The Lovers Upright

di PaolaBH2O
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Dark Was The Night ***
Capitolo 2: *** 2 - The Riddle ***
Capitolo 3: *** 3 - At Wit's End ***
Capitolo 4: *** 4 - To Curtain Call ***
Capitolo 5: *** 5 - Confrontation ***



Capitolo 1
*** 1 - Dark Was The Night ***


1 – Dark Was The Night



Magari la notte portasse consiglio. Invece lascia in dote tante domande e solo una persona come risposta a tutte (Cit. CannovaV, Twitter)



Erano passate meno di ventiquattr'ore da quando il brillante mago Asra aveva lasciato Kamya, la sua talentuosa allieva, per partire alla volta di una meta sconosciuta; quando la ragazza aveva messo in discussione la necessità di avviarsi quella sera stessa, Asra le aveva risposto che erano nel pieno di una notte senza luna, il momento perfetto per iniziare un viaggio.
Detto ciò, aveva raccolto gli averi preparati per quell’avventura, il suo fidato famiglio Faust e si era dileguato nella nebbia dell’esotica Vesuvia, lasciando Kamya con nient’altro che il mazzo di tarocchi da lui stesso creato, l’Arcana, delle domande destinate a restare senza risposta e una cliente alquanto insistente e alquanto influente a bussare alla porta del negozio: la Contessa Nadia.
Asserendo che non avrebbe passato un’altra notte insonne, aveva pregato Kamya di dedicarsi a un incarico di rilevanza non indifferente; ulteriori dettagli le sarebbero stati forniti se si fosse recata al suo maniero il giorno seguente, ma la nobildonna le aveva anticipatamente promesso ospitalità e ogni lusso possibile come incentivo. Spinta più dal suo impeccabile senso del dovere che dall’avidità, Kamya aveva acconsentito e dopo un giorno trascorso a viaggiare a fianco della domestica personale di Nadia, Portia, aveva finalmente raggiunto la magione sua meta.
Portia l’aveva fatta accomodare in una ricca ma vuota sala da pranzo in attesa della Contessa e, per quanto stuzzicanti fossero i profumi che impregnavano l’aria, o ricche le pietanze che imbandivano la lunga tavolata, la fame, la stanchezza e l’ansia poggiavano pesantemente sullo stomaco e sulle spalle dell’apprendista, rendendole la schiena rigida e dolorante. La mancanza del suo adorato maestro e la necessità di dover aspettare la Contessa, accentuavano ancora di più il disagio di quella così formale situazione.
Kamya ne tentò di varie per distogliersi da quegli scoraggianti pensieri; si perse ad esaminare ogni angolo della sala da pranzo, allineò le stoviglie già perfettamente posate davanti a lei, tentò di far dondolare i veli che collegavano i lampadari in vetro con la forza del suo soffio e si dilettò a far cambiare colore alle fiamme delle candele che brillavano al centro della tavola, ma ciò che riuscì più di tutto a catturare la sua attenzione, fu un quadro tanto singolare quanto inquietante: il dipinto ritraeva un banchetto a cui partecipavano una serie di ospiti ritratti con teste di animali; tutti si stringevano attorno alla figura che serviva loro quella cena fatta di piccoli animali, un caprone bianco con lunghe e spiraleggianti corna. Una corona di raggi dorati si irradiava dalla sua testa e i suoi profondi occhi rossi sembravano sorprendetemene vivi.
-Benvenuta, Kamya- salutò Nadia, riscuotendo l’ospite dalla sua contemplazione -Vedo che stai ammirando il dipinto.-
La maga si girò per prestare attenzione all’elegante padrona di casa; la Contessa era una splendida donna dalla lunga chioma viola raccolta in un’alta coda di cavallo e con occhi rossi che ispiravano una raffinatezza fuori dal comune. Le sue ricche vesti erano costituite da una gonna lunga e da dei drappi candidi che si intrecciavano sul busto; l’immacolato velo che le avviluppava morbidamente le braccia fino ai dorsi delle mani sbucava da un paio di maniche aperte dai gomiti in giù ricavate dalla stessa stoffa celeste e bianca della gonna. Il corsetto verde con ricami dorati che le stringeva la sottile vita si accompagnava allo splendente abbinamento di monili dorati che le adornavano le dita, la fronte, i capelli e i polsi, molti dei quali resi ancora più preziosi dalla lucide perle di giada.
La chiarezza di quelle vesti spiccava contro la pelle scura, risaltandone il tono.
Mentre la donna si accomodava al proprio posto a capotavola, le sue labbra color del vino si incurvarono in un placido sorriso quando il suo sguardo si incrociò con quello della maga.
-Ti piace? Il ritratto, intendo- chiese con curiosità voltando gli occhi verso quella peculiare espressione d’arte.
Kamya si girò a sua volta e finse di soppesarlo di nuovo cercando, in realtà, le giuste parole con cui esprimere la propria opinione senza essere scortese; sfortuna volle che quando fu il momento di rispondere, ciò che le uscì di bocca fu piuttosto rivelatore.
-Ehm- tentennò, nella speranza che un provvidenziale lampo di sofisticatezza la colpisse -Volete la risposta gentile o quella sincera?-
-Quanta onestà!- rise la Contessa facendo tintinnare le piccole perle che dondolavano sotto ai fermagli accanto agli occhi -Devo confessare che non piace nemmeno a me. Allora perché rimane appeso alla parete, potresti chiedere.-
Un servitore apparve accanto a Kamya e adagiò una ciotola colma di zuppa allo yogurt e cetriolo davanti alle due commensali; la ragazza strinse le mani attorno alla ceramica resa calda dalla fumante pietanza e si scaldò le dita fredde per la tensione. La sua risposta aveva allietato la Contessa ma avrebbe dovuto fare pratica su come esprimersi a corte se avesse voluto evitare di “allietare” altri nobili con gaffe più gravi o pesanti.
Appena fu certa di avere una buona presa, sollevò il piatto e ne bevve un sorso con cautela mentre Nadia rispondeva alla sua stessa domanda.
-Valore sentimentale, presumo. Era uno dei preferiti di mio marito.-
Il marito della Contessa Nadia, il Conte Lucio. Come Kamya richiamò il suo nome alla mente, la figura caprina di fronte a lei, divenne in qualche modo familiare; d’improvviso i suoi occhi scarlatti non sembravano soltanto vivi, ma parevano restituirle lo sguardo scrutando nel profondo della sua anima.
-È un rosso magnifico...- commentò quasi senza rendersi conto di averlo detto a voce alta.
-Ah, sì, è una splendida tonalità- annuì la Contessa i cui occhi brillavano di divertimento -Quello al centro è il Conte Lucio, o dovrebbe esserlo, mentre provvede al popolo, come gli piaceva immaginarsi. Di sicuro sapeva come intrattenere gli altri.-
La ciotola vuota di Kamya venne sostituita con un piatto di riso e avena resi dorati dalla presenza di zafferano man mano che Nadia proseguiva nella narrazione dei ricordi sul suo consorte.
-So quanto caramente la persone di questa città ricordino i balli in maschera del Conte. Vi hai mai partecipato, Kamya?- Nadia attese che l’apprendista le rispondesse e nel mentre cominciò a mescolare il proprio riso con la forchetta. I suoi gesti erano studiati come le sue parole e la grazia dei suoi movimenti una gioia per gli occhi.
-Temo di non averne memoria- minimizzò Kamya, ma la verità era che non aveva quasi assolutamente ricordi su come fosse stata la sua vita prima di conoscere Asra.
Tutto ciò che aveva sul suo passato, erano i tre anni appena trascorsi. Ogni volta che provava a ricordare, un forte mal di testa la investiva come un’onda in mezzo a una violenta tempesta.
-Il nostro party annuale per la celebrazione del compleanno di mio marito era una delizia per tutta Vesuvia... È un ricordo venato di amarezza ormai… Dopo che il Conte Lucio è stato assassinato all’ultima mascherata- il tono di Nadia si tinse di rabbia tanto rapidamente quanto poco prima si era tinto di malinconia; la sua voce si spezzò in due modi diversi mentre le sue emozioni si tingevano di un forte odio che mai aveva cessato di bruciare.
Kamya quasi si soffocò col riso cercando pietosamente di ricomporsi ma il battito del suo cuore accelerava lo stesso in beffa ai suoi tentativi.
-Fu un terribile shock per gli ospiti, una feroce ingiustizia giace su questa casa.-
Nadia era così immersa nel suo racconto da non badare alla momentanea scompostezza di Kamya e quella comprese che non si trattava di un racconto per puro piacere o sfogo personale: la sua presenza al castello si stava spiegando proprio nel racconto della donna. Gli ultimi istanti di vita di Lucio custodivano il perché della sua missione.
-Assassinare il padrone di casa mentre festeggia, condividere la sua gioia e la sua prosperità a porte aperte?- sibilò la Contessa stringendo lo stelo del sottile calice così forte da farle sbiancare le nocche.
Kamya avrebbe voluto dire qualcosa per distrarla, ma in difficoltà com’era, non poteva altro che far saettare gli occhi dal quadro al suo cibo senza riuscire davvero a focalizzarsi. Aveva già sentito vociferare sulla morte di Lucio ma quei racconti erano pieni di buchi, resi torbidi da voci non confermate e domande prive di risposte. Il finale, però, era sempre lo stesso: il Conte si era ritirato nelle proprie stanze e, per mezzanotte, lui e la sua camera da letto erano stati travolti dalle fiamme. Il colpevole era stato colto in flagrante ma prima che la giustizia avesse potuto prevalere, era riuscito a fuggire.
Da allora gli ospiti accettati a palazzo erano stati molti pochi.
Lo sguardo della maga si incontrò ancora una volta con quello perspicace della Contessa.
-Contessa, che cos’ha a che fare tutto questo con me? Non fraintendetemi, adoro i racconti di mistero e fantasmi ma non riesco proprio a vedere come possano riguardarmi- ammise Kamya, consapevole di dove in realtà volesse andare a parare Nadia ma insicura di essere adatta a quel ruolo.
-Kamya, la Mascherata è precisamente il motivo per cui ti ho chiamata qui- dichiarò Nadia posando con delicatezza la propria mano su quella della maga e sporgendosi verso di lei con fare disinvolto e pieno di sicurezza -Quest’anno intendo ospitarla un’altra volta.-
Sia la sua ospite che ogni servitore nella stanza fissarono la donna con grande stupore.
-I festeggiamenti in memoria di Lucio saranno i più stravaganti di sempre, c’è solo un’ultima questione da sistemare. L’assassino del Conte vaga ancora a piede libero: il dottor Julian Devorak, il precedente medico di mio marito- dichiarò colma di intensa solennità.
Kamya si sentì gelare il sangue nelle vene, ritrovandosi improvvisamente bloccata sulla sedia.
Aveva già incontrato quell’uomo e come poter dimenticare il loro primo incontro? Il medico si era infilato nel negozio di magia poco dopo che l’apprendista aveva salutato Nadia la notte scorsa, e aveva preteso di vedere Asra; appena aveva scorto la sua inquietante persona, col suo nodo di capelli rossi e la maschera a becco che si stagliavano contro il nero dei vestiti, a Kamya era preso un colpo al cuore ma, nonostante l’agitazione, aveva lo stesso cercato di liberarsene con la diplomazia. Ciò che l’aveva stupita era stato vedere come Julian, capendo che il suo viaggio fosse stato a vuoto e che non fosse possibile avere altre informazioni riguardanti il mago, avesse accettato la situazione senza ricorrere a minacce o all’uso della violenza.
A onor del vero, aveva pure proposto un’alternativa.
Consultare l’Arcana avrebbe potuto dargli una risposta più o meno concreta e invece ciò che gli aveva dato era stato soltanto un’occasione per la perfetta uscita drammatica; sulla dichiarazione di “La morte non è interessata a un mascalzone come me. Ha poggiato lo sguardo sull’abominio che sono e ha voltato lo sguardo” aveva abbandonato il negozio con la coda tra le gambe.
La Morte non indicava effettivamente la fine di un ciclo vitale, ma Julian non aveva voluto lasciare il tempo a Kamya di spiegarlo; un’uscita piuttosto teatrale, la sua, quasi esagerata ma che aveva comunque stuzzicato la curiosità dell’apprendista.
Mentre Portia faceva il suo ingresso nella sala con un vassoio su cui erano stati sistemati accuratamente i dolci di fine pasto, Nadia si versò un calice di vino e fece una pesante dichiarazione.
-Il dottor Devorak ha confessato il crimine quando l’abbiamo sorpreso, tutto ciò che rimane è solo la sua sentenza. Morte per impiccagione.-
Un terribile fragore alle spalle delle due commensali le fece sobbalzare: Portia aveva rovesciato il vassoio coi dessert e si era pietrificata poco dietro di loro, il suo volto di solito allegro e pieno di energia adesso era una maschera di orrore.
-Portia?- la richiamò Nadia sorpresa. Non era da lei commettere errori simili.
-P-perdonatemi, mia signora. Mani di pasta frolla- si scusò la ragazza, affrettandosi a raccogliere i pezzi delle coppe in vetro, la salsa dei budini che impregnava le fibre del tappeto le avrebbe dato un problema più complesso a cui rimediare.
-Sei perdonata- le fece cenno con la testa la sua padrona mentre altri due inservienti accorrevano in suo aiuto rapidi come il vento -Qui è dove entri in gioco tu, Kamya. Il dottor Devorak è stato molto elusivo ma la tua reputazione ti precede, voci dicono che abbia addirittura superato il tuo maestro, Asra. Persino io vedo il futuro nei miei sogni, che mi piaccia o no, è per questo che so che sei colei che troverà il dottor Devorak- concluse posando il calice vuoto.
-E... E se riuscirò a trovarlo?- Kamya deglutì a fatica e sospirò piano per non farsi notare. L’immagine di Julian che pendeva dalla forca le faceva venire un nodo in gola ma non riusciva a capirne il perché.
-Quando riuscirai a trovarlo- la corresse la donna -Lo porteremo davanti al popolo affinché tutti possano assistere alla sua agognata punizione. E così, per cominciare i festeggiamenti, il dottore morirà sul patibolo per il suo terribile crimine- detto questo, la Contessa si alzò e, d’istinto, fece altrettanto Kamya -Portia? Portia!-
Nadia fu costretta a ripetersi nel richiamare l’attenzione della sua servitrice; da quando aveva nominato l’esecuzione di Julian, la ragazza si era persa nei suoi pensieri estraniandosi completamente dalla realtà.
-Sì, mia signora!- si riscosse lei con un gesto della testa che fece ciondolare i suoi lunghi e morbidi ricci. Solo in quel momento Kamya fece caso a quanto simile fosse il colore dei capelli di Julian e Portia.
-Mostra a Kamya le stanze degli ospiti, immagino che ci sia ancora molto su cui riflettere prima che la notte sia conclusa. Ti auguro una serena notte, Kamya- la salutò la Contessa prima che Portia si piegasse in un modesto inchino e sospingesse la maga oltre la pesante doppia porta in mogano.
Durante la loro passeggiata per le ampie sale del castello e verso la zona degli ospiti, Portia restò in silenzio, la fiamma dell’entusiasmo che aveva mostrato nella giornata si era affievolita e di essa non rimanevano che braci spente e grigie. Dopo un paio di svolte, le ragazze arrivarono ai piedi di un’ampia scalinata velata da una fitta penombra; a custodire i primi gradini c’erano una coppia di levrieri bianchi dal folto e setoso pelo. Uno spiffero che soffiava dalla cima, scosse la loro soffice pelliccia e fece rabbrividire Kamya; quel venticello portava con sé lo stantio della cenere e il gelo dell’aria notturna.
Mercedes e Melchior alzarono lo sguardo verso l’apprendista fissandola con profondi occhi da cacciatori; sebbene dessero l’impressione di poterle saltare addosso da un momento all’altro, lei non percepiva nessun intento malevolo nei propri confronti. Come allungò una mano per farsela annusare, i due levrieri le andarono incontro facendo ciondolare la coda con allegria; il loro fiato solleticava il palmo di Kamya comunicando simpatia e confidenza tanto che anche Portia trovò di che stupirsi.
-Be’, questo sì che è bizzarro! Non prendono mai in confidenza gli estranei. È semplicemente il modo in cui sono stati addestrati ma non li ho mai visti comportarsi così.-
Le loro testoline affusolate strusciarono contro i fianchi di Kamya proseguendo con la loro ispezione che conclusero soddisfatti fissandola pieni di aspettativa; appagata dall’aver compiuto quel piccolo miracolo, la giovane non resistette all’idea di far scorrere le dita sotto il setoso musetto del più minuto tra i due.
-Non lo farei se fossi in te!- si allarmò Portia poco prima che l’animale indietreggiasse e che la maga ritraesse la mano d’istinto -Scusa, sono un po’ imprevedibili. Sembra che tu gli piaccia ma preferirei che ti tenessi quella mano- la avvertì una seconda volta suggerendo la natura possibilmente feroce dei due levrieri.
Non volendo socializzare oltre, Mercedes e Melchior ritornarono di nuovo al proprio posto confondendosi quasi col pavimento in marmo.
Ripercorrendo mentalmente la propria giornata e ricordandosi di quali faccende si fosse già occupata e quali fossero ancora da sbrigare, Portia venne colta da un’illuminazione improvvisa che le impedì di ripiombare nuovamente nella precedente spirale di pensieri.
-Non mi meraviglia che si comportino così, non hanno ancora ricevuto la loro torta alla camomilla!- fece saettare lo sguardo tra la sua nuova amica e i cani, indecisa sul da farsi -Aspetta qui, Kamya, e tieni le distanze da loro, è probabilmente meglio così. Torno subito con le loro torte.-
Detto questo, la servitrice fece scorrere un pannello nella parete lasciando sola la maga con gli imperscrutabili levrieri. Kamya fece come le era stato raccomandato ma quando sentì il più grande dei due annusarle di nuovo il fianco con insistenza, abbassò lo sguardo per incontrare quello dell’animale. In tutta risposta, Melchior indietreggiò senza rompere il contatto visivo; altrettanto fece Mercedes che, una volta rubate le attenzioni di Kamya dal fratello, si sedette sulle anche con sfacciata innocenza. Catturata com’era dai suoi occhi sanguigni, Kamya sentì un brivido febbricitante correrle lungo la schiena mentre una voce risuonava nella sua mente.

-Un’ospite?-

A quel suono, la ragazza indietreggiò scrutando i corridoi in cerca di chiunque potesse aver parlato ma nessuno era in vista; nemmeno il pannello che aveva usato Portia sembrava essere stato scostato di recente.
-Chi va là?- chiamò sperando che qualcuno di tangibile le rispondesse, ma nessuno si fece vivo. Per quanto lo negasse, conosceva la verità. La voce doveva provenire… Dalla cima delle scale.
In pochi secondi, si rese conto che le storie di fantasmi non la affascinavano poi così tanto e che finire dentro una di esse, non rientrava tra le sue ambizioni.
Kamya assottigliò gli occhi in cerca di una presenza in cima alla scalinata ma non c’era niente oltre al vuoto e denso buio. Quasi ebbe un sussulto quando si sentì strattonare gli abiti ma Mercedes e Melchior non ammettevano esitazioni: l’apprendista voleva scoprire chi avesse parlato? Doveva seguirli.
Incerta se non le fosse proibito esplorare la vecchia ala del castello, Kamya mosse comunque qualche passo sui primi scalini e i due fratelli presero a scodinzolare soddisfatti; richiamarli o provare a liberarsi risultò in una morsa ancora più tenace sui suoi pantaloni a sbuffo. Non volendo rovinare uno dei più eleganti completi che possedeva, scelto apposta per l’occasione. Kamya accontentò quei due testardi cacciatori che la lasciarono andare solo una volta arrivati in cima.
Lì l’odore della cenere era soffocante e la roccia dei muri era di un freddo quasi glaciale; niente in quella zona aveva a che vedere con la calda atmosfera che si respirava nei luminosi corridoi del castello o con gli esotici profumi che aleggiavano nell’aria. La vita e la luce dei lampadari sembravano morire contro la torbida oscurità delle vecchie stanze di Lucio.
Kamya si fermò per un momento a riflettere su quell’uomo e sul modo con cui ne aveva parlato Nadia; c’era una tale nostalgia nei suoi sguardi e un risentimento così amaro nei confronti di Julian che tutto suggeriva la loro fosse stata una felice unione, disgraziatamente stroncata dalle azioni egoiste di un criminale. Nessuna meraviglia che Nadia non avesse lasciato che i servitori si prendessero cura della dimora del Conte: tutto doveva rimanere proprio com’era, a memoria della generosa guida che era stato quell’uomo per Vesuvia e dell’affezionato consorte che era stato per lei.
Niente andava spostato o aggiustato.
Gli appartamenti del Conte sarebbero rimasti la sua inviolata tomba fino alla fine dei tempi.
Sull’onda di quei pensieri che la facevano sentire fuori posto, Kamya si avviò per scendere di nuovo le scale quando la testa prese a girarle così forte da isolarla persino dal freddo e dallo stantio della polvere; col cuore che le martellava nel petto, si sostenne al corrimano in marmo e tentò di invocare una luce sul palmo della mano libera. La magia le rispose dopo un paio di tentativi materializzandosi sotto forma di una sfera scintillante, flebile ma sufficiente.
Kamya cercò Mercedes e Melchior ovunque ma non li trovò da nessuna parte. In fondo al corridoio, una porta socchiusa la richiamava, sfidando con un ancor più appestante buio la già insufficiente illuminazione del piano; senza rendersene conto, la maga si avviò verso quella camera che la attirava a sé.
Una volta entrata negli appartamenti del Conte, l’unica fonte di illuminazione era soltanto la sfera di scintille che le brulicavano sul palmo; contro le dense tenebre della stanza sembravano quasi farsi più piccole e fioche, il loro viola chiaro gettava un’ombra lugubre su tutto ciò che toccavano. L’aria lì dentro, al contrario di quanto ci si potesse aspettare, era tiepida ma pesante, come se l’incendio non avesse mai davvero smesso di consumare quelle pareti.
Una corrente penetrava attraverso le finestre mal sbarrate facendo svolazzare i brandelli delle tende e del baldacchino come fantasmi; in un altro angolo erano esposti una stravagante armatura e una scrivania di alabastro su cui capeggiava una piuma bianca di pavone.
Kamya cercò di ignorare il fatto che il tutto fosse coperto non da polvere ma da cenere, per andare a esaminare più da vicino un dipinto alto il doppio di lei; le scintille si espansero sulla tela per agevolarle quel compito, rivelando il protagonista dell’opera: un giovanotto col petto gonfio stendeva il braccio sinistro su una spada sguainata e poggiava lo stivale sul cranio di una bestia sconfitta da lungo tempo. Il suo sguardo fiero si perdeva all’orizzonte in vista della prossima conquista che gli avrebbe garantito fama e ricchezza, anche se lo sfarzo della sua tenuta da battaglia suggeriva ne avesse accumulate più che in abbondanza.
Quello era il Conte Lucio, senza ombra di dubbio.
I capelli biondi erano pettinati con cura all’indietro e delle linee nere ne contornavano gli occhi grigi donandogli risalto e profondità.
O il dipinto non era recente, o la deduzione di Kamya che Lucio fosse molto più anziano era errata. In ogni caso il pittore aveva infuso nell’opera tutta la vanità del nobile.
Il rosso della sua giacca era dello stesso punto del ritratto nella sala da pranzo e la protesi dorata del braccio che reggeva la spada, un capolavoro di arti alchemiche; la pelliccia che gli pendeva dalle altezzose spalle era stata ritratta così finemente da sembrare vera.

-Coraggio, toccala-

La incoraggiò la stessa voce di poc’anzi.
Kamya sentì un refolo di aria densa e torrida sospingerle la mano verso la tela ma quando la toccò non percepì altro che cenere e pittura. Una risata risuonò nella sua mente offuscandone la percezione.

-Non è paragonabile a quella vera... Vedere ma essere incapace di sentire… Che dolce tortura...-

Un calore come quello di un tizzone ardente si irradiò sulla nuca di Kamya e la magia nel suo palmo reagì avvolgendole le dita e allungandosi verso il polso; ad un sospiro della misteriosa voce, la strana sensazione di calore diminuì mentre quel suono si affievoliva, quasi sussurrando.

-Lì, nella tua energia… Oh, è lui. Potresti essere…?-

Il torpore svanì dalla mente della maga che barcollò lontano dal quadro; qualcosa di morbido, forse uno sgabello imbottito, le sbatté contro le gambe e la fece cadere dentro le pieghe in velluto polveroso dell’imponente letto. Un grande sbuffo di cenere si levò dalle lenzuola quando la schiena di Kamya ci sprofondò dentro e una macabra realizzazione la investì mentre quelle nuvolette pallide non smettevano di danzarle attorno.
Quello era il letto di Lucio. Proprio dove era stato assassinato. Incenerito.
Quello era Lucio.
Le polveri sottili cominciarono a entrarle negli occhi, nel naso, nella bocca e più si dimenava per liberarsene, più le si spandevano attorno. Si premette una mano contro le labbra per soffocare un urlo mentre lottava per rimettersi in piedi.

-Te ne vai così presto? Non sei affatto divertente...-

Quella voce risuonò da ogni angolo della stanza e fece eco dentro la sua testa.
-Che cosa vuoi?!- gridò Kamya contro il nulla cercando di non cedere al panico.
La risata si fece più alta e le orecchie della maga si arroventarono di colpo mentre la sensazione di calore si spostava sulla sua schiena.

-Che cosa sono io a VOLERE?-

Le ultime parole terminarono con un ringhio che fece raggelare l’apprendista; la sensazione che qualcosa le stesse toccando la schiena tacque di colpo e lei riuscì a rimettersi in piedi. Nonostante il calore latente provato fino a qualche secondo prima, la temperatura cadde improvvisamente e i suoi respiri si condensarono in sbuffi a mezz’aria. Non osò guardarlo direttamente o verificare ma Kamya era certa che qualcosa si fosse mosso verso la tela del quadro.

-Catene d’oro ma nessun collo… Bellissima, bellissima pelliccia ma nessuna schiena… Nessun perfetto viso da soffocare di baci… Perciò non voglio nulla.-

La voce tacque ancora una volta e la stanza sembrò tornare alla normalità di nuovo. Kamya inciampò nei suoi stessi piedi nel tentativo di scattare oltre la porta e attraverso i corridoi; continuò a correre in cerca di una vaga luce che la portasse lontano da quell’incubo, i ritratti appesi ai muri la fissavano con freddi e aristocratici sguardi.

-Torna… Torna indietro...-

Contro ogni buon senso Kamya si fermò e si guardò indietro; per un momento soltanto riuscì a intravedere una sagoma stagliarsi contro un muro di alte finestre offuscate dal fumo. Artigli, corna e zoccoli come di onice comparvero assieme al pallido viso di una capra con lampeggianti occhi rossi; la fissava con gioia ma in un battito di ciglia era scomparso.
Si sentì il cigolio dei cardini, lo sbattere violento di una porta e poi… Silenzio.
Insicura se quanto appena vissuto fosse successo per davvero, la maga si precipitò giù per le scale disorientata; il tempo di arrivare alla fine, e Portia era lì a cercarla dietro ogni angolo.
-Oh, eccoti- sussultò alla vista di Kamya, trafelata e coperta di polvere -Che è successo? I cani ti hanno trascinata su per le scale?- le chiese allarmata a vedere lo stato in cui era ridotta.
-S-sì, ma niente che un po’ di magia non possa sistemare- sorrise Kamya, sbloccando i fermagli che fissavano il velo ai suoi corti capelli indaco e dandogli qualche forte scossone.
Più cercava di ricomporsi, più sentiva di star facendo uno sforzo inutile ma Portia la prese sottobraccio sorridendole calorosa e tutto parve placarsi di colpo.
-Sai cosa? Lascerò semplicemente queste torte qui e ti accompagnerò a letto.-
Camminarono fianco a fianco fino ad arrivare alla camera degli ospiti che Nadia aveva riservato a Kamya; Portia aprì la porta con un ampio gesto rivelando una stanza accogliente e dalle molteplici tonalità di viola. Unica eccezione, le lampade arancioni a forma di diamante che pendevano dal soffitto; agganciate tramite robuste catene in metallo scuro, gettavano il loro calore su tutto il tappeto e sul letto a baldacchino di un bel pervinca, donandone una generosa quantità anche al grosso specchio appeso lì accanto.
-Questi saranno i tuoi appartamenti. Puoi mettere le tue cose dove desideri, ti verrò a svegliare io quando la colazione verrà servita all’alba- spiegò Portia con diligenza ma mascherando a fatica uno sbadiglio. L’ora si faceva tarda anche per lei.
L’apprendista fece cadere la borsa accanto a una pianta in vaso dalle foglie larghe e poggiò il velo sul bordo ai piedi del letto.
Saggiò la morbidezza delle lenzuola in lino, anelando disperatamente a quel letto, mentre Portia la salutava un’ultima volta.
-Sembri sul punto di crollare, ti lascerò da sola. Buonanotte, Kamya.-
La dolce voce della servitrice avrebbe cullato il sonno di chiunque ma la maga si impose di non andare a dormire prima di aver sistemato i propri indumenti.
-Sogni d’oro, Portia- si voltò in tempo per vederla uscire chiudendo la porta.
Dopo aver controllato che i tarocchi di Asra non si fossero sporcati e dopo aver tirato le tende dello stesso tono del baldacchino, Kamya si sfilò le scarpette dorate, i pantaloni e il corto bustino che lasciava intravedere il ventre per farli fluttuare a mezz’aria; a quelli si unì presto anche il velo sottile della testa.
Il suo bel completo violetto da danzatrice era ingrigito e sui pantaloni a sbuffo erano rimasti dei piccoli solchi dove Mercedes e Melchior l’avevano afferrata, i fazzoletti di stoffa che contornavano le gambe dando a ogni passo un movimento più vibrante, erano scuciti in più punti e le monete che abbellivano il contorno del corpetto e della cintura, si erano opacizzate; ma quello che era più mal messo, era il velo che le pendeva dietro la testa e lungo la schiena: il colore di quello sembrava non essere mai esistito.
Kamya chiuse gli occhi e richiamò un concentrato di magia celeste sui palmi tramite un profondo respiro; ripensò all’acqua che raccoglievano al fiume lei e Asra quando dovevano pulire il negozio o fare il bucato, alla sua freschezza e alla sensazione che le dava sulla pelle. Il pensiero del suo bel maestro, coi suoi riccioli candidi e gli occhioni viola, rischiarono di farla deconcentrare ma una volta riaperte le palpebre e picchiettato ogni pezzo del suo vestiario, nonché della sua stessa persona, l’incantesimo avvenne con successo: la polvere si staccò tutta d’un colpo in un grosso sbuffo e volteggiò nell’aria prima che Kamya corresse ad aprire una delle alte finestre per lasciarla scivolare fuori, a disperdersi nel buio della notte.
Una volta ripresi in mano gli abiti, la ragazza poté constatare con meraviglia quanto bene il risultato avesse funzionato; adorava quel completo, l’aveva cucito personalmente per un’occasione importante e l’aveva abbellito con la magia. Volendolo rinnovare per il giorno seguente in modo da ammaliare la Contessa, invocò una manciata di scintille sulle dita e le fece correre sul tessuto. I ritagli di stoffa sulle gambe si contornarono con un nastro dorato e delle monete sulle punte, la cintura si ripeté in più giri sui fianchi e le maniche a sbuffo si allungarono fino ai polsi. Laddove la dita avevano toccato i vestiti, si espansero delle macchie indaco finché tutto non fu di quel colore che si accompagnava ai suoi capelli.
Concluse quel lavoro aggiungendo delle file di perline e altre monete al corpetto, e indicò la sedia ai suoi abiti che lì si andarono a piegare con cura.
Ogni sera, prima di coricarsi si guardava nello specchio per rimirare il fisico di cui non andava particolarmente fiera, cercando in qualche modo di imparare ad apprezzarlo piano piano; certo, la pancia era piatta e la vita abbastanza sottile, ma quelle gambe non troppo lunghe che Asra definiva forti e in salute, per lei erano un po’ robuste e i fianchi di certo più larghi di quanto non li volesse.
Andava però piuttosto fiera di un singolare dettaglio del suo viso ovale; contro la sua pelle scurita dal sole, il regolare uso della magia aveva fatto spuntare delle macchioline argentate che le avevano procurato un soprannome affettuoso da parte di Faust: lentiggini di stelle.
I suoi pensieri si rivolsero ancora una volta ad Asra e al suo famiglio; chissà se erano ancora in viaggio o se erano arrivati a destinazione, e chissà cosa ne avrebbero pensato della sua avventura nelle stanze di Lucio.
Nonostante il pensiero di quella visita fuori programma fosse spaventoso e disgustoso, Kamya lo respinse in un remoto angolo della sua testa per accoccolarsi sotto le lenzuola; il conforto datole dal materasso più comodo che avesse mai provato la faceva sentire priva di peso. Cullata dai passi di Portia che risuonavano nel corridoio, l’apprendista scivolò nel sonno; sebbene desiderasse solo ricongiungersi ad Asra in quel mondo parallelo fatto di stelle e misteri, i sogni di Kamya non avrebbero mai potuto avvicinarsi alle contorte realtà che si profilavano all’orizzonte, e a dare il via alla scia di quegli eventi sarebbe stato l’antico simbolo dei peggiori incubi di Vesuvia: uno scarabeo rosso.


Mentre i resti del defunto Conte si involavano sopra la città, uno di quei diabolici insetti strisciò fuori dal letto di Lucio, oltre le rade travi di legno che mal sbarravano le finestre e via nella brezza della notte, a unirsi ai resti dell’uomo; nel suo placido volare, un lampo di luce si impennò nella notte, rischiarò il quartiere sud di Vesuvia e annunciò l’arrivo di due tra i più insoliti viaggiatori che la città avesse mai accolto: Death Mask del Cancro, il quarto dei Cavalieri D’oro, e la changeling Élan, entrambi in viaggio da diversi giorni alla continua e ostinata ricerca della dimensione in cui la giovane mezza-fata viveva.
L’ultima visitata era stata la più grande nave-laboratorio che l'umanità avesse mai conosciuto: la Helios, un trionfo di tecnologia creata da Nikola Tesla affinché vi si potessero riunire le più affilate menti del globo. Sarebbe potuta sembrare un’avventura illuminante ma per aiutare una donna di nome Rose, Élan aveva messo la propria vita a rischio più volte di quante se ne sarebbero potute contare e Death Mask, abituato a intervenire con tempestività in ogni situazione gravosa, era dovuto restare in panchina, assaporando l’amara sensazione di impotenza che odiava così aspramente.
Se la giovane donna avesse evitato di giocare alla buona samaritana come tanto le piaceva fare, il Cavaliere del Cancro non avrebbe dovuto fare i conti con una verità fulminante che l’aveva colto del tutto impreparato, ma quello era un pensiero per un’altra notte.
Guardando Élan uscire dal vicolo in cui si erano teletrasportati, Death Mask prese un respiro a pieni polmoni, scosse la testa e sollevò il viso al cielo; le luci di Vesuvia erano così flebili che neanche al Grande Tempio, sua dimora, si poteva ammirare una volta stellata tanto impressionante. Cercando di schiarire la mente grazie a quella botta di ossigeno, e di liberarsi dagli istinti che gli suggerivano di litigare con la sua compagna, non si rese nemmeno conto dell’insetto scarlatto che gli si era andato a poggiare sull’unico punto del braccio sprovvisto dell’armatura dorata.
L’uomo provò con caparbietà ma capì presto che nulla poteva fare contro quella rabbia, perciò decise di sviare la sua attenzione su una mappa incartapecorita della città, attaccata al muro di un palazzo: una serie di canali divideva Vesuvia in una marea di isolotti rendendola, almeno ai suoi occhi, una specie di esotica Venezia; dopo tanto vagare in mezzo all’oceano, si trovavano incastrati in una città di mare.
-Acqua, altra acqua! Sentivo proprio il bisogno di altra acqua dopo la città sommersa, il labirinto sottomarino e la nave infestata! Sto cominciando a essere umido più che essere umano!- si lamentò con sarcasmo, coprendo con la sua voce profonda lo sciabordio delle acque sulla roccia e il sommesso rumoreggiare di una locanda poco lontana.
-Preferivi il tostapane in mezzo all’oceano? Credevo che ai granchi piacesse stare ben idratati!- lo rimbeccò Élan fissando il canale, sul suo viso riverberava il riflesso dell’acqua, resa luminescente da un branco di anguille che nuotavano accanto alla banchina -E poi questa è almeno terraferma, non siamo inseguiti da nessuno e possiamo tirare il fiato senza doverci preoccupare di scappare! Un po’ tipo come ho dovuto fare io fino a qualche ora fa, te lo ricordi, Death?- lo stuzzicò lei malignamente, ignara degli sforzi dell’altro.
-Oh, ma quanto sei furba!- si agitò Death Mask -Ne vuoi parlare proprio adesso?!- le ringhiò contro mettendosi sulla difensiva.
Per ritrovare il contegno che sentiva di star perdendo, incrociò le braccia davanti al petto ampio, spingendo lo scarabeo rosso a rigirarsi su se stesso un paio di volte ma senza abbandonare la sua posizione. Per qualche strano motivo la sua presenza non sembrava disturbare l’uomo.
-No, ma più furba di te lo sono di sic… Ah!- voltandosi, Élan vide il parassita su Death Mask e venne colta da un sussulto.
Indietreggiò ripugnata e un piede le scivolò sulla bordo del canale; vedendola sul punto di cadere in mezzo al branco di pesci trasparenti, Death Mask fece scattare il braccio e la afferrò al volo. La tirò a sé con uno strattone e la bizzarra piattola decise che era stata importunata una volta di troppo: morsicò il Cavaliere e versò una discreta dose del suo veleno sotto la sua pelle, ma fu l’ultima cosa che riuscì a fare prima di venire catturato.
Cancer lo afferrò tra le dita e lo osservò per un paio di secondi: la blatta in questione aveva delle antenne arcuate, lunghe il doppio del corpo, e delle pinze così acuminate da essersi sporcate di sangue. Capendo di essere in pericolo, l’insetto tentò di volare via, ma la presa di Death Mask era abbastanza salda da tenerlo stretto senza nuocergli.
-Eeww, che razza di insetti hanno da queste parti?!- gemette Élan disgustata dai suoi movimenti convulsi e frenetici.
Condividendo il ribrezzo per quell’esserino, Death Mask lo schiacciò con una stretta e si inginocchiò per sciacquarsi la mano nel canale.
Le anguille-vampiro gli si strinsero attorno sperando di rimediare un po’ di carne umana con cui sfamarsi, ma di fronte la rigidità dell’oro dovettero rinunciare; se entrambi i viaggiatori avessero saputo quanto fatali potevano essere i loro morsi, sarebbero stati entrambi grati della prontezza di riflessi del Cavaliere.
-Una razza che si schiaccia facile come le altre, per nostra fortuna- constatò il siciliano con uno sbuffo. Quando si portò la mano alla ferita per farne uscire il veleno, una fitta così dolorosa da farlo gemere si irradiò per tutto il braccio arrivando quasi all’occhio.
Poco o niente si versò da quel morso nonostante Death Mask fosse accecato dal dolore e ciò non sfuggì ad Élan che prese a guardarsi attorno leggermente in affanno.
-Dovremmo cercare un medico o qualcosa di simile...-
L’orgoglioso Cavaliere era troppo cocciuto per accettare un’offerta simile ma come si apprestò a risponderle, la vide già avviata verso la taverna che illuminava la strada, puntando a passo sicuro un tizio uscito dal locale. Si affrettò a raggiungerla ma al suo arrivo la conversazione aveva già trovato di che finire; come notò il bicipite di Cancer, gonfio e con qualche rivolo di sangue, il tale cominciò a barcollare all’indietro inciampando nei suoi stessi passi, inspiegabilmente terrorizzato.
-Che cosa gli hai detto?- la interrogò Death Mask perplesso dalla reazione.
Élan alzò le mani in un gesto difensivo.
-Niente di che, solo che sei stato morso da uno scarafaggio rosso, poi non mi ha lasciato finire...-
-Il classico tizio che ha alzato il gomito una volta di troppo. Meglio lasciar perdere questo… Corvo Chiassoso?- Cancer lesse l’insegna che pendeva sopra le loro teste ponderando il da farsi: era indiscusso che il beccone gli facesse male, ma al punto da doversi mettere a cercare un medico in una taverna? Neanche dietro pagamento.
-Ma la taverna è colma di gente, forse è la pista migliore che abbiamo, se non altro per raccogliere informazioni. Ricordati che siamo pur sempre nel cuore della notte e che non conosciamo nessuno in città.-
il ragionamento di Élan non faceva una piega e per quanto il compagno avrebbe voluto dissentire, un’altra stilettata, lo convinse a darle ascolto. Aprì la porta del Corvo Chiassoso con un plateale movimento del braccio destro e si inchinò a lei, rivolgendole un gesto affinché entrasse.
-Dopo di lei, mia signora- sogghignò provocatorio.
La fata sollevò gli occhi al cielo in segno di biasimo; ogni volta che si comportava così era dannatamente sbruffone e dannatamente ammaliante allo stesso tempo, ma non voleva darglielo a vedere. Era un rituale davvero frivolo, il loro; quel reciproco “corteggiamento” era fatto di scherno e complimenti a doppio taglio, di battute e provocazioni che più puntavano a domare l’altro, più si rivoltavano contro il diretto interessato, non importava di chi fosse l’iniziativa.
L’atmosfera dentro il Corvo Chiassoso non aveva niente a che vedere con quella lugubre dei canali: già fuori dalle finestre colorate si poteva intravedere la gente scherzare e bere in compagnia, ma entrare fu come tuffarsi in un mondo completamente nuovo, dove tutto profumava di rocambolesche avventure e tutto ne prometteva a sazietà. L’aria era colma dei fumi dell’alcol e dei sigari più a buon mercato che Vesuvia potesse offrire, il ciarlare prima sommesso esplodeva in un chiacchiericcio assordante.
-Io mi occupo di quelli ai tavoli: dovrebbero essere più ubriachi e iracondi degli altri, specie se hanno perso a carte, ergo più pericolosi. Tu occupati di quelli al bancone- le indicò Death Mask sicuro di sé ma quasi con tono privo di entusiasmo. Il clima festoso e brulicante di vita avrebbe dato alla testa a chiunque non fosse abituato ad averlo come pane quotidiano ed Élan, per quante ne potesse aver viste, era ancora di quella risma.
-Aye, capitano!- fu la risposta della giovane che gli rivolse il saluto marinaresco più vivace che le riuscisse. Per il Cavaliere quello poteva essere un piatto stantio ma per lei era il principio di un’avventura memorabile, se lo sentiva nelle vene.
Death Mask la osservò dirigersi al bancone sperando che sapesse come comportarsi ma a seguirne i movimenti, non fu soltanto lui; un ragazzo dai ricci fulvi li aveva esaminati con grande attenzione da quando avevano fatto il loro ingresso: Élan era una giovane donna dalla una folta chioma color smeraldo che incorniciava il viso più dolce che esistesse e sul quale spiccavano due grandi occhi viola. Il suo corpo minuto, ma con tutte le curve al giusto posto, era avvolto da un body senza maniche e delle calze alla coscia, entrambi di pelle bianca; degli sprazzi di colore erano dati dal blu delle scarpe, della fusciacca allacciata morbida sui fianchi, e dai frammenti di armatura che le proteggevano il braccio, la spalla destra e il petto.
Tutto il contrario era Death Mask, un uomo alto e con l’occhio sinistro sfregiato da una profonda cicatrice, i lunghi capelli blu scuro e la barba ben curata erano ingioiellati da una miriade di ciocche piene perline e monete dorate. Se ne andava in giro spavaldo e incurante come se la sua sfavillante armatura d’oro non avesse potuto fare gola ai peggiori manigoldi della città, ma forse erano le appendici acuminate da granchio che la ricoprivano a far sì che anche i più temerari ci pensassero due volte.
All’osservatore bastarono pochi minuti per inquadrare anche i loro caratteri: lei, adorabilmente entusiasta, gentile e indifesa, lui scontroso, sarcastico e facile da provocare.
Un tenero zuccherino e il suo burbero guardiano. Perfetti per il suo “esperimento”.
Élan si sedette su uno sgabello proprio accanto a lui e provò, alzando la voce, ad attirare l’attenzione del baffuto barista che stava riempendo un boccale incurantemente.
-Ehm, mi scusi?- si sporse sul legno grezzo con eccessiva foga appiattendo ancora di più il ventre già magro.
-Bene, bene, bene, sembra proprio che tu abbia fatto cadere qualcosa- la richiamò il giovane con tono mellifluo.
-Oh mio Dio, questa l’ho già sentita...- borbottò lei tra sé e sé -Togliamocelo in fretta dalle scatole… Che cosa?- gli domandò con un sorrisetto falso e una voce più acuta del previsto.
-La mia mascella! Ciao, sono...- il ragazzo le porse una mano inguantata con un fare cortese e uno sguardo che anticipava ogni cosa ma Élan tagliò corto prima di subito.
-Il tizio col rimorchio più banale della storia?- ridacchiò ironica degnandolo a malapena di un’occhiata -Potrei anche averti fatto cadere la mascella, amico, ma non ho ancora fatto cadere i miei standard, perciò, prima che al mio compagno caschino le palle, vedi di farti un giro!- tentò di scacciarlo con un gesto prima di provare a farsi notare nuovamente dal locandiere che stava servendo altri clienti lontani da lei.
-Veramente vorrei offrirlo a te un giro- insistette lui tenace, avvicinando il suo sgabello a quello della fata.
-Veramen...- Élan si voltò brusca cozzando col viso tra quei pettorali villosi messi in risalto dalla camicia ridicolmente scollata -Veramente l’unica cosa che mi stai offrendo in questo momento è il latte alle ginocchia. Scan-sa-ti- ringhiò a voce bassa scendendo dall’alta sediola per inseguire il barista con una cicatrice sul volto.
Avrebbe potuto chiedere a chiunque altro se conoscesse un medico in città, perfino al rosso appiccicoso che la stava insistentemente corteggiando, ma qualcosa le diceva che chi assisteva al viavai continuo doveva per forza avere la risposta più precisa di tutte.
-Se non fossi così scontrosa, potrei offrirti molto di più. Temerarie avventure in mare per esempio- continuò a tentare l’altro, mettendole un braccio attorno alle spalle. Senza farsi notare, girò gli occhi verso il Cavaliere del Cancro, ma quello non si era accorto minimamente degli situazione, preso com’era dall’interrogare gli ospiti del Corvo Chiassoso.
Élan cercò di liberarsi da quella presa da cascamorto ma finì di nuovo con la faccia a mezzo centimetro dal suo petto; cominciò a sentire la sua capacità di sopportazione venire sempre meno ma voleva evitare una scenata.
-L’unica cosa con cui mi sto scontrando in questo momento siete tu e la tua camicia a cui sono saltati tutti i bottoni… Davvero, com’è che non se n’è salvato manco uno?!-
Più cercava di raggiungere il barista seguendo i suoi rapidi movimenti su e giù per il locale, più finiva per cozzare addosso al suo adulatore, complice la naturale goffaggine di cui il ragazzo non solo aveva preso nota, ma che aveva deciso di sfruttare a suo favore; quel gioco snervante durò anche troppo a lungo senza che Élan reagisse ma al milionesimo rifiuto e al milionesimo scontro fisico, decise di non poter sopportare oltre.
Salì su un tavolo occupato solo dai boccali mezzi ammaccati e alzò la voce quel tanto che bastava da sovrastare il brusio.
-Scusate!- urlò secca.
Tutti i presenti si decisero a darle ascolto, barista e Cavaliere D’oro inclusi; anzi, fu proprio quest’ultimo il più felicemente sorpreso dallo spirito d’iniziativa: si sarebbe comportato come lei da bell’inizio, ma data la reazione dello zotico nel vicolo, aveva preferito andarci leggero e vedere che frutti dava quell’approccio. Élan, invece, aveva preso la situazione in mano per agire in modo concreto, attirando l'attenzione di tutti senza timore di essere al centro della scena. La sua spavalderia per la buona riuscita della missione, lo rendeva fiero e meravigliato.
Almeno, quello era ciò cui credeva.
-Qualcuno vuole dare una camicia che effettivamente si chiuda a quest’uomo prima che gli venga un colpo?!- proruppe la fata, scatenando l’ilarità generale nonché un sospiro frustrato di Cancer. Mai stato ingenuo in vita sua, aveva scelto una pessima serata per cominciare a farlo.
A sentire anche il suo inseguitore scoppiare in una risata chiassosa, Élan si decise a rivolgergli il primo vero sguardo da che l’aveva incontrato; che fosse per incenerirlo, era un altro paio di maniche.
La canaglia in questione, scoprì con piacevole stupore, era un affascinante mascalzone dalla pelle diafana, il fisico scolpito con delicatezza, un naso leggermente aquilino e degli occhi di un grigio profondo, uno dei quali era nascosto sotto una benda da pirata; avrebbe voluto tirargliela e lasciargliela ricadere sulla palpebra con uno scatto ma temendo potesse venire interpretato come un flirt, trattenne quel gesto ma non un commento a bassa voce. Con tutto quel chiasso, chi avrebbe mai potuto sentirla?
-O prima che venga a me voglia di dargliene uno...- borbottò a fior di labbra.
Sfortuna sua, l’orecchio del giovane era piuttosto fino.
-Cosa?- le chiese insicuro di aver capito bene.
-Cosa?- gli fece eco lei.
-COSA?!- Death Mask esplose dall’altra parte della stanza raggiungendoli a grandi passi; a quella reazione, sul volto del rosso si delineò un sorriso tronfio.
-Sei impazzita per caso?!- la rimproverò il Cavaliere strattonandola per un braccio così da fissarla negli occhi, incerto pure lui per cosa essere arrabbiato. Notando di avere puntati su di sé anche gli occhi grigi del “pirata”, fece scendere dal tavolo la fata e la portò accanto al bancone.
Chiunque incontrarono nel loro breve tragitto, si fece da parte poiché laddove non era spaventata lei, lo erano gli altri.
Élan non si impressionò per quella reazione e, consapevole di non aver fatto chissà che sciocchezza, spiegò con serenità i propri motivi.
-Death Mask, guardiamo in faccia la realtà: sono giovane e in salute, posso produrre i normali ormoni che portano all’eccitazione e certe volte ho la libido di una quindicenne indemoniata. Ora, questo tizio, per quanto appiccicoso, è piuttosto affascinante, per non parlare del saggio verbo del Nono Dottore: “viaggiare nel tempo è come visitare Parigi, non puoi leggere solo la guida, ti ci devi tuffare, mangiare il cibo, usare i verbi sbagliati, pagare il doppio e baciare delle perfette sconosciute… O lo faccio solo io?”. Adesso che ci penso mi fa tornare alla mente piacevoli ricordi- gli fece l’occhiolino memore di come fossero andate le cose quando si erano conosciuti.
-Se stai cercando di distrarmi, sappi che non attacca. Non so se questo discorso allucinante ti abbia ispirato nel nostro primo incontro, e potrebbe anche starmi bene se non fosse che ti sta ispirando pure quello col tizio che si è dimenticato le asole a casa!-
Élan si sporse oltre la spalla di Death Mask per vedere che il diretto interessato le stava facendo un cenno di saluto con la mano.
-Tecnicamente non ho intenzione di farci niente. Era una frase tanto per scherzare la mia, ma anche se così non fosse? Mettiti nei miei panni: se al posto di camicia da romanzo rosa, ci fosse una bella donna, strizzata in un minuscolo corsetto, non avresti forse detto le stesse cose che ho detto io? Cosa dovrei farci con uno del genere altrimenti? Compilare il modulo per le tasse? Sbucciare i pistacchi?-
Cancer si trovò a dover ingoiare una pillola molto amara; Élan era brava a leggere le persone e dopo tutto il tempo passato assieme non ci voleva un genio per capire che ci avesse preso in piena sulla sua indole da donnaiolo, ma allora perché non riusciva a scrollarsi di dosso quella gelosia? Si girò per esaminare l’oggetto della loro discussione e notò con profondo disappunto che si stesse avvicinando a loro due.
-Tsk, voi uomini… Vi stupite ancora della libido delle donne come se foste dei bambini…- sospirò la giovane scuotendo la testa.
Il siciliano sentì a malapena quel rimprovero: la ferita inferta dal parassita continuava a pulsargli sul bicipite ma un parassita di tutt’altra risma aveva deciso di dargli dei grattacapi a suo dire peggiori e non poteva restare impunito.
-Ahah, un bambino, dici?- rise sottovoce in modo gutturale. Presa Élan sotto le braccia, la fece sedere sullo sgabello più vicino e poggiò le mani sul bancone in modo da bloccarcela contro.
-Forse devo darti una lezione su quanto possa essere uomo- le sussurrò accattivante, scucendole una risata nervosa e carica di aspettativa.
Aveva imparato fin troppo bene quali tasti toccare per mandarla in cortocircuito e farle dimenticare tutto il mondo attorno a sé ma se c’era qualcosa che anche lei aveva imparato a sua volta, era come tenergli testa.
-Che aspetti a cominciare allora, professore?- tubò mordendosi un labbro.
Élan gli passò le mani sulla gabbia toracica dell’armatura, lo afferrò per il bordo fiammeggiante e lo strattonò a sé per baciarlo appassionatamente; Death Mask non se lo fece ripetere due volte e rispose a quel gesto cingendole la vita con un braccio mentre l’altra mano le scorreva tra i capelli approfondendo ancora di più quel contatto. Accanto a loro, prima che cominciassero quel rituale dissoluto, si era sistemato il combinaguai di poc’anzi; aveva pensato quasi di provarci con tutt’e due, vedere come l’avrebbero presa ma ormai era chiaro che fosse fuori dai giochi. Anzi, era pure alquanto imbarazzato.
-Che faccio, Bart? Resto? Me ne vado? Gli preparo una bevanda rinfrescante?- bisbigliò al barista colto alla sprovvista dalla piega degli eventi.
-Lascia perdere, Ilya, quello al massimo posso farlo io...- appuntò l’oste spillandogli una pinta dell’intruglio distintivo del Corvo Chiassoso, il Salty Bitter.
Ilya osservò con rammarico nel boccale: aveva cercato di scatenare una rissa e aveva ottenuto un accoppiamento. L’unica cosa con cui era accoppiato lui, era il proprio riflesso ambrato in cima al bicchiere.
Guardò di sottecchi la coppia e notò come si fossero spinti ancora più in là di quanto già non fossero: Death Mask aveva ritratto il suo elmo e teneva per le gambe Élan, che gli aveva stretto le braccia attorno al collo. Se fossero andati ancora oltre, avrebbero avuto bisogno di una camera e di lì a nove mesi, un buon medico che… Un momento! Ecco l’illuminazione!
Il ragazzo svuotò tutto d’un colpo il boccale traboccante e bussò sull’avambraccio del Cavaliere.
-Voi ragazzi avete bisogno di qualcosa?- si intromise con un’espressione sorniona poggiando i gomiti e la schiena al bancone -Uno spuntino, un anticoncezionale di qualche sorta? Non vorrei ritrovarmi tra nove mesi con le cosce della tua donna tra le mani e il vostro pargolo in arrivo...-
-ADESSO BASTA!- ruggì Death Mask battendo una mano sul pianale davanti a lui. Agguantato il ragazzo per la camicia, lo lanciò contro uno dei tavoli che si sfondò quasi con troppa facilità.
-Urgh, che schifo...- Élan scese dalla sediola e fece per tirare il compagno per un braccio quando quello lo fece scattare in avanti sfuggendo al contatto -Andiamocene, dai. Non ne vale la pena- provò a dissuaderlo, ma il Cavaliere del Cancro aveva già compiuto la sua scelta.
-DOPO! Prima devo insegnare a questo pezzo di idiota un po’ di galateo!- affermò, recuperando Ilya per trascinarlo fuori dal locale.
-Cos… no! Death Mask, lo ammazzerai!-
La mimica del rosso era tutta un insolito programma; forse era un masochista della peggiore specie o forse non si rendeva conto della feroce cattiveria con cui era solito combattere il Cavaliere D’oro, in ogni caso l’espressione che gli si leggeva sul viso non era di terrore e rimpianto, bensì di folle divertimento e impazienza. La gente si affrettò a seguire le due teste calde in strada dove l’allegria del pub si trasformò in sete di sangue mentre tutti si stringevano attorno al duo.
Spalancata la porta con un calcio, Death Mask sollevò il ragazzo fino ad averlo all’altezza degli occhi, dopodiché gli assestò una violenta testata sul naso che si ruppe senza fare complimenti; lo gettò sul pietrisco aspettando che si rialzasse e a quel punto lo afferrò per una spalla prima di colpirlo con un pugno in pieno stomaco. Ilya cadde a terra reggendosi solo sui palmi e sputando sangue; dal naso in giù la pelle candida era una maschera scarlatta che imbrattava anche la tanto discussa camicia e passarsi una mano inguantata sotto alle narici, non servì a molto.
Élan si affrettò a superare la folla per essere in prima linea durante quello scontro; arrivò in tempo per vedere Cancer scrocchiarsi le nocche in attesa che il ragazzo si rimettesse in piedi una seconda volta. Quando cercò di avvicinarsi al guerriero per fermarlo, un individuo a caso la afferrò per un polso facendola gemere dal dolore. A quel richiamo, Death Mask indirizzò il secondo pugno per il mento dello sconosciuto mandandolo al tappeto in un solo colpo.
Il colpo non era indirizzato a nessun altro ma per scaramanzia, si abbassarono tutti.
Liberata da quell’impiccio, la fata gli si gettò alla vita trattenendolo con tutte le sue forze; Ilya era riuscito a rialzarsi ma non era messo bene proprio per niente: si reggeva a stento sulle ginocchia e un colpo di tosse gli mandò altro sangue sui vestiti. Tuttavia non pareva spaventato o in procinto di scusarsi, sul suo viso campeggiava il sorriso più trionfante che si potesse fare, manco stesse vincendo lui quella lotta.
-Lo ucciderai se continui in questo modo!- Élan implorò Death Mask di fermarsi e, nel magro tentativo di farlo allontanare, puntò i piedi a terra affinché indietreggiasse assieme a lei.
-Forza, vecchio mio! Non mi dirai che è tutto qui quello che sai fare?! Allons-y!- lo sfidò il determinato ragazzo alzando i pugni in una misera difesa.
A quella provocazione, le preghiere della fata suonarono indifferenti al Cavaliere. Non solo colpì l’avversario sullo zigomo col dorso della mano, mandandolo a terra un’altra volta, ma gli mise anche un piede sul braccio spezzandoglielo con forza. Determinato, Ilya, certo lo era, ma in che cosa? Si stava impegnando davvero in quella rissa o era suo effettivo desiderio morire?
Death Mask poteva anche non brillare di intelligenza ma sapeva riconoscere uno scontro quando ne prendeva parte e quello decisamente non lo era.
-Ti supplico, basta! Non puoi volerlo uccidere sul serio!- Élan strinse ancora di più le braccia e fece un’altra prova per porre la parola fine a quella colluttazione. Quando fissò il rosso con occhi imploranti e spaventati, notò qualcosa di davvero insolito: lo zigomo pieno di lividi violacei fino a qualche secondo prima, ora era perfettamente sano e uno strano marchio aveva preso a brillare sul suo collo.
Cogliendo la sua espressione disorientata, il ragazzo le fece l’occhiolino strizzando intensamente la palpebra visibile; anche il petto, che prima si alzava e abbassava formando una conca dove le costole erano rotte, era ritornato alla sua usuale conformazione, e il sangue aveva smesso di scorrergli dal naso.
-Sto solo insegnando al nostro caro imbecille qui quali siano le buone maniere!- si giustificò Cancer agitando il piede sul braccio spezzato per peggiorarne la frattura.
Per la prima volta Ilya si lasciò sfuggire un grido di dolore così Élan intervenne in suo aiuto nel modo più peculiare ma efficace di tutti.
-Sai che ti dico? Hai ragione! È stato un maleducato e tu hai tutto il diritto di esprimere i tuoi sentimenti come meglio credi- asserì lasciando libero l’uomo. Man mano che parlava le ferite del rosso erano migliorate ulteriormente e le labbra carnose del Cavaliere si erano increspate in un sorriso vittorioso.
-Ma permettimi di fare una scommessa con te, prima di lasciarti tornare alle tue botte da orbi...- continuò ad annunciare mentre la folla passava dal guardare il suo compagno al guardare lei al colmo della curiosità.
-Sentiamo- accettò Death Mask.
-Scommettiamo che lo stesso motivo per cui io non ti fermerò più, sarà lo stesso motivo per cui tu ti fermerai da solo?-
-Che cazzo dici?!- inveì lui poco prima di sentire un rumore agghiacciante venirgli da sotto il piede.
Scostò lo stivale prendendo le distanze da Ilya i cui frammenti di osso si stavano ricomponendo come pezzi di un puzzle; in men che non si dica, il ragazzo fu di nuovo in grado di reggersi sulle gambe, il naso era ritornato al suo posto, i lividi erano guariti e non c’era il segno di un solo capillare spezzato in tutto il corpo. Una volta finita la guarigione, il marchio sul suo collo smise di luccicare e il portatore stava meglio di quando avevano iniziato a scontrarsi.
-Allora, vogliamo riprendere da dove ci siamo interrotti?-
Sconcertato, Death Mask fece saettare lo sguardo dall’espressione tronfia di Élan a quella innocente di Ilya accettando con una risata agrodolce la verità: era stato battuto. Da quei due. Senza che alzassero un dito.
-Sai cosa? Avevi ragione tu, ragazzina: non ne valeva proprio la pena...- si prese un minuto di silenzio per riempirsi di nuovo i polmoni con quell’aria salmastra che prima l’aveva domato con la sua avvincente capacità di rilassare ma non rimase in silenzio a lungo -Ascoltatemi, gente di Vesuvia! Sto cercando un medico, qualcuno di voi ne conosce uno?!-
Parte della folla mormorò imbarazzata mentre un’altra parte fece ritorno dentro il locale capendo che lo scontro non si sarebbe protratto oltre.
-Io sono un medico- commentò il giovane “pirata” richiamando la sua attenzione.
-Sì, certo, come no, e io sono un granchio. Gira a largo, pel di carota- lo spintonò via il Cavaliere D’oro.
-Sei davvero un medico?- lo interpellò Élan mentre Death Mask insisteva con l’interrogare la gente ormai quasi del tutto dispersa.
-Sì! Certo che sono un medico, uno vero! Perché dirlo sennò?- Ilya alzò la voce per farsi sentire anche dal diretto interessato che però stentava ancora a credergli.
-Senti- l’uomo gli mise paternalmente una mano sulla spalla e lo fissò negli occhi con fare serio -Non sto cercando quel genere di “dottore”, intesi? E anche se avessi intenzione di giocare al “dottore” in camera da letto, la mia prima scelta non ricaderebbe su di te, damerino!-
Il ragazzo lo fissò tanto scettico quanto stranito: quale parte del suo discorso non suonava sincera?!
-Credo stia dicendo la verità, ahinoi...- si arrese Élan, convincendo Death Mask a smettere di dare spettacolo in quel vicolo.
L’uomo lasciò cadere le spalle sconfitto, strinse la base del naso tra le dita e si arrese alle parole di quel mascalzone spericolato.
-E va bene!- gliela diede vinta infine -Come diavolo ti chiami, dottore da strapazzo? Jekyll? Mr Hyde?-
Ilya sorrise sornione, piegò un braccio sotto il petto, nascose l’altro dietro la schiena e si prostrò in un profondo inchino.
-Vostro umile Dottor Julian Devorak, per servirvi. E ora ditemi, di che cosa avete bisogno?-










N.d.A.
Dalla serie “Non scriverò mai una fanfiction su ‘The Arcana’ perché sarebbe troppa roba per ‘Fortuna favet fortibus’” alla fine ho deciso di farci uno spin-off intero. Le idee erano così tante che non potevo limitarmi alle battute con gli amici per cui eccoci qui :3
Come preannunciato nella descrizione, la storia sarà un crossover con la fanfiction “Fortuna favet fortibus” de “I Cavalieri dello Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio”, se qualcosa riguardo a Desu ed Élan non vi batte o vi suona estranea, è perché, appunto, “The lovers upright” è uno “special” che non ho potuto inserire nella trama principale perché sarebbe stato troppo lungo.
La storia potrebbe presentare spoiler sulla route romantica di Julian e relative scelte pagate; se vedete qualche inesattezza circa il comportamento o la trama di altri personaggi, non abbiatemene, ma non ho letto tutte tutte le route dei protagonisti e alcune delle cose che so è perché la wiki è piuttosto dettagliata. Per i personaggi non binary (e qui dico di nuovo non vogliatemi male) userò i pronomi del genere che mi ispirano visto che in italiano non ci sono pronomi di genere neutrale (es. sappiamo che Nazali è una donna quindi userò quelli femminili, Vulgora mi sa di maschio quindi sarà lui e via dicendo).
Detto questo spero che la storia sia di vostro gradimento, sperando che non vada contro le regole del sito vi lascio il link per la storia “principale” e vi dico stay tuned :3

https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3135518&i=1

https://www.wattpad.com/811942480-fortuna-favet-fortibus-1-shudder-before-the

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Capitolo 2
*** 2 - The Riddle ***


2 – The Riddle



Si tratta di un indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un enigma (Cit. Winston Churchill)



Fatte le dovute presentazioni e rientrati nel locale, Julian ascoltò il breve resoconto di Death Mask ed Élan senza scomporsi particolarmente; man mano che elencavano i dettagli dello scarabeo rosso, il suo comportamento non cambiò ma la sua espressione si fece cupa e la sua postura rigida.
-E voi siete assolutamente certi che fosse uno scarabeo? Magari era un maggiolino o...-
Prima che potesse completare la frase, Death Mask batté il palmo sul tavolo con rabbia.
-Sono stufo marcio che ce lo chieda! Quante altre volte te lo dovremo dire che era proprio uno scarabeo, pensi che non sappia distinguere una blatta dall’altra?!-
-Death Mask, datti una regolata- tagliò corto Élan -Stai parlando con l’unica persona che potrebbe esserci d’aiuto, non è il caso di farti prendere da una botta da mignotta.-
-Una COSA?!-
Sebbene la fata potesse capire la preoccupazione di Julian, non riusciva a comprendere cosa la scatenasse di preciso e l’ostinata rabbia del Cavaliere non era nient’altro che una distrazione non necessaria ma difficile da ignorare.
-Devo dedurre che il problema sia bello grosso. Non andarci per il sottile e dicci di che si tratta: è una malattia incurabile? Un veleno potente? Uccide in tempi brevi? La cura è difficile da trovare? Oppure non esiste proprio?- Élan non prese fiato pur di esporre le sue preoccupazioni e Julian venne sommerso da così tante domande che non riuscì quasi a trovare il tempo per risponderle.
-Temo che la faccenda sia più complicata- prese un sorso dal suo boccale e sospirò prima di continuare il discorso -Tre anni fa Vesuvia venne colpita da una terribile pestilenza passata alla storia come “la Peste Rossa” e il primo mezzo di contagio, era il veleno portato proprio dagli scarabei rossi; credo che la causa principale fosse una corruzione del sangue ma non potrei affermarlo con certezza. Ne morirono a migliaia durante l’epidemia, traghettare gli infetti al Lazzaretto servì solo in parte ad arginare il problema e nonostante i miei sforzi per trovare una cura, non riuscii nel mio intento; la peste sparì improvvisamente e le persone ancora malate guarirono da sole. Fui felice di non dovermene più occupare ma persi anche il mio scopo: d’altro canto, a chi serve un medico della peste se non c’è nessuna peste?-
Il tono malinconico con cui enunciò le ultime parole, spinsero Élan a poggiargli una mano sul polso con solidarietà; Julian sorrise con una triste gentilezza ricambiando il gesto della ragazza che ora lo osservava con occhi incoraggianti.
-Un medico sarà sempre necessario, Julian. Noi siamo qui apposta, e se non noi, ci sarà senz’altro qualcuno che avrà bisogno delle tue doti- tentò di rincuorarlo ma Death Mask, che aveva alzato gli occhi al cielo, decise che fosse una bellissima serata per remarle contro.
-E, amico, se ti fa schifo la disoccupazione, puoi sempre fare domanda come becchino- suggerì assaggiando l’intruglio che il rosso aveva deciso di offrirgli in onore della loro scazzottata -È un mestiere che non muore mai, dopotutto.-
Il ragazzo arrossì violentemente squadrando il suo compagno di bevute con una faccia a metà tra l’atterrito e lo sconcertato; per evitare di terrorizzare o disgustare gli altri clienti col sangue che gli impregnava i vestiti, si era infilato nel suo camice nero a doppio petto e nel suo ampio mantello a collo largo, assumendo un aspetto più lugubre rispetto a prima ma non era così inquietante da sembrare un becchino, giusto?
Sotto il tavolo, Élan tirò un calcio al Cavaliere che non sentì granché se non un riverbero sulla corazza; stuzzicarla fino all’esasperazione non era solo una delle attività che gli riuscisse meglio ma anche una delle sue preferite.
-Death Mask! Zitto o ti ammazzo!- lo minacciò, voltandosi verso di lui e incrociando le mani davanti al volto.
-Vorrei proprio vederti provare!- la sbeffeggiò scompigliandole i capelli con fare arrogante.
La giovane bloccò il respiro, poggiò le mani sul tavolo e chiuse le dita con intimidatoria lentezza, fissando un punto non meglio precisato del locale; nella prima e unica occasione in cui le aveva riservato quel gesto, lei gli aveva giurato che quella successiva sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto le mani: rimaneva solo da decidere come farlo.
Valutò l’idea di cominciare spaccandogli un boccale sulla testa per infilarsi poi dietro al bancone a cercare una mannaia, quando la risata di Julian interruppe il filo dei suoi pensieri.
-Ahahahah, ho capito, era una battuta la tua!- lo elogiò, battendo le mani un paio di volte -Dovevo immaginarlo che facessi così con le persone che ti vanno a genio- sorrise compiaciuto.
-Mica tanto, smilzo. Volevo fartela pagare per prima. Se non posso spezzarti le ossa, allora spezzerò il tuo cazzo di orgoglio- ringhiò cupo mentre Élan sentiva il cuore stringersi in una morsa di vergogna.
-Oddio, che figura...- mormorò col viso nascosto tra le mani -Death Mask, scusati immediatamente!-
-No no, ha ragione- Julian scosse la testa, i suoi modi erano rilassati -Anzi, sono io che dovrei scusarmi. Stavo cercando di testare i limiti del mio marchio e potrei aver tirato un po’ troppo la corda- ammise stringendosi nelle spalle -Di solito non sono così...-
-Viscido?- gli suggerì la fata.
-Stavo per dire “libertino” ma se ti ho dato un’impressione simile, allora devo scusarmi due volte, soprattutto con te, bella fanciulla- Julian sollevò la mano di Élan e le baciò le nocche a fior di labbra, scrutandola oltre le ciglia. Le occhiaie donavano al suo sguardo un aspetto malaticcio a primo impatto, ma profondo più a lungo lo si studiava.
Alla dichiarazione del medico, la gola di Death Mask si seccò privandolo del suo piglio di tracotanza: non era la galanteria mostrata nei confronti del suo interesse romantico, ma la realizzazione di essere stato sfruttato.
Un Cavaliere di Atena, dotato di straordinari abilità combattive e partecipe a gloriose battaglie per il trionfo del bene sul male, ed era stato usato per provare un giocattolino nuovo?
-Cioè non eravamo nient’altro che delle variabili in un test da laboratorio, una misera scelta per uno stupido esperimento?- gli domandò asciutto.
-Mi scuso anche con te, mio buon amico. Spero di poter trovare il modo per sdebitarmi e che accetterai le mie scuse- disse il medico con un leggero cenno del capo.
-Ho la faccia da cavia secondo te?!-
-No, ma la faccia da scemo ce l’hai tutta...- gli rispose Élan venendo beatamente ignorata.
-Sai che cosa mi ci pulisco con le tue scuse?!- gli ringhiò il Cavaliere valutando se riservagli un altro calcio nei denti o due. Tanto non sarebbe stato “rotto” troppo a lungo.
-Niente che ci interessa tu metta sul tavolo adesso- sospirò un’altra volta la fata scatenando l’ilarità del ragazzo.
Quando Death Mask, in barba al divertimento di Julian, si alzò e lo afferrò nuovamente per i vestiti, Élan decise di non poter sopportare oltre e che fosse giunto il momento di far sentire la sua di voce. Si alzò anche lei e per attirare l’attenzione batté le mani sul tavolo.
-Ragazzi! Stiamo andando fuori tema! Tu, Death Mask, a cuccia!- gli ordinò indicandolo -E tu, Julian, cosa stavi dicendo su questi scarafaggi? Se la peste è finita, perché sei tanto preoccupato?- domandò al ragazzo indicandolo a sua volta.
-È finita, è vero, ma non si è mai capito il perché, ciò significa che non si è mai trovata né una cura, né una soluzione al problema, e se l’insetto che ha morso Death Mask era proprio uno di quelli, allora la peste potrebbe stare tornando e quanto accaduto farebbe del nostro Cavaliere...-
-Il paziente zero di una nuova ondata…-
-Esattamente.-
Death Mask si fece calmo tutto d’un colpo, ascoltando con freddezza insolita; lasciò andare Julian rimettendosi al suo posto più serio che mai. Non c’era malattia nell’universo che avrebbe potuto consumarlo, era un Cavaliere D’oro del Grande Tempio! La sua resistenza era sovrumana e la sua forza impareggiabile, ma da quando aveva conosciuto Élan, da quando aveva legato con lei, aveva iniziato a comprendere cosa volesse dire mettersi nei panni altrui, aveva conosciuto l’empatia ed era proprio uno dei peggiori casini che potessero capitare: la paura di Julian suonava così sincera da tenerlo appeso per la gola.
Dopo un silenzio quasi infinito tra i tre, fu Élan a spezzare la calma glaciale.
-Troveremo una cura a tutti i costi, stavolta non sei solo- dichiarò determinata.
-P-potrei anche sbagliarmi- balbettò il rosso -Magari era una di progenie non velenosa; a nord della città c’è un canale in cui scorre acqua rossa che non è nociva da anni- Julian si illuminò, ricordandosi di un’altra capacità che gli aveva donato il suo marchio -In ogni caso non dovete preoccuparvi e sapete perché? I miei poteri non si limitano solo all’autoguarigione, sono capace anche di altro!-
Si sfilò un guanto e poggiò una mano sulla ferita del Cavaliere D’oro; le sue dita sottili erano così fredde sulla pelle congestionata da portare una sorta di sollievo. Nell’istante in cui toccarono la ferita, presero a brillare di magia e in una manciata di secondi il morso non fu solo guarito, sembrò non ci fosse mai stato. Il tatuaggio del granchio era di nuovo pulito e ben visibile mentre la faccia del medico era deformata in una smorfia di dolore.
-Straordinario! Come hai fatto?- Élan si animò di felicità; passò la mano sul braccio del compagno constatando come effettivamente non ci fossero trucchi o inganni. Conosceva così poco di Vesuvia eppure già ne adorava i metodi taumaturgici.
-Semplice: ho trasferito il danno a me. Il marchio lo guarirà e sarà come se non fosse successo niente- spiegò il rosso man mano che il morso si rimarginava sotto la divisa.
-Non so come ringraziarti- la ragazza fu sul punto di commuoversi ma l’espressione scura dell’altro la costrinse a ricredersi.
-Aspettate a farlo. Ho guarito il danno superficiale, è vero, ma c’è dell’altro: quando ho canalizzato il potere per individuare anche solo un barlume di Peste Rossa, non ne ho trovati.-
Death Mask inarcò un sopracciglio incerto del perché fosse una cattiva notizia.
-E sarebbe male perché…?-
-Solo perché non ne ho trovati non significa che tu non sia malato; la Peste Rossa ci metteva dai tre giorni alla settimana per uccidere una volta che i primi sintomi si manifestavano, il virus potrebbe essere in incubazione. Il mio consiglio è di restare a Vesuvia per almeno un po’ di tempo: solo così potremo dire se sei completamente fuori pericolo.-
Sebbene il tono di Julian fosse onesto e fermo, la dose di empatia per quella notte era esaurita, e il Cavaliere emise un verso sprezzante.
-Non se ne parla neanche! Noi adesso ripartiamo e se sorgeranno problemi, ti manderemo a chiamare. Forza, Élan, andiamocene.-
Élan, in tutta risposta, incrociò le dita sotto al mento, poggiò i gomiti al tavolo e guardò Death Mask con grandi occhioni da ammaliatrice.
-Death, tesoro- cinguettò melliflua -Devo ricordarti del nostro simpatico rendezvous sulla Man of Medan? Ricordi cos’è successo perché non hai dato ascolto all’esperta?- il suo tono si fece così improvvisamente perentorio che Julian, per poco, non si sentì in dovere di scusarsi -Io a scappare come una povera disgraziata mentre tu, sballato dalla nebbia gialla, mi davi la caccia per uccidermi! Tutto perché non avevi voluto indossare quella maschera antigas del cazzo! Se il dottore ha detto di restare, noi restiamo e tu obbedisci!-
Il Cavaliere D’oro cominciava ad averne un po’ troppo delle libertà che l’impudente fatina si stava prendendo nei suoi confronti.
Attenta, ragazza. Apprezzo la tua compagnia, ma attenta” sorrise tra sé e sé, compiaciuto e disturbato allo stesso tempo.
-Anche se decidessimo di farlo, dove troviamo un posto in cui stare? E i soldi? Non ne abbiamo.-
Prima che la ragazza potesse suggerire di vendere l’armatura, Julian presentò loro una comoda soluzione.
-Di vitto e alloggio me ne posso occupare io- sorrise, lanciando sul tavolo un paio di dobloni e facendo cenno ai due viaggiatori di seguirlo di nuovo per le buie strade di Vesuvia -Mazelinka non abita molto lontano da qui e so che vi potrà dare ospitalità per tutto il tempo necessario.-
Le strade di ciottoli erano un po’ dissestate per muoversi senza inciampare ogni tanto, le luci provenienti dalle lanterne erano sporadiche e non molto forti, inoltre il percorso che li costrinse a seguire, li fece passare per vie secondarie ancor meno illuminate, ma grazie all’andatura decisa di Julian, raggiunsero la dimora indicata in una manciata di minuti al massimo.
Una volta che si trovarono davanti alla porta legnosa di un’anonima costruzione in pietra, il rosso esitò a bussare: Mazelinka era una brava donna e con Élan avrebbe legato di sicuro, ma come far notare a Death Mask che il suo atteggiamento non proprio affabile avrebbe potuto essere inappropriato al contesto della casa?
-Cercate di essere gentili, non ama le persone brusche, non fate commenti scortesi e vedete di non contraddirla. Non troppo almeno- si raccomandò nervosamente.
-Guarda che sta parlando con te!- si accusarono a vicenda i due sbandati dietro di lui.
Le spalle di Julian gli caddero con spensieratezza quando vide che il problema dell’avvisare si fosse risolto da solo. Come fare? Non serviva fare! Tanto ci avrebbe pensato Élan a dirlo!
Come aveva anche solo potuto pensare che quella ragazza si riassumesse in una fragile e ingenua damigella, non riusciva a capirlo.
Bussò alla porta con tre secchi colpi e un’anziana, bassa signora la schiuse di uno spiraglio; si rilassò nel vedere che a farlo fosse stato Julian e aprì l’uscio completamente.
-Julian, ragazzo mio! Che ci fai in giro a quest’ora tarda della notte? Sbrigati ad entrare- gli fece cenno.
La padrona di casa era la perfetta rappresentazione di una babushka: indossava un semplice vestito marrone scuro e lo scialle blu a macchie nere che teneva legato in testa era così lungo da arrivarle alle ginocchia. I capelli ingrigiti erano pettinati in due metà perfette e gli incisivi superiori erano distanziati di qualche millimetro.
-Mazelinka, loro sono due miei nuovi amici. Questa è Élan- indicò voltandosi verso di lei.
-Buonasera, signora- la salutò la fata sporgendosi oltre la sagoma allampanata del rosso per farsi vedere meglio.
-Ciao, tesoro!- ricambiò Mazelinka sorridendole già conquistata.
-E questo è Death Mask. Potreb...-
-Ehi, smilzo!- tuonò il diretto interessato -È “sommo Death Mask”, per te! Hai la benché minima idea della difficoltà che richiede conquistarsi un’armatura d’oro? Secondo te mi sarei sbattuto tanto solo per essere chiamato col mio nome?!-
Il tono di voce con cui interruppe Julian fu così possente da far trasalire sia lui che la sua compagna ma non smosse neanche di un centimetro la vecchia ex-piratessa.
-Fammi indovinare, tu devi essere quello di buone maniere- commentò piattamente la donna, per niente impressionata.
-Sono uno dei sacri Cavalieri di Atena, custode della Quarta Casa del Grande Tempio, Death Mask del Cancro e portatore della relativa armatura d’oro- annunciò, cercando il rispetto che gli era dovuto.
Mazelinka lo squadrò da capo a piedi arricciando le labbra con disappunto. Fece schioccare la lingua e si spostò di lato.
-Come ti pare. Entrate. Prima che vi senta tutto il vicinato.-
Per accogliere la sua richiesta, Death Mask fu costretto a mettersi di lato perché la larghezza dei suoi spallacci, con relative decorazioni a zampe di granchio, non gli permetteva di passare attraverso le porte in modo convenzionale.
L’interno della casa era piuttosto modesto ma accogliente, l’arredo era costituito da poco più che un paio di tavoli e qualche tappeto grezzo, sul fuoco bolliva una mistura dall’odore di erbe e negli scaffali sopra al camino spiccavano una miriade di barattoli colmi di piante essiccate e polveri, ognuna con la propria etichetta scritta a mano; un mazzolino di lavanda dava un buon profumo alla casa e la luce del falò rendeva l’illuminazione fioca ma gradevole.
Mazelinka scostò un tendaggio verde scuro e fece accomodare i due viandanti nella sua camera da letto; un materasso sorretto da una struttura semplice in legno occupava gran parte dello spazio e su uno sgabello in legno vi era poggiata una singola candela accesa.
-Mettetevi comodi, io devo parlare con Ilya- disse la donna mentre il diretto interessato faceva loro un cenno con la mano.
-Tornerò a vedere come vanno le cose, ve lo prometto- nel suo cordiale sorriso si nascondeva una nota di preoccupazione che non era riuscito a reprimere da quando aveva prestato le sue cure a Death Mask.
-Ci conto, rosso.-
-Buonanotte, Julian, e grazie di tutto- lo salutò Élan prima che Mazelinka facesse ricadere la stoffa pesante al suo posto.
Mentre Ilya la metteva al corrente della situazione, Death Mask ed Élan diedero una rapida occhiata a quella che sarebbe stata la loro alcova per i giorni successivi.
-Tsk, che posto cencioso- sbuffò il Cavaliere D’oro già stufo all’idea di dover fare attenzione a non ribaltare il vasellame che occupava tanto spazio nella così piccola dimora.
La quarta Casa, oltre ad essere un tempio, era praticamente un attico di lusso, pieno di arredi scuri e raffinati e con stanze abbastanza larghe da potercisi muovere in tutta tranquillità pur tenendo l’armatura addosso.
-Suvvia, non è così male. Almeno abbiamo un tetto sopra la testa e un letto- fece presente Élan poggiando entrambe le mani sulle doghe per testarne la resistenza.
-A-ah, e abbiamo anche una megera non richiesta. Che altro abbiamo da esporre alla fiera dell’ovvio?- la rimbeccò il compagno con un sorriso sardonico.
-Be’ abbiamo una finestra e abbiamo le pareti, abbiamo una porta di casa, e poi abbiamo questo!- la fata raccolse la sfida lanciatale assieme a una piccola fiala di erbe sul davanzale -Non so che cosa sia, però lo abbiamo!-
Il Cavaliere accolse la seconda sconfitta che la giovane gli inflisse con una risata sommessa ma vibrante. Mentre Élan gli dava la schiena per rimettere il vasetto al suo posto, le cinse la vita con un braccio e se la tirò vicino.
-L’unica cosa che vorrei possedere adesso, sei tu- le sussurrò mentre le prendeva il mento tra le dita per farla voltare verso di lui. Le loro labbra si sfiorarono delicatamente lasciandoli entrambi insoddisfatti.
-Non siamo da soli e non siamo alla quarta Casa. Se mi volessi rifiutare in onore della pudica decenza?- lo stuzzicò la giovane voltandosi nella sua presa per fronteggiarlo con comodità. Gli mise anche lei le dita sotto al mento barbuto per avvicinarselo un po’ e lui ricambiò, accarezzandole la guancia. Prima la seduzione alla locanda, adesso questo: la fata non capiva davvero da dove gli salisse tanto ardore ma aveva intenzione di assecondarlo.
-Perché, avresti in programma di farlo?- la fissò negli occhi mordendosi un labbro carnoso.
-Lei no, ma io sì.-
Proprio quando stavano per scambiarsi il primo di una serie di baci ardenti, la voce secca di Mazelinka li interruppe bruscamente, costringendo entrambi a prestarle attenzione.
-Ditemi- cominciò puntando le mani sui fianchi pronunciati -Siete una coppia sposata?-
-Cosa? No! Preferirei rimanere incastrata nella lavatrice di nuovo!- esclamò Élan puntando le mani sull’armatura per liberarsi dal Cavaliere.
-Ehi! Sarei un ottimo marito!- si difese lui senza allentare la presa -E comunque avrei un paio di domande...-
-Già, pure io- annuì la donna -Prima di tutte, com’è che tu saresti un ottimo marito?-
-Sul serio?! Qui avete zero tecnologia, vivete nel Medioevo ma la prima cosa che ti preoccupa sapere riguarda le mie doti coniugali?!- sbottò lui ma la sua interlocutrice si limitò a sventolargli un mestolo di legno davanti al naso.
-In ogni caso non farete nulla che farebbe una coppia maritata. Non sotto il mio tetto e non finché ci sarò io- precisò indicando anche Élan con l’utensile da cucina.
-Allora, vegliarda mia, perché non vi andate a rinfrescarvi il gargarozzo, eh? Vi gioverebbe di sicuro, considerato il vostro solare senso dell’umorismo!-
La serafica calma di anni passati a tirare su pargoli ribelli come lo era stato Julian, andò a farsi benedire quando la simpatica vegliarda diede il mestolo in testa a Death Mask.
Il violento Death Mask, il temutissimo e sanguinario. Tristemente noto in tutto il Grande Tempio per aver decorato le pareti della sua Casa con i volti di coloro che aveva ucciso in battaglia e non.
Fosse stato per lui, avrebbe incenerito sul posto la vecchia ma la guizzante risata di Élan smontò ogni violento proposito. Aveva un dono e non se ne rendeva nemmeno conto.
-Se vi becco a fare porcherie che non dovreste, ne risponderete entrambi a me- mise in chiaro la babushka con occhi severi.
-Certo, befana...- mormorò il Cavaliere guadagnandosi un’altra mestolata in testa -Volevo dire “madam”- nel pugno che aveva stretto sul fianco, c’era tutta la repressa furia omicida che prima o poi avrebbe dovuto sfogare facendo a pezzi qualcosa.
-Meglio- annuì Mazelinka -Adesso filate entrambi a dormire. Domani sarà una lunga giornata e avrò bisogno del vostro aiuto per alcune faccende.-
-Oh, ma dove siamo finiti?! Ne “La casa nella prateria”?! Sono un Cavaliere D’oro, combatto magnifiche battaglie per il trionfo della dea Atena!-
-Certo, come no. Cavaliere D’oro, a casa tua. Qui se non dai una mano sei solo un idiota in lattina che si riempe la bocca di belle parole- lo smontò la donna prima di lasciarli soli.
Prima che la situazione potesse davvero degenerare, Élan mise un freno alle sue risate per voltarsi verso Death Mask e convincerlo, con uno sguardo interlocutore, a sfogare la sua rabbia su un bersaglio che non respirasse.
Il Cavaliere cercò una vittima adatta oltre la finestra spalancata e la individuò in un paio di comignoli fumanti lontani un centinaio di metri; si concentrò, alzò un braccio illuminato e carico di Cosmo e scagliò una sfera distruttiva centrando il primo dei suoi obbiettivi.
Mentre Cancer scaricava la rabbia, Élan oltrepassò il tendaggio che fungeva da porta.
-Deve scusare il mio compagno, signora; è un tipo dinamico, non regge bene la calma piatta, ma per me sarà entusiasmante fare qualcosa di nuovo che non sia combattere- la rassicurò venendo ricambiata da un affabile sorriso a trentadue denti.
-Chiamami pure Mazelinka, tesoro. E fai attenzione al tuo amico, mi sembri il tipo di ragazza troppo dolce e attraente per essere lasciata da sola con un uomo irruento come lui.-
Élan apprezzò il complimento affettuoso ma si levò in ferrea difesa del Cavaliere D’oro.
-Potrei giurarlo con la mia vita: per quanto sia difficile vedere dietro alla mancanza di buone maniere e all’apparente insensibilità, non è soltanto l’armatura ciò che Death Mask ha d’oro.-
Nel frattempo, il diretto interessato stava giocando a spaventare anguille, pesci e ogni possibile fauna acquatica lanciando loro contro ogni tipo di improperio.
L’ex-piratessa studiò gli occhi determinati della giovane, leggendoci un inequivocabile e tenace sentimento: una donna che difendeva con tanta ostinazione un così bizzarro personaggio, poteva solo essere innamorata o fuori di testa, e spesso le due cose coincidevano.
-Temo che solo lui potrà farmi cambiare davvero idea- sentenziò infine, cercando di non farsi trascinare in un turbine di sentimenti forse più romanzati del necessario -Buonanotte, Élan.-
-Buonanotte, Mazelinka- annuì la fata apprezzando l’imparzialità ma trovandola un’arma a doppio taglio.
Tornò verso la camera riflettendo sulle parole della donna: la sua dichiarazione poteva sembrare una sfida ma non c’era prova che Death Mask non avrebbe potuto superare, ci avrebbe scommesso la sua stessa esistenza. Ne aveva passate così tante con lui, sapeva cosa ci fosse sotto alla scarsa parvenza di buona educazione e se c’era una cosa che aveva imparato davvero bene, era che buono non sempre significasse gentile.
Per quando rientrò nella camera da letto, il protagonista delle sue riflessioni aveva distrutto altri due comignoli, un paio di barili e fatto esplodere dei colpi nei cunicoli, spaventando gli abitanti delle case.
Poteva dimostrare di essere una bella persona, ma ahilei, ci sarebbe voluto davvero un grande sforzo.
-Preso a mestolate...- borbottò il Cavaliere comandando alla sua armatura di staccarglisi dal corpo -Di tutte le prove fisiche che ho dovuto superare per guadagnarmi il titolo, il tradizionale mestolo in testa proprio mi mancava.-
I pezzi dell’armatura turbinarono in aria lasciando una serie di scintille dorate nel loro passaggio prima di ricomporsi in un rettangolo di onice nera sul letto; gli angoli erano abbelliti da intricati ghirigori e al centro brillava una sottospecie di simbolo del cancro, una figura cuneiforme e appuntita.
-Sarebbe potuta andare peggio: poteva essere uno zoccolo di legno- suggerì Élan mentre Death Mask poggiava il contenitore dell’armatura alla parete stendendosi, poi, sul letto.
Le lenzuola erano un po’ ruvide e i cuscini piuttosto bassi ma tutto era perfettamente pulito ed emanava una gradevole fragranza.
Senza quasi farci caso, il Cavaliere si mise a fissare la ragazza mentre si spogliava a sua volta: la divisa che le aveva procurato era elegante e pratica, in più la faceva sembrare una vera guerriera, ma non era come le sacre vestigia dei Cavalieri di Atena, toglierla voleva dire compiere ogni passaggio a mano. D’altro canto, voleva anche dire che per il bel Cancer, uno spettacolo sensuale era garantito ogni notte.
Mentre Élan si preparava per dormire, l’uomo si concentrò anche sui rumori della casa: Mazelinka che gettava un secchio d’acqua sul fuoco per spegnerlo, il pentolone bollente che pian piano smetteva di gorgogliare, il garrito dei gabbiani in lontananza e il fruscio di coperte di un secondo letto. C’era una nicchia scavata nel muro con tutto il necessario per ricavarne un giaciglio abbastanza decente, e la padrona di casa vi si accomodò non appena ebbe finito di sistemare la dimora per la notte.
Presto Élan si distese sul letto accanto a lui e Death Mask si rese conto di aver distolto lo sguardo ma non avrebbe compiuto di nuovo lo stesso errore, non con lei avvolta in un kimono ricavato dallo scialle plissettato della divisa e con le luci della luna e della candela che disegnavano vivaci giochi luminosi sui suoi tratti pieni di armonia.
Le scostò i capelli, più lunghi sul lato sinistro del viso, e cominciò a seminarle una serie di baci dalla guancia fino alla punta dell’orecchio che morse piano; mentre Élan rideva sommessamente per quel gesto, le accarezzò la coscia studiandole il volto: non c’era notte che passava senza che lei lo ammaliasse con la sua delicata bellezza.
Le infilò un braccio sotto la vita e la strinse a sé mentre con l’altra mano si divertiva a palparle un seno; adorava il modo in cui sembrava vulnerabile tra le sue braccia.
-Death...- lo riprese Élan con tono vagamente perentorio; avrebbe voluto lasciarlo continuare più di ogni altra cosa, ma aveva dato la sua parola e intendeva rispettarla -Lo s-sai che non pos-siamo- balbettò sentendolo scorrere un dito sotto l’elastico delle sue mutandine.
-Sarò silenzioso- promise lui con un sorriso malandrino che scioglieva il cuore.
Mettendole una mano sulla spalla, la fece distendere sulla schiena, le divaricò le gambe e si accucciò tra le sue cosce; i loro bacini si incontravano alla perfezione e l’uomo pregustava già il momento in cui i loro corpi sarebbero stati connessi in una cosa sola. Si chinò per succhiarle il collo e affondò le dita nei suoi morbidi capelli color smeraldo mentre la fata sollevava il mento per dargli più accesso alla gola.
Per un momento perse la concezione del luogo e delle circostanze, rischiando seriamente di buttare alle ortiche la promessa di entrambi; avrebbe voluto accarezzargli la schiena per poi graffiarla quando la passione avesse preso il sopravvento, disarcionarlo, mordergli le spalle con ferocia e asserire la sua dominanza in quel gioco perverso ma il gracchiare di un corvo sul davanzale la riportò alla realtà con uno scatto. Osservando il grande e nero volatile, pose una mano sulla clavicola di Cancer e lo spinse via da sé.
-Ma io non lo vorrei- confessò guardandolo negli occhi -Quando sarà il momento, capirai che sarà valsa la pena aspettare, ma non voglio che sia stasera. Non se non siamo da soli, non se dobbiamo fare attenzione a tutto. Inoltre il corvo mi mette soggezione.-
Death Mask si girò verso la finestra proprio nel momento in cui Malak, il famiglio ci Julian, si involava nel buio della notte a raggiungere il suo sgangherato padrone.
La stessa illuminazione che aveva definito il viso della fata si ripropose sull’uomo e lei non riuscì a respirare in modo regolare, facendosi sfuggire un sospiro trasognante: così come la fiamma della candela sottolineava la dolcezza nei tratti di lei, altrettanto faceva con l’uomo, ma mettendo in particolar evidenza la durezza di quella mascella incorniciata dalla barba blu scuro rasata alla perfezione.
-Non che mi dispiaccia- riprese a parlare Élan cercando di nascondere la sua adorazione con la confusione -Ma stasera sei un po’ più strano del solito. Da dove ti salta fuori tutta questa carica erotica?-
-Ti desidero, che altro c’è da sapere?- fu la risposta secca che le diede Death Mask -Più che una novità, credevo fosse reciproco.-
Nel tono piccato della sua voce si nascondeva qualcosa di indecifrabile, ma non si trattava dell’offesa per essere stato respinto; era stato rifiutato in altre occasioni e mai aveva reagito in malo modo, semplicemente non era da lui. Se una donna gli avesse dato un due picche avrebbe fatto spallucce, dichiarato che era lei a rimetterci e sarebbe partito alla volta della conquista successiva, ma stavolta c’era una sorta di impellenza nella sua voce, magari… Ansia?
-Sicuro sia soltanto questo?- gli domandò, prendendogli con delicatezza il viso tra le mani -Sai che puoi dirmi ogni cosa. Parlami, ti prego. Cos’è che ti angustia? È forse il morso dello scarabeo?-
La comprensione nella voce di Élan, tanto quanto il desiderio di conoscenza nel suo sguardo, erano così sconfinati e struggenti che Death Mask fu portato in seria tentazione di dirle tutta la verità, solo la verità e nient’altro che la verità; il Cavaliere prese un profondo respiro e ricambiò la sua occhiata, ma per quando i suoi polmoni si furono svuotati, si accorse che la volontà di confidarsi era volata via col suo fiato, le sue vere apprensioni erano destinate a restare in fondo al suo cuore per una notte ancora.
Élan continuò a fissare con intensità l’unico rimasto tra i due profondi occhi azzurri, scorgendo dietro alla sinteticità della sua dichiarazione un intero mondo, uno in cui la repressione delle proprie preoccupazioni era la regola; in realtà c’era moltissimo altro di cui venire a conoscenza e lei lo sapeva, ma così tanto gravava sulle loro spalle dopo la giornata trascorsa che preferì non insistere.
-Se, per adesso, non me lo vuoi dire, non c’è problema- disse puntando i gomiti sui cuscini per mettersi a sedere; scavalcò il compagno e si avvicinò al bordo del letto, dove bruciava ancora l’unica candela della stanza.
La vista dei suoi glutei sodi fasciati in un paio di mutandine praticamente inesistenti, l’arricciatura delle sue labbra piene quando soffiò sulla fiamma e la curva che la sua schiena prendeva se si reggeva con i palmi sulle ginocchia, rischiò di mandare in delirio il Cavaliere del Cancro. Preoccupato, certo, ma quanto poteva tentarlo con un gesto così semplice? Quanto poteva essere facile cedere alle sue richieste e quanto poteva essere difficile resisterle allo stesso tempo? Nessuno poteva capirlo.
-Ricordati solo che quando ne vorrai parlare, per te, sarò sempre pronta- gli sorrise lei calorosamente.
Cancer aprì le labbra per dirle qualcosa ma non appena si accorse di non avere nulla di intelligente da aggiungere, si limitò a sdraiarsi sul materasso e ad augurarle di dormire bene.
-Sogni d’oro, ragazzina.-
-Intendi dire che mi auguri di sognare te?- lo punzecchiò la fata sdraiandosi al suo fianco.
-Ahahah- rise l’uomo con tono profondo e inaspettatamente provocante -Cara, io sono sempre un sogno. Anche da sveglio.-
-Oh, falla finita, spaccone che non sei altro!-
Élan riuscì a scucirgli un’altra risata dandogli un leggero colpetto col tallone mentre entrambi iniziavano a prendere sonno.


Kamya stava passeggiando per le vie di Vesuvia immersa nei suoi pensieri; era passato un giorno da che aveva accettato l’incarico di Nadia e nonostante si fosse imbattuta in Julian, non l’aveva fatto arrestare.
A portarlo da lui era stata una lettera trovata sulla sua vecchia scrivania nella biblioteca del Castello; Kamya vi aveva lanciato un incantesimo di tracciamento sperando che funzionasse e, non appena aveva incrociato il ragazzo fuori dal Corvo Chiassoso, aveva compreso che le sue preghiere fossero state ascoltate. Il contenuto della lettera rivelava solo che Julian avesse una sorella ma nulla di più. Prima che la maga avesse potuto porgli delle domande circa il suo delitto, le guardie avevano compiuto un giro di ronda per quelle vie, costringendoli a porre fino al loro incontro.
Avrebbe potuto, anzi, dovuto consegnarlo alle autorità ma l’istinto le aveva suggerito che non fosse ancora il momento adatto. Forse era stata la sua affabilità, la ferrea convinzione che un altro lato della storia andasse ascoltato o la disperata sincerità nel suo sguardo, fatto stava che quando una sentinella le si era avvicinata, Kamya si era limitata ad affermare che dovesse tornare a palazzo per una cena con la Contessa.
Per sua immensa fortuna, Nadia non le aveva chiesto come avesse trascorso la giornata ma aveva accennato alla sete di sangue che i vesuviani nutrivano nei confronti dell’assassino del Conte; l’immagine di Julian che pendeva dalla forca non mancava di farle torcere lo stomaco ogni volta.
Quello era il secondo giorno che dedicava alle indagini, doveva incontrarsi con Portia in piazza a mezzogiorno per dare assieme a lei l’annuncio della Mascherata, ma fino ad allora era libera di passare il tempo come preferiva e aveva deciso di tornare alla bottega di Asra; voleva raccogliere reagenti, erbe, un libro di magia, tutto ciò che potesse tornare utile.
Saliti i gradini del negozio, premette un palmo sulla porta e sciolse l’incantesimo di protezione che vi aveva lanciato, quando si rese conto che un borsellino di pelle era stato legato alla maniglia; aprendolo sentì un forte odore di erbe, mirra sopratutto: era una mistura protettiva e qualcuno l’aveva lasciata lì per lei, ma chi? Lanciare un’occhiata ai lati della strada deserta, non rispose alla domanda.
Decise di accantonare la questione per sbloccare la serratura ma nel momento in cui afferrò il chiavistello, la porta si spalancò rischiando di gettarla addosso all’ultima persona che si era aspettata di vedere; la sorpresa fu tale da congelarla sul posto, farle cadere il borsellino di mano e renderle difficile articolare i pensieri.
-Ma salve! È bello vederti qui, Kamya- ghignò Julian, inarcando le sopracciglia in modo comico -Ehm, magari non così sorprendente. Io, ah, ero nei paraggi...- prese a farfugliare torcendosi le mani nervosamente ma vedendo che la ragazza lo stava fissando sbigottita, tentò di ricomporsi buttando su qualche apprezzamento -E tu sei, er, splendida! Meravigliosa! Devo proprio smettere di sfregarmi le mani...-
Kamya fu tentata di chiamare le guardie ma si trattenne: era la seconda volta che Julian faceva irruzione nel suo negozio, e se avessero creduto che gli stesse dando asilo?
La maga lo guardò in tralice incrociando le braccia.
-È la seconda volta che ti pizzico nel mio negozio, si può sapere che cosa stai cercando?-
Death Mask ed Élan avevano passato l’ultima giornata senza avere notizie dello sconsiderato dottore ed era decisamente il caso che lui tornasse da Mazelinka a vedere come procedesse la salute del Cavaliere, però non poteva farlo ignorante com’era; aveva bisogno di un tomo, un cristallo incantato, un abracadabra di qualsiasi genere che gli permettesse almeno un po’ di anticipare una diagnosi accurata. Non che avesse intenzione di rubare, si sarebbe trattato di un semplice prestito. Non autorizzato e senza garanzia di ritorno ma pur sempre un prestito.
Il problema era sorto davanti all’ampiezza dell’inventario: Julian era un uomo di scienza, non di magia, sapeva di dover scegliere qualcosa ma cosa?! Il suono del chiavistello aveva solo peggiorato la sua indecisione suggerendogli di darsela a gambe.
Tutto questo, però, a Kamya non lo poteva dire.
-Niente, non sto cercando niente, perché dovrei?Spero che tu non pensi sia un ladro. Sono tante cose ma non quello- arrossì prima di far rispuntare sulla faccia il suo caratteristico sorrisetto -Immagino, però, che la mia parola non ti basti- senza lasciare che la maga controbattesse, Julian si sbottonò il camice nero, aprendo le braccia con un ampio gesto lo fece svolazzare a mezz’aria e alzò i palmi in segno di sottomissione -Perquisiscimi. Se trovi qualcosa di tuo, mi consegnerò alla folla. Coraggio, cerca finché non sei soddisfatta- la sfidò con un tono fiero e irritante.
Kamya si sentì avvampare: non poteva fare sul serio, giusto? Era ovvio che fosse una scusa per distrarla o per costringerla a toccarlo! Maledizione a lei se ci fosse cascata!
-Lo sai, anche se ho passato poco tempo con te, comincio a capire di che pasta sei fatto- dichiarò seccata -Forse non sei un ladro ma dalle tue parti, dove il tuo nome non è infangato, hai la reputazione di rubacuori, e adesso ti aspetti che io, incantata dai tuoi modi appariscenti, ti metta le mani addosso fino a raggiungere il tuo posticino speciale per esclamare ‘Qualcosa di mio l’ho trovato!’. Be’, sai cosa? Non succederà oggi, bello!-
Kamya aveva sputato fuori quella specie di monologo con tono perentorio per darsi un contegno e far capire a Julian che i suoi scialbi trucchetti non attaccassero, ma dal sorriso malizioso che le rivolse il rosso, capì di aver commesso un errore non trascurabile.
-Non succederà oggi- precisò lui guadagnandosi dall’apprendista un sospiro così cupo che avrebbe rimesso in riga il Diavolo in persona.
-Oggi e mai nella vita se ti faccio arrestare, quindi fila via prima che chiami le guardie...- sibilò esasperata.
Ridacchiando sommessamente, il medico si rivestì e fece per compiere un lungo passo oltre Kamya, contorcendo la sua dinoccolata figura cosicché non si scontrassero, quando il suo ghigno scomparì.
Lo shock si impossessò del suo volto mentre la maga guardava con cautela oltre la sua spalla per vedere cosa gli avesse fatto chiudere quella dannata boccaccia: Portia.
Doveva essere andata a cercarla per l’annuncio in piazza, ma adesso non le stava prestando attenzione. Tutta la sua concentrazione, la sospesa incredulità nei suoi occhi erano per l’uomo che le stava davanti.
-Ilya?- il sospiro che le uscì di bocca era carico di un sentimento inedito ma che le partiva dal profondo del cuore; incespicò nei ciottoli della strada gettandosi sulla figura del dottore -Ilya, sei davvero tu?- gli mise le mani tremanti sulle guance scarne e gli occhi di lui presero a luccicare.
-Sono io- fu la sua semplice risposta.
-Tu… Tu…- gli occhi di Julian erano lucidi ma quelli di Portia erano colmi di lacrime e le sue parole fecero pentire amaramente Kamya di averlo minacciato -Tu, bastardo! Che cosa ci fai qui? All’aperto! Stai provando a farti ammazzare?!- sussultò.
Julian fece una smorfia di vergogna quando Portia gli afferrò la testa con più foga mettendogli le mani sulle orecchie.
-Sei cresciuta forte, Pasha. Mi dispiace non essere stato presente per vederlo...-
-Ti farò vedere io quanto sei dispiaciuto! Tu, incredibile...- la voce le si spezzò mentre lo afferrava per il collo del mantello e lo trascinava via dai gradini -Kamya!- la studentessa si sentì quasi in pericolo sentendo il proprio nome chiamato in mezzo al trambusto -C-ci vediamo più tardi!-
Senza aggiungere altro, Portia sparì in un vicolo portando con s’è il medico che annaspava per la differenza di statura; rimasta a riflettere tutta da sola, Kamya entrò nel negozio di magia diretta al retrobottega. Se prima aveva nutrito dei dubbi, adesso erano stati completamente fugati: Julian e Portia erano senz’altro fratelli.
Passare una mano sugli averi del maestro, la allontanò dall’improbabile famigliola dandole un profondo senso di conforto; i vestiti di Asra, le reliquie magiche, il profumo affumicato, era tutto così familiare da farle sentire di avere di nuovo il controllo di se stessa. Non potendo trattenersi a lungo, raccolse ciò di cui aveva bisogno ma il libro era sparito; lo cercò in lungo e largo ma non si trovava da nessuna parte. Possibile che Asra l’avesse preso con sé alla sua partenza? Per un attimo, la possibilità che fosse stato Julian a rubarlo, si impadronì di lei e una rabbia cocente fece per infiammarla quando si rese conto che se così fosse stato, lui non si sarebbe mai offerto di farsi perquisire, inoltre non c’era modo che avesse nascosto un tomo così ingombrante nei suoi vestiti.
Il rintocco di un orologio lontano segnò l’ora e Kamya scattò in piedi.
L’annuncio! Non si era resa conto che il sole fosse tanto alto!
Mordendosi il labbro nervosa, abbandonò le sue ricerche, chiuse il negozio in tutta fretta e si diresse a passo svelto verso la piazza della città. Il piazzale era gremito di gente, piccoli gruppi e ritardatari si ammassavano lungo il perimetro in cerca di un buon punto d’osservazione. Portia era in piedi sul carrozzone reale e un piacevole odore si diffondeva nell’aria.
-Udite, udite! Questo è un annuncio da parte della vostra Contessa Nadia! Durante l’anniversario della dipartita del Conte Lucio, la Contessa aprirà i cancelli del palazzo. Esatto, gente! Siete tutti invitati non a compiangere, bensì a festeggiare lo spirito dell’amato Conte!-
La folla esplose in uno scroscio di entusiasmo e Kamya si sentì investita dal calore tipico della gente in festa; l’odore gradevole che aveva sentito prima, le cullava anche l’olfatto. Fece per raggiungere Portia inspirando a pieni polmoni, ma qualcosa la convinse a fermarsi a metà strada. Il profumo non si diffondeva dal carrozzone ma da un lato della piazza, e non era del tutto sconosciuto: si trattava di mirra.
L’apprendista fece scorrere lo sguardo sui cittadini più ai bordi e notò una figura che troneggiava su tutte le altre; i suoi occhi, corrucciati sotto un paio di folte sopracciglia, erano tenuti all’ombra di una grezza pelliccia. Sebbene l’eccitazione si stesse diffondendo a macchia d’olio, la figura sembrava portare un annuncio di disperazione. La potente voce di Portia distrasse la maga richiamando la sua attenzione su di sé.
-Sarà una Mascherata come nessun’altra vista finora! Diffondete la notizia, parlatene ai vostri amici! Non vorrete perdervela!-
Mentre il popolo scoppiava di felicità un’altra volta, la massiccia figura si mosse verso una strada secondaria, portando con sé l’odore di mirra. Kamya si lanciò al suo inseguimento e, una volta superata la ressa, riuscì a raggiungere il misterioso straniero; il suo andamento pesante era facile da sostenere e le permise di raggiungerlo a metà di una traversa del mercato.
-Ehi, Fermati! Chi sei, dove stai andando?- cercò di richiamare la sua attenzione ma l’uomo non rispose; si voltò a guardarla con lentezza come se temesse la sua vista.
-Ciecamente al macello. Come il resto di voi.-
-Come sarebbe a dire? Sii più chiaro, per favore.-
Per un momento Kamya pensò di accelerare per oltrepassarlo e guardalo bene in faccia ma desistette. Tutta quella situazione era assurda, e non solo per il fatto che un losco figuro le avesse lasciato alla porta un sacchetto di erbe protettive, l’avesse fissata in mezzo a una folla enorme e che avesse provato a svignarsela quando lei l’aveva notato, era anche il fatto che lei gli fosse corsa dietro. Da dove le partiva un gesto così impulsivo? E se non fosse stata sua l’iniziativa del sacchetto ma fosse stato pagato da qualcun altro per mettercelo? Se lui fosse stato un uomo pericoloso? Se doveva indagare, doveva prendere le dovute precauzioni.
-Non importa cosa dico. Le mie parole non dureranno… Non lo fanno mai- il tono della sua voce era profondo ma inespressivo e quasi sovrastato dal rumore delle catene che aveva ai polsi e al collo.
Si allontanò trascinando i piedi ma con una domanda della ragazza, la sua marcia si arrestò.
-Il sacchetto di pelle al negozio, ce l’hai lasciato tu, non è vero?-
Scoperto, l’uomo si bloccò e si girò così in fretta che il cappuccio lacero gli cadde sulle spalle; i suoi occhi erano di un verde profondo che ricordava la selva fuori da Vesuvia e i suoi capelli neri una zazzera arruffata sulla testa. Parte del viso era segnato da un paio di vecchie cicatrici sbiadite e una barba sottile inscuriva la pelle del mento e delle guance.
Come la ragazza fece per avvicinarsi, riprese a camminare, allungando il passo su per la scalinata; la via era così stretta e le sue spalle così massicce da rasentare i muri. La sua andatura si era fatta serrata e quando Kamya raggiunse il mercato, sentì un tuffo allo stomaco: l’aveva perso in mezzo alla folla.
O forse no…
L’imponente straniero stava costeggiando il mercato per evitare la fiumana e si era fermato dietro al palo di una bancarella; era decisamente troppo stretto per nascondercisi per cui, quando Kamya gli si avvicinò, le sfuggì di nuovo. Si appostò dietro a un carretto di mele ma, anche se era impilato di frutta, lo sovrastava.
Stava provando a nascondersi da lei?
Al suo terzo tentativo di avvicinarglisi, si nascose dietro a… Un cane randagio.
Realizzò la futilità del gesto proprio mentre il cane si alzava e trotterellava via.
-Vattene- ordinò minaccioso alla ragazza nel momento in cui se la ritrovò davanti.
-Non lo farò senza che tu abbia risposto a una domanda, per cui, se mi vuoi fuori dai piedi, sarà saggio da parte tua accontentarmi- dichiarò mettendosi un pugno sul fianco.
Lo sconosciuto convenne che fosse la soluzione più rapida per levarsela di torno, sospirò e fece un silenzioso cenno di assenso con la testa.
-Grazie mille- gli sorrise la maga giungendo le mani e chinando la testa -Adesso dimmi, conosci Asra?-
-Meglio di chiunque altro- la voce dell’uomo era tetra e i suoi occhi carichi di rabbia ma la sua risposta sembrava sincera.
-Ti ha mandato a controllarmi?-
-...Sì- improvvisamente il maciste arrossì, facendo una smorfia di disappunto che stuzzicò le simpatie della sua interlocutrice -È il mio unico amico.-
Kamya tirò un sospiro di sollievo: se Asra l’aveva mandato a tenerla d’occhio e l’aveva fatto perché lo conosceva, allora poteva stare più che serena.
-Penso che non siamo poi così diversi. Mi fido di Asra più di chiunque altro: possiamo essere amici anche noi due- gli offrì lei trovando un freddo rifiuto.
-No. Perché dovremmo?-
-Condividiamo l’amicizia con Asra, mi farebbe piacere avere questo legame con te.-
I suoi modi si erano ammorbiditi e provava a tutti i costi a suonare rassicurante ma invano.
-Non voglio un altro amico. Specialmente se si tratta di te.-
Quell’affermazione sembrava nascondere più di quanto non apparisse e a Kamya sorse un dubbio.
-Ci siamo già incontrati prima d’ora?-
-Non importa. Non siamo amici- tagliò corto l’altro.
-E non potremmo?- insistette l’apprendista.
Una sfumatura rosata colorò nuovamente le guance dell’uomo facendo risaltare una delle cicatrici. Sarebbe stato interessante conoscere meglio quella montagna umana e capire se davvero fosse così orso come si vendeva ma non ce ne fu il tempo.
Un urlo di avvertimento fece girare la ragazza in tempo perché vedesse il carretto della frutta venirle addosso; incespicò sul pietrisco dissestato e per quando ebbe riguadagnato l’equilibrio, lo sconosciuto era scomparso. Per davvero stavolta.
La frustrazione le bruciò il petto prima di essere stroncata di botto dalla confusione: ricordava di essere andata in piazza per l’annuncio, e poi… Era scappata verso il mercato, ma perché? Cercò di ricordare ma non aveva tempo da perdere, doveva tornare da Portia.
La trovò in piazza dove l’aveva lasciata; dal carrozzone reale stava lanciando petali e riso ai cittadini che danzavano.
-Kamya, eccoti! Hai visto che folla? Spero non ci siano stati incidenti al negozio o nulla fuori dall’ordinario- le sorrise con un’ombra di apprensione mentre le sue palpebre sbattevano supplichevolmente.
La maga salì sul carro accanto a lei e stette per risponderle ma il mezzo si rimise in moto con uno scossone; il suono delle risate accompagnò la loro marcia seguito dal diffondersi della novità festaiola.
-Kamya?-
L’apprendista ci mise un attimo prima di registrare la voce della rossa.
-Scusa, stavi dicendo?- le rispose riscuotendosi dai suoi pensieri.
-Incontrerai i cortigiani quando arriveremo a palazzo. Vuoi sapere in anticipo i loro nomi?- le fece l’occhiolino Portia e Kamya si sentì come una bambina sperduta. La testa era improvvisamente vuota e la bocca secca ma non arida di domande.
-Oh miei Arcani, pensi che sia il caso? Si aspettano che sappia chi sono prima che li abbia mai visti? È qualcosa che dovrei sapere? Non ho mai studiato la storia della nobiltà di Vesuvia! Avrei dovuto? Potrebbero offendersi se...-
-Kamya?-
-Sì?-
-Ci stia rimuginando troppo- Portia le diede un colpetto con la spalla facendo ridacchiare l’amica.
-Lo so, scusami, è che ci tengo a fare bene questo lavoro. Ne va della reputazione mia e di Asra. Non posso permettermi stupidaggini- adesso era il suo lo sguardo supplichevole e intimidito.
-Non lo farai, stai tranquilla. Allora, ci sono la Procuratrice Volta, il Pretore Vlastomil, il Pontefice Vulgora, la Questrice Valdemar e il Console Valerius- spiegò contandoli rapida con le dita.
L’espressione della studentessa di magia doveva ancora essere persa perché le diede una rassicurante pacca sulle spalle.
-Valerius è quello più importante; Milady gli dà maggiore importanza che agli altri; sono un po’ eccentrici ma dovrebbero essere gentili con te.-


Giunte a palazzo, Portia la scortò presso un’area in cui aleggiava il profumo di una mezza dozzina di fragranze. Kamya intuì di essere arrivata al salotto dall’ovattato suono di una sofisticata melodia e dalle risate fragorose che risuonavano nei corridoi.
Vedendola esitare davanti alla porta con una mano alzata, la servitrice incoraggiò la ragazza.
-Forza, Kamya, queste persone non vedono l’ora di incontrarti- sorrise dolcemente e le sue parole ispirarono l’altra.
Persone. Non erano altro che persone.
Bussò alla porta con tre colpi decisi e la voce di Nadia le rispose, invitandola ad entrare; la stanza era resa caliginosa da eleganti sbuffi di fumo che danzavano nell’aria.
Esclusi i verdi tendaggi, il mobilio bianco e le pareti dove brillavano dei candelabri a muro, tutto era sui toni del viola e dell’oro; le figure dei cortigiani, seduti comodamente su divani imbottiti, erano illuminate da una tenue illuminazione e Nadia sedeva dietro a un lucente organo da camera, prestando poca attenzione al fitto chiacchiericcio.
Sollevò lo sguardo non appena Kamya varcò la soglia e le sue dita eseguirono un vittorioso accordo.
-Bentornata, Kamya- girò le pagine del suo spartito, annuendo con un sorriso -Portia, per cortesia, introduci la nostra onorevole ospite.-
-Annuncio Kamya, amica del Palazzo e apprendista del mago Asra- obbedì la rossa con solennità.
Mentre si alzavano dalle loro confortanti sedute, Kamya cercò di ricollegare un nome a ciascuno dei loro volti.
-Sei tu Kamya? Ohoh, sei proprio carina!-
La prima a parlare fu una donna inverosimilmente piccina, con l’occhio sinistro pigro e un incisivo che sporgeva dal labbro inferiore; le sue vaporose vesti nere la facevano sembrare ancora più magra di quanto già non fosse e da sotto l’ampia cuffia bianca, spuntavano dei riccioli di un rosso spento. Lei era la Procuratrice Volta.
-Che incantevole sorpresa, stavamo giusto parlando di te!-
A seguirla fu un uomo dalla dita rachitiche, un folto pizzetto color cenere e le orecchie a punta; dal suo gonfio cappello si stendeva una lunga piuma sfumata e la sua tunica nera bordata d’oro, ricordava quella di Volta: costui era il Pretore Vlastomil.
-Siediti! No, non con loro, con ME, Kamya!-
Il Pontefice Vulgora puntò alla maga, incitandola a sedersi così veemente da farlo sembrare un ordine. Era un uomo tracagnotto, la cui figura era resa tozza da una rigonfia casacca rossa; le rosse e dorate maniche a sbuffo spuntavano da una mantella nera e dei guanti metallici rendevano la sua presa salda ma pungente. I suoi occhi gialli lampeggiavano di curiosità sotto alle spesse sopracciglia rosse e Kamya non poté fare a meno di notare come il complesso copricapo che, coi suoi veli quasi gli inghiottiva il volto, ricordasse un paio di corna.
Portia aveva ragione: erano davvero eccentrici. Ma anche gentili e l’apprendista si sentì presto stordita da tanto entusiasmo, senza disprezzarlo neanche per un secondo.
Le mani ben curate dei cortigiani la fecero accomodare su un divano e la lanciarono nel mezzo della conversazione; la Contessa Nadia stette ad osservare tutta la scena suonando dei toni contemplativi.
-Dimmi, Kamya, com’è stato accolto l’annuncio?-
-Uno può solo immaginarlo! Neppure noi, i favoriti della Contessa, ne avevamo idea!- il Pretore Vlastomil non lasciò il tempo di rispondere e la Procuratrice Volta lo seguì a ruota.
-Una così magnifica sorpresa dalla nostra amata Contessa! Una Festa in Maschera!-
-Ah! E non abbiamo dovuto alzare nemmeno un dito!- rise forte il Pontefice Vulgora.
Nadia scosse la testa, sorridendo; era consapevole e fiera dell’entusiasmo che era riuscita a suscitare presso i suoi cortigiani, ma era stato a Kamya che aveva chiesto di parlare e l’indomito gruppetto doveva ricordare quali fossero le buone maniere da usare in compagnia di ospiti.
-Oh Cielo, sarebbe fortunata Kamya se riuscisse a proferire parola in mezzo a voi- li punzecchiò.
-Secondo il mio verm… Ehm, volevo dire verbo, fortunata lo è già!- si animò il Pretore Vlastomil, non cogliendola frecciatina -Essere scelta dalla Contessa, lei, un’anonima apprendista!-
Nadia arcuò un sopracciglio ma non disse nulla. Dubitava forse della sua capacità di giudizio?
Kamya aveva avuto abbastanza tempo a quel punto per accorgersi di due altri dettagli che accomunava i cortigiani: una era la spilla di rubino a forma di scarabeo, e l’altra una carnagione inverosimilmente pallida. Tutti avevano la pelle bianca in modo bizzarro eccetto per…
-Che rischio, che rischio- rantolò una voce graffiante -Davvero non tipico della nostra ponderata e meticolosa Contessa.-
Kamya si rese conto della presenza di un quarto cortigiano quando la Questrice Valdemar parlò tenue e gelida. La donna, o almeno lo sembrava, aveva un lunghissimo camice bianco e dei guanti di pelle che le arrivavano fino all’attaccatura delle braccia; da una tasca del grembiule nero facevano capolino degli strumenti medici puliti e il suo volto era nascosto dietro a una mascherina da chirurgo. Fissò la maga con uno sguardo infiammato, facendole correre dei brividi lungo la schiena.
La spilla rossa era là come per gli altri membri di corte ma il suo incarnato era di un verde olivastro a dir poco malsano, o forse era solo l’illuminazione della stanza a dare lo strano effetto; per quanto intimidatoria che fosse, il peggio doveva ancora arrivare ma non tardò a palesarsi nel momento in cui un uomo con una lunga giacca grigia e una treccia scura che sfumava verso il biondo, prese la parola.
-Forse la Contessa vorrebbe informare la sua adorante corte- la intimò, abbassando lo sguardo verso l’apprendista -Com’è che ha fatto esattamente a trovarsi alla porta della strega quella notte.-
Il Console Valerius parlò con un’inflessione di disgustata enfasi e, nonostante il suo modo ricercato di costeggiare il divano o di tenere un calice di vino, si poteva intuire la sua concreta disapprovazione senza grandi giri di fantasia. Era tutta lì, in un singolo arricciamento del labbro.
Si vedeva come si distinguesse dagli altri cortigiani, e non solo per la sua totale mancanza di partecipazione al generale entusiasmo, ma anche per la spilla attaccata alla stuoia nera; attorno al collo, oltre alla treccia che poggiava sulla spalla opposta, vi era una piccola ariete d’oro.
-O magari la strega vorrebbe dircelo lei stessa- la sfidò, allargando le braccia per indicare tutta la sala.
Magari potreste non chiamarmi così” pensò Kamya deglutendo forte per sopprimere quella risposta.
-Magari potrei- si limitò a replicare mentre Nadia tornava a prestare attenzione all’organo e i cortigiani le si stringevano attorno; sembravano famelici di ricevere succosi dettagli su un incontro così chiaramente dettato dal destino, non si erano affatto resi conto della tensione accresciuta tra Valerius e Kamya.
-Coraggio, dicci tutto!- la incitò Vulgora.
-Abbiamo sentito solo i pettegolezzini- ridacchiò Vlastomil -È vero che la Contessa è giunta a voi nel cuore della notte, incespicando scalza e lacrimando per strada?-
Il viso di Kamya si contrasse perplesso a sentire un tale cumulo di panzane e occhi impazienti le si piantarono addosso, studiandone ogni movimento.
-Cos…? No? Chi si è inventato una simile fandonia? È venuta e ha semplicemente... Bussato alla porta.-
Volta prese la parola colma di ansia.
-Vi prego, devo sapere se la mia amata Contessa stesse piangendo!-
-Non lo stava facendo, ma l’ora era tarda e la Contessa era piuttosto insistente.-
I suoi nuovi compagni si raggrupparono ancora più vicini a lei man mano che esponeva la storia; rapiti, rimasero incantati da ogni singola parola. Finito il resoconto, Nadia terminò il pezzo con un impressionante trillo. Avendo passato tanto tempo in sua compagnia, solo Portia poté notare come nelle ultime note si fosse insinuato parte del fastidio accresciuto nella Contessa a sentire come un semplice episodio fosse stato infiorettato di tanti teatrali quanto inesatti dettagli.
-Se ci tenevate tanto ardentemente a sapere cosa fosse accaduto quella notte, potevate semplicemente chiederlo. I miei mal di testa erano peggiorati e stavo avendo problemi a dormire. Durante quella not...-
-Come state avendo da un po’ di tempo, Contessa- la interruppe Volta con un sorriso sghembo.
-Sì, Procuratrice- sospirò Nadia, restituendole un sorriso più amaro del voluto -Durante quella notte mi ero svegliata tormentata dallo spettro di un sogno che non voleva abbandonare la mia mente. Stavo davvero cercando qualcuno, chiunque, che mi potesse essere d’aiuto. Sono stata io la fortunata, poiché mi sono imbattuta così presto in colei di cui avevo bisogno- il suo viso si era addolcito e le sue spalle si erano rilassate -Un universo benevolo ci ha fatto incontrare, non è vero, Kamya?-
I suoi luminosi occhi rossi sorrisero affettuosamente all’apprendista e i cortigiani si agitarono, studiandola con una nuova intensità; la stanza si riempì di nuovo calore ma si spezzò in fretta a un arioso sospiro di Valerius. Il Console sbirciò la figura dell’ospite d’onore distorta dal bicchiere vuoto.
-Contessa, ci ferisce sapere che vi siate sentita in dovere di cercare altrove un orecchio simpatizzante- Valerius raccolse la brocca di vino sul tavolino al centro della stanza e riempì nuovamente la sua coppa -Dovreste considerarci degni della vostra fiducia, siamo libri aperti per voi!-
Con un altro plateale gesto delle braccia, gettò parte del contenuto addosso a Kamya, innaffiandone le vesti pregiate. Un sussulto collettivo animò la stanza mentre il liquido scarlatto si insinuava nella stoffa e sulla pelle della maga rimasta a bocca aperta.
La Contessa si alzò di scatto dall’organo, dipinta in volto aveva una furia omicida.
-Che sbadato- fece spallucce il Console, fintamente dispiaciuto -Di sicuro conoscerete qualche stramberia per rimediare al danno.-
Certa che sarebbe stata perdonata, Kamya fece per rispondergli per le rime ma Nadia la bruciò sul tempo.
-Basta così, Valerius! Avete esaurito la mia pazienza per stasera!- sibilò glaciale -Tutti voi, fuori!-
Mentre i cortigiani abbandonavano la stanza passandole timidamente accanto in punta di piedi, Kamya non riuscì a scollare lo sguardo dal tappeto intarsiato; il vino si stava rapprendendo rendendo i pregiati tessuti appiccicosi e sgradevoli e non solo quelli che aveva addosso: anche il divano candido ne stava risentendo. Rimase da sola con la Contessa che le mise una delicata mano sulla spalla in un accorato gesto di consolazione.
-Mi dispiace, Kamya. Dobbiamo liberarci di questi vestiti rovinati, ovviamente...- si dolse, disprezzando uno spreco che si sarebbe potuto evitare.
-Ma guardate, magari viene via con altro vino. Com’era quel trucchetto che il vino rosso viene via col bianco? E poi non è così male, almeno i toni di colore si abbinano- tentò di incoraggiarla con la stoffa attaccata alla pelle che seguiva ogni movimento del petto.
-Non dire sciocchezze- sorrise la donna facendo sentire alla sua ospite di essere riuscita a portare a casa almeno una mezza vittoria; per qualche strano motivo, un sorriso della Contessa valeva più di tutta l’approvazione che le avevano mostrato gli altri cortigiani -Mi sono presa un paio di libertà col tuo guardaroba, per cui non esitare: dimmi cosa sarebbe di tuo gradimento. E non badare a spese.-
Kamya si guardò un’altra volta ricordando la mattina del giorno precedente, quando Portia le aveva consegnato un completo nuovo di zecca, gentile omaggio della Contessa. La seta era delle migliori della regione e ogni secondo vissuto con quello indosso l’aveva fatta sentire come degna di servire a palazzo, ma le mancavano i vestiti che aveva rimodernato apposta per stare a corte.
Portia si mise sull’attenti e Nadia incrociò le mani in fervida attesa; sembrava come sperare che Kamya le elencasse una serie infinita di ricchezze. Che forse le piacesse ricoprire la gente di doni?
-Grazie infinite, ma non mi serve niente di speciale.-
Al suo rifiuto, Nadia lasciò scivolare le spalle in basso stupita.
-Ah, immaginavo lo avresti detto- ridacchiò Portia.
-Siete fin troppo generosa con me, Contessa, ma gradirei solo riavere indietro i miei abiti. Li ho abbelliti per l’occasione dopo la nostra prima cena e, anzi, vorrei scusarmi per non averci pensato prima- si scusò l’apprendista, pensando ce ne fosse il bisogno.
-Umile come sempre. Molto bene, allora. Il tuo benessere qui è di grande importanza per me- dichiarò Nadia prima di rivolgersi alla sua servitrice -Portia ti riaccompagnerà nei tuoi alloggi. Ti verrà fatto un bagno e i tuoi indumenti restituiti. Anche se, Kamya, sei la mia ospite d’onore: potresti essere più esigente, se lo gradissi.-
-M-ma non vorrei approfittare...- sorrise lei di imbarazzo espirando con gli occhi puntati a terra.
I toni tubanti dell’organo echeggiarono nei corridoi mentre le due ragazze proseguivano verso l’ala degli ospiti.
Quando Kamya si fu lavata ed ebbe fatto ritorno nella sua stanza, un pacchetto l’attendeva accanto alla finestra; una nota richiusa in una stretta spirale stava sopra di esso.
Era indirizzata dalla Contessa.

Un dono per la mia cara ospite, questo smeraldo sembra chiamare il tuo nome. Indossalo in buona salute. E, Kamya, puoi chiamarmi Nadia.

I caratteri si stendevano sulla carta in ordinati riccioli deliziosi e senza una sbavatura d’inchiostro, la calligrafia di Nadia rispecchiava tutto ciò che rappresentava: ricercatezza, distinzione ma soprattutto disinvoltura.
Kamya si fece scivolare la catenina tra le dita e, più teneva il monile nel palmo, più riconosceva la sua energia; con un sussulto la magia sembrò affievolirsi ma ad un nuovo tentativo di concentrazione, tornò a farsi vivida come prima. Che si sbagliasse forse? No, conosceva quella forza fin troppo bene, così rilassante e accogliente.
Asra.
Se era stata capace di rintracciare Julian con una lettera, poteva darsi che…?


Attese che i saloni del castello fossero silenziosi per sgattaiolare fuori dalla propria stanza; con lo smeraldo che le pendeva dal collo, Kamya si diresse verso il giardino avvolta da una calma surreale. Il solo pensiero di poter sentire di nuovo la voce del suo maestro, le faceva sussultare il cuore di una dolorosa speranza.
Raggiunta la veranda, discese i gradini cullata da una gentile brezza; ombroso e lussureggiante, al centro del parco le siepi formavano un percorso labirintico e una fontana con un capricorno impennato faceva scorrere le sue acque mitigando la sonnacchiosa atmosfera. Al di sopra della spaziosa vasca, un salice piangente gettava le sue fronde verso il terreno come una verde imitazione delle acque sottostanti. Kamya alzò la testa e da uno dei rami vide pendere un serpente del grano color lavanda.
-Faust!- la chiamò entusiasta, interpretando il loro incontro come di buon auspicio -Non sei andata con Asra? Che ci fai qui?-
Faust sibilò e le cadde sulle spalle in tutta risposta, il suo corpicino lucido la salutò con una strizzatina. Sembrava l’avesse sempre aspettata lì.
Kamya si sedette sul bordo della vasca e si sporse verso l’acqua, osservando il suo riflesso restituirle lo sguardo. Faust dimostrò interesse immediato per il pendaglio nel momento in cui la maga se lo sfilò dal collo; chiuse gli occhi, prese un profondo respiro, lo fece dondolare sopra alla superficie e lo lasciò cadere. La luce catturò ogni sfaccettatura verde mentre raggiungeva i mosaici sul fondale.
L’acqua cominciò a gorgogliare cambiando colore, degli schizzi incrinarono la quiete dei bordi e più la maga si concentrava sulle forme che assumevano, più esse cambiavano.
Prima che se ne potesse rendere conto, il suo riflesso era sparito e al suo posto… C’era Asra.
Si stava togliendo l’acqua dal viso, ogni goccia che gli scivolava via dalle mani cadeva nell’acqua della fontana, provocando altre increspature e distorcendo la sua immagine. L’apprendista era così sconvolta che poté solo restare a bocca aperta in silenzio, timorosa che qualunque suono avesse prodotto, avrebbe spezzato l’incantesimo. Asra si scosse la riccioluta e fulgente chioma, qualche altra goccia gli scivolò via dalle ciglia mentre guardava la sua allieva dritta negli occhi.
-Kamya? Puoi, puoi sentirmi?- pronunciò insicuro e sconvolto; la ragazza annuì incredula il doppio di lui.
Se quello non era un incantesimo dei suoi allora come aveva fatto lei a contattarlo? Il ragazzo si sporse in avanti, era talmente vicino che gli si potevano vedere ancora delle gocce imperlargli le lunghe ciglia.
-Incredibile!- rise lui di cuore. Era seduto a gambe incrociate accanto a uno stagno, una mastodontica cavalcatura gli stava accanto, riposando il muso sul ginocchio del mago -E Faust è con te, vedo che ti ha trovato senza problemi. Non ero sicuro di volertela lasciare, ma dopo la lettura che mi hai fatto, ho pensato di seguire il mio istinto.-
Prima che Asra partisse, Kamya aveva consultato i tarocchi e le carte lo avevano avvisato che si fosse allontanato troppo dall’arcano della Papessa.
Nel luogo in cui si trovava, delle alte palme gli ondeggiavano alle spalle contro una marea di stelle scintillanti, e i suoi capelli ne raccoglievano ogni argenteo riflesso; Faust sfiorò l’acqua con la coda agitando altre increspature.
-Faust, hai un aspetto magnifico. Stare accanto a Kamya ti fa quell’effetto, non è vero?-
-Sono contenta che sia qui- la accarezzò Kamya passandole un dito sulla testolina. Il simpatico famiglio sembrava molto fiero di se stesso.
Ora che lo stupore di averla trovata era svanito, Kamya era sollevata di poterla avere accanto a sé; nell’acquoso riflesso, anche Asra aveva un’espressione compiaciuta.
-Sono felice di poterti vedere, Asra. Sei partito da così poco eppure mi manchi già così tanto...-
Il giovane arrossì e la creatura che era con lui sbadigliò rumorosamente.
-Vedo che c’è un salice piangente dietro di te, sei a Palazzo?- tergiversò, all’improvviso in ambascia.
Kamya annuì e provvedette a raccontargli tutto ciò che era accaduto dalla sua partenza; i suoi occhi brillavano coinvolti ad ogni parola finché il senso di colpa non prese il sopravvento.
-Incredibile, il giorno in cui sono partito, era il giorno in cui avevi bisogno di me più che mai...- presto il suo animo si riaccese di orgoglio -E anche così, non hai bisogno di me affatto. Sono contento che almeno Faust sia in tua compagnia. Se dovesse succedervi qualcosa, lo verrò a sapere.-
-Dove sei?- si affrettò a domandargli la ragazza, sentendo di doversi appropriare di tale informazione come dell’aria che respirava.
Asra si guardò alle spalle, alle lucenti galassie che gli turbinavano sopra la testa.
-Un posto dentro di me. Chi l’avrebbe mai detto che saresti stata capace di raggiungermi qui?- sorrise rilassato -Le tue doti magiche sono impareggiabili, presto sarai capace di superarmi- Faust costeggiò i fianchi della ragazza per far scattare la lingua biforcuta verso l’acqua -E Faust si sta aprendo con te. Forse è ora che faccia altrettanto.-
Kamya si sentì praticamente soffocare e l’espressione che fece dovette essere di particolare gusto per il maestro che esplose in una sfrenata risata.
-No, davvero, voglio cominciare a essere più onesto con te. Che cosa ti passa per la testa? Chiedimi tutto quello che vuoi. Ciò che ti chiedo io, è che l’onestà sia reciproca.-
La cortesia nei suoi grandi occhi viola era un balsamo per l’anima, ma tutta la gentilezza del mondo non avrebbe potuto acquietare la bruciante domanda che premeva sulle labbra della sua studentessa per essere espressa.
-Chi è Julian per te?- si decise, rammentando la vasta gamma di sentimenti che avevano solcato il volto del Dottore quando parlava del mago.
A tale domanda, però, fu il volto di Asra a tingersi di tante, disparate emozioni, dalla sorpresa, a una fugace nostalgia, fino a un rancore la cui profondità gareggiava con quella dei cieli sopra la sua testa.
-Julian? Ah, già… Risponde anche a quel nome, me lo ricordavo con uno diverso. È stato… Un amico, un tempo. Poi di più. Poi qualcos’altro… Chi è Julian per me? Chi lo è per chiunque? Chiunque gli serva essere pur di ottenere ciò che vuole.-
La cripticità di una simile risposta avrebbe fatto alzare gli occhi a Kamya se non avesse saputo di essere vista; Asra aveva parlato di sincerità, eppure, una volta ancora, si teneva sul vago.
-Pensare che è venuto a cercarmi dopo tutto quello che è successo… Ma lasciamo perdere. È un medico dilettante con molto da imparare e finché non lo farà, nulla di buono potrà venire da lui- con uno accorato sospiro e uno scatto della testa, Asra scacciò i pensieri negativi -C’è qualcos’altro che vorresti chiedermi?-
Kamya si sporse un po’ troppo verso la fontana, la testa le ciondolava terribilmente e le palpebre si facevano difficili da tenere aperte.
-Direi di no, per adesso. Si sta facendo tardi e se non ritorno a letto ora, domattina dovrò dare un sacco di spiegazioni sul perché ho dormito nella fontana.-
-Non mi ero reso conto di che ora si fosse fatta, il tempo scorre diversamente qui dentro. Vatti a riposare, Kamya e abbi fiducia che ci sentiremo presto. So che mi troverai.-
Asra si avvicinò alla sua allieva, il suo tocco deformò l’immagine e in un attimo era sparito.
Faust sembrava quasi delusa di non vederlo ancora lì ma dopo un po’ di ritrosia, si arrampicò sul braccio di Kamya e si mise a riposare nel suo grembo mentre raggiungevano l’ala degli ospiti.
A dire della giovane, il talentuoso maestro non era stato abbastanza esaustivo; Julian era un medico con molto da imparare, e allora? Se non l’avesse fatto qualcuno ne avrebbe risentito, e allora? Ovvio che se un medico non sa fare il suo mestiere a pagarne le conseguenze sono i pazienti!
Avrebbe sperato di carpire qualche straccio di informazione in più, un indizio, un suggerimento sulla sua pericolosità ma Asra si era tenuto in una snervante neutralità.
Se non fosse stata tanto vinta dalla stanchezza, i fiorenti dubbi su un Julian torturatore, manipolatore e dannatamente pericoloso, non le avrebbero fatto dormire sonni tranquilli; fortuna sua che fosse esausta dopo una giornata così intensa per dare credito a certe fantasie!
Ma non era solo la stanchezza a giocare un ruolo a suo favore: c’era anche la convinzione che Asra non l’avrebbe mai e poi mai lasciata in una situazione di pericolo. O forse era una qualche sorta di prova da superare? Che ci faceva poi Julian al loro negozio? Poteva fidarsi della sua parola secondo cui non si era impossessato di niente?
Troppe domande per una sola notte, troppi indovinelli per una sola affaticata mente che la canzonò in tutti i sensi, intonando le note di uno spettacolo che Asra l’aveva portata ad assistere qualche settimana prima.
Kamya si mise a canticchiare sommessamente a Faust entrando nella sua camera; era buffo da dirsi, ma le strofe avevano un che di profetico.

Guarda come la virtù ti ripaga
Ti giri e qualcuno ti tradisce
Tradiscilo per primo
E il gioco è ribaltato!
Perché siamo tutti intrappolati
Nel mezzo di un infido, lungo indovinello
Posso fidarmi di te? Puoi tu fidarti di me?
Barcolliamo attraverso questo inferno
Raccogliendo più segreti da vendere
Finché verrà il giorno
In cui venderemo le nostre anime*










*”The riddle” dal musical “The scarlet pimpernel”, un po’ tutto il testo quadra bene con la fanfiction ma non potevo mettercelo per intero ._.



N.d.A.
Sperando che questo capitolo e il precedente siano stati di vostro gradimento, vorrei premettere una cosa: so che potrebbe sembrare un mezzo lavoro di copiatura della storia originale, ma vi garantisco che dai prossimi capitoli le cose cominceranno a prendere piede, specie con gli altri due protagonisti della storia u-u non appena si incroceranno le due ship vi garantisco che molto prenderà forma soprattutto a corte. Ho appunti e file ovunque con tutte le idee, le battute e varie <3
Stay tuned, ne vedrete delle belle!

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Capitolo 3
*** 3 - At Wit's End ***


3 – At Wit’s End



Nulla è così logorante quanto l’indecisione, e nulla è così futile (Cit. Bertrand Russell)



Da che aveva memoria, il che non era in realtà moltissimo tempo, Kamya aveva sempre sofferto di attacchi d’ansia. Spesso c’era una causa tangibile dietro: uno scarso rendimento del negozio, un cliente difficile da gestire, un incantesimo che non riusciva neanche dopo mille tentativi. Non era complicato risolvere il problema se si poteva giungere alla sua radice, ma c’erano delle occasioni in cui la preoccupazione era semplicemente quello che era: un’energia nervosa che le pioveva addosso da una nuvola invisibile.
Una magia di quando in quando l’aveva aiutata ma la ragazza si era sempre ostinata all’idea di doversi riuscire a gestire da sola; la forza magica non poteva risolvere tutti i suoi problemi e se la sua capacità fosse mai venuta meno, avrebbe dovuto sapersela cavare anche senza. Volendo rispettare questa costanza, Asra le aveva insegnato due metodi quasi infallibili per autogestirsi: meditare e razionalizzare. Se non c’era niente di cui preoccuparsi allora perché farlo, ma se i suoi tormenti avessero avuto un fondamento individuabile avrebbero potuto essere affrontati a viso aperto.
A lungo andare era diventata una maestra nel combattere la paura, lo sgomento e la preoccupazione con una ferrea logica ma per quanto si stesse sforzando, non riusciva a venire a capo delle domande che l’aveva assillata negli ultimi buoni dieci minuti: chi aveva ucciso nella sua vita passata per essere stata punita con una disavventura del genere? Perché era scappata dalle guardie del palazzo e non aveva urlato per attirarle a sé? Come aveva fatto a ritrovarsi in un fatiscente quanto misterioso giardino in uno dei molti angoli trascurati di Vesuvia? Da dove le era nata la sfrontatezza per fare tutto questo in compagnia dell’unica persona che avrebbe dovuto evitare come la Peste Rossa? Ma, soprattutto, da quando il dottor Julian Devorak, proprio lui fra tutti gli uomini, era diventato così desiderabile?
Persa nei giochi di luce proiettati sugli zigomi del ragazzo dal fiore luminoso che le stava porgendo, la maga cercò di rimettere assieme i pezzi del puzzle.


La giornata era iniziata con una buona dose di ironia quando Portia l’aveva buttata giù dal letto non una, bensì due volte: la prima quando era entrata in camera per darle il buongiorno, la seconda quando aveva preso a litigare così animatamente con un molesto individuo da essersi fatta sentire fino alla biblioteca. Le sue urla avevano interrotto la non programmata dormita di Kamya che, colta da una terribile realizzazione, si era precipitata subito fuori dal castello e dentro i giardini. Col senno di poi, fare le ore piccole per parlare con Asra e cercare indizi dove ne aveva già trovati, era state entrambe pessime idee che avevano condotto a una sola cosa: sonno arretrato.
E nemmeno in una stanza qualsiasi, proprio nella biblioteca! Non avrebbe avuto nulla da ridire sulla stanza in sé ma l’aria sinistra che si respirava rendeva tutto soffocante. Era come il fantasma di un ricordo, o un sogno dentro un altro sogno… La sensazione era nitida ai bordi della sua mente ma le sfuggiva ogni volta che provava ad afferrarla, scarsi erano i dettagli veramente nitidi: tanti libri da riempire le pareti e arrivare fino al soffitto, la compagnia opprimente di innumerevoli anime e il sovrastare di una presenza sopra a tutte loro. Era come guardare una trottola dai colori cangianti, i contorni si liquefacevano in un miscuglio ambiguo ma il nucleo al suo centro si ergeva inconfondibile.
Forse era stato proprio quel nucleo ad averle fatta accapponare la pelle, ma al suo risveglio si era sentita allarmata; dormire in un posto che suscitava effetti simili voleva dire abbassare la guardia e lasciare aperta la porta a qualcosa di potenzialmente rischioso.
Determinata ad allontanarsi sia dalla biblioteca che dalle sue allucinazioni, Kamya si era lanciata alla ricerca di Portia e nel vederla al suo cottage sul delimitare dei giardini, ancora presa dal suo battibecco con un vivacissimo pappagallo, si era ricordata anche della non trascurabile parentela che aveva intuito il giorno precedente: Julian e Portia erano fratelli. Promesso di non farne parola con Nadia, l’apprendista si era addentrata di più nel parco fino a scovare un lato crepato nelle mura del castello; da esso un fiotto di acqua rossa si disperdeva, scavandosi un corso in mezzo alle piante morte e alle erbacce incolte.
Seguendolo per qualche ora aveva finito per ritrovarsi nella parte alta della città, in cima ad un acquedotto e, soprattutto, in compagnia: Julian era lì con lei. Il medico si era lanciato in una sottospecie di sermone sulla vita e sui propri scopi in essa ma dopo un drammatico lancio della sua maschera nel canale, e un gracchiante avviso di Malak circa le guardie, si era visto costretto a darsi alla fuga.
Incerta se avesse provato a scappare da lei o scappare e basta, Kamya gli si era lanciata dietro ma una pietra bagnata l’aveva fatta scivolare in acqua, gettandola in pasto a un fitto gruppo di anguille-vampiro. Il Conte Lucio era sempre stato appassionato di animali per lo più innocui ma quei singolari pesci non rientravano nella categoria.
Aveva provato a risalire in superficie nuotando, a scacciarle agitando le braccia e un paio di loro si erano effettivamente allontanate, ma la più temeraria non aveva rinunciato e l’aveva morsa sul ventre così forte da lasciarla priva di aria nei polmoni; nessuno sapeva si trovasse lì o in che circostanza: sovrastata da un muro d’acqua, impossibilitata a respirare o chiamare aiuto e con una bestia a succhiarle via il sangue a una tale velocità da tingersene il corpo opalescente.
In una quello scenario, Kamya aveva avuto soltanto il tempo di realizzare quanto patetica sarebbe stata la sua morte; ansia permettendo, aveva fantasticato di poter essere messa alla prova con un’avventura e adesso che ne aveva avuto la possibilità, l’aveva gettata via proprio come Julian aveva gettato via la sua maschera col becco.
La sorpresa era stata doppia quando una mano si era tuffata ad afferrarla per il polso e il viso pallido del medico le si era palesato colmo di preoccupazione. Non aveva alcuna valida ragione per trarla in salvo, sarebbe stato solo vantaggioso per lui se fosse morta, allora perché l’aveva ripescata dal canale? Perché le aveva tolto l’anguilla di dosso e l’aveva trascinata in un vicolo per curarla con tanta attenzione?
Assieme a queste domande, Kamya era stata impressionata dal dorso della sua mano sinistra, marchiato con la freccia dell’omicida, e dal simbolo che aveva cominciato a brillargli sul collo. Una maledizione di cui Asra gli aveva fatto dono, a dire di Julian.
Il sangue che gli era colato lungo il torso e giù per le gambe aveva scatenato nella ragazza un notevole giramento di testa ma la ronda delle guardie aveva dato a entrambi poco tempo per riprendersi; seppur con i palazzi che ondeggiavano davanti ai loro occhi, si erano allontanati reggendosi l’uno all’altra e la salvezza era giunta all’avvistamento di un giardino semi-nascosto tra i palazzi: forse un po’ vicino al giro delle guardie ma troppo poco interessante per essere perquisito. Julian le aveva fatto scavalcare un cancello arrugginito e, atterrato meglio di lei, l’aveva aiutata a rimettersi in piedi.
Il luogo in cui erano capitati, per trascurato che fosse, nascondeva il tipico fascino dei luoghi abbandonati dall’essere umano ma riconquistati dalla natura: viticci ed edera avevano ricoperto ogni cosa, spaccato il marmo di una fontana e mascherato sia i musi ferali degli animali in pietra, sia i volti saggi delle statue con fattezze umane.
Julian aveva dimostrato di essersi ripreso in fretta mettendosi a scherzare con una statua dal fisico taurino e appena Kamya gli aveva chiesto se stesse ancora sanguinando, l’aveva rassicurata allargando le braccia in modo teatrale; il suo gesto aveva finito per urtare la scultura e un’imprecazione gli era sfuggita mentre cercava di riequilibrarla. In tutta risposta, Kamya si era lasciata sfuggire un sorrisetto divertito mentre non la guardava. Era stato poco dopo che le sue riflessioni avevano preso il volo, quando il rosso aveva allungato una mano sulla sua spalla e le aveva tolto di dosso un giglio luccicante.


-Attenzione, Kamya, questi petali sono velenosi- l’avvertì non appena lei fece per toccarlo -È una Cometa Mortifera. Una goccia del suo veleno distillato uccide senza eccezioni: tiranni e re, innocenti e colpevoli... Potrebbe soffocare un neonato nella sua culla o distruggere un intero regno, se posto nelle mani sbagliate.-
Fece girare lo stelo tra le dita inguantate mandando giochi luminosi sul suo volto e facendo risplendere le lentiggini della maga, catturata dalla profondità dei suoi occhi; ciò che aveva detto era irrilevante, ma il come l’avesse detto… Per gli Arcani…
Dalle sue parole traspariva un carisma ammaliante, talmente ipnotico da far perdere la testa, per non parlare dell’avvincente bellezza dei suoi tratti: il suo sguardo era magnetico e i suoi folti riccioli erano così morbidi che l’unica cosa cui riusciva a pensare, era quanto arduo fosse resistere alla tentazione di riavviargli i ciuffi ribelli, accarezzargli la testa con un gesto languido per poi stringergli le dita sulla nuca e scoprire che sapore avessero le sue labbra.
Per un attimo correre il rischio di diventare l’ennesima conquista non fu allarmante e quasi desiderò di conoscere quali e quanti metodi il ragazzo potesse inventarsi pur di vincere il suo cuore. Che importava se ne avesse fatte cadere ai suoi piedi cento o anche mille di donne, adesso era il suo turno e voleva godersela fino a fondo.
Tra le sue conquiste c’era anche Lucio ricordi?” le suggerì la sua coscienza.
Bastò quel lampo di intuito a spezzare l’incantesimo e restituirle il suo inamovibile senno: Julian era e rimaneva un assassino.
Bellezza, carisma, fascino potevano essere tutte doti apprezzabili ma se poste al servizio della persona sbagliata, non erano da meno rispetto al fiore che le stava offrendo e avrebbero distrutto chiunque si fosse messo contro il loro portatore… Tuttavia, non era detto che a quel gioco non potessero partecipare entrambi. Se Julian era davvero attratto da lei, perché non rigirargli contro la sua stessa strategia? Perché non flirtare, stuzzicare e ammaliare fino ad averlo in pugno?
-Allora, lo desideri ancora?- insistette il medico richiamandola alla realtà.
Con un rapido gesto, Kamya raccolse il fiore e chiuse lentamente gli occhi inspirando a fondo; l’acre odore della pianta le riempì le narici, più che di un profumo, in effetti, si poteva parlare di un fetore ma lo spettacolo doveva continuare: lei sarebbe stata una conquista difficile ma non inarrivabile e al momento propizio, avrebbe saputo sfruttare la situazione a suo vantaggio.
Come sentì sussultare Julian, riaprì le palpebre fissandolo attraverso le ciglia.
-Ma il suo veleno non doveva essere distillato? Credevo che al tatto fosse innocuo- lo punzecchiò civettuola.
Julian deglutì e le rivolse un sorriso sghembo.
-N-non me lo mangerei comunque se fossi in te- le sconsigliò inaspettatamente teso.
Kamya lasciò cadere il fiore senza interrompere il contatto visivo e Julian lo riprese al volo per metterglielo dietro un orecchio; le sue dita le sfiorarono i capelli ed indugiarono sulla sua guancia prima di cadere sulla spalla nuda.
-A quanto pare il pericolo non ti spaventa- gli sussurrò lei come a sottolineare l’azzardo della sua carezza.
-Io rido in faccia al pericolo, vivo per esso, ne sono incantato oserei dire!- la sua spavalderia tornò a guidare le sue azioni ma non molto a lungo.
-Il sangue si ferma da queste parti, non dev’essere lontano! Andiamo, andiamo!- urlò una delle sentinelle poco distante dal giardino.
Julian sibilò un’imprecazione a denti stretti, afferrò una mano a Kamya e si lanciò in una rocambolesca fuga oltre una fenditura nella pietra.
-Si parlava di pericolo!- Kamya finse un’indifferenza che, a essere onesti, non le apparteneva.
-Direi più pessimo tempismo! Svelta, per di qua!-
Passando da una zona d’ombra a un’altra, attraversando i vicoli più stretti e le strade più buie, Julian si trovò costretto a ripensare alla versione furtiva del tragitto che era così abituato a percorrere; sapeva dove fosse necessario andare e come arrivarci, sapeva anche come eludere la cattura se fosse stato scoperto ma la posta in gioco era troppo alta stavolta: Kamya, una sua amica, una sua alleata, un prezioso tesoro di cui tenere conto, era con lui e non poteva correre il rischio di macchiarle la reputazione. Mano nella mano col ricercato numero uno di Vesuvia, chi mai avrebbe creduto alla sua innocenza? Anche sfruttare le sue doti drammatiche per fingere di essere stato messo al muro sarebbe sembrato inverosimile.
Solo a pensare ai guai che avrebbe potuto causarle, dall’accusa di complicità alla condanna a morte assieme a lui, dei brividi gli corsero lungo la schiena.
Poco fuori dal cono di luce di una lanterna, Julian alzò un braccio per farle segno di fermarsi; le lanciò una rapida occhiata portandosi un dito alle labbra e iniziò a trattenere il respiro. Non appena una coppia di uomini ebbe marciato oltre lo scorcio dal quale li stava osservando, il medico acuì l’udito per cogliere il distanziarsi dei loro passi e gli ordini in lontananza del capitano; arrivò quasi a udire un rumore simile allo scorrere del sangue nelle orecchie ma non si sentì al sicuro finché l’unico suono vicino non fu lo stridio dei gabbiani.
Persuasi all’idea di aver seminato i loro inseguitori, ripresero a correre con passi rapidi ma silenziosi finché uno di quelli non venne mal calcolato: la punta di uno stivale di Julian ebbe uno sfortunato incontro con una bottiglia abbandonata e la gettò violentemente contro un muro. Il fragore di vetri infranti non era mai stato così assordante e non avrebbe potuto esserlo più di così.
Denunciato a tutto il circondario, il duo si congelò sul posto e la fronte dello sventurato medico si imperlò di sudore freddo; per quanto il marciare delle guardie stesse tornando a farsi minaccioso, Ilya non poteva permettersi il lusso di commettere nuovi errori, o, se non altro, errori che li avrebbero rallentati: erano troppo vicini a casa di Mazelinka per altri passi falsi. Strinse le dita di Kamya ancora più forte tra le sue e le rivolse un perentorio, supplichevole ordine.
-Corri!-
Poco curante dello strattone con cui l’aveva incitata, Julian si concentrò sulla cacofonia che lo circondava fino a cogliere il suono che significava speranza e salvezza; gli uomini della Contessa serravano sempre di più la distanza che li divideva, certo, ma il chiocciare delle galline della vecchia piratessa, gli stampò un sorriso trionfante in volto. Superata la staccionata del giardino, sospinse Kamya davanti a sé e la intimò a dirigersi verso la finestra spalancata.
-Dopo di te!- annunciò senza attendere risposta. Seppur con le mani che gli tremavano, la raccolse tra le braccia, scivolò in mezzo al pollame e scavalcò il davanzale; una fila di campanelle gli dondolò sopra la testa ma non risuonò abbastanza forte da comprometterlo al pari della maledettissima bottiglia. Accovacciatosi contro la parete, si strinse la ragazza al petto e riprese col suo rituale di ascolto e respiri al limite dell’inesistente.
Una volta preso abbastanza coraggio, e con tutta l’attenzione di cui era capace, allungò una mano sopra la sua testa e accostò le ante; separato dall’inseguimento e da tutta la tensione che esso comportava, lasciò andare il sospiro che non si era reso contro di aver trattenuto e rivolse la sua attenzione alla maga. Fece per rassicurarla sulla loro situazione quando l’innocenza e l’aspettativa nell’espressione di lei, lo lasciarono nuovamente privo di fiato oltre che di parole: era così adorabile, pura e anche così piccola in confronto a lui, che stentava a riconoscere in lei la stessa persona che l’aveva rimproverato tanto aspramente per una sciocca provocazione.
Le sorrise con dolcezza e si impose di trovare almeno le parole per ringraziarla di non averlo denunciato ma il tuonare di una voce familiare, lo costrinse a riordinare le sue priorità.
-Bene, bene, bene! Guarda chi c’è se non lo stronzo invisibile!-
Julian scattò in piedi con tale solerzia da sbattere la testa contro il soffitto e Kamya si staccò istintivamente da lui; indietreggiando mentre il ragazzo annaspava alla ricerca di una sviolinata convincente, l’apprendista prese coscienza della figura del Cavaliere D’oro percependo una profonda dissonanza tra l’umiltà del casolare e lo sfarzo del guerriero. Tre domande le sorsero spontanee: da che razza di esercito avevano tirato fuori un individuo del genere, che ci faceva lì ma, soprattutto, perché ce l’aveva con Julian?
-Death Mask!- esclamò con voce altisonante il diretto interessato -Adoro la tua armatura! È nuova, per caso?- si appoggiò a una mensola e si portò una mano sul fianco per darsi un tono di noncuranza ma la sua presa malferma lo fece scivolare, smontando con spietatezza il goffo teatrino.
Forse divertito dallo sforzo, forse troppo lusingato per dare peso all’evidente raggiro, Death Mask gonfiò il petto e si rimirò gli artigli lucidi.
-Antica, in effetti…- l’uomo si rilassò e sorrise bonario, i nuovi ospiti si rilassarono a loro volta e una sorta di equilibrio si ristabilì… Almeno per cinque secondi scarsi -Proprio come le tue scuse!- si avvicinò con passi lunghi e minacciosi, afferrò Julian per il camice e si mise a scuoterlo per sottolineare il disappunto della sua articolata protesta -Tre giorni, rosso, sono passati tre, maledettissimi giorni! ”Oh, è per la tua salute” avevi detto! “Devi restare qui perché ti possa tenere d’occhio” avevi detto! Una mezza settimana è passata ma di te nemmeno l’ombra, e per cosa?!- Cancer gettò un fugace sguardo a Kamya, giusto il tempo di accertarsi sul fatto che fosse femmina, abbastanza carina e vestita in modo esotico -Per lasciarti andare a donne?!-
Lanciato contro la finestra, Ilya fece fare una pessima fine a un vaso in ceramica con i suoi denti di leone e inspirò bruscamente a causa del contraccolpo subito dalla schiena.
Agghiacciata dall’esame e dall’atteggiamento dell’uomo in prima battuta, Kamya si sentì pian piano avvampare per la rabbia e le fiamme del suo orgoglio sciolsero anche il nodo che le aveva serrato la gola.
-Prego?!- scaturì mentre Julian la afferrava per le spalle nel misero tentativo di farla calmare. Agguerrita ogni oltre dire, si divincolò e si pose di fronte al Cavaliere del Cancro -Senti un po’, bellimbusto, non so tu chi cazzo ti creda di essere, ma se ci tieni così tanto a dare della puttana a qualcuno, fallo con tua sorella!-
-Eh-ehm!-
Un sonoro schiarimento di gola attirò l’attenzione del trio sulla porta d’ingresso, dove Élan e Mazelinka si erano fermate a contemplare il litigio; l’una teneva le mani sui fianchi e batteva un piede a terra, l’altra stava a braccia conserte e li giudicava con un’espressione impassibile.
-Quella puttana di sua sorella- cominciò Élan con tono piatto -Sarei io...-
Kamya venne investita da tutt’altro tipo di fiamme, e si ritrovò ad avvampare così ferocemente da non riuscire a fare neppure un tentativo per nasconderlo.
-Era, era, era solo un modo di dire! Non potevo sapere che avesse davvero una sorella! Devi ammettere, però, che anche tuo fratello non...-
-Oh, falla finita, Élan!- esplose Death Mask al sentirsi indicare come suo parente -Se fossi stata davvero mia sorella, ti avrei abbandonata in autostrada anni fa!-
-Ahahahahah! Scusa, non ho saputo resistere!- la fata scoppiò in una risata fragorosa che riempì ogni angolo della casetta -Avresti dovuto vedere la tua faccia!-
-Ah, ah, simpatica...- biascicò l’apprendista con la bocca asciutta; più si guardava attorno e più traeva le somme degli atteggiamenti del gruppetto, più la testa le vorticava.
Sono finita in mezzo ai matti…” fu la sua opinione generale “E non i matti simpatici dei racconti, quelli VERI!”
-E tu chi saresti?- il tono fermo e rassicurante di Mazelinka interruppe la linea dei suoi pensieri, che poco a poco stavano cominciando a vergere su una repentina fuga a Nopal e il rifarsi una vita lontano dai matti.
-Lei è Kamya, una mia nuova… Amica- la presentò Julian.
-Una tua nuova amica, dici?- con i tipici occhi stanchi ma attenti di chi ancora non si sente avvinto dall’età, Mazelinka la studiò da capo a piedi.
Non aveva visto molto di lei in quei pochi minuti, ma non le occorrevano eclatanti dimostrazioni, la sua esperienza leggeva oltre all’aria stravolta dalla corsa o all’odore di gran lunga migliorabile: nessuno dei due poteva nascondere il piglio energico e l’audacia con la quale aveva tenuto testa a Death Mask, c’era soltanto un problema…
-Stai venendo a presentarmi un sacco di amici particolari in questi giorni, Ilya, ma temo che la mia casa stia diventando piccola per potervi ospitare tutti.-
-Non preoccuparti, vecchia arpia, noi stiamo per andarcene!- Death Mask si avvicinò ad Élan e la afferrò per un polso, trovando il disappunto di tutti i presenti.
-Cosa?! No! Perché?!- si limitò a esclamare la fata liberandosi dalla presa.
-Modera i termini...- lo rimproverò l’anziana, agitando un pugno a mezz’aria prima di andare a dedicarsi al calderone che bolliva sul fuoco.
-Death Mask, NON puoi andartene! Potrebbero ancora insorgere dei sintomi tardivi, non sai se sei fuori pericolo! Giuro che mi sono dato da fare in questi giorni però...-
-Senti, Romeo, sono stanco!- lo interruppe il Cavaliere D’oro -Stanco di questa vita da “Casa nella prateria”, stanco di andare al mercato, di occuparmi del pollame, della polvere suoi mobili, di farmi spennare a carte dalla vecchia...-
-E siamo a due, alla terza ti arriva una mestolata…- lo avvertì la “vecchia” mentre si faceva aiutare da Élan a sminuzzare delle erbe.
-Ma quella è una legge matematica, scientifica, filosofica, fisica e magari pure grammaticale: non si possono battere le nonne a carte!- la fata si guadagnò una leggera gomitata e un sorriso sdentato. L’ex-piratessa stava valutando un po’ troppo seriamente l’idea di adottare quello scricciolo.
-Stanco di aspettare te e i tuoi comodi da ricercato!- il siciliano raccolse un foglio dal tavolo e mostrò a Julian un manifesto con la sua faccia in bella vista; il ragazzo sussultò e tentò di giustificarsi ma le accuse del Cavaliere glielo impedirono -Davvero pensavi che non avremmo notato questi sparsi in giro per la città?! Hai fatto carte false per farci rimanere ma nel mentre sprechi il nostro tempo con le prostitute!-
-Vuoi smetterla di darle della donna di malaffare?! È l’apprendista di un potentissimo mago!- si alterò Julian, stupito dalla sua stessa forza.
Era sciocco da parte sua, ma trovava molto più irrispettoso vedere offesa la sua nuova amica che la propria buona parola; alla maga però, improvvisamente, non interessava. Più forza i due uomini mettevano nelle loro argomentazioni, o più si alzavano i toni, meno il loro litigio la coinvolgeva; le carte di Asra, erano al centro dei suoi pensieri. Ogni occasione in cui avevano avuto qualcosa da comunicargli, si erano agitate e avevano vibrato proprio come adesso stavano facendo nella tasca di lei.
Stupita dal fatto che fossero uscite indenni dal tuffo nel canale, le estrasse dal loro sacchetto, le scorse tutte fino a trovare il pezzo che con ostinazione voleva parlarle e lo esaminò meravigliata: su di esso era raffigurato un ariete dalla forma umanizzata, avvolto in una stuoia celeste bordata d’oro, con un diadema sulla fronte e una croce nella mano sinistra. Ma era capovolto.
-Vuoi un buon motivo che ti convinca a restare, Cavaliere? Eccolo qui!- si intromise con risolutezza e occhi che le brillavano nel vero senso del termine -Lo ierofante, rovesciato. E sta parlando con te.-
Solo a quel punto, e con gran esasperazione da parte del medico, Death Mask si voltò sbuffando e la guardò per davvero: i capelli ancora umidi sembravano più sporchi di quanto in realtà non fossero, l’imbarazzo provocato da Élan le aveva riportato colore sul viso, ma il rossore sulle guance non era comunque paragonabile ai suoi pantaloni: il sangue perso a causa della lotta contro le anguille era colato sui vestiti e glieli aveva macchiati di una bizzarra tonalità di viola. Parte dello stesso problema si riproponeva sugli indumenti del medico, facendo intuire che fossero stati assieme al centro di qualcosa di pericoloso o moralmente discutibile.
D’accordo, allora. Prese per vere le parole di Julian, Kamya era la studentessa di un mago, ma questo non faceva altro che sollevare altre domande tipo…
-Certo, lo ierofante… Mi sta parlando. E dovrebbe interessarmi perché…?-
-Lo ierofante valuta le tradizioni al di sopra di ogni cosa, incoraggia la conformità e la fiducia nelle istituzioni prestabilite, ma quando si trova rovesciato, il significato si rovescia a sua volta: è cresciuto così comodamente nella fortezza delle abitudini, da aver sacrificato un progresso necessario- troppo tempo aveva speso dietro allo studio degli arcani per non conoscere anche il più nascosto dei loro significati, ma Cancer si strinse lo stesso nelle spalle -Davvero non ci arrivi? Ti sta dicendo che è giunto il momento di mettere in dubbio le credenze più vecchie che hai e abbracciare un nuovo tipo di strategia. Di solito te ne andresti? Non ti fideresti dell’opinione degli altri? Fai un tentativo e scegli la novità!- detto ciò, lo ierofante smise di fremere tra le sue dita e i suoi occhi di scintillare.
Per convincente che fosse stata, Death Mask si lasciò sfuggire un verso di sprezzo. Aveva viaggiato per ogni tipo di dimensione, conosciuto nuove forme di scienza e magia, i suoi orizzonti pensava si fossero allargati a dismisura ma nei tarocchi e nell’oroscopo proprio non riusciva a credere. La verità era che trovasse arrogante chi pensava di poter interpretare il messaggio degli astri senza colpo ferire. Arrogante e folle.
Sfortuna volle che, per quante ne avesse viste e per quanto nulla riuscisse a tacitare il suo scetticismo, nessuno riuscisse nemmeno a scuotere le fondamenta delle sue decisioni tanto quanto la gentile voce che si udì poco dopo.
-Death, io credo che dovremmo darle ascolto...- intervenne Élan -Mi sentirei più tranquilla se potessimo restare solo un altro paio di giorni, giusto per eliminare ogni possibilità e non lasciare nulla di intentato…-
Non appena lo sguardo dell’uomo si fu posato sul volto supplichevole della fata, e i suoi occhi si furono incrociati con quelli di lei, una cedevole esasperazione lo spinse a gettare le mani in alto. Sconfitta era dichiarata.
-E va bene, e va bene!- rantolò con sdegno -Tutto purché tu smetta di pigolare! E sappi che non ho intenzione di passare la notte qui!-
-Ma non abbiamo altro posto dove andare a dormire!- obiettò lei.
-”Noi” non abbiamo? Da quando siamo cuciti assieme? Tu resterai qui con Maga Magò, Mr Hyde e la Fata Turchina. Io andrò per conto mio: ho bisogno di cambiare aria!-
-Se potessi cambiare aria definitivamente mi faresti un favore!- Mazelinka si chinò a raccogliere il vaso caduto a terra, schiacciò alcuni dei denti di leone ancora integri con un pestello e li gettò nel pentolone bollente.
-Come no, ti piacerebbe, bef...-
-Ma non conosci la città!- Ilya gli parlò sopra per stroncare sul nascere una nuova litigata -Ci sono quartieri da evitare la notte e posti che preferirei non visitassi. Lascia almeno che ti disegniamo una mappa- Death Mask gli rivolse un’espressione scettica per sottolineare come proprio lui non avesse bisogno di futili raccomandazioni -Considera l’accontentarmi il tuo modo per scusarti delle offese rivolte a Kamya.-
-Questa è veramente la sera in cui vi accontento tutti perché sono troppo scazzato...- concesse il Cavaliere senza usare mezzi termini, più deciso a telare in tempi brevi che a ribattere ancora.
Il medico, soddisfatto, gli tirò via dalla mano il manifesto e con passo malfermo raggiunse il tavolo più vicino per mettersi a disegnare una bozza di Vesuvia. Tra Mazelinka che cucinava, Élan che la assisteva muovendosi su e giù per la casa e i due uomini con la loro elevata statura, Kamya trovò il suo posto accanto alla porta d’ingresso, lasciando a ognuno il proprio spazio; osservando Julian tracciare le linee e gesticolare animatamente per fornire tutte le indicazioni necessarie, per poco non mancò lo sguardo che la padrona di casa le aveva lanciato di sottecchi.
In realtà non nascondeva un giudizio, solo un’osservazione della sua apparenza fisica, ma tanto bastò a Kamya per rendersi conto di un dettaglio fondamentale: era in minoranza. Il proposito che si era fissata prevedeva di ingannare il ragazzo, rispondere al suo corteggiamento e sfruttare la sua attrazione, ma come avrebbe potuto agire circondata da alleati e amici pronti a sostenerlo? Mazelinka sembrava il genere di donna che stanava i furbi prima ancora che avessero anche solo pensato alle loro malefatte, e se l’avesse messo in guardia? Se anche lui avesse deciso di cambiare qualcosa del proprio atteggiamento? La sua strategia sarebbe stata al centro di un gioco ancora più complicato di intrighi, raggiri, anticipazioni, tradimenti… Davvero sarebbe riuscita a tenere il passo? Non conosceva né Élan né Death Mask, cosa avrebbero potuto significare o combinare nel suo piano? E se fossero stati più pericolosi di quanto non fossero apparsi? Poteva sfruttare anche la rabbia del Cavaliere se l’occasione si fosse presentata? Valeva davvero la pena rischiare per una missione del genere?
I pensieri cominciarono ad accavallarsi, la confusione si fece sempre più soffocante e l’ansia le seccò la gola ancora una volta; si costrinse a inspirare profondamente per mantenere un briciolo di calma ma senza accorgersene le sue dita avevano preso a tamburellare contro la porta, i suoi occhi a fissare il vuoto e i suoi denti a masticare il labbro inferiore. Come doveva agire? Abbandonare il piano? Essere onesta? Scappare e contattare Asra di nuovo? Restare? Segnalare a Nadia il nascondiglio?
Scelte, domande, paure, indecisione… Chiuse forte gli occhi per tentare di chiuderle anch’esse fuori dalla sua testa, quando un tocco sulla sua spalla la convinse a tornare al presente. Con un sobbalzo si ritrovò davanti al volto cordiale di Élan che le stava sorridendo.
-Non posso fare a meno di notare che sei leggermente in conflitto con te stessa: va tutto bene?-
Kamya tanti sguardi aveva incontrato quel giorno, ma dentro gli occhi della fata ci leggeva una sincera curiosità, e, nella calma della sua voce, una disarmante rassicurazione.
-Io, sì, ecco, insomma…- balbettò per qualche secondo, dopodiché afferrò la maniglia della porta, una mano della ragazza e uscì dall’abitazione -Ho bisogno di una boccata d’aria- annunciò prima di chiudersi la casa alle spalle e allontanarsi in mezzo alla strada -D’accordo, allora, da quanto tempo conoscete il Dottor Devorak?- domandò laconica.
Non sapeva se potesse fidarsi della nuova coppia ma per riprendere il controllo di se stessa da qualche parte doveva pur cominciare, e niente le avrebbe restituito il senno come la preziosa razionalità donata da un compito affrontato per volta. Primo passo: inquadrare gli alleati.
-Un paio di giorni in teoria, un paio di ore in pratica. Non abbastanza tempo da prenderne le difese nel caso avesse fatto qualcosa di male- fu l’altrettanto evasiva risposta.
-Ha arso vivo il Conte di Vesuvia.-
-Ecco, appunto. Aspetta, cosa? No! Ilya è un pezzo di pane, non farebbe del male a una mosca, figuriamoci un essere umano!- la concisa rivelazione di Kamya aveva lasciato incredula Élan che, aveva intuito il medico non fosse del tutto estraneo ai guai con la legge, ma non sapeva che cosa l’avesse posto al loro centro. Risse e ubriachezza erano state le prime ipotesi, ma l’omicidio?
-Sono stata incaricata dalla Contessa vedova in persona di catturarlo e lei ha specificato sia come il Dottor Devorak sia stato trovato fuori dalla stanza in fiamme, sia come l’abbia ammesso lui stesso.-
-Una confessione si può estorcere, si può mentire, si può ricattare, si possono coprire le tracce lasciate da qualcun altro! Nessuno ha mai preso in considerazione queste possibilità?!-
-Io… Non lo so…- la forza della replica stordì l’apprendista che, in un modo o nell’altro, si sentiva quasi presa in contropiede -So soltanto che sospetti molto gravi girano attorno alla sua persona ma anche che un innocente non scappa se non ha fatto niente di male… Non l’innocente che è sicuro di essere ascoltato e creduto, almeno...- si strinse tra le braccia e lasciò che un profondo sospiro le svuotasse i polmoni, portando con sé una scomoda confessione -La verità è che credo alla Contessa, ma ho visto anche coi miei occhi come molte cose non sembrino quadrare.-
-Che vorresti dire?- la fata chinò la testa di lato e aggrottò la fronte.
-Julian, cioè… Il Dottor Devorak, a pelle, mi è sembrato un truffatore con una strategia sempre pronta per ottenere ciò che desidera, ma, anche se ricercato e la città è tappezzata dei suoi manifesti, la gente non lo denuncia nemmeno quando ne ha la possibilità. Camminava l’altro giorno al mercato senza preoccuparsi di nascondersi o di essere visto, adesso scopro che ha anche degli alleati pronti a difenderlo a spada tratta, e tutto questo nonostante ci sia una conoscenza vecchia di ore!- Élan stava per risponderle quando le dita di Kamya le scivolarono sul fianco sporco di sangue e una reminiscenza di ciò che era accaduto nel canale la spinse a riprendere la parola con maggior veemenza -E non è nemmeno tutto! La vedi questa… Non-ferita? Sono caduta in un canale pieno di anguille-vampiro, mi hanno morsa e stavo per morire sia annegata che dissanguata, ma Julian è tornato a salvarmi e con una strana magia di trasferimento, ha spostato il morso su di sé! Non avermi più tra i piedi sarebbe stato strategico, allora perché fare il contrario?-
-Forse perché non è così cattivo come credi- asserì con dolcezza l’altra.
Stavolta fu la maga a rivolgerle un’occhiata incuriosita; la sua fermezza nel prendere le parti del ragazzo, ma anche la spiazzante saggezza della sua replica, le fecero venire in mente le immagini di Portia e di Asra: la cameriera avrebbe dato la sua vita pur di salvarla al fratello, ma era pur sempre sua sorella, poteva contare la sua opinione?
Il suo maestro, però, non le aveva suggerito di stare lontano dal rosso o se fosse pericoloso, quindi c’erano davvero dei rischi?
Adesso che aveva più tempo per rifletterci sopra, Kamya si rendeva conto di come la sua voglia di scappare si stesse tramutando in voglia di indagare, andare più a fondo, scoprire la verità. Se solo avesse potuto permetterselo...
-Vorrei davvero giudicare l’innocenza di Julian basandomi sull’idea che la gente ha di lui, o sull’azione compiuta su un singolo, ma non posso. Non sarebbe giusto nei confronti della Contessa… E soprattutto non lo sarebbe nei confronti del mio maestro.-
-Fammi indovinare: ti ha insegnato tutto quello che sai, ti ha preparata a questo genere di compito per tutta la tua vita e ora vuoi renderlo orgoglioso.-
-Oh no, Asra non mi metterebbe mai in una situazione di pericolo.-
A nominare il ragazzo, le venne naturale stiracchiare un delicato sorriso e la privata svolta intrapresa dal loro dialogo la portò a sedersi sul bordo della strada con le gambe penzolanti dentro un canale; non sapeva che effetto avesse la fata su di lei, ma ad ogni rivelazione sentiva un nodo di stanchezza sciogliersi e la schiena farsi più leggera.
-Devi sapere che sono amnesica, quelli che ho appena trascorso sono gli unici anni che mi ricordi. Asra è stata la prima persona che abbia visto quando ho riaperto gli occhi e da allora siamo stati inseparabili; si è preso cura di me in tutto e per tutto, mi ha dato da mangiare, un posto dove dormire e mi ha insegnato così tanto sulla magia che ora non posso sciupare l’unica occasione che ho per sdebitarmi. Capisci?-
-Io capisco, ma c’è ancora una cosa che mi sfugge. Mi hai detto come ti è parso Julian a caldo, ma dopo averlo conosciuto per un po’, nel tuo cuore, tu, cosa ne pensi? Se dico “Julian Devorak” quali sono le prime parole che ti vengono in mente?-
-Beeee... Direi… Affascinante… Mascalzone…?- aveva represso con ogni fibra del suo essere il “bello e dannato” che le aveva danzato a fior di labbra, ma anche con tutto lo sforzo che le era costato adesso Élan la stava fissando con un sorriso furbetto.
-Uh-uuuh, affascinante, allora ti piace!-
-Non ho detto che mi piaccia!- ribatté Kamya con un tono di voce abbastanza alto da farne disperdere l’eco in mezzo a canali e palazzi. In un gesto istintivo si coprì la bocca con entrambe le mani, fece saettare gli occhi in ogni direzione per accertarsi che curiosi e pettegoli di tutto il circondario non si fossero fiondati alle finestre e gettò pure un’occhiata verso l’acqua ma a rispondere fu soltanto il suo silenzioso riflesso -La bellezza indica la piacevolezza fisica, il fascino riguarda i modi, ed era a quelli cui alludevo!-
-Certo, i modi- le fece un occhiolino esageratamente marcato l’altra giovane.
-Se anche mi piacesse, che cambierebbe? Non posso distrarmi. Non darò fiducia a quel medico fuori di testa...-
La fata inclinò la schiena in avanti così da studiare con più attenzione la postura dell’apprendista; braccia sulle ginocchia, schiena ricurva, spalle rigide, una mano che giochicchiava nervosamente con le unghie dell’altra, ma anche viso rassegnato, orecchie e guance in fiamme: già, aveva tutta l’aria di qualcuno dilaniato da un dilemma morale.
-Non trovi sia un controsenso? Dici a Death Mask che deve dare fiducia agli altri ma tu stessa non vuoi dare un’occasione a Ilya.-
-Un’occasione per fare che cosa? Mentirmi? Umiliarmi? Tradire la mia fiducia?!-
-Magari di combinarne una giusta.-
Il sorriso speranzoso di Élan era così onesto che tutte le motivazioni di Kamya sembravano sgretolarsi come sabbia tra le sue dita; si tirò indietro i capelli con un gesto nervoso e rimase a palpebre chiuse mentre la fata proseguiva.
-Ascolta, si vede che sei una persona che cerca di scegliere sempre con la testa piuttosto che col cuore, ma la vita non è un lancio di moneta e forse dovresti decidere con più cognizione di causa quando ti trovi davanti a delle situazioni- allungò una mano per carezzarle la spalla e la maga le restituì un’espressione confusa e stanca -Sai, io e Death Mask siamo viaggiatori. Andiamo da un posto all’altro dando il nostro aiuto a chi ne ha bisogno. Be’, io presto il mio aiuto, Death più che altro si lascia trascinare. In ogni caso, tu sembra proprio che ne abbia un gran bisogno, per cui ecco il mio suggerimento: comportati con Julian come faresti con chiunque, fai le tue indagini, trai le tue conclusioni, stai a vedere quali scenari si evolvono, ma agisci sapendo che saremo lì a guardarti le spalle, e che se ti avrà mentito, l’avrà fatto a tutti e a quel punto la tua collera sarà l’ultimo dei suoi problemi!-
-Ahah, vuoi scatenargli contro il tuo malvagio mastino infernale?-
Élan la liquidò con un gesto che la fece ridere di gusto.
-Non contare su quello che ti ha detto, Death Mask non è cattivo, è solo un idiota!-
-Sono Death Mask e concordo con la metà di quello che è appena stato detto- le ragazze si voltarono di scatto verso il Cavaliere che le fissava annuendo. Aveva la mappa della città in mano e le braccia incrociate sul petto per darsi maggiore tono -Dì al tuo fidanzatino che mi sono scusato con te, calmerà il suo melodrammatico cuore- sottolineò portandosi teatralmente il dorso della mano alla fronte e mal simulando una persona sofferente, ma Élan gli si pose di fronte e lo rimbeccò con voce sarcastica.

-A-ah, e cos’è che porterà calma al tuo melodrammatico cuore?-
-Che stai insinuando?- Death Mask smise la recita molto rapidamente, mettendosi sulla difensiva.
-Death, ti conosco da abbastanza poco, ma ho passato le ultime settimane in tua compagnia e credo di poter affermare con sufficiente certezza che il comportamento di questi ultimi giorni non è da te! Sei stato come un pendolo che oscillava dal “incazzato come un toro” al “arrapato come un toro”. Sei sempre stato uno un po’ marpione e un po’ attaccabrighe, ma mai a questi livelli: te lo chiedo in tutta sincerità, sei sicuro di stare bene?-
L’uomo fece roteare gli occhi, lasciò cadere le braccia e sbuffò.

-Credevo di essere stato abbastanza esaustivo prima: tutta questa cazzata alla “Le notti d’Oriente” non fa per me. Non sono una casalinga, dannazione, sono un guerriero!-
-Oh mio Dio, ecco che cosa fai per vivere!-

L’esclamazione costrinse Kamya a soffocare una risata ma il risultato fu assai discutibile.
-Se non mi allontano dal rave party di questa casa per una notte, giuro che darò di matto!-
-Perché, può peggiorare ancora?!- la maga si allarmò per gioco ma Élan la cinse lo stesso in un abbraccio e si mise ad accarezzarle i capelli.
-Lo stress fa male alla bambina, non terrorizzarmela!-
-Ma… Ma sono più grande di te!-
-Ssssh, tranquilla, tra poco sarà tutto finito...-
La protesta risultò in un maggior numero di carezze mentre l’apprendista riconfermava la sua opinione: era finita in mezzo ai matti. Benintenzionati, ma pur sempre matti.
-Vedi di non fare casino in mia assenza- Death Mask prese ad allontanarsi lungo la strada che conduceva al mare ma si girò un’ultima volta quando sentì le ragazze rientrare e la voce di Élan chiamarlo.
-Buonanotte, Death.-
Appena il chiavistello fu scattato al suo posto, e l’uomo fu tornato a essere da solo nelle strade deserte, bisbigliò la risposta.
-Sogni d’oro, Élan.-


All’interno dell’abitazione, Mazelinka aveva un diavolo per capello; aveva aperto la botola segreta che dava sul secondo letto della casa e raccolto delle lenzuola fresche, ma le aveva abbandonate senza sistemarle per la notte.
-Meno male che siete rientrate, ragazze. Ho bisogno del vostro aiuto: sono riuscita a convincere Julian a mettersi a letto, non dormiva da giorni quel mascalzone, ma sono anche certa che non si stia riposando affatto. Starà facendo su e giù per la stanza finché qualcuno non si deciderà a inchiodarlo al materasso. Lo farei io stessa ma ho bisogno di sistemare il secondo letto e di tenere d’occhio la pentola.-
Élan prese la parola per prima investendo la vecchia padrona di casa col suo entusiasmo.
-Non preoccuparti, Mazelinka, tu pensa pure alla cena, del letto mi occupo io! Kamya!- la richiamò facendola scattare -Giacché sei più in confidenza con Julian di me, perché non ci pensi tu a farlo restare a letto?-
La diretta interessata sbatté le palpebre interdetta ma non riuscì a protestare visto che entrambe le altre donne si diedero ai compiti assegnati in tutta fretta; ciò che le rimase da fare, fu entrare nella stanza da notte di Mazelinka, cercando di nascondere le orecchie in fiamme sotto ai capelli.
Julian, sedutosi sul materasso e toltosi guanti, giacca, e uno stivale, stava annaspando con l’altro; nel notare Kamya, le rivolse un sorriso scaltro che brillò alla luce della candela.
-Sei venuta per rimboccarmi le coperte?- il gancio cedette e il medico scalciò via la scarpa con uno sbadiglio -Temo che non resisterò ancora per molto, se c’è una cosa che conosco è il mio corpo. So quando sono esausto e quando si tratta di guarire ci vuole il tempo che ci vuole, che mi piaccia o no. Pugnalami nella schiena e non ci farò caso, ma guarire richiederà tutte le mie energie. Non è incredibile?-
-Magico, oserei dire- fece spallucce lei e Julian le sorrise un’altra volta.
L’ex-piratessa entrò con una ciotola fumante tra le man, la passò al ragazzo e gli ordinò di bere, dopodiché pose la domanda delle domande.
-Kamya, trascorrerai qui la notte?-
Julian mandò di traverso la minestra spalancando gli occhi.
-Oh, è quel tipo di zuppa?- improvvisò per spostare l’attenzione sul cibo.
-Non ti lascerò scavarti la fossa da solo. Sei ancora umano, Ilya- stette al gioco la vecchia. Quando l’altro tentò di protestare, gli tolse il cibo di mano e lo passò alla maga -Saresti un tesoro e ti assicureresti che la bevesse? Ho l’impressione che berrebbe qualsiasi cosa se fossi tu a offrirgliela.-
Kamya cominciava davvero a pensare che non attendere le sue risposte fosse un’abitudine di casa poiché, prima di venire nuovamente lasciata da sola col medico, ricevette una pacca sul braccio, ma non il tempo per replicare.
-Se non riesco a dormire, sono stressato, delirante e mi viene da sbattere la testa contro il muro, prepara questa zuppa per me, quella benedetta donna- sotto il suo atteggiamento apparentemente noncurante, si riuscivano a leggere la metà degli stati d’animo elencati -Non so nemmeno cosa ci metta dentro, ma ha un sapore fantastico.-
Kamya gli premette la ciotola sulla bocca e si sedette sul letto con un filo di impazienza.
-Bevi, allora, anziché fare tutte queste cerimonie!-
Mentre Julian svuotava il recipiente fino all’ultima goccia, la ragazza ne studiò ogni movimento: le ciglia che si abbassavano al chiudersi delle palpebre, la gola che si adattava al passaggio del liquido, il sospiro soddisfatto all’ultimo sorso e la lingua che ripuliva le labbra con gusto; quando la fantasia di lui che assaporava la sua bocca con altrettanto trasporto si presentò, non fece neppure il più pallido tentativo per reprimerla o respingerla. Questo era uno dei problemi cui Élan non poteva trovare soluzione: Kamya non si sarebbe comportata con Julian nella stessa maniera in cui si sarebbe comportata con chiunque altro.
Un suo sospiro trasognante catturò l’attenzione del rosso che le riservò un’espressione calda e perspicace.
-Ne vorresti un assaggio?-
Al suo annuire, Julian si chinò in avanti per andarle incontro e il suo tocco fu la prima sensazione ad avvolgerla; era attento e delicato ma anche impavido e sicuro di sé, esattamente come quando le aveva prestato le proprie cure. Poi, venne il profumo della minestra: affumicato e complesso, lasciava desiderare di sentirlo ancora, e il fremito delle loro labbra nel momento in cui si stavano per incontrare fu esaltante e soporifero al medesimo tempo. Ciò che rimase sconosciuto, fu il sapore del brodo, perché lo stesso verso che aveva interrotto il litigo con Death Mask, interruppe il bacio con Julian.
-Per stasera basta, voi due.-
Arrossiti e con uno scatto repentino, si separarono l’uno dall’altra e Mazelinka ne approfittò per lanciare una coperta addosso al ragazzo; non che la complicità del loro amoreggiare non appartenesse ad entrambi, ma Julian era di casa, conosceva le regole. Vedendo la maga far scattare gli occhi in ogni direzione e il medico annaspare sotto la stoffa, la donna pensò a quanto sembrassero una coppia di adolescenti impacciati piuttosto che due adulti nel pieno della loro maturità, ma sapeva a cosa avrebbe potuto portare un bacio anche solo un po’ troppo ardito, e per quella sera le bastava il doversi trovare nella situazione di dover fare da ambasciatrice di scomode novità.
-Temo che dovrete dividere il letto. Élan è crollata nella botola ed è così adorabile là sotto che non me la sentirei di svegliarla- non aveva visto che ingrediente avesse usato, ma ora Kamya aveva capito si trattasse di una miscela rilassante -Sei tu che devi dirci se te la senti di dormire con lui, Kamya.-
La ragazza rivolse una rapida occhiata al suo compagno di stanza, sbracato in una posizione casuale ma col volto illuminato da un imbarazzante ghigno.
-Certo, resterò qui- scosse lei la testa alzando gli occhi al cielo.
-Non preoccuparti, cara, sarò un perfetto gentiluomo!- promise il medico mentre lei si slacciava la cintura e si sfilava le scarpette dorate.
-Oh, lo farai? Contaci, allora!- Mazelinka gli diede uno schiaffetto sul braccio prima di raccogliere le loro cose e lasciare la stanza.
Quando la tenda ricadde al suo posto, Julian tornò alla carica con tono sommesso ma colmo di aspettative.
-Non dobbiamo ancora dormire, possiamo restare alzati e, sai, no? Conoscerci un po’ meglio.-
-Ehm, sì, mi pare una buona idea, ma prima devo fare una cosa.-
Stava per chiederle che cos’avesse in mente quando la maga gli premette un palmo sulla gamba destra, accarezzandogli la coscia con espressione assorta fino ad arrivare alla vita; si staccò dal suo corpo per mettersi le mani sulle proprie caviglie e Julian la fissò ipnotizzato e con bocca spalancata: mentre si risaliva le gambe, si sfiorava il petto e si passava le dita tra i capelli, sembrava eseguire una sensuale danza studiata per mandarlo in delirio.
Kamya allontanò le mani dalla sua testa così lentamente che le ciocche le scivolarono via poco alla volta e dei nastri di un rosso annacquato si formarono nell’aria, andando a creare una sfera sopra di lei; fermato il flusso, l’apprendista lo scagliò nei canali e la sua persona tornò ad essere presente e presentabile, con vestiti puliti e capelli asciutti.
-Fatto! Non è soddisfacente come un lavaggio con acqua e sapone ma per adesso andrà… Bene?- la ragazza non pensava le sarebbe capitato di assistere a uno scenario del genere, in particolar modo dopo tutto il sangue che aveva perso, ma Julian era violentemente arrossito -È una specie di lavaggio a secco che ho ideato assieme ad Asra, adesso i nostri vestiti sono tornati ad essere come erano prima del “piccolo” incidente di questa sera- gli spiegò ma senza ottenere risultati -A proposito di quello che dicevi sul conoscerci meglio… Ecco, avrei una domanda da fare.-
-A-ah?- bofonchiò Julian.
-L’haifattodavvero?- sputò lei mangiandosi le parole per la fretta.
L’incantesimo si ruppe e il medico tornò alla realtà in maniera brutale… Non aveva bisogno di sapere a cosa si stesse riferendo la domanda, già lo sapeva.
Fece passare gli occhi dal pavimento al soffitto ma non si soffermò sull’ospite.
-Scusami, troppo diretta. Il fatto è che non capisco- Kamya gli si mise a fianco e cercò di ammorbidire i toni -Se hai davvero assassinato il Conte d Vesuvia, perché sei tornato?-
Una risata nervosa scosse il petto al ragazzo.
-Me lo domando sempre anch’io, ma quando sei tu a chiederlo, è molto meno irritante. Se ti dicessi la verità, mi crederesti? Nemmeno io lo farei, ma lascerò decidere a te, Kamya- si raddrizzò sulla schiena, intrecciando le dita tra di loro e guardando finalmente la sua ospite negli occhi -L’ho fatto davvero? Ho davvero ucciso il Conte? E se ti dicessi che… Non me lo ricordo?- la sua voce suonava così onesta che Kamya non poté arrabbiarsi e lo lasciò continuare -So cosa penserai, che è facile tirare il sasso e nascondere la mano, commettere un crimine e poi affermare di non ricordarselo, ma è per questo motivo che sono tornato: ho bisogno di risposte e se non troverò la verità qui, impazzirò cercandola. Come avrai capito ho anche un paio di domande per il tuo maestro. Se solo sapessi... Gli anni, la distanza che ho percorso per trovarlo...- la sua voce si fece carica di frustrazione e la maga sentì un tuffo al cuore. Forse nel loro animo condividevano di più che una mera partita al gatto e al topo...
In ogni caso, non c’era parola che non le fosse suonata sincera e rimpianse di non aver posto la domanda molto prima; come a percezione del suo stato d’animo agitato, il medico le riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio dove prima aveva posto il fiore, probabilmente perso nella fuga, e le fece spazio sull’ampio giaciglio.
-Guarda qua, comodo e spazioso- annunciò accarezzando il materasso. Lei si accoccolò sotto le lenzuola, nascondendo il nervosismo che, a quel punto, pareva quasi superfluo -Se solo avessimo più tempo… Oh, le cose che mi piacerebbe fare con te…- farfugliò il medico con voce impastata. Le palpebre si erano fatte insostenibili da reggere e i suoi pensieri non si legavano più ad alcuna logica.
-Scusa che hai detto?- Kamya si sollevò sul gomito, il cuore le batteva in petto sperando di aver sentito male ma anche bene allo stesso tempo.
Un biascicato augurio di buona notte fu l’ultima cosa che uscì dalla bocca del medico e l’apprendista si dovette rassegnare a rimanere senza risposta; si girò verso la candela e con un gesto delle dita la fiamma fu spenta. Non sapeva se sarebbe riuscita ad addormentarsi, ma la notte si presentava insonne e carica di pensieri anche per un certo guerriero di sua conoscenza a spasso tra le vie silenziose di Vesuvia.


Ad accompagnare il clangore dei suoi passi c’erano ben pochi rumori oltre al solito verso dei gabbiani e al venticello che si era alzato, ma nella sua testa suonava tutt’altro tipo di sinfonia.
Death Mask era praticamente scappato da casa di Mazelinka per poter passare un po’ di tempo in compagnia solo di se stesso, svuotare la mente, pensare ai cazzi propri, ma i cazzi che lo perseguitavano quella notte erano gli stessi che gli erano stati serviti a colazione, pranzo, merenda e cena per le ultime settantadue ore… Élan, Élan, Élan e ancora Élan.
Settimane erano passate dal loro primo incontro, un episodio che avrebbe dovuto sbiadirsi nella sua memoria era ormai certo si fosse cristallizzato ben più in là del dovuto e del necessario.
Tutto era cominciato come una normalissima giornata al Grande Tempio: si trovava dove non doveva stare, a bere cose che non avrebbe dovuto, ad orari duranti i quali sarebbe stato meglio non consumarle. Il solito copione, in poche parole.
La svolta degli eventi era cominciata con l’arrivo della protagonista femminile; niente di che a un primo esame, solo una minuta, diffidente, giovane donna, ma dopo un paio di sani litigi e una manciata di dimensioni che avevano messo a dura prova il livello di sopportazione reciproca, erano arrivati dei colpi di scena. Primo di tutti, Élan non era umana: era una changeling, una mezza-fata scambiata con una bambina umana appena nata. Non sapeva come avesse fatto a raggiungere il Grande Tempio dalla sua dimensione, sapeva solo che dovesse tornarci il prima possibile.
L’uomo sospettava che i suoi mitologici natali avessero giocato un ruolo chiave nel suo arrivo, ma che Élan non fosse poi tanto normale, l’aveva già intuito da sé. Accorgersi di come fosse brillante, altruista, sagace, compassionevole, il tutto confezionato in un pacchetto da dieci e lode, quello era stato il vero colpo di scena!
Dalla notte in cui lei gli aveva rivelato della sua natura non umana, la chimica tra di loro era esplosa; viaggio dopo viaggio, avventura dopo avventura, ogni impresa più ardita della precedente e ogni serata più ammaliante di quella trascorsa il giorno prima. Oh, avrebbe potuto continuare così in eterno!
Ma il destino, la vita, il caso, qualunque fosse il suo nome, quando ci si metteva, riusciva veramente ad essere bastardo. Per Death Mask aveva preso il nome di Helios, una maestosa nave-laboratorio ideata da Tesla in persona per consentire ai più geniali scienziati del mondo di sperimentare senza distrazioni o censure… Peccato proprio che fosse stato uno dei loro temerari esperimenti ad aver mandato in malora la baracca!
Rose, una giornalista invitata lì dalla sorella, si era dovuta rifare all’aiuto di Élan per proseguire nella sua ricerca di una via di fuga e tutto era filato piuttosto liscio fino all’area di contenimento di Fred: una bobina elettrica che scaricava energia a intervalli regolari, letale per ogni forma di vita organica che ci fosse entrata in contatto diretto. Chiunque fosse stato sano di mente avrebbe rinunciato a quel punto, ma non Élan…
Lei era speciale.
Forte della sua alquanto derisa minutezza, aveva dato un bacio a Death Mask e si era lanciata nel percorso ad ostacoli più avventato del mondo, dietro ogni colonna e sotto ogni pila di macerie che fosse abbastanza alta da poterle offrire riparo. Era stato in quel frangente, a doverla vedere mentre rischiava la vita senza che lui fosse potuto intervenire, che l’uomo aveva avuto la più agghiacciante delle rivelazioni: era spaventosamente impreparato alla sua mancanza…
Non poteva più stare senza i suoi puerili litigi, senza le sue battute stupide, senza che lei lo facesse ridere… E come lo potevi definire, quando la sua incolumità veniva prima di quella di tutti gli altri, te compreso? Quando il suo buon cuore ti spronava ad essere la migliore versione di te stesso? Quando la sua sola esistenza dava un senso al mondo intero? Quando l’impronta che aveva lasciato nella tua vita era così grande, che niente ti avrebbe dato il permesso di tornare alla tua vecchia esistenza se privato di lei?
Amore. Si poteva soltanto definire amore. Si era innamorato di lei. Perdutamente, follemente, irrimediabilmente. Il secondo colpo di scena si era dispiegato.
Giusto il tempo di lasciare che la realtà della situazione si assorbisse a sufficienza, che Fred aveva ridotto l’intervallo tra i suoi impulsi, lasciando ad Élan non più di una manciata di secondi per raggiungere il casolare con l’interruttore d’emergenza; con un ultimo, disperato salto era riuscita a mettersi al riparo, ma il Cavaliere si era sentito diventare freddo ed era stato investito da una terribile nausea.
Al termine della loro disavventura, erano arrivati a Vesuvia e gli eventi si erano succeduti come tessere di un domino: il morso, l’incontro con Julian, l’ospitalità della vecchia arpia...
La pace che avevano avuto non era stata del tipo che servisse al Cavaliere per rimettere assieme i frammenti della sua psiche, ma Élan, che Atena l’avesse in gloria, quella notte ci aveva preso con la sua analogia; Death Mask era come un pendolo che oscillava tra furia e voglia. Furia, perché non sapeva in che maniera comportarsi o agire, e lui odiava non avere un piano d’azione, voglia perché non conosceva altro tipo di amore che non fosse sessuale. Questo almeno in un quadro semplificato delle cose, ma la realtà era più complicata di così.
Il punto era che Élan avesse totalmente fatto deragliare il suo progetto di vita che, nel suo caso, corrispondeva a nessun progetto; quando eri un Cavaliere al servizio della dea Atena, soprattutto uno d’oro, poco c’era da fare nei periodi di calma piatta, ma quando dovere chiamava, be’, passavi da uno scontro all’altro finché il più epico della tua vita, era anche l’ultimo. Con la fata presente, però, come faceva anche solo ad immaginare di morire per lasciarla tutta da sola? Se avesse potuto tenerla con sé le avrebbe trovato un posto dove stare, un impiego decente, quel genere di noiose burocrazie che andavano sbrigate quando ci si trasferiva, ma la stessa Élan aveva espresso molto chiaramente l’urgenza di fare ritorno a casa; inoltre quel vecchio pazzo del Grande Sacerdote non l’avrebbe più finita di farneticare su come si stesse incrinando l’equilibrio dell’universo. Anche questo contribuiva a farlo uscire di testa: qualunque soluzione avesse elaborato, sarebbe stata fatica sprecata.
E poi, dulcis in fundo, c’era la questione della libidine. Death Mask aveva conosciuto tanti amori in vita sua: per un luogo, per un piatto, per una canzone, magari anche per cose estremamente specifiche come il profumo marino che portava con sé la spuma dell’onda, ma mai amore romantico. Affetto, okay, ammirazione, d’accordo, ma il romanticismo? Impensabile.
Nondimeno, c’era un tipo di amore nel quale era un vero pro; non che se ne facesse un vanto ma di fulminate al Grande Tempio che si sarebbero fatte una “cavalcata” con lui, ce n’era una discreta lista e forse Élan era un tale supplizio solo perché era il più recente oggetto del desiderio. Ma certo, la sua non era niente di più che un’infatuazione condita da una gran voglia di sesso, sarebbe bastata una sola notte di passione per togliersela dalla testa, lei e i maledettissimi sentimenti... Ma quella dannata vecchiaccia! Si era intromessa ogni singola, dannata volta e Death Mask non era mai riuscito a concludere! Dalla serie “piove sempre sul bagnato”, più tempo passava, più si rendeva conto di come il suo piano non avrebbe fatto che avvicinarlo alla ragazza, di come sedurre non fosse uguale a risolvere e di come, presto o tardi, avrebbe dovuto affrontare la situazione da adulto.
Questo almeno nella peggiore delle ipotesi.
Aveva davvero sperato che quel paio d’ore in solitaria lo avrebbero aiutato a riflettere, ma per il momento non avevano portato ad altro che non fosse un lungo giro di Vesuvia senza guida turistica; aveva visto la piazza, spoglia di gente ma non dei petali che Portia aveva lanciato per annunciare la mascherata, aveva visto il castello, glorioso nella sua struttura ma quasi banale se paragonato alle architetture del Grande Tempio, e infine si era ritrovato di nuovo nella baia. Tutto il contrario del suo tribolato cuore, ad abbracciare quei moli c’era un mare che avrebbe potuto continuare fino a fondersi con l’oscurità della notte se non fosse stato per un isolotto ancora più oscuro che si stagliava contro l’orizzonte.
Quando Mazelinka li aveva portati lì a fare la spesa e i due avevano chiesto delucidazioni in merito, Élan e Death Mask avevano dovuto fare i conti con una nefasta rivelazione.

-Quello è il Lazzaretto, era lì che venivano mandati i malati di Peste Rossa- aveva spiegato Mazelinka -Un capitolo buio nella storia di Vesuvia. Compiere il viaggio di andata voleva dire non compiere quello di ritorno...-

La fata aveva stretto le mani attorno al manico del cestino di frutta che portava e si era scambiata uno sguardo eloquente col Cavaliere; entrambi si auguravano che il Lazzaretto non dovesse riaprire i battenti proprio con lui o che non li dovesse riaprire affatto…
All’idea della pletora di pensieri negativi che lo stavano affliggendo, Cancer venne improvvisamente scosso da una risata amara e decise di andarsene. Parecchi passi dopo, uno spiraglio di positività venne gettato sulla sua strada quando l’insegna del Corvo Chiassoso gli cigolò sopra la testa. Eccola lì! La radice e la soluzione a tutti i problemi, il quinto dei Cavalieri dell’Apocalisse: l'alcolismo.
La notte non era poi tanto giovane ma decise comunque di entrare a farsi una bevuta e trovò il locale esattamente come l’aveva lasciato: pavimento appiccicoso, aria viziata e un sacco di gente alticcia ma allegra.
-Ehi!- lo riconobbe il barista da dietro il bancone -Tu sei quello che ha ridotto Ilya a uno straccio! Se vuoi dare di nuovo spettacolo, di gente che si sia bevuta il cervello, oltre che il portafogli, ce n’è quanta ne vuoi stasera!-
Un rantolo scomposto e qualche paio di teste che si alzarono stancamente furono le uniche risposte ma facevano troppa pena come avversari.
-Silenzio, vecchio locandiere!- tuonò Death Mask, prima di accomodarsi alla destra di un ragazzo sul cui cappello svettava una lunga piuma arcobaleno -Sono venuto qui per bere… Qualunque schifo di cosa mi abbia offerto il dottore l’altro giorno.-
-Aaaah, il Salty Bitter- annuì sardonico il barista -È un grande classico della mia locanda, sai?-
-Fa’ sinceramente cagare...-
-Sarà, ma non esiste animo afflitto che se ne sia andato di qui senza aver risolto i propri problemi dopo averne bevuti due o tre più del necessario. Ho solo una domanda: come intendi pagare?-
Mentre il barista incrociava le braccia davanti al petto, Cancer annaspò mentalmente in cerca di una risposta adeguata. Julian gli aveva dato indicazioni, una mappa, un’infinità di consigli ma niente soldi da spendere all’occorrenza. Quando all’improvviso, l’illuminazione...
-Mettila sul conto del dottore- decretò con sicurezza.
-Spiacente, ma non facciamo credito a nessuno, specialmente ad Ilya...-
-Pagherò io, allora- alzò una mano il giovane dall’esuberante cappello. Death Mask si voltò verso di lui rendendosi conto di non averlo osservato attentamente prima, il che era davvero assurdo considerato il suo vestiario appariscente: una camicia bianca generosamente sbottonata era coperta da una stuoia magenta con frange oro, una sciarpa color granato e da una giacca senza maniche a strisce variopinte; era così lunga che gli angoli decorati sfioravano il pavimento nonostante l’altezza dello sgabello.
Il locandiere accettò la proposta e mentre si voltava per spillare un boccale dell’intruglio, il ragazzo lasciò correre i suoi profondi occhi viola sul fondo quasi vuoto del proprio bicchiere.
-Immagino di doverti ringraziare- gli sorrise Death Mask.
-Non serve, so riconoscere un cuore tormentato quando mi si siede a fianco. Mi accontenterò del tuo nome.-
Death Mask ignorò il commento sul suo stato emotivo e fece sfoggio del proprio titolo.
-Death Mask del Cancro, Cavaliere D’oro della quarta Casa del Grande Tempio- si presentò fieramente.
Il giovane inclinò la testa di lato per appoggiarla al palmo della mano e lo studiò con un sogghigno volpino.
-Onorato di fare la tua conoscenza, Death Mask del Cancro, Cavaliere D’oro della quarta Casa del Grande Tempio.-
L’oste si voltò verso il Cavaliere e gli mise un boccale traboccante davanti; un pungente odore lo investì come un treno, ma mai quanto il sapore della bevanda: il diabolico gusto di sottaceti e terra, gradevole quanto il morso di cinque piranha sulla lingua, era impareggiabile.
Cancer ne bevve un sorso o due e rimarcò ancora una volta quanto le sue papille gustative fossero state violentate ma dovette ammettere quanto altrettanto stesse accadendo al suo pessimo umore, il che era un bel vantaggio.
-Mi sa che mi è sfuggito il tuo di nome, biancospino- apostrofò il ragazzo, riferendosi ai ciuffi di capelli bianchi che gli sbucavano da sotto la larga falda del cappello.
-Asra.-
-Asra, eh? E tu che fai per mantenerti nella vita? Con quell’aria da vagabondo sei… Un saltimbanco o roba simile?- preso coraggio, Death Mask attaccò di nuovo il boccale. Ogni sorso aveva un retrogusto davvero agghiacciante.
-Sono appena tornato da un viaggio, ma gestisco un negozio di magia non distante da qui- Asra ingollò il restante liquore e ne ordinò un altro giro, poi sorrise al suo compagno di bevute -Potrei predirti il futuro leggendo le linee della tua mano, se lo gradissi, oppure potrei interpretare le carte.-
Il Cavaliere gli scoppiò a ridere in faccia ma si bloccò di colpo; il tono di Asra era stato così suadente che aveva creduto fosse un avance ma il mago era tutt’altro che in vena di scherzi.
-Non vorrei sembrare scortese o maleducato con te, Asma, dopotutto mi hai offerto da bere e questo lo rispetto, ma non credo nella maniera più assoluta a questo genere di cose. Non esiste alcuna prova scientifica a supporto della chiaroveggenza, il che significa, e ripeto non intendo offenderti, che sei un imbroglione, il tuo lavoro è un’enorme truffa e il tuo sostentamento dipende unicamente dalla credulità della gente stupida- il sorriso di Asra si era tramutato in una linea piatta sul suo viso e i suoi occhi si erano sbarrati -Ma ripeto, senza offesa.-
Il mago prese un profondo respiro e parlò con voce quanto più ferma gli riuscisse.
-Come potrebbe non essere offensivo?!-
-Dipende da quanto sei bravo a incassare le critiche costruttive, suppongo- fece spallucce l’uomo.
Il giovane bevve tutto d’un sorso il liquore ambrato che gli era stato servito; altre volte si era trovato faccia a faccia con un borioso, scettico spaccone, sapeva come gestire la faccenda, doveva soltanto trovare il più efficace giro di parole.
-Quindi preferisci affrontare il brivido dell’ignoto senza nemmeno avere uno scorcio di quello che ti riserva il futuro? A tua preferenza- tornò a sorridergli -D’altro canto non tutti hanno l’intelligenza per apprezzare la strategia offerta dalla chiaroveggenza, soprattutto una ben interpretata, ma, come si suol dire, chi è causa del suo mal pianga se stesso.-
Poco ci mancò che Death Mask spaccasse il manico del boccale; poteva accettare l’intuizione sul suo stato d’animo, poteva lasciar passare i sorrisetti arroganti, ma non poteva tollerare che gli si desse dello stupido.
-Scusa, credo di non aver sentito bene: mi stai dando dell’idiota?-
-Questo sei tu a dirlo, non io...-
Sarà stato l’alcol o sarà stata la strafottente espressione di Asra, con le sue malefiche fossette, ma Death Mask si erse in piedi, ribaltando lo sgabello.
-Pensi davvero di irretirmi coi tuoi trucchetti psicologici da quattro soldi?- gli urlò contro mentre il sorrisetto del mago non faceva che allargarsi -No, perché se pensi che funzionino, pensi bene, cazzo! Andiamo!- lo afferrò per il coppino della giacca e lo trascinò verso i tavoli.
Tutti erano pieni ma non se ne fece un problema: ne trovò uno al centro del locale, occupato da due uomini così ubriachi da essersi addormentati e li gettò entrambi a terra dove continuarono indisturbati il loro pisolo. Asra, lasciato libero, gli si sedette di fronte con uno svolazzo della giacca e dal borsone di cuoio tirò fuori un mazzo di carte che cominciò a mescolare.
-Non è il mio solito mazzo, quindi ti chiedo scusa se la lettura risulterà poco precisa- si diede delle arie mentre le carte gli scivolavano abilmente tra le dita. A un borbottio sommesso dell’uomo, rincarò la dose -È un mazzo nuovo, quindi non ho ancora particolare affinità.-
Percepì fosse giunto il momento di poggiare le carte quando Death Mask gli scoccò un’occhiataccia.
Una alla volta, e tutte coperte, dispose le prime tre in verticale e le ultime in linea retta; le esaminò un paio di volte ma, quali dritte, quali coperte, tutte erano al loro posto eccetto una. Più testarda delle altre, insisteva sulla sua errata disposizione. La girò sotto per sopra e viceversa ma quella non fu soddisfatta finché non venne posta in orizzontale. Era unico che una carta volesse una posizione a metà ma gli Arcani non sbagliavano mai e ciò poteva dire soltanto una cosa: Death Mask era un uomo altrettanto unico.
-Vediamo…- incrociò le dita e lo sbirciò attraverso le ciglia candide -Della tua personalità ho già avuto modo di carpire qualcosa: sei presuntuoso, schietto e non ti fidi facilmente, ma cosa mi dice di te il tuo passato?- girò la prima carta, quella più in alto, e si trovò davanti all’immagine capovolta di un volatile nero con un grande copricapo di piume, eretto davanti a una parete di teschi -La morte rovesciata. Hai voltato le spalle al tuo dovere lasciando le cose a marcire nella tua negligenza.-
Cancer sapeva che non avrebbe vinto il premio per miglior Cavaliere D’oro dell’anno, ma definirlo negligente gli sembrava esagerato; in fin dei conti era Arles ad assegnargli quasi esclusivamente gli affari più sporchi del Grande Tempio, stanare e sterminare i cospiratori. Era un lavoro ingrato ma qualcuno lo doveva pur fare.
-Ma il passato è pur sempre passato, no? Chi sei tu, adesso?- con un filo di esitazione nella sua mossa, Asra girò la carta orizzontale. Un’adorabile capretta rossa con ali di pipistrello teneva uno zoccolo sopra un pentacolo risplendente di luce propria e contornato da candele accese -Ti devo avvertire: è davvero curioso che un arcano si rifiuti di stare dritto o rovesciato per cui questa disposizione mi comunica molte cose contrastanti di te. Sei una persona carismatica, fiera, ti lasci guidare dalle tue passioni, sei competente nel tuo lavoro e abbastanza consapevole del talento che possiedi da rasentare la superbia però...-
-Però?- lo spronò a continuare Death Mask. Era più rapito di quanto non si fosse aspettato e cominciava davvero a pensare che Asra ci stesse prendendo un po’ troppo…
-La sua disposizione ambigua comunica anche problemi con i compagni… E salute manchevole…-
L’uomo deglutì fissando la carta con consapevolezza. Era soltanto un trucco di psicologia, no? Quel pezzo di cellulosa colorato non poteva sapere che gli altri Cavalieri D’oro, eccezion fatta per due, lo vedessero di pessimo occhio, no? Non poteva sapere che l’insetto portatore di un orrendo male lo avesse ferito pochi giorni prima, no?
Si passò la lingua sulle labbra per umettarle e aspettò una manciata di secondi prima di prendere un altro sorso di Salty Bitter, giusto il tempo di non farlo sembrare un atto consolatorio.
-Va’ avanti.-
La carta del presente raffigurava una fenice con le ali spiegate tra due alberi in fiore.
-Gli amanti dritti parlano di un incontro fortuito, un’alleanza stretta, di connessione e comunicazione, ma anche di...-
Asra sollevò la testa e trovò Death Mask paralizzato: aveva smesso di ragionare alla parola “amanti”, la bocca gli si era seccata e il sangue era gelato nelle vene.
Il suo presente era simboleggiato dagli amanti. Dannazione, Asra non poteva aver indovinato! Erano tutte cazzate disposte per fargli pensare che un emerito sconosciuto fosse in grado di intravedere nella sua vita! Però… Anche alle fate avrebbe rifiutato di credere non molto tempo fa, eppure Élan era vera quanto la morte. Per sua fortuna e dannazione.
-Impressionato, Cavaliere D’oro?- lo canzonò il giovane, pronto ad affrontare le ustioni del fuoco con cui stava scherzando.
Non aveva bisogno di conoscere personalmente il guerriero per poterlo leggere come un libro aperto, gli bastava conoscere l'alterigia tipica degli uomini col suo temperamento, perché le carte che aveva disposto non erano le uniche che possedesse per smontare l’insolenza.
Death Mask parlava di critiche costruttive, eh? Be’, Asra aveva il proposito di fare l’esatto opposto, smontarlo pezzo per pezzo fino a che di lui non fosse rimasto che un uomo intimorito; non aveva paura delle reazioni che si sarebbero scatenate, non era più un bambino di otto anni ammansito dai bulli e dalle loro minacce, aveva già dato anche troppo da quel punto di vista…
-Come, scusa? Mi ero distratto- dissimulò Cancer -In realtà stavo pensando a una cosa. Se questa lettura è così intima, perché non la facciamo in un posto che sia altrettanto privato? Tipo lì...- indicò un tendaggio appeso che copriva una rientranza nella parete.
-Perché quello… È lo sgabuzzino delle scope- precisò Asra.
-Hai qualcosa contro la saggina?-
Divertito dalla battuta e in vena di essere accomodante, il mago propose una soluzione alternativa.
-Ho già iniziato la lettura, non potrei muovere le carte una volta che sono state disposte, ma penso di poter ripescare quelle corrette nel corretto ordine se lo facessi in un ambiente a me familiare, per cui ecco la mia proposta.-


Il negozio di Asra era esattamente come Death Mask se l’era immaginato: sovraccarico di ampolle, candele ed erbe aromatiche. Il profumo d’incenso si disperdeva nell’aria così intensamente da stordire mentre una miriade di libri e mappe stellari occupava ogni angolo che non fosse già preso d’assalto da piante e fiori sospetti.
-Prego, fa’ come se fossi a casa tua- il mago si spogliò dei suoi indumenti da viaggio e li lanciò scompostamente su un divano, poco sotto a una nicchia colma di cristalli di ogni forma e colore -Accomodati nel retrobottega.-
Dietro una tenda stellata era stato allestito uno stanzino privato per la lettura dei tarocchi; non c’era molto se non un tavolo circolare con una tovaglia viola, una lanterna turchese e due piccole ottomane imbottite. I due uomini occuparono le sedute l’uno di fronte all’altro e il mago dispose le carte nello stesso ordine utilizzato al bar.
-Dicevi, insomma, c’è amore nella mia vita?- Death Mask si sbrigò a porre la domanda, tradito dall’impazienza nella sua voce.
Con quel bel caratterino, dubito” avrebbe voluto rispondergli Asra, ma per restare professionale si sforzò di richiamare a sé tutta la concentrazione.
-Non esattamente. Le altre carte viste finora non lasciano intendere che gli amanti indichino l’amore, questa suggerisce costruzione e realizzazione, nuove strade da intraprendere con serenità, ma anche di una scelta da compiere, una che condurrà a un esito positivo se fatta con cognizione di causa ma negativo, se forzata.-
La quarta e la quinta carta vennero voltate in simultanea: l’una era il ritratto di una simpatica bertuccia blu seduta su un trono ai cui piedi vi erano vasi di fiori e bastoncini d’incenso accesi, l’altra mostrava un cervo bianco abbeverarsi a una fonte dentro la quale i colori si scurivano, rendendo l’acqua rossa di sangue e il cervo scheletrico. Vista sottosopra, era difficile capirne il senso.
-Conscio e subconscio. L’imperatore diritto dice che a livello consapevole senti di poterti fidare della tua esperienza e di poter imparare osservando le conseguenze delle tue azioni, ma la temperanza rovesciata permette al conflitto di sovrastare la sua pacifica disposizione, costringendola a reagire con misure estreme. Sei sicuro di sé riguardo al compito che devi affrontare, ma quel muro di spavalderia che ti sei costruito lascia trapelare dalle proprie crepe paura, insicurezze e bramosia di misure estreme.-
Death Mask fissava le carte con tanta intensità da risultare quasi intimidatorio; ormai le sue certezze erano crollate, i punti focali della sua vita erano stati riassunti in una mezza dozzina di carte, ponendo sui piatti della bilancia dei timori che nemmeno aveva consapevolezza lo stessero possedendo. Ciò malgrado, era così: non era mai stato innamorato di una donna, o se era accaduto era stato troppo tempo fa per ricordarselo, come poteva amministrare con saggezza un sentimento che non sapeva nemmeno quanto forte o ricambiato fosse? Misure drastiche volevano dire prendere Élan e ferirla, terrorizzarla, soffocarla?
Caduto il suo ospite in un religioso silenzio, Asra si sentì autorizzato a proseguire.
-E nel tuo futuro invece c’è...-
Prima che il mago avesse avuto modo di voltare del tutto la carta, Death Mask gli diede un colpo col dorso della mano, gettando per aria tutta la lettura e il mazzo sistemato lì a fianco; le carte svolazzarono a terra mentre Asra teneva sospesa la mano, la carta del futuro gli era scivolata via dalle dita e si era dispersa insieme alle altre.
-Ho già dovuto sopportare un capriccio del genere dal Conte Lucio una volta- lo sgridò gelidamente -Avevo sperato che almeno tu avresti avuto un minimo di cura per le cose che non ti appartengono.-
Il Cavaliere aveva scostato la tenda stellata e dava le spalle ad Asra.
-Non ti devo niente- furono le sue ultime caustiche parole prima di lasciare il negozio in tutta fretta sbattendosi dietro la porta.
Asra si lasciò cadere nei cuscini retrostanti con un profondo sbuffo; si passò le dita sul viso scuro dove lasciò che coprissero gli occhi. Era stato un lungo viaggio e un’interminabile serata, emozioni dimenticate erano tornate a galla in innumerevoli déjà vu che avevano affaticato ancora di più muscoli e ossa. Cancer era senza ombra di dubbio il peggior cliente che avesse avuto da un po’ di tempo a quella parte, ma non il peggior uomo che avesse mai incrociato sulla sua strada. A onor del vero, il mago non poteva sapere quanta crescita personale attendesse il Cavaliere dietro l’angolo e quanto la prima impressione di lui fosse fuorviante, ma ogni tassello del puzzle si sarebbe incastrato con quello giusto a tempo debito.
Chiamate a raccolta le energie che gli servivano per rimettere a posto lo stanzino, farsi un bagno e gettarsi a letto, il mago si diede da fare; con un gesto della mano chiamò a raccolta i tarocchi sparsi per il pavimento e tutti si radunarono in un mazzetto ordinato sul tavolo; quando percepì l’energia emanata dalla carta del futuro, Asra la intercettò a mezz’aria tra le dita. Dopo un rapido esame, un sorriso gli si stampò in volto. Se la portò alle labbra dondolandosi nelle spalle.
-È interessante… È molto interessante.-










N.d.A
Guess who’s back, bitches? XD Il primo capitolo dopo un po’ di tempo è sempre quello più difficile da scrivere e correggere, inoltre, più vado avanti con questa fanfiction più mi rendo conto di quanto sia complicato fare mia una storia che per metà non mi appartiene, ma col tempo riuscirò a sciogliere tutti i nodi del caso u-u
Come avevo promesso, la storia è entrata nel vivo e c’è stato l’incontro tra tutti e quattro i protagonisti (tenete ben d’occhio Kamya e Desu perché il loro rapporto di amore-odio ricorderà un sacco quello di Discord e Twilight)^^
Ci tengo a precisare che il mazzo di tarocchi di Asra non è quello visto nel gioco, che le carte descritte si rifanno al design di Sylvia Ritter (qui uno dei suoi canali https://www.deviantart.com/sylviaritter/gallery/65829864/tarot-deck) e che la battuta di Death Mask sui guadagni di Asra è una citazione a “The Big Bang theory”. Per quanto riguarda il titolo “at wit’s end” significa non sapere che pesci pigliare/essere fuori di sé dalla frustrazione, ed è tratto da una delle composizioni del terzo film di “Pirati dei Caraibi”. Volontà permettendo, mi impegnerò a scrivere ogni giorno.
Stay tuned!

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Capitolo 4
*** 4 - To Curtain Call ***


4 – To Curtain Call



Non c’è dialogo con il nemico, ma mi hanno invitato per un interrogatorio (Cit. Aleksandar Baljak)



Mazelinka era una donna energica di natura, se disturbava il sonno altrui con i suoi modi irruenti non era per cattiveria, ma dall’oggi al domani le bocche da sfamare in casa si erano raddoppiate e così le faccende; imbracciato il suo cestino da spesa e uscita al levarsi del sole, si era chiusa la porta alle spalle con tale forza da aver risvegliato Kamya.
La maga credeva di essersi abituata al trafficare causato dall’insonnia di Asra ma, a quanto sembrava, Mazelinka aveva alzato l’asticella. Sperando di essere ancora abbastanza assonnata da ritrovare in fretta la via per i suoi sogni, si rigirò sull’altro fianco ma l’istinto le fece riaprire gli occhi: il viso di Julian era proprio davanti al suo, disteso da una pace che solo Morfeo era in grado di concedere. La memoria le riportò in mente il caldo tono del ragazzo e le parole della notte prima le risuonarono ancora fresche nelle orecchie.
Se solo avessimo più tempo… Oh, le cose che mi piacerebbe fare con te…”
Col cuore che batteva a mille e una scossa in tutti i nervi, Kamya balzò giù dal letto e, seppur barcollando, raggiunse il tavolo della cucina sul quale finì per accasciarsi.
Si sedette per riflettere ma gli ingranaggi dei suoi pensieri, solitamente ben oliati, vennero bloccati dalla ruggine della stanchezza; unico elemento a favore del suo risveglio, era la frizzante brezzolina che stava soffiando dalla finestra e che le correva sulla pelle lasciandole dei piacevoli brividi. Anche gli insetti sulle piante dovevano essere dello stesso avviso, visto il loro sostenuto ronzio.
Lanciò uno sguardo ai fiori del davanzale per capire se fossero api, bombi o vespe, ma non solo non ne vide, si accorse che il mormorio provenisse da dentro la casa; seguendolo si ritrovò inginocchiata alla botola segreta dentro la quale Élan stava dormendo come un ghiro o, meglio, come un colibrì: si era rannicchiata in un nido di coperte che la faceva sembrare ancora più piccolina e il suo ronfare aveva il suono di un debole fischio. A vedersi, era una vera delizia.
-N-no, ti prego… Mi dispiace… Mi dispiace così tanto…-
La dolcezza dell’attimo si spezzò ai lamenti che si levarono dalla stanza da letto.
Era la voce di Julian.
Il suo tono era stanco e avvilito, non aveva energie sufficienti per condurre qualunque battaglia stesse affrontando ma ne aveva un disperato bisogno.
Incerta se fosse il caso di svegliarlo, Kamya scattò in piedi e rimase in attesa di un altro segnale o un’altra supplica ma al tonfo sordo del medico che volava giù dal letto, capì che il caso avesse scelto per lei.
Si affrettò a spalancare la tenda e lo trovò aggrovigliato tra le lenzuola, il suo incarnato era più pallido del solito e i suoi movimenti frenetici ma inconcludenti. Quando si rese conto di essere osservato, si bloccò, si resse su un gomito e sfoderò un sorriso disinvolto.
-Ehi, Kamya! Già in piedi? Spero di non averti svegliato io!-
-No, figurati, ero già sveglia- si chinò per liberarlo e così vicina a lui poté sentire non solo la rigidità di ogni suo muscolo, ma addirittura contare le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte -Tu, invece? Stavi avendo un incubo?-
-Anche se fosse? Non era reale, perché preoccuparsi? In ogni caso, che ci facevi sveglia? Ehi! Ti ho mai raccontato di quando ho accidentalmente rapito un’elefantessa di guerra incinta?- il suo frettoloso sforzo di sviare il discorso aveva un tono biascicato e l’esplosione finale lo fece sembrare ancora più patetico, ma Kamya era determinata a non farsi distrarre.
-Non cambiare argomento, lo vedo che ti tremano le mani!-
-Sciocchezze, sono un medico: le mie mani sono ferme e sicure come la morte e le tasse!- sghignazzò spavaldo finché l’apprendista non gliele prese tra le proprie mettendolo davanti ai suoi inequivocabili brividi. La risata si spense poco per volta e il rosso ci provò un’ultima volta -Davvero… Non… Non è niente…-
Per lodevoli che fossero i suoi sforzi, il controllo gli sfuggì, i suoi occhi si posarono sull’espressione scettica della maga e Julian sentì le proprie difese venire annientate; improvvisamente stanco si sedette sul bordo del letto con i gomiti sulle ginocchia, la testa incassata tra le spalle e le mani che penzolavano nel vuoto. Aveva bisogno di prendere coraggio prima di confidarsi e svuotarsi i polmoni un’ultima volta sembrò la soluzione adatta a svuotargli anche la testa.
-Il fatto è che… Io… Tu… Tu credi nel perdono? Quanto brutte possono essere le azioni compiute prima di diventare imperdonabili?-
Kamya gli si sedette accanto e quando le loro spalle si toccarono, il medico, teso al pari di una molla, rischiò di balzare fino al soffitto.
-Non lo so, sono argomenti impegnativi da discutere… Credo nel perdono ma anche nel doverselo guadagnare, e soprattutto credo nel cambiamento che ne deve seguire. Chiedere di essere perdonati senza essere disposti a cambiare, è sono un’altra forma di manipolazione.-
-Hai le idee molto chiare a riguardo…-
Il silenzio calò tra di loro mentre Julian si richiudeva in se stesso. Kamya sapeva che avesse bisogno di riflettere con molta attenzione ma ogni momento che passava senza le sue sferzanti controbattute, sentiva crearsi un vuoto tra di loro, uno che non sapeva se sarebbe stata in grado di colmare. D’un tratto, lui riprese la parola.
-Vorrei solo sapere. È l’ignoranza a tenermi sveglio la notte.-
L’apprendista lo studiò con attenzione: la sua postura, la tensione dei suoi nervi, la supplica nella sua voce… Il Julian che conosceva era scomparso, rimpiazzato da una versione di se stesso riflessiva e impaurita.
A voler essere onesti, anche lei aveva il suo personale demone col quale aveva ingaggiato una sua personale lotta: reprimere il bruciante desiderio di conoscere le proprie origini era stata una sfida che se persa le avrebbe tolto il sonno, la ragione, forse anche la salute, tutto pur di ritrovare quel pezzo dei suoi ricordi che le mancava… Era per questo che aveva dovuto resisterle a ogni costo, ma sulla via della conoscenza, Julian non era rinunciatario o vigliacco come lei… Magari era un cammino che erano destinati a percorrere assieme.
-Siamo molto più simili sotto questo punto di vista di quanto immagini- ammise lei infine.
-Tu, insicura e con sensi di colpa? Non me la dai a bere!-
-Invece penso che ti stupiresti, non è che hai l’esclusiva o che so io!- lo punzecchiò con un colpetto della spalla che il medico ricambiò ben volentieri. Si scambiarono il primo sorriso dopo tanta inquietudine e, passato qualche altro lungo minuto di pace, Kamya decise che fosse giunto il momento buono per cedere alla curiosità -Dicevi, allora? Come avresti fatto accidentalmente a rapire un’elefantessa incinta?! Non è che uno lo faccia per sbaglio!-
Il volto di Julian risplendette di nuova luce. Le cinse le spalle con un braccio, si schiarì la gola e cominciò a raccontare; narrando di audaci avventure e affascinanti ladri, gesticolando con la mano libera e perdendosi nei ricordi, i suoi muscoli si distesero e la sua espressione tornò ad essere provocante; l’abisso che li aveva divisi sembrava essersi ridotto a una pozzanghera, ma non appena l’alba stiracchiò i suoi raggi, inondando la casa di una pallida luce rosata, l’apprendista si lasciò avvincere ancora dal sonno, e Julian le bisbigliò un ambiguo messaggio mentre la distendeva di nuovo a letto.
-Mi dispiace, Kamya… Ma è meglio così…-


Quando si risvegliò, a tenerle compagnia non c’erano nient’altro che lenzuola stropicciate, unico segno che Julian le avesse dormito accanto; allungò le dita per sentirne la temperatura, ma le trovò fredde e freddo diventò il suo sangue all’energico saluto di Élan.
-Buongiorno, principessa!- Kamya si girò sussultando e la trovò con una gallina paffuta tra le braccia che chiocciava ad ogni carezza -Dormito bene?-
-Dov’è… Dove sono gli altri?- biascicò, sperando di aver nascosto bene il “dov’è Julian?” col quale aveva cominciato.
Élan si strinse nelle spalle.
-E chi lo sa! Mi sono svegliata col verso dei pennuti e ho pensato “ehi, galline!” così sono corsa a inseguirle per una buona dose di coccole. Di’, non è un amore?- la guardò compassionevole -L’ho chiamata Gina!-
-È sempre bello vederti andare d’accordo con le tue simili.-
L’apprendista si alzò, scostò la tenda e vide Death Mask e Julian varcare la soglia di casa; li accolse con un sorridente “buongiorno” ma il Cavaliere le rispose con un cenno distratto del mento e il medico la sbirciò a malapena. Non un successo, in parole povere.
-Vedo che la notte spesa in solitaria ti ha rimesso al mondo, peccato comunque che le tue battutine fiacche non facciano ridere nemmeno i polli!- replicò la fata.
-I polli forse no, ma con i piccioncini le risate si sprecano!-
Death Mask indicò la coppia dall’altra parte della stanza ma li trovò estranei al loro battibecco; nel piccolo, intimo, privato mondo che si stavano costruendo, entrambi erano alla frenetica ricerca di qualcosa: Julian, del fegato per parlarle di una questione spinosa, Kamya della sua incondizionata attenzione.
-Io…- tentennò il rosso.
Dobbiamo parlare” si ripeté mentalmente.
-Ecco...- al solito i suoi occhi saettavano e si soffermavano su qualsiasi particolare che non fosse il viso indagatore della ragazza.
Non è così difficile: dobbiamo parlare” deglutì.
-Noi…- aumentò il tono sperando che ciò aiutasse ma insieme alla sua voce si erano alzate anche delle aspettative nell’apprendista, le riusciva a leggere proprio lì, nell’attesa del suo viso -Dobbiamo… Assolutamente trovarvi qualcosa da mangiare e sbrigare delle commissioni per Mazelinka, ma non preoccupatevi, ho in mente anche altro per questa giornata!- corse a spalancare la porta d’ingresso e si protese in un deferente inchino.
Con una sorta di delusione sulle spalle, Kamya indossò la cintura, le scarpette e si avviò per prima, Élan le andò al seguito dopo aver lasciato planare Gina; Cancer invece, non mosse un muscolo: a braccia incrociate e con espressione severa, fissò il medico scuotendo la testa.
-Continua a menare il can per l’aia, Romeo, e finirà per morderti.-
Julian si raddrizzò in tutta fretta e schiacciato dal senso di colpa, confessò.
-Non ce la faccio, amico mio. Se si tratta di lei… Non riesco a controllarmi- un sospiro gli sfuggì dalle labbra ma non portò con sé le preoccupazioni -È una causa persa in partenza. Io sono una causa persa.-
-Risparmiati il melodramma, non sono mica io il generale di ferro a cui devi rifilare le tue patetiche giustificazioni- sulla base di quel rimprovero, il Cavaliere D’oro guadagnò l’uscita e le speranze infrante di Ilya circa il venire consolato.
Mentre si poneva alla guida del gruppetto per condurlo fuori dagli intricati sobborghi e verso la sua parte preferita della città, il rosso non riusciva a mettere un freno all’autocommiserazione. La sua parlantina sciolta l’aveva salvato da situazioni al limite del mortale, il suo carisma gli aveva fatto conquistare una certa reputazione, nonché la simpatia di molti, la sua ironia aveva risolto più guai di quelli provocati, ma quando Kamya era al centro della scena, tutto veniva a mancargli: il respiro, la razionalità, un battito del suo cuor di leone e ciò che lo rendeva tale.
Non serviva evitare di guardarla negli occhi o guardarla in generale, avrebbe potuto starle di fronte persino bendato ma finché aveva il suo spontaneo sorriso marchiato a fuoco nella mente, allora non ci sarebbe stato Arcano che gli avrebbe permesso di intavolare alcuna discussione. Pure questo contribuiva alla sua sofferenza: non doveva necessariamente parlare di tutto e subito, sarebbe bastato piantare il seme della faccenda ma non c’era riuscito comunque.
Fiducioso di essere contagiato dalla serenità di Élan, accorciò il passo per conversare con lei; ogni frivolezza che capitasse a tiro era perfetta per rallegrare i toni e la spensieratezza dei loro discorsi riuscì a sollevare il suo umore. Dietro di loro, invece, Death Mask e Kamya continuavano a fulminarsi l’un l’altro a intervalli regolari; quando i loro sguardi si incrociarono all’unisono, lei, che era così abituata a mantenere una pacatezza di facciata per i clienti ostici, sbottò tutto d’un colpo.
-Be’, che hai adesso?!-
-Io? Oh, niente di che- minimizzò l’uomo.
-Davvero? E allora perché mi fissi con tanto biasimo?-
-Biasimo? Io? Fidati, lentiggini- le diede qualche buffetto sulla spalla -Quando vedrai il mio sguardo di biasimo, lo riconoscerai. Al momento ti sto guardando con compassione perché, in tutta onestà, ti sei scelta l’idiota del villaggio.-
Il suo tono finto-pietoso-vero-condiscendente le fece ribollire il sangue nelle vene.
-Qui, l’unico vero idiota del villaggio che vedo sei…-
-Che lista della spesa sarebbe questa? Fremi-bacca sottaceto, carne abbrustolita di salamandra, verruca eloquente d’oca?!-
All’esplosione di stupore della fata, seguì un’esplosione di gente come si introdussero nel mercato secondario di Vesuvia; la strada era gremita e chiassosa, il viavai si disperdeva in mezzo a banchetti organizzati senza un preciso ordine: venditori di frutta e verdura erano affiancati a quelli di costumi esotici, esposti gomito a gomito c’erano libri, giocattoli, pentole e poco più distante un commerciante di gioielli pubblicizzava i suoi prodotti a gran voce.
-Che fine ha fatto la classica lista della spesa? Dove sono zucchero, latte, uova, un anti-tarme?! Quasi non riconosco le specie che hai elencato!- insistette Élan.
-Sono ingredienti per rimedi casalinghi, Mazelinka ci prepara la miglior zuppa energizzante che abbia mai assaggiato.-
Kamya raggiunse Julian e decifrò il resto dell’elenco che teneva tra le dita; sfortunatamente la sua calligrafia portava avanti la tradizione del pessimo stile dei dottori, ma riconobbe comunque gli ingredienti: ne avevano in gran quantità al negozio di magia ma non erano adatti a rimedi casarecci. Credeva nella buona fede del medico ma le venne lo stesso spontaneo aggrottare la fronte e indagare.
-Mazelinka pratica incantesimi, che tu sappia? Quest’elenco contiene un sacco di componenti magiche.-
-Sciocchezze, sono medicinali e molto efficaci aggiungerei- la sua espressione lasciava trasparire un leggero misto di diffidenza e offesa, come se l’idea che l’ex-piratessa fosse pratica di tale materia, lo mettesse a disagio -Non è magia: nessuno ha mai recitato insensatezze da un lussuoso ma losco tomo, non ci sono stati cerchi luminosi o strane rune…- il suo sorriso si tinse di sarcasmo -Nessuno ha sanguinato…-
Che Kamya fosse allibita era dire poco; Ilya si era costruito un’immagine non solo confusa della magia, ma anche ridicolmente complicata e se non l’avesse conosciuto abbastanza, avrebbe potuto affermare che…
-La magia ti infastidisce?-
A Julian cadde la mascella e si rese conto di aver straparlato. Docile come un agnellino, l’imbarazzo l’ebbe vinta sullo scherno.
-Io, eeehm, ovvio che no! È solo che non la capisco e mai l’ho fatto… Ma questi rimedi sono comprensibili. Li sminuzzi, li mescoli e funzionano, o forse no, allora provi qualcosa di diverso.-
-Potrebbe non essere lo stesso per tutti, ma per me la magia è così. Alcune cose funzionano, altre no, ma continui a provarci finché qualcosa non salta fuori. Si procede per tentativi.-
-Lo stesso vale per la tecnologia nel mio mondo. Il trucco è smanettare fino al successo, è così che ho sintonizzato il decoder di casa!- aggiunse Élan.
-Cos’è la “tecnologia”?- s’incuriosì Ilya.
-Diciamo scienza fin dove riesci a capirla, poi diventa un misto tra magia e fiducia- la risposta stringata di Death Mask non fece che sollevare altri interrogativi ma non fu questo a impressionare Julian.
Ne masticava parecchio di medicina, ma tutti loro conoscevano almeno un altro argomento in cui lui non era ferrato; ciò che sapeva, era soltanto che non sapesse e nemmeno quanto cruciale fosse la sua ignoranza, ma non era l’unico del gruppo… C’era qualcosa che Kamya aveva un’improcrastinabile urgenza di conoscere e nessun altro avrebbe svolto quel compito al posto suo.
-Siete davvero incredibili, ragazzi- si complimentò sincero col gruppo prima di afferrare Kamya per una mano -Per favore, andate a prendere da mangiare al banco di frutta, io…- gesticolò goffamente e si allontanò con la ragazza in mezzo alla strada; scansarono un’infinità di persone e una volta che furono lontani a sufficienza, le si pose di fronte e richiamò a sé tutto il coraggio di cui era capace -Ascolta, Kam, c’era una cosa che volevo dirti prima e…-
-Jules, vecchio segugio, sei davvero tu?! Non ti si vedeva in città da anni! Che fai qui?-
Il rifornitore di sanguisughe preferito da Julian lo riconobbe dall’altra parte della strada e la concentrazione duramente guadagnata, si disperse ancora.
-Tilde! È bello vederti. Come sta tua moglie? Ha ancora quelle emicranie?-
Il rosso si avvicinò alla bancarella dedicata e si perse in un chiacchiericcio di confidenze da parte del commerciante circa il trasferirsi a Prakra e iniziare lì un giro di affari; Kamya si ritrovò da sola ma non ci diede molto peso, non altrettanto a quello che diede alle parole di Julian: non si era creata delle false aspettative, c’era davvero qualcosa di cui le voleva parlare.
Un nodo le si formò in gola al pensiero dell’argomento in questione ma decise di non perdersi in fantasticherie e puntò, piuttosto, al banchetto di vestiario per acquistare dei veli con cui mascherarsi se avessero incrociato le guardie di Nadia.
Lì vicino Death Mask ed Élan stavano esaminando gli ortaggi esposti.
-Che ha Julian? Mi sembra più strano del solito oggi- Élan si portò al volto un agrume maturo e il profumo frizzante le solleticò tanto i sensi da farle chiudere le palpebre.
-Diciamo che ha delle questioni da risolvere con la fattucchiera.-
-Roba spinosa?-
Il Cavaliere vide la diretta interessata avvicinarsi a loro e per una volta scelse di essere discreto.
-Te ne parlerò quando saremo di nuovo da soli, ti anticipo che quel coglione sta per far scoppiare un gran casino.-
-Oh, ma sei offensivo!- molto tempo avevano trascorso assieme ma Élan ancora non riusciva ad abituarsi all’indole prepotente del guerriero, e anche se il suo rimprovero cadeva possibilmente nel vuoto, non poteva non farsi sentire.
-Fidati, non sono offensivo, sono oggettivo. Stavolta.-
-Sarà…- dissentì la giovane. Troppo impegnata a guardarlo storto, non si accorse del banchetto di mele allestito dietro di lei e, specialmente, non si accorse di come i tarli avessero consumato il paletto che lo reggeva. Fu sufficiente una piccola botta per spezzarlo e far rotolare una cascata di frutta in mezzo alla bolgia.
La maga provò a scattare verso di loro per aiutarli ma un ragazzino tutto stracci e toppe la schivò all’ultimo minuto inseguendo il suo cane, e lei mantenne l’equilibrio per un soffio; stette per riprendere la sua corsa ma una mela le scivolò sotto il piede e la mise in una situazione da cui solo l’eccellente prontezza di riflessi di una certa persona la salvò.
Un profumo di pelle e muschio avvolse Kamya mentre cozzava contro il robusto petto di Julian e un gemito del rosso accoglieva la loro caduta a terra; con la schiena dolorante e le braccia strette attorno a lei, ribaltò la loro posizione per da farle scudo contro la valanga della restante frutta. Tornata la calma, preoccuparsi fu in cima alla sua lista di impegni.
-Kamya, stai bene? Non ti ha colpito niente? Sei ferita?- ansioso come una mamma chioccia, raccolse l’apprendista da terra e le spazzò via la polvere di dosso.
-Tranquillo, sto bene- Kamya lo costrinse a porre un limite alla frenesia prendendogli le mani e accarezzandogli il dorso con i pollici -E tu, sei tutto intero?-
Il cuore di Julian rallentò e anche il suo sorriso si tinse di serenità.
-Mai stato meglio- commentò prima di guardarsi attorno e incupirsi -Anche se, a quanto pare, dovremo darci alle spese folli, oggi.-
Laddove le botte sulla sua schiena stavano già cominciando a guarire, le sue finanze non avevano ancora cominciato a soffrirne, ma presto l’avrebbero fatto a giudicare dal costo di un intero carretto di frutta; Élan corse da loro a sperticarsi in mille scuse ma Ilya era impegnato a frugare nel suo mantello. Scovò un sacchetto di iuta tintinnante e raggiunse il venditore frastornato.
-Accettate dobloni di Galbradine o dracme di Hjallen?- il trio lo fissò affascinato mentre porgeva all’uomo una pila di monete di valuta estera. Era incredibile che dentro un così anonimo borsellino ci fosse una piccola fortuna, ma il fruttivendolo non ebbe da lamentarsi dopo il lauto risarcimento; il rosso nascose di nuovo il suo denaro e si rivolse alla folla con grida euforiche -Frutta gratis! Frutta gratis per tutti! Venite a prenderne più che potete!-
-Ma solo fino ad esaurimento scorte!- aggiunse Cancer, prima che la gente si approfittasse anche dei prodotti non ripagati.
I più affamati si gettarono sul bottino e la strada venne ripulita in una manciata di secondi; sbrigate la commissioni per Mazelinka, e pagato un garzone per consegnare il tutto, Julian prese Kamya per mano e si allontanò dal resto della bolgia seguito da Death Mask ed Élan.
-Mi dispiace per ciò che è successo oggi, avrei dovuto avvertirvi che la strada può diventare turbolenta ma mi farò perdonare: la prossima tappa vi farà sicuramente uscire di testa!-
Il medico sentiva di dover rimediare al trambusto che i suoi nuovi amici avevano passato, ma nessuno ne avvertiva davvero la necessità, soprattutto la maga: maggiore era la conoscenza che faceva di Ilya, maggiore era l’affetto che nutriva per lui.
Non pensava che potesse avere tante frecce nella sua faretra ma dopo solo un’altra manciata di ore, aveva visto di persona che fosse generoso, riflessivo, inaspettatamente timido e protettivo. In un quadro simile la sua irriverenza e la sua sfacciataggine non avevano più il sapore stomachevole che l’avevano disgustata all’inizio, assomigliavano di più al pizzico di paprika che dà carattere a una pietanza.
Dopo una gradevole passeggiata, il quartetto si fermò davanti a un alto e sottile palazzo; era privo di finestre e segnato dalle intemperie ma i suoi affreschi di scene romantiche andavano oltre le crepe e i colori sbiaditi, rendendo ancora giustizia al vecchio stile. Julian si illuminò a vederlo.
-È ancora in piedi, ci speravo ma non ne ero sicuro- passata l’ombra di una architrave, li condusse attraverso una pesante porta in ferro e lungo una tortuosa scala interrata con qualche rada lanterna a illuminarne il cammino -Ci venivo spesso a suo tempo, era un luogo irresistibile: tanta atmosfera, soffitti alti e piccole nicchie private dove poter avere una conversazione privata. Fa proprio al caso nostro perché… Parlare…- così concentrato sui suoi passi non aveva modo di farsi distrarre dall’immagine di Kamya, il momento non poteva essere più propizio -È quello che dovremo fare…- arrivati in fondo alla scalinata, le lasciò andare la mano e le sue dita si aprirono a fatica, segno che l’aveva stretta almeno per una buona mezz’ora e che l’ansia lo stava divorando vivo.
Il locale attorno a loro non era molto meglio illuminato e uno sproposito di curiosità impolverate era ammassato un po’ ovunque: su un lato c’erano scampoli di stoffa dai temi stravaganti, lance tirate a lustro e piume rattrappite, sull’altro, la pallida imitazione di un trono, un baule carico di monete di stagno e una fila di maschere appese al muro. Dalla fine del corridoio, al di là di un pesante tendaggio sbiadito, proveniva un brusio e un filo di luce abbastanza forte da scintillare sull’armatura di Death Mask.
Julian si guardò attorno confuso; il posto doveva essere andato sotto una nuova gestione e adesso era diventato una qualche specie di emporio.
-Non è esattamente come me lo ricordavo… Era una casa da tè, ne servivano una variante affumicata che non sono stato più in grado di trovare…- il suo animo era rammaricato, aveva promesso qualcosa che non poteva offrire e, più di ogni altra cosa, non poteva godere della privacy che tanto gli sarebbe servita.
-È comunque molto accogliente- Kamya gli pose una mano sul braccio e lui le rivolse uno dei suoi stuzzicanti sorrisi prima di pizzicarle la guancia.
Élan e Death Mask si avviarono lungo l’unica strada disponibile, ma qualcosa che aveva attirato la curiosità del medico fece fermare sia lui che l’apprendista.
-Cos’abbiamo qui? Non è veramente una medica, no?- sopra a uno specchio maculato, nella parete piena di maschere, ce n’era una nera col becco lungo che richiamava a quella gettata nell’acquedotto. La raccolse con un gesto frenetico e ne studiò ogni dettaglio con grande interesse, rigirandosela tra le dita, picchiettandola e sbirciando attraverso i ritagli degli occhi -Riempivamo il becco con erbe, canfora, anche rose, quando ne avevamo.-
-Penso che questa sia solo da esposizione. Voglio dire, le maschere da medico non dovevano coprire interamente la faccia come… -
-Come faceva la mia?- la bocca di Julian diventò una linea dritta e le sue labbra si assottigliarono in una smorfia -Voglio solo che tu sappia quanto mi mortifichi sapere che hai dovuto assistere a quella scena…-
Il rimorso e l’imbarazzo erano evidenti ma Kamya scosse la testa e si strinse nelle spalle.
-Tutti abbiamo dei momenti di dramma ed esagerazione, a volte i sentimenti sfuggono al nostro controllo. Non ti giudicherò per questo.-
La mascella di Julian cadde e le sue palpebre si spalancarono in un’espressione di stupore.
-Chi sei? Che ne hai fatto della donna che mi ha quasi scacciato dal suo negozio a colpi di scopa?-
-Ecco, quella è una scenata per la quale dovresti imbarazzarti!- ridacchiò lei, venendo seguita a ruota da lui -Aggiungo anche che sarei pronta a rifarlo, se se ne presentasse l’occasione, ma la verità è che ho semplicemente deciso di provare a darti comprensione e fiducia. Ti prego, non deludermi- il silenzio tra di loro diventò pesante man mano che il medico si rendeva conto di quanto impegnativo fosse il dono che gli era stato concesso, e quanto terribilmente avrebbe disatteso le aspettative -Be’, che aspetti? Provala!-
Julian si ridestò in fretta e si mascherò rapidamente così da nascondere quell’ombra di ripugnanza di sé che minacciava di far scoprire i suoi pensieri.
-Devo dire che non profuma come le erbe che utilizzavamo. Come mi sta?- alzò bene il mento e si rimirò nello specchio studiando il risultato da varie angolazioni -Non sarò entrato nei libri di medicina, ma nel campo della moda ho lasciato il segno!-
L’apprendista lo esaminò a lungo e decise che l’aria che gli donava fosse indecifrabile: la fluida linea del becco gli divideva il volto a metà, tracciando un’ombra sulla mascella e terminando sopra una vena bluastra del collo; il fascino del misterioso sconosciuto c’era tutto, ma le dimensioni di quella protuberanza in effetti…
-Vuoi la mia opinione sincera o la mia opinione brutalmente sincera?- si arrischiò.
Julian si portò un pugno al cuore e una mano alla fronte rivolgendole un’espressione affranta.
-Non se rischierà di ledere la mia autostima!- piagnucolò con tono melodrammatico. La sua performance scucì il riverbero di una risata leggera a Kamya il che, per quanto poco fosse, era comunque un traguardo.
-Ti immagini che disastro provare a recitare con due di queste addosso?-
-Ah! Immagina che disastro provare a baciarsi con due di queste addosso!- il medico si morse la lingua consapevole del suo scivolone un momento troppo tardi per rimediare; sentì la testa fluttuargli nello stesso vuoto in cui erano sospesi il suo cuore e il giudizio della sua nuova amica ma il tono di Kamya rimase leggero e incurante quasi non lo avesse sentito. Furono le azioni che ne seguirono a parlare per lei…
-Della mia misura non ne vedo quindi non posso offrirti il brivido di questa esperienza, ma… Se ti andasse bene solo una maschera, magari…-
Quando gli si appoggiò alle spalle, si alzò sulle punte e si avvicinò al viso di Julian con gli occhi socchiusi, il medico sentì di nuovo la sua coscienza lanciata nell’etere.
La situazione correva troppo perché potesse rimettere assieme i pezzi ma il suo istinto lo guidò a meraviglia: lasciò scivolare le mani sui fianchi della ragazza, inclinò la testa e imitò i suoi movimenti andandole contro.
Letteralmente contro.
Con un colpo secco, Kamya si staccò da lui gemendo, le mani erano corse a premerle la guancia dove il becco l’aveva urtata poco sotto l’occhio.
-Mi dispiace! Ti sei fatta male?- si affrettò Julian a scusarsi, apprensivo tanto quanto lo era stato al mercato -Non avrei dovuto permettere che una cosa tanto sgradevole si mettesse tra di noi!- arrivò a dire, ma la maga, nonostante l’espressione di dolore, nascondeva l’ombra di un sorriso nello sguardo.
-Il rischio era calcolato, ma, dannazione, sono pessima in matematica!- con tutta la contabilità che c’era da gestire al negozio, era lampante che ci sapesse fare coi numeri, ma la battuta bastò a rasserenare il rosso -Forse, se togliessimo uno all’equazione…-
-Aspetta, vuoi dire che saresti disposta a riprovarci?- sussultò Ilya.
Sorridendogli, Kamya portò le dita sotto al suo becco e iniziò a sfilargli la maschera con estenuante lentezza; ogni centimetro di meno erano un’infinità di aspettative che si libravano in volo mentre il petto del ragazzo batteva furiosamente e mentre si domandava se sarebbe arrivato a fine giornata incolume.
Il taglio dei suoi occhi non era ancora stato liberato da quell’impiccio, che Élan giunse da loro di corsa e parlando in modo incomprensibilmente veloce.
-Scusatescusatescusatescusate, non voglio interrompere il vostro momento ma dobbiamo proprio andarcene! Julian!- la maga la fissò a bocca spalancata, combattuta su quanto essere contrariata dall’interruzione, Julian invece si fece rigido a sentire il proprio nome -Fidati, questa davvero non vorresti vederla.-
A buon intenditore, poche parole e al rosso non servì di più per riallacciarsi meglio la maschera e andare incontro al prossimo scandalo che reclamava le sue attenzioni; inseguito da Kamya e dalle proteste di Élan, notò che il locale oltre le tende, con i suoi boa di piume e le bottiglie di vetro abbandonate qui e lì, non era poi molto diverso dal corridoio. Le sole eccezioni erano la foresta di cavi che pioveva dal soffitto, la luce rossa che gettava ombre inquietanti tutto attorno e il lamento che si levava dal sipario di velluto aperto a filo. Death Mask lì accanto sbirciava la scena con aria schifata: chiunque stesse piagnucolando, infondeva nelle sue proteste un’esagerazione tale da smorzarne tutto il dramma.
Julian evitò i mucchietti di funi raccattati a terra, si accostò al Cavaliere e si portò un dito alle labbra rivolto alle ragazze. Quando tutti furono in grado di spiare la scena sul palco, l’avvertimento di Élan prese una forma, un nome e un caratterino viziato niente male: accasciato pietosamente su un letto mal tenuto, in vestaglia di raso scarlatto e con indosso una mezza maschera di porcellana rigata di mascara, un uomo biondo proseguiva il suo struggente monologo.
-Aspettare nelle mie stanze? Il giorno del MIO compleanno?! Cosa si aspettano che faccia qui tutta la sera? Che cammini avanti e indietro? Che implori il garzone per qualche avanzo? Se non posso disgustare gli altri facendolo, allora niente ha senso!-
Era il Conte Lucio.
Tale e quale ai ricordi di Ilya.
Oh, il medico avrebbe dovuto decisamente dare di matto! Il ritorno di Lucio dal mondo dei morti solo per lamentarsi di quanto miserabile fosse stata la sua vita era esattamente il genere di scenario che l’avrebbe fatto fuggire rapido come una lepre… Ma tra l’espressione insofferente del Cavaliere, le assurdità sputate dal Conte e la vasta folla che colmava la sala fin quasi al soffitto, Julian aveva intuito si trattasse di una rievocazione teatrale. In quella zona della città compiangere la dipartita di Lucio non era tanto in voga quanto sfotterlo.
Gli unici che non ne stavano traendo giovamento erano Death Mask e quel povero diavolo di attore, senz’altro notevole, ma a cui era toccata una parte alquanto avvilente.
All’ennesimo verso di scoraggiamento, Cancer prese a maledire sottovoce tutti gli eventi della sua vita che l’avevano trascinato fino a un così scadente spettacolo e Julian soffocò una risata.
-Cazzo ridi a fare? È un metaforico calcio nei coglioni!- gli bisbigliò rabbioso il Cavaliere.
-Esattamente come me lo ricordavo!- fu in grado di biascicare Ilya tra una risata e l’altra - Sono contento di vedere le arti fiorire! Dev’essere cominciato un rinascimento da quando me ne sono andato- ma proprio come il Conte Lucio, nemmeno il divertimento di Julian era destinato ad avere vita lunga; se il riparo del tendone lo faceva sentire al sicuro, la metabolizzazione della parola “compleanno” lo gettò in pasto a una terribile consapevolezza -Un momento… Ma se questa è la notte in cui è morto allora…-
Tutto ciò che poteva accadere in una frazione di secondo, accadde.
In un nuvola di polvere un sacco di sabbia piombò in mezzo al gruppo, dividendone i membri con un sobbalzo, una corda cui il medico si era avvicinato gli si strinse alla caviglia e lo sollevò in aria; le sue urla vennero soffocate dalle fragorose risate del pubblico, ignaro che pochi metri sopra la sua testa e quella del Lucio fittizio, si trovasse il Julian autentico.
Con la maschera che stava cominciando a sfilarsi dal suo viso poco per volta, Ilya non aveva il tempo per restare a contorcersi come un verme all’amo: doveva fare qualcosa. Si piegò verso il piede libero e lavorando con le dita nello spazio tra la gamba e lo stivale, riuscì a recuperare il suo coltello; il sangue si stava accumulando in punti strani del corpo, la testa gli girava ma la vecchia lama segò abbastanza in fretta la corda e il medico precipitò nel grembo setoso della sua ben nota vittima.
Al ritrovarsi il medico in braccio, “Lucio” scattò a sedere e lo accolse calorosamente.
-Dottor Devorak! Eccola qui per curare la mia noia!-
La platea esplose in un boato di risate e applausi mentre Julian deglutiva a fatica.
Élan, risvegliatasi per prima dalla trance in cui l’aveva gettata la scia degli eventi, si voltò dalla parte opposta con la faccia nascosta tra le mani.
-Oddio, non ce la possa fare…- mormorò più in imbarazzo dello stesso rosso.
-Vedi di farcela, invece, è un supplizio per tutti!- fu l’ordine del Cavaliere.
-Io vado a tirarlo via da lì!- Kamya tentò di accorrere in aiuto ma un braccio di Death Mask le impedì di proseguire.
-Ferma! Guardalo bene: è mascherato, nessuno ha capito si tratti del vero Julian. Se intervieni adesso, scatenerai il panico.-
-Quindi che devo fare? Lasciarlo in pasto alla folla?!- la maga fece un nuovo tentativo ma senza successo.
-Purtroppo è un impiccio dal quale si deve cavare da solo.-
Non ci volle molto a Julian prima che capisse di dover raccogliere la sfida; raddrizzò la maschera, balzò in piedi per torreggiare sul disgraziato governante, e scoppiò in una risata roca.
-Buonasera, mio povero paziente! L’orologio rintocca tredici volte per te stanotte!- quando tirò indietro un guanto e lo lasciò andare con uno schiocco, il finto Lucio si accasciò con un sospiro -Sono giunto a porre fine alle tue sofferenze! Goditi quel respiro, perché sarà l’ultimo!-
-Cosa farai? Mi stritolerai tra le tue cosce?- domandò il conte, tremante come un foglia.
-Per la centesima volta, no!-
Stavolta toccò a Death Mask soffrire per l’imbarazzo di seconda mano; si lasciò cadere le braccia sui fianchi sperando di essere inghiottito dal pavimento, mentre Kamya, ipnotizzata dall’assurdità della discussione, non trattenne una risata abbastanza rumorosa da essere udita dal medico. Era un suono così incantevole che Julian perse la concentrazione.
Una cuscinata del conte lo riportò alla realtà e allora iniziò una baruffa in cui volarono piume e finti ceffoni da tutte le parti; il pubblico era deliziato ma dopo qualche tirata reciproca di capelli, Lucio si sfilò da sotto le gambe del suo opponente, estrasse una spada ondeggiante da dietro la testata del letto e assunse una posizione da combattimento.
-Dammi un vero scontro, da uomo a uomo! Vedremo chi sarà l’ultimo a ridere!-
Senza un accessorio di scena, Julian non poteva portare avanti per molto quella pantomima e, probabilmente, un aiuto dal retroscena se lo sarebbe meritato; Cancer si guardò attorno e individuò nella penombra una botte infilzata da spade di stagno, ne sfilò una e si precipitò oltre il sipario. A vederlo, Julian riprese parola.
-Se è un combattimento quello che vuoi, un combattimento è…-
Un sonoro strappo attirò l’attenzione di tutti verso il Cavaliere D’oro che non solo aveva trascurato i calcoli relativi all’ingombro della sua armatura, ma si era anche incastrato con uno spallaccio nel sipario; il velluto si squarciò fino all’asta cui era attaccato, poi prese a fare resistenza finché il Cavaliere non si sbilanciò tanto da cadere di schiena ma sempre con la spada ben alzata per il prode dottore.
In perfetta sincronia, Julian balzò a recuperare l’arma ed Élan corse a trascinare Death Mask nel dietro le quinte; la fortuna che Lucio si fosse distratto e l’oro sul velluto sbrindellato scivolasse a meraviglia, gioco a favore di tutti.
-Dicevo… Ehm, se è un combattimento quello che vuoi, è un combattimento quello che avrai! En garde!- gonfiò il petto il medico.
Il clangore delle spade risuonò fino ai soppalchi e l’audience andò in delirio; non si riusciva più a distinguere l’improvvisazione dall’imprevisto, ma godersi il divertimento portato dall'estemporaneità, era diventato legge. Intanto, da qualche nel teatro, un Julian posticcio, il regista e lo sceneggiatore, stavano imprecando in lingue che neanche conoscevano per il lavoro andato in fumo.
Assieme agli spettatori anche Élan e Kamya si stavano piegando dalle risate e ciò non poté sfuggire al rosso che, tra un fendente e l’altro, non aveva mai assistito a uno scenario così soave: accasciata contro la fata, Kamya stava ridendo tanto da avere gli occhi lucidi, le guance avvampate e da tenersi la pancia per lo sforzo. E quasi tutto per merito suo.
Lo spettacolo che lui le aveva offerto l’aveva fatta impazzire dal divertimento, ma la visione che lei gli stava donando avrebbe potuto fare molto di più: se solo Julian avesse concesso ad entrambi di stare l’uno a fianco dell’altra, il sorriso dell’apprendista avrebbe potuto fargli superare i suoi vecchi traumi, guarire il suo cuore spezzato, distruggere i frammenti di dubbio che avvelenavano la parte più profonda e intima del suo essere… Ma non poteva.
Quelle stesse schegge di ansia che di fronte a ogni cosa bella gli suggerivano che non se la meritasse, lo stavano convincendo anche adesso: accanto a lui le risate sarebbero diventate lacrime, la gioia risentimento e quella raggiante espressione si sarebbe spenta… D’altronde non era forse vero che non fosse capace d’altro che portare sofferenza a coloro che gli mostravano affetto? Non era un irresponsabile, un fuggiasco e un codardo? Stargli accanto aveva un costo troppo alto da pagare e Kamya… La sua adorata… Non si meritava forse qualcuno che non fosse un buono a nulla?
Julian assestò un fendente più deciso degli altri, la spada di Lucio gli sfuggì di mano e lui collassò sul letto con uno stivale del medico piantato nello stomaco.
-Non male! Potrei darti l’opportunità di sceglierti le tue ultime parole, ma fallo con attenzione, Lucio- nel tono del rosso c’era la triste rivalsa di chi sapeva che nonostante la verosimiglianza, rimanesse comunque tutto un gioco.
-Siamo amici, no? Cos’è che vuoi, dottore? Soldi? Ricchezza? Sai che sono generoso e che mi sei sempre piaciuto! Prendi ciò che vuoi, quello che è mio è tuo!- la supplica dell’attore era penosa e il suo respiro corto, nel fondo dei suoi occhi aveva la preoccupazione di chi non era certo si stesse ancora recitando.
-Potrebbe stupirti ma alcuni non uccidono per avidità!- Julian puntò la spada alla gola del conte che d’istinto inclinò la testa -Alcuni di noi uccidono per rimediare all’errore di non averlo già fatto prima!-
Come si erano incrociate le loro lame, altrettanto stavano facendo adesso i loro sguardi, quel nodo di rabbia nel cuore di Ilya iniziò a sciogliersi e la sua spada a calare; poggiò la punta sopra il cuore di Lucio e dopo una convulsione e un gorgoglio, l’attore si afflosciò.
La commedia terminava lì.
Nel silenzio della sala si sarebbe potuto sentir cadere uno spillo, nessuno rideva o osava emettere un suono ma appena il primo accenno di applauso si fu insinuato timidamente, venne seguito da una cascata. Il teatro stava venendo giù, fischi di approvazione e complimenti volavano verso il medico ma lui non aveva attenzioni che per la sua Kamya: nel blu del nuovo faretto, oltre il sipario ridotto a stracci, riusciva a distinguere chiaramente la sua apprensione e il suo coinvolgimento, specie quando delle guardie si radunarono dall’altra parte del palco.
-Che farò adesso? Non potrò rimanere impunito, dovrò pagare…- la gente aveva ripreso a bisbigliare elogi verso quella rivelazione d’attore, ma l’apprendista sapeva che ciò non fosse una battuta teatrale quanto una supplica di chi, nel dubbio di aver compiuto o meno un gesto efferato, implorava lo stesso una condanna.
-Guardie, impiccatelo!- urlò un finto capo dell’esercito.
-Ma magari non oggi!- sputò Julian quando il capannello di soldati fece il proprio ingresso.
Il medico lanciò a casaccio la sua spada e si avvolse nel mantello con un gesto drammatico prima di affrettarsi al suo gruppo.
-Avevi ragione, Élan. Ce ne saremmo dovuti andare- si voltò amaramente a sorriderle prima di togliersi la maschera e lanciarla su un sacco ancora indisturbato.
Afferrò la sua bella per mano e si lanciò in una rocambolesca fuga attraverso il corridoio carico di oggetti di scena, seguito dal più provvidenziale cavaliere del teatro e dalla sua fidata assistente. Non si fermarono finché non ebbero raggiunto la cima delle scale e, una volta fuori, si accasciarono ognuno in modi diversi, chi contro il muro, chi sulle proprie ginocchia e chi addirittura seduto per terra.
A colmare il silenzio c’era soltanto l’aria che usciva in sbuffi affannosi e tutti i confusi pensieri che nessuno si sentiva di condividere; il primo a farlo fu la star della serata.
-Che esperienza, mi sento con un piede ancora sul palco- a guardarlo aveva un’espressione stranita come se non avesse del tutto ripreso contatto col mondo reale -Ma sono contento che nessuno abbia notato fossi veramente io.-
-Li hai davvero stesi- gli sorrise Élan e Julian ricambiò con un inchino -Who-hoo! Vogliamo il bis!-
La fata prese ad applaudire e il medico cercò di ricordarsi almeno una o due battute quando il volto di Kamya entrò nel suo campo visivo; le sue guance erano arrossate per la fuga e il respiro corto per la scalata nel buio, ma ciò che fece capire a Julian di non poter cazzeggiare oltre, era la sua espressione pensierosa.
Per quel poco che ne sapeva e quel tanto che aveva visto, l’apprendista aveva cominciato a macinare delle teorie che continuavano a vorticarle nella mente, soprattutto da che l’aveva visto improvvisare: Ilya aveva giurato di non ricordare di aver ucciso Lucio e anche sul palco aveva accennato al rimediare all’occasione mancata se gliene si fosse presentata una seconda. Con le tempistiche teatrali da rispettare e così poco tempo per mentire, era davvero possibile che avesse messo a nudo la verità? Quando il diretto interessato la prese per le mani, la raccolse da terra e le parlò con tono desolato ma sincero, il quesito si perse nel nulla.
-Niente di tutto quello che avevo programmato oggi è andato come speravo, ma permettimi di riprovarci e farmi perdonare: vorrei andare al Corvo Chiassoso per mangiare un boccone. Se fossi così gentile da unirti a me, offrirei io.-
-Evvai, cibo gratis!- esultò Élan, ma il medico la corresse.
-Veramente vorrei avere un momento da solo con Kamya e portarla a fare un giro per i moli dopo cena.-
-Oh, d’accordo, allora noi si torna da Mazelinka- la fata indicò la strada dietro di loro rendendosi conto solo dopo di non sapere quale imboccare.
-Certo, come no, un monolocale da dividere in cinque! Molto invitante!- Death Mask suonava più burbero del solito dopo la figuraccia a teatro, ma aveva tirato fuori un valido argomento.
-A quello posso porre rimedio io- Kamya si allontanò lungo il vicolo ma si fermò per rispondere all’offerta del rosso -E, Julian, la tua proposta sembra deliziosa: sia cena che passeggiata, le apprezzerei.-
Il ragazzo non nascose un sospiro trasognante sentendola fare il suo nome con tanta cortesia ma il comportamento di Kamya alla fine della stradina, lo lasciò perplesso: camminava su e giù, batteva i palmi tra di loro e parlottava sbuffando di tanto in tanto. A un certo punto si bloccò, sollevò la testa e una bolla si gonfiò dalle sue labbra appena soffiò con più forza. Raccolse la sua creazione tra i palmi e continuò a muovere la bocca finché un pesciolino con iridescenze blu e viola si fu formato del tutto; solo allora si staccò dalla sfera e tornò dai suoi amici. Consegnò la magia ad Élan, che la fissava incantata come una bambina, e li istruì sul suo uso.
-Questo pesciolino contiene un messaggio per la Contessa di Vesuvia ed esploderà in presenza di lei soltanto. Dovete solo fare attenzione a non farlo cadere o rotolare via, d’accordo?-
-La terrò d’occhio io- rassicurò Death Mask.
-Se Nadia saprà che siete dei miei amici vi farà di certo rimanere al castello per il tempo che vi serve e il problema dello spazio sarà risolto. Per arrivarci vi basterà seguire la direzione in cui nuota il pesce, se sbaglierete strada ve lo farà sapere.-
-Al farvi entrare e presentare, posso pensarci io.-
Julian strappò uno di quegli stramaledetti manifesti da ricercato ed estrasse una piuma incantata dalla tasca; checché se ne dicesse, o ne pensasse lui personalmente sulla magia, quella penna che non finiva mai l’inchiostro era davvero funzionale. Chissà che reazione avrebbe avuto se avesse saputo che nel mondo di Élan o Death Mask si chiamavano “biro” ed erano disponibili anche con inchiostro al profumo di lamponi e more!
Stilò il suo messaggio con una calligrafia indecifrabile e richiamò Malak con un fischio; gli indicò a chi consegnare il foglio arrotolato, glielo affidò e lo lasciò librarsi in volo. Con tutte le dovute questioni sistemate e con i necessari saluti fatti, le coppie si separarono: Julian e Kamya verso il Corvo Chiassoso, nonché verso una difficile conversazione, Death ed Élan verso il Castello di Vesuvia e un ancor più surreale nottata.


Death Mask ricordava perfettamente la strada per la loro nuova sistemazione ma Élan si affidò quasi del tutto alla creatura della maga, ogni tanto imboccando apposta una strada alternativa solo per il divertimento di vederla rigirarsi su se stessa e guizzare nella direzione corretta. Giunsero alla meta durante l’ora d’oro, quando il sole non stava ancora tramontando ma era già abbastanza basso da immergere la città nei suoi caldi raggi dorati, incluso il palazzo; la fata alzò lo sguardo solo quando il Cavaliere le diede un colpetto col gomito, ma a quel punto gli occhi le si riempirono di meraviglia e il pesciolino passò in secondo piano.
-Hai mai visto una reggia più stupefacente di questa?- non si era sentita così incantata dal suo arrivo al Grande Tempio e ora stava rivivendo tutte quelle emozioni come se fosse la prima volta in vita sua.
-Ogni giorno quando torno a casa- scrollò le spalle lui.
Era scontato che non sarebbe rimasto colpito, ma tutto il sarcasmo del creato non avrebbe potuto smorzare il momento, né scenografia o descrizione eguagliarlo: il castello era stato ricavato da blocchi di alabastro immacolato e la sua architettura barocca, con le luccicanti guglie dorate e le cinta di mura dalle forme morbide, era arricchita da longilinee ma solide torri che svettavano verso il cielo, l’una più alta della precedente; alla base di quella centrale spiccava un rosone con un cuore carminio su uno sfondo di petali rosati e turchesi, probabilmente le stanze private di Nadia. A incorniciare il tutto vi erano un rigoglioso parco alle spalle della struttura e due limpide cascate laterali che si gettavano nel fossato.
Élan sentì Death Mask toglierle la bolla di Kamya dalle mani e lo prese come un permesso al lasciarsi andare; corse al cancello d’argento scuro e infilò il viso tra le sbarre. I suoi occhi brillanti si posarono su ogni dettaglio visibile a quella distanza, su ogni balcone e su ogni finestra illuminata ma vennero catturati sul ponte quando una macchia di capelli rossi ondeggianti si avvicinò di corsa; li raggiunse con un fiatone da record, segno che si fosse precipitata lì da molto lontano, ma riuscì lo stesso ad accoglierli come si conveniva.
-Buonasera! Mi avevano avvisata che sareste arrivati! Voi dovete essere uhm…- Portia srotolò la lettera di Julian e si sforzò di decifrare la sua calligrafia più accuratamente; aveva capito di dover accogliere qualcuno, ma non i loro nomi -I nuovi amici di Kamya! Io sono Portia. Prego, da questa parte.-
La fata si allontanò per permettere a una coppia di guardie di aprire i cancelli con fare solenne, poi lanciò a Cancer l’espressione di chi stava per mettere piede dentro una favola; lui le sorrise condiscendente e le fece gesto di incamminarsi alzando il mento.
Nel condurli attraverso i corridoi, Portia li istruì sulla figura della Contessa, sui nomi dei cortigiani, sui loro ruoli e sul comportamento da tenere in loro presenza, anche se quando arrivarono al salotto trovarono Nadia intenta a fare altrettanto con Valerius.
-Ve lo ripeto per l’ultima volta: non potete, anzi, non dovete umiliare i miei ospiti versandogli addosso del vino. È uno spreco del lavoro dei contadini, della benevolenza dei miei invitati ma, soprattutto, della mia tolleranza.-
-Cara Contessa, vi assicuro che si è trattato soltanto di uno sgradevole incidente.-
-Vi avverto, Console: ogni scusa che avanzate è un insulto alla mia intelligenza. Vi suggerisco di riconsiderare il vostro approccio.-
La falsità nel tono dell’uomo si era percepita anche da oltre la porta chiusa e tanto era bastato per far salire l’acido di stomaco collettivo, ma Nadia non era semplice da abbindolare, e per fortuna sarebbe stato da aggiungere! Ogni qualvolta che doveva avere a che fare con Valerius, Portia era costretta a ingoiare il suo rospo quotidiano, ma vedendoselo risparmiato per quella sera, tirò un sospiro di sollievo, sorrise trionfante e bussò alla porta.
Ricevuto il permesso, fece accomodare i nuovi arrivati.
All’interno c’era la cerchia più fidata di Nadia al gran completo: Volta, Vlastomil, Vulgora, Valdemar e l’irreprensibile Valerius; oltre alla solita degustazione di una caraffa di vino, si stavano dedicando a un gioco simile alla dama ma la reazione di Volta alla vista di Death Mask, decretò la fine della partita. Considerata la sua maniacale ossessione per il cibo, era marginale che fosse un bell’uomo, che avesse un carattere virile o una voce imponente, tanto più che non l’aveva ancora sentito pronunciare mezza parola, ma non era in alcun modo trascurabile la sua appetitosa, baluginante armatura-carapace, specie se notata la somiglianza con quella che Volta teneva nella propria villa, nascosta in mezzo ai tesori cui mostrare venerazione.
Incurante della sua forza e a discapito della piccola statura, la foga del suo scattare in piedi gettò il tavolo in avanti e tutte le pedine a terra, rendendo inconclusa e inconcludente la partita.
Tutti i cortigiani la incenerirono con gli occhi, soprattutto Vulgora, ma presto la loro attenzione venne catturata da altro: trovandosi in presenza di Nadia, il pesce di Kamya si era messo a fremere ed era esploso in una marea di scintille, riempiendo la stanza con la voce della maga.
-Egregia Contessa, questi sono i miei nuovi amici: il Cavaliere D’oro Death Mask e la sua compagna Élan. Non c’è una lunga conoscenza ad accomunarci, ma posso garantire sulla loro affidabilità. Non hanno un posto dove stare quindi vorrei, col vostro permesso, avanzare la proposta di ospitarli al castello; se ciò non fosse possibile, chiederei a Portia di indicare loro la strada più veloce per il mio negozio e mi scuserei per la mia mancanza di rispetto. Vi ringrazio per la vostra eventuale disponibilità e vi auguro una gradevole serata.-
Cessato il messaggio, l’armonia tornò tra i cortigiani e Nadia rise sommessamente: anche a chissà quale distanza, l’apprendista eccelleva nel deliziarli con un sistema di comunicazione tanto affascinante, ma non riusciva comunque ad abbandonare quel tono rigido. Magari i suoi nuovi invitati avrebbero adottato un atteggiamento diverso.
-Naturalmente vi ospiterò, gli amici di Kamya sono anche i miei- il sorriso di Nadia era accogliente e caloroso come quello di una vera diplomatica.
-Non saprei esprimere la nostra gratitudine, Vostra Altezza- nella mente di Élan si erano marchiate a fuoco le parole “Contessa di Vesuvia e Principessa di Prakra” perciò optare per un inchino le parve il minimo.
-Potreste iniziare rilassandovi e chiamandomi “Nadia”.-
-Ehilà, Noddy!- esultò Death Mask, per il puro gusto di strafare.
Lo sgomento fu generale: mentre i cortigiani si perdevano in commenti, il calice di vino che Nadia teneva in mano le scivolò dalle dita, si infranse in mille pezzi e andò a macchiare un tappeto nuovo. Se Valerius fosse stato un uomo diverso avrebbe colto l’occasione per metterla in ridicolo alla luce delle recenti prediche. Buon per lui che fosse abbastanza furbo da sapere di doversi mordersi la lingua…
-Ma sei scemo?! Non puoi chiamarla così, è una principessa!- protestò Élan.
-Ha detto di rilassarci!-
-Appunto, rilassarci, non allargarti troppo, non sei a casa tua!-
-Disse quella che aveva mostrato zero rispetto per un Cavaliere D’oro!-
L’allusione al loro primo incontro scatenò un litigio tanto animato che Vulgora li incitò a passare alle mani, Portia si mise tra loro per tentare inutilmente di calmare gli spiriti e Valerius cominciò a borbottare su quanto la buona reputazione del palazzo sarebbe colata a picco se si fosse continuato ad accettare soggetti di quella levatura tra gli ospiti; alle sue critiche si unì Vlastomil che non apprezzava le pessime maniere di nessuno dei due, e Volta che cercava di placare Vulgora affinché non succedesse niente di male al suo nuovo amico “granchietto”.
Valdemar era l’unica a non partecipare: preferiva starsene in disparte fissando la scena con un ghigno deliziato.
La stanza si era riempita di un’assordante cacofonia ma Nadia si era isolata nelle sue riflessioni: quel sorriso, quell’atteggiamento, persino quel modo di parlare e i suoi occhi… Ma soprattutto quel dannato soprannome! Lui era stato l’unico che l’avesse chiamata “Noddy” a suo tempo, e ora il Cavaliere aveva fatto la stessa identica cosa in maniera del tutto spontanea.
Le teorie e i timori vorticavano, prendevano il volo a una velocità spaventosa e per quanto confortante fosse il pensiero che si trattasse di tutta una grande coincidenza, la principessa sapeva molto bene che il caso non esistesse. Bastò un rapido scatto nell’alzarsi in piedi a convergere tutte le attenzioni dei presenti verso di lei e a far calare un silenzio di tomba. Le prime parole che lo spezzarono, furono per i cortigiani.
-Vogliate scusarmi, signori, ma sembra che il dovere mi chiami. Portia, conduci Élan alla stanza di fronte a quella di Kamya, e voi, Cavaliere…- si rivolse a Death Mask con sguardo vitreo -Vogliate farmi la cortesia di seguirmi.-
Nadia scortò il trio fuori dal salotto e si avviò lungo la strada per le stanze degli ospiti; l’andatura spedita del suo passo trasudava la sicurezza di chi sapeva in che modo agire, ma il tremolio dei suoi pugni rischiava di tradirla. Élan, di quando in quando, si voltava verso Death Mask per mormorargli un piccato “te l’avevo detto” ma non riceveva altro che gesti di noncuranza in risposta.
Giunsero all’ala designata in pochi minuti e la contessa imboccò la scalinata per le stanze di Lucio; Mercedes e Melchior, beati nella loro pennichella pomeridiana, sollevarono a malapena un orecchio nel sentirla passare, ma sollevarono il muso increduli alla vista di Cancer. L’uomo ebbe un momento di esitazione alla loro sorpresa, ma continuò a seguire Nadia quando lei lo fissò con un’espressione tutt’altro che amichevole.


Élan non aveva potuto seguirli direttamente, ma aveva capito stesse accadendo molto più di quanto la logica potesse spiegare: di qualunque argomento avessero avuto intenzione di discutere, doveva esserci anche lei.
Accompagnò Portia per un altro paio di metri, girato l’angolo sfruttò tutta la furtività che le riusciva e ritornò svelta sui suoi passi per seguire quelli della principessa.
All’inizio del corridoio che precedeva la camera di Lucio, venne investita dalla stessa sensazione che aveva oppresso Kamya, ma più che il disagio poté la brama di sapere: sapere cosa fosse accaduto a quell’area del castello, perché Nadia avesse scelto un tugurio simile per una chiacchierata e cosa avesse suscitato in lei una reazione tanto imperscrutabile.
Quei pochi raggi di sole che riuscivano a farsi strada attraverso l’opacità dei vetri sporchi furono più che sufficienti a guidarla e, anche se fuori dalla porta le voci suonavano attutite, le bastò socchiuderla per cogliere il fondamentale.
-Ditemi, Cavaliere- lo incalzò la contessa -Voi non siete di queste parti, dico bene?-
-Io e la piccoletta? Assolutamente no.-
-Ma dico bene quando affermo che siete nato nel nord. Il clima doveva essere di difficile gestione da quelle parti.-
-Difficile sì, ma nord no. Era il sud.-
I tentativi di Nadia nel mantenere ferma la voce e bassi i toni erano encomiabili, ma ad ogni evasiva risposta di Death Mask, la convinzione veniva sempre meno.
-La vostra famiglia si trova ancora lì?-
-Mai conosciuta.-
-Non ne avete nemmeno qualche ricordo?-
-Tutti rimossi…-
Più che di una conversazione, si sarebbe potuto parlare di un interrogatorio, o uno scambio di battute che rasentavano il monosillabico; l’illuminazione era scarsa anche in quel caso, ma pure osservando così poco e da così lontano, Élan poté benissimo scorgere la reciproca diffidenza e le posture rigide: Death Mask con le braccia conserte e Nadia con le dita intrecciate strette tra di loro.
Con passo felpato la donna prese a girare attorno all’uomo per soppesarne l’apparenza; le sue gonne raccoglievano tutta la polvere che trovavano sul pavimento ma la sporcizia era irrilevante rispetto al raggiungimento del suo obbiettivo.
-Trovate l’arredo di vostro gradimento?- domandò sciogliendo le dita per indicare ciò che stava loro attorno.
Death Mask studiò i suppellettili e non trovò una sola lancia da spezzare a loro favore: nessun mobile era stato spolverato negli ultimi tre anni, lo stile era antiquato e, anche se non poteva saperlo, l’uomo carbonizzato lì dentro non era mai stato rimosso; non che il forte odore della morte lo disturbasse, ma l’aria era talmente carica di cenere che ogni colpo di tosse trattenuto, gli costava uno sforzo. I dipinti del biondino, poi, erano pacchiani e in sovrannumero…
Non avrebbe voluto mentire così spudoratamente, ma l’ultima volta che aveva espresso il suo parere senza fronzoli, aveva provocato un disastro… Forse era il caso di puntare sull’approccio che Aphrodite avrebbe definito “fake it ‘till you make it”, “fingi finché non lo ottieni”.
-Come no! Tutto molto incantevole! Magari con una passata di aspirapolvere…- strusciò un dito sulla superficie più vicina e ne rimase sopra un tale quantitativo di grigio che più che un gattino di polvere, gli sarebbe venuto da definirlo un gatto così vecchio che l’indomani sarebbe andato a ritirare la pensione -Qualche cuscino colorato… Ma soprattutto punterei sui dipinti di guerra del tizio ossigenato, quelli sì che danno un tocco di classe!- esclamò in un eccesso di veemenza.
Nadia poteva definirsi molte cose, ma non una sciocca, e dall’alto del suo fine orecchio musicale aveva colto ogni nota di ironia; poteva trattarsi di una verità non pura, una teoria fantasiosa o un abbaglio, ma troppi erano gli ingranaggi che stavano combaciando e l’aggiunta di un’altra molla avrebbe reso lo scatto del meccanismo distante solo un ticchettio.
-Vedo che li apprezzate, ma mi trovo a non condividere i vostri medesimi gusti artistici- con un gesto rapido ma aggraziato, afferrò il candelabro dello scrittoio e girandone il collo, sbloccò un incastro che lo divise in due parti: i bracci per le candele in una mano, e la base da cui ora spuntava una corta lama nell’altra. Si accostò al quadro più vicino e ce la pose sopra -D’altro canto, mi trovo nel mio palazzo: se volessi sfregiare questo ritratto, per esempio, voi non potreste avere nulla da ridire in proposito…-
-No, non farlo! È uno dei miei preferiti, Noddy!- la pregò fintamente lui serrando le distanze. Con uno guizzo del polso, Nadia puntò la lama alla gola di Death Mask, fermandolo a meno di un braccio di distanza -Vedo che non ami i soprannomi… E nemmeno i miei dipinti preferiti…- la punzecchiò lui sorpreso, ma non intimidito.
La tensione si sarebbe potuta tagliare proprio come l’uomo che le era di fronte, e per l’ansia che lo stava caricando, il cuore della contessa impazzì di battiti. Amava i giochi di logica e le sfide mentali, ma altrettanto amava non perderli e proprio in quel momento si sentiva con un piede sul baratro della sconfitta.
-Ma insomma, voi chi diavolo siete?- sibilò.
Élan non ci vide più. Aveva retto la pressione man mano che saliva, ma era diventata troppa: spalancò la porta con una spallata e corse a mettersi tra i due.
-Contessa, fermatevi! Che state facendo?!-
Nadia, per evitare di ferirla, piegò il gomito ma mantenne la sua posizione d’attacco.
-Solo mio marito usava chiamarmi in quel modo e il vostro “cavaliere” me lo ricorda fin troppo: stesso sguardo, stesso modo di parlare, anche lui veniva dal sud e non godeva di ottimi rapporti con la propria famiglia. Cosa dovrebbe farmi pensare che non siano la stessa persona?-
Ad Élan bastò sollevare lo sguardo per esaminare il conte di cui non si faceva altro che vociferare: Lucio e Death Mask avevano entrambi gli occhi chiari, era vero, l’oro era parte condivisa del loro look, ma c’era un’altra caratteristica che li avvicinava e li divideva allo stesso tempo.
-M-ma sono coetanei! In quel dipinto è rappresentato un uomo piuttosto giovane. Se non è un ritratto vecchio, come avrebbe potuto essersi reincarnato in una persona della sua stessa età?- la logica era ferrea, ma Nadia non si sentiva del tutto persuasa -Ci sarebbe un’altra cosa, ma non so se sarebbe credibile ai vostri occhi…-
-Fate un tentativo.-
-Quando Death dice che non siamo di queste parti, non intende dire che non siamo di questa città: noi non siamo proprio di questa dimensione!- la lama si abbassò ancora -Veniamo da un posto chiamato “Grande Tempio” e non è a nord, sud, sotto, sopra, o raggiungibile con una carrozza: ci si arriva solo attraverso un portale che pochi sanno aprire. Credo in molte cose ma non sono certa che reincarnarsi nel corpo di un coetaneo, per giunta di un’altra dimensione, sia possibile…- la difesa era inattaccabile e Nadia venne disarmata con gran delicatezza mentre Élan tentava di sfilarle via il portacandele -Per cui, che ne dite di seppellire l’ascia di guerra e consegnarmi il… Candelabro? Però, che bella arma!-
La contessa rinfoderò la spada, fece scattare il meccanismo e risistemò l’oggetto al suo posto sulla scrivania.
-Mio marito negli ultimi mesi della sua vita era convinto che qualcosa di terribile lo stesso perseguitando. Era diventato paranoico per cui aveva fatto disseminare molte armi nascoste nel castello. Armi come questa.-
-Inquietante. Fico ma inquietante…- asserì la fata.
-Eccoti! Temevo ti fossi volatilizzata!- Portia fece capolino all’ingresso di nuovo col fiatone; aveva cercato Élan in lungo e largo e alla fine l’aveva trovata proprio con il suo cavaliere, esattamente come le aveva suggerito l'istinto… Peccato avesse finito per trovare anche un’atmosfera piuttosto pesante -Ehm, va tutto bene?-
-Alla grande! Noddy ci stava parlando del suo matrimonio basato su reciproco amore e fiducia!- se ne uscì Death Mask visto che i loro rapporti non sarebbero potuti comunque peggiorare.
La contessa gli rivolse un’ultima espressione di biasimo e si avviò verso l’uscita.
-Ti chiedo scusa per aver interrotto il tuo lavoro, Portia. Procedi pure. Vi attenderò a cena, siate puntuali- si raccomandò con i suoi ospiti prima di varcare la soglia assieme alla sua cameriera.
Trascorso il tempo necessario a non sentirne più i passi, Élan tirò una gomitata sul braccio di Cancer abbastanza forte da assicurargli almeno un piccolo livido.
-Datti una controllata, capo! Ci stanno facendo un gran favore!-
-Eeeeh! Come la fai lunga! È una donna adulta: saprà reggere un piccolo botta e risposta!-
-Be’, quella donna adulta ci sta trattando con i guanti di velluto, quindi vedi di rigare dritto prima che ti ci faccia rigare io! E un’altra cosa: i ponti vorrei usarli per farci le ferie, non per viverci sotto!-
Mentre le proteste della fata si perdevano nel corridoio, Death Mask scosse la testa con una risata: era tanto carina quando metteva la sua sagacia al servizio della sua rabbia, lo faceva sentire come se non fosse davvero nei guai.
Nel momento in cui s’incamminò per raggiungere le due ragazze, un brivido lungo la schiena lo bloccò sul posto; nonostante l’aria fosse diventata bollente d’improvviso, un’immagine ai bordi della sua mente gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene. La persistente sensazione di essere spiato lo portò a voltarsi di scatto ma nessuno nella stanza si era mosso se non i brandelli delle tende agitate dal vento. Sarebbe stato pronto a giurare ci fosse qualcosa dietro a una delle colonne del letto e soprattutto sarebbe stato pronto a indagare più a fondo ma un altro richiamo di Élan scombinò le sue priorità.
-Death Mask! Muovi ‘sto granitico culo prima che faccia notte!-
Non era certo di quale mistero si stesse celando ai suoi occhi, ma promise a se stesso e al conto in sospeso di non lasciarlo tale troppo a lungo.


Portia conosceva a menadito ogni angolo del castello, ogni stanza, ogni ripostiglio o cantuccio, persino i passaggi segreti non nascondevano sorprese per lei; era proprio questa conoscenza a donarle l’imparzialità con cui affermare che la stanza dedicata a Death Mask ed Élan fosse una delle più belle dell’intero palazzo. Specie a quell’ora della giornata, non perdeva occasione per metterci piede dentro e bearsi di uno stupore che stavolta impressionò persino il Cavaliere D’oro.
La porta si spalancava alla destra di un maestoso letto con baldacchino di seta indaco, sulla parete opposta i bordi di un ampio specchio erano sommersi da una cascata di cristalli scintillanti, ma nessuno dei due era il pezzo forte: dal balcone si poteva godere del miglior panorama che la città avesse da offrire e, soprattutto, del tramonto che si stagliava all’orizzonte. Questo magnifico scenario era stato ricreato sulle porte del terrazzo cosicché, quando il sole cominciava a tuffarsi tra le onde marine, la sua luce investiva le tessere di vetro e immergeva la stanza in un tripudio di vivaci colori; di quella stessa luce godevano anche le costellazioni argentate sulle pareti blu notte e sulla volta del soffitto. Il resto del mobilio erano un semplice armadio e uno scrittoio entrambi d’avorio con angoli e giunture argentati.
Élan non perse tempo e corse a gettarsi sulle lenzuola più soffici che avesse mai provato, mentre Cancer se ne stava con le braccia larghe in segno di trionfo e col naso all’aria per trovare il proprio gruppo di stelle; compiuta la missione indicò le ragazze con un gesto elettrizzato ed esultò a gran voce.
-Questo sì che si chiama salire di categoria!-
-Lenzuola soffici, lenzuola soffici, lenzuola soffici…- mormorò la fata con la faccia affondata in un cuscino bordato di frange.
-Verrò a chiamarvi per la cena, dovrebbe venire servita tra poco. Mettetevi a vostro agio ma, vi supplico, non offendete altri membri dell’alta nobiltà di Vesuvia- lasciati con una malferma raccomandazione e seguita nel corridoio da altre esclamazioni di gioia, Portia si beò della loro reazione come se fosse stata lei ad arredare e dipingere la stanza, ma specialmente si rasserenò all’idea che quelli fossero i nuovi amici di suo fratello.
Intanto, l’entusiasmo per la nuova sistemazione aveva rasserenato i toni tra Death Mask ed Élan.
-Finalmente un letto confortevole- sospirò lei respirando a fondo il profumo del raso fresco.
-Abbiamo la nostra privacy- aggiunse l’uomo con tono allusivo.
-Niente faccende di casa…-
-L’ho già detto che abbiamo la nostra privacy? E tempo prima di cena…- le si avvicinò predatorio ma a vederla scostare il baldacchino dal fondo del letto, gli tornò in mente quello stracciato nella camera del conte.
Realizzò in un lampo che non c’era tendaggio o arredo fastoso che potesse seppellire le orribili sensazioni che l’avevano seguito dalla stanza di Lucio, né colore che gli facesse dimenticare il grigio spento della cenere… Quello che era davvero in suo potere, era sentire il loro alito bollente sul collo, un invito a tornare per dedicare loro la sua incondizionata attenzione.
-Mi stai dicendo che vuoi testare le molle?- Élan si girò sulla pancia e, reggendosi coi gomiti, si prese il mento in una mano e con l’altra accarezzò languida il materasso. Vedendo il suo compagno distratto, aumentò la posta in gioco accarezzando il labbro inferiore col mignolo e stringendo il seno tra le braccia per farlo apparire più abbondante: con quella posa da “ho un gran bel paio di tette” non poteva resisterle.
Eppure lo fece.
-Sì, sì, magari un’altra volta…- la liquidò Cancer, scartando verso la porta e praticamente sbattendosela alle spalle.
Dire che la giovane rimase spiazzata, fu un eufemismo. Si raddrizzò e tentò di analizzare la situazione per vedere cosa le fosse sfuggito: Death Mask era forte, giovane, con la libido di un toro, in tre giorni le era saltato addosso in ogni luogo e in ogni lago, l’aveva tentata tutte le sere e non aveva perso occasione per metterle le mani addosso!
L’unica cosa a fermarlo, oltre ai loro vestiti, era stata quell’occhio di falco di Mazelinka, che Élan aveva mentalmente rinominato “KGB levati”; per carità, era stato piacevole sbrigare faccende casalinghe che non comportassero rischi o pericoli, si era divertita a veder scorrere la vita della parte bucolica e rilassata della città ma il suo ritornello faceva rima con quello di Death Mask e avrebbe ceduto più volte di quante non gliene fossero state proposte… Ma allora perché adesso che l’unico impiccio era la tempistica, lui girava i tacchi per andarsene? Cos’è che lo stava distraendo tanto?
Nemmeno il diretto interessato poteva darle risposta, ma sembrava che un compiaciuto duo di cani fosse giunto per portarlo dove ne avrebbe trovate. Il Cavaliere se li ritrovò di fronte uscito dalla camera: appena lo videro, Mercedes si raddrizzò sulle zampe, gli saltò al petto e prese ad annusargli il mento, Melchior gli trotterellò attorno scodinzolando come un matto e con la lingua penzoloni.
-Okay, okay, grazie per l’entusiasmo!- Death Mask gettò le mani in aria e la testa all’indietro per evitare le coccole umidicce.
Non se ne intendeva molto di animali ma era strano che dei levrieri mai visti prima lo accogliessero con lo stesso affetto di un padrone che non vedevano da tempo… Ancor più strano era che tutta quella confidenza venisse proprio dai due esemplari famosi per la loro diffidenza. Ma la cosa più strana di tutte furono le testatine che Melchior prese a dargli alle gambe quando la sorella si incamminò per il corridoio.
L’uomo gettò uno sguardo interrogativo al cane ma la scontata risposta fu un abbaio e altre capocciate; tentò di placarlo con qualche carezza, magari quello che voleva erano solo delle coccole, ma la sua mano venne abilmente schivata. Dopo un lungo, silenzioso scambio di sguardi, fece qualche passo nella direzione seguita da Mercedes e Melchior lo seguì prontamente. Ci riprovò un altro paio di volte e lo scenario fu lo stesso; se seguiva la direzione intrapresa dalla levriera, filava tutto liscio, ma se osava anche solo tentare di seguire la via opposta, il fratello lo placcava e protestava sonoramente.
A Death Mask bastò poco per realizzare che se avesse indossato stoffa piuttosto che un’armatura, l’avrebbero trascinato fino a destinazione, e che la sua unica scelta era accontentarli.
Si voltò indietro a guardare la porta della sua nuova camera e tirò uno sbuffo colmo di rimpianti: era troppo tardi per tornare da Campanellino e sbattersela contro la superficie più solida della stanza come aveva anelato dal loro primo incontro, vero?
Mentre si decideva una volta per tutte a soddisfare i morbidi levrieri, afferrò che, purtroppo per lui, era tardi anche per seguire il suo buon senso ma d’altro canto, era in gioco, quindi gli conveniva giocare…










N.d.A
Ogni volta è una sfida trovare il giusto mezzo tra lo stile di NixHydra (senza cadere nella copia parola per parola) e lo stile che si addice più a me, ma ogni capitolo che metto su carta diventa sempre più facile. La trama sta cominciando a infittirsi e per il prossimo capitolo prometto un bel po’ di brividi. Stay tuned!

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Capitolo 5
*** 5 - Confrontation ***


5 - Confrontation



Il saggio impara molte cose dai suoi nemici (Cit. Aristotele)



Per essere la stanza in cui si era consumato un incendio, la camera di Lucio non ne aveva davvero l’aspetto. Senza nessuno a mettergli fretta o distrarlo, Death Mask l’aveva visto con maggiore chiarezza: il legno dei mobili non si era carbonizzato, i vetri delle finestre non si erano opacizzati e i muri non erano striati di fuliggine né trasudavano il puzzo rancido che appestava anche le case dei semplici fumatori.
Aveva creduto di essere soffocato dalla cenere quando Nadia gli aveva fatto il quarto grado, ma si era trattato e continuava a trattarsi di semplice polvere: tutto ne era ricoperto, ma al di sotto di essa i mobili erano intonsi, e purtroppo non era l’unica bizzarria.
A dispetto dello stato di abbandono e della mancanza di sole diretto, non c’era odore di muffa né di umidità, un caldo torrido rendeva ogni respiro soffocante, annebbiava i sensi e si appiccicava alla pelle fino a farla sudare. Era come se il fantasma dell’incendio perseguitasse a consumare quelle pareti e ciò non faceva che aggiungere domande ad altre domande, ma era inutile supporre la storia di quel disastro quando avrebbe potuto confrontarsi col diretto interessato. Dopotutto, gli stava di fronte. Esattamente davanti a lui.
Quando aveva deciso di affidarsi al suo sesto senso da Cavaliere, unico che gli fosse rimasto a non poter essere intorpidito o confuso, ecco che lo aveva tradito svolgendo in modo egregio il suo compito; aveva espanso i confini della sua mente oltre le percezioni procurate dai cinque sensi, ascoltato le vibrazioni vitali provenienti non solo dalle altre stanze del castello, ma dagli altri piani dell’esistenza stessa e quando aveva percepito un’increspatura nella tombale calma che lo circondava, aveva riaperto gli occhi in un’allerta carica di angoscia.
A mezzo metro dal guerriero, ora stava una sagoma ricurva, con fattezze a tratti umanoidi e a tratti caprine, dai lampeggianti occhi scarlatti e privo del braccio sinistro.
-Presumo voi siate il famigerato Conte Lucio…- mormorò Cancer con voce ferma ma gola secca per l’agitazione.
Ci sarebbe stato molto di più di ciò che avrebbe voluto dirgli e chiedergli, ma lo sguardo del suo interlocutore gli suscitava un’ingiustificabile quanto viscerale paura che credeva di aver seppellito quasi vent’anni fa assieme alla sua prima vittima: erano gli occhi di Lucio e la malignità che ne traspariva ad avergli solleticato i bordi della mente quando aveva tentato di andarsene, era la primordialità del suo male a bloccare la sua lingua altrimenti tagliente e i suoi muscoli scattanti… Non la trasparenza della sua figura o la malizia della sua reputazione, ma l’imperscrutabilità di una cattiveria che nasceva e si lasciava guidare da null’altro che un caotico capriccio e che, peggio di tutto, sembrava capace anche di scrutare nei meandri più reconditi della sua anima.
La situazione poté solo peggiorare quando Lucio stiracchiò un ghigno fin dove gli permetteva il suo muso animalesco, e in un verso distorto, parlò.

-Io so invece che tu sei il Cavaliere D’oro del Cancro.-

Ridacchiò con un mezzo belato. Death Mask non trovò provocazioni o insulti per rimbeccarlo, fu solo in grado di fissarlo disgustato mentre il moncherino del braccio si alzava e un calore ustionante si irradiava all’altezza della spalla dove sembrava essersi posata la mano mancante del fantasma.

-Con un titolo del genere, io e te diventeremo senz’altro… Ottimi… amici!-

Più che un proposito, sembrava una minaccia e ancora una volta le parole a Death Mask vennero meno; impietrito dal terrore, scosso dalla testa ai piedi da un brivido gelido, supplicava dentro di sé per qualunque diversivo che lo avesse potuto smuovere, che lo avesse portato a combattere un nemico altresì inerme di fronte alla sua forza ma nessuno sapeva si trovasse lì, il tempo che avrebbero impiegato prima di venirlo a cercare era inquantificabile così come il tempo che avrebbe resistito lui senza lasciarsi scivolare nella pazzia. Poi, deus ex machina.
-Buoni, raga, buoni! Vengo in pace!-
I versi di Mercedes e Melchior si unirono alle rassicurazioni di Élan e mai il silenzio fu riempito in maniera altrettanto rincuorante e chiassosa.
Death Mask si girò in direzione della porta e di nuovo dove stava Lucio, ma il Conte era sparito; di nuovo in possesso delle sue facoltà fisiche, marciò fuori dalla camera e s'imbatté in uno scenario bislacco: i due mastini, a pelo ritto e denti scoperti, tenevano a debita distanza la fata che, per cercare di placarli, stava imitando la posa di Chris Pratt in “Jurassic World” e il tono tipico di un presentatore italiano che il Cavaliere riconobbe.
-Boniiii, shhh! State boniii!-
-Che fai?!- sbottò, non in vena delle solite buffonate.
-Sto cercando di calmarmi imitando Maurizio Costanzo, magari sono dei fan di “Buona domenica”!-
L’uomo roteò gli occhi, la afferrò per un polso e la trascinò via per il corridoio, là dove la luce del castello diradava le tenebre a sufficienza da non farlo sentire minacciato… Ma la questione era tutt’altro che alle sue spalle.
-Cos’è successo?- indagò Élan, incespicando nei suoi stessi passi.
-Nulla- tagliò corto lui con la bocca arida e la pelle puntinata dai brividi, ma la ragazza non si accontentò: si liberò dalla sua presa malferma, lo afferrò per le spalle dove l’armatura le lasciava spazio e lo costrinse a darle le dovute attenzioni. Anche quando lui rivolse gli occhi a setacciare il fondo ora vuoto del corridoio, non si diede per vinta.
-Non me la dai a bere: ti è cambiata la voce e parli a monosillabi, sudi freddo, ti tremano le mani, non riesci nemmeno a reggere il mio sguardo, sei chiaramente in stato di shock!- non le serviva molto per capire quando il suo compagno fosse turbato e dopo una rapida analisi era riuscita a scorgere in lui persino un’angoscia inedita.
Death Mask emise un verso di stizza, arricciò le labbra in un’espressione tiratissima e, come sempre quando non sapeva che strategia adoperare, la sbeffeggiò.
-E quindi che vorresti farmi fare? Sdraiare e sollevare i piedi in alto?-
-Oh no, non funzionerebbero con te. Pensavo a un tipo di approccio più… Personalizzato.-
Senza concedergli il tempo di chiederle quale fosse, Élan raccolse tutte le forze che aveva in corpo, lo spinse contro la balaustra, ci salì sopra con le ginocchia e si poggiò labbra contro labbra al Cavaliere. Gli strinse le braccia al torace per darsi ulteriore sostegno e rendergli impossibile la fuga, ma dopo un primo momento di sorpresa, Cancer le sospirò sul viso, le prese le guance tra le mani e cominciò a lasciare che i muscoli si distendessero uno per volta.
I suoi pensieri galopparono rapidi via dalla stanza infestata e a contemplare la gratitudine che provava verso la brillante, tenace creatura: non aveva speso che una manciata di secondi nella trance indotta da Lucio, troppi pochi perché potesse essere rimasto del tutto solo nel suo tragitto, il che significava che Élan lo avesse seguito quasi subito. Solo lei avrebbe potuto salvarlo da quella situazione, solo lei sarebbe stata temeraria da sfidare due mastini incazzati e risoluta quanto bastava per capire come rimettergli la testa sulle spalle e fargliela riperdere allo stesso tempo. Lei e nessun altro.
Quando lo sentì ricambiare il bacio, Élan cominciò a chiudere e aprire le labbra per dare un ritmo alla loro effusione finché non le sfuggì un gemito trasognante; prima che potesse scappargliene un altro, poggiò la sua fronte al casco di Death Mask e riprese fiato.
-Dubiti ancora dei miei metodi persuasivi?- gli sussurrò vittoriosa.
L’uomo rise ma in un modo talmente passionale e caloroso, che la giovane si morse un angolo della bocca.
-Non dubito dei tuoi metodi perversi… Ma questo già si sapeva…-
-Ho avuto un buon maestro!- replicò prima di addentargli con delicatezza il labbro inferiore incurvato in un sorriso stuzzicante.
I loro sguardi si persero l’uno dentro l’altro mentre si fissavano oltre le ciglia, fin quando una voce impacciata e piena di imbarazzo, impedì loro di proseguire.
-Scu-scusate?- era Portia. Venuta a cercarli dopo non averli trovati in camera, li aveva sentiti tubare in cima alle scale. Non era suo uso e costume intromettersi, ma viste le circostanze non aveva potuto farne a meno -Sto… Interrompendo qualcosa, vero?- Death Mask ed Élan risposero in contemporanea con un incurante “no” e uno sdegnato “sì!”, ma la rossa continuò -Ecco, mi dispiace ma la cena è pronta, i cortigiani si sono già accomodati a tavola e la Contessa Nadia dovrebbe raggiungervi tra pochi minuti. Sono venuta apposta per accompagnarvi.-
Impossibilitati a rifiutare l’invito, il duo venne scortato nello stesso salone in cui Nadia aveva spiegato a Kamya l’incarico che intendeva affidarle, e lì vi trovarono effettivamente il bizzarro gruppetto di nobili che avevano conosciuto nella sala del tè: da un lato si erano accomodati, a distanza di un posto, Valerius e Vlastomil, dall’altro, con la stessa disposizione, Volta e Vulgora; uno dei capi del tavolo era lasciato libero per la Contessa, l’altro era occupato da Valdemar.
Come li videro varcare la soglia, Volta prese ad agitarsi sulla sedia e Valdemar si girò con un sogghigno inquietante. Per l’occasione si era tolta la mascherina e i suoi denti aguzzi luccicarono sotto la luce dei lampadari; altrettanto valore non lo guadagnava il suo incarnato oliva.
Dopo tanto vagabondare e dopo tanti angoscianti incontri, Death Mask ed Élan avevano fatto il callo alle personalità eccentriche, i cortigiani non li impressionavano dunque, ed entrambi si sarebbero potuti persino prospettare l’idea di una cena gradevole se non fosse per stato per un dipinto in particolare: il banchetto di Lucio circondato da commensali animaleschi. Quello dove lui era un caprone bianco.
Non appena il Cavaliere lo vide, si bloccò sulla porta, i pugni serrati lungo i fianchi, la mandibola contratta e una paralisi muscolare che non gli lasciava scampo; la sua nemesi caprina l’aveva preceduto fin lì sulla tela e per quanto si ripetesse che fosse una coincidenza, una sbafata di olio su stoffa grezza e che la bestia stesse guardando dritta davanti a sé, Death Mask avrebbe giurato di aver scorto un guizzo sotto i suoi occhi infuocati, un guizzo che l’avrebbe seguito in ogni angolo della sala e per tutta la nottata fin dentro ai suoi incubi più nefasti.
Vedendolo assente ma non in modo pacifico, Élan gli si accostò, provò a intuire cosa lo tormentasse e alla fine se ne uscì con una strategica bugia.
-Mmmm, hai ragione, Death!- lo richiamò -Se ti sedessi accanto al Console e al Pretore rischieresti di dargli l’armatura in testa: mettiti accanto alla Procuratrice e al Pontefice, dovremmo stare tutti comodi così!-
Volta accolse la proposta con entusiasmo; Vulgora, al contrario, lanciò alla fata una serie di sfide a combatterlo per provare sulle sua ossa la sua forza smisurata. Tutto fumo e niente arrosto, i suoi scatti di collera vennero ignorati. Il Cavaliere D’oro annuì una sola volta, riservò alla compagna un’espressione di muta ma profonda gratitudine e prese il posto che gli era stato suggerito: l’incriminato pezzo d’arte stava ora alle sue spalle e magari poteva sentirsi una preda puntata dal falco, ma col passare della cena confidava se ne sarebbe dimenticato.
Élan, ora tra Valerius e Vlastomil, sfoggiò tutta la buona educazione che le avevano impartito i suoi genitori: adottò una postura scomoda ma elegante, stese il tovagliolo sulle gambe e appoggiò i palmi sul bordo della tavola in attesa dell’arrivo della padrona di casa, ma non impressionò comunque il console.
Valerius nutriva sentimenti contrastanti per gli ultimi arrivati al castello. Death Mask aveva un’armatura di tutto rispetto a sottolineare l’importanza del suo altisonante grado, ma non era capace a dimostrarne, di rispetto, e le sue buone maniere ricordavo quelle di un vaccaro piuttosto che di un uomo dell’esercito; Élan, d’altra parte, era encomiabile nei suoi sforzi di apparire all’altezza della situazione, ma anche un’insignificante popolana: nondimeno, erano elementi troppo scarni per dare un giudizio accurato e se voleva palesare il suo astio, doveva conoscere le loro intenzioni e raccogliere maggiori evidenze della loro inappropriatezza.
-Potrei chiedervi che cosa vi abbia spinti a visitare Vesuvia in questo periodo dell’anno?- fece un cenno ai servitori dall’altra parte della stanza affinché servissero da bere a tutti i commensali; arrivati al suo calice, poggiò la punta delle dita sul collo della bottiglia in modo da colmare il suo bicchiere -Immagino siate stati informati della notizia della Mascherata, anche se non pensavo una novità del genere potesse aver viaggiato tanto in fretta oltre i confini della città. Suppongo sia merito della fattucchiera e dei suoi trucchetti magici…-
Trascurando il papabile disprezzo e il tono piccato, Élan si accese e sorrise raggiante a Death Mask.
-Un ballo in maschera! Ho sempre sognato di partecipare a uno! Quando sarà? Death, dobbiamo restare assolutamente!-
Il console riuscì a mormorare a stento un “qualche settimana” che la voce del Cavaliere lo coprì.
-Ragazzina, non credo ci fermeremo tanto a lungo!-
-Potremmo farlo, se le indagini di Kamya si prolungassero e avesse bisogno del nostro supporto- gli fece notare nella speranza di persuaderlo.
Valerius si sforzò di inserirsi nel discorso, chiedendo come stesse procedendo la missione della strega, solo per venire ignorato.
-Anche se fosse, dove li troviamo dei costumi?!-
-Li facciamo con le tende in pieno stile “Via col vento”!-
-Ti sembro Rossella O’Hara, per caso?!-
-Signori, vi prego!- tuonò il Console per attirare l’attenzione: ne aveva avuto abbastanza dei loro toni assordanti, dei modi sgarbati e soprattutto del fatto che gli parlassero sopra per portare avanti uno sconclusionato battibecco. Il volgare suggerimento di Élan di travestirsi con la tappezzeria, seppur raffinata, era stata la goccia che aveva fatto traboccare la già modesta misura del cortigiano -Non siete costretti a prendere parte alla celebrazione se questo dovesse andare contro i vostri impegni. Nel caso, poi, aveste problemi con l’abbigliamento adeguato, sono certo che potrete sfruttare la simpatia che la Contessa nutre per la strega e farvi procurare il necessario. Anche se penso non vi saranno necessari vista la vostra colorata personalità!-
All’ultima affermazione accompagnò uno scatto del polso che rovesciò il bicchiere di Élan, schizzò il centrotavola di bacche e fece colare una buona dose di vino addosso ai piatti della fata e sulla sua divisa. La ragazza scattò in piedi fissando orripilata il “battesimo” e allargando le braccia tanto da far volare via il cappello del pretore. Vlastomil si affrettò a raccogliere il copricapo, Valdemar gongolò entusiasta del caos, Volta si mordicchiò le dita per la fame e Vulgora procedette a staccare le bacche dalla decorazione sporca. Il fatto che, in segreto, lo facesse con la stessa delizia con cui avrebbe strappato gli occhi ai propri avversari, non dimostrava proprio niente.
-Che sbadato! Non posso credere mi sia successo un’altra volta! Le mie sentite scuse- si giustificò tiepido il Console.
-Un’altra volta?!- sbottò Élan senza moderarsi.
-Sono mortificato…- le blande difese di Valerius non potevano suonare più false di quanto già non fossero, ma per sua sfortuna, la giovane tante cose era ma non una repressa.
-Ah no, caro il mio ragioniere! Questa non te la faccio passare liscia, non quando ho un granchio di quasi due metri che freme per menare le mani! Vai, Death Mask, scelgo te!- nell’aspettativa generale, Élan si voltò a indicare Cancer solo per trovarlo concentrato a dividersi il mucchietto di bacche in resina assieme a Vulgora.
L’uomo alzò la testa con aria spaesata.
-Che?- fece saettare gli occhi per la sala e si accorse di essere circondato da una serie di sguardi eccitati, tranne quello di Élan che lo stava fulminando.
-Che. Stai. Facendo?!- ringhiò la domanda scandendo ogni parola.
-Vuoi che mi sporchi le mani perché tu vuoi pestare lui, ma lui non vuole pestare te? Preferisco mettermi comodo! Piazzo delle scommesse col mio amico qui, come si chiama…- preso sottobraccio, Vulgora precisò il suo nome corrugando le sopracciglia -Vulgora! Mi godo lo spettacolo, insomma! Se ti può far piacere, entrambi puntiamo su di te: sei mingherlina ma tosta, i pronostici sono a tuo favore!-
-Cos’è accaduto in mia assenza?!-
Tutti i presenti scattarono in piedi per accogliere l’arrivo della sconvolta Nadia che ogni cosa si aspettava di trovare, meno che un’atmosfera di indisciplina, lite e sregolatezza -Scommesse a tavola? Altri arredi rovinati dal vino, e voi, Valerius! Credevo di essermi espressa molto con chiarezza quando vi avevo ordinato di non umiliare i miei personali ospiti ma…-
-Aspettate, aspettate!- la interruppe Élan: sapeva che il loro arrivo a palazzo avesse portato scompiglio, il rapporto tra Death Mask e Nadia, basato sul sospetto, era con ogni probabilità irrecuperabile, ma forse lei era in tempo per salvare le apparenze del Console, convincerlo della sua buona fede e ridurre l’agitazione della donna -Non è stata colpa del Console Valerius, volevo versarmi da bere ma mi è scivolata la bottiglia di mano. Sono tristemente nota per essere maldestra, ahah!-
Nadia la squadrò con aria severa: il vino le era colato sulla stola blu, su parte delle gambe e aveva proseguito la sua corsa fino alle caviglie; anche la parte bassa del ventre ne aveva accolto una buona dose, asciugandosi sulla pelle della divisa dove ora giaceva una macchia rossastra.
-È la verità?- si rivolse al Cavaliere D’oro con voce glaciale.
Cancer annuì due volte senza pronunciarsi e la Contessa decise che si sarebbe accontentata della loro versione per non protrarre oltre la scenata; alcuni camerieri sostituirono rapidi le stoviglie di Élan, altri sciamarono nella sala spingendo vassoi carichi di piatti fumanti, salsiere traboccanti di sughi speziati e piccoli cesti in cui i panini aromatizzati erano stati affettati e disposti in maniera artistica. Portia scostò e riaccompagnò al tavolo la sedia della principessa per aiutarla a sedersi, e la donna ci tenne a precisare che non avrebbe accettato il piazzamento di scommesse alla sua tavola, soprattutto se la valuta includeva le decorazioni del centrotavola. A far sparire l’evidenza del misfatto, fu Volta che, con un veloce movimento delle scarne manine, si riempì la bocca di perline colorate e le masticò rumorosamente.
-Quelle…- deglutì con disgusto Death Mask -Erano bacche… Di resina…-
La donnina si fermò per un momento prima di riprendere a sgranocchiarle rapida e mandarle giù senza sforzo.
-Erano così appetitose, tutte colorate e trasparenti, sembravano caramelle!- gli sorrise con i suoi occhioni stanchi e pieni di rughe.
Il Cavaliere ci rifletté e da oltre la tavola bisbigliò ad Élan.
-Questa qui è troppo forte, la dobbiamo portare a qualche ristorante all you can eat del Grande Tempio: li facciamo andare in bancarotta!- scherzò, pregustandosi la disperazione dei ristoratori… Almeno finché non si ritrovò a dover sedare l’emozione della procuratrice.
-Oh! Nessuno mi aveva mai invitata a cena! È un invito a cena, non è vero?-
-No!- la stroncò senza che il luccichio nel suo sguardo si affievolisse -Proprio no!-



In onore del quieto vivere Nadia aveva preso per buone la mediocre scusa di Élan e lo svogliato sostegno di Death Mask, ma non intendeva lasciar correre nessun comportamento che fosse stato meritevole di un premio o un castigo.
Per ricompensare la fata, le aveva messo a disposizione i suoi bagni privati e garantito abiti freschi per il giorno dopo, nonché una pulizia approfondita della sua divisa; col console non era stata altrettanto benevola.
Sebbene Valerius avesse denunciato la chiassosità e la mancanza di decoro del duo, Nadia aveva ribadito che il genere di condotta in cui si marchiavano a vino gli ospiti indesiderati, non fosse ammissibile né per una mera gelosia né per un paio di schiamazzi: gli amici di Kamya potevano non essere sofisticati, ma qualunque tipo di atteggiamento fuori luogo spettava alla padrona di casa correggerlo.
Inoltre, Valerius, tra i cortigiani, era colui che svolgeva meglio il proprio lavoro e verso il quale Nadia stessa nutriva maggior rispetto, ma ciò alimentava anche le aspettative e la speranza che mantenesse un ritegno ineccepibile; quindi, dopo averlo redarguito tanto a lungo, lo mandò a scusarsi con Élan. In modo sincero, stavolta.
Ciò che la principessa non poteva prevedere, era che Valerius fosse troppo orgoglioso per chinare la testa davanti a ciò che considerava un’ingiustizia e che contava sulla discrezione dei due se non avesse rispettato il copione concordato: erano tutti troppo adulti per andare a fare la spia, nevvero?

-Oh, Cavaliere! Stavo cercando proprio voi!- trovò Death Mask fuori dai bagni della Contessa, gli andò incontro e lo salutò con voce incredibilmente chiara per essere tipo al settantesimo bicchiere della serata; il siciliano studiò la sua andatura dritta come un freccia e si lanciò in un’infinita serie di calcoli per capire come facesse tanto vino a non dargli alla testa.
-Se sei venuto a scusarti o far piovere altra merda, caschi male, vostra altezza. Élan si sta facendo un bagno e vista l’importanza che mi hanno insegnato a dare all’igiene personale, non conto di metterle alcuna fretta.-
Valerius non si stupì della fredda accoglienza, ma parve stupirsi, se non addirittura offendersi, per l’insinuazione sulle sue scuse.
-Ma io non sono venuto a scusarmi con lei! Sono venuto ad ammonire voi…-
Death Mask inclinò la testa di lato, ridusse gli occhi a una fessura e lo invitò a proseguire sorridendo con un che di minaccioso.
-Sentiamo…- lo sfidò.
-Dovreste tenere la vostra servetta col guinzaglio corto- suggerì privo di mezzi termini.
-Continua- il ghigno del Cavaliere D’oro si fece più ostile.
-È oltremodo scandaloso che si rivolga a voi trascurando sia il vostro titolo, sia la dovuta deferenza, ma che vi imponga anche dove sedervi e di intervenire in sua difesa! Trovo tutto ciò inammissibile!-
Cancer annuì bonario per il tempo durante il quale Valerius sproloquiò e, alla fine del suo sermone di stronzate, capì perché il vino non gli desse alla testa: non ne aveva una. D’altro canto, non era il tipo che si lasciasse avvincere dalla collera per poco, anzi trovava il suo discorso fonte di grande ilarità, per cui cinse il console con un braccio, gli riservò un’occhiata complice e gli diede qualche sonora pacca sulla spalla.
-Ahahah, Vally, vecchio caprone! Chi l’avrebbe mai immaginato che fossi così trasgressivo in camera da letto! Sono sempre quelli più castigati ad avere le fantasie più perverse, eh?- con un altro potente colpo in mezzo alle scapole sbilanciò tanto il cortigiano da fargli rovesciare parte del calice. Intanto, Valerius si sentì ribollire.
-Non stavo scherzando!-
-E chi scherza quando si tratta di sesso! Il prossimo suggerimento quale sarà? Manette e frustino?-
Dopo l’ennesima manata sulla schiena, Valerius studiò meglio il proprio interlocutore e dalla sua espressione intuì di essere stato deriso.
-Osate prendervi gioco dei miei consigli?!- sbraitando, serrò le dita attorno al bicchiere e le nocche gli si sbiancarono -Non credete che la servitù irrispettosa debba essere disciplinata?!-
-In questo momento credo fermamente in tre cose: la prima è che ti stia per prendere un coccolone, la seconda è che ogni termine come disciplina, punizione o castigo, si può infilare in qualsiasi allegoria sessuale, come questa, e soprattutto credo tu stia usando un sacco di paroloni per dire “odio le donne e nessuno mi si scopa da una vita”…-
La sfumatura che assunse la faccia di Valerius sarebbe stata degna di avere un nome tutto suo nel pantone dei rossi: non solo si riteneva un uomo desiderabile, ma aveva anche potuto godere della compagnia del miglior partito di Vesuvia a suo tempo! Purtroppo, a suo tempo, risaliva a…
-Quando il Conte Lucio era in vita, godevo dei favori di un amante insuperabile, tra i migliori della città!- ringhiò a denti stretti.
-Certo, certo, e dimmi, Vally, questo “amante”, lo potevano vedere tutti o soltanto tu?- Death Mask adesso lo fissava con aria di onesta preoccupazione e, per palese che fosse anche il tranello, Valerius ci cascò con tutte le scarpe.
-Ovvio che lo potesse vedere chiunque! Il mito della sua persona si era diffusa fino ai bassifondi della città, anche se la relazione era tenuta segreta!-
-Segreta, d’accordo… Ma anche a lui?- la stretta sullo sprovveduto calice si fece insostenibile e il vetro si incrinò fino a spezzarsi; il vino gli corse lungo il polso, tinse la manica della sua candida camicia e gli gocciolò via dalle dita mentre rivolgeva al Cavaliere uno sguardo velenoso -Ops, mani di ricotta, eh? Ti direi di chiamare Portia ma il suo turno è finito quindi meglio se vai a prendere scopa e paletta di corsa! Rapido, schnell!-
Con quest’ultima mordace frecciata, Cancer scostò la porta del bagno e ci si infilò sinuoso come un felino, prendendosi la libertà e il gusto di spiare fino all’ultimo millimetro la smorfia furente del cortigiano; la litigata era stata un vero toccasana per togliergli dalla testa l’esperienza vissuta con lo spettro di Lucio, ma a scacciare il ricordo in terre remote, fu l’atmosfera ovattata della stanza da bagno: le gentili note dei profumi floreali si spandevano nell’aria della sera, una fresca brezza soffiava dalla finestra da cui si godeva di una fantastica vista della città e del cielo soprastante.
A coronare il quadretto, era un’Élan coi capelli umidi e scompigliati, incantevole nella sua vestaglia di seta color cipria con un bouquet di iris ricamati nell’angolo. Aveva finito di lavarsi da parecchio tempo, si era vestita e aveva origliato la conversazione, soffocandosi nel trattenere le risate. Adesso fissava l’uomo sorridendo commossa e formando un cuore con le mani, ma Death Mask era così poco abituato a raccoglierne l’adorazione della gente, che non seppe come reagire. Il miscuglio che ne venne fuori fu maldestro e scontroso.
-Qualunque cosa tu stia facendo, smettila all’istante!-
-Ma allora ci tieni un pochettino a me!- chiocciò lei.
-… tipo…- concesse l’uomo e gli occhi della fata si fecero più luminosi. Saltellò da lui per abbracciarlo e i goffi tentativi di evitarla fallirono contro la tenace dolcezza. A guancia premuta contro l’armatura, Élan mugugnò qualcosa a proposito del non aver visto la scena o averla ignorata, ma Death Mask difese il proprio onore a spada tratta -Ragazzina, io vedo e sento tutto: solo perché decido di vendicarmi in un altro momento non significa che i conti non verranno fatti, e ora, col tuo permesso, scorterei entrambi in camera.-
Conscio dei vetri rotti fuori dalla porta, della nudità dei piedi della ragazza e di quanto le desse fastidio essere presa in quel modo, la afferrò per la vita e se la gettò sulla spalla come un sacco di tuberi. Avendo il suo delizioso posteriore a portata di mano, alla prima lamentela sul trasporto “a quarto di manzo”, le schiaffeggiò una natica, crogiolandosi nel piacere delle reazioni scatenate: un gemito soffocato tra le labbra serrate, una leggera contrazione delle cosce e un vivace porpora che le tingeva le guance. Sapeva che fosse lì, anche se non poteva vederlo, e, anche se non poteva sentirla, c’era pure una scossa di piacere che partiva dallo stomaco della ragazza per arrivarle nella zona pelvica, dove si scioglieva in un misto di ormoni. Una reazione chimica intuibile ma che non gli avrebbe confessato.
Non avrebbe osato dargli tanto potere.
Arrivati in camera, Death Mask gettò Élan sul materasso con malagrazia, abbandonandola a una lotta contro cuscini, frange e nappe, dalla quale uscì dopo diverse gomitate e manate tirate a vuoto. I borbottii di protesta che si sollevarono nel conflitto servirono a correggere ben poco la ruvidità dell’uomo: in alcune circostanze, conosceva fin troppo bene quanto i suoi modi fossero richiesti e profondamente apprezzati.
Mentre la fatina lottava per liberarsi dai soffici arredi, il Cavaliere D’oro si sedette in fondo al letto a contemplare i dettagli sfavillanti della camera; le candele nelle lampade a muro erano state accese in loro assenza ma quella luce così fioca, seppur calorosa, smorzava la spettacolarità di ogni costellazione e macchia argentata che altrimenti di sarebbe infuocata col sole. Eppure andava bene lo stesso: c’era un che di riposante nei giochi di luce tenui e negli scintillii appena fuori dalla coda dell’occhio. L’unico rimasto a Death Mask, ringraziava.
Raggiunto il fondo del letto, Élan gli si arrampicò sulla schiena e col mento poggiato su una spalla, gli bisbigliò un suggerimento agghiacciante.
-Vuoi parlarmi di cos’è successo nell’altro piano?-
Il velluto del suo tono non bastò. La sua domanda fu come un ago rovente piantato nel cervello, un taglio con la carta, le urla dei capricci di un bambino.
Fino a un attimo prima il Cavaliere si stava distendendo nella sua colossale e fastosa camera con una squisita cena nello stomaco, la soddisfazione di aver umiliato un coglione nel cuore e la donna dei suoi sogni nel letto. Donna, ci tenne a ricordare a se stesso, che fino a meno di tre ore fa era ai blocchi di partenza per sedurlo e che ora indossava una vestaglietta corta, morbida al tatto, semi-trasparente e facile da togliere.
Praticamente il sogno erotico di un’intera nazione!
Invece proprio quella donna aveva deciso di rovinare quasi tutto con la domanda più scomoda dell’esistenza… Condividere i propri pensieri e sentimenti era importante, ma col cavolo che Death Mask l’avrebbe fatto! Tuttavia non poteva essere in guai peggiori rispetto a quelli percepiti tutto il giorno da un medico di sua conoscenza.
All’improvviso, un’illuminazione.
Aveva un gossip davvero succoso, uno che ad Élan sarebbe interessato di gran lunga più di qualunque suo trauma e che avrebbe messo da parte la seduta psichiatrica.
-E se ti dicessi, piuttosto, cos’è che aveva Julian stamattina?-
Il discorso sulle angustie del rosso colse nel segno; Death Mask riuscì nel suo intento e, anche se non impiegò molto tempo a discuterne, alla fine Élan era talmente stravolta da aver dimenticato la domanda di partenza. In effetti, non si era nemmeno accorta di essere stata distratta.
-No, dai! Non è possibile! È uno scherzo, hai voglia di scherzare?!-
-Vedo che sei diventata del mio stesso parere!- Cancer scrollò le spalle con un sorriso amaro che coniugava assieme il compiacimento del “te l’avevo detto”, col dispiacere per la delusione causata.
-So come funziona la sindrome da abbandono e questa lo è in piena regola, ma è troppo anche per lui!- Élan si lasciò cadere a peso morto sul letto, si passò le mani sulla faccia e la stropicciò fino a che non dovette sbadigliare -Non c’è niente che possiamo fare per aiutarli?-
-Temo che sia troppo tardi a quest’ora…-
-Non essere melodrammatico!- gli diede un colpetto col piede sull’armatura e la tentazione di Death Mask di catturarle la caviglia per farle il solletico, fu sopraffatta dal sonno che incombeva.
-Intendevo dire è tardi per uscire. Saranno, cosa, le dieci di sera? Anche se sapessimo che fare non sapremmo dove trovarli, se hanno finito di parlare potrebbero non essere ai moli e non ho idea di dove sia il negozio della biondina… Per quanto riguarda lui so già dove sarà andato a leccarsi le ferite…- come ogni sera, si alzò, stiracchiò la schiena e i pezzi dell’armatura volteggiarono in aria prima di ricomporsi nel loro rettangolo di marmo -L’unico suggerimento che posso avanzare è di andare a dormire, è il modo più rapido per far passare la notte. Domattina decideremo il da farsi.-
Élan, sfinita, concordò. Con gli occhi pesanti e la testa ciondolante per il sonno arretrato, Death Mask gettò un paio di cuscini sul pavimento e assieme alla fata si infilò sotto le lenzuola, cullato dal dondolio delle fiammelle e dalla carezza del raso fresco sulla pelle accaldata.
La consapevolezza che li attendesse una missione ardua al loro risveglio era in cima alla lista delle preoccupazioni per la fata, ma l’abbraccio di Morfeo la portò dove il peso di nessuna delle sue angosce avrebbe potuto affogarla. La stessa buona sorte non capitò a Death Mask.
Si sforzò di addormentarsi senza permettere alle ansie future di schiavizzarlo troppo presto, si concentrò sulle sue piccole grandi fortune e sulla convinzione che nessuno più di lui meritasse una notte indisturbata di riposo… Ma nel palazzo c’era chi nutriva una convinzione più ostinata della sua, chi coltivava morbosamente un proposito che non avrebbe lasciato a marcire come gli altri avevano fatto con lui…
Io e te diventeremo senz’altro… Ottimi… amici!” aveva detto, e ci credeva con tutto ciò che era rimasto del suo essere… Doveva solo farlo comprendere anche all’oggetto del suo desiderio, e quale metodo migliore se non mostrandogli in modo diretto il perché meritasse stringere quel legame?
La testa di Death Mask guizzò nel sonno e le sue sopracciglia si corrugarono a poco a poco che la visione prendeva forma. I contorni di ciò che lo circondava erano sfocati ma chiari abbastanza da permettergli di riconoscere l'architettura di un paese freddo: struttura in legno, pareti di tronchi orizzontali e tetto basso, tutto studiato per trattenere il calore. Non era Vesuvia, era molto più a sud o molto più a nord.
La tribù che lo circondava era preda di scatenati festeggiamenti dal quale un’eco si distaccò.

-La notte del mio diciottesimo compleanno. Il clan aveva festeggiato per giorni in anticipazione dell’evento. Non sarei stato più il loro prezioso principino Monty: sarei diventato un uomo. Un uomo disposto a tutto pur di ottenere ciò che voleva. A partire da quella notte stessa…-

Sapeva di averla già sentita, ma dove?
Prima che riuscisse a rispondere al suo interrogativo, si fece notte di colpo, la gente era crollata a dormire e un ragazzo biondo stava schivando i loro corpi privi di senso per passare di fianco a un arazzo consunto; tra i morsi delle tarme si intravedevano branchi interi di cavalli, orsi e lupi divorati da sciami di scarabei famelici. Non erano rossi, ma nel loro modo di lasciarsi dietro nient’altro che ossa spolpate, diedero il voltastomaco al Cavaliere. Non se lo sapeva giustificare, ma gli sembrava segno di un cattivo presagio…

-Non mi piacevano gli scarabei, volevo che fossimo qualcos’altro, ma mio padre sosteneva che non ci fosse niente di buono nel piacere alle persone, che gli altri clan avrebbero speso le loro vite cercando di piacersi a vicenda, e per cosa poi?! La vita non riguarda l’essere apprezzati: riguarda il divorare o l’essere divorati… Una filosofia che tu stesso hai abbracciato da molto tempo.-

Piuttosto arrogante da dire! Cosa ne sapeva quel, chiunque fosse, di che vita Death Mask avesse fatto? Davvero pensava di capirlo tanto da conoscere le motivazioni che lo avevano spinto verso certe scelte? Comodo ignorare la crescita e i cambiamenti abbracciati nelle ultime settimane! Tuttavia, precise o meno che fossero le sue supposizioni, da dove le aveva tratte?
Un altro arazzo si stagliò nella luce lunare, più grande e curato del precedente: i suoi intrecci rappresentavano una donna immersa nella caccia, il sangue spietato della sua gente le scorreva nelle vene mentre inseguiva una preda agonizzante, la scena successiva la vedeva elevarsi sopra una montagnola di carcasse putrefacenti; chiunque altro si sarebbe accontentato della cattura, ma lei era una vera cacciatrice.
Il ragazzo giunse a un immenso portone socchiuso, trattene il respiro e vi sbirciò oltre.
-Madre, sei sveglia?- bisbigliò, ma l’ombra addormentata a gambe incrociate stette in silenzio -Vorrei che non dovesse andare in questa maniera, lo sai. Avresti potuto crescere il tuo più grande alleato, che ne sapevi che invece stessi facendo crescere il tuo più grande inc…-
La figura scosse le spalle e Death Mask vide il giovane scansarsi dalla porta per appiattirsi contro la tappezzeria.
Patetico! Avesse avuto almeno il fegato per minacciare alla luce del giorno! Era già diventato insopportabile al punto da fargli roteare gli occhi, ma il peggio stava dietro l’angolo.
Una volta ricomposto, il ragazzo uscì dalla porta principale e si addentrò in una fitta boscaglia innevata; si spinse sempre più a fondo tra gli alberi senza curarsi dei fiocchi gelidi che gli si posavano sulle guance e tra i capelli, ma incespicò quando un barbagianni emise un verso stridulo. Batté la schiena contro un tronco che gli lasciò sulle mani una resina viscida, ma dal sorriso trionfante che gli si stampò in faccia quando la annusò, si poté capire che la sua ricerca stesse giungendo a una conclusione.

-Dal giorno della mia nascita ero destinato a guidare questa orda di miscredenti: era arrivato il mio momento di brillare! Ma anche se lo sapevo, dovevo comunque dimostrarlo, dovevo fargli vedere che non si potesse scherzare con me e per riuscirci… Mi sarei dovuto fare un amico nel bosco quella notte…-

Un’ampia radura circolare si aprì davanti al giovane; la neve si diradava in maniera troppo netta per essere stata tolta di recente, e l’aria si increspava come un fornello acceso senza fiamma: doveva essere afosa e carica di miasmi gassosi. Una volta che non fu più nascosto da travi o foglie, Death Mask finalmente riconobbe il suo anfitrione: Lucio. Seppur con qualche anno di meno sulle spalle, il suo sogghigno altezzoso era inconfondibile.
Ecco di chi era la voce che aveva sentito! Il bastardo lo aveva davvero seguito dentro i suoi sogni!
Death Mask menò i pugni nel tentativo di colpirlo, ma la sua figura sfarfallò appena. Si era chinato poco fuori dallo spiazzo e stava armeggiando con una pietra focaia finché una scintilla scoccò e diede vita a un disegno complesso di fiamme pallide e all’apparenza prive di calore. Pieno di aspettativa, si sfilò gli stivali, si tagliò entrambe le piante dei piedi ed entrò nel cerchio; qualcosa che gli scivolò sotto i piedi venne richiamato dal sangue sfrigolante e il terreno si smosse al suo passaggio.
Lucio cadde sulla schiena e l’espressione del suo viso preannunciò l’arrivo di una creatura che nemmeno i feticci contro il male avrebbero potuto contenere, ma la rievocazione delle parole di sua madre gli rammentò perché si fosse spinto fino a lì.

-Qual è il piano per domani, ma? Avrò una cerimonia? Magari una corona o un cambio di stile.-
-Ascolta, ragazzo, se pensassi che ti meriti una corona, non sarebbe perché sei sopravvissuto per diciotto anni fuori dall’utero.-
-Ma tu sei il loro leader e io il tuo erede! Se non diventerò più potente, cosa diventerò?-
-Più grande, finalmente. La tua infanzia finirà.-
-E cosa significa?-
-Significa che non vivrai più a scrocco mio o di tuo padre. D’ora in poi ti arrangerai da solo…-

Una sagoma opalescente, dalla pelle viscida e sporco di grumi terrosi, emerse nella radura: era un verme, con fattezze umane deformi e un lungo collo che ripiegò finché la testa non fu all’altezza di quella di Lucio.
Aprì con lentezza gli occhi luminosi mentre si ripuliva il corpo con un paio dei suoi tentacoli appuntiti e grigiastri; dell’altro paio, terminante con delle mani, le dita si intrecciarono formando un unico blocco untuoso. Liberato dall’ossessione per chi fosse l’impudente biondino, Death Mask venne investito dal dubbio sul perché nel mento del mostro e nell’arcata delle sopracciglia, gli apparisse un che di familiare.
-Vlagnagog…- mormorò Lucio.

-Il serpente della distruzione. Per quanto lo temessimo, il mio clan venerava quella ripugnante creatura. Non sapevo che aspetto dovesse avere, ma non me ne aspettavo uno simile…-

-È-è un onore incontrarvi, io sono Montag, figlio di Morga e Lutz. Sono certo che li conoscerete vista la loro devozione.-
Il suo sorriso nervoso si deformò ulteriormente appena l’essere aprì la bocca e tra le aguzze e bavose fauci si intravidero due lingue attorcigliate l’una con l’altra.
-Vlagnagog? Temo tu abbia evocato il verme sbagliato: il serpente della distruzione è avvizzito anni fa. La tua gente non pone mai il suo orecchio alla terra?- la bestia scosse con lentezza la testa e i cerchi dorati che penzolavano dai lobi cascanti ciondolarono -Un tempo dimorava qui, grasso e risplendente dei tributi del tuo clan, ma loro sono avari, non vogliono condividere… Quand’è stata l’ultima volta che gli avete offerto un sacrificio?-
Montag scattò in piedi, oltraggiato dallo spreco di ansia.
-È morto?! Allora chi sei tu?!- la deferenza che gli aveva fatto chinare il capo era avvizzita come il suo dio.
-Sono il verme della pestilenza, e non sarò facile da conquistare: le lusinghe sono vuote e non riempono le nostre bocche. Ora dimmi, perché mi hai attirato, Montag, figlio di Morga e Lutz?-
Il verme della pestilenza lo esaminò inquisitorio mentre Montag deglutiva a forza. Nei brevi istanti di silenzio che ne seguirono, il Lucio-spettro tornò a farsi sentire.

-La ruota della fortuna girò e con lei anche le mie possibilità di successo. Il piano era di patteggiare per la distruzione dei miei genitori, ma se avessi giocato bene le mie carte, avrei potuto comunque trionfare.-

-Fanculo! Perché mi stai mostrando questi ricordi?!- Death Mask prese a sbraitare contro il giovane Lucio solo per realizzare a metà frase quanto inutile fosse il suo sfogo. Il ragazzo nel sogno lo stava ignorando mentre l’interlocutore corretto osservava al riparo di un impercettibile dietro le quinte.
Raffazzonata una mezza strategia, Montag sfoggiò la sua migliore espressione da politico e con tono confidente, imbonì il Verme della Pestilenza.
-Sono venuto per chiedere il tuo aiuto. Non potrei essere più d’accordo con te, il mio popolo dovrebbe compiere maggiori sacrifici, ma i miei genitori sono al comando e non acconsentiranno mai. Prenderei volentieri il loro posto ma guardami: sono il piccolo della cucciolata, un fuscello, non ho possibilità contro di loro! Hai detto di essere il verme della piccolezza?-
-Pestilenza!- si inalberò la creatura -Perché dovrebbero preoccuparmi i tuoi affari da mortale?-
Montag emise un verso sprezzante.
-Be’, conosci la mia gente, giusto? Discendo da una lunga stirpe di parassiti, ci chiamano i Flagelli del Sud. Se mi aiuterai, ti prometto un generoso tributo, oh grande… Grande…- si smarrì quando si accorse che la divinità non gli avesse rivelato nient’altro che il suo titolo -Come hai detto di chiamarti?-
-Non l’ho fatto. Solo gli sciocchi danno il loro vero nome agli sconosciuti, Montag, figlio di Morga e Lutz…-
Preso di nuovo in contropiede, il giovane tentò di buttarla in ridere.
-Mi hanno già chiamato così una volta o due!- la sua patetica risata fu l’unica a sentirsi in tutta la radura mentre il Verme della Pestilenza ponderava la convenienza dell’offerta. Al termine della sua riflessione, catturò Montag in una disgustosa spirale. Tra i due vi era una distanza sufficiente a impedire che si toccassero, ma non da impedire che gli aliti viscidi della creatura raggiungessero i suoi polmoni.
-Potrei anche stringere un patto con te, ma richiederò un prezzo insopportabile, inoltre avrò bisogno di qualcosa che appartenga… A te- persino i suoi sibili acuti lasciavano nell’orecchio una sensazione unta e persistente.
Disperato nel suo sforzo di mantenere il contegno e non lasciarsi sfuggire alcun gemito di paura, al biondino giunse una folgorazione.
-E se fosse qualcosa dei miei genitori? Non ci sono affezionato e se potrai aiutarmi…- le gocce di sudore freddo che gli correvano sulle tempie si asciugarono nei miasmi gassosi e le parole che gli uscirono dalla bocca furono altrettanto aride -Ti darò i loro cuori.-
Il grido rabbioso di Death Mask riecheggiò in tutta la foresta e se fosse stato udibile oltre i confini del ricordo, avrebbe fatto agghiacciare parecchi stormi; cominciava ad averne davvero troppo della sua giovane nemesi: a dispetto dell’età adulta, Lucio mentiva come un bambino viziato e dispettoso, provocava sua madre nel sonno per paura delle conseguenze e, anche se era nel pieno delle sue forze e ben piazzato, manipolava gli altri nel compiere le malefatte al posto suo. Il Cavaliere era indeciso su cosa lo urtasse di più: la totale mancanza di iniziativa per sbrigare i propri crimini, o il tradimento nei confronti di una famiglia che lo voleva far crescere e rendere indipendente.
Avrebbe anche potuto condividere la filosofia del fare il necessario per raggiungere i traguardi desiderati, ma quando ciò comportava schiacciare i propri nemici, non gli alleati! Solo un momento troppo tardi si rese conto di quanto la sua riflessione suonasse nuova persino alle sue stesse orecchie, e comprese che Lucio non fosse l’unico a star ignorando i suoi progressi…
-I cuori dei tuoi genitori? Suppongo siano “tuoi” a sufficienza- il verme sollevò il mento verso il plenilunio e ingollò l’aria in abbondanti quantitativi. Il modo in cui la fiutava era raccapricciante: a ogni respiro chiudeva le palpebre pregustando il sapore della sua cacciagione, anche se sembrava se ne stesse già nutrendo, mandando giù le loro carcasse senza masticarle. Una volta trovate le sue vittime spalancò gli occhi, il suo sguardo vitreo si colmò delle lattiginose pupille e la bava che gli colava dalle fauci si insinuò tra i solchi del collo -Posso sentirli… Il loro legame con te è incredibilmente forte… I loro cuori sono duri ma succulenti…- Montag si illuminò alla notizia e la sua luce non cessò di brillare nemmeno all’imprevisto successivo -Non posso ucciderli: potrò solo prenderli quando saranno indeboliti.-
-Al resto penserò io. Tu ti occuperai di loro quando il momento sarà favorevole. Allora, affare fatto?-
Il Verme della Pestilenza si avviluppò sul ragazzo finché i confini dei loro corpi non si confusero in una massa indistinta di arti umani e tentacoli; solo il potere che pervase Montag gli impedì di rigettare come avrebbe fatto in circostanze meno bizzarre.

-Appena il suo potere mi strisciò addosso, mi sentii cambiare. I tagli sui piedi si rimarginarono, la mia visione sbiancò e quando il mio cuore venne colpito, percepii la sua forza scorrermi nelle vene.-

Fino a quel momento Lucio si era impegnato per riportare con dovizia i particolari che Death Mask avrebbe altrimenti ignorato, ma, a discapito del suo ruolo da protagonista, anche il biondino era rimasto all’oscuro di sconcertanti peculiarità… I tremori febbrili che lo avevano scosso al primo vero contatto col Verme, per esempio, o le convulsioni epilettiche che ne erano derivate in seguito… Se non avesse conosciuto il finale della storia nel lungo andare, Death Mask avrebbe creduto che il Verme della Pestilenza lo avesse ingannato per divorarselo subito, senza sé, senza ma e senza intermediari…
Sciagura volle che la storia non fosse che agli inizi.
-Montag, figlio di Morga e Lutz, per la durata del tuo compleanno porterai la mia morbosa malattia. Finché non mi ripagherai, non saremo liberi l’uno dall’altro.-
In trance, Montag aveva un tono simile alla sua controparte caprina ma più distante.
-Non ti deluderò. Resta qui ad aspettarmi, verrò a cercarti io a lavoro compiuto, non ho intenzione di scappare.-
-Scappare? Potrai farlo quanto vuoi ma ti seguirò ovunque, non importa dove andrai… Saremo indivisibili…- il Verme della Pestilenza lo liberò avvolto in una lattiginosa aura, posseduto da un maleficio senza eguali ma anche privo dell’energia per reggersi in piedi, e come il principe dei Flagelli perse i sensi, anche per Death Mask si fece tutto buio.
Quando la luce mattutina lo accecò col suo candore innevato, gli eventi presero a scorrere rapidi proprio come la corsa nella quale si lanciò Montag al suo risveglio. Scattò in piedi e sfrecciò lontano dalla radura maleodorante attraverso gli alberi; era diretto al suo accampamento con lo stesso vigore di un leone, ma venne domato da poche, brevi parole di sua madre: dove sei stato?
Con ogni probabilità non erano state le parole in sé, quanto il loro tono severo o lo sguardo gelido della donna, ma tanto bastò al ragazzo per essere addomesticato in un gattino. Ne seguì un dialogo insignificante in cui un figlio colpevole, armato solo di tono incerto, occhi sfuggenti e scuse banali, cercava di fregare una madre arguta, inquisitoria e affilata quanto la sua lancia; comprese che il ragazzo stesse cercando di guadagnare tempo, ma si lasciò distrarre dai moti di orgoglio del figlio che difendeva a spada tratta la sua nuova condizione di “adulto” capace di badare a se stesso in quanto diciottenne.
Come se l’esperienza e la maturità si potessero conquistare in una sola notte! Death Mask scosse la testa biascicando un paio di insulti, ma il suo sguardo scettico si riempì di lacrime di divertimento e la sua bocca di risa sguaiate quando Morga accusò Montag di credere che la Terra girasse attorno a lui piuttosto che al sole.
Per gli dei, era una donna fantastica! E ora che la studiava meglio, non era neppure da buttar via: non era nel fiore degli anni, un paio di rughe stavano già spuntando sulle guance e sugli zigomi tatuati, ma la sua pelle nivea e la chioma di un biondo pallido la rendevano una tipica bellezza glaciale. Come potesse Lucio essere la sua progenie, era un mistero destinato a rimanere tale.
Quasi stesse assistendo a un film piuttosto che a un ricordo, il Cavaliere si riscoprì a fare il tifo per Morga, sperando con una cospicua porzione delle sue forze che la maledizione ottenuta da Lucio non facesse presa su di lei… Purtroppo, non era un copione che si stava dipanando davanti ai suoi occhi affinché lo modificasse, e con l’arrivo di Lutz e l’abbraccio in cui il loro “adorabile” principino li costrinse, la loro condanna venne firmata…
Non servì più di un giorno. Lutz cadde malato entro sera e, incurante della sua condizione, accettò lo stesso il combattimento all’ultimo sangue che gli venne proposto dal figlio. Anche lui sembrava un uomo rispettabile agli occhi di Death Mask, uno contro il quale avrebbe combattuto volentieri e che avrebbe potuto anche tenergli testa nei suoi giorni migliori, ma ciò che si poteva scorgere nello sguardo di Montag mentre gli conficcava il suo pugnale arrugginito in mezzo al petto, e mentre il sangue gli correva sulle mani e tra le dita, non era rimorso, non era tristezza o rammarico…
Era estasi.
Poteva saldare metà del suo debito, ma passò un altro giorno, poi un altro, dopo un altro ancora, e lei non cedeva di un passo… Non riposava, mangiava a stento, quasi non sbatteva le palpebre pur di tenere sotto sorveglianza la sua malefica progenie, finché la vita non le donò l’opportunità per riprendersi quella data a lui.
Montag capì di essere stato visto mentre consegnava il cuore di suo padre al Verme della Pestilenza quando Morga emerse dagli alberi dall’altra parte della radura; la donna si lanciò subito in un combattimento serrato, uno in cui lui non aveva scampo.
-Non dovresti essere qui fuori, mamma!- si sforzò di darsi un tono, ma Morga lo divorò con lo sguardo -Dovresti essere a letto!-
-Ingrata larva che non sei altro…- ringhiò lei. La lingua lunga del ragazzo gli si appiccicò al palato e per poco anche Death Mask non scattò sull’attenti -Per nove mesi ho sofferto la nausea del portarti in grembo… Comparata a quella pena, questa non è che un’influenza estiva!- era la sola forza di volontà a tenerla in piedi, perché il suo aspetto era disastroso: le iridi grigie erano affogate in una cornea scarlatta, le vene sulle guance erano così cariche di sangue da formare diramazioni sotto gli occhi e, nei punti in cui si intravedevano, anche le dita erano di una sfumatura innaturale -Mi domandavo come avresti affrontato questo compleanno, avrei dovuto saperlo che avresti fatto una cosa del genere- ad ogni affondo della sua lancia le energie dichiaravano il loro ritorno -Sei un moccioso viziato, siamo sempre stati troppo buoni con te, anche in battaglia non ho mai permesso che ti facessi male e guarda come sei diventato: non sai cosa voglia dire combattere per la tua vita!-
Tra una sferzata e l’altra Lucio riuscì a trovare tempo a malapena per risponderle.
-Nem-nemmeno io voglio farti del male, ma’, sono tuo figlio!-
-Eri anche figlio suo e gli hai rubato il cuore…- con un calcio al centro del petto lo spedì a terra e prima che si potesse ricomporre, gli aveva puntato la lancia alla gola -Ciononostante, ho deciso di viziarti un’ultima volta- fece roteare l’arma in aria e la conficcò accanto alla testa di Lucio -Ti darò un vantaggio, farai meglio a correre per salvarti.-
Col volto rosso per la vergogna, il giovane fece scivolare via l’ascia dal palmo sudato, si rimise in piedi e scappò senza voltarsi indietro; corse per ore senza fermarsi perché conosceva fin troppo bene le atrocità riservate ai traditori, ma si bloccò al qualcosa che gli strisciava sulla nuca. In uno scatto di panico quasi si strappò i capelli ma alla vista dell’intruso, il suo animo ne rimase incantato: era uno scarabeo di un rosso tanto brillante da luccicare anche di notte e anche quando lo schiacciò tra le dita, facendolo esplodere in uno sbuffo di polvere.
Death Mask venne scosso da un violento fremito alla sua vista, se lo sentì nelle ossa, nel cuore e in ogni nervo. Era un sentimento indecifrabile il suo, un misto di paura, repulsione e cattiveria, avrebbe riconosciuto dovunque quella sudicia blatta, ma non poteva essere connessa con la malattia del Verme… Lui aveva dato al bastardo una maledizione…
Una che funzionava come una malattia, però, e che era veicolata dallo stesso insetto che lo aveva accolto al suo arrivo in città…
Il filo del pensieri che lo avrebbe condotto a una realizzazione importante venne reciso da caotici stralci di scenari: interi campi di battaglia pieni di moribondi con occhi rossi e vene pulsanti, altri demoni, altri rituali, altri patti e altri debiti destinati a rimanere insoluti, Montag che cambiava il suo nome e si guadagnava da vivere come mercenario…
Non per merito delle sue doti ma la sua carriera era lo stesso brillante e il salto di qualità venne dall’incontro col Conte Spada… di Vesuvia. Il nobile lo assoldò per una battaglia in cui si sarebbe potuto fare un nome, ma anziché uscirne con un titolo glorioso, Lucio ne uscì con una gravissima ferita al braccio sinistro. Il danno era incontenibile, il sangue perso era troppo, senza operazioni o interventi, in poche ore se ne sarebbe andato…
Alla vista di una dottoressa dall’aria saggia e del suo allievo sospettosamente familiare, Cancer sbuffò sdegnato: era colpo di scena più scontato della storia! Era l’esatto motivo per cui detestava i prequel, potevi sperarci quanto volevi ma già sapevi dove si sarebbe andati a parare, conoscere le origini di qualcosa non sempre aveva la sua utilità.
I due medici erano venuti per tenere fede alla propria missione. Gli strumenti a disposizione era mal puliti e rudimentali ma erano anche gli unici, e tra urla assordanti, cinghie legate al tavolo di lavoro e fiumi di sangue, Lucio vide amputato il suo arto un tessuto reciso alla volta.
Violenza e morte erano il pane quotidiano del Cavaliere, ma la sua politica sulla tortura spettava soltanto ai peggiori doppiogiochisti, in più il patimento emotivo e fisico vissuti dal biondino, finirono per contagiare anche lui, costringendolo a svegliarsi di botto, ansimante e madido di sudore; quell’americanata dove se uscivi da un incubo scattavi in piedi come una molla, non si applicò a lui, che, sovrastato dai suoi bruschi ansimi, tentò appena di riguadagnare le forze per mettersi a sedere.
Dopo quella che sembrava un’infinita quantità di respiri corti e occhi persi nel vuoto, fece perno sui gomiti, sforzò i polsi, raddrizzò la schiena e si lasciò cadere in avanti sui palmi delle mani; si passò le dita sul volto e tra i capelli quando capì che solo parte del suo viso era stata toccata e aveva sentito il freddo delle sue mani… Il braccio sinistro non si era mosso. Era convinto di averli alzati entrambi ma il gesto gli era venuto così spontaneo che in un primo momento non si era reso conto che l’arto fosse rimasto al suo fianco. Alla realizzazione lo alzò, lo stese e lo piegò, chiuse e aprì le dita della mano diverse volte e tutto andò come da copione.
Non soffriva di paralisi notturne e da che ne sapeva non ne esistevano di parziali, ma la notte stava procedendo male in qualunque caso: proprio il braccio che Lucio aveva perso era lo stesso che non rispondeva agli impulsi appena sveglio, ciò era accaduto dopo che erano stati in due a trovare similitudini con l’odiato conte e dopo che la paura per cui sarebbe stato perseguitato anche in sogno, si era dimostrata fondata.
Avendo l’urgenza di riconnettersi con la realtà, Death Mask si sfilò le lenzuola di dosso, poggiò i piedi per terra e il contatto col pavimento gelido, lo rimise al mondo; le visioni orrende dell’incubo smisero di sciamargli dietro alle palpebre e la ruvidezza del marmo gli ricordò la stessa della quarta Casa. Gradevole e consolatoria fu soprattutto la spalla setosa che gli si poggiò tra le scapole, mormorando una frase con voce impastata.
-Gocce di pioggia sulle rose e i baffetti dei gattini…-
-Come?- le labbra dell’uomo si arcuarono in un sorriso alla conferma che la fata sognasse le leziosità che aveva supposto.
-Sembra tu stia passando una nottataccia, quindi ho pensato di farti adottare il metodo di Julie Andrews in “Tutti insieme appassionatamente”: fai un elenco delle cose che ti piacciono come, non lo so, la birra, le scazzottate… Picchiare i bambini?-
Il siciliano girò la testa con lentezza per non farla cadere, ma la sbirciò comunque da sopra la spalla con espressione perplessa.
-Tu pensi che picchi i bambini per svago?-
-Lo fai per lavoro? Non lo so, non è un’opzione che mi sono mai sentita di escludere…-
Le vibrazioni sulla schiena dell’uomo gli fecero capire che stesse scherzando e gli irradiarono calore nel petto.
-Non c’è sfida, onore o divertimento a menare un ragazzino, puoi toglierlo dalla lista. Certo, a meno che non abbia scelto di fare il Cavaliere, in tal caso si chiama “allenamento” e non è illegale.-
-Wow, che cosa per niente da chiamata al telefono azzurro da dire! Pollici in su per te!- in breve furono in due a ridere e tutto tornò a essere fresco, pulito e gioioso come lo erano le sere passate al Grande Tempio. Élan sperava davvero di non starsi sbagliando, santo Dio, cosa avrebbe dato per poter leggere nella testa del Cavaliere senza doverglielo chiedere apertamente, ma l’atmosfera le sembrava si fosse stesa tanto da permetterle di correre quel rischio, scommettere su quell’intuizione e sfidare la pazienza dell’uomo -Quindi… Non è che te la sentiresti di dirmi cos’è successo nella camera del Conte?-
Cancer provò un brivido interiore a sentirselo nominare, ma sapeva di non poter rimandare la discussione troppo a lungo, per giunta era privo di gossip, giustificazioni convincenti o forze per mentire, senza contare quando allettante suonasse l’idea di arrendersi e vuotare il sacco! Inspirò a fondo, raccolse le idee e tentò di sintetizzare in modo rapido ma efficace.
-Ho visto il suo fantasma.-
-Solo?- Élan si stupì ma si affrettò anche a correggersi -Non fraintendermi, immagino possa essere spaventoso, ma per uno con la tua reputazione? Voglio dire, quanto pauroso può essere un semplice fantasma? Ne abbiamo visti talmente tanti che ho cominciato a farci il callo pure io!-
-Non si tratta solo di questo… Non c’è fantasma standard che possa smuovermi ma Lucio è di tutt’altra risma: era quasi tangibile, caldissimo e carico di tutta la sofferenza che ha seminato in vita… Mi sono sentito come se la mia sanità mentale fosse appesa a un filo molto, molto sottile… E di una cosa sono certo: voglio prendermi una pausa dai poteri da Cavaliere. Basta sesto senso, basta visioni che nessun mortale dovrebbe avere, basta fantasmi, capre, fantasmi a forma di capra e compagnia cantante… Almeno finché restiamo ospiti qui- la sua confessione aveva un certo peso e non gli portò particolare conforto… La fata lo sentì nel nodo tra le spalle rigide e nella contrazione dei muscoli velati di sudore quando lo strinse tra le abbraccia.
-Perciò… Niente cose preferite che scaccino le negative? Quando i cani mordono, quando le api pungono, quando mi sento triste… Mi ricordo semplicemente delle mie cose preferite e non mi sento più male- canticchiò senza convinzione tra uno sbadiglio e l’altro. Nei suoi viaggi aveva soccorso e continuava a soccorrere chiunque dimostrasse di averne bisogno, ma le idee più brillanti venivano meno quando era Death Mask a essere in difficoltà: voleva fargli percepire il suo sostegno, però l’apprensione stroncava ogni iniziativa. Per loro fortuna Julie Andrews aveva posto nelle mani di entrambi una soluzione calzante.
L’inguaribile ottimismo della fata portò un sorriso sulla bocca dell’uomo; gli incubi del conte erano peggio del morso di un cane o della puntura di un’ape, con ogni probabilità sarebbero andati ad aggregarsi a una lista di traumi pressapoco infinita che presto o tardi avrebbe fatto meglio a discutere con uno psichiatra, ma forse c’era qualcos’altro che avrebbe potuto condurlo in uno stato di abbandono dei propri timori.
-Canta ancora.-
-Cosa?!-
Death Mask si lasciò cadere all’indietro ed Élan nel suo sgusciare via, se lo ritrovò con la testa poggiata sulle cosce a mo’ di guanciale.
-Sei così stonata che è quasi divertente. Vuoi darmi una mano? Canta! Mi mette di buon umore!- il Cavaliere si accomodò nell’incavo delle sue gambe con un sorriso godurioso stampato in volto, e una fata incazzata nera sopra la testa -Rapida! Chop-chop!- la spronò.
Élan gli avrebbe volentieri spaccato un vaso in testa, ma con Death Mask sapeva di essersi conquistata anche quel genere di rapporto: un reciproco sostenersi, aiutarsi e comprendersi, ma anche un duello costante a colpi di ironia, chimica e audaci flirt. Con poca freschezza per stuzzicarlo né strumenti ad accompagnarla, alzò gli occhi al cielo, si schiarì la gola e intonò la prima canzone che le fosse venuta in mente.

Il gentil sesso lo chiamano spesso
Ma il suo amore è ingiusto come un truffatore
Mi ruba i pensieri
Commette ogni tradimento
Di logica, con nient'altro che uno sguardo

La prospettiva di ascoltarla a occhi chiusi si faceva allettante per Death Mask, i respiri lenti e gli sbadigli profondi. Col tocco leggero della ragazza che gli passava le dita tra i capelli, i pensieri si fecero leggeri come piume e la voce divenne piano piano distante… A contrario di quanto affermava per farla infuriare, era davvero bravissima e lui lo sapeva.

Una tempesta infuria all'orizzonte
Di desiderio e angoscia e lussuria
È sempre una brutta notizia
È sempre perdere, perdere
Allora dimmi amore, dimmi amore
Come fa a essere giusto?
Ma la storia è così
Distrugge col suo dolce bacio
Ma la storia è così
Distrugge col suo dolce bacio

In men che non si dica, Élan si ritrovò con l’uomo addormentato sulle sue gambe, una stanchezza contagiosa nella sua voce impastata e ben poca voglia di intonare la seconda strofa; gli poggiò con attenzione la testa su un cuscino, andò a spalancare le finestre per fare entrare il fresco della notte e si arrampicò di nuovo sul letto, rannicchiandosi accanto al Cavaliere per fargli percepire la sua presenza.
-Sogni d’oro, Death…- gli bisbigliò prima di sfiorargli con le labbra una guancia spinosa di barba.
Era deliziosa e piena di delicatezza, ma la sola bontà delle sue premure non bastò a tenere il conte lontano a lungo, e dopo avergli riempito la testa con numerosi e impressionanti dettagli sulle sue origini, era impaziente di condividere altri aneddoti della sua avvincente ascesa al potere.
Ristabilitosi dall’operazione e vinto lo scontro per il quale Spada lo aveva assoldato, Lucio venne accolto sotto la sua ala e venne messo al corrente dei segreti di Vesuvia; il conte lo prese tanto in simpatia da conferirgli il proprio titolo al momento della sua morte, avvenimento che, strano a dirsi, non fu Lucio a provocare. Tuttavia non gli lasciò in eredità solo un titolo facoltoso e una città da amministrare, ma anche i natali improvvisi di una lista di nemici che il biondino si preoccupò di rimpolpare, a partire da due prodigiosi alchimisti: erano una coppia davvero affiata, avevano un aspetto cordiale e un atteggiamento zelante che li portò a lavorare duramente per creare l’iconica protesi di Lucio, ma anziché pagarli a sufficienza da portare il segreto con loro nella tomba, l’uomo optò per la più economica scelta di rinchiuderli nei sotterranei. La promessa di ricchezza era stata sostituita da una di morte al mattino seguente e l’opportunità di non lasciare un lavoro incompiuto, venne colta quando dichiarò che avrebbe mandato delle guardie a occuparsi anche del bambino dei due.
Death Mask sentì che c’era stato un tempo in cui avrebbe concordato con la sua scelta, ma il sadismo di volerli separare anche nelle segrete del castello, e uccidere un bambino senza colpe, superava i suoi nuovi standard. Specie se immaginava se stesso ed Élan al loro posto…
Degli stralci di un altro demone caprino, più minaccioso e più imponente, gli lampeggiarono davanti agli occhi ma non riuscì a cogliere la sua parte nella tragedia.
Nel frattempo Lucio continuò a farsi forte del suo maleficio conquistando e sterminando grazie agli scarabei; nessuna vittoria era davvero sua, anche se suo era il nome che si poteva leggere in ogni cadavere abbandonato per strada o sul campo con gli occhi iniettati di sangue e le vene gonfie… Anche quando non era la maledizione a colpire, era lampante il passaggio del conte. L’avrebbero potuto testimoniare i cittadini di Karnassos, il cui sindaco venne assassinato perché si era lamentato del sovrasfruttamento delle risorse della città; alle loro proteste, Lucio scrollò le spalle e rispose che gli sarebbero dovuti essere riconoscenti per averli liberati da quello che palesemente era un demone.
Come si usa dire, però, morto un papa se ne fa un altro, Karnassos aveva dato il suo addio a un semplice sindaco, così almeno la pensava Death Mask, ma a quei poveri disgraziati di Nopal andò peggio. Il Cavaliere D’oro sapeva riconoscere un ricatto mafioso quando ne vedeva uno, e quello lo era in piena regola: anche se in cambio di protezione, i cittadini si opposero all’ordine di cedere un terzo delle loro risorse di cactus e, per pura combinazione, un mastodontico scarabeo rosso si librò nei cieli del loro villaggio la notte stessa.
L’imposizione aumentò a due terzi e per evitare la distruzione, fu tassativo accettare.
Il combattimento non fu verosimile, non fu appassionante e non si concluse a tarallucci e vino, a Death Mask fece venire il latte alle ginocchia solo a guardarlo: la difesa era piena di aperture, le finte prevedibili e gli attacchi non avrebbero ribaltato nemmeno una vecchietta artritica. Lucio aveva costruito la sua fortuna sulle sue balle e ora che aveva un “complice” non era più nemmeno in grado di collaborare!
C’era molta più credibilità nei film bollywoodiani, ciò nonostante bastò un solo vero fendente per abbattere la bestia che esplose in una pioggia di minuscoli insetti. Scavarono nel terreno fino a scomparire, lasciandosi dietro un’infinità sabbia smossa; se non avesse imparato ad adattarsi alla logica del sogno, Death Mask avrebbe ceduto al panico nel vederseli cadere addosso, avrebbe attivato la sua chela di cosmo e avrebbe colpito alla cieca rischiando di ferire Élan accanto a lui, invece si concentrò sulle percezioni materiali, chiuse gli occhi e non ne sentì nemmeno uno strisciargli sulla pelle. Non sapeva che guai collaterali dovettero affrontare i nopaliani, ma fu certo che la cattiveria della sceneggiata avrebbe portato loro molti più grattacapi di quelli intesi.
L’attenzione ritornò a Vesuvia, su un gruppo di orfanelli che avevano rubato dell’anguilla; nel suo bel completo rosso con pelliccia e lucidi stivali neri, Lucio minacciò di punirli se li avesse colti a rubare ancora e per una volta tanto non sembrò un pazzo irragionevole: avrebbe potuto optare per il taglio delle mani a uno di loro come monito, oppure schiavizzarli finché non avessero ripagato il debito, invece li aveva soltanto redarguiti. Tutta quella generosità era sospettosa per Death Mask e anche se i bambini aveva accolto con gioia il suo invito a pranzo, un orfano più alto degli altri, condivise i dubbi del Cavaliere. Il Conte lo notò e cercò di convincerlo a farlo diventare un gladiatore, tentandolo con la prospettiva di cibo a volontà, ma il ragazzino tentennò e Lucio insistette fino a sbugiardare la sua natura tirannica.
A salvare la situazione fu una macchia di capelli bianchi con vestiti violacei fuori misura, ma le immagini divennero indefinite, i lineamenti incomprensibili e i colori si fusero fino a non permettere di seguire l’evoluzione della vicenda. Il Cavaliere D’oro si ritrovò in un buio impalpabile, qualche sprazzo di luce faceva capolino qui e lì ma erano poco più che fiammelle flebili, soffocate da uno spazio infinito e impenetrabile.
I primi segnali di vita che percepì furono un gorgoglio acquoso e un gracidio, dopodiché una luce crepuscolare si spanse tutto attorno e un’oasi dall’aspetto surreale diradò le tenebre; delle strane creaturine luminose volteggiavano a mezz’aria o si rilassavano sulle foglie lucide, mentre l’acqua opalescente scintillava di una luce che lo invitava ad avvicinarsi.
Death Mask si sentì al sicuro all’interno del sogno per la prima volta, la sgradevole sensazione degli incubi di Lucio stava scemando in fretta e per cacciarla in maniera definitiva, prese un bel respiro e soppesò meglio il vapore profumato dell’oasi; un frizzante profumo di agrumi, acqua marina e fiori gli riempì le narici rinfrescandogli le idee e ricordandogli di tutto ciò che di buono aveva trovato nella sua infanzia. Col cuore più leggero e passi che affondavano nella sabbia arancione, si avvicinò ai bordi dello stagno dove una o due salamandre di luce si gettarono in acqua e una manciata di farfalle si involò sbattendo le alucce; la frenesia gli parve inappropriata viste le sue intenzioni pacifiche e un commento sottovoce gli sfuggì.
-Non tutti insieme, mi raccomando…-
-Si fanno avvicinare solo dagli ospiti che gli piacciono.-
La voce che gli rispose poco distante era tutt’altro che nuova, in effetti era così familiare da fargli alzare gli occhi al cielo e cascare le braccia… L’unico interrogativo era come avesse fatto a non notare prima la sua presenza. Raccolse le forze necessarie per fingere tolleranza e si voltò dopo aver montato una parvenza di sorriso il meno falso possibile.
-Asra! Quanto tempo! Avrei dovuto immaginare che questa fosse opera tua, tu aggiungi quel tocco di mal-di-retina a ogni delirio!- in realtà non gli davano fastidio colori tanto vivaci dopo i campi putrefacenti del Conte, ma doveva pur schernirlo in qualche modo!
Il mago era disteso su fianco appena fuori dal bordo dello stagno e sul suo viso aleggiava il suo miglior sogghigno volpino; aveva affondato un dito nell’acqua e nei ghirigori che creava agitandolo, scintillavano delle increspature ipnotiche per i pesciolini.
-Nemmeno un “ciao” o un “grazie” mi dici?- lo canzonò con tono mieloso -Eppure dovresti! Sono io che ti ho cavato fuori dai sogni di Lucio e ti ho lanciato un incantesimo protettivo…-
-Tu cosa?- gli domandò asciutto l’altro.
-Durerà solo per qualche giorno e sarebbe stato meglio se fosse stato lanciato all’inizio della nottata, ma Lucio non potrà a raggiungerti. Non come prima, almeno. Non c’è di che!-
Death Mask lo squadrò con occhi circospetti rimanendo fermo sul posto e a braccia incrociate.
-Fammi il piacere! Nessuno fa niente per niente, a che gioco stai giocando?-
In questo il Cavaliere ci aveva preso: il tessuto dei sogni era estremamente liquido se manipolato con un po’ di magia, e nella sua oasi di pace Asra aveva percepito che il Conte stesse per rivelare sia segreti di poco valore che altri dannatamente importanti del suo passato. Non sapeva perché il suo vecchio aguzzino avesse scelto proprio Cancer, ma non poteva lasciare che la sua vita privata venisse sbandierata a un soggetto simile; forse era solo un’inutile precauzione, ma era meglio non correre rischi.
-Diciamo che, per usare le parole di Nadia, gli amici di Kamya sono anche i miei. Fintanto che potrete assicurarmi che la terrete fuori dai guai, vi darò il supporto necessario quando richiesto.-
-Ma io non ho chiesto il tuo aiuto…-
-Troppo tardi!- il mago alzò lo sguardo verso la figura del Cavaliere e notò che un flutter di piccole meduse luminescenti gli si era appollaiata sulle spalle senza che l’altro le avesse notate. Il giovane raccolse una manciata di sabbia e si avvicinò a Cancer con fare sinuoso -Adesso però è tempo che ti svegli.-
-Sono appena arrivato!-
Le proteste vennero soffocate dalla sabbia che venne soffiata in faccia e dai tonfi che gli riempirono le orecchie, martellandogli per la testa.
-Sveglia sveglia!- cinguettò Portia fuori dalla camera -Sorgi e splendi, raggio di sole!-
Élan scivolò giù dal letto e corse ad aprirle la porta con addosso ancora solo la vestaglietta e niente altro; la cameriera varcò la soglia con un vassoio pieno di pasticcini e frutta fresca, in volto aveva stampato il sorriso energico di chi aveva cominciato a lavorare da ore ma non ne risentiva.
-Come hai fatto a bussare con le mani occupate?- la fata le fece segno di lasciare tutto sul letto alleggerendo al volo il vassoio di un dolcetto di pasta frolla e fragole.
-Ho usato la testa!- esclamò Portia con tono fiero.
-Cioè hai preso a testate la porta?-
Le due si scambiarono un segno d’intesa reciproca prima di scoppiare in una risata adorabile.
Adorabile, certo, ma anche chiassosa, proprio quel genere di risata che avrebbero reso insofferente un uomo che aveva trascorso la notte a basculare tra incubi e insonnia.
Un uomo come Death Mask, che, per l’appunto, allungò un braccio oltre il letto, rubò il cuscino ad Élan e se lo sbatté sull’orecchio, isolandosi in un rifugio di seta e piume dallo scarso potere insonorizzante; sentiva di essere circondato da un’aura di stanchezza e rancore e non solo per la sfilata di ignobiltà di Lucio, ma anche per la mancata comprensione dei suoi obbiettivi!
Tutte le sue atrocità, tutte le sue “imprese”, tutto il suo pavoneggiarsi ed esibirsi una volta potevano essere state votate alla conquista di una mandria di caproni, ma non si capiva cosa volessero da lui! Se farselo amico era il suo obbiettivo, era riuscito solo a ripugnarlo e, assurdo ammetterlo, a spaventarlo.
Cancer era abituato al sangue, alla guerra e a tutto ciò che ne conseguiva, ma viverlo tramite gli occhi di Lucio, privato della libertà di scegliere od opporsi, era un supplizio. Non voleva abbandonarsi al sonno ed essere trascinato da capo in un turbinio di colpi bassi e scorrettezze, ma allo stesso tempo non era un ragazzino, era un Cavaliere D’oro, orgoglio del Grande Tempio e soldato della Dea Atena, non poteva nascondersi!
Tutta la vicenda, inoltre, poteva essere un’arma a doppio taglio: se la protezione che gli aveva lanciato Asra avesse funzionato, avrebbe potuto godere di un riposo degno di questo nome, in caso contrario, al conte sarebbe stata servita un’altra chance per fornirgli la cartina tornasole di tutta la storia, quella che avrebbe potuto sbrogliare ogni incoerenza o trascinare alla rovina chi stava indagando con anima e corpo: la notte della sua morte.
Il tutto per tacere di quanto stesse assumendo le connotazioni di una faccenda personale…
Le sue riflessioni vennero interrotte dal rumore di una sedia trascinata in sottofondo; Élan ne aveva recuperata una per Portia e le aveva offerto di mangiare con loro, ma la rossa si era limitata ad accettare una tazzina di caffè. Indaffarata com’era, se si fosse seduta, non si sarebbe rimessa più in piedi. Soffiando sulla bevanda fumante aveva infilato una domanda dietro l’altra nascondendo la questione pressante in un ventaglio di frivolezze circostanziali.
-Avete trascorso bene la notte? Che programmi avete per oggi? Come vanno le indagini di Kamya? Contate di fermarvi a lungo e partecipare alla Mascherata?-
-No. Nessuno. Tuo fratello sta bene. Vallo a sapere…- rantolò Cancer.
Portia impallidì e balbettò una mezza protesta.
-I-io non…-
-Non sono nato ieri, rossa, siete come due gocce d’acqua, non era difficile da capire…- il Cavaliere si alzò e fece scorrere gli occhi su ogni pastina e dolcetto finché non elesse la caffettiera mezza piena come colazione ideale; indisturbato dalla temperatura ne consumò il contenuto tutto d’un fiato e la ripose sul vassoio con un verso compiaciuto.
-Forse tu non sei nato ieri ma le tue buone maniere sì- puntualizzò Élan con un ciglio inarcato e dondolando la sua tazzina intonsa per il manico.
-Comunque manterremo il segreto, non ci guadagniamo niente a sputtanare tuo fratello…- l’uomo tirò i muscoli delle braccia per risvegliarsi un minimo, ma nonostante l’esercizio e la caffeina ingerita, sembrava che le forze stessero pure diminuendo.
Portia spostò lo sguardo verso Élan che confermò.
-Hai la nostra parola- un sospiro di sollievo e delle risposte più esaurienti misero la parola fine all’argomento “parentele scomode e dove trovarle” -Non sappiamo cosa conti di fare Kamya né dove si trovi, il che significa che non abbiamo programmi. Mi piacerebbe visitare il resto del palazzo e anche partecipare alla festa, ma senza vestiti vedo dura sia l’una che l’altra.-
-A quello posso porre rimedio subito!- Portia si precipitò con entusiasmo fuori dalla stanza e tornò con un corsetto, un camicione e dei pantaloni alla cavallerizza freschi di sartoria. Nadia aveva selezionato il tutto apposta per Élan, azzeccando a occhio le misure e le tonalità che si accostavano meglio al suo incarnato.
Sbalordita, la fata li distese sulle lenzuola con grande cura: il colore principale dell’abbigliamento era un turchese brillante, ma era l’orlo dorato del camicione a incendiarsi davvero nella luce mattutina; accostandoselo addosso capì che le avrebbe coperto i fianchi e il petto, ma non le spalle, risultando in una scollatura morbida molto invitante. Un ricamo di piume di pavone correva su tutto il corsetto, frastagliandone lo scollo a cuore, e facendolo scintillare con le lunghe file di gemme incastonate in ogni bordo; sui pantaloni da cavallerizza due file di nastrini setosi, anch’essi dorati, si intrecciavano dai fianchi fino alle ginocchia, poco sotto le quali trovavano il loro posto degli stivaletti di cuoio scuro dal tacco basso.
Ultimo ma non ultimo, era un opale blu cangiante circondato da file di zaffiri e smeraldi; montati con strategia su una base dorata, formavano un occhio della coda di pavone, nonché una collana degna di una principessa.
Élan trasmettere il messaggio a Portia.
-Sentitevi liberi di girare per il castello a vostro gradimento, troverete me e la Contessa nelle stanze di Lucio, se ne avrete bisogno. Buona giornata!-
Mentre la cameriera si sbrigava di nuovo ai propri doveri, Élan corse a cambiarsi per provare i nuovi abiti; non avere restrizioni rendeva l’impazienza incontenibile, e la curiosità di indossare un corsetto autentico, a quanto pareva, la rendeva tanto ostinata da riuscire a allacciarselo da sola. Quando si rimirò nello specchio la luce mattutina investì i cristalli più bassi del bordo, gettando dei coriandoli luminosi sulle gambe della fata e sulle larghe maniche della sua nuova camicia; si divertì a compiere ampi gesti e a piroettare finché la testa non prese a girarle.
Si fermò e fu sul punto di ripetere la performance a Death Mask quando lo trovò sprofondato nel sonno; era talmente esausto che aveva affondato la testa in un cuscino, si era girato dall’altra parte e, senza che ci avesse fatto caso, lo sguardo gli si era annebbiato. Adesso aveva la schiena mezza scoperta, le braccia strette a un altro cuscino e un flebile ronzio che si levava dalle labbra scostate.
La fata stiracchiò un sorriso intenerito e si inginocchiò accanto a lui; gli accarezzò il volto scostando le ciocche ingioiellate e gli passò un dito sulla mandibola. Aveva imparato così tanto da quando si erano incontrati, entrambi lo avevano fatto, e qualcosa le suggeriva che avessero ancora molta strada da percorrere, ma una delle lezioni a cui aveva dato maggior valore era la consapevolezza che Death Mask poteva anche avere il proprio ritmo, ma le avrebbe sempre concesso la possibilità di affrontare i suoi demoni assieme, doveva solo mettersi il cuore in pace e aspettarlo.
-Sogni fatati, mio Cavaliere- fu l’ultimo augurio a sussurrargli prima di andarsene dalla camera in punta di piedi.
Intanto, dentro l’oasi paradisiaca di Asra, Cancer avrebbe potuto volentieri passare del tempo gradevole con la sua dolce metà; ce la vedeva mentre faceva amicizia con gli animaletti lucenti, mentre lasciava che la circondassero e mentre lo punzecchiava schizzandogli addosso l’acqua e invitandolo a giocare con lei… Ma la verità era che stesse passeggiando frenetico lungo il bordo dello stagno, saltando dentro e fuori i ricordi di Lucio a intervalli scostanti. Un momento stava cercando dei compagni granchi dai quali farsi eleggere loro capo, quello dopo era testimone di un uomo incatenato e dalla lunghissima chioma nera mentre combatteva in un’arena, schernito dalla gente e dal conte stesso, le palme scuotevano le foglie sopra di lui agitate da un vento impercepibile e in un battito di ciglia una Nadia di bianco vestita gli stava gomito a gomito… Sopra a un altare.
Quel pendolo gli faceva consumare più energie che assistere a un solo truculento scenario, senza contare che smorzava la strategia che aveva deciso di adottare: un tale di cui non ricordava il nome aveva parlato di “sfuggire all’orrore dentro il cuore dell’orrore”*, peccato proprio che non sapeva di che orrore si stesse parlando! Era come cercare di rimettere assieme un mastodontico puzzle senza avere pezzi che combaciassero tra di loro. Ora cominciava a capire il “caratteraccio” di Kamya e la sua frustrazione.
Uno spiraglio di soddisfazione personale lo ebbe quando uno specchio gli restituì il riflesso di Lucio colpito dal suo stesso maleficio; aveva i capelli arruffati, gli occhi rossi anche sulle palpebre, le ossa si intravedevano attraverso la camicia aperta e sulle guance scarnite, persino le venature della sua protesi si erano tinte di scarlatto. Ecco le informazioni per cui aveva intrapreso quel piano suicida!
Mancava così poco al momento della verità, ma gli intervalli si fecero più serrati e i frammenti divennero flash di cui persino i contorni erano nebulosi; una vertigine lo piegò sulle ginocchia mentre si teneva la testa tra le mani, la sabbia gli si infilò nelle aperture dell’armatura mentre il grido selvaggio che gli lasciava la gola gettava il panico nella fauna dell’oasi. Tra gli sporadici volti che riconobbe ci furono i Cortigiani, la capra simile a Lucio, e… In mezzo all’incendio che gli divampò tutto attorno…
Julian.
Non poteva sbagliarsi, era proprio lui lì, nelle stanze del conte inghiottite dalle fiamme.
Death Mask riaprì gli occhi immediatamente, la testa gli pesava e il suo corpo era intorpidito, ma almeno era di nuovo nella propria stanza. Carico di determinazione e sordo alle sue stesse condizioni fisiche, saltò giù dal letto e scattò verso la porta; l’armatura lo ricoprì nel tempo di pochi vacillanti passi ma appena giunse al successivo corridoio, era perfettamente dritto sulle spalle, la sua andatura fiera e il suo cuore travolto dall’odio per il conte. Non gli importava di ciò a cui aveva assistito, il contesto era insufficiente per accusarlo senza colpo ferire e, anche se fosse stato, l’arresto e l’esecuzione di Julian non erano affari suoi.
La sua massima priorità adesso, era portare ordine in un raffazzonato discorso, uno col quale avrebbe persuaso Nadia a rivedere le proprie dichiarazioni perché si trovavano davanti a un nemico comune, un disgraziato che, all’anima della buona creanza e in mezzo a tanti sogni, non gli aveva passato nemmeno i numeri vincenti del lotto!
Girato l’angolo si imbatté in Élan. Tutta sorridente, a vedere l’espressione cupa del suo volto, si fece anche lei scura in viso e si lanciò al suo inseguimento.
-Death Mask! Che succede, hai una faccia preoccupante!- mentre l’uomo saliva a lunghe falcate le scale per le stanze del conte, lo implorò di ascoltarla -Ti prego, fermati, parlami, mi stai spaventando!- allungò il passo correndo finché non riuscì ad afferrarlo per un braccio -Death Mask!-
Cancer l’aveva notata ma l’ostinazione dei suoi sentimenti lo spinsero a liberarsi con uno strattone e varcare con solennità la soglia della camera; erano passate poche ore ma i servitori avevano pulito fino all’ultimo granello di cenere ed erano stati così abili nel riportarla al suo fasto originario, che il guerriero avrebbe creduto si fosse trattato di un tuffo nel passato se non fosse stato per i presenti: a voltarsi verso di lui furono Nadia e Portia, ma altri due sguardi esterrefatti gli si posarono addosso, l’uno era di Kamya… L’altro di Asra.










*È Thomas Ligotti, dal libro “Nottuario”



N.d.A.
Here we are again con un nuovo capitolo! Lungo e pieno di scene originali, spero di aver rispettato la promessa di brividi, il titolo prende spunto dalla rispettiva canzone del musical di Jekyll e Hyde. Forse abbiamo trovato qualcuno che possa tenere testa al nostro crostaceo? Stay tuned, la trama si infittirà a breve!

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