Due piccoli imprevisti

di GReina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

DUE PICCOLI IMPREVISTI
Capitolo 1

Miya Atsumu non poteva essere più soddisfatto della propria vita. Aveva il lavoro dei suoi sogni, un bell’appartamento, cibo gratis dal ristorante di suo fratello ogni volta che voleva, amici fantastici… e poi aveva Kiyoomi.
C’erano voluti molti mesi di corteggiamento ed estenuanti settimane di lavoro affinché la loro relazione ingranasse. Non era stato facile venire a patti con la misofobia di Sakusa né capire il modo giusto con cui approcciarla. L’alzatore ricordava ancora come se fosse ieri e senza nessuna nostalgia i primi giorni in cui i due compagni di squadra avevano iniziato ad uscire insieme. Ricordava gli attacchi di panico e la sua totale inesperienza in merito; ricordava il terrore al pensiero di non essere adatto a prendersi cura dell’uomo di cui si era infatuato e ricordava la pressione che il loro allenatore gli aveva messo quando – richiamati formalmente nel suo ufficio – gli aveva fatto notare quanto una relazione tra colleghi potesse risultare controproducente.
Tutto quello, tuttavia, apparteneva al passato. Erano trascorsi tre anni dal loro primo bacio; convivevano da sei mesi e la loro routine, adesso, era perfetta. Atsumu non riusciva più ad immaginare la propria vita senza Kiyoomi e – nonostante la forte insicurezza che nascondeva dentro di sé – il biondo sapeva con assoluta certezza che per lo schiacciatore valeva lo stesso.
Si alzavano ogni mattina l’uno tra le braccia dell’altro; si lavavano i denti, poi si baciavano. Si spostavano in cucina dove – una volta Atsumu l’altra Kiyoomi – preparavano la colazione con amore. Si allenavano nella loro piccola palestra personale, facevano la doccia (spesso insieme), poi si rilassavano sul divano. Pranzavano, andavano agli allenamenti della squadra, passavano a prendere il cibo da Osamu e tornavano a casa a coccolarsi. Di tanto in tanto uscivano con gli amici o organizzavano piccoli rifreschi in casa loro.
Perfetto. Non c’erano altre parole per descrivere il modo in cui vivevano. Atsumu non ebbe altro modo d’intendere quel giorno, quindi, se non “fulmine a ciel sereno”. Avevano appena finito di raccogliere tutto il necessario per il lavoro, chiuso i borsoni e preso le borracce quando accadde. Il campanello suonò e – ignaro – Kiyoomi andò tranquillamente ad aprire. Alla porta, Atsumu lo vede da sopra la spalla del suo compagno, vi era un uomo alto ma mingherlino, di mezza età, con gli occhiali dalla montatura rettangolare e i capelli neri appiattiti con il gel. Indossava un completo e in mano reggeva una valigetta. Da dove si trovava, Atsumu non era in grado di sentire cosa disse lo sconosciuto, tuttavia Kiyoomi si fece da parte e lo lasciò entrare. Si tolse le scarpe ed indossò un paio di pantofole che tenevano per gli ospiti. Si spruzzò il gel antibatterico sulle mani come richiesto dal padrone di casa e poi, seguendo Sakusa, raggiunse Atsumu in salotto. Gli tese la mano:
“Buongiorno signor Miya, il mio nome è Kobayashi Ennosuke. Ha un minuto per me?” Atsumu ricambiò la stretta ma guardò interdetto verso Kiyoomi che però rispose con una scrollata di spalle.
“Ad essere sinceri stavamo andando a lavoro. È urgente?” l’uomo sospirò ed Atsumu capì che la risposta sarebbe stata affermativa ancor prima che l’altro aprisse bocca.
“In effetti sì, signore.” confermò i suoi sospetti “Possiamo sederci?” Atsumu era confuso, tuttavia si riscosse in fretta ed indicò divano e poltrone.
“Prego.”
“Avverto coach Foster che non andiamo.” sentì dire a Sakusa mentre afferrava il cellulare e componeva il numero. Kobayashi Ennosuke si sedette su una poltrona, Atsumu gli offrì una tazza di thè e quando tornò con una bevanda calda per tutti trovò l’uomo che usciva una serie di documenti dalla valigetta e Kiyoomi che si sedeva sul divano. Atsumu poggiò il vassoio sul tavolino e si sistemò accanto al suo compagno.
“Signor Miya,” l’ospite si rivolse ancora a lui “sono l’avvocato della signorina Suzuki Isako. Lei mi conferma di conoscerla?” Atsumu sussultò e subito si chiese cosa Isako potesse volere da lui a tal punto da mandargli un avvocato.
“Sì, la conosco, ma non la vedo da anni.” disse. L’uomo annuì, poi sospirò.
“Purtroppo sono spiacente di informarla che la signorina Suzuki è deceduta tre giorni fa.” Atsumu incassò il colpo. Lui e Isako erano stati compagni di classe a liceo ed erano usciti insieme per qualche tempo. L’amore che aveva provato per lei non era certamente paragonabile a quello che ora provava per Kiyoomi, eppure non era mai stata “una delle tante”, per lui. Per Atsumu era stata importante.
“È morta?” chiese in un sussurro, quasi non potesse credere alle proprie orecchie. Il signor Kobayashi, ancora, annuì. “Come?” continuò Atsumu, la voce che usciva a malapena.
“Un incidente d’auto.” fu la risposta “È rimasta in ospedale per due giorni. Poi i polmoni sono collassati.” spiegò ancora, grave. “Mi dispiace.” aggiunse infine. Atsumu guardò l’uomo con occhi spalancati, le mani gli tremavano, quindi le congiunse. Non sapeva come sentirsi. Sicuramente era triste; gli dispiaceva per Isako. Quando si erano visti l’ultima volta sicuramente non pensava sarebbe stata l’ultima, e nonostante si fossero allontanati sapere che lei era lì, da qualche parte, a custodire nella memoria i bei momenti che avevano passato insieme come faceva lui gli era in qualche modo di conforto. Nonostante fosse addolorato, tuttavia, davvero non riusciva a capire perché l’avvocato della ragazza fosse in casa sua né perché gli stesse porgendo le sue condoglianze con tanta gravità.
Atsumu deglutì, poi – in assenza di altro da fare – annuì. Fu allora che l’uomo afferrò i fogli che aveva davanti.
“La famiglia della signorina Suzuki ha aperto il testamento ieri, al termine del funerale.” raccontò “Non possedeva molto e tutti i suoi pochi averi passeranno ai suoi figli quando diventeranno maggiorenni. Tuttavia, nel testamento la signorina ha voluto specificare che i suoi gemelli dovranno essere affidati al padre.” fece una pausa “E ha indicato lei come tale, signor Miya.” Atsumu ebbe bisogno di diversi secondi per comprendere appieno quella frase. Quando ci riuscì spalancò gli occhi e saettò lo sguardo dall’avvocato a Kiyoomi nella speranza – forse – che uno dei due gli dicesse che era tutto uno scherzo o che aveva capito male. Il volto di Sakusa era pallido e – come il suo – del tutto esterrefatto. Poi Kobayashi Ennosuke parlò ancora:
“Capisco che per lei possa essere una sorpresa. I signori Suzuki mi hanno spiegato che la signorina Isako si è sempre rifiutata di avvertirla dei gemelli. Questa è una situazione estremamente delicata, tuttavia abbastanza semplice da risolvere.” Atsumu davvero non riusciva a capire come quella situazione avrebbe potuto essere definita semplice, ma lasciò che l’uomo continuasse.
“I nonni materni dei bambini hanno impugnato il testamento e richiedono l’affidamento esclusivo dei nipoti. Gli assistenti sociali sono d’accordo sul fatto che per loro rimanere con i nonni sarebbe la soluzione migliore dal momento che vivono in casa loro dal giorno in cui sono nati. La volontà di Isako, tuttavia, è estremamente chiara ed era nel pieno possesso delle sue sanità mentali quando è deceduta, quindi la soluzione più semplice è che lei vada in tribunale e firmi alcuni documenti con i quali acconsente a cedere totalmente la patria podestà ai signori Suzuki.” l’avvocato lo osservò per qualche secondo senza aggiungere altro ed Atsumu non poté fare altro che deglutire. Percepiva appena Sakusa accanto a lui, rigido ed immobile come una statua di sale. L’alzatore stava sudando freddo e aveva la gola secca. Immaginò che il suo compagno fosse nella stessa situazione.
“È tanto da assimilare.” riuscì a dire alla fine.
“Lo capisco.” fu la risposta di Kobayashi.
Se i nonni dei bambini li amavano tanto da arrivare in tribunale e si erano presi cura di loro sin da quando erano nati, per Atsumu c’era poco a cui pensare: avrebbe firmato quei documenti, tuttavia sapeva che il suo essere genitore non poteva consumarsi solo con quello.
“Quanti anni hanno?” avrebbe potuto fare il calcolo da solo, ma preferì chiedere ugualmente.
“Quattro.” fu la risposta “Sono un maschio e una femmina ed i loro nomi sono Akihiko e Kamiko.” Atsumu ripeté quei nomi diverse volte nella sua testa come fosse un mantra. Aveva ancora tante domande: “Perché Isako non mi ha mai detto niente? Cosa sanno i bambini di me? Credono che io li abbia abbandonati? Perché non si è limitata a lasciare la custodia ai nonni?” i suoi pensieri, però, vennero interrotti dalla voce dell’avvocato:
“Nonostante le parole di Isako prima di procedere con qualunque cosa è necessario effettuare un test della paternità. Se sarà positivo, viste le chiare volontà testamentarie, i bambini dovranno venire a vivere qui con lei per qualche tempo. Naturalmente potrà rifiutarsi, ma in tal caso i bambini dovranno essere portati in un istituito in attesa che le pratiche dei signori Suzuki per l’affidamento vengano verificate.”
“Se invece li portassi qui?” chiese confuso Atsumu “Quanto tempo ci vorrebbe per poter firmare quei documenti e passare la patria podestà ai nonni?”
“Purtroppo la burocrazia non è mai veloce, e qui si sta parlando della vita di due bambini. Gli assistenti sociali dovranno fare molti controlli e così dovremo fare io, l’avvocato dei signori Suzuki e il suo, se ne vuole richiedere uno.” sospirò “Non le mentirò, signor Miya: potrebbe dover tenere i bambini dalle due alle quattro settimane. Tutto dipende da lei e dai signori Suzuki, ma almeno su questo penso che saremo veloci.” Atsumu annuì, poi Kobayashi parlò ancora:
“Se lei è d’accordo manderò un assistente medico a prelevarle la saliva per il test. Va bene oggi pomeriggio?” stava succedendo tutto troppo in fretta, Atsumu non riusciva a ragionare ma si costrinse ad annuire. L’avvocato si alzò e – impacciati – i padroni di casa lo imitarono. Lo accompagnarono alla porta e lì Atsumu gli strinse ancora la mano.
“Mi terrò in contatto.” gli disse “E mi premurerò di mandarle una copia del testamento della signorina tramite mail. Per ogni evenienza questo è il mio numero.” il biglietto da visita fu presto abbandonato sul comò d’ingresso mentre, meccanici come due automi, Atsumu e Kiyoomi tornavano in salotto. Caddero entrambi di nuovo seduti sul divano. Le gambe di Atsumu tremavano e così anche le sue mani. Era sicuro che Kiyoomi fosse nelle sue stesse condizioni. Fissò senza realmente vederlo il vassoio sul tavolino con ancora due tazze su tre totalmente piene di bevanda ormai fredda. Percepiva il suo compagno accanto a sé, eppure non era in grado di guardarlo; non era in grado di dire niente, a stento riusciva a respirare. Fu lo schiacciatore a riscorrersi per primo: allungò una mano ed afferrò quelle tremanti e congiunte di Atsumu. Il biondo sollevò lo sguardo su quello nero pece dell’altro che tuttavia era fisso nel nulla davanti a sé. Non parlò; non ce ne fu bisogno: “Sono con te.” sembrava dirgli con quel gesto.
Restarono seduti in silenzio sul divano per un tempo imprecisato. Zitti e in contemplazione, entrambi rivissero tre, quattro, cinque volte l’intera conversazione avuta con l’avvocato di Isako. Infine, Sakusa si alzò.
“Andiamo a preparare la cena.” Atsumu lo guardò, poi deglutì ed annuì. Non si fidava ancora del tutto delle proprie gambe, tuttavia si fece forza e lasciò il divano. Pulirono le tazze, poi cucinarono insieme.
“Non è ancora detto che sia tu.” sussurrò a un certo punto Kiyoomi. Atsumu annuì ancora ma non riuscì a pronunciare parola. Lo schiacciatore posò il tagliere ed il coltello che aveva in mano e gli si avvicinò. Per la prima volta da molte ore, Atsumu lo guardò negli occhi.
“Comunque andranno le cose ci siamo dentro insieme, okay?” gli disse “Andrà tutto bene. Qualunque cosa accada. Hai capito, Atsumu?” l’alzatore deglutì ancora mentre gli occhi gli si inumidivano.
“Come fai ad essere così coraggioso? Io sto morendo di paura.” Kiyoomi sorrise.
“Ho paura anch’io.” ammise “Ma tu sei stato tante volte forte per me,” Atsumu sapeva che si stava riferendo ai molteplici attacchi di panico che lui aveva dovuto risolvere “adesso è il mio turno di esserci.” il biondo sospirò ed incredibilmente si rilassò.
“Sì,” pensò “lui è con me. Possiamo superare tutto insieme”.
Finirono di preparare il pasto. Atsumu mandò un messaggio sbrigativo ad Osamu per avvertirlo che non sarebbe passato a prendere la cena da lui come gli aveva detto avrebbe fatto. Poi il campanello suonò ancora ed il cuore di Atsumu ebbe un sussulto. Guardò Kiyoomi che tentò di rassicurarlo con lo sguardo. Ci riuscì, così il biondo prese un ampio respiro ed andò ad aprire.
L’assistente medico era una donna giovane e solare. Si scusò subito per l’orario parlando in fretta dei pazzi turni che le avevano affibbiato. Sakusa si tenne in disparte, ma conoscendo il lavoro della donna Atsumu non se ne stupì. La fece accomodare in casa e solo cinque minuti dopo avevano già fatto tutto.
“Manderò immediatamente i campioni in laboratorio. Avrà i risultati entro dopodomani.” Atsumu annuì.
“E poi che succede?” le chiese “Mi porteranno i bambini o…” la dottoressa non sembrò subito capire cosa stesse chiedendo, poi la sua espressione si distese e gli sorrise.
“Non le saprei dire, signore. Non è il mio campo. Che io sappia il laboratorio manderà i risultati per e-mail sia a lei che al suo avvocato, dopodiché sarà lui a contattarla.” Atsumu annuì ancora.
“Grazie.” le disse, lei si chinò leggermente, infine lasciò l’appartamento.
“Ceniamo e andiamo a dormire.” Kiyoomi gli si era avvicinato e adesso gli stava lisciando i capelli con una mano mentre con l’altra gli teneva stretto un fianco. Gli baciò la fronte e sospirò “Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno”.
 
Per tutta la notte entrambi non fecero altro che girarsi e rigirarsi tra le coperte incapaci di prendere sonno. La mattina dopo si alzarono con calma ma ancora del tutto esausti. Si trascinarono in bagno e si lavarono i denti svogliatamente. Afferrarono in fretta degli avanzi pronti dal frigo e si accontentarono di mangiare quelli. Discussero per appena un paio di minuti se saltare o no di nuovo gli allenamenti, ma alla fine appurarono inutile rimanere in casa senza far nulla tutto il giorno e deciso quindi che distrarsi giocando a pallavolo avrebbe fatto bene a entrambi.
Quel giorno le alzate di Atsumu fecero pena e le schiacciate di Kiyoomi non furono da meno. Foster e Meian non mancarono di riprenderli più volte, tuttavia era subito apparso chiaro a tutta la squadra che qualcosa in loro non andasse: il giorno prima avevano saltato un allenamento avvertendo all’ultimo minuto e senza dare spiegazioni e adesso non sembravano loro stessi. Il coach, quindi, decise di essere magnanimo e di esonerarli dagli allenamenti extra che di solito spettavano ai giocatori giù di corda.
Carico di occhiaie e con le spalle ingobbite, Atsumu entrò infine da Onigiri Miya e chiese ad Osamu due porzioni in più così da coprire sia pranzo che cena. Suo fratello non mancò di fare un paio di battute sul suo aspetto, ma il biondo agitò svogliatamente la mano rispondendo che era solo perché era stanco e che comunque rimaneva il gemello più bello.
Gemello. Era il padre di due gemelli.
Rabbrividì.
“Comunque andranno le cose ci siamo dentro insieme”. Sarebbe andato tutto bene.
 
Il giorno successivo andò meglio. La dottoressa gli aveva detto che i risultati dell’esame del DNA sarebbero arrivati quel giorno, quindi fu impossibile per Atsumu rilassarsi, tuttavia gli allenamenti andarono bene ed ebbe anche modo di allenarsi in casa con Sakusa nella loro piccola palestra privata.
Stava correndo sul tapis-roulant quando il cellulare interruppe la sua playlist per l’arrivo di una nuova notifica. Abbassò gli occhi per vedere di cosa si trattasse e non appena lo capì fermò il moto del rullo. La velocità del tappeto diminuì gradualmente fino a fermarsi, poi Atsumu si voltò verso Kiyoomi:
“È il laboratorio d’analisi.” gli disse. Il suo compagno abbassò il manubrio che stava usando e gli si avvicinò a grandi passi. Atsumu aprì l’e-mail con dita tremanti e iniziò a leggere. Scorse velocemente tutta la serie di dati biologici e nomi scientifici che non era nemmeno in grado di capire ed arrivò alla fine della pagina dove a chiare lettere era scritta la traduzione per i comuni mortali: positivo.

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n.a.
ovviamente non ho idea di come funzionino queste cose. Non lo so in Italia, figuratevi in Giappone!! Quindi concedetemi tutto se si parla di affidamento, custodia e quant’altro. Mi serviva per la trama (^^’).
Come per ogni fanfic di Haikyuu ringrazio LorasWeasley per aver collaborato con le idee! Passate anche dal suo profilo!
Ci vediamo la prossima settimana con il secondo capitolo!
xxx

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Capitolo 2

Kobayashi Ennosuke si ripresentò in casa loro la mattina successiva. Spiegò ad entrambi che visto il risultato del test del DNA – e considerato il fatto che Atsumu non aveva nessuna intenzione di mandarli in un istituto – un assistente sociale sarebbe passato a far loro visita per accettarsi che la casa fosse adatta a dei bambini. Gli diedero tre giorni di tempo per renderla tale.
Atsumu sospirò e si guardò intorno non appena la porta d’ingresso fu chiusa alle spalle dell’avvocato.
“Da dove cominciamo?” chiese quasi disperato. Quella casa non era affatto adatta a dei bambini. Prese elettriche esposte, vasi fragili e preziosi negli angoli o in bilico sui comò, spigoli appuntiti e nessuna stanza in cui farli dormire.
Decisero di iniziare comprando dei paraspigoli.
“Qui c’è scritto per neonati.” fece notare Sakusa leggendo la descrizione sulla confezione. “Credi che dovremmo prenderli comunque?” Atsumu scrollò le spalle.
“Zucchero non guasta bevanda, giusto?” ripeté poco convinto il detto che tanto piaceva a sua madre.
“La guasta se non è una bevanda dolce.” l’alzatore sbuffò una risata.
“Non stare a puntualizzare, Omi!” afferrò la confezione dalle mani del corvino e ne prese un altro paio dallo scaffale. Poi portò il tutto alla cassa.
Tornati a casa, aprirono i pacchetti e iniziarono a coprire tutti gli spigoli partendo dal salotto. Si resero conto di non aver comprato la plastica per coprire le prese elettriche, così Atsumu tornò al negozio. Poi si accorsero di aver dimenticato i lucchetti per chiudere i coltelli al sicuro ed uscì una terza volta. Infine, con i paraspigoli ancora in mano, arrivarono alla stanza della palestra. Atsumu guardò il bilanciere con i pesi, la cyclette, i kettlebell, il climber, l’ellittica e si accasciò già stanco allo stipite della porta.
“Se questa stanza la tenessimo semplicemente sempre chiusa?” propose, Sakusa non rispose, quindi si voltò a guardarlo. Lo schiacciatore stava fissando la stanza e sembrava non averlo sentito. Poi però rispose:
“Dovremo sbarazzarci di tutto.”
“Sbarazzarci di che??” urlò incredulo Atsumu. Solo allora il corvino si voltò a guardarlo. Sorrise divertito.
“Non intendo buttare gli attrezzi, ma quantomeno spostarli. È l’unica stanza di cui possiamo fare a meno. Se troviamo un posto a tutto potremmo comprare due futon e fare stare qui i bambini.” Atsumu sospirò e tornò a guardare la palestra. Quella era la stanza che amava di più, eppure non c’era altra soluzione.
“Ma dove metteremo tutto quanto? E poi come faremo a spostarli?”
“Potremmo fare spazio in lavanderia e anche nello sgabuzzino.” propose lo schiacciatore “I dischi e i kettlebell potremmo infilarli nel nostro armadio e potremmo mettere i manici per i piegamenti sotto il letto.” Atsumu annuì.
“Allora tu prepara la cena mentre io sistemo quel disastro di sgabuzzino.”
“Ti aiuto.” ma Atsumu rise.
“Tesoro, da quanto tempo non metti piede lì dentro? È sporco da far paura! Ci penso io, d’accordo?” glielo chiese, ma non aveva nessuna intenzione di accettare un no come risposta. Kiyoomi annuì ed Atsumu sorrise.
“Voglio sushi con tonno grasso per cena.” fece dandogli una pacca sulla spalla mentre si dirigeva in camera da letto per mettersi abiti più comodi.
“Perché invece non prendi la cena da asporto da tuo fratello e non gli chiedi di aiutarti con lo sgabuzzino?” propose l’altro seguendolo. Atsumu si voltò verso di lui e valutò l’idea. Sapeva perché Kiyoomi glielo stesse suggerendo. Per quanto lo schiacciatore fosse ormai la persona più importante della sua vita, Osamu era Osamu. Faceva parte indissolubilmente di lui; c’era sempre stato quando più Atsumu ne aveva bisogno ed era in grado di leggerlo e capire come aiutarlo in meno di un minuto.
Annuì. Prese l’ordinazione di Kiyoomi, infilò scarpe, giubbotto ed uscì di casa.
La posizione del loro appartamento era perfetta: quindici minuti a piedi dalla palestra dei Black Jackals e dieci da Onigiri Miya. Camminare gli fece bene.
Entrò nel ristorante con non poco chiasso facendo tintinnare forte le campanelle in cima alla doppia porta. Si sedette sul suo solito sgabello e da lì si accasciò sul bancone. Osamu lo vide e sbuffò:
“Oi, Tsumu.” venne chiamato “Ho avuto un brivido lungo la schiena, ieri. Che cazzo hai combinato?” Atsumu sospirò rumorosamente prima di rispondere.
“La cazzata l’ho combinata quattro anni fa, Samu.” fece una pausa e poi si corresse a bassa voce: “Anzi cinque considerati i nove mesi di…” non riuscì neanche a finire la frase. Se Osamu aveva sentito l’ultimo sussurro non lo diede a vedere, tuttavia aspettò paziente che il fratello confessasse l’ultimo guaio in cui si era cacciato. I clienti erano pochi, quindi lo chef ebbe tutto il tempo di concentrarsi su di lui. Attese in silenzio preparando gli onigiri preferiti di Atsumu ripieni di tonno grasso e quelli di Sakusa con gli umeboshi, e fu solo quando ebbe finito ed incartato il tutto che finalmente Atsumu si decise a sollevarsi dal bancone e a guardarlo negli occhi.
“Ho scoperto di avere due figli di quattro anni, Samu.” sin da quando avesse memoria Atsumu era sempre stato un ragazzo ironico e sarcastico. Erano molti, troppi quelli che lo prendevano sul serio nel momento sbagliato e viceversa, ma non Osamu. Non suo fratello. Lui era sempre riuscito a capire con un solo sguardo quando diceva sul serio. Dopo aver pronunciato quelle parole, Atsumu poté vedere gli occhi grigi del suo gemello spalancarsi e poi congelarsi. Le labbra gli si allargarono leggermente e un sospiro incredulo gli sfuggì da esse. Fu la risata di Suna a distogliere l’attenzione del biondo dal viso pietrificato di suo fratello.
“Sono Bokuto e Hinata?” gli chiese divertito. Atsumu buttò fuori una breve risata isterica al pensiero che effettivamente se la sua vita non fosse stata sconvolta da un, o meglio due uragani quella di avere due bambini di quattro anni e identificarli nei suoi più scalmanati compagni di squadra sarebbe stata una buona e del tutto plausibile battuta.
“No,” rispose però con ancora mezzo sorriso isterico sulle labbra “in effetti si chiamano Kamiko e Akihiko e sono figli di Suzuki Isako. Ve la ricordate?” alternò lo sguardo dall’uno all’altro senza riuscire a decidere se essere disperato e sconvolto come loro o divertito delle identiche reazioni che stavano mostrando. Fu Suna il primo a riprendersi.
“Cazzo.” aveva esclamato per poi voltarsi verso Osamu “Sta dicendo sul serio?” volle chiedere conferma.
“È serio.” fu la risposta.
“Allora devo recuperare un bel po’ di numeri.” pensò ad alta voce Rintarou “Avevo scommesso una bella sommetta al liceo che tuo fratello avrebbe messo incinta qualcuna. Diventeremo ricchi, amore.” lasciò un bacio a stampo sulle labbra di Osamu che però ancora non si decideva a muoversi.
“Che cazzo hai fatto, Tsumu!” chiese per la seconda volta. Il biondo sospirò ed iniziò a raccontare. Mezz’ora più tardi Osamu aveva lasciato le chiavi del ristorante a Suna pregandolo di occuparsi degli ultimi clienti ed aveva seguito Atsumu nel suo appartamento. Grazie al suo aiuto, la mattina successiva lo sgabuzzino era pronto.
 
“Hai un aspetto da far schifo, Tsum-Tsum!” lo prese in giro Bokuto quando si presentò con Kiyoomi agli allenamenti del pomeriggio.
“Lo so, Bokkun!” fu la sua risposta risentita “Stiamo facendo alcuni lavori in casa.”
“Ah sì?? E quali?” avere amici così tanto estroversi a volte poteva rivelarsi essere un fardello. Lanciò un rapido sguardo verso Sakusa, infine decise di rispondere con sincerità:
“In effetti potrebbe servirci una mano per spostare qualche attrezzo…” disse, sicuro che tutta la squadra da lì a poco si sarebbe proposta volontaria “dobbiamo liberare la palestra per renderla la stanza di due bambini.”
Se dirlo ad Osamu aveva fatto abbassare la temperatura della stanza, farlo adesso fu come sganciare una bomba. Atsumu sapeva bene che il tono perennemente alto di Bokuto avrebbe fatto in modo che la loro conversazione fosse ascoltata da più persone, eppure non si aspettava che “più persone” volesse dire “l’intera palestra MSBY”. Bokuto spalancò gli occhi e urlò di sorpresa. Il secondo fu Hinata che corse rapido verso di loro urlando:
“Bambini? Quali bambini? Avete dei bambini?” presto tutti i titolari, le riserve, gli allenatori e gli addetti alle pulizie li stavano circondando. Atsumu si ritrovò a sollevare le mani in segno di resa mentre Kiyoomi sbiancava sempre di più per l’improvvisa confusione.
“Calmi, calmi tutti!” provò senza ottenere successo.
“Congratulazioni!” gli arrivò l’urlo di Inunaki;
“Sono felice per voi!” quello di Tomas;
“Ve ne pentirete presto!!” le risate di Barnes. Atsumu provò ancora a chiamare il silenzio, ma fu solo supplicando Meian con lo sguardo che riuscì ad ottenerlo.
“D’accordo, d’accordo adesso basta. Sentiamo cos’hanno da dire i nuovi papà!” l’intera palestra si zittì e Atsumu poté sospirare.
“Grazie, Capitano.” osservò gli occhi curiosi e brillanti della squadra e si grattò la testa imbarazzato. “La situazione è questa…” iniziò “non adotteremo dei bambini. Bokuto, abbassa quel telefono!” Atsumu era più che certo di averlo detto troppo tardi e che quindi ormai almeno Akaashi fosse stato informato della novità.
“La situazione è complicata, ecco… diciamo che dovremo ospitarli solo per qualche settimana.” si sarebbe spiegato meglio una volta a casa. Non aveva voglia che gente con cui aveva poca confidenza sapesse nel dettaglio quello che stava passando.
“Quindi? A qualcuno va di darci una mano?” non si stupì affatto di sentir dire a Hinata, Bokuto, Meian, Inunaki, Tomas e Barnes che potevano contare su di loro.
 
“Ora ci spieghi da cosa vi è venuto di prendere in affidamento due gemelli?” Tomas aspettò giusto il tempo che la porta di casa fu chiusa alle loro spalle per tornare all’attacco. Atsumu sospirò e guardò verso Sakusa. Indossava ancora la mascherina, ma ormai al biondo bastavano i suoi occhi per capire cosa stesse pensando. Si prese del tempo prima di rispondere al centrale; disse gentilmente a tutti di igienizzarsi le mani e chiese chi volesse il caffè e chi il thè. Fu solo quando tutti furono in salotto che lui e Kiyoomi raccontarono come stavano le cose.
“Cazzo.” fu il commento poco fine (e subito ripreso da Meian) di Barnes “E a te sta bene, Sakusa?” Oriver – insieme ad Atsumu – era sempre stato quello con meno peli sulla lingua tra loro. L’alzatore sapeva bene a cosa si stesse riferendo con quella domanda: la misofobia. Avere in giro per casa due bambini di quattro anni non era certo come avere a che fare con due neonati, ma era innegabile che anche a quell’età avrebbero urlato e sporcato ovunque. Atsumu lo sapeva; una parte di lui non aveva smesso di pensarci da quando Kobayashi aveva lasciato quell’appartamento per la prima volta, eppure non aveva avuto il coraggio di affrontare l’argomento.
“Comunque andranno le cose ci siamo dentro insieme.” gli era bastato quello per convincersi che sarebbe andato tutto bene, ma era solo un auto-inganno atto a non farlo impazzire.
“Me la caverò.” rispose un attimo dopo il corvino cercando di infondere sicurezza nella propria voce. Atsumu gli sorrise fiero e riconoscente.
“E io lo aiuterò.” disse.
“Lo fai sempre.” si persero l’uno nello sguardo dell’altro per qualche secondo, poi Inunaki si schiarì la gola e loro tornarono alla realtà. Finirono chi il thè chi il caffè tra risate e battute poco sottili sulla paternità. Spiegarono meglio a Bokuto come Atsumu facesse ad avere dei figli biologici mentre lui ed Akaashi non potevano. Infine, si trasferirono in palestra e iniziarono a smontare gli attrezzi.
“Ogni vite tolta è un colpo al cuore.” si lamentò Atsumu.
“Rifletti su questo la prossima volta che andrai a spargere sperma in giro!” continuavano a sprecarsi le battute. L’alzatore guardò Barnes e gli rispose con una molto matura linguaccia. Poi si voltò verso Sakusa e gli sorrise teneramente. Nessuno di loro poteva seriamente pensare che Atsumu sarebbe di nuovo andato in giro a spargere sperma.
Continuarono a smontare pezzo dopo pezzo la palestra. Conservarono i pesi nell’armadio, il tapis-roulant e la cyclette smontati nello sgabuzzino e così anche il bilanciere e il climber. Infine, furono costretti a chiedere agli amici di tenere il resto.
“Quindi va bene se portiamo l’ellittica a casa tua, Capitano?”
“Nessun problema.” fu la risposta di Meian “Ho ancora un po’ di posto in casa dove metterla.” fu allora che Bokuto e Hinata si infervorarono:
“Cosa?? Allora io voglio la panca multifunzione!!” urlò il più grande.
“E io prendo il vogatore!!” il più piccolo.
“Ragazzi! Non stiamo regalando gli attrezzi! Dovete solo tenerceli per qualche settimana.” Atsumu smontò subito il loro entusiasmo facendo afflosciare i capelli di Bokuto e mettere il broncio ad Hinata.
“Voglio dire…” aggiunse sentendosi in colpa “potete anche montarli ed usarli, nel frattempo, ma poi-”
“Davvero?” non lo lasciò finire Shoyo “Davvero possiamo, Tsum-Tsum?” l’alzatore si ricordò della battuta di Suna e si chiese se due bambini di quattro anni potessero essere peggio di loro.
“Nessun problema.” confermò sorridendo.
“State scherzando, vero??” arrivò il commento di Inunaki “Non voglio neanche immaginare quante volte ci abbiano scopato sopra.” Atsumu arrossì violentemente e fece finta di non sentire in modo da non dover rispondere. Tutta la squadra si ammutolì e dopo pochi secondi iniziò a ridere sotto i baffi.
“Be’, sono bravo a pulire.” mormorò Kiyoomi facendo definitivamente scoppiare tutti a ridere. Hinata e Bokuto, comunque, non si lasciarono convincere dal loro libero e si portarono a casa un paio di attrezzi ciascuno. Entro la sera successiva la palestra fu sgomberata del tutto e i futon messi al loro posto al centro della stanza.
Atsumu guardò la camera e sospirò.
“Domani verrà l’assistente sociale.” disse sovrappensiero. Con la coda dell’occhio vide Sakusa annuire. “E poi dovremo andare a prendere i bambini…” continuò con più ansia nella voce. Sakusa annuì ancora. Atsumu si voltò verso di lui.
“Ho così paura, Omi.” l’altro lo abbracciò.
“Cosa pensi che dovrei dire io?” rispose alleggerendo le parole con una risata. Atsumu sollevò le braccia e lo strinse forte di rimando.
“Possiamo farcela.” sussurrò.
Possiamo farcela.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

Capitolo 3

n.a.
Ho scoperto solo dopo aver iniziato a scrivere questa long che la sede dei Black Jackals è ad Osaka e non a Tokyo… ma mi serviva che casa loro fosse molto distante da quella dei gemelli, quindi ho lasciato così.
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Miya non si era mai sentito tanto sotto esame quanto nel momento in cui gli assistenti sociali misero piede in casa loro. Erano un uomo e una donna, e se il primo sembrava accomodante, tutt’altro era la seconda. Atsumu davvero non capiva come una casa potesse dir loro se lui e Sakusa erano pronti a prendersi cura di due bambini. “Davvero basta solo un po’ di DNA e la parola della madre per toglierli dalla casa in cui sono cresciuti?” si tenne per sé i propri pensieri mentre seguiva gli assistenti per tutto l’appartamento. Impiegarono molto tempo ad esaminare ogni minimo dettaglio della casa, ma i giocatori avevano messo tutto in sicurezza, e poi c’erano la mania per l’ordine e la pulizia di Kiyoomi.
“È tutto in regola.” concesse la donna a fine visita “Manca solo il cibo per i bambini.” Atsumu e Kiyoomi si scambiarono uno sguardo: non ci avevano pensato.
“Sì.” rispose il biondo “Andremo a fare la spesa tra un paio d’ore.” la sua interlocutrice annuì soddisfatta.
“I rialzi per legargli la cintura di sicurezza in auto vi saranno forniti dai nonni. Inoltre, i bicchieri di vetro che avete voi potrebbero essere potenzialmente pericolosi se gli cadessero dalle mani. Dovreste comprarne un paio in plastica rigida o ancora meglio in alluminio.” Atsumu annuì ancora mentre Sakusa si appuntava cosa comprare nelle note del cellulare.
“È stato un piacere non dover bocciare due persone capaci al primo tentativo.” sorrise l’uomo. I padroni di casa risposero con due sorrisi tirati, poi il biondo strinse la mano che l’assistente gli stava porgendo e fece loro strada verso la porta.
“Passeremo nei prossimi giorni per vedere come stanno i bambini.” disse l’uno.
“Buona giornata.” concluse l’altra.
“La prima cosa è andata, giusto?” chiese poco convinto Atsumu non appena la porta venne chiuse. Il corvino rispose con un sospiro.
 
Poche ore più tardi Kiyoomi andò in un negozio di utensili per casa e comprò le stoviglie necessarie per i bambini mentre Atsumu faceva la spesa. Un’ora dopo ancora, si stavano scaldando con il resto della squadra nella palestra dei MSBY.
Quel pomeriggio i Black Jackals si allenarono poco e spettegolarono molto. Atsumu e Kiyoomi si erano presentati con una bottiglia di latte intero per ciascuno e lo schiacciatore si divertì non poco a spiegare a cosa fosse dovuta quella novità:
“Quindi mentre io compravo bicchieri e piatti leggeri, Atsumu è andato a comprare il cibo e quando sono tornato a casa-” iniziò a raccontare con espressione divertita, ma l’alzatore lo interruppe urlando indignato.
“Insomma! I bambini bevono il latte, no??”
“Potrebbero berne una tazza a colazione! Adesso a casa abbiamo scorte per mesi!”
“Sentiamo allora, tu cosa avresti preso?” Kiyoomi esitò e Atsumu ghignò soddisfatto.
“Dell’omogenizzato, forse? Gli ingredienti per fare qualche zuppa, del riso bianco…” l’alzatore ebbe giusto il tempo di pensare che quella era sicuramente un’idea migliore della sua quando le risate dei loro compagni più anziani attirarono tutta l’attenzione dei presenti.
“Ragazzi!” li chiamò Barnes tra le lacrime “I bambini a quattro anni hanno già messo i denti e mangiano di tutto!” Atsumu spalancò indignato la bocca e urlò ancora.
“Allora perché diamine quella donna ha detto che ci mancava il cibo per i bambini?”
“Voi cosa avete in casa?” chiese Meian tranquillo ma senza riuscire a nascondere il divertimento. Atsumu fece mente locale, poi rispose:
“Curry, sushi, pizzette surgelate, companatici…” iniziò ad elencare “quei peperoncini piccanti messicani…”
“i jalapeño.” lo aiutò Sakusa, Atsumu annuì e poi continuò:
“gli umeboshi… e anche qualche hamburger.”
“Anche quelli sono piccanti.” specificò il suo compagno.
“Giusto.” si voltarono verso il capitano che però – come Barnes – si limitò a fissarli di rimando.
“Cavolo,” disse dopo un po’ “non avete niente che non sia in scatola o piccante?” chiese ridendo.
“Ci pensa Samu a farci mangiare sano! E poi mi piace il piccante. Che male c’è?” il biondo mise il broncio ed incrociò le braccia. Poi coach Foster li richiamò:
“Miya, Sakusa, nel mio ufficio.” i due lasciarono mesti il resto della squadra e seguirono l’uomo a testa china.
“Siamo mortificati, coach.” disse Kiyoomi non appena raggiunsero la stanza “Stiamo distraendo la squadra dagli allenamenti, ce ne rendiamo conto…” nel frattempo Foster aveva fatto il giro della scrivania e si era seduto. Li guardò confuso per un attimo prima di riuscire a rispondere:
“Cosa? No! Non c’entra niente. Sedetevi.” indicò le sedie di fronte a lui “Vi serve un corso accelerato su come tenere dei bambini.” i due giocatori si scambiarono un’occhiata sorpresa.
“Partiamo per Hyogo domani…” avvertì il biondo in ansia mentre si sedeva come gli era stato detto di fare.
“Vorrà dire che chiameremo i rinforzi.” fu la risposta dell’uomo. Venti minuti più tardi sua moglie stava entrando nello studio ed Atsumu e Sakusa scrivendo a più non posso appunti su come metterli a letto, cosa fargli mangiare e quanto essere tolleranti.
Mentre il resto della squadra finiva l’allenamento nella palestra poco distante, Atsumu prese a ricapitolare tutti i punti più importanti:
“Non fargli ingerire zucchero la sera, metterli a letto verso le nove, non dargli da mangiare troppi cibi confezionati, non perderli di vista per troppo tempo.” i coniugi Foster annuirono soddisfatti ed Atsumu sospirò rumorosamente. Scorse con gli occhi anche la lista dei piatti da cucinare. La moglie del coach aveva suggerito ricette molto semplici, così che anche loro potessero riuscire a prepararle senza problemi.
L’uomo più anziano si alzò e così fecero gli altri.
“La squadra dovrebbe avere finito.” Atsumu e Kiyoomi annuirono.
“Grazie, coach.” disse il biondo commosso.
“Quando volete, ragazzi”. Pochi minuti dopo erano a farsi una veloce doccia e a salutare il resto dei compagni.
“In bocca al lupo!”
“Buona fortuna!”
“Fateci sapere!” venne loro detto. Il giorno dopo afferrarono una valigia e vi misero dentro un paio di cambi.
“Sei pronto?” No, non lo era, ma si costrinse ad annuire mentre apriva la portiera dell’auto e si sedeva al posto del passeggero. Ci sarebbero volute sette ore di macchina da Tokyo a Hyogo; sarebbero arrivati tardi e avrebbero dormito a casa di sua madre prima di andare a prendere i bambini dalla famiglia Suzuki. Atsumu – si ripeté tra sé poco convinto – avrebbe avuto tutto il tempo di prepararsi durante quel lungo lasso di tempo.
Passarono cinquanta minuti in relativa tranquillità a chiacchierare con tono leggero di sciocchezze varie con la radio in sottofondo prima che Sakusa toccasse il tasto dolente:
“Sei sicuro di non volerlo dire a tua madre?” ne era stato sicuro all’inizio, quando aveva preso quella decisione, ma ci aveva già pensato Osamu a fargli venire mille dubbi.
“Non voglio che si complichino le cose.” disse al corvino come aveva detto a suo fratello “Se sapesse di loro probabilmente non accetterebbe che i nonni materni se ne prendessero l’affidamento esclusivo e io…” sospirò “insomma, noi viviamo a Tokyo! Quale sarebbe la soluzione? Affidamento congiunto tra nonni materni e nonna paterna?” scosse il capo “I bambini hanno già perso loro madre… non voglio sconvolgergli la vita più del necessario.” Kiyoomi annuì.
“È una tua decisione, e io la rispetto.”
“Ma non la condividi.” ipotizzò ad alta voce. Sakusa sospirò.
“Penso solo che prima o poi tua madre lo verrà a sapere ed allora non reagirà bene. Però hai ragione, dobbiamo pensare prima di tutto alla tranquillità dei gemelli.” sapere che Kiyoomi la pensava come lui gli fece piacere e lo aiutò a rilassarsi.
“Grazie, Omi.” sorrise.
“Ho solo detto la verità”.
Tornarono a parlare di altro; Atsumu schiacciò un pisolino e poi diede il cambio a Sakusa alla guida. Erano a due ore da Hyogo quando il discorso tornò ancora:
“Parlami di lei.” disse a un certo punto Kiyoomi “Com’era Suzuki Isako?” Atsumu buttò uno sguardo fugace al proprio compagno prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
“Era fantastica.” non c’era motivo di mentire “A scuola non avevo molti amici. Gli unici con cui interagivo erano i miei compagni di squadra, ed anche con loro comunque non avevo moltissima confidenza al di fuori della palestra. Le uniche eccezioni erano Suna e Kita.” questo Sakusa lo sapeva bene: Osamu non aveva mai perso occasione di prendere in giro Atsumu per la sua scarsa popolarità da liceale. L’alzatore sbuffò fuori una risata:
“Certo,” continuò “le ragazze non mi mancavano, ma scappavano tutte via non appena iniziavano a conoscermi un po’.”
“Idiote.” sbuffò Kiyoomi. Atsumu rise.
“Non Isako, comunque. Siamo finiti nella stessa classe in terzo liceo e dopo un paio di settimane è venuta da me per qualche dritta sulla pallavolo.” guardò in fretta verso lo schiacciatore “Sai che quella è la strada più veloce per fare colpo su di me.” sorrise sbieco, poi tornò a guardare la strada. “Siamo diventati amici e poi abbiamo iniziato a frequentarci. Siamo stati insieme per circa un anno.” si interruppe.
“Poi cosa accadde?” Atsumu sorrise imbarazzato.
“Be’, lei ha iniziato a frequentare l’università e io sono entrato nei Black Jackals. Abbiamo provato a mantenere il rapporto a distanza per un po’… lei è venuta a molte mie partite.” Kiyoomi sbuffò una risata.
“Stai iniziando a tentennare, Atsumu. Che cosa hai combinato?” il biondo lo guardò storto, ma non negò la propria colpevolezza.
“All’epoca ancora tu non eri in squadra, ma sai come sono fatto… ho iniziato ad avere sempre più tifosi e, be’, tifose. Mi pavoneggiavo un po’ troppo e a Isako dava fastidio. Me lo diceva ad ogni partita, ma io continuavo.” fece una pausa “Sono stato proprio un coglione, vero?”
“A fare il cascamorto con altre mentre la tua ragazza di Hyogo guardava? Decisamente sì.” Atsumu mugolò.
“Già…” disse flebile. “Ci siamo lasciati pochi mesi più tardi. L’anno successivo sono andato a trovare mia madre per le feste e l’ho rivista. Siamo… ecco… stati insieme per una notte e poi non mi sono più fatto sentire. Quella è stata l’ultima volta.” Sakusa sospirò esasperato.
“Hey! Non è che lei si sia comportata diversamente non chiamandomi! Dove sta scritto che avrei dovuto essere io a farmi sentire?” il corvino si limitò a fissarlo poco convinto, ma non disse nulla.
“I suoi genitori li hai mai incontrati?” Astumu scosse il capo “L’ho accompagnata diverse volte davanti casa, ma non ha mai voluto farmi entrare. Mi ha sempre detto che i suoi genitori erano troppo pallosi e che sarebbe stata una noia farmeli conoscere. Cose del genere. È sempre stata molto riservata sulla sua famiglia”.
L’argomento si esaurì lì e poco dopo stavano bussando alla porta della sua casa d’infanzia.
“Tsumu!!” dopo tanti anni passati a essere chiamato in quel modo da Osamu, era inevitabile che anche sua madre sarebbe stata contagiata. La abbracciò.
“Ciao, mamma!” sorrise e le depositò un bacio tra i capelli.
“Izumi,” la salutò anche Sakusa quando si separò dal figlio “buonasera. Ti trovo bene.”
“Kiyoomi, è sempre un piacere rivederti!” con tutta quella strada da fare era raro che succedesse, ma Atsumu era felice di poter dire che il suo ragazzo aveva subito fatto colpo su di lei. Farli passare a chiamarsi per nome non era stato complicato.
Entrarono in casa e subito vennero accolti dal profumo del passato. L’alzatore inspirò profondamente: detersivo al limone, spray per ambienti alla lavanda e pollo arrosto che cucinava.
“Mi è mancato questo odore.” disse sorridendo ad occhi chiusi. Sua madre lo accarezzò sulla schiena.
“La cena è quasi pronta, perché non andate a posare la borsa di sopra?” iniziarono a fare strada insieme su per le scale.
“Vi ho preparato la mia stanza, io dormirò nella vostra, Tsumu.”
“Cosa?” chiese con fin troppo impeto “Credevo che avremmo dormito noi nella mia vecchia camera.”
“Vuoi fare dormire Kiyoomi nel letto a castello? Starete più comodi nel letto matrimoniale.” a quel punto Atsumu si arrestò per guardare meglio sua madre.
“Mamma, è raccapricciante! Non dormirò con il mio compagno nel tuo letto.” lei aprì la bocca per controbattere ma Atsumu non glielo permise “Niente discussioni, ti prego!” riprese a camminare, aprì la porta della sua vecchia stanza e poggiò il borsone sulla scrivania.
“Io sto sopra!” ghignò Atsumu.
“Goditi quella posizione finché puoi.” ribatté Kiyoomi divertito. Atsumu capì subito l’allusione sessuale, ma se lo schiacciatore era rimasto sul vago per la presenza di sua madre, lui non aveva intenzione di farlo.
“Sai bene che godo di più quando sto sotto…” sussurrò lascivo. Sakusa arrossì e sua madre spalancò occhi e bocca prima di dargli un potente colpo sul braccio.
“Miya Atsumu! Non volevo saperlo!!” poi uscì a grandi passi. Risero entrambi.
“Sei incorreggibile.”
“Mmh,” mormorò il biondo “però ti piaccio così.” gli si avvicinò e si baciarono.
Fecero in fretta la doccia (due separate, sotto obbligo di Kiyoomi) e raggiunsero sua madre in cucina. La aiutarono ad apparecchiare e in men che non si dica erano tutti con un’abbondante porzione di pollo allo spiedo davanti.
“Che novità ci sono a Tokyo?” partì subito sua madre. Atsumu finì con calma di masticare prima di rispondere.
“Solite cose…” si sentì tremendamente in colpa “ci alleniamo con la squadra, ogni tanto usciamo a fare baldoria…”
“E di Samu che mi dici?”
“Il suo ristorante va alla grande! Tutto merito della mia immagine, ovvio.” Kiyoomi sbuffò e sua madre rise.
“Non vorrei dirtelo, tesoro, ma credo che sia Rintarou a fargli più pubblicità di te.”
“Sunarin?” chiese Atsumu indignato, poi ci pensò meglio e sollevò appena le spalle “Sì, ha senso.” Izumi rise.
“Qualche settimana fa ho visto che grazie a lui l’hashtag onigiriMiya è entrato su Tendenze!”
“Ah già…” pensò Atsumu con ansia “dimenticavo quanto fosse patita di Twitter.” sarebbero dovuti stare molto attenti o presto avrebbe scoperto dei gemelli e lo avrebbe ucciso.
“Ho visto anche che voi e la squadra di Rintarou avete giocato un’amichevole!” continuò entusiasta.
“Sì. Le nostre palestre non sono troppo distanti, quindi non è raro.”
“Magari potrei venire a trovarvi uno di questi giorni…” pensò ad alta voce la donna “è da tanto che non faccio un giro a Tokyo.” Atsumu si irrigidì. L’ultima cosa che voleva era che sua madre gli spuntasse senza preavviso davanti la porta di casa.
“Non conviene molto in questo periodo…” l’alzatore si sentì meschino “magari quando farà più caldo. E poi durante le feste si riempie di turisti. Magari è meglio aspettare gennaio o febbraio.” sua madre sembrò perdersi d’animo, quindi subito Atsumu tentò di rimediare:
“Che cos’altro hai visto su Twitter?” tornò a sorridere eccitata.
“Tengo sempre d’occhio le Tendenze per vedere se compare uno di voi, e volete sapere cosa c’era al numero 36 l’altro giorno?” i giocatori attesero che continuasse, ma Atsumu capì subito non potesse essere niente di buono dalla sua espressione.
“#lecoscediSakusaKiyoomi” rise di gusto mentre Atsumu saettava lo sguardo sul suo compagno e questi arrossiva.
“Fa vedere!” aveva lasciato il proprio cellulare di sopra, quindi afferrò quello di sua madre e cercò l’hashtag mentre lei aggiungeva:
“È stato parecchio divertente leggere i commenti.” Atsumu scrollò le foto sbiadite scattate dal pubblico da lontano e i post in merito alle cosce del suo ragazzo e rimase senza parole.
“Ecco il magico mondo di Twitter…” si ritrovò a mormorare.
“E poi ieri,” continuò sua madre “il tuo amico Bokuto ha postato una vostra foto troppo carina che ha raggiunto migliaia e migliaia di like e reblog!” Atsumu cercò subito “l’amico” solo per confermare di aver fatto bene ad averlo giudicato tale solo tra virgolette. Tra la miriade di selfie con Hinata e gli scatti a sgamo rubati ad Akaashi, c’era una loro foto scattata negli spogliatoi della palestra MSBY. Erano l’uno a pochissimi millimetri dall’altro, si stavano fissando le labbra a vicenda mentre una mano di Atsumu era appena sotto la maglietta di Kiyoomi e questi gli stringeva il fondoschiena con possesso. Era al limite dell’intimità. L’alzatore fissò lo schermo per diversi secondi prima di decidersi a passarlo a Sakusa che poi lo passò – imbarazzato – di nuovo a sua madre. Non sapeva se picchiare o abbracciare Bokuto. Quella foto era bellissima, ma non da postare sui social! In ogni caso si ripromise di salvarsene una copia non appena avrebbe ripreso il cellulare in mano.
La cena proseguì serena e divertente. Con sua madre che riportava tutti i pettegolezzi che aveva trovato su Twitter e con loro che ad ogni sua domanda rispondevano che ne sapeva più lei grazie ai social che loro che vivevano a Tokyo. Scoprirono quindi che Suna aveva portato Osamu sul monte Fuji il finesettimana scorso; che l’amico brasiliano di Hinata era andato a trovarlo e che Kita era stato in Cina con sua nonna. Rientrati in camera, Atsumu si buttò sul letto di Osamu – il più accessibile – e sospirò.
“Tua madre fa quasi paura.” Kiyoomi disse ad alta voce quello che anche lui pensava “Insomma, sapevo che era un’appassionata di gossip, ma non fino a questo punto!” era arrivata persino a raccontare loro cosa aveva fatto Komori il giorno prima!
“Può andare solo a peggiorare.” rispose sconsolato “Infatti sappiamo tutti chi è il suo figlio preferito.” Kiyoomi ci pensò giusto un attimo.
“Suna?” disse.
“Esatto.” confermò lui. Stettero in silenzio per qualche secondo.
“Dovremo stare molto attenti, lo sai?” l’alzatore sbuffò ancora.
“Lo so.” disse già pentendosi della decisione di tenerle tutto segreto.

____________________________________________
n.a.
piccola precisazione (anche se un po’ scontata): mi sono inventata molti nomi di personaggi tra cui la madre dei gemelli Miya, l’avvocato, i figli di Atsumu, loro madre e i loro nonni materni.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
xxx

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

Capitolo 4

Quando aveva detto “Ti Amo” a Kiyoomi per la prima volta il cuore di Atsumu aveva preso a correre impazzito, tanto che non aveva creduto possibile potesse andare più veloce fino a quando – pochi giorni dopo – anche Sakusa aveva detto di amarlo. Il suo battito aveva accelerato talmente tanto da rendergli difficile persino respirare, tuttavia era stata una sensazione bella; la migliore che avesse mai sperimentato.
Adesso, il cuore gli batteva impazzito, lo stomaco gli faceva male e le mani gli tremavano.
“Sono patetico, vero?” chiese a Kiyoomi senza voler davvero sentire una risposta mentre si sistemava con gambe insicure al posto del passeggero.
“Non sei patetico.” cercò di tranquillizzarlo il corvino “È normale essere nervosi.” peccato che lui se la stesse facendo letteralmente sotto dalla paura.
Abbassò il finestrino ed agitò ancora una volta la mano verso sua madre. Miya Izumi aveva tentato di convincerli a rimanere almeno un’altra notte, ma per ovvie ragioni avevano dovuto rifiutare. Le avevano detto quindi che l’indomani mattina avrebbero avuto degli allenamenti importanti; Atsumu l’aveva baciata sulla guancia ed infine lasciata sul pianerottolo.
“Non mi sono mai sentito tanto in colpa.” disse a Kiyoomi mentre dallo specchietto retrovisore osservava la figura di sua madre che andava rimpicciolendosi.
“Lo fai per il bene dei gemelli.” Atsumu sospirò.
“Giusto.” se lo dovette ripetere tre volte perché se ne convincesse.
 
Casa Suzuki non era troppo distante da quella Miya. Ci arrivarono in dieci minuti di auto. Due giorni prima l’avvocato Kobayashi gli aveva chiesto il permesso di inoltrare il loro contatto telefonico al signore e alla signora Suzuki, ed era stato attraverso quello che i genitori di Isako li avevano invitati a rimanere per pranzo prima di portare via i bambini. Sakusa parcheggiò di fronte alla villa ed insieme sospirarono.
“Sei pronto?” Atsumu aveva avuto tutto il viaggio da Tokyo fino a Hyogo e poi una notte intera nella sua vecchia camera per esserlo. Tuttavia, no non era pronto.
“Cambierebbe qualcosa se dicessi di no?” sorrise tirato. Kiyoomi gli si avvicinò e gli lasciò un bacio sulle labbra.
“Puoi farcela. Io sono qui.” gli sussurrò, quindi Atsumu annuì risoluto.
Scesero dalla macchina e – tremanti ed emozionati – presero a salire il vialetto.
Sembrò passare un’eternità da quando Atsumu suonò il campanello a quando venne loro aperto. Sulla porta apparve una signora sulla sessantina, bassa e magra ma ben curata. I capelli ben acconciati, i gioielli esposti ma non esagerati, il trucco moderato. Non appena li vide sorrise:
“Lei deve essere Miya.”
“La prego, mi dia del tu.” le tese la mano che venne stretta “Sono Atsumu.” la signora Suzuki si fece da parte per farli entrare, poi strinse la mano anche a Kiyoomi che – si accorse solo in quel momento Atsumu – stava indossando ancora i guanti con i quali aveva guidato. Il biondo guardò il compagno con aria furba e lui ricambiò con la stessa espressione. Subito dopo arrivò il signor Suzuki e ripeterono la scena. Il padre di Isako era impostato, con la barba e curato nell’aspetto almeno quanto la moglie. La sua stretta di mano fu ferrea e sicura.
“È un piacere conoscerla, signore.” l’uomo gli rispose con un cenno del capo.
“Altrettanto.” poi si voltò verso Kiyoomi.
“Oh, scusate.” intervenne Atsumu “Lui è Sakusa Kiyoomi il mio-”
“Ma certo!” venne preceduto dall’uomo “Eravate insieme alle Olimpiadi.” Atsumu sorrise.
“Ci avete visto giocare?”
“Certamente!” fu la rapida risposta “Siete molto bravi!” l’alzatore sorrise ancora e ringraziò con un cenno del capo.
“Adesso chiamo i bambini.” si intromise Suzuki Mayumi. Atsumu si voltò verso di lei, annuì e tentò di nascondere quanto più possibile un sospiro tremante. La donna salì al piano di sopra e pochi minuti dopo stava seguendo passo dopo passo la discesa traballante dei gemelli dalle scale.
“Tenetevi alla ringhiera, bambini.” la femminuccia – Kamiko – afferrò per mano Akihiko mentre con l’altra si reggeva come le era stato detto di fare e riprendeva a scendere.
Lei era bionda. Aveva preso i capelli da Isako: erano un po’ mossi come i suoi e le arrivavano alle spalle. Indossava spesse calze bianche, delle eleganti scarpette nere a bambolina, un vestitino a scacchiera ed un cerchietto con la stessa fantasia. Il maschietto era di forse appena due centimetri più basso ed aveva i capelli bruni come lo erano originariamente quelli di Atsumu. Indossava delle scarpe nere, dei pantaloni blu, una camicia e un piccolo panciotto. Il quadretto era di una tenerezza infinita e fece sciogliere il cuore di Atsumu, ma non tanto quanto lo fecero i loro occhi quando furono abbastanza vicini da essere visti: erano come lui ed Osamu. Kamiko li aveva castano-dorati, mentre Akihiko blu-argentati. Nell’insieme, anche il loro atteggiamento non poteva far altro che ricordare ad Atsumu sé stesso con suo fratello. Kamiko teneva saldo il gemello ed avanzava sicura e quasi spavalda mentre l’altro la seguiva per inerzia più timido e introverso.
“Come si saluta?” chiese la nonna dietro di loro. I bambini la guardarono giusto un attimo prima di voltarsi verso gli ospiti. Saettarono lo sguardo da l’uno all’altro come se non sapessero esattamente a chi doversi rivolgere.
“Buongiorno, signor Miya.” dissero poi in coro, forte e scandendo bene le sillabe. Atsumu ebbe bisogno di un momento per sbloccarsi. Quando lo fece sorrise e si piegò per raggiungere la loro altezza. Gli sembrò inopportuno iniziare a farsi chiamare papà, quindi optò per il suo nome:
“Chiamatemi Atsumu.” disse loro sorridendo “E voi dovete essere Kamiko e Akihiko.” i due bambini annuirono.
“Io sono Kamiko!” la femminuccia indicò sé stessa ed il sorriso di Atsumu si allargò.
“Siete proprio come me e Samu.” pensò ancora, ed ebbe l’immane impulso di abbracciarli, ma si trattenne.
Pur rimanendo con un ginocchio a terra, l’alzatore si voltò verso il suo compagno e sorrise.
“Lui è Sakusa Kiyoomi.” disse ai bambini “Ma voi potete chiamarlo Omi.” fece loro l’occhiolino. I bambini guardarono ancora la nonna. Al biondo fece tenerezza pensare al modo in cui cercassero perennemente la sua approvazione.
“Buongiorno, signor Sakusa.” dissero poi all’unisono come da manuale. I nonni sorrisero.
“Bravissimi, cari!” sorrisero anche i bimbi.
“Vogliamo metterci a tavola?”
Nonostante le loro suppliche, i signori Suzuki insistettero perché gli ospiti non muovessero un dito. Si sedettero quindi dove era stato loro indicato ed osservarono i bambini. Arrivavano a malapena al tavolo e naturalmente le gambe penzolavano a diversi centimetri da terra. Kamiko afferrò il fazzoletto che aveva sul piatto e se lo mise sulle ginocchia, poi fece lo stesso per il fratello. Atsumu era come incantato; non riusciva a distogliere gli occhi da loro, e fu solo quando Mayumi si schiarì la gola che l’alzatore si accorse di dover prendere il proprio tovagliolo affinché la donna potesse poggiargli il piatto davanti.
Quando anche la signora Suzuki si fu seduta a tavola, ringraziarono per il cibo ed iniziarono a magiare. Atsumu si voltò verso Kiyoomi che lentamente stava afferrando la forchetta. Il biondo mise una mano sotto il tavolo e gli strinse un ginocchio per incoraggiarlo. Solo sei mesi prima sarebbe stato impossibile per lui mangiare un piatto cucinato da uno sconosciuto. Avevano dovuto lavorare molto affinché il misofobo anche solo riuscisse a ponderare l’idea di mangiare fuori casa o in un ristorante che non fosse Onigiri Miya, ma alla fine i progressi avevano iniziato a notarsi. Mise un pezzo di cibo in bocca ed ingoiò.
“È squisito, complimenti.” fece alla cuoca. Mayumi sorrise e ringraziò con il capo. Sorrise anche Atsumu quando lo sguardo nero pece dello schiacciatore incontrò il suo. Tornò a guardare i bambini mentre consumava il suo pasto. Erano sicuramente scomodi visto il tavolo alto, dovevano tenere il braccio all’altezza della fronte per non far cozzare il piatto con la posata, ma anche in quel modo dimostravano una certa eleganza. I nonni, accanto a loro, erano subito pronti ad aiutarli, ma se la cavavano benissimo anche da soli.
Parlarono di molti argomenti durante il pranzo evitando solo di nominare Isako. Atsumu non se ne stupì. I bambini, dopotutto, avevano perso la madre solo da poco e così i signori Suzuki una figlia. Chiesero quindi loro della pallavolo, in che squadra giocassero e di spiegare meglio cosa volesse dire essere nella V-League ammettendo con imbarazzo che non se ne intendevano molto di quello sport. Atsumu fu ben felice di parlare della sua amata pallavolo e presto si sciolse anche Kiyoomi. I coniugi Suzuki sembrarono ammirati nell’apprendere il livello a cui giocavano.
“Ma d’altra parte,” fu il commento di Honzo “li abbiamo visti alle Olimpiadi!”
Gli raccontarono di come si erano conosciuti al Training Camp Giovanile Nazionale ed occasionalmente sfidati nei tornei liceali per poi rincontrarsi per caso tra i Black Jackals. Parlarono anche del liceo di Atsumu sfiorando appena e senza fare nomi il periodo in cui usciva con Isako.
In generale fu piacevole. Suzuki Honzo e Mayumi erano riusciti a farli rilassare e a metterli a proprio agio senza che se ne rendessero conto. Sia Atsumu che Kiyoomi, in ogni caso, per quasi la totalità della durata del pranzo non ebbero occhio che per i gemelli. Notarono quindi a malapena le gaffe dei signori ogni volta che si riferivano a Sakusa come l’amico di Atsumu o quando riprendevano a dare a entrambi del lei invece che il più colloquiale tu.
Dopo pranzo fu loro offerto thè o caffè e – considerate le tante ore di macchina che li aspettavano – non fecero complimenti ed accettarono. I bambini furono mandati di sopra a giocare, quindi Atsumu capì che avrebbero parlato di cose importanti. Nonostante fossero già stati ragguagliati dall’avvocato della figlia e dagli assistenti sociali, i signori Suzuki chiesero loro qualche informazione sulla casa e sul quartiere in cui avrebbero vissuto per quelle settimane. Atsumu non se n’è stupì e rispose insieme a Kiyoomi il più esaustivamente possibile.
“Avete abbastanza camere da letto?” si premurò la donna. Il biondo ripensò alla squadra che smontava la loro palestra e sorrise prima di rispondere:
“Sì, signora. Abbiamo fatto in modo di liberarne una per i bambini.” Mayumi annuì poco convinta. Atsumu poteva solo immaginare cosa volesse dire per lei lasciare i nipoti a due sconosciuti in una casa mai vista prima a sette ore di strada di distanza. L’alzatore non seppe cosa dire, ma per fortuna non era solo:
“Non si preoccupi, signora Suzuki.” parlò Kiyoomi “Ci assicureremo che stiano bene e che non gli manchi nulla finché non potranno tornare a casa con voi.” la donna annuì ancora, poi il marito le strinse una mano.
“Immagino avrete bisogno dei seggiolini per il viaggio.” si rianimò passando alle cose pratiche.
“Sì.” rispose ancora lo schiacciatore “Gli assistenti sociali ci hanno detto che ce li avreste forniti voi.” entrambi i Suzuki annuirono.
“Abbiamo preparato delle valigie con i loro vestiti, gli spazzolini, i pigiami, le pantofole… non manca niente, vero?” la donna guardò in ansia verso il marito.
“Sapranno cavarsela, tesoro.” Atsumu sperò davvero che avesse ragione.
Finirono il caffè senza fretta, poi Atsumu e Kiyoomi iniziarono a montare i rialzi sul sedile posteriore ringraziando mentalmente il Cielo perché sia Honzo che Mayumi avessero deciso di usare quel momento per salutare i bambini.
“Lo stai montando al contrario.” gli fece notare il corvino dal lato opposto dell’auto. Atsumu sbuffò e capovolse il seggiolino. “Almeno non mi hanno visto!” sollevò lo sguardo verso la villa: nonni e nipoti non si vedevano ancora. Sakusa finì di combattere con il seggiolino di destra e raggiunse l’alzatore per aiutarlo con quello di sinistra.
“Sembrano simpatici.” disse giusto per dire qualcosa “Ed i bambini sono…” sorrise in cerca della parola più opportuna, ma lo sguardo innamorato di Kiyoomi gli fece capire che non ce n’era bisogno, quindi sospirò e lo baciò.
“Possiamo farcela. Sì, possiamo farcela.” disse il biondo; Sakusa sorrise.
“Mi piace quando sei così sicuro di te.” Atsumu ghignò.
“Davvero?” chiese.
“È più nel tuo stile.” il corvino gli circondò i fianchi e lo attirò tra le sue braccia.
“Sei stato sexy da morire a mangiare in una casa estranea.” continuò l’alzatore esagerando la voce sensuale.
“Ah sì? Allora guarda cosa faccio.” Kiyoomi lasciò andare Atsumu e si tolse i guanti che aveva rindossato appena fuori la porta. L’altro rise.
“Wow…” sospirò, gli afferrò le mani e gliele baciò. Fu in quel momento che con la coda dell’occhio vide i signori Suzuki ed i gemelli apparire dalla porta. Sakusa si rimise i guanti e andarono ad aiutarli con le valige. I nonni legarono i nipoti ai seggiolini e da lì fecero le ultime raccomandazioni:
“Comportatevi bene. Siate beneducati.” poi Mayumi si rivolse ad Atsumu.
“Avete i nostri contatti, per qualsiasi cosa non esitate a chiamarci.” il biondo annuì, poi strinse la mano ad entrambi e – insieme a Kiyoomi – entrò in auto per partire alla volta di Tokyo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

Capitolo 5

Il viaggio fu lungo e per lo più imbarazzante. I bambini erano molto taciturni, quindi Atsumu – come sempre quando si trovava in imbarazzo – aveva iniziato a straparlare. Se non altro era riuscito a strappare qualche risata ai gemelli. Entrambi i bambini si addormentarono dopo più o meno tre ore di viaggio e nessuno dei due ebbe il cuore di svegliarli neanche quando si fermarono per darsi il cambio al volante.
“Spero solo che non si facciano la pipì addosso nella mia auto.” fu la preghiera silenziosa di Sakusa e – fortunatamente – arrivati a Tokyo non erano stati vittima di nessun incidente.
Parcheggiarono al loro solito posto-auto nel garage sotterraneo del condominio e – presa una valigia per uno – si caricarono un gemello ciascuno in braccio il più delicatamente possibile. Arrivati alla porta d’ingresso per Kiyoomi non fu semplice prendere le chiavi dalla tasca interna della giacca ed aprire con Kamiko tra le braccia, ma infine ci riuscì. Si sedettero sul gradino d’ingresso e lì furono costretti a svegliare i bambini. Lo fecero entrambi con tenerezza accarezzandoli tra i capelli. Probabilmente curiosi di vedere quel nuovo posto, non ci volle molto perché entrambi aprissero gli occhi. Atsumu accese la luce modulandola in modo che non fosse accecante.
“Eccoci arrivati.” disse loro il biondo mentre aiutava Akihiko a slacciarsi le scarpe e Kiyoomi faceva lo stesso con Kamiko. Li portarono subito nella stanza con i loro futon dove lasciarono le valige; uscirono pigiami, pantofole e spazzolini e si diressero tutti verso il bagno.
“Ecco la prima cosa che dovrò lasciar sbrigare del tutto ad Atsumu.” pensò Sakusa mesto quando raggiunsero il gabinetto. L’idea che qualche schizzo potesse finirgli addosso era insopportabile. Kiyoomi non ebbe bisogno di dire nulla: fu scontato per Atsumu doversi occupare da solo della “questione pipì e pupù”. Lo schiacciatore li osservò tutti e tre da lontano cercando di non pensare alla miriade di altre cose nelle quali non avrebbe potuto aiutarlo. Tra queste, tuttavia, non c’era l’igiene dentale. Prese uno sgabello e lo mise davanti al lavandino, vi fece salire Akihiko e lì lo aiutò a spazzolarsi bene i denti. Poi fu il turno di Kamiko. Gli tolsero i vestiti e li cambiarono con il pigiama, infine raggiunsero la cucina.
Quando avevano lasciato Tokyo sapevano che al loro rientro avrebbero fatto tardi, quindi avevano chiesto ad Osamu di accedere all’appartamento usando la sua copia delle chiavi e di lasciargli qualcosa che anche i bambini potessero mangiare. Trovarono – com’è ovvio – degli onigiri. Su ogni pacchetto c’era scritto qualcosa: per Sakusa; per Tsumu; per gli angioletti che spero non ti lascino dormire. A raggruppare il tutto c’era un filo di spago e attaccato ad esso un altro post-it che diceva: Congratulazioni, papà.
Mangiarono gli onigiri osservando con tenerezza i bambini fare lo stesso mentre vagavano curiosi con lo sguardo per tutta la cucina e dondolavano le gambe sulle sedie. Dissero loro che le polpette di riso erano state preparate dallo zio Osamu e gli promisero che presto l’avrebbero conosciuto e che allora avrebbe portato loro altro cibo come questo.
Finito di mangiare Kiyoomi lavò in fretta i piatti che avevano sporcato mentre Atsumu eliminava le briciole di riso dal tavolo. Passarono dal salotto e poi presero a dirigersi verso la stanza con i futon dei bambini.
“Questa è la nostra stanza.” prima di arrivare all’ex-palestra Atsumu si fermò davanti alla loro camera da letto e si abbassò per raggiungere l’altezza dei figli “Potete venire quando volete se avete bisogno di qualcosa, va bene?” i bambini annuirono, quindi proseguirono.
Gli rimboccarono le coperte ed attaccarono alla presa il lumino che coach Foster gli aveva consigliato di comprare.
“Adesso dormite.” li accarezzò un’ultima volta l’alzatore “Noi siamo nella stanza accanto, va bene?” indicò la parete adiacente. Kamiko annuì mentre si stropicciava gli occhi insonnolita e Kiyoomi si chiese se avesse capito davvero. Atsumu le diede un bacio sulla fronte, poi fece lo stesso con Akihiko ed insieme a Sakusa lasciò la stanza.
“Il primo giorno è andato…” sussurrò Atsumu dopo aver socchiuso la porta. Kiyoomi rispose con un sorriso e uno sbuffo.
“Scordati che saranno tutti così.” disse con lo stesso tono di voce. Atsumu sospirò come a dire che lo sapeva, poi estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
“Avverto Samu che siamo arrivati.” spiegò mentre apriva il contatto di suo fratello e premeva il tasto di chiamata. Si allontanò in modo da non disturbare i bambini e Kiyoomi ebbe giusto il tempo di sentirlo insultare Osamu per i biglietti prima di dirigersi in bagno per fare la doccia.
“Il primo giorno è andato.” non poté fare a meno di pensare a sua volta. Si chiese cosa sarebbe accaduto nel secondo.
 
Essere parte di una squadra di pallavolo della V-League non era una cosa da poco. Avevano allenamenti quasi ogni giorno, a volte di pomeriggio, altre di mattina. Inoltre, un finesettimana su due avrebbero dovuto disputare qualche partita importante il cui punteggio sarebbe servito per mantenere la squadra tra quelle d’élite. Fortunatamente, quel sabato faceva parte dei finesettimana liberi da impegni.
Nonostante non avessero puntato alcuna sveglia, sia lui che Atsumu aprirono gli occhi presto. Si osservarono per qualche secondo, poi si sorrisero. L’alzatore aveva come sempre i capelli per aria e la forma del cuscino stampata su metà del viso, eppure – come d’altronde ogni mattina – Kiyoomi non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bello. Si sporse per baciarlo, ma lui gli mise una mano sulle labbra per fermarlo.
“Non mi sono lavato i denti.” stavano insieme da tre anni e sin da subito Atsumu aveva dovuto imparare a fare i conti con le sue stranezze. Il biondo aveva cercato di rassicurarlo dicendogli che non voler sentire il suo orribile alito del mattino non era affatto strano, ma a lui non erano sfuggiti tutti i suoi movimenti lasciati a metà perché si ricordava un attimo troppo tardi che il suo ragazzo non voleva essere baciato appena sveglio. Tutto ciò che avrebbe voluto Kiyoomi era rendere naturale anche per sé stesso svegliarsi e pensare come prima cosa di baciare l’uomo che aveva accanto.
Gli afferrò la mano e gliela abbassò.
“Non m’importa.” sussurrò, poi lo baciò. Fu un bacio rapido e con poca lingua, eppure fu uno dei più importanti per lui, un gradino in più superato solo grazie ad Atsumu per lasciarsi la propria misofobia alle spalle.
Gli ultimi giorni erano stati i più frenetici della loro vita. Sembrava non avessero avuto il tempo neanche di elaborare il fatto che adesso avevano due bambini nella stanza accanto di cui doversi occupare. Kiyoomi conosceva bene Atsumu ed era quindi perfettamente in grado di immaginare cosa gli stesse passando per la testa. Sapeva che quel bacio serviva a Kiyoomi quanto al suo compagno.
“Io ci sono.” voleva dirgli “Non scapperò da tutto questo. Non ho paura perché ci sei tu.” volle baciarlo ancora e lo fece, poi si alzarono e si lavarono i denti.
Passarono in silenzio davanti alla porta socchiusa della stanza dei gemelli: stavano ancora dormendo, ma se li avevano lasciati sotto le coperte di due futon diversi, adesso erano nello stesso. Sorrisero entrambi, poi proseguirono verso la cucina.
“Io opterei per dargli del latte, tu che ne dici?” si divertì Kiyoomi. Atsumu gli rispose con una boccaccia ed il corvino sorrise ancora di più. Mentre il biondo usciva una bottiglia di latte dalla dispensa, lui si diresse verso il frigo dove – con l’aiuto di un magnete – avevano attaccato il foglio con le ricette suggerite dalla moglie di Foster.
“I pancake non sembrano difficili da preparare.” lesse, Atsumu sbuffò.
“Al supermercato esistono già pronti!”
“Ma la signora Foster ha detto che non va bene mangiare sempre cibo pronto.” ribatté lui, poi rise dell’espressione del suo compagno “Magari ci verranno persino più buoni!”
“O magari avveleneremo per sbaglio i bambini.” rabbrividì.
“Il solito melodrammatico… li assaggeremo noi per primi, quindi al massimo rimarranno a vita traumatizzati trovando i nostri cadaveri.”
“Allora tutto a posto!” rise. Lesse da sopra la sua spalla la ricetta ed iniziò ad uscire gli ingredienti necessari. Non gli vennero affatto male!
“Chi l’avrebbe mai detto che cucinare fosse così semplice?” chiese Atsumu con un sospiro felice. Kiyoomi sospirò mentre si guardava intorno: schizzi di impasto erano finiti ovunque quando avevano dovuto amalgamare gli ingredienti, avevano sporcato due ciotole perché la prima era risultata essere troppo piccola e quasi distrutto una padella per sempre perché non antiaderente né imburrata in precedenza.
“Sta attento a ciò che dici, Atsumu…” si limitò a dire mentre indossava i guanti da cucina e inizia a lavare le stoviglie. Il biondo rise e gli lasciò un bacio sulla guancia.
“Vado a vedere che fanno i bambini.” tra una cosa e l’altra si erano fatte le dieci ed un altro consiglio della moglie del coach era stato quello di non lasciarli dormire fino a tardi. Kiyoomi stava pulendo la padella quando vide Atsumu portare i due gemellini verso il bagno, ed aveva appena finito di lavare il banco da lavoro quando infine arrivarono tutti e tre in cucina. Il biondo aiutò i piccoli a sedersi sulle sedie troppo alte per loro, poi portò in tavola la colazione con un bicchiere di latte per ciascuno.
“Io e Omi abbiamo fatto i pancake. Vi piacciono?” i visi dei bambini si illuminarono e gli adulti sorrisero ancor prima di sentire le loro acclamazioni di gioia. Impararono che Akihiko li preferiva con la nutella, mentre Kamiko con la marmellata.
“Ti piace quella alle arance, Kamiko?” si premurò lui “Possiamo comprarne altre, se vuoi.” la bambina lo guardò timida. Kiyoomi non se ne stupì: dopotutto erano ancora due estranei. Ci mise qualche secondo per rispondere e lo fece parlando a voce bassa, ma infine disse:
“Mi piace quella alle fragole.” venne subito messa nella lista della spesa.
“Ci sono altre cose che vi piacerebbe mangiare? Di solito che cosa vi preparano i nonni?” provò a chiedere Atsumu e fu così che scoprirono che c’erano delle fette di ciambella pronte ogni mattina in casa Suzuki. Sarebbe stato difficile competere.
In tarda mattinata uscirono tutti e quattro ed andarono al supermercato. I bambini indicarono loro alcune marche che conoscevano di cereali o di succhi di frutta. Capirono subito che Kamiko tra i due era quella più esuberante. Rientrati in casa la timidezza che aveva mostrato a colazione era sparita.
Sistemarono la spesa facendo divertire i bambini chiedendo loro di posare cereali e barattoli in alto e facendo in modo che ci arrivassero sollevandoli a due metri da terra. Prepararono del semplice ma salutare pollo per pranzo e poi tutti e quattro si misero sul divano davanti alla televisione. Né lui né Atsumu erano ancora in grado di capire se i bambini li seguissero perché felici di farlo o perché in imbarazzo nel dover rifiutare. In ogni caso sembrarono felici di vedere iniziare un cartone, così gli adulti decisero di lasciarli lì tranquilli e di spostarsi in camera da letto.
“Ho trovato questo asilo che non sembra niente male.” gli disse Atsumu scorrendo alcune immagini sul suo smartphone “Tra tutti quelli che abbiamo visto sembra il migliore e non è troppo distante dalla palestra, anche se dovremo usare la macchina.” Kiyoomi prese il cellulare dalle sue mani e scrollò le informazioni sul posto. Come tutti gli asili pubblici era gratuito, ma c’era chiaramente scritto che i bambini avrebbero potuto essere iscritti in qualsiasi momento a patto che i posti disponibili non fossero finiti. I feedback dei genitori erano tutti positivi e Kiyoomi ricordava vagamente Barnes menzionare di aver portato lì i propri figli quando erano stati dell’età.
“Potremmo andare a dare un’occhiata lunedì mattina e chiedere a Barnes cosa ne pensa nel pomeriggio.” disse, e Atsumu annuì.
“Era quello che pensavo, ma chi tiene i bambini mentre siamo ad allenarci?” quella domanda rimase in sospeso per un po’ finché il biondo non parlò ancora: “Stavo pensando che per i primi giorni potremmo alternarci. Tu vai lunedì e io vado martedì, ad esempio. Il mercoledì abbiamo allenamento di mattina, quindi se già per allora saranno iscritti all’asilo potremmo andare entrambi.” Kiyoomi si ritrovò concorde. Stipularono un programma di turni provvisorio e chiamarono Foster per avvertirlo. Il coach si rivelò essere come avevano pensato comprensivo; chiese loro come stesse andando e gli diede ancora qualche dritta genitoriale. Gli chiesero consigli sull’asilo, ma l’uomo non poté accontentarli perché quello in cui aveva mandato il suo primogenito e che attualmente frequentava il secondo era privato e non accettava iscrizioni oltre ottobre. Chiusero la chiamata e tornarono in salotto. Passarono il resto del tempo con i gemellini imparando a conoscerli. Il giorno dopo fece loro visita Osamu portando tantissimi tipi diversi di onigiri ed i bambini si divertirono non poco nello scoprire a sorpresa il ripieno delle polpette di riso.
“Siete uguali!” Akihiko aveva fissato prima Atsumu e poi Osamu per diversi minuti. Kiyoomi non aveva capito bene il motivo di tanto interesse fino a quel momento, quindi – come i Miya – rise divertito.
“Non credi che io sia più bello?” rise Atsumu, il bambino non rispose perché troppo timido per farlo, quindi Osamu diede un pugno sul braccio a suo fratello.
“Proprio così, siamo uguali perché siamo gemelli.” gli spiegò mentre Atsumu si massaggiava il punto dolente. Fu allora che Kamiko intervenne esclamando:
“Anche io e Akihiko siamo gemelli!!” i più grandi sorrisero.
“Sì, è vero.”
“Però non siamo uguali. Io sono più alta!!” esclamò soddisfatta drizzando le spalle e portando in fuori il petto.
“Non è vero, sono i capelli!” la contraddisse l’altro.
“No, invece! Guarda!!” la bambina si appiattì con forza la chioma bionda sulla testa, poi si mise accatto al fratellino che mise il broncio e minacciò di piangere. Atsumu e Kiyoomi si guardarono in fretta e terrorizzati all’idea che potesse farlo, poi il biondo ebbe un’idea e si sedette sul pavimento accanto al piccolo:
“Sai, conoscono un ragazzo molto basso, ma la vuoi sapere una cosa?” il labbruccio di Akihiko non era ancora rientrato, ma ora stava guardando con occhi curiosi verso Atsumu anziché piagnucolanti “È quello che salta più in alto di tutti! Non conta poi molto l’altezza, sai?” Kiyoomi dubitava seriamente che – visto il loro campo – Atsumu ci credesse davvero, ma per una volta – pensò lo schiacciatore – la sua faccia di cera si era rivelata utile. Akihiko sorrise e fece la linguaccia a sua sorella che, prendendo il posto dell’altro, incrociò le braccia e mise il broncio. Anche il suo, tuttavia, venne presto eliminato quando proposero una sfida di salti e dichiarandola alla fine patta. Mezz’ora dopo erano sfiniti e metterli a letto fu semplice.
“Come pensate di fare con gli allenamenti di domani?” chiese loro Osamu sulla porta di casa.
“Abbiamo già detto a coach Foster che io non andrò.” fu la risposta dell’alzatore.
“Sai che puoi contare su di me, Tsumu.” il biondo ghignò e Kiyoomi sapeva esattamente perché: lui e Osamu si erano sempre aiutati l’un l’altro, ma sebbene entrambi ne fossero più che consapevoli, aiutare il fratello era sempre avvenuto da dietro le quinte e senza troppe cerimonie. Mostrarsi così chiaramente disponibile era come una sconfitta per Osamu, o almeno era così che appariva agli incredibilmente infantili occhi dei gemelli Miya.
“Lo faccio per quelle adorabili pesti!” si affrettò a dire il bruno “Non montarti la testa.” Atsumu sospirò una risata abbandonando il ghigno, poi scosse la testa.
“Lo so, Samu, ma almeno per i primi giorni vorrei evitare di sbatterli a dritta e a manca.” Osamu annuì.
“Lo capisco.” disse “Be’, allora fammi sapere.” concluse. Si salutarono ed andò via.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

Capitolo 6

La mattina successiva si misero tutti e quattro in auto per dirigersi verso la scuola materna. Il posto era relativamente vicino casa, ma non avevano considerato il traffico. Sia Atsumu che Kiyoomi si ritrovarono quindi a ringraziare silenziosamente il Cielo per il fatto che l’ufficio dell’asilo avesse posto loro una fascia oraria anziché dargli un appuntamento più preciso e – mentre erano bloccati per strada – decisero di impiegare quel tempo per spiegare ai bambini dove stessero andando.
“Quindi mentre io ed Omi saremo a lavorare voi starete all’asilo per un po’ di tempo, va bene?” chiese loro il biondo alla fine del discorso. Kiyoomi vide i bambini annuire dallo specchietto retrovisore.
“Anche la mamma ci portava sempre a scuola.” aggiunse poi Kamiko sottovoce. Lui e Atsumu si scambiarono un’occhiata veloce, poi parlò Akihiko:
“E dopo andavamo a mangiare un dango di nascosto ai nonni.”
“Quando una volta nonna l’ha scoperto si è arrabbiata perché diceva che poi non mangiavamo il pranzo. Però non è vero, noi mangiavamo sempre!” concluse arrabbiata Kamiko. Incrociò le braccia e guardò stizzita fuori dal finestrino. Kiyoomi non sapeva cosa dire. Fortunatamente, per Atsumu non fu lo stesso:
“Vi piacciono i dango, piccoli?” Akihiko annuì forte.
“Io mangiavo sempre quello bianco, Kamiko quello verde e mamma quello rosa!”
“È così, Kami?” Atsumu tentò di attirare l’attenzione della bambina, lei lo guardò ed annuì. Gli occhi di entrambi i gemellini si erano fatti lucidi.
“Allora dopo l’asilo potremmo passare a comprarne uno. Che ne dite?” i piccoli annuirono con il mento tremolante ed Atsumu sorrise (se non con gli occhi almeno con le labbra), poi fortunatamente il semaforo divenne verde ed il traffico si sbloccò. Due minuti più tardi stavano parcheggiando a qualche metro dalla scuola materna. Usarono la poca strada che avevano da fare a piedi per far distrarre i bambini prendendoli per mano e facendogli compiere ampi salti tirandoli su per il braccio. Quando si sedettero nell’ufficio della direttrice per l’iscrizione gli occhi liquidi e i labbri sporgenti dei piccoli erano solo un ricordo.
“Mi servono solo i vostri documenti e quelli dei bambini.” la donna disse loro quanto gli era già stato detto per telefono. Presero quindi l’occorrente e lo consegnarono affinché la segreteria dell’asilo se ne facesse una copia. Dopodiché la direttrice uscì due moduli che iniziò a riempire con nome, cognome e generalità dei gemelli.
“Adesso non mi rimane che sapere se ci lascerete i bambini ad orario esteso o se siete interessati solo a quello ridotto della mattina.” Kiyoomi aggrottò la fronte.
“È disponibile anche un orario pomeridiano?” chiese da sotto la mascherina.
“Sì, signore. Offriamo questo servizio per i bambini con un genitore single o con entrambi i genitori lavoratori.” lui ed Atsumu si guardarono giusto per un attimo. I loro orari variavano e gli allenamenti non sempre erano di mattina. Lasciare lì i bambini tutto il giorno gli sarebbe certamente venuto più semplice, eppure Kiyoomi sapeva che Atsumu – come lui – non aveva preso neanche in considerazione l’idea quando infine rispose:
“No, solo orario ridotto.” la donna annuì e spuntò una casella su ciascun modulo.
“Inserisco i loro nomi per la mensa?” Atsumu rispose ancora negativamente.
“Verremo a prenderli sempre prima di pranzo”. Dovettero sistemare ancora qualche pratica prima di concludere. Si stavano alzando quando a Kiyoomi venne in mente una cosa.
“Potrebbe accadere che venga il fratello di Atsumu o magari mio cugino a prenderli, ogni tanto. Dobbiamo firmare qualcosa?”
“Serve una delega, sì.” la donna aprì un cassetto e fece compilare loro un documento. “I signori dovranno presentarsi con un documento che attesti la loro identità, dopodiché potranno portare via i bambini.” concluse sorridendo verso i gemellini. I due giocatori annuirono e ringraziarono la direttrice per la disponibilità nonostante fosse novembre inoltrato.
“Nessun problema.” fu risposto loro “Mi dispiace solo di non poterli accogliere in classe prima di giovedì.”
“Sta già facendo molto per metterli in classe insieme, non si scusi.” replicò Atsumu mentre le stringeva la mano. “Ci vediamo giovedì mattina.” si congedarono.
Si lasciarono i cancelli della scuola alle spalle, poi Miya sospirò.
“Allora? Dango per tutti?” la mozione fu subito accolta.
Kiyoomi non dovette neanche chiedere ad Atsumu se avesse in mente una pasticceria particolare dove andare a mangiarli. Una volta in macchina fece inversione e tornò da dove erano venuti. Parcheggiarono sul retro di Onigiri Miya dove sapevano sempre esserci un posto-auto privato in più e che ad Osamu non serviva, ma fu dalla parte opposta della strada che poi andarono. I due giocatori conoscevano solo superficialmente l’uomo che gestiva quel panificio-pasticceria perché quando capitavano da quelle parti era sempre e solo per gli onigiri di Osamu, eppure in quelle poche volte che era capitato loro di parlargli era sempre apparsa chiara la grande simpatia e generosità del pasticcere. A quanto diceva Osamu scherzava molto sul fatto che lui gli rubasse i clienti, ma non mancava domenica in cui non attraversasse la strada per portargli la colazione, così lui ricambiava dandogli il pranzo. La faccia di Atsumu aveva un paio di volte creato confusione all’uomo, così – naturalmente – il gemello biondo aveva preso l’abitudine, quelle rare volte in cui aveva voglia di dolci, di entrare nel suo negozio con un cappello spacciandosi per Osamu. Il pasticcere non ci cascava più, ma continuava ad essere sempre divertito (o quantomeno fingeva di esserlo) ogni volta che Atsumu varcava il suo ingresso.
“Niente cappello, oggi?” gli chiese ridendo proprio per quel motivo non appena lo vide. Atsumu rise di rimando.
“No, oggi no. Lascio fare a loro i bambini della situazione.” si girò verso i gemelli ed il pasticcere fece lo stesso seguendo il suo sguardo.
“Ma ciao!” esclamò “E chi sono questi signorini?” Atsumu si grattò la nuca imbarazzato.
“È un po’ complicato.” disse piano, poi tornò ad un tono di voce normale e disse “Sono Kamiko e Akihiko.” fece una pausa, poi sorrise mettendo una mano leggera sulla testa di entrambi “Kami e Aki.” usò i nomignoli con cui aveva iniziato a chiamarli da quando avevano preso confidenza.
Mentre Atsumu sollevava prima l’uno e poi l’altra per far vedere loro meglio le vetrine con i dolci, Kiyoomi si avvicinò al pasticcere per ordinare il dango per il quale erano entrati. Pochi secondi dopo lo schiacciatore aveva lo spiedino tra le mani, si accovacciò e lo porse ai gemellini. Kami afferrò quello verde, Aki quello bianco, ma quando Kiyoomi ed Atsumu fecero per dividersi quello rosa ad entrambi non sfuggirono gli sguardi dispiaciuti dei bambini.
“Quello è della mamma…” riuscì a mormorare Kamiko. Kiyoomi s’intenerì e lo stesso – lo sapeva bene – fece Atsumu. Il biondo quindi sorrise e diede ragione alla figlia, dopodiché si rivolse al pasticcere restituendogli il dolce rimanente e chiedendogli di metterlo in una confezione che potessero portare a casa. L’uomo lo accontentò, ma oltre a restituirgli il terzo di dango in una busta di cartone offrì loro un secondo spiedino. Questo, tuttavia, aveva quattro polpette dolci: due bianche e due verdi. Kiyoomi sorrise sotto la maschera e subito si voltò verso i bambini che stavano osservando il dolce incuriositi. Atsumu si abbassò alla loro altezza e glielo mostrò.
“Vi va un’altra pallina?” annuirono sorridenti, felici del loro nuovo dango speciale. Di nuovo Kami afferrò il verde ed Aki il bianco. Kiyoomi ed Atsumu li imitarono.
“Noi siamo il team verde, Omi!!” stava esclamando entusiasta Kamiko mentre attraversavano la strada per andare a trovare Osamu.
“Bleah!” le rispose Atsumu “È meglio il bianco. Vero, Aki?” il bambino sorrise felice ed annuì, quindi Kiyoomi scoccò la lingua.
“Non capiscono niente, questi due!” si rivolse a Kami che rise.
Osamu fu ben felice di vederli ed i bambini ebbero anche modo di conoscere Suna.
“Niente video, Sunarin!” ripeté per la terza volta in mezz’ora Atsumu.
“Ti ho detto che non posto nulla!” esclamò il giocatore degli EJP Raijin “Diamine,” aggiunse poi in un sussurro “Izumi ti ucciderà quando verrà a sapere di loro.” Sakusa vide Atsumu rabbrividire alla sola idea.
“Questi video potrebbero salvarti la vita!” colse la palla al balzo Suna quando se ne accorse.
“D’accordo…” acconsentì il biondo “ma niente social!” l’altro sospirò.
“Mi chiedi tanto.” mormorò “Lo faccio solo perché non voglio renderli orfani.” poi riprese a registrare i gemelli.
Kiyoomi si alzò che i gemelli stavano ancora giocando con il poco riso che Osamu aveva fornito loro per creare degli onigiri personalizzati. Li salutò accarezzandogli le teste e baciò Atsumu.
“Ti lascio la macchina.” gli disse. La palestra era a cinque minuti a piedi da lì. Il biondo annuì.
“Ci vediamo a casa. Salutami tutti.”
“Sai che non lo farò.” rise. Atsumu mise il broncio.
“Guarda che me lo segno!” Kiyoomi gli rispose baciandolo ancora.
“A più tardi.” gli mormorò labbra su labbra.
“A più tardi.” gli rispose il suo compagno.
Si pentì subito di non aver mandato Atsumu ad allenarsi mentre lui rimaneva con i gemelli. Non avevano considerato una cosa: la squadra era curiosa e voleva notizie dei bambini. Non appena lo videro non solo i soliti Bokuto e Hinata, ma tutti, persino coach Foster, lo accerchiarono con mille domande sulle labbra. Kiyoomi chiarì subito quanto la situazione fosse delicata e che la madre di Atsumu non sapeva niente, quindi ognuno di loro si sarebbe dovuto astenere dal menzionare la cosa sui social. Nello specificarlo Kiyoomi guardò soprattutto verso Bokuto che troppo spesso – come dimostrato dalla loro ultima foto scattata in quegli stessi spogliatoi – pubblicava scatti ed informazioni troppo personali senza rendersi conto quante migliaia di persone le vedessero. Gli interventi di Akaashi, anche se tempestivi, raramente riuscivano ad evitare il disastro. Dopodiché parlò loro con un sorriso sulle labbra mentre descriveva il carattere forte e sfacciato di Kamiko e quello più tenero e sensibile di Akihiko. Raccontò di come – incredibilmente – Atsumu stesse gestendo bene la cosa e di quanto fossero già entrambi del tutto innamorati dei bambini. Erano passati solo tre giorni e la cosa iniziò a far preoccupare Sakusa:
“Come faremo tra due settimane quando dovranno andare via?” ma subito scacciò via quel pensiero dandosi dell’egoista. Se lui stava così, non poteva nemmeno immaginare lo stato d’animo dei loro nonni.
Esaurita la curiosità degli amici, Kiyoomi poté fare un sospiro di sollievo e tornare ad avere il proprio ampio e sicuro spazio personale. Si allenarono con tranquillità e leggerezza, ma lui – pensando ai giorni di allenamento che aveva perso e già immaginando tutte le volte in cui avrebbe dovuto assentarsi quella settimana – ci mise il doppio dell’impegno. Quando rientrò verso casa era sfinito e tutto ciò che voleva era di mettere qualcosa sotto i denti per poi crollare a letto.
I suoi piani cambiarono quando – arrivato in salotto – trovò il pavimento pieno di Lego e Atsumu ed i gemelli che li raccoglievano ad uno ad uno. Non appena l’alzatore si accorse di lui gli sorrise andandogli incontro e, dopo averlo baciato, gli spiegò di aver comprato qualche giocattolo ai bambini e che il disastro che aveva davanti era dovuto al fatto che avevano costruito una torre che poi però Godzilla aveva distrutto. La sua mania dell’ordine non gli diede altra scelta, così abbandonò l’idea di mangiare subito per poi mettersi a dormire ed aiutò i tre bambini della casa a raggruppare i giocattoli.
Un’ora più tardi Atsumu aveva appena finito di mettere Kamiko e Akihiko a letto e stava raggiungendo Kiyoomi nel loro. Il corvino attirò subito a sé il proprio compagno e lo baciò tra i capelli.
“Ho visto l’altarino nella stanza dei gemelli.” Atsumu si irrigidì appena.
“Quando siamo tornati a casa volevano dare il dango rosa ad Isako, così ho cercato qualche sua foto sui social, ma tutti i suoi account sono privati. Per fortuna esiste il magico mondo del Cloud e ho trovato una vecchia foto che le ho scattato al liceo.”
“Hai fatto bene.” gli sussurrò, poi lo baciò ancora. Stettero in silenzio per un po’ prima che il biondo alleggerisse l’atmosfera cambiando discorso:
“Dovresti ringraziarmi, sai?” gli disse sistemandosi meglio tra le sue braccia. “Kami e Aki hanno preparato un sacco di orribili” sussurrò quella parola “onigiri, e poi mi hanno costretto a mangiarli.” sbuffò.
“Be’,” ribatté Kiyoomi “tutta la squadra mi ha assediato in massa nello stesso momento in cui ho messo piede negli spogliatoi. Non li hanno ancora mai visti, ma già tutti amano i tuoi figli.” Atsumu si strinse al suo petto. Sakusa non seppe se lo fece per l’uso della parola figli o perché, come lui qualche ora prima, stesse già pensando a quando li avrebbero dovuti lasciare. In ogni caso Kiyoomi ricambiò la stretta e lo baciò tra i capelli.
“Chi potrebbe non amarli?” non aggiunsero altro prima di sprofondare entrambi nel sonno.

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n.a.
headcanon: Akaashi ha tutte le password di Bokuto perché sì. Voglio dire: c’è qualcuno convinto che se le ricordi tutte? Ma soprattutto ha quelle dei suoi social così può eliminare i post inadatti.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Il martedì mattina, finalmente Atsumu poté tornare in palestra. Gli sembrava come se non si allenasse da una vita.
Come Kiyoomi gli aveva raccontato la sera prima, anche a lui tutta la squadra chiese dei gemelli. Atsumu fu ben felice di parlarne e mostrò anche qualche foto. Nonostante i quattro giorni di totale sedentarietà, giocò come al solito e forse anche meglio! Erano stati giorni frenetici ed Atsumu non aveva neanche avuto il tempo di pensare a quanto gli mancasse giocare finché non aveva ripreso in mano la palla.
Il coach aveva appena chiamato una pausa quando lo prese da parte.
“Agli allenamenti di domani mi servite entrambi.” gli disse. Atsumu abbassò la borraccia dalla quale stava bevendo e guardò l’uomo con occhi mortificati.
“Ma coach, l’asilo non ha ancora fatto posto per Kami e Aki. Osamu porterà uno stand di onigiri alla partita degli EJP e dei Frogs, quindi sia lui che il cugino di Kiyoomi non sono disponibili. Non ho a chi lasciarli.”
“Lo capisco,” rispose Foster “ma mancano pochi giorni alla trasferta di questo weekend e dobbiamo provare nuovi schermi.” Atsumu deglutì.
“A proposito della trasferta…”
“Voi non ci sarete. Lo so, ma per far allenare quelli che giocheranno occorre qualcuno con cui competere.” l’alzatore annuì.
“Se non avete altre alternative portate qui i bambini. Potranno stare con me in panchina.” Atsumu guardò l’uomo e sorrise appena.
“Ne è sicuro?” lui scrollò le spalle.
“I ragazzi muoiono dalla voglia di conoscerli. E anche io. Ho due figli, capisco bene quello che state passando. Non avete avuto neanche il tempo di organizzarvi le vite. Di solito le persone hanno circa nove mesi per farlo, sai?” risero entrambi, poi Foster continuò: “Potrò gestirli per un giorno.” Atsumu annuì e l’uomo sorrise, poi gli fece cenno verso il resto della squadra.
“Su,” gli disse “ora torna il campo.”
Tornato a casa informò subito Sakusa e i bimbi della novità.
“Ci portate a giocare a pallavolo??” chiese eccitata Kamiko. Atsumu e Kiyoomi risero, poi il corvino le si avvicinò e, sorridendo, le rispose:
“Non esattamente, tesoro. Noi dobbiamo lavorare. È importante, lo capisci?”
“Perché poi andate in televisione!” esclamò Akihiko. Atsumu rise.
“Esatto, piccolo. E non possiamo certo fare brutta figura!” poi vide l’espressione delusa dell’altra e decise di rimediare.
“Potremmo giocare insieme nelle pause. Che ne dici, Kami?” tornò subito contenta.
“Potrò giocare con voi?”
“Sì, certo. Però il resto del tempo dovrai stare buona fuori dal campo. Va bene?” annuì decisa.
“D’accordo,” concesse Kiyoomi “però sicuramente non può venire vestita così.” quella mattina le avevano messo delle calze marroni ed un vestitino verde.
“Peccato che abbia solo vestiti e nessun pantalone.” fece notare il biondo.
“Se solo avessimo il pomeriggio libero per poter andare a comprarle qualcosa…” Atsumu rise.
“Mi preoccupi quando fai il sarcastico, sai? Ho una brutta influenza su di te.” rise anche Kiyoomi e – se non capendo la situazione semplicemente perché contagiati da loro – i bambini si unirono a lui.
“Su questo siamo d’accordo.” si diedero un rapido bacio a stampo, finirono di mettere via i resti del pranzo che avevano appena consumato e si prepararono per andare al centro commerciale.
Si divertirono non poco nel comprare tutine sportive ai bambini. In Giappone la pallavolo non era famosa come il baseball, il kendo o il sumo, quindi – al di là di quello che piaceva pensare ad Atsumu – nonostante il livello a cui giocavano, loro non erano quelle che si potevano definire delle celebrità. Ma, certo, il tutto cambiava in un negozio di appassionati di sport. Firmarono autografi e scattarono selfie, ma furono bene attenti a non lasciare che i fan inquadrassero o menzionassero i bambini ed Atsumu – di nuovo – si sentì morire. Il peso della colpa lo schiacciava ogni volta che pensava a sua madre. Ma se stava già lui iniziando a soffrire per l’affidamento esclusivo che i signori Suzuki tecnicamente ancora non avevano, conosceva troppo bene sua madre per non sapere che per lei sarebbe stato mille volte peggio e che avrebbero dovuto passare sul suo cadavere per fare ciò che Atsumu sapeva di dover fare.
“Meglio chiedere il perdono che il permesso.” era stato il suo mantra per una vita. Non poteva cambiarlo adesso.
Uscirono dal negozio con due completini sportivi per ciascun gemello; scarpe da pallavolo per entrambi e persino ginocchiere. Il tutto – ovviamente – targato MSBY Black Jackals. Entrarono anche in un altro paio di negozi comprando a entrambi altri vestiti con cui poter giocare più comodamente; qualche libro da colorare ed annessi pastelli. Mangiarono un gelato ed infine tornarono a casa.

 
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Era ufficiale. Sakusa amava quei bambini. Continuava a ripetersi che non avrebbe dovuto affezionarsi troppo, provava a rimanere distaccato, ma alla fine bastava un loro solo sguardo affinché mettesse tutto il resto da parte. Portarli nel loro abituale negozio di sport per comprare tute in miniatura con il numero tredici ed il quindici dei Black Jackals era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Rimesso piede nel loro appartamento non avevano perso tempo e – dopo aver fatto il bagno e poi convinto senza sforzi i bambini a provare ancora una volta le tutine – avevano scattato loro decine di foto con la tipica lingua in fuori e le mani ad artiglio degli sciacalli.
Quella sera prepararono la cena insieme optando per una delle ricette più complicate suggerite dalla signora Foster solo per bruciare tutto e ricominciare da capo ripiegando su del semplice ramen. Come sempre misero a letto i bambini per le nove concedendosi del tempo anche per loro stessi coccolandosi sul divano. Si erano infine addormentati l’uno tra le braccia dell’altro nel proprio letto ed era ormai notte fonda quando una gran sete costrinse Kiyoomi ad andare in cucina.
Era già con una mano sulla maniglia per tornare in camera quando un suono sommesso lo fece arrestare. Fece due passi indietro e si affacciò nella stanza dei bambini. Il suono cessò immediatamente, ma ormai era tardi e Sakusa aveva capito perfettamente di cosa si trattasse. Entrò nell’ex-palestra e si avvicinò al futon in principio di Akihiko ma che in realtà condividevano entrambi sin dalla prima notte.
“Piccoli, che succede?” non risposero, ma ripreso a singhiozzare. A Kiyoomi si strinse il cuore, così prese ad accarezzarli. Non ci fu bisogno che gli dessero spiegazioni: erano bambini di quattro anni che avevano perso la madre solo da due settimane.
“Vi va di venire nel lettone con me?” annuirono entrambi continuando a piangere. Kiyoomi si caricò Akihiko in braccio e diede la mano a Kamiko. Entrarono nella camera padronale e, lasciato sul letto, subito il bambino gattonò verso la schiena di Atsumu.
“Mmh.” mormorò quello insonnolito. Si accorse subito che le dimensioni non potevano essere quelle di Kiyoomi, quindi si voltò improvvisamente sveglio e con la fronte corrucciata. Akihiko non perse tempo e si accoccolò tra le sue braccia mentre Sakusa aiutava anche Kamiko a salire sul letto.
“Che succede?” chiese il biondo con la voce arrochita dal sonno. I bambini gli risposero piangendo ancora, così lui strinse l’abbraccio sul figlio e fece avvicinare anche l’altra. Kiyoomi sorrise agrodolce a quella scena.
“Vado a prendere il lumino dalla vostra stanza, così non dormiamo al buio, va bene?” fece ai gemelli, ma Akihiko gli risparmiò il viaggio mormorando dal petto di Atsumu:
“Non ho bisogno della luce. Non ho paura se dormo con papà.” con la porta della stanza ancora aperta e luce del corridoio che illuminava in parte la stanza, Kiyoomi poté chiaramente vedere l’espressione del tutto esterrefatta del suo compagno. Gli occhi gli divennero lucidi, ma subito cacciò indietro le lacrime e baciò forte prima Aki e poi Kami. Era la prima volta che veniva chiamato in quel modo e la parola sembrava talmente naturale da fare male. Sakusa spense la luce del corridoio, chiuse la porta e si infilò sotto le coperte.

 
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Quella mattina Atsumu si svegliò con il peso di una testa poggiata sul suo braccio. Per quanto ogni volta fosse bello quanto doloroso svegliarsi con il braccio intorpidito a causa di Kiyoomi che gli aveva bloccato la circolazione del sangue per delle ore, non fu però quello il caso. Il peso era minimo e quindi non abbastanza perché fosse svegliato dal fastidio di avere un arto pieno di spilli e non utilizzabile. Si voltò solo per vedere Akihiko dormire sereno al suo fianco. Sorrise, poi sollevò lo sguardo e la stanza parve illuminarsi di luce nuova: anche Kamiko dormiva tranquilla e sembrava comoda sdraiata sul petto di Kiyoomi com’era mentre lo schiacciatore la abbracciava.
“Ah, cazzo.” pensò “Voglio questo per il resto della vita.”
“Potresti averlo.” gli rispose un’altra parte di sé nella sua testa, ma scacciò via quel pensiero prima che potesse diventare pericoloso. Se non poteva essere per sempre, Atsumu voleva almeno immortalare quel momento. Si mosse silenzioso ed il più delicatamente possibile. Sollevò piano la testa di Aki con una mano e si liberò il braccio. Poi prese il cellulare dal comodino e scattò qualche foto: ad Aki, ad Omi e a Kami, poi a tutti e tre. Non poter mandare quelle immagini a sua madre lo uccideva, ma non perse tempo e le mandò nella chat di suo fratello e in quella della squadra per migliorare a tutti la giornata. Lasciò la stanza, si lavò in fretta e iniziò a preparare la colazione per tutti.
Kiyoomi, Kamiko e Akihiko lo raggiunsero insieme mano nella mano. Poi la bambina lasciò andare lo schiacciatore per correre verso di lui.
“Papà! Voglio prenderla io la marmellata dal frigo!!” Atsumu aveva dovuto sopprimere le lacrime la sera prima quando era stato Akihiko a chiamarlo in quel modo e non fu diverso con lei quella mattina.
“Vuoi prenderla tu, tesoro?” le sorrise e subito l’afferrò da sotto le ascelle in modo tale da sollevarla fino al barattolo.
Seduti intorno al tavolo spalmò poi per lei un po’ di burro e marmellata nelle fette biscottate mentre Kiyoomi faceva lo stesso con la nutella per Akihiko. Fecero lavare loro i denti, li vestirono con le nuove, piccole divise Black Jackals ed infine uscirono di casa.
Come era loro solito fare raggiunsero la palestra a piedi. Per strada i bambini giocarono a non toccare il bordo delle mattonelle del marciapiede con i piedi, così iniziò a farlo anche Atsumu nel divertimento generale.
Arrivarono a destinazione ridendo e affaticati da tutti quei salti. Era piuttosto presto, quindi si stupirono quando entrando scoprirono che tutto il resto della squadra era già presente.
“Qualcuno era impaziente di conoscere due certe persone!” spiegò Meian ai loro sguardi confusi. Atsumu e Kiyoomi risero mentre quest’ultimo riponeva maschera e guanti nel proprio armadietto.
“Sono così carini!!” esclamò un’ottava troppo forte Hinata. Tutti risero per poi sciogliersi in mille acclamazioni quando Atsumu e Kiyoomi tolsero loro i giubbotti rivelando le divise.
“Attento, Sho-kun!” urlò Bokuto “Qui qualcuno rischia di rubarti il posto di mascotte della squadra!”
“Io non sono la mascotte!” disse il più giovane non convincendo nessuno.
“Ricordate!” volle specificare Atsumu soprattutto a Bokuto “Niente social.”
Coach Foster li raggiunse pochi minuti dopo e portò i gemelli verso il campo mentre i giocatori si cambiavano. Si allenarono parecchio e duramente. Non appena poteva, Atsumu non perdeva occasione per guardare verso i suoi figli con un sorriso. Sembravano entrambi felici ed emozionati, ma era soprattutto Kami a sprizzare gioia da tutti i pori. All’alzatore ricordò tanto sé stesso da piccolo e non vedeva l’ora che l’allenamento finisse per poter fare qualche palleggio con lei. Quando ciò avvenne, gli bastò farle solo un piccolo cenno perché la bambina corresse veloce verso il campo. Akihiko la seguì subito dopo.
Nonostante per quel giorno avessero finito, tutta la squadra si trattenne qualche minuto a giocare con loro. Non che Atsumu si fosse aspettato altro. Fu solo dopo un paio di palleggi che si accorsero – per la prima volta in cinque giorni – di dover fare qualcosa per i capelli di Kamiko.
“Non avete un elastico?” chiese loro Inunaki. Atsumu e Kiyoomi scossero il capo all’unisono mentre i compagni ridevano. Nessuno di loro aveva i capelli lunghi, quindi proprio non seppero che aspettarsi quando Bokuto attirò l’attenzione di tutti i presenti esclamando:
“Ci penso io!” tirò forte il laccio dei propri pantaloncini che abbandonarono la sua vita finendo all’altezza delle caviglie. Subito, Atsumu coprì gli occhi ad Aki e Kiyoomi prese Kami in braccio girandola dalla parte opposta. Tutta la squadra rise.
“Avete l’istinto giusto per fare i genitori, ragazzi.” commentò Barnes tra le lacrime.
Quindici minuti dopo erano rimasti solo Hinata e Bokuto a far loro compagnia.
“Bravissima, Kami!” esclamò un’ennesima volta l’alzatore “Hai un futuro da giocatrice, davanti!” sorrise dal più profondo del suo cuore.
“Papà, io sono stanco!” si lamentò subito dopo Akihiko. Atsumu gli si avvicinò, e così – arrabbiata – fece anche Kamiko.
“Lo dici solo perché non sai giocare! Io non voglio ancora andare via, non fare il guastafeste!” Atsumu non poteva credere di stare per dirlo dal momento che tuttora lui continuava a stuzzicare Osamu in quel modo, tuttavia si costrinse a riprendere la bambina.
“Non trattare così tuo fratello, Kami.” le disse con tatto “È normale sentirsi stanchi. La pallavolo è uno sport impegnativo.” poi si rivolse ad Akihiko.
“Ti va di aspettare un po’ in panchina, piccolo? Così facciamo giocare ancora un po’ la sorellina.” Akihiko guardò risentito verso Kamiko, ma infine annuì. Atsumu lo baciò in fronte e tornò in campo con la figlia. Lui e Kiyoomi si alternarono per fare compagnia ad Aki inventandosi ogni genere di gioco possibile pur di intrattenerlo. Questo fin quando non arrivò Akaashi.
“Keiji! Credevo saresti passato solo alle due!”
“Sono le due, infatti.” fu la risposta dell’editore. Tutti se ne stupirono e all’unisono si voltarono verso l’orologio appeso al muro della palestra. Poi Bokuto iniziò a piagnucolare.
“Ma io voglio continuare a giocare! Vanno bene altri dieci minuti?” Akaashi sorrise intenerito ed Atsumu non poté fare a meno di chiedersi come fosse vivere con un adulto rimasto bambino. Ad Akaashi comunque non sembrava dispiacere.
“Ho del lavoro importante da finire…” iniziò a dire, ma ritrattò a metà frase quando si accorse dell’espressione affranta dell’altro “mi appoggio laggiù e continuo qui, d’accordo?” indicò verso la panchina ed il banco del coach. Bokuto sorrise felice e lasciò un bacio a stampo entusiasta all’editore che andò a sedersi vicino ad Akihiko. Da allora Kiyoomi tornò a giocare con loro ed Atsumu non fece più caso a cosa faceva Aki per un po’ finché Akaashi non li raggiunse in campo per chiamare lui e Sakusa. L’alzatore si voltò subito allarmato verso il figlio che però stava disegnando tranquillo su alcuni fogli. I due giocatori non capirono perché l’editore li avesse chiamati finché non furono accanto al gemellino.
“Aki!” esclamò Atsumu e questi subito sollevò lo sguardo su di lui “L’hai fatto proprio tu?” afferrò il foglio che aveva davanti per ammirarlo più da vicino. Akaashi si occupava della pubblicazione di libri così come di manga, quindi non era raro per lui avere in borsa fogli e locandine pubblicitarie delle nuove serie in uscita editate dal suo studio. Akihiko aveva riprodotto uno di quei poster in maniera strabiliante considerata l’età.
Il bambino arrossì prima di annuire sorridendo.
“È bellissimo!” si unì Kiyoomi “Dobbiamo attaccarlo al frigorifero.”
“Il nonno non vuole che attacchiamo i suoi disegni al frigo.” disse loro Kami che si era avvicinata “Dice che fanno confusione.”
“Be’,” rispose subito Atsumu “il nonno non è qui. E a noi piace troppo questo disegno per non attaccarlo al frigo. Vero, Omi?”
“Certo. E ne vogliamo anche altri!” esclamò all’indirizzo di entrambi i gemelli.
Arrivati a casa – non prima di aver fatto fare ad entrambi un attento e approfondito bagno – lasciarono che fosse Akihiko stesso ad attaccare il disegno al frigorifero con dei magneti mentre poco distante Kamiko gli indicava se spostarlo più da una parte o dall’altra affinché fosse nel centro esatto.
“Una futura campionessa e un futuro artista.” mormorò Kiyoomi con tenerezza guardandoli da lontano.
“Hanno l’oro nel sangue, dopotutto.” aggiunse fiero Atsumu mentre il suo compagno lo spintonava divertito.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Quella notte, non invitati ma benaccetti, Kamiko e Akihiko dormirono di nuovo nel letto con loro. La mattina dopo li lasciarono all’asilo e Atsumu poté ammettere almeno a sé stesso quanto la cosa gli fosse risultata difficile.
“Verremo a riprenderli tra qualche ora.” si disse mentre raggiungevano la palestra con la macchina “Non è come portarli a sette ore di strada da qui.” decise di non pensarci oltre, anche perché se l’avesse fatto avrebbe dovuto realizzare che se tutto andava bene – visto il loro lavoro – avrebbero potuto vederli solo un giorno ogni due settimane.
Si allenarono come sempre con impegno e devozione. Come il giorno prima furono entrambi messi nella squadra B, cosicché nel weekend le riserve che li avrebbero sostituiti in trasferta sarebbero state pronte. Coach Foster si dichiarò soddisfatto, quindi con leggerezza e trepidanza Atsumu e Kiyoomi ripresero la macchina per dirigersi verso l’asilo.
“Vi siete divertiti?” chiese subito l’alzatore non appena – Kamiko tra le sue e Akihiko tra quelle di Kiyoomi – i bambini si gettarono tra le loro braccia. La risposta gli si poteva leggere in faccia:
“Sì!” esclamò Kamiko “Ho conosciuto Yuki e Maki e Nana! Abbiamo giocato a palla!!”
“No.” singhiozzò Akihiko “Non ci voglio tornare domani!”
“Non è vero! Anche lui si è divertito!”
“Ma poi però tu mi hai lasciato solo!!” si lamentò ancora. Miya ripensò a lui e ad Osamu a scuola. Era sotto gli occhi di tutti che entrambi i gemelli si divertissero di più insieme, ma erano gemelli, , non siamesi. Osamu era sempre stato più capace di lui nel fare amicizia. Inevitabilmente, se suo fratello decideva di giocare con altri bambini Atsumu rimaneva solo. Al contrario di Akihiko lui avrebbe preferito morire piuttosto che ammettere la cosa, ma le differenze si fermavano a quello.
Accarezzò la testa del bambino e gli sorrise.
“Domani andrà meglio, Aki.” il piccolo non sembrò convincersi. “Anche a me non piaceva l’asilo, sai? Mi è servito più tempo rispetto allo zio Samu per ambientarmi, ma alla fine l’ho fatto.” non era del tutto vero, ma non occorreva che suo figlio lo sapesse. Akihiko annuì, quindi si diressero verso la macchina e con quella a comprare il loro dango personalizzato.
Usciti dalla pasticceria decisero di attraversare per andare a pranzare da Osamu. Atsumu fece segno a Kiyoomi di precederlo con Akihiko mentre lui rallentava con Kamiko. Si abbassò alla sua altezza ed eliminò subito la sua espressione confusa quando iniziò a parlare.
“Posso parlarti come fossi una bambina grande, Kami?” lei subito annuì orgogliosa. Atsumu sorrise, poi continuò: “Devi promettermi che questa conversazione rimarrà tra di noi. Puoi farlo? È una cosa da grandi mantenere la parola!” la bambina si illuminò ancora di più.
“Va bene!” Atsumu sospirò.
“Vedi, Kami, tu sei una tipa tosta!” fece la voce profonda e mostrò il muscolo. L’altra rise. “Conoscendoti ti viene naturale farti degli amici, non è vero?” Kamiko sembrò pensarci un attimo, ma infine annuì.
“Per Aki non è così semplice, invece. Quindi devi aiutarlo, va bene? La complicità tra gemelli non la batte nessuno! Io e lo zio Samu ne siamo la prova vivente. Anche se lui non te lo dice, io sono sicuro che tu sia la persona più importante per Aki.” la bambina guardò verso l’entrata di Onigiri Miya, poi Atsumu continuò:
“È una grande responsabilità. Vuol dire che devi prenderti cura di lui. Puoi farlo?” Kamiko non esitò:
“Sì!” esclamò con sicurezza. Atsumu sorrise.
“Domani all’asilo mi prometti di stargli accanto?” le chiese “Non devi stare sempre solo con lui, ma solo trascinarlo in giro con te.” rise portando la figlia con sé.
“D’accordo! Ho capito!”
“Ma certo che l’hai fatto! Sei una tipa in gamba!” le baciò una guancia, poi improvvisamente l’afferrò mettendosela sulle spalle e raggiunsero gli altri due.
Il giorno seguente non fu diverso. Accompagnarono i bambini a scuola ed andarono ad allenarsi. Mangiarono tutti insieme il dango e poi tornarono a casa per il pranzo. Passarono la giornata in relativa tranquillità. Le ansie legate ai primi giorni erano superate, quindi Atsumu e Kiyoomi poterono farsi la doccia in tranquillità lasciando che i bambini giocassero con i loro nuovi Lego o che colorassero l’album che gli avevano comprato.
Si stavano entrambi riposando sul divano quando il rumore di qualcosa che va in frantumi li fece sobbalzare. Subito corsero verso il rumore. Nel corridoio d’ingresso trovarono un vaso di porcellana a terra e rotto in mille pezzi con Akihiko, lì a fianco, che piangeva tenendosi le piccole braccia strette al petto. Se Atsumu prima era stato preoccupato, a quella vista divenne terrorizzato. Si accorse a malapena di Kiyoomi dietro di sé o di Kamiko che li raggiungeva correndo. Si avvicinò ad Aki e tentò di spostargli le braccia per vedere se i cocci l’avessero tagliato da qualche parte. Il bambino tremava e piangeva, ed imperterrito continuava a tenere strette le mani al petto, quindi Atsumu dovette metterci più forza, strinse le mani attorno ai polsi del figlio e tirò finché i suoi occhi non ebbero potuto appurare che stava bene. Fu solo allora che la sua attenzione poté dilatarsi e fargli sentire cosa stesse succedendo alle sue spalle. Mentre Akihiko piangeva, Kamiko gridava. Kiyoomi stava tentando di trattenerla il più possibile mentre lui controllava il fratellino, ma quella calciava e si dimenava mentre urlava:
“Lascialo! Lascialo! L’ho fatto cadere io!”. Nello stesso istante, Atsumu si rese anche conto che Akihiko era scalzo. Subito lo sollevò e se lo mise in braccio mentre gli controllava le piante dei piedi.
“Stai bene.” lo accarezzò sulla testa “Calma, stai bene.” Akihiko attenuò il suo pianto e Kamiko smise immediatamente di urlare. Si avvicinò a suo fratello e tese le mani come a volergli stare il più vicino possibile. L’alzatore si allontanò di qualche passo dal disastro di porcellana e lo mise di nuovo a terra. Sua sorella lo raggiunse e subito lo abbracciò.
“Scusa, scusa!” iniziò a singhiozzare Akihiko stringendosi a Kamiko ma guardando verso di lui. Atsumu sospirò e guardò verso Kiyoomi. Poi fu lo schiacciatore ad inginocchiarsi per raggiungere l’altezza del piccolo.
“L’importante è che tu non ti sia fatto male, Aki.” gli disse “Voglio che stiate più attenti solo per questo. Capito? Io e papà ci siamo spaventati tanto.”
“Scusa…” mormorò ancora Akihiko. Gli adulti sorrisero, poi Atsumu gli scompigliò i capelli.
“D’accordo, piccolo. Ora però vatti a mettere le pantofole, d’accordo? O potresti tagliarti.” il bambino non se lo fece ripetere due volte e corse verso il salotto insieme a sua sorella. Atsumu e Kiyoomi si guardarono negli occhi per molto tempo. Nessuno dei due voleva fare ipotesi avventate, ma entrambi non potevano che chiedersi cosa avesse scatenato il pianto di Akihiko e soprattutto la rabbia e la paura di Kamiko. Raccolsero i cocci e passarono l’aspirapolvere. Fortunatamente Kiyoomi era un esperto nel rimuovere fino all’ultimo granello di polvere e fare lo stesso con pericolosi e taglienti pezzi di porcellana fu uno scherzo.
Quello stesso pomeriggio fecero un salto in cartografia e comprarono della colla dorata, cosicché quel vaso rotto potesse diventare qualcosa di magnifico.
Il kintsugi era uno spettacolo come sempre, ma Kiyoomi pensò di migliorare l’esperienza ancora di più dicendo ai bambini che potevano disegnare quello che volevano nella parte interna dei pezzi. Rimontarono il tutto e sorrisero al risultato. Adesso in casa avevano un oggetto speciale, con qualche piccolo foro non riparabile, ma con un tesoro nascosto dentro. Andarono a letto e non parlarono più dell’incidente. Non per questo, certo, abbandonò la testa di Atsumu.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

Capitolo 9

Sabato pomeriggio sarebbero dovuti salire sull’autobus della squadra e con quello raggiungere Nagoya per disputare un paio di partite della V-League ma, per ovvie ragioni, non fu così. Fecero l’imbocca al lupo ai compagni grazie alla chat di gruppo e si raccomandarono ancora una volta di non lasciarsi sfuggire nulla riguardo ai gemelli. Dopodiché iniziarono a programmare il proprio finesettimana.
La versione ufficiale per la stampa sarebbe stata che Kiyoomi si era preso l’influenza e che Atsumu, non volendo rischiare di contagiare la squadra, era rimasto a casa con lui. Questo, certo, escludeva la possibilità di poter andare al parco o in qualsiasi altro luogo pubblico. Non erano tanto famosi da rischiare veramente, ma anche la minima possibilità di essere fotografati doveva essere evitata. Atsumu andò quindi da solo a fare provviste per i prossimi due giorni; passò a salutare Osamu e decise di stupire i bambini portando loro il dango da dividere. Non appena rientrato in casa si diresse subito in cucina dove trovò Akihiko a Kamiko che coloravano. Sorrise.
“Dov’è Omi?” chiese loro mentre iniziava a disinfettare e a conservare la spesa.
“Sta riposando in camera.” rispose Akihiko. Per quanto Kiyoomi amasse i gemelli e non mostrasse minimamente segni d’ansia vicino a loro, rimaneva pur sempre un misofobo. Atsumu sapeva che avere altre due persone in casa lo stressava. Era da tutta la vita che faceva i conti con quel disturbo ed ultimamente era migliorato tantissimo. L’alzatore si chiese se i bambini lo stessero aiutando o facendo regredire, ma in tanti giorni il corvino non aveva avuto neanche un attacco di panico ed il massimo di stress che aveva mostrato era stato un po’ di stanchezza accumulata a causa dei suoi nervi sempre all’erta. Miya decise di lasciarlo dormire.
“Guarda cosa ti ho preso, Aki!” porse un album per disegni al figlio che subito perse interesse per le figure già pronte e in attesa di essere colorate per concentrarsi solo su quei nuovi fogli bianchi. Atsumu sorrise e gli mise vicino anche penna, matita e gomma. Poi si concentrò su Kamiko.
“Cosa stai colorando, Kami?” chiese avvicinandosi. La bambina spalancò gli occhi e subito si buttò sui fogli davanti a sé.
“Niente! Non mi piace, non guardare!” Atsumu rise.
“Dai, fammi vedere! Sono sicuro che è bellissimo.” Kamiko scosse rapida la testa, ma quando vide che il padre non si fermava mormorò sconfitta e disse:
“Mmh, va bene.” senza rimettersi seduta dritta tirò da sotto le proprie braccia il foglio colorato e lo porse all’alzatore che lo afferrò interdetto.
“Cosa nascondi lì sotto?” chiese sospettoso.
“Niente!” esclamò l’altra troppo in fretta. Il biondo ghignò:
“Non attacca con me, signorina.” Kamiko poggiò un gomito sul tavolo ed il volto sul palmo. Poi finse nonchance mentre tirava un sorriso innocente. Atsumu rise e pensò che qualunque cosa fosse non poteva essere arrabbiato con lei quando gli ricordava così tanto sé stesso.
“Kamiii.” la chiamò “Se non mi fai vedere subito cos’hai lì non ti do la tua parte di dango!”
“Ci hai portato il dango??” chiesero i piccoli all’unisono. Lui non rispose, ma si limitò a guardare la figlia in evidente aspettativa. Lei sbuffò ed abbassò lo sguardo sconsolata prima di farsi indietro. C’era una lunga striscia di pastello rosso che segnava il tavolo. Atsumu guardò finalmente il foglio che Kamiko gli aveva porto e notò come quello stesso colore uscisse dai margini della forma disegnata prima e dai margini del foglio stesso poi. Tornò a guardare verso la bambina che stavolta ricambiò con espressione colpevole, mortificata e forse anche intimorita. Miya guardò verso il corridoio e poi di nuovo la figlia.
“Dai.” le disse con urgenza “Puliamo prima che Omi se ne accorga!” Kamiko sorrise e così, con la coda dell’occhio, vide fare ad Akihiko. Fortunatamente se c’era una cosa che non sarebbe mai mancata in casa loro era lo spirito e il sapone. Disse ai bambini di stare attenti, ma alla fine lasciò che fossero loro a strofinare perché il disastro sparisse. Poco più tardi, quando Kiyoomi li raggiunse, si divertirono tutti e tre a prenderlo in giro a sua insaputa mentre facevano riferimenti al rosso, al tavolo e ai colori in generale.
“Ho dei figli stupendi.” pensò per l’ennesima volta mentre rideva fino alle lacrime felice come non lo era mai stato tra i bambini e Kiyoomi, felice come non lo era mai stato e come mai lo sarebbe stato in futuro senza di loro.
 
La mattina successiva la spesero tutta davanti alla televisione. Videro due partite di pallavolo prima di arrivare a quella dei Black Jackals. Come sempre – a maggior ragione se si trattava della loro squadra – Atsumu e Kiyoomi si infervorarono parecchio. Commentarono le azioni di alleati ed avversari e persino gli interventi del telecronista. Anche Kamiko e Akihiko si divertirono. In tre partite e quelli che fino ad allora erano stati nove set giocati mai avevano dato l’idea di starsi annoiando, anzi!
“Ace!” Kamiko esclamò quella parola nello stesso momento in cui lo faceva il telecronista a seguito di un punto in battuta portato a casa da Tomas.
“Bravissima, Kami! Ha fatto un ace, esatto!” sorrise Atsumu. Non si stupì che dopo tutte quelle ore passate a sentire quei termini ne avesse memorizzato uno, ma il commento successivo di Akihiko gli fece capire che i bambini sapessero più sulla pallavolo di quanto lui e Kiyoomi non avessero creduto.
“La mamma ci faceva sempre vedere le partite quando i nonni non usavano la tv.”
“A me piace quando schiacciano la palla super veloci!” esclamò ancora la bambina.
“No, è più bello quando la prendono all’ultimo secondo prima che tocchi terra!” ribatté il fratello. Atsumu dovette elaborare per qualche secondo l’informazione perché si rendesse conto di quello che avevano appena detto i bambini.
“Isako gli faceva seguire le partite? Lo faceva per me?” non pensava avrebbe mai potuto ricevere risposta fino a quando Kamiko non gli disse:
“Vedevamo sempre le tue partite, papà!” una morsa parve stringersi attorno al suo cuore. Lui non sapeva neanche della loro esistenza, ma i suoi figli l’avevano sempre seguito. Ripensò ad Isako e a quanto fosse ingiusto che una così meravigliosa persona fosse morta giovane. Gli aveva taciuto dei gemelli, ma non aveva mai fatto nulla per far sì che i piccoli lo odiassero o pensassero che li avesse abbandonati.
“E quindi a te piacciono le ricezioni, Aki, e a te le schiacciate, Kami?” chiese loro forse solo per smettere di pensare ad Isako.
“Ma guardate l’alzatore! Non è fighissimo anche lui? È l’alzatore che regola tutto il gioco, sapete?”
“In effetti Haruta è parecchio bravo ad alzare. Magari può sostituirti in forma stabile!” Atsumu si voltò verso Kiyoomi e finse assoluto sgomento per il tradimento. I bambini fecero lo stesso ma senza fingere e al biondo venne da ridere; era commosso. Poi lo schiacciatore gli fece l’occhiolino ed il loro atteggiamento cambiò.
“Mi chiedo come sarebbe schiacciare una delle sue alzate.” continuò Kiyoomi con aria innocente.
“Allora dillo che non mi ami più, Omi!!” mise il broncio lui. Akihiko rise cercando di nascondersi dietro le manine mentre Kamiko ghignava e iniziava a dare supporto a Sakusa:
“Sei tu che mandi sempre bacini al pubblico, papà!” Atsumu non seppe se sentirsi fiero o tremendamente tradito per l’atteggiamento del tutto identico al suo della figlia. Non riuscì a credere di non essere riuscito a rispondere a una bambina di quattro anni. Kiyoomi lo salvò iniziando a ridere ed abbracciandolo forte mentre lo baciava.
“Omi, ti prego! Ci sono dei bambini!” fecero esplodere ancora di più le loro risate.
I Black Jackals vinsero quella partita e anche quella dopo. Atsumu, Kiyoomi ed i gemelli pranzarono sul divano e fu così che gli adulti appresero che in quattro anni di vita non l’avevano mai fatto.
“Non abituatevi a questo, però!” li ammonì Kiyoomi ed Atsumu annuì deciso in suo supporto. Se non per evitare che si prendessero una brutta abitudine, almeno per il fatto che dopo avrebbero dovuto smontare tutti i cuscini dal divano per pulire fino all’ultima briciola e far stare sereno il suo compagno.
Nel pomeriggio il biondo aveva creduto di potersi riposare, ma Kamiko non fu della stessa idea.
“Mi pettini i capelli, papino?” Atsumu non seppe mai se fu il vezzeggiativo con cui l’aveva chiamato o l’aria con cui l’aveva fatto. Pensò che probabilmente stesse solo facendo la ruffiana, ma non gli interessava. Lasciò il letto sul quale si era buttato solo qualche minuto prima e seguì la bambina in bagno. Entusiasta, si piazzò sopra lo sgabello che usavano per far arrivare meglio i bambini al lavandino e quindi allo specchio che lo sormontava, poi un gran trambusto fece voltare entrambi e videro Akihiko entrare trascinando una sedia. Atsumu rise e lo aiutò a portarla dentro, ma se aveva creduto l’avesse portata per sé, si era dovuto ricredere quando era uscito di corsa dal bagno urlando:
“Prendo dei cuscini, così arriva allo specchio!”. Poco dopo sia lui che Kiyoomi stavano facendo il loro ingresso.
“Allestite un salone di bellezza e non mi chiamate?” scherzò il corvino. Kamiko rise mentre Atsumu lo guardava con amore.
“Bene, allora.” disse il biondo una volta fatta sistemare la figlia in cima alla pila di cuscini. Si sfregò le mani ed afferrò la spazzola che aveva comprato solo il giorno prima. Non aveva mai pettinato dei capelli lunghi, ma non poteva essere troppo diverso da come faceva con i suoi, quindi poggiò la spazzola in cima alla testa e tirò verso il basso.
“Ahi!” esclamò subito Kamiko. Atsumu si ritrasse come se si fosse scottato.
“Devi iniziare dalle punte!” l’alzatore osservo Akihiko attraverso lo specchio, poi guardò Kamiko che si limitò ad annuire confermando le parole del fratello. Entrambi avevano l’aria di star insegnando qualcosa di scontato a un bambino e ad Atsumu venne da ridere mentre Kiyoomi lo faceva veramente. Si voltò risentito verso il compagno, poi ricominciò.
Avevano i gemelli da più di una settimana e in continuazione avevano fatto fare loro delle docce. Eppure, non avevano mai pensato di trattare come si deve i capelli della bambina. In casa avevano solo un pettine a denti larghi ed era bastato quello perché i pochi nodi che le si formavano venissero sciolti. O almeno così avevano creduto.
Ci mise parecchio per pettinarle tutta la chioma. Temeva di farle male, quindi andò piano. Una volta conclusa l’opera afferrò il pacchetto d’elastici e forcine, poi guardò Kiyoomi con aria interrogativa.
“Ho cercato qualche tutorial.” gli rispose lui avvicinandosi con il cellulare. Atsumu lo prese dalle sue mani e lo mostrò a Kamiko.
“Come vuoi essere pettinata, tesoro?” la bambina indicò una treccia, quindi il biondo fece partire il video.
Il primo tentativo fu un disastro ed il secondo anche. Akihiko sembrava essere diventato un giudice, e non uno di quelli clementi con i principianti! Mostrato in foto il risultato a Kamiko anche lei ci metteva poco ad essere d’accordo con il fratello costringendo gli adulti a ricominciare. Al quinto rifiuto, Atsumu seppe per certo che lo faceva apposta per continuare ad essere pettinata, ma quella situazione sembrava star divertendo tutti e lui ci stava anche prendendo gusto! Al settimo tentativo, tuttavia, diede forfè.
“Mi serve una pausa!” annunciò, e Kiyoomi prese il suo posto. Mentre gli altri continuavano quindi a lottare contro i capelli che Kamiko aveva ereditato da Isako, Atsumu andò in cucina e preparò succo e biscotti per i bambini e caffè per gli adulti.
Passarono in quel modo tutto il resto del pomeriggio, e anche quando Sakusa infine riuscì a soddisfare le aspettative dei più piccoli, Kami chiese se potessero continuare e Kiyoomi non si lasciò pregare. Il giorno successivo, quando andarono a riprenderli all’asilo, Kamiko non fece altro che vantarsi sul come i suoi capelli fossero i meglio acconciati di tutti.
Kiyoomi l’aveva stupito. Atsumu ricordava ancora benissimo i primi mesi in cui era entrato nei Black Jackals. Prima di allora si erano incontrati sporadicamente, ma non avevano mai interagito. Atsumu ricordava dal liceo quanto fosse schivo, ma non aveva capito fino a che punto fin quando non si erano ritrovati dalla stessa parte della rete. Ripensare a quei tempi da una parte e guardarlo salutare i bambini con rapidi abbracci dall’altra gli faceva impressione, ma in positivo! E se a quella vista non poteva fare a meno di sorridere con il cuore, non era solo perché si trattava dei suoi figli e dell’amore della sua vita, ma anche perché Kiyoomi con quei semplici atti riusciva a mostrare il proprio coraggio e un livello di amore che in pochi, guardando la scena dell’esterno, avrebbero capito.
Quel lunedì furono costretti a lasciare i bambini da Osamu, dopo pranzo, perché avevano gli allenamenti nel pomeriggio. Stavano per uscire da Onigiri Miya quando Atsumu ci ripensò e tornò dal fratello.
“Oi, Samu.” lo prese in disparte “Senti, so che ti sto già chiedendo molto…” iniziò “ma non credi che potresti tenerli fino a dopo cena?” Osamu guardò lui, poi Sakusa che lo aspettava all’ingresso del ristorante.
“Fa male l’astinenza, vero?” Atsumu arrossì, ma prima che potesse rispondere l’altro parlò ancora:
“Non voglio sapere i particolari. D’accordo, li tengo fino a cena. Ve li porto verso le dieci. Vi basta?”
“È troppo tardi per loro…” pensò ad alta voce Atsumu “meglio per le nove.” Osamu si limitò a fissarlo basito per un po’ prima di rispondergli:
“Cazzo, Tsumu, i tuoi figli ti hanno fatto davvero crescere, finalmente!” sebbene mettendo il broncio, l’alzatore decise di prenderlo come un complimento.
“Ci vediamo, Samu. E grazie ancora.”
“Sì, sì.” lo liquidò l’altro con noncuranza. Poi tornò a lavorare e Atsumu andò a fare lo stesso.
 
Erano meno di due settimane ma sembravano anni che lui e Kiyoomi non facevano del sano quanto brutale sesso. Per quanto li amassero fu liberatorio poter tornare a casa e buttarsi l’uno sulle labbra dell’altro senza doversi preoccupare dei bambini. Sebbene tra loro fossero sempre stati passionali, Atsumu non ricordava l’ultima volta in cui entrambi erano stati tanto vogliosi. Kiyoomi lo inchiodò alla porta non appena se la chiusero alle spalle. Erano ancora leggermente umidi per la doccia appena fatta in palestra, ma presto si sarebbero scaldati. Con forza e possessività Kiyoomi gli aveva stretto il fondoschiena per issarselo sui fianchi. Atsumu gli aveva legato le gambe alla vita e così avevano raggiunto la camera da letto.
Non ci furono preliminari. Non ne avevano bisogno. I vestiti furono buttati in gran fretta sul pavimento ed un attimo dopo erano uniti. Lo fecero diverse volte, una più brutale dell’altra, fino a quando, completamente svuotati, non arrivarono a coccolarsi con tranquillità sotto le lenzuola.
“Dovremmo lasciare i bambini più spesso con Samu.” mormorò Atsumu mentre Kiyoomi gli accarezzava il collo con le labbra, ma si sarebbe presto ricreduto.
“Non lasciategli mangiare zuccheri la sera se non volete che facciano chiasso invece di dormire.” quello era stato uno dei consigli della signora Foster che più avevano preso seriamente, ma non Osamu. Atsumu non sapeva se suo fratello l’avesse fatto apposta o se ignorasse in cosa li avesse cacciati. Entrambe le cose erano possibili e in ogni caso il problema restava: erano le undici di sera ed i bambini stavano saltando ancora esaltati sul letto. Sul loro letto.

“Non li lasceremo mai più con Samu.” Kiyoomi assentì annuendo stanco ed esasperato.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Se il giorno successivo – nonostante i salti sul letto della sera prima – trascorse tranquillo, lo stesso non poterono dire di mercoledì. Avevano finito i loro allenamenti e ripreso come al solito i bambini all’asilo, mangiato il loro dango e rientrati in casa per preparare il pranzo. Fu mentre Kiyoomi prendeva gli ingredienti che – per la prima volta dopo mesi – avvenne. Atsumu era arrugginito ed anche se sapeva che gli attacchi di panico si potevano manifestare dal nulla e all’improvviso, ci mise un po’ per rendersi conto della situazione. Kiyoomi gli dava le spalle, il frigo era ancora aperto davanti a lui, e fu solo quando l’elettrodomestico iniziò a suonare per essere rimasto aperto troppo a lungo che l’alzatore si rese conto che qualcosa non andava. Guardò le spalle di Sakusa e le vide tremare, poi buttò gli occhi sulla mano che reggeva lo sportello del frigo e la vide bianca tanto forte si stava stringendo.
“Cazzo.” sibilò. Akihiko gli sbarrava la strada, quindi lo afferrò da sotto le ascelle e lo tolse di mezzo per poter raggiungere Kiyoomi.
“Bambini, state indietro.” disse guardandoli a malapena. Afferrò il braccio di Sakusa e lo tirò in modo tale che potessero spostarsi dall’aria fredda del frigo. Lo fece appoggiare al bancone di marmo e cercò di valutare in fretta la situazione: il suo compagno era pallido, tremante e stava sudando freddo. I suoi occhi sembravano vuoti e faticava a respirare. Con due bambini in casa Atsumu non aveva il privilegio di potersi concentrare solo sul misofobo, quindi continuò a tenere d’occhio anche loro mentre però continuava a fissare Kiyoomi.
Una rapida analisi lungo tutto il suo corpo gli fece capire cosa avesse manifestato quella crisi: in mano aveva una forma di formaggio. Lui e Sakusa ormai erano più che esperti nelle faccende di pulizia, tanto che casa loro avrebbe potuto benissimo sembrare essere presa da un catalogo di interni, ma i due giocatori rimanevano due esseri umani, ed anche a loro capitava di trascurare, di tanto in tanto, qualche particolare, che in quel caso era una forma di formaggio troppo stantia e quindi attaccata dalla muffa. Atsumu se ne accorse quando la afferrò dalla sinistra di Kiyoomi.
“Cazzo.” ripeté ancora a bassa voce. Buttò in fretta il formaggio nel cestino e corse a prendere un panno umido e dell’alcol igienizzante. Pulì le mani del suo ragazzo, poi fece lo stesso con le proprie e posò il panno.
“Omi.” lo chiamò mettendogli le mani a coppa sul viso “Omi.” ripeté. Se i primi tempi in cui si erano frequentati aveva optato per risolvere quel tipo di crisi senza toccarlo, presto aveva capito che – al di là di ogni logica – Kiyoomi sembrava riprendersi più in fretta entrando in contatto con lui (e soltanto con lui).
“Va tutto bene, tutto bene.” sussurrò. I bambini ancora controllati con la sua coda dell’occhio.
“Respira con me.” inspirò ed espirò, poi lo fece più lentamente e più lentamente ancora fin quando l’attacco di panico non iniziò a passare.
Come sempre, ci vollero parecchi minuti perché Kiyoomi riprendesse a respirare normalmente. Non appena avvenne lo aiutò a camminare e lo fece stendere sul loro letto. Lo baciò sulla fronte, gli accarezzò i capelli, poi prese un panno umido dal bagno e gli tamponò il sudore. Presto si sarebbe fatto una doccia, ma adesso aveva bisogno di riposare. Infine, Atsumu lasciò la stanza e lì, fermi sulla soglia, vide i gemelli. Viste le loro espressioni sorrise incoraggiante, poi si inginocchiò per raggiungere la loro altezza.
“Che cos’ha Omi?” chiese preoccupato Akihiko.
“Ha avuto un attacco di panico, piccolo. Ad Omi non piace lo sporco, quindi quando per caso tocca qualcosa che lo insudicia inizia a sentirsi male.”
“È per questo che quando siamo fuori ha la maschera e i guanti?” Atsumu guardò Kamiko con occhi orgogliosi.
“Esatto. Ed è anche per questo che vi facciamo lavare così spesso.” rise, ma i bambini sembravano troppo scossi per riuscire a ricambiare.
“Ora sta bene?” chiese ancora Akihiko. Atsumu si voltò e guardò per un momento Kiyoomi sul letto.
“Sì, sta bene. È solo un po’ stanco. Che ne dite se gli portiamo un po’ d’acqua?” felici di poter fare qualcosa, corsero entrambi in cucina e – dopo una piccola battaglia – decisero che gli avrebbero portato un bicchiere ciascuno. Quando raggiunsero Sakusa, questi sorrise e bevve prima da uno e poi dell’altro bicchiere. Subito dopo Akihiko corse via, ma il resto di loro non dovette chiedersi a lungo il perché.
“Ecco, Omi!” gli porse delle salviettine igienizzanti “Le ho prese dal bagno, così ce le hai sempre vicino!” le appoggiò sul comodino. Atsumu guardò intenerito prima il figlio, poi lo schiacciatore ed entrambi sorrisero. Il biondo capì subito quanto Kiyoomi volesse abbracciare Akihiko, ma subito capì anche che era ancora troppo provato per un qualsiasi contatto umano che non fosse il suo, quindi Atsumu prese le sue veci e strinse forte il bambino mentre lo baciava in mezzo ai capelli.
“Dai,” li esortò “lasciamo riposare Omi adesso, va bene?” i piccoli subito annuirono e lasciarono la stanza. Atsumu si sedette un momento in bilico sul materasso: “Ti porto il pranzo tra un po’, quando ti sentirai di mangiare.” Kiyoomi annuì.
“Grazie.” rantolò “E scusa…” Atsumu rise.
“Me lo dici dopo ogni attacco di panico, ed ogni volta io ti dico che non devi farlo. Quando la smetterai?”
“Credo mai.” ammise l’altro. Atsumu lo guardò con rimprovero e gli si avvicinò. Poggiò la fronte sulla sua e gli passò una mano tra i capelli.
“Non c’è nulla per cui tu debba scusarti, Omi.” gli sussurrò, poi si baciarono.
“Adesso tu pensa solo a riprenderti. Vengo a controllarti tra un po’.” il corvino annuì, quindi Atsumu lasciò la stanza.
Finì di preparare il pranzo per tutti e quando si misero a tavola subito i bambini iniziarono a fargli domande sulla misofobia. Atsumu rispose come meglio poté, ma per quanto fosse preparato in materia c’era un limite ai Perché ai quali poteva rispondere. Kamiko e Akihiko, in ogni caso, sembravano aver capito pienamente la situazione e gli promisero che sarebbero stati attenti in modo da far star bene Omi. Ancora una volta nell’arco di pochi giorni, Atsumu si ritrovò a stupirsi dei propri figli: se qualcosa gli faceva credere di non poterli amare più di quanto già non facesse, subito dopo veniva smentito dalle loro azioni “Perché non c’è limite.” capì in quel momento: “Non c’è limite a quanto posso amarli”.

 
===
 
Era avvenuta. La più grande paura di Kiyoomi da quando avevano preso i gemelli a casa dei loro nonni era avvenuta.
Combatteva con la misofobia da tutta la propria vita e sapeva bene quanto potesse essere fastidiosa non solo per sé stesso, ma anche per coloro che gli stavano intorno. Atsumu aveva dovuto faticare, e non poco, quando dopo molti mesi di frequentazione assidua entrambi avevano capito che la loro relazione stava diventando seria. Chiunque, vedendoli dall’esterno, avrebbe detto che fosse Kiyoomi quello maggiormente pronto e sicuro tra i due a costruire qualcosa di stabile, eppure era tutto l’opposto. Era stato Atsumu a mantenere unita la loro relazione quando Kiyoomi con tutte le proprie forze aveva tentato di distruggerla; era stato Atsumu a convincerlo a lottare per loro quando Kiyoomi si era convinto di doverlo lasciare andare. Era stato Atsumu a fargli capire quanto l’uno fosse importante per l’altro; più importante di ogni altra cosa. La sua misofobia era il motivo per cui lui e Miya non avrebbero mai potuto adottare un neonato; era il motivo per cui non potevano avere neanche un animale domestico o perché non potevano usare i mezzi pubblici; era il motivo per cui dovevano saltare molte feste e perdersi tantissime belle occasioni in compagnia dei propri amici. Era il motivo per cui erano saliti su un aereo una volta soltanto senza possibilità di ripetere l’esperienza ed era il motivo per cui gran parte della loro routine giornaliera comprendeva atti di pulizia.
Da quando Kamiko e Akihiko avevano messo piede in casa, anzi da prima: da quando erano andati a prenderli o addirittura da quando avevano sentito parlare di loro per la prima volta dall’avvocato, Kiyoomi non faceva altro che pensare a questo: alla propria misofobia. Sapeva che prima o poi avrebbe avuto una crisi. Che fosse perché i bambini lo toccassero senza preavviso o per la semplice troppa vicinanza. E sebbene quella paura – nel corso dei giorni – fosse stata messa da parte, non era scomparsa. L’ansia aveva continuato a logorarlo ed infine, senza che i bambini ne fossero minimamente responsabili, era successo.
Come avviene spesso in situazioni come queste, però, il fatto che la sua paura più grande si fosse manifestata lo aiutò.
“Non può succedere niente di peggio.” pensò, e con quelle parole in testa il mostro che aveva riposato sul suo petto svanì alleggerendogli il peso.
Mai pensare che il peggio sia passato.
Era giovedì pomeriggio quando il campanello della porta suonò.
Kiyoomi lasciò Atsumu con i bambini ed andò ad aprire. Avrebbe potuto essere Osamu, Motoya o il corriere che lasciava un pacco. Non era nessuno di loro e ciò che vide oltre la porta lo raggelò.
“Mamma. Papà.” ci mise qualche secondo ad elaborare ciò che i suoi occhi avevano davanti e a salutare di conseguenza.
“Kiyo!” esclamò sua madre con la sua solita aria allegra.
“Sai che odia quando lo chiami così, cara.” intervenne suo padre.
“Ma odia di più se lo chiamiamo Omi!” scherzò ancora la donna.
“Mi bastano Atsumu e la squadra per quello.” i suoi genitori risero e lui cercò di tirarsi a sua volta in un’espressione divertita, ma gli schiamazzi dei gemellini non potevano che fargli avere un solo pensiero:
“Mi scorticheranno vivo.”
Prima ancora che potesse pensare a qualsiasi cosa, Atsumu lo raggiunse.
“Omi chi è-” non finì la frase. Kiyoomi lo vide bloccarsi e deglutire, ma come riusciva sempre a fare si riprese in fretta ed indossò la sua maschera di bronzo.
“Eri-chan! Ichiro-chan!” la prima volta che il suo ragazzo aveva chiamato con quel tipo confidenza i suoi genitori, Kiyoomi era rimasto scandalizzato. Non aveva mai presentato nessuno ai signori Sakusa, quindi non aveva idea di come potessero reagire in situazioni del genere. Atsumu era stato terrorizzato al loro primo incontro ufficiale, ma si era subito sciolto e già un mese dopo il chan era stato messo sul tavolo.
Col senno di poi, Kiyoomi capì di aver esagerato con le proprie ansie. Atsumu era subito piaciuto ai suoi genitori e chiaramente i suoi progressi contro la misofobia avevano aiutato.
“Tsumu!!” rispose la donna felice varcando infine la porta. Allargò le braccia ed il biondo non si lasciò pregare: vi si buttò dentro. Eri sospirò al settimo cielo.
“Mi era mancato il mio bambino.” mormorò riferendosi ad Atsumu. Il biondo rise e Kiyoomi sbuffò.
“Mamma…” disse “io sarei qui.” lei lo guardò male e finse un broncio.
“Atsumu potrà passarti l’abbraccio più tardi dato che ti fai stringere così solo da lui! Devo dargliene una doppia dose!” e strinse più forte. Atsumu rise e si crogiolò in quella dimostrazione d’affetto. Ogni volta che si vedevano sua madre usava la scusa di dover recuperare tutti gli abbracci che Kiyoomi le aveva negato, e la cosa peggiore era che Atsumu le andava dietro dandole man forte! Sakusa fingeva di prendersela, ma nulla avrebbe potuto renderlo più felice in quei momenti.
Quando infine si separarono, Atsumu passò a salutare suo padre: sempre calorosamente, ma in maniera meno plateale.
“Cosa ci fate qui?” chiese a quel punto Kiyoomi. I suoi genitori abitavano dall’altra parte di Tokyo, e sebbene non fosse così raro per loro vedersi, non accadeva neanche troppo spesso.
“Che domande!” fu la risposta di Ichiro “Era da tanto che non vi vedevamo, così abbiamo deciso di fare un salto!”
“Avreste potuto avvertire.” controbatté ancora il figlio, poi li guardò sospettoso e sua madre – come sempre – confessò subito.
“Okay, c’è qualcos’altro.” sospirò. I giocatori la guardarono curiosi, ma lei rispose guardandoli come se la risposta fosse ovvia: “La trasferta, no?” disse “Abbiamo sentito solo ieri che non siete andati perché Kiyo si è preso l’influenza.” spiegò, poi sospirò grave “Pensi che abbiamo dimenticato quanto erano brutte le crisi che avevi sùbito dopo pensando ai germi nel tuo corpo?” continuò mentre iniziava a togliersi le scarpe per indossare un paio di pantofole per gli ospiti. “Ora sembri stare bene, ma volevamo comunque controllare-” si bloccò quando – aperta la cassettiera – trovò le scarpe dei bambini. Scattò con lo sguardo verso i due padroni di casa, che furono capaci solo di aprire e chiudere la bocca. Quando Ichiro capì il motivo di quello stato li guardò sconvolto a sua volta e chiese:
“Di chi sono queste?” Kamiko e Akihiko evitarono loro di rispondere ridendo più forte dal salotto. Gli sguardi dei signori Sakusa saettarono in quella direzione e così, come in trance, presero a fare le loro gambe. Atsumu e Kiyoomi li seguirono subito dopo e immediatamente prima che arrivassero al salotto il biondo esclamò:
“Possiamo spiegare.”
“Papà!” esclamò Akihiko sollevando un ennesimo disegno “Vieni a vedere il mio disegno?” Kiyoomi vide Atsumu sorridere al figlio e poi guardare colpevole verso i ‘suoceri’. Si avvicinò ad Akihiko ed afferrò il foglio.
“È bellissimo, piccolo!” lo sentì dire. “Tu cosa hai disegnato, Kami?” la bambina mostrò la propria opera, ma ormai entrambi erano concentrati sugli ospiti.
“Loro sono i vostri-!?” iniziò Eri, ma Kiyoomi la bloccò.
“Ti spiego dopo, mamma.” la donna era sempre stata molto intuitiva, ma anche se non lo fosse stata il tono che aveva usato lo schiacciatore fu abbastanza per farla desistere e farle capire che quello era un discorso da non fare davanti ai bambini.
“Papà?” chiamò ancora Akihiko “Loro chi sono?” il biondo si grattò la nuca prima di rispondere:
“Sono la mamma e il papà di Omi.” i gemelli osservarono prima Atsumu, poi i signori Sakusa ed infine Kiyoomi.
“Vuol dire che sono i nostri nonni?” chiese innocente Kamiko. Kiyoomi si pietrificò e così fece Atsumu. I suoi genitori erano ancora confusi, non avevano idea di cosa quelle parole avessero appena scatenato.
I bambini non avevano mai chiamato Kiyoomi ‘papà’, eppure avevano appena dichiarato nel più chiaro dei modi che lo consideravano ugualmente come tale. Lo schiacciatore aprì la bocca per rispondere (neanche lui sapeva cosa), quando Atsumu lo precedette:
“Sì, è così.” disse flebile ma in qualche modo assolutamente deciso. Tutti si girarono verso di lui, ma l’alzatore aveva lo sguardo fisso su Kiyoomi. Si amavano da moltissimo tempo ed il suo sguardo dorato, ormai, non aveva più alcun segreto per lui. Kiyoomi vide quanto fosse sorpreso dalle proprie stesse parole; terrorizzato all’idea di cosa ciò avrebbe implicato e confuso dal fatto che fosse così giusto ciò che aveva appena detto. Deglutirono entrambi.
“S-scusate” disse ancora tremante il biondo “ho bisogno di un minuto.” guardò verso Eri e Ichiro “Vi prego, tenete d’occhio i bambini per un attimo.” e scappò verso il bagno. Kiyoomi lo inseguì correndo.
“Si può sapere cosa ti ha preso!” gli urlò piano una volta che si furono chiusi la porta alle spalle.
“Lo so, Omi, lo so!” gli dava le spalle e si era messo le mani tra i capelli “Non c’è bisogno che tu me lo dica!” ma Kiyoomi aveva intenzione di farlo ugualmente:
“Tra pochi giorni dovranno tornare dai loro nonni! È già grave che si siano affezionati così tanto! Non puoi dirgli cose del genere!!” afferrò il proprio compagno per il gomito e lo tirò con forza affinché si voltasse. Stava piangendo. Il cuore di Kiyoomi si sciolse e subito si sentì in colpa. Attirò Atsumu in un abbraccio e lo strinse come meglio poté. Lo accarezzò sulla schiena e lo baciò tra i capelli mentre quello iniziava a singhiozzare più forte.
“Lo so…” disse piangendo “Lo so.” ripeté ancora tra i singhiozzi. “Tra poco andranno via e chissà quando potremo rivederli. Hyogo è a sette ore da qui e non è giusto!” Kiyoomi non sapeva cosa dire. Avrebbe voluto con tutto il cuore rimanere con i bambini, ma dovevano pensare a cosa fosse meglio per loro.
“Sono i nostri bambini, Omi. Miei e tuoi. Hai visto come ti guardano, e io ho visto come tu guardi loro. Sei loro padre almeno quando me, lo sai benissimo anche tu. Lo so che lo sai.” Kiyoomi strinse ancora di più la stretta. Sì, lo sapeva. L’aveva capito da giorni, ma aveva negato l’evidenza perché sapeva che se avesse riconosciuto la cosa sarebbe stato impossibile lasciarli andare.
“Sì.” ammise ad alta voce ed i cuori di entrambi – in contatto tra i petti stretti – iniziarono a battere più velocemente. “E proprio per questo dobbiamo prenderci cura di loro e dargli la migliore opportunità di vita.” disse con la morte nel cuore. Atsumu si irrigidì e Kiyoomi non riuscì più a trattenere una lacrima. “Sono felici qui con noi, ma lo sono stati anche con i loro nonni per quattro anni. Li amano tanto quanto li amiamo noi e se ne potranno prendere cura a tempo pieno. Vivranno dove è vissuta loro madre.” l’alzatore si strinse tra le braccia di Kiyoomi.
“Lo so.” sussurrò “È solo… così difficile.” il corvino lo baciò ancora tra i capelli e rimasero in quella posizione per diverso tempo per permettere a entrambi di riprendere il controllo.
“Quando Aki ha rotto il vaso credevano che l’avremmo picchiato.” Atsumu lo disse in un sussurro; lo disse con certezza, senza il minimo dubbio che la sua ipotesi potesse essere avventata. Lo disse come se non stesse facendo altro che pensarci da quando quel vaso di porcellana era caduto, e probabilmente era così. Anche Kiyoomi aveva ripensato spesso a quell’episodio: a come Akihiko si fosse spaventato, ma soprattutto a come Kamiko sembrava essere impazzita.
Non dissero più nulla. Si limitarono a rimanere abbracciati cercando la forza per uscire da quel bagno ed affrontare la realtà.
Quando finalmente ci riuscirono, i suoi genitori non chiesero perché avessero quelle facce, né perché Atsumu era tanto gonfio in viso. Anche Akihiko e Kamiko si accorsero dello strano aspetto del biondo, così gli stettero addosso tutto il tempo. Kiyoomi immaginò che la loro vicinanza, in quel momento, fosse un balsamo tanto quanto una pena per Atsumu, tuttavia lo vide sorridere e decise di non allontanarli.
“Papino?” lo chiamò a un certo punto Kami “Mi aiuti a mettere una gonna?” Kiyoomi si stupì di quella richiesta: da quando le avevano comprato i pantaloni si era del tutto rifiutata di mettere di nuovo le calze.
“Certo, amore.” le rispose confuso l’alzatore “Ma perché vuoi mettere la gonna?”
“Per i nonni, no? Quando ci sono i nonni devo sempre mettere la gonna.” Kiyoomi guardò verso Atsumu ed il biondo fece lo stesso verso di lui. Si scambiarono uno sguardo comprensivo: il vaso, i disegni vietati sul frigorifero, le partite di pallavolo viste solo quando i nonni non c’erano, il testamento di Isako. Era pericoloso pensare a tutto quello, eppure non potevano più farne a meno.
“Perché non ci accompagni, Aki?” disse Atsumu al bambino mentre si alzava con Kamiko. Guardò verso Kiyoomi e poi fece cenno verso i suoi genitori.
“Diglielo.” sembrava suggerirgli, e così Kiyoomi fece.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 

Capitolo 11

Una volta messa la gonna a Kamiko, lui, la bambina e suo fratello tornarono in salotto. Kiyoomi – glielo confermò lui stesso con uno sguardo – aveva messo al corrente i suoi genitori della situazione.
Trascorsero insieme e in tranquillità il resto della giornata. Cucinarono ed apparecchiarono per sei; raccontarono ad Eri e Ichiro dei bambini, di come Kamiko fosse brava a pallavolo e Akihiko nel disegno; di come Kiyoomi avesse imparato ad intrecciarle i capelli e del dango speciale che mangiavano ogni giorno. Nonostante tutte le belle chiacchiere, però, ad Atsumu non sfuggì lo strano atteggiamento dei suoi figli. Se erano solari e vivaci praticamente con tutti, non sembravano trovarsi allo stesso agio con i signori Sakusa. Entrambi erano piuttosto rigidi, troppo poco chiassosi. Non sembravano loro, e se per Akihiko non era del tutto una novità, anche Kamiko era taciturna. Rimaneva seduta dritta, con le mani in grembo e le caviglie accavallate in una posizione troppo falsa ed elegante, per i suoi gusti. Per tutta la sera Atsumu e Kiyoomi non fecero altro che lanciarsi delle occhiate scettiche. I bambini erano stati timidi e taciturni anche con loro, all’inizio di tutto, ma ci avevano messo poco ad aprirsi, e una volta fatto non erano regrediti a quell’atteggiamento con nessun estraneo: non con Osamu, non con la squadra, non per la breve visita di Komori.
Eppure, loro erano i nonni. Le parole di Kamiko sul perché volesse indossare la gonna non fecero altro che rimbombargli in testa per tutta la sera, e così la sua lista di dubbi cresceva:
  • il dango tenuto segreto,
  • il vaso rotto,
  • i disegni,
  • le partite in tv,
  • un avvocato diverso da quello di famiglia,
  • il testamento di Isako.
La mente dei bambini era così semplice e ingenua da rappresentare l’evidenza: i nonni Suzuki costringevano Kamiko ad indossare sempre la gonna ed essere elegante in loro presenza, quindi avrebbe dovuto farlo anche davanti ai nonni Sakusa. I nonni gli alzavano le mani se rompevano qualcosa, quindi l’avrebbero fatto anche Atsumu e Kiyoomi.
Per tutta la sera, Atsumu lottò contro i propri pensieri, perché le sue erano tutte supposizioni assurdamente vantaggianti per lui, perché se tutto ciò che pensava si fosse rivelato esatto “fare il bene dei bambini” – come lui e Kiyoomi avevano ripetuto fino allo spasimo avrebbero fatto – sarebbe coinciso con il suo più grande desiderio: farli restare con loro.
Alle nove, come di consueto, mandarono a letto i gemelli, quindi Eri e Ichiro poterono parlare loro francamente.
Kiyoomi aveva avuto appena il tempo di accennare loro il tutto prima che Atsumu ed i bambini tornassero nella stanza, ma anche dopo che i giocatori ebbero spiegato loro meglio la situazione, i Sakusa continuarono a guardarli con biasimo.
“Non avreste dovuto tenercelo nascosto, ragazzi. E non dovreste tenerlo nascosto a Izumi.” Atsumu abbassò lo sguardo alle parole di Ichiro. Si sentiva già tremendamente colpevole per ciò che stava facendo a sua madre, non aveva alcun bisogno che altri gli facessero notare quanto fosse maligno ed egoista in tal senso. Più si affezionava ai figli, più capiva quanto sbagliato fosse il suo atteggiamento. Più aveva dubbi sui loro nonni, più si convinceva di doversi consultare con sua madre. Ma più di ogni altra, c’era una cosa di cui Atsumu era assolutamente certo: se a questo punto avesse detto tutto a Miya Izumi, nulla più avrebbe potuto convincerlo a firmare quelle carte, che fosse la cosa giusta da fare oppure no.
“È una questione troppo grande per essere decisa solo da voi due!” continuò Eri “Non potete pensare sul serio di far entrare quei bambini nelle vostre vite solo per poi firmare degli stupidi fogli e rimandarli indietro a Hyogo come fosse il semplice reso di un pacco!”
“Mamma, ti prego.” disse brusco e fermo Kiyoomi “La situazione è più complicata di così.”
“Cosa c’è di così complicato? Spiegatemelo!” sebbene ancora con lo sguardo rivolto verso il pavimento, Atsumu riuscì a percepire Kiyoomi che lo guardava e poi anche i signori Sakusa fare lo stesso.
“Da quando sono nati hanno sempre vissuto a casa con i loro nonni. Li conoscono meglio di noi, sanno cosa è meglio per loro. Il signor Suzuki è pensionato e presto lo sarà anche la moglie. Avranno più tempo da dedicare ai bambini.” fu la risposta di Kiyoomi.
“E pensate che essere un bravo genitore si riduca a questo??” continuò imperterrita la donna “Allora spiegatemi perché loro madre ha voluto affidarli ad Atsumu!” il biondo non osò ancora sollevare lo sguardo, anzi abbassò la testa e se la prese tra le mani. La domanda posta da Eri era la stessa che gli ronzava in testa da quasi due settimane, ed ancora non aveva trovato una risposta, o forse non voleva farlo.
“Suzuki Isako è morta, mamma.” disse Kiyoomi brutale “Non potremmo mai porle questa domanda. Forse pensava che i suoi genitori fossero troppo severi; forse pensava che a Tokyo avrebbero vissuto meglio. Non lo sapremo mai. Sappiamo soltanto che dobbiamo fare il bene dei bambini. Hanno sofferto troppo per pensare di trascinarli in mezzo a una causa legale per il loro affidamento.”
“Quindi per non fargli passare qualche ora in tribunale preferite firmare ad occhi chiusi e spedirli a sette ore da qui? Se voleste davvero il bene di quelle creature ci pensereste, prima di decidere!” fu solo allora che Astumu sollevò la testa. Adorava i genitori di Kiyoomi e non era mai stato arrabbiato con loro, ma quello fu troppo.
“Pensi davvero che io non lo faccia ogni giorno!?” cercò di non urlare troppo per non svegliare i gemelli “Non so che cosa fare, Eri! Non so che cosa pensare.”
“C’è una soluzione semplice per questo.” intervenne Ichiro: “Chiedete ai bambini.” Atsumu e Kiyoomi lo guardarono confusi fin quando non aggiunse: “Chiedete a loro dove e con chi vogliono vivere.”
“Hanno quattro anni, Ichiro. Risponderebbero chi li fa divertire di più, ma io e Omi siamo negati in tantissime cose! Prepariamo sempre gli stessi cibi, a volte li lasciamo troppo all’asilo perché abbiamo tanti allenamenti, abbiamo una trasferta ogni due settimane ed il coach Foster sta arrivando al limite della sopportazione!” disse “La scorsa settimana, quando Omi era in palestra ed io ero da solo con loro, per poco non mi sono precipitato in ospedale semplicemente perché Akihiko si era chiuso il dito in una porta.” raccontò “Come possiamo anche solo pensare di poter essere dei genitori migliori di chi ci è già passato? Di chi è riuscito a crescere una persona meravigliosa come Isako!?” quando finì di parlare, si accorse di avere il fiatone e di stare – di nuovo – piangendo. Si asciugò le lacrime stizzito. Odiava apparire così debole. Kiyoomi allungò una mano e la strinse tra le sue congiunte e tremanti. Poi gli si avvicinò anche Eri che dalla poltrona passò sul divano e lo abbracciò.
“Tsumu…” sussurrò “credi che questi dubbi non li abbiano avuti tutti i genitori? Io ero assolutamente terrorizzata quando rimasi incinta di Kiyo. Nessuno potrebbe mai sentirsi preparato all’idea di crescere una nuova vita. Ero convinta che non ce l’avrei fatta, che avrei combinato un guaio e che avrei rovinato il mio bambino.” la donna spostò lo sguardo su Kiyoomi “Invece guardalo.” disse sorridente “È un uomo adulto all’apice del successo. Un olimpionico, un combattente.” fece una pausa prima di tornare a guardare lui e continuare: “Pensa anche a tua madre, Tsumu. Ha cresciuto due gemelli scapestrati come voi solo con l’aiuto di vostro nonno, non è così? E dove siete finiti oggi tu e Osamu? A vivere i vostri sogni nella grande Tokyo!” si rispose da sola. Poi sorrise.
“Vogliamo sempre il meglio per i nostri figli, ed a volte crediamo che il meglio sia farli vivere con qualcun altro, ma non potrai mai sapere se stanno bene se li allontanerai così.” alternò lo sguardo tra lui e Kiyoomi prima di concludere: “Non sarete mai soli, ragazzi. Avete paura di non farli mangiare in maniera sana? Io ho tantissime ricette che sarei felice di preparare per i miei nipotini. Non sapete a chi lasciarli quando andrete in trasferta? Non so se lo ricordate, ma io non lavoro più da anni. Ho tutte le giornate libere.”
“Chiedete ai bambini dove preferiscono vivere.” gli disse ancora Ichiro “I quattro sono l’età che più stupisce. Vi sorprenderà scoprire quanto siano in realtà seri ed intelligenti i bambini di quell’età.” fece una pausa “A volte riescono a prendere decisioni anche migliori di quelle degli adulti.”
I due Sakusa andarono via poco dopo. Quel discorso aveva lasciato Atsumu stanco e confuso. Raggiunsero entrambi con piedi strascicanti il proprio letto. Letto che, almeno quella notte – forse proprio vista la presenza dei nonni –, era vuoto. Faticarono a dormire e la mattina dopo agli allenamenti fecero pena. Cercarono d’impegnarsi e di accantonare la matassa di pensieri che ingombrava le loro menti solo per rispetto del coach, e alla fine della mattinata sperarono di essere stati quanto meno decenti. Recuperarono i bambini dall’asilo, mangiarono il dango e poi gli onigiri da Osamu. Tornarono a casa e – come d’accordo la sera prima – ad aspettare davanti alla soglia trovarono di nuovo Eri e Ichiro. I genitori di Kiyoomi passarono il resto della giornata con i gemellini che, sebbene ancora restii a comportarsi normalmente, iniziarono quantomeno a sciogliersi un po’. Con i signori Sakusa che si occupavano di loro, Atsumu e Kiyoomi ebbero modo di mettersi a quattrocchi e discutere seriamente della faccenda arrivando ad una conclusione: avevano deciso sin dal primo istante che avrebbero agito per il bene dei bambini. Adesso, dovevano solo capire cosa quelle parole implicassero.
Quello stesso giorno chiamarono Kobayashi Ennosuke. Gli chiesero più informazioni sul testamento di Isako, se sapesse come mai avesse scelto un avvocato diverso da quello dei propri genitori e quali sarebbero state le conseguenze se Atsumu si fosse rifiutato di firmare per l’affidamento esclusivo. L’uomo rispose loro come meglio poté, ma anche che sarebbe stato meglio parlarne di presenza. Se l’avvocato non era – con somma sorpresa dei due – di Hyogo, abitava comunque a tre ore di distanza da Tokyo ed organizzare un incontro non era così semplice come sembrava. Rimasero quindi che Kobayashi li avrebbe raggiunti il giorno dopo e allora avrebbero discusso di tutto.
Era fatta. Le loro indagini erano iniziate. Ora non restava che vedere dove queste li avrebbero portati.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 

Capitolo 12

In pochi avrebbero accettato di lavorare da un giorno all’altro a tre ore di distanza da casa di andata e tre di ritorno di sabato mattina. Quando Kobayashi si presentò in casa loro gli dissero subito che non lo avrebbero mai ringraziato abbastanza e subito capirono perché Isako avesse scelto lui. Lasciarono ancora i bambini con Eri ed Ichiro ed usarono il resto della giornata per discutere della situazione con l’avvocato. Gli spiegarono i loro dubbi e infine affermarono di voler prendersi cura loro dei bambini. A quel punto, chiesero all’uomo quali sarebbero state le implicazioni.
“Devo essere sincero con voi.” rispose quello “Quando hanno aperto il testamento i signori Suzuki si sono detti decisi a combattere per ottenere l’affidamento. Scordatevi che questo si possa risolvere solo con qualche amichevole stretta di mano. Impugneranno il testamento, cercheranno di fare di tutto per ottenere la custodia.”
“Ma cosa potrebbero fare?” chiese Kiyoomi “Atsumu è il padre biologico e loro madre ha chiaramente passato l’affidamento a lui con la sua morte.”
“È vero, ma possono ancora tentare di convincere il giudice e gli assistenti sociali di essere più adatti di voi per crescerli. D’altronde Isako e i gemelli hanno sempre vissuto in casa loro, mentre Miya-san non è mai stato presente.”
“Solo perché non sapevo di loro.” specificò Atsumu risentito e l’avvocato annuì.
“Questo andrà a vostro vantaggio, ma temo non sia l’unica cosa a cui i signori Suzuki possano aggrapparsi.” i giocatori attesero che continuasse e quando non lo fece Kiyoomi lo incitò:
“Parli pure francamente, Kobayashi-san.”
“Lo farò, allora.” sospirò “Mi sembra di capire che ve la siate cavata bene in questi giorni. Avete iscritto i bambini all’asilo e non c’è stato nessun genere di emergenza. Kamiko e Akihiko sembrano felici e in salute. Quindi, le uniche cose che mi vengono in mente sono il vostro lavoro e la relazione omosessuale.” entrambi si irrigidirono. L’avvocato fece una pausa, ma poi continuò.
“Mi avete chiesto di essere franco, quindi ecco qui: possiamo risolvere qualsiasi ostacolo, ma alla fine tutto dipenderà dal giudice e potremmo fare poco se avrà qualche pregiudizio. Potremmo chiedere la sua sostituzione per il caso, ma a quel punto dovremmo provare concretamente che è omofobo, e non sarà facile.” Atsumu deglutì.
“Cosa suggerisce di fare?”
“Purtroppo non c’è molto che possiate fare. Vi ho avvertiti solo in modo tale che siate pronti. Ad ogni modo quando arriveremo davanti al giudice saranno presenti alcuni testimoni e se le nostre argomentazioni saranno impeccabili non avrà scelta che darvi l’affidamento. La situazione sarebbe delicata per qualsiasi coppia etero, ma per voi lo sarà ancora di più.” entrambi annuirono prendendo atto della cosa.
“Saremo impeccabili, allora.” Atsumu si voltò verso Kiyoomi che aveva parlato deciso e sicuro. La sera prima avevano discusso a lungo sulla possibilità di rimanere per sempre con i bambini, quindi Atsumu – con vergogna – aveva anche confessato i suoi dubbi a Sakusa: “Mi hai detto che ci saremmo stati dentro insieme, ma devo sapere che ne sei convinto al cento percento.” lo schiacciatore aveva immediatamente capito che si stava riferendo alla sua misofobia, ma subito aveva riso e aveva iniziato a prenderlo in giro. Alla fine aveva risposto: “Sono figli miei quanto tuoi, ricordi?”.
“Per il lavoro, invece?” Atsumu tornò a concentrarsi sull’avvocato “Cosa intendeva quando ha detto che potrebbe essere un problema?”
“È facilmente risolvibile.” premesse subito l’uomo “Come membri della V-League dovrete partire spesso, ma basterà presentare un elenco di parenti e persone fidate a cui poter lasciare i bambini quando sarete costretti. Mi avete detto che oggi Akihiko e Kamiko sono con i genitori di Sakusa-san.” annuirono “C’è qualcun altro che potrebbe occuparsi di loro in caso di bisogno?” così presero ad elencare: Motoya, Osamu e Suna, occasionali babysitter suggerite dai loro compagni di squadra con figli e infine Miya Izumi che – Atsumu avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco – si sarebbe trasferita a Tokyo non appena avesse saputo dei nipotini.
“Che altro dobbiamo aspettarci?” chiesa ancora Atsumu.
“La vostra situazione economica è persino migliore di quella dei signori Suzuki. Avete entrambi un contratto lavorativo ed una relazione stabile. Questo è molto gradito agli assistenti sociali. A parte ciò che vi ho già detto non dovrebbero esserci problemi, ma nella peggiore delle ipotesi potrebbero tentare di far dichiarare Isako instabile al momento della morte e quindi nulla la sua volontà testamentaria.”
“Farebbero questo alla loro stessa figlia?” disse schifato l’alzatore.
“Dobbiamo pensare al peggio.” fu la risposta dell’avvocato “In quel caso sarà più difficile ottenere l’affidamento, ma non impossibile.”
“Quindi ora come ci muoviamo?” chiese Kiyoomi.
“Vi chiedo qualche giorno per raccogliere informazioni. Dobbiamo prepararci bene per quando finiremo in tribunale. In questi casi è sempre bene giocare d’astuzia e dare il minor tempo possibile agli avversari per raccogliere materiale contro di voi. Suggerisco di non avvertire ancora i signori Suzuki di questo cambio di piani. La pratica che Miya-san dovrebbe firmare non è ancora pronta e in più fortunatamente i signori Suzuki sono all’antica. Riceveranno la loro parte di scartoffie via posta invece che per e-mail, il che ci dà del tempo.” a quel punto si alzarono e – ringraziando ancora una volta l’uomo per la propria disponibilità – lo accompagnarono alla porta. Fu dopo che Atsumu gli ebbe stretto la mano che Kiyoomi parlò ancora:
“Sia sincero: la mia misofobia potrebbe penalizzarci?” Kobayashi esitò appena un attimo prima di annuire.
“È una possibilità, sì. Ma basterà convincere il giudice che questo non le impedirà di essere un buon padre o di intervenire in caso di emergenza qualora fosse costretto a sporcarsi.” lo schiacciatore deglutì, poi annuì.
“Sei ancora convinto che io non mi debba scusare per essere così?” chiese mesto Kiyoomi ad Atsumu quando la porta si fu chiusa alle spalle dell’ospite. Il biondo si voltò verso il compagno e lo guardò con rimprovero.
“Sì, ne sono ancora convinto, Omi.” rispose “Hai già dimenticato come si sono comportati i bambini dopo il tuo attacco di panico?” sorrise “Andrà tutto bene! Ci siamo dentro insieme, ricordi?” Sakusa sorrise ed annuì, infine lo baciò.
“Avresti mai immaginato che saremmo finiti a questo punto?”
“Adottare dei bambini?” chiese il corvino “No, per tutta la vita ho creduto che non avrei mai potuto diventare padre. Ma rimanere con Kami ed Aki? Ho immaginato di poterlo volere sin da quando li ho visti la prima volta.” gli occhi di Atsumu si fecero lucidi e sorrise felice. Quei gemelli erano loro figli, e avrebbero combattuto per questo.
 
Com’è ovvio, i giorni immediatamente successivi furono frenetici e pieni di ansie. Il cellulare di Atsumu non faceva altro che ricevere notifiche, e ad ognuna di esse sia lui che Kiyoomi saltavano sul posto con il cuore a mille con la speranza o la paura che fosse Kobayashi con buone o cattive notizie.
“Perché non abbiamo dato il tuo indirizzo e-mail??” si lamentò il biondo con il compagno quando appurò che – ancora – la notifica appena ricevuta apparteneva alla chat di gruppo con Bokuto e Hinata e non aveva niente a che fare con il loro caso. Sakusa rispose con uno brontolio: probabilmente si stava facendo la stessa domanda.
Non ricevettero notizie dall’uomo fino a tre giorni più tardi. Erano le sette del mattino ed Atsumu e Kiyoomi erano intenti a preparare la colazione per i gemellini che da lì a poco si sarebbero dovuti svegliare per andare all’asilo quando la loro quiete venne rotta dal trillo del telefono. Come faceva da giorni, ormai, il biondo lanciò uno sguardo preoccupato ed eccitato insieme verso l’altro, poi afferrò il cellulare e sbloccò lo schermo.
“È un’e-mail di Kobayashi.” disse ansioso. Il cuore iniziò a battergli a mille e per poco non rimpianse le inutili notifiche dei suoi migliori amici.
“Cosa dice??” chiese Kiyoomi quando Atsumu si limitò a deglutire e a non parlare dopo aver letto il testo.
“I documenti da firmare sono pronti. Tra poco i bambini dovranno tornare a Hyogo dai loro nonni.” apprendere di avere così tanto poco tempo per prepararsi alla battaglia aveva già di per sé reso la scena drammatica, e peggiorò esponenzialmente quando la voce rotta e ferita di Akihiko li raggiunse dalle loro spalle:
“Non ci volete più qui…” gli adulti si voltarono di scatto solo per trovarli entrambi sconvolti e ad un passo dalle lacrime all’ingresso della cucina.
“No…” riuscì solo a sospirare il biondo tentando di far capire loro che non era come sembrava, ma Kamiko decise che non lo voleva ascoltare.
“Non ci volete bene! Volete mandarci via!!” dopodiché afferrò per mano il fratello per chiudersi in camera loro. I giocatori li inseguirono, ma arrivarono tardi e trovarono la porta chiusa.
“Perché diamine abbiamo lasciato la chiave nella serratura!?” chiese incazzato Atsumu a Kiyoomi mentre batteva inutilmente sulla porta.
“Atsumu, adesso calmati.” cercò di dire il corvino.
“Calmarmi?? Come faccio a calmarmi!? Kami, Aki! Aprite!!” continuò a battere “Parliamo, non è come sembra! Non vogliamo mandarvi via!”
“Atsumu.”
“Kami! Apri questa porta!!”
“Atsumu!!” Kiyoomi fu costretto ad afferrarlo per le spalle e a voltarlo di forza per far sì che si fermasse.
“Andare nel panico non ci porterà a nulla! Dovresti saperlo meglio di me.” il biondo compì un paio di respiri profondi, infine annuì verso l’altro e questi lo lasciò andare.
“La stanza è insonorizzata,” gli ricordò Kiyoomi “e non abbiamo altre chiavi. Va’ a cercare qualcosa con cui smontare la porta dai cardini nello sgabuzzino.”
“Sì!” esclamò subito Atsumu e corse via. Stava per aprire la cassetta degli attrezzi quando dall’altra stanza sentì chiaramente una chiave che girava nella serratura ed una porta aprirsi. Tornò verso la ex-palestra solo per ritrovarsi davanti i gemelli già vestiti e pronti per la scuola.
“Non vogliamo parlare con voi!” esclamò ancora Kami guidando suo fratello verso l’ingresso.
“Kami, aspetta!” urlò Atsumu.
“Non voglio, non voglio!!” urlò di rimando la bambina “Voi ci rimanderete da loro!”
“Non vorremmo, ma non è così semplice!” Atsumu era talmente spaventato all’idea di perdere la loro fiducia che non riusciva a ragionare. Kamiko si portò le mani alle orecchie e tenendosele strette iniziò a scuotere la testa a destra e a sinistra con impeto.
“Non voglio parlarti! Non voglio parlarti!” il biondo si chinò per arrivare alla sua altezza e provò a stapparle le orecchie per tentare di spiegarle, ma quella iniziò a urlare, così Atsumu dovette rinunciare. Kiyoomi lo raggiunse con un ginocchio a terra e gli mise una mano sulla spalla. L’alzatore si voltò disperato verso di lui che gli sorrise incoraggiante.
“Lascia che si calmi. Parleremo a entrambi quando andremo a riprenderli all’ora di pranzo.” Atsumu annuì poco convinto, ma i bambini minacciavano una crisi di urla se solo provavano a rivolgere loro la parola, quindi non ebbero altra scelta.
Quindici minuti più tardi Kiyoomi stava accostando proprio davanti l’ingresso dell’asilo. I bambini gli diedero il tempo appena di fermarsi che schizzarono fuori dal veicolo. I giocatori seguirono con gli occhi il loro tragitto fino all’ingresso della scuola dove la maestra li accolse insieme ai loro compagni, poi insieme sospirarono e ripartirono alla volta della palestra dei Black Jackals.
Come sempre, nonostante la grande matassa intricata di pensieri che aveva in testa, Atsumu diede il massimo e così fece Kiyoomi. Fu una mattinata molto lunga per entrambi, ma infine la squadra venne congedata e loro poterono correre svelti verso i bambini nella speranza che adesso sarebbero stati più inclini a discutere.
Parcheggiarono nel primo posto libero che trovarono per poi fare gli ultimi metri che li separavano dall’asilo a piedi. Lì, attesero che la campanella suonasse e che i cancelli dell’edificio venissero aperti. Subito, una marea di bambini urlanti e felici si riversò in cortile e poi tra le braccia dei propri genitori. Kamiko e Akihiko seguivano decisamente meno entusiasti. Atsumu sospirò triste, ma si disse che presto avrebbero chiarito e sarebbero tornati a sorridere, quindi non si diede per vinto.
“Kami, Aki… com’è andata oggi a scuola?” la bambina lo guardò di traverso e non rispose mentre Aki non si degnava neanche di guardarlo. Atsumu si voltò verso il proprio compagno che lo incoraggiò con lo sguardo; sorrise impercettibilmente e iniziò a fare strada verso la macchina insieme ai suoi due taciturni figli.
“Adesso dammi la mano, Kami. Dobbiamo attraversare.” il suo tono questa volta non ammise repliche, così la piccola lo guardò ancora male, ma afferrò la mano che gli veniva porta. Atsumu sospirò soddisfatto.
“Anche tu, Aki.” sentì dire a Kiyoomi. L’alzatore si voltò verso di loro in tempo per vedere il bambino scuotere la testa deciso con le mani strette tra di loro e vicine al petto.
“No!” esclamò. Poi corse verso la sorella poco lontana e le afferrò la mano libera. Il cuore di Atsumu si chiuse in una morsa e lo stesso – poteva esserne sicuro – fece quello di Kiyoomi che fu costretto a ritirare la mano sguantata per rimetterla in tasca.
“Tenetevi stretti.” raccomandò Atsumu, dopodiché attraversarono e salirono in auto.
Kiyoomi li portò d’istinto verso la loro pasticceria di fiducia ed i bambini, certo, non protestarono. Parcheggiarono nel box lasciato sempre libero dietro Onigiri Miya, ma prima di lasciare che i piccoli avessero il loro dolce Atsumu si accovacciò e decise di chiarire una volta per tutte.
“Non abbiamo nessuna intenzione di mandarvi via.” bastò quella frase per convincere i gemellini ad ascoltarlo. “Dipendesse da noi vi terremmo per sempre. Capito?” il biondo non aveva dubbi che i suoi figli fossero intelligenti; il padre di Kiyoomi aveva ragione, i quattro sono l’età che più stupisce.
“Io e Omi vi vogliamo davvero tanto, tanto bene, ma anche i vostri nonni ve ne vogliono.” i bambini non commentarono, ma se l’inizio di quel discorso aveva fatto in modo che i piccoli bronci sui loro volti iniziassero a diminuire, quell’ultima frase li fece tornare al punto di partenza.
“Sono solo scuse!” accusò Kamiko. Atsumu sorrise.
“No, piccola. Questi sono problemi da grandi. Sia noi che i vostri nonni vorremmo tanto vivere con voi, ma non possiamo farlo entrambi, capite?”
“Ma noi vogliamo rimanere qui!!” intervenne per la prima volta Akihiko. Ad Atsumu vennero gli occhi lucidi e un sorriso gli fiorì spontaneo sul viso senza che riuscisse a fermarlo.
“È questo che volete?” chiese per conferma alternando lo sguardo dall’uno all’altra. Aveva avuto intenzione di chiedergli lui stesso dove preferissero vivere seguendo il suggerimento di Ichiro, ma sentirselo dire spontaneamente era mille volte meglio. Entrambi i bambini annuirono esclamando anche a voce:
“Sì!” il biondo sospirò felice, poi arrivò la voce di Kiyoomi attutita dalla mascherina.
“Avete capito cosa vuol dire, piccoli? Se decidete di rimanere qui con noi potrete vedere poco spesso i vostri nonni.”
“Vogliamo rimanere con voi!” fece ancora Kamiko. Ad Atsumu venne da ridere per l’aria con cui l’aveva fatto, come se fosse esasperata con loro perché non capivano qualcosa di così semplice. Il biondo si rimise in piedi e sorrise all’indirizzo di Kiyoomi che – sotto la mascherina – ricambiò con calore. A quella vista l’alzatore non resistette, quindi gli abbassò la protezione e lo baciò sulla bocca. Il corvino sorrise labbra su labbra prima di sollevare una mano ed accarezzare il proprio compagno, poi entrambi si voltarono verso i più piccoli che trovarono a sorridere radiosi verso di loro.
“È sempre così felici che vi voglio vedere!” esclamò Atsumu mentre si abbassava per abbracciarli “E adesso dango per tutti!” raggiunsero il bordo della strada e lì Kamiko afferrò subito la mano di Atsumu che immediatamente gliela strinse felice.
“Questa volta me la dai la mano, Aki?” chiese invece il corvino al maschietto. Questi indugiò imbarazzato, ma poi scosse la testa.
“Non hai i guanti, Omi!” poi mostrò le sue manine sporche di terra. Atsumu sentì il proprio cuore sciogliersi alla realizzazione del perché davanti all’asilo gli avesse negato quel contatto.
“Afferra la mia allora, Aki.” disse l’alzatore qualche secondo dopo quando capì che Kiyoomi era troppo commosso per riuscire a parlare. Attraversarono la strada e poi l’ingresso della pasticceria. Atsumu aiutò Akihiko e Kamiko a lavarsi le mani, così finalmente entrambi poterono abbracciare Kiyoomi che rispose felice alla loro stretta spontanea. Stavano infine mangiando degli onigiri al locale di Osamu da qualche minuto quando Kami ruppe il silenzio:
“Papà?”
“Dimmi, tesoro.” sorrise il biondo.
“Quindi ci hai chiesto di restare con te?” Atsumu corrucciò gli occhi, ma alla fine annuì.
“Sì, piccola. Ci stai ripensando?” lei subito scosse il capo.
“Però la mamma mi ha detto di dirti una cosa se ci chiedevi di restare.” entrambi gli adulti si fecero attenti, quindi Kamiko arrossì, poi continuò con gli occhi lucidi:
“Quando ci ha salutati per l’ultima volta mi ha detto di nascondere il suo cellulare e di darlo solo a te se ci chiedevi di restare con te.”
“Il cellulare della mamma?” Kamiko annuì “E dov’è adesso?”
“A casa dei nonni. L’ho nascosto bene.” seppur ansioso e curioso fino allo stremo, Atsumu si impose di sorridere tranquillo.
“Va bene, tesoro. Se è importante lo andremo a prendere, d’accordo?” la piccola annuì e più felice di prima tornò a mangiare la propria polpetta di riso. L’alzatore sospirò piano, ma bastò guardare un attimo verso Sakusa perché si calmasse.
“Idee su come recuperarlo?” gli chiese. Il corvino si voltò verso i bambini prima di rispondere:
“Troveremo un modo.”

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 

Capitolo 13

“Troveremo un modo.” gli aveva detto Kiyoomi, e quel modo si presentò loro solo il giorno dopo, quando coach Foster rivelò alla squadra il luogo in cui quel finesettimana avrebbero avuto la trasferta: Osaka.
“Osaka è a solo un’ora da casa mia.” sussurrò Atsumu al proprio compagno che si limitò ad annuire. Probabilmente aveva pensato la stessa cosa. L’alzatore deglutì, poi si impose di ascoltare il coach e di rimandare a più tardi i pensieri sui bambini.
“Diremo loro che abbiamo colto l’occasione per fargli salutare i bambini dato che eravamo quasi di passaggio, così Kami potrà prendere il cellulare.” ricapitolò due ore più tardi Sakusa nel salotto di casa loro. Atsumu annuì.
“Kami,” chiamò il biondo. La piccola subito lo raggiunse, così lui le prese le mani tra le sue “dov’hai messo il telefono della mamma?”
“È nascosto tra i miei giocattoli!”
“Allora dovrai dire ai nonni che vuoi portare qui a Tokyo un tuo giocattolo e prendere di nascosto il cellulare.” Kamiko annuì decisa. “È molto importante che i nonni non sappiano cosa stai prendendo. Lo capisci? Puoi riuscire a farlo di nascosto?”
“Sì! Me l’ha già spiegato la mamma!” Atsumu sorrise, poi le accarezzò i capelli.
“Brava la mia ragazza!”
“Atsumu, a questo punto c’è un’altra cosa che devi fare.” gli fece notare il corvino.
“Non dirlo.” sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo.
“Devi dirlo…” Atsumu si mise le mani tra i capelli prendendo a lamentarsi “…a tua madre.” il biondo sospirò.
“Lo so.” sbuffò rassegnato “Mi mangerà vivo.”
“Non avrebbe tutti i torti.” l’alzatore guardò male il proprio compagno che non riuscì a nascondere in tempo il proprio sorrisetto. Forse non ci provò nemmeno.
“Puoi evitare di divertirti così tanto? Pensa piuttosto a come farai a crescere due gemelli da solo!” a quel punto Kiyoomi non trattenne le risate, ma ebbe almeno la decenza di avvicinarglisi per baciarlo a stampo sulle labbra.
“Andrà bene.” Atsumu avrebbe tanto voluto esserne sicuro quanto lui. 
 
“Sarà divertente!”
“Smettila, Samu.” ringhiò il biondo al suo gemello. Avevano deciso che Atsumu sarebbe partito un giorno prima rispetto a Kiyoomi ed i gemelli in modo da poter spiegare tutta la situazione a nonna Izumi. L’alzatore, tuttavia, si era del tutto rifiutato di andare a Hyogo senza rinforzi, così Osamu e Suna sarebbero andati con lui.
“Ci vediamo domani.” lo salutò Kiyoomi dal ciglio della strada “Sta’ calmo. Vedrai che tua madre capirà.” il suo ragazzo aveva provato a convincerlo di questo per quasi due giorni, ma senza successo, quindi Atsumu si limitò ad annuire incerto come le volte precedenti, salutò i bambini, baciò Kiyoomi e salì in macchina.
“Si parte!!” urlò entusiasta Suna al volante.
“Perché sembrate tutti così felici? Perché siete tutti così divertiti??” Atsumu incrociò le braccia al petto e mise il broncio mentre gli altri due ridevano dai sedili anteriori.
“Saranno sette ore tremende.” mormorò il biondo pensando alla lunga strada da fare.
“Saranno sette ore divertenti.” lo corresse il suo gemello, poi si girò per guardarlo meglio in viso e sorridente aggiunse: “E immagina quando arriveremo a Hyogo!!” rise di gusto.
“Il tuo cellulare è carico, vero, Sunarin??” chiese in ansia l’alzatore.
“Intendi l’unico oggetto che si frappone tra te e la tomba? Sì, lo è.” rispose il centrale divertendosi parecchio.
“Vi odio tutti.” ribatté Atsumu per il suo entusiasmo, poi si voltò e guardò fuori dal finestrino. Agitò la mano rispondendo a quelle dei suoi figli che lo salutavano, infine iniziò a prepararsi al peggio.
 
“Tsumu, Samu!!” urlò loro madre quando venne ad aprire la porta. Li abbracciò forte, poi passò a Suna “Rin, anche tu! Che bellissima sorpresa.” Osamu non riusciva a contenere le risate, così l’altro gli diede una dolorosa gomitata sulle costole.
“Entriamo?” chiese nervoso il biondo e la donna subito acconsentì.
“Preparo il thè per tutti, cosa preferite?” chiese ancora entusiasta. Atsumu grugnì.
“Una camomilla. E falla anche per te.” Izumi assottigliò per un attimo gli occhi, confusa, ma non fece domande e mise l’acqua a bollire.
“Allora? Che mi raccontate? Cosa ci fate qui? Non che non sia contenta!!” l’alzatore spostò il peso da un piede all’altro prima di dire:
“Domenica ho una partita ad Osaka ed ho colto l’occasione per passare.” la donna gli accarezzò una guancia e sorrise amorevole.
“Hai fatto bene!” Atsumu arrossì e sbiancò nel giro di un attimo, ma non diede modo a sua madre di accorgersene perché usò la scusa di voler prendere le tazze per tutti per allontanarsi.
“Dov’è Kiyoomi?” continuarono le domande di sua madre.
“Ci raggiungerà domani…”
“Tsumu, tutto bene? Sembri strano.” l’interpellato guardò nel panico verso suo fratello. D’altronde gli aveva chiesto di venire per aiutarlo, così quello roteò gli occhi e intervenne per salvarlo.
“Stavo pensando di espandere Onigiri Miya anche a Osaka.” la distrasse.
“Davvero??” funzionò “È fantastico, tesoro!”
“Darò un’occhiata ai dintorni mentre Tsumu gioca. Su internet ho già trovato un paio di locali che potrei comprare e ristrutturare, ma ci sono tante cose ancora da vedere.”
Così passarono i minuti successivi a parlare di problematiche di gestione, di permessi e contratti lavorativi e nel frattempo l’acqua divenne bollente. Izumi la versò in quattro tazze e poi in queste mise le bustine in infusione, infine si spostarono in salotto.
Il cuore di Atsumu prese a correre impazzito. Osservò sua madre ridere e scherzare con Osamu e Rintaro e ad ogni occasione in cui lui avrebbe potuto stroncare le chiacchiere per iniziare il discorso per cui avevano fatto tanta strada, invece desisteva e si limitava a prendere un sorso di camomilla. Fu Osamu, alla fine, a dargli l’opportunità di parlare: rispose con fare sbrigativo all’ultima domanda di sua madre, poi guardò Atsumu con intesa, così lui non ebbe altra scelta.
Poggiò la tazza sul tavolo con mani tremati e poi poco sicuro chiamò: “Mamma.” il suo tono e la sua espressione fecero subito capire all’interpellata quanto quello che sarebbe seguito fosse importante, quindi d’istinto posò anche lei la tazza che aveva tra le mani e si sporse in avanti.
“Tesoro, tutto bene?” Atsumu sospirò prima di rispondere:
“Ecco, devo dirti una cosa.” guardò fugacemente verso suo fratello. I gemelli Miya potevano dirsi tutto quello che volevano, ma erano sempre pronti a sostenere l’altro in caso di necessità. Osamu annuì incoraggiante, così il biondo poté tornare a guardare loro madre.
“C’è una cosa che è successa qualche settimana fa e… io avrei dovuto dirtelo, ma non l’ho fatto.” fece una pausa, conscio del fatto che Izumi avrebbe dovuto avere il tempo per metabolizzare ogni parola, poi continuò:
“Ti ricordi la mia ultima ragazza del liceo, Isako?” la donna aveva uno sguardo confuso in viso, ma annuì.
“Sì, certo. Mi piaceva molto.” anche Atsumu annuì, poi prese a torcersi le mani.
“Lei ha avuto due figli.” rivelò “Gemelli.” osservò sua madre per qualche secondo ed ebbe modo di vedere la domanda fiorirgli in viso e poi anche la risposta. Prima che potesse ipotizzare ad alta voce, tuttavia, fu Atsumu stesso a rivelare: “Miei.” lasciò che la notizia permeasse per bene nell’aria e permise a sua madre di avere la propria reazione. Questa spalancò bocca ed occhi prima di esclamare:
“Tu hai dei figli?? Da quanto tempo? Com’è successo??? Perché non me l’hai detto prima!!?” l’espressione di Atsumu era mortificata ed aveva appena aperto bocca per rispondere quando sua madre parlò ancora: “Credevo che fossi felice con Kiyoomi!” infine il suo volto si inasprì ed arrabbiata iniziò a chiedere: “Non l’avrai mica-” ma lui non la lasciò finire:
“NO! Mamma, certo che no! Non lo tradirei mai!” era furioso che l’altra l’avesse solo pensato, ma si disse che l’unica autorizzata ad essere incazzata era sua madre, quindi si calmò e spiegò meglio:
“Hanno quattro anni, ma non sapevo niente di loro fino a qualche settimana fa.” sospirò “Isako è morta, mamma… e in punto di morte ha detto di volere che sia io ad occuparmi di loro invece che i suoi genitori.” Izumi era senza parole; la sua espressione era così carica di sentimenti contrastanti da rendere quasi impossibile capire a cosa stesse pensando. Atsumu deglutì e poi sganciò la bomba:
“Kiyoomi non è qui perché è a Tokyo con i bambini, al momento.” passarono un paio di secondi prima che – spaventosa – la donna sussurrasse:
“A Tokyo?” Atsumu annuì timido “Vuol dire che per tutto questo tempo sono stati-” si interruppe, poi spalancò gli occhi improvvisamente consapevole di qualcosa: “È per questo che siete venuti a trovarmi l’ultima volta, non è così?? Eravate venuti a prenderli!” il biondo provò a confermare la sua deduzione, ma la voce non collaborò, quindi si schiarì la gola e finalmente riuscì a dire:
“S-sì.”
“MIYA ATSUMU!” arrivò infine la sfuriata che l’altro si aspettava “COME TI SEI PERMESSO DI NASCONDERMI UNA COSA SIMILE!” urlò scattando in piedi. Anche Atsumu si alzò.
“Mi dispiace!” le disse sincero “Mi dispiace davvero tanto, mamma. Volevo solo fare ciò che era meglio per i bambini.”
“ED ERA MEGLIO PER LORO CHE IO NON SAPESSI DELLA LORO ESISTENZA!?” Atsumu si sentì in colpa, ma annuì.
“I loro nonni mi hanno subito detto che volevano l’affidamento esclusivo e io-” Izumi non lo lasciò finire, invece gli si avvicinò minacciosa continuando ad urlare.
“A QUANTO PARE SONO LORO NONNA ANCH’IO! PENSAVI NON AVESSI IL DIRITTO DI DIRE LA MIA!? COME HAI POTUTO-!”
“Non ho intenzione di concedere loro l’affidamento!” fu questa volta il figlio a interromperla; deglutì e continuò: “Credevo che per loro sarebbe stato meglio crescere con i nonni che li hanno cresciuti fino ad ora, ma mi sbagliavo.” gli vennero gli occhi lucidi. “Mi dispiace tanto, mamma… credevo che fosse la cosa più giusta da fare.” Izumi sembrò quasi tentata di abbracciarlo, ma probabilmente era troppo arrabbiata per riuscirci. Tornò a sedersi stizzita, così – tremante – fece lo stesso Atsumu. Il biondo guardò verso Osamu e Suna in cerca di aiuto, quindi il secondo scattò sul posto e riprendendosi disse:
“Izumi, guarda!” prese il proprio cellulare dalla tasca della giacca e lo sbloccò. Atsumu non riusciva a vedere lo schermo, ma dall’espressione intenerita di sua madre capì che dovevano essere delle foto dei suoi figli.
“Come si chiamano?” chiese. Atsumu non rispose perché credette stesse parlando con Suna, ma quando nessuno parlò e lei sollevò lo sguardo per incontrare il suo si ricredette e disse:
“Akihiko il maschietto e Kamiko la femminuccia. Noi li chiamiamo Kami e Aki.” la donna sorrise prima di tornare con gli occhi sul cellulare. Poi fu il turno di Suna a parlare:
“Kami è una peste tale e quale ad Atsumu. Già mi viene da ridere al pensiero di quanto lo farà impazzire nella fase ribelle!” Izumi rise anche se ancora palesemente arrabbiata. “Ti faccio vedere.” continuò il ragazzo di Osamu, poi scorse il dito per un po’ sullo smartphone finché le voci familiari dei gemellini non gli dissero che aveva fatto partire un video. Gli occhi di Izumi si fecero lucidi e con voracità seguì le immagini sullo schermo.
“Oh, Rin!” disse a un certo punto accarezzando quest’ultimo “Ecco perché sei il mio figlio preferito!” Osamu grugnì, mentre Atsumu non si azzardò ad emettere fiato. Solo alla fine del video il biondo trovò il coraggio per tornare a parlare:
“Anche Aki è meraviglioso. È più timido, ma anche dolcissimo.” sorrise fiero “Avresti dovuto vedere come si è comportato quando Omi ha avuto un attacco di panico! Lui-”
“Sì, avrei dovuto.” gli parlò sopra sua madre. Atsumu si interruppe mortificato e distolse lo sguardo.
“Sono arrabbiata anche con te!” si voltò verso Osamu “Perché non me l’hai detto!?” l’interpellato s’indignò:
“Avrei dovuto fare la spia??” loro madre non rispose, tutti sapevano che in realtà non era minimamente in collera con il ristoratore, ma ciononostante si voltò verso Rintaro e disse: “Tu sei l’unico dalla mia parte, Rin! Fammi vedere altre foto!”
Lasciarono che la donna si calmasse un po’ guardando per intero la cartella che Suna aveva soprannominato “Le piccole pesti dell’idiota” e solo a quel punto Izumi poté tornare a guardare il proprio figlio con meno astio e dirgli:
“Va bene, dimmi cosa succede. Qual è la situazione?”
===
Fu Osamu ad aprirgli la porta quando Kiyoomi suonò il campanello. Il gemello di Atsumu guardò prima lui, poi abbassò lo sguardo sui bambini.
“Vi conviene andare a salvare il vostro papà. È da quella parte.” indicò l’ingresso del salotto, così Kamiko ed Akihiko entrarono e si diressero da quella parte.
“È veramente andata così male? Credevo che Atsumu esagerasse.”
“Ha esagerato, infatti. Ma mamma è ancora incazzata con lui. Quasi non gli rivolge la parola. Però sono sicuro che quelle piccole pesti le faranno passare tutto.” Osamu gli disse tutto quello mentre seguivano i gemellini, così poterono vederli entrare felici in salotto, individuare Atsumu e sorridendo correre verso di lui con le mani protese in avanti.
“Papà!” urlarono all’unisono. L’alzatore sorrise visibilmente più rilassato del secondo precedente e si abbassò per accoglierli entrambi in un abbraccio. Kiyoomi si godette quella scena per un paio di secondi, poi spostò lo sguardo su Izumi che trovò sorridente e intenerita.
“Immagino che tu abbia ragione.” sussurrò ad Osamu, poi si fece avanti ed andò a salutarla.
“Izumi.” le sorrise; lei distolse lo sguardo da figlio e nipoti per concentrarsi su di lui.
“Kiyoomi, benvenuto! Ti abbraccerei, ma so che tu-”
“Posso fare un’eccezione, per questa volta.” concesse con un sorriso. Quello di Izumi si allargò, poi lo strinse a sé per qualche secondo.
“Vedo che Atsumu è ancora vivo.” le disse quando si furono separati “Immagino di doverti ringraziare,” scherzò “sarebbe stato più complicato ottenere l’affidamento senza di lui…” si incupì all’idea di cosa avrebbero passato da lì a qualche giorno.
“Atsumu mi ha spiegato tutto.” Kiyoomi guardò prima lei, poi il suo ragazzo che ancora parlava con i gemellini e Izumi seguì il suo sguardo.
“Hai tutto il diritto di avercela con lui. O con noi…” si corresse “Ma sappi che Atsumu non ha passato nemmeno un giorno senza tormentarsi per non averti detto di loro.” la donna incrociò le braccia al petto.
“Sono ancora arrabbiata.” lo schiacciatore annuì.
“È comprensibile.” ma Izumi eliminò subito il broncio quando suo figlio si voltò verso di loro ed insieme ai bambini prese ad avanzare. La donna sorrise e si accovacciò per guardarli meglio.
“Piccoli, questa è la mia mamma, quindi è vostra nonna.” i bambini alternarono lo sguardo tra tutti loro prima di rimanere fissi sulla nuova conoscenza e dire come da copione:
“Buongiorno.” Izumi sorrise tenera e si presentò, poi Kiyoomi notò il disagio di Kamiko e si affrettò a dire:
“A nonna Izumi non importa se non indossi la gonna, Kami.” la madre di Atsumu lo guardò confusa, ma immediatamente dopo si voltò verso la bambina per dire:
“Certo che no! Sei bellissima anche in pantaloni.” la piccola sorrise felice, poi abbracciò la gamba di Atsumu che rise.
“Dalle un’ora e non sarà più tanto timida.” Kiyoomi, Osamu e Rintaro annuirono concordi.
Passarono il resto della mattinata a chiacchierare e a far conoscere i gemelli alla nonna. Come promesso, a Kami bastò poco per sciogliersi e – trasportato dalla sorella – lo stesso fece Aki.
Poco più tardi Izumi si disse assolutamente contraria a lasciare che uno qualsiasi di loro andasse in hotel, così decisero che Kiyoomi, Atsumu e i bambini avrebbero preso il letto matrimoniale, Suna ed Osamu la stanza dei gemelli e Izumi il divano.
“E non ammetto repliche!” disse categorica. Infine, arrivò il pomeriggio e con esso il momento di tentare il furto del cellulare in casa Suzuki.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 

Capitolo 14

Kiyoomi vide Atsumu suonare teso il campanello di casa Suzuki, così allungò una mano ed intrecciò le dita con quelle del suo ragazzo. Quando i loro sguardi s’incontrarono gli sorrise incoraggiante ed il biondo si rilassò. Subito dopo la signora Suzuki stava aprendo la porta.
“Atsumu, Sakusa, benvenuti.” sorrise cordiale prima di abbassare lo sguardo sui bambini ed ampliare il sorriso “Akihiko, Kamiko! Ciao, cari.” li abbracciò, poi lasciò entrare tutti guidandoli in salotto dove vennero salutati anche dall’uomo di casa.
Il giorno prima Atsumu aveva telefonato ai coniugi per avvertirli della trasferta ad Osaka e chiedergli se avessero voglia di riabbracciare i nipoti. Lui e Kiyoomi non erano sicuri di che metodo usassero per educarli, ma era chiaro che gli volessero bene almeno tanto quanto era chiaro che tenessero alle apparenze: sapevano che non avrebbero rifiutato.
Bevvero con calma il caffè che gli venne offerto chiacchierando dei gemelli, perlopiù. Gli dissero dell’asilo, dei disegni e poco altro. Kobayashi – al quale avevano spiegato del cellulare e della tattica per recuperarlo – aveva consigliato loro di non dilungarsi in dettagli, e così fecero.
“Nonna, posso prendere alcuni giochi da portare via?” chiese Kami con fare innocente; Aki era aggrappato a lei e guardava la nonna come se temesse di essere scoperto.
“Certo, cara. Ma non lasciare la camera in disordine.” si raccomandò. La bambina annuì contenta e corse di sopra insieme al fratellino. Gli adulti continuarono a parlare del più e del meno, ma Kiyoomi stava seguendo solo in parte la conversazione; il resto di lui era attento a cogliere le più lievi sfumature di marcio nei Suzuki, sfumature che al loro precedente e unico incontro non avevano colto. Iniziò a storcere il naso, quindi, ogni volta che si riferivano a lui come amico di Atsumu dubitando che fosse sempre un errore, o quando alludevano al fatto che Kami avrebbe avuto bisogno di una figura femminile, o ancora quando – palesemente falsi – sorridevano senza realmente rispondere a certe loro affermazioni con cui non andavano d’accordo.
Quando Honzo finì di parlare delle ultime elezioni sindacali della città, tutti poterono sentire i passi dei bambini scendere le scale. Kiyoomi percepì il corpo di Atsumu irrigidirsi come fece lui, ma entrambi riuscirono bene a camuffare la tensione e quando – entrando in salotto con le mani piede di peluche – Kami sorrise malandrina verso il biondo con tanto di occhiolino, poterono rilassarsi davvero. Sakusa non poteva farne a meno, ed ogni volta che nelle smorfie della bambina ne riconosceva una di Atsumu sorrideva felice e orgoglioso.
“Sarà meglio andare.” disse alzandosi insieme al proprio compagno. L’alzatore annuì e gli diede manforte:
“Abbiamo gli ultimi allenamenti con la squadra prima della partita di domani.” inventò di sana pianta.
“Ma certo.” intervenne Mayumi.
“Potete lasciarli qui per stanotte, se non avete chi li tiene d’occhio mentre giocate.” propose il marito, ma gli altri si affrettarono a negare.
“È tutto a posto, abbiamo chi ce li tiene e le partite non dureranno molto.” i signori Suzuki annuirono, poi fecero strada verso la porta. Abbracciarono ancora i gemelli, poi salutarono loro.
“Kobayashi aveva ragione.” sospirò di sollievo Atsumu una volta che furono in macchina “A loro non sono ancora arrivati i documenti.” Kiyoomi annuì. In caso contrario sarebbe stato meno semplice convincerli a lasciare ad Atsumu ancora qualche giorno per firmarli.
“Fortuna che non sanno come funzionano i computer.” rispose, poi entrambi si voltarono verso Kami.
“Allora?” chiese il biondo “L’hai preso?” la bambina alzò vittoriosa il cellulare.
“Preso!!” poi lo porse ad Atsumu che se lo rigirò tra le mani giusto per un attimo prima di guardare sorridente verso Kiyoomi.
“Ha il mio stesso caricabatteria!”
“Andiamo a scoprire cosa c’è lì dentro di tanto importante, allora.”

 
===
 
Mentre aspettavano quei pochi minuti affinché il cellulare si caricasse abbastanza da essere acceso, Atsumu si ritrovò a sospirare pensando che ne aveva abbastanza di provare tanta ansia in pochi giorni.
“Ma immagino faccia parte dell’essere padre.” si disse continuando a tamburellare a terra con un piede. Kiyoomi fermò il suo movimento poggiandogli una mano sul ginocchio.
Si trovavano nella stanza di sua madre; la stessa che avrebbero usato quella notte per dormire. Avevano deciso di esaminare il cellulare per conto loro e solo dopo decidere se rendere i bambini partecipi.
“Ci siamo.” informò Atsumu quando finalmente lo schermo si illuminò.
“Oh no! Ci vuole un codice!” entrò nel panico il biondo. Avrebbe voluto mettersi le mani sui capelli ed urlare; tutti i loro sforzi vanificati da quattro numeri.
“Prova 0709.” l’alzatore era talmente in tilt da provarci senza realmente chiedersi perché Kiyoomi avesse suggerito proprio quella combinazione.
“Ha funzionato! Come hai fatto a indovinare?” il suo ragazzo lo guardò come se fosse pazzo.
“Sei serio?” chiese stupefatto e forse un poco divertito. “È il compleanno dei gemelli.” Atsumu arrossì prima di tornare a concentrarsi sul telefono.
“Giusto.”
Non sapevano bene cosa cercare, quindi Atsumu iniziò scrollando le app che aveva salvate nello sfondo per poi passare alla galleria. Infine, provò con le note e subito capì quale aprire: “PER ATSUMU” ne era intitolata una, quindi il suo cuore accelerò e cliccò su quella.
“Controlla i video.” erano le uniche parole presenti. Il biondo sospirò in ansia e fece come da istruzioni. L’ultimo aveva come anteprima il volto tumefatto di Isako con tanto di tubicini al naso per respirare e sfondo da ospedale. L’alzatore deglutì, poi ci cliccò sopra.

 
“Ciao, Atsumu.” il video iniziò con il sorriso triste della ragazza. Aveva i capelli biondi che le ricadevano disordinati e spettinati sulle spalle; gli occhi spenti e pieni di dolore; il volto pallido, scavato sotto i lividi rossi e violacei causati dall’incidente. Isako sospirò accompagnando quel respiro con un’espressione di dolore, poi continuò:
“Se stai guardando questo video, non c’è bisogno che io ti dica che hai due figli di quattro anni.” rise triste prima di esclamare sussurrando con finto entusiasmo “Sorpresaa.” poi tornò seria sospirando ancora, questa volta cauta.
“Se stai guardando questo video, vuol dire anche che hai chiesto ai bambini di rimanere insieme a te.” sembrò provare giusto per un secondo a trattenere le lacrime, poi si arrese e le lasciò scorrere. “Ero sicura che l’avresti fatto, tanto che ho scommesso il loro futuro su questo.” prese ancora un ampio respiro. Sembrava come se ogni frase le costasse una grande sofferenza, ma lei sembrava non accorgersene nemmeno.
“Quando ci siamo conosciuti, la mia prima impressione su di te non è stata tra le più lusinghiere.” rise; sembrava quasi divertita al ricordo. Anche Atsumu sorrise mesto ricordando esattamente quel momento.
“Ti ho visto attorniato da tutte quelle ragazze… quindi ero sicura che usassi il club sportivo solo per fare colpo. Ma non potevo sbagliarmi di più, non è così?” il sorriso – seppure pallido – era sempre presente sulle sue labbra. L’alzatore ricordò quanto fosse bello negli anni di liceo, così ampio e luminoso da far dimenticare ad Atsumu tutti i suoi problemi.
“Atsumu,” chiamò tremante mentre gli occhi le riprendevano a bagnarsi “io sto morendo.” singhiozzò “Sono arrivata al capolinea, davanti a me non vedo più nulla, quindi non posso far altro che guardami indietro.” dovette interrompersi un momento, poi continuò: “Io… immagino che debba chiederti scusa. E non solo per averti tenuto nascosto di Akihiko e Kamiko.” sorrise mesta e si asciugò gli occhi “Sai, noi abbiamo avuto tanti alti e bassi. La nostra relazione era tutt’altro che perfetta, ma io ti amavo davvero. Ti amavo perché sono riuscita a vederti, Atsumu. Sono riuscita a farlo nonostante tu ti ostinassi a fingerti ciò che non eri.” scosse la testa fintamente divertita “All’inizio ricordo che eri sospettoso. Pensavi che stessi usando la pallavolo per conquistarti, non è così? Ma non ti biasimo. In quante lo hanno fatto?” sospirò “E poi, hai capito che ero sincera, quindi hai iniziato a esserlo anche tu, e quando hai capito che la nostra storia si stava facendo importante ti sei spaventato.” Atsumu deglutì. Sapeva che Isako era arrivata a capirlo come solo la sua famiglia prima di allora era riuscita a fare, ma non aveva mai pensato fino a quel punto.
“Così hai iniziato a fare l’idiota in giro con il tuo piccolo fanclub, ma io sapevo che lo facevi solo perché volevi proteggerti… sapevo che mi amavi e che non pensavi realmente a nessun’altra. Così ho resistito, e ho resistito, e poi-” si interruppe con un singhiozzo; chiuse gli occhi per un paio di secondi, infine riprese: “e poi non ci sono più riuscita. Devo chiederti scusa, perché sono stata debole. Tu avevi bisogno di me, a quell’epoca. Avevi bisogno che io fossi forte per entrambi, ma non ce l’ho fatta. Sapevo che ti stavi autodistruggendo; che – chissà per quale assurda ragione – stavi facendo di tutto per allontanare la possibilità che avevamo di essere felici. E sapevo anche che avrei potuto rendere felici entrambi, che ci sarei riuscita se solo avessi lottato. Però non l’ho fatto.” i suoi occhi si fecero più tristi e quasi sovrappensiero aggiunse: “Mi sono chiesta spesso come sarebbe stata la mia vita se non fossi stata una codarda. Io, te, Akihiko e Kamiko… forse a quest’ora saremmo stati una famiglia.” ma subito dopo chiuse gli occhi e scosse la testa.
“Non ha più importanza pensarci adesso.” le tremò il labbro prima di aggiungere “Io sto morendo, e l’unica cosa che mi è rimasta da fare è assicurare un’infanzia felice ai miei figli.” le si inclinò la voce, e lo fece ancora di più quando continuò dicendo: “La mia non lo è stata, Atsumu. Non voglio che anche i miei bambini vivano così, ti prego.” supplicò piangendo. Fece alcuni sospiri tremanti, tentò di frenare le lacrime e con voce più sicura riprese.
“I miei genitori non sono persone cattive.” disse “Ma sono molto, molto rigidi. Hanno una certa visione del mondo e non accettano di credere che invece le cose non stanno come dicono loro. Sin da piccola ho dovuto imparare che dire la mia dentro quella casa equivaleva a sbattere la testa contro un muro duro e incrollabile. E la cosa peggiore è che per anni hanno tentato di abbattere i miei morali per sostituirli con i loro.
“Quando penso al futuro di Akihiko e Kamiko e dico di non volere che crescano con loro, non penso a tutte le feste che mi hanno fatto saltare per paura dei ragazzi e dell’alcol che vi avrei trovato; non penso al fatto che a vent’anni avessi il coprifuoco alle dieci di sera; non penso che non accettassero che avessi amici se questi non fossero stati con genitori laureati e benestanti.” sospirò ancora a fondo per riprendere fiato.
“Invece, penso al giorno in cui hanno scoperto che ero incinta. Penso a come mi abbiano fatto ritirare dall’università per farmi studiare in casa; penso a come mi abbiano impedito di uscire anche solo per andare a fare la spesa quando la pancia ha iniziato a gonfiarsi.
La vergogna di far vedere ai vicini una figlia ancora giovane e nubile ma già in attesa ha superato l’amore che provavano verso di me. Sono stata prigioniera in casa mia e quando poi i gemelli sono nati… sapevo che non avrei potuto scappare. Mi ripetevo che io ero lì per loro, che avrei compensato con le mie idee i loro pensieri ristretti e che quando avessi avuto abbastanza soldi sarei finalmente andata via. Ma ora non posso più. Non posso più scappare via.” pianse gettando la testa all’indietro sulla montagna di cuscini che le reggeva la schiena.
“Però…” singhiozzò “Però i miei figli possono ancora farlo. Possono avere una vita migliore, anche se sarà senza di me.” sorrise tra le lacrime.
“Lotta per loro, Atsumu. Lotta come io avrei dovuto fare per te.” sospirò tremante “Io ci ho provato. Ci ho provato almeno per loro… ma non posso più farlo. Proprio ora che ho due magnifiche ragioni per continuare a lottare io…” chiuse gli occhi e fece una smorfia piena di dolore e sofferenza “Non riuscirò a sopravvivere a questo.” mosse una mano fuori dall’inquadratura, ma Atsumu suppose si stesse accarezzando la ferita mortale che aveva in grembo.
“Sono stata pessima, lo so. Pessima a non riuscire a rendermi indipendente dai miei genitori; pessima nell’averti nascosto dei tuoi figli. Ma ora non ho tempo. Non ho tempo per scusarmi, né per pentirmi delle mie azioni o per provare a rimediare. Ho solo il tempo di registrare un video e di dire addio per sempre ai miei bambini. Ho solo il tempo di pregare perché questo video arrivi a te.
So che persona sei, Atsumu. L’ho sempre saputo, anche prima che lo sapessi tu. Ma adesso ho bisogno che tu sia l’uomo che hai finto per tutti quegli anni di non essere.” sembrò quasi che avesse finito e che stesse per staccare la registrazione quando continuò dicendo:
“Ho continuato a seguire la tua carriera. Volevo che in qualche modo Akihiko e Kamiko ti conoscessero. So della tua relazione con Sakusa Kiyoomi. Non lo conosco, ma so che saremmo andati d’accordo. Avremmo avuto tante storie divertenti da raccontarci su di te.” rise nostalgica “L’ultima cosa che voglio è di rovinargli la vita; lui non c’entra niente con tutto questo e non avrei mai voluto stravolgere la vostra vita o rovinare la vostra relazione, ma tutto passa in secondo piano quando si tratta dei miei figli. Spero che una volta che li avrai conosciuti la penserai come me.
Perdonatemi per questo, vi prego.” sussurrò disperata “Ma aiutatemi. Aiutateli. Amateli, perché io non potrò più farlo.” pianse, pianse a dirotto, e così facendo il video finì.
 
Atsumu non riconobbe il proprio riflesso quando bloccò il cellulare e si vide in lacrime e distrutto sullo schermo nero. Isako non era mai sparita dal suo cuore e proprio lì quando aveva scoperto della sua morte gli si era aperto un buco nero che aveva lasciato un doloroso vuoto al suo posto. La ragazza era stata l’unica che avesse mai amato prima di Kiyoomi; l’unica al di là della sua famiglia che fosse mai riuscita ad amarlo per quello che era.
Lasciò il cellulare sul letto e si portò entrambe le mani agli occhi per tentare di asciugarli. Kiyoomi lo abbracciò stretto, ma il suo conforto ebbe il solo effetto di farlo piangere ancora più a dirotto.
Non riuscì a non colpevolizzarsi; a non rimproverarsi per non aver capito quanto Isako stesse soffrendo mentre lei di lui aveva capito tutto. Si chiese se avrebbe potuto aiutarla se solo avesse guardato più in là del suo naso, se solo fosse stato più coraggioso.
Non riuscì a non avercela con sé stesso per essere stato felice mentre lei ed i suoi figli vivevano in trappola in una casa poco piena di amore e troppo attaccata alle apparenze.
Non riuscì a non chiedersi “Perché? Perché proprio a lei. Perché a chi non se lo merita”.
Kiyoomi non disse nulla. Si limitò ad abbracciarlo e ad accarezzarlo sulla schiena con fare rassicurante ed amorevole, così i singhiozzi di Atsumu iniziarono a diminuire e poi cessarono.
“Scusa…” gli mormorò. Sakusa lo accarezzò ancora per un paio di secondi prima di chiedere piano:
“Per cosa ti stai scusando?” Atsumu non lo sapeva. Forse per essere così difficile da amare, per averlo costretto a riconsiderare tutta la sua vita, per chiedergli così tanto nonostante la sua misofobia. Per star piangendo in modo così disperato per la morte della ragazza che aveva amato, la ragazza con la quale avrebbe potuto avere una famiglia. Probabilmente Kiyoomi conosceva tutti quei pensieri. Kiyoomi lo conosceva meglio di chiunque altro.
“Ti amo così tanto, Omi.” sospirò stretto tra le sue braccia. “Non sarei sopravvissuto a tutto questo senza di te.”
“Non dovrai mai farlo. Io sono qui. Ci sarò sempre.” Atsumu sospirò tremante e si strinse ancora più forte a lui.
“Atsumu,” lo chiamò continuando a coccolarlo “cresceremo Kami ed Aki come loro madre avrebbe voluto. Cresceremo i nostri figli, i figli di Isako, pieni di amore e felicità.” il biondo annuì deciso.
“I nostri figli…” ripeté per il puro gusto di pronunciare quelle lettere. “Faremo in modo che non si dimentichino mai di chi fosse loro madre e di quanto abbia combattuto per loro.”
Uscire da quella stanza fu tutt’altro che semplice. Atsumu era rimasto devastato da quanto avevano appena visto e lasciare che si riprendesse non fu una cosa veloce, ma Kiyoomi era lì per quello. C’era una cosa su cui Isako si sbagliava: “lui non c’entra niente con tutto questo” aveva detto ad Atsumu, ma era il contrario, perché tutto ciò che riguardava l’uomo che amava, automaticamente riguardava anche lui.
Coccolò il proprio ragazzo come meglio poté. Preferì limitarsi a molte carezze e poche parole sussurrate direttamente nell’orecchio. Infine, quando il biondo fu pronto, aprirono la porta e si lasciarono la camera da letto alle spalle.
Fu Kiyoomi l’unico a raggiungere il resto della famiglia in salotto mentre Atsumu aspettava in cucina. Come previsto, infatti, subito i bambini chiesero cosa avessero trovato nel telefono della mamma.
“Ci ha detto quanto vi vuole bene, e che vuole che siate felici.” non si stupì quando gli chiesero di vedere anche loro dove lo diceva, ma lui gli spiegò che non potevano ancora farlo; che l’avrebbero visto quando fossero stati più grandi. Infine, disse loro di andare a giocare in camera da letto e tutti gli altri si spostarono in cucina.
Raccontarono del video e delle ragioni di Isako, poi subito chiamarono il loro fedele avvocato.
“È assolutamente perfetto.” disse loro il volto di Kobayashi al di là dello schermo del cellulare di Atsumu “In questo modo i signori Suzuki non potranno farla dichiarare instabile mentalmente al momento della scrittura del testamento.”
“Vuol dire che avremo l’affidamento?” chiese speranzoso Atsumu.
“Non sto dicendo che non dovremo combattere. I signori Suzuki possono tentare ancora qualcosa, ma le loro possibilità di successo si sono ridotte drasticamente. Mandatemi una copia del video via e-mail e mettete al sicuro la vostra.” Kiyoomi subito annuì.
“Ma certo.” disse.
“I documenti che avreste dovuto firmare ormai saranno in dirittura d’arrivo anche per i signori Suzuki. Non abbiamo più tempo da perdere. Godetevi questo finesettimana, perché da lunedì inizia la vostra battaglia”.
Quella sera si misero a letto inevitabilmente con un filo d’ansia, ma bastava ad entrambi stringere a sé i gemelli addormentarti per rasserenarsi. Il giorno successivo partirono di buon’ora alla volta di Osaka con Izumi, Osamu e Suna al seguito. Raggiunsero la squadra nell’hotel messo a disposizione dalla V-League e lì gli spiegarono cosa avevano fatto negli ultimi due giorni.
“So che le abbiamo chiesto già tanto,” stava dicendo Atsumu al coach con il corpo in un inchino di ringraziamenti e scuse “ma le chiedo ancora pazienza per la prossima settimana.” Foster gli mise una mano sulla spalla, poi sorrise ad entrambi assicurandogli che non avevano bisogno di scusarsi. L’ammirazione che avevano per quell’uomo non poteva che aumentare, e lo ripagarono con delle magnifiche azioni quello stesso pomeriggio.
Per Kiyoomi fu semplice: usò la palla per scaricare la tensione colpendola forte e preciso rendendo le proprie schiacciate impossibili da ricevere. Volle fare provare quella sensazione anche ad Atsumu, così – a fine partita – quando Kiyoomi ricevette la palla, preferì non fare una ricezione CC ma invece porla in modo che Atsumu avesse potuto schiacciare, e lo fece portando i Black Jackals alla vittoria. Il corvino si ubriacò del sorriso luminoso del suo ragazzo, poi non resistette oltre e lo baciò davanti a tutti. Era una cosa che non faceva mai: odiava l’attenzione, quindi almeno altrettanto odiava le effusioni in pubblico che non potevano far altro che attirarne parecchia, anche perché – in quanto personaggi pubblici – per giorni un singolo bacio non avrebbe fatto altro che spuntare nelle riviste di gossip, eppure era stato più forte di lui.
Festeggiarono con la squadra ed i bambini e in un batter d’occhio si ritrovarono a lunedì.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 

Capitolo 15

Tesi come non mai, lunedì si svegliarono di buon’ora ed avevano appena lasciato i gemelli all’asilo quando Kobayashi li contattò per telefono:
“Ho inoltrato al tribunale la vostra richiesta d’affidamento.” li avvertì “Adesso l’ufficio lo comunicherà ai signori Suzuki. Preparatevi a una loro ritorsione.” ed infatti la loro chiamata arrivò solo qualche ora più tardi. Atsumu afferrò il cellulare e – visto il mittente – lanciò uno sguardo a Kiyoomi e si allontanò dalla stanza in cui erano i bambini. Sakusa gli andò dietro, ma poté seguire solo parte della conversazione. Il tono di Shimizu Mayumi, comunque, era abbastanza alto da spingere il biondo a tenere il telefono a qualche centimetro di distanza dall’orecchio.
“Non avrei mai voluto essere scorretto, meschino o subdolo.” disse il suo ragazzo dopo molti minuti passati ad ascoltare gli sbraiti della donna probabilmente ripetendo solo alcuni degli aggettivi che aveva usato questa per descrivere il suo comportamento “Ma devo fare ciò che ritengo sia meglio per i miei figli.” Kiyoomi avvicinò l’orecchio all’apparecchio e grazie a questo poté sentire l’altra rispondere aspra:
“Non ci sei mai stato per loro! E adesso li reputi tuoi? E da quando?”
“Da quando ho scoperto della loro esistenza.” fu l’immediata risposta dell’alzatore. Infine, la avvisò che per qualsiasi altra cosa avrebbero potuto chiamare al numero di Kobayashi Ennosuke e chiuse la telefonata.
“Siamo in guerra.” annunciò subito dopo a Kiyoomi con il fuoco negli occhi, e lo erano davvero.
Il giorno successivo venne loro comunicato che i signori Suzuki si erano opposti ufficialmente perché Atsumu ottenesse l’affidamento esclusivo e che un giudice era già stato nominato affinché si occupasse del caso.
“Andremo in tribunale giovedì. Entreremo insieme ai signori Suzuki ed il loro avvocato nell’ufficio del giudice e lì, insieme ad alcuni testimoni, si svolgerà la seduta.” spiegò ancora Kobayashi quando andò a trovarli, i bambini affidati ad Osamu in modo che loro potessero prepararsi al meglio per quel giorno.
Rividero insieme all’uomo tutto il materiale che avevano raccolto e fecero qualche ricerca – per quanto possibile – sul giudice incaricato del loro caso. Infine, l’avvocato andò via e a loro non rimase altro da fare che attendere il fatidico giorno.
La mattina di quel giovedì si vestirono impeccabili e – una volta preparati anche i bambini, si misero al volante per raggiungere ancora una volta Hyogo. Era lì, infatti, che era stato aperto il testamento; lì che erano vissuti i gemelli e Isako; lì che avrebbero – secondo i piani iniziali – dovuto cedere definitivamente l’affidamento ai nonni dei bambini. Trovarono la madre di Atsumu ad aspettarli davanti al tribunale ed entro pochi minuti arrivò anche l’altra macchina da Tokyo con Suna, Osamu, Motoya ed i genitori di Kiyoomi. Atsumu abbracciò tutti a turno mentre lui si limitava a dei cenni del capo.
“Grazie per essere venuti.” stava dicendo il biondo a nome di entrambi. I bambini erano irrequieti, ma presto i nonni Sakusa e quella Miya riuscirono a distrarli mentre il resto del gruppo si occupava di far rilassare i pretendenti papà.
“Credo di non essere mai stato tanto nervoso in vita mia.” rivelò Atsumu e Kiyoomi concordò. In testa, solo il tarlo che la sua misofobia avrebbe potuto fargli perdere tutto.
Quando anche Kobayashi raggiunse il gruppo, il cuore dello schiacciatore iniziò a correre talmente forte da fargli temere un attacco di panico. Si impose di calmarsi, ma l’idea che una crisi in quel momento avrebbe potuto rovinare almeno quattro vite non faceva altro che peggiorare la situazione. Poi, Atsumu allungò una mano e intrecciò le dita con le sue. Kiyoomi lo guardò negli occhi e subito si rilassò.
“Come ci sei riuscito?” non riuscì a non chiedere da sotto la mascherina. Il biondo rise, ma non gli spiegò mai come avesse capito in che stato si trovava, né come con un semplice sguardo fosse riuscito a calmarlo. Rispose solo:
“Perché ti amo.”
Entrarono nell’edificio pubblico con il loro avvocato che faceva strada. Una volta dentro, Sakusa si fermò un momento e decise di togliersi guanti e mascherina.
“Sei sicuro?” se ne accorse suo cugino. Kiyoomi dovette solo guardare verso i bambini per dare la sua risposta.
“Per loro posso farcela.” anche Atsumu se ne accorse, così gli sorrise ed insieme proseguirono.
Arrivarono davanti ad una porta ancora chiusa e lì incontrarono Suzuki Honzo e Mayumi.
“Buon pomeriggio.” salutò Kobayashi professionale, ma nessun altro si unì a lui. I coniugi guardarono ognuno di loro con astio e antipatia e Kiyoomi non poté fare a meno di chiedersi se quei sentimenti fossero sempre esistiti o se fossero invece nati solo quattro giorni prima. In ogni caso non aveva importanza. Pochi secondi più tardi arrivarono anche l’avvocato dei coniugi Suzuki ed il giudice, rispettivamente un uomo sulla sessantina ed uno sulla settantina. Entrambi con i capelli neri quasi del tutto ingrigiti mentre solo il secondo portava una curata barba chiara.
“Signori.” salutò il giudice con un cenno del capo prima di stringere la mano a tutti. Kiyoomi seguì il movimento della destra dell’uomo e si concesse di prendere degli ampi sospiri per prepararsi a quel contatto. Di norma, grazie ai suoi progressi dell’ultimo anno, non sarebbe stato un problema, ma vederlo toccare una mano dietro l’altra gli rendeva la situazione più complicata. In ogni caso, si fece coraggio e ricambiò la stretta. Atsumu lo guardò fiero, innamorato e incoraggiante, quindi Kiyoomi non poté che sorridere impercettibilmente per quella loro piccola vittoria, poi dedicarono la loro totale attenzione al giudice che iniziò a dire:
“Vi chiamerò all’interno del mio studio tra qualche minuto. Desidero che entrino sono le parti interessate all’affidamento esclusivo dei gemelli con i rispettivi avvocati.” passò in fretta lo sguardo su tutti loro prima di aggiungere con un lievissimo sorriso: “Immagino che tenere d’occhio i bambini nel frattempo non sarà un problema.” molti tra i nonni e gli zii che non sarebbero entrati in aula annuirono, quindi il giudice fece loro un ultimo cenno ed entrò nella sua stanza.
Sia lui che Atsumu sospirarono ed insieme stavano per rivolgersi a Kami ed Aki quando Mayumi li precedette.
“Fate i buoni, bambini.” stava dicendo chinata alla loro altezza “I nonni tornano subito, va bene?” sorrise “Voi aspettate con questi signori, poi andremo a casa.” Kiyoomi avrebbe tanto voluto prenderla a sberle; ringraziò la propria misofobia per averlo trattenuto abbastanza da farlo ragionare. Si voltò verso Atsumu che come lui aveva un’espressione accartocciata nel viso al pari di tutto il resto dei loro parenti. I bambini, dal canto loro, guardarono prima i nonni Suzuki, poi Atsumu e Kiyoomi e tutti gli altri. Quando – di nuovo – gli occhi di Kami e quelli di Aki si posarono su di loro, Sakusa annuì impercettibilmente facendo anche un occhiolino. I gemelli sorrisero e annuirono alla nonna, poi diedero la mano a Izumi e si allontanarono. Mayumi si alzò e a Kiyoomi sembrò quasi che Atsumu stesse per dirle qualcosa, ma prima che potesse farlo lui gli afferrò una mano e all’orecchio gli sussurrò:
“Non lasciarti provocare. È la loro unica arma.” il biondo lo guardò, e dopo appena un attimo di incertezza sorrise ed annuì. Furono chiamati appena due minuti più tardi e – tesi – entrarono nello studio del giudice.
La stanza era grande e luminosa. A parte la scrivania chiaramente spesso usata dall’uomo ingombra di fascicoli e con un computer fisso montato sopra, nel locale erano presenti due ampie librerie in legno scuro con annesse vetrine ed infine un grande tavolo in mogano. Fu proprio intorno a quello che giudice, avvocati e potenziali affidatari presero posto insieme a quella che doveva essere la dattilografa, mentre tre sconosciuti, sicuramente i testimoni, sedevano poco distanti.
La seduta iniziò con il giudice che dettava data, orario e lista dei presenti da mettere agli atti. Poi passò a introdurre il caso. Perlopiù, inizialmente, furono gli avvocati a parlare. Quello dei signori Suzuki espose perché i suoi clienti stessero chiedendo l’affidamento ricordando anche di come si fossero presi cura dei bambini e di loro madre per tutti quegli anni; Kobayashi ribatté citando testualmente il testamento di Isako e portando subito sotto l’attenzione di tutti il video che la donna aveva registrato durante le sue ultime ore di vita stupendo non poco i genitori di quest’ultima. I due uomini di legge continuarono ad alternarsi nel parlare per diversi minuti, ma infine si fecero da parte per lasciare che il giudice parlasse direttamente con loro ed i Suzuki.
“Casi come il vostro non sono rari, ovvero tutori che morendo lasciano la custodia a parenti che secondo altri non sono all’altezza di crescere dei bambini. Naturalmente, come ogni caso d’affidamento, non è mai semplice prendere una decisione. La volontà del defunto va chiaramente sempre presa in considerazione, ma alla fine è al bene dei minori a cui dobbiamo pensare.” abbassò lo sguardo su alcuni fascicoli che aveva di fronte e prendendo a sfogliarli continuò “Per questo motivo i servizi sociali hanno un grande peso nella scelta, ma nel vostro caso vedo che entrambe le coppie hanno ricevuto il massimo dei voti sebbene, c’è da dire, da una parte abbiamo un’esperienza di solo poche settimane e dall’altro di ben quattro anni se non si considera anche la crescita della figlia naturale.” con la coda dell’occhio, Kiyoomi poté chiaramente vedere i coniugi Suzuki gongolare, ma lo schiacciatore aveva imparato a conoscere abbastanza bene il linguaggio del corpo da capire che il giudice era ben lungi dal finire il discorso.
“Al di là di questo, non possiamo ignorare quanto detto dalla madre dei gemelli nel video presentato dal signor Miya e dal suo compagno, quindi direi di passare a discutere la situazione economica e lavorativa.” Sakusa si concesse un sospiro di sollievo quando capì che la loro totale ignoranza sul come crescere dei figli non li avrebbe danneggiati contro i due veterani.
“Vedo che lei, signor Suzuki, è già in pensione, mentre lei signora è prossima a raggiungerlo.”
“Entrambi abbiamo una buona uscita, signor giudice.” intervenne l’uomo “In più disponiamo di alcune proprietà che stiamo affittando e che vorremmo passare ai nostri nipoti quando arriverà il momento.” il giusdicente annuì, poi passò a loro due:
“Signor Miya, signor Sakusa, vedo che entrambi avete firmato un contratto con una squadra della V-League, tuttavia vista la natura del vostro lavoro devo chiedervi quali garanzie avreste nel caso in cui un infortunio non vi permetta più di lavorare.” si erano preparati a quella domanda, quindi subito Atsumu passò ad esporgli i loro piani d’emergenza facendo comunque presente che – essendo in due ad essere giocatori professionisti – avevano ben poche probabilità che entrambi si facessero male e che comunque in ogni caso anche un solo stipendio sarebbe bastato a farli stare bene tutti e quattro. Fu solo a quel punto, dopo ormai quasi un’ora dall’inizio della seduta, che iniziarono le tensioni. Kiyoomi vide Mayumi fare un cenno verso il suo avvocato e subito dopo questi chiedere quali garanzie aveva Atsumu che Kiyoomi non avrebbe lasciato lui ed i gemelli aggiungendo:
“D’altronde sappiamo bene che la stabilità, o la precarietà, di una coppia si ripercuote sulla famiglia.”
“Io e Kiyoomi saremmo già sposati se solo il Giappone lo permettesse.” rispose subito e con astio Atsumu. Il corvino non riuscì a non sorridere consapevole di quanto quelle parole fossero vere e sincere. Tuttavia, l’ultima cosa che voleva era che Atsumu facesse il loro gioco, quindi lo calmò mettendo una mano sul suo ginocchio e più calmo rispose:
“Io e Atsumu stiamo insieme da tre anni. Conviviamo da prima che arrivassero i bambini e la nostra dinamica di coppia non ha assolutamente risentito del cambiamento, anzi…” si scambiarono uno sguardo tenero, poi lo schiacciatore riprese a parlare: “Abbiamo unito il nostro conto in banca sei mesi fa e abbiamo fatto in modo che legalmente fossimo l’uno per l’altro il parente più prossimo. Potremmo non essere sposati come vorremmo, ma di fatto lo siamo.” il giudice parve apprezzare la risposta, quindi senza che i Suzuki potessero aggiungere altro passò a controllare le proprietà ed i grossi movimenti bancari di tutti e quattro.
“Vedo che il suo conto è andato in rosso sei anni fa, signor Miya.” l’interpellato annuì.
“Ho aiutato mio fratello ad aprire la sua attività, ma come vede solo l’anno successivo mi ha restituito tutti i soldi. L’avvocato Kobayashi dovrebbe averle consegnato i dettagli delle transizioni che le confermeranno ciò che ho appena detto.” l’uomo cercò per qualche secondo tra i propri fogli, poi annuì.
“Vedo anche un grosso pagamento recente nel vostro conto comune.” fece ancora ai due giocatori.
“Il nostro attuale appartamento non è piccolo, ma in quattro preferiremmo avere più spazio. Abbiamo trovato una casa che potrebbe fare al caso nostro. Si trova in un quartiere tranquillo ed è vicino alle scuole. In questo modo sia noi che i gemelli potremmo stare più larghi.”
“E anche riavere la nostra palestra.” pensò divertito Kiyoomi.
“C’erano molti acquirenti interessati, quindi abbiamo dovuto versare un acconto affinché il proprietario ci desse più tempo per capire se…” Atsumu si interruppe, quindi fu Sakusa a finire per lui:
“Se domani ci servirà ancora una villetta per quattro persone.” il biondo annuì e così fece il giudice.
“Bene.” disse infine l’uomo “Se non c’è altro vi chiederei di aspettare fuori il mio verdetto.”
“I miei clienti in realtà vorrebbero porre sotto la sua attenzione ancora due dettagli che forse non sono stati accuratamente trattati.” non li lasciò congedare l’avvocato dei signori Suzuki e a un cenno del giudice l’uomo continuò:
“Sappiamo bene tutti in che genere di tempi ci troviamo, ma al di là dei discorsi sui diritti ed il rispetto, non si può negare che a dei bambini in piena formazione servano modelli tradizionali e, soprattutto nel caso della piccola Kamiko, un evidentemente mancante modello femminile.” Kiyoomi rispose prima che potesse farlo Atsumu.
“Noi abbiamo intenzione di non far mancare nulla ai bambini, neanche i modelli femminili, come dice lei. I miei genitori, e quindi anche mia madre, vivono a Tokyo, non troppo distanti dalla casa che abiteremmo con i gemelli. Mentre la madre di Atsumu, al momento residente qui a Hyogo, subaffitterebbe il nostro attuale appartamento proprio per essere più vicina ad entrambi i bambini.”
“Ovviamente sarà la benvenuta anche lei, signora Shimizu.” aggiunse poi Atsumu “Con l’affidamento esclusivo non miriamo ad eliminarli dalle vostre vite.”
“Qual è il secondo dettaglio?” chiese a quel punto il giusdicente, e l’avvocato dei coniugi rispose:
“La misofobia del signor Sakusa, naturalmente.” Kiyoomi si irrigidì, ma aveva ancora la mano sul ginocchio di Atsumu che subito gli venne stretta in segno di solidarietà. Il corvino vide il proprio compagno aprire bocca, ma fu il loro avvocato a parlare per primo:
“I miei clienti non intendono negare il disturbo del signor Sakusa. Pronti a negare, invece, sono il fatto che questo gli impedirà di essere un buon genitore. Nessuno di noi è libero da difetti, nemmeno i signori Suzuki da quanto abbiamo sentito dalla bocca della loro stessa figlia. La condizione del signor Sakusa non danneggia altri se non sé stesso, e si sta impegnando per superare il problema.”
“Può danneggiare i bambini, invece, se eviterà di soccorrerli solo a causa di un po’ di sporco!” ribatté Honzo.
“Probabilmente non l’ha notato, signor Suzuki,” continuò Kobayashi al posto loro “ma il signor Sakusa al momento non indossa né guanti né mascherina.” tutti gli occhi dei presenti si concentrarono su di lui, ma a Kiyoomi bastò concentrarsi su quelli caldi di Atsumu per rimanere calmo. “Ha stretto la mano al signor giudice e sono sicuro lo rifarà quando tutto questo sarà finito. Notando adesso quanto ha fatto solo per normale cortesia, crede davvero che non interverrebbe per amore dei suoi figli?” era la prima volta che in quella stanza si accenna al fatto che i gemellini – in caso di loro affidamento – sarebbero ufficialmente diventati anche suoi figli e se – visto il loro improvviso irrigidimento – la cosa fece impressione ai due Suzuki, fu invece come un balsamo per le orecchie dello schiacciatore.
“Akihiko e Kamiko potrebbero rimanerne impressionati. Non possiamo sapere come reagirebbero i bambini ad una sua crisi.” continuò imperterrito Honzo e questa volta fu Atsumu a contraddirlo:
“Sì che possiamo.” il biondo guardò fugacemente verso Kobayashi che però non fece nulla per fermalo, quindi spiegò: “Kiyoomi ha avuto un attacco di panico la settimana scorsa. Ho risolto in fretta la situazione e non ho mai perso di vista i bambini. Sono rimasti buoni ed in silenzio finché non ho messo Omi… cioè, Kiyoomi a letto. Kamiko e Akihiko hanno subito capito che era importante che non facessero baccano. Quando poi la crisi è passata ho spiegato loro tutto e mi hanno aiutato a far riprendere al meglio Kiyoomi. Se adesso gli chiedeste cos’è un misofobo e cosa dovrebbero fare in caso di attacco di panico saprebbero rispondervi senza problemi.” dopodiché l’alzatore si voltò verso di lui e sorridendo ripeté quello che diversi giorni prima aveva detto loro suo padre: “I quattro sono l’età che più sorprende.”
“Non ho bisogno di ascoltare altro.” chiuse la questione il giudice, poi fece cenno verso la porta.
Trovarono i bambini, Eri, Ichiro, Izumi, Motoya, Osamu e Suna poco distanti. Non appena li videro spalancarono tutti gli occhi e si affrettarono a raggiungerli.
“Sta decidendo.” spiegò in fretta il corvino, ma poi annuì incoraggiante: avevano ottime possibilità di farcela.
Attesero circa mezz’ora. In quel lasso di tempo si distrassero giocando con i bambini; lui fece persino delle intricate trecce a Kami.
Quando, poi, il giudice riaprì le porte del suo ufficio, tutti saltarono sul posto e nervosi si alzarono da dove erano seduti.
“Potete entrare tutti per ascoltare il verdetto.” così non esitarono e seguiti dai parenti tornarono nella stanza.
Il giudice non fece accenno a sedersi, quindi nessun’altro lo fece. Invece, rimasero al centro della stanza, il giusdicente di fronte a tutti gli altri. Pochi attimi, e avrebbero scoperto quale sarebbe stato il loro futuro, già deciso ma ancora oscuro. Kiyoomi e – lo sapeva – anche Atsumu non erano mai stati tanto in ansia. La pressione di quando avevano dovuto rappresentare il Giappone alle Olimpiadi sembrava adesso solo uno scherzo. Poi, Aki lasciò la mano di Ichiro per abbracciare la gamba di Atsumu e lo stesso fece Kami con la sua. I due giocatori guardarono prima in basso e poi – ugualmente felici e commossi – si scambiarono uno sguardo. Il corvino tornò a guardare l’uomo di fronte a sé con una mano tra i capelli intrecciati della piccola sperando che quella non fosse l’ultima volta che lo faceva.
“Esaminata la documentazione in mio possesso e valutato in presenza di avvocati e testimoni la situazione economica e finanziaria dei candidati,” iniziò professionale il giudice mentre la dattilografa picchiettava veloce sulla tastiera “bilanciando il volere della madre dei minori, Suzuki Isako, di affidare i figli al padre naturale, con la maggiore esperienza in campo genitoriale dei signori Suzuki Honzo e Mayumi,” continuò rendendo l’aria sempre più satura d’agitazione “ho ritenuto etico e opportuno, a parità di benestare e sicurezza, affidare Suzuki Akihiko e Kamiko ai signori Miya e Sakusa.” l’ansia svanì in un attimo e prima che se ne accorgesse Kiyoomi era in ginocchio per abbracciare sua figlia con un sorriso a trentadue denti e gli occhi che minacciavano lacrime. Guardò verso Atsumu e lo trovò nella stessa identica posizione con Akihiko. Quando anche il biondo guardò verso di lui, seppero di essere finalmente completi e pronti per iniziare la loro vita come una famiglia. Intorno a loro, diverse esclamazioni di gioia o indignazione si erano sparse nell’aria, ma i quattro a terra li sentivano a malapena. Si avvicinarono tra loro e – senza poter trattenere un bacio felice – si abbracciarono tutti insieme. Solo quando tornarono alla realtà seppero che i signori Suzuki avevano provato a controbattere il volere del giudice insistendo ancora sul rapporto omosessuale e sulla misofobia ma, a quanto gli disse in seguito Motoya, l’uomo aveva risposto severo ricordando loro quanto dichiarato da Isako nel video registrato in punto di morte dichiarando tranquillamente inutili tutti i pregiudizi omofobi e meno grave del loro fin troppo rigido comportamento la misofobia di Kiyoomi.
Ringraziarono ancora mille e mille volte il giudice per avergli dato quella possibilità. L’uomo strinse a entrambi la mano, sorridendo particolarmente a Kiyoomi quando ricambiò subito e con sicurezza la stretta. Infine, si rivolse anche ai bambini:
“Siete felici di andare a vivere a Tokyo con i papà?” gli chiese sorridente e loro – in quel momento uno tra le braccia di Atsumu e l’altra tra quelle di Kiyoomi – annuirono subito al settimo cielo esclamando a gran voce che lo erano.
“Che bellissime trecce, signorina.” parlò ancora il giudice.
“Me le ha fatte Omi!” rispose questa abbracciando l’appena nominato. Il giusdicente ampliò ancora il sorriso, poi si rivolse ai genitori con aria più professionale.
“Se volete seguirmi alla mia scrivania ho dei documenti da farvi firmare. Se volete cambiare il cognome dei bambini però dovrete andare all’ufficio dell’anagrafe.”
“No.” disse subito Kiyoomi. Lui ed Atsumu non ne avevano mai parlato, ma era ovvio che dovesse essere così: “Terranno il cognome di loro madre.” l’uomo annuì ancora, poi fece cenno verso la scrivania. Kobayashi lesse per loro i documenti ed al suo via libera firmarono entrambi con piacere.
Era tutto finito.

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


 

EPILOGO

Ancora non gli sembrava vero. Erano bastati il cognome suo e quello di Kiyoomi pronunciati dal giudice perché Atsumu entrasse in una dimensione ultraterrena fatta solo di gioia e felicità. Quando firmarono i documenti ottenendo entrambi definitivamente l’affidamento, il biondo si sentì talmente alleggerito che quasi si sentiva in grado di volare. Sorrideva talmente tanto che erano bastati solo pochi minuti per fargli dolere le guance, ma nonostante questo proprio non riuscì a smettere.
Abbracciò sua madre, suo fratello e tutti gli altri; il volto di ognuno di loro più felice che mai. Lasciarono che i signori Suzuki salutassero i nipoti. Potevano dire molte cose su di loro, ma tra queste non c’era che non amassero quei bambini. Atsumu e Kiyoomi rassicurarono entrambi che sarebbero sempre stati i benvenuti a Tokyo e che avrebbero portato da loro i bambini ad ogni occasione possibile. Honzo e Mayumi sembrarono lottare con loro stessi, ma infine decisero di mantenersi maturi e accettare di buon grado. Si salutarono con una stretta di mano, poi i coniugi li precedettero uscendo per primi dal tribunale.
“Dobbiamo andare a festeggiare!!” esclamò Izumi abbracciando un’ennesima volta il proprio figlio, poi insieme a Suna ed Osamu iniziò a pensare in quale locale di Hyogo spostarsi.
Così facendo, con i gemelli immancabilmente ancora in braccio ai genitori, si lasciarono il tribunale alle spalle e lì, immediatamente fuori dall’edificio, trovarono una sorpresa: urla ed esclamazioni si confusero nell’aria in un misto di “Congratulazioni!” e “Evviva!!”. L’intera squadra dei Black Jackals era lì per loro. I due giocatori si avvicinarono ai compagni sorridendo.
“Cosa ci fate qui?” chiese più che felice Atsumu; Akihiko che si agitava saltando eccitato tra le proprie braccia.
“Abbiamo seguito tutta la vostra storia! Credevate davvero che ci saremmo persi questo?” chiese ridendo coach Foster.
“Suna-san mi ha mandato l’emoji del pollice in su qualche minuto fa!” esclamò Hinata entusiasta “Sono così felice per voi!!” saltò un paio di volte ad almeno un metro da terra.
“Hey Hey Heeey!!” si unì al baccano Bokuto rivolgendosi direttamente ai piccoli: “Fate ufficialmente parte della squadra!” Atsumu rise, poi baciò Akihiko sulla guancia.
“Siete felici?” chiese loro Meian con un sorriso ed i bambini subito dissero in coro:
“Sì!!”, poi Kami aggiunse “Staremo per sempre con papà e Omi!”
“Oya?” fece Bokuto “Potete chiamare anche lui papà, adesso.” Atsumu si voltò verso il proprio compagno e lo vide arrossire impercettibilmente. Nella gioia generale non aveva ancora rindossato guanti e mascherina, quindi non fu difficile accorgersi del suo stato che peggiorò sensibilmente quando Kami lo guardò e felice esclamò:
“Papà!” subito seguita da Aki. Kiyoomi sorrise e abbracciò forte prima una e poi l’altro inglobando anche Atsumu.
“Se Omi è papà allora papà è papino!” fece il maschietto guardando verso di lui. Tutti risero e assentirono affibbiandogli a vita quel nomignolo.
“Hey!” si finse indignato “Sono appena di cinque centimetri più basso!” fece ridere i presenti.
“Chiamatemi almeno papi!” provò, ma lo schiacciatore fece in modo di vanificare i suoi sforzi sussurrando ai figli:
“Non ascoltatelo, lui è papino.”
“Papino! Papino!!” iniziarono in coro Bokuto e Hinata, così seppe di essere condannato. Scosse la testa e rise, poi baciò Kiyoomi e ancora si strinsero insieme ai figli.
“Festeggiamo e poi andiamo a casa.” sussurrò il biondo al suo compagno labbra su labbra. Questi sorrise ed annuì.
“Abbiamo un trasloco da fare.”
 
_______________________________________
 
EBBENE SÌ, SIAMO ALLA FINE DELLA STORIA. SPERO CHE VI SIA PIACIUTA E CHE TUTTI I PROCEDIMENTI CHE MI SONO INVENTATA NON SIANO RISULTATI TROPPO FORZATI.
PRIMA DI LASCIARVI – ANCHE PER FARMI PERDONARE PER QUESTO EPILOGO POCO LUNGO… INSOMMA, CORTISSIMO – VI ELENCO LA SERIE DI HEADCANON CHE IO E LA MIA CARA LORASWEASLEY CI SIAMO INVENTATE PER IMMAGINARCI MEGLIO IL FUTURO DELLA SAKUATSU E GEMELLI
:
  • Quando annunciano ufficialmente dei gemelli, dopo ogni partita nelle interviste quasi sempre non chiedono nulla sul gioco ma solo sui bambini (anche a Suna e Komori e Osamu se ha lo stand): gli intervistatori li chiamano sempre in modo tale che si capisca che sono solo figli di Atsumu, ma tutti loro specificano per prima cosa che sono anche figli di Sakusa.
  • Osamu e Suna decidono di adottare un bambino con la scusa “Kami e Aki devono avere un cuginetto con cui giocare”.
  • Kami gioca a pallavolo a scuola, ma vieta ai suoi genitori di andare a vedere le partite, così loro ci vanno in incognito. Si fanno scoprire quando alcuni ragazzi fanno dei complimenti a Kami e Atsumu inizia a sbraitare cercando di allontanare tutti.
  • Bokuto inizia a battere i pugni sul petto di Atsumu quando scopre che Aki ha regalato un fiore a sua figlia (adottata con Akaashi), quindi Atsumu si lamenta: “perché non te la prendi anche con Omi?” la risposta arriva da Kiyoomi stupendo tutti: “perché è da te che ha preso tutto il romanticismo”.
  • Le prime mestruazioni di Kami gettano tutti nel caos: Atsumu va al supermercato e le compra un pacco di ogni tipo di assorbenti, Kiyoomi fa mille ricerche su internet e sbianca sempre di più, poi entrambi chiamano disperati le loro madri per capire cosa devono fare mentre rimpiangono di non avere neanche una coppia etero tra gli amici più intimi.
  • Aki diventa un mangaka shojo e inizia ad avere un sacco di successo quando rivela al mondo che ha tratto ispirazione dalla storia d’amore dei suoi genitori. I membri dei Black Jackals quindi iniziano a chiedersi: “in questa scena secondo voi Atsumu è l’uomo o la donna?”. Il giorno dopo Atsumu si rende conto che Kiyoomi ha eliminato il suo unico account social: “Omi, ti sei cancellato da Twitter?”, “Ovvio che sì”.
  • Kami rientra mezzora dopo il coprifuoco e chiede ad Omi di distrarre Atsumu per poter sgattaiolare non vista in camera sua.
  • Omi, Kami e Aki hanno una chat di gruppo (oltre quella di famiglia con Atsumu) per organizzarsi meglio per cose come quella del punto sopra (^).
  • Kami inizia ad apprezzare le gonne. Ne compra una che arriva alle ginocchia e Atsumu inizia a lamentarsi dicendo che è troppo corta.
  • Aki è sempre rimasto calmo e gentile. Quando chiamano dalla scuola, Atsumu e Kiyoomi pensano quindi subito che si tratti di Kami come è già successo più volte. Rimangono sconvolti quando scoprono che è stato Akihiko a iniziare una rissa con un suo compagno finché non vengono a sapere che l’ha fatto dopo che questi aveva detto che era innaturale avere due padri e altre boiate simili.
  • Kami è quel tipo di persona che al liceo prende in giro Aki per una cotta che lui ha per qualche ragazza, urlando il tutto ai genitori tornando a casa e ridendo facendo battutine pessime per ore. Ma allo stesso tempo in privato stalkera la ragazza e la placca in bagno facendole un discorso degno della freddezza di Omi giusto per capire se merita il suo fratellino.
DETTO QUESTO, SAPPIATE CHE QUESTA LONG MI HA ISPIRATO UNA OS (CHE PUBBLICHERÒ LUNEDÌ PROSSIMO) IN CUI ATSUMU CONOSCE PER LA PRIMA VOLTA I GENITORI DI SAKUSA! QUINDI TENETE D’OCCHIO IL MIO PROFILO E FATEMI SAPERE CHE NE PENSATE, SE VI VA!
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE MI HANNO SEGUITA FINO A QUI! LEGGERE IL VOSTRO APPREZZAMENTO MI INVOGLIA A SCRIVERE E SCRIVERE ANCORA CON SEMPRE MAGGIORE FIDUCIA, GRAZIE!!! 

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