevvero?” chiese un’inutile conferma la divinità della Fortuna che più padroneggiava l’arte della Conoscenza

“Hai azzeccato Fukurokuju! Caspita, non ne sbagli una!” si congratulò l’ometto corpulento, delineando ancora più profondamente il suo perenne sorriso. Poi si lasciò andare, sedendosi su un enorme e soffice divano, a un sospiro che tuttavia non scalfiva il suo imperturbabile ottimismo
“Non è così facile essere inondati da milioni di desideri ogni giorno…tutti bramano qualcosa e il compito di ascoltare le richieste che mi vengono rivolte in continuazione talvolta è piuttosto impegnativo! Ma Tanabata…adoro Tanabata perché di tutti quei tanzaku bruciati sulla Terra mi rimane un promemoria, quindi posso protocollarli anche a distanza di tempo!”

“Sì, certo…se capisci cosa c’è scritto…” lanciò la propria frecciatina Benzaiten, riprendendo a pizzicare il suo liuto

“Questo foglietto non era affatto chiaro! C’era scritta sopra una parola che non esiste in nessuna lingua del mondo! Ho anche pensato di prendere in prestito alcuni dizionari extraterrestri visto che ultimamente ne bazzicano diversi sul nostro pianeta, ma nulla…vai a pensare che fosse una traslitterazione italiana di un nome giapponese! Chissà perché chi l’ha scritto è stato così criptico…”

“Ripeto: roba antica! A che ti serve saperlo?” ribadì Benzaiten in tono annoiato, velocizzando l’esecuzione del proprio pezzo

“Mi serve perché ho ritrovato anche il suo tanzaku complementare: quando ci sono due brame che collimano ho la facoltà di iniziare l’iter per la realizzazione” gongolò Hotei esibendo le due strisce che teneva in mano, una viola l’altra azzurra

“Sei sicuro che dopo tutto questo tempo quei desideri non siano scaduti? Gli umani mutano aneliti in periodi assai inferiori ai dodici anni…” considerò il saggio del gruppo mentre allungava una manciata di bacche al proprio cervo che, contento, masticava di gusto.

Il più gioioso tra le divinità della Fortuna scese allora dal divano, per avviarsi verso la scrivania dove svolgeva abitualmente i suoi offici ed estrarre da un cassetto uno spesso plico polveroso
“Qui tengo i resoconti di tutti i desideri espressi negli ultimi anni. Quando ho capito il significato del tanzaku viola l’ho sfogliato fino allo sfinimento ma non ho trovato alcuna richiesta contrastante successiva da parte dei soggetti coinvolti. Inoltre, come ulteriore prova, qualche giorno fa ho favorito il principio di una serie di eventi che mi stanno dando ragione sulla validità attuale di queste striscette”
Allargando il proprio sorriso, Hotei spostò la prima pallina del pendolo di Newton luminoso che teneva sulla scrittoio e la lasciò cadere, provocando la propagazione del movimento all’estremità opposta.
“Posso pertanto dichiarare che queste richieste siano degne di essere protocollate!” aggiunse infine mentre premeva un elaborato timbro su un tampone intriso di inchiostro iridescente: prima con uno schiocco secco impresse il suo simbolo sul tanzaku viola, poi su quello azzurro; sventolò rapidamente le strisce affinché si asciugassero e poi le prese nelle sue mani unite a coppa, da cui pochi secondi dopo esplosero dei piccoli fuochi d’artificio colorati, le cui scintille caddero verso l’atmosfera terrestre.

“Oh! Abbiamo finito adesso?” cantilenò Benzaiten mentre Hotei si auto-applaudiva e Fukurokuju annuiva solennemente “Qualcuno sa dirmi che c’è da cena?”

“Mah…credo che Ebisu si sia messo a preparare le sue famose orate divine, mentre Daikokuten si occupava del riso di accompagnamento” rispose il vecchio sapiente

“Uffa, di nuovo riso e pesce? Nessuna meraviglia che tutti i fantastici abiti che ho mi stiano sempre così larghi…Non potremmo invitare qualche altra divinità per cena, ogni tanto? Tipo il Dio della Pizza? O la Dea della Grigliata? La divinità del Gelato? No, eh?” bubbolò Benzaiten mentre si sollevava mollemente stiracchiandosi dalla poltrona su cui era accasciata, per dirigersi verso la sala da pranzo, seguita dai sodali celesti.
 
 
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Note generali

Per la parte finale mi sono ispirata alla tradizione giapponese delle Sette Divinità della Fortuna, sulla falsariga degli autori di uno dei vari Film d’animazione di Ranma.
Ogni divinità, come accade in quasi tutti i pantheon, ha delle attitudini specifiche:
- Benzaiten è la Divinità della musica, bellezza, eloquenza, letteratura e dell’arte in genere. Spesso rappresentata con un biwa, liuto giapponese che per lei diventa magico.
- Fukurokuju è il Dio della conoscenza e della lunga vita. Rappresentato con una testa allungata e la barba bianca. Porta con sé un bastone usato per sostenersi. Spesso è ritratto in compagnia di una gru, di una tartaruga e o di un cervo. Possiede anche delle pergamene che contengono tutta la saggezza del mondo.
- Hotei è la Divinità della gioia e della felicità. Rappresentato come un uomo grassottello e ridente, il suo nome significa "borsa di lino" ed è infatti ritratto con un sacco pieno di vestiti e oggetti di uso quotidiano che egli distribuisce ai poveri e ai bisognosi.
- Ebisu è il dio dell'abbondanza e del cibo quotidiano. Nato inizialmente nella comunità dei pescatori è molto legato all'attività della pesca.
- Daikokuten è il Dio della terra, agricoltura, protettore dei contadini. Portatore di ricchezza e prosperità. Viene rappresentato sopra due balle di riso o cereali. Spesso rappresentato con Ebisu che si dice sia suo figlio.
 
 
N.d.A.

Ciao a tutti!
Alla fine, ci siamo arrivati. Il sollievo e lo stupore di vedere in qualche modo il mio progetto compiuto danzano dentro di me assieme alla malinconia e a un pizzico di smarrimento…e ora?
Non ho una risposta al momento. Posso solo augurarmi che ciò che ho voluto condividere con voi vi abbia regalato qualche gradevole minuto di evasione: se non ci sono riuscita spero che mi perdonerete xD
Un immenso ringraziamento a tutti voi lettori, elevato all’ennesima potenza per coloro che mi hanno seguito costantemente (penso a fenris, Jessica86, Dany1979, Meddy80, Cresco, Julius CX) o sporadicamente (come Lena84, Patrix81, Alice62829930e040440, Raindb, Valetomlavy) nel mio viaggio, lasciandomi le loro impressioni e permettendomi di aggiustare la rotta. Siete stati oro puro per me.
Un ringraziamento speciale va a Giandix85, che si è prodigato in scambi e dibattiti sempre interessanti anche oltre le recensioni (che ho apprezzato tantissimo) e a FedeGinRic, che è riuscita a scalfire la mia corazza e a donarmi supporto e amicizia al di là di EFP.
 
Inchino. Esce di scena.

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