Hermanos.

di JennyPotter99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Parte 1 ***
Capitolo 3: *** Parte 2 ***
Capitolo 4: *** Parte 3 ***
Capitolo 5: *** Parte 4 ***
Capitolo 6: *** Parte 5 ***
Capitolo 7: *** Parte 6 ***
Capitolo 8: *** Parte 7 ***
Capitolo 9: *** Parte 8 ***
Capitolo 10: *** Parte 9 ***
Capitolo 11: *** Parte 10 ***
Capitolo 12: *** Parte 11 ***
Capitolo 13: *** Parte 12 ***
Capitolo 14: *** Parte 13 ***
Capitolo 15: *** Parte 14 ***
Capitolo 16: *** Parte 15 ***
Capitolo 17: *** Parte 16 ***
Capitolo 18: *** Parte 17 ***
Capitolo 19: *** Parte 18 ***
Capitolo 20: *** Parte 19 ***
Capitolo 21: *** Parte 20 ***
Capitolo 22: *** Parte 21 ***
Capitolo 23: *** Parte 22 ***
Capitolo 24: *** Parte 23 ***
Capitolo 25: *** Parte 24 ***
Capitolo 26: *** Parte 25 ***
Capitolo 27: *** Parte 26 ***
Capitolo 28: *** Parte 27 ***
Capitolo 29: *** Parte 28 ***
Capitolo 30: *** Parte 29 ***
Capitolo 31: *** Parte 30 ***
Capitolo 32: *** Parte 31 ***
Capitolo 33: *** Parte 32 ***
Capitolo 34: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Proiettile.
Caricatore.
Sicura.
Boom.
Di nuovo.
Più veloce.
Proiettile.
Caricatore.
Sicura.
Boom.
-8 secondi e mezzo.- esordisce Andrès, con il cronometro di mano. -Sei una scheggia!-
Non è vero, potrei farlo anche in meno.
-Non è vero, potrebbe farlo anche in meno.- commenta Sergio, puntando la torcia su di me e con l’altra mano sistemandosi gli occhiali sul naso.
Gli cadono in continuazione, è come un tic.
Mi volto verso di lui e lo guardò un po' male: odio quando mi legge nel pensiero, ma da una parte è divertente.
Questo dimostra che è davvero il mio migliore amico.
E come è suo solito fare, ha mangiato quasi la metà di tutti i pacchetti di patatine che ho portato dentro la tenda.
-Ripetetemi perché lo stiamo facendo nel cuore della notte e con una pistola vera…- borbotta sempre Sergio.
-Abbiamo scuola tutto il giorno, vuoi che la porti in biblioteca e mi alleni davanti alla signora Fernandèz che ogni secondo mi grida SSh?- ribatto, alzando le sopracciglia.
Dobbiamo sussurrare, altrimenti mia madre potrebbe entrare da un momento all’altro e capire che ho una pistola vera in mano.
-Ti odia.- aggiunge Andrès, ridendo.
-Tuo zio non capirà che gliel’hai rubata?- chiede Sergio.
Parlare di mio zio non mi fa tanto piacere, anzi, non ne ho mai veramente parlato con qualcuno effettivamente.
Una delle cose che accomuna me, Andrès e Sergio sono le armi.
I nostri famigliari sanno cosa vuol dire andare in guerra o servire il paese.
-E poi sei ancora troppo giovane per andare all’accademia militare.- continua Sergio, spegnendo la torcia e stendendosi a terra.
La tenda da campeggio è abbastanza larga per tutti e tre e ormai l’abbiamo fatta nostra: ogni volta che entrambi vengono a dormire a casa mia, ci rifugiamo qui dentro e parliamo delle più grandi stramberie.
-Ragazzi, andate a dormire, è tardi!- grida mia madre dalla stanza accanto.
Faccio capolino dalla tenda.- Va bene mamma!-
Spengo tutte le altre luci della camera e mi stendo tra loro due.
In realtà, credo che mia madre si faccia sempre strane idee ogni volta che li invito a dormire.
-Senti, ma quel tipo che ti lascia le margherite davanti la porta che fine ha fatto?- domanda Andrès, stringendosi nel suo sacco a pelo.
-P-Potrebbe essere anche una tipa.- balbetta Sergio.
E’ un po' di tempo che trovo sempre una margherita poggiata sullo zerbino, la mattina, quando esco per andare a scuola.
Potrebbe essere chiunque, anche se a scuola, in corridoio, raramente qualcuno si gira a guardarmi.
Deve essere qualcuno che mi conosce bene, dato che sa dove abito.
Oppure avrebbe potuto seguirmi fin qui.
Non ho mai pensato tanto all’amore o ai ragazzi, dato che nessuno, fin ora, mi ha mai fatto venire le cosiddette farfalle nello stomaco.
Anzi, non è vero, qualcuno che mi piace c’è, ma non voglio ammetterlo a me stessa perché non credo che lui provi lo stesso.
E’ tipico della mia età.
-Voi dove vi vedete tra 10 anni?- continua Andrès, sbadigliando.
-Facile, nella marina militare a servire il paese.- rispondo per prima, alzando le spalle.
-Ad insegnare lettere.- dice Sergio, togliendosi gli occhiali per dormire.
Io ed Andrès lo guardiamo stupiti.
-Che c’è? Mi piacerebbe insegnare, ma a quelli più piccoli, quelli della nostra età mi spaventano.-
Andrès ridacchia e si mette le mani sotto la nuca.- A realizzare il più grande colpo della mia vita.-
Alzò gli occhi al cielo, ancora con questa storia.- Tu vedi troppo Lupin.-
-Già, se continui a fare questi furtarelli, tra 10 anni sarai dietro le sbarre.- aggiunge Sergio.
-Ragazzi, ragazzi, andiamo! Non è perché rubi, ma è il come lo fai!- esclama, entusiasta.- Non ci penso proprio a lavorare, guarda come si è ridotta la mamma.-
Sergio sospira.- La mamma non si è ammalata perché lavora troppo.-
-Sì, ma non vorresti darle una vita migliore di così?- replica Sergio, fissando il fratello.
-Certo che lo voglio, ma non da dietro una cella.-
Andrès solleva il busto e ci guarda con un luccicante bagliore negli occhi e un sorrisetto ammiccante.- E chi ti dice che mi prenderanno?-
 
Madrid- 24 anni dopo- 5 mesi all’ora zero
 
Le sbarre automatiche si aprono davanti a me e la guardia alla mia sinistra mi fa cenno che posso uscire.
Il penitenziario femminile di Madrid mi ha ospitato per ben 2 anni che sembrano però duranti un’eternità.
Mi ha fatto ricordare perché odio le donne e perché preferisco essere amica degli uomini.
Sono frivole, false, gelose e alcune volte anche aggressive.
Ho provato a rapinare un negozio ed è andata male, pazienza.
I miei giorni da ragazzina che sperava di entrare nella marina militare sono andati in fumo quando mio zio è stato licenziato con disonore.
E perciò, addio raccomandazione e così la reputazione della mia famiglia.
Sono entrata con una tuta mimetica da maschiaccio, i capelli a caschetto marroni e ne esco sempre uguale, ma con i capelli più lunghi.
L’unica cosa che sono riuscita a tagliarmi in prigione, con un taglierino scheggiato che sono riuscite a portare dentro, è la frangetta che, oltretutto, ho tagliato anche storta.
Ma quando ho saputo chi si fosse offerto volontario per venirmi a prendere sono saltata alla gioia.
Faccio qualche passo fuori dal parcheggio e poi li vedo.
-Tati!- esclama Andrès, aprendomi le braccia.
Lascio a terra la sacca con la mia roba e gli salto addosso.- Andrès!-
Scoppiamo entrambi a ridere e lui mi guarda bene in faccia.- Mamma mia, quanto sei bella!-
Arrossisco appena e gli do un buffetto.- Oh, ti prego!-
Sono passati tanti anni dall’ultima volta che li ho visti.
Andrès ha qualche ciuffo di capelli bianco, ma lo stesso ghigno sul volto.
Al contrario, Sergio di bianco o grigio non ha nulla: i suoi capelli sono rimasti ricci, gli occhiali della stessa montatura, il naso a patatina e della barba.
Osservo subito il suo smoking elegante.- Ci vai anche al mare vestito così?- commento, sistemandogli la cravatta prima di dargli un bacio sulla guancia.
Lui mi sorride timidamente.- Mi piace vestirmi così, lo sai.-
-Ma che ci fate qui?- chiedo curiosa.
-Siamo venuti a prenderti, no?!- risponde Andrès, pizzicandomi i fianchi.- Così la banda degli Hermanos è di nuovo unita!-
Mi fa molto piacere, ma capisco subito che c’è qualcosa di più.- Dai ragazzi, seriamente…-
Andrès guarda suo fratello, facendogli cenno di rispondere.
Sergio si fa serio.- Ti ricordi il colpo che progettavamo alla Zecca di stato?-
Aggrotto le sopracciglia, dato che non so il motivo per la quale me lo stia chiedendo.- Si, perché?-

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Capitolo 2
*** Parte 1 ***


Toledo – 5 mesi all’ora zero
 
Dopo tanti anni, che non ci vediamo, i due fratelli fanno anche i misteriosi.
Sergio guida la sua macchinina rossa in mezzo al nulla, tra alberi, uliveti, prati di margherite che, di fatti, mi ricordano la mia adolescenza e vari animali.
Prima di uscire mi hanno ridato il telefono e infatti non c’è campo.
Alla fine di una strada di sassolini, giungiamo ad un enorme villa nel bosco, fatta tutta esternamente in pietra.
Sgrano gli occhi, dato che non sapevo avessero talmente tanti soldi da permettersi una cosa del genere.
-Cazzo ragazzi, quando siete diventati ricchi?- domando, uscendo dall’auto.
Sergio fa un ghigno.- Non lo siamo diventati ancora.- risponde, facendomi cenno di entrare. -Vieni, ti faccio conoscere gli altri.-
Gli altri?
Ah, quindi non saremo noi tre come al solito.
Beh, di certo non mi aspettavo che solo in due potessimo entrare nella Zecca di stato.
Dico due perché di solito Sergio è quello che organizza tutto e resta fuori per darci le istruzioni.
Non appena entro, alla mia sinistra c’è una grande sala con un camino e un tavolo rotondo da pranzo.
Alla mia destra, delle scale che portano al piano di sopra.
Dritto per il corridoio, invece, un’altra stanza più piccola con una lavagna e dei banchetti messi in fila indiana.
Sembra di esser tornata a scuola.
Accalcati su un paio di banchetti, ci sono altri tra ragazzi e ragazze che interrompono la conversazione quando entro io.
Sono tutti di età diverse, il ragazzo con i capelli ricci credo che non abbia più di vent’anni.
I due omoni grossi e pieni di tatuaggi mi mettono un po' soggezione.
Ci sono solo altre due ragazze nel gruppo: una ha una faccia da schiaffi, l’altra sembra simpatica.
-Buongiorno ragazzi, prego, mettetevi seduti.- esordisce Sergio, scrivendo alla lavagna col gessetto.
Tutti hanno preso già i loro posti, io mi becco il banchetto dietro alla ragazza mora con i capelli lunghi e il naso un po' da strega.
Sergio scrive Benvenuto sulla lavagna e lo sottolinea.
-Buongiorno di nuovo e benvenuti a tutti. Spero che la tenuta sia di vostro gradimento, perché passeremo i prossimi 5 mesi qui a studiare come riuscire nel colpo.- dice Sergio, poggiandosi alla scrivania.
-Come sarebbe 5 mesi? Ma siamo impazziti?- borbotta un uomo in cima alla fila, con la barba nera, a tratti bianca.
Sergio alza un dito, come a dirgli di aspettare.- Per organizzare un colpo come si deve serve tempo. E credetemi se vi dico che dopo di questo, sarete talmente ricchi da non dover più lavorare, né i vostri figli, né i vostri nipoti. Diciamocela tutta, non voglio continuare a spaccarmi la schiena per avere uno stipendio misero.-
Assottiglio gli occhi e studio Sergio: so quello che intende dire e questo mi riporta inevitabilmente indietro.
 
Madrid-24 anni prima
 
La gioielleria Pedrusco fa angolo alla mia casa da anni ormai.
E da settimane, ogni volta che torno da scuola, mi fermo a guardare quegli splendidi orecchini di perla che sono in vetrina.
Costano quasi più del mio intero armadio di vestiti, compreso l’armadio.
Con lo stipendio di mia madre come cuoca e mio zio riusciamo a malapena a pagare le bollette.
Per questo voglio andarmene da qui.
Mia madre e il mio defunto padre se ne sono andati dall’Italia per cercare un futuro migliore e guarda come siamo finiti.
Lui, morto di infezione ai polmoni e noi, quasi morti di fame.
-Ti piacciono?- mi chiede Andrès, affiancandomi.
-Sono bellissimi e tanto cari.- annuisco, poggiandomi al vetro tanto da fare delle ditate.
-Beh, potremmo fare una colletta e prenderli.- interviene Sergio.
Io gli sorrido.- No, davvero ragazzi, lasciate perdere. Sono solo degli orecchini.- borbotto, a testa bassa.
***
-Allora, ancora non vi conoscete e voglio che rimanga così. Non voglio nessun nome, nessuna relazione personale e nessuna domanda personale.- continua Sergio, scrivendo alla lavagna. -Usate dei soprannomi: numeri, città, pianeti.-
-Pianeti mi piace, lui può essere Urano.- interviene il ricciolino, indicando il ragazzo davanti a se.
Quest’ultimo fa una smorfia.- Non ci penso nemmeno, cazzo!-
Rido e ripenso alle parole di Sergio.- Perché non facciamo le città?-
Tutti intorno a me annuiscono.
E così, siamo arrivati tutti a chiamarci con i nomi delle città.
La ragazza con la faccia da schiaffi e una croce per collana, con i capelli a caschetto, è Tokyo.
È ricercata per una rapina ad un porta valori, organizzato con il suo fidanzato, alla quale hanno sparato mortalmente.
In prima fila, Mosca, il re dello scavo.
Dietro di lui, il mascellone dalla risata buffa è Denver, suo figlio: una vera testa calda, un pugno vivente, il sovrano delle risse da discoteca.
Il ricciolino è Rio, come pensavo, il più giovane tra di noi, un hacker nato.
I due omoni dietro sono i cugini serbi, Helsinki e Oslo, le braccia di questa operazione.
Infine, la strega con le extension nere è Nairobi: ha un grande senso dell’umorismo, sempre positiva, falsifica banconote da quando era ragazzina e addetta al controllo qualità.
Andrès, con il banchetto parallelo al mio è Berlino, il più grande ladro, meschino, pazzo che io abbia mai conosciuto.
Suo fratello, invece, è il Professore, l’ideatore del piano.
Praticamente un fantasma agli occhi del mondo, nessuna foto, nessun’impronta digitale, nessun rinnovo della carta d’identità da quando aveva 19 anni.
Tokyo si volta verso di me.- E tu?-
Non mi ci vuole molto per pensarci.- Roma.-
 
8 ore dal colpo
 
Sento fin troppe grida intorno a me, la testa mi esplode e sento il cuore a mille quando vedo la mia spalla sanguinare.
Non riesco a dire niente, rimango poggiata con la tempia sul marmo freddo e vedo Tokyo che trascina Rio dentro, con la testa sanguinante.
-Qualcuno prenda Roma, qualcuno prenda Roma!- urla Nairobi, continuando a sparare all’impazzata.
Questa maschera mi fa mancare il fiato.
Vedo qualcuno con la maschera di Dalì venire verso di me e prendermi in braccio velocemente per portarmi dentro.
Le porte si chiudono in pochi secondi e così posso togliermi finalmente la maschera.
Lo fa anche il mio salvatore e capisco che è Denver.
La mia tuta rossa inizia a diventare troppo rossa, credo che mi abbiano preso una parte importante.
Non lo so, perché sono così nel panico che ho dimenticato la lezione di anatomia del Professore.
-Portatemi delle garze! Il kit del pronto soccorso!- continua Nairobi, piegandosi su di me.
Sento che sto per svenire, mi si chiudono gli occhi.
Mi chiamo Tatiana Loreto e non so che cazzo ci faccio qui.

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Capitolo 3
*** Parte 2 ***


Toledo- 5 mesi all’ora zero
 
Avevano tutti un ruolo in quel colpo, solo che io non avevo ancora capito il mio.
Pensavo che servisse qualcuno che insegnasse a questi ignoranti come si usa una pistola, ma per quello c’erano già i cugini serbi.
A lezione finita, mi soffermo per ultima proprio per chiederlo.
-Non capisco io a cosa ti servo.- gli dico, sedendomi sulla scrivania.
-Oh, tu sarai una parte fondamentale, Tati.- mi dice Berlino, sogghignando.
-Il fatto è che noi non ruberemo niente a nessuno: dobbiamo fare buona impressione al pubblico, di fatti, non possiamo permetterci di sprecare una sola goccia di sangue.- interviene il Professore.
Ridacchio.- Hai visto Denver? Quello ti dà un pugno solo se ti azzardi a guardarlo male.-
-Non parlo della squadra, ma degli ostaggi. Dobbiamo farci amare e il tuo bel faccino sarà la chiave.- continua Berlino, accarezzandomi il mento con due dita.
-Tu e Berlino sarete al comando di questa operazione, mi fido di voi.- afferma il Professore.
Avevo capito che gli ostaggi erano parte fondamentale del piano e perciò a me toccava farli stare buoni.
-Ho bisogno del tuo sex appeal, del tuo fascino.- continua Sergio, arrossendo.
Lo guardo con un sorrisetto divertito, non mi ha mai detto una cosa del genere, lo prendo come un complimento.
-Va bene, ci sto.-
In seguito, il Professore riporta quelli della banda in aula.
-Lei che ci fa qui? E’ una ladra o no?- domanda Denver: è da quando sono arrivata che mi guarda male e ha sempre da ridire qualcosa.
Mi ricorda quel bullettino che prendeva sempre a spintonate Sergio.
-Ovvio che lo sono.- affermo, alzando un sopracciglio.
Devo fargli vedere quello che so fare, quello che ho imparato in anni e anni di piccole rapine.
Berlino ridacchia.- Non ti conviene mettertela contro: conosce tutte le armi del mondo, qualsiasi cosa le chiedi, le la sa.- spiega, incrociando le braccia. -25 gioiellerie, 10 furti d’auto e…-
Alzo un dito verso di lui, non ho bisogno che Berlino mi faccia da ego, so farmelo benissimo da sola.
-25 gioiellerie, 10 furti d’auto e il vostro fottutissimo naso.- continuo, tirando fuori dalla tasca il suo smartwatch.
Denver si ritrova confuso.- Quando cazzo…!- borbotta, riprendendoselo al volo dalle mie mani. -Non mi ti sei nemmeno avvicinata.- balbetta, mentre tutti intorno ridono.
-E’ tutta questione di silenzio e studi del linguaggio del corpo.- spiego, girando maliziosamente attorno a Berlino.
È molto più affascinante di quanto mi ricordassi.
Lui non mi toglie gli occhi di dosso.
Quei penetranti occhi scuri.
-Più li distraete e più sarà facile.- continuo, alzando in alto l’anello che aveva al mignolo.
Lui sorride come elogiandomi.- Sei splendida.- commenta a bassa voce.
-E fateli guardare, perché più guarderanno…- proseguo, postandomi davanti al Professore con un sorriso dolce, scostandogli la frangetta dal viso.
Ha sempre avuto uno sguardo concentrato e pacato allo stesso tempo su di me: mi studia, ma ha paura di ammetterlo.
È come un orsacchiotto.
-…E più non si accorgeranno di niente.- dico infine, mostrandogli il suo portafoglio.
-Oh Professore, la fregata!- esclama Nairobi, applaudendo.
Sergio fa uno dei suoi sorrisi timidi.- Sì, sì, è vero.- ammette, alzando le mani.- Ma sarà l’unica che saprà farlo.-
Questa è decisamente una dichiarazione di guerra tra il Professore e lo statuto spagnolo.
Sergio non era così spavaldo da ragazzo.
Devo anche ammettere che forse un po' di sicurezza gliel’ho insegnata io.
Però sento che lui ha fatto così tanto per me, nel corso degli anni, che devo per forza accettare.
 
Strada statale E-80 – 8:25 AM
 
Il piano ebbe inizio di mattina presto.
Avevo dormito poco: avevo ristudiato il piano per ore, ripensato a tutto quello che era successo in quei 5 mesi e non ero riuscita a prendere sonno.
Alle 8 di mattina siamo su un furgone: ho intorno tutti quella della banda, armati di fucili d’assalto, una tuta rossa e la maschera di Salvador Dalì.
-Chi cazzo ha scelto le maschere?- commenta Denver.
-Perché? Che hanno che non va?- chiede Rio.
-Per prima cosa: chi cazzo è?-
-E’ Salvador Dalì, era un pittore famoso.- risponde Mosca.
-Davvero? Dovremmo spaventarli con un pittore?-
-Non dobbiamo spaventarli, non ricordi cosa ha detto il Professore?- intervengo, sospirando.
-Sai cosa fa paura? Quei pupazzi per bambini, tipo Paperino, Pluto, Topolino.-
-Le orecchie di Topolino dovrebbero mettere paura?- aggiunge Rio.
-Le orecchie di Topolino con un mitra in mano, oh sì.- ridacchia l’altro.
Ci sono fin troppi uomini in questa banda.
Meno male che ci siamo io, Tokyo e Nairobi.
Quando il furgone si ferma, capisco che siamo arrivati.
In un capannone abbandonato in mezzo al nulla, coperti da dei teli, c’è tutto ciò che ci occorre e che dobbiamo far entrare nella Zecca: benzina, esplosivo, una mitragliatrice e altrettante tute rosse.
L’unico modo per entrare è farlo dall’interno.
Mosca è vestito come un agente del traffico e blocca la strada con dei cartelli.
Nella Zecca di stato si stampano per lo più soldi, perciò, per entrare abbiamo bisogno di salire sul furgone che mensilmente porta la carta delle future banconote.
I guidatori del camion e le guardie a bordo delle due volanti che lo scortano non hanno intenzione di perdere la vita per 1.600 euro al mese, perciò, quando gli puntiamo i fucili contro, collaborano subito.
Se all’interno ci fossero stati i loro figli, probabilmente non avrebbero aperto il camion.
Al suo interno saltano Denver, Rio, Mosca e i serbi.
-Esattamente 17 minuti a partire da ora.- mi dice Rio.
Io, Nairobi e Tokyo ci travestiamo con delle parrucche e occhiali da sole, saltando a bordo di una decappottabile.
Dopo che Nairobi ha imbavagliato le guardie, Berlino sale su una delle volanti con il guidatore, puntandogli la pistola contro.
Abbassa giù il finestrino e mi guarda.- Ricordati della ragazza, mi raccomando, è importante.-
Gli sorrido.- Ha 16 anni, cosa potrebbe andare storto?-
Anche lui fa un ghigno divertito.- La nostra notte brava in Germania dovrebbe ricordarti che cosa possono farei i 16enni.- sussurra, per non farsi sentire dagli altri.
Sergio non vuole che sappiano che siamo amici.
Ho ricordi vaghi di quella notte, ma so che mi sono divertita da morire.
-Va a fanculo.- ridacchio, dandogli un pizzicotto.
Mentre tutti entrano come se niente fosse, a bordo dei loro stessi mezzi, io e le altre ragazze arriviamo come se fossimo delle semplici turiste.
Rio è pronto con il suo computer a disattivare tutti gli allarmi ed avvisa Berlino quando ci sono delle telecamere.
Non possiamo farci vedere in volto, almeno non al di fuori della Zecca.
Come di prassi, io e le altre ragazze lasciamo le nostre cose all’interno dei metal detector: suoneranno all’impazzata, dato che dentro ci sono le nostre armi.
Guardo il mio orologio e conto i secondi. -4…3…2…1…-
Gli allarmi suonano per mezzo secondo, dato che Rio li ha appena disattivati in 17 minuti, come mi aveva detto.
Estraggo la mia pistola e mi preparo a fare un po' di casino.
-Tutti giù!- grida Tokyo, con il suo fucile.
Intorno a me ci saranno almeno 40 persone, tra lavoratori e un’intera classe delle superiori venuta in visita.
Da altre stanze arrivano gli altri della banda e allora capisco che siamo riusciti ad entrare.
È Rio a chiudere la porta principale, composta da due muri che si avvicinano l’un l’altro, fino a sigillare l’edificio.
Ce l’abbiamo fatta.
O almeno, il 5% del piano.
Mi viene la pelle d’oca, non sono mai riuscita a fare una cosa del genere.
Poche volte ho usato le armi, usavo più che altro il corpo, gli occhi, il mio charme.
Non sono una persona violenta.
È meglio che non lo dico, perché farei una vera figura di merda.
La sala è davvero enorme e lussuosa: alle pareti ci sono dei quadri antichi e vecchi documenti.
Al centro della stanza, un enorme scalinata con un tappeto rosso, dalla quale scendono Berlino, Denver e Mosca.
Tokyo e Nairobi riuniscono la scolaresca e gli altri che urlano spaventati, ancora non sanno che non abbiamo intenzione di fargli niente.
In tutti sono 67 ostaggi.
Dal magazzino dove sono giunti con il camion, arrivano anche i serbi che fanno mettere delle mascherine da notte a tutti gli ostaggi: loro non devono assolutamente vederci in volto.
-Prima di tutto voglio dare il benvenuto a ognuno di voi.- esordisce Berlino, con voce tranquilla. Mi guarda sorridendo, come a dirmi che quella parte è andata bene e che andrà bene anche tutto il resto.
Non è proprio come la tua prima rapina eh, Andrès?
-Scusateci per lo spavento, ma voglio che sappiate che non vi faremo alcun male.- continua, mettendomi un braccio intorno al collo.- Questa è Roma e si prenderà cura di voi.-
Noto che il discorso non li sta tranquillizzando affatto: sono persone qualsiasi, tra uomini, ragazzi e anziani.
C’è anche una donna incinta che vedo sta andando nel panico.
Le mette le mani sulle spalle.- Signora, andrà tutto bene. Respiri lentamente.-
-Esatto, respiriamo tutti insieme, avanti!- esclama Berlino, prendendo le mani ad una ragazza con la coda che piagnucola.- Anche tu tesoro, come ti chiami?-
-Ariadna.- balbetta lei.
-Perfetto Ariadna, respira con me.- le sussurra Berlino.
Andrès è un uomo fondamentalmente pacifico, anche lui ha fatto del male a poche persone nella sua vita, solo quando necessario, solo quando capisce che la situazione è critica.
Denver gira per la sala, chiedendo i telefoni di tutti e il rispettivo pin, non possiamo permetterci che telefonino a qualcuno.
-Nome?- chiede Denver ad un signore sui 50 anni, un accenno di barba e i capelli ingelatinati.
-Arturo Roman, sono il direttore della banca.-
Denver appiccica un post-it dietro il suo telefono.- Pin?-
-M-Ma perché lo vuole sapere?-
Denver sbuffa e lo guarda male, ci mette un secondo a perdere la pazienza.- Tu dimmelo o ti spacco quella cazzo di testa.-
-1 2 3 4.- balbetta arrossendo.
Scoppiamo tutti a ridere.
-Un pin idiota per una faccetta idiota.- commenta Denver.
Accanto a lui, c’è Monica, la sua segretaria, non che amante.
Ho studiato tutto quello che c’era da sapere sul personale della banca, dato che ero l’addetta agli ostaggi.
Conosco la storia degli adolescenti della scuola britannica che è venuta in visita.
Mi guardo attorno e…Cazzo.
La ragazzina.
La ragazzina non c’è.
-Dov’è Allison?-
Inizio a cercarla per tutte le stanze del piano terra, magazzini, uffici, preoccupata.
-Dove cazzo è la ragazzina?!- grido impaziente: non può essermi sfuggita, lei è importantissima.
-Ridammi il telefono!- sento gridare dal bagno degli handicappati.
Sfondo la porta con il piede e trovo la ragazza dai lunghi capelli ricci e gli occhi azzurri con la camicetta sbottonata, insieme ad un ragazzo che ha la cintura slacciata.
Erano sicuramente in atteggiamenti intimi, ma Allison ha lo sguardo sconvolto.
Non ci posso pensare più di tanto, devo portarli insieme agli altri.
Lui è molto carino, muscoloso, sembra il tipico atleta.
Qui due mi ricordano le varie favolose scopate che mi sono fatta in questi 5 mesi e non mi sorprende affatto che si siano chiusi in bagno per farlo.
Anche se per un attimo di secondo mi hanno visto in viso, gli faccio indossare le mascherine e li porto insieme agli altri.
Nel frattempo, Oslo ha collegato il Professore con l’interno della banca: d’ora in poi parleremo attraverso un telefono fisso, da cui ci chiamerà ogni 6 ore per controllare che tutto vada bene.
Berlino è l’unico ad avere un auricolare con cui può parlare con lui.
La prima fase è fatta, siamo entrati e so già che la polizia si starà scervellando per capire cosa fare.
Avranno sicuramente delle misure per queste cose, dei protocolli o che so io.
Il primo negozio che ho rapinato io non aveva un cazzo di queste cose, è stato così facile.
Adesso dobbiamo fare un po' gli attori.
La seconda fase è fargli credere che la rapina è andata male e barricarci all’interno della banca.
Vedo che Berlino mette un dito sull’auricolare e fa un cenno con la testa verso di me.
Come da piano, mi dirigo nella stanza dei caveaux.
Ce ne sono alcuni, ma solo in uno Mosca sta entrando come solo lui sa fare.
Sembra che lo stia facendo come quando si forza una serratura, come facevo io per le auto, ma qui è molto più delicato e difficile: se si sbaglia di un solo millimetro, siamo spacciati.
Fonde l’apertura metallica e scopre dei marchingegni, delle vere e proprie rotaie che adesso deve stare molto attento a girare nel modo giusto.
Io e Denver lo fissiamo con le goccioline di sudore che ci solcano la fronte.
E poi, tac.
Mosca gira il grande portellone e il caveau si apre.
Al centro della stanza illuminata a neon, ci sono pile e pile di banconote da 50 euro.
Non ho mai visto così tanti soldi in vita mia.
Denver scoppia dalla gioia e ci si tuffa sopra come se dovesse fare un angelo tra la neve.
La sua risata è troppo buffa.
-Ehi Roma, che ne dici? Una bella scopata, qui.- aggiunge, muovendo i fianchi in modo malizioso.
Scoppio a ridere e mi limito a mettere i soldi dentro i borsoni.
-Tu non fare troppo lo scemo, eh!- commenta Mosca.
-Con questi ci sistemiamo a vita papà!- continua Denver, aiutandomi.
Suo padre lo guarda con un sopracciglio alzato.- Perché tu hai mai provato a lavorare? Consegnato curriculum da qualche parte?-
Denver diventa improvvisamente serio.- No, perché dovevo pensare a tirarti fuori di prigione!-
-E credi che io ci volevo finire?- ribatte Mosca.- Ho parlato di te al Professore perché voglio che metti la testa a posto e ti fai una bella vita.-
Capisco allora che Mosca si sente molto in colpa per la vita miserabile che ha lasciato a suo figlio.
Spesso mi chiedo dove sia la sua mamma, ma per essere un ragazzo così aggressivo, Denver non deve aver passato un’infanzia felice.
Alla fine Mosca gli sorride.- Dai, muoviti a mettere quei soldi lì dentro!-
Tutti noi ci faremo una bella vita Mosca, tutti noi.

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Capitolo 4
*** Parte 3 ***


 
Io e Denver torniamo nella sala principale con i borsoni.
Nel frattempo, Rio e Tokyo hanno attaccato i telefoni degli ostaggi alla parete dell’ufficio del direttore, spenti e con i rispettivi pin.
Sapevo che quei due avrebbero cercato qualsiasi motivo per rimanere soli.
Anche se il Professore ha detto che non ci dovevano essere relazioni personali, più di uno di noi non ha rispettato la regola.
Ormai quasi tutta la banda ha capito che Tokyo e Rio stanno insieme, tralasciano il fatto che hanno 12 anni di differenza.
-Abbiamo riempito i borsoni.- esordisco, lasciandone uno a Tokyo.
Io, Tokyo, Rio e Denver abbiamo il compito di buttarli fuori e sparare all’impazzata.
-Tutti pronti!- esclama Berlino.
Ad un certo punto però, mentre stiamo per indossare le maschere, io e Berlino ci rendiamo conto che qualcuno ha abbassato la sua per sbirciare.
Berlino ha uno sguardo di chi lo truciderebbe subito, però non può farlo.
Si tratta di Arturo, il direttore.
-Come ti chiami?- gli chiede Berlino, avvicinandosi.
-A-Arturo.- balbetta.
-Dai, togliti la maschera.-
-Non ho visto niente, l-lo giuro.- piagnucola.
Berlino gliela toglie e la getta via.- Arturito, siì che hai visto qualcosa.-
-N-No, no…-
-Hai presente quando nei film horror c’è quel personaggio che vuole fare l’eroe?- continua Berlino, prendendogli la faccia tra le mani.- E che poi è quello che muore per primo?-
Mi viene da ridere, ma mi trattengo.
-Tu, Arturito, morirai sicuro.- gli sussurra, facendolo quasi scoppiare a piangere.
Lo guardo scuotendo la testa.- Tu hai fatto fin troppo teatro.-
Lui mi fa uno dei suoi ghigni.- Ma almeno sono finito sul giornalino della scuola, ricordi?-
Rio preme il pulsante per aprire le porte e noi ci prepariamo con i borsoni e i fucili.
Come si aspettava il Professore, ci sono alcune volanti che intervengono subito.
Con la maschera di Dalì abbassata, lanciamo via i soldi e spariamo velocemente contro di loro.
Solo che, quello che il Professore non si aspettava, è che anche loro avrebbero sparato.
Vedo un proiettile volare di striscio verso Rio e colpirlo alla testa.
Abbiamo solo delle colonne di marmo come copertura e mi nascondo dietro, continuando a sparare di tanto in tanto.
Furiosa e preoccupata, Tokyo colpisce un poliziotto sul petto e, anche se ha indosso il giubbotto anti-proiettile, credo che lo abbia colpito.
Mentre riprendo fiato, sento che qualcosa inizia a farmi male sul serio.
Denver si gira verso di me.- Roma!-
Sento un tale bruciore alla spalla che mi pare di morire.
Quello che dovevamo fare lo abbiamo fatto.
Tokyo trascina dentro il corpo di Rio.
Cerco di mettere un piede davanti all’altro, ma non riesco a stare in piedi e cado tra le braccia di Denver.
Oslo corre verso il pulsante e chiude le porte, nel frattempo che Denver mi poggia a terra.
Togliendomi la maschera riesco a vedere che dalla spalla mi esce sangue e fa un male cane.
-Cazzo, cazzo!-
Helsinki mi corre in contro con una valigetta e prende una pila di garze per premerla contro la ferita.
Non riesco a respirare, prego che non abbia colpito un polmone o che altro.
O forse è solo un attacco di panico.
-Hanno colpito Rio e Roma.- comunica Berlino al Professore, inginocchiandosi davanti a me.
Oslo mi alza il busto e controlla la mia spalla.- Non c’è foro di uscita.-
Ho un fottuto proiettile che mi viaggia per il corpo.
Berlino mi fissa negli occhi.- Tesoro, andrà tutto bene, respira, avanti, respira.-
Serrò gli occhi per prendere coraggio e inizio a prendere aria con il naso e poi a buttarla fuori con la bocca.
-Bravissima, così.-
Mi ricorda il mio primo giorno di scuola.
Ero così spaventata.
 
Madrid- 26 anni prima
 
L’insegna di quel liceo è talmente grande che credo che a momenti mi mangerà.
Sapevo che prima o poi sarebbe giunto il momento in cui sarei dovuta entrare in una vera e propria scuola.
Mio padre è morto da un mese e io dovrei già avere contatti con il mondo esterno?
Da quando ci siamo trasferiti dall’Italia, lui mi ha sempre fatto scuola a casa, per insegnarmi lo spagnolo ecc…
Me la cavo piuttosto bene, sono pronta, di cosa ho paura?
Forse di non farmi amici perché è come se fossi una straniera per gli adolescenti che mi guarderanno camminare per il corridoio.
Non sono una coraggiosa, sono sempre stata una caca sotto.
Allora prendo un bel respiro ed entro, dirigendomi subito nella segreteria per farmi dare il mio armadietto e gli orari delle lezioni.
La dolce segretaria dice che dovrei anche scegliere dei corsi extra.
C’è lo sport, il teatro e alcune organizzazioni che si occupano tipo del ballo scolastico e del supporto psicologico.
L’aula di teatro è talmente grande che mi affascina subito.
Ci sono alcune sedie in fila su cui alcuni degli studenti stanno assistendo a qualcosa che credo sia una prova generale.
Rimango in piedi davanti alla porta e resto a guardare, sembrano tutti ipnotizzati.
Sul palco c’è un ragazzo in ginocchio, vestito con dei jeans neri e una camicia bianca slacciata.
-Un graffio…Un graffio… Ma Dio, è quanto basta!- bofonchia a testa bassa.
-Coraggio amico, la ferita non sarà profonda.- dice una voce fuori campo.
-No, non come un pozzo, né grande come la porta di una chiesa: ma è quanto basta.- risponde, passandosi una mano sul viso. -Ma è quanto basta e basterà. Venite a cercarmi domani e mi ritroverete nella tomba.- aggiunge, con una risatina strozzata. -Sono condito a dovere, per questo mondo, ve lo assicuro.- esclama, ridendo questa volta, quasi di gusto. E’ davvero molto bravo.- La peste alle vostre due famiglie: hanno fatto di me pasto per vermi.- singhiozza, alzando lentamente la testa e guardando verso il vuoto. Gli vedo anche una lacrima scendere dall’occhio.- La peste alle vostre due famiglie!- grida, facendomi sobbalzare.
I presenti applaudono meravigliati e lui si alza da terra con un sorrisetto soddisfatto.
È un ragazzo molto bello, la sua pelle è liscia, senza alcuna imperfezione, gli occhi verdi, a tratti azzurri e una chioma ingelatinata di capelli castani scuri.
in prima fila si alza un uomo di colore, troppo grande per essere un liceale, perciò deduco che sia il professore.
-Magico Andrès, magico!- commenta.- Ma dovrai andare un po' più a rilento, o questo spettacolo si chiamerà Mercuzio e Giulietta.-
Il ragazzo ride.- D’accordo, cercherò di dare un po' di meno.-
Improvvisamente, il professore si volta verso di me.- Ciao, cercavi qualcuno?-
-Oh, no.- balbetto, arrossendo. -E’ che mi hanno detto di cercare dei corsi extra e sono venuta a dare un’occhiata.-
-Cosa c’è di meglio del teatro?- interviene Andrès, aprendo le braccia.- Qui si può essere se stessi.-
Mi rannicchio su me stessa.- Non so, non mi piace che tutti mi fissino.-
Scende dal palco e mi viene in contro.- Beh, tu vivi e respiri, giusto?-
La trovo una domanda strana.- S-Sì.-
-Il teatro è la stessa cosa: il palco è il luogo della tua vita e quello che ti guardano sono solo le persone che assistono alla tua esistenza di tutti i giorni.-
Arriccio il naso, contrariata.- Ma Romeo e Giulietta non è la mia vita.-
Mi guarda negli occhi, con un ghigno.- Davvero? Non sei mai stata innamorata? Non hai mai rischiato per qualcuno?-
Scuoto la testa, la mia vita non è così piena di avventure.
-Vedrai, succederà.- commenta, alzando le spalle.- Io sono Andrès.- continua, porgendomi la mano.
Gliela stringo.- Tatiana.-
Mi rivolge un ultimo sorriso.- Se cambi idea, sai dove trovarmi.-
***
Non sopporto gli aghi, mi fanno schifo.
Per un attimo vedo Helsinki che me ne ficca uno nel braccio e poi mi sento come se avessi fumato 20 canne.
-Questa è morfina. Abbiamo fermato sangue, ma proiettile è ancora dentro: abbiamo bisogno di un chirurgo.- afferma il serbo.
Qui non ce lo abbiamo un chirurgo e anche se fra gli ostaggi ci fosse un medico, non mi farei mai toccare da chi ha paura di me.
Con la morfina mi sento già meglio.
-No, non fa niente, sto bene.- farfuglio, cercando di rialzarmi.
Con la tuta scoperta mi si vede metà del top blu, ma non mi interessa.
-Ma che cazzo ti è venuto in mente?! Dovevi sparare per terra, ai piedi, non in pieno petto!- grida Nairobi verso Tokyo.
Credevo che Rio fosse stato ferito gravemente e invece ha solo un graffio sulla tempia.
-Hanno ferito un compagno e io ho risposto!- ribatte Tokyo.
Sappiamo tutti perché lo ha fatto, perché a Rio ci tiene.
Helsinki mi aiuta ad alzarmi e mi porta nell’ufficio del direttore.
È abbastanza lussuoso, ci sono una scrivania, un tavolo ampio e perfino un acquario con i pesci.
-La polizia ha mandato a puttane la rete wireless.- interviene Berlino, lanciando dentro l’acquario l’auricolare.
Mi fanno sedere sulla poltrona comoda, quella di uno che sta al comando, mettendomi un enorme cerotto dall’inizio del seno a dietro la spalla.
-Ce la farai, amica mia.- mi dice Berlino, piegandosi su di me e dandomi una pacca sulla guancia.- Tu sei una con la figa di ferro!-
Ridacchio e lo allontano.- Va a fanculo.-
A quel punto, il telefono fisso squilla.
Berlino risponde e poi passa la cornetta a Tokyo.
-Io non ho una relazione con nessuno! L’amore della mia vita è morto in una sparatoria e tu credi che io mi possa mettere insieme ad un ragazzino?!- spiega Tokyo, ma so che sta mentendo.
Soprattutto perché Rio sembra molto dispiaciuto nel sentire le sue parole.
-Lo sa Professore, le cose non vanno sempre come le si pianifica!- aggiunge, prima di passarmi il telefono con rabbia.
-Pronto?-
-Ehi, dimmi che stai bene, ti prego, perché sennò impazzisco.- mi dice Sergio, col fiatone.
Mi viene da sorridere.- Sono stata meglio.-
In realtà non so come faccio ad essere ancora viva.
-Che succede dall’altra parte?- domando.
-La polizia si sta già muovendo.-
Scorro con la poltrona per guardare fuori dalla finestra e, in effetti, vedo che davanti a noi ci sono decine di volanti della polizia e un tendone. -È lei? Come avevamo pianificato?-
-Sì, è lei che si occupa del caso.- risponde il professore. -Inizia la negoziazione, tu cerca di rimanere viva.-
Mi guardo intorno e giro la sedia dall’altra parte, dove non possono sentirmi.- Ripetimelo di nuovo.- sussurro, mordendomi le labbra.
Lui fa un bel respiro.- Ispettore, com’è vestita?-
Ridacchio.- E’ perfetto: buona fortuna.-

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Capitolo 5
*** Parte 4 ***


Toledo- 2 mesi all’ora zero
 
-Arturo Roman, è il direttore, ha una moglie e tre figli concepiti con la fecondazione assistita.- rispondo a Sergio, non appena mi fa vedere la sua foto.  -Un tipo abbastanza egocentrico e fifone.-
In fretta, la cambia con una donna secca, bionda, capelli ricci.
-Monica Gaztambite, sua segretaria ed amante: ha scoperto da poco di essere incinta.-
Poi, una ragazza adolescente, occhi azzurri e capelli lunghi ricci.- Allison Parker, la figlia dell’ambasciatore inglese: il nostro asso nella manica.-
Prosegue una foto di un uomo sulla cinquantina, con i capelli neri e gli occhiali.- Angel Rubio, braccio destro dell’ispettore che al 90% si occuperà del caso: è innamorato di lei e tra loro c’è stato qualcosa tempo fa.-
L’ultima foto della sessione, è di una donna quasi delle nostra stessa età, con i capelli lunghi castani e un piercing sul naso.- Raquel Murillo, l’ispettore che si occuperà della rapina: ha una figlia di nome Paula e una madre che soffre di Alzheimer. Inoltre, ha denunciato il suo ex marito per molestie che adesso sta con sua sorella.-
-Molto bene.- commenta lui, mettendo in pila le foto.
Sulla scrivania che c’è nell’aula, noto uno dei suoi origami rossi.- Non ci credo che fai ancora questi cosi.-
-Mi aiutano a pensare e mi rilassano.- dice lui, alzando le spalle.
Siamo soli in quella stanza e sento una certa tensione.
Sergio è cambiato da quando eravamo adolescenti.
È sempre timido, balbetta ogni tanto, ma c’è qualcosa in lui che mi attrae più di prima.
Sarà l’aria misteriosa e da ladro professionista, o la montatua degli occhiali che gli fa quegli occhi scuri ancora più grandi, o l’accenno di barba che lo rende sexy.
E continua a vestirsi in smoking come se, ogni giorno, lo invitassimo ad un gala.
-Mi insegni?- gli domando sorridendo.
Lui mi guarda arrossendo.- Certo.-
Prende due foglietti rossi e me ne passa uno, iniziando a piegarlo lentamente, come se le sue dita si stessero muovendo su un piano forte.
Ogni tanto si ferma a guardare se riesco a stargli dietro: è sempre stato molto dolce con me.
Il problema è che io non me ne sono mai accorta.
Andrès tendeva ad essere al centro della nostra banda.
Ora come ora sembro una ragazzina che si è presa una cotta per il suo professore di latino.
Come ho fatto a non notarlo prima?
Forse perché stavo sempre dietro a quel tipo che mi lasciava margherite davanti alla porta.
Che, d’altronde, non ho mai capito chi fosse.
Lui ha completato l’origami, mentre io mi sono persa al terzo passaggio.
-Scusa, mi sono distratta.- gli dico, arricciando il naso.
-Non fa niente, puoi tenerlo.- mi dice, passandomi il suo completo.
-Non ci vediamo dal matrimonio di Andrès, cosa hai fatto in questi anni?- gli chiedo, poggiandomi con i gomiti sul tavolo.
-Studiato questo piano, più che altro.-
Ripensare al perché lo fa mi scalda il cuore ancora di più.
-E’ bello che tu lo faccia per lui.- aggiungo, mettendogli le mani sulle sue.
Lui le ritira lentamente.- Era il suo ultimo desiderio.-
Non so perché le abbia ritirate, forse perché non vuole infrangere le sue regole o semplicemente non gli piaccio.
-Lo hai studiato molto bene, credo proprio che ci riusciremo.-
Sergio si aggiusta gli occhiali sul naso.- Io non lo credo, io lo so.-
***
10 ore dal colpo
 
Mi sento come se non fosse successo niente e riesco a muovermi benissimo, anche se Helsinki vuole occuparsi di me e mi costringe a mettere una fasciatura che mi regga il braccio.
Sono le sei di pomeriggio e ho fame.
C’è Berlino che controlla Rio come se stesse accarezzando il pulcino appena nato dal suo nido.
Sto morendo di fame e vedo che Arturo, nel suo ufficio, ha perfino una macchinetta.
C’è fin troppo silenzio, è irritante, ma dobbiamo aspettare che il Professore ci dica cosa fare.
Mi alzo, prendo il mio fucile e spacco il vetro con un gesto secco, prendendo una bottiglietta d’acqua e un pacchetto di patatine.
-Sai, avrei fatto la stessa cosa. Insomma, me la sarei fatta anche io.- commenta Berlino, con un sorrisetto malizioso.
Rio serra i denti e lo afferra per la tuta.- Guarda che io con lei ho intenzioni molto serie!- afferma: lo sta ammettendo davvero, hanno una storia.
-Senti ragazzo, le donne ti garantiscono il sesso perché sono programmate per irretirti e farsi fecondare. Poi non esisti più e lo capisci durante il parto.- continua Berlino, mentre mi metto in bocca un gruppo di patatine.
-Il parto è la cosa più emozionante nella vita di un padre.- aggiunge Rio.
-Durante il parto, dalle sue gambe esce la testata nucleare che distrugge ogni cosa. Per prima cosa la caverna meravigliosa dove metti l’uccello non riavrà amai la sua forma. E mentre maledice il tuo nome e chiede l’epidurale e tu la vedi cacare…Capisci cosa voglio dire con questo?-
-Cristo santo Berlino, sto mangiando!- esclamo, sull’orlo di vomitare tutto.
Io non credo che avrò mai figli, soprattutto perché adesso mi sto immaginando tutto quello che ha detto.
-Quello che voglio dire è che non sarà mai una donna sexy. E che da allora quell’animaletto diventerà il centro dell’universo. Sono tutte così. Te lo dico io che ho avuto 5 divorzi. E sai cosa ha significato per me?- continua, questa volta alzando lo sguardo su di me.- 5 volte in cui ho creduto nell’amore.-
Sono andata solo ad uno dei suoi matrimoni, ma non credo che con quell’ultima frase si sia riferito ad una delle sue mogli.
In quel momento inizio a sentirmi a disagio e i sensi di colpa di 5 anni prima mi tornano tutti a galla.
Non è colpa mia, Andrès.
Semplicemente non me lo aspettavo.
 
Firenze- 5 anni all’ora zero
 
Non ci posso credere che Andrès abbia scelto Firenze per sposarsi una quarta volta.
Anzi, forse è più sconvolgente che si sia sposato quattro volte.
Io sto assistendo solo a questo, perché sono due volte che finisco dentro per essere stata beccata a rubare qualcosa.
Infatti, i due fratelli mi vedono ogni 4 o 5 anni: sono contenta però di averli visti crescere, sono degli uomini adesso.
Oggi Sergio ha uno sguardo un po' sconsolato: sono quasi convinta che non sia d’accordo su questo matrimonio.
È come se abbia ricevuto una bruttissima notizia e non riesca ad essere felice.
La cerimonia si svolge all’interno del giardino di un monastero, siamo in pochissimi, gli amici più stretti.
C’è Sergio, Martìn, uno dei migliori amici di Andrès, palesemente gay fino al midollo.
Poi altri due uomini della quale non so il nome.
C’è un tipo alto, secco e con dei grandi baffoni.
E un altro un po' cicciottello, con l’aspetto un po' malandato, ma gli occhi dolci.
-Mi dispiace di non esser venuta agli altri tre.- commento, aiutando Andrès con il suo papillon: il suo vestito è interamente bianco.
Io non ho avuto molto tempo per pensare a cosa mettere, quindi ho semplicemente improvvisato un vestitino allegro con dei fiori.
Anche se forse è troppo corto per trovarsi in un monastero.
Lui mi fissa negli occhi come se non gli importasse cosa stia dicendo.- Sei bellissima.-
Il tono in cui me lo dice è molto caldo, non pare prendermi in giro.
Ho i capelli talmente crespi che sembro già alla fine dei festeggiamenti.
-Grazie, tu sei un figurino.- rispondo sorridendo.- Sei nervoso?-
Lui alza le sopracciglia.- Io? Nervoso? Allora non mi conosci per niente!-
Mi fa ridere.- Questo è un matrimonio, non una rapina, è normale essere nervosi.- aggiungo.- Ci vediamo dopo.-
-A-Aspetta, aspetta.- balbetta, prendendomi il polso prima che me ne vada.- Tati, io…-
Noto che è strano.- Tutto bene?-
Mi guarda negli occhi.- Cosa significa?-
Non capisco.- Cosa?-
-Cosa significa tutto quello che abbiamo fatto insieme, io e te? Le rapine, la scuola, il fatto che non ci perdiamo mai di vista, tutti questi anni…-
Mi batte fortissimo il cuore.- Andrès, che stai dicendo?-
Mi stringe le mani come non ha mai fatto.- Tatiana, se mi dici di sì, adesso, qui, non me ne frega un cazzo di quello che c’è là fuori, ok? Possiamo andarcene via, io e te, avere una bella vita, lo sai che ho un mucchio di diamanti che ho preso a Parigi e…-
Sono così confusa, si sta dichiarando?
Non so davvero cosa dire.
-Andrès, Andrès, aspetta un momento. I-Io…-
-No, davvero, voglio darti la vita che meriti, è questo che si dovrebbe garantire alla persona che si ama, no?-
Eccola là, la parola grande.
Santo cielo, io gli voglio così bene, è come un fratello per me.
Ma la mia vita è così movimentata che non credo di potermi permettere una relazione.
Tutti i miei sogni si sono già spezzati quando ero una ragazzina, adesso non so se posso tornare a credere in qualcosa come l’amore.
Vede che non gli sto rispondendo e abbassa lo sguardo.- Scusa, scusa sono un cretino.-
Capisce da solo che non provo la stessa cosa.
-N-no Andrès, è che…mi dispiace.- bofonchio, sento che gli sto spezzando il cuore.
Si bagna le labbra e scuote appena la testa.- Non fa niente.- sussurra, baciandomi dolcemente la fronte. -Ti voglio bene.-
Mi sento gli occhi lucidi.- Ti voglio bene anche io Andrès.-
Mi viene voglia di abbracciarlo, ma mi vergogno talmente tanto che non lo faccio e mi avvio fuori, pulendomi il viso.
Il giardino è abbellito con tanti fiori e alcune sedie messe in fila.
Dietro di noi c’è una tavola rotonda apparecchiata e davanti un prete che sta sposando Andrès con una bellissima donna bionda di nome Laura.
Sono talmente sovrappensiero che mi sono persa la prima parte della cerimonia e vedo che i due sposi ci fissano, dopo la fatidica frase Parlate ora o tacete per sempre.
Credo che in un piccolo angolo della mente di Andrès, si aspettava che io mi sarei alzata in piedi in quel preciso momento.
Non riesco nemmeno a guardarlo.
-Te lo ha detto, vero?- sussurra Sergio, accanto a me.
Deduco che allora lui ne fosse a conoscenza.- Tu lo sapevi?- bofonchio tremando.
-Me lo ha detto solo recentemente.- risponde, abbassando lo sguardo.
Abbiamo entrambi delle facce da funerale, invece che da matrimonio.
Però devo far un bel respiro ed essere contenta per lui.
È sempre il mio migliore amico, nonostante tutto.

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Capitolo 6
*** Parte 5 ***


Toledo- 2 mesi all’ora zero
 
-Se questa cosa dovesse andare…- esordisce Denver, accendendosi una sigaretta. -Mi compro un’isola.-
-Oh sì, anche io.- aggiunge Tokyo, riempiendosi il bicchiere di tequila.
-Facciamo 3.- dice anche Rio, con un sorrisetto.
-Un arcipelago!- commenta Nairobi.- Beh, ma suppongo che prima dobbiamo sistemare le nostre cose no? O almeno io devo farlo.-
-Un bellissimo vigneto dove produrre del ottimo vino.- dice Berlino, preferendo il vino rosso alla tequila.
-E perché non ti compri delle bottiglie di vino e basta?- gli domanda Rio.
-Per l’arte.-
Ridacchio.- Oh certo, vuoi mettere uno che ti dice Hey baby, vieni sulla mia isola? Ad uno che ti dice Tesoro, metti la boccuccia sulla mia botte di vino?- intervengo, facendo scoppiare a ridere tutti.
-E tu che vorresti fare?- mi chiede Tokyo.
In realtà, i desideri di tutti quelli che ho intorno non coincidono esattamente con i miei.
-Voglio aprire un centro anti-stupro con il mio nome.-
La mia risposta li fa rimanere tutti senza fiato, tranne Sergio e Andrès, che sanno il perché.
Nairobi, accanto a me, assume uno sguardo di pena: probabilmente sta pensando che io sia stata stuprata.
Forse è meglio sciogliere questa tensione.- Non fraintendetemi, anche io voglio andare a vivere da qualche parte, col sole, il mare e la sabbia, magari le Hawaii.-
Con la mia parte di soldi potrei anche comprarmele le Hawaii.
La cena prosegue con Mosca che mette su una canzone sul giradischi: è dalla morte del padre di Andrès e Sergio che non ne vedo uno.
Lui e suo figlio si mettono a ballare e torna di nuovo l’allegria.
Mi accorgo solo ora che siamo davvero un branco di spostati, persone alla quale la vita ha tolto e basta.
Per questo ci meritiamo quei soldi.
Per questo dobbiamo farlo.
Noi non siamo cattivi.
È il tramonto quando vedo Sergio sul terrazzo: la vista da sugli ettari di alberi ed è bellissimo.
I miei sentimenti per lui iniziano a diventare più forti ogni volta che gli vado vicino, come se lui non fosse più il ragazzo con cui sono cresciuta, ma una persona completamente diversa che ho conosciuto nell’attimo dopo che sono uscita di prigione.
Non so spiegare l’effetto che mi fa quando lo vedo spiegare in aula, mi irrigidisce il corpo.
Mi avvicino a lui, poggiandomi silenziosamente alla ringhiera: magari sto per interrompere un pensiero profondo.
Si volta verso di me e mi fa un mezzo sorriso.- Ciao.-
-Ciao.- rispondo, arrossendo. -Non ci hai detto cosa farai con il bottino, una volta che il colpo sarà riuscito.-
Prende un bel respiro.- Farmi una famiglia, probabilmente. Fare la bella vita, non lavorare mai…Trovare il coraggio di dire ad una donna che la amo fin dal primo momento che l’ho vista.-
Quest’ultima frase mi sorprende molto, non credevo che Sergio fosse impegnato.
Credo di esser arrivata troppo tardi e dal suo sguardo capisco che quella donna deve avergli davvero rubato il cuore.
-Il problema è che non so se lei ricambi.- aggiunge, con un sorriso timido.
-E’ impossibile che non ricambi.- affermo seriamente, guardandolo negli occhi.
Mi sorride e mi dà una pacca sulla testa come si fa alle sorelle.
Altro che cotta, qui credo proprio di esser entrata nel tunnel oscuro della zona amicizia per sempre.
-Posso chiederti perché io per gestire gli ostaggi?-
Sembra che abbia la risposta pronta.- Beh, sei molto empatica, hai un viso dolce, al contrario di tutti gli altri della banda e dobbiamo fargli capire che sono al sicuro. Ma, allo stesso tempo, ti ho visto con una pistola in mano e se c’è bisogno di prendere una decisione, tu la prendi e basta.-
Mi lusinga che pensi questo di me.- Wow, però intendevo secondo Sergio e non secondo il Professore.- specifico, togliendogli gli occhiali. -Secondo Nairobi sei come Superman e Clark Kent.-
-Allora, secondo Sergio…E’ perché mi fido di te.- afferma, guardandomi negli occhi.
È così strano.
Non so chi sia quest’uomo e non so perché mi piaccia così tanto.
Sarà il fascino del rapinatore o del genio?
È uno di quei momenti in mi vorrei gettare tra le sue braccia e baciarlo.
Ma che mi prende?
 
12 ore dal colpo
 
Rio è quello incaricato di occuparsi di Allison: lei starà lontano dagli altri ostaggi, è troppo preziosa.
Personalmente non avrei dato questo compito a lui, è così giovane e debole di testa: soprattutto dopo che è stato quasi ucciso.
Ma se il Professore si fida di lui, devo farlo anche io.
Si è fatta sera e la polizia non ha ancora tentato di entrare con la forza: il piano della finta rapina andata male deve aver funzionato o forse è il Professore che se la sta cavando bene con l’ispettore.
L’unica cosa che si sente da fuori sono le volanti e qualche aereo che ci vola sopra ogni tanto.
Ma prima o poi entreranno, oh sì che entreranno e noi staremo qui ad aspettarli.
È arrivata l’ora di far cambiare gli ostaggi, di fargli togliere quella mascherina ed indossare la nostra stessa tuta.
Inoltre, io e Denver consegniamo delle armi finte.
-Mi scusi signora.- interviene Arturo.
Mi viene subito da guardarlo male.- Signora? Quanti anni credi che abbia?-
-S-Signorina, mi perdoni, ma fra di noi ci sono persone malate di cuore, donne incinte…Non credo che sopporterebbero tutto questo.-
In effetti non ha tutti i torti e so che si sta riferendo anche alla sua amante.
Quell’uomo è talmente buffo, ma mi fa arrabbiare pensare che abbia tradito sua moglie.
Perciò ho deciso di giocare un po' con lui.
-D’accordo: Helsinki, perché non porti tutti quelli che credono di non farcela in uno degli uffici?-
L’omone mi annuisce e riunisce il gruppo, compresa Monica.
-Tu resterai qui, vero, Arturito? Perché tu sei un uomo coraggioso.- gli chiedo, estraendo l’arma finta che sarebbe stata diretta a lui.
Lui deglutisce nervosamente.- Sì signora, ehm, signorina.- balbetta, facendomi sorridere.
Gli porgo la pistola.- Allora prendila Arturito e sparami pure.-
Sgrana gli occhi sconvolto e la mano tremante.- C-Come scusi? N-non potrei mai spararle.-
Aggrotto le sopracciglia.- Perché? Solo perché sono una donna?-
-Beh, sì…-
-Allora spara a Denver.- sospiro, mettendogli un braccio intorno al collo.- Credo di averlo visto squadrare la tua segretaria prima, sai? Secondo me le piace.- gli sussurro, cercando una reazione in lui.
Prende la pistola e, indeciso, la alza verso Denver.
-Andiamo Arturito!- esclamo.
-Per favore, no…- piagnucola.
-Ha guardato la tua donna! L’ha guardata! L’ho visto con i miei stessi occhi!-
All’improvviso, il direttore si fa serio e a denti stretti preme il grilletto più volte, ma non esce alcun proiettile.
Denver ed io scoppiamo a ridere.
-Sei grande Arturito!- commento, dandogli una pacca sulla spalla. -Purtroppo la pistola è finta, ma la puoi tenere.-
In realtà non lo stavo solo prendendo in giro: questo suo gesto mi fa capire che lo dobbiamo tenere d’occhio.
Io e Sergio abbiamo previsto che prima o poi, qualcuno degli ostaggi si ribellerà e credo che Arturo sarà il primo.
***
Il Professore aveva premeditato che prima o poi la polizia avrebbe fatto irruzione.
Certo, lo avrei capito anche io, ma quello a cui aveva pensato lui, di certo non mi sarebbe mai venuto in mente.
Mentre Berlino spiega agli ostaggi cosa devono fare, io mi dirigo nell’ufficio dove Helsinki ha portato un gruppo di donne.
Una di loro è molto incinta, credo che sia al sesto o settimo mese, perciò decido di portarle qualcosa da mangiare dalla macchinetta che ho rotto.
Poi, mi siedo vicino a Monica. -Come ti senti?-
Stranamente, lei mi guarda in viso come fossi una persona normale.- Sto bene, ho solo un po' di sete.-
Le faccio un cenno verso la pancia.- E il pargoletto?-
Aggrotta le sopracciglia.- Tu come lo sai?-
-Ah, perché io so tutto di voi, vi ho studiato e so che sei l’amante del tuo capo. Non è contento del regalino?-
Abbassa la testa e la scuote.
Me lo aspettavo.
È anche un miracolo, dato che a quanto so, Arturo è sterile.
-E cosa intendi fare?- le domando.
-Voglio abortire.-
È una decisione molto brutta, ma spetta a lei prenderla.
A quel punto, sento il telefono squillare dalla stanza accanto e mi alzo per andare a vedere.
Berlino ha la cornetta all’orecchio.- Ci muoviamo.- afferma.
Capisco che il momento di attuare la prossima fase e grido a tutti gli ostaggi nella sala principale di mettersi le maschere di Dalì: la polizia sta cercando di entrare.
Nello stesso momento in cui io, Denver, Tokyo, Berlino e i due serbi ci avviamo al garage delle cartine, esattamente da dove siamo entrati, Rio costringe l’agnellino ad usare il proprio telefono e a contattare la tenda di comando che è di fuori.
L’agnellino sta per Allison Parker, il nostro asso nella manica, la figlia dell’ambasciatore inglese.
Se solo suo padre sapesse che la bambina stesse facendo una bell’altalena nel bagno della Zecca di stato.
Il Professore ci aveva detto che sarebbero entrati dal garage.
Anzi, non entrati, proprio perché c’era anche Allison, non avrebbero mai potuto usare le armi.
Ma noi sì.
Una bellissima mitragliatrice da terra.
Mi eccito solo a vederla.
-Ciao amore mio.- le  dico, accarezzandola con dolcezza.
Inoltre, tu su ogni uscita, avremmo messo dell’esplosivo al plastico.
-Parlo direttamente dall’interno della Zecca di stato, sono Allison Parker, una degli ostaggi, ci hanno fatto vestire e mettere le maschere come loro. Non sappiamo chi è chi.- balbetta Allison.
Vediamo tutti che qualcuno sta facendo un buco nel muro per controllare all’interno con una videocamera e quello che vede siamo noi, o meglio, ha una bella visuale su di me e la mitragliatrice.
Ma non sapendo chi colpire, dato che siamo vestiti tutti uguali, la polizia rinuncia ad entrare.
Abbiamo vinto la nostra prima battaglia, senza feriti, armi e con il buon senso.
E, aggiungo, la genialità del professore.
Se raccontassi agli altri qual è stata la sua prima rapina, scoppierebbero a ridere.
Ora, finalmente, arriva la parte che tutti stavamo aspettando.
Il vero motivo per cui siamo entrati alla Zecca di stato: i soldi.
Ma noi non ruberemo niente a nessuno, li produrremmo.
Al piano di sopra ci sono delle enormi macchine che stampano soldi.
Io, Tokyo e Nairobi portiamo con noi quelli che sappiamo lavorarci ogni giorno, tra cui il signor Torres, che ne è a capo.
Un signorotto quattrocchi e la barba bianca che starà appiccicato a Nairobi per tutto il tempo, dato che sarà lei a controllare la qualità delle banconote.
-I turni saranno di 24 ore, con pause alterne, voglio sentire il rumore di queste stupende macchine! Ogni 6 ore si farà il controllo della carta e dell’inchiostro, avete sentito?!- grida Nairobi, come fosse in una fabbrica.- E mi raccomando, sorriso, animo, voglio vedervi in azione!-
Io e Tokyo continuiamo a fissare quell’enorme stanza bianca e mi viene quasi da piangere.
Saltelliamo come tre ragazze che hanno appena visto il loro idolo.
2 miliardi di euro, o anche di più, dipende da quanto riusciamo a resistere.

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Capitolo 7
*** Parte 6 ***


Madrid- 23 anni prima
 
Il mio latte e cereali trema quando la porta di casa si chiude con un tonfo.
Sento i suoi piedi pesanti camminare verso la cucina e so già di chi sono.
Non guardarlo negli occhi, mi ripeto sempre.
Non guardarlo negli occhi.
-Buongiorno Juàn, qualche novità?- gli chiede mia madre.
-Al solito, qualche furtarello, saranno stati sicuramente dei ragazzini.- risponde lui, sedendosi davanti a me.
-Tesoro, perché non saluti lo zio?- continua mia madre, dandomi una pacca sulla testa.
Alzo lo sguardo, ma solo per vedere il suo distintivo che luccica.- Buongiorno zio.-
La ciccia nascosta sotto la camicia blu e la sua barba incolta mi mettono ribrezzo, mangia più lui che una stalla piena di maiali.
-Ragazzini, dici?-
-Sì, la gioielleria qui dietro l’angolo: hanno rubato solo un paio di cose, non gli interessavano i gioielli o l’incasso.- spiega lo zio.
Hanno rapinato il mio negozio preferito.
Ah, se solo lo avessi saputo, avrei partecipato.
Ma che diamine sto pensando?
Sono una ragazza per bene.
Finisco la mia ciotola e prendo lo zaino in spalla, voglio andarmene via il più veloce possibile.
-Ciao, ci vediamo dopo.- dico, dirigendomi verso la porta.
Inevitabilmente, come ogni mattina, sul pianerottolo di legno c’è una margherita.
Questa è l’unica cosa che mi fa sorridere in quel momento.
È sempre ben conservata, con lo stelo lungo e profumata.
Non le butto mai via, le sto raccogliendo tutte in un vaso che ho sulla mia scrivania.
Faccio una corsa di sopra per riporla, prima che arrivi l’autobus per la scuola.
Quando arriva alla mia strada è quasi solitamente pieno, ma stamattina riesco a trovare un posto in penultima fila.
Dolores Cerdito è sempre in ultima fila con le sue amiche.
Ho scoperto da poco che Cerdito in spagnolo significa maialino e, in effetti, ha proprio l’aria di un porcello che sta per scoppiare.
La sento masticare la gomma rumorosamente dietro il mio orecchio.- Ehi Loreto, nel tuo paese ci sono le zoccole?-
Alzo gli occhi al cielo.- Certo che esistono, sono ovunque Dolores.-
Allunga la gomma dai suoi denti fino al mio viso.
Sto per vomitare.
Puzza come spazzatura lasciata al sole per un mese.
-Tu devi saperlo per forza, eh?-
Mi sta davvero dando della troia?
Lei che ci prova spudoratamente con Andrès da più in un anno.
Ma io non le do corda. -Sei davvero n’ciocco de legno, Dolores.-
Aggrotta le sopracciglia perché non sa cosa vuol dire: sostanzialmente le ho dato della stupida.
-Come scusa?!- esclama, salendo con i piedi sul sedile.
Credo che mi stia per picchiare.
-Ehi Dolores.-
La ragazza si rimette la gomma in bocca e sorride, arrossendo.- Ciao Andrès.-
Non mi sono nemmeno accorta che ci siamo fermati davanti a casa loro.
-Per caso sei riuscita a fare i compiti di matematica? Io ho trovato qualche problema.- continua Andrès.
Dolore sgrana gli occhi.- Compiti di matematica? I-Io non sapevo ci fossero!-
Allora inizia a sbraitare con le sue amiche goffamente, mentre Andrès si siede vicino a me.
-Ma non c’erano compiti di matematica.- gli sussurro.
Lui fa un ghigno divertito.- Lo so.-
Rido silenziosamente e mi guardo intorno, capendo che il bus è ripartito.- Dov’è Sergio?-
Alza le spalle.- Che ne so, è sgattaiolato via presto stamattina e non l’ho più visto.-
Ad un certo punto, sento qualcuno gridare dietro di noi e mi accorgo che è Sergio che sta rincorrendo l’autobus.
Tutti scoppiano a ridere e l’autista non si ferma.
-Ehi! Avanti! Si fermi! Ma è impazzito?!- grido verso l’autista.
Sento perfino Andrès prendersi gioco di lui e gli do una pacca forte.
-Ahi! Dai, è divertente!-
Sergio entra barcollando e con gli occhiali storti.
-Stai bene?- gli chiedo, facendogli spazio sul sedile.
-Sì, ho fatto tardi, scusate.- bofonchia col fiatone.
Quando scendiamo dal bus, Dolores mi fa scoppiare un palloncino nell’orecchio e io le faccio il dito medio, la odio da morire.
Però, prima di entrare nell’edificio, Andrès e Sergio mi spingono verso il campo da basket.
-Che fate? Faremo tardi alla prima ora!- gli dico, confusa.
-Non fa niente, è un’occasione speciale.- afferma Andrès, tirando fuori dallo zaino una scatolina che mi porge.
-Ma non è il mio compleanno…-
-Aprilo e basta!- esclama Sergio, strepitante.
Quello che c’è all’interno mi fa fermare il cuore.
Sono gli orecchini che guardo da settimane attraverso la vetrina della gioielleria.
-Ma come…Vi ha dato di volta il cervello?! Costano un botto!-
Andrès storce la bocca verso il fratello.- Che vuol dire un botto?- sussurra.
-Non lo so, forse che le piacciono…-
-Certo che mi piacciono! Come li avete pagati?-
Andrès ridacchia.- E chi ti ha detto che li abbiamo pagati?-
Tutto d’un tratto collego mio zio che mi dice della rapina alla gioielleria dietro l’angolo e che forse sono stati due ragazzi.- Li avete rubati?!-
-Sì!- annuiscono all’unisono, entusiasti.
-Oh Santo Cielo!-
Io li vedo già dietro le sbarre, mentre loro se la ridono allegramente.
-Come avete fatto?!-
-E’ stato un gioco da ragazzi, Sergio li ha distratti e io li ho presi.- spiega Andrès.
-Ma ci sono i metal detector all’uscita.- puntualizzo.
Sergio mi indica la cintura del fratello.- Puro acciaio, li ha mandati in tilt.-
Non ci posso credere che abbiano fatto una cosa del genere per me.
Osservo anche che Andrès indossa un nuovo anello d’argento da uomo sul mignolo.- E quello?- domando, alzando un sopracciglio.
Lui si gratta la guancia, facendo spallucce.- Mi sono preso un piccolo sfizio.-
Continuo a guardare quegli orecchini e sono quasi commossa.
-Oh ragazzi, vi voglio bene.-
Li stringo a me come se fossero la cosa più preziosa che ho.
Ed è davvero così.
***
Inizio a vedere un po' sfocato, anche se sono riuscita a dormire qualche ora, nel mio momento di pausa.
La spalla mi prude e mi fa male, ma non voglio sprecare le scorte di morfina.
Però, ora che Nairobi si è presa la sua squadra per azionare le macchine, mi devo occupare del gruppo per Mosca.
Devo radunare persone che vadano nei sotterranei a scavare il tunnel con la quale usciremo da qui.
Gli ostaggi hanno dormito dentro un sacco a pelo e per ora possiamo dargli solo una bottiglia d’acqua.
-Buongiorno gente, allora…E’ ora di metterci un po' al lavoro, così avrete qualcosa da fare e non vi annoierete.- esordisco, strofinandomi le mani.- Questa spalla fa un male del cazzo, ma non preoccupatevi, mi prenderò cura di voi.-
Nello stesso momento, Allison alza la mano e le do la parola.- Potrei parlare in privato, per favore?- mi domanda, a sguardo basso.
Capisco che è triste e che c’è qualcosa che non va.
Annuisco e le faccio cenno di raggiungermi in un angolo della stanza.
-Ho bisogno di andare su internet.-
-Mi dispiace tesoro, non è possibile…-
Mi stringe la tuta.- La prego, c-c’è una mia foto…Sono stata ingannata. Ha presente quando mi ha trovato nel bagno con quel ragazzo? Lui mi ha fotografato il seno e lo ha messo su Instagram, per favore…Se i miei genitori lo vedessero.-
È l’infamata più grande che abbia mai ascoltato.
Mi ricordo di quel ragazzo: alzo lo sguardo su di lui, è tranquillo, quasi soddisfatto.
Se potessi lo prenderei a sberle.
-D’accordo, facciamo così: potrai fare un video da mandare ai tuoi genitori.- le dico per rassicurarla.- Tutti voi potrete fare un video da mandare ai vostri cari!- grido, sentendo poi una signora che piagnucola in mezzo alla fila, credo che stia per impazzire.- Si senterebbe meglio se le dessimo degli ansiolitici?-
La donna piagnucola e fa cenno di sì.
-Qualcun altro di voi ha bisogno di farmaci?-
Una signora alza la mano.- Io, sono diabetica.-
Anche la ragazza dagli occhi verdi, Ariadna.- Anche io avrei bisogno di ansiolitici.-
A quel punto, mi si avvicina Denver.- Di sopra Monica chiede una pillola abortiva.-
Quindi vuole farlo sul serio e, giustamente, né lei, né noi sappiamo con esattezza quanto tempo staremo lì dentro.
-Va bene, vi garantisco che non appena possibile potrete avere i vostri medicinali.- affermo, dirigendomi verso il ragazzo che ho visto con Allison.- Come ti chiami?-
-Pablo, signorina.-
Gli tasto le braccia e noto che sono abbastanza muscolose.- Mmh, niente male.-
-Sono il capitano della squadra di atletica.-
Sorrido divertita.- Wow…Allora tu sarai il primo del mio gruppo, un passo avanti.-
Do un’occhiata a tutti gli uomini che vedo di bella stazza e gli faccio fare un passo avanti, dirigendomi anche su Arturo.
-Arturito, amico mio, sei bravo con il fai da te?-
Lui alza le spalle.- Non ho mai preso un martello in vita mia.-
Ha un po' di calli sulle mani, perciò non ci credo per niente.
Gli metto una mano sulla spalla.- Ascolta Arturo, noi siamo amici, vero? Io e te?-
Arrossisce timidamente.- S-Sì.-
-E gli amici non si dicono le bugie, giusto?-
Osservo subito che non riesce a staccarmi gli occhi dal seno.
Gli schiocco le dita davanti.- Arturito, i miei occhi sono più in alto!-
-S-Sì, mi scusi.- balbetta, iniziando a sudare.
-Gli amici non si mentono a vicenda, anche perché io ho un piccolo segreto, sai? Ho una specie di occhio della verità, vedi?- continuo, mostrandogli il mirino tondo della pistola.
Deglutisce e si innervosisce come volevo.
-Perciò, Arturito, te la cavi col fai da te?-
-P-Posso fare qualcosa, sì.-
Ci siamo capiti. -Molto bene!-
Mosca ci raggiunge.
-Questo è il mio amico Mosca, mi raccomando, fate tutto ciò che vi dice.- affermo.- Altrimenti si mette a cantare e credetemi, non volete sentirlo.- aggiungo, facendogli un occhiolino.
Cerco di essere il più empatica e simpatica possibile, come mi ha detto il Professore.
Solo che è difficile con queste fitte alla spalla.
-Devi farti fare un’altra iniezione.- mi sussurra Denver.
-No, sto bene.-
-Hai un cazzo di proiettile che ti viaggia per la spalla, non stai bene.- borbotta.- Avanti, va!-
Assottiglio gli occhi per scrutarlo.- Lo sai, vero, che anche se ti preoccupi per me in questo modo, non ci vengo lo stesso a letto con te?-
Fa una delle sue risatine.- Mai dire mai!-
Alzo gli occhi al cielo e ritorno nell’ufficio dove c’è la cassetta del pronto soccorso.
In quell’istante, suona il telefono.
-Qui parla la segretaria del signor Berlino, mi dica pure.- rispondo, accasciandomi sulla poltrona.
Lo sento fare una mezza risata.- Come ti senti?-
-Fa un male del cazzo: ma poi penso a quel periodo del mese e so che c’è di peggio.- rispondo, arrotolando il filo della cornetta.
-Da quanto non prendi la morfina?-
-6, 7 ore. Non vorrei sprecare le risorse, sai, semmai qualcosa si mettesse male.-
-Io sono qui fuori proprio per impedire che le cose si mettano male.-
-A proposito, come va con l’ispettore? Ti ha già chiesto di uscire?-
-No Tati, sono io che dovrò chiederle di uscire e poi ci siamo appena incontrati…Non sospetta nulla.-
Trovo una bottiglia d’acqua sul tavolo e prendo un sorso.- Non dirmi che non ci hai fatto un pensierino.-
-No Tatiana, non potrà mai succedere.- esclama, con tono duro.
-D’accordo Professore, come vuole.- gli dico ridacchiando.
-Prendi la morfina Tatiana, ci sentiamo tra qualche ora.- ripete.
-Va bene Professore, non ti innamorare.-
-Promesso.-
Sorrido e attacco la cornetta, nello stesso momento in cui Rio entra con Allison.
-Tesoro, ho bisogno di un’altra iniezione, tu sei il migliore.- gli dico, slacciandomi la tuta.
Fa un ghigno malizioso.- Devo farle da infermiere, signorina?-
-La prego, lei è l’unico per cui ne vale la pena.-
Apre una nuova siringa e aspira la morfina dal contenitore.
Storco la bocca quando vedo l’ago.- Che schifo.-
-Prova a guardare me.- mi sussurra Rio, facendomi alzare gli occhi su di lui.
È così dolce e piccolo, sembra un pulcino venuto fuori dall’uovo.
E poi i suoi ricci mi ricordano tanto Sergio quando era giovane, il primo giorno che l’ho incontrato.
 
Madrid- 25 anni prima
 
Sono da due settimane in questa scuola e credo che tutti mi prendano in giro per il mio accento straniero.
Ma non sono l’unica persona strana dentro questa scuola.
Come in qualsiasi liceo, c’è una specie di anarchia: il gruppetto di bulli che gira con i giacconi di pelle, i normali sempre in gruppo, come Andrès, e i secchioni che se ne stanno sempre per conto loro, come il ragazzo con la quale mi hanno messo in coppia per il progetto di scienze.
Un tipo ricciolino e con la montatura degli occhiali enormi.
Lo incontro giusto per il corridoio, alla fine delle lezioni, quando un ragazzo alto e muscolo lo spinge violentemente verso gli armadietti.
-Togliti dalla mia strada, caccoletta!-
Non posso credere che la gente possa essere così perfida.
Lo aiuto a rialzarsi e noto che ha un graffio sulla guancia.- Stai bene?-
-Sì, Miguel è un coglione.- borbotta, aggiustandosi gli occhiali. -Scusa, non mi sono presentato a lezione, mi chiamo Sergio, tu sei quella nuova, giusto?-
Alzo le spalle.- Sì, ancora per un po' questo starà il mio appellativo, ma mi chiamo Tatiana.- gli dico, stringendogli la mano.
Spero che sia in grado di costruire un modellino di pianeti, perché io non ho idea da dove cominciare.
-Dove abiti?-
Oh no, non possiamo farlo a casa mia: se mio zio mi vedesse in camera con un ragazzo darebbe di matto.
-A Calle de Fuencarral, ma per favore, possiamo fare a casa tua? La mia è ancora un disastro, sai, con gli scatoloni del trasloco e il resto…- mi invento, cercando di essere credibile.
-Certo, non c’è problema, ci vediamo oggi pomeriggio alle 5?-
Sembra un ragazzo normale, il primo che incontro in questa scuola.
Il suo sguardo, la sua voce sono impercettibili da interpretare.
-Va benissimo, ci vediamo!-
È talmente chiuso che non credo si sia mai aperto con qualcuno.
Solo quando mi sorpassa vedo che è vestito quasi elegante, con dei mocassini.
È carino, ma non mi sorprende che allora lo prendano in giro.
Tuttavia, noto di nuovo quel brutto ragazzo attraversare di nuovo il corridoio e, senza farmi vedere, gli faccio lo sgambetto.
Cade con tutto il suo enorme peso sul pavimento e tutti scoppiano a ridere, anche Sergio.
Credo che abbia visto quello che ho fatto perché mi sorride amichevolmente.
Dopotutto, se lo meritava.
***
La sua camera è il doppio della mia e sua madre sembra gentile, anche se mi sono chiesta da subito dove fosse suo padre.
Ci sono due letti e le pareti sono divise in due da poster molto diversi, perciò deduco che abbia un fratello o una sorella.
C’è un silenzio molto imbarazzante.
-Ehm, ti va una gomma?- mi domanda, arrossendo.
Gli sorrido per fargli capire che non mordo, probabilmente sono la prima ragazza che entra in camera sua.
-Certo, grazie.-
Ne sfilo una dal pacchetto: l’ultima volta che ho mangiato una gomma avevo 7 anni e un signore me l’aveva offerta in un bar di Via del Corso.
Sulla sinistra ci sono degli scaffali con vari libri e una sfilza di origami di tutti i colori.
-Forti questi cosi, ho sempre voluto imparare a farli.-
Lui si stringe nelle spalle.- Mi rilassano.- aggiunge. -Ho preso delle cannucce e delle palline di varie dimensioni: sono di polistirolo, così possiamo bucarle e colorarle come ci pare.- mi spiega, mostrandomi l’equipaggiamento sulla sua scrivania.
-Oh sì e io ho portato i colori come mi avevi detto.- aggiungo la valigetta di colori acquarelli che non uso da un po', perciò spero non si siano seccati.
Passiamo le successive due ore a colorare le palline di polistirolo, quasi in silenzio.
Mastico questa gomma da un sacco e diventa sempre più buona.
-Perciò vieni dall’Italia?- mi domanda.
-Sì, ci siamo trasferiti da Roma qualche anno fa, ho studiato a casa per un po'.- racconto. – Mia madre è spagnola ed era venuta a Roma come turista, ha incontrato mio padre e…Beh, il resto te lo puoi immaginare.-
Alza lo sguardo su di me e sembra che sia meno timido di prima.- Amore a prima vista?-
Anche io lo guardo negli occhi, accorgendomi che sono scuri. -Più o meno.-
Mi accorgo anche che la sua guancia è ancora un po' arrossata e la tocco appena col dito.- Ti fa male?-
-Non più tanto.- sussurra, con un leggero sorriso.
È quasi carino.
Nello stesso momento, sento qualcuno salire le scale e aprire la porta bruscamente.- Allora fratellino, te la sei scop….Oh cazzo!-
Non ci credo, è Andrès.
Quando vede che sono ancora lì sgrana gli occhi e si gratta la guancia.- Ciao.-
Sergio sbatte la fronte sulla scrivania, mentre io scoppio a ridere.
-Non ci credo, Andrès è tuo fratello!- esclamo sorpresa.
Sergio sbuffa.- Sì, lo so, siamo due persone completamente diverse.-
-Direi di sì! Al mio paese si dice: come cane e gatto.-
Okay, forse questa potevo risparmiarmela.

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Capitolo 8
*** Parte 7 ***


 
Lo guardo negli occhi e gli sorrido mentre sento il pizzico dell’ago che mi entra nella pelle.
Osservo il taglio che il proiettile gli ha fatto sulla nuca e capisco che sta bene.
Successivamente, Rio accende il telefono di Allison e glielo cede, facendo partire il video.
Si vede che quella ragazza è sconvolta.
-Mum, Dad, I’m fine…-
-Per favore, niente inglese.- le dico.- Anche se volessi mandare chissà quale messaggio, al contrario di questi ignorantoni, io l’inglese lo conosco.-
-Mamma, papà, sto bene. Qui ci danno dell’acqua e un sacco a pelo in cui dormire.- aggiunge, singhiozzando.- Probabilmente avete già visto la mia foto che gira su internet, ma dovette credermi, sono stata ingannata.- piagnucola.- Scusate, non ci riesco.-
Capisco il suo stato d’animo: io ero più piccola la prima volta che qualcuno mi ha umiliato.
-Sta tranquilla, va tutto bene. Pensa a quello che vuoi dire, hai tutto il tempo.- le dico, dando una pacca a Rio.- Rio qui è il ragazzo più dolce e simpatico che esista.-
-Sì, è di buona compagnia, vero?- aggiunge Tokyo, sulla soglia della porta.
Ha quel labbro arricciato come quando è incazzata o infastidita per qualcosa.
È come una padroncina e il suo animale domestico e io le ho appena toccato il suo gattino.
Mi riallaccio la tuta e le vengo in contro.- 12 anni Tokyo, 12 anni.- le ripeto: come pretende che possa funzionare tra lei e Rio?
Serra i denti.- Fatti i cazzi tuoi.-
***
Se vogliamo che la gente inizi a fidarsi di noi, dobbiamo fargli capire che siamo i buoni.
Berlino, Tokyo e i due serbi portano Monica di fuori, con un megafono e un foglio che deve leggere.
Dice alla polizia che è trattata bene, che a nessuno abbiamo torto un capello.
Forse, magari, ci daranno quello che ci serve: cibo e medicine.
Di certo non posso andare avanti con le noccioline del distributore: per via della spalla, il mio corpo ha bisogno di proteine.
Premo il pulsante per far chiudere le porte e faccio un cenno di ringraziamento a Monica.
In quello stesso momento, Denver mi si avvicina preoccupato.- Roma, abbiamo un problema.- mi sussurra.
Mi porta nell’ufficio di Arturo, dove c’è una televisione che sta trasmettendo un servizio in cui dicono che sono riusciti ad indentificare uno dei sequestratori.
C’è una foto mossa di Rio.
Adesso sanno che faccia abbia.
Non doveva succedere, è un bel cazzo di problema.
Alzo lo sguardo sul muro dei telefoni e noto che quello di Allison manca.
Lo collego al fatto che Rio doveva occuparsi di lei, ma io l’ho lasciato da solo con Tokyo.
Si è distratto, ne sono sicura.
Da una parte è anche colpa mia, quei due sono bombe ad orologeria e potrebbero mandare tutto all’aria.
Però li capisco.
Lo pensa una persona che non ha mai visto in faccia la persona che amava, che sia uomo e donna e che l’ha aspettata per ore seduta su una vecchia panchina del parco di San Isidro.
-Lui dov’è adesso?- chiedo a Denver.
-Berlino lo ha portato nel garage.-
Berlino è un’altra persona che la rabbia non la sa controllare.
Come minimo lo starà picchiando a morte.
Non dovrei correre nelle mie condizioni, così cammino veloce e li raggiungo, notando che stanno parlando.
-La verità è che sono rimasto con Tokyo e non ci ho visto più.- stava dicendo Rio, alias Anìbal Cortès.
Ora la polizia ha la sua foto segnaletica e sicuramente la userà contro di noi.
-Sai, tu mi ricordi proprio me a 18 anni.- afferma Berlino, tenendogli il didietro del collo stretto tra le dita.
Non mi fido.
-Berlino, lascialo stare.- intervengo, ma lui sembra non sentirmi, oppure non vuole.
Non so se sia stata una buona idea metterlo a capo di questa operazione.
-Io avevo 18 anni e lei 44, era la mia professoressa di francese ed ogni volta era estasiante per lei assaggiare le mie carni.-
Dio Santo, sta parlando della professoressa Jeanclaude: quella con i capelli a caschetto biondo platino e l’inquietante neo sotto la narice sinistra.
Mi viene da vomitare.
Ecco perché io andavo male in quella materia, mentre lui troppo bene.
-Ma Tokyo non ha 44 anni.- commenta Rio, sentendo la sua stretta.
-Berlino, ho detto: lascialo stare.- ripeto, fissandolo negli occhi.
Lui si volta verso di me lentamente.- Ha quasi mandato all’aria tutto, è giusto che paghi.-
In quello stesso istante, vedo Helsinki avvicinarsi minacciosamente.
Conosco tutti e tre le persone che ho intorno: Rio non l’ha fatto apposta, Helsinki fa il duro, ma in realtà è un pezzo di pane, mentre Berlino ha sempre avuto grande manie di protagonismo.
-Il Professore ha scelto noi due per guidare questa squadra, non ti puoi mettere a decidere da solo.- ribatto, duramente.
-Già e mi chiedo se tu ne sia davvero all’altezza.-
Non riconosco il mio migliore amico in quelle parole, sembra davvero un’altra persona.
Ma, tuttavia, so che per Andrès esiste solo Andrès da diversi anni.
Sapevo che per la nostra amicizia questa sarebbe stata una vera sfida.
Continuiamo a fissarci come in uno di quei film western, dove uno aspetta la mossa dell’altro.
-Rio, torna di là.- gli dico, serrando i denti.
Il ragazzo si volta, ma inaspettatamente si ritrova Oslo davanti che gli dà un pugno sullo stomaco, talmente forte da farlo inginocchiare.
Cerco di allontanare Oslo, ma Berlino mi afferra il polso.
-Come vedo hai Cip e Ciop che ti fanno da scagnozzi.- aggiungo, dimenandomi dalla  sua presa.
-Helsinki, portala via.- gli ordina Berlino.
Mi viene da ridere.- Due uomini contro una donna, un po' sleale, non trovi?-
Non mi lascerò toccare da quelle due guardie del corpo, perciò mi volto per andarmene: Rio dovrà cavarsela da solo.
Anche di spalle riesco a percepire il ghigno di Berlino.- Te l’ho mai detto che hai un culo meraviglioso?-
Sbuffo.- Tipo 78 volte.-
Solo io, tra tutta la banda, so di cosa è capace Andrès.
E quello non è stato nulla.

Madrid- 21 anni prima
 
Quando entro a scuola, quella mattina, una folla è tutta accalcata per il corridoio, urlante.
Sergio se ne sta con la schiena poggiata agli armadietti e con del sangue secco sotto il naso.
-Che cosa è successo?- gli domando, preoccupata.
Lui continua a guardare in basso e fa un’ alzatina di spalle.
Mi faccio spazio tra la gente per vedere che Miguel sta prendendo pugni su pugni, molto violenti, da Andrès.
-Ti piace picchiare mio fratello eh? E adesso io picchio te!- esclama, dandogli l’ennesimo pugno sul naso: c’è sangue ovunque, quel ragazzo ha quasi l’intero viso deturpato.
Non ci posso credere che nessuno sia intervenuto.
-Andrès, basta, per favore!- gli grido.
Ma lui prima gli dà un calcio sulla schiena e poi un pugno sulla bocca, con l’altra mano.
È uno spettacolo orribile, non l’ho mai visto così arrabbiato, anche se sta solo tentando di difendere suo fratello.
Devo intervenire prima che lo scopra un professore e lo butti fuori. -Andrès, fermati!- ripeto, prendendolo per la giacca.
-Stammi lontano!- urla, dandomi uno schiaffo.
È probabilmente stato un gesto involontario, ma la guancia mi brucia.
Ha le mani piene di sangue e la faccia rossa dalla rabbia.
Ci guardiamo negli occhi, però non riesce a dirmi nulla, nemmeno che gli dispiace.
Capisco che ha solo bisogno di sbollire, mentre io devo andarmene di lì.
Esco fuori e prendo una boccata d’aria.
-Che idiota, probabilmente sarà espulso.- aggiunge Sergio, seguendomi.
Tiro fuori dallo zaino un fazzoletto e gli asciugo il sangue sotto al naso.- Tu stai bene?-
-Non lo so, credo di no.- borbotta, senza neanche guardarmi, come se non volesse farsi vedere così debole, mentre suo fratello è invece riuscito a fare qualcosa in tutto quel tempo che Miguel gli dava fastidio.
Ci rifletto poco.- Sappiamo entrambi perché fa così.-
Sergio annuisce, abbassando lo sguardo.- Per papà.-
Mi dispiace così tanto per loro e la cosa è ancora fresca.
-Lo so come ci si sente…E tu non hai nemmeno versato una lacrima al funerale.- commento guardandolo.
Si toglie gli occhiali e li pulisce con la maglietta, anche se sono limpidi.
Poi, improvvisamente, scoppia a piangere.
-Oh, tesoro.-
Lo abbraccio e lo stringo a me, affondando il viso nei suoi ricci.
-E’ okay, è okay….-
***
L’anarchia di Berlino non è finita qui, anzi, è appena iniziata.
Nonostante sia io a dovermi occupare degli ostaggi e sappiamo benissimo che è stato l’agnellino a contattare l’esterno, Berlino vuole fare uno dei suoi giochini.
-Allora ragazzi, sappiamo tutti che in momenti come questi esistono quelli che vogliono fare gli eroi.- esordisce, camminando tra la fila. -Sappiamo che qualcuno ha avuto contatti con l’esterno: perciò, qualcuno di voi nasconde un telefono.- continua, squadrando Arturo dalla testa ai piedi.- Voglio essere buono con voi. Facciamo così: se il responsabile verrà fuori subito, non ci saranno conseguenze.-
Silenzio tombale.
Devo sedermi, mi gira la testa e continuo a vedere sfocato.
Ho un disperato bisogno di mangiare.
-Nessuno?- domanda ancora Berlino, postandosi davanti ad un anziano signore. -Denver, fallo spogliare.-
Farà così con tutti gli ostaggi se Allison non dirà qualcosa.
Ne fa spogliare 3 o 4.
Tutto questo è ridicolo.
Mi alzo dalle scale, un po' barcollando e le porgo la mano.- Avanti, dammelo.-
-Lui mi ucciderà.- piagnucola, riferendosi a Berlino.
-Non glielo permetterò.- affermo, guardandola negli occhi.- Dammi il telefono.-
Tira su col naso e me lo mette in mano, così che io possa passarlo a Denver per rimetterlo dove stava.
Berlino si piega alla sua altezza.- Come si dice, ragazzina?-
Allison ha paura di guardarlo, ma lo fa comunque.- Mi scusi.-
Lui sorride.- Mi scusi….?-
Alzo gli occhi al cielo.
-Mi scusi signor Berlino.-
Le dà una pacca sulla spalla.- Molto bene, molto bene.-
Nello stesso momento, nella stanza risuona l’eco del telefono e vado a rispondere.- Sono Roma.-
-Buone notizie: arrivano il cibo con i medicinali, stanno per entrare.- mi dice il Professore.
Finalmente, sto morendo di fame.
So che Sergio è riuscito ad entrare nelle telecamere dell’edificio, perciò può vedere quasi ogni angolo, tranne nei bagni.
Ce n’è una anche in quella stanza: alzo lo sguardo e gli faccio il pollice.
Probabilmente le sue trattative con la polizia e il discorso di Monica ha funzionato.
Proprio perché dobbiamo stare mischiati, apriamo le porte principali e facciamo indossare la maschera ad alcuni degli ostaggi.
Non devono capire chi è chi.
Tra di questi, c’è quella botola della professoressa che ha accompagnato la scolaresca.
Botola nel mio paese significa signora cicciottella, per essere precisa.
Però sembra avere le palle, anche se ha in mano un fucile finto.
Dalle porte entrano due uomini con in mano dei cartoni di pizza e una busta di medicine.
-Lasciate tutto per terra e andatevene.- gli ordina la professoressa, con tono deciso.
Non appena le porte si chiudono, mi tolgo la maschera.- Si mangia ragazzi!-
-Pizza!- esclama Nairobi, alzando le braccia.- L’Italia non è tipo la patria della pizza?-
-Certo.- affermo a bocca piena.- Questa è buona, ma non la si può di certo comparare con quella di Napoli.-
Si uniscono anche Tokyo, Oslo e Denver: è da un po' che non mangiamo tutti insieme.
Sembra un attimo di tranquillità e chissà se ne avremmo altri.

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Capitolo 9
*** Parte 8 ***


Toledo- 3 mesi all’ora zero
 
Abbiamo mangiato e bevuto talmente tanto che mi sento ancora il cibo in gola.
Devo assolutamente alzarmi e andare a fare una passeggiata, tanto sono Tokyo e Rio a dover andare alla Zecca.
Il Professore vuole che localizzino tutte le telecamere, fingendosi dei normali turisti e, ovviamente, si travestiranno.
Barcollando porto con me la bottiglia di tequila in giardino, dove trovo Denver steso sull’erba a fumare.
-Ehilà, sigaretta?- mi dice, sorridendomi con la sua dentatura da cavallo.
-No, grazie, non fumo.- rispondo, sedendomi accanto a lui.
Probabilmente mi ritroverò tutti baccelli spinosi sul sedere.
-Però vedo che vai d’accordo con la tequila.- commenta ridacchiando.
Rido con lui.- Ce l’avevo praticamente dentro il biberon.-
La verità è che mio zio me ne dava talmente tanto da farmi girare la testa.
Ma non credo di essere ancora pronta a raccontare questa storia.
Ad un certo punto si fa serio e guarda il cielo.- Mia mamma è lì.-
Deduco sia un modo per dirmi che sua madre è morta.- Anche mio padre.- aggiungo, sdraiandomi più vicino.
-Quando mia madre aspettava me voleva abortire, sai…Solo che si è sniffata la coca che doveva vendere per comprarsi l’aborto.- spiega, tirando su col naso.- E poi ci ha abbandonato…A me e mio padre, per questo lui ha iniziato a rubare, perché era l’unico modo per mantenermi. Gli si sono rovinati i polmoni lavorando in miniera, non poteva più farlo.-
So, dentro di me che non dovrei ascoltare le storie personali di queste persone, ma sono troppo interessata per non ascoltare.
-Una sera, mia madre gli chiede di accompagnarla in un posto, dove spacciavano droga e poi…Non è più tornata.-
Mi giro verso di lui, poggiando la testa sul gomito.- Mi dispiace tanto, Denver. Certe volte la vita può essere davvero schifosa.-
Lui annuisce, spegnendo la sigaretta tra l’erba.- Già, la vita ti fotte solo guardandola.- afferma, guardandomi negli occhi.
A questo punto, non credo che il Professore ci abbia scelto a caso: ognuno di noi ha una brutta storia dietro le spalle e magari questo colpo ci servirà a rifarci una vita.
Lo vedo avanzare lentamente verso di me, credo che stia cercando di baciarmi.
-Che cazzo fai?!- esclamo, allontanandolo appena.
-Scusa, va bene, dovevo provarci.- si giustifica, alzando le mani.
Ha una faccia troppo buffa per avercela con lui e continuo a spingerlo, ridendo.- Sei proprio un cazzone!-
***
Ora che mi sono riempita bene la pancia, mi prendo due pastiglie di antidolorifici, mentre Helsinki distribuisce il resto tra le donne che sono al piano di sopra.
Io e Denver troviamo anche la pillola abortiva e il suo sguardo si gela, probabilmente per la storia che mi ha raccontato di sua madre.
-Credi che lo farà veramente?- mi chiede, rigirandosela tra le mani.
Ho letto solo qualche riga sulla vita di Monica, però non so se sia abbastanza coraggiosa per farlo.- Non lo so, ma spetta a lei decidere.-
Denver se la mette dentro il taschino della tuta.- Vado a dargliela.-
Poggio la mano sulla sua.- Ci andiamo insieme.- gli dico, guardandolo negli occhi.- Va a controllare che tutti abbiano mangiato.-
Annuisce ed esce dall’ufficio.
Solo poco dopo, arriva Rio, che si accascia sulla porta dolorante: Berlino deve avergli fatto proprio male.
Sapevo che si sarebbe limitato ad un paio di pugni.
Ma i suoi occhi sono terrorizzati.
Gli prendo il viso tra le mani.- Ehi, stai bene, d’accordo? E’ finita.- gli ripeto, togliendogli lentamente la maglietta.
Non so esattamente come ci si senta dopo esser stati picchiati, solo come ci si sente quando qualcuno ti tocca e tu non vuoi.
Rio ha bisogno di qualcuno adesso e non credo che Tokyo sia la persona giusta.
Ha un paio di lividi lungo il ventre.
Mi pare di aver visto della crema dentro la busta, così la stappo e gliela spalmo.- Adesso mettiamo questa, un paio di antidolorifici e sarai come nuovo.-
Mi sento come una mamma.
Inaspettatamente, lui mi sorride.- Adesso sei tu a farmi da infermiera, eh?-
Ridacchio.- Non farti strane idee.-
Poi, però, improvvisamente mi ritrovo Tokyo davanti alla porta che mi fissa in malo modo, mentre io ho le mani sugli addominali del suo fidanzato.
-Cazzo.-
Tokyo sembra più scioccata del fatto che Rio sia stato mal menato.
Mi si avvicina con fare minaccioso.- Come hai potuto permettere che accadesse?-
-Rio ha sbagliato, Tokyo e anche se devo ammettere, non condivido i modi di Berlino, era giusto che capisse.- le rispondo.
Fa un sorriso fastidioso.- Ma dove cazzo siamo, a scuola?- borbotta, serrando i denti: quando si arrabbia le si allargano le narici e pare una protagonista di una telenovela drammatica.- Credi che non abbia il fegato di andare a dire a tutti gli altri chi è che ti scopi quando nessuno ti guarda?-
È vero, lo sa, ma la sua relazione non è pericolosa quanto la mia.
Non per questo colpo.
Alzo le spalle, non voglio che creda che le sto sotto.- Le mie scopate non ti riguardano.-
Serra i denti e, di scatto mi afferra per i capelli, trascinandomi all’angolo della stanza.
Cerco di dimenarmi, ma sono fin troppo debole e mi sta facendo anche male.
Mi punta la pistola alla tempia, alzandomi il volto verso la telecamera.
-Se solo qualcun altro osa torcergli un altro capello, le ficco una pallottola nel cranio!- minaccia verso di essa.- Mi hai sentito bene?!- grida.
Confermo, sembra davvero una telenovela.
Rio la incinta di fermarsi, ma lei non ascolta.
Sentendo le grida, accorrono anche Berlino e Helsink, che le puntano i fucili contro.
A quel punto, il telefono squilla e lui risponde.
Accende la televisione sulla scrivania e tutti vediamo che stanno dando un servizio proprio su Rio e Tokyo.
Hanno capito chi sono.
Le telecamere della Zecca li hanno ripresi insieme quando sono venuti per contarle, tempo prima.
Silene Oliveira.
Sono stati entrambi fin troppo superficiali.
-Congratulazioni Silene.- le dico, sospirando.- Ti sei appena giocata il piano di fuga.- Lascia la presa su di me ed è meglio che esca da lì prima di prenderla a pugni.- Idiota.-
***
Ho promesso a Denver che saremmo andati insieme da Monica, dove Oslo la sta controllando.
Le chiediamo di uscire dalla stanza e lascio che parli con Denver, rimanendo lì vicino.
Denver la tira fuori dalla tasca e gliela porge.- Ascolta, io non credo che sia la scelta più giusta.-
Gli occhi della donna si fanno lucidi.- Come scusa?-
Siamo entrati con la forza, abbiamo delle armi potenti, teniamo gente in ostaggio e di certo Monica non si aspetta che uno dei sequestratori si interessi a lei.
-Ascolta, so che il padre del bambino è un cazzone, ma anche io ho rischiato di non venire al mondo. Mia madre era una stronza, ha abbandonato me e mio padre. Ma, andiamo, cosa ti rovinerà questo bambino? Cos’è, fai pilates? Esci con le amiche a divertirti un po'? Il tuo bambino non ti rovinerà la vita.- le dice Denver.
Sono quasi commossa a sentirgli dire quelle parole e anche Monica.
Ad un certo punto, addirittura, tira fuori dalla tuta due mazzetti alti da 50 euro e glieli porge velocemente.- Tieni, prendi questi, se ti servono soldi.-
Monica se li mette dentro la maglietta senza farsi vedere.- Ti ringrazio molto, ma non credo che aspetti a te decidere cosa farò o non farò con la vita del mio bambino.- afferma, tirando su col naso.
Denver abbassa lo sguardo, quasi offeso.- Sì, hai ragione, mi dispiace.-
-Che cosa state facendo?-
Ad un certo punto, compare Berlino, sospettoso.
-Le stavamo dando la pillola abortiva.- rispondo: sembra un condor che controlla il proprio territorio.
-E ha bisogno che gliela infili in bocca?-
Alzo gli occhi al cielo.- No, ce la fa benissimo anche da sola.-
Faccio cenno a Monica di tornare dentro.
Si tira su la zip della tuta, tremando e si volta per tornare nell’ufficio.
Faccio un leggero sorriso a Denver, accarezzandogli la guancia.
È stato davvero dolce.
Ma poi, improvvisamente, udiamo una melodia provenire proprio da Monica.
È un telefono e le sta squillando nella tuta.
Cazzo, ma perché?
Dove lo ha preso?
Io e Denver ci fulminiamo con lo sguardo, ormai Berlino lo sa, non posso nemmeno proteggerla da lui.
Monica inizia a piagnucolare perché sa di essere stata scoperta.
Berlino le si avvicina e le tira giù la zip della tuta, lentamente.
Trova i soldi e fa uno sguardo sorpreso, ma sadico e divertito allo stesso tempo.
Non era sicuramente la prima volta che Berlino mette le mani nelle mutandine di una donna, però è la prima volta che ne tira fuori un cellulare.
Monica scoppia a piangere e Denver è furioso e deluso.
-Non possiamo permettere che gli altri lo sappiano.- mi sussurra Berlino.- Uccidetela.-
È pazzo.
Lo ha detto davvero o sono diventata sorda io?
Lo afferro per la tuta.- Ma sei impazzito?! Dovrei uccidere una donna innocente per il tuo ego?-
Berlino tira fuori la pistola e la punta verso Denver.- O lei o lui.-
È ufficiale, Berlino è andato fuori di testa ed è inutile discutere con lui.
Gli abbasso il braccio e faccio cenno a Denver di prendere Monica.
Mi segue nel bagno delle donne e chiudo la porta.
-Vi prego, vi prego, non uccidetemi, mi dispiace!- singhiozza la donna, disperata.
Non ho mai visto una donna piangere così, solo quando mi guardavo allo specchio, a 15 anni.
-Ma perché diamine lo hai fatto?!- interviene Denver, sbattendosi la pistola sulla tempia. -Lo capisci che se non ti uccido io, lui ucciderà me!-
Tra le urla e il pianto, chiudo gli occhi per cercare di pensare ad un’alternativa.
-In ginocchio.- le ordina Denver, togliendo la sicura alla pistola.
Colma di pianto, Monica fa quanto dice.
Le mani di Denver tremano.- Non guardarmi negli occhi!-
Non avrebbe mai il coraggio, si vede.
Metto la mano sulla sua.- Faccio io.- gli dico, prendendo l’arma.
-Ti prego, pensa al mio bambino.- singhiozza lei, mentre le poggio il mirino sulla fronte.
Se le beccassi il cervello, non soffrirebbe nemmeno.
Sto prendendo tempo: quella situazione mi gela le vene.
È già successo tutto questo.
Io che sto per sparare a qualcuno.
La verità è che, nonostante ho una grandissima passione per le armi, non ho mai ucciso nessuno.

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Capitolo 10
*** Parte 9 ***


-Tatiana, abbassa quella pistola!-
Sento mia madre gridare e piangere dall’altra parte del tavolo, ma non la sto davvero ascoltando.
Ho gli occhi fissi su di lui, su questo maledetto orco e gli punto la pistola alla tempia.
È inginocchiato davanti a me e vorrei tanto che la pallottola gli attraversasse il cranio.
Deve pagare per tutto quello che mi ha fatto e che mi sta ancora facendo, dentro.
Su di lui non devono esserci solo cicatrici, deve morire e basta.
-Non hai il fegato, ragazzina.- borbotta. -Abbassa quella pistola.-
Mi vengono gli occhi lucidi, sono decisa, però spaventata allo stesso tempo.
Non voglio più subire niente da lui.
-Abbassa la pistola!- urla di nuovo, con la sua voce profonda.
-Sta zitto!-
 
Sabato 12:25
 
Strizzo gli occhi per reprimere il ricordo e abbasso la pistola. -Non posso, non ce la faccio.-
Denver ne è sorpreso.- Cosa?! Tu che sai tutti i nomi delle armi a memoria, che ce le ha qui in testa non riesci a premere il grilletto?!-
Ma per chi mi ha preso?
Non sono un’ assassina.
-Non ho mai ucciso nessuno!- ripeto, questa volta ad alta voce.
Il ragazzo si passa le mani sul viso.- Che cazzo facciamo? Ci ucciderà tutti e due.- borbotta, mentre Monica mi ringrazia silenziosamente di non averla uccisa.
Non so cosa fare, presto Berlino verrà a controllare e si aspetta un cadavere.
-Sparatemi alla gamba!- interviene lei, alzandosi da terra.- A mia sorella hanno sparato alla gamba, ha perso molto sangue, ma è sopravvissuta.- mi dice, stringendomi la tuta.
Ha ragione, anche io sono in condizioni decenti con la spalla.
-Non è una brutta idea.- commento, togliendo la sicura alla pistola.- Ascoltami, quando Berlino tornerà devi fingerti morta, chiaro? Trattieni il respiro più che puoi.-
-E poi che ne facciamo del corpo? Dove la nascondiamo?- domanda Denver, preoccupato.
-In uno dei caveau, di sotto.- risponde Monica, asciugandosi gli occhi.
Monica ci sta rendendo facile questa prima parte, ma poi dovremmo nasconderla e medicarla per non farla morire dissanguata.
-D’accordo, faremo così.-
Denver le tappa la bocca, nessuno deve sentirla urlare.- Mordimi pure la mano, se vuoi.-
Prendo un bel respiro e cerco di tenere la mano ferma.
Il mio compito è quello di prendermi cura degli ostaggi ed è quello che farò.- Andrà tutto bene, Monica, te lo prometto.-
Lei fa di sì con la testa, singhiozzando.
Mi concentro bene sulla sua coscia e poi faccio partire il colpo.
Denver le preme entrambe le mani sulla bocca, mentre la fa mettere per terra.
Il sangue inizia ad uscire a fiumi e la volto dalla parte opposta della porta.
Sentiamo subito i passi di qualcuno che sta arrivando e noto che Denver è terrorizzato.
Gli prendo il viso con la mano insanguinata.- Ehi, non gli permetterò di farti del male, va bene?-
Deglutisce nervosamente e annuisce, nello stesso momento in cui Berlino entra nel bagno.
-Ci avete messo un po'.-
Mi comporto normalmente, come se non stessi nascondendo niente e mi lavo le mani.- E’ difficile uccidere quando qualcuno ti prega di non farlo.-
Ho chiesto a Denver una cosa impossibile, quella di rimanere calmo e lui non è il tipo.
-Sei proprio un pezzo di merda, lo sai? Perché non l’hai fatto tu?- esclama, stringendolo per la tuta.
Lui serra i denti.- Se mi tocchi un’altra volta, ti ammazzo.-
-Già, tu non vuoi sporcarti le mani e perciò lo chiedi a me.-
Inevitabilmente torno a quel giorno in cui Andrès era nel pieno del corridoio a picchiare Miguel.
-No Denver, lui se le sporca le mani.- aggiungo, guardandolo negli occhi.- Ed è anche in grado di fare del male a chi ama.-
Berlino si bagna le labbra e fa finta di ignorarmi.- C’è un inceneritore di sotto: gettatela lì dentro e poi pulite questo schifo.-
Da come mi parla capisco che dentro questo posto non siamo più migliori amici, siamo semplicemente compagni di banda e co-capitani di questo casino.
Non appena si allontana abbastanza, aiuto Denver quanto posso a trasferire Monica nel secondo caveau della banca, facendola sedere fra gli scaffali pieni di soldi.
-Dammi la tua maglietta, dobbiamo fermare il sangue.-
Denver si slaccia la tuta e si toglie la sua maglietta grigia a maniche corte, attorcigliandola intorno alla coscia secca della donna.
-Questo è tutto quello che possiamo fare per ora: Berlino mi controlla in continuazione, non posso stare qui con voi.- gli dico, alzando gli occhi su Denver.- Devi prendertene cura tu: io tornerò quando posso con antidolorifici e dell’acqua.-
Prima che possa andarmene, lei mi stringe la mano.- Grazie.- sussurra, con un mezzo sorriso.
Ricambio e torno dagli altri.
Gli ostaggi hanno mangiato a sazietà, ma Tokyo si è chiesta che cosa fossero quegli spari.
Quando torno nell’ufficio del direttore, c’è il caos, stanno tutti discutendo.
-Non ci posso credere che tu abbia fatto uccidere un ostaggio! Era la prima regola!- esclama Tokyo, mentre Rio alza la cornetta del telefono.
-Il Professore deve saperlo.-
-Aveva un telefono, poteva mandare all’aria tutto!- interviene Berlino.- Cosa avrei dovuto fare?-
-Che ne so, tagliarle un orecchio, farle un taglietto, ma non ucciderla!- aggiunge Nairobi.
Rio attacca il telefono.- Non risponde.-
Strano.
Forse le trattative con la polizia si stanno facendo complicate.
-Anche il Professore è umano, avrà bisogno di dormire, di mangiare, di cacare, come tutti noi.-
Tokyo assottiglia gli occhi.- Se solo lo sapesse, ti butterebbe fuori.-
Non ne sarei così sicura Tokyo: ovviamente lei non sa che sono fratelli.
Probabilmente la nostra discussione si sta sentendo per tutta la Zecca, tant’è che Mosca è venuto fuori dal seminterrato, tutto impolverato.- Ma che diamine sta succedendo?-
-Berlino ha fatto uccidere un ostaggio.- risponde Tokyo.
Mosca aggrotta le sopracciglia.- Chi lo ha fatto?-
Mi mordo il palato, sospirando.- Tuo figlio.-
Il Professore sapeva che prima o poi, alcuni di noi sarebbero crollati psicologicamente.
Però non mi sarei mai aspettata che il secondo fosse Mosca.
Mi ero fatta una lista: io, Tokyo, Rio, Nairobi, Mosca e Berlino.
Oslo ed Helsinki era improbabile che avrebbero perso la calma.
Invece la lista si era ribaltata, in prima fila c’era Mosca.
 
Toledo- 1 mese all’ora zero
 
Da piccola ho visto mio padre cucinare il Gazpacho solo due volte, perciò oggi tento di rispolverare un po' la memoria e Mosca mi dà una mano.
-Vedi, non devi solo trattare gli ingredienti come fossero ingredienti, ma come fossero tuoi figli.- interviene, tagliuzzando la cipolla.- Accarezzare con cura.-
Ridacchio.- Va bene, maestro.-
Mi sorride e aggiunge la cipolla al resto nella pentola.- Sai, tu mi ricordi molto mia moglie quando era giovane.- commenta, girando con la cucchiarella di legno. -Era così carina, dolce, simpatica, dove entrava lei, entrava la luce.-
Nessuno mi ha mai detto una cosa del genere.
Mosca è come un papà orso.
Poi sospira.- Prima che si rovinasse.- aggiunge, prendendomi la mano e guardandomi negli occhi.- Tu non farlo. So che i soldi fanno la felicità, ma non ti fanno scaldano il cuore quando ti alzi la mattina.-
Per un attimo volto lo sguardo verso la tavola in soggiorno, su quella persona che so che il cuore me lo fa scaldare eccome.
Perciò so che Mosca ha ragione e annuisco.- Non lo farò.-
***
La faccia di Mosca non mi piace per niente e quando fa dietro front, io e Berlino lo seguiamo: solo che io vorrei dirgli la verità, che suo figlio non è diventato un assassino, mentre Berlino vuole solo che torni a fare il suo lavoro giù di sotto.
-Ultimo avvertimento Mosca, torna alla tua postazione.- insiste Berlino, puntandogli la pistola.
Mosca si gira verso di lui con sguardo duro.- Che cazzo vuoi fare? Vuoi spararmi? E poi sparerai a tutti gli altri? Così rimarrai qui da solo.-
Berlino sa che ha ragione e toglie il dito dal grilletto.
Ma, in quel momento, noto qualcosa di strano: la sua mano ha tremato.
Per un millesimo di secondo, la sua mano ha tremato.
Non è mai successo.
Che stia cedendo alla sua anarchia?
Mosca apre la porta del bagno e non solo vede la pozza di sangue sul pavimento, ma suo figlio, in boxer, che cerca di lavarsi via il sangue velocemente.
I due si fulminano con lo sguardo: vorrei potergli dire che non ha ucciso nessuno, ma Berlino è dietro le mie spalle.
-Figlio, hai ucciso quella donna?- gli chiede.
Denver si morde il labbro e annuisce.- Sì, papà.-
Tutto d’un tratto, il viso di Mosca si fa pallido e si mette una mano sul cuore: credo non si senta bene.
-Non respiro.- balbetta, accasciandosi sulla porta del bagno.
Denver accorre da lui preoccupato.- Papà, che cos’hai, papà? U-Un infarto?-
Berlino scuote la testa e lo fa stendere per terra.- E’ un attacco di panico.- deduce, abbassandogli la zip della tuta per fargli prendere aria.- Roma, va a controllare gli ostaggi, ci penso io qui.-
Non mi fido molto a lasciare Berlino e Denver da soli, ma dopotutto gli ostaggi sono il mio compito primario.
Non appena arrivo nel salone, Arturo mi si avvicina.- A-Abbiamo sentito degli spari, che è successo?-
Non posso di certo dirgli che ho sparato alla coscia della sua amante.
-Non vi dovete preoccupare.- affermo, sospirando.
Odio il fatto che Monica abbia preso un secondo cellulare di nascosto: insomma, se lo devi fare, almeno fallo per bene.
-Però, abbiamo trovato un telefono nelle mani della signorina Monica.- continuo, scrutandoli uno ad uno.- Ora, se il telefono della signorina Monica ce l’ho io, com’è possibile che lei ne abbia trovato un altro?-
Nessuno ovviamente risponde, ma, se ci rifletto, penso che Monica non lo avrebbe mai fatto.
No, non è stata una sua idea, avrebbe avuto troppa paura.
A meno che non abbia seguito degli ordini.
Ma non dei semplici ordini, non da una semplice persona, da chi prende ordini tutti i giorni.
Solo che, ovviamente, Arturo non si prende le sue responsabilità e non si fa avanti.
Sospiro.- D’accordo, tanto prima o poi lo scoprirò.-
-Avete sentito ragazzi? Gli spari non erano niente, questi ragazzi sono solo rapinatori, non assassini.- interviene la professoressa, cercando di calmare la scolaresca.
-Esatto, ascoltate la botol- ehm, la professoressa.-
Pensare ad Arturo, mi fa anche pensare al comportamento di Berlino.
Dovrei provare a richiamare il Professore.
Ma quando entro nell’ufficio, Oslo e Denver stanno trasportando Mosca sul divanetto per farlo riposare.
-Come ti senti papà?- gli domanda Denver.
-Ho freddo.-
Gli prendo subito una coperta e gli rimbocco gli angoli.- Eccola qui, proprio come i bambini.-
Denver gli accarezza la guancia.- Ora riposa papà.-
Lui chiude gli occhi e Denver alza lo sguardo su di me.- Grazie.-
-Per cosa? Ho solo portato una coperta.- ribatto, alzando le spalle.
-No, intendo…Per tutto. Tu ti occupi di tutti noi.- commenta, facendomi un leggero sorriso.- Quando dicevo che volevo portarti al letto, non era perché volevo fare il cazzone è che so che sei una brava ragazza.- aggiunge, quasi arrossendo.- Ma poi ho pensato: che ci dovrebbe fare una come te con un deficiente come me?-
Ridacchio e gli scompiglio i capelli.- L’amore arriva per tutti Denver…E nemmeno te ne accorgi.-

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Capitolo 11
*** Parte 10 ***


 
Io, Tokyo e Rio passiamo per gli ostaggi con dei sacchetti di plastica per la spazzatura.
Rio ed Allison parlano sempre più spesso e li vedo scherzare.
Non so cosa abbia in mente quella ragazzina.
Ad un certo punto, però, vediamo Mosca scendere per le scale come uno zombie: il suo sguardo è fisso verso la porta d’uscita, come un robot telecomandato.
Gli chiediamo che cosa sta facendo, ma non risponde e apre la porta.
-Tutti a terra!- grida Tokyo agli ostaggi, indossando la maschera.
Mosca invece non ce l’ha e non devo permettere che lo vedano in faccia.
Gli corro in contro e lo spingo a terra, con le spalle verso l’esterno.
-Ma che stai facendo?! Non puoi farti vedere in faccia!- gli dico, afferrandolo per la tuta.
-E’ colpa mia.- singhiozza.- Non avrei dovuto portarlo qui.-
Si sta probabilmente riferendo a Denver: crede che suo figlio sia un assassino e questo gli sta facendo male.
-Ascolta, non l’abbiamo uccisa.- gli sussurro.- Denver non ha ucciso nessuno, l’abbiamo solo nascosta.-
Rio corre a premere il pulsante e la porta si richiude senza che ci siano danni, per fortuna.
-L-Lei è viva?- balbetta Mosca, col fiatone.
Gli annuisco, senza farmi capire dagli altri, potrebbero riferirlo a Berlino.
Cerca di prendere un respiro, ma non ci riesce.- Ho bisogno d’aria, ho bisogno di uscire da qui.-
Non ha tutti i torti, l’aria inizia a riempirsi di tensione e per di più c’è una donna, rinchiusa in un caveau, con un proiettile nella coscia.
Rio e Tokyo lo aiutano ad alzarsi, ma quando mi sollevo, sento un dolore fortissimo alla spalla che mi fa urlare.
Credo che il fatto di essermi lanciata a terra non mi abbia aiutato affatto.
Berlino ed Helsinki si piegano su di me e il serbo mi abbassa la zip della tuta, scoprendomi la fasciatura.
La sua smorfia non mi piace per niente.- No, non bene.-
Berlino si passa una mano nei capelli, preoccupato.
-Che è successo?- bofonchio dolorante.
-Proiettile si è spostato.- risponde Helsinki.
Rio si avvicina e si mette una mano sulla bocca.- Cazzo, c’è un bozzo enorme, te lo vedo sotto la pelle.-
Strizzo gli occhi e mi dico di non guardare, potrei vomitare.
Helsinki mi prende in braccio e mi fa sedere sul divanetto sopra cui dormiva Mosca e mi fa l’ultima iniezione di morfina.
-Ora ferma qui, non ti muovere. Braccio bisogna di riposare.-
Gli do una pacca sulla schiena.- Grazie.-
-Mio padre ha bisogno di uscire.- interviene Denver.
-Non se ne parla, è troppo rischioso.- commenta Berlino, passandomi una bottiglietta d’acqua.
Mosca ha appena mandato quasi all’aria tutto, se è una passeggiatina che gli serve, allora forse è meglio fargliela fare.
-Sta andando fuori di testa Berlino, lasciagli un quarto d’ora di tregua.- intervengo, guardandolo negli occhi.- Ti prego.-
Lui mi guarda in viso per qualche secondo.- Va bene: portatevi un gruppo di ostaggi e indossate le maschere.-
Mi faccio leggermente in avanti.- Denver, attento ad Arturo Roman: quell’uomo non me la racconta giusta.-
-In che senso?- chiede Berlino.
-Penso che sia stato lui a dire a Monica del telefono: non lo avrebbe fatto da sola, non è stata una sua idea.- spiego.
Vedo Denver che stringe l’impugnatura della pistola.- Va bene, ci penso io a quel coglione.-
Qualche minuto dopo, il telefono squilla e Berlino mette il vivavoce.
-Che sta succedendo? Perché ci sono delle persone sul tetto?- domanda il Professore, nervosamente.
-Mosca aveva bisogno di prendere un po' d’aria.- risponde, voltandosi verso di me.- E qualcuno mi ha convinto che fosse una buona idea.-
-Va bene, tienimi aggiornato.-
-Ascolta, Tati sta peggiorando. Il proiettile le si sta muovendo per il braccio.- aggiunge.
Sento il respiro affannato del Professore sul microfono. -D’accordo, vedo quello che posso fare.- dice, attaccando.
Forse, come pensavo, con la polizia non sta andando proprio bene.
Eppure, il piano era quello di corteggiare la donna che si sarebbe occupata del caso.
In realtà, inizialmente, mi sono chiesta come avrebbe fatto Sergio, dato che non ne sapeva molto sulle donne.
Ma poi, l’ultima sera a Toledo, ho capito il perché.
Berlino, infine, si siede accanto a me.
-Dovresti andare a controllare gli ostaggi.-
-Ci sono Rio e Tokyo, io resto qui con te.-
Wow, mi sorprende che adesso voglia prendersi cura di me.
Ha degli strani alti e bassi.
Mi metto comoda e chiudo gli occhi.- Se mi tocchi il culo mentre dormo, ti trancio la mano e mi rubo quell’anello.-
Lui ridacchia.- Ci ho già provato quella notte al mare.-
Sgrano gli occhi e gli do una pacca con il braccio buono.- Non ci posso credere! Ho pensato fosse un granchio!-
Se lo toglie dal mignolo e lo osserva.- Però che bella serata è stata…-
Annuisco, malinconica.- Già.-
 
Valencia- 19 anni prima
 
-Non ho ancora capito cosa sia questa storia del viaggio dei 100 giorni.- borbotta Sergio, con lo zaino in spalla.
Ho saputo che in due ore di treno si può arrivare a Valencia dove c’è il mare e una bellissima spiaggia.
-Nel mio paese, quando mancano 100 giorni agli esami del diploma, la classe si riunisce per fare qualcosa di speciale.- spiego, togliendomi le scarpe per affondare i piedi nella sabbia.
Niente a che vedere con il mare di Ostia.
Andrès mi affianca, mettendosi le mani sui fianchi.- Ma visto che abbiamo una classe di merda, lo facciamo solo noi tre.-
In tre zaini abbiamo la tenda da campeggio, del cibo e vari asciugamani.
È il tramonto e sulla spiaggia non c’è nessuno.
È così bello vedere il sole che tocca il bordo dell’oceano.
Avevo bisogno di staccare, di andarmene da quella casa: mio zio rischia di essere licenziato con disonore e non fa altro che litigare con mia madre.
Non mi sorprende che fosse un coglione.
Credo che qualsiasi altra ragazza desidererebbe essere qui con il suo fidanzato.
Io, invece, di ragazzi ne ho due e non voglio esserci con nessun altro.
-Chi arriva ultimo è uno scarafaggio!- grido, togliendomi in fretta i pantaloncini per poi correre in acqua.
Andrès e Sergio mi seguono a ruota e ci divertiamo, schizzandoci l’un l’altro.
Mi lascio la maglietta perché non voglio che vedano le cicatrici sulla schiena.
Non gliele ho mai mostrate e non credo che lo farò.
Non mi sono mai divertita così tanto in vita mia.
Per fortuna, quando si fa sera, troviamo dei rametti per terra e alcune sterpaglie, così, con un accendino, accendiamo un fuoco per fare luce e montiamo la tenda.
Non è solo per festeggiare i 100 giorni dal diploma che ho deciso di venire qui.
Tutti e tre abbiamo ricevuto la risposta all’iscrizione per l’università.
Io all’accademia militare, Sergio alla facoltà di lettere a Barcellona e Andrès all’accademia delle Belle Arti di Firenze.
Ci riuniamo davanti al fuoco con le lettere in mano, solo che nessuno ha il coraggio di aprirlo per primo.
-Oh, dannazione, faccio prima io!- esclama Andrès, aprendo la sua lettera.
Lo vedo confuso.- Non ti hanno preso?- gli chiedo.
-No, è in italiano! Non capisco un cazzo!-
Scoppio a ridere e gliela prendo dalla mano, leggendo.- Gentile signor de Fonollosa, abbiamo studiato con cura il profilo e siamo lieti di comunicarle che è stato accettato dalla nostra accademia!-
Andrès sgrana gli occhi e si rizza in piedi, saltellando.- Cazzo, mi hanno preso, sì!- grida, alzando le braccia al cielo.- Com’è che si esulta nella tua città?-
Ridacchio, felice per lui.- Si dice Daje.-
-Daje!- urla verso il cielo, prima di risedersi a farfalla tra me e Sergio. -Dai, fratellino, tocca a te.-
Sergio prende un bel respiro e fa a pezzetti la busta, estraendo la lettera.
Si aggiusta gli occhiali sul naso e legge.- Gentile signor Marquina, abbiamo ricevuto le sue numerose raccomandazioni da parte dei suoi professori e, dopo aver analizzato il suo profilo, siamo felici di comunicargli la sua presenza presso la nostra facoltà!-
Sergio sembra non crederci, non riesce a muoversi, ma sorride.
Andrès lo scuote.- Congratulazioni!- esclama, scuotendogli i ricci.
Lo guardo sorridendo.- Sono contenta per te.-
Mi sorride di rimando.- Manchi solo tu.-
Mi mordo un labbro nervosamente e apro la busta, avvicinandola al fuoco per leggere meglio.- Gentile signorina Loreto, i soldati della nostra accademia hanno guardato con attenzione il suo profilo personale e hanno dedotto che lei non ha i requisiti adatti per partecipare alla nostra scuola.-
Non ci credo, mi sento stupida.
Sono l’unica a non esser stata accettata.
Nemmeno Andrès e Sergio sanno cosa dire.
Dentro di me lo sapevo: non darebbero mai una pistola in mano ad una donna.
-Fanculo.- borbotto, lanciando il foglio nel fuoco.
-Non capisco, credevo che tuo zio avesse messo una buona parola per te.- commenta Sergio.
-Probabilmente quella testa di cazzo non l’ha fatto.- aggiunge Andrès.
Tutti i miei sogni stanno bruciando e io non ho idea di cosa farò.
Ma ora non voglio pensarci, voglio solo divertirmi con i miei migliori amici, dato che, dopo il diploma, non so quando li rivedrò.
Devo godermi ogni momento.
-Ragazzi, promettetemi che non ci perderemo mai di vista, d’accordo? Anche se saremo in diverse parti del mondo.- gli dico, prendendogli la mano.
Andrès si sfila l’anello d’argento dal mignolo e lo alza.- Giuro sul primo anello che ho rubato che non mi dimenticherò mai di voi, che vi vorrò bene anche quando vi odierò e che mi prenderò cura di voi, al meglio delle mie possibilità.-
Sono delle bellissime parole e un bel modo per prometterlo.
Lo mette poi sulla sabbia, dopo aver formato una montagnetta.
Sergio si toglie gli occhiali con un leggero sospiro.- Io non ho nulla di prezioso, ma vi voglio tanto bene ragazzi e mi mancherete tanto. Prometto di precipitarmi da voi se ne avete bisogno.- dice, mettendo gli occhiali vicino all’anello.
Io ho un’unica cosa preziosa per me e solo in quel momento mi ricordo di essermela portata.
Prendo la margherita un po' indebolita dallo zaino e la tengo in mano.
-Siete i migliori amici che una ragazza possa desiderare. Vi prometto che ci sarò anche quando non mi vedrete e vi vorrò bene fino a che non esalerò l’ultimo respiro.- affermo, aggiungendo per ultimo il fiore vicino agli altri oggetti.
Andrès circonda me e il fratello con le braccia.- Banda degli Hermanos per sempre.-
Per il resto, non diciamo altro.
Guardiamo il fuoco spegnersi e il tempo passare lento.
Non so cosa ci porterà il futuro, ma sento che non sono sola e non lo sarò mai.
***
Sento che pian piano mi sto addormentando perché non mi sento più le gambe o forse è l’effetto della morfina.
Quel divano è davvero comodo, Arturo non si fa mancare proprio niente.
Invece, Berlino pensa che mi sono addormentata: mi accarezza la guancia col pollice e poi mi dà un bacio sulla fronte.
Quando, improvvisamente, sentiamo degli spari sopra le nostre teste.

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Capitolo 12
*** Parte 11 ***


Con la calma che lo caratterizza, Berlino si drizza in piedi e anche io.
-No, tu ferma qui, non ti muovere!- mi ordina, estraendo la pistola e correndo via.
Si sentono altre urla: devo per forza andare a vedere cosa sta succedendo.
-Non ci penso proprio!- borbotto.
Mi gira un po' la testa per via die farmaci, ma posso farcela.
Anche se sembro una malata rinchiusa dentro un ospedale psichiatrico, mi reggo al muro e poi alla ringhiera delle scale, giungendo al salone.
Hanno sparato a qualcuno.
Per favore, fa che non sia qualcuno della banda.
Il Professore non me lo perdonerebbe.
Uno va bene, ma due sono troppi.
Con smorfie di dolore mi avvicino, mentre gli ostaggi sono tutti a terra e spaventati.
Vedo Berlino, Mosca, Tokyo, Helsinki e Denver che si muovono velocemente su una scrivania con le rotelle, armeggiando con la valigetta del pronto soccorso.
Rio dov’è?
Dov’è quel ragazzino?
Ti prego, fa che non si sia fatto uccidere.
Finalmente riesco a farmi spazio tra di loro e vedo che con un proiettile nella spalla e che si sta dissanguando, c’è un uomo più vecchio di Rio.
Faccio un sospiro di sollievo.- Fanculo, sei tu!- esclamo, dopo aver visto la faccia di Arturo Roman.
In realtà si meriterebbe di morire, però noi non possiamo permetterlo.
Già credono che abbiamo ucciso Monica.
-Credo che gli abbiano preso la vena ascellare!- esclama Tokyo, tamponando il sangue.
-Ma che cazzo è successo?!- domanda Berlino, su tutte le furie.
-Ha saputo che abbiamo ucciso Monica e-e è andato fuori di testa, sul tetto opposto c’erano dei cecchini…- balbetta Denver, mettendosi le mani nei capelli.
-Hanno creduto che fosse uno di noi e hanno sparato.- aggiunge Mosca.
-No, questa arteria succlavia!- ribatte Helsinki.
Perché ho l’impressione che nessuno sia stato attento alla lezione di anatomia del Professore?
 
Toledo- 1 mese all’ora zero
 
-Un momento, un momento, perché dovremmo sapere come estrarre un proiettile?- interviene Denver.
-Perché potrebbe succedere che qualcuno ne avrà bisogno.- risponde il Professore.
-Io non mi ci metto nelle mani di questi matti: se dovessero spararmi, lasciatemi morire.- aggiunge il ragazzo.
-Beh io preferisco libera e zoppa che sana e in prigione.- commenta Tokyo.
-D’accordo, chi vuole fare da cavia?- domanda Sergio, estraendo due pennarelli viola e rosso.
Credo che voglia farci vedere le parti più importanti del busto con quei colori e perciò qualcuno dovrebbe spogliarsi davanti a tutti.
Da quando so che Sergio ha una relazione con qualcuno mi sono un po' buttata giù, ma non intendo rinunciarci.
Voglio vedere se è davvero così, oppure mi ha detto una cavolata perché è timido e in realtà non ha alcun progetto dopo il colpo.
Nessuno si fa avanti.
-Faccio io.-
Mi alzo la canottiera e mi stendo sulla scrivania, mostrandogli per bene il mio bel reggiseno bianco e trasparente.
Ci sono subito dei commenti da parte dei ragazzi più giovani, ma lui niente, arrossisce e basta.
La prima cosa sulla quale mettono tutti gli occhi è il tatuaggio che ho sotto l’ombelico.
È da un po' di tempo che me lo sono fatto: il primo tatuaggio doveva essere qualcosa di significativo, così mi sono fatta tatuare una margherita.
Una cosa che ha segnato la mia vita per sempre.
Sergio ci si sofferma a guardarla per un po' e poi inizia a disegnarmi sul corpo con il pennarello rosso, mostrando tutte le vene più importanti.
Mi viene la pelle d’oca, ma non perché la punta del colore è fredda, è per il modo in cui mi guarda.
Concentrato e profondo.
Credo di starmi bagnando.
Con il viola disegna tutto il resto.
-Avete capito tutti?- chiede poi.
Denver ha lo sguardo leggermente perso.- Più o meno…-
Sergio passa i colori a Tokyo.- Forza Tokyo, tocca a te.-
Al mio posto si stende Nairobi e, non appena Tokyo inizia a tracciare le linee, entrambe notiamo qualcosa di strano sul suo ventre.
È la cicatrice di un taglio e, da dove è posizionato, capiamo che è un taglio Cesario.
Tokyo le abbassa leggermente i jeans per vedere meglio e Nairobi le ci dà uno schiaffo.- Ma che cazzo fai?!-  esclama, drizzandosi in piedi.
-Che c’è? Che succede?- le domanda Mosca.
-C’è che questa sbircia un po' troppo, è una lecca passere di prima categoria!-
Non so come sia successo, ma ad un certo punto dobbiamo separarle prima che si picchino davvero.
Credo che sia iniziata così la loro amicizia.
***
Sono le 4 del mattino quando mi alzo per andare a prendere un bicchiere d’acqua.
Trovo Tokyo in salone a fumarsi una sigaretta.
-Che ci fai qui?- le chiedo, sbadigliando.
-Non riuscivo a dormire.- risponde, spegnendo la sigaretta.- Credi che dovrei chiedere scusa a Nairobi?-
Sorseggio dal bicchiere.- Sarebbe un buon modo per non farsi strappare i capelli.-
Ridacchia e poi si stringe nelle spalle.- Insomma, la cicatrice l’abbiamo vista tutte e due.- mormora.
-Magari non ne vuole parlare, io non vorrei parlare delle mie cicatrici.- commento.- Però puoi sempre chiederle scusa.-
Lei storce la bocca e annuisce.- Mi accompagni?-
Le sorrido.- Certo.-
Tra me e Tokyo c’è sempre stato un rapporto di amore/odio.
È difficile e facile allo stesso tempo stare in sua compagnia, perché è lei che te lo deve permettere, altrimenti si chiude a riccio.
Bussa alla porta della camera di Nairobi e lei le apre scocciata.- Cosa vuoi?-
Tokyo si rigira i pollici timidamente e io le do una spintarella.
-Volevo chiederti scusa per oggi, non mi sarei dovuta impicciare.-
Nairobi non sembra molto contenta.- Va bene, ora andatevene.-
-Quanti anni ha?- le chiede Tokyo, prima che chiuda la porta.
Non credo che Tokyo abbia capito che non deve impicciarsi.
Nairobi sospira e si toglie dalla porta, facendoci capire che possiamo entrare.
La sua camera è ben addobbata, ci sono luci di Natale e un sacco di vestiti trendy.
-Ha 7 anni, adesso.- risponde, sedendosi sul letto. -E’ un sopravvissuto quel ragazzino, è una vera forza della natura.-
-E suo padre?- intervengo, unendomi a lei.
-Suo padre non c’è praticamente mai stato, l’ho cresciuto da sola. Solo che, un giorno, quando aveva 3 anni, stava giocando con quel suo maledetto Spiderman del cazzo.- racconta, con gli occhi lucidi.- Mi allontano solo 5 minuti e nel frattempo lui va sul balcone, sale su una sedia e grida Mamma, mamma, guarda, come Spiderman!- continua, mordendosi il labbro.- 5 minuti, solo 5 minuti…E ovviamente poi la polizia mi ha beccato con le pasticche, quindi sono finita al fresco. 2 anni…Non me lo hanno fatto più vedere ed è passato da una famiglia affidataria all’altra.-
Ora capisco cosa intendeva quando aveva detto di dover risolvere degli affari prima di godersi la vita.
-Ma io lo so dove sta: sta alle Canarie, con una famiglia che ha un hotel.-
Tokyo le sorride.- Te lo andrai a riprendere, vero?-
-Certo che sì.- afferma, assottigliando gli occhi.- Perciò se durante questo colpo qualcuno si azzarda a fare un solo passo falso, me lo mangio a colazione!-
Scoppiamo a ridere: è la prima volta che mi trovo bene con due ragazze.
E, anche se il Professore aveva detto che non ci dovevano essere relazioni di alcun tipo, è davvero impossibile non legarsi a questa gente.
-Fra tutti i progetti, direi che il vostro è quello che mi piace di più.- commenta Tokyo. -Io ancora non lo so bene…-
Faccio un sorrisetto malizioso.- Beh, intanto puoi spiegarci com’è il pesciolino di Rio.-
-Ah ah ah.- replica, facendomi una linguaccia.- E allora la tua margheritina?-
Mi viene un po' di malinconia a ripensarci.- Quando andavo ancora a scuola, qualcuno mi lasciava sempre una margherita davanti la porta.-
-Un ammiratore segreto.- interviene Nairobi, cercando qualcosa nel suo armadio.
Penso mi brillino gli occhi quando ne parlo. -Probabilmente sì, ma non è mai venuto allo scoperto, non so chi fosse.-
Non mi sarebbe importato se fosso stato uomo o donna, volevo solo sapere chi fosse.
Invece, sicuramente, non lo saprò mai.
-Beh, basta parlare di cose tristi.- continua Nairobi, estraendo una bottiglia.- A chi piace la tequila?!-
Non ci importa che sia quasi l’alba, Nairobi alza il volume della musica al massimo e ci facciamo talmente shottini di tequila che ho perso il conto.
Ci lascia provare i suoi vestiti e Tokyo ci mostra come si sa muovere bene.
Io credo di aver perso un po' il tocco con il passare degli anni, ma so ancora come stuzzicare qualcuno.
Non ho mai fatto niente del genere con delle ragazze in vita mia e me ne pento, perché è divertente.
Faccio roteare i capelli e ammetto che mi gira un po' la testa.
-Non sei per niente da buttare, amica mia!- grida Nairobi, dandomi delle pacche a ritmo sui glutei.
Ad un certo punto, però, la porta si apre e ci ritroviamo davanti il Professore con il suo pigiama bianco a righe.
-Porca troia.- borbotto, spegnendo subito la musica.
Ha una tazza in mano e sembra un vecchietto con problemi alla prostata che è andato in bagno per la decima volta.
Siamo troppo ubriache, ci viene da ridere.
-Vi rendete conto che sono le 4:30 di mattina?- borbotta, guardandoci male.
-Sì, ci scusi Professore.- risponde Tokyo, barcollando un po'.
-Tornate a dormire.-
-Tutti e 4 insieme?- domanda Nairobi, entusiasta.
Lui sospira.- Ognuno in camera sua.- ordina, chiudendo la porta.
Scoppiamo a ridere per quello che ha appena detto Nairobi.
-Dio Santo, quel tipo mi fa impazzire!- esclama, gettandosi sul letto.
-Davvero? Non si direbbe.-
Ah bene, quindi non sono l’unica stramba a cui attrae molto.
Mi dispiace però per lui, perché gli anni passano e non si diverte mai.
-Buonanotte ragazze.- gli dico, dirigendomi verso la mia camera.
Sergio è ancora per il corridoio.- Mi ero scordato di questa tua parte infantile.-
Alzo un sopracciglio, offesa.- Come scusa?-
-Lo sapevo che non l’avresti presa sul serio.- aggiunge, entrando nella sua stanza.
Lo seguo a ruota, sbattendo la porta.- Come scusami!?- ripeto. -Senti, io prendo molto sul serio questa cosa, d’accordo? So per chi lo stai facendo, ma non puoi pretendere che la vita di questa gente si fermi.-
Alza le sopracciglia.- Ah, davvero? Sai per chi lo sto facendo?-
Scrollo le spalle sospirando appena.- Per tuo padre, è ovvio.-
Tira la tazza sul comodino e incrocia le mani.
-So che è importante per te, ma devi rilassarti, perché sei sempre così…Serio e…Noioso.-
Non volevo dire noioso, però mi è uscita solo quella parola.
-Non sono sempre serio e noioso.- bofonchia, sistemando uno dei suoi origami in fila con gli altri, che si era spostato di poco.
Credo che invece lui abbia anche qualche mania ossessiva.
Così, ci do una bottarella e li faccio cadere quasi tutti per terra.
Riesco a vedere il fumo uscirgli dalle orecchie.- Non posso credere che tu lo abbia fatto!-
-È così che tratti la donna che dici di amare? Perché io non so quanto sopporterebbe la tua seriosità.- aggiungo, facendo capire palesemente che quella cosa non mi va proprio giù.
Mi guarda confuso e soddisfatto allo stesso tempo.- Sei gelosa, per caso?-
Senza accorgermene arrossisco.- Cosa?! No! Ma ci siamo fatti una promessa, ricordi? Credevo che anche a chilometri di distanza ci saremo detti tutto e non mi pare che tu mi abbia mai parlato di una donna.-
-Beh, magari mi è sfuggito!- esclama, gesticolando.
Qualcosa non mi quadra.
A lui non sfugge mai niente.
-Siamo effettivamente sicuri che questa donna esista?-
Ridacchia nervosamente.- Credi che me la sia inventata?-
Alzo le spalle.- Perché non l’hai fatta entrare nella banda?-
Sergio sbuffa e stringe i pugni, facendo i capricci come un bambino.
No che non esiste, se l’è inventata.
Ho un solo modo per scoprirlo.
Mi avvicino lentamente a lui, percependo subito le meravigliose vibrazioni che ci sono fra di noi.
Lo guardo negli occhi e metto le mani sui suoi fianchi.
Lui non si scansa neanche un po'.
Abbassa lo sguardo su di me quando io sfioro il mio naso col suo, strofinandolo appena.
Le sue labbra paiono così morbide da vicino.
Non so cosa mi stia succedendo, non so perché ora e non 15 anni fa.
Forse ero troppo sciocca per capire o troppo codarda per farmi avanti.
Perché lui in realtà mi interessava, ma non fino a questo punto.
Non sarei mai riuscita ad arrivare al punto di toccargli leggermente le labbra con le mie.
Allora, come se non ce la facesse più a resistere, mi prende il viso tra le mani e mi bacia.
C’è un’esplosione dentro di me.
Una mia mano va dentro i suoi ricci, mentre il bacio si fa passionale e sento la sua lingua dentro il mio palato con il respiro affannato.
Mi stacco un po', sembra tutto già troppo, non voglio affrettare le cose.
Ho ancora un mese prima di separarmene per una decina di giorni.
Alzo lo sguardo su di lui.- Deduco che tu debba rivedere i tuoi piani, Professore.-

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Capitolo 13
*** Parte 12 ***


 
Toledo- 29 giorni all’ora zero
 
-Entreranno, non so in che modo, ma prima o poi cercheranno di entrare.- esordisce il Professore, camminando per l’aula. -E noi gli offriremo il nostro cavallo di Troia.-
Mi guardo intorno e vedo che la metà delle persone presenti ha la faccia basite.
-Sapete cos’è un cavallo di Troia?- domanda.
-Cerca qualcosa con una prostituta?- interviene Denver.
Come pensavo.
-No: i Greci sono in guerra con i Troiani. Un giorno, i Greci trovano davanti le loro mura un enorme cavallo di legno. Accecati dalla loro vanità, credono che sia un dono da parte degli Dei e lo fanno entrare nella propria città. Ma nessuno sa che dentro a quel cavallo ci sono centinaia di Troiani e così vinsero la guerra.- spiegai: almeno sono stata attenta durante quella lezione.
Sergio mi fa un sorrisetto.- Esattamente.-
Ogni segno che mi fa per me è come oro.
Mi si secca la bocca, nonostante sto masticando una gomma come sempre.
Sento come una bellissima ondata di piacere che mi parte dallo stomaco fin sotto il ventre.
Alla fine della lezione, lascio che tutti escano e chiudo la porta, poggiandomici sopra.
Si volta verso di me, confuso.- Tutto bene?-
-In realtà c’è un piccolo concetto che non ho capito.- rispondo, gettando la gomma e avvicinandomi a lui.
Lui fa qualche passo indietro, timidamente, ma va a sbattere contro la scrivania.
-Come fa un uomo a dire di amare una donna e poi ne bacia un’altra?- sussurro, fissandolo negli occhi.
Assottiglia gli occhi.- Mi torturerai fino alla fine, vero?-
Sorrido divertita.- Temo di sì.-
Si bagna le labbra e sospira.- D’accordo, non c’è nessuna donna.-
Lo sapevo!
Gli do una pacca sul naso col dito.- Sei proprio un bugiardo.-
-Non si possono avere relazioni personali, è la prima regola.- afferma, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
-E’ la prima regola secondo il Professore.- aggiungo, togliendoglieli. -E se quando sei con me non fossi il Professore?-
Sergio sa che è un argomento più che valido. -Questo ci farà finire nei guai, comprometterà tutto.-
-E non è questo il bello?- gli chiedo, poggiando la fronte sulla sua.- Dammi solo un bacio, chiedo solo questo, per ora.-
Ricambia il mio sguardo.- Non so come ci si comporti con le donne, lo sai.-
Mi stringo nelle spalle.- Devi solo essere te stesso, fare quello che ti senti di fare.-
Alza appena le sopracciglia, dopo avermi guardata dalla testa ai piedi.- Beh, c-ci sarebbero molte cose che vorrei fare, ma non sarebbe consono.- balbetta arrossendo.
Ridacchio.- Baciami e basta.-
Piega leggermente la testa di lato e poi preme le labbra sulle mie.
Se solo quello mi manda in estasi, non so pensare a cos’altro.
La sua barba non pizzica nemmeno un po' e i suoi capelli sono morbidi e profumati.
Per ora mi basta così.
Gli do giusto una strizzata alle natiche e lui sobbalza, facendomi scoppiare a ridere.
Scusa Nairobi, ma il Professore è già in ottime mani.
 
33 ore di rapina
 
Hanno fatto una fasciatura ad Arturo come Denver e Mosca l’hanno fatta a Monica.
Entrambi hanno bisogno di essere operati, proprio come me.
Io, Monica ed Arturo: abbiamo fatto la tripletta, come si dice nel mio paese.
Per ora, salvo urgenze, solo io e Berlino rispondiamo quando chiama il Professore.
E dato che devo stare a riposo, seduta su una sedia, rispondo quando il telefono squilla.- Sono Roma.-
-Ho delle buone notizie: manderanno dei chirurghi all’interno per rimediare allo sbaglio che hanno fatto con il direttore, le ho chiesto di far operare anche te.- mi dice Sergio.
Faccio un sospiro di sollievo.- Finalmente, non sopporto più di avere questo coso che mi gira per il corpo.-Lo sento fare un momento di silenzio.- Tutto bene?-
Fa un sospiro.- Sì, solo che vorrei essere lì con te a tenerti la mano.-
Sorrido, anche se non può vedermi.- So cavarmela da sola Professore, tu non ti agitare troppo.-
-D’accordo, chiamami non appena ti senti meglio.-
-Certo.- affermo, prima di attaccare.
Subito dopo, vedo Berlino, Nairobi ed Helsinki dietro di me.- Manderanno i chirurghi, prepariamoci.-
Questa è una buona notizia pure per Monica: anche lei ha bisogno che le togliamo il proiettile dalla coscia.
Possiamo rubare un bisturi dal kit medico degli infermieri e fare noi l’operazione, come ci ha fatto vedere il Professore.
Raggiungo il caveau per avvisarli, dove Mosca le sta dando degli antidolorifici.
-Non troppi, faranno male al bambino.- commento, sedendomi accanto a lei.
-Ho sentito degli spari, che cosa è successo? Loro non vogliono dirmelo.- balbetta preoccupata.
-Hanno sparato ad Arturo.-
-Oddio?! Cosa?!-
-Sta bene, la polizia manderà dei medici ad operare me e lui, d’accordo? A quel punto, Denver prenderà un bisturi e verrà qui per toglierti il proiettile.- spiego, quando, improvvisamente, sento qualcuno vicino alla porta.
Faccio cenno a tutti di stare zitti e poggio l’orecchio sul muro: fa passi molto pesanti, è Helsinki o Oslo che fa un controllo.
Ho paura che entrerà.
-Che cosa facciamo?- sussurra Denver, sgranando gli occhi.
-Chi c’è lì dentro?!- borbotta Helsinki.
Mi invento qualcosa sul momento.- Okay, reggimi il gioco.- gli dico, iniziando ad gemere come ci stessi dando dentro con lui.
-Ma sei impazzita?!-
-Seguimi e basta!-
Allora anche lui prende a fare versi di piacere.
Sentendoci, Helsinki si senterà in soggezione o sarà sorpreso e se ne andrà.
Vedo Monica e Mosca arrossire come due peperoni.
-Santo Cielo, che matti.- commenta Helsinki, scoppiando a ridere e poi se ne va.
Faccio un sospiro di sollievo.
-Fingi davvero così quando fai sesso?- mi domanda Denver.
Gli do una spinta.- Fottiti.- borbotto.- Allora è tutto chiaro? Monica, resisti più che puoi. Mosca, resta con lei.-
Di scatto, mi stringe per la tuta.- Ti prego, dì ad Arturo che lo amo, che sono viva, me e il suo bambino, per favore.-
Ha uno sguardo talmente disperato che non posso dirle di no.
I medici staranno arrivando e gli ostaggi sanno già che cosa fare, mentre Berlino preferisce che Rio porti via Allison in un altro ufficio.
Berlino ha messo su una specie di sala operatoria nel salone, utilizzando diversi separé orientali e aggiungendo un’altra scrivania con le rotelle per me.
Indossiamo tutti le maschere e la professoressa apre le porte.
A proposito, ho scoperto che si chiama Mercedes.
Entrano quattro uomini con tutto l’occorrente.
Ma, non ci credo.
Non sono tutti medici.
Finalmente i miei sforzi a studiare quei volti vengono ripagati.
Tra di loro c’è il viceispettore Rubio.
Hanno fatto entrare una talpa apposta, che idioti.
Ovviamente loro non sanno che io so.
Così, mentre Berlino gli dà il benvenuto, corro ad avvisare il Professore.
-Hai visto?- gli domando, entusiasta.
-Sì, l’ho visto, proprio come avevo pianificato.- risponde, ridacchiando.
-Sono dei veri coglioni!- esclamo, ridendo con lui.
-Okay, okay, calmiamoci. Avvisa Helsinki, sa cosa deve fare e buona fortuna.-
Annuisco e attacco, ritornando nel salone.
Tokyo prende una vaschetta di plastica e fa lasciare agli uomini tutti gli oggetti elettronici, tra cui anche gli occhiali.
Di nascosto, Helsinki fa un piccolo foro su di essi e ci inserisce un piccolo microfono: il suo lavoro è perfetto e nei minimi dettagli, non si vede neanche.
Poi, glieli restituisco.- Prenda questi, le serviranno per operarmi.-
Gli ostaggi hanno tutte le maschere e gli tengono puntate le loro armi finte, fino a che non arriviamo all’interno dei separé.
Mi tolgo la parte sopra della tuta e la canottiera, stendendomi sulla scrivania.
A quel punto, Berlino arriva con uno dei telefoni non ritracciabili, nella quale ogni fotocamera è stata coperta.
-Signor Roman, c’è sua moglie in linea.- gli dice, mettendo il vivavoce e posandoglielo vicino l’orecchio.
-Amore mio!-
-Tesoro, stai bene?- piagnucola la signora.
-Sì, stanno per operarmi.- risponde Arturo, col fiatone.- Ascoltami, mi dispiace per tutto quello che è successo ultimamente. Ti prometto che quando uscirò da qui, mi prenderò cura di te e dei ragazzi.-
Non credo alle cazzate che sta dicendo, è davvero un porco.
-So che non sono stato il marito che volevi, ma ti giuro che d’ora in poi cambierà tutto.-
Non si merita Monica e dentro di me ho già deciso che non gli riferirò quello che ha da dirgli.
-Ti amo tanto, Monica.-
Io e Berlino scoppiamo a ridere, ma ci tratteniamo.
Ha davvero sbagliato nome.
La moglie fa un attimo di silenzio in cui singhiozza. -Tu pensa a rimetterti, ti amo tanto.-
Berlino prende il telefono e so che sotto la maschera si sta divertendo.
-Ah, Arturito, mi stai sempre più simpatico.- commento, dandogli una pacca sulla spalla buona.
Per adesso, siamo uguali: siamo due pazienti, in sala operatoria, come in Grey’s Anatomy.
-Sono qui vicino a te.- mi sussurra Berlino.
Ma perché credono tutti che io abbia paura?
-Lo so.-
Tuttavia, che lui mi prenda la mano, non mi dispiace.
I medici ci collegano dei vari fili al petto per vedere la nostra pressione e i battiti del cuore, quando vedo uno di loro prendere una siringa.
-Che cos’è?- chiede Berlino.
-L’anestesia totale.-
-No, voglio che sia fatta parziale, voglio parlare con loro.- afferma Berlino, con tono duro.
Allora l’infermiere cambia siringa e il viceispettore mette sulla scrivania un orologio.
-A che serve?-
-A contare il tempo dell’anestesia, dovrebbe durare 25 minuti, se scade il tempo e ci sono complicazioni, dovremmo farne un’altra.- spiega Angel.
È abbastanza informato per essere un finto infermiere.
Prendo un bel respiro e sento l’ago che mi entra nella pelle.
A poco a poco, non riesco più a percepire il mio corpo dal collo al ventre.
Non mi importa, voglio solo che mi tolgano quel proiettile, voglio vivere e godermi tutti quei soldi che si stanno stampando al piano di sopra.
-Berlino, Professore vuole parlare con te.- interviene Helsinki.
-Torno subito.- mormora, lasciandomi la mano.
Denver approfitta della sua assenza per rubare il bisturi con la quale opererà anche Monica, mentre vedo un chirurgo gettare il proiettile dentro una vaschetta di ferro.
Fanculo, proiettile del cazzo.
Sono talmente contenta che vorrei masticarmi una bella gomma e farmi una bella scopata, invece devo divertirmi in qualche altro modo.
Noto che anche Arturo è fuori pericolo e che il viceispettore, ovviamente, non ha mosso nemmeno un dito.
-Ehi tu, occhioni azzurri.- lo chiamo.- Perché non mi ricuci tu?-
È davvero strano non sentire la metà del proprio corpo, però so come divertirmi lo stesso.
Deglutisce nervosamente e prende l’ago e lo strumento, ma quando viene il momento di inserirlo, ha una specie di mancamento.- S-Scusate, non posso…Io…-
-Che razza di infermiere sei?- interviene Berlino, scendendo dalle scale.
Vedo che ha in mano una pila di altre maschere, qualcosa non va come previsto.
-Nairobi, perché non porti il nostro amico in bagno, così si dà una bella sciacquata al viso.-
Nairobi gli dà un colpetto con il fucile e lo porta in bagno.
Berlino sta cercando di guadagnare tempo.
Altri due infermieri ci ricuciono e mettono dei cerotti, proprio nello stesso momento in cui i 25 minuti dell’anestesia scadono.
Siamo entrambi salvi.
-E’ andato tutto bene?-
-Sì, ma dovremmo tornare a controllare tra 24 ore.- risponde l’infermiere.
-Non serve, sappiamo come curarli dopo l’intervento.- ribatte Berlino.
Successivamente, Angel torna dal bagno ed è ora di salutarci.
Sento già di poter muovere la schiena e con una mano lo saluto.- Arrivederci, dottore.-
Berlino e Nairobi scansano i separé e la prima cosa che osservo è che tutti hanno cambiato maschera.
A quel punto, Rubio sembra volersene andare in fretta.
Non appena le porte si chiudono, mi sfilo la maschera.- Che è successo?-
-La polizia tentava di infiltrarsi con le tute e le maschere di Dalì dai condotti di areazione.- risponde Berlino.- Il piano B ha funzionato.-
Bene, procede tutto alla perfezione e non appena scendo dalla scrivania, mi sento benissimo.
Arturo, al contrario, sembra sconvolto e mi fa ridere.
-Sai Arturito, ti voglio bene.- gli dico, avvicinando le labbra al suo orecchio.- Ma sei un vero coglione.- Successivamente mi do una stiracchiata.- Allora gente! Ora che sono al massimo delle mie capacità, posso tornare a fare il mio lavoro!- grido agli ostaggi, sorridendo.- Vi sono mancata?-

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Capitolo 14
*** Parte 13 ***


È mentre controllo gli ostaggi che ripenso a Berlino.
Sono due volte che gli vedo tremare la mano e non è da lui.
Andrès è sempre stato un tipo duro, perfino con suo fratello.
Tutti mangiano buoni buoni e la solita botola si affoga come se credesse di morire domani.
Certe persone sono davvero dure di capoccia, come si dice a Roma.
Come Berlino, ad esempio.
Salgo le scale e raggiungo Rio che doveva occuparsi di Allison.
La trovo seduta su una sedia, con le mani e le caviglie legate.
Li guardo entrambi confusi, Rio sembra arrabbiato.- Mi sono persa qualcosa?-
-La stronzetta ha tentato di adularmi per rubarmi il fucile.- risponde il ragazzo, sputando tra i denti.
Ecco, appunto, quanto odio le persone testarde.
Allison è diventata come Arturo, lui si è meritato quello sparo e lei di essere stata legata in quel modo.
Sospiro e mi piego alla sua altezza.- Ah, Allison, Allison, Allison, cosa devo fare con te?- borbotto, guardandola negli occhi.- Lo sai che non ti farei mai del male, ma prima il telefono e adesso questo. Cercare di farsi amico uno dei sequestratori è davvero da disperati.-
Purtroppo, non la posso nemmeno sfiorare, dato che è la figlia dell’ambasciatore.
Ma per colpa sua sono arrivati a Rio e così anche a Tokyo.
-Dovremmo fare dei turni per controllarla.- commenta Rio.
Mi viene una bella idea e sorrido soddisfatta.- Sì, ma non mandiamo né Denver, né tanto meno te: siete troppo carini, non vorrei che questa ragazzina si eccitasse troppo.- gli rispondo.- Porta Oslo.-
Rio ridacchia.- D’accordo, ci sto.- afferma.- Ma per quanto riguarda Berlino?- mi sussurra, prendendomi da parte.- Hai visto che sta dando di matto? So che è il capitano di questa operazione, ma inizia a farmi paura.-
Non ha tutti i torti e già che mi ci fa pensare, Berlino aveva quel problema alla mano anche prima che entrassimo nella Zecca.
 
Toledo- 27 giorni all’ora zero
 
Di fuori, in giardino, sul tavolo ci sono tantissime belle armi che mi fanno accapponare la pelle dalla gioia.
Pistole, fucili e mitra da poter uccidere un esercito.
Denver posiziona tre mirini distanti da noi.
-Non ci prenda per ignoranti Professore, sappiamo come si tiene un’arma.- commenta Nairobi.
-Non ho dubbi, voglio solo controllare com’è la vostra mira nel caso ci sarà bisogno.- ribatte il Professore.- Roma, ci dai una dimostrazione?-
Oslo scoppia a ridere.- Tu vuoi far fare dimostrazione a ragazza?-
Non la prendo come un’ offesa, più come una sfida.
Inserisco il proiettile dentro un caricatore di pistola e tolgo la sicura.
-Oh Oslo, così mi offendi.- scherzo.- Credi che una donna non sia pericolosa quanto un uomo con una pistola?- aggiungo, posandomi davanti a lui e puntando l’arma contro il mirino, dopo avergli dato un’occhiata in un millesimo di secondo, quanto mi basta per aver visualizzato il centro. -Probabilmente hai ragione, noi donne non usiamo le pistole solo per sparare. Le indossiamo, le facciamo nostre….- aggiungo, premendo poi il grilletto.
Denver sobbalza per l’improvviso sparo e controlla il mirino.- Ha fatto centro!- esclama.- Come cazzo ha fatto?!-
Helsinki fa una ridarella con uno stecchino tra i denti.- Molto tosta ragazza.-
-Sì, woman power stronzi!- grida Nairobi, alzando il dito medio di entrambe le mani.
Così, a gruppi di tre, iniziano ad allenarsi con le pistole e i fucili, facendo quasi gara a chi si avvicina di più al centro.
È questo il mio lavoro, quello che ho sempre desiderato di fare.
Le armi sono le mie migliore amiche.
Mi metto dietro Berlino per osservarlo, ma noto che la sua mano destra trema come una foglia al vento.
Fa un ringhio e l’abbassa nervosamente.
-Stai bene?- gli chiedo, stranita.
-Sì, ho solo la mano un po' intorpidita.- risponde, infastidito.
-Senti, ma non è che te ne sei infilata una da qualche parte, eh?- mi sussurra Nairobi, sarcasticamente.
Ridacchio.- No, ancora non ci avevo mai pensato.-
Mentre io e Nairobi parliamo, d’un tratto, vedo Berlino e il Professore che si spingono l’un l’altro, litigando.
-Perché non la prendi in mano tu, eh?- borbotta Berlino, lanciandogli la pistola sul petto.
Il Professore non riesce a tenerla in mano e gli cade, come se gli facesse schifo.- Sai che non utilizzo le armi!-
-Certo perché sei un codardo del cazzo!- esclama Berlino, prima di dargli un pugno.
Non è la prima volta che vedo Andrès picchiare qualcuno, ma mai suo fratello.
Non ho idea di cosa gli sia preso.
Denver ed Oslo li separano prima che si facciano del male, anche se Sergio ha il naso che gli sanguina.
Gli prendo il viso tra le mani e noto che non ha nulla di grave, né di rotto.
Mi giro verso l’altro e lo guardo male.- Ma che cazzo ti prende?!-
Berlino si toglie dalla presa del serbo e se ne va verso i campi, senza darmi alcuna spiegazione.
Odio vederlo picchiare qualcuno, perché mi ricorda quel giorno in cui mi ha dato uno schiaffo.
***
Verso sera le acque si sono calmate, questo perché Berlino non si è mosso da dentro la macchina di Sergio parcheggiata fuori.
Forse si sente in colpa o si vergogna perché se rientrasse in casa, gli darebbero tutti contro.
Tuttavia, decido di mettergli la sua porzione di cena dentro un piatto e glielo lascio sul cruscotto della manica.
Continua a guardare il soffitto, senza degnarmi nemmeno di uno sguardo.
Non so cosa gli prenda.
Passo il resto della serata a pensarci su e quando tutti sono ormai andati al letto, mi occupo di lavare i piatti.
-Ehi, sei ancora sveglia?- mi domanda il Professore.
-Sì, non riesco a non pensare a quello che è successo, perciò mi sono messa a fare qualcosa.- rispondo, passando la spugna saponata sulla forchetta.
-Lo sai che Andrès è sempre stato una testa calda, lascialo stare.- commenta, alzando le spalle, ma sento che mi sta nascondendo qualcosa e io odio le bugie.
Solo che, l’effetto che mi fa Sergio, mi fa dimenticare di tutto il resto.
-Ti aiuto.- afferma, prendendo un panno per asciugare i piatti.
-Posso chiederti perché ti sei inventato una fidanzata immaginaria?- domando timidamente.
Lui arrossisce.- Non lo so, magari volevo fingermi un playboy per un po': ho avuto qualche relazione, ho imparato qualcosa, ma…C’è sempre qualcosa che mi blocca.-
Mi intriga questa sua frase.- Ah sì? E cosa hai imparato?-
Si stringe nelle spalle ridacchiando.- Non posso di certo fartelo vedere così, su due piedi!-
Sorrido e mi guardo intorno.- Beh, stanno tutti dormendo.-
Continua a fare uno sguardo imbarazzato: credo che io gli piaccia, altrimenti non mi avrebbe baciata, forse ha solo bisogno di una spintarella.
Di scatto, gli schizzo un po' d’acqua dal lavandino ridendo.
Lui fa lo stesso e iniziamo a giocare con il getto come se avessimo 7 anni, bagnandoci i vestiti.
Gli tolgo gli occhiali bagnati e uso il vestitino che indosso per passarlo sulle lenti e pulirle.
Ad un certo punto, lui me li prende dalla mano e li posa sul lavello.
Non sta più sorridendo, è molto serio adesso.
Mi mette due dita sul mento prima di baciarmi leggermente, facendomi strofinare la barba morbida sulle labbra.
Chissà se anche lui sente questa sensazione nello stomaco.
Gli cingo la vita per fargli capire che con me non deve avere paura, né vergogna, come se dovessi farlo sentire protetto.
Allora lui trasferisce le sue dita sul mio collo, accarezzandomi, e poi verso il seno, passandoci sopra solo per un attimo.
Tenta di farmi capire che non è malizioso, o almeno, quanto basta, ma che non gli importa solo di strizzarmi le tette.
Si piega e mi solleva per le cosce, approfondendo il bacio e portandomi verso il salone.
Le nostre lingue si intrecciano in una sola mentre lui, con la mano libera, toglie tutto ciò che è rimasto sul tavolo, poggiandomici sopra.
Mi bacia il collo, facendomi ansimare.
Mi solleva il vestito e fa scivolare tra le gambe i miei slip, tirandoli via.
Sta davvero succedendo?
Non mi sarei mai aspettata da Sergio una cosa del genere.
Non dal timido e innocente Sergio.
Ma, in questo caso, non credo che sia Sergio.
No, in questo caso siamo due persone completamente diverse: siamo Roma e il Professore.
Vedo il suo sguardo profondo su di me, nel frattempo che mi allarga le cosce e ci inserisce la testa.
Sento la sua lingua bagnata dentro di me che mi fa tirare un gemito acuto.
Mi corpo la bocca velocemente, mordendomi le dita.
Mai avrei creduto che sarebbe successo con lui.
Però capisco che non mi basta, anche se è bellissimo.
Mi tiro su col busto e in fretta gli slaccio la cinta, tiro giù i pantaloni e i boxer, senza preoccuparmi di altro.
Percepisco dalla sua smania di togliermi il vestito che lo vuole anche lui e allora me lo lascio scivolare dentro come ha fatto fin ora, tirandomi fuori un altro gemito che strozzo nella sua bocca per non farmi sentire.
Avvinghio le gambe al suo bacino e con i talloni riesco a sentire i suoi glutei che premono con forza.
Mi viene da tirare la testa all’indietro, tentando solo di ansimare e non di gemere, silenziosamente, come sta facendo lui, anche il tavolo si muove come se ci fosse un terremoto.
Con una mano mi reggo al legno e con l’altra tra i suoi capelli.
Qualche minuto dopo, dopo un attimo di piena estasi, siamo nella sua stanza.
Lui nudo sotto le lenzuola, io con indosso la sua camicia e gli slip.
Guardo di fuori, Andrès è finalmente uscito dalla macchina, forse perché ha iniziato a piovere.
-E tu invece hai avuto delle relazioni in questi anni?- mi domanda, rimettendosi gli occhiali.
Scuoto la testa, osservando i suoi origami.- Storielle effimere, niente di che.- rispondo.- Probabilmente crederai che io sia andata al letto con uomini muscolosi, sexy, forti, magari con l’accento francese.-
-Non mi stupirebbe.-
Mi siedo accanto a lui.- Sai cos’è sexy per me? Quando un uomo si prenda cura di te, quando farebbe di tutto senza chiedere niente in cambio. La complicità, la stima, il divertimento. Quando non servono le parole, perché ci si capisce con un solo sguardo.-
Sto parlando di te e di me, Sergio, te ne accorgi?
-E’ un po' spaventoso, in realtà.- aggiunge, a bassa voce.
Ridacchio leggermente.- Ehi, non ti sto mica dicendo che dobbiamo sposarci e avere un bambino.-
-Non so nemmeno dove saremo tra due settimane…-
Mi stupisce che lui abbia paura, ma non voglio farglielo notare.- Mi fido di te.- gli dico, avvicinandomi al suo volto.
-Anche io.- afferma, osservando la sveglia sul suo comodino.- E’ ora della ninna.-
Ha ragione, sto morendo di sonno.
-Buonanotte, Professore.- gli dico infine, baciandolo a stampo.
Non riesco a credere a quello che è successo, spero di riuscire comunque a dormire, anche se sono troppo eccitata.
Mi sento un’adolescente in piena crisi ormonale.
Non appena chiudo la porta, sento lo sciacquone del bagno e vedo uscire Berlino.
Cazzo.
Mi ha appena vista mezza nuda uscire dalla camera di suo fratello.
Però non dice niente: si infila lo spazzolino da denti in bocca e va nella sua stanza.
Non credo che dirà niente.
Non può.
È il mio migliore amico.
 
Sabato 18:25
 
Facendo la mia solita pausa dopo ore in piedi, nell’ufficio di Arturo vedo che i ragazzi hanno acceso la tv.
Il Professore non voleva che ascoltassimo le notizie dall’esterno, anche perché avrebbero parlato solo male di noi.
Ma, invece, mi stupisco nel sapere che la maggior parte dell’opinione pubblica è dalla nostra parte.
Non so come Sergio si sia riuscito, so solo che lì, nel suo scantinato puzzolente, con i suoi 5 o 6 schermi in cui ci controlla, sta facendo davvero del suo meglio.
Trucchi psicologici e geniali, che io non saprei mai inventarmi.
Chissà se si sente solo.
Ho visto il posto in cui sta, quando Rio gli ha dovuto collegare i vari computer: puzza di muffa e dal soffitto cade acqua tanto da fare delle pozzanghere sul pavimento lurido.
Forse lo ha scelto apposta perché così passa inosservato.
Ha messo anche un letto a castello sopra cui dormire e il suo solito pigiama bianco a righe.
Probabilmente dormire su un letto a castello gli ricorda quando viveva con Andrès.
Chissà cosa direbbe se sapesse che ha infranto la prima regola.
Ad un certo punto, sullo schermo, appaiono un uomo e una donna, leggermente più vecchi di me.
-Sapevamo che Anibal non era un ragazzo come tutti gli altri, ma una rapina…Con 60 ostaggi…- bofonchia l’uomo.
La donna si rivolge direttamente alla telecamera.- Tesoro, per favore, ferma questa pazzia.-
Credo proprio che siano i genitori di Rio.
Che fortuna che hai, Rio, loro ti vogliono bene.
Mia madre mi ha denunciato subito, è così che sono finita in prigione la prima volta, nonostante volessi condividere il bottino con lei.
-Per me è come se fosse morto.- aggiunge il padre, duramente.
Tokyo nota che Rio sta piangendo silenziosamente e spegne subito la tv. -Forse non dovevamo…-
Rio esce bruscamente dalla stanza e lo seguo.
-Tesoro, ascoltami.- esordisco, prendendogli il viso tra le mani.- Non devi ascoltare, va bene? Sapevamo che poteva succedere, ma qui hai noi, hai me.-
Tira su col naso e si pulisce il viso.- Loro non mi hanno dato un cazzo, mi sono tirato su da solo.- borbotta.- Se avessi avuto dei figli, a 20 anni, ora avrebbero tipo la mia età, vero?-
Lo squadro male.- Quanti anni credi che abbia, signorino?-
Ridacchia.- Scusa, ho tirato ad indovinare.-
Faccio qualche veloce calcolo.- Sì, avrebbero tipo 14 o 15 anni.-
-Sei stata più madre tu, per me, che chiunque altro.-
È una frase che mi commuove tantissimo e per non scoppiare a piangere come una bambina lo abbraccio e gli accarezzo i riccioletti.
È così dolce.
Mi fa pensare che certe volte vorrei aver avuto un fratellino o una sorellina a cui confidare le cose.
Mi ribolle il sangue.
Rio ha sbagliato e ne sta pagando le conseguenze, mentre Berlino ha fatto uccidere un ostaggio e vaga felice per la Zecca di stato, aspettando la sua parte del bottino.
Ho saputo che si è preso un ufficio tutto per sé, dall’altra parte del corridoio.
Non appena ci entro, senza bussare, lo vedo seduto alla scrivania che armeggia con qualcosa, ma velocemente lo nasconde sotto un fazzoletto.
Chiudo la porta, facendo finta di niente. -Ti sei preso un bell’ufficio.- commento, sedendomi dall’altra parte della scrivania.
Lui è l’unico che ha una cintura in cuoio dentro cui tiene la sua pistola e un altro telefono fisso con cui comunicare col fratello.
Fa un sorrisetto.- Mi rilassa stare un po' da solo.-
-Sai, stavo pensando a Rio…E a Denver, alla quale hai fatto uccidere una povera donna incinta.- continuo, adagiandomi sulla sedia.- E il Professore non sa un cazzo. Quindi adesso tu prendi il telefono e glielo dici.- affermo, poggiando sul tavolo la mia pistola, come a dirgli che non scherzo.
Il suo continuare a sorridere mi infastidisce.- Mi hai preso la pistola non appena sei entrata, quindi deduco di non aver scelta.-
Di fatti, ci poggio la sua accanto.- Esatto.-
Alza la cornetta e pigia il numero, mettendo il vivavoce.
-Pronto?-
-Sono Berlino. Ho fatto uccidere un ostaggio.- gli dice, secco.
-Che cosa?! Perché?!-
-Aveva un cellulare segreto nelle mutandine, non potevo permettere che rimanesse impunita.-
-L’ha fatto fare a Denver.- aggiungo.
-Era la prima linea rossa Berlino, che cazzo!- esclama il Professore.
-Scommetto che adesso vorrai punirmi, giusto? Sarebbe l’ideale, devi farlo, devi comportarti come tutti gli altri.- continua Berlino, stranamente tranquillo e con un tratto di rabbia nel tono.- Mostrami che hai le palle, fratellino, mostrami il coraggio che non hai mai avuto in tutti questi anni!-
Non so con esattezza a cosa si stia riferendo, ma ho qualche sospetto.
-La polizia vorrà una prova che stiano bene entro 48 ore.- dice Sergio, prima di attaccare bruscamente.
-Credi che non abbia abbastanza fegato per punirti?- gli domando.
Lui alza le spalle.- Lo vedremo.-
-Tu lo sapevi, vero? Tutti questi anni.-
-Purtroppo no, il mio dolce fratellino che mi diceva di volermi tanto bene ha deciso di non condividere questa cosa con me.- spiega, grattandosi la guancia.
Certe volte ho l’impressione che non sia mai uscita dall’aula di teatro del nostro liceo, che sia recitando qualche parte.
-Sei solo geloso.- deduco, ripensando a tutto il resto.- Per questo lo hai preso a pugni?-
-E’ mio fratello e ci faccio quello che cazzo mi pare.-
C’è comunque qualcosa che non mi quadra, non so cosa nasconda sotto quel fazzoletto.- C’è qualcosa che non so perché non vuoi dirmi: non so se è per non farmi arrabbiare, ma io odio le bugie. Se sei veramente mio amico, se davvero vuoi rispettare la promessa che c’è dentro quell’anello, devi parlare con me, Andrès.-
Fa un bel respiro e scuote la testa.- Non c’è assolutamente niente.-
Se Pinocchio fosse una favola reale, il naso di Berlino sarebbe lungo un chilometro.
-D’accordo, fai come vuoi.- borbotto, restituendogli la pistola. -Ma d’ora in poi, non siamo più Andrès e Tatiana, siamo solo Roma e Berlino.-

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Capitolo 15
*** Parte 14 ***


Toledo- 3 mesi all’ora zero
 
È il giorno in cui il Professore vuole che vado con Rio a controllare le telecamere del museo: dobbiamo vedere se hanno cambiato qualcosa dall’ultima volta che c’è stato lui.
-Rio, Tokyo, cambiatevi per andare al museo.- esordisce, tirandogli le chiavi della Fiat Ibiza con la quale mi ha portato qui.
Lo guardo confusa.- Credevo di dover andare io con Rio.-
-Sì, ma ho cambiato idea.- balbetta, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Non capisco il perché, ma intuisco che qualcosa non va.- Che c’è? Ho fatto qualcosa di male? Non ti fidi di me?-
-No, non è questo…- sussurra, abbassando lo sguardo.
-Allora cosa?-
Si bagna le labbra.- Tuo zio.-
Se lo sta nominando è perché gli è successo qualcosa.
-Il diabete lo ha stroncato ieri, ha avuto un infarto.-
Mi si ferma il cuore.
È la più bella notizia che io abbia mai sentito negli ultimi mesi.
Finalmente quel figlio di puttana è passato a miglior vita.
Era diventato talmente grasso che gli era venuto il diabete, prima che io scappassi di casa.
E ora non c’è più.
Rio e Tokyo ci lasciano da soli all’interno dell’aula.
Mi volto dall’altra parte e lui mi mette una mano sulla spalla.
Sto piangendo e ridendo allo stesso tempo, perché finalmente ha avuto quello che si meritava.
-Mi dispiace, non volevo mandarti in città sapendo che avresti potuto farti scoprire.- continua.
Mi volta verso di lui con una lacrima che mi sta scendendo sulla guancia.- Dispiacermi? Sergio, sono felice, cazzo!- esclamo sorridendo.- Lui è morto da solo e io…Io sto per fare milioni di euro, circondata dai miei migliori amici.-
Mio zio mi ha fatto soffrire talmente tanto che nessuno in questa casa può immaginarselo: nemmeno Andrès e Sergio perché non gliene ho mai raccontato.
Anche se non credo di poter tenere il segreto per sempre.
-Sei sicura di stare bene?- mi domanda.
Annuisco e mi pulisco le guance sorridendo.
Allora lui si avvicina timidamente e mi stringe a se.
Mi lascio andare, poggiando la testa sulla sua spalla, godendomi il suo calore e la sua barba morbida sulla testa.
Quello che provo quest’uomo si fa ogni giorno più forte e credo che si noterà molto presto.
 
40 ore di rapina
 
Dopo quello che ha rivelato Berlino, lui non ha quasi più il coraggio di rispondere al telefono, così lo faccio io.
Non a caso sono il secondino, qui.
-Sono Roma.- rispondo.- Senti, che devo fare con Berlino? Lo imbavaglio ad una sedia, prendo il comando o lo faccio fuori?- chiedo, ironicamente.
-Non lo so, ci penseremo dopo, passami Helsinki.- mi dice in fretta, sembra molto preoccupato.
L’omone è vicino a me e, curiosa di quello che stia succedendo, metto il vivavoce.
-Helsinki, tu mi assicuri che hai fatto demolire la Seat Ibiza, vero?-
-Certo Professore.-
-Perché sto riguardando la foto che mi hai fatto e mi ricordo che il colore fosse leggermente diverso.-
-D-D’accordo, io non visto mentre demolivano, ma lui assicurato a me che lo avrebbe fatto.- spiega Helsinki.
Cazzo Helsinki, mi prendi in giro?!
-Helsinki, ti ho dato mille euro per farla demolire e tu mi stai dicendo che te li sei intascati quando stiamo facendo un colpo da milioni di euro!-
-Milioni di euro vaganti, mille euro sicuri.- ribatte l’altro.
Non ci posso credere.
Afferro il telefono e tolgo il vivavoce, ora sì che me la sto facendo sotto.- Mi stai dicendo che quell’auto potrebbe non essere stata demolita?!-
-Non lo so, non lo so!- risponde lui, lo sento sbattere contro qualcosa per la rabbia.
-Lì dentro ci sono le nostre impronte, la nostra saliva, il nostro respiro cazzo!- esclamo, mettendomi una mano sul viso.- Devi andare a controllare immediatamente! Se la trovano siamo fregati!-
-Lo so, vado subito!-
Neanche il tempo di finire la frase che attacca.
Mi viene da vomitare per quanto sono nervosa.
Se trovano le mie impronte finisco come Tokyo e Rio.
E i miei sogni non se ne possono andare via così.
 
Toledo- 25 giorni all’ora zero
 
Non credo sia stata una buona idea nasconderci dentro la macchina per non far capire agli altri della nostra relazione.
La macchina fa su e giù, avanti e indietro, cigolando come una vecchietta che fa due passi.
Un pervertito come Denver o una che ha naso come Tokyo, affacciandosi, capirebbe subito quello che sta succedendo.
-Aspetta, aspetta, così si sente tutto.- gli dico ridacchiando, anche se i posti dietro della Seat Ibiza sono molto comodi per fare sesso.
-Scusa, mi dispiace.- ansima lui, scoppiando a ridere insieme a me.
Opto per un’altra posizione, in cui lui non si dovrebbe muovere più di tanto.
Mi giro a pancia in sotto, facendo aderire i glutei al suo bacino.
È anche più bello.
Lo sento gemere silenziosamente tra i miei capelli, è il più bel suono che io abbia mai sentito, seguito da quello di uno sparo.
Percepisco le sue dita forti prendermi i fianchi e ondulare dentro di me.
Il mio respiro affannato fa l’alone sul finestrino, formando una specie di nuvola.
Solo a quel punto, non so per qualche motivo, ma forse senza neanche accorgersene, mi tira su la maglietta del pigiama.
Improvvisamente si blocca e so anche il perché: ci sono talmente tante cicatrici sulla mia schiena che dentro la mia testa, se unisci i puntini, probabilmente ci esce qualche disegno.
Però mi vergogno tanto, non volevo che lui o nessun altro le vedesse mai.
Mi abbasso la maglietta e scendo dalla macchina in fretta, rossa in viso.
Anche lui esce e si rimette i pantaloni del pigiama. -Tatiana, io…-
Alzo una mano verso di lui.- Per favore, non dire niente, non voglio che tu mi compatisca.-
Sento le lacrime scendere, ma le reprimo.
-Se solo avessi potuto fare qualcosa in tutti questi anni…- ribatte, indossando gli occhiali.
Gli sorrido leggermente.- E come avresti potuto? Non potevo farlo nemmeno io: era la parola di una ragazzina di 5 anni contro quella di un poliziotto.-
-Tutti abbiamo delle cicatrici dentro o fuori: sta a noi decidere se nasconderle o farne un punto di forza.- aggiunge.
Incrocio le braccia.- E questa di chi era?-
Sorride perché ho capito che non se l’è inventata lui.- Madre Teresa.-
Storco la bocca.- Scusami, ho rovinato l’atmosfera.-
Scuote la testa e mi abbraccia da dietro.- Non fa niente.- risponde, guardando in alto.- Ci sono sempre le stelle.-
In effetti, quella sera, c’è un bellissimo cielo stellato e se cadesse una stella cadente e dovessi esprimere un desiderio, non cambierei nulla.
Ed allora capisco che io sono letteralmente pazza di quest’uomo.
 
44 ore di rapina
 
Tocca a me sorvegliare le 5 donne che sono state messe in un altro ufficio di sopra.
Donne troppo emotive per stare nella sala grande, tra tutto quel caos.
Ora come ora, sono nervosa anche io, perciò quando distribuisco gli ansiolitici, me ne prendo uno anche io, sistemandomi dietro la scrivania.
C’è anche un’allettante mezza bottiglia di brandy, ma sarebbe meglio non ubriacarmi.
È da un sacco di tempo che non succede e sono quasi più lucida quando bevo che quando sono sobria.
Tra loro c’è Silvia, l’operatrice informatica che lavora alla banca.
Ma la più bella è sicuramente Ariadna, con i suoi capelli lisci e gli occhi verdi.
Proprio nel momento in cui ci penso, entra Berlino.
Accanto alla porta c’è una bella poltrona rossa in pelle e ci si siede sopra.
Dapprima tranquille, le 5 ragazze iniziano a diventare irrequiete, come se le picchiasse da un momento all’altro.
No ragazze, lui ha picchiato solo me nella sua vita.
Almeno credo.
Mette l’occhio sulla bottiglia di brandy.- Potremmo farci un goccio in onore  dei vecchi tempi.-
Lo guardo seria, ormai non sei più il mio migliore amico, sei solo Berlino.- Ci ho pisciato dentro.-
Ridacchia appena e volta lo sguardo sulle donne.- Si sta bene qui, eh? All’oscuro di tutto l’orrore che c’è lì fuori. Gli spari, il sangue.-
Si sta divertendo a spaventarle.
-Sapete, ho chiamato un amico qualche ora fa…Gli ho detto che ho dovuto far uccidere un ostaggio per proteggere la mia dignità.- spiega, fissando il vuoto.- Ovviamente lui non era qui, ma avrei tanto voluto vedere la sua faccia. Riuscivo a percepire la sua sorpresa, la sua angoscia, la sua tristezza. Eppure…Non riuscivo a provare nulla.-
Io non idea di chi sia questa persona che ho davanti.
Non so dove Andrès sia andato a finire nel corso degli anni e questo mi fa male, dentro.
Silvia piagnucola silenziosamente: vorrebbe sfogarsi, ma ha paura.
-Silvia, stai bene?- le chiede, alzandosi verso di lei.- Stai avendo un attacco di panico?-
Ariadna le strofina la schiena.- Starà bene.-
Berlino si piega alla sua altezza.- Ti sentiresti meglio se ti portassi via?- le domanda, ma non aspetta neanche la risposta e le porge la mano. -Andiamo.-
Silvia si sente forzata e lo segue fuori.
So che cosa sta facendo, non a caso ero la prima della classe di psicologia.
-State tranquille, tornerà.- esordisce Ariadna, guardandomi.- Tornerà, vero?-
-Non le farà niente, non preoccupatevi. Sta solo giocando con voi, usando una psicologia inversa.- spiega.- Vi fa credere che le farà del male, così, alla fine, sarete voi ad avere un attacco di panico. Sarete voi quelle ad avere paura.-
Le labbra di Ariadna tremano tra terrore ed odio.- E’ un cazzo di nazista? E’ per questo che si fa chiamare Berlino?-
Ridacchio.- No, non è per quello.-

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Capitolo 16
*** Parte 15 ***


Volo per Berlino- 22 anni prima
 
L’ultima volta che ho preso l’aereo ero troppo piccola per ricordarmelo, ma sembrava che ci fossimo stati per giorni interi.
Tuttavia, anche questa volta sono riuscita ad ottenere un posto vicino al finestrino per osservare le nuvole e dimenticarmi perfino di mangiare o andare al bagno.
Al mio contrario, Andrès non ha smesso di stringersi al bracciolo della poltrona e trattenere il fiato da quando siamo partiti.
-Andrès, se continui a fare così, non sarà di certo l’aereo ad ucciderti.- commento.
-Odio gli aerei.- borbotta, rigirandosi nervosamente l’anello sul dito.
-E perché hai accettato di fare l’Erasmus?- domando ridacchiando.
Alza le spalle.- Per stare con te, ovvio.-
Sollevo gli occhi al cielo scuoto la testa.- Abbiamo lasciato tuo fratello a Madrid, che voleva fare davvero un’esperienza culturale!-
-Ma voglio farla anche io, ho sempre voluto vedere Berlino!-
Lo guardo con sospetto, senza dirgli niente.
Lui mette gli indici delle mani ad X sulle labbra.- Croce sul cuore.-
Ridacchio e gli sposto le mani sulla parte sinistra del petto.- Il cuore si trova qui, scemo.-
La famiglia che ci ospita è molto simpatica, ma dopo una bella dormita per riprenderci dal volo, io ed Andrès visitiamo tutti i posti che ci hanno consigliato.
È strano stare con Andrès senza essere circondati da adolescenti che fissano me perché sono quella con l’accento strano e non adulano lui perché è uno dei ragazzi più belli della scuola.
Andrès si è portato una polaroid e ci facciamo un sacco di foto da idioti.
Vorrei che ci fosse anche Sergio.
Ammetto che la foto di Andrès sotto la porta di Brandeburgo con la giacca di pelle è la mia preferita.
È molto fotogenico e la sua faccina da angelo lo aiuta molto: potrebbe essere soggetto di centinaia di pittori.
L’east side gallery si trova su un tratto del muro di Berlino che non hanno abbattuto e ci sono centinaia di disegni.
Andrès chiede in prestito un pennarello bianco ad un altro turista e sopra la parete nera scrive Hermanos was here.
Andiamo perfino in un luna park ed entriamo dentro uno di quei spara tutto con le palline di plastica.
Tralasciamo i musei che secondo Andrès sarebbe troppo noioso da vedere e ci imbattiamo in un locale quando si fa sera.
Andrès legge subito su una lavagnetta che c’è la serata karaoke.
-Fanno il karaoke!- esclama, indicandomelo entusiasta.- Dai, entriamo, fanno il karaoke!- grida, agitandosi come uno scimpanzè.
-No, per favore, non so cantare!-
Praticamente mi ci tira dentro per la giacca.- E chi se ne frega!-
Capisco che è un locale notturno, di fatti le luci sono soffuse e vedo un lungo bancone con dietro bottiglie piene di alcool.
-Andrès, non abbiamo nemmeno l’età per stare qui dentro.- gli sussurro, mentre prendiamo un tavolo.
-Non ti preoccupare, lascia fare a me.- afferma, facendomi un occhiolino.
Il locale è quasi pieno e su un palco, davanti a noi, le persone si esibiscono scegliendo delle canzoni di tutte le lingue.
Una cameriera si avvicina con un taccuino.- Buonasera, cosa vi porto?-
-Salve, due bicchieri di tequila e qualche stuzzichino di accompagnamento…Sai, olive, patatine ecc..- risponde Andrès.
La ragazza ci squadra dalla testa ai piedi, probabilmente capendo che non abbiamo nemmeno 20 anni.- Potrei vedere i vostri documenti?-
Andrès sospira e legge il suo nome sul cartellino della divisa.- Ascolta Alida, posso chiamarti Alida?-
-No…-
-Okay, Alida, la mia amica qui…Cioè, la mia ragazza, la amo da impazzire, capisci?- le mormora, ma riesco comunque a sentirlo.- Ha il cancro, so che non ha l’età per bere, ma non ci arriverà a 21 anni, capisci?- le dice, sbattendo gli occhi azzurri.
Mi volto dall’altra parte per non ridere, non ci credo che le abbia davvero detto una cosa del genere.
La cameriera storce la bocca.- D’accordo, ma solo un bicchiere ciascuno.- afferma, segnandoselo sul taccuino.
Quando si volta scoppio a ridere.- Non ci credo che se l’abbia bevuta!-
Andrès fa finta di scrollarsi qualcosa dalla spalla.- Che devo dire? Sono un attore nato.-
Gli do una spintarella.- No, tu sei un pazzo!-
Osserviamo entrambi che il palco è vuoto da un po' ed Andrès si schiarisce la voce.- Vado un secondo in bagno.-
Annuisco e qualche minuto dopo Alida mi porta un vassoio con i due bicchieri e qualche cosa da mangiare.
-Buonasera signori e signore, mi chiamo Andrès De Fonollosa.-
Sgrano gli occhi e quasi non mi strozzo con una patatina.
Andrès è sul palco e mi sta indicando.- E questa è per te Tatiana.- mi dice, facendomi un sorrisetto.
Si voltano tutti a guardarmi, è troppo imbarazzante.
Vorrei coprirmi con qualsiasi cosa, ma non ho nemmeno una borsa, solo la polaroid.
O dissotterrarmi completamente.
♫Ti amo. Un soldo in aria, ti amo. Se viene testa vuol dire che basta, lasciamoci...♫
Oh mio Dio, sta cantando in italiano e al pubblico piace anche.
Mi guarda negli occhi come fosse sincero e io penso che nessun altro avrebbe mai fatto una cosa del genere per me.
È un idiota, ma un idiota dolce, dopotutto.
Il suo accento è quasi affascinante e mi scalda il cuore.
Gli voglio un bene da morire e sono così fortunata ad avere lui e Sergio.
È stata quella sera che ho scoperto che Andrès non regge minimamente l’alcool.
Lo devo portare quasi a peso verso casa a piedi, ho paura che prendendo qualche mezzo possa vomitare.
-Ma tremo! Davanti al tuo seno!- continua a gridare, anche se sono le due di notte. -Dai, lo so che ti è piaciuta la sorpresina.- mi dice, dandomi una pacca con la spalla.
Mi è difficile ammetterlo, ma non riesco a non sorridere.- Sì, è stato carino.-
Camminiamo su di un ponte e lui si poggia alla ringhiera.- Un giorno mi amerai, Tatiana Loreto e quando arriverà quel giorno, pioveranno soldi dal cielo.- bofonchia, ubriaco.- Ci sposeremo in chiesa e tu avrai uno di quei vestiti bianchi con le maniche di pizzo, le labbra rosse e quei bei capelli lunghi ondulati che ti andranno perfettamente sulla schiena come fosse un quadro.-
Non ho mai pensato al mio futuro in quel modo, perciò rimango ad ascoltare le sue fantasie e me lo immagino come fosse un film.
-Avremmo un enorme casa, anzi, una villa! Una scalinata di legno, con tre bagni, una jacuzzi e una piscina riscaldata. Poi due figli, due cani, un cavallo e un coniglio che ci gira per casa così ci ritroveremo cacatine sul pavimenti come fossero gocce di cioccolato.- spiega ridacchiando.
Sarebbe una storia molto bella, peccato che io non amo questo ragazzo, ma ci tengo davvero a lui come non ho tenuto a nessun altro.
Improvvisamente vedo che i suoi occhi si sono fatti lucidi. -Perché te la meriti quella vita, dopo tutto quello che hai passato.- singhiozza, pulendosi con le nocche.- Ce lo meritiamo tutti, cazzo.-
Si sa che quando si è ubriachi si dice sempre tutto quello che si pensa.
Anche se ha un alito terribile, mi avvicino per abbracciarlo.
-Certo tesoro, certo.-
***
Quel ricordo, anche se bello, mi fa intristire.
Vorrei tornare a quei giorni, ad essere adolescente e libera.
Ad un certo punto, tra il mio flashback, entra Oslo.- Professore vuole parlare con te.-
Spero che siano aggiornamenti sull’auto.
Mi alzo di scatto e corro nell’altro ufficio per rispondere al telefono.- Ti prego dammi buone notizie.-
-Sì, sono andato all’auto demolizioni.- risponde, tossendo in modo strano.- Ho eliminato tutte le nostre tracce, puoi stare tranquilla.-
Faccio un sospiro di sollievo e allento i nervi, lasciandomi andare sulla poltrona.- Come hai fatto ad entrare? Ti sei fatto vedere in faccia.-
-No, è questo il punto, mi sono dovuto camuffare come una barbone…Puzzo di merda.- spiega, tossendo ancora.
Non so se ridere o ringraziarlo.
È stata una scelta di entrambi di fare sesso dentro quella macchina, questo perché non riuscivamo a stare lontani l’uno dall’altro neanche per un secondo.
Non pensavo che si sarebbe prestato a farlo solo per proteggermi.
Me lo immagino tutto sporco, con i vestiti strappati e i capelli logori.
Sarebbe sexy in ogni caso.
-Mi dispiace, forse non è stata una buona idea metterci dentro quella macchina.- commento arrossendo.
-Assolutamente no.- afferma, con tono duro.- Lo rifarei altre mille volte.-
Mi mordo un labbro, accavallando le gambe.
-Però, una traccia l’ho lasciata.- aggiunge: questa volta sembra arrabbiato.
Aggrotto le sopracciglia.- Che intendi?-
-Sono stato definito debole e senza palle. E’ ora che venga punito per quello che ha fatto…Noi non siamo stati gli unici a salire su quell’auto.-
Non credevo che Sergio fosse così vendicativo, quasi mi eccita.
Capisco perciò di chi sta parlando.- Berlino.-

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Capitolo 17
*** Parte 16 ***


Nello stesso momento in cui i chirurghi che ha mandato la polizia operavano me e Arturo, Mosca e Denver toglievano il proiettile che ho sparato nella gamba di Monica.
Tra gli ostaggi gira la voce che lei sia stata giustiziata, probabilmente messa in giro da Arturo che, dopo esser stato curato da Helsinki, è quasi pronto a tornare fra il resto del gruppo.
Helsinki se ne prende fin troppa cura, come fosse un bambolotto: sospetto che sia gay.
Forse è il risultato di anni di guerra.
Nel frattempo, di fuori, il Professore stava ancora contrattando con l’ispettore che le aveva chiesto di far uscire 8 ostaggi.
La scelta, ovviamente, era andata subito sui minorenni della scolaresca.
Dopo che avevamo inserito un microfono negli occhiali di Rubio, eravamo sempre un passo avanti alla polizia.
Ma, a quanto pare, dai piani alti, ovvero dai servizi segreti che erano diventati la spalla destra di Raquel, volevano che fosse liberata prima Allison Parker, in quanto figlia di una persona molto importante.
La notizia era stata subito trapelata ai media: il Professore aveva addirittura registrato la loro conversazione e adesso la metà della Spagna disprezzava l’ispettore per aver preferito una ragazza ad altri 8 ostaggi.
Il che era buffo, perché da una parte Sergio, sotto falso nome di Salvador, stava cercando di farsi amica Raquel, mentre, dall’altra, il Professore cercava di screditarla in tutti i modi, facendo passare l’opinione pubblica dalla nostra parte.
Ciò che Sergio aveva pianificato fin dall’inizio.
È per questo che la polizia non ha fatto ancora un’irruzione forzata: in primis, perché ci sono dei minorenni e poi perché saremmo risultati simpatici a tutta la nazione.
Mi immaginavo già centinaia di persone a fare la fila per comprare la maschera di Dalì.
Intanto, sapevo già che con quell’unico bottone trovato nella Seat Ibiza, la polizia fosse arrivata ad Andrès.
Inoltre, c’era una cosa che solo noi sapevamo stesse succedendo all’interno della Zecca.
Mentre degli ostaggi scavavano un tunnel di sotto, nel locale caldaie, in realtà Mosca ne stava scavando un altro nel terzo caveau, proprio a pochi metri da Monica.
La polizia doveva credere che avremmo utilizzato il tunnel nei sotterranei, mentre noi saremo scappati dal caveau.
È per questo che probabilmente rimarremo qui dentro minimo 10 giorni, dato che il pavimento del caveau è davvero difficile da rompere, poiché doveva risultare sicuro.
Tuttavia, ho saputo che Sergio, 5 anni prima, aveva fatto scavare un passaggio segreto che si collegava direttamente al bunker in cui ora è nascosto lui.
Perciò, dopo metri di acciaio, ci sarebbe stato da scavare solo un po' di terra e poi avrei potuto rivedere il suo bel faccino.
Durante la mia pausa e quella di Denver, nascondo degli antidolorifici nella tuta: Monica ne ha sicuramente bisogno.
Per ora, a sapere che lei è viva, siamo io, Denver e Mosca.
Monica è poggiata allo scaffale dei soldi, con addosso solo la maglietta e gli slip, mentre Denver se ne sta appollaiato per terra a farsi un pisolino.
Sospiro e gli do un calcetto.- Che cazzo Denver, le potevi dare almeno una coperta!-
-Non fa niente, fa caldissimo qui dentro.- bofonchia Monica, deglutendo le pastiglie. -Grazie.-
Tolgo appena il cerotto dalla ferita per controllare.- Bene, Mosca ha fatto un buon lavoro.- commento sorridendo.- Siamo delle sopravvissute, tu ed io, eh?!-
Anche lei mi sorride.- Come sta Arturo? Gli hai riferito il tuo messaggio?-
Solo sentire il suo nome mi fa venire il latte alle ginocchia.
-Monica, Arturo è un coglione.- affermo, sedendomi vicino a Denver.- Prima di operarsi, la polizia lo ha lasciato parlare con la moglie: le ha detto che la ama e semmai sopravvivesse a tutto questo, si prenderà più cura di loro.-
Monica ci rimane molto male e non sa che dire.
-Ma perché stai con quell’idiota?-
Abbassa lo sguardo.- Tu non sei mai stata innamorata?-
-Certo. Io sono stata innamorata della stessa persona per tutta la vita e non sapevo nemmeno chi fosse. Ho cercato di dimenticarla, di ripetermi che il mare era pieno di pesci.- spiego, rubando degli snack dall’equipaggiamento di Denver.- Prendi Denver per esempio.-
Monica ridacchia e Denver arrossisce.
-E’ essenzialmente un deficiente, però ha buon cuore.-
-Ehi!- esclama lui, dandomi una spintarella.
-Insomma, quando ha saputo la tua storia non ha esitato a darti qualche mazzetta per rifarti una vita. Non abbiamo bisogno di uomini, Monica, noi sappiamo cavarcela anche da sole.-
Anche se nella mia vita ho avuto Andrès e Sergio come amici, quando loro due sono partiti per l’università, io sono rimasta da sola.
È stata davvero dura all’inizio, ma poi ho imparato a farci l’abitudine.
Le diamo qualcosa da mangiare e poi la lasciamo riposare.
-Ma che cazzo ti viene in mente di dire? Mi hai messo in imbarazzo!- borbotta Denver, chiudendo il caveau.
-Denver, ho visto che lei ti piace.- rispondo, incrociando le braccia.- Altrimenti non staresti qui durante la tua pausa per controllare come sta. Dovresti ringraziarmi, ho messo una buona parola per te.-
Denver aggrotta le sopracciglia confuso, come se non se ne fosse accorto, ma che dentro di se sa che è così.
Berlino ha riunito tutti nella sala principale per fare degli annunci come fosse il preside di una scuola.
Anzi, per come se ne sta sulle scale, sembra credersi il re di questo posto.
-Vi ho riunito tutti qui perché mi sono giunte delle voci in cui si dice che io abbia fatto uccidere un ostaggio.- esordisce.- Io voglio dirvi la verità, perché vi voglio bene. E’ vero, ho dovuto far uccidere un ostaggio, la signorina Gaztambite.-
Se questo è un modo per mettergli paura e farli andare nel panico, ci sei riuscito.
Però, io aspetto il momento in cui ai notiziari daranno la notizia che ti hanno riconosciuto, Andrès e allora sarai fottuto.
Perciò, ti lascio il tuo ultimo momento di gloria.
-Aveva un telefono con la quale comunicare con l’esterno e io non potevo permetterlo.- continua, scendendo dalle scale.- Comunque, oltre alle notizie brutte, ci sono sempre quelle belle. Io vorrei premiare un signore, tra voi, che sta facendo un ottimo lavoro e che sta facendo sì che questa cosa vada liscia come l’olio.- Indica un uomo anziano tra la fila, con gli occhiali.- Il signor Torres.-
-Prego, venga avanti.- gli dice Nairobi.
Il signor Torres è l’uomo che sta aiutando Nairobi a stampare i soldi.
-Quest’uomo sta stampando milioni di euro al giorno! Lei è l’ostaggio del mese, signor Torres!- esclama, alzandogli il braccio come fosse un campione.
-Forza, facciamogli tutti un applauso.- interviene Berlino.
In effetti, per un signore anziano come lui, non è male ciò che sta facendo e oltretutto nessuno gli sta puntando la pistola alla tempia.
-E poi, voglio accogliere di nuovo fra noi il sopravvissuto Arturo Roman!- continua Berlino, indicando la scalinata sopra cui Helsinki sta portando Arturo.
Peccato, pregavo morisse sotto i ferri.
Ad un certo punto, Mercedes- botola alza la mano.- Mi scusi, le potrei parlare in privato?-
Mi sembra preoccupata perciò le faccio cenno di sì con la testa e la conduco in ufficio.
Mi segue anche Berlino, ovviamente, è la mia ombra.
La faccio sedere nell’ufficio che si è preso Berlino, dove sulla scrivania c’è una mela rossa e un astuccio con matite e forbici.
-Sono molto preoccupata per la mia allieva Silvia: vedete, lei è una ragazza molto ansiosa e credo che starebbe meglio se ritornasse nel gruppo.- dice la donna.
Mi dispiace, non ho idea di dove l’abbia portata.
-Lei che cosa insegna?- domanda Berlino, addentando la mela.- Le dispiace?-
Mercedes scuote la testa.- Psicologia ed educazione sessuale.-
Berlino fa un sorrisetto, il suo masticare mi infastidisce.- Anche io ho problemi con la sessualità, però mi aiuta molto con le barzellette.-
Tu problemi con la sessualità?
Mi viene da ridere, magari non gli si alza.
Dopotutto ha avuto 5 mogli e se ha divorziato da loro, ci sarà un motivo.
-La sa quella dell’emicrania?-
Mercedes fa di no col capo.
-Un marito arriva a casa: Tesoro, ti ho portato un’aspirina. E lei gli chiede: Ma perché? Non ho mal di testa? E lui risponde: Va bene, allora scopiamo.-
Non credo di averla capita, non penso sia nemmeno una barzelletta.
-Ma lei non si è mai resa conto della quantità di barzellette che dipingono il maschio sempre impegnato a trovare il modo di convincere la femmina a fare sesso? E la donna è sempre obbligata, come se non le piacesse.-
Questo perché certi uomini pretendono la supremazia sulle donne e credo che sia il caso di Berlino.
È per questo che mi tratta in questo modo?
Perché l’ho rifiutato al suo matrimonio?
Questo non dimostra il suo comportamento da psicopatico.
-Comunque ci prenderemo cura di Silvia, non si preoccupi.- intervengo.
Berlino dà un altro morso.- Ah, Silvia, giusto.-
La fa alzare in piedi e l’avvicina alle tendine dell’ufficio, per poi metterle giù e rivelare che la povera Silvia è nella stanza accanto, con i polsi, le caviglie legate e la bocca coperta dallo scotch.
Cazzo sembra un maiale pronto per essere cotto al forno.
Ma come ha potuto?
Mercedes sgrana gli occhi e sconvolta cammina all’indietro verso la scrivania.
-Vede come sta bene?- continua Berlino, salutando Silvia con la mano.- Ciao!-
Crede che io non la stia vedendo, ma in realtà la scopro prendere un paio di forbici e mettersele nella tuta.
Non so cosa voglia fare con quelle forbici, dato che sono a punta tonda, staremo a vedere.
-Mercedes, può tornare dagli altri, dovrei parlare con il mio compagno.- le dico, aprendole la porta.
La donna tira su col naso ed esce in fretta.
-Lo sai che se dici compagno è come se stessimo insieme?-
-Va a fanculo!- esclamo, spintonandolo.- Che cazzo ci fa quella ragazza ridotta in quel modo?!-
-Aveva avuto un attacco di panico così l’ho fatta riposare.- risponde, continuando a mangiare normalmente.- Come credi che si superi la paura, Tatiana? Come credi che Silvia possa affrontare il mondo se prima non prova un po' di paura?-
Mi passo le dita sugli occhi.- Ma di che cazzo stai parlando?-
-Ti ricordi come hai superato la paura di tuo zio? Hai avuto un trauma e sei diventata la donna più cazzuta che io conosca.-
Ha ragione, ma non tutte le donne devono provare per forza questa sensazione.
Silvia era solo venuta con la sua classe a visitare la Zecca e adesso è legata con dei fili di ferro.
Sento che non sto facendo bene il lavoro che mi ha assegnato il Professore.
-Ti ricordi quando facevano religione i primi anni di college?- gli chiedo, appoggiandomi alla scrivania.- Era il primo anno quando leggevamo i passi più importanti della Bibbia, come quella di Adamo ed Eva.-
Mi si avvicina con un ghigno.- Vuoi fare Adamo ed Eva con me?-
Io lo guardo seria.- Adamo ed Eva sono in paradiso, a farsi i cazzi loro, quando, un giorno, da un albero appare il diavolo sotto forma di serpente e offre ad Eva una mela rossa.- racconto, incrociando i suoi occhi, sono diventati più scuri con il passar del tempo.- Lei è  talmente ammaliata che decide di accettare il suo dono e, ops…- continuo, dando una schicchera alla mela che cade a terra.- Eva è fuori dal paradiso.-
Berlino si passa la lingua sul palato, sembra infastidito.- Mi hai rovinato la mela.-
In quello stesso istante, stringe i pugni, ma la mano destra, la solita mano, inizia a tremare di nuovo.
Sembra che mi voglia dare un pugno da un momento all’altro, quando, d’un tratto, entra Nairobi.
-Berlino, scusa, ma sei in televisione.-
Il fatidico momento è arrivato, finalmente.
È arrivata l’ora che smetta di fare il capo.
Il suo sguardo confuso è come una goduria per me.
Alzo le sopracciglia.- Oh, davvero, sei diventato famoso?-
Entrambi ci dirigiamo nell’ufficio del direttore: alla televisione passano la sua immagine per un momento, elencando tutti i suoi crimini.
Oltre alle rapine, tra di esse, la giornalista parla anche di vendita di donne straniere e pedofilia.
Wow, questo non me lo aspettavo.
Ma che razza di mostro è diventato?
-Accidenti, che bel curriculum.- commento, incrociando le braccia.- Ricordi che abbiamo messo un microfono negli occhiali del vice ispettore, vero? Mi sono segnata cosa hanno detto di te.- Tiro fuori un foglietto dalla tasca e inizio a leggere.- Ci troviamo di fronte ad un narcisista egocentrico con manie di grandezza. Cazzo, quanto è vero. Dimostra una totale mancanza di empatia. Un eccentrico con tendenze alla megalomania che gli impediscono di distinguere il bene dal male. Ha un grande senso dell’onore e un bisogno patologico di fare buona impressione. Accidenti, ti hanno proprio inquadrato per bene.-
Sta in silenzio a fissare lo schermo, è su tutte le furie.
-Non sono del settore, quanto si guadagna a fare il pappone?-
Di scatto, senza che io me lo aspettassi, estrae la pistola e me la punta alla fronte.
Non ci posso credere che lo stia facendo, ma tengo i nervi saldi, non premerebbe mai il grilletto.
Sergio non glielo perdonerebbe mai.
-Che cosa cazzo vuoi fare, spararmi?-
Peccato che la mano gli tremi come se stessimo in Antartide.
-Perciò…Prima mi schiaffeggi, poi mi dici che vuoi scappare con me invece di sposarti e poi mi punti una pistola contro.- mormoro, anche a me sta tremando la mano, ora.
-Io non farei mai quelle cose, mi conosci.- afferma, a denti stretti.
-Già, credevo di conoscerti…Ma ora come ora non so chi tu sia.- ribatto, con la voce spezzata.- Perciò riprenditi, perché io rivoglio indietro il mio migliore amico.-
Gli volto le spalle e senza che nessuno mi veda, mi nascondo in un angolo per sfogarmi un po'.
Andrès e Sergio era tutto ciò che avevo quando ero una ragazzina.
Questo colpo credo che sia più grande di me e io ho un disperato bisogno di loro, ma è come se non ci fosse nessuno dei due.
Vedo Rio che sta facendo entrare alcune ragazze, tra cui Allison, nel bagno e mi scopre a piangere.
Però mi guarda tranquillo, come se sapesse cosa significa.
Devo riprendermi.
Tiro sul col naso e mi asciugo il viso con le mani, proseguendo nel bagno delle donne.
Siamo talmente gentili che ognuno di loro ha una pochette con tutto l’occorrente per lavarsi.
Quando entro, noto Rio ed Allison parlare amichevolmente, come se fossero amici di lunga data.
Io e Tokyo non ci stiamo tanto simpatiche, ma credo che se qualcun'altra facesse la civetta con il mio fidanzato, vorrei che la smettesse.
E poi, se Tokyo la vedesse, la ridurrebbe in pezzettini.
-Perfetto ragazze, usciamo in fila indiana.- ordina Rio, facendole uscire dopo che si sono sciacquate.
Mentre tutte le altre escono, mi soffermo davanti ad Allison.
-E’ carino, non è vero?-
Abbassa lo sguardo, intimidita.- C-Chi?-
-Come chi? Rio, ovviamente.- rispondo ridacchiando.- Peccato che sia impegnato e se Tokyo ti vedesse parlare con lui, so che non esiterebbe a morderti come fa una tigre con un coniglietto.-
Non riesce nemmeno a guardarmi negli occhi.
-Tesoro, devi iniziare a reagire, chiaro? Se fai così ti metteranno sempre i piedi in testa.- affermo, alzandole il mento.- Sai, quando avevo la tua età, a scuola c’era una ragazza, si chiamava Dolores, che mi prendeva sempre in giro perché avevo l’accento strano e continuava a masticarmi le gomme dentro l’orecchio. Sai che ho fatto io?-
Fa cenno di no.
-Un giorno, mentre era chiusa in bagno, ho riempito il bidone della spazzatura con dell’acqua, sono salita su una sedia e gliel’ho versato tutto addosso.-
Lei ridacchia appena.
-Da quel giorno ha smesso di rompere.- dico infine, soddisfatta.- Tira fuori i coglioni, Allison.-
Rimane con un mezzo sorriso e annuisce.- Grazie.-
Osservo che ci sono dei lividi ai suoi polsi perché Rio l’ha legata.- E non provare più a puntare un fucile contro di noi.-
Le do una pacca sulla spalla e la faccio tornare dagli altri: credo che quella ragazza sia abbastanza in gamba, altrimenti non avrebbe avuto il coraggio di fare quello che ha fatto.
Quando esco dal bagno, vedo Berlino riunire i suoi scagnozzi.
-Io non so come cazzo ci sia finito quel bottone nell’auto, ma so chi ce l’ha messo.- esclama arrabbiato.
Inizialmente non so di cosa parli, ma poi, ricordandomi la serata della festa di paese a Toledo, mi riviene tutto in mente e sgrano gli occhi.- Denver!-

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Capitolo 18
*** Parte 17 ***


Toledo- 2 mesi all’ora zero
 
Abbiamo fatto un pranzo abbondante e per una volta Oslo ha cucinato ed Helsinki ha preparato la sangria.
È da un paio d’ore che Rio ha la testa dentro al water e io gli sto massaggiando la schiena, aspettando che smetta.
-Credo che mi abbia fatto male qualcosa.- borbotta, poggiandosi al muro.
E’ bianco come uno zombie e suda dalla fronte, così ci poggiò le labbra sopra.- Scotti, hai la febbre. Forza, andiamo al letto.-
Lo sollevo da terra e lo aiuto a tornare al letto, rimboccandogli le coperte.
Gli faccio deglutire una tachipirina e bagno una pezza dentro dell’acqua fredda per mettergliela sulla fronte.
-Niente più sangria per te.-
-Oh, ti prego, non dire quel nome.-
-Pronti per la festa?!-
Improvvisamente entrano Tokyo, Nairobi e Denver vestiti per uscire.
Volevamo andare alla festa di paese che si sta svolgendo in città, anche se il Professore non vorrebbe, ma non credo che Rio ce la faccia.
-Tesoro, che ti succede?- gli domanda Tokyo, dispiaciuta.
-Penso che il pranzo gli abbia fatto male allo stomaco, non credo che potrà venire.- spiego, sedendomi sul suo letto.
-Beh, se non viene lui allora non va nessuno.- interviene Nairobi.
Denver sembra deluso.- Come?! Ma dovevamo divertirci! Finalmente potevamo uscire da questa cazzo di prigione!-
Alzo gli occhi al cielo e noto che indossa una giacca elegante che ho già visto.- Quella non è la giacca di Berlino?-
Lui sorride soddisfatto e fa una giravolta.- Non sta meglio a me?-
-Se sa che gliel’hai presa, ti taglia la gola.- commenta Nairobi.
Osservo anche che Rio non riesce a tenere gli occhi aperti.- Avanti, usciamo, Rio ha bisogno di dormire.-
Tokyo gli manda un bacio e lo saluta con la mano.
-D’accordo, me ne vado a dormire in auto, mio padre russa come il motore di una Maserati!- borbotta Denver, per il corridoio.
-Grazie, mamma.- bofonchia Rio, facendomi mezzo sorriso. -Sai, lei mi chiamava sempre Rayo quando ero piccolo.-
Gli sorrido anche io e gli bacio la guancia.- Allora buona notte piccolo Rayo.- gli sussurro, spegnendo la luce.
È come avere un fratello minore, mi piace prendermi cura di lui.
 
Domenica 15:15
 
Cerco Denver praticamente per tutta la Zecca, ma non riesco a trovarlo.
Se Berlino lo rintraccia prima di me, lo fa a pezzi.
Mi viene in mente di cercarlo nel caveau, però non ci sono né lui e nemmeno Monica.
Forse lei non si sentiva bene e l’ha dovuta accompagnare in bagno.
Di fatti, io e Berlino arriviamo nello stesso istante davanti al bagno delle ragazze, dove Denver sorveglia sullo stipite della porta.
-Eccoti qui.- esordisce Berlino, con dietro Oslo ed Helsinki.
Denver sta sudando, ha paura che Berlino scopra di Monica e anche io: questa è la volta buona che le pianterà una pallottola in fronte.
Prima a lei e poi a Denver.
-C-Che succede?-
-Succede che mi hai rovinato la vita.- sputa tra i denti Berlino.- Sono su tutti i giornali, dove si dicono cazzate su di me, questo perché nella Seat Ibiza hanno trovato un bottone della mia giacca che avevi preso tu.-
-N-non mi ero reso conto del bottone, scusa, f-facciamo che ti risarcisco con 15 milioni dei miei.- continua Denver, cercando di scamparsela.
Berlino ridacchia malvagiamente.- Sai, ero venuto qui per vendicarmi e magari spararti, che ne so, su un piede, ma adesso mi è proprio venuta voglia di spaccarti la testa.- borbotta, serrando i denti.- Credi che me ne freghi qualcosa dei soldi? La mia reputazione è rovinata.-
Stringo i pugni e mi metto davanti a Denver.- Dovrai prima passare sul mio cadavere.-
Ammettilo Berlino, questa faccenda è tra me e te: stai ferendo tutti loro per arrivare a me e hai cominciato con il Professore.
Questo perché io voglio bene a tutti loro e tu muori di gelosia.
-Ma guardatela: mamma cicogna che protegge i suoi cuccioli…-
Proprio il commento che mi aspettavo.
-Lascialo stare.- ripeto, a tono duro.
Però, nello stesso momento, si sente l’acqua dello sciacquone di uno dei bagni.
Cazzo.
Fa un sorrisetto e mi fa cenno col dito di stare zitta, mentre si dirige lentamente davanti al bagno.
Monica è spacciata.
Non appena apre la porta, Berlino scoppia a ridere e Denver mi fulmina con lo sguardo, spaventato.
La povera Monica è seduta sul water, tremante.
-Vi ho mandato ad ucciderla un venerdì ed oggi è domenica.- afferma, alzando le sopracciglia.- La domenica della resurrezione!- esclama, alzando le braccia.- Ti lascio finire tesoro.- le sussurra, per poi lavarsi le mani. -Sai Denver, qui è questione di bilanciare le cose. Da una parte ci sei tu che mi hai disubbidito e dall’altra c’è una donna incinta che poteva rovinare tutto.-
-Credevi che avrei ucciso una donna innocente, per di più incinta?- intervengo.
Storce la bocca, scuotendo la testa.- No, tu non hai abbastanza fegato, come non ce l’hai avuto quando ti sei trovata davanti tuo zio in ginocchio.-
Denver aggrotta le sopracciglia.- Ma di che cazzo state parlando?-
Nessuno deve sapere del nostro rapporto, sono ordini del Professore.
Che nervoso.
Mi scappa uno schiaffo bello forte, tanto da rendergli rossa la guancia.
Fa un altro dei suoi sorrisetti e poi estrae la pistola di scatto, puntandola verso Denver.
Io faccio la stessa cosa, ma su di lui.- Smettila Berlino, qui non siamo a teatro e questo non è Romeo e Giulietta. Abbassa l’arma!-
Siamo uno contro tre, dato che i serbi si sono allenati con Berlino fin dall’inizio.
Non mi resta che dire la verità.
-Non è stata colpa di Denver, il bottone ce lo ha messo il Professore.- rivelo.
È talmente furioso che gli esce il fumo dal naso, ma cerca di rimanere calmo: sa che suo fratello lo ha fatto per punirlo.
Allora abbassa la pistola e apre il bagno, mettendo un braccio attorno a Monica.- Vince sempre la vita, mio caro Denver.-
Questo mi fa capire che non farà niente a nessuno e faccio un sospiro di sollievo.
In quell’istante, arriva Tokyo.- Ma che succede?- Si accorge che Monica è viva.- Oh porca puttana.-
-Già, la nostra Monica è ancora viva.- afferma Berlino.
-Mi dispiace interrompere, ma c’è il Professore in viva voce.-
Dato che è ferita, Oslo porta Monica in braccio fino all’ufficio del direttore.
-Sì?-
-Dove cazzo eri finito?- domanda Sergio, innervosito.
-Diciamo che ero in una specie di viaggio spirituale.- risponde l’altro, addentando l’ennesima mela.- Ho saputo del giochetto del bottone che mi hai riservato.-
-Mi avevi detto di punirti ed è quello che ho fatto.- ribatte il Professore.
-Lo trovo molto ingiusto.- replica Berlino.- Ti faccio sentire una cosa.-
Berlino fa avvicinare Monica sia al telefono che alla telecamera da dove il Professore vede tutto.
-Come ti chiami?-
-Monica Gaztambite.- bofonchia, in mezzo alla stanza, vestita solo di una t-shirt e le mutandine.
-E come stai?-
-Sto bene, sono viva.-
Berlino sorride soddisfatto.- Visto? Mi hai punito per una cosa che non ho fatto.-
Sono stata un’idiota, è tutta colpa mia.
Dovevo dire a Sergio che Monica non era morta, ma volevo così ardentemente che Berlino finisse nei guai.
È proprio vero che la vendetta non serve ad un cazzo.
-Bene, mettiamoci questa storia alle spalle.-
Non sarà mai così, non per Berlino.
Ormai è come se fosse iniziata una guerra tra me, Sergio ed Andrès e non so chi la spunterà.
-Preparate i video degli ostaggi e attuate il piano Valencia.- dice infine, per poi attaccare.
La polizia vuole una prova che gli ostaggi sono vivi e stanno bene ed è proprio quello che io dovevo assicurarmi.
Berlino carica il suo fucile.- Avete sentito? Forza ragazzi, mettiamo in atto il piano Valencia.-
Tokyo, Berlino ed Helsinki iniziano a sparare all’impazzata nel salone principale, verso le pile di carta e senza fare del male a nessuno.
Un attimo prima, io riunisco tutto il gruppo.- Okay ragazzi, adesso facciamo una bella gara a chi urla più forte.-
Faccio un cenno a Berlino che inizia a sparare.
-E…Gridate!- urlo, alzando le braccia al cielo.- E…Gridate!-
Chissà cosa starà pensando la polizia, lì fuori.

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Capitolo 19
*** Parte 18 ***


Venerdì ore 11:00
 
Il Professore vuole che facciamo registrare agli ostaggi dei video in cui dicono che stanno bene e mandare un messaggio alla propria famiglia.
Rigorosamente accanto alla televisione che sta dando le immagini del telegiornale.
Perciò, Rio monta la telecamera vicino alla scrivania dove faccio sedere gli ostaggi uno ad uno: ci metto circa due ore.
Di loro so quasi tutto, chi più chi meno, certi hanno un profilo interessante, mentre altri vivono una vita noiosa, proprio come diceva il Professore.
La più bella in assoluto, lì dentro, è sicuramente Ariadna Cascales, un’impiegata della Zecca.
-Prego signorina Cascales, si metta seduta.- le dico gentilmente, mentre Berlino assiste sullo stipite della porta. -C’è qualcosa di particolare che vorrebbe dire alla sua famiglia?-
Continua a fissare Berlino perché ha paura che le faccia qualcosa, poi abbassa la testa e la scuote.- I miei genitori vivono fuori città, li vedo una volta al mese.-
Ha dei bei occhi verdi lucenti e le guance rosee, credo sia molto giovane.
-Questo le fa molto onore.- commenta Berlino, facendo uno dei suoi affascinanti sorrisi.
E quando Andrès de Fonollosa guarda qualcuno così, vuol dire che è interessato.
-Allora dica soltanto che sta bene, che la trattiamo bene e che manda un bacio alla sua famiglia e ovviamente come si chiama.- le dico, facendo partire il video.
Ariadna rilassa il viso e guarda dritta in camera.- Mi chiamo Ariadna Cascales, sto bene, vengo trattata bene. Un bacio alla mia famiglia.-
Probabilmente ha talmente tanta paura che non riesce a dire nient’altro. -Molto bene, Berlino, va a prendere il prossimo.-
Lui si fa serio.- Ehi, sono io che do gli ordini qui.- Lo guardo con un sopracciglio alzato e scoppia a ridere.- Sto scherzando, sto scherzando. Un po' di ironia, Santo Cielo!-
Scuoto la testa sospirando e rimango da sola con Ariadna.
Tiene la testa bassa e si tortura le mani.
-Ariadna, tranquilla, non ti succederà niente, non devi avere paura.- le ribadisco.
Lei singhiozza.- Non ho paura di nessuno di voi.- piagnucola.- Ma lui mi terrorizza.-

Domenica 16:40
 
Il piano Valencia serviva a far mettere un po' di strizza alla polizia, così da richiedere delle dimostrazioni in cui gli ostaggi stessero bene.
I video li avevamo fatti già il venerdì prima e Rio è riuscito a modificare le immagini del telegiornale vecchio a quello di oggi come saprebbe fare un bambino di 10 anni.
Tant’è che la polizia se ne era accorta e aveva deciso di mandare direttamente l’ispettore all’interno della Zecca.
Finalmente avrei conosciuto Raquel Murillo.
Durante il normale giro di pattuglia, io ed Helsinki sentiamo il gruppo di adolescenti litigare dentro il bagno.
Sono tutti accalcati su Allison e la stanno incolpando del fatto che hanno scelto lei, piuttosto che 8 ostaggi solo perché è la figlia dell’ambasciatore.
Queste cose mi danno sui nervi.
Quando entro nella stanza, si fermano tutti e noto che le hanno sporcato la tuta di dentifricio.
-Ah, mi ero dimenticata la sana e vecchia scuola.- esordisco, facendomi spazio tra di loro.- Ma non vi vergognate? 5 contro 1?- domando, postandomi davanti a Pablo: non mi sono di certo dimenticata che ha sedotto Allison apposta per mettere in giro una sua foto mezza nuda.- Eh, atleta? Sai che cos’è questo?- continuo, mostrandogli un fucile.
Lui scuote la testa, intimidito.
-È un M16, che, se io ti punto esattamente qui…- gli dico, mettendogli la canna direttamente sulle parti intime. Lui sobbalza all’indietro, schiacciandosi contro il muro.- Ti fa saltare le palle e anche tutto quello che c’è intorno.- Mi ci avvicino col viso, a brutto muso.- Ti diverti a prendere per il culo le  ragazzine, eh?- gli sussurro, prima di prendergliele tra le mani e stringerle forte tanto da farlo urlacchiare e mi accorgo che non sono più grandi di un chicco d’uva. Ridacchio.- Ma sono piccolissime, praticamente due uova di gallina non ancora mature.- commento, per poi tornare seria.- Adesso chiedile scusa.-
-M-Mi sta facendo male.- piagnucola.
-Chiedile scusa!- esclamo, indicando Allison con un cenno della testa.
Gli sto facendo talmente male che è rosso in viso: così la guarda, con una smorfia di dolore.- Scusa.-
-Scusa…?-
-S-Scusa Allison.-
Lascio quindi la presa e gli do una pacca sulla spalla.- Molto bene ragazzo, molto bene.- gli sussurro.- Helsinki, porta via questi stronzi.-
Se c’è una cosa che non sopporto sono i bulli, dato che se la prendevano anche con me e Sergio quando andavamo a scuola.
Allison mi fa un piccolo sorriso.- Grazie.- mi dice.- Posso averne un’altra?- chiede, riferendosi alla tuta.
Ridacchio.- No tesoro, mica siamo in un negozio d’abbigliamento. Te la togli e te la lavi come le ragazzi grandi.- rispondo, guardandomi allo specchio: inizio ad essere un disastro, prima o poi mi si sporcheranno i capelli e per di più puzzo come un cammello.
Anche se Raquel non mi vedrà in faccia, non posso di certo presentarmi così.
Perciò mi abbasso la parte sopra della tuta e mi lavo le ascelle. -Devi cavartela da sola la prossima volta, chiaro?-
Anche lei se la toglie e tenta di lavare la macchia.- Ci sto provando.-
Le faccio un occhiolino e mi chiudo dentro l’ufficio del signor Roman.
A quanto so, Denver ha portato Monica a parlare con lui e a fargli vedere che è viva.
Tanto l’avrebbe comunque scoperto quando sarebbe arrivata Raquel.
Non mi aspetto di certo che Monica gli dia uno schiaffo o che gli dica che non vuole più stare con lui.
Però c’è qualcosa, secondo me, tra lei e Denver.
Di certo nessuno si aspettava che in qualche modo avremmo creato delle relazioni con gli ostaggi.
Ho bisogno di un attimo di tregua, da ostaggi, da polizia, da armi e soprattutto da Berlino.
Non credevo che questo colpo sarebbe stato così difficile e se Mosca è stato il primo a cedere psicologicamente, io sento che sarò la seconda se non mi do una calmata.
Fisso il telefono sul tavolo e mi domando se Sergio sia impegnato da qualche parte o stia alla sua scrivania.
Allora mi siedo al tavolo e compongo il numero, mettendomi la cornetta sull’orecchio.
Suona 3, 4 volte.
Forse non c’è.
Mi mordo il labbro nervosamente e mi sistemo i capelli come se io e Sergio ci stessimo per incontrare.
Al quinto squillo, la sua voce profonda risponde.- Sì?-
Sorrido subito.- Ciao, sono io.-
-Tutto bene?-
-Sì, un po' di mal di testa, è tutto un casino qui. Adolescenti che litigano fra di loro, fare su e giù per i piani e Berlino che fa il pazzo.- spiego sospirando.
-Credi che ti abbia messo dentro in una cosa più grande di te?-
Non voglio farlo sentire in colpa.- No, lo capisco perché hai voluto il mio aiuto. Se non ci fossi io, qui dentro, avrebbero sparato al primo ostaggio che gli avrebbe dato fastidio.-
-Ti sei sentita costretta?-
-Assolutamente no: tu hai fatto tanto per me in questi anni…Sei stato il mio migliore amico.-
-E allo stesso tempo ti ho mentito.-
Mi passo le dita negli occhi, non voglio che si senta in colpa nemmeno per quello.- Sergio, quello che ho detto l’ultima sera a Toledo, non lo pensavo, lo sai. Tu sei una persona meravigliosa, io devo solo ringraziare il cielo.-
-Scusa, lo sai che mi sono sempre sottovalutato.-
-Beh, non farlo più.- affermo, chiudendo gli occhi e per un attimo immaginandomelo davanti a me.- Mi manchi tanto.-
-Anche tu mi manchi, vorrei che fossi qui.-
Ridacchio appena.- Beh, magari il prossimo colpo lo facciamo da dietro un computer tutti e due.-
Percepisco che sorride anche lui.- Mi distrarresti troppo.-
Sento un tratto di malizia nelle sue parole.- Ah sì?-
-Sì, con quello sguardo da cerbiatta e il sorriso da bambina.-
Non credevo che pensasse queste cose di me.
-E tu con quella barba sexy e le mani grandi.-
Ride.- Le mie mani sono orribili.-
Strizzo un occhio.- Beh, ma sanno fare grandi cose.-
È buffo come in un attimo me le immagino su di me, iniziando a fantasticare.
-Scusa, stavi facendo qualcosa? Ti sto distraendo?-
-No, certo che no, facevo i miei soliti origami, non stavo facendo gran che.-
-Come va con l’ispettore?- gli domando, ticchettando le dita sulla scrivania, pensando siano sulla testa di quella donna.
-Bene, più o meno, abbiamo parlato e mi ha chiesto di prendere un caffè insieme.-
Stringo i pugni nervosamente: se ho detto ad Allison che deve farsi valere, allora dovrei farlo anche io.
-Sergio, lo sai che se solo ti sfiora, io la faccio a pezzi, vero?-
Ride di gusto.- Non preoccuparti, io sono tuo e tu sei mia.-
Quella frase mi sorprende e mi piace pronunciata da lui ha un certo effetto.- Come scusa?-
-Io sono tuo come tu sei mia.-
Sento un brivido per tutto il corpo, è meraviglioso.
La me di 10 anni fa penserebbe che nessuno le avrebbe mai detto una cosa del genere.
-Tu sei mio.- ripeto come un sussurro.
-Esatto, dillo di nuovo.- mormora lui, quasi ansimando.
Sorrido timidamente.- Tu sei mio.- ripeto, scandendo le parole.
Vorrei essere di nuovo a Toledo e godermi di più quello che c’è stato tra noi.
Invece devo aspettare ancora 10 giorni per tornare da lui.
A quel punto, Berlino bussa alla porta e con la sua faccia orribile rompe l’atmosfera.- L’ispettore è arrivato.-
-Devo andare Sergio, ti aggiorno.- gli dico infine, attaccando la cornetta.
Supero Berlino lungo la porta che ha un sorrisetto fastidioso.- Hai il didietro della tuta un po' umido.-
Lo guardo male e gli faccio il dito medio da dietro.
Io e Denver portiamo via gli ostaggi in un’altra stanza, così da lasciare libero il salone principale.
Io ed Helsinki indossiamo le maschere, mentre Tokyo, Rio e Berlino rimangono a faccia scoperta, dato che ormai tutta la Spagna li conosce.
Raquel Murillo è proprio come nella foto che ho studiato per 4 mesi interi: i capelli lunghi, il piercing al naso e la faccia seria, da figa di legno, si dice nel mio paese.
Ha indossato un completo grigio elegante per l’occasione.
-Benvenuta ispettore. Tokyo, perquisiscila.- esordisce Berlino, mentre io ed Helsinki le teniamo i fucili puntati contro.
Tokyo le si mette dietro, tastandole tutto il corpo.- Non ha armi.-
Rio le si avvicina con un metal detector e, non appena lo passa sotto il ventre, suona come l’allarme di una gioielleria.
Ma perché le donne si nascondono tutto dentro le mutande?
-Tokyo, perquisiscila di nuovo, ma fallo più accuratamente come sai fare tu.- ribatte Berlino.
Allora Tokyo le slaccia la cintura e da dentro le mutande le trova un microfono.
-Ispettore Murillo, ho sempre creduto che la polizia sia un po' sciocca, ma non credevo di avere ragione.- commenta Berlino, ridacchiando.
-E lei credeva che non mi avrebbero protetta in qualche modo?- ribatte lei.
Berlino me lo passa.- Distruggilo.-
Non appena lo vedo attraverso le fessure della maschera, osservo che c’è scritto qualcosa sopra: Rayo.
Berlino mette tre sedie al centro del salone, proprio davanti alle scale.
Le sue manie di grandezza vengono fuori ancora una volta, dimostrando che vuole che le presentiamo gli ostaggi come fosse una sfilata di moda, tutti e 60.
Le consegna una tazza di caffè.- Il Professore mi ha detto che desiderava del caffè, gliel’ho preparato decaffeinato, altrimenti stanotte non dorme.-
-Lui dov’è?-
Ovviamente lei crede che Sergio sia con noi.
-Si scusa, ma non potrà essere presente.-
Raquel alza le sopracciglia, uno sguardo che mi fa innervosire tanto da volerle dare uno schiaffo. -E lei sarebbe…?-
Berlino sorride e mi mette un braccio intorno al collo.- Lei è la mia amica Roma, si è occupata con me degli ostaggi.-
Ci mancava solo che si prendesse anche dei meriti che non ha.
Tokyo e Rio si occupano di prelevare le persone dall’ufficio: Berlino vuole che Allison sia l’ultima.
Arriva per primo il direttore della Zecca.
-Come lei sa, questo è Arturo Roman, il direttore della Zecca che si è ripreso completamente dall’operazione.- spiega Berlino.
-Salve signor Roman, le domando perdono a nome mio e della polizia per il nostro equivoco. Spero che stia bene.- gli dice Raquel.
Lecca culo, come si dice a Roma.
Sono quasi sicura che Arturo non sporgerà denuncia.
-Chi era la persona che è stata operata insieme al signor Roman?-
-Io.- rispondo, facendole vedere i cerotti.- Questo perché i vostri sono tantino violenti.-
Lei sorride.- Se un agente della polizia riceve degli spari è autorizzato a rispondere al fuoco.-
Mi viene da stringere i pugni talmente dalla rabbia che mi scrocchiano le nocche.
Conosco questa donna da 5 minuti e già la odio.
Seguono il signor Torres, le guardie alla quale abbiamo rubato il furgone e tutti gli adolescenti della scolaresca.
Poi, scende dalla scalinata Monica con Rio che le sussurra qualcosa: sicuramente le sta dicendo di non parlare dello sparo.
Ma, la prima cosa che noto, è una piccola macchia di sangue sulla tuta: probabilmente, per sforzarsi di camminare bene, le sono saltati dei punti.
Fortunatamente Raquel le fa due domande veloci.
-Questa è la mia preferita.- interviene Berlino, quando Tokyo porta Ariadna.
Non avevo dubbi.
Ho dovuto liberare io Silvia dall’ufficio di Berlino: la poverina ha vomitato per la paura.
Ho promesso a me stessa che una cosa del genere non sarebbe mai più successa.
-D’accordo, ho visto tutti tranne Allison Parker.-
Quello che Raquel non sa è che lei è lì soltanto per farle perdere tempo.
Il piano Valencia serviva proprio a questo.
Sergio aveva detto che non avremmo rubato niente a nessuno, ma in realtà ha mentito, perché qualcosa lo avremmo rubato: il tempo della polizia.
A scopo di riuscire a stampare più soldi possibili.
Perché più tempo Raquel passava dentro con noi e più non avrebbe, tecnicamente, lavorato al caso.
-Stia calma, ispettore, il dolce si lascia sempre all’ultimo.- commenta Berlino.
-Sì, ma se mi si fa aspettare troppo, mi passa la fame.- replica lei, alzandosi con un sospiro.- Sono qui da quasi due ore e mi aspettavo di più da un uomo che ha… Quanto? Tra i 7 e i 24 mesi di vita?-
Ora sì che sono furiosa.
Ma di che diamine sta parlando?
Che cosa si sta inventando?
Se vuole fare qualche giochino, non funziona con me.
-Di che parla?- le domanda Rio, confuso.
Anche lei sembra sorpresa.- Ah, non ve lo ha detto? Credevo che foste tutti amici nella vostra banda.- afferma, alzando le spalle.- Ha la miopatia di Helmer: è una malattia degenerativa che colpisce i muscoli e molto rara, perciò incurabile. I sintomi variano a seconda del tempo, inizialmente le mani ti tremano come una fogliolina, poi c’è il bipolarismo e infine diventi un vegetale.-
Sento il corpo fremere e mi cade la pistola.
Si girano tutti a guardarmi e cerco di mantenere il controllo, riprendendomela.
Berlino non dice niente, non ribatte, non le dice che sono solo cazzate.
Anzi, abbassa lo sguardo e si volta dall’altra parte.
Ha dato di matto quando in televisione hanno mentito su di lui, ma adesso che Raquel sta dicendo queste cose, sembra spaventato.
Allora è vero.
Oh mio Dio.
-Pretendo di vedere Allison Parker, adesso.- esclama Raquel.
-Vado io.- balbetto: ho bisogno di uscire da quella stanza, di togliermi la maschera, non riesco a respirare.
Corro in bagno, dove nessuno può vedermi e la lancio a terra.
Stringo il lavello tra le dita, sto avendo un attacco di panico, credo.
Ma non è il momento, Raquel non può vedermi debole.
Devo far finta di niente, ma come faccio?
Nella mia testa sento le sue parole.
7 mesi…
24 mesi..
Mesi..
Malattia..
Incurabile..
Dio.
Prendo un bel respiro e reprimo le lacrime, però dentro di me so che è tutto vero.
Il mio migliore amico sta per morire.

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Capitolo 20
*** Parte 19 ***


Aeroporto di Madrid- 19 anni prima
 
Leggo che il volo per l’Italia è in partenza tra 5 minuti.
Ho solo 5 minuti per salutare il mio migliore amico che sta per partire alla volta dell’università a Firenze.
Per ora non riesco a piangere, ma credo che scoppierò non appena tornerò a casa.
Ci guardiamo in silenzio come degli scemi perché nessuno sa cosa dire.
-Oh andiamo, non sto per morire!- esclama Andrès. -Vado a solo all’Università.-
Storco le bocca.- Già, che è esattamente a 1.692,6 chilometri da qui.-
Lui mi sorride sorpreso.- Li hai anche contati: lo sapevo che sotto sotto mi amavi.-
Gli do una spintarella ricambiando il sorriso e poi lo abbraccio.
Sento che le cose non saranno più le stesse, non senza Andrès e la sua drammaticità.
Ci siamo divertiti, abbiamo rischiato, pianto insieme e non so se queste cose ritorneranno mai.
Gli stringo le dita tra la chioma castano chiaro e cerco di memorizzare il suo profumo nella mia mente.
-Ricordatelo sempre: sei di chi resta, non di chi promette.- mi sussurra all’orecchio, per poi allontanarmi leggermente e togliersi la sua famosa giacca di pelle.- Tieni, prendila tu: se mi vedono con questa cosa a Firenze mi crederanno uno sbandato.-
-Tu sei uno sbandato.- commenta Sergio, ridacchiando.
-Andrès, io… Non posso accettare, è la tua giacca preferita.- replico, scuotendo la testa.
-Sì, ma io voglio che ce l’abbia tu e non voglio sentire ragioni!- esclama, quasi con rabbia, abbassando lo sguardo.
Capisco che allora ci tiene veramente che la prenda io.
Abbraccia poi suoi fratello.- Ciao fratellino.-
Anche se non lo hanno mai dato a vedere, si vogliono tanto bene.
Solo che Sergio è timido e Andrès troppo orgoglioso per dirselo.
-Non sarò qui a proteggerti, quindi devi cavartela da solo. Credo in te, d’accordo?- gli dice, poggiando la fronte sulla sua.
Sergio annuisce e gli dà una pacca sul collo.- Grazie.-
Nello stesso momento, la voce dell’altoparlante dichiara l’ultima chiamata per l’Italia.
Andrès fa qualche passo indietro e ci guarda.- Credo che vedrò talmente tanti quadri a Firenze da farmi venire la nausea…- aggiunge sorridendo.- Ma voi sarete quello più bello.-
Serro gli occhi per trattenere le lacrime e un attimo dopo lui ha voltato le spalle ed è salito sulle scale mobili.
Si gira solo un’ultima volta, alzando le braccia.- Hermanos per sempre!- grida.
Scoppiamo a ridere e, anche se la sua figura scompare tra quella delle altre persone, non riesco a muovermi da lì.
Sento Sergio che mi sfiora le dita delle mani e lo guardo.
Mi fa un mezzo sorriso e un cenno per dirti che è ora di andare.
Terrò quella giacca di pelle nera fin che potrò, usandola sempre durante le mie rapine, così da travestirmi da uomo.
Ogni cosa fisica della nostra amicizia scomparirà tranne la nostra foto fatta con la polaroid.
Qualcosa che non potrò dimenticare mai.
 
Domenica 17:30
 
Faccio dei bei respiri come se fossi sull’orlo di partorire.
Non ho molto tempo, Raquel deve vedere che Allison è viva, altrimenti inizierà a sospettare qualcosa.
Mi dirigo nell’ufficio dove ci sono anche tutti gli altri ostaggi, ma lei non c’è.
-Dov’è Allison?!-
Lo chiedo più volte, con varie tonalità della voce, ma nessuno mi risponde.
-Cazzo!-
Mi metto a cercarla per tutta la Zecca e Nairobi mi aiuta, corriamo come pazze.
Non so cosa si sia messa in testa quella ragazzina.
Ma che idiota che sono, le ho detto io di farsi valere.
Passo davanti l’ufficio di Berlino e sento il telefono squillare.
-Pronto?- rispondo velocemente.
-Ufficio n°5 , dentro la cassaforte.-
Fortunatamente il Professore è collegato con tutte le telecamere e l’ha vista nascondersi dentro una piccola cassaforte.
Brutta stronzetta.
La apro e, furiosa, la tiro fuori per i capelli. -Esci, brutta figlia di puttana!-
È proprio il momento giusto per farmi incazzare, la mia testa è talmente confusa che non so come sto mettendo un piede davanti l’altro.
Indosso la maschera e porto Allison velocemente da Raquel.
-Ciao Allison, stai bene?- le domanda.
Allison sta per scoppiare a piangere, dopo che l’abbiamo scoperta, ma si trattiene.- Sì, tutto apposto.-
Finalmente è tutto finto e l’ispettrice se ne va.
Non appena si chiudono le porte, mi tolgo la maschera, mettendomi faccia a faccia con Allison.- Quando ti ho detto di farti valere, non intendevo con me.- borbotto, a denti stretti.- Idiota.-
Prendo un bel sorso d’acqua per calmare le mie emozioni, anche se credo che quando affronterò Berlino non starò poi così tranquilla.
Devo sapere, dalla sua bocca, se quello che ha detto l’ispettore è vero o se l’è solo inventato.
Sento la sua voce provenire da uno degli uffici: ci sono tutte le tendine abbassate.
-Non credo nemmeno di voler stare con te: devo purtroppo avvertirti che non mi resta molto da vivere.- sta dicendo Berlino.
-Mi provi.-
È la voce di Ariadna: ma che diamine sta facendo?
-Mi provi signor Berlino.-
Si sta vendendo a Berlino?
Ha talmente tanta paura?
Sta esattamente facendo come Allison con Rio.
È davvero un gesto disperato, non posso permetterglielo.
-Vediamo. Perché non balli per me? Così posso vederti meglio.-
Devo assolutamente interrompere questa pagliacciata.
Apro la porta bruscamente, nello stesso momento in cui Ariadna si è già slacciata la tuta a metà.
Si copre con le braccia timidamente e io la guardo male.- La lap-dance può aspettare.- le dico, duramente.- Esci.-
Le corre via, rossa come un peperone e io sbatto la porta.
-Ora devi dirti la verità.- esordisco, mettendomi le mani nei capelli.- Perché altrimenti io divento matta, capisci? Va bene la pedofilia, va bene la vendita di prostituite straniere e i vari furti, ma questa cazzata non l’accetto.- continuo, facendo avanti e indietro per l’ufficio, fino a che non finisco faccia a faccia con lui, guardandomi negli occhi.- Deve uscire dalla tua bocca, Andrès, è vero o non è vero quello che ha detto Raquel?-
Lui ricambia lo sguardo, serio.- E’ vero.-
Mi cade tutto il mondo addosso.
Ecco perché si comportava in quel modo strano.
Se solo lo avessi saputo prima, non avrei mai pensato così male di lui.
Non riesco a respirare a solo pensiero di vederlo dentro una bara.
Lui tenta di prendermi le mani per farmi calmare, ma io lo allontano via, mi sento soffocare e allora scoppio.
Non ce la faccio più.
Probabilmente l’intera Zecca mi sente urlare e piangere.
E dopo il pianto, sopraggiunge la rabbia, quindi mi viene da schiaffeggiarlo per tutto il corpo.- Perché non me lo hai detto?! Perché?! Perché solo io mantengo le promesse?! Perché?!-
-E se te lo avessi detto che cosa sarebbe cambiato?!- replica lui.
-Non lo so! Avremmo p-potuto fare qualcosa, io avrei potuto fare qualcosa.- singhiozzo.
-Stavo per dirtelo…Il giorno del matrimonio.- afferma, mordendosi il palato.- Preferivi che ti dicessi che ero malato, piuttosto che dirti che ti amavo? Che volevo scappare con te, che non me ne sarebbe importato niente del resto. Mi sono detto: Andrès, no, non puoi darle un dolore così grande, non se lo merita.-
Per me sarebbe stato un colpo grosso in entrambi i casi.
È stato difficile solo salutarlo prima che partisse per l’università.
Perciò, in questo momento, capisco che quello che provo per Andrès è una cosa molto più profonda.
Me ne rendo conto solo adesso.
Sento di avere gli occhi gonfi, il naso rosso e singhiozzo ancora.- Non voglio vederti morire.- piagnucolo, guardandolo negli occhi.
Mi asciuga una lacrima col pollice.- Amore mio, la morte più essere la migliore opportunità della vita.-
***
Dopo che mi sono calmata un po', vado in bagno per sciacquarmi il viso.
Credo che dovrò solo che accettarlo e godermi gli ultimi momenti che mi rimango con Andrès.
Sergio lo sa?
Perché non me lo ha detto?
Forse, anche lui, per evitarmi tutto questo dolore.
Quando mi guardo allo specchio, vedo che uno dei bagni è chiuso e c’è qualcuno dentro.
Lo apro lentamente e vedo Rio, seduto, con in mano il microfono che abbiamo trovato nei vestiti di Raquel.
Avevo capito che c’entrasse qualcosa con lui, non appena ho visto la scritta Rayo: il nomignolo che gli dava sua madre da piccolo.
È sicuramente un tentativo della polizia di colpire il più debole di noi.
Rio lo distrugge e dentro ci trova una microSD che inserisce dentro un tablet.
Mi siedo sulle sue gambe e insieme vediamo un video dei suoi genitori che lo pregano di consegnarsi, che gli dicono di esser riusciti ad ottenere una riduzione della pena.
Perciò, hanno mentito alla televisione, non sono affatto arrabbiati con lui, gli stanno concedendo una seconda possibilità.
-Lo sai che è una cosa tutta studiata dalla polizia, vero? Lo stanno facendo apposta.- gli dico, dispiaciuta, dato che lo vedo piangere.
-Lo so.- bofonchia, tirando su col naso. -Per ora non dirlo agli altri, d’accordo?-
Gli accarezzo i ricci e annuisco.
Usciamo poi dal bagno, dato che Berlino ci ha riuniti tutti nell’ufficio del direttore.
-Ti ho sentita discutere con Berlino…- interviene Rio.- Io non sarei così triste per una persona che non conosco…E’ un tuo parente…Siete stati insieme?-
Lo sapevo che ormai qualcosa sarebbe venuto fuori.
-E’ il mio migliore amico.-
-Mi dispiace….-
Sono tutte persone così dure nella nostra banda.
Ecco perché Rio è quello più debole, soltanto perché ha più cuore di tutti noi.
Ci sediamo tutti al tavolo nell’ufficio di Arturo: alcuni mangiamo e altri si fumano una sigaretta.
Mi siedo a capotavola, dall’altra parte di dove è seduto Berlino.
-Mi dispiace che lo siate venuti a sapere così, ma è vero quello che ha detto l’ispettore: sono malato.- afferma Berlino.- E’ una malattia un po' bastarda, colpisce 4 persone su 100.- spiega, tirando fuori dalla credenza dei bicchierini con una bottiglia di vodka.- Ma non voglio che siate tristi. Quello che voglio è invitarvi a brindare.- Consegna a tutti gli shottini, facendo scivolare il bicchiere verso di me. -Tutti dobbiamo morire. È a questo che brindo. Al fatto che siamo vivi…Al fatto che il piano funziona che è una meraviglia.- dice, alzando il bicchiere.- Alla vita…E al piano.-
Tutti gli altri sbattono il bicchiere con lui, mentre io sono troppo lontana e lo alzo soltanto, per poi mandarlo giù tutto d’un sorso.
Questo è per il ragazzo del teatro.
Il donatore del mio primo e vero regalo di compleanno, il più bello che io abbia mai ricevuto.
A chi c’era sempre a ritirarmi su quando cadevo.
Alla metà del mio cuore.
Questo è per te, Andrès.
 

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Capitolo 21
*** Parte 20 ***


 
-D’accordo, ispettore, lei mi assicura che uscirò entro due anni, ma contiamo insieme. Per rapina a mano armata, almeno 5 anni.- esordisce Rio, leggendo quello che si è scritto sul braccio.- Ogni ostaggio preso vanno tra i 30 e i 40 anni. Per non parlare dello scontro con la polizia. Facciamo che in tutto sono 173 anni.-
-Che cosa vuoi Anibal?- gli domanda Raquel.
-Voglio un indulto da parte del presidente.- afferma Rio, con tono sicuro.
Riesco a sentire bisbigliare altre persone, come se in realtà lo stessero prendendo in giro.
-Va bene Anibal, sarà fatto, ma ho bisogno prima una prova da parte tua che sei pronto a collaborare.- continua la donna.- Devi dirmi il nome del Professore.-
Rio fa un bel respiro, so che è teso.
-Mi serve un nome e un numero.-
-Un nome e un numero, okay…- bofonchia Rio, serrando i denti.- I miei coglioni 33!- grida, prima di attaccare.
Mosca sbuffa e apre la porta del bagno dov’è nascosto Rio.- Ma che cazzo hai fatto?! Ci hai tolto la possibilità di guadagnare tempo!-
-Non mi avrebbero dato assolutamente niente, erano lì che stavano a bisbigliare fra di loro.- ribatte Rio.
-Sentite è andata, ci abbiamo provato.- interviene Tokyo.- Sono giorni che tentiamo di prendere in giro quell’ispettore.-
Incrocio le braccia annuendo.- Già, ora solo il Professore può riuscirci.-
Mosca scuote la testa e torna nel caveau a scavare, mentre Rio si lava il braccio.
-Rio mi ha detto di Berlino.- mi dice Tokyo, con una faccia dispiaciuta, la prima che le vedo dopo 5 mesi.- Mi ha detto che siete amici.-
In realtà, ci sarebbe tanto da dire sull’argomento, ma è impossibile dire tutta la mia vita.
-E’ molto più di questo…Io, Berlino e il Professore abbiamo condiviso tante cose.- affermo, tanto lo so che loro sanno della mia relazione con Sergio.
-Ci racconterai, un giorno, usciti di qui?- mi domanda Rio, curioso.
Non vedo perché non dovrei.- Certo.-
-In una delle mie tante conversazioni con il Professore, mi ha detto che non è stato lui l’ideatore del piano…Allora chi è stato?-
Ricordo ancora il giorno del funerale, del plastico di carta e di come io, Andrès e Sergio abbiamo canticchiato in soffitta.- Di suo padre.-
 
Madrid- 21 anni prima
 
La cerimonia è stata molto breve e non è venuta molta gente, questo perché la reputazione del padre di Andrès e Sergio non è proprio vista bene nella nostra città.
Questo perché era solito fare delle rapine per mantenere la sua famiglia, dopo che la madre si era ammalata.
E, proprio per questo, la polizia lo ha ucciso.
Andrès e Sergio non hanno versato nemmeno una lacrima, ma io voglio esserci per loro.
Quando torniamo a casa, sul letto di Sergio c’è un pacchetto con un bigliettino.
All’interno del pacchetto un disco vinile.
-Vostro padre lo ha ricevuto da vostro nonno, è il momento che lo abbiate voi. Firmato mamma.- leggo.
Andrès storce la bocca.- E dove lo sentiamo quel coso?-
Sergio si aggiusta gli occhiali sul naso.- Dovrebbe esserci un giradischi in soffitta.-
Andrès tira giù la scala a scomparsa e tutti e tre ci facciamo strada verso la soffitta che puzza di polvere e muffa.
Tossisco un po' e vedo che ci sono parecchie cose coperte da dei teli, tra cui un vecchio giradischi.
Sergio ci inserisce il disco e ci mette la puntina sopra.
Una mattina, mi sono alzato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao♫
Conosco questa canzone, è in italiano, l’ho già sentita.
È uno dei canti più famosi d’Italia, associato al movimento dei partigiani.
Una melodia che ha ispirato migliaia di persone in un momento molto buio: forse, in quel momento, è proprio adatto a noi.
-E ho trovato l’invasor.- canticchio, ricordandomi qualche parola.- Per caso vostro nonno era un soldato?-
-Sì, sapevamo che ha combattuto con la resistenza.- risponde Sergio.- Ma non ci aveva mai cantato questa canzone.-
-O forse eravate troppo piccoli per ricordarvela.- aggiungo, osservando che su un vecchio tavolo di legno c’è un grande lenzuolo bianco.
-Wow, nostro nonno era davvero figo.- commenta Andrès.
-Quello che cos’è?- chiedo, indicandolo.
-Oh, ah nostro padre piaceva fare questi modellini di carta.- spiega Andrès, soffiando via la polvere con un ghigno sul volto.- Qualche anno fa progettava il colpo del secolo, qualcosa che va lontano dalle nostre insulse rapine.-
-Credo sia per questo che mi piace fare gli origami.- borbotta Sergio.
-E che tipo di colpo era?-
Con un gesto secco, Andrès toglie il lenzuolo, scoprendo un palazzo ben costruito, dipinto di bianco, un posto che ho già visto in televisione, forse il più blindato che io conosca dopo la banca di Spagna.
-La Zecca di stato.-
 
Domenica 19:02
 
Monica è voluta tornare a stare da sola nel caveau: secondo me, dall’inizio, è cambiato qualcosa e non sopporta di stare con Arturo nella stessa stanza.
Tra lei e Denver c’è sicuramente del tenero.
Attingo alla busta del cibo, quando lo vedo arrivare velocemente.
-Ciao, mi serve un panino, una boccetta d’acqua, un biscotto al cioccolato e se c’è qualche caramella.-
Lo guardo con un sopracciglio alzato.- E tutto questo sarebbe per te?-
-N-no, è per Monica: dopo che una persona è stata operata, dovrebbe mangiare bene no?-
Faccio finta di niente e nascondo un sorrisetto, mettendogli in mano tutto quello che ha chiesto.- Ricordati che i preservativi non ce li abbiamo.- commento ridacchiando, non ho saputo resistere.
-Ah ah, divertente.- borbotta, con la pila di cibo in mano.
Ad un certo punto, quando faccio la mia solita passeggiata, oltre a chiedermi che fine avranno fatto quelle forbici a punta tonda, sento Mosca gridare dal caveau.
-Terra!-
Ho capito bene?
Ha trovato la terra?
Di già?
È una bellissima notizia, perché vuol dire che se continuiamo a scavare, prima o poi troveremo il tunnel costruito dal padre di Andrès e Sergio qualche anno prima, che è collegato direttamente con il bunker in cui è nascosto il Professore.
Corro da Mosca e lo vedo spargere terra da tutte le parti, festeggiando.
-Terra!- esclamo insieme a lui, abbracciandolo.
Casualmente, alla radiolina che Mosca si è portato per compagnia, stando proprio dando la canzone Bella ciao.
Una melodia allegra che mi fa venire da saltare di gioia: Berlino aveva ragione, il piano non potrebbe andare meglio di così.
Arrivano anche Rio e Tokyo che non capiscono cosa stiamo festeggiando.
Non appena vedono la terra, iniziano a ballare una specie di tarantella spagnola tra loro.
Quando arriva Berlino gli salto addosso per la felicità e lui mi fa roteare a ritmo di musica.
Sono stati i nostri 10 minuti di felicità.
Perciò, a quel punto, ci siamo rilassati.
***
Ho bisogno di avvertire assolutamente il Professore e condividere la mia gioia con lui, ma anche a chiedergli del perché non mi ha parlato della malattia di Andrès.
Però trovo l’ufficio di Berlino occupato da Mercedes, Allison ed Ariadna che gli sta in piedi a fianco come se fosse il suo cagnolino personale.
L’atmosfera sembra abbastanza tesa, simile a quando sono stata mandata dal preside per aver lanciato il sacco della spazzatura addosso a Dolores.
-Mercedes, l’ho chiamata perché volevo esporle la cattiva condotta di Allison, sono molto preoccupato.- esordisce Berlino. -Sa che cos’è la Ribellione delle vergini?-
Mercedes scuote la testa.
-A quanti anni ha perso la verginità?-
-Io…Vivevo in un piccolo paese, perciò è successo a 24 anni, ma qualche anno prima avevo già tentato di scappare un paio di volte.- spiega la donna.
Wow, sono quasi curiosa.
Allison si avvicina a Berlino serrando i denti.- Lei non mi fa paura con i suoi discorsi da malato, non mi farà niente perché io sono il suo salvacondotto.-
Santo Cielo, ho creato un mostro.
Ho capito che dovevi farti valere, Allison, ma non con Berlino e quello non è decisamente il momento adatto.
Lui ridacchia.- Vede? La Ribellione delle vergini.- aggiunge, indicando una cartellina sul davanzale.- Ariadna, tesoro, mi passeresti quella cartellina?-
Mi sbagliavo, quella ragazza è diventata una specie di schiava.
Mi fa un po' di ribrezzo che lo stia facendo solo per salvarsi.
Ma perché?
Non le faremo assolutamente niente.
Berlino la apre e mostra ad Allison diverse foto.- Tua zia, tua cugina…Oh, la tua sorellina, va alla tua stessa scuola no?- le dice, tirandogliele davanti agli occhi.- Sai quanto costa un cecchino? Sui 30 mila euro e noi ne stiamo stampando milioni, quindi non sarà uno spreco.-
A quel punto, Allison non fa più un fiato.
Berlino sorride.- Molto bene, così, Allison. Potete andare.-
Le accompagno fuori e poi guardo male anche Ariadna.- Smamma.-
Lei guarda prima Berlino per ottenere il suo consenso e quando lui glielo dà, esce.
-Ti sei fatta una schiava personale?- gli domando sospirando.
-Dai, è carina ed un’ottima intrattenitrice.- commenta lui ridacchiando.
Non mi sembra che siamo in un villaggio turistico.
-Non c’è nessun cecchino, vero?-
-Credevi che spendessi davvero 30 mila euro per quella ragazzina?- borbotta, arricciando il naso.
Me lo aspettavo, Berlino è un grande attore.
Ad un certo punto, mi viene da ridere.- La Ribellione delle vergini, ma come ti è venuto in mente?-
Si mette dietro di me, iniziando a farmi un massaggio alle spalle.- Mi sono ispirato a quando hai lanciato la spazzatura su Dolores.-
Nella mia mente ricordo ancora la grande soddisfazione, anche se sono stata sospesa per tre giorni.- E’ stato un giorno memorabile.-
Da quel giorno in poi, però, non la smettevo di masticare gomme.
Credo che il suo cianciarmele sulle orecchie me le abbia fatte piacere.
In quel preciso momento, suona il telefono.
-Suppongo vogliate stare da soli.- aggiunge Berlino, chiudendo la porta.
Mi siedo e rispondo.- Ehi, ho una notizia bella e una brutta.-
Lui sospira.- Io solo una brutta, purtroppo.-
Aggrotto le sopracciglia.- Che succede?-
-Raquel ha capito che c’era una talpa nel tendone…Ha litigato con Angel e lui si è ubriacato. Ha avuto un incidente con la macchina, è in coma.-
Cazzo, questa non ci voleva: Angel era la nostra unica possibilità di sapere ogni passo della polizia.
Spero che almeno non scoprano il microfono dentro i suoi occhiali.
-Beh, ma ci sei ancora tu sul campo, no?-
-Già…Raquel mi ha chiesto di uscire.- balbetta.
Ci siamo, il momento che temevo.
Da una parte cerco di mantenere la calma, ma dall’altra mi si spezza una delle matite dell’astuccio tra le dita.
Si chiama gelosia, credo, non l’ho mai provata in vita mia.
Se solo provasse a baciarlo o a fare altro, non so come reagirei.
-Sergio, perché non mi hai detto della malattia di Andrès?-
-Cosa? Credevo che lo sapessi!- esclama, confuso.
-No, l’ho scoperto qualche ora fa! Ancora non ci posso credere!-
-Pensavo che te lo avesse detto al matrimonio.-
Ecco perché allora, quel giorno, Sergio mi aveva chiesto Te lo ha detto?
Non si stava riferendo alla dichiarazione d’amore di Andrès.
-No, al matrimonio mi ha detto che mi amava, che voleva scappare con me.- gli spiego.- Dio Sergio, non sai quanto avrei voluto sotterrarmi.-
Fa un attimo di silenzio.
-Ecco perché era così arrabbiato con me…-
Nonostante fossero fratelli, c’erano talmente tante cose che non sapevano l’uno dell’altro.
Eppure, si volevano bene da ragazzi.
Forse, col tempo, le cose erano cambiate.
-Continuava a dirmi che non ti meritavo, che avrei dovuto raccontargli tutto, che gli avevo portato via ogni cosa.-
Questo non mi fa sentire meglio.
Cambiamo argomento.
-Comunque abbiamo trovato la terra.- affermo sorridendo. -Ci credi? In soli 3 giorni.-
-E’ davvero fantastico, state facendo un ottimo lavoro.- commenta, sembra felice anche lui.
Tuttavia, questa cosa della malattia di Andrès mi ha scosso molto.- Non lo so Sergio, ho paura di non farcela, sai che non sono mai stata tanto coraggiosa.-
-Andrà tutto bene Tatiana, te lo prometto.-

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Capitolo 22
*** Parte 21 ***


 
Toledo- 15 giorni all’ora zero
 
-Helsinski ed Oslo sono decisamente dei pedoni.- esordisco, mettendo sulla scacchiera la fila di pedoni bianchi.- Insomma, se non ci fossero loro a difenderci, saremo spacciati.-
-Corretto.- afferma il Professore, sorridendo.- Anche Tokyo è un pedone: so che non ti sta molto simpatica, ma la sua determinazione può essere fondamentale.-
Sono le 22:30, la notte è l’unico momento in cui posso vedermi con Sergio senza destare sospetti con gli altri.
Osservo i due alfieri e li metto in posizione.- Nairobi e Denver: sono abbastanza versatili, soprattutto Denver.-
Sergio scuote la testa.- Tu e Denver siete gli alfieri: sono più o meno i pezzi più forti della scacchiera, a seguito dalla regina. Per questo sarete voi a controllare gli ostaggi: tu sei empatica, mentre lui sa essere molto duro e insieme potete compensarvi.-
-Io sono simpatica, lui ha un palo su per il culo, capito.- commento ridacchiando. -Il cavallo è Rio, il difensore dell’intera scacchiera. Se non fosse un hacker esperto, per le telecamere e il resto, saremo morti. E l’altro è Mosca, per il tunnel, egualmente importanti.-
Infine, Sergio prende il re e la regina.- La regina è Nairobi: lei farà il lavoro forse più complicato di tutti, che richiede massima concentrazione, quello di stampare i soldi e renderli irrintracciabili.-
Ha ragione, per un attimo il mio ego mi ha detto che forse ero io a regina, ma non mi devo confondere tra la scacchiera e il cuore del Professore.
Entrambi guardiamo il re ridendo.
-Berlino.-
Diciamo all’unisono.
C’è rimasta solo la torre.- E tu sarai la torre?-
-Esatto, io vi difenderò dai lati, vedrò tutto quello che succede attraverso le telecamere. Sarò i vostri occhi e le vostre orecchie.- spiega, mettendosi apposto gli occhiali sul naso.
Quel tic sta diventando quasi sexy.
Incrocio le gambe sul pavimento.- Va bene, adesso giochiamo.- affermo, con un sorrisetto di sfida.- Ogni pezzo che ci catturiamo, ci togliamo qualcosa.-
Lui arrossisce e si gratta il mento timidamente.- E’ un modo interessante di giocare…D’accordo.-
Capisco che ogni giorno di più diventa meno timido con me e sarà difficile stare senza di lui, lì dentro, per 10 giorni.
Sono le 23:15 quando io sono rimasta in intimo e lui in mutande.
Una partita di scacchi può andare avanti anche ore e sono quasi sicura che lui non credesse che io fossi così brava.
Però non resisto al suo sguardo concentrato.
In quanto ad esperienza, siamo sullo stesso livello.
Sergio muove un pedone in avanti, così da tenere il re scoperto di lato e consentire al mio alfiere di poterlo mangiare.
-Scacco matto.-
Sbuffa.- Oh accidenti.-
Ridacchio per la sua faccia buffa e non ce la faccio più: getto a terra la scacchiera e gli salto addosso.
Quando vuoi fare l’amore con qualcuno, anche il pavimento sembra un posto abbastanza comodo.
E io non credevo che stare sopra di lui in quel modo mi sarebbe piaciuto da impazzire.
Possedere una donna non è come possedere un uomo, non succede quasi mai.
Ma ho sentito di doverlo fare prima di allontanarmi da lui.
Fare sì che lui fosse mio per una notte.
O, almeno, per qualche ora.
Una delle mie parti preferite, però, è quando ci ritroviamo sul letto, stretti l’uno all’altra, a guardarci negli occhi.
Senza gli occhiali il suo viso è più tenero, quasi come quello di un bambino.
Dà un’occhiata alla sveglia sul comodino.- Dovresti andare, è tardi.-
Io la prendo e mando le lancette indietro di un’ora.- Adesso non più.-
Non immaginavo che Sergio fosse un tipo robusto e muscoloso, infatti la sua corporatura è normale, ha qualche neo sulla pancia e leggera peluria sul petto.
-Quando hai capito di voler attuare il piano di tuo padre, hai pensato subito a me o ti sono venuta in mente dopo?- gli domando, accarezzandogli la chioma nera.
-No, ho pensato immediatamente a te: in realtà, volevamo farlo prima, ma abbiamo aspettato che tu uscissi di prigione.-
Questo mi fa molto piacere e non riesco a non sorridere.
-Sai, col passare del tempo poi, dopo che mio padre è morto, ho pensato a quando mi raccontava dei film che vedeva. Mi diceva: Sai che esiste un posto in cui si stampano soldi? Ed io: No, in realtà no.-
Ridiamo insieme.
-Sì, figliolo, esiste un posto in cui si stampano banconote, un posto con la quale ci si può arricchire senza ferire nessuno. Essere felici senza versare del sangue. E solo dopo ho capito che non mi stava parlando dei film che vedeva, ma delle rapine che faceva.- spiega, mettendosi a pancia in su, accarezzandomi la mano.
-Mi dispiace tanto per quello che gli è successo.- intervengo, baciandogli la guancia.
-Credevo che sarei crollato dopo la sua morte, ma non è stato così, non avevo paura. Sai perché?- mi chiede, voltandosi a guardarmi.
Scuoto appena la testa.
-Perché c’eri tu.-
Mi vengono gli occhi lucidi e lo bacio dolcemente.
Vorrei davvero che il tempo si fermasse.
 
Domenica 23:00
 
Ripensando a quei bei momenti, io ed Oslo distribuiamo il cibo agli ostaggi.
-Mi scusi signorina Roma.- esordisce Arturo, dalla fila. -Vorrei chiederle un favore: ho bisogno di vedere Monica…Da quando ho saputo che era viva, deve capirmi…Non è mai stata innamorata?-
Perché ultimamente mi fanno tutti questa domanda?
Sì, Arturo, sono stata innamorata, ma credo che tu sappia nemmeno cosa voglia dire.
Tuttavia, non vedo perché non dovrei portarlo da lei.
-Ho capito Arturito, ho capito, ti accompagniamo da lei.- gli rispondo, mettendogli un braccio intorno al collo.- Vedi caro Helsinki, quando uomo è innamorato è proprio come Arturo.- commento, per prenderlo in giro.
È esattamente in quel momento, quando siamo coscia a coscia, che sento qualcosa nella tasca della sua tuta, qualcosa di duro.
Sono le forbici.
Ah, e quindi la botola alla fine le ha consegnate a lui: sapevo che non avrebbe mai avuto il fegato di usarle.
Così, io ed Helsinki lo conduciamo al caveau.
Ed è proprio quando entriamo nel corridoio che sentiamo dei versi.
Non dei semplici versi, sono dei gemiti, di qualcuno che sta godendo veramente tanto.
Helsinki aggrotta le sopracciglia.- Questa tua donna?-
-No, Monica non darebbe scandalo così, credo sia una della vostra banda.- afferma Arturo, più che convinto.
Allora apro la porta del caveau e, sorprendentemente, troviamo Monica piegata a 90 su uno degli scaffali con Denver e ci stanno dando davvero dentro.
Arturo è sconvolto, mentre a me viene da ridere, ma mi copro la bocca, dato che loro non si sono nemmeno accorti di noi.
Mi schiarisco la voce.- Denver!-
Entrambi si voltano, sgranano gli occhi e si coprono velocemente con i vestiti.
-Oh cazzo e voi che ci fate qui?!- esclama Denver, rivestendosi.
-M-Monica…Questo bastardo si stava approfittando di te?!- balbetta Arturo.
-Ma no, che approfittando!- ribatte Monica, rimettendosi la tuta.
Non so proprio cosa dire, sembra un film comico dove il marito scopre la moglie con l’amante, mancano solo le risate di sottofondo.
Di scatto, Arturo scoppia a vomitare in un angolino: deve essere un duro colpo per lui.
-Lasciatemi solo con Denver!- borbotta poi.- Credi di potertela cavare così?!-
Sento che ci sarà una vera e propria sfida tra questi due.
Peccato che Arturo non sappia che Denver da dei pugni micidiali e che io so che lui ha dentro la tasca delle forbici, a punta tonda, oltretutto.
Perciò, lasciamo che se la risolvano da soli.
Faccio un cenno ad Helsinki.- Porta via Monica, vediamo come se la cava Arturito.-
Mi chiudo il caveau alle spalle e faccio un ghigno divertito quando lo vedo tirarsi su le maniche della tuta.
-Credevi di poterti approfittare di lei così?!- grida, rosso in viso dalla rabbia. -Ma lo sai che è incinta di mio figlio, eh?!-
Non oso immaginare come verrà fuori quel marmocchio.
Arturo tenta di dargli un pugno, ma Denver lo schiva e va a vuoto.- Guarda che sto per darti un bello schiaffone Arturito, ti avverto!-
Poi, d’un tratto, il direttore lo spinge con il viso verso uno degli scaffali e si appresta a cercare le forbici dentro la tuta, pronto a colpirlo alle spalle.
Solo che, purtroppo, non le trova.
La sua faccia confusa è molto divertente.- Cercavi queste?- gli domando, sventolandogliele davanti.
Lui deglutisce nervosamente, mentre Denver è ancora più arrabbiato di prima.- Volevo colpirmi alle spalle con delle forbici, brutto stronzo!- borbotta, afferrandolo per il colletto della tuta.
-E per di più a punta tonda.- aggiungo avvicinandomi.- Arturito, stai perdendo colpi, amico mio.-
-M-Mi dispiace, è questo maledetto stress.- inizia a piagnucolare.
Denver prepara un pugno.- Dammi un solo motivo per la quale non dovrei ucciderti!-
-Stanno scappando!- balbetta improvvisamente, tutto sudato.- 16 ostaggi, nella zona di scarico, stanno per scappare!-
Sgrano gli occhi, non ci credo, ma come hanno fatto?!
-Cazzo!-

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Capitolo 23
*** Parte 22 ***


Io e Denver sfrecciamo verso l’ufficio dove ci sono tutti gli altri per avvertirli.
-Gli ostaggi! Tentano di scappare!- gridiamo all’unisono.
In un attimo, tutti si armano di fucile e ci indossiamo i giubbotti antiproiettile a vicenda, quando sentiamo un’esplosione.
-Chiama il Professore!- grido a Rio.
Avevamo piazzato dell’esplosivo al plastico su ogni uscita, tranne quella principale e loro ne hanno fatta appena saltare una per crearsi una via d’uscita.
Corriamo tutti in fila al piano di sotto, ma è troppo tardi: gli ostaggi sono già usciti e la polizia stava ovviamente sorvegliando l’uscita.
C’è un enorme buco nel muro e stanno sparando all’impazzata verso l’interno.
Ci nascondiamo tutti dietro le bobine di carta, rispondendo al fuoco, entreranno di sicuro.
Denver e Mosca arrivano di corsa con una lastra di ferro che è abbastanza grande da coprire il buco.
-Mettete dei paletti, forza, forza!- ordina Berlino.
Ma hanno bisogno di fuoco di copertura, di qualcuno che distragga i poliziotti.
-Il Professore?!- domando a Rio, seduta a terra, mentre ricarico il fucile.
Scuote la testa col fiatone.- Non risponde!-
È veramente un casino, gli spari mi risuonano in testa, non riesco a pensare.
Tokyo si lancia accanto a me, indicandomi un tavolo con le rotelle sopra cui abbiamo messo la mitragliatrice.- E’ l’unico modo.-
Sì Tokyo, ottima idea.
E lei sa che sono l’unica in grado di usarla.
-Coprimi!-
Rio e Tokyo sparano di fuori, mentre io corro verso la scrivania e mi ci copro, così che non mi arrivano gli spari.
Velocemente tolgo il lenzuolo e inizio a sparare fuori, verso la loro trincea.
Ci sono dei poliziotti con le tuta e gli scudi che, non appena vedono la mitragliatrice, scappano come topo impauriti.
Io non ho mai fatto una cosa del genere, eppure paura non ne ho a sparare con quella potentissima arma.
O forse è solo l’adrenalina.
Perché dopo che Denver, Mosca e Rio sono riusciti a sigillare il buco, cado a terra col fiatone.
Non mi sarei mai sognata nella vita che mi sarebbe successo di sparare con una mitragliatrice, solo nei miei sogni.
Nei mei sogni da ragazzina, in cui indossavo una tuta da militare e mi impegnavo in un duro addestramento per servire il mio paese.
Mi fanno male le orecchie: vedo Berlino che si accovaccia su di me, ma per un primo momento non riesco a sentire che cosa sta dicendo.
-Sei stata bravissima, cazzo, sei stata grande!- esclama sorridendo.
Mi aiuta quindi a rialzarmi da terra e nello stesso momento sentiamo Helsinki gridare.
Gli ostaggi che sono scappati sono quelli che avevamo deciso si sarebbero occupati di scavare il tunnel nel garage e c’era Oslo a sorvegliarli.
Ora Oslo è a terra e dalla sua testa esce talmente tanto sangue da formare un enorme pozza.
Helsinki gli dice qualcosa nella sua lingua, piagnucolando e tutti insieme lo trasciniamo nell’ufficio, dove lui inizia a medicarlo.
La ferita pare molto grave, non si muove per niente e ha gli occhi fissi nel vuoto.
Inizio di nuovo ad avere paura e sono arrabbiata perché non capisco il motivo per cui Sergio non ha risposto.
Abbiamo dovuto fare tutto da soli.
Berlino si avvicina e gli controlla le pupille.- Helsinki, Oslo sta molto male.-
Credo che sia un modo per dirgli che non ce la farà.
Non ci credo.
Non riesco a stare in piedi.
-No, lui bisogno solo di medicine e riposo, pensare io.- afferma Helsinki.- Noi abbiamo affrontato raffreddori peggiori.-
La speranza negli occhi azzurri di quell’omone non mi fa sentire meglio.
Mi sento soffocare e dopo essermi tolta il giubbotto antiproiettile, mi dirigo nell’ufficio di Berlino per chiamare il Professore.
Lui mi segue.- Tati, aspetta, non sei abbastanza lucida!- mi dice, cercando di fermarmi.
Ha ragione, sono davvero incazzata.
Mi metto la cornetta al telefono e pigio il numero.
-Che cazzo è successo?!- mi grida.
-Che cazzo è successo?! Dovresti dirlo tu a me dato che hai tu le telecamere, cazzo!- grido a squarciagola.- Dove cazzo eri?! Abbiamo tentato di chiamarti! Rio ti ha chiamato e tu dove cazzo eri?!-
-Eri tu che dovevi occuparti degli ostaggi!- replica.
-Io non ho mai chiesto di farlo! Sapevi che non ne ero in grado! Lo sapevi, cazzo!- ribatto, sputando ovunque.- Dove cazzo eri?!-
Esita per un po', anche se riesco a sentire il suo respiro pesante.
Poi, a quel punto, mi ricordo che qualche ora prima mi ha detto che Raquel gli aveva chiesto un appuntamento. -Eri con quella puttana, non è vero?-
-Te l’avevo detto che non ci sarei stato.- risponde, calmo.
Quella sua calma mi fa davvero innervosire e, per di più, guardo l’orologio: è abbastanza tardi. -Vedo che ve la siete presa con comodo. Scommetto che vi siete ordinati una bella cenetta, con un vino costoso, bistecca e dessert, mentre noi eravamo qui a farci il culo!-
-No, no, non siamo stati al ristorante tutto il tempo.- balbetta.
E questo cosa vuol dire?
Dove altro sono stati?
Mi sento le gambe molli, fa che non è quello che penso.
-Sergio, ci hai scopato?-
Silenzio.
È un silenzio straziante.
-Ci hai scopato?!- urlo con tutta la voce che mi rimane.
-Sì!-  strilla lui, dall’altra parte.
Vedo Berlino scuotere la testa, deluso e mettersi le mani in faccia.
Mi si spezza il cuore.
Non mi viene in mente niente da dire che non siano parolacce.
-Va a fanculo, figlio di puttana!- aggiungo piangendo e lanciando il telefono contro il muro.- Va a fanculo!-
Berlino mi stringe da dietro mentre scoppio letteralmente a piangere.
Tento di dimenarmi, ma lui mi afferra più forte, cercando di calmarmi.
16 ostaggi sono evasi e uno di noi è gravemente ferito, rischia di morire.
E Sergio era a divertirsi sotto le lenzuola dell’ispettore.
È la seconda volta che mi ferisce così e io non so se riuscirò mai a perdonarlo.
 
Madrid- 19 anni prima
 
Non so come sono finita in questa situazione.
Un attimo prima la pistola era dentro la sua tasca e adesso è in mano mia, puntata sulla sua fronte.
Non so come ho trovato il coraggio di ordinargli di mettersi in ginocchio.
Ma non lo sopporto più.
Non sopporto più il suo sguardo su di me e quando mi mette le mani dappertutto.
Doveva smetterla e lo farò smettere io.
Giusto 15 minuti prima sono tornata dalla festa di diploma con Sergio ed altri della scuola.
Volevo cenare tranquillamente, ma poi lui ha iniziato a farmi strane domande, sul fatto che frequentassi solo ragazzi e che non gli stava bene.
Poi mi ha stretto la mano sulla spalla e io non resistito più.
La cintura con la pistola era alla mia altezza, l’ho presa e basta.
Se la meriterebbe in fronte quella pallottola per tutto quello che mi ha fatto subire.
Presto lo licenzieranno con disonore, lo so, le accuse sono troppo forti e lui non ha abbastanza soldi per pagarsi un avvocato decente.
Per colpa sua non mi hanno preso alla scuola militare.
Però se mi guardassi allo specchio adesso, mi farei pena.
Se davvero volessi essere un soldato, la mano non mi dovrebbe tremare così sulla pistola.
O forse è perché c’è lui dall’altra parte del mirino.
Ignoro sia quello che dice mia madre, sia quello che dice lui.
Non ho il coraggio di premere il grilletto e le lacrime mi scendono a cascate sulle guance.
Non ce la faccio.
Mollo la pistola e scappo di sopra nella mia stanza, sbattendo la porta e chiudendola poi a chiave.
Non ho un futuro qui.
I miei amici se ne andranno e io rimarrò sola, con mia madre che non mi guarderà mai più in faccia.
Devo andarmene.
Spacco il salvadanaio a terra e conto, tra carte e monetine, circa 69 euro, abbastanza da pagarmi una notte in un motel.
Tecnicamente non potrei portare il telefono con me, perché la polizia lo rintraccerebbe subito.
Però, per emanare un mandato di persona scomparsa devono aspettare per forza 72 ore, perciò posso telefonare fino a che non inizieranno a cercarmi.
Semmai mia madre vorrà davvero farlo.
Indosso qualcosa di comodo e faccio un veloce zaino con tutte le cose strettamente necessarie.
Nell’armadio trovo la giacca di pelle di Andrès e la indosso, legandomi i capelli in una coda.
Sto per lasciarmi questa vita di merda alle spalle, anche se non so quello che mi aspetta.
So fare un po' di cose oltre a sparare: in casa ho sempre fatto le pulizie e non credo che portare qualche piatto ai tavoli sia così difficile.
Nella fretta, poi, guardo il mio pc con la webcam e mi viene in mente il tipo/la tipa delle margherite.
Se davvero devo finirla, deve finire anche questa cosa di cercarlo con smania.
Sento mia madre e mio zio che litigano al piano di sotto e presto verranno su, probabilmente lui sfonderà la porta.
Mi siedo velocemente alla scrivania e faccio partire un video che pubblicherò sul sito della scuola.
-Salve a tutti, per quelli che non mi conoscono mi chiamo Tatiana Loreto e frequento questa scuola. Poco dopo che ho iniziato a venire, c’è stata una persona che ogni giorno mi ha fatto trovare delle margherite sulla soglia della porta, ogni giorno.- spiego, percependo i passi pesanti di mio zio che salgono le scale lentamente. Ho poco tempo: adesso fisso la webcam e mi rivolgo direttamente a lui/lei.- Ascoltami, sto per andarmene per sempre dal quartiere e voglio conoscerti. So che vieni a scuola con me perché sai dove abito: non mi importa come tu lo abbia capito, se abbia sbirciato nella mia cartella, non fa niente, però ho bisogno di sapere chi sei.- balbetto, cercando di riflettere.- Ti aspetto tra 15 minuti al parco di San Isidro: sarò lì per un’ora.- affermo, mentre mio zio sbatte violentemente contro la porta.- Ti prego.- singhiozzo, spaventata.- Ti prego fatti vedere.-
Do l’ok sul computer e poi mi metto lo zaino in spalla, aprendo la finestra.
Non è tanto alto e alla mia sinistra ci sono le tubature alla quale mi posso aggrappare e fare un salto.
Corro via prima che lui veda la direzione che sto prendendo, con le cose che traballano nel mio zaino, tra cui una scatoletta con dentro le foto che mi sono fatta con Andrès e Sergio.
Quelle non le posso lasciare indietro, sono troppo importanti.
Riprendo fiato quando arrivo al parco e mi siedo su una panchina, si è fatta sera ormai.
La lampadina del lampione accanto a me va e viene: non è di certo portatore di buon auspicio.
Di certo fa come il mio cuore: boom boom.
Sognavo una vita tutt’altro che diversa.
Tuttavia, non mi pento degli anni passati, rifarei quello che ho fatto altre 100 volte.
Dentro la tasca mi ritrovo un vecchio pacchetto di gomme e mi metto in bocca l’ultima che è rimasta.
Batto il piede per terra per il nervoso: sembra che stia aspettando i risultati di un test importante.
Neanche alla maturità ero così tesa.
Verrà?
Non verrà?
Sarà una ragazza o un ragazzo?
So solo che non posso rimanere qui a lungo e l’ora passa velocemente.
C’è un tale silenzio inquietante.
Solo qualche cane che abbaia e televisioni con il volume alto dai palazzi.
Controllo il telefono, niente.
Non è venuto nessuno.
Forse ha paura o forse è troppo codardo, non lo so.
Speravo che venisse, speravo di conoscere la persona della quale mi sono innamorata e fantasticato su per tanto tempo.
Mi sento stupida.
Che cosa mi credevo?

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Capitolo 24
*** Parte 23 ***


Domenica 23:40
 
Le scale della stanza principale sono abbastanza comode per poggiarmici sopra e rilassarmi.
Ma perché cazzo c’è un tappeto rosso?
Cos’è, siamo in un fottuto castello?
In fila indiana, Denver sta consegnando il cibo agli ostaggi.
-Abbiamo sentito degli spari prima, che cosa è successo?- domanda la professoressa che, ovviamente, non si fa mai gli affari suoi.- Manca un mio alunno, Pablo, dov’è?-
-Il suo alunno sta bene, è scappato con altri 16 ostaggi.- spiega Denver sbuffando. Mi viene poi in contro, consegnandomi una barretta di cioccolato.- Non ne so molto di donne, ma so che quando è triste le piace mangiare il cioccolato.-
Gli sorrido e la prendo.- Ne sai abbastanza per esserti riuscito a scopare Monica.-
Lui ridacchia e si gratta la nuca.- Sì, beh, possiamo fa finta che non hai visto niente?-
Addento la barretta.- Certo.-
Ad un certo punto, Mercedes si alza da terra e inizia ad applaudire.
-Ma che cazzo fa?-
Forse è un applauso per i suoi compagni ostaggi che ce l’hanno fatta.
La seguono anche tutti gli altri, con Denver che gli ordina di smetterla, ma loro non lo fanno.
Credono ancora che loro siano gli eroi e noi i cattivi.
Quella donna inizia a darmi sui nervi e il rumore mi si penetra nella testa.
Non vogliono smettere.
Allora estraggo la pistola e sparo dei colpi sul soffitto: si spaventano e si accasciano a terra come topi.
Tranne la professoressa, lei resiste, con il corpo che le trema.
-Ti credi figa solo perché sei riuscita a rubare un paio di forbici?- le sussurro, faccia a faccia.- Sono stata io che te le ho lasciate prendere, puttana. Però non hai avuto il coraggio di colpire uno di noi, vero? Hai consegnato le forbici ad Arturo che stava per uccidere Denver. Quindi non sei un cazzo di nessuno, sei solo una codarda. Ma i tuoi amichetti hanno ferito un mio amico, probabilmente morirà entro le prossime ore e non so per gli altri, ma per me, la colpevole sei tu che hai fatto iniziare tutto.- le dico, puntandole la pistola alla tempia. Non posso ucciderla, non posso, l’ho promesso. Però posso spaventarla.- Perciò adesso ti suggerisco di guardarti le spalle, perché io sono ovunque.- affermo, spingendole le spalle per costringerla a sedersi.
Non sono mai stata così arrabbiata e triste in vita mia.
 
Toledo- 2 mesi all’ora zero
 
La giornata è abbastanza buona per mangiare di fuori e dopo che Mosca ha scoperto che nella tenuta ci fosse un barbecue, abbiamo deciso di fare una bella grigliata.
-Dunque, come dicevo nella lezione di stamattina, prima o poi gli ostaggi diventeranno irrequieti e inizieranno a ribellarsi.- esordisce il Professore.
-Due spari in aria con i fucili e vedi come staranno calmi!- esclama Tokyo, ridacchiando.
-Meno male che ha scelto Roma per trattare con gli ostaggi, altrimenti con te sarebbe un casino!- commenta Denver.
-Ad un certo punto della rapina, oltre alla paura, ci sarà qualcosa che li accumunerà.- continua Sergio, mentre aiuto Helsinki e Mosca a mettere la carne cotta su piatti. -Che cosa accomuna noi?-
-Il sesso?- domanda Tokyo.
Mosca ridacchia.- Ah, non parliamo di orge che con la fortuna che ho, mi ritroverò davanti a questo qui!- aggiunge, dando una spallata ad Helsinki.
-Che cosa accomuna noi?- ripete il Professore.
Gli metto il piatto di salsicce davanti.- Il denaro.-
Era così facile ragazzi, su.
Sergio mi sorride, indicandomi.- Il denaro.-
Nairobi pare confusa.- Non sto capendo.-
-Quando vedremo che gli ostaggi inizieranno a dare di testa, gli daremo l’occasione di fare una scelta: la libertà o il denaro.-
-E se scelgono la libertà?- interviene Rio, aggrottando le sopracciglia.
-So che è una cosa deplorevole, ma dovete accompagnarli nel sotterraneo e rinchiuderli lì: perché solo così non rischieremo una rivolta.-
***
Mi si è chiuso lo stomaco, ma devo mangiare per forza, quindi mi attacco all’ultimo pacchetto di patatine che è rimasta dentro la macchinetta che ho rotto quando sono arrivata.
Intanto, Berlino controlla Oslo che ha ancora gli occhi fissi e la testa fasciata.
-Non ha un bell’aspetto.-
-E tu che ne sai? Sei un medico o un chirurgo?- borbotta Nairobi. -Dobbiamo aprire le porte e farlo portare in ospedale.-
-Nessuno esce di qui, sono gli ordini del Professore.- ribatte Berlino.
-Il Professore non ha nemmeno risposto alla nostra chiamata!- esclama Rio.
Ci sono dei tappi per le orecchie?
Non li sopporto più.
-Ha bisogno di cure.- aggiunge Tokyo.
Di scatto, Berlino tira fuori la pistola e la stessa cosa fanno gli altri tre.- Ho detto che nessuno esce di qui, non siamo in democrazia!-
-State zitti, Cristo Santo!- urlo, alzandomi in piedi.- Il Professore è un coglione come è coglione chi ha organizzato questa cazzo di evasione!-
-A proposito, chi organizzato fuga?- chiede Helsinki.
-Arturo ci ha detto qualcosa, ma non siamo arrivati in tempo.- risponde Denver.
-Ma nessuno esce da questa cazzo di prigione, è chiaro? Non perché lo ha deciso il Professore, non perché lo ha deciso Berlino, ma perché l’ho deciso io! Chiaro?!-
Nairobi, Rio e Tokyo capiscono che non sto molto bene e abbassano la pistola.
-Ha ragione, Oslo rimane qui.- interviene Helsinki.- Io parlato con lui prima di entrare: meglio morte che prigione.- spiega, accarezzando la guancia di Nairobi.
Credo che lei voglia solo aiutarlo o anche di più, credo si sia innamorata dell’omone dagli occhi azzurri.
Aggiornamento della classifica di quelli che hanno perso a testa:
  1. Mosca.
  2. Berlino.
  3. Io.
***
Una volta che credo di aver quasi ripreso il nume della ragione, l’ufficio di Berlino diventa anche il mio ed uno ad uno facciamo venire gli ostaggi, facendogli una semplice domanda: 1 milione di euro tutto per loro o la libertà.
Mercedes non riesco nemmeno a guardarla negli occhi, perciò le parla Berlino: ma era ovvio che avrebbe scelto la libertà.
Monica, inizialmente, per il suo bambino sceglie di uscire, però ripensa a Denver e ci rinuncia.
-Libertà.- afferma Ariadna, dall’altra parte della scrivania.
Berlino è piuttosto sorpreso, mentre io la vorrei davvero fuori di qui.
-Pensaci bene, ho dato a tutti gli ostaggi un’ora.- le dice Berlino.
-Non mi serve pensarci, è la mia scelta.- ribatte Ariadna.
Credo che Berlino sia davvero convinto di piacere davvero ad Ariadna.
-Ti ripeto di pensarci bene perché io e te abbiamo una relazione, adesso.- continua, mettendo le mani sulle sue sorridendo.- Ed è molto probabile che io non uscirò vivo di qui.-
-E poi devi anche considerare che là fuori, rispetto qui dentro può essere molto pericoloso.- aggiungo, sedendomi sulla scrivania.- Hai presente quando i cuccioli di aquila escono dal nido prima del tempo, prima che si siano sviluppati abbastanza e si sfracellano sul terreno? Ecco, è la stessa cosa e io non voglio che ti succeda qualcosa.-
Berlino fa la stessa cosa, mettendosi vicino a me e fissandola negli occhi tremolanti.- Perché, per come si sono messe le cose, è molto meglio stare qui che là fuori…E poi non voglio che ti angosci.- le dice, accarezzandole la guancia col dorso della mano.- Ti darà due ore per pensarci.-
Lei fa di sì con la testa ed esce velocemente.
Non appena chiude la porta, io e Berlino scoppiamo a ridere.
-L’abbiamo spaventata a morte.-
-Perché cazzo non ti sei iscritta a teatro quando andavamo a scuola?- mi domanda Berlino.
Alzo le spalle, gesticolando.- Troppe cose da imparare, troppa gente che ti fissa.-
Mi aggiusta una ciocca di capelli dietro l’orecchio col suo solito ghigno.- Potevi far finta che ci fossi solo io a guardarti.-
Lo guardo negli occhi e ripenso alle sue parole di prima.- Ehi, tu uscirai vivo di qui, d’accordo? E noi ci faremo un bagno in quei cazzo di soldi.-
Sorride e mi dà un buffetto sul naso.- Croce sul cuore?-
Mi disegno una croce immaginaria sul petto.- Croce sul cuore.-
 
Toledo- 8 ore all’ora zero
 
Abbiamo finito di cenare per un’ultima volta dentro quella splendida villa.
Tokyo, Rio, Mosca, Helsinki, Denver ed Oslo se ne stanno in giardino a fumarsi delle sigarette e a guardare le stelle.
Gli unici che trovo da soli davanti al camino, seduto ancora a tavola, sono Andrès e Sergio.
Il fuoco riscalda l’atmosfera ed è la prima volta che siamo noi tre da quando sono arrivata, fa quasi strano.
-E quindi domani inizia tutto.- esordisce Berlino, col suo solito ghigno.- Sergio, devi promettermi una cosa: promettimi che se andrà male, scapperai.-
-Niente andrà male, Andrès.- ribatte Sergio.
Era da tanto che Andrès non proteggeva suo fratello in qualche modo.
-Ma se andasse male, devi promettermi che scapperai, altrimenti domani ti ritroverai senza capitano.-
Rispetto a noi che avremmo qualsiasi tipo di arma, Sergio sarà scoperto, come un poliziotto che sventa un attentato senza giubbotto antiproiettili.
-E senza secondino.- aggiungo, sedendomi in mezzo a loro.
-Io mi fido di voi, siete i miei migliori amici.- commenta Sergio, con un leggero sorriso.- Ma niente andrà male, siamo la Resistenza, no?-
Per una come me che ha sempre sognato di fare il soldato, sentire che siamo come la Resistenza all’era dei fascisti, mi mette un’adrenalina pazzesca in corpo.
Non potrei desiderare altre persone con la quale rischiare la mia vita così.
Ho tanto da ripagargli.
-Una mattina, mi sono alzato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.- inizia a canticchiare.- Una mattina, mi sono alzato e ho trovato l’invasor.-
Il loro nonno aveva combattuto ed era morto con onore in guerra, lasciando in eredità quel disco a suo figlio.
E poi, a sua volta, suo figlio aveva imparato a noi quella canzone.
E se quella canzone avesse scelto noi, avrebbe dovuto esserci per forza un motivo.
-Oh partigiano, portami via, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.- canto, riempiendo tre bicchieri di vino per fare un bel brindisi in onore dei vecchi tempi.- Oh partigiano, portami via, che mi sento di morir.-
-E se io muoio, mi seppellirai, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.- sorride Andrès, alzandosi in piedi.- E seppellirmi, lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior.-
-E le genti, che passeranno, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.- Passo il bicchiere ad ognuno di loro e gli faccio un occhiolino.- E le genti, che passeranno, ti diranno oh che bel fior.-
Alla fine, siamo tutti e tre in piedi, davanti al fuoco caldo che tiriamo su i calici in cielo.
Solo per un attimo, dall’altra parte del tavolo, ci immagino 25 anni prima, in ogni nostro minimo dettaglio.
Il nostro canto risuona nella villa come fossero centinaia di soldati a cantarla per noi.
-E questo è il fiore del partigiano.- urliamo con entusiasmo.- Morto per la libertà!-
Beviamo tutto d’un sorso e, come 19 anni fa, quando Andrès ha lasciato suo fratello per partire per l’università, gli poggia la fronte sulla sua sorridendo.
Cingo i bacini di entrambi, stringendoli a me e, per una volta, rendendo omaggio alla loro città natia.- Los Hermanos para siempre!-
***
L’ora è scaduta e gli ostaggi devono prendere una decisione.
Li mettiamo in fila indiana e Nairobi disegna una linea per terra con un gesso.
-Il tempo è scaduto.- intervengo, sulle scale.- E’ ora di prendere una decisione: essere nostri complici e così guadagnarsi 1 milione di euro che verrà mandato alle vostre famiglie, oppure scegliere di andarsene.-
-Oltrepassate la linea se volete la libertà.- interviene Nairobi.
In realtà, speriamo che la maggior parte scelga i soldi, perché non mi piacerebbe doverli rinchiudere nei sotterranei.
Vedo Ariadna alla destra di Berlino: lei è spacciata, lei non ha una scelta.
Ha deciso di recitare la parte della sua favorita e ci rimarrà fino alla fine.
Al contempo, circa 12 o 13 persone oltrepassano la linea, mentre osservo lo sguardo di Mercedes che non si fida per niente.
È come se stesse crescendo, qui dentro, probabilmente la stupidina con le forbici a punta tonda verrà seppellita.
Neanche Nairobi si aspettava tutta questa gente.- Bene, mettete le mani dietro la testa e seguitemi.-
Vorrei chiedergli perdono anticipatamente, ma non posso.
Tutti loro rischiano di mandare all’aria il piano.
Nello stesso momento, sento il telefono squillare nell’ufficio del direttore.
Arturo, a proposito, sceglie di restare, ma lo fa sicuramente per Monica, non perché ha fegato o vuole i soldi.
Salgo per rispondere.- Non ci voglio parlare con te.- gli dico, chiaro e tondo.
-Tatiana, stammi a sentire!- esclama, con la voce tremolante.- Hanno trovato la tenuta.-
Oh, porca puttana.

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Capitolo 25
*** Parte 24 ***


Lunedì 18:00
 
Sono ore che non abbiamo notizie del Professore.
La parte che adesso lo odia di me sta pensando che probabilmente si sta divertendo sotto le coperte dell’ispettore.
Non mi aspettavo che una donna come Raquel Murillo, con tutti i suoi problemi, sarebbe davvero riuscita a incantarlo tanto da portarselo al letto.
Un’altra piccola, piccolissima parte di me, pensa che lui lo stia facendo per il piano: iniziare una relazione con lei per non destare sospetti su di se.
E poi, c’è l’ultima parte di me che ricorda la sua ultima telefonata, del fatto che la polizia ha trovato la tenuta e magari è impegnato a risolvere la situazione.
Mi ha detto di non dirlo a nessuno, per non allarmarli.
Sì, perché non c’è niente di cui preoccuparci dato che ha riempito il posto di prove che la polizia già possiede.
Sulla lavagna, nella vecchia aula, non c’è niente che la Murillo già non sappia.
E, sulla tavola rotonda, vari oggetti con le impronte di persone che la polizia ha già riconosciuto.
Berlino, Rio e Tokyo.
Il Professore ci ha fatto bruciare tutti i nostri effetti personali apposta, tranne quelli che ci saremmo voluti portare nella Zecca.
Io, per esempio, mi sono tenuta la mia foto con Andrès e Sergio.
Andrès si è tenuto il suo anello e Tokyo la sua amata collana con la croce.
È la terza volta che Mosca prova a chiamare il Professore, ma non ottiene nessuna risposta.
-Dobbiamo attendere il ciclo di 24 ore, cominceremo a preoccuparci se non risponderà alla chiamata di mezzanotte.- esordisce Berlino, riempiendosi un bicchiere di vino rosso.
Ho scoperto che ciò che Berlino cercava di nascondermi, quel giorno, non è altro che la sua sacchetta di medicinali.
Ogni tanto si deve far un’iniezione alla mano, altrimenti non riuscirebbe nemmeno a tenere la pistola.
Ora che lo sanno tutti, posso aspirare il liquido dalla fialetta e iniettarglielo tra le nocche: stranamente, quella volta, l’ago non mi fa schifo, come se la mia fobia sapesse che lo sto facendo per un amico.
È meglio che non mi rimetto a pensare che ad Andrès rimangono 7 mesi di vita.
Perché, se io togliessi dalla mia mente Sergio e tutto quello che è successo fra di noi, è con Andrès che immagino la mia vita.
Parlo chiaro a me stessa, Andrès è un uomo molto affascinante e io l’ho rifiutato solo perché ero presa da una persona invisibile, della quale non sapevo nemmeno la faccia.
-E se non risponde nemmeno alla quarta chiamata?- chiede Tokyo, preoccupata.
-Allora attiveremo il piano Chernobyl.- le rispondo, riponendo le siringhe accuratamente.
Tutti si voltano a guardarmi straniti.
È una cosa che il Professore ha rivelato solo a me, perché è un gesto disperato.
-Che cos’è il piano Chernobyl?- borbotta Berlino.
-Se il Professore chiamerà a mezzanotte, nessuno di voi dovrà saperlo.-
-D’accordo, io vado in pausa.- afferma Berlino, con un sospiro.
Tokyo sgrana gli occhi.- Stai scherzando? Il piano va a puttane e tu vai a scopare?-
Credo che allora tutti si siano accorti che Berlino sta simpaticizzando con Ariadna, ma non penso che siano andati al letto insieme.
-Oh Tokyo, per favore, non essere così volgare. E’ vero, io ed Ariadna siamo diventati amici, ma c’è soltanto una donna in questa stanza con la quale condividerei le mie carni e di certo non è Ariadna e nemmeno tu, se ci stai pensando.- ribatte Berlino.
-Mi fai schifo.- commenta Tokyo, guardandolo male.
-Beh, comunque che c’è di male ad avere una relazione con un ostaggio?- interviene Denver, alzando le spalle.
-Denver, spero che tu stia scherzando!- esclama Nairobi.
-No! D’accordo, ho una relazione con Monica Gaztambite e allora?! Lei era lì, che mi accarezzava, che mi baciava e sì, abbiamo fatto l’amore qualche volta!-
Io ed Helsinki ne siamo stati piacevolmente partecipi.
-Ma sei impazzito?! Lo sai che cos’è la sindrome di Stoccolma?-
Anche Nairobi non ha tutti i torti, però si vede che Denver non sa di cosa stia parlando.
-La sindrome di Stoccolma è quando un ostaggio si innamora del proprio rapinatore, quella donna è solo terrorizzata!-
Vedo nello sguardo di Denver che sta rivalutando tutto, proprio come sto facendo io con Sergio.
Caro Denver, ti ricordi quando ti ho detto che l’amore arriva per tutti?
Sì, è vero, arriva per tutti, ma non tutte le volte è quello giusto.
Quando sei chiuso dentro un posto da quattro giorni, inizi a farti un sacco di domande, soprattutto quando non hai niente da fare.
E vedendo Berlino che se ne va nel mio ufficio, mi domando come sarebbe stato se, al suo matrimonio, gli avessi detto di sì.
Magari non saremmo qui, oggi.
Prendo l’intera bottiglia di vino e lo seguo, chiudendo la porta.
-Sai, prima di Toledo odiavo il vino rosso.- affermo, sorseggiando.- Ma adesso mi piace.-
Ridacchia.- Beh, io non sapevo niente di italiano prima di conoscerti. Deduco che ci siamo acculturati l’un l’altro.- commenta, vedendomi triste.- Stai bene?-
Abbasso lo sguardo e stringo le spalle.- E’ solo che non me lo aspettavo, capisci?-
-In fondo, il tradimento è interseco all’amore. Il tradimento non dipende da quanto ami qualcuno, ma dalla gravità del dilemma che ti pongono davanti.- aggiunge, attaccandosi alla bottiglia.
-Beh, mettiamo caso che io e te siamo sposati, siamo felici, scopiamo come matti, ma un giorno io decidessi di andare al letto con un altro… Che cosa fai?-
Fa un sorrisetto.- Ma io e te non siamo sposati.-
-E se lo fossimo?- gli chiedo.- Ti ricordi quando siamo andati a Berlino e tu da ubriaco ti sei immaginato tutta quella meravigliosa vita insieme a me? Beh, facciamolo cazzo! Non so ancora quanto tempo ci rimane da passare qui dentro, ma facciamolo.- spiego, quando lo vedo confuso dalla mia domanda.
-Voglio sapere come sarebbe stato.- continuo, avvicinandomi a lui.- Dal primo appuntamento, il primo bacio, la prima volta, il primo figlio, il primo animale domestico, ogni cosa.-
Andrès fa un grande sorriso e mi porge la mano.- Andrès de Fonollosa.-
Gliela stringo.- Tatiana Loreto.-
 
Toledo- 2 mesi all’ora zero
 
Il fuoco del camino è abbastanza vivo per bruciare tutti i nostri effetti personali.
Perciò, uno ad uno, in fila, buttiamo nel fuoco tutto ciò che porterebbe a noi la polizia.
Sergio mi indica subito di farlo per ultima.
La giacca di pelle di Andrès ha ancora un po' del suo profumo d’adolescente e non so se voglio separarmene, a seguito delle foto che ci siamo fatti a Berlino.
-Sei sicuro Andrès? E’ la tua giacca.- borbotto, storcendo la bocca.
-E’ più importante il colpo Tati…E’ solo una giacca.- afferma lui, sorridendo.
Faccio un bel respiro e ad occhi chiusi, prima di pentirmene, la lancio nel fuoco.
Subito dopo di me, Sergio inizia a bruciare delle foto che ha con suo padre di quando era piccolo: non si torna indietro, ma credo che il suo viso lui ce l’abbia bene in mente.
C’è anche un ritaglio di giornale di quando la polizia gli ha sparato.
Jesus, mi ero quasi dimenticata del suo nome.
-Sei sicuro? Potresti portarle con te.- gli chiede Andrès.
Sergio le guarda un’ultima volta e poi le butta.- La nostalgia ci seduce, ci costa separarci dai ricordi perché pensiamo che i ricordi siano realmente dei momenti felici, però…però non lo sono. E quello che faremo tra due mesi ci obbliga a pensare al presente, non al passato.-
Capisco nelle sue parole che gli è costato tanto e gli poggio la testa sulla spalla, stringendogli il braccio.
Per un po', tutti e tre rimaniamo a vedere le nostre cose passate bruciare, ma so che non ce ne dimenticheremo mai.
Alla fine, quando il fuoco si è definitivamente spento, rimaniamo solo io e Sergio.
-Ascolta, so che ho detto che non succederà niente e che andrà tutto bene, ma semmai dovesse succedere qualcosa…Semmai succedesse qualcosa e non rispondessi alle vostre chiamate…- esordisce, sedendosi sul pavimento con me.
-Che vuol dire se non rispondi alle nostre chiamate?-
-Che probabilmente la polizia mi starà interrogando.-
Mi viene un brivido sulla schiena se penso che potrebbe succedere.
-A quel punto, se non chiamerò alla fine delle 24 ore, voglio che tu metta in atto il piano Chernobyl.-
Attivare un piano di riserva per questo tipo di situazione, vuol dire praticamente darsela a gambe perché entrambi sappiamo che la polizia userà qualsiasi metodo possibile per estorcergli la verità.
-Cos’è il piano Chernobyl?-
-Semmai succederà, vorrà dire scegliere la propria vita, il non andare in carcere, al posto dei soldi: lancerete i soldi in aria, creando un diversivo e poi scapperete…Scapparete il più lontano possibile.- spiega.
Tutto ciò mi mette ancora più ansia.
-Stai scherzando? Non ti lascerò mai in balia della polizia!- esclamo, contrariata.
Mi stringe le spalle, fissandomi gli occhi.- Tati, promettimelo! Io ho deciso di fare questo colpo e me ne prenderò tutta la responsabilità! Non ti lascerò andare in prigione di nuovo, chiaro?- mi dice, quasi con rabbia.- Giuramelo!-
Capisco che me lo sta impartendo, che non è un favore che devo fargli come Tatiana, ma un ordine come Roma.- Va bene, lo farò…-
 
Lunedì 18:35
 
Ora che abbiamo già fatto un bel po' di soldi, il lavoro di Nairobi si fa più concentrato: deve controllare la qualità di qualsiasi banconota, una ad una.
Non vorrei essere nei suoi panni, io non sono una persona che ha molta pazienza.
Intanto, gli ostaggi alla quale abbiamo promesso un milione di euro, ci aiutano, iniziando a contare i soldi e a metterli sottovuoto.
Il resto di noi le trasporta dritto dentro il caveau.
Le adolescenti e Monica lavorano con il sorriso stampato sulle labbra, come se fossero davvero diventate nostre complici.
A parte Allison che non ha il diritto di scegliere, dato che è il nostro asso nella manica.
Grazie a lei siamo protetti da qualsiasi attacco pesante.
Afferro due buste di soldi e mi preparo per portarli nel caveau, quando, durante il percorso, incontro Denver con le lacrime agli occhi.
Poggio a terra le buste e lo prendo che il braccio.- Ehi, che succede?-
Lui si asciuga gli occhi.- Tu sapevi di questa sindrome di Stoccolma?-
-Beh, sì, ma non ci avevo mai pensato realmente e non ci credo nemmeno, Denver, secondo me quella donna ci tiene davvero a te.- gli dico, alzando le spalle.- E’ di là, con Nairobi, che conta i soldi con un sorriso a 32 denti.-
-Ho parlato con mio padre.- balbetta, tirando col naso.- E sai cosa ho capito? Ho capito che sono una merda! Che devo pensare come una merda! E che devo sognare come una merda! E…Siamo arrivati fin qui e non posso mandare tutto all’aria per una donna…-
Probabilmente Mosca crede che suo figlio e Monica appartengano a due mondi completamente diversi e non ha tutti i torti.
Lui è un rapinatore testa calda e lei un finanziere incinta.
Un ignorante e un’acculturata, non potrebbe mai funzionare.
Ma non è giusto.
-Denver, ascoltami.- gli dico, prendendogli il viso tra le mani.- Anche se è tuo padre, non devi permettere mai a nessuno di dirti che non puoi pensare con la tua testa. Quando avevo 18 anni ero innamorata di una persona che nemmeno conoscevo, che non ho mai visto in faccia, ma non mi sono mai arresa. Sì, poi mi ha spezzato il cuore, ma è questo che deve succedere quando si è innamorati! Il fatto che stai soffrendo vuol dire che c’è qualcosa di vero! E credimi… L’amore è sempre una buona scusa per mandare tutto all’aria.-
Denver si morde un labbro con gli occhi lucidi e mi sorride per un attimo, per poi abbracciarmi.
Spero che questo discorso lo faccia pensare, anche se tutti pensino che sia un ignorante.
Mentre controllo gli ostaggi che contano i soldi, Nairobi mi affianca con una busta da lettera.
-Senti, non chiedermi perché, ma Berlino mi ha detto di darti questa.-
Quando la apro e la leggo, capisco che è un elegante invito a cena nel suo ufficio.
Mi guardo attraverso il riflesso dei vetri e osservo che faccio veramente schifo.
Sapevo di trovare dei trucchi nelle cose che Nairobi si era portata dietro.
Perciò mi lego i capelli in una cipolla, come fossi una ballerina di danza classica: mi metto un po' di matita sugli occhi, del mascara sulle ciglia e del lucidalabbra non troppo lucido.
Non ho mai avuto un primo appuntamento e non so come ci si comporti, ma cercherò di essere me stessa.
Quando, d’improvviso, Rio apre la porta bruscamente.- Roma, vieni a vedere!-
Nell’ufficio del direttore, alla televisione, stanno facendo vedere un servizio della polizia che, come sapevo, ha raggiunto la tenuta di Toledo e, nelle immagini, compare anche il Professore.
-Cazzo, lo stanno interrogando proprio davanti alla tenuta!- esclama Rio, mettendosi le mani nei capelli.
-Che cazzo facciamo?- domanda Tokyo.
Alzo gli occhi al cielo.- Te l’ho già detto, se non chiama a mezzanotte, arriviamo il piano Chernobyl.- rispondo e so che sta per chiedermi di nuovo che cos’è, ma io non posso dirlo.- E se mi chiedi di nuovo di cosa si tratta, ti do un pugno.-
-Quello che vedo io è che sta andando tutto a puttane! Non possiamo più fare conto sul Professore, quindi dico di iniziare a decidere per conto nostro.- aggiunge Tokyo.
Ora mi ricordo perché mi sta antipatica.
-Chi sta con me?-
Lei, Rio e Denver sono gli unici ad alzare la mano.
Mosca, Berlino, Nairobi ed Helsinki credono ancora nel Professore, fortunatamente.
Faccio un finto sospiro, alzando le spalle.- 5 contro 3, mi dispiace.-
Spero di essermela finalmente tolta dalle scatole.
L’orario sulla lettera diceva alle 19:00, così busso al suo ufficio.
Quando apro, noto subito che sul tavolo ha messo una tovaglia a quadri, due piatti di plastica con dentro i panini che ci ha dato la polizia come scorta e due bicchieri di vino.
C’è addirittura mezza candela accesa e le tendine sono tirate tutte giù per creare atmosfera.
-Buonasera signorina Loreto.- mi dice sorridendomi e scostandomi la sedia.- Prego, si accomodi.-
-Grazie.- gli dico, ricambiando il sorriso e sedendomi: lo sapevo che Andrès sa essere un gentiluomo.
-La cucina era chiusa stasera, questo è tutto quello che sono riuscito a rimediare.- mi dice, sedendosi davanti a me. -Possiamo darci del tu?-
Mi metto il tovagliolo sopra le gambe.- Assolutamente sì.-
-Allora, Tatiana, di cosa ti occupi nella vita?- mi chiede, addentando il panino.
Deglutisco il mio boccone prima di rispondere.- Mmmh, rapino gioiellerie e scassino macchine. Dovresti provarci è molto divertente. E tu?-
Ridacchia. -Sono un pittore.- afferma, pulendosi l’angolo della bocca.- Potrei farti un ritratto.-
-Davvero? Ne sarei molto onorata.-
Deduco che durante gli anni all’accademia delle Belle Arti abbia imparato a disegnare.
Fa uno dei suoi ghigni divertiti.- Peccato che i miei soggetti siano tutti nudi.-
Mi viene la pelle d’oca: per un attimo ci penso, io, nuda, davanti a lui che mi fa un disegno.
Non è una cosa che escluderei.
Lo guardo negli occhi, maliziosamente.- Allora spero di riuscire a restare ferma abbastanza.-
Ricambia il mio sguardo e sorseggia il vino.- Sai Tatiana, ti guardo e vorrei sapere tutto di te. Ogni giorno che hai vissuto, ogni sorriso, ogni lacrima. Ogni momento di felicità. Per me sei un mistero affascinante.-
Andrès è sempre stato in grado di prendersi qualsiasi donna che voleva e ora capisco il perché ci cascassero sempre.
Però lui ha scelto me e per anni ci ho pensato su, tra rimorsi e sensi di colpa.
Ora ho la possibilità di dargli ciò che vuole, prima che se ne vada per sempre.
Ripensarci mi fa venire gli occhi lucidi.
Diamine, non volevo che succedesse.
-S-Scusa.- bofonchio, alzando gli occhi al cielo per evitare che le lacrime cadano.
-Non fa niente.- mi sussurra, prendendomi la mano e facendomi alzare.
Solo allora noto che su un altro scaffale c’è la radio di Mosca e lui l’accende, sintonizzandola su un ballo lento.
Mi stringe i fianchi e io poso le braccia sulle sue spalle, dondolando lentamente.
Quello è decisamente il più bel primo appuntamento che io abbia avuto, perché c’è Andrès e so che di lui mi posso fidare.
Nei suoi occhi vedo ancora il piccolo Andrès con la giacca di pelle che recita sul palco e che canta una canzone in italiano solo per me.
So che sarebbe un’offesa a Sergio, però mi domando perché non è di Andrès che mi sono innamorata.
Si dice che l’amore è cieco, dopotutto.
Poggio la fronte sulla sua e mi lascio andare e per un momento non siamo più nella Zecca di stato, ma in un posto che è solo nostro.
Dura pochi minuti, perché Tokyo sfonda la porta e ci punta addosso il suo fucile.
Io e Berlino abbiamo le nostre pistole pronte e facciamo altrettanto.
Però si uniscono anche Denver e Rio, e capisco che il nostro appuntamento è rovinato.
Dovevo prevedere che Tokyo non si sarebbe arresa facilmente e come due carcerati che stanno per esser portati in cella, con le mani legate dietro la schiena, veniamo portati via dal nostro piccolo mondo.

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Capitolo 26
*** Parte 25 ***


 
Io e Berlino ci ritroviamo in bagno legati ad una sedia e privati delle nostre pistole.
Tokyo, Rio e Denver si sono letteralmente rivoltati e adesso hanno un netto vantaggio su di noi solo perché sono armati e noi no.
Non mi stupisce che Tokyo stia dando fuori di testa, se lo aspettava anche il Professore.
Ma poi, ad un certo punto, la ragazza tira fuori una delle fiale delle medicine di Berlino.
Tento di dimenarmi dalle corde, ma Denver le ha strette piuttosto bene.- Tokyo, ma sei impazzita?!-
Mi sta dando decisamente sui nervi, quelle medicine gli servono per vivere almeno qualche giorno in più.
-Sai cosa sono queste?- gli domanda, mettendosi a cavalcioni su un’altra sedia.
-Ci vedo ancora bene, sono le mie medicine.- risponde Berlino, tranquillo.
Di scatto, Tokyo ne spacca una a terra.
-Sei una figlia di puttana!- esclamo, sputandole sulla maglietta.
Lei mi evita e ne prende altre due.- Dicci che cos’è il piano Chernobyl.-
È dura quanto il marmo.
-Non lo so.- scandisce Berlino, prima che lei rompi un’altra fiala.
-Cazzate.- borbotta: ha addirittura messo delle assi di legno sulla porta, così che nessun’altro entri.
Aggiornamento della classifica delle persone della banda che hanno perso la testa:
  1. Mosca.
  2. Berlino.
  3. Io.
  4. Tokyo.
Solo che Tokyo rischia davvero di mandare tutto all’aria e mi sta anche facendo arrabbiare.
-Ti ha detto che non lo sa, stronza!- aggiungo.
-Tokyo, smettila, non lo vedi che non funziona?- commenta Rio.
Tokyo si volta lentamente verso di me, guardandomi male e poi porge la mano a Denver.- Dammi la sua pistola, so io che cosa funziona.-
La pistola di Berlino è un revolver con 5 colpi: Tokyo ne toglie 4 e ne lascia uno solo, togliendo la sicura.
So che cosa ha intenzione di fare, è una ragazza che adora il rischio.
-Non ci provare nemmeno!- borbotto, tirando le corde più che posso.- Tokyo, ti giuro che quando mi libererò, ti farò sanguinare quelle cazzo di labbra da gallina!-
Vuole giocare alla roulette russa, ma dagli sguardi dei suoi compagni, non sembrano molto d’accordo.
-Tokyo, ma che cazzo fai?!-
-Se è giunta la mia ora, spara! Forza, Tokyo. Sono un malato terminale. Di sicuro non infrangerai i miei sogni e speranze.- interviene Berlino, ridacchiando.
Tokyo si morde le labbra, annuendo.- Hai ragione, non è abbastanza farlo con te.- afferma, girando la pistola verso di me.
A quel punto, il sorriso sulla bocca di Berlino scompare.
Stare dall’altra parte del mirino non è proprio una bella cosa.
Quella cosa tonda davanti agli occhi ti fa davvero trasalire.
-Credevi che a Toledo non avessi scoperto che eravate tutti e tre grandi amici?- continua Tokyo.- Il Professore ci aveva fatto giurare di non avere storie personali, mentre vi vedo belli abbracciati davanti al fuoco ed io che ho dovuto scopare di nascosto.-
Alzo le sopracciglia.- Vuoi andare a dire a tutti che scopavo con il Professore? Va bene, fallo pure, non mi cambi la vita. Perché, alla fine, se ci pensi bene, abbiamo fatto la stessa identica cosa: ci siamo innamorate di due uomini, Tokyo, è questo che abbiamo fatto e deve essere per forza un cazzo di crimine?-
Vedo una lacrima che le cade dalla guancia.- L’unica differenza è che io sono fottuta quando uscirò da qui, mentre tu e il caro Sergio no.-
Non so come rispondere: mi sembra solo una stupida ragazzina che ha bisogno di essere rimessa in riga.
Toglie la sicura della pistola e me la poggia sulla gola, fissandomi negli occhi.
Cerco di essere forte, di sfidarla con lo sguardo perché lei non demorde.
Berlino trasalisce ogni volta che preme il grilletto e non esce nessun proiettile.
-Se il tuo obiettivo è mettermi paura, sappi che quando le farai saltare il cervello, quella che avrà paura sarai tu.- le dice Berlino, stringendo i denti.- E’ l’unica qui che conosce il piano. Non avete la minima idea di come uscire da questa cazzo di trappola! Siete voi che state giocando alla roulette russa!-
Tokyo ha già sparato 3 colpi e, secondo i calcoli, in uno dei prossimi due dovrebbe uscire il proiettile.
Sarebbe davvero sciocco morire così, per me.
Improvvisamente, qualcuno bussa alla porta, facendomi sobbalzare.
-Tokyo, ma che cazzo stai facendo?!- grida Nairobi.
-Non preoccuparti Nairobi, stiamo giocando alla roulette russa!- esclama Berlino, anche se da un lato è contento che lei sia intervenuta.
-Ma siete impazziti! Tokyo, manderai all’aria tutto!- continua Nairobi.
Tokyo si avvicina a brutto muso sulla porta.- Se questa cosa mi manda a puttana la vita, allora manderà a puttane la vita di tutti!- risponde lei.- Che cosa credevi? Di poter rivedere tuo foglio? Lui non sa nemmeno come sei fatta! L’hai abbandonato quando aveva 3 anni per delle cazzo di pasticche!-
Non vedo la faccia di Nairobi dall’altra parte della porta, ma credo che sia furiosa, perché Tokyo sta davvero toccando un tasto dolente.
Quella situazione le sta davvero sfuggendo di mano e prometto a me stessa, che non appena sarò libera, gliela farò pagare.
-Brutta figlia di puttana, perché non me lo vieni a dire in faccia!- esclama Nairobi.
Poi, tutto d’un tratto, Mosca sfonda la porta con un enorme pezzo di legno e finalmente mette fine a questa sceneggiata.
Tokyo ha gli occhi lucidi, perché sa che adesso è davvero nei guai.
Nairobi le si avvicina lentamente, scuotendo la testa e si mette la pistola di Berlino sul petto.
Tuttavia, Tokyo non ne ha il coraggio: fa tanto la grande solo con chi le sta antipatica, con lei, che è diventata sua amica, non lo farebbe mai.
Di fatti, Tokyo abbassa la pistola tremando e finalmente Mosca ci libera dalle sedie.
Non ci credo che il mio appuntamento sia stato rovinato dai capricci di una bambina.
Quando tutti se ne vanno, io e Berlino rimaniamo sulle sedie.
-Stai bene?- mi chiede subito.
Annuisco e guardo il liquido medicinale che scorre sulle mattonelle del pavimento.- Mi dispiace tanto…-
Lui mi alza il mento con un ghigno.- Non fa niente.-
Prendo un bel respiro e una gomma da dentro il pacchetto che ho in tasca.- Allora, caro, non credi che la bambina abbia fatto un po' troppi capricci?-
Berlino fa cenno di sì e arriccia il naso.- Tesoro, credo che tu abbia ragione e dovremmo darle un bel castigo.-
***
Tokyo si ritrova sulla scrivania di ferro dove mi hanno operata, con il corpo immobilizzato dallo scotch e la bocca chiusa.
Non ne vado fiera e non è di certo la cosa più terribile che farò qui dentro.
Per ora, la peggiore, è stata rinchiudere delle persone innocenti nei sotterranei.
Almeno loro, rispetto a Tokyo, non se lo meritavano.
Abbiamo aspettato che tutti gli altri andassero in pausa per cogliere Tokyo di sorpresa.
-Sembri quasi un pacco regalo, ti manca solo il fiocco.- commenta Berlino, sorridendo soddisfatto.
Io le tolgo lo scotch dalla bocca.- Questo è quello che succede quando si fa la cattiva ragazza.-
Lei tenta di liberarsi, ma l’abbiamo stretta abbastanza quanto lei ha fatto con noi.- Sei una figlia di puttana!-
Berlino si avvia verso il pulsante di apertura e le porte dell’entrata di spalancano.
Mi piego alla sua altezza, mettendole le labbra sull’orecchio.- E tu non dovevi rovinarmi l’appuntamento.- le sussurro, prima di indossare la maschera e spingerla via fuori, tra la polizia.
Se succederà qualcosa, io sarò il vostro angelo custode.
Aveva detto il Professore.
Adesso vediamo se manterrà la sua promessa.
Tokyo non è più affar mio adesso, se la deve cavare da sola e io la conosco, ce la farà.
C’era anche lei quando, in quell’aula, il Professore spiegava che se qualcuno di noi sarebbe stato preso, tutto ciò che avremmo dovuto fare sarebbe stato guadagnare tempo.
Aveva bisogno che qualcuno la mettesse in riga e quello era l’unico modo.
Le porte si richiudono e io posso togliermi la maschera.
Non mi accorgo però, che Berlino mi si è avvicinato e, di scatto, senza che me lo aspettassi, mi prende il viso tra le mani e mi bacia.
Beh, dopo il primo appuntamento, c’è sempre il primo bacio, no?
Forse era così che doveva andare, mentre eravamo a Berlino, su quel fiume, di sera.
Anche se era ubriaco, avrei dovuto baciarlo e fargli capire che ciò che mi aveva appena detto io lo avevo apprezzato da morire.
Se cerca amore da me, adesso, è perché probabilmente nei suoi precedenti matrimoni non li ha avuti.
E questa sensazione, che provo adesso, baciandolo, mi fa essere più che d’accordo.
È come se stessi rivivendo la mia vita tutta da capo, cambiando gli addendi dell’operazione.
-Oh per favore, prendetevi una stanza!- borbotta Mosca, passando di lì.
Io e Berlino scoppiamo a ridere, rimanendo stretti l’uno all’altro.
-Come primo bacio non è andato male, no?- gli chiedo.
-Le prime volte sono speciali, uniche…Però le ultime volte non hanno paragone. Non hanno prezzo. Il fatto è che la gente di solito non sa che lo sono. Mi restano mesi di vita e una delle poche cose che mi importa, sai qual è? Ere che io vivrò qui. Qui dentro.- afferma, tintinnando il dito sulla mia fronte.- Per sempre. Dentro questa testolina tanto bella.-
Sorrido, ma sto piangendo dentro.
Quest’angoscia va e viene, ma credo che dovrò conviverci.
Annuisco più volte.- Sarà così.-
***
Subito dopo, mi dirigo nell’ufficio del direttore e nel corridoio incontro Rio.
Mi guarda male, in silenzio e ovviamente non capisce il perché io l’abbia fatto.
Lo capirà solo quando Tokyo riuscirà a tornare o sarà al sicuro, protetta dal Professore.
Scosto le tende dalla finestra e vedo che dei poliziotti in tuta l’hanno liberata dallo scotch, l’hanno fatta spogliare e adesso la stanno portando via.
Lei sa benissimo cosa deve fare.
In tutto questo, non ho più visto né Oslo né Helsinki, perciò li cerco all’interno della Zecca.
Li trovo di sotto e non mi sarei mai immaginata di vedere ciò che sto vedendo.
Oslo è steso a terra e non respira, mentre Helsinki sta piagnucolando qualcosa nella sua lingua, con un cuscino fra le mani.
Oslo stava soffrendo tanto, era diventato praticamente un vegetale.
Ecco perché, sicuramente, Helsinki ha preferito mettere fine alle sue sofferenze.
Ha avuto molto coraggio, io non ce l’avrei mai fatta.
Gli accarezzo la schiena e poi lo abbraccio.
Riposa in pace, Oslo.

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Capitolo 27
*** Parte 26 ***


Lunedì 22:55
 
Ora che sanno tutti della morte di Oslo, ci siamo riuniti a tavola come una vera famiglia, nell’ufficio del direttore.
Abbiamo messo il corpo di Olso dentro una cassa di legno, scrivendoci sopra il suo nome e circondandolo di candele.
-Oggi siamo qui per regalare una preghiera al nostro amico Oslo.- esordisce Berlino, a capo tavola.- Forza, prendiamoci tutti per mano.-
Io gli stringo la mano, Nairobi la mia, lei quella di Mosca, Mosca quella di Denver e Denver quella di Helsinki, mentre Rio non ha intenzione di partecipare.
Da quando abbiamo mandato via Tokyo, ci guarda solo che a brutto muso.
-Che sei? Un cazzo di prete?- borbotta, dall’altro capo del tavolo.- Oslo è morto e avete mandato Tokyo in prigione, come fate a non sentirvi delle merde?-
-Rio, Tokyo era uscita fuori testa…Abbiamo votato e lei non c’è stata, si è praticamente rivoltata contro di noi!- interviene Nairobi.
Finalmente qualcuno di intelligente.
-Ha giocato alla roulotte russa con Roma, è impazzita.- commenta anche Denver.
A quel punto, Rio si alza e consegna la propria pistola.- Beh, allora non ve ne fregherà se me ne vado anche io.-
Berlino sta per andargli dietro, ma gli metto una mano sulla spalla e lo fermo.- Ci vado io.-
Lo seguo per le scale e lo fermo per la tuta prima che gli ostaggi lo vedano.
-Lasciami stare!- singhiozza, dimenandosi.- Io non sono niente senza di lei, Roma.-
-Lo so.- affermo, prendendolo per le spalle.- Ma devi avere un po' di pazienza, Tokyo aveva bisogno di essere messa in riga e lo avrei fatto con chiunque di voi se fosse stato necessario.-
-Io la amo.- piagnucola, tirando su col naso.
Gli prendo il viso fra le mani, fissandolo negli occhi.- Lo so…Ti fidi di me?- gli domando, mentre lui balbetta tristemente.- Ti fidi di me?!-
Annuisce, abbassando lo sguardo.- Non sarei qui senza di te.-
-Appunto.- replico, abbracciandolo.- Andrà tutto bene, vedrai.-
 
Toledo- 3 mesi all’ora zero
 
Quella mattina, a lezione, discutiamo su cosa dovremmo fare in caso venissimo presi dalla polizia.
Alla fine, il Professore ferma Rio.
-Ti ricordi che dovevamo fare delle istallazioni?- gli dice.- E’ arrivato il momento.-
Sergio ci porta all’interno di un bunker buio, dove dalle tubature gocciola acqua e c’è una puzza quasi insopportabile.
-Wow Professore, è qui che porta le ragazzine?- commenta Rio, distribuendo i suoi portatili sull’unica scrivania che c’è nella stanza.
In teoria, quel posto, è il magazzino dalla quale sfoceremo quando avremmo finito di scavare il tunnel nel caveau.
Di fatti, più in là, c’è già pronto un tombino con la scala.
Non ho idea di quello che stia facendo Rio, vedo solo che monta vari computer e con qualche strano programma, modifica la voce del Professore.
Ed è proprio Rio ad acquistare le armi che useremo dal mercato nero.
-Wow, questo sì che un fucile! E guarda che mitra! Con questo carro armato potremmo entrare nella zecca e bam! Fare un casino!-
Io lo guardo e scoppio a ridere, mentre Sergio sembra preoccupato.
Mi allontano da Rio e gli do una spintarella.- Che ti prende?-
-Non lo so, credo che dopo questo lavoro lo manderò a casa.- afferma, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Lo guardo confusa.- Cosa? Perché?-
Lui sospira.- Guardalo! È un ragazzino! Sembra che stia giocando ai videogiochi, non credo che sia pronto per quello che lo ha aspetta. Ha solo 19 anni.- spiega a bassa voce.- E’ troppo quello che gli ho chiesto: gli darò dei soldi per il disturbo e lo manderò a casa.-
Non sono affatto d’accordo, io penso che Rio sia uno che sa il fatto suo: va a letto con Tokyo sotto il suo naso da praticamente due mesi ormai.
Gli prendo il polso e lo porto fuori.- Ti ricordi cosa mi hai chiesto quando sono venuta a Toledo?-
-S-Sì, che avresti dovuto studiarli, farteli amici e che eri l’unica che poteva instaurare una relazione con loro.-
-È quello che ho fatto: Rio è un asso nel suo campo, lo hai visto con i tuoi occhi. Ognuno di loro ha un innato talento che ci servirà lì dentro e tu lo sai.- spiego.
Sergio incrocia le braccia, scuotendo la testa.- Non è una decisione che spetta a te, è troppo immaturo.-
Alzo un sopracciglio.- Solo perché gioca ai videogiochi? Perché tu che fai gli origami? Non è la stessa cosa?-
Pare quasi offeso.- Credevo ti piacessero i miei origami!-
-Certo! Quando avevamo 17 anni!- esclamo gesticolando. -Sergio, ognuno di noi ha un po' di immaturità dentro di se, è impossibile farla scomparire. Quando entri in un luna park vorrai sempre andare sulla ruota panoramica, quando andrai al cinema vorrai sempre il burro sui popcorn e quando vedrai un pezzetto di carta non potrai fare altro che iniziare a piegarlo come facevi da bambino.-
C’è un attimo di silenzio in cui lui sospira.- Non so come fai.-
-A fare cosa?-
-A convincermi sempre.-
Ridacchio.- Non è per questo che mi hai scelto?-
 
Lunedì 23:35
 
Mi metto nell’ufficio dove Allison, Mercedes e Arturo stanno contando i soldi, per stampare delle cose dal portatile.
C’è un’aria strana in quella stanza, i loro sguardi non mi convincono per niente.
Non sappiamo di cosa parlano quando non ci siamo e sospetto che stiano tramando qualcosa.
Nonostante Tokyo abbia rotto alcune delle medicine di Berlino, se non mi ricordo male, dovrebbero esserci altre due fiale ancora.
Però, quando apro la credenza, la busta e le siringhe non ci sono più.
Eppure, sono sicura di averle messe lì.
Ne sono sicura.
Faccio mente locale.
Gli ho fatto l’iniezione e poi le ho riposte lì.
-Dove sono le fiale?-
-Non le avevi messe lì?- domanda lui, seduto al tavolo.
-Certo che ce le ho messe, ma non ci sono più! Cazzo!- esclamo, sbattendo l’anta.
Lui si alza e mi prende i fianchi da dietro.- Sssh, è tutto okay.- mi sussurra per calmarmi.
Mi passo le dita sugli occhi.- Non va bene, quelle cose ti servono. Le ha prese qualcuno di loro, me lo sento.-
Mi volta verso di lui, prendendomi il viso tra le mani.- Non fa niente: quelle medicine erano solo delle attenuanti Tati, credi che non morirò comunque?-
Non è proprio una frase che volevo sentire e mi fa innervosire.
Di scatto, senza pensarci, gli do uno schiaffo.
Lui fa un ghigno e si massaggia la guancia.- Va bene, questo me lo meritavo.- borbotta, ridacchiando.- Il nostro primo litigio.-
Sentire quella frase, mi fa inevitabilmente sorridere: per come siamo fatti io e lui, non sarebbe l’ultimo.
-Certo che se avessimo dei figli come Tokyo e Rio saremmo spacciati.- aggiunge, facendomi scoppiare a ridere.
Lo so che lo sta facendo per farmi dimenticare ciò che ha detto.
A quel punto, apre un cassetto ed estrae due fogli: su uno c’è disegnato un neonato con qualche capello in testa e gli occhi neri, mentre, sull’altro, una femminuccia con un adorabile vestitino viola. -…Perciò, pensavo a Cecilia e Flavio per onorare il tuo paese.-
Se prima stavo ridendo, ora mi sento le lacrime agli occhi.
Sono molto belli e quasi gli somigliano.
-Sono perfetti.- bofonchio, tirando su col naso.
È tutto molto buffo, dato che anche io ho stampato delle cose.
Tiro fuori il foglio piegato nella tuta.- Tu avevi elencato molti animali, ma credo che l’unico che desidererei veramente sia un cane, perciò…- gli dico, mostrandogli la foto di un bassotto.- Ti presento la piccola Madrid.-
Fa un meraviglioso sorriso.- Oh, è perfetta. Le compreremo una palla da rincorrere in giardino e uno di quei giocattolini che suonano quando li mordi.-
Nei suoi occhi leggo qualcosa, sembra che sia quasi felice.
E, in tutti questi anni, non credo di averlo mai visto felice.
Mi soffermo a guardarlo e gli accarezzo i capelli, fino all’accenno di barba che gli sta ricrescendo sulle guance.
Mi avvicino di poco per baciarlo dolcemente e lui mi cinge i fianchi con le mani.
È molto diverso rispetto a quando bacio Sergio, con Andrès, mi sento a casa.
-Sarebbe veramente meraviglioso se ti innamorassi perdutamente di me.- mi sussurra, poggiando la fronte sulla mia.- Però io non vivo di aspettative o di false speranze. Ho moltissimi difetti e lo so. Potrei anche accontentarmi di averti come compagna nel mio ultimo viaggio. Io e te, insieme, fino alla fine.-
Lui sa benissimo che io amo suo fratello, eppure, continua a dirmi queste cose come se fossimo ad una recita scolastica e dovesse convincere il pubblico.
Io non so che cosa dire.
-Beh, abbiamo due bambini e un cane, dovremmo festeggiare.-
Per fortuna lui rompe il silenzio e cerca la bottiglia di vino, ma sembra svanita anche quella.
È proprio a quel punto che sentiamo qualcuno che grida per tutta la Zecca.
È Rio e sembra ubriaco in cima alle scale.
-Ehi, ostaggi! Ancora vi credete che vi daranno un milione per quello che state facendo?!- esclama ridacchiando.
Gli corro in contro prima che dica altro.- Rio, smettila!-
-Perché non gli dici che fine hanno fatto quelli che hanno scelto la libertà?!-
Di scatto, Helsinki gli dà il manico del fucile sulla nuca per farlo stare zitto e stordirlo.
Il suo alito puzza di alcool, è ubriaco marcio e ha anche rivelato cose che non doveva rivelare agli ostaggi.
-Ti rendi conto che questo è alto tradimento?- borbotta Berlino, estraendo la pistola.
Per il colpo, Rio si inginocchia e lo guarda.- Fai quello che ti pare. Forza! Giustiziami davanti a tutti!-
Berlino fa cenno ad Helsinki di prenderlo e lo porta di sotto, dove nessuno può vederci.
Helsinki gli lega i polsi dietro la schiena.- Tu non dovere parlare con ostaggi, Rio!-
-Adesso farò esattamente quello che mi hai chiesto.- aggiunge Berlino, togliendo la sicura.- E sono sicuro che la mano non mi tremerà nemmeno un po'.-
A quanto pare, anche Rio ha bisogno che qualcuno gli dia una raddrizzata.
Aggiornamento della classifica delle persone che hanno perso la testa:
  1. Mosca.
  2. Berlino.
  3. Io.
  4. Tokyo.
  5. Rio.
La banda è quasi sfinita e credo che usciremo un po' tutti fuori di testa prima di finire questo maledetto colpo.
Berlino gli punta la pistola contro, ma la mano gli trema tantissimo, più di quanto dovrebbe.- Okay, forse un po' mi trema.-
-Berlino, fermo!- interviene Nairobi, mirando il fucile verso di lui. A quel punto, ecco che tira fuori la busta delle medicine.- Guarda che cosa ho qui.-
Lo sapevo che qualcuno le aveva prese e soprattutto per usarle contro di lui.
Io sono l’unica che capisce quanto Andrès stia male e che è preoccupata.
Ma Rio ha bisogno di una lezione.
Improvvisamente, però, sentiamo squillare il telefono.
Non ci credo, allora il Professore non è stato arrestato.
-Dammi qua.- dico, velocemente, prendendo la pistola di Berlino.
Il telefono continua a squillare e, alzando gli occhi, noto che nell’angolo c’è una telecamera e so che lui sta vedendo.
-Lo abbiamo aspettato per 24 ore, adesso sarà lui ad aspettare noi.- borbotto, fissando male dritto nell’obiettivo della telecamera.
-Roma, fermati!- esclama Denver.
Premo il grilletto tre volte verso Rio e lui sobbalza all’indietro, scoppiando a piangere.
Il muro dietro di lui fuma per i proiettili.
Ora forse si calmerà.
A quel punto, io e Berlino saliamo di sopra e rispondiamo al telefono.
-Qui Berlino.- dice, azionando il vivavoce.
-Chiamata di controllo, qui tutto bene.- dice il Professore.
-Qui fila tutto liscio come la seta.-
-Ah sì? E perché Tokyo è interrogata della polizia e voi stavate per giustiziare Rio?- domanda, con voce dura.
-Sai che non lo avrei mai fatto e mi stupisce che lo difendi, dato che volevi cacciarlo dal piano.- intervengo.- Ho mandato fuori Tokyo perché è impazzita e ha cercato di uccidere sia me che Berlino. Avevi detto che saresti stato il nostro angelo custode, perciò tu fa il tuo cazzo di lavoro come io farò il mio. Non ho idea di dove tu sia stato per tutto il giorno, ma gli uomini al comando hanno fallito. Berlino è fuori gioco, delle sue medicine ne sono rimaste poche perciò adesso sono io il capitano di questa operazione.- gli dico, tutto d’un fiato e lui neanche replica.- Diamo inizio al matriarcato.-

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Capitolo 28
*** Parte 27 ***


 
Martedì 09:00
 
Credevo che Nairobi sarebbe stata felice che le donne avessero preso il comando, invece la vedo sulla sua scrivania, dove controlla i soldi con la sua lente di ingrandimento, che fissa verso il vuoto.
Prendo una sedia e mi metto vicino a lei.- Ehi, stai bene?-
Si pulisce velocemente un occhio.- Sì, è che…Sono d’accordo con quello che hai fatto con Tokyo, è che non riesco a togliermi dalla testa quello che mi ha detto: ha preso la mia unica visione bella e me l’ha sputata in faccia.- singhiozza.- E sai qual è la parte peggiore? Che aveva ragione.-
Suppongo parli di quando Tokyo ha nominato suo figlio.
-Stavo per sequestrare un bambino che nemmeno si ricorda di me.- piagnucola.- E adesso non so cosa farmene dei soldi.-
Le stringo la mano.- Ehi, ascolta, tu con questi soldi ci realizzerai tutti i tuoi sogni. E poi, quando avrà 18 anni, andrai da lui e gli racconterai ogni singola cosa. Gli racconterai quando cazzo è stata figa sua madre.-
Le mi sorride, asciugandosi le lacrime.- Ma come cazzo fai a dire sempre la cosa giusta al momento giusto?-
Alzo le spalle, sorridendo appena.- Ho sofferto come tutti e nel mio piccolo posso capire i vostri problemi.- spiego, dandole una pacca sulla spalla.
So che si riprenderà da sola, è più forte di quanto pensi.
Intanto, anche se Denver ha definitivamente lasciato Monica, continua comunque a prendersi cura di lei e a cambiarle la medicazione alla gamba quando serve.
Ma il fatto che stia dentro l’ufficio, insieme ad Allison, Arturo e quella Mercedes, non mi piace per niente.
Resterò a vedere cosa succederà.
Il povero Rio ha ancora le mani legate dietro la schiena: è la seconda volta che viene punito, magari questa volta capirà.
Decido di trattarlo come fosse un ostaggio, ha bisogno di staccare un po' e perciò lo lascio nell’ufficio con loro.
-C’era Allison che voleva tanto fare amicizia con te, no?- commento, facendole un occhiolino.
-Roma, Professore al telefono.- interviene Helsinki.
Stringo le spalle.- E che vuoi da me? Fai rispondere a Nairobi.-
-Professore vuole te.-
Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrei dovuto affrontarlo, non che mi vada.
Mi siedo alla scrivania sbuffando e mi porto la cornetta all’orecchio.- Pronto?-
-Alla televisione stanno dicendo che Angel è sveglio…E’ l’unico che sa chi sono.- esordisce, nervoso.
-Aspetta, mi stai chiedendo un consiglio?- gli domando confusa.
-Sì, non so che cosa fare, d’accordo? Puoi prendermi in giro quanto ti pare.- borbotta.- Non so se è una trappola, se devo ucciderlo, se devo scappare come voleva Andrès.-
Non ci credo che gli serve il mio aiuto, lui che è il genio, lui che è l’insegnante.
Tuttavia, se lui fallisce, falliamo tutti, quindi devo dargli una mano.- In che stanza l’hanno messo?-
-119.-
Storco la bocca, riflettendoci.- E’ una trappola. Dire che la vittima uscirà dal coma perché tu lo uccida non funziona nemmeno nelle serie tv della domenica sera.-
-E quindi cosa dovrei fare?-
Ci penso su.- Ti ricordi la prima rapina con Andrès? Mi avete detto che uno dei due li ha distratti, mentre l’altro rubava il malloppo.-
-Intendi che dovrei creare una specie di diversivo?-
-Ah, allora un po' di sangue ancora ti arriva dall’uccello al cervello.- commento.
-Ma ci saranno come minimo 10 pattuglie ad aspettarmi.-
-Cerca un diversivo, Sergio, qualcuno o qualcosa che distragga quella maledetta polizia.- ribadisco.
E io che mi aspettavo che volessimo discutere del fatto che è andato al letto con un’altra.
-Va bene…- risponde, creando un imbarazzante silenzio.- Una volta che ho risolto questa cosa, possiamo parlare di noi due?-
Solo sentire Noi due mi fa leggermente soffrire. -Quando sarò pronta.- bofonchio, cercando di non fargli capire che sto per piangere.
-Tatiana, io non voglio che finisca questa cosa, qualunque cosa sia, tra di noi. Non so perché ho fatto quello che ho fatto, forse perché ci tengo a questo colpo. Ma non voglio ignorare questa…questa volta di sentirmi vivo perché io non ne ho mai avuta tanta come in questo momento.-
È molto bello ciò che dice e mi pulisco subito la lacrima che mi cade, come se lui potesse vedermi.
-Devo…Devo capire se mi posso fidare di te…Soprattutto dopo tutte le bugie che mi hai detto in questi anni.-
-Lo so…- sussurra, sento che gli trema la voce.
-Perché te lo ricordi, vero? Ti ricordi che sono corsa da te come una pazza, ti ho guardato negli occhi e tu mi hai mentito, ti ho chiesto se sapessi chi mi mandasse le margherite e hai mentito.- continuo, con un nodo in gola.
-Mi dispiace tanto…-
-Anche a me.- Prendo un bel respiro e attacco, tentando di riprendermi.
A quel punto, Berlino bussa alla porta.- Mi ha detto che vuole che mettiamo in atto il piano Camerun.-
Annuisco.- Chiama gli altri.-
 
Toledo- 3 mesi all’ora zero
 
-Allora, facciamo un esempio, parliamo di calcio.- esordisce il Professore, mentre porto altre birre al tavolo.- Quando gioca il Brasile contro il Camerun, voi, di solito, per chi tifate?-
-Camerun tutta la vita.-
-Camerun.-
-Assolutamente Camerun.-
Rispondono tutti insieme.
Io non ho mai visto una partita di calcio in vita mia.
-Se notate, istintivamente l’essere umano, sempre, sempre prende le parti del più debole. Dei perdenti. Quindi se noi mostreremo al mondo le nostre debolezze, le nostre ferite e siamo sul punto di arrenderci, susciteremo grande commozione.- spiega Sergio. -Se le cose si faranno critiche, convincerò la polizia a mandare una giornalista con una telecamera in cambio della liberazione di 11 ostaggi. Così loro entreranno e vedranno l’inizio della nostra ipotetica resa.-
-Possiamo chiamarlo Camerun.- interviene Nairobi.
 
Martedì 15:00
 
-Metteremo in atto il piano Camerun.- dico a tutti, sedendomi a capo tavola.- Una giornalista entrerà con una telecamera in cambio della libertà di 11 ostaggi.-
-Sì, ma ancora non ho capito cosa fosse questo piano Chernobyl.- chiede Nairobi.
-Era solo un gesto disperato e speriamo di non doverlo fare, perché dovremmo sacrificare tutto il lavoro di questi giorni: consiste nel mettere dei soldi in dei palloncini e farli esplodere in strada, creando caos.- spiego.
-E così noi ce la svignamo dall’altra parte, ha senso.- commento Berlino.
-Però per ora non ci serve, ci serve il volto di qualcuno che la polizia già conosce per parlare con la giornalista: qualcuno bravo a recitare, che sappia estraniare i sentimenti e che faccia capire quanto qui dentro le cose sono critiche.-
-Rio è abbastanza empatico.- commenta Mosca.
Mi mordo il labbro e scuoto la testa.- Rio è fuori gioco per il momento, deve riprendersi.-
-Al diavolo, lo faccio io!- esclama Denver.- Sono simpatico e alla mano!-
-Sì certo, così li farai scappare.- borbotta suo padre.
In realtà, io avrei già deciso.
Alzo lo sguardo verso Berlino, dall’altra parte del tavolo.- Berlino, te la senti? Non conosco miglior attore di te.-
Si porta una mano al petto, sorpreso.- Mi stai assegnando la parte?-
Gli faccio un cenno con la mano.- E’ tutta tua.-
Fa un ghigno divertito.- Sarà un vero piacere.-
Decidiamo, quindi, di liberare gli 11 ostaggi chiusi nei sotterranei, che usciranno al posto dei giornalisti e li mettiamo in fila nella sala principale.
Io, Nairobi ed Helsinki accompagneremo Berlino in ogni suo movimento con le maschere.
So che è brutto, ma preferisco non dargli la sua medicina, così che si mostri davvero malato davanti alle telecamere.
Dopotutto, il vero obiettivo è quello di sembrare deboli e fare pena alle persone.
-Avete parlato?- mi domanda Berlino, mentre gli sistemo la tuta, riferendosi ovviamente a Sergio.
-Non in modo approfondito, ma credo che prima o poi succederà.- gli rispondo, togliendogli la polvere dalle spalle, voglio che sia un figurino.
-Non vorrei divorziare ancora prima di esserci sposati.-
Ha ragione: dopo il primo appuntamento e il primo bacio, c’è il giorno del matrimonio.
Gli sorrido.- Non preoccuparti, succederà.- rispondo, baciandolo a stampo.
Dalla porta d’entrata, arrivano una donna vestita per bene e un ragazzo con la telecamera.
-Salve, benvenuti.- gli dice Berlino, indossando il microfono. -Questi sono gli 11 ostaggi che abbiamo deciso di lasciar andare.- continua, facendo un piccolo sorriso alla donna incinta che incontrai all’inizio.- Buona fortuna per te e la tua creatura.-
Ad uno ad uno, le persone escono da questa prigione e Berlino le saluta come se fossero suoi amici.
-Signor Fonollosa, ci può dire perché ha deciso di farci entrare?- gli chiede la giornalista, alla chiusura delle porte.
-Perché questo gesto è il principio della fine per tutti: devo ammettere che non ce la caviamo abbastanza bene qui dentro.- risponde Berlino, abbassando lo sguardo.- E ora vi mostrerò il perché.-
Ci spostiamo tutti nel garage, dove abbiamo messo la cassa di legno, ancora aperta, di Oslo.
-Prima di essere parte della banda, Oslo era nostro amico. È rimasto ucciso durante la fuga di alcuni degli ostaggi, colpito forte alla testa. Può verificare lei stessa.-
La donna gli mette due dita sul polso.- Confermo, non c’è battito, è deceduto.-
-Sapevamo che avremmo dovuto sacrificare qualcosa, ma non pensavamo che fosse uno di noi.- affermo Berlino, con gli occhi lucidi.- Scusate un momento.- bofonchia, allontanandosi appena, come se stesse per piangere.
È rimasto veramente bravo come quando faceva teatro al liceo.
-Che cosa ci dice riguardo le accuse della polizia su di lei, signor Fonollosa?-
Berlino aggrotta le sopracciglia, contrariato.- Che sono un mucchio di falsità.- esclama e questa volta non sta recitando.- Io sono un ladro, ma di certo non ho mai venduto donne, né ho mai approfittato di minorenni, queste sono solo menzogne! Chiedete alla polizia dove sono gli archivi di questi casi.- risponde, con le guance bagnate.- Sono un ladro e un malato terminale, è vero, però ho tutto il diritto del mondo a non essere diffamato. Ho lo stesso diritto di chiunque a morire in pace e con dignità.-
L’interpretazione di Berlino è stata magistrale e la giornalista se ne va.
Mi tolgo la maschera e gli faccio un applauso.
-Sono andato bene?- mi chiede ridacchiando.
-Meriterebbe un oscar, signor Berlino.- commento, dandogli una pacca sulla spalla.
Spero che abbia funzionato.
 
Madrid- 19 anni prima
 
Con i soldi che avevo dentro il salvadanaio, sono riuscita ad affittarmi una camera in un motel per una notte.
Non è molto e non ho idea di quello che farò domani.
Questa camera puzza come se ci sia morto qualcuno, anche se apro tutte le finestre per arieggiare.
Per ora, da quando sono arrivata, mi sono seduta sul letto e stringo la giacca di pelle di Andrès, che ha ancora il suo profumo.
Forse avrei dovuto fare domande alle università, invece che all’accademia militare, magari mi sarebbe andata bene come ad Andrès e Sergio.
Invece ho deciso di seguire questo stupido sogno di fare il soldato e ho fallito.
Ho fallito in tutto e adesso sono da sola.
Ad un certo punto, nel silenzio, mi squilla il telefono.
-Pronto?-
-Tati, sono Sergio, sto per partire.-
Cazzo, mi ero completamente dimenticata che sarebbe partito oggi per Barcellona.
E ora come faccio?
-Sergio, scusami, me ne sono dimenticata.- balbetto.- Tra quanto parte il pullman?-
-15 minuti.-
La fermata dei pullman è almeno mezz’ora da questo stupido hotel.
Cerco di pensare a qualcosa alla svelta: devo per forza salutarlo, come ho fatto con Andrès, perché non so quando lo rivedrò di nuovo.
-D’accordo, aspettami più che puoi, arrivo.-
Attacco il telefono e mi infilo velocemente la giacca, uscendo in fretta.
Mentre venivo qui, mi pare di aver visto una gioielleria.
So che il mio è un gesto disperato, ma devo farlo.
È sera inoltrata e il vecchietto proprietario sta per chiudere.
-Aspetti, aspetti!- esclamo, correndogli incontro.
Lui mi fa un gesto con la mano, sbuffando dalla sua pipa.- Siamo chiusi.-
Con un paio di scatto mi tolgo gli orecchini che Andrès e Sergio hanno rubato per me. -Mi può dire quanto valgono questi? La prego, è urgente.-
Lui fa un sospiro e li controlla con un monocolo portatile che ha in tasca.- Posso darti 100 euro.-
-Vanno benissimo!-
Tira fuori un mazzetto di soldi e mi da due banconote da 50, mentre io gli cedo gli orecchini.
I soldi mi servono per pagare un taxi che mi porterà alla stazione dei pullman.
Mi metto praticamente in mezzo alla strada per fermarne uno.
-Alla stazione dei pullman, il più veloce possibile, la prego.- dico all’autista.
Il suo tassametro inizia a contare vicino all’orologio, in cui i minuti passano.
Sono talmente nervosa che mi metto a mangiarmi le unghie e il cuore mi batte a mille.
Guardo fuori dal finestrino per distrarmi, ma la macchina va talmente veloce che i negozi mi paiono figure sfocate che mi fanno girare la testa.
Improvvisamente, poi, ci fermiamo. -Che succede?-
Faccio capolino dal posto dietro e vedo che davanti c’è talmente tanto traffico da bloccare la strada.
-No, no, ti prego!-
Abbasso il finestrino e mi sporgo fuori per vedere dove sono: ero quasi arrivata e se me la faccio correndo forse riesco a farcela.
-Scendo qui!-
Lancio le banconote al posto davanti e scendo, iniziando a correre per il marciapiede come non ho mai corso in vita mia.
Ho bisogno di vederlo, di abbracciarlo, di dirgli che sarà un asso all’università, di ricordarmi il suo odore come ho fatto con Andrès.
Vado addosso ad un sacco di gente e chiedo scusa in continuazione, con le gambe che viaggiano praticamente da sole.
Però, quando arrivo alla stazione, il pullman è già partito.
-No, no, aspetta!- grido a squarciagola, sperando che l’autista mi senta.- Ti prego, aspetta!-
Ormai è troppo lontano e io non ci posso fare niente.
Ho talmente tanto fiatone che mi accascio a terra, sono debole, non mangio e non bevo da ore.
Non so come il mio corpo abbia sopportato questo sforzo.
È questa vita che mi aspetta, dunque?
Mi immagino già in mezzo alla strada, come i barboni, a chiedere soldi.
O magari mi faccio trovare, scadute le 72 ore e mi rinchiuderanno da qualche parte.
Ad un certo punto, mentre riprendo fiato, osservo che il pullman si è fermato.
Non so se sia vero o un’allucinazione perché sono troppo stanca.
Mi alzo in piedi lentamente e capisco che qualcuno mi corre incontro.
Metto a fuoco, è Sergio.
Sorrido felice e gli vado in contro, abbracciandolo.- Mi dispiace, scusa se sono arrivata tardi.-
Mi prende il viso tra le mani e mi osserva.- Ho visto il video che hai postato sul sito, che cosa è successo?-
-Non potevo più vivere così Sergio.- singhiozzo, scuotendo la testa.- E ora che tu e Andrès ve ne andrete, non so più che cosa fare…Non so più cosa essere.-
-Cosa sei? Tati, tu sei la ragazza più forte che io conosca. Tu puoi fare di tutto, anche da sola!- esclama Sergio, serio.
-Ho dovuto vendere gli orecchini per riuscire ad arrivare fino a qui.- piagnucolo dispiaciuta.
Lui mi sorride.- Non fa niente, sono solo degli orecchini.- ribatte, asciugandomi una lacrima col pollice.
Lo guardo negli occhi e cerco di smettere di piangere.- Sergio…Devo sapere…Tu conosci il tipo delle margherite, sai chi è?-
Ricambia lo sguardo ed esita per un attimo, scuotendo poi la testa appena.- No, non lo so, mi dispiace.-
Nello stesso momento, l’autista suona il clacson, impaziente.
Lo abbraccio ancora una volta.- Ti voglio tanto bene, Sergio.-
Affonda il viso nei miei capelli.- Anche io ti voglio bene, Tati.-
Gli sorrido ancora con gli occhi un po' lucidi.- Spaccali tutti.-
Ridacchia e annuisce.- Promesso.-
Cammina all’indietro verso il pullman e l’ultima cosa che mi lascia è la mano, nel frattempo che continuiamo a guardarci negli occhi fino alla fine.
Così è iniziata la mia latitanza, tra i furti e lo scassinare le macchine.
Un’esistenza più che altra vuota, tranne quando rincontro Andrès e Sergio nel corso degli anni.
Così è iniziata Roma.

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Capitolo 29
*** Parte 28 ***


Toledo- 2 mesi all’ora zero
 
Sta piovendo a dirotto fuori e abbiamo deciso che oggi sarà il nostro giorno di pausa, niente lezioni, solo rilassarsi.
Tuttavia, vedo Helsinki in aula che sta armeggiando con qualcosa.
-Ehi, è il nostro giorno di relax, che stai facendo?- gli domando, sedendomi a cavalcioni sulla sedia accanto a lui.
-Oh niente di che, io armeggio per divertimento.- mi dice con il suo accento straniero.
Quello che vedo sembra esplosivo al plastico e lui sta collegando i vari fili.
-Helsinki, stai costruendo una bomba?-
-Esatto, se questa esplode, di te rimangono solo pezzettini.- ridacchia, collegandolo ad un detonatore: come nei film, un grosso pulsante rosso.
Non mi sorprende che sia in grado di costruirlo, è stato un soldato e io posso solo che ammirarlo.
Però, in questo momento, i suoi occhioni azzurri sembrano quelli di un pazzo, paragonabili a quelli del dottor Frankenstein quando ha costruito la sua bestia.
-Tu tieni questo.- borbotta, dandomi in mano il pacchetto.
Io volevo essere proprio come lui, tanti anni fa.
-Sai, anche io volevo fare il soldato quando avevo 17 anni, mi sono iscritta alla scuola militare, ma non mi hanno accettato.- racconto.
-Tu non dire me queste cose, io non potere sapere.- borbotta, coprendo i fili di rame con dello scotch.
Ha ragione, nessuna domanda personale.
-Beh, puoi raccontarmi della guerra, questa non è una domanda personale.-
Sospira e mi guarda per un attimo.- Guerra molto brutta, io ed Oslo fatta solo perché non avere altra scelta. Tu donna, tu perché volere andare in guerra? Nessuna pietà.-
Alzo un sopracciglio.- Intendi che solo perché sono donna non potrei andare in guerra?-
-No, soldato donna molto belle e capaci, mio capitano era donna, ma secondo me non adatto a donna come te.- spiega, dandomi un buffetto sul naso.- Tu potresti fare ballerina, o cantante o una di quelle donne che balla con grossa pallina di cartone colorato svolazzante.-
Ridacchio.- Intendi i pom pom?-
C’erano le cheerleader alla mia scuola, ma non mi sarei mai sognata di segnarmici, sarebbe stato troppo imbarazzante.
-In guerra, non importa vita o morte. Tu vuoi morire, Roma?- mi chiede, fissandomi bene negli occhi.
Non l’ho mai presa così, in effetti.
Però ha ragione e da un lato sono contenta di non aver accettato.
Scuoto la testa.
-Troppo tardi!- esclama improvvisamente, premendo il pulsante.
Sobbalzo all’indietro e getto il pacchetto di esplosivo.- Cazzo!-
Però non successo niente, c’è solo Helsinki che scoppia a ridere.- Tu cascata!-
Ah, ma è finto.
Non ci posso credere, mi ha fatto morire di paura.
Glielo tiro addosso, ma mi viene da ridere.- Tu sei pazzo!-
 
 
Martedì 13:00
 
Il Professore ha promesso che avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare Tokyo dal carcere.
A quanto ho capito dalla lezione che parlava di queste cose, Sergio chiamerà sicuramente dei suoi amici che libereranno Tokyo mentre è in viaggio dal carcere al tribunale.
Così, decido di dare la buona notizia a Rio.
Prendo un paio di forbici e gli libero i polsi.
-Il Professore ha detto che aiuterà Tokyo, perciò non serve più che ti preoccupi per lei, d’accordo?- gli dico, accarezzandogli la guancia.
Rio sa che si può fidare di me, quindi annuisce.
-Ora devi farmi un favore con le tue magiche manine: devi disattivarmi l’apertura manuale delle porte.- gli ordino.
Mi guarda confuso.- Perché?-
Gli do una pacca sulla guancia.- Tu fallo e basta, poi vedrai.-
In seguito, mentre Berlino riposa dato che non posso dargli le sue medicine, io e Nairobi distribuiamo il cibo alla dozzina di ostaggi rimasti.
-I vostri amici che avevano scelto la libertà sono stati mandati via come promesso, perciò nessuno ha detto cazzate.- esordisce Nairobi, molto fiera di se, mentre Denver gira con il sacchetto della spazzatura. -E vi prometto che riceverete quel milione che vi spetta.-
Ad un certo punto, Arturo si alza da terra.- Ah davvero? Io non credo proprio, dico che raccontate solo una marea di balle.-
Io sono stata buona con tutti fin ora e non ho perso la pazienza.
Ma con Arturo è davvero difficile, non vuole demordere.
Di scatto, prende Denver per la tuta e gli punta la propria pistola alla tempia. -Adesso voi aprite quelle cazzo di porte e noi ce ne andiamo una volta per tutte da qui.-
Inizia la commedia.
Denver riesce a liberarsi subito dalla sua presa e fa la stessa cosa contro di lui.- Arturo, non ti conviene, oggi mi girano e credo proprio che ti darò un bel pugno su quel tuo nasino stavolta.-
Nairobi, Helsinki e Mosca intervengono con i fucili, ma alzo una mano verso di loro, indicandogli di aspettare.
-Avanti, provaci.- lo sfida Arturo. -E ti ritroverai un buco in testa.-
Denver ridacchia.- Arturito, quella è una pistola giocattolo, mentre io ho i proiettili che fanno molto male nella mia.-
Arturo arriccia il naso.- Ne sei davvero sicuro? Proviamo.-
-Arturo ti do 3 secondi, cazzo!- borbotta Denver.- 1…2…3!-
Mira verso il muro e preme il grilletto e, di fatti, non esce nessun proiettile.
Arturo ride di gusto.- Adesso chi è il cretino? Forza, aprite le porte.-
Mercedes è la prima a dirigersi verso il pulsante.
-Roma, che cazzo facciamo?!- esclama Nairobi.
Mi volto verso di lei e le faccio cenno di stare in silenzio.
Però, quando Mercedes lo preme, non succede niente.
-Hanno bloccato le porte questi figli di puttana!- grida Arturo, prendendo in ostaggio Denver.- Aprite queste porte e gli faccio saltare il cervello!-
-Roma, fa qualcosa!- urla Mosca, ovviamente, preoccupato per suo figlio.
-Davvero Arturo? Avanti, fallo.- gli dico, alzando le spalle.
Lui mi guarda male.- Mi sono rotto il cazzo dei tuoi giochini!- borbotta, premendo il grilletto.
Anche in questo caso, però, niente.
La sua faccia sorpresa mi fa scoppiare a ridere.
-Cosa? M-Ma com’è possibile?-
Quando gli altri della banda capiscono che non c’è alcun pericolo, abbassano le armi.
-Vedi, Arturo, i miei giochini servono per una ragione.- gli dico, mettendogli le mani sulle spalle.- Il primo giorno ti ho chiesto di sparare a Denver e, anche se con una pistola giocattolo, l’hai fatto…E sai cosa mi ha fatto capire questo? Non solo che hai fegato, ma che sei anche un vero coglione.- affermo sorridendogli, mi sento un po' Berlino a parlare così.- Mi freghi una volta, una sola volta in cui Oslo ci ha rimesso, ma non mi freghi una seconda.- continuo, porgendo la mano verso Monica che mi consegna la pistola vera, quella che lui voleva che rubasse a Denver mentre le cambiava la medicazione.
-Mi dispiace, Arturo.- gli dice Monica, tremando.
Con questo gesto, in effetti, ormai è come se Monica fosse diventata parte della banda: è dalla nostra adesso.
Arturo ha gli occhi lucidi e abbassa lo sguardo, imbarazzato.
-Oh Arturito, ti capisco. Credi che la tua vita sia bella, hai una moglie che ti ama, tre figli che ti sei sudato, ogni tanto ti scopi la segretaria sulla scrivania e la metti incinta. Ma poi, oh, la tua vita cambia radicalmente. Sei la lavoro, una giornata normalissima, dei rapinatori entrano nella tua banca, la polizia di spara e sopravvivi per divino miracolo.- racconto, dicendo ad Helsinki di avvicinarsi.- E proprio perché sei sopravvissuto credi di poter fare di tutto. Ma credimi Arturo, qui c’è qualcuno che è un sopravvissuto proprio come te. Hai fatto uccidere un mio amico e adesso è il momento di pagarla.-
Io ed Helsinki lo portiamo nel garage e quest’ultimo gli ordina di spogliarsi.
Ha delle mutandine bianche davvero buffe, però un fisico ben allenato per un uomo di 50 anni.
-Oh, andiamo anche in palestra.- commento ridacchiando.
-Tu rotto cazzo quasi più di polizia!- borbotta Helsinki, iniziando a riempirgli il petto di esplosivo al plastico, fermandolo con dello scotch. -Adesso, se tu fa movimento sbagliato, muori, se tu suda, muori.-
Arturo non riesce a dire niente, solo a tremare, credo che si piscerà addosso da un momento all’altro.
Siamo ancora tutti salvi e sono abbastanza soddisfatta del mio lavoro e, dopo una bella scrocchiata al collo, sono pronta per riposarmi un po'.
Ho messo Berlino nello stesso caveau di Monica per farlo stare tranquillo.
Quando sente che chiudo la porta, apre gli occhi e si volta verso di me.- Ho sentito dei rumori, che è successo?-
-Niente, ho solo impedito l’ennesima stupidaggine di Arturito.- rispondo, sedendomi accanto a lui. -Sai, pensavo ad una cosa buffa… Durante la seconda guerra mondiale, Mussolini agiva da Roma e Hitler da Berlino…Siamo letteralmente il duo più forte del mondo.-
Ridacchia.- Potremmo conquistarlo.- affermo, con il suo solito ghigno affascinante.- Guarda cosa ho trovato.-
Mi mostra un quaderno e una matita: forse so cosa ha intenzione di fare.
-Mi vuole fare un ritratto, signor pittore?- gli domando, con una smorfia maliziosa.
-Se lei è d’accordo, con molto piacere.-
Ripenso a quello che è appena successo e spero che i miei compagni sappiano gestire la situazione, perché questo è il mio momento di pausa e voglio godermelo con Andrès.
Voglio fare un giochino con lui.
Lui unisce le gambe e si prepara con la matita, mentre io inizio a tirarmi giù la zip della tuta, lentamente.
Aveva detto che faceva solo ritratti di nudo, no?
Mi sfilo gli anfibi e tolgo la tuta, sedendomi per terra davanti a lui.
Tolgo anche l’elastico ai capelli, adagiando i capelli sulle spalle prima di sganciarmi il reggiseno.
Non mi vergogno affatto di farmi vedere nuda da Andrès.
La sua faccia rimane pallida, non arrossisce, ma ha gli occhi da pesce lesso, come se stesse vedendo una donna esibirsi su un palo da lapdance.
Le luci a neon dentro quella stanza fanno caldo, però non credo che stia sudando per questo motivo.
Abbasso gli slip fino alle caviglie e poi li lancio via col piede.
Mi sdraio a pancia in sotto, con il profilo verso di Andrès e lo guardo, alzando un polpaccio verso l’alto, cercando di essere elegante.- Così va bene.-
Deglutisce nervosamente, però vuole far vedere che è sicuro di se.- Va benissimo.-
Poggio una mano sotto al mento e continuo a guardarlo.
Gira il foglio in orizzontale e inizia a disegnare, passando gli occhi prima sul foglio e poi su di me, ogni tanto.
In quel momento, rivedo il ragazzo dagli occhi azzurri e la giacca di pelle.
Me lo immagino farlo con qualche altra ragazza, all’accademia di Firenze.
Magari è così che ha conquistato le sue mogli.
Passano minuti interminabili, che per me sembrano quasi secondi.
Ad un certo punto, sussulta quando la mano destra gli trema.
La scuote un po', infastidito e trasferisce la matita sulla sinistra.
Wow, sa disegnare con entrambe le mani.
È davvero un artista.
-Fatto.- afferma, mentre lo vedo lasciare una firma al di sotto del foglio.
Nel frattempo, gattono verso di lui, tutto ciò mi ha eccitata da morire, devo ammetterlo.
Lascia il quaderno a terra e mi prende il volto tra le mani, baciandomi dolcemente.
Senza staccarsi da me, si toglie tutti i vestiti e a quel punto mi metto a cavalcioni su di lui.
Mi mette i capelli dietro la schiena e sento le sue mani che me l’accarezzano per bene.
La sua bocca dentro il seno mi fa ansimare leggermente e chiudere gli occhi.
Mi stringe le cosce fra le dita e poi i fianchi, aiutandomi con i movimenti del bacino.
Poggio la fronte sulla sua e ci guardiano intensamente negli occhi, inizialmente silenziosi, poi, con l’andare avanti, i nostri gemiti riempiono la stessa, nel momento in cui mi muovo più velocemente con il sedere.
Di scatto, mi afferra e mi poggia sul pavimento, baciandomi il collo.
Mi appiglio con le cosce al suo bacino e tenta di accarezzarmi il seno, ma la sua mano trema e noto che se ne vergogna.
Metto la mano sulla sua e gliela poggio su di me, aiutandolo.
Non saprei dire e non voglio dire con chi dei due fratelli sono stata meglio, non sarebbe giusto.
Ma posso dire che con entrambi ho provato emozioni molto forti.
Direi che questa è stata la più bella pausa che ho avuto da quando sono qui dentro.
-Me lo immaginavo proprio così, sai?- commenta Andrès, mentre siamo sotto la coperta che Denver aveva preso per Monica.
Arrossisco ridacchiando.- Ah, quindi te lo eri immaginato.-
Alza le sopracciglia sorridendo.- Oh sì, tante volte sotto la doccia.-
Gli do una pacca sul petto e inizio a rivestirmi, ma lui mi prende il polso.- Aspetta, devo dirti una cosa.-
Sembra molto serio.- Cosa?-
-Devo chiederti un favore.- esordisce, prendendomi le mani.- Quando succederà…Mi affido a te. Non posso redigere nessun cazzo di testamento, perciò te lo dico qui, a voce, adesso. Voglio che tu prenda tutto il resto dei miei soldi. Ma promettimi che non mi metterai sotto terra, non voglio dei cazzo di vermi a mangiarmi la faccia.-
Non ci credo che ne stia parlando proprio ora, dopo che abbiamo fatto l’amore.- Dio, Andrès, che tempismo di merda che hai! Non ci credo!- borbotto, togliendomi dalla sua presa per alzarmi.
-Perché, te ne eri dimenticata improvvisamente?- mi domanda, accigliato.- Succederà Tatiana, non è una cosa che si può fermare, ci ho fatto l’abitudine ormai.-
-Ma io no.- bofonchio, rivestendomi. -Ti prego, basta parlarne.-
Si infila la tuta velocemente e mi prende di nuovo il polso.- Voglio essere cremato Tatiana e voglio che spargi le mie ceneri in mare, in qualsiasi spiaggia tu vorrai. Voglio passare l’eternità a guardare l’alba e l’orizzonte, il sole che si poggia sul bordo del mare.-
Scuoto la testa e tento di non ascoltarlo.- Smettila, per favore.-
Mi prende il viso a forza, guardandomi negli occhi.- Ascolta solo questo, solo questo, ti imploro.- afferma.- Io ti amo e ti ho sempre amata e te lo sto chiedendo per favore…Fai questo per me.-
Improvvisamente ho immagini sfocate di me che dico queste parole a Sergio e non so se tutto quello che ho appena fatto sia giusto.
Non sono una persona vendicativa e nonostante mi sia piaciuto tanto, non so perché l’ho fatto.
Ho detto a Sergio che lo amo e ho fatto l’amore con Andrès.
Non ci capisco più niente.
Apro la porta del caveau e corro fuori di lui, asciugandomi le lacrime nel frattempo che raggiungo Nairobi nella sala principale.
Li ha fatti mettere in fila, in ginocchio.
-Stai bene? Sicura di aver dormito?- mi chiede, scrutandomi.
Mi mordo il palato, tirando su col naso.- Sto bene.-
Mi domando a chi di loro sia venuta l’idea della pistola finta, sicuramente ad Arturo e gli altri lo hanno seguito a ruota perché tuttavia è il direttore della Zecca.
Monica gli è andata contro, facendo il doppiogioco e questo le è costato praticamente la vita.
Dubito che, una volta finita questa storia, Arturo non la denuncerà.
Perciò, è diventata automaticamente una della banda.
Stoccolma, potremmo chiamarla così.
-Non so cosa ho fatto di sbagliato.- esordisco camminando fra di loro.- Vi ho protetto, vi ho dato del cibo, l’acqua, un posto in cui dormire e delle cose da fare. Io non sono una persona cattiva.- continuo, sentendo che sto singhiozzando senza accorgermene. Troppe emozioni tutte insieme.- Insomma, ma che cazzo devo fare per farmi rispettare nella mia vita?- piagnucolo, mettendomi davanti ad Allison.- Dovrei tagliarti un orecchio? Eh?!-
-Ma che bella idea.- interviene Berlino, col suo ghigno. – È arrivato il momento di essere pratici. L’utopia della collaborazione è stata un disastro. Perciò, se me lo permetti, Roma, riprendo il mio ruolo di co-capitano.-
Mi asciugo la faccia e annuisco.- E’ tutto tuo.-
Anche lui inizia a camminare tra gli ostaggi come fosse un generale dell’accademia, con le man unite dietro la schiena.- Come diceva la mia collega, a quanto pare non volete essere trattati bene, perciò inizieremo a trattarvi male, a torturarvi, proprio come il vostro grande capo.-
A quel punto, Helsinki porta Arturo che ha legato al petto tutto quell’esplosivo.
-Nei campi di concentramento, il rispetto si dà per scontato. Qui sarà la stessa cosa. Andrete a scavare il tunnel, finché non vi sanguineranno le mani. Durante la notte potrete piangere di dolore nel vostro giaciglio, ma intanto continuerete comunque a scavare. Continuerete a lavorare senza turni di riposo, altrimenti vi aspetta una punizione esemplare.- spiega Berlino, salendo due scalini.
Il Professore mi aveva detto di trattarli bene, ma in cambio non ho ottenuto altro che esser trattata senza rispetto.
Deduco, quindi, che l’idea di Berlino sia l’unico modo per mettere in riga questa gente.
Stiamo perdendo e continuiamo a farlo.
-Sei d’accordo con me, Roma?- mi domanda, poi.
Li guardo uno ad uno, ma smetto di chiedermi cosa ho sbagliato, perché io non ho sbagliato un bel niente.
-Sì.- rispondo, salendo al suo fianco.- Inizia l’era di Roma e Berlino.-

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Capitolo 30
*** Parte 29 ***


Martedì 17:40
 
La sala principale è completamente vuota, dato che gli ultimi ostaggi rimasti stanno scavando dei sotterranei e spero tanto che la polizia abbia localizzato i rumori, così che creda che scapperemo da lì e non dal tunnel che sta facendo Mosca nel caveau.
L’unico rimasto è il povero Arturito, messo su una sedia mezzo nudo, con tutto l’esplosivo addosso.
Mi siedo davanti a lui per mangiare e controllarlo, è davvero buffo mentre suda dal terrore.
Mi guarda serrando i denti.- Ti piace fare questi giochetti psicologici con me, vero?-
Sorseggio dalla cannuccia della coca cola.- Abbastanza, perché credi che il Professore mi abbia ingaggiata?-
-Per studiare ognuno di noi, non è vero?-
Gli faccio un occhiolino.- Te in particolare, amico mio. Sai, quando si pianifica una cosa del genere, si studia tanto, si sta attenti…Non come tu che cercavi di attaccare Denver con delle forbici a punta tonda.- rispondo, scoppiando a ridere.- Dio Santo, questa non me la dimenticherò mai.-
Sono due giorni che ho dormito solo un’ora e mezza.
Anche gli altri iniziano a sentire la stanchezza, perciò faccio queste tipo di cose per distrarmi.
Su di me non ha così tanto effetto, ma non so sugli altri.
Il non dormire spesso ti fa impazzire.
Finito il mio cibo, mi accorgo che nel mio pacchetto ci sono rimaste solo due gomme e me ne metto in bocca una. -Vuoi una gomma Arturito?-
Lui mi guarda male, senza rispondere.
-Già, meglio di no: non vorrei che la tua mascella si muovesse troppo e facessi boom.-
In seguito, accendo per un momento il telefono di Allison: il GPS che ci ho collegato non è poi così tanto lontano dalla Zecca di stato.
In quel momento, Denver torna su con il gruppo che ha scavato fin ora.
Hanno tutti l’aria distrutta e le tute sporche di polvere, proprio come voleva Berlino.
-I nostri amici sono degli ottimi lavoratori, lo sapevi?- esordisce Denver, alzando le sopracciglia.
-Non avevo dubbi.- commento, distribuendo il resto del cibo.
Io e Denver ci allontaniamo per lasciarli mangiare, ma rimaniamo in un angolo ad origliare ciò che si dicono fra loro.
-Qui c’è qualcosa che non va.- borbotta Arturo.- Hanno detto che se avessi sudato un minimo mi avrebbero fatto saltare in aria. Eppure mi hanno messo qui dentro, dove fa un caldo allucinante.-
Allison sbuffa.- Ti prego, sta zitto.-
-Io dovrei stare zitto?! E’ per colpa tua che siamo qui dentro!-
La ragazza si alza piuttosto contrariata.- Colpa mia? Tu sei il direttore di questo posto e hai lasciato che dei rapinatori ci entrassero! Non ho mai sentito di un’altra Zecca di stato che è stata rapinata e tu?- gli dice, fissandolo dritto negli occhi.- Perciò adesso sta zitto e fermo, perché non ho voglia di morire per colpa tua.-
Io e Denver siamo piuttosto sorpresi.
-Era ora che tirasse fuori le palle.- sussurro.
-Ascolta, ho trovato una macchina per fare i passaporti, voglio che Monica venga con noi.- afferma Denver, mentre ci avviamo nell’ufficio di Berlino.
-Sai che per me non c’è problema, ma dobbiamo prima avere l’ok del Professore.-
Ero quasi certa che sarebbe andata a finire così.
Credo proprio che la chiameremo Stoccolma, d’ora in poi.
Nell’ufficio ci sono Mosca e Monica che sta armeggiando con il computer.- Ho scelto Agata come nome, che ne dici?-
Denver le fa un sorriso a 32 denti.- Dico che è perfetto, mi sembra il nome di una donna bellissima.-
-Monica, per favore, puoi lasciarci soli un momento?- interviene Mosca.
Dalla sua faccia, capisco che non è poi tanto d’accordo su questa storia.
Imbarazzata, Monica esce dall’ufficio.
-Figliolo, sei davvero sicuro che vuoi fare questa cosa?- chiede Mosca al figlio.
-So che è una cosa rischiosa, ma voglio proteggerla.- risponde Denver.- Papà io la amo e lei ama me: se rimane qui e la polizia la prende è spacciata dopo quello che ha fatto contro Arturo.-
Mosca lo stringe per le spalle.- Non ti ho messo dentro in questo colpo per poi lasciarti cadere a fondo!-
-Anche se fosse, posso riemergerci papà, lo sai!- esclama l’altro, sicuro.
-Non sempre succede così, Daniel! Non è stato così per tua madre!-
Daniel.
È la prima volta che Mosca si lascia sfuggire il suo nome e se lo ha fatto è sicuramente per una faccenda seria.
In effetti, Daniel gli si addice molto.
Lui aggrotta le sopracciglia.- E che centra mia madre con questo?-
Mosca abbassa lo sguardo e si siede sospirando.- Era la quarta volta che spendevo tutti i miei soldi per farla ricoverare a Barcellona, ma era tempo perso, era irrecuperabile. Così, un giorno, mi ha chiesto di accompagnarla da una parte e io l’ho lasciata ad una rotonda…Non sono più tornato.-
È stato davvero un gesto disperato da parte di Mosca.
E capisco anche il perché non dire la verità a suo figlio.
Tuttavia, Denver ne è sconvolto.- Cosa? Hai lasciato mia madre ad una rotonda?- singhiozza.
-Era l’unico modo per prendermi cura di te.- piagnucola l’altro.
È davvero difficile per me scegliere da che parte stare.
Anche a me delle persone importanti hanno mentito, eppure non ho mai smesso di volergli bene.
In quel momento, Denver fa l’unica cosa che sa fare, minacciare con i pugni.
Lo stringe per la tuta, piangendo, ma non ha il coraggio di colpirlo.
-Denver, fermo, te ne pentirai, è sempre tuo padre.- intervengo.
Lui scuote la testa, con altre lacrime che gli cadono sul viso.- No, usciti da qui noi saremo solo Mosca e Denver.- afferma, voltandogli le spalle.
Conosco la storia di Mosca e conosco la storia di Denver e, proprio come la mia, so che non è stata un’infanzia facile.
È così quando ti manca un genitore.
Gli corro dietro.- Denver, stammi a sentire, so che tuo padre ti ha mentito, ma è sempre tuo padre.-
-Non lo capisci? Tutta la mia vita è una menzogna!- esclama, disperato.
-Anche la mia.- ribatto.- Il Professore era il mio migliore amico Denver, da quando avevo 16 anni e ha saputo guardarmi negli occhi e dirmi una grossa bugia che non so se gli perdonerò mai.-
Si calma per un attimo, forse interessato alla storia.
Riparlarne mi fa molto male, però da una parte il mio cuore batte fortissimo.
-Che bugia?-
-Ti ricordi il tipo delle margherite? Il tipo per la quale mi sono fatta il tatuaggio.-
-Sì, quello che ti lasciava le margherite davanti alla porta…-
-Sapeva chi fosse, eppure non mi ha mai rivelato niente, per tutto questo tempo.- rispondo, tesa, ho la pelle d’oca a parlarne.
-E chi era?-
Dirlo ad alta voce è davvero strano, non l’ho mai fatto e questo mi fa capire che è reale.- Era lui.-
 
Toledo- 8 ore all’ora zero
 
Ci siamo, domani inizierà tutto e io devo dormire quanto necessario.
Ho un bel materasso e non so per quanto tempo non ne riavrò più uno.
Mi metto i pantaloncini del pigiama e mi lego i capelli, prendendo la mia pochette per andare in bagno a lavarmi i denti.
Però, quando apro la porta, c’è qualcosa a terra che mi fa trasalire.
Battere il cuore e fermarlo allo stesso tempo.
Non ci posso credere, non qui.
È una margherita.
La mia adolescenza mi torna tutta in mente in pochi secondi, credo che vomiterò.
Anzi, no, devo capire chi ce l’abbia messa.
Sento gli altri della banda che sono fuori a schiamazzare, ma dalla mia finestra non si capisce chi manca.
Mi fiondo nel corridoio e spalanco tutte le porte.
Quella di Denver e Mosca, quella di Helsinki ed Oslo, quella di Berlino, quella di Tokyo, quella di Rio e quella di Nairobi.
Ma nessuno di loro è in camera.
E quando ne resta solo una, la mano sulla maniglia mi trema perché ha paura che in quella stanza, invece, l’ultima rimasta, ci sia qualcuno.
Ed è così.
Sergio si sta togliendo le scarpe e le suole sono piene di fango, come se fosse stato appena in giardino.
Ci fulminiamo con lo sguardo e lui sa benissimo perché ho fatto irruzione nella sua stanza.
Non ci metto molto a fare i miei calcoli: è solo che il risultato, per me, è sconvolgente.
-Mi hai fatto credere per tutto questo tempo che fossi innamorata di un fantasma.- bofonchio, sento già un grosso nodo in gola.
Si alza lentamente.- Lascia che ti spieghi.- balbetta, mettendo le mani in avanti.
Istintivamente, la mia mano destra gli dà uno schiaffo.
Sono delusa e triste allo stesso tempo.
-Ecco perché Andrès diceva che ti alzavi presto e quindi perdevi l’autobus. Eri l’unico che sapessi dive abitavo perché te l’ho detto per il progetto di scienze…Cazzo! Per il progetto di scienze! Come ho fatto ad essere così stupida?!- esclamo, mettendomi le mani in faccia.
-Tati, ero uno sfigato, quando mai avrebbe potuto funzionare? Ero quello che veniva spintonato nei corridoi, con gli occhiali grandi, non mi avresti mai guardato in quel modo!- ribatte lui, gesticolando.
E qui ti sbagli di grosso, Sergio.
-Chi lo avrebbe mai fatto?-
-Io!- affermo a voce alta, piagnucolando.
Aggrotta appena le sopracciglia.- Cosa?-
-È successo per poco tempo, ma quando ci siamo conosciuti, per un po' mi sono interessata a te. Credevo che non avresti mai ricambiato, così non ho detto niente per non rovinare la nostra amicizia.- spiego, iniziando a girare per la camera come una pazza.
Neanche lui riesce a crederci.
Si risiede sul materasso ad occhi chiusi.- Se solo avessimo aperto la bocca entrambi…-
Ero innamorata del mio migliore amico e lui lo era di me.
Ha ragione, se solo avessimo aperto la bocca, ora sarebbe tutto sicuramente diverso.
Però, riflettendoci, non è successo lo stesso?
È come se il destino ci volesse insieme, da una parte.
Non sono una che crede in queste cose, ma se ci rifletto bene, mi sono comunque innamorata di lui in quei 5 mesi.
-Chissà cosa sarebbe successo.- aggiunge.
Sono molto arrabbiata, però non riesco ad esserlo fino in fondo, perché sono pazza di lui, tutto il mio corpo e la mia mente sono pazze di lui.
-Ti dico io cosa sarebbe successo.- intervengo, asciugandomi le guance.- Tu saresti comunque partito per Barcellona e io sarei rimasta a Madrid, tra tutti i miei casini. E sai che le relazioni a distanza sono una vera merda.-
Mi guarda confuso.- Intendi che non sarebbe cambiato niente?-
Scuoto la testa, stringendo le spalle.- Probabilmente no.-
Perfino in questo momento, il mio corpo è attratto da lui come una calamita.
Non so se riuscirò a perdonarlo, però mancano 8 ore al colpo e io non voglio stare qui a litigare con lui.
-Pensaci bene: è successo lo stesso, insomma, guardaci.- affermo, andandogli contro e facendolo alzare.
Penso che dentro di se, anche lui stia facendo i suoi calcoli: nonostante mi abbia mentito e non rivelato niente per tutti questi anni, siamo finiti insieme lo stesso e deve esserci un motivo.
Poggia la fronte sulla mia.- Se ci fosse qualsiasi modo per farmi perdonare, io…-
-Sta zitto e baciami.-
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia con passione.
Gli sbottono i pochi bottoni del pigiama e glielo sfilo, accarezzandogli tutto il petto.
Mi faccio togliere la canottiera e i pantaloncini, lanciandoli via nella stanza.
Si stende e io mi metto a cavalcioni su di lui, togliendogli gli occhiali per sicurezza.
Non so cosa mi veda senza, magari mi vede come tanti anni fa, con la mia faccia da ragazzina ingenua.
Ribalta subito le posizioni e si mette fra le mie cosce, spingendo dolcemente dentro di me, senza smettere di baciarmi.
Allora i gemiti vengono soffocati dalle nostre labbra.
Mi chiedo perché non abbia avuto il coraggio di fare tutto questo prima, ma non mi importa, è valsa la pena aspettare.
Perché se c’è una cosa che Sergio sa fare bene, è fare l’amore.
Con me.
Lui ha scelto me.
Io sono stata scelta da qualcuno.
Perciò mi rendo conto, che negli anni passati, non sono mai stata sola.
Affonda la testa nel mio collo e io stringo le cosce al suo bacino, approfittando che i ragazzi siano fuori per non trattenermi con i versi.
Le mie mani si muovono da sole sopra la sua schiena, graffiandola appena.
Sento che fa un ultimo gemito potente e un bel calore tra le gambe.
Vorrei rimanere così per sempre.
Al diavolo del colpo e dei soldi.
Lo bacio ancora e lo faccio stendere accanto a me, restituendogli gli occhiali.
Mi poggio al suo petto e stringo il suo bacino perché non voglio lasciarlo andare.
Si volta verso di me e mi guarda negli occhi.- Non è vero che ho avuto altre relazioni. Ho pensato a te per tutto il tempo, anche quando ero all’università.- ammette, facendomi sorridere.- Sei la donna della mia vita e lo sarai sempre.-
Faccio un sorriso a 32 denti e lo bacio dolcemente, ancora col fiatone.
Poi lui dà un’occhiata all’orologio.- Dovremmo andare a dormire, dobbiamo alzarci presto domani.-
-Sei nervoso? Ti preoccupa qualcosa?- gli chiedo, accarezzandogli le labbra col dito.
-No…Mi preoccupa che è stata la notte migliore della mia vita.- mormora, strusciandomi il dorso della mano delicatamente sulla guancia.
-Allora non farmi andare via…-
Allunga una mano verso il comodino e prende da dentro il cassetto i fascicoli dentro cui ci sono i profili degli ostaggi e dei membri della polizia.- Ripassiamo?-

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Capitolo 31
*** Parte 30 ***


Martedì 17:41
 
Non so se stia versando lacrime di nostalgia, di tristezza o di rabbia.
Non so come abbia fatto Sergio ad andare al letto con un’altra donna dopo quello che è successo fra di noi.
Probabilmente è cambiato nel corso del tempo, sarà diventato un playboy, in grado di ammaliare qualsiasi persona.
Beh, dopo tutto questo piangere e arrabbiarsi, è arrivato il momento di dare buone notizie.
Il telefono di Allison bippa come un metal detector: il GPS è quasi davanti alla Zecca e si muove abbastanza veloce.
Raggiungo Rio nell’ufficio che, proprio ora, si accorto che manca il telefono della ragazza.
-Dov’è il telefono di Allison?-
-Ce l’ho io, c’è una vecchia amica che sta tornando a trovarci, come promesso.- affermo, mostrandogli la mappa sul cellulare con un sorrisetto.
Lui mi guarda ovviamente confuso.
-Perché non vai ad aprirle le porte?-
Improvvisamente capisce e sgrana gli occhi sorridendo.- Tokyo sta tornando! Tokyo sta tornando!- inizia a gridare per tutta la Zecca.- Aprite le porte!-
Ridacchio vedendolo così contento e rimetto il telefono al suo posto.
Lo seguo al piano di sotto, dove Denver preme il pulsante di apertura.
In strada, c’è una moto della polizia che viene dritto verso di noi, ma altri agenti le stanno sparando.
-Ha bisogno di fuoco di copertura!- esclamo, indossando la maschera.
Rio, Denver e Mosca fanno la stessa cosa mentre usciamo fuori e spariamo contro i poliziotti.
Tokyo da gas alla moto e con un sol balzo, supera la scalinata ed entra dentro.
Denver chiude le porte in tempo.
Si toglie il casco e avevo proprio ragione, è Tokyo.
Significa che il Professore ha mantenuto la sua promessa e l’ha liberata.
Sergio sarà anche uno stronzo, ma sa mantenere le promesse.
Rio le corre incontro e la bacia sulle labbra, abbracciandola.
-Ce l’hai fatta, ci hai messo un po'.- commento.
Assottiglia gli occhi.- E tu come lo sapevi?-
-Prima di legarti come un pollo ti ho messo un GPS nelle mutandine.- rispondo, facendole un occhiolino.
Poggia la fronte sulla mia sorridendo.- Figlia di puttana.-
Sapevo che non l’avrebbero perquisita, non avrebbero avuto tempo: finalmente avevano in mano un rapinatore della banda e non si sarebbero fermati con i convenevoli.
Ogni tanto anche io penso come il Professore.
-Aiuto!- grida improvvisamente Denver.
Mi volto verso di lui e vedo che sta tenendo Mosca alla quale sanguina di brutto il petto: è stato colpito.
-Cazzo!-
Io ed Helsinki lo aiutiamo a farlo sdraiare per terra e gli tiro giù la zip della tuta: ha tre colpi nel petto.
È sembrata una scena di Mission Impossible, ma forse non è stata una buona idea.
 
Toledo- 10 minuti all’ora zero
 
Siamo tutti caricati sul furgone con le nostre tute rosse e la maschera di Salvador Dalì.
Però io, nel mio posto, sento che mi manca qualcosa.
Salutare una persona che non sai se rivedrai è difficile: ci sarebbero tante cose da dire, però non ho il tempo di farlo e non so nemmeno quali siano abbastanza importanti.
Non ho avuto l’occasione neanche di dargli un bacio, non potevo farlo davanti agli altri.
Ma ora che sono tutti sul furgone, in teoria, potrei farlo: correre dentro la tenuta e salutarlo come si deve.
Sento che si sta accendendo il motore, è la mia ultima possibilità.
-Aspetta, aspetta solo un secondo!- esclamo, aprendo la portiera.
Tutti mi chiedono dove stia andando e non rispondo, precipitandomi dentro.
Supero il gran salone dove abbiamo mangiato tutti insieme per 5 mesi, il corridoio e infine l’aula: dei posti che probabilmente non rivedrò mai più.
Lui è ancora lì, a cancellare le cose alla lavagna.
Gli salto addosso, aggrappandomi alle sue spalle e gli premo le labbra contro le sue.
-Ti amo.-
Mi esce così, di getto e forse è proprio così che dovrebbe succedere.
Cazzo, sono davvero innamorata di lui e il resto non ha importanza.
Sergio non risponde, forse perché non se lo aspettava o perché è troppo timido.
Io dovevo dirglielo prima che iniziasse tutto.
 
Martedì 17:45
 
Nairobi ed Helsinki accorrono con siringhe, flebo e bende dalla cassetta del pronto soccorso, mentre io e Berlino cerchiamo di tamponare i buchi.
Quasi non bastano le mani, è orribile.
È orribile perché sento Denver piangere e mi sento tremendamente in colpa.
Se non avessi fatto tutta questa sceneggiata, se non avessi mandato via Tokyo, lei non sarebbe dovuta tornare e Mosca non si sarebbe preso quelle 3 pallottole.
Capisco che siamo in troppi e lascio fare il lavoro agli altri, chiudendomi in ufficio per sbollire.
-Ehi, stai bene?- interviene Berlino, con le mani piene di sangue.
Mi metto le mani sulle ginocchia, respirando lentamente.- E’ colpa mia.-
-No, non è colpa tua.- ripete, prendendomi il viso tra le mani.- Non è colpa tua se la polizia ha sparato all’impazzata: tu sei stata bravissima, chiaro? Sei stata una grande fino ad adesso. Non puoi mollare ora.-
Berlino ha ragione, devo riprendermi e continuare.
Dobbiamo prenderci cura di Mosca, perché lo so che dopo tutto quello che abbiamo fatto la polizia non ci farà mai entrare un altro chirurgo.
Mi dirigo in bagno per lavarmi le mani e il viso, quando vedo Ariadna uscire da uno dei bagni.
Mi affianca e si lava le mani anche lei.
Deduco che la sua missione di entrare nelle grazie di Berlino sia fallita.
-E’ abbastanza patetico cercare di entrare nelle grazie di uno dei rapinatori.- commento.
-Beh, Monica ci è riuscita.- borbotta, rigirandosi la saponetta tra le dita.
-Monica si è innamorata di Denver, è diverso.-
Fa una ridarella nervosa.- E come avrebbe potuto Berlino innamorarsi di me? Quando stavamo insieme non faceva altro che parlare di te.-
Abbasso lo sguardo per non farle vedere che sorrido.- Ci hai provato.- affermo infine, tornando nella sala principale da Mosca.
Gli hanno tolto la tuta e messo una grande fasciatura per tutto il petto: la sua faccia pallida non mi piace per niente, devo cercare di farlo rimanere sveglio.
-Ehi, ragazzone, come va?- gli chiedo sorridendogli.
-Sono stato meglio, ma devi sapere che io ho tantissimo sangue in corpo, ho mangiato un sacco di sanguinaccio in vita mia.- afferma con un leggero sorriso. -Ascolta, manca poco alla fine del tunnel…-
-Mi dispiace Mosca, ma la polizia non ci aiuterà.- interviene Berlino.
-Non mi importa, io non ci torno in prigione.- borbotta.- Mancano poche picconate, saranno circa 10 ore di lavoro…Io cerco di resistere.-
Denver annuisce con gli occhi lucidi e gli stringe la mano.- Papà ti prometto che finirò quel cazzo di tunnel e usciremo insieme di qui.- esclama, dandogli un bacio sulla fronte.
-Vengo con te.- dice anche Rio, seguendolo nei sotterranei.
Mentre Rio e Denver scavano come pazzi e Monica li aiuta con le macerie, Berlino ordina a Nairobi di iniziare a produrre banconote da 100 e 200 euro per racimolare più soldi possibili.
Il signor Torres è al suo fianco come lo è stato fin ora e credo che si sia addirittura affezionato a lei.
Mi siedo per un attimo davanti al telefono e mi metto la cornetta al telefono.- Sono Roma.-
-Come sta andando?- mi domanda col fiatone.
-Una merda, lì?-
-Una merda: anche se avevi ragione e la faccenda dell’ospedale era una trappola, l’ispettore mi ha scoperto.-
Mi viene la pelle d’oca: e adesso?
-C-Come è possibile che stiamo parlando, allora?-
Esita un attimo.- Sono venuto alle maniere forti, non ho avuto altra scelta.- spiega, nervosamente.- Ho sentito che c’è stata una sparatoria.-
-Sì, Tokyo è tornata nella Zecca, ma hanno colpito gravemente Mosca…- balbetto, tentando di non piangere.- 3 pallottole Sergio, non so se ce la farà. Manca poco alla fine del tunnel, Denver e Rio ci stanno lavorando.-
-Io ho chiamato anche i serbi, noi scaveremo da quest’altra parte e nel frattempo chiamerò un medico.-
Questa notizia mi fa sentire già meglio.
-Ci vediamo dall’altra parte, allora, va bene?- bofonchio.
-Sarò qui ad aspettarti.- afferma, prima di attaccare.
Quando metto giù la cornetta, mi accorgo che Berlino ha ascoltato tutta la conversazione, poggiato sullo stipite della porta.
È ora di dire la verità.
-Andrès, quello che è successo fra di noi è stato molto bello, ma…-
-Lo so.- mi interrompe, con un ghigno sulle labbra.- Tu non smetterai mai di amarlo. Ci sono abituato.- commenta, alzando le spalle.- E’ tutta la vita che mi aspetto che tu smetta di essere innamorata di lui…Ma certe cose…Sono impossibili da fermare.-
Mi alzo per andargli in contro lentamente.- Però lo sai che ti vorrò bene per sempre.-
Lui mi abbraccia, baciandomi la nuca.- Certo che lo so, ti voglio bene anche io.-
 
Martedì 22:41
 
Sono svariate ore che Rio e Denver stanno scavando e decido che è ora che facciano una pausa.
Mentre bevono un po' d’acqua, ci riuniamo tutti davanti al tavolo dove c’è Mosca, come nei nostri soliti pranzi.
Siamo alla fine dei giochi, per davvero stavolta e sento che è l’unica occasione in cui posso dirgli quello che penso.
-Quando il Professore mi ha chiesto di partecipare a questo colpo non mi sarei mai immaginata di incontrare delle persone come voi.- intervengo, dando una pacca sulla schiena di Helsinki.- Un uomo duro fuori e morbido dentro, tipo un muffin, come Helsinki.- gli dico sorridendo.- Un grande e meraviglioso papà come Mosca.- affermo, facendogli un occhiolino.- Una ragazza determinata come Tokyo e una figa assurda come Nairobi.- continuo, mordendomi un labbro per la commozione.- Un cucciolotto come Rio.- gli dico, accarezzandogli  i ricci.- Una testa dura come Denver e…Berlino, beh, che lo dico a fare?-
Tutti scoppiano a ridere, ma vedo che hanno anche gli occhi lucidi.
-Sarò anche stupido e ignorante, ma una cosa l’ho notata…- interviene Denver.- Tu sapevi sempre come prenderci, come calmarci, come trattarci, sembra che ci conoscessi da tanto tempo.-
Ha ragione, è come se fosse così.
-Vedi, il mio compito era quello di studiare gli agenti della polizia, gli ostaggi ecc…Però il Professore mi ha dato anche un altro compito: studiare voi.- ammetto, guardandoli uno ad uno.- La regola delle relazioni personali non valeva per me, ecco perché, ad uno ad uno, ho cercato di capire il vostro passato…Il vostro presente…Di diventare vostra amica. E sapete che cosa ho capito? Che ve li meritate tutti quei cazzo di soldi.-
-Non mi sono presentato.- bofonchia Mosca.- Mi chiamo Augustin.-
-Agata.- interviene Nairobi, senza paura.
-Mirko.- dice Helsinki, sorridendo appena.
-Anibal.-
-Silene.-
-Andrès.-
-Daniel.-
Sono molto onorata di aver sentito i loro veri nomi.- Io sono Tatiana…E il Professore è Sergio.- Prendo un bel respiro.- Coraggio, torniamo tutti al lavoro, così possiamo uscire di qui e fare questa maledetta bella vita che sogniamo tutti!-
Volevo fare un discorso incoraggiante, però non mi è uscito un gran che.
Forse Berlino avrebbe potuto fare di meglio con le sue doti attoriali.
Ad un certo punto, quando mi volto, sento qualcuno battere le mani.
Lentamente, tutti insieme, fanno un applauso all’unisono.
Sarebbe per me?
È per me?
Mi giro verso di loro e li guardo sorpresa, che mi sorridono.
Ho davvero fatto del mio meglio, non so se me lo merito.
Lo sapremo solo alla fine.
E sento che è vicina.

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Capitolo 32
*** Parte 31 ***


Si stanno tutti armando per fare qualcosa, tranne Berlino che non riesce a tenere niente in mano, perciò facciamo a turni io e lui per chi sta con Mosca.
Gli faccio bere un sorso d’acqua e volta lo sguardo su di me.- Mi ricordavo fossi così bella.- mi dice, con un leggero sorriso.- Ho detto al ragazzo la verità…Che ti ho abbandonato a quella rotonda e adesso lui mi odia.-
Credo che i troppi farmaci gli stiano facendo venire qualche allucinazione.
Tuttavia, anche a Toledo, Mosca mi aveva detto che somigliassi alla madre di Denver.
-Sono tornato per due settimane di fila…Questo non gliel’ho detto.- bofonchia, con gli occhi lucidi.- Mi dispiace di averti abbandonata.-
Che cosa dovrei fare?
È una cosa così triste che non riesco a non rispondergli.
-Non fa niente, è tutto okay.- gli sussurro.
-Adesso è cresciuto…E’ venuto fuori un po' matto.- commenta, tentando di ridere. -Ho fatto del mio meglio.-
Mi viene da piangere, sento che piano piano se ne sta andando.- Ascolta, hai cresciuto un figlio perfetto, forte e coraggioso. Hai fatto un cazzo di capolavoro.-
-Mi dispiace.- singhiozza, accarezzandomi la guancia.
-Dispiace a che a me.- piagnucolo, mettendo la mano sulla sua.
Non posso permettere che muoia, devo finire quel cazzo di tunnel.
Non ho mai preso un piccone in vita mia, ma non dovrebbe essere così difficile.
Mi dirigo di sotto e aiuto Denver e Rio a picconare, fortunatamente la terra è molto leggera e si sgretola velocemente.
Denver è sudato e sporco come qualcuno che ha lavorato in miniera per tutto il giorno: so che non si arrenderà e nemmeno io.
Ad un certo punto, Rio si ferma.- Aspettate, aspettate, lo sentite?-
Rimaniamo per un attimo in silenzio.
Non ci credo, sento che qualcuno sta picconando non lontano da noi.
Sono i serbi con il Professore: vuol dire che siamo vicini.
-Sergio!- grido, per vedere se mi sente.
-Tati? Tati mi senti?!-
È proprio lui, è la sua voce.
La riconoscerei tra mille.
Ci siamo, mancano pochi metri.
-Sì! Sì!- esclamo sorridendo, con le lacrime di gioia. -Ci siamo quasi!-
Qualche minuto dopo però, Monica scende nel tunnel con una faccia piuttosto triste.
-Denver, devi venire su.- mormora.
Denver non si ferma.- Non posso venire su adesso.- borbotta col fiatone.
Monica gli afferra il braccio.- Denver, se non vieni su adesso, te ne pentirai per tutta la vita…-
Da quella frase capisco che Mosca non sta tanto bene.
Sono tutti intorno a lui, come ad un capezzale e vedo che le sue garze sono stracolme: si sta dissanguando.
-Papà, ti giuro, manca pochissimo, abbiamo sentito le voci dall’altra parte, resisti ancora un po'.- gli dice Denver, stringendogli le mani.
Augustin lo guarda negli occhi.- Daniel…Dirò a tua madre che le vuoi tanto bene…E mi dispiace tanto.-
-No, no, papà, tutte quelle cose che ti ho detto, che ti odiavo, non è vero…- balbetta Denver, piangendo.
-Lo so figliolo, lo so.- afferma Mosca.- Monica…Ti do 300 milioni se te lo tieni.-
Ridacchiamo tutti e Monica annuisce sorridendo.- Va bene.-
Vicino a me, sento Berlino che mi prende la mano e mi stringo a lui.
Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti ad affrontare quel momento, perché so che Mosca sta morendo.
Mosca alza gli occhi verso il cielo.- E’ stato un piacere ragazzi.- tentenna, prima che gli occhi gli si chiudano definitivamente.
Daniel gli prende il viso tra le mani e piange disperatamente sul suo corpo.
È la cosa più straziante alla quale io abbia assistito.
Non ho mai visto nessuno morire: Oslo era già morto quando l’ho trovato con Helsinki.
Affondo la testa nel petto di Berlino e gli stringo la tuta.
Ho fallito.
Sento che ho fallito.
Era mio compito prendermi cura di tutti loro e sono morti in due.
Non riesco più ad assistere e so che qualcuno dovrebbe informare il Professore.
Barcollo nell’ufficio e premo il tasto.
-Che succede?- mi domanda, col fiato corto.
-Non ce l’ha fatta…- sussurro, con le mani tremanti.- E’ morto.-
Dall’altra parte sento un colpo sulla scrivania, di rabbia e tristezza.
-Sarà così anche per lui, Sergio?- singhiozzo, piegandomi in due per la disperazione.- Ci sentiremo così anche quando morirà lui?-
-Credo di sì, amore mio.- risponde piangendo. -Mi dispiace tanto.-
Lascio che la cornetta mi cada dalla mano e mi abbandono ad un pianto disperato, probabilmente all’unisono di Denver.
Mosca era un mio amico e ho il cuore a pezzi.
Non riesco ad immaginare, allora, cosa proverò quando Andrès non ci sarà più.
***
Mosca viene messo in una cassa di legno come Oslo.
Stiamo tutti lì a fissarlo, in fila e nessuno ha il coraggio di dire o fare nulla.
-Non sono mai stato ad un funerale.- esordisce Denver.- Non so cosa si dovrebbe dire in questi casi.-
La mia famiglia è sempre stata cattolica e qualche preghiera me la ricordo.
-Prendetevi tutti per mano.- intervengo, afferrando Denver con la destra e Berlino con la sinistra.- Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come il cielo e così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e non indurci in tentazione, ma liberaci dal male, amen.- recito a testa bassa.
Denver alza lo sguardo su di me, sorridendo appena.- Grazie.-
Mentre Helsinki e Rio chiudono la cassa, per un centesimo di secondo, riesco a vedere Andrès al posto di Augustin.
Mi viene la pelle d’oca, ormai ho quel pensiero nella testa.
Nervosamente, cerco l’ultima gomma che mi è rimasta nel pacchetto, quando capisco che le gomme non mi serviranno a non pensare o a ridurre lo stress.
In questo momento, vorrei una specie di telecomando universale che fermasse tutto.
Vorrei formare il momento in cui abbiamo riso su quella spiaggia di Valencia, l’attimo in cui ho guardato Sergio negli occhi l’ultima volta che abbiamo fatto l’amore, il sorriso di Andrès sulle scale mobili mentre ci saluta dentro l’aeroporto di Madrid.
Infine, il momento in cui faccio l’ennesimo buco nella terra e vedo il viso di Sergio.
Ce l’abbiamo fatta.
Scansiamo insieme il terreno rimasto e uniamo le mani, sorridendo.
È uno dei momenti più felici della mia vita.
E, non so se è perché non dormo da svariate ore o se è per l’immensa felicità, ma non mi sento il resto del corpo.
Infine, svengo.
 
Mercoledì 9:36
 
Berlino mi versa un po' di acqua sulla faccia e mi dà qualche pacca, facendomi risvegliare.
Apro lentamente gli occhi e lui mi sorride. -Bentornata.-
-Che è successo?- bofonchio, alzandomi lentamente dal divanetto.
-Sei svenuta, hai la pressione sotto le scarpe.- spiega, aiutandomi ad alzarmi. -C’è qualcuno che vuole vederti, di là.-
La faccia del Professore non era un’allucinazione, dato che adesso è entrato nella Zecca e sta abbracciando Denver nel magazzino.
-Mi dispiace.- gli dice, dandogli una pacca sulla testa.
Mi vergogno tanto.
Avevo un solo compito e non sono riuscita a fare nemmeno quello.
Anche lui, sporco di terra, nella sua camicia e cravatta, si volta verso di me.
Nonostante tutto quello che è successo, dentro di me non è cambiato niente: sento ancora quelle farfalle nello stomaco.
Ci veniamo in contro velocemente e affondo la testa nel suo petto, scoppiando a piangere.- Mi dispiace, ci ho provato.- singhiozzo.- Ho fallito: mi avevi detto di proteggerli e invece ne sono morti due.-
Mi accarezza i capelli.- Non è vero, sei stata bravissima, sei stata la migliore.- mi mormora all’orecchio.
Abbracciandolo è come se tornassi a respirare.
Quando mi allontano un po', lo vedo che guarda oltre di me e mi volto, seguendo i suoi occhi.
Berlino ci raggiunge con un leggero sorriso e tutti e tre ci stringiamo l’un l’altro.
-Mi siete mancati.- afferma Sergio, tirando su col naso.
È proprio in quel momento, che il resto della banda ci fissa e capisce quindi che avevamo un legame già dall’inizio di tutto questo.
-Non mentivi, quindi.- commenta Tokyo.
Alzo le spalle.- Non l’ho mai fatto.-
-Scommetto che eravate uno di quei gruppetti che si dà un nomignolo.- aggiunge Nairobi.
Tutti e tre scoppiamo a ridere.- In effetti sì.- risponde Sergio.
Successivamente, Nairobi conduce il Professore dentro l’ufficio dove sono state riposte tutte le sacche di soldi.
Non appena Sergio le vede, gli brillano gli occhi.
-984 milioni di euro.-
Si copre la bocca, incredulo.- 984 milioni di euro.-
È davvero un grandissimo traguardo.
-Jesus ne sarebbe fiero.- commento sorridendo.
Se Jesus avrebbe visto tutto ciò, sarebbe stato molto fiero di suo figlio, proprio come lo sono io adesso.
Perché, probabilmente, senza il Professore che agiva di fuori, noi non ci saremmo riusciti.
Non riesco nemmeno ad immaginarmi le cose che ha fatto per darci una mano.
-L’ispettore?- chiedo.
Sergio mi mostra la mano destra sopra cui c’è un morso mezzo sanguinante.
Faccio una smorfia sorpresa.- Ah, ci siamo dati al sadomaso.-
-Fa i capricci…Ma presto la polizia si chiederà che fine ha fatto e manderanno le squadre d’assalto.- spiega Sergio.- Dobbiamo portare i soldi fuori di qui, alla svelta.-
Perciò, ha inizio così l’ultima fase del piano.

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Capitolo 33
*** Parte 32 ***


Mentre Rio riesce a creare una nuova telecomunicazione con auricolare tramite il Professore, me e Berlino, tutti gli ostaggi, tranne Arturo, iniziano a creare un percorso per trasportare i soldi attraverso il tunnel: dalla Zecca fino al bunker.
Il piano è quello di nasconderli dentro finti barili di birra e andare via con un semplice camion trasportatore.
Denver ha presentato Monica al Professore, ufficializzando la sua entrata nella banda: Stoccolma.
Per quanto riguarda la polizia che rimarrà nel tendone, manderà sicuramente delle squadre all’interno e sarà in quel momento che li svieremo con il finto tunnel.
Per questo, ci aiuterà Arturo.
È ancora legato alla sedia con l’esplosivo addosso: sta senza mangiare né dormire da un po', di fatto si è addormentato da seduto.
Tiro fuori la pistola e sparo un colpo in aria per svegliarlo.
Lui sobbalza e cade con tutta la sedia, facendomi scoppiare a ridere.
-Brutta figlia di puttana! Quando uscirò da qui ti farò tutte le denunce possibili e immaginabili!- borbotta, mentre lo ritiro su.
Alzo le sopracciglia.- Ah sì? E a chi le farai? A Roma?- gli domando, strappandogli di dosso i sacchetti e il resto.- Ora ci servi.-
Lui guarda incredulo il pavimento.- Era finto…Era finto, cazzo!-
Siamo agli atti finali e quest’uomo mi ha decisamente fatto perdere la pazienza.
Lo sbatto contro il muro con una mano sola.- Certo che era finta, Arturito, credevi veramente che avrei rischiato di far saltare questo posto?!- esclamo, alzando gli occhi al cielo.- Sai, ci sono stati degli ostaggi che mi hanno davvero rotto il cazzo, ma tu sei in cima! Hai avuto paura? Mh?- gli chiedo, fissandolo negli occhi.- Sai cos’altro fa paura? Tornare a casa la sera da sola, però una donna continua a farlo! Prende per mano la paura e continua a vivere, cazzo!-
Finalmente lo zittisco e gli faccio mettere la tuta, ordinandogli di continuare a scavare.
Il ritmo del trasferimento dei soldi continua al massimo, anche se Nairobi avrebbe voluto arrivare a stampare mille milioni, però il tempo stringe.
È ora di fermare le macchine e cancellare i registri.
-Se davvero tu e il Professore state insieme, perché c’è tanta tensione fra di voi?-mi domanda Nairobi.
Mi mordo il labbro, nervosamente.- Perché mentre eravamo qui dentro, è andato al letto con l’ispettore.-
Sgrana gli occhi ridacchiando.- Oh cazzo! Ti capisco se sei furiosa!- esclama.- Però, sai che penso io? Che il rancore e la rabbia non servono ad un cazzo, ti imbruttiscono solo la faccia, ti fanno venire le rughe.-
Mi fa ridere mentre passo i sacchetti agli ostaggi.
-Se lo ami veramente e lo conosci da così tanto tempo come dici, direi che si può perdonare.- aggiunge, alzando le spalle.- Perché, in pimis, è coraggioso amare, ma è coraggioso anche perdonare.-
La osservo per un momento.- Ti sei perdonata? Per quello che è successo con Axel?-
Si sofferma un attimo a pensarci, abbassando lo sguardo, ma poi lo rialza.- Sì, sì l’ho fatto.-
-Perciò non andrai a riprendertelo?-
-No, no, non lo farò: per ora non ho un piano, ma Helsinki mi ha offerto di condividere un appartamento insieme. Potrei farlo, potrei divertirmi e vivere la vita con lui.- afferma sorridendo.
Annuisco, ricambiando il sorriso.- Sì, te lo meriti.-
Io invece sono abbastanza sicura di cosa farò: ho bisogno di stare un po' da sola, di riflettere, non so per quanto.
Mentre Arturo e un altro paio di ostaggi finiscono il tunnel nei sotterranei, io e Berlino piazziamo degli esplosivi speciali sui muri, così da impegnare la polizia per un po' di tempo.
-Allora, che progetti hai per domani?- mi chiede, attaccando un plastico al muro.
-Beh, domani penso che salterò su una bella barca che mi porterà alle Hawaii: mi sdraierò sulla spiaggia, mi farò sicuramente qualche bel tipo del posto e prenderò il sole tutta nuda.- rispondo, sorridendo maliziosamente.
Ridacchia, prendendomi i fianchi.- Devi stare attenta, le donne hawaiiane non sono poi così belle: potrebbero vedere te e perdere la testa.-
Gli faccio un occhiolino.- Lo spero…E tu?-
Diventa serio ed evita la domanda.- Ti ricordi quando ci siamo detti che ci saremo amati solo quando sarebbero piovuti soldi?-
Risale a molto tempo fa, ma sì, così faccio un cenno con la testa.
Tira fuori una pila piccola di banconote da 50 in aria e ci cadono addosso come coriandoli.
Scoppio a ridere e lo abbraccio, baciandogli la guancia.- Ti voglio tanto bene, Andrès.-
-E’ stata la più bella rapina che io abbia fatto.- sussurra, accarezzandomi i capelli.
-Ragazzi, c’è un problema.- interviene il Professore che sentiamo attraverso gli auricolari. -Stanno entrando con due squadre! Una entra dal tunnel e l’altra dal garage, hanno fatto esplodere la porta di ferro!-
-Cazzo! Dobbiamo andarcene!-
Io e Berlino corriamo agli uffici e fortunatamente vediamo che mancano poche sacche di soldi.
-E’ ora di sgombrare ragazzi!- grido, allacciandomi il fucile alla tuta.
-Gente, è stato davvero un piacere rapinarvi.- commenta Berlino, sorridendogli.
Liberiamo il resto degli ostaggi, compresi Ariadna, Mercedes ed Allison.
Sapendo dell’arrivo della polizia, abbiamo piazzato una trincea accanto al caveau con la mitragliatrice.
Tokyo, Rio, Denver ed Helsinki sono già nel tunnel.
-Manchiamo solo noi!- esclama Nairobi, mentre sento la voce dei poliziotti avanzare verso di noi.
-Forza, andiamo!- dico a Berlino.
Lui guarda prima il corridoio e poi me, facendosi serio.
Ci fulminiamo con lo sguardo e io capisco subito cosa vuole fare.
-No, non ci pensare nemmeno!-
-Qualcuno deve coprirvi mentre andate via, qualcuno deve restare prima che facciate saltare il tunnel!- ribatte.
-Stai scherzando?! Io non ti lascio qui!- urlo, afferrandolo per la tuta.
Mi fissa negli occhi.- Beh, dovrai farlo.-
Si dimena e inizia a caricare la mitragliatrice.
-Berlino, cazzo!-
Non ci metto neanche un secondo a decidere che non lo lascerò da solo.
Mi volto verso Nairobi.- Va!-
Aggrotta le sopracciglia.- Ma sei matta?!-
-E’ coraggioso amare, giusto?- bofonchio, tremando per la paura.- Lui mi ama…E io devo restare con lui.-
Nairobi mi capisce e dopo avermi accarezzato la guancia, scende verso il tunnel.
Mi unisco ad Andrès dentro la trincea proprio quando arrivano una decina di poliziotti che iniziano a sparare verso di noi.
La maggior parte dei colpi va sui sacchetti e sul muro, mentre carico velocemente la mitragliatrice.
-Ti avevo detto di andartene!- mi dice lui, afferrandomi il polso.
Lo guardo negli occhi.- Mai Andrès…Noi siamo la Resistenza.-
Non appena la polizia si ferma per ricaricare le armi, metto le dita sul grilletto e sparo all’impazzata.
-Proprio come al luna park, eh?- mi dice ridacchiando.
Non era proprio la stessa cosa, dato che si trattava di palline di plastica, ma è un bel ricordo alla quale pensare adesso.
Improvvisamente, vediamo scivolare due mine per terra.
Di scatto ci alziamo e corriamo dentro il bunker, coprendoci l’un l’altro.
Sentiamo la terra che si muove e per un attimo mi fanno male le orecchie.
Volevi andare in guerra eh, Tati?
Beh, eccola qui.
Sapevo che me ne sarei pentita se mi avessero mai accettato all’accademia e per fortuna non è successo.
Perché io ho amato ogni momento della mia vita.
Anche quelli brutti.
Perché mi hanno reso quella che sono oggi.
Per un attimo, le luci del caveau vanno e vengono.
Berlino mi volta verso di se.- Stai bene?-
Lo guardo negli occhi, lacrimando.- Ho paura.-
Mi prende il viso tra le mani.- Lo so, anche io.- afferma, caricando il proprio fucile. -Oh partigiano, portami via, oh bella ciao bella ciao ciao ciao. Oh partigiano, portami via, che mi sento di morir.- inizia a canticchiare, riaprendo la porta del caveau.
Mi faccio coraggio, stringo i pugni e faccio lo stesso, andandogli dietro.- E se io muoio, dovrai seppellirmi, oh bella ciao bella ciao ciao ciao. E seppellirmi, lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior!- grido, sparando all’impazzata, dopo essermi nascosto sotto la trincea.
Insieme, poggiando i fucili sopra i sacchetti e con delle urla di sfogo, spariamo fino a che non finiscono le munizioni e dobbiamo o ricaricare o proteggerci.
-Tatiana, Andrès, salite il tunnel!- ci dice Sergio.
Andrès fa un ghigno.- Non ti preoccupare Romeo, ti porterò la tua Giulietta.- afferma.- Sei venuto anche tu allo spettacolo, quella sera, ti ricordi? Mercuzio è sempre il primo a morire, fratellino e sai perché? Perché funga da martire.- risponde, continuando a sparare di tanto in tanto.
Io gli afferro la mano.- Noi ce ne andremo insieme!-
Si volta verso di me e mi accarezza la guancia, dopo avermi messo in mano il suo anello.- Tieni, prendilo.-
Scuoto la testa, scoppiando a piangere.- No, ti prego, ti prego, vieni con me.-
È come se lo avesse pianificato fin dall’inizio, morire in questo modo, morire da eroe dopo esser parso agli occhi di tutti come il cattivo della situazione.
-Andrès, sali su per quel cazzo di tunnel!- insiste Sergio.
-La decadenza non fa per me. Mi ci vedi con la bava alla bocca o alle prese con problemi di incontinenza? No, sarebbe un modo patetico per andarmene. Meglio questo.- risponde, continuando a sparare. Tutte le munizioni del suo fucile sono esaurite, mancano solo quelle del mio, così glielo passo.- Ti ringrazio.- mi dice, con una lacrima che gli solca il viso.- Grazie per avermi fatto vivere la vita che volevo.- singhiozza, baciandomi più volte a stampo.- Ti amo e ti amerò per sempre.- bofonchia sulle mie labbra.
Non ci posso credere che se ne stia andando così.
-Adesso va!- mi ordina, in un momento di silenzio.
Indosso l’anello all’indice e mi alzo, con il viso pieno di pianto, dirigendomi verso il caveau.
-Andrès, non farlo!- grida Sergio.
-Ho passato la vita facendo un po' il figlio di puttana, ma oggi credo da voler morire con dignità.-
Lo vedo alzarsi da terra, senza protezioni, solo con il fucile e il suo solito ghigno sul volto.
Ora è sporco di polvere, con in dosso degli anfibi e una tuta rossa, però per me rimane il ragazzo di bell’aspetto, duro, con la giacca di pelle.
E, quando si volta a sorridermi, lo rivedo per un attimo.
Alza le mani in cielo sorridendomi.- Los Hermanos para siempre!-
Ci sorridiamo per un’ultima volta, ma non ho intenzione di vederlo morire.
Corro giù per il tunnel, anche se è davvero difficile mettere un piede davanti all’altro, sapendo che lui sta per essere riempito di proiettili.
Arrivo alla fine del tunnel e cerco di trovare il coraggio per dirlo.
Allora lo faccio così, di getto.- Fate esplodere il tunnel, adesso!-
Mi copro le orecchie e in attimo sento un enorme esplosione alle spalle.
Adesso, anche se volessi, non potrei più tornare indietro a prenderlo.
Aspetto che la polvere si assesti e salgo le scale, dove c’è Helsinki che mi aspetta per aiutarmi.
Sono arrivata al bunker, dove volevo arrivare, con 984 milioni di euro che ci siamo sudati.
Eppure, voglio tutt’altro che gioire.
In quel momento, mi riviene in mente di quando sono scappata di casa e di tutte le cazzate che ho fatto: ho affrontato mille cose e perciò sono in grado di superarle.
Supererò anche questa, ne sono sicura.
Prendo coraggio e salgo la scala, dove c’è Helsinki che mi aiuta.
Guardo subito il Professore che è preoccupato.- Dov’è Berlino?-
Però, anche se so che lo supererò, posso piangere un altro po'.
-Mi dispiace.- singhiozzo, scuotendo la testa e stringendomi a lui. -E’ rimasto indietro per farci guadagnare tempo.-
Non oso immaginare come sia perdere un fratello.
Forse, come perdere un padre?
Si sta sentendo come mi sono sentita io quando mio padre se n’è andato?
Era proprio questo di cui parlavo quando l’ho chiamato, stamattina, dopo la morte di Mosca ed è la sensazione che mi aspettavo di provare.
Sento il suo busto che fa su e giù per il pianto e mi spezza il cuore, mentre mi abbraccia.
In quell’istante, Nairobi si avvicina lentamente e gli prende il viso tra le mani.- Dobbiamo andare avanti, okay? Si deve andare avanti.-
Ha ragione, dobbiamo farlo.
Proprio quando mi asciugo il viso, noto Raquel Murillo legata con delle manette alle tubature sul soffitto.
Ecco perché ha morso Sergio, tentava solo di scappare.
Di certo non mi aspettavo che le facesse una cosa del genere.
Ora più che un’ ispettrice piena di potere, mi sembra un tacchino pronto per essere messo nel forno.
Quando mi avvicino, mi guarda malissimo.- Andrete tutti in prigione, tutti voi!- esclama.
Credevo che sarei stata furiosa con lei non appena l’avessi vista, invece non è così, provo solo pena, perché abbiamo in comune molte più cose di quanto pensassi.
-Perché non vuoi capire Raquel? Perché siamo i cattivi e tu sei la buona? So come ci si addestra in polizia, ti insegnano a distinguere il bene dal male.- le dico, prendendo una banconota da 50 sulla scrivania.- Cos’è questa? E’ solo carta, Raquel.- affermo, strappandola in quattro pezzi.- Noi stiamo facendo un’iniezione di liquidità, nell’economia di questo gruppo di disgraziati, perché è questo che siamo, Raquel. Per scappare dalle nostre vite di merda…Tu sei felice della vita che vivi?-
-Tu non sai un cazzo di me.- ribatte.
Scuoto appena la testa.- No, invece io so tutto di te.-
Non l’ho mai fatto per nessuno, se non per Sergio e anche per sbaglio, ma per lei voglio farlo, così che capisca.
Mi slaccio la tuta e mi sfilo la maglietta.
Dietro di me, vedendo la mia schiena, il resto della banda sussulta.
-Tati, non c’è bisogno…- interviene Sergio.
-No, non fa niente.- ribadisco, voltandomi lentamente verso di lei.
Le cicatrici sulla mia schiena sono molto vecchie, però ancora ben visibili.
E, quando mi volto verso di lei, capisco che le hanno fatto effetto.
-Quando ero piccola, mio zio mi dava talmente tanta tequila che mi faceva dormire per ore.- spiego, con le lacrime agli occhi: anche se quei giorni sono passati, fa ancora male.- Mi metteva nel mio lettino e mi toccava con quelle sue mani viscide…- bofonchio, stringendo i pugni.- E mi spegneva le sigarette sulla schiena perché diceva che avrei dovuto provare il dolore che si prova quando si vive, Raquel. Avevo 5 anni.- racconto, asciugandomi subito e guance.- Tua figlia quanti ne aveva quando tuo marito ti picchiava?-
Osservo che perfino lei cerca di trattenersi.- 3.-
Alzo le sopracciglia.- 3 anni…Perciò dimmi, Raquel, se fossi al mio posto, non avresti fatto la stessa cosa? Per assicurarti un futuro migliore.-
Solleva gli occhi verso il cielo e tira su col naso: sta soffrendo esattamente come stiamo soffrendo noi, solo che non può darlo a vedere.
Vedo la chiave delle manette sul tavolo e decido di prenderla: so che se la libero, magari, farà la cosa giusta.
La inserisco nella serratura e la libero.
Ci guardiamo negli occhi per un istante.
-Saranno presto qui, avranno già rintracciato il mio telefono.- dice, abbassando lo sguardo.- Avete 10 minuti, cerco di tenerli occupati.-
I ragazzi esultano in silenzio e si affrettano a cambiarsi, come da piano.
Mi guarda negli occhi seria.- Non farmene pentire.-
Io, invece, lo sorrido, scuotendo la testa.
Facciamo tutto in 10 minuti: cambiarci, caricare tutti i soldi sul camion e uscire di lì.
Nairobi esce per prima, come una qualsiasi donna che sta tornando a casa dal mercato.
Monica e Denver con il passeggino, come se fossero due neosposi con il loro figlioletto.
Tokyo vestita come di dover del suo nome, senza dare nell’occhio.
E Rio come un ragazzino di 10 anni, con lo skateboard.
Io, il Professore ed Helsinki saliamo a bordo del camion con i serbi e ce ne andiamo nello stesso momento in cui, dall’altra parte della strada, la polizia arriva al bunker.
L’allontanarsi delle sirene è il dolce suono che ce l’abbiamo fatta.
-Non ci credo! Come tu avere fatto a convincere ispettore?!- domanda Helsinki, euforico.
-Come ha detto un grande genio.- rispondo sorridendo.- Perché sono empatica.-
Siamo giunti alla fine e quando Sergio mi stringe la mano, non ho più paura.
Arriviamo tutti al porto dove c’è una nave che ci sta aspettando e che ci carica con tutti i soldi, pronta a portarci in acque internazionali, dove non possono più catturarci.
984 milioni di euro divisi per 7 fanno 140 milioni a testa.
Non so con precisione cosa faranno gli altri, ma è proprio sul mare che ci salutiamo.
Rio e Tokyo andranno sulla loro isola e spero che siano felici insieme.
Helsinki e Nairobi si divertiranno sicuramente come matti, anche se mi dispiace che lei non possa rivedere suo figlio.
Denver e Monica si faranno una vita con il loro bambino e, a quanto ho capito, hanno intenzione di chiamarlo Cincinnati.
Il Professore non so cosa farà, ma sono sicura di quello che farò io.
Non appena trovo un passaggio, salto su un motoscafo che mi porterà direttamente alle Hawaii.
Il vento fresco fra i capelli è piacevole.
È coraggioso amare come è coraggioso perdonare.
Io ti perdono Sergio, ma ho bisogno di stare un po' da sola.
Mi volto un’ultima volta verso la nave e lo vedo correre da poppa a prua fin che per lui non divento solo un puntino in mezzo all’oceano.
Sta tranquillo, starò bene.
In questi giorni ho perso più di quanto pensassi.
Ma prima o poi il tempo cancellerà la tristezza e le cicatrici, facendo rimanere solo il ricordo.
Quello non se ne andrà mai.
Questa è la mia storia, la nostra storia.
La storia di un anello d’argento, di un paio di occhiali ed una margherita.
Spero di non avervi annoiato, però avevo promesso che ve l’avrei raccontata, un giorno.
Silene, Anibal, spero che stiate bene e che viviate felici.
Vi voglio bene.
Tatiana.

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Capitolo 34
*** Epilogo. ***


Qualche mese dopo
 
Le Hawaii sono spettacolari.
Il mare, il posto, il cibo, i cocktail e gli abitanti.
Con i miei soldi mi sono divertita un bel po': comprata nuovi vestiti, affittato un bel appartamento e perfino imparato a fare surf.
Il mio discorso con l’ispettrice Murillo mi ha fatto capire che non devo più nascondere le mie cicatrici, perciò prendo il sole nuda quando mi pare e piace, così che non rimanga il segno del costume.
L’anello di Andrès non me lo tolgo mai dal dito, credo che ormai siano diventati un tutt’uno.
Mi manca tantissimo, ogni giorno, come mi manca Sergio.
Ma l’amore è anche un po' questo, credo.
Ho avuto tempo di riflettere e ho capito che io li amavo entrambi.
È possibile, in diversi modi.
Però ora basta pensare al passato.
Mi lego i capelli e indosso un bel costume viola, con un vestitino bianco per andare in spiaggia.
La mia casa è talmente grande e colorata che potrei farci una bella festa, un giorno.
Magari con gli altri della banda.
Chissà dove sono e cosa stanno facendo.
Scorro la mia porta a vetro per uscire, quando, davanti al mio piede, vedo qualcosa che mi fa tremare le gambe.
Mi piego per prenderla: è una margherita.
Non ci posso credere, ce ne sono tantissime altre.
Formano una specie di percorso.
Vorrei raccoglierne una ad una, ma sono fin troppe e conducono alla spiaggia.
È deserta, se non fosse per un uomo sulla riva, dove finisce il percorso.
Il sole è troppo alto in cielo, così mi metto una mano sulla fronte per vedere meglio: è Sergio.
Con un costume blu, una camicetta bianca che ha messo a terra un telo da mare rosso.
Ma come diamine faceva a sapere dove fossi esattamente?
Mi ha cercata?
Ha chiesto di me alla gente del posto?
O forse è come se l’avesse sempre saputo.
Non mi importa: ha fatto tutto questo per me e, dato che mi è mancato da morire, non posso fare altro che avvicinarmi.
È bellissimo come mesi fa.
-Prima che tu dica qualsiasi cosa, fammi parlare.- esordisce, arrossendo. -Ti amo. Mi dispiace di non avertelo detto quando me lo hai detto tu, ma ero così nervoso di…Di tornare a riprovare quel sentimento di quando eravamo ragazzi. Mi dispiace anche di non averti detto tutta la verità, in questi anni, perché me ne vergognavo troppo: tu eri così bella…Sei! Sei così bella e continui ad esserlo. Mi chiedevo cosa ci potesse fare uno come me con una come te e non riuscivo a darmi una risposta.-
Sergio non capisce che non mi serve che mi spieghi niente, io lo amo così com’è e l’ho capito in quei giorni in cui sono stata rinchiusa lì dentro.
-S-So che non sono come gli hawaiani, insomma, non ho i muscoli e-e…-
Gli prendo il viso tra le mani, sorridendo.- Non te l’ha mai detto nessuno che parli un po' troppo?- affermo, prima di premere le labbra sulle sue.
Mi mette le dita nei capelli e mi bacia con passione e mi tornano tutte quelle belle sensazioni che ho sempre provato.
Mi sono sempre fidata delle mie sensazioni e mi hanno portata sulla giusta strada.
Come due scemi scoppiamo a ridere e capisco che forse saremo felici.
-Chi arriva ultimo è uno scarafaggio!- esclamo, togliendomi il vestitino in fretta e correndo in acqua.
Lui si toglie velocemente la camicia e si tuffa accanto a me, schizzandomi.
Ci divertiamo come matti, però, quel momento mi ricorda il nostro viaggio dei 100 giorni e che c’è una cosa che devo fare prima di lasciarmi il passato alle spalle.
Sergio mi vede che rifletto.- Tutto bene?-
-Sì…E’ solo che, prima di qualsiasi altra cosa, c’è una promessa che devo rispettare.-
Mentre la mattinata passa, Sergio trova un’asse di legno e con un pennarello ci scrive il nome completo di suo fratello.
Intanto, su una collinetta davanti al mare, scavo una buca e, dopo tanto tempo, mi tolgo l’anello, sotterrandolo.
Recuperiamo tutte le margherite e le mettiamo dentro un vasetto di vetro, posandolo sulla collinetta, davanti all’asse di legno.
So che non è una tomba per bene, però non abbiamo un corpo o le ceneri che Andrès voleva che io spargessi in mare.
Spero che così sia lo stesso, che gli piaccia comunque.
Certe volte mi sento incompleta a pensarci.
A pensare che lui non è più con noi e perciò mi aggrappo ai ricordi.
Mi reggo alla nostra stupenda amicizia che non morirà mai.
-E questo è il fiore, del partigiano.- canticchia Sergio.- Oh bella ciao, bella ciao ciao ciao.-
Mi stringo a lui, poggiando la testa sulla sua spalla, guardando verso la lapide.
Il ghigno di Andrès era quasi contagioso e se chiudo gli occhi, ce l’ho ben impresso nella mente.
-E questo è il fiore, del partigiano.- aggiungo.- Morto per la libertà…-
 
FINE.
 
 
 
 
Salve a tutti, spero che questa storia vi sia piaciuta. Mi raccomando commentate e noi ci rivediamo a Marzo con la fanfiction di Falcon and Winter Soldier con protagonista Peggy! La figlia di Mia e Steve, a presto!

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