He is half of my soul, like poets say

di ArwenDurin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8/ Final. ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


Aveva oramai la certezza che qualcuno vegliava su di lui la notte, a volte aveva persino pensato che fosse un sogno, un desiderio del suo inconscio di voler un qualche tipo di appoggio o supporto dopo quel consueto incubo…ma non era così.
Nessuno in quegli ultimi anni si era interessato a lui, all’opposto era stato spesso evitato nell’unico momento della giornata in cui parlava, ovvero la notte, dove c’era soltanto il suo urlo nel silenzio. Qualcuno si era lamentato di essere svegliato, altri l’avevano ignorato ma nemmeno un anima di loro si era avvicinata a lui, o era curiosa del perché urlasse quel nome ripetutamente ogni notte.
La maggioranza degli altri ragazzi lo considerava strano, e c’era chi lo temeva, in effetti era grato che queste persone nemmeno provassero a fare amicizia con lui, il ragazzo muto che urlava soltanto la notte, così lo chiamavano. Era piuttosto contento che certe persone stessero alla larga, poiché erano inferiori e non l’avrebbero mai capito, oltretutto lui non cercava nessuno, fino a quel giorno almeno. Hannibal Lecter nella pausa di merenda quotidiana, nel giardino apposito in cui non si dovevano sedere tutti per forza allo stesso tavolo, stava ancora vagando alla fasulla ricerca di un posto quando n realtà con il suo sguardo, cercava tra i ragazzi colui che aveva intravisto in dormiveglia. Aveva pochi indizi ma era sicuro di poterlo riconoscere in modo piuttosto accurato, ciò era iniziato da breve tempo quindi escluse i ragazzi che erano lì da tanto, così come i più grandi. Capitava quasi ogni notte e dunque, Hannibal dubitava che fosse qualcuno di più grande che ogni volta si faceva qualche piano di scale per arrivare da lui, no, era improbabile. Doveva dormire nelle grandi camere suddivise per età e dunque doveva avere anche lui 13 anni… non dovette cercare per molto che si fermò poco dopo, mentre la mela sopra il suo vassoio rotolò per qualche secondo fermandosi ad un angolo.
In un tavolo isolato seduto per conto suo c’era Will, un ragazzo arrivato da poco e piuttosto taciturno che preferiva la compagnia di se stesso piuttosto che degli altri; Hannibal conosceva tutti i nomi degli orfani della sua età, e anche a grandi linee le basi del loro carattere, più per esercizio mentale che per interesse nei loro riguardi.
Sbatté gli occhi e distolse lo sguardo da lui, per avvicinarsi al suo tavolo dove il ragazzo era intento a bersi un succo di frutta, un torsolo della mela era l’unico testimone del suo pasto e si fermò prima di sedersi, poggiò il vassoio sul tavolo per prendere da esso con estrema grazia rara in un posto del genere, il quadernetto che aveva preparato e dove scrisse in calligrafia elegante:
Io so, Will.
Lo posò sul tavolo, per poi in contemporanea sedersi, Will lo ignorò per qualche secondo ed Hannibal attese finché l’altro, accorgendosi che il quadernetto era girato verso di lui, lo lesse.
Alzò lo sguardo nel suo, un azzurro abbagliate lo colpì da sotto i ricci castani, e  seppe che non aveva sbagliato, ricordò qualcosa di umido poggiarsi nella sua fronte per asciugargli il sudore e una voce che con monotonia gli diceva che sarebbe andato tutto bene…e ricordò quegli occhi.
Il ragazzo crucciò le sopraciglia e poggiò il bicchiere sul tavolo, mosse le mani in qualche segno ma si stoppò subito dopo.
«Non sai il linguaggio dei segni, come io non so di cosa tu stia parlando.»
Hannibal con calma, prese il quadernetto e ci scrisse ancora sopra.
So che sei tu a volermi confortare la notte.
Fece strusciare quelle parole sul tavolo, mentre le sue braccia si appoggiavano ad esso osservando come il viso del ragazzo si contorse in una smorfia, e non ci fu più confusione nel suo sguardo ma piuttosto paura.
Si poggiò allo schienale della sedia, evitando il suo sguardo e incrociando le braccia al petto.
«Non so cosa tu ti sia bevuto prima di quella mela, ma spero che fosse buono almeno.»
Un sorrisetto sprezzante nel suo volto, ma non era altro che rivolto a se stesso, ci fu qualche istante di silenzio, prima che Will lo guardasse ancora.
«Ti stai sbagliando!»
Hannibal si limitò a negare e il ragazzo abbassò lo sguardo, sospirando e alzandosi dal tavolo, spingendo verso di lui il quadernetto con enfasi.
«Stronzate.»
E senza aggiungere altro, nemmeno finendo il suo succo, lo lasciò lì da solo andandosene velocemente da quel tavolo e dalla paura che sentiva dentro.
Ha paura di essere stato scoperto, non vuole riconoscimenti per il suo gesto, né essere visto, vuole essere un ombra invisibile che aiuta gli altri, perché sente le loro emozioni. Ha un empatia più sviluppata.
Hannibal a differenza sua rimase calmo, rimuginando e analizzando ciò che aveva visto e facendo congetture nella sua mente, un sorrisetto a coprirgli il volto mentre prese il suo quadernetto lo chiuse. Si mise a mangiare la sua mela nei rumori della natura e bisbigli vari di chi aveva assistito da lontano alla scena.
 
Passò qualche giorno in cui Hannibal meditò su come avvicinare il ragazzo di nuovo, poiché non era certo nei suoi piani spaventarlo o allontanarlo, era piuttosto curioso di vedere le sue reazioni, per capire con chi aveva a che fare.
Era raro trovare qualcuno con la sua empatia, per quanto quasi ogni ragazzo lì dentro aveva una storia tragica da raccontare, assomigliava a tante altre, e alcuni preferivano persino far finta di essere qualcun altro piuttosto di rivivere certi ricordi. Altri crescendo, semplicemente facevano finta di dimenticare, prendendosela con le persone per cancellare quel vuoto che sentivano dentro, ne aveva visti tanti di quel genere, pochi volevano empatizzare con altre vittime. Ma Will lo faceva, per quanto in maniera inconscia, lui sentiva e la cosa eccezionale è che voleva aiutare, spinto da chissà cos’altro… era questo ad incuriosire Hannibal ulteriormente.
Sapeva che se lo avesse avvicinato sarebbe diventato aggressivo, aveva della rabbia scritta nei suoi occhi come chiunque lì dentro, e non avrebbe ottenuto nulla, così decise di strappare un foglio dal suo quadernetto e poggiarlo nel suo letto.
Will, tu vuoi confortarmi e apprezzo questo gesto. Sei l’unico che sembra interessarsi a qualcuno in questo posto.
Così aveva scritto e semplicemente aveva atteso, e un giorno mentre era appoggiato a una grande finestra al piano terra non ben pulita di quella che una volta era la sua casa, mentre osservava gli alberi mossi dal vento, Will si avvicinò.
Si appoggiò all’altro lato della finestra e sospirò, Hannibal attese qualche secondo prima di guardarlo e qualcosa si accese nel suo petto quando trovò i suoi occhi che ricambiavano lo sguardo.
«Dovresti imparare il linguaggio dei segni, può tornarti utile. Mia zia era muta, e mia madre mi ha insegnato quindi sono preparato. Ti andrebbe?»
Hannibal annuì e Will di tutta risposta accennò un piccolo sorriso.
 
Non era insolito trovare Will con un libro in mano, in effetti era lì che si erano incontrati per oramai due settimane per imparare il linguaggio dei segni, qualcosa in cui Hannibal aveva già fatto parecchia strada, anche se loro due in realtà nemmeno comunicavano se non in quelle occasioni. Ed Hannibal l’avrebbe lasciato volentieri, lì tranquillo con il libro misterioso in mano, antico e rilegato che nascondeva ogni volta che qualcuno gli si avvicinava, ma aveva visto i suoi sguardi tra una riga di lettura e l’altra soffermarsi su di lui, e l’allenamento al Kendo con il bastone che stava facendo.
Si avvicinò alla panchina sotto ad un albero in cui era seduto, e appena l’ombra toccò lui e il suo prezioso libro, lo richiuse riponendolo accanto, Hannibal a quel punto gli lanciò il secondo bastone che si era procurato e l’altro lo prese al volo.
“Tu mi hai insegnato qualcosa, ed ora io insegno qualcosa a te.” Gli mimò con le mani le sue intenzioni e Will abbozzò un sorrisetto.
«Mmh, vedo che mi hai spiato.» E si alzò senza aggiungere altro.
Raggiunsero il punto il cui Hannibal si stava allenando per conto suo, raccolse il suo bastone e gli fece un inchino che lo fecero sorridere; aveva un’aria così rilassata quando sorrideva ed era come se il sole brillasse nei suoi occhi dal colore del mare.
E così iniziò la battaglia, o almeno qualcosa di simile, Will aveva uno stile feroce, non ci stava andando leggero con lui e questo rese Hannibal fiero, poteva rispondergli senza trattenersi. Quando riuscì a buttarlo a terra, un broncio si disegnò sul volto di Will che lo fece sorridere.
“Metti troppa rabbia, e questo è un tuo svantaggio, non la sfrutti e non la equilibri.”
Will scosse il capo e i suoi riccioli catturarono i riflessi del sole pomeridiano, e fu in quell’attimo di distrazione che lo colse al balzo, facendo sì che si alzasse rapidamente colpendolo a un fianco.
Hannibal chiuse gli occhi e quando li riaprì, poté sentire l’ira scorrere in essi.
«Ti ho fregato!»
Will gli fece un inchino di rimando ridendo, ed Hannibal partì all’attacco con ferocia, ma più si colpivano più i loro volti concentrati assunsero un’aria divertita, quand’ecco che il giovane Lecter con abilità e grazia felina, riuscì a far cadere a terra l’altro ragazzo.
Will sgranò gli occhi, con il fiatone buttò il bastone a terra e alzò le mani in segno di resa.
«Sei davvero impossibile, cavolo, chi ti ha insegnato?»
Hannibal lasciò cadere il bastone a terra, riprendendo controllo del suo respiro.
“Mio padre, insisteva che la difesa facesse parte della mia educazione.”
«E tua madre ti insegnò a suonare il piano o qualcosa del genere, scommetto.»
I loro occhi si incontrarono e il viso di Will con i capelli scompigliati, e gli occhi brillanti e vivi, gli diedero modo di sorridere ancora e ricambiò quel sorriso e forse lì, sotto il sole esausti e soddisfatti dopo una lotta, ricordò come sorridere. Hannibal aveva echi lontani della parola…ma per la prima volta, dopo così tanti anni, poté di nuovo assaporarla.
 
Una fitta pioggia batte incessante sul terreno, eppure non ferma l’intento di quegli uomini, i sorrisi anneriti e malvagi come bocche uscite dall’inferno. Gli occhi sono fiammeggianti, passando dal rosso al verde, mentre le loro forme indistinte si confondono con l’oscurità, mostri d’ombra che tentano di fermarlo.
Lui tenta di combattere con i pungi e con i denti, ma le ombre sono sfuggenti e molto più alte di lui, qualcuna di loro ride alla sua debolezza ma non cede, non si arrende
Non può accadere, non deve accadere ancora.
La sua mente formula mille pensieri e vie di fuga, ma essi si frantumano quando qualcosa lo colpisce al capo, cade a terra mentre un tuono squarcia il cielo e occhi colmi di paura e disperazione di una bambina, lo fissano e lo chiamano mentre lei si allontana presa dalle ombre.
Annibal, Annibal!
«Mischa!»
Hannibal si svegliò, deglutendo pesantemente e si alzò a sedere ignorando un capogiro che lo colpì, sbatté gli occhi per qualche secondo e  una figura attirò la sua attenzione nella semi oscurità della camera.
In una delle finestre quadrate, da dove entravano dei raggi lunari, c’era qualcuno seduto che gli stava offrendo un bicchiere d’acqua, come se sapesse e lo conoscesse.
Hannibal si alzò e andò verso quella figura tanto simile a una bambina dalla chioma bionda…tanto simile a lei, sbatté le palpebre così da realizzare che era Will, prese il bicchiere e bevve avidamente, notando come anche l’altro ne avesse già uno vuoto di fianco a sé.
Si sedette di fronte a lui, la luna rendeva dolce la sua mascella illuminandola in quel modo divino e ultraterreno, per quanto fosse chiaro dal pigiama spiegazzato, dai ricci scomposti e dagli occhi stanchi, che anch’egli fosse stato svegliato da qualche incubo ingannatore.
Hannibal aspettò che lo guardasse.
“È la prima volta che ti vedo sveglio per colpa di un incubo.”
Sperava che le ore prima passate a combattere con quei bastoni di legno, gli avessero stancati abbastanza da cedere ai tormenti della mente, ma così non era stato.
«Dubito che troverai qualcuno che non ne ha qui dentro.»
Spostò i suoi occhi alla finestra, tirando un sospiro provato.
«C’è odore di ricordi e disperazione in questo posto.»
Il giovane Lecter ripensò a com’era prima, piena di luce e dipinti di ogni genere, mentre brillanti lampadari riflettevano la luce del giorno e della notte, nei loro pendagli di cristalli.  L’immensità di quel posto, era divenuto cupo e zeppo di ragazzini, e letti, senza che fosse stato chiesto il permesso a nessuno.
“Non c’è nulla che ti piace qui?”
Will crucciò le sopracciglia, il naso che si arricciava teneramente quand’era in riflessione.
«C’è un mondo là fuori.» Indicò il paesaggio fuori dalla finestra, una leggera pioggerella batteva su esso, eppure nel cielo la luna e stelle facevano da padrone dando luce ai due ragazzi e ai loro discorsi.
«Ci sono tante cose che vorrei vedere, altri posti dove vorrei essere piuttosto di questo lugubre orfanotrofio dalla finta bontà, dove ogni giorno ricordo.»
Abbassò lo sguardo dal suo, mascherò la tristezza che aveva preso il suo tono e scosse il capo, per non far trapelare nemmeno un briciolo di quella sofferenza che lo attanagliava. Quel luogo era pieno di storie tristi, drammatiche, e ingiuste eppure Hannibal non voleva saperle, tranne del ragazzo che stava di fronte a sé; poté sentire la sua rabbia e il suo dolore avvolgerlo così prepotentemente, che gli mancò il respiro per qualche battito di ciglia, non era abituato a provare emozioni altrui così forti.
«Alle persone piace raccontare le cose che vedono, anche io vorrei farlo,» Will riprese a parlare a bassa voce, gli occhi intensi che passavano dal blu profondo, al verde scuro dell’erba picchiata dall’ombra. Erano impuntati sulle gocce di pioggia come se volesse catturarle con il suo sguardo e assorbirle in sé, al posto delle lacrime che ostinatamente non avrebbe versato.
«Gli piace dare forma alle cose, hai presente? Guarda le stelle, noi tutti siamo abituate a disegnarle d’oro quando invece non lo sono e nascondono molto di più, come i tuoi occhi.»
Hannibal sbatté le palpebre a quell’affermazione, mentre un calore piacevole si diffondeva nel petto, Will non l’aveva detto come complimento o qualsivoglia elogio, non l’aveva nemmeno guardato, era semplicemente un dato di fatto per lui. La sua onestà poteva essere spiazzante ai più, alle volte persino infastidire nella sua arroganza ma Will era così, non lo faceva per farsi odiare o per farsi notare, questo era lui. Hannibal ammirava quell’onestà, così simile a quella di sua sorella che con grandi occhi curiosi, voleva sapere tutto e di più del mondo, esattamente come il ragazzo che aveva davanti.
«I tuoi occhi sembrano d’oro ma in realtà, dipende dalla luce in cui li guardi, alle volte diventano scuri come la sabbia all’ombra di una spiaggia, oppure hanno delle sfumature rosse, l’hai notato?»
A quel punto lo guardò ed accennò un sorriso quando lo fece, e solo allora Hannibal si accorse che stava sorridendo, negò alla domanda di Will.
«Vedi? Dipende dai punti di vista.»
Rimasero qualche minuto in silenzio, la pioggia che batteva in piccole gocce sul vetro, rendendolo uno specchio sempre più deforme sulla natura che da essa si poteva vedere al di fuori.
“La tua empatia ti da modo di vedere le cose diversamente, vedere le forme e i contorni delle cose e delle persone.”
Will lo fissò per qualche istante prima di rispondere, un tuono si udì in lontananza e si rifletté nei suoi occhi, rendendoli luminosi e pericolosi come un fulmine.
«Ho sempre pensato di essere strano, e la stranezza ti porta solitudine.»
“Non me ne preoccuperei, la verità è che siamo tutti soli, ed è meglio capirlo in tempi brevi.”
Il ragazzo annuì, i riccioli che si mossero nel movimento in piccole macchie lucenti e dall’aria così morbida, così soffice, come fossero fatti di nuvole.
“Ma non è solo per empatia che hai deciso di aiutarmi, io ti incuriosivo, vero Will?”
Mentre componeva la frase con il linguaggio dei segni, vide il suo volto contorcersi allo stupore sempre di più fino a che i suoi occhi si sgranarono increduli. Hannibal aveva ipotizzato che si sarebbe chiuso, che avrebbe incrociato le braccia sul petto e si sarebbe rifiutato di parlargli ancora, dandogli dello spione e non volendogli più rivolgere la parola, ma così non accadde.
Will riuscì a stupirlo e questo accrebbe l’interesse che aveva nei suoi confronti, da quella sera in poi, tornò a guardare fuori dalla finestra, e poggiò una mano sul vetro, di riflesso Hannibal fece lo stesso al suo lato: connessi su una linea parallela senza toccarsi, uno specchio che rifletteva i volti di entrambi distorti dalle goccioline di pioggia, ma così riconoscibili l’uno per l’altro.
«Tu hai qualcosa, o non hai qualcosa che non mi fa assorbire troppo da te, sento le tue emozioni e le vivo ma non mi soffocano come non fanno le mie, per questo in qualche modo siamo simili. Non so dirti perché, non ci conosciamo nemmeno eppure è così.»
Lo guardò di sott’occhi, le mani rimasero ferme dov’erano.
“Capisco cosa intendi, ed è vero siamo simili, ma non per questo hai cercato di essermi amico.”
Will abbozzò un sorriso tornando a guardare fuori, e tolse la mano dal vetro.
«Ma è quello che sta succedendo tra me e te, vero?»


Angolo Autrice: 
Ciao a tutti!
Ci ho messo un po’ per decidere di pubblicare questo racconto, non so se centri il fatto che lo leggeremo in 4 gatti😅, o dell’insicurezza dovuta al fatto che sono i personaggi un po’ diverso dai soliti Hannibal e Will (che si lega al primo motivo) ma alla fine mi sono decisa comunque, perché personalmente a me piace XD ci sono abbastanza attaccata e lo sento mio.
Chi avrà letto La canzone di Achille avrà già intuito dal titolo ciò che sto per dire, ma per chi non l’avesse fatto, il racconto e in particolare il rapporto tra gli Hannigram giovani è preso un po' spunto dai Patrochilles del libro, perché ho ADORATO il rapporto tra quei dueee *_* e ci ho visto tanto gli Hannigram, soprattutto in alcune scene! Sono passati mesi prima che incominciassi un nuovo romanzo, non è nemmeno tra i miei libri preferiti, ma proprio perché il rapporto tra Patroclo e Achille mi fu così impresso che ci è voluto tempo XD ed è nato sto racconto!
Poi ho pensato all’associazione di Hannibal stesso paragonando loro due a Patroclo e Achille e quindi ecco qui 😊 il resto del rapporto tra Hannibal e Will è ispirato a loro due, ovvio XD non è ricco di azione ed è più “soft” (per quanto così si possa dire, visto che sono sempre gli Hannigram XD) dei loro standard, ma è perché sono giovani e perché ispirato appunto a quel libro
Spero vivamente vi piaccia sto racconto💗

Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊

 

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


 
Will non era in classe quella mattina, la lezione di matematica scorreva tranquilla e monotona dagli occhi, dietro gli occhiali, piccoli e guizzanti del professore che spiegava languidamente. Il banco di legno scuro davanti al suo, lo osservava con graffi ed usure del tempo e senza l’alunno che di solito lo occupava. Il suo capo riccioluto che si muoveva quando spesso, si voltava indietro con il collo aggraziato come un cigno per dirgli qualcosa, o per passargli qualche bigliettino, e succedeva così spesso che Hannibal memorizzò i suoi polsi nei giorni sia soleggiati che nuvolosi, ma non quel giorno. Non che fosse preoccupato, aveva visto dei banchi vuoti durante vari anni, non era in effetti insolito che qualche ragazzo sfuggisse alle lezioni, soprattutto in giornate come quella, con il sole che giocava a fare capolino dietro le nuvole. Il massimo della punizione sarebbe stata un rimprovero da parte del direttore, e c’era chi era pronto a rischiare.
Il giovane Lecter aveva visto spesso, accanto alla finestra dov’era seduto, le nuvole bianche e gonfie che gli facevano venir voglia di essere fuori…ma non l’aveva mai fatto. Will lo prendeva spesso in giro per essere così devoto allo studio, e spesso dopo quella conversazione, finivano con lo spintonarsi tra sghignazzi giovanili, anche se qualche volta oltre il combattimento armati di bastone, Will era riuscito a trascinarlo nel bosco ad orari inconsueti e al di fuori delle regole. Hannibal aveva apprezzato quell’adrenalina, la sfida, e l’illusione di libertà di quei momenti insieme a lui. Spesso correvano a più non posso, sfidandosi a chi arrivava al cespuglio di bacche più vicino, potendosele gustare come premio… era un immagine indelebile oramai la bocca rossa del giovane Graham macchiato fino al mento, mentre sorrideva trionfante, con il sole che giocava con la sua chioma riccioluta, nascondendosi e filtrando in essi come fossero foglie, e le sue mani così delicate ma ferree sul frutto.  
Probabilmente lui era lì adesso, a godersi il tempo e la libertà che tanto desiderava, molti ragazzi erano grati di essere stati salvati e dunque erano piuttosto ligi alle regole, ad altri non gli importava e andavano avanti assenti alla vita, ma Will era diverso, lui voleva qualcosa di più. Fu lì che improvvisamente apparve e lo salutò con la mano, descrivendogli poi con il linguaggio dei segni, che il tempo era mite, non troppo caldo per quanto fosse estate, e che fosse piacevole stare lì fuori. Gli angoli della bocca di Hannibal si erano alzati, a guardarlo lì roteare attorno  ai pini e i ciliegi dopo essere sbocciati, una visione di libertà che si poteva quasi toccare. Ricordò sua sorella correre in quello stesso prato, fuggire da qualche regola che non le andava a genio, i suoi piccoli piedini veloci che calpestavano l’erba tra le risatine, e quante volte l’aveva dovuta seguire, e cercarla in mezzo al bosco poco più in là, annusando la traccia del suo profumo e guardando dei ramoscelli calpestati. Spesso Mischa saltava allo scoperto, cercando di spaventarlo e quando lui le rispondeva con timore, lei rideva, fino a cadere tra le sue braccia, ed era morbida. I suoi capelli biondi brillavano sotto il sole quando la riportava indietro, mentre la madre da lontano scuoteva il capo con un sorriso luminoso a coprirle il volto.
Sbatté le palpebre e Will con un altro saluto, sparì nel bosco.
 
Quando entrò nelle camere comuni, trovò Will seduto nel suo letto che gli dava le spalle, ma fu ciò che vide di fianco a lui a sorprenderlo: c’era un contenitore quadrato con dentro qualcosa che si muoveva.
«Mi hai raccontato che ti piacciono le lumache, che ne avevi quando eri più piccolo… mentre tu eri impegnato nella stupidissima matematica, te ne ho presa una.»
Hannibal sorrise, prendendo il contenitore con piccoli buchi, dove la lumaca si mosse sinuosamente per qualche secondo, per poi poggiarlo di nuovo sul letto per ringraziarlo ma fu lì che capì qualcosa che non andava. Will non lo stava guardando, non dandogli modo di esprimere la sua gratitudine e in effetti, appena si avvicinò, si alzò di scatto dal letto.
Hannibal si fermò un istante dando tempo all’altro di abbassare la tensione nelle spalle, e avvicinarsi all’uscita della stanza, prima di scattare davanti a lui e fu allora che lo vide: il suo occhio destro era nero, e il labbro gonfio con una gocciolina rinsecchita di sangue.
Will lo guardò, cercando di dire qualcosa ma era chiara la situazione, non poteva campare scuse! Così, si limitò a prenderlo per le spalle e successivamente per mano, obbligarlo a sedersi.
«Hannibal…sto bene.» Cercò di obiettare con uno sorriso stizzito, ma quando i loro occhi si incontrarono non parlò più.
Hannibal si allontanò qualche secondo, andò in cucina e senza problemi, prese del ghiaccio, uno straccio, e del disinfettante che ben sapeva dove tenevano, nessuno lo vide e dunque tentò di fermarlo, e forse era meglio così… perché nessuno avrebbe potuto farlo.
Tornò in stanza e si preparò a medicare il ragazzo, avvolse il ghiaccio nello straccio e glielo passò cosicché Will lo mise sull’occhio, mentre lui tamponava con lentezza, il suo labbro insanguinato con il panno immerso nel disinfettante. Passò qualche secondo di silenzio, prima che la cura improvvisata terminasse, poi quando Hannibal ebbe le mani libere lo guardò, sentendo il suo sangue bollire così forte da colorargli le guance.
«Sto bene.»
“Dimmi chi è stato.”
«Hannibal…»
“Dimmi. Il. Nome.” Gesticolò con così tanta enfasi, che le sue mani produssero dei suoni.
«Petrov. Mi ha beccato fuori nel bosco, e il resto è evidente.»
Lui aveva un occhio di riguardo da parte del direttore poiché era il suo pupillo, persino dopo aver malmenato qualche ragazzo disobbediente.
Will abbassò lo sguardo, il ghiaccio che scricchiolò sotto la sua presa.
«Hannibal, non fare cazzate, non puoi farci nulla.»
Nel suo occhio azzurro sano, che aveva alzato su di lui, poté vedere del calore dove della sorpresa d’essere protetto brillava con intensità, ma c’era anche della preoccupazione su ciò che avrebbe fatto o potuto fare. Lo sapeva, perché poteva leggerlo esattamente come Hannibal poteva fare con lui.
 
Il giorno dopo, a metà pomeriggio, mentre era piuttosto attento nello studio in biblioteca, un libro pesante dalla copertina marrone scuro e dall’aspetto antico, gli piombò davanti e lo bloccò.
Lesse la scritta Iliade, stampata sopra e contornata d’oro, e sotto di esso in una scritta più piccola, il titolo veniva ripetuto in un’altra lingua; sapeva di che libro si trattasse e non si stupì quando Will, spostando la sedia che stridette il pavimento, si sedette di fronte a lui per offrirgli spiegazioni.
«Era di mia madre, lei era polacca.» Disse passando distrattamente la mano ad accarezzarne la copertina, probabilmente l’unica cosa che gli rimaneva di lei.
Il libro che sempre gli aveva impedito di vedere, era lì pesante ed imponente di fronte a lui, come lo sguardo di Will che senza esitazione, era su di lui. Lesse della consapevolezza nelle sue iride azzurre, non stava ipotizzando e nemmeno ponderando il fatto, lo sapeva… come Hannibal era a conoscenza del perché ciò accadesse in quel momento, il giorno dopo a ciò che accadde a Will e al suo occhio contornato di nero.
Per tutta la mattina l’orfanotrofio non aveva fatto altro che parlarne, quando il direttore in persona, annunciò che Petrov sarebbe stato indisposto qualche giorno per via di una caduta dalle scale che gli era costato la rottura del braccio destro, e fratture in vari punti delle mani. O almeno questa era la versione ufficiale, Lecter ricordava il suo volto agonizzante quando aveva sbattuto la testa in fondo alle scale, da dov’era “accidentalmente” scivolato, e la libertà che si prese nel punire personalmente le mani che troppi danni avevano fatto.
Hannibal si era guardato intorno durante l’annuncio, e aveva potuto assistere a dei sorrisi nascosti da parte di alcuni ragazzi che quelle mani le avevano sperimentate, e a parte qualche volto sconvolto, non c’era nessun dispiacere, se non da parte del direttore in persona.
E Graham il ragazzo seduto di fronte a lui, con sguardo attento sotto i riccioli ribelli e con nessun segno di turbamento, lo appoggiava e lo riteneva giusto, una punizione adeguata dopo tutto ciò che aveva fatto. Non era grato per sé, il giovane Lecter capì, anche se fu ovviamente la ragione principale che spinse Hannibal ad agire, ma bensì per aver salvato quei ragazzi dalle mani diaboliche dello squilibrato. Aveva un senso di giustizia che se ben equilibrato, poteva portarlo nelle forze dell’ordine in futuro, poté vederlo col distintivo di agente d’oro legato alla cintura, una camicia troppo larga rispetto al suo fisico, ma di cui poco gli importava, e della barba incolta a coprirgli il viso.
Will in ogni caso, non fece parola dell’accaduto e del perché gli concesse di vedere quel libro, non c’era bisogno.
«L’hai già letto?»
Hannibal annuì per poi preparare le sue mani a rispondere, staccandole dal libro di studio.
“Tempo fa, con il mio maggiordomo. Si può dire che è stato il mio primo amico.”
I loro occhi si incontrarono un istante, dei passi indistinti passarono dietro di loro, diretti ad un altro reparto della biblioteca.
«L’ho letto diverse volte, non riesce a stancarmi mai. Le lotte, la gloria, la lealtà tra alcuni personaggi…amicizie a prova di battaglia.»
Hannibal allungò una mano per carezzarne la copertina ruvida, guardando l’altro in cerca di un qualche segnale di fastidio, ma Will semplicemente osservò il suo movimento in silenzio.
“Rivelare e nascondere identità. Lessi la versione in inglese, in polacco sarebbe una novità.”
Negli occhi di Graham brillò la scintilla  del lampadario impolverato e antico, appeso sopra il loro tavolo.
“Leggilo per me.”
Un sorriso tirato riempì le sue gote, che si colorano improvvisamente, mentre i suoi occhi vagavano fuori dalla finestra presente alla loro destra nel paesaggio illuminato dal sole.
«Non siamo a lezione.»
Lo guardò di sott’occhi e il suo volto cambiò, e della rassegnazione si disegnò nei suoi occhi che si assottigliarono.
«Soltanto alcune parti.»
“Le parti che ami.”
Will annuì stancamente, eppure il leggero inclinarsi della testa mentre passava una mano dietro al suo collo, e un piccolo sorrisetto che non riuscì a reprimere, furono la conferma che Hannibal stava cercando.
«Ok, ma se ti becco a prendermi per il culo, sappi che mi fermerò e te la farò pagare!»
 

 
 
Il suo respiro era calmo e rilassato, una mano poggiata sullo stomaco e l’altra dimenticata dietro di lui sul cuscino, le sue ciglia si muovevano appena ma la sua fronte era distesa e non c’erano segni che ci fosse un incubo a tormentarlo, ma piuttosto un bel sogno. Era raro vederlo dormire o meglio, lo era che entrambi riuscissero a farlo senza che si trovassero davanti alla finestra in silenzio, o a dialogare; per quanto Hannibal apprezzasse sempre di più stare in compagnia del suo amico, preferiva vederlo in quello stato.
Era fermo da qualche minuto a guardarlo e riusciva a vederlo senza accendere la piccola torcia che aveva in mano, perché la luce dei lampioni dal di fuori riusciva a filtrare abbastanza. Gli piaceva come il lenzuolo bianco fosse attorcigliato tra le sue gambe poiché troppo caldo per coprirsi totalmente, ma anche in parte sopra Will perché aveva bisogno di sentirlo su di sé, una sorta di protezione infantile che molti ragazzi lì dentro avevano.
Apprezzava guardare come qualche ricciolo ribelle coprisse la sua fronte, e sentire il suo odore, per quanto tutti i ragazzi lì dentro usavano lo stesso sapone, sulla pelle producevano diversi strati di aroma; c’era chi sapeva troppo di acido, chi di un dolce caramella da nausearlo ma Will…aveva un’essenza particolare. Qualcosa di unico, che non aveva sentito ripetersi negli altri lì dentro, un misto tra dolce e amaro, agrodolce come le fragole avvolte in vino rosso, bianco, e miele che ogni tanto mangiava da bambino. Ricordò il sorriso di sua madre mentre gliele passava, e la rivide lì sotto il sole in un momento soltanto per loro due.
Si chiese che sapore potesse mai avere Will e inconsciamente, si sporse verso di lui e con il suo naso, toccò una ciocca dei suoi capelli, le punte dei loro nasi si toccarono per qualche istante, prima che l’altro si muovesse appena.
Dopodiché lo scosse pian piano e l’amico mugugnò, e soltanto dopo qualche istante cominciò a muoversi, Hannibal dunque si distanziò tornando a torreggiare su di lui prima che aprisse gli occhi sbattendoli più volte, le ciglia lunghe creavano ombre nelle sue guance.
«Hanni.»
Non sapeva se fosse per via del sonno dal quale da poco era stato strappato, o se fosse consapevole di come l’avesse chiamato, ma fu una sensazione che avvolse il giovane Lecter, regalandogli un piccolo sorriso nascosto nell’ombra.
«È successo qualcosa? Perché sei vestito?» Indicò la sua torcia e sbatté di nuovo le palpebre ancora avvolto dal sonno.
Gli passò le scarpe e gli fece cenno di seguirlo, Will crucciò le sopracciglia ma obbedì, si cambiò la maglia del pigiama e lo seguì in mezzo alla stanza, non usarono la torcia, non ne avevano bisogno, poiché conoscevano entrambi quel luogo così bene. Passarono vari letti e ragazzi addormentati da chi russava, si dimenava, a chi dormiva più tranquillo e nessuno notò la loro presenza, erano come piccoli esseri che si muovevano nell’oscurità.
Arrivarono fino ad una porta di servizio (non certo sconosciuta ai due che spesso sgattaiolavano fuori, con colui che conosceva la sua ex dimora) e furono fuori. L’aria della notte li colpì in pieno volto e per quanto caldo, c’era un leggero venticello cosicché non era così afoso com’era stato qualche giorno prima. Hannibal a quel punto accese la torcia, la porse a Will e si spiegò.
“Hai detto che non ti piace nulla di questo posto, voglio farti cambiare idea.”
Guardò il cielo e sorrise, vide l’amico seguire il suo sguardo con la coda dell’occhio: vari puntini luminosi brillavano in cielo quella notte, alcuni cadendo in quella speciale circostanza, ed altri ancora immersi ad illuminare la via.
«È per la notte di San Lorenzo?»
“Vieni con me.”
Riprese la torcia e condusse l’amico dove voleva, attraversarono il bosco silenzioso con alcune lucciole che apparivano avvicinandosi a loro, per poi scomparire, a seconda di come si spostavano. Gli alberi erano silenti e ogni cosa immobile se non fosse per i loro passi in mezzo al bosco, Hannibal camminava sicuro e Will di fianco a lui non disse niente, semplicemente camminava, ogni tanto guardando il cielo o qualche lucciola che veniva verso di loro.
 
«Gesù! Cos’è tutto questo?»
L’amico spalancò gli occhi alla vista di una grotta illuminata da ogni sorta di candela di varie dimensioni, alcune lunghe e altre più corte ma grandi, da rendere luminoso il posto come fosse giorno. Ai piedi di essa vi era una coperta morbida e marrone chiaro, anch’essa adornata da candele più piccole, e vicino a esse, piccoli contenitori contenenti mandorle e bacche che il giovane Lecter aveva trovato. Hannibal con fierezza si sedette, spegnendo la torcia e poggiandola di fianco a sé, e Will lo raggiunse e lo guardò sorridendo.
«Hai avuto un’illuminazione questa notte?»
Sopra di loro gli alberi erano aperti come fossero tende a dare spettacolo dal cielo, ed era rimasto immutato negli anni, rendendo Hannibal ben contento di organizzare tutto nel modo più preciso possibile.
“Io e mia sorella venivamo qui quasi ogni notte d’estate, e in questa specifica occasione portavano degli stuzzichini per rimanere fuori più a lungo possibile. I nostri genitori lo sapevano, ma non dissero nulla né si opposero mai.”
«Si fidavano di te.» Disse Will, guardando per un istante davanti a sé, il volto più serio ora.
“Delle volte, la notte di San Lorenzo, mia madre personalmente e non chiedendo al cuoco, ci preparava qualche dolcetto al miele da portare con noi quella sera. Mischa adorava quei tortini, li mangiava quasi sempre tutti lei e poi si appoggiava alla mia spalla con un sorriso soddisfatto. Parlavamo e guardavamo il cielo e le stelle, lei adorava guardarle a me piaceva conoscerle…e insieme aspettavamo i nostri desideri e sogni.”
Poté sentire la sua risatina nella notte, i suoi capelli profumati di balsamo al cocco luminosi sotto il cielo notturno, i suoi occhi brillare e indicare con enfasi quando vedeva qualche stella cadente.
«Hannibal.»
Will lo riportò alla realtà, il suo nome pronunciato nei più dolci dei toni, lo aveva sentito attraverso le sue labbra in modi diversi, ma mai così. Si voltò verso di lui e nei suoi occhi vide la consapevolezza che anche l’amico stava vedendo la stessa scena, e non era comprensione… lui poteva sentire.
«Lei dov’è adesso?»
Hannibal sospirò ed abbassò lo sguardo, riflettendo sul da farsi… ma quando incontrò i suoi occhi, decise di metterlo al corrente del fatto più terribile.
“Eravamo rimasti soli io e Mischa, in un capanno dove ci avevano portati per proteggerci dalla guerra. Arrivarono degli sciacalli e loro l’hanno uccisa per poi…mangiarla.”
Will lo fissò incredulo e sconvolto, gli occhi umidi quanto i suoi ma nessuna parola futile uscì dalle sue labbra, nessuna futilità ed Hannibal trattenne le lacrime negli occhi che si fecero ancora più acquosi. E per quanto l’altro non lo stava toccando, fu come se lo avesse fatto, poiché sentì nettamente la sua mano su una spalla, in un conforto silenzioso. Piuttosto prese una bacca dalla piccola ciotola di legno, aprì la sua mano, e gliela posò sopra, Hannibal non si sentì più solo mangiando quella piccolo frutto rosso.
«La mia storia è più banale, non mi dilungherò più di tanto. Ti basti sapere che mio padre era tedesco e la guerra lo chiamò in una tomba, fu una sua scelta di abbandonare me e mia madre. E lei fu la seconda vittima.»
Hannibal ricambiò il gesto dall’amico offerto e non espresse nulla, ma si limitò a poggiare una mano sulla sua spalla per qualche secondo, prima che il giovane Graham portasse il naso all’insù traendo un piccolo sospiro.
Passò qualche istante di silenzio prima che parlasse di nuovo.
«Mi sono sempre chiesto cosa nascondano davvero le stelle, sono come luci guardiane del cielo e gli antichi greci le conoscevano molto di più di noi.»
Prese una bacca anch’egli, la mangiò e lo guardò.
“Possono dire molto su di noi come sull’universo, è un mondo vasto, libero…un ampio senso di libertà che coincide con te.”
Non tolse gli occhi da lui, dalle sue mani, attento a ciò che stava esprimendo ed Hannibal confermò quanto apprezzasse la sua compagnia, più di qualsiasi altro. Will parlò con tono sommesso come fosse un segreto da rilevare soltanto a lui.
«Isolati dal mondo, nel silenzio e con la natura come unico sfondo…vedo la bellezza qui.»
Hannibal non seppe quando era successo e chi dei due avesse fatto la prima mossa, forse entrambi, ma improvvisamente si ritrovarono più vicini, tanto che le loro spalle si sfiorarono, ma nessuno dei due interruppe quel contatto.
“Esprimerai il desiderio di evadere da questo posto.”
«I desideri non dovrebbero essere detti.» Will abbozzò un sorriso e poi continuò.
«Comunque, non è più questo il mio più forte desiderio.»
Non lo guardò a quell’esclamazione e piuttosto rimase col viso rivolto all’insù, verso il cielo, verso gli astri che gioiosi brillavano in esso. E fu lì che guardando il suo profilo illuminato da essi e dalla calda luce delle candele, con i riccioli a incorniciargli il volto e gli occhi brillanti di stelle, che Hannibal ebbe un pensiero.
È bello.         
Era qualcosa che non aveva più pensato da tempo di un essere umano, sua madre era bella, ma era stata l’ultima…la bellezza l’aveva sempre ritrovata nell’arte, sculture sinuose che lo osservavano da qualche libro, o un quadro dai volti tondi e perfetti come quelli di Botticelli, ecco a che quadro lo paragonò la bellezza del ragazzo lì di fianco a lui!
Will lo guardò un secondo, un piccolo sorriso di quelli sinceri sul volto e sentì la sua felicità e tranquillità di vivere con lui quel momento, ma Hannibal fu come costretto a distogliere lo sguardo a quel punto, e avvertì il luccicare delle stelle brillare persino nei suoi occhi. Ne vide una cadere nel mondo, e poco dopo un’altra scintillante la seguì, con Will che la indicò chiamando il suo nome, Hannibal lo guardò nuovamente senza farsi vedere, un sorriso a coprirgli il volto e gli occhi pieni di meraviglia. Un calore denso cresceva dentro di lui e brillava esattamente come se quegli astri caduti stessero bruciando nel suo petto, le lacrime che prima non versò per malinconia, in quel momento scesero per una gioia incontenibile.
È così bello.

Angolo Autrice: 
Ciao a tutti!
Qui voglio evidenziarvi un punto, prima della linea, Will e Hannibal sono amici e intendo per davvero XD non c’è del romance sottoperché mentre lo scrivevo i personaggi hanno voluto così, poi ovvio nel finale si evolve in qualcos’altro eheh😏

Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


 
Può essere strano, bizzarro, e intrigante come possono cambiare le cose o l’importanza delle persone che abbiamo accanto a noi, così come il peso che hanno nella nostra vita; la posizione di privilegio che alcune riescono a conquistare con azioni e dimostrazioni.
Hannibal aveva imparato l’importanza della condivisione, la necessità di farlo con l’unico amico che avesse mai avuto, spesso e volentieri soltanto tramite degli sguardi.
Will non parlava più di andarsene, l’afa passò e così quel suo pensiero, era più presente alle lezioni e attento a ciò che accadeva intorno a lui, i suoi occhi sembravano accesi da una nuova fiducia. Tra una lettura dell’Iliade sempre più frequente, si ritrovavano nello stesso luogo o momento, e Will gli parlava di nulla o ogni cosa, ogni emozione e sensazione mentre Hannibal lo ascoltava, la sua voce accompagnava spesso i suoi pensieri, come se fosse un brano di musica classica.
E oramai quando il giovane Graham decideva di uscire di nascosto, lo faceva sempre in compagnia del suo amico,  un termine comune tra loro per quanto non lo avessero mai concordato, come accadde al compleanno di Lecter.
Ricordò il suo tocco leggerlo sulla spalla, il suo nome chiamato a bassa voce, e quando aprendo gli occhi, incontrò le sue labbra che a tutti i costi cercavano inutilmente di tenere un sorriso. L’aveva condotto alla grotta, dove aveva preparato un cesto di vinimi bello colmo di bacche e alcuni dolciumi presi di nascosto dall’orfanotrofio, era bravo a ottenere quello che voleva se davvero lo desiderava.
Will l’aveva guardato quando pensava che l’altro non lo notasse, a un piccolo sorriso nascosto aveva colorato le sue labbra, da far luccicare i suoi occhi nel buio, e quei momenti diventarono sempre più frequenti. Quando Hannibal aveva provato a ricambiare quello sguardo, l’altro l’aveva deviato e di nuovo quel sorriso si era  presentato nelle sue labbra con le gote arrossate ,e il giovane Lecter non poteva fare a meno di sorridere di rimando, con l’unico pensiero di voler toccare le sue guance. Gli piacevano quei momenti, e la compagnia di Graham era diventata indispensabile, era come se per 6 anni della sua vita non avesse vissuto davvero, chiuso dietro al muro del silenzio che nessuno voleva penetrare o capire, prima del suo arrivo: la sua amicizia, quei sorrisi che donava soltanto a lui, e la sua vicinanza furono le ragioni per cui riprese persino a disegnare.
Aveva sempre amato farlo, ed era anche piuttosto bravo ma soltanto nei sui 14 anni appena compiuti, sentì di nuovo il desiderio di impugnare la matita e ritrarre, alle volte persino il suo amico che nulla sapeva di essere spesso sotto i suoi sguardi.
Come quella mattina d’autunno, non era ancora freddo e l’orfanotrofio permetteva ancora ai ragazzi di stare fuori nelle ricreazioni, gli alberi di susino erano ancora in fiore per quanti molti di essi, cadevano sulle teste di ragazzini intenti a giocare, correre, o leggere.
Loro due erano situati sotto uno, le spalle erano poggiate all’albero ma molto vicine e c’era una sottile brezza di vento che muoveva il foglio da disegno di Hannibal, oltre i fiori che volteggiavano sopra le loro teste. Will a capo chino, era immerso in un libro, e ogni tanto si fermava soltanto per annusare l’aria dolce intorno a sé chiudendo gli occhi un istante, prima di immergersi di nuovo nella lettura. Hannibal adorava quel momento, quando il sole baciava la sua guancia sinistra e i suoi occhi sfumavano dal colore del cielo sopra le loro teste, al verde delle foglie dell’albero di susino sopra di loro…tutto questo lo memorizzava poiché aveva desiderio di riprodurre in privato, ogni dettaglio del quadro personale che aveva di fianco.
Da quella notte di San Lorenzo sotto le stelle, si era spesso soffermato sulla bellezza del suo amico, aveva scavato nella sua memoria ogni possibile quadro o opera d’arte da abbinare a lui e non ne aveva trovati pochi… dunque era piuttosto popolare l’idea che Will Graham fosse bello.
In quella quiete serena fuori dal tempo e da ogni tormento notturno, un piccolo fiore del susino cadde nel suo foglio unendosi al paesaggio di  montagne e natura che stava disegnando, ed Hannibal fermò la matita, un’idea improvvisa nella mente. Lo raccolse delicatamente e sentì che l’amico si mosse, visto quanto erano vicini, scosso da non sentire più il rumore della sua matita, ma prima che potesse guardarlo si trovò con quel fiore tra i capelli, sopra l’orecchio destro.
Will si bloccò un momento e poi lo guardò assottigliando lo sguardo, cercò qualsiasi segnale di ilarità nel volto dell’altro, ma Hannibal rimase serio, inclinò il capo di lato e lo osservò in silenzio.
Il sole batteva dietro il suo capo e i ricci castani mossi dalla brezza autunnale,  facevano risaltare quel piccolo fiore rosa e bianco, mentre con le labbra come fossero disegnate da quant’erano perfette, leggermente socchiuse lo guardava. Sarebbe potuto essere una creatura mitologica, dalla magia racchiusa negli occhi azzurri da cui non riusciva a staccare lo sguardo, una di quelle che vivono nei profondi abissi nell’Iliade di cui tanto adoravano leggere.
Una ninfa che mi ha imprigionato, contro la mia ragione.
Hannibal dovette stringere la mano e sentire la matita sopra il foglio colpire le sue nocche, per connettersi alla realtà.
L’amico non trovando segni di prese in giro da parte sua sbuffò, scuotendo il capo.
«Non sono una ragazza.»
Una risatina nervosa mentre si toglieva il fiore dai capelli con un gesto brusco, e allontanò le gambe dalle sue ma non si distanziò ulteriormente, per poi guardarlo di sott’occhi.
“Non importa, eri bellissimo.”
Avrebbe avuto un tono calmo nel caso glielo avesse detto poiché era ciò che davvero pensava, senza fronzoli o tanto per essere un complimento, Will produsse di nuovo quella risata, le gote presero lo stesso colore roseo del fiore che poco prima abbelliva i suoi ricci.
«Balle…non mi farò ritrarre così.» Si godette l’espressione di sorpresa che attraversò il suo viso prima di tornare a leggere il suo libro, o almeno riversò la sua attenzione su di esso.
Il giovane Lecter lo osservò ancora di tanto in tanto, e notò quel piccolo particolare sorriso formarsi sulle labbra di Will, e che fecero sì che anche lui sorridesse. La quiete attorno a loro tornò sovrana, ed Hannibal riprese il suo disegno, il rumore della matita e le pagine del libro, gli unici rumori sottostanti vicino a loro…c’era un calore nuovo che si espandeva nel petto di Hannibal, ed era piacevole come la brezza che li avvolgeva.
 
Faceva freddo, uno di quelli acuti da entrarti nel cuore e nelle ossa, il bambino si stringe più che può nella coperta sbrindellata che ha sulle spalle, cerca di evadere ma i denti battono tra loro. C’è un odore di brodo e legna bruciata, sotto le scale intravede un tempo uomini ma ora sciacalli, cantare e cibarsi, i loro occhi furiosi mentre bevono il brodo e divorano la carne in esso. Hannibal si volta a fianco a lui ma lei non c’è, non ci sono più capelli biondi e unti attaccati alla sua spalla, o lei accalcarsi di fianco a lui, non c’è più… il suo calore o la sua vocina chiamarlo debolmente. Gli occhi di uno delle bestie si poggiano su di lui, sono scuri e feroci, la bocca sporca di sangue si contorce in una smorfia e il bambino piange e piange.

Hannibal si svegliò di soprassalto con lacrime a coprigli le guance e il cuore che batteva forte nel petto, chiuse gli occhi per qualche secondo cercando di controllare il respiro e attese, il terrore dell’incubo scemò e lo invase un senso di inquietudine. Alzò il capo guardando verso il letto di Will ma vedendolo vuoto, sbatté le palpebre pensando a dove l’altro potesse essere andato, alla finestra non c’era e non era nemmeno nella stanza altrimenti si sarebbe avvicinato a lui.
Rimase fermo a riflettere, così immobile che poté sentire i respiri degli altri ragazzi ancora addormentati, finché arrivando all’idea, si alzò dal letto e si vestì prendendo dei pantaloni scuri e una felpa rossa; visto che la notte faceva più freddo ed anche perché lui stesso nel rimasuglio dell’incubo, sentiva freddo e solitudine. Si mise le scarpe e uscì lentamente dalla camera.
Arrivato alla grotta la sensazione di gelo svanì, Will era lì seduto dentro sulla coperta, le candele accese intorno a lui e qualche barattolo con qualche lucciola rinchiusa, che sarebbero rimaste con loro soltanto le ore che volevano rimanere lì per poi essere liberate, illuminavano la sua figura.
Era seduto al centro di tutte le luci, ma il suo sguardo non era rivolto al cielo dove c’erano poche stelle quella sera, per via di qualche nuvola, ma piuttosto davanti a sé nella foresta oscura che stava a qualche miglio di distanza da loro. Non aveva nemmeno una volta sbattuto le palpebre da quando Hannibal era arrivato, segnale più che evidente che fosse in una specie di trance, cosicché il giovane Lecter si andò a sedere vicino a lui sfiorandogli una spalla. A quel punto, Graham sbatté gli occhi e lo guardò, c’era del turbamento in quelle pupille azzurre spalancate in confusione e stupore.
«Hannibal.» Il modo in cui disse il suo nome fu diverso, ci fu una gioia incontrollabile nelle vocali e gli angoli della sua bocca si piegarono in un leggerissimo sorriso, e per quanto cercò di nascondere tutto questo, l’altro lo vide. Fu così inaspettato che Hannibal stesso sentì quella gioia invaderlo da far pompare il suo sangue forte, tanto da sentirne il calore raggiungere le sue guance.
Avrebbe voluto abbracciarlo in quel momento, anche se non si erano mai dimostrati affetto in modo esplicito, ma Will interruppe il contatto visivo puntando di nuovo lo sguardo davanti a sé.
«Ti ho sognato prima, eri qui nel tuo castello ed eri un bambino…i tuoi occhi erano grandi ma dal colore dell’ambra fossilizzata, fermi e senza vita, eri distante da me e quando ho cercato di raggiungerti, ho sentito le mie gambe più corte e ho visto che anche io ero un bambino. Avevi una bambola in mano, il vestito rosa era tutto sbrindellato, i capelli erano biondi e lunghi e tu la tenevi stretta ma lei ti è sfuggita di mano, è caduta a terra e si è rotta. Tu piangevi, ed io sono riuscito ad avvicinarmi a te dicendoti che non eri solo, che ero con te e allora mi hai guardato e i tuoi occhi erano più vivi ma poi sei corso via e per quanto volessi seguirti non riuscivo a raggiungerti. Mi sono svegliato, ti ho visto dormire e sono venuto qui.»
Una pausa e una risatina nervosa lo turbarono a tal punto che scosse il suo corpo leggermente, si spostò alcuni riccioli che gli erano andati davanti al viso prima di continuare.
«Ma il sogno è continuato, soltanto che non stavo dormendo…ti ho visto lì, oltre il bosco con me, entrambi eravamo piccoli e giocavamo tra noi e tu mi spiegavi la storia del castello. E parlavi così tanto ed io ti ascoltavo e ascoltavo, ed era così vivido! Al punto che pensavo non sarei più tornato indietro o stato normale. Mi era successo in passato ma non era mai durato così a lungo.»
Cominciò a tremare avvolgendo le braccia intorno alle ginocchia, e cercando di chiudersi nel suo guscio ma Hannibal lo bloccò, gli mise le mani sue spalle e lo voltò verso di lui. Tolse le mani e Will rimase fermo nella posizione in cui lo aveva messo, non staccando lo sguardo dal suo, i suoi occhi si erano fatti più scuri dalla paura e disperazione, ed Hannibal poteva avvertire tutte le sue emozioni e non poteva permettere che l’amico si sentisse in quel modo!
 “Puoi vedere e sentire le cose vividamente, tu puoi , Will, e puoi vedere me per davvero perché hai una mente diversa dagli altri. Ma non sei spaventoso, e non sei difettoso, ma sei meraviglioso.”
Hannibal rafforzò quel significato andando a sistemargli un ricciolo dietro l’orecchio e così sfiorando la sua guancia destra, il suo cuore era gonfio d’orgoglio e voleva che vedesse e sentisse quanto ne fosse affascinato.
Will lo guardò sorpreso e poco dopo abbassò lo sguardo, il piccolo sorriso nascosto a riempire le sue labbra, si voltò alla sua sinistra e sembrò prendere qualcosa.
«Tu vedi mille musei nella mia mente e dentro me, dove io vedevo soltanto vuoti corridoi.»
Quando si voltò verso di lui aprì la mano e il piccolo fiore bianco dall’interno rosa, lo stesso che qualche giorno prima gli aveva messo per adornare i suoi capelli, apparve nel suo palmo.
Hannibal alzò la mano destra corrispondente alla sua, mettendola sopra a quella dell’amico, non la poggiò ma semplicemente sostò lì sospesa tra il fiore e il tempo. Incontrò il suo sguardo e gli occhi si fecero lucidi, non più capaci a contenere il calore e un senso di familiarità che scorrevano dentro di lui: una sensazione simile a quando quell’orfanotrofio era il castello Lecter, e sua sorella era lì con lui seduta nel tappeto a giocare insieme, mentre sua madre suonava il piano leggiadra e suo padre l’ascoltava.
Le sensazioni che gli dava quel ragazzo erano immense!
“Vedo ciò che sei, ti accetto e ti capisco perché sei mio amico, e sei la mia famiglia.”
Non poteva esprimersi altrimenti, non sapeva il nome delle sensazioni che sentiva nel suo corpo che lo facevano vibrare, scuotere, e accendere come se potesse brillare.
Delicatamente, portò di nuovo la mano sopra quella di lui e con il dito medio e indice, sfiorò quei piccoli petali bianchi e rosa, erano sottili e poté percepirne la fragilità, in contrasto con la pelle morbida del palmo di Will che involontariamente incontrò. Gli occhi dell’altro erano luccicanti ma non più di paura, era uno sguardo che non gli aveva mai rivolto e si spostava sul suo volto come se lo stesse accarezzando, e gli fece dimenticare ogni sensazione di gelo che aveva provato prima. Le lucciole si muovevano freneticamente nei barattoli e le fiamme delle candele, fluttuavano al vento leggero della notte, creando giochi di riflessi tra i riccioli di Will posandosi sulle sue ciglia lunghe e negli occhi che ora, erano nei suoi. E in un momento, le labbra di Will furono sulle sue, Hannibal non riuscì a respirare in quel secondo, e i suoi occhi rimasero spalancati a guardare quelli chiusi con forza dell’altro e sentire le loro labbra ferme e unite. Non riuscì a fare nulla che il giovane Graham si staccò, le guance dell’amico erano rosse e vive e i suoi occhi così brillanti, che sembrava che mille lucciole ci ballassero, Hannibal sospirò sentendo le sue labbra vuote e fredde.
«Scusami, non avrei dovuto…i-io…è stato uno sbaglio.»
Si alzò con uno scatto e prese i pochi barattoli liberando le lucciole all’interno,  mettendo fine a quel momento e evitando il suo sguardo tutto il tempo, poi si allontanò da lui prima lentamente, fino a correre via verso l’orfanotrofio.
Hannibal non cercò di fermarlo, né di voltarlo verso di sé per far sì che si spiegassero, rimase fermo seduto immobile con soltanto le candele a illuminarlo, e per la prima volta nella sua vita, il silenzio fu persino nei suoi pensieri.
Si accorse che faceva di nuovo freddo e si strinse nella felpa mentre in lontananza, il fiore che era in mano a Will, giaceva a terra e dopo qualche istante volò via nella notte e nel vento.
 
 
 
 

Se ci fu un giorno nel quale sentì la pesantezza di essere chiuso in un orfanotrofio fu quello, dalla finestra si potevano udire gli uccellini cantare ma Hannibal era sveglio da un po’.
Il suo sguardo era fisso davanti a sé ad osservare Will addormentato,  il suo volto era girato nella sua direzione e i riccioli fattosi più lunghi, lo circondavano come fossero una corona.
Will Graham compiva 15 anni quel giorno, era diventato un po’ più alto come lui, ma il suo viso, i suoi lineamenti dal naso perfetto, alle labbra disegnate, e gli occhi azzurri grandi ed espressivi erano rimasti gli stessi. Quel volto che lo accompagnava ogni volta che si addormentava e in ogni suo risveglio, lo conosceva a memoria, poteva dimenticare il suo, o persino il suo nome ma conosceva ogni espressione e sospiro di Will, e da quando dormivano così vicini, era nell’inizio e nella fine di ogni sua giornata.
Era stata un’idea condivisa, ma fu Will ad attuarla, aveva convinto l’altro ragazzo che nel suo letto avrebbe sentito meno gli urli di Hannibal nella notte, tutto in tono persuasivo e il giovane Lecter aveva sorriso, sdraiato nel suo letto osservando di tanto in tanto la manipolazione dell’amico. Non c’erano più stati imbarazzi tra loro, e quel bacio successo la notte di un anno fa, non li allontanò se non di due giorni, dopodiché bastò che si guardassero negli occhi per qualche istante, per distogliere qualsiasi disagio. Non ne avevano parlato, non ci fu bisogno ma non fu nemmeno dimenticato come atto impulsivo o sconsiderato, in effetti aveva portato una svolta alla loro relazione: non erano amici ma nemmeno qualcosa di più, erano semplicemente loro e al giovane Lecter piaceva questo termine non specifico ed esclusivo, così unico.
Qualche volta Hannibal l’aveva sognato quel bacio, quando aveva ancora 14 anni, lì sotto le stelle coperte nella grotta piena di luci e spesso l’aveva ricambiato, ma fu  soltanto quando né compì 15 di anni che fu più chiaro. Cominciò a pensarlo persino di giorno, disegnare i ritratti con lenti movimenti quando si trattava delle sue labbra, e poteva immaginarlo, e sentirlo di nuovo. Ma non glie disse nulla, non ancora, non era importante quanto lo era il suo rapporto con lui in quel momento.
Spesso oramai sapevano i pensieri l’uno dell’altro, e non avevano bisogno di comunicarlo, gli sguardi erano diventati più profondi, più intimi e raramente stavano lontani, anche quando facevano attività diverse, e il contatto fisico tra loro non mancava mai: gambe sopra le altre, spalle vicine, mani che ogni tanto si incontravano. Nella notte quando qualche incubo tormentava uno dei due, grazie al fatto che dormivano vicini, avevano preso l’abitudine di sfiorarsi la mani penzoloni dal letto nel buio della stanza e quel conforto man mano andò a ripetersi ogni notte, incubo o meno.
Will Graham aveva raggiunto i suoi stessi anni (avevano qualche mese di differenza) e non poteva regalargli nulla, se non offrigli gli auguri per primo, ed era questo a tenerlo sveglio quel giorno; cominciò a filtrare qualche raggio di sole dalla finestra nella stanza, che si espanse sempre di più fino a colpire il suo viso addormentato e degli altri ragazzi. Ci furono mugugni, ma l’unico a regalargli un sorriso fu il viso dell’amico che si ribellava a quel risveglio, il suo stropicciarsi gli occhi dal colore del cielo in cui si specchiava, e che presto furono su di lui.
Hannibal si alzò a sedere.
“Buon compleanno.”
E Will rise, portandosi una mano tra i capelli e guardando il soffitto.
«Volevi l’esclusiva!»
Lo guardò e si scambiarono un sorriso.
 
Era usanza che cantassero al tavolo l’inno a Stalin prima di qualsiasi pranzo, cena, o colazione, ed Hannibal mentre si guardava attorno, poteva quasi vedere dei fili pendere dall’alto e attorcigliare le braccia, la bocca, e la testa di ogni ragazzo lì dentro. Il direttore stesso era il burattinaio, di cui la voce si udiva sopra le altre di un tono… se non altro era più piacevole voltare lo sguardo al suo fianco dove c’era Will che di quelle marionette non faceva parte. In effetti cantava sempre piano, qualche volta omettendo delle parole, non sapeva se lo facesse per lui o per se stesso ma era comunque più gradevole.
Tra i tavoli come un predatore, si aggirava Petrov che riprendendosi dal suo incidente, era diventato ancora più spietato,  il suo sguardo aguzzino si poggiava su ogni ragazzo presente nella mensa incutendo timore ad ognuno di loro, finché non si puntò su Hannibal.
Si avvicinò a passi svelti verso il loro tavolo, battendo i pugni su esso.
«Non sento la tua voce orfanello, devi cantare!»
Hannibal mantenne il suo sguardo, per nulla spaventato dal suo nero come la pece, era un nessuno in confronto ai mostri con cui aveva lottato e lottava ogni notte ma di fianco a lui, poté avvertire Will irrigidirsi.
«Cos’è fai il muto ora? Ti ho detto che devi cantare.»
«Non può farlo!»
Il giovane Graham intervenne crucciando le sopracciglia con fare minaccioso, e Petrov si girò verso di lui.
«Tu stai zitto, e riguardo a te- puntò un dito nella direzione di Lecter, che rimase impassibile- non sei più speciale, questo posto non appartiene più a te, sei un orfano come tutti gli altri e canterai!»
Una smorfia riempì il suo volto.
«Tutti ti possono sentire gridare la notte, Mischa, Mischa… la voce ce l’hai! E ora la userai!»
«Quanta intelligenza che dimostri, sono davvero colpito.» Ancora una volta Will intervenne, facendosi più vicino all’amico con cui si scambiò uno sguardo, Hannibal ammirava ciò che stava facendo ma lo trovava inutile con un essere come quello ma non spiegò nulla, sapeva anche che non gli avrebbe dato ascolto.
In risposta lo sguardo di Petrov si rivolse verso di lui pieno di disgusto.
«Ma che carino e stupido ragazzino, cosa ti avevo detto?»
Puntò un dito verso di lui.
«Tu non sei nessuno orfanello, e un nessuno non può parlare, devi stare zitto piccolo microbo insignificante!» La sua mano era sempre più minacciosa verso Will, più vicina e pronto a colpirlo, ma presto si trovò il coltello piantato al centro del palmo.
Petrov si allontanò urlando e imprecando ed Hannibal rimase impassibile e fermo,  soltanto quando si voltò verso Will, un piccolo sorriso apparve agli angoli della sua bocca. Al contrario, il giovane Graham lo guardava con occhi spalancati incapace di dire qualsiasi cosa, ci furono dei versi di stupore, il direttore che interveniva portando via Lecter dal tavolo e sguardi di terrore da parte dei ragazzi… ma l’unica reazione che a lui interessava era quella dell’amico. Will aveva chiuso la bocca e le mani poggiate entrambe sul tavolo, tremavano leggermente, mentre nei suoi occhi poté vedere per la prima volta della paura insieme all’incomprensione, prima che l’altro interrompesse il contatto visivo.



Angolo Autrice: Ciao a tutti!
Qui vi beccate un po' di fluff con finale accoltellata ahaha, perché sono sempre gli Hannigram non dimentichiamocelo XD quel pezzo comunque, viene direttamente dal libro soltanto che qui Hannibal lo fa per proteggere Will 
💗
piccola nota, è una frase piccola ma vorrei rimetterla perché ha un grande significato "Will non parlava più di andarsene, l’afa passò e così quel suo pensiero," non aggiungo altro 🥺💗


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Capitolo 4
*** chapter 4 ***


Era notte e probabilmente tarda ma lui non lo sapeva, apprezzava quelle ore in solitudine a suonare il vecchio pianoforte di sua madre, e la ricordava coperta dai suoi lisci capelli scuri, comporre ed esprimersi con passione in quello strumento dove lui ora faceva lo stesso.
Era grato di aver trovato quella stanza segreta nella punizione che Petrov credeva di avergli dato, un sorrisetto comparve nel suo volto a ricordare la rabbia nei suoi occhi e la mano ferita, di nuovo per merito suo.
Improvvisamente sentì chiamare il suo nome, così si stoppò sbattendo le palpebre e si alzò tornando nella stanza con le sbarre, trovando Will stupito che lo guardava con il capo di lato.
«Ero venuto a salvarti ma sembravi esserti salvato da solo, dov’eri?»
Hannibal sorrise alla vista della chiave in mano all’amico ma non gli concesse una risposta, era ampia quella cella nel sotterraneo motivo per cui Will non poteva sapere, non ancora…
“Pensavo che avessi paura.”
Will esitò qualche secondo roteando la chiave.
«L’avevo, ed ero rimasto scioccato da cosa avevi fatto, da come l’avevi fatto ma poi non ho potuto fermare i miei passi mentre mi dirigevo in camera di Petrov, è così fissato nella sua stupida abitudine di bere e addormentarsi ovunque nella sua stanza, che nemmeno un carro armato potrebbe svegliarlo… e l’ho guardato. Era inerme, e la benda nella sua mano stava cominciando a sanguinare e ho pensato…»
Deglutì deviando lo sguardo.
«Ho capito qualcosa di me mentre rivedevo cosa gli avevi fatto, e non è stato più insopportabile.»
Alzò lo sguardo nel suo, i suoi occhi luccicavano, e le sue sopracciglia tremarono leggermente.
“Hai capito che ti piace vedere i cattivi pagare per i loro crimini.”
Will abbassò lo sguardo e sospirò, poi lo guardò di nuovo, non c’era più il terrore ma solo incomprensione nelle sue pupille fattosi più scure.
«Sì.»
Sta volta fu Hannibal a deglutire sentendo un’oscura sensazione stringergli il petto e passare fino al suo inguine, strinse le sbarre della prigione in un forte bisogno di toccarlo e Will poggiò una mano sulla per qualche secondo, dopodiché girò la chiave ed aprì la cella.
Il giovane Lecter al posto di uscire lo aspettò, e l’amico lo raggiunse, seguendo poi i suoi passi, finché non furono davanti a una botola aperta, dove si calarono insieme e finirono in una piccola stanza sotterranea al castello. Era polverosa e c’era odore di vecchio, qualche scatolone qua e là, e un pianoforte abbandonato appoggiato al muro pieno di crepe. Soltanto una piccola finestrella rotonda faceva aria in quel posto e una lampadina accesa da Hannibal poco prima, si voltò verso l’amico che si stava guardando intorno, e che notò il piano in lontananza.
«Mmm, la tua punizione è stata piuttosto piacevole.»
Hannibal gli si avvicinò incuriosito, e lo osservò trattenere il respiro per qualche istante, quando il suo spazio personale venne invaso, il discorso non era ancora concluso.
“Cos’hai provato nel vedermi così?”
«Ho provato…paura, incomprensione, shock, ma solo inizialmente. Non è stato questo a spaventarmi ma la mia reazione successiva.»
“Dimmi che cosa hai visto.”
Erano così vicini che respiravano la stessa aria e poté vedere i riflessi di azzurro, verde, e blu, negli occhi di Will che non si staccavano da lui nemmeno un istante, come se in quel momento esistessero soltanto loro due e nient’altro.
«Ti ho visto diverso, e per un momento era come se non sapessi chi fossi, ho visto soddisfazione nel tuo viso mentre l’hai colpito…»
“La maleducazione e la scortesia sono indicibili per me, soprattutto verso di te.”
L’aveva interrotto esprimendosi così e Will annuì.
«Le nostre ragioni sono diverse, ma lo scopo è lo stesso…quando ho visto Petrov ho sentito che era giusto che pagasse, e ti ho riconosciuto di nuovo. Pensare a Petrov che si diverte a spaventare essere lui stesso preda del terrore, è…è giusto.»
Si stoppò un secondo.
«Ho ripensato ai combattimenti che facevamo con i bastoni, dove fingevamo di essere un qualche eroe dell’Iliade...e tu eri e sei così veloce, agile, ed elegante.»
Si schiarì la voce, abbassando lo sguardo un sorrisetto imbarazzato a riempire il suo volto, e si distanziò di qualche passo da lui.
«Il tuo viso era…fermo e impassibile alla violenza, tenace nel proteggermi, i tuoi occhi avevano lo stesso riflesso cremisi come quando sapesti che Petrov mi colpì, e come beh- gli rivolse un’occhiata fugace prima di continuare- la prima volta che mi hai chiesto di leggerti l’Iliade mi chiesi di scegliere i pezzi che preferivo, e ci sono degli eroi di cui ti ho letto spesso. I tuoi occhi si erano tinti della ferocia di un leone, l’ho visto! Proprio come ho sempre pensato fosse Achille.»
Nell’ultimo punto la sua voce si fece sommessa, e si schiarì di nuovo la gola scuotendo il capo leggermente verso se stesso, Hannibal sentì i suoi occhi luccicare e colmò la distanza che l’altro aveva preso, poggiando una mano nella sua guancia facendo sì che l’altro lo guardasse.  
Gli comunicò con lo sguardo, quanto ne fosse lusingato e che non doveva vergognarsi, e sentì la sua guancia scaldarsi… ma durò un istante poiché Will si distanziò non togliendo però lo sguardo da lui.
“Sai Patroclo è famoso per la sua forte empatia, dunque se io sono Achille, tu non puoi che essere il mio Patroclo.”
A quel punto il giovane Graham sorrise, portandosi la mano dietro al collo e deviando lo sguardo si distanziò completamente da lui, dirigendosi verso il vecchio pianoforte nella stanza.
Si sedette e pigiò qualche tasto.
«Mia madre quando avevo 10 anni, cercò di insegnarmi a suonare il piano, diceva che mi piaceva ascoltarlo, dondolavo e ballavo davanti alla radio appena metteva qualche brano o compariva una pubblicità con musica classica.»
Un piccolo sorriso malinconico comparve nelle sue labbra.
«Così mi portò da questo maestro, ma ricordo soltanto che scappavo da lui con l’uomo che mi correva dietro mentre io determinato fuggivo via.»
Una piccola risata contagiò entrambi ed Hannibal si andò a sedere di fianco a lui.
“Amavi già la libertà.”
Will annuì e Hannibal con delicatezza, sfiorò i tasti del pianoforte, fino ad arrivare a un posto dove c’era un buco, poi lo guardò.
“Vedi qui? Fu il motivo per cui mia madre lasciò il piano, mancava il sì, così decise di prendersene uno decisamente più raffinato anche se a questo ci era affezionata, perché apparteneva alla famiglia da generazioni. Diceva che poteva essere il suo piano di riserva nella stanza segreta, e non ebbe cuore di buttarlo.”
Con leggiadra prese a suonare, non contava il tempo o il fatto che altri ragazzi avrebbero potuto udire seppur in lontananza, il suono del piano, importava soltanto che fosse lì con un brano di Bach, e con Will che lo guardava con calore seduto con lui nella loro stanza segreta.
 
Non c’erano luci accese come di solito succedeva quando programmavano una serata, e impiegarono qualche tempo per accendere delle candele poiché non era una notte luminosa, fatta eccezione per la luce delle stelle.
Quella sera Will fu abbastanza determinato, gli incubi soltanto con la presenza l’uno dell’altro erano diminuiti ma non per questo scomparsi, e avendo trovato Hannibal sveglio, l’aveva preso per mano e condotto alla grotta dove passavano molte serate oramai.
Hannibal lo conosceva, c’era qualcosa di diverso quella notte: osservando il movimento delle sue mani che giocavano tra loro, e il suo sguardo che vagava inquieto ovunque e poco nel cielo sopra di loro.
Così attese finché Will non lo guardò e deglutì.
«Una volta mi dicesti che ero la tua famiglia…»
“E lo confermo.”
Quel piccolo sorriso familiare colmo di calore, riempì il suo volto, si stoppò in riflessione con lo sguardo di fronte a sé prima di prendere qualcosa di fianco a lui, che Hannibal riconobbe come il suo quadernetto che gli porse insieme a una matita, poi continuò.
«Il nostro rapporto non ha definizione, si potrebbe definire unico,» Si stoppò e da dietro la schiena estrasse un coltello, Hannibal sbatté le palpebre curioso ma rimase fermo, nessun senso di paura o prudenza nei suoi riguardi.
«Siamo congiunti, e vorrei sigillare questa cosa. È una notte senza luna, e avevo letto da qualche parte che è adatta a rituali più oscuri, se così vogliamo chiamarlo.» Gli porse il coltello, e il dubbio sul suo intento fu certezza, ne avevano parlato spesso: era usato un patto del genere nell’antichità, soprattutto tra guerrieri con un rapporto più stretto di un’amicizia, un rapporto indissolubile e inseparabile come quel patto.
Will studiò la sua reazione e poco dopo aprì la mano destra, gli occhi brillavano di attesa e non c’era paura in essi, Hannibal afferrò il coltello e tagliò nel centro del palmo. L’altro fece una smorfia ma non lasciò il suo contatto visivo, mentre il suo sguardo cadeva sull’argento del coltello non più brillante dalle luci della notte, ma dal cremisi del sangue di Will.
«Il mio sangue.»
Un brivido percorse la schiena del giovane Lecter a seguire la linea rossa e sinuosa che macchiava quella lama, gli porse il coltello e per quanto non si toccassero, poté sentire le sue dita stringere il manico come se quel legno fosse il suo polso.
«Il tuo sangue.»
Will tagliò il suo palmo, ma fu un dolore di un istante, rimpiazzato presto da un’estasi sconosciuta a guardare gli occhi dell’altro tingersi di tinte in lui mai viste prima: penetranti perle d’un blu oceano, colpite da scintille delle stelle.
«Il nostro sangue.»
Persino la sua voce cambiò tonalità, più profonda e sospirata.
Hannibal deglutì e prese il quaderno dove ci scrisse sopra in greco, un’aggiunta al giuramento di unione di Will:
Tóra και για pántatha syndethoúme, tóra και για pánta.
E l’altro sorrise, l’enfasi scritta nei suoi occhi.
« Tóra και για pánta.» *
Il giovane Graham gli fece eco, il tono disperso in un sussurro denso di significato come i suoi occhi penetranti puntati nei suoi, e poi i loro palmi furono uniti, sangue con il sangue, anima legata ad un'altra. Il silenzio contornato soltanto dai loro sguardi assorti nel momento, in quell’istante di infinito, enorme, e inspiegabile piacere.
Lì Hannibal poté sentire il suo cuore battere allo stesso ritmo di quello di Will.
 
*”Saremo legati ora e sempre”
*«Ora e sempre.»


Angolo Autrice: Ciao a tutti! Sto capitolo rispetto al precedente, è più "leggero" e volutamente così anche meno lungo ahah.

La scena del patto di sangue mi sono ispirata, almeno all’intensità degli sguardi, a sti due di un film che adoro e si chiama Giovani Ribelli! (qui la scena completa)
Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊
 

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


 
Pioveva da due giorni, e l’intensità era aumentata tanto che le gocce picchiavano i vetri con ferocia mentre i fulmini in lontananza, illuminavano il terreno con i lampi e il loro forte boato. Hannibal la osservava dalla finestra tonda nella stanza segreta, insonne e con gli occhi spenti, illuminati soltanto dai fulmini nella notte, vedeva poco o nulla da quella piccola apertura, come il terreno scuro e il cielo nero nel pieno del temporale ma nient’altro, nessun albero, nessun fiore…come se fosse isolato dal mondo intero. Era stato tentato di aprire la finestra e fare entrare quella pioggia che con tanta irruenza e forza, si abbatteva su di loro ma questo voleva dire che la stanza segreta sarebbe stata scoperta, e non sarebbe più esistito un angolo ancora impregnato del passato in quel castello.
Hannibal poggiò la fronte sul vetro ed esso si appannò sotto il suo respiro, non si sentiva così da diverso tempo, e poté vedersi da bambino stringersi le ginocchia al petto rannicchiato in un angolo, la prima volta che giunse di nuovo quella che più non era la sua dimora.
Era piccolo allora, eppure la consapevolezza che sarebbe stato solo era già un idea, la solitudine assordante che si prova nell’essere emarginati nella propria testa, e si era abituato a quel pensiero finché non trovò un amico, l’unico e solo che non era con lui da quando era iniziata la tempesta.
 

Nell’aria c’era l’afa tipica prima della pioggia, Hannibal era seduto a terra in biblioteca con le gambe di Will sopra le sue mentre studiavano, al riparo dall’imminente tempesta, e tutto era quieto… eppure sentiva una sensazione quella mattina, così pungente alla punta dello stomaco che gli impedì persino di fare colazione.
All’amico aveva detto che era soltanto nausea, perché nemmeno lui sapeva spiegarsi il perché, quand’ecco che dei passi si avvicinarono a loro, frettolosi e pesanti, che non potevano appartenere a un altro ragazzo della loro età.
Hannibal alzò il capo dal libro vedendo un ragazzo più grande avvicinarsi a loro, e Will tolse all’immediata le gambe dalle sue.
I loro occhi si incontrarono.
«Non sarà per la storia della tua evasione.»
Un mezzo sorriso aveva preso il suo volto, ma l’angolo della sua bocca tremò leggermente.
“Ti preoccupi troppo, non penso che centri questo.”
Era stata un’idea di Petrov ma all’insaputa del direttore, così non poteva di certo riferire della “fuga” di Lecter da un luogo apparentemente chiuso, Hannibal aveva ricoperto la botola, mettendoci sopra alcune cianfrusaglie presenti nella cella e rendendo il luogo accessibile soltanto a lui e Will. A parte qualche occhiata da Petrov non ci furono altre conseguenze, dunque il giovane Lecter attese con attenzione che il ragazzo più grande si fece avanti.
«Hannibal Lecter, la tua presenza è richiesta dal direttore…subito!»
Non aveva la stessa autorità né stazza di Petrov, ma anch’egli non fu gentile nei modi. Hannibal incrociò lo sguardo confuso di Will, mentre se ne andava seguendo quel ragazzo.

 
Uscendo dall’ufficio del direttore aveva iniziato a piovere, e sul momento provò felicità nel sapere che un suo parente era ancora vivo e che lo voleva, per quanto non in linea diretta, visto che si trattava della moglie di suo zio; lei sarebbe arrivata il giorno dopo e l’avrebbe portato con sé in Francia.
Hannibal aveva sempre provato interesse per l’Europa libera occidentale, non soltanto per le origini di sua madre, ma anche per l’arte e la cultura lì presenti dunque sul momento e seguendo la logica, prese la notizia positivamente. Soltanto quando si avviò verso Will per informarlo, nei passi che percorse all’ufficio alla biblioteca, scorse l’altro lato della medaglia, sentendo le sue emozioni in modo diverso. Un fulmine aveva squarciato il cielo quando raggiunse l’amico comunicandogli la notizia, gli aveva sorriso e sapeva che non mentiva nell’essere felice per lui, ma quel sorriso non aveva raggiunto i suoi occhi.
Da quelle ore in poi, per due giorni, Will si era tenuto distante, non si era voltato verso di lui nemmeno una volta a lezione, e nella notte i suoi occhi non lo incontravano. Hannibal sempre di più sentiva quella sensazione di solitudine avvolgerlo, stringerlo, e sconvolgerlo in tale modo da non farlo dormire, si alzava e si dirigeva lì nella stanza segreta, suonando Chopin e zittendo la mente soltanto con note e musica.
Sapeva cosa Will stava cercando di fare: creare una nuova abitudine, una realtà dove non sarebbero stati assieme e lui lo capiva, da un lato persino appoggiava la sua scelta, ma non aveva calcolato il dolore che ne sarebbe scaturito. Quando fece la valigia quel pomeriggio, consapevole che sarebbe stato l’ultimo, era in stanza da solo e vedere il letto vuoto di Will gli inumidì gli occhi.
Hannibal sospirò e con la mano cancellò l’opacità del vetro e allora vide nel riflesso una sagoma dietro di lui, il suo cuore ebbe un sussulto e si voltò.
“Ciao Will.”
«Ciao.»
Vagò con lo sguardo nella stanza disperso in qualche pensiero e poi prese a camminare.
«Pensavo che ti avrei invidiato, poter uscire da questo posto e vedere il mondo, addirittura un nuovo paese! Ma ho scoperto di non provarne.»
Gli rivolse un’occhiata ed Hannibal deglutì, rimanendo immobile e attento, mentre Will si fermò vicino al pianoforte sfiorandolo con una calma che non gli apparteneva.
«Ho trovato qualcosa di bello in questo castello, ma domani cambierà e bisogna accettarlo.»
Tirò un sospiro e chiuse gli occhi un istante, un attimo nel quale il giovane Lecter poté sentire il masso di emozioni che gravava sulle sue spalle fino a ferirlo, perché entrambi avrebbero sanguinato.
Fece qualche passo verso di lui e l’amico lo guardò, le sopracciglia che tremavano, le occhiaie a delineare il volto stanco quanto il suo.
“Avrai sempre questa stanza e la grotta, ci saranno sempre questi posti.”
«Non avranno più importanza da domani.»
Si stoppò improvvisamente, come se avesse interrotto il fiume delle emozioni che scorreva in lui e gli voltò le spalle, distanziandosi dal piano e da lui. Hannibal si sentì soffocare, e tirò un grosso sospiro trattenendosi dal voltarlo, abbracciarlo, e stringerlo a sé per non lasciarlo mai più andare perché sapeva che l’altro non avrebbe voluto.
Passò qualche secondo prima che l’amico scuotesse il capo, e producesse una risatina stizzita voltandosi verso di lui.
«Che cosa avrà importanza, d’ora in poi? La verità è che siamo tutti soli, ed è meglio capirlo in tempi brevi, ti ricordi? Me lo dicesti…e così sia.»
“Will ,tu non lo…”
«Hannibal per favore, non cercare di confortarmi, consolarmi o qualsiasi stronzata tu abbia in mente. Non farlo.»
Will lo interruppe così bruscamente che obbedì e si fermò, mentre l’amico si avvicinava di nuovo al piano.
«Vuoi suonare per me?»
Non era propriamente una domanda ed Hannibal lo raggiunse, non riusciva a resistere ai suoi desideri e si rese conto in quel momento, di quanto potere avesse su di lui. Si sedette sulla panca e pigiò qualche tasto, le mani di Will si poggiarono sulle sue spalle e lui chiuse gli occhi per quel secondo che rimasero lì, iniziando poi a suonare, l’amico si distanziò ma sentì il suo sguardo addosso, e il suo respiro abbandonarsi alla musica.
Passarono qualche istanti di note e silenzi prima che Will si sedette vicino a lui, le loro spalle furono a contatto e un brivido attraversò Hannibal, dopo quei giorni e quelle ore così distanti. Improvvisamente aprì gli occhi, e dovette fermarsi quando vide le membra dell’amico irrigidirsi e sentì lo sguardo incatenato su di lui, alzò lo sguardo al suo e incontrò occhi lucidi ad accoglierlo. Entrambi i loro sguardi brillavano dalle troppe emozioni presenti e pressanti che non potevano o volevano esprimere, Hannibal si sporse leggermente verso di lui e carezzò il naso con il suo.
 
Sentì un peso caldo nelle sue gambe mentre il sole dell’alba colpiva i suoi occhi, la superficie dura a cui era appoggiato non era il suo letto e c’era silenzio, nessun ragazzo che mugugnava e nessuno che veniva a svegliarli, era troppo presto…eppure c’era qualcosa di diverso. Aprì gli occhi sbattendoli leggermente e si accorse che non era stato tutto un sogno, quando trovò una testa riccioluta addormentata sulle sue cosce.
Hannibal sorrise e con delicatezza, carezzò quei morbidi capelli scompigliati, avevano deciso di ritornare nella stanza segreta in tarda notte e di rimanere svegli il più possibile, si erano seduti sotto la finestra vicini, a volte dialogando e a volte rimanendo in silenzio ma alla fine il sonno aveva vinto.
Impresse ogni dettaglio di quel momento: il respiro caldo dell’altro che sentiva attraverso i pantaloni, le ciglia che si muovevano leggermente, e la morbidezza dei suoi ricci tra le dita. Imprigionò quel momento insieme agli altri passati con lui, nel suo palazzo della memoria dove l’avrebbe sempre trovato, ed ecco di nuovo quella fitta al cuore al pensare che tutto questo sarebbe stato un ricordo.
Will aprì gli occhi, li sbatté per svegliarsi ulteriormente e incontrò i suoi, dapprima ci fu del rilassamento ed un verso d’approvazione unito ad un movimento della testa, nel sentire la mano di Hannibal accarezzargli i capelli. Poi ci fu la realizzazione, e cosa stava per succedere, e i suoi occhi mutarono espressione, si divincolò da lui e da quel momento il più velocemente possibile.
Hannibal si alzò prontamente, avvicinandosi ancora a lui, l’amico si leccò le labbra evitando il suo sguardo per un po’ e l’aria si fece pesante, era uno dei pochi silenzi imbarazzanti che stavano sperimentando e per quanto Lecter sapeva cosa stava pensando e provando, sentirlo così distante e fu come un fulmine a ciel sereno.
Finalmente dopo svariati minuti, il giovane Graham lo guardò.
“Non ci siamo mai nascosti nulla, parlami, dimmi come ti senti.”
L’amico accennò un sorrisetto e incrociò le braccia al petto.
«Lo sai come mi sento…ma non ha importanza, non si può cambiare il fatto che,» Si stoppò incontrando il suo sguardo e deglutì, Hannibal lo incitò con il cenno del capo, sapendo che si era bloccato perché l’empatia gli aveva detto di farlo.
«Che tu mi stai abbandonando.»
Will sciolse le braccia che penzolarono nei fianchi, si morse il labbro e non riuscì a proseguire, mentre Hannibal si avvicinò a lui così tanto che le dita delle loro mani si sfiorarono.
“Vorrei portarti con me, mi piacerebbe mostrarti la Francia Will, così piena d’arte, monumenti e segreti.”
Il giovane Graham aprì la bocca ma non riuscì ad emettere alcun suono.
“Vorrei girare con te ogni strada e cunicolo della città, portarti a Parigi e sederci sul Pont Neuf, mentre il fiume Senna scorre sotto i nostri piedi.”
«Hannibal, ti prego.»
Gli occhi di Will luccicavano quanto i suoi, pieni del dolore di ciò che non avrebbero mai condiviso, Hannibal poggiò la fronte contro la sua e portò le mani a circondargli il viso, l’altro sospirò chiudendo gli occhi tremanti per qualche istante. Quando li riaprì erano così vivi nelle mille sfumature dell’azzurro e del blu, che Hannibal ci si perse dentro senza più possibilità di ritorno, e in effetti non voleva farlo.
Nella vicinanza di quel momento e respiro condiviso, Will assunse uno sguardo diverso, che l’altro riconobbe e che prese come un invito di ciò che anche lui desiderava, così scorse gli occhi nel suo viso fermandosi infine sulle sue labbra, e si sporse verso esse.
Will le socchiuse, lo accolse in un piccolo e tenero sfiorarsi e toccarsi di labbra, e Hannibal sentì come dei fuochi d’artificio esplodergli nel petto, così tante emozioni che si mescolavano in lui e vorticavano nel suo sangue e nella sua anima, che erano troppe da catalogare e presero soltanto un nome nella sua mente: Will Graham.
Improvvisamente, l’altro si staccò da lui e si distanziò di qualche passò, le sopracciglia che tremavano, il volto contorto in un espressione di rabbia.
«Cosa stai facendo?» Sussurrò con grinta, non seppe se verso di lui, se stesso, o per entrambi.
Hannibal trasse un sospiro, era durato tutto così poco che il suo corpo bramava ardentemente ciò che stavano condividendo qualche secondo prima.
“Avevi quello sguardo, quello che mi rivolgesti quella sera nella grotta.”
Un cipiglio di stupore prese il suo volto ma durò un secondo appena.
“Tu…”
Non fece in tempo a terminare la frase che Will gli fu addosso, con un impeto tale che lo fece barcollare leggermente, lo strinse forte ricambiando quel bacio con la stessa brama dell’altro.
Era assai diverso da poco prima: c’era passione, disperazione, bisogno, e fame. Si abbracciarono stretti e poi si accarezzarono con le mani ovunque, dai capelli, al collo, alla vita, al volto.
In quel momento non c’era innocenza, remore, o paure ma soltanto due anime aggrappate alla passione che non volevano più lasciarsi andare.
Fu il bisogno d’aria a farli separare, ma rimasero per un po’ attaccati e avvinghiati l’uno tra le braccia dell’altro, prima che Will cambiò il suo sguardo in occhi tinti di disperazione e desiderio, e lo spinse via, distanziandosi da lui.
«Basta, basta!» Scosse la testa ripetutamente, ridendo con ferocia e rabbia.
«Vuoi proprio che non mi dimentico di te, vero? Non puoi nemmeno immaginare la mia esistenza senza che non ci sia la tua presenza, anche se fatta di ricordi!»
Lo guardò e dentro di sé provò orgoglio per quel ragazzo così intelligente, perché aveva ragione, era un assiduo e opprimente desiderio di possesso, perché per quanto sarebbero stati divisi fisicamente, non sarebbero potuti mai esserlo nella mente e nell’anima: Will gli apparteneva, così come lui gli apparteneva.
“Tu e io sanguiniamo nello stesso modo, abbiamo le stesse cicatrici.”
Il giovane Graham sorrise amaramente e scosse il capo.
«Non dovrebbe essere così, nessuno avrebbe reagito così»
“Noi non siamo come gli altri, Will. Il nostro rapporto è unico.”
Delle lacrime presero posto negli occhi dell’amico, che abbassò lo sguardo non volendo versare nemmeno una goccia.
«È proprio questo il problema.» Fu un sussurro cupo il suo, prima che gli voltasse le spalle, incamminandosi verso l’uscita dalla stanza. Vederlo distanziarsi e porre fine al loro momento, fece scattare il cuore di Hannibal che prese a battere velocemente e i suoi occhi umidi, piansero lacrime che non si era accorto di trattenere.
«Will.»
La sua voce risuonò roca e graffiante, dopo così tanto tempo che non veniva usata ma limpida nella sua richiesta. Will si fermò ma non si voltò verso di lui, vide le sue spalle tremare e sentì il respiro dell’amico fermarsi nella sua gola.
«Potrei odiarti per questo.»
Aveva una punta di sarcasmo quella frase ma non durò, poiché tremante dal pianto che Will non gli avrebbe mai mostrato… ma non avevano più tempo, lo sapevano entrambi. Dovevano raggiungere la loro stanza prima che qualcuno si accorgesse della loro assenza, così con passi lenti come se stessero camminando con dei mattoni ai piedi, si diressero verso l’uscita della stanza.


Angolo Autrice: Ciao a tutti 4 gattini! Oggi andiamo sull'angst i'm sorry, 
Piccolini lorooo🤧
Comunque lo vedete quel bacio? Intendo il secondo bacio? Ecco, non ci doveva essere XD in realtà non doveva essercene nessuno ma poi dallo sfioramento di labbra, è nato quel vortice di passione
che gli Hannigram 15 enni hanno propriamente chiesto XD e quindi essendo la volontà dei personaggi sacra, ho dovuto metterlo XD

Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊

 

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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


Fissò la valigia chiusa per qualche secondo prima di decidersi a prenderla, era da solo nella camera da letto mentre gli altri ragazzi erano a lezione, alcuni insegnanti avevano dato alla possibilità a Will di accompagnarlo ma sapeva che l’altro non avrebbe accettato, odiava quella valigia e non voleva vederla.
Hannibal tirò un sospiro, poggiò la lettera che aveva scritto per l’altro sotto il suo cuscino che carezzò con le punta delle dita, e poi cancellò ogni emozione dietro una maschera di apparente calma.
Con passi calcolati senza fretta né lentezza, si incamminò verso l’ufficio del direttore, mentre le parole della lettera lasciata poco fa, scorrevano ancora davanti ai suoi occhi:
Will, noi siamo tutti soli confermo queste mie parole ma lasciami aggiungere dei versi a questi amari che ti dissi, penso che lo siamo di più quando neghiamo a chi teniamo di vivere con noi, in noi e nei nostri cuori. Tu ed io siamo oramai uniti, le nostre menti sono uguali e potranno sempre comunicare e potremmo trovarci l’uno nell’altro, in ricordi sussurrati in una stanza della mente. Non importerà la distanza, il luogo, o l’anno, noi ci ritroveremo sempre. La mia compassione per te è elevata, ma non tanto da spingermi a dirti queste cose come falsa consolazione, che poi svanirebbero come parole dette al vento, ciò che ti dico è la verità, un intima verità che tu potrai vedere se guarderai dentro te.
Come quel patto che facemmo quel giorno, niente può dividerci, Will.
Quindi my hear companion, citando l’Iliade, così ti saluto, con fiducia nel fatto che mai ti perderò. Tu sarai sempre il mio Patroclo.
Hannibal.
 
Arrivato all’ufficio ci entrò subito non volendo esitare ulteriormente, trovando poco cortese fare attendere, e trovò una donna elegantemente vestita di bianco che si voltò verso di lui. Un viso candido lo accolse ma senza dimostrargli affetto apertamente almeno, furono i suoi occhi neri che glielo comunicarono.
«Ciao, Hannibal. Sono Lady Murasaki.»
La sua voce era dolce, un misto tra felicità e compostezza mentre gli porgeva la mano, davanti ad un direttore che li guardava, specialmente quest’ultima, con troppo interesse. Hannibal capì e poggiò la valigia per stringerle la mano che e le abbozzò un sorriso.
Quando raggiunsero il cortile dirigendosi verso il cancello nero e il taxi che li aspettava, sentì come se il suo cuore fosse accoltellato, passo dopo passo perdeva sempre più sangue…per quanto aguzzasse le orecchie, non sentiva l’amico chiamarlo.
Strinse forte la valigia, mascherando tutto dietro un espressione di impassibilità mentre dentro di lui moriva pian piano, quand’ecco che improvvisamente si fermò e lasciò la valigia a terra; il direttore borbottò qualcosa ma non lo avvertì nemmeno, Lady Murasaki si stoppò di rimando ma non disse nulla, mentre Hannibal si voltò.
Lì a pochi passi dall’entrata dell’orfanotrofio, c’era Will che lo guardava, non l’aveva chiamato non c’era stato bisogno che lo facesse, lui l’aveva avvertito ugualmente, nella sua pelle e nella sua anima, connessi com’erano al di fuori delle parole e delle banalità. Passarono alcuni istanti e poi si mossero l’uno verso l’altro, lentamente, per quanto Hannibal volesse correre verso di lui si frenò non volendo dare ulteriore spettacolo.
Non ci volle molto prima che fossero l’uno di fronte all’altro, negli occhi di Will poté vedere il riflesso dei suoi stessi sentimenti, si abbracciarono fortemente e sempre più stretti secondo dopo secondo. L’altro poggiò il viso nel suo collo e respirò il suo odore mentre Hannibal faceva lo stesso, chiudendo gli occhi e annusando i suoi ricci, la sua pelle, quel suo sapore agrodolce unico che voleva portare con sé.
Nulla poteva dividere quell’abbraccio tanto stretto dove tutto aveva di nuovo un senso per il giovane Lecter, e nessuno dei presenti provò a farlo… non seppe quanto durò ma non ebbe importanza, null’altro l’aveva. Quando i loro occhi si incontrarono poté seguire il suo sguardo azzurro dirigersi alle sue labbra, ed Hannibal sentì un brivido percorrergli la schiena e l’impeto chiamarlo, quando spostò i suoi occhi ambrati nelle labbra così ben disegnate dell’altro ma nessuno dei due si mosse.
Il direttore si avvicinò a loro e così si staccarono, e prese per le spalle Will, una stretta fin troppo forte mentre parlava.
«È tempo che il tuo amico vada.»
Hannibal avrebbe voluto strappare quelle mani dal suo Will, e dal disagio che vedeva scritto nel viso dell’amico, fortunatamente il direttore interruppe quel contatto velocemente lasciando libero il giovane Graham di guardarlo nuovamente.
I loro occhi si salutarono silenziosamente, dicendosi le parole che soltanto loro due potevano conoscere, prima che Hannibal si allontanasse, prendesse la valigia, e si dirigesse alla macchina dove entrò con Lady Murasaki.
Non si voltò nel finestrino per osservarlo, semplicemente si appoggiò al vetro del taxi scuro e si immerse nei suoi pensieri, la donna non gli chiese nulla del ragazzo che con tanto ardore aveva abbracciato e per tutto il viaggio stette in silenzio.
Soltanto una volta i suoi occhi si scontrarono con quelli scuri di lei, ma di nuovo non azzardò domande né vide curiosità di porle, soltanto un piccolo sorriso sincero per lui. Hannibal la ringraziò con un cenno del capo, provando del rispetto nuovo per qualcuno di adulto nella sua vita che fosse all’altezza di meritarlo, dopo i suoi genitori, e tornò a guardare il paesaggio alberato che si distanziava dando il posto alla città.
 
 
Si ritrovò a fissare il soffitto, l’alba tingeva i muri bianchi di un rosso pallido e si alzò dal letto, cercando di non guardare di fianco a sé per non trovare soltanto il lato di una camera vuota ad osservarlo con in fondo, una solida scrivania di legno scuro.
Si diresse in bagno buttandosi sotto il getto di doccia calda e chiuse gli occhi, assorbendo le gocce d’acqua su di sé, era il terzo giorno che non dormiva e poteva dire che era colpa del letto nuovo, della nuova città e casa annessi, ma sarebbe stato soltanto ammettere il lato meno pressante. Sapeva che il freddo che sentiva dentro non si sarebbe attenuato nemmeno con una doccia bollente, era l’assenza di dita che sfioravano le sue, occhi chiari che lo salutavano ogni notte al fianco del suo letto, e complicità, dove ora c’era solo il resto della camera.
Pensare a Will steso nel suo letto nell’orfanotrofio da solo a provare le stesse sensazioni, e vederlo con il volto rigato di lacrime in un pianto silenzioso che scuoteva il suo corpo, rendeva le sue notti insopportabili. Spesso nel silenzio che capitava nelle sue giornate, Hannibal si guardava la mano sinistra e con la punta delle dita sfiorava la cicatrice di quel patto indelebile, la sentiva “pulsare” come fosse viva e pugnalata al suo stesso modo; aveva la visione di sangue che gocciolava giù fino a svanire nella realtà.
Tirò un sospiro e uscì dal bagno con l’angosciante sensazione che avrebbe dovuto farci l’abitudine di nuovo a quella solitudine, a non essere ascoltato e visto, e pian piano sarebbe diventato sopportabile. Si accorse di una luce in salotto e trovò Lady Murasaki sveglia e intenta ad occuparsi di un piccolo bonsai tra le sue mani, non era insolito trovarla immersa tra fiori profumati e piante di cui con delicatezza si prendeva cura, a Hannibal piaceva persino osservarla, lo era soltanto l’ora ma chiedere era sconveniente e non lo avrebbe mai fatto.
«Hai passato un’altra notte insonne, vedo.» Non lo guardò continuando a tagliuzzare le parti che dovevano essere tolte della pianta.
«Vieni, ti va di aiutarmi?»
A quel punto alzò lo sguardo scuro e penetrante sul suo, porgendogli delle forbici ed Hannibal le prese, osservando il suo polso fine sbucare dalla vestaglia di seta che indossava.
Si sedette su un cuscinetto a terra vicino a lei, e Lady Murasaki gli passò un altro bonsai, mostrandogli le parti da tagliare.
«Bravissimo, sei molto delicato.»
Non era un complimento superfluo il suo, o semplicemente detto per farlo stare meglio, se c’era una cosa che aveva capito della donna di fianco a sé era che non mentiva, cosicché si sentì ben orgoglioso di avere una delicatezza forse simile alla padrona di casa.
Alzò lo sguardo soltanto un istante per osservare al meglio il suo operato, in confronto della pianta della Lady, quando i suoi occhi incontrarono il fuoco del camino che stava poco più in fondo rispetto a loro.
Su di esso cuoceva qualcosa, dell’innocuo tè, ma improvvisamente i suoni si fecero più acuti, e apparvero delle voci maschili a urlare e litigare tra loro
 
“Dobbiamo mangiare.”
“Prendete la bambina.”
 
L’urlo atroce di Mischa che spaccò ogni cosa, e fece sì che il suo dito si tagliasse con la forbice che aveva in mano.
«Hannibal!»
Lady Murasaki fu prontamente da lui, togliendogli l’oggetto tagliente e prendendogli la mano sanguinante con preoccupazione, Hannibal sbatté le palpebre con un cipiglio a coprire il suo volto perché era da anni che non gli capitava qualcosa di simile, non da sveglio almeno.
Sapeva che tutto ciò derivava dallo stress che aveva subito in quei giorni, e alla mancanza di sonno, ma il fatto che non potesse controllare il suo pensiero lo scosse, racchiudendolo così tanto nei suoi pensieri che soltanto quando sentì dell’acqua sfiorare la sua ferita, si ricordò della presenza della donna di fianco a lui che aveva preso il necessario per curarlo.
A quel punto la guardò destreggiare con la ferita con la stessa delicatezza di cui si occupava delle piante, e lei alzò lo sguardo sul suo.
«Un giorno vorrei che parlassi con me, non subito, non ora, ma quando vorrai farlo sarò qui. Potrai fare scorrere le parole come un fiume, le accoglierò e le ascolterò.»
Hannibal la ringraziò di nuovo con un cenno del capo e Lady Murasaki accennò quel sorriso a cui si stava abituando, prima di togliere il contatto visivo.
 
 
Se Dio esiste, passerebbe le sue giornate al Louvre, frase piuttosto famosa con cui il giovane Hannibal Lecter non poté che trovarsi d’accordo dopo aver percorso vari corridoi e stanze piene d’arte d’ogni dove, assorbendone le emozioni e sensazioni che scaturivano da quadri e statue. Era lì insieme a Lady Murasaki, perché la donna l’aveva premiato per la borsa di studio ottenuta, e che presto l’avrebbe condotto agli studi di medicina all’università che voleva fare. Gli dedicò la giornata completamente: andarono all’opera dove videro il Faust e pranzarono insieme prima del museo, Hannibal indossava uno smoking nero elegante che era appartenuto a suo zio e poteva dirsi felice quel giorno con la Lady. Avevano legato molto e la considerava più una fonte d’ispirazione che sua zia e lei dal canto suo, per quanto era protettiva e dolce, lo trattava da uomo che in esso vedeva. In sua compagnia e pazienza, aveva ripreso a parlare abbastanza velocemente dopo un anno, e tutto scorreva come doveva andare mentre cercava di costruirsi una vita, affinando i suoi gusti e preferenze. Al giovane Lecter era sempre piaciuta l’arte e l’eleganza, e stando insieme a lei né imparò di nuove persino nella natura: dalla delicatezza dei fiori, riconoscendoli dal profumo, a vari tipi di uccelli nella sua bellezza, pura e fragile, come gli ortolani che del canto tanto soave entrambi si deliziavano.  Imparò a combattere persino con una katana che aveva già usato…ma questa era un’altra storia.
In quel momento si trovava in una saletta circolare del museo, i muri erano impregnati di blu e c’era poca gente con lui, Lady Murasaki si era allontanata per rivedere un quadro che l’aveva colpita per conto suo, così il ragazzo aveva avviato il walkman che portava spesso con lui, e si era disperso tra altri quadri e opere insieme ai suoni di liriche e composizioni classiche.
Era tutto calmo e pacifico e si sentiva sospeso in un mondo d’arte senza nessun pensiero, quand’ecco che qualcosa attirò la sua attenzione, in un angolo della stanza c’era una statua di un uomo seduto, ne aveva viste tante quel giorno ma quella scultura lo colpì più di ogni altra. Si avvicinò lentamente, un brano di Chopin era partito mentre sentiva il mondo cadere via, ad ogni passo che faceva verso quel ragazzo in pietra seduto graziosamente su una roccia, il Desterrado di Soares Dos Reis,uno scultore portoghese lesse nella targhetta sotto di lui. Non conosceva quell’opera e non avrebbe mai voluto conoscerla, per la voragine che gli aprì nel petto quando incontrò il suo viso. Era così dolce, come se non fosse scolpito nella pietra ma fosse fatto di carne, con i ricci che contornavano il suo volto e che parvero prendere forma più li osservava…e negli occhi spenti d’un tratto poté vedere un colore accendersi, un azzurro dalle mille sfumature di blu, che cambiavano sempre sotto i raggi del sole e della luna. Un sorriso nascosto donato solo a lui, al posto di labbra di marmo e il suo nome echeggiò tutt’intorno, chiamato con varie tonalità ed emozioni. Improvvisamente quella statua si mosse assumendo le sembianze di colui a cui tanto assomigliava, un fiore apparve nei suoi ricci fattosi castani, e la sinfonia di Chopin li avvolgeva nella loro stanza segreta mentre lo sguardo di lui non si staccava da Hannibal immerso a suonare per loro.
“Hannibal, ti prego.”
Avvertì quelle labbra premere sulle sue, sentì la passione divorare il cuore di entrambi.
Will…
Sentì il bisogno contenuto nel suo abbraccio stretto e infinito, e il profumo agrodolce che gli apparteneva.
«Mylamisis.»  
Si ritrovò a sussurrare nel vuoto e tornò alla solitudine di quel momento, lui svanì e la statua tornò immobile e ferma dov’era sempre stata, Hannibal nel frattempo si era avvicinato ad essa senza saperlo e del freddo lo avvolse. In quel momento si accorse del battito accelerato del suo cuore e di che frase avesse sussurrato in lituano, a colui che più di amico era, importante e significativa che pensava non avrebbe mai detto.
Con fretta si tolse le cuffie dalle orecchie stoppando il notturno in B Major di Chopin e la statua tornò immobile, per quanto era ancora così lui che dovette deglutire l’emozione che lo stava devastando e distogliere lo sguardo.
«Hannibal.»
Lady Murasaki gli fu vicino, la vide con la coda dell’occhio guardare la statua e poi di nuovo guardare lui, e Hannibal sapeva esattamente cosa stava per chiedergli.
«Va tutto bene.»
Le rispose in anticipo, un sorrisetto forzato sulle labbra mentre si accorse che la sua guancia destra era stata solcata da una lacrima bagnata di ricordi, così si allontanò sbattendo le palpebre. Voltò le spalle alla Lady e a Will Graham formato statua, potendo finalmente asciugarsi quei ricordi dolorosi, che gli trafiggevano il petto così forte da farlo smettere di respirare.
«Ho soltanto bisogno d’aria, se vuoi scusarmi...»
«Ti accompagno.» Lei gli fu nuovamente vicina e percorsero l’uscita del museo in silenzio.
Will… non l’aveva di certo dimenticato, aveva provato a pensarlo di meno per non privarsi il sonno e riuscire a raggiungere al pieno i suoi obiettivi con lo studio, ma nei silenzi lui era sempre presente.
Per i primi mesi si scambiarono persino delle lettere: Hannibal gli raccontava i posti che vedeva e cosa sentiva il più possibile, l’altro di canto suo rispondeva con lettere più corte ma sempre ricche di domande e stati d’animo. Non c’era bisogno che cadessero nel sentimentale, visto che c’era il rischio che quelli dell’orfanotrofio potessero leggerle, ma erano impregnate in esso ad uno sguardo attento. In ogni emozione, domanda di Will o nelle parole di Hannibal su quanto fosse bello un luogo, un posto, una situazione, erano sussurrati i vari “mi manchi, vorrei che fossi qui.”
Il giovane Lecter non avrebbe smesso di scrivergli in realtà, se non fosse che ad un certo punto fu il suo amico a non rispondergli più, pensò che da una parte volesse dimenticarlo e dall’altro che fosse fuggito, possibilità probabile conoscendolo come lui lo conosceva.
Raggiunsero la piazzetta vicino alla piramide di vetro, nel suo denso significato di illuminare un ingresso nel sottosuolo, il sole li colpì con i suoi raggi caldi, creando piccoli cristalli lucenti in quella scultura. Il tempo era sereno e il cielo aveva il riflesso degli occhi di Will…stettero ancora un po’ in silenzio l’uno a fianco all’altra, finché Lady Murasaki non gli poggiò una mano delicata sulla spalla.
«Lo pensi ancora, non è vero?»
Hannibal respirò il venticello fresco che sfiorava entrambi, lo sguardo perso da qualche parte ancora scombussolato da ciò che era accaduto, era abituato a tenere le sue emozioni sotto controllo e ci era riuscito per quasi un anno. Aveva raggiunto i 17 ed era un uomo oramai, ma in quel momento la sua assenza era così tanto presente che sarebbe potuto cadere a pezzi, come una tazzina da tè.
E fu in quel momento che realizzò ciò che doveva fare: chiudere la stanza della memoria che gli apparteneva, non ci sarebbero stati più momenti di spontanea volontà in cui si sarebbe chiuso con Will Graham lì dentro. Doveva chiudere tutto a chiave perché non poteva più permettere una reazione del genere e forse da un lato, lo fece persino per vendetta nei suoi riguardi.
Lui e Lady Murasaki non aveva mai parlato di Will per quanto c’era dell’interesse da parte sua a iniziare un dialogo, erano in un luogo pubblico in quel momento così Hannibal ne trasse vantaggio, non costretto a risponderle su ciò che voleva sapere e il suo volto divenne impassibile.
Riuscì a guardarla con un sorriso, celando ogni cosa.
«È stata una persona importante, lo sarà sempre ma da domani ho un futuro da inseguire.»
Lo studio, la personale vendetta per sua sorella che stava portando avanti…doveva concentrarsi su questo.
Lady Murasaki tolse la mano dalla sua spalla, un sorriso di risposta appena accennato.
«Non dimenticarti chi sei Hannibal, non annegare nella vendetta… può essere più pericolosa di un coltello.»



Angolo Autrice: Ciao a tutti, ebbene eccoci giunti a 6 capitolo!

Pensare a Will da solo in quell’orfanotrofio mi fece piangere, giusto per dire,  per ciò che Hannibal sentiva e vedeva e Will prova🤧…
Dico soltanto che il pezzo dell’abbraccio è tra i miei fav, per l’amore, devozione, e totalità di appartenenza che Hannibal e Will hanno l’uno per l’altro che 🥺💗💗

p.s. La scultura che nomino, non è presente nel museo del Louvre ma guardatelo (il link su è cliccabile) e ditemi che non è Will 💗💗, ho dovuto metterlooo.

Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊

 

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


La sala d’attesa era un corridoio piuttosto stretto con due poltrone nere in pelle, i muri erano asettici ma ben tenuti, anche se non lussureggianti per renderlo un magnifico corridoio degno del suo nome, ma oramai non era più un castello quello…la donna si strinse nello scialle scuro. Faceva freddo in quel luogo, ma non sapeva se in tutto l’orfanotrofio, o meglio il castello come a lei piaceva chiamarlo, ci fosse quel clima ma non gli piacque l’immagine di bambini infreddoliti, stringersi nelle coperte dei piccoli letti e nemmeno a pensare a Hannibal.
«Signora Musaraki, entri pure! A cosa devo il piacere?»
Il direttore Nikola Ogromov l’accolse con un sorriso a tutti denti, ma la donna ben percepì quanto voleva liberarsi di lei poiché guardingo e sospettoso.
La stanza era piccola ma accogliete e nell’angolo, Lady Murasaki notò un mobile elegante e dal tocco decisamente femminile, che le fecero capire di chi fosse la camera che ora era lo studio del direttore. Abbassò lo sguardo e si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania in legno dove l’uomo si accomodò.
«Spero che non ci siano problemi con suo nipote, di solito non riprendiamo i ragazzi se non in situazioni estreme e poi oramai sarà maggiorenne, se non sbaglio, e quindi…»
«Non sono qui per Hannibal, signor Ogromov.» Lo interruppe immediatamente alzando una mano avvolta nel guanto di seta scuro per farlo smettere.
L’uomo assunse un’aria curiosa e l’ansia svanì, facendo sì che prendesse un sorso di caffè dalla sua tazza bianca guardandola con insistenti occhi scuri.
«E per cosa è qui?»
«Hannibal aveva un amico, un certo Will, vorrei sapere se è qui e posso parlargli.»
Il direttore poggiò la tazza, fece scroccare il collo e assunse una smorfia, un mezzo sorriso divertito.
«Il suo unico amico vorrà dire! Erano sempre insieme, si diceva che in lui avesse trovato un fratello.»
Lady Murasaki sorrise leggermente a quell’affermazione, di chi ha occhi per vedere ma non vuole sentire e usare la ragione.
«In un certo senso.»
«Will Graham, sì mi ricordo di lui.»
«Si ricorda?»
Ogromov Incrociò le mani e si fece serio con le sopracciglia folte aggrondate, e si posizionò nella sedia in modo da farsi più impettito.
«Non capisco perché le interessa tanto, ma non è affare mio chiedere, le dirò soltanto una cosa, ci sono vari tipi di ragazzi che vengono qui: c’è chi accetta l’aiuto e cresce come ragazzo modello, chi invece lo diventa in seguito come suo nipote, e c’è chi non accetterà mai il nostro aiuto. Will Graham faceva parte di quest’ultima categoria.»
Si bloccò torcendosi le mani e donna si agitò sulla sedia, decidendo di sporgersi in avanti instaurando un rapporto di fiducia tale prima che l’uomo si tirasse indietro.
«Che cosa gli è successo?»
«Vede signora, alle volte capitano elementi senza speranza come lui e condannati a crescere in modo disordinato. È fuggito quasi da due anni oramai.»
«Mi scusi?»
«Eh sì, proprio così.» L’uomo le sorrise ammiccante nonostante l’argomento fosse di tutt’altro genere, e si sporse ulteriormente verso di lei sussurrando.
«Per qualche mese l’abbiamo cercato ma sa…abbiamo anche altri orfani a cui badare, altri bambini che richiedono la nostra attenzione e la polizia non lo trovò fino ad un anno fa.»
Il volto di Lady Murasaki si fece serio, e si distanziò dal direttore storcendo le labbra ma non mostrando nient’altro, accavallò le gambe e mantenne una presenza stoica.
«Dove si trova adesso?»
L’uomo sorseggiò ancora del caffè, nessun senso di colpa nel suo comportamento piuttosto rilassato vedendo che la donna non avrebbe causato nessun tipo di problema, e questo irritò la Lady ulteriormente.
«Non dovrei dirglielo ma visto ci tiene tanto, le accennerò soltanto che si trova a Baltimora. È iscritto al tirocinio dell’FBI, a quanto pare le sue abilità hanno colpito il capo di Quantico, un certo Crawfor, Crewford, al diavolo! Per catturare i pazzi ce ne vogliono altri.»
Un piccolo sorriso si dipinse sul volto grassoccio del direttore.
«Eppure lei non sa dove sia stato prima, via per un anno, nessuno lo sa…»
Nikola Ogromov poggiò la tazza del caffè e sospirò.
«Signora Murasaki, come le ho detto alcuni bambini sono casi persi, non possiamo farci niente oramai, l’abbiamo cercato e l’abbiamo trovato che è maggiorenne.»
La donna si alzò dal tavolo.
«La ringrazio delle informazioni.»
Nel prendere la borsa, colpì la tazza di caffè dell’uomo che finì sulla sua camicia e quello imprecò.
«Mi scusi, come sono stata sbadata ma non credo potrò più farci niente oramai, confido comunque avrà altre camicie uguali. Buona giornata.»
Si avviò alla porta e uscì più velocemente possibile da quel posto.
 
Vedere di nuovo la Francia la fece sentire sollevata, non che non le piacesse la Lituania nei suoi boschi ampi e nelle serate piene di lucciole, ma il posto dove aveva alloggiato così vicino al castello Lecter, le avevano lasciato troppa rabbia e ricordi per poterne giovarne, ma d’altronde era andata lì per uno scopo.
Bussò alla porta della stanza con delicatezza, e subito dei passi si fecero strada verso di lei.
«Milady, che piacere!»
Hannibal l’accolse con un sorriso e lei non poté far a meno di abbracciarlo, dopo il dolore del suo passato che le sembrava di aver toccato con mano in quell’orfanotrofio. Lui la strinse a sé con calore e stettero un po’ così in silenzio, prima che l’accogliesse in camera, con la solita eleganza che lo rendeva un uomo già nei suoi pochi diciotto anni. Le porse una sedia e si sedette di fronte a lei inclinando la testa di lato e aspettando. Erano al centro della piccola stanza dove Hannibal per motivo di studio alloggiava, eppure i disegni appesi alla parete e l’aroma dei fiori curati nel vaso sulla scrivania di legno come lei stessa gli aveva insegnato a fare, rendevano la stanza accogliente.
«Sono stata al tuo vecchio orfanotrofio giorni fa.»
Ci fu un lampo nei suoi occhi ambrati, una curiosità mista al dolore che non poteva cancellare nominando quel posto, Lady Murasaki tirò un sospiro e continuò.
«Sono andata a cercare Will.»
Hannibal sbatté le palpebre ma non ebbe altra reazione.
«Sei andata lì per me,» un sorrisetto colorò le sue labbra, poi aggiunse.
«Ma hai anche trovato ciò che volevi sapere… e lui come sta?»
La donna abbassò lo sguardo, le mani che aveva poggiato in grembo si mossero prima di tornare composte.
«Non saprei dirtelo, vedi non si trova più lì… è fuggito due anni fa.»
Si aspettava una reazione a questo ma Hannibal rimase impassibile, persino troppo immobile, tanto che lei stessa dubitò che respirasse se non fosse stato che il suo petto si muoveva.
«Non sei sorpreso.»
Assottigliò gli occhi mentre lui disperdeva lo sguardo altrove.
«Sapevo del desiderio di libertà di Will, era una delle possibilità che avevo previsto.»
Meditò qualche secondo prima di parlare.
«Immagino che l’orfanotrofio e la polizia l’abbiamo cercato, era ancora minorenne…non avranno voluto infangare il nome dell’istituto con incompetenza.»
«Il direttore mi ha detto dove si trova e non è da solo, sta seguendo la sua strada come tu la tua. Will sta facendo un tirocinio da agente dell’FBI.»
A quel punto Hannibal la guardò e vide una reazione di stupore nel suo viso, ma un frammento di un secondo, prima che la nascondesse dietro la sua maschera di fermezza.
«Una strada molto diversa dalla tua, si potrebbe dire.» aggiunse poi, guardandolo.
«L’ironia della sorte, avevo pensato qualche volte che la sua empatia avrebbe potuto essere un vantaggio in quel campo, ma non avrei immaginato si realizzasse.»
Ed eccolo lì, quel sorriso malinconico e quell’espressione che si disegnò nel suo volto ogni qual volta Will Graham era nei suoi pensieri, nei suoi disegni, o quando gli scriveva lettere. Non poteva nascondere quel sentimento a una donna che così bene lo conosceva e che aveva provato anni fa, per quanto si sforzasse di farlo.
«Mi chiedo cosa volessi sapere di Will che io non potessi dirti.»
La guardò di nuovo e lei deglutì, stettero un po’ in silenzio a fissarsi in attimi scanditi di emozioni prima che gli rispondesse.
«Volevo trovarlo finché tu lo trovassi di nuovo.»
A quel punto Hannibal si alzò, interrompendo il contatto visivo e andando verso la piccola finestra della sua stanza, coprì con la sua ombra la luce che filtrava dall’esterno.
Lady Murasaki sospirò piano le parole che tento di non far uscire, calcolando piuttosto cosa dire.
«Hannibal, so in quale città si trova e potrei sapere anche il nome della scuola dove Will Graham sta studiando, eppure tu non l’hai chiesto. Non sei curioso di sapere il perché non ti abbia più contattato?»
Il suo sguardo si fece speranzoso puntandosi verso di lui, per quanto il ragazzo la stava escludendo dalle sue emozioni o da qualsiasi voglia reazione che stava avendo, lo voleva aiutare, era questo il suo scopo dopotutto, avvicinarlo di nuovo al suo lato umano e non alla bestia che aveva stava diventando.
«Come hai detto prima si sta facendo la sua vita, come io la mia.»
Lady Murasaki si alzò poggiò la mano sulla sua spalla, e poi per qualche istante il capo sulla sua schiena e sentì il suo cuore.
«Le persone che si amano davvero sono sempre una parte di noi, anche se le si vuole allontanare, distanziare, o negare. Loro torneranno sempre.»
Sentì Hannibal sospirare e vide i suoi occhi luccicare nel riflesso del vetro.
«Se mai il destino lo vorrà, ci rincontreremo.»


Angolo Autrice: Ciao a tutti! 

Il capitolo dal POV della Lady mi è piaciuto scriverlo, poiché si percepisce quanto tiene ad Hannibal ed è awww😊
Sì, il suo intento è stoppare Hannibal dal vendicarsi su uno degli uomini, questo è preso dal libro/film, e quindi qui c’è Will, il farlo tornare da lui sperando che lo salvi.

Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊



 

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Capitolo 8
*** Chapter 8/ Final. ***


Si arrotolò le maniche del camice da medico, e prese un barattolo di vetro da dove estrasse un cuore umano per esaminarlo e continuare i suoi studi. C’era silenzio assoluto nel laboratorio di notte, ed era il momento preferito di Hannibal, poteva concentrarsi completamente senza nessun rumore dall’esterno.
Oramai erano due anni che studiava all’Istituto di Medicina dell’Hopkins, ed aveva guadagnato l’accesso esclusivo al laboratorio medico a quell’ora, confermando le sue doti e la sua bravura che gli avevano fatto ottenere la borsa di studio.
Improvvisamente per quanto impercettibili, sentì dei passi e una porta aprirsi e chiudersi delicatamente dietro di lui, chi stava venendo non voleva in alcun modo disturbarlo. Hannibal stette sull’attenti, poggiando il cuore sul tavolo bianco illuminato da una luce al neon e attese.
Bussarono alla porta alle sue spalle e poco dopo averlo invitato, la figura entrò e il giovane Lecter non ebbe bisogno nemmeno di voltarsi, il suo cuore aumentò i battiti a quell’odore agrodolce che così bene aveva assimilato nei suoi ricordi. Una piccola smorfia riempì le sue labbra però, quando sentì un dopobarba scadente coprire il suo naturale profumo.
«Ciao Will.»
A quel punto si voltò e l’altro ragazzo si presentò in tutto il suo splendore, era vestito in semplici jeans scuri dove nella cintura scura, e una camicia blu. Era cresciuto d’altezza e di muscolatura nei suoi 18 anni, per quanto non eccessivamente. Alzò gli occhi al suo bel viso, e lo trovò immutato se non fosse per una piccola barba incolta che ora lo ricopriva, e i capelli ricci tagliati più corti che davano un vantaggio ai suoi occhi azzurri brillanti ed esposti alla luce.
«Ciao Hannibal, o forse dovrei chiamarti dottor Lecter adesso.»
Con un cenno del capo indicò il suo camice ed Hannibal gli regalò un piccolo sorriso.
«Potrei chiamarti agente Graham, ma credo che tu sia solo in prova.»
Will fece un ghigno, mettendo le braccia conserte.
«E sbaglieresti infatti, sono un consulente dell’FBI.»
Il giovane Graham si schiarì la gola prima di aggiungere.
«Ho spesso immaginato la tua voce nella mia mente.»
«E corrisponde a ciò che senti?»
«La conoscevo già, come se l’avessi sentita mille volte.»
Il cuore di Hannibal si gonfiò d’affetto, e dovette sbattere le palpebre per non cedere all’emozione forte che lo devastò. Spostò il suo sguardo sul cuore abbandonato sul tavolo, che attendeva le sue attenzioni.
«Ti dispiace se continuo a lavorare mentre parliamo?»
Il giovane Graham gli fece appena un cenno, che l’altro aveva già preso il cuore sottomano, e gli stava somministrando del sangue nella vena principale per mano di una lunga siringa.
«Ti trovo bene e sono contento di vederti ma dimmi, che cosa ti è successo?»
Lo guardò e Will si mosse, prendendo a passeggiare per il laboratorio come se lo facesse da sempre.
«Sono fuggito dall’orfanotrofio ma questo lo sai già, ho vagato per un po’ cercando informazione sui miei familiari o di qualche parente miracolosamente in vita… e ho trovato qualcosa di simile, una vecchia amica di mia zia. Le scrissi, e ci scrivemmo per un po’ e Beatrice accettò di adottarmi a Baltimora, dove andai a vivere e fu lei a informare l’orfanotrofio dove fossi, se mai mi hanno cercato.»
Un sorrisetto amaro colorò le sue labbra, ed Hannibal sentì quella familiare e invadente compassione avvolgerlo in sua presenza.
Will lo guardò con il capo di lato, percorrendo la sua figura senza vergogna prima di continuare.
«Un giorno ci fu un omicidio non troppo lontano da casa mia, si erano ammassati tanti curiosi e io passai di lì per caso. Quando la gente se ne fu andata tornai sul luogo del delitto, e cercai di capire perché l’assassino avesse ucciso la sua vittima, senza accorgermene le parole nella mia mente uscirono dalle mie labbra e dietro di me si trovava qualcuno. Era Jack Crawford, capo dell’unità di scienze comportamentali, io non lo sapevo all’epoca, ma capì che era un pezzo grosso della polizia quando mi chiese cosa mi faceva dire che l’assassino aveva provato quelle emozioni.»
Un lampo illuminò i suoi occhi e in contemporanea quelli di Hannibal, fiero e intrigato dal suo operato.
«Giorni dopo lo presero grazie a me, e Crawford parlò con Beatrice, che era diventata il mio tutore, per concordarsi a mandarmi alla sua Accademia. Lei accettò e beh io poi continuai così…eccomi qui.»
Inspirò profondamente e il suo sguardo si perse in qualche pensiero lontano.
«Ti dispiace dirmi, che cosa dalle strade di Baltimora ti ha condotto a Parigi?»
«Tu.»
Non vacillò nemmeno un secondo nel sentenziare tale risposta, e il giovane Lecter fu contento di aver concentrato la sua attenzione su un cuore di un morto piuttosto che sul suo.
«Il destino ci ha fatto rincontrare sotto forma di una donna, la stessa che quel giorno arrivò all’orfanotrofio.»
Un piccolo sorriso prese le labbra di Hannibal, Lady Murasaki avrebbe fatto quella mossa comunque, con la sua volentà o meno, perché la riteneva la cosa giusta e perché temeva la sua oscurità. Pensava che con ciò che provava per Will l’avrebbe pacata, ma non lei non sapeva che anche il ragazzo di fronte a lui, era formato dall’oscurità.
Hannibal gli rivolse uno sguardo.
«Le lettere che ti scrissi, le hai distrutte? Le hai gettate nel fuoco più vicino e disperso ogni memoria?»
«Ho pensato di farlo, lontano da te ho capito quanto il nostro rapporto fosse di dipendenza…ho provato a dimenticare.»
Il suo volto era all’insù mentre disse quella frase ed Hannibal ammirò il suo collo, lungo e bianco nelle luci del neon, sentendo del calore familiare avvolgere il suo corpo.
«Abbiamo provato a farlo entrambi.»
Will annuì e i loro occhi si incontrarono per un istante, prima che entrambi togliessero il contatto visivo, punti da simili emozioni e sentimenti troppo forti e voraci per poterli reggere.
«Ti ho immaginato risentito della cosa, ho sentito la tua vendetta in incubi notturni che avevo ripetutamente e volevo darti lo stesso, anche se dall’altra parte volevo che fossi felice, bizzarro pensai, ma poi non lo fu più.»
Aveva la voce incrinata, e tolse il respiro del giovane Lecter per qualche secondo, com’anche la sua straordinaria empatia con cui da tanto non era in contatto.
«Lo so, Will.»
Gli rispose cercando di mostrare più forza possibile ma il suo tono vacillò, tastò il cuore sul bancone con più voracità.
«Pensavo che non volessi vedermi più ma poi tua zia è venuta da me, ed eccomi qui davanti a te,» poggiò le mani sul bancone dinnanzi a lui e Hannibal non poté far a meno di guardarle, così fini, lunghe, e belle. Will stava guardando come maneggiava quel cuore e per un attimo si stoppò, rimasero soltanto loro due in silenzio… poi tirò un sospiro e carezzò il bancone, prima di distanziarsi.
«Tutto è dove deve essere, esattamente come le tue lettere,  che sono vicine al mio libro del’Iliade immobili, e sempre lì rimarranno. Come il nostro patto di sangue di qualche anno fa, non possiamo cancellare chi siamo l’uno per l’altro.»
Il calore che aveva sentito dentro di lui si espanse, e quando i loro occhi si incontrarono tutto svanì, poteva sentire il suo respiro e ogni fibra del suo corpo vibrare d’attesa.
Hannibal prese il cuore lo depose nel contenitore di vetro e si tolse i guanti, non togliendo per un attimo il contatto visivo da lui, si lavò le mani e si avvicinò a lui con delicatezza ma decisione.
Will non si mosse e i suoi occhi brillarono quando furono abbastanza vicini da condividere l’aria.
«Non vuoi più dimenticarmi.»
Il giovane Lecter non rispose per quanto sentiva i suoi occhi umidi, e si perse per un secondo nel mare calmo e luccicante che dominava le pupille dell’altro.
Lentamente le loro mani si sfiorarono e un sorriso, quello piccolo e segreto che gli rivolgeva anni fa, fu sul volto del giovane Graham. Non era cambiato nulla tra loro, come se il tempo fosse stato soltanto un battito di ciglia nei loro occhi, le loro ferite cicatrizzate del patto di sangue si incontrarono, e il giovane Lecter nei brividi che sentì, poté vedere quelle stesse aprirsi di nuovo; vive e pulsanti del loro sangue che si mescolava.
Hannibal poi con reverenza, prese il suo volto tra le mani e sentì le guance dell’altro calde sotto le sue dita, le carezzò con dolcezza e il
 respiro che Will aveva trattenuto fuoriuscì e lo sentì dentro di lui, rinfrescare il suo cuore e la sua anima.
«Sono andato avanti con la mia vita, come tu con la tua, ma non credo che avrei mai potuto dimenticarti. Sei stato in sospeso, lo siamo stati entrambi nella mente l’uno dell’altro.»
«Perché nessuno dei due può vivere senza l’altro, siamo congiunti… tu sei il mio Achille e io sono sempre il tuo Patroclo.»
Il giovane Graham portò le mani sulle sue, ed il giovane Lecter si sporse verso di lui, facendo sì che le loro fronti si congiungessero.
«Ora e sempre.»
Will citò le  parole che anni fa, avevano accompagnato il loro patto indivisibile.
«Ora e sempre.» Gli fece eco Hannibal, e chiusero gli occhi in contemporanea.
Nulla era cambiato e mai lo avrebbe fatto.

 
Fine.

Angolo Autrice: 
Ed eccoci giunti alla fine! È stato piacevole scrivere sta long-fic cercando di dare tributo al libro/film che mi ha sconvolto ed anche se tra i miei fav, ovvero Hannibal Rising e al libro che adorai per la Patrochilles, la canzone di Achille!
Ringrazio i miei 4 gatti che l’hanno letta perché non credo che l’avrei pubblicata se non avessi avuto loro a supportarmi, quindi grazieee💗💗 Tra questi c’è la mia amica/compagna di scleri
 leonessa885  a cui dico un grazie grandissimo per il supporto, le recensioni, e l'aver creduto in sta storia! 💗 
Come piccolo dono finale, vi metto questa fanart che ho trovato mentre componevo la long-fic, ho trovato
sto kiss  che descrive perfettamente il primo kiss che gli Hannigram si danno nel cap 4 e *_*
 
E infine,
un brano che ho trovato mentre scrivevo ed editavo sta fanfiction e che ho dedicato a loro e che rispecchia il racconto, non scenderò nei particolari per non annoiare 😅 ma è davvero perfetto! (non avrei mai pensato di dedicare un brano con tali sonorità agli Hannigram XD)

Grazie ancora a chiunque ha letto e/o commentato!


 

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