Le Favole di Vocina e Grillo (Anna & Marco's Fairytales)

di Doux_Ange
(/viewuser.php?uid=5895)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cenerentola ***
Capitolo 3: *** Il principe triste ***
Capitolo 4: *** La Bella e la Bestia ***
Capitolo 5: *** Amore e Psiche ***
Capitolo 6: *** La Bella Addormentata ***
Capitolo 7: *** Una prova d'amore ***
Capitolo 8: *** Frozen ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


LE FAVOLE DI VOCINA E GRILLO
(Anna & Marco’s Fairytales)

 
 
Prologo
 
Cri... cri cri... cri cri...

Che fai, ti zittisci da solo oppure devo metterti io a tacere, Grillo? Sono le due di notte!

Non è colpa mia se soffro d’insonnia, ultimamente! Anzi, beata te, Vocina, che riesci a dormire!

Veramente non ci riesco nemmeno io, visto che qualcuno non me lo permette.

Scusa... forse dovrei andare via, così non disturbo più nessuno. Potrei andarmene in vacanza, oppure via per sempre...-

Ma dove vuoi andare! Io ti sopporto, dove la trovi un’altra Vocina che fa lo stesso?! E poi, non fare il melodrammatico, Grillo, che non attacca. E soprattutto, non farmi dire cose che non voglio dire.

Cioè?

Ti ho detto che non me lo devi far dire!

Ma se non so cosa non vuoi dire, come faccio a sapere cosa non devo fare?

Santa pazienza... e va bene! Non puoi dire certe cose perché poi finiscechesentolatuamancanzamanonvogliochesisappiaingiro.

... Eh?

FINISCE CHE SENTO LA TUA MANCANZA MA NON VOGLIO CHE SI SAPPIA IN GIRO!

Awwww ma allora mi vuoi un po’ di bene, in fondo!

Molto, molto in fondo. Molto.

Mi accontento di quel che mi concedi... però, se resto, non farò dormire nessuno con il mio frinire. Che facciamo? Ci manca solo che sveglio anche Lottie con il rumore che faccio, e di conseguenza tutta la casa non chiuderà occhio!

Va bene, va bene. Ti aiuto a trovare una soluzione, ci penso io. Fammi pensare...
................

Hai pensato?

Zitto!

Okay, okay!

................

E ora? Hai pensato?

Grillo, la pianti? Se tu mi interrompi, come faccio a pensare? Giuro che se non la smetti, ti preparo io stessa le valigie e ti spedisco in Pakistan col primo volo che trovo. E soprattutto, mi rimangio ciò che ho detto sul sentire la tua mancanza!

Okay, sto zitto. ... Ma secondo te-?

Grillo!!!

Scusa, non ti arrabbiare! È che volevo sapere se, secondo te, il Maresciallo C. nel frattempo avrà scritto un nuovo libro di fiabe. Erano tanto belle, e Lottie quando le sente, si addormenta subito. Magari funzionasse anche con me! Una volta erano un ottimo rimedio, adesso invece non fanno più effetto. Non capisco proprio perché io abbia cominciato a soffrire di insonnia, soprattut-

Grillo, miseriaccia, chiudi quella dannata bocca trenta secondi! Prendi fiato, stira le antenne, fai quello che vuoi, ma stai zitto! Ché non mi permetti di sentire nemmeno i miei stessi pensieri! Figurati se posso stare dietro al Maresciallo C. e le sue fav... Aspetta un attimo! FAVOLE!!

Eh?

La soluzione sono le favole!

... Non ho capito...

Non avevo dubbi. Sei poco sveglio di giorno, figurarsi di notte e con l’insonnia... Bisogna spiegarti sempre tutto!

Beh, allora illuminami, Vocina! Come una lucciola su un prato!

Risparmiami le battute, ti prego! Comunque, hai detto che le fiabe prima ti aiutavano a dormire. E, se ci hai fatto caso, i tuoi problemi di insonnia sono cominciati proprio quando abbiamo terminato il libro del Maresciallo C.. Abbiamo bisogno di nuove favole! Che sono più fiabe, in realtà, con la morale discutibile annessa...

Tralasciando le sottigliette, dove le troviamo, queste storie nuove? Quelle classiche non hanno mai funzionato, solo quelle di C. riuscivano ad aiutarmi.

Finalmente una domanda sensata. Ci servirebbe un autore, che ne scrivesse di apposite.

Sì, ma dove lo troviamo uno scrittore che scriva fiabe belle, magari d’amore perché io sono un Grillo romantico, che però non siano scontate? Non ne conosciamo nessuno, a parte il misterioso Maresciallo C.!

“Misterioso”... vabbè.

Ma perché lo dici sempre con quel tono?! Non mi dire che sai chi è, e non me l’hai mai detto!

Tu il diploma di conoscenza l’hai preso al Cepu, altrimenti non si spiega... In realtà non si spiega nemmeno come tu possa essere così stupido, ma altrettanto saggio, a volte...

Non so se prenderlo come un complimento o meno.

Prendilo come vuoi. Piuttosto, visto che il “misterioso” Maresciallo C. non ci degna di nuove raccolte di fiabe, perché non ci pensi tu stesso, a scriverle?

Ma io non sono capace! Sono stupido, ricordi?

Mamma mia quanto sei permaloso! Su, scusa. Non volevo darti dello stupido.

Faccio finta di crederti, e per stavolta ti perdono. Seriamente, però, non lo so fare.

E se ti aiutassi?

Veramente, lo faresti?

Pur di non ritrovarmi alle 2.30 di notte a discutere con te della tua insonnia, privandomi io stessa di un sonno ristoratore, dubito ci siano cose che non farei.

Non è esattamente la risposta che mi aspettavo, ma... prendiamo quello che passa il convento. Ops, la caserma. Hai già qualche idea?

In realtà no, una cosa per volta. L’ispirazione però può arrivare in qualsiasi momento, non credi?

Con chi stai parlando?

ANNA! Con... con nessuno! Torna pure a dormire, io taccio, giuro!
Senti, Grillo, dobbiamo fare in fretta. A furia di chiacchierare, abbiamo svegliato Anna, e... Ma certo, ANNA!

Cosa?

Ehm, niente, niente... dormi...
Mannaggia, non volevo urlare! Però, Grillo, ho la risposta ai nostri problemi! Potremmo scrivere un libro di fiabe specialissime per Lottie, in cui i protagonisti saranno una bellissima Capitana e il suo PM, principe in moto!

... hai veramente detto PM = principe in moto?

Senti, se le mie idee non ti piacciono, basta dirlo. Ti ficco dentro la valigia e ti spedisco dritto filato in Pakistan a frinire.

No, no! Mi piace l’idea! È fantastica! Sarà un ottimo modo per raccontare a Lottie la storia della sua mamma e del suo papà. Ora però non ci resta che capire come fare...

Una soluzione la troviamo. Adesso, se sua maestà permette, io me ne vado a dormire.

Va bene. Ma... io che faccio?

Conta le pecore. Magari ti addormenti.

Okay. Una pecora, due pecore, tre pecore, quattro pec-

Nella tua testa, non a voce alta! Giuro, se ti azzardi a parlare un’altra volta, ti spiaccico.

Ops.
 
 ***

Salve a tutti!
Eccoci, Mari e Martina sono tornate!
E potevamo farci mancare un progetto impegnativo, dopo DM12 - 2.0? No, ovviamente!
Prendete questa raccolta come una sorta di spin-off, non solo per la nostra serie riveduta e corretta della stagione 12, ma in generale. Perché le fiabe che vi racconteremo saranno ambientate durante DM11 e nel lasso di tempo che lo ha separato da DM12. I due anni off-screen, in pratica. Quindi, ovviamente, ogni storia avrà il lieto fine, ché ancora qua si soffre per lo scempio che ci hanno propinato in tv.
Alcune fiabe da adattare ce le avete suggerite voi, su Twitter e Instagram, altre le abbiamo scelte io e Martina, ma se volete, voi lettori potete dare il vostro contributo!
Potete proporre qualsiasi cosa: fiabe, miti, leggende, rivisitazioni Disney, quello che vi va... Certo, se sono storie non proprio popolari, avremo bisogno di aver fornita la fonte, ma la soluzione la si trova.
Anticipo già che gli aggiornamenti non hanno scadenze prefissate, dipenderanno dal tempo a disposizione di entrambe per poter scrivere (e ne serve parecchio). Però tenetevi aggiornati, ci trovate sui vari Social attraverso il tag #donmatteo (con annessi e connessi), e sul profilo IG @_tenendosipermano_.
Bene, credo di aver detto tutto.
Vi diamo appuntamento a presto!
 
Mari e Martina

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cenerentola ***


LE FAVOLE DI VOCINA E GRILLO
 
Cenerentola
 
 
Cri cri... cri cri... cri cri...
 
Cos’è questo tono triste, Grillo? Tutto bene?
 
No! L’insonnia sta peggiorando, non so più come fare... sono esausto! E per quanto io possa essere stanco, la notte non riesco a chiudere occhio. Tu, piuttosto? Sei sicura di sentirti bene, Vocina?
 
Io? Sicurissima, alla grande. Perché?
 
Mi hai chiesto come sto, non è da te. Mi fai venire i dubbi.
 
Giusta osservazione, in effetti. Sai, Grillo, forse l’insonnia tanto male non ti fa, anzi.
 
Scusa, in che senso? Quindi mi farebbe bene, secondo te, non dormire?!
 
Paradossalmente, sei più sveglio del normale.
 
Ha-ha, molto divertente. Mi sto sbellicando dalle risate. Non sono in vena, Vocina, non reggo le tue cattiverie!
 
Eddai! Non ti ho mai visto così abbattuto. Guardati, ti stanno cascando le antenne! Non posso credere che sto per dirlo veramente...
 
Cosa?
 
Che bisogna intervenire subito! Non dirlo a nessuno, ma mi manca il vecchio Grillo, quello che mi tiene testa, quello con cui posso battibeccare a non finire... insomma, il vero te! Ne ho abbastanza di questa versione mogia e grigia, questo muso lungo non ti si addice.
 
Lo vedi, che mi vuoi bene?
 
Mi duole ammetterlo, ma se ti fa stare meglio: sì, in fondo - molto, molto in fondo - ti voglio bene.
 
Wow, due su due! Io comincio davvero a preoccuparmi!
 
Ehi, non fregare le battute a Marco, ché me le ricordo! C’ero anch’io quando l’ha detta lui questa frase, ad Anna, in ufficio!
 
Sì, okay, ma devi riconoscere che comunque mi hai dato ragione per due volte. Ci sta, no?
 
Se lo dici tu... Comunque, mi hai fatto perdere il filo del discorso, mannaggia! Prima che mi interrompessi, stavo dicendo che abbiamo capito la soluzione ai tuoi problemi siano probabilmente le favole, no? Forse è ora di iniziare a scriverne qualcuna. Almeno verifichiamo se funziona!
 
Va bene, anche se dubito saranno belle come quelle del Maresciallo C., ma tentar non nuoce. Hai qualche idea?
 
Una, forse. Potremmo impostarla così, senti- Ma che è tutto ‘sto baccano?!
 
 
“Chiara, si può sapere che stai facendo?” esclama un’indispettita Anna, quando si accorge che sua sorella, in visita a Spoleto per qualche giorno, in teoria ospite del maresciallo (sua madre Elisa vive ormai con lui), ma in pratica sempre a casa sua, sta trafficando accanto al televisore, con una chiavetta usb stretta tra le dita. Hanno finito di cenare da poco.
Al tono minaccioso del Capitano, Chiara fa semplicemente spallucce, senza scomporsi troppo.
“Che domande... metto il mio film preferito: Cenerentola!”
“NO! Cenerentola no, di nuovo?!” arriva il commento sconsolato di Marco, intento ad aiutare Ines con il progetto di storia. La bambina ridacchia, gettando un sguardo furtivo alla piccola Carlotta, impegnata a giocherellare con un peluche seduta nel suo box.
Chiara rivolge al cognato un’occhiata infastidita, prima di voltarsi di nuovo verso la sorella.
“Perché non dici a tuo marito di evitare certi commenti sul mio film preferito, eh?”
“Magari perché la penso come lui...?” è la risposta piccata di Anna.
La maggiore delle Olivieri alza gli occhi al cielo, scuote la testa, ma abbandona l’intento, mettendosi a gironzolare nel salotto della villetta. Temporaneamente, se non altro.
 
 
Niente di grave, solo l’ennesimo battibecco su Cenerentola.
 
Beh, penso sia l’unica volta in cui siamo tutti d’accordo che quel film ha stancato.
 
Devo darti ragione, Vocina. È sempre uguale, scontata, la storia... La principessa sguattera, la Fata Madrina, il Principe che tanto sveglio non mi sembra... troppo monotona! Non adatta ai tempi! Ce ne vorrebbe una versione moderna, frizzante, con personaggi più ad-
 
Ecco la prima fiaba, allora!!
 
... Ma se abbiamo appena detto che è scontata?
 
La versione tradizionale di Perrault! Non la nostra?
 
‘Nostra’?
 
Sì, la prima fiaba di V. e G.!
 
Di chi?!
 
Mia e tua, scemo! V.=Vocina e G.=Grillo!
 
Ahhhh...! Aspetta un attimo: se V sta per Vocina e G sta per Grillo, la C di Maresciallo C. sta per... per... Per cosa sta?
 
Per un attimo avevo creduto veramente ci saresti arrivato. Pretendevo troppo, niente da fare.
 
Ma quindi tu lo sai davvero!!! Ma perché non me lo dici, così la finiamo?
 
Perché così è più divertente. Mi piace vedere che ti scervelli inutilmente.
 
Ti piace farmi passare per scemo, infatti. Ma tanto prima o poi lo scopro, chi c’è dietro la C! E ti dimostro che non sono scemo!
 
Più poi che prima... per il fatto dello scemo, è tardi, in ogni caso. Non c’è niente da recuperare.
 
Ehi!
 
Se la smetti di interrompermi ancora, possiamo tornare alla nostra fiaba. Sei pronto a narrare la nostra versione di Cenerentola?
 
Perché, l’abbiamo già scritta? Quando? Perché non me lo ricordo? Non è che sono sonnambulo, e faccio cose nel sonno e poi me lo scordo, e mi sembra di essere sveglio e non lo sono? O è demenza senile? Non sono così vecchio, però...
 
La tua è demenza, senza senile. E no, non l’abbiamo scritta, l’abbiamo vissuta! Non ci resta che rievocarla.
 
AH! Ho capito a cosa ti riferisci!
 
Vedi che ogni tanto i tuoi neuroni fanno contatto?
 
  • ha, mi sa che è il rimedio giusto, inizia già a funzionare! Posso cominciare a raccontare io? Così ti mostro quanto sono bravo, e la smetti di prendermi in giro.
 
Quanto sei borioso! Bene, prego, Signor Grillo Parlante, il palcoscenico è suo! Lottie è già attenta!
 
Perfetto! Hem-hem...
 
C’era una volta...
 
... non molto tempo fa, in realtà, una incantevole Capitana, cresciuta in terre spoletine con sua madre e sua sorella. Il padre, purtroppo, è venuto a mancare molti anni fa, quando lei era solo una bambina, per un errore giudiziario. Da allora, la principessa di divisa vestita si è posta come obiettivo principale di lottare in ogni modo affinché simili sbagli non si ripetano. Affinché altri non debbano sopportare il dolore che lei ha sofferto. La sua vita, insomma, non è più stata la stessa.
 
Anna - questo il nome della nostra principessa - è una ragazza intelligente, tosta, determinata, ma anche sensibile ed emotiva. Una che davanti al male si sa ancora commuovere. E forse proprio per via del suo carattere algido i rapporti in famiglia non sono sempre stati idilliaci. Non che Anna negherebbe mai che grande lavoro abbia svolto sua madre Elisa nel crescere lei e sua sorella Chiara - da sola.
Nel corso degli anni però, sono state numerose le litigate con la madre, che l’avrebbe voluta più femminile, più donna di casa, dedita alla famiglia. Anna però non ne aveva mai voluto sapere. L’abito da principessa si era sempre rifiutata di indossarlo, perfino a Carnevale quando tutte le bimbe pregavano i genitori di poterne avere uno. Molto più comodo quello di Zorro, con tanto di mantello e spadino, per raddrizzare i torti. Anche per questo, i diverbi ci sono stati anche con sua sorella, perché al contrario, Chiara ha sempre voluto essere una principessa, e quel sogno lo insegue ancora.
Sì, sì, lo sappiamo cosa state pensando... questa storia, con Cenerentola, non c’entra proprio niente!
Solo in apparenza però, se vi fermate all’aspetto estetico ed esteriore. Anche perché, siamo solo all’inizio della narrazione, e questa non è la versione classica. Vedrete. Anzi, leggerete.
 
Anna è appena rientrata a casa, in quell’appartamento che non le appartiene giuridicamente, lo ha solo in affitto, ma che di fatto percepisce come suo perché conosce tutto di lei. Ne hanno viste di tutti i colori, quelle quattro mura: fin da quando le è stata affidata la caserma di Spoleto, è qui che si rifugia ogni qualvolta le cose sembrano sfuggirle di mano e ha bisogno di stare un po’ da sola. È qui che aveva pianto per Giovanni, dopo aver ricevuto un aiuto inatteso dal maresciallo Cecchini, perché il suo ex fidanzato, invece della proposta di matrimonio che pensava di ricevere, le aveva confessato di voler intraprendere la strada del sacerdozio.
È qui che, dopo anni a temere il giudizio di sua madre, Anna aveva trovato il coraggio di dire ad Elisa che non aveva più bisogno che si occupasse di lei, e della sua supervisione per ogni cosa. Che era cresciuta, ed era pronta ad affrontare la vita con le sue forze, anche se significava rischiare di inciampare ad ogni passo, altre volte a cadere senza possibilità di scampo, a commettere errori su errori. Ma era arrivato il momento di far da sé, consapevole che comunque, in caso di necessità, avrebbe certamente trovato qualcuno pronto a porgerle la mano per aiutarla.
Ed è sempre nello stesso appartamento in cui adesso è seduta a cenare, che la prima magia ha avuto luogo. Sì, magia. Le farfalle allo stomaco che si mettono a sbattere le ali quando dai il primo bacio all’uomo più impossibile del mondo. Un uomo in apparenza burbero, cinico, perfino maschilista, che però dietro giacca, cravatta ed espressione dura nasconde un animo nobile. Un uomo che ti fa esasperare come nessuno, ma che c’è anche quando gli chiedi di allontanarsi, quando gli dici che non hai bisogno di aiuto, almeno a parole. Proprio perché quell’uomo è in grado di leggere il tuo sguardo e capire che in realtà vorresti solo restasse.
 
La sera in cui quella magia era avvenuta, Anna aveva negato con tutte le sue forze di aver sentito quelle farfalle.
Non era giusto. Non era il momento. Non era lui l’uomo di cui si sarebbe dovuta innamorare. Perché lui, con i suoi ricci biondi (da vero principe, insomma), una giacca per mantello, una moto per destriero e un’ironia tagliente per spada, era un collega. Un collega, al massimo amico.
Perché mai quel principe azzurro avrebbe dovuto spendere più di uno sguardo, per lei? E poi era l’opposto di ciò che voleva. Non aveva niente da spartire con lei.
Eppure... eppure c’era qualcosa, in lui, che l’aveva attratta fin dal primo incontro. Qualcosa che per molto tempo non era riuscita a decifrare, ma che era diventato chiarissimo cosa in realtà fosse quella sera al drive-in. Proprio quando lui, paradossalmente, era impegnato con un’altra - e non un’altra qualunque: sua sorella Chiara.
Quella sera, su un grande schermo scorrevano le immagini di un film che nessuno dei due amava particolarmente - Cenerentola - ma che è il preferito di Chiara. E lì, dinnanzi all’ennesima prova che lui, a differenza di molti altri, la ascoltasse davvero quando parlava, Anna aveva capito perché Marco - questo il nome del principe - la attirasse tanto: perché il suo posto nel mondo era al suo fianco. Ovunque, purché con lui. Il suo nord. E dopo anni passati a navigare alla ricerca di un porto sicuro, lo aveva trovato. Proprio quando aveva smesso di sperare.
 
Con un sospiro, Anna ripone il piatto nel lavandino una volta terminata la cena, apprestandosi a lavare le stoviglie sporche mentre la sua mente è ancora ferma sui ricordi. Sorride, pensando a quanto la sua vita sia cambiata in così poco tempo. E a quanto sia felice. Erano anni che non stava più così bene.
Abbassa lo sguardo, il sorriso che si trasforma in una smorfia. Un po’ si sente in colpa, per quella felicità. Perché quel giorno che per lei è stato il primo da vivere con gioia, l’inizio di una storia nuova, di un amore nuovo, per qualcuno invece è stato l’ultimo di serenità.
Per il piccolo Cosimo, non ci sono più stati momenti felici.
È finita così in fretta che fanno tutti fatica a crederci davvero. È passato qualche mese, ma non è facile accettare che il bambino non ci sia più, che quella malattia terribile se lo sia portato via veramente, in così poco tempo e all’improvviso.
Non è facile lasciarsi il passato alle spalle.
Il bimbo significava molto per Cecchini, ma anche per lei. Per Marco. Perché il maresciallo, quando c’è da coinvolgere tutti nei suoi strambi piani, non c’è nessuno che possa scamparla, e se all’inizio la ‘famiglia Cecchini’ che aveva vinto quel concorso con Carlo Conti era sembrata un’assurdità, col tempo, Anna aveva iniziato a considerarla molto più reale. Molto più vera, perché a quel piccolo si era affezionata sul serio. Avrebbe potuto davvero essere suo figlio, e il dolore per la sua perdita in certi momenti si fa più acuto. E per questo lei si sente in colpa.
Sembra sbagliato essere felici in un momento tanto triste.
Viverla, seppur involontariamente, come una sorta di rivincita, per tutti gli anni in cui era lei quella distrutta dalla sofferenza mentre il mondo continuava a scorrere, incurante e gioioso attorno a lei.
 
Dopo aver riposto le stoviglie pulite, Anna allunga la mano verso il cellulare per controllare se Marco le abbia mandato qualche messaggio nel frattempo, ma si blocca quando nota una busta poggiata lì accanto.
Corruga le sopracciglia, incerta su cosa possa contenere quell’involucro di cartoncino iridescente, con decorazioni di fiocchi di neve in controluce. Non ricorda nemmeno chi gliel’abbia consegnata, né quando, e perché sia ancora sigillata con la ceralacca color argento.
 
“Il Sindaco, in rappresentanza del Comune di Spoleto, è lieto di invitarLa al gran ballo di Natale che si terrà sabato 16 dicembre 2017 presso la Sala Ricevimenti del Comune.”
 
“Ma perché l’ho aperta?!” si rimprovera. “Avrei potuto far finta di non averla mai ricevuta...” borbotta, richiudendo la busta e posandola con disgusto su una mensola della libreria.
L’ennesimo evento a cui deve partecipare obbligatoriamente in quanto Capitano dei Carabinieri. Uno di quelli per i quali esiste un dress code e bisogna presentarsi in abito da sera, tacchi alti e gioielli. Insomma, quelli in cui devi fingerti Cenerentola, e Anna li detesta con tutto il cuore. Non fanno per lei, non si sente a suo agio.
All’ultimo a cui aveva partecipato, l’aveva accompagnata Giovanni. Visto che era aperto anche ai familiari, in quella occasione, Chiara non si era lasciata sfuggire l’invito. Morale della favola: tutte le ragazze fissavano il suo ex, i ragazzi sua sorella. Non che le fosse dispiaciuto: il centro dell’attenzione ha sempre preferito lasciarlo agli altri, e meno la si nota, meglio è. Ma provateci voi, a passare un’intera serata, a un evento a cui non volevate prendere parte, sedute su un divanetto in disparte, a osservare vostra sorella flirtare con i vostri colleghi, e il vostro fidanzato impegnato a spiegare a uno stuolo di fanciulle sbavanti che non fosse lì da solo, ma con la sua fidanzata, per ricevere in cambio di un cenno di saluto... una smorfia sdegnosa.
Si è sempre chiesta se fosse messa così male quella sera, tanto da generare quasi scalpore tra le ragazze presenti. Certo, indossava un anonimo abito nero, e non è mai stata molto femminile anche se adesso ci sta un po’ lavorando su, ma veramente sembrava il brutto anatroccolo? Che, al contrario della favola, si rifiutava categoricamente di diventare cigno, almeno in passato, perché convinto non fosse veste per lei.
Ecco un’altra cosa che detesta, legata a questi eventi: sentir riaffiorare le paure, mostrarsi vulnerabile, spogliata dell’armatura di protezione. La divisa le ha sempre permesso di celare le insicurezze, di difendersi, e senza quella addosso si sente praticamente nuda. Perché la gente ha davanti Anna, e non il Capitano Olivieri. E questo la terrorizza.
Certo, a meno che ad osservarla non ci sia un certo PM... Perché lui vede oltre la corazza, che la indossi o meno non fa differenza. Se c’è una cosa che lui ha sempre fatto, è proprio non giudicarla per l’apparenza. Nel senso - anche quando la considerava una insopportabile, esasperante collega, la sua opinione non aveva niente a che fare con la professione. L’antipatia trascendeva la divisa, nella fattispecie. Perché si trovavano regolarmente a litigare anche fuori dalla caserma, per gli stessi identici contrasti di veduta. Questo all’inizio, perché poi era cambiato tutto, all’improvviso e casualmente. Avevano iniziato a conoscersi davvero, senza filtri a frapporsi tra loro. Marco aveva avuto pazienza - e per un uomo che perde facilmente le staffe è tutto dire! - e aveva aspettato fosse lei ad aprirsi, invece di provare a forzare la conchiglia per scoprire se fosse davvero arida come appariva dall’esterno, o invece celasse una preziosa perla al suo interno.
 
Anna getta un’occhiata truce alla busta, che sembra ridere di lei dall’alto della mensola su cui l’ha riposta.
Vorrebbe tanto declinare l’invito e non presentarsi. Evitare l’ennesima serata seduta in un angolo ad osservare gli altri divertirsi con lei a sperare che finisca in fretta per poter finalmente tornare a casa. Limitare le interazioni lavorative al massimo, perché quel mondo di apparenze e falsi sorrisi non fa parte della sua scala di valori.
Però non può. È un ufficiale, deve andarci.
Ma se ci fosse un modo... quantomeno, se deve partecipare, perché non sia come le altre volte. Per non sentirsi totalmente fuori luogo.
Scuote la testa. È un desiderio irrealizzabi-
Toc toc toc.
Tre colpi alla porta di casa la riscuotono dai suoi pensieri, seguiti da un abbaiare che conosce bene.
Quando fa scattare la maniglia, si ritrova davanti il sorriso che ama e un cagnolone che sembra seguire l’esempio del suo padrone, scodinzolante.
Marco, il Principe in Moto, stavolta è a piedi.
In realtà è un appuntamento abituale il loro, per la passeggiata serale di Patatino, ma lei, sovrappensiero com’era, non aveva fatto caso all’orario né alla fine aveva guardato il cellulare.
“Ciao...” mormora Anna, inspiegabilmente emozionata nel vedere il suo fidanzato. Forse si era lasciata prendere da quei pensieri cupi solo perché lui non c’era.
E infatti, quando lui la stringe a sé per un bacio, ogni altra cosa svanisce.
C’è solo la magia, e le farfalle allo stomaco come fosse la prima volta.
Quando si separano, come spesso accade tra loro, non c’è bisogno di parlare. Marco nota immediatamente qualcosa di strano nello sguardo della sua fidanzata, ma per il momento preferisce non indagare.
“Pronta?” le domanda invece, accennando alla passeggiata, con Patatino che inizia a saltellare tirando in direzione delle scale.
“Prendo la giacca.”
 
Anna e Marco camminano lentamente per le strade semideserte di Spoleto, mano nella mano, come ogni sera da quel Natale d’agosto. È un appuntamento fisso che entrambi attendono con trepidazione, un rito post-lavoro. Un momento, nell’arco delle ventiquattr’ore, in cui sono soltanto loro due, e il resto non conta. Capita che non venga detta neanche una parola, soprattutto se la giornata è stata densa di eventi, ma non è mai un silenzio pesante, quello che intercorre. Anzi.
Non serve la voce, quando i cuori battono allo stesso ritmo, seguendo la stessa melodia.
Sono arrivati in piazza quando Anna cede ai brividi. È dicembre, fa decisamente freddo, e avrebbe dovuto prendere probabilmente un cappotto più pesante. Ma non appena sente Marco cingerla con le braccia e avvicinarla a sé, è certa che nessuna coperta potrà mai essere calda come quell’abbraccio.
Dopo qualche istante, lui decide di rompere il silenzio.
“Tutto bene?”
Due parole, ma azzeccate.
Anna però tentenna prima di rispondere, serrando di più le braccia attorno a Marco e accucciandosi contro il suo petto. Per un attimo teme che stia per svanire tutto, che nessuno ha bussato alla porta di casa strappandola dai suoi pensieri per qualche ora.
Marco, però, la conosce meglio di chiunque altro e per tutta risposta le accarezza la schiena con dolcezza, posandole un lieve bacio sulla fronte.
Quando lei solleva lo sguardo per incontrare gli occhi del suo fidanzato, si rende conto che non ha ragione di aver paura. Tanto basta a farla cedere.
“Sì... si tratta del ballo di Natale del Comune, in realtà,” mormora, spiegandogli il problema.
Al termine del discorso, Marco sorride, sornione.
Anna odia quando fa così: gli ha appena detto di dover presenziare a un evento che detesta, e lui sorride? Gli lancia un’occhiataccia, e lui scoppia a ridere.
‘Ogni. Dannata. Volta.’ pensa, fumante. Si trattiene dallo sbottare non sa nemmeno come.
Ma il suo PM è un passo avanti a lei, che vede sfumare il suo tentativo di protesta quando lui la bacia.
Con una dolcezza che la scioglie come il nevischio che sta iniziando a cadere leggero su di loro.
Tanto basta a farla calmare, e a lasciarsi trascinare sotto il balcone del palazzo a fianco, in attesa che smetta per poter tornare a casa.
Patatino si siede, paziente, fissando con curiosità i fiocchi di neve.
Marco torna a rivolgere ad Anna uno sguardo divertito ma affettuoso, accarezzandole la guancia col dorso delle dita.
“Si dà il caso che, a questo ballo, dovrà presenziare anche il sottoscritto. So che in primis sono il tuo fidanzato, ma faccio il Pubblico Ministero di mestiere, e l’invito l’hanno spedito anche a me.”
Ad Anna verrebbe da prendersi a schiaffi da sola: come ha fatto a non pensarci? Al rossore per il freddo si aggiunge quello per l’imbarazzo, costringendola ad abbassare gli occhi a terra.
“Che stupida che sono, è vero...” mormora appena. È talmente abituata a dover essere lei, a invitare il suo accompagnatore, da essersi completamente scordata che stavolta lui ci sarà a prescindere, per via del suo ruolo istituzionale. Talmente presa dalla propria insicurezza, ha trascurato questo dettaglio.
A toglierla dall’impiccio ci pensa sempre Marco, sollevandole il mento con due dita, portando i loro occhi a incontrarsi nuovamente.
“Ci verresti a questo terribile evento con me?” le chiede, uno scintillio giocoso nello sguardo.
Anna può solo annuire, le guance ancor più imporporate, prima di gettarsi nuovamente tra le braccia del suo principe, che la accoglie ridendo.
Forse stavolta non sarà così male, il ballo. E vestirsi da principessa non le peserà così tanto, perché non sarà la cosa più importante.
Perché il suo principe lo ha già e l’incanto non ha ragione di svanire a mezzanotte.
 
Venerdì 15 dicembre.
Al ballo ci saranno proprio tutti tutti, pensa con angoscia Anna, la sera, una volta rientrata a casa.
Zappavigna è passato per avere la conferma della presenza di ognuno in mattinata, ed è proprio così che Anna ha scoperto che dietro l’organizzazione di tutto c’è sua madre. Non che in fondo lei ne sia stupita, Elisa si è ambientata così bene a Spoleto che non di rado la interpellino per eventi del genere.
Certo, però, avrebbe anche potuto evitare di imporre un dress code così rigoroso, sapendo che la figlia avrebbe dovuto obbligatoriamente parteciparvi!
Anna è disperata. Non vuole andarci.
Cioè, ad essere onesti, fino a ieri non vedeva l’ora. La accompagnerà Marco, dopotutto. Però la scorsa notte ha iniziato ad avere incubi, che prevedevano rovinose cadute per via dei tacchi alti, e l’abito che si strappava, o non si rivelava adatto... Insomma, la paura è tornata dall’ingresso principale.
Si butta a letto dopo aver ingurgitato una enorme tazza di camomilla nella speranza di calmarsi. Ma niente da fare, la giornata che sta per giungere la terrorizza.
Riesce ad addormentarsi solo dopo aver ceduto ad indossare la felpa che ha... ehm... preso in prestito dall’armadio del suo fidanzato, fingendo che sia lui a stringerla tra le braccia.
 
Il 16 dicembre è arrivato.
Il giorno del ballo.
Anna si è dovuta recare a lavoro molto presto: saranno state le 5 del mattino quando il suo cellulare si è messo a squillare perché una coppia di coniugi aveva trovato il cadavere di un uomo, mentre i due stavano rientrando a casa. L’orologio scandisce il passare delle ore, incurante del fatto che alle 21 avrà inizio l’evento e lei non ha un abito adatto per l’occasione, perché contava di prenderlo in giornata (sì, sì, non è da lei ridursi all’ultimo minuto, ma tende a procrastinare per tutte le cose che la irritano... è un essere umano come tutti!), ma non aveva previsto di non avere nemmeno dieci minuti liberi, a dispetto del pomeriggio in cui non avrebbe dovuto essere di turno. Per la verità, ha avuto solo modo di mettersi d’accordo con Marco durante la pausa pranzo, decidendo di vedersi direttamente al Comune.
Come volevasi dimostrare, sono quasi le 20.30, tutti hanno già staccato per preparasi per il ballo, mentre Anna è ancora china sulle carte del caso. E davvero non per sua volontà, ma perché pensava di terminare in tempo, invece ci sta mettendo più del previsto per un intoppo inatteso.
Forse è un segno’, pensa, malinconica.
Dopotutto aveva sperato di trovare una scusa per non andarci, e... ta-dan, ecco che il desiderio si è avverato.
Si ritrova perfino a pensare, con un piccolo moto di rabbia, che potranno fare a meno di lei. Chiamerà il Sindaco, lunedì, per scusarsi dell’assenza imprevista. Anche volesse andarci lasciando i documenti del caso a metà, comunque, non ha un vestito da mettere. Ha solo il principe.
Che la attende al ballo, mentre lei è ancora in caserma, con la sua fedele divisa addosso.
Per un attimo, le sembra di risentire la voce di sua madre mentre afferma che gli uomini li farà scappare.
Sente la gola chiudersi al pensiero che anche Marco possa stancarsi di lei. Di quella donna rigida che mostra di essere, dedita al lavoro e pronta a sacrificare la vita privata per la giustizia.
Un intento nobile, certamente, ma porta tutto a rompersi, prima o dopo. È già successo, in fondo. Sa bene come vanno queste cose.
Stasera salta il ballo, domani la passeggiata, un giorno un pranzo, l’altro una cena, e lui si cercherà una compagnia diversa, più presente se non altro.
Un senso di nausea risale prepotentemente lungo la gola di Anna, al pensiero che già in quei minuti la sua assenza potrebbe spingere Marco a decidere di passare la serata con un’altra donna.
Assurdo, se pensa che in realtà non è mai stata molto gelosa, e che il suo fidanzato non è certo il tipo da mandare tutto all’aria per così poco.
Però ha dovuto lottare molto anche lei per riuscire a lasciarsi andare a quel sentimento forte e illogico che è l’amore, eppure sta ricadendo nello stesso errore: mettere ancora una volta il lavoro davanti alla vita privata.
Ha avuto la prova che quell’uomo che lei cercava senza saperlo esiste eccome, non è un prete e nemmeno un santo, ma è leale e crede nei valori importanti e saldi, esattamente come lei. Che ha mille difetti e altrettante paure, come Anna del resto. Che è imperfettamente perfetto per lei, come lei lo è per lui.
E allora perché è seduta ancora alla scrivania del suo ufficio, invece di essere a casa a cercare nell’armadio quel vestito adatto che comunque ci sarà perché glielo avrà regalato sua sorella in qualche occasione non meglio definita, e che aveva giurato di non indossare mai? Perché si è arresa all’evidenza che non riuscirà a raggiungere in tempo la Sala Ricevimenti e che il principe avrà già trovato un’altra dama sicuramente più incline di lei ad accompagnarlo sulla pista da ballo?
Semplice: perché non è una fiaba ma la vita vera, in cui non esiste la Fata Madrina che trasforma la zucca in carrozza. Non esistono bacchette magiche in grado di trasformare la sua divisa nera in un abito azzurro da sogno, né tantomeno le scarpe di pelle nera in cristallo trasparente.
C’è solo Anna Olivieri, da sola in caserma, con l’uniforme e lo chignon d’ordinanza, immersa nelle indagini di un cruento omicidio. È questa la sua vita, la vita di una giovane donna abituata a veder sfumare il lieto fine che in realtà anche una principessa poco convenzionale come lei vorrebbe poter avere.
 
Un paio di colpetti contro il vetro dell’ufficio la ridestano dai suoi pensieri, e Anna si rende conto delle lacrime che non si era accorta avessero iniziato a scendere. Alla porta non c’è una Fata Madrina però, non vi illudete: c’è un maresciallo dei Carabinieri, vestito però in smoking, con un’espressione perplessa.
“Ho visto la luce e sono salito... Che ci fa ancora qua, Capitano? La festa inizia tra poco!” le dice Cecchini, una nota preoccupata nella sua voce gentile. Anna non risponde, e lui entra, accorgendosi di ciò che lei sta tentando di cancellare.
Le si avvicina posandole una mano sulla spalla. “Che c’è, perché piange? Non mi dica che ha litigato col PM!”
Lei fa un sorriso storto, scuotendo però la testa. E non sa nemmeno perché inizia a raccontare tutto a quell’uomo che ormai per lei è come un padre, quella figura che le è sempre mancata. Forse la ragione è proprio questa, oppure perché le sue emozioni non potevano più essere trattenute e tutto è esploso in una volta.
Però Cecchini, dopo averla ascoltata attentamente, scuote appena la testa e si allontana dal suo ufficio senza dire nemmeno una parola, tirando il cellulare fuori dalla tasca prima di avviare una chiamata.
Anna è confusa: è successo davvero? Si è aperta col maresciallo, e lui se n’è... andato? Così, senza dire nulla?
Ogni momento che passa sembra andare sempre peggio.
 
Passano forse dieci minuti, Anna non ne è certa, quando una delle porte del suo ufficio si spalanca e una figura si avvicina a lei con passo sicuro e deciso. Riconoscerebbe il rumore di quei tacchi sul pavimento tra milioni.
“Chiara!” esclama, incredula. “Che ci fai qui? Non eri a Perugia?”
Esatto, Chiara Olivieri è arrivata a Spoleto a insaputa della sua sorellina, ed è prontissima per la festa, a quanto pare, perché indossa un lungo abito rosa ed è truccata in modo elegante, i braccialetti che tintinnano al polso.
“Sì, ma non posso lasciarti un attimo, che rischi di rovinare tutto! Ma per fortuna, ci sono io a sistemare i tuoi casini!”
Ad accompagnare la scenetta arriva una risata, e poi un gran sorriso a far capolino sulla porta dell’ufficio.
“Ho pensato che potevo fare il Fato Padrino, che la potevo aiutare...” mormora Cecchini, imbarazzato.
Anna non riesce a crederci. Il maresciallo si è improvvisato... beh, Fato Padrino, per citarlo, e per compiere la magia ha usato un cellulare invece della bacchetta. E incredibilmente non ha nemmeno combinato pasticci!
“Infatti, ma Lei adesso deve andare alla festa, se no sua moglie si arrabbia. A mia sorella ci penso io, tanto il mio accompagnatore sa che deve aspettarmi. Il ritardo è necessario!” esclama Chiara, prima di spingere Anna verso il bagno della caserma, posando sul divanetto la custodia in cui, evidentemente, c’è un vestito per lei.
 
Meno di mezz’ora dopo, sebbene sia ancora nel bagno della caserma, il Capitano ha tolto la divisa, che adesso se ne sta piegata su una delle poltroncine nell’angolo, e indossa uno splendido abito da sera blu, con quei tacchi abbinati che non sono poi così scomodi. Chiara l’ha truccata, leggermente, per dare risalto a quelle iridi verdi che un po’ le invidia.
Anna, per la prima volta, oserebbe dire che non si sente nemmeno troppo a disagio. Solo che sono quasi le 21.30, il ballo è iniziato da mezz’ora e lei è ancora in caserma.
Si dice che forse dovrebbe davvero rinunciare. Marco ormai si sarà stancato di aspettarla e scommetterebbe che qualche altra donna, magari una collega dal tribunale, avrà già preso il posto che invece è suo.
Stringe gli occhi: no, quella scena non vuole neanche pensarla.
E se lui invece la stesse ancora aspettando, prendendo tempo con gli altri ospiti ma con lo sguardo sempre verso l’ingresso?
La decisione di andare coincide con la chiamata di sua sorella, che dopo aver sistemato tutto l’occorrente, la incita a sbrigarsi, perché il suo cavaliere è giù che la aspetta, e daranno un passaggio anche a lei.
 
Quando le porte della sala comunale in cui si tiene il ballo si aprono per permetterle di entrare, rilasciano un sonoro scricchiolio che attira l’attenzione di qualcuno dei presenti.
Ad Anna basta sollevare lo sguardo per incontrare quello di un uomo molto elegante nel suo smoking nuovissimo, i ricci biondi perfettamente in ordine, la barba curata per l’occasione. Ha un calice di champagne in mano, e se qualcuno gli avesse detto, qualche anno prima, che sarebbe rimasto senza fiato nel vedere una donna entrare da una porta, non ci avrebbe mai creduto. Eppure eccolo qui, che avanza verso quella donna che lo ha lasciato - per l’ennesima volta - a corto di parole. La collega con cui stava conversando distrattamente dimenticata in un battito di ciglia, lasciata al tavolo del buffet attonita, senza nemmeno uno “Scusami,” di congedo. Ma Marco non ci ha nemmeno riflettuto, senza pensare di poter sembrare scortese, troppo preso da quella visione celestiale che lo ha attirato immediatamente come una falena con un lampione.
Adesso sono l’uno di fronte all’altra. Non sanno cosa dire, troppo impegnati a bearsi della presenza reciproca, finalmente, fino a che un sorriso si fa strada sulle loro labbra, e lo sguardo che li aveva tenuti incatenati si scioglie in un clima disteso di serenità e e fibrillazione. Dopotutto, è il primo evento pubblico a cui partecipano come coppia.
È Marco a rompere il silenzio, come qualche giorno prima in piazza.
“Sei bellissima...” mormora, intrecciando le dita a quelle di lei, che adesso sente le guance ancora più in fiamme.
Quel “Grazie...” appena sussurrato rievoca un momento a bordo di una piscina, durante quella missione sotto copertura, in cui si era scoperta un po’ principessa senza volerlo. Perché un principe - non quello del reality - era giunto in suo soccorso.
“Posso avere l’onore di un ballo?”
Marco le porge la mano, e lei accetta senza pensarci troppo. Nessuno dei due è un gran ballerino, anzi lui è proprio negato, un cavallo per citare il suo omonimo nel celebre brano di Dalla, ma non importa. Per la Anna in questione non è affatto un problema, soprattutto perché si sta inaspettatamente divertendo.
Per la prima volta, a un evento di quel genere, si sta divertendo.
Non le era mai successo.
Non che si stupisca poi molto: insieme a Marco, nonostante stiano insieme da poco, ci sono già state un sacco di prime volte.
Stasera è una di quelle, e per un’ora e mezza per entrambi esiste solo l’altro, le risate, la gioia di stare insieme e condividere un momento molto diverso dal solito, ma proprio per questo speciale.
Nessuno dei due si è accorto che da qualche minuto hanno attirato l’attenzione dei presenti, che li osservano con un sorriso.
Perché è bello essere testimoni di un amore da favola.
L’orologio che batte le 23 ridesta Anna dall’incantesimo.
Ed è in quel momento che si rende conto che tutti, intorno a loro, li stanno fissando.
L’incanto si spezza.
All’improvviso si sente esposta, giudicata, messa alla gogna, come le succede ogni volta che si ritrova al centro dell’attenzione senza la sua divisa a proteggerla.
Marco la osserva guardarsi nervosamente intorno, si rende conto che sta succedendo qualcosa che non dovrebbe, ma non sa come rimediare. Non capisce nemmeno bene quale sia il problema in verità, almeno fino a quando la sua Cenerentola, con un’ora scarsa di anticipo, scappa via tra lo stupore generale.
 
Anna non fa nemmeno caso al ragazzo all’ingresso che le dice di prendere il cappotto. Il suo passo veloce diventa presto una corsa, e rischia più volte di cadere lungo la scalinata che conduce alla piazza. Fa freddo, è dicembre e lei ha addosso un abito da sera adatto a ben altre temperature, ma non ci presta attenzione.
Non percepisce nemmeno i fiocchi di neve che nel frattempo hanno iniziato a cadere, leggeri, dal cielo.
Nessuno la sta inseguendo, nessuna magia sta per finire, ma lei ha bisogno di raggiungere il suo porto sicuro. Quello in cui può essere davvero se stessa, o almeno sentirsi a suo agio anche vestita così: in caserma, nel suo ufficio.
Marco probabilmente avrà pensato che è impazzita. Non lo biasimerebbe, dopotutto è fuggita via senza una parola, tra le esclamazioni stupite degli altri ospiti. Lo ha messo in ridicolo davanti a tutti, ed è sicura che non ne vorrà più sapere di lei, dopo stasera.
Nessun principe giungerà alla sua porta, perché non è a casa che lei si è rifugiata, e non potrà cercare la fanciulla che ha perso la scarpetta di cristallo. Anna non ha perso nessuna scarpa.
Non appena si lascia cadere sul divanetto, si sfila rabbiosamente i tacchi, gettandoli di lato. Il trucco applicato con cura da sua sorella sarà in pessime condizioni, a giudicare dalle lacrime.
È riuscita a rovinare tutto, di nuovo.
Ha il viso nascosto tra le mani quando sente il rumore della porta che si apre. Ha paura di alzare lo sguardo per vedere chi è, per cui decide che è meglio rinviare il momento delle rivelazioni il più possibile. Sa benissimo di aver sbagliato, ma non è pronta alla strigliata di qualcuno, e nemmeno alla compassione.
Poco dopo, però, sente qualcosa posarsi sul suo capo.
Non è la spada di Damocle che temeva le sarebbe piombata addosso da un minuto all’altro, ma nemmeno la mano affettuosa di sua madre.
È il suo berretto da carabiniere.
Quando finalmente si decide a sollevare il viso per scoprire chi mai abbia avuto l’ardire di correrle dietro, incontra quel sorriso che conosce bene, e che ama infinitamente.
Marco, il suo principe azzurro, è qui, davanti a lei, piegato sulle ginocchia e una mano che corre a stringere forte la sua.
Ha capito perché è scappata via. Non ha bisogno di spiegarglielo, né lui ne ha di chiedere a lei. Le parole non servono nemmeno stavolta.
Anna sfila la mano da quelle di lui per accarezzargli il volto e avvicinarlo a sé per poterlo, finalmente, baciare.
Il berretto scivola a terra, ma nessuno dei due ci fa troppo caso, mentre Marco la trascina con sé a sedersi sul pavimento accanto a lui. Tra le sue braccia. Una cosa quasi da bambini, ma che le fa ritrovare quella leggerezza che ha lasciato sulla pista da ballo.
E Anna, come quella sera al drive-in, realizza che no, non è la caserma il suo rifugio, né il passato, né l’appartamento al quarto piano che ha affittato da Cecchini.
Ogni cosa è tornata al suo posto quando il suo Marco l’ha stretta forte al petto.
Le fa paura, questa consapevolezza. Che solo lui riesca a curare il suo cuore. Ma in questi istanti non le importa.
C’è solo una cosa che vuole chiedergli.
“Perché mi hai messo il berretto in testa, quando sei entrato?” gli domanda dopo una lunga esitazione. “Che... che significa?”
Marco le rivolge uno sguardo sorpreso, come se la risposta fosse terribilmente ovvia e l’unica cosa strana è che lei non l’abbia ancora capito.
“Ho semplicemente incoronato la mia principessa. È per questo che sei scappata, no? Avevi dimenticato il tuo diadema. Io l’ho solo rimesso al suo posto.”
Non serve aggiungere altro, se non che Marco le ha riportato anche il cappotto. E fortuna che finalmente ha comprato una macchina nuova, perché non appena escono dalla caserma mano nella mano per tornare insieme a casa, tutto intorno a loro è coperto da un lieve manto bianco.
E beh, come lieto fine, un bacio sotto la neve non può certo mancare, no?
 
E da quel momento, il principe e la principessa vivono felici e contenti.
 
 
“Chiara, ho capito che sei assolutamente a tuo agio a casa nostra, ma posso sapere che stai combinando ancora?”
Anna è esasperata. Pensava fosse complicato stare appresso alle bambine, invece sua sorella è sempre più difficile da gestire di una bambina di otto anni e una di pochi mesi.
Infatti Chiara, non contenta per il divieto di vedere Cenerentola, ha iniziato a curiosare in giro, fermandosi inspiegabilmente davanti alla libreria.
“Niente, ho trovato questo libro sullo scaffale e l’ho aperto per curiosità,” spiega candidamente lei.
“E...? Hai soddisfatto questa impellente curiosità?”
Chiara fa un sorriso enorme.
“Eccome! Anzi, ti dirò di più: forse ho trovato perfino una fiaba che mi piace più di Cenerentola!”
 
 
... fine! La nostra prima fiaba è giunta al termine! Allora Grillo, che ne pensi? È venuta fuori bene! ... Grillo...?
 
Ronf ronf...
 
Non ci posso credere! DORME! EVVAI!
 
* * *
 
Eccoci alla fine della prima fiaba rivisitata: Cenerentola!
Era giusto, come tributo a Chiara, non vi sembra? (Agente CIA, hai indovinato un'altra volta! Un giorno ci spiegherai come fai...)
Aspettiamo i vostri commenti...
Alla prossima fiaba con Vocina e Grillo!
 
Mari e Martina
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il principe triste ***


IL PRINCIPE TRISTE
 
Cri cri... cri cri...
 
Oddio, no! Di nuovo!
 
Ops...
 
Grillo, ma non avevamo risolto con ‘sta cosa dell’insonnia? Perché hai ricominciato a frinire, la notte?!
 
Scusami, Vocina. È che di nuovo non riesco a dormire. A furia di rileggere la favola di Cenerentola che abbiamo scritto, ha smesso di fare effetto.
 
Mh, forse sarebbe ora di scriverne un’altra. C’era da aspettarselo, in effetti. Anche se un po’ ci avevo sperato, che durasse più a lungo.
 
Pure io! Comunque, possiamo anche iniziare a scriverla, ma da qui a quando sarà pronta, come facciamo? Qua rischia di non dormire nessuno, per giorni, a causa mia.
 
Beh, possiamo sempre chiuderti in uno sgabuzzino, con un bel pezzo di nastro sulla bocca, e-
 
VOCINA!
 
Scherzavo!! Quanto sei suscettibile, oh. Ma il tuo senso dello humor che fine ha fatto, è andato in vacanza?
 
Prova a non dormire per giorni pure, tu, e poi vedi.
 
Okay, va bene, sei frustrato. Messaggio ricevuto.
 
E quindi che si fa?
 
Si fa come sempre, scemo di un Grillo! Le nostre favole sono già ‘scritte’, dobbiamo solo decidere quale ‘trascrivere’, per te e per i nostri amici lettori...
 
MI raccomando, però: che non sia banale!
 
E quando mai una storia che riguarda Anna e Marco è mai stata banale, scusa?
 
In effetti... però ne voglio una bella, eh! Bella, bella, bella, bella.
 
Questo vizio di ripetere gli aggettivi almeno quattro volte tu e il tuo padrone ve lo dovete togliere! Mi mettete ansia! Comunque, quale storia vuole sentire oggi, Messer Grillo?
 
La tua battuta non faceva ridere. Visto che parliamo di nobiltà e castelli, voglio una storia che ha un Principe per protagonista!
 
Innanzitutto, ricordati che l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del Re. Al massimo, puoi dire: “Vocina, vorrei una storia che parli di un Princi-”
 
Vocina, VORRESTI dormire?
 
Certo che voglio dormire? Ma che c’entra con la storia, questa cosa?!
 
C’entra, perché affinché il tuo desiderio si avveri, io VOGLIO e NECESSITO di una storia che parli di un principe!
 
Sì, ma stai calmino! Sei passato ai ricatti, ora?!
 
Ho imparato da un’amica.
 
Awww, sono orgogliosa di te! ... ma non ti allargare, ché ti chiudo nello stanzino per davvero.
 
Nel frattempo, io voglio la mia storia.
 
OKAY! Fammi pensare... mh... Ci sono! Questa è perfetta!
 
Se magari la racconti, possiamo deciderlo io e i lettori, se è perfetta...
 
Nella mia testa lo è, anche se lì non sapete ancora leggere.
 
Per fortuna, direi. Comunque vedo che anch’io ho un certo ascendente su di te...
 
ODDIO! Mi stai dicendo che sto diventando scema come te? No no no, non è possibile questa cosa, non deve accadere!
 
Non sia mai... comunque, me la racconti questa storia, sì o sì?
 
Questi scherzi non mi piacciono, Grillo. Ma cominciamo...
 
 
C’era una volta, non molto tempo fa, nella cittadina di Spoleto, un principe di nome Marco, che stava finalmente vivendo la sua fiaba da sogno con la sua amata Anna.
Giovane solitamente allegro, era sempre pronto a fare una battuta per risollevare il morale di tutti, soprattutto quello della sua fidanzata. Eppure un bel giorno il sorriso che gli danzava sempre sulle labbra era scomparso, di punto in bianco, lasciando spazio a un’espressione cupa e triste.
La sua principessa non riusciva a capire come potesse essere successo, quale maleficio si fosse abbattuto su di lui, in un momento in cui tutti avrebbero avuto bisogno del suo buonumore. Non poteva essere colpa soltanto del nefasto momento che si erano ritrovati a vivere recentemente, ad averlo reso tanto triste.
 
Scusi, signor Narratore, se la interrompo... di quale nefasto momento sta parlando?
 
Oddio, Grillo, c’eri anche tu! Come fai a non ricordar- lasciamo perdere. Andiamo avanti, ti rinfresco la memoria.
 
Erano passati mesi dalla morte del piccolo Cosimo. Gli sforzi per ritrovare Farina purtroppo non erano serviti a salvarlo, nonostante il trapianto. E il povero maresciallo Cecchini non aveva fatto in tempo a riprendersi da quel dolore che un un nuovo temporale, ancora più terribile, si era abbattuto su di lui all’improvviso. Un nuovo maleficio, che aveva consumato Caterina giorno dopo giorno, in fretta, fino a portarsela via.
 
Era un giorno grigio, nonostante fosse primavera, quello in cui la donna aveva lasciato questa terra. Tutta la famiglia dell’Arma e della canonica si era stretta attorno ai Cecchini, ed erano tutti in ospedale quando fu data la terribile notizia. Nella mente dei presenti era rimasto indelebile il pianto di Assuntina e il mantra “No, non è possibile, non è possibile”, straziante, di Nino. Anna e Don Matteo avevano tentato, con scarsissimi risultati, di consolare Cecchini, e neanche Zappavigna era riuscito nel tentativo di placare le lacrime della fidanzata.
Il dolore non guarda in faccia nessuno, nemmeno una famiglia già toccata da un immenso dolore come la loro.
 
Caterina era stata amata da tutti, era la metà perfetta di Cecchini. Amante della vita e della sua famiglia, non c’era niente che non avrebbe fatto per chi aveva accanto. Aveva sempre una soluzione pronta per tutto, come il marito, anche se le sue idee avevano più spesso il lieto fine. Nel periodo della malattia, la donna aveva sofferto molto per la mancanza dei nipoti, ormai a Roma da quando Tommasi era stato trasferito per la sua promozione, e Assuntina aveva cercato di sopperire a quell’assenza il più possibile, posticipando la sua partenza per Parigi, dove sarebbe andata a studiare.
 
Ad aiutarla, c’erano stati anche Anna e Marco, a cui la signora Cecchini si era molto affezionata.
Se per Anna il maresciallo era diventato come un padre, Caterina aveva rappresentato per Marco una sorta di madre, ancor di più da quando lui e la Capitana avevano cominciato a frequentarsi ufficialmente. La signora, infatti, diventava la spalla del povero pm ogni volta che Cecchini si impicciava nei loro affari di coppia, finendo per provocare guai piuttosto che risolverli.
Marco non lo avrebbe mai ammesso, ma Caterina Cecchini era riuscita a sopperire, seppur per un breve lasso di tempo, a una mancanza di fondo nella sua vita. Una voragine che lo accompagnava ormai da anni, ma di cui non aveva mai parlato a nessuno. No, nemmeno ad Anna. Non come avrebbe dovuto e, soprattutto, voluto.
 
Anche per questo il nostro Marco, in quel giorno cupo per tutti, era rimasto in silenzio, seduto in disparte, incapace di formulare tutti i sentimenti che gli si erano annodati in gola. Nessuno aveva fatto troppo caso al suo sguardo che andava avanti e indietro tra Assuntina e l’orologio appeso al muro, che segnava l’inesorabile passare del tempo e l’impotenza dell’affetto in certi casi. Quando il medico era venuto fuori dalla stanza, annunciando a bassa voce che Caterina non ce l’aveva fatta, le sue parole in apparenza non avevano avuto alcun effetto su di lui.
Non aveva versato una lacrima, né quel giorno né quelli successivi, eppure c’era qualcosa in lui che sembrava non funzionare più come prima. Come se gli ingranaggi si fossero improvvisamente bloccati.
 
Era passato poco più di un mese dalla morte della donna. Tutto, lentamente, aveva ripreso il suo corso, anche se il maresciallo si stava lasciando andare allo sconforto, preoccupando chi gli voleva bene, soprattutto la figlia che aveva rimandato ancora la partenza per Parigi pur di non lasciarlo solo. L’uomo aveva perfino mormorato di voler lasciare la divisa, di getto, pochi giorni dopo il funerale dell’amata moglie. Assuntina però, con Anna a darle manforte, lo aveva fatto tornare sui suoi passi, facendolo riflettere sul fatto che se ne sarebbe pentito, sicuramente. Lui stesso aveva dato ragione alle due ragazze, qualche settimana dopo, perché almeno il lavoro gli permetteva di distrarsi dal suo dolore.
Ci sarebbe voluto tempo, e l’aiuto di tutti, ma si sarebbe ripreso. Con una parte in meno, certo, ma ce l’avrebbe fatta, per se stesso e le persone che amava.
 
In tutto ciò, però, c’era anche un’altra persona che preoccupava la principessa Anna.
Marco, il suo fidanzato. Era strano, non era il solito giocherellone, si estraniava spesso perdendosi nei propri pensieri. Aveva perfino rifiutato di andare al pub a vedere le partite con gli amici, appuntamento quasi fisso nonostante gli scarsi risultati della sua squadra del cuore. Se poteva, evitava perfino le passeggiate con Patatino e Anna trovando ogni volta una scusa diversa, ed era assurdo perché in genere non vedeva l’ora che si facesse sera.
La cosa che però più stonava era la sua apatia. Non faceva più battute, né rideva a quelle degli altri. Perfino i suoi sorrisi, quelle pochissime volte che riuscivano a farsi strada sulle sue labbra, apparivano spenti.
Sembrava che un maleficio avesse oscurato il suo regno, portando via l’eterno Peter Pan che viveva in lui.
Anna non riusciva a capire il perché dietro quel comportamento così insolito. Non aveva fatto nulla, lei, che potesse averlo reso così triste e abbattuto, perlomeno non che riuscisse a ricordare. Certo, negli ultimi giorni lo aveva un po’ trascurato, ma aveva un valido motivo di cui lo stesso Marco era consapevole e che aveva approvato. Lui stesso si spendeva per distrarre il maresciallo, facendogli compagnia quando poteva. Anche se, a vederlo, la donna aveva considerato che forse non fosse la persona più adatta a tirar su il morale degli altri, se lui per primo lo aveva sotto i piedi.
Se solo il suo principe azzurro avesse lasciato trasparire cosa lo tormentava, sarebbe stato più facile per lei aiutarlo.
Era frustrata da quella situazione: le mancava il suo Marco, le mancava la sua costante ironia, le battutine, la vivacità anche nei momenti in cui ottimizzava le energie. Nessuno era capace di farla ridere come lui. Ora, invece, era lei a dover trovare il modo di provocargli una risata, di riportare alla luce quel bambinone nascosto sotto giacca e cravatta. Insomma, toccava a lei, stavolta, trovare la chiave per accedere alla fortezza.
 
Adesso capiva, Anna, le lamentele e le difficoltà del fidanzato quando la situazione era a parti invertite, quando era lui a dover scovare cosa lei si sforzava di celare, chiusa nella sua torre d’alabastro, senza lasciargli spazio e appigli per raggiungerla in cima.
Adesso che Marco aveva bisogno di lei, la donna si sentiva scoraggiata. Perché il suo principe triste non lasciava entrare nessuno, neanche lei.
Non riusciva a spiegarsi, tuttavia, quella sua reazione. Continuava a interrogarsi, senza però trovare risposta. Se fosse riuscita ad aprirsi una breccia in quel muro di spine, avrebbe quantomeno avuto la possibilità di fiancheggiare quel fossato che le avrebbe permesso l’accesso al cuore della fortezza. Ma, a parte la morte di Caterina, non era accaduto nulla. Almeno, niente di direttamente riconducibile a lui di cui Anna fosse a conoscenza.
Non lo aveva più visto in quello stato, triste e distante, dal giorno in cui si era ripresentata la sua ex, sotto alla caserma, per chiedergli di non far pagare al suo migliore amico la fine della loro storia. L’avvocato era innocente relativamente al caso, ma di certo non per quel resto che al pm faceva male. C’erano voluti tempo e pazienza, ma Marco alla fine aveva superato il dolore del tradimento, era tornato a vivere, seppur col timore di pungersi ancora con un fuso incantato che non avrebbe potuto prevedere, nonostante la determinazione a non lasciarsi più rubare il cuore.
Invece, in mezzo ai mille casini combinati dal maresciallo e alle sue paure che ostacolavano ogni passo, il principe indeciso si era innamorato eccome... di una principessa atipica, sì, ma non per questo meno nobile di sentimenti. E proprio da quella fanciulla, Marco il cuore se lo era lasciato rubare senza accorgersene, donandoglielo. Era lei a custodirlo, ora.
Tutto andava bene, a parte il lutto recente per la scomparsa di Caterina, ma niente aveva lasciato presagire l’accaduto. Quindi, cos’aveva? Quale magia si era portata via il vero Marco?
Perché in apparenza lui si comportava come sempre, tranne per il sorriso che non si faceva più vedere. E per quanto Anna in certi momenti aveva sperato che lui la smettesse con le sue battutine spesso a sproposito e fuori luogo, adesso che non le faceva più, le mancavano. Mancava quella scintilla che rendeva le loro giornate insieme più luminose, più divertenti, più belle. Le mancava il loro battibeccare per spronarsi a vicenda e trovare la soluzione a un caso, o semplicemente per infastidirsi per gioco e fare la pace subito dopo. Le mancava quell’uomo impossibile che quel giorno, davanti alla caserma, le era sembrato misogino e senza cuore, e che invece col tempo aveva scoperto essere il principe azzurro che aveva sempre sognato di avere al suo fianco. Il più improbabile, e per questo perfetto.
 
La giovane aveva tentato più volte di capirci qualcosa, della ragione dietro quella tristezza.
Inizialmente pensava fosse il momento, in fondo tutti erano tristi per la perdita di Cosimo prima e Caterina poi. Ma le settimane erano passate in fretta, e tutti avevano ripreso a vivere più o meno normalmente. Perfino Cecchini ci stava provando. Invece Marco continuava a restare chiuso in quella sua infelicità, nonostante i tentativi di Anna di scuoterlo, coinvolgendo i colleghi di lavoro, i suoi amici... Aveva provato a lasciargli più spazio, pensando che forse, in aggiunta al resto, stessero correndo troppo con la loro storia e magari gli fosse tornata la paura di cambiare. Lo aveva perfino obbligato ad andare a vedere la partita con la sua squadra di calcetto storica, invece di pregarlo di restare a casa con lei come succedeva in genere.
Non era servito a molto.
A dire il vero, una cosa qualche risultato lo aveva avuto, e la prova era proprio il suo ritrovarsi a casa, da sola, seduta sul divano.
 
Intenta a leggere un libro, la sua attenzione era stata catturata da un messaggio arrivato sul cellulare.
Amore, stasera non riesco a passare da te. Ho del lavoro arretrato da completare, altrimenti si accumula ancora di più. Ci vediamo domani mattina in caserma.
Anna sospirò. Non era la prima volta che succedeva, che il lavoro si mettesse in mezzo alla loro relazione. Era fastidioso ma comprensibile, per cui rispose augurandogli la buonanotte, senza sapere però che quella scusa si sarebbe ripetuta anche nei giorni successivi.
Dal primo appuntamento saltato passò un’intera settimana, e per l’ennesima volta la ragazza si ritrovò sul divano, da sola, lo stomaco annodato per il terrore crescente.
Ci pensava da qualche giorno, che forse il problema di Marco era lei. Torturandosi le pellicine delle unghie quasi a sangue, non riusciva a smettere di attribuirsi le colpe. Magari lui si era reso conto che aveva sbagliato. Che non l’amava, che non era lei quella che voleva. Che si aspettava qualcosa di diverso dalla loro storia, e per questo si stava allontanando. Che al lavoro si comportava come al solito perché non voleva che gli altri si accorgessero dei loro problemi di coppia.
Tutto inutile, ovviamente, perché Cecchini se n’era accorto eccome. Aveva provato a parlarne con lei, ma senza insistere più di tanto. Aveva altri pensieri più gravi per la testa, giustamente.
Anche Caterina, se ci fosse stata, avrebbe di certo notato l’anomalia. Aveva sempre una sorta di sesto senso che captava le loro dispute anche quando davvero non lasciavano trasparire nulla.
Anna l’aveva vista spesso parlare col suo fidanzato, quando era capitato che litigassero. Cercava sempre di non farlo avvilire, la signora Cecchini, incoraggiandolo e suggerendogli pazienza e amore, e che tutto si sarebbe risolto presto.
In effetti, avevano un bel rapporto anche loro due, non molto dissimile da quello che lei aveva instaurato col maresciallo.
Ripensandoci ancora, Marco non aveva versato una lacrima, quando Caterina se n’era andata. Non aveva nemmeno ben chiaro cos’avesse fatto, quando il medico aveva dato la notizia, in ospedale. Si ricordava delle reazioni di tutti, ma paradossalmente all’appello mancava proprio quella di Marco.
Strano, perché c’era anche lui, lì con lei. L’aveva stretta a sé per tutto il tempo.
Quindi cos’era successo in quegli istanti, perché la sua memoria non ne aveva conservato il ricordo?
 
I suoi pensieri vennero interrotti dal trillare del campanello di casa.
“Ciao, Anna...” la salutò Assuntina con un mezzo sorriso tirato, quando la porta fu aperta.
“Ehi! Vieni, entra...” la invitò il Capitano, facendosi da parte per lasciarla passare. Non era stupita dal suo arrivo, non era la prima volta che passavano del tempo insieme, soprattutto negli ultimi tempi.
Dopo aver messo la caffettiera sul fuoco, le chiese come mai fosse lì a quell’ora.
“Non so che fare,” mormorò la figlia del maresciallo, giocherellando col braccialetto che aveva al polso, tesa. “Non posso più rimandare la partenza per Parigi, ma non voglio lasciare da solo papà. A dire il vero, preferirei non partire, non so se riuscirei a studiare... penso sempre a mamma, e...”
La frase si ruppe in un singhiozzo.
Anna conosceva molto bene quel dolore, e nella stretta di mano che diede ad Assuntina c’erano tutta la sua comprensione e il conforto che era in grado di darle.
“Lo so come ti senti... perdere un genitore è un dolore terribile. Al di là dell’età, è una ferita che non si rimargina mai del tutto, e non ci si abitua mai, soprattutto se la vita ha già tolto tanto,” sospirò, alludendo a Patrizia. Lei non l’aveva conosciuta, ma la sofferenza era certa fosse simile. “Non posso dirti che col tempo passerà tutto e dimenticherai, lo sai senza che io lo ripeta, ma... imparerai a conviverci. Lo hai già fatto, e adesso devi farlo ancora. Diventerà più lieve, forse, ma non finché non riuscirai a sfogarti. E... se avrai bisogno, se vuoi, io sono qui. Un’amica fa sempre bene...”
Assuntina ricambiò la stretta della donna davanti a sé, grata per le parole che le aveva offerto quella che era il superiore di suo padre, ma che col tempo era diventata una di famiglia, e una sorella acquisita.
La giovane Cecchini ne approfittò per chiederle anche consiglio su Parigi. Aveva ricevuto una borsa di studio per andare a studiare alla Sorbonne, una delle università più prestigiose del mondo, ma aveva dovuto posticipare la partenza per ovvie ragioni.
Anna le suggerì di inseguire il suo sogno, perché se avesse rinunciato, se ne sarebbe certamente pentita. Suo padre era stato il primo a spingerla ad accettare, ed era certa che se ne avessero parlato, lui le avrebbe detto le stesse cose.
“Non devi pensare a ciò che lasci qui a Spoleto, è un’assenza temporanea dopotutto. E per tuo padre non devi preoccuparti. Mi prenderò io cura di lui. Come ha fatto lui con me quando sono arrivata qui. E sono convinta che anche Marco è dello stesso avviso. Non lo lasceremo da solo.”
Assuntina si sentì più tranquilla al sentire quelle affermazioni che, in realtà, non la stupivano. Non aveva dubbi che Anna avrebbe trattato il maresciallo come fosse suo padre, perché lo era diventato, in quei mesi.
Adesso poteva partire.
Le due continuarono a parlare per un po’, finché Assuntina non decise di tirare in ballo un’altra questione spinosa, che però riguardava l’amica.
Aveva notato, poco prima, come la sua espressione si fosse fatta per un attimo cupa nel nominare il fidanzato, e voleva vederci più chiaro. Visto il clima di confessione, le sembrò il momento più adatto.
“Ah, c’è un’altra cosa che vorrei chiederti... come vanno le cose tra te e Marco?” azzardò, tentativamente.
Anna passò immediatamente sulla difensiva. Proprio l’argomento che aveva cercato di evitare.
“Perché?” rispose, tesa. Certo, non l’idea più brillante, replicare a una domanda con un’altra. Un’ammissione di colpa.
“No, così... cioè, a cena papà ha detto che vi ha visti strani. Ha paura che le cose tra voi vadano male. E sinceramente anch’io mi sono accorta che non è come al solito, tra voi due.”
Il capitano sospirò: immaginava che sarebbe saltato agli occhi, ma non pensava Assuntina l’avesse notato. Decise però di non volerle mentire, dopotutto lei si era sfogata giusto poco prima su una questione altrettanto personale.
“... non va tanto bene, in effetti, e non so perché.” ammise a bassa voce. “Ho paura che sia colpa mia. Forse ho fatto qualcosa di sbagliato e non me ne sono accorta, oppure non sono quella che pensava, e... e adesso non fa che evitarmi. Ho provato a parlargli, ma cambia sempre discorso. Ed è più di una settimana che ogni sera cerca scuse per non venire qui a casa o passare del tempo con me... Vorrei solo capire cosa ho fatto per farlo reagire così.” concluse, affranta, il nodo alla gola di nuovo a stringere più forte.
Assuntina aveva ascoltato in silenzio la confessione dell’amica. Non aveva saputo cosa aspettarsi quando le aveva chiesto della sua relazione col pm, e non pensava Anna fosse così insicura, a dire il vero. L’aveva sempre vista come una donna forte, capace di affrontare i problemi a testa alta, senza lasciarsi sopraffare mai. E invece l’amore aveva reso fragile anche lei.
Le rivolse un sorriso comprensivo, riflettendo prima di parlare.
“Sai, forse si tratta di tutt’altro,” commentò infine. “C’è una cosa che avrei fatto bene a dirti prima, ma non pensavo fosse importante. Dopo quello che mi hai detto, però, forse lo è... Cioè, è una mia idea e potrei anche sbagliarmi, magari non c’entra lo stesso, ma vale la pena dirtelo. Tu Marco lo conosci meglio di me, ovviamente, ci capirai qualcosa in più. Il giorno che mamma è morta, ho avvertito più volte lo sguardo di qualcuno addosso, e quando ho cercato di identificare chi fosse, ho incrociato quello di Marco...” spiegò la giovane Cecchini, scegliendo con attenzione le parole. “E per la prima volta da quando lo conosco, il suo sguardo mi è sembrato... vuoto. Sembrava quasi più devastato di me.”
Anna ascoltò attentamente le parole della ragazza cercando di mettere insieme i pezzi di quell’intricatissimo puzzle, senza tuttavia trovare un nesso evidente.
Forse la morte di Caterina aveva molto più a che fare con la tristezza del suo Marco, contrariamente a quanto aveva pensato fino a quel momento. Ma perché? Questo proprio non riusciva a capirlo.
Ripensandoci, lui non aveva mai pianto per quel lutto. Neanche una lacrima, non lo aveva mai visto piangere in quei giorni. Ed era strano, visto il rapporto che aveva instaurato con la signora Cecchini.
Se prima Anna era confusa, adesso lo era anche di più.
 
Marco se ne stava seduto sul suo fidato pouf, in casa sua, con Patatino accucciato guardingo al suo fianco.
Il cagnolone sembrava percepire l’umore tetro del suo padrone, e passava la maggior parte del tempo col muso poggiato sul ginocchio del pm. Faceva così da settimane, da quando Marco aveva iniziato a comportarsi diversamente. Fortunatamente per lui, bastava fargli una carezza per calmarlo.
L’uomo, al contrario, non riusciva mai a tranquillizzarsi.
Da un tempo che gli sembrava infinito ormai faceva fatica a dormire, ad apprezzare le piccole cose.
Soprattutto, evitava di passare del tempo con Anna, ben sapendo che fosse la cosa più sbagliata da fare. Perché avvertiva il tempo scorrere comunque, e ogni minuto passato altrove comprendeva sessanta secondi che avrebbe potuto trascorrere con la donna che amava. Tempo con lei che avrebbe perso senza poterlo più recuperare.
Ma non voleva renderla triste con il suo costante malumore. Non voleva farla preoccupare, star male. Anche perché, lei non c’entrava niente con quel dolore, anzi. Anna era la cosa più bella della sua vita, e con lei avrebbe voluto poter condividere solo la felicità, non quel buio denso e cupo che ormai gli abitava dentro.
Inoltre, la sua fidanzata sapeva ben poco del motivo che lo rendeva così triste.
In realtà lei avrebbe compreso meglio di chiunque altro il dolore che la perdita di un genitore provocava, ma quel giorno, in ospedale, era stato come rivivere tutto un’altra volta. E lui era stato colto alla sprovvista.
 
Mi dispiace, signor Nardi, non c’è stato nulla da fare...
Le parole del medico rivolte al padre avevano scavato una ferita terribile nell’animo del giovane Marco, allora solo un adolescente, quando un arresto cardiaco si era portato via sua madre.
Da quel momento in poi, la sua vita era cambiata in modo drastico. I rapporti già poco idilliaci col padre si erano irrimediabilmente incrinati, spezzandosi del tutto quando, dopo la maturità, lo aveva obbligato ad abbandonare il sogno di diventare un attore per intraprendere ‘un lavoro serio’.
Non era la magistratura la strada che avrebbe voluto percorrere.
Sognava di fare teatro, di vivere mille vite diverse sui palcoscenici di città sconosciute. Di essere Marco Nardi, e al contempo il protagonista delle sue pièces teatrali preferite.
Col senno di poi, la decisione di diventare magistrato si era rivelata comunque corretta, perché era capace in quel lavoro, aveva fatto carriera, e tutto lo aveva portato dov’era. Gli aveva permesso di incontrare la sua principessa e di poter vivere, dopo mille peripezie, la sua favola d’amore.
Il piano B non era stato poi tanto male, perché aveva trovato il suo posto nel mondo.
Tuttavia, la morte inaspettata di Caterina era piombata all’improvviso su di lui, annuvolando il suo regno felice.
E per Marco era stato come perdere sua madre un’altra volta. Non lo avrebbe mai ammesso, ma non avrebbe lasciato che una ulteriore debolezza emergesse. Che il passato col suo carico di paure tornasse a renderlo nuovamente insicuro e fragile.
Anche per quel motivo, quel giorno aveva preferito restare in disparte: non era pronto a spiegare perché stesse così male.
Era abbastanza certo che nessuno lo avesse beccato a fissare Assuntina, mentre involontariamente si rivedeva in lei. Mentre riviveva con lei quegli attimi strazianti in cui il cuore sembra fermarsi.
Marco scosse la testa.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per dimenticare il dolore. Smettere di ricordare e tirarsi fuori da quella torre in cui si era rinchiuso da solo.
Il suo sguardo si posò sulla mensola di un mobile in soggiorno.
I passi lo guidarono fin lì, per permettergli di prendere quella foto incorniciata tra le mani.
Qualche mese prima, in una giornata annuvolata in cui aveva chiesto ad Anna di dargli una mano a riordinare e buttar via ciò che restava del passato tradito, aveva ritrovato quell’immagine che lo ritraeva, bambino, mano nella mano con la madre Elena.
Lo sfondo lo aveva riconosciuto subito: la Liguria.
Nonostante fosse cresciuto lontano dal posto in cui era nato, un pezzetto di quella terra gli era rimasto dentro e lo aveva portato con sé ovunque era stato. Tutte le estati della sua gioventù le aveva passate lì, in vacanza dai nonni materni. I più bei ricordi di sua madre erano conservati lì, nelle settimane al mare.
Elena non rideva spesso, era una donna severa, ma amorevole, paziente e saggia. Innamoratissima del suo bambino. Era stata una madre presente, forte ma non per questo ingombrante. L’unica cosa che le importava era che lui avesse tutto ciò che meritava, che avesse un’infanzia serena, senza pensieri, e per questo gli aveva nascosto per molto tempo il proprio dolore. Le ferite che si aprivano a ogni traccia di rossetto non sua.
Probabilmente la resilienza l’aveva imparata da lei.
Anzi, in realtà Marco aveva sempre sperato di aver preso tutto dalla madre e poco da quel padre che conosceva a mala pena.
Eugenio non c’era mai. Troppo occupato, il grande psicanalista e scrittore, per curarsi del proprio figlio. Quando Elena se n’era andata, portata via da quel cuore che aveva ceduto, forse si era sentita leggera, finalmente libera, ma in colpa perché lo aveva lasciato da solo con un padre che papà non era mai stato.
Marco era stato arrabbiato per un po’, ma poi aveva capito che la madre non aveva colpe. In realtà non era colpa di nessuno, ma era sempre stato più facile addossarla ad Eugenio. In fondo, non era innocente. In una certa misura, la causa della scomparsa prematura della moglie era lui.
 
Quei pensieri non lo avevano aiutato a riprendersi, affatto.
Semmai, avevano peggiorato la situazione, annodando ancora di più la matassa di filo che aveva usato per cucire le proprie ferite. Era diventato incapace di trovare i due capi e sbrogliarli, più tirava più diventava impossibile districare il tutto.
Gli mancava mamma Elena, quel giorno più che mai. Perché quando aveva conosciuto meglio Caterina, aveva riconosciuto in lei la stessa tenacia e amorevolezza di sua madre.
E il dolore non faceva che diventare più acuto.
Non aveva potuto averla accanto nei momenti più difficili della sua vita. Neanche in quelli più belli.
Avrebbe odiato Federica per ciò che gli aveva fatto.
Avrebbe adorato Anna per il suo amore incondizionato.
Le avrebbe insegnato tutto ciò che di lui forse non sarebbe mai riuscita a sapere, perché legato ai ricordi della sua infanzia e di quella terra aspra e dura, ma capace di regalare frutti straordinari a chi la rispetta.
Con questi pensieri in testa, Marco raggiunse sovrappensiero la cucina.
Con un sorriso malinconico, ricordò quando da piccolo si arrampicava su una sedia per osservare la mamma mentre preparava, rigorosamente a mano e con pestello e mortaio, il pesto con cui avrebbe condito le trofie, anche quelle realizzate a mano.  
Il bambino ormai uomo era convinto di non aver mai più assaggiato un piatto di trofie al pesto buone come quelle che preparava sua madre. Anzi, forse non ne aveva più mangiate e basta, per poter conservare meglio il ricordo.
Tra i suoi fidati ricettari, se ne stava nascosto un libriccino che raccoglieva le ricette di Elena, scritte con la sua bella calligrafia. Non era mai riuscito, lui, a replicare quei piatti, per quanto ci avesse provato. L’unico che non aveva mai nemmeno tentato di fare era proprio quel piatto che gli ricordava l’infanzia felice. Non sarebbe stato come per Proust e la sua madeleine: non avrebbe rievocato nessun ricordo.
Sfilò il vecchio ricettario dal suo nascondiglio, fissando la copertina a quadretti colorati che assomigliava tanto al grembiule di Elena, ma il suo proposito di sfogliarlo venne interrotto dal campanello che lo riportò alla realtà.
Si asciugò in fretta gli occhi, andando poi ad aprire la porta, senza capire chi potesse essere a quell’ora.
 
C’era Anna ad attenderlo dall’altra parte. La sua principessa.
Un debole sorriso si fece largo sul viso della ragazza, non ricambiato però dall’uomo che continuava a restare chiuso in sé.
“Ciao...” mormorò lei, esitante e incerta vista l’accoglienza fredda che aveva sperato di non ricevere. “Posso entrare un attimo? Vorrei... vorrei parlare con te...”
Era difficile anche per lei dover sostenere quella situazione, ma si era detta che non poteva restare senza far niente.
Una volta dentro, Marco non poté fare a meno di notare che Anna era tutt’altro che felice. Anzi, l’espressione tetra era lo specchio della sua. Il garbuglio di fili si fece più stretto.
La donna non perse altro tempo.
“Io non sono cosa ti stia succedendo, perché stai così male, e soprattutto non capisco perché non lasci che per una volta sia io ad aiutare te... Però non mi importa se mi respingi. Continuerò a provare finché non riuscirò a farti sorridere di nuovo. Mi sembra di dover combattere contro una specie di drago che ti tiene bloccato in una torre, ma se devo sono pronta a farlo. E spero di riuscire a vincerlo, presto anche. Perché mi manchi. Mi mancano pure le tue battute stupide e le partite in tv, pensa...” mormorò lei tutto d’un fiato, tenendo lo sguardo basso per paura di ciò che avrebbe trovato incontrando quello di lui.
Quando si decise, lesse la sua incertezza, sentendo il cuore sprofondare.
 
Marco non sapeva cosa dire. Avrebbe tanto voluto aprirsi, ma non ci riusciva. Aveva cercato di isolarsi per superare quel momento senza farle male, ma lei aveva sopportato fino a un certo punto e adesso era lì, davanti a lui, con gli occhi verdi lucidi e sperduti, a chiedergli di fidarsi.
Non poté far altro che cingerla in un abbraccio e baciarla con la forza di un naufrago che si appiglia a uno scoglio in mezzo alla tempesta. Eppure sentiva di non riuscire a restare aggrappato comunque.
Fu il suo cellulare a spazzare via il momento.
Lui lo accolse con sollievo misto a colpa, allontanandosi per rispondere.
Anna rimase sola, immobile, spossata da quel momento intenso che non aveva capito fino in fondo cosa volesse dire.
Si sentiva come prosciugata, sfiancata, la gola arida, come se avesse corso a lungo e invano.
Decise di prendere un bicchiere d’acqua in cucina, per placare quella sete di risposte a domande troppo confuse, ma la sua intenzione fu distratta da un quadernetto posato accanto ai cucchiai di legno.
Benché lo avesse visto solo una volta e di sfuggita, comprese subito si trattasse del ricettario della mamma di Marco, Elena. Sapeva quanto lui fosse geloso di quel libriccino.
Anna si ritrovò a combattere contro la curiosità che la invogliava ad aprirlo.
Cedette.
Bastò un colpetto per far scivolare le pagine fino al punto evidentemente più usato, anche a giudicare dall’angolino in alto piegato a mo’ di segnalibro.
Accanto alla dicitura “Trofie al pesto”, aggiunta con un pastello colorato, c’era la frase “Il piatto preferito del mio Marco”.
Non ne aveva idea, lei. Non glielo aveva mai detto.
Prima che potesse continuare a sfogliare, sentì distintamente i passi del fidanzato tornare.
Quando lui giunse al suo fianco, il ricettario era già chiuso, niente che lasciasse intendere che lei avesse sbirciato all’interno.
Marco non aveva perso quell’espressione triste.
“Scusami, ma mi ha chiamato un collega che ha bisogno di una mano, e devo andare.”
“Va... va bene,” accettò Anna a malincuore, consapevole che non fosse andata come sperava.
Lui sembrò intuirlo, perché perse per un attimo la facciata imperturbabile accarezzandole una guancia.
La ragazza non si accontentò, strappandogli nuovamente un bacio a cui lui, per fortuna, non si tirò indietro.
 
Nonostante ciò, la strada del ritorno non fu serena.
Non riusciva a capire come mai lui avesse tirato fuori quel ricettario, visto che lui stesso le aveva confessato di non aprirlo praticamente mai.
Le tornò in mente la conversazione con Assuntina.
Lo sguardo di Marco sulla giovane Cecchini, il giorno della morte della madre.
Il ricettario di Elena.
Il rapporto tra Caterina e Marco.
La sua tristezza.
Anna si diede mentalmente della stupida, portandosi una mano alla fronte.
Come aveva fatto a non capirlo prima?
Eccolo, il bandolo della matassa: la morte di Caterina e la reazione di Assuntina gli avevano fatto rivivere la propria terribile esperienza con la madre, il giorno in cui l’aveva persa. Ed era triste perché la signora Cecchini in qualche modo gli ricordava Elena.
Ora che aveva capito la ragione, la ragazza si sentì più sollevata, anche se il problema continuava ad esserci: cosa avrebbe potuto fare per Marco, per alleviare la sua sofferenza? Esisteva qualche rimedio miracoloso, una pozione magica?
Di solito, per mitigare il dolore, uno si strafoga di cibo...
Cibo! La Vocina aveva ragione!
 
La sera successiva, Anna era in cucina, intenta a preparare la cena.
Era riuscita a convincere Marco a passare almeno qualche ora con lei, e lui, per la prima volta dopo tanto tempo, aveva accettato senza accampare scuse. Non che fosse chissà quanto entusiasta, anzi a voler essere onesti era quasi più triste del solito, a giudicare dalla faccia con cui si era presentato al lavoro, la mattina. Però lei era sicura che sarebbe riuscita a tirargli su il morale almeno un po’.
O almeno lo aveva sperato fino a qualche ora prima, perché adesso nella sua cucina sembrava fosse esplosa una bomba.
Le lezioni di Marco avevano fatto miracoli, vista la sua apparente incapacità iniziale, ma forse il pesto fatto a mano con il mortaio era ancora un livello troppo avanzato per lei. Perfino Cecchini aveva bussato alla sua porta, preoccupato, sentendo provenire dall’interno rumori non esattamente rassicuranti. In realtà Anna stava solo cercando di sminuzzare gli ingredienti col pestello, ma chissà cosa sembrava, dall’altra parte del pianerottolo. Forse meglio non saperlo.
Con la preparazione delle trofie era andata leggermente meglio, a parte la farina sparsa ovunque, compreso il pavimento, e il fatto che le ci fossero volute ore per prepararne una quantità sufficiente per due persone.
Stava giusto controllando l’acqua in pentola quando il campanello aveva suonato, facendola sobbalzare appena.
Abbassò gli occhi sul grembiule non esattamente pulito: non aveva avuto tempo di darsi una sistemata, quindi adesso doveva accontentarsi di com’era. Non che il suo principe azzurro si sarebbe lamentato: ormai lo conosceva abbastanza da sapere che avrebbe apprezzato comunque, pure se lei lo avrebbe ricevuto ricoperta di farina e con un inebriante eau de toilette al basilico.
Quando aprì la porta, si ritrovò a incrociare quello molto, molto confuso di Marco che la squadrò dalla testa ai piedi, e viceversa, un sopracciglio alzato.
Anna gli liberò la strada, abbassando la testa al culmine dell’imbarazzo: forse in effetti non era stata una grande idea, accoglierlo in quello stato.
Alzati gli occhi, si rese conto che il suo fidanzato stava osservando la cucina e il gran caos che c’era in giro, stranissimo per lei così amante dell’ordine.
Le guance della ragazza si scaldarono più di quanto non fossero già: non era un gran biglietto da visita, mostrare il piano di lavoro sottosopra al suo maestro-chef...
Con suo enorme stupore, però, non poté non notare che sul viso dell’uomo fosse apparso qualcosa di strano.
Cioè, strano per gli ultimi tempi, non se paragonato al solito Marco.
Lui stava sorridendo, e gli occhi avevano di nuovo quel luccichio gioioso che non aveva più visto da troppo.
“Che hai combinato?” le chiese, voltandosi verso di lei, le labbra ancora curve a trattenere una risatina.
“Ehm... Sciolgo l’incantesimo?” azzardò Anna, ricevendo in risposta di nuovo un sopracciglio alzato.
Si schiarì la voce.
“La verità è che... quando sono venuta a casa tua, ieri, ho involontariamente aperto il ricettario di tua madre e... ho letto che le trofie al pesto sono il tuo piatto preferito...” mormorò, improvvisamente terrorizzata dalla reazione che lui avrebbe potuto avere a quella confessione. “Avevo pensato che forse preparartele avrebbe potuto farti stare un po’ meglio, ma probabilmente ho sbagliato tutto. Scusami, non avrei dovuto leggere, so quanto ci tieni a quel quaderno e che non vuoi che nessuno lo tocchi... Mi dispiace anche di non aver capito prima perché stessi così male, che fosse tutto legato al ricordo di tua madre, dopo che Caterina-... Non sono brava a leggerti come tu sai fare con me. Ti giuro che ci ho provato, pensavo potessi essere io il problema, e le avevo provate tutte per farti anche solo sorridere, ma non funzionava niente... Questo era l’unico modo che mi era rimasto, l’ultimo tentativo... e ho sbagliato anche stavolta, visto il caos che ho combinato. Scusa.”
Sebbene Anna avesse una paura terribile, Marco, a ogni parola che lei pronunciava, si sentiva meglio, e il sorriso aveva finalmente ritrovato il suo posto sulle sue labbra.
Non era arrabbiato con lei... e come avrebbe mai potuto esserlo? Vero, aveva letto il ricettario che lui le aveva espressamente vietato di toccare, e aveva tentato l’impresa - evidentemente per lei titanica - di preparare le trofie al pesto secondo la tradizione, pur sapendo che lui avrebbe potuto non prenderla bene.
Eppure Marco era felice. Incredibilmente tanto.
Perché nonostante le trofie al pesto di mamma Elena fossero buonissime e inarrivabili, anche lei quando le preparava combinava quel gran casotto in cucina.
Esattamente come Anna.
Per questo decise che non glielo avrebbe mai detto.
Avrebbe custodito gelosamente anche quella somiglianza inconsapevole tra la madre, che aveva sempre ammirato, e la donna che aveva adesso davanti e che amava, certo che Elena stesse sorridendo nel vederli così, insieme, in quel momento.
Solo che Anna meritava delle spiegazioni, mentre era ancora in piedi di fronte a lui, gli occhi spalancati come un uccellino spaurito.
Le doveva delle risposte per quei giorni di assenza, anche se trovare le parole era difficile e non avrebbe mai capito perché.
Riuscì a mormorarle solo “Scusa”, con gli occhi che tornarono a velarsi di lacrime e tristezza.
Le dita della sua fidanzata però corsero veloci a impedire a quel sale di scendere.
“Non voglio che tu mi dica niente, se farlo ti rende di nuovo triste,” disse soltanto, le mani ad accarezzare con dolcezza il suo volto. “Un giorno forse ce la farai a dirmi quello che adesso non ti riesce, ma non devi per forza farlo ora. So cosa provi, perché anch’io ci sono passata quando ho perso papà. Abbiamo sopportato da soli questo dolore per anni, ma adesso lo possiamo condividere. Possiamo rendere quel peso più leggero... Fa parte del cambiare insieme...”
Sembrava che il sorriso di Marco non volesse più abbandonarlo.
Restò a guardarla, imbambolato, come se quegli occhi verdi lo avessero reso vittima di un uomo incantesimo. Di magia bianca, stavolta. Un incantesimo dal quale non voleva destarsi, perché stava riuscendo a scaldarlo fino ai punti più remoti di sé, nei quali in quei giorni passati aveva lasciato che si annidasse il gelo più tagliente. Quel freddo però finalmente si era sciolto grazie all’amore della sua Anna, la magia più grande che avesse mai sperimentato.
Ed era certo di voler restare sotto l’incanto di quel sortilegio per sempre.
 
Le trofie al pesto non erano le stesse di mamma Elena, ma erano buone, molto. Avevano il sapore della gioia ritrovata, di un calore nuovo e la dolcezza di un momento da ricordare in eterno.
Marco non aveva smesso di sorridere un attimo, e era bastato un niente a farlo scoppiare in quella fragorosa risata che ad Anna era mancata terribilmente. E lei stessa non avrebbe potuto essere più felice.
Dopotutto, che fiaba sarebbe, se non finisse con “E vissero tutti felici e contenti”?
 
Allora? Soddisfatto da questa storia? Il Principe andava bene, Grillo?
 
...
 
Ma tutti quei fazzoletti da dove saltano fuori? Grillo, non mi dirai che davvero ti sei commosso? ... Grillo?
 
*RONF*
 
DORME!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La Bella e la Bestia ***


LA BELLA E LA BESTIA
 
 
Ciao, Vocina! Che fai?
 
Leggo... tu sei di buon umore, stasera. Che ti è preso? Sei malato? Hai sbattuto la testa? Mi devo preoccupare?
 
Come sei melodrammatica, sembri me...
 
Oh, piano con gli insulti!
 
Quello offeso dovrei essere io!! Ma ci passo sopra, perché ho bisogno del tuo aiuto.
 
Per fare che?
 
Per scrivere una nuova favola. L’ultima inizia a non funzionare più per la mia insonnia, anche Lottie vuole una storia nuova, e tu hai una memoria decisamente migliore della mia.
 
Stai facendo troppi complimenti. Qui gatta ci cova.
 
Gatta? DOVE? Mi vuole mangiare!!
 
È un modo di dire, scemo!
 
Non farmi questi scherzi, per poco non ci restavo secco!
 
“Grillo morto d’infarto” mi sembra un bel titolo di giornale...
 
Non mettere in giro notizie false, come fanno in giro certi sceneggiatori di fiction...
 
Eh?
 
Niente, io mi sono capito. Allora, mi aiuti?
 
Hai qualche idea?
 
Mi piacerebbe una storia come quella del cartone che guardava Ines l’altro giorno... Come si chiamava... Mannaggia al GrillAlzheimer!
 
Intendi ‘La bella e la bestia’? Ma dicevi che non ti piacciono le favole scontate!
 
Ecco, sì, quella! Ma infatti ho bisogno della tua memoria per non renderla scontata. Ci serve un momento di Anna e Marco che la ricordi, e per questo mi servi tu.
 
È la prima volta che ammetti di essere perso senza di me. Sono lusingata, sai? Non me lo aspettavo.
 
Lo so. La verità, Vocina, è che possiamo discutere tutto il tempo come i nostri padroni, ma proprio come loro, anche noi siamo un grande team.
 
Sì, ma solo team! Non ti allargare, non farti strane idee.
 
Ecco che ci risiamo... iniziamo con la storia, che è meglio.
 
Uh, sembri Puffo Brontolone. Racconti tu?
 
Questa volta sì, sono pronto! Uhm... com’è che iniziano le storie?
 
Va bene, abbiamo capito... Ci penso io.
 
C’era una volta, tanto tempo fa, una bambina di nome Anna, che trascorreva la maggior parte del suo tempo libero a giocare con sua sorella Chiara, nel giardino sotto casa. I suoi giorni passavano spesso così, vissuti con la gioia e la spensieratezza della sua età. 
Ce n’erano alcuni, però, che diventavano bui: quelli in cui il suo papà usciva di casa con una valigia in mano.
Come stava succedendo in quel momento. 
Anna detestava vedere il suo papà partire per i viaggi di lavoro, non sopportava quella sua assenza, anche se si trattava di pochi giorni. Lui era l’unico che la capiva veramente, che alimentava i suoi interessi senza tentare di farle cambiare idea. 
La assecondava, portandola con sé per la messa a punto del maggiolino, prima di partire per qualche scampagnata domenicale; la sera, quando non era troppo stanco, restava con lei a guardare i cartoni dei supereroi e i film di Zorro, e le aveva perfino regalato il costume di carnevale che tanto voleva, completo di spadino.
Praticamente l’opposto di ciò che sua madre avrebbe voluto per lei: un mondo rosa, pieno di fate e principesse, come quello in cui viveva sua sorella, fatto di fiocchi, fronzoli e smancerie.
Ma lei non era una di quelle principesse, e mai lo sarebbe stata. Ed era certa che mai si sarebbe innamorata di un principe azzurro, di quelli che arrivavano a cavallo a salvare la fanciulla in pericolo, come quelli che si vedevano nei film. Era roba per Chiara, quella, non per lei. Piuttosto, lei si sarebbe riuscita a liberare da sola e, semmai, avrebbe usato il cavallo del principe per scappare. 
Non aveva bisogno di salvatori. Anche perché, era convinta che nessuno si sarebbe mai avvicinato al suo ideale di uomo perfetto, che aveva un nome ben preciso: Carlo Olivieri. 
Lo stesso uomo che in quel momento si stava avvicinando a lei e sua sorella, per inginocchiarsi e aprire le braccia, in attesa del loro saluto.
Quando succedeva, la scena era sempre pressoché identica.
Un abbraccio e un bacio sulla guancia accompagnati da “Quando torni, papà?” e “Cosa ci porti stavolta, papà?”. Sempre la solita Chiara, a chiedere qualcosa in regalo.
Puntuale, c’era anche il rimprovero di mamma Elisa.
“Chiara, basta con queste richieste, ogni volta!”
Carlo si limitava sempre a sorridere, promettendo che un dono sarebbe certamente arrivato, forse proprio la fata dalle ali dorate che la sua primogenita aveva visto in una foto qualche giorno prima, e che aveva implorato i genitori di poter avere.
Quel giorno, però, Olivieri si era voltato verso la sua bambina più piccola, la sua ‘principessa anticonvenzionale’, e dopo averla osservata qualche istante in attesa di una richiesta che non era arrivata, le aveva finalmente posto la domanda, con una lieve carezza sulla guancia.
“E tu, tesoro? Cosa vuoi che ti porti?”
Anna, però, era particolarmente triste per la partenza del suo adorato papà, quel giorno, e avrebbe tanto voluto che lui non andasse via.
“Una rosa bianca,” aveva riposto, comunque, con gli occhi bassi. In realtà non c’era un vero motivo dietro quella strana richiesta, tranne il ricordo di quel fiore attribuito a una delle sue eroine preferite, Lady Oscar. Per il Capitano delle Guardie Reali, quello era il simbolo d’amore che Andrè, il suo attendente, aveva associato a lei. Oscar, per l’uomo innamorato di lei, era proprio come quella rosa bianca. Ad Anna quell’immagine era piaciuta molto, le era rimasta impressa, e si era fatta strada fino alle sue labbra senza che ci riflettesse troppo. 
Suo padre non le aveva mai chiesto spiegazioni per quel regalo, né in realtà si era ricordato di portarglielo.
Quando era tornato, rammentando all’improvviso la promessa, si era scusato, ma ad Anna non era importato granché, soprattutto perché lui, per rimediare, aveva comprato un vasetto di roselline bianche, presso un vivaio, e l’aveva piantato in giardino insieme a lei, così che potessero prendersene cura insieme.
Per la bambina, era stato ancora più bello. In fondo, del regalo non le importava nulla. Era felice che fosse tornato e che avessero una scusa in più per passare più tempo insieme.
 
Erano passati molti anni da quel giorno, ma gli eventi raccontavano di primavere in cui le rose non ebbero più la stessa rigogliosa fioritura, per Anna. 
Anzi, quel fiore non faceva che riportare a galla il dolore di quella telefonata, una mattina qualsiasi, proprio mentre lei stava mettendo dell’acqua all’adorata piantina. La notizia che la madre aveva dato a lei e Chiara era stata devastante: il suo papà si era tolto la vita.
Anna si era punta: perfino le sue rose avevano percepito il dolore e si erano fatte aggressive.
Da allora, la pianta non era più stata curata, e aveva iniziato a impossessarsi del giardino, crescendo selvatica ovunque volesse. Lo spazio sembrava non bastarle mai, ne pretendeva sempre di più.
Quel gesto d’amore, la cura per quel fiore che tanto le ricordava suo padre, era andato perduto insieme a lui.
Non aveva mai raccontato a nessuno di quel sentimento di vuoto e di fuga che aveva provato, nel veder crescere quel roseto indisciplinato. Non aveva avuto la forza né di ricominciare a curarsene, né di estirparlo.
Alla fine, era andata via lei.
E quel ricordo era rimasto come un giardino segreto, da non rivelare mai ad anima viva.
Anche per quel motivo, a ogni mazzo di rose rosse che Giovanni le aveva regalato, lei aveva sempre associato un sentimento di mancanza. Come se il messaggio che quei doni avrebbero dovuto narrarle non ci fosse, o fosse incompleto.
Le suore, quel giorno ad Assisi, avevano compreso immediatamente. Anche nella sua relazione mancava qualcosa - l’amore. Che c’era, ma era fraterno. E non era il sentimento giusto. Nel suo legame con Giovanni, mancavano quelle basi solide che sarebbero state necessarie a costruire un futuro insieme. Una vita felice, una famiglia... le voleva, ma non era lui l’uomo giusto con cui realizzarle. 
Le ci erano voluti anni per rendersene conto, ma quando l’aveva finalmente capito, era riuscita ad accettare la fine della loro storia senza rimpianti.
Certo, non era stato facile, aveva impiegato mesi a superare quella rottura. 
L’aiuto non le era mancato, ma Chiara e il maresciallo Cecchini, che da quando lei aveva preso servizio presso la caserma di Spoleto si era prodigato in mille modi, tendevano a essere soffocanti. 
Non era una nuova storia d’amore ciò di cui aveva bisogno.
L’unica cosa che mai si sarebbe aspettata, era che ad aiutarla di più in quel periodo sarebbe stata la persona più lontana da lei che avesse mai incontrato in tutta la sua vita. 
Un uomo apparentemente senza cuore, incapace di provare la minima empatia verso gli altri, alcun tipo di emozione, a parte rabbia verso le donne.
E, povera lei, Anna era una donna, e in quanto tale si era ritrovata vittima di quell’antipatia gratuita.
Si era chiesta spesso quale strano sortilegio avesse colpito quell’uomo, per renderlo tanto freddo e cinico.
Non che lei fosse la persona più indicata a spiegare agli altri come manifestare i propri sentimenti... da quando suo padre era morto, aveva sigillato il suo cuore in uno scrigno impenetrabile. Solo Giovanni era riuscito a sollevare il coperchio, ma di poco. 
Se fosse andata diversamente, non si sarebbero lasciati. Non era colpa di nessuno però, perché lui non si era impegnato a scavare più a fondo, e lei non gli aveva certamente facilitato il lavoro.
 
La relazione con il collega, invece, col tempo era mutata parecchio.
Anna Olivieri e Marco Nardi si erano studiati per mesi, avevano preso le misure e tutto si era incastrato inaspettatamente alla perfezione.
Le battutine di lui erano diventate sopportabili per lei. La maniacalità per l’ordine di lei, accettabile per lui.
Il PM era arrivato quella mattina in sella a una moto, e Anna si era sentita strana, nel vederlo smontare dal suo fido destriero: era completamente diverso da come lo aveva immaginato. Da Capitano dei Carabinieri, aveva sempre pensato che tutti i magistrati indossassero giacca e cravatta, e fossero posati e distinti. Almeno, quelli che aveva incontrato fino a quel momento ben si sposavano con quella descrizione. Nardi, invece, si era presentato in jeans sbiaditi e t-shirt di Springsteen, con una giacca di pelle marrone sopra. E quando si era tolto il casco, una cascata di ricci biondi e ribelli aveva incorniciato un sorrisetto che era bastato a farla innervosire.
Ci avevano messo poco a conoscersi, o almeno così credevano. Si erano fatti un’idea ben precisa l’uno dell’altra che presto aveva mostrato tutte le sue pecche. Perché non avrebbe potuto essere più lontana dalla verità.
Marco non era il casinista, pigro, misogino, apatico e poco professionale PM che lei si era convinta che fosse, dopo il primo caso affrontato insieme.
E Anna non era la donna perfettina, so-tutto-io, multitasking e manipolatrice che lui aveva inquadrato durante le prime settimane di lavoro.
Tutto era diventato più chiaro dopo il piano G di Cecchini, assurdo quanto l’esito della serata.
Sarebbe dovuto servire a far ingelosire Giovanni, e in effetti lo scopo l’aveva raggiunto, ma aveva anche causato diverse incomprensioni tra PM e Capitano. Però talvolta sono proprio gli effetti collaterali a causare i risultati più inattesi. 
E per loro due era stato così.
Era stato lampante, che entrambi si fossero sbagliati circa l’idea che si erano fatti l’uno dell’altra. Proprio per questo avevano cercato di trarre dall’episodio l’opportunità di conoscersi meglio, mettendo da parte ogni pregiudizio, ma restando fedeli a se stessi.
Marco non era la bestia che lei era convinta che fosse. Sì, lo aveva involontariamente associato a una bestia selvatica, perché nonostante gli abiti più eleganti del suo armadio che sfoggiava ogni mattina, c’era qualcosa di perennemente scombinato: una ferita che si portava dietro, che non aveva avuto modo di decifrare, e molto probabilmente lui non gliene avrebbe mai parlato. Ma era chiaro che il suo cuore non fosse di ghiaccio. Il suo animo non era arido come sembrava a primo impatto.
Un cuore di ghiaccio non offrirebbe mai un fazzoletto a una donna col cuore spezzato, né le porterebbe del gelato, al cioccolato con le nocciole tritate sopra, alle dieci di sera, in ufficio. Soprattutto dopo averle sussurrato che piangere non è sintomo di debolezza e che anche lui lo avesse fatto.
Forse, aveva riflettuto Anna, la bestia si era solo chiusa nel suo castello, a curare il suo spazio come fosse un giardino incantato in cui nessuno avrebbe mai dovuto provare a entrare, per difendersi.
E forse aveva subìto quella trasformazione perché un incantesimo di magia nera lo aveva colpito in qualche occasione.
Anna non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma la bestia, quando voleva, sapeva essere un principe.
Uno vero, non come quello dei crackers...
 
Marco non pensava esistesse ancora qualcuno in grado di vedere oltre le apparenze. Non dopo il tradimento subìto. Per la maggior parte, era colpa di quella strega della sua ex, se era diventato così. Una bestia senza cuore, che fingeva apatia per non soffrire di nuovo. 
Era convinto che lei avesse visto esattamente questo, la mattina in cui era tornato a Spoleto per riprendere con il lavoro. Non era stato il modo migliore di presentarsi al nuovo Capitano dei Carabinieri, lo sapeva benissimo, ma era bastato poco per convincersi che non sarebbero mai riusciti ad andare d’accordo, loro due. Mai.
Col passare delle settimane, comunque, le cose erano decisamente cambiate, e pensava di aver imparato a decifrarla, a leggerla a fondo... ma tutte le sue certezze erano crollate come un castello di carte, quella sera.
 
Fermi tutti! Quale sera?!
GRILLO!
Scusate...
 
Quel vestito nero aveva portato alla luce una Anna che non sospettava minimamente esistesse. E non capiva se fosse un bene o un male. Ma sarebbe stata una bugia, dire che non gli fosse piaciuto, ciò che aveva visto.
E infatti non era riuscito a trattenersi dal dirglielo.
Quel rossore che le aveva colorato le gote, dopo il suo complimento, non lo avrebbe mai più dimenticato.
L’abito era stato solo un pretesto, ma forse per la prima volta, lì a bordo piscina, si erano mostrati realmente per ciò che erano l’uno all’altra.
E mentre si era allontanato per permetterle di poter stare da sola con i propri pensieri, aveva avvertito dentro di sé una fiamma che non credeva si sarebbe mai più accesa. Sorridendo tra sé, aveva capito quanto Anna, sotto il costume da Zorro, fosse Bella.
 
Più i giorni passavano, più entrambi si rendevano conto di come il loro modo di vedere il mondo stesse cambiando.
Così come era cambiato il modo di vedersi.
Non era più così facile controllare i propri sentimenti, e la cosa spaventava terribilmente entrambi.
L’arrivo di Elisa, in quel loro fragile equilibrio, aveva contribuito a rendere tutto ancora più instabile e precario. Anna non aveva mai avuto un gran rapporto con sua madre, ed era stato evidente fin da quando l’aveva notata, accomodata nel suo ufficio ad attenderla, ed la giovane era arrossita. Probabilmente un mix di imbarazzo e furia. L’aiuto di Cecchini era stato tutto fuorché utile: Anna non amava le bugie, non le piaceva mentire in generale, e per quanto logoro fosse quel rapporto, non avrebbe mai voluto provocare in sua madre il dolore che le aveva letto negli occhi quel giorno.
In fondo le somigliava, entrambe erano donne tutte d’un pezzo che non accettavano la possibilità che altri potessero aver ragione, mostrando una debolezza che intendevano celare a tutti i costi. Non potevano permetterselo, visto il loro passato. Questo non significava che non si volessero bene, tutt’altro. Forse era proprio quella la ragione che le portava a scontrarsi così spesso.
Ma quel giorno, lo scontro era stato impari.
Quando Elisa le aveva detto “Sei riuscita a deludermi anche tu”, Anna aveva alzato bandiera bianca. Non era da lei rinunciare e ammettere la sconfitta, ma contro quell’affermazione non aveva saputo come ribattere. Come avrebbe potuto? Mentirle era stato un errore, non avrebbe dovuto dare corda al piano assurdo del maresciallo, e nemmeno ignorare il messaggio che la bestia le aveva mandato, chiaro e forte, in quei giorni. Ma mentre batteva in ritirata, una esclamazione rabbiosa le aveva bloccato i passi, inchiodandola al terreno. 
La voce di Marco aveva iniziato a riempire l’aria, appassionata, difendendola a spada tratta dal drago che in quel momento era Elisa. 
Se la ama non le chieda di cambiare, e la ami per quello che è, perché non è niente male.
Anna non era mai stata la persona più romantica del mondo, anzi, ma non aveva mai sentito delle parole così belle indirizzate a lei, per lei. Non da un uomo che non fosse il padre Carlo. Nemmeno Giovanni le aveva mai fatto una dichiarazione simile.
Quando la sua mente aveva realizzato quel pensiero, l’incantesimo che teneva ancorata la Bella era svanito, permettendole di rifugiarsi in caserma, fingendo un orgoglio che in quel momento non provava.
Una fiamma era divampata all’improvviso nel suo petto, ma lei non era ancora pronta ad affrontare le conseguenze che quel fuoco comportava.
La mattina seguente, la Bella e la Bestia avevano affrontato quanto accaduto il giorno precedente: era stata una conversazione breve ma intensa, e Anna, per la prima volta, aveva visto Marco vacillare. Forse si era spinta un po’ troppo oltre con la sua domanda, ma lui per un attimo era sembrato sul punto di risponderle. Il fato però aveva deciso che non fosse il momento giusto per affrontare l’argomento, qualunque esso fosse, e quindi tutto era finito lì.
Anna non aveva mai amato particolarmente il fato, lei era troppo razionale per credere in una cosa tanto imprevedibile, per accettare che le proprie azioni potessero essere in mano ad altri. Probabilmente fu questo il motivo che la spinse a scendere gli scalini della caserma a due a due, per fermare Marco prima che salisse in sella alla sua moto, dopo aver chiuso il caso.
Lo aveva già ringraziato per aver preso le sue difese con sua madre, ma era convinta non fosse abbastanza. Quando era riuscita ad ottenere l’attenzione di quell’uomo impossibile, però, si era sentita incerta.
“Sì?” le aveva chiesto il PM, con un sopracciglio inarcato e un vago sorriso a incoraggiare una spiegazione.
Di fronte a quell’espressione dubbiosa, esattamente come le era successo quel giorno in giardino con suo padre, Anna disse la prima cosa che le venne in mente.
“Mi chiedevo se... sei libero, più tardi, per offrirti un caffè. Per ringraziarti come si deve.”
Marco sollevò le mani. “Ma guarda che non è necessario, davvero...” tentò, ma inutilmente.
Anna non sapeva accettare un no come risposta, quando si intestardiva.
“Allora va bene... Non ti si può proprio dire di no, eh?” accettò infine con un sorriso. Era evidente avesse ceduto solo per non ricominciare a litigare, come succedeva spesso.
Si accordarono per la fine del turno del Capitano, in un bar poco distante dal centro.
Fu una scelta che venne spontanea a entrambi, pur non prestandoci troppa attenzione: Spartaco era a due passi da casa di tutti e due, ma era anche incollato alla caserma, e loro volevano poter passare qualche minuto da soli senza possibili interferenze da parte dei colleghi.
Quando si trovarono, qualche ora più tardi, in borghese e seduti a un tavolino, con un caffè fumante davanti a loro, iniziarono a parlare del più e del meno, come fosse perfettamente normale trovarsi in quella situazione, e come se le ultime quarantott’ore non avessero avuto niente di strano.
Anna avrebbe voluto tirar fuori quel discorso, ma la verità era che non ne aveva davvero voglia: non avevano mai fatto una chiacchierata così rilassata, da quando si conoscevano. Né aveva mai visto Marco così a suo agio, così sereno.
Sembrava quasi avesse deposto l’ascia di guerra che aveva sempre in mano contro il gentil sesso.
O perlomeno l’aveva deposta con lei, perché non era stato altrettanto dolce con la cameriera, che con fare ammiccante aveva tentato di convincerlo a ordinare qualcosa di diverso da ciò che voleva prendere.
Se il Capitano non fosse intervenuta, chiedendole prontamente di portar loro due caffè e interrompendo il battibecco, non sarebbe finita bene.
Proprio non capiva come mai lui si innervosisse tanto quando qualcuno cercava di cambiargli le carte in tavola, anche se si trattava di cose banali come una comanda al bar.
Sembrava che odiasse l’idea che le cose si evolvono, mutano... cambiano, col loro decorso naturale.
Lui, con lei, lo stava facendo. Non era lo stesso uomo che aveva conosciuto quella mattina in piazza, quello che adesso le stava seduto di fronte. Come poteva non vedere la meraviglia di quella evoluzione?
I minuti erano diventati ore senza che nessuno dei due se ne accorgesse, e salutarsi per rientrare a casa aveva portato con sé appena una punta di rimpianto. Ma non era il momento di pensarci, non ancora.
 
Erano passati alcuni giorni da quella chiacchierata, che entrambi ricordavano con estremo piacere perché le cose tra loro erano ulteriormente migliorate.
Conoscersi era stato un dono del cielo, capirsi una splendida scoperta. Passare del tempo insieme, qualcosa a cui nessuno dei due era più disposto a rinunciare.
Ecco perché la notizia che Marco si sarebbe dovuto recare a Roma per qualche giorno per una questione di lavoro, ad Anna non piacque affatto.
Avrebbe dovuto rinunciare alla sua compagnia, a quel senso di leggerezza che lui le infondeva, e per qualche motivo non voleva che accadesse. Si sentì come quelle volte in cui il suo papà partiva per lavoro, lasciandola insieme a persone che non la capivano fino in fondo, nonostante tra queste ci fossero la madre e la sorella. 
Ma non poteva certo impedire al PM di andare a fare il suo dovere da magistrato... Sarebbe stata una mossa infantile, da bambina capricciosa, e avrebbe anche dovuto dare spiegazioni. Impossibile, perché lei non aveva alcun diritto di trattenerlo: si trattava di lavoro, e lei era solo una sua collega. Al massimo, un’amica.
 
Nei giorni della sua assenza, Anna si ritrovò a pensare spesso a lui. Non capiva perché, o forse non voleva ammetterlo, perché non era possibile...
Si ritrovò anche a ridere davanti al film trasmesso in tv quel sabato sera: La Bella e La Bestia. Il destino era proprio deciso a farsi beffe di lei, riportando a galla il ricordo di suo padre e la richiesta della rosa, e tutto ciò che era successo con Marco in quelle settimane. Certo, quella pellicola le aveva fornito molti spunti di riflessione, ma non era riuscita a impedirsi di ridere lo stesso, perché lei non stava vivendo una fiaba, e soprattutto non c’era assolutamente nulla tra lei e Marco, a livello romantico. Non era proprio il suo tipo.
Ridi, ridi. Chi disprezza compra, la canzonò la vocina nella sua mente.
Ci mancava solo la sua coscienza, a prenderla in giro! Scosse la testa: tra lei e Nardi non sarebbe mai potuto nascere nulla, erano troppo diversi.
Certo, continua pure a ripeterlo, che magari ti convinci. Mentalmente, mi raccomando. Praticamente, non muovere un dito.
Quanto detestava la sua mente, quando prendeva certe direzioni! Nemmeno si accorse di aver cacciato un ringhio per zittirla, finché non sentì bussare alla porta.
Cecchini l’aveva sentita, rientrando a casa dopo aver buttato la spazzatura, e si era preoccupato.
La ragazza ci aveva messo cinque minuti buoni a convincerlo che andasse tutto bene, inventando la scusa che avesse sbattuto contro un mobile e la sua era stata solo un’imprecazione per il dolore.
La sera, poco dopo essersi messa a letto, il cellulare aveva vibrato, segnalando l’arrivo di un messaggio.
Sicuramente Chiara, che non aveva ancora afferrato il concetto che lei avesse bisogno di andare a dormire presto anche il sabato, perché capitava che di domenica dovesse lavorare. Di solito le mandava un messaggio, e se lei osava non rispondere, iniziava a chiamarla.
Quando prese il telefono in mano per prevenire la tortura, fu parecchio sorpresa di scoprire che non si trattava di sua sorella, contrariamente alle aspettative.
Il nome al centro del display le fece saltare un battito.
Ah, non ridi più, adesso?
Scosse la testa, tentando di far rallentare il cuore che aveva preso a martellare, cliccando sull’icona a forma di busta che continuava a lampeggiare sullo schermo.
Ciao! Immagino tu stia già dormendo visto che domani sei di turno, e non volevo disturbarti. Non so nemmeno perché ti sto scrivendo, in realtà. È una cosa stupida, anzi, una domanda stupida... ma ormai tanto vale fartela. A me l’hanno posta stamattina, e non ho saputo rispondere. Mi sono chiesto come avresti reagito tu, e quindi... Se ti chiedessero, in questo preciso istante, quale regalo vorresti ti facessero, cosa risponderesti? In realtà, se ho imparato a conoscerti un po’, so che non mi dirai cosa vorresti, né stasera, né domani, né forse mai. E in fondo è giusto così. Lascia stare, in realtà era una scusa per salutarti, e augurarti la buonanotte. O il buongiorno, se lo leggi appena ti svegli. :) 
 
Marco, nel frattempo, si stava dando dello scemo.
Quello che aveva appena inviato era il messaggio più stupido che avesse mai scritto nella sua vita, e si era pentito immediatamente del gesto. 
Tardi, ovviamente, perché la spunta blu aveva chiaramente indicato che lei fosse ancora sveglia e , lo aveva letto.
Si può essere più patetici di così?
Ecco che arrivava il suo Grillo-coscienza a rimproverarlo.
La verità era che Anna un pochino gli mancava. Ma solo un pochino, eh.
Un pochino tanto.
Era una situazione strana. Dopo un sacco di tempo, aveva trovato qualcuno con cui confidarsi. Con cui parlare. Con cui stava bene.
Dopo il doppio tradimento subito, non pensava che avrebbe mai trovato un altro amico o un’altra donna a cui mostrarsi per quello che era realmente. Era convinto che la maschera da bestia che si era scelto sarebbe stata per sempre la sua facciata per tutti, fin dal giorno delle nozze saltate. Ma il fato, a cui lui credeva molto, aveva scelto diversamente per lui.
Mentre si sistemava sotto le coperte, aveva sentito il cellulare vibrare, a segnalare un messaggio appena arrivato.
Una parte di lui avrebbe voluto lanciare l’oggetto dalla finestra e risparmiarsi la figuraccia che sarebbe derivata dal leggere la risposta, perché sapeva che fosse lei, come un sesto senso. Dall’altra parte, invece, voleva sapere cosa gli avesse scritto, anche a costo di coprirsi di ridicolo, perché era certo che quel fuoco che aveva sentito accendersi dentro quella sera a bordo piscina non avrebbe potuto essere ignorato per sempre. Avrebbe dovuto confrontarsi con i sentimenti che aveva iniziato a provare per lei, prima o poi. Però, allo stesso tempo, non voleva rovinare quel legame che erano riusciti a creare con tanta fatica.
Si decise ad afferrare il cellulare, e gli scappò una risata, leggendo.
Ciao. Spero tu non abbia alzato troppo il gomito, visto il messaggio assurdo che mi hai mandato. E hai ragione, non risponderò alla tua domanda. Però al messaggio sì, perché un saluto va sempre ricambiato... Buonanotte! :) ❀ ” 
Alla fine del messaggio, c’era l’emoticon di una rosa rossa. Forse era uscita in automatico mentre Anna digitava la sua risposta, e non aveva fatto in tempo a cancellarla prima di inviare l’sms.
Però quella piccola immagine gli era rimasta in testa per tutta la notte, e magari non c’entrava nulla, ma contribuì alla sua decisione.
Sulla strada di ritorno la mattina, infatti, si era fermato da un fioraio per acquistare una rosa, bianca, prima di tornare a casa a Spoleto. Non sapeva bene perché avesse scelto quel colore invece del classico rosso, ma se pensava ad Anna, le associava istintivamente il colore della purezza. Non aveva esitato, nel prenderla.
Quello che proprio non riusciva a spiegarsi, però, era il motivo per cui non avesse suonato il campanello per consegnarle il fiore di persona, optando invece per lasciarglielo sullo zerbino davanti alla porta.
 
Quando Anna era tornata al suo appartamento, dopo aver salutato Chiara, aveva trovato sul tappeto quella rosa bianca.
Dire che fosse sorpresa era poco.
L’aveva raccolta con delicatezza inspirando il profumo leggero, prima di girare la chiave nella serratura ed entrare in casa, chiedendosi perché mai quel fiore fosse sullo zerbino, e soprattutto chi l’avesse posato lì.
Prima che potesse ragionarci meglio, il suo cellulare trillò.
Era il PM, che le diceva di aver saputo del nuovo caso e che l’indomani si sarebbe presentato in caserma per gli aggiornamenti.
Anna non rispose all’sms, perché la sua attenzione era stata catturata da un dettaglio, alla fine del messaggio che lei aveva inviato a Marco la sera precedente.
Quell’emoticon.
La rosa che teneva in mano.
Un uomo appena tornato da un viaggio di lavoro.
Il cuore saltò un battito, prima di iniziare a martellarle contro il petto.
Uh, fossi in te andrei da un cardiologo. Sta diventando una cosa frequente, questa aritmia...
Dannata vocina e le sue battutine! 
Eppure nulla impedì a un sorriso di farsi strada sulle sue labbra.
 
La mattina seguente, Marco arrivò puntuale in caserma e Anna lo aggiornò sul caso. Lui le parlò del suo breve viaggio, lei lo ascoltò con interesse.
Il Capitano, da brava padrona di casa, lo accompagnò fuori dall’ufficio, fino in strada e poi alla moto.
Congedandosi dal PM, fece una cosa che né lui né lei stessa si aspettavano. 
Gli diede un bacio sulla guancia.
Le sue stesse gote si tinsero di rosso, mentre si ritirava da quel gesto appena compiuto, nel realizzarlo.
E il sorriso stupito e felice di lui certo non aiutò il rossore ad andar via.
In risposta ottenne un cenno del capo in saluto, oltre a quel sorriso, ma Anna sapeva bene che si erano intesi.
Non avevano proferito parola, ma i loro sguardi, nell’incrociarsi, si erano detti tutto ciò di cui avevano bisogno.
Quell’uomo non era la bestia che voleva far credere. Lei non era solo Zorro, in fondo. Poteva essere la sua Bella? Solo il tempo avrebbe potuto dirlo. E quando l’incantesimo che li intrappolava si sarebbe sciolto completamente, allora sì, avrebbero potuto avere anche loro quel vissero per sempre felici e contenti.
 
Allora? Che ne dici, Grillo? Troppo scontata? Accettabile?
 
Zzz... perfetta... zzz...
 
Perlomeno stavolta ha risposto...

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Amore e Psiche ***


AMORE E PSICHE
 
Sei un mito… Sei un mito per meeee...
Grillo, taci da solo o vengo io a metterti a tacere?
Ops… Sorry hahaha… è che c’era Ines che stava spiegando a Marco di come a scuola avessero parlato di un mito e -
E tu sei un Grillo tonto e ti sei messo a cantare Max Pezzali.
Allora: punto primo, porta rispetto a Max Pezzali. Secondo, la canzone risale all’epoca degli 883 e terzo, sempre di mito si parlava. Canzone o lezione di scuola che sia.
Peccato che siano due miti diversi! 
Come sei puntigliosa… Comunque a me i miti piacciono.
Ma se non sai manco cosa sono!
Sì che lo so. Per esempio, la storia di Amore e Psiche è un mito.
Uellà, punti in alto con le citazioni, Grillo, quando devi far vedere che non sei scemo…
Ah ah ah. Per tua informazione, l’ho letto in un libro di storia dell’arte, per via dell’opera di Canova. Molto bella.
Non pensavo sarebbe mai arrivato il giorno in cui ti avrei dato ragione su qualcosa. Eppure eccomi qui.
Lo dici tutte le volte che mi dai ragione. Ma a parte questo, la storia potrebbe essere molto carina da raccontare a Lottie. Ora vado a cercare il libro per leggergliela.
Perché invece non glielo racconti a modo tuo… o meglio, nostro?
Quello sguardo lo riconosco. Ti è venuta un’idea malefi- volevo dire geniale, delle tue!
Farò finta di non aver sentito cosa stavi per dire… e ora ascoltami attentamente, che si è fatta anche una certa ora e così magari stanotte dormi e lasci dormire pure noi… Dove sei andato? Che ci fai con quel cappello? 
Sono andato a mettere il pigiama, non ti piace?
Il pigiama dell’epoca del mio trisavolo. Vuoi veramente che risponda?
Uhm… Racconta la storia, va…
Ottima scelta. Allora…
C’era una volta, o meglio qualche anno fa, una giovane coppia di innamorati intenti a godersi la loro neo-nata storia d’amore. Ce ne avevano messo di tempo i due ragazzi, a dichiararsi l’uno all’altra, ma tra messaggi in punto di quasi-morte, l’aiuto di un paio di birre e una geisha speciale - che poi tanto geisha forse non è mai stata – alla fine ci erano riusciti, e in una magica notte innevata di metà agosto - no, non c’è nessun errore in quello che ho scritto, i miracoli esistono -, un bacio aveva coronato l’inizio di un’avventura in cui si perdono delle cose e se ne prendono delle altre, in cui si cambia perché è bellissimo cambiare, insieme. 
Il primo grande ‘ostacolo’ per la coppia era stato spiegare al cupido pasticcione - meglio noto come Maresciallo Cecchini - come fosse potuto succedere che un secondo prima Marco stesse con Chiara e un secondo dopo con Anna, nonostante lui conoscesse perfettamente i sentimenti di tutti e tre. L’espressione di Anna quando Marco, nello spiegarsi, aveva affermato fosse iniziato tutto con una soffiata anonima che lo aveva avvisato dell’apparentemente imminente matrimonio della Capitana, era stata impagabile: il suono della sua risata per il PM era quasi un dono degli Dei. 
Magari a Don Matteo diciamo che è un dono di Dio, che preferisce…
Grillo...?
Che c’è? Guarda, Vocina, che glielho detto anche quel giorno che sta cosa l’ha pensata, che è meglio non dire Dei
Poi sono io quella puntigliosa. Torniamo alla storia, che è meglio.
Inutile dire che Cecchini li avesse tempestati di domande. I due giovani avevano erroneamente pensato di riuscire a evitare superflue spiegazioni, che bastava lui sapesse che si fossero messi insieme. Tuttavia, erano consapevoli di essere arrivati fin lì anche grazie al loro speciale cupido pasticcione e quindi le risposte erano d’obbligo. Non si aspettavano però la grande gioia con cui lui e tutta la caserma avevano accolto la notizia che li dava finalmente – avverbio usato praticamente da tutti – insieme. Quasi come se tutti si aspettassero accadesse. Quando tornando a casa quella sera, dopo il lavoro succeduto al Natale d’agosto, i due avevano ripensato agli eventi della giornata, si erano messi a ridere di fronte all’evidenza che solo loro diretti interessati non avessero capito di non essere solo colleghi, al massimo amici, perché tutti ci erano già arrivati anni luce prima di loro.
Dal loro punto di vista, però, il percorso che li aveva condotti fino a lì era stato più che necessario. Le loro ferite avevano avuto bisogno di cure lente e mirate. Non si può dimenticare chi si è amato in un battito di ciglia. Non si può sanare la ferita di un tradimento dall’oggi al domani. Ogni azione ha la sua reazione, sia su chi la compie che su chi la subisce. Per questo, spesso, ci si ritrova a costruirsi muri altissimi intorno, come avevano fatto loro. Perché il passato può fare male, bello o brutto che sia. E Marco e Anna lo sapevano bene. 
Ecco perché per Anna era stato più facile convincersi che quel bacio fosse stato un errore. Che il sorriso sulle sue labbra, quella sera per caso a cena da Marco, fosse solo dovuto alla battuta su Giovanni e i preti. Che se Marco alla fine aveva scelto Chiara, l’importante era che fossero felici entrambi. Perché amare significa innanzitutto sperare che l’altra persona sia felice, con o senza di te.
Per Marco non era andata poi tanto diversamente. Anche per lui era stato più facile accettare le parole di Anna che definivano il loro bacio un errore. Sì, perché a suo avviso era meglio saperlo subito se i suoi sentimenti fossero ricambiati o meno, perché scoprirlo a dado tratto - per esempio il giorno prima del matrimonio, come gli era successo in passato - non sarebbe stata certo una passeggiata rilassante. Restare amici era stata la soluzione più semplice e indolore, pensava. Che poi, viste le premesse dei primissimi giorni, era già più di quanto si sarebbe mai immaginato di raggiungere con lei. 
Marco non era mai stato troppo capace a esprimere i suoi sentimenti, anzi. Bastava pensare a quando aveva rinunciato al suo sogno di diventare attore perché incapace di contraddire suo padre. Quando aveva imparato a farlo, era stato troppo tardi. Ma per quanto potesse essere difficile intavolare un discorso di un certo tipo col genitore,  quando c’erano di mezzo donne era anche peggio, ad esternare i suoi sentimenti. Non era un don Giovanni – nel senso di Casanova eh, mica di prete come quell’altro – ma le ragazze a quanto pare vedevano in lui qualcosa di affascinante. E Marco, nel tentativo di capire cosa quelle fanciulle ci trovassero in lui, che era molto insicuro sul suo aspetto fisico e sul suo carattere, finiva quasi sempre col perdersi in congetture, in inutili tentativi di adeguarsi all’idea che le sue ammiratrici si erano fatte, per poi ritrovarsi solo e snaturato. La storia con Federica era solo la punta di un iceberg ben più grande, quello stesso iceberg di paure che per lungo tempo gli aveva impedito di dichiararsi all’unica donna che nella sua vita lo avesse accettato per come era e che si era mostrata a lui senza filtri. Che lo aveva fatto innamorare nel modo più puro e totalizzante possibile.
Alcuni potrebbero definirli due casi persi, i nostri protagonisti, ma è veramente una causa persa sperare che l’amore trionfi? Se così fosse, non saremmo qui a raccontare questa storia, non saremmo qui a indagare come la psiche e l’eros funzionino in due esseri umani che, pur nella loro singola imperfezione, se insieme riescono a diventare perfetti. 
Dalla notte del Natale ad agosto, niente era stato più uguale a prima. E le sfide nella vita non finiscono mai: perché una storia duri, si deve passare, oltre che per gli alti, anche per i bassi che il fato riserva ai comuni mortali. Una serie di prove da superare. E Anna era stata la prima dei due a doverne affrontare una in particolare, la più infida: la gelosia
Una calda mattina di inizio settembre, mentre si recava a lavoro, infatti, il fato aveva piazzato sul suo cammino una donna alta, bionda e - a giudicare dall’accento – ligure. Solo che lei, al suo ingresso, aveva assistito da lontano.
Mentre Marco attendeva con Cecchini l’arrivo di Anna in piazza, una donna gli si era avvicinata a grandi falcate, salutandolo calorosamente con la mano. Dire che il PM fosse stupito sarebbe un eufemismo. La donna era alta, bionda, occhi azzurri e di sicuro ligure. Di questo Marco era stato certo non appena lei aveva aperto bocca. E nello stesso preciso istante, era convinto di aver sentito il Grillo nella sua testa mettersi in moto e aprire tutti i cassetti della sua memoria per capire se, dove, come e quando avesse già incontrato quella donna. Per fortuna sua e del suo Grillo, fu lei a spiegarsi e a ricordargli come si conoscessero.
Proprio mentre la donna era sul punto di iniziare a spiegare, però, al suo fianco, con un sopracciglio inarcato e un’espressione confusa, si era finalmente palesata la sua fidanzata. Dopo averla salutata con un bacio sulla tempia, Marco si era rivolto nuovamente verso la donna con cui stava parlando, pronto a presentarla alla fidanzata, salvo rendersi conto che in realtà non ne conosceva o ricordava il nome, né sapeva bene chi fosse. Lei si era rivolta ad Anna, presentandosi da sé e porgendole la mano dalle unghie smaltate di rosso con un sorriso affabile.
“Piacere, Greta.”
Bastò il nome perché in Marco finalmente si aprisse il giusto cassetto della memoria. Greta parve accorgersene, allargando il proprio sorriso nel notare che l’amico di gioventù stesse finalmente ricordando. 
Nel frattempo, Anna aveva proceduto a ricambiare la presentazione, sebbene avesse avvertito il fastidio di uno strano nodo allo stomaco, e non capiva il perché. Una lieve stretta al braccio la riportò alla realtà.
“Ehi, tutto bene?” Le chiese Marco sottovoce, le sopracciglia corrugate in un’espressione perplessa.
“Sì, sì...”
Certo, che stava bene. Perché non avrebbe dovuto? Sì, si era un attimo persa a studiare la figura della donna, a domandarsi perché Marco avesse messo su quell’espressione felice nel rivederla e perché questa cosa le desse fastidio, ma stava bene. 
Un giorno imparerai a non mentire a te stessa.
Ma non è questo il giorno.
A un tavolo del Tric Trac di Spartaco erano ora seduti Marco, Anna, Greta e il Maresciallo Cecchini, che per un attimo gli altri tre si erano dimenticati fosse con loro davanti alla caserma, mentre erano intenti a studiarsi. Il Maresciallo aveva rotto il silenzio che si era fatto imbarazzante, presentandosi a Greta e proponendo di andare a prendere un caffè al bar per conoscersi. E così avevano fatto. 
Non fu difficile per Cecchini notare che Anna non aveva staccato gli occhi da Greta neppure per un secondo da quando l’aveva vista. Nella sua testa, era già perfettamente chiaro che la Capitana fosse gelosa, e quello che scoprirono di Greta certamente contribuì a renderlo più evidente. Soprattutto per il modo in cui venne fuori.
Marco aveva iniziato a conversare con Greta in maniera molto amichevole. Fu subito palese che si conoscessero bene. Da quanto narrato da Marco, lui e Greta erano stati compagni di classe ai tempi del liceo, e condividevano la stessa passione per il teatro. Avevano anche frequentato lo stesso gruppo teatrale e a quanto pare erano stati anche i due migliori attori della compagnia, tanto da ricoprire quasi sempre il ruolo da protagonisti nelle pièce che mettevano in scena. Sebbene sia superfluo sottolinearlo, dirlo a voi perché lo sappiate, cari lettori, non nuoce: spesso i due interpretavano i protagonisti di storie d’amore, le più richieste dal pubblico. 
Dallo sguardo ammaliato che Greta stava rivolgendo a Marco mentre rievocavano il passato, quei ruoli le erano piaciuti molto e li aveva ben impressi nella memoria. Ecco perché gli occhi di Cecchini saettavano da lei ad Anna mentre la bionda parlava dei bei tempi passati in teatro col PM. Anna esternamente era impassibile, con il suo lieve sorriso sulle labbra che più finto non poteva essere. Finto, avete letto bene.  Perché dentro, i sentimenti che provava erano tutt’altro che felici. Il nodo allo stomaco si stava facendo sempre più forte. E la voce delle sue paure sempre più insistente in lei. Sì, paure. Quelle che la portavano sempre a commisurarsi agli altri, o meglio, alle altre
Greta era indubbiamente una bella ragazza, una vera e propria donna e non solo per l’età anagrafica che la rendeva coetanea di Marco, a differenza sua. Nella mente di Anna, l’immagine di Greta poteva essere facilmente assimilata a quella della geisha descritta nel libro che Chiara le aveva regalato ai tempi per riconquistare Giovanni. Ciò non significava che la ritenesse una geisha in senso stretto, ma era evidente che Greta possedesse tutto ciò che un uomo può desiderare in una donna: bellezza, fisico da paura, charme e femminilità. Insomma, quello che Anna riteneva essere più lontano da lei in questo mondo. Lei era Zorro, Greta poteva benissimo essere Cenerentola, Odette o Aurora. O tutte e tre insieme. O qualsiasi altra principessa possa venirvi in mente. E per quanto Anna sapesse che a Marco lei piaceva così com’era, non poté fare a meno di notare come lui la guardasse. Sicura che non ti sei immaginata quello sguardo? Perché io non l’ho vistoinsisteva la Vocina nella sua testa. Non le era chiaro perché la sua coscienza si stesse occupando di dar voce ai suoi sentimenti. Non doveva essere la sua parte razionale? Perché dava voce al suo cuore? Però, nel suo animo, Anna sapeva e sperava che Vocina avesse ragione e che quello sguardo l’avesse solo immaginato. Che era la sua insicurezza a farle vedere cose che non c’erano. Ma era altrettanto facile immaginare che invece fosse vero e che forse era un po’ - un po’ tanto - gelosa.
Sì, perché mentre Greta continuava a parlare con Marco, il nodo allo stomaco di Anna si faceva sempre più stretto. E come se paragonarsi a lei a livello estetico non fosse abbastanza, ci si mettevano anche gli hobby in comune. Greta amava calcio, Formula Uno, teatro, a quanto pare era anche molto brava in cucina. Forse a pensarci bene, non assomigliava solo alla geisha in copertina al libro. Forse lo era proprio. Le sembrava di rivivere da capo quanto accaduto con sua sorella, mesi prima. Solo che Chiara fingeva e Anna questo lo sapeva. Ma Greta non la conosceva, poteva essere vero come no che amasse quelle cose. E mentre i due liguri parlavano, non poteva fare a meno di paragonare ogni cosa dell’altra a se stessa.
“Certo che una squadra meno sfigata del Genoa da tifare potevamo scegliercela, eh?”
 
Pure la stessa squadra del cuore avevano in comune! Anna non amava il calcio. Aveva cercato di impegnarsi, anche per il suo fidanzato, ma continuava a non capire cosa ci potesse essere di interessante in ventidue giocatori che correvano dietro a un pallone - unica cosa che sapeva dell’argomento, 11 vs 11 in campo. Ecco, sul calcio non poteva competere con Greta. Non avrebbe saputo reggere un discorso sull’argomento con Marco come invece lei stava facendo, che il tono fosse serio o scherzoso come ora. 
1 a 0 per Greta, ma su autogol di Anna stessa.
Divertente, la sua Vocina aveva deciso di fare la telecronaca della sua disperazione.
 
“Ancora appassionato di Formula Uno? Sarai sorpreso di sapere che lì invece mi son dovuta ricredere…”
 
Ah, finalmente una cosa che piaceva anche ad Anna, mentre a quanto pare a Greta non piaceva più. 
 
“Sei diventata tifosa della Mercedes? Sapevo che avresti cambiato sponda.”
 
Il cenno di conferma che Greta rivolse a Marco era stato sufficiente a smontare i sogni di gloria di Anna. Aveva esultato troppo presto: la genovese era ancora appassionata di gare di automobili, aveva solo cambiato scuderia preferita. Marco tifava Ferrari. Come te… Giusto, Vocina. 
1 a 1 e palla al centro. 
“A giudicare dalla tua stazza, non hai rinunciato ai grassi idrogenati! Hahaha!”
 
Anna avrebbe voluto controbattere a quello che per lei suonava come un insulto. Marco stava benissimo così, anche se aveva qualche chiletto in più del peso forma per la sua altezza. Ma la risata di Marco all’affermazione aveva fatto stringere ulteriormente il nodo nello stomaco. Marco era un ottimo cuoco, cucinava da Dio, ma era anche un’ottima forchetta. E a quanto pare lo era sempre stato. Greta a vederla non sembrava una gran mangiona, tutt’altro. Quel fisico slanciato e sinuoso, da dea Venere, era sicuramente il frutto di tanta attività fisica e cibo sano. Ma sull’argomento ne sapeva parecchio, a giudicare da cosa stava spiegando a Marco. Anna non poteva competere. Sì, le lezioni di cucina avevano dato i loro frutti, ma lei era ancora un’allieva alle prime armi in attesa di superare il maestro, a confronto. E anche lei era una sportiva, ma arti marziali e paracadutismo erano ambiti decisamente inusuali, per una donna.
2 a 1 per Greta.
“Reciti ancora?”
 
Il velo di tristezza nella voce di Marco nel porre la domanda che più gli premeva non passò inosservato, per Anna. Greta rispose subito di sì, che lo faceva come hobby, dato che era diventata medico come voleva suo padre. Anna non poté fare a meno di spostare la sua attenzione sul suo fidanzato, dopo quella risposta. Con una frase, Greta era riuscita a colpire Marco in uno dei suoi punti più deboli. Anna non era certa che Greta ci avesse fatto caso, dato che aveva proseguito la sua spiegazione senza dare segni di turbamento. Ma neppure se ne sarebbe potuta accorgere guardando Marco, che continuava ad annuire come se niente fosse. I suoi occhi, tuttavia, raccontavano una storia completamente diversa, a dimostrazione però che fosse un buon attore, e che avesse fatto di necessità virtù, perché nessuno si sarebbe potuto accorgere che stesse fingendo un entusiasmo che non provava. Sarebbe stato un ottimo attore, se avesse perseguito il suo sogno. Anna non poteva però negare in cuor suo che, egoisticamente, un po’ era felice che non lo avesse fatto. Era grazie all’imposizione del padre di Marco, che alla fine si erano conosciuti. Se Eugenio non lo avesse obbligato a intraprendere la strada della magistratura, loro due non si sarebbero mai incontrati, e sarebbe stato un grande peccato. Su questo aspetto Anna non sapeva se il punto spettasse a Greta o a lei. Certo, Greta era molto più ferrata di lei sull’argomento, visto che ai tempi era probabilmente presente, ma era anche vero che fosse un tema delicato per Marco, e magari lui aveva preferito tenerlo per sé. Quindi forse il punteggio rimaneva invariato. Peccato solo che Greta fosse in netto vantaggio.
La chiacchierata tra Marco e Greta andava ormai avanti da un po’. Nel mentre, Cecchini aveva speso il suo tempo ad osservare i due interagire, con Anna apparentemente intenta ad ascoltarli. ‘Apparentemente’, perché era evidente invece che nella sua testa stesse rimuginando a tutta forza. Avrebbe potuto quasi scorgere il fumo uscire dalle sue orecchie per il troppo lavoro del suo sistema nervoso, se si fosse concentrato un pochino in più. Cecchini era un esperto quando si trattava d’amore: Anna era gelosa, gelosissima. Non che servisse un esperto a capirlo. Greta si stava presentando come una versione aggiornata di Chiara, la sorella della Capitana. Gli era quasi sembrato di rivivere, in quei minuti trascorsi lì, il lungo percorso degli ultimi mesi tra le sorelle Olivieri e Nardi. Aveva già visto soffrire Anna una volta, e ora che era finalmente felice, il Maresciallo non poteva permettere che una donna riapparsa dal nulla rovinasse tutto. 
Dopo un’eternità senza nessuno a interromperli, Cecchini si inserì allora nel discorso tra i due liguri. 
“Come mai da queste parti, signorina Greta?”, chiese, fingendo noncuranza. La domanda suonò un po’ più brusca di come avrebbe dovuto essere nelle intenzioni, ma ormai era tardi per ritrattarla senza fare danni. 
Lei sembrò non farci troppo caso, rispondendo allegramente senza esitare. “Oh, soggiorno a Perugia per un convegno di medici, ma avevo la giornata libera e ho pensato di approfittarne per visitare qualche paesino vicino. Di certo non avrei mai immaginato di incontrare Marco qui a Spoleto! Io ero rimasta al suo trasferimento a Roma per l’università, quando abbiamo terminato il liceo, ma essendoci persi di vista, non avevo saputo più niente di lui. Ho incontrato tuo padre Eugenio a Genova, qualche volta, ma non mi ha mai detto nulla”, aggiunse, scoccando uno sguardo accigliato in direzione del magistrato.
Quasi l’aria si fosse fatta improvvisamente opprimente, Anna si ridestò, e decise che era giunto il momento di andare in caserma a lavorare. Era già in estremo ritardo, in effetti, e non era da lei. Con un colpo da grande attrice consumata - quale in teoria non era, ma non era la prima volta che una recita le riusciva così bene -, spostò gli occhi sull’orologio che portava al polso destro per poi esclamare fosse tardissimo. Lei e Cecchini si alzarono quindi per andare via, salutando in fretta e lasciando Marco e Greta da soli. Marco seguì con lo sguardo la sua fidanzata che si allontanava, un po’ stupito che lei non lo avesse salutato con un bacio come oramai – con sua grande gioia – era solita fare. Greta non poté non notare le sue azioni.
“Tutto bene?” chiese gentilmente, intravedendo nello sguardo dell’amico di gioventù un desiderio che conosceva bene. Marco però non aveva voglia di approfondire i suoi dubbi con una donna che nonostante tutto non conosceva più, per cui si limitò ad annuire, cambiando discorso. 
Anna scoprì da Zappavigna che il PM aveva chiamato per informarli che sarebbe tornato in caserma nel pomeriggio per gli aggiornamenti, dato che a pranzo aveva fissato un appuntamento inderogabile. 
Sono certa che c’è una spiegazione diversa alla definizione di ‘appuntamento’, sentì Vocina affermare nella sua testa mentre osservava la piazza dalla finestra del suo ufficio. “Certo che c’è una spiegazione. L’appuntamento si chiama Greta”. 
Anna non si accorse di aver risposto alla sua coscienza ad alta voce finché il maresciallo non parlò. “É una donna molto bella…” Il Capitano saltò in aria per quella esclamazione improvvisa. Quando si voltò, Cecchini si era già messo a suo agio, seduto sul divanetto nell’angolo. Le fece segno di raggiungerlo, quando Anna con la mano sul petto per lo spavento arrecatole dallo stesso, si fu ripresa. “Ma Nardi ama Lei”.
Come facesse sempre a sapere tutto quell’uomo, Anna non se lo sapeva spiegare. Eppure era evidente che i suoi metodi fossero infallibili, perché si era accorto della sua gelosia. E non certo per quelle poche parole che aveva pronunciato tra sé poco prima. Prendendo posto di fianco al Maresciallo, dopo una breve esitazione, si portò le mani al volto per tentare di nascondere l’incertezza e il rossore. “Sono stupida, vero?”
Cecchini non era d’accordo. 
“No, è innamorata”, le rispose infatti, con semplicità.
Sollevando lo sguardo verso l’uomo divenuto quasi un padre per lei, fu accolta da un bellissimo sorriso. Non poté fare altro che ricambiarlo, rincuorata. Parlò con Cecchini durante l’intera pausa pranzo. Le fece bene, anche se le parole dell’uomo non riuscirono ad assopire completamente la sua gelosia. Continuava a ripetersi che Cecchini fosse di parte, e che ovviamente elogiasse lei e non Greta. Quest’ultima però sembrava perfetta per Marco, avevano un sacco di cose in comune. Prima di andarsene dal suo ufficio, Cecchini le aveva assicurato che non c’era nulla da temere, che le cose si sarebbero aggiustate. La donna presto sarebbe diventata nuovamente un ricordo e se ne sarebbe andata, e il suo arrivo improvviso non aveva davvero comportato nulla. Non doveva lasciare che la gelosia distorcesse la realtà.
A mezzogiorno, Marco era dovuto correre dall’altra parte di Spoleto per un pranzo di lavoro inderogabile. Non aveva potuto dire di no al collega che lo aveva invitato e si era visto costretto ad accettare, anche se avrebbe di gran lunga preferito passare la pausa con Anna. Soprattutto dopo quanto accaduto quella mattina con la comparsa di Greta, sbucata letteralmente dal nulla. 
Era stato bello rivederla. Greta era stata un’amica importante per lui ai tempi del liceo. E col tempo era diventata anche molto bella. Non che in passato non lo fosse, ma come dimenticare i pianti della ragazza quando era stata costretta a mettere occhiali e apparecchio ai denti in seconda superiore? La melodrammaticità, da grande attrice quale era, con cui aveva annunciato la cosa agli amici se la ricordava bene. Avevano riso tutti di cuore. E alla fine l’avevano convinta che non sarebbe stato uno sforzo vano, che quella punizione - come lei l’aveva definita - sarebbe stata ripagata ed era evidente che così era stato. Greta era stata l’unica ragazza ai tempi del liceo a non aver mai preteso che lui si comportasse diversamente da come era. Una vera amica. Almeno per lui. Al termine della scuola aveva scoperto che invece lei aveva più volte sperato di poter cambiare lo stato delle cose tra loro. Sì, insomma, era interessata a qualcosa di più, sperava potesse nascere un amore da quella loro profonda amicizia. Ma non era mai successo nulla. Rimembrando il passato quella mattina, era diventato evidente il perché lei fosse convinta che sarebbe potuto nascere qualcosa tra loro. Erano in perfetta sintonia su molte cose. Avevano le stesse passioni, lo stesso senso dello humour, la stessa genovesità. Ma se c’era una cosa che aveva imparato dalla storia finita male con Federica, era che essere troppo uguali non andava bene in una coppia. Che la monotonia poteva stancare più dei continui litigi causati dall’essere troppo diversi. Federica aveva tentato di trasformarlo in una copia sbiadita di sé, e non era esattamente finita benissimo. Ci voleva equilibrio. Come tra psiche e amore, tra cervello e cuore. Troppa razionalità ti danneggia, e troppo impeto anche. La ricerca dell’equilibrio non è facile. Ma se non si riesce a scovarlo dentro di sé, in qualche parte del mondo lo si può trovare. E lui ci era riuscito. Non era stato facile, vero. Aveva dovuto cambiare - senza rendersene conto - molte cose nella sua vita. E nel tragitto ne aveva perse altre – come aveva detto Anna quella sera! Ma era certo, ora, che ne fosse valsa la pena. 
Testa e cuore avevano fatto pace. Amore e Psiche coesistevano in un’armonia perfetta.
Nel viaggio in auto di ritorno verso la caserma, si era preso del tempo per riflettere sugli eventi di quella mattina. Anna era stata, stranamente per lei, molto silenziosa. Non era mai intervenuta mentre lui parlava con Greta. L’unica sua azione degna di nota era stata nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati quando Greta aveva spiegato di aver perseguito sia il suo sogno che la volontà del padre. Era certo che Anna fosse stata l’unica a capire che effetto avessero avuto quelle poche parole, pronunciate con noncuranza, su di lui. 
Non era stato facile accettare la realtà, all’epoca, ancor meno quando sua madre era venuta a mancare. Non era stato bello nemmeno scoprire che suo padre non parlasse mai di lui. Non che si stupisse, visti i loro rapporti irrimediabilmente incrinati, ma forse il ragazzino che sperava di vederlo presente nei momenti importanti della sua vita ancora un po’ esisteva in Marco e continuava a sperare, forse vanamente, che un giorno le cose potessero aggiustarsi. Mentre parcheggiava l’auto, per poi dirigersi a piedi verso la piazza, si ricordò anche che quella mattina Cecchini a un certo punto era intervenuto con una domanda “strana”, che non c’entrava nulla con quanto detto fino a quel momento. Perché voleva sapere come mai Greta era lì? Era ovvio che fosse di passaggio, e che fosse stata una coincidenza, incontrarsi. A che serviva quella freccia scoccata così dal nulla? Fu in quel momento che - contro ogni logica - Grillo gli ricordò una frase di una storia che aveva letto all’epoca del liceo. Era parte di una qualche versione di latino o qualcosa del genere: “…Ma il dio sbagliò mira e la freccia d'amore colpì invece il suo piede…” Mi sa che non ha sbagliato il piede, Cupido….
Marco non voleva credere a quanto il Grillo nella sua testa stesse tentando di dirgli. Non poteva essere, non era possibile che... Perché avrebbe dovuto? Greta era un’amica di gioventù. Nient’altro. Un’amica che però – stranamente – condivide con te un gran numero di passioni comuni, e a cui non hai presentato Anna come tua fidanzata, bensì come capitano dei carabinieri… Ora, ti faccio un disegno o ci arrivi da solo?
Per fortuna, la testata al volante dell’auto - col rischio che scattasse l'air bag tra l’altro - per maledirsi non la diede veramente, ma la immaginò solo. Anche se forse, a pensarci bene, una botta non gli avrebbe fatto neanche male.
Come aveva potuto essere tanto cieco e stupido? Non aveva agito per ottenere quelle reazioni. Tutt’altro. Non aveva proprio nemmeno lontanamente pensato di fare una cosa del genere. Lui amava Anna. Aveva impiegato mesi a cercare di sopprimere i suoi sentimenti dopo che per lei il loro bacio era stato solo un errore. Non ci era riuscito ed era certo non ci sarebbe mai riuscito, nemmeno a volerselo imporre. Non aveva mai provato prima ciò che provava per Anna. Nemmeno con Federica, che pure stava per sposare. 
Il suo essere completamente perfetta nella sua imperfezione, l’essere cosciente di ciò e per questo fragile ma non volerlo ammettere, aveva fin da subito fatto emergere in lui la necessità di doverla protegge per l’eternità da ogni male. Zorro doveva smettere di aiutare gli altri a proprie spese. Doveva godersi la felicità. Essere felice. E lui avrebbe dovuto renderla felice. Ogni giorno. Eppure quella mattina non lo aveva fatto. E, ripensando agli occhi di lei mentre si allontanava dal bar per correre in caserma, si rese conto che doveva rimediare. Al più presto.
 
Quella sera, a casa, lo stomaco di Anna non ne volle sapere di collaborare. Chiuso in se stesso come la sua padrona, si rifiutava di accogliere cibo. Tranne quelle tre o quattro cucchiaiate di Nutella che a forza Anna si era imposta di ingerire, per tentare di mandare giù insieme alla crema la tristezza di quella giornata. Fu mentre riponeva il barattolo nella credenza che il campanello suonò. Quando aprì la porta rimase impietrita. Che doveva fare? Chiuderla in faccia all’avventore? Urlare contro l’avventore? Fare finta di nulla? Cacciarlo? Oppure magari farlo parlare? Sicuramente è qua per un motivo e c’è una spiegazione a tutto. Forse Vocina andava ascoltata. Dopotutto, quel pomeriggio non gli aveva lasciato modo di parlare di altro se non lavoro. Se ora Marco era lì, un motivo c’era. 
Lo lasciò quindi entrare e richiusa la porta lo seguì fino a mettersi - guarda il caso a volte - di fronte all’isola della cucina, come la sera dell’errore.
Passarono istanti di attesa, in cui lo vide guardarsi attorno, come se non conoscesse già la casa e dovesse studiare l’ambiente. Quando lui aprì la bocca riuscì solo a dire “Scusa”, per poi tornare a boccheggiare come un pesce rosso. Anna era stufa di attendere che Marco trovasse il coraggio di dare voce alle sue emozioni e ai suoi pensieri. Voleva sapere. Voleva sciogliere il nodo allo stomaco. Voleva sentirsi dire dall'uomo impossibile e che amava che Cecchini e Vocina avevano ragione. Che si era immaginata tutto. Anche se ci credeva poco. 
“Dov’eri a pranzo?” 
Quattro parole. Niente inutili abbellimenti. Una domanda che richiedeva una risposta altrettanto rapida ed esplicativa. “Pranzo di lavoro.”
Solo tu potevi trovarti in questa situazione, dove la risposta è vera ma in questa stessa circostanza viene spesso usata come scusa. La risata sprezzante accennata da Anna, a conclusione delle parole del Grillo nella sua testa, era stata la conferma dell’ironia della situazione.
A quel punto fu chiaro che doveva spiegarsi meglio, non poteva lasciare che un misunderstanding rovinasse tutto. Quasi in punta di piedi per paura di svegliare qualcuno, con la voce più delicata e calma del mondo, Marco cercò di spiegarsi. Non stava mentendo, a pranzo era veramente ad un appuntamento di lavoro. Il problema però stava nel fatto che Anna non fosse molto bendisposta alle parole scontate, in quel momento.
“Avevate una storia?” 
Eccola, la domanda sganciata come una bomba nel bel mezzo del suo tentativo di spiegare la questione del pranzo. Era veramente gelosa. Dopo un respiro profondo che tenne Anna col fiato sospeso per un tempo che le sembrò eterno, arrivò la risposta: “No, mai”. Quando sollevò lo sguardo per incrociare quello di Marco, Anna si sentì sprofondare per la vergogna. Si sentì stupida. 
Gli occhi del suo fidanzato erano cupi, lucidi, come se la stesse supplicando di credergli, perché la combinazione di eventi della giornata giocavano a suo sfavore e ne era cosciente. Anna aveva messo in dubbio se stessa e la loro storia appena nata solo perché una donna del passato di cui non sapeva nulla e nemmeno conosceva si era presentata all’improvviso in mezzo a loro. Aveva lasciato che la sua razionalità venisse sopraffatta dall’istinto. Era stata una stupida a non fidarsi. 
Due dita a fare leva sotto il suo mento la riportarono alla realtà. 
“Scusa”. 
Di nuovo quella parola. Doveva essere lei a chiedere scusa, non lui. Ma Marco non aveva finito. 
“Mi dispiace. Non avrei dovuto lasciarti presentare come il Capitano, la tua divisa era più che sufficiente. Avrei dovuto dirle che sei la mia fidanzata, perché tu sei una parte essenziale della mia vita, e avresti capito quel passato che stava tornando a intrecciarsi col presente meglio di chiunque altro. Non avrei dovuto tagliarti fuori, senza pensare che potesse farti male. Scusa.” 
Nulla, tuttavia, sembrava convincere Anna che non dovesse sentirsi stupida per aver dubitato di loro e di se stessa. Ma Marco sapeva che c’era un solo modo per far breccia: “Comunque… sei ancora più bella quando sei gelosa”. 
Quelle parole fecero immediatamente effetto sull’orgoglio di Anna.
“Io? Gelosa? Ma quando mai...!” 
Ma l’intonazione della voce l’aveva tradita miseramente e il sorriso di Marco pronto a divenire risata ne era conferma. “Okay, sì. Sono gelosa! Contento?”
Marco non era contento, non aveva fatto quella battuta per sentirsi dire che aveva ragione. 
“Non mi interessava aver ragione. A me interessa che tu sappia che ci sei solo tu per me”. 
Se era un sogno, Anna non voleva svegliarsi. A me interessa che tu sappia che ci sei solo tu, per me. Nella sua testa le parole riecheggiavano senza che potesse, né volesse fermarle. Sei stupida, Anna, ma puoi rimediare. Solo la sua coscienza poteva aiutarla a destarsi dalla dichiarazione di Marco insultandola, ma fu sufficiente. Un passo e le loro labbra si incontrarono. Erano passate ventiquattr’ore dall’ultima volta. Pareva trascorsa un’eternità.  
Un doppio “Ti amo” all’unisono, non appena le loro labbra si separarono, riempirono l’aria nella stanza. E mentre Anna cercava il modo di scusarsi per come aveva agito abbracciandolo forte, Marco l’aveva già battuta sul tempo. 
“Non hai nulla di cui scusarti. Ma se proprio ci tieni, ti basterebbe rispondere sì alla mia prossima domanda”. 
Lo sguardo di Anna fu sufficiente a spingere Marco a continuare. 
“Ci verresti a cena con me, domani sera? Lo so che sono solo formalità certe cose, ma non abbiamo mai avuto un vero ‘primo appuntamento’, noi due, e pensavo fosse giusto rimediare.” 
Con grande dispiacere, vi informo che Anna non rispose di sì. Non a voce, se non altro.
Preferì ricorrere a un bacio. 
Marco gradì particolarmente la scelta.
Erano le 20 quando Anna aprì la porta al suo fidanzato, passato a prenderla per il loro primo vero appuntamento, la sera seguente. Riccioli più ordinati del solito, camicia bianca, jeans e giacca di pelle. Una rosa bianca in mano e un sorriso enorme in volto, scivolato via non appena Anna gli fu davanti. Un grazioso abito blu scuro risaltava i capelli ramati, con un leggero filo di trucco ad addolcirle ulteriormente i lineamenti.
Chiara si era data da fare: non poteva certo abbandonare la sorella in un’occasione così importante! E formalità un cavolo, il primo appuntamento andava fatto, e c’erano regole precise da rispettare. L’abbigliamento era una di quelle.
Il PM richiuse la bocca solo quando Grillo lo richiamò all’ordine: Marco, stai sbavando!
“Uhm, stai bene. Bene bene bene...”
Sei proprio uno da cliché, Marco. Ma Anna rise, quindi aveva funzionato a rompere l’impasse di quei secondi. Un tenero bacio seguì l’affermazione del PM, mentre una voce in sottofondo esclamava: “Nino, smettila di spiarli!”. Caterina. I due fidanzati si misero a ridere, facendo un cenno con la mano in direzione dello spioncino della porta dall’altro lato del pianerottolo. Il solito Cecchini. 
“Madame”, porgendo il braccio ad Anna, fu quello il segnale con cui Marco invitò la sua fidanzata ad andare verso la meta del loro appuntamento: il ristorante dove avevano cenato la prima volta che erano usciti insieme, seppur da ‘amici’. Quand’erano rientrati da Acquasparta, quella sera, avevano deciso di fermarsi lì perché nessuno dei due avrebbe voluto che finisse. A Marco, quella di andare proprio lì era sembrata una buona idea, e la sua fidanzata glielo confermò con un gran sorriso.
“Una serata meravigliosa”, così sospirò Anna a ogni persona che le domandò in seguito del suo primo appuntamento con Marco. Dopo la cena li attese il drive-in. No, niente Cenerentola. Lo so che siete affranti. Sarebbe stato un grande cliché. Ma niente in confronto a quello che realmente accadde. Il film lo scelse Marco, esattamente come aveva affermato quell’altra sera. Anna lo adorò. La maschera di Zorro. E voi che temevate niente cliché!
Quando Marco la riaccompagnò a casa, entrambi erano pronti a dirsi che era stata la notte più bella della loro vita – fino a quel momento perlomeno. Ma forse per via del vino, forse per il vestito di Anna, forse per il cavaliere perfetto che era stato Marco - oppure tutte quelle cose insieme -, in ogni caso quella sera non si concluse come era stato previsto. 
La regola per il primo appuntamento, come aveva ripetuto fino allo stremo Chiara, stabiliva che lui la riaccompagnasse fino al portone del palazzo, si salutassero, e fine. Nessuno dei due voleva affrettare le cose, e Marco nei mesi precedenti aveva imparato a conoscere bene Anna. Aveva i suoi tempi - per certi versi lunghi, lunghissimi - e lui aveva tutta l’intenzione di rispettarli. 
L’aveva già fatto senza rendersene veramente conto dopo la questione del bacio, e di certo non sarebbe venuto meno alla promesso proprio ora.
Insomma, la ‘regola del terzo appuntamento’, di cui tanto aveva blaterato Chiara, andava seguita.
Però forse avevano calcolato male le date, e quello non era stato il primo appuntamento, oppure il conto era andato a farsi benedire e basta.
Sì, perché Anna era certa che il letto in cui si era svegliata la mattina dopo non fosse il suo nonostante la poca luce nella stanza. L’aria era ancora intrisa della passione della notte appena trascorsa. La dolcezza di quei momenti le era rimasta ben impressa sulla pelle e nella mente. Ed era certa che quella cosa blu buttata senza troppa cura ai piedi del letto fosse il suo vestito. Aveva un ricordo molto vago di come fosse finito lì.
Quando poi era scesa in cucina – casa di due piani? – con una camicia bianca addosso che di sicuro non le apparteneva, a giudicare dalla misura e dal profumo maschile che emanava, non vi era più dubbio che non fosse il suo appartamento. Il tipo biondo che stava preparando la colazione in cucina sapeva però benissimo chi fosse, senza starci a pensare tanto. Era l’uomo per cui esisteva - ed esiste - solo lei. Il suo fidanzato. Il suo Marco. 
Quella inaspettata notte di passione, per Marco e Anna, come Amore e Psiche, fu la dimostrazione di come siano molte le prove che il fato ci pone davanti, ma possono essere superate, talvolta in modi assolutamente inattesi. Che la ricompensa per gli sforzi che si fanno, nella vita come in amore, vengono ripagati nei modi e nei tempi più impensabili. Magari non con l’immortalità come nel mito originale... Ma con un ‘e vissero per sempre felici e contentiquello sì. 
Allora, Grillo?
…Ma quanto siamo stati fortunati a vivere queste fiabe in prima fila?
Non ti sei addormentato?!
Yawn Veramente sta dormendo. Grillo sta parlando nel sonno, come al solito. A me è piaciuta comunque, anche se mi sono persa qualche pezzetto Yawn
Lottie! Che bello, son felic-
Zzz... zzz...
Ho capito, mi zittisco. Buona notte.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La Bella Addormentata ***


LA BELLA ADDORMENTATA
Vocina! VOCINA! VOCINAAAAAA!
SE NON LA PIANTI DI URLARE, IL PROSSIMO “CRI CRI” SARÀ ANCHE L’ULTIMO DELLA TUA VITA!
Ehm, sorry…
Cosa vuoi a quest’ora della notte?! Perché non stai dormendo? E perché stai urlando, soprattutto?! Cosa vuoi da me??
La risposta alla seconda domanda già dovresti saperla….
Pensavo avessimo superato il problema. Erano mesi che non ti facevi più sentire, e che si dormiva in santa pace!
Sono felice di constatare che la mia idea di entrare di soppiatto nella tua camera per metterti dei tappi nelle orecchie mentre dormi, e venire a toglierteli alle prime luci dell’alba, per non farmi sentire, abbia funzionato.
Tu hai fatto COSA?!
Ehmmmm... Nulla! Pfff, Figurati se ho fatto veramente una cosa del genere...
L’hai fatto, l’hai fatto.
Perdonami Lottie, ma tu da che parte stai? Non dovevano essere partner in crime noi? Eravamo rimasti così, che tu non avresti detto nulla!
Vocina ha promesso di manipolare la mamma affinché metta più biscotti sbriciolati nel biberon e mi dia più omogenizzati alla mela che mi piacciono tanto, e quindi io…
Ti ha ricattato. Astuta!
Modestamente... Ma torna al problema principale, Grillo, non sviare, che sono le 23.45 e io vorrei dormire.
Ah, sì. Ti ho svegliato perché mi è venuta un’idea GENIALE contro la mia insonnia.
Quel GENIALE anticipa una belinata in arrivo, ma lo chiederò comunque: quale idea?
Stavo leggendo questo libro di fiabe che ha portato nonna Elisa a Lottie, e a quanto pare una tizia di nome Malefica ha fatto un incantesimo a una ragazza di nome Aurora perché si addormenti e muoia. Ma una fata, di nome Serenella, ha tramutato l’incantesimo in un sonno lungo mille anni… e quindi ho pensato: chi potrebbe essere la Malefica in grado di farmi un incantesimo del genere, così che poi la vicina Serena lo possa trasformare per farmi dormire finalmente senza problemi? E io ho pensato a -
Mi hai veramente chiamato MALEFICA?
Psss, Grillo! Ti conviene scappare in Pakistan!
Forse, riflettendoci, era meglio continuare con la tecnica dei tappi…
Dici...? Comunque hai almeno finito di leggere quella storia? Come si sveglia la fanciulla?
Uhm, qua dice “col bacio del vero amore”… Oh, okay, c’è una falla nel mio piano.
Come sempre… Però l’idea di farti fuori non mi dispiace, sai?
Vabbè, ho capito. Lasciamo perdere. Vado a frinire fuori casa come tutte le altre notti.
Dai, Vocina, aiutalo!
Ma tu non stavi dalla mia parte, Lottie?
Sì, certo! Voglio più biscotti e pappa alla mela, ma voglio anche che lo aiuti. Senza di voi, io non sarei qui. E so che in fondo gli vuoi bene e lo vuoi aiutare anche tu.
Più che altro mi fa pena. Ma va bene, lo faccio perché me lo chiedi tu. EHI, SCEMO! Vieni qua, chiudi quella porta, dove vai? Ti racconto io la storia di una scema addormentata – volevo dire bella addormentata – (beata lei!), per far addormentare anche te.
Davvero? E dove l’hai trovata una storia su una bella addormentata?
In realtà, me l’ha suggerita involontariamente un Grillo, nel tentativo di farmi piacere una versione di quella fiaba…
E lo conosco?
No, mi pare di no.
Bugiarda… ma in fondo buona.
Molto in fondo, Lottie. Molto. Lo faccio per egoismo. Allora? Pronti a sentirla?
Prontissima.
Eccomi!
Di nuovo quel pigiama orripilante col berretto di mio nonno in guerra? Devo ricordarmi di farlo sparire come ho fatto con le bretelle di Marco…
Quindi sei stata tu?!
Forse.
Oh peccato, volevo ringraziare chiunque fosse stato caso. Erano orribili!
Ah, pensavo fossi arrabbiato dalla tua reazione.
No, affatto! Grazie, Vocina.
Come hai capito che... Vabbè, iniziamo con la storia, prima che i lettori di addormentino a leggerci…
 
C’era una volta, ormai qualche anno fa, una bellissima fanciulla di nome Anna, che aveva rinunciato all’amore. Scelta drastica direte, ma con dei buoni fondamenti. La dolce ragazza aveva scelto di percorrere quella folle strada il giorno in cui il mondo, di punto in bianco, le era crollato sotto gli occhi, proprio quando pensava di essere riuscita a conciliare la sua vita privata e quella lavorativa.
La nostra fanciulla, infatti, era da poco tornata a Spoleto, dopo anni lontana dalla sua terra prima per scelta (la dipartita improvvisa di suo padre) e poi per seguire il suo sogno: diventare un membro dell’Arma dei Carabinieri. Per lei, Spoleto era una terra magica e fiabesca, perché era lì che molti anni prima sua madre aveva trovato il grande amore. E anche se non lo avrebbe ammesso mai a voce alta - perché lei è Zorro e non una principessa - Anna sperava che lo stesso sarebbe capitato anche a lei, ora che era finalmente tornata “a casa”.
Dopo anni di fidanzamento con il suo principe Giovanni, la bella Anna pensava e sperava che fosse finalmente giunto il momento di coronare quella loro storia d’amore con il matrimonio. Invece il suo Giovanni, quella sera di ormai cinque mesi prima, aveva preso un’altra strada preferendo Dio a lei. Sì, avete letto bene, Dio.  Perché aveva deciso di diventare “Don” Giovanni, di intraprendere il percorso del sacerdozio, insomma.
Si era preso molto tempo per decidere, perché prima aveva provato a capirne di più sui suoi sentimenti per Anna, soprattutto durante quella gita al monastero in cui l’aveva trascinata omettendo la presenza di mezza Spoleto con loro.
Anna aveva lottato a lungo per convincerlo del contrario, che la loro storia non poteva finire così, come era successo, per via dei sensi di colpa che Giovanni provava dopo un errore giudiziario nato - a detta sua - per colpa di un suo sbaglio come avvocato. Avevano anche litigato per quello, perché lei non lo ascoltava abbastanza, non capiva quel suo senso di colpa, quando invece - visto il suo passato - avrebbe dovuto. Anna si era anche piegata in parte a quelle accuse, accogliendole, per non perderlo, per non dover dire ancora una volta a sua madre Elisa che aveva ragione. Ma non poteva andare avanti in quel modo. E proprio al monastero, Anna aveva capito che era inutile combattere contro Dio per riavere il suo Giovanni, perché forse in realtà non era mai stato suo e il loro non era mai stato vero amore.
Questo non significa che la separazione non le avesse male, che gli anni trascorsi insieme fossero stati facili da dimenticare, anzi. Però Anna sapeva anche doveva andare avanti, che doveva rialzarsi dopo essere andata al tappeto. E nessuno meglio di una judoka come lei poteva sapere cosa volesse dire.
Solo che la bella Anna conosceva un unico modo per farlo: mettere a tacere la parte più emotiva di sé, far sprofondare in un lungo sonno incantato la principessa che era in lei. E così aveva fatto.
Basta amore, basta continuare a cercarlo per dimostrare a sua madre che il problema delle sue relazioni fallite - nemmeno ne avesse avute molte, oltre a quella con Giovanni - fosse il suo lavoro. Basta voler dimostrare che se gli uomini scappano sia per forza colpa della divisa che indossa. Forse il problema solo loro, non lei. E se vuole stare sola, può stare da sola. Non ha bisogno di qualcuno al suo fianco per essere felice e realizzata.
Chiusa la principessa nella teca di vetro, al riparo da futuri cuori spezzati, la bella fanciulla si era buttata a capofitto nel lavoro, la sua cura a tutto ciò che non può controllare razionalmente. E proprio quella divisa tanto criticata da sua madre, nel tempo è divenuta la sua corazza, lo strumento con cui proteggere, da ogni sofferenza, la bella addormentata che dimora in lei. Perché se la fine di una storia d’amore - che forse nemmeno vero amore era - poteva provocare in Anna tutto quel dolore, allora non voleva sapere come sarebbe stato sentire di nuovo quel vuoto nel petto. Ne aveva già provato troppo di dolore nella vita, per poter continuare a pungersi col fuso incantato e soffrire ancora.
Ma se da un lato, la principessa alla ricerca del vero amore era stata chiusa nel più profondo del suo inconscio, la ferita superficialmente era ancora vivida nei giorni seguenti la gita al monastero; e la cosa che mai Anna sarà in grado di spiegarsi, è come la stessa abbia iniziato a sanarsi grazie al potere curativo di un unguento inaspettato: l’aiuto dei suoi colleghi di lavoro, o meglio, di un collega in particolare. Chi l’avrebbe mai detto che lo stesso uomo, presentatosi a lei come “odiatore” delle donne, fosse anche quello che meglio di tutti aveva imparato a cogliere le sfumature più profonde dell’animo femminile? O forse solo il suo...
Il PM Marco Nardi aveva capito subito le sue intenzioni, quando Anna si era presentata in caserma pronta a ribaltarla sottosopra tra aggiornamenti, mappe topografiche, lezioni di autodifesa, e fare fare fare: Anna stava male per la fine della storia con Giovanni e Marco aveva ragione nel dire che non c’era nulla di male ad ammetterlo. Ma questo non cambiava la situazione agli occhi della fanciulla, non avrebbe lasciato che la bella addormentata che proteggeva dentro di sé si svegliasse e continuasse a soffrire nella ricerca del suo vero amore. Anche perché Anna era convinta che per lei, quel vero amore, lì fuori non c’era. Perché l’uomo perfetto per lei - come sempre aveva pensato e tutti le avevano detto che fosse - era Giovanni, ma lui aveva deciso di farsi prete. Quindi, no: Anna all’amore aveva rinunciato, per sempre.
Effettivamente col passare dei giorni, quella scelta sembrava consolidarsi. Inutili erano stati i consigli del Maresciallo di farle cambiare idea con una delle sue solite storie legate al passato di un membro della famiglia Cecchini - che tra l’altro, col tempo, Anna aveva anche iniziato a dubitare che esistessero, tutti quei prozii e zii e cugini.
Inutili erano stati anche i tentativi di Chiara di farla uscire di casa e andare nei locali più “in” di Spoleto alla ricerca del principe azzurro. Come se avrebbe potuto incontrarlo lì, poi. Il suo principe non doveva essere azzurro per via delle luci dei locali, ma per la purezza del suo animo.
Se i principi azzurri conosciuti da Chiara erano tutti come Sasà, si spiega il perché sia ancora single…
GRILLO! Ti pare il momento di metterti a fare gossip, nel bel mezzo della storia?
Non ha tutti i torti, però…
LOTTIE! Restate entrambi fuori dalla vita amorosa di Chiara! Anche perché abbiamo già abbastanza lavoro da fare con i tuoi genitori per sprecare tempo impicciandoci nella vita di tua zia. E ora continuiamo con la storia…
Un paio di settimane dopo quella decisione drastica, la vita di Anna era andata incontro ad alcuni eventi particolari, che ruotavano sempre attorno alla stessa figura: Marco. Era come se il destino si stesse accanendo a farli trovare sempre insieme, nello stesso posto, quando più lei ne aveva bisogno. Anna non ne capiva pienamente il senso. Dopotutto, nei mesi trascorsi da quando si erano conosciuti, erano state molto le volte in cui avevano litigato e molte meno quelle in cui si erano trovati d’accordo. Marco Nardi non è esattamente la persona più semplice con cui avere a che fare.
Ditelo a me!
GRILLO!
Sorprenderà scoprire che dietro quella giacca e cravatta da magistrato affermato - e molto bravo nel suo lavoro, anche se ad Anna costava ammetterlo - ci fosse invece un uomo fragile, che aveva solo imparato ad indossare meglio di Anna la sua armatura da cavaliere per proteggersi. Sì, perché in fondo, col tempo, Anna aveva capito meglio quell’uomo impossibile e aveva tratto le sue conclusioni: era un buon amico, oltre che un collega, ma soprattutto celava un passato non facile, sebbene non ne conoscesse tutti i particolari. Lei aveva evitato di fargli domande, perché riteneva giusto fosse lui ad aprirsi al momento quando se la fosse sentita, come era successo al contrario. Ciò che vi importa sapere di quel periodo, però, per comprendere meglio questa storia, è che Marco sapeva essere un belinone – come amava definirsi sempre, da buon genovese - un secondo prima e saggio l’istante dopo con Anna, senza cambiare mai il suo modo di porsi. E Anna amava ridere alle sue battute, anche quelle più banali e stupide. Amava anche confrontarsi con lui, perché era l’unico a non averla mai veramente giudicata, dopo che si erano conosciuti meglio, come del resto lei aveva imparato a fare con lui.
E quei piccoli momenti insieme diventavano via via più importanti.
Una tarda sera di fine maggio, Anna rientrò esausta a casa dopo aver sistemato i fascicoli relativi al caso che stavano seguendo al lavoro, scuotendo la testa nel mentre. Non riusciva a non pensare a quanto il destino fosse strano: si sentiva coinvolta in prima persona dagli eventi del caso in questione, quasi come se stesse rivivendo la storia di suo padre. Ma la cosa più strana di tutte, era che a quanto pare non fosse l’unica a sentirsi coinvolta.
Continuava a risentire nella sua testa le parole che Marco le aveva rivolto la mattina precedente, quando lei aveva capito che l’avvocato Castagnati non era uno sconosciuto per il PM: “Io so distinguere il lavoro dalla vita privata. Sei tu quella che si lascia coinvolgere”. In un primo momento, nel sentirsi rivolgere quelle parole con quel tono, ad Anna sembrò come se i progressi fatti per conoscersi meglio in quei mesi fossero svaniti, andati perduti nel giro di cinque secondi, e loro fossero tornati al principio, al “Ho capito che Lei si lascia commuovere” di quando si erano appena incontrati. Non si capacitava di come fosse possibile che Simone Castagnati potesse avere tutto quel controllo sulle azioni attuali di Marco. Però poi, riflettendoci, Anna si convinse che, quello che Marco le aveva detto, non lo pensasse veramente. Ne era certa. La sua sembrava più una reazione dovuta all’indagine che lei aveva fatto sul suo passato. Come se quell’azione la stesse avvicinando troppo a scoprire qualcosa che Marco non volesse che lei sapesse.
Quella sera però, Anna era troppo stanca per arrovellarsi la testa alla ricerca del bandolo della matassa. E poi non erano fatti suoi, la vita privata di Marco non la riguardava. Perché doveva importarle?
Non passò molto tempo tra quando Anna si mise a letto a quando la sua mente iniziò a viaggiare verso le braccia di Morfeo…
--- INIZIO SOGNO ---
È seduta a bordo piscina, nel giardino della villa che ospita il reality in cui si trova a lavorare sotto copertura. Ha da poco atterrato il principe dei crackers Lupo Dossi con una mossa di judo, perché la sua mano si era diretta verso lidi a lui non accessibili, per i gusti di Anna. Sta osservando le luci che si riflettono nell’acqua azzurra e pulita della piscina dinnanzi a sé, quando avverte una presenza arrivare alle sue spalle e sedersi accanto a lei. Non ha voglia di parlare dell’accaduto. Soprattutto non con LUI. Ma la battuta che giunge sprezzante alle sue orecchie non lascia spazio a dubbi su chi sia. Se non ha voglia di parlare, certamente Anna non ha nemmeno voglia di litigare e glielo dà subito ad intendere. Tuttavia, Marco non sembra intimorito dal pessimo umore della collega. E forse, in fondo, nemmeno lei voleva che si arrendesse e andasse via, ha solo reagito per autodifesa. Osserva il suo riflesso nell’acqua della piscina: ha indosso un abito lungo e nero da sera, il suo volto coperto da più trucco di quanto normalmente userebbe. Agli occhi di chiunque parrebbe una principessa, ma non ai suoi. Anna non si è mai sentita tale, lei che ha sempre preferito essere Zorro. Forse è quello il motivo del suo malessere: sentirsi inadeguata in quei panni, scomoda, non a suo agio. Convinta che sia quella la ragione del suo umore decide di aprirsi a Marco, che l’ascolta, senza però scomporsi. Come sempre. Ed anzi, la rincuora. Possono le parole semplici che il suo collega le ha rivolto avere tutto quell’effetto calmante su di lei? Nella vita ha sempre e solo ricevuto critiche per quel suo essere diversa rispetto alle altre donne. Marco invece le ha spiegato che non vale la pena sentirsi sbagliati e cercare di adattarsi ai canoni di come ci vogliono gli altri. Che le donne possono essere belle anche se non indossano sempre una corona. E forse ha ragione. In fondo tentare di essere diversa da com’è non ha portato frutti, esattamente come non lo ha fatto essere se stessa. Però il problema non era lei, era il tipo di rapporto che aveva con Giovanni ad essere sbagliato. E chissà magari, là fuori c’è chi lapprezzerebbe e amerebbe così com’è. Quando pensa che la loro conversazione sia giunta al termine però, con sua grande sorpresa, Marco le rivolge uno sguardo sognante, complimentandosi per come il vestito le stesse bene, con un tono così dolce da aver provocato un brivido inatteso. Sebbene certa che a quelle parole ha sentito nello stomaco una strana sensazione, ha dato loro poco peso, perché più preoccupata a placare il rossore che le sta colorando le gote. Nessuno le aveva mai fatto un complimento disinteressato come ha appena fatto Marco. Nemmeno Giovanni. Non che non gliene abbia mai fatti, ma nessuno era mai stato così naturale, spontaneo, come il suo collega. Nel rialzare lo sguardo, per non mostrarsi fragile e sopprimere l’imbarazzo di fronte a lui, Anna incontra gli occhi di Marco e il mondo sembra entrare in una sorta di slow motion. Quasi fosse un incantesimo di magia bianca, riflessa nei suoi occhi si era vista bella come mai le era successo, e all’improvviso un’altra forza, ancora più potente, inizia a farli gravitare l’uno verso l’altra, fino a far entrare in collisione le loro labbra…
--- FINE SOGNO ---
La sveglia segnava le 6.30 quando Anna si svegliò di soprassalto da quello strano sogno. Uhm, non mi pare gli eventi siano andati così nella realtà, sai Anna? Aveva affermato la Vocina nella sua testa, mentre si ridestava. Anna non poté negare che avesse ragione. Il sogno si concludeva in modo decisamente diverso da come erano andati gli eventi nella realtà. Non si erano mai baciati, lei e Marco. La serata si era conclusa con loro che parlavano di lavoro e lei che rimaneva sola a pensare. Ne era certa. Però quella strana sensazione nello stomaco narrata nel sogno la stava sentendo ancora, non appena svegliatasi. La parte razionale di Anna diede la colpa del tutto a qualcosa che aveva mangiato a cena, ma non passò molto prima che la Vocina tornasse per dirle che in realtà non avesse proprio cenato la sera prima. Di fronte a quella affermazione, non pronta ad accettare che forse era colpa di altro, aveva ripiegato sulla scusa - banale - che allora il problema era proprio il fatto che non avesse cenato e che lo stomaco stesse brontolando per l’assenza di cibo. Se lo dici tu… Non aveva intenzione di discutere con la Vocina e dinnanzi all’evidenza che era tardi per tornare a dormire, decise di alzarsi ed andare a fare colazione, per placare lo stomaco, in attesa che la nuova giornata avesse inizio.
Per tutto il giorno, gli eventi del sogno tormentarono Anna, soprattutto perché la sensazione nello stomaco non era svanita una volta fatta colazione. Non poté negare a lungo a se stessa che il sogno le fosse in realtà piaciuto, soprattutto perché il suo inconscio aveva riportato alla luce la bellissima sensazione che aveva provato quella sera dopo molto tempo. Marco non era uno che si lasciava andare a grandi esternazioni di affetto o a complimenti. Ogni volta che accadeva era come trovare la pentola d’ora ai piedi dell’arcobaleno, un evento più unico che raro. Eppure quella sera, nel tentativo di rincuorarla se ne era uscito che il vestito le stava bene. Bene, bene, bene. Poche parole, banali direte voi, ma non per Anna, non per una fanciulla che non si era mai vista bella in quei panni. Per lei non erano solo parole. Valevano molto più di tanti gesti d’amore. Hai detto amore? Affetto, volevo dire affetto, si ripeté in testa uscendo dall’ufficio per tornare a casa.
La giornata di lavoro era stata pesante, ma giunta a casa aveva deciso di fare qualcosa per quello che stava accadendo. No, non per il sogno. Voleva sistemare le cose con Marco. Il PM non sembrava più lui in quei giorni. Le faceva continuamente la guerra. E Anna era stufa. Qualsiasi cosa stesse succedendo, era colpa di qualcosa accaduto tra Marco e Castagnati, l’indiziato su cui si stava accanendo e che molto probabilmente non c’entrava nulla con l’omicidio. Anna aveva deciso che per risolvere la situazione ed evitare che Marco facesse un errore, di cui sicuramente si sarebbe pentito, era necessario fare breccia dentro di lui. Per farlo doveva far riaprire quella ferita, che comunque stava già sanguinando, e raccontare a Marco un segreto che solo pochi altri conoscevano.
Giunse a casa sua in tarda serata, dopo cena, con l’intenzione di affrontarlo, farlo ragionare e andarsene. Veloce e senza inutili parole di circostanza. Dopo una prima riluttanza, il PM si era arreso ad ascoltarla. La fitta che Marco sentì acuirsi dentro man mano che la storia della collega gli veniva mostrata davanti agli occhi - sì, quasi potesse davvero vederla per la precisione e la scelta dei dettagli - gli fece ancora più male della vista che gli si palesò di fronte al termine del racconto: Anna e i suoi occhi lucidi. Lei gli aveva narrato quello che probabilmente era il capitolo più nero della sua vita. Lo aveva fatto con uno scopo preciso, ne era certo. Perché con la stessa sorpresa con cui l’aveva accolta, l’aveva vista lasciare la casa una volta finito. In tutto quello, Marco non aveva avuto modo di proferire alcuna parola, se non le solite frasi di circostanza, nel tentativo di scusarsi. Rimasto solo, la schiena appoggiata alla porta richiusa dopo che Anna era scappata via, si rese conto di quanto egoista era stato con lei in quei giorni e di quanto idiota fosse stato a dirle che era lei quella a lasciarsi coinvolgere dai casi. Quel caso, in particolare, faceva più male a lei che a lui, eppure Anna aveva saputo rimanere lucida dinnanzi agli eventi e lui no. Si sentiva uno stronzo, perché aveva scaricato su di lei la sua frustrazione senza che avesse alcuna colpa, e perché Anna non era una qualunque. Era l’unica donna che aveva accettato il suo essere belinone e saggio al contempo, senza forzarlo ad essere diverso da così. Non l’aveva mai giudicato, perlomeno non dopo che si erano conosciuti meglio, e lui aveva fatto altrettanto con lei. E lui si era comportato come se tutto quello che tra loro era successo in quei mesi non fosse mai accaduto. Ora che si era accorto di aver fatto una cazzata, però, sapeva che non poteva far altro che rimediare al suo errore. Glielo doveva, perché in fondo Anna voleva solo aiutarlo, in maniera disinteressata, perché non buttasse all’aria la sua vita già di per sé incasinata e lui non se n’era accorto. Non c’era da biasimarlo, però. Se qualcuno faceva qualcosa per lui, solitamente voleva qualcosa in cambio. Ma non Anna. Era come se gli stesse restituendo l’aiuto, altrettanto disinteressato, che lui le aveva offerto in quel periodo. Certo, disinteressato. Okay, Grillo, forse da parte di Marco non era del tutto disinteressato, ma non era pronto a rischiare quell’amicizia così bella. Anna era diventata la migliore amica che lui avesse mai avuto. E da amica ora lo stava aiutando, anche se nel farlo, aveva dovuto riaprire la ferita più profonda che qualcuno le avesse mai inferto. Non avrebbe mai potuto curare quella ferita, Marco, ma poteva sanare quella che lui come amico le aveva provocato in quei giorni e per questo si mise subito al lavoro, anche a costo di restare sveglio tutta la notte per riuscirci. Ah, per questo non c’è problema: ti aiuto io che soffro d’insonnia. 
Rientrata a casa, dopo aver spiegato a Marco perché era voluta diventare carabiniere nella vita ed essersi confrontata inaspettatamente con Don Matteo, Anna si era gettata sotto la doccia e poi dritta sotto le lenzuola, nel tentativo di dimenticare gli eventi della giornata e quel dolore che si era promessa di non riprovare…
--- INIZIO SOGNO ---
È tarda sera quando lei, Marco, Cosimo e il Maresciallo si ritrovano seduti a casa di Cecchini, nel tentativo di provare le eventuali risposte alle domande di Carlo Conti che dovrebbero attestare il loro essere una vera famiglia. Non ci aveva pensato due volte ad accettare di aiutare il piccolo Cosimo a realizzare il suo sogno, ma non aveva calcolato che per poterlo realizzare avrebbe dovuto fingere con Marco di essere una coppia, che non sarebbe bastato salire sul palco, suonare la canzone e poi andarsene. La prima sera di prove era stata molto imbarazzante, non tanto per il fatto che la canzone scelta fosse “Tu scendi dalle stelle” e fosse quasi estate, ma perché il Maresciallo aveva insistito nel farle baciare Marco. Perché dovevano provare un bacio? Per fortuna era riuscita a sviare la cosa con un bacio in fronte, che Cecchini aveva gradito poco e su cui Marco ovviamente aveva avuto da dire la sua, però ne era uscita, accettando il compromesso di un bacio sulla guancia. I complimenti di Marco per la sua bellissima voce a fine serata avevano completato l’atmosfera già di per sé imbarazzante, perché lei in tutta risposta aveva solo saputo replicare che non si aspettava lui fosse capace di suonare l’armonica, quando il pomeriggio lei stessa aveva ammesso di saperlo. La Vocina nella sua testa aveva minacciato di andarsene e lasciarla sola ad affrontare quel momento.
Anna ore temeva che anche quella sera il Maresciallo se ne sarebbe uscito con una delle sue trovate e le cose sarebbero finite come la volta precedente, o forse peggio. Invece quella cosa delle domande su Cosimo la sta divertendo, soprattutto perché Marco non sa rispondere a nessuna di esse e lei invece sì. La faccia di Cosimo che gli dice che fa schifo come papà, il punto più alto della serata. Non è riuscita a trattenere una risata. Ma a quanto pare il destino ha piani diversi su come debba terminare la serata e minare la sua soddisfazione, perché Cecchini se ne è uscito con una domanda che non ha nulla a che fare con le risposte che avevano dovuto studiare, e Marco si è offerto di rispondere per primo al quesito: “Cos’è che vi ha fatto innamorare l’uno dell’altra?”.
- Eh, bella domanda, Maresciallo… Cioè, che domanda interessante, ehm... ora inventarsi una risposta sarà difficile… - sta pensando Anna, cercando di trovare il modo per rispondere al quesito e celare al contempo che forse in fondo una risposta già la conosceva, ma non è pronta ad ammettere a se stessa un interesse per il collega. Nel mentre, Marco coglie lei e gli altri di sorpresa, rispondendo al suo posto. “L’onestà, la fiducia e il fatto che lei quando ama, ama fino in fondo… E poi, perché lei bacia benissimo!”. Il calore delle labbra di Marco sulle sue hanno creato un cortocircuito nel sistema nervoso di Anna, che impietrita dal gesto inaspettato, ha deciso di lasciarsi pervadere da quel calore senza reagire. Quando Marco si è allontanato dicendo che fosse per la scena, qualcosa in lei si è mosso, quasi ridestato, sebbene non sappia cosa. Forse è semplicemente il suo cervello, che si è riscoperto funzionante dopo il black out ed è stato in grado di farla annuire con gli altri al fatto che il piano avrà successo.
Lasciato l’appartamento di Cecchini, dopo aver limato i dettagli per la messa in scena, Marco si è offerto di accompagnarla a casa, anche se significa semplicemente attraversare il pianerottolo. Prima che lui però possa andarsene, Anna con lo sguardo a fissare i suoi piedi, imbarazzata per la domanda che sta per fare e raccolto il coraggio, gli chiede se le cose che ha detto poco prima al Maresciallo le pensi veramente. Il silenzio che riceve in risposta, la spingono ad alzare lo sguardo per incrociare quello di Marco. Il tempo rimane sospeso qualche istante, prima che le labbra del PM tornino in collisione con le sue…
--- FINE SOGNO ---
Erano le 4.30 di notte. Anna fissava il soffitto, svegliata di soprassalto, un’altra volta, per colpa di un sogno. Okay, la cosa inizia a farsi preoccupante, Anna. Nemmeno questo finale di sogno è mai accaduto! Vocina aveva ragione. Dopo il bacio per la scena e il brindisi, Anna se ne era andata, lasciando Cecchini e Marco a ripassare le risposte. Sul pianerottolo non era successo niente. Ehm, la sensazione allo stomaco, oggi come te la spieghi invece? La mano sul ventre, proprio dove la sensazione di cui il suo inconscio parlava, si stava effettivamente verificando, e questo portò Anna a riflettere nel tentativo di trovare la risposta. La sera prima aveva cenato, quindi non era certo colpa della fame. Forse era colpa degli eventi vissuti. Sì, insomma, del dolore che ha riportato alla luce.
Quindi si è svegliata? No, non si è svegliata, Vocina. Smettila! Non può essere quello. Il fatto che fosse tornata a provare dolore, a provare emozioni forti, non significava che si stesse risvegliando in lei la bella addormentata che aveva rinchiuso dietro la teca di vetro per non soffrire più. Era un caso. I sogni, l’evento ricorrente dei sogni - il bacio - erano un caso. E lei, a dispetto dell’apparenza, aveva sempre avuto una mente fantasiosa, chissà magari un giorno scriverà un libro di fiabe. Sì, certo “Le Favole di Anna: come Zorro incontrò il suo PM, principe magistrato”. Piantala!
Stufa di discutere con la Vocina, Anna aveva deciso di provare a dormire nuovamente almeno un paio d’ore, prima che la sveglia la riportasse alle luci di un nuovo giorno, dove quegli strani sogni non sarebbero mai diventati realtà.
--- INIZIO SOGNO ---
È distesa su un letto, al centro di una radura. Il cinguettio degli uccellini riecheggia attorno a lei, ma Anna non riesce ad aprire gli occhi. È come se un incantesimo glielo proibisse. Vorrebbe, ma non può. Il suono melodioso viene interrotto dal nitrito di un cavallo e dalla voce di un uomo. Quella voce l’ha già sentita, ne è certa. “Finalmente ti ho trovata!”.
Non può essere. Vocina, piantala di giocare con la mia mente. Nessuna voce però le risponde. “È arrivato il momento di sciogliere l’incantesimo di Malefica”. Malefica? La strega della Bella Addormentata? “Dopo il bacio del vero amore, potremo tornare, tenendoci per mano, al castello e vivere insieme, per sempre”. Tenendosi per mano? Come nella canzone di Dalla? MARCO!
--- FINE SOGNO ---
Ore 6.30. Lo sguardo di Anna fissava sulla sua figura riflessa nello specchio appeso accanto al letto. L’ennesimo sogno su Marco. E questa volta, con un lampante riferimento alla Bella Addormentata. Vuoi che intervenga o sto zitta? ZITTA. La sensazione nello stomaco era già fin troppo eloquente per i gusti di Anna. Dopo svariati minuti a contemplare il da farsi, il suo telefono aveva squillato. Per una volta il destino le aveva teso la mano e salvata dal confronto con i suoi sentimenti.
Marco aveva scoperto degli strani movimenti di denaro circa la ditta per cui l’uomo morto lavorava. Nel giro di poche ore, quel pomeriggio risolsero il caso. Una volta finito di sistemare i documenti, Anna aveva deciso di rientrare a casa, anche per riuscire ad andare a dormire un po’ prima e recuperare il sonno perduto a causa dei sogni. Mentre stava risalendo la stradina per raggiungere il portone di casa incontra intenta a innaffiare i suoi fiori, la “simpatica” signora che abitava nell’edificio accanto. Le pareva si chiamasse Serena, se ricordava bene. Uh, come una delle fate della Bella Addormentata! Stavi andando alla grande Vocina, stando zitta. Anna decise di salutarla, soprattutto perché Serena - a discapito del nome - non era esattamente una persona molto cordiale con chi non si dimostrava ben predisposto nei suoi confronti. E Anna aveva tutta l’intenzione di mantenere rapporti civili col vicinato. “Oh, signor Capitano. Che strano vederla da sola. Dov’è quel bel giovanotto con cui la vedo ogni tanto chiacchierare quaggiù in strada?” Anna non ricordava di aver mai passato del tempo in strada a chiacchierare con Giovanni, né tantomeno di aver mai visto la vicina “spiarli”. Alla faccia confusa di Anna, la vicina le lanciò uno sguardo eloquente, provando a spiegarsi meglio “Il suo fidanzato. Quel ragazzo alto, biondo, che viene qua spesso a chiacchierare con lei quando porta a passeggio il cagnolone nero… Bel ragazzo, affascinante.” Okay, fermi tutti, mi son persa: ha chiamato Marco “tuo fidanzato”? Ma allora vedi che è destino? … Muta, Vocina, devi stare muta! 
Annac alle parole della vicina, cercò di spiegarle che Marco non era il suo fidanzato, ma la signora non sembrò convinta della spiegazione ricevuta. La fissava anzi con un’espressione che di una che la sapeva lunga. Tuttavia, lasciò correre, tornando ai suoi amati fiori e lasciando Anna imbambolata di fronte agli eventi accaduti.
Quando il cervello di Anna decise di tornare a collaborare, le gambe furono in grado di schiodarsi dal punto in cui sembravano aver messo radici, portandola su per le scale e dritta nel suo appartamento. La situazione stava diventando strana - sempre più strana - e Anna non capiva perché. Decise che il modo migliore per schiarirsi le idee fosse una bella doccia calda, ma forse il mondo quel giorno ce l’aveva con lei, perché lo scaldabagno decise di guastarsi nel bel mezzo della doccia, costringendola a lavarsi con l’acqua fredda. Il suo urlo al contatto con le gocce gelate aveva richiamato l’attenzione di Cecchini, che si era precipitato in casa sua preoccupato fosse successo qualcosa di grave. Anna fu in grado di rincuorarlo che non era niente che non potesse affrontare da sola, dicendogli di tornare a casa a cenare tranquillamente con la famiglia e che nel caso lo avrebbe contattato.
Dopo aver ordinato cena da asporto, Anna si era dedicata completamente allo scaldabagno. Forse il destino alla fine le aveva dato una mano: concentrandosi sul guasto, aveva messo da parte il confronto con i suoi sentimenti e i sogni degli ultimi giorni, o meglio aveva messo in pausa quello che ora nella sua testa era “il problema Marco”. E perché mai sarebbe un problema, scusa? Se i sogni non significano niente per te, non dovrebbe esserlo… Proprio quando stava per rispondere seccata alla Vocina per la millesima volta quel giorno, qualcuno suonò alla porta. Convinta che fosse sicuramente il Maresciallo, non perse tempo a rispondere mentre ancora la porta era chiusa che tutto andava bene, che aveva risolto. Ma una volta aperto, la realtà - e non il sogno - si abbatté su di lei.
Marco non sapeva perché le sue gambe, nel tragitto verso casa, lo avessero portato lì, da lei. Ma una volta apertasi la porta non poté tirarsi indietro. Per rompere l’impasse creatasi dalla sorpresa - evidente sul volto di Anna - della sua improvvisa comparsa lì, si offrì di aiutarla con il problema dello scaldabagno. Anche perché il “passavo di qui e così ho pensato di salutarti”, era una motivazione alquanto imbarazzante e poco plausibile. E su questo Grillo, siamo tutti d’accordo con te, visto che alla risposta di Anna che tutto era risolto, il PM non era stato in grado di andare avanti e chiedere il permesso di poter entrare per parlarle. Non è esattamente bravo ad esprimere i sentimenti, lasciategli prendere confidenza con la situazione…
Quando Anna gli propose di entrare comunque, Marco colse la palla al balzo addentrandosi nell’appartamento e rompendo il ghiaccio con una battuta che solo il belinone che era in lui - che come ci tiene a sottolineare il mio collega Grillo, non è lui, ma semplicemente la parte fanciullesca di Marco - poteva partorire. “Fatto seratona, vedo”. Anna non obiettò, ma anzi sorrise all’affermazione per poi fissarlo con aria interrogativa, cercando di cavare da lui le parole che voleva dirle e per cui evidentemente era lì. Coraggio, Marco, devi solo scusarti. Mica devi farle una dichiarazione d’amore… o forse mi son perso qualcosa? Grillo aveva ragione, sul fatto che fosse lì a scusarsi, non sul resto. Ma quale dichiarazione d’amore... mica era innamorato di lei... Questo è ancora tutto da dimostrare…
Raccolto il coraggio, Marco si scusò con Anna per quanto accaduto in quei giorni. Aveva ragione lei, si era lasciato coinvolgere e non era stato lucido. La risposta che la collega gli diede, gli fece capire subito che sapeva già di aver ragione, ma che era felice lui fosse riuscito a far chiarezza dentro di sé. Nessuno l’aveva mai capito come stava dimostrando lei in quei mesi. Quel suo viso angelico nascondeva dietro un mondo, a tratti pieno di ombre, che gli sarebbe piaciuto conoscere. E avrebbe voluto vedere quei suoi occhi verdi brillare di gioia come stavano facendo in quel momento, sempre. Avrebbe voluto vedere quel sorriso risplendere sul suo volto in ogni istante. Ancora meglio se fosse stato per merito suo.
In quel momento notò una macchia sulla guancia di lei. Avrà anche vinto la guerra con lo scaldabagno, ma è stata una battaglia combattuta a quanto pare. Marco non ebbe il tempo di redarguire Grillo sulla battuta, perché interrotto da Anna che con sguardo indagatore gli chiese se avesse qualcosa in faccia, visto che la stava fissando. Marco sorridendo le rispose di sì, prima di chiederle il permesso per rimuovere lo sporco dalla sua guancia. Quando la sua mano entrò in contatto con la pelle di Anna, una scossa attraversò il suo corpo, come se ci fosse stato un cortocircuito. La sua mente smise di avere il controllo sulle sue azioni, e il suo cuore lo spinse verso ciò che da settimane ormai bramava di fare.
Non stava sognando, Anna. Era reale. Marco la stava baciando e lei stava rispondendo a quel bacio, frutto forse solo del momento, di quel loro essere scossi. Di quei brividi incessanti. E fu a quel pensiero che interruppe Marco. I loro occhi rimasero incollati per alcuni secondi, quasi a cercare l’uno nell’altra la risposta a quella brusca interruzione. Marco parve essere il primo a trovarla, scusandosi per il gesto e prendendo velocemente la via che lo condusse fuori dall’appartamento mentre Anna, quasi fosse un automa, lo seguì senza proferire parola. Chiusa la porta alle sue spalle, Anna vi si appoggiò, il cuore in gola e la mano a coprirsi le labbra che un attimo prima erano coperte da quelle di Marco. Mi hai detto di stare zitta, quindi taccio. Vocina l’aveva abbandonata quando più lei ne aveva bisogno. La strana sensazione allo stomaco non si era placata. ma Anna stava cercando di calmarsi, ripetendosi che nulla era accaduto, che forse era tutto frutto della sua immaginazione, di quei sogni fatti nei giorni precedenti. Ma il rumore di qualcuno che bussava alla porta le ricordarono che era sveglia, più desta che mai. Accogli il principe, Anna. Accogli la sensazione che è dentro di te. Eccola la Vocina, ma no. Non le avrebbe dato ascolto. Non c’era nessun principe. E soprattutto a bussare non poteva certo essere Marc-
Quando riaprì la porta, invece, dall’altra parte c’era proprio lui, visibilmente imbarazzato di essere tornato indietro e aver causato quel loro ri-incontro nel giro di pochi minuti dal bacio, ma nella borsa dimenticata a casa di lei, c’erano le chiavi di casa sua e senza non sarebbe potuto andare da nessuna parte. Il cuore di Anna aveva saltato effettivamente un battito, quando se lo era ritrovato davanti di nuovo, prima che lui spiegasse perché fosse tornato lì. Per un attimo, aveva iniziato a credere a Vocina, al fatto che la realtà stesse diventando fiaba. Riconsegnata la borsa al suo proprietario, richiuse la porta, riprendendo la strada verso il bagno per controllare che la riparazione fosse andata a buon fine. Dopo pochi passi, tornò però indietro, ricordandosi della chiave a pappagallo dimenticata sul ripiano vicino alla cucina, abbandonata all’arrivo di Marco. Marco… Cosa vuoi Vocina? Parla chiaramente. Qui l’unica che deve parlare chiaramente sei tu, Anna. E non a me, ma a te stessa.
Abbandonata l’intenzione di raggiungere la sua meta - il bagno - perché tanto non avrebbe avuto la concentrazione adatta, Anna si sedette sul divano cercando di capire cosa volesse dire il disco rotto che era diventata la Vocina nella sua testa. Non le era chiaro di cosa avrebbe dovuto parlare chiaramente. Era evidente che il bacio con Marco fosse stato…Rivelatore? No, bello. Interessante. Mentre con le dita tornava a sfiorarsi le labbra, Anna pensava proprio a quanto fosse stato bello risentire il calore di quelle di Marco sulle sue. Come era sta bello immaginarlo nei suoi sogni e lo era stato nella finzione per lo spettacolo di Carlo Conti con Cosimo. Una strana magia prendeva forma quando le loro labbra si incontravano e uno strano sfarfallio si agitava dentro di lei. Nelle fiabe si direbbe che è il segno di un innamoramento. Ma Anna non viveva in una fiaba, non era una principessa e Marco non era un principe. Questo non vuol dire che la tua vita non possa essere come una fiaba. E se quel “come” non fosse abbastanza? Se la principessa che era in lei non si sarebbe accontentata e avrebbe preteso che fosse una fiaba e non un semplice adattamento? Sei tu la principessa, Anna. Tu devi sapere cosa vuoi e forse la risposta già la conosci. 
La Vocina nella sua testa fu molto saggia quella sera. Anna conosceva la risposta. Il bacio di Marco aveva risvegliato la Bella Addormentata che dimorava in lei, pronta a inseguire il sogno del vero amore. Era stata stupida a credere che potesse vivere senza provare ancora la sensazione delle farfalle allo stomaco o dal calore delle labbra di qualcuno sulle sue. Era stata stupida a credere che se un uomo non l’aveva ancora amata veramente fino a quel momento, allora non sarebbe successo dopo. Era stata scema a lasciarsi condizionare dall’opinione degli altri su chi fosse l’uomo giusto per lei. Perché l’uomo perfetto non esiste, ma lo si può diventare per chi si ama. E forse a lei non interessava trovarlo perfetto. Perché anche pigro, terribilmente testone, belinone, sarebbe potuto andare bene. Stai dicendo che…? Che aveva ragione Serena, forse dall’esterno potevano sembrare una bella coppia, e magari in futuro sarebbero potuti diventarlo. Ma la Bella Addormentata che era in lei aveva ancora terribilmente paura di lasciarsi andare, di accettare quella sensazione che sentiva nello stomaco ogni volta che vedeva Marco. Forse era ancora intorpidita dal lungo sonno in cui era stata relegata da Malefica, che poi non era altro che lei stessa. Il fuso incantato dell’amore è impregnato della più grande magia che esista. Nessuno è in grado di domarla correttamente. Ma forse vale la pena pungersi, soffrire anche, se però la meta è il lieto fine.
Anna non era pronta ad accogliere quel sentimento che il bacio del principe aveva risvegliato. Per quel motivo di lì a poco l’avrebbe definito “un errore”. Se si pentì di averlo detto? Certo che sì. Duemila volte. Soprattutto dopo che Marco avrebbe iniziato a frequentare sua sorella. Sarebbe arrivata perfino a pensare che più che una Bella Addormentata, dentro di lei dimorasse una Scema Addormentata, che impaurita di non potere arrivare all’happy ending, si era lasciata scappare l’uomo dei suoi sogni.
 
Però, sai, caro lettore, a volte il fato ti dà una seconda chance nella vita. E a quel punto se non decidi di coglierla al volo e la lasci scappare, sei un idiota.
Anna e Marco non furono così idioti da lasciare che accadesse. Certo, la fata Chiara aveva aiutato il nostro principe azzurro a darsi una mossa quando le cose gli stavano sfuggendo di mano, ma era stata una principessa vestita da Babbo Natale a destarlo dal sonno della paura con un bacio, durante una notte fiabesca di metà agosto, che li aveva condotti a un classico “e vissero felici e contenti”.
Ma si è ribaltata completamente la favola così!
E la cosa ti crea problemi, Grillo?
No, affatto! Posso quasi dirti, Vocina, che questa storia è anche meglio dell’originale!
Mi fa piacere. E mi costa ammetterlo ma… sono d’accordo con te. Piace anche a me!
Però sei ancora sveglio! Forse ho fallito, come facc-
Zzzzzzz... Ronf! Zzzzzzz...
Non cambierà mai!
 
 
Ciao a tutti!
Scusate per la lunghissima assenza, ma Grillo sembrava aver smesso di soffrire di insonnia... invece era solo uno stratagemma.
Beh, non è la fiaba della Bella Addormentata che vi aspettavate, forse, ma è di sicuro la migliore versione che esista, almeno per me. E, preciso, è frutto della mente super creativa della mia Socia, che ha trasformato una storia che io - onestamente - detesto, in una che adoro.
Mi sono limitata a correggere la consecutio temporum qua e là, ma nient’altro. Tutto merito suo! E sono sicura che a voi sarà piaciuta tanto quanto me.
Restate in allerta, perché abbiamo già altro in cantiere. Una storiella molto, molto divertente... Per il momento, ci salutiamo, ma teniamoci aggiornati. Soprattutto perché le riprese di Don Matteo 13 sono iniziate! Incrociamo le dita che stavolta vada meglio.
A presto,
 
Vocina e Grillo

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Una prova d'amore ***


UNA PROVA D’AMORE
 Storia di un grande amooooree…

Perché Grillo canta con una bandiera in mano?

Che domande, Lottie! Perché è scemo!

Ehi! Ma perché ogni occasione per te è buona per insultarmi?

 E perché stasera in TV c’è l’ennesima – stupida - partita di calcio, che lui e tuo padre non vedono l’ora di guardare.

Solo perché non sei una fan, questo non vuol dire che chi segue il calcio sia stupido. Inoltre, anche alla tua Anna non dispiace questo sport, da qualche anno a questa parte. O sbaglio?

Quanto detesto dovergli dire che ha ragione!

Ah - ah! Sembra ieri che prendeva in giro Marco dicendo che esistono uomini in grado di rinunciare al calcio e ora lei stessa non vede l’ora di vedere le partite con quello stesso uomo impossibile che trovò in mutande nel suo ufficio.

Quel completo da calcetto nerazzurro era orribile!

Ehi ehi ehi, piano! Quella divisa non era nerazzurra! Era azzurra e blu. Ma ti pare che se fosse stata di quel terribile accostamento di colori che ricorda l’Inter, lo lasciavo andare in giro come se niente fosse?!

Ma non sono vestiti di nerazzurro pure quelli che guarderete stasera in TV? Che non sono l’Inter, almeno credo… Quanti ce ne sono dello stesso colore, oh?!

Aspettate un attimo: io non so ancora bene distinguere i colori, ma la bandiera che ha in mano Grillo è diversa da quella maglietta in fondo al letto di mamma e papà….

E infatti è diversa, Lottie. Non sbagli affatto. È rossoblu, quella maglia. Vedi, papà tifa Genoa - una squadra molto scarsa a mio avviso - ma purtroppo quando lui era piccolo, lo ero anch’io, e tuo nonno aveva più potere persuasivo di me su tuo padre. In altre parole, si è inflitto da solo, senza consultare la sua coscienza, quella terribile condizione di vita chiamata “essere tifoso genoano”, un limbo fatto di eterna speranza di non retrocedere in serie B. Se avesse dato retta alla sua coscienza, oggi tiferebbe la squadra più forte e titolata di Italia, ma lui niente! Testone…

Quindi secondo te deve tifare la squadra nerazzurra, come l’avete chiamata più… l'Inter?

Non dire certe bestem-

Grillo!

Ehm, bestialità. Ecco: non dire certe bestialità, Lottie! Quella squadra può a malapena lucidare le scarpe a quella più forte e titolata d’Italia, ossia la Juventus.

Ma lo ha vinto l’Inter lo scudetto, quest’anno.

Sì, Vocina, lo hanno vinto loro. Stan facendo un gran casino per un trofeo dopo nove anni di domino bianconero che nemmeno al carnevale di Rio. Ma non distrarmi dal punto della mia spiegazione a Lottie. Stavo dicendo che la maglietta in fondo al letto non è nerazzurra né bianconera, bensì del Genoa, perché Marco la vuole indossare questa sera guardando la partita. Tiferà per l’Atalanta - nerazzurra pure lei - allenata da Gasperini, che lui adora “perché è l’unico allenatore decente che abbiamo mai avuto a Genova”. - Se lo chiedete a me è solo un piagnone, ma poi passo per cattivo e finisco col litigare con Marco…

Quindi tu tiferai Juve e papà Atalanta? Ma come è possibile?

Semplice: uno, non tiferei per l’Atalanta e il suo allenatore nemmeno fosse l’ultima squadra rimasta al mondo! E due, nel mio corpo scorre sangue bianconero, dalla punta delle antenne fino a quella delle zampe posteriori, perché a differenza di tuo padre non mi son lasciato comprare con un pigiama da tuo nonno! E comunque, ti svelo un segreto: in fondo, anche se non lo vuole ammettere, un po’, a tuo padre, la Juve gli interessa... Negli anni me lo sono lavorato per bene!

Quindi è colpa tua se per il compleanno di Anna - il primo trascorso insieme nel 2018 - , mi sono dovuta sorbire la finale di Coppa Italia invece che una bellissima serata di pizza e film come Anna ha sempre fatto?!

In realtà, non è completamente “colpa” mia, io ho solo colto la palla al balzo per andare allo stadio. Anna ha fatto il resto. E poi devi ammettere che a quella sera e quella settimana, risale uno dei più bei ricordi della loro storia d’amore.

Quanto odio dovergli dare di nuovo ragione! Ma che è, stasera?! E non mi far tornare in mente certe cose, ché Lottie è piccolina e non ha bisogno di certi dettagli.

Ora che ci penso, sarebbe una bella storia da raccontare a Lottie!

SIIIII, UNA NUOVA FIABA! Prendo il ciuccio e mi metto comoda…

Io posso andare via mentre la racconti? Già mi devo sorbire la partita in TV tra due ore, ci manca solo la fiaba dove si parla di calcio!

Ma la fiaba non parla di calcio, quello è solo uno dei tanti elementi.

E di cosa parla, allora, Grillo?

Dei gesti d’amore che si è disposti a fare perché “é bellissimo cambiare, insieme”.

La capacità di quella frase di calzare a pennello in mille occasioni mi lascia sempre sorpresa. Allora, la raccontiamo questa storia o no?!

Ma non dovevi andare via?

Lottie mi ha legato alla sbarra del lettino mentre discutevamo…

AHAHAHA! Grande Lottie!

Se potessi muovermi, verrei a picchiarti, così impari a ridere! Ma siccome non posso andarmene, tanto vale che racconti la storia. Prima inizi, prima finisci.

E va bene, allora iniziamo a raccontare. Spero solo di non addormentarmi dopo la storia, altrimenti mi perdo la finale!

Volesse il cielo! Così ce la risparmiamo tutti…

Come hai detto, Vocina? Ero andato a prendere gli occhiali per darmi un tono mentre racconto…

Niente, niente. Non c’è manco gusto a prenderti in giro, fai già tutto da solo… ma guardati!

Ahahahah, sembri il grillo di Pinocchio, con quegli occhiali!

Non capisco cosa ci sia da ridere. Nel dubbio iniziamo a raccontare, va…

C’era una volta… No, stavolta la fiaba non inizia con c’era una volta. Perché vedi, caro lettore, non tutte le fiabe iniziano per forza così. Ci sono storie che possono essere raccontate anche senza gli scontati elementi narrativi a cui fin da piccoli ci hanno abituati. E questa non è nemmeno la scontata favola che abbiamo sempre letto nelle più famose raccolte. Come sempre, però, ha una morale: il vero amore non sta nei gesti eclatanti, ma nei gesti inaspettati e più semplici, quelli insomma che più scaldano il cuore. Senza ulteriori indugi, ti porto quindi ora con noi, a quella mattina di inizio maggio di qualche anno fa, in cui la “magia” del vero amore ha cominciato a spandersi come polvere dorata nella piccola cittadina di Spoleto.
Era una mattinata piuttosto calda, per essere solo maggio, quella in cui Anna - la “principessa” di questo racconto -  aveva deciso di recarsi al lavoro a piedi, approfittando del silenzio che avvolge le stradine di Spoleto di prima mattina per stare da sola e riflettere sui mesi caotici appena trascorsi. Da qualche tempo, infatti, nella sua dimensione quotidiana era tornato spazio per l’amore. Per una ragazza razionale come il Capitano Olivieri, quell’evento era stato motivo di grande scompiglio, perché mai prima di allora aveva potuto sperimentare davvero quel “tipo” di vita. Per anni, aveva lavorato duro con lo scopo di diventare un buon carabiniere e aveva trascurato l’amore per l’unico fidanzato mai avuto, Giovanni. Probabilmente per quello, ma non solo – dopotutto lui aveva fatto precipitare tutto con la sua idea di farsi prete, poi invece accantonata – da quel momento aveva iniziato a pensare che sua madre potesse avere ragione, che la sua divisa, tanto agognata, potesse essere un deterrente per gli uomini. E invece proprio quando la sua vita sembrava stesse crollando a pezzi, aveva capito che il problema non era mai stata lei, ma il fatto che il suo cavaliere fosse quello sbagliato. Alla mirabolante scoperta era giunta dopo una serie di strani eventi tutti ruotanti attorno alla figura del suo collega di lavoro, Marco Nardi. L’uomo più distante dall’idea di principe che avesse potuto immaginarsi nella vita. Eppure, con tutte le sue imperfezioni – ed esperienze di vita pregresse – era stato quell’uomo impossibile, pigro, testardo alle volte, a farle capire che non è l’abito che fa il monaco e che lei con la sua armatura era comunque una principessa, ma non una qualunque: la sua principessa. Quella che il principe nelle fiabe va ricercando di reame in reame, per destarla da un sonno incantato o per capire se il suo piede può calzare la scarpetta di cristallo.

Giorno dopo giorno, lavoro dopo lavoro, lezione di cucina dopo lezione di cucina, Anna aveva imparato che dietro alla giacca e la cravatta di facciata e il bambinone non troppo nascosto, Marco Nardi nella sua imperfezione era l’uomo perfetto per lei. E in una calda notte di agosto, in un Natale particolare ma comunque magico, la loro storia d’amore era finalmente iniziata. Da quella sera, la vita di Anna non era stata più la stessa, la sua casa non era mai più stata vuota come non lo era stata quella di Marco. Non c’era attimo che i due non fossero insieme, come se quel momento, quella loro storia, fossero stati bramati per tutta la vita, per potersi lasciar scappare anche un solo secondo e non viverlo appieno. Attenzione, questo non vuol dire che i due andassero sempre d’amore e d’accordo, tutt’altro. Erano come cane e gatto, ma lo erano sempre stati fin dal giorno in cui si erano conosciuti. Due persone profondamente diverse, caratterialmente e professionalmente, ma che nel loro essere tanto differenti in realtà poi si completavano, e quasi somigliavano. Avevano sofferto tanto, entrambi, nel corso della vita. Quella loro storia era come un premio dopo tanto dolore gratuito. Sapere di poter contare sull’altra persona, senza dover nemmeno chiedere aiuto quando se ne ha bisogno. Questo è vero amore. O così almeno glielo spiegava Cecchini ogni qualvolta che, vedendoli insieme, si compiaceva che il suo piano per avvicinarli fosse andato a buon fine. Ridevano Marco ed Anna a quel suo prendersi i meriti, perché in realtà il suo contributo per molto tempo aveva fatto più danni che altro. Però quando i loro occhi si incrociavano, non potevano che essere d’accordo con lui. Mai avevano provato tanta felicità nella vita.

La felicità però ha un costo, questo ce lo insegna la vita. Non è una conquista facile, e non lo è nemmeno riuscire a prendersene cura. Spesso si affrontano grandi sfide e inaspettati ostacoli. Altre volte invece si crede di averla perduta per delle minuzie. Come quando si litiga per le cose più stupide. Marco e Anna lo facevano spesso. Quando accadeva, capitava che non si parlassero per ore o un giorno intero. Era stato il loro cupido a mettere a posto le cose più volte, a far capire loro che ogni istante accanto alla persona che si ama va apprezzato, anche quando si litiga. Perché litigare fa parte del grande gioco dell’amore, e fare pace dopo è apprendere qualcosa di nuovo dai propri errori.
Nel corso di quei mesi assieme, Anna e Marco avevano imparato a conoscersi di più, a capirsi di più. Sapevano quando era il momento di provare ad aprire di più il varco nel muro dell’altro, quando era preferibile tacere, quando era meglio assecondare o semplicemente concedere spazio. Perché in fondo sapevano che cambiare insieme era possibile, rispetto al loro passato e rispettando il loro passato, ma andava fatto con cautela e gradualmente, come altrettanto lentamente era sbocciato il loro amore.
Capirai bene, caro lettore, quanto quei mesi potessero essere stati difficili per Anna, quanti sentimenti si fossero annidati in lei e avessero litigato anche con la parte più razionale di sé. Non è facile abbandonarsi all’istinto se non lo si ha mai fatto. Come altrettanto difficile è fare il contrario, come era successo a Marco, e affidarsi più spesso alla razionalità e non agire di impulso, di pancia. E talvolta, ci si ricasca.

Com’era successo la sera prima di quella mattina di maggio che si citava all’inizio. Anna e Marco erano a casa di lui, intenti come spesso accadeva a cucinare insieme. Le lezioni di cucina ormai superate, perché l’allieva aveva iniziato a prendere il sopravvento sul maestro. Tutto sembrava procedere come sempre finché il nostro principe non aveva commesso il passo falso che aveva fatto crollare la serenità di quel momento. Mentre era infatti intenta ad apparecchiare la tavola, Anna non aveva potuto fare a meno di notare che sul mobile in soggiorno erano posizionati in bella vista due biglietti. Quando si avvicinò per sbirciare per cosa fossero, non le ci volle molto a capire che erano due biglietti per una partita di calcio, dopotutto il suo fidanzato era un fan sfegatato di quello sport. Guardava qualsiasi partita gli capitasse sottomano, fosse stata anche un amichevole tra la Longobarda di Oronzo Caná e il Giappone di Holly e Benji – e sì, Anna sapeva bene che non fosse possibile fondere il cartone animato e il film di Lino Banfi, ma la strana iperbole rende bene l’idea di quanto Marco amasse il calcio. In ogni caso, non erano un problema in sé e per sé, quei biglietti. Perché Anna aveva imparato ad apprezzare il calcio,  anche se non ne capiva ancora molto delle regole e per lei fosse comunque solo un modo di passare più tempo con lui, facendo qualcosa che piacesse a lui, che era sempre pronto a fare cosa piaceva a lei. Ricordava bene anche che gli aveva promesso di andare prima o poi con lui allo stadio, e probabilmente quei biglietti erano proprio per loro due. Quando però li aveva presi in mano per scrutarli meglio, Marco con fare entusiasta l’aveva raggiunta. Doveva essere una sorpresa, ma in realtà di sorpreso - ma in negativo - c’era solo il volto di Anna. Quel suo “Questi cosa sono?” era certamente solo un pretesto per iniziare la conversazione, Marco ne era conscio. Sapeva benissimo che ne aveva appena letto il contenuto, solo non capiva perché si fosse rabbuiata. La conversazione inizialmente dai toni pacati si era poi improvvisamente infiammata, come se qualcuno avesse buttato della benzina su un fuoco acceso. L’escalation fu talmente tanto rapida e gli eventi si consumarono con tanta rapidità, che un momento Anna era accanto a lui e quello dopo si stava chiudendo la porta alle spalle, lasciandolo da solo e con la cena – dimenticata sui fornelli accesi – bruciata.
Marco passò la serata con i biglietti in mano, intento a capire come quei due pezzi di carta avessero potuto causare quella lite che nemmeno sapeva più come fosse iniziata veramente. Rilesse i dati che riportavano mille volte: i nomi delle due squadre, quello dello stadio, i loro nominativi, i posti a sedere, la data del giorno in cui la partita si sarebbe svolta. Ma niente. Non capiva perché quell’espressione prima triste e poi arrabbiata sul volto della sua fidanzata. E poi tutto il resto. Si addormentò con i biglietti in mano, senza aver risolto nulla. Solo la mattina seguente, quando il suo cellulare squillò, mise insieme i pezzi del puzzle. La voce furibonda che lo stava insultando dall’altra parte aveva ragione: era un idiota.
Quella mattina, nelle strade deserte di Spoleto – come già anticipato – c’erano solo Anna e i suoi pensieri. C’erano anche i postumi della notte in bianco causata dalla lite con Marco. Come aveva potuto dimenticarsene? Come aveva potuto fare quella scelta, consapevolmente? Lo amava, molto. Ma certe volte faceva fatica a comprenderlo. Era tremendamente distratto. Faceva spesso casini. Era disordinato. Ma non pensava potesse dimenticarsi di una cosa del genere. Sì, lei non era una che festeggiava spesso i grandi eventi nel corso dell’anno, ma una data su tutte sì.
E anche lui... proprio lui se ne era dimenticato.
“Anche”, perché pareva se ne fossero dimenticati tutti. Sua sorella, sua madre, Cecchini. Nessuno nominava niente in proposito. E da sola con quei pensieri che le ronzavano in testa, era quasi giunta alla sua destinazione.

Stava lentamente scendendo le scale della piazza, quelle che conducevano al Duomo e alla caserma, dopo aver allungato la sua passeggiata per poter stare da sola qualche attimo in più, conscia che giunta in caserma il Maresciallo le avrebbe fatto mille domande vista la sua faccia strapazzata dalla notte insonne, quando il suo telefono iniziò a squillare. Sperava fosse Marco. Di solito, lui dopo le liti ci provava subito: chiamava e richiamava, e lei puntualmente non rispondeva, finché poi all’evidenza che solo una volta faccia a faccia, lei avrebbe accettato di parlare e chiarirsi, si arrendeva. Invece quella mattina non ci aveva provato affatto, Marco. Non si era fatto vivo. Preso il telefono in mano, che incessantemente continuava a suonare, cercò di mettere su la miglior facciata possibile per evitare di preoccupare l’interlocutore, o meglio interlocutrice.  Dall’altra parte però la voce non era impastata dal sonno, come in genere accadeva a quell’ora, bensì era molto agitata, infuriata. “É proprio un idiota!”. Non si aspettava iniziasse così la telefonata con sua sorella Chiara. Anzi in realtà nemmeno aveva capito chi fosse il soggetto dell’affermazione, era pronta a giurare fosse uno dei tanti caproni che si erano succeduti al leggendario Sasà, la sua relazione più longeva, escludendo il breve pezzo di vita con Marco. Invece l’idiota in questione era proprio il suo Marco. Non sapeva bene come Chiara fosse venuta a conoscenza della lite, escludeva fosse stato Marco a chiamarla perché di solito quello era il passo successivo nei tentativi di fare pace, qualora fosse fallito il tête-à-tête, prima citato. In realtà, Anna non ebbe il tempo di chiederlo, perché dopo la trafila di insulti al suo fidanzato, Chiara era passata a parlarle del pomo della discordia in sé. Qualcuno se ne è ricordato, pensò la Vocina nella sua testa, l’unica che si ricordava – per ovvie ragioni – dell’importanza di quella data. Un sorriso si fece strada sulle labbra di Anna, mentre la sorella al telefono le elencava tutti i modi con cui avrebbero potuto celebrare quel giorno insieme, nel caso l’idiota nel frattempo non avesse risolto il rebus e capito il problema.
Le due sorelle rimasero d’accordo di vedersi quella sera. Chiara era infatti in procinto di andare da lei qualche giorno, per trascorrere del tempo insieme dopo quasi un mese che non si vedevano. Anna, riposto il telefono nella tasca della sua giacca, riprese la discesa della scalinata, non senza dimenticare che quell’effimero momento di “gioia” stava per concludersi, poiché presto in caserma sarebbe arrivato Marco e i ricordi della sera precedente sarebbero riemersi più vividi che mai.
Chiara ha ragione. Sei un idiota. Come hai potuto dimenticartene?! Facile fare la morale dopo, pensò Marco all’affermazione del Grillo nella sua testa. Se lui se ne ricordava, perché non è intervenuto ieri sera, a tirarlo fuori da quella lite? Avrebbero potuto risolvere subito, e invece…

…Crac crac…

Potresti smettere di sgranocchiare pop corn, Vocina, mentre racconto la favola?

Oh scusami, Grillo, ma vedere come Marco ti insulta è uno spettacolo che andava accompagnato dai pop corn, ahahah!

Per un momento mi ero illuso a quel “Oh, scusami” che non mi avresti deriso. Vabbè, continuiamo…

... E invece quella mattina l’arcano lo aveva risolto Chiara, che gli aveva telefonato  per chiedergli aiuto nell’organizzazione della festa a sorpresa per il compleanno di Anna. IL COMPLEANNO! Come aveva potuto dimenticare l’unico evento dell’anno che la concernesse in prima persona, che la sua fidanzata festeggiava?
Visto? Un idiota. Avevano ragione tutti, da Anna ad arrabbiarsi a Chiara che gli dava del cretino, stupido, impossibile... e al Grillo nella sua testa che rincarava la dose, sebbene non fosse nella posizione più adatta per parlare. Niente, mi insultano tutti…
Doveva rimediare. Lo sapeva bene. Come sempre, del resto. Perché tutte le volte era colpa sua. Anche quando non lo era. Perché per Anna si sarebbe preso qualsiasi colpa, anche quelle non sue. Sì, l’amava così tanto... Tanto da dedicarle la sua stessa vita, se fosse stato necessario, come il più nobile dei principi azzurri. Solo poco più di un anno prima, lei era entrata nella sua vita a gamba tesa, come il più pericoloso degli interventi fallosi che si possono vedere in un campo da calcio. Lui aveva cercato di tenerla a distanza, ammonendola, ma non era servito a molto. In poco tempo gli aveva rivoluzionato la vita, ma non come Federica, la sua ex, senza chiedere permesso. No, come il più abile regista di centrocampo, di quelli che sanno esattamente dove la palla deve andare e con un colpo da maestro la piazzano sul piede del centravanti che deve solo tirare verso la rete. La rete, metaforicamente parlando, era quella della porta del suo più temibile avversario: le sue paure. Quelle che lui, nell’inusuale posizione di attaccante, doveva scacciare a suon di goal, per poter finalmente vincere e andare avanti, tornare a vivere. La partita con esse, l’aveva vinta, la notte del magico Natale di Cosimo. Ma il campionato – gli appassionati di calcio lo sanno – dura molto di più di una singola partita, e all’epoca, era solo all’inizio.
Sempre gli appassionati di calcio sapranno che i luoghi comuni su questo sport sono tanto banali e scontati, quanto più spesso veri. La palla è rotonda, vero. E se la ha il tuo avversario, puoi o soccombere e subire il suo gioco, o rubargliela e riportare il proseguo della partita nelle tue mani, o meglio nei tuoi piedi. Per quanto sia forte l’avversario, non è detto però tu debba per forza soccombere, perché come già detto, il pallone è rotondo e tutto può succedere. Ed è per questo che la notte in cui Marco e Anna avevano intrapreso quel loro campionato insieme, come una squadra, sapevano già che le partite da affrontare sarebbero state ostiche, anche le più banali. E che qualcuna la si avrebbe persa. Marco ne aveva appena persa una, ma era pronto a rialzarsi e vincere quella successiva.
Per farlo, doveva rinunciare, ancora una volta, per il secondo anno consecutivo, al momento che più attendeva: la finale di Coppa Italia. Non tifava nessuna delle squadre che puntualmente arrivavano a giocarla, questo andava detto. Se tifi Genoa, dopotutto, non puoi sperare in più di tanto, avrebbe detto Grillo. Ma era l’unica partita che riusciva a potersi godere dal vivo durante l’anno. I tifosi lo sanno: l’ebrezza che si prova a vedere una partita in televisione non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che si prova a vederla allo stadio. L’adrenalina di essere insieme ad altre migliaia di persone è impareggiabile, anche quando tra le squadre in campo non c’è quella del cuore. Gli impegni di lavoro non gli permettevano di spostarsi spesso. La sua squadra del cuore giocava in casa troppo lontano da Spoleto e Genova non era facilmente raggiungibile per lui. Quando giocava in trasferta, in zone più vicine, spesso il lavoro o le regole restrittive su chi può essere ammesso o meno in curva gli impedivano di andarci. La Coppa Italia, con i suoi prezzi più bassi - sempre genovese eh, non dimentichiamolo – lo spingeva invece ad accaparrarsi i biglietti in tribuna, più facilmente acquistabili di quelli in curva e per l’occasione più accessibili alle tasche del genovese in questione. Era uno dei pochi lussi che Marco si concedeva nell’arco dell’anno, perlomeno prima che Federica non glielo impedisse. Successivamente, la tanto agognata partita se l’era persa per l’auto guasta di Cecchini prima e, a breve, lo avrebbe rifatto per amore della sua Anna. Perché non c’era dubbio alcuno con chi tra le due squadre in gioco dovesse schierarsi: Anna avrebbe battuto tutti a mani basse. Era il Cristiano Ronaldo – o Messi, scelga il lettore chi preferisce – della situazione.

Era ormai sera quando Anna stava lasciando la caserma diretta a casa. Chiara aveva rimandato il suo arrivo per un contrattempo. E in parte Anna ne era felice. La giornata infatti era stata più stressante del previsto, tra un nuovo caso da risolvere e Cecchini preoccupato per lei e Marco. Quest’ultimo non aveva accennato per l’intera giornata a quanto successo tra loro la sera prima. In caserma, come del resto si erano accordati fin da subito in quella loro storia, i loro problemi extra lavorativi non potevano entrare. Perlomeno non esplicitamente. Perché per quanto potessero impegnarsi ad essere professionali e distaccati, nell’aria aleggiava sempre la tensione, quando qualcosa tra loro non era perfettamente a posto. E tutti i sottoposti di Anna, non solo Cecchini, erano in grado di accorgersi di quei momenti, ovviamente. Anna sperava però che Marco, sempre piuttosto celere nel risolvere il rebus e capire dove aveva sbagliato, avesse capito il motivo della sua tristezza e rabbia la sera prima. Invece, sembrava che per lui questa volta la soluzione ancora non fosse arrivata. Aveva messo il piede in fuorigioco, il goal gli era stato annullato e lui nemmeno se ne era accorto. O forse lei aveva sbagliato il momento dell’assist e per quello l’azione non era andata a buon fine.
Mentre tornava a casa ripensando alla giornata e alle ore della sera precedente, Anna iniziò a domandarsi perché fra tutti i momenti dell’anno, proprio in quello Marco avesse deciso di tramutare la loro promessa di andare insieme allo stadio in realtà. A pensarci bene, da quando conosceva Marco, lui non ci era praticamente mai andato allo stadio. Con Chiara era saltato tutto per “colpa” dell’auto di Cecchini e negli anni addietro, da quanto raccontatole dal suo fidanzato, con Federica il calcio era bandito in televisione, figurarsi allo stadio.
Era ormai giunta al portone di casa, quando aprendolo, seduto in cima alla rampa di scale che portavano al pianerottolo di casa sua, lo trovò seduto accanto a Patatino, in attesa che lei rientrasse. Quando si dice che il cane assomiglia al padrone, la faccia che entrambi le rivolsero, potrebbe essere usata come esempio: sguardo vuoto e triste, e testa abbassata. L’umore di uno rispecchiava quello dell’altro. Alla vista di quello spettacolo, per un momento Anna stette per lasciar cadere la maschera e l’armatura, pronta a perdonare quanto accaduto. Ma la ragione intervenne come sempre sull’istinto e, trattenendosi, chiese cosa ci facessero lì. Fu in quel momento che quasi ridestandosi, Marco notò che era arrivata. Era talmente immerso nei suoi pensieri, nel tentativo di formulare un discorso di senso compiuto da dirle, che non se ne era accorto. Al contrario di Patatino, che nulla aveva fatto ad Anna, e che le corse incontro per farle le feste ricevendo in cambio la stessa dose di affetto, Marco si mise in piedi, sul pianerottolo, in attesa che lei salisse per poter finalmente parlare di quello che era accaduto. Come sempre accade in momenti come quello, l’intero discorso che Marco si era preparato in testa andò perduto nell’esatto istante in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Anna. La potenza delle iridi verdi di quella ragazza era in grado di fargli perdere la capacità di fare qualsiasi cosa, anche respirare. E vederle quello sguardo velato di tristezza era uno spettacolo che mai avrebbe voluto vedere. Soprattutto se la causa delle lacrime taciute era lui. Fu solo grazie all’intervento del Grillo nella sua testa che Marco si ricordò che non poteva vivere per sempre lì in piedi ad ammirarla, sebbene non gli sarebbe dispiaciuto. Visto che abbiamo dimenticato completamente cosa avevamo preparato, io inizierei la conversazione in maniera easy: scusa. “Scusa” disse infatti Marco contemporaneamente alla voce della coscienza che gli ronzava in testa. In risposta ricevette un “Perché?”. Una sola parola in grado di aprire un mondo di pensieri e sentimenti. Una parola che celava in sé una domanda più articolata: hai capito dove hai sbagliato, lo so, ma come hai potuto dimenticare? Non aveva una vera risposta al perché se ne fosse dimenticato. Nella sua testa l’obiettivo era solo quello di condividere una sera con lei, lontani da Spoleto, dalla loro famiglia, da qualsiasi cosa che potesse disturbarli. Non aveva previsto che sarebbe coinciso col suo compleanno. Non lo aveva fatto apposta. Voleva regalare a se stesso e a lei una via di fuga alla vita normale e reale. Una sera in cui avrebbero potuto conoscersi meglio, soprattutto lei a lui. Voleva portarla nel suo mondo. Quello che aveva celato a molti e a se stesso per anni ormai. Detta così era conscio suonasse un po’ egoista come motivazione, ma nei fatti non voleva esserlo. Lo stesso volto di lei che andava ammorbidendosi man mano che lui cercava inutilmente e caoticamente di spiegarsi, era prova che stava capendo, nonostante tutto. E quando ormai era sul punto di interromperlo per dirgli che aveva capito che le motivazioni erano buone, ma era la sera del suo compleanno quella partita, Marco la stava già battendo sul tempo e lasciando senza parole. “Ma ora tutto questo non ha importanza, perché io sono un’idiota. Ero completamente elettrizzato e forse anche un po’ spaventato all’idea di aprirti una parte del ‘mio mondo’, dopo che tu hai fatto ben di più nei miei confronti, da non accorgermi che la data della partita era la stessa del tuo compleanno. E sarei, anzi sono, un pessimo fidanzato se ti costringessi a venire con me o peggio ad andarci e non stare con te per il tuo compleanno. E ho deciso di rivendere i biglietti.”

Anna non poteva credere alle parole. O meglio sì, ma era scioccata comunque. L’uomo che aveva davanti pareva un lontano parente di quello che aveva conosciuto un anno e mezzo prima. Quell’uomo talmente ferito dalle azioni della sua ex, da apparire incapace di provare alcun emozione e preferire il calcio a tutto, anche alle persone più care. Quell’uomo, come molti tifosi, aveva iniziato a programmare la sua vita in relazione alle partite. Era un uomo che voleva riappropriarsi delle proprie azioni, della propria vita, dopo che qualcuno aveva cercato di imbrigliarlo in un rigido schema, che nel calcio solitamente priva il gioco di fantasia.
In quel momento, invece, di fronte a lei c’era un uomo diverso. Un uomo che aveva imparato che ci sono persone che sanno rinunciare a una partita di calcio, perch ne vale la pena. Che non programmava la vita in virtù di quello sport, ma in virtù della persona che amava. Persona quest’ultima, che veniva posta ora sul piedistallo, che aveva la precedenza su tutto. Ed era strano, per Anna, essere quella persona. Mancavano pochi giorni al suo compleanno, ma Marco le stava facendo il dono più bello. Non il più costoso, un regalo materiale che ben presto magari si dimentica pure in un angolo dell’armadio. No. Le stava donando se stesso, il suo tempo. E non è un regalo scontato, caro lettore. Quante volte ci priviamo inutilmente del nostro tempo per gli altri, ricevendo in cambio da questi, nulla? Quante volte invece egoisticamente, non ce ne priviamo per chi lo meriterebbe? Marco in quel momento aveva capito che l’importante in tutta quella storia non era come o dove avrebbero speso il loro tempo insieme. L’importante era essere insieme. E quella lite, nata da un futile motivo, li stava privando di quella gioia. Li stava tenendo separati. E come succede nelle partite di calcio, a un certo punto, per risolverla, può essere necessario fare le sostituzioni, cambiare quei due o tre elementi che, stanchi, non possono più garantirti di fare l’azione decisiva e vincere la partita, e inserire invece quelli che possono permettere al fuoriclasse di fare goal. E Marco aveva deciso di attingere, come un allenatore, a quei cambi: via la la finale di Coppa, che lo avrebbe fatto perdere, dentro il fuoriclasse, anzi LA fuoriclasse. Quella che aveva cambiato la sua vita, senza che nemmeno se ne accorgesse, aiutandolo a superare le sue paure. Colei che ora rappresentava la sua più grande paura: perderla.

Quello che ormai pareva essere un interminabile, eppure piacevole, silenzio tra loro, venne interrotto da Marco, quando Anna non rispose al suo confuso discorso. “Ti amo. Io so solo questo. E me ne rendo conto ogni volta che incrocio il tuo sguardo. Ero venuto qua per spiegarmi, con un discorso progettato in testa. Ma come quella sera di qualche mese fa, in cui mi sono presentato mezzo ubriaco, ogni discorso progettato è andato a farsi benedire. È vero, amo il calcio, lo sai. Amo il fatto che tu mi assecondi in questa passione, nonostante non ci capisci nulla. Amo che tu per prima mi abbia proposto un giorno di voler venire con me allo stadio. E quel giorno arriverà, ma non è questo sabato. Ora l’unica cosa che voglio è che tu perdoni quell’idiota che sono. Perché sto da cani.” Un piccolo guaito di Patatino aiutò Marco a dare enfasi alle sue parole e ha scatenare sul volto della sua fidanzata un sorriso, cui fece seguito – ça va sans dire – un bacio lungo e appassionato.
Nei giorni che seguirono, le cose tra Marco e Anna ripresero a funzionare come sempre. Piccoli battibecchi, abbracci, baci e tanti attimi di vita da non dimenticare. Nel mentre, una strana fata fashionista tramava alle spalle sia dell’uno che dell’altra. Marco avrebbe dovuto tenere impegnata Anna mentre lei si sarebbe occupata dell’organizzazione della festa. Quello che però il nostro principe non sapeva, era che alla fine della festa, ci sarebbe stato un regalo anche per lui.
Troppo preso infatti a tenere impegnata Anna, Marco non si rese conto che alla fine la festa era stata organizzata per il venerdì sera e non per il sabato, giorno del compleanno di Anna. Fu solo al termine della festa, organizzata in ogni dettaglio da Chiara perché le candeline venissero spente allo scoccare della mezzanotte – perché non si festeggia mai prima del giorno esatto -, che capì che mentre lui aiutava Chiara, Chiara stava anche aiutando Anna a fargli una sorpresa. Nella busta che la sua fidanzata gli mise tra le mani quella sera, sotto i suoi occhi indagatori e confusi, c’erano i due biglietti per la finale che Marco aveva chiesto a Cecchini di rivendere, accompagnati da un biglietto su cui riconobbe immediatamente la calligrafia di Anna “Pronto per la finale? ;)”. Quando sollevò lo sguardo dal contenuto, il sorriso di Anna, compiaciuta di essere riuscita nella sorpresa, era lì ad accoglierlo. Come nel più classico dei cliché, la gioia di entrambi non tardò a manifestarsi, tra le risate e i sorrisi dei presenti.

Era sabato mattina presto quando si misero in viaggio verso Roma, in sella alla moto. Durante il lungo viaggio, Anna aveva avuto modo di ripensare alla sera precedente. Alla festa perfetta che era stata organizzata, semplice, come piaceva a lei. Cena con amici e famiglia, questa volta rigorosamente preparata da Marco, il suo film preferito nel dopocena, comodamente visto in braccio al suo fidanzato sul loro pouf (‘visto’ era un parolone, perché gli altri ospiti chiacchieravano mentre loro due programmavano la fuga per l’indomani), e infine la torta e il suo desiderio più grande spegnendo le candeline: che quello che stava vivendo non fosse un sogno, una fiaba di quelle che si leggono nei libri, ma la realtà, la sua fiaba. E se tutto quello non fosse già stato abbastanza perfetto per lei, il sorriso del suo Marco alla sorpresa dei biglietti era stata la ciliegina sulla torta.
La partita era programmata per la sera, la giornata era tutta per loro. Passeggiare per Roma è, come si dice spesso, viaggiare nel tempo e nella storia. Mano nella mano per le vie della Città Eterna, non era stato per loro due solo viaggiare nella storia di quella città e civiltà, in cui risiedono le radici di noi tutti, ma anche un viaggio nella vita e nel passato di Marco. Anna aveva scoperto molte cose di lui durante quel viaggio. Sul suo passato, sulla sua passione per il calcio, sulla sua famiglia – anche se su questo argomento non si era aperto molto, come a celare ferite profonde che  ancora evidentemente non era pronto ad aprire a lei.

Circa un’ora prima della partita erano già dentro lo stadio. Avevano rispettato tutti i riti pre-partita del caso. Per cena, il panino presso uno dei chioschetti fuori lo stadio accompagnato da una birretta, ovviamente. Marco ne era rimasto estasiato: sapeva benissimo che la fidanzata non si creasse problemi, ma nemmeno lui stesso si aspettava sarebbe stato... così. Una volta dentro lo stadio, per Anna era stato come entrare a scuola: per godersi lo spettacolo voleva essere preparata. Aveva iniziato quindi a tartassare Marco di domande, mentre l’aria all’Olimpico aveva iniziato a scaldarsi. Come i calciatori infatti devono fare riscaldamento, anche le tifoserie iniziano ad accendersi. E la partita di quella sera non era una finale come tante. Le due squadre più titolate di Italia si contendevano la coppa: da una parte la Juventus, dall’altra il Milan. Per quanto novellina in materia, Anna era conscia che nessuna delle due squadre era quella del cuore di Marco. Per chi dobbiamo tifare, scusate? Si domandava la Vocina nella testa di Anna. E poiché non sapeva risponderle, dopo un po’ di esitazione porse la domanda a Marco. Quest’ultimo non se ne accorse subito, ma il Grillo nella sua testa invece sì, e approfittando della situazione non esitò un attimo a guidare le azioni di Marco, che senza rendersene conto affermò “Juventus”. Solo dopo aver notato Anna che annuiva e ciò che aveva detto, alzò gli occhi al cielo capendo le sue azioni, mentre Grillo sghignazzava nella sua testa. Tornò nuovamente alla realtà quando Anna gli chiese se c’era un motivo specifico per cui aveva scelto quella squadra e non l’altra, essendo lui tifoso di tutt’altro club. Marco approfittò del momento per raddrizzare il tiro e dire che aveva detto una delle due squadre a caso, ma che poteva anche solo godersi lo spettacolo, senza tifare nessuna delle due, come più probabilmente avrebbe fatto lui.
Quando l’arbitro fischiò l’inizio, Anna capì veramente perché Marco amava seguire quello sport, in particolare dal vivo: l’ondata emotiva che colpisce chi sta sugli spalti sarebbe in grado di coinvolgere chiunque. Ben presto i propositi di entrambi di non schierarsi con nessuna squadra andarono a farsi benedire. Al primo goal segnato, lo stadio tremò letteralmente sotto i piedi di Anna, mentre ormai Marco si era lasciato andare in gioia, nonostante per gran parte della partita sembrò contro la squadra che era passata in vantaggio. Chissà quale Grillo gli stava passando per la testa in quel momento. Lo so io, quale, disse la vocina nella sua testa. Poco dopo arrivò un altro goal, il raddoppio per la medesima squadra e poco dopo ancora il terzo goal, a cui Marco esultò – più o meno consapevolmente – tirando in piedi Anna e baciandola di slancio. La partita sembrava segnata e lei era ormai stata assorbita dall’entusiasmo di chi stava sugli spalti, tra coloro che esultavano e quelli invece indignati perché stavano perdendo. La partita terminò 4-0 per la Juventus. Decisero di restare anche per la cerimonia di premiazione, per poi lasciare lo stadio a tarda sera. Per l’occasione decisero di fermarsi a Roma e non rientrare quella notte, scegliendo un B&B sulla strada. Il dopo-partita fu anche meglio, complice forse anche l’adrenalina che ancora pervadeva entrambi. Anna non poté immaginare un compleanno migliore di quello. Tra le braccia del suo fidanzato per due giorni, il centro dell’attenzione di Marco, al di là e al di sopra di tutto.
Nella tarda mattinata del giorno successivo fecero ritorno a Spoleto. Cecchini li stava spiando dalla finestra, mentre i due si salutavano, con Marco diretto a casa perché aveva affidato al vicino Patatino e non voleva approfittarne troppo. Quando Anna raggiunse il pianerottolo, una voce alle sue spalle quasi le fece prendere un colpo “Siete una bella coppia, siete. L’avevo detto che le sarebbe piaciuto, il PM…” e poi la porta che si richiudeva. Non era necessario vedere il volto di chi aveva parlato. Importava che avesse ragione. Che non perdesse occasione di ripeterlo. E lei non poteva essere più felice di ammettere che aveva ragione.

Come ho più volte sottolineato, caro lettore, questa fiaba non è come tutte le altre e quindi non finirà con “e vissero per sempre felici e contenti”. Perché questa fiaba si ispira a una storiella africana che nulla ha a che vedere con le normale regole occidentali di narrazione. Tuttavia, non posso esimermi dal chiudere questo racconto con l’immancabile morale e chiosa.
Robert Louis Stevenson affermava che «Si può donare senza amare, ma non si può amare senza donare». La sera del suo compleanno, sugli spalti dello stadio accanto al suo Marco, Anna capì proprio questo. Che nel momento in cui doni il tuo tempo o doni te stesso all’altro, allora stai veramente amando. Perché lo fai conscio che quel dono avrà sempre in ritorno un altro dono: l’amore stesso. A volte per accorgersene, bisogna mettersi in gioco, affrontare le prove che la vita ci pone di fronte, come hanno fatto i nostri protagonisti.
E posso assicurarti – sì, a te che stai leggendo -  che quella prova d’amore ha dato i suoi frutti. Ma forse questo lo sapevi già…

Allora?

Prendi la bandiera, Grillo, andiamo a battere papà! Forza Juve!

Non esattamente la lezione che pensavo sarebbe passata, ma son soddisfazioni! Hahahahah Juve, storia di un grande amore….

***Due ore dopo***

GRILLO! ABBIAMO VINTO! Ehi, ma Vocina dov’è finita?

Intendete me, legata alla sbarra del letto?

Ops, ci siamo dimenticati di slegarla!

Almeno non ho dovuto seguire la partita… ma me la pagate lo stesso! E la vendetta parte subito, perché tu, Grillo, stanotte non chiuderai occhio nonostante la nuova fiaba! Ah-ah! Ma non finirà qua. Di questo potete stare certi.

Sai che novità! Minaccia più, minaccia meno. Notte sveglio più, notte sveglio meno... Ma stasera la Juve ha vinto, per cui posso anche passare la notte fuori. Ciao Lottie!

Ronf ronf….
 
 
 
[Nota per i lettori: La partita si tenne mercoledì 9 maggio 2018, non ho però specificato la data volutamente perché non era un sabato, ma per la finzione della storia mi era più comodo lo fosse. Il risultato e le squadre invece sono corrette, nel tentativo di mantenere una quanto più veritiera attinenza alla realtà cronologica.]
 
Eccoci tornate! Beh, stavolta una fiaba diversa per la quale non abbiamo fatto un sondaggio. Ma, essendo un mito di una tribù africana, difficilmente voi lettori l’avreste scelta, e l’occasione era troppo ghiotta per non approfittarne.
Ovviamente, tutti i dettagli e le argomentazioni sul calcio sono opera di Marti, perché la sottoscritta ne capisce meno di zero.
Tenetevi pronti, però, perché presto arriverà una sorpresa per voi!
 
Mari

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Frozen ***


FROZEN

Vocinaaaaa!

Che ti urli, che svegli Lottie, scemo di un Grillo!
 
Ah già! È che ogni tanto mi dimentico che Lottie esiste veramente e non sia solo un nostro sogno
, tutto quello che stiamo vivendo…

Non fare il sentimentale, non siamo dentro a Beautiful! E ora dimmi perché mi cercavi.

Ah sì, giusto. Volevo chiederti una cosa su Chiara…

Chiara?

Sì, non l’hai notata strana questa sera a cena? La tensione con Elisa si poteva palpare nell’aria…

Beh sì, che gli animi non fossero distesi si percepiva, ma stiamo parlando di Chiara, quando mai lei ed Elisa vanno d’accordo?

Anche questo è vero... Solo che mi ricorda terribilmente quella volta in cui si ripresentò a Spoleto con il damerino… Giorgio… Giorgio… UFF non mi ricordo mai il cognome!

Tu non ricordi mai niente in generale… Ma sorvolando sui dettagli, era Giorgio Ruggeri. Come dimenticare quello snob!

Chi è Giorgio?

Lottie! Scusa, ti ho svegliata?! Non volevo, giuro!

Nah, tranquillo Grillo. Sono sveglia perché avevo un dolorino alla pancia…

…Dal profumino che emana il pannolino in mano ad Anna, si evince che ti è passato, Lottie… bleah!

Sì, ahahahah. La mamma mi ha appena cambiata… ma ripeto la mia domanda: chi è Giorgio?

Uno dei tanti caproni con cui è uscita tua zia Chiara… anzi forse quello che ha creato più casini nella storia della famiglia Olivieri. IL caprone.

Perché? Che ha combinato?

È una lunga storia… Talmente intricata che potrebbe essere la trama di una fiction…

…o di una fiaba! Grillo, stai pensando cosa penso io?

Che il fetore del pannolino di Lottie stenta ad andarsene, per cui stanotte dormire fuori, causa insonnia, non sarà un peso per me, ma un sollievo?

No, scemo! Sto pensando che anche tu rimarrai qua nella camera a gas con noi perché ho una nuova fiaba per te! Me l’ha suggerita la curiosità di Lottie!

Mannaggia! Per una volta che ero contento di stare fuori, tu mi vuoi dentro. Destino crudele!

Eccolo che ricomincia con il suo teatrino. Sai, potresti fare l’attore…

Così esaudirei il sogno del mio padrone!

Il tuo padrone è ben contento di aver intrapreso tutt’altra strada… io un po’ meno perché quella sua decisione, anni fa, mi ha costretto a convivere con te ora.

Sempre molto affettuosa tu, Vocina.

You are welcome. Comunque che dite, iniziamo?

Ah, perché, ora racconti la favola? A me piaceva questa vostra scenetta, ero già felice così! Anzi, pensavo di andare a prendere un biberon di latte per assistere più a mio agio al tutto, AHAHAH.

Due fenomeni da baraccone siamo diventati, che fan ridere la gente. E pensare che una volta ero una coscienza rispettata e rispettabile…

Chi è melodrammatico ora, Vocina?

OH, PIANTALA! Iniziamo a raccontare la storia che è meglio, va…

The stage is yours, Vocina!

C’era una volta… non molto tempo fa, nella tranquilla cittadina di Spoleto, un principe di nome Marco, conteso da più donzelle per le sue rare qualità umane.
Marco non era un uomo come tutti gli altri, e per le sue rarità veniva visto dalle donne quasi come un panda, in via d’estinzione insomma. Affascinante a suo modo, simpatico – a volte anche troppo -, comprensivo e sempre pronto ad offrire il suo aiuto a chi glielo chiedeva: per queste sue doti, molte ragazze rimanevano ammaliate da lui.  Ma - ahi loro - per Marco esisteva una sola principessa, la sua Anna.
Quest’ultima non era una ragazza come le altre. Anna soleva indossare un diadema molto particolare in testa, che non la rendeva meno donna, meno attraente, anzi. Il coraggio e la fragilità della donna nascosta dietro la corazza nera della divisa da Capitano dei Carabinieri, avevano fatto breccia nel cuore del principe in poco tempo. Se non fosse stato per le loro paure, quella storia d’amore che adesso li univa sarebbe iniziata molto prima.
A condurli fino a qui - ai giorni nostri - avevano contribuito un cupido pasticcione e la sorella geisha della stessa Anna. La geisha Chiara, incapace di conquistare il cuore del bel principe con le sue magie, si era fatta da parte nel corso di una magica vigilia di Natale in pieno agosto, spingendo l’impaurito principe nelle braccia della bella carabiniera, conscia che per Marco esistesse solo una donna, e quella donna non era lei.
Nella magica notte di quel Natale ad agosto, un bacio tra le due regali cariche giuridiche di Spoleto diedero inizio a una storia d’amore che speravano potesse durare in eterno - come del resto speriamo si auguri anche il lettore di questa favola.
Vedi, amico che leggi, questa non è una favola d’amore come le altre. La storia d’amore tra il principe e la principessa non è il cuore di questo magico testo che andrai a leggere. Perché l’amore può assumere varie forme in base a quali sono le persone che lo condividono. E noi qui oggi vogliamo raccontarti dell’amore che lega due sorelle.
Quel bacio che Anna e Marco si erano scambiati di fronte all’ospedale della cittadina umbra, come per magia aveva sì saputo scioglier il gelo della paura nei loro cuori - riportando la primavera e la serenità perduta in passato - ma aveva anche innescato un ciclone difficile da gestire: la sorella geisha di Anna.
La biondissima e bellissima Chiara, tornata single dopo i vani tentativi di conquistare il cuore di Marco, era infatti di nuovo a piede libero.
Quella notte di agosto, una strana magia iniziò a prendere forma quando dal cielo uno dopo l’altro iniziarono a cadere bianchi e soffici fiocchi di neve. Nella bianca luce di quel turbinio di scintille, per Chiara stava iniziando un nuovo capitolo pieno di avventure, mentre sul cammino di Anna nuove nuvole sembravano addensarsi all’orizzonte.

Anna e Chiara erano sempre state inseparabili. Fin da piccole, nonostante le loro diversità, avevano imparato a sostenersi e accudirsi l’un l’altra. Perché avevano imparato a loro spese che la vita può essere crudele e che avere qualcuno affianco, con cui condividere gioie e dolori, può rendere meno ripida la strada in salita. Da quel maledetto giorno in cui loro padre le aveva lasciate, erano rimaste sole - loro e mamma Elisa - contro tutti. Anna, Chiara ed Elisa avevano dovuto arrangiarsi e affrontare il futuro da sole, contando solo sulle proprie forze, con sacrificio sì, ma anche inevitabilmente scontri tra loro.
I loro caratteri forti, ma anche fragili, le avevano portate a intraprendere percorsi diversi e - per la madre - talora inaspettati. Nel futuro che aveva sempre sognato per le sue bambine c’erano matrimoni felici e tanti nipotini, lavori che le appagassero sì, ma che non mettessero la loro femminilità in secondo piano solo per adeguarsi al mondo maschilista che le circondava. Vedere una figlia diventare carabiniere e l’altra non sapere cosa fare della propria vita se non godersela, non era stato semplice per Elisa. Col tempo aveva poi accettato che le figlie avessero preso le strade più desiderate, anche se complicate, ma le era costato molta fatica. Si rese conto che in fondo la bellezza delle sue figlie non dipendeva dalle loro scelte professionali o di vita, ma dal loro semplicemente essere sé stesse, perché in fondo non erano niente male.
Non fu facile nemmeno per le due Olivieri capire che valevano davvero qualcosa esattamente per quello che erano. Crescendo avevano entrambe sognato di essere una più simile all’altra: Anna invidiava la spensieratezza con cui Chiara affrontava la vita, quasi non avesse una coscienza in testa che le dicesse come agire ogni istante, al contrario di lei. Chiara invece sognava di essere sicura di sé come Anna, soddisfatta degli obiettivi raggiunti e sempre in grado di capire cosa era meglio per lei. Ma la realtà era ben lungi da quella che immaginavano. Pur conoscendosi da sempre, le due sorelle in quegli istanti di riflessione sembravano non conoscersi affatto. Ma se anche Elisa era riuscita ad accettare che non erano affatto male, anche loro col tempo e soprattutto con l’aiuto di un amico avevano imparato che non importa come ci immaginano e credono gli altri, ma quello che si è e si pensa di sé stessi. Perché sapersi accettare per come si è, è la prima e più grande forma di amore che si possa sperimentare. E lo capirono entrambe nel corso di quel 2017 che portò sulle loro strade tanti ostacoli, ma anche l’uomo che aveva saputo per primo accettarle per come erano ed amarle, in varie forme. Dopo l’agosto di quell’anno che aveva cambiato il corso delle loro vite, nulla fu più come prima...

Era una fresca e piovosa serata di fine ottobre quella in cui, alla porta di casa della nostra principessa Anna, si era ri-presentata dopo un mese e mezzo di assenza, l’amata sorella Chiara. La faccia di Anna, aperta la porta e scoperto l’avventore che aveva suonato il campanello, era un misto di felicità e stupore. Dall’interno del suo appartamento una voce maschile chiese a un certo punto chi fosse, essendosi come gelato il tempo all’apertura della porta, e nessuno si decideva a entrare.
Ridestata dalla voce del suo fidanzato Marco e vinto lo stupore, Anna abbracciò di slancio la sorella, che contraccambiò il gesto. Le fece poi strada dentro all’appartamento, lasciando che allo stesso accedesse anche la figura che era con lei e che aveva originato l’iniziale stupore.
Un ragazzo alto, piuttosto palestrato, sulla trentina, coi capelli neri e gli occhi verdi, aveva seguito Chiara all’interno dell’appartamento, mentre Marco, alzatosi dal divano, si accingeva a raggiungere Chiara per salutarla.
Chiusa la porta, Anna si avvicinò al gruppo di persone che ora affollava il suo appartamento e con uno sguardo insistente tentò di incalzare Chiara a presentare la persona che stava con lei. Inizialmente confusa, la sorella rispose con un “Che c’è?” ma, capito poco dopo quale fosse il problema di Anna, portandosi una mano alla fronte e dandosi della stupida, presentò il ragazzo ad Anna e Marco. “Lui è Giorgio, il mio fidanzato”.
La coppia si guardò stupita. Chiara, che pur aveva telefonato qualche volta nell’ultimo mese anche se di rado, non aveva mai fatto accenno a un fidanzato prima di quella sera.
Il ragazzo, nel tentativo di rompere l’impasse e stufo dei lunghi tempi di attesa e studio fra i presenti, stese la sua mano verso Marco, presentandosi ulteriormente “Giorgio Ruggeri. Tu sei il famoso Marco, presumo”. ALLARME ERRE MOSCIA! Questo è uno snob con la puzza sotto il naso, Marco. Commentò il Grillo nella testa del principe che, cercando di liberarsi di quel pensiero stereotipato, si accinse a stringere la mano protesa verso lui. 
“Non so se sia una buona cosa, quella di essere famoso, comunque sì, piacere di conoscerti,” disse con tono divertito. Il ragazzo non mostrò nemmeno l’ombra di un sorriso per quella sua mezza battuta, mentre Chiara commentava quanto fosse sempre il solito Marco.

Anna in tutto ciò continuava a scrutare il ragazzo davanti a sé senza dire nulla. Se fosse stato un fumetto, si sarebbe di certo potuto sentire il rumore delle rotelle al lavoro nel suo cervello, vista l’intensità dell’analisi dell’evento palesatosi dinnanzi quella sera. Cercava di capire come agire di fronte alla scena senza trovare una soluzione sensata, perlomeno plausibile. Anna, dì qualcosa, prima che il tizio ti prenda per matta e gli altri si preoccupino! Ridestata da Vocina, Anna porse a sua volta la mano a Giorgio. “Io sono Anna, piacere di conoscerti”. Il ragazzo rispose alla vigorosa stretta di mano della donna scrutando la sua espressione sospettosa, ma l’imbarazzo era palpabile nell’aria, di fronte all’evidenza che nessuno sembrava pronto alla successiva mossa.
Fu Marco a proporre un caffè, ricevendo un cenno col capo da tutti gli altri, mentre si faceva strada verso la cucina della sua fidanzata così da poter preparare la bevanda.
Nel frattempo Chiara, Anna e Giorgio presero a sedere attorno al tavolo della sala, in attesa di Marco e del caffè. Anna ne approfittò per chiedere alla sorella di raccontarle cosa le fosse accaduto in quel mese e mezzo passato lontano da casa, senza farsi mai sentire. Era una scusa, perché in realtà Chiara si era fatta viva via sms o con brevi telefonate di tanto in tanto. Ma Anna aveva bisogno di capire di più sul dove e come Chiara avesse incontrato questo nuovo ragazzo, che non le dava buone vibrazioni.
Chiara prese allora a raccontarle del viaggio post-laurea che aveva inizialmente rimandato e che si era poi decisa a fare una volta chiusa la storia con Marco. All’accenno a questo passato con Marco, Giorgio mandò un’occhiataccia al principe che, pur lontano dal tavolo, la percepì comunque dalla cucina dove era intento a preparare le tazzine in attesa che salisse il caffè nella caffettiera.
Quel Giorgio non mi piace, Marco. Bisogna scoprire di più su di lui … Grillo si lasciava spesso andare a commenti stereotipati come quello di prima, ma altrettanto spesso le sue percezioni si rivelavano essere corrette. Per questo Marco non poteva ignorare la voce nella sua testa. Voleva bene a Chiara e doveva assicurarsi che non stesse facendo una delle sue solite cavolate.
Una volta pronto il caffè, Marco prese le quattro tazzine in cui lo aveva versato e le portò su un vassoio al tavolo dove erano seduti gli altri a chiacchierare. O perlomeno a provarci. Chiara stava spiegando come lei e Giorgio si fossero conosciuti. La sua fidanzata non aveva l’aria particolarmente felice, e a ragione. Perché, prestando finalmente attenzione al discorso, pare che Chiara avesse conosciuto Giorgio ad un convegno in cui lei si trovava a lavorare a inizio settembre e che i due fossero finiti sotto le lenzuola a distanza di qualche giorno. Chiara narrava gli eventi tra loro accaduti con gli occhi sognanti e questo, per Anna e Marco, era segno di come il proseguo della storia sarebbe potuto andare solo a peggiorare. Perché Chiara sognava spesso a occhi aperti. Si lanciava in storie dalla durata molto breve ma che erano sempre e costantemente trattate come l’“amore della sua vita”. Sognava la sua favola dal lieto fine ogni qualvolta iniziava un flirt, e non c’era nulla di sbagliato in ciò, se solo i suoi sogni non fossero finiti sistematicamente col ferirla e basta qualche settimana dopo essere iniziati. Anna e Marco temevano sarebbe capitato anche quella volta.

In tutto ciò, Giorgio sembrava avulso all’ambiente in cui si trovava. Con uno sguardo di sufficienza aveva scannerizzato l’area che lo circondava, talvolta facendo smorfie difficili da interpretare. Con il medesimo sguardo aveva squadrato dalla testa ai piedi sia Anna che Marco, entrambi in tenuta ovviamente casalinga perché non aspettavano visite particolari, mentre Chiara proseguiva a raccontare della loro storia. I suoi occhi sembravano domandarsi come Chiara potesse sentirsi a suo agio con quelle persone che sembravano assai diverse da lei.
Marco aveva ormai perso il filo del discorso di Chiara da un po’, troppo intento a fissare Giorgio che, col mignolo alzato, sorseggiava il caffè dalla sua tazzina, quando all’improvviso la sua fidanzata sputò un sorso del suo caffè, finitole anche in parte di traverso, per lo stupore.
Non ha detto cosa penso abbia detto, vero? Marco non sapeva che rispondere a Grillo, perché in realtà non sapeva cosa fosse appena accaduto, e oltretutto era impegnato ad aiutare Anna a riprendersi. Ma proprio Anna, sviandosi dalle sue mani protese in aiuto, tra un colpo di tosse e un altro affermò: “In che senso, ti sposi?!”.
A quelle parole Marco sgranò gli occhi e rivolse il suo sguardo a Chiara, che facendo spallucce rispose: “Anna, quanti sensi di “mi sposo” esistono?”. Prese quindi a quel punto la parola Giorgio. 
“È stato un colpo di fulmine, Anna. Tua sorella mi ha ammaliato immediatamente, e quindi perché lasciarmela scappare? Non vedo l’ora che diventi mia moglie”, le baciò quindi la mano che effettivamente recava un anello di fidanzamento.
Ancora sotto shock, né Anna né Marco seppero come intervenire. Chiara proseguì quindi dicendo che il matrimonio sarebbe stato quell’inverno, la data ancora da stabilire, ma che volevano fosse il prima possibile. Poi si rivolse alla sorella, chiedendole di aiutarla a dare la notizia ad Elisa, quasi pregandola di non lasciarla da sola a gestire le eventuali emozioni della madre.
Dopo aver inspirato, Anna accennò un sorriso che per Chiara fu sufficiente come risposta, tanto da portarla a suggerire che fosse meglio lei e Giorgio si recassero in albergo perché si era fatto tardi. Propose ad Anna e Marco di rivedersi a pranzo il giorno seguente, i quali con un cenno del capo accettarono la proposta.

Marco si offrì di accompagnare Chiara e Giorgio alla porta, mentre Anna in silenzio si avviava verso il divano. Salutata la coppia, Marco raggiunse la sua fidanzata, impegnata a fissare il pavimento con sguardo vacuo. Sedutosi di fronte a lei, sul tavolinetto del salotto, l’uomo pose le mani sulle ginocchia di Anna. Non c’era bisogno di chiederle come stesse. Sapeva che la notizia l’aveva sconvolta, ma sapeva anche che non era quello il principale problema per Anna. “Anche tu pensi sia una follia, vero? Non sono io paranoica…”. Marco rise all’esternazione della sua Anna. Non rispose alla sua domanda, sicuro che quello che avrebbe invece detto sarebbe stato sufficiente a garantirle che la pensava come lei. 
“Cosa pensi di fare?”
Anna sorrise alla risposta di Marco. Sapeva sempre cosa pensava, sapeva come prenderla in momenti delicati come quello. Era sempre pronto ad aiutarla e quella sua domanda ne era la prova. Ma Anna non aveva una risposta. “Non lo so,” replicò a testa bassa, mentre poco dopo due dita sotto il suo mento le fecero risollevare lo sguardo. “Sono sicuro che troverai la soluzione anche stavolta. Chiara è un po’ matta, ma ha la testa sulle spalle e soprattutto ha te su cui può sempre contare. Se non tenesse alla tua approvazione, non sarebbe venuta qua stasera a dirtelo. Avrebbe atteso di farlo alla presenza di tua madre o addirittura all’ultimo minuto. So già che passerai la notte insonne a rimuginarci sopra, ma promettimi che tenterai di dormire almeno un paio d’ore prima di presentarti a lavoro…”. Anna annuì al suo fidanzato. Non la stava forzando a parlare dei mille dubbi che le frullavano in testa come se fosse scoppiato un uragano, una tempesta di neve. Aveva semplicemente cercato di aprirle gli occhi sul fatto che per la sorella quello che lei pensava contava molto, anche se fosse stato un giudizio negativo: Chiara voleva saperlo. Marco le pose poi un bacio sulla fronte. “Supererai anche questa bufera. Anzi, la supereremo insieme. Tornerà il sole, vedrai.” Anna prese il volto del fidanzato tra le mani e lo baciò. Come aveva fatto fino ad allora senza di lui non le era chiaro in momenti come quello, ma era felice che fosse accanto a lei.

Marco la salutò una mezz’ora più tardi. Passarono i minuti successivi accoccolati sul divano, nel vano tentativo di Marco di calmare la fidanzata dopo le emozioni provate quella sera e nell’altrettanto vano tentativo di Anna di convincerlo a fermarsi per la notte. Perché Marco aveva rifiutato, nonostante quel suo “Resti?” con gli occhi da cerbiatta a cui non resisteva mai. Per quanto gli sarebbe piaciuto trascorrere la notte lì con lei - e gli sarebbe piaciuto parecchio -, era giusto che Anna restasse sola a riflettere sulla notizia della sorella. La sua presenza non le sarebbe stata d’aiuto quella notte. Era certo che Anna sapesse in cuor suo quale era la mossa successiva da fare. Non era certo la prima volta che Chiara si comportava in quel modo. Di caproni nella sua vita se ne erano succeduti molti, come la stessa Anna e la stessa Chiara avevano avuto modo di raccontargli in quei mesi da quando si erano conosciuti. E sempre durante quei mesi le due sorelle Olivieri avevano già superato momenti di crisi come quello. Ci sarebbero riuscite ancora una volta. Perché non esiste alcuna magia al mondo in grado di spezzare il legame tra due sorelle, men che meno se quelle due sorelle hanno già provato gli effetti della magia nera più terribile: perdere una figura di riferimento come Carlo.
È difficile crescere senza un padre, non averlo come maestro di vita quando c’è da capire il sesso opposto, e quando sei cresciuto in una famiglia di sole donne in lotta contro un mondo che ti giudica e basta, dove essere donna è segno - sbagliato - di debolezza. Marco aveva provato a capirle con il tempo, ma sapeva che non sarebbe mai riuscito a cogliere tutte le sfumature di quel tipo di mancanza, di lotta per la sopravvivenza. Così aveva tentato nei mesi ad essere accanto alle due ragazze, a far capire ad entrambe che non erano deboli o sbagliate per il mondo che le circondava. Che essere sé stessi è la più grande arma a disposizione dell’uomo. Se non ci si accetta per come si è, nemmeno gli altri riusciranno a farlo. Perché sarà sempre più facile giudicare e fare leva sulle debolezze che vengono mostrate che accettare di essere in una situazione di parità. In fondo è più facile vincere quando si è più forti dell’avversario, perché è il mondo ad essere sbagliato. Ma è difficile fare breccia tra le paure e le insicurezze di chi crede che l’amore possa solo fare male perché così glielo aveva sempre presentato la vita. Marco era conscio che le paure delle due ragazze erano dettate dalla mancanza di una solida base alle spalle, quella che ti insegna a sostenere il peso della fragilità. La vita delle Olivieri era un po’ come quel palazzo senza ferro di sostegno nei pilastri di cemento del caso che aveva visto coinvolto - erroneamente - il suo ex migliore amico Simone Castagnati: con il poco ferro presente, la struttura in cemento armato avrebbe potuto reggere alle scosse più deboli, ma non ai terremoti più forti. Ugualmente le sorelle Olivieri avevano condotto la loro vita proseguendo nonostante le battute d’arresto meno impattanti, ma il terremoto che le aveva colpite da piccole le aveva segnate profondamente. Le crepe che aveva lasciato lungo i muri delle loro vite erano profonde e aperte, per questo l’amore le aveva ferite spesso. Per guarire serve una cura miracolosa, rara, come i panda.

Essere un panda non è facile: come spieghi al mondo la tua personale visione del medesimo, se gli altri non sono come te? O meglio, come spieghi al mondo che, sebbene voi panda siete rimasti pochi, ancora esistete? Quello era il compito più arduo per Marco Nardi. Era convinto che esistessero altri uomini come lui, uomini che peraltro attendono di trovare la giusta compagna con cui condividere la vita. Se era successo a lui ed Anna, poteva succedere anche a Chiara. Era certo sarebbe venuto anche per lei quel giorno. Ma era anche sicuro che Giorgio non potesse essere il panda giusto per lei.

Il ticchettio delle lancette rendeva più arduo il già vano tentativo di dormire di Anna quella notte. Si era rigirata nel letto un milione di volte, senza però prendere sonno. Quando Marco aveva lasciato casa sua per tornarsene alla propria, il soggiorno era caduto in un profondo ma assordante silenzio. Era rimasta da sola con la Vocina nella sua testa che ripeteva le domande che le frullavano nel cervello come una mitragliatrice: Chiara è definitivamente impazzita, Anna! Sposare un uomo che a mala pena conosce! Perché fa così? Sembrava cambiata. Invece è sempre la solita. E ora come glielo diciamo che trovi assurdo quello che vuole fare? E come le spieghiamo che tua madre non accetterà mai quel matrimonio? Eh, Anna, come facciamo? 
BASTAAAAA!
Anna si era lasciata andare a un urlo liberatorio contro tutti quei pensieri, sperando di non aver svegliato nessuno, ma soprattutto non Cecchini. Rimase immobile nel tentativo di capire se dall’appartamento di fronte si aprisse la porta che avrebbe catapultato il maresciallo nel suo appartamento per colpa dell’urlo. Ma non avvertì nessun rumore. Rilasciando un sospiro che non sapeva di aver trattenuto, si avviò prima in bagno e poi a letto. Da quel momento oltre il ticchettio delle lancette non avvertì null’altro.
Era certa che Marco avesse fatto bene a lasciarla da sola a processare gli avvenimenti della serata, ma allo stesso tempo avrebbe voluto lui fosse lì. Da quando lo aveva conosciuto era stato l’unica persona ad averla veramente capita fino in fondo. Ma per la verità anche l’unica persona ad aver capito fino in fondo Chiara. Lei stessa glielo aveva rivelato la mattina in cui l’aveva accompagnata a comprare l’abito per la laurea. Si erano dette cose mai rivelate prima grazie a Marco, avevano imparato ad ascoltarsi di più. Poi quasi d’improvviso era come se si fosse ri-frapposta tra loro una porta che impediva la comunicazione. Un po’ come tra le sorelle Anna ed Elsa in Frozen, hai presente caro lettore? Da una parte Anna che vorrebbe poter tornare a giocare con Elsa e dall’altra Elsa appunto che per proteggere Anna dai propri poteri la teneva lontano.
Ecco, la nostra Anna avrebbe voluto poter tornare a fare il pupazzo di neve con sua sorella Chiara, ma paradossalmente la comunicazione tra loro si era come interrotta dopo la candida nevicata di metà agosto. Anna avrebbe voluto capire perché, non trovava una motivazione a quel muro che si era alzato. Così come non trovava un senso alla decisione improvvisa di sposarsi di sua sorella. Forse il punto di partenza da cui ripartire era proprio provare a parlare con Chiara, ristabilire una comunicazione. Ma non era mai stato semplice. Dopo la morte del padre, quella matura tra le due era sempre stata lei. Chiara si faceva coccolare come una figlia, più che come una sorella. E quello aveva sempre frenato la loro capacità di confidarsi veramente su tutto, come invece avrebbero dovuto fare due sorelle. Marco aveva saputo spronarle a superare quella impasse e quando finalmente ci erano riuscite, il loro problema era diventato lottare l’una contro l’altra, forse senza volerlo, per l’amore di Marco stesso. Perché per la milionesima volta, Anna si era lasciata frenare dalle paure insite in lei, mentre Chiara, più intraprendente, era riuscita a fare la prima mossa e a quel punto lei pur di vederla contenta, aveva deciso di rinunciare alla propria felicità, come un genitore fa con un figlio.

Le era spesso capitato di chiedersi come Chiara avrebbe agito al suo posto. Se anche lei nella lotta si sarebbe messa da parte o avrebbe tentato comunque, sapendo che avrebbe anche potuto perdere la battaglia. Sì, è vero, Chiara si era comunque fatta da parte, ma perché aveva capito di aver perso pur avendo tentato in tutti i modi di tenere le redini della vittoria. Ogni tanto le sarebbe piaciuto essere dalla parte della figlia coccolata, invece che dal lato della sorella-genitore. Ma non era altrettanto certa che avrebbe voluto i consigli di sua sorella Chiara in veste di “madre”, conoscendo i suoi standard.
In realtà, non era mai nemmeno riuscita ad immaginarla nei panni di moglie e madre. Chiara era sempre stata uno spirito libero, un uragano perennemente in moto, una gran casinista insomma. Non trovava una dimora alla sua altezza. Vagava di storia in storia come la piccola Anna di Frozen tra le stanze del castello nel tentativo di riempire il vuoto lasciato dalla dipartita dei genitori e della clausura della sorella. E quando finalmente sembrava aver trovato un porto sicuro, in cui approdare e finalmente fermarsi - a Spoleto, accanto a lei -, Chiara aveva invece ripreso a vagare dopo la laurea e la fine della storia con Marco. Per questo non si capacitava della sua scelta di volersi sposare, con l’ennesimo caprone trovato lungo il suo cammino.
Okay, va bene, più un damerino che un caprone. Non voleva parlare per stereotipi, e capita che l’apparenza inganni, ma lì c’era proprio poco da fare. Giorgio era troppo un “signorino so tutto io”, troppo altolocato, troppo... troppo non da Chiara? Esatto, Vocina: troppo non da Chiara. Fino a qualche mese fa l’uomo perfetto per lei - a suo dire - era uno come Marco. Ora era uno come Giorgio? La cosa più lontana dall’essere uguale a quel pigrone in giacca e cravatta, che se potesse andrebbe in tribunale in bermuda e ciabatte piuttosto, che faceva - e fa - l’arrosto salato così da aver poi dopo la scusa perfetta per bere più birra guardando la partita in TV? Seriamente? No, non poteva essere. Ci doveva essere qualcosa sotto, qualche strana magia. Qualche imbroglio. E Anna voleva sapere cos’era quel “qualcosa”.

La mattina seguente Chiara si era svegliata molto più presto rispetto ai suoi standard. Da quando stava con Giorgio era cambiata molto, se ne rendeva conto da sola. Non sapeva se fosse un bene o un male, ma era felice di aver trovato un punto fisso nella sua vita. Ogni tanto sentiva un ronzio in testa quando pensava quelle cose, come se ci fosse una voce intenta a prendere parola - per dissentire forse? - ma senza riuscirci.

Povera Claire! Io non avrei mai potuto resistere così tanto senza parlare come lei, sai Lottie?

Ce ne siamo resi conto, Grillo. Permetti se continuo, o vuoi spoilerare altro a Lottie?

Oh, scusa Vocina.

Chiara non sapeva perché quel ronzio si palesasse sempre più spesso negli ultimi mesi, forse doveva andare da un medico e chiedere aiuto per farlo passare, ma non aveva certo tempo di occuparsi di quello. C’era un matrimonio da organizzare, la sua notte magica. La prima pagina della sua favola d’amore.
Dopo aver lasciato l’albergo e Giorgio ancora a letto, stanco per il viaggio e le ultime settimane di intenso lavoro, Chiara si era diretta verso Piazza Duomo, certa che avrebbe incontrato sua sorella o Marco se fosse andata a fare colazione al tric e trac. L’aria era diventata ancora più fresca rispetto alla sera precedente, frutto della pioggia scesa nella notte e dell’avvicinarsi dell’inverno. La cosa la metteva in agitazione perché significava che il tempo per preparare le nozze stringeva. Non aveva mai pensato di sposarsi in inverno con la neve. L’idea emanava un’aura di magia al solo pensiero, ma aveva sempre creduto che il mese giusto per i matrimoni fosse maggio, e soprattutto che un clima più caldo le avrebbe permesso di indossare un abito più bello. Mentre rifletteva su ciò, ormai prossima alla scalinata che conduceva al bar, un nuovo ronzio era tornato a farsi strada nella sua testa, anche quella volta indecifrabile. Sulla soglia della caserma nel frattempo una figura alta e riccioluta si era palesata e agitava una mano per richiamare la sua attenzione. Chiara per risposta alzò la mano, facendogli cenno di andarle incontro. Una volta colmato lo spazio che li divideva, fu Chiara a rompere il silenzio. “Marco! Ti va un caffè al bar?” Il principe fu lieto di accettare, ribattendo però, “Meglio un tè, avrei bisogno di parlarti…”. Chiara annuì prima di intraprendere la scalinata verso il bar con Marco. Quel “tè” - lo sapeva bene - era un messaggio in codice per dire che c’era qualcosa di importante di cui parlare, che richiedeva più del tempo necessario per prendere un semplice caffè. Era un modo tacito per comprendersi tra loro, che gli aveva insegnato Anna, tra l’altro.

Accomodati a un tavolino della sala interna del bar di Spartaco ed ordinato il tè, Chiara ruppe immediatamente il silenzio chiedendo all’ex fidanzato - ora cognato - di cosa volesse parlarle. Marco la fissò qualche secondo, prima di decidere come iniziare il suo discorso. Aveva passato la notte in bianco - come Anna insomma - a ripensare alla notizia delle nozze di Chiara. Anche lui come la fidanzata era preoccupato per quella decisione avventata, che se presa con troppa superficialità, avrebbe potuto ferirla più di quanto non le fosse già successo nel tempo con i vari ex caproni. “Volevo parlare di Giorgio…” bastarono quelle quattro parole per far inarcare il sopracciglio di Chiara e ricevere in risposta un piccato “Sentiamo”. Marco iniziò chiedendole cosa sapesse di lui. La cognata rispose che conosceva il sufficiente per stare con lui e volerlo sposare. Marco scosse la testa ridendo, mentre Chiara gli domandava perché di quel gesto.
“Conoscere il sufficiente di una persona non basta per essere certi di voler condividere con lei tutta la vita”. Ma Chiara ribatté che non accettava la morale sul matrimonio da uno che aveva lasciato la fidanzata sull’altare, a poche ore dal sì. Marco rimase sorpreso dalla risposta, ma non si scompose “Non sai appieno come sono andate le cose, ma soprattutto come mi sentissi quel giorno. Ed è proprio per questo che ti sto facendo ‘la morale’, come dici tu.” Chiara era confusa e per Marco fu sufficiente la sua espressione per riprendere il discorso. “Anche io ero convinto di sapere sufficienti cose di Federica per poterla sposare, anche perché stavamo insieme da più tempo. E mi sbagliavo. Perché non mi ero mai accorto di come tutto quello che faceva era volto ad annullare me come persona autonoma, mentre lei si godeva ogni libertà. Perfino quella di tradirmi…”.

Un nuovo ronzio si fece largo nella testa di Chiara, sempre indecifrabile. Era stufa di quel rumore. E iniziava anche a non sopportare dove il discorso di Marco volesse andare a parare. “Non capisco cosa c’entri la tua ex Federica con la mia storia con Giorgio”. Marco sapeva bene che Chiara aveva capito il senso del discorso, e comunque aveva imparato a conoscerla, sia direttamente che attraverso i racconti di Anna. Andare allo scontro non avrebbe prodotto frutti. Aveva sempre bisogno che il suo interlocutore fosse pacato con lei, che la rincuorasse come un genitore fa con un figlio. “Io non ho mai detto che la mia storia con Federica fosse uguale alla tua. Ho solo cercato di farti capire che per conoscere veramente a fondo una persona ci vuole tempo e che forse correre non è la soluzione ai tuoi problemi.”
“Io non sto affatto correndo”. La risposta - possiamo dirlo - più ovvia e infantile che potesse dargli. “Io e Giorgio ci amiamo. Ci siamo conosciuti e piaciuti per come siamo fin da subito. Per questo ci sposeremo”.
Come si spiega a una persona cocciuta come Chiara che è nel torto? Domandò il Grillo nella testa di Marco al suo padrone. Il principe non sapeva se fare la prossima mossa o desistere. Non voleva ferirla, dirle che si stava sbagliando, perché se veramente Giorgio si era innamorato di lei per come era, non sarebbe diventata la nuova Chiara che aveva di fronte: abiti con molta meno scollatura di un tempo, trucco che celava la sua naturale bellezza, ma soprattutto non sarebbe stata lì, alle 7.30 del mattino, con lui se fosse stata la vecchia Chiara, perché sarebbe stata a letto, rientrata al massimo da un’ora a casa, dopo una notte di baldoria. Come poteva non accorgersi di tutti quei cambiamenti?

Mentre era perso a cercare di capire come dirle tutto quello senza farla “scappare” arrabbiata, nel locale entrò Anna, che vedendoli seduti al tavolino, si fece strada per salutarli, invece che recarsi al bancone per un veloce caffè prima di entrare in caserma. Una volta raggiunti salutò affettuosamente la sorella con un abbraccio e poi scambiò un bacio con Marco, che poco prima l’aveva accolta con un “Buongiorno amore mio” e un’espressione adorante in volto. Chiara rimase in silenzio ad osservarli, mentre una fitta allo stomaco la stava lacerando dentro. Non sapeva bene cosa fosse e perché si fosse scatenata in quel momento, ma non riusciva a sopportarla e quasi a voler sfuggire da essa, preferì lasciare i due innamorati da soli, ricordando loro l’appuntamento per pranzo e salutandoli per tornare in albergo da Giorgio, che probabilmente oramai si era svegliato.

Rimasti soli, Anna chiese a Marco di cosa stessero parlando prima del suo arrivo. Lui avrebbe voluto liquidare il tutto con un “niente”, ma non era in grado di mentire ad Anna, soprattutto quando lo guardava con quegli occhi verde smeraldo ancora appiccicati dal sonno di prima mattina. Le spiegò allora della sua nottata in bianco e del tentativo di aprire gli occhi di Chiara di fronte a tutti i cambiamenti che la riguardavano, ma invano. Anna, che nel frattempo si era spostata a sedere di fronte a lui, prese le mani del fidanzato, intrecciando le loro dita, per poi affermare: “Sapevo che non saresti stato capace di stare con le mani mano”. Accompagnò le ultime parole con un sorriso, uno dei suoi, di quelli che lo vedi e ti si scalda il cuore. Giocando con le dita e con la sua fidanzata, Marco rispose “Ah, sì? Perché ho già fatto gesti simili in passato?”. Risero entrambi. Marco era fatto così. Un bambinone molto saggio. E Anna se ne era innamorata proprio per questo. Era la persona in grado di bilanciare la sua troppa razionalità. Quella razionalità che in passato l’aveva portata ad affrontare Chiara come se fosse sua madre ed ottenendo una reazione sbagliata. Ora sapeva che doveva cercare un confronto da sorella a sorella. E nella notte insonne era riuscita a trovare come farcela. Ma a Marco preferiva non dire ancora nulla, anche perché in quel momento restavano ancora dieci minuti prima di entrare a prendere servizio in caserma, e non voleva certo passarli a parlare di sua sorella.

All’una in punto, Anna e Marco scesero dalla moto di quest’ultimo giunti a destinazione. Chiara, Giorgio e soprattutto Elisa, li attendevano al ristorante dell’albergo dove soggiornavano tutti e tre per pranzare. Stretta la mano di Anna nella sua, Marco condusse la fidanzata verso l’entrata, destandola dalla trance in cui sembrava essere caduta. Era nervosa, stava per affrontare le conseguenze dovuta alla bomba che Chiara avrebbe sganciato su sua madre e non era sicura di essere pronta. La consolava sapere che Marco era lì con lei, per aiutarla. Preso posto a tavola dopo aver salutato tutti, il pranzo iniziò tranquillo - fin troppo - con Elisa intenta a studiare e conoscere di più il damerino. Ma guardatelo come sta cercando di sedurre Elisa con quella erre moscia e quei modi di fare da aristocratico dell’800! Affermarono all’unisono Vocina e Grillo nella testa dei rispettivi padroni, che non a caso si voltarono uno verso l’altro quasi a chiedere conferma che pensassero entrambi la stessa cosa.

Ma la letteratura, caro lettore, ci insegna che c’è sempre la quiete prima della tempesta. E dopo un’ora di apparente calma, Chiara improvvisamente sganciò infatti la bomba. Dire che gli eventi successivi fossero passati in sordina sarebbe un eufemismo. Tutto il ristorante aveva infatti spostato l’attenzione verso il tavolo a cui la combriccola era seduta, perché Elisa aveva urlato un sonoro “VOI COSA?!” che certamente non era passato inosservato nemmeno a chilometri di distanza da lì. Chiara cercò in quegli attimi di tensione gli occhi della sorella per ottenerne l’appoggio, ma notò subito che Anna non era sorpresa dalla reazione della madre e soprattutto - cosa per lei peggiore - che la pensava come lei. “Anche tu, come la mamma, pensi io stia commettendo una follia, vero? Allora perché mi hai promesso aiuto per oggi, ieri sera?”. Anna non sapeva come rispondere alla sorella. Non voleva illuderla la sera prima, come non voleva farla soffrire ora. Ma il discorso che sua madre aveva appena concluso lo condivideva appieno. Lei e Giorgio si conoscevano e stavano insieme da due mesi scarsi e ambivano a sposarsi entro i prossimi due. Era folle. E la cosa peggiore di tutte e di cui Chiara non si rendeva conto, era che Giorgio li stava osservando reagire alla notizia con aria soddisfatta, come se fosse certo che la famiglia di Chiara avrebbe reagito male, compiacendosene per un suo fine personale. Chiara intanto la osservava truce, in attesa di una sua risposta che non arrivava. Intervenne quindi Marco, stufo di quello sguardo inquisitore con cui Chiara osservava Anna, ma soprattutto della maleducazione del damerino di fronte agli eventi. Bravo, Marco! Così mi piaci!
“Tua madre ha ragione, Chiara. E anche Anna ed io la pensiamo come lei. Vogliamo la tua felicità, ma non crediamo possa dipendere da un matrimonio con un uomo che nemmeno conosci. Sei una ragazza piena di qualità, che non si è mai lasciata mettere i piedi in testa da nessuno, eppure guardati: ora sembri una persona completamente diversa da quella che ha lasciato Spoleto a metà agosto.”
Chiara era rimasta di sasso a quell’improvviso coraggio e dalla sicurezza nella voce di Marco. Intanto quest’ultimo aveva preso a rivolgersi a Giorgio. “In quanto a te, ti conosciamo poco o nulla, come anche Chiara del resto, ma abbiamo cercato di essere disponibili ed educati con te come si deve fare con qualsiasi persona. In cambio ci ha offerto solo sguardi di sufficienza, giudicandoci senza conoscerci. Quando si ama veramente qualcuno, si deve essere pronti ad accettare anche la sua famiglia, perché è composta dalle persone a cui lei tiene di più. Il tuo silenzio, accompagnato al tono delle poche parole che ti sei degnato di rivolgerci in questi giorni, è solo sintomo di uno che vuole allontanare la persona che dice di amare dai suoi affetti. Tu godresti se questa fosse l’ultima volta che ci vedi in vita tua”. Tutto il tavolo era sorpreso delle parole di Marco, che sembrava posseduto da un coraggio che prima di allora aveva avuto solo affrontando Elisa la mattina in Piazza Duomo in cui si era detta delusa da Anna. “Ho conosciuto queste tre donne una decina di mesi fa, chi prima chi dopo. Sono donne che hanno sofferto molto, ma che hanno reagito alle avversità della vita insieme, unite, al di là dei loro caratteri differenti. Ho imparato ad amarle in forme diverse, a rispettarle prima di tutto. E se veramente tu fossi innamorato di Chiara, avresti trovato il modo di fare altrettanto, fin da subito. Invece sei qui, che le guardi litigare a causa tua, compiaciuto, perché questa famiglia per te non è all’altezza del tuo standard. Non è una famiglia snob, non è una famiglia capace di giudicare gli altri per partito preso o per status quo. È una famiglia per bene, di donne fiere di quello che hanno raggiunto nella loro vita, che hanno bisogno di trovare pace. E io non lascerò che tu la distrugga…”.

La sala del ristorante era caduta in un profondo silenzio durante il discorso di Marco, mentre ora un applauso scrosciante si era fatto largo senza esitazione. Giorgio sentì le gote scaldarsi per l’imbarazzo e per la rabbia dovuti al medesimo discorso. Scattando in piedi tentò con una mano di afferrare la cravatta di Marco per costringerlo ad alzarsi come lui ed affrontarlo. Ma Marco fu più veloce. Si alzò sì, ma con un dito accusatorio rivolto a Giorgio, e continuò. “Se pensi che la vita vada affrontata con la violenza e la superbia, allora non fai altro che avvallare tutto quello che ho detto. Questa famiglia non fa al caso tuo”. Poi scusandosi con le donne a tavola con lui, prese la via della porta. Anna sorrise con gli occhi lucidi alla scena svoltasi, mentre Elisa la osservava a sua volta col sorriso sulle labbra, fiera della scelta di uomo che aveva voluto accanto sua figlia.
Ancora in piedi, Giorgio si rivolse verso Chiara “Andiamocene. Credo non ci siano più dubbi sul fatto che la tua famiglia mi voglia il più lontano possibile da Spoleto”. Elisa ed Anna osservarono Chiara, in attesa di capire da che parte si sarebbe “schierata”. Con grande sorpresa - e dispiacere - Chiara si alzò dal tavolo e se ne andò con lui.

Erano le 20.30, quando il campanello di casa di Anna suonò. Non aspettava visite, Marco non sapeva dove fosse, ma era certa avesse bisogno di calmarsi dopo gli eventi del pranzo. Lo conosceva bene, sapeva che era meglio concedergli dello spazio. Lo avrebbe ringraziato - e come si deve - a tempo debito per le parole profuse in difesa della sua famiglia. Elisa invece era andata a cena con Cecchini e sua moglie, e poi a teatro. L’unica altra persona che avrebbe potuto suonare quel campanello era Chiara, ma dopo gli eventi di pranzo dubitava fosse lei. Avrebbe voluto fosse lei, eh, infatti se la situazione avesse preso tutt’altra piega avrebbe voluto passare la serata con lei per parlarle, ma era andata come era andata.
Il campanello suonò nuovamente ed Anna decise di andare ad aprire, mettendo in pausa il film che stava guardando. Quando aprì la porta, trovò ad attenderla Marco, con un labbro che sanguinava e la faccia pentita di qualcuno che non aveva resistito a rispondere quando chiamato in causa. Al culmine della preoccupazione, Anna lo fece entrare ed accomodare a uno degli sgabelli della cucina, mentre cercava il kit di pronto soccorso per medicarlo. Quando lo raggiunse con la garza bianca impregnata di disinfettante per tamponare la ferita, gli chiese cosa fosse successo. Tra i gemiti dovuti al bruciore provocato dal contatto della garza col suo labbro, nonostante la delicatezza del tocco della fidanzata, seppe solo dire “Mi dispiace”. Anna era confusa. Non capiva di cosa si dovesse scusare. Sembrava di essere tornata al post discorso in sua difesa dinnanzi alla madre. Anzi, doveva ringraziarlo come quella volta. “E di cosa? Anzi, sono io che dovrei ringraziarti per oggi a pranzo”. Marco sorrise, abbassando poi la testa. “Ho detto quello che pensavo, come sempre. Ma io mi stavo scusando per questo labbro rotto…”. Anna inarcò il sopracciglio, sempre più confusa sul perché c’entrasse lei con esso. “Ho incontrato Giorgio in piazza poco fa. Ero a bere una cosa con dei colleghi e mi si è avvicinato ancora visibilmente arrabbiato per pranzo e… non so come siamo arrivati alle mani, non volevo… solo che lui ha insultato di nuovo te e la tua famiglia, e io non ci ho più visto.” Aveva veramente fatto a pugni per difendere lei? Sì, Anna, hai sentito bene. Le confermò la Vocina nella sua testa. “Non è stata una vera rissa, eh. Lui ha tentato un gancio prendendomi di striscio e rompendomi il labbro, ma io mi son solo difeso spingendolo a terra. Però sono un Pubblico Ministero, non dovrei fare certe cose. E ti avevo promesso che avrei ragionato prima di agire. Per questo mi dispiace…”. Anna prese allora il suo volto tra le mani e lo baciò. Marco sentì pizzicare la ferita in un primo momento, ma poi lasciò che lo stesso bacio curasse il suo dolore. Quando si separarono, Anna lo rincuorò che non c’era nulla di cui scusarsi, che si era solo difeso.

Fu in quell’istante che Marco spostò l’attenzione dagli occhi lucidi della fidanzata alla televisione, dove il film che stava guardando prima del suo arrivo ancora attendeva in pausa. “Frozen?” chiese con un sopracciglio alzato e un sorrisetto divertito. Anna abbassò lo sguardo a terra. “Anna ed Elsa… come te e Chiara, vero?”. Anna annuì. Marco la strinse dolcemente a sé, mentre Anna con la testa rannicchiata contro il suo petto gli spiegava che avrebbe voluto invitare Chiara a casa per vederlo insieme e sfruttare l’assist della loro storia per parlarle, ma il pranzo era degenerato e il suo piano andato perso. Marco stava tracciando dei cerchi sulla sua schiena con la mano, nel tentativo di rincuorare la sua principessa. Sapeva che per Anna non era un momento facile. Che nel regno delle due Olivieri era calato un profondo inverno, come ad Arendelle. Si sentiva un po’ l’Olaf della situazione. In fondo anche Olaf come Marco sapeva essere saggio e divertente al contempo. E come Olaf per le sorelle del cartone, Marco era un trait d’union tra Anna e Chiara, l’elemento comune, quello che le aveva avvicinate e involontariamente anche un po’ allontanate. Forse è proprio questo il problema, Marco! Non riusciva a capire cosa il suo Grillo intendesse, ma prima che potesse mettere insieme i pezzi, il campanello di casa di Anna tornò a suonare.

La padrona di casa sciolse l’abbraccio in cui aveva trovato un po’ di pace in quei giorni caotici, dirigendosi verso la porta. Quando l’aprì si trovò davanti una Chiara furibonda, che senza salutare si fece largo all’interno dell’appartamento. “Come si permette il tuo fidanzato di prendere a pugni Giorgio?! Con quale diritto!?” Marco si alzò dallo sgabello difendendosi prontamente. “Io non ho preso a pugni nessuno. Ho sbagliato a spingere Giorgio facendolo cadere, ma quello che si è preso un mezzo cazzotto sono io, non lui”. Chiara si voltò allora verso la fonte della risposta, notando il labbro rotto del cognato. Per un attimo il suo volto si fece più sereno, ma era comunque arrabbiata e non avrebbe ceduto di un passo la sua posizione. “Se è arrivato a tanto è perché lo hai provocato!”. Ma Marco non ebbe modo di rispondere, battuto sul tempo da Anna. “Possiamo parlare io e te da sole Chiara?” Guardò Marco, che capì fosse il momento di defilarsi, lasciando l’appartamento, ma non prima che Anna si lasciasse cullare per un attimo dal suo abbraccio. Aveva comunque bisogno del suo sostegno fino all’ultimo istante. Una volta sole, le due Olivieri si fissarono alcuni secondi in silenzio: Anna aveva un’espressione triste e preoccupata, mentre Chiara sembrava furibonda. Eppure il suo volto si fece più disteso quando si limitò a chiedere “Perché?”. Anna aveva capito che dietro quel perché c’erano tanti dubbi e domande. La invitò a sedersi sul divano. Lì Chiara si accorse del dvd in pausa e lanciò uno sguardo interrogativo alla sorella. È arrivato il momento del confronto Anna. Vocina aveva ragione.

“Mi dispiace per quanto accaduto a pranzo, ma non ti chiederò scusa per quello che Marco ha detto a Giorgio o quanto successo stasera tra loro. Sai bene anche tu che Marco non è uno che si lascia andare a certe esternazioni facilmente, a meno che non arrivi al limite di sopportazione di quelle che ritiene ingiustizie”. Chiara annuì. “Lo so. Giorgio ha esagerato, ma è fatto così”. Anna la scrutò qualche istante e poi commentò: “E tu sei sicura di voler passare la tua vita con uno così?”. Chiara sospirò a lungo, valutò attentamente cosa dire dopo, ma una voce mai sentita prima commentò nella sua testa Dille la verità. È tua sorella, capirà. Era la prima volta che udiva quella voce. La cosa incredibile era che il ronzio era passato. Era ora che iniziassi ad ascoltarmi…
“No. Non ne sono sicura… Avete ragione tu e Marco, non basta conoscersi ‘sufficientemente’ per poter pianificare un futuro che duri tutta la vita. Ma io ho paura…” Anna non riusciva a capire di cosa stesse parlando. “Durante l’estate ero convinta che il mio futuro finalmente avesse preso la strada giusta: la laurea, una relazione stabile, io e te unite più che mai. Poi però…” Non era necessario che finisse la frase perché Anna capisse. “Mi dispiace. So che te l’ho già detto quella sera, ma non ci posso fare niente. Non avevo pianificato di tradirti alle spalle. Anzi, forse avrei dovuto essere onesta fin da subito…” Chiara era visibilmente confusa. “Intendo quando mi hai detto che Marco era come un panda, ricordi? Ti avevo detto che non mi piaceva…” Chiara sospirò ridendo. “Siamo due casi umani…” Le due sorelle scoppiarono a ridere. Una risata folle in quel momento, ma liberatoria. Anna prese allora le mani della sorella, continuando, “Mi dispiace per quello che è successo tra noi e con Marco. Ma il tuo futuro non deve essere una corsa contro il tempo, perché una cosa ti è andata male. Tu vali molto di più di tutto questo, Chiara”. La sorella di Anna aveva gli occhi lucidi, le lacrime sembravano pronte a scendere ma non era ancora giunto il momento. “Quando Giorgio mi ha chiesto di sposarlo, qualcosa dentro di me ha gridato ‘ora o mai più’. Per la prima volta qualcuno voleva creare un futuro duraturo con me…Io avevo paura di restare sola. Tu hai Marco, Marco ha te. E io…”
“…e tu hai noi. Io e Marco ci saremo sempre per, Chiara. Credi che avremmo fatto tutto il bordello che abbiamo fatto in questi due giorni se non ci importasse della tua felicità?” Chiara la guardò negli occhi, le lacrime ora avevano iniziato a scendere. “Tu sei mia sorella, Chiara. La tua felicità è un obiettivo che vorrò sempre essere sicura persista. Meriti il tuo lieto fine, la tua fiaba da principessa. Meriti il matrimonio a maggio che hai sempre sognato. Meriti un panda in via d’estinzione pronto a tutto per te. Meriti di vivere la tua vita come l’hai sempre sognata. Questa non sei tu, Chiara…” fece con un cenno della testa a come era vestita e truccata. “Tu sei pazza. Cambi caprone con la stessa velocità con cui io impartisco ordini ai miei sottoposti. Vivi la tua per come sei. Cambia se vuoi cambiare tu, ma non lasciarti sopraffare dagli eventi. Io sarò pronta a sostenerti sempre. Anche se alla fine volessi davvero perseguire questo folle piano di sposarti col damerino…” Chiara abbracciò di slancio la sorella. Era uno di quegli abbracci che scaldano il cuore. Perché a volte vale la pena sciogliersi per qualcuno.

La mattina seguente, mentre Marco si avviava a passò sicuro verso la caserma, notò la famiglia Olivieri al gran completo davanti all’ingresso della stessa. Chiara fu la prima a notarlo e a salutarlo con la mano da lontano. Quando le raggiunse, salutò tutte e tre calorosamente, un sorriso sulle labbra nel vederle tutte assieme. “Ho lasciato Giorgio. E ho deciso di seguire il tuo consiglio”. Marco era confuso, non ricordava di avergli dato alcun consiglio. “‘Se non ti aspetta, vuol dire che non ti ama veramente’ me lo hai detto tu, ricordi?” Marco annuì. “Ho proposto a Giorgio di attendere, di capire se veramente eravamo pronti o meno per il grande passo. Ma lui non ne ha voluto sapere. Avevi sempre ragione tu. Non lo conoscevo abbastanza.” Marco non avrebbe voluto avere ragione, perché sapeva che faceva male rendersi conto che la persona accanto a te non ti ama come tu ami lei. “Sono certo arriverà il tuo finale da favola, Chiara. Lì fuori c’è quel qualcuno per te”. Chiara gli sorrise, mentre Elisa confermava il pensiero del genero. “Lo so, ora lo so. Ed è grazie a voi se l’ho capito. Sono felice che voi vi siate trovati. Non potrei immaginare uomo migliore per mia sorella e un cognato e amico migliore di te per me stessa”. Marco e Chiara si abbracciarono, mentre Elisa sussurrava ad Anna che pensava le stesse cose di Chiara su Marco. Quando sciolsero l’abbraccio Marco guardo sospettoso, madre e figlia ridacchiare “Che c’è?”. Chiara osservò le due donne e come risposta a Marco affermò: “C’è che sei un panda, Marco. In via d’estinzione!” Scoppiarono tutti quanti a ridere, poi Anna prese in disparte la sorella, lasciando Marco ed Elisa da soli.

“Sono molto fiera di te, Chiara. E non come in passato, in cui spesso ti trattavo come una figlia, più che una sorella. Non hai bisogno di me per fare le tue scelte. Solo tu puoi sapere cosa è meglio per te”. Chiara la guardò sorridendo “Lo so. Ma sei mia sorella. Per me conterà sempre il tuo pensiero. Avrò sempre bisogno di te. Come spero tu di me, ahahah” Anna scoppiò a ridere, per poi abbracciarla.
Quella sera Anna, Chiara e Marco videro tutti insieme Frozen. Marco subì gli accostamenti del suo naso a quello di Olaf per tutta la sera, ma si divertì molto. Soprattutto perché le cose tra le due sorelle Olivieri si erano ancora una volta risolte. Chiara apprezzò molto quel tempo di qualità con la sorella e Marco. All’inizio aveva creduto sarebbe stato imbarazzante, trovarsi con loro due da soli dopo tutto ciò che era successo nei mesi precedenti. Era convinta che avrebbe riprovato la fitta della mattina precedente al bar, quando li aveva visti scambiarsi quel bacio del buongiorno. Invece si era ritrovata a sorridere senza rendersene conto, nel vederli così sereni e prendersi in giro. Perché anche Anna era cambiata, ma in meglio, insieme a Marco. E si disse che sua sorella aveva ragione: avrebbe potuto sempre contare su di loro. Erano uno strano trio, ma sapeva di non poter desiderare cosa migliore di quello strambo triangolo di amicizia. La mia Chiara è finalmente divenuta adulta. Chiara sorrise tra sé e sé a Claire - così aveva denominato quella voce che ronzava nella sua testa, finalmente libera di parlare dopo anni in cui era rimasta inascoltata. Era felice, di nuovo, dopo mesi. Pronta ad affrontare il futuro.

All’inverno creatosi per magia attorno a loro dopo il Natale d’agosto, stava per sostituirsi quello vero del susseguirsi ciclico delle stagioni. Ma il sole splendeva alto di nuovo nelle loro vite e la tempesta si era placata. Ora erano di nuovo in controllo delle loro emozioni. Come Elsa alla fine del film che stava ora terminando in televisione.
Un capitolo della loro vita si stava chiudendo. Una nuova pagina, bianca come la neve, si stava aprendo dinnanzi a loro, pronta ad essere riempita degli eventi che il futuro - imprevedibile - avrebbe riservato. Non sapevano niente di ciò che li attendeva, ma erano consapevoli di una cosa: l’amore, quello vero, in qualsiasi forma si palesi, vincerà sempre.

Ed ecco che ora sai chi è Giorgio, Lottie.

Secondo te, Vocina, anche io ho una mia coscienza che mi parlerà nella testa?

Certo che sì, piccolina. Arriverà il momento in cui anche tu la sentirai. Speriamo prima di quanto ci ha messo tua zia con Claire, ahahah!

Un giorno me la presenterete Claire, Grillo?

Ronf ronf ronf zzzzzzzzzz

Te la presento io Claire, Lottie. Lascialo perdere… Ora però dormi, che non possiamo sempre svegliare mamma a metà nottata!



 
Eccoci qua, dopo un luuuuungo periodo di pausa (si fa per dire, non abbiamo avuto tempo di scrivere tra studio e lavoro), ma siamo tornate!
Speriamo che questa nuova fiaba vi sia piaciuta, che abbiate odiato Giorgio quanto lo abbiamo odiato noi (3M, ci stava, no? xD), che abbiate apprezzato il nostro Olaf fare da mediatore tra le nostre Anna ed Elsa - ops, volevo dire Marco, con Anna e Chiara.
A presto! (Intanto i mesi scorrono, e la messa in onda si avvicina... speriamo bene. Incrociamo le dita!)
 
Mari e Marti

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3944674