Hunting Snakes: a Harry Potter story

di Foxford_Welles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo ritorno ***
Capitolo 2: *** Sangue meritevole ***
Capitolo 3: *** Nella tana delle vipere ***
Capitolo 4: *** Attività extrascolastica facoltativa ***



Capitolo 1
*** Un nuovo ritorno ***


Capitolo 1
Un nuovo ritorno


 

La luce di un mattino pigro e silenzioso dipingeva d’oro ogni cosa visibile al di là dei finestrini, mentre il paesaggio correva incessantemente davanti al cielo sereno.

Il mese di settembre era arrivato quello stesso giorno, tanto che il clima non sembrava volerne ancora sapere di abbandonare il caldo dell’estate, e se non fosse stato per lo scopo di quel viaggio, chiunque sul treno avrebbe fatto lo stesso. Infatti, più di qualche passeggero aveva ancora la testa immersa profondamente nella spensieratezza delle vacanze.

Oltre l’orizzonte, numerose nuvole bianche pascolavano a gruppi, passando a intermittenza molto vicine al sole già alto, senza raggiungerlo mai.

Il manto bianco del cielo qualche volta si confondeva con le tracce di vapore sbuffate dalla gigantesca locomotiva, la quale sfrecciava dritta nel mezzo della campagna da un tempo indeterminato.

Galen scrutava assorto il panorama che cambiava scivolando via.
Senza accorgersene, aveva iniziato a calcolare la frequenza con cui il treno passava di fianco a campi verdi, ingialliti, o brulli.

A dodici anni da poco compiuti, era un ragazzo dai tratti ancora bambineschi, così com’è comune per molti di quell’età. Aveva un aspetto piuttosto ordinario: altezza nella media e un viso dalla conformazione delicata, caratterizzato da un naso sottile, leggermente all’insù, e da due occhi verdi espressivi e vivaci. Infine, un caschetto di biondi capelli mossi arrivava quasi a coprirgli le orecchie.

Non aveva ancora terminato la conta, quando l’apparizione improvvisa di un campo di fiori rossi lo prese alla sprovvista, distraendolo e facendogli capire quanto quel passatempo in realtà lo annoiasse.

Scostandosi dal finestrino, il suo sguardo cadde su chi gli stava di fronte. Ryley Shifford si era addormentato da parecchio.

Si potrebbe dire che, al contrario di Galen, fosse un tipo dall’aspetto eccentrico: molto magro, quasi deperito, aveva dei lineamenti sfuggenti, ad eccezione di due zigomi alti e spigolosi che gli risaltavano in volto. I suoi capelli erano di un color amaranto spento, tanto scuro che solo grazie ai raggi del sole si intravedeva qualche riflesso rossastro. Questi avevano un taglio davvero strambo, con ciocche più lunghe, accorciate in maniera irregolare o tagliate di netto. Dovevano essere opera di qualcuno decisamente goffo.

La carnagione del ragazzo poi, era a dir poco insolita. Galen aveva sempre pensato che la sua pelle chiara sembrasse sottile e verdognola come il ventre di un rospo, e che ciò gli conferisse un aspetto tutt’altro che sano. Quel colorito era vagamente richiamato dalla divisa di Hogwarts che il ragazzo portava, decorata con l’emblema e gli ornamenti smeraldini di Serpeverde.

Non era una persona molto socievole, ma tutti quelli che lo conoscevano, al di fuori dei professori, lo chiamavano Rilo.

Galen lo fissò per alcuni secondi: ‘Bene. Dorme ancora’ fu l’unico pensiero che la scena gli suscitò.

Non che Rilo non gli piacesse da sveglio; sapeva anche essere una persona gradevole o semplicemente silenziosa quando decideva di esserlo, ma da addormentato era certamente più prevedibile.

Ai lati di Galen e Rilo, sedevano altri due compagni: Ozzy Butler e Allegra Mugpry. L’uno di fronte all’altra, si comportavano come se nessuno, al di fuori di loro stessi, fosse presente nella carrozza o nell’intero vagone.

Ozzy, preso dalla noia, era intento a far saltellare da una mano all’altra una piccola raganella che si muoveva indemoniata. Il suo nome era Clammy, e in momenti come quello, esprimeva tutta la sua gioia per essere uscita dalla tasca del padrone, dove spesso era obbligata a stare.

Guardandoli insieme, sarebbe stato facile notare l’estrema antitesi tra i due: da una parte, l’anfibio aveva un corpo molto esile e si muoveva con grande agilità, mentre dal canto suo, Ozzy era un ragazzone alto, con le spalle ampie e dal fisico massiccio.

Fin dall’inizio del primo anno, era diventato chiaro che Ozzy avesse delle caratteristiche fuori dall’ordinario. Svettava sopra ogni altro coetaneo di almeno trenta centimetri, e forse solo i più tarchiati tra gli studenti erano grossi quanto lui. Nel giro di pochi mesi avevano iniziato a circolare voci secondo cui neanche Hagrid, l’enorme guardiacaccia di Hogwarts, alla sua età fosse stato altrettanto imponente. Tali scoop non avevano però mai trovato conferma, né prove a loro supporto.

Ozzy aveva dei corti capelli castano scuro, che con un taglio ben ordinato incorniciavano perfettamente il suo testone. In mezzo al viso spuntava un naso tozzo e sporgente, sovrastato da un paio di occhi tondi color nocciola e da sopracciglia molto folte.

Mentre esaminava lo strano duo, Galen, come ricordandosi qualcosa, alzò di scatto lo sguardo verso la cappelliera della cabina, dove riposava sornione Sigismund, detto Sigi, uno splendido esemplare di gatto d’Angora dal pelo candido, regalatogli da sua nonna l’anno prima.

Fissando quella palla di pelo dai connotati appena accennati, Galen ripensò alla prima volta che l’aveva portato a Hogwarts. Era poco più che un cucciolo, ma già la prima notte riuscì a fuggire dalla sala comune, venendo poi trovato dal custode mentre seminava il panico tra gli elfi domestici nelle cucine.

Appena arrivato, difficilmente avrebbe potuto causargli una figuraccia più grande, per non parlare di quanto lo avesse tormentato le notti seguenti coi suoi miagolii incessanti, visto che Galen si era assicurato che non uscisse di nuovo.

Dopo un po’, i due erano riusciti a fare amicizia, ma ormai Galen si era convinto che sua nonna glielo avesse originariamente dato come punizione per qualcosa che non sapeva di aver fatto.

Una volta verificato che Sigi fosse dove l’aveva lasciato, l’attenzione si spostò su Allegra, che stava leggendo un libro dalla copertina blu notte.

Era una ragazza minuta, aveva il viso allungato e una fisionomia dai tratti aguzzi e severi, traditi però da due grandi occhi celesti dall’aria gentile. Una lunga chioma di capelli neri, crespi e sbiaditi le scendeva delicatamente sulle spalle.

Leggeva, con espressione rilassata ma attenta, un volume chiamato “Misteri e segreti mai svelati della Magia” di una certa Madama Nettlitch, il cui nome splendeva sulla copertina in brillanti lettere d’oro.

I quattro ragazzi avevano trascorso l’intera mattinata a raccontarsi delle vacanze. Il più entusiasta era stato certamente Ozzy, che parlando di un parco di divertimenti dove era stato con la famiglia, era quasi andato in affanno. Tuttavia, dopo varie ore e dopo aver sviscerato ogni aneddoto più o meno interessante, ognuno di loro aveva finito per distrarsi facendo altro, e ormai nello scompartimento regnava un silenzio irreale. Eccetto il rumore del treno sui binari, solo un vociare leggero e ovattato giungeva fino a loro da oltre gli sportelli.

Mentre Galen fissava un punto imprecisato attraverso il vetro della porta che li separava dal resto del vagone, passarono speditamente due ragazzi dall’aspetto familiare.
Non era un caso che i gemelli Weasley, Fred e George, saltassero all’occhio in un qualsiasi contesto: quasi indistinguibili tra loro e dai capelli rossi come fiamme, era praticamente impossibile non notarli, tanto più perché stavano sempre insieme.

Uno dei due, intravedendolo forse con la coda dell’occhio, fermò l’altro, e insieme spalancarono bruscamente la porta della carrozza.

«Ehilà Galen! Anche quest’anno non hai trovato di meglio da fare che tornartene sui banchi di scuola, eh?» disse il primo con un tono di voce altissimo.

Fu come se avessero tirato una bomba in mezzo ai presenti, e una volta aperte le porte, anche la baraonda esterna irruppe bruscamente, tanto che tutti smisero di dedicarsi a qualunque cosa stessero facendo per fissarli. Solo Rilo sembrava continuare a dormire indisturbato.

Galen aveva conosciuto i due gemelli l’anno prima, e da quel momento non era mai stato in grado di distinguerli con certezza, anche se per fortuna questo non gli aveva mai causato particolari problemi.

«A quanto pare però vale anche per voi» rispose dopo un istante di ripresa dallo shock. «Siete a Hogwarts da più tempo, ma ancora non avete trovato un modo per evitare di starvene chiusi a scuola tutto l’anno. Nonostante siate… voi due».

«Oh, fidati… anche dentro quelle quattro mura per noi di cose da fare ce ne sono a bizzeffe! Abbiamo una lista fittissima e non abbiamo neanche iniziato» rispose il primo. «E poi Hogwarts non è così male per sperimentare le nostre… idee» insistette l’altro appena dietro.

«Ma la sai la novità?» fecero quasi in coro, «sul treno c’è Harry Potter!»
Tutti li fissarono con gli occhi spalancati, senza proferire una singola parola. Anche Rilo, seppur addormentato, sembrava aver fatto un piccolo movimento per drizzare le orecchie.

«Ora è con nostro fratello, devono iniziare entrambi il primo anno» disse il gemello più avanti.

Gli altri compagni di cabina si erano impegnati con tutte le forze ad ignorare la presenza dei Weasley, ma una notizia tanto inaspettata li aveva lasciati tutti spiazzati, nonché incapaci di commentarla. Lo stesso Galen, non potendo assolutamente immaginare che la conversazione prendesse una piega del genere, si sentì preso alla sprovvista.

«Cos’è, volete già iniziare con uno dei vostri stupidi scherzi?»

«Ah, niente affatto!» risposero subito i Weasley, ostentando facce indignate.

«Ci hai preso forse per dei cialtroni? Guarda che normalmente un’informazione del genere ti sarebbe costata almeno cinque galeoni! Solo che… oggi ci sentiamo generosi».

«Beh scusatemi, sarà la forza dell’abitudine. E poi perché avrei dovuto pagare per una cosa che – se è vera – comunque presto sapranno tutti?» disse Galen.

«Che domande sono? Per l’anteprima! Qualunque cosa vale di più se puoi averla prima degli altri. Ma se davvero non ti fidi, fai come dici e aspetta lo Smistamento di stasera, così potrai sentirti uno scemo per non averci creduto!»

Mentre Fred e George parlavano con Galen, gli altri intorno continuavano a fissarli in silenzio. In quella situazione, anche due tipi disinvolti come i gemelli dovettero sentirsi vagamente a disagio, perché tagliarono corto cambiando argomento.

«Comunque… c’è Lee Jordan che ha portato un ragno enorme e lo sta facendo ballare! Vuoi… ehm, volete… venire a vederlo?» disse uno, facendo finta di niente.

L’altro, perplesso, cercò di bisbigliare qualcosa all’orecchio del fratello, riuscendo comunque a farsi sentire da tutti: «Credevo fosse solo uno scherzo per far prendere un colpo a Ron».

«Grazie, ma… penso che resteremo qui» rispose Galen con una punta di imbarazzo malcelato.

«Come volete, allora ci si vede all’arrivo!»

I due gemelli uscirono nel corridoio del vagone con la stessa irruenza con cui erano apparsi.

«Pff, devono sempre fare casino a tutti i costi quelli» esordì Ozzy, ricominciando a fissare i movimenti di Clammy. «Non capisco proprio come fai ad essere loro amico…» proseguì.

«Non direi che siamo amici» ribatté Galen, «però sinceramente li trovo divertenti».

Al contrario di molti altri studenti, Galen non aveva mai escluso a priori di poter avere buoni rapporti con gli appartenenti ad altre case. L’anno prima, al momento dello Smistamento, lui stesso non aveva maturato una vera preferenza su dove andare a stare.

Nonostante ciò, quando la sua famiglia era venuta a sapere del risultato, molti parenti vicini e lontani gli avevano inviato lettere compiaciute, piene di complimenti e in cui si vantavano di aver sempre saputo come sarebbe andata.

Pur non provando interesse per le rivalità che animavano il contesto sociale di Hogwarts, lui stesso a volte si stupiva al pensiero di trovarsi bene con dei Grifondoro, quelli che sarebbero dovuti essere i loro nemici naturali.

Non era infatti un caso che quasi tutti gli altri Serpeverde non gradissero questo suo atteggiamento, e che spesso non avessero mancato di ricordarglielo nella maniera più spiacevole possibile.

«Tra di noi sei l’unico che salutano» fece Allegra senza alzare gli occhi dal suo libro, che nel frattempo aveva ripreso a leggere.

«Devi fare attenzione. Se a scuola si sparge la voce che sei un amico dei Grifondoro, gli altri potrebbero darti addosso alla prima occasione possibile. Tipo, non so, se dovessero batterci a Quidditch».

Non era la prima volta che Galen sentiva questi discorsi, anche se spesso li ignorava.

«Non capisco cosa importi agli altri se parlo con persone di altre case. Non c’è niente di male».

«Invece lo capisci benissimo! Anche se non è il nostro caso, sai che alcuni dei nostri compagni hanno una mentalità molto chiusa su cose come queste» insistette Allegra.

Ozzy si alzò di scatto: «Ma non è questo il punto!» sbottò in faccia ai due.

Clammy si trovò improvvisamente obbligata a saltare via dalle mani del suo padrone, scalandolo fino ad appollaiarsi sull’abnorme testa.

«Il punto è che con loro non bisogna proprio averci a che fare! Quei Grifondoro non ragionano come noi, a volte sembrano proprio senza cervello! E poi non potremmo mai perdere a Quidditch contro quei fessi, non hanno neanche più un Cercatore!»

Nella sua imponenza, Ozzy riusciva quasi a coprire l’intera parete dietro di sé, e se si fosse sforzato un po’, magari anche a toccare il soffitto della cabina con la punta dei capelli. Malgrado ciò, Allegra non si era assolutamente scomposta.

«Se è per questo» lo rimbeccò invece, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, «per fortuna neanch’io ragiono come te. Quindi forse il problema in questo caso non sono i Grifondoro…»

«Oh, ma sta’ zitta!»
Le narici di Ozzy si dilatavano e stringevano, inalando aria con un rumore sgradevole.

«Se pensi che non potrebbero mai batterci a Quidditch tanto meglio, ma dovresti preoccuparti più di cosa succede a un tuo amico!»

«Lo faccio! È per questo che secondo me non dovrebbe più parlarci! Non è gente a cui dare confidenza». Nessuno dei due sembrava avere la minima intenzione di cambiare idea.

«Alcuni l’anno scorso dicevano la stessa cosa di te… pensi che avrei dovuto ascoltarli?» intervenne Galen provocatorio.

«Oh certo! Come se tu non sapessi che in quel caso ti saresti ritrovato con la testa nel gabinetto proprio come i moscerini che mi parlavano alle spalle!» rispose Ozzy rimettendosi a sedere.

«E comunque» riprese più calmo, «quelli là hanno detto che Harry Potter sta venendo a Hogwarts… chissà se è vero o volevano solo prenderti per scemo».

«Ehi!» replicò Galen dando un calcio a Ozzy, che però non si smosse di un centimetro.

«In effetti avrebbe senso…» disse Allegra pensierosa, cercando di ignorare le frecciatine di Ozzy.

«Sono passati esattamente dieci anni dalla sconfitta di Tu-Sai-Chi, ma credo che nessuno adesso si aspettasse l’arrivo di Harry Potter, altrimenti ne avrebbe parlato chiunque».

«Che ne dici, magari perché non se n’è saputo più niente? La gente non si scorda mica senza motivo di uno come Potter! Pensa prima di dire cose stupide» sbraitò di nuovo Ozzy.

«Senti, mi stai veramente rompendo…»

Galen capì che, come al solito, il discorso si era trasformato in un bisticcio tra i due, cosa di cui in parte fu grato, visto che non aveva la minima voglia di esservi incluso. Diede invece un’altra occhiata a Sigi, che sembrava molto scosso dopo l’arrivo dei Weasley e tutto quel chiasso. Stava rigido sulla cappelliera, coi suoi grandi occhi eterocromi spalancati e i baffi dritti.

Continuò a scrutare il gatto finché al di fuori non sentì, flebile ma inconfondibile, il rumore di rotelle del carrello dei dolci che sferragliava tra i vagoni.

Con un balzo istantaneo, si alzò dal sedile e superò i due litiganti per tentare di accaparrarsi il prima possibile uno Zuccotto di Zucca, cosa a cui stava pensando da più tempo di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere, in barba ai discorsi su Harry Potter e i Grifondoro.

Rischiando di inciampare un paio di volte, si gettò fuori dalla cabina, ma una volta affacciato sul corridoio, rimase impietrito vedendo il carrello distante pochi metri. Tra le sbarre di metallo opaco non c’era altro che qualche merendina vecchia e schiacciata, rimasta chissà quanto tempo sotto altre più buone. Di sicuro, non c’era più traccia di Zuccotti di Zucca.

Galen faticava a credere a ciò che vedeva. Sembrava che il carrello fosse stato preso d’assalto da un branco di folletti in astinenza da zucchero.

Mentre fissava ormai un punto nel nulla, con gli occhi carichi di tristezza, la signora che (salvo quella volta) portava i dolciumi lo guardò con aria di compatimento, abbozzando un sorriso: «Mi dispiace caro…» e proseguì nel suo cammino verso l’estremità del treno.

Al suo rientro, Galen aveva tutti gli occhi puntati su di sé, come a volergli chiedere spiegazioni.

«Era vuoto…» disse lui sconsolato. «Chi diavolo avrà comprato tutti i dolci?»

«Mannaggia» sospirò Ozzy, «mi sarebbero proprio andate un paio di Cioccorane».

Allegra sbuffò alzando gli occhi al cielo, prima di rituffarsi nella lettura. Per fortuna, non si riaprì alcuna discussione.

Nel giro di pochi secondi, si ricominciò a sentire il suono del treno sulle rotaie, cadenzato, sempre uguale e non più coperto dalle voci. Il lieve sottofondo accompagnava il cammino del sole, che lentamente iniziava a percorrere la seconda metà del suo arco nel cielo.

Galen, a stomaco vuoto e assorto nella visione del panorama, stava quasi per imitare Rilo e addormentarsi, ma d’un tratto la porta dello scompartimento si spalancò nuovamente.

Voltato dalla parte opposta, Galen sentì il rumore di parecchi passi avanzare nella sua direzione.

Si ritrovò davanti tre studenti sconosciuti che lo fissavano e squadravano, probabilmente senza preoccuparsi di risultare poco discreti.

Il trio aveva una composizione alquanto simmetrica: due ragazzi grossi e tarchiati quasi quanto Ozzy, sebbene più bassi, stavano al fianco di uno molto più mingherlino, come delle guardie del corpo.

Il ragazzo al centro, che già dal primo istante sembrava atteggiarsi a capo del gruppetto, aveva il viso appuntito, simile a quello di topo. Mostrava un’espressione soddisfatta ma per nulla rassicurante, a causa del suo sorriso, molto più simile a un ghigno.

Ciò che tuttavia saltava più all’occhio del suo aspetto, era l’insolito colore del ciuffo di capelli che gli capeggiava in testa, pettinato all’indietro.

Quei capelli, infatti, erano estremamente chiari e quasi tendenti al bianco. A Galen era capitato di vederne di simili, ma per qualche motivo, stavolta qualcosa non gli tornava. Che vi avesse fatto un incantesimo? Oppure poteva aver usato una specie di pozione babbana di cui gli aveva parlato una volta sua madre… l’acqua ossingenanda… o come si chiamava.

«Tu sei Bavenlee, vero? Galen Bavenlee?» chiese questo in tono piatto.

I due energumeni non dissero nulla, ma continuarono a contemplarlo con occhi immobili. Avevano un’espressione assente, quasi animalesca, e Galen non si sarebbe stupito se da un momento all’altro uno dei due avesse grugnito.

«Si, sono io» rispose lentamente, cercando in qualche modo di immaginare cosa volessero da lui. I tre erano chiaramente studenti del primo anno, poiché le loro divise nere non riportavano lo stemma di alcuna casa.

«Io, sono Draco Malfoy» disse il “biondo”, intervallando nome e cognome con una pausa come se si aspettasse un applauso dal pubblico tra l’uno e l’altro.

‘Malfoy…’ pensò Galen. Quel nome non gli era nuovo. Doveva averlo sentito da qualche parte, anche se non ricordava dove, ma il suo sesto senso gli suggeriva una sensazione sgradevole.

Draco Malfoy si voltò a destra e a sinistra, gettando un’occhiata svelta ai suoi accompagnatori.

«Loro invece, sono Tiger e Goyle».

Anche stavolta nessuno dei due disse alcun che, ma fecero entrambi una specie di cenno con la testa.

«Sono venuto qui perché voglio conoscere le persone più in vista della mia prossima casa» continuò lui, con voce stranamente cantilenante, quasi da presa in giro.

«Quindi, pensi che tu e i tuoi… compagni andrete a Serpeverde, immagino» Galen parlò come se questo servisse ad allontanare la sensazione di imbarazzo che la presenza di quei tre gli provocava. «Che succede se poi finite in un’altra casa? Magari vi conviene aspettare lo Smistamento prima di presentarvi a tutti».

Malfoy ebbe un leggero tremolio agli occhi, come di disappunto per una domanda che mai si sarebbe aspettato di sentire, ma si riprese subito.

«Serpeverde è la casa migliore di tutte, quindi è l’unica adatta a me… e a loro» rispose con ostentata fiducia.

«Beh, in questo caso…» Galen si diede una spinta per protendersi in avanti, «ecco i più grandi studenti che Serpeverde abbia mai avuto!»

I tre si voltarono di scatto verso gli altri, fino a quel momento completamente ignorati.

Rilo continuava a giacere in un sonno profondo, anche se fece qualche verso che, vista la situazione, poteva essere preso come un saluto. Allegra, pochi secondi dopo l’arrivo di Malfoy e la sua banda, aveva perso interesse per la questione, ed era tornata al suo libro. L’unico che li fissava, a metà tra il cagnesco e l’annoiato era Ozzy, che abbozzò un gesto con la mano nella loro direzione. Il quadro generale era quanto di meno solenne si potesse immaginare.

«Si… piacere…» disse Malfoy, cercando di concludere rapidamente quell’interruzione non richiesta, per poi tornare con gli occhi su Galen, che ora aveva un sorriso divertito sul volto.

«Non sai che c’è Harry Potter sul treno? Fossi in te, andrei da lui se volessi incontrare una vera celebrità», proseguì Galen con aria sorniona.

«Ci sono passato in realtà» annuì Malfoy con sufficienza, «ma secondo me non merita la sua fama. Già se ne sta insieme a quelle nullità dei Weasley».

Galen smise di sorridere.

«Ma io sono qui per un altro motivo…»

Era chiaro che Malfoy stesse per arrivare al punto della sua manfrina.

«Vorrei sapere se è vera quella storia su di te. Se sono vere le voci su quello che hai fatto l’anno scorso. Per un po’ ne hanno parlato tutti, pure la Gazzetta del Profeta».

D’un tratto, lo sguardo del ragazzo cadde in maniera evidente su qualcosa che spuntava al fianco di Galen, tra le pieghe della veste. Era l’impugnatura di una bacchetta, bianca come la neve e dalla forma affusolata, che spiccava particolarmente sul nero delle divise scolastiche.

Istintivamente, Galen la coprì con un lembo degli abiti.

«Non so cos’hai letto o sentito, ma molte delle voci che girano non sono vere» rispose freddamente.

Galen si era fatto cupo in volto. All’improvviso, sperava solo che quei tre se ne andassero presto.

«Ehi, guarda che secondo me hai fatto bene. Perché mai dovresti nasconderlo? Non dev’essere stato facile, soprattutto contro uno studente del quarto anno. Fossi in te, probabilmente me ne vanterei!»

La voce di Malfoy suonava man mano più irritante, e Galen faceva sempre più fatica a capire perché quel tipo fosse venuto lì appositamente per fargli certe domande.

«Non posso vantarmi di qualcosa che non ho fatto, soprattutto se è una cosa orribile».

Il ragazzo-topo iniziò a guardarlo con sospetto. Il suo evidente interesse per l’argomento sembrò smorzato da un misto di rammarico e biasimo.

«Mah, sarà. Certe capacità non dovrebbero essere né nascoste né disprezzate, ma a sentirti parlare spero solo di non aver perso tempo con te».

Alle spalle del trio si sentì qualcuno alzarsi, e oltre le loro teste spuntò la figura di Ozzy, con aria truce. Malfoy e i suoi scagnozzi si irrigidirono di colpo.

«Comunque ci rivedremo presto a scuola. Così magari mi dirai tu stesso come sono andate le cose…»

Dal tono ammiccante si capiva che non avesse creduto ad una singola parola di ciò che Galen aveva detto, e percepita la pericolosità della situazione, senza perdere la sua facciata di sicurezza, Malfoy girò velocemente i tacchi e fece per uscire dallo scompartimento, seguito dalla sua scorta personale.

Quando furono quasi arrivati alla porta, questa si spalancò d’improvviso con un tonfo.

Un altro ragazzo, dal viso tondo e paffuto, si affacciò e disse tutto d’un fiato: «Qualcuno ha visto il mio rospo? Si chiama O…»

Non appena vide dov’era capitato, si fermò all’istante, e come resosi conto di aver sbagliato clamorosamente ad entrare, arretrò e richiuse la porta senza nemmeno finire la frase, lasciando intravedere per un attimo la sua faccia paonazza.

«Ci sono veramente un sacco di idioti quest’anno a Hogwarts» sbuffò Malfoy, poi lui, Tiger e Goyle imboccarono la via d’uscita.

«Ma quello là si è bevuto il cervello! Chi si crede di essere!» Ozzy iniziò a urlare che la porta non era nemmeno completamente chiusa. «Come si permette di presentarsi qui e sputare quelle cretinate! Se quelli là finiscono a Serpeverde, ci penso io a dargli una ripassata!» Sembrava fuori di sé.

«Va tutto bene?» Allegra ignorò gli sproloqui di Ozzy e si rivolse a Galen in maniera insolitamente affettuosa.

«Si, tranquilla, è solo che non me l’aspettavo».

La ragazza mostrava un’espressione addolcita, ma più che altro sembrava che qualcosa la preoccupasse e opprimesse.

«Senti, noi sappiamo com’è andata. Non è stata colpa tua, e Varan se l’era andata a cercare».

Galen si sentì di nuovo a disagio. Nonostante lei volesse sostenerlo, l’unico risultato che ottenne fu causargli una smorfia dolorante sul volto.

«Dici di saperlo come se l’avessi visto, anche se non c’era nessuno oltre me e lui. Proprio quando sarebbe servito che qualcuno ci fosse… che voi ci foste. Non puoi esserne sicura, a meno che non mi stia dicendo una bugia solo per farmi stare meglio».

La fissava torvo, ma in realtà sperava che lei dicesse qualcosa in grado di fargli cambiare idea. «Neanche io so davvero cosa sia successo» concluse mestamente.

«Io so quello che ci hai raccontato, e voglio crederci. Ma di certo comportandoti così non mi dai una mano» replicò duramente Allegra.

«È bello che tu mi creda, ma vorrei davvero che non fosse solo perché mi conosci un po’».

«”Mi conosci un po’”» scandì Allegra, furibonda. «Seriamente non riesci neanche a dire che siamo amici? Dopo tutto quello che è successo? Mi fai venire voglia di prenderti a schiaffi!»

Galen si vergognò subito di ciò che aveva detto, ma quelle parole gli erano uscite di bocca senza che potesse farci niente.

«Scusami, hai ragione. È che vorrei solo ci fosse una spiegazione logica, ma non riesco a trovarla, e a volte mi trovo a dubitare di ogni cosa, capisci? Non so neanche più se i miei ricordi sono veri! È tutto troppo confuso».

«Per questo dobbiamo lavorarci insieme, ma se nel frattempo ti intestardisci a dubitare di chi hai già convinto, non andremo da nessuna parte…»

Allegra non sembrava neanche più arrabbiata, ma a sua volta, doveva sentire almeno un po’ della stessa frustrazione che affliggeva Galen.

«Io mi fido, ovviamente» intervenne Ozzy all’improvviso, «ma in effetti è tutto molto strano, e anche tu, Ally, devi ammettere che certe storie che girano hanno quasi più senso di quello che sappiamo noi. Se pure Galen non sa che pensare, sarebbe stupido continuare a credere e basta…»

«Io credo a lui, non alle “storie”! Idiota! Credo solo al fatto che lui non sia colpevole! Ma se siete così scemi da non capirlo, allora lasciate perdere il mio aiuto!» stavolta Allegra lo fulminò con lo sguardo, e lo fece in modo talmente feroce che addirittura Ozzy si ammutolì.

La ragazza si rituffò nel libro come se volesse chiudersi la faccia tra le pagine, e rimase a lungo nella stessa posizione.

Per il resto del tempo, nessuno ebbe il coraggio di parlare ancora, e la cabina sprofondo di nuovo in un quasi completo silenzio. Ogni tanto, Rilo, sempre profondamente addormentato, si esibiva in versi sgraziati, cambiava posizione, o parlottava confusamente di cose come una pianta troppo affettuosa e una bottiglia di vino che spegne gli incendi.

Il mondo al di fuori cambiava colore, e in fine il sole si era adagiato sull’orizzonte vermiglio, nascosto a tratti dagli alberi. Alla fine, Galen si era assopito, sognando brevemente e in modo confuso.

Accanto a lui correvano le lunghe pareti di pietra grigia di una sala, grande, eppure opprimente e buia come un angusto corridoio. I contorni di ogni cosa sembravano incresparsi come l’acqua, e tutto appariva frammentato e incompleto.

Si guardò intorno, ma la poca luce rifletteva ombre che sembravano vive, e che danzavano dentro e fuori da una grande oscurità in cui nulla era visibile.

Galen notò che c’era qualcuno di fronte a lui, a pochi metri di distanza, una figura nera che se ne stava immobile. Non aveva occhi, ma lo stava certamente fissando.

Galen ebbe un sussulto quando un brivido gelido e pungente lo attraversò, strisciandogli sulla pelle, dalle caviglie alle spalle.
D’un tratto, qualcosa iniziò a scavargli nella carne del braccio destro. Sentì un dolore lancinante scuoterlo da cima a fondo, prima bruciante come il fuoco, poi freddo come il ghiaccio. Riconobbe una mano, orribile e inumana stringerlo saldamente, facendogli sempre più male.

Preso dal panico, Galen cercò disperatamente di scuotersi di dosso quella cosa e scappare, ma i lunghi artigli della mano, simili a quelli di una bestia, erano conficcati nel braccio fino a raggiungere l’osso. Ogni strattone aumentava il dolore, ma il suo corpo in realtà non si muoveva. Il respiro si fece affannoso, e col cuore che gli batteva all’impazzata, Galen cominciò a sentire echi di voci ovattate e incomprensibili che gli rimbombavano nelle orecchie. Dapprima come un bisbiglio che si avvicinava e allontanava, poi sempre più forte, le voci lo circondarono in un vortice asfissiante.

Non riusciva a liberarsi, non riusciva a fare nulla, obbligato a contemplare inerme il proprio terrore. Le voci si fecero grida, poi un fischio acuto, il dolore crebbe e Galen sentì che non ce l’avrebbe più fatta a sopportarlo. Non riusciva più a respirare, e i sensi lo abbandonavano sempre più. Era come se fosse completamente immersi nel ghiaccio. Sentì di non essere abbastanza forte, che sarebbe stato costretto a lasciarsi andare, forse a morire.

Ma ciò non accadde: improvvisamente tutto si placò, inghiottito da un silenzio oscuro.

Altri pensieri sconnessi si avvicendarono nella sua mente: la sua casa e la quiete dell’estate in cui sentì sempre più il peso delle domande senza risposta, di ciò che la sua mente non riusciva ad afferrare, forse perché troppo distante o troppo imperscrutabile.

«Sarà stata davvero la scelta giusta? La migliore?» di fronte a sé, intravedeva ora la sagoma sfumata di un volto, di cui era possibile distinguere solo una massa di capelli bianchi.

«C’era qualcosa di strano, glielo leggevo negli occhi, eppure alla fine doveva aver scacciato quel pensiero, quello che avevo colto…»

«Mi convinse, mi rassicurò. E io che non sapevo niente, che non potevo sapere niente, accettai in silenzio…»

«Ancora oggi non capisco perché… perché era così forte… quella luce verde».

Si svegliò di soprassalto, mentre suonava forte il fischio del treno. Erano arrivati, e il cielo era buio.

Galen vide Ozzy, fermo in piedi e con la mano tesa verso di lui, come se avesse voluto svegliarlo, un istante prima che trasalisse.

Sembrava vagamente preoccupato, come non capitava spesso. Galen si chiese se avesse detto o fatto qualcosa nel sonno.

«Do… dobbiamo andare, Allegra è già uscita» disse soltanto Ozzy. «Ah, e sveglia anche quel citrullo» poi uscì dalla carrozza.

Galen allora si voltò. ‘Come diavolo fa a dormire ancora?’ pensò, mentre il cuore smetteva gradualmente di martellargli il petto.

Ad occhio e croce, Rilo doveva aver dormito per quasi sei ore, e a guardarlo, sembrava capace di ronfare ancora per chissà quanto, senza problemi.

«Questo qui non è normale» disse Galen tra sé e sé mentre lo scuoteva per la spalla.

«Rilo, alzati! Siamo arrivati».

Il ragazzo si svegliò, esibendosi in un sonoro sbadiglio con tanto di stiracchiata.

Da quella mattina, era la prima volta che Galen poteva guardarlo nuovamente negli occhi, e come se, dopo tutto quel tempo non se ne ricordasse più, per un attimo rimase interdetto, vedendo emergere da sotto le palpebre due iridi pallide, quasi giallognole, così atipiche.

«Oh! Ciao Galen» fece lui, sorridendo con aria inebetita. «Il viaggio è andato bene?»

«Ehm… diciamo di sì» fu la risposta sbrigativa. «Ora muoviti però».

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Capitolo 2
*** Sangue meritevole ***


Capitolo 2
Sangue meritevole

 

L’aria della sera era fredda ma elettrizzante. Sceso da treno ancora intontito, Galen vide la stazione di Hogsmeade più brulicante di vita che mai. Enormi frotte di studenti, di cui il più delle volte si intravedevano solo le teste, scorrevano in un flusso immenso si persone, creando un traffico in tutto simile a quello di un formicaio, tranne che per il rumore, notevolmente più forte.

Talvolta, in mezzo alla folla spuntavano alcuni ragazzi più grandi: i Prefetti, riconoscibili, oltre che per l’età, a causa degli strilli che lanciavano, tentando di sovrastare il chiasso:

«Tutti gli studenti devono lasciare i propri bagagli sul treno, animali compresi!»

«Tutti gli studenti devono entrare a Hogwarts indossando la divisa ufficiale della scuola! Nessuna eccezione ammessa!»

«Tutti gli studenti devono raggrupparsi per anno prima di seguire i Prefetti! Gli studenti del primo anno attendano istruzioni!»

Galen girò su sé stesso cercando di individuare Allegra e Ozzy, senza successo, e poiché Rilo non sembrava ancora vicino a raggiungerlo, decise di partire alla ricerca dei suoi compagni, sperando almeno di riunirsi agli studenti del suo stesso anno.

Appena mosso il primo passo, Galen ebbe a stento il tempo di accorgersi dell’enorme figura di Rubeus Hagrid, il guardiacaccia, che si materializzava di fianco a lui.

L’omone non doveva averlo neanche notato, perché per poco non lo travolse, mentre si fiondava nella direzione del flusso di gente, urlando e agitando un campanaccio.

«Studenti del primo anno! Studenti del primo anno, seguitemi alle barche!»

Non appena iniziò a gridare, tutte le altre voci sembrarono poco più che dei sussurri, in confronto al rombo di tuono che usciva dalla sua bocca.

Evitato uno scontro che come minimo gli avrebbe fatto iniziare l’anno in infermeria, Galen scrutò incredulo il gigante allontanarsi a passi pesanti nel suo pastrano di fustagno, poi si incamminò verso la direzione seguita dai Prefetti.

Un lungo viale si snodava tra i piccoli e colorati edifici della cittadina, illuminati e decorati appositamente per l’inizio del nuovo anno a Hogwarts. In molti, maghi, streghe e qualche strana creatura, salutavano con gioia gli studenti, per strada o affacciati alle finestre. Un mago dalla barba lunga, nera e fumante per le bruciature, lanciava numerosi fuochi d’artificio a ritmo incessante, mostrando un largo sorriso dai denti non esattamente immacolati. Davanti a Mielandia, il negozio di dolci, una strega anziana dal viso smunto, ma con abiti inverosimilmente gonfi e tondeggianti, distribuiva a tutti dei dolcetti rosa, dai quali si staccavano e volavano in alto tante piccole bolle dello stesso colore.

La via era così affollata che Galen dovette camminare con molta attenzione per non inciampare rovinosamente mentre si guardava intorno. Mantenendo la direzione presa dal corteo, rammentò che dal secondo anno in poi, gli studenti non arrivassero più a scuola in barca, ma con un mezzo diverso, che ancora non conosceva.

Avanzando, Galen intravide finalmente Allegra, poco più avanti. Poteva riconoscerla anche da dietro, grazie alla forma che i capelli, simili a sterpaglia, davano alla sua testa. Fece uno scatto per raggiungerla.

«Ehi Ally! Eccomi!»

La ragazza si girò, facendogli un cenno con la testa dopo averlo individuato in mezzo alla calca. Lui le si affiancò e proseguirono.

«Ozzy? Non era con te?»

«Si, ma poi ha incontrato dei suoi amici del Quidditch e sono spariti insieme. L’unica cosa che sono riuscita a capire nelle loro urla confuse è che quest’anno Ozzy proverà a diventare battitore della squadra di Serpeverde» rispose lei, guardando avanti.

«Beh, non è una cattiva idea. L’anno scorso era tra i più bravi nel volo, e ad ogni partita lo vedevo sbavare all’idea di scendere in campo».

«Se è come dici, allora capisco perché tu abbia smesso di accompagnarlo».

Galen rise, ma Allegra, visibilmente infastidita al pensiero della bava di Ozzy, trovò il modo di cambiare argomento: «E Rilo invece? Hai dovuto tirargli il gatto in faccia per svegliarlo?»

«No, per fortuna. Ma per quel che ne so, potrebbe anche essere rimasto sul treno».

Con un’occhiata corrucciata, Allegra cercò di capire se Galen stesse scherzando. Lui allora le sorrise per tranquillizzarla, anche se in realtà covava a sua volta il leggero timore di aver intuito la verità.

La marcia degli studenti proseguì fino a una piccola radura, appena fuori da Hogsmeade. Gli alberi che circondavano quel luogo erano incredibilmente maestosi e nonostante le chiome fossero nascoste quasi del tutto dall’oscurità, le luci di molte lanterne permettevano di ammirare dei tronchi tanto immensi che sarebbe servita una catena di circa dieci persone per circondarne uno.

La cosa che però risaltava maggiormente in mezzo a quello spiazzo era una fila perfetta di moltissime carrozze, interamente coperte d’un nero lucido, ferme in attesa di passeggeri. Galen e Allegra le osservarono più da vicino: l’aspetto strano delle vetture era dato dal fatto che ognuna fosse munita di briglie e attacchi per cavalli sospesi nel nulla.

Non ebbero il coraggio di toccarle, ma dopo un po’ furono d’accordo nel dire che attaccato a quelle briglie non ci fosse proprio niente, anche se ogni tanto queste vibravano senza motivo. Galen ipotizzò che fosse un semplice incantesimo a trainare le carrozze, pur notando di sfuggita la strana reazione che ebbe alla loro vista una coetanea di Tassorosso, Mercy Stacke, che sobbalzò vistosamente a pochi metri di distanza.

La grande folla si divise riempiendo le vetture, e queste partirono subito.

Galen e Allegra si sedettero l’uno di fianco all’altra, insieme ad altri ragazzi che non conoscevano. Lei non lo guardò in faccia neanche per un istante, tentando di sembrare impegnata a sistemarsi la divisa.

Lui la osservò qualche secondo, come indeciso, poi si avvicinò per parlarle a bassa voce.

«Lo so che sei ancora arrabbiata, e io, beh… forse avrei dovuto darti retta. Mi dispiace».

Allegra non gli concesse ancora uno singolo sguardo, ma spostò l’attenzione sulla vista al di fuori.

«Lo sai che negli ultimi tempi ho sentito tante persone dire di tutto» insistette Galen, «e anche io certe volte non…»

«Lo so che ti dispiace» lo interruppe lei secca, «ma se vuoi che io non sia arrabbiata, devi ascoltarmi. Cosa sia successo davvero quel giorno è un mistero, visto che nemmeno tu lo ricordi con certezza».

Allegra lanciò un’occhiata furtiva alle persone nella carrozza, assicurandosi che non stessero origliando, poi a Galen, prima di tornare a guardare fuori.

«Io, Ozzy, e credo anche Rilo, vogliamo solo aiutarti a scoprire la verità, ma siamo tutti d’accordo su un punto: tu non faresti mai una cosa del genere, seppur a uno come Varan. Per questo ci fidiamo».
Stavolta Allegra lo scrutò fissa come se volesse entrargli nel cranio.

«Ficcatelo in testa per la prossima volta che avrai dubbi su di noi. Soprattutto su di me».

Quello doveva essere uno strano modo per fare pace, anche se Galen non si sentì più rilassato di quanto non fosse prima.

Dopo alcuni minuti dalla partenza delle carrozze, che percorrevano i sentieri in modo così leggiadro e silenzioso da dare la sensazione che vi levitassero sopra, dietro alcuni alberi apparve finalmente il castello di Hogwarts.

La scuola dominava il paesaggio come un gigante di pietra, eterna ed elegante, stagliandosi nella notte con fierezza. Da tutte le finestre si irradiava una grande luce, in grado di vincere le tenebre del cielo e di far brillare gli alti torrioni, più belli e imponenti di quanto non fossero già normalmente. Al di sotto, nella vallata, si intravedevano una moltitudine di minuscoli riflessi sulle acque increspate del Lago Nero, i cui contorni erano sfumati dal buio. Da lì passavano i nuovi allievi, in barca.

Il cuore, non solo di Galen e Allegra, ma di chiunque ammirasse quello spettacolo, si riempì di gioia e di eccitazione. Era impossibile che esistesse qualcosa di altrettanto magnifico. Era impossibile che alcun altro posto fosse come Hogwarts.

Lasciate le carrozze, fu il momento di attraversare l’enorme portone, le cui incisioni brillavano di luce magica come oro scintillante. Sia l’atmosfera esaltante, sia la grande soggezione che ogni parte di quel luogo suscitava, crescevano ogni secondo di più.

Appena nell’atrio, la fiumana di gente si fermò di fronte a una scalinata, dove stava in attesa, più in alto di tutti, la professoressa Minerva McGranitt, una strega dai lineamenti scarni e dal portamento austero e autorevole.

Quando tutti furono radunati, con un gesto in aria, la professoressa fece calare il silenzio.

«Ben tornati miei cari, ragazzi e ragazze, per un nuovo anno a Hogwarts. A nome di tutto il corpo insegnanti vi comunico la grande gioia che proviamo nel rivedervi qui, e speriamo che sia per tutti un anno pieno di successi e soddisfazioni».

«Lo sta dicendo a noi che prova una grande gioia, o a sé stessa?» bisbigliò Allegra.

In effetti, l’espressione impassibile dell’insegnante mal si sposava con l’entusiasmo delle parole che pronunciava, ma queste a Galen suonavano comunque autentiche. La McGranitt portava un paio d’occhiali squadrati, e la sua posa slanciata era accentuata dai capelli neri, raccolti in un rigoroso chignon, e dal lungo mantello color smeraldo che indossava.

«Ora però» proseguì, scrutando curiosamente nella loro direzione, «prima che vi sistemiate nei rispettivi dormitori, vi chiedo di prendere posto nella Sala Grande, per attendere gli studenti del primo anno, ed assistere alla cerimonia di Smistamento, oltre, naturalmente, a partecipare al banchetto di benvenuto». Delle lievi increspature le comparvero intorno alla bocca, ricordando un sorriso.

Senza aggiungere altro, si voltò e cominciò a camminare a passo spedito, facendosi seguire dalla mandria di nuovo rumorosa.

La Sala Grande manteneva decisamente fede al suo nome. Era di gran lunga l’ambiente più imponente e spazioso dell’intero edificio, e questa sensazione era ampliata dalla coltre incantata che ammantava le grandi volte del soffitto, simulando un cielo notturno puntellato di stelle lucenti e di magiche candele sospese. Il centro della sala era percorso da quattro tavolate mastodontiche, già apparecchiate con piatti e posate d’oro scintillante, abbastanza grandi da dare posto a tutti gli studenti, una casa ciascuna. Il tutto era completato da enormi e pesanti arazzi, lunghi dieci metri e forse più, che percorrevano tutta la parete, sbucando dalla foschia del soffitto magico. Erano alternati regolarmente per colore: giallo, rosso, blu e verde.

Accompagnati dall’eco dei passi sicuri della McGranitt, Galen e Allegra entrarono con tutti gli altri per andarsi a sedere al proprio tavolo, esattamente sotto a un incombente stendardo verde malachite, su cui era rappresentato un serpente argentato dalle spire contorte e con le fauci spalancate.

Anche se solo pochi mesi prima Galen era solito entrare in quel luogo impressionante ogni giorno per mangiare, studiare e per stare in compagnia, in quel momento non riusciva ancora a riabituarcisi, e rimanendo estasiato col naso all’insù, ad un certo punto quasi si ribaltò da sopra la panca, lunga quanto il tavolo. Mentre esaminava rapito quei colori e quell’atmosfera elettrizzante, intravide la quinta grande tavolata in fondo alla sala, riservata agli insegnanti. Era ancora deserta. La stessa professoressa McGranitt, dopo averli accompagnati, si era dileguata. Al centro del tavolo, più appariscente di tutti, si ergeva il grande seggio vuoto del preside. Albus Silente.

Allegra notò Ozzy venire nella loro direzione a passo d’elefante, seguito a ruota da Rilo, che aveva la camicia della divisa sgualcita e fuori dai pantaloni. Lei fece ai due un saluto agitando la mano: «Ehi! Qui!»

Galen tornò quindi alla realtà, e li salutò a sua volta.

«L’ho trovato in fondo al gruppo degli studenti. Pensate che si era perso! Volevo lasciarlo lì, ma poi mi ha fatto troppa pena» esordì Ozzy alludendo al proprio accompagnatore.

«Al posto tuo non sarei così sgarbato, Oswald. Anche tu, se avessi cercato di riposare sul treno, in mezzo a tutto quel rumore, staresti un po’ intontito».

Rilo sembrava tornato in sé, per quanto possibile. Ozzy con indifferenza lo degnò solo di una risposta frettolosa: «Non lamentarti, che hai dormito come un morto, e poi Oswald non mi ci chiama nemmeno mio nonno».

«Va bene, abbiamo capito, Rilo dorme un sacco. Ma vi rendete conto che tra poco sapremo in quale casa verrà smistato Harry Potter? Credete che verrà da noi?» Allegra distolse l’attenzione dalle solite stupidaggini di Ozzy. I suoi occhi, tuttavia, brillavano di autentico interesse.

«Già» convenne Galen. «È buffo, ma anche se Potter è famoso, non sappiamo assolutamente che tipo sia. Chissà, magari è solo uno come tanti, e magari non c’entra niente con Serpeverde».

Lanciò un’occhiata a Ozzy che, quando si concentrava, assumeva un’espressione di sforzo quasi doloroso, «Per certi versi, potrei addirittura augurarglielo…» aggiunse a quella visione.

«Che scemenza!» esplose il ragazzone, facendo vibrare così violentemente la panca da rischiare di sbalzare via Allegra accanto a lui.

«Harry Potter ha battuto Tu-Sai-Chi, no? Secondo me sarà un tipo pieno di sé, con un sacco di fan e con quella sua bella cicatrice! I vip sono tutti uguali…»

«I vip hanno tutti delle cicatrici?» intervenne Rilo, perplesso.

«Ma no! Brutta testa di legno! Volevo solo dire che… vabbè, a parte questo, avere uno come lui farebbe capire anche ai più tonti che i Serpeverde sono i più forti, e se è bravo quanto si dice, verrà da noi senza neanche pensarci!» sentenziò, ponendo fine alla discussione per quanto lo riguardava. «A me però interessa anche un’altra cosa: quel nanetto… Draco, giusto? Se davvero verrà smistato in Serpeverde… mi divertirò a dargli una bella lezione per oggi…»

Allegra era ancora aggrappata rigidamente al tavolo a causa dello scossone, coi capelli più ispidi e arruffati di prima, ma trovò la forza per scoccare a Ozzy l’ennesima occhiataccia della giornata.

«Come al solito, Ozzy, dici cose banali. Non tutte le persone famose sono vanitose come lo saresti tu al posto loro. Secondo me dev’essere un ragazzo segnato dal suo passato, e quindi anche più maturo di tanti altri… e poi magari è anche… carino».

«Tu lo sai che ha undici anni, vero?» intervenne Galen, «anche se è lui, è comunque più piccolo».

«Certo che lo so che ha undici anni! La mia era solo un’ipotesi!» Il viso di Allegra era tirato all’inverosimile, ma un leggero rossore era apparso all’istante su tutta la faccia.

Galen si girò allora verso Rilo, che dopo il suo intervento si era distratto guardando intensamente una forchetta: «E tu? Come pensi che sia Harry Potter?»

Rilo non sembrava nemmeno aver sentito la domanda. «Secondo voi, al banchetto ci sarà il pasticcio di Grugnospino e Prugne Barbute?»

«Dai su, rimani concentrato un secondo!» fece Galen, che gradualmente si stava appassionando all’argomento. Rilo sbuffò svogliato, proprio mentre Ozzy chiedeva ad Allegra cosa fosse il Grugnospino.

«Mah, non saprei. Molte persone sono convinte che farà grandi cose, ma lo dicono solo per un fatto, per quanto insolito, di cui non ci sono testimoni, vivi perlomeno, e di cui probabilmente non si capacita neanche lui». Rilo alzò di scatto gli occhi dal tavolo, con l’espressione di chi ha avuto una grande intuizione: «Un po’ come te, Galen».

Galen si pentì istantaneamente di avergli posto quella domanda, ma non si arrabbiò: c’era qualcosa nello sguardo assente di Rilo che lo faceva sembrare incolpevole per qualunque cosa dicesse.

«Ma dai! Vorresti davvero farmi credere che secondo te sarà solo uno studente comune?» provò a intervenire Allegra, consapevole che non fosse il caso di riaprire l’argomento già affrontato in treno, ma in parte anche volenterosa di scoprire dove Rilo volesse andare a parare.

Sul suo pallido volto si leggeva un’evidente indolenza per l’ostinazione degli amici, ma Rilo prosegui: «Dico solo che potrebbe avere ragione Galen. Potrebbe essere uno come tanti altri. Per quanto ne so io, Voldemort potrebbe avergli fatto quella cicatrice di proposito, per essere come le altre persone famose… credo».

Era incredibile. Nessuno di loro tre aveva mai sentito nominare apertamente il Signore Oscuro, nemmeno il giorno in cui, da piccoli, avevano imparato che quella parola poteva portare solo a terribili guai.
Erano tutti esterrefatti di fronte alla noncuranza con cui Rilo aveva pronunciato quel nome, ma mentre Ozzy stava alzando il pugno per colpirlo in testa a causa di ciò che aveva detto, e forse anche per non aver capito ancora la storia delle cicatrici, la McGranitt e gli studenti del primo anno fecero il loro ingresso nella sala.

I nuovi arrivati avevano quasi tutti la stessa faccia dei condannati sulla strada del patibolo. Galen ripensò per un attimo a quando si era trovato al loro posto, solo un anno prima, e si chiese se anche lui e gli altri avessero mostrato quella stessa espressione atterrita. In quel momento però, gli riusciva difficile ricordare cosa avesse provato esattamente.

In mezzo a quei ragazzi, tuttavia, notò di sfuggita una ragazza dall’aria sicura che, al contrario di tutti gli altri, sembrava impaziente di iniziare lo Smistamento.

Insieme agli studenti del primo anno e all’insegnante, fecero il loro ingresso i quattro fantasmi delle case, trapassando gli spessi muri di pietra. Il Barone Sanguinario si adagiò in alto, ad alcuni metri da loro, grondante una strana sostanza, simile a sangue argenteo, avvolto in catene e con gli occhi vitrei come suo solito.

Tra i quattro era quello che più corrispondeva all’ideale dello spettro spaventoso, e sicuramente era il meno loquace, soprattutto rispetto al Frate Grasso di Tassorosso e a Nick Quasi-Senza-Testa di Grifondoro.

Il piccolo corteo raggiunse il tavolo degli insegnati. Con meraviglia Galen notò che tutti i professori si erano come materializzati ai loro posti, senza che nessuno se ne accorgesse. Erano tutti volti già noti, salvo uno: uno strano omuncolo con in testa un turbante dal colore violaceo.

Immediatamente la professoressa McGranitt posizionò davanti a tutti un cappello macilento. I nuovi studenti lo guardarono, incuriositi ma prudenti, finché questo non cominciò improvvisamente a parlare, facendone trasalire la maggior parte.

Ozzy ghignò malignamente quando vide ragazzo paffuto che cercava il suo rospo sul treno cacciare un gridolino acuto.

Il Cappello Parlante iniziò a declamare la propria filastrocca:

«Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete,
io ve lo giuro, mi scappello,
se uno più bello ne troverete…»

«Per caso voi sapete chi sia il professore col turbante?» Galen continuava a scrutarlo, cercando di non farsi notare.

«Quello? Quello è Raptor, da quest’anno insegnerà Difesa contro le Arti Oscure. Pochi giorni fa ho letto della sua nomina in un trafiletto sulla Gazzetta del Profeta» rispose Allegra.

«Vuoi dire che dopo che se n’è andato Gwald, hanno addirittura preferito un ex insegnante di Babbanologia a Piton? Silente deve proprio avercela a morte con lui!» commentò sorpreso Ozzy.

Nessuno di loro quattro, infatti, era un grande ammiratore né di Severus Piton, né della sua materia: Pozioni; ma come tutti, sapevano quanto l’arcigno professore aspirasse alla cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, ed essendo egli anche il direttore di Serpeverde, provavano per lui un misto di rispetto e timore.

«Vi ricordate quando quel vecchio matto di Julius Gwald è andato da Silente a lamentarsi di tutte le cose strane che gli capitavano? Lo potevi sentir strillare da ogni punto del castello!» Ozzy ridacchiò di gusto, pensando a quell’episodio.

Il loro precedente insegnante di Difesa contro le Arti Oscure era fuggito da Hogwarts a metà anno scolastico, convinto che qualcuno stesse attentando alla sua vita. Dopo una lunga e plateale discussione per i corridoi della scuola, Silente si era trovato infine costretto ad accettare le sue dimissioni.

«…Forse è Grifondoro la vostra via,
culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria,
fan di quel luogo uno splendore» continuava il Cappello Parlante in sottofondo.

«Incredibile. Quello è Quirinus Raptor…» Galen parve aver avuto una rivelazione. «È praticamente un’altra persona rispetto all’anno scorso! Non me lo ricordavo così secco e pallido, e soprattutto, non con quella cosa in testa».

A pensarci bene, ricordava di aver sentito alcune dicerie riguardo il professore e uno spiacevole incontro con un vampiro, ma prima di vederlo ridotto così, aveva rapidamente accantonato quelle notizie.

«…O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori,
quei tipi astuti e affatto babbei
che qui raggiungono fini e onori!»

«Sinceramente, la cosa che mi stupisce di più è che Madama Bumb sia ancora l’insegnante di Volo, dopo che l’anno scorso ci ha fatto perdere la partita con Corvonero in modo vergognoso: ogni due minuti dava un fallo contro Serpeverde! Come se il Quidditch fosse un gioco per mammolette che non devono farsi male». Ozzy, tanto per cambiare, finì per innervosirsi seguendo semplicemente il flusso dei suoi pensieri.

Intanto, il cappello aveva terminato la sua canzone, e l’intera sala esplose in applauso scrosciante: tutto era pronto per lo Smistamento.

La professoressa McGranitt, in piedi, srotolò una lunga pergamena, e dopo aver spiegato brevemente la procedura, iniziò a leggere:

«Abbott Hannah!»

Allegra e Rilo presero entrambi a giocherellare con le scintillanti posate davanti a loro. Mentre lui guardava la stessa forchetta di prima roteargli tra le dita, distratto da chissà quale pensiero e assolutamente disinteressato alla cerimonia, la ragazza era quasi sempre voltata in direzione del Cappello Parlante, e ogni suo movimento assomigliava più a uno spasmo nervoso.

Vennero chiamati i primi studenti. Per il momento, l’unica nuova arrivata in Serpeverde era una tale Bulstrode Millicent, una ragazza dal volto perennemente deformato da una smorfia schifata e dal fisico imponente, soprattutto per quanto riguardava le spalle.

Un’altra studentessa, quella che Galen aveva notato per il suo modo di fare sprezzante, venne smistata in Grifondoro. Quando fu il suo turno, tutti seppero anche come si chiamava: Granger Hermione.

La ragazza, appena arrivata al cospetto del Cappello, se l’era infilato in testa con decisione, nascondendovi sotto quasi totalmente una lunga chioma castana. Nonostante il suo spirito deciso, sulle prime l’indumento magico sembrò molto combattuto nella scelta, richiedendo alcuni minuti per smistarla.

Altri studenti indossarono il Cappello, e, indipendentemente dal loro aspetto e dell’atteggiamento con cui si avviavano al giudizio, ognuno di loro venne accolto da grandi ovazioni nella propria nuova casa.

Per ciò che Galen ricordava, quella sensazione di calore che lo aveva assalito nell’unirsi ai suoi nuovi compagni era stato uno dei momenti più belli del tempo trascorso a scuola. In quell’istante di esaltante euforia ancora ignorava moltissime cose che successivamente non sarebbe riuscito più a togliersi dalla testa. Eppure, non era passato così tanto tempo.

«La vostra casa sarà un po’ come la vostra famiglia», così diceva sempre la McGranitt ai nuovi studenti; ma inevitabilmente, quella frase non avrebbe assunto per tutti lo stesso significato.

Col passare del tempo, la schiera degli studenti non ancora smistati andò assottigliandosi, ma fu quando la McGranitt chiamò ad alta voce: «Malfoy Draco!» che Galen e compagni divennero particolarmente attenti a ciò che stava accadendo, soprattutto Ozzy.

Malfoy si avvicinò con aria tronfia, e non appena il cappello gli sfiorò la testa, la sentenza fu immediata: Serpeverde!

Soddisfatto, il ragazzo raggiunse i suoi due amici Tiger e Goyle, che erano già stati smistati a loro volta in Serpeverde.

Tutti gli studenti in verde stavano applaudendo; ma Ozzy, come gli altri del gruppo, batteva le mani lentamente e con un’espressione fredda in viso. Allegra lo sentì sussurrare tra sé e sé: «Bingo…»

Vennero chiamati ancora una manciata di nomi, finché non giunse il momento fatidico.

Dopo un silenzio lungo qualche interminabile secondo, riecheggiò nella sala: «Potter Harry!»

Fu come se tutti i presenti fossero scattati sull’attenti. Anche Rilo, che fino a poco prima aveva prestato attenzione a qualsiasi cosa tranne che alla cerimonia, spiò di sottecchi la postazione del Cappello Parlante.

Allegra stritolava un tovagliolo per la concentrazione.

Un ragazzo minuto si avvicinò alla McGranitt. In testa aveva una selva di capelli scuri, completamente spettinati, e indossava un paio di occhiali a montatura tonda. Galen pensò aver avuto ragione: sembrava una persona ordinaria. Tuttavia, per qualche motivo non avrebbe mai potuto immaginarselo più diverso di così.

Una volta indossato il Cappello, questo gli inghiottì completamente il volto con la sua larga falda, ma non disse niente. Un denso chiacchiericcio serpeggiava tra i presenti, ed era l’unica cosa che scalfisse l’agitazione, ovunque palpabile.

Sembrava che fosse in corso una specie di conversazione mentale tra Potter e il cappello. Non era la prima volta che si vedeva una cosa del genere, ma ora tutti tentavano di carpire il più minimo movimento.
Alla fine, il Cappello si drizzò e gonfiò, prima di gridare: «Grifondoro!»

L’intera tavolata dei Grifondoro si alzò di scatto in un boato impressionante.

Galen allentò la tensione chinandosi sul tavolo, ma prima lesse una cocente delusione sul volto di Allegra. D’altro canto, Rilo già guardava da un’altra parte, e Ozzy alzò le spalle con indifferenza:

«Bah! È chiaro che non fosse all’altezza».

Anche se nella sua frase c’era una chiara punta di disprezzo, una volta tanto Galen concordava almeno in parte con lui, poiché a vederlo, Harry Potter non gli era sembrato un tipo da Serpeverde, nel bene e nel male.

Ormai lo Smistamento era giunto al termine. Tra gli ultimi vi furono Weasley Ronald, con buona probabilità il fratello minore di Fred e George, che a sua volta finì in Grifondoro e Zabini Blaise, che si unì ai Serpeverde.

Il Cappello venne portato via, e tutti gli alunni, decisamente più rilassati, non aspettavano altro che mettersi a mangiare. Prima però, si alzò in piedi Silente, il preside.

«Benvenuti!» disse, «Benvenuti al nuovo anno scolastico di Hogwarts! Prima di dare inizio al nostro banchetto, vorrei dire qualche parola. E cioè: pigna, pizzicotto, manicotto, tigre! Grazie!»

Il vecchio mago, con la sua lunga barba argentea e il naso aquilino, si risedette tra applausi scroscianti e sguardi interdetti degli studenti appena smistati.

In quell’istante, ogni tavolata si riempì di cibi e bevande di tutti i tipi, i piatti e i calici dorati vibrarono traboccando di leccornie. I presenti, meravigliati, si gettarono sul banchetto come lupi affamati. L’unico a non essere troppo entusiasta fu Rilo, che a quanto pare non vide traccia di alcun pasticcio di Grugnospino e Prugne Barbute.

Al tavolo dei Serpeverde, Ozzy attuò subito la sua prima rappresaglia nei confronti di Malfoy e dei suoi amici: convincendo in modo minaccioso un gruppo di studenti a non fargli posto, li obbligò a sedersi all’estremità della panca, sotto al tetro e inquietante Barone Sanguinario, che, coperto dalla sua disgustosa sostanza viscosa, gocciolava continuamente sul cibo di chiunque gli stesse troppo vicino. I tre sembrarono a pari merito seccati e inquietati dalla cosa.

«Non sapevo che questa scuola fosse così piena di Mezzosangue e Sanguemarcio! Hai sentito quanti nomi da Babbani sono stati chiamati? Bleah… mi aspettavo di molto meglio. La nostra casa come minimo ci tiene a mantenere il sangue puro nei suoi studenti. Almeno nella maggior parte dei casi…»

A parlare era stata Pansy Parkinson, un’altra nuova arrivata in Serpeverde.

«Ho sentito che addirittura in Serpeverde c’è qualche… indesiderato. Spero solo che certi “compagni” sappiano che se Salazar Serpeverde fosse ancora vivo, loro sarebbero la sua vergogna. Magari questo li convincerebbe ad andarsene».

Davanti a lei, proprio Malfoy, Tiger e Goyle ascoltavano, cercando nel frattempo di liberarsi del Barone. Draco stesso assecondò la tesi della ragazza parlando della sua discendenza, di suo padre e della sua grande influenza sia nel Consiglio di Hogwarts che nel Ministero della Magia, e di altri vanti, messi in fila come una lista della spesa.

Galen aveva sentito parte del discorso, ma più che rimanerne indignato, l’aveva trovato profondamente noioso. Lui era quello che chiamavano “un Mezzosangue”, e l’anno prima non gli era servita Pansy Parkinson per capire che essere un Serpeverde non Purosangue spesso non rendesse la vita facile.

Da quando esisteva Hogwarts, e probabilmente il Mondo Magico stesso, la questione della purezza di sangue era sempre stata al centro di un dibattito mai concluso. Per tanti anni, tuttavia, Galen non si era mai preoccupato della propria origine, e i suoi genitori lo avevano sempre protetto; tanto che non credeva esistessero persone nel mondo a cui questa cosa importasse davvero.

Invece, la convinzione di alcuni maghi, certi che la propria razza li rendesse superiori ad ogni altra forma di vita, li aveva resi superbi, spietati e sprezzanti nei confronti dei Babbani. Molti di loro pensavano che lo Statuto di Segretezza, che impone a ogni strega e mago di non rivelare l’esistenza del loro mondo, fosse più una protezione a vantaggio di questi esseri “inferiori” che degli stessi maghi.

Da secoli, le famiglie magiche che preservavano un sangue puro venivano considerate prestigiose e meritevoli di lode. Molte di queste famiglie condividevano un odio atavico per i Babbani, i Mezzosangue e i cosiddetti “Sanguemarcio”, ma per molto tempo questo astio era rimasto spesso sopito, fino all’ascesa di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, che aveva gettato il mondo nel caos.

Galen si fermava spesso a pensare che, come aveva detto Pansy, lo stesso fondatore della sua casa, Salazar Serpeverde, fosse famoso per il suo disgusto verso il Mezzosangue.

‘Se fossi vissuto ai suoi tempi, non sarei mai potuto finire qui’ si ritrovava a pensare. ‘Oppure avrebbe semplicemente provato a uccidermi’ diceva tra sé e sé, immaginando il volto terrificante di quel potente e antico mago, pronto a maledirlo.

Era già da tempo consapevole che se non fosse stato per Allegra, Ozzy e Rilo non avrebbe avuto alcun legame coi membri della sua casa. Durante l’estate, in alcuni momenti aveva addirittura pensato che non sarebbe più voluto tornare a scuola.

Al di là di come potesse sentirsi, sapeva però di non essere il primo studente non Purosangue a mettere piede in Serpeverde, tanto meno l’ultimo, anche se molti tentavano di nasconderlo.

Ozzy era Mezzosangue come lui, e Allegra, pur essendo figlia di maghi, non si era mai vantata di essere più “pura” rispetto a chiunque altro. Anzi, era qualcosa che, secondo l’esperienza di Galen, non le interessava minimamente.

Per quanto riguardava Rilo, a dirla tutta, Galen non sapeva molto. Non era facile far parlare Rilo di un argomento che non gli fosse congegnale, benché meno se l’argomento era lui.

La cena proseguì nella baldoria così come era iniziata. Ogni tanto, qualche studente si alzava, passando vicino ai quattro, per andare a parlottare da una parte all’altra della tavolata, e nel viavai di persone, Galen e Rilo furono urtati almeno un paio di volte.

Quando tutti ebbero finito di chiacchierare, passeggiare, mangiare e bere, Galen non aveva più appetito già da diverso tempo, rimpiazzato da una discreta stanchezza per la giornata trascorsa. Da qualche minuto contemplava la fetta di torta di mele che non era riuscito a finire, sparsa sul suo piatto. Ozzy, di fronte, si teneva la pancia con soddisfazione. Aveva ingurgitato quasi metà di ogni portata al centro della tavola, e anche Rilo, pian piano e senza farsi notare troppo, aveva fatto piazza pulita del cibo nelle sue vicinanze.

«Che è successo? Non ti è piaciuta?» gli chiese Allegra, che si era appena divorata due grosse fette della stessa torta di mele.

Galen allora le porse il suo piatto, e Allegra sembrò rifletterci un secondo prima di rifiutare perché troppo piena.

Silente si alzò ancora una volta per parlare, placando il chiasso di tutta la sala. Il preside aveva degli annunci da fare.

Parlò della Foresta Proibita, di come nessuno, Prefetti inclusi, dovesse tentare di entrarvi. A Galen parve di carpire un cenno furtivo di Silente al tavolo dei Grifondoro, poi il discorso proseguì.

Gli avvisi più ordinari riguardavano il divieto di effettuare duelli e gare magiche, se non nei contesti in cui ciò era previsto, e l’inizio degli allenamenti di Qudditch a partire dalla seconda settimana di lezioni. Per ultima però, aggiunse una frase che lasciò tutti interdetti:

«E infine, devo avvertirvi che da quest’anno è vietato l’accesso del corridoio del terzo piano a destra, a meno che non desideriate fare una fine molto dolorosa».

Qualcuno tra gli alunni del primo anno ridacchiò, nella convinzione che si trattasse di un’altra stravaganza del preside, ma nessuno di quelli più grandi fece lo stesso. Silente amava scherzare, ma bastava guardare un attimo nei suoi profondi occhi azzurri per capire quando parlava seriamente, e non vi erano possibilità di fraintenderlo.

Nel silenzio, il vecchio mago impugnò la bacchetta, e con un gesto rapido ne fece scaturire una lunga scia dorata che attraversò tutta la sala, formando strofe di una canzone: era il momento dell’inno della scuola.

Nel gruppo di Galen, che canticchiava sottovoce, Ozzy intonò qualche verso sguaiato, sbuffando e strascicando le parole, Allegra iniziò a pronunciare distrattamente una parola ogni cinque, e Rilo rinunciò totalmente a cantare, anche se ondeggiando la mano faceva finta di dirigere un gigantesco e cacofonico coro, con aria deliziata.

Anno dopo anno, il leggendario inno era sempre rimasto terribile e mal eseguito, perciò nessuno si preoccupava di impegnarsi più di quanto non volesse realmente, ma Silente ne sembrava comunque estremamente compiaciuto, poiché a suo dire, la musica superava ogni forma di magia conosciuta.

Finalmente la cena era finita, e tutti, eccitati ma stanchi, furono felici di dirigersi ai dormitori. I membri delle varie case, vecchi e nuovi, si incamminarono in direzioni diverse.

I Grifondoro e i Corvonero si inerpicarono su per le scalinate che portavano alle loro sale comuni situate nelle torri. Chi alzava lo sguardo dalla base delle ripide gradinate poteva godere dello stupefacente spettacolo offerto dalle stesse scale, che lungo un’infinita salita verticale si muovevano e scambiavano di posto in completa autonomia, come guidate da una propria coscienza.

Tra i piani più bassi si intravedeva anche Pix, il poltergeist della scuola, che svolazzava qua e là, spuntando a volte con la testa tra i gradini per spaventare chiunque gli capitasse a tiro. Soprattutto i nuovi arrivati.

Serpeverde e Tassorosso, invece, scesero giù, verso i Sotterranei, dove la luce diminuiva sempre più, fino a dipendere da un’esigua fila di lanterne appese al muro. I Tassorosso si distaccarono presto per rimanere al livello del seminterrato, mentre Galen e gli altri, rimasti solo con i compagni della loro casa, proseguirono la discesa in fondo alla fila.

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Capitolo 3
*** Nella tana delle vipere ***


Capitolo 3
Nella tana delle vipere




La scala proseguiva ripida verso il basso per diversi metri. La prima volta che Galen l'aveva percorsa gli era sembrato di calarsi inesorabilmente nella gola buia di un mostro enorme.

Giunti in fondo a un corridoio particolarmente tetro, il gruppo dei Serpeverde si arrestò di fronte a un grigio muro di pietra dall'aspetto umidiccio. Galen e gli altri non potevano vedere chiaramente cosa stesse succedendo, ma bastava che fossero in grado di sentire la nuova parola d'ordine.

Si udì forte e chiaro qualcuno pronunciare davanti al muro: «Atrox mandatus!».

La solida parete rocciosa si aprì, generando un lungo e fastidioso rumore di attrito, e quando si fu fermata con un tonfo, gli studenti iniziarono a confluire nella sala comune.

«Quella voce... non è possibile...»

In fondo al drappello, Galen era rimasto pietrificato nell'udire la parola d'ordine senza vedere chi l'avesse pronunciata. All'inizio di ogni nuovo anno, il primo ingresso alla sala comune veniva diretto da un Prefetto della casa, ma quella non era la voce del vecchio Prefetto.

Improvvisamente nervoso, scambiò una rapida occhiata con gli altri: anche loro se ne erano accorti.

Per ultimi, Galen, Allegra, Ozzy e Rilo fecero il loro ingresso nella sala comune di Serpeverde, perfettamente identica a un anno prima.

Li investì un soffuso bagliore verde proveniente dai lampadari, appesi al soffitto basso. Ogni riflesso sulla pietra della sala accentuava il riverbero del colore tutt'intorno, tranne dove scoppiettava il focolare, dentro il granitico camino scavato nella parete e decorato con diverse figure di serpenti guizzanti intagliati nella pietra. Sulla parete spiccava lo stemma araldico della casa, sempre di solida e fredda roccia. Sul fondo della sala, oltrepassati alcuni tavoli color ebano, una fila di finestroni dava direttamente sulla vista subacquea del Lago Nero, dal quale proveniva un'ulteriore e flebile aura verdastra.

Galen non poté fare a meno di notare che, attaccata a una finestra alla loro destra, stava minacciosa la piovra gigante del lago, probabilmente attratta dall'improvviso movimento dopo i mesi di solitudine. Chi era dentro la sala poteva ammirare gli enormi tentacoli dell'animale, corredati da una miriade di ventose grandi come una testa umana, ma soprattutto il becco nero e affilato che, al centro della figura maestosa, pareva osservare tutti come un grande occhio senza espressione.

I quattro mossero alcuni passi all'interno, ma si accorsero subito che il chiacchiericcio, costante fino a quel momento anche per le scale, si era acquietato all'improvviso: molti Serpeverde, più grandi e più giovani, li stavano fissando senza proferire parola.

Il silenzio che regnava nella stanza gremita era profondo e inquietante, come se a riempire la sala ci fosse stato un esercito di manichini; ed era strano come chiunque, anche chi si era unito a loro quella sera stessa, sembrasse al corrente di qualcosa.

Qualcosa di ignoto solo a loro quattro.

Una cosa, però, diventò subito spaventosamente chiara: non erano dove avrebbero voluto.

Nel crepitio solitario del fuoco, Galen sentì quasi il sangue ghiacciarsi nelle vene. All'improvviso, un crescente senso di pericolo lo stava attanagliando, e nella quiete innaturale avrebbe giurato di sentire un sussurro nella testa intimargli di andarsene più rapidamente che poteva.

Un alito di vento gelido gli lambì senza preavviso la nuca, facendolo sussultare, ma l'aria galleggiava immobile, come tutto il resto.

In quel momento Galen capì cosa sarebbe accaduto, per quanto in cuor suo sperava ancora con tutte le forze di sbagliarsi.

Le sue paure, tuttavia, trovarono subito conferma.

«Bavenlee, ma che piacere rivederti! Spero proprio di esserti mancato quanto tu a me...»

La voce che aveva pronunciato la parola d'ordine riecheggiò nella sala; ora però era diversa: melliflua e beffarda.

Dalla folla emerse una figura facendosi spazio tra i compagni.

«Se così non fosse, ne sarei davvero offeso».

Era un ragazzo non particolarmente alto, ma dal fisico tozzo e muscoloso. Aveva dei lucidi capelli corvini pettinati con la riga al lato e un volto scavato, con mento e mandibola prominenti. I suoi occhi erano come due fessure su una stanza buia, in cui guizzava però un luccichio sadico. La bocca, praticamente senza labbra, sembrava intagliata a forma di sorriso con un coltello direttamente sulla faccia.

Varan Yaxley si fece avanti verso i quattro a passi lenti e cadenzati.

«Scommetto che non ti ricordavi che questo sarebbe stato il mio quinto anno, o magari credevi semplicemente che non ci sarei arrivato...» il ragazzo continuava a camminare, adesso girando in tondo, senza guardali.

Decine di persone erano ancora lì intorno, ferme come statue. Era impossibile dire se lo facessero per uno scopo o per paura.

«Invece oggi, non soltanto ci ritroviamo qui...»

Varan si fermò di fronte a loro, fissandoli in tono di sfida.

«Ma stavolta ho già vinto!»

Con ostentata superiorità, spinse in fuori col pollice una spilla che portava attaccata alla divisa, così che fosse visibile a tutti.
Splendente come appena lucidato, lo stemma a forma di "P" dei Prefetti di Hogwarts rifletteva la luce del camino.

«Non si diventa Prefetti tutti giorni Galen, questo dovresti saperlo anche tu. Vuol dire che la scuola si fida di me, e che si aspetta che sappia gestire... e punire i membri della mia casa come meritano...»

Il ghigno di Varan era più largo che mai.

«In quanto Prefetto, dunque, penso sia necessario che io agisca in casi come questo» disse con tono solenne. Era evidente che gli desse una certa soddisfazione pronunciare quella parola: Prefetto.

«Tu sei pericoloso Bavenlee, per gli altri studenti e forse anche per te stesso. Ad essere onesto, mi stupisco che tu non sia stato espulso dopo quello che hai fatto. Stavolta però la tua... fortuna sfacciata è finita, e solo io posso assumermi il compito di proteggere la scuola da quelli come te».

I suoi piccoli occhi neri sembravano quelli di un lupo davanti a una preda. Parlava come se si attenesse a una qualche giustizia, ma il suo sguardo era infiammato solo da un'incontrollabile sete di sangue.

«Certo che però... non è un granché perdere dei punti già il primo giorno. È davvero necessario?»

Una voce calma e distaccata risuonò come un tuono nel silenzio.
Galen si spaventò più di quanto non avesse fatto fino a quel momento. Era stato Rilo a parlare alle sue spalle. Forse neanche se si fosse messo ad urlare in biblioteca sarebbe riuscito ad ottenere un effetto tanto spiazzante.

«È questo che prevede il regolamento, giusto? Però non mi sembra corretto... magari possiamo rimediare».

Se ne stava lì, con l'espressione persa, in attesa di una risposta a quello che doveva credere un ragionevole dubbio.

Nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa del genere, e Varan stesso rimase imbambolato, preso per un interminabile istante completamente alla sprovvista.

Tutto ciò era assurdo. Galen aveva iniziato a sentire un fortissimo ronzio nelle orecchie e a notare che la vista gli si offuscava. Doveva essersi addormentato durante la cena, e questa doveva essere solo una versione più limpida del suo orribile sogno. Era l'unica spiegazione che sapeva darsi.

Come trasformato, il volto pallido di Varan avvampò senza controllo. Era evidente che non prevedesse di essere preso alla sprovvista in quel modo, e anche che questo lo facesse impazzire dalla collera.

«Voi... non la smettete mai di stupirmi...» disse lentamente, digrignando i denti.

«Voi, feccia del vostro sangue, non avete vergogna. Insozzate con la vostra presenza la casa di Serpeverde, credendo di essere come gli altri... come noi! Io non posso permettere che ve ne andiate in giro pensando di meritare le nostre regole, o il nome di mago e strega! Non posso accettare che il mondo vi creda degni di fare qualcosa di più che leccare il fango dalle nostre scarpe!»

Varan si fermò. I riflessi violacei sparirono lentamente dal suo viso e la sua espressione divenne inspiegabilmente neutra.

Guardò dritto Galen. Il suo sguardo era vitreo. Niente di sano abitava quegli occhi.

«Tu sei una malattia, Galen Bavenlee, e sarò io ad estirparti come un'erbaccia da questa scuola e da questa nobile casa. E chiunque osi difenderti, è altrettanto nocivo per tutti noi, e farà la stessa fine».

Scostò con la mano la veste nera, e ne estrasse una scura bacchetta bitorzoluta, simile nell'aspetto a un ramo coperto di spine, ma prima che potesse alzarla, Allegra frantumò il silenzio in un grido.

«Smettila subito Varan! Cosa diavolo pensi di fare!»

La ragazza, poco più bassa di lui ma notevolmente più gracile, sguainò la sua bacchetta così velocemente da farla saettare alla luce brillante del fuoco.

«Sei un povero idiota se credevi davvero che ci saremmo bevuti questa recita da quattro soldi! Tutti questi codardi che ci guardano potranno pure sembrare dalla tua parte, ma se ci facessi del male, spargerebbero la notizia per la scuola nel giro di un'ora! E sono sicura che allora la tua carriera da Prefetto passerebbe alla storia come la più breve mai vista...»

La figura di Allegra si ergeva fiera in mezzo alla sala, come se fosse diventata più alta di almeno un metro e mezzo.

«Parli di purezza, ma scommetto che intorno a te troveresti più Mezzosangue che altro. Finiscila con questa buffonata e ammetti che l'unica cosa che ti preoccupa davvero è che Galen possa umiliarti ancora».

Incredulo, Galen tentava in tutti i modi di non rimanere a bocca spalancata. Stavolta erano gli occhi di Allegra a risplendere di fiamme rabbiose, ma la sua voce era secca e lapidaria. Varan, che si trovava d'improvviso con una bacchetta puntata all'altezza del naso, teneva ancora la sua troppo in basso per poter rispondere a un incantesimo. Sembrava si stesse nuovamente infiammando di rabbia, ma rimase immobile.

«Lasciaci passare, o ti prometto che te ne pentirai...»

Nel sentire queste ultime parole, Galen ebbe un fremito. Il sudore gli imperlava la fronte e sentiva le mani umidicce, ma cercò di tenersi pronto a fare qualcosa, senza sapere minimamente cosa.

Accanto a lui, Ozzy, pallido e tremante, avvicinò con fare incerto la mano alla propria bacchetta, mentre alle loro spalle, Rilo ormai non faceva il benché minimo rumore.

Lo stallo sembrava eterno.

«Lasciaci... passare...» ripeté Allegra, cercando di mantenersi autoritaria, . Stavolta però, un leggero tremolio le attraversò la voce come una crepa.

Fu in quel momento che Varan si ricompose all'istante. Guardò la ragazza negli occhi, sfoderando il sorriso più falso e sinistro che poteva. Poi alzò le mani in aria come segno di resa, e con naturalezza fece un inchino lento e cerimonioso, scostandosi leggermente per liberare il passaggio.

Allegra rimase ferma, fissando il suo avversario come una tigre e puntandogli ancora contro la bacchetta, mentre i suoi amici le passavano dietro. Per ultimo, Galen le mise una mano sulla spalla: «Andiamo» le disse, e la spinse via con sé.

Appena fecero per allontanarsi, Varan si mosse di scatto, accostandosi a Galen, che per una frazione di secondo sentì il terrore di essere stato colto di sorpresa.

Varan invece gli si avvicinò all'orecchio con un movimento sinuoso.

«Bentornato a casa...» sussurrò.

Tutti e quattro si allontanarono a passo svelto, senza voltarsi un attimo, ignorando cosa sarebbe successo di lì in avanti nella sala comune.
Si fiondarono nel dormitorio maschile, e appena entrati, Galen sentì il corpo sciogliersi per l'adrenalina, chiudendo di botto la porta della stanza.

Si lasciò cadere da una parte, non avendo ancora pienamente realizzato che quel momento fosse passato. Allegra sembrava aver perso di colpo tutta la sua sicurezza, e se ne stava rannicchiata in un angolo, tremante e con la bacchetta ancora in mano.

«Quello... quello è matto come un cavallo...» disse Ozzy, che più che agitato sembrava inebetito. Non riusciva ad essere spavaldo come sempre, e a dire il vero, non aveva nulla del suo solito atteggiamento. Mani e gambe gli tremavano vistosamente.

«Aveva un'espressione agghiacciante, non ho mai visto uno sguardo così».

Allegra guardava in basso, facendo lunghi respiri, ma Galen cercò comunque di intercettare il suo sguardo.

«Non dovevi farlo... anche se eri sicura che stesse bluffando, hai rischiato troppo grosso! Non dovevi metterti così in pericolo per me! Hai capito?»

Le parole gli uscivano di bocca senza controllo.

Lentamente, Allegra tirò su la testa.

«Non stava bluffando... non so cosa ci avrebbe fatto, ma non stava bluffando. Sono stata io a farlo». Fece una pausa per riprendere fiato. «Credo che lui ci sia cascato, ma non ne sono sicura». Aveva ancora l'affanno, e non reagì minimamente al rimprovero di Galen.

Ozzy si scosse di botto: «Ma... non dovremmo avvertire degli insegnanti? M-magari Piton! Non potrebbe mai lasciare c-che lui ci minacci così!» Incespicava nelle parole, ma cercava a suo modo di ideare un piano logico.

Rilo se ne stava con la schiena poggiata al baldacchino di un letto da cui pendeva una tenda verde scuro, fissando un punto nel vuoto con la calma di un bradipo.

«Varan è stato molto prepotente a volerci togliere dei punti senza che avessimo fatto niente, ma non credo che sia il caso di scomodare un professore. Non penso facile incolpare di qualcosa un Prefetto. Senza delle prove, non so se qualcuno ci crederebbe, o comunque servirebbe del tempo per verificare l'accaduto. Tempo in cui Varan non sarebbe per niente contento di essere stato infangato... da noi».

Parlando assorto, Rilo aveva iniziato ad arrotolare il drappeggio col dito, in maniera del tutto spontanea.

Anche se lo considerava suonato come una campana, stavolta Galen dovette ammettere che ci fosse un qualche senso in ciò che diceva.

«Magari tra tutti quelli che hanno visto la scena, qualcuno potrebbe avere abbastanza fegato da confermare ciò che è successo» provò a ribattere Allegra.

«Oh, ma i nostri cari compagni non credo parleranno. Penso che molti siano d'accordo con Varan, e gli altri erano piccoli piccoli per la paura! In effetti lui fa molta impressione».

Rilo sembrava divertito al pensiero dei suoi compagni intimoriti, come se la cosa non lo riguardasse.

Ozzy prese a scuotere la testa sconsolato e a muoversi su e giù per la stanza, facendo vibrare il pavimento sotto il suo peso traballante.

«Non è possibile... eppure siamo tutti dei Serpeverde, dovremmo collaborare per la Coppa delle Case, il Quidditch e tutto il resto...»

Non poteva credere che stesse accadendo ciò di cui gli altri parlavano, e sembrava stesse per mettersi a piangere, grande e grosso com'era.

Dal suo angolo, Galen lo seguiva con lo sguardo senza parlare.

Mentre sentiva di riprendere gradualmente il controllo di sé, vedeva anche la situazione in modo sempre più chiaro, ma ciò gli provocava un fastidio che non riusciva a spiegarsi completamente, come una sgradevole sensazione di consapevolezza. Era lui la causa di tutto, ma nessuno sembrava dargli peso.

Aveva rimproverato Allegra perché temeva veramente per i suoi amici, ma ormai sentiva solo quanto lo irritasse venire spudoratamente ignorato.

Cosa volevano saperne loro più di lui? Cosa poteva saperne Ozzy, che ormai si lagnava senza controllo? In quel momento, Galen non provava la minima empatia per lui, ma anzi, quei suoi pensieri sembravano così ingenui che all'improvviso non riuscì più a trattenersi.

«Basta!» gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.

«Come puoi pensare che sia così facile? Cosa sei, scemo? Hai sentito quello che ha detto, o eri troppo occupato a fartela sotto? Non gliene frega niente della coppa, del Quidditch e delle altre stupidaggini! Per Varan e per quelli come lui, noi non siamo compagni, ma qualcosa di cui liberarsi, hai capito? Loro ci odiano! Non ci vogliono qui! E non posso credere che non ti sia ancora entrato in quella testa bacata!»

Gli altri lo guardarono come se fosse impazzito, ma Galen non riusciva a vederli, era annebbiato e non gli importava.

«Se non vuoi far pace con la realtà, allora vai da Varan! Consegnati! Così vedrai quanto vale questo stupido stemma sulle nostre divise, quando siamo noi a indossarlo».

Ozzy rimase in silenzio. Sembrava schiacciato sotto il peso della paura e dell'incertezza come mai prima d'ora.

Galen sentì l'astio spegnersi come un fuoco con una secchiata d'acqua, e si pentì subito di avergli urlato contro, ma non disse niente. Fino a quel momento era riuscito solamente a mortificare chi, in fondo, stava dalla sua parte, ma non aveva idea di cosa gli fosse preso.

Nel frattempo, Allegra aveva trovato il modo di alzarsi. Aveva riposto la bacchetta e respirava in maniera meno spasmodica, ma aveva gli occhi lucidi mentre fissava Galen esterrefatta, incapace di parlare. Per alcuni secondi rimase a bocca aperta, cercando le parole.

«Siamo troppo stanchi per ragionare. Io vado a dormire, e dovreste farlo anche voi. Domani penseremo a cosa fare». Passò oltre la porta, diretta al dormitorio femminile. Sembrava stremata.

Allontanandosi, non sentì una parola provenire dalla stanza dei ragazzi, ma poco prima che svoltasse verso un lungo corridoio, si sentì prendere la manica, era Galen.

«Dico davvero, non dovevi sfidarlo così. Ti prego di non farlo mai più».

Allegra, impassibile, ancora una volta non reagì al rimprovero.

Per l'esasperazione, Galen era quasi tentato di scuoterla per avere una risposta, ma lei si voltò con forza:

«E Ozzy? Cosa non doveva fare per non farti arrabbiare? Magari doveva essere coraggioso quanto lo sei stato tu quando le cose si sono messe male».

Galen fu colpito da una cannonata in pieno petto, e si ritrasse lasciando la presa. Credeva fosse furente, ma lesse sul volto di Allegra solo un grande senso di amarezza.

«Io... mi dispiace molto. Ti giuro che non so perché ho detto quelle cose, e sicuramente non le penso. È che...»

«Lo sai che siamo spaventati quanto te dalla situazione».

«Si, lo so, e infatti non voglio più che succedano cose del genere, ma...» si interruppe un secondo. Non sapeva se avrebbe peggiorato la situazione, ma la domanda gli uscì spontanea:

«Secondo te Rilo pensava davvero che avremmo solo perso dei punti?»

Allegra sembrò visibilmente sorpresa, ma poi non poté trattenere una debole risata.

«Non lo so proprio» disse, e per un attimo, risero entrambi.

«Comunque, vorrei davvero che tu sia più prudente le prossime volte. Anche se, ad essere onesto, c'è stato un momento in cui ho pensato che avresti fatto saltare in aria tutta la sala comune!»

Un ultimo sorriso illuminò il volto di Allegra.

«Lo hai detto tu stesso: Varan non vuole liberarsi solo di te. Per lui ognuno di noi è un pericolo. Rischiamo tutti, e per questo dobbiamo rimanere insieme», poi la ragazza sparì dietro l'angolo.

I tre ragazzi si misero al letto rapidamente e senza dire una parola. Al momento di spegnere le luci, si scambiarono un semplice «Buonanotte», poi tutto cadde nel silenzio più assoluto.

Galen trascorse una notte turbolenta e quasi insonne, per quanto il buio e il riverbero delle acque scure oltre la parete di pietra non gli dessero mai la certezza di essere sveglio o di star sognando. Sentiva costantemente il bisogno di muoversi, spaziando in tutte le direzioni. Sentiva le coperte avvinghiarglisi addosso come spire soffocanti, intrise di sudore.

Aprì gli occhi, o almeno credette di averlo fatto. Non c'era differenza nel tenere le palpebre chiuse o aperte: ogni cosa intorno era completamente invisibile. Nervosamente si levò di dosso le pesanti coperte ormai completamente madide. Perso com'era in quel vuoto assoluto, percepiva il rumore dei propri movimenti forte come se rimbombasse in una caverna. Ozzy e Rilo invece non emettevano un suono, come se nemmeno fossero lì. Galen si sentiva inquietantemente solo, immerso in questo nulla.

Per un po' si arrese, e rimase immobile, rannicchiato sul vecchio letto di quercia completamente sfatto.

Le tempie gli pulsavano e il respiro era affannoso, ma in lontananza gli sembrò di udire qualcosa. La pietra e l'acqua torbida del lago al di fuori di quelle stanze normalmente assorbivano qualunque suono proveniente dall'esterno, ma nel silenzio più completo, Galen avrebbe giurato di sentire una fitta pioggia picchiettare sulle grezze mura del castello e sulle acque vorticanti. Per qualche motivo, questo riuscì a calmarlo, e prima che prendesse definitivamente sonno, sentì una sonora russata venire dal letto di Ozzy. Anche se non poteva ancora vederlo, il mondo intorno sembra essere ancora al suo posto.

Il mattino giunse finalmente a terminare quella notte così strana. Galen ne fu felice, anche se si sentiva tutt'altro che riposato.

Quando salì, la Sala Grande era di nuovo imbandita e gremita di studenti affamati e più o meno assonnati.

Avviato al tavolo dei Serpeverde, Galen vide Allegra, Rilo e Ozzy chiacchierare seduti all'estremità più lontana. Mentre però si incamminava per raggiungerli, si bloccò un istante, scorgendo Varan.

Nonostante l'episodio della sera prima, se ne stava tranquillo a leggere la Gazzetta del Profeta con fare annoiato, e confidando che non l'avesse visto, Galen lo superò a passo svelto. Anche se non poteva voltarsi, sentiva di avere il suo sguardo piantato addosso.

Ozzy fu il primo a vederlo arrivare.

«Ehi! Ma chi si vede! Scusa se non ti abbiamo svegliato, ma... non so come dire, sembravi aver davvero bisogno di dormire ancora un po'» disse masticando vigorosamente una salsiccia. Galen si sorprese nel vedere che sembrava tornato l'Ozzy di sempre, come se il ragazzo atterrito di poche ore prima non fosse mai esistito.

Trangugiava cibo e bevande come se non mangiasse da mesi, scambiando nel frattempo battute e insulti con Rilo, che in quanto ad appetito non era da meno.

Allegra sembrava la più equilibrata dei tre, e quando Galen si fu seduto, lei gli chiese: «Neanche tu hai dormito molto, vero?»

Galen fece una smorfia di sconforto, «Si nota così tanto?»

«Non proprio. Se dovessi giudicare solo dal tuo aspetto direi che non hai proprio chiuso occhio, ma almeno so da loro che stamattina presto dormivi».

«L'ultima cosa che voglio è che Varan possa gongolare, vedendomi a pezzi dopo ieri...» rispose Galen avvicinando al bicchiere una brocca di succo di zucca.

«Ah! A proposito di ieri!» Ozzy attirò bruscamente l'attenzione degli altri.

«Volevo chiedervi di dimenticare il mio comportamento, diciamo così... strano, ma sapete com'è: il viaggio, la stanchezza, il primo giorno... dovete ammettere che normalmente non è roba da me, fare queste figure! Giusto?»

Ozzy si mise a ridere rumorosamente, con la bocca completamente cosparsa del sugo delle salsicce.

Ridestato in lui il pensiero degli insulti all'amico, Galen si bloccò un istante, bicchiere fermo a mezz'aria. Si vergognava profondamente per come l'aveva trattato, ma non una parola di scuse riusciva ad emergere dalle sue labbra. In quel momento, come subito dopo il misfatto, non sentiva che quello sfogo gli fosse appartenuto davvero, e gli era quindi impossibile provare un autentico senso di colpa.

Questa idea continuava a ronzargli in testa dalla notte prima. Magari era stata colpa dello stress, della paura e dell'adrenalina.

Galen si sentiva però ancora troppo stanco per pensare razionalmente a queste cose, e la ritrovata indole chiassosa e spavalda di Ozzy lo indussero definitivamente a lasciar perdere le scuse.

«Ma certo... nessun problema» rispose a Ozzy.

Ebbe, per un istante, paura di ricevere una delle occhiate accusatrici di Allegra, ma ciò non avvenne.

I discorsi al tavolo furono tutto sommato normali. Nessuno aveva ancora voglia di rivangare i fatti del giorno prima e, ognuno nelle sue capacità, si sfogarono su bacon, pane di segale, uova e dolci di ogni tipo.

Mentre stavano per alzarsi, Galen chiese agli altri se sapessero quali lezioni li attendevano.

Puntualmente, Allegra lo informò che le prime due lezioni della giornata sarebbero state Storia della Magia e Incantesimi.

La notizia che avrebbero iniziato l'anno con Storia della Magia, la materia più noiosa di tutte, avvilì non poco Galen, speranzoso di fare qualcosa di più coinvolgente.

«Però hai dimenticato di dire che prima delle lezioni ci sarà un'altra cosa!» si intromise Ozzy, mostrando il suo faccione soddisfatto. Doveva essere molto contento di aver corretto Allegra.

«Di che diavolo stai parlando?» chiese lei, irritata ma anche vagamente incuriosita.

«Allora... l'annuncio sulla bacheca diceva più o meno così...» disse, mentre strizzava le palpebre nel tentativo di ricordare esattamente ciò che aveva letto: «Oggi, 2 settembre 1991, tutti gli studenti, dal secondo anno in su, sono invitati su base volontaria a recarsi presso il campo di Volo alle ore 9 in punto, per la presentazione di una nuova attività extrascolastica...»

Il suo stato di concentrazione si dissolse, lasciandolo all'apparenza abbastanza provato.

«Non so cosa sia, ma visto che è al campo di Volo, magari è qualcosa che ha a che fare col Quidditch! L'importante è che bisogna presentarsi lì, più o meno... adesso!»

Ozzy schizzò via, probabilmente verso il luogo dell'appuntamento.

Galen e Allegra si guardarono per un istante, «Cosa diamine dovrebbe essere "qualcosa che ha a che fare col Quidditch", se non il Quidditch stesso» non poté fare a meno di notare Galen.

«Considerato anche che il Quidditch esiste già» aggiunse Allegra.

Nonostante ciò, decisero comunque di provare a seguirlo, scambiandosi un rapido cenno.

Mentre si allontanavano dalla Sala Grande, Galen scorse Rilo venirgli dietro con le tasche piene di panini dolci della colazione, e si scordò di controllare se Varan fosse ancora lì seduto a spiarlo.

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Capitolo 4
*** Attività extrascolastica facoltativa ***


Capitolo 4
Attività extrascolastica facoltativa




All'esterno, il terreno era viscido e fangoso dalla notte prima, ma il passaggio delle scarpe sull'erba bagnata produceva un piacevole fruscio.

Appena mise il naso fuori dal portale che dava sul parco, Galen si accorse che nonostante il sole splendesse intensamente, la pioggia aveva lasciato l'aria fresca e profumata.

Guardando giù per il sentiero, vide un punto lontano a forma di Ozzy che scendeva a grandi passi, dondolando pericolosamente.

Lo stadio di Quidditch era meraviglioso, soprattutto se lo si osservava dal castello.

Siccome la stagione sarebbe dovuta iniziare di lì a qualche settimana, la struttura non era ancora festosa e colorata come Galen l'aveva vista altre volte: gli alti pilastri e le tribune di legno si ergevano come scheletri spolpati, senza le decorazioni e bandiere variopinte, ma nonostante ciò, mantenevano un aspetto suggestivo.

Avanzando ancora, divenne visibile un folto capannello di persone radunate di fianco allo stadio.

Furono sommersi da un vociare intenso e frenetico. Studenti di tutte le case e di varie età chiacchieravano rumorosamente. Accanto, in un piccolo spiazzo, erano state tracciate delle linee geometriche, che ad un primo sguardo sembravano formare dei rettangoli non più lunghi di un metro e mezzo, affiancati. Assomigliavano a delle piccole corsie.

Ad essere onesti, Galen non aveva già da prima la minima idea del perché fossero lì, e adesso si sentiva ancora più confuso.

La cosa più curiosa, non erano però le linee sul terreno, ma una struttura posta subito dietro e che percorreva per lunghezza tutto il tracciato. La forma e la grandezza suggerivano qualcosa di simile a un armadio, ma dall'estensione esagerata. Era completamente coperto da un telo scarlatto che ne nascondeva la vera identità.

«Vi confesso che per ora non ci sto capendo molto...»

Ozzy li aveva visti arrivare, e grattandosi la testa con le dita tozze, fissava perplesso quello che avevano davanti.

«Figurati noi...» rispose Allegra, che ansimava ancora un po' per la rapida discesa.

«Ma non c'è nessun professore?» Galen si girò intorno, in cerca di qualcuno che potesse spiegare la situazione. Notò come molti altri studenti nei loro pressi sembrassero abbastanza spaesati, ma non vide l'ombra di alcun docente.

«Ahhh! Stai a vedere che si tratta di specie di selezione speciale per il Quidditch e quella rincitrullita di Madama Bumb è in ritardo!» disse Ozzy, probabilmente stufo di pensare a ipotesi più complicate.

«Ma scusa, i provini sono la prossima settimana. E poi le case non scelgono separatamente i nuovi giocatori?» non potè non notare Allegra.

«In teoria sì, ma...» Ozzy cercò un modo per non doversi rimangiare quello che aveva detto.

«Di sicuro è una specie di esibizione per mettere in mostra i più bravi della scuola! Chiaramente non avrei alcun problema a stracciare tutti questi babbei, ma finché non si fa vedere nessuno...» concluse ridacchiando e guardandosi in giro, come se così avesse chiuso la discussione.

Nel mentre, Galen aveva iniziato a studiare le persone intorno, più per passatempo che per una vera ricerca di informazioni. Vedeva facce di ogni tipo, persone che ricordava di aver già visto e altri, soprattutto i più grandi, completamente sconosciuti.

Ebbe un tuffo al cuore quando vide altri Serpeverde nella folla, ricordandosi istantaneamente di Varan.

Non sapeva se quegli studenti fossero stati nella sala comune la notte prima. O meglio, era piuttosto probabile che fosse così, ma sentiva di non riuscire a richiamare alla mente neanche un singolo volto di coloro che li avevano accerchiati in quella situazione inquietante, come se avessero tutti indossato delle maschere.

Per lo meno, di Varan non sembrava esserci traccia, e Galen tirò un sospiro di sollievo.

In quel momento, scorse casualmente un paio di studenti che attirarono la sua attenzione.

Erano due Grifondoro: uno era alto, dall'aria vagamente annoiata e dal portamento sicuro. Aveva i capelli castani che svolazzavano leggermente alla brezza e lo sguardo che percorreva la folla in lungo e in largo.

L'altro, con cui ogni tanto scambiava qualche battuta, era un ragazzo più basso, dalla pelle chiara e fattezze orientali. Aveva un caschetto di capelli neri che venivano scompigliati dal vento ancora più di quelli del compagno.

Galen non li conosceva di persona, ma era sicuro di averli già visti, perché con molta probabilità erano del suo stesso anno.

I due si erano distanziati dalla massa, e andavano analizzando tutti gli altri in maniera minuziosa, scambiandosi ogni tanto dei commenti. A volte il ragazzo alto ridacchiava sentendo ciò che diceva l'amico.

Era possibile che anche loro stessero cercando un professore come tanti, ma non sembravano affatto smarriti, anzi, pareva quasi che si aspettassero cosa sarebbe successo di lì a poco.

Vedendoli concentrati da un'altra parte, Galen continuò a fissarli da lontano, finché il ragazzo alto, dopo l'ennesimo bisbiglio del compagno, si girò improvvisamente verso di lui, obbligandolo a distogliere lo sguardo. Galen ebbe solo una frazione di secondo per captare un'occhiata a dir poco glaciale nella sua direzione.

«Sentite, io mi sono già stufata di stare qui. Credo che vi aspetterò nella Sala Grande per andare a lezione» disse Allegra, esaurita la pazienza e l'esiguo interesse.

«Ma mi raccomando eh, poi raccontatemi tutte le cose meravigliose che avete fatto!» concluse ironicamente sfoggiando un sorriso beffardo.

Voltandosi per tornare indietro però, si ricordò della salita fino al castello, e il sorriso svanì in un lampo.

I tre rimasti la guardarono laconici, mentre saliva goffamente nel tentativo di non sporcarsi le scarpe di fango, tra sbuffi e imprecazioni varie.

Fu proprio quando Allegra sparì alla vista, e Galen stesso iniziò a chiedersi se non fosse il caso di fare lo stesso, che una voce squillante spezzò l'attesa: «Buongiorno a tutti, e grazie per essere venuti».

La McGranitt era apparsa accanto allo strano tracciato e osservava tutti col suo solito sguardo limpido e autoritario.

«Oggi siete stati convocati qui per assistere alla presentazione di un'attività introdotta quest'anno per volontà del preside in persona. Vi chiedo quindi di fare silenzio e prestarmi attenzione».

La professoressa estrasse la bacchetta, e puntandola verso la misteriosa struttura, con un gesto fece cadere il pesante tendaggio, rivelando una lunga rastrelliera piena di spade scintillanti.

A quella rivelazione, un lungo "Oooohh" si alzò forte e chiaro da ogni dove, e Ozzy si esibì in un elegante quanto discreto: «Caccole di troll! Quelle non sono scope!»

«La Scherma» proseguì la McGranitt, senza far caso alle reazioni degli studenti «è una nobile arte in uso da millenni presso i Babbani quanto presso i Maghi. Come saprete, durante il Medioevo era infatti comune che chi possedesse la magia sapesse duellare sia con la bacchetta che con la spada, ed è proprio qui ad Hogwarts che possiamo trovare un fulgido esempio di ciò in Godric Grifondoro, abilissimo spadaccino».

Molti studenti di Grifondoro si scambiarono commenti galvanizzati, ma a Galen non parve di scorgere i due ragazzi di prima tra di loro.

«Col trascorrere dei secoli, la Scherma cominciò a evolversi, passando da semplice metodo di difesa a vero e proprio legame tra il nostro mondo e quello babbano, oltre che disciplina sportiva».

La McGranitt fece una lunga pausa, fissando con attenzione tutti gli studenti che aveva di fronte.

«Ci fu un mago che più di tutti si addoperò per rendere quest'arte, nella sua forma agonistica, un mezzo di comprensione e di avvicinamento reciproco tra Maghi e Babbani. Forse l'avrete già sentito, il suo nome era Merlino».

Un ulteriore verso di sorpresa percorse tutto il gruppo. Moltissimi ragazzi, forse rapiti dalle parole della professoressa, sembravano pronti per una vera battaglia.

«Per motivi di sicurezza, è stato deciso di escludere da questa attività gli studenti più giovani, ma in ogni caso non c'è da temere: ogni lama è stata accuratamente incantata per non poter toccare nient'altro che il metallo di un'altra spada. Anche se doveste sbagliarvi, qualunque colpo si fermerebbe a pochi centimetri dal corpo, lasciandovi incolumi. Ciò nonostante, vi avviso fin da subito che chiunque di voi dovesse abusare di questa protezione, pensando di poter essere imprudente, verrà severamente punito, e non intendo ripeterlo».

Se già normalmente la professoressa riusciva ad incutere soggezione, in quell'ultima frase aveva concentrato tutta la sua capacità intimidatoria, solo per un istante.

A causa del discorso della McGranitt, non tutti si erano accorti che nel frattempo, non lontano da dove parlava la professoressa, era arrivato Argus Gazza, il custode di Hogwarts.

Gazza era un uomo strano: aveva un viso rugoso e butterato, con stampata sopra un'espressione arcigna. I capelli, che formavano un'evidente chierica, gli scendevano sulle spalle, flosci come carta bagnata.

Era noto a tutti che Gazza avesse un tremendo rapporto con praticamente ogni studente. Era solito gridare minacce indiscriminatamente e tendeva a sospettare che chiunque tramasse di infrangere le regole.

Ai piedi del custode c'era un grosso baule serrato da un solido lucchetto di ferro, che lui stesso aveva trascinato lì a fatica, lasciando numerose strisciate sul terreno fangoso.

Galen non seppe se stupirsi più di non averlo notato mentre portava quell'affare o del fatto che non avesse usato la magia per facilitarsi il compito.

Gazza aveva una gatta, Mrs Purr, la quale doveva averlo seguito durante tutta la procedura, e ora gli stava accanto come un tetro guardiano. Quella era veramente un diavolo di gatto: secca, grigia e con gli occhi strabuzzati; sempre pronta a mettere nei guai chiunque la incontrasse. Quando Galen la vedeva in giro, finiva spesso per rivalutare il carattere di Sigi.

«Il corso di Scherma di quest'anno prevede una serie di lezioni per fornirvi quantomeno le basi di questo sport, ma la cosa più importante è che successivamente i partecipanti si sfideranno in un torneo interno della scuola, con in palio un premio finale in punti per la casa del vincitore».

Fu come se la McGranitt avesse scosso con forza un nido di vespe: l'idea di un torneo eccitava la maggior parte dei ragazzi, anche perché chi avrebbe vinto, lo avrebbe fatto anche per la propria casa.

«Se vinco il torneo la farò vedere a Baston! Mi ha sempre detto che sono troppo incapace per il Quidditch» disse un Grifondoro con le orecchie a sventola vicino a Galen.

Come ultima istruzione, la professoressa disse che, prima di iniziare, ognuno avrebbe dovuto depositare la propria bacchetta nel baule del custode fino alla fine della lezione, e che ciò sarebbe stato obbligatorio prima di ogni incontro.

Fu una richiesta insolita che prese molti alla provvista.

Per nessun mago, neanche il più giovane, è cosa da poco separarsi dalla propria bacchetta, soprattutto per lasciarla in custodia a uno come Gazza.

«Anche se le armi sono sicure, intendo evitare che qualsiasi tensione durante queste esercitazioni si trasformi in un ben più pericoloso scontro magico. Perciò, chi non vuole lasciare la propria bacchetta può tornare al castello».

Mentre ragionava sul da farsi, Galen fu sollevato nel vedere un piccolo manipolo di Serpeverde andarsene via con aria indignata, e dopo qualche titubanza, andò a consegnare la sua bacchetta.

Nel momento in cui se ne staccò, avvertì come un pizzico sulle dita e rimase qualche istante a fissarla: magari faceva un errore a separarsene così alla leggera. Si sentì immediatamente nudo, inerme, in pericolo, e fu tentato di riprendersela.

«Ragazzino, muoviti che così ci fai fare notte!» ruggì spazientito Gazza, così da convincere Galen ad allontanarsi, lasciando lì quell'oggetto così prezioso.

Quando tutte le bacchette furono raccolte, Gazza le chiuse nel baule facendo scattare rumorosamente il lucchetto.

«Bene, ora disponetevi a coppie! Gli uni di fronte agli altri e con entrambi i piedi all'interno di un riquadro. Signor Thompson, si metta lì prego...»

Mentre la McGranitt amministrava la folla, tutti si spostarono frenetici nel tentativo di trovare uno spazio e poter far coppia con qualche amico.

Cercando di rimanere attaccato agli altri, Galen si piazzò in un riquadro, trovandosi quasi casualmente di fronte a Rilo, che se n'era andato un po' in giro con aria sperduta.

Galen intravide anche Ozzy alcuni metri più in là. Era capitato con un ragazzo mingherlino di Tassorosso che non sembrava per niente entusiasta di avere davanti un bestione del genere.

Quando tutti ebbero trovato una collocazione, la McGranitt riprese il discorso: «Esistono molteplici tecniche che uno spadaccino deve padroneggiare per divenire abile. Per la lezione dimostrativa di oggi, partiremo da un elemento fondamentale: la posizione».

Dando un leggerissimo colpo con la bacchetta, trasfigurò dei pezzi di legno grezzo in due manichini, i quali si mossero mostrando tutti gli accorgimenti che la professoressa andava elencando.

Molti studenti apparvero delusi da quella spiegazione, poiché senza dubbio speravano che la McGranitt impugnasse una lama e duellasse in prima persona, magari mostrando in fine lo sventramento di manichino. Di fatto però, nessuno seppe mai se sarebbe stata una scena esilarante o terribilmente spaventosa.

Mentre i combattenti di legno si muovevano, Galen prese mentalmente nota delle indicazioni: «Piede avanti... guardia all'altezza del petto... mano al fianco...»

Poco dopo, era stato spiegato sommariamente a ciascuno come impostare la posizione e come sferrare e parare un fendente, ma al momento della messa in pratica, la semplicità di quei primi precetti si scontrò con la poca collaborazione di Rilo, che ne aveva tratto un'interpretazione totalmente arbitraria. Dopo un po' Galen rinunciò a spiegargli che non doveva divaricare così tanto le gambe, e lo lasciò fare di testa sua.

Non fu comunque un esercizio facile, e nell'arco di circa una decina di minuti assisterono a numerose scene di goffaggine e cadute, finché a un tratto, la professoressa McGranitt intervenne per scambiare le coppie.

Rilo si allontanò e Galen lo perse di vista alcuni blocchi più avanti, poi vide Ozzy, rimasto nella sua posizione, venir raggiunto dalla professoressa seguita dal ragazzo alto di Grifondoro.

«Bene signor Partridge, lei si metta qui».

Galen non fece in tempo ad osservare meglio la scena, che sentì di nuovo la voce della McGranitt di fronte a lui: «Qui, signor Campbell».

Con suo estremo rammarico, Galen si trovò faccia a faccia con un altro Serpeverde, un ragazzo moro e allampanato. Non lo conosceva, ma era sicuramente di qualche anno più grande.

Galen era teso, ma credette di riuscire a non far trasparire le proprie sensazioni. Lo innervosiva terribilmente l'idea di non sapere chi avesse davanti, unita al fatto che invece costui sicuramente lo conoscesse e sapesse della vicenda con Varan.

Quando iniziarono, Galen si mise istintivamente sulla difensiva, aspettandosi un atteggiamento aggressivo. L'avversario invece sembrava concentrato su tutt'altro che lui. Per tutto il tempo fissò la spada, quasi la soppesandola con la mano, come se ne studiasse il peso o la forma, sembrando attento a ogni minimo urto del metallo.

Dopo qualche incertezza, Galen iniziò a ricambiare i deboli colpi ricevuti con poca convinzione. Si chiedeva se l'altro stesse pianificando qualcosa, ma intanto preferiva mantenere una parvenza di tranquillità.

Preso dai pensieri, mentre portava un fendente Galen mise un piede in fallo e scivolò. Per un attimo fu certo che l'altro l'avrebbe attaccato, che stesse aspettando solo una sua svista, ma questi non si mosse, lasciandolo tornare in posizione.

Sia in attacco che in difesa, lo studente di Serpeverde manteneva sempre un'aria distaccata, come se fosse attento e distratto allo stesso tempo. In realtà, questo rendeva Galen ancora più guardingo. Non sapeva perché, ma quel tipo lo inquietava parecchio.

Alla fine dell'esercitazione, gli alunni furono congedati, e quando Galen tornò a guardare di fronte a sé, il ragazzo era sparito senza aver mai detto una parola. Interdetto, ma quasi già in ritardo per la lezione successiva, si convinse in breve a recuperare la bacchetta e raggiungere il castello.

 

Il resto della settimana filò inaspettatamente liscio. Fortunatamente, i quattro erano ricorsi subito a qualche precauzione per sentirsi un po' più al sicuro da Varan.

Grazie all'aiuto di Allegra, avevano incantato la porta della stanza dei maschi, così che nessuno al di fuori di loro potesse accedervi. Purtroppo non avevano potuto fare altrettanto proprio per la camera di Allegra, divisa con altre ragazze alle quali non era saggio rivelare tali misure di sicurezza. Ciò nonostante, confidavano che l'incantesimo già presente per allontanare i maschi dal dormitorio femminile fosse sufficiente.

La ripresa delle lezioni fu faticosa, ma servì a distogliere subito Galen e gli altri da questo genere di preoccupazioni.

Il professor Rüf, fantasma e insegnante di Storia della Magia, ripartì con un infinito e dettagliato ripasso sulle invenzioni dei maghi medievali. Era risaputo che le sue lezioni fossero noiose, ma gli studenti del secondo anno furono costretti a ridefinire il loro concetto di noia, sentendogli spiegare addirittura cose già dette.

La professoressa Sprite di Erbologia, una donna paffuta e dal volto gioviale, li mise subito al lavoro nelle serre, con l'intento di preparare il terreno per le Radigorde, che sarebbero germogliate in autunno inoltrato.

Già il fatto di condividere questa lezione coi Tassorosso, molto più entusiasti e propensi al lavoro manuale di molti Serpeverde, non metteva in buona luce Galen e il suo gruppo, soprattutto quando Allegra si irritava per le macchie di terra sull'uniforme o Ozzy schiacciava accidentalmente un Vermicolo, ricoprendosi di un liquido denso e appiccicoso.

La lezione di Pozioni era certamente impegnativa, anche se era forse l'unica in cui venivano favoriti rispetto alle altre case dal professor Piton.

A dispetto di ciò, i Corvonero che seguivano con loro il corso erano in buona parte estremamente abili, e in quel contesto, le buffonate di Ozzy e la sbadataggine di Rilo non furono sempre tollerate.

Il momento che però richiedeva certamente più impegno era quello di Trasfigurazione, insegnata dalla McGranitt, che dopo aver coordinato la prima lezione di Scherma, portò in aula una competizione ancor più grande. Appena usciti per la prima volta dalla sua classe, gli allievi si ritrovarono già a dover padroneggiare una trasformazione da piccione ad aereo di carta e scrivere un resoconto dettagliato sul processo di pietrificazione per la volta successiva.

Nonostante la distrazione dello studio, nelle giornate di Galen continuò a persistere un vago e costante senso di tensione: anche quando non c'era Varan nei paraggi, si sentiva osservato.

A lezione, per i corridoi, perfino nei bagni, percepiva su di sé gli sguardi affilati di chi incontrava. Si sentiva uno stupido ad aver sperato, anche solo per un singolo momento, che le persone avrebbero dimenticato l'incidente dell'anno prima. Gli accadeva invece sempre più di cogliere sospetto e freddezza ovunque andasse. Era come se la sua presenza causasse un silenzio assordante, che lo riportava ogni volta alla prima notte in sala comune.

Spesso si chiedeva se anche i suoi amici, che lo trattavano come al solito, avessero dei problemi a causa sua, e l'idea gli faceva salire un triste groppo in gola.

Capitò però talvolta che riuscisse a scordarsi per un po' della gente intorno, e potesse osservare quegli studenti che il primo giorno avevano per qualche motivo attirato la sua attenzione.

In un paio di circostanze rivide i due Grifondoro: li trovò sempre insieme nel cortile, e mentre di uno dei due continuava a ignorare il nome, seppe che l'altro si chiamava David, David Partridge.

Studiandolo, Galen notò che stava spesso a tenere banco con spigliatezza in mezzo a gruppi di suoi compagni di casa, ma che ogni tanto passava repentinamente da un sorriso smagliante a una cupa serietà. D'altra parte, l'amico, sebbene seguisse Partridge quasi come un'ombra, sembrava molto diverso da lui, più taciturno e riservato, nonché difficile da analizzare.

Fu decisamente più facile per Galen intravedere invece il ragazzo di Serpeverde con cui aveva duellato l'ultima volta: Campbell, di cui non scoprì il nome.

Lo vide spesso in sala comune, ma raramente al di fuori, intento a scribacchiare e consultare tomi giganteschi. Non interagiva quasi mai con nessuno, e l'unico contatto che Galen gli vide avere con Varan, fu una singola e lunga occhiataccia da parte di quest'ultimo. Quel Campbell doveva essere tutt'altro che popolare.

Per quanto riguarda proprio Varan, sebbene di volta in volta Galen e gli altri lo incontrassero insieme a un gruppetto di almeno quattro o cinque Serpeverde, questi si limitava sempre ad ignorarli con fare spezzante, il che era quanto di meglio ci si potesse aspettare.

 

Una sera, dopo un'estenuante lezione di Erbologia, protratta ben oltre l'orario per aiutare Hagrid, che aveva chiesto alla Sprite un po' di manodopera per estrarre le lumache carnivore dalle zucche dell'orto, Galen, Allegra e Rilo si erano accasciati a peso morto sui letti della camera dei ragazzi. Quel lavoraccio li aveva completamente sfiniti: se già normalmente chiunque si sarebbe stressato a lottare con quei mostri viscidi immersi nel buio, le pacche di ringraziamento da parte del guardiacaccia alla fine del lavoro avevano dato il colpo di grazia ai loro muscoli indolenziti. Infatti, mentre i tre passavano rapidamente attraverso la sala comune senza dare nell'occhio, com'era ormai prassi da un po', per la prima volta Rilo era rimasto a soffermarsi per un lungo istante su una morbida poltrona vicino ad alcuni alunni del terzo anno, venendo tirato via bruscamente prima che ci si tuffasse sopra.

Di fronte a loro se ne stava in panciolle Ozzy, il quale era stato esentato dalla lezione per essersi ferito a Trasfigurazione quella mattina: il suo porcospino, tramutato in puntaspilli, aveva improvvisamente iniziato a sparare aghi in ogni dove, colpendolo sul braccio e in testa.

Nonostante le fasciature, l'aria placida e serena con cui sedeva leggendo la Gazzetta del Profeta fece inviperire i compagni, sporchi e infreddoliti.

«Oh, siete tornati! Certo che ci avete messo un secolo, io qui stavo per appisolarmi».

Ozzy li accolse come se non vedesse la loro condizione.

«Non vengo lì a suonartele solo perché non riesco ad alzarmi...» rispose Allegra senza la solita cattiveria e con la faccia affondata in un cuscino.

«Oggi ti è andata davvero bene. Avessi saputo cosa ci aspettava, avrei trasfigurato un qualsiasi animale in un'incudine e me la sarei fatta cadere su un piede» fece Galen di risposta.

«Avresti fatto una magia fin troppo complicata per una cosa così banale: sarebbe bastato un sasso! E poi la McGranitt ti avrebbe comunque conciato per le feste per aver sbagliato l'esercizio» commentò Rilo con la testa all'ingiù che penzolava dal letto.

«Grazie Rilo... non l'avrei fatto davvero...»

«Veramente maturo da parte vostra. Pensare che una semplice lezione di Erbologia sia peggio del mio incidente! Mi sembra quasi di sentire ancora il dolore degli aghi nella pelle!» non tardò a dire Ozzy. La sua sofferenza era tuttavia poco credibile, perché nel frattempo continuava pigramente a leggere il giornale. Galen notò che aveva una copertina stesa sulle gambe e che Clammy gli si era appollaiata in testa.

Allegra drizzò di scatto la testa dal cuscino.

«Sei proprio un bugiardo! Madama Chips ti ha mandato via dopo dieci minuti perché grazie alla tua pellaccia da rinoceronte non ti sei fatto niente! Ti sei guadagnato il riposo solo coi tuoi ridicoli piagnistei!»

«Cosa!? Come puoi dire una cosa simile!» Ozzy scagliò via la Gazzetta con rabbia.

«E poi tu come fai a sapere cosa mi ha detto Madama Chips in infermeria?»

«Me l'ha raccontato Penelope Light a pranzo. Anche lei era in infermeria, e ha visto tutto!»

«P...Penelope Light il Prefetto di Corvonero!? Che diavolo ci facevi con lei?»

«Non lo sai? La gente stringe amicizie, crea rapporti, non sono mica tutti come te! Ora non mi verrai a dire che il discorso dei Grifondoro vale anche per tutte le altre case!»

«Ti rendi conto che quella poteva mettermi nei guai? Perché la prendi così alla leggera!»

«Quindi lo ammetti che fosse tutta una recita! E poi se è per la tua stupidità, di occasioni per finire nei guai ne avrai ancora a migliaia!»

Mentre i due starnazzavano sfoderando un'energia che fino a pochi secondi prima era impensabile, Galen si accorse che il giornale lanciato da Ozzy era caduto proprio di fronte alla testa ciondoloni di Rilo, che lo stava leggendo in silenzio.

«Ttognirg alla anipar... Ultimissime sulla rapina alla Gringott» fece quasi sottovoce.

Galen ripeté a voce più alta: «Rapina alla Gringott... qualcuno ha rapinato la banca!»
Ozzy e Allegra si interruppero.

«Come, non lo sapevi? È successo lo scorso luglio, e da allora gli investigatori non ci hanno capito ancora niente. Però ne hanno parlato tutti!» disse lei guardandolo sorpresa.

«No... devo essermela persa. E tua sorella non ha saputo dirti nulla?»

«Poco più di quello che già si sa. Elspeth è solo una contabile, e i Goblin non le danno chissà quanta confidenza» Allegra fece spallucce. «È ancora un mistero. Anche perché chi mai si prenderebbe la briga di entrare in uno dei luoghi più controllati al mondo per poi non rubare niente...»

«La camera di sicurezza era stata svuotata il giorno stesso» scandì Galen, prendendo la pagina.

«Beh, che fortuna vero?» intervenne Ozzy, «Immaginate quanto possono essere usciti di testa quei maghi oscuri trovando la camera vuota! Dice che fossero maghi oscuri, vero?»

«Sì. È strano... chiunque abbia ritirato il contenuto della camera, lo ha fatto con un tempismo incredibile! Come se si aspettasse il furto...» Galen stringeva ancora il foglio tra le mani.

«Si sono inseguiti, come il gatto col topo!» proseguì Rilo, ancora con la testa in giù che dondolava a mo' di pendolo.

«Sarà... però quei Goblin raccontano pure un mare di balle. Magari questa è solo la versione per i giornalisti» concluse Ozzy, raccogliendo il resto della Gazzetta del Profeta dal pavimento.

«Passiamo a cose più importanti! Fammi vedere cos'hanno combinato i Bats nell'ultima partita».

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