The Lovers Upright di PaolaBH2O (/viewuser.php?uid=137726)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Dark Was The Night ***
Capitolo 2: *** 2 - The Riddle ***
Capitolo 3: *** 3 - At Wit's End ***
Capitolo 4: *** 4 - To Curtain Call ***
Capitolo 5: *** 5 - Confrontation ***
Capitolo 1 *** 1 - Dark Was The Night ***
1
– Dark Was The Night
Magari
la notte portasse consiglio. Invece lascia in dote tante domande e
solo una persona come risposta a tutte (Cit. CannovaV, Twitter)
Erano
passate meno di ventiquattr'ore da quando il brillante mago Asra
aveva lasciato Kamya, la sua talentuosa allieva, per partire alla
volta di una meta sconosciuta; quando la ragazza aveva messo in
discussione la necessità di avviarsi quella sera stessa,
Asra le
aveva risposto che erano nel pieno di una notte senza luna, il
momento perfetto per iniziare un viaggio.
Detto
ciò, aveva raccolto gli averi preparati per
quell’avventura, il
suo fidato famiglio Faust e si era dileguato nella nebbia
dell’esotica Vesuvia, lasciando Kamya con
nient’altro che il
mazzo di tarocchi da lui stesso creato, l’Arcana, delle
domande
destinate a restare senza risposta e una cliente alquanto insistente
e alquanto influente a bussare alla porta del negozio: la Contessa
Nadia.
Asserendo
che non avrebbe passato un’altra notte insonne, aveva pregato
Kamya
di dedicarsi a un incarico di rilevanza non indifferente; ulteriori
dettagli le sarebbero stati forniti se si fosse recata al suo maniero
il giorno seguente, ma la nobildonna le aveva anticipatamente
promesso ospitalità e ogni lusso possibile come incentivo.
Spinta
più dal suo impeccabile senso del dovere che
dall’avidità, Kamya
aveva acconsentito e dopo un giorno trascorso a viaggiare a fianco
della domestica personale di Nadia, Portia, aveva finalmente
raggiunto la magione sua meta.
Portia
l’aveva fatta accomodare in una ricca ma vuota sala da pranzo
in
attesa della Contessa e, per quanto stuzzicanti fossero i profumi che
impregnavano l’aria, o ricche le pietanze che imbandivano la
lunga
tavolata, la fame, la stanchezza e l’ansia poggiavano
pesantemente
sullo stomaco e sulle spalle dell’apprendista, rendendole la
schiena rigida e dolorante. La mancanza del suo adorato maestro e la
necessità di dover aspettare la Contessa, accentuavano
ancora di più
il disagio di quella così formale situazione.
Kamya
ne tentò di varie per distogliersi da quegli scoraggianti
pensieri;
si perse ad esaminare ogni angolo della sala da pranzo,
allineò le
stoviglie già perfettamente posate davanti a lei,
tentò di far
dondolare i veli che collegavano i lampadari in vetro con la forza
del suo soffio e si dilettò a far cambiare colore alle
fiamme delle
candele che brillavano al centro della tavola, ma ciò che
riuscì
più di tutto a catturare la sua attenzione, fu un quadro
tanto
singolare quanto inquietante: il dipinto ritraeva un banchetto a cui
partecipavano una serie di ospiti ritratti con teste di animali;
tutti si stringevano attorno alla figura che serviva loro quella cena
fatta di piccoli animali, un caprone bianco con lunghe e
spiraleggianti corna. Una corona di raggi dorati si irradiava dalla
sua testa e i suoi profondi occhi rossi sembravano sorprendetemene
vivi.
-Benvenuta,
Kamya- salutò Nadia, riscuotendo l’ospite dalla
sua contemplazione
-Vedo che stai ammirando il dipinto.-
La
maga si girò per prestare attenzione all’elegante
padrona di casa;
la Contessa era una splendida donna dalla lunga chioma viola raccolta
in un’alta coda di cavallo e con occhi rossi che ispiravano
una
raffinatezza fuori dal comune. Le sue ricche vesti erano costituite
da una gonna lunga e da dei drappi candidi che si intrecciavano sul
busto; l’immacolato velo che le avviluppava morbidamente le
braccia
fino ai dorsi delle mani sbucava da un paio di maniche aperte dai
gomiti in giù ricavate dalla stessa stoffa celeste e bianca
della
gonna. Il corsetto verde con ricami dorati che le stringeva la
sottile vita si accompagnava allo splendente abbinamento di monili
dorati che le adornavano le dita, la fronte, i capelli e i polsi,
molti dei quali resi ancora più preziosi dalla lucide perle
di
giada.
La
chiarezza di quelle vesti spiccava contro la pelle scura,
risaltandone il tono.
Mentre
la donna si accomodava al proprio posto a capotavola, le sue labbra
color del vino si incurvarono in un placido sorriso quando il suo
sguardo si incrociò con quello della maga.
-Ti
piace? Il ritratto, intendo- chiese con curiosità voltando
gli occhi
verso quella peculiare espressione d’arte.
Kamya
si girò a sua volta e finse di soppesarlo di nuovo cercando,
in
realtà, le giuste parole con cui esprimere la propria
opinione senza
essere scortese; sfortuna volle che quando fu il momento di
rispondere, ciò che le uscì di bocca fu piuttosto
rivelatore.
-Ehm-
tentennò, nella speranza che un provvidenziale lampo di
sofisticatezza la colpisse -Volete la risposta gentile o quella
sincera?-
-Quanta
onestà!- rise la Contessa facendo tintinnare le piccole
perle che
dondolavano sotto ai fermagli accanto agli occhi -Devo confessare che
non piace nemmeno a me. Allora perché rimane appeso alla
parete,
potresti chiedere.-
Un
servitore apparve accanto a Kamya e adagiò una ciotola colma
di
zuppa allo yogurt e cetriolo davanti alle due commensali; la ragazza
strinse le mani attorno alla ceramica resa calda dalla fumante
pietanza e si scaldò le dita fredde per la tensione. La sua
risposta
aveva allietato la Contessa ma avrebbe dovuto fare pratica su come
esprimersi a corte se avesse voluto evitare di
“allietare” altri
nobili con gaffe più gravi o pesanti.
Appena
fu certa di avere una buona presa, sollevò il piatto e ne
bevve un
sorso con cautela mentre Nadia rispondeva alla sua stessa domanda.
-Valore
sentimentale, presumo. Era uno dei preferiti di mio marito.-
Il
marito della Contessa Nadia, il Conte Lucio. Come Kamya
richiamò il
suo nome alla mente, la figura caprina di fronte a lei, divenne in
qualche modo familiare; d’improvviso i suoi occhi scarlatti
non
sembravano soltanto vivi, ma parevano restituirle lo sguardo
scrutando nel profondo della sua anima.
-È
un rosso magnifico...- commentò quasi senza rendersi conto
di averlo
detto a voce alta.
-Ah,
sì, è una splendida tonalità-
annuì la Contessa i cui occhi
brillavano di divertimento -Quello al centro è il Conte
Lucio, o
dovrebbe esserlo, mentre provvede al popolo, come gli piaceva
immaginarsi. Di sicuro sapeva come intrattenere gli altri.-
La
ciotola vuota di Kamya venne sostituita con un piatto di riso e avena
resi dorati dalla presenza di zafferano man mano che Nadia proseguiva
nella narrazione dei ricordi sul suo consorte.
-So
quanto caramente la persone di questa città ricordino i
balli in
maschera del Conte. Vi hai mai partecipato, Kamya?- Nadia attese che
l’apprendista le rispondesse e nel mentre cominciò
a mescolare il
proprio riso con la forchetta. I suoi gesti erano studiati come le
sue parole e la grazia dei suoi movimenti una gioia per gli occhi.
-Temo
di non averne memoria- minimizzò Kamya, ma la
verità era che non
aveva quasi assolutamente ricordi su come fosse stata la sua vita
prima di conoscere Asra.
Tutto
ciò che aveva sul suo passato, erano i tre anni appena
trascorsi.
Ogni volta che provava a ricordare, un forte mal di testa la
investiva come un’onda in mezzo a una violenta tempesta.
-Il
nostro party annuale per la celebrazione del compleanno di mio marito
era una delizia per tutta Vesuvia... È un ricordo venato di
amarezza
ormai… Dopo che il Conte Lucio è stato
assassinato all’ultima
mascherata- il tono di Nadia si tinse di rabbia tanto rapidamente
quanto poco prima si era tinto di malinconia; la sua voce si
spezzò
in due modi diversi mentre le sue emozioni si tingevano di un forte
odio che mai aveva cessato di bruciare.
Kamya
quasi si soffocò col riso cercando pietosamente di
ricomporsi ma il
battito del suo cuore accelerava lo stesso in beffa ai suoi
tentativi.
-Fu
un terribile shock per gli ospiti, una feroce ingiustizia giace su
questa casa.-
Nadia
era così immersa nel suo racconto da non badare alla
momentanea
scompostezza di Kamya e quella comprese che non si trattava di un
racconto per puro piacere o sfogo personale: la sua presenza al
castello si stava spiegando proprio nel racconto della donna. Gli
ultimi istanti di vita di Lucio custodivano il perché della
sua
missione.
-Assassinare
il padrone di casa mentre festeggia, condividere la sua gioia e la
sua prosperità a porte aperte?- sibilò la
Contessa stringendo lo
stelo del sottile calice così forte da farle sbiancare le
nocche.
Kamya
avrebbe voluto dire qualcosa per distrarla, ma in difficoltà
com’era, non poteva altro che far saettare gli occhi dal
quadro al
suo cibo senza riuscire davvero a focalizzarsi. Aveva già
sentito
vociferare sulla morte di Lucio ma quei racconti erano pieni di
buchi, resi torbidi da voci non confermate e domande prive di
risposte. Il finale, però, era sempre lo stesso: il Conte si
era
ritirato nelle proprie stanze e, per mezzanotte, lui e la sua camera
da letto erano stati travolti dalle fiamme. Il colpevole era stato
colto in flagrante ma prima che la giustizia avesse potuto prevalere,
era riuscito a fuggire.
Da
allora gli ospiti accettati a palazzo erano stati molti pochi.
Lo
sguardo della maga si incontrò ancora una volta con quello
perspicace della Contessa.
-Contessa,
che cos’ha a che fare tutto questo con me? Non
fraintendetemi,
adoro i racconti di mistero e fantasmi ma non riesco proprio a vedere
come possano riguardarmi- ammise Kamya, consapevole di dove in
realtà
volesse andare a parare Nadia ma insicura di essere adatta a quel
ruolo.
-Kamya,
la Mascherata è precisamente il motivo per cui ti ho
chiamata qui-
dichiarò Nadia posando con delicatezza la propria mano su
quella
della maga e sporgendosi verso di lei con fare disinvolto e pieno di
sicurezza -Quest’anno intendo ospitarla un’altra
volta.-
Sia
la sua ospite che ogni servitore nella stanza fissarono la donna con
grande stupore.
-I
festeggiamenti in memoria di Lucio saranno i più stravaganti
di
sempre, c’è solo un’ultima questione da
sistemare. L’assassino
del Conte vaga ancora a piede libero: il dottor Julian Devorak, il
precedente medico di mio marito- dichiarò colma di intensa
solennità.
Kamya
si sentì gelare il sangue nelle vene, ritrovandosi
improvvisamente
bloccata sulla sedia.
Aveva
già incontrato quell’uomo e come poter dimenticare
il loro primo
incontro? Il medico si era infilato nel negozio di magia poco dopo
che l’apprendista aveva salutato Nadia la notte scorsa, e
aveva
preteso di vedere Asra; appena aveva scorto la sua inquietante
persona, col suo nodo di capelli rossi e la maschera a becco che si
stagliavano contro il nero dei vestiti, a Kamya era preso un colpo al
cuore ma, nonostante l’agitazione, aveva lo stesso cercato di
liberarsene con la diplomazia. Ciò che l’aveva
stupita era stato
vedere come Julian, capendo che il suo viaggio fosse stato a vuoto e
che non fosse possibile avere altre informazioni riguardanti il mago,
avesse accettato la situazione senza ricorrere a minacce o
all’uso
della violenza.
A
onor del vero, aveva pure proposto un’alternativa.
Consultare
l’Arcana avrebbe potuto dargli una risposta più o
meno concreta e
invece ciò che gli aveva dato era stato soltanto
un’occasione per
la perfetta uscita drammatica; sulla dichiarazione di “La
morte non
è interessata a un mascalzone come me. Ha poggiato lo
sguardo
sull’abominio che sono e ha voltato lo sguardo”
aveva abbandonato
il negozio con la coda tra le gambe.
La
Morte non indicava effettivamente la fine di un ciclo vitale, ma
Julian non aveva voluto lasciare il tempo a Kamya di spiegarlo;
un’uscita piuttosto teatrale, la sua, quasi esagerata ma che
aveva
comunque stuzzicato la curiosità dell’apprendista.
Mentre
Portia faceva il suo ingresso nella sala con un vassoio su cui erano
stati sistemati accuratamente i dolci di fine pasto, Nadia si
versò
un calice di vino e fece una pesante dichiarazione.
-Il
dottor Devorak ha confessato il crimine quando l’abbiamo
sorpreso,
tutto ciò che rimane è solo la sua sentenza.
Morte per
impiccagione.-
Un
terribile fragore alle spalle delle due commensali le fece
sobbalzare: Portia aveva rovesciato il vassoio coi dessert e si era
pietrificata poco dietro di loro, il suo volto di solito allegro e
pieno di energia adesso era una maschera di orrore.
-Portia?-
la richiamò Nadia sorpresa. Non era da lei commettere errori
simili.
-P-perdonatemi,
mia signora. Mani di pasta frolla- si scusò la ragazza,
affrettandosi a raccogliere i pezzi delle coppe in vetro, la salsa
dei budini che impregnava le fibre del tappeto le avrebbe dato un
problema più complesso a cui rimediare.
-Sei
perdonata- le fece cenno con la testa la sua padrona mentre altri due
inservienti accorrevano in suo aiuto rapidi come il vento -Qui
è
dove entri in gioco tu, Kamya. Il dottor Devorak è stato
molto
elusivo ma la tua reputazione ti precede, voci dicono che abbia
addirittura superato il tuo maestro, Asra. Persino io vedo il futuro
nei miei sogni, che mi piaccia o no, è per questo che so che
sei
colei che troverà il dottor Devorak- concluse posando il
calice
vuoto.
-E...
E se riuscirò a trovarlo?- Kamya deglutì a fatica
e sospirò piano
per non farsi notare. L’immagine di Julian che pendeva dalla
forca
le faceva venire un nodo in gola ma non riusciva a capirne il
perché.
-Quando
riuscirai
a trovarlo- la corresse la donna -Lo porteremo davanti al popolo
affinché tutti possano assistere alla sua agognata
punizione. E
così, per cominciare i festeggiamenti, il dottore
morirà sul
patibolo per il suo terribile crimine- detto questo, la Contessa si
alzò e, d’istinto, fece altrettanto Kamya -Portia?
Portia!-
Nadia
fu costretta a ripetersi nel richiamare l’attenzione della
sua
servitrice; da quando aveva nominato l’esecuzione di Julian,
la
ragazza si era persa nei suoi pensieri estraniandosi completamente
dalla realtà.
-Sì,
mia signora!- si riscosse lei con un gesto della testa che fece
ciondolare i suoi lunghi e morbidi ricci. Solo in quel momento Kamya
fece caso a quanto simile fosse il colore dei capelli di Julian e
Portia.
-Mostra
a Kamya le stanze degli ospiti, immagino che ci sia ancora molto su
cui riflettere prima che la notte sia conclusa. Ti auguro una serena
notte, Kamya- la salutò la Contessa prima che Portia si
piegasse in
un modesto inchino e sospingesse la maga oltre la pesante doppia
porta in mogano.
Durante
la loro passeggiata per le ampie sale del castello e verso la zona
degli ospiti, Portia restò in silenzio, la fiamma
dell’entusiasmo
che aveva mostrato nella giornata si era affievolita e di essa non
rimanevano che braci spente e grigie. Dopo un paio di svolte, le
ragazze arrivarono ai piedi di un’ampia scalinata velata da
una
fitta penombra; a custodire i primi gradini c’erano una
coppia di
levrieri bianchi dal folto e setoso pelo. Uno spiffero che soffiava
dalla cima, scosse la loro soffice pelliccia e fece rabbrividire
Kamya; quel venticello portava con sé lo stantio della
cenere e il
gelo dell’aria notturna.
Mercedes
e Melchior alzarono lo sguardo verso l’apprendista fissandola
con
profondi occhi da cacciatori; sebbene dessero l’impressione
di
poterle saltare addosso da un momento all’altro, lei non
percepiva
nessun intento malevolo nei propri confronti. Come allungò
una mano
per farsela annusare, i due levrieri le andarono incontro facendo
ciondolare la coda con allegria; il loro fiato solleticava il palmo
di Kamya comunicando simpatia e confidenza tanto che anche Portia
trovò di che stupirsi.
-Be’,
questo sì che è bizzarro! Non prendono mai in
confidenza gli
estranei. È semplicemente il modo in cui sono stati
addestrati ma
non li ho mai visti comportarsi così.-
Le
loro testoline affusolate strusciarono contro i fianchi di Kamya
proseguendo con la loro ispezione che conclusero soddisfatti
fissandola pieni di aspettativa; appagata dall’aver compiuto
quel
piccolo miracolo, la giovane non resistette all’idea di far
scorrere le dita sotto il setoso musetto del più minuto tra
i due.
-Non
lo farei se fossi in te!- si allarmò Portia poco prima che
l’animale
indietreggiasse e che la maga ritraesse la mano d’istinto
-Scusa,
sono un po’ imprevedibili. Sembra che tu gli piaccia ma
preferirei
che ti tenessi quella mano- la avvertì una seconda volta
suggerendo
la natura possibilmente feroce dei due levrieri.
Non
volendo socializzare oltre, Mercedes e Melchior ritornarono di nuovo
al proprio posto confondendosi quasi col pavimento in marmo.
Ripercorrendo
mentalmente la propria giornata e ricordandosi di quali faccende si
fosse già occupata e quali fossero ancora da sbrigare,
Portia venne
colta da un’illuminazione improvvisa che le impedì
di ripiombare
nuovamente nella precedente spirale di pensieri.
-Non
mi meraviglia che si comportino così, non hanno ancora
ricevuto la
loro torta alla camomilla!- fece saettare lo sguardo tra la sua nuova
amica e i cani, indecisa sul da farsi -Aspetta qui, Kamya, e tieni le
distanze da loro, è probabilmente meglio così.
Torno subito con le
loro torte.-
Detto
questo, la servitrice fece scorrere un pannello nella parete
lasciando sola la maga con gli imperscrutabili levrieri. Kamya fece
come le era stato raccomandato ma quando sentì il
più grande dei
due annusarle di nuovo il fianco con insistenza, abbassò lo
sguardo
per incontrare quello dell’animale. In tutta risposta,
Melchior
indietreggiò senza rompere il contatto visivo; altrettanto
fece
Mercedes che, una volta rubate le attenzioni di Kamya dal fratello,
si sedette sulle anche con sfacciata innocenza. Catturata
com’era
dai suoi occhi sanguigni, Kamya sentì un brivido
febbricitante
correrle lungo la schiena mentre una voce risuonava nella sua mente.
-Un’ospite?-
A
quel suono, la ragazza indietreggiò scrutando i corridoi in
cerca di
chiunque potesse aver parlato ma nessuno era in vista; nemmeno il
pannello che aveva usato Portia sembrava essere stato scostato di
recente.
-Chi
va là?- chiamò sperando che qualcuno di tangibile
le rispondesse,
ma nessuno si fece vivo. Per quanto lo negasse, conosceva la
verità.
La voce doveva provenire… Dalla cima delle scale.
In
pochi secondi, si rese conto che le storie di fantasmi non la
affascinavano poi così tanto e che finire dentro una di
esse, non
rientrava tra le sue ambizioni.
Kamya
assottigliò gli occhi in cerca di una presenza in cima alla
scalinata ma non c’era niente oltre al vuoto e denso buio.
Quasi
ebbe un sussulto quando si sentì strattonare gli abiti ma
Mercedes e
Melchior non ammettevano esitazioni: l’apprendista voleva
scoprire
chi avesse parlato? Doveva seguirli.
Incerta
se non le fosse proibito esplorare la vecchia ala del castello, Kamya
mosse comunque qualche passo sui primi scalini e i due fratelli
presero a scodinzolare soddisfatti; richiamarli o provare a liberarsi
risultò in una morsa ancora più tenace sui suoi
pantaloni a sbuffo.
Non volendo rovinare uno dei più eleganti completi che
possedeva,
scelto apposta per l’occasione. Kamya accontentò
quei due testardi
cacciatori che la lasciarono andare solo una volta arrivati in cima.
Lì
l’odore della cenere era soffocante e la roccia dei muri era
di un
freddo quasi glaciale; niente in quella zona aveva a che vedere con
la calda atmosfera che si respirava nei luminosi corridoi del
castello o con gli esotici profumi che aleggiavano nell’aria.
La
vita e la luce dei lampadari sembravano morire contro la torbida
oscurità delle vecchie stanze di Lucio.
Kamya
si fermò per un momento a riflettere su quell’uomo
e sul modo con
cui ne aveva parlato Nadia; c’era una tale nostalgia nei suoi
sguardi e un risentimento così amaro nei confronti di Julian
che
tutto suggeriva la loro fosse stata una felice unione,
disgraziatamente stroncata dalle azioni egoiste di un criminale.
Nessuna meraviglia che Nadia non avesse lasciato che i servitori si
prendessero cura della dimora del Conte: tutto doveva rimanere
proprio com’era, a memoria della generosa guida che era stato
quell’uomo per Vesuvia e dell’affezionato consorte
che era stato
per lei.
Niente
andava spostato o aggiustato.
Gli
appartamenti del Conte sarebbero rimasti la sua inviolata tomba fino
alla fine dei tempi.
Sull’onda
di quei pensieri che la facevano sentire fuori posto, Kamya si
avviò
per scendere di nuovo le scale quando la testa prese a girarle
così
forte da isolarla persino dal freddo e dallo stantio della polvere;
col cuore che le martellava nel petto, si sostenne al corrimano in
marmo e tentò di invocare una luce sul palmo della mano
libera. La
magia le rispose dopo un paio di tentativi materializzandosi sotto
forma di una sfera scintillante, flebile ma sufficiente.
Kamya
cercò Mercedes e Melchior ovunque ma non li trovò
da nessuna parte.
In fondo al corridoio, una porta socchiusa la richiamava, sfidando
con un ancor più appestante buio la già
insufficiente illuminazione
del piano; senza rendersene conto, la maga si avviò verso
quella
camera che la attirava a sé.
Una
volta entrata negli appartamenti del Conte, l’unica fonte di
illuminazione era soltanto la sfera di scintille che le brulicavano
sul palmo; contro le dense tenebre della stanza sembravano quasi
farsi più piccole e fioche, il loro viola chiaro gettava
un’ombra
lugubre su tutto ciò che toccavano. L’aria
lì dentro, al
contrario di quanto ci si potesse aspettare, era tiepida ma pesante,
come se l’incendio non avesse mai davvero smesso di consumare
quelle pareti.
Una
corrente penetrava attraverso le finestre mal sbarrate facendo
svolazzare i brandelli delle tende e del baldacchino come fantasmi;
in un altro angolo erano esposti una stravagante armatura e una
scrivania di alabastro su cui capeggiava una piuma bianca di pavone.
Kamya
cercò di ignorare il fatto che il tutto fosse coperto non da
polvere
ma da cenere, per andare a esaminare più da vicino un
dipinto alto
il doppio di lei; le scintille si espansero sulla tela per agevolarle
quel compito, rivelando il protagonista dell’opera: un
giovanotto
col petto gonfio stendeva il braccio sinistro su una spada sguainata
e poggiava lo stivale sul cranio di una bestia sconfitta da lungo
tempo. Il suo sguardo fiero si perdeva all’orizzonte in vista
della
prossima conquista che gli avrebbe garantito fama e ricchezza, anche
se lo sfarzo della sua tenuta da battaglia suggeriva ne avesse
accumulate più che in abbondanza.
Quello
era il Conte Lucio, senza ombra di dubbio.
I
capelli biondi erano pettinati con cura all’indietro e delle
linee
nere ne contornavano gli occhi grigi donandogli risalto e
profondità.
O
il dipinto non era recente, o la deduzione di Kamya che Lucio fosse
molto più anziano era errata. In ogni caso il pittore aveva
infuso
nell’opera tutta la vanità del nobile.
Il
rosso della sua giacca era dello stesso punto del ritratto nella sala
da pranzo e la protesi dorata del braccio che reggeva la spada, un
capolavoro di arti alchemiche; la pelliccia che gli pendeva dalle
altezzose spalle era stata ritratta così finemente da
sembrare vera.
-Coraggio,
toccala-
La
incoraggiò la stessa voce di poc’anzi.
Kamya
sentì un refolo di aria densa e torrida sospingerle la mano
verso la
tela ma quando la toccò non percepì altro che
cenere e pittura. Una
risata risuonò nella sua mente offuscandone la percezione.
-Non
è paragonabile a quella vera... Vedere ma essere incapace di
sentire… Che dolce tortura...-
Un
calore come quello di un tizzone ardente si irradiò sulla
nuca di
Kamya e la magia nel suo palmo reagì avvolgendole le dita e
allungandosi verso il polso; ad un sospiro della misteriosa voce, la
strana sensazione di calore diminuì mentre quel suono si
affievoliva, quasi sussurrando.
-Lì,
nella tua energia… Oh, è lui. Potresti
essere…?-
Il
torpore svanì dalla mente della maga che barcollò
lontano dal
quadro; qualcosa di morbido, forse uno sgabello imbottito, le
sbatté
contro le gambe e la fece cadere dentro le pieghe in velluto
polveroso dell’imponente letto. Un grande sbuffo di cenere si
levò
dalle lenzuola quando la schiena di Kamya ci sprofondò
dentro e una
macabra realizzazione la investì mentre quelle nuvolette
pallide non
smettevano di danzarle attorno.
Quello
era il letto di Lucio. Proprio dove era stato assassinato.
Incenerito.
Quello
era
Lucio.
Le
polveri sottili cominciarono a entrarle negli occhi, nel naso, nella
bocca e più si dimenava per liberarsene, più le
si spandevano
attorno. Si premette una mano contro le labbra per soffocare un urlo
mentre lottava per rimettersi in piedi.
-Te
ne vai così presto? Non sei affatto divertente...-
Quella
voce risuonò da ogni angolo della stanza e fece eco dentro
la sua
testa.
-Che
cosa vuoi?!- gridò Kamya contro il nulla cercando di non
cedere al
panico.
La
risata si fece più alta e le orecchie della maga si
arroventarono di
colpo mentre la sensazione di calore si spostava sulla sua schiena.
-Che
cosa sono io a VOLERE?-
Le
ultime parole terminarono con un ringhio che fece raggelare
l’apprendista; la sensazione che qualcosa le stesse toccando
la
schiena tacque di colpo e lei riuscì a rimettersi in piedi.
Nonostante il calore latente provato fino a qualche secondo prima, la
temperatura cadde improvvisamente e i suoi respiri si condensarono in
sbuffi a mezz’aria. Non osò guardarlo direttamente
o verificare ma
Kamya era certa che qualcosa si fosse mosso verso la tela del quadro.
-Catene
d’oro ma nessun collo… Bellissima, bellissima
pelliccia ma
nessuna schiena… Nessun perfetto viso da soffocare di
baci…
Perciò non voglio nulla.-
La
voce tacque ancora una volta e la stanza sembrò tornare alla
normalità di nuovo. Kamya inciampò nei suoi
stessi piedi nel
tentativo di scattare oltre la porta e attraverso i corridoi;
continuò a correre in cerca di una vaga luce che la portasse
lontano
da quell’incubo, i ritratti appesi ai muri la fissavano con
freddi
e aristocratici sguardi.
-Torna…
Torna indietro...-
Contro
ogni buon senso Kamya si fermò e si guardò
indietro; per un momento
soltanto riuscì a intravedere una sagoma stagliarsi contro
un muro
di alte finestre offuscate dal fumo. Artigli, corna e zoccoli come di
onice comparvero assieme al pallido viso di una capra con
lampeggianti occhi rossi; la fissava con gioia ma in un battito di
ciglia era scomparso.
Si
sentì il cigolio dei cardini, lo sbattere violento di una
porta e
poi… Silenzio.
Insicura
se quanto appena vissuto fosse successo per davvero, la maga si
precipitò giù per le scale disorientata; il tempo
di arrivare alla
fine, e Portia era lì a cercarla dietro ogni angolo.
-Oh,
eccoti- sussultò alla vista di Kamya, trafelata e coperta di
polvere
-Che è successo? I cani ti hanno trascinata su per le
scale?- le
chiese allarmata a vedere lo stato in cui era ridotta.
-S-sì,
ma niente che un po’ di magia non possa sistemare- sorrise
Kamya,
sbloccando i fermagli che fissavano il velo ai suoi corti capelli
indaco e dandogli qualche forte scossone.
Più
cercava di ricomporsi, più sentiva di star facendo uno
sforzo
inutile ma Portia la prese sottobraccio sorridendole calorosa e tutto
parve placarsi di colpo.
-Sai
cosa? Lascerò semplicemente queste torte qui e ti
accompagnerò a
letto.-
Camminarono
fianco a fianco fino ad arrivare alla camera degli ospiti che Nadia
aveva riservato a Kamya; Portia aprì la porta con un ampio
gesto
rivelando una stanza accogliente e dalle molteplici tonalità
di
viola. Unica eccezione, le lampade arancioni a forma di diamante che
pendevano dal soffitto; agganciate tramite robuste catene in metallo
scuro, gettavano il loro calore su tutto il tappeto e sul letto a
baldacchino di un bel pervinca, donandone una generosa
quantità
anche al grosso specchio appeso lì accanto.
-Questi
saranno i tuoi appartamenti. Puoi mettere le tue cose dove desideri,
ti verrò a svegliare io quando la colazione verrà
servita all’alba-
spiegò Portia con diligenza ma mascherando a fatica uno
sbadiglio.
L’ora si faceva tarda anche per lei.
L’apprendista
fece cadere la borsa accanto a una pianta in vaso dalle foglie larghe
e poggiò il velo sul bordo ai piedi del letto.
Saggiò
la morbidezza delle lenzuola in lino, anelando disperatamente a quel
letto, mentre Portia la salutava un’ultima volta.
-Sembri
sul punto di crollare, ti lascerò da sola. Buonanotte,
Kamya.-
La
dolce voce della servitrice avrebbe cullato il sonno di chiunque ma
la maga si impose di non andare a dormire prima di aver sistemato i
propri indumenti.
-Sogni
d’oro, Portia- si voltò in tempo per vederla
uscire chiudendo la
porta.
Dopo
aver controllato che i tarocchi di Asra non si fossero sporcati e
dopo aver tirato le tende dello stesso tono del baldacchino, Kamya si
sfilò le scarpette dorate, i pantaloni e il corto bustino
che
lasciava intravedere il ventre per farli fluttuare a
mezz’aria; a
quelli si unì presto anche il velo sottile della testa.
Il
suo bel completo violetto da danzatrice era ingrigito e sui pantaloni
a sbuffo erano rimasti dei piccoli solchi dove Mercedes e Melchior
l’avevano afferrata, i fazzoletti di stoffa che contornavano
le
gambe dando a ogni passo un movimento più vibrante, erano
scuciti in
più punti e le monete che abbellivano il contorno del
corpetto e
della cintura, si erano opacizzate; ma quello che era più
mal messo,
era il velo che le pendeva dietro la testa e lungo la schiena: il
colore di quello sembrava non essere mai esistito.
Kamya
chiuse gli occhi e richiamò un concentrato di magia celeste
sui
palmi tramite un profondo respiro; ripensò
all’acqua che
raccoglievano al fiume lei e Asra quando dovevano pulire il negozio o
fare il bucato, alla sua freschezza e alla sensazione che le dava
sulla pelle. Il pensiero del suo bel maestro, coi suoi riccioli
candidi e gli occhioni viola, rischiarono di farla deconcentrare ma
una volta riaperte le palpebre e picchiettato ogni pezzo del suo
vestiario, nonché della sua stessa persona,
l’incantesimo avvenne
con successo: la polvere si staccò tutta d’un
colpo in un grosso
sbuffo e volteggiò nell’aria prima che Kamya
corresse ad aprire
una delle alte finestre per lasciarla scivolare fuori, a disperdersi
nel buio della notte.
Una
volta ripresi in mano gli abiti, la ragazza poté constatare
con
meraviglia quanto bene il risultato avesse funzionato; adorava quel
completo, l’aveva cucito personalmente per
un’occasione
importante e l’aveva abbellito con la magia. Volendolo
rinnovare
per il giorno seguente in modo da ammaliare la Contessa,
invocò una
manciata di scintille sulle dita e le fece correre sul tessuto. I
ritagli di stoffa sulle gambe si contornarono con un nastro dorato e
delle monete sulle punte, la cintura si ripeté in
più giri sui
fianchi e le maniche a sbuffo si allungarono fino ai polsi. Laddove
la dita avevano toccato i vestiti, si espansero delle macchie indaco
finché tutto non fu di quel colore che si accompagnava ai
suoi
capelli.
Concluse
quel lavoro aggiungendo delle file di perline e altre monete al
corpetto, e indicò la sedia ai suoi abiti che lì
si andarono a
piegare con cura.
Ogni
sera, prima di coricarsi si guardava nello specchio per rimirare il
fisico di cui non andava particolarmente fiera, cercando in qualche
modo di imparare ad apprezzarlo piano piano; certo, la pancia era
piatta e la vita abbastanza sottile, ma quelle gambe non troppo
lunghe che Asra definiva forti e in salute, per lei erano un
po’
robuste e i fianchi di certo più larghi di quanto non li
volesse.
Andava
però piuttosto fiera di un singolare dettaglio del suo viso
ovale;
contro la sua pelle scurita dal sole, il regolare uso della magia
aveva fatto spuntare delle macchioline argentate che le avevano
procurato un soprannome affettuoso da parte di Faust: lentiggini di
stelle.
I
suoi pensieri si rivolsero ancora una volta ad Asra e al suo
famiglio; chissà se erano ancora in viaggio o se erano
arrivati a
destinazione, e chissà cosa ne avrebbero pensato della sua
avventura
nelle stanze di Lucio.
Nonostante
il pensiero di quella visita fuori programma fosse spaventoso e
disgustoso, Kamya lo respinse in un remoto angolo della sua testa per
accoccolarsi sotto le lenzuola; il conforto datole dal materasso
più
comodo che avesse mai provato la faceva sentire priva di peso.
Cullata dai passi di Portia che risuonavano nel corridoio,
l’apprendista scivolò nel sonno; sebbene
desiderasse solo
ricongiungersi ad Asra in quel mondo parallelo fatto di stelle e
misteri, i sogni di Kamya non avrebbero mai potuto avvicinarsi alle
contorte realtà che si profilavano all’orizzonte,
e a dare il via
alla scia di quegli eventi sarebbe stato l’antico simbolo dei
peggiori incubi di Vesuvia: uno scarabeo rosso.
Mentre
i resti del defunto Conte si involavano sopra la città, uno
di quei
diabolici insetti strisciò fuori dal letto di Lucio, oltre
le rade
travi di legno che mal sbarravano le finestre e via nella brezza
della notte, a unirsi ai resti dell’uomo; nel suo placido
volare,
un lampo di luce si impennò nella notte,
rischiarò il quartiere sud
di Vesuvia e annunciò l’arrivo di due tra i
più insoliti
viaggiatori che la città avesse mai accolto: Death Mask del
Cancro,
il quarto dei Cavalieri D’oro, e la changeling
Élan, entrambi in
viaggio da diversi giorni alla continua e ostinata ricerca della
dimensione in cui la giovane mezza-fata viveva.
L’ultima
visitata era stata la più grande nave-laboratorio che
l'umanità
avesse mai conosciuto: la Helios, un trionfo di tecnologia creata da
Nikola Tesla affinché vi si potessero riunire le
più affilate menti
del globo. Sarebbe potuta sembrare un’avventura illuminante
ma per
aiutare una donna di nome Rose, Élan aveva messo la propria
vita a
rischio più volte di quante se ne sarebbero potute contare e
Death
Mask, abituato a intervenire con tempestività in ogni
situazione
gravosa, era dovuto restare in panchina, assaporando l’amara
sensazione di impotenza che odiava così aspramente.
Se
la giovane donna avesse evitato di giocare alla buona samaritana come
tanto le piaceva fare, il Cavaliere del Cancro non avrebbe dovuto
fare i conti con una verità fulminante che l’aveva
colto del tutto
impreparato, ma quello era un pensiero per un’altra notte.
Guardando
Élan uscire dal vicolo in cui si erano teletrasportati,
Death Mask
prese un respiro a pieni polmoni, scosse la testa e sollevò
il viso
al cielo; le luci di Vesuvia erano così flebili che neanche
al
Grande Tempio, sua dimora, si poteva ammirare una volta stellata
tanto impressionante. Cercando di schiarire la mente grazie a quella
botta di ossigeno, e di liberarsi dagli istinti che gli suggerivano
di litigare con la sua compagna, non si rese nemmeno conto
dell’insetto scarlatto che gli si era andato a poggiare
sull’unico
punto del braccio sprovvisto dell’armatura dorata.
L’uomo
provò con caparbietà ma capì presto
che nulla poteva fare contro
quella rabbia, perciò decise di sviare la sua attenzione su
una
mappa incartapecorita della città, attaccata al muro di un
palazzo:
una serie di canali divideva Vesuvia in una marea di isolotti
rendendola, almeno ai suoi occhi, una specie di esotica Venezia; dopo
tanto vagare in mezzo all’oceano, si trovavano incastrati in
una
città di mare.
-Acqua,
altra acqua! Sentivo proprio il bisogno di altra acqua dopo la
città
sommersa, il labirinto sottomarino e la nave infestata! Sto
cominciando a essere umido più che essere umano!- si
lamentò con
sarcasmo, coprendo con la sua voce profonda lo sciabordio delle acque
sulla roccia e il sommesso rumoreggiare di una locanda poco lontana.
-Preferivi
il tostapane in mezzo all’oceano? Credevo che ai granchi
piacesse
stare ben idratati!- lo rimbeccò Élan fissando il
canale, sul suo
viso riverberava il riflesso dell’acqua, resa luminescente da
un
branco di anguille che nuotavano accanto alla banchina -E poi questa
è almeno terraferma, non siamo inseguiti da nessuno e
possiamo
tirare il fiato senza doverci preoccupare di scappare! Un po’
tipo
come ho dovuto fare io fino a qualche ora fa, te lo ricordi, Death?-
lo stuzzicò lei malignamente, ignara degli sforzi
dell’altro.
-Oh,
ma quanto sei furba!- si agitò Death Mask -Ne vuoi parlare
proprio
adesso?!- le ringhiò contro mettendosi sulla difensiva.
Per
ritrovare il contegno che sentiva di star perdendo, incrociò
le
braccia davanti al petto ampio, spingendo lo scarabeo rosso a
rigirarsi su se stesso un paio di volte ma senza abbandonare la sua
posizione. Per qualche strano motivo la sua presenza non sembrava
disturbare l’uomo.
-No,
ma più furba di te lo sono di sic… Ah!-
voltandosi, Élan vide il
parassita su Death Mask e venne colta da un sussulto.
Indietreggiò
ripugnata e un piede le scivolò sulla bordo del canale;
vedendola
sul punto di cadere in mezzo al branco di pesci trasparenti, Death
Mask fece scattare il braccio e la afferrò al volo. La
tirò a sé
con uno strattone e la bizzarra piattola decise che era stata
importunata una volta di troppo: morsicò il Cavaliere e
versò una
discreta dose del suo veleno sotto la sua pelle, ma fu
l’ultima
cosa che riuscì a fare prima di venire catturato.
Cancer
lo afferrò tra le dita e lo osservò per un paio
di secondi: la
blatta in questione aveva delle antenne arcuate, lunghe il doppio del
corpo, e delle pinze così acuminate da essersi sporcate di
sangue.
Capendo di essere in pericolo, l’insetto tentò di
volare via, ma
la presa di Death Mask era abbastanza salda da tenerlo stretto senza
nuocergli.
-Eeww,
che razza di insetti hanno da queste parti?!- gemette Élan
disgustata dai suoi movimenti convulsi e frenetici.
Condividendo
il ribrezzo per quell’esserino, Death Mask lo
schiacciò con una
stretta e si inginocchiò per sciacquarsi la mano nel canale.
Le
anguille-vampiro gli si strinsero attorno sperando di rimediare un
po’ di carne umana con cui sfamarsi, ma di fronte la
rigidità
dell’oro dovettero rinunciare; se entrambi i viaggiatori
avessero
saputo quanto fatali potevano essere i loro morsi, sarebbero stati
entrambi grati della prontezza di riflessi del Cavaliere.
-Una
razza che si schiaccia facile come le altre, per nostra fortuna-
constatò il siciliano con uno sbuffo. Quando si
portò la mano alla
ferita per farne uscire il veleno, una fitta così dolorosa
da farlo
gemere si irradiò per tutto il braccio arrivando quasi
all’occhio.
Poco
o niente si versò da quel morso nonostante Death Mask fosse
accecato
dal dolore e ciò non sfuggì ad Élan
che prese a guardarsi attorno
leggermente in affanno.
-Dovremmo
cercare un medico o qualcosa di simile...-
L’orgoglioso
Cavaliere era troppo cocciuto per accettare un’offerta simile
ma
come si apprestò a risponderle, la vide già
avviata verso la
taverna che illuminava la strada, puntando a passo sicuro un tizio
uscito dal locale. Si affrettò a raggiungerla ma al suo
arrivo la
conversazione aveva già trovato di che finire; come
notò il
bicipite di Cancer, gonfio e con qualche rivolo di sangue, il tale
cominciò a barcollare all’indietro inciampando nei
suoi stessi
passi, inspiegabilmente terrorizzato.
-Che
cosa gli hai detto?- la interrogò Death Mask perplesso dalla
reazione.
Élan
alzò le mani in un gesto difensivo.
-Niente
di che, solo che sei stato morso da uno scarafaggio rosso, poi non mi
ha lasciato finire...-
-Il
classico tizio che ha alzato il gomito una volta di troppo. Meglio
lasciar perdere questo… Corvo Chiassoso?- Cancer lesse
l’insegna
che pendeva sopra le loro teste ponderando il da farsi: era
indiscusso che il beccone gli facesse male, ma al punto da doversi
mettere a cercare un medico in una taverna? Neanche dietro pagamento.
-Ma
la taverna è colma di gente, forse è la pista
migliore che abbiamo,
se non altro per raccogliere informazioni. Ricordati che siamo pur
sempre nel cuore della notte e che non conosciamo nessuno in
città.-
il
ragionamento di Élan non faceva una piega e per quanto il
compagno
avrebbe voluto dissentire, un’altra stilettata, lo convinse a
darle
ascolto. Aprì la porta del Corvo Chiassoso con un plateale
movimento
del braccio destro e si inchinò a lei, rivolgendole un gesto
affinché entrasse.
-Dopo
di lei, mia signora- sogghignò provocatorio.
La
fata sollevò gli occhi al cielo in segno di biasimo; ogni
volta che
si comportava così era dannatamente sbruffone e dannatamente
ammaliante allo stesso tempo, ma non voleva darglielo a vedere. Era
un rituale davvero frivolo, il loro; quel reciproco
“corteggiamento”
era fatto di scherno e complimenti a doppio taglio, di battute e
provocazioni che più puntavano a domare l’altro,
più si
rivoltavano contro il diretto interessato, non importava di chi fosse
l’iniziativa.
L’atmosfera
dentro il Corvo Chiassoso non aveva niente a che vedere con quella
lugubre dei canali: già fuori dalle finestre colorate si
poteva
intravedere la gente scherzare e bere in compagnia, ma entrare fu
come tuffarsi in un mondo completamente nuovo, dove tutto profumava
di rocambolesche avventure e tutto ne prometteva a sazietà.
L’aria
era colma dei fumi dell’alcol e dei sigari più a
buon mercato che
Vesuvia potesse offrire, il ciarlare prima sommesso esplodeva in un
chiacchiericcio assordante.
-Io
mi occupo di quelli ai tavoli: dovrebbero essere più
ubriachi e
iracondi degli altri, specie se hanno perso a carte, ergo
più
pericolosi. Tu occupati di quelli al bancone- le indicò
Death Mask
sicuro di sé ma quasi con tono privo di entusiasmo. Il clima
festoso
e brulicante di vita avrebbe dato alla testa a chiunque non fosse
abituato ad averlo come pane quotidiano ed Élan, per quante
ne
potesse aver viste, era ancora di quella risma.
-Aye,
capitano!- fu la risposta della giovane che gli rivolse il saluto
marinaresco più vivace che le riuscisse. Per il Cavaliere
quello
poteva essere un piatto stantio ma per lei era il principio di
un’avventura memorabile, se lo sentiva nelle vene.
Death
Mask la osservò dirigersi al bancone sperando che sapesse
come
comportarsi ma a seguirne i movimenti, non fu soltanto lui; un
ragazzo dai ricci fulvi li aveva esaminati con grande attenzione da
quando avevano fatto il loro ingresso: Élan era una giovane
donna
dalla una folta chioma color smeraldo che incorniciava il viso
più
dolce che esistesse e sul quale spiccavano due grandi occhi viola. Il
suo corpo minuto, ma con tutte le curve al giusto posto, era avvolto
da un body senza maniche e delle calze alla coscia, entrambi di pelle
bianca; degli sprazzi di colore erano dati dal blu delle scarpe,
della fusciacca allacciata morbida sui fianchi, e dai frammenti di
armatura che le proteggevano il braccio, la spalla destra e il petto.
Tutto
il contrario era Death Mask, un uomo alto e con l’occhio
sinistro
sfregiato da una profonda cicatrice, i lunghi capelli blu scuro e la
barba ben curata erano ingioiellati da una miriade di ciocche piene
perline e monete dorate. Se ne andava in giro spavaldo e incurante
come se la sua sfavillante armatura d’oro non avesse potuto
fare
gola ai peggiori manigoldi della città, ma forse erano le
appendici
acuminate da granchio che la ricoprivano a far sì che anche
i più
temerari ci pensassero due volte.
All’osservatore
bastarono pochi minuti per inquadrare anche i loro caratteri: lei,
adorabilmente entusiasta, gentile e indifesa, lui scontroso,
sarcastico e facile da provocare.
Un
tenero zuccherino e il suo burbero guardiano. Perfetti per il suo
“esperimento”.
Élan
si sedette su uno sgabello proprio accanto a lui e provò,
alzando la
voce, ad attirare l’attenzione del baffuto barista che stava
riempendo un boccale incurantemente.
-Ehm,
mi scusi?- si sporse sul legno grezzo con eccessiva foga appiattendo
ancora di più il ventre già magro.
-Bene,
bene, bene, sembra proprio che tu abbia fatto cadere qualcosa- la
richiamò il giovane con tono mellifluo.
-Oh
mio Dio, questa l’ho già sentita...-
borbottò lei tra sé e sé
-Togliamocelo in fretta dalle scatole… Che cosa?- gli
domandò con
un sorrisetto falso e una voce più acuta del previsto.
-La
mia mascella! Ciao, sono...- il ragazzo le porse una mano inguantata
con un fare cortese e uno sguardo che anticipava ogni cosa ma
Élan
tagliò corto prima di subito.
-Il
tizio col rimorchio più banale della storia?-
ridacchiò ironica
degnandolo a malapena di un’occhiata -Potrei anche averti
fatto
cadere la mascella, amico, ma non ho ancora fatto cadere i miei
standard, perciò, prima che al mio compagno caschino le
palle, vedi
di farti un giro!- tentò di scacciarlo con un gesto prima di
provare
a farsi notare nuovamente dal locandiere che stava servendo altri
clienti lontani da lei.
-Veramente
vorrei offrirlo a te un giro- insistette lui tenace, avvicinando il
suo sgabello a quello della fata.
-Veramen...-
Élan si voltò brusca cozzando col viso tra quei
pettorali villosi
messi in risalto dalla camicia ridicolmente scollata -Veramente
l’unica cosa che mi stai offrendo in questo momento
è il latte
alle ginocchia. Scan-sa-ti- ringhiò a voce bassa scendendo
dall’alta
sediola per inseguire il barista con una cicatrice sul volto.
Avrebbe
potuto chiedere a chiunque altro se conoscesse un medico in
città,
perfino al rosso appiccicoso che la stava insistentemente
corteggiando, ma qualcosa le diceva che chi assisteva al viavai
continuo doveva per forza avere la risposta più precisa di
tutte.
-Se
non fossi così scontrosa, potrei offrirti molto di
più. Temerarie
avventure in mare per esempio- continuò a tentare
l’altro,
mettendole un braccio attorno alle spalle. Senza farsi notare,
girò
gli occhi verso il Cavaliere del Cancro, ma quello non si era accorto
minimamente degli situazione, preso com’era
dall’interrogare gli
ospiti del Corvo Chiassoso.
Élan
cercò di liberarsi da quella presa da cascamorto ma
finì di nuovo
con la faccia a mezzo centimetro dal suo petto; cominciò a
sentire
la sua capacità di sopportazione venire sempre meno ma
voleva
evitare una scenata.
-L’unica
cosa con cui mi sto scontrando in questo momento siete tu e la tua
camicia a cui sono saltati tutti i bottoni… Davvero,
com’è che
non se n’è salvato manco uno?!-
Più
cercava di raggiungere il barista seguendo i suoi rapidi movimenti su
e giù per il locale, più finiva per cozzare
addosso al suo
adulatore, complice la naturale goffaggine di cui il ragazzo non solo
aveva preso nota, ma che aveva deciso di sfruttare a suo favore; quel
gioco snervante durò anche troppo a lungo senza che
Élan reagisse
ma al milionesimo rifiuto e al milionesimo scontro fisico, decise di
non poter sopportare oltre.
Salì
su un tavolo occupato solo dai boccali mezzi ammaccati e
alzò la
voce quel tanto che bastava da sovrastare il brusio.
-Scusate!-
urlò secca.
Tutti
i presenti si decisero a darle ascolto, barista e Cavaliere
D’oro
inclusi; anzi, fu proprio quest’ultimo il più
felicemente sorpreso
dallo spirito d’iniziativa: si sarebbe comportato come lei da
bell’inizio, ma data la reazione dello zotico nel vicolo,
aveva
preferito andarci leggero e vedere che frutti dava
quell’approccio.
Élan, invece, aveva preso la situazione in mano per agire in
modo
concreto, attirando l'attenzione di tutti senza timore di essere al
centro della scena. La sua spavalderia per la buona riuscita della
missione, lo rendeva fiero e meravigliato.
Almeno,
quello era ciò cui credeva.
-Qualcuno
vuole dare una camicia che effettivamente si chiuda a
quest’uomo
prima che gli venga un colpo?!- proruppe la fata, scatenando
l’ilarità generale nonché un sospiro
frustrato di Cancer. Mai
stato ingenuo in vita sua, aveva scelto una pessima serata per
cominciare a farlo.
A
sentire anche il suo inseguitore scoppiare in una risata chiassosa,
Élan si decise a rivolgergli il primo vero sguardo da che
l’aveva
incontrato; che fosse per incenerirlo, era un altro paio di maniche.
La
canaglia in questione, scoprì con piacevole stupore, era un
affascinante mascalzone dalla pelle diafana, il fisico scolpito con
delicatezza, un naso leggermente aquilino e degli occhi di un grigio
profondo, uno dei quali era nascosto sotto una benda da pirata;
avrebbe voluto tirargliela e lasciargliela ricadere sulla palpebra
con uno scatto ma temendo potesse venire interpretato come un flirt,
trattenne quel gesto ma non un commento a bassa voce. Con tutto quel
chiasso, chi avrebbe mai potuto sentirla?
-O
prima che venga a me voglia di dargliene uno...- borbottò a
fior di
labbra.
Sfortuna
sua, l’orecchio del giovane era piuttosto fino.
-Cosa?-
le chiese insicuro di aver capito bene.
-Cosa?-
gli fece eco lei.
-COSA?!-
Death Mask esplose dall’altra parte della stanza
raggiungendoli a
grandi passi; a quella reazione, sul volto del rosso si
delineò un
sorriso tronfio.
-Sei
impazzita per caso?!- la rimproverò il Cavaliere
strattonandola per
un braccio così da fissarla negli occhi, incerto pure lui
per cosa
essere arrabbiato. Notando di avere puntati su di sé anche
gli occhi
grigi del “pirata”, fece scendere dal tavolo la
fata e la portò
accanto al bancone.
Chiunque
incontrarono nel loro breve tragitto, si fece da parte
poiché
laddove non era spaventata lei, lo erano gli altri.
Élan
non si impressionò per quella reazione e, consapevole di non
aver
fatto chissà che sciocchezza, spiegò con
serenità i propri motivi.
-Death
Mask, guardiamo in faccia la realtà: sono giovane e in
salute, posso
produrre i normali ormoni che portano all’eccitazione e certe
volte
ho la libido di una quindicenne indemoniata. Ora, questo tizio, per
quanto appiccicoso, è piuttosto affascinante, per non
parlare del
saggio verbo del Nono Dottore: “viaggiare nel tempo
è come
visitare Parigi, non puoi leggere solo la guida, ti ci devi tuffare,
mangiare il cibo, usare i verbi sbagliati, pagare il doppio e baciare
delle perfette sconosciute… O lo faccio solo io?”.
Adesso che ci
penso mi fa tornare alla mente piacevoli ricordi- gli fece
l’occhiolino memore di come fossero andate le cose quando si
erano
conosciuti.
-Se
stai cercando di distrarmi, sappi che non attacca. Non so se questo
discorso allucinante ti abbia ispirato nel nostro primo incontro, e
potrebbe anche starmi bene se non fosse che ti sta ispirando pure
quello col tizio che si è dimenticato le asole a casa!-
Élan
si sporse oltre la spalla di Death Mask per vedere che il diretto
interessato le stava facendo un cenno di saluto con la mano.
-Tecnicamente
non ho intenzione di farci niente. Era una frase tanto per scherzare
la mia, ma anche se così non fosse? Mettiti nei miei panni:
se al
posto di camicia da romanzo rosa, ci fosse una bella donna, strizzata
in un minuscolo corsetto, non avresti forse detto le stesse cose che
ho detto io? Cosa dovrei farci con uno del genere altrimenti?
Compilare il modulo per le tasse? Sbucciare i pistacchi?-
Cancer
si trovò a dover ingoiare una pillola molto amara;
Élan era brava a
leggere le persone e dopo tutto il tempo passato assieme non ci
voleva un genio per capire che ci avesse preso in piena sulla sua
indole da donnaiolo, ma allora perché non riusciva a
scrollarsi di
dosso quella gelosia? Si girò per esaminare
l’oggetto della loro
discussione e notò con profondo disappunto che si stesse
avvicinando
a loro due.
-Tsk,
voi uomini… Vi stupite ancora della libido delle donne come
se
foste dei bambini…- sospirò la giovane scuotendo
la testa.
Il
siciliano sentì a malapena quel rimprovero: la ferita
inferta dal
parassita continuava a pulsargli sul bicipite ma un parassita di
tutt’altra risma aveva deciso di dargli dei grattacapi a suo
dire
peggiori e non poteva restare impunito.
-Ahah,
un bambino, dici?- rise sottovoce in modo gutturale. Presa
Élan
sotto le braccia, la fece sedere sullo sgabello più vicino e
poggiò
le mani sul bancone in modo da bloccarcela contro.
-Forse
devo darti una lezione su quanto possa essere uomo- le
sussurrò
accattivante, scucendole una risata nervosa e carica di aspettativa.
Aveva
imparato fin troppo bene quali tasti toccare per mandarla in
cortocircuito e farle dimenticare tutto il mondo attorno a
sé ma se
c’era qualcosa che anche lei aveva imparato a sua volta, era
come
tenergli testa.
-Che
aspetti a cominciare allora, professore?- tubò mordendosi un
labbro.
Élan
gli passò le mani sulla gabbia toracica
dell’armatura, lo afferrò
per il bordo fiammeggiante e lo strattonò a sé
per baciarlo
appassionatamente; Death Mask non se lo fece ripetere due volte e
rispose a quel gesto cingendole la vita con un braccio mentre
l’altra
mano le scorreva tra i capelli approfondendo ancora di più
quel
contatto. Accanto a loro, prima che cominciassero quel rituale
dissoluto, si era sistemato il combinaguai di poc’anzi; aveva
pensato quasi di provarci con tutt’e due, vedere come
l’avrebbero
presa ma ormai era chiaro che fosse fuori dai giochi. Anzi, era pure
alquanto imbarazzato.
-Che
faccio, Bart? Resto? Me ne vado? Gli preparo una bevanda
rinfrescante?- bisbigliò al barista colto alla sprovvista
dalla
piega degli eventi.
-Lascia
perdere, Ilya, quello al massimo posso farlo io...- appuntò
l’oste
spillandogli una pinta dell’intruglio distintivo del Corvo
Chiassoso, il Salty Bitter.
Ilya
osservò con rammarico nel boccale: aveva cercato di
scatenare una
rissa e aveva ottenuto un accoppiamento. L’unica cosa con cui
era
accoppiato lui, era il proprio riflesso ambrato in cima al bicchiere.
Guardò
di sottecchi la coppia e notò come si fossero spinti ancora
più in
là di quanto già non fossero: Death Mask aveva
ritratto il suo elmo
e teneva per le gambe Élan, che gli aveva stretto le braccia
attorno
al collo. Se fossero andati ancora oltre, avrebbero avuto bisogno di
una camera e di lì a nove mesi, un buon medico
che… Un momento!
Ecco l’illuminazione!
Il
ragazzo svuotò tutto d’un colpo il boccale
traboccante e bussò
sull’avambraccio del Cavaliere.
-Voi
ragazzi avete bisogno di qualcosa?- si intromise con
un’espressione
sorniona poggiando i gomiti e la schiena al bancone -Uno spuntino, un
anticoncezionale di qualche sorta? Non vorrei ritrovarmi tra nove
mesi con le cosce della tua donna tra le mani e il vostro pargolo in
arrivo...-
-ADESSO
BASTA!- ruggì Death Mask battendo una mano sul pianale
davanti a
lui. Agguantato il ragazzo per la camicia, lo lanciò contro
uno dei
tavoli che si sfondò quasi con troppa facilità.
-Urgh,
che schifo...- Élan scese dalla sediola e fece per tirare il
compagno per un braccio quando quello lo fece scattare in avanti
sfuggendo al contatto -Andiamocene, dai. Non ne vale la pena-
provò
a dissuaderlo, ma il Cavaliere del Cancro aveva già compiuto
la sua
scelta.
-DOPO!
Prima devo insegnare a questo pezzo di idiota un po’ di
galateo!-
affermò, recuperando Ilya per trascinarlo fuori dal locale.
-Cos…
no! Death Mask, lo ammazzerai!-
La
mimica del rosso era tutta un insolito programma; forse era un
masochista della peggiore specie o forse non si rendeva conto della
feroce cattiveria con cui era solito combattere il Cavaliere
D’oro,
in ogni caso l’espressione che gli si leggeva sul viso non
era di
terrore e rimpianto, bensì di folle divertimento e
impazienza. La
gente si affrettò a seguire le due teste calde in strada
dove
l’allegria del pub si trasformò in sete di sangue
mentre tutti si
stringevano attorno al duo.
Spalancata
la porta con un calcio, Death Mask sollevò il ragazzo fino
ad averlo
all’altezza degli occhi, dopodiché gli
assestò una violenta
testata sul naso che si ruppe senza fare complimenti; lo
gettò sul
pietrisco aspettando che si rialzasse e a quel punto lo
afferrò per
una spalla prima di colpirlo con un pugno in pieno stomaco. Ilya
cadde a terra reggendosi solo sui palmi e sputando sangue; dal naso
in giù la pelle candida era una maschera scarlatta che
imbrattava
anche la tanto discussa camicia e passarsi una mano inguantata sotto
alle narici, non servì a molto.
Élan
si affrettò a superare la folla per essere in prima linea
durante
quello scontro; arrivò in tempo per vedere Cancer
scrocchiarsi le
nocche in attesa che il ragazzo si rimettesse in piedi una seconda
volta. Quando cercò di avvicinarsi al guerriero per
fermarlo, un
individuo a caso la afferrò per un polso facendola gemere
dal
dolore. A quel richiamo, Death Mask indirizzò il secondo
pugno per
il mento dello sconosciuto mandandolo al tappeto in un solo colpo.
Il
colpo non era indirizzato a nessun altro ma per scaramanzia, si
abbassarono tutti.
Liberata
da quell’impiccio, la fata gli si gettò alla vita
trattenendolo
con tutte le sue forze; Ilya era riuscito a rialzarsi ma non era
messo bene proprio per niente: si reggeva a stento sulle ginocchia e
un colpo di tosse gli mandò altro sangue sui vestiti.
Tuttavia non
pareva spaventato o in procinto di scusarsi, sul suo viso campeggiava
il sorriso più trionfante che si potesse fare, manco stesse
vincendo
lui quella lotta.
-Lo
ucciderai se continui in questo modo!- Élan
implorò Death Mask di
fermarsi e, nel magro tentativo di farlo allontanare, puntò
i piedi
a terra affinché indietreggiasse assieme a lei.
-Forza,
vecchio mio! Non mi dirai che è tutto qui quello che sai
fare?!
Allons-y!- lo sfidò il determinato ragazzo alzando i pugni
in una
misera difesa.
A
quella provocazione, le preghiere della fata suonarono indifferenti
al Cavaliere. Non solo colpì l’avversario sullo
zigomo col dorso
della mano, mandandolo a terra un’altra volta, ma gli mise
anche un
piede sul braccio spezzandoglielo con forza. Determinato, Ilya, certo
lo era, ma in che cosa? Si stava impegnando davvero in quella rissa o
era suo effettivo desiderio morire?
Death
Mask poteva anche non brillare di intelligenza ma sapeva riconoscere
uno scontro quando ne prendeva parte e quello decisamente non lo era.
-Ti
supplico, basta! Non puoi volerlo uccidere sul serio!- Élan
strinse
ancora di più le braccia e fece un’altra prova per
porre la parola
fine a quella colluttazione. Quando fissò il rosso con occhi
imploranti e spaventati, notò qualcosa di davvero insolito:
lo
zigomo pieno di lividi violacei fino a qualche secondo prima, ora era
perfettamente sano e uno strano marchio aveva preso a brillare sul
suo collo.
Cogliendo
la sua espressione disorientata, il ragazzo le fece
l’occhiolino
strizzando intensamente la palpebra visibile; anche il petto, che
prima si alzava e abbassava formando una conca dove le costole erano
rotte, era ritornato alla sua usuale conformazione, e il sangue aveva
smesso di scorrergli dal naso.
-Sto
solo insegnando al nostro caro imbecille qui quali siano le buone
maniere!- si giustificò Cancer agitando il piede sul braccio
spezzato per peggiorarne la frattura.
Per
la prima volta Ilya si lasciò sfuggire un grido di dolore
così Élan
intervenne in suo aiuto nel modo più peculiare ma efficace
di tutti.
-Sai
che ti dico? Hai ragione! È
stato un maleducato e tu hai tutto il diritto di esprimere i tuoi
sentimenti come meglio credi- asserì lasciando libero
l’uomo. Man
mano che parlava le ferite del rosso erano migliorate ulteriormente e
le labbra carnose del Cavaliere si erano increspate in un sorriso
vittorioso.
-Ma
permettimi di fare una scommessa con te, prima di lasciarti tornare
alle tue botte da orbi...- continuò ad annunciare mentre la
folla
passava dal guardare il suo compagno al guardare lei al colmo della
curiosità.
-Sentiamo-
accettò Death Mask.
-Scommettiamo
che lo stesso motivo per cui io non ti fermerò
più, sarà lo stesso
motivo per cui tu ti fermerai da solo?-
-Che
cazzo dici?!- inveì lui poco prima di sentire un rumore
agghiacciante venirgli da sotto il piede.
Scostò
lo stivale prendendo le distanze da Ilya i cui frammenti di osso si
stavano ricomponendo come pezzi di un puzzle; in men che non si dica,
il ragazzo fu di nuovo in grado di reggersi sulle gambe, il naso era
ritornato al suo posto, i lividi erano guariti e non c’era il
segno
di un solo capillare spezzato in tutto il corpo. Una volta finita la
guarigione, il marchio sul suo collo smise di luccicare e il
portatore stava meglio di quando avevano iniziato a scontrarsi.
-Allora,
vogliamo riprendere da dove ci siamo interrotti?-
Sconcertato,
Death Mask fece saettare lo sguardo dall’espressione tronfia
di
Élan a quella innocente di Ilya accettando con una risata
agrodolce
la verità: era stato battuto. Da quei due. Senza che
alzassero un
dito.
-Sai
cosa? Avevi ragione tu, ragazzina: non ne valeva proprio la pena...-
si prese un minuto di silenzio per riempirsi di nuovo i polmoni con
quell’aria salmastra che prima l’aveva domato con
la sua
avvincente capacità di rilassare ma non rimase in silenzio a
lungo
-Ascoltatemi, gente di Vesuvia! Sto cercando un medico, qualcuno di
voi ne conosce uno?!-
Parte
della folla mormorò imbarazzata mentre un’altra
parte fece ritorno
dentro il locale capendo che lo scontro non si sarebbe protratto
oltre.
-Io
sono un medico- commentò il giovane
“pirata” richiamando la sua
attenzione.
-Sì,
certo, come no, e io sono un granchio. Gira a largo, pel di carota-
lo spintonò via il Cavaliere D’oro.
-Sei
davvero un medico?- lo interpellò Élan mentre
Death Mask insisteva
con l’interrogare la gente ormai quasi del tutto dispersa.
-Sì!
Certo che sono un medico, uno vero! Perché dirlo
sennò?- Ilya alzò
la voce per farsi sentire anche dal diretto interessato che
però
stentava ancora a credergli.
-Senti-
l’uomo gli mise paternalmente una mano sulla spalla e lo
fissò
negli occhi con fare serio -Non sto cercando quel
genere di “dottore”, intesi? E anche se avessi
intenzione di
giocare al “dottore” in camera da letto, la mia
prima scelta non
ricaderebbe su di te, damerino!-
Il
ragazzo lo fissò tanto scettico quanto stranito: quale parte
del suo
discorso non suonava sincera?!
-Credo
stia dicendo la verità, ahinoi...- si arrese
Élan, convincendo
Death Mask a smettere di dare spettacolo in quel vicolo.
L’uomo
lasciò cadere le spalle sconfitto, strinse la base del naso
tra le
dita e si arrese alle parole di quel mascalzone spericolato.
-E
va bene!- gliela diede vinta infine -Come diavolo ti chiami, dottore
da strapazzo? Jekyll? Mr Hyde?-
Ilya
sorrise sornione, piegò un braccio sotto il petto, nascose
l’altro
dietro la schiena e si prostrò in un profondo inchino.
-Vostro
umile Dottor Julian Devorak, per servirvi. E ora ditemi, di che cosa
avete bisogno?-
N.d.A.
Dalla
serie “Non scriverò mai una fanfiction su
‘The Arcana’ perché
sarebbe troppa roba per ‘Fortuna favet
fortibus’” alla fine ho
deciso di farci uno spin-off intero. Le idee erano così
tante che
non potevo limitarmi alle battute con gli amici per cui eccoci qui :3
Come
preannunciato nella descrizione, la storia sarà un crossover
con la
fanfiction “Fortuna favet fortibus” de “I
Cavalieri dello
Zodiaco – La leggenda del Grande Tempio”, se
qualcosa riguardo a
Desu ed Élan non vi batte o vi suona estranea, è
perché, appunto,
“The lovers upright” è uno
“special” che non ho potuto
inserire nella trama principale perché sarebbe stato troppo
lungo.
La
storia potrebbe presentare spoiler sulla route romantica di Julian e
relative scelte pagate; se vedete qualche inesattezza circa il
comportamento o la trama di altri personaggi, non abbiatemene, ma non
ho letto tutte tutte le route dei protagonisti e alcune delle cose
che so è perché la wiki è piuttosto
dettagliata. Per i personaggi
non binary (e qui dico di nuovo non vogliatemi male) userò i
pronomi
del genere che mi ispirano visto che in italiano non ci sono pronomi
di genere neutrale (es. sappiamo che Nazali è una donna
quindi userò
quelli femminili, Vulgora mi sa di maschio quindi sarà lui e
via
dicendo).
Detto
questo spero che la storia sia di vostro gradimento, sperando che non
vada contro le regole del sito vi lascio il link per la storia
“principale” e vi dico stay tuned :3
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3135518&i=1
https://www.wattpad.com/811942480-fortuna-favet-fortibus-1-shudder-before-the
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Capitolo 2 *** 2 - The Riddle ***
2
– The Riddle
Si
tratta di un indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un
enigma (Cit. Winston Churchill)
Fatte
le dovute presentazioni e rientrati nel locale, Julian
ascoltò il
breve resoconto di Death Mask ed Élan senza scomporsi
particolarmente; man mano che elencavano i dettagli dello scarabeo
rosso, il suo comportamento non cambiò ma la sua espressione
si fece
cupa e la sua postura rigida.
-E
voi siete assolutamente certi che fosse uno scarabeo? Magari era un
maggiolino o...-
Prima
che potesse completare la frase, Death Mask batté il palmo
sul
tavolo con rabbia.
-Sono
stufo marcio che ce lo chieda! Quante altre volte te lo dovremo dire
che era proprio uno scarabeo, pensi che non sappia distinguere una
blatta dall’altra?!-
-Death
Mask, datti una regolata- tagliò corto Élan -Stai
parlando con
l’unica persona che potrebbe esserci d’aiuto, non
è il caso di
farti prendere da una botta da mignotta.-
-Una
COSA?!-
Sebbene
la fata potesse capire la preoccupazione di Julian, non riusciva a
comprendere cosa la scatenasse di preciso e l’ostinata rabbia
del
Cavaliere non era nient’altro che una distrazione non
necessaria ma
difficile da ignorare.
-Devo
dedurre che il problema sia bello grosso. Non andarci per il sottile
e dicci di che si tratta: è una malattia incurabile? Un
veleno
potente? Uccide in tempi brevi? La cura è difficile da
trovare?
Oppure non esiste proprio?- Élan non prese fiato pur di
esporre le
sue preoccupazioni e Julian venne sommerso da così tante
domande che
non riuscì quasi a trovare il tempo per risponderle.
-Temo
che la faccenda sia più complicata- prese un sorso dal suo
boccale e
sospirò prima di continuare il discorso -Tre anni fa Vesuvia
venne
colpita da una terribile pestilenza passata alla storia come
“la
Peste Rossa” e il primo mezzo di contagio, era il veleno
portato
proprio dagli scarabei rossi; credo che la causa principale fosse una
corruzione del sangue ma non potrei affermarlo con certezza. Ne
morirono a migliaia durante l’epidemia, traghettare gli
infetti al
Lazzaretto servì solo in parte ad arginare il problema e
nonostante
i miei sforzi per trovare una cura, non riuscii nel mio intento; la
peste sparì improvvisamente e le persone ancora malate
guarirono da
sole. Fui felice di non dovermene più occupare ma persi
anche il mio
scopo: d’altro canto, a chi serve un medico della peste se
non c’è
nessuna peste?-
Il
tono malinconico con cui enunciò le ultime parole, spinsero
Élan a
poggiargli una mano sul polso con solidarietà; Julian
sorrise con
una triste gentilezza ricambiando il gesto della ragazza che ora lo
osservava con occhi incoraggianti.
-Un
medico sarà sempre necessario, Julian. Noi siamo qui
apposta, e se
non noi, ci sarà senz’altro qualcuno che
avrà bisogno delle tue
doti- tentò di rincuorarlo ma Death Mask, che aveva alzato
gli occhi
al cielo, decise che fosse una bellissima serata per remarle contro.
-E,
amico, se ti fa schifo la disoccupazione, puoi sempre fare domanda
come becchino- suggerì assaggiando l’intruglio che
il rosso aveva
deciso di offrirgli in onore della loro scazzottata -È un
mestiere
che non muore mai, dopotutto.-
Il
ragazzo arrossì violentemente squadrando il suo compagno di
bevute
con una faccia a metà tra l’atterrito e lo
sconcertato; per
evitare di terrorizzare o disgustare gli altri clienti col sangue che
gli impregnava i vestiti, si era infilato nel suo camice nero a
doppio petto e nel suo ampio mantello a collo largo, assumendo un
aspetto più lugubre rispetto a prima ma non era
così inquietante da
sembrare un becchino, giusto?
Sotto
il tavolo, Élan tirò un calcio al Cavaliere che
non sentì granché
se non un riverbero sulla corazza; stuzzicarla fino
all’esasperazione
non era solo una delle attività che gli riuscisse meglio ma
anche
una delle sue preferite.
-Death
Mask! Zitto o ti ammazzo!- lo minacciò, voltandosi verso di
lui e
incrociando le mani davanti al volto.
-Vorrei
proprio vederti provare!- la sbeffeggiò scompigliandole i
capelli
con fare arrogante.
La
giovane bloccò il respiro, poggiò le mani sul
tavolo e chiuse le
dita con intimidatoria lentezza, fissando un punto non meglio
precisato del locale; nella prima e unica occasione in cui le aveva
riservato quel gesto, lei gli aveva giurato che quella successiva
sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto le mani:
rimaneva
solo da decidere come farlo.
Valutò
l’idea di cominciare spaccandogli un boccale sulla testa per
infilarsi poi dietro al bancone a cercare una mannaia, quando la
risata di Julian interruppe il filo dei suoi pensieri.
-Ahahahah,
ho capito, era una battuta la tua!- lo elogiò, battendo le
mani un
paio di volte -Dovevo immaginarlo che facessi così con le
persone
che ti vanno a genio- sorrise compiaciuto.
-Mica
tanto, smilzo. Volevo fartela pagare per prima. Se non posso
spezzarti le ossa, allora spezzerò il tuo cazzo di orgoglio-
ringhiò
cupo mentre Élan sentiva il cuore stringersi in una morsa di
vergogna.
-Oddio,
che figura...- mormorò col viso nascosto tra le mani -Death
Mask,
scusati immediatamente!-
-No
no, ha ragione- Julian scosse la testa, i suoi modi erano rilassati
-Anzi, sono io che dovrei scusarmi. Stavo cercando di testare i
limiti del mio marchio e potrei aver tirato un po’ troppo la
corda-
ammise stringendosi nelle spalle -Di solito non sono così...-
-Viscido?-
gli suggerì la fata.
-Stavo
per dire “libertino” ma se ti ho dato
un’impressione simile,
allora devo scusarmi due volte, soprattutto con te, bella fanciulla-
Julian sollevò la mano di Élan e le
baciò le nocche a fior di
labbra, scrutandola oltre le ciglia. Le occhiaie donavano al suo
sguardo un aspetto malaticcio a primo impatto, ma profondo
più a
lungo lo si studiava.
Alla
dichiarazione del medico, la gola di Death Mask si seccò
privandolo
del suo piglio di tracotanza: non era la galanteria mostrata nei
confronti del suo interesse romantico, ma la realizzazione di essere
stato sfruttato.
Un
Cavaliere di Atena, dotato di straordinari abilità
combattive e
partecipe a gloriose battaglie per il trionfo del bene sul male, ed
era stato usato per provare un giocattolino nuovo?
-Cioè
non eravamo nient’altro che delle variabili in un test da
laboratorio, una misera scelta per uno stupido esperimento?- gli
domandò asciutto.
-Mi
scuso anche con te, mio buon amico. Spero di poter trovare il modo
per sdebitarmi e che accetterai le mie scuse- disse il medico con un
leggero cenno del capo.
-Ho
la faccia da cavia secondo te?!-
-No,
ma la faccia da scemo ce l’hai tutta...- gli rispose
Élan venendo
beatamente ignorata.
-Sai
che cosa mi ci pulisco con le tue scuse?!- gli ringhiò il
Cavaliere
valutando se riservagli un altro calcio nei denti o due. Tanto non
sarebbe stato “rotto” troppo a lungo.
-Niente
che ci interessa tu metta sul tavolo adesso- sospirò
un’altra
volta la fata scatenando l’ilarità del ragazzo.
Quando
Death Mask, in barba al divertimento di Julian, si alzò e lo
afferrò
nuovamente per i vestiti, Élan decise di non poter
sopportare oltre
e che fosse giunto il momento di far sentire la sua di voce. Si
alzò
anche lei e per attirare l’attenzione batté le
mani sul tavolo.
-Ragazzi!
Stiamo andando fuori tema! Tu, Death Mask, a cuccia!- gli
ordinò
indicandolo -E tu, Julian, cosa stavi dicendo su questi scarafaggi?
Se la peste è finita, perché sei tanto
preoccupato?- domandò al
ragazzo indicandolo a sua volta.
-È
finita, è vero, ma non si è mai capito il
perché, ciò significa
che non si è mai trovata né una cura,
né una soluzione al
problema, e se l’insetto che ha morso Death Mask era proprio
uno di
quelli, allora la peste potrebbe stare tornando e quanto accaduto
farebbe del nostro Cavaliere...-
-Il
paziente zero di una nuova ondata…-
-Esattamente.-
Death
Mask si fece calmo tutto d’un colpo, ascoltando con freddezza
insolita; lasciò andare Julian rimettendosi al suo posto
più serio
che mai. Non c’era malattia nell’universo che
avrebbe potuto
consumarlo, era un Cavaliere D’oro del Grande Tempio! La sua
resistenza era sovrumana e la sua forza impareggiabile, ma da quando
aveva conosciuto Élan, da quando aveva legato con lei, aveva
iniziato a comprendere cosa volesse dire mettersi nei panni altrui,
aveva conosciuto l’empatia ed era proprio uno dei peggiori
casini
che potessero capitare: la paura di Julian suonava così
sincera da
tenerlo appeso per la gola.
Dopo
un silenzio quasi infinito tra i tre, fu Élan a spezzare la
calma
glaciale.
-Troveremo
una cura a tutti i costi, stavolta non sei solo- dichiarò
determinata.
-P-potrei
anche sbagliarmi- balbettò il rosso -Magari era una di
progenie non
velenosa; a nord della città c’è un
canale in cui scorre acqua
rossa che non è nociva da anni- Julian si
illuminò, ricordandosi di
un’altra capacità che gli aveva donato il suo
marchio -In ogni
caso non dovete preoccuparvi e sapete perché? I miei poteri
non si
limitano solo all’autoguarigione, sono capace anche di altro!-
Si
sfilò un guanto e poggiò una mano sulla ferita
del Cavaliere D’oro;
le sue dita sottili erano così fredde sulla pelle
congestionata da
portare una sorta di sollievo. Nell’istante in cui toccarono
la
ferita, presero a brillare di magia e in una manciata di secondi il
morso non fu solo guarito, sembrò non ci fosse mai stato. Il
tatuaggio del granchio era di nuovo pulito e ben visibile mentre la
faccia del medico era deformata in una smorfia di dolore.
-Straordinario!
Come hai fatto?- Élan si animò di
felicità; passò la mano sul
braccio del compagno constatando come effettivamente non ci fossero
trucchi o inganni. Conosceva così poco di Vesuvia eppure
già ne
adorava i metodi taumaturgici.
-Semplice:
ho trasferito il danno a me. Il marchio lo guarirà e
sarà come se
non fosse successo niente- spiegò il rosso man mano che il
morso si
rimarginava sotto la divisa.
-Non
so come ringraziarti- la ragazza fu sul punto di commuoversi ma
l’espressione scura dell’altro la costrinse a
ricredersi.
-Aspettate
a farlo. Ho guarito il danno superficiale, è vero, ma
c’è
dell’altro: quando ho canalizzato il potere per individuare
anche
solo un barlume di Peste Rossa, non ne ho trovati.-
Death
Mask inarcò un sopracciglio incerto del perché
fosse una cattiva
notizia.
-E
sarebbe male perché…?-
-Solo
perché non ne ho trovati non significa che tu non sia
malato; la
Peste Rossa ci metteva dai tre giorni alla settimana per uccidere una
volta che i primi sintomi si manifestavano, il virus potrebbe essere
in incubazione. Il mio consiglio è di restare a Vesuvia per
almeno
un po’ di tempo: solo così potremo dire se sei
completamente fuori
pericolo.-
Sebbene
il tono di Julian fosse onesto e fermo, la dose di empatia per quella
notte era esaurita, e il Cavaliere emise un verso sprezzante.
-Non
se ne parla neanche! Noi adesso ripartiamo e se sorgeranno problemi,
ti manderemo a chiamare. Forza, Élan, andiamocene.-
Élan,
in tutta risposta, incrociò le dita sotto al mento,
poggiò i gomiti
al tavolo e guardò Death Mask con grandi occhioni da
ammaliatrice.
-Death,
tesoro- cinguettò melliflua -Devo ricordarti del nostro
simpatico
rendezvous sulla Man of Medan? Ricordi cos’è
successo perché non
hai dato ascolto all’esperta?- il suo tono si fece
così
improvvisamente perentorio che Julian, per poco, non si
sentì in
dovere di scusarsi -Io a scappare come una povera disgraziata mentre
tu, sballato dalla nebbia gialla, mi davi la caccia per uccidermi!
Tutto perché non avevi voluto indossare quella maschera
antigas del
cazzo! Se il dottore ha detto di restare, noi restiamo e tu
obbedisci!-
Il
Cavaliere D’oro cominciava ad averne un po’ troppo
delle libertà
che l’impudente fatina si stava prendendo nei suoi confronti.
“Attenta,
ragazza. Apprezzo la tua compagnia, ma attenta” sorrise tra
sé e
sé, compiaciuto e disturbato allo stesso tempo.
-Anche
se decidessimo di farlo, dove troviamo un posto in cui stare? E i
soldi? Non ne abbiamo.-
Prima
che la ragazza potesse suggerire di vendere l’armatura,
Julian
presentò loro una comoda soluzione.
-Di
vitto e alloggio me ne posso occupare io- sorrise, lanciando sul
tavolo un paio di dobloni e facendo cenno ai due viaggiatori di
seguirlo di nuovo per le buie strade di Vesuvia -Mazelinka non abita
molto lontano da qui e so che vi potrà dare
ospitalità per tutto il
tempo necessario.-
Le
strade di ciottoli erano un po’ dissestate per muoversi senza
inciampare ogni tanto, le luci provenienti dalle lanterne erano
sporadiche e non molto forti, inoltre il percorso che li costrinse a
seguire, li fece passare per vie secondarie ancor meno illuminate, ma
grazie all’andatura decisa di Julian, raggiunsero la dimora
indicata in una manciata di minuti al massimo.
Una
volta che si trovarono davanti alla porta legnosa di
un’anonima
costruzione in pietra, il rosso esitò a bussare: Mazelinka
era una
brava donna e con Élan avrebbe legato di sicuro, ma come far
notare
a Death Mask che il suo atteggiamento non proprio affabile avrebbe
potuto essere inappropriato al contesto della casa?
-Cercate
di essere gentili, non ama le persone brusche, non fate commenti
scortesi e vedete di non contraddirla. Non troppo almeno- si
raccomandò nervosamente.
-Guarda
che sta parlando con te!- si accusarono a vicenda i due sbandati
dietro di lui.
Le
spalle di Julian gli caddero con spensieratezza quando vide che il
problema dell’avvisare si fosse risolto da solo. Come fare?
Non
serviva fare! Tanto ci avrebbe pensato Élan a dirlo!
Come
aveva anche solo potuto pensare che quella ragazza si riassumesse in
una fragile e ingenua damigella, non riusciva a capirlo.
Bussò
alla porta con tre secchi colpi e un’anziana, bassa signora
la
schiuse di uno spiraglio; si rilassò nel vedere che a farlo
fosse
stato Julian e aprì l’uscio completamente.
-Julian,
ragazzo mio! Che ci fai in giro a quest’ora tarda della
notte?
Sbrigati ad entrare- gli fece cenno.
La
padrona di casa era la perfetta rappresentazione di una babushka:
indossava un semplice vestito marrone scuro e lo scialle blu a
macchie nere che teneva legato in testa era così lungo da
arrivarle
alle ginocchia. I capelli ingrigiti erano pettinati in due
metà
perfette e gli incisivi superiori erano distanziati di qualche
millimetro.
-Mazelinka,
loro sono due miei nuovi amici. Questa è Élan-
indicò voltandosi
verso di lei.
-Buonasera,
signora- la salutò la fata sporgendosi oltre la sagoma
allampanata
del rosso per farsi vedere meglio.
-Ciao,
tesoro!- ricambiò Mazelinka sorridendole già
conquistata.
-E
questo è Death Mask. Potreb...-
-Ehi,
smilzo!- tuonò il diretto interessato -È
“sommo Death Mask”,
per te! Hai la benché minima idea della
difficoltà che richiede
conquistarsi un’armatura d’oro? Secondo te mi sarei
sbattuto
tanto solo per essere chiamato col mio nome?!-
Il
tono di voce con cui interruppe Julian fu così possente da
far
trasalire sia lui che la sua compagna ma non smosse neanche di un
centimetro la vecchia ex-piratessa.
-Fammi
indovinare, tu devi essere quello di buone maniere- commentò
piattamente la donna, per niente impressionata.
-Sono
uno dei sacri Cavalieri di Atena, custode della Quarta Casa del
Grande Tempio, Death Mask del Cancro e portatore della relativa
armatura d’oro- annunciò, cercando il rispetto che
gli era dovuto.
Mazelinka
lo squadrò da capo a piedi arricciando le labbra con
disappunto.
Fece schioccare la lingua e si spostò di lato.
-Come
ti pare. Entrate. Prima che vi senta tutto il vicinato.-
Per
accogliere la sua richiesta, Death Mask fu costretto a mettersi di
lato perché la larghezza dei suoi spallacci, con relative
decorazioni a zampe di granchio, non gli permetteva di passare
attraverso le porte in modo convenzionale.
L’interno
della casa era piuttosto modesto ma accogliente, l’arredo era
costituito da poco più che un paio di tavoli e qualche
tappeto
grezzo, sul fuoco bolliva una mistura dall’odore di erbe e
negli
scaffali sopra al camino spiccavano una miriade di barattoli colmi di
piante essiccate e polveri, ognuna con la propria etichetta scritta a
mano; un mazzolino di lavanda dava un buon profumo alla casa e la
luce del falò rendeva l’illuminazione fioca ma
gradevole.
Mazelinka
scostò un tendaggio verde scuro e fece accomodare i due
viandanti
nella sua camera da letto; un materasso sorretto da una struttura
semplice in legno occupava gran parte dello spazio e su uno sgabello
in legno vi era poggiata una singola candela accesa.
-Mettetevi
comodi, io devo parlare con Ilya- disse la donna mentre il diretto
interessato faceva loro un cenno con la mano.
-Tornerò
a vedere come vanno le cose, ve lo prometto- nel suo cordiale sorriso
si nascondeva una nota di preoccupazione che non era riuscito a
reprimere da quando aveva prestato le sue cure a Death Mask.
-Ci
conto, rosso.-
-Buonanotte,
Julian, e grazie di tutto- lo salutò Élan prima
che Mazelinka
facesse ricadere la stoffa pesante al suo posto.
Mentre
Ilya la metteva al corrente della situazione, Death Mask ed
Élan
diedero una rapida occhiata a quella che sarebbe stata la loro alcova
per i giorni successivi.
-Tsk,
che posto cencioso- sbuffò il Cavaliere D’oro
già stufo all’idea
di dover fare attenzione a non ribaltare il vasellame che occupava
tanto spazio nella così piccola dimora.
La
quarta Casa, oltre ad essere un tempio, era praticamente un attico di
lusso, pieno di arredi scuri e raffinati e con stanze abbastanza
larghe da potercisi muovere in tutta tranquillità pur
tenendo
l’armatura addosso.
-Suvvia,
non è così male. Almeno abbiamo un tetto sopra la
testa e un letto-
fece presente Élan poggiando entrambe le mani sulle doghe
per
testarne la resistenza.
-A-ah,
e abbiamo anche una megera non richiesta. Che altro abbiamo da
esporre alla fiera dell’ovvio?- la rimbeccò il
compagno con un
sorriso sardonico.
-Be’
abbiamo una finestra e abbiamo le pareti, abbiamo una porta di casa,
e poi abbiamo questo!- la fata raccolse la sfida lanciatale assieme a
una piccola fiala di erbe sul davanzale -Non so che cosa sia,
però
lo abbiamo!-
Il
Cavaliere accolse la seconda sconfitta che la giovane gli inflisse
con una risata sommessa ma vibrante. Mentre Élan gli dava la
schiena
per rimettere il vasetto al suo posto, le cinse la vita con un
braccio e se la tirò vicino.
-L’unica
cosa che vorrei possedere adesso, sei tu- le sussurrò mentre
le
prendeva il mento tra le dita per farla voltare verso di lui. Le loro
labbra si sfiorarono delicatamente lasciandoli entrambi
insoddisfatti.
-Non
siamo da soli e non siamo alla quarta Casa. Se mi volessi rifiutare
in onore della pudica decenza?- lo stuzzicò la giovane
voltandosi
nella sua presa per fronteggiarlo con comodità. Gli mise
anche lei
le dita sotto al mento barbuto per avvicinarselo un po’ e lui
ricambiò, accarezzandole la guancia. Prima la seduzione alla
locanda, adesso questo: la fata non capiva davvero da dove gli
salisse tanto ardore ma aveva intenzione di assecondarlo.
-Perché,
avresti in programma di farlo?- la fissò negli occhi
mordendosi un
labbro carnoso.
-Lei
no, ma io sì.-
Proprio
quando stavano per scambiarsi il primo di una serie di baci ardenti,
la voce secca di Mazelinka li interruppe bruscamente, costringendo
entrambi a prestarle attenzione.
-Ditemi-
cominciò puntando le mani sui fianchi pronunciati -Siete una
coppia
sposata?-
-Cosa?
No! Preferirei rimanere incastrata nella lavatrice di nuovo!-
esclamò
Élan puntando le mani sull’armatura per liberarsi
dal Cavaliere.
-Ehi!
Sarei un ottimo marito!- si difese lui senza allentare la presa -E
comunque avrei un paio di domande...-
-Già,
pure io- annuì la donna -Prima di tutte,
com’è che tu saresti un
ottimo marito?-
-Sul
serio?! Qui avete zero tecnologia, vivete nel Medioevo ma la prima
cosa che ti preoccupa sapere riguarda le mie doti coniugali?!-
sbottò
lui ma la sua interlocutrice si limitò a sventolargli un
mestolo di
legno davanti al naso.
-In
ogni caso non farete nulla che farebbe una coppia maritata. Non sotto
il mio tetto e non finché ci sarò io-
precisò indicando anche Élan
con l’utensile da cucina.
-Allora,
vegliarda mia, perché non vi andate a rinfrescarvi il
gargarozzo,
eh? Vi gioverebbe di sicuro, considerato il vostro solare senso
dell’umorismo!-
La
serafica calma di anni passati a tirare su pargoli ribelli come lo
era stato Julian, andò a farsi benedire quando la simpatica
vegliarda diede il mestolo in testa a Death Mask.
Il
violento Death Mask, il temutissimo e sanguinario. Tristemente noto
in tutto il Grande Tempio per aver decorato le pareti della sua Casa
con i volti di coloro che aveva ucciso in battaglia e non.
Fosse
stato per lui, avrebbe incenerito sul posto la vecchia ma la
guizzante risata di Élan smontò ogni violento
proposito. Aveva un
dono e non se ne rendeva nemmeno conto.
-Se
vi becco a fare porcherie che non dovreste, ne risponderete entrambi
a me- mise in chiaro la babushka con occhi severi.
-Certo,
befana...- mormorò il Cavaliere guadagnandosi
un’altra mestolata
in testa -Volevo dire “madam”- nel pugno che aveva
stretto sul
fianco, c’era tutta la repressa furia omicida che prima o poi
avrebbe dovuto sfogare facendo a pezzi qualcosa.
-Meglio-
annuì Mazelinka -Adesso filate entrambi a dormire. Domani
sarà una
lunga giornata e avrò bisogno del vostro aiuto per alcune
faccende.-
-Oh,
ma dove siamo finiti?! Ne “La casa nella
prateria”?! Sono un
Cavaliere D’oro, combatto magnifiche battaglie per il trionfo
della
dea Atena!-
-Certo,
come no. Cavaliere D’oro, a casa tua. Qui se non dai una mano
sei
solo un idiota in lattina che si riempe la bocca di belle parole- lo
smontò la donna prima di lasciarli soli.
Prima
che la situazione potesse davvero degenerare, Élan mise un
freno
alle sue risate per voltarsi verso Death Mask e convincerlo, con uno
sguardo interlocutore, a sfogare la sua rabbia su un bersaglio che
non respirasse.
Il
Cavaliere cercò una vittima adatta oltre la finestra
spalancata e la
individuò in un paio di comignoli fumanti lontani un
centinaio di
metri; si concentrò, alzò un braccio illuminato e
carico di Cosmo e
scagliò una sfera distruttiva centrando il primo dei suoi
obbiettivi.
Mentre
Cancer scaricava la rabbia, Élan oltrepassò il
tendaggio che
fungeva da porta.
-Deve
scusare il mio compagno, signora; è un tipo dinamico, non
regge bene
la calma piatta, ma per me sarà entusiasmante fare qualcosa
di nuovo
che non sia combattere- la rassicurò venendo ricambiata da
un
affabile sorriso a trentadue denti.
-Chiamami
pure Mazelinka, tesoro. E fai attenzione al tuo amico, mi sembri il
tipo di ragazza troppo dolce e attraente per essere lasciata da sola
con un uomo irruento come lui.-
Élan
apprezzò il complimento affettuoso ma si levò in
ferrea difesa del
Cavaliere D’oro.
-Potrei
giurarlo con la mia vita: per quanto sia difficile vedere dietro alla
mancanza di buone maniere e all’apparente
insensibilità, non è
soltanto l’armatura ciò che Death Mask ha
d’oro.-
Nel
frattempo, il diretto interessato stava giocando a spaventare
anguille, pesci e ogni possibile fauna acquatica lanciando loro
contro ogni tipo di improperio.
L’ex-piratessa
studiò gli occhi determinati della giovane, leggendoci un
inequivocabile e tenace sentimento: una donna che difendeva con tanta
ostinazione un così bizzarro personaggio, poteva solo essere
innamorata o fuori di testa, e spesso le due cose coincidevano.
-Temo
che solo lui potrà farmi cambiare davvero idea-
sentenziò infine,
cercando di non farsi trascinare in un turbine di sentimenti forse
più romanzati del necessario -Buonanotte, Élan.-
-Buonanotte,
Mazelinka- annuì la fata apprezzando
l’imparzialità ma trovandola
un’arma a doppio taglio.
Tornò
verso la camera riflettendo sulle parole della donna: la sua
dichiarazione poteva sembrare una sfida ma non c’era prova
che
Death Mask non avrebbe potuto superare, ci avrebbe scommesso la sua
stessa esistenza. Ne aveva passate così tante con lui,
sapeva cosa
ci fosse sotto alla scarsa parvenza di buona educazione e se
c’era
una cosa che aveva imparato davvero bene, era che buono non sempre
significasse gentile.
Per
quando rientrò nella camera da letto, il protagonista delle
sue
riflessioni aveva distrutto altri due comignoli, un paio di barili e
fatto esplodere dei colpi nei cunicoli, spaventando gli abitanti
delle case.
Poteva
dimostrare di essere una bella persona, ma ahilei, ci sarebbe voluto
davvero un grande sforzo.
-Preso
a mestolate...- borbottò il Cavaliere comandando alla sua
armatura
di staccarglisi dal corpo -Di tutte le prove fisiche che ho dovuto
superare per guadagnarmi il titolo, il tradizionale mestolo in testa
proprio mi mancava.-
I
pezzi dell’armatura turbinarono in aria lasciando una serie
di
scintille dorate nel loro passaggio prima di ricomporsi in un
rettangolo di onice nera sul letto; gli angoli erano abbelliti da
intricati ghirigori e al centro brillava una sottospecie di simbolo
del cancro, una figura cuneiforme e appuntita.
-Sarebbe
potuta andare peggio: poteva essere uno zoccolo di legno-
suggerì
Élan mentre Death Mask poggiava il contenitore
dell’armatura alla
parete stendendosi, poi, sul letto.
Le
lenzuola erano un po’ ruvide e i cuscini piuttosto bassi ma
tutto
era perfettamente pulito ed emanava una gradevole fragranza.
Senza
quasi farci caso, il Cavaliere si mise a fissare la ragazza mentre si
spogliava a sua volta: la divisa che le aveva procurato era elegante
e pratica, in più la faceva sembrare una vera guerriera, ma
non era
come le sacre vestigia dei Cavalieri di Atena, toglierla voleva dire
compiere ogni passaggio a mano. D’altro canto, voleva anche
dire
che per il bel Cancer, uno spettacolo sensuale era garantito ogni
notte.
Mentre
Élan si preparava per dormire, l’uomo si
concentrò anche sui
rumori della casa: Mazelinka che gettava un secchio d’acqua
sul
fuoco per spegnerlo, il pentolone bollente che pian piano smetteva di
gorgogliare, il garrito dei gabbiani in lontananza e il fruscio di
coperte di un secondo letto. C’era una nicchia scavata nel
muro con
tutto il necessario per ricavarne un giaciglio abbastanza decente, e
la padrona di casa vi si accomodò non appena ebbe finito di
sistemare la dimora per la notte.
Presto
Élan si distese sul letto accanto a lui e Death Mask si rese
conto
di aver distolto lo sguardo ma non avrebbe compiuto di nuovo lo
stesso errore, non con lei avvolta in un kimono ricavato dallo
scialle plissettato della divisa e con le luci della luna e della
candela che disegnavano vivaci giochi luminosi sui suoi tratti pieni
di armonia.
Le
scostò i capelli, più lunghi sul lato sinistro
del viso, e cominciò
a seminarle una serie di baci dalla guancia fino alla punta
dell’orecchio che morse piano; mentre Élan rideva
sommessamente
per quel gesto, le accarezzò la coscia studiandole il volto:
non
c’era notte che passava senza che lei lo ammaliasse con la
sua
delicata bellezza.
Le
infilò un braccio sotto la vita e la strinse a sé
mentre con
l’altra mano si divertiva a palparle un seno; adorava il modo
in
cui sembrava vulnerabile tra le sue braccia.
-Death...-
lo riprese Élan con tono vagamente perentorio; avrebbe
voluto
lasciarlo continuare più di ogni altra cosa, ma aveva dato
la sua
parola e intendeva rispettarla -Lo s-sai che non pos-siamo-
balbettò
sentendolo scorrere un dito sotto l’elastico delle sue
mutandine.
-Sarò
silenzioso- promise lui con un sorriso malandrino che scioglieva il
cuore.
Mettendole
una mano sulla spalla, la fece distendere sulla schiena, le
divaricò
le gambe e si accucciò tra le sue cosce; i loro bacini si
incontravano alla perfezione e l’uomo pregustava
già il momento in
cui i loro corpi sarebbero stati connessi in una cosa sola. Si
chinò
per succhiarle il collo e affondò le dita nei suoi morbidi
capelli
color smeraldo mentre la fata sollevava il mento per dargli
più
accesso alla gola.
Per
un momento perse la concezione del luogo e delle circostanze,
rischiando seriamente di buttare alle ortiche la promessa di
entrambi; avrebbe voluto accarezzargli la schiena per poi graffiarla
quando la passione avesse preso il sopravvento, disarcionarlo,
mordergli le spalle con ferocia e asserire la sua dominanza in quel
gioco perverso ma il gracchiare di un corvo sul davanzale la
riportò
alla realtà con uno scatto. Osservando il grande e nero
volatile,
pose una mano sulla clavicola di Cancer e lo spinse via da
sé.
-Ma
io non lo vorrei- confessò guardandolo negli occhi -Quando
sarà il
momento, capirai che sarà valsa la pena aspettare, ma non
voglio che
sia stasera. Non se non siamo da soli, non se dobbiamo fare
attenzione a tutto. Inoltre il corvo mi mette soggezione.-
Death
Mask si girò verso la finestra proprio nel momento in cui
Malak, il
famiglio ci Julian, si involava nel buio della notte a raggiungere il
suo sgangherato padrone.
La
stessa illuminazione che aveva definito il viso della fata si
ripropose sull’uomo e lei non riuscì a respirare
in modo regolare,
facendosi sfuggire un sospiro trasognante: così come la
fiamma della
candela sottolineava la dolcezza nei tratti di lei, altrettanto
faceva con l’uomo, ma mettendo in particolar evidenza la
durezza di
quella mascella incorniciata dalla barba blu scuro rasata alla
perfezione.
-Non
che mi dispiaccia- riprese a parlare Élan cercando di
nascondere la
sua adorazione con la confusione -Ma stasera sei un po’
più strano
del solito. Da dove ti salta fuori tutta questa carica erotica?-
-Ti
desidero, che altro c’è da sapere?- fu la risposta
secca che le
diede Death Mask -Più che una novità, credevo
fosse reciproco.-
Nel
tono piccato della sua voce si nascondeva qualcosa di indecifrabile,
ma non si trattava dell’offesa per essere stato respinto; era
stato
rifiutato in altre occasioni e mai aveva reagito in malo modo,
semplicemente non era da lui. Se una donna gli avesse dato un due
picche avrebbe fatto spallucce, dichiarato che era lei a rimetterci e
sarebbe partito alla volta della conquista successiva, ma stavolta
c’era una sorta di impellenza nella sua voce,
magari… Ansia?
-Sicuro
sia soltanto questo?- gli domandò, prendendogli con
delicatezza il
viso tra le mani -Sai che puoi dirmi ogni cosa. Parlami, ti prego.
Cos’è che ti angustia? È forse il morso
dello scarabeo?-
La
comprensione nella voce di Élan, tanto quanto il desiderio
di
conoscenza nel suo sguardo, erano così sconfinati e
struggenti che
Death Mask fu portato in seria tentazione di dirle tutta la
verità,
solo la verità e nient’altro che la
verità; il Cavaliere prese un
profondo respiro e ricambiò la sua occhiata, ma per quando i
suoi
polmoni si furono svuotati, si accorse che la volontà di
confidarsi
era volata via col suo fiato, le sue vere apprensioni erano destinate
a restare in fondo al suo cuore per una notte ancora.
Élan
continuò a fissare con intensità
l’unico rimasto tra i due
profondi occhi azzurri, scorgendo dietro alla sinteticità
della sua
dichiarazione un intero mondo, uno in cui la repressione delle
proprie preoccupazioni era la regola; in realtà
c’era moltissimo
altro di cui venire a conoscenza e lei lo sapeva, ma così
tanto
gravava sulle loro spalle dopo la giornata trascorsa che
preferì non
insistere.
-Se,
per adesso, non me lo vuoi dire, non c’è problema-
disse puntando
i gomiti sui cuscini per mettersi a sedere; scavalcò il
compagno e
si avvicinò al bordo del letto, dove bruciava ancora
l’unica
candela della stanza.
La
vista dei suoi glutei sodi fasciati in un paio di mutandine
praticamente inesistenti, l’arricciatura delle sue labbra
piene
quando soffiò sulla fiamma e la curva che la sua schiena
prendeva se
si reggeva con i palmi sulle ginocchia, rischiò di mandare
in
delirio il Cavaliere del Cancro. Preoccupato, certo, ma quanto poteva
tentarlo con un gesto così semplice? Quanto poteva essere
facile
cedere alle sue richieste e quanto poteva essere difficile resisterle
allo stesso tempo? Nessuno poteva capirlo.
-Ricordati
solo che quando ne vorrai parlare, per te, sarò sempre
pronta- gli
sorrise lei calorosamente.
Cancer
aprì le labbra per dirle qualcosa ma non appena si accorse
di non
avere nulla di intelligente da aggiungere, si limitò a
sdraiarsi sul
materasso e ad augurarle di dormire bene.
-Sogni
d’oro, ragazzina.-
-Intendi
dire che mi auguri di sognare te?- lo punzecchiò la fata
sdraiandosi
al suo fianco.
-Ahahah-
rise l’uomo con tono profondo e inaspettatamente provocante
-Cara,
io sono sempre un sogno. Anche da sveglio.-
-Oh,
falla finita, spaccone che non sei altro!-
Élan
riuscì a scucirgli un’altra risata dandogli un
leggero colpetto
col tallone mentre entrambi iniziavano a prendere sonno.
Kamya
stava passeggiando per le vie di Vesuvia immersa nei suoi pensieri;
era passato un giorno da che aveva accettato l’incarico di
Nadia e
nonostante si fosse imbattuta in Julian, non l’aveva fatto
arrestare.
A
portarlo da lui era stata una lettera trovata sulla sua vecchia
scrivania nella biblioteca del Castello; Kamya vi aveva lanciato un
incantesimo di tracciamento sperando che funzionasse e, non appena
aveva incrociato il ragazzo fuori dal Corvo Chiassoso, aveva compreso
che le sue preghiere fossero state ascoltate. Il contenuto della
lettera rivelava solo che Julian avesse una sorella ma nulla di
più.
Prima che la maga avesse potuto porgli delle domande circa il suo
delitto, le guardie avevano compiuto un giro di ronda per quelle vie,
costringendoli a porre fino al loro incontro.
Avrebbe
potuto, anzi, dovuto consegnarlo alle autorità ma
l’istinto le
aveva suggerito che non fosse ancora il momento adatto. Forse era
stata la sua affabilità, la ferrea convinzione che un altro
lato
della storia andasse ascoltato o la disperata sincerità nel
suo
sguardo, fatto stava che quando una sentinella le si era avvicinata,
Kamya si era limitata ad affermare che dovesse tornare a palazzo per
una cena con la Contessa.
Per
sua immensa fortuna, Nadia non le aveva chiesto come avesse trascorso
la giornata ma aveva accennato alla sete di sangue che i vesuviani
nutrivano nei confronti dell’assassino del Conte;
l’immagine di
Julian che pendeva dalla forca non mancava di farle torcere lo
stomaco ogni volta.
Quello
era il secondo giorno che dedicava alle indagini, doveva incontrarsi
con Portia in piazza a mezzogiorno per dare assieme a lei
l’annuncio
della Mascherata, ma fino ad allora era libera di passare il tempo
come preferiva e aveva deciso di tornare alla bottega di Asra; voleva
raccogliere reagenti, erbe, un libro di magia, tutto ciò che
potesse
tornare utile.
Saliti
i gradini del negozio, premette un palmo sulla porta e sciolse
l’incantesimo di protezione che vi aveva lanciato, quando si
rese
conto che un borsellino di pelle era stato legato alla maniglia;
aprendolo sentì un forte odore di erbe, mirra sopratutto:
era una
mistura protettiva e qualcuno l’aveva lasciata lì
per lei, ma chi?
Lanciare un’occhiata ai lati della strada deserta, non
rispose alla
domanda.
Decise
di accantonare la questione per sbloccare la serratura ma nel momento
in cui afferrò il chiavistello, la porta si
spalancò rischiando di
gettarla addosso all’ultima persona che si era aspettata di
vedere;
la sorpresa fu tale da congelarla sul posto, farle cadere il
borsellino di mano e renderle difficile articolare i pensieri.
-Ma
salve! È bello vederti qui, Kamya- ghignò Julian,
inarcando le
sopracciglia in modo comico -Ehm, magari non così
sorprendente. Io,
ah, ero nei paraggi...- prese a farfugliare torcendosi le mani
nervosamente ma vedendo che la ragazza lo stava fissando sbigottita,
tentò di ricomporsi buttando su qualche apprezzamento -E tu
sei, er,
splendida! Meravigliosa! Devo proprio smettere di sfregarmi le
mani...-
Kamya
fu tentata di chiamare le guardie ma si trattenne: era la seconda
volta che Julian faceva irruzione nel suo negozio, e se avessero
creduto che gli stesse dando asilo?
La
maga lo guardò in tralice incrociando le braccia.
-È
la seconda volta che ti pizzico nel mio negozio, si può
sapere che
cosa stai cercando?-
Death
Mask ed Élan avevano passato l’ultima giornata
senza avere notizie
dello sconsiderato dottore ed era decisamente il caso che lui
tornasse da Mazelinka a vedere come procedesse la salute del
Cavaliere, però non poteva farlo ignorante
com’era; aveva bisogno
di un tomo, un cristallo incantato, un abracadabra di qualsiasi
genere che gli permettesse almeno un po’ di anticipare una
diagnosi
accurata. Non che avesse intenzione di rubare, si sarebbe trattato di
un semplice prestito. Non autorizzato e senza garanzia di ritorno ma
pur sempre un prestito.
Il
problema era sorto davanti all’ampiezza
dell’inventario: Julian
era un uomo di scienza, non di magia, sapeva di dover scegliere
qualcosa ma cosa?! Il suono del chiavistello aveva solo peggiorato la
sua indecisione suggerendogli di darsela a gambe.
Tutto
questo, però, a Kamya non lo poteva dire.
-Niente,
non sto cercando niente, perché dovrei?Spero che tu non
pensi sia un
ladro. Sono tante cose ma non quello- arrossì prima di far
rispuntare sulla faccia il suo caratteristico sorrisetto -Immagino,
però, che la mia parola non ti basti- senza lasciare che la
maga
controbattesse, Julian si sbottonò il camice nero, aprendo
le
braccia con un ampio gesto lo fece svolazzare a mezz’aria e
alzò i
palmi in segno di sottomissione -Perquisiscimi. Se trovi qualcosa di
tuo, mi consegnerò alla folla. Coraggio, cerca
finché non sei
soddisfatta- la sfidò con un tono fiero e irritante.
Kamya
si sentì avvampare: non poteva fare sul serio, giusto? Era
ovvio che
fosse una scusa per distrarla o per costringerla a toccarlo!
Maledizione a lei se ci fosse cascata!
-Lo
sai, anche se ho passato poco tempo con te, comincio a capire di che
pasta sei fatto- dichiarò seccata -Forse non sei un ladro ma
dalle
tue parti, dove il tuo nome non è infangato, hai la
reputazione di
rubacuori, e adesso ti aspetti che io, incantata dai tuoi modi
appariscenti, ti metta le mani addosso fino a raggiungere il tuo
posticino speciale per esclamare ‘Qualcosa di mio
l’ho trovato!’.
Be’, sai cosa? Non succederà oggi, bello!-
Kamya
aveva sputato fuori quella specie di monologo con tono perentorio per
darsi un contegno e far capire a Julian che i suoi scialbi trucchetti
non attaccassero, ma dal sorriso malizioso che le rivolse il rosso,
capì di aver commesso un errore non trascurabile.
-Non
succederà oggi-
precisò lui guadagnandosi dall’apprendista un
sospiro così cupo
che avrebbe rimesso in riga il Diavolo in persona.
-Oggi
e mai nella vita se ti faccio arrestare, quindi fila via prima che
chiami le guardie...- sibilò esasperata.
Ridacchiando
sommessamente, il medico si rivestì e fece per compiere un
lungo
passo oltre Kamya, contorcendo la sua dinoccolata figura
cosicché
non si scontrassero, quando il suo ghigno scomparì.
Lo
shock si impossessò del suo volto mentre la maga guardava
con
cautela oltre la sua spalla per vedere cosa gli avesse fatto chiudere
quella dannata boccaccia: Portia.
Doveva
essere andata a cercarla per l’annuncio in piazza, ma adesso
non le
stava prestando attenzione. Tutta la sua concentrazione, la sospesa
incredulità nei suoi occhi erano per l’uomo che le
stava davanti.
-Ilya?-
il sospiro che le uscì di bocca era carico di un sentimento
inedito
ma che le partiva dal profondo del cuore; incespicò nei
ciottoli
della strada gettandosi sulla figura del dottore -Ilya, sei davvero
tu?- gli mise le mani tremanti sulle guance scarne e gli occhi di lui
presero a luccicare.
-Sono
io- fu la sua semplice risposta.
-Tu…
Tu…- gli occhi di Julian erano lucidi ma quelli di Portia
erano
colmi di lacrime e le sue parole fecero pentire amaramente Kamya di
averlo minacciato -Tu, bastardo! Che cosa ci fai qui?
All’aperto!
Stai provando a farti ammazzare?!- sussultò.
Julian
fece una smorfia di vergogna quando Portia gli afferrò la
testa con
più foga mettendogli le mani sulle orecchie.
-Sei
cresciuta forte, Pasha. Mi dispiace non essere stato presente per
vederlo...-
-Ti
farò vedere io quanto sei dispiaciuto! Tu, incredibile...-
la voce
le si spezzò mentre lo afferrava per il collo del mantello e
lo
trascinava via dai gradini -Kamya!- la studentessa si sentì
quasi in
pericolo sentendo il proprio nome chiamato in mezzo al trambusto
-C-ci vediamo più tardi!-
Senza
aggiungere altro, Portia sparì in un vicolo portando con
s’è il
medico che annaspava per la differenza di statura; rimasta a
riflettere tutta da sola, Kamya entrò nel negozio di magia
diretta
al retrobottega. Se prima aveva nutrito dei dubbi, adesso erano stati
completamente fugati: Julian e Portia erano senz’altro
fratelli.
Passare
una mano sugli averi del maestro, la allontanò
dall’improbabile
famigliola dandole un profondo senso di conforto; i vestiti di Asra,
le reliquie magiche, il profumo affumicato, era tutto così
familiare
da farle sentire di avere di nuovo il controllo di se stessa. Non
potendo trattenersi a lungo, raccolse ciò di cui aveva
bisogno ma il
libro era sparito; lo cercò in lungo e largo ma non si
trovava da
nessuna parte. Possibile che Asra l’avesse preso con
sé alla sua
partenza? Per un attimo, la possibilità che fosse stato
Julian a
rubarlo, si impadronì di lei e una rabbia cocente fece per
infiammarla quando si rese conto che se così fosse stato,
lui non si
sarebbe mai offerto di farsi perquisire, inoltre non c’era
modo che
avesse nascosto un tomo così ingombrante nei suoi vestiti.
Il
rintocco di un orologio lontano segnò l’ora e
Kamya scattò in
piedi.
L’annuncio!
Non si era resa conto che il sole fosse tanto alto!
Mordendosi
il labbro nervosa, abbandonò le sue ricerche, chiuse il
negozio in
tutta fretta e si diresse a passo svelto verso la piazza della
città.
Il piazzale era gremito di gente, piccoli gruppi e ritardatari si
ammassavano lungo il perimetro in cerca di un buon punto
d’osservazione. Portia era in piedi sul carrozzone reale e un
piacevole odore si diffondeva nell’aria.
-Udite,
udite! Questo è un annuncio da parte della vostra Contessa
Nadia!
Durante l’anniversario della dipartita del Conte Lucio, la
Contessa
aprirà i cancelli del palazzo. Esatto, gente! Siete tutti
invitati
non a compiangere, bensì a festeggiare lo spirito
dell’amato
Conte!-
La
folla esplose in uno scroscio di entusiasmo e Kamya si sentì
investita dal calore tipico della gente in festa; l’odore
gradevole
che aveva sentito prima, le cullava anche l’olfatto. Fece per
raggiungere Portia inspirando a pieni polmoni, ma qualcosa la
convinse a fermarsi a metà strada. Il profumo non si
diffondeva dal
carrozzone ma da un lato della piazza, e non era del tutto
sconosciuto: si trattava di mirra.
L’apprendista
fece scorrere lo sguardo sui cittadini più ai bordi e
notò una
figura che troneggiava su tutte le altre; i suoi occhi, corrucciati
sotto un paio di folte sopracciglia, erano tenuti all’ombra
di una
grezza pelliccia. Sebbene l’eccitazione si stesse diffondendo
a
macchia d’olio, la figura sembrava portare un annuncio di
disperazione. La potente voce di Portia distrasse la maga richiamando
la sua attenzione su di sé.
-Sarà
una Mascherata come nessun’altra vista finora! Diffondete la
notizia, parlatene ai vostri amici! Non vorrete perdervela!-
Mentre
il popolo scoppiava di felicità un’altra volta, la
massiccia
figura si mosse verso una strada secondaria, portando con sé
l’odore
di mirra. Kamya si lanciò al suo inseguimento e, una volta
superata
la ressa, riuscì a raggiungere il misterioso straniero; il
suo
andamento pesante era facile da sostenere e le permise di
raggiungerlo a metà di una traversa del mercato.
-Ehi,
Fermati! Chi sei, dove stai andando?- cercò di richiamare la
sua
attenzione ma l’uomo non rispose; si voltò a
guardarla con
lentezza come se temesse la sua vista.
-Ciecamente
al macello. Come il resto di voi.-
-Come
sarebbe a dire? Sii più chiaro, per favore.-
Per
un momento Kamya pensò di accelerare per oltrepassarlo e
guardalo
bene in faccia ma desistette. Tutta quella situazione era assurda, e
non solo per il fatto che un losco figuro le avesse lasciato alla
porta un sacchetto di erbe protettive, l’avesse fissata in
mezzo a
una folla enorme e che avesse provato a svignarsela quando lei
l’aveva notato, era anche il fatto che lei gli fosse corsa
dietro.
Da dove le partiva un gesto così impulsivo? E se non fosse
stata sua
l’iniziativa del sacchetto ma fosse stato pagato da qualcun
altro
per mettercelo? Se lui fosse stato un uomo pericoloso? Se doveva
indagare, doveva prendere le dovute precauzioni.
-Non
importa cosa dico. Le mie parole non dureranno… Non lo fanno
mai-
il tono della sua voce era profondo ma inespressivo e quasi
sovrastato dal rumore delle catene che aveva ai polsi e al collo.
Si
allontanò trascinando i piedi ma con una domanda della
ragazza, la
sua marcia si arrestò.
-Il
sacchetto di pelle al negozio, ce l’hai lasciato tu, non
è vero?-
Scoperto,
l’uomo si bloccò e si girò
così in fretta che il cappuccio
lacero gli cadde sulle spalle; i suoi occhi erano di un verde
profondo che ricordava la selva fuori da Vesuvia e i suoi capelli
neri una zazzera arruffata sulla testa. Parte del viso era segnato da
un paio di vecchie cicatrici sbiadite e una barba sottile inscuriva
la pelle del mento e delle guance.
Come
la ragazza fece per avvicinarsi, riprese a camminare, allungando il
passo su per la scalinata; la via era così stretta e le sue
spalle
così massicce da rasentare i muri. La sua andatura si era
fatta
serrata e quando Kamya raggiunse il mercato, sentì un tuffo
allo
stomaco: l’aveva perso in mezzo alla folla.
O
forse no…
L’imponente
straniero stava costeggiando il mercato per evitare la fiumana e si
era fermato dietro al palo di una bancarella; era decisamente troppo
stretto per nascondercisi per cui, quando Kamya gli si
avvicinò, le
sfuggì di nuovo. Si appostò dietro a un carretto
di mele ma, anche
se era impilato di frutta, lo sovrastava.
Stava
provando a nascondersi da lei?
Al
suo terzo tentativo di avvicinarglisi, si nascose dietro a…
Un cane
randagio.
Realizzò
la futilità del gesto proprio mentre il cane si alzava e
trotterellava via.
-Vattene-
ordinò minaccioso alla ragazza nel momento in cui se la
ritrovò
davanti.
-Non
lo farò senza che tu abbia risposto a una domanda, per cui,
se mi
vuoi fuori dai piedi, sarà saggio da parte tua
accontentarmi-
dichiarò mettendosi un pugno sul fianco.
Lo
sconosciuto convenne che fosse la soluzione più rapida per
levarsela
di torno, sospirò e fece un silenzioso cenno di assenso con
la
testa.
-Grazie
mille- gli sorrise la maga giungendo le mani e chinando la testa
-Adesso dimmi, conosci Asra?-
-Meglio
di chiunque altro- la voce dell’uomo era tetra e i suoi occhi
carichi di rabbia ma la sua risposta sembrava sincera.
-Ti
ha mandato a controllarmi?-
-...Sì-
improvvisamente il maciste arrossì, facendo una smorfia di
disappunto che stuzzicò le simpatie della sua interlocutrice
-È il
mio unico amico.-
Kamya
tirò un sospiro di sollievo: se Asra l’aveva
mandato a tenerla
d’occhio e l’aveva fatto perché lo
conosceva, allora poteva
stare più che serena.
-Penso
che non siamo poi così diversi. Mi fido di Asra
più di chiunque
altro: possiamo essere amici anche noi due- gli offrì lei
trovando
un freddo rifiuto.
-No.
Perché dovremmo?-
-Condividiamo
l’amicizia con Asra, mi farebbe piacere avere questo legame
con
te.-
I
suoi modi si erano ammorbiditi e provava a tutti i costi a suonare
rassicurante ma invano.
-Non
voglio un altro amico. Specialmente se si tratta di te.-
Quell’affermazione
sembrava nascondere più di quanto non apparisse e a Kamya
sorse un
dubbio.
-Ci
siamo già incontrati prima d’ora?-
-Non
importa. Non siamo amici- tagliò corto l’altro.
-E
non potremmo?- insistette l’apprendista.
Una
sfumatura rosata colorò nuovamente le guance
dell’uomo facendo
risaltare una delle cicatrici. Sarebbe stato interessante conoscere
meglio quella montagna umana e capire se davvero fosse così
orso
come si vendeva ma non ce ne fu il tempo.
Un
urlo di avvertimento fece girare la ragazza in tempo perché
vedesse
il carretto della frutta venirle addosso; incespicò sul
pietrisco
dissestato e per quando ebbe riguadagnato l’equilibrio, lo
sconosciuto era scomparso. Per davvero stavolta.
La
frustrazione le bruciò il petto prima di essere stroncata di
botto
dalla confusione: ricordava di essere andata in piazza per
l’annuncio, e poi… Era scappata verso il mercato,
ma perché?
Cercò di ricordare ma non aveva tempo da perdere, doveva
tornare da
Portia.
La
trovò in piazza dove l’aveva lasciata; dal
carrozzone reale stava
lanciando petali e riso ai cittadini che danzavano.
-Kamya,
eccoti! Hai visto che folla? Spero non ci siano stati incidenti al
negozio o nulla fuori dall’ordinario- le sorrise con
un’ombra di
apprensione mentre le sue palpebre sbattevano supplichevolmente.
La
maga salì sul carro accanto a lei e stette per risponderle
ma il
mezzo si rimise in moto con uno scossone; il suono delle risate
accompagnò la loro marcia seguito dal diffondersi della
novità
festaiola.
-Kamya?-
L’apprendista
ci mise un attimo prima di registrare la voce della rossa.
-Scusa,
stavi dicendo?- le rispose riscuotendosi dai suoi pensieri.
-Incontrerai
i cortigiani quando arriveremo a palazzo. Vuoi sapere in anticipo i
loro nomi?- le fece l’occhiolino Portia e Kamya si
sentì come una
bambina sperduta. La testa era improvvisamente vuota e la bocca secca
ma non arida di domande.
-Oh
miei Arcani, pensi che sia il caso? Si aspettano che sappia chi sono
prima che li abbia mai visti? È qualcosa che dovrei sapere?
Non ho
mai studiato la storia della nobiltà di Vesuvia! Avrei
dovuto?
Potrebbero offendersi se...-
-Kamya?-
-Sì?-
-Ci
stia rimuginando troppo- Portia le diede un colpetto con la spalla
facendo ridacchiare l’amica.
-Lo
so, scusami, è che ci tengo a fare bene questo lavoro. Ne va
della
reputazione mia e di Asra. Non posso permettermi stupidaggini- adesso
era il suo lo sguardo supplichevole e intimidito.
-Non
lo farai, stai tranquilla. Allora, ci sono la Procuratrice Volta, il
Pretore Vlastomil, il Pontefice Vulgora, la Questrice Valdemar e il
Console Valerius- spiegò contandoli rapida con le dita.
L’espressione
della studentessa di magia doveva ancora essere persa perché
le
diede una rassicurante pacca sulle spalle.
-Valerius
è quello più importante; Milady gli dà
maggiore importanza che
agli altri; sono un po’ eccentrici ma dovrebbero essere
gentili con
te.-
Giunte
a palazzo, Portia la scortò presso un’area in cui
aleggiava il
profumo di una mezza dozzina di fragranze. Kamya intuì di
essere
arrivata al salotto dall’ovattato suono di una sofisticata
melodia
e dalle risate fragorose che risuonavano nei corridoi.
Vedendola
esitare davanti alla porta con una mano alzata, la servitrice
incoraggiò la ragazza.
-Forza,
Kamya, queste persone non vedono l’ora di incontrarti-
sorrise
dolcemente e le sue parole ispirarono l’altra.
Persone.
Non erano altro che persone.
Bussò
alla porta con tre colpi decisi e la voce di Nadia le rispose,
invitandola ad entrare; la stanza era resa caliginosa da eleganti
sbuffi di fumo che danzavano nell’aria.
Esclusi
i verdi tendaggi, il mobilio bianco e le pareti dove brillavano dei
candelabri a muro, tutto era sui toni del viola e dell’oro;
le
figure dei cortigiani, seduti comodamente su divani imbottiti, erano
illuminate da una tenue illuminazione e Nadia sedeva dietro a un
lucente organo da camera, prestando poca attenzione al fitto
chiacchiericcio.
Sollevò
lo sguardo non appena Kamya varcò la soglia e le sue dita
eseguirono
un vittorioso accordo.
-Bentornata,
Kamya- girò le pagine del suo spartito, annuendo con un
sorriso
-Portia, per cortesia, introduci la nostra onorevole ospite.-
-Annuncio
Kamya, amica del Palazzo e apprendista del mago Asra- obbedì
la
rossa con solennità.
Mentre
si alzavano dalle loro confortanti sedute, Kamya cercò di
ricollegare un nome a ciascuno dei loro volti.
-Sei
tu Kamya? Ohoh, sei proprio carina!-
La
prima a parlare fu una donna inverosimilmente piccina, con
l’occhio
sinistro pigro e un incisivo che sporgeva dal labbro inferiore; le
sue vaporose vesti nere la facevano sembrare ancora più
magra di
quanto già non fosse e da sotto l’ampia cuffia
bianca, spuntavano
dei riccioli di un rosso spento. Lei era la Procuratrice Volta.
-Che
incantevole sorpresa, stavamo giusto parlando di te!-
A
seguirla fu un uomo dalla dita rachitiche, un folto pizzetto color
cenere e le orecchie a punta; dal suo gonfio cappello si stendeva una
lunga piuma sfumata e la sua tunica nera bordata d’oro,
ricordava
quella di Volta: costui era il Pretore Vlastomil.
-Siediti!
No, non con loro, con ME, Kamya!-
Il
Pontefice Vulgora puntò alla maga, incitandola a sedersi
così
veemente da farlo sembrare un ordine. Era un uomo tracagnotto, la cui
figura era resa tozza da una rigonfia casacca rossa; le rosse e
dorate maniche a sbuffo spuntavano da una mantella nera e dei guanti
metallici rendevano la sua presa salda ma pungente. I suoi occhi
gialli lampeggiavano di curiosità sotto alle spesse
sopracciglia
rosse e Kamya non poté fare a meno di notare come il
complesso
copricapo che, coi suoi veli quasi gli inghiottiva il volto,
ricordasse un paio di corna.
Portia
aveva ragione: erano davvero eccentrici. Ma anche gentili e
l’apprendista si sentì presto stordita da tanto
entusiasmo, senza
disprezzarlo neanche per un secondo.
Le
mani ben curate dei cortigiani la fecero accomodare su un divano e la
lanciarono nel mezzo della conversazione; la Contessa Nadia stette ad
osservare tutta la scena suonando dei toni contemplativi.
-Dimmi,
Kamya, com’è stato accolto l’annuncio?-
-Uno
può solo immaginarlo! Neppure noi, i favoriti della
Contessa, ne
avevamo idea!- il Pretore Vlastomil non lasciò il tempo di
rispondere e la Procuratrice Volta lo seguì a ruota.
-Una
così magnifica sorpresa dalla nostra amata Contessa! Una
Festa in
Maschera!-
-Ah!
E non abbiamo dovuto alzare nemmeno un dito!- rise forte il Pontefice
Vulgora.
Nadia
scosse la testa, sorridendo; era consapevole e fiera
dell’entusiasmo
che era riuscita a suscitare presso i suoi cortigiani, ma era stato a
Kamya che aveva chiesto di parlare e l’indomito gruppetto
doveva
ricordare quali fossero le buone maniere da usare in compagnia di
ospiti.
-Oh
Cielo, sarebbe fortunata Kamya se riuscisse a proferire parola in
mezzo a voi- li punzecchiò.
-Secondo
il mio verm… Ehm, volevo dire verbo, fortunata lo
è già!- si
animò il Pretore Vlastomil, non cogliendola frecciatina
-Essere
scelta dalla Contessa, lei, un’anonima apprendista!-
Nadia
arcuò un sopracciglio ma non disse nulla. Dubitava forse
della sua
capacità di giudizio?
Kamya
aveva avuto abbastanza tempo a quel punto per accorgersi di due altri
dettagli che accomunava i cortigiani: una era la spilla di rubino a
forma di scarabeo, e l’altra una carnagione inverosimilmente
pallida. Tutti avevano la pelle bianca in modo bizzarro eccetto
per…
-Che
rischio, che rischio- rantolò una voce graffiante -Davvero
non
tipico della nostra ponderata e meticolosa Contessa.-
Kamya
si rese conto della presenza di un quarto cortigiano quando la
Questrice Valdemar parlò tenue e gelida. La donna, o almeno
lo
sembrava, aveva un lunghissimo camice bianco e dei guanti di pelle
che le arrivavano fino all’attaccatura delle braccia; da una
tasca
del grembiule nero facevano capolino degli strumenti medici puliti e
il suo volto era nascosto dietro a una mascherina da chirurgo.
Fissò
la maga con uno sguardo infiammato, facendole correre dei brividi
lungo la schiena.
La
spilla rossa era là come per gli altri membri di corte ma il
suo
incarnato era di un verde olivastro a dir poco malsano, o forse era
solo l’illuminazione della stanza a dare lo strano effetto;
per
quanto intimidatoria che fosse, il peggio doveva ancora arrivare ma
non tardò a palesarsi nel momento in cui un uomo con una
lunga
giacca grigia e una treccia scura che sfumava verso il biondo, prese
la parola.
-Forse
la Contessa vorrebbe informare la sua adorante
corte- la intimò, abbassando lo sguardo verso
l’apprendista -Com’è
che ha fatto esattamente a trovarsi alla porta della strega quella
notte.-
Il
Console Valerius parlò con un’inflessione di
disgustata enfasi e,
nonostante il suo modo ricercato di costeggiare il divano o di tenere
un calice di vino, si poteva intuire la sua concreta disapprovazione
senza grandi giri di fantasia. Era tutta lì, in un singolo
arricciamento del labbro.
Si
vedeva come si distinguesse dagli altri cortigiani, e non solo per la
sua totale mancanza di partecipazione al generale entusiasmo, ma
anche per la spilla attaccata alla stuoia nera; attorno al collo,
oltre alla treccia che poggiava sulla spalla opposta, vi era una
piccola ariete d’oro.
-O
magari la strega vorrebbe dircelo lei stessa- la sfidò,
allargando
le braccia per indicare tutta la sala.
“Magari
potreste non chiamarmi così” pensò
Kamya deglutendo forte per
sopprimere quella risposta.
-Magari
potrei- si limitò a replicare mentre Nadia tornava a
prestare
attenzione all’organo e i cortigiani le si stringevano
attorno;
sembravano famelici di ricevere succosi dettagli su un incontro
così
chiaramente dettato dal destino, non si erano affatto resi conto
della tensione accresciuta tra Valerius e Kamya.
-Coraggio,
dicci tutto!- la incitò Vulgora.
-Abbiamo
sentito solo i pettegolezzini-
ridacchiò Vlastomil -È vero che la Contessa
è giunta a voi nel
cuore della notte, incespicando scalza e lacrimando per strada?-
Il
viso di Kamya si contrasse perplesso a sentire un tale cumulo di
panzane e occhi impazienti le si piantarono addosso, studiandone ogni
movimento.
-Cos…?
No? Chi si è inventato una simile fandonia? È
venuta e ha
semplicemente... Bussato alla porta.-
Volta
prese la parola colma di ansia.
-Vi
prego, devo sapere se la mia amata Contessa stesse piangendo!-
-Non
lo stava facendo, ma l’ora era tarda e la Contessa era
piuttosto
insistente.-
I
suoi nuovi compagni si raggrupparono ancora più vicini a lei
man
mano che esponeva la storia; rapiti, rimasero incantati da ogni
singola parola. Finito il resoconto, Nadia terminò il pezzo
con un
impressionante trillo. Avendo passato tanto tempo in sua compagnia,
solo Portia poté notare come nelle ultime note si fosse
insinuato
parte del fastidio accresciuto nella Contessa a sentire come un
semplice episodio fosse stato infiorettato di tanti teatrali quanto
inesatti dettagli.
-Se
ci tenevate tanto ardentemente a sapere cosa fosse accaduto quella
notte, potevate semplicemente chiederlo. I miei mal di testa erano
peggiorati e stavo avendo problemi a dormire. Durante quella not...-
-Come
state avendo da un po’ di tempo, Contessa- la interruppe
Volta con
un sorriso sghembo.
-Sì,
Procuratrice- sospirò Nadia, restituendole un sorriso
più amaro del
voluto -Durante quella notte mi ero svegliata tormentata dallo
spettro di un sogno che non voleva abbandonare la mia mente. Stavo
davvero cercando qualcuno, chiunque, che mi potesse essere
d’aiuto.
Sono stata io la fortunata, poiché mi sono imbattuta
così presto in
colei di cui avevo bisogno- il suo viso si era addolcito e le sue
spalle si erano rilassate -Un universo benevolo ci ha fatto
incontrare, non è vero, Kamya?-
I
suoi luminosi occhi rossi sorrisero affettuosamente
all’apprendista
e i cortigiani si agitarono, studiandola con una nuova
intensità; la
stanza si riempì di nuovo calore ma si spezzò in
fretta a un arioso
sospiro di Valerius. Il Console sbirciò la figura
dell’ospite
d’onore distorta dal bicchiere vuoto.
-Contessa,
ci ferisce sapere che vi siate sentita in dovere di cercare altrove
un orecchio simpatizzante- Valerius raccolse la brocca di vino sul
tavolino al centro della stanza e riempì nuovamente la sua
coppa
-Dovreste considerarci degni della vostra fiducia, siamo libri aperti
per voi!-
Con
un altro plateale gesto delle braccia, gettò parte del
contenuto
addosso a Kamya, innaffiandone le vesti pregiate. Un sussulto
collettivo animò la stanza mentre il liquido scarlatto si
insinuava
nella stoffa e sulla pelle della maga rimasta a bocca aperta.
La
Contessa si alzò di scatto dall’organo, dipinta in
volto aveva una
furia omicida.
-Che
sbadato- fece spallucce il Console, fintamente dispiaciuto -Di sicuro
conoscerete qualche stramberia per rimediare al danno.-
Certa
che sarebbe stata perdonata, Kamya fece per rispondergli per le rime
ma Nadia la bruciò sul tempo.
-Basta
così, Valerius! Avete esaurito la mia pazienza per stasera!-
sibilò
glaciale -Tutti voi, fuori!-
Mentre
i cortigiani abbandonavano la stanza passandole timidamente accanto
in punta di piedi, Kamya non riuscì a scollare lo sguardo
dal
tappeto intarsiato; il vino si stava rapprendendo rendendo i pregiati
tessuti appiccicosi e sgradevoli e non solo quelli che aveva addosso:
anche il divano candido ne stava risentendo. Rimase da sola con la
Contessa che le mise una delicata mano sulla spalla in un accorato
gesto di consolazione.
-Mi
dispiace, Kamya. Dobbiamo liberarci di questi vestiti rovinati,
ovviamente...- si dolse, disprezzando uno spreco che si sarebbe
potuto evitare.
-Ma
guardate, magari viene via con altro vino. Com’era quel
trucchetto
che il vino rosso viene via col bianco? E poi non è
così male,
almeno i toni di colore si abbinano- tentò di incoraggiarla
con la
stoffa attaccata alla pelle che seguiva ogni movimento del petto.
-Non
dire sciocchezze- sorrise la donna facendo sentire alla sua ospite di
essere riuscita a portare a casa almeno una mezza vittoria; per
qualche strano motivo, un sorriso della Contessa valeva più
di tutta
l’approvazione che le avevano mostrato gli altri cortigiani
-Mi
sono presa un paio di libertà col tuo guardaroba, per cui
non
esitare: dimmi cosa sarebbe di tuo gradimento. E non badare a spese.-
Kamya
si guardò un’altra volta ricordando la mattina del
giorno
precedente, quando Portia le aveva consegnato un completo nuovo di
zecca, gentile omaggio della Contessa. La seta era delle migliori
della regione e ogni secondo vissuto con quello indosso
l’aveva
fatta sentire come degna di servire a palazzo, ma le mancavano i
vestiti che aveva rimodernato apposta per stare a corte.
Portia
si mise sull’attenti e Nadia incrociò le mani in
fervida attesa;
sembrava come sperare che Kamya le elencasse una serie infinita di
ricchezze. Che forse le piacesse ricoprire la gente di doni?
-Grazie
infinite, ma non mi serve niente di speciale.-
Al
suo rifiuto, Nadia lasciò scivolare le spalle in basso
stupita.
-Ah,
immaginavo lo avresti detto- ridacchiò Portia.
-Siete
fin troppo generosa con me, Contessa, ma gradirei solo riavere
indietro i miei abiti. Li ho abbelliti per l’occasione dopo
la
nostra prima cena e, anzi, vorrei scusarmi per non averci pensato
prima- si scusò l’apprendista, pensando ce ne
fosse il bisogno.
-Umile
come sempre. Molto bene, allora. Il tuo benessere qui è di
grande
importanza per me- dichiarò Nadia prima di rivolgersi alla
sua
servitrice -Portia ti riaccompagnerà nei tuoi alloggi. Ti
verrà
fatto un bagno e i tuoi indumenti restituiti. Anche se, Kamya, sei la
mia ospite d’onore: potresti essere più esigente,
se lo gradissi.-
-M-ma
non vorrei approfittare...- sorrise lei di imbarazzo espirando con
gli occhi puntati a terra.
I
toni tubanti dell’organo echeggiarono nei corridoi mentre le
due
ragazze proseguivano verso l’ala degli ospiti.
Quando
Kamya si fu lavata ed ebbe fatto ritorno nella sua stanza, un
pacchetto l’attendeva accanto alla finestra; una nota
richiusa in
una stretta spirale stava sopra di esso.
Era
indirizzata dalla Contessa.
Un
dono per la mia cara ospite, questo smeraldo sembra chiamare il tuo
nome. Indossalo in buona salute. E, Kamya, puoi chiamarmi Nadia.
I
caratteri si stendevano sulla carta in ordinati riccioli deliziosi e
senza una sbavatura d’inchiostro, la calligrafia di Nadia
rispecchiava tutto ciò che rappresentava: ricercatezza,
distinzione
ma soprattutto disinvoltura.
Kamya
si fece scivolare la catenina tra le dita e, più teneva il
monile
nel palmo, più riconosceva la sua energia; con un sussulto
la magia
sembrò affievolirsi ma ad un nuovo tentativo di
concentrazione,
tornò a farsi vivida come prima. Che si sbagliasse forse?
No,
conosceva quella forza fin troppo bene, così rilassante e
accogliente.
Asra.
Se
era stata capace di rintracciare Julian con una lettera, poteva darsi
che…?
Attese
che i saloni del castello fossero silenziosi per sgattaiolare fuori
dalla propria stanza; con lo smeraldo che le pendeva dal collo, Kamya
si diresse verso il giardino avvolta da una calma surreale. Il solo
pensiero di poter sentire di nuovo la voce del suo maestro, le faceva
sussultare il cuore di una dolorosa speranza.
Raggiunta
la veranda, discese i gradini cullata da una gentile brezza; ombroso
e lussureggiante, al centro del parco le siepi formavano un percorso
labirintico e una fontana con un capricorno impennato faceva scorrere
le sue acque mitigando la sonnacchiosa atmosfera. Al di sopra della
spaziosa vasca, un salice piangente gettava le sue fronde verso il
terreno come una verde imitazione delle acque sottostanti. Kamya
alzò
la testa e da uno dei rami vide pendere un serpente del grano color
lavanda.
-Faust!-
la chiamò entusiasta, interpretando il loro incontro come di
buon
auspicio -Non sei andata con Asra? Che ci fai qui?-
Faust
sibilò e le cadde sulle spalle in tutta risposta, il suo
corpicino
lucido la salutò con una strizzatina. Sembrava
l’avesse sempre
aspettata lì.
Kamya
si sedette sul bordo della vasca e si sporse verso l’acqua,
osservando il suo riflesso restituirle lo sguardo. Faust
dimostrò
interesse immediato per il pendaglio nel momento in cui la maga se lo
sfilò dal collo; chiuse gli occhi, prese un profondo
respiro, lo
fece dondolare sopra alla superficie e lo lasciò cadere. La
luce
catturò ogni sfaccettatura verde mentre raggiungeva i
mosaici sul
fondale.
L’acqua
cominciò a gorgogliare cambiando colore, degli schizzi
incrinarono
la quiete dei bordi e più la maga si concentrava sulle forme
che
assumevano, più esse cambiavano.
Prima
che se ne potesse rendere conto, il suo riflesso era sparito e al suo
posto… C’era Asra.
Si
stava togliendo l’acqua dal viso, ogni goccia che gli
scivolava via
dalle mani cadeva nell’acqua della fontana, provocando altre
increspature e distorcendo la sua immagine. L’apprendista era
così
sconvolta che poté solo restare a bocca aperta in silenzio,
timorosa
che qualunque suono avesse prodotto, avrebbe spezzato
l’incantesimo.
Asra si scosse la riccioluta e fulgente chioma, qualche altra goccia
gli scivolò via dalle ciglia mentre guardava la sua allieva
dritta
negli occhi.
-Kamya?
Puoi, puoi sentirmi?- pronunciò insicuro e sconvolto; la
ragazza
annuì incredula il doppio di lui.
Se
quello non era un incantesimo dei suoi allora come aveva fatto lei a
contattarlo? Il ragazzo si sporse in avanti, era talmente vicino che
gli si potevano vedere ancora delle gocce imperlargli le lunghe
ciglia.
-Incredibile!-
rise lui di cuore. Era seduto a gambe incrociate accanto a uno
stagno, una mastodontica cavalcatura gli stava accanto, riposando il
muso sul ginocchio del mago -E Faust è con te, vedo che ti
ha
trovato senza problemi. Non ero sicuro di volertela lasciare, ma dopo
la lettura che mi hai fatto, ho pensato di seguire il mio istinto.-
Prima
che Asra partisse, Kamya aveva consultato i tarocchi e le carte lo
avevano avvisato che si fosse allontanato troppo dall’arcano
della
Papessa.
Nel
luogo in cui si trovava, delle alte palme gli ondeggiavano alle
spalle contro una marea di stelle scintillanti, e i suoi capelli ne
raccoglievano ogni argenteo riflesso; Faust sfiorò
l’acqua con la
coda agitando altre increspature.
-Faust,
hai un aspetto magnifico. Stare accanto a Kamya ti fa
quell’effetto,
non è vero?-
-Sono
contenta che sia qui- la accarezzò Kamya passandole un dito
sulla
testolina. Il simpatico famiglio sembrava molto fiero di se stesso.
Ora
che lo stupore di averla trovata era svanito, Kamya era sollevata di
poterla avere accanto a sé; nell’acquoso riflesso,
anche Asra
aveva un’espressione compiaciuta.
-Sono
felice di poterti vedere, Asra. Sei partito da così poco
eppure mi
manchi già così tanto...-
Il
giovane arrossì e la creatura che era con lui
sbadigliò
rumorosamente.
-Vedo
che c’è un salice piangente dietro di te, sei a
Palazzo?-
tergiversò, all’improvviso in ambascia.
Kamya
annuì e provvedette a raccontargli tutto ciò che
era accaduto dalla
sua partenza; i suoi occhi brillavano coinvolti ad ogni parola
finché
il senso di colpa non prese il sopravvento.
-Incredibile,
il giorno in cui sono partito, era il giorno in cui avevi bisogno di
me più che mai...- presto il suo animo si riaccese di
orgoglio -E
anche così, non hai bisogno di me affatto. Sono contento che
almeno
Faust sia in tua compagnia. Se dovesse succedervi qualcosa, lo
verrò
a sapere.-
-Dove
sei?- si affrettò a domandargli la ragazza, sentendo di
doversi
appropriare di tale informazione come dell’aria che respirava.
Asra
si guardò alle spalle, alle lucenti galassie che gli
turbinavano
sopra la testa.
-Un
posto dentro di me. Chi l’avrebbe mai detto che saresti stata
capace di raggiungermi qui?- sorrise rilassato -Le tue doti magiche
sono impareggiabili, presto sarai capace di superarmi- Faust
costeggiò i fianchi della ragazza per far scattare la lingua
biforcuta verso l’acqua -E Faust si sta aprendo con te. Forse
è
ora che faccia altrettanto.-
Kamya
si sentì praticamente soffocare e l’espressione
che fece dovette
essere di particolare gusto per il maestro che esplose in una
sfrenata risata.
-No,
davvero, voglio cominciare a essere più onesto con te. Che
cosa ti
passa per la testa? Chiedimi tutto quello che vuoi. Ciò che
ti
chiedo io, è che l’onestà sia
reciproca.-
La
cortesia nei suoi grandi occhi viola era un balsamo per
l’anima, ma
tutta la gentilezza del mondo non avrebbe potuto acquietare la
bruciante domanda che premeva sulle labbra della sua studentessa per
essere espressa.
-Chi
è Julian per te?- si decise, rammentando la vasta gamma di
sentimenti che avevano solcato il volto del Dottore quando parlava
del mago.
A
tale domanda, però, fu il volto di Asra a tingersi di tante,
disparate emozioni, dalla sorpresa, a una fugace nostalgia, fino a un
rancore la cui profondità gareggiava con quella dei cieli
sopra la
sua testa.
-Julian?
Ah, già… Risponde anche a quel nome, me lo
ricordavo con uno
diverso. È stato… Un amico, un tempo. Poi di
più. Poi
qualcos’altro… Chi è Julian per me? Chi
lo è per chiunque?
Chiunque gli serva essere pur di ottenere ciò che vuole.-
La
cripticità di una simile risposta avrebbe fatto alzare gli
occhi a
Kamya se non avesse saputo di essere vista; Asra aveva parlato di
sincerità, eppure, una volta ancora, si teneva sul vago.
-Pensare
che è venuto a cercarmi dopo tutto quello che è
successo… Ma
lasciamo perdere. È un medico dilettante con molto da
imparare e
finché non lo farà, nulla di buono
potrà venire da lui- con uno
accorato sospiro e uno scatto della testa, Asra scacciò i
pensieri
negativi -C’è qualcos’altro che vorresti
chiedermi?-
Kamya
si sporse un po’ troppo verso la fontana, la testa le
ciondolava
terribilmente e le palpebre si facevano difficili da tenere aperte.
-Direi
di no, per adesso. Si sta facendo tardi e se non ritorno a letto ora,
domattina dovrò dare un sacco di spiegazioni sul
perché ho dormito
nella fontana.-
-Non
mi ero reso conto di che ora si fosse fatta, il tempo scorre
diversamente qui dentro. Vatti a riposare, Kamya e abbi fiducia che
ci sentiremo presto. So che mi troverai.-
Asra
si avvicinò alla sua allieva, il suo tocco
deformò l’immagine e
in un attimo era sparito.
Faust
sembrava quasi delusa di non vederlo ancora lì ma dopo un
po’ di
ritrosia, si arrampicò sul braccio di Kamya e si mise a
riposare nel
suo grembo mentre raggiungevano l’ala degli ospiti.
A
dire della giovane, il talentuoso maestro non era stato abbastanza
esaustivo; Julian era un medico con molto da imparare, e allora? Se
non l’avesse fatto qualcuno ne avrebbe risentito, e allora?
Ovvio
che se un medico non sa fare il suo mestiere a pagarne le conseguenze
sono i pazienti!
Avrebbe
sperato di carpire qualche straccio di informazione in più,
un
indizio, un suggerimento sulla sua pericolosità ma Asra si
era
tenuto in una snervante neutralità.
Se
non fosse stata tanto vinta dalla stanchezza, i fiorenti dubbi su un
Julian torturatore, manipolatore e dannatamente pericoloso, non le
avrebbero fatto dormire sonni tranquilli; fortuna sua che fosse
esausta dopo una giornata così intensa per dare credito a
certe
fantasie!
Ma
non era solo la stanchezza a giocare un ruolo a suo favore:
c’era
anche la convinzione che Asra non l’avrebbe mai e poi mai
lasciata
in una situazione di pericolo. O forse era una qualche sorta di prova
da superare? Che ci faceva poi Julian al loro negozio? Poteva fidarsi
della sua parola secondo cui non si era impossessato di niente?
Troppe
domande per una sola notte, troppi indovinelli per una sola
affaticata mente che la canzonò in tutti i sensi, intonando
le note
di uno spettacolo che Asra l’aveva portata ad assistere
qualche
settimana prima.
Kamya
si mise a canticchiare sommessamente a Faust entrando nella sua
camera; era buffo da dirsi, ma le strofe avevano un che di profetico.
Guarda
come la virtù ti ripaga
Ti
giri e qualcuno ti tradisce
Tradiscilo
per primo
E
il gioco è ribaltato!
Perché
siamo tutti intrappolati
Nel
mezzo di un infido, lungo indovinello
Posso
fidarmi di te? Puoi tu fidarti di me?
Barcolliamo
attraverso questo inferno
Raccogliendo
più segreti da vendere
Finché
verrà il giorno
In
cui venderemo le nostre anime*
*”The
riddle” dal musical “The scarlet
pimpernel”, un po’ tutto il
testo quadra bene con la fanfiction ma non potevo mettercelo per
intero ._.
N.d.A.
Sperando
che questo capitolo e il precedente siano stati di vostro gradimento,
vorrei premettere una cosa: so che potrebbe sembrare un mezzo lavoro
di copiatura della storia originale, ma vi garantisco che dai
prossimi capitoli le cose cominceranno a prendere piede, specie con
gli altri due protagonisti della storia u-u non appena si
incroceranno le due ship vi garantisco che molto prenderà
forma
soprattutto a corte. Ho appunti e file ovunque con tutte le idee, le
battute e varie <3
Stay
tuned, ne vedrete delle belle!
|
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Capitolo 3 *** 3 - At Wit's End ***
3
– At Wit’s End
Nulla
è così logorante quanto l’indecisione,
e nulla è così futile
(Cit.
Bertrand
Russell)
Da
che aveva memoria, il che non era in realtà moltissimo
tempo, Kamya
aveva sempre sofferto di attacchi d’ansia. Spesso
c’era una causa
tangibile dietro: uno scarso rendimento del negozio, un cliente
difficile da gestire, un incantesimo che non riusciva neanche dopo
mille tentativi. Non era complicato risolvere il problema se si
poteva giungere alla sua radice, ma c’erano delle occasioni
in cui
la preoccupazione era semplicemente quello che era:
un’energia
nervosa che le pioveva addosso da una nuvola invisibile.
Una
magia di quando in quando l’aveva aiutata ma la ragazza si
era
sempre ostinata all’idea di doversi riuscire a gestire da
sola; la
forza magica non poteva risolvere tutti i suoi problemi e se la sua
capacità fosse mai venuta meno, avrebbe dovuto sapersela
cavare
anche senza. Volendo rispettare questa costanza, Asra le aveva
insegnato due metodi quasi infallibili per autogestirsi: meditare e
razionalizzare. Se non c’era niente di cui preoccuparsi
allora
perché farlo, ma se i suoi tormenti avessero avuto un
fondamento
individuabile avrebbero potuto essere affrontati a viso aperto.
A
lungo andare era diventata una maestra nel combattere la paura, lo
sgomento e la preoccupazione con una ferrea logica ma per quanto si
stesse sforzando, non riusciva a venire a capo delle domande che
l’aveva assillata negli ultimi buoni dieci minuti: chi aveva
ucciso
nella sua vita passata per essere stata punita con una disavventura
del genere? Perché era scappata dalle guardie del palazzo e
non
aveva urlato per attirarle a sé? Come aveva fatto a
ritrovarsi in un
fatiscente quanto misterioso giardino in uno dei molti angoli
trascurati di Vesuvia? Da dove le era nata la sfrontatezza per fare
tutto questo in compagnia dell’unica persona che avrebbe
dovuto
evitare come la Peste Rossa? Ma, soprattutto, da quando il dottor
Julian Devorak, proprio lui fra tutti gli uomini, era diventato
così
desiderabile?
Persa
nei giochi di luce proiettati sugli zigomi del ragazzo dal fiore
luminoso che le stava porgendo, la maga cercò di rimettere
assieme i
pezzi del puzzle.
La
giornata era iniziata con una buona dose di ironia quando Portia
l’aveva buttata giù dal letto non una,
bensì due volte: la prima
quando era entrata in camera per darle il buongiorno, la seconda
quando aveva preso a litigare così animatamente con un
molesto
individuo da essersi fatta sentire fino alla biblioteca. Le sue urla
avevano interrotto la non programmata dormita di Kamya che, colta da
una terribile realizzazione, si era precipitata subito fuori dal
castello e dentro i giardini. Col senno di poi, fare le ore piccole
per parlare con Asra e cercare indizi dove ne aveva già
trovati, era
state entrambe pessime idee che avevano condotto a una sola cosa:
sonno arretrato.
E
nemmeno in una stanza qualsiasi, proprio nella biblioteca! Non
avrebbe avuto nulla da ridire sulla stanza in sé ma
l’aria
sinistra che si respirava rendeva tutto soffocante. Era come il
fantasma di un ricordo, o un sogno dentro un altro sogno… La
sensazione era nitida ai bordi della sua mente ma le sfuggiva ogni
volta che provava ad afferrarla, scarsi erano i dettagli veramente
nitidi: tanti libri da riempire le pareti e arrivare fino al
soffitto, la compagnia opprimente di innumerevoli anime e il
sovrastare di una presenza sopra a tutte loro. Era come guardare una
trottola dai colori cangianti, i contorni si liquefacevano in un
miscuglio ambiguo ma il nucleo al suo centro si ergeva
inconfondibile.
Forse
era stato proprio quel nucleo ad averle fatta accapponare la pelle,
ma al suo risveglio si era sentita allarmata; dormire in un posto che
suscitava effetti simili voleva dire abbassare la guardia e lasciare
aperta la porta a qualcosa di potenzialmente rischioso.
Determinata
ad allontanarsi sia dalla biblioteca che dalle sue allucinazioni,
Kamya si era lanciata alla ricerca di Portia e nel vederla al suo
cottage sul delimitare dei giardini, ancora presa dal suo battibecco
con un vivacissimo pappagallo, si era ricordata anche della non
trascurabile parentela che aveva intuito il giorno precedente: Julian
e Portia erano fratelli. Promesso di non farne parola con Nadia,
l’apprendista si era addentrata di più nel parco
fino a scovare un
lato crepato nelle mura del castello; da esso un fiotto di acqua
rossa si disperdeva, scavandosi un corso in mezzo alle piante morte e
alle erbacce incolte.
Seguendolo
per qualche ora aveva finito per ritrovarsi nella parte alta della
città, in cima ad un acquedotto e, soprattutto, in
compagnia: Julian
era lì con lei. Il medico si era lanciato in una sottospecie
di
sermone sulla vita e sui propri scopi in essa ma dopo un drammatico
lancio della sua maschera nel canale, e un gracchiante avviso di
Malak circa le guardie, si era visto costretto a darsi alla fuga.
Incerta
se avesse provato a scappare da lei o scappare e basta, Kamya gli si
era lanciata dietro ma una pietra bagnata l’aveva fatta
scivolare
in acqua, gettandola in pasto a un fitto gruppo di anguille-vampiro.
Il Conte Lucio era sempre stato appassionato di animali per lo
più
innocui ma quei singolari pesci non rientravano nella categoria.
Aveva
provato a risalire in superficie nuotando, a scacciarle agitando le
braccia e un paio di loro si erano effettivamente allontanate, ma la
più temeraria non aveva rinunciato e l’aveva morsa
sul ventre così
forte da lasciarla priva di aria nei polmoni; nessuno sapeva si
trovasse lì o in che circostanza: sovrastata da un muro
d’acqua,
impossibilitata a respirare o chiamare aiuto e con una bestia a
succhiarle via il sangue a una tale velocità da tingersene
il corpo
opalescente.
In
una quello scenario, Kamya aveva avuto soltanto il tempo di
realizzare quanto patetica sarebbe stata la sua morte; ansia
permettendo, aveva fantasticato di poter essere messa alla prova con
un’avventura e adesso che ne aveva avuto la
possibilità, l’aveva
gettata via proprio come Julian aveva gettato via la sua maschera col
becco.
La
sorpresa era stata doppia quando una mano si era tuffata ad
afferrarla per il polso e il viso pallido del medico le si era
palesato colmo di preoccupazione. Non aveva alcuna valida ragione per
trarla in salvo, sarebbe stato solo vantaggioso per lui se fosse
morta, allora perché l’aveva ripescata dal canale?
Perché le
aveva tolto l’anguilla di dosso e l’aveva
trascinata in un vicolo
per curarla con tanta attenzione?
Assieme
a queste domande, Kamya era stata impressionata dal dorso della sua
mano sinistra, marchiato con la freccia dell’omicida, e dal
simbolo
che aveva cominciato a brillargli sul collo. Una maledizione di cui
Asra gli aveva fatto dono, a dire di Julian.
Il
sangue che gli era colato lungo il torso e giù per le gambe
aveva
scatenato nella ragazza un notevole giramento di testa ma la ronda
delle guardie aveva dato a entrambi poco tempo per riprendersi;
seppur con i palazzi che ondeggiavano davanti ai loro occhi, si erano
allontanati reggendosi l’uno all’altra e la
salvezza era giunta
all’avvistamento di un giardino semi-nascosto tra i palazzi:
forse
un po’ vicino al giro delle guardie ma troppo poco
interessante per
essere perquisito. Julian le aveva fatto scavalcare un cancello
arrugginito e, atterrato meglio di lei, l’aveva aiutata a
rimettersi in piedi.
Il
luogo in cui erano capitati, per trascurato che fosse, nascondeva il
tipico fascino dei luoghi abbandonati dall’essere umano ma
riconquistati dalla natura: viticci ed edera avevano ricoperto ogni
cosa, spaccato il marmo di una fontana e mascherato sia i musi ferali
degli animali in pietra, sia i volti saggi delle statue con fattezze
umane.
Julian
aveva dimostrato di essersi ripreso in fretta mettendosi a scherzare
con una statua dal fisico taurino e appena Kamya gli aveva chiesto se
stesse ancora sanguinando, l’aveva rassicurata allargando le
braccia in modo teatrale; il suo gesto aveva finito per urtare la
scultura e un’imprecazione gli era sfuggita mentre cercava di
riequilibrarla. In tutta risposta, Kamya si era lasciata sfuggire un
sorrisetto divertito mentre non la guardava. Era stato poco dopo che
le sue riflessioni avevano preso il volo, quando il rosso aveva
allungato una mano sulla sua spalla e le aveva tolto di dosso un
giglio luccicante.
-Attenzione,
Kamya, questi petali sono velenosi- l’avvertì non
appena lei fece
per toccarlo -È una Cometa Mortifera. Una goccia del suo
veleno
distillato uccide senza eccezioni: tiranni e re, innocenti e
colpevoli... Potrebbe soffocare un neonato nella sua culla o
distruggere un intero regno, se posto nelle mani sbagliate.-
Fece
girare lo stelo tra le dita inguantate mandando giochi luminosi sul
suo volto e facendo risplendere le lentiggini della maga, catturata
dalla profondità dei suoi occhi; ciò che aveva
detto era
irrilevante, ma il
come
l’avesse
detto…
Per gli Arcani…
Dalle
sue parole traspariva un carisma ammaliante, talmente ipnotico da far
perdere la testa, per non parlare dell’avvincente bellezza
dei suoi
tratti: il suo sguardo era magnetico e i suoi folti riccioli erano
così morbidi che l’unica cosa cui riusciva a
pensare, era quanto
arduo fosse resistere alla tentazione di riavviargli i ciuffi
ribelli, accarezzargli la testa con un gesto languido per poi
stringergli le dita sulla nuca e scoprire che sapore avessero le sue
labbra.
Per
un attimo correre il rischio di diventare l’ennesima
conquista non
fu allarmante e quasi desiderò di conoscere quali e quanti
metodi il
ragazzo potesse inventarsi pur di vincere il suo cuore. Che importava
se ne avesse fatte cadere ai suoi piedi cento o anche mille di donne,
adesso era il suo turno e voleva godersela fino a fondo.
“Tra
le sue conquiste c’era anche
Lucio ricordi?”
le suggerì la sua coscienza.
Bastò
quel lampo di intuito a spezzare l’incantesimo e restituirle
il suo
inamovibile senno: Julian era e rimaneva un assassino.
Bellezza,
carisma, fascino potevano essere tutte doti apprezzabili ma se poste
al servizio della persona sbagliata, non erano da meno rispetto al
fiore che le stava offrendo e avrebbero distrutto chiunque si fosse
messo contro il loro portatore… Tuttavia, non era detto che
a quel
gioco non potessero partecipare entrambi. Se Julian era davvero
attratto da lei, perché non rigirargli contro la sua stessa
strategia? Perché non flirtare, stuzzicare e ammaliare fino
ad
averlo in pugno?
-Allora,
lo desideri ancora?- insistette il medico richiamandola alla
realtà.
Con
un rapido gesto, Kamya raccolse il fiore e chiuse lentamente gli
occhi inspirando a fondo; l’acre odore della pianta le
riempì le
narici, più che di un profumo, in effetti, si poteva parlare
di un
fetore ma lo spettacolo doveva continuare: lei sarebbe stata una
conquista difficile ma non inarrivabile e al momento propizio,
avrebbe saputo sfruttare la situazione a suo vantaggio.
Come
sentì sussultare Julian, riaprì le palpebre
fissandolo attraverso
le ciglia.
-Ma
il suo veleno non doveva essere distillato? Credevo che al tatto
fosse innocuo- lo punzecchiò civettuola.
Julian
deglutì e le rivolse un sorriso sghembo.
-N-non
me lo mangerei comunque se fossi in te- le sconsigliò
inaspettatamente teso.
Kamya
lasciò cadere il fiore senza interrompere il contatto visivo
e
Julian lo riprese al volo per metterglielo dietro un orecchio; le sue
dita le sfiorarono i capelli ed indugiarono sulla sua guancia prima
di cadere sulla spalla nuda.
-A
quanto pare il pericolo non ti spaventa- gli sussurrò lei
come a
sottolineare l’azzardo della sua carezza.
-Io
rido in faccia al pericolo, vivo per esso, ne sono incantato oserei
dire!- la sua spavalderia tornò a guidare le sue azioni ma
non molto
a lungo.
-Il
sangue si ferma da queste parti, non dev’essere lontano!
Andiamo,
andiamo!- urlò una delle sentinelle poco distante dal
giardino.
Julian
sibilò un’imprecazione a denti stretti,
afferrò una mano a Kamya
e si lanciò in una rocambolesca fuga oltre una fenditura
nella
pietra.
-Si
parlava di pericolo!- Kamya finse un’indifferenza che, a
essere
onesti, non le apparteneva.
-Direi
più pessimo tempismo! Svelta, per di qua!-
Passando
da una zona d’ombra a un’altra, attraversando i
vicoli più
stretti e le strade più buie, Julian si trovò
costretto a ripensare
alla versione furtiva del tragitto che era così abituato a
percorrere; sapeva dove fosse necessario andare e come arrivarci,
sapeva anche come eludere la cattura se fosse stato scoperto ma la
posta in gioco era troppo alta stavolta: Kamya, una sua amica, una
sua alleata, un prezioso tesoro di cui tenere conto, era con lui e
non poteva correre il rischio di macchiarle la reputazione. Mano
nella mano col ricercato numero uno di Vesuvia, chi mai avrebbe
creduto alla sua innocenza? Anche sfruttare le sue doti drammatiche
per fingere di essere stato messo al muro sarebbe sembrato
inverosimile.
Solo
a pensare ai guai che avrebbe potuto causarle, dall’accusa di
complicità alla condanna a morte assieme a lui, dei brividi
gli
corsero lungo la schiena.
Poco
fuori dal cono di luce di una lanterna, Julian alzò un
braccio per
farle segno di fermarsi; le lanciò una rapida occhiata
portandosi un
dito alle labbra e iniziò a trattenere il respiro. Non
appena una
coppia di uomini ebbe marciato oltre lo scorcio dal quale li stava
osservando, il medico acuì l’udito per cogliere il
distanziarsi
dei loro passi e gli ordini in lontananza del capitano;
arrivò quasi
a udire un rumore simile allo scorrere del sangue nelle orecchie ma
non si sentì al sicuro finché l’unico
suono vicino non fu lo
stridio dei gabbiani.
Persuasi
all’idea di aver seminato i loro inseguitori, ripresero a
correre
con passi rapidi ma silenziosi finché uno di quelli non
venne mal
calcolato: la punta di uno stivale di Julian ebbe uno sfortunato
incontro con una bottiglia abbandonata e la gettò
violentemente
contro un muro. Il fragore di vetri infranti non era mai stato
così
assordante e non avrebbe potuto esserlo più di
così.
Denunciato
a tutto il circondario, il duo si congelò sul posto e la
fronte
dello sventurato medico si imperlò di sudore freddo; per
quanto il
marciare delle guardie stesse tornando a farsi minaccioso, Ilya non
poteva permettersi il lusso di commettere nuovi errori, o, se non
altro, errori che li avrebbero rallentati: erano troppo vicini a casa
di Mazelinka per altri passi falsi. Strinse le dita di Kamya ancora
più forte tra le sue e le rivolse un perentorio,
supplichevole
ordine.
-Corri!-
Poco
curante dello strattone con cui l’aveva incitata, Julian si
concentrò sulla cacofonia che lo circondava fino a cogliere
il suono
che significava speranza e salvezza; gli uomini della Contessa
serravano sempre di più la distanza che li divideva, certo,
ma il
chiocciare delle galline della vecchia piratessa, gli stampò
un
sorriso trionfante in volto. Superata la staccionata del giardino,
sospinse Kamya davanti a sé e la intimò a
dirigersi verso la
finestra spalancata.
-Dopo
di te!- annunciò senza attendere risposta. Seppur con le
mani che
gli tremavano, la raccolse tra le braccia, scivolò in mezzo
al
pollame e scavalcò il davanzale; una fila di campanelle gli
dondolò
sopra la testa ma non risuonò abbastanza forte da
comprometterlo al
pari della maledettissima bottiglia. Accovacciatosi contro la parete,
si strinse la ragazza al petto e riprese col suo rituale di ascolto e
respiri al limite dell’inesistente.
Una
volta preso abbastanza coraggio, e con tutta l’attenzione di
cui
era capace, allungò una mano sopra la sua testa e
accostò le ante;
separato dall’inseguimento e da tutta la tensione che esso
comportava, lasciò andare il sospiro che non si era reso
contro di
aver trattenuto e rivolse la sua attenzione alla maga. Fece per
rassicurarla sulla loro situazione quando l’innocenza e
l’aspettativa nell’espressione di lei, lo
lasciarono nuovamente
privo di fiato oltre che di parole: era così adorabile, pura
e anche
così piccola in confronto a lui, che stentava a riconoscere
in lei
la stessa persona che l’aveva rimproverato tanto aspramente
per una
sciocca provocazione.
Le
sorrise con dolcezza e si impose di trovare almeno le parole per
ringraziarla di non averlo denunciato ma il tuonare di una voce
familiare, lo costrinse a riordinare le sue priorità.
-Bene,
bene, bene! Guarda chi c’è se non lo stronzo
invisibile!-
Julian
scattò in piedi con tale solerzia da sbattere la testa
contro il
soffitto e Kamya si staccò istintivamente da lui;
indietreggiando
mentre il ragazzo annaspava alla ricerca di una sviolinata
convincente, l’apprendista prese coscienza della figura del
Cavaliere D’oro percependo una profonda dissonanza tra
l’umiltà
del casolare e lo sfarzo del guerriero. Tre domande le sorsero
spontanee: da che razza di esercito avevano tirato fuori un individuo
del genere, che ci faceva lì ma, soprattutto,
perché ce l’aveva
con Julian?
-Death
Mask!- esclamò con voce altisonante il diretto interessato -Adoro
la
tua armatura! È nuova, per caso?- si appoggiò a
una mensola e si
portò una mano sul fianco per darsi un tono di noncuranza ma
la sua
presa malferma lo fece scivolare, smontando con spietatezza il goffo
teatrino.
Forse
divertito dallo sforzo, forse troppo lusingato per dare peso
all’evidente raggiro, Death Mask gonfiò il petto e
si rimirò gli
artigli lucidi.
-Antica,
in effetti…- l’uomo si rilassò e
sorrise bonario, i nuovi ospiti
si rilassarono a loro volta e una sorta di equilibrio si
ristabilì…
Almeno per cinque secondi scarsi -Proprio come le tue scuse!- si
avvicinò con passi lunghi e minacciosi, afferrò
Julian per il
camice e si mise a scuoterlo per sottolineare il disappunto della sua
articolata protesta -Tre giorni, rosso, sono passati tre,
maledettissimi giorni! ”Oh, è per la tua
salute” avevi detto!
“Devi restare qui perché ti possa tenere
d’occhio” avevi
detto! Una mezza settimana è passata ma di te nemmeno
l’ombra, e
per cosa?!- Cancer gettò un fugace sguardo a Kamya, giusto
il tempo
di accertarsi sul fatto che fosse femmina, abbastanza carina e
vestita in modo esotico -Per lasciarti andare a donne?!-
Lanciato
contro la finestra, Ilya fece fare una pessima fine a un vaso in
ceramica con i suoi denti di leone e inspirò bruscamente a
causa del
contraccolpo subito dalla schiena.
Agghiacciata
dall’esame e dall’atteggiamento dell’uomo
in prima battuta,
Kamya si sentì pian piano avvampare per la rabbia e le
fiamme del
suo orgoglio sciolsero anche il nodo che le aveva serrato la gola.
-Prego?!-
scaturì mentre Julian la afferrava per le spalle nel misero
tentativo di farla calmare. Agguerrita ogni oltre dire, si
divincolò
e si pose di fronte al Cavaliere del Cancro -Senti un po’,
bellimbusto, non so tu chi cazzo ti creda di essere, ma se ci tieni
così tanto a dare della puttana a qualcuno, fallo con tua
sorella!-
-Eh-ehm!-
Un
sonoro schiarimento di gola attirò l’attenzione
del trio sulla
porta d’ingresso, dove Élan e Mazelinka si erano
fermate a
contemplare il litigio; l’una teneva le mani sui fianchi e
batteva
un piede a terra, l’altra stava a braccia conserte e li
giudicava
con un’espressione impassibile.
-Quella
puttana di sua sorella- cominciò Élan con tono
piatto -Sarei io...-
Kamya
venne investita da tutt’altro tipo di fiamme, e si
ritrovò ad
avvampare così ferocemente da non riuscire a fare neppure un
tentativo per nasconderlo.
-Era,
era, era solo un modo di dire! Non potevo sapere che avesse davvero
una sorella! Devi ammettere, però, che anche tuo fratello
non...-
-Oh,
falla finita, Élan!- esplose Death Mask al sentirsi indicare
come
suo parente -Se fossi stata davvero mia sorella, ti avrei abbandonata
in autostrada anni fa!-
-Ahahahahah!
Scusa, non ho saputo resistere!- la fata scoppiò in una
risata
fragorosa che riempì ogni angolo della casetta -Avresti
dovuto
vedere la tua faccia!-
-Ah,
ah, simpatica...- biascicò l’apprendista con la
bocca asciutta;
più si guardava attorno e più traeva le somme
degli atteggiamenti
del gruppetto, più la testa le vorticava.
“Sono
finita in mezzo ai matti…” fu la sua opinione
generale “E non i
matti simpatici dei racconti, quelli VERI!”
-E
tu chi saresti?- il tono fermo e rassicurante di Mazelinka interruppe
la linea dei suoi pensieri, che poco a poco stavano cominciando a
vergere su una repentina fuga a Nopal e il rifarsi una vita lontano
dai matti.
-Lei
è Kamya, una mia nuova… Amica- la
presentò Julian.
-Una
tua nuova amica, dici?- con i tipici occhi stanchi ma attenti di chi
ancora non si sente avvinto dall’età, Mazelinka la
studiò da capo
a piedi.
Non
aveva visto molto di lei in quei pochi minuti, ma non le occorrevano
eclatanti dimostrazioni, la sua esperienza leggeva oltre
all’aria
stravolta dalla corsa o all’odore di gran lunga migliorabile:
nessuno dei due poteva nascondere il piglio energico e
l’audacia
con la quale aveva tenuto testa a Death Mask, c’era soltanto
un
problema…
-Stai
venendo a presentarmi un sacco di amici particolari in questi giorni,
Ilya, ma temo che la mia casa stia diventando piccola per potervi
ospitare tutti.-
-Non
preoccuparti, vecchia arpia, noi stiamo per andarcene!- Death Mask si
avvicinò ad Élan e la afferrò per un
polso, trovando il disappunto
di tutti i presenti.
-Cosa?!
No! Perché?!- si limitò a esclamare la fata
liberandosi dalla
presa.
-Modera
i termini...- lo rimproverò l’anziana, agitando un
pugno a
mezz’aria prima di andare a dedicarsi al calderone che
bolliva sul
fuoco.
-Death
Mask, NON puoi andartene! Potrebbero ancora insorgere dei sintomi
tardivi, non sai se sei fuori pericolo! Giuro che mi sono dato da
fare in questi giorni però...-
-Senti,
Romeo,
sono stanco!-
lo interruppe il Cavaliere D’oro -Stanco di questa vita da
“Casa
nella prateria”, stanco di andare al mercato, di occuparmi
del
pollame, della polvere suoi mobili, di farmi spennare a carte dalla
vecchia...-
-E
siamo a due, alla terza ti arriva una mestolata…- lo
avvertì la
“vecchia” mentre si faceva aiutare da
Élan a sminuzzare delle
erbe.
-Ma
quella è una legge matematica, scientifica, filosofica,
fisica e
magari pure grammaticale: non si possono battere le nonne a carte!-
la fata si guadagnò una leggera gomitata e un sorriso
sdentato.
L’ex-piratessa stava valutando un po’ troppo
seriamente l’idea
di adottare quello scricciolo.
-Stanco
di aspettare te e i tuoi comodi da ricercato!- il siciliano raccolse
un foglio dal tavolo e mostrò a Julian un manifesto con la
sua
faccia in bella vista; il ragazzo sussultò e
tentò di giustificarsi
ma le accuse del Cavaliere glielo impedirono -Davvero pensavi che non
avremmo notato questi sparsi in giro per la città?! Hai
fatto carte
false per farci rimanere ma nel mentre sprechi il nostro tempo con le
prostitute!-
-Vuoi
smetterla di darle della donna di malaffare?! È
l’apprendista di
un potentissimo mago!- si alterò Julian, stupito dalla sua
stessa
forza.
Era
sciocco da parte sua, ma trovava molto più irrispettoso
vedere
offesa la sua nuova amica che la propria buona parola; alla maga
però, improvvisamente, non interessava. Più forza
i due uomini
mettevano nelle loro argomentazioni, o più si alzavano i
toni, meno
il loro litigio la coinvolgeva; le carte di Asra, erano al centro dei
suoi pensieri. Ogni occasione in cui avevano avuto qualcosa da
comunicargli, si erano agitate e avevano vibrato proprio come adesso
stavano facendo nella tasca di lei.
Stupita
dal fatto che fossero uscite indenni dal tuffo nel canale, le
estrasse dal loro sacchetto, le scorse tutte fino a trovare il pezzo
che con ostinazione voleva parlarle e lo esaminò
meravigliata: su di
esso era raffigurato un ariete dalla forma umanizzata, avvolto in una
stuoia celeste bordata d’oro, con un diadema sulla fronte e
una
croce nella mano sinistra. Ma era capovolto.
-Vuoi
un buon motivo che ti convinca a restare, Cavaliere? Eccolo qui!- si
intromise con risolutezza e occhi che le brillavano nel vero senso
del termine -Lo ierofante, rovesciato. E sta parlando con te.-
Solo
a quel punto, e con gran esasperazione da parte del medico, Death
Mask si voltò sbuffando e la guardò per davvero:
i capelli ancora
umidi sembravano più sporchi di quanto in realtà
non fossero,
l’imbarazzo provocato da Élan le aveva riportato
colore sul viso,
ma il rossore sulle guance non era comunque paragonabile ai suoi
pantaloni: il sangue perso a causa della lotta contro le anguille era
colato sui vestiti e glieli aveva macchiati di una bizzarra
tonalità
di viola. Parte dello stesso problema si riproponeva sugli indumenti
del medico, facendo intuire che fossero stati assieme al centro di
qualcosa di pericoloso o moralmente discutibile.
D’accordo,
allora. Prese per vere le parole di Julian, Kamya era la studentessa
di un mago, ma questo non faceva altro che sollevare altre domande
tipo…
-Certo,
lo ierofante… Mi sta parlando. E dovrebbe interessarmi
perché…?-
-Lo
ierofante valuta le tradizioni al di sopra di ogni cosa, incoraggia
la conformità e la fiducia nelle istituzioni prestabilite,
ma quando
si trova rovesciato, il significato si rovescia a sua volta:
è
cresciuto così comodamente nella fortezza delle abitudini,
da aver
sacrificato un progresso necessario- troppo tempo aveva speso dietro
allo studio degli arcani per non conoscere anche il più
nascosto dei
loro significati, ma Cancer si strinse lo stesso nelle spalle
-Davvero non ci arrivi? Ti sta dicendo che è giunto il
momento di
mettere in dubbio le credenze più vecchie che hai e
abbracciare un
nuovo tipo di strategia. Di solito te ne andresti? Non ti fideresti
dell’opinione degli altri? Fai un tentativo e scegli la
novità!-
detto ciò, lo ierofante smise di fremere tra le sue dita e i
suoi
occhi di scintillare.
Per
convincente che fosse stata, Death Mask si lasciò sfuggire
un verso
di sprezzo. Aveva viaggiato per ogni tipo di dimensione, conosciuto
nuove forme di scienza e magia, i suoi orizzonti pensava si fossero
allargati a dismisura ma nei tarocchi e nell’oroscopo proprio
non
riusciva a credere. La verità era che trovasse arrogante chi
pensava
di poter interpretare il messaggio degli astri senza colpo ferire.
Arrogante e folle.
Sfortuna
volle che, per quante ne avesse viste e per quanto nulla riuscisse a
tacitare il suo scetticismo, nessuno riuscisse nemmeno a scuotere le
fondamenta delle sue decisioni tanto quanto la gentile voce che si
udì poco dopo.
-Death,
io credo che dovremmo darle ascolto...- intervenne Élan -Mi
sentirei
più tranquilla se potessimo restare solo un altro paio di
giorni,
giusto per eliminare ogni possibilità e non lasciare nulla
di
intentato…-
Non
appena lo sguardo dell’uomo si fu posato sul volto
supplichevole
della fata, e i suoi occhi si furono incrociati con quelli di lei,
una cedevole esasperazione lo spinse a gettare le mani in alto.
Sconfitta era dichiarata.
-E
va bene, e va bene!- rantolò con sdegno -Tutto
purché tu smetta di
pigolare! E sappi che non ho intenzione di passare la notte qui!-
-Ma
non abbiamo altro posto dove andare a dormire!- obiettò lei.
-”Noi”
non abbiamo? Da quando siamo cuciti assieme? Tu
resterai
qui con Maga Magò, Mr Hyde e la Fata Turchina. Io
andrò per conto
mio: ho bisogno di cambiare aria!-
-Se
potessi cambiare aria definitivamente mi faresti un favore!-
Mazelinka si chinò a raccogliere il vaso caduto a terra,
schiacciò
alcuni dei denti di leone ancora integri con un pestello e li
gettò
nel pentolone bollente.
-Come
no, ti piacerebbe, bef...-
-Ma
non conosci la città!- Ilya gli parlò sopra per
stroncare sul
nascere una nuova litigata -Ci sono quartieri da evitare la notte e
posti che preferirei non visitassi. Lascia almeno che ti disegniamo
una mappa- Death Mask gli rivolse un’espressione scettica per
sottolineare come proprio lui non avesse bisogno di futili
raccomandazioni -Considera l’accontentarmi il tuo modo per
scusarti
delle offese rivolte a Kamya.-
-Questa
è veramente la sera in cui vi accontento tutti
perché sono troppo
scazzato...- concesse il Cavaliere senza usare mezzi termini,
più
deciso a telare in tempi brevi che a ribattere ancora.
Il
medico, soddisfatto, gli tirò via dalla mano il manifesto e
con
passo malfermo raggiunse il tavolo più vicino per mettersi a
disegnare una bozza di Vesuvia. Tra Mazelinka che cucinava,
Élan che
la assisteva muovendosi su e giù per la casa e i due uomini
con la
loro elevata statura, Kamya trovò il suo posto accanto alla
porta
d’ingresso, lasciando a ognuno il proprio spazio; osservando
Julian
tracciare le linee e gesticolare animatamente per fornire tutte le
indicazioni necessarie, per poco non mancò lo sguardo che la
padrona
di casa le aveva lanciato di sottecchi.
In
realtà non nascondeva un giudizio, solo
un’osservazione della sua
apparenza fisica, ma tanto bastò a Kamya per rendersi conto
di un
dettaglio fondamentale: era in minoranza. Il proposito che si era
fissata prevedeva di ingannare il ragazzo, rispondere al suo
corteggiamento e sfruttare la sua attrazione, ma come avrebbe potuto
agire circondata da alleati e amici pronti a sostenerlo? Mazelinka
sembrava il genere di donna che stanava i furbi prima ancora che
avessero anche solo pensato alle loro malefatte, e se
l’avesse
messo in guardia? Se anche lui avesse deciso di cambiare qualcosa del
proprio atteggiamento? La sua strategia sarebbe stata al centro di un
gioco ancora più complicato di intrighi, raggiri,
anticipazioni,
tradimenti… Davvero sarebbe riuscita a tenere il passo? Non
conosceva né Élan né Death Mask, cosa
avrebbero potuto significare
o combinare nel suo piano? E se fossero stati più pericolosi
di
quanto non fossero apparsi? Poteva sfruttare anche la rabbia del
Cavaliere se l’occasione si fosse presentata? Valeva davvero
la
pena rischiare per una missione del genere?
I
pensieri cominciarono ad accavallarsi, la confusione si fece sempre
più soffocante e l’ansia le seccò la
gola ancora una volta; si
costrinse a inspirare profondamente per mantenere un briciolo di
calma ma senza accorgersene le sue dita avevano preso a tamburellare
contro la porta, i suoi occhi a fissare il vuoto e i suoi denti a
masticare il labbro inferiore. Come doveva agire? Abbandonare il
piano? Essere onesta? Scappare e contattare Asra di nuovo? Restare?
Segnalare a Nadia il nascondiglio?
Scelte,
domande, paure, indecisione… Chiuse forte gli occhi per
tentare di
chiuderle anch’esse fuori dalla sua testa, quando un tocco
sulla
sua spalla la convinse a tornare al presente. Con un sobbalzo si
ritrovò davanti al volto cordiale di Élan che le
stava sorridendo.
-Non
posso fare a meno di notare che sei leggermente in
conflitto
con te stessa: va tutto bene?-
Kamya
tanti sguardi aveva incontrato quel giorno, ma dentro gli occhi della
fata ci leggeva una sincera curiosità, e, nella calma della
sua
voce, una disarmante rassicurazione.
-Io,
sì, ecco, insomma…- balbettò per
qualche secondo, dopodiché
afferrò la maniglia della porta, una mano della ragazza e
uscì
dall’abitazione -Ho bisogno di una boccata d’aria-
annunciò
prima di chiudersi la casa alle spalle e allontanarsi in mezzo alla
strada -D’accordo, allora, da quanto tempo conoscete il
Dottor
Devorak?- domandò laconica.
Non
sapeva se potesse fidarsi della nuova coppia ma per riprendere il
controllo di se stessa da qualche parte doveva pur cominciare, e
niente le avrebbe restituito il senno come la preziosa
razionalità
donata da un compito affrontato per volta. Primo passo: inquadrare
gli alleati.
-Un
paio di giorni in teoria, un paio di ore in pratica. Non abbastanza
tempo da prenderne le difese nel caso avesse fatto qualcosa di male-
fu l’altrettanto evasiva risposta.
-Ha
arso vivo il Conte di Vesuvia.-
-Ecco,
appunto. Aspetta, cosa? No! Ilya è un pezzo di pane, non
farebbe del
male a una mosca, figuriamoci un essere umano!- la concisa
rivelazione di Kamya aveva lasciato incredula Élan che,
aveva
intuito il medico non fosse del tutto estraneo ai guai con la legge,
ma non sapeva che cosa l’avesse posto al loro centro. Risse e
ubriachezza erano state le prime ipotesi, ma l’omicidio?
-Sono
stata incaricata dalla Contessa vedova in persona di catturarlo e lei
ha specificato sia come il Dottor Devorak sia stato trovato fuori
dalla stanza in fiamme, sia come l’abbia ammesso lui stesso.-
-Una
confessione si può estorcere, si può mentire, si
può ricattare, si
possono coprire le tracce lasciate da qualcun altro! Nessuno ha mai
preso in considerazione queste possibilità?!-
-Io…
Non lo so…- la forza della replica stordì
l’apprendista che, in
un modo o nell’altro, si sentiva quasi presa in contropiede
-So
soltanto che sospetti molto gravi girano attorno alla sua persona ma
anche che un innocente non scappa se non ha fatto niente di
male…
Non l’innocente che è sicuro di essere ascoltato e
creduto,
almeno...- si strinse tra le braccia e lasciò che un
profondo
sospiro le svuotasse i polmoni, portando con sé una scomoda
confessione -La verità è che credo alla Contessa,
ma ho visto anche
coi miei occhi come molte cose non sembrino quadrare.-
-Che
vorresti dire?- la fata chinò la testa di lato e
aggrottò la
fronte.
-Julian,
cioè… Il Dottor Devorak, a pelle, mi è
sembrato un truffatore con
una strategia sempre pronta per ottenere ciò che desidera,
ma, anche
se ricercato e la città è tappezzata dei suoi
manifesti, la gente
non lo denuncia nemmeno quando ne ha la possibilità.
Camminava
l’altro giorno al mercato senza preoccuparsi di nascondersi o
di
essere visto, adesso scopro che ha anche degli alleati pronti a
difenderlo a spada tratta, e tutto questo nonostante ci sia una
conoscenza vecchia di ore!- Élan stava per risponderle
quando le
dita di Kamya le scivolarono sul fianco sporco di sangue e una
reminiscenza di ciò che era accaduto nel canale la spinse a
riprendere la parola con maggior veemenza -E non è nemmeno
tutto! La
vedi questa… Non-ferita? Sono caduta in un canale pieno di
anguille-vampiro, mi hanno morsa e stavo per morire sia annegata che
dissanguata, ma Julian è tornato a salvarmi e con una strana
magia
di trasferimento, ha spostato il morso su di sé! Non avermi
più tra
i piedi sarebbe stato strategico, allora perché fare il
contrario?-
-Forse
perché non è così cattivo come credi-
asserì con dolcezza
l’altra.
Stavolta
fu la maga a rivolgerle un’occhiata incuriosita; la sua
fermezza
nel prendere le parti del ragazzo, ma anche la spiazzante saggezza
della sua replica, le fecero venire in mente le immagini di Portia e
di Asra: la cameriera avrebbe dato la sua vita pur di salvarla al
fratello, ma era pur sempre sua sorella, poteva contare la sua
opinione?
Il
suo maestro, però, non le aveva suggerito di stare lontano
dal rosso
o se fosse pericoloso, quindi c’erano davvero dei rischi?
Adesso
che aveva più tempo per rifletterci sopra, Kamya si rendeva
conto di
come la sua voglia di scappare si stesse tramutando in voglia di
indagare, andare più a fondo, scoprire la verità.
Se solo avesse
potuto permetterselo...
-Vorrei
davvero giudicare l’innocenza di Julian basandomi
sull’idea che
la gente ha di lui, o sull’azione compiuta su un singolo, ma
non
posso. Non sarebbe giusto nei confronti della Contessa… E
soprattutto non lo sarebbe nei confronti del mio maestro.-
-Fammi
indovinare: ti ha insegnato tutto quello che sai, ti ha preparata a
questo genere di compito per tutta la tua vita e ora vuoi renderlo
orgoglioso.-
-Oh
no, Asra non mi metterebbe mai in una situazione di pericolo.-
A
nominare il ragazzo, le venne naturale stiracchiare un delicato
sorriso e la privata svolta intrapresa dal loro dialogo la
portò a
sedersi sul bordo della strada con le gambe penzolanti dentro un
canale; non sapeva che effetto avesse la fata su di lei, ma ad ogni
rivelazione sentiva un nodo di stanchezza sciogliersi e la schiena
farsi più leggera.
-Devi
sapere che sono amnesica, quelli che ho appena trascorso sono gli
unici anni che mi ricordi. Asra è stata la prima persona che
abbia
visto quando ho riaperto gli occhi e da allora siamo stati
inseparabili; si è preso cura di me in tutto e per tutto, mi
ha dato
da mangiare, un posto dove dormire e mi ha insegnato così
tanto
sulla magia che ora non posso sciupare l’unica occasione che
ho per
sdebitarmi. Capisci?-
-Io
capisco, ma c’è ancora una cosa che mi sfugge. Mi
hai detto come
ti è parso Julian a caldo, ma dopo averlo conosciuto per un
po’,
nel tuo cuore, tu, cosa ne pensi? Se dico “Julian
Devorak” quali
sono le prime parole che ti vengono in mente?-
-Beeee...
Direi… Affascinante… Mascalzone…?-
aveva represso con ogni
fibra del suo essere il “bello e dannato” che le
aveva danzato a
fior di labbra, ma anche con tutto lo sforzo che le era costato
adesso Élan la stava fissando con un sorriso furbetto.
-Uh-uuuh,
affascinante, allora ti piace!-
-Non
ho detto che mi piaccia!- ribatté Kamya con un tono di voce
abbastanza alto da farne disperdere l’eco in mezzo a canali e
palazzi. In un gesto istintivo si coprì la bocca con
entrambe le
mani, fece saettare gli occhi in ogni direzione per accertarsi che
curiosi e pettegoli di tutto il circondario non si fossero fiondati
alle finestre e gettò pure un’occhiata verso
l’acqua ma a
rispondere fu soltanto il suo silenzioso riflesso -La bellezza indica
la piacevolezza fisica, il fascino riguarda i modi, ed era a quelli
cui alludevo!-
-Certo,
i modi- le fece un occhiolino esageratamente marcato l’altra
giovane.
-Se
anche mi piacesse, che cambierebbe? Non posso distrarmi. Non
darò
fiducia a quel medico fuori di testa...-
La
fata inclinò la schiena in avanti così da
studiare con più
attenzione la postura dell’apprendista; braccia sulle
ginocchia,
schiena ricurva, spalle rigide, una mano che giochicchiava
nervosamente con le unghie dell’altra, ma anche viso
rassegnato,
orecchie e guance in fiamme: già, aveva tutta
l’aria di qualcuno
dilaniato da un dilemma morale.
-Non
trovi sia un controsenso? Dici a Death Mask che deve dare fiducia
agli altri ma tu stessa non vuoi dare un’occasione a Ilya.-
-Un’occasione
per fare che cosa? Mentirmi? Umiliarmi? Tradire la mia fiducia?!-
-Magari
di combinarne una giusta.-
Il
sorriso speranzoso di Élan era così onesto che
tutte le motivazioni
di Kamya sembravano sgretolarsi come sabbia tra le sue dita; si
tirò
indietro i capelli con un gesto nervoso e rimase a palpebre chiuse
mentre la fata proseguiva.
-Ascolta,
si vede che sei una persona che cerca di scegliere sempre con la
testa piuttosto che col cuore, ma la vita non è un lancio di
moneta
e forse dovresti decidere con più cognizione di causa quando
ti
trovi davanti a delle situazioni- allungò una mano per
carezzarle la
spalla e la maga le restituì un’espressione
confusa e stanca -Sai,
io e Death Mask siamo viaggiatori. Andiamo da un posto
all’altro
dando il nostro aiuto a chi ne ha bisogno. Be’, io presto il
mio
aiuto, Death più che altro si lascia trascinare. In ogni
caso, tu
sembra proprio che ne abbia un gran bisogno, per cui ecco il mio
suggerimento: comportati con Julian come faresti con chiunque, fai le
tue indagini, trai le tue conclusioni, stai a vedere quali scenari si
evolvono, ma agisci sapendo che saremo lì a guardarti le
spalle, e
che se ti avrà mentito, l’avrà fatto a
tutti e a quel punto la
tua collera sarà l’ultimo dei suoi problemi!-
-Ahah,
vuoi scatenargli contro il tuo malvagio mastino infernale?-
Élan
la liquidò con un gesto che la fece ridere di gusto.
-Non
contare su quello che ti ha detto, Death Mask non è cattivo,
è solo
un idiota!-
-Sono Death Mask e concordo con la metà di quello
che è appena stato detto- le ragazze si voltarono di scatto
verso il
Cavaliere che le fissava annuendo. Aveva la mappa della
città in
mano e le braccia incrociate sul petto per darsi maggiore tono
-Dì
al tuo fidanzatino che mi sono scusato con te, calmerà il
suo
melodrammatico cuore-
sottolineò portandosi
teatralmente il dorso della mano alla fronte e mal simulando una
persona sofferente, ma Élan gli si pose di fronte e lo
rimbeccò con
voce sarcastica.
-A-ah,
e cos’è che porterà calma al tuo
melodrammatico cuore?-
-Che
stai insinuando?- Death Mask smise la recita molto rapidamente,
mettendosi sulla difensiva.
-Death,
ti conosco da abbastanza poco, ma ho passato le ultime settimane in
tua compagnia e credo di poter affermare con sufficiente certezza che
il comportamento di questi ultimi giorni non è da te! Sei
stato come
un pendolo che oscillava dal “incazzato come un
toro” al
“arrapato come un toro”. Sei sempre stato uno un
po’ marpione e
un po’ attaccabrighe, ma mai a questi livelli: te lo chiedo
in
tutta sincerità, sei sicuro di stare bene?-
L’uomo fece
roteare gli occhi, lasciò cadere le braccia e
sbuffò.
-Credevo
di essere stato abbastanza esaustivo prima: tutta questa cazzata alla
“Le notti d’Oriente” non fa per me. Non
sono una casalinga,
dannazione, sono un guerriero!-
-Oh mio Dio, ecco che cosa fai
per vivere!-
L’esclamazione
costrinse Kamya a soffocare una risata ma il risultato fu assai
discutibile.
-Se
non mi allontano dal rave party di questa casa per una notte, giuro
che darò di matto!-
-Perché,
può peggiorare ancora?!- la maga si allarmò per
gioco ma Élan la
cinse lo stesso in un abbraccio e si mise ad accarezzarle i capelli.
-Lo
stress fa male alla bambina, non terrorizzarmela!-
-Ma…
Ma sono più grande di te!-
-Ssssh,
tranquilla, tra poco sarà tutto finito...-
La
protesta risultò in un maggior numero di carezze mentre
l’apprendista riconfermava la sua opinione: era finita in
mezzo ai
matti. Benintenzionati, ma pur sempre matti.
-Vedi
di non fare casino in mia assenza- Death Mask prese ad allontanarsi
lungo la strada che conduceva al mare ma si girò
un’ultima volta
quando sentì le ragazze rientrare e la voce di
Élan chiamarlo.
-Buonanotte,
Death.-
Appena
il chiavistello fu scattato al suo posto, e l’uomo fu tornato
a
essere da solo nelle strade deserte, bisbigliò la risposta.
-Sogni
d’oro, Élan.-
All’interno
dell’abitazione, Mazelinka aveva un diavolo per capello;
aveva
aperto la botola segreta che dava sul secondo letto della casa e
raccolto delle lenzuola fresche, ma le aveva abbandonate senza
sistemarle per la notte.
-Meno
male che siete rientrate, ragazze. Ho bisogno del vostro aiuto: sono
riuscita a convincere Julian a mettersi a letto, non dormiva da
giorni quel mascalzone, ma sono anche certa che non si stia riposando
affatto. Starà facendo su e giù per la stanza
finché qualcuno non
si deciderà a inchiodarlo al materasso. Lo farei io stessa
ma ho
bisogno di sistemare il secondo letto e di tenere d’occhio la
pentola.-
Élan
prese la parola per prima investendo la vecchia padrona di casa col
suo entusiasmo.
-Non
preoccuparti, Mazelinka, tu pensa pure alla cena, del letto mi occupo
io! Kamya!- la richiamò facendola scattare
-Giacché sei più in
confidenza con Julian di me, perché non ci pensi tu a farlo
restare
a letto?-
La
diretta interessata sbatté le palpebre interdetta ma non
riuscì a
protestare visto che entrambe le altre donne si diedero ai compiti
assegnati in tutta fretta; ciò che le rimase da fare, fu
entrare
nella stanza da notte di Mazelinka, cercando di nascondere le
orecchie in fiamme sotto ai capelli.
Julian,
sedutosi sul materasso e toltosi guanti, giacca, e uno stivale, stava
annaspando con l’altro; nel notare Kamya, le rivolse un
sorriso
scaltro che brillò alla luce della candela.
-Sei
venuta per rimboccarmi le coperte?- il gancio cedette e il medico
scalciò via la scarpa con uno sbadiglio -Temo che non
resisterò
ancora per molto, se c’è una cosa che conosco
è il mio corpo. So
quando sono esausto e quando si tratta di guarire ci vuole il tempo
che ci vuole, che mi piaccia o no. Pugnalami nella schiena e non ci
farò caso, ma guarire richiederà tutte le mie
energie. Non è
incredibile?-
-Magico,
oserei dire- fece spallucce lei e Julian le sorrise un’altra
volta.
L’ex-piratessa
entrò con una ciotola fumante tra le man, la
passò al ragazzo e gli
ordinò di bere, dopodiché pose la domanda delle
domande.
-Kamya,
trascorrerai qui la notte?-
Julian
mandò di traverso la minestra spalancando gli occhi.
-Oh,
è quel tipo di zuppa?-
improvvisò per spostare l’attenzione
sul cibo.
-Non
ti lascerò scavarti la fossa da solo. Sei ancora umano,
Ilya- stette
al gioco la vecchia. Quando l’altro tentò di
protestare, gli tolse
il cibo di mano e lo passò alla maga -Saresti un tesoro e ti
assicureresti che la bevesse? Ho l’impressione che berrebbe
qualsiasi cosa se fossi tu a offrirgliela.-
Kamya
cominciava davvero a pensare che non attendere le sue risposte fosse
un’abitudine di casa poiché, prima di venire
nuovamente lasciata
da sola col medico, ricevette una pacca sul braccio, ma non il tempo
per replicare.
-Se
non riesco a dormire, sono stressato, delirante e mi viene da
sbattere la testa contro il muro, prepara questa zuppa per me, quella
benedetta donna- sotto il suo atteggiamento apparentemente
noncurante, si riuscivano a leggere la metà degli stati
d’animo
elencati -Non so nemmeno cosa ci metta dentro, ma ha un sapore
fantastico.-
Kamya
gli premette la ciotola sulla bocca e si sedette sul letto con un
filo di impazienza.
-Bevi,
allora, anziché fare tutte queste cerimonie!-
Mentre
Julian svuotava il recipiente fino all’ultima goccia, la
ragazza ne
studiò ogni movimento: le ciglia che si abbassavano al
chiudersi
delle palpebre, la gola che si adattava al passaggio del liquido, il
sospiro soddisfatto all’ultimo sorso e la lingua che ripuliva
le
labbra con gusto; quando la fantasia di lui che assaporava la sua
bocca con altrettanto trasporto si presentò, non fece
neppure il più
pallido tentativo per reprimerla o respingerla. Questo era uno dei
problemi cui Élan non poteva trovare soluzione: Kamya non si
sarebbe
comportata con Julian nella stessa maniera in cui si sarebbe
comportata con chiunque altro.
Un
suo sospiro trasognante catturò l’attenzione del
rosso che le
riservò un’espressione calda e perspicace.
-Ne
vorresti un assaggio?-
Al
suo annuire, Julian si chinò in avanti per andarle incontro
e il suo
tocco fu la prima sensazione ad avvolgerla; era attento e delicato ma
anche impavido e sicuro di sé, esattamente come quando le
aveva
prestato le proprie cure. Poi, venne il profumo della minestra:
affumicato e complesso, lasciava desiderare di sentirlo ancora, e il
fremito delle loro labbra nel momento in cui si stavano per
incontrare fu esaltante e soporifero al medesimo tempo. Ciò
che
rimase sconosciuto, fu il sapore del brodo, perché lo stesso
verso
che aveva interrotto il litigo con Death Mask, interruppe il bacio
con Julian.
-Per
stasera basta, voi due.-
Arrossiti
e con uno scatto repentino, si separarono l’uno
dall’altra e
Mazelinka ne approfittò per lanciare una coperta addosso al
ragazzo;
non che la complicità del loro amoreggiare non appartenesse
ad
entrambi, ma Julian era di casa, conosceva le regole. Vedendo la maga
far scattare gli occhi in ogni direzione e il medico annaspare sotto
la stoffa, la donna pensò a quanto sembrassero una coppia di
adolescenti impacciati piuttosto che due adulti nel pieno della loro
maturità, ma sapeva a cosa avrebbe potuto portare un bacio
anche
solo un po’ troppo ardito, e per quella sera le bastava il
doversi
trovare nella situazione di dover fare da ambasciatrice di scomode
novità.
-Temo
che dovrete dividere il letto. Élan è crollata
nella botola ed è
così adorabile là sotto che non me la sentirei di
svegliarla- non
aveva visto che ingrediente avesse usato, ma ora Kamya aveva capito
si trattasse di una miscela rilassante -Sei tu che devi dirci se te
la senti di dormire con lui, Kamya.-
La
ragazza rivolse una rapida occhiata al suo compagno di stanza,
sbracato in una posizione casuale ma col volto illuminato da un
imbarazzante ghigno.
-Certo,
resterò qui- scosse lei la testa alzando gli occhi al cielo.
-Non
preoccuparti, cara, sarò un perfetto gentiluomo!- promise il
medico
mentre lei si slacciava la cintura e si sfilava le scarpette dorate.
-Oh,
lo farai? Contaci, allora!- Mazelinka gli diede uno schiaffetto sul
braccio prima di raccogliere le loro cose e lasciare la stanza.
Quando
la tenda ricadde al suo posto, Julian tornò alla carica con
tono
sommesso ma colmo di aspettative.
-Non
dobbiamo ancora dormire, possiamo restare alzati e, sai, no?
Conoscerci un po’ meglio.-
-Ehm,
sì, mi pare una buona idea, ma prima devo fare una cosa.-
Stava
per chiederle che cos’avesse in mente quando la maga gli
premette
un palmo sulla gamba destra, accarezzandogli la coscia con
espressione assorta fino ad arrivare alla vita; si staccò
dal suo
corpo per mettersi le mani sulle proprie caviglie e Julian la
fissò
ipnotizzato e con bocca spalancata: mentre si risaliva le gambe, si
sfiorava il petto e si passava le dita tra i capelli, sembrava
eseguire una sensuale danza studiata per mandarlo in delirio.
Kamya
allontanò le mani dalla sua testa così lentamente
che le ciocche le
scivolarono via poco alla volta e dei nastri di un rosso annacquato
si formarono nell’aria, andando a creare una sfera sopra di
lei;
fermato il flusso, l’apprendista lo scagliò nei
canali e la sua
persona tornò ad essere presente e presentabile, con vestiti
puliti
e capelli asciutti.
-Fatto!
Non è soddisfacente come un lavaggio con acqua e sapone ma
per
adesso andrà… Bene?- la ragazza non pensava le
sarebbe capitato di
assistere a uno scenario del genere, in particolar modo dopo tutto il
sangue che aveva perso, ma Julian era violentemente arrossito
-È una
specie di lavaggio a secco che ho ideato assieme ad Asra, adesso i
nostri vestiti sono tornati ad essere come erano prima del
“piccolo”
incidente di questa sera- gli spiegò ma senza ottenere
risultati -A
proposito di quello che dicevi sul conoscerci meglio… Ecco,
avrei
una domanda da fare.-
-A-ah?-
bofonchiò Julian.
-L’haifattodavvero?-
sputò lei mangiandosi le parole per la fretta.
L’incantesimo
si ruppe e il medico tornò alla realtà in maniera
brutale… Non
aveva bisogno di sapere a cosa si stesse riferendo la domanda,
già
lo sapeva.
Fece
passare gli occhi dal pavimento al soffitto ma non si
soffermò
sull’ospite.
-Scusami,
troppo diretta. Il fatto è che non capisco- Kamya gli si
mise a
fianco e cercò di ammorbidire i toni -Se hai davvero
assassinato il
Conte d Vesuvia, perché sei tornato?-
Una
risata nervosa scosse il petto al ragazzo.
-Me
lo domando sempre anch’io, ma quando sei tu a chiederlo,
è molto
meno irritante. Se ti dicessi la verità, mi crederesti?
Nemmeno io
lo farei, ma lascerò decidere a te, Kamya- si
raddrizzò sulla
schiena, intrecciando le dita tra di loro e guardando finalmente la
sua ospite negli occhi -L’ho fatto davvero? Ho davvero ucciso
il
Conte? E se ti dicessi che… Non me lo ricordo?- la sua voce
suonava
così onesta che Kamya non poté arrabbiarsi e lo
lasciò continuare
-So cosa penserai, che è facile tirare il sasso e nascondere
la
mano, commettere un crimine e poi affermare di non ricordarselo, ma
è
per questo motivo che sono tornato: ho bisogno di risposte e se non
troverò la verità qui, impazzirò
cercandola. Come avrai capito ho
anche un paio di domande per il tuo maestro. Se solo sapessi... Gli
anni, la distanza che ho percorso per trovarlo...-
la sua voce
si fece carica di frustrazione e la maga sentì un tuffo al
cuore.
Forse nel loro animo condividevano di più che una mera
partita al
gatto e al topo...
In
ogni caso, non c’era parola che non le fosse suonata sincera
e
rimpianse di non aver posto la domanda molto prima; come a percezione
del suo stato d’animo agitato, il medico le
riavviò una ciocca di
capelli dietro l’orecchio dove prima aveva posto il fiore,
probabilmente perso nella fuga, e le fece spazio sull’ampio
giaciglio.
-Guarda
qua, comodo e spazioso- annunciò accarezzando il materasso.
Lei si
accoccolò sotto le lenzuola, nascondendo il nervosismo che,
a quel
punto, pareva quasi superfluo -Se solo avessimo più
tempo… Oh, le
cose che mi piacerebbe fare con te…- farfugliò il
medico con voce
impastata. Le palpebre si erano fatte insostenibili da reggere e i
suoi pensieri non si legavano più ad alcuna logica.
-Scusa
che hai detto?- Kamya si sollevò sul gomito, il cuore le
batteva in
petto sperando di aver sentito male ma anche bene allo stesso tempo.
Un
biascicato augurio di buona notte fu l’ultima cosa che
uscì dalla
bocca del medico e l’apprendista si dovette rassegnare a
rimanere
senza risposta; si girò verso la candela e con un gesto
delle dita
la fiamma fu spenta. Non sapeva se sarebbe riuscita ad addormentarsi,
ma la notte si presentava insonne e carica di pensieri anche per un
certo guerriero di sua conoscenza a spasso tra le vie silenziose di
Vesuvia.
Ad
accompagnare il clangore dei suoi passi c’erano ben pochi
rumori
oltre al solito verso dei gabbiani e al venticello che si era alzato,
ma nella sua testa suonava tutt’altro tipo di sinfonia.
Death
Mask era praticamente scappato da casa di Mazelinka per poter passare
un po’ di tempo in compagnia solo di se stesso, svuotare la
mente,
pensare ai cazzi propri, ma i cazzi che lo perseguitavano quella
notte erano gli stessi che gli erano stati serviti a colazione,
pranzo, merenda e cena per le ultime settantadue ore…
Élan, Élan,
Élan e ancora Élan.
Settimane
erano passate dal loro primo incontro, un episodio che avrebbe dovuto
sbiadirsi nella sua memoria era ormai certo si fosse cristallizzato
ben più in là del dovuto e del necessario.
Tutto
era cominciato come una normalissima giornata al Grande Tempio: si
trovava dove non doveva stare, a bere cose che non avrebbe dovuto, ad
orari duranti i quali sarebbe stato meglio non consumarle. Il solito
copione, in poche parole.
La
svolta degli eventi era cominciata con l’arrivo della
protagonista
femminile; niente di che a un primo esame, solo una minuta,
diffidente, giovane donna, ma dopo un paio di sani litigi e una
manciata di dimensioni che avevano messo a dura prova il livello di
sopportazione reciproca, erano arrivati dei colpi di scena. Primo di
tutti, Élan non era umana: era una changeling, una
mezza-fata
scambiata con una bambina umana appena nata. Non sapeva come avesse
fatto a raggiungere il Grande Tempio dalla sua dimensione, sapeva
solo che dovesse tornarci il prima possibile.
L’uomo
sospettava che i suoi mitologici natali avessero giocato un ruolo
chiave nel suo arrivo, ma che Élan non fosse poi tanto
normale,
l’aveva già intuito da sé. Accorgersi
di come fosse brillante,
altruista, sagace, compassionevole, il tutto confezionato in un
pacchetto da dieci e lode, quello
era stato il vero colpo di scena!
Dalla
notte in cui lei gli aveva rivelato della sua natura non umana, la
chimica tra di loro era esplosa; viaggio dopo viaggio, avventura dopo
avventura, ogni impresa più ardita della precedente e ogni
serata
più ammaliante di quella trascorsa il giorno prima. Oh,
avrebbe
potuto continuare così in eterno!
Ma
il destino, la vita, il caso, qualunque fosse il suo nome, quando ci
si metteva, riusciva veramente ad essere bastardo. Per Death Mask
aveva preso il nome di Helios, una maestosa nave-laboratorio ideata
da Tesla in persona per consentire ai più geniali scienziati
del
mondo di sperimentare senza distrazioni o censure… Peccato
proprio
che fosse stato uno dei loro temerari esperimenti ad aver mandato in
malora la baracca!
Rose,
una giornalista invitata lì dalla sorella, si era dovuta
rifare
all’aiuto di Élan per proseguire nella sua ricerca
di una via di
fuga e tutto era filato piuttosto liscio fino all’area di
contenimento di Fred: una bobina elettrica che scaricava energia a
intervalli regolari, letale per ogni forma di vita organica che ci
fosse entrata in contatto diretto. Chiunque fosse stato sano di mente
avrebbe rinunciato a quel punto, ma non Élan…
Lei
era speciale.
Forte
della sua alquanto derisa minutezza, aveva dato un bacio a Death Mask
e si era lanciata nel percorso ad ostacoli più avventato del
mondo,
dietro ogni colonna e sotto ogni pila di macerie che fosse abbastanza
alta da poterle offrire riparo. Era stato in quel frangente, a
doverla vedere mentre rischiava la vita senza che lui fosse potuto
intervenire, che l’uomo aveva avuto la più
agghiacciante delle
rivelazioni: era spaventosamente impreparato alla sua
mancanza…
Non
poteva più stare senza i suoi puerili litigi, senza le sue
battute
stupide, senza che lei lo facesse ridere… E come lo potevi
definire, quando la sua incolumità veniva prima di quella di
tutti
gli altri, te compreso? Quando il suo buon cuore ti spronava ad
essere la migliore versione di te stesso? Quando la sua sola
esistenza dava un senso al mondo intero? Quando l’impronta
che
aveva lasciato nella tua vita era così grande, che niente ti
avrebbe
dato il permesso di tornare alla tua vecchia esistenza se privato di
lei?
Amore.
Si poteva soltanto definire amore. Si era innamorato di lei.
Perdutamente, follemente, irrimediabilmente. Il secondo colpo di
scena si era dispiegato.
Giusto
il tempo di lasciare che la realtà della situazione si
assorbisse a
sufficienza, che Fred aveva ridotto l’intervallo tra i suoi
impulsi, lasciando ad Élan non più di una
manciata di secondi per
raggiungere il casolare con l’interruttore
d’emergenza; con un
ultimo, disperato salto era riuscita a mettersi al riparo, ma il
Cavaliere si era sentito diventare freddo ed era stato investito da
una terribile nausea.
Al
termine della loro disavventura, erano arrivati a Vesuvia e gli
eventi si erano succeduti come tessere di un domino: il morso,
l’incontro con Julian, l’ospitalità
della vecchia arpia...
La
pace che avevano avuto non era stata del tipo che servisse al
Cavaliere per rimettere assieme i frammenti della sua psiche, ma
Élan, che Atena l’avesse in gloria, quella notte
ci aveva preso
con la sua analogia; Death Mask era come un pendolo che oscillava tra
furia e voglia. Furia, perché non sapeva in che maniera
comportarsi
o agire, e lui odiava non avere un piano
d’azione, voglia
perché non conosceva altro tipo di amore che non fosse
sessuale.
Questo almeno in un quadro semplificato delle cose, ma la
realtà era
più complicata di così.
Il
punto era che Élan avesse totalmente fatto deragliare il suo
progetto di vita che, nel suo caso, corrispondeva a nessun progetto;
quando eri un Cavaliere al servizio della dea Atena, soprattutto uno
d’oro, poco c’era da fare nei periodi di calma
piatta, ma quando
dovere chiamava, be’, passavi da uno scontro
all’altro finché il
più epico della tua vita, era anche l’ultimo. Con
la fata
presente, però, come faceva anche solo ad immaginare di
morire per
lasciarla tutta da sola? Se avesse potuto tenerla con sé le
avrebbe
trovato un posto dove stare, un impiego decente, quel genere di
noiose burocrazie che andavano sbrigate quando ci si trasferiva, ma
la stessa Élan aveva espresso molto chiaramente
l’urgenza di fare
ritorno a casa; inoltre quel vecchio pazzo del Grande Sacerdote non
l’avrebbe più finita di farneticare su come si
stesse incrinando
l’equilibrio dell’universo. Anche questo
contribuiva a farlo
uscire di testa: qualunque soluzione avesse elaborato, sarebbe stata
fatica sprecata.
E
poi, dulcis in fundo, c’era la questione della libidine.
Death Mask
aveva conosciuto tanti amori in vita sua: per un luogo, per un
piatto, per una canzone, magari anche per cose estremamente
specifiche come il profumo marino che portava con sé la
spuma
dell’onda, ma mai amore romantico. Affetto, okay,
ammirazione,
d’accordo, ma il romanticismo? Impensabile.
Nondimeno,
c’era un tipo di amore nel quale era un vero pro; non che se
ne
facesse un vanto ma di fulminate al Grande Tempio che si sarebbero
fatte una “cavalcata” con lui, ce n’era
una discreta lista e
forse Élan era un tale supplizio solo perché era
il più recente
oggetto del desiderio. Ma certo, la sua non era niente di
più che
un’infatuazione condita da una gran voglia di sesso, sarebbe
bastata una sola notte di passione per togliersela dalla testa, lei e
i maledettissimi sentimenti... Ma quella dannata vecchiaccia! Si era
intromessa ogni singola, dannata volta e Death Mask non era mai
riuscito a concludere! Dalla serie “piove sempre sul
bagnato”,
più tempo passava, più si rendeva conto di come
il suo piano non
avrebbe fatto che avvicinarlo alla ragazza, di come sedurre non fosse
uguale a risolvere e di come, presto o tardi, avrebbe dovuto
affrontare la situazione da adulto.
Questo
almeno nella peggiore delle ipotesi.
Aveva
davvero sperato che quel paio d’ore in solitaria lo avrebbero
aiutato a riflettere, ma per il momento non avevano portato ad altro
che non fosse un lungo giro di Vesuvia senza guida turistica; aveva
visto la piazza, spoglia di gente ma non dei petali che Portia aveva
lanciato per annunciare la mascherata, aveva visto il castello,
glorioso nella sua struttura ma quasi banale se paragonato alle
architetture del Grande Tempio, e infine si era ritrovato di nuovo
nella baia. Tutto il contrario del suo tribolato cuore, ad
abbracciare quei moli c’era un mare che avrebbe potuto
continuare
fino a fondersi con l’oscurità della notte se non
fosse stato per
un isolotto ancora più oscuro che si stagliava contro
l’orizzonte.
Quando
Mazelinka li aveva portati lì a fare la spesa e i due
avevano
chiesto delucidazioni in merito, Élan e Death Mask avevano
dovuto
fare i conti con una nefasta rivelazione.
-Quello
è il Lazzaretto, era lì che venivano mandati i
malati di Peste
Rossa- aveva spiegato Mazelinka -Un capitolo buio nella storia di
Vesuvia. Compiere il viaggio di andata voleva dire non compiere
quello di ritorno...-
La
fata aveva stretto le mani attorno al manico del cestino di frutta
che portava e si era scambiata uno sguardo eloquente col Cavaliere;
entrambi si auguravano che il Lazzaretto non dovesse riaprire i
battenti proprio con lui o che non li dovesse riaprire
affatto…
All’idea
della pletora di pensieri negativi che lo stavano affliggendo, Cancer
venne improvvisamente scosso da una risata amara e decise di
andarsene. Parecchi passi dopo, uno spiraglio di positività
venne
gettato sulla sua strada quando l’insegna del Corvo Chiassoso
gli
cigolò sopra la testa. Eccola lì! La radice e la
soluzione a tutti
i problemi, il quinto dei Cavalieri dell’Apocalisse:
l'alcolismo.
La
notte non era poi tanto giovane ma decise comunque di entrare a farsi
una bevuta e trovò il locale esattamente come
l’aveva lasciato:
pavimento appiccicoso, aria viziata e un sacco di gente alticcia ma
allegra.
-Ehi!-
lo riconobbe il barista da dietro il bancone -Tu sei quello che ha
ridotto Ilya a uno straccio! Se vuoi dare di nuovo spettacolo, di
gente che si sia bevuta il cervello, oltre che il portafogli, ce
n’è
quanta ne vuoi stasera!-
Un
rantolo scomposto e qualche paio di teste che si alzarono stancamente
furono le uniche risposte ma facevano troppa pena come avversari.
-Silenzio,
vecchio locandiere!- tuonò Death Mask, prima di accomodarsi
alla
destra di un ragazzo sul cui cappello svettava una lunga piuma
arcobaleno -Sono venuto qui per bere… Qualunque schifo di
cosa mi
abbia offerto il dottore l’altro giorno.-
-Aaaah,
il Salty Bitter- annuì sardonico il barista -È un
grande classico
della mia locanda, sai?-
-Fa’
sinceramente cagare...-
-Sarà,
ma non esiste animo afflitto che se ne sia andato di qui senza aver
risolto i propri problemi dopo averne bevuti due o tre più
del
necessario. Ho solo una domanda: come intendi pagare?-
Mentre
il barista incrociava le braccia davanti al petto, Cancer
annaspò
mentalmente in cerca di una risposta adeguata. Julian gli aveva dato
indicazioni, una mappa, un’infinità di consigli ma
niente soldi da
spendere all’occorrenza. Quando all’improvviso,
l’illuminazione...
-Mettila
sul conto del dottore- decretò con sicurezza.
-Spiacente,
ma non facciamo credito a nessuno, specialmente ad Ilya...-
-Pagherò
io, allora- alzò una mano il giovane
dall’esuberante cappello.
Death Mask si voltò verso di lui rendendosi conto di non
averlo
osservato attentamente prima, il che era davvero assurdo considerato
il suo vestiario appariscente: una camicia bianca generosamente
sbottonata era coperta da una stuoia magenta con frange oro, una
sciarpa color granato e da una giacca senza maniche a strisce
variopinte; era così lunga che gli angoli decorati
sfioravano il
pavimento nonostante l’altezza dello sgabello.
Il
locandiere accettò la proposta e mentre si voltava per
spillare un
boccale dell’intruglio, il ragazzo lasciò correre
i suoi profondi
occhi viola sul fondo quasi vuoto del proprio bicchiere.
-Immagino
di doverti ringraziare- gli sorrise Death Mask.
-Non
serve, so riconoscere un cuore tormentato quando mi si siede a
fianco. Mi accontenterò del tuo nome.-
Death
Mask ignorò il commento sul suo stato emotivo e fece sfoggio
del
proprio titolo.
-Death
Mask del Cancro, Cavaliere D’oro della quarta Casa del Grande
Tempio- si presentò fieramente.
Il
giovane inclinò la testa di lato per appoggiarla al palmo
della mano
e lo studiò con un sogghigno volpino.
-Onorato
di fare la tua conoscenza, Death Mask del Cancro, Cavaliere
D’oro
della quarta Casa del Grande Tempio.-
L’oste
si voltò verso il Cavaliere e gli mise un boccale
traboccante
davanti; un pungente odore lo investì come un treno, ma mai
quanto
il sapore della bevanda: il diabolico gusto di sottaceti e terra,
gradevole quanto il morso di cinque piranha sulla lingua, era
impareggiabile.
Cancer
ne bevve un sorso o due e rimarcò ancora una volta quanto le
sue
papille gustative fossero state violentate ma dovette ammettere
quanto altrettanto stesse accadendo al suo pessimo umore, il che era
un bel vantaggio.
-Mi
sa che mi è sfuggito il tuo di nome, biancospino-
apostrofò il
ragazzo, riferendosi ai ciuffi di capelli bianchi che gli sbucavano
da sotto la larga falda del cappello.
-Asra.-
-Asra,
eh? E tu che fai per mantenerti nella vita? Con quell’aria da
vagabondo sei… Un saltimbanco o roba simile?- preso
coraggio, Death
Mask attaccò di nuovo il boccale. Ogni sorso aveva un
retrogusto
davvero agghiacciante.
-Sono
appena tornato da un viaggio, ma gestisco un negozio di magia non
distante da qui- Asra ingollò il restante liquore e ne
ordinò un
altro giro, poi sorrise al suo compagno di bevute -Potrei predirti il
futuro leggendo le linee della tua mano, se lo gradissi, oppure
potrei interpretare le carte.-
Il
Cavaliere gli scoppiò a ridere in faccia ma si
bloccò di colpo; il
tono di Asra era stato così suadente che aveva creduto fosse
un
avance ma il mago era tutt’altro che in vena di scherzi.
-Non
vorrei sembrare scortese o maleducato con te, Asma, dopotutto mi hai
offerto da bere e questo lo rispetto, ma non credo nella maniera
più
assoluta a questo genere di cose. Non esiste alcuna prova scientifica
a supporto della chiaroveggenza, il che significa, e ripeto non
intendo offenderti, che sei un imbroglione, il tuo lavoro è
un’enorme truffa e il tuo sostentamento dipende unicamente
dalla
credulità della gente stupida- il sorriso di Asra si era
tramutato
in una linea piatta sul suo viso e i suoi occhi si erano sbarrati -Ma
ripeto, senza offesa.-
Il
mago prese un profondo respiro e parlò con voce quanto
più ferma
gli riuscisse.
-Come
potrebbe non essere offensivo?!-
-Dipende
da quanto sei bravo a incassare le critiche costruttive, suppongo-
fece spallucce l’uomo.
Il
giovane bevve tutto d’un sorso il liquore ambrato che gli era
stato
servito; altre volte si era trovato faccia a faccia con un borioso,
scettico spaccone, sapeva come gestire la faccenda, doveva soltanto
trovare il più efficace giro di parole.
-Quindi
preferisci affrontare il brivido dell’ignoto senza nemmeno
avere
uno scorcio di quello che ti riserva il futuro? A tua preferenza-
tornò a sorridergli -D’altro canto non tutti hanno
l’intelligenza
per apprezzare la strategia offerta dalla chiaroveggenza, soprattutto
una ben interpretata, ma, come si suol dire, chi è causa del
suo mal
pianga se stesso.-
Poco
ci mancò che Death Mask spaccasse il manico del boccale;
poteva
accettare l’intuizione sul suo stato d’animo,
poteva lasciar
passare i sorrisetti arroganti, ma non poteva tollerare che gli si
desse dello stupido.
-Scusa,
credo di non aver sentito bene: mi stai dando dell’idiota?-
-Questo
sei tu a dirlo, non io...-
Sarà
stato l’alcol o sarà stata la strafottente
espressione di Asra,
con le sue malefiche fossette, ma Death Mask si erse in piedi,
ribaltando lo sgabello.
-Pensi
davvero di irretirmi coi tuoi trucchetti psicologici da quattro
soldi?- gli urlò contro mentre il sorrisetto del mago non
faceva che
allargarsi -No, perché se pensi che funzionino, pensi bene,
cazzo!
Andiamo!- lo afferrò per il coppino della giacca e lo
trascinò
verso i tavoli.
Tutti
erano pieni ma non se ne fece un problema: ne trovò uno al
centro
del locale, occupato da due uomini così ubriachi da essersi
addormentati e li gettò entrambi a terra dove continuarono
indisturbati il loro pisolo. Asra, lasciato libero, gli si sedette di
fronte con uno svolazzo della giacca e dal borsone di cuoio
tirò
fuori un mazzo di carte che cominciò a mescolare.
-Non
è il mio solito mazzo, quindi ti chiedo scusa se la lettura
risulterà poco precisa- si diede delle arie mentre le carte
gli
scivolavano abilmente tra le dita. A un borbottio sommesso
dell’uomo,
rincarò la dose -È un mazzo nuovo, quindi non ho
ancora particolare
affinità.-
Percepì
fosse giunto il momento di poggiare le carte quando Death Mask gli
scoccò un’occhiataccia.
Una
alla volta, e tutte coperte, dispose le prime tre in verticale e le
ultime in linea retta; le esaminò un paio di volte ma, quali
dritte,
quali coperte, tutte erano al loro posto eccetto una. Più
testarda
delle altre, insisteva sulla sua errata disposizione. La
girò sotto
per sopra e viceversa ma quella non fu soddisfatta finché
non venne
posta in orizzontale. Era unico che una carta volesse una posizione a
metà ma gli Arcani non sbagliavano mai e ciò
poteva dire soltanto
una cosa: Death Mask era un uomo altrettanto unico.
-Vediamo…-
incrociò le dita e lo sbirciò attraverso le
ciglia candide -Della
tua personalità ho già avuto modo di carpire
qualcosa: sei
presuntuoso, schietto e non ti fidi facilmente, ma cosa mi dice di te
il tuo passato?- girò la prima carta, quella più
in alto, e si
trovò davanti all’immagine capovolta di un
volatile nero con un
grande copricapo di piume, eretto davanti a una parete di teschi -La
morte rovesciata. Hai voltato le spalle al tuo dovere lasciando le
cose a marcire nella tua negligenza.-
Cancer
sapeva che non avrebbe vinto il premio per miglior Cavaliere
D’oro
dell’anno, ma definirlo negligente gli sembrava esagerato; in
fin
dei conti era Arles ad assegnargli quasi esclusivamente gli affari
più sporchi del Grande Tempio, stanare e sterminare i
cospiratori.
Era un lavoro ingrato ma qualcuno lo doveva pur fare.
-Ma
il passato è pur sempre passato, no? Chi sei tu, adesso?-
con un
filo di esitazione nella sua mossa, Asra girò la carta
orizzontale.
Un’adorabile capretta rossa con ali di pipistrello teneva uno
zoccolo sopra un pentacolo risplendente di luce propria e contornato
da candele accese -Ti devo avvertire: è davvero curioso che
un
arcano si rifiuti di stare dritto o rovesciato per cui questa
disposizione mi comunica molte cose contrastanti di te. Sei una
persona carismatica, fiera, ti lasci guidare dalle tue passioni, sei
competente nel tuo lavoro e abbastanza consapevole del talento che
possiedi da rasentare la superbia però...-
-Però?-
lo spronò a continuare Death Mask. Era più rapito
di quanto non si
fosse aspettato e cominciava davvero a pensare che Asra ci stesse
prendendo un po’ troppo…
-La
sua disposizione ambigua comunica anche problemi con i
compagni… E
salute manchevole…-
L’uomo
deglutì fissando la carta con consapevolezza. Era soltanto
un trucco
di psicologia, no? Quel pezzo di cellulosa colorato non poteva sapere
che gli altri Cavalieri D’oro, eccezion fatta per due, lo
vedessero
di pessimo occhio, no? Non poteva sapere che l’insetto
portatore di
un orrendo male lo avesse ferito pochi giorni prima, no?
Si
passò la lingua sulle labbra per umettarle e
aspettò una manciata
di secondi prima di prendere un altro sorso di Salty Bitter, giusto
il tempo di non farlo sembrare un atto consolatorio.
-Va’
avanti.-
La
carta del presente raffigurava una fenice con le ali spiegate tra due
alberi in fiore.
-Gli
amanti dritti parlano di un incontro fortuito, un’alleanza
stretta,
di connessione e comunicazione, ma anche di...-
Asra
sollevò la testa e trovò Death Mask paralizzato:
aveva smesso di
ragionare alla parola “amanti”, la bocca gli si era
seccata e il
sangue era gelato nelle vene.
Il
suo presente era simboleggiato dagli amanti. Dannazione, Asra non
poteva aver indovinato! Erano tutte cazzate disposte per fargli
pensare che un emerito sconosciuto fosse in grado di intravedere
nella sua vita! Però… Anche alle fate avrebbe
rifiutato di credere
non molto tempo fa, eppure Élan era vera quanto la morte.
Per sua
fortuna e dannazione.
-Impressionato,
Cavaliere D’oro?- lo canzonò il giovane, pronto ad
affrontare le
ustioni del fuoco con cui stava scherzando.
Non
aveva bisogno di conoscere personalmente il guerriero per poterlo
leggere come un libro aperto, gli bastava conoscere l'alterigia
tipica degli uomini col suo temperamento, perché le carte
che aveva
disposto non erano le uniche che possedesse per smontare
l’insolenza.
Death
Mask parlava di critiche costruttive, eh? Be’, Asra aveva il
proposito di fare l’esatto opposto, smontarlo pezzo per pezzo
fino
a che di lui non fosse rimasto che un uomo intimorito; non aveva
paura delle reazioni che si sarebbero scatenate, non era più
un
bambino di otto anni ammansito dai bulli e dalle loro minacce, aveva
già dato anche troppo da quel punto di vista…
-Come,
scusa? Mi ero distratto- dissimulò Cancer -In
realtà stavo pensando
a una cosa. Se questa lettura è così intima,
perché non la
facciamo in un posto che sia altrettanto privato? Tipo
lì...- indicò
un tendaggio appeso che copriva una rientranza nella parete.
-Perché
quello… È lo sgabuzzino delle scope-
precisò Asra.
-Hai
qualcosa contro la saggina?-
Divertito
dalla battuta e in vena di essere accomodante, il mago propose una
soluzione alternativa.
-Ho
già iniziato la lettura, non potrei muovere le carte una
volta che
sono state disposte, ma penso di poter ripescare quelle corrette nel
corretto ordine se lo facessi in un ambiente a me familiare, per cui
ecco la mia proposta.-
Il
negozio di Asra era esattamente come Death Mask se l’era
immaginato: sovraccarico di ampolle, candele ed erbe aromatiche. Il
profumo d’incenso si disperdeva nell’aria
così intensamente da
stordire mentre una miriade di libri e mappe stellari occupava ogni
angolo che non fosse già preso d’assalto da piante
e fiori
sospetti.
-Prego,
fa’ come se fossi a casa tua- il mago si spogliò
dei suoi
indumenti da viaggio e li lanciò scompostamente su un
divano, poco
sotto a una nicchia colma di cristalli di ogni forma e colore
-Accomodati nel retrobottega.-
Dietro
una tenda stellata era stato allestito uno stanzino privato per la
lettura dei tarocchi; non c’era molto se non un tavolo
circolare
con una tovaglia viola, una lanterna turchese e due piccole ottomane
imbottite. I due uomini occuparono le sedute l’uno di fronte
all’altro e il mago dispose le carte nello stesso ordine
utilizzato
al bar.
-Dicevi,
insomma, c’è amore nella mia vita?- Death Mask si
sbrigò a porre
la domanda, tradito dall’impazienza nella sua voce.
“Con
quel bel caratterino, dubito” avrebbe voluto rispondergli
Asra, ma
per restare professionale si sforzò di richiamare a
sé tutta la
concentrazione.
-Non
esattamente. Le altre carte viste finora non lasciano intendere che
gli amanti indichino l’amore, questa suggerisce costruzione e
realizzazione, nuove strade da intraprendere con serenità,
ma anche
di una scelta da compiere, una che condurrà a un esito
positivo se
fatta con cognizione di causa ma negativo, se forzata.-
La
quarta e la quinta carta vennero voltate in simultanea: l’una
era
il ritratto di una simpatica bertuccia blu seduta su un trono ai cui
piedi vi erano vasi di fiori e bastoncini d’incenso accesi,
l’altra
mostrava un cervo bianco abbeverarsi a una fonte dentro la quale i
colori si scurivano, rendendo l’acqua rossa di sangue e il
cervo
scheletrico. Vista sottosopra, era difficile capirne il senso.
-Conscio
e subconscio. L’imperatore diritto dice che a livello
consapevole
senti di poterti fidare della tua esperienza e di poter imparare
osservando le conseguenze delle tue azioni, ma la temperanza
rovesciata permette al conflitto di sovrastare la sua pacifica
disposizione, costringendola a reagire con misure estreme. Sei sicuro
di sé riguardo al compito che devi affrontare, ma quel muro
di
spavalderia che ti sei costruito lascia trapelare dalle proprie crepe
paura, insicurezze e bramosia di misure estreme.-
Death
Mask fissava le carte con tanta intensità da risultare quasi
intimidatorio; ormai le sue certezze erano crollate, i punti focali
della sua vita erano stati riassunti in una mezza dozzina di carte,
ponendo sui piatti della bilancia dei timori che nemmeno aveva
consapevolezza lo stessero possedendo. Ciò malgrado, era
così: non
era mai stato innamorato di una donna, o se era accaduto era stato
troppo tempo fa per ricordarselo, come poteva amministrare con
saggezza un sentimento che non sapeva nemmeno quanto forte o
ricambiato fosse? Misure drastiche volevano dire prendere
Élan e
ferirla, terrorizzarla, soffocarla?
Caduto
il suo ospite in un religioso silenzio, Asra si sentì
autorizzato a
proseguire.
-E
nel tuo futuro invece c’è...-
Prima
che il mago avesse avuto modo di voltare del tutto la carta, Death
Mask gli diede un colpo col dorso della mano, gettando per aria tutta
la lettura e il mazzo sistemato lì a fianco; le carte
svolazzarono a
terra mentre Asra teneva sospesa la mano, la carta del futuro gli era
scivolata via dalle dita e si era dispersa insieme alle altre.
-Ho
già dovuto sopportare un capriccio del genere dal Conte
Lucio una
volta- lo sgridò gelidamente -Avevo sperato che almeno tu
avresti
avuto un minimo di cura per le cose che non ti appartengono.-
Il
Cavaliere aveva scostato la tenda stellata e dava le spalle ad Asra.
-Non
ti devo niente- furono le sue ultime caustiche parole prima di
lasciare il negozio in tutta fretta sbattendosi dietro la porta.
Asra
si lasciò cadere nei cuscini retrostanti con un profondo
sbuffo; si
passò le dita sul viso scuro dove lasciò che
coprissero gli occhi.
Era stato un lungo viaggio e un’interminabile serata,
emozioni
dimenticate erano tornate a galla in innumerevoli
déjà vu che
avevano affaticato ancora di più muscoli e ossa. Cancer era
senza
ombra di dubbio il peggior cliente che avesse avuto da un po’
di
tempo a quella parte, ma non il peggior uomo che avesse mai
incrociato sulla sua strada. A onor del vero, il mago non poteva
sapere quanta crescita personale attendesse il Cavaliere dietro
l’angolo e quanto la prima impressione di lui fosse
fuorviante, ma
ogni tassello del puzzle si sarebbe incastrato con quello giusto a
tempo debito.
Chiamate
a raccolta le energie che gli servivano per rimettere a posto lo
stanzino, farsi un bagno e gettarsi a letto, il mago si diede da
fare; con un gesto della mano chiamò a raccolta i tarocchi
sparsi
per il pavimento e tutti si radunarono in un mazzetto ordinato sul
tavolo; quando percepì l’energia emanata dalla
carta del futuro,
Asra la intercettò a mezz’aria tra le dita. Dopo
un rapido esame,
un sorriso gli si stampò in volto. Se la portò
alle labbra
dondolandosi nelle spalle.
-È
interessante… È molto
interessante.-
N.d.A
Guess
who’s back, bitches? XD Il primo capitolo dopo un
po’ di tempo è
sempre quello più difficile da scrivere e correggere,
inoltre, più
vado avanti con questa fanfiction più mi rendo conto di
quanto sia
complicato fare mia una storia che per metà non mi
appartiene, ma
col tempo riuscirò a sciogliere tutti i nodi del caso u-u
Come
avevo promesso, la storia è entrata nel vivo e
c’è stato
l’incontro tra tutti e quattro i protagonisti (tenete ben
d’occhio
Kamya e Desu perché il loro rapporto di amore-odio
ricorderà un
sacco quello di Discord e Twilight)^^
Ci
tengo a precisare che il mazzo di tarocchi di Asra non è
quello
visto nel gioco, che le carte descritte si rifanno al design di
Sylvia Ritter (qui uno dei suoi canali
https://www.deviantart.com/sylviaritter/gallery/65829864/tarot-deck)
e che la battuta di Death Mask sui guadagni di Asra è una
citazione
a “The Big Bang theory”. Per quanto riguarda il
titolo “at
wit’s end” significa non sapere che pesci
pigliare/essere fuori
di sé dalla frustrazione, ed è tratto da una
delle composizioni del
terzo film di “Pirati dei Caraibi”.
Volontà permettendo, mi
impegnerò a scrivere ogni giorno.
Stay
tuned!
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Capitolo 4 *** 4 - To Curtain Call ***
4
– To Curtain Call
Non
c’è dialogo con il nemico, ma mi hanno invitato
per un
interrogatorio (Cit. Aleksandar Baljak)
Mazelinka
era una donna energica di natura, se disturbava il sonno altrui con i
suoi modi irruenti non era
per
cattiveria,
ma dall’oggi al domani le bocche da sfamare in casa si erano
raddoppiate e così le faccende;
imbracciato
il suo cestino da spesa e
uscita al
levarsi del sole, si
era chiusa
la porta alle spalle con
tale forza
da aver risvegliato
Kamya.
La
maga credeva
di essersi abituata al trafficare causato
dall’insonnia
di Asra ma,
a
quanto sembrava,
Mazelinka
aveva alzato l’asticella. Sperando
di essere
ancora abbastanza assonnata da ritrovare in fretta la via per i suoi
sogni,
si rigirò sull’altro fianco ma
l’istinto
le fece riaprire
gli occhi: il
viso di Julian era proprio davanti al suo, disteso
da
una pace che solo Morfeo era in grado di concedere.
La
memoria le riportò in mente il
caldo tono del ragazzo e
le
parole della notte prima
le
risuonarono ancora fresche nelle orecchie.
“Se
solo avessimo più tempo… Oh, le cose che mi
piacerebbe fare con
te…”
Col
cuore che batteva a mille e una scossa in tutti i nervi, Kamya
balzò giù dal letto e, seppur
barcollando, raggiunse il tavolo della cucina sul
quale finì per accasciarsi.
Si
sedette per riflettere
ma gli
ingranaggi dei suoi pensieri, solitamente
ben oliati, vennero bloccati dalla ruggine della stanchezza;
unico elemento a
favore del
suo risveglio,
era la
frizzante brezzolina che
stava soffiando
dalla finestra e
che
le correva sulla pelle lasciandole
dei piacevoli
brividi. Anche
gli insetti sulle piante dovevano essere dello stesso avviso, visto
il loro sostenuto ronzio.
Lanciò
uno sguardo ai
fiori del davanzale
per capire
se fossero
api, bombi o vespe,
ma non solo
non ne vide,
si accorse che il mormorio
provenisse
da dentro la casa; seguendolo
si ritrovò
inginocchiata
alla
botola segreta dentro la
quale
Élan stava dormendo come un
ghiro o, meglio, come un colibrì:
si era rannicchiata
in un nido di coperte che
la
faceva sembrare ancora più piccolina e il
suo ronfare aveva
il suono di un
debole fischio.
A vedersi, era
una vera delizia.
-N-no,
ti prego… Mi dispiace… Mi dispiace così
tanto…-
La
dolcezza dell’attimo si spezzò ai lamenti che si
levarono
dalla stanza da letto.
Era
la voce di Julian.
Il
suo tono era stanco
e avvilito,
non aveva energie
sufficienti per condurre
qualunque
battaglia stesse affrontando ma ne aveva un disperato bisogno.
Incerta
se fosse il caso di
svegliarlo, Kamya
scattò in piedi e
rimase
in attesa di un
altro segnale o
un’altra supplica ma
al
tonfo sordo del
medico
che volava giù dal letto, capì che il caso avesse
scelto per lei.
Si
affrettò a
spalancare
la tenda e
lo trovò aggrovigliato tra le lenzuola, il
suo incarnato era
più pallido del
solito e i suoi
movimenti
frenetici ma inconcludenti.
Quando
si rese conto di essere osservato, si
bloccò,
si
resse su
un gomito e sfoderò
un sorriso disinvolto.
-Ehi,
Kamya! Già in piedi? Spero di non averti svegliato io!-
-No,
figurati, ero
già sveglia-
si
chinò per
liberarlo e
così vicina a lui
poté sentire non
solo
la rigidità
di
ogni suo muscolo, ma
addirittura contare le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte
-Tu, invece?
Stavi avendo un
incubo?-
-Anche
se fosse? Non era reale, perché
preoccuparsi? In
ogni caso, che ci
facevi sveglia? Ehi!
Ti ho mai
raccontato di quando
ho accidentalmente
rapito un’elefantessa di guerra incinta?-
il suo frettoloso
sforzo
di sviare il discorso aveva
un
tono biascicato e
l’esplosione
finale lo fece sembrare ancora più patetico, ma
Kamya era determinata a non farsi distrarre.
-Non
cambiare
argomento, lo
vedo che
ti
tremano le mani!-
-Sciocchezze,
sono un medico: le mie mani sono ferme e sicure come la morte e le
tasse!- sghignazzò spavaldo finché
l’apprendista non gliele prese
tra le proprie mettendolo davanti ai suoi inequivocabili brividi. La
risata si spense poco per volta e il rosso ci provò
un’ultima
volta -Davvero… Non… Non è
niente…-
Per
lodevoli che fossero i suoi sforzi, il controllo gli sfuggì,
i suoi
occhi si posarono sull’espressione scettica della maga e
Julian
sentì le proprie difese venire annientate; improvvisamente
stanco si
sedette sul bordo del letto con i gomiti sulle ginocchia, la testa
incassata tra le spalle e le mani che penzolavano nel vuoto. Aveva
bisogno di prendere coraggio prima di confidarsi e svuotarsi i
polmoni un’ultima volta sembrò la soluzione adatta
a svuotargli
anche la testa.
-Il
fatto è che… Io… Tu… Tu
credi nel perdono? Quanto brutte
possono essere le azioni compiute prima di diventare imperdonabili?-
Kamya
gli si sedette accanto e quando le loro spalle si toccarono, il
medico, teso al pari di una molla, rischiò di balzare fino
al
soffitto.
-Non
lo so, sono argomenti impegnativi da discutere… Credo nel
perdono
ma anche nel doverselo guadagnare, e soprattutto credo nel
cambiamento che ne deve seguire. Chiedere di essere perdonati senza
essere disposti a cambiare, è sono un’altra forma
di
manipolazione.-
-Hai
le idee molto chiare a riguardo…-
Il
silenzio calò tra di loro mentre Julian si richiudeva in se
stesso.
Kamya sapeva che avesse bisogno di riflettere con molta attenzione ma
ogni momento che passava senza le sue sferzanti controbattute,
sentiva crearsi un vuoto tra di loro, uno che non sapeva se sarebbe
stata in grado di colmare. D’un tratto, lui riprese la parola.
-Vorrei
solo sapere. È l’ignoranza a tenermi sveglio la
notte.-
L’apprendista
lo studiò con attenzione: la sua postura, la tensione dei
suoi
nervi, la supplica nella sua voce… Il Julian che conosceva
era
scomparso, rimpiazzato da una versione di se stesso riflessiva e
impaurita.
A
voler essere onesti, anche lei aveva il suo personale demone col
quale aveva ingaggiato una sua personale lotta: reprimere il
bruciante desiderio di conoscere le proprie origini era stata una
sfida che se persa le avrebbe tolto il sonno, la ragione, forse anche
la salute, tutto pur di ritrovare quel pezzo dei suoi ricordi che le
mancava… Era per questo che aveva dovuto resisterle a ogni
costo,
ma sulla via della conoscenza, Julian non era rinunciatario o
vigliacco come lei… Magari era un cammino che erano
destinati a
percorrere assieme.
-Siamo
molto più simili sotto questo punto di vista di quanto
immagini-
ammise lei infine.
-Tu,
insicura e con sensi di colpa? Non me la dai a bere!-
-Invece
penso che ti stupiresti, non è che hai l’esclusiva
o che so io!-
lo punzecchiò con un colpetto della spalla che il medico
ricambiò
ben volentieri. Si scambiarono il primo sorriso dopo tanta
inquietudine e, passato qualche altro lungo minuto di pace, Kamya
decise che fosse giunto il momento buono per cedere alla
curiosità
-Dicevi, allora? Come avresti fatto accidentalmente a
rapire un’elefantessa incinta?! Non è che uno lo
faccia per
sbaglio!-
Il
volto di Julian risplendette di nuova luce. Le cinse le spalle con un
braccio, si schiarì la gola e cominciò a
raccontare; narrando di
audaci avventure e affascinanti ladri, gesticolando con la mano
libera e perdendosi nei ricordi, i suoi muscoli si distesero e la sua
espressione tornò ad essere provocante; l’abisso
che li aveva
divisi sembrava essersi ridotto a una pozzanghera, ma non appena
l’alba stiracchiò i suoi raggi, inondando la casa
di una pallida
luce rosata, l’apprendista si lasciò avvincere
ancora dal sonno, e
Julian le bisbigliò un ambiguo messaggio mentre la
distendeva di
nuovo a letto.
-Mi
dispiace, Kamya… Ma è meglio
così…-
Quando
si risvegliò, a tenerle compagnia non c’erano
nient’altro che
lenzuola stropicciate, unico segno che Julian le avesse dormito
accanto; allungò le dita per sentirne la temperatura, ma le
trovò
fredde e freddo diventò il suo sangue all’energico
saluto di Élan.
-Buongiorno,
principessa!- Kamya si girò sussultando e la
trovò con una gallina
paffuta tra le braccia che chiocciava ad ogni carezza -Dormito bene?-
-Dov’è…
Dove sono gli altri?- biascicò, sperando di aver nascosto
bene il
“dov’è Julian?” col quale
aveva cominciato.
Élan
si strinse nelle spalle.
-E
chi lo sa! Mi sono svegliata col verso dei pennuti e ho pensato
“ehi,
galline!” così sono corsa a inseguirle per una
buona dose di
coccole. Di’, non è un amore?- la
guardò compassionevole -L’ho
chiamata Gina!-
-È
sempre bello vederti andare d’accordo con le tue simili.-
L’apprendista
si alzò, scostò la tenda e vide Death Mask e
Julian varcare la
soglia di casa; li accolse con un sorridente
“buongiorno” ma il
Cavaliere le rispose con un cenno distratto del mento e il medico la
sbirciò a malapena. Non un successo, in parole povere.
-Vedo
che la notte spesa in solitaria ti ha rimesso al mondo, peccato
comunque che le tue battutine fiacche non facciano ridere nemmeno i
polli!- replicò la fata.
-I
polli forse no, ma con i piccioncini le risate si sprecano!-
Death
Mask indicò la coppia dall’altra parte della
stanza ma li trovò
estranei al loro battibecco; nel piccolo, intimo, privato mondo che
si stavano costruendo, entrambi erano alla frenetica ricerca di
qualcosa: Julian, del fegato per parlarle di una questione spinosa,
Kamya della sua incondizionata attenzione.
-Io…-
tentennò il rosso.
“Dobbiamo
parlare” si ripeté mentalmente.
-Ecco...-
al solito i suoi occhi saettavano e si soffermavano su qualsiasi
particolare che non fosse il viso indagatore della ragazza.
“Non
è così difficile: dobbiamo parlare”
deglutì.
-Noi…-
aumentò il tono sperando che ciò aiutasse ma
insieme alla sua voce
si erano alzate anche delle aspettative nell’apprendista, le
riusciva a leggere proprio
lì,
nell’attesa
del suo viso -Dobbiamo… Assolutamente trovarvi
qualcosa da
mangiare e sbrigare delle commissioni per Mazelinka, ma non
preoccupatevi, ho in mente anche altro per questa giornata!- corse a
spalancare la porta d’ingresso e si protese in un deferente
inchino.
Con
una sorta di delusione sulle spalle, Kamya indossò la
cintura, le
scarpette e si avviò per prima, Élan le
andò al seguito dopo aver
lasciato planare Gina; Cancer invece, non mosse un muscolo: a braccia
incrociate e con espressione severa, fissò il medico
scuotendo la
testa.
-Continua
a menare il can per l’aia, Romeo, e finirà per
morderti.-
Julian
si raddrizzò in tutta fretta e schiacciato dal senso di
colpa,
confessò.
-Non
ce la faccio, amico mio. Se si tratta di lei… Non riesco a
controllarmi- un sospiro gli sfuggì dalle labbra ma non
portò con
sé le preoccupazioni -È una causa persa in
partenza. Io sono
una causa persa.-
-Risparmiati
il melodramma, non sono mica io il generale di ferro a cui devi
rifilare le tue patetiche
giustificazioni- sulla base di quel rimprovero, il Cavaliere
D’oro
guadagnò l’uscita e le speranze infrante di Ilya
circa il venire
consolato.
Mentre
si poneva alla guida del gruppetto per condurlo fuori dagli intricati
sobborghi e verso la sua parte preferita della città, il
rosso non
riusciva a mettere un freno all’autocommiserazione. La sua
parlantina sciolta l’aveva salvato da situazioni al limite
del
mortale, il suo carisma gli aveva fatto conquistare una certa
reputazione, nonché la simpatia di molti, la sua ironia
aveva
risolto più guai di quelli provocati, ma quando Kamya era al
centro
della scena, tutto veniva a mancargli: il respiro, la
razionalità,
un battito del suo cuor di leone e ciò che lo rendeva tale.
Non
serviva evitare di guardarla negli occhi o guardarla in generale,
avrebbe potuto starle di fronte persino bendato ma finché
aveva il
suo spontaneo sorriso marchiato a fuoco nella mente, allora non ci
sarebbe stato Arcano che gli avrebbe permesso di intavolare alcuna
discussione. Pure questo contribuiva alla sua sofferenza: non doveva
necessariamente parlare di tutto e subito, sarebbe bastato piantare
il seme della faccenda ma non c’era riuscito comunque.
Fiducioso
di essere contagiato dalla serenità di Élan,
accorciò il passo per
conversare con lei; ogni frivolezza che capitasse a tiro era perfetta
per rallegrare i toni e la spensieratezza dei loro discorsi
riuscì a
sollevare il suo umore. Dietro di loro, invece, Death Mask e Kamya
continuavano a fulminarsi l’un l’altro a intervalli
regolari;
quando i loro sguardi si incrociarono all’unisono, lei, che
era
così abituata a mantenere una pacatezza di facciata per i
clienti
ostici, sbottò tutto d’un colpo.
-Be’,
che hai adesso?!-
-Io?
Oh, niente di che- minimizzò l’uomo.
-Davvero?
E allora perché mi fissi con tanto biasimo?-
-Biasimo?
Io? Fidati, lentiggini- le diede qualche buffetto sulla spalla
-Quando vedrai il mio sguardo di biasimo, lo riconoscerai. Al momento
ti sto guardando con compassione perché, in tutta
onestà, ti sei
scelta l’idiota del villaggio.-
Il
suo tono finto-pietoso-vero-condiscendente le fece ribollire il
sangue nelle vene.
-Qui,
l’unico vero idiota del villaggio che vedo sei…-
-Che
lista della spesa sarebbe questa? Fremi-bacca sottaceto, carne
abbrustolita di salamandra, verruca eloquente d’oca?!-
All’esplosione
di stupore della fata, seguì un’esplosione di
gente come si
introdussero nel mercato secondario di Vesuvia; la strada era gremita
e chiassosa, il viavai si disperdeva in mezzo a banchetti organizzati
senza un preciso ordine: venditori di frutta e verdura erano
affiancati a quelli di costumi esotici, esposti gomito a gomito
c’erano libri, giocattoli, pentole e poco più
distante un
commerciante di gioielli pubblicizzava i suoi prodotti a gran voce.
-Che
fine ha fatto la classica lista della spesa? Dove sono zucchero,
latte, uova, un anti-tarme?! Quasi non riconosco le specie che hai
elencato!- insistette Élan.
-Sono
ingredienti per rimedi casalinghi, Mazelinka ci prepara la miglior
zuppa energizzante che abbia mai assaggiato.-
Kamya
raggiunse Julian e decifrò il resto dell’elenco
che teneva tra le
dita; sfortunatamente la sua calligrafia portava avanti la tradizione
del pessimo stile dei dottori, ma riconobbe comunque gli ingredienti:
ne avevano in gran quantità al negozio di magia ma non erano
adatti
a rimedi casarecci. Credeva nella buona fede del medico ma le venne
lo stesso spontaneo aggrottare la fronte e indagare.
-Mazelinka
pratica incantesimi, che tu sappia? Quest’elenco contiene un
sacco
di componenti magiche.-
-Sciocchezze,
sono medicinali e molto efficaci aggiungerei- la sua espressione
lasciava trasparire un leggero misto di diffidenza e offesa, come se
l’idea che l’ex-piratessa fosse pratica di tale
materia, lo
mettesse a disagio -Non è magia: nessuno ha mai recitato
insensatezze da un lussuoso ma losco tomo, non ci sono stati cerchi
luminosi o strane rune…- il suo sorriso si tinse di sarcasmo
-Nessuno ha sanguinato…-
Che
Kamya fosse allibita era dire poco; Ilya si era costruito
un’immagine
non solo confusa della magia, ma anche ridicolmente complicata e se
non l’avesse conosciuto abbastanza, avrebbe potuto affermare
che…
-La
magia ti infastidisce?-
A
Julian cadde la mascella e si rese conto di aver straparlato. Docile
come un agnellino, l’imbarazzo l’ebbe vinta sullo
scherno.
-Io,
eeehm, ovvio che no! È solo che non la capisco e mai
l’ho fatto…
Ma questi rimedi sono comprensibili. Li sminuzzi, li mescoli e
funzionano, o forse no, allora provi qualcosa di diverso.-
-Potrebbe
non essere lo stesso per tutti, ma per me la magia è
così. Alcune
cose funzionano, altre no, ma continui a provarci finché
qualcosa
non salta fuori. Si procede per tentativi.-
-Lo
stesso vale per la tecnologia nel mio mondo. Il trucco è
smanettare
fino al successo, è così che ho sintonizzato il
decoder di casa!-
aggiunse Élan.
-Cos’è
la “tecnologia”?- s’incuriosì
Ilya.
-Diciamo
scienza fin dove riesci a capirla, poi diventa un misto tra magia e
fiducia- la risposta stringata di Death Mask non fece che sollevare
altri interrogativi ma non fu questo a impressionare Julian.
Ne
masticava parecchio di medicina, ma tutti loro conoscevano almeno un
altro argomento in cui lui non era ferrato; ciò che sapeva,
era
soltanto che non sapesse e nemmeno quanto cruciale fosse la sua
ignoranza, ma non era l’unico del gruppo…
C’era qualcosa che
Kamya aveva un’improcrastinabile urgenza di conoscere e
nessun
altro avrebbe svolto quel compito al posto suo.
-Siete
davvero incredibili, ragazzi- si complimentò sincero col
gruppo
prima di afferrare Kamya per una mano -Per favore, andate a prendere
da mangiare al banco di frutta, io…- gesticolò
goffamente e si
allontanò con la ragazza in mezzo alla strada; scansarono
un’infinità di persone e una volta che furono
lontani a
sufficienza, le si pose di fronte e richiamò a sé
tutto il coraggio
di cui era capace -Ascolta, Kam, c’era una cosa che volevo
dirti
prima e…-
-Jules,
vecchio segugio, sei davvero tu?! Non ti si vedeva in città
da anni!
Che fai qui?-
Il
rifornitore di sanguisughe preferito da Julian lo riconobbe
dall’altra parte della strada e la concentrazione duramente
guadagnata, si disperse ancora.
-Tilde!
È bello vederti. Come sta tua moglie? Ha ancora quelle
emicranie?-
Il
rosso si avvicinò alla bancarella dedicata e si perse in un
chiacchiericcio di confidenze da parte del commerciante circa il
trasferirsi a Prakra e iniziare lì un giro di affari; Kamya
si
ritrovò da sola ma non ci diede molto peso, non altrettanto
a quello
che diede alle parole di Julian: non si era creata delle false
aspettative, c’era davvero qualcosa di cui le voleva parlare.
Un
nodo le si formò in gola al pensiero
dell’argomento in questione
ma decise di non perdersi in fantasticherie e puntò,
piuttosto, al
banchetto di vestiario per acquistare dei veli con cui mascherarsi se
avessero incrociato le guardie di Nadia.
Lì
vicino Death Mask ed Élan stavano esaminando gli ortaggi
esposti.
-Che
ha Julian? Mi sembra più strano del solito oggi-
Élan si portò al
volto un agrume maturo e il profumo frizzante le solleticò
tanto i
sensi da farle chiudere le palpebre.
-Diciamo
che ha delle questioni da risolvere con la fattucchiera.-
-Roba
spinosa?-
Il
Cavaliere vide la diretta interessata avvicinarsi a loro e per una
volta scelse di essere discreto.
-Te
ne parlerò quando saremo di nuovo da soli, ti anticipo che
quel
coglione sta per far scoppiare un gran casino.-
-Oh,
ma sei offensivo!- molto tempo avevano trascorso assieme ma
Élan
ancora non riusciva ad abituarsi all’indole prepotente del
guerriero, e anche se il suo rimprovero cadeva possibilmente nel
vuoto, non poteva non farsi sentire.
-Fidati,
non sono offensivo, sono oggettivo. Stavolta.-
-Sarà…-
dissentì la giovane. Troppo impegnata a guardarlo storto,
non si
accorse del banchetto di mele allestito dietro di lei e,
specialmente, non si accorse di come i tarli avessero consumato il
paletto che lo reggeva. Fu sufficiente una piccola botta per
spezzarlo e far rotolare una cascata di frutta in mezzo alla bolgia.
La
maga provò a scattare verso di loro per aiutarli ma un
ragazzino
tutto stracci e toppe la schivò all’ultimo minuto
inseguendo il
suo cane, e lei mantenne l’equilibrio per un soffio; stette
per
riprendere la sua corsa ma una mela le scivolò sotto il
piede e la
mise in una situazione da cui solo l’eccellente prontezza di
riflessi di una certa persona la salvò.
Un
profumo di pelle e muschio avvolse Kamya mentre cozzava contro il
robusto petto di Julian e un gemito del rosso accoglieva la loro
caduta a terra; con la schiena dolorante e le braccia strette attorno
a lei, ribaltò la loro posizione per da farle scudo contro
la
valanga della restante frutta. Tornata la calma, preoccuparsi fu in
cima alla sua lista di impegni.
-Kamya,
stai bene? Non ti ha colpito niente? Sei ferita?- ansioso come una
mamma chioccia, raccolse l’apprendista da terra e le
spazzò via la
polvere di dosso.
-Tranquillo,
sto bene- Kamya lo costrinse a porre un limite alla frenesia
prendendogli le mani e accarezzandogli il dorso con i pollici -E tu,
sei tutto intero?-
Il
cuore di Julian rallentò e anche il suo sorriso si tinse di
serenità.
-Mai
stato meglio- commentò prima di guardarsi attorno e
incupirsi -Anche
se, a quanto pare, dovremo darci alle spese folli, oggi.-
Laddove
le botte sulla sua schiena stavano già cominciando a
guarire, le sue
finanze non avevano ancora cominciato a soffrirne, ma presto
l’avrebbero fatto a giudicare dal costo di un intero carretto
di
frutta; Élan corse da loro a sperticarsi in mille scuse ma
Ilya era
impegnato a frugare nel suo mantello. Scovò un sacchetto di
iuta
tintinnante e raggiunse il venditore frastornato.
-Accettate
dobloni di Galbradine o dracme di Hjallen?- il trio lo fissò
affascinato mentre porgeva all’uomo una pila di monete di
valuta
estera. Era incredibile che dentro un così anonimo
borsellino ci
fosse una piccola fortuna, ma il fruttivendolo non ebbe da lamentarsi
dopo il lauto risarcimento; il rosso nascose di nuovo il suo denaro e
si rivolse alla folla con grida euforiche -Frutta gratis! Frutta
gratis per tutti! Venite a prenderne più che potete!-
-Ma
solo fino ad esaurimento scorte!- aggiunse Cancer, prima che la gente
si approfittasse anche dei prodotti non ripagati.
I
più affamati si gettarono sul bottino e la strada venne
ripulita in
una manciata di secondi; sbrigate la commissioni per Mazelinka, e
pagato un garzone per consegnare il tutto, Julian prese Kamya per
mano e si allontanò dal resto della bolgia seguito da Death
Mask ed
Élan.
-Mi
dispiace per ciò che è successo oggi, avrei
dovuto avvertirvi che
la strada può diventare turbolenta ma mi farò
perdonare: la
prossima tappa vi farà sicuramente uscire di testa!-
Il
medico sentiva di dover rimediare al trambusto che i suoi nuovi amici
avevano passato, ma nessuno ne avvertiva davvero la
necessità,
soprattutto la maga: maggiore era la conoscenza che faceva di Ilya,
maggiore era l’affetto che nutriva per lui.
Non
pensava che potesse avere tante frecce nella sua faretra ma dopo solo
un’altra manciata di ore, aveva visto di persona che fosse
generoso, riflessivo, inaspettatamente timido e protettivo. In un
quadro simile la sua irriverenza e la sua sfacciataggine non avevano
più il sapore stomachevole che l’avevano
disgustata all’inizio,
assomigliavano di più al pizzico di paprika che
dà carattere a una
pietanza.
Dopo
una gradevole passeggiata, il quartetto si fermò davanti a
un alto e
sottile palazzo; era privo di finestre e segnato dalle intemperie ma
i suoi affreschi di scene romantiche andavano oltre le crepe e i
colori sbiaditi, rendendo ancora giustizia al vecchio stile. Julian
si illuminò a vederlo.
-È
ancora in piedi, ci speravo ma non ne ero sicuro- passata
l’ombra
di una architrave, li condusse attraverso una pesante porta in ferro
e lungo una tortuosa scala interrata con qualche rada lanterna a
illuminarne il cammino -Ci venivo spesso a suo tempo, era un luogo
irresistibile: tanta atmosfera, soffitti alti e piccole nicchie
private dove poter avere una conversazione privata. Fa proprio al
caso nostro perché… Parlare…-
così concentrato sui suoi passi
non aveva modo di farsi distrarre dall’immagine di Kamya, il
momento non poteva essere più propizio -È quello
che dovremo fare…-
arrivati in fondo alla scalinata, le lasciò andare la mano e
le sue
dita si aprirono a fatica, segno che l’aveva stretta almeno
per una
buona mezz’ora e che l’ansia lo stava divorando
vivo.
Il
locale attorno a loro non era molto meglio illuminato e uno
sproposito di curiosità impolverate era ammassato un
po’ ovunque:
su un lato c’erano scampoli di stoffa dai temi stravaganti,
lance
tirate a lustro e piume rattrappite, sull’altro, la pallida
imitazione di un trono, un baule carico di monete di stagno e una
fila di maschere appese al muro. Dalla fine del corridoio, al di
là
di un pesante tendaggio sbiadito, proveniva un brusio e un filo di
luce abbastanza forte da scintillare sull’armatura di Death
Mask.
Julian
si guardò attorno confuso; il posto doveva essere andato
sotto una
nuova gestione e adesso era diventato una qualche specie di emporio.
-Non
è esattamente come me lo ricordavo… Era una casa
da tè, ne
servivano una variante affumicata che non sono stato più in
grado di
trovare…- il suo animo era rammaricato, aveva promesso
qualcosa che
non poteva offrire e, più di ogni altra cosa, non poteva
godere
della privacy che tanto gli sarebbe servita.
-È
comunque molto accogliente- Kamya gli pose una mano sul braccio e lui
le rivolse uno dei suoi stuzzicanti sorrisi prima di pizzicarle la
guancia.
Élan
e Death Mask si avviarono lungo l’unica strada disponibile,
ma
qualcosa che aveva attirato la curiosità del medico fece
fermare sia
lui che l’apprendista.
-Cos’abbiamo
qui? Non è veramente una medica, no?- sopra a uno specchio
maculato,
nella parete piena di maschere, ce n’era una nera col becco
lungo
che richiamava a quella gettata nell’acquedotto. La raccolse
con
un gesto frenetico e ne studiò ogni dettaglio con grande
interesse,
rigirandosela tra le dita, picchiettandola e sbirciando attraverso i
ritagli degli occhi -Riempivamo il becco con erbe, canfora, anche
rose, quando ne avevamo.-
-Penso
che questa sia solo da esposizione. Voglio dire, le maschere da
medico non dovevano coprire interamente la faccia come… -
-Come
faceva la mia?- la bocca di Julian diventò una linea dritta
e le sue
labbra si assottigliarono in una smorfia -Voglio solo che tu sappia
quanto mi mortifichi sapere che
hai dovuto assistere a
quella scena…-
Il
rimorso e l’imbarazzo erano evidenti ma Kamya scosse la testa
e si
strinse nelle spalle.
-Tutti
abbiamo dei momenti di dramma ed esagerazione, a volte i sentimenti
sfuggono al nostro controllo. Non ti giudicherò per questo.-
La
mascella di Julian cadde e le sue palpebre si spalancarono in
un’espressione di stupore.
-Chi
sei? Che ne hai fatto della donna che mi ha quasi scacciato dal suo
negozio a colpi di scopa?-
-Ecco,
quella è una scenata per la quale
dovresti imbarazzarti!-
ridacchiò lei, venendo seguita a ruota da lui -Aggiungo
anche che
sarei pronta a rifarlo, se se ne presentasse l’occasione, ma
la
verità è che ho semplicemente deciso di provare a
darti
comprensione e fiducia. Ti prego, non deludermi- il silenzio tra di
loro diventò pesante man mano che il medico si rendeva conto
di
quanto impegnativo fosse il dono che gli era stato concesso, e quanto
terribilmente avrebbe disatteso le aspettative -Be’, che
aspetti?
Provala!-
Julian
si ridestò in fretta e si mascherò rapidamente
così da nascondere
quell’ombra di ripugnanza di sé che minacciava di
far scoprire i
suoi pensieri.
-Devo
dire che non profuma come le erbe che utilizzavamo. Come mi sta?-
alzò bene il mento e si rimirò nello specchio
studiando il
risultato da varie angolazioni -Non sarò entrato nei libri
di
medicina, ma nel campo della moda ho lasciato il segno!-
L’apprendista
lo esaminò a lungo e decise che l’aria che gli
donava fosse
indecifrabile: la fluida linea del becco gli divideva il volto a
metà, tracciando un’ombra sulla mascella e
terminando sopra una
vena bluastra del collo; il fascino del misterioso sconosciuto
c’era
tutto, ma le dimensioni di quella protuberanza in effetti…
-Vuoi
la mia opinione sincera o la mia opinione brutalmente
sincera?- si arrischiò.
Julian
si portò un pugno al cuore e una mano alla fronte
rivolgendole
un’espressione affranta.
-Non
se rischierà di ledere la mia autostima!-
piagnucolò con tono
melodrammatico. La sua performance scucì il riverbero di una
risata
leggera a Kamya il che, per quanto poco fosse, era comunque un
traguardo.
-Ti
immagini che disastro provare a recitare con due di queste addosso?-
-Ah!
Immagina che disastro provare a baciarsi con due di
queste
addosso!- il medico si morse la lingua consapevole del suo scivolone
un momento troppo tardi per rimediare; sentì la testa
fluttuargli
nello stesso vuoto in cui erano sospesi il suo cuore e il giudizio
della sua nuova amica ma il tono di Kamya rimase leggero e incurante
quasi non lo avesse sentito. Furono le azioni che ne seguirono a
parlare per lei…
-Della
mia misura non ne vedo quindi non posso offrirti il brivido di questa
esperienza, ma… Se ti andasse bene solo una
maschera,
magari…-
Quando
gli si appoggiò alle spalle, si alzò sulle punte
e si avvicinò al
viso di Julian con gli occhi socchiusi, il medico sentì di
nuovo la
sua coscienza lanciata nell’etere.
La
situazione correva troppo perché potesse rimettere assieme i
pezzi
ma il suo istinto lo guidò a meraviglia: lasciò
scivolare le mani
sui fianchi della ragazza, inclinò la testa e
imitò i suoi
movimenti andandole contro.
Letteralmente
contro.
Con
un colpo secco, Kamya si staccò da lui gemendo, le mani
erano corse
a premerle la guancia dove il becco l’aveva urtata poco sotto
l’occhio.
-Mi
dispiace! Ti sei fatta male?- si affrettò Julian a scusarsi,
apprensivo tanto quanto lo era stato al mercato -Non avrei dovuto
permettere che una cosa tanto sgradevole si mettesse tra di noi!-
arrivò a dire, ma la maga, nonostante
l’espressione di dolore,
nascondeva l’ombra di un sorriso nello sguardo.
-Il
rischio era calcolato, ma, dannazione, sono pessima in matematica!-
con tutta la contabilità che c’era da gestire al
negozio, era
lampante che ci sapesse fare coi numeri, ma la battuta bastò
a
rasserenare il rosso -Forse, se togliessimo uno
all’equazione…-
-Aspetta,
vuoi dire che saresti disposta a riprovarci?- sussultò Ilya.
Sorridendogli,
Kamya portò le dita sotto al suo becco e iniziò a
sfilargli la
maschera con estenuante lentezza; ogni centimetro di meno erano
un’infinità di aspettative che si libravano in
volo mentre il
petto del ragazzo batteva furiosamente e mentre si domandava se
sarebbe arrivato a fine giornata incolume.
Il
taglio dei suoi occhi non era ancora stato liberato da
quell’impiccio, che Élan giunse da loro di corsa e
parlando in
modo incomprensibilmente veloce.
-Scusatescusatescusatescusate,
non voglio interrompere il vostro momento ma dobbiamo proprio
andarcene! Julian!- la maga la fissò a bocca spalancata,
combattuta
su quanto essere contrariata dall’interruzione, Julian invece
si
fece rigido a sentire il proprio nome -Fidati, questa davvero non
vorresti vederla.-
A
buon intenditore, poche parole e al rosso non servì di
più per
riallacciarsi meglio la maschera e andare incontro al prossimo
scandalo che reclamava le sue attenzioni; inseguito da Kamya e dalle
proteste di Élan, notò che il locale oltre le
tende, con i suoi boa
di piume e le bottiglie di vetro abbandonate qui e lì, non
era poi
molto diverso dal corridoio. Le sole eccezioni erano la foresta di
cavi che pioveva dal soffitto, la luce rossa che gettava ombre
inquietanti tutto attorno e il lamento che si levava dal sipario di
velluto aperto a filo. Death Mask lì accanto sbirciava la
scena con
aria schifata: chiunque stesse piagnucolando, infondeva nelle sue
proteste un’esagerazione tale da smorzarne tutto il dramma.
Julian
evitò i mucchietti di funi raccattati a terra, si
accostò al
Cavaliere e si portò un dito alle labbra rivolto alle
ragazze.
Quando tutti furono in grado di spiare la scena sul palco,
l’avvertimento di Élan prese una forma, un nome e
un caratterino
viziato niente male: accasciato pietosamente su un letto mal tenuto,
in vestaglia di raso scarlatto e con indosso una mezza maschera di
porcellana rigata di mascara, un uomo biondo proseguiva il suo
struggente monologo.
-Aspettare
nelle mie stanze? Il giorno del MIO compleanno?! Cosa si aspettano
che faccia qui tutta la sera? Che cammini avanti e indietro? Che
implori il garzone per qualche avanzo? Se non posso disgustare gli
altri facendolo, allora niente ha senso!-
Era
il Conte Lucio.
Tale
e quale ai ricordi di Ilya.
Oh,
il medico avrebbe dovuto decisamente dare di matto! Il ritorno di
Lucio dal mondo dei morti solo per lamentarsi di quanto miserabile
fosse stata la sua vita era esattamente il genere di scenario che
l’avrebbe fatto fuggire rapido come una lepre… Ma
tra
l’espressione insofferente del Cavaliere, le
assurdità sputate dal
Conte e la vasta folla che colmava la sala fin quasi al soffitto,
Julian aveva intuito si trattasse di una rievocazione teatrale. In
quella zona della città compiangere la dipartita di Lucio
non era
tanto in voga quanto sfotterlo.
Gli
unici che non ne stavano traendo giovamento erano Death Mask e quel
povero diavolo di attore, senz’altro notevole, ma a cui era
toccata
una parte alquanto avvilente.
All’ennesimo
verso di scoraggiamento, Cancer prese a maledire sottovoce tutti gli
eventi della sua vita che l’avevano trascinato fino a un
così
scadente spettacolo e Julian soffocò una risata.
-Cazzo
ridi a fare? È un metaforico calcio nei coglioni!- gli
bisbigliò
rabbioso il Cavaliere.
-Esattamente
come me lo ricordavo!- fu in grado di biascicare Ilya tra una risata
e l’altra - Sono contento di vedere le arti fiorire!
Dev’essere
cominciato un rinascimento da quando me ne sono andato- ma proprio
come il Conte Lucio, nemmeno il divertimento di Julian era destinato
ad avere vita lunga; se il riparo del tendone lo faceva sentire al
sicuro, la metabolizzazione della parola
“compleanno” lo gettò
in pasto a una terribile consapevolezza -Un momento… Ma se
questa è
la notte in cui è morto allora…-
Tutto
ciò che poteva accadere in una frazione di secondo, accadde.
In
un nuvola di polvere un sacco di sabbia piombò in mezzo al
gruppo,
dividendone i membri con un sobbalzo, una corda cui il medico si era
avvicinato gli si strinse alla caviglia e lo sollevò in
aria; le sue
urla vennero soffocate dalle fragorose risate del pubblico, ignaro
che pochi metri sopra la sua testa e quella del Lucio fittizio, si
trovasse il Julian autentico.
Con
la maschera che stava cominciando a sfilarsi dal suo viso poco per
volta, Ilya non aveva il tempo per restare a contorcersi come un
verme all’amo: doveva fare qualcosa. Si piegò
verso il piede
libero e lavorando con le dita nello spazio tra la gamba e lo
stivale, riuscì a recuperare il suo coltello; il sangue si
stava
accumulando in punti strani del corpo, la testa gli girava ma la
vecchia lama segò abbastanza in fretta la corda e il medico
precipitò nel grembo setoso della sua ben nota vittima.
Al
ritrovarsi il medico in braccio, “Lucio”
scattò a sedere e lo
accolse calorosamente.
-Dottor
Devorak! Eccola qui per curare la mia noia!-
La
platea esplose in un boato di risate e applausi mentre Julian
deglutiva a fatica.
Élan,
risvegliatasi per prima dalla trance in cui l’aveva gettata
la scia
degli eventi, si voltò dalla parte opposta con la faccia
nascosta
tra le mani.
-Oddio,
non ce la possa fare…- mormorò più in
imbarazzo dello stesso
rosso.
-Vedi
di farcela, invece, è un supplizio per tutti!-
fu
l’ordine del
Cavaliere.
-Io
vado a tirarlo via da lì!- Kamya tentò di
accorrere in aiuto ma un
braccio di Death Mask le impedì di proseguire.
-Ferma!
Guardalo bene: è mascherato, nessuno ha capito si tratti del
vero
Julian. Se intervieni adesso, scatenerai il panico.-
-Quindi
che devo fare? Lasciarlo in pasto alla folla?!- la maga fece un nuovo
tentativo ma senza successo.
-Purtroppo
è un impiccio dal quale si deve cavare da solo.-
Non
ci volle molto a Julian prima che capisse di dover raccogliere la
sfida; raddrizzò la maschera, balzò in piedi per
torreggiare sul
disgraziato governante, e scoppiò in una risata roca.
-Buonasera,
mio povero paziente! L’orologio rintocca tredici volte per te
stanotte!- quando tirò indietro un guanto e lo
lasciò andare con
uno schiocco, il finto Lucio si accasciò con un sospiro
-Sono giunto
a porre fine alle tue sofferenze! Goditi quel respiro,
perché sarà
l’ultimo!-
-Cosa
farai? Mi stritolerai tra le tue cosce?- domandò il conte,
tremante
come un foglia.
-Per
la centesima volta, no!-
Stavolta
toccò a Death Mask soffrire per l’imbarazzo di
seconda mano; si
lasciò cadere le braccia sui fianchi sperando di essere
inghiottito
dal pavimento, mentre Kamya, ipnotizzata
dall’assurdità della
discussione, non trattenne una risata abbastanza rumorosa da essere
udita dal medico. Era un suono così incantevole che Julian
perse la
concentrazione.
Una
cuscinata del conte lo riportò alla realtà e
allora iniziò una
baruffa in cui volarono piume e finti ceffoni da tutte le parti; il
pubblico era deliziato ma dopo qualche tirata reciproca di capelli,
Lucio si sfilò da sotto le gambe del suo opponente, estrasse
una
spada ondeggiante da dietro la testata del letto e assunse una
posizione da combattimento.
-Dammi
un vero scontro, da uomo a uomo! Vedremo chi sarà
l’ultimo a
ridere!-
Senza
un accessorio di scena, Julian non poteva portare avanti per molto
quella pantomima e, probabilmente, un aiuto dal retroscena se lo
sarebbe meritato; Cancer si guardò attorno e
individuò nella
penombra una botte infilzata da spade di stagno, ne sfilò
una e si
precipitò oltre il sipario. A vederlo, Julian riprese parola.
-Se
è un combattimento quello che vuoi, un combattimento
è…-
Un
sonoro strappo attirò l’attenzione di tutti verso
il Cavaliere
D’oro che non solo aveva trascurato i calcoli relativi
all’ingombro
della sua armatura, ma si era anche incastrato con uno spallaccio nel
sipario; il velluto si squarciò fino all’asta cui
era attaccato,
poi prese a fare resistenza finché il Cavaliere non si
sbilanciò
tanto da cadere di schiena ma sempre con la spada ben alzata per il
prode dottore.
In
perfetta sincronia, Julian balzò a recuperare
l’arma ed Élan
corse a trascinare Death Mask nel dietro le quinte; la fortuna che
Lucio si fosse distratto e l’oro sul velluto sbrindellato
scivolasse a meraviglia, gioco a favore di tutti.
-Dicevo…
Ehm, se è un combattimento quello che vuoi, è un
combattimento
quello che avrai! En garde!- gonfiò il petto il medico.
Il
clangore delle spade risuonò fino ai soppalchi e
l’audience andò
in delirio; non si riusciva più a distinguere
l’improvvisazione
dall’imprevisto, ma godersi il divertimento portato
dall'estemporaneità, era diventato legge. Intanto, da
qualche nel
teatro, un Julian posticcio, il regista e lo sceneggiatore, stavano
imprecando in lingue che neanche conoscevano per il lavoro andato in
fumo.
Assieme
agli spettatori anche Élan e Kamya si stavano piegando dalle
risate
e ciò non poté sfuggire al rosso che, tra un
fendente e l’altro,
non aveva mai assistito a uno scenario così soave:
accasciata contro
la fata, Kamya stava ridendo tanto da avere gli occhi lucidi, le
guance avvampate e da tenersi la pancia per lo sforzo. E quasi tutto
per merito suo.
Lo
spettacolo che lui le aveva offerto l’aveva fatta impazzire
dal
divertimento, ma la visione che lei gli stava donando avrebbe potuto
fare molto di più: se solo Julian avesse concesso ad
entrambi di
stare l’uno a fianco dell’altra, il sorriso
dell’apprendista
avrebbe potuto fargli superare i suoi vecchi traumi, guarire il suo
cuore spezzato, distruggere i frammenti di dubbio che avvelenavano la
parte più profonda e intima del suo essere… Ma
non poteva.
Quelle
stesse schegge di ansia che di fronte a ogni cosa bella gli
suggerivano che non se la meritasse, lo stavano convincendo anche
adesso: accanto a lui le risate sarebbero diventate lacrime, la gioia
risentimento e quella raggiante espressione si sarebbe
spenta…
D’altronde non era forse vero che non fosse capace
d’altro che
portare sofferenza a coloro che gli mostravano affetto? Non era un
irresponsabile, un fuggiasco e un codardo? Stargli accanto aveva un
costo troppo alto da pagare e Kamya… La sua
adorata… Non si
meritava forse qualcuno che non fosse un buono a nulla?
Julian
assestò un fendente più deciso degli altri, la
spada di Lucio gli
sfuggì di mano e lui collassò sul letto con uno
stivale del medico
piantato nello stomaco.
-Non
male! Potrei darti l’opportunità di sceglierti le
tue ultime
parole, ma fallo con attenzione, Lucio- nel tono del rosso
c’era la
triste rivalsa di chi sapeva che nonostante la verosimiglianza,
rimanesse comunque tutto un gioco.
-Siamo
amici, no? Cos’è che vuoi, dottore? Soldi?
Ricchezza? Sai che sono
generoso e che mi sei sempre piaciuto! Prendi ciò che vuoi,
quello
che è mio è tuo!- la supplica
dell’attore era penosa e il suo
respiro corto, nel fondo dei suoi occhi aveva la preoccupazione di
chi non era certo si stesse ancora recitando.
-Potrebbe
stupirti ma alcuni non uccidono per avidità!- Julian
puntò la spada
alla gola del conte che d’istinto inclinò la testa
-Alcuni di noi
uccidono per rimediare all’errore di non averlo
già fatto prima!-
Come
si erano incrociate le loro lame, altrettanto stavano facendo adesso
i loro sguardi, quel nodo di rabbia nel cuore di Ilya iniziò
a
sciogliersi e la sua spada a calare; poggiò la punta sopra
il cuore
di Lucio e dopo una convulsione e un gorgoglio, l’attore si
afflosciò.
La
commedia terminava lì.
Nel
silenzio della sala si sarebbe potuto sentir cadere uno spillo,
nessuno rideva o osava emettere un suono ma appena il primo accenno
di applauso si fu insinuato timidamente, venne seguito da una
cascata. Il teatro stava venendo giù, fischi di approvazione
e
complimenti volavano verso il medico ma lui non aveva attenzioni che
per la sua Kamya: nel blu del nuovo faretto, oltre il sipario ridotto
a stracci, riusciva a distinguere chiaramente la sua apprensione e il
suo coinvolgimento, specie quando delle guardie si radunarono
dall’altra parte del palco.
-Che
farò adesso? Non potrò rimanere impunito,
dovrò pagare…- la
gente aveva ripreso a bisbigliare elogi verso quella rivelazione
d’attore, ma l’apprendista sapeva che
ciò non fosse una battuta
teatrale quanto una supplica di chi, nel dubbio di aver compiuto o
meno un gesto efferato, implorava lo stesso una condanna.
-Guardie,
impiccatelo!- urlò un finto capo dell’esercito.
-Ma
magari non oggi!- sputò Julian quando il capannello di
soldati fece
il proprio ingresso.
Il
medico lanciò a casaccio la sua spada e si avvolse nel
mantello con
un gesto drammatico prima di affrettarsi al suo gruppo.
-Avevi
ragione, Élan. Ce ne saremmo dovuti andare- si
voltò amaramente a
sorriderle prima di togliersi la maschera e lanciarla su un sacco
ancora indisturbato.
Afferrò
la sua bella per mano e si lanciò in una rocambolesca fuga
attraverso il corridoio carico di oggetti di scena, seguito dal
più
provvidenziale cavaliere del teatro e dalla sua fidata assistente.
Non si fermarono finché non ebbero raggiunto la cima delle
scale e,
una volta fuori, si accasciarono ognuno in modi diversi, chi contro
il muro, chi sulle proprie ginocchia e chi addirittura seduto per
terra.
A
colmare il silenzio c’era soltanto l’aria che
usciva in sbuffi
affannosi e tutti i confusi pensieri che nessuno si sentiva di
condividere; il primo a farlo fu la star della serata.
-Che
esperienza, mi sento con un piede ancora sul palco- a guardarlo aveva
un’espressione stranita come se non avesse del tutto ripreso
contatto col mondo reale -Ma sono contento che nessuno abbia notato
fossi veramente io.-
-Li
hai davvero stesi- gli sorrise Élan e Julian
ricambiò con un
inchino -Who-hoo! Vogliamo il bis!-
La
fata prese ad applaudire e il medico cercò di ricordarsi
almeno una
o due battute quando il volto di Kamya entrò nel suo campo
visivo;
le sue guance erano arrossate per la fuga e il respiro corto per la
scalata nel buio, ma ciò che fece capire a Julian di non
poter
cazzeggiare oltre, era la sua espressione pensierosa.
Per
quel poco che ne sapeva e quel tanto che aveva visto,
l’apprendista
aveva cominciato a macinare delle teorie che continuavano a
vorticarle nella mente, soprattutto da che l’aveva visto
improvvisare: Ilya aveva giurato di non ricordare di aver ucciso
Lucio e anche sul palco aveva accennato al rimediare
all’occasione
mancata se gliene si fosse presentata una seconda. Con le tempistiche
teatrali da rispettare e così poco tempo per mentire, era
davvero
possibile che avesse messo a nudo la verità? Quando il
diretto
interessato la prese per le mani, la raccolse da terra e le
parlò
con tono desolato ma sincero, il quesito si perse nel nulla.
-Niente
di tutto quello che avevo programmato oggi è andato come
speravo, ma
permettimi di riprovarci e farmi perdonare: vorrei andare al Corvo
Chiassoso per mangiare un boccone. Se fossi così gentile da
unirti a
me, offrirei io.-
-Evvai,
cibo gratis!- esultò Élan, ma il medico la
corresse.
-Veramente
vorrei avere un momento da solo con Kamya e portarla a fare un giro
per i moli dopo cena.-
-Oh,
d’accordo, allora noi si torna da Mazelinka- la fata
indicò la
strada dietro di loro rendendosi conto solo dopo di non sapere quale
imboccare.
-Certo,
come no, un monolocale da dividere in cinque! Molto invitante!- Death
Mask suonava più burbero del solito dopo la figuraccia a
teatro, ma
aveva tirato fuori un valido argomento.
-A
quello posso porre rimedio io- Kamya si allontanò lungo il
vicolo ma
si fermò per rispondere all’offerta del rosso -E,
Julian, la tua
proposta sembra deliziosa: sia cena che passeggiata, le apprezzerei.-
Il
ragazzo non nascose un sospiro trasognante sentendola fare il suo
nome con tanta cortesia ma il comportamento di Kamya alla fine della
stradina, lo lasciò perplesso: camminava su e
giù, batteva i palmi
tra di loro e parlottava sbuffando di tanto in tanto. A un certo
punto si bloccò, sollevò la testa e una bolla si
gonfiò dalle sue
labbra appena soffiò con più forza. Raccolse la
sua creazione tra i
palmi e continuò a muovere la bocca finché un
pesciolino con
iridescenze blu e viola si fu formato del tutto; solo allora si
staccò dalla sfera e tornò dai suoi amici.
Consegnò la magia ad
Élan, che la fissava incantata come una bambina, e li
istruì sul
suo uso.
-Questo
pesciolino contiene un messaggio per la Contessa di Vesuvia ed
esploderà in presenza di lei soltanto. Dovete solo fare
attenzione a
non farlo cadere o rotolare via, d’accordo?-
-La
terrò d’occhio io- rassicurò Death Mask.
-Se
Nadia saprà che siete dei miei amici vi farà di
certo rimanere al
castello per il tempo che vi serve e il problema dello spazio
sarà
risolto. Per arrivarci vi basterà seguire la direzione in
cui nuota
il pesce, se sbaglierete strada ve lo farà sapere.-
-Al
farvi entrare e presentare, posso pensarci io.-
Julian
strappò uno di quegli stramaledetti manifesti da ricercato
ed
estrasse una piuma incantata dalla tasca; checché se ne
dicesse, o
ne pensasse lui personalmente sulla magia, quella penna che non
finiva mai l’inchiostro era davvero funzionale.
Chissà che
reazione avrebbe avuto se avesse saputo che nel mondo di
Élan o
Death Mask si chiamavano “biro” ed erano
disponibili anche con
inchiostro al profumo di lamponi e more!
Stilò
il suo messaggio con una calligrafia indecifrabile e
richiamò Malak
con un fischio; gli indicò a chi consegnare il foglio
arrotolato,
glielo affidò e lo lasciò librarsi in volo. Con
tutte le dovute
questioni sistemate e con i necessari saluti fatti, le coppie si
separarono: Julian e Kamya verso il Corvo Chiassoso, nonché
verso
una difficile conversazione, Death ed Élan verso il Castello
di
Vesuvia e un ancor più surreale nottata.
Death
Mask ricordava perfettamente la strada per la loro nuova sistemazione
ma Élan si affidò quasi del tutto alla creatura
della maga, ogni
tanto imboccando apposta una strada alternativa solo per il
divertimento di vederla rigirarsi su se stessa e guizzare nella
direzione corretta. Giunsero alla meta durante l’ora
d’oro,
quando il sole non stava ancora tramontando ma era già
abbastanza
basso da immergere la città nei suoi caldi raggi dorati,
incluso il
palazzo; la fata alzò lo sguardo solo quando il Cavaliere le
diede
un colpetto col gomito, ma a quel punto gli occhi le si riempirono di
meraviglia e il pesciolino passò in secondo piano.
-Hai
mai visto una reggia più stupefacente di questa?- non si era
sentita
così incantata dal suo arrivo al Grande Tempio e ora stava
rivivendo
tutte quelle emozioni come se fosse la prima volta in vita sua.
-Ogni
giorno quando torno a casa- scrollò le spalle lui.
Era
scontato che non sarebbe rimasto colpito, ma tutto il sarcasmo del
creato non avrebbe potuto smorzare il momento, né
scenografia o
descrizione eguagliarlo: il castello era stato ricavato da blocchi di
alabastro immacolato e la sua architettura barocca, con le luccicanti
guglie dorate e le cinta di mura dalle forme morbide, era arricchita
da longilinee ma solide torri che svettavano verso il cielo,
l’una
più alta della precedente; alla base di quella centrale
spiccava un
rosone con un cuore carminio su uno sfondo di petali rosati e
turchesi, probabilmente le stanze private di Nadia. A incorniciare il
tutto vi erano un rigoglioso parco alle spalle della struttura e due
limpide cascate laterali che si gettavano nel fossato.
Élan
sentì Death Mask toglierle la bolla di Kamya dalle mani e lo
prese
come un permesso al lasciarsi andare; corse al cancello
d’argento
scuro e infilò il viso tra le sbarre. I suoi occhi brillanti
si
posarono su ogni dettaglio visibile a quella distanza, su ogni
balcone e su ogni finestra illuminata ma vennero catturati sul ponte
quando una macchia di capelli rossi ondeggianti si avvicinò
di
corsa; li raggiunse con un fiatone da record, segno che si fosse
precipitata lì da molto lontano, ma riuscì lo
stesso ad accoglierli
come si conveniva.
-Buonasera!
Mi avevano avvisata che sareste arrivati! Voi dovete essere
uhm…-
Portia srotolò la lettera di Julian e si sforzò
di decifrare la sua
calligrafia più accuratamente; aveva capito di dover
accogliere
qualcuno, ma non i loro nomi -I nuovi amici di Kamya! Io sono Portia.
Prego, da questa parte.-
La
fata si allontanò per permettere a una coppia di guardie di
aprire i
cancelli con fare solenne, poi lanciò a Cancer
l’espressione di
chi stava per mettere piede dentro una favola; lui le sorrise
condiscendente e le fece gesto di incamminarsi alzando il mento.
Nel
condurli attraverso i corridoi, Portia li istruì sulla
figura della
Contessa, sui nomi dei cortigiani, sui loro ruoli e sul comportamento
da tenere in loro presenza, anche se quando arrivarono al salotto
trovarono Nadia intenta a fare altrettanto con Valerius.
-Ve
lo ripeto per l’ultima volta: non potete, anzi, non
dovete
umiliare i miei ospiti versandogli addosso del vino. È uno
spreco
del lavoro dei contadini, della benevolenza dei miei invitati ma,
soprattutto, della mia tolleranza.-
-Cara
Contessa, vi assicuro che si è trattato soltanto di uno
sgradevole
incidente.-
-Vi
avverto, Console: ogni scusa che avanzate è un insulto alla
mia
intelligenza. Vi suggerisco di riconsiderare il vostro approccio.-
La
falsità nel tono dell’uomo si era percepita anche
da oltre la
porta chiusa e tanto era bastato per far salire l’acido di
stomaco
collettivo, ma Nadia non era semplice da abbindolare, e per fortuna
sarebbe stato da aggiungere! Ogni qualvolta che doveva avere a che
fare con Valerius, Portia era costretta a ingoiare il suo rospo
quotidiano, ma vedendoselo risparmiato per quella sera, tirò
un
sospiro di sollievo, sorrise trionfante e bussò alla porta.
Ricevuto
il permesso, fece accomodare i nuovi arrivati.
All’interno
c’era la cerchia più fidata di Nadia al gran
completo: Volta,
Vlastomil, Vulgora, Valdemar e l’irreprensibile Valerius;
oltre
alla solita degustazione di una caraffa di vino, si stavano dedicando
a un gioco simile alla dama ma la reazione di Volta alla vista di
Death Mask, decretò la fine della partita. Considerata la
sua
maniacale ossessione per il cibo, era marginale che fosse un
bell’uomo, che avesse un carattere virile o una voce
imponente,
tanto più che non l’aveva ancora sentito
pronunciare mezza parola,
ma non era in alcun modo trascurabile la sua appetitosa, baluginante
armatura-carapace, specie se notata la somiglianza con quella che
Volta teneva nella propria villa, nascosta in mezzo ai tesori cui
mostrare venerazione.
Incurante
della sua forza e a discapito della piccola statura, la foga del suo
scattare in piedi gettò il tavolo in avanti e tutte le
pedine a
terra, rendendo inconclusa e inconcludente la partita.
Tutti
i cortigiani la incenerirono con gli occhi, soprattutto Vulgora, ma
presto la loro attenzione venne catturata da altro: trovandosi in
presenza di Nadia, il pesce di Kamya si era messo a fremere ed era
esploso in una marea di scintille, riempiendo la stanza con la voce
della maga.
-Egregia
Contessa, questi sono i miei nuovi amici: il Cavaliere D’oro
Death
Mask e la sua compagna Élan. Non c’è
una lunga conoscenza ad
accomunarci, ma posso garantire sulla loro affidabilità. Non
hanno
un posto dove stare quindi vorrei, col vostro permesso, avanzare la
proposta di ospitarli al castello; se ciò non fosse
possibile,
chiederei a Portia di indicare loro la strada più veloce per
il mio
negozio e mi scuserei per la mia mancanza di rispetto. Vi ringrazio
per la vostra eventuale disponibilità e vi auguro una
gradevole
serata.-
Cessato
il messaggio, l’armonia tornò tra i cortigiani e
Nadia rise
sommessamente: anche a chissà quale distanza,
l’apprendista
eccelleva nel deliziarli con un sistema di comunicazione tanto
affascinante, ma non riusciva comunque ad abbandonare quel tono
rigido. Magari i suoi nuovi invitati avrebbero adottato un
atteggiamento diverso.
-Naturalmente
vi ospiterò, gli amici di Kamya sono anche i miei- il
sorriso di
Nadia era accogliente e caloroso come quello di una vera diplomatica.
-Non
saprei esprimere la nostra gratitudine, Vostra Altezza- nella mente
di Élan si erano marchiate a fuoco le parole
“Contessa di Vesuvia
e Principessa di Prakra” perciò optare per un
inchino le parve il
minimo.
-Potreste
iniziare rilassandovi e chiamandomi “Nadia”.-
-Ehilà,
Noddy!- esultò Death Mask, per il puro gusto di strafare.
Lo
sgomento fu generale: mentre i cortigiani si perdevano in commenti,
il calice di vino che Nadia teneva in mano le scivolò dalle
dita, si
infranse in mille pezzi e andò a macchiare un tappeto nuovo.
Se
Valerius fosse stato un uomo diverso avrebbe colto
l’occasione per
metterla in ridicolo alla luce delle recenti prediche. Buon per lui
che fosse abbastanza furbo da sapere di doversi mordersi la
lingua…
-Ma
sei scemo?! Non puoi chiamarla così, è una
principessa!- protestò
Élan.
-Ha
detto di rilassarci!-
-Appunto,
rilassarci, non allargarti troppo, non sei a casa tua!-
-Disse
quella che aveva mostrato zero rispetto per un Cavaliere
D’oro!-
L’allusione
al loro primo incontro scatenò un litigio tanto animato che
Vulgora
li incitò a passare alle mani, Portia si mise tra loro per
tentare
inutilmente di calmare gli spiriti e Valerius cominciò a
borbottare
su quanto la buona reputazione del palazzo sarebbe colata a picco se
si fosse continuato ad accettare soggetti di quella levatura tra gli
ospiti; alle sue critiche si unì Vlastomil che non
apprezzava le
pessime maniere di nessuno dei due, e Volta che cercava di placare
Vulgora affinché non succedesse niente di male al suo nuovo
amico
“granchietto”.
Valdemar
era l’unica a non partecipare: preferiva starsene in disparte
fissando la scena con un ghigno deliziato.
La
stanza si era riempita di un’assordante cacofonia ma Nadia si
era
isolata nelle sue riflessioni: quel sorriso,
quell’atteggiamento,
persino quel modo di parlare e i suoi occhi… Ma soprattutto
quel
dannato soprannome! Lui era stato l’unico
che l’avesse
chiamata “Noddy” a suo tempo, e ora il Cavaliere
aveva fatto la
stessa identica cosa in maniera del tutto spontanea.
Le
teorie e i timori vorticavano, prendevano il volo a una
velocità
spaventosa e per quanto confortante fosse il pensiero che si
trattasse di tutta una grande coincidenza, la principessa sapeva
molto bene che il caso non esistesse. Bastò un rapido scatto
nell’alzarsi in piedi a convergere tutte le attenzioni dei
presenti
verso di lei e a far calare un silenzio di tomba. Le prime parole che
lo spezzarono, furono per i cortigiani.
-Vogliate
scusarmi, signori, ma sembra che il dovere mi chiami. Portia, conduci
Élan alla stanza di fronte a quella di Kamya, e voi,
Cavaliere…-
si rivolse a Death Mask con sguardo vitreo -Vogliate farmi la
cortesia di seguirmi.-
Nadia
scortò il trio fuori dal salotto e si avviò lungo
la strada per le
stanze degli ospiti; l’andatura spedita del suo passo
trasudava la
sicurezza di chi sapeva in che modo agire, ma il tremolio dei suoi
pugni rischiava di tradirla. Élan, di quando in quando, si
voltava
verso Death Mask per mormorargli un piccato “te
l’avevo detto”
ma non riceveva altro che gesti di noncuranza in risposta.
Giunsero
all’ala designata in pochi minuti e la contessa
imboccò la
scalinata per le stanze di Lucio; Mercedes e Melchior, beati nella
loro pennichella pomeridiana, sollevarono a malapena un orecchio nel
sentirla passare, ma sollevarono il muso increduli alla vista di
Cancer. L’uomo ebbe un momento di esitazione alla loro
sorpresa, ma
continuò a seguire Nadia quando lei lo fissò con
un’espressione
tutt’altro che amichevole.
Élan
non aveva potuto seguirli direttamente, ma aveva capito stesse
accadendo molto più di quanto la logica potesse spiegare: di
qualunque argomento avessero avuto intenzione di discutere, doveva
esserci anche lei.
Accompagnò
Portia per un altro paio di metri, girato l’angolo
sfruttò tutta
la furtività che le riusciva e ritornò svelta sui
suoi passi per
seguire quelli della principessa.
All’inizio
del corridoio che precedeva la camera di Lucio, venne investita dalla
stessa sensazione che aveva oppresso Kamya, ma più che il
disagio
poté la brama di sapere: sapere cosa fosse accaduto a
quell’area
del castello, perché Nadia avesse scelto un tugurio simile
per una
chiacchierata e cosa avesse suscitato in lei una reazione tanto
imperscrutabile.
Quei
pochi raggi di sole che riuscivano a farsi strada attraverso
l’opacità dei vetri sporchi furono più
che sufficienti a guidarla
e, anche se fuori dalla porta le voci suonavano attutite, le
bastò
socchiuderla per cogliere il fondamentale.
-Ditemi,
Cavaliere- lo incalzò la contessa -Voi non siete di queste
parti,
dico bene?-
-Io
e la piccoletta? Assolutamente no.-
-Ma
dico bene quando affermo che siete nato nel nord. Il clima doveva
essere di difficile gestione da quelle parti.-
-Difficile
sì, ma nord no. Era il sud.-
I
tentativi di Nadia nel mantenere ferma la voce e bassi i toni erano
encomiabili, ma ad ogni evasiva risposta di Death Mask, la
convinzione veniva sempre meno.
-La
vostra famiglia si trova ancora lì?-
-Mai
conosciuta.-
-Non
ne avete nemmeno qualche ricordo?-
-Tutti
rimossi…-
Più
che di una conversazione, si sarebbe potuto parlare di un
interrogatorio, o uno scambio di battute che rasentavano il
monosillabico; l’illuminazione era scarsa anche in quel caso,
ma
pure osservando così poco e da così lontano,
Élan poté benissimo
scorgere la reciproca diffidenza e le posture rigide: Death Mask con
le braccia conserte e Nadia con le dita intrecciate strette tra di
loro.
Con
passo felpato la donna prese a girare attorno all’uomo per
soppesarne l’apparenza; le sue gonne raccoglievano tutta la
polvere
che trovavano sul pavimento ma la sporcizia era irrilevante rispetto
al raggiungimento del suo obbiettivo.
-Trovate
l’arredo di vostro gradimento?- domandò
sciogliendo le dita per
indicare ciò che stava loro attorno.
Death
Mask studiò i suppellettili e non trovò una sola
lancia da spezzare
a loro favore: nessun mobile era stato spolverato negli ultimi tre
anni, lo stile era antiquato e, anche se non poteva saperlo,
l’uomo
carbonizzato lì dentro non era mai stato rimosso; non che il
forte
odore della morte lo disturbasse, ma l’aria era talmente
carica di
cenere che ogni colpo di tosse trattenuto, gli costava uno sforzo. I
dipinti del biondino, poi, erano pacchiani e in sovrannumero…
Non
avrebbe voluto mentire così spudoratamente, ma
l’ultima volta che
aveva espresso il suo parere senza fronzoli, aveva provocato un
disastro… Forse era il caso di puntare
sull’approccio che
Aphrodite avrebbe definito “fake it ‘till you make
it”, “fingi
finché non lo ottieni”.
-Come
no! Tutto molto incantevole! Magari con una passata di
aspirapolvere…- strusciò un dito sulla superficie
più vicina e ne
rimase sopra un tale quantitativo di grigio che più che un
gattino
di polvere, gli sarebbe venuto da definirlo un gatto così
vecchio
che l’indomani sarebbe andato a ritirare la pensione -Qualche
cuscino colorato… Ma soprattutto punterei sui dipinti di
guerra del
tizio ossigenato, quelli sì che danno un tocco di classe!-
esclamò
in un eccesso di veemenza.
Nadia
poteva definirsi molte cose, ma non una sciocca, e dall’alto
del
suo fine orecchio musicale aveva colto ogni nota di ironia; poteva
trattarsi di una verità non pura, una teoria fantasiosa o un
abbaglio, ma troppi erano gli ingranaggi che stavano combaciando e
l’aggiunta di un’altra molla avrebbe reso lo scatto
del
meccanismo distante solo un ticchettio.
-Vedo
che li apprezzate, ma mi trovo a non condividere i vostri medesimi
gusti artistici- con un gesto rapido ma aggraziato, afferrò
il
candelabro dello scrittoio e girandone il collo, sbloccò un
incastro
che lo divise in due parti: i bracci per le candele in una mano, e la
base da cui ora spuntava una corta lama nell’altra. Si
accostò al
quadro più vicino e ce la pose sopra -D’altro
canto, mi trovo nel
mio palazzo: se volessi sfregiare questo ritratto,
per
esempio, voi non potreste avere nulla da ridire in
proposito…-
-No,
non farlo! È uno dei miei preferiti, Noddy!- la
pregò fintamente
lui serrando le distanze. Con uno guizzo del polso, Nadia
puntò la
lama alla gola di Death Mask, fermandolo a meno di un braccio di
distanza -Vedo che non ami i soprannomi… E nemmeno i miei
dipinti
preferiti…- la punzecchiò lui sorpreso, ma non
intimidito.
La
tensione si sarebbe potuta tagliare proprio come l’uomo che
le era
di fronte, e per l’ansia che lo stava caricando, il cuore
della
contessa impazzì di battiti. Amava i giochi di logica e le
sfide
mentali, ma altrettanto amava non perderli e proprio in quel momento
si sentiva con un piede sul baratro della sconfitta.
-Ma
insomma, voi chi diavolo siete?- sibilò.
Élan
non ci vide più. Aveva retto la pressione man mano che
saliva, ma
era diventata troppa: spalancò la porta con una spallata e
corse a
mettersi tra i due.
-Contessa,
fermatevi! Che state facendo?!-
Nadia,
per evitare di ferirla, piegò il gomito ma mantenne la sua
posizione
d’attacco.
-Solo
mio marito usava chiamarmi in quel modo e il vostro “cavaliere”
me lo ricorda fin troppo: stesso sguardo, stesso modo di parlare,
anche lui veniva dal sud e non godeva di ottimi rapporti con la
propria famiglia. Cosa dovrebbe farmi pensare che non siano la stessa
persona?-
Ad
Élan bastò sollevare lo sguardo per esaminare il
conte di cui non
si faceva altro che vociferare: Lucio e Death Mask avevano entrambi
gli occhi chiari, era vero, l’oro era parte condivisa del
loro
look, ma c’era un’altra caratteristica che li
avvicinava e li
divideva allo stesso tempo.
-M-ma
sono coetanei! In quel dipinto è rappresentato un uomo
piuttosto
giovane. Se non è un ritratto vecchio, come avrebbe potuto
essersi
reincarnato in una persona della sua stessa età?- la logica
era
ferrea, ma Nadia non si sentiva del tutto persuasa -Ci sarebbe
un’altra cosa, ma non so se sarebbe credibile ai vostri
occhi…-
-Fate
un tentativo.-
-Quando
Death dice che non siamo di queste parti, non intende dire che non
siamo di questa città: noi non siamo
proprio di questa
dimensione!- la lama si abbassò ancora -Veniamo da un posto
chiamato
“Grande Tempio” e non è a nord, sud,
sotto, sopra, o
raggiungibile con una carrozza: ci si arriva solo attraverso un
portale che pochi sanno aprire. Credo in molte cose ma non sono certa
che reincarnarsi nel corpo di un coetaneo, per giunta di
un’altra
dimensione, sia possibile…- la difesa era inattaccabile e
Nadia
venne disarmata con gran delicatezza mentre Élan tentava di
sfilarle
via il portacandele -Per cui, che ne dite di seppellire
l’ascia di
guerra e consegnarmi il… Candelabro? Però, che
bella arma!-
La
contessa rinfoderò la spada, fece scattare il meccanismo e
risistemò
l’oggetto al suo posto sulla scrivania.
-Mio
marito negli ultimi mesi della sua vita era convinto che qualcosa di
terribile lo stesso perseguitando. Era diventato paranoico per cui
aveva fatto disseminare molte armi nascoste nel castello. Armi come
questa.-
-Inquietante.
Fico ma inquietante…- asserì la fata.
-Eccoti!
Temevo ti fossi volatilizzata!- Portia fece capolino
all’ingresso
di nuovo col fiatone; aveva cercato Élan in lungo e largo e
alla
fine l’aveva trovata proprio con il suo cavaliere,
esattamente come
le aveva suggerito l'istinto… Peccato avesse finito per
trovare
anche un’atmosfera piuttosto pesante -Ehm, va tutto bene?-
-Alla
grande! Noddy ci stava parlando del suo matrimonio basato su
reciproco amore e fiducia!- se ne uscì Death Mask visto che
i loro
rapporti non sarebbero potuti comunque peggiorare.
La
contessa gli rivolse un’ultima espressione di biasimo e si
avviò
verso l’uscita.
-Ti
chiedo scusa per aver interrotto il tuo lavoro, Portia. Procedi pure.
Vi attenderò a cena, siate puntuali- si
raccomandò con i suoi
ospiti prima di varcare la soglia assieme alla sua cameriera.
Trascorso
il tempo necessario a non sentirne più i passi,
Élan tirò una
gomitata sul braccio di Cancer abbastanza forte da assicurargli
almeno un piccolo livido.
-Datti
una controllata, capo! Ci stanno facendo un gran favore!-
-Eeeeh!
Come la fai lunga! È una donna adulta: saprà
reggere un piccolo
botta e risposta!-
-Be’,
quella
donna adulta ci sta
trattando con i guanti di velluto, quindi vedi di rigare dritto prima
che ti ci faccia rigare io! E
un’altra cosa: i
ponti vorrei usarli per farci le ferie, non per viverci sotto!-
Mentre
le proteste della fata si perdevano nel corridoio, Death Mask scosse
la testa con una risata: era tanto carina quando metteva la sua
sagacia al servizio della sua rabbia, lo faceva sentire come se non
fosse davvero nei guai.
Nel
momento in cui s’incamminò per raggiungere le due
ragazze, un
brivido lungo la schiena lo bloccò sul posto; nonostante
l’aria
fosse diventata bollente d’improvviso, un’immagine
ai bordi della
sua mente gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene. La persistente
sensazione di essere spiato lo portò a voltarsi di scatto ma
nessuno
nella stanza si era mosso se non i brandelli delle tende agitate dal
vento. Sarebbe stato pronto a giurare ci fosse qualcosa dietro a una
delle colonne del letto e soprattutto sarebbe stato pronto a indagare
più a fondo ma un altro richiamo di Élan
scombinò le sue priorità.
-Death
Mask! Muovi ‘sto granitico culo prima che faccia notte!-
Non
era certo di quale mistero si stesse celando ai suoi occhi, ma
promise a se stesso e al conto in sospeso di non lasciarlo tale
troppo a lungo.
Portia
conosceva a menadito ogni angolo del castello, ogni stanza, ogni
ripostiglio o cantuccio, persino i passaggi segreti non nascondevano
sorprese per lei; era proprio questa conoscenza a donarle
l’imparzialità con cui affermare che la stanza
dedicata a Death
Mask ed Élan fosse una delle più belle
dell’intero palazzo.
Specie a quell’ora della giornata, non perdeva occasione per
metterci piede dentro e bearsi di uno stupore che stavolta
impressionò persino il Cavaliere D’oro.
La
porta si spalancava alla destra di un maestoso letto con baldacchino
di seta indaco, sulla parete opposta i bordi di un ampio specchio
erano sommersi da una cascata di cristalli scintillanti, ma nessuno
dei due era il pezzo forte: dal balcone si poteva godere del miglior
panorama che la città avesse da offrire e, soprattutto, del
tramonto
che si stagliava all’orizzonte. Questo magnifico scenario era
stato
ricreato sulle porte del terrazzo cosicché, quando il sole
cominciava a tuffarsi tra le onde marine, la sua luce investiva le
tessere di vetro e immergeva la stanza in un tripudio di vivaci
colori; di quella stessa luce godevano anche le costellazioni
argentate sulle pareti blu notte e sulla volta del soffitto. Il resto
del mobilio erano un semplice armadio e uno scrittoio entrambi
d’avorio con angoli e giunture argentati.
Élan
non perse tempo e corse a gettarsi sulle lenzuola più
soffici che
avesse mai provato, mentre Cancer se ne stava con le braccia larghe
in segno di trionfo e col naso all’aria per trovare il
proprio
gruppo di stelle; compiuta la missione indicò le ragazze con
un
gesto elettrizzato ed esultò a gran voce.
-Questo
sì che si chiama salire di categoria!-
-Lenzuola
soffici, lenzuola soffici, lenzuola soffici…-
mormorò la fata con
la faccia affondata in un cuscino bordato di frange.
-Verrò
a chiamarvi per la cena, dovrebbe venire servita tra poco. Mettetevi
a vostro agio ma, vi supplico, non offendete altri membri
dell’alta
nobiltà di Vesuvia- lasciati con una malferma
raccomandazione e
seguita nel corridoio da altre esclamazioni di gioia, Portia si
beò
della loro reazione come se fosse stata lei ad arredare e dipingere
la stanza, ma specialmente si rasserenò all’idea
che quelli
fossero i nuovi amici di suo fratello.
Intanto,
l’entusiasmo per la nuova sistemazione aveva rasserenato i
toni tra
Death Mask ed Élan.
-Finalmente
un letto confortevole- sospirò lei respirando a fondo il
profumo del
raso fresco.
-Abbiamo
la nostra privacy- aggiunse l’uomo con tono allusivo.
-Niente
faccende di casa…-
-L’ho
già detto che abbiamo la nostra privacy? E tempo prima di
cena…-
le si avvicinò predatorio ma a vederla scostare il
baldacchino dal
fondo del letto, gli tornò in mente quello stracciato nella
camera
del conte.
Realizzò
in un lampo che non c’era tendaggio o arredo fastoso che
potesse
seppellire le orribili sensazioni che l’avevano seguito dalla
stanza di Lucio, né colore che gli facesse dimenticare il
grigio
spento della cenere… Quello che era davvero in suo potere,
era
sentire il loro alito bollente sul collo, un invito a tornare per
dedicare loro la sua incondizionata attenzione.
-Mi
stai dicendo che vuoi testare le molle?- Élan si
girò sulla pancia
e, reggendosi coi gomiti, si prese il mento in una mano e con
l’altra
accarezzò languida il materasso. Vedendo il suo compagno
distratto,
aumentò la posta in gioco accarezzando il labbro inferiore
col
mignolo e stringendo il seno tra le braccia per farlo apparire
più
abbondante: con quella posa da “ho un gran bel paio di
tette” non
poteva resisterle.
Eppure
lo fece.
-Sì,
sì, magari un’altra volta…- la
liquidò Cancer, scartando verso
la porta e praticamente sbattendosela alle spalle.
Dire
che la giovane rimase spiazzata, fu un eufemismo. Si
raddrizzò e
tentò di analizzare la situazione per vedere cosa le fosse
sfuggito:
Death Mask era forte, giovane, con la libido di un toro, in tre
giorni le era saltato addosso in ogni luogo e in ogni lago,
l’aveva
tentata tutte le sere e non aveva perso occasione per metterle le
mani addosso!
L’unica
cosa a fermarlo, oltre ai loro vestiti, era stata
quell’occhio di
falco di Mazelinka, che Élan aveva mentalmente rinominato
“KGB
levati”; per carità, era stato piacevole sbrigare
faccende
casalinghe che non comportassero rischi o pericoli, si era divertita
a veder scorrere la vita della parte bucolica e rilassata della
città
ma il suo ritornello faceva rima con quello di Death Mask e avrebbe
ceduto più volte di quante non gliene fossero state
proposte… Ma
allora perché adesso che l’unico impiccio era la
tempistica, lui
girava i tacchi per andarsene? Cos’è che lo stava
distraendo
tanto?
Nemmeno
il diretto interessato poteva darle risposta, ma sembrava che un
compiaciuto duo di cani fosse giunto per portarlo dove ne avrebbe
trovate. Il Cavaliere se li ritrovò di fronte uscito dalla
camera:
appena lo videro, Mercedes si raddrizzò sulle zampe, gli
saltò al
petto e prese ad annusargli il mento, Melchior gli
trotterellò
attorno scodinzolando come un matto e con la lingua penzoloni.
-Okay,
okay, grazie per l’entusiasmo!- Death Mask
gettò le mani in
aria e la testa all’indietro per evitare le coccole umidicce.
Non
se ne intendeva molto di animali ma era strano che dei levrieri mai
visti prima lo accogliessero con lo stesso affetto di un padrone che
non vedevano da tempo… Ancor più strano era che
tutta quella
confidenza venisse proprio dai due esemplari famosi per la loro
diffidenza. Ma la cosa più strana di tutte furono le
testatine che
Melchior prese a dargli alle gambe quando la sorella si
incamminò
per il corridoio.
L’uomo
gettò uno sguardo interrogativo al cane ma la scontata
risposta fu
un abbaio e altre capocciate; tentò di placarlo con qualche
carezza,
magari quello che voleva erano solo delle coccole, ma la sua mano
venne abilmente schivata. Dopo un lungo, silenzioso scambio di
sguardi, fece qualche passo nella direzione seguita da Mercedes e
Melchior lo seguì prontamente. Ci riprovò un
altro paio di volte e
lo scenario fu lo stesso; se seguiva la direzione intrapresa dalla
levriera, filava tutto liscio, ma se osava anche solo tentare di
seguire la via opposta, il fratello lo placcava e protestava
sonoramente.
A
Death Mask bastò poco per realizzare che se avesse indossato
stoffa
piuttosto che un’armatura, l’avrebbero trascinato
fino a
destinazione, e che la sua unica scelta era accontentarli.
Si
voltò indietro a guardare la porta della sua nuova camera e
tirò
uno sbuffo colmo di rimpianti: era troppo tardi per tornare da
Campanellino e sbattersela contro la superficie più solida
della
stanza come aveva anelato dal loro primo incontro, vero?
Mentre
si decideva una volta per tutte a soddisfare i morbidi levrieri,
afferrò che, purtroppo per lui, era tardi anche per seguire
il suo
buon senso ma d’altro canto, era in gioco, quindi gli
conveniva
giocare…
N.d.A
Ogni
volta è una sfida trovare il giusto mezzo tra lo stile di
NixHydra
(senza cadere nella copia parola per parola) e lo stile che si addice
più a me, ma ogni capitolo che metto su carta diventa sempre
più
facile. La trama sta cominciando a infittirsi e per il prossimo
capitolo prometto un bel po’ di brividi. Stay tuned!
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Capitolo 5 *** 5 - Confrontation ***
5
- Confrontation
Il
saggio impara molte cose dai suoi nemici (Cit. Aristotele)
Per
essere la stanza in cui si era consumato un incendio, la camera di
Lucio non ne aveva davvero l’aspetto. Senza nessuno a
mettergli
fretta o distrarlo, Death Mask l’aveva visto con maggiore
chiarezza: il legno dei mobili non si era carbonizzato, i vetri delle
finestre non si erano opacizzati e i muri non erano striati di
fuliggine né trasudavano il puzzo rancido che appestava
anche le
case dei semplici fumatori.
Aveva
creduto di essere soffocato dalla cenere quando Nadia gli aveva fatto
il quarto grado, ma si era trattato e continuava a trattarsi di
semplice polvere: tutto ne era ricoperto, ma al di sotto di essa i
mobili erano intonsi, e purtroppo non era l’unica bizzarria.
A
dispetto dello stato di abbandono e della mancanza di sole diretto,
non c’era odore di muffa né di umidità,
un caldo torrido rendeva
ogni respiro soffocante, annebbiava i sensi e si appiccicava alla
pelle fino a farla sudare. Era come se il fantasma
dell’incendio
perseguitasse a consumare quelle pareti e ciò non faceva che
aggiungere domande ad altre domande, ma era inutile supporre la
storia di quel disastro quando avrebbe potuto confrontarsi col
diretto interessato. Dopotutto, gli stava di fronte. Esattamente
davanti a lui.
Quando
aveva deciso di affidarsi al suo sesto senso da Cavaliere, unico che
gli fosse rimasto a non poter essere intorpidito o confuso, ecco che
lo aveva tradito svolgendo in modo egregio il suo compito; aveva
espanso i confini della sua mente oltre le percezioni procurate dai
cinque sensi, ascoltato le vibrazioni vitali provenienti non solo
dalle altre stanze del castello, ma dagli altri piani
dell’esistenza
stessa e quando aveva percepito un’increspatura nella tombale
calma
che lo circondava, aveva riaperto gli occhi in un’allerta
carica di
angoscia.
A
mezzo metro dal guerriero, ora stava una sagoma ricurva, con fattezze
a tratti umanoidi e a tratti caprine, dai lampeggianti occhi
scarlatti e privo del braccio sinistro.
-Presumo
voi siate il famigerato Conte Lucio…- mormorò
Cancer con voce
ferma ma gola secca per l’agitazione.
Ci
sarebbe stato molto di più di ciò che avrebbe
voluto dirgli e
chiedergli, ma lo sguardo del suo interlocutore gli suscitava
un’ingiustificabile quanto viscerale paura che credeva di
aver
seppellito quasi vent’anni fa assieme alla sua prima vittima:
erano
gli occhi di Lucio e la malignità che ne traspariva ad
avergli
solleticato i bordi della mente quando aveva tentato di andarsene,
era la primordialità del suo male a bloccare la sua lingua
altrimenti tagliente e i suoi muscoli scattanti… Non la
trasparenza
della sua figura o la malizia della sua reputazione, ma
l’imperscrutabilità di una cattiveria che nasceva
e si lasciava
guidare da null’altro che un caotico capriccio e che, peggio
di
tutto, sembrava capace anche di scrutare nei meandri più
reconditi
della sua anima.
La
situazione poté solo peggiorare quando Lucio
stiracchiò un ghigno
fin dove gli permetteva il suo muso animalesco, e in un verso
distorto, parlò.
-Io
so invece che tu sei il Cavaliere D’oro del Cancro.-
Ridacchiò
con un mezzo belato. Death Mask non trovò provocazioni o
insulti per
rimbeccarlo, fu solo in grado di fissarlo disgustato mentre il
moncherino del braccio si alzava e un calore ustionante si irradiava
all’altezza della spalla dove sembrava essersi posata la mano
mancante del fantasma.
-Con
un titolo del genere, io e te diventeremo
senz’altro… Ottimi…
amici!-
Più
che un proposito, sembrava una minaccia e ancora una volta le parole
a Death Mask vennero meno; impietrito dal terrore, scosso dalla testa
ai piedi da un brivido gelido, supplicava dentro di sé per
qualunque
diversivo che lo avesse potuto smuovere, che lo avesse portato a
combattere un nemico altresì inerme di fronte alla sua forza
ma
nessuno sapeva si trovasse lì, il tempo che avrebbero
impiegato
prima di venirlo a cercare era inquantificabile così come il
tempo
che avrebbe resistito lui senza lasciarsi scivolare nella pazzia.
Poi, deus ex machina.
-Buoni,
raga, buoni! Vengo in pace!-
I
versi di Mercedes e Melchior si unirono alle rassicurazioni di
Élan
e mai il silenzio fu riempito in maniera altrettanto rincuorante e
chiassosa.
Death
Mask si girò in direzione della porta e di nuovo dove stava
Lucio,
ma il Conte era sparito; di nuovo in possesso delle sue
facoltà
fisiche, marciò fuori dalla camera e s'imbatté in
uno scenario
bislacco: i due mastini, a pelo ritto e denti scoperti, tenevano a
debita distanza la fata che, per cercare di placarli, stava imitando
la posa di Chris Pratt in “Jurassic World” e il
tono tipico di un
presentatore italiano che il Cavaliere riconobbe.
-Boniiii,
shhh! State boniii!-
-Che
fai?!- sbottò, non in vena delle solite buffonate.
-Sto
cercando di calmarmi imitando Maurizio Costanzo, magari sono dei fan
di “Buona domenica”!-
L’uomo
roteò gli occhi, la afferrò per un polso e la
trascinò via per il
corridoio, là dove la luce del castello diradava le tenebre
a
sufficienza da non farlo sentire minacciato… Ma la questione
era
tutt’altro che alle sue spalle.
-Cos’è
successo?- indagò Élan, incespicando nei suoi
stessi passi.
-Nulla-
tagliò corto lui con la bocca arida e la pelle puntinata dai
brividi, ma la ragazza non si accontentò: si
liberò dalla sua presa
malferma, lo afferrò per le spalle dove l’armatura
le lasciava
spazio e lo costrinse a darle le dovute attenzioni. Anche quando lui
rivolse gli occhi a setacciare il fondo ora vuoto del corridoio, non
si diede per vinta.
-Non
me la dai a bere: ti è cambiata la voce e parli a
monosillabi, sudi
freddo, ti tremano le mani, non riesci nemmeno a reggere il mio
sguardo, sei chiaramente in stato di shock!- non le serviva molto per
capire quando il suo compagno fosse turbato e dopo una rapida analisi
era riuscita a scorgere in lui persino un’angoscia inedita.
Death
Mask emise un verso di stizza, arricciò le labbra in
un’espressione
tiratissima e, come sempre quando non sapeva che strategia adoperare,
la sbeffeggiò.
-E
quindi che vorresti farmi fare? Sdraiare e sollevare i piedi in
alto?-
-Oh
no, non funzionerebbero con te. Pensavo a un tipo di approccio
più…
Personalizzato.-
Senza
concedergli il tempo di chiederle quale fosse, Élan raccolse
tutte
le forze che aveva in corpo, lo spinse contro la balaustra, ci
salì
sopra con le ginocchia e si poggiò labbra contro labbra al
Cavaliere. Gli strinse le braccia al torace per darsi ulteriore
sostegno e rendergli impossibile la fuga, ma dopo un primo momento di
sorpresa, Cancer le sospirò sul viso, le prese le guance tra
le mani
e cominciò a lasciare che i muscoli si distendessero uno per
volta.
I
suoi pensieri galopparono rapidi via dalla stanza infestata e a
contemplare la gratitudine che provava verso la brillante, tenace
creatura: non aveva speso che una manciata di secondi nella trance
indotta da Lucio, troppi pochi perché potesse essere rimasto
del
tutto solo nel suo tragitto, il che significava che Élan lo
avesse
seguito quasi subito. Solo lei avrebbe potuto salvarlo da quella
situazione, solo lei sarebbe stata temeraria da sfidare due mastini
incazzati e risoluta quanto bastava per capire come rimettergli la
testa sulle spalle e fargliela riperdere allo stesso tempo. Lei e
nessun altro.
Quando
lo sentì ricambiare il bacio, Élan
cominciò a chiudere e aprire le
labbra per dare un ritmo alla loro effusione finché non le
sfuggì
un gemito trasognante; prima che potesse scappargliene un altro,
poggiò la sua fronte al casco di Death Mask e riprese fiato.
-Dubiti
ancora dei miei metodi persuasivi?- gli sussurrò vittoriosa.
L’uomo
rise ma in un modo talmente passionale e caloroso, che la giovane si
morse un angolo della bocca.
-Non
dubito dei tuoi metodi perversi… Ma
questo già si sapeva…-
-Ho
avuto un buon maestro!- replicò prima di addentargli con
delicatezza
il labbro inferiore incurvato in un sorriso stuzzicante.
I
loro sguardi si persero l’uno dentro l’altro mentre
si fissavano
oltre le ciglia, fin quando una voce impacciata e piena di imbarazzo,
impedì loro di proseguire.
-Scu-scusate?-
era Portia. Venuta a cercarli dopo non averli trovati in camera, li
aveva sentiti tubare in cima alle scale. Non era suo uso e costume
intromettersi, ma viste le circostanze non aveva potuto farne a meno
-Sto… Interrompendo qualcosa, vero?- Death Mask ed
Élan risposero
in contemporanea con un incurante “no” e uno
sdegnato “sì!”,
ma la rossa continuò -Ecco, mi dispiace ma la cena
è pronta, i
cortigiani si sono già accomodati a tavola e la Contessa
Nadia
dovrebbe raggiungervi tra pochi minuti. Sono venuta apposta per
accompagnarvi.-
Impossibilitati
a rifiutare l’invito, il duo venne scortato nello stesso
salone in
cui Nadia aveva spiegato a Kamya l’incarico che intendeva
affidarle, e lì vi trovarono effettivamente il bizzarro
gruppetto di
nobili che avevano conosciuto nella sala del tè: da un lato
si erano
accomodati, a distanza di un posto, Valerius e Vlastomil,
dall’altro,
con la stessa disposizione, Volta e Vulgora; uno dei capi del tavolo
era lasciato libero per la Contessa, l’altro era occupato da
Valdemar.
Come
li videro varcare la soglia, Volta prese ad agitarsi sulla sedia e
Valdemar si girò con un sogghigno inquietante. Per
l’occasione si
era tolta la mascherina e i suoi denti aguzzi luccicarono sotto la
luce dei lampadari; altrettanto valore non lo guadagnava il suo
incarnato oliva.
Dopo
tanto vagabondare e dopo tanti angoscianti incontri, Death Mask ed
Élan avevano fatto il callo alle personalità
eccentriche, i
cortigiani non li impressionavano dunque, ed entrambi si sarebbero
potuti persino prospettare l’idea di una cena gradevole se
non
fosse per stato per un dipinto in particolare: il banchetto di Lucio
circondato da commensali animaleschi. Quello dove lui era un caprone
bianco.
Non
appena il Cavaliere lo vide, si bloccò sulla porta, i pugni
serrati
lungo i fianchi, la mandibola contratta e una paralisi muscolare che
non gli lasciava scampo; la sua nemesi caprina l’aveva
preceduto
fin lì sulla tela e per quanto si ripetesse che fosse una
coincidenza, una sbafata di olio su stoffa grezza e che la bestia
stesse guardando dritta davanti a sé, Death Mask avrebbe
giurato di
aver scorto un guizzo sotto i suoi occhi infuocati, un guizzo che
l’avrebbe seguito in ogni angolo della sala e per tutta la
nottata
fin dentro ai suoi incubi più nefasti.
Vedendolo
assente ma non in modo pacifico, Élan gli si
accostò, provò a
intuire cosa lo tormentasse e alla fine se ne uscì con una
strategica bugia.
-Mmmm,
hai ragione, Death!- lo richiamò -Se ti sedessi accanto al
Console e
al Pretore rischieresti di dargli l’armatura in testa:
mettiti
accanto alla Procuratrice e al Pontefice, dovremmo stare tutti comodi
così!-
Volta
accolse la proposta con entusiasmo; Vulgora, al contrario,
lanciò
alla fata una serie di sfide a combatterlo per provare sulle sua ossa
la sua forza smisurata. Tutto fumo e niente arrosto, i suoi scatti di
collera vennero ignorati. Il Cavaliere D’oro annuì
una sola volta,
riservò alla compagna un’espressione di muta ma
profonda
gratitudine e prese il posto che gli era stato suggerito:
l’incriminato pezzo d’arte stava ora alle sue
spalle e magari
poteva sentirsi una preda puntata dal falco, ma col passare della
cena confidava se ne sarebbe dimenticato.
Élan,
ora tra Valerius e Vlastomil, sfoggiò tutta la buona
educazione che
le avevano impartito i suoi genitori: adottò una postura
scomoda ma
elegante, stese il tovagliolo sulle gambe e appoggiò i palmi
sul
bordo della tavola in attesa dell’arrivo della padrona di
casa, ma
non impressionò comunque il console.
Valerius
nutriva sentimenti contrastanti per gli ultimi arrivati al castello.
Death Mask aveva un’armatura di tutto rispetto a sottolineare
l’importanza del suo altisonante grado, ma non era capace a
dimostrarne, di rispetto, e le sue buone maniere ricordavo quelle di
un vaccaro piuttosto che di un uomo dell’esercito;
Élan, d’altra
parte, era encomiabile nei suoi sforzi di apparire
all’altezza
della situazione, ma anche un’insignificante popolana:
nondimeno,
erano elementi troppo scarni per dare un giudizio accurato e se
voleva palesare il suo astio, doveva conoscere le loro intenzioni e
raccogliere maggiori evidenze della loro inappropriatezza.
-Potrei
chiedervi che cosa vi abbia spinti a visitare Vesuvia in questo
periodo dell’anno?- fece un cenno ai servitori
dall’altra parte
della stanza affinché servissero da bere a tutti i
commensali;
arrivati al suo calice, poggiò la punta delle dita sul collo
della
bottiglia in modo da colmare il suo bicchiere -Immagino siate stati
informati della notizia della Mascherata, anche se non pensavo una
novità del genere potesse aver viaggiato tanto in fretta
oltre i
confini della città. Suppongo sia merito della fattucchiera
e dei
suoi trucchetti magici…-
Trascurando
il papabile disprezzo e il tono piccato, Élan si accese e
sorrise
raggiante a Death Mask.
-Un
ballo in maschera! Ho sempre sognato di partecipare a uno! Quando
sarà? Death, dobbiamo restare assolutamente!-
Il
console riuscì a mormorare a stento un “qualche
settimana” che
la voce del Cavaliere lo coprì.
-Ragazzina,
non credo ci fermeremo tanto a lungo!-
-Potremmo
farlo, se le indagini di Kamya si prolungassero e avesse bisogno del
nostro supporto- gli fece notare nella speranza di persuaderlo.
Valerius
si sforzò di inserirsi nel discorso, chiedendo come stesse
procedendo la missione della strega, solo per venire ignorato.
-Anche
se fosse, dove li troviamo dei costumi?!-
-Li
facciamo con le tende in pieno stile “Via col
vento”!-
-Ti
sembro Rossella O’Hara, per caso?!-
-Signori,
vi prego!- tuonò il Console per attirare
l’attenzione: ne aveva
avuto abbastanza dei loro toni assordanti, dei modi sgarbati e
soprattutto del fatto che gli parlassero sopra per portare avanti uno
sconclusionato battibecco. Il volgare suggerimento di Élan
di
travestirsi con la tappezzeria, seppur raffinata, era stata la goccia
che aveva fatto traboccare la già modesta misura del
cortigiano -Non
siete costretti a prendere parte alla celebrazione se questo dovesse
andare contro i vostri impegni. Nel caso, poi, aveste problemi con
l’abbigliamento adeguato, sono certo che potrete sfruttare la
simpatia che la Contessa nutre per la strega e farvi procurare il
necessario. Anche se penso non vi saranno necessari vista la vostra
colorata personalità!-
All’ultima
affermazione accompagnò uno scatto del polso che
rovesciò il
bicchiere di Élan, schizzò il centrotavola di
bacche e fece colare
una buona dose di vino addosso ai piatti della fata e sulla sua
divisa. La ragazza scattò in piedi fissando orripilata il
“battesimo” e allargando le braccia tanto da far
volare via il
cappello del pretore. Vlastomil si affrettò a raccogliere il
copricapo, Valdemar gongolò entusiasta del caos, Volta si
mordicchiò
le dita per la fame e Vulgora procedette a staccare le bacche dalla
decorazione sporca. Il fatto che, in segreto, lo facesse con la
stessa delizia con cui avrebbe strappato gli occhi ai propri
avversari, non dimostrava proprio niente.
-Che
sbadato! Non posso credere mi sia successo un’altra volta! Le
mie
sentite scuse- si giustificò tiepido il Console.
-Un’altra
volta?!- sbottò Élan senza moderarsi.
-Sono
mortificato…- le blande difese di Valerius non potevano
suonare più
false di quanto già non fossero, ma per sua sfortuna, la
giovane
tante cose era ma non una repressa.
-Ah
no, caro il mio ragioniere! Questa non te la faccio passare liscia,
non quando ho un granchio di quasi due metri che freme per menare le
mani! Vai, Death Mask, scelgo te!- nell’aspettativa generale,
Élan
si voltò a indicare Cancer solo per trovarlo concentrato a
dividersi
il mucchietto di bacche in resina assieme a Vulgora.
L’uomo
alzò la testa con aria spaesata.
-Che?-
fece saettare gli occhi per la sala e si accorse di essere circondato
da una serie di sguardi eccitati, tranne quello di Élan che
lo stava
fulminando.
-Che.
Stai. Facendo?!- ringhiò la domanda scandendo ogni parola.
-Vuoi
che mi sporchi le mani perché tu vuoi pestare lui, ma lui
non vuole
pestare te? Preferisco mettermi comodo! Piazzo delle scommesse col
mio amico qui, come si chiama…- preso sottobraccio, Vulgora
precisò
il suo nome corrugando le sopracciglia -Vulgora! Mi godo lo
spettacolo, insomma! Se ti può far piacere, entrambi
puntiamo su di
te: sei mingherlina ma tosta, i pronostici sono a tuo favore!-
-Cos’è
accaduto in mia assenza?!-
Tutti
i presenti scattarono in piedi per accogliere l’arrivo della
sconvolta Nadia che ogni cosa si aspettava di trovare, meno che
un’atmosfera di indisciplina, lite e sregolatezza -Scommesse
a
tavola? Altri arredi rovinati dal vino, e voi, Valerius! Credevo di
essermi espressa molto con chiarezza quando vi avevo ordinato di non
umiliare i miei personali ospiti ma…-
-Aspettate,
aspettate!- la interruppe Élan: sapeva che il loro arrivo a
palazzo
avesse portato scompiglio, il rapporto tra Death Mask e Nadia, basato
sul sospetto, era con ogni probabilità irrecuperabile, ma
forse lei
era in tempo per salvare le apparenze del Console, convincerlo della
sua buona fede e ridurre l’agitazione della donna -Non
è stata
colpa del Console Valerius, volevo versarmi da bere ma mi è
scivolata la bottiglia di mano. Sono tristemente nota per essere
maldestra, ahah!-
Nadia
la squadrò con aria severa: il vino le era colato sulla
stola blu,
su parte delle gambe e aveva proseguito la sua corsa fino alle
caviglie; anche la parte bassa del ventre ne aveva accolto una buona
dose, asciugandosi sulla pelle della divisa dove ora giaceva una
macchia rossastra.
-È
la verità?- si rivolse al Cavaliere D’oro con voce
glaciale.
Cancer
annuì due volte senza pronunciarsi e la Contessa decise che
si
sarebbe accontentata della loro versione per non protrarre oltre la
scenata; alcuni camerieri sostituirono rapidi le stoviglie di
Élan,
altri sciamarono nella sala spingendo vassoi carichi di piatti
fumanti, salsiere traboccanti di sughi speziati e piccoli cesti in
cui i panini aromatizzati erano stati affettati e disposti in maniera
artistica. Portia scostò e riaccompagnò al tavolo
la sedia della
principessa per aiutarla a sedersi, e la donna ci tenne a precisare
che non avrebbe accettato il piazzamento di scommesse alla sua
tavola, soprattutto se la valuta includeva le decorazioni del
centrotavola. A far sparire l’evidenza del misfatto, fu Volta
che,
con un veloce movimento delle scarne manine, si riempì la
bocca di
perline colorate e le masticò rumorosamente.
-Quelle…-
deglutì con disgusto Death Mask -Erano bacche… Di
resina…-
La
donnina si fermò per un momento prima di riprendere a
sgranocchiarle
rapida e mandarle giù senza sforzo.
-Erano
così appetitose, tutte colorate e trasparenti, sembravano
caramelle!- gli sorrise con i suoi occhioni stanchi e pieni di rughe.
Il
Cavaliere ci rifletté e da oltre la tavola
bisbigliò ad Élan.
-Questa
qui è troppo forte, la dobbiamo portare a qualche ristorante
all you
can eat del Grande Tempio: li facciamo andare in bancarotta!-
scherzò, pregustandosi la disperazione dei
ristoratori… Almeno
finché non si ritrovò a dover sedare
l’emozione della
procuratrice.
-Oh!
Nessuno mi aveva mai invitata a cena! È un invito a cena,
non è
vero?-
-No!-
la stroncò senza che il luccichio nel suo sguardo si
affievolisse
-Proprio no!-
In
onore del quieto vivere Nadia aveva preso per buone la mediocre scusa
di Élan e lo svogliato sostegno di Death Mask, ma non
intendeva
lasciar correre nessun comportamento che fosse stato meritevole di un
premio o un castigo.
Per
ricompensare la fata, le aveva messo a disposizione i suoi bagni
privati e garantito abiti freschi per il giorno dopo, nonché
una
pulizia approfondita della sua divisa; col console non era stata
altrettanto benevola.
Sebbene
Valerius avesse denunciato la chiassosità e la mancanza di
decoro
del duo, Nadia aveva ribadito che il genere di condotta in cui si
marchiavano a vino gli ospiti indesiderati, non fosse ammissibile
né
per una mera gelosia né per un paio di schiamazzi: gli amici
di
Kamya potevano non essere sofisticati, ma qualunque tipo di
atteggiamento fuori luogo spettava alla padrona di casa correggerlo.
Inoltre,
Valerius, tra i cortigiani, era colui che svolgeva meglio il proprio
lavoro e verso il quale Nadia stessa nutriva maggior rispetto, ma
ciò
alimentava anche le aspettative e la speranza che mantenesse un
ritegno ineccepibile; quindi, dopo averlo redarguito tanto a lungo,
lo mandò a scusarsi con Élan. In modo sincero,
stavolta.
Ciò
che la principessa non poteva prevedere, era che Valerius fosse
troppo orgoglioso per chinare la testa davanti a ciò che
considerava
un’ingiustizia e che contava sulla discrezione dei due se non
avesse rispettato il copione concordato: erano tutti troppo adulti
per andare a fare la spia, nevvero?
-Oh,
Cavaliere! Stavo cercando proprio voi!- trovò Death Mask
fuori dai
bagni della Contessa, gli andò incontro e lo
salutò con voce
incredibilmente chiara per essere tipo al settantesimo bicchiere
della serata; il siciliano studiò la sua andatura dritta
come un
freccia e si lanciò in un’infinita serie di
calcoli per capire
come facesse tanto vino a non dargli alla testa.
-Se
sei venuto a scusarti o far piovere altra merda, caschi male, vostra
altezza. Élan si sta facendo un bagno e vista
l’importanza che mi
hanno insegnato a dare all’igiene personale, non conto di
metterle
alcuna fretta.-
Valerius
non si stupì della fredda accoglienza, ma parve stupirsi, se
non
addirittura offendersi, per l’insinuazione sulle sue scuse.
-Ma
io non sono venuto a scusarmi con lei! Sono venuto ad ammonire
voi…-
Death
Mask inclinò la testa di lato, ridusse gli occhi a una
fessura e lo
invitò a proseguire sorridendo con un che di minaccioso.
-Sentiamo…-
lo sfidò.
-Dovreste
tenere la vostra servetta col guinzaglio corto- suggerì
privo di
mezzi termini.
-Continua-
il ghigno del Cavaliere D’oro si fece più ostile.
-È
oltremodo scandaloso che si rivolga a voi trascurando sia il vostro
titolo, sia la dovuta deferenza, ma che vi imponga anche dove sedervi
e di intervenire in sua difesa! Trovo tutto ciò
inammissibile!-
Cancer
annuì bonario per il tempo durante il quale Valerius
sproloquiò e,
alla fine del suo sermone di stronzate, capì
perché il vino non gli
desse alla testa: non ne aveva una. D’altro canto, non era il
tipo
che si lasciasse avvincere dalla collera per poco, anzi trovava il
suo discorso fonte di grande ilarità, per cui cinse il
console con
un braccio, gli riservò un’occhiata complice e gli
diede qualche
sonora pacca sulla spalla.
-Ahahah,
Vally, vecchio caprone! Chi l’avrebbe mai immaginato che
fossi così
trasgressivo in camera da letto! Sono sempre quelli più
castigati ad
avere le fantasie più perverse, eh?- con un altro potente
colpo in
mezzo alle scapole sbilanciò tanto il cortigiano da fargli
rovesciare parte del calice. Intanto, Valerius si sentì
ribollire.
-Non
stavo scherzando!-
-E
chi scherza quando si tratta di sesso! Il prossimo suggerimento quale
sarà? Manette e frustino?-
Dopo
l’ennesima manata sulla schiena, Valerius studiò
meglio il proprio
interlocutore e dalla sua espressione intuì di essere stato
deriso.
-Osate
prendervi gioco dei miei consigli?!- sbraitando, serrò le
dita
attorno al bicchiere e le nocche gli si sbiancarono -Non credete che
la servitù irrispettosa debba essere disciplinata?!-
-In
questo momento credo fermamente in tre cose: la prima è che
ti stia
per prendere un coccolone, la seconda è che ogni termine
come
disciplina, punizione o castigo, si può infilare in
qualsiasi
allegoria sessuale, come questa, e soprattutto credo tu stia usando
un sacco di paroloni per dire “odio le donne e nessuno mi si
scopa
da una vita”…-
La
sfumatura che assunse la faccia di Valerius sarebbe stata degna di
avere un nome tutto suo nel pantone dei rossi: non solo si riteneva
un uomo desiderabile, ma aveva anche potuto godere della compagnia
del miglior partito di Vesuvia a suo tempo! Purtroppo, a suo tempo,
risaliva a…
-Quando
il Conte Lucio era in vita, godevo dei favori di un amante
insuperabile, tra i migliori della città!-
ringhiò a denti stretti.
-Certo,
certo, e dimmi, Vally, questo “amante”, lo potevano
vedere tutti
o soltanto tu?- Death Mask adesso lo fissava con aria di onesta
preoccupazione e, per palese che fosse anche il tranello, Valerius ci
cascò con tutte le scarpe.
-Ovvio
che lo potesse vedere chiunque! Il mito della sua persona si era
diffusa fino ai bassifondi della città, anche se la
relazione era
tenuta segreta!-
-Segreta,
d’accordo… Ma anche a lui?- la stretta sullo
sprovveduto calice
si fece insostenibile e il vetro si incrinò fino a
spezzarsi; il
vino gli corse lungo il polso, tinse la manica della sua candida
camicia e gli gocciolò via dalle dita mentre rivolgeva al
Cavaliere
uno sguardo velenoso -Ops, mani di ricotta, eh? Ti direi di chiamare
Portia ma il suo turno è finito quindi meglio se vai a
prendere
scopa e paletta di corsa! Rapido, schnell!-
Con
quest’ultima mordace frecciata, Cancer scostò la
porta del bagno e
ci si infilò sinuoso come un felino, prendendosi la
libertà e il
gusto di spiare fino all’ultimo millimetro la smorfia furente
del
cortigiano; la litigata era stata un vero toccasana per togliergli
dalla testa l’esperienza vissuta con lo spettro di Lucio, ma
a
scacciare il ricordo in terre remote, fu l’atmosfera ovattata
della
stanza da bagno: le gentili note dei profumi floreali si spandevano
nell’aria della sera, una fresca brezza soffiava dalla
finestra da
cui si godeva di una fantastica vista della città e del
cielo
soprastante.
A
coronare il quadretto, era un’Élan coi capelli
umidi e
scompigliati, incantevole nella sua vestaglia di seta color cipria
con un bouquet di iris ricamati nell’angolo. Aveva finito di
lavarsi da parecchio tempo, si era vestita e aveva origliato la
conversazione, soffocandosi nel trattenere le risate. Adesso fissava
l’uomo sorridendo commossa e formando un cuore con le mani,
ma
Death Mask era così poco abituato a raccoglierne
l’adorazione
della gente, che non seppe come reagire. Il miscuglio che ne venne
fuori fu maldestro e scontroso.
-Qualunque
cosa tu stia facendo, smettila all’istante!-
-Ma
allora ci tieni un pochettino a me!- chiocciò lei.
-…
tipo…- concesse l’uomo e gli occhi della fata si
fecero più
luminosi. Saltellò da lui per abbracciarlo e i goffi
tentativi di
evitarla fallirono contro la tenace dolcezza. A guancia premuta
contro l’armatura, Élan mugugnò
qualcosa a proposito del non aver
visto la scena o averla ignorata, ma Death Mask difese il proprio
onore a spada tratta -Ragazzina, io vedo e sento tutto: solo
perché
decido di vendicarmi in un altro momento non significa che i conti
non verranno fatti, e ora, col tuo permesso, scorterei entrambi in
camera.-
Conscio
dei vetri rotti fuori dalla porta, della nudità dei piedi
della
ragazza e di quanto le desse fastidio essere presa in quel modo, la
afferrò per la vita e se la gettò sulla spalla
come un sacco di
tuberi. Avendo il suo delizioso posteriore a portata di mano, alla
prima lamentela sul trasporto “a quarto di manzo”,
le
schiaffeggiò una natica, crogiolandosi nel piacere delle
reazioni
scatenate: un gemito soffocato tra le labbra serrate, una leggera
contrazione delle cosce e un vivace porpora che le tingeva le guance.
Sapeva che fosse lì, anche se non poteva vederlo, e, anche
se non
poteva sentirla, c’era pure una scossa di piacere che partiva
dallo
stomaco della ragazza per arrivarle nella zona pelvica, dove si
scioglieva in un misto di ormoni. Una reazione chimica intuibile ma
che non gli avrebbe confessato.
Non
avrebbe osato dargli tanto potere.
Arrivati
in camera, Death Mask gettò Élan sul materasso
con malagrazia,
abbandonandola a una lotta contro cuscini, frange e nappe, dalla
quale uscì dopo diverse gomitate e manate tirate a vuoto. I
borbottii di protesta che si sollevarono nel conflitto servirono a
correggere ben poco la ruvidità dell’uomo: in
alcune circostanze,
conosceva fin troppo bene quanto i suoi modi fossero richiesti e
profondamente apprezzati.
Mentre
la fatina lottava per liberarsi dai soffici arredi, il Cavaliere
D’oro si sedette in fondo al letto a contemplare i dettagli
sfavillanti della camera; le candele nelle lampade a muro erano state
accese in loro assenza ma quella luce così fioca, seppur
calorosa,
smorzava la spettacolarità di ogni costellazione e macchia
argentata
che altrimenti di sarebbe infuocata col sole. Eppure andava bene lo
stesso: c’era un che di riposante nei giochi di luce tenui e
negli
scintillii appena fuori dalla coda dell’occhio.
L’unico rimasto a
Death Mask, ringraziava.
Raggiunto
il fondo del letto, Élan gli si arrampicò sulla
schiena e col mento
poggiato su una spalla, gli bisbigliò un suggerimento
agghiacciante.
-Vuoi
parlarmi di cos’è successo nell’altro
piano?-
Il
velluto del suo tono non bastò. La sua domanda fu come un
ago
rovente piantato nel cervello, un taglio con la carta, le urla dei
capricci di un bambino.
Fino
a un attimo prima il Cavaliere si stava distendendo nella sua
colossale e fastosa camera con una squisita cena nello stomaco, la
soddisfazione di aver umiliato un coglione nel cuore e la donna dei
suoi sogni nel letto. Donna, ci tenne a ricordare a se stesso, che
fino a meno di tre ore fa era ai blocchi di partenza per sedurlo e
che ora indossava una vestaglietta corta, morbida al tatto,
semi-trasparente e facile da togliere.
Praticamente
il sogno erotico di un’intera nazione!
Invece
proprio quella donna aveva deciso di rovinare quasi tutto con la
domanda più scomoda dell’esistenza…
Condividere i propri
pensieri e sentimenti era importante, ma col cavolo che Death Mask
l’avrebbe fatto! Tuttavia non poteva essere in guai peggiori
rispetto a quelli percepiti tutto il giorno da un medico di sua
conoscenza.
All’improvviso,
un’illuminazione.
Aveva
un gossip davvero succoso, uno che ad Élan sarebbe
interessato di
gran lunga più di qualunque suo trauma e che avrebbe messo
da parte
la seduta psichiatrica.
-E
se ti dicessi, piuttosto, cos’è che aveva Julian
stamattina?-
Il
discorso sulle angustie del rosso colse nel segno; Death Mask
riuscì
nel suo intento e, anche se non impiegò molto tempo a
discuterne,
alla fine Élan era talmente stravolta da aver dimenticato la
domanda
di partenza. In effetti, non si era nemmeno accorta di essere stata
distratta.
-No,
dai! Non è possibile! È uno scherzo, hai voglia
di scherzare?!-
-Vedo
che sei diventata del mio stesso parere!- Cancer scrollò le
spalle
con un sorriso amaro che coniugava assieme il compiacimento del
“te
l’avevo detto”, col dispiacere per la delusione
causata.
-So
come funziona la sindrome da abbandono e questa lo è in
piena
regola, ma è troppo anche per lui!- Élan si
lasciò cadere a peso
morto sul letto, si passò le mani sulla faccia e la
stropicciò fino
a che non dovette sbadigliare -Non c’è niente che
possiamo fare
per aiutarli?-
-Temo
che sia troppo tardi a quest’ora…-
-Non
essere melodrammatico!- gli diede un colpetto col piede
sull’armatura
e la tentazione di Death Mask di catturarle la caviglia per farle il
solletico, fu sopraffatta dal sonno che incombeva.
-Intendevo
dire è tardi per uscire. Saranno, cosa, le dieci di sera?
Anche se
sapessimo che fare non sapremmo dove trovarli, se hanno finito di
parlare potrebbero non essere ai moli e non ho idea di dove sia il
negozio della biondina… Per quanto riguarda lui so
già dove sarà
andato a leccarsi le ferite…- come ogni sera, si
alzò, stiracchiò
la schiena e i pezzi dell’armatura volteggiarono in aria
prima di
ricomporsi nel loro rettangolo di marmo -L’unico suggerimento
che
posso avanzare è di andare a dormire, è il modo
più rapido per far
passare la notte. Domattina decideremo il da farsi.-
Élan,
sfinita, concordò. Con gli occhi pesanti e la testa
ciondolante per
il sonno arretrato, Death Mask gettò un paio di cuscini sul
pavimento e assieme alla fata si infilò sotto le lenzuola,
cullato
dal dondolio delle fiammelle e dalla carezza del raso fresco sulla
pelle accaldata.
La
consapevolezza che li attendesse una missione ardua al loro risveglio
era in cima alla lista delle preoccupazioni per la fata, ma
l’abbraccio di Morfeo la portò dove il peso di
nessuna delle sue
angosce avrebbe potuto affogarla. La stessa buona sorte non
capitò a
Death Mask.
Si
sforzò di addormentarsi senza permettere alle ansie future
di
schiavizzarlo troppo presto, si concentrò sulle sue piccole
grandi
fortune e sulla convinzione che nessuno più di lui meritasse
una
notte indisturbata di riposo… Ma nel palazzo c’era
chi nutriva
una convinzione più ostinata della sua, chi coltivava
morbosamente
un proposito che non avrebbe lasciato a marcire come gli altri
avevano fatto con lui…
“Io
e te diventeremo senz’altro… Ottimi…
amici!” aveva
detto, e ci credeva con tutto ciò che era rimasto del suo
essere…
Doveva solo farlo comprendere anche all’oggetto del suo
desiderio,
e quale metodo migliore se non mostrandogli in modo diretto il perché
meritasse stringere quel legame?
La
testa di Death Mask guizzò nel sonno e le sue sopracciglia
si
corrugarono a poco a poco che la visione prendeva forma. I contorni
di ciò che lo circondava erano sfocati ma chiari abbastanza
da
permettergli di riconoscere l'architettura di un paese freddo:
struttura in legno, pareti di tronchi orizzontali e tetto basso,
tutto studiato per trattenere il calore. Non era Vesuvia, era molto
più a sud o molto più a nord.
La
tribù che lo circondava era preda di scatenati
festeggiamenti dal
quale un’eco si distaccò.
-La
notte del mio diciottesimo compleanno. Il clan aveva festeggiato per
giorni in anticipazione dell’evento. Non sarei stato
più il loro
prezioso principino Monty: sarei diventato un uomo. Un uomo disposto
a tutto pur di ottenere ciò che voleva. A partire da quella
notte
stessa…-
Sapeva
di averla già sentita, ma dove?
Prima
che riuscisse a rispondere al suo interrogativo, si fece notte di
colpo, la gente era crollata a dormire e un ragazzo biondo stava
schivando i loro corpi privi di senso per passare di fianco a un
arazzo consunto; tra i morsi delle tarme si intravedevano branchi
interi di cavalli, orsi e lupi divorati da sciami di scarabei
famelici. Non erano rossi, ma nel loro modo di lasciarsi dietro
nient’altro che ossa spolpate, diedero il voltastomaco al
Cavaliere. Non se lo sapeva giustificare, ma gli sembrava segno di un
cattivo presagio…
-Non
mi piacevano gli scarabei, volevo che fossimo qualcos’altro,
ma mio
padre sosteneva che non ci fosse niente di buono nel piacere alle
persone, che gli altri clan avrebbero speso le loro vite cercando di
piacersi a vicenda, e per cosa poi?! La vita non riguarda
l’essere
apprezzati: riguarda il divorare o l’essere
divorati… Una
filosofia che tu stesso hai abbracciato da molto tempo.-
Piuttosto
arrogante da dire! Cosa ne sapeva quel, chiunque fosse, di che vita
Death Mask avesse fatto? Davvero pensava di capirlo tanto da
conoscere le motivazioni che lo avevano spinto verso certe scelte?
Comodo ignorare la crescita e i cambiamenti abbracciati nelle ultime
settimane! Tuttavia, precise o meno che fossero le sue supposizioni,
da dove le aveva tratte?
Un
altro arazzo si stagliò nella luce lunare, più
grande e curato del
precedente: i suoi intrecci rappresentavano una donna immersa nella
caccia, il sangue spietato della sua gente le scorreva nelle vene
mentre inseguiva una preda agonizzante, la scena successiva la vedeva
elevarsi sopra una montagnola di carcasse putrefacenti; chiunque
altro si sarebbe accontentato della cattura, ma lei era una vera
cacciatrice.
Il
ragazzo giunse a un immenso portone socchiuso, trattene il respiro e
vi sbirciò oltre.
-Madre,
sei sveglia?- bisbigliò, ma l’ombra addormentata a
gambe
incrociate stette in silenzio -Vorrei che non dovesse andare in
questa maniera, lo sai. Avresti potuto crescere il tuo più
grande
alleato, che ne sapevi che invece stessi facendo crescere il tuo
più
grande inc…-
La
figura scosse le spalle e Death Mask vide il giovane scansarsi dalla
porta per appiattirsi contro la tappezzeria.
Patetico!
Avesse avuto almeno il fegato per minacciare alla luce del giorno!
Era già diventato insopportabile al punto da fargli roteare
gli
occhi, ma il peggio stava dietro l’angolo.
Una
volta ricomposto, il ragazzo uscì dalla porta principale e
si
addentrò in una fitta boscaglia innevata; si spinse sempre
più a
fondo tra gli alberi senza curarsi dei fiocchi gelidi che gli si
posavano sulle guance e tra i capelli, ma incespicò quando
un
barbagianni emise un verso stridulo. Batté la schiena contro
un
tronco che gli lasciò sulle mani una resina viscida, ma dal
sorriso
trionfante che gli si stampò in faccia quando la
annusò, si poté
capire che la sua ricerca stesse giungendo a una conclusione.
-Dal
giorno della mia nascita ero destinato a guidare questa orda di
miscredenti: era arrivato il mio momento di brillare! Ma anche se lo
sapevo, dovevo comunque dimostrarlo, dovevo fargli vedere che non si
potesse scherzare con me e per riuscirci… Mi sarei dovuto
fare un
amico nel bosco quella notte…-
Un’ampia
radura circolare si aprì davanti al giovane; la neve si
diradava in
maniera troppo netta per essere stata tolta di recente, e
l’aria si
increspava come un fornello acceso senza fiamma: doveva essere afosa
e carica di miasmi gassosi. Una volta che non fu più
nascosto da
travi o foglie, Death Mask finalmente riconobbe il suo anfitrione:
Lucio. Seppur con qualche anno di meno sulle spalle, il suo sogghigno
altezzoso era inconfondibile.
Ecco
di chi era la voce che aveva sentito! Il bastardo lo aveva davvero
seguito dentro i suoi sogni!
Death
Mask menò i pugni nel tentativo di colpirlo, ma la sua
figura
sfarfallò appena. Si era chinato poco fuori dallo spiazzo e
stava
armeggiando con una pietra focaia finché una scintilla
scoccò e
diede vita a un disegno complesso di fiamme pallide e
all’apparenza
prive di calore. Pieno di aspettativa, si sfilò gli stivali,
si
tagliò entrambe le piante dei piedi ed entrò nel
cerchio; qualcosa
che gli scivolò sotto i piedi venne richiamato dal sangue
sfrigolante e il terreno si smosse al suo passaggio.
Lucio
cadde sulla schiena e l’espressione del suo viso
preannunciò
l’arrivo di una creatura che nemmeno i feticci contro il male
avrebbero potuto contenere, ma la rievocazione delle parole di sua
madre gli rammentò perché si fosse spinto fino a
lì.
-Qual
è il piano per domani, ma? Avrò una cerimonia?
Magari una corona o
un cambio di stile.-
-Ascolta,
ragazzo, se pensassi che ti meriti una corona, non sarebbe
perché
sei sopravvissuto per diciotto anni fuori dall’utero.-
-Ma
tu sei il loro leader e io il tuo erede! Se non diventerò
più
potente, cosa diventerò?-
-Più
grande, finalmente. La tua infanzia finirà.-
-E
cosa significa?-
-Significa
che non vivrai più a scrocco mio o di tuo padre.
D’ora in poi ti
arrangerai da solo…-
Una
sagoma opalescente, dalla pelle viscida e sporco di grumi terrosi,
emerse nella radura: era un verme, con fattezze umane deformi e un
lungo collo che ripiegò finché la testa non fu
all’altezza di
quella di Lucio.
Aprì
con lentezza gli occhi luminosi mentre si ripuliva il corpo con un
paio dei suoi tentacoli appuntiti e grigiastri; dell’altro
paio,
terminante con delle mani, le dita si intrecciarono formando un unico
blocco untuoso. Liberato dall’ossessione per chi fosse
l’impudente
biondino, Death Mask venne investito dal dubbio sul perché
nel mento
del mostro e nell’arcata delle sopracciglia, gli apparisse un
che
di familiare.
-Vlagnagog…-
mormorò Lucio.
-Il
serpente della distruzione. Per quanto lo temessimo, il mio clan
venerava quella ripugnante creatura. Non sapevo che aspetto dovesse
avere, ma non me ne aspettavo uno simile…-
-È-è
un onore incontrarvi, io sono Montag, figlio di Morga e Lutz. Sono
certo che li conoscerete vista la loro devozione.-
Il
suo sorriso nervoso si deformò ulteriormente appena
l’essere aprì
la bocca e tra le aguzze e bavose fauci si intravidero due lingue
attorcigliate l’una con l’altra.
-Vlagnagog?
Temo tu abbia evocato il verme sbagliato: il serpente della
distruzione è avvizzito anni fa. La tua gente non pone mai
il suo
orecchio alla terra?- la bestia scosse con lentezza la testa e i
cerchi dorati che penzolavano dai lobi cascanti ciondolarono -Un
tempo dimorava qui, grasso e risplendente dei tributi del tuo clan,
ma loro sono avari, non vogliono condividere…
Quand’è stata
l’ultima volta che gli avete offerto un sacrificio?-
Montag
scattò in piedi, oltraggiato dallo spreco di ansia.
-È
morto?! Allora chi sei tu?!- la deferenza che gli aveva fatto chinare
il capo era avvizzita come il suo dio.
-Sono
il verme della pestilenza, e non sarò facile da conquistare:
le
lusinghe sono vuote e non riempono le nostre bocche. Ora dimmi,
perché mi hai attirato, Montag, figlio di Morga e Lutz?-
Il
verme della pestilenza lo esaminò inquisitorio mentre Montag
deglutiva a forza. Nei brevi istanti di silenzio che ne seguirono, il
Lucio-spettro tornò a farsi sentire.
-La
ruota della fortuna girò e con lei anche le mie
possibilità di
successo. Il piano era di patteggiare per la distruzione dei miei
genitori, ma se avessi giocato bene le mie carte, avrei potuto
comunque trionfare.-
-Fanculo!
Perché mi stai mostrando questi ricordi?!- Death Mask prese
a
sbraitare contro il giovane Lucio solo per realizzare a metà
frase
quanto inutile fosse il suo sfogo. Il ragazzo nel sogno lo stava
ignorando mentre l’interlocutore corretto osservava al riparo
di un
impercettibile dietro le quinte.
Raffazzonata
una mezza strategia, Montag sfoggiò la sua migliore
espressione da
politico e con tono confidente, imbonì il Verme della
Pestilenza.
-Sono
venuto per chiedere il tuo aiuto. Non potrei essere più
d’accordo
con te, il mio popolo dovrebbe compiere maggiori sacrifici, ma i miei
genitori sono al comando e non acconsentiranno mai. Prenderei
volentieri il loro posto ma guardami: sono il piccolo della
cucciolata, un fuscello, non ho possibilità contro di loro!
Hai
detto di essere il verme della piccolezza?-
-Pestilenza!-
si inalberò la creatura -Perché dovrebbero
preoccuparmi i tuoi
affari da mortale?-
Montag
emise un verso sprezzante.
-Be’,
conosci la mia gente, giusto? Discendo da una lunga stirpe di
parassiti, ci chiamano i Flagelli del Sud. Se mi aiuterai, ti
prometto un generoso tributo, oh grande… Grande…-
si smarrì
quando si accorse che la divinità non gli avesse rivelato
nient’altro che il suo titolo -Come hai detto di chiamarti?-
-Non
l’ho fatto. Solo gli sciocchi danno il loro vero nome agli
sconosciuti, Montag, figlio di Morga e Lutz…-
Preso
di nuovo in contropiede, il giovane tentò di buttarla in
ridere.
-Mi
hanno già chiamato così una volta o due!- la sua
patetica risata fu
l’unica a sentirsi in tutta la radura mentre il Verme della
Pestilenza ponderava la convenienza dell’offerta. Al termine
della
sua riflessione, catturò Montag in una disgustosa spirale.
Tra i due
vi era una distanza sufficiente a impedire che si toccassero, ma non
da impedire che gli aliti viscidi della creatura raggiungessero i
suoi polmoni.
-Potrei
anche stringere un patto con te, ma richiederò un prezzo
insopportabile, inoltre avrò bisogno di qualcosa che
appartenga… A
te- persino
i suoi sibili acuti lasciavano nell’orecchio una sensazione
unta e
persistente.
Disperato
nel suo sforzo di mantenere il contegno e non lasciarsi sfuggire
alcun gemito di paura, al biondino giunse una folgorazione.
-E
se fosse qualcosa dei miei genitori? Non ci sono affezionato e se
potrai aiutarmi…- le gocce di sudore freddo che gli
correvano sulle
tempie si asciugarono nei miasmi gassosi e le parole che gli uscirono
dalla bocca furono altrettanto aride -Ti darò i loro cuori.-
Il
grido rabbioso di Death Mask riecheggiò in tutta la foresta
e se
fosse stato udibile oltre i confini del ricordo, avrebbe fatto
agghiacciare parecchi stormi; cominciava ad averne davvero troppo
della sua giovane nemesi: a dispetto dell’età
adulta, Lucio
mentiva come un bambino viziato e dispettoso, provocava sua madre nel
sonno per paura delle conseguenze e, anche se era nel pieno delle sue
forze e ben piazzato, manipolava gli altri nel compiere le malefatte
al posto suo. Il Cavaliere era indeciso su cosa lo urtasse di
più:
la totale mancanza di iniziativa per sbrigare i propri crimini, o il
tradimento nei confronti di una famiglia che lo voleva far crescere e
rendere indipendente.
Avrebbe
anche potuto condividere la filosofia del fare il necessario per
raggiungere i traguardi desiderati, ma quando ciò comportava
schiacciare i propri nemici, non gli alleati! Solo un momento troppo
tardi si rese conto di quanto la sua riflessione suonasse nuova
persino alle sue stesse orecchie, e comprese che Lucio non fosse
l’unico a star ignorando i suoi progressi…
-I
cuori dei tuoi genitori? Suppongo siano “tuoi” a
sufficienza- il
verme sollevò il mento verso il plenilunio e
ingollò l’aria in
abbondanti quantitativi. Il modo in cui la fiutava era
raccapricciante: a ogni respiro chiudeva le palpebre pregustando il
sapore della sua cacciagione, anche se sembrava se ne stesse
già
nutrendo, mandando giù le loro carcasse senza masticarle.
Una volta
trovate le sue vittime spalancò gli occhi, il suo sguardo
vitreo si
colmò delle lattiginose pupille e la bava che gli colava
dalle fauci
si insinuò tra i solchi del collo -Posso
sentirli… Il loro legame
con te è incredibilmente forte… I loro cuori sono
duri ma
succulenti…- Montag si illuminò alla notizia e la
sua luce non
cessò di brillare nemmeno all’imprevisto
successivo -Non posso
ucciderli: potrò solo prenderli quando saranno indeboliti.-
-Al
resto penserò io. Tu ti occuperai di loro quando il momento
sarà
favorevole. Allora, affare fatto?-
Il
Verme della Pestilenza si avviluppò sul ragazzo
finché i confini
dei loro corpi non si confusero in una massa indistinta di arti umani
e tentacoli; solo il potere che pervase Montag gli impedì di
rigettare come avrebbe fatto in circostanze meno bizzarre.
-Appena
il suo potere mi strisciò addosso, mi sentii cambiare. I
tagli sui
piedi si rimarginarono, la mia visione sbiancò e quando il
mio cuore
venne colpito, percepii la sua forza scorrermi nelle vene.-
Fino
a quel momento Lucio si era impegnato per riportare con dovizia i
particolari che Death Mask avrebbe altrimenti ignorato, ma, a
discapito del suo ruolo da protagonista, anche il biondino era
rimasto all’oscuro di sconcertanti
peculiarità… I tremori
febbrili che lo avevano scosso al primo vero contatto col Verme, per
esempio, o le convulsioni epilettiche che ne erano derivate in
seguito… Se non avesse conosciuto il finale della storia nel
lungo
andare, Death Mask avrebbe creduto che il Verme della Pestilenza lo
avesse ingannato per divorarselo subito, senza sé, senza ma
e senza
intermediari…
Sciagura
volle che la storia non fosse che agli inizi.
-Montag,
figlio di Morga e Lutz, per la durata del tuo compleanno porterai la
mia morbosa malattia. Finché non mi ripagherai, non saremo
liberi
l’uno dall’altro.-
In
trance, Montag aveva un tono simile alla sua controparte caprina ma
più distante.
-Non
ti deluderò. Resta qui ad aspettarmi, verrò a
cercarti io a lavoro
compiuto, non ho intenzione di scappare.-
-Scappare?
Potrai farlo quanto vuoi ma ti seguirò ovunque, non importa
dove
andrai… Saremo indivisibili…- il Verme della
Pestilenza lo liberò
avvolto in una lattiginosa aura, posseduto da un maleficio senza
eguali ma anche privo dell’energia per reggersi in piedi, e
come il
principe dei Flagelli perse i sensi, anche per Death Mask si fece
tutto buio.
Quando
la luce mattutina lo accecò col suo candore innevato, gli
eventi
presero a scorrere rapidi proprio come la corsa nella quale si
lanciò
Montag al suo risveglio. Scattò in piedi e
sfrecciò lontano dalla
radura maleodorante attraverso gli alberi; era diretto al suo
accampamento con lo stesso vigore di un leone, ma venne domato da
poche, brevi parole di sua madre: dove sei stato?
Con
ogni probabilità non erano state le parole in sé,
quanto il loro
tono severo o lo sguardo gelido della donna, ma tanto bastò
al
ragazzo per essere addomesticato in un gattino. Ne seguì un
dialogo
insignificante in cui un figlio colpevole, armato solo di tono
incerto, occhi sfuggenti e scuse banali, cercava di fregare una madre
arguta, inquisitoria e affilata quanto la sua lancia; comprese che il
ragazzo stesse cercando di guadagnare tempo, ma si lasciò
distrarre
dai moti di orgoglio del figlio che difendeva a spada tratta la sua
nuova condizione di “adulto” capace di badare a se
stesso in
quanto diciottenne.
Come
se l’esperienza e la maturità si potessero
conquistare in una sola
notte! Death Mask scosse la testa biascicando un paio di insulti, ma
il suo sguardo scettico si riempì di lacrime di divertimento
e la
sua bocca di risa sguaiate quando Morga accusò Montag di
credere che
la Terra girasse attorno a lui piuttosto che al sole.
Per
gli dei, era una donna fantastica! E ora che la studiava meglio, non
era neppure da buttar via: non era nel fiore degli anni, un paio di
rughe stavano già spuntando sulle guance e sugli zigomi
tatuati, ma
la sua pelle nivea e la chioma di un biondo pallido la rendevano una
tipica bellezza glaciale. Come potesse Lucio essere la sua progenie,
era un mistero destinato a rimanere tale.
Quasi
stesse assistendo a un film piuttosto che a un ricordo, il Cavaliere
si riscoprì a fare il tifo per Morga, sperando con una
cospicua
porzione delle sue forze che la maledizione ottenuta da Lucio non
facesse presa su di lei… Purtroppo, non era un copione che
si stava
dipanando davanti ai suoi occhi affinché lo modificasse, e
con
l’arrivo di Lutz e l’abbraccio in cui il loro
“adorabile”
principino li costrinse, la loro condanna venne firmata…
Non
servì più di un giorno. Lutz cadde malato entro
sera e, incurante
della sua condizione, accettò lo stesso il combattimento
all’ultimo
sangue che gli venne proposto dal figlio. Anche lui sembrava un uomo
rispettabile agli occhi di Death Mask, uno contro il quale avrebbe
combattuto volentieri e che avrebbe potuto anche tenergli testa nei
suoi giorni migliori, ma ciò che si poteva scorgere nello
sguardo di
Montag mentre gli conficcava il suo pugnale arrugginito in mezzo al
petto, e mentre il sangue gli correva sulle mani e tra le dita, non
era rimorso, non era tristezza o rammarico…
Era
estasi.
Poteva
saldare metà del suo debito, ma passò un altro
giorno, poi un
altro, dopo un altro ancora, e lei non cedeva di un passo…
Non
riposava, mangiava a stento, quasi non sbatteva le palpebre pur di
tenere sotto sorveglianza la sua malefica progenie, finché
la vita
non le donò l’opportunità per
riprendersi quella data a lui.
Montag
capì di essere stato visto mentre consegnava il cuore di suo
padre
al Verme della Pestilenza quando Morga emerse dagli alberi
dall’altra
parte della radura; la donna si lanciò subito in un
combattimento
serrato, uno in cui lui non aveva scampo.
-Non
dovresti essere qui fuori, mamma!- si sforzò di darsi un
tono, ma
Morga lo divorò con lo sguardo -Dovresti essere a letto!-
-Ingrata
larva che non sei altro…- ringhiò lei. La lingua
lunga del ragazzo
gli si appiccicò al palato e per poco anche Death Mask non
scattò
sull’attenti -Per nove mesi ho sofferto la nausea del
portarti in
grembo… Comparata a quella pena, questa non è che
un’influenza
estiva!- era la sola forza di volontà a tenerla in piedi,
perché il
suo aspetto era disastroso: le iridi grigie erano affogate in una
cornea scarlatta, le vene sulle guance erano così cariche di
sangue
da formare diramazioni sotto gli occhi e, nei punti in cui si
intravedevano, anche le dita erano di una sfumatura innaturale -Mi
domandavo come avresti affrontato questo compleanno, avrei dovuto
saperlo che avresti fatto una cosa del genere- ad ogni affondo della
sua lancia le energie dichiaravano il loro ritorno -Sei un moccioso
viziato, siamo sempre stati troppo buoni con te, anche in battaglia
non ho mai permesso che ti facessi male e guarda come sei diventato:
non sai cosa voglia dire combattere per la tua vita!-
Tra
una sferzata e l’altra Lucio riuscì a trovare
tempo a malapena per
risponderle.
-Nem-nemmeno
io voglio farti del male, ma’, sono tuo figlio!-
-Eri
anche figlio suo e gli hai rubato il cuore…- con un calcio
al
centro del petto lo spedì a terra e prima che si potesse
ricomporre,
gli aveva puntato la lancia alla gola -Ciononostante, ho deciso di
viziarti un’ultima volta- fece roteare l’arma in
aria e la
conficcò accanto alla testa di Lucio -Ti darò un
vantaggio, farai
meglio a correre per salvarti.-
Col
volto rosso per la vergogna, il giovane fece scivolare via
l’ascia
dal palmo sudato, si rimise in piedi e scappò senza voltarsi
indietro; corse per ore senza fermarsi perché conosceva fin
troppo
bene le atrocità riservate ai traditori, ma si
bloccò al qualcosa
che gli strisciava sulla nuca. In uno scatto di panico quasi si
strappò i capelli ma alla vista dell’intruso, il
suo animo ne
rimase incantato: era uno scarabeo di un rosso tanto brillante da
luccicare anche di notte e anche quando lo schiacciò tra le
dita,
facendolo esplodere in uno sbuffo di polvere.
Death
Mask venne scosso da un violento fremito alla sua vista, se lo
sentì
nelle ossa, nel cuore e in ogni nervo. Era un sentimento
indecifrabile il suo, un misto di paura, repulsione e cattiveria,
avrebbe riconosciuto dovunque quella sudicia blatta, ma non poteva
essere connessa con la malattia del Verme… Lui aveva dato al
bastardo una maledizione…
Una
che funzionava come una malattia, però, e che era veicolata
dallo
stesso insetto che lo aveva accolto al suo arrivo in
città…
Il
filo del pensieri che lo avrebbe condotto a una realizzazione
importante venne reciso da caotici stralci di scenari: interi campi
di battaglia pieni di moribondi con occhi rossi e vene pulsanti,
altri demoni, altri rituali, altri patti e altri debiti destinati a
rimanere insoluti, Montag che cambiava il suo nome e si guadagnava da
vivere come mercenario…
Non
per merito delle sue doti ma la sua carriera era lo stesso brillante
e il salto di qualità venne dall’incontro col
Conte Spada… di
Vesuvia. Il nobile lo assoldò per una battaglia in cui si
sarebbe
potuto fare un nome, ma anziché uscirne con un titolo
glorioso,
Lucio ne uscì con una gravissima ferita al braccio sinistro.
Il
danno era incontenibile, il sangue perso era troppo, senza operazioni
o interventi, in poche ore se ne sarebbe andato…
Alla
vista di una dottoressa dall’aria saggia e del suo allievo
sospettosamente familiare, Cancer sbuffò sdegnato: era colpo
di
scena più scontato della storia! Era l’esatto
motivo per cui
detestava i prequel, potevi sperarci quanto volevi ma già
sapevi
dove si sarebbe andati a parare, conoscere le origini di qualcosa non
sempre aveva la sua utilità.
I
due medici erano venuti per tenere fede alla propria missione. Gli
strumenti a disposizione era mal puliti e rudimentali ma erano anche
gli unici, e tra urla assordanti, cinghie legate al tavolo di lavoro
e fiumi di sangue, Lucio vide amputato il suo arto un tessuto reciso
alla volta.
Violenza
e morte erano il pane quotidiano del Cavaliere, ma la sua politica
sulla tortura spettava soltanto ai peggiori doppiogiochisti, in
più
il patimento emotivo e fisico vissuti dal biondino, finirono per
contagiare anche lui, costringendolo a svegliarsi di botto, ansimante
e madido di sudore; quell’americanata dove se uscivi da un
incubo
scattavi in piedi come una molla, non si applicò a lui, che,
sovrastato dai suoi bruschi ansimi, tentò appena di
riguadagnare le
forze per mettersi a sedere.
Dopo
quella che sembrava un’infinita quantità di
respiri corti e occhi
persi nel vuoto, fece perno sui gomiti, sforzò i polsi,
raddrizzò
la schiena e si lasciò cadere in avanti sui palmi delle
mani; si
passò le dita sul volto e tra i capelli quando
capì che solo parte
del suo viso era stata toccata e aveva sentito il freddo delle sue
mani… Il braccio sinistro non si era mosso. Era convinto di
averli
alzati entrambi ma il gesto gli era venuto così spontaneo
che in un
primo momento non si era reso conto che l’arto fosse rimasto
al suo
fianco. Alla realizzazione lo alzò, lo stese e lo
piegò, chiuse e
aprì le dita della mano diverse volte e tutto
andò come da copione.
Non
soffriva di paralisi notturne e da che ne sapeva non ne esistevano di
parziali, ma la notte stava procedendo male in qualunque caso:
proprio il braccio che Lucio aveva perso era lo stesso che non
rispondeva agli impulsi appena sveglio, ciò era accaduto
dopo che
erano stati in due a trovare similitudini con l’odiato conte
e dopo
che la paura per cui sarebbe stato perseguitato anche in sogno, si
era dimostrata fondata.
Avendo
l’urgenza di riconnettersi con la realtà, Death
Mask si sfilò le
lenzuola di dosso, poggiò i piedi per terra e il contatto
col
pavimento gelido, lo rimise al mondo; le visioni orrende
dell’incubo
smisero di sciamargli dietro alle palpebre e la ruvidezza del marmo
gli ricordò la stessa della quarta Casa. Gradevole e
consolatoria fu
soprattutto la spalla setosa che gli si poggiò tra le
scapole,
mormorando una frase con voce impastata.
-Gocce
di pioggia sulle rose e i baffetti dei gattini…-
-Come?-
le labbra dell’uomo si arcuarono in un sorriso alla conferma
che la
fata sognasse le leziosità che aveva supposto.
-Sembra
tu stia passando una nottataccia, quindi ho pensato di farti adottare
il metodo di Julie Andrews in “Tutti insieme
appassionatamente”:
fai un elenco delle cose che ti piacciono come, non lo so, la birra,
le scazzottate… Picchiare i bambini?-
Il
siciliano girò la testa con lentezza per non farla cadere,
ma la
sbirciò comunque da sopra la spalla con espressione
perplessa.
-Tu
pensi che picchi i bambini per svago?-
-Lo
fai per lavoro? Non lo so, non è un’opzione che mi
sono mai
sentita di escludere…-
Le
vibrazioni sulla schiena dell’uomo gli fecero capire che
stesse
scherzando e gli irradiarono calore nel petto.
-Non
c’è sfida, onore o divertimento a menare un
ragazzino, puoi
toglierlo dalla lista. Certo, a meno che non abbia scelto di fare il
Cavaliere, in tal caso si chiama “allenamento” e
non è
illegale.-
-Wow,
che cosa per niente da chiamata al telefono azzurro da dire! Pollici
in su per te!- in breve furono in due a ridere e tutto tornò
a
essere fresco, pulito e gioioso come lo erano le sere passate al
Grande Tempio. Élan sperava davvero di non starsi
sbagliando, santo
Dio, cosa avrebbe dato per poter leggere nella testa del Cavaliere
senza doverglielo chiedere apertamente, ma l’atmosfera le
sembrava
si fosse stesa tanto da permetterle di correre quel rischio,
scommettere su quell’intuizione e sfidare la pazienza
dell’uomo
-Quindi… Non è che te la sentiresti di dirmi
cos’è successo
nella camera del Conte?-
Cancer
provò un brivido interiore a sentirselo nominare, ma sapeva
di non
poter rimandare la discussione troppo a lungo, per giunta era privo
di gossip, giustificazioni convincenti o forze per mentire, senza
contare quando allettante suonasse l’idea di arrendersi e
vuotare
il sacco! Inspirò a fondo, raccolse le idee e
tentò di sintetizzare
in modo rapido ma efficace.
-Ho
visto il suo fantasma.-
-Solo?-
Élan si stupì ma si affrettò anche a
correggersi -Non
fraintendermi, immagino possa essere spaventoso, ma per uno con la
tua reputazione? Voglio dire, quanto pauroso può essere un
semplice
fantasma? Ne abbiamo visti talmente tanti che ho cominciato a farci
il callo pure io!-
-Non
si tratta solo di questo… Non c’è
fantasma standard che possa
smuovermi ma Lucio è di tutt’altra risma: era
quasi tangibile,
caldissimo e carico di tutta la sofferenza che ha seminato in
vita…
Mi sono sentito come se la mia sanità mentale fosse appesa a
un filo
molto, molto sottile… E di una cosa sono certo: voglio
prendermi
una pausa dai poteri da Cavaliere. Basta sesto senso, basta visioni
che nessun mortale dovrebbe avere, basta fantasmi, capre, fantasmi a
forma di capra e compagnia cantante… Almeno
finché restiamo ospiti
qui- la sua confessione aveva un certo peso e non gli portò
particolare conforto… La fata lo sentì nel nodo
tra le spalle
rigide e nella contrazione dei muscoli velati di sudore quando lo
strinse tra le abbraccia.
-Perciò…
Niente cose preferite che scaccino le negative? Quando i cani
mordono, quando le api pungono, quando mi sento triste… Mi
ricordo
semplicemente delle mie cose preferite e non mi sento più
male-
canticchiò senza convinzione tra uno sbadiglio e
l’altro. Nei suoi
viaggi aveva soccorso e continuava a soccorrere chiunque dimostrasse
di averne bisogno, ma le idee più brillanti venivano meno
quando era
Death Mask a essere in difficoltà: voleva fargli percepire
il suo
sostegno, però l’apprensione stroncava ogni
iniziativa. Per loro
fortuna Julie Andrews aveva posto nelle mani di entrambi una
soluzione calzante.
L’inguaribile
ottimismo della fata portò un sorriso sulla bocca
dell’uomo; gli
incubi del conte erano peggio del morso di un cane o della puntura di
un’ape, con ogni probabilità sarebbero andati ad
aggregarsi a una
lista di traumi pressapoco infinita che presto o tardi avrebbe fatto
meglio a discutere con uno psichiatra, ma forse c’era
qualcos’altro
che avrebbe potuto condurlo in uno stato di abbandono dei propri
timori.
-Canta
ancora.-
-Cosa?!-
Death
Mask si lasciò cadere all’indietro ed
Élan nel suo sgusciare via,
se lo ritrovò con la testa poggiata sulle cosce a
mo’ di
guanciale.
-Sei
così stonata che è quasi divertente. Vuoi darmi
una mano? Canta! Mi
mette di buon umore!- il Cavaliere si accomodò
nell’incavo delle
sue gambe con un sorriso godurioso stampato in volto, e una fata
incazzata nera sopra la testa -Rapida! Chop-chop!- la spronò.
Élan
gli avrebbe volentieri spaccato un vaso in testa, ma con Death Mask
sapeva di essersi conquistata anche quel genere di rapporto: un
reciproco sostenersi, aiutarsi e comprendersi, ma anche un duello
costante a colpi di ironia, chimica e audaci flirt. Con poca
freschezza per stuzzicarlo né strumenti ad accompagnarla,
alzò gli
occhi al cielo, si schiarì la gola e intonò la
prima canzone che le
fosse venuta in mente.
Il
gentil sesso lo chiamano spesso
Ma
il suo amore è ingiusto come un truffatore
Mi
ruba i pensieri
Commette
ogni tradimento
Di
logica, con nient'altro che uno sguardo
La
prospettiva di ascoltarla a occhi chiusi si faceva allettante per
Death Mask, i respiri lenti e gli sbadigli profondi. Col tocco
leggero della ragazza che gli passava le dita tra i capelli, i
pensieri si fecero leggeri come piume e la voce divenne piano piano
distante… A contrario di quanto affermava per farla
infuriare, era
davvero bravissima e lui lo sapeva.
Una
tempesta infuria all'orizzonte
Di
desiderio e angoscia e lussuria
È
sempre una brutta notizia
È
sempre perdere, perdere
Allora
dimmi amore, dimmi amore
Come
fa a essere giusto?
Ma
la storia è così
Distrugge
col suo dolce bacio
Ma
la storia è così
Distrugge
col suo dolce bacio
In
men che non si dica, Élan si ritrovò con
l’uomo addormentato
sulle sue gambe, una stanchezza contagiosa nella sua voce impastata e
ben poca voglia di intonare la seconda strofa; gli poggiò
con
attenzione la testa su un cuscino, andò a spalancare le
finestre per
fare entrare il fresco della notte e si arrampicò di nuovo
sul
letto, rannicchiandosi accanto al Cavaliere per fargli percepire la
sua presenza.
-Sogni
d’oro, Death…- gli bisbigliò prima di
sfiorargli con le labbra
una guancia spinosa di barba.
Era
deliziosa e piena di delicatezza, ma la sola bontà delle sue
premure
non bastò a tenere il conte lontano a lungo, e dopo avergli
riempito
la testa con numerosi e impressionanti dettagli sulle sue origini,
era impaziente di condividere altri aneddoti della sua avvincente
ascesa al potere.
Ristabilitosi
dall’operazione e vinto lo scontro per il quale Spada lo
aveva
assoldato, Lucio venne accolto sotto la sua ala e venne messo al
corrente dei segreti di Vesuvia; il conte lo prese tanto in simpatia
da conferirgli il proprio titolo al momento della sua morte,
avvenimento che, strano a dirsi, non fu Lucio a provocare. Tuttavia
non gli lasciò in eredità solo un titolo
facoltoso e una città da
amministrare, ma anche i natali improvvisi di una lista di nemici che
il biondino si preoccupò di rimpolpare, a partire da due
prodigiosi
alchimisti: erano una coppia davvero affiata, avevano un aspetto
cordiale e un atteggiamento zelante che li portò a lavorare
duramente per creare l’iconica protesi di Lucio, ma
anziché
pagarli a sufficienza da portare il segreto con loro nella tomba,
l’uomo optò per la più economica scelta
di rinchiuderli nei
sotterranei. La promessa di ricchezza era stata sostituita da una di
morte al mattino seguente e l’opportunità di non
lasciare un
lavoro incompiuto, venne colta quando dichiarò che avrebbe
mandato
delle guardie a occuparsi anche del bambino dei due.
Death
Mask sentì che c’era stato un tempo in cui avrebbe
concordato con
la sua scelta, ma il sadismo di volerli separare anche nelle segrete
del castello, e uccidere un bambino senza colpe, superava i suoi
nuovi standard. Specie se immaginava se stesso ed Élan al
loro
posto…
Degli
stralci di un altro demone caprino, più minaccioso e
più imponente,
gli lampeggiarono davanti agli occhi ma non riuscì a
cogliere la sua
parte nella tragedia.
Nel
frattempo Lucio continuò a farsi forte del suo maleficio
conquistando e sterminando grazie agli scarabei; nessuna vittoria era
davvero sua, anche se suo era il nome che si poteva leggere in ogni
cadavere abbandonato per strada o sul campo con gli occhi iniettati
di sangue e le vene gonfie… Anche quando non era la
maledizione a
colpire, era lampante il passaggio del conte. L’avrebbero
potuto
testimoniare i cittadini di Karnassos, il cui sindaco venne
assassinato perché si era lamentato del sovrasfruttamento
delle
risorse della città; alle loro proteste, Lucio
scrollò le spalle e
rispose che gli sarebbero dovuti essere riconoscenti per averli
liberati da quello che palesemente era un demone.
Come
si usa dire, però, morto un papa se ne fa un altro,
Karnassos aveva
dato il suo addio a un semplice sindaco, così almeno la
pensava
Death Mask, ma a quei poveri disgraziati di Nopal andò
peggio. Il
Cavaliere D’oro sapeva riconoscere un ricatto mafioso quando
ne
vedeva uno, e quello lo era in piena regola: anche se in cambio di
protezione, i cittadini si opposero all’ordine di cedere un
terzo
delle loro risorse di cactus e, per pura combinazione, un
mastodontico scarabeo rosso si librò nei cieli del loro
villaggio la
notte stessa.
L’imposizione
aumentò a due terzi e per evitare la distruzione, fu
tassativo
accettare.
Il
combattimento non fu verosimile, non fu appassionante e non si
concluse a tarallucci e vino, a Death Mask fece venire il latte alle
ginocchia solo a guardarlo: la difesa era piena di aperture, le finte
prevedibili e gli attacchi non avrebbero ribaltato nemmeno una
vecchietta artritica. Lucio aveva costruito la sua fortuna sulle sue
balle e ora che aveva un “complice” non era
più nemmeno in grado
di collaborare!
C’era
molta più credibilità nei film bollywoodiani,
ciò nonostante bastò
un solo vero fendente per abbattere la bestia che esplose in una
pioggia di minuscoli insetti. Scavarono nel terreno fino a
scomparire, lasciandosi dietro un’infinità sabbia
smossa; se non
avesse imparato ad adattarsi alla logica del sogno, Death Mask
avrebbe ceduto al panico nel vederseli cadere addosso, avrebbe
attivato la sua chela di cosmo e avrebbe colpito alla cieca
rischiando di ferire Élan accanto a lui, invece si
concentrò sulle
percezioni materiali, chiuse gli occhi e non ne sentì
nemmeno uno
strisciargli sulla pelle. Non sapeva che guai collaterali dovettero
affrontare i nopaliani, ma fu certo che la cattiveria della
sceneggiata avrebbe portato loro molti più grattacapi di
quelli
intesi.
L’attenzione
ritornò a Vesuvia, su un gruppo di orfanelli che avevano
rubato
dell’anguilla; nel suo bel completo rosso con pelliccia e
lucidi
stivali neri, Lucio minacciò di punirli se li avesse colti a
rubare
ancora e per una volta tanto non sembrò un pazzo
irragionevole:
avrebbe potuto optare per il taglio delle mani a uno di loro come
monito, oppure schiavizzarli finché non avessero ripagato il
debito,
invece li aveva soltanto redarguiti. Tutta quella generosità
era
sospettosa per Death Mask e anche se i bambini aveva accolto con
gioia il suo invito a pranzo, un orfano più alto degli
altri,
condivise i dubbi del Cavaliere. Il Conte lo notò e
cercò di
convincerlo a farlo diventare un gladiatore, tentandolo con la
prospettiva di cibo a volontà, ma il ragazzino
tentennò e Lucio
insistette fino a sbugiardare la sua natura tirannica.
A
salvare la situazione fu una macchia di capelli bianchi con vestiti
violacei fuori misura, ma le immagini divennero indefinite, i
lineamenti incomprensibili e i colori si fusero fino a non permettere
di seguire l’evoluzione della vicenda. Il Cavaliere
D’oro si
ritrovò in un buio impalpabile, qualche sprazzo di luce
faceva
capolino qui e lì ma erano poco più che fiammelle
flebili,
soffocate da uno spazio infinito e impenetrabile.
I
primi segnali di vita che percepì furono un gorgoglio
acquoso e un
gracidio, dopodiché una luce crepuscolare si spanse tutto
attorno e
un’oasi dall’aspetto surreale diradò le
tenebre; delle strane
creaturine luminose volteggiavano a mezz’aria o si
rilassavano
sulle foglie lucide, mentre l’acqua opalescente scintillava
di una
luce che lo invitava ad avvicinarsi.
Death
Mask si sentì al sicuro all’interno del sogno per
la prima volta,
la sgradevole sensazione degli incubi di Lucio stava scemando in
fretta e per cacciarla in maniera definitiva, prese un bel respiro e
soppesò meglio il vapore profumato dell’oasi; un
frizzante profumo
di agrumi, acqua marina e fiori gli riempì le narici
rinfrescandogli
le idee e ricordandogli di tutto ciò che di buono aveva
trovato
nella sua infanzia. Col cuore più leggero e passi che
affondavano
nella sabbia arancione, si avvicinò ai bordi dello stagno
dove una o
due salamandre di luce si gettarono in acqua e una manciata di
farfalle si involò sbattendo le alucce; la frenesia gli
parve
inappropriata viste le sue intenzioni pacifiche e un commento
sottovoce gli sfuggì.
-Non
tutti insieme, mi raccomando…-
-Si
fanno avvicinare solo dagli ospiti che gli piacciono.-
La
voce che gli rispose poco distante era tutt’altro che nuova,
in
effetti era così familiare da fargli alzare gli occhi al
cielo e
cascare le braccia… L’unico interrogativo era come
avesse fatto a
non notare prima la sua presenza. Raccolse le forze necessarie per
fingere tolleranza e si voltò dopo aver montato una parvenza
di
sorriso il meno falso possibile.
-Asra!
Quanto tempo! Avrei dovuto immaginare che questa
fosse opera
tua, tu aggiungi quel tocco di mal-di-retina a ogni delirio!- in
realtà non gli davano fastidio colori tanto vivaci dopo i
campi
putrefacenti del Conte, ma doveva pur schernirlo in qualche modo!
Il
mago era disteso su fianco appena fuori dal bordo dello stagno e sul
suo viso aleggiava il suo miglior sogghigno volpino; aveva affondato
un dito nell’acqua e nei ghirigori che creava agitandolo,
scintillavano delle increspature ipnotiche per i pesciolini.
-Nemmeno
un “ciao” o un “grazie” mi
dici?- lo canzonò con tono
mieloso -Eppure dovresti! Sono io che ti ho cavato fuori dai sogni di
Lucio e ti ho lanciato un incantesimo protettivo…-
-Tu
cosa?- gli domandò asciutto l’altro.
-Durerà
solo per qualche giorno e sarebbe stato meglio se fosse stato
lanciato all’inizio della nottata, ma Lucio non
potrà a
raggiungerti. Non come prima, almeno. Non c’è di
che!-
Death
Mask lo squadrò con occhi circospetti rimanendo fermo sul
posto e a
braccia incrociate.
-Fammi
il piacere! Nessuno fa niente per niente, a che gioco stai giocando?-
In
questo il Cavaliere ci aveva preso: il tessuto dei sogni era
estremamente liquido se manipolato con un po’ di magia, e
nella sua
oasi di pace Asra aveva percepito che il Conte stesse per rivelare
sia segreti di poco valore che altri dannatamente importanti del suo
passato. Non sapeva perché il suo vecchio aguzzino avesse
scelto
proprio Cancer, ma non poteva lasciare che la sua vita privata
venisse sbandierata a un soggetto simile; forse era solo
un’inutile
precauzione, ma era meglio non correre rischi.
-Diciamo
che, per usare le parole di Nadia, gli amici di Kamya sono anche i
miei. Fintanto che potrete assicurarmi che la terrete fuori dai guai,
vi darò il supporto necessario quando richiesto.-
-Ma
io non ho chiesto il tuo aiuto…-
-Troppo
tardi!- il mago alzò lo sguardo verso la figura del
Cavaliere e notò
che un flutter di piccole meduse luminescenti gli si era appollaiata
sulle spalle senza che l’altro le avesse notate. Il giovane
raccolse una manciata di sabbia e si avvicinò a Cancer con
fare
sinuoso -Adesso però è tempo che ti svegli.-
-Sono
appena arrivato!-
Le
proteste vennero soffocate dalla sabbia che venne soffiata in faccia
e dai tonfi che gli riempirono le orecchie, martellandogli per la
testa.
-Sveglia
sveglia!- cinguettò Portia fuori dalla camera -Sorgi e
splendi,
raggio di sole!-
Élan
scivolò giù dal letto e corse ad aprirle la porta
con addosso
ancora solo la vestaglietta e niente altro; la cameriera
varcò la
soglia con un vassoio pieno di pasticcini e frutta fresca, in volto
aveva stampato il sorriso energico di chi aveva cominciato a lavorare
da ore ma non ne risentiva.
-Come
hai fatto a bussare con le mani occupate?- la fata le fece segno di
lasciare tutto sul letto alleggerendo al volo il vassoio di un
dolcetto di pasta frolla e fragole.
-Ho
usato la testa!- esclamò Portia con tono fiero.
-Cioè
hai preso a testate la porta?-
Le
due si scambiarono un segno d’intesa reciproca prima di
scoppiare
in una risata adorabile.
Adorabile,
certo, ma anche chiassosa, proprio quel genere di risata che
avrebbero reso insofferente un uomo che aveva trascorso la notte a
basculare tra incubi e insonnia.
Un
uomo come Death Mask, che, per l’appunto, allungò
un braccio oltre
il letto, rubò il cuscino ad Élan e se lo
sbatté sull’orecchio,
isolandosi in un rifugio di seta e piume dallo scarso potere
insonorizzante; sentiva di essere circondato da un’aura di
stanchezza e rancore e non solo per la sfilata di ignobiltà
di
Lucio, ma anche per la mancata comprensione dei suoi obbiettivi!
Tutte
le sue atrocità, tutte le sue “imprese”,
tutto il suo
pavoneggiarsi ed esibirsi una volta potevano essere state votate alla
conquista di una mandria di caproni, ma non si capiva cosa volessero
da lui! Se farselo amico era il suo obbiettivo, era riuscito solo a
ripugnarlo e, assurdo ammetterlo, a spaventarlo.
Cancer
era abituato al sangue, alla guerra e a tutto ciò che ne
conseguiva,
ma viverlo tramite gli occhi di Lucio, privato della libertà
di
scegliere od opporsi, era un supplizio. Non voleva abbandonarsi al
sonno ed essere trascinato da capo in un turbinio di colpi bassi e
scorrettezze, ma allo stesso tempo non era un ragazzino, era un
Cavaliere D’oro, orgoglio del Grande Tempio e soldato della
Dea
Atena, non poteva nascondersi!
Tutta
la vicenda, inoltre, poteva essere un’arma a doppio taglio:
se la
protezione che gli aveva lanciato Asra avesse funzionato, avrebbe
potuto godere di un riposo degno di questo nome, in caso contrario,
al conte sarebbe stata servita un’altra chance per fornirgli
la
cartina tornasole di tutta la storia, quella che avrebbe potuto
sbrogliare ogni incoerenza o trascinare alla rovina chi stava
indagando con anima e corpo: la notte della sua morte.
Il
tutto per tacere di quanto stesse assumendo le connotazioni di una
faccenda personale…
Le
sue riflessioni vennero interrotte dal rumore di una sedia trascinata
in sottofondo; Élan ne aveva recuperata una per Portia e le
aveva
offerto di mangiare con loro, ma la rossa si era limitata ad
accettare una tazzina di caffè. Indaffarata
com’era, se si fosse
seduta, non si sarebbe rimessa più in piedi. Soffiando sulla
bevanda
fumante aveva infilato una domanda dietro l’altra nascondendo
la
questione pressante in un ventaglio di frivolezze circostanziali.
-Avete
trascorso bene la notte? Che programmi avete per oggi? Come vanno le
indagini di Kamya? Contate di fermarvi a lungo e partecipare alla
Mascherata?-
-No.
Nessuno. Tuo fratello sta bene. Vallo a sapere…-
rantolò Cancer.
Portia
impallidì e balbettò una mezza protesta.
-I-io
non…-
-Non
sono nato ieri, rossa, siete come due gocce d’acqua, non era
difficile da capire…- il Cavaliere si alzò e fece
scorrere gli
occhi su ogni pastina e dolcetto finché non elesse la
caffettiera
mezza piena come colazione ideale; indisturbato dalla temperatura ne
consumò il contenuto tutto d’un fiato e la ripose
sul vassoio con
un verso compiaciuto.
-Forse
tu non sei nato ieri ma le tue buone maniere sì-
puntualizzò Élan
con un ciglio inarcato e dondolando la sua tazzina intonsa per il
manico.
-Comunque
manterremo il segreto, non ci guadagniamo niente a sputtanare tuo
fratello…- l’uomo tirò i muscoli delle
braccia per risvegliarsi
un minimo, ma nonostante l’esercizio e la caffeina ingerita,
sembrava che le forze stessero pure diminuendo.
Portia
spostò lo sguardo verso Élan che
confermò.
-Hai
la nostra parola- un sospiro di sollievo e delle risposte
più
esaurienti misero la parola fine all’argomento
“parentele scomode
e dove trovarle” -Non sappiamo cosa conti di fare Kamya
né dove si
trovi, il che significa che non abbiamo programmi. Mi piacerebbe
visitare il resto del palazzo e anche partecipare alla festa, ma
senza vestiti vedo dura sia l’una che l’altra.-
-A
quello posso porre rimedio subito!- Portia si precipitò con
entusiasmo fuori dalla stanza e tornò con un corsetto, un
camicione
e dei pantaloni alla cavallerizza freschi di sartoria. Nadia aveva
selezionato il tutto apposta per Élan, azzeccando a occhio
le misure
e le tonalità che si accostavano meglio al suo incarnato.
Sbalordita,
la fata li distese sulle lenzuola con grande cura: il colore
principale dell’abbigliamento era un turchese brillante, ma
era
l’orlo dorato del camicione a incendiarsi davvero nella luce
mattutina; accostandoselo addosso capì che le avrebbe
coperto i
fianchi e il petto, ma non le spalle, risultando in una scollatura
morbida molto invitante. Un ricamo di piume di pavone correva su
tutto il corsetto, frastagliandone lo scollo a cuore, e facendolo
scintillare con le lunghe file di gemme incastonate in ogni bordo;
sui pantaloni da cavallerizza due file di nastrini setosi,
anch’essi
dorati, si intrecciavano dai fianchi fino alle ginocchia, poco sotto
le quali trovavano il loro posto degli stivaletti di cuoio scuro dal
tacco basso.
Ultimo
ma non ultimo, era un opale blu cangiante circondato da file di
zaffiri e smeraldi; montati con strategia su una base dorata,
formavano un occhio della coda di pavone, nonché una collana
degna
di una principessa.
Élan
trasmettere il messaggio a Portia.
-Sentitevi
liberi di girare per il castello a vostro gradimento, troverete me e
la Contessa nelle stanze di Lucio, se ne avrete bisogno. Buona
giornata!-
Mentre
la cameriera si sbrigava di nuovo ai propri doveri, Élan
corse a
cambiarsi per provare i nuovi abiti; non avere restrizioni rendeva
l’impazienza incontenibile, e la curiosità di
indossare un
corsetto autentico, a quanto pareva, la rendeva tanto ostinata da
riuscire a allacciarselo da sola. Quando si rimirò nello
specchio la
luce mattutina investì i cristalli più bassi del
bordo, gettando
dei coriandoli luminosi sulle gambe della fata e sulle larghe maniche
della sua nuova camicia; si divertì a compiere ampi gesti e
a
piroettare finché la testa non prese a girarle.
Si
fermò e fu sul punto di ripetere la performance a Death Mask
quando
lo trovò sprofondato nel sonno; era talmente esausto che
aveva
affondato la testa in un cuscino, si era girato dall’altra
parte e,
senza che ci avesse fatto caso, lo sguardo gli si era annebbiato.
Adesso aveva la schiena mezza scoperta, le braccia strette a un altro
cuscino e un flebile ronzio che si levava dalle labbra scostate.
La
fata stiracchiò un sorriso intenerito e si
inginocchiò accanto a
lui; gli accarezzò il volto scostando le ciocche
ingioiellate e gli
passò un dito sulla mandibola. Aveva imparato
così tanto da quando
si erano incontrati, entrambi lo avevano fatto, e qualcosa le
suggeriva che avessero ancora molta strada da percorrere, ma una
delle lezioni a cui aveva dato maggior valore era la consapevolezza
che Death Mask poteva anche avere il proprio ritmo, ma le avrebbe
sempre concesso la possibilità di affrontare i suoi demoni
assieme,
doveva solo mettersi il cuore in pace e aspettarlo.
-Sogni
fatati, mio Cavaliere- fu l’ultimo augurio a sussurrargli
prima di
andarsene dalla camera in punta di piedi.
Intanto,
dentro l’oasi paradisiaca di Asra, Cancer avrebbe potuto
volentieri
passare del tempo gradevole con la sua dolce metà; ce la
vedeva
mentre faceva amicizia con gli animaletti lucenti, mentre lasciava
che la circondassero e mentre lo punzecchiava schizzandogli addosso
l’acqua e invitandolo a giocare con lei… Ma la
verità era che
stesse passeggiando frenetico lungo il bordo dello stagno, saltando
dentro e fuori i ricordi di Lucio a intervalli scostanti. Un momento
stava cercando dei compagni granchi dai quali farsi eleggere loro
capo, quello dopo era testimone di un uomo incatenato e dalla
lunghissima chioma nera mentre combatteva in un’arena,
schernito
dalla gente e dal conte stesso, le palme scuotevano le foglie sopra
di lui agitate da un vento impercepibile e in un battito di ciglia
una Nadia di bianco vestita gli stava gomito a gomito… Sopra
a un
altare.
Quel
pendolo gli faceva consumare più energie che assistere a un
solo
truculento scenario, senza contare che smorzava la strategia che
aveva deciso di adottare: un tale di cui non ricordava il nome aveva
parlato di “sfuggire all’orrore dentro il cuore
dell’orrore”*,
peccato proprio che non sapeva di che orrore si stesse parlando! Era
come cercare di rimettere assieme un mastodontico puzzle senza avere
pezzi che combaciassero tra di loro. Ora cominciava a capire il
“caratteraccio” di Kamya e la sua frustrazione.
Uno
spiraglio di soddisfazione personale lo ebbe quando uno specchio gli
restituì il riflesso di Lucio colpito dal suo stesso
maleficio;
aveva i capelli arruffati, gli occhi rossi anche sulle palpebre, le
ossa si intravedevano attraverso la camicia aperta e sulle guance
scarnite, persino le venature della sua protesi si erano tinte di
scarlatto. Ecco le informazioni per cui aveva intrapreso quel piano
suicida!
Mancava
così poco al momento della verità, ma gli
intervalli si fecero più
serrati e i frammenti divennero flash di cui persino i contorni erano
nebulosi; una vertigine lo piegò sulle ginocchia mentre si
teneva la
testa tra le mani, la sabbia gli si infilò nelle aperture
dell’armatura mentre il grido selvaggio che gli lasciava la
gola
gettava il panico nella fauna dell’oasi. Tra gli sporadici
volti
che riconobbe ci furono i Cortigiani, la capra simile a Lucio,
e…
In mezzo all’incendio che gli divampò tutto
attorno…
Julian.
Non
poteva sbagliarsi, era proprio lui lì, nelle stanze del
conte
inghiottite dalle fiamme.
Death
Mask riaprì gli occhi immediatamente, la testa gli pesava e
il suo
corpo era intorpidito, ma almeno era di nuovo nella propria stanza.
Carico di determinazione e sordo alle sue stesse condizioni fisiche,
saltò giù dal letto e scattò verso la
porta; l’armatura lo
ricoprì nel tempo di pochi vacillanti passi ma appena giunse
al
successivo corridoio, era perfettamente dritto sulle spalle, la sua
andatura fiera e il suo cuore travolto dall’odio per il
conte. Non
gli importava di ciò a cui aveva assistito, il contesto era
insufficiente per accusarlo senza colpo ferire e, anche se fosse
stato, l’arresto e l’esecuzione di Julian non erano
affari suoi.
La
sua massima priorità adesso, era portare ordine in un
raffazzonato
discorso, uno col quale avrebbe persuaso Nadia a rivedere le proprie
dichiarazioni perché si trovavano davanti a un nemico
comune, un
disgraziato che, all’anima della buona creanza e in mezzo a
tanti
sogni, non gli aveva passato nemmeno i numeri vincenti del lotto!
Girato
l’angolo si imbatté in Élan. Tutta
sorridente, a vedere
l’espressione cupa del suo volto, si fece anche lei scura in
viso e
si lanciò al suo inseguimento.
-Death
Mask! Che succede, hai una faccia preoccupante!- mentre
l’uomo
saliva a lunghe falcate le scale per le stanze del conte, lo
implorò
di ascoltarla -Ti prego, fermati, parlami, mi stai spaventando!-
allungò il passo correndo finché non
riuscì ad afferrarlo per un
braccio -Death Mask!-
Cancer
l’aveva notata ma l’ostinazione dei suoi sentimenti
lo spinsero a
liberarsi con uno strattone e varcare con solennità la
soglia della
camera; erano passate poche ore ma i servitori avevano pulito fino
all’ultimo granello di cenere ed erano stati così
abili nel
riportarla al suo fasto originario, che il guerriero avrebbe creduto
si fosse trattato di un tuffo nel passato se non fosse stato per i
presenti: a voltarsi verso di lui furono Nadia e Portia, ma altri due
sguardi esterrefatti gli si posarono addosso, l’uno era di
Kamya…
L’altro di Asra.
*È
Thomas Ligotti, dal libro “Nottuario”
N.d.A.
Here
we are again con un nuovo capitolo! Lungo
e pieno di scene originali,
spero di
aver rispettato la
promessa di brividi, il
titolo prende spunto dalla rispettiva canzone del musical di Jekyll e
Hyde. Forse
abbiamo trovato qualcuno che possa tenere testa al nostro crostaceo?
Stay tuned, la trama si infittirà a breve!
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